Due anime

di LuMiNo
(/viewuser.php?uid=123404)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Separate alla nascita ***
Capitolo 2: *** La scintilla ***
Capitolo 3: *** Viaggiando nello spaziotempo ***
Capitolo 4: *** Conclusione di una giornata sconvolgente ***
Capitolo 5: *** L'inadeguatezza ***
Capitolo 6: *** Vectis - piano di Esper ***
Capitolo 7: *** La gilda degli assassini ***
Capitolo 8: *** Pietra rossa e birra chiara ***
Capitolo 9: *** Draghi rossi, draghi blu ***



Capitolo 1
*** Separate alla nascita ***


Due anime
 
La nascita di un figlio nella famiglia Nalaar era un evento a lungo auspicato, e poco importava che il discendente di Lynx, il piromante più potente del multi verso, fosse una femmina. Ciò che importava era che quella creaturina apprendesse dal padre i segreti del fuoco e del mana rosso, il più selvaggio e indomabile, come tutti coloro che godevano del privilegio di controllarlo.

Lynx prese fra le braccia la sua erede; aveva i capelli simili a fiamme e il colorito roseo di chi gode di buona salute. Gli occhi scuri ardevano come braci, e ciò rendeva Lynx orgoglioso della sua primogenita.

Infatti, sua moglie Aisha non aveva smesso di ansimare dopo la nascita della bambina, e non era per la fatica appena compiuta, ma per quella che stava per arrivare.

“Signore, ce n’è un altro!” Gridò la nutrice, lanciandosi al fianco di Aisha, che ricominciò a urlare dal dolore.
“Un altro?” Pensò Lynx, confuso.

La bambina appena nata era stata una benedizione del Cielo, sarebbe stata colei che avrebbe continuato la generazione della famiglia, e che l’avrebbe protetta da coloro che da sempre davano la caccia a Lynx, ovvero tutti quelli a cui il piromante aveva sottratto preziosi cimeli.

“Un secondo figlio…” rimuginò l’uomo “potrebbe aiutare il primo nel suo compito, tuttavia…”
Tuttavia era una preoccupazione in più. Finché i suoi figli non fossero cresciuti, Lynx sarebbe stato vulnerabile, e si sarebbe trovato a dover difendere la moglie e i due figli, oltre a dover allenare entrambi alla lotta. Due figli erano troppi; era già diventato un più facile bersaglio per i nemici. Quegli assassini non avrebbero esitato un attimo ad uccidere i suoi discendenti pur di arrivare a lui, ed eliminare la sua stirpe.

“Non è un rischio che sono disposto a correre.” Pensò, mentre sua moglie dava alla luce il secondogenito. “Però, in quest’ottica, questo bambino potrebbe davvero essere una benedizione!”
“Padrone, è un’altra femmina!” Disse la nutrice, porgendogli la nuova arrivata.

Aveva i capelli neri come il legno selvatico che cresceva sulle loro montagne, e gli occhi blu dai riflessi violacei, come il Sole quando al tramonto infiamma l’orizzonte.

“Sono entrambe degne figlie dei Nalaar.” Decretò solennemente Lynx. “Entrambe mostrano l’attitudine al fuoco e all’impeto, come dev’essere.”

Aisha si accasciò sul letto, approvando con un debole segno del capo.
“Eppure…” Lynx si sistemò vicino alla moglie, accarezzandole i capelli, cercando di preparala al prossimo, terribile annuncio. “Non possono rimanere entrambe.”

“No!” Gridò Aisha, comprendendo i pensieri del marito. “Non puoi farlo!”

“Dobbiamo nascondere almeno una delle due, dobbiamo proteggerne almeno una, e lasciare che sia la nostra ultima speranza. La nostra stirpe non può rischiare di scomparire. Una resterà qui ad apprendere i segreti del fuoco; l’altra farà altrettanto, ma lontano da qui…e da noi, al sicuro.”

“Ma come farà a continuare una stirpe a cui non sa di appartenere?” Replicò la donna, aggrappandosi al braccio del marito.

“Lo saprà, un giormo…l’affiderò a qualcuno che saprà allenarla a dovere, e, quando arriverà il momento, rivelarle a quale gloriosa sorte è destinata.”

“Non vorrai affidarla ai goblin?” Urlò Aisha in preda al terrore. “La renderebbero un animale privo di qualsiasi parvenza umana!”
Lynx fece un cenno con la mano, come per scacciare una zanzara fastidiosa. “Certo che non l’affiderò ai goblin! Quegli esseri non hanno la minima idea di come trattare neppure i propri nati! No, l’affiderò a Fresia e Jung; sono certo che l’alleveranno come fosse figlia loro.”

“Ma è figlia mia…e tua…” mormorò Aisha, accarezzando il capo di entrambe le bambine.

“Lo so…e la considererò sempre tale. Ma ora è il momento di decidere quale rimarrà e quale dovrà andarsene, almeno per un certo periodo. Non abbiamo tempo da perdere.”

Lynx prese in braccio entrambe le bimbe, scrutandole intensamente.
“Aspetta!” Lo richiamò sua moglie. “Non gli abbiamo neppure dato un nome!”

L’uomo guardò le sue figlie con ancora più intensità.
“Tu” disse alla primogenita “che porti così ostentatamente i segni della mia discendenza, ti chiamerai Chandra, che è il nome più nobile che una piromante possa portare, e rimarrai qui per imparare i segreti del mana rosso con tuo padre.”

Si rivolse poi alla figlia minore. “Mentre tu, che porti il fuoco nel tuo sguardo ma l’apparenza è più
innocua, ti chiamerai Alma, il nome di chi trattiene il fuoco all’interno di sé, meno ostentatamente, e perciò con maggior tenacia ed autocontrollo. Tu andrai altrove, per imparare a liberare senza inibizioni il fuoco che ti porti dentro.”

“Lei è contaminata dall’acqua.” Esclamò Aisha, guardando gli occhi di Alma. “Occhi blu dai riflessi violacei...”

“Li ha presi da te” Lynx sorrise alla moglie, “maga del fiume, che controlli il mana blu. Ma entrambe le nostre figlie sono nate per dominare il fuoco, e il fuoco di noi Nalaar non si fa spegnere dall’acqua. Sarà il fuoco a prevalere in Alma.”

“La sua strada incrocerà quella della magia blu, in ogni caso.” Continuò Aisha. “Non si può sfuggire ai segni del fato.”
“È vero.” Sospirò Lynx, che accarezzò Alma, la cui pelle era ora bollente. “Ma sento il fuoco farsi prepotente dentro di lei. Non ci resta che sperare che, quando incontrerà la magia blu, sia abbastanza forte da non farsi spegnere da essa.”

Il piromante ordinò alla nutrice di chiamare coloro che avrebbero preso in custodia la figlia.

“Dopo che una sciamana goblin l’ha maledetta durante uno scontro, Fresia è diventata sterile.” Spiegò ad Aisha. “Per questo sono certo che lei e Jung, suo marito, saranno in grado di occuparsi di Alma nello stesso modo in cui lo faremmo noi. Inoltre, Jung è uno dei migliori guerrieri che conosca; sono certo che l’alleverà in maniera eccellente.”

“Spero tu dica il vero.” Sospirò la donna.

Non fu facile per nessuno dei due, comunque, vedere la loro ultimogenita allontanarsi nel buio della notte con quelli che da allora in poi avrebbe considerato i suoi genitori.

Mentre Fresia si allontanava con Alma in braccio, la bimba si mise a piangere a dirotto, e lo stesso fece Chandra, in braccio a sua madre, allungando la manina verso l’orizzonte che stava inghiottendo quella che era stata la sua compagna per nove mesi nell’utero materno.    
 
  

