Ritorno di LubyLover (/viewuser.php?uid=16397)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 07 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 08 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 09 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 01 ***
Titolo della storia: Ritorno - Capitolo 01 Fandom: ER Medici in prima linea Personaggio principale: Luka Kovac Pairing: Luka Kovac/Abby Lockhart Rating: Giallo Set In Time: Stagione 13: è nato Joe da poco, Luka ed Abby non sono ancora sposati, Ames non è accaduto. Note: Long fic; What If?; Luka's POV; angst (molta angst) Allora, questa storia ha una "gemella": Attesa, una fiction che parte dallo stesso punto ma raccontata dal punto di vista di Abby. Non è indispensabile leggere le due storie per capire; si capisce tutto benissimo anche leggendone una sola soltanto (ma io vi voglio più bene se le affrontate tutte e due...) Disclaimer: Mr Kovac e miss Lockhart non sono miei. Nemmeno dopo tutto questo tempo. Soldi? Zero, naturalmente.
1. Vukovar passa leggera davanti ai suoi occhi. Vukovar. E basta. Vukovar, nei suoi occhi stanchi, nei suoi ricordi, Vukovar. *** “Devo partire” Lo aveva guardato, confusa. “Devo, capisci?” No, non capiva. Cos’era cambiato in lui? Cosa aveva fatto scattare il meccanismo che fino a quel momento era stato immobile? “Ma…” Un dito sulle labbra, lo sguardo affranto di un uomo davanti al destino. “Ti prego, non farlo. Devo” *** Sobbalzi leggeri nella strada, stomaco che va su e giù. Non è solo la strada, non solo. È Vukovar, e tutto quello che significa. La sua città, la loro città, il ricordo immobile del passato, il ricordo immobile di quando loro erano suoi, il ricordo immobile di lei. Lei e per sempre. Per sempre, per sempre, era una promessa. Chiude gli occhi, non vuole vedere, ma vede lo stesso. *** “Ti amo” Sorriso, guance rosse, imbarazzate. “Verrai con me?” “In capo al mondo” *** E Vukovar era in capo al mondo. E lei, e loro e il resto. In capo al mondo, per sempre. Lei la promessa l’aveva mantenuta. Altra buca nella strada, ricordo doloroso di quello che era successo dopo. Case diroccate, tetti rovinati, un cane, ai bordi della strada, guarda con occhi sconsolati il pullman che passa. I loro occhi, per un attimo, si incontrano, e uomo e cane, per un attimo, sono sulle stessa lunghezza d’onda. Il cane capisce, quegli occhi la sanno lunga. *** “Quando tornerai?” Guarda in basso, cercando nelle piastrelle bianche ed anonime e sporche una risposta che non c’è, una risposta che non sa dare. “Tornerai, vero?” Alza lo sguardo. L’abbraccia. Come riesca ad amarla così, nonostante tutto resta un mistero. “Luka…”, il suo nome sulle sue labbra sa di lacrime e dolore. Lui trema. “Ti amo” La bacia, imprimendo nella sua mente il ricordo delle sue labbra, il suo odore, la sua pelle, lei. E gli occhi, anche loro, sì, lui li vuole portare con sé. E lo sa, quello sguardo accusatore e ferito lo seguirà fin laggiù, in capo al mondo, ma è giusto così. Promesse, promesse, un’altra spezzata. Si abbassa, solleva la sua valigia, le accarezza una guancia, si volta e si costringe ad allontanarsi. *** Il tramonto. Sole basso ed arancione, la luce diretta nei suoi occhi sfumati di verde. Sospiro. E Vukovar, sempre lì fuori. Una città viva, che lo perseguita. Vukovar. Tempo passato, decisioni prese. *** “Vukovar? Ma è lontana da qui” “Dici sempre che tua madre ti fa disperare…”, sorriso. Occhi che si incrociano, comprensione. In capo al mondo, era la promessa. Le prende la mano, sente le sue dita allacciarsi alle sue. I suoi occhi azzurri brillano, vivi e eterni. “Quando partiamo?” *** Ed ora, ora non è più una questione di partenze, è una questione di arrivi. Vukovar sembra sorridergli, sorniona. Vukovar lo sta aspettando. Luka sente la nausea salirgli in gola. Non sa se è pronto. Sarà una guerra, l’ultima, ed il vincitore sarà uno solo. Scende dal pullman. Il tramonto di poco fa se n’è andato. Ora, ha la notte davanti. Una guerra, è sempre stata così. Una guerra, e Vukovar.
