Apparenze

di Darik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6° Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° Capitolo ***


APPARENZE

1° Capitolo

Quella non era una mattinata come le altre, all’istituto Mahora.

Infatti proprio quel giorno si dovevano svolgere gli esami che avrebbero chiuso il primo semestre di scuola, aprendo le porte alle vacanze estive.

Per questo quando si aprirono gli enormi cancelli, la fiumana di ragazzi e ragazze che si riversò nel piazzale aveva qualcosa di diverso dal solito: erano tutti impegnati a ripassare una miriade di materie con libri, appunti o a voce.

L’aria si riempì di citazioni letterarie, storiche, filosofiche, matematiche e scientifiche di ogni tipo.

L’immensa folla arrivò fin davanti al palazzo centrale del complesso scolastico, da dove poi si frazionò, ciascun gruppo diretto verso la propria scuola.

Quella folla era arrivata con grande rapidità e con altrettanta grande rapidità se ne andò, lasciando di nuovo deserto il piazzale.

Che poco dopo venne attraversato da un singolo gruppo di persone.

Erano 29 ragazze, camminavano con passo tranquillo e composto, e sembravano del tutto immuni all’ansia pre-esame.

Si diressero verso la sezione della scuola media.

Dopo un breve tragitto, arrivarono alla loro classe: la III A.

Entrarono e si sedettero in maniera composta.

Dopo un po’, entrò una donna giovane e di bell’aspetto.

“Buongiorno a tutte” esordì la donna.

“Buongiorno professoressa Ayanami” rispose in coro e con voce piatta la classe.

“Bene ragazze, tra poco arriverà il professor Nitta, che vi porterà i test. Mi raccomando, dovete mettercela tutta. Dimostratevi degne dell’ottimo risultato che avete ottenuto col precedente esame di fine anno”.

“Certamente” risposero ancora in coro le ragazze.

Una di loro alzò timidamente la mano.

Ayanami la notò. “Dimmi pure, Shinobu”.

“Pro…professoressa, lei resterà qui ad assisterci?”

“Purtroppo no, Shinobu. Solo l’esaminatore e il suo assistente possono restare nella classe”.

Shinobu impallidì lievemente. “Ma… ma io…. Come faccio senza…. Ho paura!”

Ayanami raggiunse Shinobu attraverso i banchi e le mise una mano sulla testa. “Non hai nulla da temere, Shinobu. Se va male, nessuno ti caccerà. Ma l’intelligenza non ti manca, nei test preparatori hai ottenuto ottimi risultati, ancora più grandi se si pensa che non avevi mai frequentato una scuola prima di arrivare qui. Sono sicura che andrà tutto bene. E poi ci sono anche le tue compagne. Giusto, ragazze?”

L’insegnante scrutò i giovani volti che la circondavano: la risposta arrivò tramite dei mesti sorrisi. E neanche da tutte.

E la cosa rabbuiò Shinobu.

A quel punto una ragazza con i capelli rossicci e due codini, con alle sommità dei piccoli campanelli, si alzò impetuosa: “E’ sicuro che ce la farai, Shinobu! Ce la faremo tutte! Otterremo il miglior risultato della scuola anche stavolta! E sono sicura che tu sarai quella che otterrà il voto migliore!”

La ragazza, Asuna Kagurazaka, lasciò il suo banco e andò da Shinobu, mettendole una mano su una spalla. “E dopo la vittoria, ti porterò al karaoke insieme a tutte le altre. Per te sarà un’esperienza nuova, giusto?” le disse ammiccando con lo sguardo.

“S…si!” rispose sorridendo Shinobu.

Le altre si guardarono imbarazzate

E allora proruppero in un energico ‘SI! Al KARAOKE!” sfoggiando dei sorrisi radiosi.

Ayanami rimase abbastanza soddisfatta, quando arrivò Nitta con le prove per l’esame.

Dopo aver dato un’ultima raccomandazione alle sue allieve, Ayanami lasciò l’aula per dirigersi verso la sala insegnanti.


“Accidenti, è difficile da sopportare” esclamò la donna lasciandosi cadere sulla sedia della sua scrivania.

La sala insegnanti era in quel momento deserta, durante i test infatti la maggior parte dei professori si ritrovava molto tempo libero.

La donna prese la targhetta col suo nome, Rei Ayanami, posta sopra la scrivania.

Al contrario delle altre targhette, era solo appoggiata, non attaccata.

La rimirò come se fosse una rarità.

Un uomo con un elegante completo bianco si affiancò a lei. “Problemi, professoressa Ayanami?”

“Oh, è lei professor Takahata”.

Takahata Takamichi tirò fuori dal taschino della giacca una nuova sigaretta.

Ayanami riprese il discorso. “Il problema è che non riesco a legare con quelle ragazze. Nonostante siano passati tre mesi dal mio arrivo, tra me e loro non c’è alcun feeling, tranne che con Shinobu Maehara. E non riesco a capire dove sto sbagliando. Faccio di tutto per essere non solo competente, ma anche gentile e disponibile, capace di incoraggiare. E ancora nessuna di loro viene a chiedermi aiuto. Mi chiedo dove sbaglio”.

“Il problema non sta in lei, professoressa. Il problema riguarda il precedente insegnante” disse Takamichi accendendo la sigaretta.

“Ah, il famoso Negi Springfield, il bambino prodigio che faceva l’insegnante ad appena nove anni. Ma che c’entra?”

“Lei non può capire perché non l’ha conosciuto, professoressa. Negi era speciale, era riuscito a diventare per quelle ragazze molto più di un semplice professore. Loro lo consideravano sia un grande amico che un fratello minore. Ed è stata la sua partenza improvvisa a gettarle nello scoramento, a privarle della loro incredibile vitalità. Temo che si incolpino della sua scomparsa”.

“Ma se lui era cosi importante per loro, perché se ne è andato cosi? Mi sembra un gesto molto egoista e insensibile da parte sua” replicò Ayanami.

Takamichi si strinse nelle spalle. “I bambini a volte sono capaci di innocenti crudeltà”.

“E lei pensa davvero che ci sia la sua partenza improvvisa dietro la mancanza di vivacità di quelle ragazze?” domandò ancora la giovane donna.

Takamichi fece un tiro con la sigaretta, poi indicò una della scrivanie lì vicino. “Vede quel tavolo?”

Ayanami si sporse in avanti. “Si, se non sbaglio appartiene al professor Nitta”.

“Esatto. Sa, fino a pochi mesi fa, quella scrivania era ingombra di libri. Il povero Nitta aveva cosi tanto da fare con tutte le classi, e soprattutto con la III A, che non aveva quasi mai tempo per le sue letture e per consultare i registri. Poi però il suo lavoro è diminuito di un buon 60% e cosi ha avuto il tempo di sistemare tutto. Oggi sento Nitta arrivare persino a lamentarsi perché si ritrova con molto tempo libero e si annoia. Vediamo se indovina da quanto tempo Nitta si ritrova con tutto questo tempo libero”.

Ayanami inarcò un sopraciglio. “Da tre mesi, giusto?”


Alcune ore dopo, i test di fine semestre erano ormai finiti.

E nell’atrio dell’edificio principale si era formata una ressa incredibile di persone ansiose di conoscere il loro voto.

Se il mattino era stato un continuo ripassare, ora c’era un continuo ricorso ad amuleti e frasi portafortuna.

Da un altoparlante arrivò un segnale acustico, il vocio della folla cessò, una ragazza salì su una piccola pedana posizionata affianco ad un grande schermo.

“Molto bene, i dati sugli ultimi test sono stati consegnati. Procediamo ora all’esposizione”.

La ragazza cominciò a leggere uno alla volta i risultati delle singole classi.

Ad ogni risultato, un susseguirsi di sollievi e delusioni, mentre i voti apparivano sullo schermo messi in ordine crescente.

“E infine al primo posto si piazza…. La III A! Con 90 punti! Complimenti!” concluse la ragazza.

Dalla folla però stavolta giunse solo silenzio.

E solo allora si accorsero che una classe mancava all’appello.


“Ragazze, ce l’abbiamo fatta anche stavolta. E con un ottimo risultato. Shinobu ha preso ben 82 punti” comunicò Satomi Hakase dopo aver consultato il suo PC.

La III A era radunata davanti all’uscita dell’istituto Mahora.

“Molto bene. Complimenti a tutte voi, ragazze. E complimenti anche a te, Shinobu. Per essere la tua prima volta, hai fatto una figura splendida” disse la capoclasse Ayaka Yukihiro.

Tutte le ragazze circondarono Shinobu, piuttosto imbarazzata, per farle i complimenti.

“Bene, arrivederci a settembre” riprese la capoclasse avviandosi verso l’uscita.

“Ehi, un momento” intervenne allora Asuna “Avevo promesso che avremmo portato Shinobu al karaoke per festeggiare. Ayaka, tu non vieni?”

La capoclasse tornò indietro e prese Shinobu per le mani. “Maheara, scusami, però adesso non me la sento proprio di andare al karaoke. Non pensare che la colpa sia tua, sono ben lieta della tua presenza come tutte le altre, lo sai che ti abbiamo anche fatto una piccola festa di benvenuto. E solo che…”

“Non dire niente, capoclasse. Ho capito” la rassicurò Shinobu.

Ayaka annuì e le strinse più forte le mani. “Quando potrò, ti inviterò a passare qualche giorno a casa mia. Sono sicura che ti troverai benissimo. Soprattutto starai lontana da una scimmia isterica di nostra conoscenza”.

“Ehi! Guarda che ti ho sentito!!” tuonò Asuna.

Normalmente a quella provocazione sarebbe seguita una delle proverbiali risse tra lei e Ayaka, ma quest’ultima stavolta si limitò a farle una linguaccia, si girò e se ne andò.

Le altre restarono a guardarla andare via, poi tornarono nelle loro camere per darsi una rinfrescata prima di andare al karaoke.


Quella sera tre stanze di uno dei numerosi locali dove si svolgeva il karaoke erano state riempite dalle ragazze della III A che si divertivano cantando o scimmiottando il cantare.

I principali risultati comici si raggiungevano quando tentavano di cantare ragazze seriose come Mana Tatsumiya e Chisame Hasegawa.

Solo in una quarta stanza non c’era alcuna allegria.

Quella con Asuna e le sue amiche Shinobu, Setsuna e Konoka.

Se ne stavano in silenzio, senza fare nulla, incuranti dell’allegro fracasso delle altre.

Poi Setsuna ruppe il mutismo. “Non ci sono ancora notizie, vero?”

Asuna guardò la spadaccina Shinmei con una certa severità.

Setsuna sostenne quella occhiata. “Mi dispiace, Asuna, so che questa dovrebbe essere una festa per la promozione e soprattutto per Shinobu, ma le cose vanno viste per quello che sono. Le altre sono tutte troppo preoccupate per il professore. E lo siamo pure noi. Ci sforziamo tutte di andare avanti, per questo abbiamo anche ripreso le attività dei nostri club. Ma quello di Negi è un pensiero che ci tormenta giorno e notte. Non parlarne non lo farà sparire”.

Asuna allora chinò il capo. Rammentava troppo bene le volte in cui, in quei tre mesi, aveva colto le sue compagne nel grande bagno o in camera con gli occhi lucidi. Nodoka spesso piangeva a tutti gli effetti.

Ma erano tutte lacrime che si cercava di far sparire davanti a Shinobu.

Asuna sospirò. “Nessuna notizia, purtroppo. Il professor Takahata mi tiene sempre informata e non ci sono sviluppi”.

“Accidenti, ma dove sarà andato a finire?” si domandò angosciata Konoka.

“Vallo a sapere. Quando se ne è andato, abbiamo pensato di poterlo rintracciare in Inghilterra. Ma neanche lì si è visto. Sembra sparito nel nulla. La settimana scorsa Kamo è partito per l’Inghilterra per dare una mano nelle ricerche” spiegò Asuna.

“Il campo di ricerca in teoria potrebbe essere esteso a tutto il mondo. Tutto è possibile. Il professor Negi potrebbe persino essersi trovato un eremo sull’Himalaya, per quanto ne sappiamo” aggiunse Setsuna.

“Una possibilità però c’è” riprese Asuna “Oggi il preside mi ha spiegato che esiste un particolare incantesimo che renderebbe possibile rintracciare una persona cercandola in tutto il pianeta”.

Le altre la guardarono allibite: “E lo tirano fuori dopo tre mesi?!” esclamarono insieme.

Asuna mise le mani avanti. “Il problema di questo incantesimo è che bisogna interpretarlo. Da quello che ho capito, questa magia non mostra con esattezza il luogo dove cercare, ma fa apparire una serie di immagini che bisogna poi decodificare. E’ come interpretare un sogno. E le possibilità di decodifica sono cosi ridotte, che nell’ultimo secolo questo incantesimo è stato usato solo otto volte. E solo tre volte è stato interpretato correttamente, permettendo cosi di trovare la persona cercata”.

“In pratica è una mossa da disperati” concluse Setsuna.

“Si” annuì Asuna.

Shinobu invece ascoltava in silenzio.

Del resto per lei erano tutte cose nuove.

“Sentite, come ci comportiamo con le vacanze?” chiese allora Konoka.

“Io voglio andare alla ricerca di Negi. Perciò domani chiederò al preside di fare la prova” rispose risoluta Asuna.

Konoka fece una smorfia. “Voglio esserci anch’io. E se funziona, voglio partecipare alla ricerca”.