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La scintilla ***


Alma uscì di casa sbattendo la porta. Fresia, quella che fino ad allora aveva considerato sua madre, non la seguì. Non sarebbe servito a nulla. Come aveva accordato con Lynx, diciotto anni prima, Alma sarebbe venuta a conoscenza delle sue origini il giorno del suo diciottesimo compleanno. E così aveva agito la donna, seppur con enorme difficoltà. In diciott'anni lei e suo marito si erano oltremodo affezionati alla bambina, e più volte furono presi dalla tentazione di non dirle niente e di tenerla tutta per sé.  Ma Lynx aveva considerato quell'eventualità, pertanto ogni anno, in segreto, si recava alla loro casa per appurare lo stato di salute della bimba. Tutto ciò avveniva di notte, nell'oscurità più totale, mentre Alma era impegnata a dormire. Ogni anno la bambina diventava sempre più alta e energica, come tutti i membri della sua famiglia d'origine. Fresia e Jung l'avevano allenata a dovere, come Lynx si era aspettato. Tuttavia, Fresia, oltre al dominio del mana rosso, era in grado di usare altrettanto abilmente quello bianco, e Alma volle a tutti i costi imparare a destreggiare due mana.
"Non è per nulla facile!" Cercava di scoraggiarla la buona donna. “Ci vuole molto autocontrollo per non combinare dei disastri! Sono due mana molto diversi!”
Eppure Alma ci provava lo stesso, a volte con risultati decenti, altre combinando poco o nulla.
“Sei troppo instabile.” Le diceva Jung, sorridendo. “Vuoi tutto e subito, non ti concentri abbastanza sulla tecnica, ma solo sulla realizzazione immediata.”
“Ci vuole disciplina per controllare il potere.” Aggiungeva sempre Fresia. “O un giorno sarà il potere a controllare te, come accade a tutti i maghi neri.”
Ma per quanto Alma si sforzasse, il controllo del mana era un nodo irrisolto, anche se il potere in lei era grande.
E ora che era venuta a conoscenza di far parte di una delle famiglie di piromanti più potenti del multi verso la sua vita era stata completamente rivoluzionata.
Aveva sempre chiamato Fresia “madre”; non sapeva se avrebbe continuato a farlo.
Dopo la sua confessione, le era sembrato che il cielo e la terra si fossero capovolti. Tutto ciò che aveva imparato a conoscere era opera di un artificio creato ad arte per lei.
Certo, capiva il punto di vista dei suoi genitori biologici, ma dovevano veramente abbandonarla così?  Aveva una sorella il cui nome riecheggiava sulle bocche di tutti gli abitanti del multiverso: Chandra Nalaar, la planeswalker, detta così perché poteva spostarsi da un universo all’altro. E a lei sarebbe accaduta la stessa cosa? Sapeva che solo certi individui eletti nascevano con la “scintilla” del planeswalker. E se lei fosse nata senza? D’altra parte era un dono concesso a pochi.
“Di certo non accadrà a me, che ho un potere così instabile.” Pensò amaramente Alma. “Sarò degna di essere una Nalaar, essendo così imperfetta?”
Si mise a correre sui tornanti delle montagne su cui abitava. Solo quando correva stava bene, sentire il vento  sul viso, il suono dei suoi passi, le dava concretezza.
Sentì qualcuno chiamare il suo nome. Era Jung, immobile davanti a lei.
La parola “padre” le si bloccò in gola. Lui non era suo padre, non più.
“Perdonaci, se puoi.” Disse l’uomo, con tono autoritario. “Fra le figlie dei Nalaar sei stata quella più protetta; sta a te considerarla come una fortuna o una sfortuna. Fatto sta che ai miei occhi, e a quelli di Fresia, resterai sempre nostra figlia.”
A quelle parole i pensieri nella testa di Alma si fecero ancora più caotici, la vista si annebbiò e sentì le gambe cedere. “Vorrei essere altrove.” Pensò, in preda al delirio. “Non voglio stare qua.”
Strinse gli occhi e i rumori attorno a lei si fecero acuti come dei ronzii, dopodiché tutto tacque.
Quando aprì gli occhi si trovava nel bel mezzo di un campo fiorito, circondata da un gregge di pecore. Si girò, spaventata, per cercare di orientarsi, ma non riconosceva quel luogo.  
Si mise a correre in mezzo al gregge, disorientata, quando vide quello che doveva essere il mandriano venirle incontro. Era un ometto minuscolo, alto forse un metro, dagli occhi enormi e buoni.  Tuttavia, considerando il bastone che brandiva goffamente fra le minuscole mani, non sembrava contento dell’intrusione. Prima che potesse proferir parola, Alma parlò, capendo l’aria che tirava.
“Mi scusi, signore” esordì timidamente “mi sono persa. Saprebbe dirmi dove mi trovo?”
“Sei messa male, ragazza mia” le derise l’ometto “se vaghi in mezzo a un gregge di pecore senza sapere perché e in che luogo! Questo è Lorwyn.”
A quel nome Alma si sentì mancare. Lorwyn era il nome di uno dei piani del multiverso. E lei aveva appena appreso di essere una planeswalker.  

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Viaggiando nello spaziotempo ***


Il primo pensiero di Alma fu “Sono una planeswalker, ho la scintilla!”, il secondo “Come faccio a tornare a casa?”
Si rivolse al piccoletto che la stava fissando coi suoi occhi enormi. “Lei conosce il piano di Ravnica?”
L’ometto si portò il pollice e lì’indice al mento con aria pensierosa. “Il nome non mi è nuovo, in effetti. Però non saprei dire con esattezza se sia un altro piano.”
“Lo è!” Esclamò Alma. “È da lì che provengo.”
Il tizio arretrò di un paio di passi. “Ultimamente voi planeswalker spuntate dal nulla come funghi. Ce n’è un numero considerevole in giro, ormai.”
“Il fatto è che non ho idea di come ritornare indietro.” Sospirò Alma.
Il nano sbuffò. “Sei una planeswalker! Se sei arrivata qui, saprai anche tornare!” Detto questo, si allontanò a passi veloci, borbottando qualcosa sugli invasori di piani che non facevano altro che portare scompiglio in universi tranquilli.
Alma si voltò e iniziò a camminare, cercando di riflettere. Innanzitutto, come aveva fatto ad arrivare su Lorwyn? Si guardò intorno. Era un piano estremamente pacifico e tranquillo, quasi idilliaco, con quei paesaggi bucolici.
“Quando mi sono teletrasportata ero molto confusa…” Rimuginò Alma. “Desideravo un po’ di tranquillità; e l’ho trovata. Mi sono automaticamente teletrasportata in un luogo tranquillo. Spero che, per tornare su Ravnica, basti solo pensarne il nome.”
Si sedette a gambe incrociate sull’erba, chiuse gli occhi e inspirò profondamente, pensando il nome del suo piano. Percepì di nuovo il ronzio di prima, e quando aprì gli occhi si trovava… su uno scoglio.
Non era proprio una scoglio, sembrava più che altro una zolla di terra enorme sospesa. L’orizzonte brillava di una luce fulgida, conferendo all’ambiente circostante una parvenza di pace.
L’attenzione di Alma fu attirata dal volo di un uccello sopra la sua testa. Quando lo mise a fuoco si accorse che, oltre ad essere veramente grande, non era un uccello, ma un angelo.
“Non è possibile!” Pensò, ad occhi sgranati, mentre seguiva la rotta dell’angelo, che svolazzava tranquillamente nel cielo. “Un piano abitato da angeli, costituito da zolle volanti!”
Sentì dei passi dietro di lei, e si voltò bruscamente. Una donna bionda, dall’aria angelica, le si stava avvicinando.
Alma arretrò.
“Non avere paura.” Le disse gentilmente la donna; aveva una voce soave e tranquilla.
“Sei un angelo?” Chiese Alma, senza però avvicinarsi.
L’altra rise, di una risata cristallina che avrebbe potuto confermare l’ipotesi di Alma. “No, non lo sono. Ma come puoi vedere, qui di angeli ce ne sono parecchi.”
“Io non conosco questo posto.”
“L’’ho notato. Vestita a quel modo, non puoi essere un abitante di Serra.”
Serra. Alma conosceva quel piano, era mitologico. Era stato creato dal planeswalker Serra, che aveva riversato su di esso tutte le sue idee di pace e uguaglianza, rendendolo simile al Paradiso stesso.  
Alma osservò che la donna era vestita di bianco, conformemente al contesto in cui si trovava. Alma, invece, indossava dei pantaloncini corti e un corpetto rossi che in quell’ambiente stonavano alquanto.   
La donna interruppe i suoi pensieri. “Da dove vieni?”
“Da Ravnica.” Rispose Alma; le labbra della sua interlocutrice s’incresparono leggermente.  Alma poteva immaginare perché: Ravnica, con i suoi aspri pendii e l’aria battagliera tipica dei suoi abitanti aveva veramente poco a che fare con l’atmosfera eterea di Serra.
La donna fece finta di nulla. “E come sei giunta fin qui?”
“Sono una planeswalker.” Disse Alma, con un certo orgoglio. “Ma qualcosa dev’essere andato storto durante il mio ultimo teletrasporto.”
“Che mana usi?”
“Il rosso…e il bianco.”
L’altra sorrise. “Probabilmente la tua propensione al bianco era più forte di quella verso il rosso mentre viaggiavi nello spaziotempo, e hai inconsapevolmente accolto il richiamo di Serra.”
“Non so come funzioni il teletrasporto ancora.” Ammise Alma. “Ho appena scoperto di avere queste capacità.”
“Lo imparerai. Ora, se vuoi tornare a Ravnica, devi concentrarti sulla tua destinazione. Non pensare a nient’altro.”
Alma fu sorpresa dalla competenza della donna in materia di teletrasporto. “Sei  una planeswalker?”
Di nuovo, la solita risata cristallina. “No certo che no. Ma Serra, il fondatore del nostro piano, lo era. Ci ha trasmesso la conoscenza dei planeswalker, nel caso fra di noi ce ne fosse qualcuno.”
Alma non si trovava male su quel piano, eppure si sentiva vagamente a disagio. Lei era, di carattere, piuttosto inquieta ed impulsiva, e tutta quella calma silenziosa la faceva sentire fuori luogo. Pensò che fosse ora di andarsene.
“Ti ringrazio…” si bloccò, aspettando che la donna rivelasse il suo nome, ma lei non lo disse.
“Non c’è bisogno che tu sappia il mio nome, come io non desidero conoscere il tuo. Se sarà destino, ci rincontreremo, e allora te lo dirò.”
Era una risposta inaspettata, che prese Alma in contropiede; tuttavia, annuì. Dopodiché, con tutto l’impeto di cui era capace pensò “Ravnica!”. Percepì l’ormai familiare ronzio, dopodiché il silenzio.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Conclusione di una giornata sconvolgente ***