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Capitolo 2 *** Capitolo 02 ***
2. La notte. Buia, silenziosa e persecutoria. La notte è sempre la stessa, non cambia mai. La notte. E Vukovar. Inclina la testa di lato, lo sguardo fisso davanti a sé, per cercare di vedere, come se non stesse già vedendo abbastanza. Farsi del male. La cosa che da sempre gli riesce meglio. *** “Papà…” Fantasma bianco sulla porta, piedi nudi, voce titubante “E’ buio… ho paura…” Voce incrinata. Come resistere, come? Sguardo comprensivo, sorriso accennato. Lei ha già vinto, ma ancora non lo sa. Non sa che vincerà sempre. Sempre, anche quando non ci sarà più niente da vincere. Sempre. “Vieni. piccola” Piedini che corrono, lenzuola in movimento, tepore. La sua pelle candida. *** Lungo sospiro. Si allontana dalla finestra. Camera d’albergo ordinaria, come le milioni che ha già visto, frequentato, abitato. Chissà cosa avrebbero da raccontare quelle camere. Chissà cosa racconterebbe quella di Vukovar. Denominatori comuni: tristezza e malinconia. Luoghi fatti per brevi permanenze, luoghi fatti per dimenticare. Camere. Alberghi. Monotonia. Il telefono è come se lo aspetta: bianco, pesante, antiquato. Solito pensiero banale del quanto pagherà la telefonata. Accarezza la cornetta curva. Chiude gli occhi. *** “Ti posso chiamare?” È una delle poche volte in cui lei gli chiede il permesso di fare qualcosa. Il suo cuore manca un battito. “Ti telefonerò io”, la voce gli trema: come può riuscire a dirle una cosa del genere? “Non preoccuparti” Lei tocca la sua valigia aperta, come per lasciargli un suo ricordo. Si siede sul letto. Come può non preoccuparsi? “Luka…” Sguardo smarrito, viso pallido, occhiaie. Come se qualcosa lo stesse divorando da dentro. D’improvviso, Vukovar. Sospiro strozzato. La mano esausta che passa ancora su quegli occhi distrutti. “Ma cosa è stato?” Sfugge la domanda, come sempre. “Tra mezz’ora devo andare” “Ti accompagno io” Silenzio. Groppo in gola. *** La nausea sale improvvisa. Corre in bagno. Si lascia cadere in ginocchio davanti alla tazza. Conati. Poggia la testa contro la vasca, guardando il soffitto giallino. Sta tremando, il fisico esausto. Non dorme più. Cos’è stato? Perché? Perché adesso? Vukovar rimane muta e imperscrutabile. Lui si spegne a poco a poco. |
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Capitolo 3 *** Capitolo 03 ***
3. Paura. Tremore. Occhi spalancati. Sudore. Incubo. E Vukovar. Nella sua memoria scossa le due cose hanno lo stesso significato. Incubo. E Vukovar. Eppure c’era stato un tempo in cui l’aveva amata. Un tempo in cui aveva guardato le acque allora limpide del Danubio con un sorriso sereno. C’era stato quel tempo, c’era stato, ne è sicuro. Si mette a sedere sul letto, la testa vuota. È ancora nauseato. Teme lo sarà per sempre. Fuori è ancora notte. Sembra impossibile, ma la notte sembra non finire mai. Forse è una condizione normale a Vukovar, notte eterna e incubi e paura. E ricordi. Ricordi, come se il resto non fosse abbastanza. *** “Luka…”, qualcuno lo sta scuotendo dal sonno. “Mmmm…”, è stanco. L’università, il tirocinio, non vuole svegliarsi. Cerca di girarsi sull’altro fianco. “Luka!”, più forte adesso, con insistenza. “Marko piange” Appena lei lo dice, il pianto del neonato lo raggiunge, imprimendosi nella sua testa. Apre gli occhi. Sguardo implorante. Niente. Lei è una sfinge: “Dai, è il tuo turno. Vai a vedere cos’ha, non è ora di mangiare” Il bambino lo guarda quando entra nella sua stanza. Tira un sospiro e poi ricomincia a piangere. Lui lo solleva. Prova a controllare il pannolino, ma è asciutto. Lo culla un po’, le manine strette a pugno contro il suo collo. Dopo un po’ Marko si addormenta. “Che aveva?” “Nulla di che. Un incubo, forse” *** Un incubo, forse. Una cosa da nulla, quando c’è qualcuno pronto a consolarti, ad accarezzarti i capelli ed ad abbracciarti. Ma quando si è soli, lì è tutta un’altra storia. Chiude gli occhi. Si sente irreale. Pensa a Chicago, come può non pensarci? L’odio per se stesso aumenta. *** “Pensi che stia sognando?”, la sua voce è piena di speranza. Luka guarda attentamente. Sente il suo cuore battere, vivo. È sicuro: “Certo, guarda che espressione serena” Ha il mento appoggiato sopra la testa di Abby, riesce a sentire il profumo dei suoi capelli, l’odore della sua pelle. È inebriante. “Sai una cosa? Mentre dorme, Joe ha la tua stessa espressione. È bellissimo” “Non è solo la mia espressione… è la nostra combinata. Siamo noi, ma è anche lui” Lei lo guarda confusa: “A volte il senso di quello che dici mi sfugge” Lui ride, piano. È felice. È completo. *** Chicago. Vukovar. Non doveva partire, ma non poteva non farlo. Tutto avviene per una ragione. Tutto avviene per una ragione. Tutto avviene per una ragione. Sta tremando ancora. Prova a alzarsi dal letto, ma non riesce a muoversi. Le sue gambe sono paralizzate. I muscoli non rispondono più. È intrappolato, non può muoversi. Ha paura. Sa che sta per morire, ne ha la matematica certezza. Vukovar è forse il posto giusto. La città si stende davanti ai suoi occhi. Sa che ha ragione. Morirà, e lo farà a Vukovar. Chiuderà il cerchio, come è giusto che sia. E Vukovar, lì fuori, maliarda, incantatrice, lo chiama. Lo chiama, ma non risponde.
