Dal diario di una stagista di Anthy (/viewuser.php?uid=56253)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Domenica 06/02 ***
Capitolo 2: *** Lunedì 07/02 ***
Capitolo 3: *** Martedì 08/02 ***
Capitolo 1 *** Domenica 06/02 ***
Capitolo 1
Otto giorni a San Valentino.
Domenica 06/02/11
Febbraio, che mese inutile.
L’unico a non avere né
trenta, né trentun giorni. Forse questo lo dovrebbe rendere
particolare... ma a te sembra solo un mese inutile, appunto. E sfigato.
Febbraio non è né
carne né pesce; non è freddo come Gennaio, ma non
è neppure caldo come in primavera.
Febbraio ti frega, andando
sottozero alla sette di mattina e facendoti sudare come una porcella
giusto quattro ore dopo, con il sole alto in cielo ed il maglioncino di
lanetta che ti eri messa addosso per il freddo. Ti senti quasi
ridicola, poi, per averlo indossato.
Poco importa che siano nati i tuoi genitori in questo mese, inutile è ed inutile rimane.
Eppure esiste.
E con lui San Valentino.
Oh, sì, la gioia dei commercianti, la luce dell’economia, il faro del diabete.
San Valentino.
Meh.
***
Una raccolta breve, non troppo lunga nei contenuti, se riesco da postare ogni sera fino al 14.
Questo si può considerare un prologo, ma vi avverto, non
è una storia complicata né complessa né altro.
Un passatempo, per me e per voi.
Anthea
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Lunedì 07/02 ***
Capitolo 2
Dal diario di
una stagista
Sette giorni a San Valentino.
Lunedì 07/02/11
Vent’anni e sentirli, sentirli tutti.
E no, non è poca cosa: perché oltre a quelli,
c’è la speranza di viverne – palpatina alla tetta
sinistra per scaramanzia – altri... uhm... sessanta magari. E
questi sì che pesano, se continuano tutti uguali.
È questo che pensi, a lunedì pomeriggio ormai inoltrato;
le cervicali dolgono, gli occhi bruciano, le palle girano – non
che la cosa ti sorprenda, comunque.
Vuoi solo andare a casa e spogliarti e rilassarti e cazzeggiare un po’ con Internet.
Per un attimo ti chiedi come possa essere la vita da nababbo... e senti
di pari grado salire il desiderio e la frustrazione all’immagine
di una realtà fatta di shopping, libri e qualsivoglia cavolata
ti passi per la mente.
La routine non ti spaventa, la pigrizia è un anticorpo che non ha mai fatto cilecca.
E poi ci sarebbe sempre tempo per cambiare, no?
Sospiri, scacciando lontano sogni onirici di una mente depressa, ed
attendi impaziente che l’ascensore si decida a fare il suo
mestiere, presentandosi di fronte a te.
Giornata finita, lunedì andato, inizio settimana vissuto.
È da fine Gennaio che hai cominciato questo stage dal commercialista di tuo padre, in centro a Padova.
Uno smaronamento infinito, ad
essere sinceri, visto che devi pagarti l’abbonamento della Sita, stare su tutto il giorno per NON fare ciò che ti era stato detto
che avresti fatto e sfacchinare tutto il giorno come fattorino.
E l’offerta di questo stage mica è partita da te, ma dal signor Ragioniere!
Peccato che suddetto signor Ragioniere – che fa tanto Fantozzi,
ma che di lui non ha nulla, se non la bassez- pardon, l’altezza
– abbia la sindrome del buon samaritano e raccatti su ogni
stagista proposta da qualsivoglia scuola ed università, con
buona pace delle sue impiegate regolari, che si ritrovano affibbiate
nuove leve temporanee ogni tot mesi.
Finalmente, l’ascensore appare dietro la porta verde, facendoti sibilare uno stizzito “Alla buon’ora!”.
