Hearts Burn Motionlesses - I cuori bruciano immobili.

di Eve Ell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: City Lights ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: My Apocalypse ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 : The Truth ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Save Your Heart ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Take One Last Breath ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: On Fail Wings Of Vanity And Wax ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: If It Means A Lot To You ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: My Obsession ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: There is a Hell, Believe I have seen it, there is a Heaven, let's keep it a secret ***
Capitolo 10: *** PROLOGO ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: City Lights ***


 Capitolo 1: City Lights

 

Erano le 7.25 di mattina, ed era già una ventina di minuti che ero su quell’auto, fuori intanto si era fatto giorno, ed era iniziata un’altra giornata. “Già, la solita giornata, un giorno che sarà il riciclo di quello di ieri, dell’altro ieri, e di quello prima,  il riciclo di tutte le giornate da quando ho iniziato la 4° liceo, circa 4 mesi fa” pensai. Il posto affianco a me era vuoto, l'auto era passato tardi, perciò di certo la gente aveva preso i precedenti

Comunque Mi faceva compagnia lo zaino, più pieno di manga, pagine di diario e disegni che altro. Ok in fin dei conti non mi è mai dispiaciuto starmene sola, quel giorno poi c’era con me il cantante dei Three Days Grace che mi cantava ‘Life Starts Now’, ma non importava dato che ero quasi arrivata a scuola.

Mi risvegliai dal torpore dei miei pensieri quando una ragazza mi domandò “occupato?” indicando il posto affianco al mio. “No” le dissi piano, più che una parola sembrò un sussurro, spostai lo zaino sulle mie gambe aspettando che si fosse seduta, e poi tornai nei miei pensieri. Dopotutto, mi venne da pensare, quando hai 17 anni e mezzo, logico che ogni giorno è uguale all’altro: la scuola, i gatti, la famiglia, i professori, gli amici, la musica … che altro potrebbe caratterizzare la vita di un adolescente se non questo?

Morale: c’è poco da fare, le alternative sono poche alla mia età, ma meglio la scuola che andare a lavorare o peggio.

Dopotutto non è che io odi la scuola, il susseguirsi identico delle giornate, quest’auto, oppure l’organizzazione di questo mondo, è solo che io sono così, a me non sta mai (e dico mai) bene niente.

Tornai nel mondo umano ancora una volta, perché sentì “Call me sick boy” e il cantane degli Hopes Die Last che mi urlava:

“Take a breath and tear it apart
See things crystal clear
And then scream against me
Hurt me, beat me”

E cominciai a cercare il telefonino. Ed era abbastanza imbarazzante perché nemmeno alle 8 di mattina solo una pazza come me poteva avere il telefono a palla, mentre la gente è mezza addormentata, e il telefono che fa? Si infila negli angoli più remoti dello zaino. Bene, dopo che tutta la canzone urlata andò avanti per 30-40 secondi trovai il telefono, e mentre la ragazza affianco a me mi fissava con un espressione un po’ truce, e un po’ spaventata, io tentai di rispondere, con la faccia imbarazzata guardando verso il finestrino.

Ma chi è poi che mi cercava a quell’ora? Lo schermo del mio Nokia  rispose subito alla mia domanda: Emy <3.

Risposi. “Pronto?”.

“Giò, ma dove sei?” disse, la vocina di Emy già frizzante ed energetica di prima mattina.

“Sull’auto” le dissi “Sono appena passata davanti alla stazione, fra 7-8 minuti sono a scuola…

“Ok, allora ti aspetto all’albero. Kiki ha una novità”. La sua voce sprizzava felicità più che evidente.

“Va bene, a dopo. Ciao tesoro” e riattaccai.

“Forse per Kiki oggi non sarà la fotocopia di ieri” pensai fra me e me riponendo il telefono nella borsa, e sperando che non si fosse di nuovo nascosto nei meandri più oscuri, fra manga e foglio volanti. Comunque, Kiki è una mia amica ed è la cugina diEmily, la mia compagna di banco.

E mi aspettavano all’albero, luogo di ritrovo mattutino di tutti gli alternativi delle scuole nei dintorni: in pratica sarebbero due vecchi ulivi e li intorno ci si ritrovano mucchi di gente, già di prima mattina, punk che si salutano sbattendo spalla contro spalla, dark che fumano la prima sigaretta appena scesi dall’auto, metallari che parlano dell'ultimo Cd di qualche band epicgothic o doom metal, le vecchie "zecche" che magari non vanno più nemmeno a scuola e che si fumano tutte insieme la prima canna della giornata, qualche sparuto gruppo di ragazzine con le borse e le t-shirt tutte "Tokio Hotel" o "Jonas Brother" del primo e del secondo che ridacchiano, e poi ci sono quelli del mio gruppo: un assortimento di scene queens, ragazzi brutal e uno, due skaters, a seconda se sono venuti per andare a scuola, o hanno già una meta per la giornata di sega.

Ma quel giorno era tutto diverso, infatti era il primo giorno di scuola dal rientro delle vacanze natalizie, il 10 gennaio, e perciò dai, il primo giorno dalle vacanze è d'obbligo venire a scuola.

Comunque, dato che vi sto raccontando la mia storia, tanto vale dirvi anche chi sono (e chi ero) così vi farete un idea di me stessa: mi chiamo Giorgia, ho 17 anni e sono quella che la società ha inquadrato, per il bisogno generale di definire sempre tutto e tutti, come un'alternativa.

A me non importa più di tanto, anzi mi sta bene così, alla fine è quasi una lusinga per me vedere che gli altri mi riconoscono come una persona strana, diversa dalle mille altre che mi circondano, una originale insomma. Comunque, se ancora non fosse chiaro, la mia storia (o la parte interessante della mia vita che mi accingo a raccontarvi) inizia il primo giorno di gennaio al rientro dalle vacanze di Natale.

L’auto alla fine arrivò a destinazione, e dopo aver parcheggiato alle autolinee, aprì le porte.. Aspettai che l'auto sfollasse un po', la ragazza affianco a me scese, così alla fine mi alzai anche io e con calma scesi le scalette, ancora con le cuffiette alle orecchie, tanto c'era tempo per levarle, e poi Hayley Williams ancora non aveva finito di cantarmi che "sta aspettando per un miracolo".

La strada, me lo ricordo bene, era affollata, tutta quella vita “da fermata del’auto” mi avvolse, e in un attimo mi ritrovai tra volti e voci sconosciuti o semisconosciuti. Gente che conoscevo di vista, abbracciava altra gente, e sentivo chiedere come erano andate le vacanze, che regali erano stati ricevuto e quelli che erano stati fatti, e altre stronzate così. Me ne fregava poco, anzi per niente.

Attraversai la strada, mi guardai un po' intorno, e alla fine presi la direzione dell'albero, dove sapevo che ad aspettarmi c’erano EmyKiky. Intanto i Paramore finirono la loro splendida canzone, così mi decisi a spegnere l' iPod e me lo infilai in tasca.

Vidi subito EmyKiki. Come non notarle quelle due …

Emy ha la mia età, è una rgazza decisamente “particolare”, come dice lei, con la passione per tutto quello che è trash, core e undergroud.

In realtà il suo nome è Emily, infatti sua madre è inglese, addirittura londinese mi pare. Conosco Emy da quando facevamo il primo, legammo subito molto, a quei tempi lei era una mezza Emo appena interessata a entrare in quel mondo, e io ero una specie di dark con lo smalto nero e una o due felpe nere. Ridicole, a guardarci adesso.

Di lei che dire, bhèEm è bellissima, ha la carnagione chiara chiara, gli occhi verdi e i lineamenti affilati tipici degli inglesi, un po' di lievi lentiggini che le danno un'aria un po’ infantile, è alta e un po' robusta. La particolarità di Emy: si riconoscerebbe tra mille per i suoi lunghi capelli che io stessa ho accompagnato circa un anno fa (da un parrucchiere di Roma) a decolorare e ricolorare azzurro, sul turchese. Ciò la distingue da tutto, e tutti, ovunque lei vada. E devo dire che quel turchese le sta benissimo, anche se lei dice che sembra aver ricopiato la sua scene preferita, Raquel Reed.

Affianco a lei vidi Kiki, la cugina di Emy, e una mia cara amica.

Kiky ha 15 anni ed è anche lei una ragazza con il look tendente allo scene, in realtà si chiama Cristina, ma lei odia il suo nome, e dato che invece adora KikiKannibal, diciamo che ha adottato questo nick.

Anche Kiki si riconosce da lontano, con i suoi capelli un po' oltre le spalle, lisci e di un candido biondo platino misto alla VirginSnow, la sua tinta preferita della Manic Panic.

Anche lei è particolarmente bella, dalla pelle rosa, il nasino un po' all'insù, le labbra fine e i grandi occhi azzurri.

Non somiglia molto a Emy, che è più robusta e alta, Kiki è magra, minuta ed elegante, bella quasi quanto un'albina.

Mi videro arrivare e mi salutarono con la mano. Affianco a loro due c'èra anche Clair (Chiara in realtà), una nostra amica un po' skater, un po' surfer, un po' hipster. Clair và tutt’ora in classe con Kiki e sono migliori amiche dalle medie, hanno scelto pur di non essere separate la stessa scuola superiore, e sono inseparabili.

Al fianco di Emy notai subito al figura totalmente nera di Shawn (Stefano), il ragazzo di Emy, ormai da due anni. Shawn è un ex-emo, ora scene king al massimo, uno di quei ragazzi alti, magri, vestito con i pantaloni skinny nerissimi, la felpa dei Asking Alexandria, e i capelli nerissimi, lunghi e lisici, con la frangetta che copre tutti gli occhi.

Shawn è un tipo timido, ma in fin dei conti simpatico, una volta che lo conosci bene è un confidente e un ragazzo sempre pieno di buoni consigli. Gli devo un'infinità di favori, e sarei persa senza di lui.

Shawn sta parlando con Christopher, uno skater italo-americano, di 16 anni, il ragazzo dai tempi delle medie di Clair.

Li vidi gesticolare un po', chissà cos'èra tutta quella agitazione?, mi sorse spontanea nella testa la domanda, accelerai un po' e iniziai a sentire le loro voci.

Alla fine arrivai a pochi metri da loro e vidi Kiki sorridere raggiante, nella sua felpa di pile, nera e bianca, con i guantini a scacchi che le avevo regalato forse l'anno prima e la sciarpa grigia.

Quasi mi immaginavo cosa stesse per dire, ma feci un sorriso anche io e dissi " 'Giorno!" alzando la mano. Tutti in coro risposero "Ciao Giò" e intanto dietro di noi notai un gruppetto di ragazzi che conoscevo e così gli feci un sorrisetto per salutarli. Mi risalutarono.

Emily, fulminea, mi si parò davanti e mi disse "Gliè lo ha chiesto!!!!!", e iniziò a saltellare come una matta qua e là tenendomi le mani.

Guardai Kiki e le dissi "Wow!", la abbracciai e le sorrisi. "Raccontatemi!!" feci loro.

Così in coro tutte emozionate, le due cuginette, a turno, chi più chi meno, mi raccontarono senza fermarsi mai che Danny (Daniele) il brutal dello scientifico, aveva chiesto proprio la sera prima a Kiki di mettersi insieme, dopo un tira e mola, che mi pare aveva avuto inizio a settembre.

Guardai Kiki raggiante di felicità, e la vidi contentissima, il suo sorriso era incorniciato dai lunghi e luminosi capelli e i suoi occhi azzurri splendevano come stelle.

“Mi sa che è vero che chi si innamora diventa più bello, e Kiki è più meravigliosa del solito” pensai fra me e me.

Ero felice per lei, aspettava da mesi che Dany si svegliasse.

La abbracciai forte, e intanto arrivò un auto. "Eccolo" disse Kiki.

Effettivamente dopo un minuto scese Danny e i suoi amici metallari e punk. Danny ha 16 anni, e con lui siamo amici dalle medie, quando era ancora un ragazzino magro, coi capelli corti come tanti altri, che di musica conosceva quella della radio e vestiva come un normale ragazzino.

Arrivò, disse un "ciao" generale, poi prese Kiki tra le braccia e la baciò. Sorridemmo tutti alla bellissima scena, chi più chi meno avevamo contribuito a tutto quello che stava succedendo proprio sotto ai nostri occhi.

E mi venne da riflettere che anche Kiki era sistemata. “E io sono una zitella della situazione, come sempre, ovvio” mi dissi..

Guardai l'orologio dal cellulare, le 8,16... “Ancora 4 minuti e i cancelli di Alcatraz si chiuderanno dietro di noi, come non facevano da prima delle vacanze natalizie” mi dissi.

"Dai Em, è ora di andare a scuola, fra 4 minuti suona" le sussurrai per non interrompere il resto dei discorsi degli altri. Mi fece di sicon la testa e fece l'occhiolino alla cugina raggiante, meravigliosamente bella.

Io, EmyShawn e i gruppetti di ragazze e ragazze di un po' tutte le scuole scendemmo verso il liceo classico-linguistico, e ci mischiammo con la folla di persone, che erano (chi più chi meno) pronte a ricominciare dopo quasi 20 giorni di vacanza.

Mi girai e vidi Danny, Kiki, Clair e Chris che andavano verso il liceo scientifico, anche loro si mischiarono con la folla e sparirono. Intanto arrivammo e varcammo anche noi i cancelli delle scuola, EmyShawn davanti mano nella mano, e io dietro di loro in silenzio. Shawn è più alto di me, anche se non troppo più robusto, e perciò mi misi subito dietro di lui ed Emy, così nessuno mi si metteva a fissare perché fissava lui o Emy.

Lo accompagnammo davanti alla porta del 4B, al sua aula, sezione classico; arrivate Emy lo baciò, io lo salutai con la mano e ce ne andammo verso la 4D la nostra aula, indirizzo linguistico, arrivate aprimmo la porta ed entrammo.

“Che un'altra giornata inutile e uguale alle altre abbia inizio” dissi a Emy, che rise.

La mia classe è piccola e poco numerosa, siamo 19, 8 maschi e 11 femmine... non ci sto male, dopotutto è una classe tranquilla, e anche se sono tutti profondamente diversi da me ed Emy, hanno accettato tranquillamente noi e le nostre stravaganze.

"Oddio, il dilatatore destro mi sta uccidendo, ieri per dare retta a Kiki me lo sono infilato tutto insieme e troppo in fretta" si lamentò Emy, sempre con qualche dolore.

"E magari hai pure saltato una misura, no!" le dissi innervosita, vista la sua stupidità nel fare certe cose.

"No, no tutto regolare. Dopo la lavata di testa della pusher di Tatoo niente più salti di misure" mi disse seriamente "ma immagino che ci metterà un po' a cicatrizzare bene" sospirò..

Le feci sì con la testa e iniziai a tirare fuori astuccio e diario. Adoro il mio diario: la copertina, che inizialmente era bianca, ora riporta tutti i nomi dei miei gruppi preferiti: Bring Me The Horizon, Asking Alexandria, Silverstein, Saosin, Hopes Die Last, BuryTomorrow, A Skylit Drive, Paramore, VersaEmergeEvanescence, Marylin Manson, A Day To Remember e tantissimi altri, la lista sarebbe lunghissima.