Setsuna si mostrò contrariata. “Konoka, va bene la prima cosa, ma per la seconda, no. Può essere pericoloso. Per la scomparsa di Negi dobbiamo prendere in esame tutte le possibilità. Anche che sia stato rapito da qualcuno. Asuna sa combattere, ma tu?”

“Andiamo Setsy, come se anche tu non morissi dalla voglia di andare a cercarlo” replicò Konoka zittendo l’amica.

Asuna si impose: “Non litigate. Andrò solo io. Konoka, tu sei troppo importante, devi restare sempre al sicuro, lo sai. Passerai le vacanza a casa di tuo padre, a Kyoto, come sempre. E tu Setsuna resterai con lei. Io so cavarmela. D’altronde con me ci saranno anche il professor Takahata e Kotaro”.

Le due ragazze fecero per replicare, ma sapevano che Asuna aveva ragione.

La porta della stanza si aprì. “Un momento, penso che puoi contare anche me”.

“Kaede!?” esclamò stupita Konoka.

Era proprio la loro amica ninja, Kaede Nagase. Che ammiccò con lo sguardo. “Pensavate forse di poter nascondere la vostra discussione ad una ninja?”

“O ad una come me?” disse Mana Tatsumiya entrando con calma anche lei.

Dalla porta arrivò anche Kazumi Asakura. “Oppure ad una giornalista d’assalto come la sottoscritta?”

E dietro Asakura comparve anche Ku Fei. “Be, in realtà io mi sono limitata a seguire loro” ammise allegramente.

Asuna era rimasta un po’ interdetta. “Ragazze, davvero volete venire anche voi?”

“Certo. Noi non siamo possibili bersagli” rispose Kaede.

“Inoltre sappiamo difenderci molto bene” continuò Mana sottolineando con la voce la parola ‘molto’.

“Il mio Kung-Fu frantuma ogni roccia!” esclamò orgogliosa Ku.

“Io non so combattere, ma può tornare utile la mia abilità nel trovare informazioni” aggiunse Asakura.

Asuna sospirò. “E va bene. Però dovremo prendere delle contromisure per non farci seguire dalle altre. Non sapendo cosa ci aspetta, per loro sarebbe troppo pericoloso. Se parto solo io, la mia partenza si può nascondere. Se saremo in cinque il discorso cambia”.

“Sta tranquilla, abbiamo questi!” Asakura tirò fuori dei famigli. “A Kyoto si sono dimostrati utili, no?”

“Pure troppo” mugugnò Setsuna, ricordando lo spogliarello fatto dalle loro copie la sera prima della partenza.

“In realtà, anche Yue e Nodoka hanno capito. Ma le abbiamo convinte che per loro i rischi erano eccessivi. Andranno con Konoka a Kyoto” spiegò Nagase.

“Shinobu, anche tu puoi venire con noi a Kyoto” propose allora Konoka.

Shinobu arrossì imbarazzata. “Mi…. Mi dispiace… ma io…. Io devo restare qui al Mahora…”

“Eh? E perché?”

“La professoressa Ayanami ha detto che devo fare molte lezioni di approfondimento. E il preside è d’accordo”.

“Oh, capisco. Be, hanno ragione. In fondo tu hai cominciato ad andare a scuola solo da qualche mese. Spero che non ti annoierai stando da sola al Mahora”.

“No, non penso… per me sarà… sarà una nuova esperienza”.

“Meglio cosi” commentò Setsuna.

In quel momento irruppero nella stanza le altre compagne: “Ecco la festeggiata principale. Forzai, cantiamo insieme a più non posso!”

Le ragazze afferrarono Shinobu allibita e la trascinarono via.

Konoka sorrise. “Si mettono di impegno”.

“Hanno un animo generoso” continuò Setsuna.

“In pratica l’hanno adottata. Un po’ come hanno fatto con me a suo tempo. Be, andiamo anche noi e cerchiamo di concludere questa serata in allegria. Domani sarà una giornata decisiva. Deve esserlo!” concluse Asuna.

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Capitolo 2
*** 2° Capitolo ***


2° Capitolo

Nell’ufficio del preside si erano radunati in cinque: oltre all’anziano uomo, c’erano Asuna, Setsuna, Konoka, e anche Nodoka e Yue.

“Voi due non dovreste essere qui” obbiettò il preside.

“E… e perché?” domandò turbata Nodoka.

“Perché” si inserì Yue “se l’esperimento riesce, noi due vedremo dove si trova il professore. E in nessun modo potrebbero impedirci di andare con loro. Mi dispiace, preside. Abbiamo strappato l’informazione su questa seduta ad una specie di paparazzo, ho fatto alcune ricerche in biblioteca e ho scoperto che più persone legate allo scomparso sono presenti, più possibilità ci sono che riesca”.

Il tono di Yue era assai deciso, anche se la ragazza si augurò che nessuno dei presenti si facesse domande sulla natura del suo legame con Negi.

Il preside si massaggiò la barba. “Mmm… e va bene. Allora, mettiamoci in cerchio”.

Le ragazze obbedirono, mentre il preside con un gessetto disegnò sul pavimento intorno a loro degli strani cerchi.

Erano diversi da quelli che si realizzavano per i pactio, che erano meno complessi, ed era notevole la rapidità e precisione con cui l’anziano docente li tracciava.

Il preside si mise al centro del cerchio formato dalle ragazze. “Prendetevi per mano” ordinò.

Dopo che le altre ebbero ubbidito, l’uomo abbassò il capo e cominciò a sussurrare delle parole.

Queste parole, da lieve bisbiglio, diventarono man mano sempre più forti.

Gli oggetti nella stanza iniziarono a tremare con violenza crescente.

Il tremolio cessò di botto. “Pensate il più intensamente possibile a Negi!” ordinò il preside.

E un istante dopo, l’uomo alzò la testa guardando verso l’alto, un’onda energetica eruppe dal suo corpo confluendo in parte nei cerchi sul pavimento, che s’illuminarono di una luce quasi accecante, al punto che le ragazze dovettero chiudere gli occhi.

Il resto dell’onda energetica attraversò le ragazze lasciandole indenni e colpì tutti gli oggetti presenti nello studio: libri, sedie, quadri, fermacarte e altro ancora, facendoli cadere per terra.

La luce dei cerchi sembrò prendere vita e cominciò a spostarsi verso un punto in aria, sopra il preside.

“Guardate!” comandò quest’ultimo.

Le ragazze aprirono gli occhi: sopra il preside si era creata una figura femminile umana, con capelli lunghissimi e fluttuanti.

La figura alzò le braccia al cielo, poi tracciò un arco nell’aria e si creò come un’immagine.

Nonostante lo spettacolo, un solo pensiero attraversava la mente delle ragazze: “Negi…. Negi…. Dove sei?”

L’immagine iniziò a cambiare in maniera sempre più vorticosa e ad alternarsi ad altre immagini: sembrava di vedere un televisore impazzito.

Prima mostrò una coltre di neve…

Poi una coltre di nubi temporalesche…

Che subito vennero rimpiazzate da una giornata soleggiata, e subito dopo nuovamente da un temporale…

Un deserto bianco… interrotto da getti di aria bianca…

Un leoncino che camminava nel deserto bianco, sul cui sfondo iniziavano a intravedersi delle basse montagne, canyon e cascate…

Un immenso oggetto conico fatto di terra che si erigeva al di sopra di tutte le terre emerse…

L’oggetto si rovesciava come un calice sulle terre, ricoprendole di sangue….

Sangue che poi diventava uno sciame di farfalle di luce dorata….

Una scacchiera….

Una pioggia di caramelle di tutti i colori…

Infine, ancora un deserto bianco.

L’incantesimo cessò in un attimo, il preside si accasciò silenziosamente.

“Nonno!” gridò Konoka soccorrendolo.

“Sto… anf, anf… bene” la tranquillizzò l’uomo ansimando. “Guarda che io… anf, anf…. sono ancora una roccia…” continuò spavaldo battendosi il petto con una mano.

E provocandosi cosi un attacco di tosse.

“Oh, nonno” rispose Konoka abbracciandolo affettuosamente.

Asuna si fece avanti rispettosamente. “Preside, mi scusi, ma quelle immagini…”

“Non… le ho viste. La persona… al centro del cerchio può solo incanalare l’energia… si concentra solo su quello e quindi ignora…. tutto il resto….”.

Asuna allora guardò prima Setsuna, poi Nodoka e Yue: tutte e tre scossero la testa mortificate.

Infine volse lo sguardo verso Konoka, ottenendo la stessa risposta.

Asuna alla fine scosse anche lei la testa. “Lo immaginavo. Qualcuno potrebbe spiegarci che cavolo significava quello che abbiamo visto?!”


Era infine arrivato l’ultimo giorno di scuola.

Si vedeva che si era in piena estate: le cicale ronzavano a tutta forza e faceva un caldo torrido.

Quella giornata scolastica durava pochissimo, molti non venivano affatto, altri venivano giusto per salutare qualche prof o per scrivere qualche messaggio di saluti sulla lavagna.

E la III A non aveva mai mancato quell’appuntamento.

Quella però sembrava destinata ad essere la prima volta, dato che di quelle ragazze non era venuta nessuna.

Almeno apparentemente.

Qualcuno infatti aveva scritto qualcosa sulla lavagna.

Una scritta strana, che sembrava fatta da qualcuno che conosceva la grammatica ma non sapeva maneggiare il gessetto.

La scritta diceva: ‘Cattive vacanze’.


Asuna, Konoka e Setsuna avevano salutato le altre, che sarebbero ritornate alle loro case.

“Bene, sembra che siamo rimaste sole” disse Konoka stiracchiandosi.

“Non proprio” specificò Setsuna. “Kaede, Mana, Asakura, Ku e le libraie hanno rimandato la partenza di due giorni. Nella speranza che ci siano sviluppi”.

“Immagino sia lo stesso motivo per cui anche voi due non siete partite subito per Kyoto, vero?” aggiunse Asuna.

“In effetti, si” ammise la spadaccina Shinmei. “Ehi, dov’è Shinobu?”

Come se l’avesse evocata, l’ultima arrivata della III A sbucò fuori da dietro un angolo, con in mano una pila di libri.

Decisamente troppi per lei, che iniziò a barcollare e rischiò di cadere per terra.

Fortunatamente Setsuna e Asuna la raggiunsero con uno scatto da centometrista e presero al volo lei e i libri.

“Nodoka in questo è sempre stata un buon allenamento!” esclamò Asuna. “Tutto bene, Shinobu?”

“S-si, grazie” rispose imbarazzata la novellina.

“A che ti servono tutti questi libri?” chiese Setsuna mentre lo aiutava a rimettersi in piedi.

“La professoressa Ayanami vuole farmi studiare questi libri per l’estate”.

“Eeehhh?! Sono troppi!” gridò scandalizzata Asuna. “Ti rovinerà l’estate!”

“Ma no” la tranquillizzò Shinobu “Per me è una cosa nuova… la trovo molto interessante”.

Asuna non sembrò molto convinta. “Se lo dici tu…”

Shinobu controllò i dintorni, poi sussurrò: “Com’è andato quell’esperime…”

“Shinobu!”

Il richiamo severo fece sobbalzare le tre ragazze: con passo deciso furono raggiunte dalla professoressa Ayanami.

“Non bisogna perdere tempo” redarguì la prof. “Porta questi libri sulla mia scrivania. Lì elaboreremo il piano di studi”.

“S-subito” rispose Shinobu raccogliendo i libri e andandosene.

“Aspetta, Shinobu, ti aiuto” le disse Konoka andandole dietro e prendendo parte dei suoi libri.

“Mi scusi, professoressa” azzardò Asuna “ma non crede di aver dato troppo da studiare a Shinobu? Ha cominciato da poco la scuola”.

“Chi ben comincia, è a metà dell’opera, Kagurazaka. E poi non preoccuparti, saprò ben dosare le cose da studiare” rispose con decisione l’insegnante.

Che tirò fuori un ventaglio. “Uff, che caldo. Io sono abituata a climi più freddi". E se ne andò.


Quella sera Asuna non aveva sonno, presa com’era a contemplare il letto dove dormiva Negi.

Era ormai la sua abitudine serale.

“Stupido ragazzino! Perché sei sparito in questo modo? Potevi consigliarti con noi. Le amiche a cosa servono sennò?”

Una serie di mugugni attirarono la sua attenzione: Konoka, che dormiva nel letto sotto il suo, aveva cominciato ad agitarsi nel sonno.

Asuna si preoccupò e scese per mettersi affianco alla sua amica. “Konoka che ti prende?”

La ragazza di Kyoto si agitò sempre di più, Asuna dovette bloccarle con le braccia per impedire che cadesse dal letto.

“Konoka! Svegliati! Che ti succede?”

Asuna pensò ad un modo per chiamare aiuto, quando la sua amica si svegliò di botto e si guardò intorno, smarrita.

“Si può sapere cosa ti è preso?”

“Devo parlare col nonno! Subito!” esclamò Konoka alzandosi e correndo fuori dalla camera, con Asuna che la rincorreva.


Il preside si massaggiò la barba. “Dunque hai avuto una visione, nipotina?”

Konoka era molto decisa. “Si, nonno. Ne sono sicura”.

“Mmm, questo è strano” Il preside si alzò e iniziò a passeggiare intorno alla sua scrivania. “Certo può essere dovuto ad un residuo dell’esperimento di ieri. In qualche modo potrebbe essersi agganciato al tuo potere di controllare la magia, che l’ha alimentato permettendoti di avere una visione chiara”.

