Sbagliati

di La Signora in Rosso
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** 1. QUEL DANNATO POMERIGGIO ***
Capitolo 3: *** IL PASSATO, IL PRESENTE E LA DECISIONE AZZARDATA ***
Capitolo 4: *** QUALUNQUE FOSSE STATA LA META ***
Capitolo 5: *** FORSE ***
Capitolo 6: *** LACRIMA ***
Capitolo 7: *** RAGGIO DI SOLE ***
Capitolo 8: *** INSIEME ***
Capitolo 9: *** UN SORRISO BAMBINO ***
Capitolo 10: *** TEMPORALE ***
Capitolo 11: *** FRAGILE ED INCRINATO ***
Capitolo 12: *** UNO SLANCIO DETTATO DAL CUORE ***
Capitolo 13: *** IL PREMIO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Abbiate pietà, è la prima che scrivo e la vergogna è tantissima u.u Se avete il coraggio e la forza di arrivare alla fine di questa “roba” vi stimo dal più profondo del cuore. Ovviamente non è completa; se piace o invoglia e soprattutto se avrò il coraggio di mettere per iscritto tutte le ideuzze malsane che mi girano per la testa (^^) arriveranno gli altri capitoli. Mi ripeto: abbiate pietà.

Buona lettura ^^


PROLOGO

Solo, nella sua stanza, Frank non poteva fare a meno di pensare a lui.
Gli era bastato uno sguardo, un lampo di quegli occhi verdi per mandarlo fuori di testa. Letteralmente.
Aveva ancora il fiato corto per la corsa, e le guance rosse per la vergogna. Si distese sul letto, le gambe a penzoloni, un braccio sugli occhi chiusi…
”Ok, Frank, non ci pensare…hai fatto la più grande e colossale figura di merda della tua vita, ma non ci pensare… si sistemerà tutto.”
-Un CAZZO si sistemerà… come ho fatto ad essere così idiota! Così…sbagliato!- l’urlo fece vibrare le pareti…

Frank aveva sorriso a Gerard. Non un sorriso di quelli “Hey man, what’s up?”, un sorriso tra amici, anche se amici non erano. Il suo era stato un sorriso interessato…
”uno stramaledetto sorriso da gay, fottuta minchia!” si ritrovò a pensare.
La verità è dura, a volte. E scoprire a 18 anni, dopo essersi passato metà (se non tre quarti) delle sue compagne di scuola che gli era bastato uno sguardo per capire che era diverso, beh…vi sfido a sentirvi in maniera differente.

Il proprietario di quei bellissimi occhi verdi era Gerard, Gerard Way, fratello maggiore del suo migliore amico.
Non glielo avevano mai presentato, non lo aveva neanche mai visto. Era una pallida ombra che se ne stava chiusa in camera anche quando si ritrovavano tutti a casa Way per una birra e quattro chiacchiere. Era inesistente.
-E poteva anche continuare ad esserlo, se era per me, cazzo! CAZZO-CAZZO-CAZZO-CAZZO!-
Ecco, non riusciva a non pensarci.

Peccato che anche qualcun altro non riusciva a non ripensare alla scena di quel pomeriggio. E quel qualcuno era Gerard.
Lui era il tipico ragazzo considerato “figo”, ma con il quale nessuno voleva avere a che fare. Lui era un artista, frequentava una scuola d’arte, e quello era l’unico momento per vederlo in giro.
Per il resto rimaneva chiuso in camera a scarabocchiare sui suoi block-notes o a leggere o ad ascoltare musica, o a cantare o a fumarsi una sigaretta con in mano una tazza di caffè, appollaiato come un gufo sul cornicione della finestra.
Gerard era un ragazzo solo, ma questa era una sua volontà.

Avrebbe dovuto continuare con il suo proposito anche quel pomeriggio?
Se in quel momento lo avessimo chiesto a Frank la risposta sarebbe stata: Sì, CHE CAZZO!, ma non ne era così sicuro neanche lui.
Senza quel dannato pomeriggio non sarebbe incominciato nulla, non avrebbero scoperto la verità, entrambi.

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Capitolo 2
*** 1. QUEL DANNATO POMERIGGIO ***


Ciao! XD eccoci qua con il primo capitolo. Ovviamente vi chiedo ancora di essere clementi con me… Sono inesperta e nemmeno una gran scrittrice, a dirla tutta. Quindi… è ben accetta qualsiasi critica, purché sia mossa per migliorare i miei esperimenti ^^

Buona lettura ^^

Uh, si. Ovviamente i personaggi non mi appartengono (altrimenti non sarei qui a scrivere ciò che mi detta la mia mente perversa), non mi pagano ed è tutto frutto della mia immaginazione.


Quel dannato pomeriggio era iniziato con una chiamata al cellulare.
Frank era chino sui libri, cercando un modo per risolvere trigonometria in meno di 5 minuti, visto che poi sarebbe dovuto andare a lavorare.
Eggià, il lavoro.
Aveva ottenuto un misero posto in un locale piuttosto squallido in centro.
Era il fattorino, l’unico, e portava le ordinazioni a casa dei clienti. Squallido veramente.
L’unica ragione per cui non aveva ancora mandato tutto a puttane erano i soldi… anzi… anche il fatto di poter guidare per la città con la musica pompata al massimo volume.
Frank adorava guidare la sua “bimba”.
Era insomma così assorto che non badò al leggero ronzio che riempiva il silenzio.
La luce bianca dello schermo di un cellulare illuminava le lenzuola sul quale stava vibrando, inutilmente. Frank non lo avrebbe sentito.

Dopo circa quattro chiamate il ragazzo si rese conto che il silenzio non era più tale e si finalmente voltò per guardare il letto.

-Chi cazzo è adesso? Devo finire tutto per domani… Shit. Il capo.
Sì, pronto?-

- Iero? Cazzo, a che ti serve il telefono se non rispondi?? Senti, non sta’ venire al lavoro oggi. Non mi servi. -

-Ah. Ehm, come mai? -

- Se ti dico che non mi servi non mi servi, che cazzo! Ci sentiamo per domani, in caso. –

-Oh, ok… ehm ci CLICK –
“ Fottuto bastardo. Ha interrotto la chiamata. Neanche saluta… bah… almeno ho il tempo di finire ‘sta roba”

Sbagliato. Il pensiero di Frank era totalmente sbagliato.
Non aveva ancora appoggiato il telefono alla scrivania che nuovamente gli vibrò tra le mani. Un sms, da Mike.

“ Hola compare. Stasera ti voglio a casa mia, che dobbiamo festeggiare!
Ci saranno anche gli altri, quiiindi non puoi dirmi di no!!
Ti aspetto. Mike.
Ps. Il stasera era per dire, ti voglio qui entro massimo una mezz’ora ;)”

“Pfffff….mezz’ora?? Manco il tempo di farmi una doccia.”

In effetti, per la doccia ci mise dei secoli, come al suo solito, e ancora con i capelli mezzi bagnati uscì di casa e si diresse all’isolato successivo, quello di casa Way.
Già da fuori si sentiva la musica che impazzava là dentro, Iron… mica male.
Suonò al campanello, non sapeva neanche il perché, tanto non lo avrebbe sentito nessuno. E infatti.
Tirò faticosamente fuori dalla tasca dei jeans aderenti il telefono e chiamò il suo migliore amico.
Non rispondeva.

“Vatti a fidare di quel nerd anoressico.”

Improvvisamente venne sommerso da un’ondata di musica spaccatimpani. Assolo impeccabile, per l’amor di Dio, ma era a livelli veramente spaccatimpani!
La porta era stata aperta, un Mike sudato e puzzolente d’alcool gli fece cenno di entrare, col telefono in mano.

- Ah, finalmente amico! Ce ne hai messo di tempo! –

- Mike, esattamente, da quanto avete incominciato a bere? Cazzo, sei distrutto.
E poi, che si festeggia oggi? Mi sono mica dimenticato del compleanno di qualcuno?-

- Oh oh, Frankie, lo sai che l’alcool lo sopporto male…mi hanno fatto bere un unico bicchiere di Dio-solo-sa-cosa e adesso ci vedo doppio!
Ahahaha….ma dai, entra…e, tra parentesi, è il compleanno di mio fratello. Gli ho organizzato una festa con pochi intimi, lo sai com’è fatto eeeeeeh, beh, eccoci qui!-

Era allibito. Una festa di compleanno per l’Uomo Inesistente? Non ci poteva credere.
E, pochi intimi? Erano in cinque, cazzo. Gran bella festa, complimenti.
Aveva lasciato l’unica speranza di venire promosso quell’anno per una “festa” di cinque persone, compreso il festeggiato? Fantastico.
Ma in fondo, erano i suoi amici, ed era ben curioso di vedere l’Uomo Inesistente una volta nella vita, a dirla tutta.
Raggiunse gli altri, seduti sul grande divano e si appollaiò sul bracciolo, rubando un bicchiere dal tavolino.
Era già pieno. Chissà cosa gli riservava il destino. Vodka… lemon… non male.
Si unì al discorso instaurato dai ragazzi, ma, guardandosi attorno, si accorse di un piccolo dettaglio:
Gerard dov’era?

- Se ti stai chiedendo dove sia mia fratello, beh…credo sia uscito a telefonare. Dovrebbe essere qui a momenti. –

Dalla voce, un po’ impastata, si capiva che ne dubitava anche Mike.
Si era rivelato un solito pomeriggio tra amici.
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Molti bicchieri di vodka lemon dopo, il gruppo abbandonò la casa… unicamente Frank rimase dov’era.
A parte Mike. Lui era che russava mezzo disteso sul tavolino. Dell’Uomo Inesistente nemmeno l’ombra.

“Beh, è inesistente mica per niente, testina.” Pensò tra sé. In effetti.

Non poteva andarsene anche lui e lasciare quel disastro, però.
Traballante si alzò e incominciò a dare una ripulita, abbassare la musica e buttare i bicchieri nella lavastoviglie; ormai conosceva ogni angolo di quella casa, quasi fosse sua.
Non si accorse però della figura che lo guardava, appoggiata allo stipite della porta della cucina.
Ci dovette andare a sbattere contro per notarlo.

- Uh cazzo, scusa, non volevo Mikes… ma ti sei già rimesso in piedi? Alla fine allora l’alcool lo reggi eh?-

Peccato che c’era ancora qualcuno che russava forte, di là, in salotto.
Preso com’era dalla sua vena casalinga, Frank non aveva ancora alzato lo sguardo.

- Ehm, no, scusa, non sono Mike. Piacere… Gerard, il fratello.-

Oh… l’Uomo Inesistente. E, fischia. Che uomo!

“Hey, Frankie, ma che cazzo stai pensando! La vodka ti ha distrutto per bene stasera, eh?
Cosa lo fissi, quel ragazzo terribilmente…sexy, nei suoi jeans così neri e così….aderenti? Oddio, no…datti una calmata.
Così. Riconnetti il cervello, da bravo.”

- Ah…. Piacere. Mi chiamo Frank. Auguri. Oggi dovrebbe essere il tuo compleanno. Credo.
Ehm… lo ha detto Mike, sai… ci… ci… aveva invitati per questo stasera. Ehm… sì… ecco... –

“Distogli gli occhi dai suoi… bravo… no! Non guardargli le labbra… Hey, ma neanche il pacco!
Frank, che cazzo fai?!?! A te piacciono le ragazze!"

Frank era confuso: era la vodka o cosa?
Non poteva pensare seriamente di voler… avvicinarsi all’altro ragazzo, di toccarlo.
Di volerlo… baciare.
Rabbrividiva al solo pensiero.
Era paura o eccitazione?

- Ah, si grazie… in effetti è il mio compleanno… vedo che avete festeggiato anche per me. – Sorrise.

E bastò quel piccolo e innocente sorriso per mandare definitivamente in palla Frank.
Soprattutto perché si estendeva anche agli occhi, così verdi e luminosi e… bellissimi.

“Ohcristosanto.”

Sorridere in risposta fu automatico, automatico come respirare. Ma… che sorriso era?
Momento di silenzio.

“Hey, reagisci, cazzo. Sembri un ebete. Sei un ebete. Digli qualcosa!”

- Ehm… sì, in effetti. Scusa. Ehm… adesso devo andare, sai domani, la scuola… ehm… beh ci vediamo. Ciao. –

E si girò, senza neanche ascoltare la risposta di Gerard, fosse un “Capisco, certo. Ci vediamo." o un “Vaffanculo idiota, adesso mi dai una mano a mettere a posto”.
Non gli importava. Voleva solamente allontanarsi il più possibile da quel viso, da quelle labbra, da quegli occhi, da quelle mani.
Una volta in strada si mise a correre, zigzagando sul marciapiede. Ma correva, velocissimo.
Non voleva pensare, ma non era realmente padrone di sé stesso: aveva un chiodo fisso, e non sarebbe stato facile toglierlo.
Entrò in casa come una furia, urlando, inaccazzandosi, buttandosi sul letto disperato.

“Frankie, che mi combini? Non ti piacevano le donne, le femmine? I loro corpi morbidi e accoglienti? Non andava bene così?
… Cazzo, avrà pensato che sono un idiota, partendo così a razzo.
Sì, però… però niente. Non lo rivedrò più. Fa così lui, non si fa vedere. Mai.
Sì, ma quel sorriso?? Cosa ne diciamo di quel sorriso?? Il MIO sorriso? Cosa mi passava per la testa?!?!
Cazzo, lo odio. Perché? Non lo so. Ma poteva fare a meno di venire lì, di essere così dannatamente gentile. Di essere così dannatamente… bello.”

- AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!”-

L’urlo fece vibrare le pareti e abbaiare il cane dei vicini, rimasto fuori.

E Gerard?
Gerard era ancora sullo stipite della porta, voltato verso l’ingresso, rimasto aperto.
Frank non era riuscito a chiudere la porta nella furia di allontanarsi.
Si avvicinò e guardò fuori. Ormai era andato.
Sentì un cane abbaiare. Lentamente chiuse la porta.

“I suoi occhi… nocciola… liquidi… belli… quel suo sorriso…”


Scusate. mi renso conto che è abbastanza lunga. Grazie a tutti coloro che avranno il coraggio e la forza di leggere. un bacio LOVE IS LIKE SUICIDE

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Capitolo 3
*** IL PASSATO, IL PRESENTE E LA DECISIONE AZZARDATA ***


Carissime, ecco qua il secondo capitolo. Lo so, lo so… parla solo di Frank, ma lui e l’Uomo Inesistente hanno ancora delle vite molto separate, quindi…
Buona lettura ^^ e come sempre invoco la vostra clemenza! :)

Ovviamente i personaggi della storia non mi appartengono in alcun modo, non scrivo a scopi di lucro ed è tutto frutto della mia mente ormai irrimediabilmente lesa. …


IL PASSATO, IL PRESENTE E LA DECISIONE AZZARDATA

Per Frank quella prima notte fu un incubo, una delle peggiori: qualunque cosa facesse non riusciva a chiudere occhio.
Non riusciva a togliersi dalla testa lui, QUEL lui.
Sentimenti contrastanti gli sconquassavano l’anima, quasi fosse uno scoglio solitario in mezzo al mare, in balia della tempesta e delle onde tumultuose.
Come faceva a vedersi così diverso dalla mattina precedente?
Erano passate appena 24 ore, eppure si sentiva così sbagliato.
Niente di quello in cui aveva creduto fino alla sera prima adesso era nitido, al suo posto, come se un bambino dispettoso avesse ribaltato la scatola di puzzle che era la sua vita e tutti i pezzi fossero finiti sul pavimento, in disordine.
Non era giusto, non andava bene.
Oddio. Non che avesse nulla in contrario con i… beh… capitelo.
Ma lui NON era così…
A lui piaceVANO le ragazze.

“Eggià, Frankie, non lo ERI e ti PIACEVANO le ragazze. Vedi un po’ tu, stai già usando il passato.
Dai. Guarda in faccia la realtà. Comportati da UOMO.”

- Ma che cazzo! Mi prendi per il culo pure tu?!?-



-Dio, a che livelli sono arrivato… parlo da solo, mi prendo per il culo e mi rispondo tutto da solo!
Ho disperatamente bisogno di un caffè.-

Ma il caffè non sortì l’effetto sperato, com’era prevedibile.
E come un zombie si recò a scuola, la radio della macchina spenta:
aveva già fin troppo rumore nella testa, senza dover aggiungere le urla stridule del suo cantante preferito.

All’entrata del parcheggio e nel cortile, mentre aspettava di entrare nell’edificio, rimase sulle sue, continuando a guardarsi attorno, pensieroso.

Il che era strano: era sempre stato l’anima del gruppo, scherzi e pacche sulle spalle.
Il che lo rendeva ancora più affascinante agli occhi delle ragazzine del primo anno, adoranti per le sue occhiaie e i piercing, della sua aria da “duro”.
In realtà, a guardarlo bene, del “duro” non aveva proprio nulla in quel momento.

Chi fosse oggetto del suo interesse mascherato da “rincoglionimento post-sbornia” erano… 
I ragazzi. I maschi. I suoi compagni di sempre.
Li aveva visti per tutti questi anni, senza badarci, rendersi conto di…
Nessuno sguardo aveva avuto un tale effetto su di lui. Nessuno.