Mi persi un po' fra i rumori della classe, mentre Emy scambiava un po' di parole con tutte e tutti, chiedendo di Natale, capodanno, Santo Stefano, la befana, i regali e bla bla bla.

Entrò la prof si storia, un'ottusa rimbambita, che starebbe ore e ore a parlare di inutili personaggi storici, in modo così appassionato che a volte mi chiedo se non abbia davvero vissuto nelle epoche passate, e poi sia saltata qui nel futuro. Non ci speravo più che si fosse messa a chiedere di vacanze, regali e feste, e di come sia andata il tutto, perdendo una mezz’oretta. Lei è una di quelle che dice "Tutto bene? Bhè, spero di si. Allora oggi vi spiego..." e inizia senza fermarsi fino all'ultimo secondo della sua ora che non finisce mai.

Fece l'appello, naturalmente nessuno era assente, dopotutto in classe mia la gente è abbastanza precisa, e ovviamente primo giorno di scuola, uguale evitiamo di mancare.

Seguirono così due ore di noia pura, infatti dato che al ritorno vacanze inizia ogni anno la pausa didattica per chi ha i debiti in qualche materia la prof si mette a rispiegare la roba fatta a novembre.

Io mi misi a far finta di prendere appunti, tanto da dietro a Marco, un mio compagno ultrapalestrato, con due spalle che mi coprono pure i capelli, non mi vedeva nessuno. Iniziai a fare ghirigori e a giocare un po' con la matita. Il foglio bianco mi ha sempre molto ispirato.

Alla fine appoggiai la testa sul banco.

Bussarono. "Avanti" disse la Bertolini (la prof.). Entrarono due tipi: uno alto e moro, l'altro biondo e magro. Luca e Mirco, i rappresentanti d'istituto, a detta delle bimbe di primo i più fighi dell'istituto, a cui hanno dato il voto solo per questo. Così va a scuola, almeno nella nostra.

"Volevamo solo informarvi che la classe 5C è stata spostata qui alla sede centrale, perché durante i lavori di Natale i muratori hanno creato un'altra classe e adesso il 5C non deve più stare in sede succursale. Trattateli bene. Spero che ognuno di voi abbia passato delle belle vacanze di Natale" fece Luca, col suo faccino da bravo ragazzo.

"Tanti auguri in ritardo. Perdonate il disturbo. Buona lezione" disse Mirco, salutarono ed uscirono di fretta.

Io ed Emy ci guardammo. Lei mi sussurrò "Il 5C è qui da noi???".

Il mio cuore iniziò a pulsare freneticamente, e nella testa iniziò a fare le capriole la parola "5C.... 5C... 5C...".

"Questo significa che... oddio Giò" disse Emy riflettendo.

5C è una parola tabù per le mie orecchie, e ogni persona che mi conosce evita di nominare quella classe in mia presenza. Ma io già non la sentivo più. Provai solo un vago freddo, tipo una scossa, o meglio solo una pugnalata, fredda, corrosiva, terribile. Per me 5C voleva dire ricordi, tanti ricordi, voleva dire dolore, 5C significava lacrime, e aveva un volto, un nome, un maledettissimo sorriso imbronciato, che mai, mai sono riuscita a dimenticare.

5C voleva dire Davide.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: My Apocalypse ***


CAPITOLO 2: My Apocalypse

 

La seconda ora, il vociare delle mie compagne, la lezione, tutto perse la propria importanza subito dopo l'arrivederci dei rappresentanti d'istituto. Era tutto molto strano. Nella mia testa, lentamente, cominciano ad ammassarsi parecchi sentimenti ed emozioni: è una vita che non lo vedo, ma la mia idea era di doverlo dimenticare. Dolore, rabbia, ansie, preoccupazione.

Emy continuava a fissarmi, mi lanciava delle occhiatine per vedere le mie reazioni, stava cercando di captare che cosa avrei detto o fatto.

Alla fine la vidi smanettare con il suo Nokia, certamente stava dicendo a Shawn di venire appena ne aveva la possibilità, magari con la scusa del bagno o della lista delle merende giù la bar della scuola.

Guardai l'orologio: mancavano ancora ben venti minuti alla fine della lezione di Storia e io mi sentivo soffocare.

Chiesi alla prof di andare in bagno. Dapprima mi guardò stranita, e poi vista la mia faccia sconvolta disse qualcosa circa il fatto che ero più bianca del solito e che se mi sentivo poco bene era il caso che andassi a prendere un po' d'aria. Uscì velocemente dall'aula, cercando di fare meno rumore possibile.

Il corridoio era vuoto e silenzioso, a parte per il vociare proveniente dalle classi. Avrei voluto vomitare, tirarmi fuori anche la bile se fosse stato possibile; il senso di nausea mi inondava e la testa sembrava un martello pneumatico... Entrai in bagno, l'aria delle finestre spalancate mi arrivò dritta in faccia, quasi a volermi schiaffeggiare. Chiusi le finestre, tanto nessuno doveva fumare, perciò non serviva il ricambio d’aria. I bagni erano vuoti.

Mi sedetti a terra, mi abbracciai le ginocchia e iniziai a respirare lentamente. Volevo a tutti i costi distrarmi, e così mi misi a leggere le scritte delle porte dei bagni, sia quelle nuove che quelle che per me c'èrano da sempre: "Mirco sei bellissimo by Angy", "Luca ti amo", "Viva Ligabue!", "A.T. sei bellissimo", "Ale e Sere per sempre", "W il 3F", e poi quella più bella, la mia preferita da sempre, tutta dorata e corsiva "All you need is love". Mi sono sempre chiesta quelle porte quante ne avessero viste di ragazze come me chiuse in bagno a riflettere su chissà quale compito andato male, chissà quale litigio con la compagna di banco e chissà quale amore non corrisposto.

Già, tutti ciò di cui avevo bisogno in quel momento era proprio non pensare all’amore.

"Sta succedendo tutto troppo in fretta, non ho avuto per niente modo di prepararmi all'eventualità di poterlo rivedere, ma addirittura di riaverlo qui a scuola fino a giugno...no, è impossibile, se è un sogno, svegliatemi!" pensai.

Mi alzai, guardai il mio riflesso nel vetro della porta finestra del bagno. Fissai un po' il mio volto opaco, un po' stanco forse. Poi iniziai a studiarmi dalla testa ai piedi per capire in che stato ero: le mie CIRCA slip on coi disegni neri di dadi, coltelli, teschi e pistole erano li ai miei piedi, e si vedevano un po' i calzini rossi. I jeans skinny grigi che adoravo erano lì, la maglietta dei Bring Me The Horizon pure era apposto, il giacchetta grigio a fantasie dalmata era un po' sgualcito, ma era ok, e infine i miei capelli, quasi la mia religione, rossi fuoco tinti e ritinti della RockandRoll Red della Manic Panic erano abbastanza lisci, e anche se la frangetta era un po' in disordine, perlomeno ero abbastanza decente.

Niente eyeliner o rimmel colati. Solo un espressione sperduta e impaurita, il viso bianco e teso, e le labbra rosse e le guance un po' arrossate completavano il quadro della mia faccia.

Respirai. Volevo a tutti i costi ridarmi un tono, con quell'espressione sembravo una pazza, e se qualcuno fosse entrato in bagno in quel momento probabilmente sarebbe fuggito.

Guardai per un po' il mio braccio sinistro, deglutì, e mi obbligò a tirare su la manica della felpa. Guardai le cicatrici ancora vivide sulle braccia: una croce un po' più su del polso, marroncina sulla mia pelle candida, e un po' più sotto del gomito un cuore con dentro una D.

Non resistetti, mi morsi le labbra da sola, cercando di bloccare il flusso di ricordi. Quel cuore l'avevo fatto una volta, in secondo se non sbaglio, quando mentre ero sulle scale con Emy sentì scendere un mucchio di gente e riconoscendo subito la voce di Davide mi misi in ascolto e ricordo ancora esattamente le sue parole: "Probabilmente mi bocceranno quest'anno, anzi strano che ancora non l'hanno fatto, e mi ritroverò in chissà che classe. Sempre se l'anno prossimo sarò ancora vivo, chi lo sa...", e quest'ultima frase la disse mentre mi passava accanto.

Ricordo che avevo paura che lui si volesse fare del male, e se gli fosse successo qualcosa che avrei fatto io... e quella sera, senza un perché, comparve quel cuore, a ricordo delle sue parole. Dopotutto quando si è adolescenti, innamorati e codardi, si fanno cose terribili a se stessi.

Ma comunque vinsi il folle morbo dell'autolesionismo, circa nove mesi fa, questo grazie ai miei amici, alla musica e soprattutto alla forza di volontà che ci ho messo, decidendo di crescere e di andare avanti senza più fare del male a me stessa. In quel momento però mi sembrò di essere tornata quella di prima, quando la mia pelle era la lavagna della mia vita, dove i dolori e le paure prendevano vita grazie ad un paio di forbicine.

La porta del bagno si aprì: Emy entrò silenziosamente, e mi venne incontro.

Mi abbracciò, "Hey, andrà tutto bene Giò" dice. Iniziai a singhiozzare, le prime lacrime lasciarono il posto al pianto dirotto tra le braccia di Emy, che mi strinse.

Mi sentivo stupida, ma che ci potevo fare? Lei non disse nulla, mi lasciò piangere e sfogarmi, aspettando che mi calmassi. Alla fine suonò l'ora, così Emy mi risistemò il trucco alla meglio, e tornammo svelte in classe.

Nemmeno un minuto dopo entrò Shawn, col fiatone. Si avvicinò a noi due e presa una sedia, si sedette affianco a noi. "Em, come sta Giò?" disse, come se io non lo potessi sentire. "Come la vedi adesso Stè..." gli rispose.

"Ehi Giò, piccola, ehi... su, guardami!" disse. Lo guardai fisso, o più che altro guardai il frangettone che gli ricopriva il viso. "Tranquilla Giò, a ricreazione mentre usciamo ti informerò di tutto quella che riesco a scoprire... ora ho lezione quindi devo andare, ma tu non piangere eh!" disse. Si alzò, mi diede un bacio in testa, fece una carezza a Emy e uscì. Entrò invece la prof di biologia, che fissò Shawn per un po' finché lui non sparì uscendo, poi poggiò le sue cose sulla cattedra e salutò tutti. Era allegra, anche se eravamo appena tornati dalle vacanze. Aggiornò velocemente il suo registro, e ci chiese come erano andate le vacanze, dove eravamo stati, che regali avevamo ricevuto e altre curiosità. Lei è una di quelle prof che si interessa agli alunni, e non si mette a fare lezione il primo giorno di scuola, ed è veramente una brava insegnate.

Sentì vibrare da sotto al banco: Emy aveva ricevuto un messaggio. La vidi leggere di soppiatto, poi mi passò il suo Nokia e lessi anche io: "Il 5C è al terzo piano a destra, nell'ex stanza di musica. Pare che (da ciò che sanno qui in classe) D. è stato promosso l'anno scorso quindi ci dovrebbe essere anche lui. Non so altro, ma se scopro altro vi mando un mex. Ciao <3", così le ripassai il cellulare.

"Bene, è un piano sopra di noi" pensai. "Vado a vedere se è presente" disse Emy.

Non feci in tempo a realizzare le sue parole che già la prof. le aveva dato il permesso di andare in bagno. Adesso sarebbe andata in classe loro a controllare, con qualche scusa, come facevamo insieme due anni prima.

Mi risalì di nuovo la sensazione di vomito, così respirai profondamente. Meno di cinque minuti dopo Em rientrò in aula. La guardai agitata, non potevo fare a meno di fremere, perché volevo sapere a tutti i costi che cosa aveva visto.

Si sedette e subito iniziò "Pare che Shawn abbia ragione...è in 5D" fece una pausa, scrutandomi un po', poi riprese "Giò, senti, quando l'ho visto l'ho riconosciuto appena...magari adesso che lo vedi non ti fa più alcun effetto, oppure..." ma io ribattei subito "Che significa che l'hai riconosciuto appena?" domandai. "Diciamo che era diverso dal Davide di sempre...comunque magari se lo vedi ora non te ne frega più nulla..." disse, seria.

Mi venne da ridere. Un riso amaro, uno di quello che spuntano fuori dalla bocca delle persone, e si stampano sulla faccia, ma sono cinici, e ti lasciano un brutto sapore sulle labbra. Sapevo che quello che Em diceva non aveva senso. "Sappiamo entrambe che non è così... io ci provo a dimenticare, ma in fondo lo so che non ne ho la forza. O semplicemente non posso...", lei ribatté "oppure non vuoi!" disse, alterata. Sospirai "Semplicemente Em, non c'è nient'altro che io voglia più di lui, e non servirebbe a nulla tentare di dimenticare una cosa che non può essere lavata via. Non voglio prendere in giro ne te, ne Kiki, o Clair... lo amo ancora, lo so che è così, e c'è poco da fare..." sospirai ancora.

Emy ritornò a guardarmi teneramente. Anche lei lo sapeva che c'era poco da fare. Forse, anche lei come me sentiva in qualche modo che io e lui eravamo fatti per stare insieme.

Alla fine mi disse "Già, l'amore è così. Però questo potrebbe essere un segno! Magari è una seconda possibilità", questa frase scese giù, dentro di me, e sentì quasi il calore che c'èra nell'idea di una seconda chance. Ma sarebbe stato solo altro male, solo altro dolore, non riuscivo a vederla diversamente. "Forse è inutile sperare" mi dissi.

Guardai l'ora al cellulare: le 10,58. Mancavano un po' più di 20 minuti alla campanella della ricreazione. Sarei potuta rimanere in classe per non vederlo, sarei potuta andare al primo piano e stare lì durante la ricreazione, ma dovevo affrontare la verità, non nascondermi. Mica potevo fuggire tutto l'anno, all'entrata all'uscita, alla ricreazione, sulle scale e per i corridoi.

Altri 5 mesi a fuggire? No non potevo!

guardai la mia immagine riflessa nello schermo del telefono: bianca pallida e con un espressione truce.

Emy mi abbracciò, senza farsi vedere dalla prof. Sentì l'odore del suo profumo alla vaniglia, lo adoravo. La strinsi forte anche io.

Dovevo essere forte, perché era ora di svegliarsi.

Quegli ultimi 20 minuti li passarono a guardare le pagine del mio diario personale (un quadernino pieno di foto, disegni, parole su parole circa le lunghe giornate di questa 4a liceo, e qualche abbozzo poetico qua e là): quante volte anche gli altri diari erano stati riempiti di piccole e colorate D. e di cuoricini, di scritte come "Batfire" (un soprannome che gli diede Emy in 3° per via dei suoi tatuaggi raffiguranti ali di pipistrello, fiamme e altre cose inquietanti tipo teschi e stelle tribali) oppure frasi di canzoni dedicate a lui.

