Frozen

di sprl1199
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono creazioni della premiata ditta Moffat/Gatiss. I diritti appartengono alla BBC e la seguente fic non vuole lederli in alcun modo. L'autrice non guadagna niente dalla pubblicazione della stessa.

Note dell'autore. Questa storia è un adattamento in chiave moderna de "L'enigma di Reigate" mixato con una rielaborazione del fantasma che in XXXHolic compare negli episodi "Temptation" e "Choice". E, giusto per far vedere quanto sono brava a plagiare, c'è pure un pizzico di Poe.

(Traduzione a cura di Madame Butterfly -  link al permesso di traduzione qui - la storia originale la potete trovare a questo indirizzo. E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)







FROZEN

La solitudine è la prima cosa che Dio vide non esser buona. - John Milton



1.




La gola di Sherlock prudeva.

Cercò di schiarirsela discretamente, ma un piccolo suono doveva essere sfuggito lo stesso perché Sally si fermò nel bel mezzo di una frase e lo guardò con un cipiglio aggressivo.

"Scusa, c'è qualcosa di divertente in una ragazza morta a ventiquattro anni?"

"Naturalmente no," Sherlock rispose calmo, lieto che il suo profondo timbro vocale da baritono non tradisse con facilità la leggera raucedine che era irritantemente presente da un paio di giorni a quella parte. Il fatto che lei l'avesse intesa come una risata soffocata era stato un caso fortuito. Tipico, ma fortuito.

"Mi stavo semplicemente chiedendo quando saresti arrivata al punto di questo piccolo rendezvous."

Sotto il tavolo, John gli mollò discretamente un calcio in uno stinco. All'occhiataccia di Sherlock, prese un sorso del suo caffè per nascondere quello che era certamente il sorrisino che adottava ogni qualvolta gli era concesso di replicare alla mancanza di diplomazia di Sherlock.

Bastardo.

Rifiutando di essere disciplinato, Sherlock lo ignorò e si adagiò contro lo schienale rivolgendo uno sguardo freddo al sergente Donovan. La bocca di lei si era piegata in una smorfia alla sua replica pungente e aveva chiuso gli occhi mentre si prendeva un comprensibile momento per dominarsi. Quando aprì nuovamente gli occhi, fu professionale e distaccata come Sherlock non l'aveva mai vista.

Si chiese se stesse prendendo lezioni da Lestrade.

"Il punto," continuò il sergente, "è che Lestrade vuole che ti occupi dell'omicidio di Hampstead."

Sherlock emise un suono spazientito. "Be', questo è ovvio, altrimenti non ci avresti convocati qui. Ma cosa fa credere a Lestrade che io voglia immischiarmi in questo caso? Nulla di quello che hai detto finora mi è sembrato anche solo remotamente interessante."

Sally lo guardò con disprezzo. "Interessante? Sei uno schifoso bast-"

"Dato il prestigioso quartiere in cui ha avuto luogo l'omicidio," la interruppe Sherlock, con un tono piatto fatto apposta per irritarla, "immagino che ci siano delle pressioni politiche affinché questo crimine venga risolto velocemente e senza troppo clamore."

Sally non rispose ma la stretta delle dita intorno al suo tè chai fu abbastanza eloquente. Sherlock si sporse in avanti in modo tale da incombere su di lei mentre chiariva il punto, nonostante immaginasse che l'effetto sarebbe stato rovinato dall'atmosfera disgustosamente gioiosa del Java The Hut.

"Non mi interesso di politica," disse con voce bassa e precisa, socchiudendo gli occhi minacciosamente. "Non ho alcun interesse nel diventare un burattino nelle mani del governo britannico."

"Semplicemente non vuoi fare nulla che tuo fratello potrebbe potenzialmente approvare," se ne uscì John, gioviale. Sherlock gli lanciò un'occhiataccia che chiaramente non sortì alcun effetto, se i calmi occhi azzurri e il tranquillo sorso di caffè erano di qualche indicazione. Al contrario, sembrava divertito e Sherlock rivolse un fugace pensiero carico di nostalgia ai giorni in cui era capace di intimidire qualunque persona con cui venisse in contatto.

Sally emise un suono disgustato. "Come te ce ne sono due? Dio ci aiuti."

Sherlock la ignorò. "La cosa davvero interessante è che Lestrade ha mandato te," disse con un sorrisetto mentre l'espressione di Sally si faceva di pietra. "In special modo dato che sa in che rapporti siamo. Rapporti che - vorrei sottolineare - sono interamente il risultato dei tuoi insulsi tentativi di screditare sia me che i miei metodi." Spostò elegantemente la gamba prima che John gli mollasse un altro calcio.

"Chiaramente Lestrade è persuaso a credere che mandarti personalmente da me per chiedere assistenza possa tenere a bada la mia insolenza abbastanza da farmi acconsentire di occuparmi di questo caso."

Il sergente stava stringendo i denti, le narici che fremevano leggermente. Accanto a lui, John appariva vagamente preoccupato.

Sherlock si adagiò allo schienale e lasciò che un sorrisetto trionfante gli increspasse le labbra.

"Dunque, coraggio," disse sarcastico. "Chiedilo."

Gli occhi di Sally divennero velenosi per la rabbia mentre apriva la bocca per rispondere.


**

"Te la sei cercata, sai," disse John, tornati all'appartamento, mentre Sherlock si lamentava della chiazza di chai sulla sua camicia. Poteva solo essere grato che avesse mancato il cappotto.

"Allora li aiuterai?" continuò John.

Sherlock guardò in su da dove stava cercando di pulire il davanti della sua camicia, senza molto successo. "Naturalmente li aiuterò. Lestrade ha chiesto di me personalmente ed è lungi da me rifiutare di mettere le mie capacità a disposizione della polizia quando è così ovviamente in difficoltà."

L'occhiata che John gli lanciò fu così chiaramente incredula che sentì le proprie labbra tentare di curvarsi in un sorriso.

"In più sono consapevole che la bolletta del riscaldamento scade la prossima settimana e che se non vogliamo che ce lo taglino del tutto dobbiamo pagarla per intero."

Avevano usato il riscaldamento molto di rado nelle scorse settimane, preferendo raggomitolarsi sotto montagne di coperte, ma la bolletta era salita lo stesso. L'appartamento aveva solitamente appena un paio di gradi in più rispetto alla temperatura esterna, fredda e autunnale. La cosa faceva impazzire Mrs. Hudson.

"E infine," se ne uscì Sherlock, "siamo rimasti quasi senza tè e HobNobs. Ad una situazione simile bisogna porre rimedio immediatamente."

Gli HobNobs erano i preferiti di John e il sorriso che Sherlock ottenne in risposta alla sua casuale osservazione fu abbagliante.

Si voltò prima che John si accorgesse che c'era senza ombra di dubbio un'espressione orribilmente instupidita sulla sua faccia e - per essere sicuro che non fosse visibile - iniziò a togliersi la camicia facendosela passare sopra la testa, borbottando qualcosa riguardo il nauseante odore di cardamomo e chiodi di garofano.

Alle sue spalle, sentì John emettere un suono strozzato prima di scusarsi e lasciare improvvisamente la stanza, facendo sbattere la porta dietro di lui.

Sherlock si bloccò, sorpreso per quell'uscita improvvisa, la testa ancora tra le pieghe del tessuto blu. Era stato impaziente di discutere i particolari del caso con John sopra scatole di cibo cinese o il take away di qualunque ristorante fosse tra le loro preferenze della settimana. Averlo visto ritirarsi così improvvisamente era stato... deludente.

La miscela speziata del chai gli assalì nuovamente le narici e starnutì. Due volte.

Che seccatura.


**


I particolari del caso erano i seguenti:

Billie Kirwan, ventiquattro anni, era cameriera nella tenuta di Hampstead appartenente ai Cunningham, un'antica famiglia benestante la cui fortuna era legata al commercio e alla navigazione fin dal diciannovesimo secolo. Dipendente nella casa da due anni, era stata trovata due giorni prima ai piedi dell'imponente scalinata che scendeva nell'atrio: collo spezzato e testa fracassata da un oggetto pesante attualmente non identificato. Secondo l'inchiesta, era stata la caduta da un'altezza pari a quella della scala a causare la sua morte.

Non aveva amanti di cui i suoi datori di lavoro fossero a conoscenza e la sua sola parente in vita era una madre malata che viveva fuori da Ipswich. Era stata una studentessa nella media e non aveva voluto continuare ulteriormente gli studi. Era arrivata con buone referenze per via di una posizione simile ricoperta in adolescenza e il suo solo passatempo conosciuto consisteva nella regolare frequenza con cui si recava al cinema più vicino, presumibilmente a vedere commedie romantiche.

Tutto questo era contenuto nel fascicolo che il sergente Donovan aveva provveduto a Sherlock, i dettagli meticolosamente annotati e i fatti di interesse liberalmente sottolineati e cerchiati con una penna viola.

Si trattava di spazzatura, naturalmente, anche se c'erano dei punti interessanti nelle foto della scena del crimine: c'era qualcosa che colpiva nelle scene del corpo disteso in modo scomposto sul tappeto persiano, i ritratti nelle pesanti cornici immobili come sentinelle e i pannelli di luce dorata provenienti dalla lampada Tiffany davano un senso di melodramma alla scena. Somigliava in qualche modo alla copertina di un violento thriller romantico.

Il corpo era stato trovato dall'anziana Mrs. Edith Cunningham quando era scesa in cucina per tentare di combattere l'insonnia con una tazza di latte, approssimativamente all'una e trenta di notte. I membri maschi della famiglia - Edgar, il figlio di Edith, e il nipote Alec - avevano dichiarato di aver lavorato fino ad un'ora estremamente tarda nell'ufficio della società di navigazione Cunningham quella notte e di non essere rincasati finché non erano stati avvertiti dell'incidente.

L'ultimo membro della famiglia, la moglie di Edgar, Delia, stava presumibilmente dormendo. Da diverse annotazioni fatte alle trascrizioni degli interrogatori svolti sul posto - inclusa una con la medesima penna viola che diceva "Lunatica!!!" - Sherlock dedusse che Delia Cunningham soffriva probabilmente di psicosi o di un inizio di demenza precoce.

Non c'erano segni di scasso e nessuna orma, impronta, fibra o composto non identificati sopra o vicino al corpo. Una vicina telecamera per il monitoraggio del traffico che inquadrava il cancello d'entrata mostrava che dopo il tramonto nessuno era entrato o aveva lasciato la proprietà nella direzione della strada.

La teoria avanzata - da Alec Cunningham, notò Sherlock - era che la morte di Billie Kirwan fosse stato uno sfortunato incidente conseguenza della scoperta da parte della cameriera di alcuni ladri. C'era stata un'ondata di furti nella zona recentemente. Tutti in splendide, dimore storiche come quella appartenente ai Cunningham, e il giovane Cunningham aveva insistito ostinatamente nel dire che questo era solo un altro crimine attribuibile agli stessi malviventi, anche se con un più terribile finale.

Sally sembrava d'accordo con quella teoria e una buona parte del file era composta di copie dei rapporti degli altri casi: cinque in totale nell'arco dei precedenti quattro mesi, tutti perpetrati mentre i padroni di casa erano assenti.

Sherlock diede un'occhiata veloce ai rapporti e poi, con un movimento improvviso, gettò via i documenti usando una mossa segreta che consisteva in una notevole torsione del polso e della quale andava discretamente fiero. Il fascicolo scivolò lungo il pavimento e si infilò sotto il divano, fuori dalla vista.

"Sherlock!" lo rimproverò John, chinandosi per recuperare il file. "Non è così che vorresti che gli altri trattassero le tue prove, no?"

"Bah," Sherlock scartò l'idea. "Quei documenti saranno inutili quando vedremo la scena del crimine e interrogheremo i residenti. Sarei davvero sorpreso se non ci fosse qualcosa che nelle indagini preliminari è stato dimenticato. E attribuire questo alla banda di ladri che evidentemente si aggira lì intorno mostra una mente particolarmente poco creativa, la qual cosa - suppongo - è poco sorprendente visto che l'investigatore incaricato è Sally."