“… nessuno nessuno no. Lui ci è riuscito. E al primo colpo, per giunta.”

-Oh adesso taci, ok? Hai rotto abbastanza. -

Per sua fortuna non lo sentì nessuno.
Per sua fortuna, pensava, lo sguardo di nessuno di quegli omaccioni gli faceva accelerare i battiti del cuore.
Un po’ rincuorato dal fatto che quella mattina non fosse poi cambiato molto, accolse il suono della campana con un mezzo sorriso.
Solo mezzo però…alla prima ora aveva trigonometria.
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Al solito banco in fondo trovò… Mike.

“Cazzo.”

Si era completamente dimenticato di lui.

- Hey Frankie! Buon giorno, eh!
Dio, ma quanto hai bevuto ieri?? Sei disfatto. Ti sei fatto un caffè,almeno?... -

“BLA BLA BLA… la solita rafficha di parole di Mikes… che mal di testa… chissà se il prof si incazza se chiedo di andare a prendere qualcosa in infermeria…”

-…Ah, senti…Gee mi ha chiesto di ringraziarti per aver messo a posto ieri sera.
Sei rimasto solo tu, nah? Beh, lo sospettavo. E grazie anche da parte mia, non ero veramente in grado di fare alcun chè ieri. –

Frank lo guardò perplesso, cercando di tornare al presente.

- Eh? …Gee?? Oh, tuo fratello. Non… non fa niente. Mi sentivo in, ecco, dovere.
… alla fine non… non ha festeggiato con… noi… e mi sembrava, ehm, scortese lasciare tutto lì, viste le tue condizioni. –

- Ah, sei un amico! Il migliore! –

Mike diede un buffetto leggero alla guancia dell’amico.

Silenzio.
Gerard aveva parlato di lui? A suo fratello?
Crampo allo stomaco.
Chissà cos’altro gli aveva riferito…
Altro crampo.
Magari avevano pure riso insieme del sorriso e della sua figura da imbecille…
NAUSEA!

- Prof! Scusi, posso uscire… è urgente… sto per…… -

Frank corse fuori.
Fuori dalla classe.
Fuori dal corridoio.
Dentro al bagno dei ragazzi.
Lì batté contro la parete fredda di fondo, il rimbombo della collisione che riecheggiava nel bagno vuoto.
Appoggiò le mani e la fronte alle piastrelle cercando di rimettersi, di porre un freno alla sua immaginazione che lavorava frenetica e che gli mostrava i due fratelli ridenti di un’imitazione ben riuscita.
La sua imitazione.

- Basta… basta… finiscila… magari non è vero…- Sussurrò a sé stesso.

Poi la porta si aprì nuovamente…

- Hey, amico… ti senti bene? –

No. Non lui. Non Mike.

- Torna in classe, per piacere. Lasciami solo. Veramente, lasciami solo, Mikes. LASCIAMI SOLO! –

Aveva urlato.
Eccome se lo aveva fatto.
Aveva urlato contro il suo migliore amico.
Non era mai successo. Mai.

“Frank, bello mio, devi assolutamente risolvere la cosa. Assolutamente. Ne va della tua salute mentale. ”
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La sua mattina si concluse lì.
Si fece fare un permesso per tornarsene a casa: non sarebbe comunque riuscito a seguire nessuna lezione quel giorno.
E così lo passò in camera sua, disteso sul letto, a pensare.
Niente musica né altro.
Aveva ancora la nausea, quindi non toccò cibo, sebbene fosse arrivato il momento di pranzare, e poi quello di cenare e poi…
E poi era ormai buio quando raggiunse una decisione.
Doveva provare.
Doveva capire.
Doveva farlo.

D’impeto si alzò e prese le chiavi della macchina.
Non guardò l’ora, non guardò come e se fosse vestito, non badò a null’altro oltre alle sue gambe che rapide scendevano le scale.
Veloce, poi, partì verso il posto che si era prefissato di raggiungere, prima di correre il rischio di cambiare idea.
Perché non gli piaceva quello che stava per fare.
Ma doveva veramente farlo.
E lo avrebbe fatto.




CLEMENZA RAGAZZE MIE, CLEMENZA. Se c’è qualcosa che non va, vi prego ditemelo ^^ ogni critica è ben accetta! ^^

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Capitolo 4
*** QUALUNQUE FOSSE STATA LA META ***


Ciao a tutte. Scusate e ci ho messo tanto, ma è stata una settimana da incubo u.u
Però ecco qui il terzo capitolo. Spero di non deludervi!
Sempre solita invocazione di clemenza…
Detto questo, buona lettura! ^^

Non sto manco a ripetere che i personaggi non mi appartengono e bla bla bla. >.< Mi sembra ovvio.
Baci



Gerard aveva trascorso la notte a leggere. Anche se leggere è una parola grande.
Aveva tentato, ecco, di finire il capitolo di un libro acquistato da poco, ma si era ritrovato a ripercorrere con lo sguardo le stesse quattro righe fino a che la luce di un giorno nuovo non fece capolino nella stanza.
La luce frizzante di una primavera precoce.
Peccato che il suo umore sembrava suggerire l’idea di un autunno grigio e piovigginoso.

Erano rare le volte che si sentiva, almeno in parte, felice. Poteva capitargli di ridere con il fratello, o con la madre quando andava a trovarla; persino a scuola, quando una battuta di un compagno riusciva a farlo ritornare al presente dal mondo in cui era perennemente perso: il suo mondo, la sua nuvoletta grigia personale.
Ma quelli erano momenti di ilarità, non era la Felicità, quella con la f maiuscola che ogni uomo o donna desidera e ricerca.
Anche Gerard la desiderava. Sempre.
Ma non l’aveva mai trovata. E sentiva un vuoto. Sentiva la mancanza di una parte fondamentale.

Non si poteva dire che fosse depresso, però.
Semplicemente viveva la vita che gli era stata donata in modo passivo, quasi fosse costantemente in stand- by.
C’era un qualcosa, tuttavia, che quella mattina lo faceva sentire vivo.
Un pensiero che gli vorticava nella testa.
Quel pensiero che non gli aveva permesso di leggere in santa pace il suo libro.
Non era sicuro del perché, ma continuava a rivagheggiare l’incontro della sera prima.
Continuava a rivagheggiare Frank.

Fu Mike che lo scosse riportandolo al presente, premendo il dito sull’interruttore della luce.
CLICK.

- Buon giorno fratellone! Ma che ci fai con la luce accesa? Guarda che sole! Bah…
Sei rimasto alzato fino ad adesso, eh? … Senti, non è che puoi darmi un passaggio a scuola oggi? Perché siamo leggermente in ritardo… -

Ritardo???
Gerard si voltò verso la sveglia, col cuore in gola, all’improvviso lucido e sveglio.
Si girò nuovamente verso il fratello poi, con aria interrogativa…

- Mike, siamo in anticipo semmai… ma a che ora mi vieni a svegliare?? Ma ti sembra il modo?? Che cazzo, Mike, ti sto parlando! –

Era inutile, il ragazzo si era già dileguato.

- Pfff, che razza di gente. La sera prima è incosciente mezzo disteso sul tavolino del salotto e la mattina dopo è come se avesse fatto una vacanza rilassante di un mese, bello arzillo e pronto a ripartire… ma che razza di droghe si tira quel benedetto ragazzo… mah… -

Mentre ragionava a voce alta sulle varie stranezze di quel ragazzo che era suo fratello, Gerard si stiracchiò con tutta calma, allungandosi a prendere i vestiti preparati la sera prima, piegati con cura e riposti sulla sedia della scrivania.
Poi si alzò, grattatina giornaliera, e si diresse al bagno, lo sguardo perso.
Era piombato nuovamente nel baratro dei suoi pensieri.

Si lavò in trance, con gesti automatici e meccanici, della routine quotidiana.
E davanti allo specchio stava ammirando l’effetto cadaverico che produceva il contrasto tra il nero delle occhiaie e il pallore del suo viso quando la testa di Mike spuntò dalla porta del bagno.

- Guarda che ti ho preparato una dose massiccia di caffè, altrimenti la macchina mi sa che la devo guidare io stamattina, eh? –

Gerard si voltò a guardarlo, un sopracciglio alzato.

- Forza Gee, lo so che ce la puoi fare… hai bisogno dell’incoraggiamento di una cheerleadeeer??? Dai…
DATEMI UNA G… DATEMI UNA E… E DI NUOVO UN’ALTRA E… FORZA GEE ALE’ ALE’…! –

E uscì dal bagno sgambettando e alzando le braccia quasi volesse incitare una folla urlante.

Che visione inquietante, Mike in mutande che cerca di fare la cheerleader.
Rassegnato, Gerard seguì il fratello in corridoio e si diresse in cucina.
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La tazza di caffè in mano, il ragazzo guardava fuori dalla finestra, in sottofondo ancora il motivetto proveniente dall’altra stanza urlato da suo fratello.
E mentre guardava fuori indirizzava lo sguardo verso la fine della strada, quella strada che un certo ragazzo in particolare ieri sera aveva battuto correndo a più non posso.

-…. Frank….. –

- Frank?? Che c’entra Frank adesso??? Cosa ha fatto il nano ‘sta volta? –

- Eh? Ah, ehm… ha… ha messo a posto ieri sera… È rimasto solo lui e ho notato che ha messo a posto il vostro disastro. Ecco… ringrazialo. –

- Frank?? Che alza il culo per mettere a posto?? Questa gliela devo proprio dire… sono allibito… Allora, pronto? Possiamo andare? Hai bisogno della tua canzone? –

Un enorme sorriso riempì il viso di Gerard.
Questo era uno di quei momenti.
Erano in anticipo, ma andava bene così.
Sarebbero rimasti in macchina a parlare, come sempre.


Una volta lasciato il fratello a scuola Gerard si diresse con calma all’accademia.
Saltava la prima ora, quindi poteva guidare tranquillo nel traffico mattutino.
Peccato che ora che Mike non riempiva l’abitacolo con le sue chiacchiere senza senso e la sua risata, Gerard poteva liberamente tornare ad inabissarsi nei pensieri che gli avevano impedito di leggere. Nemmeno la radio funzionava a dovere, la voce dello speaker che lo attraversava a pieno volume senza essere in realtà degnata di un minimo di attenzione.
Non da parte sua, almeno.
Erano i pochi pedoni che si giravano ad osservare Gerard nella sua vecchia auto, colti ancora nel loro torpore di prima mattina.

Senza neanche accorgersi, si ritrovò ben presto nel parcheggio della scuola, mezzo deserto.
Non aveva neanche la possibilità di distrarsi nel tentativo di trovare un posto per la sua auto: ce ne erano in abbondanza, e tutti ben visibili.
Con cura posteggiò, concentrandosi in ogni gesto per poter allontanare almeno di poco il pensiero che lo affliggeva.

E il parcheggio fu il suo ultimo ricordo di quella mattina.
Non seppe come passò l’ora libera, non seppe cosa fece durante le lezioni o il pranzo.
Ascoltava passivo e inerme, guardava il mondo girare veloce senza in realtà vederlo.

L’unica certezza erano quegli occhi.
Scarabocchiati in ogni pezzo di carta disponibile, Gerard fu accompagnato da un paio di occhi maledettamente familiari.
Per quanto fossero frutto della sua matita, erano terribilmente uguali agli originali.
Gerard era bravo.
Ed era ancora più bravo quando il soggetto gli piaceva.

Frank era un’eccezione?

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Per fortuna quel pomeriggio si ricordò almeno di andare a prendere Mike fuori da scuola.
Aveva una vaga speranza, anche se non voleva ammetterlo.

- Hey, ciao! Come ti è andata la giorn… -

- Frankhabisognodiunpassaggio? –

Lo aveva detto tutto d’un fiato, così, quasi fosse uscito involontariamente dalle sue labbra…
E la strana domanda aveva sorpreso il fratello, ovviamente.

- Eh… No… Si è sentito male, non so cosa. È tornato a casa dopo la prima ora. Perché? –

Gerard non sapeva cosa rispondere.
Perché avrebbe dovuto di punto in bianco decidere di offrire un passaggio al migliore amico di suo fratello, dopo tanti anni che i due ragazzi si conoscevano?
Non lo aveva mai fatto, non si era mai interessato.
Non lo aveva nemmeno mai visto prima di ieri sera.

Eeeeeeeeeeeh. Sbagliato. Lo aveva visto.
Lo aveva visto di schiena, con i suoi pantaloni aderenti e una maglietta gialla.
Da quel preciso istante, con Mike in macchina, Gerard si accorse che il giallo era diventato il suo colore preferito.
Prima era il rosso sangue, macabro.
Ora era il giallo sole. Splendente. Come il sorriso del proprietario di quella maglietta.
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Quella sera Gerard non aveva messo in conto di andare da lui.
Si era ritrovato accidentalmente in macchina a percorrere le stradine dell’isolato.
Non sapeva dove abitasse. Sapeva che era vicino perché Mike ci andava sempre a piedi.
Ma non gli importava. Lo avrebbe scoperto. Lo avrebbe capito.
Aveva fatto avanti e indietro un paio di volte, continuando a scrutare le villette e gli appartamenti, cercando un qualche segno che lo aiutasse… un nome sulla buca delle lettere, Frank fuori in giardino, qualsiasi cosa.
Avrebbe potuto anche passare di casa in casa suonando il campanello e chiedendo del ragazzo.
Ma cosa avrebbe fatto una volta trovata la casa, con Frank di fronte a lui sulla porta?

Si era quasi convinto ormai di ritornare indietro e di non fare cazzate, quando una bella macchina rossa uscì dal vialetto di fronte, quasi investendolo.
Illuminato dai fari Gerard scorse Frank. Spettinato e sconvolto.

Non decise razionalmente si seguirlo, non fraintendetelo.
Non era il suo modo di fare.
Ma il volto sconvolto del ragazzo aveva fatto sì che le sue mani girassero il volante, facendo manovra, automaticamente.
Seguendo la macchina rossa, qualunque fosse stata la sua meta.




GRAZIE MILLE PER AVER LETTO!
BACI
LOVE IS LIKE SUICIDE 

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Capitolo 5
*** FORSE ***


Ciao a tutte! ^^
Sono non contenta, ma di più di più di più di più di tutte le recensioni che ho ricevuto! ^^
Vi ringrazio dalla prima all’ultima con tutto il cuore! E ringrazio anche tutti quelli che leggono queste miei piccole prove di scrittura.
Un abbraccio!
PS. Questo capitolo forse è troppo lungo, me ne rendo conto. E chiedo umilmente perdono a tutte coloro che mi hanno detto che preferiscono le fanfic corte, ma è una scena troppo importante per la storia, non le avrei reso giustizia se l’avessi tagliata. ^^
PPS. Se invece trovate che sia poco convincente o che sia spiegato in maniera poco dettagliata, se via ha deluse ecc, vi prego di dirmelo. Così lo cancello e lo ripubblico nuovo! ^^
Quindi, clemenza costante, mie care ^^
Buona lettura! ^^








Frank era in macchina.
Era partito tutto trafelato, senza curarsi di niente se non di ingranare la marcia e dare gas al motore.
Non si era curato nemmeno della macchina che stava passando in quel momento, e del fatto che se l’altro conducente non avesse frenato di colpo probabilmente lo avrebbe preso in pieno.
Non si era curato di scusarsi, non si era curato di vedere chi fosse al volante.
Nulla.
Non aveva nemmeno tentato di frenare.
Semplicemente era uscito dal vialetto, una meta precisa in testa e il coraggio preso a piene mani.

In realtà non era sicuro che ciò che stava per fare fosse il modo giusto per farlo.

“Ma ci devi provare Frank… niente è giusto a questo mondo. È verde, dai… accelera e raggiungi quel fottotussimo pub.”

E lo raggiunse.
Gerard dietro di lui era sbalordito.

Aveva cercato di mantenere le distanze, per non farsi scoprire in quel gesto così distante dal suo modo abituale di fare.
Frank avrebbe frainteso. Avrebbe pensato male di lui.
Ma Gerard era seriamente preoccupato: voleva solamente controllare che quel ragazzo stesse bene e non facesse cazzate.
Il che era probabile, vista l’espressione sconvolta dipinta sul suo volto.

Nel frattempo l’auto di Frank aveva lasciato le strade battute della città e si era avventurata per un vicolo squallido e male illuminato.
Non c’erano macchine oltre alle loro due, che illuminavano debolmente le due sponde di un fosso ai margini della strada.
Gerard era terribilmente nervoso: come faceva a non accorgersi di lui?
Ma ormai non poteva lasciar perdere tutto.
Sapeva, poi, dove portava quella strada; ormai sapeva quale fosse la meta di Frank.
Era stato anche lui un paio di volte lì.
Ma l’atmosfera che regnava in quel luogo non gli era piaciuta affatto, e aveva smesso di andarci.

Probabilmente entrambi erano stati mossi dallo stesso motivo: la ricerca di un qualcosa che li aiutasse a mettere a fuoco la situazione.