Quando però iniziai il quarto, decisi di non accennare più a lui. La sua classe era in succursale, lontanissima dalla centrale dove eravamo noi, le rare assemblee d'istituto lui le ha sempre saltate, e quindi in fine dei conti non lo avrei più visto, o almeno era quello che pensavo fino a quella mattina. Occhio non vede, cuore non duole, insomma...ma il destino mi riservò quella sorpresa post vacanze come un fulmine a ciel sereno.

Sentì la campanella, i miei pensieri andarono in pezzi come cocci: la ricreazione era iniziata. Em si infilò la felpa nera, la sciarpa e i guanti, e ci dirigemmo da Shawn. Lui ci aspettava davanti alla porta della sua classe. "Su con la vita!" mi disse, e sorrise. Dopotutto ero tranquilla, perché loro erano con me. Imboccammo le scale a chiocciola, fra i branchi di ragazzini del primo, che scendevano chiassosamente, incontrando raramente qualche prof che ci salutava. Le scale finirono e ci trovammo al piano terra, ci dirigemmo al portone per uscire sul cortile e arrivammo fuori.

Sentì un brivido gelato, dopotutto era solo il 10 gennaio. Il cuore martellava, martellava forte. Sentivo ridere mentre imboccavamo lentamente la discesa che porta tutt'ora al parco della scuola e all'entrata del bar. L'anno scorso di solito lui e il resto dei ragazzi dell’ex 4C si sedevano sempre alla fine della discesa, sui muretti. Deglutì, stavo per rivederlo. Non lo vedevo da giugno, quasi 8 mesi prima, l'ultimo giorno di scuola, saputa la notizia della succursale avevo totalmente perso le speranze, dicendo a me stessa che ormai il tempo a mia disposizione era finito, tragicamente non ci potevo fare proprio nulla. Girammo l'angolo, tirava un po' vento, ma dopotutto per essere gennaio non faceva nemmeno freddissimo. O forse ero semplicemente io che ero talmente agitata da essere diventata insensibile pure al freddo. Guardai i muretti grigi, verso la fine della discesa: un gruppo di 4-5 ragazzi se ne stava seduto lì a chiacchierare. Mi sfiorarono prima delle voci. Risate. Commenti. Osservai le nuvolette di vapore che si condensavano fuori dalla mia bocca.

Qualcuno fumava. Vedevo il rosso della punta di una sigaretta brillare in lontananza, e per un attimo mi sembrò di tornare ai tempi in cui anche io fumavo. Tentati di mettere a fuoco i loro visi, per capire se erano davvero quelli del 5C. Poi guardai bene, e rimasi letteralmente col fiato sospeso, attanagliata dal freddo: un ragazzo magro, magrissimo, un po' infagottato e coll'espressione un po' persa nel vuoto se ne stava dove il muretto faceva angolo col muro, quasi a volersi rifugiare, seduto e in silenzio. Era lui che fumava. Alzò gli occhi proprio verso di noi, e in un attimo mi sentì di affondarci dentro quegli occhi neri. Di cadere in un buco nero di ricordi. Un buco nero pece, giù, sempre più in basso, senza un appiglio, senza respiro. Si, era lui. Ne ero certa, quelle pozze scure, atone erano gli occhi di Davide.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 : The Truth ***


CAPITOLO 3: The Truth

 

Il momento in cui i nostri occhi si incrociarono ancora lo ricordo come se fosse passato solo un' attimo. Probabilmente in quel momento il mio cuore perse qualche battito, ma io non sono una di quelle ragazze sdolcinate che si mette a fare soliloqui circa l'amore, anche perché per me l'amore non ha mai avuto riscontri positivi.

Comunque, prima di continuare a parlare di ciò che accadde quel 10 Gennaio, ho deciso che metterò in chiaro cosa è accaduto fra me e Davide, e il perché di tutta quell'agitazione.

Diciamo che è una storia lunga e incasinata, quindi cercherò di riassumerla nei momenti più importanti.

Iniziò tutto il 13 settembre 2007, il mio primo giorno di scuola delle superiori. Oddio, in realtà, dovrei guardare ancora più in dietro nel tempo, e per farlo dovrò parlarvi un po' di me.

Come ho detto mi chiamo Giorgia, e frequento il liceo linguistico M.&.F. di una cittadina vicino Roma, che si chiama V.

Purtroppo però non vivo lì, ma vengo da fuori, da un paese piccolissimo, mentalmente ristretto e che io odio con tutto il mio cuore, che purtroppo dista mezz’ora da V.

Sono sempre stata una ragazzina molto strana, e con una mentalità molto diversa da quella paesana dei miei amici, non ho mai provato interesse per la vita di paese, che mi annoiava e spesso mi intristiva, avrei volto vivere in città fin da piccola, ma così non è mai stato. Fatto sta che in 3a media delle mie amiche che si erano trasferite a Roma qualche anno prima, Federica e Francesca,  mi parlarono di uno stile che era appena nato fra i ragazzi e le ragazze di Roma: l'Emo. Mi innamorai subito di questo stile, ma avevo sempre 13 anni, e non era fra le mie priorità in quel momento cambiare look.

Nell'estate 2007 confermai l'iscrizione al liceo linguistico con la gioia nel cuore, finalmente sarei uscita da quell'odiato paese, e avrei conosciuto ragazze provenienti da città vicino Roma che sicuramente erano più aperte e con idee come le mie.

Così fu. Nessuno pensava che venivo da fuori, da un paesino, e feci subito amicizia con una ragazza, Emy. Lei, a quel tempo si interessava all'Emo, ed era decisa ad entrare nel gruppo di alternativi della zona. Fra di loro c'èra Davide.

Ricordo ancora la prima volta che lo vidi a scuola. Ero al bar, e quando sei del primo se ti passano davanti e ti spintonano nessuno accenna minimamente a chiederti scusa, e come sempre quella volta avevano scavalcato la fila 6 o 7 persone, così avevo quasi perso le speranze di comprare la merenda. Mentre stavo per andare via, stufa di quel macello sentì una voce che chiamava la barista "Francesca questa ragazza sta aspettando di essere servita da 10 minuti!" disse, e poi mi guardò. Rimasi a bocca aperta. Era un ragazzo bellissimo, i capelli neri tinti di blu, e vestito tutto di nero. Un' Emo di certo. Il primo Emo che avessi mai visto dal vivo. Adesso detto così può sembrare patetico, ma parlando di quasi 5 anni fa, non era così comune vederne uno.

Così alla fine la barista mi servi, io gli sussurrai un grazie e scappai.

Passarono 4 mesi, i cui lo vidi varie volte, all'uscita da scuola e a ricreazione, ma non ci feci troppo caso.

A gennaio iniziai un corso di giornalismo e legai moltissimo con una ragazza, Elisa, anche lei sulla strada dell'Emo. Diventammo amiche per la pelle, pur frequentando un'altra classe, e una sera mentre eravamo al telefono (passavamo una due ore a parlare) lei mi rivelò che era innamorata di Davide. Allora le promisi che avrei fatto di tutto per aiutarla. A marzo 2008 aderì ad un gemellaggio con l’ Olanda, e partendo salutai Elisa chiedendole di informarmi su qualsiasi novità. Così a metà della settimana Elisa mi mandò un messaggio dicendomi che si erano conosciuti. Di ritorno dall'Olanda, Elisa mi disse che si erano messi insieme. Fui felice per loro, e da lì iniziò la nostra vita tutti e tre insieme. Come avevamo un momento libero stavamo insieme, a ricreazione ero sempre con loro due, il sabato uscivamo insieme, e anche durante educazione fisica (che facevo con la classe di Elisa) trovavamo un modo per farlo uscire dalla classe e stare con noi. Arrivò l'estate. I rapporti con entrambi si interruppero, perché io partì.

A settembre del 2° appresi che durante l'estate si erano lasciati: da quel giorno niente fu mai più come prima. Davide non mi salutò ne parlò più, e chiesi ad una sua amica il perché. Pare che non voleva avere più nulla a che fare ne con Elisa ne con le sue amiche.

Allora parlai con Elisa, per capire cosa era successo. Mi resi conto allora che Elisa non c'èra più: la ragazza che conoscevo in 1° era sparita, e mi trovai a parlare con un estranea: mi disse che aveva rotto tutti i rapporti con i vecchi amici e amiche perché era diventata VIP a piazza del Popolo a Roma, e perciò usciva più con la gente che non fosse “alla sua altezza”. E mi disse che aveva lasciato Davide, perché lo riteneva troppo noioso per una come lei.

Capì allora la reazione di Davide, e riflettei molto su questa cosa. Lo vidi giorno dopo giorno rovinarsi: iniziò a fumare e a dormire sempre meno, dimagrì tantissimo, e stava sempre dietro ai suoi amici senza però partecipare mai alle conversazioni. E dentro mi me riaffiorarono i ricordi dei momenti passati insieme: la dolcezza con cui lui trattava Elisa, la sua gentilezza, il suo sorriso dolcissimo, il fatto che a ricreazione la andava a prendere in classe e la ascoltava anche sei lei non faceva che lamentarsi, il modo in cui le apriva la merenda, il modo in cui la guardava, indescrivibile...

Elisa aveva buttato al vento qualcosa di inestimabile, e in realtà io non capì mai perché l'aveva fatto. Alla fine un giorno ritrovai il diario del primo, e mi resi conto che mi mancava la sua compagnia, rileggendo le pagine che avevo scritto su di lui.

Quando capì che me ne ero innamorata fu troppo tardi...

Il 15 dicembre 2008 andai da Federico, un suo amico, e gli dissi di dirgli che mi piaceva, e che potevamo ricominciare da capo. Scoprì poco dopo però che stava conoscendo una ragazza Scene di Roma, e perciò gettai la spugna.

Arrivò giugno, e le scuole chiusero, passò l'estate ma il pensiero di Davide non se ne andava. Scoprì da delle amiche che aveva lasciato la Scene di Roma, per mettersi con un'altra ragazza, che però anche lei lo mollò in modo terribile alla fine dell'estate.

Arrivò settembre 2009 e iniziai la 3a liceo. Fra settembre e ottobre mi riavvicinai casualmente a Elisa, che era diventata PR del Durex, una festa alternativa in cui solo Punk, Dark, Metallari, Lolite, Scene king e queen, Emo, visual, e gli alternativi in genere potevano partecipare. Inizialmente ero preoccupata e indecisa sull'andarci o meno, dato che non correvano buone voci su quelle feste, ma alla fine optai per andarci e il 3 ottobre 2009 io, Emy e Reb partecipammo alla prima festa invernale. Ci divertimmo un sacco, e per di più lì incontrai anche lui, si a quello di ottobre che di novembre, con una scene di Roma, che però lo mollò dopo poco. Alla fine non venne più nemmeno a quelle feste, e così indagando scoprì che aveva perduto a poco a poco tutti gli amici di Piazza del Popolo e che non sarebbe venuto più a quei tipi di eventi. Nel mentre però io avevo conosciuto anche altre persone sia fra i ragazzi di Roma, che fra le amiche di Elisa, per esempio sua cugina e una sua bellissima amica: Arianna. Questo mi distrasse abbastanza da come si mettevano le cose, ma non del tutto.

Passò anche il primo trimestre del 2009, in cui passai tutte le ricreazioni a guardarlo da lontano, e alla fine arrivarono le vacanze di Natale. Durante le vacanze di Natale uscì con moltissimi ragazzi, e anche dopo, da gennaio fino a marzo frequentai un metallaro, che però si rivelò un imbecille.

Purtroppo nessun ragazzo era degno ai miei occhi, perché quello più dolce e gentile del mondo mi aveva fatto emozionare mille e mille volte.

Passarono marzo, aprile, maggio, giugno, e finì anche la 3a liceo, con la notizia che la C sarebbe andata in succursale l'anno dopo. Rimasi sconvolta, non lo avrei visto mai più. E così alla fine decisi di rinunciare a lui per sempre.

Lo vidi l'ultima volta in 25 giugno, casualmente venne a mangiare con due suoi amici (una coppia di scene king e queen che veniva da Roma) nel locale in cui io avevo prenotato la sala per il mio 17° compleanno, e anche per quello di Reb, dato che siamo nate solo con un giorno di differenza.

Anche l'estate 2010 passò così, a pensare a lui, anche se conoscevo molti ragazzi, fra i cosplayer di Romics, e i ragazzi che incontravo al mare, lui era sempre nel mio cuore.

Iniziò la 4a liceo, e ogni giorno fu più apatico dell'altro, senza di lui le mie giornate erano vuote, e ogni cosa non aveva più senso. Il trimestre lo chiusi tutto sommato bene. Solo il debito scritto e orale a matematica, e un 5 orale in francese. Durante le vacanze di Natale mi divertì, e mi svagai molto. Alla fine arrivò il 10 gennaio 2011. Non rivedevo Davide dal 25 giugno. E non immaginavo che fosse cambiato in quel modo.

Più o meno questa a larghissime linee è la storia, anche se ho dimenticato di raccontare che per lui feci delle cose assurde: il dolore che provavo mi portò all'autolesionismo, e andò avanti per molto molto tempo, durante tutto l'arco del 2° smisi di studiare, e riuscì a passare l'anno per miracolo, e i miei genitori vedendomi sempre depressa, a letto, a piangere mi fecero fare anche 3 mesi di sedute dallo psicologo. Ringrazio sempre il cielo che le mie amiche e i miei amici ci sono, e che posso contare su di loro. E devo ringraziare anche Elisa, perché, pure essendo diventata una persona pessima a mio parere, e pur sapendo che amavo Davide e cercando di intralciarmi in qualsiasi modo, mi ha reso ciò che oggi sono.

Ero, ai miei esordi qui, una ragazzina bassa e mal vestita, senza un briciolo di cultura underground e musicale. Adesso sono una ragazza più fiduciosa in se stessa, con una vera personalità e dei valori in cui credo. Adesso sono qualcuno, perché lei e la mia voglia di rivalsa mi hanno aiutato a tirare fuori la mia vera identità.

Ma soprattutto lui, più di ogni altra persona, è il motivo per cui oggi sono quel che sono: i miei capelli li ho tinti così per lui, i dilatatori, i tatuaggi, lo stile alternative, ho fatto tutto per lui. E la me stessa di oggi mi piace molto di più anche se viene fuori per far contento qualcun’altro. Spero di avervi raccontato la storia in modo chiaro e coerente, e adesso sapete più o meno tutto dall'inizio fino al 10 gennaio, quando i nostri occhi si incrociarono ancora una volta, fra fumo di sigarette e l’aria ghiacciata dell’inverno che imperversava.

Adesso voglio tornare a raccontarvi questa storia, dal momento in cui rividi Davide.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Save Your Heart ***


CAPITOLO 4: Save Your Heart

 

Scendere quella discesetta quel giorno mi parve più faticoso e lungo del solito, ma per fortuna avevo Emy affianco che mi teneva sotto braccio. Le nuvolette di vapore che fuoriuscivano come provavo a parlare si condensavano subito, prendevano una qualche strana forma e poi sparivano. Quel giorno mi assalì la paura che se avessi fiatato un po' di più le nuvolette avrebbero preso la forma delle parole che avevo nel cervello. Sarebbe bello vederle condensare, prendere la forma delle parole, e vederle volare da chi vuoi. Mentre mi perdevo in queste parole ci avvicinammo al gruppetto.