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Capitolo 4 *** Capitolo 04 ***
4. “C’era un uomo qui, una volta” Sguardo stanco, solo parzialmente interessato al racconto della donna anziana accanto a lui. Parco. Panchina. Due raggi di sole. Più che sufficiente per trovare il coraggio di attaccare bottone con uno sconosciuto. Modo lieve ed ingenuo per allontanare la solitudine. Anche solo per un attimo. “Durante la guerra, intendo. Un uomo” Stranamente Luka sente il nervosismo salire. È più attento adesso. “Era un medico... è una bella storia, sa? La vuole sentire?” La vuole sentire. Non è solo gentilezza o il fatto che è troppo esausto per alzarsi da quella panchina. È davvero interessato. Non sa perché, ma c’è qualcosa in quella storia. Breve cenno del capo. Sono giorni che non parla. “Come le dicevo faceva il medico, in ospedale. Si dice fosse una persona speciale, di quelle che passano di qui molto raramente. I suoi occhi, quello che si dice di loro, beh... chi lo ha conosciuto dice che nei suoi occhi c’era l’infinito. Ora, io non so cosa significhi questa frase, ma...” *** Javor non è proprio un amico. Però è simpatico ed alla mano. Con lui, è facile dimenticarsi della guerra. Javor, capelli rossi, efelidi, occhi grigi. E una fantasia infinita. Javor, cantastorie. “E poi lui li ha guardati, vi giuro, con quel suo sguardo e vi giuro ragazzi, loro hanno capito tutto. Hanno accelerato subito e se ne sono andati. Ed erano cetnici, capite? Cetnici brutti e cattivi e armati e arrabbiati ed è bastato uno sguardo, uno sguardo solo... ma d’altronde, chi può resistere alle occhiate di Luka?” Scoppio di risate, troppo simile ad una scarica di mitra. Tono imbarazzato: “Come sempre, Javor sta un po’ ingigantendo i fatti. Non ho la forza di far scappare nessuno, tanto meno usando solo lo sguardo” Sguardi su di lui. Poi occhiate l’uno con l’altro. E, infine, ancora Javor. Javor e la sua ultima verità: “Luka, nei tuoi occhi c’è l’infinito” *** La signora riflette assorta. Ha finito la sua storia, anche se non si è resa conto che Luka non la sta più ascoltando. Sospira; riesce persino ad immaginarselo quel giovane. Pensa che le sarebbe piaciuto incontrarlo. La cosa strana è che era da un po’ che non pensava più a quella storia, ma quel giorno le era tornata improvvisamente in mente. È Vukovar, certo. Vukovar che ti lavora dentro, Vukovar e i suoi ricordi. Vukovar, una parola sola, ma con dentro un universo. “Se ne parla ancora di quel giovane, sa? E tutti noi un pochino lo amiamo. Non so se è esistito davvero, ma è bello sapere che potrebbe esserci stato qualcuno che ha saputo dare la forza a Vukovar... Luka” Lui alza gli occhi e la fissa. “Luka. Così si chiamava”. Lei tace e lo guarda. È un momento lunghissimo. Nessuno parla. Lei, istintivamente, lo riconosce. Luka, dagli occhi infiniti. Non può sbagliarsi. “Ora lo so”, la voce è un po’ roca, “so cosa significa affogare dentro gli occhi di qualcuno. Ora lo so, è come impazzire rimanendo sani. I tuoi occhi...” Silenzio. Luka si sente irreale. La donna accenna un sorriso, il sorriso di chi sa: “Bentornato. Bentornato, Luka. Vukovar ti stava aspettando.” Poi si alza, e, un po’ instabile sulle gambe, si allontana. E Luka alza gli occhi al cielo, una lacrima solitaria sulla sua guancia.
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Capitolo 5 *** Capitolo 05 ***
5.
“Pronto? Luka...
sei tu, vero?”