Parcheggiarono uno lontano dall’altro: Gerard non voleva correre rischi.
Aspettò in macchina che l’altro uscisse.
Un tempo interminabile.
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Frank era ancora seduto in macchina.
Era terrorizzato.
Abbassò il volto e lo nascose nelle mani.

- Devo veramente entrare là dentro per averne la prova? Non sono gay… oggi a scuola non è successo nulla, dopotutto… è solo lui… è solo lui che mi manda fuori di testa. Forse dovevo andare parlargli invece di venire in questo posto di merda pieno di checche del cazzo. –

Ecco, stava già cambiando idea.

“ E se fossi pure tu una di quelle checche del cazzo?? Non ci pensi a questo?? Alza il culo ed entra… ti bevi una birra, ti sciogli un attimo e ti levi quella faccia da adolescente ferita che ti ritrovi. “

Frank era duro con sé stesso.
Ma sapeva che in fondo per lui non faceva nessuna differenza.
Aveva solo bisogno di un punto fermo, di una sicurezza, che in quel momento invece era lontana da lui anni luce.

Si voltò a osservare l’insegna luminosa del locale: un cowboy con la camicia sbottonata che lo invitava ad entrare con la mano.
Non poteva sbagliarsi, il posto era quello.
La sua meta… un locale gay.

Per un attimo ripensò alle prese in giro con i suoi compagni, quando erano più giovani: lo vedevano come un luogo strano, sbagliato quasi.

“ - Non ti sei fatto nessuna stasera? Ma che, sei andato a trovare Il Cowboy? - ”

Non capivano che di sbagliato non c’era proprio nulla.
Ma all’epoca erano dei ragazzetti idioti che si credevano dei grandi casanova e invece non avevano il coraggio di parlare con una ragazza nemmeno per invitarla la ballo.
Molti di loro lo erano ancora. Ragazzetti idioti.

Lui lo era?

Prese le chiavi, si passò una mano tra i capelli e si incamminò verso l’entrata.
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Dallo specchietto retrovisore Gerard vide Frank scendere dalla macchina, darsi una sistemata ed entrare nel locale.
Cosa doveva fare?
Non poteva aspettare fuori o tornarsene a casa.
Nemmeno se lo avesse visto uscire con qualche altro ragazzo.

E in quel momento alzò lo sguardo e guardò sé stesso nello specchietto.
Si guardò negli occhi e li vide accessi di un sentimento non provato da tempo, da così tanto tempo che sembrava addirittura nuovo.
E gli infiammava l’anima.
Era gelosia quella che si nascondeva in quel verde liquido dei suoi occhi.
Non conosceva Frank, ma quel sorriso era bastato.
Era bastato per fargli cambiare idea sul suo colore preferito.
Era bastato per farlo diventare geloso di qualsiasi altra persona potesse da quel momento portarlo via da lui.

E così aprì la portiera ed entrò a sua volta nel pub. -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Le luci lo accecavano: blu, verde, rosa, rosse… erano un turbinio di colori.
Il locale era già affollato di ragazzi: alcuni vestiti bene, in giacca e cravatta, altri semplici in jeans e maglietta… e altri….
Frank era spaventato dagli altri.
Indossavano pantaloni strappati e canottierine aderenti, occhiali da sole per non farsi riconoscere, e ballavano in maniera sensuale con altri ragazzi, anche loro semivestiti.
Imbarazzato, distolse lo sguardo dalla pista. Non lo avrebbe rivoltò mai più là in mezzo.

Si avvicinò al bancone e ordinò una birra.
Osservò il barista con sguardo critico: era carino, biondo con gli occhi azzurri, un sorriso bianchissimo alle luci stroboscopiche.
Questi alzò lo sguardo: il pivellino seduto di fronte a lui non era male, seppur avesse troppi tatuaggi per i suoi gusti.
Chissà se si estendevano pure sotto i vestiti…

Frank si accorse dello sguardo interessato e tremante prese la sua birra.
La scolò quasi in un sorso solo: non si era accorto di essere così assetato.
O forse il suo era solo un modo per nascondere il rossore che ormai dilagava sulle sue guance.
E ordinò un’altra bionda, il barista ben contento di servirgliela.
Forse sarebbe riuscito a farlo ubriacare a tal punto da poterselo portare a casa.

Forse.
Il destino è sempre in agguato, e sebbene Frank non si fosse accorto della presenza di Gerard, questi lo osservava da lontano.
Lo osservò per tutta la sera scolarsi le sue tre, quattro, cinque, dieci birre.
E lo osservò pure quando traballante si diresse verso il bagno.
Dietro di lui c’era il tipo del bancone, forse preoccupato della condizione del giovane.
Forse. 
Fu quel forse che, seppur troppo tardi, mosse Gerard dalla sua poltroncina in ombra e gli fece raggiungere il bagno.
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Frank non era cosciente di nulla in quel momento.
Non era cosciente né del fatto che il barista lo aveva raggiunto né che ora quello stesso ragazzo gli stesse ficcando la lingua in bocca senza troppi complimenti.
E neppure che le sue mani stavano cercando di privarlo degli abiti, soffermandosi a strofinare sulla patta del più giovane.
Ma Frank non rispondeva a quelle sollecitazioni.
La sua lingua rimaneva inerme, le sue mani rimanevano inermi, appoggiate alla parete per potersi reggere in piedi.
Anche il resto del suo corpo rimaneva inerme.

In un attimo fugace di lucidità si ritrovò disgustato da ciò che stava facendo.
E pregò con tutto il cuore che finisse presto.
Non aveva la forza di togliersi di dosso l’altro.

Le sue preghiere chiamarono Gerard.
Che entrò nello spazio angusto e vide ciò che stava accadendo.
In quel momento il suo cuore si inceppò, smise di funzionare.
Sentiva un fuoco scorrergli nelle vene e che avido divorava ogni parte del suo esile corpo.
Sentiva un veleno amaro in bocca, sotto la lingua. Strinse i pugni e uscì.
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Frank credeva di avere le allucinazioni: com’era possibile che Gerard fosse apparso come un angelo proprio lì, dove lui stava vivendo il suo inferno personale?
Era la sbornia? Eppure sembrava così reale.
E poi lo vide andare via, le mani che tremavano e che a stento riuscivano a tenere la maniglia per chiudere la porta.

Le persone ubriache a volte dicono cose senza senso. Non hanno freni, inibizioni.
A volte, invece, riescono a dire ciò che detta loro il cuore perché la loro mente è anestetizzata dall’alcool.

Frank liberò la sua bocca da quella dell’altro e chiamo Gerard.
Gerard stava ancora chiudendo la porta e forse sentì biascicare il suo nome.
Quel forse bastò per fargli spalancare nuovamente la porta e buttare a terra il barista, che preso com’era non si era accorto dell’incursione.
Poi prese Frank sotto la sua ala protettrice e lo portò fuori da quell’inferno.






Spero ardentemente di non avervi deluse.

un abbraccio

LOVE IS LIKE SUICIDE 

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Capitolo 6
*** LACRIMA ***


Ciao a tutte! ^^ Sono nuovamente qui, e scusate l’attesa. Non avevo l’umore adatto per scrivere.
Mi è uscito lo stesso un capitolo triste, però. :(
Abbiate pazienza.
Volevo ringraziare col cuore tutte le persone che hanno commentato il capitolo precedente o che hanno messo la storia tra le seguite. <3
Un abbraccio e buona lettura! ^^
La mia preghiera ormai dovreste conoscerla :)
Spero di non deludervi.






Ed era già un giorno nuovo. Per entrambi. Nuovamente lontani.


La prima cosa che Frank sentì quella mattina era un fitto mal di testa.
Aprì lentamente gli occhi e le pupille vorticarono un istante nel vuoto, nel tentativo di riconoscere il posto nel quale si trovava.
Casa sua. Era salvo.
Si girò su un fianco e, passando un braccio sotto al cuscino per stare più comodo, puntò lo sguardo sulla sveglia.
10.30 del mattino, vista la luce debole che entrava dalla finestra.
Si era dimenticato di abbassare le persiane.
Solitamente la luce dell’alba gli dava un forte fastidio e per questo cercava ogni volta di ricordarsi di abbassare quelle tendine bucherellate.
Non sarebbe mai riuscito a dormire bene altrimenti.
Quella mattina però… erano alzate. Perché?
Si girò nuovamente a pancia in su, osservando le ombre leggere delle foglie che danzavano sul soffitto.

- Che cazzo ho fatto ieri sera per dimenticarmi delle tapparelle? E soprattutto, come ho fatto a dormire lo stesso, anche con la luce? E poi… perché questo mal di testa?? –

Sussurrò a se stesso, con una nota di frustrazione nella voce roca.

“Ma buongiorno principessina! Ben svegliati! Vuoi sapere cosa hai fatto ieri sera? Vuoi sapere tutto, veramente? Beh, eccoti accontentato…”

E bam.
Con un colpo secco la sua memoria gli ributtò fuori il motivo della sua distrazione.
Rivide ogni singolo istante.
Sebbene fosse ubriaco (e i postumi quella mattina c’erano tutti, quindi – sì - si era ubriacato) il suo cervello aveva carpito ogni dettaglio, ogni singolo istante della serata, e ora glielo stava schiaffando con violenza davanti agli occhi.
E ricordò.

Ricordò del barista, del bagno e si sorprese di come non avesse reagito. Di come avesse aspettato… di essere salvato.
Non sapeva che Gerard fosse lì, non si era accorto di essere stato seguito.
Eppure in quel momento la sua presenza gli era sembrata naturale. Ovvia.
E lo aveva portato via.
Aveva sentito le braccia esili ma così forti tirarlo su, aveva percepito lo sforzo di quel gesto.
E poi le luci che si spegnevano, il buio gelido della notte, la portiera che si apriva.
Un appoggio solido, la testa contro il sedile.
Aveva gli occhi chiusi, cieco si fidava di colui che lo aveva portato fuori.
Poteva essere il barista e non l’angelo di cui aveva invocato il nome. Il suo poteva essere stato davvero un miraggio.

Poi aveva sentito la dolcezza di una mano morbida che, in punta di dita, gli scostava i capelli dal viso.
E poi quelle stesse dita avevano tracciato una leggere mezzaluna sulla sua guancia.
Avevano sfiorato le palpebre, le labbra secche.
Si sentiva fragile come lo stelo di un flûte di cristallo.
Ma quelle mani lo sapevano, e lo toccavano con grazia e riguardo.
Erano diverse da quelle di prima, c’era meno irruenza, meno passione.
Cosa c’era? Amore?

Frank voleva scoprirlo.
Alzò le palpebre pesanti e si perse.
Si perse nel verde di due occhi immensamente belli.
Erano vicinissimi ai suoi, poteva distinguere ogni ciglia, ogni pagliuzza che ravvivava il suo sguardo.
Uno sguardo preoccupato. Uno sguardo dolce e buono, buono come lo quello di sua madre quando era piccolo.
Quello sguardo era… casa.
Le mani lo avevano sistemato sul sedile, avevano agganciato la cintura di sicurezza ed erano scomparse.
Una ciocca di capelli corvini gli aveva sfiorato il viso, quasi volesse continuare il lavoro smesso delle mani.
Il profumo del ragazzo era salito dal collo, così vicino al volto di Frank.
E Frank si ricordò di aver nuotato in quel profumo, di essersene riempito la testa.
E poi, ebbro, aveva richiuso gli occhi, lasciandosi cadere in un sonno senza sogni.


Di scatto si alzò e butto le coperte a terra.
Un giramento di testa da movimento lo costrinse a serrare gli occhi e a prendersi la testa tra le mani.
Una striscia di fuoco gli bruciava la pelle là dove quelle dita lo avevano accarezzato, e quel profumo lo sommerse nuovamente.
Se ne ricordò ogni singola traccia.
Ma Gerard non era lì.

Si guardò il corpo vestito e scese dal letto.
Sul comodino un foglio. Era un semplice post-it giallo.
Lo prese con cautela e lo lesse.
Con una grafia minuta, disordinata ma al contempo elegante, quelle mani che lo avevano accarezzato con tanta dolcezza avevano scritto un messaggio per lui.

“Scusa se mi sono permesso di frugare tra le tasche, ma pensavo fosse sbagliato portarti da me più giusto portarti a casa tua. Perdona l’intrusione. Ti ho riportato anche la macchina. Gerard

Sul comodino si trovavano una mazzo di chiavi e quelle della macchina.
Allora era tutto vero.
Rilesse il biglietto.
“Sbagliato portarti da me”… era cancellato alla bell’e meglio, ma si poteva ancora leggere.
Sbagliato.
Lui era sbagliato.
Una lacrima scese a rigargli la guancia.

Era in tutto e per tutto uguale a quella che aveva rigato la guancia di Gerard mentre scriveva quelle poche righe.
A volte gli uomini si inventano una propria verità, unicamente per poter ignorare quello che in realtà sentono nel cuore.
Ma la verità non si può inventare.
Gerard lo sapeva.
Aveva intrappolato la goccia sulla punta dell’indice magro, lo aveva sfregato col pollice.
Si era poi abbassato sulla figura del ragazzo che dormiva sul letto.
Aveva passato il pollice umido sulle sue labbra, e toccato fugacemente con le sue la fronte di Frank.
Alla sua pelle aveva poi soffiato la buona notte.



Grazie per essere arrivati fino alla fine. Un bacio ^^ 

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Capitolo 7
*** RAGGIO DI SOLE ***


Salve a tutte! XD
Eggià, sono nuovamente qui a tediarvi con i miei esperimenti.
Se invece c’è qualche anima pia che è ben felice di leggere il nuovo capitolo, la ringrazio con tutto il cuore.
Mi scuso del ritardo, lo so che ci ho messo una vita, ma il mio pc aveva deciso di prendersi una vacanza, e ho dovuto aspettare il suo ritorno. XD

Ovviamente, di tutto questo non mi appartiene nulla, e che gran peccato.
Buona lettura, mie anime pie ;)
Baci








Anche quella notte Gerard la passò pensando.
Non aveva nemmeno tentato di distrarsi leggendo un libro, o uno dei suoi adorati fumetti… no.
Sapeva che sarebbe stato inutile. Semplicemente, appollaiato sul suo punto prediletto del cornicione, osservò il nero più nero della notte scemare in un blu sempre più leggero e dorato, finché da dietro gli alberi del viale non era spuntata la prima luce del giorno.
Ma era sabato, nessun Mike in mutande lo avrebbe svegliato con l’incitazione di una ragazza pon-pon.
Nessuno avrebbe interrotto il fiume dei suoi pensieri.
Il sabato mattina si dormiva fino a tardi… solo i loro genitori continuavano la routine dell’alzataccia delle 6.30 per raggiungere, mai abbastanza riposati, il posto di lavoro.

Aveva sentito tutti i rumori tipici della mattina e poi osservato la coppia prendere ognuno la propria macchina e intraprendere due strade opposte.
Non avevano minimamente prestato attenzione alla finestra spalancata della camera del figlio più grande.
Se per i vicini era normale vederlo lì, a gambe penzoloni, loro non avevano il minimo sentore di quella strana abitudine.
E dire che abitavano sotto lo stesso tetto.

Ora in casa regnava il silenzio.
Non c’era più il leggero russare di suo padre, i colpi di tosse continui dovuti al fumo di sua madre, il gorgogliare del caffè, le tazze posate sul tavolo, l’acqua del rubinetto del bagno, le sottili imprecazioni per il filo prontamente tirato di quelle calze velatissime, i tacchi sul parquet, lo schiocco di un bacio sulla guancia per augurarsi una buona giornata appena prima di stendere il rossetto color pesca.
Non si sentiva più nulla.
E Gerard si sentì oppresso da quel silenzio.
Non poteva tollerarlo oltre.
Ancora vestito dalla sera prima, scrisse un biglietto per il fratello, nel caso si fosse svegliato, e infilate le cuffie dell’i-pod nelle orecchie, uscì di casa.
Le suole in gomma delle scarpe battevano ritmate il marciapiede.
Erano i piedi che decidevano dove andare, si lasciavano trasportare dalla musica. E lui si faceva portare da loro.
Con la mente immaginava luoghi lontani, dove nessun Gerard aveva salvato nessun Frank da nessun barista maniaco.
No, la visione non gli piaceva.
Immaginava luoghi lontani dove un Gerard diverso e un Frank diverso ridevano tranquilli seduti in un bar, di fronte a una tazza di caffè, la pioggia che batte sulle finestre.
La sua mente gli diceva che non gli sarebbe dovuta piacere nemmeno quella visione… ma chi era la sua mente per comandare al suo cuore?
Quel piccolo muscolo che in quel momento aveva preso a battere forte contro le sue costole, e quasi le sentiva vibrare di questi colpi forti e decisi.
No, la sua mente non era nessuno.

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Frank aveva appena letto il biglietto quando la musica trascinò i piedi di Gerard indietro verso casa.
Ma questa era solo una scusa. La musica porto il ragazzo nell’isolato successivo, quell’isolato che aveva percorso appena poco tempo addietro alla ricerca della casa di Frank.
Non se ne accorse subito.
Non se ne accorse affatto, a dir la verità.
Così non colse l’occasione che il destino aveva riservato per lui, e le note di un’ultima canzone lo riportarono definitivamente verso casa.

