What the hell?

di cassiemk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Act 01 - Break the ice ***
Capitolo 2: *** Act 02 - Radar ***
Capitolo 3: *** Act 03 - Circus ***
Capitolo 4: *** Act 04 - Selfish ***



Capitolo 1
*** Act 01 - Break the ice ***


Diciamo che tutto è cominciato per la mia dannata capacità di mettermi in mezzo alle cose senza motivo.
O meglio, per una volta che non avevo combinato nessun casino, il casino è venuto a trovare me. Come
a dire, Ehi cara, vieni qui è da un po' che non ci vediamo. Ecco, il cosiddetto casino, mi è apparso ai piedi a
una qualunque fermata dell'autobus.
 
In ritardo, come al solito. Una notte insonne sui libri a studiare per un test che non avrei mai passato, e adesso
ne pagavo le conseguenze. Alzai gli occhi al cielo, e ciò che vidi, furono una spessa coltre di nubi grigio perla che
prometteva pioggia. Inutile dire che non avevo con me l’ombrello. “Passa, dannato autobus, passa.” Questo era
tutto quello a cui riuscivo a pensare. Se arrivavo in ritardo un’altra volta, mi sarei sorbita uno di quegli avvin-
centi discorsi del professore che mi diceva di non arrivare tardi, che avrebbe compromesso il mio quadro scolastico
non poi così fantastico, eccetera eccetera. Lo sapevo benissimo da me che non ero la studentessa modello, però,
tutto ciò che chiedevo era di non ripetermelo in continuazione.
Ero persa in questo tipo di pensieri, quando mi voltai di lato. Quello che vidi mi lasciò perplessa. Un uomo vestito
come un modello di una rivista patinata di alta moda era piegato a gattoni per terra. Aggrottai le sopracciglia
in modo automatico, e mi piegai leggermente verso di lui. “Si sente bene?”. L’altro dal canto suo, totalmente
perso nel suo mondo, alzò la testa a rilento. La prima cosa che notai furono i suoi occhi. Verdi smeraldo, avevano
qualche sfumatura più chiara nell’iride. “Ah, no. Stavo solo cercando le chiavi.” La prima impressione che mi
feci di quel tizio non fu delle migliori. Lo sorpassai di un paio di passi e mi chinai a raccogliere un portachiavi
blu. Glielo feci dondolare a pochi centimetri dal volto. “Sono queste?” Più che a lui, sembrava che lo stessi chie-
dendo a me stessa, forse non credevo avrebbe capito cosa fossero.
“Ecco dov’erano.” Sì, genio, esattamente dietro di te. “Grazie mille.” Guardandolo meglio, non sembrava così
vecchio come me lo ero immaginato. Forse erano i vestiti forse la valigetta tipica di un lavoratore cinquantenne
che mi aveva tratto in inganno, ma quel ragazzo sembrava più un bambino troppo cresciuto che un uomo adulto.
Le mie compagne di classe lo avrebbero definito “troppo figo”. Personalmente il mio vocabolario era un po’ più
vasto. Vidi in lontananza l’autobus. “Sono salva.” Salii in fretta e mi misi al mio solito posto in fondo. Erano solo
due fermate, sarei arrivata in meno di 7 minuti. All’ingresso della mia scuola, ebbi un istinto fuggitivo. Ci dovei
mettere tutta la mia buona volontà e anche quella dei miei genitori, per farcela ad entrare. Corsi nella mia aula.
Nella mia classe c’erano due tipi di persone. Quelli troppo colti per rivolgerti la parola, e quelli così idioti che avresti
sinceramente preferito evadere dal condotto d’aria. C’erano solo 3 persone che ritenevo importanti, e indovinate,
erano tutti stranamente malati. Certo, la malattia più antica del mondo, la conoscono in molti e quasi tutti gli studenti
l'hanno avuta, compresa me. Si chiama "Me la faccio addosso per il compito di oggi".
Mi sedei al terzo banco vicino alla finestra. Durante la lezioni, pensai a cosa potevo fare per uscire prima della terza
ora meglio conosciuta come l'ora della disfatta. Ciò che mi venne in mente fu solamente il discorso di mia madre
di quella mattina.
 
