Destini intrecciati

di Lulumyu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Debito magico ***
Capitolo 2: *** Vite di guerra ***
Capitolo 3: *** Voci d'Ombre ***
Capitolo 4: *** Domande ricorrenti ***
Capitolo 5: *** Trame Maligne ***
Capitolo 6: *** Incarichi e doveri ***
Capitolo 7: *** Prede e cacciatori ***
Capitolo 8: *** Inversione di ruoli ***
Capitolo 9: *** Marchiata dal terrore ***
Capitolo 10: *** Possibilità perdute ***
Capitolo 11: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 12: *** Studio sul campo ***
Capitolo 13: *** Non è importante ***
Capitolo 14: *** Serenità e disperazione ***
Capitolo 15: *** Niente come prima ***
Capitolo 16: *** Divisioni ***
Capitolo 17: *** Tormenti ***
Capitolo 18: *** Lotte e rese ***
Capitolo 19: *** Ricerca e desiderio ***
Capitolo 20: *** Sopravvivenza ***
Capitolo 21: *** Per scelte passate ***
Capitolo 22: *** Nuovo incontro ***
Capitolo 23: *** Emozioni e misteri ***



Capitolo 1
*** Debito magico ***


NdA: Ciauz a tutti!
Sono Lulumyu e questo è il mio primo tentativo di Fanfiction sul mondo di Harry Potter. Spero che vi piaccia!
Prima di cominciare volevo dare un paio di informazioni;
Avendo già letto in inglese il sesto libro avverto già da ora che ci saranno dei riferimenti ad esso, anche se la storia si svolge dopo gli anni di scuola.
Anche se la storia è vista dal punto di vista dei diversi personaggi, la protagonista è Ginny Weasley. Ho cercato di adattare il carattere di ogni personaggio alla storia, ma è probabile che alcuni vi potranno sembrare leggermente OOC.
Benone, ho detto tutto. Spero proprio che la storia vi piaccia e vi prego di recensire, se potete. Mi fa sempre piacere sentire i pareri dei lettori!!
Un bacione dalla vostra ‘myu.

Destini intrecciati
By Lulumyu
1. Debito Magico


Pioggia.

Tante piccole gocciole cadevano una dopo l’altra sulla terra, leggere come petali, ma fredde come fiocchi di neve. Cadevano bagnando la terra viva, l’erba, le piante, nutrendo e tentando di pulire quell’alone rosso così contrastante con il verde rigoglioso.
E bagnavano anche lei.

Il tempo passava inesorabilmente lento ma non la sfiorava neppure. Non sapeva da quanto era distesa a terra sotto la pioggia battente; l’ultima cosa che ricordava era un uomo avvolto da un lungo mantello nero che la colpiva allo stomaco, ricordava di essere caduta a terra e di aver sentito poco dopo un nuovo peso sulle gambe.

Tutto attorno a lei era il caos, poteva percepirlo chiaramente, ma poco le importava.
Era là, distesa a terra. Doveva aver battuto la testa, perché non si era mai sentita così confusa dai tempi del diario.

La sua vista era leggermente sfocata, pensare le aumentava il mal di testa e allora l’unica cosa che le era rimasta da fare era stare immobile tentando di sprofondare in un oblio che non veniva. Era una tortura.

I suoi occhi blu scuro osservavano le nubi grigie che la sovrastavano. Il mondo si oscurava, quando c’era una battaglia. Era così da tempo, o era solo lei che era stata così cieca da non rendersene conto?

Chissà dove si trovavano i suoi amici e, soprattutto, la sua famiglia.

Non aveva la forza di alzarsi, il peso sulle gambe era insopportabile e la terra umida la faceva sprofondare. Maledì a fatica ogni piccolo sassolino che premeva sulla sua schiena e sulla sua nuca.

La sua veste era strappata in molti punti ed il mantello non la copriva per niente.
Aveva ogni centimetro di pelle bagnato, ogni centimetro dei suoi vestiti. Il corpo era scosso dai brividi di freddo.
Quella situazione diventava più fastidiosa ogni secondo che passava.

Chiuse gli occhi tentando di immaginare in che stato doveva trovarsi: completamente inzuppata, con i vestiti ed il mantello sporchi di un disgustoso miscuglio di terra e sangue e i lunghi capelli rossi impregnati di odori di morte, risemblanti il sangue liquido.

Accennò un sorriso amaro.

Disgustoso.

Riaprì gli occhi e scoprì di vederci ancora meno. Le nuvole cupe di prima però avevano lasciato il posto a due chiazze di cielo grigio metallico.
Sparirono per un istante e riapparvero; ma cos’era quella macchia nera all’interno del grigiore?

Pian piano la vista ricominciò a mettersi a fuoco e le permise di capire che non erano pezzi di cielo, ma occhi di un essere umano. Lo fissò e l’uomo (perché ne era sicura, doveva essere un uomo) con il volto nascosto da una maschera ricambiò lo sguardo.
I brividi che stavolta la pervasero non furono unicamente di freddo: era terrorizzata.

Aveva un Mangiamorte a pochi centimetri da sé e si trovava disarmata e impossibilitata solo al pensare di muoversi o scappare.
L’uomo la osservò per un tempo che a lei parve interminabile, poi si chinò in corrispondenza delle gambe di lei. Pochi istanti dopo la giovane sentì il peso spostarsi dalle ginocchia e finalmente poté leggermente rilassarsi. Non capiva perché non era ancora morta. Forse lui voleva prima liberarla da pesi ingombranti per poter occuparsi di torturarla alla pazzia. Ma neanche il dolore arrivò. Si sentì sollevare e prendere in braccio, come fosse una piuma molto leggera. Si sentì avvolgere da qualcosa di caldo, anche se umido di pioggia e si abbandonò inconsapevolmente al tocco dell’uomo misterioso.

Le palpebre ora cominciavano a farsi sempre più pesanti. Si addormentò, ma prima di cadere nell’oblio fu sicura di sentire qualcosa, poco più di un sospiro:

- debito magico, rossa -.

OoOoOoOoO

Si era risvegliata in una delle stanze singole del S. Mungo, in uno stato di confusione completa, attorniata dai genitori e dai fratelli.

Sua madre aveva cominciato a piangere come una fontana, abbracciandola e ridendo insieme, sollevata che stesse bene. Anche suo padre l’aveva abbracciata, rincuorato. Dei suoi sei fratelli maggiori, ce n’erano la metà: Charlie, che aveva un braccio fasciato e alcune medicazioni minori sul volto e Fred e George, che erano un po’ malconci ma ancora vivi e vegeti.
Fece a fatica alcune domande.

Da ciò che capì dei loro discorsi, poiché la testa le doleva ancora e faceva fatica ad ascoltare in modo completo le loro risposte, l’avevano trovata svenuta in una piccola radura poco lontana dal campo degli auror, coperta di sangue e sporca di fango. A lungo avevano temuto che fosse morta, era per questo che l’avevano subito fatta portare al S. Mungo.

- Ti avevamo persa di vista ed eravamo terribilmente preoccupati che ti fosse accaduto qualcosa... non immagini la nostra preoccupazione quando ti abbiamo trovata in quella radura, così lontana dal campo di battaglia... ma come hai fatto ad arrivare fino a lì? - chiese sua madre.

Lei rimase in silenzio, assorta e un po’ allarmata.
Era certa di essere stata colpita sul campo di battaglia, quindi non poteva aver raggiunto da sola quel luogo. Ciò poteva significare solo una cosa: non si era sognata quel Mangiamorte, ne quello che le aveva detto. L’aveva salvata, non uccidendola ma addirittura portandola in prossimità del campo nemico. Ed ora lei era in debito con uno sconosciuto e, ancora peggio, un nemico. Ma perché tutto questo? Che cosa poteva volere un Mangiamorte da lei?

Probabilmente voleva usare lei per colpire Harry. Anche il solo pensiero le fece torcere le viscere. Fu a seguito di tutti questi faticosi ragionamenti che decise di tacere l’avvenuto.

- non so mamma - optò per dire.

- sono stata colpita e mi sono trascinata il più lontano possibile dal campo di battaglia... non ricordo nulla - concluse.

Ai suoi sembrò una spiegazione sufficiente, evidentemente, perché non le chiesero altro.

- Dove sono gli altri? - chiese piano.

- Ron è scomparso subito dopo la battaglia, è andato via insieme ad Harry ed Hermione. Bill è tornato a casa da Fleur e Percy è al Ministero - spiegò il signor Weasley.

- Ma Voi-sapete-chi è... -

- No Ginny, non è finita. Non era presente sul campo di battaglia, c’erano solo i suoi scagnozzi - disse Charlie, passandosi una mano sulla fronte in segno di frustrazione.

In quella una medimaga, la signora Hickins, che le ricordava tanto madama Chips, entrò nella stanza con foga, intimando ai suoi parenti di uscire poiché l’ora delle visite era conclusa, e quasi li buttò fuori.

- torniamo a trovarti più tardi, Ginny cara. Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, facci sapere mi raccomando - raccomandò premurosamente la signora Weasley.

Lei si limitò ad annuire con un sorriso tranquillo.

Quando uscirono la medimaga Hickins le mise sotto il naso una pozione verdastra dall’odore nauseante.
Ginny la guardò con gli occhioni blu supplicanti.

- Ah no, signorina Weasley, con me non funziona. Beva quella pozione, tutta fino all’ultima goccia! Le farà bene e guarirà più in fretta - disse la signora Hickins, guardandola severamente.

Ginny deglutì a vuoto, lanciando occhiate titubanti alla fialetta.

- vuole che le dia una mano ad ingoiarla o pensa di riuscirci da sola prima di domani? - le intimò minacciosa la medimaga.

- non sta dicendo sul serio - borbottò Ginny.

L’occhiata che le lanciò la medimaga valse mille parole e Ginny optò per bere da sola la pozione.
La bevve con una smorfia. Era proprio disgustosa.

- brava! Non è morta, vede? Ora si distenda e dorma per un po’. Tra un paio d’ore tornerò per un controllo - disse la medimaga dirigendosi tutta indaffarata fuori dalla porta.

Ginny si distese e la osservò richiudere la porta.

Già, pensò, identica a madama Chips.

Era da tempo che non vedeva la medimaga di Hogwarts. Era rimasta là ad occuparsi dei pochi ragazzini che continuavano a studiarci dentro, esattamente come altri professori. La McGrannit, Vitious, la Sprite, la Cooman... avevano tenuto aperta la scuola, nonostante i pochi studenti.

I suoi anni ad Hogwarts le sembravano tanto lontani, ma in realtà non era passato poi così tanto tempo dall’ultima volta che ci era stata come studentessa. Dopo la morte di Silente, Harry, Ron ed Hermione avevano concluso la loro permanenza a scuola al sesto anno, mentre lei era stata costretta da sua madre a seguire insieme ai pochi studenti restanti i due anni che le rimanevano. Conclusi gli studi aveva deciso di iscriversi ai corsi per auror, come desiderava da un po’ di tempo. I suoi genitori avevano tentato di impedirglielo, ma testarda com’era non era servito a nulla. Comunque quando aveva concluso il suo settimo anno scolastico aveva anche rivisto l’inseparabile trio. Erano stati via per tutto il corso dei due anni che lei aveva trascorso a scuola, senza rivelare né il motivo della loro partenza né l’esito di ciò che avevano fatto. Tantomeno dove erano effettivamente stati. Inizialmente li aveva invidiati, più che altro aveva invidiato suo fratello ed Hermione, poiché potevano stare accanto ad Harry, cosa che a lei era preclusa.

Avevano chiuso la loro relazione il giorno del funerale del preside più amato e conosciuto della storia di Hogwarts. Lei certo se lo aspettava. Nel profondo del suo animo sapeva che quella felicità che provava sapendo di essere insieme ad Harry non poteva durare a lungo.

Aveva aspettato cinque anni per lui, ma ora non credeva neanche lei di poterlo aspettare più.

Lo amava ancora, questo era vero, e se un giorno le avesse chiesto di tornare da lui probabilmente l’avrebbe fatto. Ma non poteva aspettarlo; la vita andava avanti, quella di entrambi. Se il destino lo avesse voluto sarebbero tornati insieme, prima o poi.
Era sicura che uno dei motivi per i quali l’aveva lasciata era il fatto di non volerla mettere in pericolo. Ma ora...

Girò la testa verso la finestra della sua stanza d’ospedale. Fuori non pioveva più, ma il cielo era grigio come quel giorno, durante la battaglia.

...Ora un Mangiamorte le aveva salvato la vita e lei, volente o dolente, era in debito magico con lui. Il motivo ancora le sfuggiva eppure sapeva, anzi, era certa che non era nulla di buono. Piano piano cominciò a sentirsi leggera. La pozione stava lentamente facendo effetto, portandola sempre più verso una pigra sonnolenza. Chiuse gli occhi, rilassandosi.

Le sembrarono passati solo pochi secondi che fu svegliata dalla medimaga, per il controllo.
La fece alzare piano dal letto e aprì la finestra per farle prendere una boccata d’aria.

- fa bene alla salute e serve per non renderla un vegetale! - le disse concitata la medimaga, aiutandola a risalire sul letto.

Eseguì un paio di incantesimi che Ginny non riconobbe e uscì per qualche minuto dalla stanza. Quando rientrò portava in mano un’altra fialetta, stavolta di colore azzurro scuro. L’odore era leggermente più gradevole, ma quando la bevve Ginny si chiese come mai non aveva ancora rimesso neanche un goccio. Era ancora più schifosa della precedente.

Ovviamente non si lamentò con la medimaga, era ancora troppo intontita per poter intavolare una qualche discussione. Quindi si rimise docile a letto come le fu ordinato. Si coprì con le coperte e rimase lì ad osservarla girare in tutta la stanza riordinando degli oggetti dall’uso sconosciuto.

- si sta riprendendo bene ed in fretta, signorina Weasley. Credo che tra un paio di giorni se continua a seguire le mie indicazioni ed a bere le pozioni che le prescrivo potrà essere dimessa. Ovviamente ho già raccomandato ai suoi famigliari di non sottoporla a sforzi per una o due settimane. Ma non si deve preoccupare, è solo una precauzione che è meglio non sottovalutare - spiegò la signora Hickins.

Ginny non rispose.

La medimaga si voltò per capire come mai e la vide profondamente addormentata.

Come immaginavo, pensò, il colpo che ha ricevuto la ha debilitata molto di più di quanto sembra. Ma un paio di settimane di riposo la riporteranno come nuova.

Uscì chiudendosi piano la porta alle spalle e si diresse verso il suo ufficio dove sapeva l’attendevano i famigliari della signorina Weasley.
Quando entrò, Molly Weasley le si avvicinò, subito stringendole la mano e lo stesso fece il signor Weasley. Gli altri presenti, alcuni fra loro che prima non aveva visto, la salutarono con brevi educati cenni della testa.

- allora, signora Hickins, che può dirci riguardo la salute di Ginny? - chiese ansiosa la signora Weasley.

- vostra figlia sta bene, di questo non dovete preoccuparvi. Ha una buona capacità di ripresa e ciò è sorprendente in questo caso poiché i colpi che ha subito non sono stati affatto lievi - a questa sentì la maggiorparte dei presenti trattenere il respiro.

- ma, come vi ho detto, è fuori pericolo - s’affrettò a dire per rassicurarli.

- ma esattamente cosa le è successo? - chiese una giovane donna dall’aria intelligente con lunghi cespugliosi capelli castani.

La signora Hickins la osservò per qualche secondo. Dove l’aveva già vista?

- è sicuramente stata colpita allo stomaco da qualcosa, non sono in grado di capire se era un pugno o un calcio. In seguito deve essere caduta per terra e ha sbattuto violentemente la testa. Poi, da quanto dice di ricordarsi, si è trascinata lontano dal campo di battaglia e si è lasciata cadere nel luogo in cui l’avete trovata - spiegò.

Tutti annuirono, attenti.

- eppure temo che sia successo dell’altro. Probabilmente qualcosa che la signorina Weasley non ricorda a seguito del brutto colpo alla testa - continuò incerta.

La osservarono stupiti. Un uomo dai lunghi capelli rossi legati in una coda e dal volto semi-sfigurato le si rivolse educatamente:

- che cosa intende, signora Hickins? Ha delle prove riguardo alla sua tesi? -

La medimaga annuì.

- sì. Ho la certezza che nelle condizioni in cui è arrivata qui al S. Mungo sarebbe potuta morire. Ciò non è accaduto e l’unico motivo che mi viene in mente è che qualcuno l’abbia in parte medicata prima dell’arrivo all’ospedale. Ho la certezza che il colpo infertole allo stomaco le abbia provocato una emorragia interna, ma non ne ho trovato traccia quando la ho visitata la prima volta - spiegò pacata.

- sta dicendo che qualcuno ha curato Ginny prima che la trovassimo? - chiese il signor Weasley.

- non ne ho la certezza, ripeto, ma credo proprio che sia così. Il punto ora è capire chi possa aver fatto un intervento simile, salvandole la vita. Se non è stato nessuno di voi mi chiedo chi possa essere stato. Inoltre la signorina Weasley continua a ripetere di essersi trascinata lontana dal campo di battaglia, ma nelle condizioni in cui ipoteticamente si trovava non le sarebbe stato possibile farlo. Inoltre non c’era traccia di questo movimento sulla sua veste, capite? -

- sta dicendo che è stato qualcun’altro secondo lei a portarla fino al luogo in cui l’abbiamo trovata? - chiese uno dei due gemelli Weasley.

La medimaga annuì con forza.

- ma allora perché l’abbiamo trovata da sola? Perchè il suo salvatore non ha portato Ginny direttamente da noi nel campo? - chiese un altro uomo dai capelli rossi, più basso dell’uomo con la coda ma dai muscoli più sviluppati.

- non chiedetelo a me, se lo sapessi credo che ve lo avrei già detto - rispose pacata la medimaga.

- ma perché Ginny ci ha raccontato una frottola allora? - chiese al figlio il signor Weasley.

In quella però intervenne severa la medimaga:

- signor Weasley, non salti subito alle conclusioni. Sua figlia è tutt’ora in un pesante stato confusionario ed è probabile che tutto ciò che ci ha raccontato è frutto del suo subconscio o forse di un sogno che ha fatto dopo essere svenuta. È probabile che neanche lei sappia cosa è successo realmente su quel campo di battaglia -.

Il signor Weasley annuì, leggermente imbarazzato, sotto gli sguardi severi della moglie e della medimaga.

- in ogni caso come vi ho già detto precedentemente è importante che nelle settimane seguenti al suo rilascio dall’ospedale non si sforzi e soprattutto non riprenda il suo lavoro. È consigliabile che la riportiate qui da me per un controllo finale e solo dopo questo le concederò il permesso di tornare sul campo di battaglia. Vi avverto che può darsi che verrà frequentemente colta da perdite parziali di memoria e problemi di concentrazione. Per il resto dubito ci saranno ulteriori problemi - spiegò.

- oh non so come ringraziarla signora Hickins - le disse ammirata la signora Weasley.

La medimaga sorrise rassicurante.

- non deve preoccuparsi signora Weasley. È il mio lavoro. Ora se volete scusarmi devo raggiungere un altro paziente. Prendetevi tutto il tempo che vi serve per andare e restate pure qui nel mio ufficio se avete bisogno di parlare. Vi chiedo solo per cortesia di non andare nella stanza della signorina Weasley. In questo momento sta riposando ed è importante non svegliarla - raccomandò la medimaga, uscendo.

Quando fu uscita nella stanza calò il silenzio. Tutti i presenti erano persi nei propri pensieri e nessuno osava parlare per primo. Alla fine fu il signor Weasley che prese parola.

- cosa ne pensate? - si limitò a chiedere al resto dei presenti.

Ci furono dei leggeri scuotimenti di testa e poi Ron prese la parola a sua volta:

- mi sembra così assurdo... insomma, chi avrebbe potuto portarla via dal campo di battaglia e non riportarcela direttamente? -

- già è quello che penso anche io - disse Hermione, annuendo.

Charlie sembrava il più abbattuto di tutti.

- io... era lì accanto a me ed un secondo dopo non c’era più! Non so cosa avrei fatto se... se le fosse... se fosse - si posò una mano sugli occhi e la signora Weasley subito gli si accostò.

- non devi fare così Charlie caro, non è colpa tua lo sappiamo tutti. In fondo sarebbe stato lo stesso se al posto di Ginny ci fosse stato qualcun altro della famiglia. Saremmo stati tutti in pena comunque... -

- sì mamma, ma... ma è Ginny e... -

- sì lo so tesoro. È lo stesso che penso anche io... mi viene così difficile non vedere Ginny come una bambina... quando ci comunicò la sua decisione di diventare un auror ci venne un colpo a me e a tuo padre! - fece addolorata la signora Weasley.

Seguì un breve silenzio.

- forse ci converrà farle un paio di domande quando si sarà ripresa: se siamo fortunati riuscirà a ricordarsi qualcosa - disse Percy.

Tutti annuirono, in accordo con lui.

- andiamo, ragazzi... è inutile rimanere qui ora. Ripasseremo domani il prima possibile - disse Arthur Weasley, dirigendosi verso la porta.

Tutti si alzarono per seguirlo.

- Ron, Hermione, Harry caro, venite anche voi ragazzi? - chiese la signora Weasley.

Harry scosse la testa.

- mi spiace signora Weasley, abbiamo un paio di cose urgenti da sbrigare. Comunque grazie per l’invito - rispose a nome di tutti e tre.

La signora Weasley annuì un po’ triste, ma non disse nulla. Seguì fuori dall’ufficio della medimaga il resto della sua famiglia, non senza gettare uno sguardo preoccupato nella direzione del corridoio in cui sapeva si trovava la stanza dove riposava la sua Ginny.
Poco dopo anche Harry, Ron ed Hermione uscirono dall’ufficio, richiudendosi la porta alle spalle. Percorsero in silenzio i corridoi del S. Mungo, salutando di tanto in tanto alcune persone di loro conoscenza ed arrivarono al piano terra. Uscirono dall’edificio, che da fuori aveva sempre l’aspetto di negozi abbandonati, e cominciarono a camminare per le vie della Londra babbana.

Quel giorno il cielo era grigio, le nuvole minacciose di pioggia guardavano dall’alto tutti coloro che si muovevano frettolosamente per le strade, per diversi motivi. Soffiava un vento piuttosto freddo e tutti quanti erano avvolti in pesanti cappotti.

- cosa ne pensi, Harry? - chiese dopo un po’ Hermione, avvolgendosi meglio la sciarpa attorno al collo.

Harry non rispose subito. Stava ancora pensando a come si era sentito quando non trovavano più Ginny ed invece come si era sentito sollevato quando l’avevano trovata, nonostante le brutte condizioni in cui si trovava.
Era stato lui stesso a voler chiudere la loro relazione, ma non per questo non le voleva più bene. Sapeva perfettamente che qualcosa nel loro rapporto si era perso per sempre e che non sarebbe tornato tutto come prima se si fossero rimessi insieme; eppure non poteva fare altro che preoccuparsi per lei, ora cercando di farlo più come un fratello che come un fidanzato.
Ormai erano passati quasi quattro anni da quel giorno ad Hogwarts, quando si erano lasciati, e non potevano tornare indietro.

- non lo so Hermione... davvero non so cosa pensare. Sarebbe stato fin troppo facile per un nemico sbarazzarsi di lei se è vero che era svenuta sul campo di battaglia. E sarebbe stato anche un ottimo modo di colpire noi. Certo il fatto che ci sia stato qualcuno a portarla in prossimità del campo, beh... non so... non so davvero... è tutto così dannatamente... non so - mormorò Harry, frustrato.

Ron non disse nulla. Era ancora terribilmente scosso dall’accaduto. La sua sorellina... la sua Ginny... si era sentito morire quando l’avevano persa e riportata in quella condizioni al campo auror. Aveva creduto per diversi momenti di averla persa per sempre.
Come in quella maledettissima Camera, esattamente come in quel luogo.
Quando era rinvenuta nella sua stanza lui e gli altri non c’erano; erano occupati ad interrogare alcuni nemici ricoverati al S. Mungo. Eppure con il pensiero era sempre rimasto in quella stanza con Ginny e si era sentito immensamente bene a scoprire che era fuori pericolo.

- tutto bene Ron? - si sentì chiedere da Harry.

Alzò la testa e lo guardò per qualche istante negli occhi. Sapeva che anche Harry era preoccupato quanto lui e questo lo faceva sentire meno oppresso.

- ora sì. Grazie - fece, accennando un sorriso.

Hermione sorrise, sollevata. Li aveva visti davvero devastati per quello che era accaduto ed era davvero contenta che ora le cose sarebbero tornate come prima.

Una folata di vento le scompigliò i folti capelli castani e lei si passò con la mano una ciocca dietro le orecchie. Si diressero verso un vicolo e poco dopo, non visti, si smaterializzarono.

In verità qualcuno, dall’alto dei tetti delle case attorno al vicolo, li aveva tenuti d’occhio da quando erano usciti dal S. Mungo. E prima di loro aveva tenuto d’occhio la piccola folla di persone dai capelli rosso acceso che, dopo essere uscita, si era diretta in tutt’altro luogo.

Le sue labbra si piegarono in un sorrisetto maligno. Guardò verso il luogo dove sapeva trovarsi l’ospedale. Il suo piano avrebbe avuto successo, ne era assolutamente sicuro. Doveva solo avere pazienza e, soprattutto, non perdere di vista la rossa.

Non poteva permettere che le accadesse qualcosa, altrimenti sarebbe stato lui a pagare. Si voltò con un fruscio del mantello scuro alle sue spalle. Il suo signore era stato categorico; suo padre gli aveva raccomandato di non fallire. E lui non lo avrebbe fatto.

Doveva solo aspettare, come un felino nascosto nella selva che osserva la sua preda pascolare tranquillamente nella vicina radura. Doveva saper attendere il momento più adatto per scattare, aspettando che la sua preda si sentisse completamente a suo agio nella situazione, senza alcun sospetto.

E attaccare.

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Capitolo 2
*** Vite di guerra ***


NdA: Ciauz^^!!

Essendo questo l’ultimo sabato libero per mooolto mooolto mooolto tempo (ç.ç) ho deciso di impiegarlo per fare qualcosa di positivo. Quindi ecco il secondo capitolo!

La storia comincia a svilupparsi e Ginny fa un nuovo (beh mica tanto) incontro.

 

Ringraziamenti:

- Kaho_chan: yuhuuu!! Eh già anche io su HP… che vuoi farci ne ho lette così tante che mi sembrava doveroso partecipare! Per la coppia non so ancora, la storia è progettata solo a grandi linee (come mio solito ;P). Grazie mille per la recensione, spero di non deluderti con il mio tentativo! E se ti chiedi come va l’altra, per venerdì dovrei riuscire a ricominciare a metterla on-line.

Spero che questo capitolo ti piaccia! Bacioni!!

 

Beh che dire? Fatemi sapere come vado ok?

Vi prego, recensite!! (‘myu che si prostra più volte ai piedi dei lettori) Anche una piccola piccola cosetta mi va bene!

Un baciuz a tutti e buon weekend!!

‘myu

 

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

2. Vite di Guerra

 

Si era ripresa relativamente in fretta.

Come le aveva detto la signora Hickins, dopo due giorni di ospedale finalmente poteva tornare a casa. Quello che stava facendo proprio in quel momento.

- la ringrazio davvero, medimaga Hickins - le disse con un sorriso - mi ha rimessa in sesto in men che non si dica - continuò felice.

La medimaga la osservò con un sorriso indulgente.

- sì, sì. Ma deve promettermi di non sforzarsi, altrimenti tutto il mio lavoro non sarà servito a nulla - le raccomandò bonariamente.

Ginny annuì e, dando il braccetto a sua madre per sostenersi un po’ meglio, cominciò a dirigersi fuori dall’ospedale. Purtroppo in quel momento c’era in corso una battaglia non lontano dal luogo in cui si trovavano e di conseguenza tutti i suoi fratelli erano impegnati e non avevano potuto venire a prenderla. C’erano soltanto sua madre e suo padre, ma a lei andava bene lo stesso.

Appena fuori dall’ospedale la attendeva una giornata molto migliore delle precedenti: nonostante il forte vento freddo permeava ancora l’aria, le nubi erano scomparse lasciando spazio ad un cielo limpido e terso. Subito appena uscita si strinse nel vecchio cappotto scuro, non più abituata al clima freddo dell’esterno poiché rimasta al calduccio al S. Mungo negli ultimi giorni.

Sorrise alla madre che le chiese come stava.

- meglio, davvero. A volte mi sembra come se mi sia passato sopra un branco di draghi infuriati, ma è ok, cioè, non è ok ma va meglio ora - le disse.

Molly sorrise.

- che ne dici se andiamo a festeggiare la tua uscita dall’ospedale facendo un veloce giro per Diagon Alley? Così accompagniamo papà al lavoro - consigliò.

- ma mamma e... la battaglia? - chiese incredula Ginny. Generalmente sua madre avrebbe sacrificato tutte le sue pentole piuttosto di farla rimanere serrata in casa durante una battaglia.

Ed ora che poteva farlo…?

- non ti preoccupare tesoro sono lontani da qui. E poi Diagon Alley è piena di auror! Dubito che i Mangiamorte si faranno vedere - la rassicurò il signor Weasley.

Eh?! Anche papà?! Pensò ad occhi sgranati.

- ok allora - disse piano Ginny, lasciandosi condurre leggermente sconvolta verso il Paiolo Magico.

Notò appena la gente in giro per la città quel giorno. Chi a fare shopping, chi si dirigeva verso il proprio ufficio…

Il Paiolo Magico invece era quasi deserto, caratteristica di quei tempi.

Passando oltre ed entrando in Diagon Alley, la trovarono leggermente più popolata.

Il fatto che c’erano molti auror in giro a sorvegliare ogni strada aiutava i maghi e le streghe a sentirsi più sicuri e a continuare a frequentarla.

Ovviamente tutti continuavano a stare il più lontano possibile da posti come Notturn Alley, ma non per questo evitavano di passare a vedere altri negozi innocui.

Accompagnarono il signor Weasley in prossimità del luogo in cui doveva andare per conto del Ministero e poi lei e sua madre si diressero verso il centro di Diagon Alley.

La sua famiglia non era mai stata ricca, ma se l’erano sempre cavata in qualche modo; certo era capitato molte volte che venisse presa in giro per i suoi vestiti vecchi e smessi e per il materiale scolastico di seconda mano, ma con gli anni aveva imparato a non farci troppo caso ed a rispondere per le rime a coloro che le si rivolgevano malamente o con fare di scherno. Passarono di fronte a diversi negozi, guardando ed ammirando varie vetrine colorate e piene di oggetti di ogni tipo.

Entrarono infine in un negozio di vestiti sotto particolare insistenza della signora Weasley, che si dileguò in pochi secondi in mezzo alle numerose stoffe di ogni tipo e abiti di ogni foggia. Ginny si limitò a girare tra gli scaffali, toccando e guardando distrattamente qualche vestito qua e là. Generalmente entrando in un qualsivoglia negozio subito si sarebbe messa a guardarsi attorno con entusiasmo, ma si sentiva ancora un po’ confusa, e non solo per il brutto colpo in testa. Ultimamente il suo pensiero tornava spessissimo a quel Mangiamorte che l’aveva salvata. Quando infatti la medimaga le aveva rivelato i suoi sospetti c’era mancato poco che si soffocasse con l’ennesima pozione che era stata costretta a bere.

Voleva dirle che oltre ad averla portata in prossimità del campo auror rischiando di farsi scoprire, l’aveva anche salvata?

Non si era di sicuro sorpresa quando, il giorno dopo, i suoi fratelli, tutti, le avevano fatto alcune domande. Non si era sentita di raccontar loro la verità; neanche lei in fondo sapeva esattamente il motivo per il quale stava parando le spalle di quell’uomo, ma si era giustificata con il fatto che l’aveva salvata e...

ma chi vuoi prendere in giro, Ginny, pensò, non lo sai perché gli stai parando il culo, non lo sai! E non sai neanche perché parli da sola nella tua testa. E non sai neanche perché improvvisamente un Mangiamorte ti salva la vita! È come se Tu-sai-chi si mettesse ad aiutare le vecchiette babbane ad attraversare la strada! Ma ce lo vedi Tu-sai-chi ad aiutare le vecchiette babbane che attraversano la strada? No! Più che altro ce lo vedresti a farle fuori con un Avada Kedavra e a buttare il loro cadavere sotto una macchina che passa sulla strada! Ma la vuoi smettere di parlarti e risponderti da sola, maledizione?

- Ginny Weasley? - si sentì chiamare da dietro.

Si voltò con un’espressione curiosa sul viso. Chi la stava chiamando?

Si trovò davanti ad una giovane donna bionda dagli occhi blu grandi e pieni di stupore, vestita con abiti molto strani dagli accostamenti cromatici inusuali. Ma ciò che le permise di identificarla furono la bacchetta infilata sopra l’orecchio e i due orecchini a forma di ravanello.

- Luna! Luna Lovegood! - esclamò incredula.

L’altra le sorrise, e corsero ad abbracciarsi.

- da quanto! - esclamò Luna con la sua aria sognante.

- che cosa ci fai qui, Luna? - chiese Ginny curiosa.

- stavo dando un’occhiata in giro prima di tornare a lavorare - spiegò.

- ah sì, ora lavori per tuo padre, giusto? Ho letto parecchi dei tuoi articoli, sei molto brava - la complimentò Ginny.

- eh sì, grazie. Tu sei auror, no? Ho saputo di quello che ti è successo... come stai ora? - le chiese Luna, suonando preoccupata.

- molto meglio, grazie. Sono uscita oggi dal S. Mungo -

- ah capisco -

Luna era diventata giornalista per il giornale di suo padre, il Cavillo, e questo era diventato uno dei giornali ufficiali della resistenza e degli auror. Con tutti i soldi che guadagnava, il signor Lovegood continuava a finanziare spedizioni per cercare le creature più disparate e più strambe. Ginny l’aveva conosciuto tempo prima ed era un brav’uomo. Con la stessa aria un po’ anormale della figlia, ma dalla stessa generosità della biondina ex Corvonero.

Conversarono per un po’ di argomenti vari e, al suo ritorno, anche la signora Weasley scambiò qualche parola con Luna. Dopo un po’ però la biondina si congedò adducendo a scusante il fatto di dover andare al lavoro, ma non riuscì ad allontanarsi senza che la signora Weasley non fosse riuscita a strapparle la promessa di visitare la Tana appena possibile.

Dopo che Luna se ne fu andata anche Ginny e la signora Weasley uscirono dal negozio, sua madre con avvolto attorno ad un braccio un mantello nuovo da regalare alla nuora Fleur per il compleanno che si avvicinava sempre di più.

Ginny non le aveva ancora comprato il regalo; oltre a non sapere cosa comprarle ultimamente non aveva avuto la possibilità di girare per negozi, per ovvi motivi. Girarono ancora un po’ per le vie parzialmente piene e sua madre incontrò alcune vecchie compagne di scuola. Ovviamente si mise subito allegramente a chiacchierare, anche perché di quei tempi non c’era poi tanto tempo libero per farlo.

Dopo qualche minuto Ginny si stufò di stare ad ascoltare discorsi in cui non aveva parola in capitolo, quindi si scusò con sua madre, dicendole che avrebbe girato i negozi nelle vicinanze.

La signora Weasley la lasciò andare solo dopo essersi assicurata che la figlia stesse bene e non avesse bisogno di alcun aiuto o assistenza.

Ginny riprese il suo vagabondare per le strade di Diagon Alley, fermandosi di tanto in tanto per entrare in qualche altro negozio.

Era appena entrata in uno di questi che si scatenò il finimondo.

Tutto era cominciato mentre stava ammirando un gioiello all’interno del negozio, che vendeva oggetti e gioielli incantati.

All’improvviso era stata presa da una strana sensazione di profonda inquietudine, che l’aveva spinta a posare in fretta ciò che aveva in mano nel luogo da cui l’aveva preso e precipitarsi fuori, sulla strada.

Appena fuori aveva notato che anche molte persone all’esterno sembravano allarmate ed inquiete, e questo non aveva fatto altro che trovare sostegno al suo brutto presentimento.

Inoltre il cielo aveva cominciato ad oscurarsi sempre di più e l’aria a farsi gelida.

Non le servì molto per collegare gli avvenimenti.

Quando apparve il Marchio Nero nel cielo lei stava già correndo lontano dal gelo provocato dalla vicinanza dei Dissennatori; e quando l’intera Diagon Alley andò nel panico, si materializzarono i primi Mangiamorte e cominciarono a volare i primi getti di luce colorata ad indicare che la battaglia era iniziata, si infilò in tutta fretta nel primo vicolo che le capitò a fianco.

Mentre riprendeva fiato il suo pensiero inevitabilmente andò subito alla madre: non poteva far altro che immaginarsela in giro per Diagon Alley a cercarla in ansia.

Pregò in silenzio che invece si fosse nascosta da qualche parte al sicuro e non pensasse troppo a lei.

Cercò istintivamente con la mano il manico della sua bacchetta; era un auror, sapeva difendersi, era stata addestrata per farlo.

Già ma sei anche debilitata; non sei ancora in grado di riprendere a combattere, e lo sai.

Sì, lo sapeva, dannazione.

Imprecò tra sé e sé per la propria debolezza e tentò il più rapidamente possibile di cercare qualche angolino in cui rimanere fino alla fine di quell’incubo.

La solita Ginny non avrebbe ragionato neanche un momento sulle conseguenze di uscire allo scoperto per combattere a fianco degli altri auror e cercare sua madre; ma questa Ginny non poteva permettersi di essere ferita, o peggio, di rischiare la vita una seconda volta in così poco tempo.

Eppure probabilmente avrebbe fatto meglio a rimanere ferma dov’era.

Addentrandosi sempre di più nel vicolo improvvisamente le apparve un’immagine che le fece gelare il sangue nelle vene.

Tre Mangiamorte stavano torturando due auror, probabilmente per estorcere loro delle informazioni di qualche genere.

Questa volta non poteva di certo ignorare quello che stava accadendo sotto i suoi occhi e permettere a quei bastardi di fare del male a due colleghi con lei che guardava o, ancora peggio, fuggiva!

- ehi voi lasciateli andare! - proruppe tra le grida d’agonia dei due auror, sorprendendo i Mangiamorte e  puntando contro di loro la bacchetta.

- Expelliarmus! - gridò con forza.

In un lampo rosso una delle bacchette dei Mangiamorte era volata lontano. Stava per caricare contro un altro dei due restanti quando si accorse che uno di loro era scomparso. Capì che si era smaterializzato e subito materializzato dietro di lei troppo tardi, pochi secondi prima di sentirsi la punta di una bacchetta premuta minacciosamente contro la schiena e un sibilo maligno:

- Crucio! -

Un dolore senza eguali si propagò immediatamente all’interno del suo corpo con la stessa intensità della crudele risata del Mangiamorte.

Sentiva le viscere contorcersi e tutto il corpo lacerarsi.

Inoltre era ancora peggio di come la ricordava.

Non si era ancora ripresa del tutto dalle brutte ferite dell’ultima battaglia e sapeva che se quella tortura fosse durata ancora a lungo l’avrebbe resa in fin di vita, se non peggio.

- Avada Kedavra! -

ecco, pensò, era finita...

Era finita... era davvero finita!?!

Ginny alzò a fatica la testa. Non sentiva più quel dolore straziante e c’erano poche spiegazioni per questo: o era morta o l’incantesimo mortale non era diretto a lei. Mise a fuoco un uomo steso a terra dietro di lei, dov’era stato il Mangiamorte che le aveva puntato la bacchetta contro. Era proprio quel Mangiamorte, ed era morto.

Di fianco a lui vide un altro uomo, in piedi.

Alzò piano la testa un po’ più in alto e si ritrovò a fissare due occhi grigi, fin troppo conosciuti.

Ancora...

l’aveva salvata ancora...

Fu solo quello che riuscì a pensare in quel momento, quando lo vide avvicinarsi agli altri due Mangiamorte e parlare con loro in tono freddo. Quei due erano terrorizzati e le lanciavano occhiate di nascosto, come per riuscire a riconoscere in lei qualcuno.

In seguito lo vide avvicinarsi ai due auror e mormorare un incantesimo di memoria.

I due Mangiamorte si smaterializzarono con gli auror e lei rimase da sola nel vicolo con quell’uomo. Aveva tante domande da fargli ma non riusciva ad aprire bocca.

Chi sei?

Il Mangiamorte cominciò ad avvicinarsi.

Perchè continui a salvarmi?

Le era davanti ed era costretta a tenere la testa alta per osservarlo.

Cosa vuoi da me?

Lui allungò una mano e prese una ciocca dei capelli sanguigni di lei tra le dita, giocherellandoci. Anche se non poteva vedergli il viso, Ginny aveva l’inquietante sensazione che stesse sorridendo ironico, osservando la sua espressione persa e confusa.

E per la prima volta la giovane notò che la maschera del Mangiamorte non era semplicemente argentea come tutte le altre: aveva dei decori d’oro e, sulla guancia destra, c’era una versione rimpicciolita del Marchio Nero, fatta con materiali preziosi.

Lui non disse nulla, si limitò a mormorare un incantesimo che lei non riuscì a udire, ma si sentì incredibilmente meglio. Beh, ora non c’era dubbio: era stato proprio lui a guarirla, la medimaga Hickins ci aveva visto giusto.

Perchè non riusciva a spiccicare parola, perché tutta la sua concentrazione era incentrata sul movimento delle sue dita che si rigiravano in una delle sue ciocche vermiglie?

In silenzio, così com’era venuto, si voltò e scomparve, dopo pochi passi fatti allontanandosi da lei.

Ginny rimase a lungo a guardare la via in cui era scomparso, con l’animo confuso.

Solo dopo qualche minuto ritornò in sé e decise di rimandare ad un altro momento ogni ragionamento. Ora aveva cose più importanti di cui occuparsi, come trovare sua madre.

Il più rapidamente possibile cercò di allontanarsi dal luogo in cui si trovava. Raggiunse lo sbocco del vicolo sulla via principale di Diagon Alley e, prima di girare l’angolo, si guardò bene attorno.

Non poteva sapere che l’oggetto del suo pensiero fisso la stava osservando vigile dall’alto delle case attorno al vicolo, e che non aveva più intenzione di perderla di vista per il resto della sua permanenza a Diagon Alley.

Era giunto sul posto con gli altri Mangiamorte e subito aveva diretto l’attacco, come gli spettava di diritto vista la sua identità. In ogni caso era stata la prima volta che il suo Signore glielo aveva permesso.

Non erano in molti i Mangiamorte che sapevano della sua esistenza, alla fine. Comunque la sua prima missione semi-ufficiale stava per essere buttata alle fiamme, e tutto per colpa di tre idioti.

Aveva fatto bene quel giorno che l’aveva portata via dal campo di battaglia ad utilizzare su di lei un incantesimo di rintracciamento. Era stato grazie a questo che l’aveva percepita in Diagon Alley e subito si era diretto dove sentiva si trovasse.

Fortunatamente era arrivato relativamente in fretta; quell’idiota non l’aveva riconosciuta nonostante ciò che egli aveva raccomandato in precedenza.

Tra il vedere quel bastardo colpirla e l’ucciderlo era passato relativamente poco tempo. Solo il necessario per estrarre la bacchetta in una mossa fulminea e pronunciare l’incantesimo mortale.

Poi ovviamente si era occupato degli altri due idioti, minacciandoli di morte e ordinando loro di portare via quei due auror. Proprio in quel momento uno dei due l’aveva guardato in faccia, ovviamente osservandogli la maschera, e aveva detto con un filo di voce:

- ma tu non sei il... - ovvio, non l’aveva lasciato concludere.

- Oblivion! - aveva mormorato piatto. L’ultima cosa che ora voleva era che la rossa scoprisse la sua identità, visto che sembrava non conoscerlo. Probabilmente non sapeva neanche se esistesse davvero o fosse solo una leggenda messa in giro dal Signore Oscuro per portare ancora più terrore fra gli abitanti del mondo magico.

Quando quei quattro scomparvero si voltò per occuparsi della giovane.

Quante grane mi dai... pensò avvicinandosi.

Nei suoi occhi blu confusi ed inquieti non fu difficile aprirsi un varco per leggere nella sua mente. Era così sconvolta che non aveva neanche azzardato l’ipotesi che lui fosse capace di insinuarsi nei suoi pensieri e non aveva tirato su neanche una misera barriera mentale.

Lesse quelle domande che la tormentavano, che voleva porgli ma che non ci riusciva e si ritrovò a sorridere mellifluo, mentre si rigirava una ciocca dei suoi capelli color del fuoco tra le dita.

Poté percepire che era rimasta indebolita parecchio da quella maledizione e allora, per evitare che svenisse all’improvviso o peggio, l’aveva curata con un semplice incantesimo e se ne era andato.

Beh, non proprio del tutto visto che era a poca distanza da lei, ma abbastanza lontano perché lei non lo vedesse.

La vide giungere allo sbocco del vicolo con la strada principale e guardarsi cautamente attorno. Lui fece lo stesso dall’alto, pronto ad intervenire non visto in caso di pericolo.

Sorrise tra sé e sé. Da quando da demone sanguinario che era stato portato ad essere era diventato un angelo custode?

Ginny intanto si era assicurata che non ci fossero Mangiamorte nelle immediate vicinanze, e si tuffò con un movimento rapido in mezzo alla strada, cercando riparo ed entrando subito in un negozio dove c’erano nascoste diverse persone.

- state tutti bene? - mormorò piano.

Tutti annuirono.

- spaventati ma salvi - mormorò piano una signora, stringendosi al petto due bambini tremanti.

Ginny annuì e, dicendo loro di essere un auror, consigliò loro di provare a fuggire con la metropolvere.

- ma non la terranno d’occhio? - chiese impaurita una ragazza.

Ginny osservò i pacchetti che portava e riconobbe in questi alcuni materiali scolastici per Hogwarts. Visto che quella giovane era troppo grande per la scuola, sicuramente era a fare spese per conto di un fratellino o una sorellina.

Un senso di oppressione invase il cuore di Ginny, ed il ricordo di quei giorni felici le sembrò lontano come non mai. Scosse la testa.

- non sentite questi rumori? Stanno combattendo per le strade. Dubito che stiano tenendo d’occhio i camini. Capisco perché siete rimasti qui senza smaterializzarvi, perché la maggiorparte di voi non può farlo; quindi questa è l’unica via d’uscita. Ma se preferite potete rimanere nascosti qui finché le acque non si calmano. Io purtroppo sto cercando qualcuno che so essere qui a Diagon Alley e non posso fermarmi con voi. Fate ciò che ritenete giusto - mormorò decisa.

Scambiò ancora qualche parola con alcuni signori tra il gruppo che si presero la responsabilità di tener d’occhio donne e bambini, poi uscì con circospezione dal negozio.

Finalmente. Cosa doveva fare là dentro? Pensò spazientito il Mangiamorte, vedendola uscire di nuovo in strada.

La seguì silenziosamente mentre la vedeva dirigersi verso il punto dove stavano combattendo. Non poteva rischiare che la scena di poco prima si ripetesse. Si smaterializzò e riapparve vicino ad uno dei suoi uomini.

- avete finito? - chiese secco.

- sì, signore. Siamo riusciti anche a levare di mezzo alcuni auror, signore - disse orgoglioso.

- bene. Ordina la ritirata - disse, e si smaterializzò nuovamente.

Poco distante, nella piazza, i Mangiamorte fecero lo stesso, uno ad uno.

Hermione tirò un sospiro di sollievo, passandosi una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore.

- tutto bene? - le chiese una donna dai capelli colorati.

- si Tonks, grazie - rispose con un sorriso sollevato.

- per fortuna se ne sono andati... mio Merlino, non credo che avrei resistito ancora a lungo - fece un’altra giovane, appoggiandosi ad un muro per prendere fiato.

- anche io - commentò Hermione, avvicinandosi a Katie.

Era stato tutto così improvviso che non avevano avuto il tempo di prendere fiato: un secondo prima stavano combattendo in un villaggio magico alla periferia di Londra ed un attimo dopo i Mangiamorte avevano cominciato a smaterializzarsi. Ovviamente avevano pensato, raggianti, che si stessero ritirando. Ma non era così, poiché pochi secondi dopo erano arrivati gli allarmi degli auror che erano di turno a Diagon Alley.

Hermione aveva fatto appena in tempo a guardare incredula Ron ed Harry che questi subito si erano smaterializzati e lei non aveva potuto far altro che seguirli. Arrivata nella famosa via piena di negozi e maghi e streghe innocenti, si era trovata davanti a scenari strazianti di persone colpite da maledizioni e auror in difficoltà. Aveva cominciato a combattere come sapeva fare ed in poco tempo era riuscita a catturare qualche nemico.

Il senso di sollievo nel vederli ritirarsi era stato grande, ma era ancora all’erta. Chi non le assicurava che stessero progettando di rifare lo stesso gioco di prima?

- anche tu all’erta, eh? - le fece Tonks, seria, guardandosi attorno.

Lei annuì, facendo lo stesso. Lo spettacolo che i nemici avevano lasciato era orribile come al solito: corpi senza vita a terra, un mare di feriti tra auror e civili, e pianti e grida di agonia.

Quanto durerà ancora tutto questo? Si chiese abbattuta.

- Tonks, Katie, occupatevi voi di aiutare i feriti, io devo cercare Ron ed Harry - disse, avviandosi alla ricerca dei suoi migliori amici.

Le due auror non se lo fecero ripetere due volte e subito si affaccendarono per dar manforte ai medimaghi giunti sul luogo della battaglia.

Hermione non impiegò molto tempo a trovare i due, e subito li raggiunse di corsa.

Vide che Ron stava sorreggendo una Molly Weasley in lacrime e si sentì gelare.

Cosa può essere successo ora? Si chiese inquieta.

- signora Weasley cosa c’è, cos’è successo? - chiese subito, aiutando Ron a far sedere la signora su una poltroncina che lei stessa aveva trasfigurato da un sassolino.

- Ginny... oh la mia Ginny... - balbettò tra le lacrime.

- cosa... cosa... Ginny... - mormorò lei guardando Ron.

Ron aveva un’espressione preoccupata, ma si vedeva che cercava di farsi forza per non causare ulteriore preoccupazione alla madre.

- erano qui a Diagon Alley e Ginny si è allontanata per vedere dei negozi poco prima dell’attacco. La mamma non riesce a trovarla e ha paura che le sia capitato qualcosa - spiegò, guardando Hermione.

- signora non si preoccupi Ginny sa quello che fa è un ottimo auror - tentò di rassicurarla lei.

- sì ma... è ferita e se... l’ospedale e... oh Ginny... - continuò fra i singhiozzi la signora Weasley.

Harry si guardava attorno, preoccupato, tentando di scorgere una famigliare testa rossa fra il mare di gente presente nella via. Tentò perfino di cercarla tra le persone stese a terra, con un groppo alla gola.

La signora Weasley era inconsolabile e sollevò la testa per rispondere ad una delle affermazioni del figlio. Ma si bloccò improvvisamente.

Poco distante era apparsa la figuretta di una giovane, che si guardava attorno affannata, come in cerca di qualcuno. Ed aveva degli inconfondibili capelli rossi.

- Ginny... - mormorò la signora Weasley.

Subito sia Harry che Ron che Hermione alzarono la testa di scatto in quella direzione. Non c’erano dubbi, era proprio lei!

- Ginny! - chiamarono a gran voce, sollevati, mentre la signora Weasley correva ad abbracciare la figlia.

Ginny si trovò stretta nell’abbraccio spacca-ossa della madre ma per una volta non ne fu infastidita: ricambiò forte l’abbraccio, singhiozzando. Aveva avuto tanta paura!

- mamma stai bene vero? - le chiese preoccupata quando si lasciarono.

- certo che sto bene ma tu piuttosto, niente danni? - disse la signora Weasley, osservandola da ogni angolo alla ricerca di qualche ferita.

Ginny scosse la testa e, quando vide i tre avvicinarsi, corse subito ad abbracciarli.

- avevamo paura che ti fosse successo qualcosa - le disse Ron, rincuorato.

- no, nulla per fortuna. Ero in un negozio quando ho avvertito la presenza dei Dissennatori e allora sono uscita e mi sono riparata in un vicolo. Ma ho una brutta notizia: ho visto due Mangiamorte portare via una coppia di auror - raccontò tesa.

Ancora non racconti la verità, eh?

No. Non ci riusciva. E in un certo senso si odiava per questo.

Ron consigliò loro di andare a casa. Gli auror avevano molto lavoro da sbrigare e non bello: dovevano ripulire la via magica e fare l’inventario dei danni e delle perdite.

Ginny sapeva cosa voleva dire perché l’aveva fatto tante volte anche lei. Oltretutto anche lei aveva sempre odiato quel lavoro, alla conclusione delle battaglie, ancora più che la battaglia stessa.

Nella mischia non c’era tanto da pensare: difendersi, difendere, colpire... non si poteva pensare alle conseguenze, non ci si poteva distrarre neanche un secondo. Alla conclusione invece si ritrovava la lucidità del pensiero e si doveva osservare in faccia coloro che non ce l’avevano fatta; ancora più straziante se erano persone conosciute.

Le due non se lo fecero dire due volte e si smaterializzarono in prossimità della Tana.

Con la scusa di avere un paio di cose da riordinare in camera sua, Ginny, subito dopo essere entrata, salì lasciando sua madre alle sue faccende domestiche. Però non poté far altro che osservare l’orologio di famiglia, che indicava cosa facevano i membri della famiglia. Come succedeva da tempo, tutte le frecce erano puntate su “pericolo mortale”.

Pregando silenziosamente per i parenti Ginny salì le scale della Tana, andando in camera sua. Appena giunta lì andò a spalancare la finestra.

Guardò fuori, verso i praticelli alle spalle della casa e attorno ad essa.

Poco dopo si mise di buona lena a cercare qualcosa da fare, poiché aveva appena scoperto che se anche stava pochi secondi senza far niente e lasciava i suoi pensieri vagare liberi, questi inevitabilmente correvano ad un uomo, ad una maschera.

E a due impietosi occhi grigi.

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Capitolo 3
*** Voci d'Ombre ***


NdA: Ciauz a tutti!!

Eccomi qua con il terzo capitolo. Ho cercato di fare il più velocemente possibile, ma, ahimè, i miracoli mi sono ancora preclusi… sigh.

Ci tenevo particolarmente a fare un appello a voi lettori:

 

vi prego, RECENSITE!

 

Sinceramente mi basta anche una sola recensione a capitolo visto che le letture sono parecchie… ma mi piacerebbe che mi lasciaste una impressione, anche piccola piccola.

Così miglioro e la storia si fa più bella!

Beh non voglio tediarvi ulteriormente. Ecco il capitolo, spero vi piaccia.

 

Bacione dalla vostra

‘myu.

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

3. Voci d’Ombre

 

- stanchezza... - bofonchiò Ron, lasciandosi cadere su una sedia del Quartier Generale.

Hermione si limitò a guardarlo con un sorriso comprensivo. Negli ultimi giorni avevano dovuto faticare sette camicie, e praticamente per nulla.

Avevano seguito con minuziosa precisione ogni indicazione dell’informatore che avevano trovato, finendo con lo scoprire che era un impostore e che con il lato oscuro centrava come una gallina nella tana di un lupo.

Si lasciò scivolare su uno dei braccioli della sedia, ravviandosi i capelli resi cespugliosi dall’umidità dei luoghi che avevano visitato; se li legò in una morbida crocchia sulla testa con un laccio rimediato da uno dei tanti brandelli che una volta formavano una manica della sua maglia, strappatisi durante una fuga precipitosa.

Non passò molto tempo che si sentì circondare la vita da un braccio di Ron, che la fece sedere sulle sue ginocchia. Generalmente si sarebbe opposta ad un simile comportamento nel Quartier Generale, ma non ne aveva la forza in quel momento.

Quindi si lasciò quieta abbandonare contro il petto del suo ragazzo.

Già.

Il suo ragazzo.

Non ricordava l’esatto momento, lo sguardo o le parole che l’avevano fatta innamorare di lui, tempi addietro. Ricordava però ogni litigio, ogni incomprensione, ogni silenzio che c’era stato tra di loro. Ma anche il giorno in cui Ron era riuscito a trovare coraggio sufficiente a proporsi. E lei aveva accettato incredula, con lacrime di felicità che premevano per uscirle dagli occhi.

Era accaduto dopo una delle tante missioni estenuanti che avevano affrontato loro tre da soli. Si ricordava l’immenso sollievo, la grande felicità e le risate felici di Harry, nel vederli così imbarazzati. A lui non era pesato il fatto che i suoi due migliori amici avessero fatto coppia. Se lo aspettava da tempo ormai. Ed Hermione in un certo senso credeva che l’improvviso coraggio di Ron fosse dovuto anche ad una spintarella da parte di Harry.

- tutto bene? - si sentì sussurrare dal ragazzo dietro di lei.

Lei si limitò ad annuire, persa nei ricordi, sentendosi come in una sorta di limbo ovattato.

Rimasero così per un po’, stretti l’una all’altro.

- ehi piccioncini vergognatevi! Voi qui a divertirvi e a lasciare a me il lavoro sporco... - sentì l’inconfondibile voce di Harry dire da poco lontano.

Ron voltò pigramente la testa nella sua direzione, stringendo forte la ragazza tra le sue braccia per evitare ogni suo tentativo di scostarsi o, peggio, alzarsi.

- silenzio. Ieri ti ho lasciato scappare a casa senza fare la tua parte. Sei stato tu a suggerirmi di fare lo stesso per me oggi - sentenziò in tono giocoso.

Harry inclinò un sopracciglio, atteggiando il viso ad una smorfia annoiata.

- ma Hermione... - cominciò.

- se stai cercando di insinuare che non ho svolto i miei compiti mi dispiace avvertirti che ti sbagli. Ho finito tutte le relazioni e la compilazione dei moduli appena siamo tornati - rispose lei con un sorriso zuccheroso.

Harry a quel punto dovette considerarsi sconfitto, poiché alzò le braccia in segno di resa e si diresse verso una della poltrone poco distanti da quella in cui erano seduti loro.

Vi si stravaccò sopra, togliendosi gli occhiali e strofinandosi gli occhi con le dita.

- maledetti moduli inutili - bofonchiò.

- sei tu quello che ha voluto accostarsi agli auror - disse tranquillo Ron, chiudendo gli occhi.

- sai bene che non avevamo altra alternativa se non volevamo farci scoprire - disse pacato Harry - in ogni caso vedo che siamo in due a cominciare a pentirci - continuò, scambiandosi un’occhiata d’intesa con il migliore amico.

Hermione li osservò severa.

- non mi sembra siano discorsi da fare in questa sede - disse seria.

- lei non è ancora dei nostri, amico. Adora troppo quelle scartoffie - disse Ron mettendosi a ridacchiare con Harry.

Hermione fece una faccia offesa, che servì solo a farli ridere ancora più forte. Alla fine si concesse un sorrisetto.

- intanto abbiamo trovato ciò che cercavamo, o no? - disse come per dire “proprio-come-avevo-detto-io!”

- già. E brava la nostra Hermione con la sua mente brillante - scherzò Ron, depositandole un bacio sulla fronte.

- piuttosto - disse Harry dopo qualche secondo in cui era rimasto assorto nei propri pensieri - novità? - chiese guardando gli altri due.

Sia Hermione che Ron scossero la testa, un po’ a disagio.

- niente da fare. Volatilizzato - commentò Ron.

- più che altro temo che sia stato scoperto e... beh, sappiamo tutti cosa succede a chi tradisce il Signore Oscuro - disse piano Hermione.

Ci fu un po’ di silenzio, poi Harry si portò una mano a scompigliarsi i capelli ancora di più, come aveva cominciato a fare quando era stressato.

- eravamo così vicini a scoprire tutto questa volta! A scoprire se esiste o è solo una voce che circola tra i Mangiamorte! - sbottò.

- temo che qualcosa di vero ci sia, altrimenti pensi che nasconderebbero così bene queste informazioni anche tra di loro? - commentò scettico Ron.

Harry annuì, sospirando. Se era vero, loro avevano gravi problemi. Molto gravi.

Si alzò in piedi.

Per quel giorno non aveva altre missioni, per fortuna. Gli pesava non avere più la libertà dei primi tempi ma di dover sottostare ad ordini e decisioni di altri. Ma era indispensabile per la riuscita della sua missione.

- io vado ragazzi. Ci vediamo dopo magari, ho bisogno di dormire o qui mi appisolo durante la prossima missione - disse.

- Harry ma da quanto è che non riposi? - chiese ansiosa Hermione.

Tanto, pensò lui, troppo forse...

Non rispose, si limitò a rivolgere loro un sorriso tanto enigmatico quanto stravolto, infilandosi un cappotto babbano. Li salutò con un veloce cenno della testa, uscendo dall’ufficio.

Ron osservò il migliore amico lasciare la stanza, un po’ preoccupato.

Già, era parecchie notti che Harry non dormiva, tormentato da pensieri funesti. Lui se ne era accorto, dividendo con il moro l’appartamento, ma non aveva detto nulla. Sapeva che Harry voleva essere lasciato in pace. Se avesse avuto bisogno d’aiuto si sarebbe rivolto subito a lui, e lui l’avrebbe immediatamente aiutato. Ma se Harry preferiva non parlarne rispettava la sua decisione.

Sentì Hermione agitarsi un po’ fra le sue braccia. Impercettibilmente.

Non poté far altro che sorridere. Hermione non ragionava come lui. Lei non riusciva ad accettare che Harry avesse alcuni pensieri che preferisse serbare per se stesso. Era più forte di lei, doveva sapere cosa lo tormentava per potersi fare in quattro per aiutarlo.

Aveva il cuore d’oro, la sua Hermione.

- ehi tranquilla... quando avrà bisogno verrà a raccontarci tutto. Non fare così che mi ricordi mia madre - fece scherzoso.

- sì lo so ma io... - cominciò lei combattiva, alzando la testa per fissare Ron negli occhi.

Non le fu permesso di continuare.

Il ragazzo, non avendo nessuna voglia di stare a sentire uno dei suoi chilometrici sermoni, era stato lesto a zittirla, appropriandosi con dolce fermezza delle sue labbra.

In fondo, aveva aspettato anche troppo.

Hermione sapeva che avrebbe dovuto sentirsi oltraggiata, ma non poteva pensare a niente altro che a Ron, quando la baciava in quel modo. Non ne aveva la minima intenzione.

Per un po’, si disse sorridendo mentalmente, il resto può attendere.

Una parte del “resto” si stava affrettando a lasciare l’edificio.

Percorse i corridoi del Ministero, dove si trovava il Quartier Generale, e salì sull’ascensore. In poco tempo uscì all’aria aperta, lasciando soddisfatto che il vento scompigliasse ulteriormente i suoi capelli già di per essi ribelli, così come se stesse volando su una scopa.

Era da tanto, tantissimo che non trovava il tempo di salire su una scopa. Ricominciò a camminare, perso nei propri pensieri, e non si accorse di una persona che stava correndo dritta verso di lui per sbaglio.

Lo scontro fu inevitabile.

Fortunatamente per la persona in questione, Harry nel corso degli anni aveva sviluppato ottimi riflessi che gli permisero di afferrarla prima che cadesse a terra.

Purtroppo però per i fogli che portava con sé, quelli finirono sul grigio cemento del marciapiede.

Harry, ancora frastornato dalla rapidità degli ultimi avvenimenti si chinò per aiutare la persona a raccogliere tutto quello che era caduto. Era sicuro che fosse una giovane donna, ma non si capacitava come poteva essere così tranquilla.

Fosse capitata ad Hermione una cosa simile si sarebbe messa a strepitare scuse nel tentativo di salvare i fogli salvabili. Invece questa si limitò a sospirare.

- tutto da rifare - mormorò con una voce che Harry aveva già sentito.

- Luna? - chiamò sorpreso.

La giovane si voltò di scatto al suono della voce conosciuta che la chiamava.

Incredibile che in così pochi giorni aveva incontrato così tante persone conosciute.

- Harry - salutò con il suo modo sognante di parlare.

- mi spiace di esserti venuta addosso. Ero concentrata su questi - disse indicando i fogli che era riuscita a raccogliere.

Lui annuì osservandola. Era facile riconoscerla. Non era cambiata poi così tanto da come se la ricordava: stessi lisci capelli biondi, stessi grandi occhi blu dall’espressione di una persona che è sempre tra le nuvole e stesso modo particolare di vestire, anche se, doveva ammetterlo, la vedeva molto bene nei vestiti babbani.

La aiutò a recuperare tutti i fogli caduti, dandole anche una mano ad alzarsi.

- non fa niente - mormorò dopo qualche secondo, osservando curioso quello che c’era scritto sul primo dei fogli che aveva in mano. Guardò Luna con un’espressione infastidita.

- si parla di me? - borbottò schivo.

Lei lo guardò distrattamente, prendendogli di mano i fogli e sistemandoli alla meglio nella borsa. Che disdetta, ora avrebbe dovuto rimetterli in ordine!

- perché te ne stupisci tanto. Sei o non sei il bambino sopravvissuto? Sei o non sei il prescelto? Sei o non sei il cavaliere senza macchia e senza paura, l’eroe che tutte le ragazzine sognano? - chiese retoricamente.

La risposta di Harry venne in un grugnito.

Luna alzò stupita lo sguardo e nel vedere la sua faccia infastidita si mise a ridacchiare.

- vendi, Harry. Tutti vogliono sapere perché sei tornato, dove sei stato e, soprattutto, cosa hai intenzione di fare. Quelli che vedi sono alcuni articoli del prossimo numero del Cavillo che devo portare al Ministero per controlli di censure e cose simili - spiegò brevemente.

Lui la guardò sospettoso.

- non crederai che oggi ti sono venuta addosso apposta? - chiese poi lei incurante.

Lui la osservò, poi sorrise e scosse la testa.

- sei l’ultima persona che mi aspetterei possa ricorrere a simili bassezze - disse lodandola.

Lei ricambiò il sorriso.

- buon per te. Uscivi dal Ministero? - chiese lei.

- ho appena finito il turno. Andavo a dormire un po’ - rispose lui con un’alzata di spalle incurante.

Lei annuì comprensiva.

- in effetti non hai un aspetto molto riposato - disse sinceramente.

- lo so - mormorò lui tranquillo.

Rimasero in silenzio per qualche secondo, immobili in mezzo al mondo che continuava a girare, invisibili in mezzo alla gente che continuava imperterrita a camminare loro accanto non degnandoli di uno sguardo, ignorati da tutti tranne loro stessi.

Ad Harry piaceva questa sensazione di invisibilità che aveva nel mondo babbano.

Lì non era una leggenda vivente.

Lì era uno sconosciuto, uno dei tanti.

Lì non aveva un destino di guerra, una vita che dipendeva dalla morte di qualcun’altro.

Lì non era il Bambino Sopravvissuto.

Lì era Harry.

Lì era Harry e basta.

Fu Luna a spezzare l’atmosfera che s’era andata a crearsi, quella quiete surreale nel frastuono della metropoli.

- beh, allora ti lascio andare a riposare. Ci vediamo Harry, ok? E vedi di non farti ammazzare - disse.

Sorridendo lo salutò con la mano, si voltò e continuò per la sua strada.

Harry fece lo stesso, continuando nella direzione opposta.

La biondina dopo poco giunse al Ministero.

Salì sull’ascensore per recarsi al piano in cui era attesa, ignara che, da un’altra parte dell’edificio, in uno dei piani più in profondità, si stava svolgendo un interrogatorio importante ad un Mangiamorte da poco catturato.

Remus Lupin intrecciò le dita delle mani su cui aveva poggiato il mento.

Era a livello di sguardo del prigioniero e non aveva alcun problema a continuare a guardarlo in quel modo pacato e rilassato per ore.

La pazienza, in fondo, era uno dei suoi migliori pregi, anche se non ne avrebbe avuta ancora molta se quel Mangiamorte non si fosse deciso a parlare.

- Zockstone - mormorò sospirando.

Il Mangiamorte si mosse nervosamente sulla umile sedia su cui chissà quanti prigionieri si erano seduti, esattamente come lui in quel momento.

Lupin aveva capito dal primo istante che avrebbe avuto difficoltà a farlo parlare non per la sua eventuale determinazione o fedeltà, ma semplicemente per il suo terrore nei confronti del Signore Oscuro. In fondo era poco più di un ragazzo, uscito da poco dall’ala protettiva dei Mangiamorte ai quali Voldemort aveva incaricato di istruire i suoi nuovi servitori.

Lupin vide chiaramente il nervosismo negli occhi del soldato del Signore Oscuro, e non fece una piega. Però dentro di sé stava gioendo. Ce l’aveva in pugno.

Infatti dopo poco il giovane prigioniero sbottò:

- si può sapere cosa volete ancora? Vi ho detto tutto ciò di cui sono a conoscenza! -

Lupin si scambiò un’occhiata con Kingsley Shaklebolt, seduto poco distante da lui.

Egli, comprendendo, disse con tono di rimprovero:

- dubito. Le domande iniziali contavano ben poco. Sapevamo perfettamente che cosa stavate facendo a Diagon Alley quando avete provocato quella strage -.

Il Mangiamorte lo guardò con un’espressione sprezzante, che la paura gli aveva suggerito.

- allora è inutile che mi teniate qui, no? -.

Lupin continuò ad osservarlo in silenzio mentre Kingsley gli rispondeva a tono.

Talson Zockstone, uno dei freschi acquisti del Lato Oscuro.

Era stato catturato poiché senza esperienza: quando i suoi compagni avevano cominciato a smaterializzarsi lui si era distratto ed era stato schiantato.

Situazione che capitava molto spesso, negli ultimi tempi.

- noi ti abbiamo fatto una domanda a cui tu non stai rispondendo. - disse pacato Lupin - Siamo dispostissimi a trattenerti qui per molto tempo ancora se non otteniamo una risposta chiara. Dunque, mi ripeterò. -.

Il giovane Mangiamorte riportò la sua attenzione su quello strano Auror. Il suo maestro gliene aveva parlato durante gli addestramenti. Un lupo mannaro. Era vergognoso che dei maghi ibridi come lui insozzassero il mondo magico. Gli rivolse una delle sue occhiate più velenose, che Lupin prontamente ignorò.

- cosa sai dell’ombra portatrice di morte che si dice comandi da qualche tempo voi Mangiamorte? - chiese.

Per un attimo, solo per un istante, Lupin aveva visto negli occhi del giovane prigioniero il terrore allo stato più puro. Ma egli distolse lo sguardo.

- non so di cosa state parlando - borbottò.

Lupin inclinò un sopracciglio in un’espressione ironica. Dopodiché si allungò comodamente sulla poltroncina sulla quale sedeva, in chiaro segno che intendeva sul serio rimanere lì ad aspettare finché Zockstone non avesse risposto alle sue domande.

Vedendo ciò, il giovane cedette.

Non aveva intenzione di rimanere lì un secondo di più.

- e va bene! - gridò spostando freneticamente lo sguardo da Lupin a Shaklebolt e poi tutto intorno a loro, come per accertarsi che non ci fossero orecchie indiscrete all’ascolto.

- io... io non ne so niente! Sul serio! So solo quello che è passato di bocca in bocca tra noi allievi. Sembra che il Signore Oscuro abbia affidato le sue armate a qualcuno di cui si fida ciecamente. E sembra... si vocifera che possa essere addirittura... - e qui si interruppe, abbassando la voce a poco più di un sospiro - ...sangue del suo sangue -.

Lupin sgranò gli occhi e Shaklebolt trasalì.

Dunque era vero, o meglio, pareva proprio vero.

- ne sei sicuro? - lo aggredirono quasi.

Zockstone annuì freneticamente, terrorizzato dall’aver detto qualcosa che non doveva. Lupin tentò di riprendere il controllo e, quando fu abbastanza sicuro di poter utilizzare il solito tono di voce, chiese con la solita voce pacata:

- e non lo hai mai visto? -

Il prigioniero scosse la testa con un’espressione un po’ dispiaciuta.

- non si abbasserebbe mai a parlare o a mostrarsi agli occhi di un indegno allievo come me. Credo che lo abbiano visto solo il mio Signore e i suoi seguaci più leali -.

A quel punto intervenne Shaklebolt:

- e sai almeno come lo chiamano? -

- no - disse il prigioniero, con voce tornata leggermente instabile - non ha nome per tutti noi. È una leggenda, un racconto. Nessuno lo ha mai visto, nessuno sa. È come un’ombra, un fantasma di distruzione. Un principe dell’oscurità -.

Ci fu qualche minuto di silenzio, poi Lupin disse a Shaklebolt di portare via il prigioniero. Aveva saputo abbastanza, era sicuro che da quel giovane Mangiamorte non avrebbe potuto sapere di più.

Quando furono usciti chiudendo la porta alle loro spalle, Lupin si concesse di rilassarsi. Un rilassamento fittizio, visto che le parole pronunciate dal prigioniero continuavano a ronzargli in testa. I precedenti tentativi erano andati tutti a vuoto, nessuno dei Mangiamorte catturati aveva saputo dare informazioni più precise di quelle vaghe che aveva ottenuto pochi attimi prima. Ma le notizie non erano state affatto rassicuranti, poiché se vere significavano ulteriori problemi. Un sottoposto di Voldemort dall’identità sconosciuta che aveva il controllo di tutto il suo esercito non era da sottovalutare.

E di sicuro Harry non ne sarebbe stato affatto contento, quando glielo avrebbe riferito.

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Capitolo 4
*** Domande ricorrenti ***


NdA: ciauz!!

Eccomi finalmente a mettere on-line il quarto capitolo di questa storia. Scusate se ci ho messo un po’ ma come al solito ho avuto cinquemila cose da fare tutte insieme.

Ma, fortunatamente, ecco il capitolo pronto!

In questo capitolo faranno la comparsa altri personaggi che avranno un ruolo importante nella storia. Partite dal presupposto che tutti i Mangiamorte che erano stati rinchiusi ad Azkaban dopo il quinto libro siano fuori dalla prigione, perché è quello che è successo nella mia storia anche se non lo dico esplicitamente.

Che dire? Spero che il capitolo vi piaccia e vi prego di recensire. Commenti e/o suggerimenti sono sempre bene accetti!

 

Ringraziamenti:

 

Abigale: Ciauz! Sono davvero molto contenta che la storia ti piaccia. Grazie per i complimenti (me saltella felice)! Credo che, dopo quello che mi hai accennato, la parte finale di questo capitolo ti piacerà… eheh, lui? Vedremo. Alla prossima!

 

Sweet nettle: Ciauz! Grazie mille per il complimento, mi fa piacere che la storia ti piaccia. Ecco il nuovo capitolo. Spero ti piaccia anche questo!! Ci sentiamo!

 

Energiapura: Ciauz! Ecco il capitolo nuovo. Spero che ti piaccia. Fammi sapere, ok? Ciauzzy!

 

Beh, ora vi lascio alla lettura. Incrocio le dita sperando di essere riuscita a scrivere un bel capitolo.

Un bacione a tutti e alla prossima!

‘myu

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

4. Domande Ricorrenti

 

- CHE COSA?! -

Era stato tutto ciò che era riuscita a sentire della conversazione tra Harry e Lupin prima che Hermione la trascinasse via dalla cucina con una stupida scusa.

Certo per un attimo l’aveva solleticata l’idea di resistere e rimanere ad ascoltare, ma ben sapeva che era meglio non giocare quando Harry aveva quegli scatti d’ira. Era innocuo quanto un leone ringhiante.

- allora che mi racconti? - cominciò Hermione con voce convinta e allegra - stai meglio ora? Ti sei ripresa? -.

Ginny sorrise annuendo.

- mi sento molto meglio, grazie. Ma la medimaga Hickins non ne vuole sapere di permettermi di tornare sul campo di battaglia - spiegò con un sospiro.

- beh - fece incerta la brunetta - non è poi così male starsene lontani una volta tanto -.

Ginny percepì chiaramente la nota di stanchezza nell’affermazione dell’amica. Optò quindi per cambiare leggermente discorso.

- è dal quel giorno a Diagon Alley che non vi vedevo. Mi sono persa qualcosa di importante? -.

Hermione scosse la testa, sorridendo.

- non è poi così tanto tempo. Un paio di giorni. E oggi, come ogni domenica, sono qui a metterti al corrente dei pettegolezzi di corridoio mentre aspettiamo l’arrivo del resto dei tuoi fratelli e che tua madre finisca di preparare il pranzo -.

Cominciarono a parlare e a ridacchiare in modo fitto fitto. Da quando sua madre aveva deciso che ogni domenica la famiglia si sarebbe riunita per pranzo alla Tana, lei ed Hermione avevano sempre approfittato per stare un po’ insieme. Anche se erano state molto vicine a scuola, Ginny non poteva dire di conoscerla particolarmente bene. E voleva farlo, anche perché presagiva un suo futuro di cognata.

Il resto della giornata passò piacevolmente.

I primi ad arrivare furono Bill con Fleur, quest’ultima decisamente più tonda del normale. Era ormai in cinta da tre mesi. Ginny ancora non riusciva ad immaginare la gioia che sarebbe derivata in famiglia dalla nascita del piccolo/a. Le era quasi improbabile pensare che in quella guerra così sanguinosa potessero esserci ancora barlumi di speranza tanto meravigliosi.

Dopo gli sposi arrivarono i gemelli carichi di gadgets dal loro negozio di scherzi, che purtroppo in quel periodo era meno frequentato del solito.

Seguì Charlie con una ragazza che Ginny aveva già visto qualche volta. Si chiamava Ashley e sembrava che il fratello le fosse molto affezionato. Fortunatamente per loro la signora Weasley era troppo indaffarata a preparare il pranzo perfetto per accorgersi di qualcosa.

Per ultimi arrivarono Percy con la moglie Penelope. Erano rimasti insieme anche dopo che suo fratello aveva ignorato la sua famiglia. Si erano sposati poco dopo che Percy era tornato e si era scusato con tutti. C’era ancora qualche riserbo nei suoi confronti da parte di alcuni dei suoi fratelli e di sé stessa, ma era stato riammesso nella famiglia. Dopo qualche momento di conversazione comune si misero a tavola.

Era stato vietato in modo categorico parlare di lavoro e guerra, durante il pranzo. Pena una strigliata dalla signora Weasley che nessuno voleva ricevere. Ma nessuno poté impedire ad Harry di rimanere immusonito per tutta la prima parte del pasto.

Era incazzato nero.

Ora non solo doveva occuparsi di Voldemort, ma avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti anche su quel... quel... fantasma, ombra, e quel cavolo che era, non ci teneva a saperlo!

La notizia di Lupin non poteva ben arrivare in momenti più adatti. No eh? No!

E la cosa peggiore era che la notizia si stava spargendo alla velocità della luce tra gli Auror e sarebbe toccato a lui parlare del tutto al resto della famiglia Weasley. Lupin infatti era dovuto scappare a casa da Tonks perché voleva stare un po’ di tempo in compagnia di sua moglie, e di certo Harry lo capiva perfettamente per questo.

Ma il vero problema era un altro. E stava seduto, anzi, seduta a pochissima distanza da lui, precisamente di fianco a Ginny. Aveva capelli biondi e sognanti occhi blu e, cosa peggiore di tutte, era una giornalista e si chiamava Luna Lovegood.

Il pranzo si concluse relativamente in fretta e tutti aiutarono la signora Weasley a rimettere a posto tavoli, sedie e stoviglie. E andarono a sedersi nel salotto della Tana, magicamente ampliato qualche anno prima per permettere a tutti loro di poterci entrare.

Dopo qualche tempo di chiacchiere frivole e di divertenti prese in giro, Harry pensò fosse giunta l’ora di prendere parola. Con un paio di strategici schiarimenti di voce ottenne il silenzio e l’attenzione di tutti i presenti. Dopodiché, prima di cominciare, si rivolse proprio a Luna.

- ciò che dirò ora in questa sede ha il potere di sconvolgere il mondo magico se reso noto. Ti chiedo di non farne parola con nessuno e, soprattutto, di non scriverlo sul Cavillo -.

Luna lo osservò infastidita. Ma cosa credeva? Che fosse così stupida da andare a riferire notizie della massima importanza e segretezza a tutti i suoi ignari e (relativamente) tranquilli lettori? In fondo anche lei aveva fatto parte dell’ES! Cosa credeva, che lo avrebbe tradito in modo tanto subdolo?

Non rispose. Si limitò a guardarlo sprezzante, annuendo leggermente con aria di superiorità.

Harry si ritrovò messo a disagio, ma annuì a mo’ di ringraziamento e si rivolse a tutti gli altri. Ron ed Hermione, a cui aveva già riferito il tutto a voce bassa pochi minuti prima dell’inizio del pranzo, erano al suo fianco come sempre. Questo gli diede coraggio.

- Lupin... prima mi ha riferito che... - cominciò, ma poi si interruppe. Poi fece un grande sospiro e continuò:

- ...l’ultimo prigioniero fatto tra i Mangiamorte sapeva qualche cosa in più su questa nuova fantomatica presenza di cui... quell’informatore che abbiamo trovato morto ieri ci stava informando. Temiamo che esista sul serio qualcuno che comanda tutto l’esercito dei Mangiamorte sotto richiesta del Signore Oscuro. E sappiamo che egli ha molta fiducia in quest’uomo. Ma non è questo che ci preoccupa di più. Loro lo chiamano il fantasma, o l’ombra di morte o cose simili. E sembra avere... sembra essere... il sangue del suo sangue -.

L’ultima parte l’aveva sibilata in modo frustrato, tra le esclamazioni di stupore generale.

- e com’è? -

- è sicuro? -

- lo hanno visto? -

- nessuno lo ha mai visto a parte, si crede, il cerchio ristretto dei più fedeli di Voldemort - rispose Harry alla valanga di domande rivoltegli. Ancora qualcuno trasaliva al nome del Signore Oscuro, ma in modo impercettibile.

A seguito di quella risposta nella sala scoppiò nuovamente il caos. Fred discuteva con il gemello e Charlie, Bill faceva domande ad Harry con il signor Weasley e Percy, Ron ed Hermione parlavano con le fidanzate e mogli dei fratelli. In quella confusione nessuno notò Ginny allontanarsi.

La ragazza corse fuori dalla casa, pallida e tremante.

No Ginny. Sono cavolate, non può essere vero. Perchè poi proprio lui? Ce ne sono tanti! Pensò confusamente la giovane, allontanandosi sempre di più.

Raggiunse quasi di corsa un boschetto riparato dove si rifugiava sempre quando era piccola. Un posto che, incredibile ma vero, i gemelli non conoscevano. O forse conoscevano ma non ne erano mai stati particolarmente attratti.

Era andata lì perché aveva bisogno di pensare, di schiarirsi le idee.

Si sedette su una roccia all’ombra di un albero enorme tenendosi le mani sul volto.

Tentando di mantenere lucida la mente tornò con la memoria al campo di battaglia, o meglio a quel poco di cui si ricordava riguardo l’accaduto, e poi direttamente in quel vicolo, al secondo incontro, ripassando dal terrore che poteva indovinare sotto le maschere dei due Mangiamorte risparmiati per miracolo che avevano portato via i due auror a quella figura, a quella maschera.

Ai decori dorati che spiccavano sull’argento, al Marchio Nero composto da gemme preziose in corrispondenza della guancia destra.

Poteva un comune Mangiamorte indossare una simile maschera?

No.

Sapeva per certo che neanche i Mangiamorte più fedeli, quelli del cerchio più ristretto, portavano tale maschera.

Aveva visto, nell’ultima battaglia che aveva combattuto, Neville combattere contro un Mangiamorte donna alla quale la aveva fatta cadere.

Bellatrix Lestrange.

E lei non portava nessuna maschera degna di nota. Lei che usava considerarsi la serva più fedele del Signore Oscuro.

Ginny piegò le labbra in un sorriso senza alcun buon umore.

Povera Bellatrix, pensò, se Harry ha ragione, se esiste davvero questo guerriero delle tenebre, non sei certo più tu la pupilla del Signore Oscuro. Dubito che ciò ti rallegri.

Sollevò la testa a scrutare assente gli alberi che la circondavano.

Poteva davvero essere lui?

Perché mi hai salvata? Gridò la sua mente nel silenzio che la circondava, rotto solo dal rumore del vento che scivolava nel bosco di alberi ormai spogli per l’inverno.

Il suo grido silenzioso non aveva nulla a che fare con quello potente, reale e stridulo di una donna a miglia di distanza dove era seduta la giovane Weasley.

E di certo Ginny non avrebbe mai immaginato che fosse opera proprio della donna alla quale il suo pensiero si era rivolto poco prima.