Senza troppi complimenti, ti fiondi dentro, lo sguardo già
catturato dallo specchio che si trova di fronte a te, schiacciando
distrattamente il piano terra sulla pulsantiera; è un rito,
ormai: entri in ascensore e ti guardi allo specchio, sistemandoti il
ciuffo sotto il berretto, o facendo smorfie o osservando come sta il
tuo volto di profilo. Sì, non ti piace il tuo profilo, ma in
quell’ascensore risulta quasi passabili – merito delle
luci, che sono come quelle del bagno a casa tua, ovvero al neon (ergo,
le meno veritiere, ma le più lusinghiere) – e sì,
devi ammetterlo, sei anche abbastanza narcisista.
No, non ti senti bella, ma sì, ti piace guardarti.
E finché riesci ancora a riconoscere fra le profondità di
un torrente dalle chiare, fresche e dolci acque ed una superficie in
vetro, ti convinci che il – anzi, perché “il”?
Casomai “nessun” problema sussiste.
Giusto?
Certo che no.
È una lezione che impari quando, mentre sgrani gli occhi alla
tua immagine, atteggiando la bocca a cuoricino e sistemandoti il
berretto, ti accorgi con discreto ritardo che l’ascensore si
è fermato.
E si è fermato troppo presto oltretutto.
E la porta si è aperta.
Ed una persona sta entrando.
E ti ritrovi a considerare che sì, effettivamente anche in quel
momento sai riconoscere la differenza fra rigogliosa H2O di montagna ed
un più solido SiO2 amabilmente accompagnato, ma
altrettanto distintamente riesci a quantificare il momento come
“colossale figura di mmmmmmm...” in corso.
Allibita, un'espressione ancora abbastanza stupida - no, non
“stupita” come molti in queste occasioni sbagliano a
scrivere. Proprio stupida - in volto, osservi il ragazzo - sì, ragazzo;
perché secondo voi poteva essere veramente la vecchietta del
sesto piano tutta impellicciata, che attacca bottone anche con gli
oggetti inanimati? Certo che no - che ha interrotto il tuo... uhm...
esame; lentamente ti giri, occhieggiando prima suddetto ragazzo, che
sconcertato tiene aperta la porta dell'ascensore senza decidersi ad
entrare, poi l'indicatore dei piani dell'elevatore, ed infine di nuovo
lui, che finalmente si muove, andando ad occupare il già esiguo
spazio insieme alla valigia che porta con sé.
Imbarazzata e confusa – di solito, una combinazione pessima che
frega anche chi di rimaner a corto di parola non ha paura – per
essere stata sorpresa in pose decisamente poco fotogeniche, ti
ritrovi a balbettare un impacciato « Ma.. è il piano
terra?», che speri possa passare inosservato, perché
è CHIARO che no, non è il piano terra.
E mentre l’ascensore riparte, lo vedi voltarsi verso di te, un
sopracciglio ironicamente alzato ed un sorrisino divertito sulle labbra.
« No, è il settimo. Ma continua pure, se devi».
Ascensore, precipita. Ora.
Accenni un sorriso, che di sorriso ha ben poco, verso quello che sembra un universitario, moro e carino, ben vestito e non troppo alto.
Della serie "se dobbiamo farci vedere nel peggio delle nostre possibilità, facciamolo in grande stile".
Fissi dritta davanti a te, senza osare muoverti, neppure per spostare il ciuffo che ti infastidisce sotto il berretto...
« Lavori qua?»
... ma l'invisibilità ancora non la pratichi con successo; del
resto hai frequentato una fichissima scuola di ragioneria, Hogwarts era
una scelta troppo banale per una come te.
« Sì. Sono in stage presso lo studio Tondello... non so se...». Ma a te... che diavolo te ne frega, meh!
« Sì, sì, ho presente! Sempre circondato da ragazze giovani e carine, vedo».
Con la coda dell’occhio lo vedi ammiccare.
Doveva essere un complimento?
Non rispondi – che c’è da rispondere, poi! – né ti interessa ricambiare un finto interessamento.
Vuoi solo andare a casa, subito.
... ma l’ascensore si ferma.
Grazie al cielo, la persona che l’ha fermato si rende conto che
forse – ma forse, eh – gli conviene fare le scale a piedi,
o attendere, piuttosto che stringersi in quei pochi metri quadri.