“Puoi scegliere ovviamente” mi aveva detto in modo gentile, quasi da poterle credere. Ma io la conoscevo bene,
e infatti la risposta acida non tardò ad arrivare. “Puoi continuare a frequentare quella scuola che abbiamo scelto
oppure andare all’accademia milatare.” Si dice tale madre, tale figlia. Personalmente in noi non vedevo nessuna
somiglianza. Sapevo che tentare di controbbattere sarebbe stato tutto inutile. Ero già rassegnata a quel destino.
Non è che odiassi la scuola in generale. Era solo che odiavo quella scuola. 

 
Poi la campanella suonò ed entrò in classe la professoressa di matematica. La più rincoglionita, ma la più temuta.
Era in grado di darti compiti con risultati tipo 54.999.456 e dirti che i numeri grandi non ci devono spaventare.
La terza, la quarta ora passarono lentamente, ma passarono. Completai tutto, ma dire che ero andata bene era
come un terno a lotto.A fine scuola corsi via, tanto veloce che probabilmente buttai giù qualcuno. Corsi così tanto
che non miresi nemmeno conto che era cominciato a piovere. “Fantastico.” Mormorai. Era come se la vita mi
stesse dando un ultimatum, peccato che io a quel tipo di cose non credevo minimamente.
Mi fermai sotto una tettoia, se non l’avessi fatt0, per quella sera mi sarei potuta risparmiare di fare la doccia.
Quando mi girai vidi qualcosa che mi fece brontolare, letteralmente, di rabbia. Una grande lunga macchina
nera era ferma davanti al negozio dove avevo trovato riparo. In quel momento avevo voglia di appendere
lo stronzetto che ci era dentro per il collo.
Quando mi girai, vidi uscire dal negozio un ragazzo vestito da uomo d’affari. Avevo quasi il timore di guardarlo
in faccia. Avevo come un brutto presentimento. “Ma tu sei!..” Alzai la testa a stento. Quella voce. Quegli occhi
verdi smeraldo. Ok, cosa diavolo è, una maledizione? “Il tipo delle chiavi.” Mormorai in modo che si poteva defi-
nire “poco amabile”. Quando me ne stavo per andare, fui afferrata per il braccio e spinta in quella lussuosa
macchina che avevo visto prima. Al mio fianco, il ragazzo dagli occhi verdi era seduto tutto tranquillo come se
non fosse successo nulla. Guardava il suo cellulare, un enorme black berry, e sembrava davvero impegnato.
Il riscaldamento era alto, e in parte fu un bene. Non avevo guardato le previsioni, ma di certo non potevano
esserci più di 5 gradi. In più ero bagnata dalla testa ai piedi, perciò se fossi rimasta là fuori aspettando che
spiovesse, sarei andata in ibernazione.
“Che diavolo fai?” gli chiesi quasi urlandogli contro. Capisco essere impegnati, ma ignorare addirittura chi hai
scaraventato dentro a una macchina, senza nemmeno sapere il suo nome, non era leggermente strano?
Dall’altra parte lui mi fissava stupito, come se gli avessi chiesto chissà cosa. Come se fosse stata una cosa normale e
l'unica da fare. I capelli castani tendenti al biondo cenere gli incorniciavano il volto pallido.“Cosa faccio?” mise
l’indice sulla punta del mento come se davvero non sapesse di che parlavo e poi mi sorrise. “Ricambio il favore, no?”
Amici, amiche, voglio uccidere questo tizio.