Bellatrix Lestrange stava fissando con occhi infuocati ed un’espressione inviperita il marito e la sorella, entrambi seduti su due comode poltrone dinanzi a quella in cui lei stessa sedeva, prima di alzarsi in piedi soggiogata da uno scatto d’ira.

Nell’imponente sala da the di Malfoy Manor, dove la sorella viveva, risuonavano ancora le sue parole cariche di rabbia e di odio.

E chi sarebbe costui per venire a comandarmi cosa devo o non devo fare? A me? Alla serva più fedele dell’Oscuro Signore?

Narcissa Malfoy non fece una piega. Conosceva a sufficienza la sorella per poter affermare che dirle qualcosa che l’avrebbe contrariata in quel momento avrebbe finito per peggiorare la situazione. Prese con l’eleganza che la contraddistingueva un altro sorso di the dalla preziosa tazzina di porcellana che teneva fra le mani, per poi appoggiarla con grazia sul tavolino di cristallo che la divideva dalla sorella e da suo marito Rhodolphus.

Quest’ultimo si limitò ad osservare la moglie e la cognata rimanendo in silenzio.

Bellatrix dopo qualche istante tornò a sedersi lentamente, riprendendo il controllo di sé.

Ma ciò non servì a toglierle dalla mente le parole appena pronunciate.

Narcissa fece un leggero sospiro e guardò la sorella dritta negli occhi.

- Bella… - mormorò – comprendo perfettamente quello che vuoi dire. Ma ragiona, cosa possiamo fare se non abbassare la testa? Se ciò che si dice è veritiero, cioè che questo personaggio è davvero sangue del sangue del nostro Signore… allora devi riporre in lui la stessa lealtà e le stesse speranze che riponi nel Signore Oscuro stesso – concluse.

Bellatrix non sembrava affatto convinta.

- Dopo tutto ciò che ho fatto per il nostro Signore vengo ancora trattata come un comune servo qualsiasi… è questo che mi infastidisce, Cissy – ribatté aspra.

- non dire certe cose, Bella – intervenne Rhodolphus contrariato – non devi peccare di orgoglio dinnanzi al nostro Signore. Ricorda cosa è accaduto a coloro che lo hanno fatto! -.

- degli sciocchi, non c’è molto da dire – commentò Narcissa in modo casuale.

Bellatrix rimase in silenzio per qualche momento poi si rivolse nuovamente alla sorella minore:

- e Lucius cosa dice? -.

- Lo stesso che ti ho riferito io prima, Bella. È dell’opinione che c’è un motivo se il nostro Signore ha riposto fiducia in questo nuovo servo. Anche se, a dire la verità, anche lui non mi è sembrato molto soddisfatto nonostante non lo abbia mai detto esplicitamente – disse Narcissa, la seconda parte in tono più cospiratorio. Poi continuò in tono normale:

- In ogni caso in questo momento si trova fuori quindi temo che non avrete l’occasione di scambiarvi personalmente le opinioni -.

- una missione? – si interessò Rhodolphus.

Narcissa scosse leggermente la testa.

- non credo. In ogni caso non sono a conoscenza dei suoi spostamenti – ribatté incurante.

- e Draco? È in casa? – chiese subito Bellatrix.

Draco era il suo nipote favorito, anche perché l’unico degno di esserlo. Non come la figlia della sorella disconosciuta dai suoi genitori, disonore della loro antica casata insieme al cugino di cui aveva avuto l’onore di sbarazzarsi lei stessa.

Narcissa chiamò uno dei suoi Elfi Domestici e gli rifece la domanda.

- sì padrona, il padroncino Draco è in casa, padrona – disse questi con un goffo tentativo di inchino.

- mandalo a chiamare – ordinò Narcissa.

L’Elfo scomparve e poco dopo al suo posto apparve Draco Malfoy in persona, vestito completamente in nero con costosi abiti informali, da casa.

Bellatrix osservò con orgoglio il nipote che salutò subito tutti con un elegantissimo mezzo inchino.

- Madre, zia Bellatrix, zio Rhodolphus. Mi avete mandato a chiamare? – chiese.

- tua zia ha espresso il desiderio di vederti, Draco. Siedi – disse Narcissa al figlio, quasi in tono di comando.

Egli si sedette accanto alla madre. Bellatrix non poté far altro che notare l’impressionante somiglianza fra il giovane che aveva davanti ed i suoi genitori. La prima impressione riportava a Lucius alla sua età, ma Draco era molto di più. Aveva ereditato dalla madre l’eleganza innata e anche alcuni lineamenti.

- di cosa stavate parlando, se mi è concesso saperlo? – chiese Draco, mettendosi seduto comodamente sulla poltrona. Non aveva idea del perché l’avevano convocato e rimpiangeva la solitudine ed il silenzio della sua camera. Per una volta che aveva la giornata libera da tempo e poteva riposarsi, questo gli era impedito dai famigliari. Fosse stato per sua madre si sarebbe limitato a scusarsi e a ritornare nella sua stanza, dicendo di voler riposare per poter riprendere al meglio a servire il Signore Oscuro. Ma purtroppo c’erano anche i suoi zii e non poteva permettersi di andarsene senza essere congedato.

- prima di occuparci di quello di cui discutevamo volevo sapere come procede il tuo lavoro per il nostro Signore – disse decisa Bellatrix.

La solita fissata. Non sa pensare ad altro pensò il biondo sbuffando interiormente ma mantenendo esteriormente la freddezza e la sicurezza che lo contraddistinguevano da sempre.

- Procede bene, zia. I miei allenamenti sono fruttuosi e sia nelle ultime missioni sia nelle battaglie ho fatto molti prigionieri utili – disse.

- Lucius ha detto che il Signore Oscuro in persona ha lodato l’operato di Draco – aggiunse Narcissa con orgoglio malcelato nella voce.

Draco sorrise alla madre, un sorriso superficiale che non raggiungeva i suoi occhi. Ma Narcissa non notò nulla poiché si rivolse nuovamente alla sorella.

- dunque, è solo questo il motivo per il quale desideravi vedere mio figlio? -.

Bellatrix scosse la testa, per poi rivolgersi nuovamente al nipote.

- Draco, cosa sai del nuovo generale del nostro Signore? Anche se non sei ancora nel suo cerchio più stretto di fedeli devi pur aver ricevuto qualche notizia o sentito qualche voce di corridoio -.

Draco fissò la zia con un sopracciglio alzato in espressione di incredulità.

- credevo che il cerchio ristretto lo conoscesse di persona. In ogni caso so che è molto abile e che è tenuto in grande considerazione dal nostro Signore. E si dice che possa esserne addirittura il figlio – disse.

- Lo abbiamo visto,anzi, intravisto, in alcune riunioni. Non sappiamo molto. Si sa solo che si mostra e parli solo con il Signore Oscuro in persona e con i generali che vengono messi sotto suo diretto comando. Personalmente io e tua zia non abbiamo mai avuto possibilità di parlargli né vederlo da vicino – spiegò Rhodolphus al posto della moglie che stava cominciando ad innervosirsi di nuovo – In ogni caso ci tenevamo davvero a sapere cosa ne pensi di questo improvviso raccoglimento di potere -.

Draco rimase silenzioso per alcuni istanti, osservando pensieroso i suoi zii. Poi li fissò entrambi e disse tranquillamente:

- mio padre dice che se il Signore Oscuro lo ha scelto… -

- lo sappiamo cosa dice Lucius – lo interruppe fermamente Bellatrix – noi vogliamo sapere tu cosa ne pensi dalla posizione in cui sei, anche se inferiore alla nostra – concluse.

Draco fece un enorme sforzo per rimanere impassibile e non ribattere aspramente.

Odiava essere interrotto.

- se è ciò che volete – cominciò con la voce più naturale che fosse riuscito a trovare – allora vi dirò ciò che penso io. Se è il figlio del nostro Signore è naturale che il potere sia passato a lui e non si deve far altro che obbedirgli come lo stesso Signore Oscuro. Se ciò che si dice è solo una diceria, e cioè non è suo figlio, bisogna obbedirgli lo stesso perché è ciò che vuole il Signore Oscuro. Ma dico questo dato il mio basso rango, non posso esprimermi per voi che siete nelle grazie del nostro Signore. Egli avrà sicuramente dei piani importanti anche per voi, i suoi servi più fedeli -.

Bellatrix, che era stata infastidita dalla prima parte del discorso del nipote, non poté far altro che approvare la seconda.

- credo che tu abbia perfettamente ragione, nipote – cominciò e stava per andare avanti quando il suo braccio cominciò a bruciare in corrispondenza del Marchio Nero. Scambiò una rapida occhiata con il marito che, per riflesso, aveva portato una mano al suo braccio marchiato, e poi si rivolse alla sorella ed al nipote.

- Vogliate scusarci ma il dovere ci chiama. So, Cissy, che il Signore Oscuro ti ha affidato il compito di restare qui a Malfoy Manor per sviare le indagini degli Auror. Non posso che augurarti buona fortuna. E anche a te, nipote. Che tu possa presto entrare nel circolo più ristretto dei servi del nostro Signore – detto questo si smaterializzò, seguita dal marito che, prima di andarsene, mormorò un:

- Narcissa, è stato un vero piacere. Draco, alla prossima -.

Draco rimase per qualche istante ad osservare il punto in cui erano stati seduti fino a poco prima gli zii, con aria assorta.

Narcissa chiamò gli Elfi Domestici per ripulire la sala dagli avanzi dei biscotti e dalle tazzine da the abbandonate sul tavolo. Dopodiché si voltò ad osservare il figlio.

- Ti vedo stanco, Draco. È meglio se vai a riposarti – disse con un tono di voce più dolce del solito, che usava solo quando erano da soli.

Draco si voltò verso la madre e annuì impercettibilmente. Poi si alzò lentamente dalla poltrona.

- madre – salutò, facendo un leggero inchino.

Narcissa rimase sola nella stanza. Per qualche istante ancora fissò il punto da cui il figlio si era smaterializzato, per poi alzarsi e dirigersi silenziosamente nelle sue stanze.

Sapeva che la venuta di Bellatrix avesse alterato suo figlio più di quanto lui si era curato di far trasparire alla sua partenza.

E sapeva che Draco se ne andava sempre da casa quando era in quello stato d’animo.

Non conosceva, invece, né la sua destinazione né, dopotutto, se ne interessava.

Sicuramente un posto molto lontano dalla guerra e dall’Oscuro Signore.

Era certa di questo: se fosse andata a bussare sulla porta della camera del figlio nessuno avrebbe risposto. E se fosse entrata l’avrebbe trovata vuota.

Aprendo la porta delle sue stanze la donna fece un sospiro, scuotendo la testa.

Sola, come sempre.

La porta le si chiuse alle spalle con un leggero tonfo, come chiudendola fuori dal mondo al di là di essa, da suo marito e dal cuore ormai indurito di suo figlio, per portarla nel suo piccolo mondo privato e solitario che, ormai, somigliava terribilmente a quello esterno.

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Capitolo 5
*** Trame Maligne ***


NdA: Yo-hoo!

Mai aggiornato così in fretta credo, ma ho ricevuto tante recensioni positive che mi sono sentita in dovere di spicciarmi!

La vostra ‘myu è tornata con il quinto capitolo, pronto e sfavillante in attesa di essere letto.

Tutto ciò che accade in questo capitolo accade nello stesso giorno nel quale il capitolo precedente è finito. Ovviamente dopo gli avvenimenti del quarto capitolo.

Entreremo nel buio ed usciremo nuovamente nella luce. Anche se per la nostra Ginny non sarà una luce pacifica! Ma sto zitta, sto zitta e non dico niente.

A voi la lettura, no?

 

Ringraziamenti:

 

Bellatrix Malfoy: grazie mille per il complimento. Spero che continui a piacerti! Fammi sapere. Salutoni!

 

Energiapura: grazie anche a te per il complimento! Sono molto felice che il mio stile ti piaccia. Faccio sempre di tutto per non far diventare le frasi noiose e tirate. Altrimenti mi annoio anche io! Eheh. In ogni caso hai pienamente ragione, l’identità dell’ombra si scoprirà solo leggendo! (me malvagia). Spero che anche questo capitolo ti piaccia. Un bacio.

 

Abigale: Convinta allora, ne? Eheh, non si sa mai. Potrebbe essere chiunque. Ricorda che la storia non la ho ancora decisa del tutto! Vedremo se hai ragione, o no ;D. un bacio!

 

Dikar 93: ciauz! Errori grammaticali nella tua recensione non ne ho visti e comunque non ti preoccupare, io nelle recensioni faccio certe bestialità a volte che è meglio non parlarne…  In ogni caso mi fa molto piacere sapere che la storia ti piaccia. I pairings sono molto indecisi (me che non ha ancora pensato come far finire la storia, AARRGGHH!). Comunque fortunata te ad avere ore buche! Io me le sogno… i miei prof sembrano avere 9 vite… spero che anche questo capitolo ti piaccia. Fammi sapere! Un bacio.

 

Sweet nettle: aggiornato abbastanza in fretta? Spero di sì. Fa piacere che continui ad interessarti. Fammi sapere per questo capitolo, ok? Io aspetto! Un bacio.

 

Kaho_chan: non so nulla non dico nulla! Ora sono apparsi praticamente tutti i personaggi principali, dopo questo capitolo. Supposizioni e certezze sono totalmente ad uso e piacimento dei lettori. Io intanto me la rido (me malvagia fino alle ossa). Eheh. Fammi sapere se ti piace anche questo. Un bacione!!

 

Eh già: pairing aperti anche se mi sento orientata verso uno o due in particolare e tutte le supposizioni su chi sia o non sia il fantomatico Mangiamorte sono ad uso e consumo di ogni lettore.  Ora vi lascio leggere, sarete stufi di aspettare le inutili farneticazioni dell’autrice!

Ringrazio tutti coloro che stanno leggendo la mia storia e, come al solito, prego per sapere pareri ed opinioni. In una parola: recensite!

Un bacio dalla vostra

‘myu.

 

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

5. Trame Maligne

 

Nel grande salone regnava il silenzio.

Tutti i presenti erano stretti in ranghi serrati e avevano paura di rompere quel solenne silenzio perfino con il respiro. Le fiammelle delle minuscole candele magiche appese sui muri erano fioche e creavano deboli giochi di luce sui mantelli neri come le notti senza luna e le maschere argentee che servivano a celare l’identità dei presenti.

E da una parte del salone, la più buia, proveniva il gelo che contraddistingueva la presenza di un intero gruppo di Dissennatori, molti tra quelli fuggiti da Azkaban.

Tutti i Mangiamorte attendevano con ansia l’arrivo del loro Signore, eccitati e terrorizzati allo stesso tempo. Prima che sulla sala scendesse quel pesante silenzio dovuto all’improvviso arrivo delle creature oscure, la maggiorparte dei presenti stava vociferando a mezza voce il pettegolezzo del quale erano venuti a conoscenza.

A quella riunione, che comprendeva non solo il cerchio ristretto dei servi più fedeli ma anche molti schieramenti che si erano distinti maggiormente per forza e fedeltà, sembrava che il loro Signore avrebbe portato il suo nuovo generale, il sangue del suo sangue, come molti dicevano.

Bellatrix non aveva potuto credere alle sue orecchie quando aveva udito quella diceria.

Già era rimasta sorpresa del fatto che fossero stati convocati così tanti servi, ma…

Si guardò attorno con altezzosità. Quelli non erano nulla a suo confronto, nulla!

Nessuno di loro era rimasto per quasi quattordici anni ad Azkaban per il Signore Oscuro, come lei e suo marito. Nessuno!

La notizia doveva in ogni caso essere veritiera. Altrimenti il suo Signore non avrebbe mai invitato un così folto numero di Dissennatori. Fortunatamente per lei ormai era abituata alla presenza di quelle creature maledette. Se era riuscita a resistere loro per tutta la durata del suo soggiorno ad Azkaban, poteva resistere tranquillamente per tutta la durata del colloquio, a differenza di molti inetti fra i presenti che erano sbiancati dopo pochi minuti. Cercò tra i vari schieramenti anche quello di suo nipote, ma poi si ricordò che non era in servizio quel giorno e che se fosse stato convocato si sarebbe subito smaterializzato con lei e Rhodolphus.

I suoi pensieri furono interrotti dall’improvvisa materializzazione del Signore Oscuro davanti al grande trono che dominava la stanza. Subito tutti i presenti si inginocchiarono rispettosi e nervosi. Dovendo abbassare la testa non videro la figura che aveva seguito il Signore Oscuro nella sua entrata. Solo quando egli si fu seduto comodamente sul suo seggio ed il suo orribile serpente si fu sistemato attorno alle sue spalle, i suoi servi alzarono il capo, tornando in piedi ad un suo cenno, e videro.

In piedi alla destra del loro Signore, che aveva cominciato ad accarezzare la testa del serpente con gesti casuali mentre osservava tutti i presenti, c’era qualcuno.

Il mantello nero lo avvolgeva completamente e la sua testa era coperta da un cappuccio del medesimo colore. L’unica cosa visibile oltre al nero mantello era la sua maschera che, completamente diversa da quella di tutti gli altri Mangiamorte, recava decori d’oro e, in corrispondenza della guancia destra, un Marchio Nero in versione rimpicciolita fatto con le pietre più preziose. La maschera copriva interamente il suo volto ad eccezione degli occhi.

E nella sala chiunque avesse avuto una vista acuta avrebbe potuto vedere che nell’oscurità erano di un grigio tanto scuro da avvicinarsi al colore delle nubi portatrici di tempesta.

Ma nessuno riusciva a mantenere troppo a lungo lo sguardo fisso su di lui e rimanere sereno.

Perfino i Mangiamorte più fedeli non riuscirono a guardarlo senza provare un profondo senso di inquietudine.

I coniugi Lestrange erano rimasti sorpresi e scioccati dall’apparizione di quel nuovo individuo. E Lucius Malfoy, poco distante da loro, seppe che non sarebbe stato soddisfatto della preparazione di suo figlio finché non lo avesse visto con la stessa identica espressione negli occhi, con la stessa identica emanazione di potere.

Ma in cuor suo sapeva che Draco non sarebbe mai riuscito ad eguagliare quell’essere. Già una volta aveva deluso il Signore Oscuro non riuscendo ad uccidere Silente ma dovendo aspettare l’arrivo di Piton. Lucius voltò leggermente il viso ed osservò a poca distanza da lui l’ex professore di pozioni di Hogwarts. Egli stava osservando il nuovo venuto con un’espressione impenetrabile e per un fugace momento Lucius, irritato, si convinse che egli conoscesse già colui che stava eretto alla destra del Signore Oscuro. Ma poi la considerò una convinzione stupida e tornò a fissare il suo Signore in attesa che parlasse.

Voldemort era rimasto in silenzio ad osservare tutti i suoi servi fino a quel momento. Aveva letto nei loro pensieri l’incertezza, la paura, talvolta perfino il terrore… ma anche l’invidia e lo scontento. Si sarebbe occupato più tardi di questi suoi soldati.

È giunta l’ora di presentarti, infine. Sei pronto? Comunicò mentalmente al suo servo più fidato.

Sì, mio Signore fu la risposta che gli giunse.

Con un sorriso diabolico si rivolse ad alta voce ai presenti.

- Miei fedeli soldati e miei Dissennatori, - aggiunse volgendo gli occhi sanguigni in direzione dei suoi servi più oscuri – è giunto finalmente il giorno in cui il mio servo più fedele verrà presentato a tutti coloro che ho ritenuto più meritevoli di tale privilegio. Vieni avanti, figlio mio -.

Appena lo chiamò in quel modo tutti i presenti sgranarono occhi e spalancarono bocche sotto le maschere. Dunque, era vero. Fissarono lo sguardo sulla figura che era avanzata di un passo, mormorando:

- sì, padre -.

Bellatrix era scioccata, ma, soprattutto, si sentiva come l’ultima ruota del carro. Il suo Signore non aveva voluto metterla a parte dell’esistenza di un suo erede, aveva taciuto con lei che si era sempre considerata e annunciata la serva più fedele.

Dunque era tutto falso? Il suo Signore non si interessava a lei? Non la stimava?

Doveva assolutamente scoprirlo e, soprattutto, doveva trovare il modo per rientrare fra le sue grazie. E se questo voleva dire servire suo figlio nello stesso modo in cui serviva lui, allora l’avrebbe fatto. Lo stesso identico pensiero passò nella mente degli altri Mangiamorte della cerchia più stretta e, Voldemort, intercettandolo, ne fu molto soddisfatto. Non si sarebbe più dovuto preoccupare, dunque.

- Voi tutti vi dovrete riferire ad egli come Principe Oscuro. Non oserete pronunciare il suo vero nome mai, come il mio. Dovrete obbedirgli come se fossi io stesso a darvi ordini, poiché la sua voce è la mia ed il suo volere il mio. Ma vedo che qualcuno di voi non sembra convinto. Generale Dorthan se hai qualcosa da dire fallo cosicché tutti possano sentirti – concluse poi fissando uno dei generali degli schieramenti con un’occhiata raggelante.

Questo smise immediatamente di parlottare con i suoi vicini ed impallidì. Ma non temeva di esprimere i suoi dubbi al suo Signore. Si inginocchiò e disse:

- dovete perdonarmi mio Signore. Ma come possiamo fidarci di quest’uomo? Non sappiamo né chi sia né se possa guidarci come fate voi. Come facciamo a servirvi per il meglio se non conosciamo nulla di questo vostro piano? – concluse.

Seppe subito di essersi spinto troppo oltre. Quando sollevò la testa infatti vide che il Principe Oscuro aveva sollevato la bacchetta in sua direzione e che da essa, senza che egli avesse pronunciato alcun incantesimo, partì un potente raggio verde che lo colpì.

Voldemort a quella visione rise con la sua bocca priva di labbra, battendo le mani.

- non avrei saputo dare risposta migliore, Evil -.

Il mago ripose la bacchetta nella tasca sotto al mantello. Il tempo che era passato tra il momento in cui il suo Signore gli aveva sussurrato nella mente Uccidilo e quello in cui l’aveva colpito era stato minore di un battito di ciglia.

Tutto il suo essere era disgustato da quell’insulso servo. Peccato, però. Suo padre gli aveva sempre detto che quel Dorthan, anche se non faceva parte del cerchio interno, era un ottimo soldato e gli sarebbe servito durante le battaglie.

Peggio per lui.

Tutti i presenti avevano fissato attoniti la scena, totalmente sconvolti.

I Dissennatori da parte loro avevano tentato di sondare l’anima del loro nuovo signore.

Era completa, a differenza di quella del loro padrone supremo. Ma era comunque strana.

Era malvagia, ma di una malvagità particolare, sembrava quasi che non fosse l’anima in se ad essere oscura, ma tutto l’insieme, sangue compreso.

Il Principe Oscuro li chiuse fuori con facilità. I Dissennatori non lo spaventavano e poteva farci quello che voleva.

Voldemort dopo la presentazione del suo erede aveva trasfigurato con la magia un dente velenoso perso da Nagini in un trono leggermente più piccolo del suo che collocò un po’ più in basso rispetto a dove sedeva lui, alla sua destra.

Suo figlio ci si sedette, silenzioso.

Le uniche due parole che aveva pronunciato fino a quel momento erano state solo due.

e padre.

Era bastato così poco per far sentire la glaciale malvagità del suo servo più fedele…

Voldemort, con un ghigno perfido, cominciò a spiegare la missione successiva che voleva affidare ai suoi uomini, pregustandone già la riuscita.

In un luogo molto lontano e qualche ora dopo Ginny si svegliò di soprassalto.

Che idiota! Solo io posso addormentarmi quando sarei supposta tornare a casa dopo pochi minuti di assenza! Pensò tirandosi uno schiaffo sulla fronte e, dopo essersi alzata, correndo come una forsennata verso la Tana.

Saranno preoccupatissimi! Me ne diranno di tutti i colori! Pensò afflitta.

Giunse alla Tana dopo pochi minuti e tentò di dirigersi verso la sua camera a passo felpato. Purtroppo era da tempo che sulla Tana c’era un incantesimo che impediva la materializzazione e smaterializzazione.

Maledetta guerra che ha fatto decidere ai miei di chiedere ad Hermione di fare tale incantesimo! Arrgh! Si lamentò interiormente.

Ma la sua fuga fu alquanto breve.

- Ginevra Molly Weasley – si sentì infatti chiamare alle spalle, anzi, ringhiare alle spalle.

Si voltò al rallentatore, con un sorrisone stampato sul volto.

- mamma! – esclamò con il tono più gaio che fosse riuscita a trovare.

Mezz’ora dopo Ginevra Weasley usciva dalla cucina di cattivo umore e con un tremendo mal di testa, odiando la voce della madre e quella di tutti i parenti e amici.

Perché lei non era stata l’unica ad aggredirla, nooo.

Le era sembrato quasi come lo sport che i suoi fratelli amavano tanto.

L’intera squadra di Quiddich maschile Weasley (suo padre, Bill, Charlie, Percy, Fred, George e Ron) plus Harry allenatore plus sua madre e Hermione come urlatrici-tifose plus Luna come arbitro plus Fleur ed Ashley che la compativano a distanza di sicurezza e sussurravano frasi incomprensibili tra loro a mo’ di commentatrici.

Ginny entrò nella sua stanza sbattendosi la porta vigorosamente alle spalle. Non l’avevano neanche lasciata parlare. Aveva quasi 20 anni, diamine, era maggiorenne, responsabile ed Auror.

E loro le avevano requisito la bacchetta per impedirle di uscire di nascosto come prima.

Manco avesse tre anni.

In preda al nervoso cominciò a lanciare per terra tutto quello che le capitò a tiro e molte cose finirono in frantumi.

Tutto questo perché dicevano che era in convalescenza e che non doveva sforzarsi.

Come faceva a sforzarsi se non la lasciavano neanche apparecchiare o sparecchiare la tavola?!

Non era una bambola di porcellana! Non era una bimba da proteggere in ogni momento!

Si buttò sul letto, premendosi il cuscino sul volto.

Merlino, non vedeva l’ora che finisse la gravidanza di Fleur cosicché sua madre si sarebbe trovata tra le mani un altro essere su cui sfogare l’iperprotettività. E lo stesso con i suoi fratelli.

Avrebbe dato tutto per far scorrere più velocemente il tempo. Tutto!

Mentre Ginny tentava in tutti i modi di placare la rabbia ed il nervosismo senza essere costretta a sciogliersi in un pianto liberatorio, al piano di sotto la signora Weasley tentava in tutti i modi di frenare il suo.

Era così spaventata! Le era sembrato di tornare a quel giorno a Diagon Alley quando temeva che le fosse accaduto qualcosa di male… la sua Ginny!

Appena avevano notato la sua scomparsa erano subito usciti a cercarla. Erano stati fuori delle ore e alla fine non erano servite a nulla poiché fortunatamente Ginny era tornata da sola.

Sapeva che forse aveva esagerato, ma… l’immagine della sua bambina bagnata, coperta di sporco e sangue che le veniva portata dalla Camera dei Segreti continuava a tormentarla. E riviveva quei momenti ogni volta che la vedeva andare a combattere o che si allontanava di nascosto.

Forse era per questo che ogni volta che commetteva una simile azione le gridava frasi del tipo: Harry non ha rischiato la vita per salvarti per poi vederti cacciarti in altri pericoli!,  O, Ma non pensi mai a noi? Non pensi a quello che ci fai passare? A come ci fai preoccupare?

Sapeva che Ginny non era così sciocca e superficiale, eppure…

Il signor Weasley continuò ad abbracciare la moglie in lacrime mentre il resto della famiglia e dei presenti tentava con gesti e parole imbarazzati ed impacciati di sollevarle il morale.

Dopo un poco riuscirono a farla calmare e Bill comunicò alla famiglia che per lui e Fleur era ora di andare. Li salutarono con tutto il calore che in quel momento potevano trovare e perfino Molly riuscì a fare il suo dovere di futura nonna imbottendo la nuora di ogni raccomandazione per la gravidanza.

Quando uscirono era quasi il tramonto ed il cielo si era tinto di calde sfumature rosate.

Prima di allontanarsi dalla Tana per trovare un punto dove potersi smaterializzare, Bill si voltò indietro. La finestra della stanza di Ginny era chiusa e da li non proveniva alcun rumore. Poco prima aveva udito qualcosa infrangersi e sperava che Ginny non si fosse fatta male. Se da una parte era molto arrabbiato con lei, dall’altra non poteva impedirsi di sentire un forte rimorso per averla rimproverata così duramente insieme a tutti gli altri.

Sentì una mano di Fleur poggiarsi sul suo braccio e si voltò a guardarla con un leggero sorriso.

- non ti preoccupore. Passerà tutto, vedroi – gli disse, con un inglese decisamente più fluente rispetto agli inizi delle loro lezioni.

Lui si limitò ad annuire, conducendola poco lontano. In fondo aveva fatto da pseudo-padre alla sua sorellina. Ora doveva lasciarla andare ed occuparsi dell’esserino che Fleur portava in grembo. In fondo a Ginny bastavano i loro genitori, gli altri cinque fratelli e gli amici di Ron.

Balle, Bill. Balle. Guarda in faccia la realtà. Non riuscirai mai a lasciarla andare. In fondo è la tua sorellina, la piccola Ginny. No, decisamente non ci riuscirai mai.

Bill si smaterializzò con la moglie, perfettamente conscio del fatto che gli altri suoi fratelli la pensavano, o l’avrebbero pensata, nello stesso identico modo.

Harry, Ron, Hermione e Luna furono gli ultimi ad andarsene, quando ormai faceva buio.

Si strinsero nei cappotti babbani che indossavano, procedendo silenziosamente verso il luogo dove, un’oretta prima, anche Bill si era smaterializzato con Fleur.

- giornata movimentata, no? – commentò Luna con fare incurante.

Gli altri tre annuirono. Si sentivano un po’ tutti in colpa per aver attaccato Ginny in quel modo senza neanche averla ascoltata.

Ma molto spesso il sollievo ha il vizio di tramutarsi in rabbia e con l’ultima degli Weasley questa sembrava quasi una regola.

- beh vi lascio qui. Vado a casa. Ci vediamo, ok? – fece Luna salutandoli.

Voltò loro le spalle e in un attimo scomparve.

Poco dopo i tre fecero lo stesso. Riapparvero in un vicolo poco distante da una delle piazze di Londra, la più vicina ad entrambi gli appartamenti che possedevano. Quello che condividevano Ron ed Harry e quello, dal lato opposto della strada, che Hermione condivideva con una ragazza di un paio d’anni più grande di lei che era medimaga.

I tre si guardarono di sottecchi.

- anche voi vi sentite uno schifo come me? – domandò ad un tratto Harry.

I due annuirono.

- e non è neanche colpa nostra quello che è successo! – sbottò Ron.

- beh, Ron… infondo tu avevi anche il diritto di rimproverarla ma… io e… beh anche tu Harry… non facciamo veramente parte della famiglia anche se siamo tutti insieme da tantissimo tempo. Forse non era compito nostro… nostro diritto sgridarla – intervenne Hermione con tono incerto.

S’incamminarono verso lo sbocco del vicolo sulla via che portava alla piazza.

- non lo dire neanche per scherzo. Siete stati partecipi a sufficienza nella vita di mia sorella da poterla sgridare in ogni momento che desiderate – disse Ron scherzoso per tentare di distendere l’atmosfera.

Harry ed Hermione sorrisero leggermente.

In realtà entrambi erano stati davvero preoccupati per la giovane Weasley.

- in ogni caso non è sembrato anche a voi che Ginny… oh beh non importa – mormorò Hermione.

- cosa? – dissero in coro Harry e Ron, allarmati.

Girarono l’angolo e si trovarono nella via principale.

- niente – rispose lei, forse un po’ troppo in fretta.

Ron le appoggiò una mano su un braccio.

- Hermione… - disse in tono supplicante.

- ooh e va bene – si arrese lei – è solo che tutta questa storia è così confusa… voglio dire è da quando è rinvenuta al S. Mungo che Ginny sembra un tantino diversa… non so, vedete… è più una… una sensazione che altro. Perché in fondo si comporta in modo normalissimo – tentò di spiegare.

Harry e Ron rimasero in silenzio per qualche istante.

- tu l’avevi notato? – chiese il rosso all’amico.

Harry scosse la testa.

- ecco, neanche io. Hermione non per criticarti ma… beh non è che hai passato troppo tempo a portare feriti visionari al S. Mungo? – chiese Ron.

- Ronald Weasley – sbottò lei oltraggiata.

- okay, okay come non detto – s’affretto a dire il ragazzo mentre Harry li osservava ridacchiando.

In quel momento sbucarono sulla piazza ed erano così assorti nei loro discorsi che non notarono subito che c’erano molte più persone del solito.

- stavi forse insinuando che… - cominciò Hermione, ma all’improvviso si bloccò ed impallidì, portandosi una mano tremante alla bocca.

- cosa…? – cominciò Harry, voltandosi.

Le parole gli morirono in gola.

La piazza non era gremita di gente comune. Erano Auror e Medimaghi.

I tre rimasero impietriti davanti all’enorme quantità di persone stese per terra, ferite o morte.

I Mangiamorte avevano colpito ancora ed il Marchio, anche se ormai meno visibile di quando era stato lanciato, era dipinto in cielo come messaggero di morte e distruzione.

Ma perché nessuno li aveva avvisati?

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Capitolo 6
*** Incarichi e doveri ***


NdA: Ciauz a tutti!

Come va? Spero bene! A me bene, tutto sommato. Oggi è arrivata la pagellina. È andata meglio di quanto mi aspettassi. Quindi per festeggiare ho deciso di aggiungere il sesto capitolo.

Spero ne siate contenti! ^__^

Dunque dunque. Cosa dire di questo capitolo? Riprende il filo dell’ultimo, ma gli avvenimenti reali avvengono dopo un mese. E oltre a Ginny si troveranno gli inseparabili tre. Cosa stanno combinando?

Ve lo lascio scoprire.

 

Ringraziamenti:

 

Sweet nettle: Ciauz! Ho fatto del mio meglio per preparare bene il capitolo. Sono contenta che ti interessi sempre di più! Beh fammi sapere anche su questo capitolo, ok? Un bacio!

 

Ora vi lascio alla lettura. Ringrazio chi legge questa storia. Spero vi piaccia!

E spero mi lascerete un commentino^^!!

Un bacione a tutti dalla vostra

‘myu.

 

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

6. Incarichi e Doveri

 

Nella confusione generale, i tre riuscirono a farsi raccontare l’accaduto.

Il succo era che improvvisamente erano apparsi centinaia di Mangiamorte che avevano cominciato ad attaccare chiunque capitasse loro a tiro.

Ma non era questo che aveva disturbato Ginny maggiormente.

Perché da dietro la parete della cucina, nascosta in un angolo, aveva potuto comprendere molto più profondamente il significato di quello che i tre inseparabili amici stavano raccontando.

Hermione aveva fatto un resoconto dettagliato degli avvenimenti ai signori Weasley e a molti dei suoi fratelli: gli auror ancora sotto shock continuavano a ripetere di non aver visto il Signore Oscuro condurre le armate, come spesso accadeva durante attacchi imponenti come quello, ma al suo posto un Mangiamorte con una maschera d’oro e d’argento, con impresso sopra un Marchio Nero.

- ne sono assolutamente certi? – chiese preoccupato il signor Weasley.

Hermione scosse la testa.

- no. Come ho detto sono ancora sotto shock. E in ogni caso non lo hanno visto da vicino. Tutti affermano di averlo veduto in cima al tetto di uno degli edifici attorno alla piazza. Era affiancato da un paio di altri Mangiamorte ma non si sa di più. Non è intervenuto nello scontro – spiegò.

- ma allora… -

Ginny non ebbe bisogno di rimanere un minuto di più ad ascoltare.

Silenziosamente era uscita dal suo nascondiglio ed era andata a rifugiarsi nella sua cameretta. Quella volta non aveva avuto l’intenzione di parlare con tutti loro; era infatti ancora parecchio contrariata dal loro comportamento dei giorni passati.

E non le avevano ancora restituito la bacchetta.

Ma forse era solo per non dover uscire allo scoperto ed ammettere davanti a tutti che lei l’aveva già visto, quel Mangiamorte, ed ammettere a sé stessa che era proprio lui il nemico più temibile che avevano dopo suo padre. Il suo salvatore.

Ginny devi finirla con ‘ste seghe mentali! È malvagio! Che credevi? Che cercavi di dimostrare? Sai che l’unica cosa che ti rimane da fare è capire perché ha voluto che tu fossi indebitata con lui. Ovviamente standogli il più lontano possibile!

Era facile formulare tali pensieri da sola nella propria camera, protetta da tutti coloro che le stavano attorno.

In ogni caso, decise in quel momento, era ora di passare all’azione.

La prima strategia che aveva adottato nei giorni seguenti era stata quella della bambina contrita che chiede scusa ai genitori e ai fratelli per averli fatti preoccupare.

Era rimasta parecchio indecisa se mettersi a piangere o no.

Un pensiero bastardo, ne?

Tutto era lecito per lei in quel momento, anche ingannare la sua famiglia.

In fondo lo aveva già fatto. E stava continuando a farlo.

Alla fine aveva optato per una via di mezzo, mettendosi a singhiozzare nelle braccia di sua madre mentre veniva perdonata.

A dire il vero non era del tutto sicura di essersi messa a piangere solo per finta, ma questa questione era irrilevante.

Il pentimento, in ogni caso, era valso la restituzione della bacchetta. Per assicurarsi  che non passasse loro per la mente di ritirargliela nuovamente, si era preoccupata di evitare ogni passo falso; dopotutto anche il più piccolo errore insignificante avrebbe potuto compromettere l’esito delle sue manovre.

Si comportò in modo tanto esemplare da convincere perfino la medimaga Hickins a darle il permesso di tornare al lavoro.

Tutto questo accadeva una settimana prima.

Ginny in quel momento si trovava nel suo cubicolo da auror, uno degli infiniti sgabuzzini travestiti da uffici che si trovavano tutti appiccicati nel Quartier Generale.

Era seduta comodamente sulla sua sedia girevole, facendo nulla di più interessante se non leggere alcuni rapporti delle missioni avvenute durante il periodo della sua assenza.

O almeno quella era la giustificazione che aveva fornito agli addetti agli archivi.

In realtà stava cercando notizie specifiche su colui che chiamavano il Principe Oscuro, l’uomo che sospettava essere la persona che cercava.

Egli era apparso durante tutte le battaglie che avevano seguito quella che avevano descritto i tre inseparabili alla Tana, quel giorno che lei aveva origliato, ormai risalente ad un mese prima.

La sua presenza era come una benedizione per i Mangiamorte: aveva sempre tutta la situazione sotto controllo ed al minimo pericolo di subire ingenti perdite si ritirava ad una velocità che non lasciava il tempo agli auror di comprendere se era finita del tutto o se la battaglia sarebbe ripresa altrove.

Un altro punto che lo contraddistingueva era questa strategia libera, che coglieva sempre di sorpresa. I suoi spostamenti erano imprevedibili quanto i suoi ordini. Un giorno poteva far cominciare e concludere un attacco nello stesso luogo, un’altro farlo svolgere in tre luoghi diversi.

Gli auror di alto grado non sapevano più come comportarsi.

In sostanza da quando la conduzione della maggiorparte degli attacchi era stata riconosciuta come sua, ogni auror era in costante stato di nervosismo, allerta e perfino ansia.

Anche Ginny. Ma lei per un altro motivo.

Lesse ognuno di quei rapporti con la massima concentrazione, mordicchiandosi di tanto in tanto il labbro inferiore. Nonostante la sua presenza, spesso certificata dalla testimonianza di molti auror che lo avevano scorto durante le battaglie, di lui non si conosceva nulla di più di quanto si sapeva un mese prima. A parte, ovviamente, che fosse un ottimo stratega.

Nessuno dei generali degli auror lo avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, ma Ginny intuiva che di questo principe avevano molto timore.

Principe.

Ginny sollevò lo sguardo dalle carte sparse sulla sua scrivania, appoggiandosi allo schienale della sua sedia. Non era la prima volta che sentiva parlare di principi. Le venne involontario chiedersi se questo Principe Oscuro non potesse per caso essere collegato in qualche modo al Principe Mezzosangue.

In fondo, pensò con amarezza, combattono dalla stessa parte.

Dubitava in ogni caso che fossero la stessa persona.

Piton figlio di Tu-sai-chi?

Na.

Tutti conoscevano l’identità dei genitori di Severus Piton. Una strega ed un babbano.

Come per Tom.

Ginny rabbrividii leggermente al ricordo di colui che aveva distrutto la sua infanzia.

Era così giovane, così innocente allora… ma nulla aveva impedito al Signore Oscuro di giocare con la sua vita, con le sue sensazioni, con i suoi sentimenti.

Ricordava l’inizio del primo anno. Inizialmente aveva creduto che con i suoi fratelli più grandi sarebbe stato come essere alla Tana, solo senza sua madre e suo padre.

Ma non era stato così, oh, no.

Percy, il più grande tra i suoi fratelli presenti ad Hogwarts, era troppo preso dal suo ruolo di Prefetto per parlarle. Non che fosse il suo preferito, ma un po’ di considerazione sarebbe stata bene accetta.

I gemelli erano troppo occupati ad organizzare scherzi e a dare battaglia a Gazza per rivolgersi a lei senza parlare dell’ultima caccabomba lanciata qua o dell’ultimo incantesimo di là.

Ma quello che aveva infierito di più, involontariamente, era stato il comportamento di Ron.

Perché nel gruppetto che aveva formato con Harry ed Hermione, beh, per lei non c’era stato posto.

E Ginny era troppo piccola per capire che il fratello non si era dimenticato di lei, ma semplicemente aveva trovato degli amici.

Fu probabilmente anche per questo che cominciò a scrivere a Tom. Aveva trovato un amico tutto per sé che sembrava comprenderla perfettamente.

Dicendo questo non voleva dare tutta la colpa ai suoi fratelli. Non erano loro che avevano continuato a scrivere all’interno di quel diario anche dopo aver intuito che ci fosse qualcosa di malvagio in esso. Non era così egoista dal trasportare una sua colpa sugli altri.

Ma nel momento stesso nel quale la sua piuma si era posata per la prima volta su quelle pagine immacolate, l’infanzia di Ginny era stata persa.

Per sempre.

Ma ora era passato tutto, tutto era finito. O almeno in parte. C’era ancora qualcosa che la collegava al passato, ma non era nulla di preoccupante.

I collegamenti che aveva con quei ricordi erano sempre indiretti e non dipendevano mai da lei.

Erano costituiti più che altro da incubi indefiniti che la svegliavano nel cuore della notte, da parole melliflue sussurratele dall’oscurità. Non negava neanche di averli. A volte li ricordava, a volte no.

Non che gli incubi fossero così frequenti, al contrario. Ma quando succedeva, quando la sua mente traditrice la riportava in quel passato che avrebbe fatto di tutto per dimenticare, era devastante.

Dopo essersi svegliata di soprassalto stava ore a fissare il soffitto con la testa dolente, e raramente riusciva a riprendere sonno. Ed era di umore tetro ed irritabile per il resto della giornata.

Ma non c’erano solo gli incubi. Era capitato, a volte, che riuscisse a percepire le intenzioni malvagie delle persone. Era molto sensibile all’oscurità; probabilmente perché ne era stata soggiogata già una volta.

Ma la cosa più curiosa che le era accaduta era un’altra.

Era successo durante le vacanze estive tra il suo terzo ed il suo quarto anno di scuola.

Stava facendo una semplice passeggiata nelle vicinanze della sua casa quando si era trovata un serpente davanti.

Esso si trovava a riposare pigramente su una roccia, come sono soliti fare molti rettili. Aveva alzato di scatto la testa ed era rimasto immobile ad osservarla. Dopo un po’ le aveva soffiato contro ed era tornato a crogiolarsi al sole estivo come se nulla fosse successo.

Un comportamento piuttosto strano, ma non era stato quello a sconvolgerla.

Il serpente aveva soffiato. Aveva parlato.

E lei lo aveva capito.

Aveva detto qualcosa tipo “beh? Che c’è da guardare?”. Ovviamente non proprio in questi termini, ma il senso era quello.

No, non sapeva parlare il Serpentese. Ci aveva provato quel giorno, aveva provato sul serio. Ma nulla. Era tanto sconvolta dall’accaduto che era scappata via.

A mente lucida, molto tempo dopo, aveva compreso che la sua esperienza con il Basilisco le aveva lasciato qualcosa. Poteva comprendere a grandi linee il linguaggio serpentino, anche se non era in grado di riprodurlo. Quella notte, a seguito di queste riflessioni, si era sognata mentre liberava il letale serpente. Non era stata una bella notte.

- Ginny? Ehi, ci sei? –

Ginny trasalì, quando il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da quel richiamo.

Alzò la testa dalle carte che era rimasta per secoli a fissare con sguardo vuoto, mentre la sua mente vagava per altre direzioni.

La testa color rosa shocking di una strega dallo sguardo stupito faceva capolino da dietro la porta del suo cubicolo.

Ginny sorrise.

- ciao, Tonks. Scusa, non ti ho sentita – le disse, facendole cenno di entrare.

La strega accolse il suo invito sorridendole.

- non ti preoccupare. Sai, mi sono un attimo spaventata a dire il vero! Eri lì che fissavi la tua scrivania con uno sguardo tanto vuoto da far venire i brividi… - commentò – ti senti bene? Non è che per colpa di quel… - cominciò, preoccupata, ma Ginny la interruppe con un cenno sbrigativo della mano.

- niente, tranquilla. Mi sono incantata. Stavo pensando ad altro – disse genericamente.

Tonks non sembrò voler indagare, per fortuna. Non aveva di certo voglia di mettersi a discutere riguardo a ciò di cui stava pensando!

La nuova venuta si lasciò cadere sulla sedia davanti alla scrivania della rossa.

- mi avevano detto che oggi saresti passata da me, di cosa devi parlarmi? – chiese Ginny curiosa.

- con calma! Abbiamo tutto il tempo. Piuttosto, sembra che ti sei data alla totale razzia degli archivi – disse Tonks, indicando divertita le pile di fogli incolonnate disordinatamente sulla scrivania della giovane. Ginny rise.

- io lo chiamo “prendere in prestito”. In ogni caso non puoi neanche immaginarti che cosa ci si perde di questi tempi a stare lontani dal proprio lavoro per più di un mese! Figurati che avevo quasi paura di non ritrovare più il mio adorato cubicolo! – esclamò allargando le braccia per indicare il suo ufficio.

- Ginny, Ginny, ma cosa dici? Cubicolo?! – esclamò Tonks con una finta voce scandalizzata – come fai a chiamare in tal modo un così moderno… -

- …sgabuzzino? Si può fare, fidati di me – concluse per lei Ginny, scatenando una crisi di risatine nella compagna.

- in ogni caso volevo aggiornarmi su gli ultimi avvenimenti – spiegò la giovane quando Tonks si calmò – a casa non arrivano molte notizie. La mamma non vuole che parliamo di guerra quando siamo insieme e perciò l’avere la maggiorparte dei conoscenti e parenti fra gli auror mi è stato di ben poca utilità -.

Tonks annuì.

- sì, lo immaginavo. Ho sperimentato il divieto di Molly quando siamo stati suoi ospiti, io e Remus. Ma sai, lo trovo giusto. Perché angustiarsi con tali pensieri quando si può rilassarsi? – disse sorridendo leggermente.

Ginny annuì e rimasero per qualche istante in silenzio. Dopodiché la curiosità della rossa ebbe il sopravvento:

- dunque, Tonks? Perché mi volevi parlare? -.

Tonks la osservò divertita.

- la curiosità è sempre stato un tuo difetto, Ginny – commentò ridacchiando – ma in questo caso non ho nulla da dire per ritardare la consegna della mia notizia. E soprattutto non ne ho motivo – aggiunse poi, facendosi seria.

L’attenzione di Ginny era assorbita del tutto dall’altra.

- è di una missione che volevo parlarti, Ginny. A dire il vero avrebbe dovuto parlartene Remus, ma ho preferito convincerlo a lasciare a me il compito di farlo e, soprattutto, di sincerarmi che tu sia nelle condizioni giuste per poterla affrontare al meglio – cominciò.

Ginny fece per parlare, ma l’altra la fermò con un gesto della mano, dicendole:

- no Ginny, aspetta. Fammi parlare e tutto ti sarà chiaro -.

Ginny annuì, leggermente contrariata. Lei era nelle condizioni giuste!

- ricordi quel giorno, a Diagon Alley? Quando vedesti quei due Mangiamorte portare via due auror? – chiese seria Tonks.

La rossa si irrigidii impercettibilmente. Ooh, eccome se lo ricordava. Annuì.

- ebbene, sappiamo dove li tengono. Abbiamo intenzione di andare a liberarli ed a questo servirà una squadra di auror che sono già stati scelti. Ma non saranno loro a portarli in salvo: è per questo che abbiamo bisogno di un auror esperto e, soprattutto, esile e silenzioso. Ci saremmo rivolti ad Harry e agli altri se non fossero stati già impegnati. Ma lo sono e l’unica persona qualificata per questo compito sei tu, Ginny – affermò Tonks.

Ginny sembrò riflettere per qualche momento.

- la squadra fa da diversivo e io mi occupo dei prigionieri? – chiese, anche se non serviva.

- esatto -.

Non era riuscita una volta a salvarli. Quindi era compito suo, ora, tentare di farlo nuovamente.

- accetto. Ma devi promettermi di non farne parola con nessuno. Soprattutto a mia madre. Lei non approverebbe, ne sono certa. E per prepararmi ho bisogno di tranquillità, non di ripetuti tentativi di convincermi a rinunciare alla missione – disse amaramente, fissando Tonks con un’espressione seria. Questa annuì, anche se non del tutto convinta.

- ne sei certa? Lo so che Molly non ne sarebbe contenta, ma fare le cose di nascosto… - mormorò incerta.

Ginny si alzò dalla sua sedia girevole, appoggiandosi al muro dietro di lei con un sospiro.

- lo so, ok? Lo so. Ma io non ce la faccio se comincia a… a tirare in ballo la storia di Harry e del… e di tutto il resto. Non ce la faccio! – sbottò esasperata.

Tonks annuì, osservando interdetta la giovane Weasley. C’erano così tante ombre nel suo passato…

- allora d’accordo, tu non preoccuparti. E farò promettere anche a Remus di stare zitto – disse con un sorriso, alzandosi.

Ginny le sorrise stancamente, grata.

- grazie. Allora fammi avere notizie sulla missione, ok? – disse decisa.

- certo. Ciao Ginny – disse, uscendo.

- ciao – rispose la rossa, agitando lievemente la mano.

Crollò nuovamente sulla sedia.

Beh, si ricomincia, vecchia mia… si disse, tirando fuori dalla tasca la bacchetta.

- augurami buona fortuna. Ne avrò bisogno – disse ad alta voce, depositando un bacio sul legno levigato. Per qualche motivo, era inquieta.

Bel modo di ricominciare! Pensò sarcastica.

Ma non era l’unica in quel momento a provare amarezza.

- Bel modo di ricominciare! – sbottò Ron, tirando un calcio ad una pietra sul sentiero.

- calmati, Ron! – gli intimò Hermione – non è la prima volta che otteniamo informazioni errate circa la posizione di un Horcrux -.

I due cominciarono a battibeccare come al solito ed Harry, che stava camminando dietro di loro, ne fu infastidito. Già era nervoso di suo a causa dei nuovi incarichi che era stato costretto a fare per conto del Quartier Generale contro il Principe Oscuro, tutti falliti miseramente. Poi ora anche delle informazioni false. Non avrebbe potuto sopportare a lungo il litigio di Ron ed Hermione.

- la volete finire? – ringhiò.

I due si bloccarono e si voltarono verso il compagno. I tre si guardarono torvi per qualche attimo, prima che Hermione, con un sospiro, non dicesse:

- è inutile stare qui a litigare tra noi. Non è nostra la colpa di quello che è successo, di nessuno dei tre -.

Gli altri due annuirono.

- d’accordo, mi spiace, ok? È solo che in questo periodo ho i nervi a fior di pelle – borbottò Harry.

- tutti noi abbiamo i nervi a fior di pelle – disse Ron, annuendo in accordo con l’amico.

Ripresero a camminare, questa volta in un silenzio pacifico.

Mancavano loro solo tre Horcrux. Secondo quello che aveva rivelato Silente ad Harry, anni prima, uno doveva essere nel corpo di Voldemort e un altro in quello di Nagini. Quindi ne rimaneva solo uno, sconosciuto, uno soltanto. E non avevano la più pallida idea di cosa fosse, ne di dove si trovasse.

- maledizione – sibilò il moro, frustrato, scompigliandosi ulteriormente i capelli ribelli.

Hermione guardò preoccupata i due amici. Harry era pallido e tirato e Ron di certo non in condizioni migliori. La frustrazione e la rabbia repressa per l’ulteriore fallimento non faceva altro che peggiorare la situazione. Mancava loro solo un Horcrux al di fuori del controllo di Voldemort.

Solo uno.

E si erano già esposti abbastanza, chiedendo informazioni in giro. Certo, non erano stati così sciocchi da dare nome all’oggetto che cercavano, ma non si poteva mai sapere, di quei tempi, le vere intenzioni delle persone con cui parlavano.

- forse dovremmo prenderci una pausa – azzardò lei, non osando guardarli.

Ron si limitò a sbuffare, mentre Harry si girò verso di lei e con voce tirata disse:

- forse dovremmo. Ma tu sai che non possiamo. Solo uno Hermione. Uno, te ne rendi conto? Io non posso ucciderlo se prima non faccio fuori tutte e sei le parti della sua schifosissima anima che sono state nascoste -.

- lo so, Harry, lo so! – sbottò lei, nervosa – ma non credo che ora siamo più vicini a trovare quell’Horcrux di quando abbiamo cominciato la ricerca -.

- Hermione, ascolta, noi… - cominciò Harry, ma non poté andare avanti.

Nella tasca nella quale stava la sua bacchetta il distintivo da auror cominciò a bruciare.

Lo stesso accadde per gli altri due.

- rimandiamo a dopo questa discussione, ok? – si affrettò a dire Harry, anche se sul suo volto era chiaro che non ne poteva più.

Hermione annuì, preparandosi a smaterializzarsi. Ron, dal canto suo non poté che borbottare:

- mi chiedo come possiamo rilassarci anche solo un secondo, con le battaglie che ci chiamano -.

I tre si smaterializzarono.

Non era più tempo di parlare o lamentarsi.

Era tempo di combattere.

Era tempo di sopravvivere.

Era tempo di battaglia.

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Capitolo 7
*** Prede e cacciatori ***


NdA: Ciauz a tutti!

Innanzitutto mi scuso per avervi fatto attendere così tanto.

Purtroppo sono stata parecchio impegnata tra una roba e l’altra in questi ultimi giorni, ma sto cercando di continuare comunque a scrivere nei ritagli di tempo.

Questo vale sia per questa fic che per l’altra originale. Approposito, approfitto per dare un veloce avviso per coloro che stanno leggendo “Between light & darkness”: non mi sono dimenticata di voi e naturalmente neanche della mia storia. Sto facendo il possibile per ricominciare presto ad aggiungere i capitoli. E ce la farò, non disperate!

Ma ora parliamo di questo capitolo. Mi sono divertita a scriverlo, soprattutto l’inizio. Mi è venuto spontaneo far succedere ciò che succede e non me ne vogliate a male se ne rimanete delusi! Eheh. Anche questo parte da Ginny per poi andare… lo scoprirete, inutile che ve lo annuncio ora, no? (me perfida)

 

Ringraziamenti

 

Sweet nettle: ti ringrazio molto per i complimenti. Scusa davvero per il ritardo, cercherò di evitarlo in futuro se potrò. Fammi sapere per questo capitolo. Un bacione.

 

Ringrazio tutti voi che leggete la mia storia. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate del capitolo, quindi recensite, no? ^.^

Alla prossima.

Un bacione dalla vostra ‘myu!

 

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

7. Prede e Cacciatori

 

 

Attendeva, nel suo nascondiglio.

Aspettava, e non osava esalare un respiro per paura di essere scoperta.

Così tanto dipendeva da lei, la liberazione di così tante persone.

Silenziosa scivolò fuori dal suo nascondiglio, riparandosi dietro un ulteriore cespuglio.

Poteva sentirlo, poteva sentire che stava passando non lontano da lei, tutto ciò che doveva fare era attendere.

Lo vide guardarsi attorno con circospezione, per poi girarsi nella sua direzione.

Inutilmente tentò di placare i battiti frenetici del suo cuore, che le rimbombavano nella orecchie.

Non un rumore. Non un respiro.

Lui si girò dall’altra parte. Non aveva visto nulla.

Bene.

Quando cominciò ad allontanarsi nel lato opposto, lei sgusciò fuori dal suo nascondiglio, verso il luogo in cui sapeva essere tenuti i suoi compagni.

Ecco, li vide.

Uno di loro la vide in quel momento e le fece un cenno impercettibile.

Bene, il nemico era lontano.

Corse silenziosamente dietro un albero nelle loro vicinanze.

Il suo obbiettivo.

Il nemico l’aveva vista mentre correva.

Cominciò a correrle dietro, come lei si aspettava che facesse.

Lei raggiunse l’albero al centro della radura e si voltò a fronteggiarlo.

Egli era a pochi passi.

Non aveva paura, ormai aveva vinto.

- mi spiace, Ronnie! Tana libera tutti! – gridò Ginny tirando una sonora pacca sull’albero.

- oh no, ancora?! – bofonchiò Ron, con un’espressione omicida, avvicinandosi alla toppa con il fiatone – vorresti dirmi che sono riuscito a prenderli tutti per niente? -.

Hermione si alzò dal luogo in cui stava aspettando che Ron trovasse l’ultima rimasta in gioco e gli si avvicinò dopo essersi pulita i pantaloni con un veloce incantesimo.

- eh già Ron, mi spiace ma il gioco funziona così! – rise, abbracciando il fidanzato che fece un’espressione offesa.

- eh già, fratellone. Ehi Harry, come hai detto che si chiama questo gioco? È divertente! – disse Ginny, ridendo.

- si chiama nascostrino sorellina ignorante! – fece George, alzandosi dal punto in cui era seduto.

- macché, guarda che si chiama nastrondino – lo corresse Fred, ridendo.

- a dire il vero – li interruppe Harry – il nome sarebbe nascondino. E Ginny è di sicuro la più brava a nascondersi! -.

- e Ron il peggiore a cercare! È stata pura fortuna che mi abbia preso. E solo perché sono inciampato mentre correvo – disse Charlie, attirando su di se una serie di “seee, come no” dagli altri.

- non è vero. Sia ora che la prima volta ho trovato praticamente tutti. Non fosse stato per Ginny che vi ha liberato alla fine…! – disse Ron – Ginny, non è che potresti venir fuori a fare troppa un po’ prima? – chiese poi speranzoso.

- è toppa, Ronald. E no, non è divertente altrimenti – disse la giovane Weasley con tono di superiorità.

Tutti risero al grugnito emesso dal più giovane dei ragazzi Weasley e Ginny, con un tono di voce sempre altero e superiore, gli concesse:

- e va bene Ronald, per questa volta prenderò io il tuo posto alla toppa, anche se non te lo meriteresti -.

- snort – grugnì Ron, ma si lasciò trascinare via dalla fidanzata che non riusciva a smettere di ridere.

- sicura, Gin? – le chiese Charlie – sarà dura trovarci e non credere che ti faciliteremo perché sei la più piccola! -.

Ginny lo spinse via dalla toppa con un sorriso.

- ora sì che sono preoccupata, Charlie! -.

La ragazza si diresse verso l’albero.

- io comincio, ok? Bene chi c’è c’è, chi non c’è s’arrangi! Uno… due… tre… quattro… - .

ben presto il suono delle risate dei partecipanti scomparve per lasciare il posto al silenzio naturale del bosco spoglio.

Era una domenica invernale come tante altre, ma c’era un sole strepitoso. Non erano riusciti a stare lontani troppo a lungo dall’esterno. Dopo pranzo avevano deciso di fare una passeggiata tutti insieme nei boschi vicini alla Tana, ma erano finiti a parlare di questo “nascondino” con Harry e, visto che era sembrato un gioco divertente da fare (anche se la più piccola tra loro, cioè lei, aveva 20 anni) avevano deciso di provarlo. Non poté far altro che ridere a quel pensiero, interrompendosi per un istante tra il diciannove ed il venti.

I suoi genitori non si erano lasciati convincere a giocare e Fleur non era nelle condizioni adatte. Bill aveva preferito rimanere con lei ed Ashley anche, visto che aveva un principio di raffreddore.

Percy al solo pensiero aveva storto il naso e Penelope, molto più cortesemente, aveva rifiutato dicendo che faceva davvero troppo freddo per lei.

Alla fine erano rimasti lei, Hermione, Harry, Ron, Charlie ed i gemelli.

La cosa di questo gioco che l’aveva da subito impressionata era che rispecchiava quella che sarebbe dovuta essere la sua prossima missione. Non era certo per cattiveria che faceva toppa sempre per ultima, ma per vedere se era pronta all’incarico.

Aveva passato l’ultima settimana ad allenarsi con Tonks ad evitare ogni minimo rumore nei suoi spostamenti, a diventare tutt’uno con l’ambiente che la circondava.

Ed era dannatamente brava, pensò con un sorriso mentre arrivava a cinquanta.

Nessuno riusciva a vederla, se non era lei a voler essere vista. Poco prima, mentre toccava a Ron contare, era capitata praticamente a fianco di Charlie e lui non aveva notato nulla.

Evidentemente era pronta.

Era una bella notizia, considerando che sarebbe partita a giorni con la squadra per la missione.

Al pensiero il suo stomaco si strinse dolorosamente. E se ricordavano? E se la riconoscevano?

No Ginny impossibile, non ricordi? Lui cancellò la loro memoria. Sentisti tu stessa la formula dell’incantesimo! Pensò mentre arrivava a settanta.

Il fatto che quel Mangiamorte avesse compiuto un’altra azione che era finita a suo favore la innervosiva. Non riusciva a toglierselo dalla testa. Ma soprattutto non riusciva a spiegarsi il suo comportamento.

- novantotto… novantanove e… cento! Arrivo! – gridò con forza.

Bene, pensò con un sorriso, andiamo a caccia!

La caccia non era poi tanto diversa dal nascondersi. La differenza era che chi cacciava non doveva scappare, ma attaccare.

Ricordava le parole di Tonks come fossero state stampate nella sua memoria:

prima di tutto, Ginny, ci vuole concentrazione. Devi sentirti unita alla natura. Solo in quel momento lei ti aiuterà a sua volta”.

Unita alla natura, pensò la ragazza.

Chiuse per un attimo gli occhi, prendendo nota di ogni fruscìo, di ogni schricchiolìo dell’ambiente che la circondava.

poi, quando ti senti sicura di essere la ‘padrona’ del mondo che ti circonda, allora devi muoverti di conseguenza. Se sei in un bosco, ad esempio, è stupido stare eretta, dritta in piedi. Perché i tuoi nemici possono vederti, che siano loro i cacciatori o tu stessa. Devi trovare il modo di muoverti adatto ad ogni ambiente, e deve essere variabile”.

Ginny si piegò ed entrò dentro i cespugli.

dicono che talvolta la migliore arma d’attacco sia la difesa. Non potrei essere più d’accordo. Ma non c’è difesa nello stare nascosti, Ginny. Tu devi essere paziente. In questi casi la migliore arma d’attacco è l’attesa

dopo pochissimo tempo vide Charlie uscire allo scoperto per osservare la radura vuota. Ginny ghignò, saltando fuori all’improvviso e correndo verso la toppa.

- toppa per Charlie! – gridò ridendo all’espressione sconvolta del fratello che era rimasto bloccato come una statua nel tentativo di uscire dal suo nascondiglio.

Fuori uno. Troppo facile fino ad ora! Pensò tornando ad esplorare i dintorni.

ricorda, la tua strategia deve essere variabile. È un errore ripetere due volte lo stesso trucco, perché risulteresti  prevedibile. Sii creativa Ginny. Ad esempio, perché non andarli a cercare i tuoi nemici? Ma devi stare attenta se fai questo. Ogni minimo errore potrebbe esserti fatale!”.

Ginny entrò nella boscaglia, muovendosi sul letto di foglie secche tentando di fare il minimo rumore. Non poteva evitare che scricchiolassero al suo passaggio, ma poteva cercare di fare in modo che il rumore non fosse tanto chiaro.

Si mosse velocemente, tenendo sempre un occhio puntato alla radura ed a Charlie, per intercettare eventuali segnali ad altri. Ma Charlie stava tentando disperatamente di individuare la sua posizione nella boscaglia. Ginny rise piano, soddisfatta dei propri progressi. Ma tornò a concentrarsi.

Poco dopo davanti ai suoi occhi si aprì un’altra radura. Scorse la schiena di suo fratello Ron che si nascondeva poco più avanti di dove si trovava e, poco lontano, George nascosto dietro un masso.

Velocemente fece il percorso al contrario e, correndo fuori da un cespuglio seguita dallo sguardo incredulo di Charlie, batté sull’albero gridando:

- toppa per Ron e George! Dietro un cespuglio e un masso! -.

Da quel punto le giunse un mugolio felice:

- io non sono George! –

- bene – fece lei tranquilla – allora toppa per Fred! -.

Fu allora che Ginny vide un flash di rosso da alcuni cespugli alla sua sinistra.

- e toppa per George! O Fred! là nei cespugli alla mia sinistra.

Fred, il vero Fred, uscì proprio da quel posto, ululando contro il gemello:

- tutta colpa tua se mi ha visto! -.

Ginny ridacchiò. Sapeva come raggirare i tranelli dei gemelli dopo 20 anni passati a studiarli attentamente.

- su, su fate i bravi che mi mancano Hermione ed Harry – disse rientrando nella boscaglia.

se segui queste semplici indicazioni non sarà difficile imparare a non farti notare. Ma stai attenta, perché può capitare che sia tu quella studiata ed osservata”.

Mentre Ginny stava per avanzare, con un movimento repentino un cespuglio spoglio nelle sue vicinanze si aprì e ne uscì correndo un’Hermione tutta trafelata.

se ciò accade e se la situazione gira a tuo svantaggio c’è una sola cosa che puoi fare. Essere più veloce del tuo avversario!”.

Ginny cominciò a correrle dietro, puntando verso la toppa. I suoi fratelli traditori facevano tutti il tifo per Hermione. Ma fortunatamente la rossa fu più veloce.

Alla fine, si era allenata per questo!

- toppa per Hermione – gridò ansimante, toccando l’albero un secondo prima della moretta.

- no! Accidenti – si lamentò Hermione insieme agli altri.

- mi spiace – rise Ginny.

- non essere tanto sicura della tua vittoria, Ginny! Ricorda che c’è ancora Harry qua nascosto da qualche parte! – disse Hermione con un sorriso speranzoso.

- beh non ti preoccupare. Non sei tu che devi contare se trovo Harry. È Charlie! – annunciò Ginny, allontanandosi nuovamente dalla toppa con dietro il fratello maggiore che le fece un gesto non proprio fine. Sentì dietro di sé gli altri ridere.

Bene, Potter, pensò sorridendo, a noi due.

Si diresse da tutta un’altra parte rispetto a prima.

dopo quello che ti ho detto non dovresti avere più davvero problemi in fatto teorico. Ma devi fare pratica perché tutto questo altrimenti non ti servirà a niente! Può sempre capitare che ti trovi davanti qualcuno di più veloce o intelligente di te. E sta a te trovare il modo di uscirne senza essere sconfitta, o peggio”.

Le parole di Tonks si stavano rivelando davvero utili. Si vedeva che lei era un auror preparato.

in ogni caso, Gin, non peccare mai di orgoglio. Non farlo, non credere di essere la migliore perché questo ti mette automaticamente in svantaggio”.

Tonks aveva detto queste parole tentando di avvertirla, ma in quel momento, durante quel gioco, Ginny pensò davvero di essere la migliore. E quel pensiero le fece abbassare la guardia.

ripeto: non si sa mai se il tuo nemico sia o no più abile di te. Ma se ti sopravvaluterai e fallirai… beh, se rimarrai viva ricordati di stare più attenta la prossima volta e di continuare a lavorare duramente per migliorarti!”.

Ginny ripensò con un sorriso tranquillo a quelle ultime parole. Non ne aveva bisogno, ora.

O almeno credeva.

- ehi, Gin! – si sentì chiamare.

Sgranò gli occhi, alzandosi di colpo in posizione eretta e guardando verso la toppa.

No! Si gridò aprendo e chiudendo la bocca come un pesce.

Là, appoggiato all’albero in modo casuale, attorniato dai compagni che ridevano guardando l’espressione scandalizzata di lei, c’era Harry Potter.

Con un sorriso furbo tirò una pacca all’albero e, non smettendo per un istante di fissarla negli occhi con giocosa aria di superiorità, urlò:

- tana libera tutti! -.

Oh beh, c’erano pochi dubbi. Ginny Weasley aveva ancora bisogno di tanto, tantissimo allenamento.

Corse con una finta aria omicida verso il ragazzo che stava ridendo con gli altri e gli tempestò il petto di pugni, gridandogli contro tutto il suo fastidio per il fatto di dover contare di nuovo.

Dopo qualche battuta di Ron e dei gemelli riguardo al fatto che ne aveva di strada da fare per eguagliare Harry a nascondino, tutte ribattute indietro, si riappese all’albero, ricominciando a contare divertita.

Lui divertito non era affatto.

Come si può cadere così in basso? Pensò gelido, osservando la rossa ricominciare a contare.

Certo, il piccolo spettacolo che gli aveva offerto prima era stato istruttivo.

La piccola non era affatto un auror impreparato, anzi. Ma questo in fondo lo sapeva.

Non fa altro che rendere le cose più divertenti… pensò, con le labbra piegate in un ghigno sinistro.

Avrebbe voluto occuparsi di lei proprio in quel momento. Mentre i suoi stupidi accompagnatori cercavano un buon nascondiglio.

Prima, quando si era avventata giocosamente su quel moro, si era sentito il sangue gelare nelle vene.

E solo con una persona il suo sangue, lo stesso del padre suo Signore, reagiva in tal modo.

Harry Potter. Il mio adorato fratellino di sangue ed essenza.

Lei non doveva stare accanto a Potter.

In quel momento un fugace pensiero gli attraversò la mente.

Perché non fare ciò che la sua mente gli suggeriva?

Si sarebbe unito al loro gioco. Solo che sarebbe stato lui a cacciare lei e non viceversa. E proprio sotto il naso dei suoi parenti.

Perché attendere se poteva prenderla ora?

Con un ghigno mellifluo si preparò a mettere in atto il suo piano.

Ma, proprio quando stava per muovere i primi passi, il suo braccio sinistro cominciò a bruciargli. Un bruciore che avrebbe fatto del male a chiunque, ma non a lui. Perché lui aveva sopportato più  di un semplice bruciore per compiacere suo padre. Molto di più.

Imprecando tra sé e sé lanciò un’ultima occhiata alla sua preda.

Presto, molto presto, tutto si sarebbe compiuto. E forse sarebbe anche tutto finito.

Si preparò a smaterializzarsi.

E proprio in quel momento la giovane smise di contare. Tutto fu molto lento agli occhi di entrambi, anche se durò meno di un secondo. Lei si girò per caso nella sua direzione e, in mezzo alla boscaglia, incontro i suoi occhi.

Egli alzò la bacchetta.

Un secondo prima era in un bosco, spoglio a causa dell’inverno, nascosto poco lontano da lei, che aveva sgranato gli occhi nel vederlo, mentre un secondo dopo si trovava in una sala buia e vuota, ad eccezione del suo unico occupante, che lo stava guardando con malcelato orgoglio negli occhi rosso sangue incastonati nel viso serpentino.

Subito si inchinò.

- padre – disse nella loro lingua in tono sommesso.

- alzati, Evil – rispose nella stessa lingua Lord Voldemort in tono strascicato.

Evil stava eseguendo il suo ordine quando Nagini spuntò da dietro il trono dell’Oscuro Signore, diretta verso di lui.

Come ormai era solito fare più per abitudine che per affetto, che al serpente veniva già donato da suo padre, il Principe Oscuro tese un braccio verso di esso, che cominciò a risalirlo, appoggiandosi alle sue spalle e sussurrandogli dolci parole di benvenuto all’orecchio.

Il serpente favorito di suo padre, colei che lo aveva aiutato a sopravvivere quando era più debole di un neonato. Evil non smetteva mai di sorprendersi sul fatto di quanto umana fosse quella creatura. Troppo umana per essere reale. Eppure esisteva, era lì sulla sua spalla.

E, soprattutto, lo adorava. Proprio come adorava suo padre, con la stessa cieca fiducia.

- Nagini – la salutò, carezzandole la testa serpentina.

Voldemort li osservò per qualche istante, lasciando che Nagini si beasse della visita di suo figlio. Quel serpente aveva una protezione quasi materna per Evil. Il Signore Oscuro sorrise in modo sinistro, perdendosi con la mente in arcani segreti di cui solo lui era a conoscenza.

- siedi, ora. Abbiamo bisogno di parlare – ordinò con voce strascicata.

Sbrigativamente Evil trasfigurò la prima cosa che trovò a tiro in una sedia e si sedette di fronte al suo Signore, in posizione leggermente più bassa rispetto a dove egli si trovava, come al solito.

- cosa desiderate comunicarmi, padre? – chiese tranquillamente.

Il Signore Oscuro lo guardò dritto negli occhi ed Evil abbassò automaticamente tutte le sue barriere mentali. Dopo poco, l’invasione, che non era stata neanche dolorosa come al solito, cessò ed Evil sentì suo padre ridere con quella sua risata inumana.

- vedo che sei andato di nuovo a spiare la piccola Ginevra – constatò con un’espressione diabolica sul volto serpentino.

- ve l’avevo detto, mio Signore disse in quel momento Nagini senza alcuna nota di ostilità nel sibilo prodotto.

- non credevo di farvi un torto, mio Signore. Se ciò è avvenuto vi prego di considerare già finite le mie visite – disse tranquillo Evil.

Voldemort scosse la testa, con un ghigno soddisfatto.

- non ho alcun motivo per impedirti di tenerla d’occhio. In fondo ti ho ordinato io stesso di provvedere alla sua incolumità. Che già due volte è stata rischiata – disse, l’ultima parte con un tono più duro.

Evil rimase in silenzio, ma fu Nagini a difenderlo.

- non per colpa del Principe, mio Signore. Lo sapete bene. Ma l’importante è che la giovane donna sia salva -.

Voldemort guardò il serpente con affetto.

- hai ragione, mia cara Nagini. E deve rimanere tale – decretò il Signore Oscuro fissando i suoi occhi sanguigni in quelli glaciali del figlio.

Evil annuì, senza fare una piega. L’importante in quel momento era che non gli era stato proibito di vederla. Perché sarebbe impazzito probabilmente nel pensarla vicina a quelle persone e non a lui.

- padre – cominciò in tono deciso – quando potrò agire? -.

Voldemort notò soddisfatto che l’ossessione del figlio per quella ragazza era proprio quella che la missione necessitava.

- placa la tua sete, figlio. Presto potrai avere ciò che ti ho promesso, e anche io potrò. Ma non è ancora tempo – gli ordinò.

Evil annuì, anche se insoddisfatto.

- piuttosto – cominciò subito il Signore Oscuro – come procedono gli attacchi? -.

A questa domanda la bocca di Evil, sotto la maschera, si piegò in un sorriso compiaciuto, che il Signore Oscuro percepì chiaramente.

- tutto perfetto, come avevate ordinato. Perdite accettabili per missioni impeccabilmente portate a termine con successo – disse con orgoglio malcelato.

Voldemort annuì, ma non si trattenne dal sibilargli:

- vedi di non sopravvalutarti subito, figlio. Ciò potrebbe diventare la tua debolezza -.

- io non mi sopravvaluto, padre – disse Evil con un tono sottomesso ma divertito – sono i nostri nemici che lo fanno. Essi stanno cominciando a vedermi come uno stratega invincibile e sarà questo a portarli alla loro fine – concluse.

Il Signore Oscuro rise crudelmente all’affermazione di suo figlio, seguito da una sibilante risata di Nagini che strusciò la testa serpentina contro il marchio sulla guancia della maschera di Evil.

- si spera che ciò avvenga – disse Voldemort guardando intensamente il figlio.

In quel momento dalle porta chiuse dietro di loro provenne un bussare deciso ma timoroso allo stesso tempo.

- avanti! – ordinò il Signore Oscuro.

I membri della cerchia interna dei Mangiamorte entrarono nella sala e si bloccarono quando videro con chi il loro Signore stava parlando.

- prego, miei fedeli. Vi stavo attendendo – disse parlando normalmente.

Mentre essi sfilavano silenziosamente davanti al loro Signore e si disponevano in cerchio, Nagini approfittò per scambiare due parole con il suo Principe.

- la vostra ossessione per lei è tale? – disse dolcemente, ritornando al discorso precedente.

Evil annuì. Poi aggiunse:

- prima il tutto è compiuto, meglio sarà -.

Il Signore Oscuro, che aveva ascoltato ogni sibilo della loro breve discussione, fece un cenno a Nagini ed ella, obbediente, si strusciò un’ultima volta sul Principe per poi dirigersi elegantemente sulle spalle del Signore Oscuro.

- ora va, Evil. Organizza il prossimo attacco e sii pronto al mio ordine – disse Voldemort, chiudendo il loro incontro.

- come ordinate, padre – rispose, alzandosi e chinandosi.

Dopodiché si voltò, il mantello frusciante alle sue spalle, e si diresse verso le porte della stanza.

Non degnò di uno sguardo i Mangiamorte presenti, che furono costretti a chinarsi al suo passaggio, ma poté distintamente percepire sguardi di invidia, odio e rimprovero.

Poco male.

Loro per lui non erano niente.

Si chiuse le porte alle spalle, dirigendosi a passo deciso verso le sue stanze.

Dalla sua mente l’immagine di colei che era diventata la sua ossessione non voleva saperne di scomparire. Presto, proprio come aveva detto suo padre, la sua sete sarebbe stata alleviata.

L’oggetto dei suoi pensieri in quel momento stava tornando indietro con i fratelli e gli amici, verso la Tana. Dopo quella visione non era più riuscita a concentrarsi e perciò si era fatta fregare più volte dagli altri partecipanti.

Era sconvolta.

No, non era stata una mera visione, ma pura realtà.

Lui era lì, nello stesso bosco dove lei stava giocando.

Da quanto tempo? Era lì per lei? Come sapeva dove si trovasse?

Si sentiva spaventata, osservata da ogni angolo. Ma perché? Perché?

- ehi, Ginny, tutto bene? – le chiese Charlie, vedendola un po’ giù – guarda che prima o poi riuscirai a batterci, non temere! – continuò per consolarla.

Ginny gli sorrise, ma dentro di lei aveva voglia di urlare.

Credono davvero che sia in questo stato a causa di quello stupido gioco? Sono più ciechi di quanto pensavo io stessa, pensò con una nota di colpevolezza.

- lo so Charlie. Sono solo annoiata dal fatto di aver dovuto contare per cinque turni senza più prendere neanche uno di voi! – disse.

Charlie la strinse e le disse qualcosa che lei non comprese.

Tutto ciò a cui stava pensando era che stava mentendo di nuovo.

Si odiava per questo, oh se si odiava.

Le sembrava quasi di tornare ai tempi del diario. Anche li aveva mentito in quel modo. Sperava solo che le cose non peggiorassero fino a quel punto.

Comunque, dal momento in cui l’aveva rivisto un’altra volta, qualcosa in lei era cambiato.

C’era una sorta di gelo che la circondava, che la pervadeva.

E non lo aveva mai sentito, neanche ai tempi del diario.

Un freddo che la incolpava, che non faceva altro che farla sentire come una traditrice e che rideva sguaiatamente ai suoi deboli tentativi di cercare una risposta al groviglio di domande che le affollavano la mente e l’anima.

Un gelo che assumeva nella sua mente la forma e la sembianza di due occhi di nube in un cielo tempestoso che, silenziosamente, la muovevano come un abile burattinaio con i fili della sua bambola.

Circondata dalle sue stesse bugie, chiusa nel suo guscio. Una bambola fredda che aspetta solo che i fili vengano recisi per essere liberata, o per essere distrutta.

Ora era chiaro nella sua mente che lui la seguiva, che lui la osservava, che lui la voleva.

Perché?

Per arrivare ad Harry?

Per punire la sua famiglia?

Per dare un esempio a tutto il mondo magico?

Ma perché proprio lei?

Si lasciò condurre in casa da suo fratello. Stava ridendo alle loro battute senza sentirle, stava rispondendo alle loro domande senza capirle.

Come poteva capire le loro domande, in fondo, se non riusciva neanche a rispondere alle proprie?

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Capitolo 8
*** Inversione di ruoli ***


NdA: Ciauz!

Eccomi qua con l’ottavo capitolo. La tanto attesa missione finalmente è arrivata… cosa succederà? Ce la farà la nostra Ginny? O no?

È stato un po’ complicato scrivere questo capitolo perché me lo sono trascinato dietro per più giorni e non sempre tra i pezzi scritti dopo e quelli scritti prima c’era armonia. Spero di essere riuscita a combinare tutto per bene!

Notiziona veloce: ho cambiato indirizzo al mio blog ed ora finalmente riesco ad aggiornarlo giornalmente. Se volete farci un salto per strigliarmi se non aggiorno e sapere che fine ho fatto ciccate sul link nella mia pagina autore (perché ora non ho voglia di scriverlo ;P me pigra).

 

Ringraziamenti:

 

Sweet nettle: ecco qua il nuovo capitolo. Spero sia all’altezza dei precedenti e ti piaccia! Aspetto il tuo parere… e grazie per i complimenti^^!! Un bacione.

 

Abigale: uhm, dunque sono riuscita a far vacillare le tue convinzioni? Beh sono proprio curiosa di vedere cosa avrai da dire dopo aver letto questo capitolo… eheh… non ti preoccupare per il ritardo, non c’è problema! Alla prossima, un bacione!

 

Kaho_chan: prodigi? ^///^ ma grazie… sono felicissima che ti piaccia così tanto… comunque hai visto? Ho finalmente aggiornato anche l’altra ^.^! ce l’ho fatta! Eheh.  Fammi sapere come è andato questo capitolo… a me non ha convinto particolarmente… un bacione!

 

Bene bene… anche per questa volta è andata… ringrazio tutti voi che state leggendo la mia fic ed i miei vaneggiamenti… spero che vi piaccia, io ci sto mettendo tutta me stessa!

Fatemi sapere, ok?

Un bacione…

‘myu.

 

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

8. Inversione di Ruoli

 

 

Ginny era nervosa.

Il giorno della tanto attesa missione era finalmente giunto e, anche se fuori era ancora tutto calmo, dentro di lei c’era un vero e proprio campo di battaglia.

Confusa, indecisa, spaventata, arrabbiata… era tutto.

Tutte queste sensazioni erano mischiate in una sottospecie di frullato dal sapore disgustoso.

Si trovava in una stanza circolare nel Quartier Generale. Una stanza in cui non aveva mai messo piede, nonostante gli anni che ormai aveva passato in quel posto.

Nel centro c’era un grande tavolo, anch’esso circolare, con delle sedie. Non aveva pensato neanche per un secondo di sedersi lì. Assolutamente fuori discussione.

Quindi si era comodamente appoggiata sul muro a fianco della porta da cui era entrata.

La porta si apriva dalla parte opposta, quindi se qualcuno fosse entrato lei sarebbe rimasta nascosta dietro la porta aperta. Comodo per tenere d’occhio eventuali infiltrati.

Certo, sapeva che era impossibile che ci fossero infiltrati, ma… in quel periodo vedeva il pericolo dietro ogni angolo, perfino sotto ogni tappeto. E aveva sviluppato una specie di ossessione per le tende tirate, ottimo nascondiglio per chiunque.

Morale: Ginny Weasley si era ufficialmente fottuta il cervello.

Quasi quasi si pentiva di aver accettato la missione.

Non perché fosse codarda, nooo, quello no, ma…

Accidenti. Il rivederlo… il sapere che di lei non si era dimenticato…

Insomma, temeva seriamente che saltasse fuori da qualche angolo (o in quel caso da sotto il tavolo perché la sala era sprovvista di angoli essendo per l’appunto circolare) da un momento all’altro. Negli ultimi giorni aveva perfino tentato in tutti i modi di evitare di passeggiare da sola, ovunque dovesse andare, per paura di incontrarlo.

Sono patetica. Patetica pensò facendo un profondo respiro che, sfortunatamente, risultò tremulo.

In quel momento nella stanza entrarono altre persone. Indossavano tutti l’uniforme, il che la fece sentire molto sciatta poiché lei indossava semplicemente una maglietta e dei jeans.