John lo ignorò e si mise a sfogliare i rapporti. "Cosa ti fa pensare che non abbiano relazione con il caso? Cinque furti in un quartiere agiato sembra una pista di cui dovresti tener conto."

"Nei casi precedenti, i ladri si erano assicurati che nessuno fosse presente prima di entrare."

"Forse pensavano che la casa fosse vuota e hanno semplicemente commesso uno sbaglio."

"In questo caso sono riusciti a non accorgersi della presenza di tre individui. È molto più di un 'semplice errore', non sei d'accordo?"

John lo guardò, la fronte corrugata in quella maniera che non mancava mai di far desiderare a Sherlock di spianarla con un dito. Si trattenne.

"Forse i ladri volevano a tutti i costi qualcosa che si trovava in casa e non potevano aspettare," rispose John, un po' testardamente, secondo l'opinione di Sherlock. "Non dovresti tener conto di ogni prova disponibile?"

"Molto bene," disse Sherlock, di malavoglia, sventolando la mano verso i documenti. "C'è qualche schema negli oggetti rubati dai ladri?"

John diede un'occhiata ai rapporti. "Be', si tratta soprattutto di dipinti. Qualche gioiello di famiglia. Tutto il denaro a portata di mano. Un uomo di nome Pirie ha perso il busto antico di Nefertiti che aveva posizionato in biblioteca e un grosso rubino che aveva messo al sicuro nella camera da letto."

Passò ad un altro rapporto. "Nel caso degli Acton, solo lo studio è stato rovistato e i ladri se ne sono andati con un volume di Homer, due candelabri placcati, un fermacarte, un barometro di quercia e un rotolo di spago."

"Notevole," disse Sherlock con aria assente, la mente che faceva un balzo in avanti. Gli fece eco saltando in piedi con entusiasmo, pronto a iniziare la caccia.

Sfortunatamente, il balzo in piedi fece in modo che il prurito che sentiva in gola scavalcasse i confini sotto forma di un breve e secco colpo di tosse. Fece del suo meglio per camuffarlo in modo da far sembrare che si stesse semplicemente schiarendo la gola, ma poté vedere che John non l'aveva bevuta.

Il dottore lo scrutò sospettosamente, la fronte nuovamente corrugata. "Da quant'è che ce l'hai?"

"Un giorno o due," disse Sherlock con noncuranza. "Nulla di cui preoccuparsi. Abbiamo una scena del crimine da investigare. Andiamo!"

John non si mosse ma incrociò le braccia e sollevò le sopracciglia come stesse considerando la situazione. "Sciroppo per la tosse," disse infine. "Prenderai lo sciroppo per la tosse prima di andare, giusto per stare tranquilli. Non meraviglierai nessuno con i tuoi monologhi deduttivi se sputi fuori un polmone nel bel mezzo di una frase."

"Io non faccio monologhi," disse Sherlock in tono offeso. "E sono molto lontano dal punto di 'sputare fuori un polmone', come dici tu."

John borbottò vagamente. "Continueresti a lavorare anche se fossi all'ultimo stadio di tubercolosi acuta."

"Adesso stai facendo il drammatico."

Vedendo che John non aveva intenzione di cedere, emise un sospiro teatrale di sconfitta e si voltò per salire le scale verso la stanza di John. "Bene," disse, testardo. "Ma uso la tua scorta."

Sorrise mentre John sbuffava alle sue spalle. "Come tu ne avessi una."


**


Sciroppo per la tosse preso e promessa di rivelare eventuali altri sintomi estorta, arrivarono di fronte alla tenuta dei Cunningham.

Era un'enorme, cupa struttura - barocca, in apparenza - situata ben discosta dalla strada. Un muro fatto degli stessi mattoni scuri correva lungo il perimetro della proprietà e rafforzava l'impressione di intensa privacy. Perfino il rumore del movimento sulla strada trafficata dove era situata la casa sembrava fermarsi al limite previsto.

La qual cosa, pensò Sherlock, era eccellente in quanto si poteva sperare che facesse smettere anche il tormentato suono di un violino suonato da qualcuno poco più in giù nella strada.

L'uomo vide la sua (sofferente) occhiata e la interpretò come un invito ad avvicinarsi. Era vestito a strati, con vestiti piuttosto vecchi, in varie tonalità di marrone e un cappello a larghe falde calcato sugli occhi. Sherlock era pronto a passargli oltre quando notò che lo spazio intorno alla custodia del violino indicava la frequente presenza dell'uomo in quel particolare tratto di marciapiede.

Il violinista fece un piccolo salto a tempo con la melodia che stava suonando, avvicinandosi, e smise misericordiosamente di suonare mentre si fermava di fronte a loro, inchinandosi con fare teatrale.

"Buon pomeriggio, signori," disse con accento marcato e sorriso affascinante. "Gradite una melodia? Magari qualcosa che vi sollevi lo spirito in una così gelida giornata?"

"Hmm," disse Sherlock, noncurante. "Quello che ci solleverebbe lo spirito è qualunque tipo di informazione ci può provvedere riguardo quella residenza laggiù."

L'uomo sembrò confuso per un momento finché John non fece un gesto verso la proprietà dei Cunningham.

Fece un ampio sorriso quando capì a che residenza ci si riferiva. "Ahh, volete una storia di fantasmi?"

"Storia di fantasmi?" gli fece eco John.

"La tenuta è infestata, sapete?" Si sporse verso i due, alito fetido e cappotto cencioso che puzzava di muffa. Sherlock fece immediatamente un passo indietro e notò - con divertimento - che John stava fermo al suo posto, con le ginocchia bloccate in quello che era indubbiamente un senso dell’educazione profondamente radicato.

Il violinista proseguì: "Era il 1840. Un donna e la sua bambina furono trovate brutalmente assassinate in quella casa. Erano da sole in una piccola stanza all'ultimo piano che era stata chiusa a chiave dall'interno, con una sola chiave esistente, ma in qualche modo alla donna - anche lei una cameriera, se non ricordo male - era stata quasi staccata la testa. E la sua povera bambina era stata strangolata e ficcata nel camino."

"È terribile," disse John con sincerità. Poi, perché ci si aspettava che lo chiedesse, "L'assassino è stato preso?"

Il violinista sorrise con ferocia, un bardo tutto preso dall'intrecciare un racconto per il suo pubblico. "Nient'affatto, signori, è questa la parte più tragica. La polizia dell'epoca non riuscì a capire come avesse fatto l'assassino ad entrare e uscire dalla stanza chiusa così come non poté dedurre chi fosse quel demonio."

Si fece ancora più vicino e abbassò la voce. "E probabilmente si trattò davvero del diavolo."

A dramma concluso, fece un passo indietro e riprese un tono di conversazione. "C'è chi dice che l'intero posto sia infestato. Era posseduto allora ed è posseduto oggi, prima dai fantasmi di quelle due tristi vittime e ora quella terza servetta. Se io fossi in voi, signori, starei molto lontano dalla casa e dalla famiglia che ci vive."

Sherlock alla fine trovò qualcosa di interessante nel racconto dell'uomo. "Oh? Che cosa sa dei Cunningham?"

Il violista storse il viso con disgusto. "Brutte storie, per lo più. In particolare sul vecchio. Ho sentito certi racconti dei domestici di quella casa - quelli che c'erano prima, intendiamoci - da farmi venire la pelle d'oca."

"Dubito dell'accuratezza della sua affermazione, ma capisco il significato implicito," rispose seccamente Sherlock. "Nello specifico cosa ha sentito?"

Per la prima volta da quando li aveva avvicinati, l'uomo si fece quieto. Rivolgendo loro un lungo sguardo pensieroso, sorrise cauto e poi distolse lo sguardo, come imbarazzato.

"Be', ecco, io non sono altro che un povero musicista, no? Tutto ciò che possiedo è il vestito che ho addosso, il mio violino e la mia parlantina, come vedete."

Sherlock sollevò le sopracciglia. "Ha un appartamento a Barking, una donna che vive con lei e come minimo due figli," disse senza mezzi termini. L'uomo lo guardò a bocca aperta, scioccato. "Nondimeno, le daremo venti sterline se le sue informazioni si riveleranno utili oltre che divertenti."

"Err, sì," disse l'uomo, preso alla sprovvista. Si ricompose rapidamente, le tracce del commediante svanite in vista del potenziale profitto. "Ho sentito da un mio amico - lavorava lì facendo consegne e roba simile prima che lo licenziassero - che il vecchio Cunningham si prende delle confidenze con le dipendenti donne, se capisce quello che intendo. Non che sia una cosa strana, voglio dire, ma Cunningham è peggio di molti altri. Non accetta un no come risposta e non si fa scrupoli a minacciare chiunque potrebbe accusarlo."

"Minacciare in che modo?" chiese Sherlock.

Il violinista si strinse nelle spalle, la sua attenzione catturata da un gruppo di turisti che camminavano con calma verso di loro. "Eh, grazie al denaro. Insinua che ha degli amici influenti in posti influenti e che ognuno di loro sarebbe lieto di rovinare la vita a qualcuno, su sua richiesta. Dice che tiene la polizia in tasca."

Si volse verso di loro e porse il palmo della mano con aspettativa. Sherlock gli mise in mano l'ammontare promesso ma non lasciò subito la presa.

"Altro?" chiese, socchiudendo gli occhi.

"Il figlio, Alec. È irascibile come suo padre, da quanto ho sentito. Ma fatelo bere e vi stordisce di chiacchiere. Voci dicono che per la compagnia gli affari non vanno bene come invece vorrebbero far credere. Naturalmente," sorrise di nuovo, "io sono solo un povero violinista, no?"

Sherlock lasciò la banconota e l'uomo la fece scivolare nella tasca del suo cappotto. Riprese la sua facciata baldanzosa mentre puntava sui turisti.

"Dentro, subito," disse Sherlock tra i denti. "Quell'uomo è una minaccia per ogni amante della musica."

John rise ma si sbrigò lo stesso a seguirlo giù per il viale. "Davvero? Pensavo che il suo modo di suonare somigliasse un po' al tuo."

Ricevette in risposta un'occhiata fulminante.


**


Sally li aveva battuti sul tempo, della qual cosa Sherlock fu vagamente impressionato, visto che lui non aveva avvisato nessuno del suo arrivo.

Era nello studio, appollaiata cautamente su un divano troppo imbottito, una fragile tazza da tè - già freddo, a giudicare dall'assenza del vapore - tenuta con cura in mano. Appariva stranamente nervosa.

Davanti a lei stavano sedute due donne. La prima, che Sherlock identificò con Edith Cunningham, era una donna dall'ossatura robusta e lo sguardo duro, con capelli grigi tirati indietro in una stretta e intricata crocchia. Le sue labbra sottili erano serrate in un'espressione di condanna, fosse per la sua conversazione con Sally o per la situazione in generale. Sherlock avrebbe scommesso sull'ultima.

La seconda era una donna di mezza età, molto fragile e con acquosi occhi blu che saettavano con aria assente da un punto all'altro della stanza mentre sorseggiava da quella che pareva essere una tazza vuota. Presumibilmente Delia, la svampita moglie di Edgar e madre di Alec. Si riscosse quando Sherlock entrò nella stanza e si dileguò attraverso una seconda porta che dava in quello che probabilmente era il salotto. Nessuno si mosse per fermarla.

"Mm, questi devono essere i suoi colleghi, sergente Donovan," disse Edith Cunningham. Il suo sguardo era freddo e calcolatore.

"Sì, signora," rispose Sally con un sorriso forzato che non le raggiunse gli occhi. "Uno dei nostri consulenti, Sherlock Holmes, e il suo collega, il dottor John Watson."

Mentre John eseguiva lo scambio di saluti che l'educazione richiedeva, Sherlock esplorò la stanza, ignorando lo sguardo critico di Sally. Aveva deciso di tenere su il cappotto entrando in casa, dove uno spiffero gelido gli provocò un brivido lungo la spina dorsale, e lui ficcò le mani più profondamente nelle tasche mentre scorreva con gli occhi la libreria. Dalla conversazione ricavò che Alec ed Edgar Cunningham erano fuori in ufficio ma che Alec aveva progettato di arrivare a casa presto per rispondere ad ogni domanda rilevante a proposito della nottata in questione.