Nome: What the hell?
Note: Fanfiction nata un po' per svago, un po' per improvvisare. L'idea è nata per caso, e ancora non si sa praticamente nulla.
Nemmeno il nome della protagonista. E' stato fatto tutto volutamente, nulla verrà lasciato al caso. Che dire, per ora
ho presentato solamente una ragazza. Anche se credo si capisca già da quanto ho scritto, lei è tutto il contrario della ragazza
perfetta. Non sogna il principe azzurro, non crede nel destino e in questi tipi di fatalismo. Direi che in questa storia, è lei
a portare i pantaloni.

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Capitolo 2
*** Act 02 - Radar ***


"Beh, allora?" come ci ero finita in quella diavolo di situazione? Avevo aiutato un tizio qualunque a trovare
delle chiavi, ci ho sbattuto contro, sono stata scaraventata in una macchina lunga e lussuosa,
e ora mi trovo in una specie di ufficio a una cinquantina di piani dal suolo. Ok, questi non erano i miei piani per
la giornata. Dal canto suo, il ragazzo che mi stava davanti era tranquillo come non mai. Seduto davanti a me,
sembrava come se quello infastidito fosse lui.
"Daniel Lemaire" mi sorrise come se stesse pubblicizzando un dentifricio. E ora che sapevo il suo nome?
Mi era svoltata la giornata. "Piacere di conoscerti, Fanny". Disse e quelle parole rimasero sospese a mezz'aria.
"Sìsì piacere, piacere..." Ecco, diciamo che non brillo per arguzia, però, ci misi più di quanto pensavo a capire
che quello sapeva il mio nome. "Ehi ehi aspetta. C'è qualcosa che non torna!" Dicendo ciò mi alzai, era una specie
di gesto automatico. Ogni volta che mi sentivo chiamata in causa mi alzavo. E ogni volta che me lo facevano notare
la mia rabbia saliva alle stelle.
"E' il tuo nome no? Fanny Fanny Fanny. Ha un bel suono, mi piace." Non amavo il mio nome, e non lo odiavo,
semplicemente non c'era motivo di ripeterlo 3 dannate volte. Ma più importante, perchè sapeva come mi chiamavo.
Provai a fare mente locale. Non gli ho detto il mio nome. Mai. "Sì, ok. Ma esattamente, non che ciò mi smuova più di tanto
ma non ricordo di averti mai detto il mio nome." La mia espressione variava dallo stupore all'incazzatura più totale.
E' normale, no? Farsi delle domande su certe persone."Ah a proposito di questo, ecco...io..." Temporeggiava?
Quanti anni aveva? 5? "Tu non puoi saperlo perchè non mi conosci, ma la pazienza non è una mia dote." Altro modo
per dire datti una mossa, bello. "Beh, ho fatto qualche ricerca su di te. Eheh" Rise e si passò la mano destra sulla nuca
scompigliandosi i capelli. Eheh? Eheh una grandissima mazza! "Che diavolo significa?"
"Non sono un maniaco!" "Strano che proprio tu dica una cosa del genere, eh?"
Ero blu. Rossa. Verde dalla rabbia. "Era solo per poterti ringraziare." E quindi fa ricerche su tutte le persone
che lo aiutano? Ma da quale paese veniva? Crazyville?
Proviamo a stare calmi. Feci un respiro profondo, molto profondo. Provai a pensare a tutte le cose belle di questo
mondo. Le margherite, i prati in fiore, gli unicorno. Perchè invece di diminuire, la mia rabbia cresceva?
"So che può sembrare strano." Era la goccia che fece trabboccare il vaso. Lo avrei mangiato se avesse detto
solo un'altra parola. "Ti sembra una cosa normale?!" Gli urlai letteralmente a due centimetri dalla faccia. A essergli
così vicina potei notare bene il suo viso. Era davvero stranamente bellissimo. I capelli castani disordinati che gli
incorniciavano il volto pallido, gli occhi verdi smeraldo così vividi. Ah certo. Adesso mi abbassavo a questi
livelli pietosi? "Stai calma. Perdi la pazienza troppo facilmente." Mi posò una mano sulla testa e mi spettinò leggermente ridendo.
Lo diverte questa situazione? Dall'alto della sua postura, mi sentivo ancora più bassa di quanto effettivamente
non fossi.
"Quindi cosa vuoi da me?" Gli riuscì a domandare. Mi ero leggermente calmata, ma un'altra parola e sarei
riesplosa. Sentì che mi prese la mano, delicatamente. Come se stesse prendendo la cosa più fragile e importante
di questo mondo. "Ti devo chiedere un favore." Mi sussurò a pochi centimetri del mio orecchio. Non avevo notato che
fosse così vicino. Il suo petto sfiorava il mio corpo. Aveva un odore di buono. Non come quelle colonie tutte uguali.
"Che-che cosa vuoi?" A malapena riuscì a sussurrare questo. Sentivo che stava sorridendo.
Poi le sue labbra si avvicinarono al mio orecchio e lo sfiorò. " Vieni a vivere con me." Sgranai gli occhi, poi un abbraccio.
Amici, amiche, qui c'è qualcosa che non torna! 
 