Vero che erano entrambi incantati per farla mimetizzare con ogni ambiente, però in confronto a loro con le loro uniformi tutte linde sembrava una capitata lì per caso.

Forse fu per quello che non la notarono, pensò leggermente infastidita.

Se. Come no. Tutto merito del tuo completo, certo.

A dire la verità sembravano tutti avere la puzza sotto il naso.

Sorrise leggermente. Come avrebbero reagito quei perfetti prototipi di auror perfettamente addestrati a sapere che avrebbero dovuto eseguire i suoi ordini?

Quando Tonks glielo aveva comunicato all’inizio non era stata troppo convinta.

Ora invece gongolava.

Mai buono avere pregiudizi per dei colleghi… ma è così facile! Pensò ancora, ridacchiando piano.

Li osservò bene, ora che si erano seduti attorno al tavolo. La maggiorparte erano uomini. Le donne erano tre o quattro, non di più.

Però, ragionò, un bel gruppone per soli due auror.

Sgranò per un istante gli occhi, per poi chiuderli a due fessure, la furia che cominciava a farsi strada tra la confusione di sentimenti che provava.

Tonks doveva averle tenuto nascosto qualcosa. Ma che cosa? Insomma, cosa potevano conoscere di tanto importante quei due auror per avere un così grande numero di colleghi per recuperarli?

Fortunatamente non dovette aspettare molto per scoprirlo.

Nella stanza, da una porta opposta dalla quale lei egli altri auror erano entrati, entrarono Shacklebolt, Lupin, Tonks e…

Oh no! No, no, no, no, no, no, no, no!

Bill.

Che, ovviamente, appena la individuò (il che fu abbastanza difficile per colpa del suo completo mimetico) sgranò gli occhi.

Tonks prevenne ogni tipo di reazione da parte sua lanciandogli un’occhiataccia d’avvertimento.

Fortunatamente il fratello sembrò comprendere e non disse nulla. Ma nessuno poté impedirgli di lanciare un’occhiata inceneritrice alla sorella più volte durante l’incontro.

La parola la prese Shacklebolt.

Tutti gli auror presenti, che sembravano davvero non averla notata e quindi non aver notato neanche le occhiatacce di Bill, si affrettarono a scattare in piedi e a fare il saluto degli auror, portandosi la bacchetta in diagonale davanti al petto, con la punta rivolta dalla parte del cuore.

Ginny non fece nulla. Erano secoli che non vedeva un saluto auror reale, lì al Quartier Generale.

Il massimo era un “ehi, capo! Come vanno le ferite?

Chissà allora da dove venivano quelli là, tutti impettiti in posizione quasi che qualcuno gli avesse infilato una scopa nel…

Ginny! Ma che diavolo ti prende? Che sono ‘sti  pensieri?! Pensò, tirandosi mentalmente un calcio.

Evidentemente però non era l’unica che lo pensava, a detta dello sguardo incredulo di Bill e leggermente divertito degli altri tre.

- seduti, seduti, prego – disse Shacklebolt con un sorriso accomodante.

Questi subito si sedettero.

Erano tanto rigidi che Ginny fini per chiedersi se non gli avessero sul serio…?

Eheh. Credo proprio di sì. Pensò con un ghigno.

- dunque, spero che il vostro addestratore vi abbia già comunicato il vostro compito. Si tratterà come ben sapete di un recupero di colleghi che siamo sicuri siano a conoscenza di importanti informazioni sul nemico. Perfino su colui che chiamano Principe Oscuro. Vi è stato già esposto il piano? – chiese l’auror, parlando in modo chiaro e sbrigativo.

Dunque è per le informazioni… ragionò tesa la ragazza. Ma stette in silenzio ad osservare lo svolgersi degli eventi.

Uno degli auror seduti attorno al tavolo si alzò. Quello doveva essere il “capo”, pensò Ginny osservando i suoi modi pomposi mentre rispondeva a Shacklebolt.

Un po’ le ricordava Percy ai tempi delle relazioni sui fondi dei calderoni.

E non era una buona cosa.

Shacklebolt annuì più volte durante la perfetta esposizione del sottoposto che, dopo aver concluso il riepilogo di ciò che erano tenuti a fare, chiese:

- signore, non ci è stato comunicato chi ci guiderà nella missione occupandosi del recupero dei prigionieri dai nemici. Possiamo saperlo ora? -.

Shacklebolt annuì, indicando con la mano il luogo in cui stava Ginny.

Ad un solo tempo tutte le teste dei presenti si voltarono nella medesima direzione.

La giovane poté leggere a chiare lettere sulle loro facce che pensavano che affidare a lei la missione fosse un grande, enorme, strabordante errore.

Beh poveri, capiamoli, pensò lei osservandoli con un’espressione degna del migliore generale, non sanno chi sono. Non hanno mai avuto a che fare con me.

- e la signorina sarebbe… - cominciò il tizio di prima, che già stava sulle balle alla rossa.

Ma fu interrotto da Tonks che, con fare deciso, disse:

- la signorina è il tenente Weasley, Ginevra Weasley, uno degli elementi migliori che possiamo utilizzare in questi casi tanto delicati. Obbedirete ai suoi ordini durante questa missione, vi assicuro che è ben preparata -.

Alla menzione di Weasley le espressioni di scherno e stupore furono rapidamente mutate in meraviglia e sgomento.

Beh, pensò Ginny, avere fratelli famosi, come il migliore amico di Harry Potter, tutto sommato aiuta.

Ovviamente non aveva pensato neanche per un istante che si fossero sorpresi del nome completo.

Insomma, dai, chi è Ginevra Weasley? Io di Weasley conosco solo Ronald, Fred, George, Percival, Charlie, Bill e Arthur! E la donna della famiglia è Molly! Ginevra? Ma chi è? Mai sentita!

Si trattenne a stento, dopo aver formulato tali pensieri, dal ringhiare sommessamente come una belva feroce.

Vennero scambiate alcune informazioni e formalità e Ginny ordinò al gruppo di seguirla.

Prima di uscire però si sentì chiamare.

Si voltò e ricambiò lo sguardo ansioso di Bill con uno determinato.

- stai attenta – le disse solo.

A quella raccomandazione l’espressione di Ginny si mutò in una di supplica.

- non dirlo alla mamma… ti prego non dirlo a nessuno… - mormorò.

Non attese risposta, perché sapeva che un’altra parola di suo fratello l’avrebbe indotta a rinunciare all’istante alla missione. E questo non era da lei.

Gli voltò le spalle, dirigendosi a passo deciso fuori dalla stanza circolare, dove la attendevano i suoi colleghi. Essi la osservarono curiosi, desiderosi di sapere se il loro tenente sarebbe stato all’altezza della missione.

- andiamo – ordinò Ginny, indicando con un cenno un corridoio vicino ed imboccandolo.

Si diressero rapidamente ed in silenzio dietro di lei, diretti alla zona di smaterializzazione.

Subito furono fatti passare dopo veloci controlli ed in pochi minuti giunsero nel luogo prestabilito per la partenza della missione.

- bene – disse allora la giovane rivolta a loro – ci troviamo ad un paio di chilometri di distanza dal luogo in cui si suppone siano tenuti i prigionieri. Da quanto ho capito prima, ascoltandovi, sapete alla perfezione qual è la vostra parte. Non mi sento di aggiungere altro se non – e qui la sua voce si fece molto severa da quasi eguagliare quella della signora Weasley – di non intralciarmi per nessun motivo e soprattutto non disubbidire ai miei ordini prendendo decisioni indipendenti dagli ordini che avete ricevuto. In questa missione non sono contemplati casi di protagonismo o di eroi o eroine. Dobbiamo solo occuparci di salvare due auror. Quindi ora potete andare e… - e qui fissò con cipiglio il tipo che aveva parlato nella sala - …affido in mia assenza la supervisione del gruppo a lei. Non mi deluda -.

L’auror si mise sull’attenti.

- prometto di onorare l’incarico che mi a dato, tenente – disse.

Mio Merlino quanto somiglia a Percy quando fa così! Pensò Ginny, annuendo.

- sono sicura che andrà tutto bene. Ora andate. Buona fortuna -.

- buona fortuna – dissero tutti loro in un coro di voci soffuse e, dopo che ebbero tutti fatto il saluto marziale, il simil-Percy cominciò a dirigere i suoi compagni nella direzione dove dovevano trovarsi i loro obbiettivi.

Ginny li guardò allontanarsi, il suo cuore pesante.

Ora era sola.

Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi, concentrandosi.

Poi entrò nella vegetazione, mimetizzandosi al suo interno, e cominciò ad avanzare.

Poco lontano, un Mangiamorte lasciò disposizioni ai suoi compagni per tenere d’occhio i due prigionieri e si allontanò dalla catapecchia in cui erano tenuti.

Aveva bisogno di liberare per un po’ la mente dai pensieri che la affollavano. Soprattutto aveva bisogno di stare per qualche minuto in tranquillità e solitudine.

Draco tirò un calcio ad una pietruzza che trovò sul suo cammino e la guardò rotolare lontano da lui. Proprio come era successo nella sua vita.

Ma non era stato lui a tirare il calcio, no, lui era la pietruzza. Era stato suo padre a calciare.

Lucius Malfoy era rimasto ossessionato dalla visione del nuovo Signore al quale doveva obbedire, non meglio identificato come il Principe Oscuro.

Tanto ossessionato da aver provato in tutti i modi a rendere suo figlio come il figlio del suo Signore.

Perché il figlio di Lucius Malfoy, nella visione del mondo di Lucius Malfoy, doveva essere il migliore ed il più fidato soldato del figlio del Signore Oscuro, come Lucius Malfoy considerava sé stesso innanzi ad esso. Uno dei ragionamenti più contorti che Lucius Malfoy aveva mai formulato in vita sua.

E quando il figlio non lo aveva ascoltato, non lo aveva preso sul serio, non era improvvisamente diventato uno spietato bastardo degno di Lucius Malfoy, Lucius Malfoy era andato su tutte le furie.

Morale, gli aveva tolto il saluto e aveva fatto di tutto per convincere i suoi superiori a spedirlo il più a lungo e il più lontano possibile da casa.

Draco aveva sempre ammirato suo padre, in passato; ma ora doveva essere proprio uno stupido per non intravedere come egli fosse semplicemente una pedina nelle mani dell’Oscuro Signore.

E Draco non voleva diventare come lui.

Perché suo padre era cieco. Cieco.

E non vedeva, e non capiva.

Nessuno di loro capiva, nessuno di loro realizzava.

Eppure era così ovvio, così palese

Buon per me, sarò l’unico a comprendere la verità in tutte le sue sfaccettature. E sarò meglio di Lucius. Mille volte meglio di Lucius.

Ricominciò a camminare, entrando ed uscendo dalla vegetazione priva di sentieri. Alcuni rametti spogli gli graffiavano le mani, ma non gli importava. I graffi avevano smesso di dolergli da molto tempo, ormai.

Guardò senza vedere gli alberi spogli che lo circondavano. Tanto silenti da sembrare quasi morti.

Amava l’inverno, l’aveva sempre amato. Probabilmente perché l’inverno lo rappresentava meglio.

Freddo. Spietato. Insensibile. Gelido. Sofferente. Solo.

Era questa la verità.

Odiava l’inverno. Era questa la verità.

Odiava l’inverno perché suo padre gliel’aveva imposto come stagione favorita. Perché durante l’inverno aveva sempre dovuto lasciare Hogwarts dove era sempre stato visto come il principe dei Serpeverde per tornare a Malfoy Manor dove non governava su nessuno, ma era governato.

Perché l’inverno era più simile a suo padre che a lui.

Quella era l’unica stagione che poteva rappresentarlo.

E la odiava anche per questo.

Alzò la testa, infastidito dai propri pensieri, e fissò i suoi occhi di ghiaccio nelle grigie nubi d’acciaio che lo sovrastavano, forze superiori che non potevano essere governate da nessuno.

C’erano forze superiori in atto anche nella sua esistenza. Da tempo ormai.

Forze che aveva respinto e accettato, amato ed odiato, desiderato e allontanato.

Non che le conoscesse a fondo, ma il significato di molti incarichi che gli venivano dati ancora gli sfuggiva. Che cosa aveva davvero in mente il suo Signore? Che cosa voleva davvero Lucius da lui?

Quali erano i reali piani di suo padre?

In quella i suoi pensieri furono nuovamente interrotti.

Nelle sue orecchie rimbombarono suoni di incantesimi, urla, rumori di esplosioni.

Si voltò di scatto indietro.

Qualcuno ci ha attaccati pensò, muovendosi rapidamente verso la catapecchia.

Ma all’improvviso si fermò, con gli occhi che, sgranati, fissavano la figuretta di una giovane poco lontano da dove si trovava lui che si avviava silenziosamente nella sua stessa direzione.

Gli bastò un’occhiata per riconoscerla.

Tutti i suoi pensieri sulla missione si sciolsero come neve al sole.

- Weasley – affermò prima di riuscire a comprendere che l’aveva detto ad alta voce.

Ginny si bloccò, paralizzata dal terrore.

Conosceva quella voce, era inconfondibile.

Si girò di scatto, guardando colui che aveva reso la sua vita ad Hogwarts un inferno di insulti e litigi.

- Malfoy – mormorò ad occhi altrettanto sgranati.

Vide con stupore la trasformazione sul volto del giovane.

Prima confusione, poi trionfo, poi delusione, poi rabbia, infine rimpianto. Poi vide i suoi occhi accendersi con una luce frustrata, rabbiosa e perfida.

Ma cosa…

- cosa ci fai qui, Weasley? Cambi casa? La Tana dove vivi si è ristretta ulteriormente? – disse lui perfidamente.

Il volto della ragazza si infiammò dalla rabbia.

Dimenticò la missione, i compagni, i due prigionieri.

In quel momento nella sua mente c’era solo una voglia immensa di levare dal volto del biondo quell’espressione di sadica soddisfazione per l’averla fatta arrabbiare così facilmente.

- no Malfoy, a dire il vero ero a caccia di tane di furetti. Dicono che siano dannosi all’ambiente e quindi volevo fare un favore al mondo eliminandone il più possibile. Magari mandandoli ad Azkaban a fare compagnia ai loro compagni, no? – ribatté velenosamente.

Vide Malfoy in procinto di risponderle, ma egli si bloccò all’improvviso, come prima sembrava che si fosse ricordato di qualcosa di importante.

La guardò e piegò le labbra in un sorriso che non prometteva nulla di buono.

- per questa volta passi, Weasley. Sei fortunata – disse misteriosamente.

Si voltò e s’incamminò velocemente lontano da lei, verso la catapecchia.

Quando Ginny realizzò quello che era successo e corse verso la stessa direzione fu troppo tardi.

Malfoy e i suoi compagni erano scomparsi.

Si trovò a fissare i suoi compagni che tentavano di comprendere il motivo per il quale i Mangiamorte se ne erano andati all’improvviso.

- tenente, cosa… - domandò una delle donne.

Ginny la interruppe con un gesto accennato.

Scosse la testa più volte, ripetendo lo svolgersi degli eventi nella sua testa. Si era aspettata di tutto… un duello, uno scontro verbale, essere uccisa, catturata, torturata, catturare lui… non di certo l’essere lasciata lì in tal modo… e gli auror erano là nella catapecchia, liberi ed incustoditi.

Probabilmente fu questo il motivo per il quale riuscì ad uscire dalla trance in cui era caduta.

Rapidamente diede disposizioni affinché i suoi sottoposti recuperassero gli auror e con tutta la calma e la cautela possibile li portassero via da quel luogo.

Ginny nel frattempo rimase fuori dalla catapecchia a guardarsi sospettosa attorno con il resto del gruppo.

- cosa è successo esattamente da quando avete cominciato a combattere? – chiese a nessuno di loro in particolare.

Rispose nuovamente il tizio di prima. ormai non le dava più fastidio, ci aveva fatto l’abitudine.

- abbiamo seguito i suoi ordini, tenente. Abbiamo distratto i Mangiamorte e combattuto contro di loro, ma all’improvviso dal bosco è saltato fuori un tizio incappucciato che ha gridato qualcosa e tutti loro si sono smaterializzati senza battere ciglio – riepilogò.

Ginny sospirò, per poi rivolgersi ai compagni con un vero e proprio sorriso, il primo che rivolgeva loro da quando si erano conosciuti.

- avete fatto tutti un ottimo lavoro. Il vostro responsabile avrà grandi elogi su di voi – disse.

Tutti la ringraziarono e sorrisero tranquillizzati.

Beh non sono poi tanto male come squadra… pensò dopo un po’ Ginny, che si era messa a scherzare allegramente con alcune delle ragazze più o meno sue coetanee.

La verità è che tutto quello scherzare non servì altro ad allontanare alcuni pensieri che si fecero prepotentemente risentire quando, più tardi, rientrò nel suo cubicolo, dopo aver ricevuto gli elogi dai superiori e aver visto lo sguardo orgoglioso di Bill, che, per lei, era valso più di cento medaglie al valore.

Si accasciò sulla sedia girevole, legandosi i capelli in uno chignon scomposto.

I due auror in quel momento si trovavano al S. Mungo in stato di semi-incoscienza, quindi non erano ancora interpellabili. Morale, avrebbe dovuto aspettare altri secoli prima di scoprire se si ricordavano di lei oppure no. Egoisticamente sperava di no.

Come avrebbe fatto spiegare l’accaduto ai suoi parenti altrimenti?

Una cosa era certa: non voleva perdere nuovamente la sua bacchetta ne voleva vanificare tutti i suoi sforzi di ritorno all’indipendenza. Perché, anche se debole, si trattava in ogni caso di indipendenza.

Vero, viveva ancora alla Tana. Vero, aveva il fiato di tutti i parenti sul collo.

Ma nessuno avrebbe potuto fermarla se un giorno avesse deciso di impiegare i suoi risparmi per comprarsi una casa in… in Groenlandia, ad esempio.

A dire il vero si era chiesta più volte il motivo che l’aveva trattenuta nella casa della sua infanzia fino a quel momento. Di sette figli lei era l’unica a vivere ancora stabilmente alla Tana.

Sapeva che sua madre si sentiva sola da quando anche Ron si era trasferito con gli amici. Anzi, da molto prima, da quando Ron era scomparso con i suoi migliori amici. Era stato allora che aveva optato per rimanere a consolare e a tranquillizzare sua madre?

No.

Anche in quel momento di grande tensione emotiva, Molly Weasley sarebbe stata pronta a lasciarla andare. Ne era certa.

Quindi probabilmente non se ne era andata più per pigrizia che per altro.

E intanto i soldi che avrebbe dovuto utilizzare in un ipotetico affitto li usava per comprarsi quello che più voleva… qualche piccolo sfizio ogni tanto, tanto per intenderci.

In fondo non era lei Ginny Weasley, la piccola Ginny costretta a vestirsi con felpe scolorite e smesse di Charlie e pantaloni obbrobriosi di Percy o Bill?

Era una donna, insomma! Anche lei aveva bisogno ogni tanto di sentirsi più femminile. Crescere con sei fratelli per casa non vuol dire necessariamente diventare uno di loro!

Un po’ di sano shopping ogni tanto fa bene!

Ma Ginny, Merlino, a cosa stai pensando? Non è questo l’argomento su cui volevi discutere con te stessa, diamine! Si rimproverò, scompigliandosi con un gesto nervoso i capelli.

La questione su cui ragionare al momento era una.

E aveva un nome.

Draco Malfoy.

A che razza di gioco stava giocando Malfoy nel bosco?

Perché l’aveva lasciata fare?

L’aveva in pugno, lo sapeva anche lei. Non l’aveva sentito avvicinarsi e se solo lui avesse voluto avrebbe potuto ucciderla all’istante.

A quel pensiero rabbrividii.

Eppure non l’aveva fatto, come…

Un momento.

La sua memoria tornò nuovamente a quel vicolo fatale, a quell’incontro indimenticabile quanto terrificante.

Lui che uccideva quello che la stava torturando.

Lui che obliava quegli auror.

Lui che parlava con i due Mangiamorte sopravvissuti.

Loro che la guardavano angosciati.

Scattò in piedi senza neanche saperlo e rovesciò per terra la copia del giorno del Profeta.

Uno scoop era stato fatto quel giorno. Colin Canon era risultato essere l’unico giornalista e fotografo che fosse mai riuscito ad immortalare il principe Oscuro in una fotografia.

Ginny la osservò assente.

Sfocata.

Lui irriconoscibile.

Troppo piena di ombre per distinguere il suo mantello dall’oscurità. Di chiaro c’era solo la macchia argentea della sua maschera e lo scintillio del marchio su di essa.

Nulla di più.

Tutto di meno.

Lentamente il cervello di Ginny collegò alcune informazioni che aveva avuto indirettamente.

…l’uccisione…

…gli sguardi…

…il riconoscimento…

…la rabbia…

Il Principe Oscuro la voleva viva. Viva per qualche motivo a lei sconosciuto.

Era per questo che Draco Malfoy non l’aveva sfiorata nemmeno con un dito. Perché avrebbe fatto la fine del Mangiamorte trovato morto in quel vicolo.

Era per questo che nessun Mangiamorte le avrebbe mai torto un capello.

Era per questo che, per qualcosa che dentro di lei cominciò ad urlare, Ginny Weasley cominciò a comprendere che non era mai stata lei a cercare… a cacciare lui, il Principe Oscuro.

Ma l’esatto opposto.

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Capitolo 9
*** Marchiata dal terrore ***


NdA: Ciauuzz!

Ok belli, stavolta non è colpa mia! Per l’attesa dovete prendervela con l’influenza-febbre a 38 che mi ha costretta lontana dal computer per ben tre giorni. Ed ora che sto meglio eccomi qua!

Questo è un capitolo lungo. C’erano tantissime cose da dire e non sono neanche sicura di aver detto tutto quello che volevo si dicesse. Spero di sì, alla peggio comunque le dirò nel prossimo capitolo. Ma sì facciamo così.

Un capitolo un po’ birichino; farà aumentare le domande di Ginny e anche le vostre. Sono curiosa di sapere come la penserete dopo averlo letto.

Non anticipo di più, altrimenti è inutile che lo leggiate,no?

 

Ringraziamenti

 

Energia pura: ciauz! Eh sì mi sa che ti tocca! In ogni caso sono curiosa di sentire dopo questo capitolo come si svilupperà il tuo film. Eheh. Che ne sai, magari azzecchi tutto^^! Un bacione.

 

Sweet nettle: grazie mille! ho aggiornato ora solo per colpa della febbre… io la ucciderei se potessi… ma no, magari no… non dimentichiamo che mi ha fatto stare un po’ a casa! Certo, non in perfette condizioni, ma in quel caso sarebbe stato impossibile… sigh… fammi sapere se ti è piaciuto. Un bacione!

 

Come al solito ringrazio anche tutti gli altri che leggono la mia fic.

Se vi va, se potete, lasciate un commento. Sono sempre benvenuti!

Alla prossima dalla vostra

‘myu.

 

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

9. Marchiata dal Terrore

 

- allora? -

Hermione alzò la testa dal libro che era occupata a leggere e fissò uno sguardo curioso sulla giovane donna appoggiata sull’angolo del muro vicino a lei.

- allora cosa? Comunque perché sei qui? Credevo fosse il tuo giorno libero - disse sorridendole.

Ginny ricambiò il sorriso, un po’ agitata dentro di sé.

- infatti, è il mio giorno libero. Ma mi interessava sapere come stanno... si sono svegliati? - chiese ansiosa.

Hermione scosse tristemente la testa.

- no purtroppo. Sono ancora addormentati. Ma probabilmente è anche a causa di tutte le pozioni che hanno dato loro - spiegò.

Ginny annuì silenziosamente.

Ancora niente...

- è passata una settimana ormai... i medimaghi sono piuttosto preoccupati a dire il vero - aggiunse poi la moretta con un sospiro.

- ma che cosa si aspettano di sentirsi dire di così importante? - chiese curiosa la rossa.

Hermione la guardò con le sopracciglia alzate.

- non è ovvio? -

Ginny rimase un attimo spiazzata dal suo comportamento.

- beh... è sempre quel Principe, giusto? - chiese tentando di mascherare il nervosismo.

Hermione annuì con un sorriso stanco.

- ma non capisco perché siete qui. Fate la guardia? - chiese Ginny adocchiando la figura di un auror dormiente dall’altra parte del vetro che separava l’anticamera della speciale stanza allestita al San Mungo dalla camera vera e propria.

Hermione annuì.

- non si sa mai cosa possano avere in mente i nostri nemici - rispose seria.

Rimasero per un po’ in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri. Fu Ginny ad interrompere il silenzio.

- e chi è il tuo compagno di sorveglianza? Non riesco a riconoscerlo da così lontano… lo conosco? - chiese guardando l’auror di prima, che ora si era letteralmente stravaccato sulla sedia che occupava.

L’espressione di Hermione si fece truce mentre lo osservava a sua volta.

- Leonard Rockver - sibilò a labbra contratte.

Ginny non poté far altro che scoppiare a ridere.

Non aveva mai visto di persona questo auror, anche se dalle voci giuntele sembrava che fosse davvero molto attraente, ma sapeva perfettamente che egli, da quello che la aveva detto suo fratello Ron, era l’auror che Hermione sopportava di meno.

Perchè lei era l’immagine della perfetta studiosa e della migliore in decisioni in campi teorici; severa con sé stessa e con gli altri, posata, intelligente, seria e brillante.

Lui invece era l’opposto. Sempre scherzoso, ironico, sarcastico e poco incline a prendere le situazioni sul serio.

Morale, inaccettabile per Hermione.

- cambiamo discorso che è meglio... - borbottò lei infatti per tagliare il discorso – con chi vai alla festa, questa sera? – chiese guardandola curiosa.

Se Hermione le avesse tirato un pugno in un occhio in quel momento, di certo non sarebbe stata così scioccata.

- una festa? – esclamò infatti – ma quando? E cosa… perché nessuno mi ha detto nulla? – cominciò a dire, agitandosi.

Hermione tentò di calmarla e, quando ci riuscì le spiegò tutto.

- è una festa in maschera organizzata dagli auror. Ovviamente – e qui abbassò parecchio il tono di voce – non è altro che una copertura. Sai no, per gli “assassini da salotto” o come li chiamano. È stasera, quindi ti conviene cercarti un accompagnatore se non ce lo hai già. Anche per una questione di sicurezza personale, non sapremo cosa accadrà – disse.

- tu vai con Ron? – chiese, anche se già si aspettava la risposta.

Il volto di Hermione andò in combustione mentre lei annuiva con un sorrisetto da tipica innamorata. Ginny sospirò mentalmente.

Come avrebbe voluto anche lei avere un ragazzo… dopo Harry non era più riuscita ad avere relazioni lunghe e serie, soprattutto a causa della guerra.

Stupida inutile guerra borbottò tra sé e sé.

- sai già come vestirti? – chiese.

- sì, sì, ho preso un bell’abito lungo. Ma lo vedrai… spero che piaccia a Ron! – esclamò la brunetta assumendo una colorazione che tendeva in modo preoccupante al violaceo.

Ginny annuì pensosa.

- e tu, Ginny? Cosa pensi di metterti? – le fu chiesto.

Alzò le spalle.

- non ho nulla… penso che farò un giro a Diagon Alley più tardi, magari appena esco da qui – rispose.

- sì ma devi trovare un accompagnatore! – ripeté ridendo la brunetta.

Ginny sapeva perfettamente a cosa Hermione stava pensando. Sarebbe stata un’ardua impresa presentarsi ad un ballo in compagnia di un uomo senza passare sotto l’esame e lo scrutinio di tutti i suoi fratelli. Si limitò a sorridere leggermente, con un’espressione sarcastica.

- io mi offrirei volontario… -

Le due giovani si voltarono all’indirizzo della voce che aveva parlato.

Hermione riprese la sua espressione contrariata, mentre Ginny sorrise un po’ a disagio all’indirizzo dell’uomo trovatasi a poca distanza.

Egli si avvicinò, tendendole la mano con un sorriso.

- Ginevra Weasley, giusto? – chiese.

E la rossa si trovò in difficoltà nel rispondere.

Quello era uno schianto!

Impiegò poco a collegare quegli stupefacenti occhi grigi, la carnagione chiara ed i capelli scuri non troppo corti alla descrizione di Leonard Rockver fattale più volte dalle sue colleghe.

E che fisico…

Dovette trattenersi come non aveva mai fatto in vita sua per non squadrarlo centimetro per centimetro, dandosi un paio di ceffoni mentali ed esibendo un sorriso brillante tentando di ritrovare un minimo di autocontrollo.

- sì, in persona – disse stringendogli la mano. Nel farlo ebbe una strana sensazione, ma la relegò subito nel più buio angolo della sua mente.

- e lei è…? – chiese invece.

- dammi del tu ti prego… comunque sono un amico di tuo fratello Ron, abbiamo fatto insieme l’addestramento per entrare negli auror. Sono Leonard Rockver – rispose, e Ginny ebbe per un attimo il presentimento che non le avrebbe più lasciato la mano.

Certo che lo conosceva. La domanda era: chi non lo conosceva?

- ah, sì, sì, ho sentito parlare di te – si limitò a dirgli, sottraendo con gentile fermezza la mano dalla sua stretta.

Lui sorrise nuovamente, per poi lanciare un’occhiata veloce ad Hermione.

- ti ho sentita parlare con la mia collega – fece indicando con il pollice Hermione – della festa di stasera. Se vuoi posso accompagnarti io, che ne dici? Ti va di andarci insieme? – chiese.

Generalmente Ginny non avrebbe mai accettato. Non lo conosceva e soprattutto non le piaceva questa sensazione di essere stata presa di mira da quel tipo. Però tempo di trovare altri accompagnatori non ce n’era e, in fondo, che male c’era a lasciarsi un po’ andare? In fondo non è che le avesse chiesto di uscire sola con lui, no? E allora!

Oltretutto, con un po’ di fortuna, i suoi fratelli non avrebbero avuto nulla da dire, conoscendolo.

- va benissimo – esclamò sorridendo.

L’occhiata che le lanciò Hermione, decisamente contrariata, non le diede alcun problema.

Il diverbio che la sua amica aveva con questo ragazzo derivava dall’incompatibilità dei loro caratteri, non da altro. Certo, lui aveva un po’ la reputazione di “uomo dalle mille donne”, ma non sarebbe stato un problema. Non ci si stava mica fidanzando!

Il resto della sua visita al S. Mungo fu molto piacevole. Discorse con il suo accompagnatore, conoscendolo meglio, e scoprì di essergli molto simile.

Era un tipo affascinante e simpatico, nulla da dire su questo.

Con un po’ di fortuna avrebbero passato insieme una piacevolissima serata.

Dopo un po’ decise che era ora di avviarsi a fare shopping. Leo (lui le aveva chiesto esplicitamente di chiamarlo così e lei senza problemi gli aveva permesso di chiamarla Ginny) si offrì di accompagnarla, ma lei rifiutò gentilmente.

- tanto stasera vedrai i miei acquisti, no? Una sorpresa! – gli disse ridacchiando.

Lui si era limitato a sorriderle indulgente e Ginny, dopo aver dato un ultimo saluto ad Hermione, era uscita velocemente dall’ospedale.

Non aveva tantissimo tempo per procurarsi un abito decente da vestire. Anche se questa festa in maschera era pura copertura per la cattura di alcuni Mangiamorte che ultimamente avevano preso ad intrufolarsi nelle feste e negli incontri di gala degli auror per farne fuori qualcuno, era pur sempre una festa. Ed ora che Leonard aveva espresso il desiderio di poter farle da cavaliere non aveva alcuna intenzione di presentarsi con le prime cose trovate nell’armadio.

Una visita a Diagon Alley era decisamente di rito.

Certo, se l’avessero informata prima forse avrebbe potuto organizzarsi meglio, ma purtroppo doveva accontentarsi di quello che avrebbe trovato.

Stringendosi la sciarpa sul volto per proteggersi ulteriormente dal vento gelido che le sferzava contro, si avviò verso uno dei più vicini centri di smaterializzazione.

Dopo l’attacco avvenuto ormai più di un mese prima la materializzazione e la smaterializzazione a Diagon Alley erano impedite da una forte barriera.

Ginny si era chiesta più volte perché non fosse così già da molto tempo, ma in ogni caso quel che era successo era successo e non si poteva tornare indietro per impedirlo.

Finalmente arrivò al centro di smaterializzazione, che dal fuori aveva l’aspetto di un cantiere abbandonato, e vi entrò. Dopo tutti i controlli degli addetti alla sicurezza, una noia mortale oltretutto poiché ci si perdevano dieci minuti tra controlli d’identità e robe varie, finalmente giunse sotto delle specie di cupole di un materiale magico sconosciuto che potenziavano la smaterializzazione.

In un batter d’occhio si trovò nel medesimo centro, però a Diagon Alley.

Dopo ulteriori controlli che le fecero perdere ulteriore tempo, finalmente fu libera di girare per le strade della famosa via magica per lo shopping.

Subito si diresse verso negozi di vestiti, entrando e frugando su ogni scaffale. Non aveva il tempo per farsi fare un abito su misura, quindi doveva per forza accontentarsi.

Dopo un po’ di vagare a mani vuote da un negozio all’altro, finalmente giunse nel negozio perfetto. Vendeva ogni tipo di vestito, da quelli babbani per la copertura in giro per il loro mondo, a quelli da maghi più stravaganti.

Si divertì a guardarsi attorno prendendo in mano ogni abito che le capitasse a tiro, ma poi, non sapendo dove trovare in mezzo a tutti quelli l’abito perfetto per quella serata, attese che la proprietaria si liberasse dai clienti.

Questa fu subito da lei. Ginny dovette fare un grande sforzo per non mettersi a ridere. Dire che era stravagante era un eufemismo.

Non aveva mai visto tanti colori e tanti fronzoli uniti in un abito in tutta la sua vita.

La proprietaria era una donna di mezza età, forse di qualche anno più vecchia di sua madre. Una strega arzilla e vispa, che, dopo aver saputo il motivo della visita della giovane, la trascinò letteralmente in uno dei camerini di prova, sommergendola di vestiti di ogni tipo e di domande quali che colore preferirebbe, signorina?  Taglia? Abito lungo o corto? Qualche idea in particolare? Accessori? E per la maschera?

Ginny dovette seriamente mettercela tutta per non scoppiare a ridere. Dopo qualche minuto di conversazione con la proprietaria si era deciso (ovviamente aveva fatto e detto praticamente tutto lei lasciando a Ginny solo il compito di annuire) che i colori migliori sarebbero stati o il verde scuro per fare contrasto con i suoi capelli rossi o il blu per accordarlo al colore dei suoi occhi. Se proprio si voleva poi prendere qualcosa di colore più acceso, il rosso, magari di tonalità più accesa dei suoi capelli, sarebbe stato perfetto. Il vestito sarebbe stato lungo senza troppi fronzoli (per la gioia di Ginny quando l’aveva sentito), per gli accessori ci avrebbe poi pensato la giovane da sola, e la maschera l’avrebbero poi scelta a seconda dell’abito scelto.

Dopo un paio di prove e riprove con vestiti completamente diversi l’uno dall’altro, finalmente l’occhio le cadde su uno in particolare e, dopo averlo provato, decise che era quello il modello che cercava e che avrebbe comprato.

Anche la proprietaria ne fu molto soddisfatta, tanto da applaudire con un sorrisone quando la vide uscire dal camerino. Era un abito verde scuro che le si stringeva leggermente sui fianchi per poi scendere largo giù fino a sfiorare con le estremità della gonna il pavimento. Aveva alle estremità dei ricami d’argento e le maniche erano larghe e lunghe, esattamente come quelle che portavano le principesse delle favole che le piacevano tanto quando era piccola.

Le lasciava le spalle scoperte e anche buona parte della schiena. Per non far venire un infarto ai suoi fratelli, che sapeva sarebbero stati presenti, decise tra sé e sé che avrebbe nascosto il tutto con un mantello di velluto di un verde ancora più scuro.

Osservandosi allo specchio si trovò sufficientemente ben vestita e si avviò quindi alla scelta della maschera. Alle scarpe fortunatamente non doveva pensare. Ne aveva un paio a casa con un bel tacco che sarebbero state perfette.

Anche per le maschere la scelta risultò molto complicata, ma alla fine optò per una maschera bianca che le copriva solo la parte superiore del viso, decorata con piccole roselline di smalto rosso alle estremità e con diversi piccoli intrecci di linee di colore verde e argento intorno ai ritagli per gli occhi.

A scuola non avrebbe mai indossato tutto quel verde né tutto quell’argento, poco ma sicuro. Era sempre stata una convinta Grifondoro.

Dopo aver eseguito il pagamento tornò al centro di smaterializzazione di Diagon Alley, diretta a casa di Hermione.

Si erano messe d’accordo quel pomeriggio mentre erano al S. Mungo che Ginny si sarebbe preparata da lei e che Leo avrebbe potuto venire a prenderla a casa sua con Ron. Da quel che aveva capito, Harry invece avrebbe portato con sé una loro collega che Ginny non aveva mai conosciuto. Se fosse stata ancora innamorata di lui di certo si sarebbe offesa, ma fortunatamente non era il suo caso.

- eccoti qui! Ti stavo aspettando! – esclamò Hermione quando aprì la porta.

- ho perso un sacco di tempo per scegliere il vestito e tutto il resto – cominciò e continuò a raccontare durante tutto il tempo che impiegarono a prepararsi, cambiando poi più volte discorso e commentando con Hermione qualunque cosa capitasse loro in mente.

La brunetta non aveva preso un abito tanto scollato come quello di Ginny; era un semplice e bellissimo abito blu scuro con le maniche adagiate dolcemente sulle spalle e larghe quasi come quelle della rossa, con la differenza che erano strette con dei lacci di un blu più brillante lungo gli avambracci.

Sotto pressione di Ginny anche Hermione aveva indossato un mantello di colore più scuro del vestito. Certo lei non aveva nulla da nascondere a dei fratelli ficcanaso, ma dal punto di vista della giovane Weasley essere l’unica a portare un mantello tra tutte le dame presenti era alquanto sospetto.

Si acconciarono entrambe i capelli in acconciature elaborate, divertendosi a cambiarle più volte per trovare la combinazione perfetta con l’abito.

Alla fine optarono entrambe per raccogliere i capelli in morbide crocchie e, nel caso di Hermione, lasciarne qualcuna libera dall’acconciatura ad incorniciare il viso.

Il tocco finale fu la maschera. Quella della brunetta era molto simile a quella della rossa, a parte le decorazioni di forme e colori differenti, concordate con l’abito.

Nell’esatto momento in cui furono pronte inaspettatamente suonarono alla porta e i loro cavalieri risultarono già essere arrivati.

Dopo che si fecero a vicenda i complimenti per come si erano vestite, le due giovani presero le ultime cose e si diressero alla porta.

Ginny trovò fuori suo fratello che confabulava in modo minaccioso con Leo e capì che come minimo lo stava minacciando di morte se non l’avesse trattata bene. Fu lesta ad “appropriarsi” del moro sottraendolo alle asfissianti raccomandazioni di Ron.

Per la maggior parte del breve viaggio che seguì, Ginny e Leonard non fecero altro che ridere scimmiottando Ron che, dal canto suo, era dietro di loro e li fissava con uno sguardo omicida.

Anche lo sguardo di Hermione non era molto soddisfatto, ma solo a causa dell’identità di colui che le stava davanti, al fianco di Ginny.

Impiegarono poco tempo per arrivare e, quando si trovarono davanti alla villa che avrebbe ospitato la grande festa, non poterono far altro che sgranare gli occhi, meravigliati da tanta bellezza.

Era una villa-palazzo di un auror in pensione, il quale, a suo tempo, era stato uno dei migliori.

Ed inoltre se la villa era uno splendore, i parchi che la circondavano erano i più belli che Ginny avesse mai visto in vita sua.

Varcarono l’ingresso imponente della villa e lì furono sottoposti a veloci controlli di identità, per poi essere fatti accompagnare nel luogo in cui si teneva la festa.

Entrarono nel salone da ballo tramite un’enorme scala di marmo che vi si immetteva e non poterono far altro che sgranare gli occhi davanti alla bellezza di quel luogo, resa ancora più sorprendente dalla presenza di tutte quelle persone in maschera.

Da piccola Ginny sarebbe stata convinta di trovarsi in uno dei saloni delle favole dove le principesse incontravano i principi e ci ballavano tutta la notte.

Effettivamente si poteva dire che per quella sera un principe ce l’aveva… Leonard poteva benissimo sembrarlo, vestito com’era.

Ma non era tanto il vestito che l’aveva colpita. Quando portava la maschera sembrava quasi…

Ginny stop! Zitta! Che diavolo vai a pensare ora?! È un auror per Merlino! Si rimproverò.

Osservò di soppiatto la maschera argentea che gli copriva tutto il volto, decorata con disegni dorati, che mostrava solo i suoi occhi grigi.

Lui si voltò verso di lei all’improvviso, e notò che lo stava osservando.

- qualcosa non va? – chiese.

Ginny scosse la testa con un sorriso.

- guardavo come ti sei vestito, tutto qui – mormorò.

Non era quello il momento di pensare a certi ricordi.

Al fondo delle scale si guardò un po’ attorno.

Non fu difficile incontrare tutto il parentado (i suoi genitori fortunatamente avevano declinato l’invito per qualche motivo che lei non conosceva), e, tutti i suoi fratelli, come da copione, furono subito su di lei e Leo. L’unico modo per dileguarsi da quelle soffocanti attenzioni era ballare.

Fu per questo che trascinò il suo cavaliere al centro del salone, dove molte altre coppie già stavano seguendo la musica, e cominciò a ballare con lui.

Fra tutti coloro che li osservarono allontanarsi girarono emozioni contrastanti. Qualcuno era infastidito, qualcuno felice, qualcuno geloso e qualcuno furioso.

I fratelli più grandi erano distratti dalle mogli e dalle fidanzate e non avevano molto interesse nel guardare la coppia.

I gemelli erano contenti che la sorellina avesse trovato un accompagnatore e quindi non ci misero molto ad allontanarsi per ballare con qualche ragazza.

Ron invece faticava a trattenersi dallo slanciarsi in mezzo alla pista e sbranare quel… quel…

E la povera Hermione dal canto suo aveva un bel daffare a distrarre Ron, imprecando interiormente contro Rockver perché la colpa di quella situazione sgradevole era sua, ovviamente.

Harry si stupì non poco della lieve gelosia che provò osservando Rockver danzare con Ginny.

Sembravano divertirsi.

- ti va di ballare? – chiese alla sua accompagnatrice che accettò tutta contenta.

Ginny si divertì molto ballando con Leo. Era un ottimo ballerino e inoltre le sue battute e i suoi racconti la divertivano molto. Come aveva immaginato, la serata sarebbe passata molto piacevolmente.

Ballarono insieme per parecchio tempo, ma ad un certo punto Leo li fece fermare e con un sorriso di scusa disse alla sua dama:

- ti spiace se ci fermiamo per un po’? ho adocchiato tra la folla alcuni miei colleghi con cui vorrei scambiare qualche parola -.

Ginny accettò, dicendogli di avere in ogni caso bisogno di bere qualcosa, e si accordarono per ritrovarsi al buffet.

Fu lì che la giovane si diresse, con un bel sorriso che le illuminava il volto.

Si accomodò sulla prima poltroncina che le capitò davanti, prendendo dal grande tavolo lì vicino qualcosa da mangiare.

Si guardò attorno curiosa, tentando di individuare tra la folla i suoi fratelli.

Non fu difficile trovarli, visto che stavano ballando tutti.

Li osservò divertita. Non c’era niente da dire… sia Ron che Harry avevano finalmente capito che pestare i piedi della dama non faceva parte della coreografia del ballo!

Rise tra sé e sé nel ricordarseli al Ballo del Ceppo.

I suoi pensieri furono improvvisamente deviati da un rumore assordante proveniente dal lato opposto della sala rispetto a dove si trovava.

Cosa diavolo…? Pensò, allarmata.

Quando cominciarono a volare incantesimi, e la sala si riempì di urla, comprese.

Il suo stomaco fu attanagliato da una morsa improvvisa d’ansia. Si alzò impugnando la bacchetta e cominciò a correre verso il luogo dell’esplosione.

Purtroppo a causa della folla, che aveva cominciato a correre e ad urlare disordinatamente, non le fu possibile.

Stava cercando un luogo da cui passare quando si trovò davanti una bambina piangente.

Di certo non poteva lasciarla lì… sarebbe stata travolta da qualcuno…

Le si inginocchiò di fianco.

- ehi piccola stai bene? Dove sono i tuoi genitori? – le urlò tentando di farsi sentire in tutto quel rumore.

La bambina scosse la testa e continuò a farlo anche alle domande successive. L’unico modo per tranquillizzarla era portarla in un posto sicuro, lontano da lì in mezzo.

- tranquilla, mi occupo io di te. Sono un auror, sai? Allora, andiamo? – le mormorò.

L’altra, che, ad occhio e croce, doveva avere otto o nove anni, sollevò la testolina biondiccia e la guardò con gli occhioni rossi di pianto. Dopo qualche secondo annuì, allungando le mani verso la rossa.

Ginny non perse tempo e la prese in braccio, continuando ad impugnare la bacchetta con la mano destra.

La confusione era totale.

Nessuno capiva più cosa stava accadendo e Ginny, confusa e spaventata soprattutto per l’incolumità della bambina che aveva tra le braccia, la strinse più forte, tentando di allontanarsi il più velocemente possibile dalla sala da ballo cercando un nascondiglio sicuro per entrambe.

Buffo pensare come in quel periodo si fosse sempre ritrovata nelle stesse situazioni. Sempre a scappare, sempre in forse. Sempre in pericolo.

Maledizione! Cos’è, la sfiga mi ha scelta come rappresentante in terra? Merlino, Merlino, Merlino, MERLINO! Si lamentò nella sua mente.

- come va piccola tutto bene? – chiese premurosa alla bambina.

La vide annuire e guardarsi attorno spaventata.

- vieni su mettiamoci al sicuro – le intimò.

Ben presto comprese che non si poteva uscire dalla sala. C’era un Mangiamorte a guardia di ogni uscita.

Ma quanti sono?! Maledizione! Menomale che dovevamo catturare solo qualche Mangiamorte da salotto! Pensò sconvolta.

Alla fine l’occhio le cadde su un possibile rifugio. O lì o niente. Sapeva che non era un posto molto sicuro, ma non voleva essere presa o calpestata dalla folla terrorizzata durante il pieno svolgersi dei combattimenti.

Quindi si rifugiò con la bambina sotto l’enorme scalinata che avevano disceso tutti gli ospiti in precedenza, dove erano appesi i mantelli dei presenti.

Fortunatamente lo spazio lì dietro era grande a sufficienza per entrambe e Ginny trovò un punto dal quale poteva tenere d’occhio ciò che accadeva nella sala senza essere vista.

Continuò a tenersi a fianco la bambina anche dopo averla fatta sedere accanto a lei a terra. Non aveva intenzione di perderla e di lasciare che le venisse fatto del male.

La situazione dall’altra parte dei cappotti era molto critica. Ginny osservò nuovamente gli auror combattere contro i Mangiamorte.

E molti dei loro nemici erano vestiti come quelli della festa, confusi tra di loro. Era proprio questo ciò che aveva di sicuro mandato in confusione i presenti.

Già poteva vedere nella sua mente l’esplosione del muro e l’entrata dei Mangiamorte vestiti di nero, anche se non l’aveva vista sul serio.

Rabbrividii, non poté farne a meno.

Anche se credeva di essere nascosta agli occhi di tutti, il destino non glielo aveva permesso veramente.

Lo spazio tra i mantelli appesi dal quale stava osservando ad occhi sgranati ciò che accadeva nella sala fu oscurato da qualcosa.

Qualcosa che vi si insinuò.

Ginny subito puntò in quella direzione la sua bacchetta, ma fu inutile.

Qualcuno gliela afferrò, strappandogliela.

Fu mormorato qualcosa e improvvisamente quel luogo in penombra fu illuminato da una luce piuttosto fioca, proveniente dalla bacchetta del nuovo venuto.

Fioca, ma sufficiente ad illuminarne il volto.

O meglio, ciò che lo celava.

Ginny sgranò gli occhi e dovette fare uno sforzo tremendo per non urlare.

E neanche riusciva a capire se i sentimenti che provava erano di sorpresa, paura o frustrazione.

I loro volti, le loro maschere, erano ora a pochi centimetri l’uno dall’altra.

Stava affogando in quelle nubi che la scrutavano, in quel ghiaccio che la circondava in una morsa.

Questa volta percepì chiaramente la sua intrusione nei suoi pensieri, ma non poté fare nulla per impedirglielo.

E lì, per la prima volta, nella confusione delle urla del combattimento che in quel momento le risultavano particolarmente soffuse, sentì realmente la sua voce.

- non è ancora tempo per il compimento della mia missione. Della nostra missione. Sta tranquilla, non ti farò alcun male per ora – e inaspettatamente, sotto lo sguardo scioccato degli occhi sgranati della rossa le spiegò un modo per uscire indenne da quell’inferno.

Come faceva a sapere che era lì?

La sua voce era fredda, malvagia… mai aveva ascoltato una voce simile, dai tempi del diario.

Ma perché tutto la riportava irrimediabilmente ad esso?

- perché mi stai salvando sempre la vita? Cosa sei, un angelo custode? – gli gridò sarcastica, troppo pervasa dalla confusione, dall’amarezza e dal terrore per ricordarsi di comportarsi cautamente in presenza di quel potente essere dell’oscurità.

Forse avrebbe dovuto essergli riconoscente per non averla uccisa da tempo, ma non ci riusciva. Lei non doveva essere riconoscente ad un Mangiamorte.

Tutto era così irreale, così sbagliato!

Lui si limitò a guardarla gelido.

- è la tua ultima possibilità per allontanarti da questo posto – replicò – decidi in fretta -.

Il suo sguardo oscuro poi cadde sulla bimba che Ginny teneva al suo fianco. Subito la giovane le si parò ulteriormente davanti, sfidandolo con lo sguardo a toccare la piccola anche solo con un sospiro.

Il sguardo di lui tornò ad incrociare gli occhi di Ginny, leggermente derisorio.

Con un gesto tanto rapido che lei non fu neanche sicura di vedere, egli le prese il polso, mormorò qualcosa e poi lo lasciò, voltandole le spalle e allontanandosi.

La bacchetta di Ginny giaceva sul pavimento a poca distanza da lei.

La giovane sbatté più volte le ciglia per riprendersi e poi, grazie ai mugolii di paura della bambina dietro di lei, si svegliò del tutto.

Era davvero successo? Lui era davvero… le aveva davvero…?

Rilegò nell’angolo più buio della sua mente l’accaduto. Ora doveva uscire da lì con la bambina e se l’unico modo per farlo era quello di seguire il consiglio di un Mangiamorte, l’avrebbe seguito.

Uscì dal suo nascondiglio dopo aver recuperato velocemente la sua bacchetta e trovò ad attenderla un Mangiamorte corpulento, proprio come lui le aveva riferito prima.

Questo armadio le coprì la visione della sala, e coprì ad essa la visione di lei.

Accompagnò silenziosamente lei e la bambina fuori dall’edificio.

Quando giunsero in un luogo a sufficienza lontano l’armadio si voltò improvvisamente verso la bambina e le lanciò un incantesimo di memoria.

Ginny era troppo scioccata per reagire e non si accorse neanche di quando egli si voltò, tornando all’interno dell’edificio.

Non ebbe comunque il tempo di stare a rimuginare sul suo comportamento; riprese in braccio la piccola, che era un po’ stordita a causa dell’incantesimo, e si diresse verso il luogo da dove provenivano le voci di tutti coloro che erano riusciti a uscire incolumi.

Il sangue le si gelò nelle vene quando realizzò che lui era a conoscenza di questo nascondiglio e che se solo avesse voluto avrebbe potuto far sterminare tutti coloro che vi erano rifugiati.

Ma perché non lo faceva?

Erano tanti i misteri che lo circondavano…

Nel mucchio riuscì a trovare i volti famigliari di Fleur e di Ashley e lì si fermò con la bambina sempre appresso.

- oh Giny’ per fortuna, eravomo così preoccupote! – esclamò Fleur.

- lo so scusate… è un miracolo che sia riuscita a scappare – rispose agitata – e gli altri? Come stanno? – chiese non vedendo i fratelli, Leo, Harry ed Hermione.

Fleur cominciò a singhiozzare piano.

Ginny venne a sapere che dopo averle portate fuori dall’edificio gli altri erano tornati dentro a cercarla e ad aiutare gli auror che avevano già ingaggiato il combattimento.

- è successo tutto così all’improvviso! Prima stavomo ballando e poi sono apparsi tutti quei Mangiamorte! Lo so che c’è l’opera del Principe, lo so! – si lamentò Fleur fra le lacrime.

Ginny non poté far altro che osservarla con il cuore pesante… se fosse successo qualcosa ai suoi fratelli… lei che si era salvata così facilmente…

Ashley in quel momento notò la presenza della piccola che Ginny aveva da poco depositato per terra.

- e lei…? – fece curiosa.

Ginny le raccontò rapidamente del loro incontro e della fuga. Ovviamente sorvolando su alcuni particolari.

- dobbiamo trovare i suoi genitori e… - cominciò gesticolando.

- Ginny! Mio Merlino cosa hai fatto al polso? – esclamò allora Ashley sgranando gli occhi.

Lo sguardo di Ginny cadde sul polso in questione, quello che, realizzò subito, lui aveva preso in mano. I suoi occhi prima si sgranarono, ma poi ripresero una parvenza di tranquillità.

Sorrise ad Ashley.

- Non è niente, devo essermi fatta male durante la fuga… - spiegò – anzi, ora che me lo fai notare credo sia opportuno farmi medicare. Ho intravisto un paio di medimaghi al lavoro venendo qui – disse.

Non cedendo alle richieste di Ashley e Fleur di accompagnarla, lasciò la bambina alle loro cure.

Inutile dire che non si stava dirigendo dai medimaghi per farsi medicare.

Prese solo alcune fasce sterilizzate per autobendarsi il polso, perché nessuno doveva sapere.

Nessuno doveva vedere.

Era stata pura fortuna che Ashley non avesse osservato a fondo ciò che era disegnato sul suo polso sinistro. Lo bendò facendo bene attenzione a coprirlo totalmente.

Prima di chiudere la benda completamente rimase ancora per qualche istante a fissate con gli occhi lucidi i due occhi di sangue del piccolo serpente che il Principe Oscuro le aveva tatuato a tradimento, e che, nell’oscurità, riluceva come un sinistro braccialetto annunciatore di sventura.

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Capitolo 10
*** Possibilità perdute ***


NdA: Ciauz!

Ecco a voi il capitolo 10. di Ginny non ci sarà tantissimo in questo capitolo, sarà maggiormente concentrato su altri personaggi, solo per la gioia di alcuni di voi.

Le domande primarie però sono:

1. ma Ginny ce la fa o no a prendere una decisione grazie al tatuaggio? (Intendo se dice o no la verità ai suoi parenti e amici).

2. ma chi cazzuolina è sto Principe?

Quesiti che sta a voi indovinare e a me decidere ^__^. Beh dai una mezza idea già ce la ho, tranquilli.

 

Ringraziamenti:

 

Sweet nettle: eccomi tornata. Spero che questo capitolo ti piaccia come i precedenti. Beh, dai qualche supposizione in più questo la provoca. Curiosa di sapere che ne pensi^^! Un bacione!

 

Energiapura: in questo capitolo puoi intuire la risposta alla tua domanda. Eheh, non dico altro. Spero ti piaccia!! Un bacione!

 

Kaho_chan: Leo dunque? Boooh! ^__^ non si sa mai, ormai dovresti aver ben capito che sono imprevedibile! Bwah ha ha! E poi nooo, non si capiva che quella ship ti piace. Eheh. Everything’s possible! Comunque mi fai davvero andare in brodo di giuggiole con le tue recensioni. Grazie tesoro, grazie mille! spero solo di non deluderti altrimenti chi sa poi che fine faccio? -__-.

Beh, ti lascio leggere in pace. Alla prossima! Un bacione!!

 

Bene, ora ringrazio tutti voi altri che leggete la mia storia. Grazie davvero.

Chi ha voglia, chi ha tempo, se può, recensisca. Mi fa sempre piacere conoscere i vostri pareri!

Bene, l’autrice ha finito di rompervi the balls e vi lascia alla lettura.

Alla prossima, un bacione dalla vostra

‘myu

 

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

10. Possibilità Perdute

 

- mamma! -.

Ginny guardò con un sorriso la bambina che correva verso la madre. Quest’ultima, appena condotta fuori dall’edificio con altri ospiti da un gruppo di auror, non perse tempo a stringere la piccola tra le braccia, in lacrime.

Da parte sua la giovane si voltò e si allontanò dalle due.

Non voleva inutili ringraziamenti, non ne aveva bisogno.

In fondo, fosse stato solo per lei, sia lei che la piccola sarebbero state uccise.

Già.

Se fosse stato per lei.

- Ginny! Merlino per fortuna eri qui! Non sai che spavento! – sentì la voce di Hermione che la chiamava, correndole vicino e stringendola in un abbraccio spacca ossa.

- sono uscita subito… appena ho potuto… - spiegò con un sorriso.

Fu la stessa cosa che ripeté al resto dei famigliari poco dopo, e anche molto dopo.

Indetta riunione speciale alla Tana.

Ma porco… rimuginò ben poco felice la giovane Weasley.

Dopo un’ora di discorso su cosa era successo e no, dopo tutti i controlli della signora Weasley su ognuno dei presenti, lei si era accoccolata su una poltroncina leggermente in disparte da tutti gli altri, dopo essersi cambiata in un poco elegante vecchio maglione Weasley di colore rosa porcello con una gigantesca “G” rossa ricamata nel centro e un paio di logori jeans, e stringeva fra le mani una tazza di cioccolata calda dalla quale sorseggiava di tanto in tanto.

Non le erano sfuggite le lunghe occhiate che Leo le stava lanciando dal lato opposto della stanza.

Anche se aveva fatto di tutto per non fargli capire di essersene accorta.

Non voleva incrociare il suo sguardo. Lo percepiva chiaramente che non era uno sguardo di simpatia, pena o apprezzamento.

Diciamo le cose così come stavano: con quel maglione addosso, tutte, anche le top model, sarebbero state attraenti quanto un panino ammuffito. E lei in quel momento si sentiva anche peggio.

Era stata una scelta strategica, quella di quel maglione.

Le maniche erano così strabordanti che nessuno si sarebbe accorto del nuovo polsino che le fasciava il polso sinistro e che non lo avrebbe più abbandonato per molto, molto, tempo.

Comunque era uno sguardo strano, inquietante.

Da quando Leo aveva sviluppato una così morbosa attenzione verso di lei?

La tazza le tremò nelle mani e fece di tutto per nasconderlo prendendo un altro lungo sorso.

E poi c’era il fattore occhi. Non poteva permettersi di guardarlo.

Erano così schifosamente simili…

- allora Ginny cara? A te cosa è accaduto? -.

Ginny uscì dalla trance in cui era caduta con una sottospecie di sobbalzo che riuscì però abilmente a camuffare in uno spostamento rabbioso sul suo divanetto. Mutò l’espressione da assente a furiosa, pregando dentro di sé di non tradirsi.

Si va in scena.

- aspettavo Leo al rinfresco – e qui evitò accuratamente di guardarlo continuando imperterrita a fissare truce la tazza che stava quasi stritolando tra le mani – quando… quando è scoppiato il finimondo! Hanno tirato giù un muro e sono entrati da fuori, ma c’erano degli infiltrati nella festa e… beh stavo per mettermi a combattere ma mi sono imbattuta in quella piccola. Capite non potevo lasciarla alla mercé di quei bastardi… allora ho deciso che prima l’avrei nascosta e poi sarei tornata nella mischia. Ma quando la ho presa in braccio io… non so cos’è successo, diamine! Era un inferno, tutti che cadevano, che urlavano, che… - e qui si interruppe un attimo, facendo un respiro profondo per calmarsi – Ci siamo nascoste, io e la piccola. Non potevo uscire dal nascondiglio se non volevo che la scoprissero e sono rimasta ad aspettare che il clima si calmasse quando… -.

Continuò a fissare in silenzio la tazza.

Era il suo momento, no? Non era uno di quei momenti frequenti nei libri nei quali la protagonista poteva raccontare tutta la verità ai suoi parenti e amici? Poteva smettere di torturarsi, di soffrire?

Non era questo, Ginny?

La signora Weasley guardò con apprensione la figlia.

- Ginny cara, cosa…? C’è qualcosa che…? – cominciò piano, avvicinandosi al luogo in cui era rannicchiata.

Ginny fece un gesto secco con la mano. E fece un respiro profondo.

- …quando un Mangiamorte ci ha trovate. Non ho mai provato tanto terrore in vita mia, non… - respirò di nuovo – Ho nascosto la piccola dietro di me e ho impugnato la bacchetta ma mi ha immobilizzata e… -.

Si udirono gemiti di terrore all’interno della stanza. Le ragazze e la signora Weasley avevano gli occhi lucidi, mentre i ragazzi erano furiosi.

- e…? – la incitò con una voce quasi impercettibile la signora Weasley.

Ginny sollevò il capo. La sua espressione era confusa.

- Ci ha condotte fuori, al sicuro – disse.

Tutti erano sorpresi e sollevati. Ginny si voltò a guardare i fratelli.

- non mi avevate avvertita della presenza di nostre spie tra i nemici. Per fortuna lui mi ha spiegato tutto – disse con un’espressione contrariata.

- spie? Ma quali… - cominciò Ron, ma gli arrivò un calcio da parte di Harry che rispose a Ginny:

- non ci è sembrato necessario rivelartelo. Meno persone ne sono a conoscenza meglio è – disse in tono professionale, ma poi continuò – mi spiace se ti sei spaventata. Bisognerà trovare un modo per farli distinguere dai Mangiamorte veri. Sei stata molto coraggiosa, Ginny. Ma devi stare più attenta… se quello fosse stato davvero un Mangiamorte… - e qui lasciò la frase in sospeso, troppo spaventato dalla sola idea per andare avanti.

Ginny annuì piano.

Poi guardò un po’ tutti, incerta.

- avete ancora bisogno di me? Vorrei riposarmi un po’ se non vi dispiace. Io domani lavoro, vi ricordo – disse con un sorriso.

Anche se qualcuno avesse avuto voglia di trattenerla, sarebbe bastata l’occhiata minacciosa che la signora Weasley dispensò a tutti per scoraggiarlo.

- tranquilla Ginny cara – disse – va pure a riposarti -.

Ginny le sorrise con gratitudine. Si alzò ed uscì dalla stanza, senza mai alzare gli occhi da terra.

Salì nella sua camera, la sigillò con la magia, e si sistemò in uno degli angolini più nascosti e bui.

Qui si scostò il polsino dal polso, osservando il serpente che rideva di lei con gusto.

Non era quello, Ginny?

Stupida, debole, piccola Ginny.

Quella notte furono le lacrime a condurla tra le braccia di Morfeo.

- sono paranoica, lo so – bofonchiò Hermione al suo ragazzo.

- e menomale che te ne accorgi – sogghignò Ron scompigliandole affettuosamente i capelli.

Harry era silenzioso. Osservava Leonard che camminava poco distante da lui con un’espressione confusa e curiosa.

- se devi farmi una domanda, Potter, fammela e finiscila di osservarmi come se fossi un alieno – gli disse all’improvviso Leonard, guardandolo con un sorriso ironico.

Fino a poco prima avevano parlato di quello che era successo quella notte. Hermione aveva fatto mille congetture sul misterioso Mangiamorte che aveva portato Ginny in salvo.

Harry aveva impedito a Ron appena in tempo di rivelare a Ginny che, per ragioni di sicurezza, in quel periodo non c’erano auror infiltrati, ma solo Mangiamorte traditori. E i Mangiamorte traditori di certo non salvavano la vita delle persone in quel modo.

Non voleva far preoccupare Ginny. Era per questo che non glielo aveva detto. Aveva fatto bene.

Sì. Aveva fatto bene.

Ma ora era il comportamento di Rockver che lo incuriosiva. Aveva notato le occhiate che aveva lanciato a Ginny e come erano cambiate dopo che la giovane Weasley aveva rivelato quello che era successo.

Harry gli sorrise schivo.

- mi chiedevo perché la guardavi in quel modo – affermò.

- cosa faceva? – sentì sibilare la voce di Ron da dietro, subito soffocata dall’intervento di una mano di Hermione.

- la ho vista durante il combattimento allontanarsi seguendo un armadio di Mangiamorte con quella bambina. E mi era sembrata tutto meno che spaventata. Ora certo ne so il motivo, ma mi sono dovuto premunire. Pensavo che non ve lo avesse rivelato sarei stato pronto a farlo io. In fondo sappiamo tutti che quella ragazza oltre che essere bella ed intelligente è anche abilissima nel tenere i segreti – disse, con una strana luce negli occhi che Harry non riuscì a decifrare.

Ron era allibito. Quell’idiota stava forse insinuando che Ginny fosse una bugiarda? Perfino Hermione, dallo shock, aveva fatto cadere la mano che fino a poco prima aveva bloccato la bocca del fidanzato.

Harry si bloccò di colpo, facendo fermare anche gli altri. Il suo volto era cupo.

- cosa stai insinuando? Credevo che Ginny ti piacesse – mormorò calmo.

Hermione guardò Harry nervosamente. La calma prima della tempesta, non era così che si diceva?

Merlino, le sembrava di essere tornata durante l’estate prima del loro quinto anno, a Grimmauld Place, quando la frustrazione e la rabbia di Harry erano fuoriuscite tutte d’un colpo.

- è così infatti – affermò annuendo Leonard – è proprio per questo che vi rivelo queste cose. Ci tengo molto a lei. E non voglio che le accada nulla di male, per questo temo che il nostro compito non sia proteggerla solo dagli altri, ma anche da sé stessa -.

Hermione per qualche istante temette il peggio. E Ron pure.

Ma Harry li sorprese entrambi, annuendo e riprendendo a camminare.

- non hai tutti i torti – mormorò prima di uscire dalla zona della barriera della Tana.

- allora a domani, Leo – lo salutò con una amichevole pacca sulla spalla, prima di smaterializzarsi.

Ron lo imitò con un po’ di diffidenza ed anche Hermione, solo che quest’ultima lo salutò a malapena, con un cenno stizzito della testa. Lei non ci riusciva proprio, a sopportarlo.

Quando i tre auror furono definitivamente andati, Leonard si concesse di indugiare ad osservare il paesaggio che lo circondava.

I suoi occhi di ghiaccio cercarono, tra le finestre della Tana rivolte dalla sua parte, di cogliere un indizio per fargli riconoscere quella della camera della giovane Weasley, che lo aveva tanto colpito. Quando però non ci riuscì si limitò a scuotere la testa, con un sorriso appena accennato sulle labbra. La serata gli era sembrata così promettente…

Sarà per un’altra volta, piccola Ginny… pensò con un’alzata di spalle, smaterializzandosi.

Si materializzò in quel momento nella sua camera principesca, togliendosi la maschera dal volto.

Draco Malfoy si abbandonò sulla prima poltrona che trovò, osservandola.

Il Principe Oscuro, ricordò con indifferenza, indossava una maschera completamente diversa.

Si era confuso nella festa con altri Mangiamorte e aveva fatto il suo lavoro. Niente di più, niente di meno. Aveva fatto di tutto per evitare suo padre.

Era stufo di ricevere da quel fallito degli sguardi di sufficienza.

Schioccò le dita e nella stanza si materializzò un elfo domestico leggermente tremante.

- padroncino desidera, padroncino? – domandò balbettando impercettibilmente con quella sua fastidiosissima vocina acuta.

- cosa è accaduto in mia assenza? – chiese, allentandosi il mantello e lanciandoglielo.

L’elfo lo afferrò a malapena, venendone sommerso in buona parte.

- nulla padroncino, la padrona rimasta in sue stanze molto tempo, padroncino, il padrone via non tornato, padroncino – cominciò, accennando ad un goffo inchino e finendo per inciampare nel mantello finendo steso per terra. Draco si concesse di abbandonare per un istante la sua maschera di imperturbabilità, roteando gli occhi e portandosi una mano a massaggiarsi la fronte.

- ed ora? Dove si trova mia madre? – chiese con un sospiro.

- è nella Sala da the, padroncino, con la signora Bellatrix e altre signore e signorine, padroncino – gracchiò l’elfo, rialzandosi a fatica.

Gli occhi di Draco scattarono spalancati.

- merda – sibilò cupo, alzandosi di botto e riappropriandosi con uno strattone del suo mantello, facendo nuovamente precipitare l’elfo in terra.

Quanta autonomia aveva ancora prima di essere raggiunto? Non aveva chiamato l’elfo che un paio di minuti prima, quindi aveva al massimo cinque minuti per occuparsi di lui e sparire.

- ascoltami molto attentamente – disse prendendo l’elfo per una spalla e tirandolo in piedi – io sono stato qui per pochi secondi e ti ordino di riferire che quando sei giunto ad accogliermi è stato solo per… - e qui si guardò intorno in cerca d’ispirazione - …trovare la stanza vuota da risistemare dopo un mio scatto d’ira dopo la missione – concluse con un sorriso malevolo – e se la cara zietta ti chiede per quale motivo dille che è colpa dei compagni incapaci che mi hanno appioppato -.

- ma padroncino, stanza pulita, padroncino – l’elfo riuscì a malapena a concludere la frase, che Draco l’aveva mollato, aveva afferrato la bacchetta e aveva borbottato un incantesimo che aveva mandato in pezzi metà del mobilio.

- ora non più – fu la sua malevola risposta prima di smaterializzarsi nuovamente.

Non molto lontano da lì e non molto tempo dopo, Blaise Zabini, tranquillamente seduto su una poltrona del salottino antecedente alla sua camera a leggere un libro, si vide comparire davanti all’improvviso il suo vecchio compagno di scuola.

- cazzo Draco, se vuoi vedermi stecchito questo è un buon modo per farlo accadere – sbottò irritato, cercando di calmare i battiti frenetici del cuore.

Draco non gli prestò attenzione, stravaccandosi su una delle tante poltrone nella stanza dell’ex Serpeverde.

Blaise lo guardò con un sopracciglio inclinato in una pericolosa espressione infastidita.

- si suppone che una persona saluti quando entra in casa d’altri. Soprattutto senza invito -.

Draco lo osservò cupo.

Blaise roteò gli occhi.

- come non detto. Posso almeno sapere come mai sua maestà ha deciso di venire a farmi visita oggi? – chiese ironico.

Il biondo tornò a fissare il soffitto con un’espressione truce.

Blaise lo osservò per qualche istante confuso, per poi scoppiare in una risata maligna.

Sapeva chi era, o meglio, chi erano le uniche persone che facevano comparire tale espressione sul viso di Draco e che lo spingevano a presentarsi così all’improvviso a casa sua e a stravaccarsi sul suo divano migliore non facendo null’altro che fissare il soffitto con l’espressione di uno che è pronto a compiere una strage.

- chi è stato stavolta? Lucius? Na, lo escludo… allora… - cominciò.

- la cara zietta – disse cupo Draco.

- oh – disse Blaise.

- Oooh – ripeté qualche secondo più tardi, capendo la situazione – fammi indovinare, altre candidate? – sghignazzò.

- non è divertente – sibilò Draco, infastidito – vorrei vedere te al mio posto -.

- già provato, mi spiace. E mia madre è stata piuttosto convincente. Approposito, si sta per risposare – annunciò Blaise.

- a quanti siamo? – domandò distrattamente Draco.

Blaise si fece pensieroso per un istante.

- questo è il nono mi pare – disse.

- gli do un anno – commentò il biondo.

- io non lo sottovaluterei. Sembra piuttosto agguerrito – rispose il moro, pensieroso.

- buon per lui. E soprattutto per tua madre, la farà felice – disse ironico Draco, osservando l’altro.

Blaise annuì.

- sta già ordinando gli ingredienti per i veleni. Devi vedere com’è eccitata – sogghignò – ma siamo usciti fuori dal discorso. Dunque la cara zietta ha deciso che è ora per te di trovarti una moglie e ha organizzato un party notturno a questo scopo e tu sei fuggito. Non pensi di dover cominciare ad ascoltarla? – chiese.

Draco mantenne il volto imperturbabile, ignorando quest’ultimo consiglio.

- sarebbe anche ora che la ascoltassi! Era furiosa quando ha saputo che te ne eri andato e ha riversato la sua stizza su di noi – giunse una voce nervosa dall’entrata della stanza, dove la porta si era spalancata di botto lasciando entrare una giovane donna irritata che si lasciò abbandonare sull’ultima poltrona libera vicino a quella del marito.

- è un piacere rivederti anche per me, Pansy – disse Draco ironico.

La giovane donna ringhiò leggermente nella direzione del suo ex fidanzato.

- non per me! No di certo! Sapevo che ti avrei trovato qui, lo sapevo! – lo accusò.

- su, su, Pansy. Era ovvio che lo avresti trovato qui – mormorò Blaise tranquillamente, tornando a sfogliare il libro che aveva fra le mani.

- e lo difendi? – fece lei allibita.

- mi ha quasi spaventato a morte, cara. No, non lo difendo. Lo sopporto – mormorò nuovamente.

Pansy annuì, totalmente d’accordo con il marito.

Draco li osservò, pensieroso.

Alla fine, Pansy era andata a Blaise. A lui non aveva fatto particolare effetto questo fatto. Non aveva mai guardato Pansy più che come un’amica d’infanzia o, al massimo, una compagna di divertimenti.

Osservandoli ora, seduti l’una a fianco dell’altro, doveva ammettere che Blaise era mille volte meglio di lui nei panni del marito di Pansy. E lei per lui.

I suoi pensieri furono interrotti dalla voce infastidita di Pansy, che lo stava guardando truce.

- io vorrei andare a letto se non ti dispiace -.

Draco ghignò pigramente.

- nessuno ti trattiene -.

Pansy alzò gli occhi al cielo, borbottando qualcosa che a Draco suonò molto come “Merlino trattienimi”, “piccolo scroccone dei miei stivali” e “giuro che prima o poi lo soffoco con le mie mani”.

- Blaise – soffiò in seguito, alzandosi e portandosi le mani sui fianchi in una posa combattiva.

Blaise sospirò, dicendo:

- va’ pure Pansy, non ti preoccupare, ci penso io -.

Pansy, visibilmente compiaciuta, si diresse verso la sua stanza per la toeletta senza neanche degnare con uno sguardo il biondo.

Egli inclinò un sopracciglio, osservandola con un’espressione ironica.

- una volta non avrebbe fatto altro che seguirmi adorante – affermò.

- bei tempi – rispose Blaise, sospirando. Poi si rivolse nuovamente al biondo:

- la strada per la tua stanza d’emergenza la conosci, no? – chiese retoricamente, chiudendo il libro con uno scatto ed alzandosi – non mi aspetto di trovarti a colazione domani quindi ti auguro la buona notte e per favore evita di distruggermela di nuovo, la stanza – fece, osservando con un’espressione divertita il biondo alzarsi.

Draco non rispose, non lo faceva mai.

Blaise lo osservò uscire dalla stanza silenzioso come un’ombra.

Ultimamente era sempre più raro parlare in quel modo a Draco.

Combattere tra le fila dei Mangiamorte evidentemente lo stava cambiando.

Blaise non poteva dirlo.

In fondo anche lui aveva preso la linea d’azione della propria famiglia: gli Zabini erano famosi tra le famiglie Purosangue per non prendere mai del tutto una fazione. Una famiglia molto ambigua.

Era per questo che Blaise non si occupava di combattere in campo aperto, e nemmeno sua moglie. Lui era stato cresciuto per essere un fine politico. Ed i piani del Signore Oscuro su di lui erano puramente di quel tipo.

Se da una parte era una fortuna, dall’altra era una tremenda maledizione.

Sempre nel mezzo. Non c’era altra legge. Altra possibilità.

Sentì un leggero fruscio dietro di sé e seppe subito chi era.

- lo hai lasciato di nuovo dormire in quella stanza? – mormorò sua moglie, abbracciandolo da dietro.

Pansy. Così orgogliosa, così ambiziosa, così sensuale, così letale.

Non rispose, non lo faceva mai.

Pansy si lasciò condurre verso la loro camera, ben consapevole di ciò che sarebbe successo di lì a poco. Sorrise maliziosa. Non aspettava altro.

Le domande potevano aspettare.

Le domande dovevano aspettare.

Non c’era altra legge. Altra possibilità.

Draco si richiuse la porta alle spalle, osservando la stanza che Blaise gli aveva concesso fin dalla prima volta che era venuto a cercare rifugio nella sua nuova casa.

Lasciò scivolare il mantello a terra, così come aveva fatto nella sua camera, a Malfoy Manor.

Spalancò una delle finestre, facendo entrare l’aria gelida della notte che gli penetrò dentro fino alle ossa. Rimase ad osservare il paesaggio notturno con la mente silenziosa, per una volta.

Ma non durò a lungo.

Alcune immagini infatti stavano premendo in particolare per raggiungerlo, per riproporsi traditrici alla sua memoria.

Come l’ultima discussione avuta con suo padre.

O meglio, l’ultima volta che era rimasto immobile a ricevere da lui la Cruciatus, e poi, per cosa?

Per un folle desiderio di dominarlo? Per un maledetto desiderio di imporsi? Di controllarlo ancora?

Di certo non poteva essere quello il suo destino, lo sapeva bene.

Poteva essere l’essere incatenato per sempre alla figura di un fallito finché – e qui le sue labbra si piegarono involontariamente in un riso privo di felicità – morte non vi separi?

No.

Si staccò dalla finestra, non chiudendola. Si mosse lentamente per la stanza buia e silenziosa, leggero ed impercettibile come il vento, oscuro come un’ombra.

E come non ricordarsi della cara vecchia zia Bellatrix. Quando era un marmocchio privo di carattere gli era stato insegnato da suo padre di vederla come una sorta di divinità femminile decaduta, il cui unico errore era stato quello di non tacere al momento opportuno.

Un errore comune. Un errore perdonabile.

Crescendo, conoscendola, aveva compreso la verità.

Una pazza.

Una malata di mente.

Una sadica stronza.

Era quello l’obbiettivo di suo padre? Renderlo un sadico stronzo?

Si fermò all’improvviso guardando davanti a se e trovando una copia perfetta di sé stesso ad osservarlo a sua volta.

Uno specchio.

Rimase a contemplare per un po’ la sua figura riflessa, ma senza vanità. Una semplice osservazione, semplice constatazione della propria apparenza.

I capelli biondi, quasi argentei, gli occhi grigi, di nubi congelate, la carnagione chiara, di manti nevosi, gli abiti ricchi, di altera superiorità.

Il suo riflesso riprodusse un ghigno maligno.

No, non si sarebbe lasciato condizionare. Avrebbe condizionato.

Perché subire non era il suo destino.

Tu sai qual è il tuo destino,  si disse, incupendosi, e non è al fianco di Lucius.

Cosa gli aveva detto Blaise?

Ah, sì, per favore evita di distruggermela di nuovo, la stanza.

Beh, per quello che gliene importava, quella stanza della casa di Blaise poteva anche andare a farsi fottere.

Estrasse la bacchetta e la puntò contro lo specchio, mormorando l’incantesimo.

I frammenti spezzati esplosero attorno alla stanza, qualcuno ferendolo anche. Ferite superficiali che non lo preoccupavano. Con un paio di altri colpi ben mirati mandò in pezzi molti degli altri preziosi mobili.

Quando fu soddisfatto, raccolse il mantello e si smaterializzò.

Ora, finalmente, poteva andare a riposarsi in pace.

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Capitolo 11
*** Faccia a faccia ***


NdA: Ciauz!

Lo so e mi scuso. Stavolta vi ho fatto aspettare un bel po’. Ma che volete farci, non mi veniva alcuna ispirazione. Aargh.

Comunque eccomi qua con un nuovo capitolo.

Di Ginny si vedrà ben poco; questo capitolo è tutto per il nostro eroe e per i suoi due inseparabili amici. E si farà una piccola incursione nel mondo del nostro cattivo per eccellenza.

Spero vi piaccia!

 

Ringraziamenti:

 

Sweet nettle: ciauz!

Sì, come hai fatto a scoprirmi? Il mio intento è proprio quello di non farvi dormire la notte! BWAH HA HA! Ok, scherzi a parte, mi fa solo piacere che la storia ti prenda a tal punto.

Certo non auguro a nessuno dei miei lettori di diventare insonni! Eheh, sarei proprio crudele!

Benone, ti lascio a questo nuovo capitolo. Fammi sapere! un bacio.

 

Energiapura: ciauz!

Credimi, non sei solo tu a navigare nel “BOH”. Penso di essere io la prima! eheh.

Spero che il capitolo ti piaccia. Poi fammi sapere, ok? Un bacio!

 

Kaho_chan: ciauz!

Ho impiegato un po’ a comprendere la tua ultima recensione, sai? Mamma mia che confusione! Mi sembrava quasi di leggerne una delle mie! Eheh! Comunque per ora Ginny non ha tirato ancora fuori niente. Io le consiglio di farlo, ma tutte le volte lei mi guarda male e mi dice di sparire, quindi vedi un po’ te. La ragazza ha bisogno di una bella spinta!

Per quanto riguarda il tatuaggio sta tranquilla, non ho ancora detto nulla riguardo al suo uso. Lo si scoprirà più avanti. Ora ti saluto e ti lascio leggere. Un bacione!!

 

Bene, smetto di rompervi le scatole.

Ringrazio tutti voi che leggete la mia storia.

Se potete recensite, ok? ;P

Un bacione a tutti!

La vostra

‘myu

 

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

11. Faccia a Faccia

 

Il castello nel quale il Signore Oscuro aveva trovato per anni rifugio era caduto in rovina subito dopo la sua presunta morte, ormai ventuno anni prima.

La sua esatta ubicazione nessuno l’aveva conosciuta fino a quel fatidico momento, ma anche in seguito era comunque rimasta una notizia top secret.

Ritenendolo infatti un luogo impregnato di forte energia negativa e seminato di trappole nascoste, il Ministero aveva preferito evitare l’affluenza di curiosi maghi e streghe che sicuramente sarebbero giunti da tutto il globo per “ammirare” il luogo dal quale il Signore Oscuro aveva ordito le sue malefiche trame.

Era un castello nero, che in grandezza e maestosità nulla aveva da invidiare ad Hogwarts, custodito nel cuore di un bosco tetro, zeppo di creature terrificanti.

Ma era sempre stato considerato un castello decaduto, niente di più, niente di meno.

Almeno fino al momento della rinascita di Voldemort.

Avendo infatti paura che egli desiderasse riprendere possesso di ciò che era suo, per mesi e mesi il Ministero aveva tenuto degli auror a controllarlo. Senza motivo, sembrava.

In realtà il Ministro sapeva perfettamente che il Signore Oscuro non avrebbe mai e poi mai posto la sua base in un luogo ormai noto a tutti gli auror, ma quella mossa gli era servita solo per far sembrare che avesse la situazione sotto controllo.

Lascio intendere che non era assolutamente vero.

Il Ministero non aveva la più pallida idea di dove si trovasse la nuova base di Voldemort.

Il primo castello nero era stato appunto scoperto dopo la caduta del suo padrone.

Probabilmente la cosa si sarebbe ripetuta.

Ammesso che il Signore Oscuro fosse sconfitto un’altra volta…

- ancora non mi è chiaro il motivo del nostro viaggetto quaggiù - sbuffò Ron, tentando in tutti i modi di riprendersi il lembo del mantello rimasto impigliato nella vegetazione dietro di lui.

- si chiama sopralluogo Ronald - disse Hermione, guardandolo storto - e ti prego di non rendere la cosa più fastidiosa - aggiunse, sbarazzandosi di un rametto rimasto impigliato fra i suoi capelli.

- si chiama sopralluogo Ronald - la scimmiottò il ragazzo, dando uno strattone troppo forte e finendo per strapparsi il mantello - porc... - sbottò, infastidito.

Harry ridacchiò.

- tu! Ti proibisco di divertirti delle mie disgrazie! - gli disse il rosso, ancora più infastidito.

- finiscila Ronald! - sbottò allora Hermione.

I due si guardarono in cagnesco ed Harry annusò odore di litigio nell’aria.

- ragazzi vi prego. Non di nuovo, ne abbiamo già discusso - raccomandò pacato, continuando ad avanzare tra la vegetazione in direzione dell’entrata dell’enorme struttura pietrosa.

I due si limitarono a lanciarsi un’ultima occhiata stizzita, per poi ricominciare a camminare, senza degnarsi di uno sguardo.