"Sherlock," disse Sally a denti stretti, la voce lievemente inceppata dall'uso del suo nome di battesimo. "Non ti unisci a noi? Stavo giusto aggiornando Mrs. Cunningham sui progressi nell'investigazione."

Sherlock si concesse altri trenta secondi per tirare giù un libro ed esaminarlo (per rendere chiaro a Sally che non doveva in alcun modo prendere l'abitudine di dargli ordini) prima di prendere posto su una sedia imbottita dall'odore stantio, con un gesto teatrale.

La polvere che si sollevò a causa del movimento gli fece prudere il naso, ma la presenza di Sally lo costrinse a trattenere lo starnuto.

Prima che Sally potesse riprendere il suo chiacchierio, lui si intromise.

"Lei ha trovato il corpo, corretto?" chiese bruscamente a Mrs. Cunningham.

Lei sollevò un sopracciglio imperioso. "Corretto."

"A che ora?"

"Poco dopo l'una e trenta del mattino." Fece una pausa significativa. "Credo di aver già detto alla polizia tutto ciò che potevo sapere che fosse di una certa rilevanza."

"Sono certo che lei abbia detto alla polizia tutto ciò che ritenevano fosse rilevante, d'altro canto, se fossero riusciti ad estrarre ogni fatto considerevole, sarei decisamente sorpreso."

John si intromise. "Ci sarebbe d’aiuto sentirli da lei direttamente, signora," disse in tono conciliante, lanciando a Sherlock uno sguardo di rimprovero che lui decise immediatamente di ignorare.

Mrs. Cunningham sembrò placata, ma Sherlock poté vedere che Sally guardava torvamente nella sua tazza da tè.

"Molto bene," disse Mrs. Cunningham, con dignità. "Faccia le sue domande."

"Lei ha detto alla polizia che si è recata al piano di sotto a quell'ora per una tazza di latte che la aiutasse a dormire. È rimasta sveglia per molto tempo prima di trovare il corpo?"

"Stavo leggendo nella mia camera," affermò lei come se pensasse che lui avesse sottinteso qualcosa di offensivo.

"Tutta la notte?"

"Approssimativamente dalle nove, quando mi sono ritirata nella mia stanza, fino a quando ho trovato Miss Kirwan."

"Aveva la luce accesa?" chiese Sherlock.

"Naturalmente," disse lei, alzando un sopracciglio. "Sarebbe stato difficile leggere altrimenti."

"E qual è la sua stanza?"

"Non riesco a capire lo scopo di queste domande, detective," rispose lei con impazienza.

"Mi sto semplicemente chiedendo, signora, se la luce della sua camera sarebbe risultata visibile ad eventuali ladri che cercassero di entrare. Qualsiasi luce, anche quella di una lampada da lettura, li avrebbe avvisati della presenza di persone nella residenza."

Mrs. Cunningham fece una pausa. "Ci sono stati dei periodi durante la notte in cui ho spento la lampada per cercare di dormire."

"E c'è riuscita?"

"No," disse, socchiudendo gli occhi. "Per questo ho sentito la necessità di una bevanda calda."

"Ha sentito qualcosa durante la notte? Qualche rumore insolito?"

"Certamente no. Avrei avvisato la polizia se mi fosse venuto in mente qualcosa che avevo dimenticato di dire."

"Ha magari sentito il suono di Miss Kirwan che si muoveva in casa? Visto che l'ha trovata nell'atrio completamente vestita, molto probabilmente è stata in piedi l'intera notte."

Mrs. Cunningham non rispose subito e, per la prima volta da quando era entrato nella stanza, guardò Sherlock con qualcosa di più di un malcelato disprezzo.

"Mi sono assopita ogni tanto," disse alla fine. "È possibile che non abbia udito il rumore di Miss Kirwan con i ladri in questa particolare occasione. Mi rincresce di non poter essere di maggior aiuto."

Sally parlò per la prima volta durante il colloquio, chinandosi in avanti sul divano mentre si rendeva conto dell'insinuazione nella frase di Mrs. Cunningham. "Crede che Billie Kirwan fosse in combutta con loro?"

"Non ne sarei sorpresa," rispose, rigida, Mrs. Cunningham. "Era una ragazza furtiva, sempre ad appostarsi dietro gli angoli. Edgar l'ha assunta andando contro il mio giudizio."

"Sì," subentrò nuovamente Sherlock. "Capisco che Mr. Cunningham sia responsabile della maggior parte delle assunzioni. Del personale femminile, almeno."

Il volto di Mrs. Cunningham si congelò in una rabbia fredda e improvvisa. "Cosa sta insinuando esattamente, signore?"

"Sta zitto, Sherlock," sussurrò John da un angolo della bocca.

"Sto insinuando che suo figlio è conosciuto per intrattenere relazioni inappropriate con il personale femminile della tenuta, potenzialmente relazioni non consensuali," disse in tono piatto, gli occhi puntati sul volto di Mrs. Cunningham per scoprire ogni segnale di colpa o di imbarazzo.

Non ce n'era nessuno. Oppure, se c'era, era coperto dalla stessa gelida rabbia che era apparsa quando prima aveva menzionato suo figlio.

Si alzò. "Sergente Donovan, voglio parlare con il suo supervisore immediatamente. Questo colloquio è terminato." E detto ciò marciò fuori dalla stanza, la schiena dritta e rigida, e il bastone che le conferiva l'aspetto di una regina, più che di un'invalida.

"Argh!" Il suono di disgusto e frustrazione di Sally suonò alto nello studio. "Ti ammazzo! Ti rendi conto di quanto hai messo in pericolo questo caso?! Lo so che vai matto per i piccoli, sordidi segreti nascosti, ma avevo sperato che tu riuscissi a trattenerti se te lo chiedeva Lestrade!"

"Le voci su molestie sessuali nei confronti del personale della tenuta sono importanti al fine dell'investigazione," sostenne Sherlock, la voce chiara e concisa. "Se non volevi che investigassi, non avresti dovuto chiedere il mio aiuto."

Le mani di Sally si aprivano e chiudevano ad intervalli irregolari, senza dubbio desiderose di serrarsi intorno al suo collo. Invece, prese il suo cellulare, la faccia disgustata mentre navigava tra i contatti. "Sparisci dalla mia vista prima che io prenda l'attizzatoio e faccia qualcosa che non ti piacerebbe."

Mentre Sherlock si allontanava a grandi passi verso la porta, lei lo chiamò. "Ancora meglio, vai del tutto fuori dalla casa. Non ho bisogno che innervosisci qualcun'altro mentre io sistemo il casino che hai combinato."

"Bene," disse lui, a denti stretti, proiettandosi verso la porta a passo svelto.

John lo aveva seguito, ma si fermò nella veranda all'ingresso guardandosi indietro con incertezza.

"Penso di poter prendere le tue difese, se si dovesse arrivare a questo," disse con tono sarcastico.

Sherlock si arrabbiò. "Sono perfettamente in grado di difendermi da solo," rispose, irritato.

"Hmmm," borbottò John, evasivo, tirando fuori il suo cellulare, senza dubbio in un tentativo di contattare  lui stesso Lestrade. Quando guardò in su verso Sherlock, si accigliò. "Va a sederti a sbollire in un café o altro. Un qualche posto caldo. Non hai bisogno di camminare fuori con questo tempo."

Senza attendere la risposta di Sherlock, si voltò e tornò dentro casa, chiudendo accuratamente la porta dietro di lui.

"Quello che non mi serve è una balia," disse alla porta.

Aveva notato un café in fondo alla strada quando erano arrivati nel quartiere. Sollevando il collo del cappotto per proteggersi dal vento, si voltò con risolutezza e iniziò a camminare nella direzione opposta.


**


Fu alla terza volta che passava su e giù lungo la strada che notò il piccolo parco cinto da mura, con il cancello arrugginito. D'impulso, lo spinse per aprirlo ed entrò.

Dentro era completamente deserto e reso ancor più malinconico dal parco giochi abbandonato e dalle panchine sparpagliate sotto gli alberi spogli e nell'erba secca. Il vento soffiò con forza per un momento, un dito di ghiaccio giù per la nuca, e lui sprofondò più a fondo nel cappotto, ordinando ferocemente a sé stesso di non tremare.

Il cielo aveva il colore dell'acciaio. La solida coperta di nuvole poteva sembrare soffocante nella sua vicinanza, ma l'impressione che dava la scena nel suo insieme era di un'intensa solitudine.

I rami secchi di un'edera morta da tempo si avvinghiavano tenacemente alla staccionata intorno al piccolo parco chiudendo fuori segnali di vita e abitazioni che cercavano di spingersi dentro. Anche se c'erano case e negozi ad appena un paio di metri, erano come rimossi.

Camminò lentamente lungo il sentiero, calciando con noncuranza i mucchi di foglie con cui i suoi piedi venivano a contatto. Fu momentaneamente tentato dall'idea di un giro sulla giostra quando si ritrovò improvvisamente a trasalire.

"Che fai qui?" venne una voce da dietro di lui. Si girò rapidamente, il cuore in gola per la frase completamente inaspettata, e vide una donna che sedeva tranquillamente su una delle panchine del parco.

"Sto pensando," replicò in ritardo con voce brusca, i battiti del cuore che rallentavano mentre il suo corpo elaborava che non c'era pericolo.

"Be', forse dovresti sederti. Farsi del male non stimola i processi mentali,” disse la donna, suonando divertita.

Sembrava sulla cinquantina ma portava la sua età estremamente bene, con soltanto delle piccole rughe intorno agli occhi e alla bocca che la tradivano. I suoi occhi erano di un grigio tempestoso che ricordavano le nuvole di un temporale, i suoi capelli avevano un colore simile. In contrasto con la sua pelle chiara, l'effetto era impressionante. Dava l'impressione di qualcosa di sbiadito, pallido e delicato, come una vecchia fotografia. Ma per tutto questo era bellissima.

Senza averlo coscientemente pensato, Sherlock si ritrovò seduto accanto a lei sulla panchina.

Aveva i capelli tirati su in un elegante chignon e tenuti fermi da una forcina con una pietra di un profondo blu all'estremità. Spiccava vividamente sullo sfondo grigio e gli occhi di Sherlock non poterono far altro che perdercisi. Gli strappava qualcosa nella memoria, anche se non riusciva a capire esattamente perché.

Lei sembrava così profondamente triste, e ciò lacerava qualcosa dentro di lui.

"Cosa fa qui?" chiese Sherlock. "Non è esattamente il genere di tempo in cui godersi un parco."

Il suo piccolo sorriso in risposta alla sua affermazione rivelava che lei ne aveva riconosciuto l'ironia, ma non glielo fece notare.

"Mi piace questo periodo dell'anno," disse quietamente.

"Ci vedo molto poco che possa essere catalogato come piacevole."

"Lo trovo pacifico," rispose lei, sorridendo lievemente.

Il vento si insinuò nuovamente attraverso il cappotto di Sherlock, che tremò leggermente. La sua compagna sembrò non accorgersi del freddo.

"Non voglio intromettermi nella sua solitudine," disse, preparandosi ad alzarsi.

La mano di lei, delicata e dalle ossa sottili come la sua, si chiuse sul suo polso, gentile come quella di una madre. Le dita erano terribilmente gelide, e lui automaticamente mise le mani attorno a quelle di lei per scaldarle. Per un istante, la sensazione di qualcosa di elettrico sembrò passare attraverso di loro.

"Stai come me per un po'," disse, guardando in su verso di lui con i suoi occhi tristi. "Qui trascorro il mio tempo in pace, ma anche così in solitudine. La tua compagnia sarebbe ben accetta."

Qualcosa nella forma dei suoi occhi toccò qualcosa nella memoria di Sherlock più di quanto avesse fatto il suo ornamento tra i capelli, e lui si ritrovò ancora una volta seduto sulla panchina.

"Posso rimanere solo per un po'," disse. La voce gli uscì contrita nonostante avesse inteso farla suonare severa.

Lei gli sorrise, semplicemente, prima di volgere lo sguardo al parco vuoto e rimuovere le sue mani, lasciando l'area che aveva toccato ancor più fredda: un piccolo punto di gelo intenso che sembrava diffondersi attraverso il suo corpo. Sherlock resistette all'impulso di sfregarsi le mani mentre il calore sembrava gli fosse improvvisamente succhiato via.

