Across the border - From Tokio to L.A. di CowgirlSara (/viewuser.php?uid=535)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Heart painting ***
Capitolo 2: *** 2 - Learning arts ***
Capitolo 3: *** 3 - One way ***
Capitolo 4: *** 4 - Turn & burn ***
Capitolo 5: *** 5 - Pieces of heart ***
Capitolo 6: *** 6 - The brokenhearted ***
Capitolo 7: *** 7 - Something explodes ***
Capitolo 8: *** 8 - In this tonight ***
Capitolo 9: *** 9 - Epilogo ***
Capitolo 1 *** 1 - Heart painting ***
1 - Heart painting
Questa è la mia nuova ff. E’
un’idea che avevo in testa da un po’, ma solo il trasferimento dei gemelli
nella città degli angeli (e dove altro potrebbero stare? *_*) mi ha ispirato la
trama definitiva.
Non sarà lunghissima, ma era un
po’ di tempo che non avevo la certezza di poter finire una storia, quindi ne
sono fiera. Ma non chiedetemi tempi e numero di capitoli, perché è ancora in
corso!
Per la prima volta posto in
contemporanea su Efp e sul forum delle AdulTh, speriamo bene…
La fanfiction è scritta con il
massimo rispetto per i Tokio Hotel, per gli altri personaggi reali
citati, il loro lavoro e la loro vita privata. Quanto scritto è
una storia di pura fantasia, i fatti narrati non vogliono dare
rappresentazione della realtà. Non ha alcun scopo di lucro.
I Tokio Hotel non mi appartengono, così come gli
altri personaggi reali e le canzoni che eventualmente userò.
Vi lascio, che mi sono dilungata
anche troppo ^_^
Aspetto i vostri commenti, buona
lettura!
Sara
Across
the Border
From
Tokio
to L.A.
1. Heart Painting
Pardon the way that I
stare
There's nothing else
to compare
The sight of you
leaves me weak
There are no words
left to speak
But if you feel like I
feel
Please let me know
that it's real
(Can't Take My Eyes
Off Of You) *
L’aveva notato subito. Perché
spiccava, tra la folla anonima, in cima a quelle zeppe vertiginose. Non che ne
avesse bisogno, per attirare l’attenzione.
Era completamente vestito di
nero, escluso che per i riflessi violacei della giacca che portava col colletto
rialzato. Doveva avere il collo lungo.
I capelli erano tagliati molto corti ai lati, più lunghi
nel ciuffo corvino e pettinati ordinatamente col gel. Teneva elegantemente una
flûte con una mano, mentre con l’altra si circondava il torace.
Reggendosi in un equilibrio che, allo stesso tempo,
sembrava precario e perfetto per lui, sulle snelle e lunghe gambe da
fenicottero, osservava con genuina curiosità il quadro. I suoi espressivi occhi
nocciola, resi più grandi dal trucco nero sfumato, erano brillanti e si
spostavano veloci sulla superficie colorata del dipinto.
Sembrava veramente colpito da quello che vedeva, così come
lo era lui. Voleva conoscerlo.
*****
Bill stava osservando il quadro.
Era grande, tipo due metri per tre, ma questo non lo rendeva meno intenso. I
colori, in contrasto tra caldi e freddi, sembravano lasciare la tela, per la
loro forza; le pennellate potenti, i colpi di luce quasi improvvisi, le zone d’ombra,
tutto sembrava parlare direttamente alla sensibilità artistica ed estetica del
ragazzo. Diede un’occhiata panoramica agli altri dipinti nella sala, poi tornò
a quello che stava guardando, dedicando una certa attenzione alla firma.
M. H. Heller…
Il cantante pensò che quel
pittore incontrasse decisamente il suo gusto, nonostante le sue opere avessero
delle notevoli dimensioni. Bevve un sorso dal bicchiere che aveva in mano,
dicendosi che avrebbe dovuto complimentarsi con lui.
“Ti piace?” Gli domandò una voce
alla sua sinistra; il ragazzo si voltò flessuoso.
Chi gli parlava era un giovane
poco più basso di lui, la pelle appena dorata dal sole, i corti capelli castani
tagliati in una zazzera disordinata. Lo fissava con un sorriso sincero ed un
paio di curiosi occhi blu, circondati da lunghe ciglia scure.
Bill gli diede una veloce
occhiata, valutando il suo abbigliamento fatto di jeans slavati e maglione dai
colori neutri. Secondo lui voleva apparire trascurato, ma ad un occhio allenato
come quello del cantante non poteva sfuggire la prestigiosa firma dietro a quel
capo di maglieria portato con nonchalance. E poi aveva una faccia simpatica e
aperta, quindi decise che poteva essere gentile.
“Molto.” Gli rispose con un
piccolo sorriso, poi scrutò di nuovo il dipinto. “È molto grande, ma mi
piacciono i colori, queste luci e… Insomma, mi trasmette emozione e io amo le
cose che mi trasmettono emozione, anche se…” Continuava a parlare, movendo le
mani e l’altro lo osservava divertito. “…non è il mio preferito, preferisco
quello là in fondo, adoro l’arancione.”
L’altro ragazzo fece una risatina
allegra. “Quindi compreresti uno di questi quadri?” Gli chiese poi.
“Oh, sì!” Rispose Bill sicuro.
“Comprerei quello arancione.” Continuò indicando il dipinto sulla parete di
fronte. “Hai idea di quanto possa costare?”
“Beh, direi circa trenta…”
“Trenta dollari?!” Esclamò
stupito il cantante.
“Trentamila.”
“Oh! Capisco…” Annuì quindi. “Per
spese superiori a diecimila devo consultare il mio commercialista, che sta in
Europa.”
L’altro si concesse
un’espressione compiaciuta. “Sei un compratore oculato.” Affermò quindi.
“Decisamente.” Replicò compito
Bill, poi si scambiarono uno sguardo divertito e scoppiarono a ridere. “Bill,
piacere.” Si presentò infine il cantante, porgendo la mano.
“Michael.” Rispose lui,
stringendola.
Rimasero per qualche istante
così: mano nella mano, fissandosi negli occhi.
Michael si disse che aveva fatto
bene ad avvicinarsi e rivolgergli la parola: gli occhi e il sorriso di Bill
erano abbaglianti, indimenticabili.
“Non sei di queste parti, eh?”
Soggiunse Michael, una volta che si furono lasciati le mani.
“E cosa te lo fa pensare?”
Ribatté Bill. “Credevo di avere un perfetto accento californiano!” Aggiunse
scherzoso, cosa che intensificò la durezza della sua pronuncia.
L’altro sorrise dolcemente.
“Sembra più una cosa… mitteleuropea…” Ipotizzò poi.
“Germania dell’Est.” Ammise il
cantante tranquillo, quindi prese un sorso del suo champagne.
“Ecco.” Annuì divertito Michael;
gli piaceva parlare con quel ragazzo all’apparenza tanto raffinato, ma così
naturale e quasi buffo nella conversazione. “Frequenti spesso i vernissage?”
Gli chiese, infatti, curioso.
“A dire il vero…” Esordì Bill,
prima di finire la bevanda. “…non sapevo nemmeno cosa fosse un vernissage, prima
di stasera. E dire che mia madre qualche mostra l’ha anche fatta…” Quindi, in
un solo gesto, ruotò quasi danzando e posò il bicchiere sul vassoio di un
cameriere di passaggio.
“Tua madre dipinge?” Domandò
sorpreso Michael, dopo aver assimilato la grazia con cui si era mosso il suo
interlocutore.
“Sì.” Annuì compito. “Niente di
così grande e lirico, però… mi piacciono.” L’altro sorrise di nuovo.
“Ho l’impressione che anche tu
sia un artista…” Disse Michael ispirato.
Bill abbassò un attimo gli occhi,
con un sorriso quasi timido. “Beh, immagino che nel mio campo io… lo sia.”
Affermò quindi, tornando a guardarlo in faccia.
“E in che campo…”
“Michael?” Lo chiamò una voce
alle sue spalle, lui e Bill si voltarono.
Era un ragazzo pallido e biondo,
con un completo blu, due sottili occhi azzurri e un’espressione a metà tra
l’infastidito e l’altezzoso.
“Johnathan…” Mormorò vagamente
imbarazzato Michael, poi guardò Bill e tornò subito al nuovo arrivato. “Lui è
Bill.” Presentò quindi.
Il cantante fece per porgergli la
mano, ma lui lo ignorò alzando il mento. Bill arricciò il naso con espressione
disturbata.
“Michael.” Riprese Johnathan,
ignorando il cantante. “Blackwood e quel tipo olandese ti stanno aspettando di
là.”
Michael guardò Bill con
espressione delusa, ma lui gli rispose con un sorriso comprensivo.
“A quanto pare la vecchia Europa
stasera ti tormenta.” Gli disse anche, sempre sorridendo.
“Mi spiace, ma non posso
rimandare oltre questo impegno.” Affermò rammaricato l’altro.
“Non preoccuparti.” Soggiunse
Bill, stringendosi nelle spalle. “Anche io dovrei cercare l’amica con cui sono
venuto…” Aggiunse guardandosi intorno.
“È stato un piacere, Bill.” Gli
disse Michael con dolcezza, facendolo voltare verso di se. Si sorrisero.
“Anche per me.” Confessò
sinceramente il cantante.
“Spero di rivederti.” Si augurò
l’altro ragazzo.
“Sarebbe bello…”
Li interruppe un colpo di tosse
di Johnathan, che infastidì Bill e richiamò al dovere Michael; si salutarono
velocemente, ma, mentre i due andavano via, il cantante si ricordò che voleva
chiedergli una cosa.
“Michael!” Lo richiamò e lui si
girò subito.
“Sì?”
“Tu conosci l’artista che ha
dipinto questi quadri?” Chiese Bill, indicando le opere che lo circondavano.
Michael sorrise sornione.
“Certo.” Rispose annuendo. “Sono io.”
E l’espressione sorpresa che fece
Bill gli assicurò che la decisione di volerlo conoscere era stata la più giusta
dell’ultima settimana.
*****
Bill scese fluidamente le scale,
seguito da Scotty, e si diresse in cucina insieme al cane. Si fermò vicino al grande
tavolo di cristallo. La vetrata, che attraversava tutto quel lato della casa,
dall’ingresso fino al soggiorno, illuminava di un sole dolce tutto l’ambiente.
Era una delle cose che gli erano subito piaciute di quella casa: era piena di
luce.
Guardò verso la cucina; oltre il
bancone, vicino al lavabo, si muoveva Eve. I capelli appuntati sulla testa un
po’ a caso e una maglietta slabbrata beige sopra i leggings neri, uno dei suoi
classici abbigliamenti da casa.
Era strano come quella ragazza
fosse diventata parte della loro vita così in fretta. Erano passati, infatti,
solo pochi mesi da quando l’avevano assunta.
Quando si era presentata al
colloquio con i jeans sdruciti, gli anfibi e i capelli arruffati, Tom le aveva
subito segato le gambe: lui voleva una governante come si deve, una di quelle
belle donnine paffute che si vedono nei telefilm, non una mezza squatter con lo
smalto sbocconcellato! E quando Bill gli aveva ricordato che lui, con gli
squatter, ci aveva perfino dormito, Tom gli aveva praticamente abbaiato contro.
Almeno fino a quando Eve aveva fatto notare ad entrambi che non era educato
parlare davanti ad una persona in una lingua a lei incomprensibile…
Bill, invece, aveva avvertito
subito qualcosa in quella ragazza. Era diversa. Sì, i suoi abiti erano
chiaramente cheap, i suoi capelli necessitavano di una visita urgente dal
parrucchiere e aveva un modo di fare ruvido e scontroso, ma qualcosa gli diceva
che era speciale. Così l’aveva voluta mettere alla prova. E lei gli aveva
cucinato la migliore pasta al pomodoro che lui e Tom avessero mai mangiato.
I primi tempi erano stati un po’
difficili per tutti. Eve era brutalmente sincera, sarcastica e molto a modo
suo; per esempio, non era possibile contestarle il menu, pena il doversi
ordinare una pizza per non morire di fame, cosa che lui e Tom erano stati
costretti a fare più di una volta… La ragazza, però, era anche efficiente,
pignola, assolutamente non invadente e fissata con la pulizia, cosa che Tom
apprezzava moltissimo ma che, ovviamente, non le diceva mai.
Bill, inoltre, aveva sviluppato
con lei un rapporto di amicizia particolare, che tanti non riuscivano a capire;
perché Eve gli diceva sempre in faccia cosa pensava e gli amici di Bill non
comprendevano come mai lui non se la prendesse a morte per i suoi giudizi
taglienti. Quello che le persone vicine al cantante non capivano era che Bill,
crescendo, sentiva proprio la necessità di una persona che fosse sincera con
lui, che gli parlasse come ad una persona con un cervello, facendogli anche
male, ma mettendolo davanti ai fatti. Bill non voleva più essere protetto,
voleva avere un rapporto alla pari, voleva qualcuno che gli volesse bene senza
essere accondiscendente. E Eve era così.
Su una cosa, però, Bill non
voleva entrare, anche se era curioso come un babbuino: i rapporti tra la
ragazza e Tom. Quei due sembravano sempre camminare su un filo, come si
studiassero da mesi. Si parlavano a monosillabi, oppure s’insultavano, o si
divertivano per ore con i doppi sensi di cui erano entrambi maestri. Probabilmente
erano troppo simili. La maggior parte del tempo, comunque, sembravano andare
abbastanza d’accordo e finché c’era pace in casa a lui andava bene.
“Volevi dirmi qualcosa, Bill?”
Domandò la ragazza senza voltarsi.
Il cantante sorrise e andò a
sedersi sul bancone della cucina, mentre il cagnolino preferì tornare indietro
e raggiungere il divano.
“Sai quella mostra dove sono
andato venerdì con Nathalie?” Esordì Bill, dondolando i piedi. Il viso di Eve
si contorse in una smorfia. “Perché quando ti parlo di Naty fai sempre una
faccia come se ti fossero venute le mestruazioni all’improvviso?”
“Forse perché la sua sembra
quella di una che ha perennemente le
mestruazioni?” Rispose pronta la ragazza.
“Oh, lasciamo perdere!” Glissò
Bill. “La mostra, dicevo.” Riprese con noncuranza. “Ho conosciuto una persona…”
Confessò, facendosi appena più titubante.
Eve lasciò i piatti della
colazione che stava lavando e si girò verso il ragazzo, incrociò le braccia e
lo fissò concentrata.
“Hai conosciuto una persona…”
Ripeté seria.
“Sì.” Annuì lui, continuando a
dondolare i piedi contro il mobile della cucina.
“Era un po’ che non mi dicevi di
aver conosciuto qualcuno.” Affermò
Eve, appoggiata al pensile dietro di se.
“Già.” Ammise Bill vago. “Però di
solito te lo dico dopo.” Sottolineò
quindi.
“Quindi stiamo parlando di un
prima?” L’interrogò lei.
“Un molto prima, direi.” Rispose il ragazzo. “Abbiamo parlato solo per
qualche minuto, in realtà, ma…” Parlava guardando verso l’alto, come
concentrato a ricordare quei momenti. “Non saprei spiegare… Mi ha colpito,
nonostante abbiamo parlato per poco. Era tanto che non mi succedeva.”
“Mi stai dicendo che non hai
concluso?” Chiese sorpresa la ragazza.
“No!” Esclamò Bill quasi offeso.
“Per chi mi hai preso?!”
“Oh, andiamo!” Sbottò Eve. “Non
fare il santarellino con me! Certe storie me le hai raccontate tu, mica le ho
lette sui tabloid!”
“Stronza…” Commentò lui con un
mezzo sorrisino divertito. “Ok, devo ammettere che, se l’occasione lo permette,
non disdegno del sano sesso fine a se stesso, ma non è questo il caso.”
Confessò tranquillo.
Eve aggrottò le sopracciglia,
studiando il suo interlocutore, poi si staccò dal mobile e lo raggiunse. Posò
le mani ai lati del ragazzo e lo guardò negli occhi da vicino.
“Vai avanti.” Lo incitò.
“Beh…” Bill deviò lo sguardo e
continuò a parlare. “Ti giuro che, mentre parlavamo, il sesso non mi è nemmeno
passato per la testa. È stata una conversazione breve, però è come se fosse
scattato qualcosa…” Sembrava un po’ imbarazzato ed emozionato e questo fece sorridere
sinceramente Eve. “Credo di piacergli, ha detto che vuole rivedermi…”
“Chi non vorrebbe rivederti,
Bill…” Commentò la ragazza.
“Smettila!” Esclamò lui ridendo e
dandole una piccola spinta; anche lei rise.
Eve, quindi, si spostò da lui,
tornando a lavare le tazze lasciate nel lavandino. Bill rimase seduto sul
bancone, sapeva che la conversazione non era finita.
“Lui com’è?” Domandò infatti la
ragazza, poco dopo.
“Cosa ti fa pensare che sia un
lui?” Replicò compito il ragazzo.
“L’ultima ragazza con cui sei
uscito sono io e non mi risulta che abbiamo fatto sesso.” Rispose Eve.
“Anche perché te lo
ricorderesti.” Soggiunse lui con voce sensuale; si scambiarono un’occhiata
divertita, prima di ridere ancora. “Ad ogni modo, sì, è un po’ che non frequento ragazze.”
“Bene, allora dimmi com’è.”
Insisté lei.
“È alto più o meno come me, ha i
capelli castani e gli occhi blu… Ma proprio blu, scuro, molto belli.” Descrisse
assorto, con il suo solito modo di gesticolare. “Ma, soprattutto, è stato così
piacevole conversare con lui, ho avuto la sensazione di poterci parlare per
ore.”
“Non dubito che tu sia capace di
parlare per ore senza stancarti.” Affermò sarcastica Eve.
“Oh, ti odio! La smetti di
sfottere?!” Esclamò Bill fintamente offeso; in realtà reprimeva una risata.
Lei, intanto, ridacchiava.
“È sexy? Affascinante?” S’informò
quindi.
“Eccome se lo è! E poi è
simpatico, ha gusto nel vestire, ed è un artista. Un pittore.” Spiegò il
cantante.
“Un pittore…” Ripeté compiaciuta
la ragazza.
“Sì, fa dei quadri bellissimi,
vedessi, mi piacciono tanto!” Aggiunse entusiasta lui.
“Lo rivedrai?” Gli chiese Eve con
un sorriso dolce.
“Ti ho detto: mi piacerebbe.”
Rispose Bill. “Però non abbiamo nemmeno avuto il tempo di scambiarci i numeri
di telefono, anche se…” Lei lo incitò con un gesto. “Ho preso qualche
informazione su internet…”
“Bill!” Esclamò Eve, con giocoso
rimprovero, lui rise furbo. “Dimmi.” Gli ordinò quindi.
“Allora… Ha ventisette anni, la
sua prima mostra importante l’ha fatta tre anni fa, da allora è in continua crescita
nelle quotazioni, insegna all’università – disegno dal vivo e prospettiva – e
il suo più grande sogno, a quanto pare, sarebbe esporre un’opera al MoMa… Non
so che sia questo MoMa, penso una roba da artisti…”
Il viso di Eve divenne
tristemente neutro e, se fosse stata un cartone animato, le sarebbe comparso un
enorme gocciolone sulla testa.
“Bill…” Mormorò atona, lui la
guardò incuriosito. “Se l’ignoranza fosse musica, tu saresti un’orchestra
sinfonica.” Sentenziò poi.
“Sei cattiva!” Protestò lui.
“Cazzo, ma sei una capra
tibetana, che posso farci!” Ribatté lei. “Il MoMa è il più grande museo di arte
moderna del mondo, a New York!”
“Senti, non sono mica il ministro
dei beni culturali…” Biascicò debolmente il cantante, abbassando la testa
mortificato.
Eve si pentì di essere stata
brusca. Tornò da lui, si fermò fra le sue gambe e gli prese il viso tra le
mani. Si guardarono negli occhi.
“Dai, scusami.” Gli disse con
dolcezza. “Promettimi, però, che t’informerai meglio, prima di rivederlo.” Gli
chiese.
“Devo rivederlo, Eve?” Le chiese
lui, con una faccina tenera e incerta.
“Assolutamente sì!” Rispose
sicura lei. “E adesso dammi un bacio.” Bill sorrise e la baciò a fior di
labbra, poi si sorrisero, concludendo definitivamente la conversazione.
*****
Era una mattina tiepida e il sole illuminava senza
invadenza tutta l’aula, bagnando i banchi di legno chiaro, l’enorme lavagna, la
cattedra. I sedili degli studenti si disponevano come in un piccolo anfiteatro,
permettendo a tutti una visuale perfetta dell’insegnante.
Bill si era scelto un posto laterale, in alto, lontano
dalla massa principale degli allievi, che avevano scelto i posti centrali più
in basso, vicino alla cattedra. In quel punto era tranquillo, nessuno sembrava
far caso a lui, nonostante il cappello e gli occhiali da sole che non si era
mai tolto.
Assistere alla lezione era stata un’esperienza
affascinante. Quanto gli sarebbe piaciuto avere dei professori così! La scuola
sarebbe stata tanto più interessante! Perché gli argomenti trattati gli erano
piaciuti, lo avevano realmente intrigato, anche se non sapeva se fosse per la
materia in se o per l’insegnante. Secondo la sua modesta opinione, infatti,
Michael era un ottimo professore. La classe pendeva dalle sue labbra!
Beh, certo era molto sexy, con quella maglietta verde
aderente e quei jeans assai sdruciti… Però aveva anche un’aria autorevole,
spiegava con cura, precisione e semplicità. E aveva una voce bellissima! Cioè,
insomma… Non dovrebbe essere dalla voce che si giudica un insegnante, però…
Quando la lezione terminò, Bill
attese che gli allievi defluissero dall’aula; li guardò salutare Michael,
alcuni lasciargli i loro lavori e allontanarsi uno dopo l’altro. Scese, infine,
verso il centro della classe.
Davanti a Michael era rimasto
solo un gruppo di tre ragazze; da dove si trovava, Bill non poteva capire cosa
stavano dicendo, ma il loro atteggiamento gli ricordava quello delle proprie
fans quando se lo trovavano davanti. Ad ogni modo, a Michael, non mancava
niente per essere una rockstar.
Bill si avvicinò con un sorriso
tranquillo, aggiustandosi in spalla la grande borsa, mentre le tre ragazze si
allontanavano ridacchiando tra se e lanciando sguardi al giovane pittore; forse
speravano di aver attirato l’attenzione dell’insegnante, erano effettivamente
appariscenti.
Michael, poi, si era piegato
sulla scrivania e sembrava cercare qualcosa, aveva la fronte aggrottata e una
strana smorfia buffa. Bill sorrise fermandosi accanto alla cattedra.
“Dimmi.” L’incitò Michael senza
guardarlo, forse pensando all’ennesimo allievo.
“È stata una bellissima lezione.”
Affermò Bill, quindi vide la testa dell’altro ragazzo scattare stupita verso
l’alto per guardarlo e poi aprirsi in un sorriso sorpreso.
“Bill!” Esclamò felice.
“Ciao.” Salutò l’altro.
Michael gli diede una veloce
occhiata generale: era diverso dalla sera in cui lo aveva conosciuto. Era
vestito in modo molto più semplice. Portava scarpe da ginnastica, jeans grigi
aderenti, una maglietta più scura che gli andava un po’ larga, una specie di
cappello floscio e grandi occhiali da sole fumé che gli coprivano metà faccia.
Era bello come un angelo grunge.
“Che bella sorpresa.” Commentò
infine. “Come mi hai trovato?”
“Mi sono informato…” Rispose vago
Bill. “E devo dire che ne è valsa la pena, mi è piaciuto molto assistere.”
“Ne sono lieto.” Annuì Michael.
“È bello rivederti.” Aggiunse dolcemente.
“Anche per me.” Replicò l’altro
con un sorriso.
Seguì un momento di silenzio, in
cui si guardarono; Michael cercava i begli occhi di Bill dietro le lenti,
mentre lui si muoveva da un piede all’altro, tormentandoseli. Il cuore di
entrambi batteva leggermente accelerato.
“Oggi hai un po’ di tempo?”
Domandò quindi Bill. Dì di sì, dì di sì…
“Sei
fortunato.” Rispose Michael, col suo bel sorriso aperto. “Prendiamo un caffè
insieme?”
“Sì!” Accettò immediato il
cantante. “Cioè… Ecco, se il bar non è troppo affollato…” Aggiunse con cautela.
L’altro ragazzo si chiese il
perché di questo improvviso timore. Si era già fatto una certa convinzione, su
Bill; certamente era un personaggio pubblico, ma gli sarebbe piaciuto saperne
di più. Sembrava l’occasione giusta, almeno stavolta nessuno li avrebbe
interrotti.
“Non preoccuparti, a quest’ora è
piuttosto tranquillo.” Lo rassicurò quindi.
“Bene.” Annuì Bill. “Andiamo.”
Si ritrovarono a camminare
insieme, lungo i viali alberati del campus, nelle pozze di luce e ombra create
dalle foglie.
Michael osservava Bill al suo
fianco, la sua andatura sicura, la testa alta, le labbra perfette, il collo
affusolato. La maglietta gli era scivolata di lato, mostrando una invitante
spalla candida; la sua pelle chiara doveva essere morbida ed elastica in quel
punto… Meglio pensare ad altro.
“Così, hai preso informazioni su
di me.” Affermò il pittore, quindi attese la reazione di Bill.
Lui si girò e sorrise radioso.
“Detto in questo modo, sembra una roba da spie!” Commentò allegro. “In realtà
ho solo dato un’occhiata al tuo sito.” Aggiunse poi, sempre sorridendo.
“Che ne pensi?” Gli chiese allora
Michael.
“È molto bello.” Rispose Bill. “I
tuoi quadri mi piacciono davvero tanto. Ho visto che fai anche dipinti di
persone, a volte…”
“Il figurativo mi piace, ogni
tanto ho ancora voglia di farlo.” Spiegò tranquillo l’artista. Si sorrisero.
“Io, qualche volta, disegno
figurini, sai, per la linea di abbigliamento… insomma, per i gadget del
gruppo…” Raccontò Bill con innocenza.
“Quindi lavori con un gruppo…”
Soggiunse incuriosito Michael, lui annuì. “Sei un musicista.” Realizzò, Bill
confermò.
“In realtà, io non suono, sono un
cantante.” Precisò poi.
“L’avevo sospettato.” Replicò
l’interlocutore. “Se fossi stato un attore, ti avrei conosciuto prima, visto
l’ambiente che frequento.”
“Non nego che mi piacerebbe
recitare ed ho anche ricevuto delle proposte, ma nessuna mi ha convinto del
tutto, aspetto quella giusta.” Dichiarò Bill, gesticolando in quel suo modo
particolare. “Cantare, però, mi piace ancora tantissimo, esibirmi, stare sul
palco, sentire gli applausi e l’entusiasmo, l’amore del pubblico.”
“Ho la sensazione che il tuo
pubblico ti ami davvero tanto, Bill.” Commentò Michael sorridendo.
“Sì. E io adoro le fans.”
Confermò lui, ma poi si fece più serio. “Non è sempre facile, però, veicolare
tutti questi sentimenti, è purtroppo molto semplice che l’entusiasmo dei fans
diventi qualcosa di negativo e pericoloso. Mi è successo, non sono belle
situazioni…”
Michael lo guardò: aveva
abbassato il viso e la sua espressione si era fatta pensierosa. Era sorpreso,
perché non l’avrebbe fatto una persona da riflessioni del genere, soprattutto
fatte così seriamente. Ma, del resto, lo conosceva appena.
“Sai se è vietato fumare, qui?”
