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Fandom:
“Il Risveglio delle Tenebre” di Susan Cooper
Pairing:
Bran / Jane
Note:
what if, storia ambientata 12 anni dopo l’ultimo libro del
ciclo, “L’Albero d’Argento”
Conteggio
parole: 4.312 parole in tutto (14 pagine di Word)
Capitoli:
8 parti, più o meno lunghe, secondo una
divisione sequenziale e contenutistica
1-
"Jane Jana Juno Jane"
Jane, Jana, Juno, Jane
Una litania che accompagna
ognuno dei suoi sogni. Sogni che
sembrano realtà, ricordi perduti,
ma
che sfumano nella dimensione onirica ad ogni risveglio.
Sono passati anni ormai da
quando ha iniziato ad avere
questi sogni. L’intensità di qualcosa che ha
dimenticato e l’amara sensazione
di non riuscire a ricordare fanno parte del suo quotidiano.
Incompleta. Nonostante i
suoi studi, il lavoro part-time,
gli amici, le lezioni di danza moderna. Incompleta nonostante abbia una
vita di
cui dovrebbe essere più che soddisfatta.
Frustrata, anche.
Perché Simon e Barney non sono rimasti
intrappolati in questa rete di sogni/ricordi che le impedisce di vivere
pienamente. Nessuno dei due pensa ormai più alla vacanza in
Galles fatta anni
prima. Né tantomeno intrattengono rapporti con i due ragazzi
con i quali
avevano condiviso quei lontani giorni.
Jane invece non riesce a
buttarsi tutto alle spalle. È come
se mancasse un frammento della sua memoria. Una parte importante che le
permetterebbe di sapere. Ma sapere
cosa? Frustrante ciclo d’incognite senza risposte.
Eppure è anche
cosciente di non essere la sola prigioniera
di questo cerchio d’ignoranza. Anche lui, Bran, prova la
stessa sensazione. E
Will sa più di quanto voglia ammettere. Jane ha continuato a
scrivere loro con
regolarità, e dovendo essere completamente onesta con se
stessa, riconosce che
in parte sperava di ottenere un cenno, un indizio. Ma col passare degli
anni
nulla è cambiato. Lo scambio di missive con Bran
è diventato scambio di emails,
benché il giovane non scriva mai molto. E la moderna posta
elettronica la priva
dell’elegante calligrafia che copriva i fogli di carta.
Will, invece, non risponde
più. Nessuno sa dove sia, cosa
stia facendo. È scomparso dalle vite dei suoi amici, quasi
non si fossero mai
conosciuti.
Fissando lo schermo del
pc, Jane si rende conto che non sa
nemmeno come contattarlo. Le sue ultime lettere sono tornate indietro,
e non ha
né un numero di telefono, né un indirizzo email.
Ha provato a chiamare a casa
Stanton, ma nessun membro della famiglia sembra sapere molto di
più.
La ragazza sta per
disconnettersi dalla postazione
informatica della biblioteca, quando qualcuno attira la sua attenzione.
“Jenny!”
Si volta col cuore in
gola, per poi essere assalita dalla
delusione. Si tratta di un padre che rimprovera la figlioletta per aver
fatto
cadere un libro dallo scaffale.
In fin dei conti, tante
ragazze si chiamano Jenny…
Eppure in questo momento
il desiderio di rivedere Bran è
imperioso. Sentirlo chiamarla di nuovo con questo nomignolo, non solo
vederlo
sullo schermo impersonale di un computer.
Riapre la pagina della
posta elettronica e digita
velocemente un messaggio. Poi si disconnette, ritira il documento
all’accoglienza
ed esce dalla biblioteca.
Percorre la strada del
ritorno con la testa tra le nuvole. È
stato un atto impulsivo, sono anni che non si rivedono, Bran
avrà sicuramente
altro da fare che incontrare una vecchia amica d’infanzia.
Allo stesso tempo, si
chiede perché non ha provato a
rivederlo prima. Perché non ha tentato di fare lo stesso con
Will, prima che
scomparisse dalla circolazione.
Paura.