Sedettero insieme in un silenzio pieno di pace.





Nota del traduttore. Questo - a mio avviso - splendido racconto conta tre capitoli. Il secondo lo sto traducendo in questi giorni e spero di potervelo far leggere presto, in ogni caso non prima di fine mese, mi sa. *sospira* Se doveste trovare errori nella mia traduzione, siate gentili e fatemelo sapere. Spero comunque di aver fatto un buon lavoro, questa fanfic e l'autrice se lo meritano proprio.

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Capitolo 2
*** 2. ***


Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono creazioni della premiata ditta Moffat/Gatiss. I diritti appartengono alla BBC e la seguente fic non vuole lederli in alcun modo. L'autrice non guadagna niente dalla pubblicazione della stessa.

Note dell'autore. Questa storia è un adattamento in chiave moderna de "L'enigma di Reigate" mixato con una rielaborazione del fantasma che in XXXHolic compare negli episodi "Temptation" e "Choice". E, giusto per far vedere quanto sono brava a plagiare, c'è pure un pizzico di Poe.

(Traduzione a cura di Madame Butterfly - link al permesso di traduzione qui - la storia originale la potete trovare a questo indirizzo. E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)







2.




"Dove sei stato?" Si affrettò a chiedergli John, quando fece nuovamente il suo ingresso nella casa dei Cunningham, un'ora più tardi. "È mezz'ora che ti chiamo."

"Ero nel parco a sbollire, come mi hai suggerito tu," replicò Sherlock. "Ho visto la macchina nel viale. Suppongo che il giovane Mr. Cunningham sia arrivato a casa. Dov'è?"

John lo ignorò. "Sei stato all'aperto per tutto questo tempo?" chiese, inorridito. "Sherlock, si gela e tu sei malato! Non puoi startene seduto fuori con questo tempo. Non hai un minimo di istinto di conservazione?"

"Non sono malato," disse Sherlock, brusco, nonostante si fosse improvvisamente accorto di sentirsi decisamente male.

"Oltretutto, c'è un caso di omicidio che ci aspetta, se volessi essere così gentile da toglierti dalla porta." John non si mosse.

"Sei pallido," disse invece, scrutandolo con sospetto.

"Sono sempre pallido," replicò Sherlock.

"Be’, più pallido del solito," si corresse John. "Sei certo di star bene?"

"Non immaginavo che quando ho accettato di essere il tuo coinquilino avrei ottenuto una madre oltre alla tranquillità economica," disse Sherlock con tono piatto, stringendo gli occhi per rendere chiaro a John che quella linea di conversazione era chiusa. "Come ho potuto essere così fortunato?"

John alzò gli occhi al cielo. "Okay, è chiaro che stai bene. Fammi sapere se ci sono cambiamenti."

Era evidentemente un ordine più che una richiesta, un tocco del passato militare di John che si manifestava, e Sherlock trattenne un sorriso.

Agitò una mano con noncuranza. "Hai la mia parola che sarai la prima persona a cui lo riferirò. Ora potremmo tornare all'omicidio?"

John sospirò, rassegnato. "Lestrade ha appianato le cose insistendo che il tuo carattere aspro è uno spiacevole ma necessario effetto collaterale della tua genialità. Alec Cunningham ti sta aspettando nella biblioteca per rispondere ad ogni domanda, ma cerca di mantenere dei toni quantomeno civili, stavolta. Lestrade inizia a sembrare un po'... logorato. Suppongo gli sia stato richiesto di fare frequentemente rapporto sui progressi dell'investigazione ai suoi superiori."

"Gli forgerà il carattere. Ora possiamo andare?"

John, nell'entrata, si inchinò con ironia. "Ai suoi ordini."

Sherlock fece un sorrisetto. "Appunto."


**


Alec Cunningham aveva poco più di vent'anni, anche se era chiaro dai suoi abiti e dall'abitudine di appoggiarsi contro il caminetto in modo languido che preferiva apparire più vecchio ed annoiato. Anche Sally si trovava nella stanza, la sua postura aggressiva faceva ben capire la sua intenzione di fare da chaperon a  Sherlock.

Come sua nonna, il ragazzo ripeté ubbidientemente le informazioni che aveva dato alla polizia durante il colloquio iniziale:

Lui e suo padre erano rimasti a lavorare fino a tardi nei loro uffici la notte dell'omicidio e non erano tornati fino alle due di notte circa, dopo aver ricevuto una chiamata da Edith. Quando erano arrivati, la polizia era già sulla scena.

Sì, sono stati in ufficio e alla presenza l'uno dell'altro per l'intera nottata.

No, non c'era nessuno che potesse confermarlo visto che i dipendenti - non essendo gravati dalle molte responsabilità della gestione - se n'erano andati al solito orario, le sei del pomeriggio.

Il colloquio continuò su questo tono finché Sherlock non fece allusione alle voci sull'imminente rovina finanziaria che aveva avuto dal violinista.

Il viso di Alec si chiazzò di un rosso vivo. "Questo è ridicolo! La Cunningham Shipping and Export non è mai stata così redditizia."

"Forse," disse Sherlock, serenamente, "ma redditività non vuol dire solvenza finanziaria. Sono a conoscenza del fatto che la sua compagnia ha di fronte vari creditori scontenti." Aveva cercato brevemente notizie sulla compagnia mentre tornava dal parco. L'informazione non era stata difficile da reperire, ma l'occhiata che Alec gli lanciò aveva qualcosa di molto simile al panico.

"Quelle sono voci messe in circolo da individui senza scrupoli al soldo della concorrenza. Sono offensive e senza fondamento," disse con fermezza. Troppa fermezza, sembrò a Sherlock. Del sudore stava iniziando a scendergli dalle tempie.

"Inoltre non sono pertinenti con l'investigazione in corso," disse Sally, senza dubbio nel tentativo di minimizzare le possibilità di ulteriori reclami a Lestrade riguardo la mancanza di tatto di Sherlock. Al suo intervento, Alec si calmò immediatamente.

"Ci sono altre domande?" chiese, adottando ancora una volta il tono stanco di chi è obbligato a fare qualcosa.

"Sì," intervenne John, a sorpresa. "In che stanza dormiva Miss Kirwan?"

Le sopracciglia del giovanotto si sollevarono, un po' sorpreso, ma non rispose immediatamente. "Aveva una piccola stanza al quarto piano nell'ala nordest della casa. Ora abbiamo finito?"

"Sì, è tutto," disse bruscamente Sherlock, ignorando l'occhiata significativa che John gli stava rivolgendo. Si voltò verso la porta, John lo seguì da vicino.

"Grazie per il suo tempo, signore," sentì Donovan che diceva, con educazione, mentre porgeva ad Alec il suo biglietto da visita. "Se ricorda qualcos'altro che potrebbe essere d'aiuto per le indagini, mi contatti, la prego."

"Dove stai andando?" chiese John, suonando irritato mentre faticava a tenere il passo rapido di Sherlock.

"Vado ad esplorare il terreno," rispose bruscamente, camminando ancora più velocemente per prevenire le proteste che, ne era certo, sarebbero giunte. Stava iniziando a sentirsi agitato e sulle spine, come febbricitante, anche se la sua pelle rimaneva fresca al tatto e si ritrovava a tremare spesso.

"E non un'altra parola sulla temperatura. Non sono un invalido, ed è vitale per l'investigazione."

Sentì John mormorare un’imprecazione mentre si sbrigava a seguirlo.


**


Ci volle un'altra ora per eseguire un esame superficiale del terreno intorno alla casa, cercando le orme dei ladri in fuga.

Non c'erano impronte da trovare, la qual cosa non sorprese affatto Sherlock. Come spiegò a John mentre camminavano - la voce quasi ansante, della quale fortunatamente John sembrò non accorgersi - c'erano decisamente troppe intriganti ragioni per la disfunzionale famiglia Cunningham per cancellarle come sospette, malgrado quello che la polizia poteva preferire.

Mentre camminavano lungo il retro della casa, Sherlock vide John che guardava in su verso l'ultimo piano dove, vicino al camino, c'era una piccola finestra. Aveva l'aria frustrata.

"Dubito che il Diavolo viva in una stanzetta d'angolo nell'Hampstead," disse Sherlock in tono di conversazione.

John gli lanciò un'occhiata. "Non ho paura del Diavolo," disse. "Ma rimane il fatto che una donna e sua figlia sono state assassinate in quella stanza nel 1841 e che la polizia non ha mai trovato il colpevole. Non hanno mai nemmeno scoperto come sia successo: la stanza era chiusa dall'interno e non era possibile accedere dalla finestra per via dell'altezza della casa."

All'occhiata maliziosa di Sherlock, arrossì leggermente ma non distolse lo sguardo. "Non sei l'unico ad avere uno smartphone. Ho dato un'occhiata all'archivio giornalistico," si difese. "Qualunque cosa sia successa in quella casa potrebbe avere un collegamento con il nostro caso."

Sherlock sbuffò. "Non voglio negare l'importanza delle ricerche scrupolose, ma in questo caso stai sprecando il tuo tempo. Un duplice omicidio vecchio di 150 anni non ha alcuna attinenza con l'investigazione in corso."

"Entrambe le vittime erano delle domestiche donne sulla ventina."

"La maggior parte delle domestiche in questa zona sono donne e, per quanto ne so, tutte le donne avranno o hanno avuto vent'anni, ad un certo punto della loro vita."

"Entrambe le vittime sono morte per via di una brutale violenza fisica."

"La morte di Miss Kirwan è stata il risultato della caduta dalle scale, che le ha spezzato il collo. Senza la caduta, difficilmente il colpo alla testa l'avrebbe uccisa," gli rammentò Sherlock. "Anche se il risultato finale si può definire brutale, la violenza fisica sulla sua persona è stata minima."

John appariva pensieroso, ma non convinto. "Potrebbero lo stesso essere collegati, Sherlock. Due omicidi irrisolti nella stessa casa, in una zona non soggetta a crimini è qualcosa di più di una coincidenza."

"Allora come pensi siano collegati?"

"Io... non ne sono certo. Magari c'è un segreto che la famiglia Cunningham mantiene da generazioni e che non vogliono sia rivelato. O magari c'è un oggetto di valore che si dice sia nascosto da qualche parte all'interno della casa. O forse esiste un passaggio segreto."

"Un passaggio segreto?" chiese Sherlock, divertito. "Stai di nuovo leggendo romanzi gotici?"

John rifiutò di abboccare. "La porta della stanza dove la donna e sua figlia furono uccise era chiusa dall'interno e non c'erano altre chiavi. Come ti spieghi che l'assassino sia riuscito ad andare e venire senza essere visto? A meno che tu non voglia appoggiare la tesi che sia stato il Diavolo."

"Ovviamente l'assassino deve essere entrato dalla finestra."

"Al quarto piano?!"

"Magari è stata una scimmia," disse Sherlock, sbrigativo. "Il punto è che al momento non importa come siano state assassinate, perché Billie Kirwan è stata uccisa in un modo completamente diverso, in una stanza completamente diversa e in un secolo completamente diverso. Cerca di mantenere la mente sul problema in questione, se sei capace di concentrarti."

"Bene," disse John, freddamente, camminando rigido verso l’ingresso della casa, mentre completavano il giro.

Il sole aveva iniziato a tramontare e l'aria odorava di neve: quel profumo aspro e frizzante con un sottofondo di ozono che, una volta inalato, sembrava rubare tutto il calore corporeo. Sherlock guardò rientrare il suo amico e sentì un nodo di freddo insediarsi con forza nel petto. Tossì, il suono inghiottito dall'aria del crepuscolo.


**


Divisero un taxi per tornare all'appartamento, ma fu un viaggio silenzioso, con Sherlock che rimuginava sul caso e John che osservava il cielo notturno fuori dal finestrino.

Quando arrivarono a Baker Street, Sherlock si aspettò quasi che John lo spingesse in cucina insistendo che mangiasse un boccone, invece disse vagamente qualcosa a proposito del volersi godere l'aria notturna (ovviamente una scusa) e sparì giù per le scale. Il piccolo grumo di ghiaccio che si era insediato nel petto di Sherlock sembrò farsi più pesante nel momento in cui John sparì dalla sua vista e d'improvviso si sentì completamente esausto.