Dannati palazzi storici!
Tuttavia, si può dire che sia stata una fermata strategica, quella, visto che mister Nonchalance tace, senza dar segno di voler riprendere la conversazione.
Tu, di certo, non ti fai pregare a stare in silenzio, stringendo il manico della borsa con forza.
Ed in silenzio arrivate abbastanza velocemente al piano terra, dove la
tua vergogna, il tuo imbarazzo ed ogni ricordo sulla tua mimica
facciale potranno essere dimenticate con la dipartita
dell’inquilino del settimo piano – o su di lì, insomma.
Del resto, ti dici, non l’hai mai incontrato finora – e
sono già passate due settimane da quando sei lì; quante possibilità ci
sono di rincontrarlo a breve?
Attendi con impazienza che suddetto personaggio prenda armi e bagagli e
sparisca velocemente, sperando che l’aria fredda della sera
lenisca e cancelli la sequenza di rewind che la tua mente,
all’accadere di situazioni spinose, sembra sentirsi in dovere di
proporti, giusto per rigirare il dito nella piaga.
Tuttavia, sarebbe troppo semplice uscire ignorando il tizio.
« Beh, è stato un piacere», esordisce, mentre
vi avviate verso il portone del condominio. Ti sorride, tenendoti
galantemente un battente aperto.
« Grazie... sì, un piacere», sbiascichi a denti stretti.
Vergogna, profonda vergogna.
« ... e carine le tue smorfie, quasi quanto te. Ciao!»
Ti volti di scatto – le cervicale che intonano un inno al Signore
tutt’altro che sacro –, ma quel... quel pezzente ti ha
già dato le spalle, avviandosi a passo spedito...
... ad impiccarsi, lui, il suo sorriso e le sue battute da galantuomo in disgrazia!
***
"La
palpatina alla tetta sinistra", almeno dalle battute alle superiori,
era la controparte alla strizzatina che i maschi si danno al... cavallo
dei pantaloni.
Ricercando un
po', ho trovato che che la composizione del vetro è costituita
in maggior parte dal Diossido di Silicio (ovvero, SiO2), accompagnato ad altri componenti. Da lì la battuta.
La figura magra
l'ho veramente fatta in ascensore, ma non durante questo stage, ma in
uno precedente - sempre, però, in questo stesso luogo. Da quella
volta, ora sto attenta quando mi guardo allo specchio dell'ascensore. E
no, non mi sorprese un bel ragazzo, ma la suddetta signora
impellicciata. Il ragazzo universatrio, tuttavia, l'ho incontrato una
sola volta sempre in quel precedente stage - ed attualmente, sto
sperando in un ulteriore incontro.
"Studio Tondello" non esiste. Se esiste, non era mia intenzione fargli pubblicità occulta.
Grazie a chi preferisce, segue e tutto il resto. ^^
Grazie a chi ha recensito!
A domani - spero.
Anthea
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Martedì 08/02 ***
Capitolo 2
Attenzione:
la narrazione è stata cambiata, passando alla prima persona.
Entro domani sera cambierò anche quella del secondo capitolo.
Dal diario di
una stagista
Martedì 08/02/11
Sei giorni a San Valentino.
Avete voglia di dimagrire senza dover necessariamente fare una dieta o frequentare una palestra?
Avete il desiderio di portare in giro pacchi nella stessa maniera dei
postini di Maria De Filippi, ma con un peso decisamente superiore
– giusto per farsi un po' di bicipiti, che mai guastano –
ma senza bicicletta?
Andate a fare gli stagisti, allora!
Se siete fortunati verrete anche pagati per l'esercizio fisico effettuato, come una pillola dimagrante non potrebbe mai fare.
Notate un leggero tono ironico nelle mie parole? No, ma quando mai!
Solo perché ho portato due pacchi di fatture a qualche
passo dallo studio, per poi tornare indietro e perdere una mattinata
all'Inps – che al confronto un ambulatorio medico è meno
affollato – non significa che mi stia lamentando. Affatto.