Guardai bene le sagome incappucciate e subito riconobbi ognuno di loro: Andrea, Mattia, Federico e anche quello che un tempo era stato una persona splendida, e che ora se ne stava gettato in un angolo, con lo sguardo perso, e tutto infagottato da capo a piedi.

Tesi l'orecchio per capire cosa dicevano. "Oddio ma saremmo sotto zero oggi..." era la voce di Andrea. Impossibile non riconoscerla, data la musicalità con cui parlava e dato il fatto che era il cantante di un gruppo che aveva messo in piedi un paio di anni prima.

"Porco cane, fa un freddo che ci si porta..." la voce di Federico, il tono da eterno accannato, ma poi in realtà forse lui di quei tre era il ragazzo con la testa più sulle spalle.

"Cazzo, ho i piedi ghiacciati... porca miseria. Oh Da', ma tu non senti freddo?" fa ancora Andrea. “Copriti bene piccolino sennò ti ammali ancora eh??” la voce di scherno di Mattia, che si divertiva a prenderlo in giro.

"Porcoddio ma la pianti Mattì!". Risposa secca. "Ecco, di certo non ha smesso di bestemmiare, e la sua voce bastarda sta ancora tutta lì, a rompermi l'anima" pensai.

Era una vita che non la sentivo quella voce, che avrei fatto di tutto per far si che mi dicesse anche solo "ciao". E sentirla ancora faceva un effetto strano, quasi surreale.

Emy mi strinse la mano. Poi mi accorsi, troppo tardi, che Shawn stava rallentando. Il presentimento che si sarebbe fermato a salutare mi assalì, ma non feci in tempo a realizzare che mi ritrovai a pochi metri da loro. "Andy!" fece Shawn.

"Oh! Stè! Quanto tempo... Come và?" domandò Andrea, riconoscendolo. Una bella botta spalla a spalla e Shawn rispose: "Bene dire, dai...voi siete tornati qui in centrale eh?" gli domandò.

"Direi che era ora, è! Quella succursale di merda piena di contadinelli e di vigne aveva un po’ stufato" rispose Andrea. Io ed Emy osservavamo la scena in silenzio, mentre il mio livello di imbarazzo saliva alle stelle. Cercai di nascondermi dietro Emy.

Ad un certo punto Shawn fece segno di avvicinarci. "Oh cazzo ..." pensai. Emy mi scrutò silenziosamente, la vidi riflettere e alla fine mi fece cenno di seguirla. Che dovevo fare? Il mio corpo si mosse, per inerzia, dietro alla mia amica e verso di loro.                                                                                                                              

"Te la ricordi Em?" domandò Shawn a Andrea, portando una mano al fianco di Emy, che era un po' contrariata vista la situazione.

"Si si, la tua donna no? Bei capelli eh!" rispose impressionato, e poi mi guardò. Alla fine Shawn fu costretto a passare alla mia "ri-presentazione" dato il fatto che non dicevo nulla da sola, e che già li conoscevo dall’anno prima ma era una vita che non ci parlavo.

"E Giò te la ricordi?" domandò Shawn. Lui mi fissò un po', sicuramente non ricordava i capelli rossi, ma sapeva al 100% chi ero.

"Ahh, ma si, la ragazza, che era innamorata di Davide. Giorgia no?" domandò tranquillo tranquillo.

Lui si girò a guardarmi, strizzò gli occhi e mi riconobbe, così cominciò a fissare insistentemente il pavimento, e non alzò più il viso fino alla fine della conversazione, che si concluse di li a poco.

Io rimasi lì interdetta, e alla fine mormorai “Si, Giorgia, si …” come una cretina. Non si vedeva affatto che ero rimasta imbambolata ed ero imbarazzata al massimo.

Eeemh …” disse Emy, probabilmente pensando che sarei scoppiata a piangere o cose così. Andrea iniziò una fitta conversazione con Shawn, ed Emy rimase li affianco a me cercando di capire come stavo, dato che non poteva chiedermelo espressamente e purtroppo il dono della telepatia ancora non l’avevamo sviluppato.

Mi sentì parecchi cretina in quel momento, ma decisi che non era il caso di scappare. In quel momento Davide alzò ancora gli occhi verso di me. Il tempo non si ferma mai no? Non per noi umani almeno, ma forse per le anime rinchiuse nei nostri mortali corpi si, e in quel momento lo sentì fermarsi.

I miei occhi si persero sul fondo dei suoi, nero pece come poche volte li avevo visti nel corso del tempo che avevo passato con lui. Però era diverso. Non era il ragazzo che ricordavo. Il Davide che amavo era bello nel suo aspetto brutale: quei capelli lunghi e lisci, il cappello nero con le righe rosse a papera, le felpe Drop Dead, gli skinny neri e le scarpe Circa da vero skater. E poi quei suoi immancabili e numerosissimi piercing: il center, gli snakes bites, il septum, il Monroe, e i dilatatori seminascosti dai ciuffi scuri. Questo era il Davide che avevo lasciato, l’ultima immagine che avevo di lui era quella: il ragazzo che portò per primo il new alternative nella mia scuola. Era stato il primo Emo della scuola, pallidissimo, ciuffo nero striato blu, Vans. Poi divenne un brutal, bello, bellissimo come me lo ricordavo. E invece quel giorno mi si parò davanti agli occhi tutta un'altra cosa, un persona differente: un ragazzo magrissimo, con la pelle così chiara da apparire trasparente, e quasi malata, i capelli corti e neri, il volto un po’ scavato, un maglione grigio magari un po’ largo per lui, un paio di jeans che mettevano ancora più in risalto le gambe magre, e un paio di vecchie converse nere alte. Si stringeva in una felpa rossa, una di quelle della Drop Dead, e la sciarpa nera gli avvolgeva il collo fino sotto il mento. Sembrava non avere 19 anni, bensì quasi 80, con l’espressione stanca di chi non ce la fa o non gli và più di vivere, e si chiede il perché continua a svegliarsi la mattina. Lo sguardo era spento e vuoto, chilometri lontano da dove eravamo in quell’istante. E alla fine di questa sospensione il tempo riprese a scorrere.

Vabbè, ci si vede in giro, ma vieni a sentirci qualche volta è!! Ci conto!” disse Andrea a Shawn. “Ok Andrè, fammi sapere quando suonate che mi porto anche loro a sentirvi!” rispose Shawn facendo un cenno di mano. “Contaci! Ciao Stè!” disse Andrea e ci salutò.

Camminammo ancora un po’, poi Emy mi cominciò a fare domande, ma sinceramente non riuscì a concentrarmi su cosa stava dicendo, ne su quello che aggiunse dopo Shawn. Era tutto molto lontano. Io ero lontana.

Scrutai attentamente dentro di me. Contai ogni battito. Mi lasciai percorrere da ogni brivido.

Tumulto nell’anima. Ecco come stavo.

Alla fine però arrivai ad una conclusione che era scontatissima: l’avevo visto dopo moltissimo tempo, ma dentro di me non era cambiato nulla. Lui era diverso, io ero diversa, eravamo forse cresciuti un po’, ma quei sentimenti erano rimasti lì, fermi dentro di me come le radici di un albero affondate nella terra così in profondità da non essere più radici e terra, ma essere un tutt’uno insieme. Esseri indivisibili. Così erano il mio cuore e i miei sentimenti: indivisibili.

Parlai con Emy di tutto questo, e lei mi disse solo che l’aveva immaginato. Dopotutto l’amore non và e viene, è perpetuo.

Alla fine arrivò la 5° ora, suonò la campanella che ci garantiva la libertà tanto agognata da Alcatraz anche per quel giorno, e man mano uscimmo dalle rispettive classi, che ci avevano oppressi con le loro pareti bianche per 5 lunghi ore.

In fermata Kiki, Clair e Danny stavano discutendo circa qualcosa come un compito da fare per le vacanze che però non sapevano di dover fare. Christopher e Shawn scambiarono due veloci chiacchiere, ed Emy continuò a fissarmi preoccupata finché non arrivammo in fermata. Alla fine avvertì tutti di quello che era accaduto, così Kiki e Danny mi consolarono più che potevano, ma non è che volessi essere consolata. Chris e Shawn rimasero per un po’ in silenzio. Clair ed Emy parlottavano fra loro, ma non avevo voglia di sentirle, così iniziai a fissare un albero e guardai ogni tanto l’ora. Ad un certo punto passò l’auto di Danny, che se ne andò, rubando un bacio furtivo a Kiki. Dopo pochi minuti la zia di Em venne a riprendere lei e Kiki, e Chris se ne andrò con la circolare. Rimanemmo io e Shawn, dato che i nostri auto passavano tardissimo. Parlammo un po’ del da farsi, ma in realtà c’èra ben poco da fare. Fortunatamente Shawn non mi chiese cosa stavo provando, e io rimase vagamente sul “sono un po’ scossa”. Anche l’auto di Shawn arrivò, e così lo salutai abbozzando un sorriso, e mi rinchiusi grazie alle mie fedeli cuffie in “Still Breathing” dei Mayday Parade. Guardai l’orologio, le 13.45 esatte. Mancavano ancora 10 minuti prima che l’auto si sarebbe fatto vivo. Mi sedetti da sola su un muretto, e ci misi un po’ per rendermi conto che stava risalendo la figura goffa di Federico, anche lui a prendere l’auto.

Mi si sedette accanto. “Ehi!” disse. Mi levai le cuffie. “Ciao!” dissi, osservando la nuvoletta di vapore che fuoriusciva alle mie parole.

“Sei sbiancata parecchio oggi eh?” disse. “Già” feci. “Scusa Mattia, lo sai, lui è un po’ così, quando si tratta di sentimenti non ci fa molto caso” disse, riferendosi alla sparata di Mattia a ricreazione, che effettivamente non aveva avuto il minimo tatto …

“Tranquillo” dissi. “Comunque sono contenta che siete di nuovo con noi in succursale” continuai, un po’ imbarazzata.

“Anche noi lo siamo. Anche Davide sai … anche se sembra un morto” disse, un po’ serio e un po’ ridendo.

“Già … è cambiato molto è …” azzardai. “Già, sai, penso che dopo un po’ di batoste da parte di tutte quelle poco di buono che si illude di amare, alla fine si sia stufato anche lui. Sai dopo un po’ ti rompi dell’amore, nel caso in cui questo ti prenda per il culo continuamente!” disse sentenzioso.

“Wow! Allora devono averlo scaricato in parecchie” feci ancora.

“Mi chiedo ancora perché mai non gli fosse andata bene fin dall’inizio una come te. Cami mi ha detto che sei una brava ragazza, altro che tutte quelle deficienti che si ostina a frequentare lui”. Camilla era la sua ragazza da qualche mese, e io la conoscevo dall’anno prima per via della passione per i manga che avevamo in comune.

“E così Cami ti parla di me! E che dice …?” domandai.

“Ma, che dice … che sei gentile, sei un po’ tonta, ma dice che sei buona, e che soprattutto sei una ragazza seria …” disse. “Cami è troppo gentile. Non fidarti troppo, anche io ho i miei difetti” sentenziai quasi ridendoci su.

“Lo ami ancora vero?” domandò così di getto. Rimasi un po’ stupita dalla domanda, ma alla fine sapevo che ci saremmo arrivati.

Sospirai. Mi toccai i capelli. Ero di fronte alla verità dopotutto.

“Già. Penosa e patetica no? Non ti biasimo se lo pensi” gli risposi amaramente alla fine.

“No, sei solo una ragazza che meriterebbe di più, e che invece si è fissata su uno che è caduto troppo in fondo in un baratro per uscirne. Davide ormai ha capito che dell’amore non se ne fa nulla. E guarda, è solo un deficiente. Perché ci sprechi il tuo tempo …” disse.

“Me lo chiedo anche io, da tre anni …” risposi.

“Sappi che io ho sempre voluto che avesse una come te. Dopotutto è uno stronzo, ma è un mio amico, e non mi piace vederlo così”.

“E io che posso farci … Non sta a me dirgli che deve fare! E nemmeno con quale di quelle idiote che gli piacciono tanto dovrebbe uscire” dissi.

“Perché non ci provi ancora?” lo guardai, a quella domanda così assurda. Ma diceva sul serio. Parlava seriamente??

“Sul serio, perché gettare la spugna.. che hai da perdere? A giugno avremo la maturità. Così potrai dire di averci provato fino alla fine” disse.

“Scusa, per chi stai facendo tutto ciò?” domandai.

“Per entrambi. Tu puoi farlo tornare quello che era, e allo stesso tempo puoi essere felice. E io ti aiuterò. Pensaci su, almeno un po’. Se lo ami ancora, dopo tutto questo tempo, che senso ha gettare definitivamente la spugna?” era serio.

“Non ce la farei ancora, io non sono così forte. Ma lo sai quanto fa male tutto questo? Anche io ho i miei sentimenti, cosa credi, che io non soffra?” dissi, innervosendomi.

“Lo so, ma se ne valesse davvero la pena? Prova a salvarlo. Provaci un ultima volta. Non posso assicurarti nulla, ma pensaci. Potrebbe essere finalmente la volta buona, ti prego! Non lo dico per lui, ma per tutti e due voi. E se tu fossi il suo destino? E lui non lo capisse. Provaci ancora una volta!” disse convinto.

Parlava bene lui, che era stato con la sua ragazza per quasi 4 anni e poi una mattina si era svegliato capendo così che non era lei quella che voleva, bensì Cami. E aveva buttato al vento una relazione di 4 anni, per Camilla. Mica a tutte le ragazze la vita và così bene. Mica la fortuna perseguita tutte noi. Anzi la metà di noi la fortuna non le guarda nemmeno, e peggio, c’è chi è perseguitato dalla sfiga.

Ma alla fine aveva ragione! Che avevo da perdere? Dopotutto erano rimasti 6 mesi scarsi, e in 6 mesi tante cose cambiano.

“Dovrai aiutarmi, da sola non posso fare nulla. E non mi và di fare la figura della cretina. Penserà che sono una poveraccia, che non riesce ad andare avanti nella vita. Dopo tre anni ancora gli corro dietro. Questo si che è patetico” dissi.

“Oppure è incredibile. Ma chi lo farebbe mai? Gli farò aprire gli occhi. Tu però non gettare la spugna!”ribadì.

“Va bene. Ma non dirgli nulla. Fa finta che non ci sia mai stata questa conversazione …” dissi agitata. Guardai, in lontananza stava arrivando il mio auto.

“Ora devo scappare, arriva l’auto. Ma tienimi informata. Oggi ti aggiungo su FB ok?”.

“Va bene, e grazie per aver accettato. Ci tengo che lui torni quello di prima. E spero che tu sia felice, dico sul serio. Vedrai che andrà bene. A domani!” disse.