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Dire che fosse preoccupato era riduttivo.
Era talmente preoccupato che tentò un altro gesto non da lui: senza far rumore entrò nella stanza del fratello, e con tocco leggerò sfilò il telefono dalla tasca dei suoi jeans, abbandonati malamente in un angolo. Un attimo dopo erano nuovamente al suo posto.
Gerard uscì con un pezzetto di carta minuscolo in mano: sopra di esso, scarabocchiato con un pennarello rosso fuoco, era scritto il numero di telefono di Frank.
Raggiunse poi la finestra, e con mani tremanti compose il numero.
Suonava libero.
Un tut-tut infinito.
E poi la voce della segreteria telefonica.
Delusione.
La preoccupazione che aumentava ogni minuto di più.
Chiamò nuovamente, per cinque volte, una dopo l’altra. Niente.
Il suo sguardo apprensivo puntato verso la casa dell’altro.

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Mentre il suo cellulare squillava, Frank era sotto la doccia.
L’acqua calda si sarebbe confusa con le lacrime che continuavano a scendere ribelli dai suoi occhi ciechi, il vapore gli avrebbe riempito la testa, non lasciando più spazio ad altri pensieri.
Le parole di quel bigliettino, però, gli rimbombavano ancora nelle orecchie. La doccia non stava facendo alcun effetto.
Fu solo dopo che ebbe consumato tutta l’acqua che decise di uscire, di andare in cucina e fare colazione.
Ma nonostante la sbornia delle sera prima, non aveva fame. L’idea di farsi un caffè gli rivoltava addirittura lo stomaco.
E tremava. Forse era una conseguenza della doccia bollente, se ne convinse.
Salì e le scale e buttò l’asciugamano bagnato sul letto sfatto, notando con la coda dell’occhio una luce leggera che si spegneva sul comodino.
Si era completamente dimenticato di possedere un cellulare.
Ancora nudo lo prese e premette un tasto per illuminare lo schermo: 5 chiamate da Numero Sconosciuto.
Cinque?
Senza pensare abbassò il pollice sulla cornetta verde e fece partire la chiamata.

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Gerard non era una persona paziente.
Stava per chiamare di nuovo quando il cellulare incominciò a squillare. Sulla schermo la scritta FRANK identificava chi stava dall’altra parte.
Aveva abbastanza coraggio per rispondere? Sì, ne aveva.

Tutto poteva aspettarsi, meno che Gerard.

- Ehm, pronto? –
- …. –
- Scusa, ho ricevuto cinque chiamate da questo numero, ma non so… -
- Ciao… scusa… sono… Gerard. –
- … -

Adesso era il suo turno di tacere.
Ma anche di sperare.

- Ehm, ciao… -
- Volevo sapere come stavi, ecco… -
- Meglio, grazie… -

“Frank, forse dovresti ringraziarlo anche di qualcos’altro…”

- Frank?... –
- Eh? Ah, grazie per… ieri sera… e per la macchina… -

Un silenzio imbarazzante scese tra i due.
Ognuno poteva udire il respiro veloce dell’altro, senza però darne il giusto peso.

-… Figurati. Io… passavo di là… ehm… volevo chiederti se ti andava di andare a prendere un qualcosa assieme oggi… magari per pranzo… -

Frank non sapeva come rispondere.
Gli andava?
Certo che gli andava. Ma c’era qualcosa che gli bruciava ancora dentro e che lo rendeva restio ad accettare.
Ma poi… poi Gerard, pensando di non essere udito, sussurrò qualcosa tra sé e sé, un tiprego-tiprego veloce e bassissimo.

- Sì, mi andrebbe… ehm… dove preferisci? –
- Ehm, facciamo che ti vengo a prendere io. Ok? Perché… ecco… non mi andrebbe di farti guidare oggi……. –

Gerard aveva una voce diversa ora, più pulita e serena.
Era ancora tremendamente nervoso, ma forse quel giorno si sarebbe avverata la visione felice che aveva avuto quella mattina.
E questo non poteva non riflettersi in ogni suo gesto, in ogni sua parola, in tutto il suo essere.

- Ehm… ok. Grazie. Ci vediamo tra un po’ allora… tipo… mezz’ora? –

Nella voce di Frank invece si coglieva una disperata aspettativa, ma anche paura, paura di aver osato troppo.
Lui non vedeva l’ora di incontrarlo. Era forse lo stesso anche per Gerard?

- Certo. Ci vediamo dopo. Ciao. –

E riappese.
Entrambi tremavano, uno in piedi di fronte alla finestra, l’altro ancora nudo in mezzo alla camera da letto.
Entrambi avevano una speranza.
Per entrambi la nebbia grigia che li opprimeva si era alzata un po’ per lasciar posto a un raggio di sole.

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Capitolo 8
*** INSIEME ***


Ciao a tutte. Eccoci qui con il tanto atteso primo appuntamento. Cosa succederà? :)
 Spero di non deludere nessuno e di non sembrare scontata. Non mi sembra poi un gran che, ma lascio decidere voi.
Grazie a tutte coloro che hanno commentato il capitolo precedente. Grazie di cuore. ^^
Vorrei anche scusarmi per la quantità abominevole di errori contenuta nel capitolo precedente. o.o Scusate veramente.
Vi raccomando di portare pazienza e di essere clementi. ^^
Un bacio.
Buona lettura ^^


I denti di un pettine in legno districavano con violenza i grossi nodi che si ammassavano nei capelli di Frank.

“Dovresti pensare seriamente di tagliarli, sai Frank. Ci metti un secolo per renderli decenti ogni volta che te li lavi… sono una cosa assurdamente assurda. “

Era vero. I suoi capelli erano assurdi. Stavano sempre come volevano loro, che fossero corti o lunghi, come in quel momento, e alla fine l’avevano sempre vinta loro.
E a lui toccava uscire ogni volta in condizioni assurde, per l’appunto.
Con un colpo secco, alla fine dell’opera quasi riuscita, lanciò il pettine nel lavandino e uscì dal bagno.
Mancavano cinque minuti allo scadere della mezz’ora prefissata e lui era ancora in mutande. Pulito, profumato e in ordine, ma in mutande, maledizione!
Sbuffando leggermente si accinse ad aprire le ante dell’armadio in camera sua, e con una sottile apprensione, a dirla tutta: correva il rischio di venir sommerso da una valanga di vestiti stropicciati e ammucchiati precariamente sulle mensole. Correva un grave pericolo.
Una mano era già alzata, pronta a proteggerlo da calzini e magliette varie, ma non successe nulla.
Era tutto così ben stipato all’interno, che niente si era mosso una volta aperte le ante.
Tutto un altro paio di maniche sarebbe stato, invece, tirare fuori qualcosa di utilizzabile.
Ma era sempre stato un bravo giocatore di Shangai.
Scelse una maglietta gialla, una delle sue preferite, che ad una prima occhiata sembrava la messa meglio, e una paio di blu jeans strappati alle ginocchia.
Almeno sarebbero sembrati spiegazzati apposta. Infilandoseli diede un’occhiata all’enorme sveglia che troneggiava sul comodino. Era in ritardo. Di cinque minuti. Ciò significava che anche Gerard era in ritardo.

“Abbiamo trovato un ritardatario cronico come te, Frankie. Che sia un buon segno? Che poi, non ci hai pensato che sei in ritardo anche per qualcos’altro? Non ti è minimamente passato per l’anticamera di quel cervellino che ti ritrovi che forse saresti dovuto andare….”

- Merda. Il lavoro. Cazzo. –

Impacciato dai pantaloni infilati a metà, Frank si catapultò a prendere il cellulare abbandonato sul letto e compose in fretta e furia il numero del suo titolare.

- Ti prego, ti prego, fa che mi dia un’altra giornata libera. Ti scongiuro…. Ehm, salve, sono Frank Iero… -

- Iero… ah sì. Sei forse il fattorino che la domenica dovrebbe essere qui alle 11 e mezza? Sì, mi sa che sei tu. E mi sa anche che puoi tenere il culo a casa anche oggi, sai. Sei licenziato. Ti arriverà per posta l’ultimo stipendio. –

- Io… -

Ma aveva già riattaccato.

- Cazzo. L’ho fatta grossa. –

“Eh sì, bellezza, ‘sta volta l’hai combinata proprio grossa. Ma senti… il campanello. Vediamo di non mandare tutto definitivamente a puttane. “

Effettivamente il campanello stava suonando.
Insistentemente.
Molto insistentemente.
Veloce si tirò su la cerniera dei jeans e si infilò la maglietta. A piedi nudi poi corse verso l’entrata ed aprì la porta.

- Ciao Frank! Scusa il disturbo, so che avrei dovuto chiamare, ma avevo voglia di vederti e sai… ero da queste parti… -

Frank la squadrò da capo a piedi.
Era una bella ragazza bionda, una misure 90-60-90, già abbronzata sebbene fosse appena primavera, unghie laccate in maniera impeccabile di una rosa barbie, minigonna e top, tacchi da 8 centimetri. Mmmh.

“E questa da dove spunta fuori????”

- ….. ehm, sono Janet, ti ricordi? –

“Janet??? Ah, sabato di due settimane fa. Un’amica di una compagna di scuola. Un drink e le hai infilato la lingua in bocca. Non siete arrivati al secondo che l’hai portata a casa. Dieci minuti calcolati di puro sesso. Niente di speciale. “

- Ah, sì… eccome se mi ricordo! Caspita, solo che… ehm… mi arrivi in un momento un po’ così, sai, stavo per uscire… -

E poi una sagoma scura era comparsa sul pianerottolo.
Con una mano si stava scostando i capelli corvini dal viso accaldato, gli occhi verdi che, speranzosi, cercavano la porta giusta e che poi si posavano con lentezza sulle gambe della ragazza, per poi salire e fermarsi sul volto impietrito di Frank.
Un mezzo sorriso che se spegneva.
La mano che inerme riscendeva sul fianco.
Il respiro che si bloccava. Ad entrambi.

- Ecco, vedi… è già arrivato. Come vedi non ho tempo per te. La prossima volta ti converrebbe chiamare, sì. Ciao Janet, ciao. Entra Gerard, vieni dentro. –

E con un gesto tremante della mano invitò il ragazzo ad entrare.
Janet era sconvolta. Allibita. Nessuno l’aveva mai rifiutata. Non quando era vestita così.

- Scusa, Janet. Ecco, è stato un piacere conoscerti. –

Gerard era un galantuomo, lo era sempre stato.
E sebbene in quel momento una delusione atroce gli stava riempiendo il cuore, le buone maniere non le aveva di certo perse.
E appoggiandole delicatamente una mano su un gomito la superò per entrare in casa di Frank, che prontamente gli richiuse la porta alle spalle.
Si sentì un “vaffanculo” da fuori, poi il ticchettio dei tacchi che furenti si allontanavano, e poi nulla.

Nessuno dei due aveva il coraggio di parlare per primo.
Nessuno dei due aveva il coraggio di guardare l’altro negli occhi: Gerard ammirava la parete di cd infondo alla stanza e Frank si ammirava i piedi. Nudi.
Stava velocemente affogando in un sentimento molto simile alla vergogna, le guance ne erano la prova.
Poi anche Gerard si accorse di avere davanti il ragazzo scalzo, e sorridendo dolcemente come si fa con i bambini guardò negli occhi Frank.
E Frank guardò lui, le guance ancora più infiammate.

- …. Io…. Vado a mettermi un paio di… ecco…. Scarpe. Sì. Arrivo. Accomodati intanto ma, ma non ci metterò molto. Comunque, sì… fai…. Fai come se fossi a casa tua. –

E scomparve.
Gerard mosse qualche passo in avanti, timido, e si avvicinò alla collezione musicale che Frank aveva pazientemente raccolto fino a quel momento. Era infinita.
Inclinò la testa di lato per poter leggere gli artisti ed i nomi degli album… ordinati in ordine alfabetico e cronologico ci poteva trovare qualsiasi cosa.
Era una specie di isoletta ordinata in mezzo ad un disastro di appartamento. Ma gli piaceva. Sapeva maledettamente di Frank.
E il suddetto ragazzo aveva nel frattempo tirato fuori un vecchio paio di Converse nere un po’ slavate ed era ricomparso in salotto, senza dire una parola.
Era rimasto affascinato dall’immagine di Gerard che, con una mezza linguetta fuori, rimirava estasiato la parete di cd a tal punto che non aveva avuto la forza di dire o fare nulla se non starsene lì a guardarlo. Mosse solo di poco la testa, in modo da vederlo meglio, ed un osso scricchiò.
Gerard si voltò di scatto, imbarazzato.

- Ehm, caspita, complimenti, non sapevo che ti piacesse così tanto la musica. Io… mi piace… cioè… anche a me piacciono questi gruppi… -

E poi abbassò lo sguardo, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore.

“Gli piace… sottolineo, gli piace qualcosa di te…”

Frank non sapeva cosa pensare. Ne tantomeno cosa fare.
Gli si avvicinò e prese in mano uno dei suoi dischi.

- Questo è il mio preferito…. Non so…. Io li adoro…. Tu… -

Era un album degli Iron Maiden, Powerslave.

- Anche io li adoro. È il mio preferito in assoluto tra i loro… ecco… –

Gerard aveva risposto con foga, come se volesse far vedere che era bravo, come fanno i bambini.
E intanto, tutto preso dal suo discorso, si era avvicinato ancora di più a Frank, guardando il cd tra le sue mani, non alzando mai gli occhi, sempre più vicino.
E si fermava ad ogni parola, imbarazzato e insieme teso per la situazione, ma aveva così tante cose da dire, così tanto da dimostrare. Voleva piacere a Frank.
Ma Frank non lo ascoltava minimamente.
Lo osservava, invece, avvicinarsi a lui, e tremava all’idea di un contatto tra le loro mani, ma erano così vicini….
Osservava la pelle chiara del viso di Gerard, per metà coperto da un ciuffo ribelle di capelli nerissimi che rubavano una sfumatura particolare alla luce.
Ammirava in silenzio quello stesso ciuffo ribelle che la sera prima lo aveva così dolcemente accarezzato in volto.
E poi osservava le mani di Gerard, lisce e curate e all’apparenza morbide. E si ricordò dell’effetto di quelle dita affusolate sulla sua pelle, sulle sue labbra.
I due ragazzi erano sempre più vicini, le loro spalle si sfioravano appena e Gerard continuava a parlare e a parlare ininterrottamente, un fiume di parole che scendeva impetuoso dalla sua bocca.
Ma che non trovava pace nella testa di Frank, così occupato ad ascoltare il suo cuore battere direttamente in gola, così forte che temeva che l’altro lo sentisse.
E poi, con un gesto delicato, Gerard mosse una mano in direzione dell’altro per indicargli un punto sulla copertina del cd.

- Sì, vedi… eccolo qui. È proprio qui… -

E in quel momento le loro mani si sfiorarono.
Il respiro di Frank si mozzò, riportato così ferocemente alla realtà, e alzò lo sguardo per guardare Gerard in viso, la bocca leggermente aperta.
Dal canto suo, Gerard era rimasto stupito dalla scarica elettrica che aveva sentito scorrergli nelle vene nell’istante esatto in cui la sua mano aveva incontrato quella del ragazzo.
Così alzo lo sguardo anche lui, per guardare Frank, per controllare che lui non avesse sentito quel maledetto brivido che aveva seguito la scossa.
La prima, ma non l’ultima di quella giornata.
I loro sguardi si scontrarono e si fusero in un unico abbraccio, le loro mani si unirono nuovamente in una presa più salda, le parole si rintanarono in un angolo lasciando la bocca vuota, inutile, il loro cervello smise di impartire ordini all’intero corpo, cosicché l’unica cosa che in quel momento funzionava a dovere fu il loro cuore, che irradiava ogni singola cellula di un energia nuova, un calore nuovo. Quello che seguì fu un gesto automatico.
Gli sguardi erano rotolati giù, giù fino alle labbra dell’altro e poi si erano oscurati, le palpebre che calavano rendendo buio quel mondo che il quel momento era fatto solo di sentimenti, sensi, suoni ed odori. E poi il tocco delicato di due bocche sottili ed inesperte.
Fu appena un attimo, un fulmine rombante che li investì senza preoccupazioni, senza se, senza ma.

Quello fu il loro primo bacio.
Non era passionale, non bramavano il contatto dei loro corpi, no, non ancora.
Era stato un riflesso di un bacio.
Ma forse anche quello che poteva avvicinarsi di più alla purezza di un amore non ancora iniziato, non ancora consumato, leggero come un cappello rapito dal vento, quasi un amore bambino, che si affaccia per la prima volta sul mondo.
E si sentirono giusti, perfetti così com’erano, coi loro difetti e con il loro amore appena nato, anche se era diverso, diverso da tutto quello che avevano provato fino a quel momento, ma non era sbagliato. Non poteva essere più lontano dal sembrare sbagliato di così.
Era un universo nuovo, un oceano movimentato nel quale affondavano assieme, un continente non ancora scoperto nel quale stavano sbarcando per mano, la loro America, la loro nuvola rosa dove se ne stavano ritirati a guardare il resto del mondo girare senza sosta, con e senza di loro al contempo.
Era tutto ed era niente.
Erano loro, uniti per un secondo che durò un anno.
Erano insieme.