Per paura
di scoprire che corre dietro una chimera, che forse si comporta come
un’adolescente incapace di orientarsi nel mondo adulti. Che
questo vuoto è solo
il risultato della sua volontaria alienazione dalla società.
Ma
quel nomignolo ha destato
troppe emozioni. Le vacanze di fine trimestre sono
l’occasione perfetta per un
viaggetto in Galles. Jane vuole ripercorrere quelle terre, da sola o
con Bran,
ritornare nell’unico posto che secondo lei potrebbe aiutarla
a capire.
Il vento impervia,
scompigliandole i lunghi capelli. È in
anticipo rispetto all’ora prevista per l’arrivo. Ha
promesso a Bran di
chiamarlo una volta giunta sul posto, eppure ora
l’eccitazione lascia posto al
nervosismo.
Decide di fare una
camminata lungo la costa, respirando l’aria
a pieni polmoni. Un’abitudine presa da bambina, quando
soffriva di qualsiasi
mezzo di trasporto.
Benché questo
non sia il luogo dei suoi ricordi, l’aria ha
un odore peculiare, familiare. La
natura domina il paesaggio, benché si tratti di una
cittadina popolosa. Jane
capisce che solo questo binomio ha permesso a Bran di partire dalla
casa
paterna, lui che odia i posti affollati e ricoperti di cemento.
Un cane si allontana dalla
scogliera e le viene incontro. Un
Welsh sheepdog. La ragazza sorride internamente, sorpresa di ricordare
ancora
un dettaglio del genere. Shafall, il cane che Bran aveva perso,
apparteneva a
quella razza.
E di nuovo
l’insicurezza la assale.
Nell’ultimo anno
il giovane è
cambiato. Forse perché abita da solo, forse
perché ha fatto nuove esperienze. Benché
non abbiano avuto contatti se non epistolari –e qualche rara
telefonata-, Jane
sente che qualcosa è cambiato. E ha paura di perderlo.
Il cane si avvicina, fiuta
la sua mano. Lei si china per
accarezzarlo. Il movimento fa sfuggire ciondolo che porta sempre con
sé da
sotto la giacca. Qualcuno fischia, l’animale drizza le
orecchie e corre in
direzione del suono. Jane lo osserva allontanarsi e si dirige
nuovamente verso
la scogliera.
Solo in quel momento vede
una persona davanti a sé, a qualche
metro di distanza. Un uomo, dalla sagoma incappucciata, che avanza a
passi
sicuri. Quegli occhiali scuri…
“Se non fosse
per la pietra della tua collana, ti
riconoscerei difficilmente, Jenny-oh!”
Dietro le lenti appaiono
due iridi dorate che Jane non è mai
riuscita a dimenticare. Lo guarda ipnotizzata, senza sapere se
limitarsi a un
saluto, stringergli la mano…
Bran invece non sembra
dubitare, il suo abbraccio
è sicuro, confortante. Spazza via una parte dei dubbi che la
attanagliavano, e
lei ricambia con slancio l’abbraccio.
NdA: un grazie particolare a PequenaLolaper
la recensione e il complimento! Non preoccuparti, tutte le parti sono
scritte, quindi aggiorno quotidianamente ;)
3-
Brenhinol
[Royal]
Durante il viaggio in
macchina Jane osserva di sottecchi il
profilo di Bran. I tratti infantili hanno lasciato posto a quelli
adulti. Ma è
soprattutto la sicurezza che permea ogni suo movimento, l’aspetto
regale che sprigiona, a spiazzarla completamente. Non
ricordava che quest’aura lo circondasse, eppure le sembra di
avere davanti il vero Bran.
Sospira, confusa, e lui
distoglie dalla strada lo sguardo nascosto dagli occhiali, la guarda in
silenzio.
“Ogni risposta a
tempo debito, Jenny”.
La ragazza non gli ha
spiegato cosa l’ha spinta a venire,
l’ultima volta che gli ha parlato dei propri dubbi era un
anno fa, in una
lettera. Eppure lui sembra leggerle dentro senza problemi.
Chiacchierano del
più e del meno, diretti all’appartamento
dove rimarranno per la notte. Bran le ha proposto di accompagnarla a
Tywyn
l’indomani, così da avvertire in anticipo Owen
Davies del loro arrivo. Jane è
sorpresa di come lui abbia accolto il suo arrivo e le sue richieste
senza porre
nessuna domanda, come se fosse la cosa più normale del mondo
rivedersi dopo
dodici anni.