Quando aprì gli occhi si ritrovò di nuovo a Ravnica, più o meno nel punto in cui si era smaterializzata.
Corse verso casa sua a spalancò la porta. Fresia e Jung si voltarono di scatto verso di lei; entrambi avevano un’espressione sconvolta.
Fresia le andò incontro e l’abbracciò con trasporto.
“Mi hai fatto morire di paura!” Le disse, stringendola.
Jung, invece, sembrava compiaciuto.
“Te l’avevo detto!” Esclamò, rivolto alla moglie. “Te l’avevo detto che era una planeswalker. Quasi tutti i Nalaar lo sono.”
“Voi sapevate cosa ero?” Chiese Amanda, con disappunto.
“Non ne eravamo sicuri.” Rispose Fresia. “La scintilla è innata, ma si manifesta solo di fronte a uno shock, o ad eventi sconvolgenti.”
“Sapere che faccio parte di una delle famiglie di piromanti più potenti di Ravnica, e che quindi non sono vostra figlia, è uno shock!” Disse Alma, allontanandosi da Fresia.
“Dove sei stata?” Le chiese Jung, fremente dalla curiosità. “Come hai fatto a tornare?”
“Prima sono finita su un piano molto bucolico, pieno di campi, e ho incontrato un nanetto con gli occhi enormi che ce l’aveva coi planeswalker... “
“Lorwyn?” Suggerì Jung. “Hai incontrato un kithkin, così si chiamano i suoi abitanti.”
“E poi?” Chiese Fresia. “Sei stata via un sacco di tempo, eravamo preoccupati!”
Guardando fuori dalla finestra Alma vide l’orizzonte imbrunire. Quando si era smaterializzata era primo pomeriggio.   
“Quante ore sono stata via?”
“Cinque o sei ore.” Rispose la donna. “Eravamo disperati.”
“Sono finita sul piano di Serra, ma non vi sarò rimasta per più di mezz’ora!”
“Il tempo cambia quando viaggi nello spazio-tempo.” Commentò Jung, pensieroso. “I minuti e le ore si dilatano, probabilmente il fatto di teletrasportarti piega il tessuto spazio-temporale, allungandolo.”
“Pazzesco!” Alma era senza parole. “Io posso fare questo?”
“Puoi fare molto di più.” Sorrise Freisa, che poi sospirò. “In ogni caso, questo te lo spiegherà…tuo padre.”
Alma sussultò.
“Verrà qua stasera.” Aggiunse Jung. “Questo momento è stato programmato molto tempo fa, diciotto anni fa, per l’esattezza.”
Fresia abbassò lo sguardo. “Probabilmente questa sarà l’ultimo giorno con noi, Alma. Se tuo padre deciderà che è ora che ti unisca alla tua famiglia, dovrai seguirlo.”
Alma sentì la testa girare. Suo padre stava venendo a prenderla. Chissà com’era, chissà cosa le avrebbe detto, e come si sarebbe giustificato per aver preferito la sorella a lei. Chissà se le avrebbe raccontato di Chandra, la sua famosissima sorella. Si chiese se Chandra era a conoscenza della sua esistenza. E l’avrebbe mai accettata? E Fresia e Jung come avrebbero vissuto una volta che lei se no fosse andata? Forse non erano i suoi veri genitori,ma non riusciva a considerarli diversamente.
“Ho bisogno di stare un po’ da sola.” Disse, andando verso camera sua.
“D’accordo, però non uscire per favore.” La pregò Fresia. “Sei già stata via per troppo tempo, e questa è l’ultima volta che ti ospiteremo in questa casa. Vorremmo avere la certezza della tua presenza.”
“Ho già viaggiato anche troppo per oggi.” Rispose Alma, che oltretutto si sentiva anche abbastanza spossata fisicamente. “Ed è stato un giorno duro. Ho solo voglia di riposare.”
Alma si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi, ripensando alla giornata più strana della sua vita.
“E pensare che prima la mia vita era così serena.” Pensò Alma, godendosi la soffice morbidezza del cuscino. “Non so se m’interessa davvero viaggiare fra i piani del multi verso. E poi, a cosa mi servirebbe? Che scopo ha questo potere?”
Continuò per un po’ a farsi delle domande, dopodiché il sonno prese il sopravvento e lei si perse in sogni strani e confusi, in cui lei viaggiava fra un piano e l’altro, ma non riusciva a stare ferma su un piano, appena appoggiava i piedi sul terreno, subito veniva catapultata da un’altra parte, senza sosta, e al posto del solito ronzio che sentiva quando si teletrasportava sentiva il rumore di colpi alla porta, come su qualcuno bussasse sulle sue tempi. I colpi si facevano sempre più forti finché non si svegliò.
Alma affondò il viso sul cuscino, scossa. Poi sobbalzò quando si accorse che i colpi non erano solo nella sua testa, ma che qualcuno stava bussando per davvero.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** L'inadeguatezza ***


“Alma!” La voce di Fresia oltrepassò la porta. “Fra poco arriverà tuo padre, fatti trovare pronta!”
La ragazza uscì dalla porta, incrociando lo sguardo di colui che, fino ad allora, era stato suo padre, e provò un attimo di smarrimento.
“Cosa gli dirò?” Chiese ai suoi vecchi genitori.
“Non dire nulla. Sarà lui a parlare.” La rassicurò Jung.
I pochi minuti di attesa sembrarono infiniti. Fresia e Jung cercavano di trattenere alla meglio la sofferenza che li divorava, sapendo che se Alma se ne fosse andata, difficilmente l’avrebbero rivista.  
Ma non andò così.
Il padre di Alma arrivò all’orario stabilito.
Quando Alma lo vide strabuzzò gli occhi per lo stupore. Lei era sottile e minuta, mentre Lynx Nalaar era alto e possente, un guerriero sotto tutti gli aspetti. Non doveva essere più giovanissimo, eppure la forza, anche fisica, che scaturiva dalla sua figura non lasciava dubbi sul fatto che avrebbe potuto sradicare un albero a mani nude. Tuttavia, quando rivide la sua secondogenita, l’emozione si manifestò sul suo viso sottoforma di larghi sorrisi, l’abbracciò pure, appurando che sua figlia, nonostante fosse minuta, vantava una buona struttura muscolare.
I momenti che seguirono si alternarono fra un silenzio imbarazzato e spiegazioni su spiegazioni. Così Alma venne a sapere che Chandra era stata scelta in quanto primogenita, e che ignorava l’esistenza della sorella.
“È un’informazione estremamente riservata, questa.” Cercò di spiegarle il padre. “Solo io e tua madre ne siamo a conoscenza. Tu sei un bene estremamente prezioso per la nostra stirpe.”       
“In che modo?”
“Sarai una guerriera, delle migliori del nostro piano. E una planeswalker.” Quell’informazione rimbombava nella testa di Lynx ogni secondo, compiacendolo dell’efficienza delle sue figlie. Chandra aveva sfoggiato questo suo dono prima di Alma, ma era anche vero che era cresciuta col padre e aveva quindi imparato molte più cose sulla magia rossa di quante non ne avesse imparate Alma, contaminata tra l’altro dalla magia bianca di Fresia.  In Alma coesistevano quindi queste due tendenze opposte, l’impulsività sanguinea del rosso, e la purezza bilanciata del bianco.
Lynx sapeva questo, se n’era accorto fin da subito, in quanto Alma mostrava un carattere meno impetuoso di quello di Chandra, sebbene non fosse meno inquieto.
Alma provò a mostrare a suo padre le proprie capacità di piromante, ma la verità era che il suo impeto era ancora troppo inibito dal bianco, cosicché Lynx finì col prendersela con Fresia.
“Come ti è venuto in mente di contaminarla con tutto quel bianco?” Disse, celando a malapena la sua rabbia. “Lei è una piromante, dovrebbe essere in grado di provocare un incendio, non di farsi uscire dalle mani due o tre scinitlle!”
Al che Fresia si fece orgogliosa e gli rispose con fermezza che se non avesse abbandonato sua figlia, ora Lynx avrebbe avuto una piromante fatta e finita così come avrebbe voluto.
Nessuno dei due, comunque, stava tenendo conto della presenza di Alma, che ascoltava tutto con aria umiliata, nonostante Jung cercasse di rassicurarla.
“Sei diventata una planeswalker, così giovane!” Diceva, cercando di coprire con la voce il battibecco fra sua moglie e Lynx. “E poi sei in grado di padroneggiare due mana!”
“No!” Alma urlò, e il suo grido pose fine al litigio in corso. “Non sono in grado di padroneggiarne neanche uno! Sono sospesa a metà fra due mana completamente opposti, e non riesco ad usare come dovrei quello che più dovrebbe appartenermi, tanto che dubito mio padre, quello vero, vorrà riportarmi da dove sono venuta!”
Lynx le si avvicinò, soppesando le parole.
“Io sono orgoglioso di te.” Disse. “Sei una planeswalker, e saresti in grado di usare due mana diversi, non è cosa da tutti. Io stesso non ne sono in grado. Ma la verità è che, credo, dovresti rimanere qui ancora un po’, in modo da affinare le tue tecniche, specialmente quelle rosse. Ho dato precise indicazioni a Fresia, ora non potrai più sbagliare.”
L’unica cosa che Alma udì fu “Non sei adeguata”.
“E quando pensi di tornare a prendermi, padre? Tra altri diciott’anni?” Fece Alma, bruciante d’umiliazione. Gli occhi viola si animarono in una scintilla che fece presagire a Lynx che quel momento non era poi così lontano.
“Presto tornerò.” Rispose l’uomo. Le mise velocemente una mano sulla spalla, ritraendola subito. Si avvolse nel mantello e fece per andarsene.
Fresia e Jung gli fecero un cenno di saluto, mentre Alma incrociò le braccia, guardandolo mentre si allontanava. Solo allora si accorse di non sapere come fosse arrivato suo padre.
Fresia sorrise. “Dovresti saperlo molto bene.”
In un lampo di luce il planeswalker Lynx Nalaar si dileguò, partendo per un altro piano lontano, lontano dalla sua casa, da quel piano, per ragioni che Alma non riuscì proprio a comprendere.  

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Vectis - piano di Esper ***


Alma rimase parecchio delusa dal responso del padre. Si era allenata per anni nel tentativo di diventare una piromante ineccepibile, pur non sapendo di essere una Nalaar, ed ora si vedeva preclusa la possibilità di raggiungere la sua famiglia. Chandra, sua sorella, non sapeva nemmeno della sua esistenza. E sua madre? Chissà com’era, se le assomigliava...
Odiò suo padre, per aver preferito Chandra a lei, e odiò sua madre, per aver permesso che suo padre commettesse un tale scempio. L’ossessione della discendenza aveva prevalso sull’amore per una figlia. Aveva forse questo una giustificazione? Quale?
Pur essendo avvelenata dalla rabbia,Alma non pianse, non era sua abitudine. Preferiva di gran lunga sferrare pugni alle montagne. Lo sfogo era uguale, con risultati più soddisfacenti. Ma stavolta Alma non se la prese con nessuna montagna. Si isolò diverse ore dopo la partenza del padre; si inoltrò per i sentieri boschivi delle montagne brulle della sua dimensione, e lì rimase finché non si addormentò, distesa su un prato senza fiori. Il suo sonno fu breve ed irrequieto. I suoi sogni erano pervasi da un senso costante d’inquietudine, e l’unica cosa che vedeva era un colore rosso scintillante che le offuscava la vista nel dormiveglia. Tuttavia, quando si svegliò, si sentiva abbastanza riposata ed ottimista.  Non poteva comunque immaginare che i suoi sogni avessero  rispecchiato i pensieri che suo padre aveva in quel momento.