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Capitolo 9
*** UN SORRISO BAMBINO ***


Ciao a tutte! Vogliate perdonarmi la lunga attesa, me ne rendo conto, ma avevo (e forse continuo ad avere, chissà) un piccolo blocco. Spero che mi passi presto.
Ciò nonostante ho cercato di darmi da fare come avevo promesso a qualcuno in particolare ;) ed eccomi qui. È corto-corto come capitolo, ma spero che mi perdoniate anche per questo: sto cercando di riprendere la mano. E chissà, magari nel prossimo inserirò anche qualcosa di più “interessante”, per così dire. Ma non voglio correre troppo, anche perché il blocco è sempre in agguato, pronto a raggiungermi nuovamente.
Detta tutta questa filippica, ringrazio nuovamente coloro che hanno lasciato qualche commento ed invito altre a farlo, altrimenti non posso capire se sto migliorando o meno. ;)
Clemenza è la parola d’ordine. ;)
Buona lettura ^^
Un bacio.
 
 
 
Quel momento durò un attimo.
Poi Frank riaprì di colpo gli occhi e si rese conto di star respirando il respiro dell’altro.
Gli era piaciuto e continuava a piacergli, avere Gerard così vicino a lui, che lo schermava dall’alto, ma il tutto era come un treno lanciato alla massima velocità verso di lui: era un sentimento destinato a travolgerlo e ad annientarlo, che sia stato positivo o meno.
E lui lo sapeva, sapeva di non avere più scampo a tutto ciò, che il tempo che gli era stato concesso per allontanarsi dai binari era scivolato rapido come scivola la sabbia di una clessidra, rapido come l’acqua di una cascata che brama di raggiungere al più presto il suolo. Frank aveva tentato di resistere alla forza che lo attirava, che lo attirava verso Gerard sin dall’inizio, ma aveva fallito, e ora si era schiantato con un tonfo, inesorabilmente.
Ancora si poteva sentire l’eco dello schianto che aveva provato il suo cuore, Gee lo poteva sentire nell’aria, dentro di sé, perché era esattamente lo stesso che aveva provato lui stesso.
 
Poi si staccarono l’uno dall’altro, colmi di imbarazzo.
 
- Scusa… io… non so cosa sia successo… è colpa mia… -
 
Frank non capì perché parlò di colpa in quel momento.
Forse perché aveva ripreso a ragionare con la testa e non col cuore, forse perché si ricordò che solitamente i ragazzi non si baciavano sulla bocca, a meno che non fossero… non fossero come quelli del locale; forse pensò che la gente non avrebbe capito, e che lui era uguale preciso identico a quella gente, e che di conseguenza non avrebbe dovuto capire quel gesto nemmeno lui.
 
- … colpa è una brutta parola, Frank. –
 
Gerard non aveva altro da dire, non pensava altro che questo. Colpa è una brutta parola. La loro non poteva essere una colpa. Le colpe originano del male, portano a conseguenze spiacevoli.
E Gerard si chiedeva come una cosa così bella come quella che avevano appena provato potesse portare a cose “cattive”. Poi si ricordò anche lui dei giudizi, dei pregiudizi della gente, delle parole sussurrate ad alta voce quando non vuoi, ma in realtà vuoi farti sentire. Le risatine di scherno, i pugni, i lividi, le scritte offensive, le lacrime.
Ma tutto questo non poteva essere colpa di Frank, di quel ragazzo che – lo notava solo ora – indossava la maglia giallo sole che gli aveva scombussolato i gusti, di quel ragazzo che lo guardava come nessun altro lo aveva mai fatto, che tremava al solo averlo vicino, che lo aveva baciato. Così teneramente.
No, il suo cervello si rifiutava di crederlo.
 
- Io non so perché sia successo, ma… va bene così. A me… ehm… a me non da fastidio, ecco. –
 
Aveva tirato fuori tutto il coraggio che aveva trovato nascosto nel suo corpo per dire una cosa del genere.
Sebbene pensasse di essere gay da un paio di anni, sebbene avesse frequentato Il Cowboy, sebbene avesse provato ad amare qualche ragazzo in quegli anni, lo aveva fatto unicamente col corpo, fisicamente, senza mai pronunciare una parola sulle sue relazioni. Mai. Il più delle volte durava una notte, forse due, il tempo di guardarsi, piacersi e di portarsi a casa uno dell’altro. Niente parole, niente presentazioni, qualche volta il nome e l’offerta di qualcosa da bere, e poi nient’altro.
Era per questo che aveva ancora dei dubbi, dubbi che Frank aveva prontamente spazzato via con forza.
Non poteva non capirlo, in quel momento di smarrimento, e non poteva non cercare di confortarlo. Era il minimo che potesse fare.
 
In tutta risposta ricevette un sorriso abbagliante che gli fece capire perché il giallo di quella maglietta stesse così bene sulla persona di Frank.
Era un sorriso genuino, che scaturiva dal profondo e che si irradiava in ogni angolo della sua figura, sulle labbra, le guance, gli occhi, la fronte, che lo investiva come dei raggi, che lo circondava di luce, di calore.
 
- Ehm, beh allora, se non ti dispiace, possiamo ancora andare a prendere qualcosa assieme per pranzo… no? –
 
Frank era diverso ora: era più distaccato e insieme sensibile, era più leggero e al contempo ancorato al terreno su cui poggiavano i suoi piedi. Era sciolto, sciolto dalle parole di Gerard e sciolto nei movimenti, nel respiro regolare; non tremava, ma era comunque preoccupato.
E se ne rendeva conto.
 
“Eh bello mio. Siamo andati per benino, eh? Vediamo, ti capita molto spesso di sentirti così tutto e il contrario di tutto? Scommetto di no.”
 
Eggià, non era mai capitato.
 
- Certo! Se sei pronto possiamo andare allora… -
 
Pronto? Ah, che domande!
 
- Sicuro, prendo il portafogli e arrivo… eccolo qui. Bene, sono pronto. –
 
E lo investì con un altro di quei suoi sorrisi, così naturali. Come un…come un bimbo.
 
“Quante volte hai pensato a Frank come ad un bambino, Gee??? Cioè, guarda che uomo che hai di fronte e lo pensi così infantile! Suvvia! “
 
In realtà ciò che gli veniva costantemente in testa era l’idea della naturalezza e garbata sfacciataggine dei bambini.
 
“Vabbè, sempre dell’infantile gli dai… cambia poco…”
 
E invece cambiava molto. Cambiava tutto.
Cambiava così tanto che si sporse nuovamente verso di lui e gli regalò un nuovo, delicato bacio.
Era appena vicino alle labbra, non perfettamente centrato per non rovinare quel sorriso ancora tirato sul viso dell’altro ragazzo. Che continuò a sorridere, beato.
Come Gerard del resto!
 
  

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Capitolo 10
*** TEMPORALE ***


Ciao a tutte! È passata più di una settimana, me ne rendo conto, ma qua è stato un incubo. E poi ho dovuto aspettare l’illuminazione divina (tipo Blues Brothers) per poter scrivere il capitolo nuovo.
Mamma mia che frustrazione! Ci ho messo tutto l’amore e l’impegno possibili. Spero si veda.
Non ne sono comunque convinta, ma spero anche che possa piacervi! Mi auguro che siate clementi, come sempre. Se c’è qualcosa che non va vi prego di dirmelo. ^^
Che dire, un abbraccio e buona lettura! :)






 Uno di fianco all’altro, scesero con calma le tre rampe di scale che Gerard aveva percorso di fretta solo pochi minuti prima.
Era come se fossero in simbiosi, si muovevano nello stesso momento e con gli stessi tempi, cosicché se fossero stati alti uguali le loro spalle si sarebbero continuamente sfregate una contro l’altra.
Ma Frank era più basso e l’unico sporadico contatto era quello tra i dorsi delle loro mani.
Ogni volta che accadeva Gerard si girava a guardarlo, sorridendogli cauto: avrebbe voluto fare molto di più, in realtà…
avrebbe voluto risentire il suo profumo da più vicino, assaporare nuovamente quelle labbra sottili, sentire il peso di quel ragazzo tra le sue braccia, contro il suo corpo.
Aveva una terribile voglia di abbracciarlo, quasi fosse una necessità, una questione di vita o di morte. Mi gli sembrava troppo. Si era già spinto oltre il limite con lui.
Probabilmente se fosse stato in possesso di un macchinario in grado di leggere il pensiero delle persone, Gerard non si sarebbe trattenuto oltre, perché tutto ciò lo voleva anche Frank, e intensamente.
E quest’ultimo se male diva sé stesso per la sua bassezza, benediva invece ogni momento in cui la sua mano cozzava contro quella dell’altro, perché questo significava un nuovo sguardo, un nuovo sorriso, una nuova ma desiderata stilettata al cuore.
Ma erano pur sempre solo tre rampe, e sebbene avessero cercato di protrarre quel momento all’infinito, la porta vetrata della bifamiliare si presentò ben presto davanti a loro.
Per un secondo Frank si allontanò da Gerard e si sporse a premere un interruttore sul muro, con un click sordo fece scattare la porta e poi la aprì con gentilezza.

- Grazie infinite. Le devo lasciare la mancia, signor usciere? –
Beffardo.

- Dipende in cosa consiste la mancia, milord. –
Malizioso. Ma non era il momento.

Gerard si avvicinò al ragazzo e con delicatezza gli sfiorò una guancia. Non avrebbe ricevuto altro.
Frank ci rimase un po’ male, il rossore della vergogna che si sostituiva alla mano dell’altro.

“Che idiota che sei Francuccio dei miei stivali… non ti pare di aver osato troppo ‘sta volta? E non guardarlo con quegli occhioni da cerbiatto offeso… te lo sei meritato.

Ma già Gerard aveva utilizzato tutta la forza di volontà possibile per non assecondarlo, se in più Frank si metteva a guardarlo così era impossibile dire di no!
Quella mano che precedentemente lo aveva appena sfiorato andò ad aderire sull’intera guancia bollente del più piccolo, esattamente come l’altra.
E tenendogli il viso così incorniciato gli concesse un nuovo bacio, delicato ma più profondo degli altri. Più sentito.
A Frank girava la testa, si sentiva ebbro come se avesse bevuto tutto d’un fiato quel bacio da un calice d’oro.
E quello non era niente, niente in confronto ad un bacio vero. Qualcosa che non aveva ancora provato.

Ancora all’interno dell’edificio, Gerard e Frank stavano in piedi, le fronti attaccate, gli sguardi persi uno nell’altro, le labbra distese in un sorriso estatico.
Poi Frank scoppiò a ridere. Una risata argentina, uno scampanellio amplificato dalla tromba delle scale, contagioso.

- Perché ridi? –

- Ehm… senza offesa, ma sembriamo due ebeti così… ahah ehm… scusa. Non dovevo… -

- Beh… in effetti. Siamo un po’ zuccherosi… da diabete, insomma. –

- Ahahahah sì, come una dose di zucchero sparata in endovena… ehm. Però… -

- Però…? –

- …. Però mi piace. –

Gerard non sapeva come rispondere.
Anche lui non si era mai dato a smancerie simili, però lo sentiva come se fosse una cosa naturale da fare in quel momento.
Per tutta risposta gli sorrise.
Per tutta risposta lo stomaco di Frank ruggì esasperato.
Era il turno di Gee di scoppiare a ridere. Una risata roca dovuta alle sigarette, molto seducente.

- Fame? Dai, andiamo allora…. –

E uscirono.
Frank aveva un mezza idea di prenderlo per mano, ma in fondo non stavano insieme, era un passo troppo lungo da fare in quel momento; si erano baciati, è vero, ma non era stato un bacio vero, profondo… era stato un accenno.
E per fortuna che non lo fece.
Perché dal nulla spuntò lei.

- Frankie, tesoro! Non sapevo fossi stato male! Potevi dirmelo che era per questo che non mi hai chiamata! Avrei capito… lo sai che sono comprensiva, io. –

Janet era dall’altra parte delle strada, affianco a lei… Mikey.
Frank era interdetto: mandarla direttamente affanculo e liberarsi di entrambi o…. o.

Cazzo Frank! Ti immagini se vi hanno visti??? Guarda la faccia di Mikes… è sconvolto! Ah Signore, per fortuna che non gli hai preso la mano!

- Frank? Stella, rispondimi… era per questo che non mi hai chiamata? –

Nel frattempo Janet si era avvicinata e ora lo guardava preoccupata.
O finta preoccupata. In fondo a lei Frank non piaceva neppure poi tanto, ma nessuno l’aveva mai rifiutata e umiliata in questa maniera.
Doveva fargliela pagare. Non sapeva nulla di loro due, ovviamente.
Per questo la sua vendetta era molto più dura di quanto ella stessa potesse immaginare: pensava di far fare una brutta figura a Frank di fronte ai suoi amici, ma in realtà stava picconando senza pietà il cuore si Gerard.

Gee… che cazzo stai facendo??? Ha la ragazza, non vedi? Prendi e vai, per piacere. Non ti mettere in mezzo.

- Ehm, beh allora vi lascio soli… io magari torno a casa. Ci sentiamo un’altra volta… -

“Un’altra volta, Gee?? Ma stai dando i numeri?? Così corri anche il rischio di saltargli addosso?? Per l’amor del cielo, Gerard, per l’amor del cielo…”

Frank era disperato.
Non gliene fregava niente di rispondere male a quella Janet, magari dicendole anche che sì, era gay e stava uscendo con un uomo e che quindi non doveva rompere il cazzo e che non l’avrebbe chiamata comunque, nemmeno se fosse stato bene, come in effetti era in realtà.
Ma con Mikey lì che lo guardava come avrebbe potuto? Non sapeva nemmeno lui quello che c’era o che stava crescendo tra loro due, come avrebbe fatto a spiegarglielo, lui che era il suo migliore amico e pure, come se non bastasse, il fratello del ragazzo che lo aveva appena baciato? No, non poteva. Doveva escogitare qualcosa.
E poi l’uscita di Gerard gli arrivò alle orecchie… e ne comprese il significato.

- Nononono, aspetta Gerard. Dovevamo andare a prendere qualcosa assieme per pranzo e ci andremo. Punto. Poi, Janet… punto primo: se volevi tanto vedermi avresti potuto chiamarmi tu, sono passate due settimane per Dio! Quindi non venirmi qua a rompere tanto, spuntando dal nulla come se fossi la mia ragazza, perché, guarda un po’, non lo sei… -

“…. Non è la sua ragazza… non lo è… brindiamo alla dolce notizia, Gee!!”

- … punto secondo: se non ti ho chiamato vuol dire che c’era un motivo, e questo motivo è che non me ne frega poi molto di continuare a frequentarti; non lo abbiamo mai fatto e mai lo faremo, anche perché, in fondo, non frega un cazzo nemmeno a te, ammettilo. Punto terzo: da chi hai saputo che stavo male?? -

- Io… ho visto Mikey qua sotto che stava per salire da te e… -

- E mi ha estorto le parole di bocca, Frankie, scusa. Non la conosco nemmeno… Non dovevo… -

“Ah-ah, ecco il perché della faccia sconvolta! Mikes, nerd com’è, non è abituato alle moine delle ragazze… deve averlo accarezzato per benino per farsi dire quello che voleva… in fondo dovevi aspettartelo, Frank… è conosciuta per essere la peggior zoccola della scuola! Elementare, Watson.”

Tra Frank che urlava contro alla ragazza, indignata di fronte a lui, e Mikey che si scusava e si tirava su gli occhiali che gli scendevano dal naso, Gerard era senza parole.
Un po’ guardava suo fratello, a disagio e, povero, non poteva non capirlo.
Un po’ guardava la ragazza, e non capiva invece come mai Frank la stesse rifiutando in quel modo… non era la sua morosa, ok, ma erano usciti assieme almeno una volta e questo significava che a lui piacevano le ragazze, e lei era bella. Non se ne intendeva molto, era da un po’ che non ci badava più, ma lei era oggettivamente bella.
Una di quelle classiche modelle che rientrano nei sogni di ogni adolescente comune.
Ma forse Frank non era poi così comune.
Poi Janet si voltò e ancheggiando si diresse verso un maggiolino rosa parcheggiato qualche metro più in là.
Si era perso gli ultimi sviluppi.

- Oh, finalmente. Scusa ma non ho idea del perché sia venuta… veramente, mi dispiace. Cazzo, adesso ho ancora più fame di prima! –

Gerard sorrise. No, Frank non era per niente comune.

- Scusa Frankie, non dovevo lasciarmi imbambolare da quella… ero venuto per vedere se stavi meglio e perché mio fratello mi aveva lasciato un biglietto dicendo che veniva da te. Non volevo disturbare. –

- Macchè, Mikes! Non ti preoccupare, immagino sia stata dura per te, ah? Con una come lei… beh… noi stavamo andando a prendere qualcosa per pranzo… vuoi venire anche tu? –

“Idiota che non sei altro! Vuoi rimanere da solo con Gee sì o no??? Magari così gli spieghi... cosa lo inviti con voi???