La ragazza oltrepassa con
pudore l’ingresso
dell’appartamento. Osserva in silenzio l’eleganza
sobria e particolare delle
stanze, così simili al loro abitante.
Dopo averle preso la
giacca, Bran torna dalla cucina con due
fumanti tazze di tè, un vassoio di biscotti e della frutta.
La invita ad
accomodarsi sul divano e le sorride:
“Non essere
così tesa, rilassati”.
Il suo timbro è
ricco, armonioso. Ha una voce profonda, e
quell’accento gallese che tanto le piace.
Parlano per ore,
recuperando tutti gli anni in cui non si
sono visti. Dimenticano di fare una cena vera e propria, continuano a
sorseggiare tè, ed è ormai notte fonda quando
Jane gli chiede se ha notizie di
Will.
“L’ho
rivisto un anno fa, poi è nuovamente scomparso. Mi ha
ricontattato pochi giorni dopo di te”.
Strana
coincidenza,
pensa Jane.
“Sei
cambiato”, dice invece.
Lui sorride:
“Anche tu,
Jenny!”
Lei non sa come spiegare
che non si riferiva ai cambiamenti
dovuti al trascorrere del tempo. Ma cambia argomento, chiedendogli se
almeno
ricorda il suo vero nome.
E Bran ride, di quel riso
raro e prezioso che gli anni hanno
arricchito:
“Ti infastidisce
questo nomignolo, Jane Drew?”
Lei arrossisce e abbassa
lo sguardo, scuotendo il capo.
Esita, e finisce col dirgli che è stato proprio questo
l’elemento che l’ha
spinta a venire.
Lo sguardo
dell’uomo –perché
ormai non può di certo considerarlo ancora un ragazzo!-
è profondo quando
allunga la mano per rimetterle dietro l’orecchio una lunga
ciocca di capelli.
Poi si alza e l’invita a coricarsi, così da essere
in forma per il viaggio
dell’indomani.
Questa volta il tragitto
è sereno, accompagnato dalle note
di canzoni che Jane non capisce, parole sconosciute ma calde e
melodiose.
Le nuvole corrono veloci
nel cielo, e Bran guida canticchiando
o raccontandole aneddoti.
Jane si sorprende a
desiderare che questo momento non si
concluda.
Tywyn non è
cambiata molto, con i suoi negozi sul viale
centrale. L’edificio del cinema è
l’unico indizio del cosmopolitismo che permea
altrove. Bran le propone di andare a vedere un film, in serata.
Owen Davies la accoglie
con ospitalità, le mostra la sua
stanza e chiede notizie della sua famiglia. Poi aggiorna Bran sui
cambiamenti
avvenuti durante la sua assenza, e li informa che John Rowlands li
aspetta per
mangiare tutti insieme.
Il cottage è
proprio come Jane lo ricordava, con i due cani,
Tip e Pen, stesi al sole accanto all’ingresso.L’uomo dal profilo celtico che apre loro la
porta non è invecchiato
molto. Jane ricorda di aver avuto una conversazione con lui, ma non ne
rimembra
l’argomento. Qualcosa di importante a proposito di scelte.
E
Blodwen Rowlands?
La giovane sta per chiedere sue notizie, quando le torna in mente che
la moglie
di John è morta da anni. O
scomparsa.
Una fitta di mal di testa la costringe a chiudere gli occhi. Sente una
mano
posarsi sulla sua spalla, e la voce baritonale di Bran che le sussurra:
“Non sforzarti
di ricordare tutto così velocemente”.
Ricordare? Sta per
chiedergli cosa intende, quando gli altri
due uomini le chiedono se si sente bene.
Il tempo passa in fretta.
Sebbene avesse previsto di recarsi
appena possibile nei luoghi visitati anni fa, Jane si rilassa e lascia
che Bran
organizzi il soggiorno. Le sembra che lui sappia quello che lei sta
cercando, e
che possa darle risposte. Così non oppone nessuna resistenza
quando le propone
di andare al cinema dopo cena. Scelgono “Canone
Inverso”, e la giovane sorride
sapendo che Bran focalizza la sua attenzione più sulle
musiche che sulla trama
del film. Deformazione professionale, dato che insegna al conservatorio.