Note: ahh finalmente ho ritrovato l'ispirazione! Perlomeno ora sappiamo come si chiamano sti due.
Da qui in poi la storia si farà sempre più avvincente. O almeno spero, dipende da come mi girerà.
Questa volta il capitolo è più corto. Il fatto è che volevo solo farli conoscere per bene. E' una specie di
capitolo necessario, che però non può essere messo in un capitolo più lungo. Accidenti, sto delirando.
Mi farebbero immenso piacere le recensioni.
Ringrazio chi ha aggiunto la storia alle seguite.
Tres bien, alla prossima!

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Capitolo 3
*** Act 03 - Circus ***


"Ah ah ah" fu l'unica cosa che riuscì effettivamente a dire. Ah certo, preceduta da una spinta
con una forza pari a quella di un'acciuga. Ma pur sempre una spinta. Il ragazzo con quei penetranti
occhi verdi si era rivelato un pazzo senza precedenti. Andare a vivere con lui? Ma siamo impazziti?
"So che può sembrare strano" aveva detto scatenando in me più di un semplice istinto assassino.
"Strano? Un gatto a tre zampre è strano, tu sei fuori di testa!" Avevo urlato senza nemmeno rendermi
conto che avevo cominciato a fare avanti indietro per tutto il suo ufficio. Doveva essere ricco, eppure tanto,
per lavorare in un posto del genere. All'ultimo piano di un palazzo che sembrava uscito da un film di James Bond,
era moderno e completamente verniciato di bianco. Bianco allo stato puro, era privo di qualsiasi imperfezione.
Mi diede istintivamente fastidio come se tutto quel bianco mi accecasse. Una lunga scrivania, con sopra
pile di fogli in disordine e penne raccolte in un porta oggetti verde. C'era una lampada che scendeva ad illuminare 
un tavolo di legno, sopra il quale c'erano dei fiori blu.
"Non hai molti soldi, giusto?" Interruppe in questo modo quel mio personale monologo interiore. Cosa ne
sapeva della mia situazione economica? Quello, era un tasto dolente sotto più aspetti.
Non navigavamo nell'oro, anzi in quel periodo navigavamo in un mare di bollette non pagate
e pranzi già confezionati. Sapevo benissimo che i soldi erano quello che mi mancavano. Ma che diavolo
c'entrava con questo? "E allora?" gli urlai arrabbiata in faccia. Non riuscivo a stare ferma e continuavo
a muovere avanti e indietro. Non lo sopportavo! Accidenti, perchè si faceva così gli affari miei?
"E inoltre non hai un buon rapporto con i tuoi genitori, tutt'altro." Disse sedendosi su una poltrona rossa,
 con le braccia incrociate intorno al petto. Si era tolto la giacca nera, e la camicia bianca gli aderiva leggermente,
mostrando così un fisico scolpito.
Mi fermai per un istante e socchiusi le palpebre. Ero stanca di quel tizio e di lì a poco, lo avrei decisamente mandato
in quel bel posticino, a cui tutti è stato permesso almeno una volta nella vita un soggiorno completo.
Non avevo voglia di discutere, la stanchezza di quel giorno e tutto lo stress ricavatone, mi avevano
resa totalmente scorbutica, intendo più di quanto non fossi normalmente.
Provai a fare un bel respiro profondo e a calmarmi. "Ok, va bene. Mettiamo caso che sia tutto come dici tu..." dissi tentando
di fingere un tono calmo, ma ciò che ne uscì era più simile ad un tono acuto ed acido.