Harry scosse la testa.

E menomale che sono fidanzati! Pensò a metà tra l’esasperato ed il divertito.

- comunque non riesco a capire perché siamo venuti qua in questo castello sperduto e disabitato - continuò Ron.

Harry troncò con uno sguardo d’avvertimento la risposta pungente che di sicuro Hermione aveva preparato e rispose al suo posto.

- ci hanno affidato la missione di controllare che sia effettivamente disabitato. Ed io ho pensato, visto che è ovvio che sia disabitato, di darci un’occhiata in cerca di voi-sapete-cosa - spiegò sbrigativo.

- ah - borbottò Ron.

- già - fece Hermione guardandolo con superiorità.

Harry roteò gli occhi, sbuffando.

Che bambini... pensò.

Dopo qualche minuto di lotta serrata con altre piante che non ne volevano sapere di lasciarli passare (che Hermione subito classificò come piante magiche dal nome chilometrico che servivano appunto ad impedire il passaggio agli estranei) finalmente si trovarono di fronte al portone d’entrata del castello.

I tre guardarono prima il portone dall’alto in basso, per poi guardarsi l’uno con gli altri con espressioni smarrite.

Fu Ron ad esprimere i pensieri di tutti.

- bene, siamo arrivati. Come entriamo? Non so a voi, ma a me non hanno dato nessuna chiave - chiese.

Dopo qualche attimo di silenzio fu Hermione a prendere la parola.

- in realtà… beh nessuno è mai riuscito ad entrarci a parte i Mangiamorte passati dalla nostra parte durante l’ultima guerra – spiegò a disagio.

- suppongo dunque che l’unico modo di entrarci è con un bel tatuaggio stampato sul braccio. Beh, no, grazie! – sibilò Ron, guardando torvo la porta.

Hermione rimase pensierosa per qualche istante.

- aspettate un attimo - disse, estraendo la bacchetta dalla tasca e cominciando a mormorare diversi incantesimi che gli altri due non compresero.

- dunque? - chiese Harry curioso quando l’amica abbassò la bacchetta.

- dunque siamo in un bel guaio - sospirò lei - le pareti sono protette da molti incantesimi complicati che non permettono di scalarle. Non parliamo poi di materializzarsi, di certo Vol-Voldemort non era così sciocco da permettere ai primi maghi o streghe che passavano di entrare nel suo Quartier Generale tanto facilmente... - spiegò.

- e dunque? - ripeté Ron.

- dunque l’unico modo è di passare per la porta... e sì, ho già provato con l’Alohmora e gli altri incantesimi - rispose.

I due si guardarono infastiditi, per poi riportare gli sguardi su di lei e sbottare all’unisono:

- e dunque? -.

Lei li guardò accigliata, poi fece un sospiro profondo e li guardò con un’insopportabile aria di superiorità.

- dunque la porta deve fare boom - disse con lo stesso tono di voce di una maestrina che deve spiegare un concetto semplicissimo ad un bimbo piccolo ed egli non riesce ad afferrarlo.

Ron ed Harry fecero un balzo indietro, guardandola orripilati.

- vuoi far esplodere questa cosa? - esclamò Ron esterrefatto.

Ma fu già troppo tardi, perché la strega aveva già puntato la bacchetta contro la porta massiccia e aveva gridato un incantesimo che ne aveva fatto saltare i cardini con un potente fragore.

La porta cedette all’istante, precipitando verso il basso e rischiando di travolgere i tre che corsero al riparo.

Quando il rumore cessò Harry e Ron si voltarono furiosi verso la terza che rideva soddisfatta.

- ti sei bevuta il cervello? - soffiò il rosso.

- piaciuto? - fece sorniona lei, avanzando verso l’entrata, ormai sgombra, del castello - l’ho inventato io! -.

I due la guardarono a bocca spalancata.

- cosa? - esclamarono all’unisono.

In risposta ebbero solo una risatina da parte della giovane che, con la bacchetta in mano, entrò cautamente nel maniero.

Harry era sbalordito. Sapeva che Hermione era un genio, ma... inventare tali incantesimi...

Wow.

Subito si affrettò a seguirla, seguito a sua volta da un riluttante Ron che, da parte sua, non sapeva se strozzarla o baciarla fino allo svenimento.

Adorava quella ragazza, anche quando faceva la superiore.

A quel mondo non c’era proprio giustizia.

Bastò molto poco per accertarsi davvero che il castello fosse disabitato.

Non che si fossero poi sforzati più di tanto di guardarsi in giro per quello.

Entrarono sbrigativamente in alcune stanze senza trovare nulla di particolare, per poi soffermarsi in un grande salone cosparso di poltrone e divani foderati in consunta pelle nera, che un tempo dovevano essere stati molto lussuosi.

- suppongo questa fosse l’area relax – commentò Harry.

Su alcune poltrone c’erano ancora dei mantelli scuri e su alcuni mobili pregiati erano appoggiate diverse maschere argentee, come a sottolineare a chi era appartenuto quel luogo.

C’erano perfino degli impolverati calici mezzi pieni, nei quali il liquido che doveva esserci contenuto si era trasformato in una sostanza densa dall’odore acre.

- dunque credi davvero che sia qui? – chiese cauto Ron, rivolto al suo migliore amico.

Harry scrollò le spalle.

- non è poi una così remota possibilità – affermò.

- tutto sommato era qui che abitava, no? Dubito di trovarci Nagini, ma di sicuro ci deve essere qualcos’altro! – disse poi Hermione, chinandosi a raccogliere un cuscino caduto da uno dei divani – che schifo – commentò poi con un’espressione disgustata, scrollandolo dalla polvere scura.

Nessuno di loro sapeva esattamente cosa stavano cercando. Erano convinti comunque che l’avrebbero riconosciuto solo quando l’avessero trovato.

In fondo un Horcrux poteva essere contenuto in innumerevoli oggetti.

Uscirono da quella stanza, raggiungendo la base delle scale e cominciando a risalirle.

La ricerca al piano terra era stata infruttuosa.

Anche al piano superiore non trovarono molto.

- questo castello avrà un centinaio, se non un migliaio di stanze! Per non parlare delle segrete e delle torri! Come cavolo faremo a guardare dappertutto? E poi dubito che tenesse una cosa tanto importante in una stanza qualunque, ammesso che la tenesse proprio in questo castello! – sbottò Hermione quando raggiunsero il terzo piano.

- e cosa dovremmo fare? – le chiese pacato Harry – non abbiamo idea né di cosa cerchiamo né di dove si trovi. Questa è la cosa più assurda che mi sia mai capitata – aggiunse poi, più rivolto a sé stesso che agli altri.

Hermione si morse le labbra e ricominciò la ricerca.

Ron guardò per qualche istante Harry con un’espressione cupa, ma poi anche lui fece lo stesso.

Harry si passò con un sospiro la mano sulla fronte e, all’improvviso, si sentì attratto in modo irresistibile verso qualcosa.

Senza neanche rendersene conto si mise a correre e, salendo un altro piano, si trovò di fronte ad un altro immenso portone.

I suoi due amici lo avevano seguito confusi, non capendo cosa gli fosse accaduto, così tutto ad un tratto.

La porta maestosa rivelò un’altra stanza grande che doveva avere le dimensioni della Sala Grande ad Hogwarts. Era vuota, tranne che per un trono rovinato sul fondo ed un lungo tappeto impolverato al suo centro.

- probabile che questa era la sua sala del trono – disse sarcastico Harry, avanzando seguito a ruota dagli altri due.

Probabilmente sarebbero rimasti a lungo a guardarsi intorno, se non fosse stato per un’improvvisa esplosione di voci proveniente dai piani inferiori.

- oggi non c’erano altri auror in missione – disse piano Hermione.

Ron la guardò spalancando gli occhi, per poi rivolgersi ad Harry.

- merda, – esclamò – Mangiamorte! -.

Harry si guardò trafelato intorno, in cerca di un luogo dove nascondersi. Erano solo in tre, non avevano speranze contro un folto numero di loro.

Lo sguardo gli cadde su una porta parzialmente nascosta dai tendaggi che coprivano la parete dietro al seggio.

- Hermione – disse Harry indicandogliela, sentendosi gelare il sangue nelle vene nonostante avesse trovato un nascondiglio – apri quella fottuta porta!

la ragazza non se lo fece ripetere due volte. Con un veloce incantesimo spalancò la porta e la richiuse dietro di loro quando vi furono entrati.

Vi appoggiò sopra un orecchio.

- sembra silenzioso di là – mormorò.

- non importa, staremo per un po’ nascosti qui – mormorò Harry.

- che cazzo ci fanno dei Mangiamorte qui? – esclamò Ron a bassa voce, con il cuore a mille.

- credo che avevamo ragione Harry – mormorò inaspettatamente Hermione – perché Voldemort dovrebbe mandare le sue truppe in un luogo sorvegliato dal Ministero se non per recuperare qualcosa? -.

- già ma chi ci dice che sia un Horcrux? – mormorò Ron roteando gli occhi.

Hermione si voltò per lanciargli un’occhiataccia, ma rimase immobile a fissare un punto sopra la testa del rosso.

- guardate, – disse ad alta voce, dimentica del pericolo – scale… -.

I due si voltarono.

Scale.

- andiamo – disse Harry a voce bassa, dirigendosi verso di lì.

- ma sei matto? – esclamò Ron a bassa voce, afferrandogli un braccio – è una porta nascosta! Chissà dove conducono quelle scale! È pericoloso! -.

Harry lo guardò calmo, con un lieve sorrisetto.

- dimmi qualche cosa che non sia pericolosa nella mia vita, Ron – disse piano – e poi non abbiamo altra scelta. Magari questo passaggio porta all’esterno – disse.

- salendo verso l’alto? – gli disse Ron sarcastico, ma lo lasciò andare.

Alla fine che altro poteva fare?

Salirono silenziosamente la scalinata con le bacchette in mano, guidati da Harry.

Sbucarono su un pianerottolo sul quale si affacciavano molte stanze, la maggiorparte aperte.

- credete che magari possano essere le stanze di Voldemort? – chiese Hermione, rabbrividendo leggermente.

Ron ed Harry rimasero pensierosi per qualche istante.

- beh, suppongo di sì – commentò Ron.

- facciamo in fretta a cercare – disse Harry velocemente, guardandosi intorno – questo posto non mi piace -.

Erano stanze grandi, per essere stanze nascoste agli estranei. Capirono subito che erano state di Voldemort, erano piene di tanto materiale nero da far rabbrividire perfino i maghi più oscuri.

Non trovando però nulla nelle stanze aperte, cominciarono ad aprire le stanze chiuse e a frugarci dentro.

- niente – sbottò Ron dopo un po’ – ed abbiamo anche guardato nel bagno e nella sua camera da letto! – aggiunse con un’espressione disgustata.

- ehi venite a vedere! – chiamò Hermione – ne ho trovata un’altra! -.

Era una stanza grande, piena di scaffali colmi di ogni tipo di oggetti e tende divisorie. In un certo senso, togliendoci le tende, poteva sembrare la stanza delle profezie nell’Ufficio Misteri.

Harry si incupì al ricordo.

Girò per gli scaffali, osservando con attenzione gli oggetti e seguito dai suoi compagni.

Svoltò un angolo e, all’improvviso, i suoi occhi incontrarono un altro paio di occhi, sconosciuti ma allo stesso tempo stranamente famigliari.

- tu! – esclamò con rabbia, puntando la bacchetta contro al mago.

Chi in fondo non conosceva il Principe Oscuro?

Egli sembrò sorpreso quanto loro nell’incontrarli in quel luogo, ma si riprese subito, lanciando un’occhiata gelida nella loro direzione.

- Potter – sibilò.

Anche se doveva aver per forza visto i suoi due compagni, non li degnò neanche di uno sguardo.

Questo mandò Harry su tutte le furie, ma cercò invece di concentrarsi e di non mostrargli la sua irritazione.

- cosa ci fai qui, maledetto? – gli chiese con una voce calma che però lasciava percepire tutte le violente emozioni che nascondeva.

Da sotto quella maschera, ci poteva scommettere, il Mangiamorte gli stava sorridendo malignamente.

- potrei farti la stessa domanda – disse infatti, con un luccichio sarcastico negli occhi gelidi.

- non giocare con me! – tuonò Harry, lanciandogli un incantesimo che fu deviato facilmente.

Lo sentì ridacchiare maligno.

- nervoso, Potter? – ma poi smise, osservandolo con falsa curiosità – ora che ci penso, questa è la prima volta che ci troviamo faccia a faccia. Mio padre mi ha parlato molto di te -.

- ma davvero? Che carino – disse Harry torvo, lanciando un altro incantesimo, anch’esso deviato.

Ron ed Hermione si erano istintivamente messi in disparte.

Qualcosa diceva loro che era meglio non interferire tra quei due.

Questa volta fu del Principe il turno di attaccare, ma anche Harry deviò facilmente il suo incantesimo.

- devi impegnarti di più se vuoi sconfiggermi – sibilò Harry gelido, rispondendo all’attacco.

Dei due in ogni caso l’unico che pareva fare sul serio era Harry. E non riusciva a capacitarsi del perché non lo attaccasse.

- non sono venuto qui per te – rispose lui, senza che Harry gli avesse detto nulla.

- cosa…? – esclamò Harry, sgranando gli occhi.

- sai, Piton mi aveva detto che facevi pena in Occlumanzia, ma non credevo così tanto! – lo schernì maligno il nemico.

Fu alla menzione di quel nome che Harry perse le staffe.

- stai zitto! – tuonò, puntandogli la bacchetta addosso. Non aveva pronunciato alcun incantesimo e dalla sua bacchetta non era fuoriuscito nulla, ma, inspiegabilmente, alcuni oggetti nella stanza esplosero, frantumandosi in mille pezzi.

Il Principe Oscuro lo guardava con un’espressione malignamente soddisfatta da sotto la maschera.

- mi piacerebbe rimanere a conversare con te, fratello, ma purtroppo sono atteso altrove – e, detto questo, si diresse con una velocità inaspettata verso le scale, scendendole. Non correva, sembrava che scivolasse sul pavimento.

Qualcosa luccicò nella sua mano, ma nessuno dei presenti riuscì a capire cosa fosse.

Harry rimase stordito per qualche attimo, ma poi prese a corrergli dietro meccanicamente.

I suoi amici tentarono di fermarlo, non dimentichi di chi poteva esserci ad attenderli nel salone, ma lui non lì sentì.

Fu proprio in quella sala del trono che tornò in sé, non vedendo più il suo avversario, e si trovò circondato con Ron ed Hermione da almeno una ventina di Mangiamorte.

- Harry – mormorò con voce tremula Hermione, bianca come un cencio.

Ma Harry non provava alcuna paura.

Solo una gran voglia di sfogare la sua frustrazione per essersi lasciato sfuggire quell’essere.

- ragazzi – disse tetro – non osate trattenermi -.

Tempo dopo, in un luogo molto lontano, il sentimento di tetra rabbia di Harry fu imitato da qualcun altro.

Voldemort stava osservando con un’espressione truce il servo chinato davanti ai suoi occhi, al centro del cerchio dei Mangiamorte che amavano definirsi i suoi più fedeli.

In quel momento l’unico modo in cui si sentiva di definirli era i più incapaci.

Gli era stato infatti appena riferito l’esito dell’ultima missione.

Un fallimento.

Ormai le uniche missioni che lo soddisfacevano erano quelle condotte da Evil. Perfette, impeccabili.

Non certo come quelle di quell’inetto.

- e cosa è andato storto, mio Mangiamorte? – chiese con calma studiata, accarezzando distrattamente il capo di Nagini.

Il Mangiamorte tremò al tono di voce che gli era stato rivolto.

- Harry Potter, signore – disse con un filo di voce.

L’attenzione del Signore Oscuro si fece più vivida.

- quale eroica impresa ha compiuto stavolta? – domandò con un’ironica malvagità.

Il Mangiamorte stava per parlare quando Voldemort decise di trovare da solo le informazioni che cercava. Si insinuò con violenza nella sua mente, strappandogli un urlo lacerante. Quella era melodia alle sue orecchie.

Ben presto il suo umore peggiorò.

- tre contro venti e vi hanno sconfitti? – sibilò infatti, puntando la sua bacchetta contro il suo servo e pronunciando l’incantesimo di tortura più efficace.

Le grida di agonia del malcapitato fecero rabbrividire di piacere Bellatrix.

Per quanto tempo aveva atteso tutto questo? Per quanto aveva atteso il ritorno del suo Signore?

Era meraviglioso essere ancora al suo cospetto ad osservare tali sublimi torture.

Ma si beò molto poco di tale visione. Il Signore Oscuro non aveva voglia di giocare, quel giorno.

Non voleva rovinarsi la giornata a causa di un paio di inetti.

Freddò il servo e alcuni dei suoi sottoposti in un paio di secondi, senza pietà, senza rimorso.

Quelli erano sentimenti inutili, sentimenti deboli.

Non di certo per il futuro dominatore del mondo.

- che questo sia di lezione – disse, indicando con un gesto della mano ad un Mangiamorte di togliere dalla sua visione i corpi dei suoi ex servitori – a tutti coloro che credono di poter scherzare con me, o, peggio, - e qui il suo tono si fece velenoso – fallire -.

Nel salone il silenzio era completo, un silenzio carico come sempre di tensione e timore.

Con un gesto elegante della mano congedò la maggior parte dei presenti, ma non tutti.

Bellatrix guardò trionfante coloro che stavano lasciando la sala, ma la sua espressione si incupì quando vide che tra i rimanenti c’era anche Piton.

Maledetto…

Non solo era riuscito a sopravvivere e a rientrare nelle grazie del Signore Oscuro per aver ucciso quel vecchio barbagianni di Silente, ma, e questo le bruciava in maniera inaudita, aveva rubato la gloria destinata a Draco e alle loro famiglie.

Ancora non sapeva come aveva fatto, ma lo avrebbe scoperto. E quando quel meraviglioso giorno sarebbe arrivato, lei lo avrebbe osservato perire tra atroci agonie, e avrebbe riso.

Le sue labbra dipinte di rosso si piegarono in un sorriso malevolo a tale pensiero.

Sì, pensò, non sarebbe niente male… proprio niente male…

Da parte sua Piton sentiva su di sé lo sguardo di Bellatrix, ma la ignorava.

Che donna squallida.

In quel momento non aveva tempo per giochini sciocchi; il Signore oscuro aveva in mente qualcosa e lui non sapeva cosa aspettarsi.

Il medesimo pensiero apparteneva agli altri Mangiamorte rimanenti.

Ma forse colui che ne era più ossessionato era Lucius Malfoy.

Perché se avesse giocato bene le sue carte in questa mano, avrebbe potuto rientrare a tutti gli effetti nelle grazie del Signore Oscuro e rimediare in qualche modo agli errori del passato.

Voldemort stava osservando i suoi servitori. Poteva percepire i loro pensieri senza il minimo sforzo.

Ovviamente avrebbe usato tutto ciò che poteva a suo vantaggio.

Si sedette nuovamente sul trono che poco prima aveva abbandonato, lasciando che Nagini lo circondasse in un abbraccio quasi materno.

- vi starete chiedendo perché ho mandato via tutti gli altri meno che voi – cominciò, ricominciando a studiarli con i suoi occhi serpentini – ebbene, dobbiamo solo attendere… - ma fu interrotto dall’improvvisa materializzazione di qualcuno nella sala.

Evil guardò suo padre con una silente espressione trionfante dipinta negli occhi.

Voldemort comprese e piegò la bocca priva di labbra in un sorriso satanico. Troppo facile…

A molti chilometri di distanza, una strana sensazione colpì all’improvviso Ginny Weasley, svegliandola.

Inspirò ed espirò per diversi minuti prima che il suo cuore tornasse a battere normalmente.

Ma che cavolo…? Pensò, portandosi una mano al petto.

Sentiva che qualcosa era cambiato, e quella sensazione non le piaceva.

Si portò una mano sulla fronte pulsante, nervosa.

Che cavolo le stava succedendo?

 

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Capitolo 12
*** Studio sul campo ***


NdA: Puff, puff!

Eccomi qua, perennemente in ritardo. Non disperate comunque, io ci sono ancora e continuo sempre a scrivere quando posso.

Sarò breve, avete atteso abbastanza il capitolo e non vorrete aspettare ancora molto.

Un capitolo abbastanza importante, soprattutto per alcuni minuscoli particolari che sta a voi cogliere. No, no, non me li dite! Non li voglio sapere!

Vedrete poi se ci avete azzeccato o meno!

 

Ringraziamenti:

 

Energiapura: ciauz!

È ovvio che vi torturi! Se no che gusto c’è ad essere autrici? ;P (FWAH HA HA!!)

Cosa succede a Ginny, eh? Beh in questo capitolo la sua storia va avanti. Ma la conclusione tempo ti farà impazzire di nuovo^^. Che vuoi farci? Eheh. Un bacione!

 

Sweet nettle: Eccomi^^!!

Sempre in ritardo… suppongo tu ormai ci abbia fatto l’abitudine… ehm ehm… comunque sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. Anche per e lo stesso, non si sa ancora cosa effettivamente accadrà a Ginny! Ma non ti preoccupare, ci siamo molto vicino! Un bacione!

 

Kaho_chan: Ciauzz!!

Ma no, non ti preoccupare per la recensione. Andava benissimo! Comunque… ehm… ^///^ si lo ammetto, un po’ sadica lo sono… -__^’ che vuoi farci? Grazie per i complimenti Kahucci^^, mi fai sempre un grandissimo piacere. Spero che questo capitolo ti piaccia. La fine… beh, dunque… la fine… temo che sarà simile alla precedente ;P che vuoi farci, mi conosci no? Adooro quando i miei lettori devono spremersi le meningi! Un bacione a presto!

 

 

Destini intrecciati

By Lulumyu

 

12. Studio sul Campo

 

Ginny non era più riuscita a chiudere occhio da quando si era svegliata in piena notte.

La sensazione oscura che aveva provato l’aveva sconvolta.

Ma, per evitare che i suoi venissero a sapere ciò che era successo o si preoccupassero inutilmente, era rimasta chiusa nella sua camera fino al mattino seguente.

Dovendo andare al Quartier Generale come tutte le mattine della settimana, si era presentata in cucina alle sette e mezza per fare colazione.

Entrando nella cucina si immobilizzò, guardando curiosa la scena.

- e voi che ci fate qui? – chiese sorpresa.

- buongiorno anche a te Ginny – bofonchiò in risposta suo fratello Ron, prendendo un lungo sorso di caffè.

- oh – fece lei distrattamente – sì, buongiorno -.

Sembrava che buona parte della famiglia Weasley (e gli Weasley adottivi) si fosse ritrovata sotto lo stesso tetto alla stessa ora.

Si sedette al suo posto e subito sua madre le mise davanti la colazione. Era ovviamente raggiante di avere tutti quegli ospiti in giro per casa.

- dunque? – chiese di nuovo, dopo aver preso un sorso di caffè.

Ci furono un paio di borbottii in risposta, ma nulla di più.

Lei roteò gli occhi.

- va bene va bene non rompo – bofonchiò infastidita.

Dopo qualche minuto di conversazione nulla (serie di bofonchiamenti e monosillabi che si possono anche esprimere nella forma “conversazione a senso unico”), Ginny Weasley si alzò e, dopo aver riposto tutto nel lavandino della cucina, si affrettò verso la sua camera.

Dopo essersi lavata e velocemente cambiata, uscì salutando sua madre ma ignorando gli altri e si diresse fuori oltre alla barriera protettiva. Superata questa, si smaterializzò diretta al proprio ufficio.

Grazie ad alcuni permessi che si era risolta di ottenere, ora poteva materializzarsi direttamente al suo cubicolo da qualsiasi luogo fosse in precedenza.

Si lasciò andare sulla sedia girevole, picchiettando nervosamente con le unghie sulla scrivania.

Essere ignorata in quel modo…

Va bene che era mattina presto, però…

- oh, al diavolo – bofonchiò, alzandosi e dirigendosi a passo deciso verso gli archivi del Quartier Generale.

Ron era stato l’unico che si era degnato di salutarla. E che saluto, poi.

Hermione era rimasta tutto il tempo immersa nella lettura di un tomo, completamente isolata dall’esterno, Harry era rimasto a fissare il vuoto con sguardo vacuo, ricordandosi ogni tanto di bere un sorso di caffè e Fred e George stavano confabulando come al solito di chissà che cosa.

I fratelli maggiori non c’erano e neanche suo padre.

Ginny era stata felice di vedere il trio: non aveva ancora ricevuto notizie della missione del giorno prima al vecchio castello di Voldemort e moriva dalla curiosità di esserne aggiornata.

Vista la non disponibilità della sua fonte primaria (Hermione), si era dovuta come al solito arrendere anche prima di cominciare.

Quindi, a seguito di questo, le era parso naturale cercare da sola le risposte che voleva. Era diventata una consuetudine in quegli ultimi tempi.

Volendo avrebbe potuto farsi fare la tessera gold degli archivi degli auror, perché era sempre e solo lei ad andare a frugarci e a studiarseli.

Roteò gli occhi, spingendo aperta la porta che conduceva agli archivi.

- ancora qui tenente Weasley? – la apostrofò la responsabile degli archivi, una strega di mezza età che le ricordava in modo preoccupante Madama Pince.

Si limitò ad annuire brevemente, dirigendosi con passo deciso verso la zona che le serviva.

Evidentemente a Mrs. Non-osate-toccare-i-miei-papiri Readbooks non era piaciuto essere praticamente ignorata.

Con un contegno esagerato si alzò dalla sua postazione, dirigendosi verso la giovane con un’espressione stizzita tipica di una persona che è stata disturbata nel momento meno opportuno.

Peccato che per lei erano tutti momenti inopportuni.

Già.

- signora Readbooks, la prego non si scomodi per me. Posso farcela da sola – le disse con il sorriso più cortese che fosse riuscita a trovare.

La signora alzò un sopracciglio in modo plateale, dubitando seriamente che la ragazza fosse capace di intendere e di volere.

- ma no che non può – si limitò a dire come se l’idea contraria non l’avesse neppure sfiorata.

Ginny dovette fare uno sforzo enorme per non scoppiare.

Brutta spiona ficcanaso!

- d’accordo, come preferisce – le disse invece in tono zuccheroso – allora mi potrebbe aiutare a recuperare i resoconti di tutte le missioni da tre giorni a questa parte? -.

La signora sbatté un paio di volte le sopracciglia, poi prese in mano la bacchetta e con un gesto ostentatamente casuale utilizzò un incantesimo di appello per chiamare a sé i documenti richiesti.

Tutto questo senza mai levare gli occhi di dosso a Ginny.

- grazie – si sforzò di dirle la giovane, affrettandosi ad uscire dall’archivio.

Sentì i tentativi dell’addetta dell’archivio che tentava di trattenerla con qualche scusa, sicuramente per ficcanasare ulteriormente, ma la ignorò senza pensarci troppo.

Si chiuse la porta alle spalle e velocemente ripercorse al contrario i corridoi che l’avrebbero riportata al suo cubicolo.

Qui si spaparanzò come al solito sulla sua sedia girevole e cominciò a sfogliare con minuziosa attenzione ogni pagina del perfetto resoconto dell’auror Granger.

- avanti… su – mormorava intanto, mordicchiandosi le labbra – dimmi che avete scoperto qualcosa e che l’avete scritto qui… forza… -.

Ma purtroppo più della descrizione della loro perlustrazione e della loro vittoria sui Mangiamorte (- hanno sbaragliato trenta Mangiamorte?! -), non c’era nulla.

Anche se da intendere c’era parecchio, soprattutto nel punto nel quale dicevano di aver scoperto il Principe frugare nelle ex stanze private del Signore Oscuro.

Hermione era rimasta piuttosto vaga sull’avvenimento (cosa inaudita e sospettosa vista la precisione maniacale presente nei suoi resoconti) e ciò puzzava non poco a Ginny.

Perché avrebbe evitato di parlare dell’avvenuto se non ci fosse qualcosa da nascondere? Ragionò la rossa.

La domanda era: cosa era effettivamente accaduto in quel posto?

Si alzò, abbandonando distrattamente le carte sulla scrivania e cominciando a girare in cerchi attorno ad essa, spremendosi il cervello.

Non che avesse molti indizi per raggiungere ad una ragionevole conclusione.

Non era presente e non sapeva nulla, sia del motivo che aveva spinto in primo luogo i tre a rimanere nelle stanze private di Voldemort, sia del motivo che poteva aver spinto il Principe a farlo. Senza contare la presenza di un così folto numero di Mangiamorte.

Era evidente che tutti loro stessero cercando qualcosa, ma cosa?

E da qui i suoi ragionamenti dovevano ripartire da capo.

Si sedette nuovamente sulla sedia girevole, immergendo il volto fra le mani.

- pensa Ginny. Pensa… cos’è che ti sfugge, maledizione? – borbottò fra sé e sé.

Non chiedeva molto… un’improvvisa illuminazione, un’improvvisa intuizione!

Beh…

Ok, sì.

Stava effettivamente chiedendo troppo.

La giovane Weasley non era l’unica a spremersi le meningi.

- ma come diavolo ha fatto? – chiese nuovamente Pansy, ammirata nonostante facesse di tutto per nasconderlo.

Draco Malfoy scosse la testa con indifferenza, portandosi alle labbra il bicchiere di vino che teneva tra le dita e sorseggiandolo con studiata lentezza.

- trenta Mangiamorte in un quarto d’ora? Ammirevole, devo ammetterlo – commentò Blaise Zabini, facendo roteare in modo distratto il liquido nel suo bicchiere.

Si trovavano a Malfoy Manor, dove stava svolgendosi uno di quegli incontri riservati esclusivamente alle punte di diamante dei sostenitori di Voldemort.

Ovviamente numerosi incantesimi erano stati posizionati sul maniero per impedire a quelli del Ministero di venirne a conoscenza. Non era nemmeno una vera e propria festa; più che altro un incontro prima di venire a conoscenza dei piani che il loro Signore intendeva attuare.

Draco osservò attraverso la stanza suo padre conversare in toni sommessi con alcuni membri della cerchia ristretta.

- non c’ero. Non posso dire cosa ha fatto di preciso o come. Potrebbe essere stato aiutato tanto dai suoi amichetti in ogni caso – commentò il biondo, riportando la propria attenzione sugli ex compagni di Casa.

- già lo penso anche io. Potter che sconfigge da solo trenta dei nostri? Impossibile – commentò Marcus Flint, ridendo da solo.

Blaise lo osservò per qualche secondo prima di riportare la propria attenzione su Draco.

- ma tu credi possibile che possa averlo fatto sul serio? – gli domandò con un tono casuale che non ingannò il giovane Malfoy.

A che gioco stai giocando Zabini?

- Blaise sei sordo per caso? – gli chiese tranquillamente, sorseggiando ancora un po’ di vino – in ogni caso dovresti conoscere perfettamente la mia risposta. San Potter non potrebbe mai compiere un atto del genere. se fosse stato solo sarebbe crepato in cinque minuti, credi a me – concluse con uno dei suoi ghigni perfidi.

Blaise rispose al ghigno, ma non con gli occhi. Draco lo osservò di sottecchi, poco convinto dai suoi atteggiamenti.

Nel frattempo la sua risposta aveva portato diversi membri del gruppo a ridacchiare maligni. Tiger e Goyle, posizionati come al solito alle spalle del loro “capo” cominciarono a ridere agitandosi come dei babbuini, assestandosi qualche pugno sulle spalle.

Fu un grande sforzo per Draco trattenersi dal roteare gli occhi esasperato.

Lucius Malfoy osservò di sottecchi il figlio attraverso il salone, soffocando la rabbia.

Ingiustificata, detto tra noi.

La sola cosa che provocava quell’ira era il non vedere suo figlio al fianco del Principe Oscuro come egli era al fianco del Signore Oscuro. Lucius aveva grandi piani per suo figlio, ma questi puntualmente venivano resi vani dalla stupidità di quest’ultimo.

Poco distante dal marito, Narcissa non aveva avuto difficoltà ad intercettare gli sguardi che, ad alternanza, passavano tra il padre ed il figlio.

Quando i loro rapporti si erano guastati a tal punto?

Draco fin da quando era piccolo aveva sempre dimostrato una devozione totale per suo padre e Lucius, anche se egli sperava che nessuno lo avesse percepito, aveva sempre guardato con orgoglio l’unico figlio.

Ma ora cosa era accaduto? Con il ritorno del Signore Oscuro sembrava che tutte le regole che avevano sempre retto il mondo in cui viveva si fossero capovolte.

Lucius ora vedeva in suo figlio solo ciò che non era e che non poteva mai essere e Draco guardava suo padre con un’indifferenza che nascondeva tutto il suo disgusto ed il suo disprezzo.

Da quanto tempo era così?

Da quanto Harry Potter non era più la debole preda ma un auror talmente abile da sconfiggere in poco tempo trenta Mangiamorte?

da quanto il Principe Oscuro aspettava di venire presentato al mondo e ribaltarlo?

- Cissy ti senti bene? – si sentì chiedere.

Si voltò verso la fonte della domanda, verso la sorella che era sempre stata portata ad ammirare e che ammirava tutt’ora. Oppure no?

- non ti preoccupare, Bella – le rispose – devo essermi distratta per un attimo. Volevi qualcosa? -.

Bellatrix subito la trascinò in un discorso da Mangiamorte. Ed enumerò nuovamente i suoi piani per Draco, piani che condivideva con Lucius.

Narcissa rimase ad ascoltare, con il cuore stretto in una morsa gelida.

Già una volta aveva rischiato di perdere Draco e aveva rischiato tutto per salvarlo. Rivolgersi a Piton…

Sollevò lo sguardo nuovamente verso il gruppo di uomini immersi nella conversazione con suo marito, trovando la figura conosciuta di uno dei suoi vecchi compagni di scuola.

Come ad avvertire il suo sguardo, Severus Piton sollevò il suo e gli occhi scuri di lui incontrarono quelli limpidi di lei.

Egli chinò leggermente la testa a mo’ di saluto e, dopo aver ricevuto un piccolo inchino in risposta da lei, distolse lo sguardo immergendosi nuovamente nella conversazione che aveva abbandonato pochi secondi prima.

Cosa nascondi? Pensò gelida Narcissa, prima di tornare a rivolgersi alla sorella maggiore.

A Draco non erano sfuggiti quelli sguardi. Sapeva a cosa erano dovuti.

Aveva scoperto tutto solo da poco, tramite alcune informazioni carpite con maestria da alcuni Mangiamorte. ciò che era avvenuto a Spinner’s End poco prima dell’inizio del suo sesto ed ultimo anno di scuola.

Non poté impedirsi di digrignare i denti di nascosto.

- …vi dirò, sono rimasta spiazzata dalla risposta! Tu che ne pensi Draco? – gli giunse in quel momento la voce di Pansy.

Draco si irrigidii impercettibilmente.

- penso che ho bevuto troppo – rispose con una smorfia.

Senza dire altro posò il suo bicchiere e si diresse verso i giardini.

Furono molti gli sguardi che silenziosamente lo seguirono, confusi.

Ma non fece in tempo ad uscire.

Furono molti anche i Marchi Neri che cominciarono a bruciare. Draco osservò pian piano tutti i presenti smaterializzarsi. Lui attese qualche secondo con lo sguardo perso nel vuoto.

Narcissa lo notò e lo chiamò dolcemente, avvicinandosi a lui.

Lo sguardo del ragazzo saettò su sua madre. Narcissa rimase interdetta nel vedere il ghigno strafottente stampato sul suo volto.

Draco le prese una mano e la baciò galantemente.

- a più tardi, madre – annunciò, prima di scomparire lasciandosi alle spalle una Narcissa Malfoy confusa più che mai.

Qualche ora dopo nel Quartier Generale degli auror, Ginny Weasley si stava occupando di compilare alcuni moduli e fare ordine nel suo ufficio.

Si sorprese nel sentir bussare la porta e si sorprese ancora di più quando da essa sbucò il volto sorridente di Hermione Granger.

- è permesso? – chiese timidamente.

Ginny la esortò ad entrare con un sorriso.

- a cosa devo questa visita? – le chiese, felice di avere compagnia.

- scuse che ti devo – rispose la moretta, arrossendo lievemente, mentre si sedeva sulla sedia dal lato opposto della scrivania di Ginny.

- uh? – fece sbigottita la giovane, sbattendo le palpebre più volte.

- per questa mattina… ti ho praticamente ignorata! – le disse.

- oh! – fece allora Ginny, che se ne era dimenticata – certo… capito… non ti preoccupare non fa niente – le rispose infine con un sorriso felice.

- stavo facendo delle ricerche… - si scusò ulteriormente la moretta.

- nessun problema ti dico. Anzi, approfitto della tua presenza – annunciò, allungandole il foglio con il resoconto della missione.

Hermione lo osservò interdetta per qualche secondo, per poi guardarlo ancora in alternanza con il suo viso.

- non credo di capire… - farfugliò, sempre più confusa.

Ginny roteò gli occhi.

- ok, se ti serve la domanda completa eccola qua: cosa è successo quando avete incontrato il Principe? – le chiese.

Hermione inclinò un sopracciglio, sospettosa. Ma rispose comunque.

- quello che c’è scritto qui. È scappato con qualcosa in mano – disse.

Ginny la guardò incredula.

- solo questo? -.

- perché cosa ti aspettavi? – chiese Hermione, ora visibilmente sospettosa.

Ginny si morse la lingua, confusa.

Era stata così sicura che fosse accaduto qualcosa! Insomma, non poteva non essere accaduto niente!

Perché no, scusa? Le chiese una parte della sua mente.

Perché non è da lui!

Cosa non è da lui?

E che ne so! Mica lo conosco! So solo che i suoi incontri con me sono sempre stati movimentati! Perché con loro non è lo stesso?

Gli incontri con te sono movimentati!

Ginny fece una smorfia.

- che c’è? – chiese subito l’altra preoccupata.

- niente, niente – disse.

Ci fu qualche attimo di silenzio, durante il quale Hermione sembrò voler evitare a tutti i costi il suo sguardo. Ad un certo punto cominciò a borbottare fra sé e sé e Ginny sbatté più volte le palpebre, interdetta.

- in realtà… no, niente – farfugliò la moretta.

- niente un corno di unicorno! Cosa c’è? – rispose concitata la rossa.

Hermione fece un sospiro profondo. Sembrava ancora in piena battaglia interiore.

- non dire ad Harry che te l’ho detto – annunciò Hermione – è un particolare della vicenda che lo sta tormentando -.

Ginny annuì più volte, avvicinandosi a lei con un orecchio.

- muta come una tomba – annunciò solenne.

Hermione si piegò verso di lei, sussurrandole qualcosa nell’orecchio.

- che cosa? Fra…- ma la mano di Hermione fu pronta a chiuderle la bocca.

- shh – la ammonì.

- ma com’è possibile? Cosa…? – ma fu interrotta.

Ron ed Harry entrarono di corsa nel cubicolo, con delle espressioni preoccupate sui volti.

- scusate ragazze ma dobbiamo andare – fece il rosso.

Le due subito si infilarono i mantelli da auror, dimentiche del precedente discorso, e si affrettarono a seguire i due verso i punti di smaterializzazione.

- cosa è successo? – chiese Ginny con il fiatone.

- un altro attacco – spiegò Harry, torvo – e di notevoli proporzioni. I superiori stanno svuotando il Quartier Generale per mandare rinforzi -.

- il Principe? – chiese cautamente Hermione.

Giunsero in una grande sala, dove molti auror erano già pronti con le bacchette sguainate.

- sì – rispose Harry cupo.

Ginny sentì il sangue gelarsi nelle sue vene. Aveva un brutto, bruttissimo presentimento.

- Harry… io non so se… - tentò, ma fu urtata per sbaglio da uno degli auror vicini.

- Leonard! – esclamò, riconoscendoli.

- Ginny, – fece lui con un sorriso teso – ragazzi -.

I tre lo salutarono velocemente.

- mi hai chiamato Ginny? – le chiese Harry, osservandola.

Ginny lanciò occhiate tutto intorno.

Non essere stupida! Stai per scendere in battaglia è ovvio che tu abbia brutti presentimenti! Si rimproverò.

Sorrise ad Harry, un po’ agitata.

- non è nulla… mi chiedevo se ce la faremo a smaterializzarci tutti insieme – mentì.

- tranquilla – le rispose con un sorriso tirato.

Sentirono qualcuno contare, dall’altro capo della stanza. Uno dopo l’altro si smaterializzarono.

Ginny diede un bacio alla punta della sua bacchetta.

Portami fortuna. Le intimò.

Quando si materializzò nuovamente, si trovò nel mezzo della mischia.

In quel momento prese il sopravvento il suo istinto di auror.

Cominciò a colpire ed a schivare con precisione, sconvolta interiormente dal numero sproporzionato di Mangiamorte.

Ma dove li trova? Si chiese, agitata.

Con la coda dell’occhio cercò i suoi amici, ma sembravano scomparsi nel nulla.

La battaglia durò parecchio, sembrava non finire mai.

La giovane si impose di non guardare a terra, altrimenti, lo sapeva, non avrebbe avuto più il coraggio di andare avanti e sarebbe diventata facile preda dei nemici.

Non sapeva di essere osservata con attenzione da qualcuno.

Egli avanzò nella mischia come un fantasma di morte sul campo di battaglia, puntando principalmente verso di lei per assicurarsi che non le accadesse nulla.

Ma si trovò davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere.

I due rimasero immobili ad osservarsi, entrambi sorpresi.

Durò un istante che si perse nel tempo.

Harry Potter puntò la bacchetta contro il suo avversario, preparandosi allo scontro ma stando attento a tutti i nemici che potevano prenderlo di mira.

Evil fece lo stesso. Quella volta era inevitabile affrontarsi.

Avrebbe giocato con Potter, avrebbe testato le sue capacità.

Quando lanciarono i primi incantesimi, ed essi si scontrarono in un turbinio d’aria, di rumori e di luci, tutta l’attenzione dei Mangiamorte e degli Auror fu catapultata su di loro.

Ginny, sorpresa dal rumore assordante che aveva sentito, si voltò per vedere cosa era accaduto.

I suoi occhi si spalancarono, pieni di terrore.

Harry ed il principe stavano combattendo.

In altri punti imprecisati del campo di battaglia anche Ron ed Hermione stavano assistendo allo scontro con il fiato sospeso.

La veloce successione di potenti incantesimi stava stordendo ed ammaliando tutti nel medesimo modo.

Quasi non sembrava che essi si stessero studiando. Ma era così.

Nessuna Maledizione Senza Perdono. Poteva sembrare assurdo ma non lo era.

Harry aveva capito subito che il suo avversario non stava facendo sul serio ed anche Evil.

Eppure nessuno dei due poteva comprendere il motivo che li spingeva a trattenersi, perché esso era misterioso e veniva dal profondo delle loro anime.

Ad un certo punto entrambi si interruppero, tenendo sempre le bacchette puntate l’uno contro l’altro.

Evil si portò la bacchetta dinnanzi alla maschera, accennando ad un piccolo inchino. Harry, stupito, si vide costretto a rispondere alla cortesia.

Mangiamorte ed Auror erano immobili, attendendo qualche segno, qualche cosa.

Esso venne da Evil che, con un gesto della mano, ordinò ai Mangiamorte di ritirarsi. Essi, sbigottiti, ubbidirono.

- questa te la concedo, Potter – sibilò in Serpentese, così che solo lui potesse comprenderlo.

Poi voltò lo sguardo verso un punto del campo di battaglia ed infine voltò del tutto le spalle ad Harry, smaterializzandosi poco dopo.

Ma Harry, grazie agli occhiali, non era cieco. Aveva visto perfettamente su chi lo sguardo del Mangiamorte si era soffermato.

Ginny. Pensò, osservando la ragazza che, pallida, ricambiò il suo sguardo.

Il gelo che la stava attanagliando non smetteva di congelarla dall’interno. E non solo perché aveva compreso ciò che il Principe aveva sibilato ad Harry, ma anche per un’altra frase che era giunta nella sua mente con la stessa violenza di una freccia di ghiaccio. E che, più che una minaccia, le sembrava una terribile promessa.

Ci rivedremo presto, piccola Ginevra.

 

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Capitolo 13
*** Non è importante ***


NdA: Ciauz!! Che bello! Finalmente sono riuscita ad aggiornare. Il capitolo era pronto già da un po’ ma purtroppo tra verifiche, problemi con efp (ARGH) e alleggerimento manuale del testo ho avuto fatica a concludere.
Ma eccomi qui, alla fine!
Spero che la pagina sia impostata in modo gradevole; ho avuto parecchi dubbi riguardo l’usare il tag “p” o affidarmi solo al “br”. Se avete problemi nella lettura ditemi che tenterò di aggiustare il tutto con la mia basilare conoscenza dell’html.
Piuttosto pongo un quesito: se sapete il tag per centrare il testo in mezzo alla pagina potete comunicarmelo? Ho tentato di tutto purtroppo con scarsi risultati… sono un danno -__-".
Beh comunque ecco il nuovo capitolo.
Più che altro incentrato sul rapporto e sulle riflessioni di alcuni personaggi.
Spero vi piaccia!

Ringraziamenti:

Sweet nettle: Ciauz!
Eccomi tornata! Questo capitolo non lascerà in sospeso nulla di importante, incredibilmente!
Ho deciso di graziare i miei lettori per una volta… eheh…
Tranqui, non ti chiamo ripetitiva… è che mi fai troppo felice^^. Tra parentesi ho letto il tuo commento a BL&D. Sono contentissima che anche quella storia ti piaccia! Il capitolo è in fase di revisione. A breve verrà fuori anche quello!
Benone, ti lascio alla lettura. Spero ti piaccia!
Un bacione!

Kaho_chan: Ciauz!
Vorrà dire che attenderò paziente il tuo commento completo. Eheh, non vedo l’ora!
Un bacione, ‘myu.

Benone, eccoci qua.
Andate pure e godetevi il capitolo.
Un bacione a tutti!

Destini intrecciati
By Lulumyu

13.“Non è importante”


Il campo di battaglia era ancora coperto di macerie ed in ogni dove si materializzavano guaritori ed auror.
Ginny Weasley si guardò attorno, disgustata dall’opera compiuta dai Mangiamorte. Anche se la battaglia non era durata tantissimo, essi avevano comunque inferto gravi danni agli auror.
Erano ormai trascorse alcune ore dalla loro ritirata, ore di sofferenza e duro lavoro.

Si asciugò il sudore che le copriva la fronte con un lembo della manica dell’uniforme da auror.
Improvvisamente la voglia di allontanarsi da quel luogo divenne irresistibile. Si sentiva soffocare dalla vista dei corpi privi di vita ancora stesi sulla gelida terra e del sangue che essa stava pian piano assorbendo.
Adocchiando poco lontano suo fratello Ron, optò per dirigersi verso di lui ed avvisarlo che intendeva prendersi una pausa.

Quando lo raggiunse lo trovò insieme ad Hermione, la quale stava curando un paio di auror dalle ferite superficiali. Stranamente Harry non si vedeva da nessuna parte.

- Ron – lo chiamò – mi allontano per un po’, ok? Ho bisogno di prendermi una pausa –

Il ragazzo si voltò in direzione della sorella minore. Lesse sul suo viso un’infinita stanchezza, la stessa che sicuramente stava trasfigurando anche i suoi stessi lineamenti, e decise di lasciarla rilassare per un po’.

- ok ma stai in guardia, Ginny – le permise, sorridendo leggermente.

Ginny annuì e rispose al sorriso. Era ovvio che lei avrebbe fatto di testa sua, con o senza il benestare di suo fratello, ma ciò nonostante gli era grata con per non aver fatto storie. Dopo aver fatto un cenno di saluto anche ad Hermione, si voltò e si incamminò lontano dal campo di battaglia.

I suoi passi erano casuali, non stava puntando verso una meta precisa.
L’importante era allontanarsi da quel luogo.

Trovò poco lontano un piccolo boschetto dalle ritardatarie foglie ingiallite, che, solo ora, cominciavano a cadere sul terreno.
L’inverno era alle porte, ormai. Ed il clima stava diventando pian piano sempre più gelido.
Un po’ rispecchiava il suo stato d’animo, pensandoci.

Ginny Weasley si stava lasciando pian piano ricoprire del tutto dal bozzolo gelido delle sue stesse bugie e paure. Ora la domanda era se fosse riuscita a vincere il bozzolo, uscendone rigenerata e splendente come una farfalla in primavera, oppure se sarebbe stata vinta da esso, avviluppata al suo interno in un oscuro e perpetuo oblio.

Giunta sotto i rami del boschetto si sorprese nel vedere che qualcun altro oltre a lei aveva avuto lo stesso impulso di stare un po’ per conto proprio.
Un ragazzo infatti era seduto su un masso al centro del cerchio irregolare formato dai tronchi degli alberi, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il mento appoggiato sui palmi delle mani.
Anche se le dava le spalle non fu difficile riconoscerlo.
La divisa da auror che portava parlava da sé, ma soprattutto erano i suoi folti e scompigliati capelli neri a parlare per tutto il resto.

Cosa ci fa qui Harry? Si chiese stupita, anche se incuriosita dal comportamento del giovane.

Visto che era inutile continuare ad osservarlo in quel modo (e poi sospettava che Harry ci avrebbe messo davvero poco tempo a scoprirla, quindi non voleva essere sorpresa da lui ad osservarlo proprio come faceva quando aveva undici anni) optò per avvicinarsi piano, senza insospettirlo né spaventarlo.

- Harry? – chiamò incerta quando gli fu a pochi passi di distanza.

Egli sembrò non averla sentita. Non mosse nemmeno un muscolo.
Ginny, ora seriamente preoccupata, fece per avvicinarsi ulteriormente e per chiamarlo nuovamente, ma, prima che potesse farlo, inaspettatamente Harry girò un poco la testa e la osservò.

- ti ho sentita – si limitò ad avvertirla, prima di tornare nella precedente posizione.
Ginny, stranita dal suo inusuale comportamento, gli andò accanto.

- cosa ci fai qua? – chiese, rendendosi conto troppo tardi di poter sembrare un’impicciona. Il giovane alzò le spalle.

- sto per conto mio – disse lui sbrigativamente.

Anche se Ginny aveva colto il messaggio contenuto in quelle parole (lasciami in pace), si costrinse volutamente ad ignorarlo.
Ora che erano soli poteva… poteva finalmente chiedergli…
Deglutì un po’ a disagio. Aveva paura di quello che lei stessa voleva fare, buffo no?
Non perché avesse paura della reazione di Harry… più semplicemente perché per formulare tale domanda prima avrebbe dovuto esprimere tale affermazione che avrebbe potuto portare a tale conversazione e…
Si morse l’interno del labbro inferiore.

Non sei mai stata tanto cretina in vita tua, Ginevra Weasley! Vuoi finirla si o no con le seghe mentali?! Chiediglielo e basta! Un po’ di coraggio, maledizione!

Già, dov’era finita la proverbiale poca delicatezza ereditaria degli Weasley? Era andata tutta a Ron, per caso?
Chiuse gli occhi, stringendoli il più possibile, e strinse le mani a pugno.

Hai vent’anni per l’amor del cielo! Muoviti! Uno… due… e…

- ho sentito quello che ti ha detto – sbottò tutto d’un fiato, riaprendo gli occhi ed inficcandosi le unghie nella pelle dei palmi.

Harry rimase in silenzio, completamente stordito.
Di che cavolo stava parlando, ora? Non aveva capito per caso che lui aveva piacere di restare un po’ per conto proprio?
Diamine, aveva lasciato indietro perfino Ron ed Hermione, i suoi migliori amici!
Cosa aveva di tanto importante Ginny Weasley da comunicargli proprio in quel momento?
E poi cosa voleva dire con quella frase? Prima di tutto aveva sentito chi dire che cosa?
La guardò con un’espressione infastidita.

- in questo momento non sono in vena di fare gli indovinelli, Ginny. Ti prego di arrivare al punto -.

Perfino lui si stupì della freddezza che aveva messo nella propria voce.
Figuriamoci Ginny.

Ben presto il timore fu messo nel dimenticatoio insieme al nervosismo, per essere sostituito dal fastidio e dall’irritazione, entrambi tratti tipici del DNA Weasley.
E pure la prudenza andò a farsi friggere.

- ho sentito l’ultima cosa che il Principe ha detto a te. – spiegò parlando in modo molto lento per calmare i suoi bollori interni.

Harry ripensò alla sua scarsa conversazione con il Principe risalente a poche ore prima.
E si gelò.

- tu hai sentito cosa? – fece rauco, venendo colto da un improvviso attacco di tosse.
Ginny rimase semplicemente ad osservarlo, questa volta un po’ meno coraggiosamente.

- l’ultima cosa che mi ha detto… tu non… sei assolutamente certa? – le chiese, sospettoso.

- questa te la concedo, Potter – ripeté diligentemente lei in inglese. E vide Harry Potter sbiancare con la stessa velocità di un cadavere.
Il giovane sgranò gli occhi. Qualcosa dentro di lui stava per esplodere, poteva sentirlo chiaramente.

Ginny, dimentica dell’ira provata poco prima e stavolta davvero preoccupata, spostò il peso da un piede all’altro, osservando il mutamento sul viso del suo interlocutore con i sensi all’erta.
Sapeva che Harry mai le avrebbe fatto del male fisicamente, ma la sua ira, quando si manifestava, era tutt’altro che un bello spettacolo.

Il ragazzo distolse lo sguardo dal suo viso con un’espressione mortalmente calma.
E poi, con la stessa naturalezza che avrebbe usato per parlare del tempo, le pose la domanda che Ginny aspettava ed insieme temeva:

- da quando in qua comprendi il Serpentese? –.

La giovane si morse le labbra. Proprio come aveva immaginato. Ma era ovvio, no? Harry a volte era un po’ ingenuo, questo era vero, ma stupido?
Harry non era per niente stupido.
Così la giovane Weasley si ritrovò a misurare le proprie parole. Come fare in fondo a spiegare a lui qualcosa che non riusciva a spiegare neppure a sé stessa?

- non ricordo esattamente, io… - cominciò.

- è da dopo il diario, vero? – la interruppe il ragazzo, sempre con lo stesso tono composto e casuale – ma certo. Riddle deve avertelo insegnato per comunicare con il Basilisco, no? Non può essere che così. Ho ragione? –.
La rossa, sentendo il proprio cuore stringersi dolorosamente al ricordo, rispose sarcastica:

- si certo come no. Lezioni private con il professor Riddle -.

Quando Harry portò nuovamente lo sguardo su di lei, con una casuale espressione interrogativa, lei tentò di spiegargli meglio ciò che intendeva.

- ero posseduta, no? Tecnicamente era lui che parlava al serpente tramite me, non il contrario -.


Harry annuì pensoso. Ma poi la sua espressione mutò di colpo, diventando cupa.

- perché non mi hai mai detto nulla? -.


Ginny aggrottò le sopracciglia.

- cosa c’è di oscuro nel Serpentese, Harry? È vero, non è una lingua comunemente parlata dalle persone buone. Ma c’è una grande differenza tra il mio Serpentese ed il tuo. Inoltre è successo e basta, ecco. Un bel giorno mi sono accorta di poter percepire in buona parte il significato di quei sibili che prima mi erano incomprensibili. E poi credo che tu sappia benissimo perché non ti ho detto niente – disse, nuovamente alterata.

- cosa intendi quando parli di differenze? – continuò imperterrito a domandarle.

- tu lo parli, io no – rispose lei secca.
Harry la guardò con gli occhi socchiusi.

- non riesci a parlarlo? – chiese, genuinamente sorpreso.
Lei scosse la testa.

- a dire il vero a volte non riesco neanche a comprenderlo. È raro il fatto che capisca quello che viene comunicato in modo così chiaro come è accaduto oggi – spiegò.

Ci fu qualche istante di silenzio nel quale si udì solo il suono delle foglie secche scricchiolare sotto gli stivali di Ginny, che non riusciva a star ferma un secondo.

- però Ginny non avresti dovuto aspettare così tanto per dirmelo – le disse Harry alla fine, tornando a guardarla negli occhi.

Harry le credeva, ne era sicura.
Poteva leggerlo nei suoi occhi che ora non mostravano più una cupa rabbia, ma semplicemente una strana, inspiegabile inquietudine.
Fece per dire qualche altra cosa, ma si fermò come per cercare le parole adatte.

- Harry? Che c’è? – domandò allora lei per incoraggiarlo.

Egli sospirò, passandosi una mano sul collo.

- lo ho visto, che ti guardava… non credere che non me ne sia accorto. Mi chiedo solo cosa centri tu con lui, Ginny – disse osservandola attentamente.

Le viscere nel corpo di Ginny si congelarono. Ma solo all’interno.
Rimase in silenzio a sostenere il suo sguardo con fermezza.
Anche se una parte di lei in quel momento avrebbe voluto rivelargli tutto per potersi sentire protetta, un’altra parte, molto più persuasiva, le faceva tenere la bocca ben chiusa.

- chi, Harry? - chiese con tutta la naturalezza che riuscì a tirare fuori.

Lui le lanciò uno sguardo obliquo.

- Lui. Il Principe - disse lapidario, sfidandola con lo sguardo a negare quello che era successo poco prima sul campo di battaglia.

Ginny si torturò le mani senza neanche accorgersene, portando lo sguardo sul terreno.
Ora che era in ballo, non poteva far altro che ballare.

- parlando di, ehm, lui, Harry… io vorrei sapere… io – cominciò nuovamente incerta, ma poi si riscosse - cosa diavolo stavate facendo voi due su quel campo di battaglia? – sbottò.

Lo sguardo del ragazzo divenne distante come quando lei lo aveva avvicinato poco prima.
Evidentemente, pensò Ginny, anche lui stava ripensando a quello che era avvenuto.
Continuò a scrutare nelle iridi verdi di lui, come a cercare da sola una risposta al suo quesito.

- allora? – marcò spazientita poco dopo.

- allora cosa – ripeté Harry, passandosi una mano nei folti capelli neri, scompigliandoli ulteriormente.

Li portava più lunghi ora, ragionò la rossa senza neppure rendersene conto.

- ti ho fatto una domanda – fece lei petulante.

- anche io se per questo – disse lui, imitando il suo tono di voce.

La ragazza distolse lo sguardo, espirando rumorosamente.

- non lo so cosa vuole da me – disse atona dopo qualche attimo – probabilmente voleva solo spaventarti, Harry. Sapeva che lo stavi osservando, no? Magari è stata solo una mossa come un’altra per innervosirti – sentenziò.

Stava mentendo spudoratamente e lo sapeva.
Ma aveva lanciato la sua lenza. Non doveva far altro che aspettare sperando che egli vi abboccasse.
Harry la guardò di sottecchi.

- non vedo come. Non siamo più insieme noi due e credo lo sappiano anche loro – borbottò.

Stranamente lei non provò nulla in seguito al suo commento. E la cosa la sorprese parecchio: una volta si sarebbe sentita morire dopo una tale affermazione.
Lo guardò con un’espressione contrita.

- sono pur sempre la sorella minore del tuo migliore amico, Potter. Nonché una rappresentante attiva degli auror e della famiglia Weasley -.

Harry comprese quello che Ginny intendeva.
Tra i Mangiamorte c’era Lucius Malfoy, d’altronde. Era risaputo che Malfoy ed il signor Weasley si sarebbero volentieri impiccati a vicenda piuttosto che ritrovarsi a mezzo centimetro l’uno dall’altro.
Sorrise involontariamente, il suo umore in rapido rischiaramento.

- non hai tutti i torti – ammise.

- fa piacere che la cosa ti diverta – fece lei sarcastica.

- da impazzire – mormorò lui, stiracchiandosi, ora davvero più calmo.

Ginny lo osservò sollevata. Aveva capito che Harry aveva fatto cadere l’argomento di proposito e, anche se lui non ne sapeva nulla di tutto quello che passava nella testa di lei in quell’ultimo periodo, gli fu molto grata.
Ancora per un po’ poteva considerarsi salva.

In fondo in quel momento i suoi problemi personali non erano importanti.

Ma c’era ancora qualcosa in sospeso tra lei ed Harry.

- allora hai intenzione di rispondermi o no? – gli chiese dolcemente.

Il ragazzo le fece segno di sedersi sulla roccia vicino a lui. Sorpresa, lei ubbidì.
Harry la guardò per qualche istante e Ginny poté scorgere tutta la sua stanchezza. Gli lasciò tutto il tempo di pensare ad una risposta adeguata, scegliendo di rimanere in silenzio.

- sai, Gin… neanche io so cosa è successo esattamente su quel campo di battaglia. È come se… no, è stupido, lascia perdere – disse scuotendo la testa.

- Harry… - lo chiamò lei con voce minacciosa.

Lui sospirò.
Poteva davvero confidarsi con Ginny come avrebbe fatto con i suoi migliori amici? A loro in fondo non aveva ancora rivelato nulla di quelle sensazioni che ultimamente lo opprimevano.
Lei… lei non era Hermione in fondo. Non era Ron. Era vero che avevano passato insieme dei momenti indimenticabili, ma sarebbero bastati a renderla ai suoi occhi una confidente? Una grande amica?

Le parole cominciarono fluirgli dalla bocca come se avessero una vita propria, senza tener conto dei suoi dubbi.
In quel momento, sembravano volergli dire, c’era lei. Solo lei.

- è possibile… - cominciò incerto - …sentire la presenza di qualcuno senza aver compiuto un incantesimo apposito? Perché è quello che accade. Sempre, tutte le volte che lui ed io siamo nelle dirette vicinanze. Tutto il mio essere mi proietta verso il luogo in cui lui si trova e sono sicuro sia lo stesso anche per lui. La differenza è che mentre io gli vado incontro, lui si allontana. Quando io voglio combattere, lui fugge. È quello che è successo oggi. Mi sono voltato ed era lì. Ma non ha potuto evitarmi questa volta – spiegò.

Ginny rabbrividì leggermente a quel discorso. Era più o meno la stessa cosa che succedeva tra lei e lui. Solo che in quel caso era solo lui che sembrava poterla individuare sempre e dovunque.

- ma perché non vi affrontate una volta per tutte? Perché pensi che fugga? – mormorò con voce flebile.

Harry strinse le mani a pugno.

- è come se tutto il mio essere mi urlasse che non è ora, che è sbagliato. Ma cosa c’è di sbagliato nel catturare un assassino? Cosa c’è di male nel distruggere il figlio di Voldemort? Quel bugiardo… quel… - la sua voce si spense, anche se il suo sguardo rivolto in lontananza valse più di mille parole.

Ginny si limitò ad appoggiargli una mano sulla spalla, tentando in qualche modo di trasmettergli che lei c’era, era lì con lui.
E che lo capiva, anche se lui non poteva scoprirlo.
Anche lei aveva una voce, dentro, che le urlava di stare zitta, che non era tempo, che era sbagliato.
Ma cosa ci guadagnava ad ascoltarla?
Fino a quel momento essa non aveva portato altro che sofferenza nel suo animo.
Era davvero questo ciò che Ginny Weasley voleva?

Harry dal canto suo le fu grato per il supporto che gli stava offrendo.
Perché anche in quel momento, mentre il suo sguardo vagava nel vuoto, lo poteva sentire. Lui era lontano ma in qualche modo i loro pensieri in quell’istante erano rivolti alla stessa cosa.
Ma ora poteva pensare ad altro.

In fondo in quel momento i suoi problemi personali con il Principe Oscuro non erano importanti.

Evil nel frattempo stava camminando a passo lento per gli oscuri corridoi che lo avrebbero condotto alle sue stanze.
Aveva appena terminato il colloquio con suo padre e non era stato affatto piacevole.
Non che il suo Signore fosse arrabbiato con lui. No, nulla di tutto questo.
Semplicemente ad Evil aveva dato fastidio che egli fosse entrato nella sua mente ed avesse letto tutti i dubbi che lo stavano assillando da quando si era allontanato dal campo di battaglia.

E il Signore Oscuro ne aveva riso.

Entrò nelle sue stanze, sbattendosi con forza la porta alle spalle.

Potter.

Chi era questo Potter che non riusciva ad uccidere?
Oh, perché lo percepiva anche lui.
Il Signore Oscuro gli aveva espressamente ordinato di non toccare il suo prezioso Potter. Al massimo combatterci, ma mai ucciderlo.
Ma Evil, o meglio, qualcosa di indefinito dentro di lui, non glielo avrebbe comunque permesso.
Di ucciderlo.

Lo poteva sentire con più precisione di quando percepiva la giovane rossa e ciò lo stupiva non poco, visto che con lei aveva adoperato un incantesimo apposito mentre con lui la cosa sembrava del tutto naturale.

Si sedette su una poltrona al centro del suo salotto personale.
Le sue labbra si piegarono pigramente in un sorriso sarcastico.
Naturale? Beh, neanche tanto strana, la cosa.
Erano o no fratelli?

Se la rideva tutt’ora quando ripensava all’espressione sconvolta che aveva deformato i lineamenti del suo parente quando glielo aveva detto esplicitamente.

Fratello.
Chissà che colpo nel sentirsi chiamare in tal modo dal figlio del suo peggior nemico.

Godeva nell’immaginarsi la crisi interiore che ora quell’eroe stava vivendo.
Poteva quasi sentire le domande ed i dubbi che lo assillavano, che lo punzecchiavano diabolicamente senza sosta.
E poi la confusione del ragazzo ogni volta che lo vedeva fuggire.
Ma a tutto c’era una spiegazione.

Perché lui, Evil, avrebbe dovuto mettere in pericolo la propria esistenza andandolo a cercare?
Perché era solo lui dei due che non poteva uccidere l’altro.
Di sicuro Potter l’avrebbe ucciso senza pensarci troppo su.

Ma allora perché quello spettacolo assurdo, poche ore prima? che cosa l’aveva spinto ad affrontarlo? Cosa l’aveva spinto a fermarsi ed a rispondere agli attacchi? Cosa aveva impedito a Potter di utilizzare delle maledizioni senza perdono, visto che poteva farlo?
No, di questo però non era sicuro.

Potter non poteva sapere che il Signore Oscuro aveva ordinato categoricamente ai Mangiamorte di non ucciderlo.
Ripensandoci, si disse atteggiando il viso ad un’espressione delusa, probabilmente il solo motivo che lo aveva spinto a non utilizzare le maledizioni era per la sua lealtà e per la sua onestà.

Potter che uccide?
Potter il salvatore? Potter l’eroe?

Impossibile.

Quando Potter aveva capito che lui non aveva intenzione di usare le maledizioni solo per testare le sue capacità, il caro vecchio Potter, con tutta la sua schifosissima bontà, aveva fatto lo stesso.

Sì, si disse, deve essere andata proprio così.

Non poteva certo sapere che invece non aveva capito nulla.

Evil si alzò, dirigendosi verso una cartina del Regno Unito posata su un tavolo.
La liberò con un veloce incantesimo da tutti i segni e gli appunti e ricominciò a studiarla.
Ora non aveva tempo di lasciarsi andare a sciocche supposizioni.

In fondo in quel momento i suoi problemi personali con Potter non erano importanti.

Aveva un attacco da progettare e, come sempre, doveva prevedere tutto nei minimi dettagli.
Perché lui, il Principe Oscuro, non poteva permettersi di sbagliare.

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Capitolo 14
*** Serenità e disperazione ***


NdA: Ciauz!
Aggiorno solo ora perchè purtroppo con i problemi che il nuovo server ha avuto, non sono riuscita a fare il login.
Per farmi perdonare, vi anticipo già che questo sarà un capitolo lunghissimo e pieno di avvenimenti importanti. Più o meno sono due capitoli uniti in uno solo.
Spero che vi piaccia!

Ringraziamenti:

X energiapura: Ciauz!
Mi scuso per il tremendo ritardo. Ma con i problemi che ha avuto efp e i miei… diciamo che non è stato facile trovare il modo di aggiornare la storia. Comunque eccoci qua. Questo è decisamente lungo. Spero ti piaccia.
Un bacione!

X sweet nettle: Eccomi!
Scusa anche tu per il ritardo ;P. non era mia intenzione far attendere tutto questo tempo per il capitolo. Ma adesso con larrivo delle vacanze mi metterò sotto e produrrò tutto ciò che mi passa in testa^^.
Spero che questo capitolo ti piaccia. Puoi preparare l’ascia, se vuoi. Ti avverto già che la fine sarà lasciata mooolto in sospeso^^.
Un bacione!

Okkay… finalmente il capitolo è tutto per voi! Godetevelo ;P
Grazie a tutti per la pazienza
Vostra ‘myu.

Destini Intrecciati
by Lulumyu

14.“Serenità e Disperazione”

L’inverno che stava giungendo era freddo. Forse uno dei più gelidi che si erano visti negli ultimi anni.

A detta dei babbani era per colpa della pressione atmosferica, qualunque cosa essa fosse.
I maghi invece, soprattutto all’interno del Ministero, cominciavano realmente a considerare l’ipotesi che il gelo che si stava lentamente propagando nell’aria fosse opera di una qualche diavoleria del Signore Oscuro.

C’era perfino chi giurava di aver visto dei Dissennatori andare in giro di notte a spargere essi stessi il gelo nelle città.

Fortunatamente però esistevano ancora maghi poco propensi a lasciarsi spaventare da tali sciocchezze.
Come se il Signore Oscuro potesse controllare a suo piacimento i mutamenti atmosferici.

In certi momenti Harry benediva il fatto di essere cresciuto in buona parte nel mondo Babbano.
Anche se anche lui collegava il gelo che provava all’esterno all’incalzare della battaglia, non era così sprovveduto da pensare che fosse tutta opera di Voldemort.
Egli non era abbastanza potente per manipolare le forze naturali, considerando che la sua anima era ridotta ad un settimo di quella originale. E in ogni caso Harry dubitava che ci avrebbe provato anche in possesso della sua anima completa.

Mettere mano alle forze naturali allo stato più puro era un’impresa alla quale solo i più grandi maghi potevano aspirare. E non senza danno.

Aveva letto sull’argomento, oh sì, lo aveva fatto.

Durante le ore insonni che di tanto in tanto lo coglievano ancora in modo prepotente aveva cominciato a sfogliare qualche vecchio tomo polveroso sulla magia antica trovato da Hermione nella vecchia biblioteca del Quartier Generale. All’inizio era stata la curiosità a spingerlo a sfogliare quelle pagine ingiallite dal tempo e dall’usura, poi pian piano nel mare di parole contenute al suo interno alcune si erano come fatte notare dal suo sguardo stanco e l’avevano attirato nella lettura di alcuni passi.

Pian piano le parole interessanti si erano moltiplicate e lui aveva finito i tomi in un paio di notti.

Da quella volta aveva cominciato ad interessarsi sempre di più all’argomento.
Magia antica, magia elementale, magia senza bacchetta... perfino magia nera.

Anche se, soprattutto di quell’ultima, non ne era particolarmente convinto, ora cominciava seriamente a chiedersi se fosse necessario per lui imparare almeno le basi di tutto ciò che quei libri recitavano. Tutto sommato sarebbero stati utili tutti quei trucchetti nel confronto finale che avrebbe avuto contro Voldemort.

Harry si trovava seduto in modo scomposto su una delle comode poltroncine del Quartier Generale con uno di quei famosi libri tra le mani.
Stava rimuginando sull’argomento. Che fare? Studiare quei libri o lasciarli solo come lettura per i frequenti momenti di veglia?

Un rumore di passi in avvicinamento alle sue spalle lo distolse dai suoi pensieri ed il ragazzo si affrettò a chiudere di scatto il tomo e a lanciarlo sotto la poltrona. Poi assunse la posizione che qualunque persona normale assumerebbe quando vorrebbe essere lasciato solo. Si abbandonò sulla poltrona e chiuse gli occhi.

Appena in tempo. Pochi secondi dopo Ron ed Hermione fecero il loro ingresso nella stanza, parlottando di chissà cosa a mezza voce.
Dovevano averlo notato, perché sentì i loro passi dirigersi verso di lui in tutta fretta e li sentì sprofondare nelle poltroncine accanto alla sua.
Il linguaggio del corpo poteva andare a farsi maledire, come al solito.

- Harry - chiamò infatti Hermione, scotendolo dolcemente.

- dai, Hermione. Lascialo stare non vedo che sta riposando? - giunse la voce di Ron, abbassata nel tentativo di non disturbarlo.

Saggio, ragazzo. Un vero amico, Ron.

- shush Ronald. Questo è molto più importante di un’insulsa pennichella - ribatté Hermione, a voce normale.

Non si poteva dire la stessa cosa per Hermione.

Optò per smetterla di fingere. Sapeva che era del tutto inutile.
Spalancò gli occhi di botto e vide Hermione sussultare. Da qualche parte, dentro di lui, qualcosa stava esultando per aver attuato vendetta.

- cosa c’è di così importante che non può aspettare? - chiese con voce stizzita.

- Hermione vuole farti studiare qualche mattone Harry - giunse una voce dalle sue spalle.

La figura della minore degli Weasley apparve dopo una manciata di secondi nel suo campo visivo e andò a sistemarsi nell’ultima poltroncina libera della zona, di fianco a quella di Ron.

- non è un mattone - ribatté stizzita Hermione, come se fosse stata insultata lei stessa, - è un libro antico, utile e molto dettagliato - continuò a borbottare un’altra serie di aggettivi positivi mentre le sue mani andarono a frugare nella borsa a tracolla che si portava dietro.

Doveva essere stata magicamente fatta più capiente, perché non c’era altra spiegazione alla tecnica che avesse permesso a quella borsa di medie dimensioni (già strapiena, immaginava Harry) di contenere quel coso.

Ne rimase sinceramente impressionato. Dire che era antico doveva essere un eufemismo. Probabilmente era stato uno dei primissimi libri mai realizzati. Era enorme, pesante ed ingombrante.
Il ragazzo fissò a disagio la sua migliore amica carezzare amorevolmente la copertina purpurea come se fosse stata la pelliccia di Grattastinchi.
Anche Ron e Ginny parevano impressionati.

La giovane Weasley si allungò perfino in direzione della brunetta per osservare meglio il voluminoso libro.

- Merlino che macigno! - esclamò, non riuscendo a trattenersi.

L’espressione con la quale Hermione la fulminò la fece arrossire di vergogna, mentre Ron accanto a lei ridacchiava.
Anche Harry si sporse leggermente per osservarlo meglio.

- e che cosa sarebbe? - chiese incuriosito.

Hermione si illuminò tutta, evidentemente felicissima di quella domanda.

- è uno dei primi libri di magia mai realizzati, Harry. Guarda - disse con partecipazione, aprendolo con molta cura - è scritto a mano! E originale al cento percento -.

- Hermione è convinta che dovresti studiarlo tutto dalla prima all’ultima lettera - gli disse Ron roteando gli occhi.

- ma è naturale! Non capita tutti i giorni di avere tali libri tra le mani! Oltretutto sono certa che ne esistono solo poche copie. Non è mai stato stampato - spiegò tutta agitata - per non parlare delle formule utilissime che potrebbero esservi contenute - concluse entusiasta.

Harry la guardò ironico.

- credevo tu l’avessi già divorato - sentenziò.

Vide la ragazza arrossire e accennare ad un sorrisetto.

- vorrei... ma ho paura di danneggiarlo! Era in pessime condizioni quando l’ho trovato - aggiunse mutando completamente espressione. Ora appariva oltraggiata.

- come mai? Dove l’hai trovato? - intervenne curiosa Ginny.

- in mezzo a libri mezzi disfatti in un cantuccio della biblioteca del Ministero. C’erano perfino i topi da quelle parti! - esclamò rabbrividendo leggermente.

- ero convinto che il Ministero tenesse in più cura i preziosissimi manoscritti del passato - ironizzò Ron, ricevendo un’occhiata di assenso da Hermione che evidentemente non aveva colto l’allusione.

- già! È stata una fortuna che conoscessi incantesimi in grado di risistemare alla meglio questo volume e soprattutto di bloccare l’azione degli agenti esterni - spiegò.

Ci fu un attimo di silenzio, nel quale Harry prese in mano il libro.
Era molto pesante.

- quindi non sai esattamente cosa vi sia contenuto - disse.

Hermione scosse la testa in segno di diniego.
Harry seguì con le dita i contorni dei preziosi decori presenti sulla copertina.
Se in quel volume c’erano gli stessi argomenti che ultimamente lo avevano appassionato, allora il suo ragionamento si doveva per forza applicare anche ad esso.

Non aveva messo al corrente i suoi amici del suo nuovo passatempo notturno. In primo luogo per non allarmare Hermione sul fatto che non riusciva a dormire, in secondo luogo perché non aveva mai realmente preso in considerazione l’idea di studiare le magie contenute in quei libri per utilizzarle.

- stai dicendo che secondo te dovrei studiare ed usare queste nozioni? - chiese guardingo.

Hermione sembrò esitare, ma poi annuì. Probabilmente anche lei aveva pensato all’eventuale pericolosità di ciò che sarebbe potuto essere contenuto all’interno del libro.

- e se contiene... formule e incantesimi oscuri? Nel senso... illegali? - intervenne a sorpresa Ginny, nervosa.

Harry osservò i suoi amici pensoso.
Anche quello era vero.

- secondo me tutto è lecito se lo fai per salvare la pelle - borbottò Ron, pensando ai pericoli che avevano affrontato insieme - oltretutto... voglio dire alla fine dovrai per forza di cose utilizzare un incantesimo illegale, che tu lo voglia o no. Devi o no uccidere Voldemort? -.

La sua affermazione, anche se alle orecchie di Harry suonò in modo tutt’altro che melodioso, centrò il bersaglio. Aveva ragione, no? Poteva comportarsi nel modo più corretto esistente, ma, alla fine, avrebbe dovuto in ogni caso uccidere. E non necessariamente solo Voldemort, pensò con rabbia ricordando la morte di Sirius e di Silente e coloro che l’avevano provocata.

- lo leggerò, ok? E poi... poi vedremo. Vi farò sapere - disse loro, tentando di sistemare alla meglio ma senza successo l’ingombrante manoscritto all’interno della borsa nella quale originariamente portava l’altro volume, ora completamente dimenticato sotto la poltrona.

- aspetta, lascia fare a me - gli disse Hermione, prendendo la borsa di Harry e recitandovi sopra un incantesimo con un sorriso radioso dipinto sul volto.

Harry vide Ron e Ginny lanciarsi occhiatine divertite. Di sicuro Hermione era andata in brodo di giuggiole nel sentire che la sua proposta era stata accettata.
Quando Hermione concluse di recitare l’incantesimo prese il libro che scivolò con una facilità impressionante all’interno della borsa.

- un altro giorno ti insegno il trucco, tranquillo. Ma oggi non posso sono... - e qui arrossì un poco, lanciando delle occhiate di sottecchi a Ron - ...devo uscire presto -.

- già - confermò allegro il ragazzo con le orecchie leggermente arrossate - oggi porto fuori la mia ragazza se non vi dispiace -.

- quale audacia - gli fece eco Ginny, ridacchiando.

- bene... allora... - farfugliò Hermione, raccattando tutto ciò che aveva tirato fuori dalla borsa per trovare l’oggetto desiderato e mettendovi dentro anche oggetti a caso che non le appartenevano - buona... buona continuazione - fece salutandoli con la mano e fuggendo letteralmente dalla stanza.

- Hermione! Ehi, aspetta! - le gridò Ron sconvolto, alzandosi e precipitandosi dietro alla ragazza, salutando velocemente migliore amico e sorella.

Alle spalle si lasciò una coppia di amici sghignazzanti.
Quando si furono calmati a sufficienza da parlare senza scoppiare nuovamente in una risata senza speranze di essere placata, fu Ginny la prima ad aprire bocca, rivolgendosi ad Harry con un sorriso.

- ora che fai? Esci anche tu? -.

- beh il mio turno è finito da un pezzo - disse pensoso - e inoltre con la diminuzione degli attacchi dei Mangiamorte anche le nostre missioni si sono dimezzate -.

Ginny annuì. Già. I Mangiamorte non si facevano sentire come al solito.
Sembravano stranamente pacifici in quel periodo, ma ciò non rallegrava per niente la giovane. Chissà cosa bolliva nel calderone.

- tu che fai? - le chiese Harry.

- penso che andrò a casa - mormorò alzando le spalle - qui non c’è più bisogno di me -.

Il ragazzo annuì. Poi si ricordò di qualcosa che voleva dirle e decise di farlo subito.

- Ginny senti. Ti volevo ringraziare per l’ultima volta. Sai, no. Dopo la battaglia - fece un po’ impacciato.

La ragazza sembrò sorpresa, ma poi annuì e sorrise.

- figurati. Anche tu sei stato molto gentile. E soprattutto grazie per non aver fatto parola a nessuno di... beh, sai, no... - gli disse stringendosi involontariamente il polso sinistro.

Harry lo notò. Ultimamente lo faceva spesso. Ma, pensando che fosse solo un modo come un altro per impegnare le mani in momenti di disagio, lasciò cadere la cosa.

- di nulla. Piuttosto... - disse guardandola negli occhi con un’espressione seria - ...l’hai più visto, tu? -.

Ginny scosse la testa.

- no. E non riesco a vederlo come un fatto positivo. E tu? - chiese a sua volta.

- non so. C’è qualcosa che... sta architettando qualcosa, lo sento. Penso sia ben più di una semplice sensazione passeggera -.

- credo anche io. Ma non credo invece sia il luogo per parlarne - rispose lei abbassando di molto la voce - ti saluto, Harry - disse a voce normale, sorridendogli -penso che andrò a casa -.

Harry sorrise di rimando.

- sta attenta e chiama se hai bisogno - le raccomandò mentre si alzava.

Lei rise.

- e tu studia, mi raccomando - disse depositandogli un veloce bacio sulla guancia.

Harry rimase per un bel po’, dopo che lei se ne fu andata, a fissare la porta da cui era uscita, con sensazioni contrastanti che lottavano furiosamente nel suo animo.

Quando Ginny girò l’angolo dietro alla porta, tuttavia, non trovò la strada libera.

- ouch! - esclamò andando a sbattere contro qualcuno che doveva essere giunto dalla direzione opposta.

Se due braccia robuste non l’avessero afferrata, si sarebbe di sicuro spalmata per terra con conseguenze non proprio piacevoli per il suo fondoschiena.
Alzò lo sguardo e si trovò a fissare due iridi di ghiaccio che la fissavano a loro volta in modo sorpreso.
Si gelò per un istante, venendo sommersa dal terrore, ma tutto passò subito, quando riconobbe il proprietario di quegli occhi.

- Leo! - disse sorridendo di sollievo.

Ma poi, ricordandosi improvvisamente di ciò che era appena successo si stacco da lui con il volto in fiamme e gli lanciò uno sguardo dispiaciuto.

- Merlino, non sai quanto mi spiace! Scusa, non stavo guardando dove andavo ti ho fatto male? -.

Il ragazzo sembrò per un attimo spaesato dal fiume di parole che gli si riversarono addosso ma poi, riacquistato il controllo della situazione le sorrise cortesemente.

- tranquilla, Ginny. Nulla di rotto. Sono forte io - scherzò.

Lo sguardo della ragazza si diresse per un istante sul petto di Leonard, dai muscoli sviluppati, ma poi si staccò con la stessa velocità e lei, se possibile, divenne ancora più colorita.
Per fortuna sembrò che lui non si fosse accorto di nulla, infatti le si rivolse chiedendole a sua volta se stesse bene. Dopo aver risposto affermativamente ed essersi calmata un pochetto, la ragazza riacquistò la lucidità necessaria per potergli parlare senza incespicarsi stupidamente nelle parole.

- che ci fai qui? -.

- andavo negli spogliatoi. Ho voglia di allenarmi un po’ - le spiegò. Poi si illuminò, come folgorato da una idea improvvisa - ehi Ginny, perché non vieni con me? -.

- a fare cosa? - chiese lei stupita.

- come a fare cosa? Ad allenarci, no? -.

Ginny si diede mentalmente della stupida. Se non si muoveva a decidersi avrebbe continuato a collezionare figure del cavolo una dietro l’altra.
Il sorriso che gli indirizzò era un po’ triste.

- non posso mi dispiace. Ho promesso a mia madre che l’avrei aiutata stasera a casa. Un altro giorno magari? - chiese speranzosa.

- ma certo. Non ti preoccupare - rispose lui con un sorriso. Era parecchio dispiaciuto, e si vedeva.

- allora ti saluto - fece lei, passandogli accanto agitando la mano con un sorriso.

Girò un altro angolo sentendolo salutarla.

Che ragazzo simpatico, Leonard, pensò con un sorriso.

Ginny non aveva minimamente fatto caso al fatto che gli spogliatoi erano nella direzione opposta a quella che Leonard stava percorrendo, ne aveva visto l’espressione strana che gli era comparsa sul volto quando lei gli aveva girato le spalle.