 

Vectis, sottopiano di Esper, da qualche parte.

Lynx Nalaar s’incamminava nei luoghi più bui del piano di Esper. Esper non era il peggiore fra i piani del multiverso, ma conteneva al suo interno Vectis, la parte marcia di quella dimensione. Lì l’aria era pregna di magia nera, quindi di morte. Qualsiasi creatura calpestasse il suolo di Vectis era intrisa di corruzione fino al midollo. Lì si nascondevano ladri, assassini e creature ripugnanti. Il posto ideale per nascondere qualcosa di grande valore.
Lynx era un uomo potente, aveva schiere di uomini fedeli pronti a tutto per lui, e l’essere un planeswalker l’aveva temprato meglio di tutti i campi di battaglia in cui si era battuto. Combattere sempre sullo stesso piano è facile, ma mutando dimensione i nemici e le strategie cambiano; sopravvivere diventa il pensiero primario.
Dopo l’incontro con Alma, a Lynx tornò in mente qualcosa che aveva sentito anni addietro da un suo prigioniero proveniente proprio da Vectis. In cambio della libertà era disposto a rubare qualcosa che sapeva essere nascosto a Vectis,  sotto la strettissima protezione di quello che era stato il suo padrone prima di venire catturato. L’uomo aveva citato una pietra rossa in grado di disciplinare il mana negli individui più impetuosi. Lynx aveva accettato il compromesso, pensando di far utilizzare la pietra a Chandra, il cui carattere sanguineo rappresentava un problema per il controllo del mana. Lynx partì coi suoi fedelissimi e il prigioniero alla volta di Vectis, deciso ad appropriarsi della pietra. Ricordava che la prima volta che aveva messo piede a Vectis aveva sentito un brivido lungo la schiena, non tanto per la paura, ma per il disgusto e il ribrezzo che ogni angolo di quel piano suscitava istintivamente in chi non ne faceva parte. La pietra era in un palazzo costituito quasi interamente da etherium, la misteriosa lega costituita da vari metalli che gli abitanti di Esper usavano per sostituire parti del proprio corpo in una disperata ricerca di perfezione fisica e mentale. La carne era considerata qualcosa di ignobile in quel piano, qualcosa che impediva il raggiungimento di magnificenza e potere. Esper era un piano ambizioso e dominatore, ma non schiavista. Ognuno era troppo impegnato nelle propria personale ricerca di autocompletamento per curarsi degli affari esterni. 
Per un piromante come Lynx, quella tendenza eccessivamente narcisistica non era altro che una diversa forma d’inerzia. Ma lui era un mago rosso, aveva bisogno del movimento e dell’impeto per potersi sentire vivo, per questo non riusciva a cogliere fino in fondo l’ipnotica magia che avvolgeva quel piano.
Non riuscì mai a rubare la pietra rossa. Il palazzo che lui e i suoi uomini stavano assediando vantava delle difese a loro sconosciute, sembrava che i colpi delle loro spade non scalfissero minimamente le lucide pareti d’etherium. Ben presto gli abitanti del palazzo passarono al contrattacco. Un arciere  su una torre si occupò subito di trafiggere alla gola il vecchio compagno traditore, in maniera da rendere inutile ormai la spedizione nemica. Prima di battere in ritirata, Lynx lanciò uno sguardo all’arciere; vide solo una tesa incappucciata di nero che li guardava andarsene senza lasciar trasparire nessuna reazione.
E ora lui era ancora lì, sempre alla ricerca della stessa cosa, ma questa volta a causa dell’altra sua figlia. Alma era potente, ma aveva bisogno di quella pietra per affinare il suo potere. Stavolta era più preparato; aveva portato con sé meno uomini per non fare troppo trambusto, ma ognuno di quegli uomini, da solo, valeva come tre guerrieri.
Mentre i suoi uomini si avvicinavano al palazzo, Lynx scivolò silenziosamente all’interno. Le lisce pareti metalliche s’illuminarono all’improvviso di rosso. Lynx fece appena in tempo a vedere degli uomini correre nella sua direzione che il rumore delle spade gli suggerì che fuori la battaglia era iniziata.
Con l’agilità tipica dei piromanti, e dei ladri, Lynx riuscì a sfuggire alle guardie. Ma non riuscì ad oltrepassare la porta che sentì dell’acqua salirgli rapidamente lungo le ginocchia. Si voltò, e vide la stessa figura incappucciata che aveva incontrato la volta precedente. Gli altri uomini gli erano intorno a semicerchio; sen’ombra di dubbio il capo era lui.
“Cosa cerchi piromante?” Lynx sentì la domanda nella sua testa. Il mago che aveva di fronte usava  il mana blu e sapeva utilizzare il controllo mentale. Ma Lynx non gli permise di invadere la sua mente. Avvalendosi del suo mana rosso, evocò un drago, che entrò nel palazzo distruggendone le pareti. Il mago si aggrappò alle sue ali e si mise a cavalcioni sulla creatura; uscendo dal palazzo gridò ai suoi uomini di ritirarsi. I due schieramenti presero velocemente ognuno i propri morti e si ritirarono. Anche stavolta Lynx Nalaar aveva sottovalutato le capacità difensive degli abitanti di Vectis. Forse non erano così indolenti come aveva pensato.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La gilda degli assassini ***