Silenzio. La sua
voce. Vuole solo ascoltarla parlare. Il groppo in gola va su e giù. La sua
voce.
“Luka, parlami per
piacere”
Non può. Non ne è
più capace. Non riesce nemmeno più quasi a respirare. La sua voce. La sua
stupenda voce.
“Ok, allora...
mmmm... io sto bene, insomma... beh, mi manchi... e Joe... lui, anche lui sta
bene... dice le prime parole ormai... e... lo so, parlava anche quando sei
partito ma... mmmm... Luka”
Niente. Lui è
paralizzato, diviso eternamente tra due vite. Chi è lui? Chi è adesso? E cos’è
stato? Dalla finestra, Vukovar continua ad osservarlo muto. È una trappola,
Vukovar. Perché è capitata sulla sua strada? Perché Vukovar, perché? Essere a
metà così è come non esistere, è come non essere. Lui non è, ma la voce di Abby
che pronuncia il suo nome gli ricorda che lui è. Non ha senso, non può averlo.
Non c’è soluzione.
“... beh, Joe oggi
ha detto, detto tata...”
***
“Tata!”
“Oddio! Ma ha
detto... ha detto?”, sguardi confusi, orgogliosi e speranzosi. “Ha detto...”,
non si sarebbe mai aspettato di perdere il coraggio in un momento così bello.
Non poteva nemmeno immaginare che ci sarebbe voluto coraggio in un momento
così.
“Eh già, Luka,
sei la prima parola di Jasna... sei contento?”
“La mia
principessa...”, non si è mai sentito così. La sua bambina. La sua prima parola.
I suoi occhioni innocenti lo fissano. È un patto siglato. Lui sarà suo per
sempre. Sempre. Tata. Tutti i significati del mondo in quattro lettere. Jasna e
il suo tata. Per la vita.
***
“Io... Luka, riesci
a dirmi qualcosa? Lo so che è difficile... ho cercato di capire, e forse ci sto
riuscendo, però ho bisogno che tu mi aiuti... ho bisogno di te... per
piacere”
È affranto, Luka,
il cuore in mille pezzi. Non riesce a parlare e non riesce a smettere di
piangere. Piangere e stare male. Piangere e stare male. È quello che sta facendo
da quando è a Vukovar. È tutto quello che gli ricorda Vukovar. Lacrime. E
dolore. E disperazione. E morte. E come può da quel posto atroce voler parlare a
Abby, lei che è sempre stata uno dei suoi momenti di gioia?
I suoi singhiozzi
la raggiungono attraverso la cornetta, lontani chilometri e chilometri, ma
terribilmente vicini e reali. Abby non ha mai desiderato stringere qualcuno così
tanto.
“Luka... vorrei
essere lì... Luka parlami, ti prego...”
Quell'implorazione.
Così disperata. Così vera. Si odia sempre di più, Luka. Non riesce più nemmeno a
contare le persone che ha fatto soffrire. Amarlo. È questa la
maledizione.
***
“Ma
papà...”
“Niko, basta. Ti
dico che è meglio così”
“Lasciarlo
partire?”
Sente anche
quello che non vuole (o deve) sentire. Il muro di mattoni è freddo contro la sua
schiena. L’aria è umida. Il mare incessantemente rumoroso.
Inverno e mare.
La sua tristezza.
Si alza il
vento. Trema nel freddo. Ne è contento. Partire...
“Non capisci?
Noi non riusciamo ad aiutarlo”
“È lui che non
vuole essere aiutato”
“Puoi
biasimarlo?”
Silenzio. Luka
guarda le nuvole che passano nel cielo. Aiutarlo. Come se ne valesse la pena,
come se le cose potessero cambiare, come se loro potessero mai
tornare.
Deglutisce. La
sua vita dove è andata? Perché lui? Perché Vukovar?
“Sempre a
difenderlo, il tuo bambino. Il punto è che tu non sei meno codardo di
lui”
Luka sente
distintamente lo schiocco dello schiaffo sulla guancia di suo fratello. Vorrebbe
– e sa – che dovrebbe provare qualcosa, ma ciò che resta di lui non è altro che
un involucro.
Guarda il mare.
Quelle onde sono più vive di lui.
***
Si accascia sul
pavimento, solo parzialmente consapevole della sua durezza. Chiude gli occhi.
Vede i loro corpi martoriati. Li riapre di colpo.
La voce di Abby
sembra lontana e lontana. Stringe la cornetta, ma le dita non rispondono
bene.
La voce lontana e
lontana.
Il groppo in
gola.
I loro corpi
martoriati.
Paura e
disperazione.
La cornetta gli
sfugge.
Vukovar se la
ride.
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Margheritanicolaevna: grazie per aver letto e commentato. Mi
piacerebbe se seguissi questa storia fino alla
fine.
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