Konoka abbassò il capo. “Beh, a dire il vero, non è che mi sia apparsa una scritta che mi diceva dove cercare. Però ho avuto una visione con più dettagli”.

“Lo scopriremo presto, comunque. Asuna è andata a chiamare le tue compagne. Vedremo se potranno illuminarci”.

Dopo un po’ arrivarono Asuna, Setsuna, Nodoka e Yue.

“Bene, ora siete arrivate, descrivici cosa hai visto, nipotina”.

Konoka si concentrò. “Ecco, ho rivisto il deserto bianco. Era una distesa ricoperta di neve, un altopiano. Il cielo era molto mutevole, passava da limpido a nuvoloso molto rapidamente. All’orizzonte poi ho intravisto una città. Non ho notato nulla di particolare, ma era una città moderna. Ed era in una baia, una baia piena di fumo. In mezzo al fumo bianco, c’erano gli edifici di questa città. E c’era un edificio molto alto, che mi sembrava… una specie di shuttle in fase di decollo. Cioè, non era uno shuttle, era una sorta di edificio religioso, con un campanile. E sul campanile c’era un uomo, che cantava qualcosa. Era una strana lingua, che non avevo mai sentito prima, tuttavia quelle parole mi si sono scolpite nella mente: Passíusálmarnir Jesú Kristí. Poi delle grida alla base dell’edificio hanno attirato la mia attenzione. Era un vichingo, lo so perché in passato ho visto un documentario, che roteava una spada, come per difendere un forziere che teneva dietro di lui. Dopodiché mi sono svegliata”.

“Senza offesa, ma neppure questo mi sembra molto comprensibile” obbiettò Asuna.

“Io invece forse ho colto un collegamento” intervenne Yue dopo aver rimuginato un po’.

Tutti la fissarono.

Anche Nodoka. “Yue, a cosa ti riferisci?”

“Ti ricordi che un mese fa abbiamo cominciato a esplorare una nuova sezione della biblioteca?”

“Ah si, quella della letteratura scandinava”.

“Esatto. E ricordo che tra quei testi ne trovai uno abbastanza recente. Era quello degli Inni della Passione del poeta islandese Hallgrimur Pétursson. In islandese la pronuncia del titolo della sua opera è proprio Passíusálmarnir”.

“Uao, che memoria, Yue!” esclamò Asuna.

“E che cultura!” aggiunse Konoka.

“Passare il tempo in biblioteca serve” spiegò con un certo orgoglio Yue.

Che continuò: “Signor preside, penso che con una ricerca su internet troveremo cosa ci serve, dato che adesso abbiamo un luogo preciso dove guardare, ovvero l’Islanda”.

Il preside tirò fuori il suo computer portatile, però non sembrava troppo a suo agio con internet, quindi Yue prese il suo posto e cominciò a fare ricerche sulla rete.

“Certo che Yue ci sta mettendo un’energia notevole” commentò Setsuna.

Konoka annuì. “Eggià. Sembra quasi l’impegno di un innam…”

“TROVATO!” gridò prontamente Yue sbattendo un pugno sul tavolo (e lanciando un’occhiataccia poco appariscente a Konoka).

Il gruppo osservò i dati sullo schermo, mentre Yue li illustrava: “Quadra tutto. La capitale dell’Islanda si chiama Reykjavík, che significa baia fumosa. E siccome Pétursson era anche un pastore religioso, allora l’edificio su cui stava nel sogno di Konoka doveva essere questo, la chiesa di Hallgrímskirkja, tra l’altro a lui dedicata”.

Konoka additò la foto della chiesa. “Si, è quella! L’edificio che mi ricordava uno shuttle in fase di decollo!”

“Quadra tutto! Tutto!” esclamò quasi eccitata Yue. “Anche altri dettagli. L’Islanda si trova vicino alla Groelandia, ovvio quindi che spesso si trasformi in un deserto di neve. E a causa di particolari condizioni climatiche, il tempo è molto variabile. In pochissimo tempo si passa dal cielo sereno a quello nuvoloso e viceversa. Inoltre, i getti di aria bianca potevano essere dei geyser”.

“Splendido lavoro, Yue!” dichiarò Asuna. “Bene, prepariamoci a partire per l’Islanda”.

“Un momento” intervenne il preside “Voglio che non facciate nulla di precipitoso. Non sappiamo ancora tutto di questa faccenda. Potrebbero attenderci brutte sorprese in quell’isola lontanissima. E ricordate che ancora non abbiamo trovato una spiegazione a tutti i dettagli apparsi nella prima visione. Sappiate che quell’incantesimo di ricerca non fa mai apparire niente per caso”.

“Comunque adesso abbiamo un luogo dove cercare” ribatté Asuna. “Quindi andremo lì”.

“So bene che non posso fermarvi. Ma posso comunque prendere delle precauzioni. Konoka, tu non andrai”.

“Eh?! Ma perché?!” protestò lei.

Il preside la guardò con uno sguardo fattosi improvvisamente molto serio. “Sai già il perché. Konoka, tu sei troppo importante per il mondo della magia. Non devi correre rischi. Andrai a Kyoto da tuo padre, e Setsuna ti accompagnerà”.

Setsuna rispose chinando diligentemente la testa.

Il preside continuò: “Bene. In quanto alle altre ragazze, voi potete andare, ma non certo da sole. Verranno con voi Sakura Mei e Takane ‘Shadow User’ D. Godman. Inoltre dovranno venire con voi anche Kaede Nagase, Mana Tatsumiya e Ku Fei. E prima di andare in Islanda, passerete per l’Inghilterra. Anche il professor Takahata e Kotaro verranno con voi. Miyazaki e Ayase, voi resterete qui”.

“Anche noi vogliamo andare!” protestarono insieme le due ragazze.

“Vi ho fatto venire qui perché ormai siete coinvolte. Tuttavia, in caso di pericolo, sapreste combattere?”

Quella domanda le zittì.

“Bene. Allora cominciamo i preparativi per il viaggio. Bisogna fare in fretta e bene” concluse l’anziano uomo.


Alcuni giorni dopo, un piccolo aereo decollò dall’aeroporto di Tokyo, con direzione Londra.

A bordo c’erano, sulla fila di sedili a destra, Mana Tatsumiya, che stava con gli occhi chiusi, concentrata su chissà cosa.

Affianco a lei sedeva Kaede Nagase, sempre col suo sorriso rassicurante.

Dietro di loro c’era Ku Fei, che stava leggendo un depliant sull’Islanda.

Nella fila di sinistra c’era Asuna, che lanciò uno sguardo alle loro due compagne: Sakura Mei, abile ma anche molto timida maga dai capelli rossi laureatasi in una scuola di magia americana. E poi Takane D. Godman, ragazza alta, bionda e bellissima, con una faccia orgogliosa da persona che se la tira parecchio.

Chissà poi perché la chiamavano Shadow User.

Arrivò una hostess con un vassoio per gli snack.

“Finalmente!” gridò Ku Fei cominciando ad arraffarne il più possibile e lasciando allibita l’hostess per la sua voracità.

“Ku, trattieniti. Il viaggio sarà lungo. E le bocche da sfamare sono davvero tante” le disse Mana.

Asuna piegò la testa di lato. “Davvero tante?”

Mana allora si alzò, si diresse verso la zona dei bagni, estrasse da chissà dove un fucile e col calcio di quest’ultimo colpì un pannello del soffitto.

Dal soffitto caddero per terra Yue e Nodoka.

Mentre un’imbarazzata Asakura sbucò dalla zona scoperta del soffitto.

“Vi siete nascoste bene nella stiva. Ma lo stimolo di andare in bagno vi ha tradite” spiegò la giovane mercenaria.

Asuna si mise una mano sul volto.

Ormai erano decollate e non si poteva tornare indietro.

Avrebbero cercato un modo per scaricarle a Londra.

Essendo un lungo viaggio, Asuna provò a rilassarsi osservando il panorama dal finestrino.

“Resisti Negi, stiamo arrivando”.

****

L’unico rumore percepibile era quello del ventaglio.

Ed era sventolato da una bella donna non perché faceva caldo, ma solo per sfogare la propria tensione.

Quella persona era seduta davanti ad una scrivania, con sopra un computer portatile aperto,

L’ufficio della donna era pieno di oggetti provenienti dall’arte cinese, antica e moderna: quadri e statue raffiguranti collane di fiori, dragoni dalle forme più variegate, panorami di villaggi e montagne molto stilizzati e altre figure grottesche, miscugli tra esseri umani e creature fantastiche.

Un bip arrivò dal computer, la donna prontamente aprì il messaggio.

“Tutto a posto”.

La proprietaria del computer si abbandonò per un attimo sulla poltrona, coprendosi gli occhi con una mano.

Tutto stava andando bene, tuttavia per superare il nuovo ostacolo aveva dovuto pagare un prezzo.

L’ennesimo.

Scrisse un nuovo messaggio e lo spedì.

La risposta arrivò subito.

“Ovviamente lo so bene che la lista dei tuoi debiti aumenta”.

“Ovviamente” rispose irritata la donna per poi chiudere il computer.

 

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Capitolo 3
*** 3° Capitolo ***


3° Capitolo

L’aereo giunse in prossimità delle coste inglesi.

“Il professor Takamichi e Kotaro ci attenderanno all’aeroporto” disse Mana guardando distrattamente fuori dal finestrino.

Anche alle altre ragazze non sembrava importare granché il panorama, neppure quando il veicolo cominciò ad abbassarsi sempre di più e divenne sempre più visibile all’orizzonte la città di Londra.

L’aereo giapponese atterrò in una piccola pista periferica, le sue passeggere trovarono ad accoglierle un inserviente che le guidò verso un hangar di modeste dimensioni, mentre i loro bagagli venivano passati dalla stiva a un furgone.

Sakura Mei iniziò a massaggiarsi le gambe. “Ah, finalmente ci muoviamo! Non ne potevo più di stare ferma”.

Erano alla soglia dell’ingresso dell’hangar.

“Adesso speriamo solo che il professor Takamichi e quel mezzo cane non tardino” sbottò Takane.

“Ehi, mezzo cane a chi?!” esclamò seccato qualcuno che stava già dentro.

Era Kotaro, con affianco Takamichi.

“Professor Takahata!” lo salutarono insieme le ragazze della III A.

“Benvenute a Londra. Vedo che ci sono delle ospiti in più” commentò il professore.

Asakura, Yue e Nodoka distolsero lo sguardo con un certo imbarazzo.

“Mi dispiace, professore” tentò di giustificarsi Asuna.

“Non fa niente. Anzi, è già tanto se avete impedito che vi seguisse tutta la classe” la tranquillizzò l’uomo.

“Ora che abbiamo finito con i convenevoli, andiamo in albergo” s’intromise Kotaro. “L’aereo per l’Islanda è per domani mattina”.

“Eh? Domani mattina?” esclamò stupita Sakura. “Pensavo che avremmo… umpf!”

Takane le mise una mano sulla bocca.

“E’ stancante, ma vista la situazione d’emergenza, non possiamo fare la figura delle persone pigre” le disse sottovoce.

Il gruppo si diresse a un’uscita secondaria dell’aeroporto, dove trovarono un pullmino ad attenderli.

Il mezzo s’inserì rapidamente nel traffico londinese, seguito dal furgone con i loro bagagli.


La sera fu occupata soprattutto dal dormire per quasi tutto il gruppo.

Per le ragazze erano state previste due stanze, Kotaro cedette la sua camera alle tre ospiti impreviste e dichiarò che sarebbe rimasto fuori a vegliare l’ingresso dell’appartamento.

Almeno era questa l’intenzione dichiarata.

Tuttavia quando Asuna uscì silenziosamente dalla sua stanza per recarsi in quella di Takamichi, trovò il ragazzo profondamente addormentato su un divano.

Un sonno profondo quanto quella di Sakura e Takano.

Asuna andò nella camera del professore, dove si stava svolgendo un piccolo meeting: oltre all’uomo, c’erano Mana, Kamo e una piccola immagine del preside del Mahora, una sorta di ologramma.

“Piacere di vederti, Kamo” lo salutò Asuna. “Mi chiedevo che fine avessi fatto”.

“Sono stato in giro a raccogliere informazioni, mia cara” rispose l’ermellino accendendo una sigaretta e ostentandosi. “Io sono un grande esperto della city. La conosco come le mie tasche. Tasche metaforiche, s’intende” aggiunse.

“Ah si? E cosa hai scoperto?”

“Niente” rispose semplicemente l’ermellino.

Che si beccò un pugno in testa.

“E allora smettila di atteggiarti a grande uomo. Grande uomo metaforico, s’intende” replicò la ragazza.

“Dunque” esordì Takamichi tirando fuori da un taschino una piccola sfera, che non appena fu sfregata si tramutò in una mappa dell’Islanda fluttuante nell’aria “l’unico indizio che abbiamo è che Negi potrebbe trovarsi in Islanda. Non sappiamo cosa aspettarci. Negli ultimi mesi non è accaduto niente di anomalo su quell’isola”.

“Per i normali media” precisò Mana “Tuttavia, sul versante magico è tutt’altra faccenda”.

“Perché? I maghi della zona hanno segnalato qualcosa?” domandò Asuna.

“Non ci sono maghi in Islanda” spiegò l’immagine del preside “C’era una piccola comunità che tuttavia fu completamente sterminata durante la grande guerra tra maghi di venti anni fa. Da allora l’Islanda è come se non esistesse per il mondo della magia. Una volta ogni tre mesi, un gruppo di nostri informatori perlustra l’isola alla ricerca di cose strane. E non ha mai trovato nulla”.