Trascinarsi su per le scale gli costò un tremendo sforzo e lui collassò sul letto completamente vestito, cappotto e sciarpa avvolti strettamente intorno a lui. Il freddo che pareva non dargli tregua lo costrinse a calciar via le scarpe e seppellirsi sotto le coperte. Dormì, il corpo che occasionalmente tremava ma senza svegliarlo.

I suoi sogni furono pieni di fiocchi di neve e della dolce voce di una donna che cantava una ninna-nanna, anche se non riuscì a ricordarne la parole una volta sveglio.

Il sole aveva appena iniziato ad illuminare il cielo quando si alzò. Si cambiò la camicia (rapidamente, poi si riavvolse immediatamente nel  cappotto), si sciacquò il viso in un accenno di igiene e poi corse su per le scale.

John stava chiaramente dormendo, la porta della sua stanza chiusa mentre Sherlock si fermava ad appenderci una nota.

Vado alla tenuta dei Cunningham. Raggiungimi appena puoi. SH

D'impulso aggiunse: Esaminerò la stanza della vittima per possibili indizi sul movente e sui punti d'accesso.

Se ne andò velocemente prima di cambiare idea.


**

I negozi stavano iniziando a sollevare le saracinesche, quando arrivò ad Hampstead. Avrebbe potuto dirsi che i Cunningham erano certamente a letto e che era quella la ragione per cui stava passando oltre la casa, ma aveva promesso a se stesso di non mentirsi mai.

Lei era già seduta sulla panchina quando arrivò al parco.

Gli sorrise con calore quando si sedette accanto a lei, prima di rivolgere nuovamente lo sguardo al parco giochi vuoto. Stavolta era coperta in uno scialle bianco che le si avvolgeva protettivo intorno al corpo, anche se dalla sua espressione non sembrava avesse freddo. Era evidentemente un capo di valore: ben fatto e con le fibre tessute con maestria.

Sedettero in silenzio per un po' prima che lei iniziasse a parlasse.

"Hai mai perso qualcuno, giovanotto?" chiese. Il suo sguardo era ancora fisso sulle altalene abbandonate e - nonostante il viso fosse tranquillo - Sherlock poté vedere che le sue mani erano strette fortemente insieme sotto lo scialle.

"Chi ha perduto?" chiese direttamente, invece di rispondere alla domanda. Si trattava di quel genere di domande inappropriate per cui John avrebbe fatto una smorfia, ma la donna non ebbe altra reazione che un'increspatura di dolore intorno agli occhi. Si prese un momento per rispondere.

"Mio figlio," disse infine. Era la risposta che Sherlock si aspettava. "È stato molto tempo fa. Immagino che avrebbe circa la tua età, se avesse passato l'infanzia."

"Mi dispiace," disse Sherlock. Le parole suonarono vuote, come sempre accadeva quando tentava di mostrare simpatia per le tragedie di persone che gli erano del tutto estranee, ciò nonostante si sorprese a pensare che diceva sul serio. Non era dispiaciuto per la morte di un bambino che non aveva mai incontrato, ma per la cicatrice indelebile che aveva lasciato sulla donna accanto a lui. C'era qualcosa in lei che risvegliava la sua simpatia.

"La perdita è un'emozione crudele," continuò lei, gli occhi ancora fissi sul parco giochi. "Non svanisce con il tempo, non importa quello che loro vogliono farti credere." Non specificò a chi si riferisse quel 'loro' ma Sherlock poté immaginarlo.

Lei continuò. "Credo che non abbia importanza quanti anni passino, il senso di perdita ferisce come il primo giorno. Come un coltello che si affila con ogni memoria."

C'erano delle lacrime sulle sue ciglia, anche se nessuna era caduta sulle guance, e Sherlock automaticamente distolse lo sguardo per un momento, a disagio con il suo evidente, anche se non apertamente manifestato, dolore.

Lei si voltò improvvisamente a guardarlo e lui fu colpito ancora una volta dalla sensazione di familiarità.

"Averti qui con me, ad ascoltare i miei ricordi, lenisce il dolore." Il suo sorriso era profondo e sincero, rischiarandole il viso per la prima volta da quando Sherlock l'aveva incontrata. "Grazie."

Sherlock non rispose ma allungò una mano a toccare la sua. Il suo scialle era incredibilmente soffice dove lo sfiorò con le dita e talmente freddo che avvertì un brivido salirgli lungo il braccio dal punto dove l'aveva toccato: una sensazione rapida e acuta, quasi di dolore, che poi sfumò in un dolore sordo facilmente ignorabile. Come punte di ghiaccio.


**

Quando arrivò alla tenuta dei Cunningham, John era già lì e - a giudicare dal suo linguaggio del corpo - era molto agitato.

Si trovava fuori dal portone d'ingresso e abbassò il cellulare quando vide Sherlock entrare dal cancello, sul viso un'espressione di intenso sollievo.

"Razza di deficiente! Dov'eri?" disse John, con veemenza. Il calore che Sherlock avvertì quando realizzò che era stato perdonato per il litigio del giorno prima fu tanto inaspettato quanto squisito.

"Perché sorridi a quel modo? Ho pensato ti avessero rapito, razza di bastardo ingrato." Sherlock si rese conto che aveva addosso un sorriso che poteva essere definito, nel più generoso dei termini, 'stupido' e si ricompose rapidamente.

"Stavo cercando un po' di quiete per rimuginare sul caso," disse Sherlock, che era abbastanza furbo da evitare per il momento di menzionare l’ulteriore ora trascorsa fuori dalla porta.

"Be', non sparirmi di nuovo," disse John. "La prossima volta che scappi senza rispondere al cellulare, chiamo tuo fratello."

La bocca di Sherlock emise un suono disgustato. "Le minacce non ti si addicono, John," disse entrando. Gli venne in mente che non gli era stata notificata nessuna chiamata persa mentre era nel parco, ma per il momento accantonò il pensiero per concentrarsi pienamente sulla questione in gioco.

Qualunque fosse la replica di John andò perduta quando Delia, la svampita moglie di Edgar, apparve all'improvviso di fronte a loro nell'ingresso.

I suoi pallidi occhi azzurri erano rossi e spalancati mentre li fissava dalla sua sorprendentemente scarsa altezza. Aveva i capelli spettinati ed era avvolta in una vestaglia blu come le uova di un pettirosso americano.

"Gli spettri," mormorò con urgenza. "Ci sono gli spettri nel camino. Quando cade la notte, si mettono a bisbigliare."

"Signora, si sente bene?" chiese John, sollecito. "Ha bisogno che chiamiamo qualcuno? Chiamiamo sua suocera?"

Lei scosse la testa violentemente, voltando la testa più che poteva, di qua e di là, in un gesto esagerato. "No! Lei è la loro confidente!"

"Vuol dire la confidente dello spettro?" chiese Sherlock, sarcastico. John gli lanciò uno sguardo di disapprovazione prima di rivolgersi nuovamente alla donna affranta.

"Mrs. Cunningham," iniziò, chiaramente con l'intenzione di calmarla, prima che lei lo interrompesse bruscamente.

"Dovete andarvene da questa casa finché potete! Prima che moriate anche voi! Vi uccideranno!"

"Mrs. Cunningham, sa qualcosa della notte in cui è morta Billie? chiese Sherlock, il tono improvvisamente serio alla vista di un potenziale testimone, mentalmente confuso o meno.

"È stato il fantasma!" disse lei, con voce strozzata e acuta. "Il fantasma della domestica che è stata uccisa nel caminetto! Ha maledetto questa famiglia che non ha potuto proteggere la sua bambina e ora è venuta a prendere noi!"

"Capisco," disse Sherlock, perdendo interesse. Non avrebbe trovato alcun testimone, lì. "Magari dovrebbe chiamare un prete. So che questa è una cosa che rientra nelle loro competenze." Girandole le spalle, iniziò a salire con decisione le scale. "È questa l'ala nord-est?" disse, chiamando John.

John era occupato a cercare di calmare l'angosciata donna e non rispose nulla a parte uno sbotto piuttosto irritato del nome di Sherlock.


**


La camera di Billie Kirwan era piccola, come sono solitamente le stanze negli edifici storici, ma sorprendentemente confortevole. Aveva decorato i muri con ritagli di varie riviste, rivelando un infatuazione per diversi attori famosi.

Il letto era rifatto con precisione, con due gatti di peluche appoggiati al centro. La vista rese Sherlock inspiegabilmente malinconico, così si voltò per rivolgere la sua attenzione alla finestra. Si aveva una bella vista sulla strada se ci si appiattiva contro il muro, e considerò brevemente la teoria proposta da Mrs. Cunningham che Billie Kirwan fosse stata in combutta con i ladri che erano ritenuti i responsabili della sua morte.

Tirò fuori il cellulare per avere conferma delle condizioni atmosferiche della notte in questione, scegliendo di ignorare il rantolo nel suo petto quando respirava e che era presente sin da quando si era svegliato quella mattina. Clinicamente prese nota che le sue dita stavano tremando leggermente.

All'improvviso la sua mano fu coperta da un'altra: più grande e abbronzata della sua, dita schiette e callose. John.

"Credo basti per ora," disse John lentamente. "Non dovresti sforzarti. Peggiorerai le tue condizioni. Anche se," per un attimo il suo viso sembrò perso e confuso, "non saresti dovuto peggiorare così tanto in così poco tempo, anche considerando la tua passeggiata fuori. Non ha senso."

Alla sua espressione, Sherlock non volle altro che stringerlo forte e assicurarlo che sarebbe andato tutto bene e che non c'era ragione di preoccuparsi. Ma si era posto come regola il non lasciarsi andare a vuote banalità. Invece lo guardò torvo. "Nel caso tu non l'abbia notato, c'è un'indagine su un omicidio. Non posso esattamente fermarmi per un tè. A meno che tu non preferisca che l'omicidio di quella povera ragazza rimanga irrisolto."

Era un evidente tentativo di manipolarlo, ma John non reagì. Il suo sguardo su Sherlock era fermo e serio, e Sherlock sentì il proprio cuore torcersi, forte, nel petto.

"Un compromesso, allora. Andrò avanti io con il caso e scriverò qualunque messaggio o farò ogni ricerca mi chiederai di fare. E tu ti fermerai per riposare e mangiare - e intendo più di tè e cerotti alla nicotina - almeno due volte al giorno," disse John, calmo, togliendo lentamente il telefono dalla presa di Sherlock, che era troppo preso dalla piacevole cadenza della sua voce per fermarlo.

"Non riesco a capire in che modo si tratti di un compromesso," disse dopo un momento, la bocca stranamente secca.

John sorrise di quel caldo sorriso che gli utilizzava l'intero viso. "Io evito che ti ammazzi da solo e in cambio tu hai la possibilità di sorprendere la polizia con la tua genialità in barba a tutti gli ostacoli."

"Suppongo che Sally si possa considerare un ostacolo, già."

John lo ignorò, ma Sherlock poté notare la piega divertita sulla sua bocca. "Allora, trovato qualcosa?" chiese, mentre esaminava la stanza, seguendo più o meno lo stesso percorso che aveva seguito Sherlock.

"Niente di importante."

John si bloccò di fronte al caminetto, con la grata chiusa e ornata di sciarpe dai colori vivaci, come se Miss Kirwan avesse chiaramente optato per la piccola stufa elettrica vicino alla testiera del letto.

"Quando hanno investigato sull'omicidio del 1840, diversi investigatori hanno riferito di aver sentito bisbigli e gemiti provenire dal caminetto," disse John con tono apparentemente casuale. "È allora che si è iniziato a parlare di apparizioni."

Sherlock non si lasciò ingannare dall'approccio disinvolto al soggetto, ma non voleva litigare di nuovo su un omicidio vecchio di cent'anni. "Perché sei così determinato a farmi seguire questa linea d'investigazione? Non puoi credere davvero che un fantasma sia il responsabile dell'omicidio di Miss Kirwan."