"Cosa vuoi che faccia? Che dica addio ai miei genitori e venga ad abitare con un tizio di cui non so niente?" sbottai nervosamente.
D'altro canto, lui sembrava rilassato e tranquillo come se mi avesse appena invitato a giocare
una partita a carte e non a trasferirmi da lui.
"Allora, ti dirò tutto quello che vuoi sapere. In questo modo non ci saranno problemi, no?" Fece un sorrisetto compiaciuto.
Da parte mia, non potevo fare altro che innervosirmi sempre di più. Davvero non capiva il punto della situazione?
"Allora su!" dissi più per accondiscendere alla sua follia, che perchè ne avessi veramente voglia. "Dimmi tutto quello
che ci dovrebbe essere da sapere su di te. Ad esempio, chiedi a chiunque ti raccolga delle chiavi, di venire a vivere
con te?" Il mio tono sarcastico era più che evidente. La sua risposta mi lasciò sbigottita.
"No, non a tutti!" disse cordialmente. "Bene, dopo ciò, mi chiamo Daniel Lemaire. Ho 25 anni e sono il capo di questo
ufficio. Mi sono diplomato con il massimo dei voti e sono uno dei più giovani dirigenti che ci siano." Disse compiaciuto.
Da parte mia, non potevo capire tanto orgoglio. "E allora, ti ci ha messo il tuo papà a lavorare in questo bel posto?
Oppure hai leccato il culo a qualcun'altro?" dissi con tutta l'acidità possibile e con un finto sorriso sulle
labbra. Per quanto lui si sforzasse ad essere gentile, mi dava sempre di più sui nervi. "Incredibile, come siamo
divertenti!" Disse, alzandosi in piedi. "Ma comunque, capisco. Tutti sarebbero così sorpresi a tale proposta." Annuì
a se stesso. "Bene, ora che ti ho detto tutto, puoi prendere una decisione no?" disse poi. "perfetto, non verrò mai a vivere con te!"
Dissi tutto d'un fiato. "Non devi decidere subito" proseguì lui tutt'altro che contento della mia risposta.
"L'hai detto tu!" Mi stavo comportando come una bambina, ma che ci potevo fare?
"Che ne dici di fare una prova?" Esordì lui. "E glielo dici tu ai miei genitori?" Incrociai le braccia intorno al petto.
"Certamente." Lo guardai male. Davvero era così stupido? A prenderlo in giro, non c'era nemmeno gusto.
"Senti, ti sembra normale?" Sussurai poi. Ero davvero seria e se mi avesse dato una sua tipica risposta, lo avrei
picchiato. "No." Alzai gli occhi. Era decisamente alto e mi sovrastava facilmente.
"Se lo sai anche tu, allora potevi risparmiartelo" dissi guardandolo storto. "Voglio vivere con te." Disse serio.
Non aveva nessun sorriso disegnato sulle labbra. Solo occhi che mi fissavano con serietà.
"Perfavore, una prova non costa nulla, no? Parlerò con i tuoi genitori, vedrai capiranno che sono
una brava persona e non avranno nulla da ridire a riguardo." Disse fieramente. "A dire il vero, ho già
parlato con tua madre, ma oggi tornerò da lei per un ulteriore conferma." In pratica mia madre mi
metteva alla mercè di questo pazzo scatenato? "Ok ok! Non c'è bisogno di nessuna conferma! Verrò ad
abitare da te!" Dissi arrabiata. Mia madre gli aveva detto che per le andava bene. Che cazzo di madre
era? "Ne sono davvero felice." Disse sorridendo e scompigliandomi i capelli gentilmente.
Questo in poche parole è come mi sono ritrovata a vivere con questo pazzo!