La voce di Bill lo riscosse dai propri pensieri.
Michael si guardò intorno; erano
arrivati alla caffetteria, non c’era molta gente, ma almeno un paio di
gruppetti avevano all’interno dei fumatori.
“Penso proprio di no.” Rispose
quindi.
“Meno male!” Esclamò il cantante
sollevato, mentre estraeva dalla borsa il pacchetto di sigarette e l’accendino.
“Qui in America siete molto severi ed io dovrei smettere, ma proprio non ci
riesco!”
Michael avrebbe voluto commentare
con una battuta simpatica, ma vedere Bill accendersi una sigaretta fu
un’esperienza che lo lasciò senza parole.
Seguì ipnotizzato la lunga mano
elegante portare la sigaretta alle labbra, che si schiusero delicatamente per
accoglierla, con un movimento preciso della mandibola più perfetta che avesse
mai visto; il tutto contornato da un profilo esatto come quello di una pittura
egizia.
“Bill.”
“Hm?”
“Hai mai pensato di fare un calco
delle tue mani?” Domandò Michael al cantante, mentre si sedevano ad un tavolino
tranquillo, tra sole e ombra.
“Un calco delle mie mani?” Ripeté
stupito il cantante, alzando un sopracciglio.
“Sono stupende, mi piacerebbe
farci una scultura.” Spiegò l’altro, continuando a fissare quelle dita
affusolate stringere il mozzicone.
L’espressione di Bill si aprì in
un sorriso incredulo e divertito. “È il complimento più bizzarro che mi abbiamo
mai fatto e, credimi, ne ho sentite di tutti i colori!” Commentò quindi.
“Ma io dico sul serio.” Replicò
tranquillo il pittore.
“Oh, beh, in questo caso…”
Mormorò Bill, poi gli rivolse uno sguardo espressivo e luminoso. “Credo che
potrebbe piacermi… se lo facessi tu.”
Sottolineò.
Il cantante era consapevole
dell’effetto che poteva fare un suo sguardo del genere. Fissava quasi
compiaciuto il turbamento negli occhi di Michael. Gli piacevano i suoi occhi,
quell’intenso blu scuro, metallico, vivo come uno specchio d’acqua.
Il ragazzo, infine, gli sorrise,
sporgendosi un po’ verso di lui. Si ritrovarono a pochi centimetri di distanza
uno dall’altro.
“Sei una persona affascinante.”
Mormorò Michael. Bill rispose al sorriso, accondiscendente. “Come si chiama il
tuo gruppo?” Gli chiese poi, cambiando argomento. Lo vide esitante per un
attimo.
“Tokio Hotel.” Rispose quindi,
leggermente rigido.
“Hm, credo di avervi sentito
nominare…” Commentò pensieroso Michael. “Mi piace, è curioso, moderno,
divertente.” Come finì la frase, però, si accorse dell’espressione di Bill.
“Sembri sorpreso…”
Lui si riscosse. “No, è che…”
Esordì poi. “Quando parliamo del nome del gruppo, la domanda che ci fanno
sempre è: perché Tokio, perché Hotel… Onestamente, mi sono stancato di
rispondere, ormai lo sanno anche i sassi, non interessa più a nessuno. Tu,
invece, hai detto solo che lo trovi divertente… Sei il primo.” Spiegò quindi.
“Capisco.” Commentò serio il
pittore.
“Non fraintendere!” Esclamò
animato Bill. “Sono colpito favorevolmente!”
“Bene.” Annuì Michael. “Pensavo
di aver detto qualcosa di offensivo!”
“No, no!” Negò subito l’altro,
accompagnando le parole con i gesti delle mani.
Una giovane cameriera coi capelli
rossi e le lentiggini venne a prendere le ordinazioni, interrompendo i loro
discorsi. Li osservò incuriosita, facendo immediatamente irrigidire Bill, ma
sembrò non riconoscere nessuno dei due; forse era solo colpita dal fatto che
fossero due gran bei ragazzi.
Quando se ne andò, il cantante
tornò a guardare il suo interlocutore, girandosi un po’ meccanicamente. Lo
trovò a fissarlo con un sorriso tranquillo.
“Credo che tu possa anche
toglierti gli occhiali.” Gli disse.
“Io, veramente…” Tentò Bill.
“È tranquillo.” Riprese Michael.
“E se la cameriera fosse una tua fan, penso che starebbe urlando e piangendo in
mezzo al locale.” Aggiunse ridendo.
“Non è per quello.” Mormorò lui,
abbassando il capo. “È che… non mi sono truccato, stamattina.”
Michael spalancò gli occhi
stupito, poi fu travolto da un’ondata di tenerezza e gli sorrise.
“Per me non affatto un problema,
Bill.” Dichiarò poi, con delicatezza.
“Lo è per me.” Replicò il
cantante.
Il pittore, in realtà, moriva
dalla voglia di rivedere gli occhi di Bill, ma decise rapidamente di
assecondare il suo disagio e non spronarlo a scoprirsi.
“Come vuoi, allora.” Soggiunse
quindi. Bill gli sorrise grato.
“Dimmi un po’…” Riprese poco dopo
l’artista, quando la cameriera gli ebbe portato le ordinazioni. “Come mai un
tedesco decide di trasferirsi nella città degli angeli?” Gli chiese.
“Beh, prima di tutto, non è una
cosa definitiva.” Ci tenne a precisare. “E, ad ogni modo, facendo musica è
quasi normale, qui ci sono i migliori professionisti, gli studi più attrezzati,
le tecnologie più avanzate e noi tedeschi siamo molto pignoli, vogliamo il
meglio!” Rispose Bill. “E poi… Avevamo bisogno di cambiare aria, l’ultimo
periodo non è stato facile, abbiamo avuto dei problemi abbastanza seri con alcune
brutte persone…” Parlava serio, girando lentamente col cucchiaio il suo
cappuccino. “Eravamo stressati, stanchi e credo avessimo bisogno entrambi di
una crescita personale… Oltretutto la musica rock è nata qui, quindi penso sia
il posto migliore! Ci piace molto Los Angeles, ci sentiamo più liberi.”
Michael non aveva ascoltato molto
dopo la parola entrambi. Quindi,
quando Bill parlava al plurale non intendeva la band, come lui aveva pensato
all’inizio, ma se stesso e un’altra
persona…
“Allora… non ti sei trasferito da
solo…” Intervenne infatti.
“Oh, no!” Esclamò Bill allegro.
“Non potrei mai pensare di vivere da qualche parte senza Tom!”
Ecco, c’è un Tom… Esalò delusa la voce interiore di Michael.
“State insieme da tanto?” Gli
domandò pacato, contenendo in un tono neutro lo strano dolore che provava. Bill
gli dedicò un sorriso furbo, aveva capito che lui aveva frainteso.
“Tutta la vita, anzi, da prima di
nascere, direi.” Rispose infine; Michael aggrottò la fronte. “Tom è il mio
gemello, siamo molto uniti.” Spiegò quindi, allegro. “È anche il chitarrista
della band.”
“Ah…” Soffiò Michael, poi si
aggiustò sulla sedia, apparentemente a disagio. “Scusa, avevo pensato che…”
“Fa niente.” Replicò Bill
stringendosi nelle spalle. “A volte do alcune cose per scontate, tutti sanno di
mio fratello, non ho pensato che non ci conosci.” Aggiunse, posando una mano
sulla sua con intento rassicurante.
Michael guardò quelle lunghe dita
bianche, le unghie smaltate di grigio. La mano di Bill era morbida, tiepida, il
contatto piacevolissimo.
“Perdonami lo stesso.” Affermò
Michael, prima che l’altro interrompesse il tocco, con suo grande dispiacere.
Bill si strinse ancora nelle
spalle. “Se dovessi offendermi di quello che pensano di me e Tom, spenderei il
tempo a fare querele.” Dichiarò noncurante. “Anzi, ti dirò, spesso mi piace
provocare queste persone…” Specificò poi, con un’espressione pestifera.
“Immagino!” Rise Michael.
Non era difficile, per lui,
pensare a Bill che provocava qualcuno, il suo stesso modo di porsi era una provocazione.
Michael si trovò a riflettere su quanto potesse essere interessante, in
determinate circostanze, farsi provocare da lui.
Nessuno dei due, comunque, poteva
immaginare quanto fosse forte la curiosità reciproca. Avrebbero entrambi voluto
parlare per ore, raccontarsi tutto quello che valeva la pena sapere, superare
lo scoglio della conoscenza per arrivare in fretta ad altro.
E parlarono. Di musica, di arte,
di viaggi, di gusti personali, senza stancarsi a vicenda, sorridendosi senza
sforzo e ascoltandosi uno con l’altro.
La conversazione ebbe termine
quando squillò il cellulare di Bill. Gli era arrivato un messaggio.
“Scheisse!” Esclamò il cantante sbirciando il display. “Scusa,
Michael, ma… mi ero dimenticato di avere un appuntamento con mio fratello!”
Disse al pittore.
“Spero che questo sia da
attribuire alla mia brillante conversazione.” Commentò splendente lui.
“Assolutamente sì!” Ribatté
immediato Bill con un sorriso abbagliante. “È stato piacevolissimo, parlare con
te.” Aggiunse poi, dolcemente.
“Sensazione oltremodo reciproca.”
Replicò Michael con uno sguardo tenero.
“Dobbiamo rivederci al più
presto.” Soggiunse il cantante, con tono deciso, seduto eretto sulla sedia.
Michael sorrise. “Mi piacerebbe
che tu venissi a vedere il mio studio.”
“Davvero?!” Fece Bill sorpreso.
L’altro annuì.
“Chiamami, ci mettiamo
d’accordo.” Affermò, porgendogli un biglietto da visita; lui lo prese e
l’osservò incerto, poi alzò gli occhi sul pittore.
“Posso chiamarti?” Domandò, quasi
con ingenuità.
“Devi.” Gli ordinò Michael con un
sorriso incoraggiante. Non vedeva l’ora di mostrargli il suo mondo, di vedere
la sua bellezza in mezzo alla propria arte.
CONTINUA
NOTE:
* Traduzione dei versi della
canzone in introduzione (per chi ha qualche difficoltà con
l'inglese, non diamo niente per scontato ^_-):
Perdona il modo in cui ti sto fissando
Non c'è niente che regga il confronto
Vederti mi lascia senza forze
Non sono rimaste parole da dire
Ma se provi quello che provo io
Ti prego fammi sapere che è vero
(perdonate le imprecisioni ^_^)
Ah, ringrazio il team di Efp per
aver inserito la possibilità di rispondere alle recensioni! Mi avete levato un
peso e ora sono libera di rispondere a tutti con calma!
|
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Capitolo 2 *** 2 - Learning arts ***
From tokio
Nonostante
le mie buone intenzioni, non sono andata molto avanti con la storia, ma
visto che qualche capitolo pronto comunque ce l’ho, credo sia il
caso di proseguire almeno per voi! ^_^
Eccovi il secondo capitolo, dove
farà la sua sfolgorante apparizione il nostro Tatone adorato!
*_* (e chi pensasse che Tom non è un tatone patastruffolo, non
ha capito niente di lui!)
Ma il giudizio lo lascio a voi!
A proposito… Ho visto tante letture ma pochi commenti…Via, fatevi coraggio, aspetto il vostro giudizio!
Buona lettura e grazie di nuovo a chi ha commentato!
Sara
2. Learning Arts
There's a lot of talk going `round now
Let'em talk, you know you're the only one
There's a lot of walls need tearing down
Together we could take them down one by one
(Let's Be Friends – Bruce Springsteen)
“Eve!” Richiamò, per almeno la quarantesima volta, la voce concitata di Bill.
La ragazza roteò gli occhi, poi continuò a sistemarsi i
capelli allo specchio; nonostante l’ansia nel tono di Bill stesse
raggiungendo livelli di guardia, lei sapeva benissimo di non essere in
ritardo.
Era successo tutto piuttosto in fretta, ripensò. Meno di un paio
di settimane prima Bill era andato ad una mostra con la sua adorata
Nathalie – simpatia a tratti del tutto inspiegabile, secondo Eve
– ed era tornato tutto preso dalla nuova conoscenza; pochi giorni
dopo aveva rivisto il soggetto in questione ed era rientrato talmente
su di giri, che Eve aveva dovuto calmarlo con una tisana. I due
ragazzi, poi, avevano cominciato a sentirsi per telefono, intavolando
lunghe conversazioni fitte e, all’apparenza, intime, da cui Bill
usciva immancabilmente sospirante e con sguardo perso. Due giorni
prima, infine, era stato fissato l’appuntamento. Eve,
all’inizio, si era stupita che le avesse chiesto di
accompagnarlo, ma aveva velocemente capito che il cantante necessitava
di un sostegno per stemperare l’ansia. Ora era pronta per
aiutarlo.
“Eve!” Il tono stava diventando lamentoso.
“Arrivo!” Sbottò lei nel suo solito modo brusco.
Uscì nel corridoio, mentre s’infilava una lunga catena al
collo; fece per imboccare le scale verso il salone, ma sentì un
rumore sulla rampa superiore. Sul ballatoio c’era Tom in
accappatoio.
Sorrideva con un angolo della bocca; la pelle del collo e della parte
di petto che si vedeva, erano umide, le treccine ancora gocciolanti.
“Hey.” Lo salutò Eve, avvicinandosi a lui.
“Uscite?” Chiese il chitarrista.
“Ehm, sì…” Rispose incerta lei; non era
sicura di poter parlare liberamente a Tom degli affari di Bill.
“Andiamo a vedere lo studio di quel pittore, sai… il nuovo
amico di Bill…” Aggiunse cauta.
“Ah…” Commentò Tom, deviando lo sguardo e irrigidendosi.
Il ragazzo, però, si sentì prendere la mano, così
tornò a guardare Eve, che gli sorrise con dolcezza.
“Tranquillo.” Lo rassicurò, stringendo appena le sue
dita tra le proprie. “Te lo tengo d’occhio io e poi ti
dico.”
Tom si rilassò un pochino, dopo quelle parole e rifece un mezzo sorriso.
“Non fargli fare casini.” Biascicò quindi. Eve ridacchiò e gli carezzò una guancia.
La ragazza, nel frattempo, aveva salito i gradini che li separavano,
fermandosi su quello appena sotto al suo. Gli posò le mani sulle
spalle e lo guardò negli occhi.
“La cena per i cani è nel frigo della dispensa, quella per
te nel forno della cucina.” Lo informò. “Non
confonderle.” Aggiunse sarcastica. Tom fece una smorfia.
“Voi non tornate?” Le chiese poi.
“Devo a Bill una cena da Salade Arcade.” Rispose Eve; le mani di lui posate leggere sui fianchi.
“Quanto scommetti che prende la Mega Cheese?” Fece il chitarrista.
Eve alzò l’indice, con espressione severa. “Non
scommetto su cose ovvie!” Dichiarò. Ridacchiarono.
Eve, quindi, dopo un breve saluto, si sfilò dalla sua presa e
ridiscese le scale; prima di scendere anche l’altra rampa,
però, guardò di nuovo Tom.
“Non divertirti troppo, tutto solo.” Gli raccomandò.
“Credo che organizzerò un festino con cibo spazzatura,
ballerine discinte e fiumi d’alcool.” Affermò
serafico il ragazzo.
“Bene.” Annuì Eve. “Non sporcare i
tappeti.” Gl’intimò atona. “Ci vediamo
dopo.” Aggiunse, però, con uno sguardo caldo. Tom le
sorrise soddisfatto.
“Smettetela di pomiciare sulle scale! Io ho fretta!” Gridò Bill in quel momento.
*****
Le indicazioni condussero Bill e Eve ad una strada tra le colline di
Malibu. Aveva guidato la ragazza, perché il cantante era agitato
per l’imminente incontro.
La vegetazione era rigogliosa lungo le curve che risalivano calme e,
quando arrivarono al numero civico che gl’interessava, trovarono
un cancello aperto su un giardino lussureggiante.
Si guardarono, esprimendo perplessità riguardo al fatto che non
fosse chiuso. Bill verificò l’indirizzo sul proprio
palmare, poi, mentre erano indecisi su cosa fare, mandò un
messaggio a Michael, che rispose invitandoli con entusiasmo ad entrare.
Nello spiazzo in cui parcheggiarono, accanto ad una vecchia jeep rossa,
c’era una piccola costruzione in mattoni grezzi ed una molto
più grande che rassomigliava ad un hangar da aeroporto.
Nuovamente si guardarono perplessi.
Eve e Bill si avvicinarono alle grandi porte di metallo, dove
campeggiava una coloratissima statua a grandezza umana dalla difficile
interpretazione. C’era anche un campanello molto banale, col
cognome di Michael.
“Suoniamo?” Domandò incerto Bill.
“Sennò che siamo venuti a fare qui?” Replicò pratica Eve.
“Non me la immaginavo così, casa sua…”
Affermò poi il cantante, continuando ad osservare il luogo.
“Un po’ strana è, effettivamente.”
Commentò lei, ma non fece in tempo a dire altro, perché
la serratura della porta scattò. “Ci avrà
sentiti?” Fece Eve.
“C’è una telecamera.” Rispose Bill,
indicandole un punto sopra le loro teste. Si sorrisero ed entrarono.
Si ritrovarono in un breve atrio, dove c’era una sedia strana,
con le gambe a forma di pappagallo, e un’ombrelliera fatta a
tulipano. Una porta a vetri, composta da riquadri colorati, socchiusa,
da dove presumibilmente si aveva accesso all’abitazione vera e
propria.
Bill, con un’espressione allegra e curiosa rivolta ad Eve, scostò l’anta e si fece seguire dentro.
Lo spazio era ampio e chiaro, grazie al lucernario che si apriva sul
soffitto. I grandi dipinti occupavano i due lati lunghi dello stanzone,
alcuni accompagnati da tavoli, sedie; panni bianchi o sporchi di
vernice erano lasciati a terra o su supporti improvvisati. Tutto era
impregnato dall’odore dei colori, del diluente, dell’olio
di lino.
Una piccola scala con la ringhiera bianca, dava su una porta a circa
metà del lato sinistro. In fondo, una parete di cubi di vetro
separava un secondo ambiente; lì davanti, una pesante scrivania
di legno scuro era ingombrata da carte e da un pc portatile. Non
c’era nessuno.
Eve e Bill si scambiarono un’occhiata, poi avanzarono, guardandosi intorno.
La ragazza era molto colpita dai quadri di Michael: erano belli,
emozionanti proprio come le aveva detto Bill, ne era affascinata.
“Ciao!” Li sorprese una voce. Spostarono gli occhi dal
dipinto che stavano entrambi guardando e videro Michael andargli
incontro, mentre si asciugava le mani con uno straccio.
“Ciao…” Mormorò Bill, con voce emozionata.
Eve lo guardò, accorgendosi subito dei suoi occhi
improvvisamente più brillanti ed espressivi. Sorrise tra se.
Michael, oltretutto, era veramente un bel ragazzo. Alto, spalle
sufficientemente larghe, nonostante fosse magro. I leggeri e larghi
pantaloni caki e la canottiera bianca sporca di vernice, oltre a
stargli da dio, facevano molto artista cool. Aveva anche degli occhi
bellissimi, proprio come le aveva riferito il cantante; peccato che la
sua attenzione fosse tutta per Bill.
I due, infatti, si fissavano, sorridendo in un modo che la diceva lunga sulla reciproca attrazione.
“Ehm…” Tossicchiò Eve, ancora in attesa di essere presentata.
Bill si riscosse, abbassò gli occhi verso di lei, quasi sorpreso, poi le afferrò la mano di scatto.
“Eve!” Esclamò, quindi si rivolse al pittore.
“Michael, lei è Eve, una mia cara amica.” La
presentò concitato.
“Piacere.” Fece lui, porgendole la mano con un bel sorriso.
“Piacere mio.” Rispose la ragazza, prima di stringergliela.
“Scusatemi, se non sono arrivato subito.” Affermò
l’artista. “Stavo dipingendo, così, quando vi ho
visto arrivare, sono andato a pulirmi le mai.” Spiegò.
“Non preoccuparti.” Replicò gentile Bill. “Ci stavamo godendo i tuoi quadri.”
“Sono bellissimi, davvero.” Soggiunse Eve.
“Grazie!” Esclamò Michael, con un altro sorriso
dolce e sexy. Beh, non ai livelli di quelli di Tom, ma sufficientemente
da turbare maschi e femmine.
“Posso offrirvi qualcosa da bere?” Domandò quindi il pittore ai due ospiti.
“Sì, grazie.” Rispose Bill, mentre Eve annuiva.
Poco dopo erano seduti presso la scrivania, sorseggiando
dell’ottimo the freddo. L’atmosfera era amichevole e anche
Eve, che era notoriamente scontrosa, conversava amabilmente, per la
gioia di Bill.
“È davvero particolare, casa tua.” Affermò, ad un certo punto, la ragazza.
“Beh, sì.” Ammise Michael. “Era il magazzino
in cui un riccone teneva la sua collezione di auto
d’epoca.” Raccontò.
“E come ci sei finito, tu?” Domandò incuriosito Bill.
“Il tizio è fallito, ha dovuto vendere tutto.”
Spiegò il pittore. “La villa se l’è comprata
un divo di Hollywood, credo… Questo terreno ed il capannone,
invece, erano rimasti. Il prezzo era buono, così l’ho
preso io.” Aggiunse, stringendosi nelle spalle.
“È comodo, per dipingere.” Constatò Eve, osservando l’ambiente.
“Oh, sì.” Annuì lui. “Specie se non sai
contenerti nelle dimensioni!” Scherzò poi. Risero.
Un momento dopo, sentirono la porta che si apriva: qualcuno aveva aperto con le chiavi.
“Michael?” Chiamò una voce maschile; il pittore si
alzò e si sporse oltre il quadro che gli copriva la visuale
dell’entrata.
“Oh, Johnathan… Vieni.” Fece poi, invitando il nuovo arrivato.
Eve percepì Bill irrigidirsi, si girò verso di lui e si
accorse subito del disagio nella sua espressione. Gli prese la mano e,
quando lui la guardò, l’interrogò con gli occhi. Il
ragazzo rispose scuotendo il capo, cercando di convincerla che andava
tutto bene.
Johnathan, nel frattempo, li aveva raggiunti. Era uno slavato biondino
con un’espressione supponente che diede subito sui nervi ad Eve.
Li osservava circospetto, specie Bill.
“John, ti ricordi di Bill, vero?” Gli chiese Michael.
“Oh, sì.” Rispose lui atono. “Molto
bene…” Aggiunse, con uno sguardo ostile per il cantante.
“Piacere di rivederti.” Soggiunse educato Bill, alzandosi e
porgendogli la mano. La ragazza si sentì molto orgogliosa di
lui, perché si stava dimostrando superiore. “Lei è
Eve, una mia amica.”
“Piacere.” Fece lei, dopo essersi alzata. Anche loro si
strinsero la mano, ma fu una cosa sfuggente, probabilmente spiacevole
per entrambi.
“John è una specie di assistente.” Spiegò
Michael; ad Eve non sfuggì la smorfia di Bill. “Mi
è praticamente indispensabile, perché quando sono preso a
dipingere mi dimentico anche di pagare le bollette! Se non ci fosse
lui, mi avrebbero già staccato la luce!” Scherzò
poi.
Bill fece un retorico sorrisino amaro, tra se, mentre Eve alzava le
sopracciglia perplessa, prima d’intercettare un’occhiata
analizzatrice e maligna di Johnathan per il cantante. Ok, bello, sei ufficialmente archiviato come stronzo… Si disse la ragazza.
“Sai, John…” Intervenne Michael, apparentemente
ignorando la tensione crescente. “…ho scoperto che Bill
è il cantante dei Tokio Hotel, li conosci?”
Il ragazzo biondo lo guardò, poi tornò su Bill.
“Sì… Non è quella band emo per
ragazzine?”
A quella battuta fatta con scarso umorismo, scese il silenzio. Bill era
rimasto stranamente impalato, fissava il vuoto, forse temendo una
brutta figura. Eve, però, non era intenzionata a fare
altrettanto.
“Non credo che tu li abbia ascoltati bene.” Gli disse infatti, dura.
“Mi spiace, ma non sono molto il mio genere.” Replicò antipatico Johnathan.
“Allora, dovresti pensarci prima di parlare.” Ribatté velenosa lei.
“Eve…” Esalò supplicante Bill, mentre loro si
scambiavano occhiate saettanti, sotto lo sguardo perplesso di Michael.
La ragazza, dopo la richiesta dell’amico, si ritirò di un
passo, ma non risparmiò altri sguardi omicidi verso il biondo.
Non le piaceva proprio quel tizio, faceva stare male Bill ed il suo
istinto protettivo non lo ammetteva.
“Ti va di vedere il mio materiale per la scultura, Bill?”
Domandò gentilmente Michael al cantante, interrompendo il
silenzio elettrico che si era instaurato. Bill sembrò accendersi
come una lampadina, felice che la tensione fosse stata allentata.
Sorrise al pittore e annuì contento.
“Vieni.” Lo invitò con un gesto.
Il ragazzo superò fluidamente Eve e poi Johnathan, cui
dedicò un’occhiata di superiorità, con un
sopracciglio esplicitamente alzato.
Eve e John rimasero soli. Il ragazzo seguì con lo sguardo gli
altri due, finché non sparirono dalla vista; quando tornò
a girarsi, lei era più vicina. Trasalì, scostandosi.
“Tranquillo.” Fece lei, mentre sbirciava alcuni schizzi
sulla scrivania. “Non ho intenzione di affogarti nel the
freddo.” Gli assicurò, ma poi alzò su di lui uno
sguardo penetrante. “Ma attento. Ti tengo d’occhio.”
“Cosa sei? La sua guardia del corpo?” Sbottò
sarcastico lui, incrociando le braccia. Eve si strinse nelle spalle,
incurante.
“La governante.” Rispose serena.
Michael condusse Bill nella stanza cui si accedeva tramite le scale che
aveva visto prima. Era più piccola dell’ambiente
principale e più buia; c’era uno strano odore, ma non
fastidioso. Il pittore accese la luce.
C’erano dei tavoli in legno, lungo le pareti, con sopra scatole e
barattoli, attrezzi di cui gli sfuggiva l’uso. In un angolo
c’era uno di quei cosi girevoli, che probabilmente aveva un nome
specifico che Bill non sapeva, ma che aveva visto usare per fare vasi e
oggetti in terracotta. Al centro della stanza campeggiava una specie di
blocco di legno con sopra qualcosa di coperto con un telo.
“Avremo fatto bene a lasciarli soli?” Chiese ironico Michael. Bill, mentre si guardava intorno, ridacchiò.
“Eve, di solito, non morde.” Affermò allegro.
“Di solito?” Fece incerto l’altro.
“Beh, se lo fa in determinati momenti, non dovresti chiederlo a
me!” Scherzò il cantante; si scambiarono uno sguardo
divertito e malizioso, poi risero insieme.
Bill, poi, si mise a girare per la stanza, osservando incuriosito,
toccando oggetti e utensili con dita leggere, quasi con timore di far
danno.
“Sono felice di poterti, finalmente, guardare negli occhi.”
Mormorò Michael, dopo aver fermato Bill toccandogli un braccio e
averlo fatto voltare verso di se. Lui sorrise con tenerezza,
ricambiando lo sguardo.
Rimasero a fissarsi per un lungo momento. Gli occhi di Bill erano belli
proprio come li ricordava: nocciola chiaro, dorato, il trucco leggero
che lo faceva risaltare, le ciglia lunghe. Vivi ed espressivi,
così pieni di sensazioni ed emozioni da potersi perdere.