"No, naturalmente no," disse John. "Non è quello. È..." Poi si fermò, mordendosi leggermente un labbro (Sherlock si disse con decisione che non stava prestando alcuna attenzione al gesto se non per determinare i processi mentali di John).

"È solo," continuò John, lentamente. "È solo che non voglio che tu ti imbatta in qualcosa che non hai mai visto prima... che non hai preso in considerazione, e venga colto di sorpresa."

Sherlock sbuffò. "Per favore. Mi capita raramente, se non mai, di essere sorpreso. Ho l'abitudine di calcolare i probabili risultati tutte le volte e in tutte le situazioni."

"Sono sicuro che lo fai, ma ci sono aspetti della vita, delle persone che tu non capisci. No, no..." Alzò una mano a prevenire il diniego di Sherlock. "Lo sai che è così. Ed è normale. Nessuno può conoscere ogni cosa, malgrado proclami il contrario." Questa era chiaramente rivolta a Sherlock, a giudicare dalla piega ironica della bocca di John.

"So quanto sei sicuro di te e onestamente penso sia necessario per il lavoro che fai. Ma non conviene mai essere troppo sicuri di sé. Chi può dire che non ci sia una forza o un'entità da qualche parte nel mondo e che al momento riteniamo impossibile?"

"Ci sono molte cose sotto i cieli, intendi?" chiese Sherlock, ironico.

L'espressione di John non mutò e Sherlock sentì un leggero fremito di disagio. Sembrava così... preoccupato.

"Semplicemente non voglio che tu ti faccia male," terminò John debolmente, stringendosi nelle spalle.

"Sono più che capace di badare a me stesso," disse Sherlock, liquidando l'argomento. "Ma apprezzo la tua preoccupazione."

"Prometto che starò attento," aggiunse in un tentativo di rimuovere l'espressione ansiosa dal viso del suo amico.

"Dubito che tu conosca il significato del termine," sospirò John, il viso quasi triste per un momento. Ma poi fece un sorriso furbo. "Magari potrei chiedere a Lestrade di metterti addosso un trasmettitore. Almeno sapremmo dove trovarti quando hai la testa tra le nuvole."

"Uno spreco di risorse," Sherlock disse immediatamente. "È vero che sono alto, ma non così tanto da arrivare fino alle nuvole." [1]

Considerò la risata di John come una vittoria.


**


John si allontanò per procurarsi del cibo da asporto come concordato, dopo aver detto a Sherlock senza mezzi termini che non avrebbe lasciato la proprietà per nessun motivo senza che John fosse lì ad accertarsi che non si facesse venire la febbre. Sherlock trovò l'intera conversazione eccessivamente melodrammatica ma non poté evitare di essere toccato dalla preoccupazione di John per la sua salute. Era passato molto tempo da l'ultima volta che qualcuno aveva speso così tante energie nel preoccuparsi per lui.

Sally lo intercettò prima che entrasse in biblioteca. Attraverso la porta aperta poté vedere Edgar Cunningham che passeggiava avanti e indietro di fronte al fuoco, il linguaggio del corpo rivelava il suo nervosismo.

"Senti," disse Sally, aggressiva. "Sei già riuscito ad irritare o terrorizzare tre dei quattro membri della famiglia Cunningham. Sono sicura che saresti felice di fare piazza pulita, ma fammi un favore e trattieniti questa volta. Ogni volta che riesci ad offendere qualcuno, è a Lestrade che fanno un testa così, e tu gli devi più di questo."

Sherlock la guardò accigliato, il tentativo di dirigere le sue azioni come al solito gli bruciava. "Ho un lavoro da fare, sergente. Lo svolgerò nel modo che ritengo più opportuno. Mi dispiace che a Lestrade causi imbarazzo, ma c'è un assassino da catturare e non ho intenzione di sprecare il mio tempo coccolando un sospettato."

"Mr. Cunningham non è un sospettato. Nessuno dei Cunningham è un sospetto. Questo è un caso di furto andato male, non una delle tue grandi cospirazioni."

Sherlock la ignorò, si diresse a grandi falcate in biblioteca e subito salutò con un cenno l'uomo che camminava avanti e indietro.

"Mr. Cunningham, aveva una relazione con Billie Kirwan?"

Dietro di lui, udì Sally emettere un gemito mentre Edgar Cunningham diventava nero dalla rabbia.

"Cosa?!" esclamò. “Come si permette di chiedere una cosa del genere? È oltraggioso!"

"Se non risponde, lo prenderò per un sì."

"Le assicuro che i miei rapporti con Miss Kirwan erano del tutto professionali. Era una dipendente di questa casa. Tutto qui. Perché mi ha rivolto una domanda così insolente?"

Sherlock non si degnò di rispondere. "Lei era in ufficio da solo con suo figlio la notte dell'omicidio dalle sei del pomeriggio fino alle due circa di notte, giusto?"

"Ho già risposto molto bene a questo!"

"Che stava facendo lì?"

"Affari."

"Su cosa stava lavorando nello specifico?"

"A lei cosa importa?"

"Le assicuro, Mr. Cunningham, che sto semplicemente tentando di accertare i dettagli della notte in questione. In quali affari siete stati occupati lei e suo figlio per otto ore in ufficio quella notte?"

Mr. Cunningham ebbe una piccola esitazione. "Alec e io stiamo spesso fino a tardi in ufficio. Non è così insolito."

"Questo non risponde alla mia domanda."

"Stavamo compilando un resoconto delle spedizioni di cui la compagnia è stata responsabile nell'ultimo trimestre. Si tratta di una periodica revisione finanziaria."

"Capisco," disse Sherlock, blandamente. "E se rivolgessi ad Alec la stessa domanda, devo supporre che la risposta sarebbe simile?"

Mr. Cunningham si infuriò, la faccia gli stava diventando ancora più rossa, ma fu Sally a intervenire.

"Basta così! Fuori. Adesso."

Gli si scagliò contro nell'atrio. "Pensavo di aver chiarito che Mr. Cunningham non è, ripeto, non è un sospettato. Sei completamente fuori strada e questo influenza l'investigazione. Per l'ultima volta, è stato un furto."

La frustrazione di Sherlock alla fine esplose. "Scartare delle possibili teorie a favore della tua, nata da una sequenza di eventi non ancora provata, dimostra un'investigazione più negligente del solito."

Questa colpì chiaramente un nervo scoperto e Sally divenne pallida dalla rabbia.

"Qual è il problema, allora? Un furto che termina con un omicidio non è abbastanza interessante per te? Il Dipartimento di Polizia Metropolitana non è il tuo parco giochi personale, dannato psicopatico!"

"No, è il mio cliente abituale. Per colpa di poliziotti come te che si servono di processi mentali sistematici e improduttivi per finire bloccati in una singola teoria e non accorgersi di quello che hanno diritto di fronte a loro."

"È stato un furto, Sherlock. I ladri hanno pensato che nessuno fosse in casa e la ragazza li ha sorpresi. Sono andati nel panico, l'hanno spinta giù per le scale e sono scappati. È triste e tragico ma succede."

"Non è stato rubato niente!"

"Perché non hanno avuto il tempo di prendere niente prima di imbattersi in Billie."

"I rapporti dei primi interrogatori sulla scena del delitto affermano che tutte le porte e le finestre erano sbarrate, e Mrs. Cunningham ha dichiarato con una certa sicurezza che ha dovuto aprire il portone d'ingresso chiuso a chiave quando è arrivata la polizia. Devo supporre che i ladri abbiano richiuso la porta quando sono usciti? Dei criminali davvero educati."

Sally fece una pausa per un momento, accigliata, ma poi scosse la testa.

"Non contraddice la teoria del furto. Mrs. Cunningham potrebbe essersi sbagliata riguardo alla porta chiusa a chiave, è comprensibile visto che è stata di certo una nottata sconvolgente per lei. La maggioranza delle persone sarebbe turbata dopo aver rinvenuto il corpo di qualcuno a cui tenevano."

"Non ci sono segni che qualcuno sia scappato attraverso il prato."

"Allora hanno usato il sentiero."

"La telecamera sulla strada principale li avrebbe ripresi. Per evitarla, devono aver tagliato per il giardino e poi scavalcato la staccionata, ma non ho trovato impronte."

"Allora non le hai viste."

"Non è così."

"Chiaramente è così, perché assolutamente nessuno avrebbe motivo di assassinare questa ragazza: non aveva nemici, né segreti, né guai con la polizia tranne una multa da saldare. È stata la vittima di un'assurda tragedia e mi dispiace che non sia abbastanza interessante per te, ma te ne puoi andare al diavolo. Tu scegli e ti prendi i casi che si prestano ai tuoi 'poteri di deduzione', come se i normali crimini e omicidi di tutti i giorni non meritassero di essere risolti. Come se quelle vittime non contassero. Mi fai venire il voltastomaco."

"Non sono un ispettore di polizia, sergente Donovan," sibilò Sherlock. Stava iniziando ad avere difficoltà a respirare. "Sono un consulente investigativo. È il mio lavoro quello di..." La tensione nel suo petto esplose in quel momento, risultando in un violento accesso di tosse. Si piegò in due mentre un dolore acuto e improvviso gli si serrava intorno allo sterno.

"Oh mio dio," udì vagamente la voce di Sally che diceva, mentre lui cercava disperatamente di respirare. "Stai..."

"Sto bene," disse con voce raschiante, inciampando verso la porta. "Ho solo bisogno d'aria. La polvere in questa casa è soffocante."

Non attese una risposta e sbatté la porta dietro di lui.






- - -

 [1] Nell’originale John dice “Then at least we’d know where to find you when you get in over your head” riferendosi al fatto che il suo amico, quando ha qualcosa per la testa, sparisce e non risponde alle chiamate, e Sherlock risponde con un gioco di parole dicendo testualmente “Considerata la mia altezza, poche cose sono capaci di estendersi sopra la mia testa (over my head).” Insomma, non sapevo come tradurre queste due battute mantenendo il gioco di parole di Sherlock. Ho fatto meglio che potevo e il risultato lo avete letto nella fic :\


Se qualcuno ha suggerimenti per migliorare la traduzione mi contatti senza paura :) Dovrò in ogni caso riprendere per mano tutto quanto per una bella revisione quindi i suggerimenti fanno comodo.

Un enorme grazie a Flan e a Ely che hanno commentato! Al più presto tradurrò i vostri commenti e li invierò all'autrice =D

Il prossimo - e ultimo - capitolo arriverà presto, non disperate! ;D

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Capitolo 3
*** 3. ***


Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono creazioni della premiata ditta Moffat/Gatiss. I diritti appartengono alla BBC e la seguente fic non vuole lederli in alcun modo. L'autrice non guadagna niente dalla pubblicazione della stessa.

Note dell'autore. Questa storia è un adattamento in chiave moderna de "L'enigma di Reigate" mixato con una rielaborazione del fantasma che in XXXHolic compare negli episodi "Temptation" e "Choice". E, giusto per far vedere quanto sono brava a plagiare, c'è pure un pizzico di Poe.

(Traduzione a cura di Madame Butterfly - link al permesso di traduzione qui - la storia originale la potete trovare a questo indirizzo. E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)




3.


L'aria fresca e frizzante fu d'aiuto - anche se si ritrovò subito a tremare di nuovo, se mai aveva smesso - e presto riacquistò il controllo del suo respiro.

Il fatto che il rantolo nel suo petto fosse peggiorato rispetto a prima era irrilevante.

La temperatura dell'aria stava scendendo sempre di più mentre il sole autunnale calava all'orizzonte. Lo aiutava a raffreddare la rabbia e, quando entrò nel parco, si sentì ormai calmo.

Lei era ancora lì. Si rese conto che avrebbe dovuto sentirsi più sorpreso per la sua assenza di sorpresa (erano passate quasi sette ore, dopotutto), ma l'aria sembrava essersi drappeggiata intorno a lui come una coperta e alla fine si sentì solo in qualche misura intorpidito.

Non ricordava di essere avanzato verso di lei ma, quando fu ancora una volta seduto al suo fianco, il suo volto si girò verso di lui come aveva fatto quel mattino.

"Santi numi, hai un aspetto terribile," sussultò lei, apparendo preoccupata. "Sei malato?"