Lo salutai, e mi infilai sull’auto. Subito mi sedei vicini al finestrino, mi infilai le cuffiette, e lasciai la musica scorrere. Iniziò “Save Your Heart” dei Mayday Parade.

Sorrisi. Scese una lacrima, ma sorrisi. Ancora una volta la mia vita era giostrata da lui, e i miei sentimenti erano per lui. Maledetto bastardo, amore.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Take One Last Breath ***


CAPITOLO 5: Take One Last Breath

Quel pomeriggio riuscì a malapena a fare i compiti per il giorno dopo. Verso le 5 mi chiamò Emy per sapere se il giorno dopo potevo andare a pranzo da lei per finire di guardare un anime a cui ci eravamo appassionate durante le vacanze di Natale, così le raccontai della conversazione con Federico e lei ne fu molto soddisfatta, anche se mi esternò la sua preoccupazione circa il fatto che avrei sicuramente sofferto molto a correre dietro a Davide ancora una volta. A mamma serviva il telefono così la tranquillizzai e le promisi che ne avremmo parlato il giorno dopo e riattaccai. Quella sera non mangiai nulla e andai subito a letto. Mi girai e rigirai fra le coperte e alla fine mi addormentai. Ricordo solo che feci uno strano sogno: ero in una piazzetta mai vista e davanti a me c’èra una chiesa fatta di mattoni rossi. Io mi ero persa e stavo scappando da qualcosa, e mi nascondevo dietro dei muretti, ma non riuscivo a nascondermi bene e avevo paura. Mi svegliai nel panico, con il respiro accelerato e la sensazione di soffocare ancora addosso. Mi tranquillizzai quando mi resi conto che ero in camera mia nel mio letto, e davanti a me non c’èrano chiese, bensì solo l’acquario silenzioso con Taiga, Mattew e Tayler che sonnecchiavano. Tirai un sospiro di sollievo e cercai di riaddormentarmi, affondando la testa nel cuscino. Alle 6 mi alzai e iniziai a prepararmi, ancora un po’ sconvolta dal ritorno agli orario scolastici, dato che durante le vacanze dormivo anche fino alle 11. Alle 6.45, subito dopo colazione, mi infilai la felpa e scesi da casa per andare a prendere l’unico auto che mi avrebbe portato a scuola. Salita guardai l’ora, le 7,10 precise. Alle 8 arrivammo alla fermata, scesi e andai all’albero, dove mi aspettavano tutti. Notai subito Shawn che parlava con Federico. Dopo un saluto generale agli altri feci un cenno del capo per salutare anche lui, e andai da Claire a portarle un libro che mi aveva chiesto in prestito. Dopo aver finito di raccontare anche a lei tutto quello che avevo detto la sera prima ad Emy notai Camilla che arrivava da noi. La salutai e le chiesi come aveva passato le vacanze dato che il giorno prima non ci eravamo viste. Mi disse che le aveva passate quasi sempre con Federico, e che entrambi avevano dovuto spendere parecchio tempo sui libri dati i compiti per le vacanze che i professori non gli avevano risparmiato nemmeno per Natale. Alla fine Fede si avvicinò per baciarla e mi disse , guardando dietro le mie spalle “Sta arrivando!”, mettendoci tutta l’enfasi possibile. Capì subito a chi si riferiva e riflettei sul fatto che Federico era con noie quindi se lui non se ne voleva andare a scuola da solo 20 minuti prima che suonasse la campana, bhè, doveva venire da noi. Nel mentre arrivò anche Danny che si portò via l’attenzione di Kiki (e anche lei fisicamente) per baciarsela, senza curarsi minimamente di noi. Erano tutti molto allegri quella mattina, io invece me ne stavo lì a dormire in piedi. Mi voltai e fissai l’attenzione su una macchia nera che stava facendo inversione non lontano da noi. Si fermò un po’ prima del cancello dello scientifico e vidi lo sportello davanti aprirsi: ne uscì Davide con le sue cuffiette e la tracolla nera, in pandant con i capelli insomma. Subito mi nascosi dietro Emy e lo osservai: si guardò un po’ in giro, alla fine vide Federico e venne verso di noi, lentamente. Emy lo notò quasi subito, e girandomi verso di me che cercavo di confondermi con il paesaggio, mi guardò e disse di tranquillizzarmi, che sennò sembravo cretina. Intanto lui arrivò e salutò Fede, Cami e Shawn che stavano facendo un interessante conversazione circa il fatto che Tekken5 fosse stato più venduto rispetto a non so che altro. Shawn gli presentò Chris e Claire, e poi gli indicò Kiki e Danny che erano però troppo presi dal loro amore per poter badare a noi comuni mortali., e aggiunse “Emy e Giò già le conosci” indicandoci e sorridendo. Emy allora lo guardò e disse “Ciao!” e mi diede un calcio che significava “Saluta idiota” nella nostra lingua. Rimasi circa due secondi accigliata e poi mormorai “ciao” guardandolo di soppiatto. Lui ci guardò e disse “ciao” in tono molto gentile.

Mi aveva salutato! Era già un passo avanti no! Dopotutto forse stava per annunciarsi una buona giornata. Emy mi ricominciò a parlare come se nulla fosse, e io cercavo di seguirla per quel che potevo, anche se avendo davanti a pochi metri proprio lui che parlava con Shawn e Fede era difficile darle retta per più di un minuto senza perdermi. Alla fine comunque Camilla disse “Scusatemi ragazzi, ma dovremmo scendere! Sono le 8,15…”, Emy fece si con la testa, e ognuno di noi raccolse il proprio zaino da terra per poi dirigerci verso AlcatrazEmy e Shawn trottarono davanti a tutti mano nella mano da bravi innamorati, e io come al solito mi accordai. Intanto Federico si riavvicinò a Shawn per continuare la conversazione con Camilla al fianco, così mi ritrovai dietro di loro, con Davide affianco, dato che anche lui non sembrava capire quello che stavano dicendo ed era solo come me. Stava ascoltando qualche canzone di quelle abbastanza potenti, dato che la sentivo anche se non avevo le cuffie. Probabilmente era “Black Rose Dying” dei Blessthefall. Alla fine le tolse e infilò sia l’iPod che tutto il resto nella borsa. Intanto entrammo nel cancello e ci ritrovammo nel piazzale della scuola, aspettando che suonasse. Cercai di pensare a qualcosa da dire, ma non mi venne nulla in mente, e così ringrazia il cielo quando Emy disse “Ehi Davide! Ma quella spilla che hai sulla borsa è quella dei Bring? Del penultimo album?”. E lui “Si, è di Suicide Season, ma ho anche quella dell’ultimo album”. Emy sorrise e disse “Sai che è la band preferita di Giò? Mi ci rincoglionisce!”. Io allora dissi “Bhè, certo, sono bravissimi!” cercando di sembrare tranquilla. “Vero, anche se ultimamente stanno diventando un po’ commerciali.. sai che per promuovere l’album nuovo faranno tappa solo a Milano?”. Si lo sapevo bene, e la cosa mi rodeva non poco. “Si, lo so … che roba!”. Parlammo un altro po’, poi salutammo Camilla che entro in classe, e Shawn subito dopo. Salimmo al secondo piano e salutammo anche lui e Federico che salirono al terzo, e alla fine anche noi ci infilammo in classe. Emy mi rincoglionì per tutto il tempo dicendo che era andata bene e cose così, ma io non stavo più in me dalla gioia e quindi non facevo altro che sorridere come una cretina e dire cose non molto sensate. Finalmente ero riuscita a parlargli un po’, e per me era tantissimo. Mi sarei dovuta dare da fare, e non solo ne ero cosciente, ma avevo deciso: questa volta saremmo diventati almeno amici!

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: On Fail Wings Of Vanity And Wax ***


CAPITOLO 6: On Frail Wings of Vanity and Wax

I giorni che seguirono quel ritorno dalle vacanze furono per me semplicemente meravigliosi. A piccoli passi, ogni momento che potevo e ogni giorno di più, mi riavvicinavo a Davide, e dopo circa un mese la mattina ci ritrovavamo a parlare un po’ di tutto come se nulla fosse. Mi sentivo felice che quel rapporto di amicizia che si andava via via istaurando sembrava essere compreso e appoggiato da tutti. Emy, dal canto suo non incoraggiava questo fatto perché sapeva che in fondo io non volevo la sua amicizia, ma nemmeno tentava di bloccare o di opporsi alla situazione. Shawn non diceva nulla, e lo stesso facevano Kiki e Claire. Io non stavo sperando che Davide da un giorno all’altro si innamorasse di me, assolutamente non lo credevo, ma non potevo non essere felice per il fatto che lui finalmente mi considerava. Qualche volta la sera ci facevamo quattro chiacchiere su Facebook, e addirittura una o due volte avevo preso coraggio e gli avevo mandato dei messaggi sul telefono per farmi prestare qualche Cd. Le cose insomma migliorarono giorno per giorno, e anche se i progressi erano lenti ero felice lo stesso.

Una mattina accompagnai lui e Federico in classe loro con l’idea di andare un attimo in classe di Camilla, che stava li affianco. Mentre li salutavo mi apparve davanti Antonio, un loro compagno di classe con cui avevo stretto amicizia giusto l’anno prima durante l’organizzazione delle giornate dello studente. Mi fermò per fare quattro chiacchiere e alla fine mi disse che gli faceva piacere se volevo venire alla sua festa di compleanno a casa sua. Dato che era ancora metà febbraio quindi i professori non avevano ancora iniziato la corsa alle interrogazioni/verifiche selvaggia, accettai volentieri perché avevo abbastanza tempo libero. Ne parlai con Shawn e Federico alla fermata, che erano stati invitati. Emy si sarebbe accodata a Shawn e così ci accordammo per andare tutti insieme.

Tornata a casa lessi sulle previsioni che probabilmente avrebbe nevicato abbondantemente nell’arco di due tre giorni a venire, e facendo due conti magari la scuola sarebbe rimasta chiusa. Effettivamente la mattina del giorno della festa di Antonio e tutta la notte prima nevicò molto e l’aria era diventata di ghiaccio. I miei progetti di vestirmi senza troppi strati che mi avrebbero fatto sembrare un pupazzo di neve andarono in fumo, però ero contenta lo stesso perché la neve mi ha da sempre messo il buon umore.

Quella sera Shawn venne a prendere me ed Emy a casa mia, ed era un po’ agitato perché aveva preso la patente solo un mese prima e non aveva mai guidato con la neve. Arrivammo però sani e salvi, e fortunatamente nemmeno troppo gelati. Non ci eravamo vestite in modo troppo particolare, ma io mi ero messa due felpe della Drop Dead una sopra all’altra perché non avrei sopportato il freddo.

La festa si rivelò più tranquilla del necessario. Passò più o meno tutta a parlare a gruppetti mentre il fuoco scoppiettava nel camino, a bene e a mangiare tramezzini e pizzette. Emy e Shawn erano allegri, e non fecero che ridere tutta la sera, finché alla fine non gli venne un mezzo abbiocco e si andarono ad allungare sul letto della camera dei genitori di Antonio, dove li trovai addormentati due minuti dopo. Camilla e Federico si spostarono a parlare con un loro gruppetto di amici che non conoscevo, così alla fine mi ritrovai sola con Davide, e una sua compagna di classe, Chiara. Rimanemmo davanti al fuoco a ridere di cavolate per un po’ finché alle lei non se ne andò con la scusa che non gli andava di guidare con il buio e la neve. La accompagnai alla porta e poi andai da Antonio a dire se poteva darmi una coperta, lui mi disse di si e scomparve dentro una camera. Intanto che lui tornava con la coperta io tornai a sedermi sul divano accanto al fuoco con Davide accanto. Cominciavo ad avere sonno anche io e così non dissi nulla, per non disturbarlo. Antonio intanto mi portò la coperta, ma visto che era decisamente troppo grossa per me, anche se fu un po’ imbarazzante chiesi a Davide se ne voleva una parte, e lui fece un cenno di assenso con la testa. Ci stringemmo dentro la coperta ma inizialmente non mi avvicinai troppo. Fu lui che si strinse accanto a me e avvolse la coperta intorno a entrambi. Grazie al fuoco che aveva già tinto le guance porpora a entrambi probabilmente non si rese conto del mio arrossire.

“Sei stanca?” disse. La sua voce mi riportò al mondo reale. “No, no sono solo un po’ assonnata, ma credo che Antonio non aprirà la torna ne i regali prima di mezzanotte e manca ancora mezz’ora”. Non disse nulla. Vedere quei bei ciocchi di legno che scoppiettavano allegramente nel cammino mi trasmetteva tanta pace e tanta tranquillità, che sentivo gli occhi che si chiudevano. “Ma se ci allunghiamo come al vedi? Magari prima che ti addormenti, sennò dovrò tirarti su di forza …” . Ancora una volta tornai di soprassalto al reale. “Certo …” dissi, realizzando dopo quello che mi aveva chiesto. Poggiai la testa all’altezza del suo petto. Chiusi gli occhi e ascoltai i battiti del suo cuore. Era così preciso e regolare. Quel suono non tradiva nessuna emozione. Era perfetto, scandito e quasi musicale. Se lui avesse sentito il mio cuore, avrebbe capito tutto. Quello stupido organo che pompa sangue in tutto il corpo ancora una volta non mi ci stava facendo capire più nulla: batteva all’impazzata ed era segno di quanto stavo provando. Respirai piano e chiusi gli occhi appoggiandomi a quel calore e sperando che quel momento durasse in eterno.

…ri Antonio, tanti auguri a teee!!” “Augurii!”…. più o meno questo rumore mi riportò alla realtà. Aprì gli occhi e guardai l’orologio: mezzanotte e cinque. Stavano festeggiando in cucina e nessuno si era accorto che io e Davide dormivamo sul divano del salone. Mi risistemai in fretta i capelli, mi tolsi la coperta e chiamai piano piano Davide. Quando aprì gli occhi gli dissi che stavano festeggiando senza di noi, e così anche lui di fretta si alzò si tolse la coperta e seguendomi si avvicinò alla porta della cucina. Approfittammo del fatto che tutti erano distratti e ci infilammo anche noi in mezzo al resto degli amici di Antonio. Camilla e Federico si accorsero subito della nostra presenza, e Camilla mi domandò “Ma dov’eravate voi due??”. Io la guardai e in fretta le dissi “Emh, mi era venuto un po’ sonno … ah comunque bhè ha tagliato la torta! Che bello speriamo sia buona …!!” e sorrisi come se nulla fosse. Cami mi guardò un po’ sospettosa, ma non ebbe il tempo di dire nulla perché arrivò Antonio, a portare la torta.

 

Il resto della festa passò tranquillamente, finché ad un certo punto non venne Antonio a parlarmi.

“Ehi Giò senti, dato che nevicato un bel po’ mentre tu e Davide dormivate e dato che Stefano ed Emy si sono addormentati in camera dei miei, è un po’ complicato per voi tornare a casa non trovi? La neve è davvero alta e non accenna a smettere di cadere. Direi che è pericoloso mettervi su strada adesso, rimanete a dormire da me per sta notte, tanto domani è domenica, che ne dici?”. Lo guardai un po’ interrogativa, e alla fine accettai dicendo che però dovevamo avvertire le famiglie.