L’arciere incappucciato di nero rimase immobile alla finestra finché l’ultimo uomo dell’esercito nemico non si dileguò nella nebbiolina argentata di Vectis. Nel frattempo, i suoi uomini stavano raccogliendo i morti e i feriti. Uno dei suoi compagni guardò in alto, nella sua direzione, e gli fece un cenno d’intesa che al contempo significava “abbiamo vinto” e “dobbiamo parlare”. Lui annuì, e si voltò, dando le spalle all’esterno. Si trovava nel suo studio. Lungo le pareti si ergevano librerie in legno dagli ampi scaffali, ognuno dei quali era incrinato sotto il peso dei libri. Ne prese uno, abbassandosi il cappuccio; un ciuffo di folti capelli neri gli scivolò sul viso, coprendogli parzialmente l’occhio destro mentre leggeva distrattamente un incantesimo di difesa. La porta si aprì ed entrò l’uomo che prima lo aveva fissato.
“Non è andata bene, Hage.” Disse l’incappucciato, quando vide l’altro entrare. “Mi sarei aspettato di meglio dal mio primo ufficiale.”
Hage abbassò lo sguardo, stringendo i pugni. “Non era prevedibile un attacco del genere Matt.”
“È la seconda volta in meno di tre anni che quel piromante viene qui, e se lo fa dev’essere senz’altro per cercare di sottrarmi la pietra rossa…non vedo altre ragioni.” Mormorò Matt, sempre sfogliando il libro; la sua voce era neutra. “E questo non è il primo assalto che subiamo da esterni quest’anno. Dev’essersi sparsa la voce che la pietra rossa non è solo una leggenda, e questo ci mette in difficoltà.”
Hage non rispose, né alzò lo sguardo.
“Devi rafforzare la difesa del palazzo. Sei il mio miglior ufficiale, da te non posso aspettarmi niente di meno.”
Hage accennò un breve inchino. “Comprendo perfettamente, capo.”  
Matt appoggiò il libro sul tavolo, pensieroso.
“Posso fare qualcos’altro per te?” Domandò Hage.
Matt scosse la testa, congedandolo con un cenno della mano. Rimasto solo, sentì che una sensazione di totale sconforto si stava impadronendo di lui. Era da quando aveva memoria che i piani alti di Esper cercavano d’impadronirsi di quella pietra, e la difesa di essa era costata a Matt immense fatiche e dispendio di vite umane. Non poteva permettersi di fronteggiare un altro nemico. O forse sì, ma a quale prezzo? La battaglia contro il governo di Esper era già abbastanza ardua senza che un piromante sì intromettesse nei suoi affari. Perché Matt aveva degli affari, e molto fruttuosi. Essere un killer aveva i suoi vantaggi, almeno dal punto di vista economico. Nondimeno, era a conoscenza della maggior parte dei segreti che circondavano il suo piano e delle lotte intestine che mietevano vittime ogni due passi. Suo padre era una di quelle vittime. Tutto ciò che Matt aveva appreso sul controllo del mana blu lo doveva a suo padre, uno dei migliori generali che l’esercito di Esper avesse mai avuto. La sua sfortuna fu trovare la pietra rossa durante una spedizione. I governanti di Esper lo avevano mandato in ricognizione su vari piani in cerca di quella pietra: erano segretamente intenzionati ad usarla per rovesciare l’ordine costituito di quell’universo, e governarlo così con la violenza.
Nessuno era a conoscenza del loro piano, neppure il padre di Matt, il quale però vantava una notevole conoscenza dei pezzi grossi di Esper, ed aveva imparato a diffidare di loro. Fu per questo che, quando trovò un frammento della pietra, fece finta di nulla e la inghiottì, facilitandosi con un incantesimo che gli permise d’ingerirla senza subire danni.
Quando tornò con il resto della spedizione, la versione ufficiale fu che la ricerca non aveva prodotto alcun esito. Ma i cancellieri non credevano veramente all’esito negativo della missione, pertanto fecero spiare giorno e notte coloro che avevano preso parte alla ricerca, così il padre di Matt fu smascherato.
Matt ricordava perfettamente la notte in cui tutto incominciò. Si era svegliato nel cuore della notte a causa dei forti rumori che venivano dalla stanza adiacente alla sua. Quando entrò vide suo padre che combatteva contro un uomo incappucciato di bianco: un killer del governo.
Matt gridò il nome di suo padre, che si girò a guardarlo, lanciando un incantesimo per creare una nebbia che permettesse ad entrambi di fuggire. Quando furono soli, Matt vide suo padre stringersi le mani sullo stomaco, emettendo una strana luce blu; dalla sua bocca uscì una pietra aguzza color rubino.
Suo padre gliel’affidò, sapendo che non avrebbe avuto scampo; si fece promettere da Matt che avrebbe protetto per sempre quella pietra, e che l’avrebbe nascosta come meglio poteva. In particolare Matt ricordava le ultime parole che suo padre gli disse prima di scagliarsi contro un’orda di nemici incappucciati di bianco “Diventa grande e potente. Dopodiché, vendicami.”
Infine gli intimò di andarsene, e Matt ubbidì, non per codardia, ma perché aveva giurato a suo padre che gli avrebbe obbedito, sempre. Quella fu l’ultima volta che lo vide. Mentre fuggiva un killer gli si parò di fronte. In preda al terrore, Matt lanciò il primo incantesimo d’attacco che gli venisse in mente, era un incantesimo di strangolamento. Il killer gli stramazzò davanti, in preda alle convulsioni.
Matt aveva solo quindici anni, ma da allora uccidere non fu più un problema per lui; si era così abituato alla morte da farla diventare la sua professione. S’insediò in una zona desolata di Vectis; iniziò ad accettare piccoli incarichi dagli abitanti della zona: tutti omicidi, ovviamente. Nonostante nessuno sapesse né il suo nome né la sua età, iniziò a farsi conoscere, finché della gente non venne a cercarlo. Erano per lo più ladri e assassini venuti da lui per apprendere i segreti del mestiere, o semplicemente per conoscerlo di persona. In poco tempo attorno a Matt si era creata una piccola comunità di sbandati, che sotto il suo controllo e i suoi insegnamenti incominciava a diventare una vera e propria gilda di assassini.
Matt li aveva resi dei killer professionisti, salvandoli dalla strada. Avevano costruito quel palazzo d’etherium e lì si erano sistemati. Chi era nel giro sapeva che lì c’erano gli assassini, e lì andava chi aveva bisogno di liberarsi di qualche rogna senza sporcarsi le mani.
Pochi avevano visto Matt di persona, solo i suoi uomini potevano vederlo, nonostante lui non si facesse spesso vedere in pubblico. Nessuno sapeva nulla del suo passato, tantomeno della pietra. Matt conosceva bene gli uomini che aveva allevato, e sapeva anche di averli allenati bene; alcuni non avrebbero esitato ad ucciderlo per avere quella pietra.
L’unico che sapeva del suo passato e della pietra era Hage, il primo in assoluto che era venuto a cercarlo; era il suo primo ufficiale, lui si divertiva a chiamarlo così nonostante non ci fosse un vero e proprio esercito nel palazzo. In realtà Hage era un amico, forse l’unico, e Matt sapeva che non lo avrebbe mai tradito. Hage era anche l’unico a conoscenza del vero scopo di quella gilda: rovesciare il governo di Esper e vendicare il padre di Matt uccidendo tutti i governatori. Matt era disposto ad usare qualsiasi mezzo per riuscirci, anche a modificare il suo corpo, se questo l’avesse aiutato.
Ancora preso da quelle riflessioni Matt si alzò e andò verso lo specchio a figura intera appoggiato al muro.
Si guardò e lasciò cadere a terra il mantello nero che lo ricopriva. Sotto,non indossava nessuna maglia; non ne aveva bisogno, perché, a partire dalle sue spalle fino alla vita, il suo corpo era costituito da etherium lucido e freddo.
Matt contemplò il suo corpo nello specchio, toccando il proprio riflesso. Una risata vagamente inquietante gli uscì dalla gola. “Non c’è niente di più perfetto dell’etherium.” Pensò estasiato. “È così perfetto...più robusto di qualsiasi metallo, così elegante. Coloro che lo considerano un sostituto mediocre delle parti del corpo sono solo degli stolti. L’etherium migliora il mio corpo, gli fa rasentare la perfezione. Se tutti acconsentissero ad applicarne una parte al proprio ne uscirebbero senz’altro migliorati. Tutti hanno bisogno dell’etherium, solo che non lo sanno. Io sì.”   
Qualcuno bussò alla porta, e la aprì. “Padrone!” Un assistente comparve dietro le sue spalle. “Sono spiacente di disturbavi ma abbiamo un problema!”
Matt non si voltò. “Che tipo di problema?”
“Un...testimone.”
Detto questo, l’assistente si scostò, e comparve uno dei suoi uomini; vicino a lui camminava un uomo che aveva le mani legate.
“Capo” disse l’assassino “abbiamo preso in ostaggio un soldato del nemico. Ha detto che avrebbe parlato se gli avessimo risparmiato la vita.”
Matt fece cenno all’uomo di far sedere l’ostaggio sul pavimento. Si fece dire il suo nome, e quello del suo comandante.
“Il nome Nalaar mi suona famigliare” disse Matt, rivolto all’ostaggio.
“Lo credo bene.” Rispose l’altro. “I Nalaar sono una famiglia di piromanti estremamente pericolosi; tra l’altro, quasi tutti i membri della famiglia sono planeswalker.”
Matt ebbe un moto di sorpresa, che calmò subito. “Questo spiegherebbe come ha fatto Lynx Nalaar ad arrivare fino ad Esper.” Borbottò soprapensiero. “Quello che non mi spiego…” lanciò un’occhiata disgustata all’ostaggio. “È come abbia fatto a portarsi dietro una feccia come te.”
L’uomo deglutì, rivendicando il fatto d’aver confessato tutto e che quindi doveva essergli risparmiata la vita. Prima che potesse finire la frase Matt prese una boccale pieno d’acqua; fece uscire il liquido trasparente che si attorcigliò attorno al collo del malcapitato come un serpente e lo strangolò.
“Detesto i traditori.” Esclamò, osservando il cadavere immerso nella pozza d’acqua.
Il complice di Matt emise una risatina derisoria. “Era da solo, ostaggio dell’esercito nemico, costituito interamente da assassini. Credeva davvero che avrebbe potuto scamparla?”
“La gente implora per la propria vita.” Commentò Matt con voce piatta. “È negli ultimi attimi di vita che vedi un uomo per quello che è. E questo era un traditore, la razza che odio di più.”
 
 
 
 
Ps: Non sono riuscita a togliere quella parte in grassetto in nessun modo, spero non disturbi troppo!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Pietra rossa e birra chiara ***


Mi scuso infinitamente per la lunga attesa. Gli ultimi esami e la tesi di laurea mi hanno assorbito completamente; ora che sono felicemente laureata, avrò tutto il tempo di dedicarmi a questa fan fiction. Gli sviluppi si preannunciano interessanti, quindi…non demordete!

 

Alma Nalaar, offuscata com’era dalla delusione del suo fallimento, non immaginava neppure lontanamente quanto suo padre fosse stato contento d’averla ritrovata. E neppure sapeva cosa Lynx Nalaar aveva rischiato per lei, pur di farle raggiungere la perfezione che lei tanto auspicava. Inoltrarsi a Vectis comportava numerosi rischi, non ultimo quello di venire uccisi. Ma Lynx aveva fatto del rischio e del pericolo la sua professione, come si confaceva ad un piromante del suo calibro. Ciò che più lo turbava, tuttavia, era il non essere riuscito a rubare la pietra rossa. Pensava che la presenza di quella pietra nel palazzo di Vectis fosse risaputa, ma si sbagliava; l’essere venuto in possesso di quell’informazione era stato per lui un autentico colpo di fortuna. Il caso volle che i suoi soldati avessero catturato uno dei pochi killer di Matt che sapeva dell’esistenza della pietra rossa, informazione, tra l’altro, che il killer aveva casualmente origliato da una riservatissima discussione tra Matt ed Hage. Ovviamente, questo Lynx non poteva saperlo, ma se l’avesse saputo non se ne sarebbe stupito più di tanto. Troppi anni da guerriero l’avevano convinto della totale assenza della fortuna, ma l’avevano assolutamente persuaso dell’azione incisiva e significativa del destino. Che Lynx Nalaar venisse a conoscenza della pietra rossa era dunque destino, così come lo era il fatto che il potere di Alma risultasse ancora troppo acerbo.

 

Ravnica.

Alma si risvegliò dal suo torpore con la sensazione d’aver fatto degli strani sogni. Bastò  il ricordo della recente visita del padre per riportarla bruscamente alla realtà. Chiuse nuovamente gli occhi, cercando di dimenticare l’orribile sensazione d’inadeguatezza che l’aveva invasa meno di un giorno prima. Aveva ardentemente desiderato di conoscere suo padre, ma ora l’unica cosa che desiderava era non rivederlo fino al momento in cui non sarebbe stata in grado di dimostrargli il suo vero potenziale.  Mentre abbandonava quelle sgradevoli riflessioni per perdersi in pensieri più casuali, vide un lampo di luce provenire dalla casa di Fresia e Jung. Per quanto stentasse a capirne il motivo, suo padre doveva essere tornato da lei.

“Ho fallito.” Lynx Nalaar continuava a ripeterlo mentre si accingeva a prendere l’ennesimo sorso di birra dal boccale che Jung gli aveva portato. Alma lo fissava, in attesa di ulteriori spiegazioni.

“La pietra!” Esclamò Lynx, senza aggiungere altro; stava iniziando ad accusare i primi sintomi di un’imminente sbornia.

“Quale pietra?” Lo interrogò Jung senza convinzione; sembrava pronto a seguire l’amico sulla strada dell’ubriachezza.

“La pietra rossa di Vectis!” Rispose l’altro, allargando le braccia in uno slancio di singolare gaiezza. “È una pietra che, stando alla leggenda, aiuterebbe i giovani maghi a disciplinare il mana, mentre accrescerebbe il potere di quelli più potenti!”