Il vento si è
alzato e una tempesta sembra avvicinarsi.
Tornano in fretta al cottage del signor Davies. Il signor
Davies…no, Jane si
corregge mentalmente, il padre di
Bran. Eppure quest’appellativo sembra così
sbagliato…
L’uomo si
è già coricato, lasciando loro il camino acceso
in
salotto. Jane vede un telo che ricopre un oggetto voluminoso,
nell’angolo.
Intuisce si tratti dell’arpa di Bran, e vorrebbe chiedergli
di suonarle qualche
brano, come ai vecchi tempi. Non vuole ritrovarsi da sola nella stanza
al piano
di sopra, col vento che fa fischiare le travi in modo lugubre. Eppure
è tardi,
e la stanchezza del viaggio si fa sentire fisicamente. Osserva i
riflessi delle
fiamme riflettersi sul viso di Bran, addolcendo i suoi lineamenti
mentre
alimenta il fuoco. Dà un’altra occhiata
all’arpa semi-nascosta nell’ombra.
“Vuoi che ti
suoni qualcosa?”
Sorride ed annuisce,
felice che Bran capisca così facilmente
il flusso dei suoi pensieri. E si perde in lontananza, cullata dal
suono così
puro e vibrante dell’arpa.
Senti gli occhi farsi
più pesanti.
Un
naso aquilino e un
profilo che sembra inciso nella roccia. Un Vetusto…
Riapre gli occhi. Bran ha
smesso di suonare e la osserva
pensieroso.
A disagio per essersi
addormentata così facilmente allorché
lui suonava per lei, si alza in un gesto rapido.
“Forse
è proprio il caso che vada a dormire.
Scusami…”
Sente quegli occhi
d’oro sulla propria schiena quando si
allontana per salire le scale, e il sussurro di un
“Buonanotte”.
La stanza degli ospiti
risuona di rumori lugubri. Jane cerca
di rassicurarsi, è solo il vento. Ma non è
abituata ai rumori di campagna. La
scorsa notte Bran le ha lasciato il proprio letto, dormendo
cavallerescamente
sul divano. Ma si trattava di un appartamento in città, come
quello dove vive
lei a Londra. Si copre il capo con il lenzuolo, cercando di attenuare i
rumori.
Un
mostro che emerge
dalle acque del lago. La guarda e si butta in avanti per
aggredirla…
Si sveglia con un
sussulto, madida di sudore. Ha perso la
cognizione del tempo, ma suppone siano passate alcune ore dalla
mezzanotte. Col
cuore che batte violentemente a causa dell’incubo fatto,
decide di andare a
dormire sul divano accanto al camino, al piano di sotto, dove i rumori
sono più
deboli e le fiamme (o forse le braci, ormai?) illuminano la stanza.
Scende le scale cercando
di far scricchiolare il meno
possibile il legno degli scalini, e giunge a passi felpati nella
stanza.
Scoprendo che Bran è ancora lì. Si ferma,
incerta, i piedi nudi sul pavimento e
la camicia da notte che non basta a trattenere il calore.
“Un altro sogno,
Jenny?”, Bran si volta verso di lei,
invitandola ad avvicinarsi.
Accoccolandosi sul divano
accanto a lui, risponde in un
sussurro:
“Un incubo, questa volta”.
Bran si allontana, torna
poco dopo con una coperta, e gliela
porge.
“Vuoi dormire
qui?”. Jane sussulta, non si è resa conto di
aver chiuso gli occhi. Ma sa anche che appena sprofonderà
nel sonno i sogni –o
forse altri incubi- torneranno. Cercando di atteggiarsi a persona
matura, quale
dovrebbe essere, guarda il suo compagno negli occhi per chiedergli di
rimanere.