Gerard rimaneva in silenzio. In realtà pregava che Mikey rispondesse negativamente all’invito.
Come Frank, d’altro canto.

- Beh, grazie dell’invito ragazzi, ma avevo promesso a Sean che sarei andato da lui oggi. Anzi, sono anche in ritardo. Ci si vede! Ah, Gee, manda un messaggio alla mamma se rimani fuori. Ha detto che sarebbe venuta a casa a prepararti il pranzo visto che io sono via e tu non sai cucinare. Bon, ciao. Divertitevi. –

- Sì, beh.. ok. Grazie Mikes… adesso la avverto. Ciao. –

“Figura di merda, figura di merda colossale, figura di merda colossalmente colossale. Avverti la mamma… manco avessi 6 anni… e divertitevi??? Okok, non pensare ai modi con cui potremmo divertirci, da bravo… “

- Beh, andiamo allora, cosa ne dici? Rischio veramente di morire di fame…. –

Gerard lo prese per una spalla, neutrale, un gesto tra amici, e lo diresse verso la sua macchina sgangherata.

- Non è un granché di auto, ma almeno si trascina avanti… Sali. –

Però Frank, prima di salire, si guardò attorno e si assicurò di vedere Mikey sparire dietro l’angolo per poi, più tranquillo, prendere posto sul sedile. Quello stesso sedile.
Gerard nel frattempo stava girando la chiave per mettere in moto quando si vide prendere per mano dal più piccolo.
Si voltò, preoccupato e lo vide avvicinarsi a lui, sentendosi attraversato da quello sguardo che entrava nei suoi occhi e gli scrutava il cuore, l’anima.

- Ho visto prima come mi guardavi e come guardavi lei. È vero, l’ho portata a letto, è stato due settimane fa. Ma già quella sera non mi interessava più di tanto.
Era solo… sesso, capisci? Non so perché ti sto dicendo queste cose, ma mi sembra… ecco… mi sentivo in dovere di togliere qualche dubbio dopo quello che è successo.. tra noi.
Non so cosa sia, non so come prenderla, ma so che Janet non conta… ehm… ok? Mi dispiace che sia uscita così… -

A vederlo così vicino, a sussurrargli queste cose con voce strozzata e con la verità che si scioglieva nelle iridi castane, Gerard sentì un brivido corrergli lungo le braccia, le gambe, il collo, la schiena.

- Ehm… capisco. Non… serve che ti scusi. Non so nemmeno io cosa sia… e… e posso capirti, veramente. Non serve che dici altro. Va bene così… -

Ma il momento era troppo bello per essere mantenuto tale: la fame di Frank reclamò attenzione con un ringhio feroce, costringendo il ragazzo a premere le braccia sullo stomaco, in modo da attutirne il rumore, imbarazzato.

- Sì signore! La porto a mangiare! –

E ridendo di gusto mise in moto e fluido serpeggiò per le strade in cerca di un buon locale dove portare a pranzo la sua donzella.
Doveva essere un posto intimo, dove potevano stare tranquilli e soprattutto non visti.
Dovettero uscire dalla cittadina e spingersi fuori fino a quando non raggiunsero un piccolo locale rustico appena segnalato da un insegna luminosa ormai spenta.

- Non ci sono mai stato qui… cosa dici? Potrebbe bastare a placare la belva che ti ritrovi nella pancia? –

- Ormai penso vada bene qualsiasi cosa! Ma… a te va bene come posto? –

- Basta che facciano caffè e sono a posto, non ti preoccupare. –

Gerard si voltò e gli fece l’occhiolino, Frank lo guardò e gli mostrò la lingua.
Si stupivano ogni minuto di più della complicità che c’era tra loro, loro che non si erano mai propriamente parlati, non erano mai usciti per una birra, non erano mai andati ad un concerto assieme.
Loro che non erano amici.
Eppure si trovavano bene.
Eppure si sentivano come vecchi compagni che si ritrovano dopo tanto tempo.
È difficile nella vita trovare un’anima così affine alla propria, e loro lo stavano capendo a poco a poco.

Una volta entrati, scoprirono il locale vuoto, se non per un camionista fermo in pausa pranzo e la vecchia signora che serviva ai tavoli.
Il posto era da cartolina: un vecchio fast-food degli anni ’50, con juke-box, sgabelli al bancone e poster della Coca-Cola alle pareti.
Una musica leggera si diffondeva dalle casse: la voce inconfondibile di Buddy Holly che li invitava a sedersi comodi e rilassarsi.
Presero posto nel tavolino più distante possibile, dietro ad un séparé di carta riso con l’immagine di Marilyn e ordinarono alla signora anziana, che dopo poco tempo si presentò con un vassoio in legno contenente le loro ordinazioni.
Sembrava quasi di conoscerla quella signora dai capelli bianchi e dalla figura esile; se avesse avuto in mano una cartellina di plastica al posto del vassoio sarebbe stata uguale in tutto e per tutto alla segretaria del telefilm Saranno Famosi degli anni ‘80… eggià, sembrava proprio lei.
Gerard si portò alla bocca la tazza di caffè bollente, venendo investito dal suo caldo aroma e inspirandolo a pieni polmoni.
E nel frattempo guardava Frank, che allungava le mani su qualsiasi cosa commestibile fosse presente sul tavolo.

- Caspita, è molto più buono di quello che mi sarei preparato io oggi. Adesso che lo sappiamo potremmo venire più spesso….. –
Si soffocò con un boccone per l’audacia delle sue parole.

- … se ne hai voglia, ovviamente. –

- Il caffè non è male. Ne vale la pena… -

E lasciò cadere il discorso.
Se possibile era ancora più imbarazzato di Frank, che ora mangiava in silenzio senza alzare gli occhi dal piatto, concentrato su come masticare ed inghiottire senza attentare alle propria vita.
Gerard posò la tazzina vuota e distese le braccia sul tavolo, fingendo di guardare fuori dalla finestra e invece continuando a non staccare lo sguardo da Frank con la coda dell’occhio.
In questi momenti così… umani, ai suoi occhi risultava ancora più straordinario di quando gli sorrideva come un bambino, di quando lo prendeva in giro perché sembravano due ebeti, di quando indossava quella maglietta gialla. E non poteva fare a meno di ridere al pensiero che un giorno solo con quel ragazzo gli avesse scombussolato a tal punto il cervello.
Si girò nuovamente verso di lui e lo osservò mangiare, il sorriso ancora presente sulle sue labbra.

- Sai Frank… hai ragione. Potremmo venirci più spesso adesso che lo sappiamo. -

Con il cibo ancora in bocca, Frank alzò il capo e lo ringraziò con gli occhi, gli sorrise con gli occhi. Lo fece suo con essi. Definitivamente.



Una volta finito di pranzare, i due si persero a parlare di tutto e di niente, osservando il cielo che, fuori dalla finestra, piano piano si stava ingrigendo, e le foglie che, sospinte da una brezza nuova, prendevano il volo.
Dalla radio, lo speaker di un’emittente locale annunciava l’arrivo di un temporale in città. Un temporale bello grosso, anche.
Frank si alzò per pagare: anche se gli sarebbe piaciuto rimanere bloccato lì per l’eternità in compagnia di Gerard, si ricordava che il brutto tempo lo aveva sempre reso nervoso, e che avrebbe preferito essere a casa, piuttosto che in quel locale o chiuso in macchina con la pioggia che frusta i finestrini.

- Hey, aspetta. Pago io! Ti ho invitato io a pranzo fuori, tocca a me. –

Ma Frank non gli diede retta, e agitando con noncuranza la mano, si diresse dalla signora al bancone.
Anche Gerard si alzò, raccolse le chiavi dal tavolo e si avvicinò al più piccolo, posandogli delicatamente una mano sulla schiena.

- Beh, grazie allora. La prossima volta offro io. –

- Ci mancherebbe altro! Dopo tutto quello che hai fatto per me! Arrivederci signora, alla prossima! –

E con la mano di Gerard ancora sulla schiena, uscirono dal locale.
Qualche goccia tamburellava già sul cofano della macchina, il cielo ormai nero che li sovrastava, la strada deserta che li invitava a tornare a casa.



Se siete arrivate fin qua, vi ringrazio con tutto il cuore! Ditemi cosa ne pensate, così mi aiutate a migliorare ;)
Baci
LOVE IS LIKE SUICIDE

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Capitolo 11
*** FRAGILE ED INCRINATO ***


Salve mie care! Lo so, lo so, ci ho messo una vita per tirare fuori questo undicesimo capitolo, e vi devo le mie scuse. O forse magari non frega una mazza a nessuno u.u
Comunque mi dispiace, ma trovo sempre meno tempo per mettermi a scrivere (maledizione!) e il blocco continua imoerterrito a rovinarmi i piani. .-.-
Però l'impegno l'ho messo, così come l'amore, come sempre.
Ditemi se non vi piace, se invece vi piace, se fa schifo, se ha bisogno di essere cambiato, allungato, accorciato, qualsiasi cosa! :)
Un abbraccio, siate buone, e godetevi la lettura. ^^






Le piccole gocce che avevano appena macchiato le loro maglie leggere si erano ora trasformate in grosse sfere di acqua gelida che scendevano pesanti dal cielo ormai completamente nero.
Un vento arrabbiato le portava dritte contro il vetro della macchina in corsa, contro il tettuccio, rigando i finestrini con una trama intricata di perle che catturavano la luce artificiale dei fari.
Dentro all’abitacolo, Frank teneva le unghie piantate nella stoffa del sedile, a lato dei suoi fianchi: le braccia ed il collo tesi, guardava fisso davanti a sé, nervoso, la strada in realtà poco visibile.
Anche Gerard era nervoso: il temporale si era ingrossato sopra di loro tutt’ad un tratto e ora stava investendo con forza la sua piccola macchina, che temeva li avrebbe abbandonati lì, in mezzo al nulla. Temeva poi di uscire di strada, di fare un incidente, temeva per lui, temeva per Frank che percepiva spaventato sul sedile di fianco al suo. E non si permetteva mai di guardarlo, un po’ perché voleva stare attento alla guida, un po’ per non rivedere la sua stessa espressione, come di fronte ad uno specchio, sul volto dell’altro, cosa che lo avrebbe fatto spaventare ancora di più.
Il viaggio non finiva più: non si erano accorti all’andata di essersi allontanati così tanto.
E la lentezza della sua guida non contribuiva di certo a migliorare la situazione.
Silenzio, solo il rombo lamentoso del motore e la violenza della pioggia nelle orecchie.

- Frank…. È tutto ok? ….. No, scusa, non doveva suonare come una domanda. Era un’affermazione. È tutto ok. Adesso arriviamo a casa, manca poco. Non ti preoccupare. –

- Concentrati su quel fottuto volante, per piacere. Non pensare a come sto io. –

E non poteva dire altro. Non sapeva dire altro.
La nausea lo attanagliava, i lampi lo abbagliavano, i tuoni lo scuotevano esattamente come quando era piccolo.
Ma quella volta aveva sua madre al suo fianco, che calda e rassicurante lo coccolava tra le sue braccia, gli sussurrava parole dolci, confortanti. In quei momenti era protetto.
Ora era in una macchina sgangherata, non a casa, non con sua madre, ma con un ragazzo che conosceva a malapena e che non poteva aiutarlo in nessun modo senza farli uscire di strada come conseguenza.
E poi un pensiero leggero. Uno di quelli che le persone non producono volontariamente, ma che passa alla velocità della luce sotto i loro occhi e tal volta le sconvolge.
Frank aveva sfocata nella mente l’immagine di sé stesso, rannicchiato tra le braccia di Gerard sul divano di casa sua.
E in quel attimo non aveva sentito più nient’altro, né la pioggia, né i tuoni, né le sottili imprecazioni dell’altro ragazzo alla guida. Aveva sentito solo la sua mente lavorare frenetica per carpire quell’immagine, ricordarla, assaporarla in ogni dettaglio. E stranamente questo lo calmava.
Gerard vide con la coda dell’occhio le braccia del ragazzo rilassarsi un poco, fino a quando non si piegarono del tutto, docili, fino ad accostarsi morbide ai fianchi, le mani aperte sulle cosce. Era un cambiamento dovuto a cosa? Al fatto, che, forse ora si stagliava di fronte a loro il cartello di benvenuto della loro cittadina?
Ed era lui, lì, piegato dal vento e vagamente sinistro, con le lettere cubitali nere a salutarli ghignanti. Ma erano a casa, e questo era tutto ciò che contava.

- Ti accompagno a casa, allora…. Frank? Hey…. Cosa preferisci? –

Frank non si era accorto di aver ormai oltrepassato l’entrata della città e di essere di nuovo tra quelle strade, deserte, ma pur sempre familiari.
Non si era accorto di essere stato chiamato dall’altro, che ora, più tranquillo, lo guardava a tratti incuriosito.
No, lui era ancora là, sul suo divano, la pioggia chi invece di battere sui finestrini batteva sulle finestre chiuse di casa sua, il buio, le braccia intrecciate, quel senso di pace al centro del caos che impazzava fuori.

- ….. Scusa…. Cosa? –

- Ehm, ti ho chiesto se ti devo portare a casa tua… -

- Oh, sì… grazie. Sarebbe grandi… -

Un tonfo. Sul cofano.
Un ammasso di ghiaccio che scivolava piano di lato.

- Cazzo! Che roba era?? Grandine?? –

Nel frattempo dal nero del cielo cadevano massicci blocchi bianchi, grandi come uova o palline da tennis, che si rompevano urtando il suolo, che si scheggiavano colpendo la macchina.

- Cazzo Gerard, gira e parcheggia a casa mia. C’è un posto auto al coperto che dovrebbe essere libero…. –

- No, beh, vado a casa, non ti preoccupare, non mi farà mica poi tanti danni in più ad arrivare fino a casa… -

- Che cazzo, parcheggia lì sotto e basta! Io intanto tiro fuori le chiavi. –

Ed era già che armeggiava nelle tasche dei pantaloni, tirando poi fuori la mano vittorioso, la chiave stretta nel pugno.
E Gerard svoltò sotto casa sua e infilò la macchina nel posto auto che il ragazzo gli aveva appena indicato con un gesto.
Poi entrambi scesero di corsa per andare a ripararsi sotto al pergolo, la pioggia che schizzava sulle loro gambe, pezzi di ghiaccio che rimbalzavano fino ai loro piedi.

- Ehm, senti… non… non so neanche come chiedertelo… Ecco, mi faresti compagnia? Ti va di salire? Così aspetti che questo fottuto temporale smetta e sei all’asciutto, se non altro… -

Con una mano Gerard si scostò i capelli bagnati dal viso e lo guardò nella sua maglietta chiazzata d’acqua e i capelli incollati alle tempie, con le mani che, tremanti dal freddo, tentavano di infilare le chiavi nella toppa per poter aprire la grande porta a vetri.

- Grazie mille sai. Se ti fa piacere, rimango volentieri. –

Un sorriso imbarazzato da parte di uno, un’imprecazione da parte dell’altro.

- Che cazzo, non si vuole aprire! Ma fanculo sto freddo fottuto, mi scappano anche le chiavi dalle dita, tanto sono bagnate…. E dai! –

Il più grande lo prese per una spalla per farlo arretrare, gli rubò il mazzo al volo e inserì la chiave nella toppa; un paio di giri e la porta era aperta, che li invitava al caldo.

- Grazie. –

- Di niente. –

Entrarono e chiusero fuori quel freddo umido, intesi a non lasciarlo entrare.
Salirono con calma le scale, in silenzio, sempre uno di fianco all’altro, ma non più in simbiosi, ognuno per conto suo. Qualcosa stonava.
Una forza li teneva lontani, li respingeva, serrava loro le lingue tra i denti.
Imbarazzo.
Con ancora le chiavi in mano, Gerard si protese per aprire la casa, lasciando poi lo spazio per far entrare Frank prima di lui.
Che stava ora accendendo le luci soltanto per vedere l’interruttore premuto a vuoto. Il bulbo delle lampadine spento e inutile.

- Merda. È saltata. Cazzo. Aspetta che ti faccio un po’ di luce col telefono… non mi ero accorto della luce di sicurezza sulle scale… mi chiedo come mai qui non sia partita… ah sì… scusa…. Non l’ho ancora installata… deve essere in qualche scatola da qualche parte… mi dispiace. Vieni. Attento all’attaccapanni, ok… vieni, ti faccio trovare il divano, così ti siedi intanto che cerco una cazzo di torcia in giro… dovrei averne una… -

Nel frattempo aveva allungato una mano all’indietro e aveva afferrato nella sua quella di Gerard. Che aveva ricambiato la stretta e che si era lasciato condurre alla cieca verso il salotto, verso il divano, su di esso. E poi non aveva più lasciato quella mano.

- Aspetta… -

- No, devo trovare quella maledetta torcia, dovrei averla in cucina, in un armadietto… quello a sinistra in alto, o a destra in basso, non mi ricordo…. –

E Frank blaterava. Lo faceva perché non riusciva a tenere a freno la lingua, nervosa, e la testa continuava a sfornare parole, la mano congelata stretta nella mano dell’altro, che non lo lasciava, che lo cercava con gli occhi nel buio intanto che questi si abituavano lentamente.