Note: questo capitolo è stata una faticaccia! Ma va bene, l'importante è che è uscito.
Ringrazio chi segue la storia e ovviamente se recinsite mi farete un grande favore, almeno so che ne pensate!
Saluti ; )

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Capitolo 4
*** Act 04 - Selfish ***


Nelle puntate precedenti:
"Mi chiamo Daniel Lemaire. Piacere di conoscerti Fanny."
"Vieni a vivere con me."
"Sei pazzo?"
"Va bene, verrò a vivere in quella dannata casa."


Bene, non è proprio facile descrivere in che razza di situazione mi trovo. Tutto è cominciato raccogliendo
delle chiavi di casa, è proseguito con un rapimento e infine una proposta di vivere insieme.
La persona insieme a cui vivo si chiama Daniel. Il suo cognome lo so a malapena pronunciare, non brillo in
francese, perciò lui è Lama. E' la persona più abitudinaria che conosca. Si alza alle 5 (e quel maledetto
fa un tale casino che sveglia anche me), ci mette esattamente 45 minuti per prepararsi e fare colazione,
e poi va a lavoro. Torna a casa alle 7, cena alle 7.30 e va a letto alle 10. Come ho fatto a imparare
tutti i suoi orari in solo una settimana che abito con lui? Non lo so nemmeno io. "Buongiorno Fanny." Scende dalle
scale con la sua solita lentezza, quasi come dicesse: buttami. Quanto vorrei farlo. "Sìsì ciao." E' l'unica cosa
che dico. "Non dovresti salutarmi in modo così nervoso." Sussurra più a se stesso che a me. Stranamente sono le
8, e lui è ancora a casa. "Beh? Lo sai che stai sforando nella tua tabella di marcia?" Dico in modo
sarcastico. Una cosa che ho imparato su di lui, è che non capisce l'ironia. Mi risponde con un ah sì disorientato
e distratto. Mi giro intorno, di nuovo, di nuovo. Diavolo, dove era la mia dannata cravatta?
"Dove sta?" Urlo quasi. Risponde piegando la testa, guardandomi confuso. Effettivamente i suoi occhi sono i
più verdi che abbia mai visto. "Cosa cerchi?" Mi chiede in modo gentile. Questo tizio, perchè deve sempre
essere così tranquillo e disponibile? Mi fa incazzare.
"La cravatta. Quella cosa che si mette intorno al collo. E' blu e bianca." Ricordo quando ero andata a scuola
senza cravatta un giorno. Incredibilmente il dannatissimo capo del comitato disciplinare, che per motivi
di sicurezza personale non vi rivelo, mi ha portato in quella presidenza lunga e stretta dove un vecchio
con i baffi mi ha fatto la ramanzina sull'importanza delle vesti scolastiche. "l'ho vista!" Esclama. Dio, forse
non è totalmente scemo. "Linda l'ha messa a lavare" Mi sorride mentre io lo sto quasi per strozzare. Linda è
una ragazza colombiana di circa 35 anni che fa le pulizie da questo pazzo scriteriato. "Cosa diavolo significa?"
"Non si chiede?!" "Fanculo testa di lama." Ecco il resto lo risparmio per evitare di riempire la pagina di parole poco
consone.
Alla fine, mi ha scritto una specie di giustificazione e l'ho passata liscia. Almeno fino all'uscita di scuola.
Mi pare di averlo già detto che le mie compagne di classe sono tutte stronzette snob, o no?
"Ci vediamo domani bella." Dice un mio amico che prende la strada per casa.
Proseguo avanti, quando mi trovo una spece di muro di ragazze.
"Non monopolizzarli." Urlano. Cazzo i miei nervi cominciano a vacillare, ora gli sbrocco sul serio.
Provo a respirare, in fondo di che mi possono incolpare? "Non monopolizzare i ragazzi più belli della nostra classe."
Dio, perchè non le riesco a capire? Le ragazze di oggi sono così? "Avete i coniglietti dell'energizer al posto degli ormoni?
Prendeteveli non mi interessano minimamente." Dico e vado avanti. Ma quando arrivo al cancello, vedo
il peggio. Una macchina nera, lunga e una portiera che si apre. Daniel. "Come è andata a scuola?" Mi dice
salutandomi con la mano. Da parte mia, continuo ad andare avanti senza guardarlo. "Non far finta di non conoscermi."
Dice seguendomi. "Ti riaccompagno a casa." Quel sorrisetto toglietelo dalla faccia o ti ammazzo.
"Perchè? Voglio andare a casa da sola." Mi sembrava di essere tornata alle medie, quando non volevo
che mia madre mi accompagnasse a scuola. "Eddai ho una bella sorpresa!" Pensa di comprarmi?
Respiro,profondamente e lo seguo in macchina. "Bisogna sempre inventarsi scuse per farti ragionare."Dice poi
con le braccia incrociate al petto. "non c'è nessuna sorpresa? Hai mentito!" Sto regredendo mentalmente a vivere con lui,
lo so. "Sono un uomo d'affari, io." Mi dice sorridendo.
Mi giro ignorandolo e guardando il finestrino. Quella notte non avevo dormito un secondo.
E quando mi ero addormentata era ora di alzarsi. Diciamo che vedersi un film dell'orrore prima di andare
a dormire non era una buona idea. Dannazione. Non so quando mi addormentai, ma sentì qualcosa
di caldo sulle spalle. Sentivo che cadevo giù su qualcosa di morbido e che qualcosa mi teneva stretta.
Nel sonno udì qualcosa come buona notte, ma probabilmente lo immaginai.