Ma come domandarglielo senza sembrare una bimba impaurita? Abbassa lo
sguardo e
corruccia le sopracciglia, incerta. Sente il divano piegarsi sotto il
peso di
Bran, che le cinge delicatamente la vita per farla sdraiare accanto a
sé. È la
prima volta che si trova in una situazione così intima con
lui, non sa come
reagire. Sente il suo abbraccio farsi più sicuro, e una mano
che le sospinge il
capo affinché lo posi sul suo petto.
“Non aver paura,
Jenny-oh... Rimarrò con te. Raccontami i tuoi
sogni”.
La giovane donna ha
l’inspiegabile sensazione che la
promessa di rimanere non si riferisca unicamente a questa sera. Con la
voce
impastata dalla stanchezza, gli parla di montagne che cantano, e di
strani
paesaggi. Di persone che non conosce. Della sensazione di aver
dimenticato
qualcosa di fondamentale. S’interrompe nel bel mezzo di una
frase, assaporando
il riposo di un sonno senza sogni.
N.d.A: Dopo questo ci
saranno ancora altri 3 capitoli, e mi farebbe piacere avere la vostra
opinione. Dai dati di pubblicazione vedo che la storia è
consultata, i lettori ci sono, ma nessuno recensisce... please, anche
solo poche parole mi renderebbero felice!
Al risveglio sente il
soffio caldo del respiro di Bran sulla
nuca. Non dormiva così serenamente da molto tempo. Cercando
di non svegliare
l’uomo, si estrae dal suo abbraccio e resta un attimo ad
osservare quei
lineamenti così belli. Gli occhi chiusi e il corpo
rilassato, Bran sembra più
giovane.
La ragazza si alza e si
dirige silenziosamente verso la sua
camera, per non vedere quelle pupille dorate aprirsi al momento del
risveglio.
Perché l’imbarazzo sarebbe impossibile da
nascondere. Eppure quest’abbraccio
notturno le sembra giusto, naturale.
Benché non sia
più una ragazzina, non ha mai dormito accanto
a un uomo. La gente la considera bella, le chiede sempre
perché non ha un
ragazzo. I suoi genitori si preoccupano della sua solitudine
sentimentale.
Barney convive con la sua ragazza, e prende in giro sua sorella dicendo
che di
questo passo rimarrà zitella. Solo Simon sa che Jane rifiuta
ogni spasimante.
Che anche se prova ad uscire con uno di loro, il disagio e lo sforzo le
impediscono di approfondire la relazione. E intuisce, perché
ha la sensibilità
degli artisti, perché è sempre stato molto
attento a sua sorella, che dietro
questi rifiuti si cela il ricordo di uno sguardo dorato.
Bran si comporta come se
non fosse accaduto niente. Solo
osservandolo di sottecchi Jane si rende conto che ha un’aria
felice.
Dopo
colazione, si dirigono verso Llyn Barfog, il Lago
Barbuto. L’aria è limpida, il vento
della notte precedente ha
scacciato tutte le nuvole. Bran indossa i soliti occhiali, e Jane
rimembra che
il giovane non sopporta l’eccessiva luminosità.
Pensa anche che sia più facile
guardarlo quando non vede i suoi occhi. Perché quelle iridi
la intimidiscono,
celano troppe cose. Persa nei suoi pensieri, non presta attenzione al
pendio
reso scivoloso dalla pioggia del giorno prima. Perde
l’equilibrio, scivola un
poco, e la mano di Bran afferra la sua. Continuano l’ascesa
tenendosi per mano,
e nessuno dei due proferisce parola a proposito.
Arrivati davanti al lago,
Jane è scossa da un potente déjà
vu. La pietra che secondo la leggenda porta l’impronta di uno
zoccolo, quello
del destriero di Re Artù (come fa a
sapere di questa leggenda, se non ne hanno parlato?),
l’eco dei loro passi
che si ripercuote nell’aria, la superficie
dell’acqua ricoperta di ninfee
bianche, e l’impressione che da un
momento all’altro un mostro possa emergere…
L’incubo fatto
la notte precedente aveva
quest’ambientazione. E non sembrava un incubo, ma un ricordo.