E il sentimento era reciproco. Perché Bill non trovava niente di
inquietante nei lampi metallici che attraversavano il blu cupo delle
iridi di Michael, anzi li trovava appassionati e caldi.
“Mi perdoni per l’atteggiamento di Johnathan, vero?” Fece Michael, continuando a guardarlo negli occhi.
L’artista, però, capì subito di aver affrontato un
argomento infelice, perché Bill s’incupì e distolse
lo sguardo.
“Lascia stare.” Gli disse. “Non è colpa
tua.” Aggiunse, stringendosi nelle spalle, mentre si allontanava
di qualche passo. Michael sospirò, dispiaciuto di averlo
allontanato.
“Questo cos’è?” Domandò Bill,
distogliendo l’altro dai suoi pensieri; lo vide osservare
incuriosito l’oggetto al centro della stanza, coperto dal telo.
Michael sorrise.
“È un progetto a cui sto lavorando.” Spiegò
avvicinandosi. “Dovrebbe essere inserito in una struttura che sto
saldando nel garage.”
Bill sgranò gli occhi sorpreso. “Sei veramente
poliedrico!” Si complimentò poi. Lui fece un sorriso
soddisfatto.
“Vuoi vederlo?” Gli chiese quindi; Bill annuì
entusiasta. “Mi fa molto piacere, che tu sia tanto interessato
alle mie opere.” Dichiarò, prima di afferrare i lembi del
telo per toglierlo.
“Ma è ovvio, Michael! Sono stupende!” Esclamò il cantante.
“Non è così ovvio, credimi.” Commentò Michael.
“Per me sì.” Ribatté pacato Bill; si scambiarono un’occhiata solidale.
La scultura venne scoperta con un gesto abbastanza energico, ma, mentre lo faceva, Michael non distolse gli occhi da Bill.
Si trattava di un flessuoso busto di donna, atteggiato in una posa
tesa, il seno in evidenza, la schiena arcuata, come si protendesse
verso… il piacere. Quella fu l’impressione che diede al
cantante.
“Oh… E’ molto… sensuale.” Mormorò Bill a commento. E lo pensava davvero.
“Era quello l’intento.” Replicò Michael soddisfatto, osservando la propria opera.
“Sembri conoscere bene il corpo femminile…”
Constatò Bill, mentre osservava la statua da ogni angolazione.
Chissà perché, la cosa sembrava dargli un po’
fastidio.
“Devo dire che lo studio dell’anatomia mi
appassiona.” Affermò Michael allusivo; Bill alzò
gli occhi e si scambiarono uno sguardo significativo. “Certo, mi
ha aiutato essere stato sposato.” Aggiunse tranquillo.
Bill fermò improvvisamente il giro che stava facendo intorno alla statua e fissò sbalordito Michael.
“Sei stato sposato?” Gli chiese; lui ridacchiò.
“Lo sono ancora, tecnicamente, ma è solo una questione
legale, siamo separati da tempo. Lei vive con una donna, ora.”
Rispose poi.
“Ah, capisco…” Mormorò il cantante.
“Ho sempre conosciuto le sue inclinazioni sessuali.”
Spiegò allora Michael, accorgendosi della perplessità di
Bill. “Anzi, stare con lei ha chiarito le idee anche a me,
è una donna eccezionale.”
Bill era ancora sorpreso da quei discorsi, continuava a fissare Michael
con la fronte aggrottata. Grazie alla sua vita nel mondo dello
spettacolo, il cantante, era cresciuto in fretta ed aveva fatto
esperienze più intense di quelle che normalmente avrebbe un
ragazzo della sua età, eppure era solo da poco che alcune cose
su se stesso e sulle proprie preferenze gli erano diventate chiare. E
non era stato semplice. Per questo gli sembrava strano sentir parlare
di certi argomenti con quella tranquillità.
“Anne è ancora la mia agente, quindi ci vediamo spesso.” Concluse il pittore.
“Siete in buoni rapporti, allora.” Commentò atono l’altro.
“Assolutamente.” Annuì Michael. “Ci vogliamo
bene, Anne non è stata solo una compagna,
un’amante…” Continuò, guardando assorto la
statua. “…ma è anche la mia migliore amica, una
specie di madre… Considerato anche che ha sedici anni più
di me!” Dichiarò infine, allegro.
“Adesso mi sento molto banale.” Affermò sconsolato
Bill. “Credevo che la mia vita fosse originale, ma tu mi batti
alla grande!” Si guardarono e risero, ma nel cantante restava un
po’ d’imbarazzo.
Michael, allora, si avvicinò a lui, gli sorrise dolcemente,
guardandolo negli occhi. Bill prese un lungo respiro, rispondendo allo
sguardo con occhi tremanti ed emozionati. Sentiva il calore del suo
corpo sul proprio ed il suo profumo, di eucalipto e sole.
“Tu non potresti mai essere banale, Bill.” Gli
sussurrò Michael, mentre l’altro non riusciva a staccare
gli occhi dalle sue labbra.
“È tutta la vita che ci provo.” Rispose poi, sempre fissando la sua bocca.
“Secondo me ci riesci benissimo.” Mormorò
carezzevole il pittore, spostando gli occhi su ogni particolare di quel
viso bellissimo. Non riusciva a capire come fosse riuscito ancora a non
toccarlo.
“Credo di doverti dire che sono leggermente narcisista
e che i tuoi complimenti potrebbero farmi diventare molto frivolo e
disponibile…” Lo avvertì Bill, con voce bassa e
sensuale. Michael rise piano.
“La cosa potrebbe piacermi.” Soggiunse quindi.
I loro corpi, ormai, si sfioravano e cominciava a fare piuttosto caldo.
Michael alzò una mano, carezzando in modo appena percepibile il
braccio nudo di Bill, che fu percorso da un lungo e piacevole brivido.
“Forse dovremmo tornare di là, prima che succeda
qualcosa.” Affermò il pittore, continuando a fissare il
cantante.
“Non mi risulta che Eve abbia mai ucciso qualcuno.” Esalò Bill, perso nei suoi occhi.
“Intendevo: prima che succeda qualcosa qui.”
Sottolineò Michael; l’altro gli sorrise malizioso, ma poi
si ricompose ed annuì.
******
La macchina scivolava tranquilla lungo le strade, in uno sfolgorante
tramonto californiano. Ora guidava Bill. Avevano lasciato la casa di
Michael, dopo che lui e il cantante erano tornati nello studio. Eve si
era accorta subito che nell’altra stanza era successo qualcosa e
che Bill moriva dalla voglia di raccontarglielo; così avevano
salutato, con la promessa di rivedersi presto ed avevano preso la via
del ritorno.
I primi minuti di viaggio erano stati tutti per il racconto del
ragazzo, entusiasta del quasi bacio che c’era stato. Lei
l’aveva ascoltato contenta, perché lo vedeva felice.
Adesso si dirigevano alla loro cena nel regno delle insalate. Eve
finì di rispondere ad un messaggio e poi ripose il cellulare in
borsa.
“Tom ti saluta.” Riferì al cantante.
Bill fece una smorfia. “Perché quando siamo insieme,
chiama sempre te?” Fece poi, fintamente offeso. “Sono
gelosissimo.” Affermò.
“Anche lui.” Ribatté Eve. Risero piano.
“Evie...” Chiamò poi, con una voce quasi da bambino.
“Dimmi, tesoro.” Lo incitò dolcemente lei.
“Secondo te, quei due scopano?” Domandò timoroso, continuando a guardare la strada.
“Oh, ci puoi scommettere!” Esclamò la ragazza.
“Cazzo, Eve… Non dirmi così!” Replicò
affranto lui. “Speravo dicessi qualcosa tipo: no, Bill, ti stai
facendo le tue solite paranoie inutili!”
“Tu non vuoi sentirti dire questo.” Dichiarò sicura Eve.
“No…” Ammise Bill scrollando il capo.
“Mi pare chiaro che tra loro c’è qualcosa, Johnathan
è troppo territoriale per non andarci a letto.”
Esaminò la ragazza.
“Già.” Annuì il cantante.
“Ma dammi retta, amore.” Riprese lei, posandogli una mano
sul ginocchio. “Quello stronzo è già passato,
perché è evidente quanto tu piaccia a Michael.”
“Anche lui mi piace tanto.” Affermò lui, quasi triste.
“Non ti scoraggiare, lo mollerà.” Lo
rassicurò Eve. “Nessuno è alla tua altezza,
piccolo.” Aggiunse con uno sguardo orgoglioso. Bill le rispose
con un sorrisino grato.
“Ti adoro, quando mi veneri.” Le disse poi, con un’occhiata furba.
“Non ti ci abituare, stronzetto.” Replicò lei, con un sorriso storto. “Dai, ora, che ho fame.”
“Lo dici a me! Mangerei uno stadio!” Dichiarò
energico il cantante, prima di ripartire da un semaforo, direzione Salade Arcade.
*****
Quando Bill e Eve arrivarono a casa era ormai notte; furono salutati
allegramente dai cani, che li accolsero nell’ingresso, illuminato
solo da una piccola lampada.
“Ti va di bere?” Domandò Bill alla ragazza, mentre procedevano verso la cucina.
“Sì.” Annuì lei. “C’è dell’acqua tonica in frigo.”
Si fermarono a bere e Eve si accorse che Bill appariva pensieroso,
così gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro. Lui
sospirò, prima di stringerle le mani.
“Non tormentarti con le pene d’amore, tesoro.” Gli
disse con dolcezza. “Non ce n’è ragione.”
Bill stirò le labbra in un sorriso un po’ forzato. “Ti voglio bene, Evie.”
“E io ti amo, lo sai?” Dichiarò lei, strizzandoselo contro.
“Ah! Ma sei scema?!” Protestò il ragazzo ridendo. “Mi rompi tutto!”
“Per forza, sei un secchio d’ossa!” Sbottò Eve
divertita. “Vattene a letto, non hai il fisico!” Lui le
fece la linguaccia.
Bill, poi, smise di ridere e si girò verso la ragazza con occhi luccicanti e le sorrise con tenerezza.
“Grazie, Eve.” Le disse, con tono sincero.
“E di che? Sei tu che mi hai assunta.” Rispose lei, stringendosi nelle spalle.
“Allora, sono proprio bravo.” Si complimentò lui, con un’alzata di sopracciglia.
Scoppiarono a ridere, prima di zittirsi a vicenda per il rischio di svegliare Tom.
Si salutarono con un bacio sulle scale, poi Eve andò in camera
sua, che si trovava nel mezzanino. La ragazza si cambiò e si
lavò i denti, quindi salì al piano superiore.
La sua stanza non era completamente buia, a lui piaceva dormire con le
tende aperte, e poi il televisore era acceso. Eve lo spense e poi
guardò il letto.
Lui dormiva quasi bocconi, abbracciato al cuscino, le treccine legate in una coda bassa, come sempre quando riposava.
La ragazza si sedette sul materasso, cominciando a carezzargli piano le
spalle nude e la schiena, poi si piegò su di lui e prese a
baciargli la spina dorsale.
Tom, a quel punto, mugugnò, lasciò il cuscino e masticò, prima di aprire appena gli occhi.
“Finalmente.” Biascicò con voce roca. “Mi ero stancato di aspettare.”
“Ma se dormivi.” Ribatté ironica la ragazza.
“Eh, sai, dopo il festino…” Mormorò il
ragazzo, girandosi ancora un po’ verso di lei e facendole un
sorrisetto sardonico.
“Ah, già! Dimenticavo…” Commentò Eve,
una mano ferma sul suo petto. “Sei stato bravo: non
c’è un cuscino fuori posto, una bottiglia in giro, una
macchia di bicchiere sul tavolo…”
“Mi hai insegnato bene.” Replicò lui con
un’occhiata allusiva, appena prima di passarle una mano sulla
nuca e cominciare ad accarezzarle i capelli.
“Sono una brava maestra.” Dichiarò la ragazza,
mentre Tom la tirava a se con un sorriso furbo. Si baciarono lentamente.
“Com’è andata?” Chiese il chitarrista, quando si staccarono.
Eve, che gli stava baciando il collo e la spalla, sollevò il
viso e lo guardò negli occhi. Lui sembrava in attesa, ma lei ora
non aveva voglia di parlare. Gli sorrise promettente.
“Ne parliamo dopo.” Gli disse.
“Ma…” Tentò Tom.
“Dopo.” Ripeté lei, tornando alla sua occupazione precedente.
Sapeva che, comunque, non sarebbe stato difficile convincerlo,
perché sentì subito le sue mani spostarsi sui propri
fianchi. Sorrise, poi si sollevò sedendosi sul suo bacino. Non
ci sarebbe stato bisogno d’altro per capire che la conversazione
era rimandata, ma si scambiarono un’occhiata d’intesa,
prima che Eve si togliesse la canottiera.
Bill si era già messo a letto e fissava il soffitto, indeciso su
cosa fare. Mettersi l’i-pod nelle orecchie e favorire il sonno
con un po’ di musica? Riprendere in mano il quaderno e dare
un’occhiata a quel testo che proprio non voleva saperne di
uscire? Smazzarsi le meningi pensando che Michael in quel momento
poteva essere con Johnathan?
Lo squillo del cellulare lo distolse dai suoi ragionamenti autolesionisti.
Guardò il display ed il cuore cominciò a battergli forte;
lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino, era quasi
l’una. Sorrise e rispose.
“Ciao, Michael.” Mormorò, cercando di non mostrare la soddisfazione che provava.
“Ciao, Bill.” Rispose l’artista.
“Come mai a quest’ora?” Chiese il cantante,
nascondendo in un tono casuale la felicità per essere stato
chiamato.
“Non riuscivo a dormire, non avevo voglia di
dipingere…” Rispose Michael. “Avevo voglia di
sentirti.” Aggiunse, con voce calda.
“Ah… Quindi sei da solo…” Buttò lì il cantante, lusingato da quell’attenzione.
“Completamente.” Affermò sicuro l’altro. Bill
non trattenne un gesto esultante, scattando sul materasso. “Tu
cosa facevi?” Gli domandò nel frattempo il pittore.
Bill sorrise furbo. “Aspettavo che tu mi chiamassi.”
Mentì poi, soave. Michael rise, con un suono caldo e dolce.
“Sei unico, Bill Kaulitz!” Esclamò quindi.
Partì, da quel momento, una conversazione che li tenne impegnati
a lungo, dimostrando ad entrambi che c’era poco da fare, potevano
girarci intorno quanto volevano, ma qualcosa tra loro era nato ed ora,
lo stavano coltivando con passione.
Eve sentiva la grande mano calda di Tom percorrere lenta la sua
schiena, in una carezza confortante. Lei, invece, osservava il suo
petto che si alzava e abbassava piano.
Tom aveva una pelle stupenda, morbida, liscia. Gli toccò piano,
con la punta delle dita, lo sterno, il pettorale, il capezzolo scuro
che riusciva a vedere, poi gli diede un bacio. Sollevò, quindi,
il viso e guardò il suo: il mezzo broncio sexy, le lunghe ciglia
ad adombrare gli occhi assorti.
“Cosa vuoi sapere?” Gli chiese improvvisa. Lui aprì gli occhi, guardandola nei suoi.
“Che tipo è? Il… pittore.” Esordì, dopo un attimo.
Eve fece un sorrisino furbo. “Sexy.” Tom
s’incupì subito, irrigidendosi. “Proprio il tipo che
piace a me: alto, begli occhi, belle mani…”
Lui si scostò un poco. “Ci godi a farmi incazzare?” Sbottò.
“Tanto.” Ribatté lei. “Sei eccitante, quando ti girano…”
“Vaffanculo.” Sbuffò Tom, dandole una piccola scossa, senza spingerla realmente via. Eve ridacchiava.
“Sul serio.” Riprese la ragazza. “È un bel
ragazzo, simpatico, dolce e fa dei quadri bellissimi, dovresti
vederli.”
“Hm…” Mugugnò lui, con una smorfia.
“È intelligente.” Continuò Eve, ignorandolo. “E guarda Bill in un modo bello.”
Tom si rifece improvvisamente attento. “Come sarebbe?” Domandò.
“Un modo bello, Tom.” Ripeté lei. “Come te lo
spiego… Lo guarda come se fosse una cosa bella, preziosa.”
Tom sembrò riflettere per qualche secondo, fissando il buio.
Teneva la ragazza ancora contro di se, come se sentire il suo corpo gli
desse sicurezza.
“Tu pensi che possa andare bene?” Le chiese infine, senza guardarla.
“Sembrano molto in sintonia.” Rispose tranquilla Eve.
“Vorrei che ne parlasse con me.” Confessò Tom, un po’ abbattuto.
“Forse, se non te ne parla, è perché ha paura di
come potresti reagire.” Ipotizzò lei, osservando il
disagio sul bel viso del ragazzo.
“Non sono un troglodita!” Reagì il chitarrista. “Io potrei… capire…”
“Neghi che le scelte sessuali di tuo fratello ti creino dei
problemi?” Fece la ragazza, continuando a tenere d’occhio
le sue reazioni.
Tom grugnì, la lasciò e si voltò su un fianco dandole le spalle.
Eve sospirò; non era mai facile trattare con lui, bisognava
sempre andarci con le molle, era uno scorbutico testardo. La ragazza,
però aveva imparato che la dolcezza spesso funzionava. Si
girò verso di lui, gli carezzò la spalla, poi ci
posò il viso e gliela baciò.
“Dai, orsetto.” Gli disse con tenerezza.
“Ti odio, quando mi chiami così.” Replicò burbero lui.
Lei rise piano. “Allora ti chiamerò porcospino.” Tom sbuffò.
“Hai ragione, sai.” Mormorò poi, dopo un momento di
silenzio pensoso. “All’inizio, quando ho capito cosa stava
succedendo a Bill, l’ho presa male, non capivo, non accettavo,
non riuscivo nemmeno a guardarlo in faccia, però…”
Eve lo incoraggiò abbracciandolo e dandogli un altro bacio sulla
spalla. “Io gli voglio bene, Eve, non voglio che abbia paura di
me. Non sono una persona aperta, lo so, ma per Bill… io posso
provare.”
“Ti ama tanto.” Sussurrò la ragazza con dolcezza al
suo orecchio, lui annuì. “Forse, è solo che non si
sente pronto.” Aggiunse.
“Lo aspetterò, allora.” Dichiarò Tom.
“Magari potresti provare a fargli capire che sei disponibile.” Suggerì Eve.
“E come?” L’interrogò lui.
“Parlandogli di qualcosa che finora non gli hai detto tu per primo…”
“Intendi di noi due?” Fece Tom, girando la testa.
“Sì.” Annuì Eve.
“Credevo lo avessi fatto tu.” Affermò il chitarrista.
“No.” Rispose lei. “Rispetto il vostro rapporto e non
credo di dover parlare di cose che riguardano voi due, anche se ci sono
di mezzo io.” Aggiunse pacata.
“E che ne so…” Commentò Tom stringendosi
nelle spalle. “Tu e Bill sembrate sempre così
affiatati!”
“Eh, certo!” Sbottò Eve. “Glielo potevo dire
in un momento del nostro affiatamento: ah, sai Bill, io e tuo fratello,
da circa tre mesi, ogni tanto scopiamo, ma così, eh, per passare
il tempo!”
“Pensi veramente che io lo faccia per passare il tempo?”
Ribatté Tom, con tono offeso e quasi triste, mentre si girava
dalla sua parte.
“No…” Rispose un po’ imbarazzata lei. “Ma non so perché lo fai…” Ammise poi.
“Non pensi che ti guardo in un modo… bello?” Le chiese quindi il ragazzo, citando le sue parole di prima.
Eve guardò i suoi occhi. Erano stranamente chiari,
nell’oscurità; le ciglia folte e morbide gli ombreggiavano
le guance. Se erano belli, gli occhi di Tom… Grandi e con quel
meraviglioso taglio a mandorla che li rendeva esotici e affascinanti.
L’avevano sempre turbata, specie da quando si era accorta che
avevano uno sguardo speciale per lei.
“Sì, lo penso.” Rispose infine, carezzandogli il viso; Tom la tirò a se.
“E allora, non farti domande stupide.” Le disse poi. “Stringimi e basta.”
CONTINUA
NOTE:
Come sempre la traduzione dei versi in introduzione:
“Ci sono un sacco di chiacchiere in giro ora
Lasciali parlare, tu sai di essere l’unico
Ci sono un sacco di muri che devono essere tirati giù
Insieme potremo abbatterli uno dopo l’altro”
|
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Capitolo 3 *** 3 - One way ***
3 - One way
Eccovi qua il terzo capitolo! Grazie ancora a tutti quelli che hanno commentato i precedenti! Recensite numerosi!
Buona lettura!
Sara
3. One Way
‘Cause we were walking on the wild side
Running down a one way street
(One way street – Bruce Springsteen)
Eve stava pregustando la
sua agognata possibilità di rimettere in bocca un po’ di
carne. Stese con cura la bella e profumata fetta di prosciutto praghese
sul suo toast, aggiunse il formaggio e si preparò a richiuderlo
con l’altra fetta di pane, prima di metterlo nel tostapane. Aveva
già l’acquolina in bocca.
“Quella è carne?” Domandò secca una voce profonda alle sue spalle.
La ragazza sospirò, scrollando le spalle, poi si girò, per vedere Tom che le puntava il dito contro.
“Sì.” Ammise atona.
“Assassina.” Sentenziò lui, versandosi un bicchiere di succo d’arancia.
“Tom, sei un talebano di merda.” Replicò scocciata Eve, inserendo il panino nel tostapane.
“E tu sei una
selvaggia che uccide per nutrirsi.” Ribatté Tom, mentre si
sedeva a tavola e riempiva la tazza di cereali.
“Oh,
sant’Iddio! Detto così, sembra che sto bollendo in pentola
innocenti esploratori nella foresta del Borneo!” Sbottò la
ragazza.
“Perché? Ci
sono esploratori innocenti?” Fece il chitarrista; a quella
battuta si scambiarono un’ironica occhiata complice e poi risero
piano.
“Ad ogni modo.”
Riprese Eve. “Io, adesso, mangerò questo toast e tu, ti
mangerai la lingua, perché ho talmente bisogno di proteine
animali che potrei mettermi a sgranocchiare anche te!”
Affermò quindi.
“Lo sai che mi
piacciono i morsi…” Rispose lui, con un’alzata di
sopracciglia; Eve scosse il capo divertita, prima di tornare a tenere
d’occhio il tostapane.
“Che buon odore! Cosa c’è per colazione?” Esclamò Bill entrando in quel momento.
“Eve sta per mangiare un panino con del maiale morto.” Dichiarò Tom.
“Ah…” Esalò deluso il cantante.
Eve sorrise tra se. A volte
la ragazza aveva l’impressione che Bill morisse dalla voglia di
addentare una costoletta, ma che si trattenesse perché ormai si
era convertito al vegetarianesimo e tornare indietro avrebbe voluto
dire essere incongruente con le proprie decisioni.
“Eve, non dovresti.” La rimproverò infatti.
“Fottiti, Bill.” Replicò calma lei, addentando il toast.
Tutti, quindi, si
dedicarono alla propria colazione e Bill si rassegnò ai suoi
cereali integrali, lamentandosi, però, del fatto che Eve non gli
faceva mai i pancakes.
“Tornate a pranzo?” Chiese la ragazza, quando ebbe finito di gustarsi il proprio panino.
“No.” Rispose
Tom, mentre metteva la tazza nel lavandino. “Andiamo a prendere
Gustav e Georg all’aeroporto, poi andiamo tutti a pranzo con
David.”
“Ha detto che paga lui.” Intervenne Bill.
“Secondo me addebita
tutto sulla lista rimborsi della Universal.” Commentò Eve
sarcastica, prima di prendersi del succo d’arancia.
“Probabile.”
Confermò Tom. “Gli ha addebitato anche le medicine per la
diarrea che s’è preso in Sudafrica…”
I tre ragazzi, trattenendosi a stento, si cambiarono occhiate divertite e poi scoppiarono a ridere.
“Beh, allora divertitevi.” Affermò infine Eve. “E salutatemi i ragazzi.”
*****
La ragazza fermò la
macchina nel vialetto e scese, pronta a scaricare le buste della spesa.
Lo sportello si chiuse con un suono ovattato.
Una volta, Eve, aveva
posseduto una vecchia Ford marroncina. Un tempo, Eve, viveva nella sua
vecchia Ford marroncina. A dire il vero, era durato poco tempo, circa
due mesi, fino alla sua assunzione come – com’era il
termine che usavano loro? – Hausfrau dei teutonici gemelli
Kaulitz.
E la sua vecchia Ford, un
giorno, così per capriccio, l’aveva abbandonata, forse non
ritenendosi all’altezza della sua nuova vita.
Bill non aveva inteso
ragioni: il giorno dopo il trapasso della Ford, era arrivato a casa col
suo culo secco sopra i sedili di una fiammante Audi A1 rosso lacca. A
quanto pareva, i ragazzi avevano un contratto di sponsorizzazione con
la casa automobilistica tedesca e bastava che gli dicessero di avere
bisogno di una macchina, che quelli gliela infilavano sotto il sedere
senza nemmeno chiedergli se avevano la patente. Il bello di mangiare
broccoli e cagare dollari.
La ragazza, nonostante le
proteste, aveva dovuto accettare di usare l’auto – non era
possibile avere una discussione civile con Bill Kaulitz – ma ora
era contenta, perché la macchina era bella e andava proprio bene.
Prese la prima busta dal
bagagliaio e la posò a terra, poi, mentre prendeva la seconda,
qualcuno la chiamò. Si girò sorpresa e vide il bel
ragazzo castano che le sorrideva.
“Michael!” Esclamò stupita, guardandolo avvicinarsi.
“Ciao.” Salutò l’artista.
“Che ci fai da queste parti?” Gli chiese Eve, ricominciando a scaricare la spesa dalla macchina.
“Sono andato a vedere la sede per una mostra, qui vicino.” Rispose tranquillo Michael.
“Hai fatto bene a
passare.” Soggiunse la ragazza. “Anche se… Mi
dispiace, ma Bill non è in casa.” Aggiunse con uno sguardo
allusivo.
“Ah…” Commentò il pittore.” “Vedere te, mi fa comunque piacere.”
“Certo.” Annuì retorica Eve. Michael sorrise consapevole.
“Posso darti una mano?” Si offrì quindi.
“Oh, grazie!” Accettò entusiasta lei. “A patto che ti piacciano i cani.”
“Perché?” Domandò timoroso il ragazzo.
“Perché quando aprirò la porta, ce ne saranno cinque che ci verranno addosso.” Spiegò Eve.
“Hm… Di solito
mi piacciono, ma siamo sicuri che io piacerò a loro?”
Ribatté lui con sguardo teso.
La ragazza
ridacchiò. “Ok, facciamo così… Entro prima
io e li faccio uscire in giardino.” Michael annuì
rassicurato.
Pochi minuti dopo erano in
cucina e Eve ringraziava di nuovo Michael per averla aiutata, cosa che
i ragazzi facevano assai di rado. Il ragazzo però guardava i
cani che lo studiavano da fuori la vetrata.
“Io ne vedo solo
quattro…” Fece infine. “Non è che uno si
è appostato dietro il divano ed è pronto ad azzannarmi un
polpaccio?”
“Eheheh!” Rise
Eve, mentre riponeva la roba nei pensili. “No, tranquillo, penso
che Tom abbia portato Frank con se.”
“E gli altri non sono gelosi, poi?” S’informò lui con genuina curiosità.
“Oh, da morire!
Vedessi come regolano i conti, dopo!” Esclamò lei.