Quando mi svegliai ero a casa e considerando che fuori era tutto buio doveva essere sera.
Scesi al piano di sotto e quello che vidi mi sembrò piuttosto strano: Daniel stava guardando
la televisione. Non che per una persona qualunque fosse strano, ma di solito dopo cena, lui leggeva o lavorava al computer.
Non so come fece a sentirmi dato che ero stata piuttosto silenziosa, ma lui si girò. Spense la tv e mi salutò con la mano dicendo
"Ben svegliata." Mi girai e l'orologio segnava le 23.00.
Strano, di solito a quest'ora dormiva. "Come mai stai infrangendo la tua precisa tabella di marcia?"
Dissi in tono sarcastico. Ancora una volta mi rispose seriamente. "Mi sono accorto di essere parecchio abitudinario."
Disse ridacchiando. Guardai sul tavolino vicino ai suoi piedi e vidi la custodia del film che avevo visto
la sera prima. "Che stai guardando?" Dico guardandolo male, senza una vera motivazione.
"il film che ti ha spaventato così tanto da non farti riuscire a dormire." Dice sorridendo. Si alza e si avvicina. D'altra parte
io sono ancora sulle scale. "Non hai di meglio da fare?" dico scocciata.
"Non dovresti avere paura di certe cose. Sei proprio una bambina." Sgrano leggermente gli occhi.
Cosa mi stava facendo, un rimprovero? "Scusa se sono così infantile" Gli urlo quasi contro senza notare che la sua faccia
è a due centimetri da me che mi guarda divertito. "Non c'è nulla di cui ti debba preoccupare." Eh?
"Perchè ci sono io che ucciderò qualsiasi mostro per te." Disse sorridendo. "Non prendermi per il" Riesco a malapena a dire,
notando quanto mi è vicino. Ora che lo guardo, da quando è così alto? Riesco solo a sentire lui che sussurra
il mio nome e sento le sue labbra troppo vicine alle mie. Fino quando non...



Note: E anche questa è andata. Grazie a chi segue e a Nana per rencensire (: Recensire è cosa buona
perciò fate pure. Ok, basta. Oggi sono di poche parole. Alla prossima (:

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