“Bran,
questo…”
Lui si toglie gli occhiali
e le stringe la mano per farle
alzare lo sguardo. “Sì, ciò che hai
sognato è veramente accaduto”. Jane studia
la sua espressione, sperando vi compaia una minima traccia di scherzo,
di
derisione, di qualsiasi indizio che la sta prendendo in giro. Ma il
viso di
Bran è serio.
“Tutto quello
che vedi nei tuoi sogni è accaduto”.
Jane trema, le gira la
testa, il cuore le rimbomba nel
corpo.
“Jane”.
Sente che sta per svenire.
“Jane!”,
le mani di Bran sul suo viso, la sua voce che cerca
di trattenerla.
“Jane,
respira!”. Inspira, espira. Il paesaggio smette di
girare come una trottola intorno a lei, che cerca di focalizzare la
propria
attenzione solo su Bran, unico punto fermo in questo vortice. Inspira,
espira.
“Erano
ricordi…”.
Lui la guarda, preoccupato:
“Sei davvero
sicura di voler ricordare?”.
Un cenno affermativo,
dapprima debole, poi più deciso. Sì,
deve sapere. Deve scoprire cosa ha dimenticato, e perché
questi frammenti sono
così importanti da impedirle di vivere serenamente.
“Bran…”
la sua voce ha una nota d’implorazione. Lo sta
supplicando di dirle ciò che sa. Perché adesso
capisce che lui ricorda, ricorda
tutto, e che questo ha determinato
il
suo cambiamento.
Il giovane sospira. Sembra
sollevato, e allo stesso
combattuto. Le accarezza inconsciamente il viso, scrutando la sua
espressione.
“Non ho il
potere necessario a farti ricordare. Ma lui
deve aver percepito il tuo
turbamento, ed arriverà presto”.
Jane sta
cercando di riprendersi dalle emozioni. L’adrenalina le
scorre nelle vene, ma è
anche infinitamente stanca. Tutti questi anni passati ad aspettare, a
cercare
indizi, ad avanzare a tentoni.
Sa che anche Bran
possedeva solo frammenti di ricordi, gli
chiede cosa sia successo. Lui le spiega di aver ritrovato la memoria da
un
anno, dal suo incontro con Will.
Le chiede di essere
paziente, di aspettare che
il suddetto arrivi.
Le rivela di aver chiesto
all’amico d’infanzia come
comportarsi con lei, per sapere fino a che punto poteva raccontarle
l’accaduto.
“Will ha le
risposte a tutte le tue domande. Sapeva che
saresti venuta da me, ma mi ha chiesto di non raccontarti nulla
finché non
avessi intuito da sola una parte della verità. È
per questo che ti ho portata
qui…”
Ha
un’espressione turbata. Jane si chiede se domandargli
cosa lo preoccupa.
Allunga una mano verso di
lui:
“Bran, che cosa c’è?”.
Lui le sorride, un sorriso
triste anche se il suo sguardo è
di nuovo nascosti dagli occhiali.
“So che hai
bisogno di risposte, che le cerchi da anni.
Però… vorrei che questo non cambiasse il tuo
sguardo su…”.
“Su
cosa?”.
Un altro sorriso triste.
Sembra stia per baciarla, ma poi
apre le braccia e la stringe a sé:
“Niente. Abbi
solo un altro poco di pazienza”.
È un abbraccio
intriso di tristezza, d’incertezza e di timore.
La spensieratezza ha ormai
lasciato posto all’attesa. Sono
tornati al cottage di Owen Davies, e Jane intuisce di aver avuto
ragione. Nonostante
l’affetto che li unisce, il signor Davies non è il
padre di Bran.
La ragazza è
tesa, i flashback sono diventanti più intensi e
non si limitano più al mondo onirico. Aspettano
l’arrivo di Will. Non sanno
quando verrà, ma aspettano in silenzio. Jane vorrebbe che
Bran l’abbracciasse
di nuovo, ma lui sembra tenere le distanze. Lei capisce che le sta
chiedendo di
non agire senza sapere. Ma sapere cosa?
La testa le duole. Troppe domande. Rimane allungata nel tentativo di
placare il
mal di testa, e la propria mente nella stessa occasione. Sprofonda nel
sonno.
Jane,
Jana, Juno, Jane…
Sente delle dita
accarezzarle il capo. Anche prima di aprire
gli occhi, sa a chi appartiene questa mano. Bran.