“Ad ogni modo, Frank è il cane di Tom. Gli altri sono
più billici, diciamo, tranne i due piccoli spelacchiosi, quelli
me li devo sorbire io.” Aggiunse, indicando i quattro zampe che
ormai si disinteressavano del nuovo arrivato.
“Eve, sei incredibile!” Commentò divertito Michael.
“La maggior parte delle volte mi dicono che sono pazza.” Fece lei, stringendosi nelle spalle.
“È la sorte in
cui incorre ogni artista.” Soggiunse lui; si scambiarono
un’occhiata significativa e sorrisero.
“Mi dispiace che tu
non abbia trovato Bill.” Affermò la ragazza, sedendosi al
banco della cucina, dopo aver invitato Michael a fare altrettanto.
“Non fa niente, lo chiamerò dopo.” Replicò tranquillo il pittore.
“Sono venuti gli
altri del gruppo, stanno provando in uno studio a Malibu.”
Spiegò la ragazza, torcendosi sulla sedia per prendere due
bicchieri. “Lo Starr e… qualcosa…”
“Lo studio Starr & Kneets?”
“Sì, quello!”
“Lo conosco, lo usa
spesso un mio amico che si occupa di colonne sonore.”
Dichiarò Michael. “Non è lontano da casa
mia…”
“Beh, allora puoi
passare lì; loro, solitamente, escono verso le sei.” Fece
Eve, con tono casuale, cogliendo lo sguardo interessato
dell’artista. “Ma, adesso, prima di andare, ti bevi
qualcosa insieme a me.”
******
Michael aspettava
appoggiato alla sua jeep, nella luce calda del tardo pomeriggio
losangelino. Lo studio si affacciava su un giardino ben tenuto e molto
geometrico. Lui aveva dovuto parcheggiare un po’ lontano
dall’ingresso, perché c’erano diverse altre auto.
Erano passate da poco le
sei, quando la porta si aprì e ne uscì un gruppetto di
persone; stavano ridendo forte. Erano guidati da un ragazzo coi capelli
lunghi e da uno alto con occhiali da sole e una felpa enorme.
Decisamente non parlavano inglese.
Il pittore si scostò
dalla macchina e fece qualche passo per vedere meglio; in quel momento
uscì anche Bill. Rideva, soave, insieme ad una ragazza bionda.
Indossava una camicia a quadri sui toni dell’arancio, jeans e
anfibi invecchiati; la grande borsa in spalla.
Michael si avvicinò;
i primi due che erano usciti gli passarono vicino e quello alto lo
guardò in modo strano. Il ragazzo, però, non se ne
preoccupò più di tanto, perché era già
concentrato altrove.
Bill andava diritto verso
di lui, ma non lo aveva ancora visto perché parlava con la
ragazza. Lei era una biondina minuta, carina, che ancheggiava
vistosamente sui tacchi altissimi dei suoi stivaletti.
“Ciao.” Salutò Michael, quando gli fu praticamente di fronte.
Bill alzò lo sguardo
e rimase praticamente paralizzato per un lungo secondo, poi
sollevò la sua lunga mano bianca e si sfilò gli occhiali
da sole come al rallentatore.
“Michael…” Esalò il cantante.
L’artista gli sorrise
felice e lui, a quel punto, si illuminò come un neon
fosforescente e sorrise mostrando anche i denti che non aveva.
Michael, però, si
accorse di un movimento alla sinistra del ragazzo che aveva davanti;
abbassò lo sguardo e notò la biondina che lo guardava
male, mentre richiamava l’attenzione di Bill toccandogli il
braccio. Lui girò appena il capo, senza distogliere gli occhi
dal pittore. La ragazza gli disse qualcosa in tedesco, di cui Michael
comprese solo la parola “hotel”. Bill le rispose
distrattamente, sempre guardando il ragazzo e lei sembrò
disapprovare, perché incrociò le braccia e mise su il
broncio, lanciando un’occhiata ostile a Michael, poi, quasi
battendo in piedi, si allontanò con espressione delusa.
“La tua amica sembra
un po’ offesa.” Commentò Michael, indicando con la
testa la ragazza che saliva in una delle macchine dietro di loro.
“Oh, no!”
Esclamò candido Bill. “È Naty, le
passerà… Mi farò perdonare.”
“Non voglio sapere come!” Scherzò l’altro.
“Ah, niente di
proibito! Le comprerò un bel paio di scarpe!”
Replicò, poi intercettò uno sguardo dolce di Michael solo
per lui e, allora, sorrise. “Mi hai fatto davvero una sorpresa,
come sapevi che ero qui?” Gli chiese.
“Diciamo che ho le
mie fonti…” Rispose cospirativo l’artista. Bill
aggrottò sospettoso la fronte, ma poi, in modo repentino,
sorrise radioso.
“Non importa come, quello che conta è che sei qui!” Dichiarò quindi, allegro.
Michael gli sorrise, ma la
sua espressione ridivenne neutra, quando il ragazzo alto con la felpa
arrivò vicino a Bill. Il pittore si sentì esaminare dal
suo sguardo penetrante, anche se coperto dalle lenti scure degli
occhiali che quello indossava. Il cantante, invece, si girò
verso il nuovo arrivato sorridendo.
“Tomi…”
Lo appellò con confidenza. “Questo è Michael, ti ho
parlato di lui…” Gli disse poi, indicandogli l’altro
ragazzo.
“Ah…
sì…” Biascicò lui. “Piacere.”
Mormorò quindi, senza fare cenno di porgergli la mano, ma
continuando ad osservarlo.
“Michael, ti presento Tom, mio fratello.” Riprese nel frattempo il cantante.
“Oh…” Fece Michael, sorpreso. “Piacere mio.” Aggiunse sorridendo.
Si concesse, quindi, un
momento per osservarli, visto che Bill si era girato verso il fratello
per dirgli qualcosa, anche se la comunicazione, al momento, non
sembrava verbale. La loro somiglianza non era immediata, visto il look
molto diverso che avevano, ma quando li avevi davanti era innegabile
che fossero gemelli identici.
“Mi aspetti in
macchina?” Chiedeva in quel momento Bill a Tom. “Due
minuti…” Il gemello non rispose, si limitò a fare
un cenno con la testa e allontanarsi con un saluto veloce a Michael.
“Uno di poche parole, tuo fratello.” Commentò il pittore, senza malizia.
“Eh,
sì.” Annuì Bill. “Ma ti assicuro che è
una persona dolcissima.” Aggiunse con orgoglio, poi mise le mani
sui fianchi sottili e fissò intensamente Michael, sollevando un
provocante sopracciglio. “Adesso, però, voglio sapere che
cosa ci fai qui.”
L’altro ridacchiò divertito, poi sorrise e tornò a guardare Bill con una luce maliziosa negli occhi.
“Volevo chiederti se ti andava di uscire a cena con me.” Affermò infine.
Bill spalancò
deliziosamente le labbra in un’espressione sorpresa, ma Michael
non sapeva dire se lo aveva stupito in modo piacevole oppure no;
sembrava preoccupato.
“A…a cena? Io e te?” Balbettò alla fine il cantante.
“Sarebbe l’ora, non trovi?” Replicò Michael.
Bill lo fissò per
qualche istante in quei suoi occhi così blu, poi abbassò
lo sguardo sul resto di lui: la maglietta bianca, la camicia a
quadretti sopra, i jeans, le scarpe da ginnastica. Gli piaceva davvero
molto quello che vedeva.
“Sì, penso di sì.” Rispose infine, tornando a guardarlo negli occhi.
“Facciamo venerdì sera?” Incalzò allora Michael.
“Perfetto.” Accettò immediatamente Bill. “Dove mi porti?”
“Oh, beh… non
lo so…” Rispose impreparato il pittore. “Sono il
tipo che decide all’ultimo momento… E’ un
problema?”
“Ecco… era soprattutto per sapere come vestirmi…” Confessò il cantante con lieve imbarazzo.
“Informale.”
Affermò Michael con apparente sicurezza. La sicurezza di sapere
che Bill avrebbe potuto tranquillamente mettersi anche un sacco della
spazzatura e sarebbe stato, comunque, più bello e sexy di
chiunque altro.
Quando Bill, pochi minuti
dopo, salì in macchina, aveva un’espressione estatica;
guardò Tom, seduto al posto di guida, e il suo sorriso si
allargò ancora di più.
“Beh?” Fece il chitarrista, con un cenno.
“Usciamo a cena, venerdì.” Riferì il cantante gongolando.
“Ah…” Esalò rigido Tom, sistemandosi sul sedile e spostando lo sguardo avanti.
“Tomi.” Lo
chiamò piano Bill, con una mano posata sul suo braccio; il
gemello si girò. “Grazie.”
Si guardarono negli occhi
per un lungo momento. Non c’era molto da dire. Bill sapeva che
Tom aveva capito ed era felice che gli avesse concesso quei pochi
minuti con Michael.
“Ti voglio bene.” Disse Bill, mentre guardava il fratello con adorante tenerezza.
“Sì, dai…” Tagliò corto Tom, abbassando gli occhi.
“Volete darvi anche un bacetto…” Intervenne Georg, dal sedile posteriore.
“O ci portate a cena?” Concluse Gustav, sporgendosi in avanti.
I gemelli guardarono verso
gli amici, poi Bill rise contento, mentre Tom, rosso in faccia e col
broncio, ingranava la prima ed usciva dal parcheggio.
*****
Bill fermò la
macchina più o meno dove l’altra volta, vicino a quella di
Michael. Solo alcuni lampioncini lungo il vialetto d’accesso
illuminavano il giardino.
Il ragazzo, prima di
scendere, si concesse un minuto per stemperare l’agitazione; si
accese una sigaretta e la fumò nervosamente.
Non era in ansia per
l’appuntamento in se. Beh, anche per quello, perché lui e
Michael, finora, non avevano potuto passare molto tempo insieme. Il suo
nervosismo, però, era più che altro dovuto al fatto che
erano anni che non usciva da solo con qualcuno e non certo
perché non avesse voluto. Era la sua vita da star a non andare
d’accordo con gli appuntamenti intimi. Guardie del corpo,
paparazzi, rischio di ragazzine infoiate che lo disturbano, erano tutte
cose che inibivano il romanticismo. Le poche “storie” che
aveva avuto negli ultimi tempi si erano consumate in fretta, tra alcool
e camere d’albergo, senza il tempo che i sentimenti ci si
mettessero nel mezzo.
Era stanco di tutto questo,
voleva crescere e non aveva ancora rinunciato all’amore, anche se
era abbastanza pragmatico da non illudersi sulla durata infinita di
tale sentimento.
Michael gli piaceva davvero tanto e in un modo che non gli capitava da tempo, per questo era fermamente deciso ad andarci piano.
Prese un lungo respiro.
Doveva rimanere presente a se stesso, se voleva mantenere il suo piano,
perché temeva molto la commistione tra presenza di Michael,
alcool, luci soffuse… ed il suo scarso autocontrollo davanti ad
un’attrazione fisica come quella che provava per il pittore.
Bill, finalmente, si decise
a scendere dalla macchina. Aprì lo sportello, si mise in piedi e
prese una lunga boccata finale, prima di gettare a terra il mozzicone e
spegnerlo col tacco. Prese, poi, la sua borsa e se la sistemò in
spalla, respirò forte, si girò verso la casa e
restò immobile. Dopo qualche istante d’osservazione, rise
tra se.
La strana statua,
sì, quella che non si capiva bene cos’era. Beh, era un
lampione. Sotto quella specie di cappello, infatti, c’era una
lampada che spargeva una luce giallina proprio davanti
all’entrata.
Sorridendo, Bill, si
diresse verso la porta di metallo, ma non fece in tempo a suonare il
campanello perché gli venne aperto. Michael lo aspettava sulla
soglia della porta colorata.
Il pittore indossava una
semplice maglietta chiara e dei jeans. Gli sorrideva tranquillo, ma
Bill si fece perplesso, perché non sembrava affatto pronto per
uscire.
“Sono arrivato troppo presto?” Chiese infatti, entrando.
“No, sei puntualissimo.” Rispose calmo Michael.
“Beh, allora temo di
essermi vestito troppo elegante…” Affermò quindi,
perplesso, mentre osservava l’altro ragazzo.
Il pittore gli
dedicò una lunga occhiata. Bill portava dei jeans scuri, con
riflessi luccicanti neri, gli stivali con la zeppa con cui lo aveva
conosciuto ed una giacca nera tipo smoking; sotto, quella che sembrava
una t-shirt nera e alcune collane d’argento al collo.
“Sei stupendo.” Commentò poi.
“Io… io non
capisco…” Fece confuso il cantante. “Dove mi
porti?” Domandò timoroso; dall’abbigliamento di
Michael, si stava già aspettando un locale di basso
ordine…
“Ecco…”
Tentò di replicare l’artista, poi si grattò la nuca
con apparente disagio. “Se non è un problema, avrei
pensato di cenare qui.” Confessò infine.
“Ohhh…” Esalò Bill, incapace di aggiungere altro.
“Vedi…”
Continuò Michael, invitandolo a procedere verso l’interno
della casa. “…ho pensato che, per te, poteva essere, come
dire, complicato, andare in un locale pubblico senza bodyguard e con un
ragazzo.” Spiegò, mentre camminavano. “Sono un buon
cuoco ed ho pensato che, beh, potevo impegnarmi un po’ e
preparare un’ottima cena!”
Bill si fermò e
guardò serio Michael; lui si accigliò preoccupato, ma ben
presto le labbra del cantante si arricciarono in un sorriso malizioso.
“Se anche tu lo
avessi fatto solo per avermi tutto per te, ti avrei perdonato.”
Dichiarò suadente. L’altro non poté fare a meno di
ridere deliziato.
Michael spinse
delicatamente Bill ad entrare nella stanza oltre la parete di cubi di
vetro. Lì, c’era una piccola cucina moderna, pervasa da un
buonissimo profumo di sugo di pomodoro. Accanto alla parete di vetro
c’era un alto tavolo rotondo contornato da quattro bizzarri
sgabelli uno diverso dall’altro. Sul lato destro, un arco dava
accesso ad un altro ambiente.
Sul fornello c’era
una pentola di acqua bollente ed una padella colma di sugo, anche
quella bolliva piano. Bill osservava tutto con occhi curiosi.
“I ravioli li ho comprati, ma la salsa l’ho fatta io.” Affermò Michael, dalle sue spalle.
Il cantante si voltò verso di lui con un sorriso rilassato. “Sembra ottima.” Commentò.
“Vuoi
assaggiare?” Gli chiese allora il pittore, dopo essersi
avvicinato al fornello e aver girato il sugo con un cucchiaio di legno
che era posato lì vicino. Bill annuì.
Michael prese un po’
di salsa con la punta del mestolo e lo porse a Bill, tenendoci una mano
sotto per non versargli niente addosso. Lui, senza distogliere per un
attimo gli occhi da quelli dell’artista, assaggiò
lentamente. Il sugo era ottimo, ma Bill quasi non se ne accorse,
perché l’aria era diventata improvvisamente elettrica, tra
di loro, tanto da sembrare quasi solida.
Bill era ipnotizzato dallo
sguardo liquido di Michael e si rese conto che il suo pollice era sulle
proprie labbra solo quando stava già succedendo. Il dito
pulì una piccola traccia di sugo dal suo labbro inferiore,
tastandone delicatamente la morbidezza, per poi tornare al
proprietario, nella sua bocca. Se lo succhiò piano, quasi
gustandolo, e questo provocò in Bill un lungo brivido che
finì esattamente in quel posto. Il cantante deglutì.
Michael, però,
probabilmente rendendosi conto di essersi spinto un po’ oltre,
abbassò lo sguardo e sorrise con vago imbarazzo.
“Ok…”
Fece poi, alzando le mani e facendo un passo indietro.
“Sarà meglio calmarsi.” Bill sorrise, un po’
deluso forse, ma rassicurato. “Se vuoi posare le tue cose, di
là c’è un divano.” Gli disse Michael, mentre
gli indicava la stanza accanto.
“Grazie.” Disse
Bill educatamente e gli passò accanto sfiorandolo col proprio
corpo. Michael, gli occhi socchiusi, seguì col capo la scia del
suo profumo.
Il cantante entrò
nel piccolo salottino. C’era un divano lungo la parete, con
davanti un tappeto in stile messicano e un tavolino basso di legno. La
stanza, tramite una vetrata dall’aria vissuta, si affacciava su
una veranda abbastanza cadente. Bill sorrise, di quell’ambiente
che faceva così tanto artista, mentre posava la borsa sul divano.
“Oh, non vedevo un
televisore come questo da quando vivevo a Loitsche!”
Esclamò poi, quando vide il vecchio apparecchio.
Michael si affacciò sulla porta, sorridente, aveva in mano una bottiglia di vino che stava stappando.
“Non guardo molta televisione.” Affermò serafico.
Bill, nel frattempo, si era
spostato ed osservava delle fotografie disposte sopra alcune mensole,
l’altro ne seguiva i movimenti, sempre col sorriso sulle labbra.
“Questo sei tu?” Domandò infine Bill, prendendo in mano una cornice.
Era una foto molto allegra
con dei ragazzini vestiti bene, ma piuttosto sconvolti
dall’agitazione della festa che sembrava essere in corso dietro
di loro.
“Sì.”
Rispose Michael, osservando l’immagine. “È il mio
Bar mitzvah.” Bill sollevò su di lui uno sguardo
interrogativo. “Si tratta di una cerimonia ebraica per
l’entrata nell’età adulta, anche se in realtà
si entra più che altro nell’adolescenza.”
Spiegò poi.
“Sei ebreo?” Chiese sorpreso il cantante.
“Sì, in via
del tutto genetica, sì.” Annuì Michael. “Ma
non sono molto praticante, al contrario del resto della mia
famiglia.”
Bill sorrise e posò la cornice, assicurandosi di rimetterla come l’aveva trovata.
“Li vedi spesso?” S’informò quindi.
“Non molto, vivono a
Sacramento e poi… L’essere la pecora nera della famiglia
non mi aiuta nel rapporto. Non speravano certo che diventassi un
degenerato artista bisessuale!” Concluse la frase con tono
allegro. Bill gli sorrise dolcemente.
“Mia madre pensa che
se si vede un talento, in una persona che si ama, lo si deve
assecondare.” Affermò quindi, sereno.
“E lei lo ha fatto? Con te e tuo fratello?” Chiese Michael.
“Mi ha lasciato
tingere i capelli, fare un piercing e suonare nelle birrerie prima dei
dodici anni, quindi… direi di sì.” Rispose soave
Bill. L’altro rise con tenerezza.
“Ti va un bicchiere di vino?” Fece poi, alzando la bottiglia. Bill annuì allegramente.
Eve scese le scale mentre
ancora si tamponava i capelli con un asciugamano. Era sempre confusa
riguardo a ciò che era accaduto solo una mezz’ora prima.
Era tornata a casa
abbastanza tardi, perché si era attardata a fare shopping con la
sua amica Consuelo. Quando era arrivata a casa, aveva trovato Tom
seduto sulla sponda del divano che strimpellava la chitarra. Le aveva
detto di non mettersi a cucinare, di andare a farsi una doccia, che
pensava a tutto lui. Lei, dopo alcune proteste, aveva accettato
recalcitrante, convinta da Tom che la blandiva con il fatto di avere la
casa libera. Ma chissà cosa aveva in mente davvero.
Arrivò al piano
terra e trovò tutto in penombra, tranne per alcune candele
accese sul tavolino del salone, sul mobile bar, sul tavolo della sala
da pranzo. Si guardò intorno perplessa.
Tom era in cima ai due
gradoni che portavano dal salone alla sala da pranzo e la guardava
compiaciuto; sorrise e allargò le mani.
“Che diavolo
succede?” Domandò allegra Eve, scaraventando
l’asciugamano sulla ringhiera. “Questa roba?”
Indicò le candele. “Un attacco di romanticismo?”
“Se anche fosse?” Ribatté Tom, mentre si avvicinava.
“Non sembra una cosa
molto da te, ma…” Fece lei, passandogli le braccia intorno
al collo. “…mi piace.” Aggiunse strofinando il naso
contro la sua guancia. Tom sorrise e la strinse.
“Non ti preoccupare
per la cena, ho ordinato tutto da Bellini.” Le sussurrò
quindi all’orecchio. Lei si scostò sorridendo entusiasta.
“Filetto alla Wellington?!” Chiese speranzosa.
“Scordatelo.” Ripose acido Tom.
“Hm,
vabbene…” Commentò arresa Eve, stringendosi di
nuovo a lui. “Ti perdono perché fanno delle verdure
meravigliose.” E sorrise, sentendo il chitarrista che faceva
altrettanto contro la sua pelle.
“Oh,
aspetta…” Tom si fermò, allontanandosi appena dalla
ragazza; tirò fuori qualcosa, era un telecomando, lo
puntò e spinse il bottone. La musica che partì, sorprese
Eve.
“Ah, ma questo è…” Esclamò incredula.
“Non te lo aspettavi, eh?” Le fece lui, con un sorrisetto sbieco dei suoi.
“Tu, stasera, vuoi proprio rendermi disponibile…” Mormorò la ragazza, mentre lo teneva stretto.
“And we're walkin' on
the wildside, runnin' down a one way street…”
Canticchiò Tom al suo orecchio, mentre le carezzava la schiena
fino al sedere, con delicata voluttà.
“Oddio, che voce
sexy.” Commentò Eve ridacchiando. “Dovrò
proprio dartela… Le candele, la cena di Bellini, la musica del
Boss…”
“Vuoi cenare prima o dopo?” Le chiese allora Tom, con tono furbo.
“Stavo per dire che
volevo fare l’amore… prima e dopo cena.”
Replicò Eve, il sorriso malizioso. Lui rispose arricciando
sensualmente le labbra, poi la prese per i fianchi, tirandola su. La
ragazza si aggrappò a lui sorridendo, mentre si dirigevano al
divano.
Bill, nel corso della cena,
si era tolto la giacca. Sotto non portava una t-shirt, bensì una
canottiera. Non era «secco» come lo aveva immaginato
Michael. Era certamente esile, ma anche tonico. Le sue lunghe braccia
candide erano modellate da muscoli proporzionati alla massa del suo
corpo. Ed erano bellissime.
“È tutto
buonissimo, Michael.” Affermò il cantante, prima di
pulirsi delicatamente la bocca con il tovagliolo.
“Grazie.” Rispose il pittore, sorridendogli.
Si scambiarono un lungo
sguardo caldo. Michael posava il mento su una mano alzata, Bill era
composto in cima allo sgabello. L’altra mano dell’artista
si sollevò lentamente, mentre tutto il resto, compresi gli
occhi, era rimasto immobile. Posò le dita e carezzò piano
l’avambraccio di Bill, lui lo guardò farlo e sorrise
appena.
“Cosa significa questa scritta?” Gli chiese pacato, continuando a percorrere con le dita il tatuaggio.
“Freiheit…”
Pronunciò il cantante, osservando il proprio braccio e la mano
calda di Michael. “Significa libertà.” L’altro
sollevò le sopracciglia, apparentemente sorpreso.
“Libertà…
Interessante.” Commentò con un sorriso storto. “Ti
sentivi… prigioniero?”
“In un certo
senso!” Fece Bill, prima di bere l’ennesimo sorso di vino.
“Finché siamo stati minorenni, ci controllavano di
continuo: non fumare, non bere, dì poche parolacce in
tv…” Come sempre, spiegava le cose gesticolando.
“Quando ho compiuto diciotto anni mi sono sentito veramente
liberato, più padrone di me stesso e delle mie decisioni e
così… Ora sembra una cavolata, lo so…”
“Penso che le
motivazioni di una decisione, alla fine, siano sempre sensate.”
Dichiarò tranquillo Michael. “L’importante è
che non ti abbia stancato.”
“Oh, beh… no, anzi, mi piace ancora!” Ribatté allegro Bill, carezzandosi il braccio.
“Ne hai altri? Di tatuaggi?” Chiese il pittore, dopo aver svuotato il bicchiere.
“Questo non lo hai
visto?” Replicò Bill, mentre girava appena il capo e si
chinava verso di lui. Michael si trovò sotto gli occhi il logo
dei Tokio Hotel, chiaramente stampigliato sulla sensualissima nuca del
loro frontman. Lo riconobbe per averlo visto nel loro sito, dove aveva
curiosato giorni prima.
“Oh!” Esclamò sorpreso l’artista. “Ti hanno marchiato!”
“Come una
vacca!” Cinguettò Bill raddrizzandosi. “In
realtà allora non mi sembrava questo. Il logo era il simbolo del
mio sogno, un sogno realizzato.” Spiegò poi, con un
sorriso addolcito dal ricordo.
“Ho anche il sospetto
che non sia l’ultimo tatuaggio che hai…”
Ipotizzò poi il pittore, incuriosito.
“Oh,
sì!” Esclamò Bill. “Ma non ti dirò
cosa rappresentano o dove sono gli altri, perché una volta tanto
ho conosciuto una persona che non sa a memoria la mappa del mio corpo,
tatuaggi, piercing e nei compresi. Voglio mantenere un po’ di
mistero.” Ammiccò infine.
“Approvo in
pieno.” Commentò Michael, mentre lo fissava, leggermente
sporto verso di lui. “Anche perché, sarei
interessato a scoprirla da solo, quella mappa.” Concluse,
dedicando all’intera figura del cantante un’occhiata
languida, per poi tornare sui suoi occhi.
Bill lo fissò con un
sorriso provocante, all’apparenza allettato dalla proposta, poi
distolse gli occhi e bevve, lasciando il bicchiere vuoto.
Anche Michael sorrise.
Stare con Bill gli faceva un effetto inebriante. O forse era il vino.
Ma si sentiva bene, come non succedeva da tanto, troppo tempo. Voleva
che questa serata si concludesse il più tardi possibile.
“Che ne dici? Stappiamo un’altra bottiglia?” Domandò al cantante. Bill gli sorrise allegro.
“Assolutamente.” Annuì quindi.
Tom e Eve stavano mangiando seduti davanti al bancone della cucina. Avevano scaldato la cena e aperto una bottiglia di vino.
La ragazza era appollaiata
su uno sgabello e spiluccava i resti di un meraviglioso crostone di
verdure. Tom la osservava, ciondolando col bicchiere in mano. Lei
indossava una lunga maglietta grigia e teneva una gamba piegata vicino
al petto. I capelli, che nel frattempo si erano asciugati, erano un
po’ sconvolti.
Il chitarrista
allungò una mano e le carezzò la testa; lei
reclinò il capo sulla spalla e lo guardò, sorridendo
dolcemente.
“Sei bella,
arruffata.” Le disse lui, continuando a carezzarla. Lei sorrise
ancora, compiaciuta come un gattino coccolato. “Se ti vedesse
Bill, tutta scompigliata…”
“Gli direi che è colpa tua.” Ribatté tranquilla la ragazza. Tom sbuffò un sorriso.
Il chitarrista, quindi, si raddrizzò sullo sgabello e versò ad entrambi un altro bicchiere di vino.
“Sai dove sono andati a cena?” Chiese poi a Eve.
“Bill mi ha detto che
Michael avrebbe deciso all’ultimo momento.” Rispose la
ragazza, mentre prendeva il proprio bicchiere. “E l’ho
visto un po’ preoccupato…”
Tom accennò una risata cinica. “Vorrai dire che era in paranoia dura!” Commentò poi. Ridacchiarono.
“Mi spieghi
perché siete così? Avete sempre bisogno di programmare
tutto, siete dei maniaci del controllo!” Affermò Eve,
spalancando gli occhi.
“Siamo
tedeschi.” Fece incurante lui, stringendosi nelle spalle. Lei
rise e gli diede una piccola spinta. “Ad ogni modo… Credo
che avere le cose sistemate ci dia sicurezza.”