Sto solo ponderando che tutti i lavori più porci vengono affidati alla stagista di turno.
Per carità, non dico che non capisco: è ovvio che
l'impiegata regolare, che ha tutti i suoi lavori da svolgere, affibbi a
terzi - quando può - tutti i lavori più ingrati meno pratici, ecco.
Lo capisco, davvero.
Ciò non significa che non possa borbottare tra me e me per la cosa.
Ma d’altronde, lo sapevo che sarebbe andata a finire così.
Figurati se per tre mesi ‘quello’ mi teneva ‘al suo fianco’ per ‘migliorare le conoscenze nel settore’. L'unica cosa che ho imparato, finora, è la postazione delle bancarelle dei clienti in Piazza della Frutta!
Cammino a passo veloce, sperando che non vi siano altri pacchi da
consegnare, maledicendo per l'ennesima volta il tempo di Febbraio ed
accumulando così malumore su malumore.
Oh, stamattina si gelava.
Ge-la-va.
Eppure sono partita con un maglioncino di cotone.
Risultato? Ora ho leggermente caldo.
Tradotto? Avrò le vampate non appena metterò piede in
ufficio, dove la temperatura media – se tutto va bene –
è intorno ai venticinque gradi.
Quanto odio il tempo quando è più umorale di una donna mestruata.
Fosse estate, capirei – ma diamine, è inverno! Non
può trasformarsi da rigido a mite come vuole, ci sono persone
che soffrono per questo, che hanno dei sentimenti!
Sospiro, cercando un motivo – uno solo – per cui potrei
considerarmi di buon umore, giusto per sopravvivere alla giornata.
Ma non è facile: stamattina ho scoperto di aver perso i guanti,
per il secondo anno consecutivo; poi sono arrivata appena in tempo alla
fermata, prima che passasse la Sita – perché, appunto,
avevo cercato i guanti; arrivata in ufficio, ho scoperto che
l’olio della pasta era fuoriuscito dalla vaschetta di alluminio
e, quando ho aperto il sacchetto di plastica che la conteneva, è
stato il disastro – e tante Madonne preghiere; sono stata mandata in giro a mo’ di ambulante disperata...
Direi che non c’è molto di felice, in questa giornata.
Anche se...
Uhm, di fruttuoso c’è stata solo una cosa: una stupenda borsa che ho visto nelle bancarelle a prezzo stracciato.
No, non l’ho presa. Ho lasciato che le paranoie mi assalissero,
ricordandomi che devo risparmiare, che ho già speso tanto, che
devo farmi la ricarica a breve...
Insomma, solita routine. Tanto domani la compro – quindi
sì, per questo posso usare senza rimpianti la parola
“fruttuoso”.
Faccio mio questo spiraglio di buonumore, dando di quando in quando uno
sguardo alle vetrine per ammirare ed ammirarmi. Cielo, ogni volta che
passo davanti ad Intimissimi sento il cuore piangere.
Non potevano aprire qualche altro negozio, vicino all’entrata del palazzo?
Distolgo a fatica gli occhi da uno splendido completino color indaco,
trattenendo a stento un sospiro di pura estasi – perché,
perché amo così tanto fare spese? – riportando lo sguardo davanti a me e...
Oh.
No.
No, no, no.
Ora capisco perché, da due settimane, Paolo Fox continua a
mettermi in fondo alla classifica dei segni zodiacali, alla domenica.
E non faccio in tempo a fare dietrofront o ad infilarmi dietro ad una colonna, che lui si volta.
Merda.
« Ehi!».
Okay, lo ammetto, ieri non l’avevo guardato bene.
Il che è stato un bene, perché probabilmente mi sarei
sentita più sfigata di quanto già non mi ritenessi; Mr. Nonchalance
è veramente carino. Capello castano spettinato – come
diavolo avevo fatto a scambiarlo per moro? Va bene che sono miope, ma
è solo l’occhio destro che ne risente! – sorriso Durban’s, barba che ricopre leggermente le guance...