- Possiamo stare al buio, no…? Non ci sono problemi. Tu… sei nervoso e… e semplicemente siediti un attimo. Abbiamo il cellulare, dopo andremo a cercare quella benedetta torcia. Adesso siediti. –

E dicendolo si era spostato di lato, facendogli posto, tirandolo verso quello spazio vuoto.

- Eh.. ok… mi siedo. Ehm, ci sono aspetta… ok. –

La maglietta bagnata sulla schiena aderiva alla pelle del divano, il respiro che continuava ad andare e venire, la tensione che aumentava, le mani ancora legate tra loro.
Se ne stavano così in silenzio, ascoltando il temporale che non smetteva, ascoltandosi.
E facendosi sempre più vicini. Piano le ginocchia arrivarono a sfiorarsi, costrette dai jeans bagnati, così come le spalle.

- Dove sei? –

Gerard si voltò, lo cercò con la mano libera pur sentendolo di fianco a sé.
Solo un sussurro in risposta.

- Qui. –

Una mano sul ginocchio dell’altro, Gerard si sporse, si voltò, quella mano che saliva fino al braccio, il collo, la mandibola dell’altro, fino ad aderire alla nuca.
L’altra che si liberava e, invece, aderiva al suo fianco, trascinandolo sopra di sé, facendolo sedere sulle proprie gambe.
Le ginocchia affondate nell’imbottitura del divano, Frank era ricurvo su Gerard, senza fiato, i brividi non provocati dal freddo che correvano lungo la sua spina dorsale.
Ogni tanto il chiarore di un lampo guizzava dalla finestra e li sorprendeva, faceva sì che Frank vedesse il volto dell’altro, che con gli occhi chiusi lo stringeva in vita.
Gerard non voleva vedere. Non voleva ritrovarsi davanti quella faccia pulita, quelle iridi così grandi e sconvolgenti, perché in fondo sapeva che si sarebbe vergognato del suo gesto.
Era sicuro di scorgere in quegli occhi una domanda acida che la bocca di Frank non avrebbe pronunciato. E lui si sarebbe dovuto ritrarre.
Invece voleva sentire il corpo dell’altro, la sua presenza su di sé, il suo peso, il suo profumo, la pelle nuda delle braccia ancora umide. Voleva assaporare l’atmosfera che, elettrica, li circondava e li avvolgeva. Voleva scorgere la bellezza di quel ragazzo senza vederlo, senza essere distratto da quel sorriso che amava già alla follia.
Era una follia.
Ma Frank non si toglieva alla sua presa, non si allontanava imbarazzato, anche se si sentiva ardere fino nel midollo di ogni osso dalla vergogna.
Con gesti imprecisi e titubanti, invece, avvicinava le sue mani alle grandi spalle del moro, fermandosi un attimo per poi scorrere fino al colletto della maglietta nera, la pelle delle sue dita contro la pelle di quel collo diafano; e poi scese, sentendo le clavicole sporgere sotto al suo tocco, proseguendo sul petto. Provocando un sospiro che, violento, uscì dalle labbra del ragazzo.

- Ehm… la torcia… vado a prendere la torcia.. io… -

Ma la sua voce si faceva sempre più flebile mentre le mani che in precedenza si trovavano sui suoi fianchi ora si spostavano sotto la maglietta, stringendo direttamente la pelle arricciata dai brividi del più piccolo.

- Mmmmmh…. –

- Erm, devo andare…. –

- Mmmh mmmh… -

- Il buio…. –

- …… - -

Siamo al buio, Gerard… Gerard… -

- Sssshhhhh…. –

Frank sentì l’aria uscire dalle labbra di Gerard direttamente sulle sue, tanto si era ripiegato su di lui.
E il più grande aveva ora incominciato ad esplorare tutta la sua schiena con la punta delle dita, piccoli petali rosa che si adagiavano sulla sua pelle.

- Ger… Gerard… -

Ma era inutile parlare. Entrambi lo volevano, ed entrambi se lo presero.
E quel bacio fu differente da tutti gli altri che si erano scambiato fino a quel momento, perché era vero, era desiderio puro che scaturiva dalle loro bocche avide, che si erano spalancate accogliendo la lingua dell’altro nel proprio antro, accarezzandola, torturandola di piacere.
E quell’unico bacio fu per Frank come una nottata intera si sesso, lo travolse, lo catturò e poi lo lasciò tremante. Ma non gli bastava. Come non bastava a Gerard che, eccitato, fece scorrere le labbra umide sul collo del più piccolo, facendolo gemere piano di soddisfazione, per poi riattaccarsi a quelle labbra infuocate e invitanti.
E le sue mani non riuscivano a stare ferme in un unico punto del corpo di Frank, ma scorrevano morbide sulle spalle, giù fino ai fianchi, sulla pancia, i movimenti stretti nella maglia aderente che si alzava ogni volta di più.
E poi tornò di colpo la luce.
Frank miagolò disturbato nella bocca dell’altro, continuando il bacio, continuando a stringere con forza le spalle del più grande tra le sue mani.
Ma qualcosa non andava. Si sentiva scoperto, visibile, attaccabile.
Con un rumore umido si staccò dall’altro aprendo gli occhi, allontanando le sue mani dal corpo di Gerard.

- Zitto. Non ti muovere. Spengo la luce e torno. –

E facendo cigolare le molle del divano spostò il sui peso in modo da poggiare i piedi a terra, guardandolo imbarazzato mentre si alzava e raggiungeva l’interruttore vicino alla porta.
Il buio si riappropriò della scena mentre lui aspettava di riabituare gli occhi per raggiungere il divano.
Colpì una scatola con un piede e il tavolino col ginocchio sentendo di sottofondo la risata roca dell’altro ragazzo che, seduto, lo aspettava.
E con un balzò gli ripiombò tra la braccia.

- Hey, cosa ridi?!? Non è mica divertente sai… -

- Cosa ti fa pensare che non sia divertente? –
Gli rispose con un ghigno, e quasi poteva sentirlo, nella voce.

- Il dolore atroce al ginocchio, ecco cosa me lo fa pensare… -
E Gerard poté percepire il broncio sulle labbra di Frank. E così mosse una mano lungo la gamba del ragazzo che aveva tra le braccia, scendendo piano sulla coscia e raggiungendo il ginocchio, accarezzandolo. Poi si avvicinò al suo orecchio.

- Ti fa male? Se tocco qui? –

- No, lì no. –
Un soffio di risposta.
Gerard proseguì accarezzando il retro del ginocchio, premendo le dita in un punto.

- E qui? –

- Mmmmh… direi di no… -

La mano risalì la gamba, appena soffermandosi sull’inguine per poi fermarsi sulla fibbia della cintura, sfiorando la pelle qualche centimetro sopra di essa.

- Beh, direi che non ti fa poi così male, allora…. –

Frank si avvicinò ad occhi chiusi al suo viso, mugugnando con il labbro inferiore stretto trai i denti.

- Non… è… vero…. Fa…. Mmh… male…. –

Ansimò mentre l’altro gli respirava sul collo, tracciando scie immaginarie con la punta del naso sottile.

- Posso fare qualcosa per renderlo meno doloroso? –

Frank non poteva credere a ciò che le sue orecchie stavano sentendo, la voce suadente e fumosa di Gerard che vibrava direttamente sulla sua giugulare.
E non poteva fare a meno di tremare sotto al tocco dell’altro, inarcare la schiena e stringergli i capelli alla base della nuca.
Il buio aveva ristabilito l’intimità che si era creata tra loro, racchiudendoli in un mondo parallelo tutto loro, in cui potevano essere chi volevano, come volevano, quando volevano.
E loro volevano essere Frank e Gerard, assieme, ora.
Un battito di cuore perso nel vuoto e il più piccolo si ritrovò a spingere l’altro, distendendolo sul divano, e contemporaneamente ad essere tirato giù sopra quel corpo.
Le labbra nuovamente saldate, le mani ovunque, un leggero mugugnare all’interno delle loro bocche. E a poco a poco i vestiti sembravano di troppo, risultavano pesanti, scomodi, impedivano loro i movimenti come una camicia di forza. Scorrendo dai fianchi in su Gerard lo liberò con un sorriso della maglietta gialla, accarezzando la pelle calda attorno ai capezzoli di Frank con il pollice.
Non era cosciente dei suoi gesti, semplicemente si fece trasportare dai sensi, come se i loro corpi fossero legati da un impalpabile filo che non li faceva mai allontanare.
E quindi come di riflesso il suo busto si alzò per fargli poggiare la bocca sul petto chiaro del più piccolo, baciandolo esattamente al centro, sullo sterno, lì dove sentiva l’aria entrare ed uscire mentre Frank respirava veloce.
Si staccò solo quando, docile, si fece togliere la maglietta a sua volta.
Ma sentiva che, sebbene il desiderio l’uno dell’altro fosse ormai visibile, qualcosa non andava.
Sentiva quei piccoli gesti che Frank faceva come trattenuti, e non dalla timidezza.
Frank non sapeva cosa fare. La sua prima volta con un uomo, appena pochi giorni dopo aver scoperto di essere gay, appena il primo giorno che parlava con Gerard.
Era troppo. Sarebbe stato troppo per chiunque.
Ma il suo cervello frenava poco le sue mani, mosse dalla voglia che aveva di sentire l’altro ragazzo veramente sotto di sé. Però li frenava.
Ed era così combattuto dentro di sé che si dimenticò di respirare.
Quando, tra i baci, Gerard non sentì più l’aria nei polmoni del più piccolo si staccò per guardarlo.
Non respirava.
Lo accarezzò sulla guancia.
Occhi chiusi, non respirava.

- Frank… io…. Respira per l’amor del cielo! –

Lentamente l’altro aprì gli occhi, fissandoli nei suoi, e nel buio poteva vederli luccicare.

- Io… scusa… non… non… -

- …. Cosa? Io… ho fatto qualcosa di sbagliato? –
La preoccupazione nella voce.

- No, no… tu… tu sei… perfetto. Io… sono io che non riesco… non posso. Scusa. –

E si alzò dal divano.
Allungò una mano alla ricerca della maglietta, la infilò coprendo il suo volto che – poteva sentirlo – brillava rosso dalla vergogna nel buio, e si diresse in cucina facendosi luce col cellulare trovato sotto la t-shirt. Lo lasciò lì, a petto nudo seduto sul suo divano, un’espressione interdetta scolpita sul viso.
Gerard si alzò a sua volta, si vestì e raggiunse l’interruttore della luce, premendolo con l’indice magro. Poi arrivò in cucina, e accese la luce cogliendo il più piccolo mezzo infilato in un armadio intento a cercare, disperato, la torcia.

- Ah.. è vero… era già tornata… -

Ma non si voltò verso il ragazzo in piedi.
Richiuse l’anta, si alzò e rimase a guardare il lavandino vuoto, il rubinetto che faceva scendere qualche goccia rumorosa che colpiva l’acciaio.
Gerard non voleva avvicinarsi a lui se l’altro non voleva, ma non trovava una maniera migliore per capire cosa stesse succedendo.
Voleva stringerlo forte, ma non era un desiderio dettato dai sensi, come prima. Voleva proteggerlo, esattamente come fa un padre o un fratello più grande.
Fece qualche passo in avanti, non suscitando nessuna reazione, così si spinse fino alle sue spalle, poggiando una mano su una di esse.

- Frank… io non so… non capisco… non voglio niente che tu non ti senta di fare… è stata colpa mia. È troppo presto per… per tutto questo. Ho corso troppo. Mi dispiace. Ma ti prego, guardami. –

Frank non poteva, il suo cervello gli diceva che non poteva.
Ma si girò comunque.
E rimase sorpreso dalla serietà che incontrò in quello sguardo, dalla sincerità profonda che gli stava trasmettendo, le scuse sciolte in quegli occhi lucidi, ci vide dentro loro due un attimo prima, la bellezza dei loro baci, lo stupore che aveva provato Gerard nel scoprire di desiderarlo così intensamente, la vergogna per tale desiderio, altre scuse, tante scuse.
Come poteva rimanere impassibile davanti ad un tale messaggio inviato unicamente con lo sguardo, senza parole insulse, frasi fatte unitili o gesti ripetuti sempre uguali?
Ma non poteva spiegare ciò che sentiva, ciò che provava, a parole.
E lo mise tutto nel suo sguardo, come aveva fatto Gerard, sperando di aiutarlo a comprenderlo, il messaggio, lui stesso.
In quegli occhi Gerard rivide i sentimenti che si erano battuti all’interno del cuore di Frank, lasciando dietro di sé una scia di caos. Vide lo stupore della prima sera, la rabbia, l’emicrania dovuta ai troppi pensieri, le notti insonni, la nausea, il sorriso che gli spuntava quando pensava a lui, Gerard stagliato sulla porta, la consapevolezza di non doverlo fare, il coraggio di voler scoprire sé stessi, là, al pub, nel posto sbagliato, il disgusto, la speranza, la fiducia in lui che lo portava via, le lacrime, tante lacrime, il biglietto, altre lacrime, la chiamata, e poi giallo. Il sole. L’immagine perfetta di loro due assieme. La voglia di baciarlo. La certezza di non saperlo fare.
E poi ecco, il momento in cui, a petto nudo mentre si lasciava baciare, quel pensiero che prendeva possesso della mente di Frank: era troppo. Era scosso. Era fragile e già mezzo incrinato.

- Scusa. Non sapevo… io… scusa. –

-Ma… non è colpa tua! No, non pensarlo minimamente… cazzo… sono solo io… che non so perché stia succedendo… -

- Ssssssh, va bene così… ho già capito. –

- Però… non andare via. –

Un abbraccio. Forte come il temporale di prima, lieve come la pioggerella che si adagiava sull’erba del giardino ora.






Vi ringrazio di essere arrivate alla fine. <3
Un abbraccio 

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Capitolo 12
*** UNO SLANCIO DETTATO DAL CUORE ***


Buongiorno a tutti. Probabilmente vi siete anche dimenticati di questa fic, perchè è più di un mese che non aggiorno.
Coloro che mi conoscono sanno che ho avuto un blocco di quelli potenti che mi ha impedito di scrivere.
Avrei potuto pubblicare prima qualcosa, ma non ero sicura del risultato, e piuttosto che postare qualcosa di veramente illegibile preferivo aspettare.
Mi dispiace, se qualcuno era curioso di leggere lo sviluppo, di avervi fatto attendere così tanto.
Parliamo di questo nuovo capitolo: non mi entusiasma, a dir la verità. Per questo vi chiederei gentilmente di dirmi che ne pensate, in modo da migliorarlo.
Beh, scusate ancora. Un abbraccio e buona lettura. :)








I suoi occhi si aprirono, il battito del cuore accelerato che gli pulsava direttamente in gola, il rombo del tuono ancora nelle orecchie.
Gerard era disteso a letto, ancora vestito con i jeans e la maglietta di quasi una settimana prima, di QUEL giorno .
Era rimasto con Frank in cucina per il tempo di una canzone fantasma – una vecchia ninna nanna che gli cantava sua nonna - fusi assieme in un abbraccio senza pari, e poi lo aveva lasciato:
lo aveva allontanato da sé, fissando il suo sguardo in quello del più piccolo e gli aveva sussurrato che forse era meglio che gli lasciasse un po’ di tempo per pensare, che non voleva forzare le cose, che capiva.
Frank era rimasto interdetto: vedeva che per colpa della sua reazione ora Gerard era più distaccato e attento ai propri gesti e parole... capiva che le cose non sarebbero dovute andare così.
Ma capiva anche che mancava poco perché il suo vaso traboccasse sotto il peso di un’ultima fatidica goccia, e mancava così poco che sentiva già l’acqua increspata, i cerchi concentrici che si allargavano fino al bordo smussato, colando fuori con lentezza.
Sì, aveva bisogno di tempo.
Ma allo stesso tempo non voleva rimanere solo, perché mandare via Gerard significava respingerlo?
Oppure che avrebbe avuto l’occasione, in un futuro molto prossimo, di rivederlo e ricominciare da zero?
Perché, sebbene si conoscessero così poco, Frank aveva capito anche che ormai si sentiva legato a Gerard da un legame più profondo della semplice conoscenza o amicizia… questo lo aveva compreso. E sperava che fosse lo stesso anche per l’altro.
Per questo motivo annuì lentamente, guardando il pavimento, senza avere neanche la forza di alzare lo sguardo.
Ed era rimasto lì in cucina a contemplare le piastrelle fino a quando non aveva sentito la porta dell’ingresso chiudersi con un colpo leggero.