Se la serata per Ginny non si prospettava delle più divertenti, di sicuro non lo era neanche quella di Harry.

Dopo essere rientrato a casa ed aver ricevuto un biglietto da parte di Ron che lo avvertiva che sarebbe tornato tardi, si era preparato qualcosa di leggero da mangiare e, dopo aver consumato la sua cena, si era subito diretto verso la sua camera.

Era riuscito a convincere Ron a comprare una vecchia “scatola delle immagini parlanti”, più comunemente chiamata televisione nel mondo babbano, per passare il tempo a casa.

Era in salotto, ma quella sera non aveva nessuna intenzione di accenderla o guardare qualche cosa.
Se non si fosse addormentato di lì ad un paio d’ore avrebbe tirato fuori il libro che Hermione gli aveva passato e avrebbe cominciato a leggerlo.
Steso sul suo letto, cominciò a rimuginare sugli eventi della serata.

Il sonno non veniva.

Sarà una notte molto lunga pensò, passandosi una mano sugli occhi dalla frustrazione.

In tutt’altro luogo, in tutt’altra situazione, anche Ron ed Hermione non stavano vivendo una situazione facile.

Era da tempo che non avevano la possibilità di passare una serata da soli. Era proprio per questo che Ron aveva deciso di prendere in mano la situazione ed invitare fuori la sua ragazza.
Com’era bella, quella sera. L’aveva portata in un ristorante non particolarmente lussuoso, ma molto intimo.
Avevano bisogno di stare un po’ insieme. Se lo meritavano, no? Dopo tutte quelle battaglie... dopo tutte quelle perdite...

Hermione però si sentiva un po’ a disagio. Era ossessionata dal fatto di non essersi vestita in modo adeguato e di non riuscire a piacere a Ron. Si sentiva impacciata ed infantile e non si rendeva conto che anche il suo ragazzo provava gli stessi sentimenti di inadeguatezza. Se da una parte erano al settimo cielo per essere finalmente insieme in un momento di pace, dall’altra la situazione pareva loro confusamente anomala. Come l’immagine di una tarantola in mezzo ad orsacchiotti di peluche rosa.

Consumarono il pasto più velocemente di quanto si rendessero conto e, dopo aver ballato un paio di lenti in modo abbastanza incerto, entrambi decisero di uscire all’aria aperta.
Una volta fuori l’aria fredda li colpì come una frusta, svegliandoli dal torpore in cui erano caduti durante la cena.

Il cielo era stellato; tanti piccoli brillantini su un telo di seta blu.
Camminavano in silenzio l’uno accanto all’altra, entrambi persi nei propri pensieri e nelle proprie incertezze.
Raggiunsero un parco pieno di coppiette babbane.
Se possibile la loro sensazione di imbarazzo, anziché attenuarsi, si acutizzò.

Si sedettero su una panchina piuttosto isolata, scambiandosi qualche frase incerta e breve.
Il vento si alzò ancora ed Hermione si maledì per non aver portato una giacchetta un po’ più pesante di quella che indossava e si strinse istintivamente per cercare di trovare un po’ più di tepore.
Ron dovette aver notato la sua mossa, perché senza neanche esitare un istante si levò la sua giacca e la pose sulle spalle della ragazza.

Hermione lo guardò con un’espressione dolce ma confusa.

Quante volte nei film visti a casa durante l’estate, o nei libri, aveva trovato una scena simile... e quante volte aveva sognato di essere trattata in un modo così dolce.
E ora? Si stava comportando da perfetta idiota, rovinando con le sue incertezze l’unica serata che probabilmente avrebbe avuto a disposizione di passare sola con Ron che non sarebbe capitata nuovamente con tanta velocità.
La giacca era ancora infusa del tepore del corpo del suo ragazzo e, istintivamente, Hermione gli si strinse accanto.

- non hai freddo? - gli mormorò.

- no, tranquilla. Puoi tenerla - rispose lui, passandole un braccio sulle spalle.

Hermione si diede nuovamente della stupida. Per tutta la sera si era preoccupata di cosa dire o non dire a Ron e di che conversazione affrontare. In quel momento riconobbe che fra di loro anche un silenzio poteva diventare speciale, perché anche senza parlare loro si capivano.

- che sciocchi che siamo, ne? - disse Ron con un sorriso, come se le avesse letto nella mente.

Hermione si voltò a guardarlo, ridendo piano.
Si persero l’una nello sguardo dell’altro e, prima ancora di rendersene conto, si stavano già baciando dolcemente.

Il resto della serata lo passarono in modo molto più piacevole della prima parte.
Risero, parlarono di tutto e di niente, e si scambiarono baci e frasi dolcissime. Ron la fece ridere commentando che se Harry li avesse sentiti di sicuro sarebbe diventato diabetico.
Ma, come tutte le situazioni piacevoli, anche quella serata era destinata a finire. Ron scortò Hermione fino a casa sua e, dopo averle dato il bacio della buona notte ed essersi assicurato che tutto fosse a posto, fece per andarsene.

Hermione non seppe mai quale forza incredibile la spinse ad afferrargli il braccio e a fermarlo.

- Ron... - chiamò.

Lui si voltò e la guardò perplesso.

- senti, io... la mia... la mia coinquilina è via fino a domani e... - cosa diavolo le era preso?! Ma era tutta ammattita?! Cosa gli stava chiedendo??!! - e volevo chiederti se... -.

Ron sbatté le palpebre più volte.

Non è possibile.

- perché non... non ti fermi qui da me... stanotte? - chiese d’un fiato.

Ron sgranò gli occhi.

Hermione dovette rendersi conto che la sua frase non era suonata esattamente come lei l’aveva intesa, perché, diventando viola, si affrettò a spiegare in un farfuglio unico:

- cioè, voglio dire... non intendo per fare quello... cioè se non vuoi... no che dico? Intendo... non... per farmi compagnia... dormire insieme, ecco... cioè, non dormire insieme in quel senso... intendo dormire... no... cioè, nel senso... -.

Il suo torrente di parole in piena fu frenato all’improvviso da un bacio di Ron che, quando le loro labbra si separarono, le disse:

- ho capito, Hermione... tranquilla... se vuoi... -.

Lo voleva? Sul serio?
Lo guardò e annuì. Prima piano, poi con forza.
Aprì la porta e gli fece cenno di entrare, in modo molto impacciato. Lui entrò.
Prima di chiudersi dietro la porta, Hermione ripensò stupita al comportamento adulto e calmo di Ron, contrapposto alla sua infantile confusione.

È evidente che non aveva notato le orecchie del ragazzo quando aveva detto quella frase. Perchè se lo avesse fatto avrebbe potuto tranquillamente sospettare che si sarebbero sciolte da un momento all’altro, tanto erano rosse e pulsanti.


OoOoOoOoO


La mattina seguente in ogni caso, chi per un motivo e chi per un altro, arrivarono tutti in ritardo. Harry e Ginny si trovarono nel cucinino del Quartier Generale entrambi per lo stesso motivo: un caffè particolarmente ricco di caffeina.

Il primo aveva passato una notte insonne molto lunga, proprio come aveva predetto.
Dopo due ore di inutili tentativi di sonno (e dopo aver rinunciato all’ultimo secondo di ingurgitare una pozione sonnifera) si era messo sul suo letto con la luce accesa ed il libro sulle ginocchia.

Finchè non torna Ron, aveva pensato, poi magari sarò stanco a sufficenza da dormire come un sasso.

Le ore passavano, le pagine si susseguivano, ma Ron non tornava.
Verso le due del mattino aveva cominciato a preoccuparsi. Con gli occhi che bruciavano ma che si rifiutavano categoricamente di chiudersi, aveva mandato un’infuriatissima Edvige a cercare Ron con un messaggio per lui.
Edvige era tornata con la risposta un’ora dopo, quando ormai Harry aveva letto un quarto dell’enorme tomo. Un macigno, esattamente come aveva commentato Ginny.

Il messaggio era breve e coinciso. Anche molto gentile, doveva dire.

Che diavolo vuoi? Non vedi che ore sono? Dormi! Io sto da Hermione.
Ron

- no, non lo vedo che ore sono! - aveva ringhiato incenerendo il malcapitato foglietto di carta.

Morale della favola alle quattro aveva rinunciato del tutto a dormire e un paio di ore dopo si era preparato per andare al lavoro.
Non aveva neanche tentato di nascondere con qualche incantesimo le occhiaie da paura e gli occhi rossi e gonfi. I capelli, poi, quelli non avevano speranza.

L’unica nota positiva era che aveva trovato la lettura molto interessante. I capitoli che aveva letto non gli dicevano nulla di nuovo, ma dando un’occhiata ai titoli di quelli che lo aspettavano aveva intuito che spiegavano argomenti molto utili. Ora stava a lui decidere se impiegare ciò che avrebbe potuto apprendere o mantenerla una semplice lettura notturna e mattutina.

Ginny non veniva al lavoro in condizioni migliori.
A differenza di Harry lei era riuscita ad addormentarsi, ma non era stato affatto piacevole. Aveva perso il conto delle volte che un incubo l’aveva svegliata dopo la sesta. Aveva passato la nottata alternando momenti di incubi a momenti di nervosa veglia.
Inoltre era pervasa da un fortissimo senso di inquietudine che la rendeva tetra e poco propensa alla conversazione.
Era anche riuscita a spaventare sua madre quella mattina, quando era scesa per la colazione.

- buongiorno - bofonchiò Harry vedendola.

Lei rispose con un gesto stanco della mano, ma poi notò il suo stato e si sforzò di parlargli con un tono di rassegnata partecipazione.

- anche la tua notte è stata movimentata? -.

L’occhiata di fuoco che la raggiunse confermò i suoi sospetti.

Ginny sospirò, preparando un altro caffè e passandolo ad Harry. Entrambi uscirono dal cucinino, pronti a dirigersi verso i loro rispettivi uffici.
A metà strada incontrarono Ron ed Hermione, arrivati in ufficio poco prima di loro.
Anche loro avevano un aspetto stanco, ma non di una stanchezza sofferta. I loro visi esprimevano la stanchezza che si prova dopo aver passato la notte a parlare con qualcuno a cui si vuole molto bene, sia un fratello, un amico o un amato.

Ne Ginny ne Harry erano dell’umore adatto per parlare con loro. La prima non era dell’umore adatto per ascoltare qualcuno che aveva dormito meglio di lei, mentre il secondo era ancora parecchio contrariato dal comportamento di Ron.
Ai saluti dei due ragazzi risposero con dei gesti accennati e si affrettarono a dirigersi verso i rispettivi cubicoli. Harry ad un certo punto girò a destra mentre Ginny a sinistra. Per un attimo il ragazzo sperò che i passi che risuonavano dietro di lui si dirigessero a sinistra, ma probabilmente non era la sua giornata.

Quando entrò nel suo ufficio si sedette dietro la scrivania con i genti di chi ha molte cose da fare e non vuole essere disturbato, ma non servì ad evitare che i due amici lo seguissero.
Lo infastidiva sapere di essere insofferente, ma non ne poteva più. Voleva un po’ di pace e, soprattutto, qualcosa che lo tenesse impegnato. Di diverso dal sentire il resoconto della loro serata o qualsiasi altra cosa.

- Harry! Ma che hai fatto? Hai un aspetto orribile! - esclamò Hermione, distogliendo solo in quel momento veramente l’attenzione da Ron.

Harry le lanciò un’occhiata tanto violenta che Hermione, sbigottita, si zittì.
Ovviamente, Ron subito si indispettì.

- ehi, si può sapere che hai? -.

La goccia cade inesorabile nel vaso.

Toh, guarda.

Era quella di troppo.

- cosa ho? - ringhiò Harry - mi chiedi cosa ho? C’è che ho passato metà serata ad aspettarti e quando ti ho mandato a cercare mi sono visto mandare al Diavolo! Mi chiede anche che c’è! -.

Ron sembrò dispiaciuto a quelle parole.

- mi spiace... ma ci eravamo appena addormentati ed è arrivata Edvige e... - cercò di giustificarsi, ma Harry borbottava come una pentola a pressione e capì che l’unico modo per calmarlo era parlare con sincerità.

- all’inizio sarei tornato a casa come ti ho detto, ma poi - e qui il suo volto si colorì - poi Hermione mi ha chiesto di restare e allora... -

Harry alzò di botto la testa, gli occhi sgranati. Hermione cosa?
La ragazza era del medesimo colore del ragazzo. Si sentì in dovere di affrettarsi a spiegare:

- non abbiamo fatto nulla, Harry, solo parlato un po’, ecco tutto... -

Ron si affrettò ad annuire deciso e a continuare.

- volevo mandarti un messaggio ma poi ho pensato che dormivi e che ti svegliavo e... e poi credo di essermene dimenticato - ammise contrito.

Inaspettatamente, sentirono Harry ridacchiare.

- dovreste vedervi - spiegò davanti alle loro occhiate interrogative - i papaveri sbiadirebbero se vi vedessero -.

Rise ancora vedendoli diventare violacei.

- non vi preoccupate, è ok. Mi hai fatto spaventare, amico - ammise Harry dopo un po’.

Le scuse si ripeterono, anche se ormai non erano più di alcuna utilità.
Dopo un po’ di discorsi inutili, Hermione tornò all’attacco sulla cosa che in quel periodo le premeva di più.

- allora, hai letto il libro? -.

Harry annuì e le riepilogò in breve tutto ciò che aveva trovato scritto nelle parti che aveva letto e quello che sospettava esserci nei capitoli successivi.

- hai intenzione di studiarlo e mettere in pratica ciò che trovi? - chiese Ron interessato.

Harry lo guardò e rispose con tutta sincerità.

- non lo so ancora, Ron. In fondo non ho un motivo reale per imparare nuove cose rispetto a quelle che so - disse.

- come non ne hai? Certo che ne hai! Tu-sai-chi dove lo metti? - protestò l’amico.

Harry si passò una mano sugli occhi.

- Ron... non è questo il punto - disse con un sospiro.

Come faceva a spiegarsi?
Hermione dovette percepire che Harry aveva davvero bisogno di un po’ di pace, così decise di lasciar cadere l’argomento.
Prese Ron per mano e lo avvertì con lo sguardo di assecondarla.

- senti, Harry, noi avremmo alcune cose da fare, ora. Ti spiace se ci incontriamo dopo? - chiese con un sorriso.

Harry comprese, e le fu grato.

- certo, non ti preoccupare -.

La porta si richiuse e, finalmente, poté avere un po’ di tempo per pensare solo ed in tutta tranquillità.

La mattinata trascorse senza altri intoppi.
Ginny era riuscita ad evitare di essere disturbata nel momento giusto, ed ora si sentiva pronta a tornare a conversare con le altre persone.
Inclusa Hermione che entrò nel suo ufficio rossa come un pomodoro maturo.
Ginny rise a quello che le raccontò. Ma non di derisione.
Aveva accolto con grande felicità la notizia che Ron aveva finalmente chiesto ad Hermione di mettersi insieme a lui.
Non poteva che essere deliziata dalla notizia che il loro rapporto si stava pian piano evolvendo.
Non aveva nulla in contrario ad accettare Hermione come sua cognata, anzi.
Dopo il racconto della serata precedente Hermione le chiese se secondo lei aveva fatto bene.

- perché lo chiedi a me? - chiese curiosa Ginny.

- beh... tu hai più esperienza di me... no? - farfugliò a disagio Hermione.

Oh, pensò Ginny, certo, lei pensa ai miei ex di Hogwarts.

- si può dire di sì, immagino - disse con un sorriso.

- Ginny ma tu... - cominciò la brunetta, decisamente a disagio.

- no - la interruppe Ginny con un sorriso tranquillo - è vero che ho avuto un paio di ragazzi a scuola, ma... lo prendo molto seriamente quell’argomento - spiegò.

- io non volevo... - cominciò Hermione imbarazzata.

- ehi, tranquilla! Nessun problema. Una domanda più che legittima. Non mi offendo mica - rise Ginny.

Hermione sospirò di sollievo.
Fece per aprire bocca di nuovo quando tutto precipitò con una velocità inverosimile.

Suonarono gli allarmi, Ron ed Harry irruppero nel cubicolo e in un batter d’occhio furono pronti tutti a smaterializzarsi.
Nella confusione Ginny poté capire solo che i Mangiamorte erano tornati alla carica molto più numerosi del solito, almeno del doppio, ed erano guidati dal Principe.
Avevano attaccato una cittadina di babbani e loro dovevano correre a salvarli.

Cominciò a duellare con i primi nemici che si trovò davanti con foga. Non avevano molto tempo: i Mangiamorte erano davvero tantissimi. Ma non era quello che la preoccupava di più.

Lui era lì.

Lei non poteva permettersi di incontrarlo.
Notò in lontananza un gruppo di Mangiamorte circondare dei babbani e corse verso quella direzione lanciando incantesimi d’attacco.
Ma all’improvviso andò a sbattere contro qualcuno che apparve all’improvviso davanti a lei. Vide nero ed ebbe un dejà vu quando due braccia la afferrarono e la tennero in piedi.
Alzò gli occhi ed incontrò un paio di occhi dalle iridi di ghiaccio.

Per un solo, meraviglioso momento, credette di aver incontrato di nuovo Leo.
Ma fu solo un momento.
Gli occhi di chi aveva davanti si strinsero e le sue mani si chiusero in una morsa sulle braccia.
Sentì le sue deboli barriere mentali infrangersi e la vista le si appannò.

Ginevra...

fu il richiamo che sentì, terribile e accattivante allo stesso tempo.
Stava precipitando nel buio e non poteva fare nulla per evitarlo.

Nello stesso momento, non molto lontano dal luogo in cui si trovavano loro due, Harry Potter fu interrotto durante il duello che stava sostenendo da un’improvvisa sensazione di felicità che non gli apparteneva.

È lui. Seppe subito.

In poche mosse mise fuori combattimento il suo opponente e prese a correre verso il luogo da dove aveva sentito il richiamo.
Ben presto lo vide, una figura nera in mezzo alla guerra, portatrice di morte e distruzione.
Gli dava le spalle, ma sapeva che lo aveva percepito. Ne era certo.
Infatti pochi secondi dopo il Principe si girò verso di lui, occhi di ghiaccio incontrarono occhi di smeraldo, e tutto attorno a loro smise di esistere.

Poi, la vide.
Ginny era appoggiata al petto del Mangiamorte e i suoi occhi blu, così simili a quelli del fratello, lo osservavano vuoti, senza realmente vederlo.
Lui era nella sua mente. Doveva essere così.
Harry alzò la bacchetta e la puntò contro il Principe.

- lasciala andare - gli ordinò perentorio in serpentese.

Da sotto la maschera il Principe gli sorrise.

- lei è mia, Potter. Se la vuoi, devi venire a prendertela. E non pensare che te la ceda tanto facilmente - disse mellifluo.

Da qualche parte, dietro di lui, dove non percepiva quasi nulla, Harry sentì qualcuno chiamare il nome di Ginny con angoscia. Ma non si voltò.
L’incantesimo partì con velocità e precisione, ma nell’esatto momento in cui la formula aveva lasciato le sue labbra, Harry seppe che non sarebbe andato a segno.
Pochi istanti prima che il raggio lo colpisse, infatti, il Principe si smaterializzò e lo stesso fecero tutti gli altri Mangiamorte.

La percezione del mondo che lo circondava riprese a fluire nei sensi di Harry.
E ricordò la voce, e seppe chi era stato a gridare.
Si voltò e vide Ron pallido come un cencio appoggiarsi ad Hermione prossima alle lacrime.

Qualcosa dentro di lui si incrinò. E seppe quello che doveva fare.
Avanzò verso di loro con passo lento, sofferente.
Incrociò lo sguardo sconvolto di Hermione, ma abbracciò Ron.
Non disse nulla, non c’era spazio per le parole.

Nel campo di battaglia erano rimasti solo gli auror e i morti, come al solito.
Ma non era tutto come sempre.
Non ci sarebbe stata una ragazza coraggiosa a fare l’inventario delle perdite senza perdere la lucidità, non ci sarebbe stata una ragazza che l’avrebbe seguito e confortato quando si sarebbe sentito sprofondare nell’oscurità.
Perchè l’oscurità in persona era giunta, e l’aveva portata via con sé.

Harry si staccò da Ron con gli occhi lucidi ma determinati.
Incontrò nuovamente lo sguardo stravolto di Hermione.

E ora?

Cominciò ad allontanarsi dal campo di battaglia, ma la voce della ragazza lo fermò.

- Harry! Dove stai andando? - gridò preoccupata.

Harry non si voltò neanche. Prima di smaterializzarsi lontano da quel luogo, disse solo:

- ho un libro da studiare -.

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Capitolo 15
*** Niente come prima ***


NdA: Ciauz!
Come potete ben prevedere, sono fresca fresca di vacanze. (e ci vojo tornareee! Sigh sob!)
Lo so, sono da prendere a pugni in faccia per avervi fatto attendere così tanto, ma spero che mi perdonerete. No, so che alla fine del capitolo non lo farete… più in sospeso di così non si può!
Eheh, che volete, lasciare in sospeso è la mia passione e specialità!
In ogni caso, vi troverete davanti un capitolo piuttosto cupo, dall’inizio alla fine. Spero di essere riuscita a trasmettere bene le emozioni dei personaggi, incrocio le dita.

Ringraziamenti:

X energiapura: Ciauz!
Sono decisamente soddisfatta del fatto che ti sia piaciuto il capitolo. E grazie per i complimenti! Non mi resta che aspettare e sperare che anche questo capitolo ti piaccia^^.
Un bacione.

X sweet nettle: Ciauz!
(me corre a nascondersi dietro ad Evil) Aiuto! Non mi uccidere! Sono tornata! Ecco il capitolo!
Hihihi. Che dire, speriamo che riesca a salvare la mia testa^^!
Un bacione!

E anche il 15 è fatto. Non chiedetemi quanti ne mancano, sono l’ultima a saperlo (come al solito).
Fatemi sapere cosa ne pensate! I commenti sono sempre graditi!
Un bacione
Vostra ‘myu.

Destini Intrecciati
by Lulumyu

15.“Niente come prima”

Hermione in quel momento si trovava nella casa che condivideva con la ragazza babbana, sola.
Era rannicchiata su una poltroncina di fianco ad una delle piccole finestre della sua camera da letto.

Fuori, al di là del vetro, stava piovendo.

Anche il cielo stava partecipando al suo dolore. Non che ciò le fosse di qualche conforto.
Le immagini del giorno precedente le si affollavano nella mente, si accavallavano, si distorcevano, si attraevano.
Tutto era stato marchiato a fuoco nel suo spirito; con la stessa brutalità, lo stesso dolore.

Lei e Ron stavano combattendo fianco a fianco, quando Harry, correndo, era sbucato dal nulla di fianco a loro ed era passato oltre, come se non li avesse visti.
Si erano scambiati uno sguardo d’intesa e l’avevano seguito. Doveva aver visto qualcosa di molto importante per precipitarsi in quel modo in mezzo alla battaglia, incurante degli incantesimi e dei nemici.
Non erano arrivati subito: si erano fermati più volte durante la loro corsa per soccorrere degli alleati o semplicemente per difendersi da attacchi diretti proprio a loro.

Ma erano arrivati.

Hermione si strinse ancora di più nella poltroncina, non riuscendo a frenare i tremiti di freddo e dolore che l’avevano colta. Non proveniva dall’esterno, quel gelo.

Appena avevano raggiunto Harry, nell’esatto momento in cui si erano fermati alle sue spalle, il Principe Oscuro si era voltato.
Se la sua attenzione era tutta rivolta a lui, non era la stessa cosa per Ron.
Si era irrigidito. Hermione non aveva compreso subito il motivo di tale reazione; era vero che il Principe era inquietante, ma l’avevano visto più volte all’azione e di certo non avevano mai tremato davanti a lui.

La sua attenzione fu distolta solo perché Harry cominciò a parlare in quella lingua per lei assolutamente incomprensibile.
Quei cupi sibili l’avevano fatta rabbrividire quando erano usciti dalla bocca di Harry, ma erano stati ancora più tremendi quando erano usciti dalla bocca del Mangiamorte nemico.
Aveva appena finito di parlare, quando Ron ritrovò la voce e la impiegò per gridare il nome di Ginny.
Un grido straziante che l’aveva lacerata dall’interno.

Ginny? Cos’era successo a Ginny? Dov’era?

E poi, l’aveva vista.
Quello sguardo spento l’avrebbe perseguitata per tutta la vita, lo sapeva.
Già ora non riusciva a levarselo dalla mente, figurarsi in futuro.

In ogni caso le urla di Ron non avevano fatto tornare lucidi quegli occhi, non avevano fatto tornare il sorriso su quel volto privo di espressione.
Nemmeno l’incantesimo lanciato da Harry aveva potuto fare qualcosa.
Il Principe era scomparso portando Ginny con sé.

E, dopo quel rapimento, niente sarebbe stato come prima.

Quando Harry se ne era andato, sul campo di battaglia erano rimasti del gruppo solo lei e Ron.
Lei che non riusciva a smettere di piangere e Ron, bianco come un cadavere, che non diceva nulla, con lo sguardo fisso davanti a sé.
Lo aveva chiamato più volte. Più e più volte. Con sempre maggiore sentimento.
Ma nulla.
Solo il silenzio. Un silenzio talmente pesante da soffocarla.

Comunque una cosa le era chiara: Ron non era in grado di cavarsela da solo. Non era presente.
Mandando al diavolo tutti i rapporti che avrebbe dovuto preparare, si era smaterializzata portandolo con sé.
Erano arrivati al di fuori della barriera della Tana e subito lei si era affrettata a condurre Ron all’interno.

Era come un guscio vuoto... Ron...

Cercando disperatamente di trattenere le lacrime, Hermione era entrata.
Il sorriso che la signora Weasley aveva sfoderato quando erano entrati si era congelato sulle sue labbra.
Hermione si era affrettata a far sedere Ron sulla prima sedia che le era capitata a tiro e aveva costretto la signora Weasley a chiamare tutta la famiglia.
Mentre Molly faceva quello che le era stato chiesto con tanta urgenza, Hermione aveva tentato disperatamente di far uscire Ron dalla trance in cui era caduto.
Aveva fatto di tutto, l’aveva pure baciato di fronte a sua madre dalla disperazione.
Ma non era servito a nulla. Ron non l’aveva ricambiata ne l’aveva respinta.
Era rimasto semplicemente immobile, spento.

L’arrivo di tutti gli altri le aveva permesso di non scoppiare in un pianto dirotto.
Ma aveva anche portato una consapevolezza tremenda nel suo cuore.
Se Ron non era in grado neppure di sentirla ed Harry non c’era, sarebbe dovuta essere lei a raccontare l’accaduto.
Lei, pressoché un’estranea alla loro famiglia.

Con la voce spezzata e gli occhi che minacciavano di riempirsi di lacrime in ogni momento, aveva raccontato l’accaduto.

Era stato tremendo; Fleur era scoppiata a piangere, Molly era svenuta addosso a Bill che era impallidito come Ron, Charlie aveva tirato un pugno al muro, crepandolo, ed era uscito rabbioso sbattendosi la porta alle spalle, i gemelli si erano accasciati sulle sedie della cucina poco distanti da Ron, con l’espressione più devastata che Hermione aveva mai visto sui loro volti ed il signor Weasley era uscito silenzioso dalla casa e quando, ore dopo, lei se ne era andata esortata da Fleur che era preoccupata per la sua salute, non era ancora tornato.

Quando se ne era andata, Ron non aveva ancora detto una parola. Non l’aveva nemmeno salutata.

Lo sguardo di Hermione cadde inevitabilmente sul letto che solo ventiquattr’ore prima avevano diviso.
Alle dolci sciocchezze che si erano raccontati, ai sogni che si erano scambiati.
Com’era stato bello addormentarsi e svegliarsi tra le sue braccia!
Ma ora...

Il dolore che provava stava rischiando di soffocarla.
Aveva assistito, no, era stata l’artefice del dolore di un’intera famiglia.
Indirettamente, certo. Ma era comunque stato tremendo.

Se solo Ron avesse potuto aiutarla, sostenerla... lo avrebbe detto comunque se lui glielo avesse chiesto.
Ma Ron era chiuso nel proprio dolore personale, insensibile a quello degli altri in modo particolarmente egoistico.
Ma lo capiva. Era ovvio che lo capiva, che domande.
Solo... quanto avrebbe potuto poterlo sostenere.

Ma lui le aveva fatto capire molto bene che non voleva il suo aiuto, il suo supporto.

Dai suoi occhi, già stravolti dalle lacrime versate in precedenza, ne sgorgarono di nuove.

Quel giorno, nonostante non ne avesse la minima voglia, era andata al lavoro come tutti i giorni.
Quasi aveva sperato di trovare Ginny nel suo adorato cubicolo, china su chissà quali rapporti, in preda di chissà quali emozioni.
Vi si era diretta, ma di Ginny nessuna traccia. Il cubicolo però non era vuoto.
C’era Ron, di fronte alla piccola scrivania.

Lo aveva chiamato ancora. Era dalla sera prima che non faceva altro. Perfino le poche ore nelle quali era riuscita a dormire erano state popolate da incubi nei quali lei lo chiamava, ma lui non la sentiva.
Stava vivendo in un incubo.

L’aveva chiamato ancora. L’unica reazione che aveva provocato (e non era neanche sicura di averla provocata lei stessa) era stata quella di farlo uscire senza una parola dalla stanzetta.
L’aveva superata senza degnarla di uno sguardo.
L’aveva ferita come mai nessuno, in quel momento. Ma dubitava che Ron se ne rendesse conto.

Fuori dal cubicolo aveva incontrato Tonks.
Anche lei aveva un’espressione tirata, ma almeno era pronta ad ascoltare e a parlare.
Nel suo ufficio, Hermione si era sfogata e aveva ascoltato la donna.
Se da un lato lo sfogo l’aveva aiutata, dall’altro l’aveva resa consapevole che ciò che era accaduto, era accaduto veramente.

Da Tonks aveva saputo che lei e Lupin, con altri membri dell’Ordine, erano andati a visitare gli Weasley.
C’era un’atmosfera così fredda in quel luogo che da sempre era stato sinonimo di calore e di accoglienza...
Sempre dall’auror aveva scoperto cosa stavano facendo Ron ed Harry.
Ron si era chiuso nella palestra maschile ad allenarsi. La foga con cui lo stava facendo faceva quasi paura.

Hermione nascose la testa fra le ginocchia. Faceva così male pensarci...

Anche Harry la evitava. Era troppo impegnato a fare da spola tra palestra e biblioteca per anche solo salutarla. Inoltre durante il loro colloquio Tonks le aveva detto che Harry aveva perfino inoltrato richiesta di allontanarsi per qualche tempo dal Quartier Generale per una fantomatica ricerca.
Probabilmente se glielo avessero concesso, anche Ron sarebbe partito. Di certo non con Harry. Per conto suo.

Ormai ognuno di loro pensava solo per sé.

E lei, sola nella sua stanza come non lo era mai stata, piangeva tutte le sue lacrime.

OoOoOoOoO

Lentamente i suoi sensi si svegliarono. Molto lentamente: con una lentezza quasi esasperante.
Dove si trovava? Non lo sapeva.
Aveva dei ricordi molto vaghi di ciò che era successo.
Quasi faceva fatica a ricordarsi chi era!

Era distesa su un letto dalle morbide coperte, confusa, smarrita.
I ricordi, o meglio, quei pochi sprazzi di memoria che le si affacciavano alla mente ad intermittenza, non erano sufficienti a portarle chiarezza.

Cosa era accaduto?
Ricordava confusione. Ricordava urla. Ricordava due occhi grigi.
Ma poi… più nulla.

A parte un richiamo… una voce…
Ginevra…

- Ben svegliata, Ginevra – disse qualcuno, poco distante da dove si trovava.

Era la stessa voce, ragionò a fatica la ragazza.
Un momento. La stessa voce?!
Stava per caso immaginando tutto o…

- no, tranquilla – disse la voce, in tono leggermente derisorio – non è un sogno. Io sono reale, proprio come te -.

- chi sei…? – mormorò a fatica la giovane, tentando con le poche forze che ancora conservava di mettersi seduta.

- oh, noi ci conosciamo molto bene – disse ancora la voce.

Non fece nulla per aiutarla ad alzarsi, chiunque egli fosse. Era un uomo, una voce conosciuta ma allo stesso tempo priva di un volto al quale essere collegata.
Dopo vari sforzi la giovane riuscì nel suo intento. Aveva il corpo pesante, come se fosse stata drogata.

- mi hai drogata? – chiese a fatica, non alzando ancora gli occhi nella direzione in cui doveva trovarsi quel personaggio.

Egli produsse un suono sommesso che sembrava quasi una risatina ironica. Un suono strano, quasi come se la sua bocca fosse coperta da qualcosa che impediva alla sua voce di fuoriuscire normalmente.

- non ne ho avuto bisogno, credimi. La tua mente è molto facile da controllare, Ginevra. Anche troppo per come la vedo io. Mi è bastato solo addormentarti – spiegò.

Perché? Cosa voleva da lei?
Che confusione… che dolore! La testa le doleva. Ogni movimento era uno sforzo immenso.
Ogni spostamento.
Ogni pensiero.
Era come se la sua mente si stesse sforzando di rientrare in contatto con il resto del suo corpo.

- è così infatti – intervenne la voce, leggendole nuovamente la mente con la stessa facilità e precisione con le quali si legge un libro – ho addormentato la tua mente e controllato con la mia mente il tuo corpo. Non è stato affatto faticoso. Ma questo ovviamente solo grazie al mio marchio. Comunque non temere, Ginevra. Presto tornerai in te ed il dolore passerà. E a quel punto potremo parlare con calma – annunciò.

La ragazza immerse le dita nei capelli sanguigni.
Cosa stava farneticando? Marchio? Controllo del corpo?
E chi era Ginevra? Era lei? Era questo il suo nome?
Faceva così male…

Un singhiozzo fuoriuscì dalle sue labbra, mentre le dita si serrarono con più forza fra le ciocche di capelli.
Sentì un fruscio nelle sue dirette vicinanze, poi la voce mormorò qualcosa.
Una sensazione di sollievo la invase, e fu l’ultima cosa che percepì prima di cadere nuovamente in un sonno privo di sogni.

OoOoOoOoO

Non la immaginava così debole.
Era bastato ben poco per metterla fuori uso.
Beh, meglio così. Non avrebbe ricevuto lagne ancora per qualche tempo.

Evil camminava a passo deciso lungo i corridoi scuri del castello del Signore Oscuro. Era soddisfatto come non lo era da molto tempo.
Per la riuscita del piano, per il fatto di averla finalmente lì con sé e, ovviamente, per l’impagabile visione della faccia di Potter quando l’aveva vista insieme a lui priva di coscienza.
Quelli erano i piccoli piaceri della vita.

Sorridendo sardonico dietro alla maschera, passò oltre ad un gruppo di Mangiamorte che subito si affrettarono ad inchinarsi al suo cospetto.
Senza troppe cerimonie entrò nella stanza del trono, dove sapeva che suo padre lo stava attendendo.

Era là infatti, accomodato sul suo piedistallo di potere, circondato da coloro che amavano definirsi i suoi servitori più fedeli.
Baggianate, ovviamente.
Nessuno di loro era fedele realmente al Signore Oscuro. Tutti avevano un secondo fine. E chi non lo aveva era pazzo, quindi ciò non contava.

Passò oltre diversi Mangiamorte della cerchia stretta, senza degnarli di uno sguardo.
Poteva percepire la loro stizza per non essere riconosciuti nel loro ruolo di favoriti. Poteva percepire il loro timore. Poteva percepire i loro dubbi. La loro pazzia.
Si inchinò di fronte al suo Signore che lo fece rialzare in piedi senza troppe cerimonie.

- dunque, Evil? Hai eseguito i miei ordini? – gli domandò nella loro lingua.

Evil sentì chiaramente lo sdegno dei presenti. E ne rise interiormente.
Perché solo a lui quella lingua era conosciuta, mentre a loro era preclusa.
Il Serpentese era qualcosa che lo differenziava dal resto dei seguaci di suo padre, che talvolta amava considerare alla stregua di vermi.
Non metteva in discussione le capacità di alcuni fra loro nelle scelte tattiche.
Semplicemente non aveva bisogno neppure di considerarle.

- naturalmente, Padre – rispose con aperta soddisfazione.

Voldemort sorrise con la sua bocca priva di labbra.

- dunque la piccola Ginevra è qui, non è vero? – domandò nuovamente.

Evil questa volta si limitò ad annuire. Qualcosa dentro di lui non riusciva a smettere di fargli provare quella soddisfazione.

- ottimo – sibilò compiaciuto il Signore Oscuro. Non attese altro, entrò prepotentemente nella testa di suo figlio, carpendo da lui ciò che lui a sua volta aveva carpito in precedenza dalla mente della giovane Weasley.

- e così la piccola Ginevra è capace di comprendere il Serpentese – commentò ancora più compiaciuto – avrei dovuto immaginarlo. Nagini! – chiamò con un sibilo più deciso degli altri, che fece sussultare qualche Mangiamorte alle spalle di Evil.

Pochi attimi dopo la chiamata, l’enorme serpente fece il suo ingresso nella sala, strisciando verso il suo padrone e scivolando fino a raggiungere le sue spalle.
Evil non sentì ciò che suo padre comunicò al serpente. Ma poco dopo comprese ciò che le era stato ordinato. Non ebbe nulla da obiettare. Tanto la giovane rossa sarebbe stata fuori combattimento ancora a lungo.
Il suo Signore si rivolse nuovamente a lui in tono di comando, senza parlare la loro lingua.

- Ora va’ pure, figlio mio. La tua presenza non è più richiesta -.

Con un sorriso compiaciuto celato dalla maschera, il Principe Oscuro si congedò da suo padre e con un movimento fluido estrasse la bacchetta dal luogo in cui la teneva, e si smaterializzò.

OoOoOoOoO

Bellatrix osservò con le labbra serrate dallo sdegno la smaterializzazione del Principe Oscuro.
Perché a lui venivano accordati tutti i privilegi? Non era stato lui a rimanere anni a marcire ad Azkaban per suo padre; anzi, dov’era il Principe Oscuro in tutti quegli anni?
Perché il suo Signore l’aveva chiamato solo in quel momento?
Non riusciva a spiegarselo. Ma evidentemente c’era in ballo qualche cosa di molto importante, probabilmente ideato dal suo Signore in persona.

Lo osservò con aperta devozione. Era pronta perfino a morire, per lui. Per ciò che rappresentava, per gli ideali che incarnava.
E lo aveva anche dimostrato, sfidando i Dissennatori, loro antichi alleati, poi nemici, ed infine nuovamente compagni.

- miei fedeli Mangiamorte – esordì in quel preciso momento il Signore Oscuro – il momento della nostra vittoria è prossimo. Non vacillate ora, e sarete ampliamente ricompensati. Presto il nostro progetto andrà a buon fine ed allora rideremo degli sporchi babbani e mezzosangue, e li faremo scomparire dalla faccia della terra -.

Un’ovazione seguì queste sue dichiarazioni.
Gli occhi di Bellatrix fiammeggiarono di orgoglio. Lei ci sarebbe stata. Nell’esatto momento nel quale il suo Signore si fosse liberato di quella feccia, lei ci sarebbe stata.

- tutto questo – continuò Voldemort quando le grida di giubilo si furono attenuate – accadrà grazie all’aiuto di un mio ospite purosangue molto speciale, che ora si trova all’interno di questa stessa fortezza. Ben presto godremo i benefici della sua presenza, miei fedeli. Ed allora – i suoi occhi sanguigni brillarono di una luce insana – il sangue sporco verrà lavato via dalle nostre strade -.

Concluso questo breve discorso il Signore Oscuro si alzò dal suo trono e si smaterializzò, sorridendo ancora in modo malvagio.

Appena se ne fu andato molti, nella sala, tirarono un sospiro di sollievo. Ognuno per un motivo diverso.
La cosa che aveva impressionato in modo maggiore i presenti non era stata tanto la rivelazione del loro Signore o la sua sicurezza riguardo una prossima definitiva vittoria, ma invece la consapevolezza della sua felicità e soddisfazione. Infatti nessuno durante quella riunione era stato sacrificato per compiacerlo.
Bellatrix ne rimase molto sorpresa, ma non in modo negativo. Se il loro Signore era così certo della vittoria, allora non avevano più nulla da temere, anzi, avevano tutto da festeggiare.
A discapito di quella spina nel fianco di Harry Potter.

OoOoOoOoO

Pian piano i sensi le ritornarono, e così anche la lucidità mentale.

Ginny si tirò a fatica a sedere, su quel letto che non le apparteneva. Negli ultimi istanti di sonno aveva sognato la Tana, e mai si era sentita più al sicuro. Ma poi il sogno era svanito, così come la sensazione di sicurezza.
Per un breve istante aveva creduto di poter essere davvero nella sua casa, ma non era così. E quando lo aveva realizzato si era sentita malissimo.

La cosa positiva della situazione, e anche l’unica che potesse trovare, era che era finalmente sveglia e lucida.
Tutto il resto era negativo. Il fatto di non sapere dove si trovava, il fatto di non riuscire a muoversi senza provare una acuta sensazione di pesantezza, il fatto di essere certa che il Principe Oscuro in persona era stato in quella stanza, vicino a lei, e che la teneva prigioniera.

Meraviglioso.

Si guardò attorno, a disagio. Era semi sdraiata in un letto a due piazze, decisamente piccolo per due persone, avvolta in calde coperte dagli svariati colori. Era vestita esattamente come nel giorno in cui era stata catturata, cosa che la tranquillizzò non poco.
La stanza in cui si trovava era circolare, esattamente come la sua stanza nel dormitorio dei Grifondoro, quando ancora frequentava Hogwarts.
Piuttosto spoglia, tranne per un vecchio armadio, uno scrittoio, ed una poltroncina consunta.
Lo scrittoio era posizionato poco distante dall’unica finestra della stanza, che era stata lasciata leggermente aperta.

Subito Ginny cominciò a lottare con le coperte, per liberarsene e poter andare ad affacciarsi a quella finestra per capire dove l’avessero portata, ma non ci riuscì.
Anche perché non appena scoperta, fu raggiunta da uno spiffero gelido proveniente dall’esterno, che la fece rabbrividire.

Convincendosi finalmente di essere troppo debole per tentare di alzarsi, la giovane si infilò nuovamente nelle calde coperte, infagottandosi dentro per bene.

- ma guarda cosa doveva capitarmi – si lamentò, gemendo lievemente nell’ascoltare quanto flebile risultasse la propria voce; poco più di un sussurro.

Un sussurro che, in quella stanza semi vuota, pareva in qualche modo amplificarsi in un indefinibile eco.
Un eco nel quale Ginny poté pian piano riconoscere delle sillabe, e poi parole, lievi come aliti di vento, quasi sibili.
Li sentì vicini. Poi sopra di lei.

Cominciò a tremare lievemente, perché qualcosa dentro di lei già intuiva cosa sarebbe venuto.
Sibili di serpente accompagnavano da sempre i suoi incubi più bui, le sue paure più profonde.
Che il Basilisco fosse tornato a prenderla? Fosse quello il motivo per il quale era stata rapita?
Quando i sibili cessarono di colpo, Ginny intuiva che il serpente si trovava davanti a lei. Sentiva il suo sguardo bruciarle sulla pelle, ed il tatuaggio divenne infuocato.

Lentamente alzò la testa e lo vide.

Un serpente pendeva dalla tendina del baldacchino, avvolto in buona parte dall’oscurità della stanza.
Era di un colore indefinibile, visto che il buio ne alterava la forma, ma di sicuro non era un Basilisco.
Era molto più piccolo, anche se non certo meno pericoloso.

Ginny ebbe appena il tempo per battere le palpebre e socchiudere le labbra in preparazione di un urlo di terrore, che il serpente era scomparso.
Se ne era andato. La stanza era silenziosa, se non per il sussurro del vento al di fuori della finestra.
Ma la giovane era certa che il serpente sarebbe tornato molto presto, e un’idea sorse imperiosa nella sua mente.

Tornerà, ti farà del male e non potrai far più nulla per salvarti.

Guardò freneticamente attorno a sé e al letto, invano. Scioccamente aveva sperato di riconoscere da qualche parte la figura della sua bacchetta.
Era prigioniera! Ovvio che come prima cosa l’avevano privata dell’unico oggetto che avrebbe potuto tirarla fuori da quella situazione!

Disperata, gettò le coperte lontano da lei e si avviò tremante verso la finestra.
Le gambe la reggevano a fatica e tremavano in maniera incontrollabile, forse per lo sforzo o semplicemente per la paura. Si guardò attorno, ma non vide porte. Era una stanza senza entrata né uscita, escludendo la finestra.
Animata e sorretta dal timore di rivedere quel serpente o, ancor peggio, uno dei suoi padroni, Ginny riuscì a raggiungere la finestra e a spalancarla con un colpo deciso.

Si affacciò.

E si sentì morire.

Sotto di lei, a molti metri di distanza, vide acqua e rocce appuntite. Mare ed un gelido vento che mandava le onde a sbattere con violenza contro la scogliera sulla quale doveva essere posizionato il castello. Sì, un castello, perché non c’erano dubbi che fosse stata relegata all’interno di una delle quattro torri principali di un castello.

Le vennero le vertigini e si spinse con forza all’indietro, di nuovo nella stanza, e cadde rovinosamente sul pavimento gelido.

In trappola… scogliera… unica porta… castello… prigioniera… acqua… freddo… morte…

Era pallida e sconvolta. E non riusciva a pensare lucidamente.
Realizzava di essere rinchiusa in un luogo dal quale non poteva fuggire, se non tramite la morte.
Perché poteva farla finita in qualunque momento… le bastava solo buttarsi…

Osservò la finestra, e poi la stanza.
Immaginò i volti di coloro che più amava, e gli occhi le si riempirono di lacrime.
Loro si sarebbero sacrificati pur di evitare di rimanere prigionieri del nemico, ne era certa.
Soprattutto se il nemico avesse potuto estorcer loro informazioni importanti che avrebbero di sicuro portato all’annientamento delle loro famiglie.

No!

Forse era vittima della pazzia più totale in quel momento, o forse non era mai stata più lucida in tutta la sua vita.
A fatica si rialzò e si avvicinò alla finestra.
Il vento la raggiunse con violenza, gelido ed inarrestabile.

Ginny piangeva, ora. Pensava a quanto era stata sciocca. Se era in quella situazione la colpa era soltanto sua. Perché non aveva rivelato ai suoi famigliari del Principe, perché aveva voluto cercarlo lei a tutti i costi, forse per dimostrare a sé stessa che non era solo la sorellina piccola degli Weasley, ma era abile quanto ognuno di loro…

Stupido, stupido orgoglio il suo.

Ci era caduta di nuovo, esattamente com’era successo con il diario.

Non capì bene come ci riuscì, ma pochi attimi dopo era in piedi sul cornicione della finestra, col vento che la colpiva e con l’immagine delle rocce appuntite ben impressa nei suoi occhi e nella sua mente.
Dunque era questo il suo destino? Morire così? Non rivedere mai più coloro che più le erano cari?
Ed Harry? Non avere più nessuna possibilità di essere al suo fianco nel giorno della vittoria?

Guardò di nuovo verso il basso, con la vista distorta dalle lacrime e presa dalle vertigini.
Le onde colpivano le rocce con violenza, ripetutamente, come se il mare fosse furioso con la terra per qualche motivo e volesse farle del male impiegando tutta la sua forza devastante.
Il pensiero che ben presto il suo corpo sarebbe stato trascinato dalle onde contro gli scogli, straziato e dilaniato, minacciava di farle perdere l’intenzione di buttarsi.
Ma doveva essere forte.

Rise istericamente al pensiero che per la prima ed ultima volta nella sua vita avrebbe volato in picchiata come un uccello, senza scopa o incantesimi.

E poi lo fece.

E mentre cadeva nel vuoto, con il vento che la soffocava ed i sensi che la abbandonavano, decise che per la prima volta nella sua vita avrebbe fatto la cosa giusta al momento giusto.

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Capitolo 16
*** Divisioni ***


NdA: Ehilà!
Avete visto che in fretta che ho fatto? Eheh. Mi avete invogliata a sbrigarmi (soprattutto per la mia incolumità), quindi eccomi qui. Anche se credo che dovrò scappare di nuovo a fine capitolo.
Sto ponderando di trasferirmi in qualche luogo sperduto come la Groenlandia, dove non mi arrivino pacchi bomba o minacce di morte precoce^^.
Suvvia, ormai mi conoscete… eheh^^.
Questo capitolo è parecchio triste, ma il mistero s’infittirà ancora di più. Passeremo dalla triade “bianca” a quella “nera”, incontrando losche intenzioni, per poi riabbracciare alcuni personaggi che cercano disperatamente di compiere il loro lavoro nonostante le difficoltà.
E poi finiremo… beh, non vi resta che scoprirlo^^!

Ringraziamenti:

X Sweet nettle: Ciauz!
Più in fretta di così...!! Grazie mille dei complimenti. Mi fa molto piacere sapere di aver reso bene quel pezzo. Fondamentalmente era uno dei pezzi più importanti dell’ultimo capitolo. Menomale^^.
Pazzerella? Mah, diciamo che ha le idee molto confuse su cosa sia giusto o sbagliato, soprattutto in questo momento. Capiamola, è stata rapita. Capiamola, la sto descrivendo io. (Muahahahaha!!).
Se la faccio cascare? Eheh. Mah, chissà. ^__^
Un bacione.

X energiapura: Eccomi!
Sono stata sufficientemente clemente? Spero di sì. Sono molto felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. Mi spiace di farti stare così in sospeso sempre, ma che vuoi farci? È una mia prerogativa nello scrivere (molto sadica, già ^.^). Se la salvo? Vedremo. Lo saprai presto, comunque.
Un bacio.

X BlackAngel: Benvenuta^^!
La tua recensione mi ha fatto molto piacere, ed inizio subito col ringraziarti per i commenti positivi.
Sono davvero soddisfatta che la storia ti piaccia. E il fatto che ti sembrasse di vedere le scene descritte svolgersi vicino a te, non può che farmi un grande piacere! (‘myu gongolante).
Per quanto riguarda la domanda, beh… ci sono dentro anche io ^///^. Come mio solito la storia è decisa dalle mie dita sulla tastiera di volta in volta, quindi è disorganizzazione totale!
Inoltre grazie infinite per il tag! Lo proverò in questo capitolo, spero di scriverlo in modo corretto!
Spero che la storia continui a piacerti.
Un bacione!

X Jemy: Altra new entry^^!
Grazie mille per il commento! Mi ha fatto molto piacere. Che dire? Spero che la storia continui a piacerti!
Un bacione!

Vi lascio al racconto, preparando le valige per l’emigrazione^^.
Grazie anche a tutti quelli che leggono la mia storia; come sempre, le opinioni sono sempre gradite!
Un bacione!
Vostra ‘myu.

Destini Intrecciati
by Lulumyu

16.“Divisioni”


Il silenzio che lo circondava in quel momento era un toccasana per i suoi sensi sempre all’erta.
Ogni minimo rumore gli sarebbe stato percettibile e di conseguenza non avrebbe avuto nulla di che preoccuparsi.

L’inverno era visibile in quel luogo di montagna in cui si era rifugiato per affinare indisturbato le proprie capacità; ogni cosa era ricoperta da una fitta coltre bianca e lucente ed il vento gelido gli penetrava fin nelle ossa.

Harry chiuse gli occhi, scacciando ogni pensiero dalla sua mente. Poco lontano da lui, appoggiato sulla soffice superficie nevosa, c’era un mattone mezzo sgretolato e, al fianco di questo, un piccolo sasso rotondo.

La sua missione: spostare almeno uno dei due.
Il suo obbiettivo: Doveva riuscirci.

Aprì gli occhi e si concentrò sul sasso, di minor grandezza e peso. Tese la propria bacchetta verso di esso e, con tutta la concentrazione di cui era capace in quel momento, richiamò nella sua mente la forma dell’incantesimo che intendeva utilizzare.

Wingardium leviosa!

Il sasso tremò per qualche istante, ma non si sollevò né si mosse ulteriormente.

- merda – borbottò il giovane, tirando un calcio al sasso, pieno di stizza.

Non che avesse pensato di riuscirci. Era ancora troppo inesperto.
Colto da una profonda sensazione di sconforto si lasciò cadere a terra, portandosi le mani al volto.

Due giorni.

Era il secondo giorno che passava in quel luogo, isolato da tutto e da tutti, come egli stesso aveva progettato. Il secondo giorno di allenamento in perfetta solitudine, senza però alcun mutamento nelle sue capacità.
Quell’intenzione di isolarsi lo aveva colto all’improvviso, quasi alla sprovvista, ma lo aveva facilmente convinto. Non avrebbe mai potuto continuare a stare con Ron ed Hermione come se nulla fosse successo.

Perché, ancora una volta, una persona a cui era affezionato gli era stata portata via da sotto il naso dal suo peggior nemico. Per colpa sua.
Non era stato capace di proteggerla, di difenderla.

Ed ora non poteva permettere che anche i suoi due migliori amici facessero la stessa fine, se non peggio.

Il suo obiettivo principale al momento era quello di salvare Ginny. Dovesse ciò anche farlo smettere di cercare gli Horcruxes. Anche se in cuor suo ben percepiva che Ginny non dovesse essere al momento troppo lontana dal Principe, e quindi da Voldemort.

Lo sguardo gli cadde sul libro di magia che aveva portato con sé.
Lo stesso che, tempo prima, gli aveva consegnato Hermione, e sul quale aveva avuto molti dubbi.
Come diavolo avrebbe potuto imparare quegli incantesimi se non era neanche in grado di utilizzare la magia non verbale?

Prese il libro fra le mani, con molta cura. Non intendeva rovinarlo per colpa di qualche movimento brusco.
Oltretutto se ciò fosse accaduto anche solo per sbaglio, Hermione gli avrebbe sicuramente fatto la pelle.
Passò lentamente la mano sulla copertina antica, come a pulirla da uno strato di polvere immaginario.
Aprendolo con la medesima attenzione si mise a sfogliare le pagine ingiallite, molte delle quali ormai conosceva a memoria.

Si era messo a studiare capitolo per capitolo, paragrafo per paragrafo e parola per parola tutto ciò che si trovava scritto al suo interno. Talvolta anche con qualche sforzo, poiché la scrittura era parecchio sbiadita in alcune parti, e il linguaggio antico.
Prima di attingere a quelle conoscenze, però, doveva saper utilizzare determinati incantesimi indicati nei primi capitoli e, per sua sfortuna, anche la magia muta.

Si rialzò, riponendo il libro nel luogo da cui lo aveva preso precedentemente, e si incamminò a testa bassa a recuperare il sasso che poco prima aveva calciato lontano da sé.
Quando lo ebbe ritrovato, davanti ad un cespuglio spoglio e ricoperto di bianco, lo sistemò nuovamente al fianco del mattone, con un sospiro, e riprese la posizione di prima, in piedi poco lontano dai due oggetti.
Doveva farcela, non aveva alternative.
Come sempre, del resto.

Wingardium leviosa!

OoOoOoOoOoO

- Ron, mi vuoi ascoltare? -.

Gli stava letteralmente correndo dietro, ma non le importava. Del resto per lui avrebbe fatto questo e molto altro.
La sala smaterializzazioni si avvicinava molto velocemente; non aveva molto tempo per riuscire a convincere Ron ad ascoltarla.

- Hermione, non è il momento adatto – le rispose, brusco, aumentando il passo.

- non è mai il momento adatto! – sbottò lei, esasperata, roteando gli occhi - non costringermi a fare qualcosa di spiacevole – lo minacciò poi, stizzita, bloccandosi di colpo.

Lui fece finta di non sentirla, continuando imperterrito a camminare.

Molti auror che passavano da quelle parti stavano osservando curiosamente la scena. Era comune veder battibeccare i due fidanzati, e anche molto divertente.
Eppure quella volta le loro espressioni possedevano una cupezza che non s’era mai vista durante le loro abituali litigate; veniva spontaneo domandarsi il motivo di tale tensione, ma nessuno dei presenti aveva intenzione di mettersi fra i due. Poteva essere molto pericoloso.

E va bene! Pensò Hermione, sfoderando la bacchetta e puntandola contro il suo ragazzo.

E gli auror nelle vicinanze automaticamente si accucciarono a terra, tenendosi le mani sulla testa a mo’ di protezione.

- Pietrificus totalus! -.

Il corpo di Ron si irrigidì di colpo, nell’atto di camminare.
Hermione si voltò in un nugolo di capelli cespugliosi, e si incamminò con aria soddisfatta verso il suo ufficio, sotto gli sguardi sorpresi di tutti.
Almeno non c’erano stati danni… ma… e Weasley?

Quando Hermione scomparve dietro l’angolo, in molti si domandarono se fosse il caso di liberarlo dall’incantesimo. Ma nessuno osò. La Granger faceva davvero paura quando si arrabbiava sul serio.
Per loro fortuna presero la decisione più opportuna, visto che, poco dopo essere entrata nel suo ufficio, Hermione puntò la bacchetta verso l’esterno, pronunciando un incantesimo di appello.

- Accio Ron! – esclamò, e non dovette aspettare molto che la figura pietrificata del suo ragazzo comparisse galleggiando all’interno del cubicolo.

Lui aveva un’espressione davvero truce, ma ad Hermione importava poco. Dopo aver chiuso bene la porta con un incantesimo, gli disse con voce minacciosa:

- non provare ad uscire di qui finchè non abbiamo parlato, Ronald Weasley! -.

Mormorò velocemente il contro incantesimo e il corpo di Ron tornò ad appartenergli.
Era molto infastidito dal comportamento di Hermione. Non aveva tempo da perdere in inutili chiacchiericci! Ogni secondo sprecato era un secondo regalato al nemico per far del male indisturbato a sua sorella.

- muoviti, allora – le intimò brusco – non ho tempo -.

Una parte di lui quasi si volle tirare un ceffone per averle rivolto quelle parole tanto brusche; l’aveva sicuramente ferita, a giudicare dalla sua espressione.
Ma non era colpa sua se Hermione l’aveva trattato come un pacco postale, facendogli fare la figura dell’imbecille davanti a mezzo Quartier Generale.
La ragazza intanto tentò con successo di ricacciare indietro le lacrime che il comportamento di Ron minacciava di far affiorare ai suoi occhi.

- dove stai andando? – gli chiese, non mascherando una nota di preoccupazione nella voce.

- un campo di addestramento speciale. Allora, c’è altro? – rispose lui spazientito.

- quanto starai via? – domandò ancora lei, sempre più preoccupata.

- sembri mia madre – borbottò lui – non lo so. Il minor tempo possibile, comunque. Ho qualcosa di importante da fare – e lei capì che si stava riferendo al salvataggio di Ginny.

- ed Harry? –

- Harry cosa? Che c’entra lui adesso? – domandò Ron facendosi leggermente più cupo.

- è anche lui in quel campo? – chiese lei, cominciando ad innervosirsi per il comportamento del ragazzo.

- non che io sappia. Sai bene che è scomparso nel nulla – rispose lui atono – hai finito? Guarda che mi stanno aspettando – e, detto ciò, cominciò a dirigersi verso la porta chiusa, voltandole le spalle.

In un impeto di stizza e nervosismo, Hermione sbottò:

- non posso venire anche io? -.

Ron si irrigidì, e, quando si voltò, il suo sguardo era minaccioso.

- no – disse lapidario, ed estrasse la bacchetta per aprire la porta.

- perché no, maledizione?! – sbottò lei, battendo forte le mani contro la scrivania.

- cosa credi, che mi divertirò a quel campo?! – sbottò Ron, voltandosi ancora.

- non sono stupida Ronald! So benissimo cosa ci andrai a fare, in quel campo! – ed ora Hermione stava proprio gridando – ciò che non capisco è perché non vuoi che venga con te! Mi pare di essere stata molto spesso utile a te e ad Harry, in tutti questi anni! Se non ci fossi stata io a controllare che non faceste stupidaggini, non credo che ora sareste ancora tutti interi! -.

Ron sapeva benissimo che la ragazza aveva ragione. Ma non poteva permetterle di seguirlo; non questa volta.

- chi se ne frega del passato, Hermione! – e ora anche lui gridava – non siamo più ad Hogwarts, non c’è più nessun professore ad aiutarci e a tirarci fuori dai guai! Siamo soli! Perché secondo te anche Harry se ne è andato per conto proprio? Perché anche lui ha capito che ora come ora nessuno di noi è in grado di fronteggiare quel bastardo! Ed è inutile rimanere tutti appiccicati, non riesci a capirlo? – e poi la sua voce divenne più cupa – proprio tu che sei la più intelligente fra di noi dovresti comprenderlo! Stando insieme siamo più vulnerabili. Siamo degli obbiettivi più facilmente rintracciabili! Se invece ognuno va per la sua strada ci sono meno occasioni di essere trovati! -.

- ma se ci trovassero divisi? Noi siamo forti perché, a differenza di loro, siamo uniti! La nostra amicizia è sempre stata la nostra forza, perché non riuscite a vederlo voi due? Separarci non farà altro che indebolirci! – rispose lei a tono.

- dov’era quella forza, contro il Principe? Sveglia, Hermione! Guarda cos’è successo su quel campo di battaglia! Eravamo insieme, ma neanche questo ha potuto salvare Ginny! Non è con l’amicizia che si vincono le guerre! – le gridò lui, paonazzo.

- ah no? Allora dovremmo trasformarci in pedine nelle mani dei superiori, proprio come i Mangiamorte sono per V-Voldemort? – anche passati anni, non riusciva ancora a pronunciare quel nome con la naturalezza di Harry.

- tu non capisci… - sbottò Ron, passandosi una mano fra i capelli rossi, frustrato.

- io, non capisco? Ma ti ascolti, Ron? L’unica cosa che davvero non capisco è perché non vuoi che venga con te! Anche io ho bisogno di addestrarmi, in vista delle prossime battaglie! – gli disse, a voce più moderata, tentando di assumere un tono ragionevole.

- stanne fuori, Hermione – le disse asciutto, voltandosi nuovamente verso la porta.

- mi stai sbattendo fuori, Ron? – disse, e stavolta il suo tono era poco più di un sussurro.

Lui si sentì gelare dall’interno.
Per qualche istante nella sua mente si riaffacciò il ricordo di quella nottata che avevano passato insieme a casa sua, a parlare e scherzare tutta notte. Prima del disastro.
Se rinunciare a lei avrebbe voluto dire tenerla lontana da lui, e dai pericoli che lui avrebbe corso, allora ne sarebbe valsa la pena.

Aveva già perduto Ginny; solo perché era sua sorella ed ex fidanzata del suo migliore amico, Harry Potter. Hermione sarebbe potuta essere la prossima. Migliore amica di Potter, conoscente stretta della famiglia Weasley e, ancor più disgustoso per i loro nemici, Mezzosangue.
Portarla con sé non avrebbe fatto altro che accrescere le probabilità che le facessero del male.

Non si voltò a guardarla; ma gli parve molto importante chiarire la cosa, prima di uscire dalla sua vita.

- ho già perso Ginny, Hermione. Non voglio correre il rischio di perdere qualcun altro che per me potrebbe essere importante -.

Il tono era brusco a sufficienza per farle intendere ciò che Ron non aveva il coraggio di comunicarle.
Uscì a passo sostenuto dal cubicolo.
Alle sue spalle, Hermione scoppiò in un pianto dirotto.

Dovette usare violenza su sé stesso per non tornare indietro.

Ron si incamminò velocemente lungo il corridoio, non accorgendosi che qualcuno, dal lato opposto del corridoio, lo osservava attentamente.
Quel qualcuno aveva udito tutta la loro conversazione.

Le pareti dei piccoli uffici non erano insonorizzate, quindi molti, passando lì vicino, avevano potuto udire le grida dei due litiganti, ma nessuno si era soffermato ad ascoltare.
Perché impicciarsi degli affari degli altri, quando di beghe ce ne erano a sufficienza per tutti?
Ma lui necessitava di impicciarsi degli affari del magico trio, ora smembrato completamente.

Osservò Ronald Weasley allontanarsi dal lato opposto del corridoio, il passo deciso, le spalle contratte.
Non era riuscito ad afferrare esattamente il motivo del litigio, ma esso inequivocabilmente gli avrebbe portato vantaggi da non sottovalutare.

Al momento il membro dei due fidanzati che avrebbe potuto avvicinare meglio e con il quale avrebbe potuto entrare maggiormente in confidenza, era la Granger.
Con Weasley lontano e questo devastante litigio con il quale si erano separati, non avrebbe potuto avere situazione migliore di cui approfittare.
Visto che il suo piano originale era saltato, urgeva formarne uno nuovo se non voleva fallire la missione affidatagli con tanta fiducia. Proprio quello che stava facendo in quel momento.

Si allontanò silenziosamente dal cubicolo dal quale provenivano i gemiti della ragazza; non voleva essere scoperto; la Granger era sufficientemente intelligente per intuire che aveva origliato alla loro conversazione.
Inoltre, presentarsi a lei in quel momento sarebbe stato poco propizio per la sua linea d’azione.
A lui serviva la completa fiducia della strega per portare a termine il suo incarico. Ma soprattutto gli serviva tempo. Ed una strategia vincente.
Sarebbe stato molto avventato da parte sua non pianificare bene tutto.

Camminava a testa bassa dalla parte opposta nella quale si era diretto Weasley, assorto completamente nei propri pensieri, estraniato da ciò che lo circondava.
Sorrise leggermente.

Magari, se fosse stato fortunato, avrebbe potuto prendere due piccioni con una fava.
Da quel che aveva capito, la Granger ora era libera da legami affettivi.
Non che lei gli interessasse più di tanto; ma avrebbe potuto divertirsi.

Giunse nella stanza smaterializzazioni dopo aver percorso un tratto più lungo, per evitare di essere visto da Weasley.
Non lo incontrò neanche in quel posto. Doveva essere di sicuro già partito.
Sì, pensò mentre si smaterializzava, il nuovo piano cominciava a piacergli ancor più dell’originale.

OoOoOoOoO

- non ti capisco proprio, amico – disse Blaise, sorseggiando un bicchiere di vino, - scompari per settimane, saltelli da casa tua a casa mia, non fai altro che dormire e sei quasi sempre di pessimo umore. Si può sapere cosa stai combinando? -.

Pansy, dall’altro capo del lungo tavolo da pranzo, tagliuzzava in pezzi lo spezzatino che quel giorno era stato preparato dagli Elfi domestici. Il suo sguardo, leggermente alterato, cadeva molto spesso sul terzo commensale, seduto in modo scomposto alla sua sinistra, nel mezzo della parte più lunga del tavolo.

La sua testa ciondolava all’indietro, le braccia lungo lo schienale della sedia, e i suoi occhi erano chiusi.
Non aveva mai capito come potesse apparire elegante anche stando seduto a quel modo.
Probabilmente tutto il merito andava alla madre. Suo padre non era così aggraziato.

Draco inclinò leggermente la testa verso Blaise, e socchiuse gli occhi, visibilmente infastidito.

- sembri mia madre – borbottò, tornando nella posizione originaria.

Blaise roteò gli occhi.

- Pansy, cara, potresti passarmi la salsa? – domandò alla moglie, che con un lieve movimento della bacchetta fece planare quanto richiesto in sua direzione.

- potresti sforzarti di essere un po’ più gentile? Ti ricordo che questa è casa nostra, non tua – rimproverò Pansy a Draco.

Questo sorrise lievemente, in modo ironico.

- credevo la affittaste da mio padre – rispose.

- era molto tempo fa! Ora è nostra, Blaise la ha comprata. Non è vero Blaise? – ritorse con foga la giovane donna, incenerendo Draco con lo sguardo, e poi osservando il marito speranzosa.

- certamente – rispose Blaise, annuendo, - ma dubito che ciò possa servire a far smettere Draco di comportarsi come se questa fosse casa sua -.

Draco rimase in silenzio, mentre Pansy, stizzita, trucidava il povero spezzatino.

- comunque credevo di averti posto una domanda – incalzò Blaise, rivolgendo un veloce sguardo al vecchio compagno di scuola.

Draco sbuffò. Ma optò per rispondere. Blaise sapeva essere molto perseverante nelle domande.

- colpa delle missioni – disse – mi sfiancano. Fisicamente ed emotivamente -.

- vuoi dire che ogni volta che te sei via sei in missione? E, di grazia, che fai esattamente? Perché non è che sento molto parlare di te, nel mio circolo – disse Pansy, studiandolo.

Il circolo di cui parlava non erano altro che gli incontri che facevano le mogli e le figlie dei Mangiamorte, che amavano spettegolare su tutto e su tutti.
Anche se non lo sembrava, era di ottima utilità. Tra donne scappa sempre qualche segretuccio che riguarda i mariti; e molto spesso venirli a sapere aveva portato all’identificazione di diversi traditori, anche se
Draco non era del tutto convinto che fossero realmente tali.
Molte delle donne del circolo sapevano essere ambiziose e spietate quanto i mariti.

- ci sarà pur un motivo per il quale di me non si parla, Pansy. E non temere, non ti toglierò il gusto di cercare di scoprirlo con le amiche – fece piatto Draco, osservandola con la coda dell’occhio.

Pansy voltò la testa di lato, in un gesto altezzoso. Blaise invece si mise a ridere sotto i baffi.

Poco dopo Pansy abbandonò l’espressione sostenuta ed emise un lungo sospiro di rammarico.

Draco le lanciò un’ultima occhiata incuriosita, prima di richiudere nuovamente gli occhi. La sua posa era rimasta la medesima per tutto quel tempo.
Ci pensò Blaise ad interrogare la moglie, incuriosito.

- cosa ti turba, cara? -.

Pansy scosse la testa, fingendosi molto contrita.

- pensavo… visto che delle sue missioni non si sa nulla – e lanciò uno sguardo di sottecchi al ragazzo biondo seduto poco lontano – che magari c’entrasse qualcosa con il rapimento… -.

Draco rimase immobile, corrugando leggermente la fronte.

- rapimento? – chiese.

- è stato via fino ad ora, Pansy. Dubito che ne abbia ricevuto notizia – si intromise Blaise. - ma come? Il profeta non parla d’altro! – esclamò scandalizzata la giovane donna – sempre e solo del rapimento di Ginny Weasley! -.

Draco spalancò di colpo gli occhi.

Si ritrovò a fissare il soffitto senza realmente vederlo, senza far caso agli affreschi rappresentanti delle incantevoli Veela nell’atto di danzare, che si muovevano davvero lungo tutte le pareti della grande sala da pranzo.

Pansy non si era lasciata sfuggire il repentino movimento del ragazzo. Dunque non lo sapeva davvero?!
I due coniugi lo osservarono in silenzio per una manciata di secondi, aspettando che parlasse.
All’improvviso sul volto del biondo comparve un sorriso strano, che né Blaise né Pansy riuscirono ad interpretare.

- ma guarda un po’ – lo sentirono mormorare.

- dunque non lo sapevi? – chiese Pansy.

Draco non rispose.

Riportò la testa in posizione eretta e si mise a ridacchiare in modo maligno.

- ma guarda un po’ – ripeté, con un tono compiaciuto.

- ti sei perso molte cose interessanti – disse Blaise, convinto che Draco non avesse davvero sentito dell’accaduto – compresa la partenza di Potter -.

Draco tornò immediatamente serio.

- cosa? – domandò a Blaise, in tono freddo e sorpreso.

- è scomparso nel nulla due giorni fa. Nessuno sa dove sia andato – rispose Blaise, appoggiandosi allo schienale della sedia ed osservando con aria assorta un punto imprecisato sulla tavola.

- con i suoi compari, scommetto – disse gelido Draco.

- questo è il bello – disse Blaise, con la stessa espressione persa nel vuoto, - neanche loro sanno dov’è andato. Inoltre da alcune fonti so che anche Weasley voglia andarsene per conto suo -.

- e la Granger? -.

- non ne ho idea – ammise Blaise.

Draco rimase assorto per qualche secondo.

- il trio che si divide? Non ci credo – mormorò, con un tono di voce calcolatore.

- vivi proprio fuori dal mondo! – commentò Pansy con un sospiro, alzando gli occhi al soffitto.

- semplicemente ho cose più importanti da fare che stare ad ascoltare pettegolezzi – ribatté Draco, osservandola tetro.

- anche se questi parlano di Potter? Da quanto posso ricordare fin dai tempi di Hogwarts ti si alzavano le antenne ogni volta che qualcuno parlava di lui – commentò Blaise divertito, tornando ad osservare Draco ed appoggiando un gomito sul tavolo.

Pansy nel frattempo, vedendo che anche il marito aveva terminato il pranzo (Draco non aveva voluto che gli venisse servito nulla), chiamò gli Elfi domestici per far loro ripulire il tavolo. E ordinò loro di portare due caffè, sempre per lei e per Blaise.

Draco non aveva risposto al commento del vecchio compagno di scuola.
Era inutile pensare ad Hogwarts, ora. Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui c’era stato; anzi, c’era dovuto scappare.

I caffè arrivarono, ed i due coniugi cominciarono a sorseggiarli, mantenendo quel silenzio che s’era andato a crearsi. Ognuno del resto era perso nei propri pensieri.
All’improvviso un Elfo comparve a fianco di Pansy e, dopo un goffo inchino, esclamò con vocina stridula:

- I signori auror del ministero desiderano parlarle, signore -.

Blaise e Pansy avevano prestato attenzione all’Elfo solo per pochi secondi. Ma erano stati sufficienti.
Quando infatti i coniugi voltarono di scatto la testa in direzione di Draco per vederne la reazione, lui era già scomparso.

- mi chiedo come faccia – mormorò Blaise con un sorriso ironico, sinceramente ammirato.

- Blaise… - lo chiamò la moglie, con voce incerta.

- tranquilla, cara. Siamo entrambi presentabili? – domandò, dando un’occhiata veloce al suo abito da casa e a quello della moglie – direi di sì -.

Ordinò all’Elfo di condurre gli ospiti nella sala da pranzo, sotto lo sguardo allarmato della moglie.
Quando il servitore scomparve, le lanciò un’occhiata calma.

- fa’ come al solito. Non so per quale motivo siano qui, non ci resta che stare al gioco e non perdere il sangue freddo – le intimò.

Pansy annuì, nervosa, e assunse l’espressione aristocratica che utilizzava sempre in presenza di altri, soprattutto in presenza di auror.
Dopo poco tempo le porte della stanza si spalancarono e vi entrarono diversi auror.
Quattro di loro, che Blaise non conosceva, si disposero agli angoli della stanza, attenti e pronti ad intervenire. Immaginò che ce ne fossero altri, al di fuori della sua casa.
Riconoscendo però alcuni tra gli auror, si alzò in piedi con lentezza e, con un sorriso sereno, li accolse.

- avreste dovuto avvertirci della vostra visita. Vi avremmo accolti come si deve -.

- non ne dubito, signor Zabini. Scusi l’irruzione, ma abbiamo i nostri buoni motivi – disse Remus Lupin, accennando un sorriso cortese, - signora Zabini – disse poi, rivolto a Pansy.

- professor Lupin, è un piacere rivederla – rispose lei, con perfetto autocontrollo. Mentiva, ovvio. Il lupo mannaro non le era mai stato particolarmente simpatico.

Osservò i suoi accompagnatori. Malocchio Moody, Shacklebolt, Ninphadora Tonks e un altro auror robusto di cui non ricordava il nome.

- era da molto che nessuno mi chiamava in quel modo – disse Lupin, cortese, - ma i miei vecchi allievi possono chiamarmi come desiderano -.

Pansy sorrise, un sorriso falso ben interpretato. Blaise fu soddisfatto del modo in cui la moglie si stava comportando.

- gradite un caffè? Perché non vi accomodate? – offrì, facendo comparire con un veloce incantesimo quattro sedie lungo i due lati lunghi del tavolo.

- niente caffè, grazie – declinò cortesemente Lupin – ma accettiamo volentieri il suo invito a sedere -.

Blaise si risedette a sua volta, portando i gomiti sul tavolo ed unendo le dita delle mani sotto al mento.
Attese, in silenzio, che si decidessero a parlare.
Fu l’auror sconosciuto a prendere parola per primo, con voce autoritaria.

- ci scusiamo per l’intrusione, signor Zabini, ma il Ministero ci ha incaricati di venire ad interrogare lei e sua moglie -.

- a che pro? – domandò Blaise, fingendosi sinceramente incuriosito.

Lupin osservò colui che una volta era stato suo allievo molto attentamente. Blaise Zabini, membro di una delle famiglie più sibilline della storia. Diplomatici nati e navigati a cavallo tra fazioni opposte.
Accettati sempre così, nonostante il fatto che fossero molto ambigui.
Ma gli auror erano certi che questa volta gli Zabini tendevano molto di più dal lato Oscuro. E il Ministero li aveva inviati così all’improvviso nella speranza di trovare i coniugi impreparati, e quindi di trovare prove della loro adesione al lato Oscuro.

Ma Lupin sapeva bene che sarebbe stata dura. Tonks, seduta accanto a lui, unì per qualche istante la sua mano con la propria. Quel contatto lo tranquillizzò, e gli infuse molto coraggio.

- cerchiamo informazioni riguardo i Mangiamorte e, in particolare, il Principe Oscuro – aveva detto intanto l’auror, studiando severamente Blaise.

Questo sorrise, la bocca nascosta dalle mani intrecciate, e rispose all’auror:

- e cosa vi fa credere che noi ne sappiamo più di voi? -.

L’auror stava per ribattere, quando prese la parola il vecchio Moody, puntando sia l’occhio vero che quello magico in direzione del padrone di casa.

- Zabini, lascia perdere i convenevoli e le mezze frasi e rispondi come si deve – ringhiò.

Blaise divenne serio. Guardò Moody con molta tranquillità.

- non so nulla del Principe – disse – e non vedo perché dovrei, visto che non sono un Mangiamorte, come ben sapete -.

Era andato a parare proprio là dove gli auror non potevano obbiettare. Blaise Zabini non aveva il Marchio.

- di sicuro però lei è in contatto con dei Mangiamorte – fece tranquillamente Lupin – e dovrebbe essere il suo dovere di abitante del mondo magico darci informazioni che li riguardano -.

Blaise rivolse uno sguardo annoiato sull’ex professore.

- è chiaro che non li nascondo di certo in casa mia – rispose.

Pansy, che fino a quel momento era rimasta composta e silenziosa, sorrise lievemente.

L’occhio di Moody cominciò a vorticare all’interno dell’orbita vuota.
Blaise si voltò nella sua direzione.

- non era un invito ad invadere la privacy della mia dimora – disse con un sorriso, ma con gli occhi oscurati da un muto avvertimento.

L’occhio di Moody tornò a fissarlo, e l’auror assunse un’espressione distaccata ma minacciosa a sua volta.

- dunque non ha nulla da comunicarci, signor Zabini? – chiese allora Tonks, con voce professionale.

- no, niente -.

L’auror sconosciuto osservò Blaise con un luccichio di divertita soddisfazione negli occhi.

- se è dalla nostra parte allora è in pericolo. Non le dispiacerà di certo se metteremo degli auror a sorvegliare la sua dimora -.

Pansy fece per ribattere, furiosa, ma un’occhiata di Blaise la zittì. Solo lei, che lo conosceva bene, poté leggere la furia che il suo sorriso cortese celava.

- ne saremmo felici – disse.

Ci fu ancora un quarto d’ora di convenevoli, e poi i quattro auror lasciarono la stanza seguiti dagli altri quattro, che si sarebbero disposti attorno alla casa. Li avvertirono che sulla casa sarebbe stato messo un incantesimo anti materializzazione, per migliorare la loro sicurezza.

- bastardi – commentò alterato Blaise più tardi, seduto nell’anticamera della sua camera da notte con la moglie.

- non ci voleva. E non possiamo neanche avvertirlo – commentò Pansy, preoccupata.

Blaise scosse la testa.

- non è stupido. Avrà di sicuro capito tutto – commentò.

Pansy si alzò, camminando nervosamente per la stanza.

- sei sicuro di non essere stato coinvolto in qualcosa e che ti abbiano scoperto? – gli domandò, scrutandolo in cerca della verità.

- sicurissimo – rispose Blaise – non sono io il problema, qui. È la fama della mia famiglia – le spiegò.

- pensi che ci ritengano collegati alla scomparsa della Weasley? – domandò Pansy.

- sarebbe assai sciocco da parte loro – commentò Blaise – prima non mentivo: non mi mettono a parte dei loro piani più segreti, Pansy. Gli auror stanno prendendo un granchio -.

La donna sospirò, lasciando scorrere lo sguardo sul divano sul quale Draco si era abbandonato tante volte.

- spero solo che non gli succeda nulla di male – mormorò.

- anch’io – rispose Blaise, appoggiandosi allo schienale della poltrona e fissando il soffitto – e speriamo che non sia così idiota da tornare qui -.

OoOoOoOoO

Era seduta sul suo letto, nella stanza spoglia e circolare della torre, al caldo tra le coperte.
Incredula come non lo era mai stata in vita sua.

Possibile che fosse stato solo un sogno?

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Capitolo 17
*** Tormenti ***


NdA: Eccomi tornata.
Mi rendo perfettamente conto di quanto vi faccia dannare con le mie assenze prolungate, e mi dispiace molto. Cerco comunque di fare del mio meglio per riuscire a farvi avere almeno un capitolo al mese^^. E per coloro che leggono anche BL&D, bella notizia in arrivo.
Mi sto impegnando per finire il capitolo 30 il prima possibile, compatibilmente con impegni vari. Non smettete di sperare, presto riuscirò a postarlo, finalmente!
Ma passando a cose più importanti, presentiamo questo nuovo capitolo.
I nostri tre protagonisti si sono divisi del tutto; in questo capitolo ho optato per dare più spazio ad alcuni di loro, mentre altri verranno ampliati nel prossimo capitolo. E per la vostra gioia, ho dedicato un po’ più di spazio a due personaggi molto ma molto appiccicati e ossessivi.
Ma ora, “bando alle ciance”, e lasciamo spazio alla lettura^^.

Ringraziamenti:

X Sweet nettle: Ciauz^^.
Permettimi un sonoro BWAH HA HA! ^.^
Confusione è il mio secondo nome, non lo sapevi? ;P E Cattiva il terzo, ovviamente.
Hihihi. Grazie, comunque. Mi fa molto piacere che la storia ti stia prendendo a tal punto. E in ogni caso ormai dovresti sapere che da me puoi avere tutto tranne che risposte^^.
Devo avercelo scritto da qualche parte nel DNA…
Mi raccomando, aspetto la tua opinione^^, e stavolta dovresti rimanere un po’ più soddisfatta del solito. O almeno credo^^.
Un bacione!

X Energiapura: Ciauz!
Vedi? Non è detto che Ginny faccia sola un bel capitolo^^. E il bello dello scorso capitolo era che non dicevo proprio nulla della questione^^. Lo so, lo so. Sono pessima. Che vuoi farci, questione di abitudine ;P.
Spero che anche questo capitolo ti piaccia. E sì, anche io mi diverto un sacco con quei tre^^. Sarà perché subisco molto il fascino del cattivo… sbav!
Un bacione!

X Fiubi: Benvenuta nel club^^!
Mi fa molto piacere che la storia ti stia appassionando, e grazie infinite per i complimenti^^. Mi spiace solo di averti dovuto far aspettare così tanto, ma purtroppo questo è il mio standard… -.- Non mi resta che sperare che passerai sopra a questo mio piccolo difetto di ritardataria cronica^^. Aspetto di sentire cosa ne pensi di questo capitolo, e grazie ancora della recensione^^.
Un bacione!

X Kaho_chan: Kahucci^^.
Ma quanto tempo! Ti avevo data per dispersa^^. Comunque non preoccuparti, l’importante è che la storia continui ad invogliarti a leggerla. E poi alla fine hai recensito, no? Allora va tutto bene^^. Per quanto riguarda i nostri poveri disgraziati finiti sotto le mie grinfie, stanno vivendo un periodo bruttino, ne? ;P. mi fa molto piacere che Draco ti ispiri così tanto. Essendo io innamorata di lui non potevo certo renderlo male, no? No, non sarebbe da ‘myu. Il ciclone si espanderà ancora e ancora. Ma non dico nulla su questo punto. Non posso mica scoprire tutte le mie carte, no?
Aspetto di sentire il tuo parere.
Un bacione^^!

Grazie davvero a tutti voi che sopportate le lunghe attese e che leggete questa mia fic. vi ricordo che le recensioni sono sempre ben gradite^^, mi aiutano a migliorarmi.
Ora smetto di rompere, e vi lascio alla storia.
Un bacione!
Vostra ‘myu-risorta.