“Ed è a questo che mi riferivo” riprese Mana “Un controllo a intermittenza è molto diverso da quello che può esercitare una presenza costante. C’è tutto il tempo, se si è ben organizzati, per nascondersi al momento del controllo e riprendere alla grande una volta cessato il pericolo”.

“Insomma, stai dicendo che potremmo aspettarci di tutto di più, anche se ufficialmente non c’è nulla da temere” concluse Asuna.

“Precisamente” annuì la giovane mercenaria. “Ed è per questo che con Takamichi abbiamo elaborato un piano”.

Takamichi indicò sulla mappa una città situata nella zona sudovest dell’Islanda. “Raggiungeremo l’isola in due gruppi. Andremo avanti io, Kotaro e Kamo. Atterreremo all’aeroporto di Keflavik, l’unico aeroporto internazione dell’isola. Il resto di voi invece salirà a bordo di un aereo privato e giungerà dopo di noi a Reykjavík. L’aeroporto lì è più piccolo e sono abituati ai voli privati. Forse il nemico sorveglia gli arrivi o forse no. Comunque sarà più difficile per loro controllare contemporaneamente due luoghi diversi. Senza contare che noi non giungeremo di soppiatto, ma insieme a tutti gli altri viaggiatori”.

“Spesso le cose più evidenti sono anche le più nascoste” continuò Mana. “Dopo ci rincontreremo qui” e indicò un altro punto della mappa “La cascata Skógafoss. Abbiamo fatto ulteriori ricerche. Konoka ha detto di aver visto un vichingo con un forziere. Orbene, una leggenda narra che un vichingo, Þrasi Þórólfsson, nascose dietro quella cascata un forziere con un tesoro. Direi che il discorso quadra”.

“Io, con Kotaro e Kamo, andrò a esplorare la zona. Ci rincontreremo alla locanda di Vigdis, un luogo per turisti” terminò Takamichi.

“Bene, un piano fatto come si deve. Resta solo il problema di come non mettere nei guai le tre ospiti” disse il preside.

Asuna si portò una mano al mento. “A questo proposito, penso di avere io un’idea”.


Alla fine del meeting, Asuna uscì dalla stanza e passò affianco a quello delle tre sue amiche invadenti.

“Scusateci, ma è per il vostro bene” pensò.

Udì dall’interno della camera alcune parole.

A quanto pare le ragazze si erano svegliate e si lamentavano di non aver potuto fare un po’ di shopping a Londra.

In effetti appena giunte in albergo, dopo un rapido pranzo e le docce, si erano messe tutte a dormire.

“I viaggi a Londra non sono certo un’ovvietà per noi” si sentì dire da Yue.

“E quando torneremo, non avremo nessun souvenir da mostrare agli altri. E nessuna foto. Quindi sarà come se non fossimo mai state qui”, si lamentò Nodoka.

“Non preoccupatevi!” le rassicurò Asakura. “Con quest’acqua di colonia che ho comprato in un negozio dell’aeroporto, ci porteremo dietro qualcosa dell’Inghilterra!”

“Ah, no ferma, non spruzzarci!” gridarono Yue e Nodoka.

Asuna sorridendo tornò in camera sua. “Be, riescono a essere spensierate, buon per loro”.


Il mattino dopo, una fila di persone, alcune piuttosto assonnate, uscì da due camere.

“Bene. Sono le cinque e quaranta. I nostri aerei partono alle sei” informò Takamichi guardando l’orologio e parlando sottovoce.

Asuna si rivolse a Kotaro. “Kotaro, controlla se le tre ospiti stanno ancora dormendo”.

Silenziossimo, il ragazzo aprì lievemente la porta di Asakura, Yue e Nodoka.

“Stanno dormendo dalla grossa. Uff, e sembra che abbiano intasato la stanza con dell’acqua di colonia. C’è quasi più profumo che ossigeno. Che fastidio!” esclamò Kotaro grattandosi il naso.

Sakura gli porse un fazzoletto, ma quando Kotaro lo fece conoscere troppo al suo naso e volle restituirlo, Takane intervenne. “E’ un regalo!”

Il ragazzo la guardò storto, mentre Asuna chiudeva a chiave la camera delle ospiti.

Uscirono dall’appartamento e presero il pulmino.

Ku Fei faceva fatica a tenere gli occhi aperti.

Asuna se ne accorse. “Scusa se abbiamo anticipato di tre ore la partenza. Ma dovevamo impedire che Asakura e le libraie ci seguissero. Anche se adesso si svegliassero, prima dovrebbero uscire dalla stanza. E anche se corressero all’aeroporto, non sanno dove siamo diretti esattamente. L’Islanda non è proprio un isolotto. Inoltre alle nove saranno prese in consegne da alcuni maghi inglesi che le riaccompagneranno in Giappone. Probabilmente mi odieranno per aver fatto questo, ma la loro incolumità ha la precedenza”.


Alle nove, due uomini e una donna si presentarono alla hall dell’albergo.

Mostrati i documenti, si fecero indicare l’appartamento delle ragazze del Mahora e si fecero dare la chiave.

Arrivati davanti alla porta, si fermarono un momento.

“Cerchiamo di non spaventarle. Lasciate parlare me” disse la donna ai due uomini, che annuirono.

Il trio entrò e si diresse verso la camera delle ragazze.

La porta era chiusa a chiave, ma bastò loro una piccola formula magica per aprirla.

Le tre ragazze stavano ancora dormendo.

La donna con calma si avvicinò al letto di Asakura e toccò la sua spalla.

“Signorina Kazumi Asakura” le disse dolcemente.

Asakura aprì improvvisamente gli occhi e di colpo si mise a sedere sul letto.

La stessa identica cosa fecero Yue e Nodoka.

Le tre ragazze si guardarono intorno con movimenti quasi meccanici, poi fecero delle strane facce sorridenti.

“Ciao, io sono Asakura”.

“Io sono Yue”.

“Ed io sono Nodoka”.

I tre maghi si guardarono perplessi.

“Ci hanno ordinato di dormire qui. Buonanotte!” ripeterono allegramente in coro rimettendosi a dormire.

La donna sobbalzò. “Ho capito! Non sono loro! Questa è una magia orientale. Sono famigli!”

La maga premette con la mano sullo stomaco di Asakura, finché lo penetrò come se fosse un’immagine.

Ritirò con uno scatto la mano, Asakura si dissolse in una nuvola di fumo: di lei rimase solo un pezzo di carta dalla forma umana, che la maga teneva nel palmo.

Gli altri maghi ottennero lo stesso risultato con le altre due ragazze.


Asakura guardò soddisfatta fuori dal finestrino dell’aereo.

Poi guardò l’orologio. “Ahah, a quest’ora dovrebbero già essere entrati. E aver avuto quella bella sorpresa”.

“Devo ammettere che sei stata davvero intelligente, Asakura” si complimentò Yue mentre beveva un succo di frutta grigio.

Asakura aveva buoni motivi per ritenersi soddisfatta. Avendo intuito che avrebbero cercato di lasciarle a Londra, si era portata dal Giappone famigli e un microfono direzionale per ascoltare i loro discorsi. Il tutto unito a tanta acqua di colonia comprata in realtà a Tokyo, per confondere l’olfatto di Kotaro. Infatti, l’unico modo che quelli del gruppo di ricerca avevano per andarsene senza essere seguiti, era quello di filarsela alla chetichella, quindi per non svegliarle non avrebbero mai controllato i loro letti. Solo Kotaro avrebbe potuto accorgersi dello scambio per via degli odori. Ma gli avevano messo fuori uso il suo bel nasino.

E dunque eccole in volo, partite appena mezz’ora dopo gli altri.

Mentre Asakura era l’orgoglio fatto persona, Nodoka si chiese se non stavano commettendo un’immensa sciocchezza.

In fondo c’erano dei buoni motivi se avevano tentato di lasciarle a Londra.

Chissà cosa li attendeva in Islanda.

E diversi elementi della prima visione, quella nell’ufficio del preside, non erano chiari.

Immagini cosi strane, e inquietanti.

Ma poi la ragazza pensò a Negi.

E si dimenticò dei suoi timori.


Una bambina correva gioiosa su un campo di fiori.

Il sole splendeva alto nel cielo, dove c’erano alcune nuvole dalle buffe forme.

Farfalle volavano in coppie lungo i prati.

La piccola era una bimba di appena dieci anni, con capelli castani abbastanza lunghi e due grandi occhi azzurri.

Indossava un abito nero e bianco, con una gonna lunga e molto larga.

Sulla testa c’era una piccola coroncina.

La bambina era davvero molto graziosa, una di quelle che già facevano presagire quale bellezza avrebbero avuto da grandi.

Raggiunse una collinetta, con affianco un ruscello che finiva in un laghetto formando una cascatella.

La piccola si buttò nel laghetto, cominciando a sguazzare felice nell’acqua.

“Che bello! Che bello! Sakutaro, vieni anche tu!”

Dalla collinetta si affacciò un bambino avvolto in una buffa tuta gialla, una sorta di costume da leoncino.

“U-Uryu… Maria, sai che a me non piace l’acqua”.

“E dai, vieni. Di cosa hai paura, ci sono io” lo tranquillizzò Maria.

“E’ una cosa naturale, non mi piace sentirmi bagnato”.

“Be si, hai ragione. Scusami” disse la bambina dispiaciuta.

“Uryu!” esclamò allora Sakutaro, che si fece coraggio e si tuffò.

Non appena cadde in acqua, cominciò ad annaspare, gridando che affogava.

In un laghetto profondo solo una ventina di centimetri.

“Ah! Sakutaro! Che bello, hai voluto accontentarmi!” esultò Maria saltandogli addosso e abbracciandolo.

“Maria!” gridò qualcuno da lontano.

Maria si alzò in piedi aiutando Sakutaro, che cominciò a scuotersi per asciugarsi.

“Oh, è la zia. Vieni, Sakutaro”.

I due bambini corsero fino a raggiungere un gazebo.

Dentro quest’ultimo era seduta una donna.

C’era anche un tavolo con the, biscotti e dolci di tutti i tipi.

La bambina corse nel gazebo e s’inchinò davanti alla donna.

“Felice di rivederti, zia” esordì Maria.

“Niente formalismi. Se vuoi abbr…”

La zia non poté finire la frase che già la nipote le era saltata addosso per abbracciarla.

“Allora, continua a piacerti la tua nuova casa?” domandò la donna.

“Oh si! E’ fatta apposta per me. Qui c’è tutto quello che voglio” fu la raggiante risposta.

Sakutaro invece se ne stava in disparte, restando quasi nascosto dietro una delle colonnine del gazebo.

“Sakutaro, non restartene lì. Vieni a salutare la zia” lo incoraggiò Maria.

Però il suo giovanissimo amico si limitò a mormorare un impaurito ‘uryu’ e si nascose ancora di più.

“Non fa niente, piccola mia. Essere timidi non è certo una colpa” lo giustificò la zia.

“Va bene” rispose la piccola sorridendo.

La donna si fece seria. “Adesso ascoltami, Maria. Stanno arrivando delle persone. E vorrei che tu mi aiutassi a preparare un degno benvenuto per loro”.

“Oh, zia” fece Maria un po’ indispettita e lasciando l’abbraccio della parente. “Speravo che qui avrei potuto divertirmi e basta. Invece continui a chiedermi favori”.

“Mi dispiace, piccola mia, mi dispiace. Ma tu sai che la zia deve fare quello che fa per renderti felice. E per rendere felici tutte le persone della Terra. Se potessi, questo sogno lo realizzerei subito. Ma non posso. La strada è lunga e difficile. Per questo ho bisogno del tuo aiuto. Ti prometto comunque che la ricompensa finale ripagherà i tuoi sforzi ampiamente”.

“Davvero?”

“Certo, piccolina. Certo. Potrei mentirti?” finì la zia facendole l’occhiolino.

“D’accordo, lo farò” rispose un po’ scontenta la bambina.

La zia la riprese in braccio e con la sua fronte toccò quella di Maria.

Sakutaro rabbrividì davanti a quella vista.

Dopo qualche attimo, le due fronti si staccarono e la bambina fu riposata a terra.

“Allora, è stato cosi terribile?” domandò la donna.

“No, però, anche se più leggero, mi è venuto il mal di testa come le altre volte. E un sonno cosi… improvviso…”

Maria iniziò a sbadigliare, sentì gli occhi farsi pesanti.

“Su, fatti accompagnare da Sakutaro all’ombra di qualche albero e riposatevi. Potete avere tutto il tempo che volete per dormire”.

Maria ubbidì, scese dal gazebo e Sakutaro quasi la trascinò via, tirandola per una mano e correndo.

Rimasta sola, la donna prese una tazza di the.

“Ah, mia cara Maria, grazie a te la mia lista di debiti non si allunga ulteriormente. Speriamo che continui cosi”.

Poi tirò fuori un ventaglio e lo aprì.

E più che per il caldo, sembrava che le servisse per coprire da invisibili occhi indiscreti un sorriso parecchio soddisfatto.

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Capitolo 4
*** 4° Capitolo ***


4° Capitolo

L’aereo con il gruppo di Asuna atterrò all’aeroporto di Reykjavík.

Mescolati alla piccola folla di viaggiatori, uscirono dalla sala di attesa, ritrovandosi davanti una città ben diversa da Tokyo.

Reykjavík, infatti, era priva di palazzi veramente alti, a costruzioni recenti si alternavano altre dal sapore ottocentesco, c’erano diversi tetti dai vari colori, e il traffico di auto e persone non era certo a livello di una metropoli come la capitale giapponese.