“Oh, i miei piccolini…” Cinguettò Eve, allungandosi per carezzargli la guancia.
“Smettila, scema!” Reagì Tom, ma sorrideva sotto i baffi.
Eve, allora, si alzò
ed andò a sedersi sulle sue ginocchia. Gli circondò il
collo con le braccia e gli sbaciucchiò tempia e guancia, mentre
lui sorrideva lusingato.
“Sai.”
Mormorò Tom, scostandola appena per guardarla negli occhi.
“È per questo che ci piaci tanto, perché non ti
perdi mai in un bicchier d’acqua, sai sempre di cosa abbiamo
bisogno, ti prendi cura di noi e non pretendi niente in cambio.”
“Beh, ho un ottimo stipendio e lo straordinario pagato in natura.” Replicò concreta lei. Tom sorrise furbo.
“E dillo che ci vuoi
bene.” La blandì poi, dondolandola contro di se. Lei rise
contenta, poggiando il capo sulla sua spalla.
“Vi voglio bene.” Sussurrò quindi. Tom le prese la mano e le baciò il polso.
“Mangiamo il dessert?” Le chiese poi.
“Hai preso i budini
al cioccolato?” Il chitarrista annuì con un sorrisetto
storto. “Stasera ti sei proprio impegnato…” Aggiunse
la ragazza, prima di mettersi cavalcioni su di lui.
“Che ne dici se prima facciamo un po’ di pulizia, qui sul bancone?” Domandò ammiccante Tom.
“Sì, è
meglio.” Annuì Eve, poi si girò un po’ e con
una manata scansò la roba che c’era sul piano. Lui la
prese con sicurezza per il sedere e ce la fece mettere sopra.
Già si baciavano.
Se non combinava qualcosa
con lui stasera, era un completo idiota. Bill riempiva la stanza con la
sua sola presenza: il suo profumo, le sue sigarette, il suo
gesticolare, la sua risata solare, la sua luce. Sì,
perché, anche se la cucina era illuminata soltanto dalla piccola
luce sul fornello e da qualche vecchia candela accesa sul tavolo, lui
faceva risplendere ogni cosa intorno a se. E Michael desiderava essere
scaldato da quella luce molto più a fondo.
“Hmpf… fa caldo…” Dichiarò Bill, stiracchiandosi un po’ le spalle. Michael sorrise.
“Sarà il
vino.” Commentò poi. “Ne abbiamo bevute quasi tre
bottiglie.” Aggiunse, indicando i vuoti sulla tavola. Bill rise.
“Sì.”
Fece quindi, appoggiando il mento su una mano, cosa che avvicinò
il suo viso a quello dell’artista. “Mi sa che sono un
po’ brillo.”
“Stai attento, potrei approfittarmene.” Affermò ironico l’altro, accorciando ulteriormente le distanze.
“Qualcosa ti fa pensare che ti respingerei?” Replicò suadente Bill, mentre lo fissava negli occhi.
“Hm, non ti conosco
ancora molto, devo capire fin dove posso spingermi…”
Ribatté Michael, abbassando lo sguardo su quelle labbra rosa,
carnose e invitanti.
“Penso, almeno… fin qui.” Esalò lui, prima di cozzare la bocca contro la sua.
Quando Bill fece per
scostarsi, Michael non glielo permise. Passò una mano sulla sua
nuca liscia e tiepida, tirandoselo più vicino. Il cantante, per
non perdere l’equilibrio sullo sgabello, lo prese per la
maglietta all’altezza delle costole; le sentiva chiaramente sotto
la stoffa.
Iniziarono ad assaggiarsi
reciprocamente le labbra, con lentezza curiosa, succhiando piano. Le
mani di Michael tenevano il viso di Bill, carezzavano il suo lungo
collo candido; quelle del cantante erano aggrappate alla t-shirt del
pittore e saggiavano la consistenza del suo corpo oltre lo strato
sottile del cotone. Poi successe.
La lingua di Bill –
impertinente – fece capolino improvvisa, iniziando a leccare le
labbra di Michael con piccoli tocchi sensuali.
L’artista non aveva
mai sottovalutato l’attrazione che provava per Bill, ma quel
gesto, provocante e sfrontato, lo stava eccitando più del
previsto.
Si lasciò andare ad
un gemito soffocato, poi si sporse verso di lui, quasi scivolando dallo
sgabello, e lo afferrò alla vita, tirandolo più vicino.
Anche il cantante scivolò sul bordo del sedile e
gl’infilò una mano sotto la maglia.
Continuarono a baciarsi a
lungo, sempre più profondamente e con sempre maggiore
coinvolgimento fisico, ma quando Michael si staccò per baciare
il collo di Bill, lui lo prese per le braccia e si scostò
appena. Il pittore, preso com’era, non si accorse subito del
cambiamento e cercò di continuare a baciarlo.
“Michael…” Esalò la voce arrochita di Bill, tentando ancora di spostarsi.
“Oh, Bill…
Dio…” Soffiò l’altro sul suo collo; il
cantante emise un gemito basso e si contorse sensualmente tra le sue
braccia. Lui lo strinse.
“Mi… Michael…” balbettò però Bill, provando ad allontanarsi ancora.
Il pittore, allora, con un
sorriso deluso, lo lasciò andare ed alzò gli occhi nei
suoi. Aveva un’espressione interrogativa e un po’
preoccupata.
“Cosa c’è?” Gli chiese quindi, paziente.
Bill abbassò gli occhi, girando appena il capo, imbarazzato.
“Io…
Michael…” Esordì incerto, le mani nervose.
“In questo momento, io, davvero, vorrei tanto fare l’amore
con te…”
“Anch’io,
Bill.” Lo interruppe l’altro, mentre gli prendeva la mano
vellutata, che era posata sul bordo del tavolo. Il cantante lo
guardò.
“Vorrei, ma non posso.” Affermò quindi. Michael spalancò gli occhi sorpreso.
“Oh…”
Commentò, prima di risistemarsi sullo sgabello. “È
perché, per principio, non lo fai al primo appuntamento?”
Chiese poi, scherzoso.
“Oh, no!”
Esclamò Bill. “Lo faccio! Lo faccio anche senza
appuntamento, ma…” Aggiunse, poi si alzò da tavola
e si diresse nel salottino. Michael lo seguì, vagamente
allarmato.
“Bill…” Lo chiamò, un tantino affranto.
Il cantante, che si stava
già infilando la giacca, sbuffò e si fermò con le
braccia lungo il corpo, il capo basso.
“So che ti devo una
spiegazione, però…” Fece mesto, poi prese un lungo
respiro. “Non so come farlo senza sembrarti infantile o
stupidamente egocentrico.” Spiegò quindi.
“Ti prego, provaci.” Lo incitò Michael, fermo nel vano della porta.
Bill respirò di
nuovo, come per darsi coraggio, poi, sempre senza riuscire a guardare
l’altro ragazzo, iniziò a parlare.
“Tu hai una storia
con Johnathan, vero?” Esordì titubante. Michael
aprì le labbra, apparentemente sorpreso, quindi si fece serio.
“Sì,
ma…” Ammise infine, prima di continuare.
“…è superficiale, solo…”
“Ti supplico, non
dire: solo sesso!” Lo interruppe Bill, alzando una mano.
“Ti credo, ma non cambia niente: c’è un’altra
persona nella tua vita e io… Io non sono bravo ad arrivare
secondo.”
“Non capisco, Bill.” Affermò arreso il pittore, la fronte aggrottata. Il cantante allargò le mani.
“Io sono egocentrico,
è vero.” Dichiarò poi. “Sono egocentrico,
esibizionista, possessivo, infantile e anche uno stupido
romantico…” Michael sorrise a quelle parole.
“…ma quando mi accorgo che una persona m’interessa
– davvero – non posso accettare di non essere l’unico
nella sua vita, il solo oggetto del suo desiderio, l’unica
persona con cui vuole passare il tempo… Ecco, adesso puoi
prendermi in giro.”
Ma Michael aveva un sorriso
tutt’altro che derisorio. Lo guardava con dolcezza e quasi
comprensione. Si avvicinò piano a lui e gli accarezzò una
guancia morbida.
“Anche tu sei
importante per me. Molto più di quanto avrei creduto
all’inizio di questa cena.” Gli disse. “E mi rendo
conto che niente di quello che potrei dirti, cambierebbe le cose,
stasera.” Continuò pacato. “Però, per dovere
di cronaca, la mia storia con John è finita da un pezzo, per
quanto mi riguarda. Solo che… non sono bravo a chiudere le
relazioni, aspetto sempre che succeda da se o che mi lascino gli
altri.” Bill lo osservava con un’espressione poco convinta.
“Ma visto che sei dovuto venire dalla Germania, per farmi
ricredere, ti prometto che parlerò con lui e farò del mio
meglio per mettere a posto le cose.” Gli garantì infine.
“Non ti sto chiedendo niente, Michael.” Soggiunse Bill, dopo un sospiro.
“Lo so.” Annuì lui. “È proprio per questo che voglio farlo.”
“Grazie.” Soffiò colpito il cantante, con un sorriso timido.
“Allora, te ne
vai?” Gli chiese quindi il pittore, fermo davanti a lui, a pochi
centimetri dal suo corpo. Bill osservò la situazione, poi diede
un’alzata di sopracciglia.
“È meglio di sì…” Rispose infine.
Michael, però, dopo
avergli sorriso, si avvicinò ancora e gli posò una mano
sul viso. Percorse col pollice la sua mandibola perfetta,
carezzò con le altre dita la pelle morbida dietro
l’orecchio e poi lo baciò piano, con tenerezza, sulle
labbra umide e calde.
“Non baciarmi ancora…” Lo supplicò Bill, parlando contro la sua bocca con voce piagnucolosa.
“Perché? Io lo
trovo molto piacevole…” Ribatté Michael, mentre
continuava a depositare piccoli baci, cui veniva riposto senza attesa.
“Perché
finirò per fare la cazzata che mi sono ripromesso di non
fare!” Esclamò però Bill e l’altro, a quel
punto, non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
“Grazie per questa
serata meravigliosa, Bill Kaulitz.” Gli disse quindi, prima di
scoccargli un ultimo bacio a stampo.
Bill tornò a casa
che erano quasi le due. Percorse la sala da pranzo, vide le candele
spente sul tavolo, attraversò il salone, si accorse
dell’asciugamano sulla ringhiera delle scale. Alzò le
sopracciglia, domandandosi cosa fosse successo in casa, ma fu una cosa
fugace.
Arrivato nella propria
camera, gettò borsa e giacca sulla poltrona, poi si sedette sul
bordo del letto e si tolse gli stivali, buttandoli poi in un angolo.
Sbuffò.
“Hey.” Lo
chiamò una voce. Alzò gli occhi e vide Eve affacciata
allo stipite della porta. “Sei già tornato?” Gli
chiese la ragazza.
“Sì.” Rispose semplicemente lui.
“Ma va tutto bene?” L’interrogò allora lei, mentre gli si avvicinava. Bill annuì.
“Sì, certo,
è stata una serata bellissima.” Affermò poi,
tranquillo, con un sorriso. Eve gli prese il viso tra le mani.
“Sembri stanco, però.” Gli disse.
“Lo sono!”
Esclamò il cantante. “È stato piuttosto…
intenso.” Aggiunse, con uno sguardo significativo. Eve fece un
sorrisino furbo.
“Non mi scappi, domattina mi racconti tutto!” Gl’intimò con l’indice alzato.
“Ok.”
Acconsentì arrendevole Bill. Lei gli sorrise e gli diede un
piccolo bacio sulle labbra, prima di allontanarsi.
“Buonanotte, allora.” Gli augurò. “Ci vediamo domani.” E fece per infilare la porta.
“Eve.” La
chiamò però il ragazzo; lei si girò. “Puoi
anche tornare da Tom, tanto lo so.”
La ragazza rimase come
pietrificata per qualche istante, con un'espressione stupita, quindi
chiuse le labbra e fece un sorrisino retorico e amaro, mentre rilassava
i muscoli.
“Doveva dirtelo lui.” Affermò calma.
“L’ho capito da solo.” Replicò serafico lui.
“E come… insomma…” Balbettò Eve, incerta perfino su cosa voleva sapere.
“Conosco molto bene
l’odore di mio fratello.” Spiegò il cantante.
“E ci sono volte, come ora, in cui tu sai tanto di Tom. Troppo,
perché tu ci abbia solo scambiato due chiacchiere a
cena…”
Eve sbuffò un
sorriso consapevole, incrociando le braccia. Bill sorrideva sereno,
poco colpito dalla conversazione appena avuta.
“Mi fa piacere, sai.” Le disse. “Quindi… vai da lui e non ti preoccupare. Buonanotte.”
Eve lo salutò e
quindi si avviò lungo il corridoio. Per un attimo pensò
di tornare comunque in camera sua, ma poi tornò indietro.
Aprì la porta di
Tom, entrò e la richiuse alle proprie spalle; si avvicinò
al letto e scivolò sotto il lenzuolo. Lui le dava le spalle. Lo
abbracciò alla vita, Tom prese un lungo respiro, poi le prese la
mano posata sul suo petto. Eve gli baciò la spalla, posò
il capo sul cuscino e sorrise, prima di prendere sonno.
CONTINUA
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Capitolo 4 *** 4 - Turn & burn ***
across
Mi
decido a postare il capitolo 4, anche se volevo prima finire il 5 (e
non ci sono riuscita…), quindi vi chiedo un po’ di
pazienza per avere il seguito! ^_^ Siate magnanimi.
Ho visto che la storia ha un discreto
seguito, ma che i commenti sono pochissimi… Via, possibile che
non abbiate nemmeno da dirmi: “Che cavolo scrivi? Datti
all’ippica!”
Vi aspetto, non pretendo poemi, bastano due paroline. Grazie in anticipo!
N.B.: piccolo avvertimento d'obbligo, visto che qui non ci sono solo maggiorenni.
Nel capitolo sono presenti scene di nudo,
linguaggio a tratti pensante (si sente di peggio, lo so, ma non si sa
mai) e una
scena di sesso omosessuale, anche se non particolareggiata. Tanto dovevo. ^_^
Buona lettura!
Sara
4. Turn and burn
Love is an angel disguised as lust
Here in our bed 'til the morning comes
(Because the night – Bruce Springsteen)
Eve stava passando l’aspirapolvere in salone e, mentre dava
un’aspirata energica alla poltrona vicina alle scale,
lanciò un’occhiata a Bill.
Il ragazzo, in teoria, doveva fare ginnastica; in pratica, era
mollemente adagiato di pancia sulla grande palla rossa di gomma e si
dondolava guardando assorto oltre la vetrata che aveva davanti. Eve
decise di fargli un piccolo scherzo.
Gli si avvicinò piano, con l’elettrodomestico ancora in
funzione ed un sorrisetto pestifero sulle labbra. Arrivata a portata di
tubo, allungò il braccio e gli aspirò il fondo dei
pantaloni.
“Ahu!” Esclamò lui sorpreso e anche un po’
spaventato, portandosi una mano al sedere; quando, però, vide
l’espressione di Eve, rise a sua volta. “Scema! Che mi
fai?!” Le disse.
“Così impari a tenere il culo per aria!” Replicò lei allegra.
“Hey!” Sbottò Bill, fintamente offeso. “C’è chi gradisce il mio culo per aria!”
“Perché hai un gran bel sederino, dolcezza!” Entrambi scoppiarono a ridere.
Bill, poco dopo, si alzò dal pavimento ed andò a sedersi sul divano. Eve, tornata al proprio lavoro, gli sorrise.
“Quando rivedrai Michael?” Gli chiese poi.
“Hm, non lo so… L’altra sera è finita in modo
un po’ strano…” Rispose incerto lui, stringendosi
nelle spalle.
“Ma non vi siete baciati?” L’interrogò Eve, appoggiandosi sull’asta dell’aspirapolvere.
“Oh, se ci siamo baciati!” Esclamò Bill.
“È stato un bacio di quelli… Ohhh… Di quelli
che i pantaloni ti diventano molto stretti!”
“Più stretti di quelli che porti di solito?” Chiese maliziosa la ragazza.
“Tanto, tanto di più.” Rispose lui ammiccante.
Eve rise ed andò a sedersi acanto al cantante, gli passò
un braccio intorno alle spalle e gli carezzò i capelli. Il
ragazzo sorrise compiaciuto.
“Come siete rimasti?” Gli domandò poi, dolcemente.
Bill sospirò, prima di rispondere. “Mi ha detto che vuole
risolvere le cose con Johnathan, anche se io non glielo ho
chiesto.”
“Te lo avevo detto che l’avrebbe mollato!” Esclamò entusiasta Eve.
“Non lo avrebbe fatto.” La freddò il cantante; lei
lo guardò interrogativa. “Ma ci si è messa di mezzo
la mia integrità…”
“Aspetta.” Lo fermò lei, alzando una mano. “Tu
non ci sei andato a letto perché aveva ancora in piedi la storia
con Johnathan?” Gli chiese poi.
“Sono tanto idiota?” Ribatté lui, dopo aver annuito;
si scambiarono un’occhiata ovvia, entrambi con le sopracciglia
alzate.
Eve, infine, sorrise e lo strinse a se, baciandogli una guancia; Bill mugolò soddisfatto.
“Tu sei un adorabile biscottino sexy e vedrai che la tua attesa
verrà ripagata.” Gli garantì la ragazza.
“Speriamo!” Esalò contrito Bill, con un sorrisetto perplesso.
“Hai fame? Ti va una delle mie macedonie speciali?” Chiese allora lei.
“Col gelato?” S’informò impaziente il ragazzo. Lei annuì. “La voglio!”
“Prima bacino!” Pretese la ragazza e lui l’accontentò allegramente.
Si scambiarono alcuni bacetti a fiori di labbra, poi entrambi tirarono
fuori la lingua, cominciando a darsi tocchi scherzosi con la punta.
“Ma cazzo!” Li interruppe una voce stizzita. “Fate
schifo!” Aggiunse Tom. Loro si staccarono e risero come scemi.
“Sì, ridete…” Commentò burbero il
chitarrista, mentre gli passava davanti. “E tu…”
Fece poi, puntando il dito contro Eve. “…non dovresti,
tipo: passare l’aspirapolvere, cucinare, pulire i cessi?! Non ti
paghiamo per slinguazzare!” Sbottò infine, prima di
lasciare il salone e dirigersi in cucina.
Eve e Bill si guardarono, fecero delle smorfie fintamente preoccupate, poi risero di nuovo.
“Ha il culo storto, oggi.” Affermò quindi il cantante.
“Già, ho notato.” Annuì la ragazza.
“Vai a fargli un po’ di coccole, vediamo se lo
addolcisci.” Le consigliò Bill, dandole una piccola spinta
con la spalla.
“A quanto pare non sono pagata per questo.” Dichiarò
lei, fingendosi acida, con riferimento alle parole del chitarrista.
“Ti do un bonus, se me lo fai diventare meno misantropo.” Replicò compito il cantante.
Eve scoppiò di nuovo a ridere, poi, dopo un’arruffata ai
capelli di Bill, si alzò, pronta a guadagnarsi lo straordinario
facendo rientrare i borbottii di Tom.
Michael era davanti alla grande tela rettangolare e la osservava,
sperando che qualcosa gli dicesse quale colore usare come successivo.
L’ispirazione, però, non era sua amica, quel giorno.
Sentì Johnathan muoversi in cucina e sospirò. Era passata
quasi una settimana dalla sua cena con Bill e Michael non aveva ancora
trovato il modo di parlare con il ragazzo. A causa dei suoi impegni, in
parte; a causa della sua mancanza di coraggio, soprattutto.
Si lasciò cadere su uno sgabello e sospirò di nuovo,
rigirandosi il pennello pulito tra le mani. Non poteva continuare a
comportarsi così o la sua storia con Bill rischiava di non
cominciare nemmeno. E questo non doveva succedere.
Era ancora soprapensiero, quando sentì un paio di mani posarsi sulle sue spalle e massaggiarlo piano.
“Dovresti riposarti un po’.” Gli disse Johnathan, continuando a massaggiare.
“Non posso.” Replicò Michael, mentre tentava di
sottrarsi, ma l’altro lo tratteneva, anche se garbatamente.
“Ho una mostra tra meno di un mese e tre dipinti da finire, se
non mi metto a lavorare Anne mi ucciderà.”
“Quella donna ti sfrutta.” Sentenziò l’altro.
“Tu hai bisogno dei tuoi tempi, di vivere ogni opera… Anne
non capisce la tua arte.”
Michael s’irrigidì, infastidito da quell’affermazione, quindi si scostò, per alzarsi e fronteggiarlo.
“Anne è l’unica persona che abbia creduto in me,
quando non ero nessuno e vivevo in una roulotte.” Dichiarò
fermo. “Credo che capisca benissimo.”
“Non volevo offendere Anne.” Precisò Johnathan
compito. “È solo che non vive a stretto contatto con te e
la tua creatività come… come me.”
Ecco. Questa convinzione di Johnathan di capire meglio degli altri chi
lui fosse e cosa volesse dire attraverso l’arte, era una cosa che
proprio Michael non comprendeva. E che gli dava anche parecchio
fastidio. Era meglio chiarire, una volta per tutte.
“A questo proposito, John…” Tentò Michael.
Lui sorrise e gli si avvicinò, allungando una mano come se
volesse accarezzarlo, ma il pittore si sottrasse, prima di spostarsi
verso il tavolo e posare il pennello.
“C’è qualcosa che non va?” Gli chiese Johnathan.
“Dimmelo tu.” Fece Michael allargando le mani.
“Secondo te la nostra storia funziona? Sono settimane che non ci
tocchiamo con un dito…”
“Perché tu, ogni volta, ti sottrai! Come hai fatto ora.” Protestò l’altro.
“È inutile raccontarci favole, è finita, John.” Ribatté tranquillo il pittore.
Il suo interlocutore, però, non era così sereno.
Contrasse la mandibola ed i suoi occhi si fecero più sottili.
Michael si accorse del cambiamento e aggrottò le sopracciglia.
“È per via di quel tipo, vero? Il cantante.” L’interrogò Johnathan.
“Bill non c’entra niente.” Rispose l’artista.
“La nostra storia era finita prima che conoscessi lui, e lo
sai.”
“Certo, nega. Cos’altro dovresti fare?” Soggiunse
ostile l’altro, con un gesto incurante della mano. “Tanto
lo so che te lo scopi.”
Michael scosse la testa. “Tra me e Bill non è successo niente di quello che pensi.” Disse poi.
“Ah, no?” Replicò retorico Johnathan. “E
allora cosa ci faceva a casa tua, venerdì sera? Parlavate di
musica?” Gli chiese quindi.
L’espressione di Michael si fece interrogativa e seria, lo fissava con la fronte aggrottata.
“Tu cosa ne sai che era da me?” Domandò quindi,
sospettoso. Johnathan si ritrasse appena, scrollando le spalle.
“Ho visto la sua macchina parcheggiata qui fuori.” Rispose infine, con apparente incuranza.
“Sei dovuto entrare in giardino, per vedere la macchina.” Ribatté accigliato il pittore.
“E allora? Io entro continuamente, ho le chiavi di…”
“Tu mi spii, John?” Lo interruppe Michael, con tono accusatorio.
“Ma che cosa dici?!” Esclamò indignato il ragazzo
biondo. “Sono passato per caso! E quando ho visto che c’era
qualcuno ho pensato di non entrare. E credo di aver fatto bene,
perché eri con lui!” Aggiunse, in tono quasi offeso.
“Ti avevo detto che sarei stato impegnato, non c’era nessun
motivo per venire qui!” Protestò l’artista, ormai
arrabbiato per l’atteggiamento che stava tenendo il suo
assistente.
“Ho capito subito che lui ti piaceva e che avresti voluto vederlo
da solo.” Tentò di giustificarsi Johnathan. “Io
dovevo…”
“Basta.” Lo bloccò Michael, alzando le mani. “Non voglio sentire più niente da te.”
“Ora sei arrabbiato, ma lascia che ti passi…”
Riprese l’altro, mentre si avvicinava e provava a prenderlo per
le spalle, ma il pittore si scansò, fissandolo con sguardo duro.
“No, non hai capito.” Gli disse. “È finita,
Johnathan. Non ho più bisogno di te, neanche come assistente,
vattene da casa mia.”
Johnathan socchiuse la bocca, apparentemente sorpreso, poi la chiuse ed il suo sguardo si fece astioso.
“Lo so che cosa volevi, tu.” Dichiarò quindi.
“Volevi continuare a farmi lavorare per te, come uno schiavo, e
nel frattempo, sotto i miei occhi, volevi scoparti quel culo
secco!”
“Esci da questa casa, John.” Gl’intimò
Michael, facendo finta di non aver sentito quello che lui aveva appena
detto.
“E cosa pensi di fare, senza di me? Non sei capace di pagarti una
bolletta, di fare la spesa!” Continuò però
Johnathan, mentre si avvicinava ancora; Michael lo scansò con
una spinta.
“Vivo da solo da quando avevo diciotto anni e mi sembra di
essermela cavata.” Gli rispose poi. “Non ho bisogno di te.
E ora, vattene, per favore.”
Johnathan prese un lungo respiro nervoso, poi alzò le mani,
girò i tacchi e sparì oltre la parete di cubi di vetro.
Tornò pochi istanti dopo, giacca indosso e zaino in mano.
“Come vuoi, me ne vado.” Affermò con atteggiamento
superiore, prima di scostarsi il ciuffo dal viso con un gesto del capo.
“Ma te ne pentirai.” Aggiunse, senza guardarlo.
S’incamminò, quindi, verso la porta, sotto lo sguardo
serio di Michael, ancora arrabbiato per la recente discussione.
Johnathan si fermò sulla soglia della porta colorata e si
voltò.
“Spero che tu e quel manico di scopa vi divertiate e che lo abbia
stretto come piace a te.” Gli augurò acido.
“Vaffanculo, Michael.” Aggiunse, appena prima di uscire
imprecando ancora.
Il pittore prese un lungo respiro, quindi si sedette su uno sgabello
che aveva a portata di mano. Odiava fare quel tipo di discussioni,
uscivano sempre fuori cose che non avrebbe voluto sapere, per quello
cercava di evitarle. Stavolta non c’era scelta, però. E,
per qualche motivo, si sentiva sollevato. Guardò i pennelli ed i
colori. Forse, ora, l’ispirazione sarebbe
tornata.
Bill, seduto nel salottino privato dello studio, guardava fuori dalla
grande finestra. C’era il sole e molte persone erano in spiaggia,
le vedeva bene, anche se non era vicinissima. Lui, invece, si era
dovuto mettere una felpa, perché lì dentro, con
l’aria condizionata, faceva abbastanza freddo.
Guardò il proprio cellulare posato sul tavolo. Dopo la cena
aveva sentito poco Michael, brevi telefonate a causa degli impegni di
uno o dell’altro, ma ne sentiva la mancanza.
Aspettava, più che altro, che lui gli dicesse di aver sistemato
le cose con Johnathan, ma quella chiamata non era ancora arrivata.
Sbuffò deluso e allungò un braccio, prima di posarci
sopra il capo. Fuori la gente faceva il bagno.
Il ragazzo cominciava a pensare di essere stato stupido. Insomma, come
gli era saltato in mente di fare la persona seria proprio con Michael?
Eppure, molte altre volte, non ci aveva pensato così tanto ad
infilarsi a letto con qualcuno che lo attraeva molto di meno. Forse il
pittore si era pentito di essere stato accondiscendente ed ora si
sarebbe cercato qualcuno di più disponibile… E la cosa
buffa era che Bill fosse una persona disponibile! In quel senso,
s’intende…
La scopata è andata in vacca, caro Bill…
Ma si pentì subito di quel pensiero sboccato. Michael non poteva
essere una semplice scopata, questo, ormai, lo aveva capito.