Si mosse lentamente, rivelando chiaramente le sue intenzioni mentre sollevava una mano e la appoggiava sulla fronte di Sherlock. Lui rimase fermo e la lasciò fare.

La posizione gli ricordò immediatamente e dolorosamente le volte in cui sua madre aveva fatto lo stesso, quando era piccolo. Si era ammalato spesso nel periodo invernale, essendo stato un bimbo abbastanza gracile, ma la sensazione della sua mano sulla fronte l'aveva sempre sentita come una benedizione.

Come se avesse potuto portar via la malattia solo con il suo tocco e la sua presenza.

"Non sei caldo. Ma forse dovresti prenderti lo stesso del tempo per riposare."

Lui aprì gli occhi, non essendosi accorto di averli chiusi. La sua mano riposava ancora gentilmente sulla sua fronte e, quando i loro occhi si incontrarono, lei gli sorrise, muovendola lentamente a spostargli un ricciolo ribelle dietro l'orecchio. Il respiro gli si fermò in gola, creando un nodo di qualcosa di indistinto fatto in egual parte di emozione e ricordo.

Faceva male, e sentì un vivo desiderio di qualcosa che non era capace di esprimere.

"Non stancarti troppo," disse lei. I suoi occhi erano stranamente intensi e l'espressione era triste mentre guardava in su verso di lui.

"Sto bene," le disse. E poi ancora, "Sto bene."

Si chiese vagamente chi stesse cercando di convincere.


**


Quando John lo trovò, stava seduto su un mucchio di sassi sul marciapiede appoggiato al muro esterno del parco senza memoria di come ci fosse arrivato. La notte era scesa del tutto, anche se dalla piccola folla di pedoni che si erano radunati a guardare, poté concludere che non fosse troppo tardi.

Spinse via la mano di John e si rimise in piedi senza assistenza, raddrizzando ferocemente le gambe e rifiutando di mostrare quanto improvvisamente debole si sentiva. Si stiracchiò e finse uno sbadiglio per buona misura.

"Perché ci hai messo tanto?" chiese.

John era completamente inespressivo, ma a questa uscita la sua espressione si mutò istantaneamente in rabbia.

"Sei un idiota! Ti ho cercato dappertutto! Che diavolo è successo?"

Sherlock mantenne il viso calmo e rilassato. "Ho avuto una discussione con il sergente Donovan e sono uscito a camminare per schiarirmi la mente. Non volevo tornare alla casa, così ho deciso di aspettarti qui."

John gesticolò violentemente. "E come avrei potuto sapere che eri qui? Telepatia?"

Sherlock si strinse nelle spalle. "Avrei chiamato ma mi hai requisito il telefono."

John lo fissò per un momento, costernato. "Sali sul taxi," ordinò infine a denti stretti, indicando il veicolo fermo accanto al bordo del marciapiede.

Sherlock lo fece, notando nel frattempo che nonostante la temperatura aveva smesso di tremare.


**


John gli offrì con insistenza minestra e tè una volta arrivati a casa. Lui fece del suo meglio per mandarne giù abbastanza a placare la preoccupazione del suo coinquilino, ma aveva lo stomaco gelato e stretto in un nodo e non voleva saperne della zuppa di lenticchie riscaldata che stava tentando di infilarci. Un'ora dopo (durante la quale John era rimasto ad osservarlo come un falco con le palpebre sempre più pesanti), si portò il vassoio in camera promettendo di mandar giù più che poteva del cibo restante. Se John non fosse stato un morto in piedi, probabilmente non gli avrebbe permesso di uscire dalla cucina.

Il cibo diventò rapidamente freddo sul pavimento mentre si rigirava nel letto. Era sopra le coperte stavolta, l'aria fredda dell'appartamento non lo infastidiva, al contrario sembrava cullarlo.

Sognò sua madre.

I suoi capelli erano stati scuri come i suoi, ma più setosi, e cadevano in onde lucenti sulle sue spalle, tanto che da bambino a Sherlock erano sembrati ali di corvo.

Sapeva intellettualmente che i suoi occhi erano stati blu, ma trovò la sua memoria insufficiente per ricordarsi la loro esatta sfumatura. Quella mancanza lo rattristava.

Aveva di nuovo sei anni e stava appollaiato sul sedile del pianoforte con sua madre dietro di lui mentre suonava diligentemente una melodia dal suo testo di musica. Lei sorrideva e quando terminò di suonare lo attirò a sé a riposare il capo sopra il suo cuore.

"Il legame tra una madre e il suo bambino è indistruttibile," disse, ma quando guardò in su verso di lei non era più sua madre ma la donna del parco.

Lei sorrise alla sua confusione e gli toccò gentilmente una guancia con dita pallide. Il freddo sprigionato dal suo tocco gli corse attraverso tutto il corpo e - mentre si sentiva trasformare in ghiaccio - si chiese assurdamente se sarebbe stato preso per una scultura di ghiaccio. E in quel caso se sarebbe stata una che a John sarebbe potuta piacere.

Si svegliò all'alba e stette supino a guardare il soffitto mentre tutti gli indizi andavano al loro posto.


**


Questa volta sia Lestrade che Sally aspettavano il loro arrivo alla tenuta dei Cunningham.

Mentre lui e John li raggiungevano al portone d'ingresso, Sherlock fu costretto a fermarsi mentre veniva assalito da un altro eccesso di tosse. Stavolta i brividi che gli torturarono il petto furono estremamente violenti, e si portò una manica del cappotto a coprire la mano, come un bambino, usando il tessuto come fazzoletto di fortuna.

Gli rimase in bocca un retrogusto di sangue.

"Stai bene?" chiese John, preoccupato, girandosi a guardarlo. Gli era stato intorno per tutta la mattina e adesso aveva una posa come si stesse preparando ad andare verso Sherlock e prendergli le pulsazioni o qualche altra stupidaggine da dottore. Sherlock si raddrizzò di riflesso, ruotando il polso così che la macchia scura di sangue - nera in contrasto con il cappotto - venne nascosta contro il suo fianco.

"Sto bene," disse bruscamente.

Sally sbuffò, incapace di nascondere del tutto la sua preoccupazione, essendo ella una persona estremamente empatica che percepisce le emozioni in maniera fin troppo forte. Non si era aspettato che la sua empatia si estendesse fino a lui, ma scoprì che non gli importava affatto. "Tu non stai per niente bene, strambo. Tirarci giù dal letto a quest'ora del mattino. Sarà meglio che tu abbia qualcosa di concreto o - malato o meno - ti prendo a sberle prima di arrestarti per molestie."

Sherlock non si premurò di rispondere. Sapeva che Lestrade e John si aspettavano una risposta tagliente ma semplicemente non aveva la forza di rispondere per le rime.

Invece sollevò una mano e bussò alla porta, il rimbombo che echeggiava attraverso il vecchio edificio.


**


Su insistenza di Sherlock, radunarono la famiglia Cunningham nella biblioteca. Come durante il precedente colloquio, Alec si appoggiò al caminetto mentre suo padre camminava avanti e indietro. Delia Cunningham stava nervosamente seduta su un divano mentre l'anziana Mrs. Cunningham pretese una sedia decorata vicino alla finestra e si sedette con aria regale.

Sally e Lestrade rimasero in piedi dietro il divano e Sherlock si ritrovò al centro della stanza; John era una calda e solida presenza appena dietro alla sua spalla che gli dava la forza di evitare di barcollare leggermente. La testa gli doleva e il cuore gli batteva troppo rapido nel petto.

Si schiarì la gola per richiamare l'attenzione dei presenti e allo stesso tempo per soffocare un colpo di tosse.

"L'assassinio di Miss Billie Kirwan è stato commesso da una delle persone in questa stanza," disse senza preamboli, poi fece una pausa e attese una reazione. Non fu deluso.

"Oh, non di nuovo," udì gemere Sally, frase che fu coperta dal piccolo grido che si lasciò sfuggire Delia, seguito immediatamente dal rimprovero di controllarsi da parte di Mrs. Cunningham.

"Sta accusando la mia famiglia di questo crimine efferato, signore?" protestò Edgar Cunningham.

"Non tutti loro," disse Sherlock, asciutto. "In questo caso c'è un solo assassino."

Lestrade guardò automaticamente verso il vecchio Cunningham, gli occhi socchiusi in un'espressione sospettosa, ma Sherlock lo interruppe.

"No," disse. "Quell'uomo è un reprobo ma non è il responsabile dell'omicidio di Miss Kirwan."

L'ispettore apparì confuso, ma fu John a parlare. "Ma pensavo..." La voce si affievolì mentre Sherlock si voltava lentamente (quasi con rammarico) verso Mrs. Cunningham.

L'anziana donna sedeva con orgoglio sulla sedia dai bordi dorati, tenendo il suo bastone precisamente a novanta gradi rispetto al pavimento. I suoi freddi occhi blu fissarono direttamente quelli di Sherlock ma non disse nulla.

Edgar Cunningham sussultò e si mise in ginocchio accanto a lei, la voce soffocata. "Madre! Di che sta parlando? Ditegli che non siete stata voi!"

Lei guardò suo figlio aspramente. "Oh, sta calmo, sciocco! I tuoi isterismi mancano decisamente di dignità. Rimettiti subito in piedi."

Pallido e tirando su con il naso, lui ubbidì, raddrizzando le ginocchia e barcollando leggermente.

Alec sembrò semplicemente confuso. "La nonna? Pensa che mia nonna sia l'assassino? È ridicolo! Che motivo poteva avere? E comunque come può averlo fatto? Ha più di settant'anni!"

"Temo non occorra una grande forza fisica per sbilanciare una persona abbastanza da farla cadere giù da una precaria rampa di scale," disse Sherlock, calmo. "Un rapido colpo con un oggetto contundente, come il bastone che Mrs. Cunningham in questo momento sta stringendo così protettivamente, sarebbe stato più che abbastanza."

"Ma la testa della ragazza è stata fracassata!" sostenne Alec. "Certamente non crederà che mia nonna abbia potuto fare una cosa del genere? È assurdo!"

"Al contrario, Mr. Cunningham, è la spiegazione più logica. Nella notte in questione, Mrs. Cunningham combinò un incontro con Miss Kirwan, probabilmente nella sua camera da letto, anche se è possibile che lei intendesse fin dal principio attirarla in cima alle scale. Quando Miss Kirwan arrivò, Mrs. Cunningham attese un momento propizio e poi la sorprese colpendola alla testa con il suo bastone, facendola cadere dalle scale e in definitiva uccidendola."

"Ma perché?" Questa provenne da Sally, che nonostante la sua incredulità iniziale capiva molto bene come il mancato diniego di Mrs. Cunningham implicasse che era colpevole.

"Ricatto," disse Sherlock semplicemente. "Miss Kirwan stava cercando di ricattare la famiglia Cunningham e Mrs. Cunningham disperava di fermarla. Credo che inizialmente abbia cercato di persuadere o di intimidire Miss Kirwan perché lasciasse perdere il suo piano ma si sia rapidamente resa conto di non riuscirci. L'assassinio è stato una reazione poco creativa ma vantaggiosa."

Prima che chiunque potesse avere da ridire sull'insensibilità di quell'affermazione, John parlò.

"Che segreto stava nascondendo?" chiese, dimostrando la sua natura intuitiva volgendo lo sguardo (correttamente) verso Edgar e Alec Cunningham.

"La Cunningham Shipping and Export è in tremende ristrettezze finanziarie," confermò Sherlock.

"Invece di affrontare i loro creditori, Edgar e Alec Cunningham architettarono un piano di contrabbando che consisteva nel falsificare i documenti di trasporto per far si che indicassero che la nave trasportava più container di quelli che i loro clienti avevano in origine contrattato di far trasportare. I proprietari di quei container - proprietari di piccole aziende, immagino, altrimenti ci sarebbe stato un contrabbandiere o due sotto di loro - avrebbero pagato ai Cunningham direttamente il costo del trasporto, che loro avrebbero intascato."

Alec rise debolmente, appoggiato al caminetto, pallido. "Non ha prove. Sono accuse infondate."