In lontananza s’intravedevano delle alte montagne innevate.

Il tempo era buono, ma l’aria piuttosto fredda, quasi autunnale.

Mana andò a cercare un ufficio di cambio per avere corone islandesi al posto degli yen.

Ci mise pochissimo tempo a tornare, era evidente come fosse abituata a muoversi in paesi esteri.

“Ok” esordì Asuna guardandosi attorno “Ora siamo arrivati. Dobbiamo andare alle cascate di Skógafoss”.

“Ma non certo così. Andiamo prima in un albergo” propose Mana “ poi noleggeremo un mezzo per raggiungerle. Sono a un’ora di auto”.

“E come ci andiamo in albergo? Cioè, dovremmo chiedere informazioni. Chi conosce l’islandese?” domandò Sakura.

Mana alzò la mano, gridando: “TAXI!”

E subito un taxi giallo si fermò affianco a loro. Il guidatore abbassò il finestrino e Mana cominciò a parlare con lui.

In perfetto islandese.

Il guidatore annuì e chiamò qualcuno con la radio di bordo. Dopo pochi minuti arrivò un secondo taxi.

“Salite, ci portano in un albergo qui vicino” spiegò Mana.

“Potevi dircelo che conoscevi l’islandese” obbiettò Asuna.

“E voi potevate chiedermelo. D’altronde, secondo voi come mai il professor Takahata non aveva mai toccato il problema della lingua, finora?”

Asuna ammutolì, mentre le altre salirono sui taxi.

“Ah sì” rammentò Asuna “devo informare il professore del nostro arrivo”.

Fece il numero sul cellulare, ma sembrava non esserci campo.

“Proverò più tardi”.


La jeep, affittata, con Takamichi, al volante, Kamo, sulle spalle del professore, e Kotaro, percorreva una strada asfaltata e quasi deserta, in mezzo alla pianura islandese.

“Che pizza” sbottò Kotaro che stava con un braccio appoggiato al finestrino.

“Non ti piace questo bel panorama?” domandò Takamichi.

“Bah. Di bello è bello. Ma è cosi monotono. Pianure verdi, pendii e montagne rocciose in lontananza. Da quasi un’ora si vede solo questo. Un po’ di varietà, insomma” rispose Kotaro sbuffando.

“Su con la vita, rammenta che non siamo qui in viaggio turistico. Tra poco saremo alle cascate di Skógafoss”.

“Ha idea di cosa troveremo lì?”

“Non lo so. Spero qualcosa, perché c’è in ballo il destino di Negi. Tuttavia spero anche che non avremo brutte sorprese. Siamo solo noi. Le ragazze ci raggiungeranno tra un’ora o poco più. A proposito, riprova a chiamarle”.

Kotaro rimise mano al cellulare, fece il numero.

“Inutile. Ancora non sembra esserci rete. Stupida tecnologia” sbottò.

“Riproveremo tra poco. Intanto siamo arrivati” annunciò l’altro.

Sul fianco destro della strada c’era un cartello, in islandese e inglese, che indicava l’arrivo a Skógafoss.

In lontananza cominciò a intravedersi una piccola catena montuosa, alla sinistra della quale scorreva un fiume che sembrava iniziare dalle montagne per poi perdersi nel panorama all’orizzonte.

Fermarono l’auto in un parcheggio abbastanza pieno.

“Si vede che non hanno paura dei ladri qui” commentò Kotaro notando l’assenza di un custode.

Dal parcheggio partiva un sentiero in cemento grigio, che in mezzo a tutto quel verde sembrava quasi un enorme serpente.

Percorrendolo, i due svoltarono un angolo dietro una parete rocciosa e videro in lontananza la famosa cascata.

Che precipitava con fragore in mezzo a due pareti di roccia fittamente ricoperte di verde.

Il sentiero proseguiva quasi fin sotto la cascata e terminava in un ampio spiazzo.

In quest’ultimo c’era un gruppo di una decina di persone immobili, che osservavano la grande mole di acqua che con fragore precipitava nel fiume sottostante alimentandolo.

“Cosa ci troveranno d’interessante nel vedere acqua che precipita? Mah” esclamò Kotaro.

Takamichi si guardò intorno.

“Resta qui” disse al ragazzo avvicinandosi al gruppo di visitatori.

Davanti a lui vide il muro d’acqua, che produceva una nuvola di vapore e gocce che inevitabilmente andarono a bagnare il volto del professore, come quello di tutti gli altri.

Asciugandosi con un fazzoletto, Takamichi buttò un’occhiata verso la cascata.

Però non si riusciva a vedere niente oltre la corte d’acqua, che tra l’altro sembrava attirare l’attenzione degli altri turisti come un magnete attira il metallo.

Finito il controllo, il professore tornò da Kotaro, che stava di nuovo tentando di chiamare.

“Niente! Sembra quasi che siamo isolati!” esclamò il ragazzo, fortemente tentato di buttare via il telefono.

“Può capitare che in alcune zone non prenda. E poi qui siamo parecchio al nord” spiegò Takamichi.

Aveva la faccia ancora bagnata dall’acqua della cascata, quindi rimise mano al fazzoletto.

E fu allora che si accorse di un particolare.

Si girò di nuovo verso i turisti della cascata.

“Kotaro, dimmi” iniziò Takamichi mentre si asciugava la faccia.

“Cosa c’è?”

“Se tu fossi un turista, cosa faresti qui?”

“Non ho mai fatto il turista in vita mia”.

“Parlò in linea teorica. Se tu fossi un turista, cosa faresti adesso?”

Kotaro notò che in quella domanda c’era qualcosa di strano. “Be, pensò che mi guarderei in giro, farei delle foto, parlerei con qualcuno”.

“E se avessi il viso bagnato dallo stare troppo vicino alla cascata, te lo asciugheresti?”

“Certo. Insomma, mica me ne…” Kotaro alzò un sopracciglio “…starei immobile come quellì lì. Che sembrano…”

“Tante statue” concluse Takamichi.

I due si guardarono intorno, Takamichi iniziò anche ad indietreggiare.

“Andiamocene” ordinò.

“Non voglio scappare” replicò Kotaro.

“Siamo caduti in una trappola. E quando non si conoscono le capacità del nemico, non si possono correre rischi”.

Era un ragionamento giusto, perciò anche Kotaro iniziò ad indietreggiare.

Comunque, a parte ‘i turisti’ immobili, lì non sembrava esserci nessuno.

I due si voltarono per dirigersi, con passo svelto, verso il parcheggio.

Girarono l’angolo formato dalla parete rocciosa.

E si ritrovarono di nuovo nel piazzale della cascata.

“Che diavolo è successo?!” sbottò Kotaro.

Ricorse dietro l’angolo.

E ritornò nel piazzale.

Si guardò intorno smarrito.

“Una trappola” confermò allora Takamichi.

L’uomo indicò le persone che stavano fissando la cascata. Adesso erano voltate verso di loro. E verso di loro avanzavano.

I due non ebbero altra scelta che prepararsi alla difesa, mentre i nemici continuarono ad avanzare impassibili.

Takamichi mise le mani in tasca. E un istante dopo una forza invisibile sembrò colpire quei dieci uomini, facendoli volare per aria come birilli.

Atterrarono malamente al suolo.

Per poi rialzarsi subito, come se niente fosse, e riprendere la loro marcia impassibile contro i due giapponesi.

Takamichi inarcò un sopraciglio, sferrò un altro attacco, con maggiore forza.

Stavolta i nemici finirono con violenza contro una delle pareti rocciose.

Caddero al suolo, si rialzarono ancora e di nuovo ripresero a marciare.

“Al diavolo!” gridò Kotaro.

Mutò nella sua forma da combattimento, le orecchie canine, i capelli, aumentarono notevolmente il loro volume, il suo volto assunse un aspetto più feroce, braccia e gambe diventarono più lunghe, come la coda.

E artigli sbucarono da mani e piedi, in questo caso lacerando le scarpe.

Kotaro buttò la giacca e si lanciò ferocemente contro gli avversari.

Sembrava un licantropo.

Atterrò in mezzo a loro sbattendoli al suolo e con pugni e calci li fece volare per aria più volte.

Nonostante ciò, continuarono ad alzarsi.

A quel punto Kotaro annusò l’aria, sogghignò e caricando il pugno con le dita artigliate tese in avanti, mirò al petto di uno dei nemici.

Il colpo sfondò il petto del falso turista.

“Kotaro!!” lo richiamò Takamichi.

“Non ti preoccupare, professore. Questi tizi, non hanno odore, non sono vivi!” spiegò in preda ad una strana euforia il ragazzo-cane.

Il nemico infilzato, in effetti, sembrò non curarsi minimamente del braccio che gli passava il petto da parte a parte.

Perdeva sangue ma non emetteva neanche un lamento.

Afferrò per il collo Kotaro, una stretta forte.

A quel punto Kotaro diede un colpo col taglio della mano al collo del nemico, decapitandolo.

Tuttavia il corpo non mollò la presa.

Gli altri nemici fecero per avventarsi sul giovane.

Takamichi con i suoi colpi invisibili li respinse tutti.

Era rimasto solo quello ancora infilzato dal braccio di Kotaro.

Quest’ultimo se ne sbarazzò con un calcio, scagliandolo verso gli altri.

Tuttavia si rialzò nuovamente insieme agli altri.

“Mi sono seccato!” esclamò Kotaro.

Che evocò dalla sua ombra degli enormi cani neri, grandi quanto una persona.

Ringhiando i cani-fantasma si lanciarono contro i nemici e iniziarono a dilaniarli con le loro zanne. L’orribile massacro durò pochi minuti.

Alla fine, dei falsi turisti erano rimasti solo pezzi maciullati e avvolti in vestiti a brandelli.

“Kotaro” disse Takamichi con aria da severo rimprovero.

Il professore non era sconvolto da quella vista, d’altronde nella sua vita aveva visto di peggio, purtroppo.

Era invece preoccupato per l’autore di quel massacro.

“Sei stato troppo violento” continuò il professore “se fossero state…”

“Se fossero state persone vere, non avrei mai agito cosi. Te lo giuro. Io so controllarmi” rispose Kotaro asciugandosi un po’ di bava dalla bocca.

“Lo spero” disse Takamichi fissandolo duramente.

“Comunque, questi tizi sono stati una vera delusione. Nessuna tecnica speciale, solo forza bruta e in fondo neppure tanta. Questa trappola non era granchè”.

A quel momento uno strano rumore, prodotto da qualcosa di molliccio, attirò la loro attenzione.

Proveniva dal suolo.

I corpi nemici si stavano ricomponendo, i vari lembi si avvicinavano attratti da una forza invisibile e non appena si toccavano, i tessuti iniziavano a rigenerarsi.

“Che palle!” sbottò Kotaro, che ordinò ai suoi cani-fantasma di attaccare nuovamente quei resti.

“Ho un’idea migliore. Ordina ai tuoi cani di lanciare i resti contro la parete rocciosa laggiù, lontana dalla cascata” comandò Takamichi.

Kotaro lo guardò un po’ perplesso, poi capì ed eseguì. Fulminei i cani trasportarono tutti i resti alla base della parete.

Poi sembrò che la sommità di quest’ultima esplodesse, colpita da un’energia invisibile. Una grossa frana seppellì ciò che rimaneva dei falsi turisti.

“Metodo più efficace” spiegò il professore.

“In effetti. Bene, ora vediamo di andarcene da qu…”

Kotaro non poté finire di parlare, si portò una mano al collo e poi cadde a terra in silenzio.

“Kotaro!” esclamò preoccupato Takamichi chinandosi su di lui.

Controllando il collo del ragazzo, si accorse di una piccola freccetta conficcata nella pelle. E prima che potesse reagire, sentì anche lui qualcosa colpirlo al collo. E cadde nell’oblio.

Un momento dopo, decine di figure silenziose, avvolte in tuniche nere con cappuccio.

Tali individui erano apparsi come dal nulla, anzi, sembrava che avessero attraversato una sorta di sipario invisibile, scostando letteralmente l’aria come se fosse il tessuto di un drappo.

Alcuni presero per le gambe Kotaro, tornato normale, e Takamichi, trascinandoli dietro il sipario invisibile.

Uno degli uomini afferrò Kamo, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio e immobile sulla spalla del professore, lo contemplò per un attimo e poi se lo portò dietro.

Quando tutti furono rientrati, l’intera zona della cascata sembrò farsi evanescente, come se volesse dissolversi.

Ma fu solo per pochi attimi, poi tutto tornò come prima e sembrò non essere accaduto nulla.

Unica differenza: stavolta intorno alla cascata c’erano dei turisti che si guardavano in giro, facevano foto, parlavano.

E si asciugavano il volto quando si avvicinavano troppo alla cascata.


“E’ successo qualcosa!”

La dichiarazione di Asuna non colse di sorpresa le altre.

“Asuna, è già la quarta volta che lo dici in mezz’ora” le fece notare Nagase.

Il gruppo del Mahora si era già sistemato nell’albergo, piccolo ma confortevole, e rapidamente stavano disfacendo i bagagli.

Mana era andata nella hall per prenotare un pullmino col quale raggiungere le cascate.

Mentre Asuna passeggiava nervosamente davanti ad una finestra.

“Non posso essere tranquilla” rispose la ragazza con i campanellini nei capelli. “Kotaro e il professor Takahata non si sono fatti sentire. Né noi siamo riusciti ad avvertirli del nostro arrivo. I cellulari non funzionano. Che ferraglie inutili!”