“Esattamente ciò che mi ci vorrebbe.” Osservò Alma, fissando insistentemente il padre con aria di rimprovero. Era il loro secondo incontro, non si aspettava di vederlo brillo.  

“Infatti.” Annuì Lynx, appoggiando rumorosamente il bicchiere sul tavolo. “È per questo che sono andato a Vectis per cercare di rubarla. Volevo portarla da te.”

Alma dimenticò lo stato ebbro del padre. “Per me?” Disse, tentando di non mostrare la forte emozione la pervadeva.

Lynx annuì, assumendo un’aria un po’ più seria. “Purtroppo quella pietra è troppo ben protetta. Ho dovuto battere in ritirata.”

Alma fu attraversata dal folle impeto di tentare la stessa impresa del padre, abbandonando il pensiero pochi istanti dopo. Se un mago esperto come lui aveva fallito, lei aveva ben poche speranze di riuscire. Ciò non toglieva che lei fosse piuttosto agile. Ricordava bene di come, quando era bambina e il suo piano era attraversato da un periodo di miseria, s’intrufolasse nelle case delle famiglie più abbienti per rubacchiare qualche genere alimentare da portare in famiglia. Qualche volta, quando veniva scoperta, ricorreva anche a qualche espediente magico, con buoni risultati. Ma adesso che era cresciuta, anche gli ostacoli che le si paravano davanti si erano fatti più pericolosi. Inoltre, Alma sapeva poco di Vectis; a dire la verità, era solo in quel momento, dalla testimonianza del padre, che ne era venuta a conoscenza.

“Che piano è Vectis?” Chiese.

“Non è un piano.” Spiego Lynx, versandosi della birra. “È una…zona, diciamo…del piano di Esper.” Fissò la figlia per un minuto buono, nonostante iniziasse  a vederci doppio. “Esper è un piano pericoloso per i maghi rossi. Meglio che tu non ci metta piede.”

Lynx si accorse troppo tardi che la birra aveva parlato per lui. Alma era giovane, impulsiva, e per di più era una piromante, per quanto ancora inesperta. Se aveva lo stesso carattere dei Nalaar avrebbe preso il consiglio del padre come un invito.

“Mi raccomando!” Aggiunse, cercando di riparare al danno fatto. “Evita di andare ad Esper, almeno finché non sarai in grado di maneggiare il mana rosso in maniera completa. Intesi?”

Alma annuì, ma non lo stava ascoltando. Il richiamo di Esper si era fatto più forte della voce del padre.


Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Draghi rossi, draghi blu ***


Questa volta mi sono sforzata e ho scritto un capitoletto un po’ più lungo! Spero gradiate, le cose stanno iniziando a farsi un po’ più interessanti…
 

 
Alma fece ricorso a tutte le sue doti di autocontrollo per evitare di tradire le sue emozioni. Aspettò che il suo padre biologico e quello putativo si abbandonassero con le facce sul tavolo a smaltire la sbornia prima di uscire di casa. Fresia era andata a dormire nel suo letto, quindi non ebbe problemi ad andarsene senza farsi vedere.
Si assicurò d’essersi allontanata sufficientemente dalla casa, prima  mettersi a pensare intensamente ad Esper e sentire il familiare ronzio vicino alle orecchie.
Per sua fortuna non era comparsa in un luogo affollato, quindi il suo arrivo non fu notato da nessuno. Fu lei, piuttosto, che restò meravigliata dall’opulenza di quel piano. C’era una predominanza del colore azzurro nelle costruzioni e negli abiti stessi delle persone, le cui figure si riflettevano distorte nei palazzi d’etherium. Alma aveva solo sentito parlare di quel metallo da parte di Lynx, ma l’idea che se n’era fatta non si avvicinava minimamente al reale splendore di quel materiale. Alma non aveva mai visto nulla che apparisse così prezioso, e freddo.
Superato l’intontimento iniziale, si ricordò che la sua meta non era Esper, ma Vectis. Capiva che non avrebbe potuto chiedere semplicemente dove si trovasse Vectis ad una persona qualsiasi, anche perché i passanti di Esper erano diversi da qualsiasi passante Alma avesse mai visto. Sembravano tutti assorti in pensieri metallici quanto l’ambiente in cui si movevano, senza prestare attenzione a quanto accadeva loro intorno. Alma si pentì di non aver escogitato prima un piano per decidere come si sarebbe mossa, una volta arrivata a destinazione.
Un movimento veloce, inconsulto in quell’ambiente lento e pacato, attirò la sua attenzione. Degli uomini incappucciati di nero presero a correre fra la folla, a malapena interessata alla loro esistenza. I fuggitivi erano inseguiti da degli uomini incappucciati di bianco, che stavano per raggiungerli. Prima di poterli seguire con gli occhi, erano già svoltati dietro un angolo, nell’indifferenza generale. Alma intuì che dovunque svoltasse quell’angolo, quella era la direzione per Vectis.  
Si affrettò a seguirli, ma quando svoltò i quattro uomini erano già spariti. In compenso, il paesaggio era cambiato. Costruzioni di pietra si alternavano a quelle di etherium e, man mano che procedeva, la via si faceva sempre più lunga e stretta. Gli individui che le passavano di fianco erano meno eleganti rispetto a quelli di prima, ed avevano un’aria decisamente più feroce, quasi perversa.
All’improvviso, gli uomini dal cappuccio bianco comparvero di nuovo, poco distante da lei.
Uno dei due si rivolse con aria minacciosa ad un giovane con la schiena appoggiata al muro. “Dov’è  andata quella feccia?”
Tutt’altro che intimorito, il ragazzo si limitò ad alzare le spalle. “Al palazzo d’etherium, suppongo. Ma lorsignori sanno meglio di me che è introvabile.”
“Non per noi.” Ghignò uno dei due incappucciati, dando le spalle al ragazzo e dirigendosi con passo sicuro verso una via laterale. L’altro lo seguì.
“Non lo troveranno mai.” Commentò il giovane, rivolgendosi agli spettatori di quel curioso siparietto. “Le guardie imperiali non riusciranno mai a trovare il quartier generale di quella gilda.”
“Ed è giusto così!” Sentenziò un anziano signore che fino ad allora se n’era stato zitto in un angolo. “Se non fosse per la gilda degli assassini, non ci sarebbe giustizia qui a Vectis.”
Alma si guardò intorno. “Quindi sono già a Vectis!” pensò con sdegno e ammirazione insieme. “La parte peggiore di Esper, il luogo dove questo piano getta i suoi rifiuti. In questo modo è diventata una culla fermentante di marciume. La pietra rossa deve assolutamente trovarsi qui, le cose troppo ambite non si trovano mai fra la brava gente.”
Cessò di ascoltare la conversazione su quella strana gilda di assassini, decidendo di percorrere la via principale in tutta la sua lunghezza. Suo padre era già riuscito a trovare la pietra rossa, e di conseguenza il luogo in cui era nascosta. Se c’era riuscito lui, non vedeva perché non avrebbe dovuto riuscirci lei. Mentre procedeva, però, iniziava a sentirsi sempre più inquieta. Gli individui che incrociava lungo la via erano particolarmente loschi e la squadravano con astio. Prima che potesse rendersene conto, sentì qualcuno afferrarle la cintura nel tentativo di rubarle il borsello. D’impulso, Alma lanciò un incantesimo di difesa che sfociò in una violenta fiammata; spaventata dalla sua stessa reazione, la ragazza prese a correre a più non posso verso la fine di quella via che sembrava infinita. Invece, poco dopo l’inizio della sua corsa, si ritrovò in un campo di grano dorato. Finalmente si fermò. Sentiva il cuore pulsarle nel petto e il mana premere per uscire con dirompente violenza. Aveva decisamente bisogno di quella pietra, o avrebbe potuto causare dei seri danni ogniqualvolta ricorreva al suo potere.
Dopo qualche minuto il cuore aveva regolarizzato il suo  battito, mentre il mana continuava a pulsarle nella testa e nelle mani. Si guardò intorno e strabuzzò gli occhi alla vista di un palazzo, poco lontano. Non lo vedeva bene, perché sembrava avvolto da una folta nebbia, ma ne distingueva i contorni e le alte torri che luccicavano a causa dell’etherium con cui erano state costruite. Suppose che la nebbia fosse un incantesimo di occultamento, e non un mero fenomeno atmosferico. Man mano che si avvicinava, le sembrava che il suo stesso mana la stesse spingendo in direzione del palazzo, come rispondendo ad un richiamo incontrollabile. Alma si meravigliò quando riuscì ad oltrepassare indenne la coltre nebbiosa, ritrovandosi inspiegabilmente in un sotterraneo. Il mana all’interno del suo corpo guizzava impazzito ed Alma capì che forse si trovava nel posto giusto.
Ma l’entrata di Alma non era passata inosservata. I sistemi di difesa infranti avevano messo in allerta le sentinelle, che avevano mandato ad avvertire Matt dell’accaduto. Matt, a sua volta, mandò a chiamare Hage per fargli una bella lavata di capo: non era possibile che la nebbia fosse stata oltrepassata in quel modo, per lo più si trattava della seconda volta nel giro di due giorni!
Sicuro che l’intruso fosse nuovamente il piromante della volta scorsa, Matt si diresse nel luogo in cui era stata riscontrata la sua presenza, ovvero il sotterraneo. A quanto pareva, stavolta era solo. E Matt l’avrebbe affrontato una volta per tutte. 
Alma, intanto, avanzava lentamente nel sotterraneo; non c’era niente, se non il suono dei suoi passi, a tenerle compagnia. Ma non aveva paura. Ora l’unica cosa che sentiva era la brama di possesso per quella pietra. Da quando aveva saputo di essere una Nalaar il potere dentro di lei era esploso, ma l’aveva fatto in maniera molto irrazionale e confusionaria. La sua testa e il suo corpo erano come un pentolone ripieno di magma ribollente, pericolosamente in bilico. Alma sentiva questo potere farsi prepotente dentro di lei, specie quando qualcosa la turbava o la irava, com’era successo poco prima, ma per quanto ci avesse provato non era mai riuscita a disciplinarlo, e ad usarlo come un vero piromante. Il suo era un mana selvaggio, come era lei, ma qualsiasi cosa, per poter essere fatta bene, necessita un minimo di disciplina.
“Quella pietra è la soluzione. Ed è qui!” Pensò, animandosi.
Grazie al suo effetto, potrò affinare le mia abilità e presentarmi davanti a mio padre e la mia famiglia da vera piromante.”
Il suo pensiero andò alla sorella Chandra, che era già un’esperta nel suo campo. “Neanche in cento anni riuscirò mai a diventare così potente.” Rimuginò.
Ma qualcosa ora l’aveva distratta. Non c’era più solo il suono dei suoi passi nel sotterraneo.
Alzò la testa e vide un individuo seduto su uno spuntone di roccia che la guardava con curiosa ostilità. L’uomo la stava guardando tamburellando con le dita contro il pavimento, nascondendo il viso sotto un cappuccio nero simile a quello dei fuggitivi incontrati al suo arrivo ad Esper.
Alma era piuttosto incuriosita dalla situazione in cui si trovava, ma sapeva che dall’incontro con quell’uomo non sarebbe certamente scaturito un momento di informale convivialità. 
“Non sono molti gli stranieri che si avventurano in questi territori.” Esordì Matt, alzandosi in piedi. “Intelligentemente, lo fanno per non mettere in pericolo la loro vita. Chi sei tu per aver così poca considerazione della tua?”
Gli occhi di Matt scrutarono la nuova arrivata. I suoi lunghi capelli neri oscillavano lentamente, ma a causa di cosa, se nel sotterraneo non c’era neanche un filo d’aria? Possibile che fosse a causa del suo potere interiore? In tal caso, doveva contenerne una quantità ragguardevole. L’abbigliamento e l’indole suggerivano una padronanza del mana rosso. Matt si soffermò sugli occhi della ragazza.“Sono violacei.” Rifletté. “Questa donna deve avere qualcosa a che fare col mana blu.”    