Destini Intrecciati
by Lulumyu

17.“Tormenti”

La furia delle onde che gli stavano innanzi lo pervadeva, infondendogli un certo senso di pace.
Per una volta il fragore era all’esterno, non dentro di lui.

Spruzzi candidi e giocosi lo colpivano senza portare del male, senza ferire.
Ed il vento scuoteva con forza il mantello nero che lo celava sempre.

Alzò il volto verso l’alto, come preso da un’improvvisa ispirazione. Il cielo era grigio, costellato ad intervalli irregolari da nuvole colorate con le più diverse tonalità.
La debole luce che penetrava fra le nubi scure illuminava sinistramente la sua maschera argentea.

Le sue gelide pupille sferzarono in direzione della rupe al di sotto di una delle torri del castello nero, come richiamate da una forza superiore.
Qualcosa, ad altra velocità, stava precipitando da quel luogo. Ma lui vedeva il tutto attutito, al rallentatore.

Sorrise sprezzante, intuendo tutto.

Povera pazza.

Rimase muto ed immobile ad osservare la sagoma cadere inesorabile sulle acque insidiate da rocce appuntite, già sapendo cosa la aspettava.
Non avrebbe mosso un solo dito per fare qualcosa di più di ciò che già si era premurato di fare per lei. Che si arrangiasse, stavolta.

Poco prima che essa anche solo sfiorasse il pelo dell’acqua, scomparve nel nulla.
Lui rise, di gusto.

Povera sciocca.

In un fruscio di mantello era già scomparso anche lui, pensando che, visto che ora era abbastanza sveglia ed in forze da tentare il suicidio, avrebbe pagato a Ginevra la visita di cortesia che le doveva.

OoOoOoOoO

Si sciacquò il viso una seconda volta. E poi una terza. Una quarta.

L’acqua gelida le scorreva sul volto, fondendosi perfettamente con le lacrime ancora tiepide.
Si lavò ancora, e ancora, ossessivamente.
Si sollevò nuovamente ad osservare il proprio riflesso.

Gli occhi erano rossi, gonfi. Il volto pallido, tirato, la bocca piegata in una smorfia d’amarezza e alcune delle ciocche che solitamente le incorniciavano il volto erano bagnate.
Sul suo volto stoico ricomparve un’espressione disperata, e le lacrime fuoriuscirono nuovamente, a fiotti caldi.

Con le mani a coppa prese nuovamente l’acqua gelida dal rubinetto.
I singhiozzi le squassavano il corpo, ma era impossibilitata a smettere di emetterli.
Vide il suo volto riflesso nuovamente nell’acqua che teneva tra le mani.
Si era sempre vantata di riuscire a contenere bene le proprie emozioni, ma ora? Era ridotta malissimo.

- Ron… Ron… ti odio… ti odio… -.

Si era sempre considerata indipendente. Nonostante qualche volta le fosse capitato di crollare, mai era stato tanto devastante.

Le mani cominciarono a tremarle, e la sua immagine nel riflesso a distorcersi.

E poi era ovvio che non lo odiava. Figuriamoci. Aveva passato metà della sua esistenza ad amarlo disperatamente, senza possibilità di essere notata. Fino a 14 anni l’aveva sempre considerata un maschio, guardandola a malapena. Ma poi era arrivato Victor… ed ecco che le sue orecchie subito si erano drizzate.
Lotte fino ai 16 anni… e poi la batosta… ma non come ora. Non erano insieme, no, a quel tempo.

Ma ora si. Ora lo erano. Maledizione, lo erano!

Si accorse che l’acqua che aveva preso fra le mani le era scivolata via, passando per le minuscole fenditure che aveva inavvertitamente creato a causa del suo leggero tremito.

Come Ron.

Ron che un attimo prima era al suo fianco e un attimo dopo era lontano. Irraggiungibile.
Ben presto prese altra acqua. E poi ancora. E ancora.

Un’ora dopo la partenza di Ron, era in questo stato che si trovava Hermione Granger.

OoOoOoOoO

Harry prese ancora un morso dal panino che si era preparato per pranzo.
Si era allenato tutta la mattina, senza mai fermarsi, ed aveva avuto il piacere di accorgersi che il sasso ora tremava sempre quando tentava di farlo lievitare senza comandi verbali.

Forse, se avesse continuato ad addestrarsi in quel modo, ben presto avrebbe potuto sollevare sasso, mattone, e molto altro ancora.
Con un lieve sorriso addentò nuovamente il suo pranzo, guardandosi attorno.

Si era allontanato ancora di più dalla baita che occupava.
Generalmente non andava mai troppo lontano dal suo rifugio, per sicurezza ma anche per comodità.
Perlomeno se avesse avuto bisogno di qualcosa lo avrebbe potuto prendere velocemente.

Ma si sentiva strano, quel giorno. Non sapeva esattamente a cosa era dovuto il suo umore volubile, ne tutto sommato se ne preoccupava.

Alzò gli occhi accarezzando con lo sguardo Edvige, la sua civetta bianca, consumare la sua ultima preda a poca distanza da dove si trovava lui.
Nel bianco che la circondava, la civetta si confondeva del tutto.
Harry evitò con cura di posare lo sguardo sul pasto della sua unica compagna. Il suo stomaco non avrebbe retto.

Appallottolò la carta che aveva avvolto il panino, facendola incendiare con un veloce incantesimo per sbarazzarsene senza danneggiare l’ambiente che lo circondava.
Posò le braccia sulle ginocchia, con la schiena appoggiata al tronco di un albero.
Socchiuse leggermente gli occhi verdi da dietro gli occhiali, cercando di godere appieno della quiete surreale di quel luogo.

Tutto taceva. L’unico rumore che il giovane percepiva era quello provocato dai movimenti della civetta bianca, mentre si gustava il pasto appena guadagnato.
Harry si chiese se fosse il caso di scrivere a Ron e ad Hermione. In fondo era scomparso nel nulla… e magari erano in pensiero per lui…

Il suo sguardo cadde nuovamente su Edvige.

Con una stretta dolorosa al cuore pensò alle parole che il suo padrino gli aveva rivolto anni prima.

Non mandare Edvige, Harry! Il nemico potrebbe intercettarla e lei è troppo riconoscibile!

- certe volte desidererei che tu fossi un gufo comune, Edvige – disse, più a sé stesso che alla civetta.

Questa evidentemente doveva aver capito cosa Harry aveva detto, perché fece schioccare il becco con aria di disapprovazione, ritornando subito a concentrarsi sulla precedente occupazione.
Harry sorrise piano.

No, non avrebbe scritto a Ron e ad Hermione. Nessuno doveva sapere dov’era; sarebbe stato un pericolo per sé stesso e per gli altri.

Appoggiò la testa contro la fredda corteccia dell’albero, con lo sguardo rivolto verso i rami più in cima, completamente ricoperti di neve.
Si trovava sempre più spesso a desiderare di essere un ragazzo qualunque. Senza avere l’obbligo di salvare il mondo.

Ma Voldemort aveva scelto lui. E, anche potendo farlo, a nessuno era permesso cambiare gli avvenimenti di quella notte lontana in cui il delitto dei suoi genitori era stato compiuto.
Cominciando ad avvertire dentro di sé un gelo ed un’oscurità profonda, optò per portare i suoi pensieri verso un terreno più sicuro.

Quando fosse riuscito a padroneggiare gli incantesimi non verbali, sarebbe passato ad esercizi di combattimento riavvicinato. Il libro stesso consigliava di intervallare esercizi di magia ad esercizi di forza. Ed Harry sapeva di averne grande necessità.

Tutto sommato, nonostante si considerasse un buon mago, soprattutto dopo i duri addestramenti da auror ricevuti negli anni successivi al suo allontanamento da Hogwarts, non aveva bisogno di uno specchio per osservare una certa carenza dal punto di vista muscolare.

Negli esercizi pratici all’accademia per auror, Ron lo aveva sempre battuto.
Nettamente.

Date a Potter una bacchetta e ne vedrete delle belle, dategli un guantone da pugilato e lo vedrete in balia dell’avversario.

Harry gemette.

Non aveva mai avuto particolare predisposizione fisica… probabilmente perché era stato ripetutamente mortificato dal cugino Dudley per i primi dieci anni della sua vita.
Essere preso come punching-ball personale di qualcuno era un’esperienza che non intendeva ripetere.
E, se possibile, preferiva che i suoi occhiali rimanessero perfettamente integri come lo erano in quel momento.

Nel momento in cui aveva visto Hagrid per la prima volta e aveva scoperto la magia, e tutto era cambiato.

Estrasse la bacchetta dalla tasca destra dei suoi pantaloni, dove la teneva quando non aveva a disposizione il pratico fodero in dotazione agli auror, e la rimirò a lungo.
Gli sembrava quasi impossibile che Voldemort possedesse la gemella di quella bacchetta.
Del resto era per quello che Harry si era messo in testa di imparare anche ad usare la magia senza l’uso della bacchetta come catalizzatore.

Ogni volta che avrebbe combattuto il suo nemico si sarebbe formato il Prior Incantatio, dunque come diavolo avrebbe fatto, pensò con una stretta allo stomaco, ad utilizzare contro di lui l’incantesimo mortale?
Le due bacchette non potevano combattersi.

Proprio per questo avrebbe imparato ad usare l’Anatema Che Uccide senza l’impiego della sua bacchetta.
La prospettiva gli appariva terrificante.

Harry, a differenza di molti altri auror, non lo aveva mai usato. Non aveva mai ucciso nessuno.

In cuor suo sperava con tutte le sue forze che quella sarebbe stata la prima ed unica volta.

OoOoOoOoO

Un colpo.

Un altro.

Destro.

Sinistro.

Spostamento laterale.

Destro.

Spostamento in avanti.

Parata.

Destro.

- ehi, mi arrendo, mi arrendo! Sei una furia, amico! Te lo meriti proprio questo campo! -.

Ron si asciugò il sudore dalla fronte. Il suo avversario era davvero in gamba e lo aveva fatto faticare parecchio. se erano tutti così, gli auror che entravano in quel campo di addestramento speciale, allora sarebbe stata dura, molto dura.

Bene.

- ok, Weasley, sei dentro. Hai passato la prova di combattimento corpo a corpo a pieni voti. Puoi sistemarti nella camerata… - e disse un numero che Ron si annotò mentalmente.

Ce l’aveva fatta, dunque. Proprio come si era prefisso.
Era dentro.

Dopo una veloce stretta di mano con l’esaminatore che gli era toccato, Ron prese la sacca della sua roba in spalla e si diresse nel luogo dove gli era stato detto si trovassero gli alloggi degli ospiti del campo.
Il suo passo era deciso, marziale come non lo era mai stato. Per una volta nella sua vita aveva un obbiettivo più che chiaro in mente, e lo avrebbe rispettato ed assecondato. Ad ogni costo.

Il campo era molto ben organizzato: circondato da barriere anti-marchio per evitare l’incursione di Mangiamorte indesiderati, era fornito di un gran numero di palestre, sia al coperto che all’aperto, e un numero imprecisato di camerate, tutte magicamente ristrette all’esterno a forma di semplici sgabuzzini per risparmiare spazio.

Ron raggiunse deciso la sua camerata e, senza troppe cerimonie, spinse la porta ed entrò.
Colse in flagrante una coppietta inguaiata al piano di sopra di uno dei due letti a castello presenti nella stanza.

La ragazza, dai corti capelli castani, con uno strillo di sorpresa si affrettò a staccarsi dal suo amico, spiccò un piccolo balzo dal letto sopraelevato, e corse come un fulmine verso la porta, tirando una spallata a Ron nel tentativo di svignarsela il più rapidamente possibile.
Il rosso in tutto questo era rimasto impalato come un baccalà, con le orecchie pericolosamente viola ed un grosso senso di disagio.
Risoluzioni a parte, era sempre Ron.

Il ragazzo che poco prima era tutto immerso in effusioni con la fuggitiva, e che aveva ripetutamente tentato di bloccarla e richiamarla indietro nel tentativo di fermarla, scoccò al nuovo arrivato un’occhiata colma di irritazione.

- di’ un po’. Nessuno ti ha detto che è buona educazione bussare, prima di entrare in stanze altrui? – commentò velenoso.

Ron lo guardò, il temperamento di famiglia già aveva drizzato le orecchie, e pacatamente gli rispose:

- questa stanza è anche mia. Che ne sapevo io che era occupata da altri -.

L’altro roteò gli occhi, neri come la pece, e poi li puntò ironicamente su Ron.

- io vedo quattro letti qui, vossignoria. Credeva forse di avere una camera tutta per sé? -.

- no – borbottò Ron, prima fulminandolo, ma poi assumendo il medesimo tono ironico - ma è una situazione che si può sistemare facilmente – e scrocchiò sonoramente le nocche.

L’altro rimase per un po’ attonito, ma poi, inaspettatamente, scoppiò a ridere.
Ron rimase a guardarlo diffidente, soprattutto quando egli scese giù dal letto con un balzo e gli andò incontro.

- opterei per una soluzione pacifica, allora – gli disse, con un sorriso, tendendo la mano verso di lui – io sono Jason, piacere recluta -.

- Ron – rispose il rosso, ancora guardingo ma più rilassato, stringendogli la mano.

- bene! Finalmente avrò compagnia in questo buco di camera. Mi ero stancato di trovarmi sempre solo. Beh, certo avevo la possibilità di fare con comodo con le mie fanciulle – e scoccò uno sguardo malizioso in direzione della porta ancora spalancata – ma poco male, vorrà dire che me le porterò a spasso – concluse, arrampicandosi nuovamente sul letto occupato in precedenza.

Ron lo guardò stupito, ma poi scoppiò a ridere anche lui. Non avrebbe mai creduto che si sarebbe divertito in quel posto, invece… forse aveva trovato un buon compagno.

In quel momento nella stanza entrò un altro ragazzo, vestito alla babbana, che squadrò lui e Jason con uno sguardo curioso.
Aveva gli occhi di un castano molto scuro, ed i capelli del medesimo colore, tenuti tagliati un po’ al di sotto delle spalle.
Jason si affacciò dalla sua postazione sopraelevata con un’espressione ironica stampata sul volto.

- un altro! Che pacchia! – commentò tendendo la mano verso il nuovo venuto.

Mentre l’altro la stava per afferrare, arrivò un ulteriore ragazzo nella stanza. Era molto più robusto dei tre già presenti, con i capelli ispidi e neri e con due diffidenti occhi scuri.
Evidentemente nessuno era al corrente del fatto che le camerate non erano singole, pensò Ron, spostandosi in fretta dal luogo dove si era impalato, colmo di sorpresa, e lasciando ai nuovi spazio di entrare.

Le presentazioni furono fatte velocemente. Il primo si chiamava Jean; nonostante avesse un perfetto accento inglese, aveva studiato a Beauxbatons ed aveva un anno in meno di Ron. L’altro, Franz, per ironia della sorte, era di Durmstrang. Il suo accento era già più marcato, ed era più grande di Ron di due anni. Jason al contrario era suo coetaneo, nonostante fosse entrato nel campo molti mesi prima di lui.

- tutti delle matricole, ma guarda un po’ – commentò ridacchiando Jason, tempo dopo, sempre nella sua postazione sopraelevata.

- ma se sei qui solo da un paio di mesi – ribatté Jean ridacchiando.

- ma sentilo, un paio di mesi! – disse Jason, fingendo di star per svenire – non immagini quanto sia dura, qui, ragazzino! Non fai altro che combattere e combattere e… combattere! -.

- e di teorico? – si informò Franz, sporgendosi dal letto che aveva scelto, al piano di sotto parallelo a quello di Ron, per osservare Jason sul letto sopra.

- anche, ovvio. Ma modestamente sono un uomo d’azione, io! La teoria la lascio alle deliziose signorine – e rise malizioso.

- un uomo d’azione, se come no – commentò Ron, finendo di riporre la sua roba nell’armadio che gli era stato assegnato.

Senza che se ne fosse accorto gli era caduto dalla tasca il modulo di presentazione al campo e Jason, accorgendosene, scese nuovamente dal suo letto con un balzo per prenderlo.

- oi, Ron, ti è caduto que… - e si ammutolì di colpo.

Ron si voltò verso di lui, e vide che il compagno stava osservando un punto del foglio fissamente, con la bocca aperta. I suoi occhi neri si fissarono di botto su quelli del rosso, sorpresi e anche… emozionati?

- tu sei Ronald Weasley? – esclamò, squadrandolo con sorpresa.

Gli altri due ragazzi spalancarono gli occhi e si misero a fare lo stesso, cosa che imbarazzò molto il rosso.

- sì, sono io. Perché? – chiese lui, facendo le spallucce.

Nessuno si era mai comportato così nei suoi confronti; non capiva cosa ci fosse di così entusiasmante in quella rivelazione.

- Quel Weasley? Il membro della famiglia di auror? Il migliore amico di Harry Potter? – continuò imperterrito Jason, mentre anche Jean saltava giù dal letto e strappava il foglio dalle mani del giovane.

Oh, ma certo. Che sciocco.
Weasley, il migliore amico di Potter. Niente di più.

- sì, sono io – commentò, incupendosi.

Per qualche minuto nella stanza regnò il silenzio. Ma improvvisamente Ron fu sommerso da un fiume di parole e frasi entusiaste dei nuovi compagni di stanza.
Nella confusione, le uniche informazioni che riuscì a captare furono “Weasley”, “auror”, “famiglia”, “migliore amico” e “braccio destro”.

- ma è naturale che tu sia passato così facilmente! Dev’essere stata una passeggiata, altro che! – esclamò Jason, scotendolo leggermente.

- ma ci credi? Weasley! – esclamò entusiastico Franz.

- ragazzi… ragazzi – Ron non sapeva più cosa fare per farli smettere. Negli ultimi cinque secondi si era scatenato l’inferno senza che lui riuscisse a comprenderne il motivo.

- hai capito? Proprio lui! – si sentì anche la voce di Jean dalla porta, come se stesse parlando con qualcuno.

- ragazzi… - nessuno sembrava volerlo ascoltare. Già, peccato però che il Weasley dentro di lui avesse nuovamente alzato le antenne.

- SILENZIO! – gridò improvvisamente con tutto il fiato che aveva in gola, spaventando i compagni che si ritrassero con le mani sulle orecchie.

Ron, paonazzo, si ritrovò ad ansimare, osservandoli tutti con un’espressione più smarrita che altro.

- alla faccia! -.

Quelle due parole erano state pronunciate a voce normale, ma nel silenzio che si era creato nella stanza sembrava quasi che fossero state urlate.
Ron si voltò in quella direzione, come del resto anche Franz e Jason.

Quella non era di certo una voce femminile.

Infatti vicino alla porta, dove prima Ron aveva sentito Jean parlare, c’era un gruppetto di ragazze; tutte con le mani appoggiate sulle orecchie.
Mentre alla sua destra cominciò già a sentire Jason che prendeva una profonda boccata d’aria, Ron le osservò vergognoso.

Complimenti Ron. Già a fare figure del cavolo.

Avrebbe voluto scomparire. Era sempre lui ad essere visto come il buffone di turno.
Distolse la mente dal territorio pericoloso nel quale si stava inoltrando, e cominciò ad osservare di sottecchi le nuove venute.
Per poco non gli prese un colpo. La ragazza che aveva parlato, se vista da qualche metro di distanza, avrebbe potuto essere confusa con Hermione.

I capelli erano identici, con lo stesso taglio e con la medesima caratteristica ribellione. Ma il viso era molto differente.
Si accorse che la stava fissando in modo insistente quando lei gli sorrise a disagio, borbottando un:

- ops. Scusate -.

In realtà non aveva nulla di cui scusarsi, ma le era venuto spontaneo. Jean non le aveva mica detto che quel ragazzo era Ron Weasley? Il migliore amico di Harry Potter? Colui che al fianco del Predestinato si era scontrato con il Signore Oscuro riuscendo a sfuggirgli per così tanto tempo?
E poi la stava guardando in modo strano. Non riusciva a capacitarsi del perché.

- ma guarda un po’ quante graziose signorine! Prego, prego, entrate! – Jason aveva abilmente spezzato la tensione che si era sviluppata nella stanza con un tono che fece alzare a Franz gli occhi al cielo.

- pervertito – borbottò, tirandogli una leggera gomitata.

- shht – gli soffiò contro Jason, facendo per andare incontro alle ragazze, che già avevano cominciato a ridacchiare tra loro.

- vacci piano, Jason. Soprattutto con la mia sorellina – lo minacciò scherzosamente Jean, portandosi davanti alla ragazza che Ron aveva osservato con tanta insistenza precedentemente.

- ooh… incantato… e tu sei… come va? - disse Jason carezzevole.

Non fece altro che far ridere le ragazze ancora più forte, compresa la sorella di Jean, che si era riavuta dal momentaneo estraniamento dalla realtà.

- Dianne – rispose – e sono anche piuttosto affamata! – aggiunse ridendo, osservando il fratello e i nuovi compagni – vi unite a noi? Stavamo andando al refettorio -.

L’invito le era uscito così, per puro caso. Ma ora si scoprì a desiderare ardentemente che accettassero, soprattutto lui.

I ragazzi furono ben lieti di accompagnarle, con sua somma gioia.
Avrebbe potuto chiedergli tante cose… era così curiosa…
Fu così che Dianne Georget inquadrò il suo primo obbiettivo dopo l’entrata nel campo di addestramento.

Conoscere di persona il migliore amico di Harry Potter.

OoOoOoOoO

Non riusciva a crederci. Non poteva crederci.

Perché lo aveva fatto. Oh, sì. Lo aveva fatto.
Si era buttata da quella maledettissima finestra. Sì, sì.
Aveva sentito il vento assordarla, si era sentita soffocare. Aveva provato un senso incolmabile di vuoto, dentro di sé. E aveva avuto paura, molta paura.

Ma lo aveva fatto.
Non poteva essere stato solo un incubo! Era così reale!

Ginny si strinse le calde coperte al corpo, lottando con tutte le sue forze contro la voglia selvaggia di urlare fino a consumarsi le corde vocali.
Ma non gliel’avrebbe data vinta.
Assolutamente no.

Erano ore che pensava e ripensava costantemente a ciò che aveva fatto in precedenza. Era sicura di essersi buttata veramente da quella torre.
Perché nessun incubo poteva essere così vero.

Ma stavi male, no? Non riuscivi a reggerti in piedi. È lecito che tu abbia sognato, Ginny.

Non riusciva a scacciare quelle voci fastidiosissime dalla sua mente.
Era vero che non era del tutto nel pieno delle sue facoltà mentali quando aveva compiuto quell’atto. E lo ammetteva anche.
Ma era impossibile… totalmente e interamente.
Non ci credeva. No.
No.

Il suo sguardo tornò a posarsi per quella che doveva essere la milionesima volta su quell’unica finestra che la collegava con l’esterno.
Le sue mani si serrarono sulle coperte, e sentì un senso di gelo scavare nelle profondità del suo spirito.
Ora come ora, era certa che non sarebbe più riuscita a fare una cosa simile.

Il ricordo di ciò che aveva fatto le fece inumidire gli occhi, e la fece vergognare profondamente di sé stessa.
Aveva agito come una pazza. Ed era stata egoista, ancora una volta.
Aveva pensato solo a sé stessa, senza curarsi di quella che sarebbe potuta essere la reazione dei suoi parenti alla notizia del suo suicidio.
Perché di certo lo sarebbero venuti a sapere. E come avrebbero ricordato Ginny Weasley?

Come la debole pazza che aveva preferito il suicidio alla lotta.

Ginevra non si rendeva conto di essere ancora nel pieno del delirio, quando si giudicava egoista e debole. Un delirio dovuto alle emozioni troppo forti e all’enorme impatto emotivo che la situazione in cui era caduta senza apparente motivo le aveva arrecato.
Era gelida, e tremava come una foglia, febbricitante.

Lui la stava osservando già da un po’ di tempo, ma la giovane non sembrava essersene minimamente accorta, così presa com’era nel suo piccolo mondo oscuro personale.
Si avvicinò senza fare il minimo rumore e rimase immobile, senza emettere un fiato.
Era così vicina… se solo avesse sollevato una mano avrebbe potuto sfiorarle una delle ciocche di capelli sanguigni. E poi sfiorarle la pelle gelida del viso…

Ma non poteva. Non era tempo.

Avrebbe solo peggiorato le cose, anche se detestava ammetterlo.
Ma quanto lo divorava di rabbia l’averla lì con sé e non poterla nemmeno sfiorare…

Nella stanza c’era qualcuno.

Ora che si era calmata leggermente, poteva sentirlo.
Le si rizzarono i capelli sulla nuca e si paralizzò nella posizione in cui si trovava.
Un brivido gelido le scese lungo la spina dorsale, non facendo altro che far aumentare la sua tensione.
Lentamente mosse il capo, verso la sua sinistra, dal lato opposto a quello della finestra.

Dapprima vide nero. Poi, sempre con la stesa lentezza, il suo sguardo marciò verso l’alto, percorrendo in verticale le pieghe di un mantello scuro e fermandosi di colpo incontrando due iridi glaciali.

Avrebbe dovuto urlare. Avrebbe dovuto cercare di ucciderlo.

Ma tutto quello che fuoriuscì dalla sua bocca fu un sospiro tremulo, e il suo unico movimento fu di stringere i pugni con un’insistenza tale da ferirsi i palmi delle mani con le proprie unghie.
Quasi le facevano male gli occhi, dopo quel contatto prolungato.
Si sentiva molto stupida. E nervosa.
Ma non poteva far altro che rispondere al suo sguardo.

Improvvisamente lui parlò, e la sua voce esprimeva un sentimento oscuro represso. E fu tale da farla irrigidire ancora di più.

- non fare la sciocca, Ginevra. Pensi davvero che basti una finestra aperta per fuggire… - sembrò volesse continuare la frase, ma si interruppe di colpo.

Vide a rallentatore una sua mano sfiorarle i capelli, ma in un battito di ciglia era già scomparso.

La tensione che l’aveva bloccata si dissolse e si ritrovò appoggiata a peso morto sul letto.
Era davvero troppo per lei.

…da me.
Era questo che stava per dirle. Per una volta il richiamo di suo padre ad una riunione gli era suonato fastidioso. Per la prima volta.

La sua ossessione cresceva di giorno in giorno e ben presto non sarebbe più riuscito a controllarsi.
Perché poi avrebbe dovuto?

Ma Evil già sapeva la risposta, mentre trascinava i piedi quasi come un bambino recalcitrante lungo i bui corridoi del gelido maniero.

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Capitolo 18
*** Lotte e rese ***


NdA:
Dopo un’ennesima lunga attesa, eccomi nuovamente a voi. Spero di non farvi perdere le speranze di leggere il proseguimento questa storia!
Ma ora presentiamo questo nuovo capitolo.
Devo dire che ne sono incredibilmente soddisfatta; mi ha preso un bel po’ di tempo, ma ne è valsa decisamente la pena. Vi dirò, il pezzo che mi è risultato più gradito scrivere è quello di Ginny. Sarà perché (molto sadisticamente) ho trovato terribilmente euforico e divertente scrivere in quel modo delle sue vicissitudini – e leggendo capirete di cosa sto parlando! (Bwah ha ha ha).

In questo capitolo, oltre alla sopra citata Ginny, vedremo come se la cavano per conto loro (o quasi ;P) i due membri della nostra coppia scoppiata, vedremo un colloquio interessante fra il nostro Blaise ed un altro personaggio e seguiremo il nostro biondo ex-serpeverde alla ricerca di qualcuno che sembra essersi volatilizzato nel nulla.

Credetemi, di materiale ce n’è a sufficienza per un bel capitolo corposo. E spero vivamente che vi lasci soddisfatti.

Ringraziamenti:

X fiubi: Ciauz^^.
Certo che Evil è intrigante^^. Non ammetto che nelle mie fic IL personaggio non lo sia.
Spero vivamente di essere perdonata nuovamente per l’attesa. Ma credo che il capitolo ti ripagherà per questo mio ritardo.
Un bacione!

X seven: New entry^^!
Sono molto felice che la mia fic ti piaccia e ti ringrazio per i complimenti. Faccio del mio meglio per scrivere una storia che piaccia prima di tutto a me, per fare in modo di scriverla al meglio e farla apprezzare a chi la legge^^.
Spero che anche questo capitolo ti piaccia e che continuerai a seguire la mia storia.
Un bacione!

X Kaho_chan: Kahucci^^ mia!
Non ci credo io, figurarsi se ci crederai tu! Non uno, ma ben DUE capitoli aggiornati in pochi giorni. Roba da fare festa stappando champagne sotto la luna^^.
Come ben vedi sto strapazzando Ron ed Hermione un bel po’. Ma mi serve perché per il futuro ho in mente qualcosa di molto, ma molto particolare per i nostri scoppiati preferiti. Mwah ha ha ha!!!
Aspetto di sentire come al solito il tuo parere sul capitolo^^.
Un bacione^^!

Grazie, oh voi che sopportate le lunghe attese e che leggete questa mia fic. spero che questo capitolo risulti di vostro gradimento^^.
Mi raccomando, recensite^^.
Un bacione!
Vostra ‘myu

Destini Intrecciati
by Lulumyu

18.“Lotte e Rese”


- Rockver, finiscila, ok? -.

- Naturale – commentò lui sarcastico – Granger, finiscila tu di comportarti come una bambina -.

- ma sei sordo? Ho detto di no! – farfugliò la moretta, cercando di allontanarsi ulteriormente dall’auror – non abbiamo tempo per queste cose -.

- si, si. Siamo terribilmente in ritardo. In piena missione – ritorse lui, afferrandola per un braccio e spingendola verso di sé.

Hermione emise un mugolio di dolore, che non sfuggì all’altro. La fece sedere su un sasso, nel mezzo dell’intricato bosco montano in cui si trovavano, e si affrettò a scostarle la manica della divisa da auror, prima che lei potesse fermarlo.
Osservò ciò che la manica nascondeva con evidente disappunto.

- a volte fatico a ricordare di avere a che fare con una delle più brillanti streghe in circolazione – borbottò sarcastico – e non ti eri fatta niente, eh? -.

La giovane distolse lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore per sfogare la stizza.
Leonard roteò gli occhi, per poi concentrarsi sulla ferita che la ragazza si era procurata durante il combattimento che poco prima avevano dovuto affrontare.
Non impiegò molto tempo a guarirla; qualche incantesimo di facile formulazione ed il braccio era tornato come nuovo.

- capisco che tu sia ancora scossa dalla partenza del tuo fidanzato – buttò lì a mo’ di rimprovero – ma in questo modo fatico a credere che potrà ritrovare la sua ragazza tutta intera al suo ritorno -.

La vide irrigidirsi e chiudersi a riccio, come ogni volta che si menzionava Weasley.
Per un attimo il suo sguardo si annuvolò, ma poi tornò in sé, stiracchiandosi un po’ e guardandosi attorno.

Hermione lo osservò di sottecchi, nervosa.

Due giorni dopo la partenza di Ron le era stato comunicato che il suo nuovo compagno durante le missioni sarebbe stato Rockver.
A nulla erano servite le sue lamentele. Era stata abbinata alla persona che meno sopportava al Quartier Generale.
E nonostante fosse ormai trascorso un mese da quel giorno, il suo atteggiamento nei confronti del ragazzo non era cambiato nemmeno di una virgola.

E menzionando Ron non si metteva certo in buona luce davanti a lei. Ma questo lui non poteva ne doveva saperlo.

Con un gesto distratto si scrollò un po’ di neve dai capelli ricci.

Per quell’ultima missione si erano dovuti recare a nord; fortunatamente non troppo a nord, quindi la neve era ridotta.
Aveva letto nel Profeta che erano molte le zone già sepolte dal bianco manto in quel periodo.
Le venne spontaneo chiedersi dove fossero Ron ed Harry in quel momento, e se anche dove si erano recati ci fosse della neve, e quanta ce n’era.

Ma pensare a loro le fece venire una fitta al petto, e si costrinse a portare i propri pensieri in altre direzioni prima che i suoi occhi si inumidissero di lacrime a stento trattenute.

- allora? -.

La voce di Rockver la fece sussultare, e per poco non scivolò giù dalla roccia nella neve candida.

- allora cosa? – chiese, lievemente infastidita di essere in sua presenza.

Lo vide sbuffare, atteggiamento che la fece scattare subito sulla difensiva.

- beh? – sbottò, indirizzandogli uno sguardo di sfida.

- ti ho chiesto per quanto tempo ancora sei intenzionata a restare qui, Granger – ripeté lui lentamente, come se si stesse rivolgendo ad una bambina di tre anni – ti ricordo che abbiamo un fuggitivo da catturare -.

Hermione quasi gli ringhiò contro.

- cosa ti avevo detto, Rockver? Grazie alla tua trovata di fare questa sosta stiamo rischiando di fallire la missione – disse alzandosi di colpo in piedi – io stavo benissimo, ma tu non vuoi proprio ascoltarmi -.

- si, si. Avvertimi, la prossima volta che vuoi morire dissanguata – rispose lui a tono, voltandole le spalle e dirigendosi a lunghe falcate nel mezzo della vegetazione.

Perfetto, ora si è pure arrabbiato, pensò Hermione stizzita, dovrei essere io a lamentarmi. Ma io sto zitta e sopporto. Merlino, quanto non lo sopporto!

Stringendo le labbra in una linea sottile cominciò a seguirlo di mala voglia.

Non fosse per la missione… pensò, storcendo il naso.

Il fuggitivo era un Mangiamorte. Un membro del piccolo gruppetto che aveva tentato di rubare alcuni manoscritti dalla sezione proibita della biblioteca del Quartier Generale del Nord.
Dei folli. Avevano veramente pensato di riuscire a farla franca in territorio nemico?
Uno di essi però ci era riuscito. E naturalmente a chi avevano richiesto di recuperare il manoscritto perduto?
All’ultima strega che lo aveva catalogato ed aveva applicato su di esso un incantesimo di traccia.
Hermione Granger, per l’appunto.

E Leonard Rockver, pensò fulminando con lo sguardo la schiena del ragazzo.

Camminava davanti a lei muovendosi nella neve con facilità, e, nonostante fossero in discesa, risultava comunque più alto di lei di diversi centimetri. Era alto… sì, forse… un po’ più di Harry, un po’ meno di Ron. Una via di mezzo.

Ma allora sei stupida!

Ancora una fitta al petto. Ancora pensieri da scacciare. Ma non distolse lo sguardo dalla schiena del giovane che la precedeva.
Il cappuccio da auror nascondeva i suoi capelli scuri, che, come si era accorta negli ultimi giorni di convivenza forzata con lui, ora gli raggiungevano quasi le spalle.

Ma da quando gli guardi i capelli?! Si chiese sconvolta, fermandosi di colpo.

Quella mossa aveva prodotto parecchio rumore. Leonard si voltò in sua direzione, con lo sguardo ancora truce.

- dunque? – domandò.

Ma non attese la risposta. Le voltò le spalle e riprese a discendere il pendio.
La pazienza della ragazza andava esaurendosi.

Trascinando i piedi ricominciò a seguirlo, incentrando tutti i suoi pensieri sulla visione di una sega elettrica babbana che gli tranciava molto dolcemente capelli, scalpo e tutto il resto.
Erano poche le persone che avevano il dono di farla diventare così violenta, e lui entrava in quella categoria di gran carriera.

- Granger, vero che è la direzione giusta? Vero che non mi stai facendo andare fuori strada? – sbottò dopo un po’ il giovane, voltandosi nuovamente in sua direzione.

Hermione si fermò, sbattendo più volte le palpebre.

- ma io seguivo te! – esclamò con gli occhi spalancati.

- ma io… tu… o Merlino, salvaci – esclamò il ragazzo, portandosi una mano sugli occhi.

- Rockver ma chi ti ha dato l’attestato di auror? Bugs Bunny? – sbottò ironica la giovane, incrociando le braccia sul petto con un sopracciglio inclinato e un’espressione di altezzosa sufficienza.

v- Bugs che? – chiese lui guardandola con la testa leggermente inclinata di lato – sei sicura di stare bene? Non è che hai perso troppo sangue e hai le visioni? -.

Hermione gli avrebbe voluto scoppiare a ridere in faccia. Ma aveva un’espressione così preoccupata che decise di passarci sopra.
Per dimostrargli la validità dei suoi circuiti celebrali, impugnò la bacchetta e velocemente eseguì l’incantesimo di traccia.
Il libro le apparve con chiarezza davanti agli occhi.

- ho visto il libro – gli disse assumendo un tono professionale, - è all’interno di una qualche baita. Il Mangiamorte deve essere stato ferito -.

- è molto lontano da qui? – domandò Leonard, guardandosi attorno.

La moretta scosse la testa, indicando la fine della discesa.

- da qualche parte là sotto -.

Leonard sorrise lievemente, sarcastico.

- che grande aiuto -.

Hermione, seriamente seccata dalle sue battutine, si affrettò a percorrere la discesa, lasciandoselo alle spalle.
Lui, facendo le spallucce, prese a seguirla, tenendola d’occhio nel caso fosse scivolata o sprofondata nella neve.
Anche se era definita come una delle menti più brillanti del loro tempo, era di sicuro una ragazza parecchio impacciata.

Ben presto conclusero la discesa e , dopo qualche ulteriore minuto di cammino, scorsero nel bianco del bosco innevato una piccola baita.

- ci conviene sbrigarci – le sussurrò Leonard, così vicino al suo orecchio da provocarle una strana sensazione di disagio – il cielo promette una nevicata pesante. Non è certo positivo per noi -.

Hermione sollevò lo sguardo in direzione del cielo. Si era fatto cupo, in quell’ultima ora. Ma lei era troppo occupata a imprecare mentalmente contro Rockver per rendersene conto.
Subito il suo cervello cominciò a lavorare, e Leonard di sorprese nel vederla così concentrata.

- può darsi che ci abbia teso qualche trappola – gli sussurrò – dopotutto credo che sappia di essere inseguito -.

- dovremmo agire con cautela – rispose lui, sempre a bassa voce, - ma non ne abbiamo il tempo -.

- dobbiamo agire con cautela! – rispose lei a tono, cercando però di suonare ragionevole – affrettare le cose non fa che renderle pericolose! Dobbiamo aspettare, formulare un piano adatto e poi… -.

- si, si. – era chiaro come il sole che non la stava più ascoltando. E lei aveva voglia di tirargli un ceffone.

Capiva che gli piaceva l’azione e che gli piaceva recitare la parte dell’auror sprezzante del pericolo, ma non poteva trascinare anche lei in qualcosa di tanto folle!
Come non detto.
Lo vide avanzare di corsa fino alla porta della baita e, di mala voglia e con molta più cautela, lo seguì. Che fosse una trappola le apparve subito evidente.

Il Mangiamorte si mosse repentinamente dal suo nascondiglio all’interno della boscaglia, colpendo Leonard alla schiena con un Cruciatus.

Hermione fu colta dal terrore, nel vedere il suo compagno rotolarsi nella neve gelida in preda agli spasmi, ma l’abitudine che quegli anni di duro lavoro nel corpo degli auror le avevano donato le fece trovare la forza di muoversi e di lanciare contro il fuggitivo un incantesimo di disarmo.
Purtroppo per lei però l’incantesimo non andò a segno.
L’aveva vista, correre dietro a Rockver indugiando nella sua scia.

- ferma là, bella. O il tuo amichetto è morto – le gridò beffardo il Mangiamorte da sotto la maschera argentea.

- maledetto – biascicò Leonard, tentando di rialzarsi a fatica.

- fermo, tu! – gridò spaventato il Mangiamorte, colpendo l’auror con un ulteriore Cruciatus.

Hermione aveva intuito che il Mangiamorte aveva agito in quel modo nel terrore di essere catturato. Ma sapeva di non avere tempo per tentare di convincerlo a fermarsi e ad arrendersi, mentre questo torturava Rockver alla pazzia!

- che ne dici, auror? – le si rivolse il nemico, - e se lo uccidessi in questo modo davanti ai tuoi occhioni? Guarda! – e aumentò la potenza dell’incantesimo.

Le grida di Leonard le rimbombarono nella testa con la violenza di un uragano. Dal nulla le apparvero le visioni dei suoi più cari amici vittime dello stesso incantesimo, e, in preda alla disperazione, la sua bacchetta e la sua bocca si mossero all’unisono, mentre dagli occhi sgorgarono pesanti lacrime.

- Avada Kedavra! -.

Si accorse di quello che aveva appena fatto solo quando le urla di Leonard cessarono.
Aprendo gli occhi di colpo fissò con orrore il corpo privo di vita del Mangiamorte, poco lontano dalla figura del suo compagno, anch’esso raggomitolato ed immobile sulla neve fresca.
Fu colta da un conato di vomito, che trattenne a fatica.
Le gambe tremanti le cedettero, e si trovò in ginocchio nella neve gelida. Le lacrime le si erano fermate per lo shock dell’azione che aveva appena compiuto.

- …ge… -.

Il suo sguardo corse come un fulmine in direzione di quel suono flebile.
Rockver si era mosso.

- Gra… ge… -.

In preda al panico la ragazza trovò la forza di rialzarsi e correre verso di lui, cercando in tutti i modi di impedirsi di guardare il corpo senza vita del fuggitivo.

- Leonard! Come stai? Ti prego, rispondi! Leonard? Leonard! – lo chiamò, talmente distratta da non essersi neanche accorta di chiamarlo per nome.

- una… meraviglia… - biascicò lui.

Con cautela Hermione lo voltò e gli appoggiò la nuca sulle proprie ginocchia, cercando di non arrecargli altro dolore. Un rivolo di sangue gli fuoriusciva dalla bocca, ma non era quello che spaventava di più la ragazza. Gli occhi di Leonard erano spenti, pieni di sofferenza.

- maledizione! – sbottò Hermione, sentendosi prendere nuovamente dal panico – sei un idiota! Ti avevo detto di aspettare! Ti avevo detto che poteva esserci una trappola! – si bloccò di colpo per sorreggerlo meglio, quando prese a tossire.

Ancora sangue.

- o Merlino! Come faccio ora eh? Cosa dovrei fare? – lo guardò agitata, e con un tuffo al cuore si rese conto che stava cominciando a nevicare.

- ti ho detto… che… sto bene – disse lui flebilmente, tentando con scarso sforzo di sollevarsi.

- sta’ fermo! – sbottò lei.

L’unica soluzione era portarlo all’interno della baita. Almeno finché la neve non avesse smesso di cadere. Il suo pensiero corse al corpo senza vita che le stava a pochi metri di distanza. Colta da un altro conato di vomito, tentò con tutte le sue forze di farsi coraggio.

- d’accordo – disse ad alta voce, più per blandire sé stessa che il ferito, - ora ti porto nella baita. Così staremo al caldo e potrò tentare di guarirti. Ma sta’ fermo e non provare a muoverti! – lo rimproverò, quando tentò ulteriormente di alzarsi a sedere.

Rimuginando sul migliore incantesimo da usare in tali circostanze, la ragazza fece apparire una barella e con la magia sistemò sopra il ferito.

Tentando con tutte le sue forze di ignorare il pensiero del Mangiamorte, entrò con Leonard nella baita, chiudendo con un potente incantesimo la porta alle sue spalle.

OoOoOoOoO

Erano davvero poche le cose che avevano il potere di mandarlo su tutte le furie; e quegli auror riuscivano con pochissimi sforzo ad azzeccarle tutte.

- credevo aveste lasciato degli auror nella mia casa per proteggerci, non per recluderci – disse con una calma glaciale in direzione del suo interlocutore, - esigo che lei ordini ai suoi sottoposti di smettere di importunare me e mia moglie ogni volta che accenniamo a mettere un piede fuori dalla porta d’ingresso -.

Remus Lupin emise un sospiro. Sapeva che sarebbe andata a finire così. Aveva incaricato Mack Finnsbury di occuparsi del coordinamento degli auror appostati fuori dalla casa degli Zabini, quando avrebbe potuto farlo lui stesso.
Finnsbury aveva di certo ordinato ai suoi sottoposti di spiare a vista i due coniugi e chiunque si avvicinasse alla loro villa, finendo per infastidirli.

- se i miei sottoposti vi hanno creato dei fastidi me ne dispaccio, signor Zabini. Provvederò al più presto a risolvere la situazione personalmente – rispose con un sorriso calmo, tentando implicitamente di far abbandonare al suo ex allievo quell’atteggiamento ostile.

- questo mi sembra il minimo, professor Lupin – ritorse Blaise, non accennando ad utilizzare un tono più cordiale, - ma non ha risposto alla mia domanda. Gradirei sapere il vero motivo della vostra permanenza qui. Ormai è un mese che sorvegliate a vista questo edificio, e dovreste aver notato che non riceviamo mai nessuno al di fuori dei nostri parenti più stretti. Oltretutto mi pare di non aver visto alcun Mangiamorte tentare di far saltare in aria la mia dimora con tutto ciò che si trova al suo interno, compresi me e mia moglie – concluse, con tono leggermente derisorio.

Lupin lo osservò in silenzio.
Non sapeva esattamente cosa quegli auror avevano fatto per farlo irritare a tal punto. Però aveva intuito subito, dal momento in cui quel giorno era stato chiamato da lui in persona e convocato a casa sua per un colloquio personale, che Zabini era stufo di quella situazione. E che probabilmente avrebbe giocato a carte scoperte.

- bene, signor Zabini. Le racconterò le nostre motivazioni. Ma naturalmente gradirei ricevere le informazioni di cui necessito – esordì, con voce seria, osservando sereno il volto del giovane uomo che gli stava seduto davanti, dall’altra parte di una massiccia scrivania.

Blaise mantenne lo sguardo, atteggiando le labbra ad un sorriso indulgente, sfidando con lo sguardo Lupin a non parlare.

- molto bene. Se ciò può servirmi a liberarmi una volta per tutto della vostra fastidiosa presenza nella mia casa, collaborerò. Anche perché non intendo essere ulteriormente infastidito dalle lamentele di mia moglie nei vostri confronti – disse.

Lupin dovette trattenere un sorriso, al pensiero della sua ex allieva irritata. Anche a tredici anni aveva un caratterino viziato e impossibile.

- da fonti accreditate sappiamo che il ricercato Draco Malfoy è stato molto spesso in questa casa. E probabilmente lo era anche il giorno del nostro incontro, signor Zabini. Non neghi ciò che un occhio magico può vedere senza problemi – disse Lupin, anticipando un’eventuale negazione da parte del suo interlocutore.

- non posso negare di essere sorpreso dal fatto che effettivamente ve ne siate accorti – ammise Blaise, senza alcun problema, - ma se pensate che io possa rivelare a voi del Ministero informazioni riguardo a Draco, beh, lasciate perdere -.

Lupin lo guardò scettico.

- in realtà ci interessa conoscere il suo ruolo in questa guerra, signor Zabini. Draco Malfoy non è accusato della morte di Albus Silente, se è questo quello che pensa. Non lo cerchiamo per questo motivo -.

- no, lo cercate solo perché è un Mangiamorte – ritorse Blaise sferzante.

Lupin emise un profondo sospiro, rimanendo silenzioso.

- in ogni caso non posso aiutarvi. Non conosco assolutamente nulla degli spostamenti di Draco, ne di che ruolo abbia in questa guerra. Potete anche farmi questa domanda sotto dose di Veritaserum, se ciò può tranquillizzarvi. Non avrete altre risposte se non questa – concluse Blaise, incrociando le braccia sul petto ed appoggiandosi mollemente contro lo schienale della sua poltrona.

Lupin fu lieto di constatare che aveva smesso di recitare la parte dello snob dall’atteggiamento sostenuto. Ora stava davvero scoprendo le sue carte, e senza alcun riserbo.
Il tono tranquillo con cui aveva ammesso di essere in contatto con il suo vecchio compagno di scuola ne era prova evidente.

v- le credo, signor Zabini. Dunque ora non mi resta che domandarvi cosa invece sapete di questa guerra – disse Lupin, guardandolo dritto negli occhi.

Blaise emise un sospiro. Non che non se lo aspettasse.
Estrasse la bacchetta e formulò un incantesimo di insonorizzazione alla stanza.

OoOoOoOoO

Il lago ghiacciato si estendeva davanti ai suoi occhi.
Era circondato da ghiaccio e neve. Ed era anche molto, molto infastidito.

Lucius… era tutta colpa sua, ancora una volta. Se non avesse tentato di ficcare il naso in affari che non lo riguardavano, lui non si sarebbe trovato di certo disperso nel nulla impegnato in una ricerca assurda.
Aveva piegato la testa davanti al suo Signore e a suo padre, Draco Malfoy, quando gli era stato ordinato di andare a cercare niente popò di meno che il famigerato Harry Potter.

- Draco - gli aveva detto Lucius, con un tono imperioso che ormai poteva turbare solo i bambini, - questa è una missione molto delicata. È necessario che la posizione di Harry Potter sia sempre monitorata. Soprattutto ora che è da solo. Potremmo attaccarlo in ogni momento, se sapessimo dove si trova -.

Idiota. Che spreco. Che perdita di tempo. Io lo cerco in Inghilterra, quando probabilmente si trova ben nascosto in chi sa quale emisfero di questo pianeta.

Eppure, nonostante le sue idee e la sua opinione sull’argomento, aveva dovuto piegare la testa ed eseguire.
Le apparenze dovevano mantenersi sempre. Questo era ciò che gli era stato insegnato da suo padre. E, a mala voglia, lo aveva dovuto accontentare.
Le sue ricerche… le sue conoscenze… cose delle quali Lucius non avrebbe mai dovuto sentir parlare, ne sospettare… era solo per loro, per proteggere ciò che aveva faticosamente conquistato, che si era allontanato dal tepore del castello nero e di Malfoy Manor.

Si fermò per riprendere fiato, emettendo numerose nuvolette di vapore dalla bocca.
Stava congelando fin nelle ossa e non poteva utilizzare alcun incantesimo se non era certo di essere solo nei paraggi. Oltretutto doveva rimanere vigile; non poteva permettersi di correre rischi.
Si guardò intorno, alla ricerca di tracce, di segni, di qualunque elemento che gli avrebbe potuto far intuire la presenza di un essere umano (possibilmente mago ed Harry Potter) in quel luogo dimenticato da tutti.

- Potter, Potter – ringhiò a mezza voce – non potevi rimanertene tranquillo con quel pulcioso Weasley e con la so-tutto? Devi sempre crearmi problemi, eh? -.

Ma lamentarsi non serviva a nulla.
Si addentrò in un bosco innevato e cominciò a risalire il pendio della montagna che aveva di fronte. Da qualche parte, più in alto, avrebbe potuto avere una visione d’insieme migliore della piana che aveva appena attraversato.
Ciò che trovò, poco più tardi, superò ogni sua più rosea previsione.

Una baita, un camino fumante, segni di una lotta recente (non più vecchia di qualche ora) ed infine il corpo di un Mangiamorte, abbandonato nella neve e visibilmente privo di vita.

- bene, bene – mormorò tra sé e sé, impugnando la bacchetta ed avvicinandosi pian piano al rifugio – che cosa abbiamo, qui? -.

Con calma e cautela si avvicinò alla porta. Secondo i segni dei passi sulla neve erano in due; stazza media, uno un po’ più grosso e robusto dell’altro. Ma fortunatamente proprio quello doveva aver subito le ferite più gravi. Non c’era sangue nella neve, se non per brevi sprazzi. Senza dubbio era stata usata la Maledizione Cruciatus.
Secondo i risultati della sua veloce analisi sarebbe potuto penetrare nella baita senza troppe remore. Ne avrebbe dovuto affrontare solo uno e se lo avesse colto di sorpresa lo avrebbe messo fuori combattimento con pochi problemi.
Si appoggiò alla porta, in ascolto; dalla baita non provenivano rumori, al di fuori dello scoppiettare dei ceppi nel caminetto.

Se la fortuna lo stava assistendo a dovere, li avrebbe trovati dormienti.

Con cautela Draco diede un’altra sbirciata dalla finestrella a lato della porta.
Nessun movimento.
Raccogliendo tutta la propria concentrazione sfondò la porta con un potente incantesimo, penetrando nella piccola baita.

La fortuna era durata fino ad un certo punto.

Erano già fuggiti; chiunque fossero ormai non aveva alcuna importanza.
Draco tirò un calcio ad una piccola seggiola, che di sicuro poco prima aveva offerto possibilità di riposo a una delle sue prede.

Poi si lasciò cadere davanti al caminetto, permettendosi di apparire scomposto. Tanto non c’era nessuno a guardarlo.

Questa è tutta colpa tua, Potter. Si lamentò dentro di sé, soffiando come un serpente. Te la farò pagare. Ooh, vedrai come te la farò pagare.

Potter era sempre stato il suo personale capro espiatorio, dopo tutto.

OoOoOoOoO

Fuori dalla finestra soffiava un vento violento. Non che fosse una novità per Ginny, che ormai da un mese si godeva sempre lo stesso spettacolo, gelido e ripetitivo.

Abbandonato ogni moto di resistenza per il cibo offertole, e abbandonata ogni intenzione di suicidio dopo due tentativi finiti in maniera pessima, le sue giornate scorrevano in maniera monotona.
Si svegliava, faceva colazione, tentava in ogni modo di trovare un’occupazione che la distogliesse dal pensiero della prigionia forzata e dai dubbi sul futuro, pranzava, cercava ancora un’altra occupazione, cenava e andava a letto. In realtà aveva ben poco di cui lamentarsi.

Dopo due giorni dal suo primo tentativo di suicidio e dal suo primo incontro (in quella camera) con il suo carceriere personale, aveva ricevuto cibo, abiti, libri e tutto ciò che più avrebbe potuto garantirle di passare piacevolmente le ore del giorno all’interno della sua prigione.

Aveva rifiutato tutto molto eloquentemente, rovesciando ogni cosa che le era capitata a tiro giù dalla finestra (unico sbocco sul mondo che le era concesso avere). Con suo sommo disappunto, era stato inghiottito tutto dalle acque, al contrario del suo corpo che, ancora per curiose ed inspiegabili circostanze, era tornato al mittente.

Non potendo attirare l’attenzione del suo carceriere in altro modo (per ogni oggetto che scaraventava di mala grazia dalla finestra ne compariva un altro la mattina seguente), aveva cominciato a rifiutare il cibo.
In realtà la cosa non si era protratta più di una giornata, perché le era giunto un messaggio dal Principe Oscuro in cui egli la invitava a mangiare di propria volontà se non voleva che lui stesso venisse a farle ingoiare ogni milligrammo di cibo che le veniva consegnato.

Non potendo fare leva ne sui beni materiali ne sul cibo, la giovane Weasley era ricorsa alla carta isterismo.

Per due giorni consecutivi aveva pianto, gridato, ululato, ringhiato, tirato calci e pugni ai muri e spaccato mobili, attuando piccoli intervalli strategici durante le ore dei pasti per paura che il Principe attuasse la sua minaccia.
Il falso isterismo però aveva avuto come effetto collaterale il fatto di procurargliene uno vero. Ed a quel punto aveva tentato per la seconda volta il suicidio recidendosi le vene dei polsi con un coltellino per sbucciare la frutta.
Molto desolante, invero, il modo in cui, meno di due minuti dopo, i suoi polsi erano stati guariti da un infuriato Principe Oscuro che l’aveva scaraventata sul letto e con la sua sola presenza le aveva infuso tanto terrore da farle saltare fuori dalla mente in modo assoluto l’idea del suicidio.

Oltretutto il ricordo la faceva arrossire tutte le volte, perché era sicura (quegli occhi di ghiaccio glielo avevano fatto intuire a chiare lettere) che se il Principe non fosse stato richiamato da incarichi ben più dignitosi (sue testuali parole) avrebbe corso il serio pericolo di lasciargli fare di lei tutto quello che voleva senza che osasse muovere il dito mignolo per il terrore di vederlo nuovamente arrabbiato.

Dal giorno successivo aveva cominciato quietamente ad osservare gli abiti, i libri e le comodità in cui era stata circondata. Oltretutto (riuscendo finalmente a rimanere sveglia di nascosto un’intera notte per scoprire chi era che le recapitava ogni giorno quei regali) aveva conosciuto i due elfi domestici (femmine) che si occupavano della sua prigione.
Prima di addormentarla con un incantesimo ( - come ci ha ordinato il signore, signorina, sì - ) le avevano comunicato di scrivere i suoi desideri su un foglietto prima di coricarsi, poiché avevano ricevuto ordini ( - dal signore, signorina, signore! - ) di accontentare ogni sua richiesta.

Ora, Ginny non poteva davvero crederci. Era prigioniera, no? Non poteva capacitarsi, non riusciva a capacitarsi del fatto che il Principe stesse tentando di tenersela buona. Ma poi, perché?

Per vedere se ciò che le era stato detto corrispondeva alla verità aveva chiesto, la sera successiva, svariate cose.
Ovviamente si era risparmiata la fatica di scrivere “liberatemi”, soprattutto per evitare che per un suo stupido tentativo di fuga le due elfe si sarebbero dovute “punire” per il fatto di non poterla accontentare.
Aveva richiesto libri di magia, romanzi babbani, riviste di vario genere, abiti, lo scialle della zia Petzy e perfino un orsacchiotto che teneva gelosamente custodito nel più remoto angolo del suo armadio alla Tana.

La mattina dopo all’appello non mancava nulla.

Tutto ciò qui riassunto era accaduto in una settimana; la sua prima settimana di prigionia.
Una prigionia talmente fuori dal normale che faticava lei stessa a capacitarsi di ciò che le era successo.

Nella sua seconda settimana di permanenza si era lasciata andare ad ogni tipo di capriccio, tentando inutilmente di infastidire il suo carceriere che, oltretutto, non aveva più visto.
Se da una parte la cosa la rincuorava, dall’altra la infastidiva oltremodo. Gli unici spunti di comunicazione poteva averli solo con le due elfe. Ma appena entravano nella stanza, se era ancora sveglia, le lanciavano un incantesimo di sonno.
Quindi non poteva parlare con nessuno, se non da sola o al suo orsacchiotto (cosa che aveva tentato di evitare fino all’ultimo).

Ma anche il problema della conversazione era stato risolto, in un modo che aveva rischiato di far venire davvero un infarto alla giovane, il terzo giorno della sua seconda settimana di permanenza.
Si era lasciata vincere dal sonno dopo un pranzo particolarmente prelibato e si era gettata sul suo letto (le cui coperte erano diventate di velluto argenteo). Non si era cambiata, si era addormentata indossando un abito principesco che, tra i tanti che aveva ricevuto, aveva vinto facilmente un posto nel suo cuore che reclamava fin da bambina un simile trattamento fiabesco. Il Principe (quello cattivo) la viziava in ogni modo, e lei ne approfittava.

Nonostante si vergognasse di se stessa e del proprio comportamento, quando sapeva che la sua famiglia e i suoi amici stavano affrontando quell’inverno nella preoccupazione e nel dolore sui campi di battaglia, non poteva fare a meno di nascondersi in quel mondo di regali ed agiatezze.

Anche se continuava a ripetersi che assecondava il Principe per paura di rivederlo (non si era più presentato da quando aveva fatto la brava e si era lasciata corrompere), in realtà il suo orgoglio le faceva avere grandi rimorsi che le si presentavano durante la notte, sotto forma di incubi popolati da immagini dei membri della sua famiglia che la guardavano disgustati, chiamandola traditrice.

Quando si era risvegliata si era trovata avviluppata tra le spire di un lungo serpente dalle dimensioni impressionanti, che l’aveva paralizzata dal terrore.

E poi, posizionando la testa di forma triangolare dritta davanti al viso di Ginny, le aveva parlato.

- Finalmente possso incontrarti, piccola Ginevra. Avrai sssentito parlare di me… io sssono Nagini, fedele compagna dell’Osssscuro Sssignore. Sssarò molto contenta di ssscambiare quattro chiacchiere con te, prediletta del mio padroncino -.

Nagini.

Quel giorno era scivolata via nel buio dopo quelle parole, lasciando una Ginny sconvolta che era scoppiata a piangere e aveva sognato tutta la notte il Basilisco dei suoi 11 anni.
Come promesso, il serpente era tornato il giorno dopo. E quello dopo ancora. E ancora.

Le prime volte si era fermata ben poco, anche perché Ginny al suo arrivo ogni volta si avvicinava alla finestra, pronta a buttarsi di sotto al minimo gesto violento del rettile.
Abbandonata l’idea che dalla finestra avesse trovato la morte, le appariva come un utile metodo per sfuggire momentaneamente a quella terribile bestia.

Abituarsi a Nagini, ad ascoltare e comprendere il serpentese, e a parlarne qualche parola, aveva riempito le sue giornate fino alla fine del primo mese di permanenza.
Pian piano si era abituata alla presenza del serpente, si era fatta blandire dalle sue parole sibilanti, aveva cominciato a tenerle testa, fino ad “osare” parlarle e arrivare perfino insultare il suo padrone davanti a lei (e a rimanere molto turbata dal fatto che non aveva ricevuto alcuna risposta).

Nagini era un essere complesso. Ginny poteva percepire che in lei c’era qualcosa di diverso, qualcosa che non poteva perfettamente cogliere. Non avevano mai parlato di nulla di serio. Nulla di importante. All’inizio Ginny neanche riusciva a comprendere bene ciò che le veniva detto. A parlarlo, poi!

Le fu sconosciuto il meccanismo che la spinse a non fuggire al serpente, ma anzi ad attendere quasi con ansia il suo ritorno. Molte delle conversazioni che avevano sostenuto Ginny non le ricordava. Aveva interi buchi neri nella mente, che fungevano da raccoglitori per sibili ignoti, significati sfuggiti.
Però ricordava bene i litigi unilaterali (Nagini non rispondeva mai quando Ginny le urlava contro, si limitava ad osservarla con i grandi occhi gialli, come per schernirla) nei quali la giovane aveva insultato in serpentese Voldemort, Principe, Mangiamorte e company per ciò che le avevano fatto.

La sua conoscenza della lingua comunque aumentava di colloquio in colloquio. E la cosa più interessante che era riuscita a farsi raccontare da Nagini era stato un attacco che i Mangiamorte avevano eseguito fuori Londra, dove due
Auror erano morti tirando con loro nella tomba ben 10 Mangiamorte.
Eppure avrebbe tanto voluto sapere il vero motivo delle visite di Nagini, nonostante non avesse neanche un grammo di coraggio necessario per chiederglielo.

OoOoOoOoO

- Merlino, Weasley. Questa è l’ultima volta che mi faccio mettere contro di te durante l’addestramento – borbottò Jean, ansimando, reclinando la testa all’indietro.

- scherzi, vero? Ho bisogno di allenarmi con gente del tuo livello se voglio migliorare – rispose Ron con una smorfia, lasciandosi cadere sul prato del campo di combattimento, magicamente mantenuto a temperatura ed aspetto primaverile.

- si ma questo non ti autorizza a sfiancarmi – ritorse con un sorrisetto il francese, riponendo la propria bacchetta nella tasca dei pantaloni.

- di’ Ron – intervenne Franz, che, seduto poco lontano dai due, aveva seguito con attenzione il duello tra i due auror – non ti sembra di esagerare? Non fai altro che combattere e studiare. Se vai avanti così come minimo implodi -.

Ron rise ironico.

- non intendo ascoltarti quando usi le frasi di quell’idiota di Jason -.

Franz rise a sua volta, sollevando le mani sopra la testa in segno di resa.

Lo sguardo di Ron, durante il silenzio che seguì, si diresse verso il cielo nuvoloso che lo sovrastava.
No, non era ancora abbastanza l’allenamento che aveva sostenuto.
Un mese era passato da quando era entrato nel campo di addestramento, ed aveva ancora ben poche settimane per prepararsi prima di essere mandato in battaglia con i suoi nuovi compagni.
Un mese lontano dal suo mondo.
Un mese senza che la sua famiglia avesse ricevuto la minima notizia di Ginny.
No, non aveva ancora finito il suo allenamento.

Il tempo in compagnia dei suoi nuovi amici e colleghi passava velocemente ed in modo molto piacevole. Sebbene ancora focalizzato sui propri obbiettivi personali, l’animo di Ron era più tranquillo; grazie alla loro compagnia non sentiva la mancanza di casa ne dei propri vecchi amici. E forse era proprio di questo che aveva avuto bisogno.
Certo, il non ricevere alcuna notizia dai suoi migliori amici lo lasciava sempre con l’amaro in bocca ogni volta che giungevano i gufi della posta; ma cosa pretendeva?

Aveva deciso lui stesso di non andare con Harry e di fare per conto proprio. Ed Harry, nascosto chissà dove ad allenarsi per la sua battaglia personale, di certo non poteva arrischiarsi a mandare gufi per contattarlo.
E per quanto riguardava Hermione… Hermione non gli avrebbe scritto. E comunque anche se lo avesse fatto Ron si sarebbe ben guardato dall’aprire e leggere le sue lettere. La ferita della loro separazione era ancora troppo fresca; non aveva ancora smesso di sognarla morta o ferita da qualche parte, lontano da lui che non poteva salvarla, o talvolta in procinto di sposarsi con un altro uomo. E, sinceramente, non sapeva tra quelli quale fosse il male minore.

Forse un giorno, a guerra conclusa, forse, avrebbero potuto parlare di nuovo con calma. E forse… forse la vita avrebbe concesso loro un’altra opportunità.
Quella era l’unica speranza alla quale poteva appigliarsi quando il suo pensiero ritornava ed esitava nel ricordo della giovane di cui era stato infatuato fin da bambino.

Delle voci gioviali in avvicinamento lo distolsero dal ricordo dei tempi giovanili di Hogwarts, ed il giovane si tirò a sedere.
Jason era in avvicinamento, circondato dalle ragazze del loro piccolo gruppo, carico di cestini per il pranzo.

- chi è il genio? – chiese, gonfiando il petto e ridendo gioviale, appoggiando il tutto a terra.

- ne manca ancora uno! Genio dei miei stivali! – borbottò Dianne, tirandogli un coppino – bisogna andare a prenderlo… - ma poi sorrise in direzione di Ron – Ron, mi accompagni? Dai… andiamo? – chiese, avvicinandosi e tirandolo per un braccio.

- ehi, ehi… vacci piano… sono stanco – commentò il ragazzo con un sorriso.

- non è colpa mia se vuoi implodere – ribatté la giovane, ridendo nel vedere Ron che lanciava uno sguardo torvo a Jason, il primo che aveva tirato fuori la questione dell’”implodere”.

La ragazza lo trascinò fuori dall’area duelli, parlandoci animatamente.
Ron aveva sviluppato un particolare affetto nei suoi confronti; dapprima aveva voluto evitarla, perché somigliava troppo ad Hermione, ma poi il carattere dolce e gioviale di Dianne gli aveva fatto aprire gli occhi sul fatto che lei non fosse Hermione. E, in un certo senso, era tutto partito da lì.

La loro era un’amicizia molto più stretta di quanto si potesse credere; a lei aveva raccontato molte più cose di se che agli altri del gruppo, in quel mese. Perfino di Harry e di Hermione, e delle loro avventure insieme.
Non essendo più del tutto sprovveduto in amore come una volta, si era reso subito conto dell’attenzione che Dianne aveva nei suoi confronti. Ma non aveva fatto nulla per alimentare le sue speranze, ne per estinguerle del tutto. Sembrava che a lei andasse bene così.

- come ti senti? La ferita dell’altro giorno fa ancora male? – domandò preoccupata, quando entrarono nella dispensa del campo di addestramento.

Ron alzò il braccio destro e cominciò a muoverlo, ruotando la spalla.

- no, come vedi. Hai fatto un buon lavoro nel medicarmi. Potresti diventare medimaga -.

Il sorriso che la giovane gli rivolse fu leggermente amaro.

- sai già perché questo non accadrà – disse, cominciando ad infilare in un altro cestino delle cibarie.

Dianne voleva combattere per coloro che voleva proteggere. Era per questo che era diventata auror. Glielo aveva detto lei stessa, una delle prime volte che avevano avuto l’occasione di parlare da soli.

Anche se preferirei guarire, piuttosto che uccidere. Aveva affermato con un tono lieve.

Ron, appoggiato allo stipite della porta, la osservò intenta nella sua occupazione.
Era molto più magra di Hermione; molto più provata di quanto la sua ex ragazza fosse mai stata. Molto più sofferente. E molto più letale in combattimento.
Erano caratteristiche che Ron cominciava ad apprezzare. Quel campo di addestramento lo aveva cambiato, lo stava cambiando. Si sentiva molto più sicuro di sé, i suoi muscoli erano aumentati e le sue capacità si erano affinate. Si sentiva più capace, più letale, più pronto.

E si era scoperto più intelligente di quanto mai avesse creduto, per quanto riguardava le strategie di combattimento.
Jason glielo aveva detto. Dianne lo aveva scoperto. Jean lo aveva incoraggiato. Franz lo aveva riconosciuto.
Da quando aveva cominciato a vedere la progettazione di una battaglia come una partita di scacchi magici, allora non c’era stato più scampo per gli avversari. E se era così in un luogo in cui i nemici erano degli auror che dovevano allenarsi allo scontro diretto, allora poteva essere anche meglio in un vero campo di battaglia. Contro i nemici veri.
Non aveva mai perso a scacchi. Nemmeno contro Harry Potter. Ed aveva scoperto di poter fare qualcosa anche meglio di lui.

Proprio per questo Ron Weasley non si sarebbe più sentito da meno, incontrando nuovamente il Bambino Sopravvissuto e una delle streghe più brillanti dell’ultimo secolo.

- Ron… Ron! – si accorse che Dianne lo stava chiamando dopo un bel po’.

- sì? – rispose finalmente, ridendo e scuotendo la testa per svegliarsi.

- a che pensavi? – domandò curiosa, sospingendolo fuori dalla dispensa e chiudendo la porta dietro di sé.

Ron fece le spallucce.

- nulla in particolare -.

- certo. Come no – rise lei – guarda che puoi dirlo che stavi pensando a me! – e si allontanò, facendogli la linguaccia.

Ron scoppiò a ridere, ma la sua risata fu frenata da un improvviso movimento di Dianne che, con le guance un po’ più rosee del normale, era tornata vero di lui, dandogli un leggero bacio sulla guancia e, ridendo, fuggendo in direzione del padiglione dei duelli.

Ron rimase per un po’ incerto, a sfiorarsi la guancia baciata.

Per un attimo credette di dimenticarla, lei che non lasciava un attimo i suoi pensieri.
Ed in quell’attimo di euforia pensò che forse, forse avrebbe potuto innamorarsi di quella piccola peste di Dianne.
Forse avrebbe potuto ricambiare i suoi leggeri sentimenti.
Almeno per un attimo, pensò che forse avrebbe potuto smettere di soffrire per aver perso Hermione.

Ed in quel momento di debolezza, decise di provarci.

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Capitolo 19
*** Ricerca e desiderio ***


NdA:Ciauz^^ gente!
Non crederete ai vostri occhi: un nuovo capitolo (e per di più ricco di avvenimenti importanti) dopo appena una settimana dall’ultimo. Qui c’è davvero da festeggiare^^.

Annuncio subito un paio di cosette piuttosto importanti, quindi sgranate bene gli occhi: in questo capitolo è presente una (breve) scena (poco) esplicita.
Diciamo che l’autrice si è trovata nel dilemma di scrivere una scena di lemon dettagliata oppure no, ma si è risolta nel no, visto che, seppur importante per la storia, questo avvenimento aveva bisogno di ben poche descrizioni per la sua, uhm, diciamo… impetuosità! Ecco, sì.
Comunque posso dire con certezza assoluta che rimarrete sorpresi, molto sorpresi, da ciò che i nostri personaggi fanno in questo capitolo (ho ho ho ho!).

Torneremo per prima cosa ai nostri due auror dispersi fra le montagne, poi entreremo nuovamente nella stanzetta in cui è tenuta prigioniera Ginny (e ne vedremo delle belle! Ho ho ho ho!), per poi passare per casa Zabini (perché sono stata invogliata e spinta dalle vostre recensioni a sviluppare meglio anche la storia dei miei due coniugi^^), addentrarsi brevemente in un decadente negozio di Notturn Alley e infine… sorpresa!
Il mistero dell’ultima parte di questo capitolo rimarrà tale fino a quando non lo leggerete. E, credetemi, stavolta mi sono data decisamente da fare per fornirvi delle risposte in più.

Ringraziamenti:

X Kaho_chan: Ciauz Kahucci^^!
E menomale che mi tieni d’occhio! Io mi sarei già stufata di seguire una scrittrice come me che aggiorna in modo così irregolare! Ma per fortuna tu non lo fai! Cosa farei sennò??
Come vedi anche io in questa storia patteggio molto per Hermione e Blaise^^: sto dedicando loro spazi parecchio corposi in questa storia. Ma a dire il vero è stato grazie alle recensioni se questo è successo, perché visto che fin da subito questa storia è stata di trama flessibile, l’ho scritta seguendo anche un po’ i desideri dei lettori^^. Sono brava, ne?
Anche io shippo R/H, anche se non si direbbe per come sta andando questa storia^^. Ma in verità ho preparato per entrambi un percorso molto particolare in questa fic. L’unico quesito che resta è se torneranno insieme o no. E, credimi, non lo so nemmeno io^^.
Per quanto riguarda Ronnie, sì, la ragazza si chiama Dianne. Comunque puoi tirare un respiro di sollievo, perché, almeno per questo capitolo, non ne sentiremo neanche parlare.
Almeno per il momento Nagini rimarrà un personaggio comprimario, anche se, come potrai intuire da questo capitolo in avanti, la sua presenza sarà molto importante nello svolgimento degli eventi futuri.
La faccenda della ragazza è molto intrigante (e devo dirti che, non chiedermi perché^^, mi era venuta in mente proprio leggendo la tua fic!), ma visto che non è un’idea nata dalla mia saccoccia, almeno per questa storia Nagini resterà un serpente. Lascerò ad altri il compito di sviluppare questo spunto, ma non si sa mai. Potrei anche dedicarmici anche io, in futuro^^.
Concludo la mia lunga risposta ringraziandoti per la tua lunga recensione (sto pian piano recuperando il passo con HP 7, quindi non ti preoccupare, recensirò!). il tuo parere, come sai, mi aiuta sempre tantissimo^^.
Ti lascio alla lettura ora^^. Alla prossima!
Un bacione^^!

X fiubi: Ciauzz^^!!
Sono proprio felice che nonostante il mio gigantesco ritardo sono riuscita a farti felice con l’ultimo capitolo^^.
L’intricare le storie è il mio forte^^. Mi chiedo però se riuscirò anche stavolta a srotolare il tutto, alla fine o_O! In ogni caso sono contenta che Blaise stia riscotendo tante attenzioni^^. Comunque, come ho già detto prima, è un personaggio che si va sviluppando grazie alle recensioni che lo reclamano^^. Quindi dovrei farti felice in questo modo, anche se temo dovrai aspettare ancora un po’ per sapere davvero quello che il nostro politico ha riferito a Lupin^^. Sono cattiva, lo so^^.
Però ho aggiornato il prima possibile! Questo dovrebbe farmi guadagnare un po’ di punti, no^^?
Ti lascio alla lettura, spero che il capitolo ti soddisfi^^.
Un bacione^^!

L’autrice ha un consiglio per la lettura di questo capitolo: visto che è stato scritto ascoltando a ripetizione la canzone ”It’s the fear” dei Within Temptation, ascoltare questa canzone durante la lettura vi aiuterà a comprendere con che stimolo l’autrice abbia descritto il tutto.
Spero vi piaccia^^.

Ringrazio chi legge e recensisce questa storia. Come avete visto, le recensioni la influenzano parecchio, quindi se volete dare il vostro parere, ‘myu sarà felicissima di ascoltarvi. Mi raccomando, recensite^^.
Un bacione!
Vostra ‘myu

Destini Intrecciati
by Lulumyu

19.“Ricerca e desiderio”


Hermione osservò da lontano la figura del Mangiamorte che si smaterializzava dalla baita in cui avevano soggiornato poco tempo prima.

Tirò un sospiro di sollievo, ringraziando la sua abitudine di impostare degli incantesimi di allarme del raggio di almeno due chilometri dai luoghi in cui si accampava.
Grazie a quello aveva captato la presenza del nemico ed aveva portato in un luogo più sicuro lei ed il suo compagno ferito.

Anche se a causa della lontananza non aveva potuto riconoscere l’identità del Mangiamorte ne, a dire il vero, vederlo distintamente, lo aveva giocato.

Si lasciò scivolare lungo il tronco dietro al quale era stata nascosta nell’ultima mezz’ora e, in fretta e furia, prese a correre verso una caverna, che aveva trovato fortunatamente poco prima, nella quale aveva lasciato Rockver.
Appena giunta disattivò i numerosi incantesimi e tranelli che aveva messo sulla caverna poco prima di andarsene e, tutta trafelata, vi entrò, percorrendola fino in fondo.
Seppur di breve lunghezza, era una caverna estremamente profonda; il rifugio ideale per una situazione di emergenza come quella.

Ben presto ne raggiunse il fondo, dove Rockver era disteso circondato da fiammelle magiche che riscaldavano senza bruciare.
Gli si inginocchiò a fianco, con il battito del cuore accelerato ed il fiatone.

- allora… era davvero… un… nemico… Granger? – sentì la voce tremolante di Rockver chiederle.

Hermione gli scoccò uno sguardo ostile.

- sì. Mi dispiace per te, ma non era nessun cervo. E neanche un orso, che, come mi hai fatto notare prima tanto intelligentemente, è in letargo! – gli disse, ironica.

Rockver ignorò la frecciatina, ridendo ironico, ma la sua risata fu interrotta da un violento attacco di tosse.
Subito Hermione, preoccupata, gli prese la testa, aiutandolo a sollevarsi dal rudimentale giaciglio su cui lo aveva lasciato.

- non dovresti fare movimenti bruschi, ne tantomeno ridere. Ogni volta cominci a tossire e stai sempre peggio – gli sussurrò quando la tosse perse intensità.

Lo aiutò ad adagiarsi nuovamente sul pavimento della caverna.
Sapeva che, in quelle condizioni, non avrebbe potuto farlo smaterializzare ne curarlo in maniera corretta.
Nonostante le sue conoscenze, non era una medimaga. Quindi era lecito per lei avere il terrore di sbagliare nel formulare un’ipotesi per curare il suo compagno.

Però, ragionando, una soluzione c’era, anche se era piuttosto pericolosa.

Prese la borsa che conteneva le sue pozioni ed i suoi preparati e prese ad armeggiare con essi sotto lo sguardo stupito ed attento di Rockver, che spesso, involontariamente, la distoglieva dal suo lavoro per aiutarlo quando riprendeva a tossire.
Grazie alle sue conoscenze, preparò la pozione in meno tempo possibile e la travasò in una fialetta vuota.
Osservò i suoi lineamenti sofferenti e la carnagione cinerea, allungandogli contro voglia la boccetta della pozione.

- questo è un rimedio temporaneo che ti permetterà di non sentire dolore. Ma solo temporaneamente, ok? Capito? Ok. Non dovrei dartelo perché non è un metodo riconosciuto. Anzi. Gli esperti ancora dibattono sulla questione anche se, per quanto mi riguarda, sono d’accordo con la fazione che… - cominciò, ma venne interrotta ben presto da Rockver.

- bla, bla, bla, Granger. Non mi interessa – borbottò con voce resa roca dalla tosse – se quella cosa mi può far stare bene, allora taglia corto e passamela -.

Hermione roteò gli occhi.

- ma devi almeno sapere qualcosa! Non devi fare movimenti azzardati ne ridere sguaiatamente come tuo solito. Perché questa pozione è come un anestetico. Sai cos’è, vero? Non sentirai nessun dolore, ma quando l’effetto svanirà il dolore tornerà e se farai qualcosa per aumentarlo, allora tornerà col doppio della violenza. Capito? – gli spiegò irritata.

Gli fece bere il contenuto della boccetta e da subito notò un miglioramento nelle sue condizioni: la carnagione era tornata normale e il ragazzo si era seduto senza fatica.
Mosse con cautela il corpo e si rilassò, non sentendo più dolore.
Con un sorriso strafottente, si rivolse alla collega:

- ma come siamo brave, Granger! Grazie, mi sento decisamente meglio – poi la guardò ironicamente – e tranquilla, non riderò in modo sguaiato come mio solito– la scimmiottò.

Poi, notando l’espressione infastidita di lei, non poté trattenersi dal rimbrottarla:

- comunque non credo ci sia nulla di sbagliato nel ridere, ogni tanto. Come pretendi di vivere la vita al meglio se guardi ogni cosa con fastidio? Dovresti ridere più spesso, Granger! Ti farebbe bene e ti aiuterebbe a rilassare un po’ quella tua faccia sempre tesa -.

La reazione della ragazza non fu quella che si era aspettato.

Lo sguardo che gli rivolse fu di puro odio e disperazione.

- tu, come fai a dirmi di ridere, dopo quello che è successo? – gli gridò, con il volto paonazzo e le lacrime che premevano per scenderle sulle guance, - c’è il corpo di un uomo, là fuori, che ho appena ucciso io! Lo capisci, questo, razza di idiota? Come puoi anche pensare che io mi diverta dopo che… dopo che… -.

La sua voce divenne poco più di un sussurro, e, in ginocchio poco lontano da lui, scoppiò in un pianto disperato, il primo da quel terribile avvenimento.
Nulla ai suoi occhi poteva più essere come prima, non dopo che aveva finito in quel modo la vita di un uomo.

- come posso guardare in faccia Harry, ora? Come posso guardare in faccia Ron? Come posso… come posso?! Sono una sporca assassina… sono come loro… peggio di loro… sono… - ma gli fu impedito di concludere la frase.

Prima di rendersene conto si trovò avviluppata tra due braccia forti, ed investita da un profumo che non apparteneva né ad Harry né a Ron.

- non lo dire neanche per scherzo – le sussurrò Leonard, stringendola forte contro il suo petto, - tu non sei come loro. Non lo hai ucciso per divertimento, ma solo perché non hai avuto altra scelta. O lui o me. Anche io avrei fatto lo stesso. Quindi non pensare neanche a queste cose. Non piangere, Hermione -.

Una parte della mente di Hermione registrò che quella era la prima volta che lui pronunciava il suo nome.
Sorpresa, tra i singhiozzi, si districò dal suo abbraccio quel tanto che bastava per guardarlo in faccia.

Nei suoi occhi trovò lo stesso sconforto e la stessa paura che avevano catturato lei, in quella radura. E probabilmente era la prima donna che riusciva a vedere incertezza e paura negli occhi di quell’uomo, uno dei migliori auror del Quartier Generale.

Ciò che accadde dopo fu talmente inaspettato da apparire quasi naturale ai due colleghi.

Le loro labbra si unirono in un bacio rabbioso, pieno di paura repressa e di voglia di sfogarsi. Con movimenti febbrili entrambi si liberarono dagli indumenti, dimentichi del luogo in cui si trovavano, del perché erano lì e perfino di chi erano, in preda ad un bisogno tanto primitivo quanto animale.

Il dolore che Hermione provò nel momento della loro unione fu effimero rispetto al piacere che crebbe per entrambi pochi secondi dopo. La razionale secchiona e l’auror impulsivo avevano completamente perso il controllo, stretti l’una nelle braccia dell’altro.

E neanche dopo che la loro passione raggiunse l’apice furono in grado di riacquistare la lucidità, troppo inebriati e rassicurati dal bisogno della vicinanza dell’altro.

OoOoOoOoO

Le coperte che coprivano il suo letto, quella settimana, erano bianche come la neve.

Su di esse appariva netto il contrasto con il lungo vestito nero che indossava, ultimo regalo del suo carceriere, e con il colore scuro delle squame del serpente che la stava avviluppando tra le sue spire.

Ginny non provava più alcun timore riguardo quel comportamento. Sapeva che Nagini non le avrebbe fatto alcun male. Oltretutto, paradossalmente, l’essere circondata in quel modo da lei le garantiva una sensazione di protezione e sicurezza che nella solitudine della sua prigionia le era preclusa.

Provava piacere, quasi tenerezza nel carezzare il lungo corpo squamoso del serpente, quasi fino a lucidarlo.
Era conscia del fatto di stare subendo una trasformazione oscura. Non si sarebbe mai sognata di tenere tale comportamento col serpente del suo peggior nemico in altre circostanze.
Ma la presenza di Nagini nella sua esistenza si era fatta necessaria.

Avviluppata in quel bozzolo di oscurità, Ginny poteva, per pochi attimi, illudersi di non temere l’oscurità stessa. E non impazzire al suo interno.

Nagini si mosse impercettibilmente, scivolando con grazia sul corpo della ragazza e sciogliendo il suo abbraccio.

- vai via, Nagini? Di già? Così presto? – le domandò Ginny, con evidente disappunto.

Quasi le sembrò di udire un riso, nei sibili che il serpente produsse poco dopo.