“Stai calma, Kagurazaka” le disse Takane Goodman sistemandosi una ciocca di capelli biondi “Il professor Takahata sa quello che fa. Piuttosto, vado anch’io nella hall, devo informare il preside del nostro arrivo. Da questa distanza, dubito che una telefonata al cellulare in Giappone si senta molto bene”.

Takane uscì dalla camera e si recò nella hall, trovando una piccola stanza con una serie di telefoni appesi, riservata ai clienti.

Entrò chiudendo la porta, compose il prefisso e poi il numero dell’ufficio del preside al Mahora.

Ma dall’apparecchio arrivò solo il silenzio.

“Non è possibile! Ma che gli prende ai telefoni?!”

Qualcuno bussò.

“Mana?” domandò sorpresa Takane.

La giovane mercenaria entrò. “Ti ho vista ai telefoni. Chi vuoi chiamare?”

“Il Mahora. Per riferire del nostro arrivo. Ma il telefono sembra muto”.

Spazientita, Takane rifece il numero.

Mana invece prese il foglio su cui aveva annotato il numero della ditta locale di viaggi suggeritale dagli addetti alla hall.

Aveva dovuto mentire loro, dicendo e mostrando documenti falsi che attestassero il suo essere maggiorenne.

Ma non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima. E poi lei era l’unica a saper guidare.

“Speriamo che per chiamare almeno questi numeri, i telefoni funzionino” pensò distrattamente.

Poi uno strano sospetto le attraversò la mente.

“Takane!” esclamò Mana.

Infastidita dall’ennesima telefonata muta, Takane si girò con un’espressione alquanto scocciata.

Espressione che divenne assai inquieta quando osservò il volto di Mana.

Quest’ultima aveva assunto il suo atteggiamento da professionista pronta a tutto per adempiere il suo dovere.

Uno sguardo di ghiaccio, che dava i brividi.

Senza dire altro, Mana le prese il telefono di mano e fece un numero. Niente.

“Takane. Ascolta. Dì alle altre di stare all’allerta. Sta succedendo qualcosa” spiegò con voce secca la giovane mercenaria.

Che prese l’elenco telefonico e cominciò a comporre dei numeri a caso.

Takane la vide perplessa attendere invano.

Poi senza dire una parola, Mana uscì dalla stanza e l’altra la seguì.

Rimasero ferme ad attendere ancora.

Un altro cliente entrò nella stanza dei telefoni e ne uscì dopo aver telefonato. E altri due clienti fecero lo stesso.

Nel salone davanti a loro c’erano diverse persone che parlavano al cellulare.

“Insomma, mi spieghi che succede?”

“Siamo isolati” spiegò freddamente Mana. “I telefoni funzionano, ma qualcuno, o qualcosa, ci impedisce di chiamare chiunque”.


All’aeroporto di Reykjavík, tra i passeggeri c’erano anche Asakura, Nodoka e Yue.

“Finalmente siamo arrivate” disse Asakura mettendo mano alla sua macchina fotografica.

“Ora che facciamo?” domandò Nodoka guardandosi intorno con titubanza.

“Rintracciamo le altre e le seguiamo a debita distanza” spiegò Yue mentre beveva un succo azzurro.

Uscirono dall’aeroporto e Nodoka fissò il cielo. “Si sta annuvolando di brutto. Eppure poco fa sembrava una giornata splendida”.

“Il clima in Islanda cambia molto rapidamente” spiegò Yue. “Un proverbio locale dice: ‘Non ti piace il tempo che fa? Aspetta un minuto’”.

Nodoka rimase molto colpita dall’erudizione della sua amica, mentre le porte automatiche si chiudevano alle loro spalle.

Se fossero rimaste aperte ancora per qualche attimo, avrebbero sentito la voce di un altoparlante annunciare in più lingue che una violentissima tempesta si stava formando al largo dell’isola.

 

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Capitolo 5
*** 5° Capitolo ***


5° Capitolo

Il rumore del ventaglio era l’unico suono udibile nella stanza da letto.

La zia di Maria, comodamente seduta su una poltrona di pelle, aveva passato tutto quel tempo a rivedere ogni elemento del piano. Tutto filava. E la cattura di quel professore e del moccioso era andata a buon fine.

Si erano illusi di averli fregati, provando a mimetizzarsi tra le tante persone che arrivavano periodicamente su quell’isola e contando sull’anonimato.

Peccato non avessero previsto la possibilità che tale anonimato non esistesse più.

Lei era stata molto prudente e durante il caos che aveva preceduto la sconfitta di Arxelles, mentre tutti erano concentrati intorno alla torre, era riuscita a intrufolarsi nello studio del preside del Mahora e dal suo computer aveva tirato fuori l’elenco completo dei maghi e guerrieri magici dell’istituto, compreso l’elenco delle studentesse della III A, la classe con degli elementi indispensabili per il suo piano.

Aggiungendo che, grazie alla dolce Maria, adesso non aveva certo problemi di personale e poteva occultare la sua base, era stato uno scherzo trascorrere quei mesi a sorvegliare tutti i punti di arrivo sull’isola in attesa dei volti giusti, sparendo quando arrivavano gruppi di perlustrazione.

Aveva creato una trappola perfetta, bisognava solo attendere il momento in cui farla scattare, ovvero il momento in cui al Mahora si sarebbero ‘improvvisamente’ ricordati di quell’incantesimo di rintracciamento.

Dopo sei mesi, l’attesa era stata premiata e la prima parte del piano era andata in porto.

Ora bisognava attuare la seconda.

Non c’erano motivi perché qualcosa dovesse andare storto, i bersagli erano stati isolati e tra poco sarebbero stati tutti presi.

Eppure…

Eppure qualcosa la tormentava, perché il nemico aveva ancora ben due atti di compensazione da sfruttare.

La prudenza avrebbe chiesto di aspettare ancora, ma quella sua maledetta ‘protettrice’ non ne poteva più di attendere ancora. Anzi, il rischio rendeva il tutto ancora più piacevole e perciò la zia aveva dovuto agire comunque, sperando che tutto andasse bene.

Qualcuno bussò alla sua porta.

“Avanti”.

Una donna minuta e molto anziana, dall’espressione gentile e simpatica, entrò lentamente.

“Perdonami, Eva, la signorina Maria vuole prendere il the in tua compagnia”.

“Sì, vengo” rispose l’altra leggermente infastidita.

Prendere il the era l’ultima preoccupazione per Eva Ushiromiya.

Ma non si poteva contraddire quella bambina.


Asakura, Yu e Nodoka camminavano per le vie della capitale islandese.

”Bella questa città. Ha un’atmosfera più tranquilla di quella di Tokyo” commentò Nodoka.

“Sì, ma rammenta che non siamo qui in vacanza” le disse Asakura.

Yue stava bevendo un succo di frutta azzurro. “Speriamo solo che le altre, quando scopriranno che siamo qui, perché alla fine lo scopriranno, non la prendano troppo male”.

“Non ci posso credere. Siete proprio voi!” esclamò qualcuno.

Le tre ragazze si voltarono verso chi le aveva riconosciute, che stava in un vicolo alla loro destra.


“E’ questo che è successo!”

All’albergo, tutte le ragazze rimasero senza parole quando terminò il racconto di Kamo.

Sakura andò in cucina con lui per dargli del cibo e dell’acqua, tanto era sfinito.

Asakura, Nodoka e Yue, che in quel vicolo avevano raccolto l’ermellino, stremato da una corsa lunghissima, stavano sedute su un divano, mute e con lo sguardo basso.

Come bambine in punizione, persino Asakura aveva perso la sua abituale spavalderia.

Asuna e Mana le avevano già fulminate con delle occhiatacce che valevano più di mille parole, e il racconto di cosa era successo a Takamichi e Kotaro, e della misteriosa trappola alle cascate, le aveva convinte che il loro viaggio segreto era stato la più grossa delle sciocchezze.

Inoltre non era neppure finita.

Perché Mana riprese il discorso interrotto dall’improvviso arrivo del trio di conoscenti incoscienti insieme all’ermellino.

“Questi nuovi eventi, uniti alla mia scoperta, fanno aumentare il nostro livello di guai. Prima l’acqua ci arrivava al collo, ora ci ha sommersi”.

“Sei sicura di questa tua intuizione?” domandò Asuna.

Mana la fissò negli occhi “Ne sono certa. Siamo isolati. Non possiamo comunicare con gli altri. Kamo ci ha dimostrato che persino le comunicazioni con la magia sono bloccate, dato che non ha potuto usare la sua telepatia per informarci. E prima nella hall, ho fatto una prova chiedendo a un turista di chiamare il Mahora per noi. Quel turista aveva chiamato poco prima dallo stesso telefono, senza problemi. Ma quando ha fatto il numero giapponese, la linea è caduta di botto. Gli ho chiesto di provare un’altra volta con un altro numero. Il telefono ha funzionato regolarmente. Il nemico ci ha fregato”.

Nagase scrutò fuori dalla finestra. “Se le cose stanno così, chissà cosa ne è stato di Kotaro e del professor Takahata”.

“A questo punto” intervenne Takane “consiglierei di lasciare subito l’Islanda”.

“Che cosa?! Vorresti abbandonarli?!” esclamò scandalizzata Asuna.

“Certo che no. Però la situazione è peggiore di quanto pensassimo. Siamo finiti nella tana del leone, un predatore che magari sin dall’inizio sapeva del nostro arrivo. Non abbiamo mai avuto nessuna chance, questa è la realtà. Dobbiamo andarcene, informare chi di dovere e tornare con una grossa squadra di maghi e guerrieri. Noi da sole, cosa possiamo fare? Il nemico ha sconfitto Kotaro e Takamichi, che non erano certo delle nullità, e sicuramente possiede delle risorse immense. Il rischio è troppo grande”.

“Bé” azzardò Ku Fei “Magari dal Mahora, non sentendoci, manderanno soccorsi”.

“Sì. Però quando? Magari in Giappone si preoccupano dopo un solo giorno di ritardo, tuttavia per il nemico un giorno può essere più che sufficiente per sistemarci tutte” replicò ancora la bionda guerriera del Mahora.

“Non ci stai rendendo troppo deboli?” obbiettò Asuna “Neppure noi siamo delle nullità”.

“Certo. Tuttavia, siccome non conosciamo l’entità delle forze nemiche, dobbiamo essere prudenti. Nessun generale attacca a testa bassa senza conoscere la forza dell’avversario”.

Mana annuì e anche le altre dovettero riconoscere che il discorso era logico.

Asuna provò l’ultima carta. “Almeno, un tentativo di ricerca…”

Nagase, Mana e Ku abbassarono lo sguardo.

Takane interpretò quel silenzio. “Vedo che mi date ragione. Mi dispiace, Kagurazaka, questa cosa non piace neppure a me, però la prudenza è fondamentale. Quindi rifacciamo i bagagli e prendiamo il primo aereo o nave per tornare in Inghilterra”.

“Ragazze!” gridò dalla cucina Sakura, per poi arrivare trafelata con Kamo sulle spalle.

“Che succede?” chiese Takane.

“Il telegiornale… hanno detto che al largo dell’intera costa islandese è scoppiata una tempesta micidiale… di una potenza inaudita… e che quindi hanno sospeso i voli e le navigazioni da e per l’isola!”

Tranne Mana e Nagase, le ragazze sbiancarono.

“Non è possibile…” mormorò Ku. “Siamo bloccate qui?!”

“Senza poter chiamare aiuto!” continuò Takane.

Facendosi coraggio, Yue prese la parola. “Più o meno quando è scoppiata questa tempesta?”

Sorprese com’erano, nessuno le badò, tranne Sakura.

“Ehm, circa quaranta o cinquanta minuti fa. Sembra si sia formata dal nulla”.

“Subito dopo che siamo arrivate noi insomma” costatò Yue.

Mana andò ad affacciarsi alla finestra, come se cercasse qualcosa.

Asuna guardò la sua compagna, poi le altre. Infine colpì con un pugno il muro. “Si può sapere con chi diavolo abbiamo a che fare?!”


Il tempo era splendido lì, come sempre.

Nel gazebo, Maria si gustava il suo the seduta davanti a una tavola bandita con leccornie di vario genere.

Sua zia Eva sedeva davanti a lei, sorseggiando con calma la bevanda, mentre Sakutaro se ne stava in disparte, tremando lievemente.

La serva anziana invece stava riordinando un altro tavolo.

“Zia, dimmi, quando manterrai la tua promessa?” domandò Maria prendendo un po’ di biscotti al cioccolato.

“Presto, cara, molto presto. Il tempo di sistemare alcune faccende e poi tutti i tuoi desideri saranno realizzati” rispose la donna sorridendo.

“Oh sì! Che bello! E andremo tutti a prendere il the insieme, vero?”

“Certo, nipotina mia. Qualunque cosa per soddisfarti. Finché saremo sole, dobbiamo aiutarci a vicenda”.

Da una tasca di Eva arrivò il suono di un cercapersone. Il cui significato fa da lei capito subito.

“Il momento è arrivato. Maria, dovresti farmi un altro favore”.

“Uffa” sbuffò la piccola “Perché vuoi farmi venire i mal di testa?”

La zia si alzò e le andò vicino, si chinò e la abbracciò. “Te l’ho detto, piccola mia. E’ necessario. Pensa alla ricompensa. Varrà la pena di soffrire qualche mal di testa, no?”

Maria annuì, pur restando un po’ contrariata. “Va bene”.

Le due fronti si unirono.