C’era una bella affinità tra loro e non era solo fisica.
Sembrava strano, per una persona come Bill che non era mai stato
appassionato di certe cose, ma era veramente colpito dalla sua arte.
Non gli era capitato molte volte nella vita di essere così
emozionato per qualcosa fatto da un altro. E questo doveva pur avere un
significato.
Se almeno fosse arrivata quella telefonata…Sospirò, mentre si risollevava.
Un piccolo piatto bianco con sopra quella che all’apparenza
sembrava una gustosa fetta di cheesecake alle fragole, gli fu posato
davanti. Bill alzò gli occhi e incontrò il sorriso tenero
di Tom.
“Grazie.” Gli disse con un piccolo sorriso.
“Oggi non hai mangiato quasi niente, così…”
Ribatté il fratello, mentre gli si sedeva vicino; la torta nel
suo piatto era già stata iniziata.
“La pasta non era un gran che.” Affermò Bill, prendendo la forchetta per assaggiare.
“Già.” Annuì Tom. “Eve ci ha abituati
male.” Aggiunse, prima di prendere una forchettata del suo dolce.
Nessuno dei due amava più tanto mangiare fuori casa, da quando
c’era la governante.
“Eh, sì.” Confermò il gemello. “È una cuoca fantastica.”
Tom, mentre entrambi mangiavano la torta, osservava di sottecchi il
fratello. Era qualche giorno che lo vedeva un po’ strano, anche
se non ne capiva i motivi. Probabilmente era per quel pittore.
“Qualcosa che non va?” Gli chiese infine.
“Hm, no.” Fece lui vago, stringendosi nelle spalle.
“È che mi sembri un po’ giù
ultimamente.” Incalzò Tom, ficcandosi in bocca
l’ultimo grosso boccone di cheesecake. Bill si girò verso
di lui e gli sorrise dolcemente, come solo lui sapeva fare.
“Sei il migliore fratello del mondo, lo sai?” Gli disse,
intimamente commosso dalla sua ruvida ma apprezzatissima preoccupazione.
Tom abbassò timidamente gli occhi, con quelle sue ciglia
lunghissime. “Non credo.” Mormorò imbarazzato,
pesticciando con la forchetta in quel che era rimasto nel piatto.
“Oh, beh… Hai tanti difetti, certamente…”
Soggiunse Bill, lui lo guardò male. “Ma sei il mio
fratellone.” Aggiunse allora il cantante, con un sorriso dei
suoi. Tom sbuffò.
“Non vuoi proprio dirmi niente?” Provò comunque, mentre guardava Bill finire il dolce.
“Mettiamola così.” Replicò Bill, dedicando lo
sguardo al gemello. “Farò come hai fatto tu con la
faccenda di Eve…”
“Humpf, non ti è ancora andato giù, quel rospo?” S’informò cauto.
“Oh, a me sì! Ma non so come l’abbia presa lei…” Ribatté malizioso. Tom scosse la testa.
“Mi ha mandato in bianco per un po’, ma credo le stia passando…” Commentò serafico.
“Tomi.” Lo chiamò il fratello, lui lo guardò
interrogativo. “Va tutto bene, davvero.” Gli
garantì, stringendogli appena la spalla. “Devo solo
risolvere una cosa e spero succeda a breve.”
Sì, doveva proprio essere qualcosa relativo a quel tipo, il
pittore con gli occhi blu. Tom preferiva non sapere cosa suo fratello
avesse in sospeso con quel ragazzo, erano anni che non
s’infischiavano uno negli affari privati dell’altro. Lo
avrebbe lasciato fare, ma se quel tizio provava anche solo a farlo
piangere una volta, il mondo della pittura si sarebbe ritrovato con un
artista in meno.
La galleria era luminosa e l’effetto di chiarore dato dal sole
che entrava dalle grandi vetrate era amplificato dalle pareti chiare,
dal legno dorato, dalle ringhiere di metallo.
Michael, appena entrato, si diresse verso i pannelli di legno che
separavano gli uffici, salutando una delle ragazze che lavoravano
lì. Nel primo piccolo ufficio c’era una ragazza dai corti
capelli rosso acceso, acconciati in ciuffi sparati. Era di spalle.
“Buongiorno, Jess.” Fece Michael fermo sulla porta; lei si girò sorridendo.
“Michael!” Esclamò contenta, prima di andargli incontro e abbracciarlo. Si diedero un veloce bacio.
Jess, l’assistente di Anne, era una ragazza solare e simpatica,
una che non si faceva troppi problemi. Lei e Michael avevano avuto una
breve storia, qualche anno prima, che era finita senza tanti rimpianti
da parte di entrambi e, quindi, erano rimasti amici.
“Cosa ci fai da queste parti?” Chiese la ragazza al pittore, quando si furono salutati.
“Ho bisogno di parlare con Anne.” Rispose lui. “C’è?”
“C’è sempre per te lo sai. È nel suo ufficio.” Gli disse lei, indicandogli il piano superiore.
“Bene.” Annuì il ragazzo. “Vado da lei,
ma… La settimana prossima pranziamo insieme, promesso?”
“Hey!” Sbottò lei, mettendosi le mani sui fianchi.
“Sei tu quello super impegnato!” Gli ricordò poi,
con un sorriso di rimprovero.
“Ti giuro che trovo il tempo!” Replicò Michael a mani alzate.
“Sì, sì, ti conosco…” Soggiunse scettica lei, ma poi gli sorrise con dolcezza.
“No, giuro. Chiamami lunedì.” Dichiarò il
pittore. “Adesso vado su.” Aggiunse, dirigendosi alle scale.
“Passa a salutare, quando vai via.” Gli raccomandò
Jess, mentre agitava la mano; lui fece altrettanto, quindi sparì
al piano di sopra.
L’ufficio di Anne ricordava lo spazio del piano inferiore come
stile di arredamento ed aveva un’intera parete a vetri che
affacciava sull’interno della galleria.
Michael trovò la sua agente impegnata in una telefonata in
francese. Lei lo vide arrivare, gli sorrise e lo salutò con la
mano, continuando a tenere la cornetta all’orecchio.
Il ragazzo cominciò a guardarsi intorno, gironzolando
nell’ufficio come se fosse a casa propria ed era un po’
così; si avvicinò alla caffettiera, sempre pronta come
voleva Anne, si versò un po’ di caffè in una tazza,
poi si appoggiò al mobile, osservando la donna.
Anne aveva compiuto da poco quarantatre anni, ma chiunque gliene
avrebbe attribuito qualcuno di meno senza problemi. I capelli biondi e
ricci erano legati in una disordinata coda alta, portava un maglioncino
di cotone bianco e dei pantaloni morbidi beige, le scarpe rigorosamente
col tacco. Trucco sobrio ma perfetto. A Michael sembrava sempre bella
come quando l’aveva conosciuta.
La telefonata finalmente si concluse con calorosi saluti in uno strano
misto di inglese e francese; Anne spense il cordless e lo posò
sulla base con un sospiro soddisfatto. Michael, che stava spiluccando
un cioccolatino, alzò gli occhi e le sorrise.
“Con chi parlavi?” Le chiese gentile.
“Era De Poissiere.” Rispose lei. “Quell’uomo ti vuole, Mickey!” Aggiunse entusiasta.
“Spero non in senso fisico!” Ribatté ironico lui, ridacchiando.
Lei si fermò, incrociò le braccia e lo analizzò
con un’occhiata. “Non ci giurerei, fossi in
te…”
“Oh, Anne…” Commentò divertito il ragazzo.
“Bene, siamo seri per una volta.” Riprese la donna,
battendo le mani. “La mostra in Francia si farà, ormai
è certo.”
“Ti adoro, donna.” Soggiunse lui, soddisfatto. “A questo punto, quando?”
“Beh, primavera prossima, prima è
impossibile…” Rispose lei, mentre sistemava alcune cose
sulla scrivania. “…hai già due mostre importanti,
prima della fine dell’anno, non voglio sovraccaricarti troppo,
altrimenti non lavori bene.”
“E pensare che qualcuno crede che mi sfrutti…” Affermò serio il pittore.
“Chi?” S’informò la donna, aggrottando la fronte.
“Hm, non importa…” Glissò Michael con un gesto della mano.
“Mickey.” Lo richiamò l’agente. “Che cosa ci fai qui?” Gli domandò seria.
Lui sospirò, poi si staccò dal mobile e raggiunse la
grande finestra che dava sulla strada posteriore alla galleria.
“Penso di aver bisogno di un cancello automatico.” Dichiarò infine.
“Sono anni che te lo dico.” Gli ricordò lei.
“Da quando hai comprato la casa, e non hai mai voluto darmi
retta, cosa è cambiato, adesso?”
“Diciamo che recenti sviluppi nella mia vita privata, mi hanno
convinto ad essere meno… aperto.” Spiegò il
ragazzo, tornando a guardarla.
“Recenti sviluppi?”
“Ho rotto con Johnathan.” Affermò secco,
stringendosi nelle spalle. Anne allargò le mani e alzò
gli occhi al cielo.
“Dio esiste!” Esclamò poi. Michael ridacchiò. “Ma il cancello, perché?”
“Diciamo che non è stata una rottura indolore e…
è brutto dirlo, ma non mi fido di lui.” Confessò
quindi il pittore, quasi imbarazzato.
“Ok, ci penso io.” Fece Anne, pratica come sempre.
“Ti faccio installare il cancello, la telecamera, il citofono,
tutto quello di cui hai bisogno e mi attivo anche per trovarti un nuovo
assistente…”
“Va bene, ma che sia racchia – o racchio – e molto professionale.” Intervenne lui.
“Mickey, non è da te…” Commentò maliziosa la donna.
“Mi tengo lontano dalle tentazioni, stavolta, visto che c’è anche…”
“C’è già qualcun altro?” L’interrogò lei, senza fargli finire la frase.
“Sì, c’è.” Annuì Michael.
“Dimmi che stavolta è una persona positiva e solare.” Lo implorò Anne con tono piagnucoloso.
“Lo sembrerebbe.” Rispose lui, con il sorriso sognante che gli ispirava sempre il ricordo di Bill.
“Bene.” Si complimentò lei. “Io voglio che tu
sia felice e che la tua creatività sia nutrita.”
“Devo dire che le cose sono già migliorate.” Ammise soddisfatto il pittore.
“Meraviglioso!” Esclamò contenta Anne. “Vieni
qui, abbracciami.” Lo incitò quindi, facendosi avvolgere
dalle sue braccia. Michael posò il viso nell’incavo del
suo collo e la baciò.
“Lo sai che ti amo, vero?” Le disse con dolcezza. Lei gli accarezzò i capelli.
“Anche io, tesoro.” Replicò poi, prima di baciargli
la tempia. “Se non fossi una donna impegnata…”
“A proposito.” Soggiunse lui, scostandosi un po’.
“Quella santa donna di Dana, quando te la sposi?” Anne lo
guardò male, ma poi scoppiarono a ridere.
“Vieni a cena da noi, stasera?” Gli chiede poi Anne.
“Mi spiace, ma ho altri programmi...” Rispose lui restando sul vago, ma con un sorriso furbo.
Il telefono di Bill squillò che erano quasi le sei del
pomeriggio. Lui si stava preparando ad uscire dallo studio ed era
impegnato a radunare le proprie cose. Gli altri erano già al
piano di sotto.
“Hallo?” Rispose distrattamente, con un’intonazione fin troppo tedesca.
“Non sei in Germania, vero?” Gli chiese una voce leggermente allarmata.
“Michael? N… no, sono in California!”
Dichiarò poi deciso, riprendendosi dalla sorpresa.
“Perché?” Chiese sospettoso.
“Non so… Da come hai risposto…” Balbettò Michael, che improvvisamente si era sentito stupido.
“Ahh… Ho parlato in tedesco tutto il giorno, sarà
per quello…” Ipotizzò il cantante, le mani
improvvisamente sudate.
“È un po’ che non ci sentiamo, vero?” Riprese allora il pittore.
“Già…” Esalò rammaricato Bill. “Sono stato molto impegnato…”
“Anche io, però…”
“Cosa?” Soggiunse impaziente Bill, speranzoso che fosse
finalmente arrivata la chiamata tanto attesa. Sentì un sospiro
dall’altra parte del telefono.
“Ti andrebbe di cenare ancora insieme?” Gli chiese
timidamente Michael, dopo qualche istante di silenzio. Bill rimase un
po’ deluso.
“Certo che mi andrebbe, ma…”
“Ci sono alcune cose di cui dobbiamo parlare.” Lo interruppe l’altro.
“Di che cosa dobbiamo parlare?” Domandò secco il cantante, aggrottando le sopracciglia.
“Di quello che mi hai costretto a fare con Johnathan e delle
conseguenze che questo porterà…” Rispose Michael,
con un tono inequivocabilmente ironico e malizioso.
Bill, cellulare in una mano e occhiali da sole nell’altra, rimase
a bocca aperta in mezzo al salottino dello studio. Aspettava quella
notizia, ma, inutile dirlo, non ci credeva veramente.
“Bill?” Chiamò Michael attraverso la cornetta.
“In inglese non mi viene quello che voglio dire!”
Esclamò lui, riportandosi l’apparecchio
all’orecchio. Il pittore rise.
“Allora dillo in tedesco!” Gli consigliò divertito.
“Qua… quando…” Balbettò invece.
“Ce la fai stasera?” S’informò con delicatezza Michael.
“Tra mezz’ora sono lì.” Dichiarò sicuro
Bill, quindi chiuse la chiamata, prese la borsa e si precipitò
per le scale. Non c’era certo tempo da perdere!
Quando aprì la porta, Michael si trovò davanti un Bill
col fiatone. Spalancò gli occhi sorpreso, ma poi, davanti a quel
bel viso struccato, sorrise.
“Sei venuto di corsa?” Gli chiese scherzando.
Il cantante lo fissò contrito, alzando un minaccioso
sopracciglio, poi entrò in casa, scansandolo e si diresse
all’interno. Michael lo seguì perplesso.
Bill, mentre camminava con la falcata elegante di un modello in
passerella, si sfilò la giacca e la buttò, insieme alla
borsa, su una delle sedie davanti alla scrivania.
“Bill, cosa…” Provò ad interrogarlo il pittore.
Il ragazzo si girò verso di lui, sospirò e si
scostò i capelli dal viso, poi gli sorrise con la sua
espressione più provocante. “Mi hai fatto penare,
eh?” Sussurrò poi, mani sui fianchi.
Michael sorrise e fece per rispondere, ma non ci riuscì. Bill
gli arrivò addosso, buttandogli le braccia al collo e
cominciò a baciarlo con passione. Lui reagì
assecondandolo.
Finirono contro la parete di cubi di vetro, mentre si assaggiavano
selvaggiamente. Quelli erano baci che esigevano qualcosa in più.
Michael si scostò, restando con gli occhi fissi in quelli
languidi di Bill, quindi si sfilò la maglietta. Il cantante fece
un sorrisino storto e furbo. Ripresero a baciarsi.
Lasciarono il muro. Michael spingeva Bill in una direzione specifica,
mentre gli slacciava la camicia bianca che portava. E, nel frattempo,
si toccavano, si baciavano, si leccavano ovunque fosse possibile stando
in piedi e camminando.
Oltrepassarono l’arco che si apriva sulla sinistra della cucina;
lì partivano le scale che conducevano al piano superiore. Bill
non sapeva cosa aveva alle spalle, ma non ci pensava.
Michael si fermò, prese il viso di Bill tra le mani e lo
baciò con grande tenerezza; l’altro si aggrappò
alle sue braccia, gemendo piano. Il pittore sentiva il suo piercing
contro i denti. Lo voleva così tanto da aver paura di
mangiarselo. E Bill sembrava pensarla allo stesso modo.
Salirono qualche gradino, ma Bill era di spalle e inciampò.
Michael lo tenne per la vita. Risero, ma poi si guardarono negli occhi.
Il desiderio era così bello, nello sguardo di entrambi, che
doveva essere assecondato. Subito.
Michael accompagnò Bill a sedersi sui gradini, lui gli sorrise.
Il pittore, poi, scese su di lui, baciandogli il collo, le scapole
sporgenti e perfette, il petto magro. Le dita del cantante infilate tra
i capelli, i suoi sospiri nelle orecchie.
La pelle di Bill era bianca. Oh, così bianca! E tiepida, e
morbida. Lui si torceva sotto il suo tocco. E non parlava, ma i suoi
gemiti erano più che eloquenti.
E Michael scese ancora. Carezzò, succhiò, i suoi
capezzoli piccoli e scuri, scoprendo finalmente un pezzo di quella
mappa tanto agognata: il piercing argentato sul capezzolo sinistro. E,
quando la sua lingua ne tracciò il contorno con piccoli circoli,
Bill si lasciò sfuggire un “Ah!” soddisfatto ma
esigente e lo spinse ancora su di se.
La lingua di Michael, allora, percorse la linea dell’addome, fino
all’ombelico, mentre il respiro di Bill si faceva più
pesante. Anche lì c’era un piercing.
Il pittore, poi, scoprì una nuova traccia sulla pelle del
cantante. C’era una stella concentrica tatuata sulla sensuale
piega dell’inguine, sulla destra, scoperta dai pantaloni fin
troppo bassi. Ma quando Michael la sfiorò con le labbra, Bill,
quasi infastidito, grugnì in protesta.
L’artista sorrise. Sapeva perché faceva così. Era
fin troppo chiaro, dal punto in cui si trovava. Così, mentre
continuava a baciare languidamente la stella, una mano di Michael
slacciò i jeans del cantante. E fu proprio lui a muoversi per
tirarli più giù insieme ai boxer.
Accontentarlo non fu un grande sacrificio per il pittore. Si
avvicinò delicato, con tutto il viso, con piccoli baci, ma Bill
esigeva molto di più e glielo fece capire senza
difficoltà.
E quando, finalmente, lo prese in bocca, il cantante inarcò la
schiena e reclinò il capo con un gemito soffocato, quindi si
aggrappò con tutta la forza che aveva alla ringhiera bianca.
Tom rientrò a casa che era il tramonto. Eve, ormai, era
diventata come i cani: lo riconosceva già da come infilava la
chiave nella serratura. Si pulì le mani e voltò verso
l’entrata.
“Ciao.” Lo salutò, appena spuntò in sala da pranzo.
Lui sorrise, abbassò gli occhi, con quella sua dolce timidezza
che lo rendeva assolutamente impossibile da non desiderare.
“Ciao.” Le rispose poi, entrando in cucina e appoggiandosi subito al mobile.
“Bill è ancora fuori?” Gli chiese la ragazza, occhieggiando dietro di lui.
“No.” Rispose Tom. “È scappato dallo studio
come se fosse inseguito dai demoni, si è anche preso la macchina
e io mi sono dovuto far accompagnare.” Aggiunse.
“Come? E non ti ha detto niente?” Fece lei, sorpresa.
“Eh, no… Non risponde nemmeno al telefono, ma non credo
dovermi preoccupare più di tanto, perché mentre fuggiva
mi ha gridato che andava da Michael…” Spiegò il
ragazzo, con una smorfia amara.
“Ah!” Esclamò Eve, poi fece un sorriso furbo. “Allora sarà meglio non disturbarlo…”
“Che palle!” Sbottò Tom. “Non voglio sapere
niente di questa storia.” Sentenziò, alzando le mani.
“Tranquillo, è al sicuro.” Gli garantì la
ragazza, tornando a girarsi verso i fornelli. “Anche se è
un peccato, perché avevo fatto le lasagne al ragù di
verdure…”
“Beh…” Fece Tom, affiancandola. “Ce
n’è di più per me.” Si guardarono sorridendo.
“Sei ancora arrabbiata?” Le domandò poi.
“Ma no…” Rispose lei, scuotendo il capo senza
guardarlo. Tom le passò un braccio intorno alla vita, i loro
occhi s’incontrarono di nuovo.
“Mi dispiace di non aver parlato di noi con Bill.” Mormorò lui.
“Sapevo che non lo avresti fatto, Tom.” Replicò
tranquilla lei. “Ma va bene lo stesso, sai?” Aggiunse,
posandogli una mano sul viso.
“Lui lo aveva capito da un pezzo, vero?” Fece il chitarrista, dopo un sospiro.
“Faresti bene a non sottovalutare la sua gemellosità.” Affermò Eve, dandogli un colpetto sul naso.
Tom sbuffò un mezzo sorriso. “È cotto di quello, eh?” Le chiese poi.
“Vedi che quando vuoi sei gemelloso anche tu?” Soggiunse la
ragazza, mentre gli prendeva il mento tra le dita e glielo scuoteva a
destra e sinistra.
“No, no!” Sbottò lui, sottraendosi alla sua presa. “Ripeto: non voglio saperne niente!”
“Ok, fai il bravo!” Esclamò divertita Eve. “Ti
prometto che non ne parlo e ti faccio anche i brownies.” Gli
assicurò poi.
“Oh, ecco! Ora si che si ragiona!” Commentò
soddisfatto Tom. “E prima di cominciare, dammi anche un
bacio.” Aggiunse, prima di prenderla per la vita.
Dopo quello che era successo per le scale, Bill e Michael erano
riusciti ad arrivare in camera da letto. Quello che rimaneva dei
vestiti abbandonato per terra, prima di ricominciare il gioco sul basso
letto bianco del pittore.
La reciproca – e squisitamente fisica – conoscenza si era
conclusa in modo estremamente soddisfacente, in una fusione completa
dei loro corpi, agevolata dalla disponibilità di Bill e
dall’esperienza di Michael.
Il rapporto si era consumato nella luce tiepida del tramonto e vedersi
non aveva creato imbarazzi a nessuno dei due, aveva anzi spronato
l’esplorazione reciproca fatta di baci, carezze e assaggi.
Era sera, ormai, e Michael tornò a sedersi sul letto dopo essere
stato in bagno. Bill era steso praticamente bocconi, nudo e scoperto;
si appoggiava sui gomiti e fumava. Le ginocchia piegate, i piedi che
dondolavano in modo quasi infantile. Osservava curioso il murales che
ornava la parete sopra il letto.
Il pittore si adagiò su un fianco, accanto a lui. Osservò
per un attimo quel suo corpo sottile e bianco, poi sorrise e gli
carezzò il fianco. Bill si girò sorridendo soddisfatto,
mentre si torceva appena, per il solletico provocato dalle dita
dell’altro sulla pelle.
“Cosa rappresenta questo?” Domandò poi il cantante,
indicando col mozzicone il murales, prima di spengere la sigaretta nel
posacenere sul comodino. Michael osservò la parete.
“La spirale della passione, no?” Rispose quindi, mimando
con la mano il cerchio di colori che si avvolgeva su se stesso.
“I suoi colori intensi, il suo turbinio, la
promiscuità…”
“Davvero?” Fece Bill perplesso, aggrottando la fronte.
“Hm, mi piaceva la forma.” Ammise divertito Michael.
“A volte si cercano significati dove non ci sono.” Aggiunse
sorridente.
“Già.” Commentò Bill, con gli occhi ancora sulla spirale colorata.
“Ma scommetto che qui…” Riprese Michael, tracciando
con un dito l’arzigogolata scritta nera che adornava il fianco
sottile di Bill. “…un significato c’è.”
Il cantante seguì i movimenti della sua mano con sguardo pensoso e sorrise appena.
“Vuoi sapere cosa vuol dire, vero?” Chiese quindi a Michael. Lui annuì. “Wir hören nie auf zu schreien… Wir skehren zum Ursprung zurück.” Pronunciò in tedesco.
“Hm, non avrei mai detto che il tedesco fosse una lingua
sensuale…” Commentò Michael con un sorriso
languido, poi accarezzò il tatuaggio, fino alla natica di Bill.
Lui sorrise, nascondendo il viso nel cuscino. “Però devi
tradurre.” Gl’intimò l’altro. Il cantante
rialzò la testa.
“Non smetteremo mai di gridare, torniamo alle origini.” Mormorò poi. Michael lo fissò pensieroso.
“E perché ti sei fatto incidere sulla pelle una cosa del
genere?” L’interrogò poi, con la fronte corrucciata,
fissandolo negli occhi. Bill abbassò lo sguardo.
“C’è stato un periodo, durante la lavorazione del
nostro ultimo disco, in cui molti mi accusavano di essere
cambiato.” Esordì pacato. “Di essere diventato
troppo sofisticato, distaccato, freddo, di non ricordarmi più
chi ero, da dove venivo.” Michael lo ascoltava attento, anche se
lui non lo guardava. “Ma non è così. Io sono sempre
me stesso, so chi sono, mi ricordo benissimo da dove vengo.”
Alzò gli occhi in quelli blu del pittore ed erano intensi,
brillavano di determinazione. “Se non fossi stato povero, se non
avessi dovuto lottare ogni giorno per realizzare il mio sogno, non
sarei arrivato dove sono. L’unica differenza è che prima
compravo i vestiti sulle bancarelle e ora nelle boutique degli
stilisti…” Fece un sorriso luminoso. “Ma se avessi
potuto, lo avrei fatto anche allora!”
Michael lo guardava sorridendo dolcemente ed era come se
l’energia di Bill gli arrivasse addosso, simile ad una vibrazione
profonda e bellissima.
“Sai.” Mormorò infine, con una mano che si spostava
lenta tra la spalla e la schiena del cantante. “Credo che ti
stavo aspettando.”
Bill sorrise radioso, poi si spostò verso di lui. Lo
abbracciò e si fece abbracciare, ma continuando a guardare
Michael negli occhi.
“Sei fortunato.” Gli disse. “Sono un tipo puntuale.” Scherzò poi, ammiccando con le sopracciglia.
Michael rise, ma Bill, dopo essersi strusciato voluttuosamente contro
di lui, cominciò a baciargli il collo, le mani sul suo torace.
“Hey, ma non ti stanchi mai, tu?” Gli chiese sorpreso e divertito il pittore.
“Hm, sono tedesco…” Rispose il cantante, continuando
con i suoi piccoli baci impertinenti. “Siamo un popolo molto
pignolo… Dobbiamo fare e rifare e rifare una cosa, finché
non raggiungiamo la perfezione…”
La mattina era sorta luminosa, trovandoli ancora vicini. Era piacevole,
per Michael, quel dormiveglia con Bill tra le braccia. Ascoltava il suo
respiro, respirava il suo profumo, accarezzava la sua pelle morbida. Si
godeva ogni sensazione.
Sentì Bill emettere un piccolo mugolio dolce e accoccolarsi
meglio contro di lui. Sorrise, ad occhi socchiusi, e gli passò
una mano lungo la schiena liscia.
Sembrava che niente potesse turbare quel momento magico, sospeso tra il sonno ed il risveglio. Invece…
Avrebbe dovuto sentire qualche rumore, perché la camera da letto
era un soppalco che affacciava direttamente sullo studio, quindi
qualsiasi cosa fosse successo di sotto… Eppure la prima cosa che
sentì furono i passi sulle scale e poi la sua voce.
“Lo sapevo.” Fin troppo alto il tono, seppure privo di sentimento. Li svegliò per bene entrambi.
Michael scattò a sedere, voltandosi verso la porta, il lenzuolo
bianco che gli copriva appena il pube. Bill, al suo fianco, si
sollevò sulle braccia, era bocconi ma completamente scoperto.
Johnathan era fermo sulla soglia, le braccia incrociate, che li fissava
con aria saputa, privo dell’imbarazzo che sarebbe necessario
davanti ad una scena del genere. Imbarazzo che, per altro, sentiva
tutto Bill, alla ricerca disperata del lenzuolo.