La voglia di battersi con lei gli fece dimenticare la delusione per la scoperta che non era Lynx Nalaar l’intruso che si era aspettato. Gli occhi di Alma ricambiarono lo sguardo ostile di Matt con altrettanta determinazione.
“Chi sei tu per infastidirmi con simili assurdità?” Replicò acidamente Alma.
Matt sorrise, scostandosi una ciocca di capelli neri dalla fronte. Con un balzo scese dallo spuntone e si avvicinò ad Alma. “Devi essere per forza una piromante.” Replicò. “Come tutti i tuoi simili, dimostri di avere un pessimo carattere.”
“E invece io non sopporto i maghi blu, come te. Siete degli esseri subdoli con una buona dose di complesso di superiorità.” Gli occhi di Alma cominciarono ad assumere sfumature più rossicce e i suoi capelli ondeggiarono più velocemente.
“Devi avere qualche problema col controllo del mana.” La provocò Matt, mentre le gote di Alma si accendevano di rosso per la rabbia e per la vergogna che la sua mancanza fosse così evidente.  
“Dimmi cosa sei venuta a fare qui.” La voce di Matt si fece più autoritaria, cosa che irritò oltremodo Alma che, per tutta risposta, lanciò un fulmine contro Matt, che lo schivò e se ne tornò sulla roccia di prima.
“È inutile.” Ringhiò. “Cercare di parlare con voi piromanti è come cercare di spegnere delle fiamme col vento.”
Si tolse il mantello, rivelando il petto scavato nell’etherium e degli occhi scuri vagamente folli.
Alma lo fissò incredula per un attimo, l’etherium era davvero un capolavoro. Ma non ebbe il tempo di perdersi in speculazioni artistiche perché Matt stava cercando di entrare nella sua mente per carpirne delle informazioni.
Con enorme fatica, Alma riuscì a respingere l’attacco, ma ne fu subito spossata.
“Questa ragazza è davvero interessante.” Sussurrò Matt. “Mi ha attaccato con la magia rossa, si è difesa con la bianca, e mostra i segni della magia blu negli occhi. Quante sorprese potrebbe ancora nascondere?” Poi le parlò: “Te lo chiedo un’ultima volta: cosa sei venuta a fare qui? Sarebbe un peccato eliminare un elemento interessante come te.”
“Oh, non lo farai infatti!” Ghignò la ragazza, tornando all’attacco, ma stavolta Matt era più preparato, e le mandò contro il suo stesso incantesimo. Alma lo schivò per un pelo, ma parte del suo vestito rimase bruciacchiato.
“Questo tipo è pericoloso.” Disse fra sé e sé. Per un secondo le parve di sentire l’ormai dimenticata sensazione della paura farsi strada dentro di lei, ma fu solo per un attimo. Stava combattendo contro un uomo fatto d’etherium, e se fosse riuscita a batterlo sarebbe senz’altro riuscita ad estorcergli informazioni sulla pietra rossa.
“La pietra rossa?!” Urlò Matt. Era riuscito ad inserirsi nei pensieri di Alma in maniera così lieve e sinuosa che neppure lei stessa se n’era accorta.
“Non puoi averla!” Tuonò Matt, tornando all’attacco. “Quella pietra è mia.”
Stavolta Alma non cercò di scappare, ma lanciò un altro incantesimo contro quello di Matt. Lo scontro provocò una violenta esplosione.
“Come può essere tua?!” Replicò Alma, scansandosi dalle macerie che le stavano cadendo addosso.
“Quella pietra mi appartiene!” Urlò Matt. “T’invito a desistere, quale che sia il motivo per cui la cerchi!”
“Non ci penso neanche!” Alma si diresse contro di lui per sferrargli un attacco frontale. “Quella pietra mi serve!”
Matt le bloccò le mani, trattenendola. Un sorriso insolente gli si dipinse sul viso. “Per quale motivo, signorina Nalaar?”
Alma si liberò con uno scatto e si allontanò da lui. Non poteva aver visto anche quello.
“Sei davvero membro della famiglia Nalaar?” Chiese Matt, tradendo un sincero stupore. “Sei forse la figlia di quel piromante che si è già intrufolato due volte nel mio castello?”
 “Non sei riuscito a leggere proprio tutto di me.” Lo derise Alma. “Altrimenti lo sapresti!”