“Federico ha già avvertito la madre di Stefano e i genitori di Emy, perciò chiama anche i tuoi ok?”. Rispose Antonio. Effettivamente comunque non sarei potuta tornare in nessun modo, e dato che se aspettavo ancora a chiamare i miei per dirgli che rimanevo si sarebbero arrabbiati, non mi misi ancora tanto a riflettere e telefonai. Mamma mi disse che andava bene, anche se era meglio che mi fossi portata qualcosa, ma ormai ero lì. Riferì ad Antonio, che mi spiegò che c’èrano abbastanza camere per tutti. Dopo che il resto degli invitati che abitavano da quelle parti, e potevano tornare a piedi se n’era andato io e Davide salutammo anche Federico e Camilla e aiutammo Antonio a pulire salone e cucina.

“Allora ragazzi, dato che Stefano ed Amy dormono in camera dei miei, che tanto non torneranno prima di dopodomani, e che io e mio fratello occupiamo le nostre camere voi vi potete mettere nelle camera degli ospiti di sopra va bene?” chiese. Io rimasi un attimo a riflettere, e poi mi domandai che cosa andava dicendo. Ero stata solo una altra volta a casa sua e ricorda che quella camera aveva solo un letto a due piazze. Antonio aveva di certo frainteso il mio rapporto con Davide dato che ci aveva visti dormire insieme …

“Antonio …” dissi, ma non feci in tempo a finire perché Davide disse “per noi va benissimo, anzi grazie. Ci sono già le coperte di sopra oppure le dobbiamo portare?”. Io rimasi accigliata ad ascoltare, mentre Antonio spiegava che il letto era apposto e che l’aveva preparato il pomeriggio prima proprio per questa evenienza. Aggiunse che le altre coperte erano negli armadi, che se avevamo freddo c’era la stufa e ci salutò dandoci cordialmente la buonanotte. Io ricambiai la buonanotte e alla fine, quando Antonio sparì in camera sua io e Davide imboccammo le scale senza dire assolutamente nulla. Entrati dentro quella che era la mansarda ormai adibita a camera degli ospiti un piano più sopra e mi guardai intorno. In un attimo mi salì in tutto il corpo un brivido di freddo. Che cosa ancora doveva accadere prima della fine della giornata?

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: If It Means A Lot To You ***


CAPITOLO 7: If It Means A Lot To You

“Se per te è un problema dormire con te io posso dormire di sotto sul divano. Ma non mi pareva il caso di dare ulteriori problemi ad Antonio …” si spiegò subito Davide. “Ah, no, io non ho problemi, ma se vuoi posso dormire io sul divano, se per te è un fastidio..” dissi.

“No no, assolutamente. Volevo solo evitare situazioni imbarazzanti. Come vuoi” disse. Rimasi un attimo immobile. La sua frase mi aveva atterrata come un pugno allo stomaco. Sapeva che ne ero ancora innamorata, non l’aveva mai dubitato, e adesso che le cose si erano messe in modo normale, ecco qui la situazione che avrebbe smontato tutte le mie fatiche. E dopo quella notte sarebbe stato tutto ancora più imbarazzante. “Senti, meglio se vado a dormire giù, almeno nessuno dei due dovrà imbarazzarsi” dissi e feci per voltarmi. “Il fuoco si è spento da un pezzo, e non mi pare il caso che tu ora riscenda. Vieni qui e piantala di fare storie. Non ti farò comunque dormire giù da sola” disse serio.

Mi prese la mano per tirarmi lontano dalla porta, poi mi guardò e mi disse “Sei gelata!”. Rimasi a guardare la mia mano fra la sua e mi sentì così scoperta, quasi messa a nudo dai suoi occhi, completamente in balia del suo volere, e troppo fragile per combattere. Quasi come un animale esposto al suo nemico per natura, al pericolo. L’immagine delle nostre mani venne offuscata dalle lacrime. Volevo piangere, ma non davanti a lui, e piangere non aveva senso. Levai la mano, mi asciugai il viso e gli dissi “Ok, allora facciamo a modo tuo”. Mi tolsi le scarpe, le poggia fuori dalla porta in corridoio e lo stesso fece lui. Accesi la stufetta come mi aveva spiegato Antonio, mi tolsi il maglione e lo poggia su una sedia e mi sedetti sul letto. Davide torno in camera senza scarpe, e mi venne da sorridere pensando che come me anche lui usava i calzini neri. “Da che lato dormi di solito?” domandò. Ci pensai un po’ su e poi gli dissi che per me era uguale allora ci accordammo che avrei dormito dalla parte della porta, e lui da quella della stufa. Mi infilai sotto le coperte e anche lui fece lo stesso dopo aver spento la luce; ci mettemmo entrambi di spalle. Dopo un po’ sentì l’assoluto silenzio e allora mi voltai dalla parte opposta. A quindici centimetri da me avevo la sua schiena. Osservai la linea dei suoi vestiti, nel suo collo e dei suoi capelli neri che ricadevano a ciuffi disordinati fra le orecchie. Non erano lungi, non superavano le orecchie, ma erano lisci e dritti. La pelle del collo era chiara e pallida al confronto con il maglione blu scuro che portava. Respiravo più piano che potevo per non svegliarlo, e alla fine voltai la faccia al soffitto sperando di addormentarmi al più presto. I minuti scorrevano e la camera mi appariva sempre più chiara: era abbastanza illuminata perché la finestra filtrava la luce dei lampioni di fuori, e questa tenue illuminazione dava l’idea di intimità e protezione. Respirai profondamente, tirai fuori le mani e ci soffiai un po’ dentro, stavo congelando e avevo davvero le dita gelate.

“Ho freddo anche io …” arrivò la sua voce un po’ ovattata da sotto le coperte. In un certo senso sapevo che era sveglio. Il suo respiro era troppo regolare e veloce per essere addormentato. “Che cosa posso farti..?” dissi, cercando di apparire innervosita. “Potresti appoggiarti a me, così ci riscaldiamo”. Rimasi un attimo di sasso, poi dissi “Guarda non credo proprio”. Lui ribatté “Come mai allora prima sul divano non ti sei fatta tutti questi problemi?” disse.

“Perché prima eravamo nel corso di una festa su un divano davanti ad un camino, ora siamo dentro ad un letto …” asserì io. “E allora? Che cambia?” disse. “Oddio, per me cambia!” ribattei, “sei insensibile e indelicato lo sai?”.

“Non ho detto che ti devi spogliare e non ho intenzione di saltarti addosso, se stavi pensando questo, non vedo quale sia il problema dato che siamo amici”, dissi, tutto convinto. “Non capisci un accidente, cavolo … come pensi a come io possa stare a trovarmi nello stesso letto del ragazzo che mi piace da un sacco di tempo, che mi chiede di dormire abbracciati e mi dice che tanto siamo amici quindi si può fare. Se un idiota, fattelo dire. Non te ne frega nulla dei miei sentimenti, tanto che ci fa, sto male solo io!”. Ecco, l’avevo detto, ero al limite della sopportazione, e iniziai a sentire le lacrime uscire da sole. Questa volta non le avrei fermate. Soffocai i singhiozzi proprio per non sembrare una ragazzina, e deglutì. Non è che mi aspettassi una risposta però almeno speravo che si sarebbe conclusa lì la cosa. “Io non volevo ferirti … non era mia intenzione, ma cerca di capirmi, anche io voglio capire che cosa provo per te. Non posso fartelo capire, perché non lo so nemmeno io, ma non mi sei indifferente. Io non sto tentando di farti innamorare di me, ma solo di capire …” disse. Scoppiai in singhiozzi. Che diamine stava succedendo. Non riuscivo a capirci più niente. Che cosa voleva dire, e io che cosa avrei dovuto dire. Mi abbandonai alle lacrime, e sentì che si alzava dal letto e si dirigeva verso la porta, e lo sentì sussurrare “Vado a dormire di sotto, domani ne parleremo”. Mi alzai in fretta anche io, e nel momento in cui arrivò davanti alla porta per aprirla e uscire, appoggia la mia mano sulla sua e rimasi li accanto a lui, nel buio, ancora piangendo. “Non andartene giù. Non voglio pensare che domani mi sveglierò, e che fra noi ci sarà solo tanto imbarazzo che non ci permetterà più di guardarci in faccia. Torniamo a dormire, e ti prego di stringermi, perché fa freddo. Non mi illuderò di nulla, voglio solo dormire,” feci una pausa, e abbassai la testa “Ti prego …”. Tolse la mano dalla maniglia della porta, ma non si girò verso di me, io stavo ancora guardando per terra. Una lacrima cadde dal mio viso. Un balzo dalla mia guancia al pavimento. Faceva freddo, talmente freddo che mi aspettavo che nell’arco del secondo in cui cadeva sarebbe diventata ghiaccio. “Andiamo a dormire allora” disse. Poggiai il viso alla sua schiena. Lui davanti alla porta, io appoggiata a lui. Non era quello che volevo, lui non era mio, e non mi amava, non l’aveva mai fatto, non potevo rimproverarlo di avermi usato e illuso, ne prendermela con lui. Non aveva fatto nulla per farmi soffrire ancora. No, non era quello che volevo. Rimanemmo così forse un minuto, forse meno, alla fine alzai la testa mi voltai e mi girai per andare verso il letto. Anche lui mi seguì e ci infilammo sotto le coperte in silenzio. Mi accoccolai fra le sue braccia, schiacciai la faccia sul suo petto e lo abbracciai, sentì il suo odore fra le pieghe del maglione scuro, quella pelle bianca così sottile e pallida ma così profumata, e sentivo i miei capelli che sapevano di balsamo e quel vago aroma di legno vecchio che emanava la testata del letto. Sentì le sue braccia stringersi dietro la mia schiena, le mie gambe fra le sue, e le coperte che ricadevano dolcemente sui nostri corpi. Avrei potuto coordinare il ritmo del suo cuore al mio. Mi abbandonai a quel dolce battere, finché non so quanto tempo dopo mi addormentai.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: My Obsession ***


CAPITOLO 8: My Obsession

“…. siamo rimasti immobili per un sacco di tempo, e alla fine ci siamo addormentati. Ecco, non c’è altro, ora sapete tutta la storia” dissi ad Emy e Shawn terminando così il mio lungo racconto della sera prima. Eravamo in macchina e Shawn stava guidando per andare verso casa mia. C’èravamo fermati tutti insieme da Antonio giusto per la colazione, ma anche se lui ci aveva invitato a rimanere anche per pranzo, avevamo declinato il suo gentile invito chi per i compiti, e chi tipo me per evitare ulteriore imbarazzo.

“Quindi, dopo tutto questo casino, adesso che cosa pensi di fare?” mi chiese Shawn. “No, perché se io fossi in te appena vedo un attimo di tempo libero per riflettere su tutto questo lo sfrutterei..” concluse. “Giorgia, fattelo dire, non credo che domani mattina le cose continueranno ad andare esattamente come andavano fino all’altro ieri, perciò dovresti decidere, o almeno farti un idea a larghe linee di come vorresti affrontare la faccenda” mi disse Emy. Mi appoggia al sedile davanti a me e guardai un po’ fuori il paesaggio che scorreva. Era tutto così bello: bianco, candido e puro. Quel paesaggio mi faceva ritornare in mentre la pelle di Davide, sentivo ancora il suo profumo. Mi persi un attimo fra quei pensieri, ma tornai subito sulla terra e mi costrinsi a non fantasticare, ma invece a provare a trovare una soluzione.

“Ne parleremo bene, e vedrò lui che cosa mi dirà. Emy non è che posso pretendere che adesso lui arrivi sotto casa mia con le idee chiare e mi dica che mi vuole sposare. Sinceramente parlando poi io mi sento abbastanza confusa, quindi vorrei prendermi almeno questa domenica per riflettere con calma!”. Emy mi guardò dallo specchietto della macchina, e quando si accorse che la stavo guardando spostò lo sguardo altrove, abbassandolo. “Senti Giò, tu lo sai, io voglio che tu sia felice, perché tu meriti tutta la felicità del mondo. Spero che tu sorrida sempre e non voglio vederti star male, per questo non ti spingo a sperarci troppo. Non che tu non potresti conquistarlo, ma stiamo parlando di un ragazzo davvero problematico. Pensaci bene prima di buttarti a capofitto in imprese che potrebbero farti a pezzi quel cuore che già ne ha viste un bel po’, lo dico per il tuo bene”.

Arrivammo davanti casa mia, salutai Shawn, lo ringraziai del passaggio e tolta la cintura saltai giù dalla macchina. Mi misi la borsa a tracolla e abbracciai Emy che nel mentre era scesa dalla macchina. “Sarò cauta Em, sta tranquilla per me, sarò molto cauta e ragionevole. Andrà tutto bene! Non ho intenzione di rincoglionire più nessuno con tutti i miei casini, e so che tu ti preoccuperesti fin troppo, perciò vedrò di fare la cosa migliore” dissi. La strinsi forte e alla fine le sorrisi. “Ciao allora, ci sentiamo al telefono questa sera!” disse, e risalì in macchina. Li guardai ripartire, e andare via lungo la strada principale. Una volta spariti del tutto dalla mia vista sfilai dalla tasca esterna il mazzo di chiavi con portachiavi di Jack, aprì la porta del cancelletto, e mi diressi verso il portone. Citofonai, e dopo un minuto mamma mi aprì il portone. Imboccai le scale sperando che almeno lei non avesse niente da ridire sulla sera prima.

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Vista la quantità di neve che era caduta mi chiedevo se la scuola sarebbe rimasta aperta durante la settimana successiva o meno. Andai sul sito della scuola e come si poteva immaginare in prima pagina c’èra scritto che lunedì e martedì sarebbe stata chiusa causa neve, infiltrazioni, ghiaccio sulla strada e roba varia. “Ottimo” pensai. Addirittura due giorni per staccare un po’ e riflettere. Quella neve era stata davvero una mano santa. Passai la domenica pomeriggio a leggere e ad ascoltare musica cercando di non pensare alla sera precedente, finché vero le 7 e mezza non mi chiamò Emy per sapere se avevo letto del fatto che la scuola era chiusa, e se mi andava di fare qualcosa in quei due giorni. Non toccammo affatto l’argomento Davide, e quando attaccai, alle otto e venti, andai subito a cenare.

Mentre finivo di rimettere a posto i panni stirai partì “If it means a lot to you” degli ADTR, che era la suoneria dei messaggi del mio cellulare. Aprì il messaggio e con mia grande sorpresa era Davide. Diceva ‘Ciao. Scusa l’ora, volevo dirti che ho bisogno di vederti, se per te va bene perché non ci vediamo verso le 10 al parco della Villa, così possiamo fare una passeggiata e parlare un po’? S ci sono problemi vengo a prenderti io’. Rimasi a fissare il messaggio per uno o due minuti, leggendo e rileggendo, e alla fine decisi che cosa rispondere. Buffo come, quando si vuole scrivere un messaggio il pollice scrive scrive scrive, e cerca di creare frasi allegre, spiritose, mai banali, e poi alla fine si ritrova a mettere insieme sempre le solite banalità. ‘No, va benissimo, allora ci vediamo alle 10 all’entrata del Parco. A domani … ciao’. Dopo qualche minuto arrivò la sua risposta ‘Grazie, a domani allora. Buonanotte’.