- no, non sssto andando via. Tranquilla – le sibilò il serpente, osservandola con gli occhi acquosi – eppure ssssai che ssse il mio Ssignore mi chiamasssse non esssiterei ad abbandonarti – continuò.

Quella frase fece vergognare la giovane. Si stava comportando come una bambina viziata.
Era un modo come un altro per non provare vergogna di se stessa, mentre una parte di lei voleva urlare, conscia del fatto che solo accettando ciò che le veniva donato senza tentare di sfuggirvi stava tradendo gli ideali propri e della sua famiglia.

Rimase in silenzio, non osando incontrare lo sguardo del serpente e raggomitolandosi su se stessa, richiamando le ginocchia al petto e circondandole con le braccia.

Nagini, notando il repentino cambiamento d’umore della giovane, tornò a circondarla, scivolando con la testa triangolare lungo la sua spalla destra e sibilandole dolcemente nell’orecchio:

- cosssa ti tortura, principessssa? Non era mia intenzione turbarti. Ora dimmi, c’è qualcosssa che dovrei sssapere? -.

Come ogni volta in cui le sibilava dolcemente come per cullarla, l’aveva chiamata “principessa”. Spesso Ginny si era chiesta se dietro quell’appellativo si nascondesse qualche altro significato, ma non aveva mai trovato risposta ai propri interrogativi.

- sono solo stanca, Nagini. E non sopporto la solitudine di questa torre, ecco tutto – le sibilò.

Era in parte vero anche quello, ragionò tra sé e sé, accarezzando il serpente sul muso.

- allora non c’è bisssogno di preoccuparsssi, mia piccola principessssa. Una grossssa sssorpressa sssta venendo preparata per te, mentre parliamo. Un regalo da parte mia e del mio Sssignore per fesssteggiare ciò che presssto avverrà. È da tanto che assspettiamo quesssto momento, sssai? E allora tu, principessssa, ssarai innalzata sssopra ogni altra. Proprio per quesssto il mio Sssignore ha pensssato di farti quesssto dono. Proteggerà e cussstodirà te e la tua dissscendenza – gli occhi di Nagini sembrarono rilucere di orgoglio, in modo quasi umano, mentre pronunciava quelle parole.

Ginny fu sorpresa e allo stesso tempo intimorita da quelle parole. Seppur la curiosità di ottenere quel dono la spingesse a riceverlo il più presto possibile, ne era spaventata. Nessun regalo proveniente dal Signore Oscuro era da considerare con leggerezza.

Si chiese cosa stesse architettando, e soprattutto quale fosse l’avvenimento che rendeva Nagini così entusiasta, che cosa stesse aspettando con tanta trepidazione insieme al suo padrone e, soprattutto, cosa centrasse con lei.
Perché in fondo Ginny non aveva mai compreso quale fosse il suo vero ruolo in quella faccenda; ciò per cui era tenuta rinchiusa lontano da tutto e da tutti e, soprattutto, cosa la teneva integra ed illesa e l’avrebbe innalzata sopra ad altri.
Il pensiero di tutto ciò la intrigava e spaventava insieme. Comunque ben sapeva che, nelle condizioni in cui riversava in quel momento, non avrebbe potuto far altro che subire il corso degli avvenimenti senza poter fare nulla per opporsi.

Seppur immersa nei propri pensieri ed intenta nell’accarezzare il serpente, si accorse immediatamente della nuova presenza da poco entrata nella stanza.
Probabilmente aveva voluto farsi notare di sua spontanea volontà, perché Ginny era conscia che se lui non avesse voluto che lei lo notasse, non sarebbe accaduto.

Sentì alle sue spalle, poco lontano da dove era rannicchiata, il letto abbassarsi sotto il peso del nuovo arrivato, che vi si sedette.

Ginny si irrigidì. Era da tanto tempo che non le faceva visita e, soprattutto, era la prima volta che sembrava essere venuto da lei di sua spontanea iniziativa.
Le uniche volte in cui era venuto a trovarla, in precedenza, erano state a causa dei suoi due mancati tentativi di suicidio. La prima volta per schernirla, la seconda per dissuaderla dal tentarci un’altra volta.

Trovandosi del tutto impreparata a quella nuova situazione, Ginny rimase immobile, continuando meccanicamente ad accarezzare Nagini.

Ma quest’ultima sembrò averla completamente dimenticata. Con un sibilo acuto che Ginny, nella sua più esperta conoscenza del Serpentese giudicò essere sinonimo di “gioioso”, il serpente scivolò via dal suo corpo, dirigendosi alle sue spalle.

Ginny riusciva già ad immaginare le sue spire avvolgersi attorno al visitatore come prima era accaduto con lei, e si sforzò di non ascoltare le parole dolci che Nagini gli rivolse.

Inaspettatamente, anche lui rivolse parole cortesi ed affezionate a Nagini. L’impulso di voltarsi e di osservarli fu forte, ma Ginny si impose di rimanere ferma. Nonostante tutto alle sue spalle c’era il suo carceriere, e non poteva permettersi di agire senza cautela.

Dopo quel breve scambio di parole sibilanti nella stanzetta cadde il silenzio. L’unico rumore percepibile era quello delle onde al di fuori della finestra che si abbattevano con fragore contro la scogliera.

Evil, dalla sua posizione, la osservava.

Era immobile come una statua e tesa come una corda di violino.

Era rimasto molto sorpreso dalla scena che lo aveva accolto al suo arrivo: era a conoscenza del fatto che, per ordine di suo padre, Nagini pagava giornalmente una visita alla giovane. Ma non avrebbe mai creduto di poterla vedere in atteggiamenti così intimi con Ginevra.
In realtà non avrebbe mai creduto di poter vedere Nagini, letale e spietato serpente del Signore Oscuro, indugiare in tali atteggiamenti con altri al di fuori di lui e suo padre.
Quante sorprese stava ricevendo da quella ragazza…

Il suo sguardo scivolò sulla schiena di lei, lasciata leggermente scoperta dal tessuto nero dell’abito che indossava quel giorno. Era rimasto piacevolmente sorpreso quando la sua prigioniera aveva cominciato ad accettare ciò che lui le donava. Le richieste assurde e petulanti erano pian piano scomparse del tutto, lasciandogli la piena libertà di viziarla come più lo compiaceva.

Come un ragno che fila la sua tela per imprigionare la farfalla, anche Evil, pian piano, tesseva le sue trame per catturare e trattenere per sé Ginevra. Ed evidentemente la sua paziente attesa stava venendo ampliamente ripagata.
Ben presto la farfalla sarebbe stata intrappolata nella tela, ed il ragno non l’avrebbe mai più lasciata andare.

Evil rimirò con uno sguardo di febbrile desiderio la sua farfalla, ai suoi occhi così incredibilmente bella.

Allungò lentamente un braccio e con la mano sfiorò lievemente la pelle nuda della sua schiena.
La sentì tremare leggermente dalla sorpresa, ma non si ritrasse.

Lentamente, trattenendosi per non applicare al tocco troppa pressione per paura che lo rifiutasse, Evil continuò a sfiorarle la schiena a piccoli movimenti lungo la sua spina dorsale.

Ginny da parte sua non riusciva a muoversi ne a proferire parola. Quel gesto era giunto del tutto inaspettato e l’aveva lasciata impreparata.
Una parte di lei avrebbe voluto sottrarsi, mentre un’altra le imponeva di stare immobile, per non innervosirlo a causa di un suo rifiuto.

Il nervosismo che la opprimeva era tale che avrebbe voluto piangere. Già le lacrime minacciavano di premere agli angoli dei suoi occhi e la ragazza, per impedire loro di fuoriuscire, li serrò.
Fu un errore, perché in mancanza di qualcos’altro su cui focalizzare l’attenzione, i suoi sensi si focalizzarono su quel tocco leggero, rendendolo ancora più struggente ed insopportabile di quanto non le fosse sembrato in precedenza.

- perché mi fai questo? – sussurrò lei, vinta dalla propria debolezza, riaprendo gli occhi e rilassando i muscoli.

Lui cessò di toccarla, quando sentì il suo cedimento.
Le afferrò piano i capelli da un lato della nuca e dolcemente, attento a non farle del male, li tirò in modo tale da farla girare a guardarlo.

Lei assecondò i suoi movimenti, tenendo però gli occhi abbassati sulle candide coperte fino all’ultimo.
Quando i suoi occhi si sollevarono sulla figura del suo carceriere, lo vide esattamente come se lo ricordava, circondato di nero, tranne per quella maschera decorata che riluceva alla luce del giorno che penetrava dalla finestra della stanzetta.

Le spire di Nagini gli circondavano il collo e il serpente era mollemente adagiato sulle sue spalle, con la testa triangolare appoggiata comodamente nell’incavo del suo collo.

Ginny si ritrovò ad incontrare quegli occhi che per così lungo tempo l’avevano perseguitata, e l’emozione fu tale che riprese a tremare involontariamente.

Evil, notando la sua reazione, chiese a Nagini di lasciarli soli. Il serpente lo accontentò di buon grado, osservandolo con le sue pupille verticali che sapevano, e che premevano perché lui si affrettasse nel compimento del suo compito.

Da dietro la maschera, Evil sorrise mellifluo. Grazie alla magia ne fece ridurre la lunghezza in modo che gli lasciasse scoperti mento e bocca e baciò con contenuto affetto la testa del grande rettile, prima che essa li lasciasse, uscendo dalla stanza.

Ginny, non riuscendo a smettere di tremare, osservò con stupore lo scambio affettuoso fra i due.
La trasformazione della maschera del Principe e il fatto che Nagini la stesse lasciando sola con lui la spaventò ancora di più. Non era pronta a conoscere il motivo per il quale era tenuta prigioniera, nonostante quello che aveva sempre affermato a sé stessa fino a quel momento. E proprio per quel motivo temeva più di qualunque altra cosa l’essere lasciata sola con il suo carceriere, con colui che l’aveva rapita e che, fin dal loro primo incontro, l’aveva protetta palesando il suo interesse per lei.

Il suo fremito aumentò, seppur rimase ben ancorata al luogo in cui era seduta, senza compiere il minimo movimento.
Dopotutto il Principe teneva ancora fra le mani i suoi capelli e non accennava a volerli lasciare andare.

Quando Nagini fu scomparsa nei bui angoli della stanza, l’attenzione di Evil tornò sulla ragazza.

Lasciò andare i suoi capelli e con calma le prese con la mano sinistra il polso circondato dal tatuaggio serpentino che lui stesso le aveva imposto.
Lo portò davanti al suo viso e, ignorando il tremito della giovane, cominciò a studiarlo. I contorni sembravano sempre meno definiti ed il tutto cominciava ad apparire più sfocato.

Il sorriso che Evil rivolse all’indirizzo di quel serpentello, non celato dalla maschera, sorprese ed innervosì la giovane.
Ginny non aveva mai compreso a cosa servisse, quel simbolo che aveva odiato con tutte le sue forze. L’unica cosa che aveva notato era stata il suo progressivo sbiadire, dal giorno in cui era stata portata in quella prigione.

Osservò impotente l’esame che il Principe stava attuando sul suo polso e non poté trattenersi dall’arrossire lievemente quando notò che, girandole il braccio ed osservando il polso dall’altro lato, gli occhi del suo carceriere si erano soffermati sulla cicatrice del suo secondo, inutile, tentativo di suicidio.

Lo vide irrigidirsi e pochi istanti dopo si trovò ad incontrare nuovamente il suo sguardo.

- è stata una fortuna che fossi presente – e lei intuì che si stava riferendo proprio a quell’episodio – altrimenti, probabilmente, saresti riuscita nel tuo sciocco tentativo -.

Le parole che aveva pronunciato erano calme, ma dal tono affilato come la lama di un coltello.
Ginny abbassò lo sguardo, percorsa da un brivido. Perché non riusciva a smettere di tremare?

- sarà anche stato sciocco – ribatté in un sussurro tremulo – ma non mi rimaneva altra soluzione per sfuggire da questa prigionia -.

- credevo che tu ti fossi abituata a questo luogo, Ginevra – disse lui, - ma evidentemente sei rimasta buona e docile tutto questo tempo solo per paura che ti facessi del male -.

Colta in flagrante, Ginny, vergognosa, spostò lo sguardo sul polso tremante che lui stava trattenendo, tentando con poca convinzione di sottrarlo alla sua presa.
Per tutta risposta lui avvicinò la cicatrice alle labbra e prese ad accarezzarla con esse, quasi come per rimuoverla da quel luogo.

I sensi di Ginny si incendiarono e la voglia di sottrarsi al suo tocco si rafforzò. Aveva paura di quello che stava sentendo. Non voleva essere soggiogata dai suoi piani; non voleva cedere ai suoi modi.

Mantenendo le labbra saldamente incollate al suo polso e cominciando perfino a mordicchiare lievemente la cicatrice, Evil sollevò lo sguardo a cercare gli occhi tormentati della giovane, che non riuscì più a staccarli dai suoi.
Anche se il tremito non diede segno di voler cessare, i deboli tentativi di lei di lottare contro di lui si conclusero.

- mi temi a tal punto, Ginevra? – le chiese, avvicinandosi impercettibilmente al suo volto.

Quella domanda cominciò a vorticare nella sua mente, traendo con sé ogni pensiero lucido che la giovane potesse formulare.
Sentì la mano che prima le stringeva il polso risalire lungo il suo braccio ed andare a posizionarsi alla base della sua nuca, afferrandole la testa ed i capelli e spingendola verso di lui.

Nella confusione più totale il contatto delle sue labbra con quelle del Principe ebbe l’effetto di un tifone.
Ginny smise di colpo di tremare e, impotente davanti a ciò che stava accadendo, si sentì sprofondare nell’intensità del primo, vero, bacio che il Principe le avesse mai dato.

OoOoOoOoO

- cosa gli hai detto? -.

Blaise distolse l’attenzione dai documenti presenti sulla propria scrivania.
Poco prima la moglie si era presentata nel suo ufficio e, cosa molto strana per le sue abitudini, si era seduta nella poltroncina davanti alla sua scrivania rimanendo in silenzio.

Certamente, il marito aveva sospettato fin da subito il motivo della sua venuta.
Dopotutto, pochi minuti dopo che Remus Lupin era uscito da quella stessa stanza ogni singolo auror a guardia della sua casa si era smaterializzato senza battere ciglio, lasciando la più completa libertà ai suoi abitanti.

Pansy doveva aver sospettato che lui avesse dato a Lupin quel che voleva in cambio di essere lasciato in pace. E ciò di sicuro l’aveva preoccupata, visto che era stata lei che, con le sue continue lamentele sulla presenza degli auror, l’aveva spinto ad agire.
Blaise, dopo quell’attimo di disattenzione, riportò il proprio sguardo sulle pratiche che stava compilando.

- che cosa intendi? – le domandò, conscio di stare giocando col fuoco.

Infatti la moglie assunse immediatamente il suo cipiglio combattivo, osservandolo con stizza.

- non giocare con me, Zabini. Sai benissimo cosa intendo. Remus Lupin. Cosa gli hai detto? -.

- nulla che non possa essere ripetuto in altra sede. Di cosa ti preoccupi? – le chiese, intingendo la costosa penna d’oca nell’inchiostro e compilando un modulo davanti a sé con la massima calma.

- mi preoccupo – rispose lei, ribollendo di rabbia, - del fatto che il lupo mannaro abbia tolto dai piedi ogni auror nel momento in cui è uscito da questa stanza e mi preoccupo anche dell’incantesimo di insonorizzazione che hai fatto! – sbottò, urlando un Finite incantatem che andò a segno.

Colto di sorpresa, Blaise ripose la piuma nel calamaio e, appoggiandosi allo schienale della sua poltrona, la guardò con indifferenza.

- pongo sempre quell’incantesimo su questa stanza, Pansy – le disse.

Pansy era in procinto di scoppiare. Cosa credeva, che fosse stupida?

- Blaise Zabini, te l’ho già detto una volta, mi pare – soffiò contro di lui – non giocare con me! -.

- non sto giocando, Pansy – rispose lui pacato – in questa stanza non è accaduto nulla di particolare. Non dovresti farne un affare di stato -.

Lei gli lanciò uno sguardo tagliente.

- come quando hai ricevuto gli altri Mangiamorte? come quando, credendo che io non lo venissi a sapere, hai ricevuto il Signore Oscuro? – si pentì di quello che aveva detto nel momento in cui le parole lasciarono la sua bocca.

Osservò con orrore il volto sconvolto del marito, che la guardò prima con una traccia di tristezza, che poi si mutò in una fredda rabbia.

- non sono cose che ti riguardano, Pansy. E faresti meglio a tenere per te le tue piccole scoperte, se vuoi fare carriera tra le donne d’alto livello. Mi pareva di avertelo già insegnato -.

Detto questo, davanti ad una Pansy sconvolta ed incredula, si alzò di scatto, rovesciando a terra la poltrona, e a larghe falcate lasciò la stanza.

No! Pensò la giovane, precipitandosi nella sua scia, correndo più velocemente possibile rischiando più volte di cadere a causa dei tacchi alti.

Lo raggiunse dopo breve tempo, in un corridoio che conduceva nell’ala della grande casa che il marito aveva riservato solo per sé e nella quale si rifugiava ogni volta che non voleva essere disturbato dalla moglie.
Pansy lo fermò, lanciandosi contro la sua schiena rigida e circondandogli la vita con le braccia.

- aspetta… ti prego… - sussurrò, in preda allo sconforto.

Blaise rimase immobile, reso insensibile dalla rabbia ai sospiri tremuli della moglie.

- sono preoccupata, sì. È vero. Ma come puoi biasimarmi? Tu… tu sei tutto ciò che mi rimane… è grazie a te che ho potuto continuare a vivere, quando i miei genitori sono stati assassinati dal Signore Oscuro! Sei stato tu ad accogliermi, a darmi una casa, a prendermi con te nonostante il pericolo di avere una Parkinson in casa! Come potrei fare, se anche tu te ne andassi? Come potrei vivere? – gli gridò, sciogliendosi in un pianto dirotto.

La rabbia di Blaise cominciò ad evaporare lentamente, ripensando alle circostanze che li avevano portati ad unirsi.
Aveva aiutato Pansy quando era in gravi difficoltà ed inaspettatamente lei aveva ripagato il debito nei suoi confronti amandolo incondizionatamente.

- Pansy… - tentò di intervenire, pacato, districandosi dalla sua stretta per potersi girare verso di lei.

Ma lei interpretò male il movimento, lanciandosi nuovamente contro il marito che, perdendo l’equilibrio, cadde rovinosamente a terra trascinandola con sé.
Le fece da scudo col proprio corpo per evitare che si facesse del male e poi si sedette alla bell’è meglio, con lei che non voleva accennare a staccarsi dal suo corpo.

- non posso impedirti di prendere una posizione. Conosco le regole della tua famiglia e le accetto, anche se non le condivido. Non mi importa più nulla dei Mangiamorte o degli Auror, ne di questa stupida guerra – continuò a gridargli, lacrimando copiosamente – ma non voglio che questa ambiguità te li renda nemici entrambi! Cosa potrei fare se il Signore Oscuro venisse per ucciderti? O se gli Auror ti portassero via? Mi rimani solo tu, Blaise! E io non voglio correre il rischio di perderti! Ti amo così tanto che a volte credo di impazzire! – continuò, sentendo la presa del marito farsi sempre più forte e rassicurante.

Commosso, Blaise baciò i capelli della moglie, tentando di tranquillizzarla.

- non devi temere nulla, Pansy. Non permetterò a nessuno di separarci, neanche al Signore Oscuro. Ma devi capire, se voglio proteggerti ci sono cose che devo tenerti nascoste. Ti amo anche io, Pansy. Ti chiedo solo di fidarti di me -.

Fu argomento di conversazione per mesi, tra gli elfi domestici della casa degli Zabini, di come avevano trovato durante una sera d’inverno i loro due padroni in un corridoio sperduto dell’ala riservata al padrone, addormentati l’uno abbracciato all’altra.

OoOoOoOoO

Un uomo girava incappucciato per le strade di Notturn Alley, tentando in tutti i modi di non farsi riconoscere.
Nonostante i maghi oscuri non avessero più bisogno di frequentare quel luogo dopo il ritorno del Signore Oscuro, non si era mai abbastanza prudenti, di quei tempi.

Con passo deciso penetrò in un negozio decadente, assicurandosi di non essere visto né seguito.
Solo al suo interno si permise di scostarsi il cappuccio nero dal volto.

- signor Potter – gracchiò la voce del negoziante, avvicinandosi con aria cospiratoria e stringendo la mano del nuovo venuto.

Harry fece segno al vecchio mago di abbassare la voce e di non chiamarlo per nome. Quella scena, ad occhi poco informati, poteva parere sospetta.

Il baluardo degli auror e dei maghi liberi, il Prescelto Harry Potter, aveva lasciato il suo luogo di ritiro tra le montagne innevate in gran segreto ed in tutta fretta per incontrarsi a Notturn Alley con un mago dall’aspetto non poco raccomandabile.

Se Rita Skeeter fosse stata nei paraggi, avrebbe di certo avuto il materiale necessario per lo scandalo del secolo.
Ma solo in apparenza, perché il vecchio mago, nonostante abitasse a Notturn Alley, era una persona in gamba.

Harry lo aveva conosciuto grazie a quel libro.
Aveva trovato diverse annotazioni ai margini, dal decimo capitolo in avanti che, grazie a complicati incantesimi e ricerche, aveva fatto risalire proprio a quello strambo personaggio.
Era stata una fortuna, trovarlo ancora vivo e vegeto.
E dopo un mese passato in scambi di lettere via gufo e vari accertamenti, Harry aveva alla fine accettato di vederlo.

- la ringrazio infinitamente per l’aiuto che mi sta dando – gli disse sinceramente – ma come sa, ho i minuti contati. È riuscito davvero ad avere ciò che stavo cercando? -.

Il vecchio lo guardò con un’aria furba, facendogli l’occhiolino.

- ma si figuri, signor Po… uhm… Po… uhm… Poster! Sì, signor Poster! È un piacere aiutarla nel salvataggio del mondo -.

Harry sbatté le palpebre, trattenendosi a stento dal ridere.

- dunque? – chiese nuovamente al vecchio – lo ha con sé? Posso vederlo? -.

Il mago annuì con forza, infilando una mano nella tasca del logoro mantello.
Estrasse da esso un cofanetto di velluto consunto, e lo appoggiò fra le mani del giovane.

- stia attento, signor Poster – gli disse severamente – questo non è un oggetto comune. Risponderà solo a colui che accetterà come proprio padrone. e sarà difficile, signor Poster. Molto difficile. Le ricordo cosa le dissi in lettera. Anche io che lo ritrovai non fui in grado di controllarne la volontà. Non è detto che lei ci riesca -.

Harry si rigirò tra le mani la confezione, come per soppesarla.

- per caso sa dirmi chi fu l’ultimo a possedere tale oggetto e a poterlo usare? Il libro non lo dice. Nomina solo il suo creatore, ma non a chi fu donato, ne chi lo usò per l’ultima volta – chiese, attento.

Il vecchio mago lo guardò con dolcezza. Se quel ragazzo fosse riuscito a controllare quell’oggetto, solo allora poteva essere definito con assoluta sincerità che era nato per fare grandi cose.

- anche io in principio conoscevo solo il nome del suo creatore. Ma secondo i miei studi posso dirti con sicurezza che questo oggetto fu usato per l’ultima volta da Godric Grifondoro in persona. Certo non ti so dire come abbia fatto a giungere dal grande Merlino fino a Grifondoro. È un oggetto davvero misterioso -.

Harry, in cuor suo, si sentì più sereno. Ancora una volta, per sconfiggere l’erede di Serpeverde avrebbe avuto al suo fianco un oggetto appartenuto a Grifondoro. E ancora una volta c’era la vita di Ginny come “premio” per il vincitore.
La sensazione di deja-vu che lo colpì fu enorme. Era destino o no che le cose andassero come l’ultima volta?

Mettendo al sicuro in tasca la creazione del grande Merlino in persona, Harry salutò il negoziante, ringraziandolo ripetutamente.

Il cielo invernale che lo accolse, una volta materializzatosi nuovamente tra le sue montagne, gli sembrò decisamente più luminoso.

OoOoOoOoO

Quando le loro labbra si separarono, ad entrambi sembrarono passati secoli dall’inizio del bacio, anche se in realtà erano passati solo pochi attimi.

Ginny, sconvolta, rimase per qualche istante a fissarlo negli occhi. Anche lui sembrava sorpreso quanto lei dall’accaduto, benché i suoi occhi grigi, a differenza dell’espressione confusa di quelli smarriti di Ginny, si incupirono in preda al desiderio.

- perché? – domandò lei, in preda al nervosismo.

Non si aspettava che lui le rispondesse.

- perché il tuo destino è stare al mio fianco come mia compagna. È ora che tu sappia cosa ti attende, Ginevra. Sei destinata ad essere mia e, credimi, sono disposto a fare qualunque cosa perché questo avvenga -.

La sua voce era bassa, roca, e la fece rabbrividire di paura e comprensione.
Aprì la bocca per parlare, e sentì la sua mano premere da dietro la nuca per avvicinarla nuovamente a lui. In preda delle proprie sensazioni, Ginny avrebbe lasciato che lui la baciasse nuovamente.

Ma all’improvviso il braccio che la stava muovendo, il sinistro, cominciò a tremare e Ginny sentì del calore premere contro di lei dove l’avambraccio di lui la stava sfiorando.
Entrambi sapevano bene cosa ciò comportasse.

Con un fremito di rabbia che ebbe il potere di innervosirla ancora di più, Evil estrasse da una delle tasche del suo mantello nero con la mano libera un oggetto sferico di medie dimensioni.
La mano sinistra abbandonò la nuca della giovane, correndo alla sua mano, mentre la destra depositava l’oggetto in mezzo a loro due, sulla soffice coperta del letto.

Evil estrasse la bacchetta, facendo sussultare la ragazza, e la puntò sul palmo della mano della ragazza che tratteneva con la mano sinistra e poi sulla sua stessa mano.
Con orrore di Ginny dalle loro mani fuoriuscirono delle gocce scarlatte che andarono a riversarsi sull’oggetto che, dopo pochi secondi, le assorbì come una spugna.

- a breve dovrebbe schiudersi. Se non dovessi essere presente, lo lascio alle tue cure. Non spaventarti, perché non ti farà alcun male. In caso, chiedi a Nagini – spiegò freddamente.

Poi si soffermò ad osservarla nuovamente in viso, lo sguardo rannuvolato dalla voglia di disubbidire al richiamo per stare con lei.
Eppure, sapeva che non gli era possibile.
Almeno, non quel giorno.

Rubando prepotentemente un altro bacio dalle labbra frementi della giovane, si alzò dal letto, dirigendosi a passi marziali in direzione di uno dei muri della stanza da dove, pochi secondi dopo, si smaterializzò.
Ginny non osò guardarlo andare via. Ora che lui non c’era più la tensione che l’aveva oppressa si liberò, così come le lacrime represse.

Sconvolta dagli avvenimenti e dalle sue rivelazioni, Ginny pianse a lungo, con una mano ancora poggiata sull’oggetto che le aveva lasciato ed un’altra saldamente ancorata alle proprie labbra, ancora fresche del ricordo del tocco delle sue.

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Capitolo 20
*** Sopravvivenza ***


NdA:Ciauz^^
Ebbene sì. Eccomi con un nuovo capitolo, tentando di lottare con scuola, compiti e Word che collabora poco.
A questo punto l’unica soddisfazione che mi rimane è “allietarvi” col vortice nella mia testa, che comprende anche questa fic. Certe volte, avrei proprio bisogno di un bel pensatoio, altro che scherzi.

Anyway, tranquilli; nonostante il titolo questo capitolo non è così tremendo. Almeno, non tutto questo capitolo. Viaggeremo nella caverna del misfatto, andremo (udite udite) alla cara vecchia Hogwarts, serpeggeremo nel mondo di solitudine e sconforto della nostra Ginny, ci uniremo ad una cena destinata a finire bruscamente e avremo un minimo minimo contatto con un personaggio che s’è dato da fare per trovarsi la ragazza.

Prima dei ringraziamenti però, ho una richiesta.

Per il prossimo capitolo mi piacerebbe provare ad affrontare personaggi che siano consigliati da voi. Mi pare un’idea carina, visto che in questo modo, oltretutto, mi salvo io stessa (perché l’autrice non ha idea di che personaggi mettere nel prossimo capitolo NdEvil. Questo non dovevi dirlo, cattivo! T___T NdA. Sono solo coerente con il mio personaggio U_U NdEvil).
Se vi va l’idea, fatemi sapere tramite le recensioni, come al solito^^. Cercherò di accontentarvi il più possibile (anche perché non hai alternative è__é NdEvil T__T NdA).

Ringraziamenti:

X Kaylight: Benvenuta^^.
Direttamente nei preferiti^^ che bello^^ sono proprio felice^^ spero di non deluderti!
Mi auguro che questo capitolo ti piaccia. Ho aggiornato prima che ho potuto^^.
Un bacione^^

X fiubi: Ma ciauz^^.
Ringrazio i cieli che quella scena ti sia piaciuta. Ci ho lavorato su parecchio, perché pensando ai miei personaggi non ero proprio sicura di riuscire, in tale situazione, a farli reagire nel modo corretto a seconda del loro carattere. Ginny ed Evil sono così complicati @_@. E il punto è che sono IO a renderli così. Certe volte mi vorrei prendere a scarpate da sola! Per il resto, beh, sono scontenta di me stessa per il fatto di non essere riuscita a sorprenderti con il comportamento di Hermione e Leo. Uffa. Mi devo impegnare di più^^!
Buona lettura, spero che il capitolo ti soddisfi^^.
Un bacione^^.

X sweet nettle: Ben tornata^^!
Bella la vacanza? Hihi guarda che bel regalo di ritorno che ti ho fatto! Due, dico DUE capitoli. C’è di che esserne fieri! Ma a parte gli scherzi sono felicissima che la storia stia continuando a piacerti. E grazie, mille volte grazie per i complimenti. Sono proprio contenta che il 19 ti sia piaciuto a tal punto^^, perché in fondo, a modo suo, era un capitolo piuttosto importante. Però anche qui, nota dolente quella di Hermione! Sto perdendo colpi. Non va bene. No. Per niente. Fwah. Ma vedrai. Riuscirò a stenderti prima della fine di questa fic. Mwahfwah.
Ok, ricomponiamoci che è meglio U_U. anche perché mi aspetta un’altra nota dolente.
Suvvia.
Mi conosci.
Non sono geneticamente in grado di non lasciare cose in sospeso.
Non mi guardare così. Mi fai paura. Ok. Fuggo.
Un bacione^^.

X jess: Ciauz^^.
Sono davvero felice che la mia fic ti piaccia. Ecco un nuovo capitolo, spero di non deluderti!
Fammi sapere cosa ne pensi^^.
Un bacione^^.

X dady: Ciauz^^
Sono felicissima che la storia ti piaccia, sul serio, ma stai attenta a non battere la testa contro il pc^^. Mamma mia, quanto sono stupida XP. Eheh, purtroppo non posso rispondere alle tue domande ora. Dovrai continuare a seguire la storia per scoprirlo^^. Comunque, questo te lo posso dire. A mio parere Voldy Jr. è decisamente un gran bel fanciullo^^.
Buona lettura, aspetto di sentire il tuo parere su questo capitolo.
Un bacione^^.

X seven: Ciauz^^!
Questa volta non vi ho fatto attendere molto, per fortuna^^. Sono contenta che i personaggi e la loro storia, anche singola, ti convincano. Mi sto dedicando molto ad analizzarli e a vedere come reagirebbero a determinate situazioni^^.
In realtà sono anche contenta che la mia scelta di lasciare da parte le situazioni esplicite sia stata gradita. in fondo, beh, si sa^^ quello che è successo nella caverna galeotta, senza che ci sia bisogno che lo dica per filo e per segno^^. E poi, come dici tu, certe situazioni sono più intriganti se lasciate in sospeso o alla fantasia dei lettori^^. E così anche gli autori si salvano in corner, hihi^^.
Grazie per i complimenti. Spero che questo capitolo non ti deluda.
Un bacione^^.

X Kaho_chan: Ma ciauz Kahucci^^.
Ti capisco benissimo, tranquilla. Se non lo sapevi, io sono una grandissima appassionata di manga ed anime. E anche di Naruto^^, visto che compro i manga e guardo tutte le puntate. Quindi, non ti preoccupare^^.
Già, già. Il 19 è stato romanticismo allo stato puro. Me ne sono resa conto solo un paio di giorni dopo averlo scritto, figurati XD. Ma va bene così. Sennò sai che pattume una storia senza love^^.
E, sinceramente, sono così contenta della reazione positiva dei lettori ai personaggi di Pansy e Blaise, che mi sto seriamente chiedendo perché non ho incentrato fin da subito la storia su di loro XD XD XD. No, no, scherzo^^. Il personaggio principale è Ginny. Gli altri sono costruiti attorno a lei come la banca Mediolanum^^, anche se più la storia avanza, più si ritagliano spazi.
Anche tu nel periodo Dark^^? Io vado in giro in nero piena di catene al momento XP. Comunque, a parte gli scherzi, quello di Leo e Hermione è stato proprio un flop. Mi hanno seriamente delusa. Si. Esatto. Ma mwahfwah. Non avete idea. La prossima volta mi impegnerò. E non riuscirai a star seduta sulla sedia dallo sgomento. Mwahfwah. Parola di ‘myu.
Eh sì, non c’è nessun R.A.B. qui che tenga! Harry deve muoversi con le proprie gambette^^.
Spero che il capitolo ti piaccia^^.
See ya^^!

Bene. Ora vi lascio leggere in pace.
Per questo capitolo ho ascoltato “What I’ve done” dei Linkin Park, felicemente tornati ad albumeggiare^^.
Ringrazio tutti voi che leggete, e vi prego di lasciarmi un commentino^^.
Un bacione, vostra ‘myu.

Destini Intrecciati
by Lulumyu

20.“Sopravvivenza”


Il mattino seguente furono delle urla atroci a svegliarla, spaventandola e facendole perdere completamente ogni senso di contatto con la realtà per una manciata di secondi.

Quando tornò in sé e riuscì a focalizzare l’artefice di quei lamenti, gli occhi di Hermione Granger si sgranarono per molteplici motivi.

La prima cosa che realizzò fu l’identità di colui che stava emettendo quei versi, ovvero Leonard. Poi si spaventò, vedendo che era in preda a violente convulsioni, pallido come un morto e sul punto di vomitare anche la propria anima. Poi inorridì, notando che era completamente nudo (e che lei stessa era nelle medesime condizioni). Infine fu sconvolta da una rabbia immotivata nei confronti dell’uomo, non tanto per il fatto avvenuto poche ore prima, che Hermione non aveva in realtà ancora ben registrato, ma per il fatto che non l’aveva ascoltata, come al solito, ed aveva compiuto movimenti bruschi che non avevano fatto altro che peggiorare la situazione dopo aver ingerito la pozione anestetizzante.

- sei un idiota! Cosa ti avevo detto, per Merlino?! – gli gridò, correndo a coprirsi malamente con i propri vestiti ed afferrando, rossa in volto, quelli di lui per metterglieli – non dovevi fare movimenti bruschi! E poi ti domandi perché la maggiorparte delle volte ti tratto come un minorato mentale! Perché lo sei! -.

Avrebbe voluto tirargli un calcio, ma non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.

Leonard, inaspettatamente, trovò la forza di voltarsi violentemente nella sua direzione, lanciandole uno sguardo carico di risentimento.

Con un incantesimo, la strega gli infilò gli abiti guardandosi bene dal rivolgere lo sguardo dalla sua parte.
Nel furore del momento, nessuno dei due sembrò ricordare la passione che era esplosa tra loro quella stessa notte. Leonard a causa del dolore straziante, Hermione perché era troppo occupata ad insultarlo cercando di trovare una soluzione al problema prima che il compagno tirasse le cuoia.
Il nervosismo derivato dalla gravità della situazione le impediva di ragionare lucidamente.
Aveva solo voglia di prenderlo e smaterializzarsi al San Mungo, ma tutte le procedure di soccorso su tutti i libri che aveva letto in vita sua sconsigliavano di farlo. Peccato che non aveva trovato su quei libri delle alternative plausibili. O, se anche le aveva trovate, non riusciva a ricordarle.

- maledizione – borbottò, osservando con un misto di disperazione, odio e preoccupazione il compagno.

Non c’è tempo! Non c’è tempo! Continuava a ripetersi, agitandosi ogni secondo di più.

Alla fine, prese una decisione disperata.

- Leonard, ascoltami bene. Non posso aiutarti se stiamo qui. Devo portarti all’ospedale, ma per farlo dobbiamo smaterializzarci. Il problema… - fece una pausa, mordendosi le labbra, quando gli occhi agonizzanti di Leonard, che stava usando tutte le proprie forze per non urlare allo scopo di sentire quello che lei aveva da comunicargli, incontrarono i suoi - …il problema è che questo potrebbe ucciderti -.

Lo osservò lottare contro il dolore per darle una risposta. Il suo volto, il pallore mortale che lo permeava, fecero sciogliere ogni risentimento nel cuore di Hermione, la quale sentì di essere sul punto di mettersi a piangere.

- morirei… comunque… se… stessi… qui… - fu la risposta di lui, in un orribile rantolo.

Hermione gli impedì di parlare ulteriormente, poggiandogli una mano per serrargli la bocca e annuendo vigorosamente.

- cercherò di non muoverti troppo – gli disse, afferrandogli un braccio con forza, fino a conficcargli le unghie nella carne, ed estraendo dal mantello la bacchetta.

Esitò a guardarlo, disperata, prima di pronunciare l’incantesimo. Se non ce l’avesse fatta, quello sarebbe stato l’ultimo istante che avrebbe passato con Leonard.
L’enormità di quel pensiero la sconvolse profondamente. Non voleva essere l’artefice della morte di qualcun altro.
Non avrebbe potuto superare lo shock, se fosse accaduto nuovamente.

- non osare morire – gli sussurrò, piano, - non osare morire – ripeté poi, con più convinzione.

Nello sguardo straziante di Leonard, per un istante, le sembrò di scorgere una scintilla di divertita ribellione.
La bacchetta si mosse e, in uno schiocco, la caverna scomparve alla loro vista.

OoOoOoOoO

Durante quei tempi disperati, la preside provvisoria della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts avrebbe dovuto aspettarsi di tutto.
Dopo tutto avevano sempre temuto un nuovo attacco, più imponente, da parte dei Mangiamorte, fin dal giorno in cui avevano deciso, lei e gli altri professori, di tenere aperta la scuola.
Anche se l’affluenza degli allievi era misera, e diminuiva anno dopo anno, e ciò li aveva portati ad usare gli alloggi di una sola delle quattro case, anche per una maggiore protezione di studenti e personale, nessuno degli insegnanti rimasti si era pentito di quella decisione.

Loro ci sarebbero stati. Se necessario, avrebbero insegnato anche nel caso fosse rimasto un solo allievo. Sarebbero rimasti a proteggere il castello anche se quell’ultimo allievo li avesse lasciati.
Perché Hogwarts era e sarebbe rimasta sempre la loro maggiore ed unica speranza.

Quel mattino era curiosamente luminoso; il cielo era limpido e terso, nonostante fossero in pieno inverno.
Minerva McGranitt apparve alla vista del suo visitatore esattamente come egli se la ricordava. Le uniche differenze che si potevano riscontrare erano i capelli un po’ più grigi e l’espressione un po’ più grave.
Ma era lei senza ombra di dubbio, nonostante l’usuale piglio severo fosse stato momentaneamente rimpiazzato da un’espressione di stupore e sorpresa, dal momento in cui aveva messo piede in quella stanza, dopo quasi quattro anni di assenza.

Harry, seduto di fronte alla scrivania che un tempo era stata del suo mentore più caro, sentì un nodo alla gola, osservando quella stanza che era stata a lui tanto famigliare, e che non era minimamente cambiata. Perfino il trespolo di Fanny era ancora al suo posto, come se la fenice da un momento all’altro dovesse planare gentilmente su di esso, dopo essere tornata da un lungo volo.

- non posso negare che questa visita giunga del tutto inaspettata, Harry – gli stava dicendo proprio in quel momento la sua ex professoressa di trasfigurazione – sono stata molto sorpresa nel ricevere il tuo messaggio, così urgentemente -.

Harry sorrise mesto, un po’ imbarazzato, e una sua mano corse a scompigliarsi i capelli.

- mi scuso per non averla avvertita prima e di essermi praticamente precipitato qui con così poco preavviso. Purtroppo le circostanze me lo hanno impedito; dopotutto – e qui si fece serio – a parte lei, nessuno sa che mi trovo qui -.

La McGranitt annuì lentamente.

- come hai richiesto, non ho fatto parola a nessuno della tua venuta. Ma mi domando, dopo così tanto tempo, cosa ti porta di così urgente alla tua vecchia scuola – domandò, osservandolo con quegli occhi acuti che Harry, come studente, aveva sempre temuto.

- mi spiace… di non essermi fatto sentire – ma poi si fermò, chiedendosi perché avrebbe dovuto mai tenere una corrispondenza con i suoi vecchi professori e perché non stava facendo altro che scusarsi come uno scolaro disubbidiente.

La McGranitt aveva sicuramente notato il suo imbarazzo, ed il suo sguardo si raddolcì un poco. Osservò il suo ex allievo, ricordò quello che era e ammirò quello che era diventato, e, se da una parte fu invasa dall’orgoglio di essere stata una sua insegnante, dall’altra fu portata a pensare al vecchio Albus, ed a quanto sarebbe stato fiero di lui se l’avesse potuto vedere ora, e ciò la riempì di tristezza.

- non ho mai preteso che tu mantenessi i contatti con me o con altri tuoi insegnanti – gli disse, per tranquillizzarlo, - non prendere le mie parole come un’accusa nei tuoi confronti -.

Harry le mostrò un sorriso di gratitudine e, per qualche istante, tra i due regnò un silenzio leggermente imbarazzato, intervallato dai vari ticchettii degli oggetti magici presenti nella stanza e dai commenti dei vecchi presidi che, per l’occasione, erano sveglissimi e li osservavano con la massima attenzione.

- in verità – esclamò all’improvviso Harry, deciso a farla finita il più presto possibile, - sono qui per chiederle di prestarmi temporaneamente un oggetto che credo potrebbe essermi utile se dovessi incontrare… - quel nome aleggiò nella stanza anche se non fu pronunciato.

La strega osservò sorpresa il ragazzo.

- e si trova qui? Qui ad Hogwarts? – esclamò, incredula.

- sì – disse lui, ma poi, rendendosi conto che le sue parole potevano dare false speranze, decise di spiegarsi meglio.

- in realtà non so quanto realmente possa essermi utile – ammise – ma almeno moralmente… sarebbe molto utile. In fondo mi ha già aiutato una volta e… sento molte somiglianze con quell’episodio -.

- di cosa stai parlando? Qual è l’oggetto che desideri? – domandò la preside, schietta e severa come se la ricordava, dissuadendolo dal fare inutili giri di parole.

- la spada di Godric Grifondoro. La spada che mi aiutò a sconfiggere il Basilisco ed il diario di Riddle nove anni fa -.

Il silenzio che si creò, quella volta, fu teso. E pieno di aspettative.

Harry aveva pensato a quella spada già da molto tempo, ma ciò che lo aveva spinto a volerla di nuovo tra le sue mani era stato l’incontro con il vecchio negoziante a Notturn Alley e, soprattutto, l’aver ottenuto l’oggetto che tanto aveva cercato.

L’unica cosa che temeva, in quel momento, era un rifiuto da parte della McGranitt di lasciargliela avere. Perché non era sicuro che, vista l’insana pulsione che lo stava spingendo in quel momento a volerla, sarebbe riuscito ad impedirsi di rubarla da quella teca dove scintillava come in attesa, in caso di un diniego.

I lineamenti del volto della preside improvvisamente si rilassarono, ed ella si appoggiò stancamente allo schienale della propria sedia. Harry ebbe allora modo di notare veramente quanto fosse invecchiata e stanca, e quanto le mille preoccupazioni che la opprimevano le pesassero sulle spalle ricurve.
Però, quando lo guardò di nuovo negli occhi, l’espressione era tranquilla e decisa.

- non ho alcun motivo per impedirti di avere quella spada. In fondo è tua. Sei tu che la ottenesti dal Cappello Parlante. E poi, sono sicura che anche lui avrebbe voluto così – ed i suoi occhi si posarono sul soggetto del quadro che su cui entrambi non avevano osato posare lo sguardo dal momento in cui il loro colloquio era cominciato.

Harry la imitò. Nello sguardo dei limpidi occhi blu che incontrò trovò una scintilla di felicità, e molta dolcezza. Per un istante desiderò con tutto il cuore che quegli occhi fossero reali, e non solo la copia perfetta di un dipinto magico.

Stancamente, la McGranitt si sollevò in piedi, e fece cenno ad Harry di seguirla.
Si fermarono di fronte alla teca, e la preside la aprì, prendendo la spada e consegnandola nelle mani del ragazzo.
Poi si diresse verso un altro armadio, più nascosto, e ne estrasse un fodero finemente lavorato, dall’aspetto antico.

- il Cappello lo sputò fuori poco tempo dopo la fine del tuo secondo anno. È sicuramente il fodero di quella spada, come puoi vedere. Anche questo ti appartiene -.

Harry osservò il prezioso ricamo dello stemma del Grifondoro che ne ricopriva buona parte e annuì.

- grazie – disse, commosso, - ora però devo andare. Non posso fermarmi oltre -.

La preside gli appoggiò una mano sulla spalla, e annuì piano.

- qualsiasi cosa accada e se dovessi avere bisogno di un rifugio – disse, seria – ricorda che Hogwarts sarà sempre pronta ad aiutarti. Non dimenticarlo mai -.

Poco dopo, in viaggio sulla sua fedele Firebolt, Harry si domandò seriamente se mai un giorno il destino lo avrebbe riportato in quel luogo che aveva tanto amato e che per tanto tempo aveva considerato la sua casa.

OoOoOoOoO

Nonostante l’umidità che fin dalla prima mattinata aveva invaso la sua stanza circolare, l’idea di chiudere la finestra, suo unico sbocco sul mondo esterno, non aveva neanche sfiorato la mente di Ginny.
Anche perché si era svegliata da poco, dopo aver passato una notte insonne ed essersi concessa un po’ di riposo solo al sorgere delle prime luci dell’alba.

Solo ora poteva, sveglia e un po’ più fresca, ripensare lucidamente a ciò che era accaduto il giorno precedente ed analizzarlo razionalmente.
Anche se in realtà il concetto di “razionalità” entrava ben poco nel motivo che aveva spinto lei ed il Principe, sempre quello cattivo, a baciarsi. Certamente ora era consapevole che il suo obbiettivo, fin dall’inizio, era stato davvero ottenere lei. Lei come persona, con i suoi pregi e difetti e abitudini, o lei come corpo, come oggetto? Questo non lo riusciva ancora ad intuire.

La pulsione che li spingeva l’uno verso l’altra era quasi innaturale, questo poteva percepirlo anche lei. Qualcosa di artificioso. Probabilmente qualcosa di magico, e anche qui, non sapeva se nel senso positivo o negativo del termine.
Era consapevole che, stando tranquilla e buona come lui la voleva, avrebbe avuto salva la vita in quel momento ed anche dopo, indipendentemente dalla direzione che avrebbe imboccato il vento del destino. Non aveva dubbi sulla propria incolumità. Perché egli non l’aveva mai picchiata o torturata, anzi. In fondo nessuno avrebbe avuto nulla da obbiettare, in quel luogo, se lui avesse deciso di giocare un po’ con la sua prigioniera, a patto, ovviamente, che essa fosse mantenuta in vita per i piani del Signore Oscuro.

Fino a capire quello, ci poteva arrivare anche lei.

Poi non poteva affatto lamentarsi del trattamento che stava ricevendo. Essere viziata era per lei un’esperienza del tutto nuova. Non sapeva bene come comportarsi, a riguardo.

E le piaceva.

Anche in quel frangente sapeva che lasciandosi blandire dai suoi doni, era un po’ come venire corrotta. Ma si giustificava. Dopo aver appurato che il suicidio non l’avrebbe portata da nessuna parte e che avrebbe dovuto continuare a vivere in quel luogo, forse per il resto dei suoi giorni, come si poteva biasimarla di cercare di sopravvivere, anche se l’unico modo per farlo era vendersi al miglior offerente?

Tempo prima, circondata dal calore della sua famiglia, quell’idea l’avrebbe fatta rabbrividire. Ma non si era mai trovata in simile situazione, né tantomeno un altro membro della sua famiglia.
Lei tentava solo di sopravvivere con i mezzi che le erano concessi. Il rimorso… avrebbe avuto tempo per il rimorso quando l’avrebbero salvata. Ma per poter avere tempo da spendere nel rimorso, doveva prolungare il più possibile la propria vita. Con ogni mezzo.

Attaccarsi ad ogni appiglio, correre, nascondersi, vendersi… continuare ad andare avanti… sopravvivere.

Come la si poteva biasimare per questo?

Ginny non faceva altro che cercare giustificazioni, scusanti plausibili, per un atteggiamento che lei stessa rifiutava con tutta la propria coscienza, e che stava avendo.

Se mai l’avessero salvata, pensava mentre qualche lacrima solitaria e silenziosa solcava le sue guance, non avrebbe potuto più guardare in faccia nessuno dei suoi parenti. Soprattutto se lei ed il Principe avessero…

Le sue guance si tinsero di un colore acceso, e scosse con vigore la testa, scacciando da essa ogni pensiero di quel genere. l’idea di… quello… non poteva ancora accettarla; anche se, visto l’andamento delle cose, avrebbe fatto meglio a digerirla presto, se voleva davvero andare fino in fondo con il suo piano di sopravvivenza. Ed allora il piano stesso vacillava, sotto un pensiero di tali proporzioni.

Comunque, aveva ancora qualche speranza, no? Il Principe non aveva esplicitato il vero motivo per il quale lei era lì. Sì, certo, per essere sua (e qui le guance assunsero una tinta violacea), ma lo scopo, lo scopo finale della sua presenza lì, no, quello proprio non glielo aveva detto.

Non l’aveva certo rapita per farne il suo occasionale sfogo sessuale, sperava. Quello non lo avrebbe accettato. Mai e poi mai. Nonostante tutto, aveva ancora una propria dignità, che le impediva di diventare la prostituta di chicchessia.

Ginny sbuffò, accantonando i suoi pensieri e dirigendosi verso il piccolo ma confortevole bagno che comunicava con una porticina con la sua camera. All’inizio, quando aveva scoperto quella porta, così stranamente mimetizzata nel muro, aveva creduto di aver trovato l’uscita.

Fu un’amara vista, quella del bagno.

Si spogliò velocemente e si immerse nella piccola vasca da bagno, che, come ogni giorno, gli elfi le avevano fatto trovare pronta. Doveva essere imbastita di un particolare incantesimo, perché, nonostante ormai dovesse essere pomeriggio e l’acqua era rimasta stagnante fin dal mattino, essa era ancora calda e limpida.
Si insaponò velocemente e si sciacquò i capelli vermigli che, notò con indifferenza, erano diventati parecchio lunghi.

Fuoriuscita dalla vasca fu investita da un incantesimo asciugante, uscito da dove, non lo aveva ancora capito nonostante le sue numerose ispezioni del bagno, e, circondandosi con un asciugamano morbido, si diresse nella sua camera.
Quel giorno non era decisamente in vena di giocare alla principessa, quindi, dopo aver marciato verso l’armadio aprendolo, scostò con decisione gli abiti eleganti o i completi alla moda, tentando di trovare qualcosa di più normale, di più Weasley.

E finalmente trovò, infilati in un angolo ben remoto, gli abiti che aveva indossato sotto la divisa da auror il giorno in cui era stata catturata: un paio di jeans logori ed una maglietta a maniche lunghe piuttosto larga, che spesso le scivolava leggermente giù dalla spalla sinistra.

Non aveva bisogno di scarpe, in quel luogo. Nonostante il pavimento fosse di pietra e sembrasse molto freddo, era magicamente riscaldato. La sua piccola reggia in miniatura era perfetta sotto molti punti di vista, anche se in quel momento tutto ciò le diede trasmise un senso di disagio.
Si sedette a gambe incrociate sul letto dalle coperte candide, sporgendosi verso il punto in cui aveva lasciato ricadere dolcemente l’oggetto sferico che il Principe le aveva consegnato il giorno prima, e sul quale erano state riversate gocce del loro sangue.

Molto più curiosa che spaventata, Ginny cominciò a rigirarselo tra le mani, esaminandolo con attenzione. Era bianco, immacolato, e senza particolari segni che potessero farne intuire il significato. Grande quanto il palmo della sua mano, come una piccola palla di marmo.
Certo, poteva continuare ad osservarlo all’infinito, senza venirne a capo. Ma in fondo, che altro aveva da fare, nella situazione di prigionia in cui si trovava? Il tempo passava così lento…
Sbuffando, lasciò ricadere la sfera sulle coperte. Bianco su bianco.

Lei, intanto, si buttò all’indietro, stendendosi ed osservando annoiata il tetto del baldacchino che la sovrastava. Nagini. Ecco chi avrebbe voluto con sé in quel momento. Con chi avrebbe volentieri scambiato due parole.
L’aveva detto anche il Principe, no?

A breve dovrebbe schiudersi. Se non dovessi essere presente, lo lascio alle tue cure. Non spaventarti, perché non ti farà alcun male. In caso, chiedi a Nagini.

Già. A Nagini. Che alternativa aveva?

Dopo qualche secondo di contemplazione dei ricami delle tende, magicamente colorate di bianco per accostamento con le coperte, Ginny schizzò a sedere ad occhi sgranati.

Cosa vuol dire, “schiudersi”? pensò, orripilata, correndo con lo sguardo all’oggetto abbandonato sul copriletto.

Come se fosse appena stato chiamato telepaticamente, l’abitante della sfera cominciò a muoversi, tentando di liberarvisi.
Ginny si diede dell’idiota. Ma certo. Perché non ci aveva pensato prima.

Un uovo. Un uovo di chissà cosa.

Gattonandovi accanto per osservare meglio, Ginny finì per sovrastarlo con la propria figura. Ancora una volta, più curiosa che spaventata.
Quando le crepe formatesi sull’uovo lo ruppero, gli occhi della giovane si soffermarono sulla figura del rettile che, piccolo ma già grintoso, si dimenava dopo aver incontrato per la prima volta la luce del mondo.

Ginny non poté da subito distinguere di cosa si trattasse. Ma quando ciò accadde non seppe se fu più la sorpresa o la paura che la raggiunsero, quando comprese esattamente con che cosa si era trovata ad avere a che fare.

OoOoOoOoO

Lo schiocco dell’improvvisa materializzazione spaventò i due commensali del lungo ed elegante tavolo, che estrassero le bacchette e le puntarono minacciosamente contro il nuovo venuto.

- dovreste vergognarvi – sibilò quest’ultimo con voce suadente – del modo indecoroso con il quale state accogliendo alla vostra tavola un vecchio amico giunto per cena -.

- maledizione, Draco! – esclamò rabbiosa Pansy, afferrando un bicchiere e lanciandoglielo contro – vuoi farci morire di paura? Vuoi morire tu?! -.

Draco Malfoy evitò il bicchiere piegandosi all’ultimo momento di lato, ridendo mellifluo, ma allo stesso tempo tenendo d’occhio la reazione dell’altro commensale, che lo preoccupava molto di più.
Blaise si lasciò ricadere sulla sedia, appoggiandosi allo schienale con il cuore che batteva come un tamburo impazzito. In pochi attimi si era visto sfilare davanti agli occhi tutta una vita.

- non farlo mai più – sussurrò a Draco, un sussurro estremamente velenoso, che riuscì a innervosire pure sua moglie, che subito gli corse accanto.

- tutto bene? – chiese dolcemente.

Blaise le fece un cenno con la mano, riponendo la propria bacchetta, squadrando il nuovo venuto con rabbia.

- almeno non farle a cena, le tue sortite improvvise. Non dopo un’assenza prolungata a causa degli auror che ti hanno visto in casa mia – gli disse.

Lo sguardo di Draco si incupì in un modo che a Blaise non piaceva per nulla.
Il biondo si sedette con mala grazia sulla prima sedia che gli capitò a tiro.

- beh, se se ne sono andati dubito che torneranno molto presto – osservò serafico.

- ma visto che tutta la casa è in allerta sarebbe positivo evitare queste entrate sceniche, se non vuoi passare nel mondo dei più – lo aggredì Pansy, imbufalita, posizionandosi vicino a lui con le mani sui fianchi in posa combattiva.

- e a che diamine vi serve tenere la casa sotto controllo?! – commentò Draco, guardandola storta, - ormai gli auror se ne sono andati, come gentilmente mi avete fatto notare poc’anzi, e se voi siete ancora qui e non ad Azkaban, deduco che non vi abbiano potuti incolpare di nulla o, quantomeno, vi abbiano trovato innocenti come dei bambini – e qui il suo sguardo si mosse curioso dall’una all’altro ripetutamente.

Pansy contrasse leggermente la mascella, mentre Blaise ignorò del tutto il commento.
Fu proprio questa indifferenza a far nascere in lui dei sospetti. Poteva anche sbagliarsi, ma non era da Blaise ignorare le domande provocatorie. Generalmente aveva sempre una risposta pronta.

- a meno che… - e qui il suo sguardo si fece tagliente – non vi siate venduti per la libertà -.

- come osi…! – cominciò Pansy, cieca dalla rabbia, ma fu bloccata dal marito che, con una frase tanto calma quanto perentoria le chiese di cominciare ad avviarsi verso le proprie stanze.

- ti seguirò a breve – le assicurò, guardandola con decisione.

La giovane donna si sentì mancare. Blaise, pazzo, sciocco, Blaise. Non poteva avere l’intenzione di dire a Draco ciò che era successo, vero? Vero, Blaise?!
I suoi occhi tentarono di trasmettergli il messaggio, supplicandolo silenziosamente di farla restare. Ma lo sguardo del marito era un muro.

Ti chiedo solo di fidarti di me.

Pregando che quelle parole non fossero state vane, sconfitta, Pansy lasciò la stanza, sotto lo sguardo attento e stupito di Draco.

Appena fu uscita, Blaise si curò di chiudere accuratamente la porta e di tracciare un incantesimo di insonorizzazione alla stanza. Non per altro era colui tra i maghi che meglio sapeva utilizzarlo, visto tutte le volte che, fin da piccolo, era stato abituato a farlo.

- dovrei intuire qualcosa da questo tuo modo di fare? – domandò Draco a Blaise, mettendosi impercettibilmente sulla difensiva e acutizzando i propri sensi allenati per timore di un pericolo.

Il padrone di casa non tornò a sedersi. Si appoggiò al bordo del tavolo, con braccia incrociate sul petto, e fissò direttamente l’ospite negli occhi.

- se hai qualcosa da chiedere fallo ora, e non ho voglia di seguire i tuoi giochetti, ti avverto -.

L’ostilità nel tono di Blaise lo sorprese non poco. Ebbe subito la conferma che qualcosa non andava.
Accavallò le gambe, accomodandosi sulla sedia e guardandolo in modo penetrante, gelido.

- ti prego, Blaise, illuminami sul motivo per il quale gli auror erano qui, prima di tutto. Bisogna partire dal principio, no? In fondo mi sono perso tutto il divertimento standomene lontano aspettando il momento opportuno per tornare a infastidirvi – gli disse.

Lo sguardo di Blaise rimase fermo e implacabile, quando rispose.

- cercavano te, Malfoy -.

Questa, non se la aspettava. Il suo cervello si mise velocemente in moto, e le riflessioni che nacquero da quella rivelazione lo fecero balzare in piedi, avanzare a passo veloce e marziale verso l’ex compagno di Casa e prenderlo per colletto della camicia.

- mi hai venduto agli auror, Zabini? – gli soffiò, a pochi centimetri dal suo volto, con sguardo d’acciaio, - allora, Zabini? Aspetto una risposta -.

Per un attimo la furia omicida che Draco stava sprigionando sorprese e confuse Blaise. Sembrava proprio un’altra persona, quando era furioso.

- no. Non ne ho avuto bisogno. Né possibilità, se per questo. Perché credi che non ti abbia chiesto nulla dei tuoi spostamenti o dei tuoi compiti, da quando hai preso il marchio? Proprio in vista di queste evenienze -.

- ma certo. Il previdente Blaise – ritorse sarcastico il biondo, strattonando Blaise e poi lasciando andare la presa sul suo colletto.

Fece un passo indietro, ma estrasse la bacchetta e gliela puntò contro.

- perché volevano me? – chiese, sempre furioso.

- il cognome che porti è sufficiente, Draco. Per non parlare dell’episodio della morte di Silente – rispose Blaise.

Draco sputò da un lato.

- balle. Non sono mai stato imputato per quello. È Piton che alla fine si è preso tutto il merito – e sbiascicò quella parola quasi con disgusto, cosa che sorprese molto Blaise.

- ma non dicevi che ti piaceva l’idea di doverlo…? – cominciò, ma fu bruscamente interrotto.

- sono io qui che faccio le domande, Zabini – disse, alzando nuovamente la bacchetta, - cosa hai detto agli auror? -.

Blaise sembrò incerto, dopo quella domanda.

- se te lo dicessi e se venissi scoperto e non perdonato, ti trascinerei con me all’inferno. Non chiedermi ciò che sai non posso rivelarti, se vuoi salva la vita – gli disse perentorio poco dopo.

- inferno, inferno… - mormorò Draco, poi, inaspettatamente, scoppiò a ridere. Una risata priva di felicità. – parlate tutti così liberamente dell’inferno. Senza neanche immaginare cosa sia. Risparmiamela Blaise – però, altrettanto inaspettatamente, abbassò la bacchetta.

Blaise lo osservò sorpreso.

- se non mi hai venduto non ho motivo per attaccarti. Poi che gusto ci sarebbe nel perdere l’unico compagno con un po’ di sale in zucca che ho attorno – il tono che usò, però, fu tutt’altro che amichevole.

- sentiamo, cosa ti spinge a rischiare di esporti alla morte, Blaise. Perché, lasciatelo dire, se il Signore oscuro lo venisse a sapere dubito sarebbe così magnanimo come lo sono stato io – gli chiese, osservandolo duramente.

- al contrario di molti, - gli rispose pacato Blaise, ma con una punta di ribellione nella voce, - io ho qualcosa che sono pronto a proteggere a costo della vita – ed il suo sguardo si mosse verso la porta, assente.

Il silenzio che si creò durò diversi minuti. Entrambi si stavano studiando a vicenda. Entrambi sapevano che uno dei due avrebbe ceduto per primo, era una sfida silenziosa. Ma Blaise sapeva già che, almeno per quella volta, era il suo turno di perdere.

- Ginevra Molly Weasley – disse, poco dopo, sotto lo sguardo attento di Draco.

- e cosa dovrei centrare io, con lei? – domandò, guardingo, tentando di capire dove Blaise stesse puntando.

Che sapessero del loro incontro? Che quella volta nel bosco qualche Auror li avesse visti?

- tu niente. Tu c’entri con Potter – disse pazientemente Blaise, tornando ad incrociare le braccia sul petto, ma non distogliendo lo sguardo dalla porta, - visto che nessuno ti vede più, nessuno sa dove sei, ne cosa stai facendo, si chiedevano se per caso non stessi architettando qualcosa contro il tuo nemico numero uno -.

- idioti – mormorò Draco; non seppe bene se si era rivolto agli Auror che avevano azzeccato la missione affidatagli da suo padre, o ai Mangiamorte per averlo cacciato in quella situazione sgradevole a causa dell’ordine sopra citato.

- la parte che comunque al lupo interessava di più era il rapimento della Weasley. Voleva sapere tutto ciò che potevo dirgli su dove fosse e in che condizioni. Purtroppo ha beccato la persona sbagliata - Blaise sospirò profondamente – non che non ci abbia provato, a scoprire dove diavolo sia finita. Non c’è conversazione sull’argomento che non abbia ascoltato con attenzione. Ma si è come volatilizzata. Sparita dalla faccia della terra -.

- probabilmente ci ha preceduti all’inferno – mormorò Draco, tra sé e sé.

- la Weasley? – Blaise si concesse di ridere – quella ha un posto prenotato in paradiso fin dalla nascita in quella famiglia di eroi -.

- ci sono tanti tipi di inferno, Blaise – gli disse mellifluo il biondo, - che ne sai, che il paradiso non sia peggio dell’inferno stesso? Da parte mia, spero che non la ritrovino più -.

Blaise osservò l’espressione oscura di Draco. Nonostante tutto quel tempo, il suo odio per quella famiglia non doveva essere calato di un millimetro.

- ti consiglio di stare molto attento ad aprir bocca, d’ora in poi – disse Draco a Blaise, poco dopo, sollevando la bacchetta sopra la propria testa – perché non vorrei trovarmi a ricevere come prossimo ordine di sterminare la famiglia Zabini -.

- cerco solo di sopravvivere come posso, Draco. Se non per me, almeno per lei – gli rispose Blaise, guardandolo con tranquillità smaterializzarsi.

Quando Draco si trovò nelle proprie stanze, prima ancora di cominciare ad infilarsi mantello nero e maschera come di consueto, si diresse verso una parete ombrosa e, dopo aver pronunciato l’apposita parola d’ordine, entrò nell’unica stanzetta che conosceva soltanto lui, dove custodiva gelosamente il proprio pensatoio.

Sei un’idiota, Blaise. Pensò osservando i propri pensieri vorticare nella bacinella di medie dimensioni.

Chissà quante cose aveva raccontato a Lupin, che non aveva menzionato a Draco per “proteggerlo”.
Con un movimento fluido si portò la bacchetta alla tempia e, dopo pochi secondi, trasferì ogni ricordo di quell’incontro al sicuro, fuori dalla propria mente. Sopravvivere, eh?

Ma non sei poi tanto diverso da me.

OoOoOoOoO

- domani sarà la vostra prima missione come gruppo auror indipendente della nostra sezione di addestramento, mi aspetto da tutti voi il massimo dell’impegno -.

Sentì Dianne, accanto a lui, stringergli forte la mano, ed entrambi si scambiarono degli sguardi complici.
La missione, il giorno dopo l’avrebbero affrontata insieme, lui, lei e i loro amici. Avrebbero sicuramente dimostrato di essere i migliori.

Finalmente, Ron poteva sperare di ricostruirsi una vita, una vita più felice e fruttuosa di quella che si era lasciato alle spalle.

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Capitolo 21
*** Per scelte passate ***


NdA:Ciauz^^
Alla fine della scuola (danza della vittoria) torno a scrivere (danza della libertà).
Gioite, lettori^^.

Questo sarà un capitolo incentrato sui nostri tre eroi dispersi, più una piccola comparsa della nostra eroina alla fine.
Più di così, che posso dirvi^^? È un capitolo abbastanza introspettivo. Ma spero non risulti noioso!

Ringraziamenti

X jess: Ciauz^^
Sono felice che anche l’ultimo capitolo ti sia piaciuto. Purtroppo ti dovrò far aspettare ancora un pochino per vedere come si evolverà la relazione tra Ginny ed Evil. Spero che riuscirai a resistere fino ad allora^^.
Un bacio.

X fiubi: Ehilà^^.
Eccomi con un nuovo capitolo. E stavolta, incredibile ma vero, una risposta precisa ad almeno una delle tue domande l’avrai^^. Non so se ci crederai, ma è così.
Quindi vedi? La pazienza è la virtù dei forti! (si diceva così?? Boh! XD).
Baciuzzi^^.

X Kaho_chan: Ma ciauuuz^^!
Cioè, fammi capire un po’… Leo dovrebbe sopravvivere… perché piace a te? Ho ho ho ho. Questa sì che è bella! Me la devo scrivere. Hihihi quanto sono cattiva. Comunque dai^^ abbi fede. Le cose andranno per il verso giusto. Ed io non ho detto assolutamente nulla. E lascia stare il povero Hans. L’ultima volta che l’ho visto era terrorizzato che tu spuntassi fuori da qualche angolo a rapirlo di nuovo. Non me lo sciupare^^.
Per l’uovo boh. Nel senso, l’avevo deciso già da un po’ che sarebbe spuntato… ma forse un po’ di ispirazione c’è stata^^. Tanto le loro funzioni saranno diverse. Sono diverse. No? Almeno spero! Povero Garuda. Ups! Ho detto una cosa che non dovevo. Vabé. Tanto. Lo leggerai. Non importa.
Mo fuggo. Sto lasciando uscire anche troppe informazioni per i miei standard.
Un bacione^^.

X seven: Ciauz^^!
Non ti preoccupare per il ritardo^^. Ti ricordo che stai recensendo la storia della regina dei ritardi T__T.
Sono enormemente felice che la storia ti stia piacendo così tanto! Inoltre sono soddisfatta di me stessa per il fatto che non risulti noiosa, visti tutti i passaggi introspettivi dei personaggi… Sia ringraziato il cielo^^.
Le coppie ti soddisfano, eh? Mwah ha ha. Non hai ancora visto nulla. Wah ha ha. Ooh, vedrai. Oh, se vedrai XD.
Ginny e Draco, uhm? È effettivamente una coppia che adoro lo ammetto. Ma, come oramai saprai dopo l’esperienza di leggere almeno 20 capitoli di un mio scritto, ‘myu non è una scrittrice che scrive in modo lineare. Perché decide tutto all’ultimo momento XD. Quindi vedremo.
Per ora ti saluto. Spero che anche questo capitolo ti soddisfi.
Un bacione^^.

Okkeeey. Anche per questa volta è andata.
Questo capitolo l’ho scritto senza ascoltare musica, stranamente, quindi non ho musica da consigliarvi. Poco male. Sarà per la prossima.

Auguro a tutti una buona lettura e anche buone vacanze, nel caso non riuscissi a scrivere altri capitoli nelle prossime settimane.
Aspetto come sempre i vostri commenti^^.
Un bacione^^
vostra ‘myu.


Destini Intrecciati
by Lulumyu

21.“Per scelte passate”


Com’era prevedibile, la missione risultò un successo.

L’obbiettivo era scacciare un modesto gruppo di Dissennatori da una piccola cittadina magica che avevano preso sotto il loro controllo e, ovviamente, cercare di arrivare in tempo per salvare almeno una piccola parte dei maghi che ci abitavano.

Fin dall’inizio non avevano nutrito molte speranze di trovare maghi vivi ed ancora in possesso della propria anima; ma il fato era stato magnanimo, e aveva permesso loro di arrivare in tempo per salvare almeno la metà di loro, catturando oltretutto ben cinque Mangiamorte che avevano ricevuto l’ordine di rimanere in quel luogo a comando degli ex mostri di Azkaban.

Tutto sommato, Ron poteva ritenersi soddisfatto. Finalmente aveva potuto constatare con i propri occhi quanto era migliorato, e se ne rallegrava. Da solo aveva combattuto quattro Dissennatori senza gli affanni o la paura che un tempo lo catturavano al solo nominarli ed aveva catturato due dei cinque Mangiamorte con l’aiuto dei suoi nuovi compagni.

- oi Ronnie! Ci abbiamo dato dentro, eh? – esclamò ridendo soddisfatto Jason, tirandogli una pacca sulla spalla.

- bah… non hanno ancora visto nulla, quei bastardi – rispose Ron, emulando il gesto e sorridendo rilassato.

- ovviamente – annuì Jason, assumendo un’espressione marziale – devono solo provarci ad avvicinarsi o a trovarsi sulla nostra strada -.

- soprattutto la tua, Jas – gridò divertita Dianne, da poco lontano, - deve essere una strada molto terremotata, visto il tremore che hai avuto tutto questo tempo alle gambe! -.

A discapito del povero Jason, che si chiuse in un mutismo offeso, si alzarono dei risolini sommessi dai compagni. In realtà tutti loro non erano stati immuni ai timori e alle preoccupazioni che quella missione aveva scatenato. Era pur sempre stata la prima, dopo un lungo periodo di duro addestramento.

- dai, Jas… scherzava… tirati su – disse conciliante Jean, scompigliando i capelli del compagno che lo guardò con gli occhi lucidi.

- tua sorella è un’arpia – constatò.

- io avrei utilizzato il termine Acromantula, ma credo di dovermi ricredere sulla questione. Visto il terrore di Ronald per qualsiasi animale munito di otto zampe o più, dubito che avrebbe sviluppato un qualche interesse per Dianne se fosse stata tale – rispose Jean, con la sua usuale ironia pacata, ricevendo in risposta la visione della linguaccia della sorella e dello sguardo fulminante di Ron.

Illuminandosi in volto, Jason li osservò, cominciando a canticchiare mellifluo un motivetto che suonava molto come “tra rose e fior, nasce l’amor…”, ma fu nuovamente interrotto, questa volta dalla voce seria di Franz, che fece sorridere tutti costatando che in verità sarebbe stato più corretto parlare di bacchette e palestre, piuttosto che di rose e fiori.

Ignorando le bonarie prese in giro degli amici, Dianne si diresse sorridendo verso Ron, afferrandogli un braccio e appoggiandovisi contro, a dimostrare che nessuna delle loro battute sarebbe riuscita a sfiorarla.
Dal canto suo, Ron ebbe qualche problema a controllare il proprio rossore.

Insieme a tutti gli altri auror continuarono a ridere e scherzare, smorzando finalmente la tensione che aveva attanagliato tutti fino a poche ore prima.

Ron non poteva evitare di pensare come ciò accadesse di rado, quando era in compagnia dei suoi due migliori amici. Nonostante anche loro scherzassero spesso sia durante che dopo le missioni, non si era mai sentito così rilassato come in quel momento. Perché al fianco di Harry Potter non c’era il sollievo di pensare “per oggi è finita”. Perché non era mai finita. Mai.

Ron si era sentito colpevole nel formulare quel pensiero. Ma in fondo era la verità. Non incolpava il suo amico. Non era certo colpa sua.

Se c’era qualcuno da incolpare, quello era il Signore Oscuro. Solo con la sua sconfitta lui ed anche Harry, soprattutto Harry, avrebbero trovato sollievo.

Formulare quei pensieri lo fece rabbuiare, e smise di partecipare alle risa ed agli scherzi degli altri.

Chi voleva ingannare?

Neanche in quel momento la sensazione di disagio e pericolo a lui famigliare non si stava alleviando.
Neanche scherzando con i suoi nuovi amici senza la presenza di Harry, poteva trovare pace.
Era stato lui stesso a rinunciare ad essa, dieci anni prima, scegliendo di continuare a stare al fianco di Harry dopo la faccenda della Pietra Filosofale. E non se ne rammaricava.

Anche in quel momento di falso rilassamento tutti i suoi sensi erano all’erta, tutti i suoi pensieri rivolti al suo migliore amico. Se stesse bene. Dove fosse. Se fosse ancora vivo. Se ci fosse ancora una speranza per il mondo magico, e non, di liberarsi di Tu-Sai-Chi.

Erano rivolti ad Hermione. Se stesse bene. Se fosse riuscita a dimenticarlo. Se avesse trovato già qualcun altro da amare.

E poi non c’era un secondo delle sue giornate in cui non pensasse a Ginny. Era per lei che era cambiato. Era per lei che era entrato in un campo di addestramento. Era per lei che stava tentando in tutti i modi di migliorarsi. Era lei che doveva a tutti i costi ritrovare.

Con Ginny il Principe aveva portato via la luce a lui ed alla famiglia Weasley.

Ed era compito suo, di Ron Weasley, riportare la luce sulla sua legittima candela.

Dianne aveva notato subito il repentino cambiamento di umore di Ron. Lo notava sempre. Lo notavano tutti. Ma il ragazzo non aveva mai detto una parola che potesse aiutar loro a comprendere cosa lo tormentasse.

Di Ron Weasley non sapevano assolutamente nulla, al di fuori di cosa comportasse il cognome che portava.
Conoscevano la sua famiglia. Conoscevano la sua abilità, la sua lealtà ed il suo coraggio.

Ma del suo passato avevano udito solo voci indistinte da persone che come loro ne sapevano poco e niente. Voci di un’amicizia con il Bambino Sopravvissuto, voci di avventure pericolose contro il peggiore dei loro nemici, sospeso tra la vita e la morte, collegato alla prima da un filo sottile.

Nonostante non premessero sull’argomento, tutti, lei per prima, avrebbero voluto sapere. Avrebbero voluto comprendere le pene che facevano rabbuiare lo sguardo di un giovane dall’allegria contagiosa e dagli occhi luminosi.

Ma lui sembrava non accorgersi delle loro braccia tese.

E la sua porta rimaneva chiusa.

- scusa, Dianne – la voce di Ron la fece sussultare lievemente. Era talmente concentrata sui propri pensieri da aver chiuso la realtà completamente fuori dalla sua mente.

- sì? – rispose, riprendendosi, con un sorriso.

- devo fare una cosa veloce. Non ci metterò molto – e, con un gesto eloquente, districò il braccio dalla presa della ragazza e, con un sorriso forzato ed appena accennato, le voltò le spalle dirigendosi chissà dove.

Ma quella volta, non lo avrebbe lasciato andare da solo.
Pochi minuti dopo Dianne prese in disparte, in fretta e furia, Jason, Jean e Franz.

- che hai? Perché quella faccia? – le chiese il fratello, preoccupato dal repentino cambiamento di modi della sorella.

- è per quella cosa di cui abbiamo parlato – sussurrò – su Ron. Si è appena allontanato e aveva quell’espressione… e io… -.

I ragazzi si scambiarono cenni di assenso, domandando in quale direzione Ron si fosse diretto e cominciando a percorrerla di corsa, tutti e quattro insieme.
Visto che tutti loro tenevano molto a Ron e volevano aiutarlo, avevano deciso di scoprire da soli il motivo delle sue pene. Ed il modo più veloce per farlo era di sicuro tenerlo d’occhio.

Si accorsero subito che Ron si era diretto nel luogo in cui tenevano momentaneamente rinchiusi i Mangiamorte catturati, e ciò non fece altro che far aumentare la velocità della loro corsa.

La loro preoccupazione era azzeccata. Entrati nel piccolo capanno infatti trovarono un Ron furioso come mai avevano visto, intento a devastare di pugni la faccia di uno dei loro nemici, sotto gli sguardi sorpresi e timorosi degli altri.

- Ron! – gridò la ragazza, mentre Franz si precipitò a trattenere il ragazzo.

- maledetti cani! ridatemi mia sorella! Ditemi dove posso trovare quel bastardo! Maledetti! -.

Non avendo mai avuto a che fare con la furia omicida di Ron (e non avendo mai neanche sospettato che potesse averla) la soluzione che venne loro in mente fu portarlo lontano da quel luogo, prima che i loro superiori scoprissero qualcosa.

Per proteggere l’identità del ragazzo Jean formulò un incantesimo di memoria su tutti i Mangiamorte.
Ora, volenti o dolenti, erano tutti complici di Ron.

Lo trascinarono lontano, in un luogo al riparo da sguardi indiscreti, e impiegarono un po’ di tempo per calmarlo.
Lo costrinsero a sedersi e si sedettero anche loro a semicerchio attorno a lui. Dianne, seduta al suo fianco, era di sicuro la più preoccupata di tutti loro.
Quando finalmente il ragazzo diede segno di essersi calmato su di loro scese un silenzio alquanto imbarazzato.

I loro sguardi indecisi non fecero altro che irritare il giovane, poiché svilupparono in lui un lieve senso di colpa che, nella visione delle azioni che aveva compiuto poco prima, non aveva alcun motivo di sussistere.

- perché siete venuti a cercarmi? – domandò, osservandoli torvo.

- Ron… noi… noi vogliamo aiutarti! Siamo stufi di guardarti senza poter fare nulla quando sappiamo che stai soffrendo per qualcosa – sbottò Dianne, seriamente preoccupata.

La sensazione di deja-vu che lo colpì fu potente.

Hermione che parlava con Harry per convincerlo ad aprirsi con loro.
Hermione che parlava con lui poco prima della sua partenza per il campo di addestramento.
Hermione che non se ne era mai andata.
Hermione che continuava a tormentarlo.

- finiscila Hermione! – sbottò, portandosi le mani alle tempie come un pazzo, rendendosi conto solo successivamente che non era Hermione, quella che aveva di fianco.

Fu come svegliarsi all’improvviso da un brutto sogno.
L’immagine di Dianne, stupita per la reazione del ragazzo, si sovrappose al volto di Hermione.

- cosa ci fate voi qui? – chiese all’improvviso, rendendosi conto solo in quel momento che gli occhi che lo avevano guardato oltre a quelli di Dianne non erano di Harry ma di Jason, Jean e Franz.

- Ron? Tutto bene amico? – gli chiese incredulo Jason – lì dentro sembravi posseduto! Ed ora… ma si può sapere cosa ti è successo di tanto grave da renderti così instabile? -.

Instabile.

Quell’aggettivo risuonò imperioso nella mente di Ron. Ed egli fu costretto a riconoscere che il ragazzo aveva ragione. Lui, che fino a quel momento si era convinto di essere in grado di reggersi in piedi in quella situazione senza il supporto dei suoi vecchi amici, lui aveva dimostrato di essere il più debole, il più insicuro di tutti.

- Ron… - chiamò dolcemente Dianne, prendendogli una mano, - noi… noi vogliamo davvero aiutarti, se possibile. Siamo stanchi di osservarti impotenti mentre ti consumi nelle tue sofferenze -.

Ron non emise un fiato dopo quelle parole. Se avesse ceduto alla sua debolezza, al suo bisogno di avere qualcuno accanto con cui confidarsi, non sarebbe mai riuscito a diventare forte come Harry e a combattere al suo fianco.

Harry al posto suo sarebbe rimasto in silenzio. Se ne sarebbe andato. Avrebbe trovato la forza di risolvere da solo i propri problemi.

Ma io non sono Harry.

E la tentazione era troppo forte.

- vi trascinerei con me nell’occhio del ciclone – disse – non posso permetterlo -.

Quella frase era falsa. Perché la mente di Ron, la sua mente debole, sapeva già quale sarebbe stata la loro risposta.

Come la bestia che odiava di più al mondo aveva teso la sua tela sapendo che loro ci sarebbero cascati.

Si sentì, come poche volte nella sua vita, incredibilmente crudele.

Loro in quel momento si trovavano nella stessa identica posizione in cui si erano trovati lui ed Hermione dieci anni prima. Solo che questa volta, era Ron a recitare la parte di Harry. Con la differenza che Ron già sapeva come i “Ron” e la “Hermione” del presente avrebbero reagito. Ed Harry non aveva formulato una frase simile allo scopo di ingannare lui ed Hermione per il proprio tornaconto.

- oi Ronnie – rispose Jason con un sorriso – noi ci siamo già nell’occhio del ciclone, non vedi? -.

Gli altri annuirono e Dianne sorrise incoraggiante, stringendo la mano del giovane fra le sue.
Fuoriuscì un sorriso mite dalla bocca di Ron; un sorriso che nascondeva una colpa pesante da digerire.
Mormorò un grazie, prima di parlare.

- ho aggredito quel Mangiamorte perché non voleva dirmi dove hanno portato mia sorella – cominciò così.

Fu così che spalancò a degli estranei innocenti la porta del suo mondo, proprio come Dianne, in cuor suo, si era sempre augurata facesse.

Ma Dianne, così come gli altri, non aveva mai visto come Ron il Signore Oscuro ed i suoi alleati più stretti.
Non conosceva ciò che comportava l’essere chiamato il migliore amico del peggior nemico del mago più malvagio e potente di tutto il mondo magico.

Ron, nella sua cieca e egoistica sofferenza, si sentì malvagio quasi quanto lui, nel formulare un pensiero che non espose agli amici che stava trascinando nel centro del vortice.

Benvenuti all’inferno.

OoOoOoOoO

Giunto al San Mungo per farsi curare una ferita piuttosto seria, il giovane era rimasto senza fiato nel vederla, poco distante dalla camera in cui in quattro e quattr’otto lo avevano ricucito, pallida come un cadavere e seduta su una sedia, sola nella sua disperazione, con le mani sul volto.

Naturalmente aveva pensato subito al peggio.

- Hermione? -.

La giovane, sentendosi chiamare per nome, sollevò lo sguardo.

Nel ragazzo che si trovò davanti, con i capelli castani lunghi e lisci e gli occhi del medesimo colore, non riuscì a riconoscere nessun volto amico.

- mi scusi ma chi è lei? Ci conosciamo? – chiese distrattamente, con la mente occupata in ben altri, e più importanti, pensieri.

Il ragazzo sembrò interdetto. Con movimenti goffi si guardò, e poi la guardò, e si guardò nuovamente intorno. Il suo sguardo incrociò in uno specchio appeso alla parete degli occhi castani e dei capelli fin troppo ordinati.