Ricambio il sorriso, stirando nervosamente le labbra; io speravo con
tutto il cuore che fosse partito, il ragazzo. Aveva una valigia ieri,
non è partito per Timbuctu? No, eh?
« Ciao», saluto quando lo raggiungo.
Si è fermato, tenendomi il portone del palazzo aperto;
più alto di me di diversi centimetri – non che ci voglia
poi molto – con una certa irritazione mi rendo conto che era da
un po’ che non mi imbattevo in un esemplare maschile
classificabile come “carino”.
D'altronde, ho dei gusti delicati come le tette della regina, io.
« Buongiorno a te! In giro per commissioni?»
« Già».
Dio, fa che non abbia il trucco
sbavato, o che non sappia troppo di sudore o qualsiasi altra cosa
potrebbe arrecarmi maggior imbarazzo rispetto a quanto già
vissuto.
Silenzio che si protrae.
L’ascensore non scende.
È fermo al quinto piano.
Maremma...
« Comunque ieri non mi sono neanche presentato», si
volta verso di me, tendendo la mano. « Piacere, Mattia, sto al
settimo piano».
« Anthea, piacere mio».
« Andrea?»
« No. Anthea».
« Oh, come la macchina», ghigna.
No, scusate, parliamone.
Che uomo e donna non viaggino sullo stesso livello non è storia nuova; basta parlare, per capirlo.
Una donna, quando parla, sa
sempre ciò che dice – oltre che a conoscere tono,
significato intrinseco ed impatto emotivo che ogni parola detta
avrà sulla controparte. Anche quando è emotivamente
instabile, è perfettamente consapevole di parlare o per ferire o
per insultare.
Un uomo conosce solo due modi per parlare: a vanvera e per difendersi
– che poi le due cose siano assimilabili, questo lo lascio
decidere ai terzi. Quando loro vogliono ferire una persona, non lo
fanno apposta, sparano la prima cosa che possa difenderli. Che poi
riescano – quasi – sempre a fare centro, è dovuto al
fatto che chiunque sia la divinità che ci governa, sicuramente
è sessista, dotandoli quindi di buona mira. Che detta fra noi,
un uomo senza buona mira non è un uomo – ma questo
è un altro discorso, non andiamo a sindacare su quanto a certi
soggetti il porto d’armi dovrebbe essere ritirato.
Che io non abbia un nome comune ci sta.
Una donna, tuttavia, non avrebbe MAI risposto in quel modo. Mai.
Una donna avrebbe finto di trovare piacevole il mio nome, avrebbe
sorriso – sempre fintamente o meno – interessandosi sulla
sua origine, domandando a cosa fosse dovuto.
Una donna avrebbe fatto finta di niente, senza chiedere né
“ma” né perché, se il nome non le fosse
piaciuto o non avesse avuto voglia di fingere.
Una donna sarebbe stata zitta e basta, al più.
No, l’uomo non è capace, deve farsi riconoscere.
“Come la macchina”.
La Seat Altea.
Ma vaffanculo, va’.
Gli concedo una breve risata, prima di spostare lo sguardo
sull’indicatore dei piani, constatando che l’ascensore
è finalmente sceso al secondo piano.
Spero con tutto il cuore che questo possa essere il nostro ultimo
incontro, che veramente, tra i due non saprei dire quale sia stato il
più penoso.
Ed è un peccato, perché non è malaccio, accidenti.
Ma mi perde punti ad ogni parola che pronuncia!
Sempre detto io che gli uomini vanno bene solo se imbavagliati e legati
al letto... e magari per portare a casa qualche soldino... Donna semi
intelligente, la Gregoraci: lei sì che ha capito tutto della
vita.
Ma se almeno cerco di preservare quel poco di dignità persa
ieri, tacendo decorosamente, lui – il cui filtro di controllo fra
bocca e cervello dev’essere sicuramente in manutenzione
dall’idraulico – persevera mentre, finalmente, l’ascensore fa la sua comparsa al piano terra.
« Ma sono io che ti sto antipatico o sei già impegnata?»
« Scusa?»