Passai la nottata in agitazione. Non mi andava di dirlo ad Emy, ne a Claire, o a Kiki. Non volevo parlare con nessuno in quel momento, se non con me stessa. Entrai su Fb, qualche notifica, uno o due richieste d’amicizia di quelli di Piazza del Popolo, le notifiche del gruppo della nostra classe, un tag di Danny su una canzone, nulla di nuovo. Sbirciai anche il suo profilo, adoravo farlo per sapere con che canzone era andato in fissa, se scriveva in bacheca o se lo taggavano per esempio nelle foto in classe. Alla fine, stanca com’èro, verso le 11 me ne andai a letto pregando di addormentarmi subito per non cominciare a fare strani propositi mentali, che mi vengono grazie al forte senso di volontà che mi caratterizza solo di notte.

Dopo colazione, volavi alla fermata a prendere l’auto. Grazie al cielo gli sgombraneve avevano fatto il loro lavoro, e così l’auto delle 9,30 partì puntale e arrivò puntuale alle 10 meno 5 al capolinea. In due minuti arrivai davanti al cancello del Parco della Villa, e vidi che lui era già li ad aspettarmi, perfettamente in orario. Quando mi vide arrivare mi fece cenno con la mano, sempre con il suo modo di fare un po’ distaccato che maschera l’imbarazzo, ma quando io gli feci il mio migliore sorriso anche lui ne accennò uno. “Ciao!” dissi, sorridendo. “Aspetti da molto?” gli domandai. “No, tranquilla, due minuti. Sono arrivato un po’ prima perché non ero sicuro di trovare parcheggio e perciò sono partito prima per evitare eventualmente di fare ritardo. Invece alla fine il parcheggio ce n’èra in abbondanza: sembra che con la neve abbiano messo tutti le macchine in garage. Comunque scusami se ti ho fatto venire così presto ma non sapevo se i miei oggi pomeriggio sarebbero voluti andare a fare delle compere, invece ala fine hanno rimandato …”. Sembrava molto rilassato, quindi mi lasciai andare anche io. “Tranquillo, nessun problema, anzi meglio uscire che perdere tempo ad annoiarmi a casa. Non vedo l’ora di vedere i giardini della villa imbiancati!” dissi. Lui mi guardò e disse “Ah già! Andiamo dai!”. Effettivamente il viale era meraviglioso e anche tutti gli alberi intorno, tutti bianchi nel loro maestoso stagliarsi in cielo. Rimasi per un po’ ad osservare un gruppetto di bambini che giocava a palle di neve, ridevano e scherzavano felici come solo i bambini sanno fare. Faceva freddo, e mi ero messa un paio di guanti che di solito usavo nel caso i miei mi portavano a sciare. Rimasi a guardare quel parco per un po’, incantata nel vedere come il sole filtrasse fra gli alberi e illuminasse quel candore che aveva in se quasi qualcosa di sacro. Tornai alla realtà quando mi colpì dritta dietro la schiena una palla di neve gelata. Mi girai: la palla di neve proveniva da Davide che nella mia distrazione si era allontanato e mi aveva centrata in pieno.

“Ahii!” gridai fingendo di arrabbiarmi. “Ma guarda un po’ tu! Adesso ti concio io bene per le feste!” e, presa in fretta e furia neve qua e là, appallottolai tutto in un unica grossa munizione e glie la lanciai contro. Per il quarto d’ora successivo non facemmo che lanciarci e rilanciarci neve addosso, finché alla fine, io mi diedi per vinta dato che non facevo che prenderle, vista la mia pessima mira. Mi risistemai il cappellino bene in testa e mi avvicinai a lui. Aveva i residui della neve dappertutto, e quelle poche volte che l’avevo colpito sicuramente l’avevo fatto mixando involontariamente neve, bastoncini e fili d’erba. Gli pulì tutta quella roba che aveva addosso, e alla fine la sua giacca a vento anche se un po’ fracida tornò al suo colore normale. Mi prese una delle ciocche di capelli rosso fuoco che spuntavano dai capelli, mi guardò e mi disse “Ecco, era proprio di questo che volevo parlare …”. “Ovvero?” dissi, tornando subito seria per dargli modo di spiegarsi. “Ovvero di quanto stare con te mi faccia stare bene, mi faccia ridere e mi faccia sentire libero di dire ed essere ciò che voglio essere in quel momento. Io non so come definire questo sentimento, non è qualcosa che avevo mai provato prima. So che non è abbastanza per te, ma io con te mi sento davvero bene. Non mi sento schiavo dello stile, della musica, dell’avere dei capelli perfetti, dell’avere abbastanza piercing o i buchi abbastanza dilatati. C’è qualcosa che và oltre questo quando sono con te: mi sento giusto così come sono. Non mi sento giudicato. So che è un discorso incoerente forse, e magari non ci troverai il senso. E magari starai pensando che sono egoista pensando a come mi sento io e non a come ti senti tu, che provi qualcosa di importante per me, ma non me la sento di dire che sono innamorato. Forse l’amore in realtà non so nemmeno cosa sia, e dopo le mie esperienze così poco positive, faccio fatica a inquadrarlo. Adesso ti sembrerò idiota a fare un discorso simile, ma da quando anche l’ultima storia che ho avuto è finita mi sono chiesto su che cosa si erano basate quelle che avevo vissuto fino a quel momento: la risposta è sempre stata ‘stronzate’. Nulla per cui valesse la pena vivere. Mi sono basato solo sulla bellezza, su quanti piercing avessero, su quante magliette della Drop Dead si mettessero e cazzate simili. Ma non è questo che dovrebbe unire le persone. Da quando sono rimasto così deluso dall’amore non sentivo più il cuore battere dall’emozione, battere davvero. Lo so che sto per dire cose stupide, ma prendimi sul serio: da quando siamo diventati amici ho risentito il cuore battere. Mi sono sentito di nuovo vivo, di nuovo capace di provare sentimenti. Sono uscito da quell’apatia perenne che da un po’ mi circondava. E penso che questo sia grazie a te. Lo so che non ti ho detto che ti amo, che non ti sto dando nessuna certezza, e che forze ti chiedo fin troppo vedendo quanto già hai fatto per me, ma se tu volessi sopportarmi, starmi vicino e aiutarmi a far battere ancora questo cuore, io forse un giorno ti dirò che ti amo, ma devo capire davvero se è amore questa volta. Non voglio gettare tutto alle ortiche. Ti chiedo troppo lo so, e so anche quanto possa fare male. Ma ti prego non andartene”. Mi disse così, proprio così, ne parola più, ne parola meno. Mi chiese esattamente questo: stargli accanto permettendogli di vivere bene, annientando me stessa e i miei sentimenti per lui almeno finché lui non avrebbe capito cosa provava. E io l’avrei fatto: lo sapevo che era maledettamente inutile, era stupido stare lì a sperare che lui finalmente volesse me come io volevo lui, era una cretinata infantile da campagnola di Jane Austen o da sciocca ragazzina innamorata del vampiro di turno, dopotutto niente mi dava la certezza che anche i suoi sentimenti sarebbero diventati forti come i miei, ma io l’avrei fatto perché lui era la mia ossessione. Potevo fare altre mille volte lo stesso errore, aspettare, e aspettare, ma non avrei imparato mai, perché volevo lui, a costo di annientare me stessa. E se lui aveva bisogno di me, che fosse per amore o per sfogo, avrei fatto qualsiasi cosa, qualsiasi cosa per seguirlo e rimanergli sempre sempre sempre vicina. L’avrei seguito oltre ogni porta, oltre ogni cancello, oltre ogni mondo. Non mi spaventava l’auto annientarmi, il distruggere me per vedere sorridere lui. Poteva fare di me quello che voleva, ormai io ero totalmente incondizionatamente irreversibilmente sua. E adesso più che in qualsiasi momento lo sapevo per certo.

“Va bene” dissi.

“Come?” mi domandò mentre le sue parole, uscite dolci dalle sue labbra si condensavano in una nuvoletta di fumo e svanivano.

“Va bene, qualsiasi cosa tu voglia da me per me va bene. A me basta starti accanto per essere felice, anche se hai perso la capacità di amare, anche se ci vorrà del tempo prima che la ritrovi. Anche se il cuore non ti batterà più. Ho deciso: io lo farò battere per entrambi. Il mio cuore, per quanto noioso e stupido sia, te lo giuro, batterà per tutti e due, per entrambi, finché anche il tuo non tornerà a battere come prima. E quando tornerà a farlo lo farà per me, perché io lo farò tornare a battere. Il giorno in cui ti sveglierai la mattina e pensando a me il tuo cuore accelererà anche solo poco poco, vieni da me e dimmelo. Se mi amerai mai, basta che mi dirai così e capirò, ma nel mentre io saprò aspettare”.

“Va bene, speravo in una risposta simile. Grazie, per ogni cosa, e per quanto soffrirai per causa mia, perdonami già da ora se puoi”.

Sorrisi, e guardai il profondo così scuro dei suoi occhi. Io l’avevo sempre detto, i sentimenti che dimorano ancora in noi, e le nostre paure, emozioni e pensieri vanno oltre quelli dei comuni esseri umani. L’amore per noi non è solo sesso o solo bisogno fisico, è anche astrazione da noi per vivere per l’altro, vivere dell’altro ogni giorno e ogni minuto. Mi si avvicinò e mi baciò la fronte così delicatamente che rimasi immobile per non rovinare quell’attimo. Quella cornice bianca e candida così pura e così fredda ancora non era stata innevata dalla disperazione dell’essere o dal sangue dell’uomo, era ancora solo per noi. E avrei voluto vederla durare per sempre, ma così non fu.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: There is a Hell, Believe I have seen it, there is a Heaven, let's keep it a secret ***


CAPITOLO 9: There is a Hell, Believe I have seen It; There is a Heaven, Let’s keep it a Secret

Da quel giorno, da quel lontano lunedì di febbraio ogni cosa prese una piega diversa. I giorni passavano e io non facevo che diventare sempre più dipendente da lui, e viceversa lui da me. Passavamo insieme ogni secondo disponibile, ogni attimo, ogni battito di cuore umano.

La neve si sciolse tre giorni dopo, la scuola andava via diventando più complicata e dura, io mi davo da fare per non prendermi il debito di francese e lui si dava da fare per preparare una tesina brillante e interessante. Quando poteva mi aiutava con il francese e io lo aiutavo a stare dietro a ogni cosa, gli riscrivevo al computer le tesine, lo interrogavo per vedere come andava e gli davo tutta la forza che potevo nei giorni in cui davvero non ce la faceva più. Mi portò anche a casa sua e mi presentò ai suoi come “la mia migliore amica”. Quando avevamo finito ci mettevamo a sentire un cd qualsiasi, a parlare del futuro, dell’università, della paura di crescere, di quella di vivere senza uno scopo e di quella di morire. Eravamo andati oltre ogni aspettativa per tutti quelli che ci conoscevano: il nostro essere quello che eravamo, quel qualcosa di indefinibile, una coppia di “due esseri umani molto legati” era un concetto, per sua natura, indefinibile. Il nostro sentimento, preso nell’insieme della coppia, non era l’amore, perché se io potevo dire di amarlo lui poteva dire che ero speciale come persona, e non era amicizia proprio perché io lo amavo; ma era qualcosa di speciale: la si poteva chiamare dipendenza, bisogno inguaribile, equilibrio perfetto, ma non era niente di definibile. Se io ero con lui stavo bene, se lui non c’èra io non c’èro. Non vivevo il momento nella sua generalità, vivevo il Lui, il durante. Se stavo per andare da lui pensavo a cosa raccontargli, se stavo con lui non vedevo altro, e se l’avevo appena lasciato facevo il resoconto della nostra giornata insieme. Andavo a dormire pensando che lui stava sicuramente nel suo letto a pensare a chissà cosa, e mi svegliavo pensando che l’avrei visto a scuola. Ogni cosa insieme era speciale: andare al cinema diventava speciale, e quel film diventava speciale anche se era una schifezza perché l’avevamo visto insieme; andare allo skate park era speciale perché anche se provavo e sbattevo la faccia per terra lo stavo facendo in sua compagnia. Anche i viaggi in macchina con lui erano speciali, le passeggiate erano speciali, le serate al telefono. E stavo veramente vivendo tanto appassionatamente da far battere il mio cuore per me e per lui. Avevamo anche preso a giare mano nella mano, e spesso sua madre ridendo diceva che stava solo aspettando che ammettessimo la nostra storia, ma lui non lo faceva mai. Arrivò la fine di aprile. Era un mattino magnifico, il cielo era limpido e l’aria stava scaldandosi sempre di più ogni giorno che passava. La maturità era sempre più vicina, e anche il mio compleanno, a metà giugno, non era molto lontano. Quel mattino finalmente una parte delle mie speranze si realizzarono: mentre eravamo tutti insieme alla fermata anche lui arrivò tranquillo come se nulla fosse, salutò tutti e poi venne da me. Era normale che stavamo tra noi due a chiacchierare dalle 8 fino a che non era ora di entrare in classe e anche quel mattino fu lo stesso. Qualcosa però lasciò tutti noi, me per prima, abbastanza sorpresi: lo accompagnai come sempre fino in classe e mentre gli dicevo buona giornata e salutavo lui e Federico, mi prese la mano e mi tirò a lui. Subito arrossì perché non faceva mai cose simili davanti agli altri, così lo guardai sorridendo con l’aria di chi non capisce. Mi diede un foglietto ripiegato, un bacio sulla fronte e si infilò in classe. Scesi di fretta le scale ancora un po’ scossa. Arrivata in classe Emy stava parlando con le altre compagne, quindi non mi soffermai molto su di lei, e sedendomi al banco aprì il foglietto:

Save me from the ones that haunt me in the night. 
I can't live with myself, so stay with me tonight.

Chiunque avesse letto non avrebbe capito a cosa si riferiva, ma io capì al volo che era una delle frasi più belle di “Don’t Go” dei Bring Me The Horizon, il nostro gruppo preferito. Presi il telefono e pensai a cosa scrivergli, ma bastò poco per veder arrivare un ottima idea:

Believe in me, When you feel like you’re losing all your hopes and dreams.
Believe in me, When I am gone you gotta keep a smile on.

Ogni volta che ascolto la musica mi rendo conto di quanto le canzone e i testi si rispondano e si corrispondano. E questa risposta alla Blood On The Dance Floor sapevo che gli sarebbe piaciuta. Inviai l’sms e lui mi rispose subito dopo dicendo che dopo scuola aveva una sorpresa.