Sakutaro tremò ancora più forte.

La servitrice fissò severamente.

“Fatto. Anche stavolta non è stato niente di così terribile, vero?” disse Eva facendo l’occhiolino alla nipote.

“Insomma. Però mi fa male la testa… e ho tanto sonno…”

Maria sbadigliò e si addormentò quasi di colpo, venendo prontamente prese in braccio dalla servitrice.

“La porto in camera sua a dormire” dichiarò.

“Chiyo, io voglio che resti qui”.

Lo sguardo della zia era severo.

L’anziana chiamata Chiyo le tenne testa.

“Ed io m’intendo di bambini molto più di te, mia cara Eva. Questa bambina ha bisogno di un po’ di realtà”.

“Che dici? Questa è la realtà”.

“Solo quella che vuoi tu” terminò l’altra andandosene.

Sakutaro velocemente le andò dietro, facendo attenzione a non sfiorare nemmeno Eva.

Rimasta sola, la donna tirò fuori il suo ventaglio.

“Vecchia idiota! Come ti permetti? Ti tengo con me solo perché sei l’unico ricordo felice della mia infanzia. E poi sei talmente decrepita che non ci sarebbe gusto a picchiarti. Ma quando raggiungerò il mio scopo, avrai una lezioncina”.


Nell’albergo, mentre iniziava a farsi buio, le ragazze del Mahora, bagagli in mano, se ne stavano andando.

Anche se non potevano lasciare l’isola o comunicare con l’esterno, non era prudente restare lì.

Mana faceva da apripista, seguita dalle altre in fila per due.

Cominciarono a uscire.

Dopo pochi passi si bloccarono.

Perché anziché ritrovarsi nella strada, erano di nuovo nella hall dell’albergo.

“A quanto pare ci siamo” commentò Asuna.

 

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Capitolo 6
*** 6° Capitolo ***


6° Capitolo

Nodoka e Yue si guardarono in giro, nella hall dell’albergo c’erano diverse persone, alcune impegnate a leggere, altre a parlare tra loro o al telefono.

Tutto sembrava normale.

Ma era davvero cosi?

Nodoka scrutò con attenzione. E colse il primo dettaglio stonato: gli uomini che leggevano, stavano con la testa immobile.

Troppo immobile.

Inoltre, col passare dei secondi, il tempo di lettura stava diventando eccessivo per una singola pagina.

Le persone che parlavano al telefono o tra di loro, invece, apparivano normali, creando quel vocio indistinto che si ode sempre nei luoghi abbastanza affollati.

Allora Yue si concentrò sulle loro labbra e sull’udito.

Rimase sorpresa ma non troppo quando capì che tutte quelle persone ripetevano sempre la stessa cosa: per almeno mezzo minuto parlavano normalmente, poi di botto iniziavano a ripetere le stesse parole, come un disco che s’inceppa e torna indietro in continuazione.

“Ora che facciamo?” domandò Mana.

Come risposta, lei, Nagase, Ku e Asuna si portarono una mano dietro il collo e crollarono in silenzio a terra.

La stessa cosa accadde a Sakura e Takane.

Invece Nodoka, insieme a Kamo, Yue e Asakura s’inginocchiarono cercando rifugio dietro un grosso divano.

Per poi ritrovarsi di fronte una figura avvolta in una tunica nera con cappuccio.

Altre figure simili erano apparse dal nulla e le avevano circondate.

Sembravano dei monaci. Però impugnavano armi da fuoco di grosso calibro, nere e lucide, puntate contro le teste delle ragazze, le quali non poterono fare altro che alzare le mani in segno di resa.

Uno degli incappucciati, con movimenti rapidi ed essenziali, le ammanettò, mentre gli altri si caricarono sulle spalle le ragazze addormentate.

Gli incappucciati costrinsero le prigioniere a camminare e insieme con loro sembrarono attraversare una sorta di sipario invisibile composto dalla stessa aria, l’ambiente cominciò a farsi come evanescente.

Dopo pochi attimi era rimasta solo una normale hall da albergo, con gente che parlava e leggeva normalmente.


Nel suo studio al Mahora, il preside alternava lo sguardo tra un libro e il telefono.

“Quanto tempo ci mettono ad avvertire?!” sbottò l’anziano uomo.

Ormai la squadra inviata a cercare Negi in Islanda avrebbe dovuto già chiamare.

Certo potevano esserci stati dei disturbi a causa della tremenda tempesta scoppiata intorno all’Islanda, di cui il telegiornale aveva appena divulgato la notizia.

Però un simile ritardo…

Stava per decidersi a chiamarli lui, quando bussarono alla sua porta.

“Avanti” rispose il preside.

Entrò la professoressa Ayanami seguita da una titubante Shinobu.

“Oh, buongiorno, che posso fare per voi?” esordì il preside.

Ayanami fece un lieve inchino. “Sono venuta a chiederle il permesso per usare la stanza trentacinque per le lezioni di recupero di Shinobu Maehara”.

“Ma certo. L’aula è tutta vostra”.

Shinobu si fece timidamente avanti. “E… e ci sono notizie da Asuna e le altre?”

“No, purtroppo. Comunque ti prometto che sarai informata subito, non appena ci saranno. Ora devi pensare a studiare, signorina. Tu possiedi grandi doti, vedi di non sprecarle”.

“S-sì”.

Facendo un altro inchino, Ayanami si congedò portando fuori Shinobu.

Subito dopo, squillò il telefono.

“Pronto?” rispose rapidamente il preside.

E si tranquillizzò. “Oh, siete voi. Finalmente. Takane, tutto bene?”

La ragazza del personale magico del Mahora e il preside parlarono per un po’: tante rassicurazioni dalla prima, tante raccomandazioni dal secondo.

Conclusa la telefonata, Koemon finalmente si rilassò concentrandosi del tutto sul libro che stava leggendo.

Una concentrazione tale che non si accorse di come la porta fosse rimasta leggermente socchiusa.

Né si accorse che tale porta si chiuse solo al termine della telefonata.


La donna con la tunica nera posò la cornetta, mentre Eva era pienamente soddisfatta.

“Un lavoro davvero brillante, un’ottima interpretazione” si complimentò mimando un applauso.

“Grazie” rispose con voce piatta la donna vestita di nero.

“Ora raggiungi gli altri nel salone. Stiamo per ricevere ospiti”.

Eva si affacciò a una finestra che dava su uno splendido giardino, pieno di sentieri delimitati da bassi muri fatti di fiori dai mille colori.

Fu proprio da uno di quei sentieri che giunse un gruppo di persone, in fila quasi come se fossero i partecipanti di una processione: una processione di tunicati neri insieme a delle prigioniere.

Uno spettacolo che divertì molto Eva.

“Dunque sono quelle le ragazze della famosa III A. Sono solo delle mocciosette, Che delusione, Negi Springfield”.

La processione entrò nella grossa villa in stile neoclassico e a tre piani che dominava il giardino.

Passarono per l’ingresso principale del salone, molto elegante e pieno di libri tutti ordinati su enormi scaffali di legno.

Uno degli incappucciati toccò un quadretto sul muro e lo girò, quindi uno scaffale pieno di libri scorse lungo la parete, rivelando un ingresso segreto e una scalinata a chiocciola che scendeva.

I tunicati spinsero le prigioniere giù per la scalinata fino a una sorta di grotta, illuminata da torce e piena di celle scavate nella roccia, quasi tutte vuote.

Perché in due di esse c’erano Takamichi e Kotaro, svegli e incatenati, e le loro catene non erano di solo metallo, poiché avevano delle luci sulla loro superficie, quindi c’erano dei congegni al loro interno.

Gli uomini in nero aprirono sette celle, Takane, Sakura, Asuna, Mana, Ku e Nagase, ancora prive di sensi, furono adagiate ciascuna in una cella e anche loro incatenate.

Nella sesta cella finirono le altre ragazze, e non furono incatenate.

Per Kamo fu infine pronta una gabbia.

I tunicati chiusero le celle e se ne andarono, ma due di loro rimasero a guardia dell’ingresso della grotta.

“Ragazze, state bene?” domandò Takamichi cercando di sporgersi, dato che le catene limitavano molto i suoi movimenti.

Il professore aveva capito che quelle catene erano state dotate della stessa energia AM usata dalla misteriosa torre creata per Arxelles.

“Tutto sommato sì, professore” rispose Asakura. “E voi?”

“Un lieve mal di testa al risveglio. Comunque devo ammettere che la nostra situazione non è per nulla rosea. Non intendo chiedervi” disse poi spostando lo sguardo su Yue e Nodoka “come mai voi tre siete qui, temo di saperlo”.

“Non siete riusciti a fuggire?”

“No” intervenne Kotaro. “Queste maledette catene inibiscono i poteri magici! Chissà come. E neanche col ki si riescono a infrangere. Sembrano fatte di semplice acciaio, ma in realtà è un metallo molto più duro!”

L’irritazione del ragazzo-cane era più che evidente.

“A questo punto” riprese Takamichi “ non possiamo che sperare di essere salvati dal Mahora. Li avete avvertiti? Alle cascate avevo detto a Kamo di restare in disparte proprio per avvertirvi in caso di necessità. Speravo anche che riusciste a scappare”.

“Professore, mi dispiace doverla deludere” disse Yue sporgendosi. “Non abbiamo potuto chiamare aiuti. Il nemico ha bloccato le nostre comunicazioni. E ci ha impedito di scappare creando in qualche modo una tempesta enorme intorno all’isola, che ha interrotto ogni rotta”.

Nodoka intanto cominciò a tastare le sbarre che chiudevano la cella.

Takamichi si scurì in volto. “Allora non so proprio cosa possiamo fare. Il nostro silenzio dovrebbe insospettire i nostri al Mahora. Ma il nemico è troppo preparato per non aver pensato anche a questa eventualità”.

Eva Ushiromiya arrivò nella zona delle celle. “Avete proprio ragione”.

I prigionieri la guardarono cupamente.

“Chi sei?” domandò Kotaro.

La donna, accompagnata da quattro tunicati, fece un lieve inchino. “Lasciate che mi presenti. Sono Eva Ushiromiya, colei che comanda qui. Voi siete miei prigionieri e vi consiglio di fare i buoni. Non mi servite vivi. Anzi, avrei potuto uccidervi da subito, ma finché il piano non sarà realizzato, meglio avere ogni possibile risorsa. Comunque non credetevi indispensabili e quindi intoccabili”.

“E potremmo sapere che piano ha?” domandò Takamichi.

“La prudenza non è mai troppa, quindi non credo sia il caso di spifferare le mie motivazioni. Se farete i bravi, sarete ancora vivi al momento finale e capirete tutto”.

Yue si sporse il più possibile, mettendosi davanti a Nodoka fino a coprirla. “Un momento, signora. Lei cosa sa di Negi Springfield? Non penso ci sia bisogno di spiegarle chi è”.

Eva tirò fuori il suo ventaglio e lo aprì per coprire un sorriso parecchio strafottente.

“Oh sì che lo conosco. Ho imparato a conoscerlo molto bene. Diciamo che ho incaricato qualcuno di lavoramelo parecchio”.

Asakura si sporse anche lei. “Cosa… cosa sta dicendo?! Che gli avete fatto?!”

Eva si mise faccia a faccia con l’aspirante giornalista del Mahora. Nonostante il ventaglio aperto, era assai evidente come il sorriso di prima fosse diventato un ghigno sadico. “Non lo saprete tanto presto. Intanto provate a usare la fantasia”.

“Bastarda!!” ringhiò Asakura tentando di afferrarla.

Eva prontamente si allontanò.

“Ma che reazione violenta. Dopo aver letto il tuo dossier, pensavo che fossi più posata, Kazumi Asakura. Comunque non agitarti, sarebbe inutile. Quelle sbarre sono molto solide. E le catene dei vostri amici magici, come già avrete saputo, annullano la magia. Anche il ki non serve a niente contro delle sbarre e delle catene in adamantio, un metallo rarissimo e davvero molto utile”.

“Quindi ha pensato proprio a tutto?” domandò Yue.

“Certo. Fuggire è impossibile!” replicò con sicurezza Eva.

In realtà la sua sicurezza era in parte apparente, sapeva che non aveva proprio tutto sotto controllo.

Tuttavia riteneva di aver preso tutte le precauzioni necessarie contro quelle mocciose da scuola media.

Per questo rimase molto sorpresa quando la porta della cella con Yue, Asakura e Nodoka si aprì.

Era stata Nodoka, coperta da Yue, ad aprirla, forzando la serratura con una forcina!

E prima che Eva potesse dire qualcosa, Asakura si lanciò contro di lei con una raffica di calci.

“Dannazione!” pensò Eva proteggendosi con le braccia. “La tecnica è grezza, però la forza è tanta. Ma che significa?! Nei nostri dossier Asakura non è classificata come soggetto combattente!”

Eva azzardò una reazione, per farlo si scoprì e Asakura poté rifilarle un calcio fortissimo nello stomaco, che la lasciò senza fiato mentre si accasciava.

I quattro uomini in nero, insieme ai due dell’ingresso, non erano certo rimasti inerti ma Nodoka tirò fuori da chissà dove delle pistole e con grande rapidità e precisione centrò in pieno stomaco gli scagnozzi di Eva.

Che non batterono ciglio.

“Ci penso io!” esclamò Yue.

Anche lei da chissà dove estrasse degli enormi shuriken a forma di stella e li scagliò contro quegli strani uomini, prendendoli alle gambe e alle braccia e inchiodandoli letteralmente a una parete rocciosa.