Mi volto verso di lui, che tiene aperta la porta della cabina, con la
fronte corrugata a tal punto che se non mi escono fuori le rughe
stavolta, non mi usciranno più – spero.
Mi fissa tranquillo, mentre entra pure lui in ascensore.
« Sì, insomma, sono due volte che ci incontriamo e
sto cercando, neanche troppo velatamente, di flirtare con te. Ma
dimmelo subito se non ti interessa – o non ti interesso. Ti
lascio stare, sai».
Se prima la mandibola era ancora ben salda, ora sento scricchiolii che
non promettono nulla di buono – e no, non è solo per
un’alterazione dell’occlusione dentale.
« Senti Matteo...»
« Mattia».
« Sì, Mattia». Diamine,
prima mi associ ad una macchina, che con il mio nome non c’entra
una cippa lippa se non la rima, e non ti dico nulla; mentre se IO
sbaglio il tuo nome, mi correggi così prontamente? Per fortuna
stai flirtando. Ma vedi di filtrare la materia grigia dove ce n’è bisogno!
Respiro. Riapro gli occhi chiusi nel tentativo di riprendermi da cotanta... uhm, non saprei dare una definizione.
E come apro la bocca per parlare, pronta a riversare tutto
ciò che la mia mente sarà in grado di partorire in questi
secondi, il mio sguardo si fissa lì.
Proprio lì, sull’angolo sinistro sotto la bocca.
Lì, dove c’è un piccolo piercing.
Oh.
Non è che ama alla follia le persone bucate, ma ci sono certi
piercing che, se fatti bene e sulla persona giusta, sono veramente, ma
veramente affascinanti.
E questo...
« Se vuoi approfittare di me, prometto che non schiaccerò l’allarme dell’ascensore».
Dio, se esisti... mostrati ora, o addio per sempre.
Arrossendo per l’imbarazzo, riporto lo sguardo ad una altezza
decorosa – cielo, neanche gli stessi guardando il pisello!
– incrociando il suo divertito ed ammiccante.
Ed intanto, l’ascensore si ferma.
« ... ed intuisco dal tuo sguardo che forse – forse – proprio indifferente non ti sono».
Ed un’ultima battuta viene pronunciata.
Ed io, semplicemente, scappo.
Apro la porta dell’ascensore, richiudendo alle mie spalle una
– nuova – scena tragicomica, una possibilità di
replica ed una religione inefficace.
Vishnu, aiutami tu!
***
So che avevo detto che avrei postato ogni giorno, ma
effettivamente è difficile per me farlo; ritorno a casa, alla
sera, solamente un po’ prima delle sette e quindi il mio tempo
per scrivere si riduce al dopo cena – e, alle volte, con il
telefono quando ho un attimo durante il giorno.
Basta un imprevisto e tutto salta.
Tenendo poi conto che la storia si amplia rispetto a quanto avevo previsto, direi che la scadenza giornaliera salterà.
Però sono soddisfatta.
Non è la migliore delle mie storie, assolutamente, ma vedo che
riesco a riprendere in mano la scrittura e la cosa mi rende felice.
È una cosa leggera e senza pretese, probabilmente anche questo
aiuta.
Piccole note random.
Sì, ho usato il mio nome nella storia. Il motivo non è
tanto perché è completamente autobiografico –
ripeto: solo parte della vicenda è vera – ma perché
mi serviva per la battuta. La macchina citata è la Seat Altea,
appunto – e la battuta, ahimè, mi è stata
effettivamente rivolta (da un carabiniere, fra gli altri ._.).
Non ho assolutamente nulla contro la Gregoraci, ma essendo un essere
funzionante dotato di pensiero, non posso evitare che tali, appunto,
pensieri prendano strade... ovvie. Buon per lei comunque, sia chiaro.
Sì, mi piacciono i piercing vicino alla bocca. Non ha tutti, non palline enormi, ma alcuni sono veramente carini.
La storia continuerà in prima persona; domani sera modificherò il capitolo precedente.
Grazie a chi segue questa storia, gentilissimi :***
Un bacione,
Anthea
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=652520
|