Alla ricreazione non uscì perché avevo un compito in classe tra la terza e la quarta ora, così all’uscita appena lo vidi gli chiesi spiegazioni. Mi disse solo che mi doveva portare in un posto e che quindi dovevo avvertire i miei che non saremmo tornati per pranzo (doveva venire a mangiare da me). Detto fatto, andai a salutare Emy e le spiegai che non venivo alla fermata. Emy sembrava molto allegra e così mi disse “Non voglio rovinarti le sorprese ma pare che Shawn abbia sentito Davide e Federico che parlavano, e il tuo tesoro che diceva a Fede dire una cosa molto importante, perché ha capito e ha preso una decisione fondamentale, o qualcosa del genere. Bhè, che dire, divertiti!”. Non capì che intendeva dire, così la salutai. Saliti in macchina infilai il Cd dei Bring e partimmo. Gli chiesi più e più volte di dirmi dove andavamo, ma non me lo disse finché alla fine non capì da sola che andavamo verso Anzio, verso il mare. Arrivammo alle grotte di Anzio che erano già quasi le tre di pomeriggio. Alle sei cominciava a farsi sera quindi sfruttammo quelle tre ore a passeggiare lungo la spiaggia e a ridere. Quando iniziò a tirare vento e la marea aumentò ci spostammo dagli scogli per sederci sulla sabbia ancora calda. Guardai l’ora, e immaginando che i miei avrebbero sclerato se fossi rientrata tardi mi girai per dirgli di incamminarci e lo trovai a guardarmi. “Ehi, perché mi fissi?” dissi, ridendo. Voltò la testa verso il mare, il vento gli mosse leggermente i capelli. Si erano allungati un po’ da quando a febbraio avevamo dormito insieme e li avevo osservati. Si alzò e disse tutto enigmatico “Ti ricordi, era iniziato tutto in mezzo alla neve…”. Capì che voleva dire qualcosa di serio così mi avvicinai di più, con i capelli mossi dal vento, verso la riva.

“Fermati, non ti muovere” disse, piano piano. Mi scansò i capelli dal viso. Mi ci sarei persa in quel baratro di occhi nero pece, così tranquilli e così profondi. “Chiudi gli occhi” disse. Chiusi gli occhi. Mi prese la mano. Me la poggiò sul suo petto. Sentì il cuore che batteva convulsamente, forte forte, fortissimo, quasi a uscire fuori dal petto e rimanermi in mano. Rimasi con la mia mano sul suo petto anche quando posò le sue labbra sulle mie. Fu un bacio leggero, che sapeva di sale, un po’ indeciso, delicato ma allo stesso tempo con la forza di imporsi. Non si definirebbe un bacio da film, ma fu l’unico bacio che mi diede, l’unico bacio, l'unico.

Poi lo disse. Si staccò da me e lo disse. “Il mio cuore ora batte”. Non c’èrano altre parole da dire, non c’èra alto da fare. Lo abbracciai e posai la testa sulla sua spalla, sorridendo guardai il sole che stava cominciando a tramontare, sprofondando lentamente nelle tranquille acque dell'oceano. Rimanemmo così finché anche l’ultimo raggio di sole non sparì e il cielo rosa non sfumò nel tipico colore blu delle sere primaverili, dipinto di nuvolette bianche e ricamato di stelle .

Tornammo verso la macchina mano nella mano, in silenzio. Nessuno disse nulla. Ognuno stava interiorizzando per conto suo quel momento, e i nostri non erano mai silenzi imbarazzanti da riempire con parole vuote. Le parole non servivano in quel momento.

Il cd dei Bring scorreva e scorreva finché non arrivò alla mi canzone preferita: “Don’t Go”. Arrivammo all’incrocio fra Anzio e la strada principale verso casa. C’èra qualcosa che non andava. Una macchina che arrivava troppo forte verso di noi, un tir di lato. Fu un attimo, sentì soltanto un rumore fortissimo, uno schianto. Nell’attimo che passò fra lo schianto e il buco nero che mi portò via riuscì a comprendere solo due cose: stavo cadendo dentro ad un immenso senso di pace, e una voce lontana lontana stava cantando “Say youll never leave me cause I need you so much” ovvero “Dimmi che non mi lascerai mai perché ho bisogno di te così tanto”.

*************************************************************

Mi svegliai non so quanto tempo dopo in un letto d’ospedale, era mattina probabilmente, almeno così sembrava dalla finestra. Ero piena di buchi, tubi di flebo e avevo un braccio fasciato. Quando arrivò l’infermiera per aprire le tende mi trovò sveglia e in tutta sorpresa disse tantissime parole che però non comprendevo. Volevo sapere dove mi trovavo, dov’èra Davide, e che cavolo ci facevo conciata così. Dopo cinque minuti arrivarono i miei genitori.

“Giorgia, Giorgia! Sei sveglia … tesoro come stai?” strillavano. Ma cosa avevano tanto da strillare poi. Respirai un attimo, e poi parlai.

“Io sto bene, ma che cos’è successo, perché sono qui, e come mai ho un braccio fasciato. Dov’è Davide? Che diamine sta succedendo?” domandai.

“Tesoro avete avuto un incidente, mentre tornavate a casa. Ti ricordi?” disse papà.

“No, oddio, no, che diamine è successo?” chiesi.

“Un tir ha perso il controllo perché la strada era sporca d’olio, e ha preso in pieno la vostra macchina. Eravate all’incrocio, per andare dritti verso casa, il tir doveva andare dritto anche lui, e c’è stato uno schianto dalla parte del guidatore. Tesoro davvero non ricordi nulla??” domandarono ancora.

“No! Non mi ricordo un cavolo … mamma ma dov’è Davide. Quando posso vederlo? Anche lui è ricoverato qui?”.

I miei non rispondevano. Iniziai a gridare. “Diamine volete dirmi qualcosa?? Dov’è Davide, che gli è successo??” ancora silenzio.

“Cazzo!! Volete dirmi che cazzo sta succedendo … mamma papà ditemi che succede!”. Papà fece per dire qualcosa ma la mamma sussurrò che era meglio di no. Mi arrabbiai ancora e li vidi gesticolare. Alla fine papà mi prese la mano e mi disse “Giorgia, senti, devi essere forte, adesso ascoltami …”. In un lampo capì tutto. Rimasi con il fiato sospeso. “Purtroppo nella vita ci sono anche questi momenti. Purtroppo i medici ce l’hanno messa tutta, e anche l’ambulanza ha fatto il possibile, ma Davide non ce l’ha fatta. Giorgia, noi ti siamo vicini …” la sua bocca continuava a muoversi, ma io non sentivo più nulla. Da quel momento ogni parola che entrava o usciva per me era solo un suono. Mi abbandonai al sonno, e quando non ce la facevo nemmeno a dormire piangevo. Le lacrime erano il mio solo conforto. Non partecipai al funerale perché mi dimisero solo una settimana dopo. Il giorno in cui uscì dall’ospedale per mettermi in macchina e tornare a casa fu l’ultimo che vidi il mondo esterno. Passò una settimana, un mese, due mesi, non mi alzai mai dal letto. Smisi di mangiare, di bere. Dormivo e piangevo. Mi rifugiavo nei sogni, negli incubi. Nella musica. Emy e gli altri ebbero pazienza le prime volte, ma dopo due mesi Emy veniva solo per urlare che dovevo reagire. Mi disse che se davvero facevo battere il mio cuore per me e per lui allora adesso era il momento di farlo. Come poteva capire lei, aveva Shawn. Nessuno poteva capire. Un mattino quando mio padre uscì per andare a lavorare e mamma per andare a scuola a chiedere se i voti che avevo fino ad aprile bastavano per promuovermi rimasi sola a casa. Presi le cuffie, il mio mp3. Mi misi in ascolto. Appena lo accesi era in modalità casuale. Partì “Roses for the dead” dei Funeral For a Friend. Quella canzone era sempre bella, in ogni momento della vita. Capì. Era vero che la musica ti aiuta a capire la vita, e come affrontarla. Ma io quella vita non la volevo più. Ero uno scheletro, dalla pelle pallida e dagli occhi infossati. Ero sciatta, debole e stanca. Mi trascinavo in vano in un esistenza che era sopravvivere alla morte. Perché ero sopravvissuta. C’èra stato un errore. Era sicuramente uno sbaglio. E poi lui aveva bisogno di me. Avevo fatto un casino: gli avevo promesso che l’avrei seguito dentro ogni porta, ogni cancello, ogni mondo, e adesso ero lì a piangermi addosso. Lui aveva bisogno di me, aspettava, e io non lo raggiungevo. Se la vita ci aveva divisi, perché la mia si trascinava pesantemente e faticosamente avanti e la sua era finita in un momento, qualcos’altro ci avrebbe riunito. Presi carta penna e la poca forza che mi rimaneva e scrissi due piccole lettere: una per Emy e una per mamma e papà. Le poggiai sulla scrivania della mia camera, e poi andai in cucina. Presi una bottiglietta di gocce calmanti, ne bevvi la metà, e presi il primo coltello che trovai in cucina. Dicevano i libri e i sopravvissuti ai suicidi che tagliarsi le vene era una morte lenta e che ti lascia scorrere via piano piano senza però soffrire troppo. Fu facile e veloce, quasi naturale. Guardai prima la lama, e poi il fiume di sangue che sgorgava prima lentamente e poi aumentava lungo le braccia. Ricordo che mi abbandonai al calore del cuscino, che chiusi gli occhi e che nell’addormentarmi sorrisi, sapendo che quella solitudine e quel trascinarsi nel vuoto assoluto della mia inutile vita stava finendo, ovunque sarei andata sarebbe stato comunque meglio.

La luce della camera si offuscò … lentamente, lentamente, il bagliore sparì … i rumori divennero sottofondo, gli odori scomparvero, una sensazione di quiete mi inondò, un senso di pace mi abbracciò dolcemente, al sonno si sostituì la morte.

 

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Capitolo 10
*** PROLOGO ***


PROLOGO

 

Dalla prima lettera sulla scrivania di Giorgia

Cari mamma e papà, adesso che leggete io sarò finalmente andata via per sempre da qui. Perdonatemi se potete per quello che ho fatto, ma io amavo Davide più della mia stessa vita, e senza di lui tutto questo non aveva senso. Vi chiedo solo di cercare di andare avanti. Voi siete in due, io ero sola. Vi ho amato sempre, e non smetterà mai di essere così. Ci rivedremo forse un giorno, e sarò veramente felice in quel momento. Grazie per la vita che mi avete donato e per la possibilità di essere qualcosa di concreto in questo mondo che è bellissimo, ma che mi aveva tolto la felicità subito dopo avermela data. Grazie per avermi dato l’opportunità di essere vostra figlia e per ogni giorno insieme. Vi voglio bene,

 

Giorgia”

 

Dalla seconda lettera sulla scrivania di Giorgia

“Cara Emily, perdonami, non c’è molto da dire, perdonami. Non avresti potuto capire: tu hai sempre avuto Stefano, e io sono stata sempre l’ombra solitaria dietro di voi. Sarebbe stato bello essere felici tutti insieme, ma pare che non ci sia stato concesso. Sarebbe inutile dirti quanto ti voglio bene e quanto ti ringrazio di tutto, perché lo sai. Abbi un ricordo di me dei giorni in cui sorridevamo allegre, degli urli ai concerti e delle notti passate a parlare per ore. Bada a Kiki, e dì a Claire e Danny che mi mancheranno, e a Stefano di non abbandonarti mai. Adesso è ora di andare. Grazie ancora, per ogni cosa, ma soprattutto per avermi dato la possibilità di essere amiche e di vivere delle stupende giornate insieme, grazie per avermi ascoltato e per aver pianto insieme a me, sorriso insieme a me e fatto pazzie insieme a me. So di non essere stata la migliore sempre paziente, sempre coerente e sempre facile da trattare ma ti ho sempre considerata una persona speciale e unica. Non mi dimenticare mai, ti prego. Addio

 

Giorgia”.

 E qui si concludono definitivamente due vite che forse insieme sarebbero state felici. Ho speranza che da qualche parte adesso siano insieme. Giorgia è stata trovata solo tre ore dopo dalla madre, che rientrava a casa dalla scuola della figlia, ma già per lei non c’era più nulla da fare. In accordo con la famiglia di Davide ora riposano uno accanto all’altra, perché almeno nella morte nessuno potesse dividerli. Le vite dei ragazzi del gruppo sono andate avanti, con questa tragedia che li ha segnati per sempre, ma sono andate avanti. Qualche volta quando sono riuniti tutti insieme prendono “There is a HellThere is a Heaven” dei Bring e lo ascoltano, e nelle notti di Aprile sembra quasi che anche una ragazza dai capelli rossi e un ragazzo magro e pallido ascoltino quella musica insieme a loro.

 

NOTE DELL’AUTRICE:

Come avrete notato alla storia fanno sottofondo svariate canzoni, e anche il titolo di ogni capitolo è il titolo di una canzone, che in qualche modo ha anche ispirato l'andamento della storia. Ad esempio è ascoltando "Don't go" e "Blessed with a course" di "There is a Hell believe I have seen it, There is a heaven let's keep it a secret" che ho immaginato e scritto la fine della storia. Per chi già ama la musica alternative, spero che apprezzerà questi cantanti quanto me. Consiglio soprattutto a chi ama questi artisti di ascoltare le canzoni abbinate ai capitoli mentre legge. Ecco la lista delle canzoni e i relativi cantanti: 1) City Lights si trova in "Creatures", album dei mitici Motionless in White; 2) My Apocalypse si trova in "Dying Is Your Latest Fashion", unico album degli Escape The Fate che gode della voce di Ronnie. 3) The Truth si trova in "The Chronicles of Life and Death", terzo album dei Good Charlotte. 4) Save Your Heart si trova in "Anywhere But Here", secondo album dei Mayday Parade. 5) Take One Last Breath si trova in "Geeving", primo singolo dei Abandon All Ships. 6) On Frail Wings Of Vanity And Wax è il primo album degli Alesana, che ho scelto al posto di una canzone specifica per il concept stesso dell'album. 7) If it means a lot to you è una delle canzoni ce caratterizzerà per sempre la mia vita, e l'ho scelta perchè è la collaborazione fra i miei due cantanti preferiti, Sierra dei Versaemerge e Jeremy dei ADTR. La trovare in Homesick degli ADTR. 8) My Obsession si trova, purtroppo, nell'ultimo album dei Cinema Bizarre, ovvero ToyZ. Canzone che io trovo davvero profonda. 9) "There is a Hell, Believe I have seen it, there is a Heaven, let's keep it a secret" è il 3° album del mio gruppo preferito in assoluto, i BMTH. L'album racchiude, più o meno nel suo titolo e per le sue atmosfere struggenti (ma anche arrabbiate e a tratti speranzose) un po' tutto lo spirito della storia e dà voce a molti concetti che io trovo fondamentali per l'uomo, quali la religione, la fede, l'amore e la disperazione dell'essere umano nel suo vivere fra i mostri che lui stesso si crea per colpa della società in cui nasce e cresce. Terminando: naturalmente un grazie a tutti per aver letto, leggicchiato o anche solo dato uno sguardo. Fatemi sapere che ne pensate (positivamente e negativamente).

 

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