Neanche un istante dopo, Nodoka rincarò la dose e sparò altri colpi sui dardi della compagna, in modo da conficcarli ancora più profondamente nella roccia.

“Ma… ma che significa?!” sbraitò Eva tenendosi le mani sullo stomaco e cercando di rialzarsi.

La lama di una lunga e larga spada si poggiò sulla base del suo collo.

“Resta giù!” le ordinò gelida Asakura.

Kotaro e Takamichi non credevano ai loro occhi.

Allora le tre inaspettate liberatrici recitarono una breve formula magica.

Ci fu uno scoppio di fumo.

Una volta dissoltosi, al posto di Nodoka, Yue e Asakura, c’erano Mana, Kaede e Asuna.

“Incredibile! Come avete fatto?” domandò Kotaro, la cui voce contenta aveva anche una punta d’invidia.

“E’ stata un’idea di Sakura” spiegò Mana andando a frugare nelle tasche dei due tunicati di guardia alle celle.

Quegli uomini cercavano di liberarsi, ma gli shuriken erano andati troppo in profondità.

Mana intanto trovò quello che cercava: un mazzo di chiavi, col quale aprì le celle di Kotaro e Takamichi, togliendogli le catene.

Asuna affiancò il professore per aiutarlo a rialzarsi. “Sakura si è improvvisamente ricordata di questo incantesimo di camuffamento, molto efficace. E abbiamo cercato di impararlo. Poiché il nemico sembrava conoscerci bene, abbiamo ipotizzato che avrebbe attaccato subito e neutralizzato solo quelle che erano ritenute pericolose. Le nostre amiche si sono sacrificate. Un azzardo, ma ci è andata bene”.

Mana aveva aperto anche la gabbia di Kamo e le altre celle, con le loro compagne ancora addormentate e incatenate.

Tentò di svegliarle, inutilmente.

Allora da una tasca tirò fuori una piccola siringa, fece un’iniezione ad ‘Asuna’, in realtà Asakura, senza ottenere effetti.

Mana rimase alquanto infastidita. “Maledizione. Lo stimolante non funziona. Qualunque cosa ci fosse in quelle freccette, non la conosco”.

Nagase prese Eva per dietro le braccia e la costrinse ad alzarsi. “Allora credo che sia arrivato il momento di far parlare questa qui. E’ il capo dei cattivi, no? Saprà tutto, anche dove si trova il professor Negi”.

Eva scoppiò a ridere. “Ahahahah! Avete ragione. Però ci sono alcuni piccoli dettagli che forse non avete contemplato. Il primo è che io non intendo minimamente aiutarvi e non potete costringermi a farlo.

Cosa vorreste fare? Torturami? Voi ne avreste il fegato? Non credo. Forse Mana Tatsumiya. Tuttavia ti avverto, cara la mia mercenaria, che io ci sono già passata in mezzo all’inferno e francamente pestaggi, minacce e occhi mortalmente freddi non mi piegano. Provare per credere.

Passiamo al secondo dettaglio: in questa villa io ho un vero esercito. Pensate forse che nessuno s’insospettirà per una mia assenza troppo lunga? Non riuscireste mai a sopraffarli, sono troppi e sono uomini particolari, come avete già potuto notare. Inoltre le vostre amiche addormentate, quindi incapaci di difendersi, costituiscono un grosso handicap.

Terzo e ultimo dettaglio: questa villa è un luogo speciale e si raggiunge in modo speciale, come avete potuto costatare nell’albergo. Se io non lo voglio, nessuno entra e nessuno esce da qui”.

Asuna e Kotaro fremettero per la rabbia, Takamichi, Nagase e Mana ebbero più controllo.

Tutti dovettero comunque convenire che Eva Ushiromiya aveva ragione.

“Però c’è un fattore che non hai previsto!” esclamò Asuna schioccando le dita.


Eva Ushiromiya, accompagnata da due persone in tunica e con la testa coperta dal cappuccio, camminava per gli ampi corridoi della villa.

Ogni tanto incrociavano dei tunicati, uomini e anche donne, che davanti a Eva si fermavano e salutavano con un profondo inchino.

“Asuna, come va?” domandò sottovoce uno degli incappucciati, cioè Mana.

“Insomma. Spero solo che se qualcuno ci fermerà, saprò recitare la parte di quella bastarda” rispose Asuna con le sembianze della loro nemica.

“Intanto vediamo di stabilire dove dobbiamo andare” ricordò loro Nagase.

“Fermerò uno di questi tizi, gli chiederò con una scusa di accompagnarmi nella stanza di Eva, voi mi seguirete a distanza e poi decideremo il da farsi” concluse Asuna.

E cosi fecero.

Mana e Nagase si tennero abbastanza lontane mentre Asuna-Eva fermava uno degli incappucciati dicendo di aver bisogno del suo aiuto per un lavoro da svolgere nel suo studio.

Il servitore non ebbe da recriminare, si avviarono insieme.

Nonostante fossero affiancati, la donna fece sempre attenzione a lasciare che fosse l’incappucciato a decidere la direzione in quel dedalo di corridoi.

Nagase e Mana le stavano dietro, fingendo di stare facendo casualmente la stessa strada.

Durante tutto il tragitto temettero di essere scoperte ma non accadde.

Giunti davanti allo studio di Eva, Asuna entrò nella stanza congedando l’altro con una scusa, che si bevve senza problemi.

Quei misteriosi uomini sembravano capaci solo di ubbidire agli ordini senza discutere.

Non appena se ne fu andato, le altre due ragazze s’infilarono nello studio e Nagase si sfregò le mani. “Bene, speriamo di trovare qualche informazione utile”.

“E speriamo” aggiunse Mana “che Kotaro, Kamo e Takamichi non abbiano problemi con quell’Eva. Almeno fino a quando le nostre amiche non si saranno risvegliate”.

Cominciarono a frugare con attenzione nei cassetti.

Soprattutto Asuna. “Dobbiamo scoprire cosa bisogna fare per andarsene da questo posto. Poi cercheremo di scappare dall’isola. Speriamo anche di trovare qualche notizia di Negi” pensò.

La porta si spalancò, facendole sobbalzare.

Tuttavia non ebbero paura di essere state scoperte, giacché si trattava di una graziosa bambina dell’età di Negi.

“Zia, sono venuta a trovarti!” esclamò radiosa la bimba.

Asuna-Eva e le sue compagne si guardarono.

“Oh…. Bene. Come stai?” disse la falsa zia.

La piccola piegò la testa di lato, perplessa.

Poi sembrò scrutare con occhi fissi e penetranti Asuna.

Calò un silenzio raggelante.

“Tu chi sei?” domandò la bambina.

“Oh no” pensò Asuna.

Anche se era solo una bambina, le trasmetteva una sensazione strana, molto strana.

“Chi sei tu?” richiese la piccola, con voce più severa.

Mana sentì tutti i suoi sensi, non solo quelli umani, ma anche quelli sviluppati misticamente per via del suo lavoro, strillare un enorme pericolo in arrivo.

Talmente grande che…

La mercenaria si guardò le mani: tremavano!

La sua mente no, ma il corpo era istintivamente terrorizzato!

“Che avete fatto a mia zia???!” strillò la bimba.


L’anziana Chiyo stava leggendo un libro di favole a Sakutaro, che ascoltava con grande attenzione seduto per terra.

“Allora, ti è piaciuta la favola?”

“Uryù!” rispose il bambino sorridendo vispo.

La donna sospirò. “Eh, Maria è andata da Eva, vuole che sia lei a leggerle una favola. E lo farà. Ma non certo perché le vuole bene. Oh, povera Maria, ha un cuore così grande. Troppo grande, l’affetto per la zia la acceca. Altrimenti…”

Chiyo si alzò all’improvviso, facendo sobbalzare Sakutaro.

“Resta qui!” ordinò ed uscì dalla stanza.

Corse, per quanto le fosse possibile, tra i corridoi, fino ad arrivare alla porta, chiusa, dello studio di Eva.

L’aprì… e rimase senza fiato.

Al posto dello studio c’era uno spazio immenso, dove si mescolavano tutti i tipi di cielo: cieli limpidi e tenebrosi della Terra si alternavano a indecifrabili e spaventosi panorami alieni, e altri ancora.

Un vento immenso attraversava quello spazio di cui non si vedeva né l’inizio né la fine.

Al centro di tutto c’era Maria, con Eva sospesa al suo fianco.

La bambina aveva i lineamenti deformati da una furia cieca e animalesca, indescrivibile.

Anche solo guardarla di sfuggita poteva impressionare e terrorizzare.

Gli stessi capelli si agitavano come se fossero mossi da una forza incontrollabile.

Gli occhi di Maria sprigionavano una luce innaturale.

Muoveva le braccia con gesti continui e violenti, come un direttore d’orchestra impazzito, mormorava parole astruse, alcune sussurrate, altre gridate, con una voce altrettanto terrorizzante e innaturale.

La porta da cui l’anziana governante fissava quello spettacolo mostruoso e mozzafiato era l’unico elemento che in quel turbinio di cieli restava immobile.

Chiyo subito tornò indietro.

Chissà se in quella realtà impazzita si era accorta delle persone che ruotavano su se stesse e intorno a Maria ed Eva.

Probabilmente non le aveva viste, non essendo davvero possibile.

Asuna, tornata al suo aspetto, Mana, Nagase, Kotaro e Takamichi, si agitavano in mezzo a quell’universo assurdo.

I loro corpi mutavano, erano continuamente scarnificati, spellati, deformati, dissolti a livello molecolare e riformati in continuazione, e tutto in pochi secondi.

Un ritmo che era dettato proprio dai gesti di Maria.

“Vai cosi!” disse Eva alla nipote.

Nonostante la sua sicurezza, il terrore nella sua voce era più che evidente.

D’altronde pochi attimi prima si trovava chiusa in una cella e sorvegliata dai suoi nemici, poi, nel tempo di un battito di ciglia, si era ritrovata in quel caos.

“Maria! Fermati!” gridò Chiyo tornata alla porta, ancora ferma in quel caos.

“NO! Hanno fatto del male alla zia! E ora pagheranno!!!” rispose la bimba.

“Se li uccidi, diventerai un’assassina! Tu non lo sei, piccola mia! Tu sei buona!”

“Devono pagare!!!”

“Se li uccidi, Sakutaro ti considererà un mostro!”

Fu allora che dietro l’anziana, Maria vide il suo piccolo amico.

Che la fissava con occhi sbarrati per il terrore.

“No… Sakutaro… non guardarmi cosi… TI PREGO!!!” urlò Maria iniziando a piangere.

In meno di un secondo, tutto tornò come prima.

Lo studio era di nuovo al suo posto.

Non c’era nulla di strano.

Sembrava che non fosse successo mai nulla.

Il gruppo del Mahora era scomparso, Eva era seduta davanti alla sua scrivania.

Maria piangendo corse ad abbracciare Sakutaro.

“Non odiarmi! Ti prego, non odiarmi!” lo supplicò.

Sakutaro rispose all’abbraccio. “Sakutaro non potrebbe mai odiarti. Uryù! Sakutaro vuole bene a Maria. Uryù Uryù!”

“Su, su, adesso torniamo in camera, signorina” disse Chiyo. “Ti sentirai stanca”.

Maria annuì, e sempre abbracciata a Sakutaro, si fece accompagnare fuori.

Prima di chiudere la porta, Chiyo lanciò un duro sguardo a Eva.

Che non rispose, impegnata com’era a calmare il suo cuore, che le batteva talmente forte da dare l’impressione di voler saltare fuori dal petto.

“Mio Dio… il potere… il potere…”.

Eva deglutì e si alzò.

Con passo un po’ malfermo si diresse verso la zona delle celle.

“Sono riuscite a intrufolarsi usando il primo atto di compensazione. Bella mossa, strega. Però ti è andata male. E ora proseguirò col mio piano!”


Il preside del Mahora vide entrare nel suo studio il gruppo impegnato nella ricerca di Negi.

Nonostante si fossero tenuti in contatto ogni giorno, fino all’ultimo era rimasto speranzoso.

“Novità?”

“Niente, signor preside” rispose desolato Takamichi.

La stessa desolazione si poteva leggere sul volto delle altre.

Col cuore amareggiato, l’anziano uomo non se la sentì di rimproverare Asakura, Miyazaki e Ayase per la loro avventatezza, confidando comunque che ci avessero già pensato le loro compagne a farglielo capire.

Dunque si congedarono e fuori dallo studio del preside, ciascuno tornò al suo alloggio.

“A-Asuna!” gridò, per quanto le fosse possibile, Shinobu.

Saputo del loro ritorno, aveva chiesto alla professoressa Ayanami di sospendere la lezione e accompagnarla.

E cosi aveva fatto, seguendo l’allieva fin lì.

La professoressa rimase un passo indietro.

“Asuna… sono felice che sei tornata. Novità?” domandò speranzosa Shinobu.

“Purtroppo nessuna. Comunque non arrenderti, il fatto che quella in Islanda fosse una falsa pista, non deve farci perdere le speranze” rispose Asuna.

“Certo, farò come dici tu”.

“Brava” terminò Asuna facendole un’affettuosa carezza sula guancia.

La ragazza se ne andò, sotto lo sguardo di Shinobu e Ayanami, che salutò con un inchino, ricambiato.

L’insegnante si accorse che Shinobu si toccava la guancia accarezzata.

“Problemi?”

“No… nessun problema” rispose Shinobu dopo qualche attimo di esitazione.

 

 

Continua…

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