- stavolta mi sa che ho esagerato – borbottò tra sé e sé, suscitando una curiosità più viva nella sua interlocutrice.

Prese una sedia a sua volta e le si sedette accanto.
Si guardò attorno con circospezione per qualche attimo, assicurandosi che non ci fossero orecchie troppo lunghe nei paraggi, e si avvicinò ad un orecchio della ragazza.

- ma cosa…? – scattò lei allarmata, allontanandosi subito.

Il ragazzo roteò gli occhi e poi la guardò nuovamente, indicandosi con un dito il volto.

- sono io – sussurrò – Harry -.

Hermione lo osservò sbattendo le palpebre.

E scoppiò a ridere.

Il ragazzo la osservò, allibito.

- ma… ma… - borbottò.

- ceeerto. Come no. La sai una cosa? Io sono – e qui la voce di Hermione scese ad un sussurro – Draco Malfoy -.

E scoppiò nuovamente in una risata sardonica.

- non è divertente – rispose il ragazzo, guardandola di traverso.

Portò la mano alla tasca destra dei jeans, movimento che fece scattare Hermione sull’attenti, ma al posto di tirar fuori la bacchetta estrasse un paio di occhiali.
Occhiali tondi, con i contorni neri, tenuti insieme da diversi giri di scotch. Decisamente familiari.

- lenti a contatto graduate e colorate babbane – borbottò il giovane, indicandosi gli occhi – avrei voluto cercare qualcosa di più adatto ma qui nel mondo magico non sanno nemmeno cosa siano. Ed inoltre sono solo riuscito ad imparare come modificare i miei capelli e a nascondere la cicatrice. Anche se ci metto minimo un’ora per fare il tutto. Per non parlare dello scotch. Lo so che mi avevi insegnato l’incantesimo per sistemarli, ma non ho tempo. Non me lo ricordo, ecco. Lo ho detto. Contenta? Si lo so. Sono un danno. Ma non pensi che abbia incantesimi migliori da imparare e soprattutto da eseguire che uno stupido incantesimo per ripararmi gli occhiali? E… - il flusso infinito di parole fu bloccato da una mano della giovane che gli chiuse la bocca.

- come si chiama la tua civetta? – domandò severa Hermione.

- Edvige. Ma non vedo cosa… -.

- il mio gatto? -.

- Grattastinchi, ma… -.

- durante il quinto anno quante parate ha fatto Ron nella finale? –.

- uhm -.

- allora? -.

- non lo so! Ok? Non c’ero! Non ho visto la partita -.

- attento a come rispondi. La prossima volta che sgarri sei eliminato – disse Hermione guardandolo con gli occhi ridotti a fessure – il nome del topo di Ron? -.

- Eliminato? Ma cosa… comunque Ron non ha un topo – disse confuso, ma poi, capendo dove la giovane stava andando a parare, rispose prontamente – Crosta. Già. Comunque ripeto, Ron non ha mai avuto un topo, visto e considerato che si trattava di un Animagus, non meglio noto come Peter Minus, ex migliore amico nonché traditore di mio padre e… - ma la ragazza frenò nuovamente quel flusso di parole gettandosi a peso morto contro di lui abbracciandolo tanto forte da fare concorrenza alla signora Weasley.

- oh Harry! -.

- eh già. Proprio lui – rispose il ragazzo, metà a disagio, metà divertito.

- ma dove eri finito? Sei scomparso nel nulla! Ero così preoccupata – disse, staccandosi da lui con gli occhi lucidi.

L’espressone di Harry si addolcì, e finalmente Hermione poté distinguere chiaramente i suoi lineamenti in quelli del ragazzo sconosciuto che aveva di fronte.

- avevo, o meglio, ho tuttora alcune faccende da sbrigare piuttosto importanti e pericolose. Non volevo mettervi di nuovo in mezzo ai guai, egoista come sono -.

Hermione scosse la testa.

- oh Harry! Ancora con questa storia? Lo sai che sarei pronta a tutto per aiutarti. Come sempre -.

- lo so Hermione – disse Harry, appoggiandole una mano su una spalla – ma io no. Io non sono pronto a mettervi in pericolo. Tu e Ron… avete fatto molto per me. È giusto che io faccia qualcosa anche per voi -.

Ma si fermò, notando il cambiamento che il nome di Ron aveva apportato nell’espressione della ragazza. Ed ebbe paura.

- Ron… Ron è…? – ed indicò con poca convinzione la stanza davanti al luogo in cui Hermione era seduta, rimettendosi gli occhiali in tasca al sicuro.

- no – disse lei.

Harry si sentì sollevato dalla cosa, ma anche incuriosito.

- è Leonard. Eravamo in missione… è successo… è stato molto brutto – disse, evitando lo sguardo di Harry – è da ieri che i medimaghi non lo lasciano un secondo. Mi sono beccata anche una bella lavata di capo per averlo fatto smaterializzare fin qui. Ma cosa potevo fare? – e i suoi occhi si riempirono di lacrime – stava morendo! -.

Harry, terrorizzato da ciò che aveva scatenato, si affrettò ad abbracciare goffamente l’amica, permettendole di piangere e sfogarsi quanto voleva. Ma non durò a lungo. La giovane riprese quasi subito il controllo su di sé, pur indugiando nell’abbraccio.

Harry era lì con lei. Di nuovo.
Se da un lato la felicità di quel momento rischiava di farla volare via, la disperazione di ciò che le era accaduto in quegli ultimi tempi premeva e la soffocava.
Però doveva trattenersi. Per il bene di Harry. Non poteva riversare su di lui le proprie pene, quando lui aveva problemi ancora più grossi di cui occuparsi, problemi che facevano impallidire i suoi.
Non poteva permettersi di essere egoista con il ragazzo più altruista che conosceva.

Ma Hermione sapeva che non poteva resistere, tenendo tutto dentro ancora per molto. Avrebbe taciuto riguardo l’omicidio che aveva compiuto per paura di vedere disprezzo nello sguardo di quel ragazzo la cui amicizia per lei era tanto importante. Avrebbe taciuto riguardo quel fugace momento di sfogo che aveva unito per uno scherzo del destino lei e Leonard, perché non riconosceva ancora lei stessa quell’avvenimento. Ma di Ron…

- Ron mi ha lasciata – quelle parole furono poco più di un sussurro, e le lacrime che versò in seguito furono silenziose.

- cosa?! – disse incredulo Harry.

- è stato dopo il rapimento di Ginny – singhiozzò Hermione – quando te ne sei andato… io ho tentato di offrirgli un aiuto… con il mio amore… ma lui… se ne è andato… è andato in un campo di addestramento per auror e non… non mi ha voluta con sé… e ha detto che non era posto per me e che non voleva perdermi ma… ma non sapeva che mi avrebbe perduto comunque?! -.

Harry era rimasto impietrito. Ron partito per un campo di addestramento. Ron si era allontanato come lui senza dir nulla. Ma allora… che ne era stato della loro triade invincibile?
Se ne era andato convinto di lasciare Ron ed Hermione tranquilli per un po’, ma ora scopriva che le cose, in sua assenza, erano precipitate ulteriormente.
Se da una parte avrebbe voluto cercare Ron in capo al mondo per picchiarlo e farlo tornare a calci da Hermione, che lo amava ancora nonostante tutto, dall’altra non poteva far altro che giustificarlo. Aveva lasciato Hermione per proteggerla. Il ragionamento di Ron era stato il suo stesso ragionamento.

- siete i miei migliori amici… eppure non sono riuscito ad impedire che foste trascinati con me dalla corrente di questa maledetta guerra – mormorò, con la voce instabile.

Hermione si scostò da lui, con gli occhi sgranati.

- non è certo colpa tua. Non incolparti, Harry. La scelta è stata nostra. Potevamo tirarci indietro ma non l’abbiamo fatto e… - ma fu interrotta.

- non è vero – sbottò Harry, scuotendo la testa – non è vero. Eravamo solo bambini allora. Nessuno di noi poteva sapere cosa avevamo davanti a noi -.

- anche a sedici anni? – rispose pronta Hermione.

- sì, Hermione. Anche a sedici. A tredici. A diciannove. A undici. Fin dalla prima volta che ci incontrammo sul treno. Che alternative hanno coloro che mi conoscono, se non combattere? Se non siete voi a combattere contro i miei nemici, sono i miei nemici a combattere comunque contro di voi. E questo solo perché mi conoscete! -.

Si era alzato, colto da una profonda inquietudine.

- pensa a Ginny… solo perché… l’ho amata più di altri. Solo per questo l’hanno portata via -.

Hermione scosse la testa.
Che cosa aveva scatenato per colpa del suo bisogno di sfogarsi? Vedere Harry in quelle condizioni le faceva sanguinare il cuore.

- Harry… Ron mi ha detto che sarà meno facile per noi essere presi o rintracciati se saremo separati. Ha detto che saremo meno vulnerabili. Ha detto che non è con l’amicizia che si vincono le guerre – gli disse pacata.

Harry rimase in silenzio, non rivolgendole nemmeno uno sguardo.

Hermione, sentendosi stanca come non mai, lo guardò dolcemente.

- sono solo io, dunque, a pensare che non è vero? Sono solo io ad essere convinta che è stata la nostra unione a permetterci di combattere e sopravvivere per tutti questi anni e farci vincere, in passato? -.

In quel momento la porta bianca che avevano di fronte si aprì.

- signorina Granger? Prego, può entrare – disse una medimaga, rientrando dentro poco dopo.

Hermione, nervosa per la sorte di Leonard, si alzò di scatto e si diresse verso la stanza.

Prima di entrare, però, si voltò nuovamente verso l’amico, questa volta incontrando il suo sguardo.

- vorrei solo che qualcuno possa aiutarmi a capire... non mi sembra di chiedere chissà cosa, ma forse sbaglio. Vorrei solo sapere se è giusto che i nostri destini si uniscano ancora in futuro, o no. Lo vorrei tanto. Perché io, Harry, non so più cosa credere -.

Entrò lentamente nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Quando la riaprì, neanche una mezz’ora dopo, del misterioso ragazzo castano non c’era più la minima traccia.

OoOoOoOoO

Quando aveva incontrato gli occhi del minuscolo rettile, si era sentita pietrificare dal terrore.
Sibilava, il piccolo, si contorceva come un bruco. Se non ne fosse stato privo, avrebbe di sicuro agitato febbrilmente le zampette.
Ma era un serpente. Le aveva portato un uovo di serpente.
Ma perché? A che gioco stava giocando?

Ginny osservò il piccolo serpentello a debita distanza, non sapendo cosa aspettarsi da un essere che era contenuto in quell’uovo che aveva assorbito il suo sangue e quello del Principe.
Ora si era calmato. Il giorno prima, quando era venuto alla luce, non aveva smesso un secondo di muoversi come un dannato, scatenando il panico nella ragazza.

Ma dov’era Nagini, quando aveva bisogno di lei?

Aveva paura di un’eventuale reazione del Principe, se fosse venuto a sapere che lei aveva inavvertitamente ucciso il piccolo! Ma non sapeva come comportarsi.
Forse, si era detta, la luce gli da fastidio. Lo sta accecando.
Quindi aveva chiuso le tende del baldacchino, premurandosi di lasciare accesa solo una piccola candela per permetterle di vedere.
Per un po’ si era calmato.

Ma poi, come per farle dispetto, aveva ricominciato, ancora più forte, ad emettere sibili e ad agitarsi.
Se fosse stato un cucciolo di qualsiasi specie mammifera, gli avrebbe dato del latte.
Ma i serpenti lo bevono il latte?

Fortunatamente quando era giunta all’apice della disperazione, era spuntata Nagini.
Sia lodata Nagini.
Si era occupata lei del piccolo. E Ginny si era accasciata senza forze sul letto.

- grazie – le sibilò – non avevo la minima idea di come fare per calmarlo! -.

Incontrò degli occhi gialli, che le parvero quasi divertiti.

- vorrà dire che dovrò insssegnarti parecchie cosssse prima di andarmene – le disse il serpente.

Ginny sbatté più volte le palpebre, tirandosi a sedere.

- in che senso? – domandò.

- questo è uno dei miei figli, cresssciuto essssclusssivamente per te – rispose Nagini, con un tono che Ginny riconobbe come orgoglioso.

- per me?! – esclamò la ragazza, nella propria lingua.

Nagini sembrò non capire, quindi Ginny si affrettò a riprodurre in Serpentese ciò che aveva detto. Il serpente mosse il muso come ad annuire.

- il sssuo compito è proteggere te e i tuoi dissssscendenti ovviamente. Per ordine del mio Sssignore -.

Che interesse avrebbe avuto il Signore Oscuro a proteggere i suoi discendenti? Figli di una Weasley? Ginny rimase silenziosa ad osservare Nagini occuparsi del cucciolo.
Il pensiero che le si affacciò alla mente la turbò non poco, ma preferì tacerlo. Ricacciò i suoi dubbi nel fondo del suo spirito.

- quindi me ne dovrei occupare io? – chiese, riferendosi al serpentello.

- certamente – rispose Nagini.

- ma io non mi sono mai occupata di un serpente prima d’ora! – ne voglio farlo, ma l’ultima parte preferì tenerla per sé.

Nagini le rivolse nuovamente uno sguardo acquoso.

- certo che l’hai già fatto, Ginevra. Anche sse purtroppo fu per poco tempo. Io non l’ho mai vissssto ma ho sssentito tanto parlare del Cussstode di Hogwartsss. Uno dei migliori esssemplari della sssua ssspecie -.

- ad Hogwarts? -.

Due occhi gialli si riaffacciarono alla sua memoria. Un’ombra gigantesca che la seguiva lungo i corridoi.
Aveva creduto fosse solo un incubo, all’epoca.

- il Basilisco! – esclamò, rabbrividendo.

Lo sguardo di Nagini sembrò accendersi.

- esssatto. Tutti i membri della mia ssspecie conossscono il nome di colei che ha curato e comandato il Cussstode. È per quesssto che il mio Sssignore ha decissso di affidare quesssto cucciolo alle tue cure, principessssa -.

Per qualche attimo Ginny fu troppo incredula per parlare. Ciò che lei aveva odiato del suo passato, qualcosa per la quale si era profondamente vergognata davanti alla sua famiglia ed ai pochi amici che sapevano, l’aveva fatta idolatrare da altri. Essere famosa per aver liberato quel serpente portatore di morte… era qualcosa di troppo orrendo da credere.

Ma la cosa che la sconvolgeva maggiormente era il pensiero che Nagini aveva insinuato in lei.

- quel cucciolo è… come lui? – domandò, sperando in un diniego che non venne mai.

- certo, principessssa. È un Basssilisssco creato apposta per te – rispose Nagini.

Se Voldemort si aspettava un ringraziamento, di certo non sarebbe giunto in altra forma di un Avada Kedavra.
Per quanto l’idea la disgustasse, sapeva di non avere altra scelta a parte crescere e accudire il serpente. Altrimenti avrebbe scatenato non solo le ire del Principe, ma anche quelle del Signore Oscuro e di Nagini.
Ed aveva troppa paura per osare anche solo pensarci.

- co… come si chiama? – domandò con un filo di voce, osservando quell’esserino che un giorno non molto lontano si sarebbe trasformato in un gigantesco serpente dallo sguardo fatale.

- Garuda – rispose compiaciuta Nagini.

- Garuda – ripeté Ginny, nella propria lingua.

Sarebbe stato molto difficile scordarsi quel nome, quando sarebbe stata libera. Anche più difficile che scordarsi del suo carceriere.

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Capitolo 22
*** Nuovo incontro ***


NdA: Ciauz!
Seriamente, scusatemi.
Per scrivere questo capitolo ho impiegato mesi. Subito dopo la lettura del settimo libro ho perso l’ispirazione per questa storia in modo violento. Ci ho messo un po’ a farmi tornare le idee e a ricordare che nonostante tutto potevo riuscire a rimetterci le mani sopra! Però eccomi qui finalmente. Il capitolo è abbastanza lungo; spero compenserà l’attesa. Spero di impiegare meno tempo nella stesura del prossimo e mi impegnerò in questo senso.
Orbene, in questo capitolo vedremo tante coppie! E un po’ di sana azione.

Ringraziamenti:

X Aurora: Ciauz! Ti ringrazio molto e spero mi perdonerai per l’attesa esagerata. Fammi sapere cosa ne pensi di questo capitolo! Un bacione^^.

X carolina: Ciauz! Grazie mille! e scusa per la lunga attesa. Ora l’ispirazione sembra essere tornata al proprio posto :D. Un bacione!

Buono! Spero che il capitolo vi piaccia. Mi raccomando, aspetto recensioni^^!
Sperando che il prossimo non si faccia troppo attendere vi saluto!
Un bacione dalla vostra ‘myu!

Destini Intrecciati
by Lulumyu

22.“Nuovo incontro”


- non dovresti sforzarti -.

- sono seduto a guardare la televisione, non sto facendo jogging -.

- sei vivo per miracolo -.

- sarà -.

- insomma! – sbottò Hermione, alzandosi e spegnendo la televisione – dovresti essere a letto! Sei in convalescenza! -.

- non ho bisogno di un’altra infermiera – rispose a tono Leonard, - oltretutto, Granger, se mi vuoi a letto non c’è bisogno di fare tante scene e puoi dirmelo liberamente. Anche se le mie prestazioni al momento potrebbero risultare limitate -.

Hermione, avvampando, gli lanciò contro un cuscino del divano.

- ehi! Sono in convalescenza! – esclamò ridendo lui.

Nonostante tutto la giovane non poté evitare di lasciare che le sue labbra si piegassero in un sorriso.

Era a casa di Leonard, che era stato da poco dimesso dal S. Mungo, dove aveva passato le ultime settimane. Visto che era sicura che non avrebbe rispettato le indicazioni dei medimaghi, aveva deciso di andare a trovarlo di tanto in tanto per assicurarsi che non facesse troppo il furbo.
E lui non faceva altro che deriderla.

Quando si era svegliato, al S. Mungo, dopo le cure dei medimaghi, era scoppiata a piangere sollevata. Lui l’aveva rincuorata tutto il tempo, continuando a ripeterle che se era vivo lo doveva solo a lei.
Erano andati d’accordo, nell’ospedale. Quando era uscito le cose erano tornate come prima dell’incidente. Un battibecco continuo.

- forza… ti accompagno di là che devo andare – disse, avvicinandosi a lui.

- guarda che ce la faccio da solo. Sarò anche malato, ma non paralitico – borbottò Leonard, alzandosi a fatica e dirigendosi con l’aiuto delle stampelle verso la propria camera.

Non ne aveva bisogno per camminare, ma solo per sorreggersi. Faceva ancora fatica a stare in piedi senza che gli venissero giramenti di testa.

Hermione lo seguì, attenta che non cadesse, senza però neanche accennare a sfiorarlo. L’ultima volta che aveva tentato di aiutarlo si erano messi a litigare e lei se ne era andata furiosa.
Quando si sistemò a letto lei gli rimboccò le coperte.

- grazie mamma – disse lui ghignando.

Hermione gli fece la linguaccia.

- ora vado. Non fare movimenti superflui. Non vorrei doverti riportare all’ospedale -.

Si voltò e fece per allontanarsi, quando si sentì afferrare per il maglione che indossava e si trovò seduta sul letto.

- d’accordo… nessun movimento superfluo – mormorò lui.

La baciò. Hermione si paralizzò dalla sorpresa.

Ridendo, Leonard si scostò da lei.

- Granger, suvvia. Mi è sembrato di baciare un palo della luce! So che puoi fare di meglio… - il suo tono era pericolosamente basso e si stava nuovamente avvicinando al suo volto.

I riflessi di Hermione reagirono per lei, e una mano si posiziono tra le sue labbra e quelle di lui.

- non finchè le tue prestazioni saranno limitate – disse, e, alzandosi, lasciò la stanza.

Leonard rimase a fissarla allibito.

Hermione raccattò velocemente le sue cose ed uscì dalla casa. Camminò con nonchalanche fino ad un angolo ma, appena lo ebbe girato, con un lieve grido stridulo si accucciò per terra, stringendosi la testa tra le mani e appoggiandola alle ginocchia.

- che diavolo mi è preso?! – esclamò, ripetendo nella sua mente almeno un centinaio di volte la frase che gli aveva rivolto, la quale aveva praticamente lasciato intendere che sarebbe stata disposta a ripetere ancora l’esperienza della grotta.

Sono nei guai, pensò col cuore che le batteva in gola, e ora come faccio?!

OoOoOoOoO

- Garuda! – borbottò Ginny, in preda al panico, lanciando per aria due cuscini posati sul letto.

- Garuda! – ritentò, in serpentese, chinandosi a sollevare il copriletto per vederne al di sotto.

- Per Merlino! Dove diamine si è cacciato quel mostriciattolo! – gridò al soffitto, esausta, lasciandosi cadere sulle coperte e agitando le mani per aria e tra i capelli.

Mi uccide. Mi tortura. No di sicuro prima mi tortura, poi mi uccide, mi resuscita e mi tortura di nuovo! pensò, naturalmente riferendosi al Principe.

Nella settimana che aveva seguito il loro primo incontro, Ginny e Garuda avevano avuto molto tempo libero da passare insieme. La maggiorparte del quale era stato impiegato dal piccolo Basilisco a nascondersi nei luoghi più impensati della stanza, facendolo, secondo Ginny, sicuramente apposta per farle perdere le staffe.

Il problema, quella volta, era che non lo trovava proprio. Aveva cercato e ricercato ovunque, aveva messo a soqquadro la stanza da cima a fondo e aveva svuotato completamente l’armadio, i cassetti ed i cassettini. Ma niente.

E sì che è anche cresciuto velocemente! mugolò la giovane tra sé e sé, ricordando lo shock al risveglio, ogni mattina, scoprendo quanto il piccolo si stesse allungando. Quella mattina, ovvero l’ultima volta che l’aveva visto, era lungo quasi quanto il suo avambraccio. Ricordando il bruchino lungo un dito che era, appena uscito dall’uovo, la ragazza ebbe un moto di apprensione pensando a quanto sarebbe cresciuto da lì a un mese. Di sicuro non sarebbe potuto entrare completamente in una stanza così piccola come quella in cui attualmente vivevano, a meno che il Principe non avesse già in mente un altro luogo dove depositarlo successivamente.
Ginny se lo augurava.

O io o lui! pensò, decisa, saltando nuovamente giù dal letto per riprendere la ricerca.

Una cosa era certa; doveva ritrovarlo prima che il Principe, o Nagini, si accorgessero della sua scomparsa.

Magari avesse avuto ancora la sua bacchetta! Un “Accio” e via… sarebbe stato così semplice!
Fortunatamente Nagini le aveva già fatto visita quella mattina… quindi dubitava sarebbe tornata tanto presto.
Quanto al suo carceriere, non credeva che si sarebbe presentato.

In fondo era da quando le aveva portato l’uovo che non le faceva visita. Non avrebbe avuto nessun motivo per arrivare in quel momento.

Arrossì involontariamente, ricordando fin troppo bene cosa era successo l’ultima volta che si erano parlati.
Si fermò momentaneamente, sospendendo la ricerca, ma non muovendosi da un millimetro dalla posizione in cui si trovava.

C’erano tanti abiti, sparsi per terra sotto di lei. Vestita nuovamente con quei jeans e quella maglietta che erano unico ricordo del giorno della sua cattura, le sembrava quasi di essere fuori luogo nella sua stessa stanza.
Ormai considerava definitivamente sua quella saletta circolare nella quale aveva vissuto per settimane. Forse mesi, ma non lo ricordava. Non aveva nulla che potesse farle comprendere quanto tempo era effettivamente passato dalla sua venuta.
Per assurdo, potevano anche essere passati anni.

All’improvviso la sua attenzione fu catturata da un fruscio in direzione del letto.
Completamente presa da quel rumore tese le orecchie e, muovendosi più o meno come un gatto durante la caccia, cominciò trionfante a muoversi in quella direzione.
Passo dopo passo il fruscio si faceva più deciso e lei sempre più febbrile.
Arrivata appresso al letto le sembrò per un istante di vedere un movimento dietro ad alcuni cuscini che aveva spostato poco prima con poca grazia.

Eccoti, bestiaccia pensò, quasi leccandosi le labbra dall’entusiasmo, mentre sul suo volto si dipingeva un sorriso diabolico.

Bloccare Garuda dal fuggire, aveva scoperto, era ancora più difficile che scovarlo. Era agile e sgusciava via come un’anguilla.
Ma Ginny si sentiva sicura, oh, se si sentiva sicura.
Dopo aver ripetuto per una settimana le stesse tattiche e dopo aver fallito decine di volte, ora sapeva che avrebbe potuto farcela.

Senza troppi pensieri, e talmente presa dalla sua piccola caccia da non prendere assolutamente nota del fatto di non essere più sola in quella stanza da qualche attimo, Ginny spiccò letteralmente il volo, lanciandosi a peso morto vicino ai cuscini con un urlo strozzato degno di una banshee.
La lotta che seguì fu breve ma intensa e, naturalmente, Garuda ebbe la meglio.

Convinto di poter riposare meglio sul letto e completamente ignorante del fatto che la sua padrona lo stesse cercando credendo che si fosse nascosto apposta, il giovane serpente si era accucciato sotto ai cuscini, arrotolandosi su se stesso.
L’urto improvviso e l’urlo spaventoso lo avevano scosso a tal punto da farlo sgusciare via come una saetta, convinto di essere in pericolo.
Non che avesse torto.

Ginny si trovò con la faccia premuta contro il letto e rimase immobile per qualche istante.

- Maledetta bestiaccia! – gridò, fuori di sé, riemergendo dai cuscini.

Aveva appena cominciato a estrarre dalle sue tonsille una serie di parole imparate dai suoi fratelli nei lunghi anni di convivenza, che si bloccò improvvisamente, sbiancando, quando si sentì chiamare da una voce che conosceva fin troppo bene. Divenne subito cadaverica, poi, chiedendosi da quanto tempo lui si trovasse nella stanza e quanto avesse visto.

- cos’è successo qui dentro? – disse con calma Evil, non nascondendo il suo stupore alla vista delle condizioni della stanza.

Arrossendo vistosamente ed evitando lo sguardo del nuovo venuto, lei mormorò piano:

- nulla… io e Garuda… lui voleva giocare così… stavamo giocando -.

Poteva intuire lo stupore del suo interlocutore anche se non ne poteva intravedere il volto.

Il Principe si avvicinò con calma, abbassandosi a sollevare le coperte e allungando un braccio sotto il letto.
Ginny, ancora seduta sopra ad esso con una gamba a penzoloni da un lato, rimase immobile a guardare i suoi movimenti, pietrificata dalla breve distanza che li separava.
Egli sussurrò il nome del serpente in serpentese e, ovviamente, il piccolo traditore accorse subito ad arrampicarsi sul suo braccio.
Il Principe riacquistò la posizione eretta, lasciando che il Basilisco gli si accomodasse sulle spalle.

- credo tu l’abbia spaventato – mormorò contemplativo – che gioco divertente -.

Ginny dovette mordersi le labbra per impedirsi qualsiasi commento.

- all’inizio ho sinceramente creduto che avessi ricominciato a fare i capricci, vedendo tutto questo – continuò lui, e con un movimento circolare del braccio indicò ciò che lo circondava.

- non riuscivo a trovare Garuda – ammise lei, evitando di incontrare il suo sguardo – quindi non mi restava che cercarlo ovunque -.

- capisco – mormorò, prendendo il serpentello e poggiandolo accanto a lei, sul letto.

Si era piegato in avanti, appoggiandosi contro la coperta, e i loro volti erano a breve distanza.
Nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono, Evil si era già impossessato delle sue labbra, cogliendola di sorpresa.

Il bacio non durò a lungo, ma fu comunque sufficiente a sconvolgerla.
Si allontanò da lei, aggirandosi per la stanzetta e analizzando i numerosi abiti ed oggetti coinvolti nella confusione generale.

- se ciò che possiedi non è più di tuo gradimento non esitare a riferirlo ai domestici – disse – ti porterebbero subito ciò che desideri -.

Ginny, ancora in preda alla confusione per la tranquillità con cui le stava parlando, soprattutto dopo ciò che era successo appena pochi attimi prima, scosse la testa.

- no, no. Non ho bisogno di nulla – rispose – mi andrebbero bene dei jeans ed un paio di magliette, tutto qui -.

Percepì che lo sguardo del suo carceriere era tornato ad indugiare su di lei anche senza vederlo.

- ciò mi addolora, Ginevra. Trovo che abiti eleganti ti si addicano maggiormente – mormorò, carezzevole.

- non mi diverte vestirmi come una bambolina per l’altrui divertimento – commentò prima di potersi trattenere, pentendosi immediatamente di averlo contraddetto.

Per tutta risposta lo sentì ridere ironicamente ed in pochi istanti era inginocchiato sul pavimento di fianco al letto, nuovamente accanto a lei.
Visto che Ginny si rifiutava di guardarlo portò una mano sotto al suo mento, spostandolo nella propria direzione.

- non credo mi si possa biasimare per questo. Sfido qualsiasi uomo a non volerti ricoprire di attenzioni come faccio io. Preferiresti forse essere rinchiusa in una fredda cella umida, vestita di stracci e accompagnata non dal rumore del mare ma dal rantolo di un Dissennatore? Guardami, Ginevra – le ordinò.

Ginny ubbidì, turbata dal suo improvviso discorso. La sua voce restava carezzevole, discordante con quella velata minaccia. Ritrovandosi ancora una volta a rimirare quella maschera, che le apparve ancora più terribile, rimase immobile nel momento in cui incontrò i suoi occhi gelidi ancora una volta.

- se è questo ciò che desideri, non devi far altro che dirlo e sarai accontentata – concluse lui, spostando la mano che le cingeva il mento a scostarle una ciocca di capelli dietro un orecchio, come per essere meglio ascoltato da una bambina capricciosa.

Ginny si chiese, per qualche attimo, se forse, richiedendo quel trattamento, si sarebbe salvata da quell’universo di lusinghe che pian piano la stavano attraendo al Principe come una calamita. Trattata come una normale prigioniera sarebbe rinsavita, avrebbe ritrovato la ragione, avrebbe smesso di tentare di giustificare il fatto che aveva smesso di ribellarsi al suo nemico. Oppure, le ricordò una voce insistente nella sua testa, impazziresti ancora di più a causa del Dissennatore, perdendo quel poco di lucidità che ti resta. E avendo minori probabilità di sopravvivere fino al giorno della definitiva disfatta del Signore Oscuro.

Oltretutto il proprio sesto senso le suggeriva che, anche nel momento in cui l’avesse richiesto, il suo carceriere non l’avrebbe spostata da quella stanza. Molto probabilmente stava come al solito giocando con lei.

Sono debole, pensò, scuotendo lentamente la testa in risposta al suggerimento del Principe.
Fu certa che stesse sorridendo gelido, al di sotto di quella maledetta maschera che era tornata alla sua forma originaria e gli stava coprendo nuovamente tutto il volto.

- molto bene. Mi aspetto dunque di trovarti abbigliata in modo più consono, quando tornerò – le disse, dandole un buffetto sulla guancia.

Ginny si innervosì. La stava davvero trattando come una bambina.
Lui si alzò, estraendo la bacchetta. Per qualche attimo Ginny sudò freddo, ma si rilassò subito, sentendolo mormorare un incantesimo che riportò la stanza al suo ordine iniziale.

- dove vai? Lontano? Per quanto tempo? – gli rivolse quelle domande a mitraglietta, sperando che si stesse dirigendo in un luogo molto, molto lontano e per lungo, lungo tempo.

Evil le tornò accanto.

- non credevo che le mie assenze ti preoccupassero tanto, Ginevra, e ti prometto che d’ora in avanti verrò a trovarti molto più spesso – la derise apertamente, sfiorandole una guancia con una mano e osservando il suo sguardo allarmato. Quando vide che la giovane fu sul punto di rispondergli le posò un dito sulle labbra e le mormorò:

- non devi preoccuparti per la mia salute, non andrò molto lontano. Devo svolgere un compito importante, ma non adatto alle orecchie di una bambolina – le disse.

Si aspettava di vedere le sue guance tingersi di rosso dalla rabbia, ma fu sorpreso nel vedere che era impallidita.
Si ricordò solo in quel momento di avere ancora il proprio dito appoggiato sulle sue labbra, che in quel pallore sembravano ancora più rosee, ed i suoi occhi si incupirono.

La sua maschera recedette sul suo viso per la seconda volta in quella giornata, quando si piegò verso di lei. Questa volta fu un bacio più violento, che si sentì più restio ad interrompere.
Ma ben sapeva che non poteva sottrarsi ai propri doveri. La lasciò andare, impedendosi di lanciarle anche una sola occhiata, nel timore che, se lo avesse fatto, non si sarebbe più potuto trattenere.

Ginny lo osservò scomparire dalla stanza senza realmente vederlo. Perfino nel momento in cui l’aveva baciata ancora, non aveva avuto reazioni.

La sua mente era ancora concentrata sulle parole che le aveva rivolto poco prima;

Devo svolgere un compito importante, ma non adatto alle orecchie di una bambolina, aveva detto.

Forse aveva voluto divertirsi a prenderla in giro, ma quelle parole l’avevano terrorizzata più di una minaccia di morte.
Si lasciò ricadere sul letto, raggomitolandosi in una palla, non riuscendo a smettere di tremare.

Fu a malapena conscia del fatto che Garuda le si era arrampicato addosso, scivolando nel piccolo spazio rimasto tra le sue braccia e le gambe e arrotolandosi tranquillo, appoggiato contro il suo ventre.

Se era qualcosa di cui non poteva parlarle, riguardava il Signore Oscuro. E con molta probabilità, se egli aveva mandato il Principe stesso a svolgere quel compito, riguardava qualcosa di importante. Probabilmente perfino un omicidio.
Pensò ai propri cari, pregando che stessero bene.

Ma soprattutto si chiese come si sarebbe comportata con il Principe quando lo avrebbe rivisto, conscia come non mai del fatto che quelle stesse mani che tante volte l’avevano sfiorata avevano impugnato una bacchetta che aveva ucciso e che quelle stesse labbra che l’avevano baciata avevano pronunciato l’Anatema Mortale.

OoOoOoOoO

Ron lanciò uno sguardo fuggevole al cielo cupo.

- pioverà – constatò, contrariato.

Dianne, al suo fianco, lo osservò divertita.

- previsioni del tempo in tempo reale – commentò.

- e chi ha bisogno di guardare la tv? – le fece eco il fratello Jean, tirando una pacca su una spalla di Ron.

Il rosso sorrise brevemente.

- non era esattamente la mia ambizione primaria quella di presentare il meteo – disse, - mi stavo riferendo a ben altro -.

- stai tranquillo… oggi sarà una giornata tranquilla – tentò di rassicurarlo Dianne, dolcemente.

- per lo meno qui – gli disse Jason, camminando piano verso di loro. Aveva da poco finito il giro di ricognizione e aveva sentito i loro discorsi da poco lontano, - hanno già attaccato questo posto. Non vedo perché dovrebbero tornarci -.

Si trovavano appena fuori dalla vecchia fortezza del Signore Oscuro, nello stesso luogo dove tempo prima lui, Harry ed Hermione avevano incontrato faccia a faccia il Principe Oscuro e si erano scontrati vittoriosi con il gruppo di Mangiamorte al suo seguito. Da quel giorno gli Auror tenevano costantemente d’occhio il castello, soprattutto per cercare altri oggetti o altri motivi per i quali il Principe sarebbe potuto tornare proprio lì.

Ron non era stato molto contento di essere assegnato proprio a quel compito, quella settimana.
Era un luogo che non gli riportava alla mente ricordi molto piacevoli.
In fondo era cominciato tutto da lì.

- a proposito di Mangiamorte, dovevano essere proprio di cattivo umore. Avete visto come hanno scardinato la porta d’ingresso? Mai visto niente di simile – commentò Dianne, - oh, come vorrei ci fosse anche Franz qui! È lui l’esperto di incantesimi… di sicuro avrebbe potuto identificarlo! – si lamentò poi, ricordando il compagno a cui era stato assegnato un altro compito.

Ron sentì una sensazione soffocante al petto e sorrise amaro, lanciando un breve sguardo alla porta finita in pezzi davanti alla sua precedente ubicazione.

- non credo che Franz possa conoscere questo incantesimo – mormorò.

Jason, sedendosi poco distante, lo guardò curioso.

- come mai? Sai bene che non c’è incantesimo che Franz non conosca almeno per sentito dire -.

Ron scosse la testa.

- questo incantesimo… è stato inventato da qualcuno che conosco. Nessun altro lo sa – rise, tentando di dissimulare ciò che provava.

- Potter? – domandò ad occhi sgranati Jean.

- no. Hermione – disse. Gli costò uno sforzo non indifferente pronunciare quel nome.

- è proprio un genio, non c’è che dire. Però non credo mi piacerebbe averci a che fare – commentò impressionato Jason.

- come mai? – domandò curiosa Dianne.

- è troppo faticoso stare accanto a qualcuno che ha sempre costantemente ragione – rispose, poi scoppiò a ridere – non mi stupisco che Ronnie sia fuggito a gambe levate appena ne ha avuto la possibilità -.

- Jason! – lo rimproverò Dianne, - sai bene perché Ron è venuto nella nostra sezione di Auror. Non mi sembra il caso di scherzarci su -.

Jason guardò colpevole Ron.

- scusa Ronnie. Non volevo fare del sarcasmo su… beh – lasciò la frase in sospeso, imbarazzato.

Ron sorrise appena.

- guarda che hai ragione – il nodo nel petto si strinse tanto da fargli male mentre cominciò a ridere – non ne potevo più di Hermione. È colpa sua se me ne sono andato -.

- Ron… - Dianne lo guardò tristemente.

Non guardarmi così. Non guardarmi come avrebbe fatto lei.

I suoi amici avevano ascoltato ogni sillaba del suo racconto con il fiato sospeso. L’incontro con il Principe, il rapimento di Ginny, la partenza di Harry… e ancor prima i suoi anni ad Hogwarts, gli scontri con Voldemort, le perdite…
Come aveva immaginato, erano rimasti scioccati dall’apprendere come, a soli undici anni, lui ed i suoi amici si erano trovati faccia a faccia con tali difficoltà. Faccia a faccia col loro peggior nemico.

Ovviamente non sapevano nulla del suo rapporto con Hermione, o dei segreti che riguardavano Harry nel profondo.
Non aveva mai avuto l’intenzione di raccontare ad altri le faccende private del suo migliore amico, e i suoi compagni avevano avuto la presenza di spirito di non fargli ulteriori domande ed accontentarsi del racconto lacunoso che lui aveva loro presentato.

Certo, come immaginava, i loro rapporti, perlomeno riguardo il modo in cui ora lo trattavano, erano molto cambiati.
Se prima erano un gruppo in cui ognuno era leader di se stesso, ora tutti loro tendevano a sentire la sua opinione prima di agire. Forse era perché lui aveva più “esperienza” riguardo il Signore Oscuro e le sue tattiche, o forse per rispetto del suo coinvolgimento in prima persona nella faccenda. Non lo sapeva, neanche lo aveva chiesto.

Era proprio come aveva immaginato che le cose sarebbero andate. Era lui l’Harry Potter del gruppo, ora. Jason, Jean e Franz erano i Ron, i Neville, i Dean… e Dianne si stava comportando proprio come Hermione si era sempre comportata con Harry, solo che lei sembrava avere nei suoi riguardi un coinvolgimento sentimentale che Harry da Hermione non aveva mai avuto.

Tornò a guardare il cielo, simulando una risata.

- tranquilla, Dianne. Non mi offendo mica – le disse.

Dianne sospirò contrariata. Capiva bene come Ron fosse sensibile ai discorsi sui suoi amici e su sua sorella, anche se lui sembrava credere il contrario. Poteva vedere come i suoi muscoli si contraessero ogni volta che l’argomento veniva portato a galla.
Ma lui continuava a dire che andava tutto bene. Ed era ovvio che mentiva.
Eppure si tratteneva sempre dal dirglielo. Troppe cose, sospettava, Ron non aveva voluto raccontare. Per entrare completamente nel suo mondo, nel suo cuore, per aiutarlo davvero, avrebbe dovuto aspettare. Un giorno la sua pazienza sarebbe stata ripagata, ne era certa.

Vedendo Ron rannuvolarsi nuovamente, decise di agire per smuoverlo un po’.

- Ron andiamo dai, tocca a noi fare il giro – disse con un sorriso, alzandosi, prendendogli un braccio, e tirandolo giocosamente per farlo alzare in piedi.

Lui ridendo si alzò e lei, tenendolo per mano, cominciò ad incamminarsi.

- ehi voi! Non nascondetevi nei cespugli mi raccomando! Non si sa quali bestiacce vivano qui – li derise Jason.

Ron, avvampando, gli rivolse un gesto non proprio carino, facendo ridere la ragazza.

Camminavano a fatica, spesso rimanendo intrappolati nelle piante del sottobosco, e parlavano e ridevano in modo spensierato. Quando era solo con lei aveva la testa libera da angosce. Proprio per questo Dianne gli piaceva molto.
Si fermarono in una piccola radura e si sedettero nuovamente l’uno accanto all’altra.
Lei gli sorrise dolcemente, un po’ imbarazzata. Quando Ron si sporse in avanti però non esitò a lasciare che le loro labbra si incontrassero e si accoccolò contro di lui, felice.

Rimase in quella posizione anche quando il bacio terminò, serena.

- va meglio ora? – mormorò dolce, - prima sembravi così teso -.

Ron sorrise lievemente. Dianne sapeva sempre quando lui era nervoso o alterato. Come lo notasse era un mistero.

- sì, grazie. Sono più rilassato – rispose.

- devi smetterla di fare finta di nulla e dire chiaramente a Jason di smetterla di fare commenti sul tuo passato, visto che t infastidiscono – lo rimproverò leggermente.

Ron sorrise, stringendola a sé.

- ma Jason non mi infastidisce affatto – disse, e sapeva che per una volta stava dicendo la verità, - sono i ricordi che mi infastidiscono -.

Rimasero in silenzio. In quel bosco anche i fruscii del vento tra le foglie risultavano sinistri.

- Ron… non vorrei sembrare inopportuna, ma… - cominciò lei, incerta.

- chiedi quello che vuoi – la rassicurò lui, dandole un bacio sulla nuca – ma non ti assicuro una risposta – rise.

Dianne rise, tirandogli una gomitata. Poi tornò incerta, e disse:

- posso capire come tu possa reagire male ogni volta che si parla di tua sorella – e sentì nuovamente la tensione catturare il suo ragazzo, ma scelse di continuare, - ma non capisco perché hai la stessa reazione anche quando si parla dei tuoi amici… voglio dire… dovete aver litigato fortemente per esservi separati in questo modo così… - e tacque.

Il nodo gli si strinse nuovamente.

- io ed Hermione abbiamo litigato, questo sì. Ma solo perché avrebbe voluto seguirmi al campo di addestramento. Con Harry… forse sarebbe stato meglio litigare – rispose.

- perché scusa? Non è una buona cosa non aver litigato affatto? – domandò lei.

- no. Perché Harry ed io non ci siamo più visti dopo che Ginny… è scomparso. Se ne è andato senza dire nulla. Non credevo che mi considerasse inaffidabile al punto da tacermi i suoi propositi – disse nervosamente.

Era la prima volta che esprimeva ad alta voce quei pensieri.

- avrà avuto i suoi buoni motivi… - cominciò lei, ma Ron lo interruppe bruscamente.

- ma certo, come no. Qui in fondo stiamo parlando del grande Harry Potter. Avrà avuto senz’altro ottimi motivi per lasciare i suoi migliori amici senza dire nulla -.

Cadde un silenzio più teso.
Dianne lo guardò di sottecchi.

- non dire così – mormorò – scusa, è colpa mia per aver tirato fuori questo discorso -.

Ron sospirò.

- no, no. Scusami tu – disse lui – è solo che avrei voluto… ma del resto non ero neanche nelle condizioni adatte – disse.

- eri sconvolto per quello che era successo. Non fartene una colpa – lo rincuorò lei.

- vorrei sapere dov’è ora. Vorrei parlargli. Capire perché non mi ha detto nulla e se ne è andato da solo. Abbiamo sempre fatto tutto insieme, noi tre. Ho detto ad Hermione… che lo ha fatto perché ha capito che insieme non possiamo fare nulla e siamo troppo vulnerabili e rintracciabili. Vorrei che non fosse vero –.

Dianne, che fino a quel momento era rimasta con la schiena appoggiata al suo petto, si voltò e lo abbracciò.

- un giorno vi ritroverete sullo stesso campo di battaglia, vedrai. E allora tu sarai pronto a sostenerli e noi ti aiuteremo – gli disse.

Ron la strinse contro di sé, pieno di gratitudine. E di sensi di colpa.

- non avrei dovuto trascinarvi in questo modo in faccende che non vi riguardano – le disse.

Dianne si scostò per poterlo guardare in faccia. Gli accarezzò una guancia.

- se avessi tenuto tutto dentro di te avresti finito per soffrire al punto di impazzire – sorrise – ora puoi parlare liberamente con qualcuno del peso che ti trascini dentro. Non trovi sia tutto più luminoso, ora che sai di non essere solo a ergerti sul campo di battaglia, ma siamo in cinque? -.

In risposta Ron la baciò nuovamente, profondamente grato della sua presenza.
Ma dei rumori forti provenienti da dove si trovava l’entrata del castello li distolsero da quei dolci momenti passati insieme.
Allarmati si separarono l’uno dall’altra ed in tutta fretta cominciarono a dirigersi verso il luogo dove avevano lasciato i loro compagni.

- cosa sta succedendo?! – chiese senza fiato Dianne.

- non lo so, ma tieni sotto mano la bacchetta – le consigliò subito Ron.

Quando arrivarono in prossimità della radura antistante all’entrata videro lo svolgimento di una battaglia in piena regola tra i loro compagni e dei Mangiamorte.
Altri Auror si stavano materializzando, segno che l’allarme era già stato dato.

- Jean… Jason – mormorò Dianne, scrutando febbrilmente le figure che si lanciavano incantesimi.

Poi riconobbe la figura del fratello, poco distante dal luogo in cui li avevano lasciati in precedenza.

- Ron! – chiamò, indicandolo.

- ho visto! – esclamò lui, prendendola per mano e trascinandola di corsa in mezzo alla battaglia.

Protesse lei e se stesso un paio di volte da incantesimi vaganti lanciati dai combattenti e si diresse verso Jean.
Questi lo vide e, quando lo raggiunsero, esclamò:

- per fortuna siete arrivati! Avevo paura che vi avessero attaccati -.

- cosa sta succedendo? – domandò Ron, lasciando la mano di Dianne ma continuando a tenere d’occhio anche gli incantesimi che potevano volare verso di lei.

- stiamo combattendo, non vedi? – giunse la voce di Jason, che, poco lontano, mise faticosamente fuori combattimento un avversario.

- non mi sembra il momento di scherzare – lo rimproverò Jean, - Ron, sono comparsi all’improvviso e noi abbiamo dato l’allarme. Ma non sappiamo perché siano qui – gli spiegò.

- chi è al comando? – domandò il ragazzo, lanciando un incantesimo in direzione di un Mangiamorte poco lontano.

- non ne ho idea! C’è troppa confusione – rispose Jean. Fu quasi colpito da uno schiantesimo, e Dianne urlò spaventata.

- allora dobbiamo… - cominciò Ron, ma si bloccò improvvisamente.

Un’ombra nera era passata attraverso l’arcata d’entrata del castello. Per un attimo sentì il proprio corpo diventare gelido, ma poi una vampata di calore gli scoppiò nel petto e, quasi ringhiando, il giovane cominciò a correre verso quel luogo.

Gli altri tre, sbigottiti, tentarono di chiamarlo. Si convinsero a seguirlo, per paura che gli accadesse qualcosa di male.
Ron corse e corse, il respiro gli usciva violentemente dai polmoni. La rabbia lo stava dominando completamente, e non aveva in mente altro se non lui.
Raggiunse quella sala nella quale già una volta aveva combattuto, in prossimità di quella porticina nascosta dietro uno degli arazzi sgualciti.

Lui era là. Stava tentando di entrare. Qualche angolo della sua mente ricordò a Ron che la porta era stata sigillata per evitare a chiunque di potervi entrare, senza conoscere una parola d’ordine.
Si fermò, puntandogli la bacchetta contro.
Finalmente erano di nuovo faccia a faccia.

- dov’è mia sorella? – ringhiò.

La figura ammantata si voltò. La maschera brillò sinistra.

- al sicuro – rispose sardonico Evil, osservando attentamente il rosso.

Aveva sentito che qualcuno lo stava seguendo, ma se ne era curato poco. Forse avrebbe dovuto prestarci più attenzione. Non aveva tempo di giocare. Soprattutto con un elemento fastidioso come uno dei fratelli di Ginevra.
Oltretutto il migliore amico di Potter.

- dimmi dov’è e forse ti ucciderò senza farti provare dolore – ripeté Ron, avanzando di un passo.

Evil rimase immobile.

- non avvicinarti oltre – il suo tono era gelido – non vorrei dover portare a Ginevra la notizia della tua morte -.

Ron si fermò, sempre più furioso, ma solo perché udì delle voci che lo chiamavano.
Gridò di non avvicinarsi, ma fu tutto inutile. Jason, Jean e Dianne entrarono nella stanza; quando notarono l’identità della quinta persona nella stanza subito gli puntarono le bacchette contro.

- Ron che cosa stai facendo?! – gridò Dianne, sudando freddo.

- vi avevo detto di non venire – gridò lui, furente.

Rimasero sconvolti dal tono di Ron. Non li stava neppure guardando: tutta la sua attenzione era rivolta al Principe.

- è dura, vero, Weasley? Quando i sottoposti disubbidiscono – la voce di Evil era ironica.

Ron lo vide studiare con lo sguardo i suoi compagni.

- non sono miei sottoposti. Sono miei amici. E non ti azzardare a guardarli. Concentrati su di me, se vuoi sperare di salvarti in qualche modo – lo minacciò.

- amici, certo… - commentò Evil, - mi è giunta alle orecchie la notizia che Potter se ne è andato per conto suo. Finalmente. Ma non credevo che anche tu avresti potuto recidere così facilmente i vostri legami… - poi il suo tono si fece più cupo e derisorio – quando saprà di essere stato rimpiazzato… mio fratello ne soffrirà… e mi ringrazierà quando saprà che fine hanno fatto il suo amico traditore e i suoi degni compari -.

- parla quanto vuoi. Non riuscirai a far loro nulla – disse Ron.

- Ron! Ti prego smettila! – era Dianne, prossima alle lacrime per la tensione.

Quando lo sguardo di Evil si posò sul suo sentì un’ondata di terrore avvolgerla.

- pessima scelta, Weasley – commentò gelido lui, - l’altra era più coraggiosa, anche se Mezzosangue. E questa invece? – disse.

Ron comprese che si stava riferendo ad Hermione.

- sto perdendo la pazienza. Dimmi dov’è Ginny con le buone o… - cominciò.

- o mi schianterai? La paura mi immobilizza. Io dico, Weasley, che non hai ancora imparato la lezione. Forse dovrei portare con me qualcun altro oltre a Ginevra… potrebbe aiutarti a comprendere – e il suo sguardo tornò provocatoriamente a soffermarsi sulla ragazza presente, che Jean subito portò dietro di sé.

Lui e Jason stavano osservando la scena incapaci di reagire. Era la prima volta che avevano a che fare con qualcuno di così famoso e malvagio. Non avevano idea di come muoversi.

Nel momento in cui Evil concluse la sua velata minaccia Ron lanciò un potente incantesimo che lui scartò abilmente.
Cominciarono a duellare in piena regola, scambiandosi frecciate violente di magia colorata.
Ben presto anche il Principe cominciò a sentire quanto il giovane Weasley fosse migliorato. Certo, non al punto da impensierirlo.
O almeno era quello che credeva.

I colpi di Ron non perdevano di precisione ed intensità e, anche se spesso era messo in seria difficoltà dagli attacchi di Evil, non accennava a cedere.

I tre spettatori rimasero immobili a guardarli combattere. Ma improvvisamente dalle scale giunse un piccolo drappello di altri Mangiamorte, accorsi per sostenere il loro signore.
Riprendendosi dallo shock i tre cominciarono a duellare con quelli, tenendo comunque sott’occhio Ron ed il suo avversario.

La situazione era stabile. Nessuno dei due riusciva a colpire l’altro ed entrambi cominciavano a stancarsi di quel combattimento. Gli incantesimi si fecero più veloci, i movimenti più arditi.
Con la coda dell’occhio Ron intanto controllava i suoi compagni. Era furioso. Se non lo avessero seguito, non avrebbe dovuto preoccuparsi anche per la loro salute, non potendo concentrarsi contro il suo avversario.
Sapeva che era un pensiero crudele, ma in quel momento il proprio raziocinio era unicamente concentrato sul fare del male al proprio nemico.

Quando però udì l’urlo di Dianne, schiantata da un Mangiamorte, fu per un istante distratto e il Principe riuscì a colpirlo.
Ron colpì violentemente la parete della stanza con la schiena e tossì sangue.
Ma si rialzò subito, tornando a combattere con più foga di prima.

Nel frattempo Jean, proteggendo la sorella priva di sensi, continuava a combattere al fianco di Jason. Erano rimasti solo due Mangiamorte, ma non sembravano voler mollare.

- dobbiamo andare via di qui… Dianne maledizione… - esclamò Jean preoccupato per la sorella.

- Ron! Dianne è ferita! Ron! Muoviti dobbiamo andarcene! – gridò Jason, irritato, verso l’amico che sembrava essersi del tutto dimenticato di loro.

Ma Ron aveva ben sentito. Andare significava rinunciare a sapere dove sua sorella era stata portata.
Durante gli ultimi istanti era stato più volte ferito di striscio e lo stesso era accaduto al suo nemico, che aveva il mantello nero tagliato in più punti.

Le urla incalzanti di Jason lo costrinsero a lasciare andare sua sorella ancora una volta.
Ma lui non se ne sarebbe andato illeso.

Aveva appreso incantesimi molto potenti grazie a Franz, che li conosceva tutti almeno per sentito dire.
Puntò la bacchetta dritta contro il nemico, e da questa fuoriuscì al suo comando un raggio argentato che lo colpì ad un fianco. Il tessuto del mantello si polverizzò e sulla pelle si aprì un taglio vistoso dal quale cominciò a riversarsi il sangue.
Evil strinse gli occhi per il dolore, soffocando un ringhio. Lui e Ron rimasero qualche istante immobili guardarsi in cagnesco.

- Ron! – gridò ancora una volta Jason, e il ragazzo si voltò. Evil si afferrò il braccio sinistro. I due Mangiamorte si fermarono e sussultarono per il dolore. Poi, quando videro il loro signore smaterializzarsi, lo seguirono a ruota.

Ron si inginocchiò di fianco ai compagni, solo per essere colpito da un pugno di Jason.
Guardò esterrefatto l’amico.

- questo è per averci fatto preoccupare e per esserti dimenticato completamente di noi – ringhiò, - ora andiamo, purtroppo non c’è tempo per le chiacchiere. Ma questa, Ronald Weasley, non te la farò passare liscia -.

Jean li guardò sorridendo leggermente. Sapeva che Jason non era arrabbiato sul serio; ma molte cose avrebbero necessitato un chiarimento nel loro gruppo. Stringendo Dianne contro di sé si smaterializzò, seguito da Jason.

Ron rimase ancora qualche istante a fissare allibito il luogo in cui era stato Jason. Poi il suo sguardo si posò su quella stanza spoglia, pieno di rimpianti e rabbia.
Infine si smaterializzò.

OoOoOoOoO

Si chiese perché al posto di dirigersi in infermeria o nelle sue stanze si era diretto proprio lì, quando si accasciò privo di sensi sul pavimento con il grido spaventato di Ginevra nelle orecchie.

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Capitolo 23
*** Emozioni e misteri ***


NdA: Ciauz!
Eccomi tornata con un nuovo fiammante capitolo. Che dire, spero sia di vostro gradimento! Si concentra su due coppie in particolare della nostra storia; i loro rapporti sembrano progredire. Sarà così?

Ringraziamenti:

X jess: Ciauz! Grazie per aver continuato a seguire la storia nonostante la lunga attesa. È una scelta coraggiosa la tua ;P. grazie per i complimenti. spero che anche questo capitolo ti piaccia.
Un bacione^^.

X fiubi: Ciauz^^! Ancora scusa per la terribile attesa dello scorso capitolo. Sono felice che nonostante tutto continuerai a seguire la storia^^. Un po’ di sorprese in questo capitolo ci saranno, quindi… buona lettura^^!
Un bacione!

X GiO91: Ciauz^^! Grazie per i complimenti. sono felice che la storia ti piaccia e felicissima che continuerai a seguirla nonostante le terribili attese XD. La maschera, eh? Eh eh. Aspetta e vedrai^^.
Un bacione!

Perfetto. Anche per questa volta ci siamo.
Grazie a tutti voi che aspettate pazientemente i miei capitoli e li leggete altrettanto pazientemente. Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. I commenti sono sempre ben accetti!
Approfitto di questo spazio se no mi dimentico. Non so se lo avete già adocchiato, ma sulla mia pagina autore di EFP ho aggiunto un prospetto delle mie storie che aggiorno regolarmente in cui sono elencate informazioni extra riguardo ad esse, come, ad esempio, il periodo della pubblicazione dei prossimi capitoli (che modifico se non riesco a rispettare la scadenza, quindi siete automaticamente avvertiti), i capitoli mancanti ecc.
Bene, ho detto tutto.
Alla prossima!
Vostra ‘myu.

Destini Intrecciati
by Lulumyu

23."Emozioni e misteri"


Leonard si scostò da lei, lentamente, ancora con il fiatone.
Hermione non poté fare a meno di ammirare il suo petto liscio, dai muscoli ben scolpiti, alzarsi ed abbassarsi ritmicamente.

L’avevano fatto. Di nuovo.

Imbarazzata afferrò i lembi delle lenzuola e se le tirò fin sotto al mento. Il movimento non sfuggì all’altro auror, che, divertito, la spinse verso di sé, praticamente costringendola ad appoggiare la testa contro il proprio corpo.

- come… com’è che siamo arrivati a questo punto? – domandò, con voce appena udibile, la ragazza.

Leo rise.

- intendi in senso fisico o spirituale? – la canzonò.

Hermione gli tirò una gomitata che lo fece ridere nuovamente.

- rispondi – disse, ringraziando la penombra della stanza che stava coprendo il proprio rossore.

- mi stavi dando la medicina. Aveva un sapore disgustoso. Avevo bisogno di qualcosa che la addolcisse un po’. Così ti ho baciata. E poi con mia somma gioia la natura ha fatto il suo corso – disse.

Hermione rimase silenziosa per qualche istante.

- è la seconda volta questa settimana! – esclamò, completamente vinta dall’imbarazzo, immergendo il volto tra le lenzuola e tentando di rifugiarvisi sotto.

- e la terza questo mese. Direi, Granger, che la nostra relazione sta facendo progressi – esclamò contemplativo, incrociando le braccia dietro la propria testa.

Hermione emerse leggermente dal suo rifugio di cotone.

- non chiamarmi Granger – borbottò, con voce titubante.

Lo sguardo malizioso di Leo incontrò quello di lei.

- come dovrei chiamarti allora? – chiese, con un tono di voce tentatore che le fece venire i brividi.

- con il mio nome. Come, altrimenti? Suppongo… - si fermò per qualche istante, il volto in combustione, - suppongo che stiamo insieme, no? Non voglio che il mio… il mio ragazzo mi chiami per cognome – borbottò.

Lo sguardo di lui non era mutato ed era rimasto silenzioso.
In preda al nervosismo chiese insicura:

- allora? Siamo insieme o cosa? -.

Fu decisamente sollevata quando lo vide sorridere genuinamente.

- suppongo di sì, Hermione – disse.

Quando allungò una mano per sfiorarle il viso lei non si ritrasse. Il tocco gentile di Leo la fece sorridere. Ma non sorrise più quando lui scivolò al suo fianco sotto le coperte e riprese a baciarla appassionatamente, come poco prima.

Com’era cominciata la loro relazione? In quella caverna? Prima?

Dentro di sé non aveva problemi ad ammettere che stare con Leo non le dispiaceva affatto. Si sentiva sempre un po’ imbarazzata però a dirlo ad alta voce.
Si sentiva fortunata ad essere stata salvata dalla depressione da un ragazzo come lui.
Il suo ragazzo.

Si scostò da Leo, che tentò invano di riacchiapparla, e, afferrando una delle coperte superiori per coprirsi alla meglio, si allontanò dal letto.

- dove vai? – borbottò lui, decisamente contrariato, - vieni qui -.

Aveva teso da sotto le coperte le braccia verso di lei in un gesto buffo che la fece ridere.

- vado a fare la doccia – esclamò.

Rapidamente si diresse in bagno e chiuse la porta alle sue spalle.
Vi si appoggiò contro, scivolando al suolo, e lasciò le lacrime scorrere liberamente sul suo viso.
Perché, perché si sentiva così in colpa?

Non stava facendo nulla di sbagliato. Si era solo trovata un nuovo ragazzo. Lo facevano tutte. Perché lei no? Una cosa così naturale. Perché indugiare nel passato? Non era meglio andare avanti? Certo che lo era. Certo.
Non c’era bisogno di pensare al passato.

Non poteva permettersi di pensare a Ron mentre baciava un altro ragazzo.

OoOoOoOoO

Ginny era seduta a gambe incrociate sul fondo del suo letto. Il vento proveniente dalla finestra aperta era piuttosto freddo, ma non sembrava percepirlo.
Tutta la sua attenzione era rivolta al suo ospite, il quale occupava il suo letto e per due giorni non aveva dato cenni di volersi svegliare.

Il grido con il quale aveva accolto la sua apparizione improvvisa era rimbombato contro le pareti della stanza.
E poi si era accasciato a terra. Ed era rimasto immobile.

Avrebbe potuto ucciderlo, se avesse voluto. Era questo il pensiero che l’assillava. C’era stato almeno un secondo dal momento in cui egli era apparso a quello in cui lei si era gettata a soccorrerlo in cui aveva pensato di lasciarlo morire, o meglio, ucciderlo con le sue stesse mani.
Ma non era capace di uccidere qualcuno a sangue freddo, oltretutto qualcuno ferito. Non avrebbe più potuto guardarsi allo specchio se avesse fatto una cosa simile.

Ma era il suo nemico. L’avrebbero acclamata come un’eroina se lo avesse ucciso. Anche se probabilmente non sarebbe vissuta abbastanza a lungo per sperimentare quella gloria improvvisa.
Quanto ci sarebbe voluto prima che Voldemort venisse a saperlo? Ben poco. E sarebbe stata uccisa tra mille tormenti.
Dunque era per paura delle ripercussioni, che non l’aveva ucciso?
No. Neanche per quello.

Debito magico, rossa.

Ecco perché. Perché lui le aveva salvato la vita una volta. E lei aveva salvato la vita a lui.
Beh, in realtà lei non aveva fatto nulla. Non appena si era inginocchiata al suo fianco era spuntata Nagini, praticamente dal nulla, e poi erano comparsi una decina di elfi domestici che avevano depositato il corpo sul suo letto e per alcune ore lo avevano circondato. Erano stati loro a guarirlo, probabilmente sotto ordine del Signore Oscuro.
L’ordine che lei aveva ricevuto, mentre si era seduta – o meglio, accasciata – in un cantuccio della stanza, era stato di tenerlo d’occhio ed occuparsi di lui mentre gli elfi non c’erano.

Nagini le aveva fatto capire chiaramente che in quel momento la camera di Ginny era il luogo più sicuro in cui il Principe poteva riprendersi. E anche che quello era un ordine del Signore Oscuro in persona per lei, al quale lei, per il bene della propria sopravvivenza, non intendeva disubbidire.
Gli elfi se ne erano andati da poco. Si erano occupati del loro padrone con molta attenzione, ma anche con molta fretta. Si vedeva che avevano paura di lui.

E lei era lì ad osservare il figlio del serpente, che dormiva.

Era la prima volta che lo vedeva senza mantello e cappuccio. Aveva un fisico longilineo, anche se scolpito da chissà quanti duri addestramenti. Dopotutto il suo maestro era stato quasi sicuramente suo padre. Che pacchia.
Ginny rabbrividì tra sé e sé. Ricacciò indietro i sentimenti di pietà che erano sorti in lei al pensiero di avere un padre del genere. era praticamente impossibile che amasse suo figlio.

Voldemort amava solo sé stesso; lei lo sapeva più di chiunque altro. Lei che una volta l’aveva inconsapevolmente adorato con tutte le sue forze.

Osservò nuovamente il suo ‘paziente’. Sembrava quasi morto. Le porzioni di pelle che la maschera non nascondeva erano diafane, di un pallido innaturale. I capelli biondi erano sparsi sul cuscino disordinatamente. Si chiese se erano davvero di quel colore oppure erano frutto di un incantesimo di disillusione incorporato alla maschera particolare che portava. Del resto suo padre non avrebbe mai voluto far trapelare la sua vera identità.

Per la prima volta si rese conto della situazione in cui si trovavano. Se solo lo avesse voluto, se solo avesse trovato il coraggio, avrebbe potuto allungare una mano e togliergli la maschera.
Peccato che era terrorizzata dall’idea di farlo.

A cosa le sarebbe servito vedere il suo volto? Era poco probabile che lo conoscesse già. Praticamente impossibile.
Il signore oscuro lo aveva sicuramente tenuto ben nascosto fino a quel momento, nonostante fosse scomparso e fosse creduto morto. Doveva aver in qualche modo mantenuto i contatti con chiunque avesse cresciuto il Principe.
Probabilmente un Mangiamorte.

Un principe lo sembrava proprio. La versione maschile e mascherata di Biancaneve o della bella addormentata nel bosco. Niente nani né bosco, in realtà. Solo elfi e la stanza più remota della torre più alta.
Ginny si tirò una pacca sulla fronte, scuotendo la testa.

Non è una battuta divertente, cretina. Finiscila si disse.

Lo guardò nuovamente, di sottecchi. Aveva quasi paura di svegliarlo solo guardandolo. Non voleva si svegliasse.
Era tutto così calmo, ora che lui dormiva. Certo, il terrore di avercelo in stanza era sempre presente, però se non altro era certa che in quei pochi giorni le battaglie si fossero fermate.
Cioè, non ne era certa. Lo sperava.

Dovresti essere tu a rimanere rinchiuso qui dentro, pensò, non io. Così non combatteresti contro coloro che amo.

La luce proveniente dall’esterno era fredda. Illuminava la sua maschera d’argento e d’oro di riflessi. Il Marchio fatto di pietre preziose riluceva sinistro.

Un secondo dopo lo stava sfiorando con un dito. Si sorprese del suo gesto audace. I piccoli smeraldi erano affilati sotto il suo tocco incerto. Quando sfiorò la superficie della maschera la sentì gelida. Si chiese se fosse la stessa sensazione che provava lui indossandola, o più semplicemente se il suo calore corporeo non fosse sufficiente a renderla tiepida.

Chi può averti fatto questo? Si domandò, ed i suoi occhi corsero ad intuire sotto le coperte il fianco ferito del Principe.

Era stato Harry? Ginny si sorprese nel non provare nessuna emozione a seguito di quel pensiero. Non era felice che qualcuno avesse ferito il Principe. Il suo cervello si era inceppato. Non c’erano dubbi.
Con il dito percorse quasi ogni centimetro della maschera che gli copriva tutto il volto. Come faceva con Garuda, quando si arrotolava contro di lei durante la notte.

Alzò lo sguardo sul non più tanto piccolo Basilisco. Dormiva anche lui, di fianco al padrone, dall’altra parte del letto rispetto a dove era seduta lei. Ormai era lungo quanto lei era alta ed il suo corpo stava cominciando ad ingrossarsi in modo vistoso. Aveva già subito la prima muta. Si era presa un colpo nel trovarsi in grembo una pelle vuota un giorno, appena svegliata.

Quando riportò la propria attenzione sul Principe si accorse che gli stava sfiorando i capelli.
Ritrasse subito la mano, stringendosela al petto. Quel comportamento era troppo famigliare. Era consapevole che non avrebbe mai osato farlo se lui fosse stato sveglio. Si sentiva come una bambina incerta se infilare le mani nel vasetto di marmellata oppure no.

Si sentì un po’ come una gazza, attratta dai riflessi dei materiali preziosi della sua maschera.
Era improbabile… che si svegliasse…

Il gesto fu piuttosto meccanico, seppur repentino. Sapeva che se non l’avesse fatto in quel momento non lo avrebbe fatto più. E poi avrebbe fatto velocemente. Solo una sbirciatina.
Si pentì immediatamente di ciò che aveva deciso di fare.

Quando la sua mano stava ormai per afferrare la maschera con l’intento di sfilargliela dal volto, gli occhi del Principe si spalancarono e Ginny si sentì afferrare per il collo da una stretta ferrea.
Annaspò, spaventata.

Si rese subito conto che egli non era in sé. Non le avrebbe mai fatto del male volontariamente.
Quel pensiero la colpì con la violenza di una frusta. Da quando aveva acquisito questa consapevolezza?
Da quando, si rese conto con una calma innaturale, viste le circostanze, aveva smesso di temerlo?

Gli afferrò il polso, tentando di sottrarsi alla presa. Fu quando gli infilò le unghie nella carne che i suoi occhi grigi la guardarono per davvero ed egli, proprio come Ginny aveva previsto, mollò la presa istantaneamente.

- Ginevra – disse, con un tono di voce innaturale, che quasi poteva dirsi sconvolto.

Lei tossì, portandosi le mani al collo. Il rumore svegliò Garuda, il quale subito si inarcò, pronto ad attaccare qualsiasi nemico avesse osato avvicinarsi ai suoi padroni.
Con un gesto Evil lo tranquillizzò. Tese una mano verso il serpente e questi vi si strusciò brevemente contro come un gatto, per poi scivolare verso la sua padrona e, dopo essersi strusciato contro una delle sue gambe scese dal letto, presumibilmente rifugiandosi sotto ad esso per continuare il riposo interrotto.

Nel frattempo gli altri due occupanti della stanza erano silenziosi, l’una tentando di controllare il proprio respiro e l’altro sistemandosi seduto.

Ginny maledì gli elfi domestici per non avergli fatto indossare almeno una canottiera (anche se dubitava che il Principe ne possedesse). Era a torso nudo e la carnagione cinerea quasi si confondeva con il candore delle bende che gli circondavano la ferita.

Lo osservò mentre se la tastava, sicuramente trattenendo gemiti di dolore. Come faceva a rimanere impassibile nonostante dovesse fargli piuttosto male?

Perché me ne preoccupo? Si domandò quando ormai il suo respiro si era normalizzato.

- cosa stavi facendo…? – si sentì colta sul fatto. Con un’occhiata si sincerò che non la stesse guardando e per fortuna era così.

- controllavo se eri morto – era una scusa così perfetta che si complimentò con la sua prontezza d’animo.

Lo sentì ridere. La sua solita risata ironica di circostanza, più che di divertimento.

- pare di no – disse.

- sarà per la prossima volta – si pentì, questa volta, di ciò che aveva detto. Non sapeva fino a quanto le era permesso scherzare con lui. E non sapeva se per lui quello fosse stato un insulto, più che uno scherzo.

I suoi occhi scattarono dalla ferita a lei. Subito Ginny voltò lo sguardo da un’altra parte.
Curiosamente, egli sembrò aver lasciato correre la sua frase impudente.

- cosa mi è successo? – domandò infatti, con voce tranquilla.

- questo dovresti dirmelo tu – mormorò lei dopo qualche secondo di tentennamento, evitando il suo sguardo, - sei comparso qui all’improvviso, con una ferita profonda. Mi hai spaventata. Gli elfi… e Nagini… loro si sono occupati di te. Io non ho fatto nulla. Ti ho solo tenuto d’occhio -.

- capisco – disse.

Continuò ad osservarla. Ginny cominciò a sentirsi nervosa.

- chi devo ringraziare? – sbottò, lanciando uno sguardo fuggevole alle bende.

- tuo fratello – rispose lui. Il tono che usò la spaventò.

- chi?! – gemette, incontrando finalmente lo sguardo freddo del Principe.

- non è necessario che tu lo sappia – le disse.

Ginny stava trattenendo le lacrime a stento.

- chi è stato? chi? chi? – urlò, gettandosi contro di lui.

Sembrava avere ancora parecchia forza nel proprio corpo, perché le afferrò le braccia e la trattenne a poca distanza da sé.

- silenzio! -.

Ginny si zittì, spaventata. Aveva parlato in serpentese. Il sibilo era stato violento come una frustata.
Ci volle qualche minuto perché la presa di lui si rilassasse e lei smettesse di tremare come una foglia. Era un tono strano, quello che usò per parlarle dopo. Sembrava quasi ferito, ma al contempo esprimeva un tormento che sembrava gli stesse consumando le viscere.

- Ginevra… dimenticali – le intimò, - loro non sono nulla. Devi dimenticarli. Non hanno più nulla a che vedere con te ne devono averne -.

- cosa…? – tentò di dire, ma egli la prevenne.

- per questa volta sarò clemente. Si tratta del compare di Potter – disse.

Ron! Pensò Ginny. Non sapeva se esserne felice o devastata.

Passò la propria domanda muta al principe, con uno sguardo piuttosto eloquente.

- vive. Ma solo per una fortuita circostanza – disse Evil. Il suo tono era irritato.

Ginny ringraziò silenziosamente il cielo.
Non voleva farlo nuovamente arrabbiare. Così decise, per proteggere la propria incolumità, di mormorargli un ‘grazie’ per averle comunicato la notizia.
Stava per distogliere lo sguardo ma egli la prevenne tenendole in mento sollevato con una mano.

- non nominarli più – le disse, ed il suo tono era di inflessibile comando, - se li nomini è perché stai pensando a loro. Ed io non posso sopportare che i tuoi pensieri siano dedicati ad altri al di fuori di me – ora si guardavano negli occhi; in quelli del Principe c’era un sentimento che anche lei aveva provato in passato.

Gelosia.

Ma Ginny non aveva mai osservato nessuno con sguardo tanto possessivo.

Turbata, non appena egli le lasciò il mento, Ginny abbassò lo sguardo sulle coperte.
Fu inquieta durante il silenzio che seguì. Egli non si era mosso di un millimetro. Le teneva ancora stretto un braccio con una mano, anche se non fortemente.
Quando egli riprese a parlare la sorprese. Gemette, vergognandosi subito dopo della propria reazione. Ma le parole di lui non migliorarono certo la situazione.

- dunque ti dispiace che io non sia morto – aveva usato il tono di chi commenta il tempo, riallacciandosi ad una conversazione che Ginny aveva creduto a torto conclusa.

Non sapendo bene cosa dire preferì rimanere in silenzio.

- sembrerebbe che io non riesca a far altro che procurarti dispiaceri – disse.

Ginny mantenne il suo mutismo.
Forse aveva interpretato il suo silenzio come un affronto. O più semplicemente gli piaceva che lei reagisse a qualsiasi cosa le dicesse.

- cosa dovrei fare per avere una reazione da parte tua? – il suo tono rimase casuale, - uccidere un membro della tua famiglia? -.

Ginny alzò lo sguardo, gli occhi sgranati.

- con chi dovrei cominciare secondo te? – domandò.

Ebbe ciò che voleva. Le gote di Ginny si infiammarono, così come il suo sguardo.

- non osare… o io… -.

- o cosa, Ginevra? – la interruppe subito, canzonatorio, - mi uccidi? -.

Seppe allora cosa gli stava passando per la mente. Tentò di allontanarsi da lui. Ma in risposta lui la trasse verso di sé. I loro visi erano a pochi centimetri di distanza. Poteva quasi percepire il gelo che la maschera ancora irradiava e che poco prima aveva tastato con le proprie dita. Abbassò lo sguardo e la testa con esso, agitata.

- perché non mi hai ucciso? – la domanda che aveva tormentato anche lei era fuoriuscita con una facilità disarmante dalle labbra di lui, in forma di un sibilo oscuro che la fece tremare.

Scosse la testa ripetutamente senza osare guardarlo.

- potevi farlo… ero ferito… debole… inoffensivo… - continuò, ignorando i movimenti convulsi della ragazza, - certo avresti avuto qualche problema a fuggire… ma avresti potuto rubarmi la bacchetta… era lì… sul tavolino… eppure non te ne sei nemmeno accorta -.

Stava tentando di implicare qualcosa? Ginny non voleva ascoltarlo.

- avresti potuto fuggire – ripeté – ma non ci hai neppure pensato. Perché, Ginevra? -.

Un lieve rumore metallico le disse che la sua maschera si era accorciata. Sapeva cosa stava per accadere, eppure, anche in quel momento, non stava facendo altro che scuotere la testa, senza neanche provare a fuggire.

- perché non hai nemmeno tentato di uccidermi? – ripeté nuovamente egli sulle labbra della giovane, in un lieve sibilo, bloccandole il viso con una mano.

Quando la baciò ogni eventuale resistenza di Ginny crollò. Non se ne accorse neanche, ma mentre le proprie mani cadevano inerti sulle coperte ed il suo corpo si rilassava completamente in quell’impetuosa stretta il serpente che egli le aveva tatuato sul polso si dissolse completamente.

Ora sì. Ora sapeva perché non lo aveva ucciso.

OoOoOoOoO

Hermione era uscita dal bagno dopo neanche troppo tempo. I capelli ancora umidi le scivolavano lungo la schiena e si era rimessa gli abiti con cui era arrivata, perfettamente puliti grazie ad utili incantesimi domestici.
Andò in cucina e tornò stringendo una tazza tra le mani. Era impressionante come la sua presenza in quella casa a lui non sembrasse assolutamente strana.

- ancora quella maledettissima brodaglia? – domandò, facendo una smorfia.

Lei rise. Gli piaceva vederla ridere.

- smettila – disse, sedendosi sul bordo del letto ed allungandogli la tazza.

- lo sai vero cosa ti aspetta se io bevo questa schifezza? – le chiese malizioso, prendendo l’oggetto tra le mani.

Emanava un dolce tepore, accompagnato da un odore disgustoso.

- non ho tempo. Devo tornare al quartier generale – disse perentoria lei, adocchiandolo con giocosa severità.

- allora non bevo – esclamò lui con tono petulante.

- vorrà dire che per, uhm… diciamo… una settimana? Non mi farò vedere – disse lei.

Leo sgranò gli occhi.

- ma questo è uno sporco ricatto! – esclamò, scandalizzato.

Hermione gli fece la linguaccia.

- non credere che non sia capace anche io di certi espedienti. Ti ricordo con chi ero a scuola. Sai quante volte a costringere Harry ad applicarsi! E Ron poi… -.

Si interruppe di colpo. Abbassò la testa e tacque.

Da qualche parte dentro di lui Leo sentì una belva ruggire. Era consapevole del fatto che lei pensasse ancora a Weasley. Prima la cosa non gli dava granché fastidio. Ma, a quanto pareva, stava cominciando a diventare geloso di Hermione. Più probabilmente si era stancato di vedere il suo volto rattristarsi pensando a quello. Se lo avesse avuto davanti in quel momento gli avrebbe spaccato la faccia.

Queste emozioni violente erano nuove per lui. Non aveva mai provato un desiderio così forte di proteggere una persona.
Era confuso. Ma le accettava. Negare l’evidenza, la sua infatuazione per lei, era ridicolo.
Mentre sorseggiava l’intruglio a poco a poco per tentare di diluirne il sapore la vide allungarsi sotto il letto. Recuperò la borsa che si era portata dietro e ne estrasse un blocchetto. Poi si diresse alla finestra della camera e la spalancò.

- che fai? – domandò Leo, curioso.

- appunto sulla mia agenda alcune cose – rispose.

- cosa? -.

La vide roteare gli occhi.

- al momento la quantità di medicina che ti ho somministrato – disse.

- te l’hanno detto i medimaghi? -.

Lei annuì, cominciando a scribacchiare sul blocchetto. Doveva essere senz’altro magico. Di tanto in tanto spuntavano bigliettini che sembravano navigare nelle pagine precedenti e qualche parola lampeggiava.
In cucina suonò qualcosa e la ragazza dopo aver chiuso il blocchetto vi si precipitò. Tornò poco dopo stringendo un’altra tazza.

- non un altro intruglio spero – domandò lui, sulla difensiva.

Hermione rise.

- oh, sì. Un intruglio mortale. È camomilla, scemo – disse – per farti rilassare un po’ e riposare meglio -.

Era la prima volte che qualcuno lo chiamava scemo con quel tono di voce così dolce. Se non se ne fosse dovuta andare probabilmente le sarebbe saltato addosso di nuovo.

- devi proprio andare? – chiese.

In risposta la ragazza sorrise e raccattò tutte le sue cose. Fece per uscire, ma poi, come in un secondo pensiero, corse verso di lui e lo baciò lievemente.
Poi se ne andò, lasciandolo solo e incredulo con la tazza di camomilla ancora piena in mano.
Sorridendo tra sé e sé cominciò a sorseggiarla. Sarebbe andato avanti se all’improvviso non avesse udito lo schiocco di una materializzazione. Gettando la tazza da un lato impugnò la bacchetta e la puntò sul nuovo venuto.

- sono io, calmati – disse questi.

Leo lo osservò in allerta. Poi abbassò lentamente la bacchetta.

- Darius – disse, - sei impazzito? Vuoi farti ammazzare per caso? -.

Il ragazzo appena comparso nella stanza aveva corti capelli castani e gli occhi del medesimo colore. Aveva segni di vecchie cicatrici sulle guance ed indossava la divisa da auror.

- sinceramente credevo di essere al sicuro, visto le condizioni in cui ti saresti dovuto trovare – rispose, - ma vedo che sei guarito in fretta. Suppongo sia merito di chi ha appena lasciato questo appartamento -.

Leo rimase a guardarlo in silenzio.
L’auror chiamato Darius roteò gli occhi.

- e va bene, va bene. Giungerò subito al punto – disse, contrariato, - il ministro desiderava accertarsi delle tue condizioni… e delle tue intenzioni –.

Leo strinse gli occhi.

- le mie intenzioni non sono mutate. Di’ al ministro che mi sto rimettendo perfettamente. Però, se vuole che d’ora in avanti sia più produttivo, non dovrebbe più assegnarmi missioni difficili. E questo vale anche per la mia partner – disse.

- Potter non è più al Quartier Generale. Mi chiedo perché… - cominciò l’altro, ma Leonard lo interruppe.

- Potter non è un mio problema -.

- oh, e la sua migliore amica sì invece? – riprese Darius, freddamente.

I pugni di Leonard si strinsero sulle lenzuola.
Darius emise un profondo sospiro, poi afferrò il bordo della sedia rimasta accanto al letto e vi si sedette.

- ascolta, Ed… - ma fu interrotto bruscamente.

- Leonard -.

Ci fu qualche attimo di silenzio prima che l’auror riprendesse.

- Leonard – disse, pronunciando lentamente quel nome, - quando gattonavamo già ti conoscevo meglio di chiunque altro. Ma ora non riesco proprio a capire cosa ti passa per la testa -.

Il silenzio imperterrito dell’altro lo spinse a continuare.

- non era l’occasione che avevi sempre aspettato? Cosa è cambiato? – chiese.

- non è cambiato assolutamente nulla, Darius – disse Leonard, deciso, - il piano è sempre lo stesso. Ho dovuto solo modificarlo un po’, a seguito degli ultimi eventi -.

- intendi il rapimento della Weasley? -.

Leonard annuì con la testa.

- fin qui posso anche comprenderti. Ma la Granger? Cosa c’entra la Granger? – domandò Darius, ironico.

Un sorrisetto sarcastico increspò le labbra di Leonard.

- non hai capito proprio nulla, amico mio – esclamò, - comunque, non è nei miei piani renderti partecipe di ciò che ho in mente -.

Darius si rialzò, con calma. Il suo amico non era proprio cambiato di una virgola in tutti quegli anni.

- come vuoi. Ma ricorda che non è a me che dovrai renderne conto, alla fine -.

Si smaterializzò con la stessa velocità con la quale era comparso, lasciando Leonard nuovamente solo nella sua stanza. Con un sospiro puntò lo sguardo fuori dalla finestra. Il cielo era cupo.

Hermione si scostò dalla parete della cucina. Tra le mani stringeva il blocchetto che le aveva dimenticato in cucina, poco tempo prima, e che era tornata a prendere.

Approfittando del fatto che Leo si era coricato sotto le coperte e che nessuno dei due sembrava averla notata, uscì dall’appartamento e correndo via, riuscendo a malapena a ragionare, ancora in preda allo shock.

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