Sherlock lo guardò fisso. "L'intera faccenda era una prova, non è così? In qualche modo, uno dei clienti che senza saperlo hanno pagato per dei container di cui erano all'oscuro, ha messo le mani su uno dei vostri documenti di trasporto falsificati. Preoccupati che ad un controllo si sarebbero accorti della discrepanza, avete messo in scena un furto allo scopo di sostituire il documento con uno che avesse riportato il quantitativo ordinato in origine. Mi sto riferendo, naturalmente, al furto dagli Acton, dove la vostra inettitudine come ladri ha reso evidente che c'era di più in quel crimine di un semplice furto. Nessun ladro che si rispetti ruberebbe un gomitolo di spago, due candelieri e un volume di Homer."

Alec appariva semplicemente confuso. "Io... Si sbaglia."

"Non mi sbaglio, e sono certo che una verifica accurata delle vostre registrazioni lo confermerà. Avrebbe potuto essere nient'altro che un semplice crimine finanziario, finché Billie Kirwan non scoprì il piano e stupidamente cercò di trarne profitto."

"Ma come?" La voce di Edgar era lamentosa. "Non poteva saperlo in nessun modo. Nessuno dei documenti ha mai lasciato l'ufficio." Non sembrò notare l'implicita confessione, ma quando Lestrade sollevò un sopracciglio alla sua domanda, sembrò rendersene conto.

"Vi è mai capitato di parlare di affari mentre eravate a casa?"

"Be’, sì," rispose Edgar, "ma mai mentre Miss Kirwan era presente."

"Di solito parlavate in questa stanza?"

"Sì."

"Magari mentre vi appoggiavate al caminetto come state facendo ora?"

"...Sì."

Sherlock annuì senza sorpresa. "Allora non sarà una sorpresa per voi il sapere che il tubo del caminetto a cui vi state appoggiando porta direttamente alla stanza di Miss Kirwan, e che trasporta le voci particolarmente bene."

"Certo!" disse John, che iniziava a capire. "I fantasmi che gli investigatori pensavano di aver sentito tanto tempo fa. Era il suono di chi si trovava in biblioteca che faceva eco su per il condotto." Guardò Sherlock con aperta ammirazione, causandogli un piccolo batticuore nel petto che non aveva niente a che vedere con il brivido che sembrava essersi insediato lì in via permanente.

"Miss Kirwan andò da Mrs. Cunningham raccontandole quello che sapeva, minacciando di portare allo scoperto la truffa se non le fosse stata data una parte dei profitti. Mrs. Cunningham deve aver sentito - correttamente, immagino - che il rischio che Miss Kirwan rivelasse il segreto era alto, anche offrendole denaro per tenere a freno la lingua. Piuttosto che permettere che il nome della sua famiglia fosse diffamato, e incapace di persuadere Miss Kirwan ad abbandonare il suo piano, scelse un approccio più mercenario al problema."

Al ricordo di quella giovane vita stroncata troppo presto, nella stanza ricadde il silenzio, tutti gli sguardi si volsero verso Mrs. Cunningham che stava ancora seduta in silenzio sulla sua sedia.

A quello scrutinio non fece una mossa, ricambiando lo sguardo di Sherlock con una delle sue occhiate fredde e inflessibili. Il suo viso non mostrava alcun rimorso per quello di cui era stata accusata.

"Non troverà alcun documento incriminante sia in questa casa che in ufficio, Mr. Holmes," disse improvvisamente Mrs. Cunningham, il suo sguardo freddo e sicuro. "Non c'è niente da trovare. Me ne sono assicurata."

Sherlock la guardò con apprezzamento, un'oscura parte di lui era impressionata dal suo impegno risoluto.

"Sono sicuro che l'ha fatto, signora," disse quietamente. "Per esperienza so che le madri farebbero cose inimmaginabili per i loro figli. Non mi aspettavo niente di meno."

John lo stava osservando con aria preoccupata, l'espressione che più volte aveva rivolto a Sherlock durante quel caso, ma questa volta senza alcun colpo di tosse. Qualcosa si chiuse nella gola di Sherlock quando realizzò che John lo conosceva abbastanza da capire quando era colto da un'emozione (be’, colto quanto poteva esserlo).

Ma rimaneva del lavoro da fare, così Sherlock lo liquidò con un cenno e attribuì quell'inaspettata malinconia al movente dell'omicidio.

"Bene, Lestrade, Donovan?" chiese sollevando un sopracciglio mentre faceva un gesto verso la matriarca della famiglia. "Fate il vostro dovere."

L'occhiata che ricevette prima che l'ispettore iniziasse con la famigliare formula di rito lo fece quasi sorridere.


**


Mrs. Cunningham parlò solo una volta dopo l'arresto iniziale, chiedendo che suo figlio telefonasse all'avvocato di famiglia perché li raggiungesse in centrale. Sherlock si appoggiò al muro esterno della tenuta mentre osservava Lestrade e Sally portarli via.

Non era ancora metà mattina ma Sherlock era completamente esausto, e chiuse gli occhi brevemente mentre si riposava contro la fredda pietra. Il suo intero corpo era pesante e greve ma la testa gli girava come si preparasse a prendere il volo. Si sentiva come diviso in due.

Tutto ad un tratto si ritrovò con una mano premuta fermamente contro la sua fronte. Aprì gli occhi, allarmato, e automaticamente tentò di indietreggiare, ma si bloccò quando realizzò chi lo stava toccando.

John stava di fronte a lui con un cipiglio pensieroso, come se posare una mano sulla fronte di Sherlock fosse un comportamento del tutto naturale nel loro rapporto. "Niente febbre. Sei sicuro di non avere altri sintomi a parte la tosse? Niente vertigini o nausea?"

Gli stava incredibilmente vicino. C'erano al massimo trenta centimetri tra loro. Era simile all'esperienza che aveva vissuto con la sua compagna del parco, ma la sensazione che suscitò dentro di lui era molto, molto diversa.

Sherlock si rese conto che stava trattenendo il respiro e si sforzò di espirare e inspirare normalmente.

"No," rispose in ritardo. "No, solo la tosse."

"Be’, hai un aspetto terribile," disse John con aria dispiaciuta. "Adesso che il caso è chiuso, insisto che tu vada a letto immediatamente e che rimanga lì. Magari guarda la tivù mentre io procuro della zuppa calda. Farà bene alla tua gola."

Sherlock inorridì sentendo che gli occhi iniziavano a pungergli. Si voltò bruscamente nel caso una qualche manifestazione fisica della sua stanchezza e della sua inusuale emozione fosse visibile.

"Suona delizioso," disse debolmente.

"Ora sono davvero preoccupato, considerando che 'delizioso' è difficilmente una parola che mi aspetterei di sentire da te," disse John, ironico (anche se i suoi occhi comunicavano la verità della sua affermazione). "Lasciami recuperare il cappotto e poi prendiamo un taxi."

Si allontanò risoluto, lasciando l'area intorno a Sherlock più fredda e buia per la sua assenza. Sherlock chiuse gli occhi, rimpiangendo più di quanto poteva esprimere di non essere in grado di seguire subito John.

Ma l'assassino di Billie Kirwan non era stata l'unica rivelazione che aveva avuto la notte prima, e c'era qualcosa che doveva fare.

Scivolò fuori dalla proprietà senza che nessuno lo notasse.


**

Il cancello arrugginito si aprì al suo tocco, come aveva fatto negli ultimi due giorni, e attraverso l’apertura poté vedere lei seduta con grazia sulla panchina del parco.

Mentre le andava incontro, le parole di John echeggiarono nella sua memoria con acuti dettagli: l'inflessione della sua voce, la preoccupazione scritta chiaramente sul suo volto. Non c'erano artifici in John, rifletté. Era una delle innumerevoli cose che Sherlock adorava di lui.

È solo che non voglio che tu ti imbatta in qualcosa che non hai mai visto prima... che non hai preso in considerazione, e venga colto di sorpresa.

Si chiese distrattamente perché ci aveva messo tanto a capire cosa stava accadendo. Lo sciroppo per la tosse che John lo aveva forzato a prendere doveva aver rallentato i suoi processi mentali. Una simile mancanza di deduzione era inaccettabile.

Si fermò di fronte a lei. Il vento gelido sferzava intorno a loro, frustando la sua sciarpa e i suoi capelli in una danza sfrenata.

Lei guardò in su verso di lui, gli occhi tristi e gentili, ma non sorrise.

"Non ti siedi?" chiese, piegando il capo leggermente da un lato.

Sherlock abbassò gli occhi a terra. Le sue scarpe, che lei aveva infilato di poco sotto la panchina, erano bianche e raffinate. Le foglie volteggiavano intorno ai suoi piedi con la brezza, danzando gioiosamente e senza un’orbita definita.

Non aveva ombra.

Semplicemente non voglio che tu ti faccia male.

"Non posso più farti visita," disse Sherlock lentamente. "C'è qualcuno che mi aspetta. Mi dispiace molto ma io..."

"Capisco," lo interruppe lei, ora sorridendo gentilmente. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Forse era per quella ragione che improvvisamente sembravano blu, invece della sfumatura di grigio che Sherlock era sicuro fossero. "Tu non appartieni a questo posto. Io... Io ero così sola, ma questa non è una scusa. Non avrei mai dovuto chiederti di incontrarmi. È stato il mio egoismo."

"Non solo tuo," rispose lui. "Grazie. Grazie di avermi permesso di condividere la tua solitudine per un po'."

Lei scosse la testa alle sue parole. "Non ringraziarmi. Tu sei un bravo ragazzo. Un animo buono. Meriti qualcosa di meglio di una vita di solitudine. Anche se mi mancherai terribilmente."

Quindi chiuse gli occhi e le lacrime che si erano formate le scivolarono giù per il viso, lasciando ghiaccio sul loro percorso. "Ti prego, perdonami."

"Sempre," disse Sherlock con tono soffocato, incapace di alzare la voce più di un sussurro di fronte al suo dolore.

"Sherlock!" chiamò John da qualche parte al di là della staccionata. Sembrava agitato e Sherlock si voltò automaticamente verso il cancello. "Qui, John!" rispose.

Quando guardò nuovamente verso la panchina del parco, lei se n'era andata.

Se ne stava ancora lì fermo, fissando la panchina vuota, quando John lo trovò.

"Scappare senza dire niente a nessuno è una qualche sorta di nuova abitudine di cui dovrei essere informato?! Sei pazzo o stai cercando di farti venire una polmonite?"

"Mi dispiace," Sherlock rispose immediatamente, interrompendolo.

John sembrò meravigliato da quelle scuse inusuali e si avvicinò a lui a passo più lento, come avesse paura di spaventarlo.

L'ironia di quel pensiero fece sorridere Sherlock.

"Ehi, stai bene?" chiese John, toccandogli gentilmente la spalla mentre lo raggiungeva. Le sue dita erano splendidamente calde e Sherlock non poté far altro che appoggiarsi leggermente a lui. Non che avesse tentato di impedirselo. Per la prima volta dopo giorni, il blocco di ghiaccio che gli si era insediato nel petto iniziò a sciogliersi.

"Sto bene," disse con sincerità.

"Be’, d’accordo allora," disse John, dubbioso, voltando entrambi verso il cancello. "Ma non sei in condizione di startene fuori con questo tempo. Non andrai più bene a nessuno se svieni."

"Andrei comunque bene per te," disse Sherlock, sorridendo mentre permetteva a John di guidarlo fuori dal parco. "Sono abbastanza sicuro che andrò sempre bene per te."

John arrossì profondamente e distolse lo sguardo, imbarazzato, ma tenne la mano sulla spalla di Sherlock e rafforzò la stretta.

"Sì, be’, dunque," disse John, schiarendosi la gola. "Casa?" In risposta, Sherlock spalancò il cancello con galanteria.

E insieme si mossero per tornare al trambusto di Londra.



FINE.





---


Note della traduttrice. Questa che avete letto è stata la mia prima traduzione e sono davvero felice di aver iniziato con una fanfic così meritevole :D Tradurla è stato un vero piacere e spero che sia stato piacevole per voi leggerla. Vi ringrazio per essere arrivati fino alla fine e un enorme grazie a chi ha commentato.
Alla prossima traduzione (eh sì, ci sto prendendo gusto e non credo smetterò qui XD)
Vostra,
Madame Butterfly

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