“Johnathan, che diavolo ci fai qui?” L’interrogò rabbioso Michael.
“Niente.” Rispose lui, stringendosi nelle spalle.
“Volevo solo provare la mia teoria… E, a quanto pare, ci
sono riuscito.” Aggiunse, prima di voltarsi e infilare le scale.
Michael guardò Bill. Il cantante aveva un’espressione
smarrita, interrogativa. Lui scosse il capo, rammaricato, poi
lasciò di corsa il letto, afferrò un pareo blu
abbandonato sulla poltrona vicino alla porta e seguì il ragazzo
che se ne era andato.
“Johnathan, fermati!” Gli gridò dietro,
raggiungendolo al centro dello studio. Lui si girò con
espressione saccente.
“Non sei proprio bravo a mentire, Michael caro.” Gli disse con una smorfia schifata.
“Cosa non ti è risultato chiaro nella frase: esci da
questa casa, non ho bisogno di te?” Gli chiese duro il pittore,
ignorando la sua affermazione. Si era messo il pareo intorno ai fianchi
e gli parlava eretto, le braccia lungo il corpo.
“Volevo solo dimostrarti che avevo ragione.” Replicò
piccato Johnathan. “Ti sbatti quel manico di scopa, proprio come
avevo detto io! Anche se hai negato!”
“E come lo hai dimostrato? Seguendoci, spiandoci, entrando in
casa mia senza permesso?” Ribatté Michael, senza
trattenere la rabbia.
“Sei un ipocrita!” Gridò il biondo.
“E tu sei uno spostato, John!” Esclamò
l’artista allargando le braccia. “In casa mia faccio quello
che voglio, non sono più affari tuoi. Dammi le chiavi.” Aggiunse, porgendogli poi il palmo della mano. Johnathan assunse un’espressione neutra.
“Potrei aver fatto un doppione.” Affermò atono.
“Non m’importa, cambierò le serrature.” Ribatté Michael. “Dammi le chiavi.”
Johnathan gli porse un mazzo di chiavi unite da un semplice cerchietto
di metallo, Michael le prese, le strinse nel pugno e riabbassò
la mano.
“E adesso vattene.” Gli ordinò, indicando la porta.
Lo sguardo che gli rivolse Johnathan era gelido, non adirato, non
deluso o triste, ma freddo. Michael lo fissava senza cedere. Le labbra
del biondo, infine, si piegarono in un sorriso inquietante, quindi
sbuffò una risatina sprezzante, gli diede le spalle ed
uscì. Il pittore si lasciò andare ad un sospiro frustrato.
Michael salì nuovamente di sopra, già intriso di sensi di
colpa. Chinò il capo prima di entrare in camera, ma quando lo
rialzò si trovò davanti Bill già vestito che si
stava allacciando i pantaloni.
“Bill…” Esalò dispiaciuto; lui lo guardò con un mezzo sorrisino mesto.
“Vado a casa.” Affermò pacato.
“Speravo che avremmo fatto colazione insieme.”
Replicò contrito Michael, avvicinandosi un po’. Bill
sollevò le sopracciglia e sorrise retorico.
“Meglio di no, mi sento un po’ a disagio…”
Mormorò. “So che ti sarà difficile crederlo, ma non
è mio costume mostrare il mio sedere nudo agli estranei.”
Dichiarò poi, ironico. Il pittore sospirò abbattuto.
“Scusa…” Soffiò dispiaciuto.
“Pensavo che avessi chiarito con lui.” Disse Bill, senza accusa.
“Anche io, ti giuro.” Ribatté immediato
l’altro ed era chiaro che fosse sincero. “Mi dispiace
tanto, Bill…” Aggiunse con tono triste. Bill gli si
avvicinò con un piccolo sorriso.
“Non ti preoccupare.” Lo rassicurò, gli occhi dolci.
“Anche se il risveglio è stato brusco, la notte è
valsa la pena.” Specificò poi, prima di dargli un bacio a
fior di labbra. “A presto.”
Bill scese le scale, recuperò borsa e giacca, poi
s’incamminò verso l’uscita. Michael si
affacciò al balcone della camera da letto e lo guardò.
“Bill.” Lo chiamò dall’alto. Lui, già
arrivato a metà percorso, si girò e alzò gli
occhi, poi sorrise.
“Dimmi.” Lo incitò.
“Per la cronaca: hai un bellissimo sedere.” Gli disse Michael, sincero e sorridente.
Bill sorrise radioso, si sistemò la borsa in spalla, poi girò i tacchi e se ne andò sculettando.
CONTINUA
Note
La traduzione dei versi in intro:
“L’amore è un angelo travestito da lussuria
Qui nel nostro letto finché arriva il mattino”
E grazie a zio Bruce di esistere e continuare a scrivere versi stupendi ^_-
|
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Capitolo 5 *** 5 - Pieces of heart ***
5 - Pieces of heart
Prima di tutto,
scusatemi per il ritardo, sono molto impegnata con il lavoro, gli orari
proibitivi e la fatica che faccio, quindi a malincuore mi resta poco da
dedicare alla scrittura… -_-
Con i ritagli, però, sono riuscita a finire questo capitolo; speriamo ne sia uscito qualcosa di buono!
A voi il giudizio!
Le canzoni che ho usato in
questo e negli altri capitoli appartengono ai loro legittimi autori che
ne detengono ogni diritto. Io le uso solo per amore e non ne traggo
alcun lucro.
Buona lettura ^_^
Sara
5. Pieces of heart
Have I said too much
Maybe I haven't said enough
But know that every word was a piece of my heart
(Every Word Was A Piece Of My Heart – Bon Jovi)
Tom era uscito
dall’acqua ed aveva portato il suo scultoreo corpo bagnato su uno
dei lettini intorno alla piscina; dopo essersi infilato gli occhiali da
sole, si era spaparanzato per bene, a gambe larghe e con la faccia
soddisfatta.
Eve uscì in giardino
con una strana smorfia sul viso, si avvicinò al bordo della
vasca, mise le mani sui fianchi e fissò il ragazzo. Lui,
apparentemente, la ignorava.
“Non hai visto che c’erano foglie, nell’acqua?” Gli domandò allora lei.
“Hm.” Fu l’unico commento di Tom, insieme ad una lievissima alzata di sopracciglia.
La ragazza sbuffò,
alzando gli occhi al cielo, poi superò i lettini e
recuperò un retino dal manico lungo vicino allo sgabuzzino degli
attrezzi, rassegnata ad un altro compito fuori contratto. Insieme a
placare le isterie di Bill, curare lo scazzo di Tom, pulire il culo ai
cani e tutta un’altra serie di compiti bizzarri che esulava
l’ordinario lavoro di una governante.
Tom, nel frattempo,
osservava distrattamente la scena. Eve indossava un paio di shorts di
jeans sfilacciati e una maglietta blu di Che Guevara che gli ricordava
quella che lui stesso aveva posseduto da ragazzino.
Ripensandoci… Ora
che Eve si era spostata dalla sua parte, la scena si stava facendo
interessante. Lei si era piegata in avanti per fare meglio il lavoro ed
il panorama che offriva gli stava facendo rivalutare la pulizia della
piscina… Però! Eve aveva proprio un gran bel culo!
“Smettila di guardarmi il sedere!” Gli ordinò lei, senza voltarsi.
“Che ne sai che lo sto facendo?” Replicò lui piccato.
“Sento il rumore
della tua cupidigia!” Rispose Eve, prima di rialzarsi, girarsi e
fissarlo con un sopracciglio alzato ed espressione retorica.
“Senti…”
Riprese Tom, impedendole di voltarsi di nuovo. “Perché
questo lavoro non lo fa un professionista?” Le chiese.
“Perché
l’ultimo professionista che è venuto qui a pulire la
piscina, ci ha provato con tuo fratello… e anche con me.”
Gli ricordò Eve.
Lui, purtroppo, se lo
ricordava benissimo, quella specie di surfista palestrato e abbronzato,
con sull’addome una tartaruga delle Seychelles – viva
– e l’occhio ceruleo. Era stata una bruttissima esperienza
vederlo flirtare prima con Eve e poi con Bill, senza vergogna. Tom
aveva ardentemente desiderato affogarlo nella piscina durante il
trattamento al cloro. Così, magari, gli si disinfettava il
cervello.
“Ti sei messo la crema?” Gli domandò Eve, riportandolo al presente.
“Hm, no.” Le rispose distrattamente.
“Tom, sei sotto il sole della California e con tutti i nei che hai e le sigarette che fumi, credo sia fondamentale per la tua salute metterla subito.” Pontificò la ragazza.
Tom non reagì
fregandosene, come aveva pensato lei. Le sue labbra si stesero in un
sorriso storto e furbo; abbassò appena gli occhiali e la
fissò seducente.
“Me la spalmi tu?” Le chiese invitante.
Eve sorrise
accondiscendente, poi si spostò vicino a lui, ancheggiando. Tom
la seguiva con gli occhi, soddisfatto. La ragazza prese il flacone
dell’abbronzante dal tavolino di bambù accanto al lettino
dove era sdraiato lui e ne svitò il tappo con sguardo languido,
poi girò la bottiglietta e… schizzò l’addome
del chitarrista con una lunga striscia di crema!
Tom sobbalzò violentemente, rischiando di cadere dalla sdraio, mentre Eve ridacchiava contenta.
“Ma che cazzo!” Sbottò il ragazzo, pulendosi con un asciugamano. “È fredda!”
“Così impari a
fare il seduttore!” Esclamò trionfante la ragazza, che lo
sovrastava con le mani sui fianchi.
“Stronza! Vieni
qui…” Replicò lui, prima di prenderla per i
fianchi, tirarsela addosso e cominciare a farle il solletico.
Bill li trovò così: avvinghiati sul lettino a farsi i dispetti ridendo. Si avvicinò sorridendo.
“Scusate se vi disturbo…” Fece, mentre si fermava vicino all’altro lettino.
Tom trasalì e si scostò di dosso Eve con uno spintone; lei per un pelo non cadde di sotto.
“Hey!” Protestò la ragazza, raddrizzandosi. Bill ridacchiava. Tom, invece, fece il vago, guardando altrove.
Il cantante, nel frattempo,
si era seduto sull’altro lettino e sorrideva vispo guardando
alternativamente il fratello e la governante.
“Volevo solo dirvi di non preoccuparvi, perché stasera avrete la casa solo per voi.” Affermò poi.
Tom contrasse la mascella e
abbassò gli occhi. Eve lo guardò di sottecchi. Sapeva che
reagiva così perché faticava ad accettare la relazione
del fratello con Michael. La ragazza si stupiva di come riuscisse a
capirlo bene e questa cosa la allarmava, perché non le era mai
successo con un uomo. E poi c’era tutta questa tenerezza
che… le faceva un po’ paura.
Eve allungò una mano
e gli carezzò con leggerezza l’orecchio e la nuca, lui si
sottrasse senza guardarla e, allora, lei ritirò il braccio.
“Vado da Michael.” Riprese Bill, chiaramente facendo finta di non essersi accorto della scena.
“Bene.” Annuì Eve, prima di tornare a guardarlo sorridendo. “Cenate fuori?” Gli chiese quindi.
“Ehm, no…” Rispose lui, con un’allusiva alzata di sopracciglia.
“Ah, ok.”
Ribatté la ragazza con espressione complice. “Allora ti
preparo qualcosa io.” Aggiunse, mentre si alzava dal lettino.
“Oh, grazie!” Esclamò contento Bill.
“Ma come?” Intervenne torvo Tom. “Lo mandi ad un appuntamento con il cestino del pic nic?!”
Eve si fermò accanto a Bill e gli passò un braccio intorno alle spalle, poi fissò decisa il chitarrista.
“Certo.”
Dichiarò seria. “Non lascio il mio piccolino senza cena,
in una casa dove si nutrono solo d’arte!” Aggiunse, quindi
si piegò su Bill e gli diede un bacio a stampo sulle labbra.
Entrambi i gemelli la seguirono con lo sguardo mentre rientrava in casa, poi tornarono a guardarsi. Bill sorrideva radioso.
“Mi ama.” Gongolò, sfarfallando le ciglia. Il fratello sbuffò, prima di rimettersi sdraiato.
Il piccolo salotto era
inondato dalla luce aranciata del tramonto. Bill e Michael erano sul
tappeto, le schiene contro il divano, coperti soltanto da una morbida e
colorata coperta stile indiano. Stavano consumando la cena che aveva
preparato per loro Eve. Mangiavano con le mani, senza preoccuparsi
troppo.
“Eve è
veramente un’ottima cuoca.” Commentò Michael, con in
mano quel che restava di un delizioso involtino di frittata con
formaggio.
“Già.”
Annuì Bill, prima di sporgersi su di lui, per prendere un altro
pezzo dalla vaschetta a fianco del pittore; così facendo si
scoprì, restando nudo sulle ginocchia di Michael. Lui sorrise e
gli accarezzò la schiena e le natiche. “È tutto
ottimo, ma un pranzo vero è ancora meglio, devi venire a
mangiare da noi.” Aggiunse Bill.
“Ne sono sicuro e verrò volentieri, quando m’inviterai.” Rispose Michael.
Bill tornò accanto a
lui, adagiandosi contro la sua spalla, mentre si leccava le dita.
“Vorrei anche che tu conoscessi meglio Tom, così magari la
smette di agitarsi.” Affermò poi.
“E perché si agita?” Domandò perplesso il pittore, aggrottando le sopracciglia.
“Si preoccupa tanto
per me, mi vuole bene e… credo non abbia del tutto digerito le
mie scelte sessuali.” Spiegò il cantante. “Sai, lui
è molto etero…”
“Oh, capisco.”
Commentò l’altro. Bill si strinse di più a lui,
strusciando la guancia sulla sua spalla.
“Tom ed Eve hanno una storia.” Dichiarò quindi. Michael lo guardò sorpreso.
“Ah, sì?” Fece. Bill annuì. “Ed è un problema?”
“No, per me
no.” Rispose il cantante, scotendo il capo. “Anzi, trovo
che siano carinissimi insieme, però… C’è
qualcosa di strano, secondo me.”
“Cosa può
esserci di strano, a parte i normali tentennamenti all’inizio di
una relazione…” Intervenne il pittore.
“A volte ho la netta
sensazione che la cosa, per lui, sia molto più seria di quello
che è disposto ad ammettere.” Affermò Bill.
“E che questo faccia terribilmente paura a lei.”
“Quindi pensi che Eve non sia altrettanto coinvolta?” S’informò delicatamente Michael.
“È proprio
questo il problema!” Esclamò il cantante, mettendosi
seduto e voltandosi verso di lui. “Io penso che lo sia e non
capisco cosa la spaventi tanto!”
“L’amore
è un sentimento impegnativo che di solito ci coglie impreparati,
non credo di dovertelo spiegare io.” Commentò saggiamente
l’altro.
“Lo so.” Ammise Bill sospirando. “È che sarei molto felice, se tra loro funzionasse…”
“Vuoi bene ad
entrambi, è per questo.” Gli disse dolcemente Michael,
mentre lo tirava a se e gli carezzava i capelli. “Sei dolce a
preoccuparti per loro.” Aggiunse, dandogli un bacio sulla fronte.
“Hey!
Cos’è questo bacio da moribondo?! Impegnati un
po’!” Protestò il cantante, facendo ridere il
compagno. Michael, allora, gli prese il viso tra le mani e lo
baciò profondamente.
La cucina era illuminata solo dagli ultimi raggi del sole serale che attraversavano la vetrata della sala da pranzo.
Tom si fermò davanti
al muretto che divideva le due stanze ed afferrò i bordi di
marmo con forza. Eve era indaffarata come sempre, anche se lui aveva
chiesto una cena semplice; gli dava le spalle, mentre affettava verdure
vicino al lavello.
“Non è un
problema, sai.” Affermò ad un certo punto la ragazza,
senza voltarsi. Tom assunse un’espressione confusa e
aggrottò la fronte.
“Cosa?” Chiese quindi. Eve sospirò e si voltò verso di lui.
“Se vuoi continuare
come prima, intendo, come quando pensavamo che Bill non
sapesse…” Spiegò lei. “Se preferisci stare
lontani, quando non siamo soli, non scambiare effusioni…”
Aggiunse, con un gesto incoraggiante.
Tom continuava a fissarla torvo, l’espressione indecifrabile. Eve abbassò e spostò lo sguardo.
“Lo capisco,
perché in fondo, questa tra noi, non è una cosa seria e
se non ti va di esporti troppo è normale.”
Puntualizzò infine.
Tom strinse
involontariamente il piano di marmo. Guardava la figura di Eve, ferma
nella penombra. Lei continuava a tenere gli occhi bassi. Anche lui,
infine, abbassò lo sguardo.
“Non è una cosa seria, già.” Soffiò quindi, scuotendo appena la testa.
Quando alzò gli
occhi si trovò davanti Eve che gli sorrideva un po’
incerta. Lui sospirò raddrizzandosi.
“Ma va bene
così.” Gli disse la ragazza, poi gli prese il viso.
“Tutto a posto, vero?” Chiese quindi, fissandolo negli
occhi.
“Certo, certo.” Annuì Tom, deviando però lo sguardo. “Tutto a posto, sì.”
“No, guardami negli
occhi.” Gli ordinò lei, costringendolo con le mani. Lui la
fissò nelle sue iridi grigio-verdi. “Siamo a posto,
sì?” Tom annuì.
Eve sorrise più
sicura, si alzò sulle punte e gli diede un delicato bacio sulle
labbra. Tom sembrava sempre serio, però.
“Andiamo! Che cosa c’è?” Gli domandò allora la ragazza, sempre tenendogli il viso.
“Va tutto bene, davvero.” Rispose Tom, facendo un mezzo sorriso.
“Non cambia niente,
dai.” Gli garantì Eve. “Non vuoi esporti davanti a
Bill, ma quando siamo soli…” Aggiunse, con
un’occhiata ammiccante. Tom si concesse un sorrisetto storto.
“Va bene, sì.” Confermò poi, posandole le mani sulla vita.
“Abbracciami.” Gli chiese Eve, mentre gli stringeva le braccia al collo.
Tom
l’abbracciò, la strinse forte, ma non chiuse gli occhi.
Guardò oltre la spalla su cui poggiava il mento, senza vedere
molto, in realtà. Pensava alle parole di Eve. Non era vero che
voleva nascondersi da Bill. Aveva reagito d’istinto, in piscina.
Lui non voleva nascondersi da nessuno…
Michael baciò la
schiena imperlata di sudore di Bill, l’accarezzò piano,
esplorò con gli occhi ogni neo, sentì l’alzarsi e
abbassarsi della cassa toracica a causa del respiro ancora affannato,
poi si spostò. Si mise su un fianco e portò l’altro
ragazzo con se, facendogli assumere una posizione più comoda,
contro il proprio corpo. Gli accarezzò i capelli e lo
baciò sulla spalla. Bill respirò rilassato.
L’amplesso era stato
passionale, non privo di un certo ardore violento, ma li aveva lasciati
entrambi molto soddisfatti. Ora si riposavano, uno nelle braccia
dell’altro.
“Sai,
io…” Mormorò Bill, mentre stringeva al petto la
mano di Michael. “Io ho sempre paura… Ho sempre avuto
paura di questo.” L’altro lo ascoltava serio. “Non
sono così portato a concedermi.” Il pittore lo strinse un
po’ di più e sospirò sul suo collo. “Ma con
te è più facile.”
“Bill…” Sussurrò Michael colpito.
“Te le voglio dire
queste cose, perché… Perché voglio che tu sappia
che non sono così sfrontato con tutti, che con te…
è più bello.” Confessò però Bill,
senza farlo continuare.
Quindi si girò tra
le braccia di Michael, per poterlo guardare negli occhi. Lo
trovò ad osservarlo con un sorriso dolce.
“Avevo bisogno da tanto di qualcosa che somigliasse a te.” Affermò poi, scostandogli i capelli dal viso.
E l’artista
sperò che Bill capisse quella frase, perché gli sarebbe
stato impossibile spiegare le sensazioni che gli dava stare con lui,
dare un senso a quel misto di candore e malizia, intelligenza e
ingenuità, provocazione e ritrosia che rendeva così
speciale e unico il cantante.
Lo guardò negli
occhi, trovandolo che sorrideva consapevole e comprensivo; Michael si
sentì rassicurato ed il cuore gli s’invase di luce.
“Sì, lo so, sono adorabile.” Scherzò poi Bill, con un sorriso capace di sciogliere ghiacci eterni.
Il pittore rise e lo
abbracciò. Bill si accomodò contro di lui, prima di
sbadigliare. Michael non si era mai sentito così pieno e
creativo; si addormentò con un milione di nuove idee.
Attraverso le listarelle
della veneziana penetrava una pallida luce violacea che annunciava il
primo mattino. Già sapevi che ci sarebbe stato il sole. A volte
lo annoiava la monotonia del tempo californiano ma, d’altra
parte, se non fosse stato in California…
Strinse tra le braccia il
corpo soffice di Eve, lei sospirò morbidamente, senza
svegliarsi. Tom affondò il viso nei suoi capelli profumati.
Il ragazzo ricordò i
tempi in cui si erano conosciuti. Lei era strana, scontrosa, una freak,
faceva le pulizie con gli anfibi ai piedi, ascoltava Springsteen a
tutto volume. E lui non stentava ad ammettere di aver avuto dei
pregiudizi. Ad ogni modo, in quel periodo, lui stava con Tina.
Era stata una storia seria,
durata più di due anni, coperta accuratamente dalla loro
produzione e dalla sua personale avversione a rendere pubblico
ciò che era privato. Aveva amato Tina, il suo rapporto con lei
lo aveva reso più uomo, più sicuro di se, ma anche i
grandi amori a volte finiscono.
Il breve periodo di
convivenza in California li aveva messi alla prova ed erano falliti. I
motivi, francamente, non li aveva capiti tutt’ora, sapeva solo
che avevano finito per sentirsi e vedersi sempre meno, dopo le feste,
finché avevano dovuto ammettere che era finita.
Solo allora aveva iniziato a guardare Eve con occhi diversi.
Eve che faceva sorrisi
storti e battute pungenti. Eve che parlava con i suoi cani. Eve che
aveva capito, senza che lui glielo dicesse, che preferiva la tazza
calda per il caffè. Eve che, quasi all’improvviso, aveva
cominciato a smuovergli qualcosa dentro e non solo a livello fisico.
Le accarezzò il
fianco, poi la pancia, le baciò la spalla. Lei si contorse tra
le sue braccia, sospirando. Tom sapeva che le piaceva svegliarsi
così. Eve si girò tra le sue braccia e rispose al bacio
che lui le diede subito, restando però ad occhi chiusi.
Cominciarono a baciarsi e
toccarsi, ma quando Tom la spinse sul materasso per andarle sopra, lei
lo bloccò con una mano. Il ragazzo la guardò, aggrottando
la fronte.
“Che fai, dai…” Mormorò Eve, mentre gli accarezzava il viso.
“Lo sai cosa faccio.” Rispose lui, prima di tornare a baciarle il collo.
“Senza protezione no, andiamo!” Protestò la ragazza allegra.
“Oh, già!” Esclamò Tom, scostandosi. “Scusa… io…”
“Tranquillo, eri
sovrappensiero.” Scherzò Eve, mentre gli aggiustava una
treccina dietro l’orecchio. Lui storse la bocca, mettendosi su un
fianco accanto a lei. “Non credo che tu voglia avere un figlio
alla tua età e soprattutto da una come me!” Aggiunse Eve,
con una risatina consapevole.
Quelle parole, però,
dette con leggerezza, fecero inspiegabilmente male a Tom. Si
allontanò ancora un poco da lei e la fissò serio. Eve,
perplessa, lo osservava con espressione interrogativa.
“Perché non dovrei volere un figlio da te?” Le chiese quindi, quasi indignato.
“Come:
perché?” Replicò incredula la ragazza. “Beh,
prima di tutto perché la nostra non può definirsi una
storia importante e poi… perché io sono una qualunque, tu
vivi in un altro mondo…”
Non poteva accettarlo. La loro era
una storia importante! Per lui lo era! E poi che cazzate erano queste
del vivere in mondi diversi?! Ma se lui si sentiva una persona banale
per la maggior parte del tempo! Lui era banale, noioso, normale, un
borghese cagasotto!
Tom, a quel punto, si sentì obbligato a dirlo. Prese Eve per le spalle e la fissò negli occhi.
“Ma io… Sono innamorato di te, Eve.” Proclamò tremante ma sicuro.
Vide chiaramente il panico
impossessarsi dello sguardo di lei, sgranarle gli occhi e impallidirle
il viso, poi la ragazza diventò rigida tra le sue braccia e la
paura divenne rabbia. Eve si divincolò dalla sua stretta e
uscì dal letto, s’infilò la maglietta abbandonata a
terra e si girò verso il letto.
“No.”
Affermò secca. “No, tu non puoi essere innamorato di me,
non va bene, non è giusto e non è così che doveva
andare.” Aggiunse quasi feroce.
Tom era sconvolto,
letteralmente. Tutto si era aspettato tranne una reazione simile.
Credeva che anche lei… La vide girare i tacchi e dirigersi alla
porta.
“Eve!” La chiamò, sporgendosi sul letto, ma lei se ne era già andata.
Bill si svegliò e
fece un lungo sbadigliò, poi allungò un braccio ma non
trovò Michael accanto a se, tra le lenzuola turchesi
spiegazzate. Si tirò a sedere guardandosi intorno un po’
spaesato.
“Michael?” Chiamò a voce alta.
“Sono di sotto.” Gli rispose una voce un po’ lontana, proveniente da oltre il balcone.
“Dimmi che hai fatto
il caffè.” Lo supplicò allora il cantante, mentre
si alzava piano. Sentì il pittore ridere.
“Metti il mio accappatoio e scendi, il caffè è caldo!” Gli disse poi, con voce allegra.
Bill si diresse in bagno,
fece pipì, si lavò il viso, poi prese il leggero e
morbido accappatoio bianco di Michael e se l’infilò. Se lo
strinse addosso, annusandone profondamente il profumo, quindi sorrise e
si diresse, scalzo, al piano di sotto.
Dopo essersi versato
un’abbondate tazza di caffè caldo ed aver cercato la borsa
per la prima, imprescindibile, sigaretta della giornata, cercò
Michael tra le tele dello studio.
Lo trovò poco
più in là, concentrato davanti ad una grande tela. Era
seduto che mescolava colori su un tavolino che usava come tavolozza.
Indossava solo il suo pareo azzurro.
“Ti sei alzato per dipingere?” Domandò il cantante incuriosito, fermandosi a qualche passo da lui.
Michael alzò gli
occhi e gli sorrise. “A volte mi alzo anche nel mezzo della notte
per dipingere, è come… un richiamo irresistibile.”
Poi aggrottò la fronte, accorgendosi della sigaretta accesa.
“Tu stai già fumando?”
Bill si strinse nelle spalle. “È una specie di richiamo irresistibile.” Lo imitò poi.
Michael gli dedicò
uno sguardo malevolo, ma decise di non insistere. Quando, però,
vide Bill tornare verso la cucina, gli venne un’idea che proprio
non poteva ignorare.
“Bill,
fermati.” Gl’intimò gentilmente. Lui si girò
con espressione interrogativa. “Siediti lì.” Lo
invitò il pittore, indicandogli una grossa cassa di legno alla
sua destra.
“Qui?”
Domandò perplesso Bill, Michael annuì. “Che devo
fare?” Chiese ancora, dopo essersi seduto.
“Niente.”
Rispose l’artista tornando a concentrarsi sulla tela.