Una volta fuori, Gerard rimase per un po’ a guardare la porta che si era appena chiuso alle spalle, una lacrima - una sola - che dal mento precipitava sul petto, creando un alone ancora più nero del nero della sua maglietta.
Poi era tornato a casa senza nemmeno pensare alla strada che stava percorrendo; con gesti automatici aveva parcheggiato ed era entrato in casa, scorgendo la sua famiglia seduta sul divano del salotto intenta a guardare la televisione. Aveva alzato una mano per salutarli, biascicato (o forse no, forse era frutto della sua immaginazione) che non aveva fame e che andava in camera sua, e lì era rimasto, disteso sul letto e ancora vestito, per 5 giorni.
Non aveva fame, qualche volta scendeva a prendersi un caffè quando non c’era nessun’altro in casa, non andava a lezione, non dipingeva.
Per il resto giaceva sveglio sul letto, sopra le lenzuola stropicciate; solo qualche volta si addormentava, quando – sfinito dai troppi pensieri e preoccupazioni – non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Come quella mattina, fino al momento in cui un tuono violento non lo aveva scosso dal torpore senza sogni che si era impadronito di lui.
Il temporale aveva ripreso a battere sulla cittadina: dalla sua finestra aperta entrava la pioggia sospinta dal vento gelido che gonfiava le tende come le vele di una nave.
La sua camera avrebbe potuto prendere il largo, sospinta in maniera così forte da quel vento potente… probabilmente non sarebbe stata una brutta idea, pensò Gerard, alzandosi a fatica dal suo giaciglio e accostandosi alla finestra.
Guardò con apprensione le strade allagate e l’orizzonte illuminato dai lampi.
Frank aveva paura del temporale. Lo sapeva.
E lo immaginava raggomitolato nel suo letto, il sale delle lacrime ancorato alle sue ciglia umide, tremante sotto le coperte.
Di impulso si girò, prese la giacca e si avviò verso la porta di camera sua. Con la porta già mezza aperta sul buio del corridoio e la mano ancora appoggiata sul pomello però si fermò e lentamente si voltò verso la radiosveglia.
I numeri grandi e di un verde alieno gli dicevano che erano le 04:30 del mattino.
04:30.
Quasi l’alba.
Un nuovo giorno.
Il sesto, dopo 5 di silenzio.
Si ritrasse e tornò a sedersi sul letto, la giacca ancora in mano.
Poi un sottile ronzio. Silenzio. Di nuovo quel rumore.
Una tiepida luce si diffondeva dalla tasca della sua giacca in pelle, che vibrava a tempo con il ronzio.
Ci mise un po’ per capire che il suo telefono stava vibrando, e che c’era qualcuno, di là, che attendeva che lui rispondesse o che leggesse il messaggio.
Non si ricordava di avere lasciato il telefono lì, nella giacca… quando era stata l’ultima volta che lo aveva usato? QUEL giorno?
Attese un secondo di troppo e il buio misto al silenzio calò nuovamente sulla stanza.
Con le lunghe dita ossute aprì la cerniera e premette un tasto per sbloccare la tastiera, illuminando il piccolo schermo, rivelando il nome della persona che lo aveva cercato.
Una chiamata persa da: Frank.
I suoi occhi leggevano, ma il cervello non collegava le due cose, come se lo avesse abbandonato, intento a crogiolarsi ancora nel sonno.
Prese paura quando il piccolo apparecchio gli tremò nuovamente nelle mani: un sms.
Il cellulare continuava a tremare per riflesso delle sue dita nervose, che non riuscivano a rilassarsi di fronte a QUEL nome, illuminato sullo schermo, marchiato nella sua testa a chiare lettere di fuoco. Un colpo leggero col pollice e la bustina si aprì, rivelando il suo misterioso contenuto.



Dovette leggerlo tre volte per capire la prima frase.
“Sono un coglione.”



Altre tre per capire la seconda.
“Mi manchi, e non sai quanto… “

Per capirne il significato complessivo dovete passarsi una mano sugli occhi stanchi e darsi un sberla in piena guancia.

Rumore di vetro che si frantuma per terra: era il muro sottile che li aveva separati in questa settimana.
Sottile perché entrambi non avevano fatto altro che pensarsi, per sei giorni, assottigliando il muro, rendendolo impalpabile come un filo di vetro, fino a che esso non si era rotto sotto le loro mani, i loro occhi.

“Sono un coglione. Mi manchi e non sai quanto… e non capisco come ho fatto a far passare una settimana, quando avevo già compreso che mi saresti mancato il giorno dopo. Il resto è stata duro da digerire. Ma… è andato. Semplicemente andato. E c’è questo fottuto temporale… e….”

E cosa? Vieni qui? Posso venire io? E cosa???
Gerard scaraventò il cellulare e si prese il volto tra le mani… che cosa doveva fare?
Andare o non andare?
Ovviamente non ce l’aveva con Frank per aver aspettato tutto questo tempo, assolutamente no, senza alcun dubbio, poteva metterci la mano sul fuoco.
Però erano anche quasi le cinque di mattina… e avrebbe svegliato i suoi… e adesso si accorgeva che puzzava perché in una settimana non aveva fatto altro che starsene sdraiato a letto.
Non poteva andare, no.

“Ma lui aspetta te, deficiente! “

- Ma non posso presentarmi così, in queste condizioni… no. –

Prese il cellulare e lo spense: così almeno non avrebbe avuto la tentazione di chiamarlo o mandargli messaggi o quant’altro. No. Non doveva.
Si alzò e in punta di piedi entrò nel bagno di servizio in fondo al corridoio: una volta dentro accese la luce dello specchio e azionò il getto d’acqua della doccia, flebile, leggero.
Poi si liberò dei vestiti e li buttò con cautela in un angolo.
Una volta entrato in doccia si frizionò per bene i lunghi capelli corvini, avvolto dal profumo intenso del doccia shampoo, e si massaggiò il corpo indolenzito dalla reclusione forzata.
Con gli occhi chiusi sotto lo spruzzo di acqua calda contava i secondi che impiegava, o che sprecava, per farsi una doccia.
Un minuto dopo era fuori, un lungo asciugamano morbido che gli copriva le gambe.
Un minuto dopo era vestito, i capelli bagnati – ma tanto fuori diluviava, non avrebbe avuto grossi problemi - e la giacca in mano.
Un minuto dopo era sotto un ombrello mezzo rotto che camminava veloce verso casa di Frank: erano pur sempre le 5 di mattina, non poteva mica prendere l’auto dal garage!
Il telefono? Abbandonato sul letto, spento, la segreteria che registrava un messaggio: “Vieni”.

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L’acqua nelle scarpe, nei vestiti, che colava dalle tempie, scendendo lungo il collo e la schiena: era completamente zuppo.
Ma continuava imperterrito a camminare, le mani tremanti che reggevano un ombrello ormai rotto dalle raffiche di vento.
Un lampo illuminò la sua figura nera, che veloce attraversava la strada. Poi di nuovo il buio bagnato della notte, rischiarato ad intermittenza da un lampione chinato sulla strada.
Con uno slancio saltò una pozzanghera per poter atterrare sul marciapiede, dove lo aspettava un’altra pozza gelida.
Dai piedi ormai congelati sentì salire lungo le gambe una nuova ondata di freddo, che si dipanava sul suo corpo rendendolo un unico fascio di carne tremolante.
E poi raggiunse la porta vetrata della casa di Frank, e rimase lì ad osservare il campanello.
Avrebbe dovuto suonare?
Sì, altrimenti non poteva entrare.
Ma Frank lo avrebbe lasciato entrare?
Se non suonava non lo avrebbe mai saputo.

Erano quelle domande inutili che le persone si pongono quando in realtà sanno già la risposta ma vogliono ritardare il momento nel quale scopriranno se è giusta.
E quel momento arriva sempre, deve arrivare.

Alzò il braccio e appoggiò l’indice sul pulsante a fianco della targhetta col nome di Frank.
Subito sentì scattare la porta, come se il ragazzo fosse stato lì, incollato al citofono ad aspettarlo con ansia.
E forse era anche così.
Sicuramente era così.
Entrò ed appoggiò l’ombrello in un angolo, creando un lago sul pavimento lustro, poi si avvicinò alle scale, insicuro sul da farsi.
Ma ormai era dentro, avrebbe avuto il coraggio di voltarsi e tornarsene a casa?
No.
Avrebbe avuto il coraggio di salire quei gradini e bussare alla porta?
Se lo stava chiedendo quando sentì una chiave girare nella toppa, il rumore che – amplificato dalle scale- scendeva fino a lui.
Poi un fruscio e una lama di luce che rimbalzava sugli scalini.
Prese un respiro profondo, come se non avesse mai veramente respirato fino a quel momento, e raggiunse la fonte di quella lama di luce.

Frank era sull’uscio semi aperto, visibile solo a metà, che con un occhio guardava il buio delle scale.
Un tuono. Una figura nera che saliva. Quegli occhi verdi che guardavano in alto. Guardavano lui.

Il mio maestro di canto dice che se non riusciamo a prendere le note giuste è perché ci sforziamo di fare qualcosa contro il nostro corpo.
Se lo seguissimo, se ci muovessimo come lui vuole, anche la nostra voce uscirebbe secondo tale movimento.
Non è qualcosa che decidiamo noi, con la parte intelligente del nostro cervello. È uno slancio.

Questo è quello che fece Frank.
Non decise razionalmente di spalancare la porta e buttarsi in direzione di quella figura nera, scontrando il suo viso contro quel petto magro, allacciando le braccia a quel collo.
Fu solo un movimento che il suo corpo sentì come naturale da fare in quel momento, un movimento dettato dal bisogno che quel corpo aveva di sentirne un altro vicino a sé.
Gerard rimase senza fiato. Era arretrato di un passo sotto il peso del ragazzo, ma lo aveva tenuto stretto a lui, ricambiando l’abbraccio, a costo di cadere.
Frank respirava pesantemente contro la sua maglietta bagnata, a bocca aperta, e sentiva quel calore diffondersi come un balsamo caldo sul suo corpo gelato.
Come una cioccolata calda presa in inverno. Come un sorso di liquore che ti incendia la gola.
Frank era come quel liquore, lo rendeva ebbro, gli faceva girare la testa, ma era buono, e caldo, e confortante.
Abbassò il volto verso il più piccolo e inspirò il suo profumo. Aveva i capelli bagnati che emanavo un odore fresco di shampoo.
Passò una mano sulla sua guancia per guardarlo negli occhi e vide che qualche sbuffo di crema bianca ricopriva dei taglietti rossastri su quella pelle tesa, come quando dalla fretta si sbaglia a radersi, la lama che bruciante affonda nella carne.

- Che hai fatto? –
Un dito che cauto gli sfiorava il volto.

- Ah… ehm… ho cercato di rendermi… presentabile… -


- Non sei andato a scuola in questi giorni? –
“Che domanda stupida… uno può andare in giro anche con la barba di Babbo Natale se vuole…”

- Ehm… no. Mi hanno chiamato il… il secondo giorno. Ma ho detto che stavo male… un virus. Non mi hanno più detto niente poi… -

Silenzio.
Se ne stavano zitti, ancora abbracciati a guardare altro che non fossero loro.

- …. Senti… vuoi entrare? Ti… ti cambi almeno, metti qualcosa di asciutto. Io… -

- Se vuoi, sì…. –

- Ehm, adesso credo di sapere cosa voglio… e… vieni dentro. –

Lo prese per mano e lo portò in casa, l’unico rumore quello dei loro respiri e il cigolio delle scarpe bagnate di Gerard sulle piastrelle.
Frank lasciò che lo superasse, voltandosi così a chiudere piano la porta. Quando si tornò a girare Gerard era di fronte a lui, che lo guardava con apprensione.
Si stava trattenendo, lo capiva. Ma non avrebbe dovuto farlo più.
Il seguito fu un nuovo slancio, delle sue labbra verso quelle del ragazzo, delle sue mani verso quelle dell’altro.
Uno slancio fu anche raggiungere la camera da letto di Frank.
Uno slancio fare l’amore, per la prima volta, insieme







Ok, l'avete letto tutto, quindi vi meritate una razione extra di biscotti come premio. ^^
Prima di tutto vi ringrazio, e poi... poi spiego perchè non ho inserito la scena lemon. A mio parere avrebbe rovinato l'atmosfera che si era creata, e la poesia del tutto. Poi, boh, è una mia idea.
E forse è pure troppo corto. D:
Un abbraccio.
LOVE IS LIKE SUICIDE

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Capitolo 13
*** IL PREMIO ***


Quella notte, in quella stanza, Frank si sentì diverso.
Poteva sentire Gerard respirare sul suo petto, ancora ansante, poteva sentire il suo profumo… ma dietro a quelle tracce personali e uniche stava un nuovo odore, che permeava nella piccola camera disordinata: era l’odore di Frank misto a quello dell’altro ragazzo, una cosa nuova, quasi destabilizzante.
 
Gerard si issò sui gomiti e alzò lo sguardo per incontrare il suo, nella debole luce che proveniva dalla strada.
Non credeva a ciò che avevano fatto, non poteva immaginare di stare disteso – pelle nuda contro pelle nuda- su quel letto con quello stesso ragazzo di sei giorni fa.
Lo vedeva cambiato, o forse no. Lo vedeva più maturo, più consapevole… uno nuovo sguardo scorreva da quelle iridi nocciola.
 
Appena Frank aveva sentito il più grande muoversi aveva chiuso gli occhi: aveva paura, non voleva guardarlo, non voleva rovinare il ricordo di tutto quello che era successo quella notte.
La magia di quella notte.
Il dolore acuto e pungente che ancora adesso sentiva dentro di sé.
Il calore.
Le carezze.
I baci.
La sua lingua contro quella dell’altro.
I vestiti che scivolavano, quasi dotati di personalità propria, e che si adagiavano sul pavimento.
Le molle di un letto troppo piccolo - ma basta stringersi - diceva Gerard, e tutto quello che volevano era stare stretti l’uno con l’altro.
Il desiderio, così potente, che li aveva travolti, annegandoli nel piacere.
 
Non aveva mai provato un sentimento così intenso e bruciante. Mai in vita sua.
Sentiva ancora lo sguardo di Gerard che lo scrutava, che – indagatore- cercava indizi di una risposta  alla domanda che non voleva porre. E vedendolo così, ad occhi chiusi, aveva paura perfino a muoversi, accarezzarlo teneramente, respirare; perché temeva che qualcosa si sarebbe rotto, come l’ultima volta, e lui sentiva che non avrebbe retto ad un’altra lontananza.
In così poco tempo si era affezionato così tanto al piccolo ragazzo che stava sotto di lui, che non concepiva un modo – ormai – per allontanarsene. Nemmeno se fosse stato l’altro a chiederglielo.
E come gli pesava quel silenzio, ma capiva anche che per Frank quella era stata una dura prova, che aveva affrontato con coraggio. Molto coraggio. Capiva che aveva bisogno di quel silenzio.
Così aspettò pazientemente che fosse l’altro a spezzarlo, quando e come voleva.
 
Frank poteva sentire il respiro corto di Gerard su di se che andava a tempo con le lancette della sveglia. Che andava a tempo con il pulsare del sangue che sentiva nella punta delle dita.
Cercava in lui un qualsiasi segno di smarrimento, di malessere, anche disgusto, ma non lo trovava… nemmeno nel può profondo del suo cuore.
L’unica cosa che poteva sentire era un calore rossastro che lo pervadeva, alimentandolo dall’interno, un benessere mai provato prima, una quiete elettrica, una piena sazietà. Si sentiva bene. Giusto.
Illuminato da quella considerazione, aprì gli occhi.
Gerard gli sorrise, come se lui, Frank, fosse partito per un lungo viaggio e l’altro fosse rimasto tutto quel tempo sui binari ad aspettarlo, sapendo che sarebbe tornato, un giorno.
Un sorriso dolce come una cioccolata calda concessa d’inverno, per scaldarsi, con un po’ di panna come premio.
Gerard era il suo premio.
Ma cosa aveva fatto per vincerlo?
Cosa aveva fatto per meritarselo?
 
- Gerard, cosa ho fatto per meritarmi… TE? –
E lo disse come se quella piccola parola di due lettere fosse tutta in maiuscolo.
 
- Io sarei un… merito? Un premio? … Frank, non dire sciocchezze. –
 
- Se non mi dai ragione, preferirei usassi la parola “stronzate” allora… mi si addice di più. –
 
Con una piccola smorfia Frank lo spinse contro il letto, facendo adagiare la schiena dell’altro sul materasso. Poi, lentamente, chiuse gli occhi e appoggiò il capo sul petto di Gerard, caldo e stranamente fresco, calmo e irrequieto. Poteva sentire dei piccoli brividi e dei respiri mozzati al tocco della sua guancia contro la pelle dell’altro, una miriade di piccole scosse elettriche al leggero tremito delle sue ciglia.
 
Gerard sposto il suo sguardo al soffitto della camera.
Un premio? Diceva sul serio? Non si era mai sentito un premio per nessuno.
Si immaginava come una grande coppa d’oro traboccante d’amore nelle piccole mani di Frank.
No, non faceva per lui.
Con un dito percorse la linea della spina dorsale dell’altro e poi tornò su.
Quando la sua mano si posò dolcemente sul capo di Frank, questi dormiva già.  
 



E' un capitolo molto corto, lo so, e lo pubblico a più o meno un anno di distanza dall'undicesimo.
Mi dispiace, ma non sentivo più mia questa storia, e ho dovuto aspettare di ritrovarla nel cuore, per così dire... è complicato da spiegare.
Spero che non sia una totale delusione.
Un abbraccio
LOVE IS LIKE SUICIDE

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