“Jane, Jana,
Juno, Jane…” sussurra lei.
“Jenny-oh”,
risponde lui con un sorriso. E anche lei
sorride.
L’uomo fa per
allontanarsi, ma lei gli prende la mano:
“Bran, di cosa hai paura?”.
“Della tua
compassione”. Il suo sguardo si è nuovamente
rattristato, e questa volta Jane non trattiene oltre la sua mano. Non è compassione quella che provo. Il
fatto
che tu sia albino non suscita la mia compassione. Ma forse
lui non parla
del suo aspetto.
I giorni passano lenti.
L’attesa è pesante. Nonostante ciò,
nonostante tutto, continuano a sorridere, felici del tempo che
trascorrono
insieme.
Jane è ormai
certa che una parte dei ricordi perduti
riguarda Bran. Ma è altrettanto certa
–benché lui sembri dubitarne- che nessuna
verità può deviare i suoi sentimenti.
Will arriva col tramonto
infuocato di un fine pomeriggio. È
fisicamente adulto, ma i suoi occhi hanno la stessa saggia espressione
di
dodici anni fa, –uno sguardo che trascende il tempo-.
Il signor Davies osserva
il nuovo arrivato con perplessità,
ma gli propone subito di rimanere a cena. Will ringrazia, si volge
verso Jane e
la abbraccia con enfasi, poi rivolge un lungo sguardo pieno di messaggi
e
misteri a Bran. Il timore attanaglia la ragazza, e per un attimo non
è più così
sicura di voler conoscere la verità.
Dopo cena Owen Davies
esce, borbottando qualcosa su visite,
discorsi e John Rowlands. Bran, Jane e Will siedono nel salotto. Lei
volge lo
sguardo dall’uno all’altro, aspetta ancora, e cerca
di restare calma. Ma
l’arrivo dell’amico d’infanzia ha
risvegliato un altro ricordo, un uomo dal
naso aquilino e dal profilo che
sembra scolpito nella roccia. Merlino…
“Jane…
Jane?”, il suo sguardo incontra quello del Vetusto. L’ultimo dei Vetusti. Le fitte
di dolore
aumentano, e con la testa tra le mani la ragazza cerca di concentrarsi
su ciò
che le accade intorno.
“Jane, sei
sicura di voler ricordare?”.
“Ti prego
Will… se continuo così
impazzirò!” la voce che
sente non sembra neanche la sua, così acuta. Percepisce un
movimento abbozzato
di Bran, quasi volesse confortarla, per poi fermarsi.
“Non credevo che
la tua magia fosse così forte… avresti
dovuto dimenticare tutto, come i tuoi fratelli. Vuoi davvero che
annulli
l’incantesimo?”.
Sì, quale che
sia il peso di questa conoscenza, Jane vuole
sapere. Ricordare, sentirsi completa, e poter andare avanti. Non
è giusto che
qualcun altro le imponga cosa ricordare e cosa dimenticare.
Sente il dolore alla testa
scomparire, mentre miriadi di
immagini sfilano davanti ai suoi occhi. Lo zio Merry, Merlino,
Will come suo discepolo, ultimo della stirpe dei Vetusti,
la Strega Verde, Jane Jana Juno Jane,
la Signora, la spada di cristallo, Eirias,
la guerra tra Luce ed Oscurità, Re Artù e suo
figlio Bran, il Pendragon.
Sei
si riuniranno, ma
solo cinque torneranno, e dimenticheranno tutto ciò che li
ha legati all’Antica
Magia…
Lacrime di sollievo
solcano le sue guance. Assimila pian piano
tutto ciò che Merlino –lo zio Merry- aveva
sigillato. Tutti i ricordi persi.
Finalmente sa. Sa chi è,
cosa è
successo, cosa significavano i suoi sogni.
Continua a piangere sotto
lo sguardo dei suoi due amici
d’infanzia, compagni d’avventura, guerrieri della
Luce.
La sua ricerca della
verità può finalmente concludersi.
Penultimo
capitolo, ed effettiva conclusione di questa storia! L'ultima parte
può essere considerata come un epilogo :)