“La situazione ha preso una piega alquanto interessante.” Pensò Matt, cercando nuovamente d’insinuarsi nei pensieri della piromante, inutilmente. “Tuo padre non ha il coraggio di tornare lui stesso? È così codardo da mandare la figlia al posto suo?”
Alma tacque; stava cercando di escogitare un modo per aumentare la distanza fra lei e  quell’individuo, che si era rivelato piuttosto sveglio anche senza l’ausilio del controllo mentale.
“O forse tuo padre non è a conoscenza della tua presenza qui? Se così fosse, saresti una figlia davvero indisciplinata!”
“Sono una piromante.” Ribadì cerimoniosamente Alma, accumulando del mano rosso nella mano destra. Non aveva idea dell’attacco che avrebbe sferrato, ma aveva urgentemente bisogno di un diversivo. Sentiva che i continui, sottili, attacchi di Matt le stavano sfiancando la mente, facendole perdere la concentrazione. Aveva accumulato un numero sufficiente di informazioni, e sarebbe stato più saggio tentare il furto in un altro momento. Per un secondo si pentì di non aver ascoltato suo padre. Lynx aveva ragione: lei non era abbastanza preparata. Si era trovata davanti al possessore della pietra, e non l’avrebbe mai lasciata andare senza averle prima sfiancato la mente.   
Ma Matt si era reso conto delle sue intenzioni, e stava evocando un drago per sbarrarle la strada. alma sussultò; era la prima volta che vedeva evocare una creatura viva. Per sua fortuna, non si trattava di una drago particolarmente grande, in confronto a quelli evocati dai maghi rossi.
“Non vorrai già andartene?” Chiese con arroganza. “Sei troppo interessate per lasciarti sfuggire. Contieni delle informazioni molto utili.”
Alma decise di tentare un bluff, e  sorrise guardando il drago che le sbarrava la strada.
“Una cosa che non mi piace di voi maghi blu” disse “è che sapete evocare soltanto draghetti, ma mai draghi come questi.” Fece per evocare un drago famelico, ma il suo mana era troppo grezzo ancora per un’impresa simile, col risultato che evocò un drago delle stesse dimensioni di quello di Matt, che scoppiò a ridere. “Sei ancora giovane e inesperta, pur essendo una Nalaar. Tuttavia, o forse proprio per questo, voglio saperne di più su di te.”
Alma fece ricorso alle energie rimaste e lanciò un’esplosione piromantica un po’ maldestra contro Matt, che la schivò. Il colpo prese in pieno le pareti del sotterraneo facendolo crollare.
Alma saltò sulla schiena del proprio drago per scappare, e lo stesso fece Matt, ma andarono in due direzioni diverse e si persero di vista. Matt provò più volte a tornare sul posto per ritrovare Alma, che però si era nascosta molto lontano da lì, rendendosi del tutto non rintracciabile. Non sarebbe mai riuscito a ritrovarla senza aiuto. Così lo cercò.
Nel frattempo, poco lontano, Alma si sentiva al sicuro, nascosta nella boscaglia. La vegetazione era così fitta che era quasi impossibile dall’alto vedere cosa contenesse.
All’improvviso sentì qualcuno avvicinarsi, ma non fece in tempo a voltarsi che un lampo di luce blu la investì e l’orizzonte diventò completamente nero.
Quando si svegliò si trovava seduta sul pavimento di una stanza piccola e umida, dal cui soffitto scendevano gocce d’acqua.  Di fronte a lei Matt le dava le spalle mentre consultava un tomo piuttosto spesso.
“Ti sei svegliata.” Disse, senza voltarsi.
“Chi sei tu?” La bocca di Alma ardeva dalla sete e l’umiliazione d’essersi fatta catturare le causava un nodo in gola che non faceva che aumentare l’arsura.      
“Mi chiamo Matt e sono il capo di una gilda di assassini di Vectis.” Rispose lui pacatamente, voltandosi verso di lei. Alma rimpianse di non aver prestato più attenzione ai discorsi che aveva sentito nel vicolo, a Vectis. Era di quella gilda che stavano parlando i viandanti, avrebbe dovuto sapere che le informazioni migliori vengono sempre dalla strada.
Matt le si avvicinò lentamente, fermandosi in piedi davanti a lei. “Qual’é il tuo nome?”
Alma sbuffò. “Credevo lo sapessi. Non mi avevi letto la mente?”
Gli occhi di Matt divennero due fessure. “Avevi una buona difesa.”  Poi il suo sguardo si fece meno duro. “Preferisco sapere il tuo nome da te, senza dover ricorrere a nessun controllo mentale. Sarebbe inutile sprecare magia per un’informazione così futile.”
Alma si stupì nel concordare con la logica assoluta di quell’affermazione, e si decise a pronunciare il suo nome.
“Bene Alma” esordì Matt. “Credo di sapere perché tu voglia la pietra, e, credimi, trovo uno scopo molto nobile potenziare le proprie capacità, ma la pietra è mia e intendo lo rimanga.”
“Non è solo quello…” le parole di Alma le uscirono dalla bocca prima che potesse controllarle.
“E allora perché?”
Alma chinò la testa, decisa a non parlare, e una zaffata del suo profumo inondò le narici di Matt. Profumava di ebano e di legno selvaggio. Il mago rimase intontito un paio di secondi prima di tornare al discorso di prima. Ma Alma non parlava.
“Bene.” Matt si girò e torno alla sua scrivania; Alma si preparò ad erigere delle barriere mentali per difendersi, ma non ci fu nessuna intrusione nella sua testa.
“Quando ti sarai decisa a parlare, me lo farai sapere. Tanto da qui non puoi andartene.”  
Alma sentì freddo intorno ai polsi e capì di essere incatenata.
“Chi è stato a prendermi nel bosco?” Chiese.
Matt sbuffò. “A Vectis comando io. In qualsiasi parte di Vectis c’è qualcuno che mi serve, o è disposto  a farlo. Mi è bastato ingaggiare qualcuno che si trovava già lì. Lui ti ha portato da me, e io ti ho portato qui.”
“Qui dove?” Esclamò Alma.
“A Grixis. Non siamo più in Esper adesso.”
Gli occhi di Alma si spalancarono per la sorpresa. “Sei un planeswalker!”
Matt annuì. “Sì, e lo sei anche tu. Solo un planeswalker riuscirebbe a vedere la nebbia che avvolge il palazzo. È un modo per capire chi ho di fronte. Certo non m’immaginavo di battermi in una planeswalker, per quanto inesperta.”
Alma non rispose allo sguardo derisorio del mago.
“Imparerai meglio con l’allenamento.” Disse Matt, notando il disappunto della ragazza.
“Perché mi hai portato a Grixis?”
“La pietra rossa si trova qui.”
Alma si dimenò cercando di liberare le mani. “Ti diverti a torturarmi forse?”
“No.” Gli occhi di Matt erano imperscrutabili, ma sinceri. “Pensavi davvero che potessi tenerla a Vectis, dove tutti si aspettano che sia? Inoltre, speravo che la vicinanza della pietra ti spingesse a dirmi perché la cercavi.”
“Non mi va di parlarne.” La voce di Alma non era acida, piuttosto rassegnata.
“Te l’ho detto, ho tutto il tempo che voglio.” Matt si sedette su una poltrona, di fronte a lei.
La sua figura elegante esercitava un certo fascino su Alma, e per qualche strana ragione le ispirava fiducia. Ma era pur sempre un assassino, e dallo sguardo abbastanza spiritato, anche se nascosto dal cappuccio nero ora nuovamente calato sulla sua testa.
“Perché sei così interessato a me?” Domandò, recuperando la sua determinazione.
“Non ne ho idea.” Replicò Matt, giocherellando con un amuleto che aveva il collo. “Forse se ti tengo qui scoprirò anche questo.”
Rimasero in silenzio per un attimo. La sete di Alma si era fatta insopportabile. Matt se ne accorse dalle goccioline di sudore che le scendevano dalla fronte.
“Attenta a non bruciare dall’interno.” Disse, facendo lievitare una caraffa dal tavolo alle sue mani. Si avvicinò alla piromante, ma lei si allontanò con uno scatto. “Non ho certo bisogno di essere imboccata.”
Matt sorrise di quell’inutile ostinazione. Portò la brocca sulla testa di Alma e le intimò di alzare il capo. “Eccoti servita.”  Esclamò, facendo scivolare dell’acqua sulla testa della piromante, che si affrettò ad aprire la bocca per catturare l’acqua, che bevve fino all’ultima goccia.
“Hai una strana affinità con l’acqua.” Mormorò Matt, ritirando la mano. “Di solito voi piromanti la scansate con orrore.”
“Mia madre era una maga blu, credo.” Rispose Alma. “È per questo che ho degli occhi così contaminati dal blu.” 
“Capisco. È molto interessante.”
Ancora una volta il profumo della ragazza penetrò narici di Matt, che fu costretto a spostarsi per non farsene inebriare nuovamente. “Sarebbe uno spreco farti morire così.” Si giustificò il mago, dandole le spalle. Era stranamente turbato. Nessun’altra creatura prima d’ora aveva stuzzicato così il suo interesse. Probabilmente era l’unico essere a cui l’etherium non avrebbe apportato alcuna miglioria. Stupendosi del suo stesso pensiero si voltò verso Alma, che gli parlò.
“Facciamo un patto.” Disse. “Io sarò disposta a raccontarti la mia storia solo se tu acconsentirai a raccontarmi la tua, e a spiegarmi perché ti trovi in possesso della pietra rossa.”
Matt la fissò stupito. “Davvero t’interessa saperlo?”

“Devo tutelarmi in qualche modo.”
Il mago le rivolse un sorriso indecifrabile; Alma sentì il fuoco farsi prepotente dentro di lei.“Anche questo è vero.” Matt si sedette una seconda volta e trasse un profondo respiro prima d’iniziare a parlare. “Mio padre era un generale dell’esercito del governo di Esper. Durante una spedizione aveva trovato un frammento di pietra rossa. Accadde così che un giorno venne assassinato da dei killer. In seguitò si scoprì che i killer erano stati assoldati da un alto cancelliere che voleva impossessarsi del frammento trovato da mio padre. Il cancelliere però ignorava che mio padre aveva consegnato a me quella pietra, facendosi promettere da me di diventare eccezionalmente potente. Dopo la sua morte finii a capo di una gilda di assassini che ha lo scopo di rovesciare il governo. Il mio scopo personale è anche quello di uccidere tutti i governatori, e vendicare così mio padre. Tutti pensano che i rifiuti di Esper finiscano a Vectis, ma ad Esper non c’è certo meno marciume… Se venissero a Grixis se ne renderebbero conto.”
Matt alzò lo sguardo verso Alma, che lo ascoltava interessata. Era consapevole d’aver raccontato solo alcuni dettagli della sua storia complicata, ma di certo non avrebbe aggiunto altro. Si era già spinto troppo oltre raccontandole quelle poche cose.
Lo sguardo dell’assassino si perse per un attimo nel vuoto. “Ma ora tocca a te parlare.”
Alma sospirò e gli perché cercava la pietra, ma non fu esaustiva neanche lei nel raccontare la sua storia di famiglia. Non avrebbe certo ammesso davanti all’individuo che l’aveva rapita che lei era la figlia rinnegata dei Nalaar, mentre la sorella, ignara la sua esistenza, si era guadagnata onore e rispetto in diversi piani del Multiverso.
“Così vuoi la pietra per affinare il tuo potere e portare gloria al buon nome di famiglia.” Commentò Matt. “Lo scopo della tua ricerca ti rende onore. Tuttavia, come ora sai, la pietra mi è necessaria.”
 “La mia ricerca si chiude qui.” Pensò Alma. “Ora mi ucciderai?”
Matt si alzò e andò verso di lei. “Non ho interesse ad ucciderti.”
Alma cercò di alzarsi, inutilmente.
“Ora è meglio se riposi.” Disse Matt, sciogliendola dalla catene.
La ragazza gli rivolse un’occhiata alquanto interrogativa.
“Fuori da questa stanza ci sono ordigni di cui solo io conosco il funzionamento e dai quali è impossibile fuggire.” Spiegò Matt. “Non potresti mai scappare senza che le tue interiora vengano sparse in giro dai miei marchingegni. Le catene mi servivano per impedirti di fuggire non appena ti fossi svegliata.”
Alma non si mosse; era ancora troppo turbata.
Matt andò verso la porta. “Puoi usare la mia poltrona per dormire. Buonanotte.”
Prima che Alma riuscisse a raggiungerlo, la porta si era già chiusa. Provò ad aprirla, ma era chiusa a doppia mandata.
“Non sarò certo una porta a fermarmi.” Sussurrò, mentre si accingeva ad escogitare un piano di fuga.

 
 
PS: Alcune mosse dei personaggi, come i fulmini o il drago famelico che evoca Alma si riferiscono a carte del gioco di Magic effettivamente esistenti, così com’è vero che il più delle volte il blu evoca draghetti (chiamati così nel gioco!) e non draghi veri e propri, che sono invece tipici del rosso. Caratteristica di certi maghi blu è invece il controllo mentale, come dimostra uno dei planeswalker più potenti del gioco, Jace Berelen, mago blu che fa del controllo mentale uno dei capisaldi del suo potere.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=655112