“Continua a fumare e bere il caffè.”
Passarono alcuni lunghi
minuti in cui Michael spostava continuamente l’attenzione da Bill
al quadro e usava velocemente un carboncino. Bill, gambe accavallate e
sigaretta tra le dita, lo osservava sospettoso e un po’ a disagio.
“Non mi stai facendo il ritratto, vero?” Si decise a chiedergli poco dopo, sentendo crescere l’ansia.
“Se fosse?” Ribatté l’altro con un sorrisino storto.
“Dai!” Esclamò il cantante, alzandosi e raggiungendo il pittore.
La sua espressione, quando
arrivò a portata di vista della tela, era scettica e quasi
canzonatoria, ma davanti a quei primi tratti di matita, che delineavano
chiaramente la sua figura seduta ed i tratti del suo viso, si
bloccò, facendosi serio. Il cuore gli accelerò i battiti,
improvviso.
Aveva visto migliaia di
proprie foto, durante la sua carriera, a colori e in bianco e nero,
posate o prese di sorpresa, ma nessuna di quelle lo aveva mai colpito
come questo ritratto schizzato dalla mano di Michael in pochi minuti. E
questo perché nessuna foto avrebbe potuto cogliere di lui
ciò che c’era nell’imperfezione di quel disegno
fatto da qualcuno che gli voleva bene.
“Io… sono così?” Mormorò emozionato.
“Tu sei molto più bello di così.” Gli rispose Michael dolcemente.
Bill lo guardò e gli
sorrise, poi tornò ad osservare la tela, mentre con la mano
sinistra carezzava teneramente la nuca del pittore. Il pittore gli
posò una mano sulla vita, in una presa intima.
Il cantante rimase ad
osservare ancora per qualche secondo il quadro abbozzato: una specie di
paesaggio marino e la sua figura seduta, assorta.
“Puoi continuare.” Sentenziò infine Bill, abbassando lo sguardo su Michael.
“Oh, grazie!” Esclamò lui, sorridendo scherzoso, mentre faceva una specie d’inchino.
“Però dopo
facciamo la doccia, insieme.” Aggiunse allora il cantante,
facendosi malizioso, mentre guardava di sbieco l’altro ragazzo.
“Come vuoi, sei tu che dai gli ordini.” Replicò ubbidiente Michael.
“Vedi che ci siamo
capiti subito…” Affermò provocante Bill, prima che
il pittore iniziasse a ridere e lui si allontanasse soddisfatto.
Ok, è rimasta shockata perché non se lo aspettava…
Questo pensava Tom, rimasto sul letto a fissare il soffitto dopo la brusca reazione di Eve.
Non sapeva quanto tempo
fosse passato. Si era, infine, alzato ed era andato in bagno a farsi
una doccia. La ragazza, probabilmente, doveva sbollire, le voleva dare
tempo.
Finito di lavarsi e asciugarsi, s’infilò una maglietta e un paio di boxer e scese al piano di sotto.
Gli mancavano pochi gradini
per mettere piede sul mezzanino, quando Eve uscì dalla propria
camera con un borsone in spalla. Tom aggrottò la fronte
incredulo.
“Che cazzo stai facendo?!” Esclamò quindi.
Eve sussultò,
fermandosi, poi alzò lo sguardo verso di lui, lo fissò
solo un attimo e riabbassò gli occhi.
“Vado da Consuelo,
per ora.” Affermò infine, sempre a testa bassa. “Il
resto della roba verrò a prenderlo…”
“Il resto della roba?!” La interruppe Tom con tono torvo. “Che vuol dire?”
“Me ne vado,
Tom.” Rispose semplicemente Eve, continuando a non guardarlo, poi
si sistemò il borsone sulla spalla e fece per scendere al piano
terra.
Tom si mosse con
velocità: saltò gli ultimi scalini che lo separavano da
lei e l’afferrò per un braccio, facendola voltare verso di
se.
“Sei impazzita?” Gli chiese sibilando, finalmente occhi negli occhi.
“No.” Rispose secca lei. “Tu sei impazzito.”
Rimasero a fissarsi in silenzio per alcuni istanti. Tom aveva il respiro pesante, lo sguardo arrabbiato. Eve era ferma e seria.
“Io sono una tua
dipendente, sono la governante, Tom.” Gli disse infine la
ragazza. “Tu non puoi essere innamorato di me.”
“E chi lo ha detto?
È scritto sul tuo contratto?” Ribatté lui,
continuando a stringerla per il braccio.
“Non è giusto,
non doveva accadere.” Fece Eve, abbassando di nuovo lo sguardo.
“Ho sbagliato io, ad iniziare questa storia, ma ora deve finire,
subito e l’unico modo è andarmene.”
“Tu non ragioni, Eve.” Le disse il chitarrista. “Non puoi pensare veramente che sia uno sbaglio…”
“Lasciami Tom.” Gli ordinò lei, gli occhi che guardavano altrove.
“Non puoi
andartene… Cosa… Cosa dirò a Bill?”
Tentò allora il ragazzo, il cui tono di voce stava diventando
disperato.
“Mi spiace, ma non
è un mio problema.” Dichiarò fredda Eve, prima di
divincolarsi dalla sua presa ormai debole e scendere le scale che
portavano di sotto.
Tom rimase immobile sul
pianerottolo fissando il vuoto lasciato dalla figura di lei. Ma che
cazzo era successo? Non riusciva assolutamente a capire che diavolo
fosse successo…
Si guardò intorno
smarrito, incredulo e solo allora si accorse che dalla camera di Eve
proveniva della musica. Impietoso, il Boss cantava.
Your jacket hung on the chair where you left it last night
Everything was in place, everything was all right
But you were missing
Missing...
Bill entrò in casa
sorridente. Non vedeva l’ora di raccontare a Tom ed Eve del
ritratto che Michael gli stava facendo. Era eccitato e felice.
Arrivato in sala da pranzo,
però, si accorse subito che qualcosa non andava, nonostante i
cani gli saltassero ancora intorno festanti per il suo ritorno.
Le luci erano spente, le
finestre ancora oscurate dal filtro solare dei vetri e c’era
troppo silenzio per essere quasi ora di cena. Il cantante si
guardò intorno, ma tutto era apparentemente apposto.
Bill, allora, si diresse in
salotto e, appena scesi i due gradoni, scorse Tom seduto sul divano con
una bottiglia di birra in mano, a ciondolare tra le sue gambe
divaricate. Sorrise e si avvicinò al gemello, ma quando vide la
sua faccia, anche lui s’incupì.
“Tomi…” Chiamò tentennante.
“Hn…” Fece il fratello, prima di prendere in sorso di birra.
“Dov’è Eve?” Domandò Bill, guardandosi intorno con aria innocente.
“Se n’è
andata.” Rispose Tom, senza alzare la testa. Bill si girò
verso di lui con gli occhi spalancati.
“Come: andata?
Sarà a fare la spesa…” Replicò candido,
poggiando la borsa sulla poltrona più vicina; poi si sedette
accanto al gemello.
“No, ho detto che se
n’è andata, Bill!” Reagì Tom, voltandosi di
scatto verso di lui, che dovette arretrare col busto per evitare un
colpo. “Ci ha mollati, si è licenziata, ha lasciato questa
casa…” L’espressione di Bill era sempre più
incredula e quasi spaventata. “Ha lasciato me…”
Gli occhi di Tom, mentre
pronunciava quelle ultime parole, si erano fatti lucidi ed
abbassò il capo, tirando su col naso, prima di lasciarsi del
tutto andare. Bevve un sorso e sospirò.
Bill, invece, non era più stupito o allarmato, aveva aggrottato la fronte e indurito lo sguardo.
“Che cosa le hai
fatto, Tom?” Domandò quindi, convinto che il fratello ne
avesse combinata un’altra delle sue e fatto scappare la sua
adorata governante.
“Che cosa le ho fatto
io?!” Ribatté il chitarrista, alzando sul gemello due
occhi sgranati e lucidi. “Cosa mi ha fatto lei! Le ho detto che
sono innamorato di lei ed ha reagito come una pazza, ha cominciato a
dire che era tutto sbagliato ed è praticamente scappata! Che
cazzo ne so di cosa ha in quella testa bacata! Non è così
che una donna dovrebbe reagire quando un uomo le dice che la ama,
cazzo!” Tom aveva parlato tutto d’un fiato e ora ansimava,
con l’aria di chi è sull’orlo del pianto.
Ora il viso di Bill, al
quale era impossibile mascherare le proprie emozioni, era contrito e
dispiaciuto. Il cantante posò una mano su quella del fratello e
la strinse dolcemente.
“Io, ti giuro, non ci ho capito niente…” Mormorò Tom, prima di riabbassare di nuovo la testa.
“Tom, tu lo sai
perché Eve viveva in macchina?” Chiese Bill, dopo qualche
istante di silenzio. Il fratello lo guardo, apparentemente confuso da
quella domanda.
“No… non me ne ha mai parlato…” Rispose poi, facendosi attento.
“Eve lavorava in
questo ristorante di lusso, nel centro di Los Angeles.”
Esordì Bill, sapendo che almeno di questo Tom era a conoscenza.
“Beh, lei aveva una storia col proprietario e lui le aveva dato
anche un piccolo appartamento di sua proprietà dove stare e dove
s’incontravano. È durata due anni, ma lui era
sposato…” Raccontava continuando a stringere la mano di
Tom. “La moglie li ha scoperti e lui, da bravo stronzo, non solo
l’ha lasciata subito, ma l’ha anche licenziata e cacciata
di casa. E così è stata costretta a vivere in
macchina.”
Tom lo fissava incredulo,
non aveva idea di tutta quella storia: lei, a quanto pareva, non si era
mai fidata abbastanza da raccontarglielo. Era arrabbiato e deluso.
“Non può aver
pensato che potessi comportarmi come un tale bastardo!”
Esclamò rabbioso. “Quasi un anno ha passato in questa
casa, mesi nel mio letto e pensa che io sia così stronzo? Allora
non mi conosce, cazzo!” Aggiunse stringendo i pugni.
Bill si avvicinò a
lui e avvolse la sua spalla col braccio, sperando che il suo tocco
caldo lo potesse rilassare solo un poco. Poi parlò.
“O forse… ha solo paura.” Affermò consapevole.
“Paura di cosa? Io non le farei mai del male…” Replicò Tom disperato.
“Lo so, Tomi…
lo so…” Sussurrò il fratello, mentre lui lo
abbracciava cercando di trattenere i singhiozzi.
“Che è
successo, Billi? Che cazzo è successo?” Si domandò
ancora una volta Tom, il viso affondato nel petto magro del gemello,
che gli abbracciò il capo, carezzandogli piano le trecce.
Bill, stringendo il
fratello tra le braccia, guardò la stanza vuota oltre le sue
spalle; anche lui avrebbe tanto voluto capire bene come erano arrivati
fin lì.
CONTINUA
Note
Traduzione dei versi in introduzione e a fine capitolo:
“Ho detto troppo
Forse non ho detto abbastanza
Ma sappi che ogni parola era un pezzo del mio cuore”
(Every Word Was A Piece Of My Heart)
“La tua giacca sulla sedia dove l’avevi lasciata ieri sera
Tutto era al posto giusto, tutto era a posto
Ma tu mancavi
Mancavi…”
(Missing – Bruce Springsteen)
|
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Capitolo 6 *** 6 - The brokenhearted ***
6
Non
ci posso credere! E nemmeno voi, immagino… Cmq, nonostante le
avversità ho finito un altro capitolo. Tante cose da dire non ne
ho, a parte un GRAZIE gigante per la pazienza!
Vi lascio alla lettura, fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto!
Sara
6. The brokenhearted
Now don't let our love slip into this darkness
Don't leave me to the brokenhearted, …
And tell me that you love me
Tell me that you need me
Tell me that you love me
Tell me that you want me…
(The brokenhearted – Bruce Springsteen)
Lo schermo del cellulare s’illuminò, mentre vibrava vicino
alla mano di Bill. Lui lo afferrò sospirando e si voltò
dall’altra parte per rispondere.
“Pronto.” Fece, a voce bassa.
“Bill, ero preoccupato.” Replicò la voce di Michael.
“È tutta la sera che provo a chiamarti.”
“Scusami, è che…” Rispose titubante, prima di
abbassare ancora la voce. “Abbiamo avuto un contrattempo, a
casa…”
“Spero niente di grave.” Soggiunse il pittore.
Bill diede un veloce sguardo alle proprie spalle, poi si riportò
l’apparecchio vicino alle labbra. “No, tranquillo, va tutto
bene.” Più o meno… pensò.
“Dovevamo decidere per domani.” Gli ricordò quindi Michael.
“Oddio, mi ero dimenticato!” Esclamò Bill,
tappandosi poi la bocca. “Mi spiace, ma domani sarà un
casino, dobbiamo andare in studio e poi c’è il pranzo con
i nuovi produttori…”
“Non ti preoccupare, tesoro.” Ribatté dolcemente
l’altro, sentendolo allarmato. “Possiamo vederci dopodomani
tranquillamente.”
“Oh, no! Voglio vederti.” Dichiarò perentorio Bill.
“Senti, perché non vieni qui a cena, domani sera?”
Propose quindi.
Michael tacque un istante. “Sei sicuro che non è un problema?” Azzardò poi.
“No, davvero… Ho bisogno di te.” Rispose mogio Bill.
“Ti devo parlare di una cosa, ma voglio farlo di persona.”
“Vabbene, come vuoi.” Acconsentì il pittore.
“Ci vediamo verso le sette e mezza, ok?” Michael rispose affermativamente, quindi si salutarono.
Bill chiuse la chiamata e tornò a girarsi dalla parte opposta.
La schiena di Tom era chiara nella penombra bluastra della camera,
anche per la maglietta bianca che indossava. Il cantante posò
con leggerezza una mano tra le sue scapole ed ascoltò il suo
battito ed il suo respiro: finalmente dormiva.
Tom non si era disperato, non aveva nemmeno pianto, ma il suo dolore e
la sua rabbia erano quasi palpabili. Bill stesso era arrabbiato: voleva
bene ad Eve e lei non poteva andarsene così, senza una
spiegazione. Lui la pretendeva! Si era fidato di lei e ora…
Accarezzò piano la schiena grande del fratello, poi si
avvicinò e ci posò contro la fronte. Odiava quando Tom
soffriva, perché teneva tutto dentro. Se avesse fatto una
scenata, come sarebbe capitato a lui, almeno si sarebbe sfogato…
Cazzo, una spiegazione ci doveva essere per forza!
Si avvicinò un po’ di più a Tom, sospirando contro
la sua spalla. Ora, l’unica cosa che potesse fare era stargli
accanto.
Michael arrivò a casa di Bill quando la sera stava già
tingendo d’arancio tutta la valle. Parcheggiò sul lindo
vialetto, scese e si avviò verso la costruzione scura e moderna.
Il campanello era anonimo, nessun nome o cognome sopra. Appena lo fece
suonare, si levò un abbaiare violento dall’interno della
casa. Oh, cacchio… pensò il pittore. Si era scordato dei cani.
Bill aprì la porta dopo qualche secondo e subito i cinque quattro zampe lo circondarono impietosamente.
“Ciao… Perché sei così rigido?” Gli chiese il cantante, vedendolo fermo davanti al portone.
“Ehm… Ho… qualche problema con i cani…” Ammise imbarazzato Michael.
“Ohhh!” Fece Bill, stupito, ma poi sorrise.
“Tranquillo, non ti fanno niente, rilassati, fatti annusare per
bene e non toccarli sulla testa ma porgigli la mano.” Gli
consigliò poi.
Michael cercò di fare come gli diceva lui, pur restando un
tantino rigido; quando porse la mano, i cani gliela annusarono, quindi
uno dei più grossi, un cane snello e maculato, gliela
leccò amichevolmente e questo sembrò cambiare
l’atteggiamento anche degli altri quattro. Il pittore alzò
gli occhi e vide Bill che sorrideva radioso.
“Vedi? Già gli piaci.” Affermò tranquillo il
cantante. “E adesso entra, devo baciarti.” Aggiunse,
invitandolo a precederlo nell’ingresso. Michael sorrise e
ubbidì, seguito dai cani.
Una volta entrati, si sentì una specie di fischio basso, gli
animali uggiolarono e poi sparirono velocemente verso la sala da
pranzo, causando lo stupore dell’artista.
“Li ha chiamati Tom.” Spiegò Bill, quindi gli prese
la mano. “Vieni qui.” Michael sorrise, mentre l’altro
gli passava le braccia intorno al collo.
I due si persero in un bacio coinvolgente e appassionato, che tolse a
Michael i dubbi che la stringata telefonata della notte prima gli aveva
messo.
“Mi mancavi.” Sussurrò Bill al suo orecchio, quando si allontanarono.
“Anche tu.” Rispose Michael contro il suo collo morbido.
“Vieni.” Lo invitò di nuovo il cantante, prendendolo per mano e guidandolo in casa.
Michael ricordava che dall’ingresso si entrava direttamente nella
luminosa sala da pranzo che affacciava sulla moderna cucina. Gli
piaceva quella casa.
“Scusa il disordine…” Gli diceva Bill nel frattempo.
Michael si guardò intorno. Sul grande tavolo di cristallo
c’erano un paio di piatti sporchi, tazze e bicchieri: chiaramente
i resti della colazione. In cucina, poi, c’era un notevole
casino, compresi piatti che spuntavano dal lavello. Niente a che vedere
con la pulizia e lo splendore di quando ci era stato la prima volta.
“Che è successo? Eve si è presa una vacanza?”
Domandò scherzoso; certo non si aspettava che
l’espressione di Bill si facesse così seria e sfuggente.
“Eve si è licenziata.” Affermò infine il cantante.
La notizia non avrebbe potuto stupirlo di più. Spalancò
gli occhi e appena la bocca. Era incredulo, ma la faccia di Bill era
così seria che poteva solo essere vero.
“Non riesco a crederci.” Mormorò infine.
“Nemmeno io.” Replico immediato Bill, prima di chinare la testa e proseguire verso il salone.
“Mi sembrava di aver capito che fosse affezionata a
voi…” Continuò Michael, seguendolo. Il cantante si
strinse nelle spalle.
“Lo credevo anche io, però…”
“Bill.” Lo chiamò il pittore, interrompendo la sua
frase, mentre lo prendeva per il braccio facendolo delicatamente
voltare verso di se. “Che cosa è successo?”
Lo sguardo di Bill era triste. “Non ho ben capito cosa sia
successo tra lei e Tom, il racconto di mio fratello non è stato
molto chiaro, ma… Hanno litigato e lei se n’è
andata.” Poteva dire solo questo.
“Mi dispiace…” Mormorò Michael rammaricato.
“Anche a me.” Ammise Bill sconsolato. “Ma quello che
mi fa stare peggio è che io mi fidavo di lei.” Aggiunse
amaramente. “Non sono una persona che concede facilmente la
propria fiducia, lo sai… Per la vita che faccio e
l’ambiente che frequento, mi è difficile aprirmi alle
persone e con lei l’ho fatto… Sono molto deluso.”
“Capisco…” Commentò Michael.
“Abbracciami.” Disse poi, aprendo le braccia e accogliendo
Bill, per cullarlo contro di se qualche secondo.
“Andiamo, vieni a salutare Tom.” Affermò il
cantante, quando si lasciarono, incamminandosi verso la porta finestra
aperta.
“Sarà il caso?” Domandò incerto il pittore.
“Preferisco che vi vediate ora, piuttosto che tu affronti il suo
buonumore poi a tavola.” Spiegò Bill, prendendolo per mano
e costringendolo a seguirlo. “Già normalmente Tom non
è troppo affabile con le persone che conosce poco, immaginati in
questi giorni…”
“Ok… Ti seguo…” Acconsentì allora Michael, pur restando titubante.
Uscirono in giardino. Si trattava di un ampio rettangolo circondato da
alte siepi e abbellito da palme e cactus; gli arredamenti erano di
legno chiaro, i cuscini panna. Lettini e sdraio erano disposti di lato,
su uno spazio rialzato in legno che terminava con una copertura sotto
la quale c’era un ampio divano. Il tutto aveva un’aria
elegante ma accogliente.
Tom era in piedi vicino al bordo della piscina, il cane dal pelo
brizzolato era seduto quasi contro i suoi piedi. Il ragazzo fumava,
apparentemente tranquillo. Loro si avvicinarono.
“Tomi…” Lo chiamò Bill, lui si voltò,
scrutò il fratello e poi il suo accompagnatore. “È
arrivato Michael.” Annunciò il cantante.
“Ciao.” Salutò il chitarrista, con un cenno del capo, mentre continuava a fumare.
“Ciao…” Rispose titubante Michael. “Come va?” Osò poi.
“Di merda.” Replicò immediato Tom.
Il silenzio glaciale che scese, imbarazzò tutti i presenti,
compresi i cani. Ma Bill, se voleva, poteva avere il sangue freddo di
un vero leader, quindi intervenne battendo allegramente le mani.
“Ok, ordiniamo la pizza?” Fece infilandosi in mezzo agli
altri due. “Tu vuoi il solito Tom? E tu cosa prendi Michael? Io
credo che mi farò una doppia mozzarella stasera…” E
così blaterando si avviò verso l’interno della casa.
“A me andrebbe una pizza con salame piccante…”
Azzardò il pittore, bloccando la frase quando vide Bill voltarsi
verso di lui con espressione severa.
“Michael, tu non puoi!” Esclamò il cantante.
“Bill, ti assicuro che non soffro di acidità di stomaco.” Replicò tranquillo l’altro.
“Non è per quello!” Sbottò lui. “Tu sei
ebreo, non dovresti mangiare carne di maiale! Te ne prendo una come la
mia, ti piacerà!” Aggiunse, prima di trotterellare dentro.
“Ma, Bill, io non sono… praticante…” Tentò di replicare Michael, inascoltato.
Scoraggiato, il giovane pittore si voltò verso Tom e lo
trovò a fissarlo con un sorriso sornione, pur avendo comunque
gli occhi tristi.
“Rassegnati.” Fece il chitarrista ciccando a terra.
“Non ti darà pace, ieri l’ho beccato su un sito di
tradizioni ebraiche.”
“Beh, da una parte mi fa piacere, è una cosa tenera che
s’interessi alla mia cultura, ma…” Replicò
l’artista sorridendo. “Pensi che non serva se gli dico che
la dieta kosher non mi manca per niente?”
“Non servirà.” Sentenziò Tom, mentre gli passava accanto e scuoteva il capo.
“Tom.” Lo chiamò Michael, appena lui lo ebbe sorpassato.
“Dimmi.” Lo incitò il chitarrista, tornando a guardarlo.
“Davvero per te non è un problema se ceno qui e resto a dormire?” Gli chiese il pittore con tono conciliante.
“Nessun problema.” Rispose Tom. “Io… Voglio
solo che mio fratello stia bene, quindi, se con te è felice, per
me è ok. Stai tranquillo.” Aggiunse, prima di spegnere la
sigaretta ed entrare in casa.
Cenarono seduti al tavolo di cristallo, che Tom aveva sommariamente
pulito con una spugna. La pizza era ottima, ma la conversazione
languiva un po’.
Michael stava osservando Bill, quando questo si girò sorridendo.
Lui non poté fare altro che rispondere allo stesso modo.
“Cosa hai da guardarmi?” Gli chiese allegro il cantante.
“È strano vederti con la barba.” Rispose sincero il pittore.
Bill alzò una mano e si carezzò le guance dove compariva
la lieve ombreggiatura di una barba non fatta da un paio di giorni.
“Non ho avuto voglia di farmela.” Spiegò Bill.
“L’anno scorso ho avuto un periodo
«barboso»…” Raccontò, mimando le
virgolette con le dita. “Mi sembrava una cosa figa, mi sentivo
molto rock, ma poi ho cambiato idea…”
“E cosa ti ha convinto?” Domandò innocentemente Michael.
“Beh…” Esitò il cantante, abbassando la testa.
“È stata Eve.” Intervenne Tom arido. “Gli ha
fatto una testa così sul fatto che la barba non gli dona.”
Aggiunse atono, prima di riabbassare gli occhi sul proprio piatto.
Bill fece una risatina nervosa. “Alla fine ho dovuto riprendere a
radermi regolarmente o non mi avrebbe lasciato in pace!”
Scherzò, con un certo sforzo.
Michael gli sorrise, ma solo con le labbra, poi lanciò
un’occhiata in tralice a Tom. L’espressione del chitarrista
era distratta e nervosa. Il pittore era dispiaciuto che la
conversazione fosse scivolata involontariamente su un argomento spinoso.
Tom, ad un certo punto, lasciò le posate, si pulì la
bocca dopo aver bevuto e quindi si alzò. Bill seguì le
sue mosse con sguardo interrogativo.
“Io vado a farmi la doccia e dopo esco.” Annunciò il chitarrista.
“Esci?” Intervenne Bill. “E dove vai?”
“Ancora non lo so.” Rispose il fratello, stringendosi nelle spalle, poi s’incamminò verso le scale.
“Con chi esci?!” Gli gridò dietro il cantante, sporgendosi sulla spalliera della sedia.
“Amici.” Rispose vago Tom, mentre saliva le scale.
Bill tornò a girarsi verso il tavolo con espressione cupa. Michael lo osservava un po’ preoccupato.
“Che succede?” Gli chiese cauto.
“Non abbiamo amici a Los Angeles.” Rispose Bill, prima di alzarsi da tavola e uscire in giardino.
Michael lo raggiunse pochi minuti dopo, trovandolo che fumava assorto in un angolo semibuio.
“Se mi avessi detto che uscivi a fumare, ti avrei accompagnato
volentieri.” Gli disse dolcemente, mentre camminava verso di lui.
“Eve non vuole che fumi in casa…” Rendendosi conto
di quello che stava dicendo, Bill troncò la frase con una
smorfia amara. “Immagino che, a questo punto, le stupide regole
di Eve non valgano più un cazzo.” Commentò poi
acido, prima di ciccare a terra.
“Va tutto bene, Bill?” Domandò allora il pittore.
“Non va bene niente.” Esalò esasperato il cantante,
dopo un lungo sospiro. “Essere gemelli è una cosa
bellissima e terribile allo stesso tempo.”
“Immagino che un legame del genere sia piuttosto impegnativo.” Commentò comprensivo l’altro.
“Oh, Michael, lo amo così tanto!” Sbottò Bill
crucciato. “Odio vederlo arrabbiato e triste, odio sentirlo
così, perché divento triste anche io e allora lui lo
sarà ancora di più e sarà tutto un crescendo di
depressione e incazzatura, finché non litigheremo tra di noi e
tutto finirà uno schifo!” Aggiunse gesticolando con
espressione abbattuta.
“Correggimi se sbaglio, ma penso che questo meccanismo funzioni
allo stesso modo con la gioia.” Affermò conciliante
Michael, mentre si fermava accanto a lui.
“Sì… Ma adesso non è un periodo
gioioso!” Sbottò il cantante, spegnendo la sigaretta nel
posacenere posato su un tavolino lì accanto. “Dio, vorrei
aiutarlo, ma non so che cosa fare!”
“Hai parlato con Eve?” Gli chiese tranquillo l’altro.
Bill si girò verso di lui con espressione sorpresa, gli occhi spalancati, poi sbuffò e abbassò lo sguardo.
“E quando? Non è più tornata qui e quando ho
provato a chiamarla non mi ha risposto.” Dichiarò infine,
stringendosi nelle spalle.
“Beh, però ti deve una spiegazione.” Soggiunse
pratico Michael. “Se non per l’amicizia che vi legava,
almeno perché anche tu eri il suo datore di lavoro.”
Bill lo fissò ancora una volta stupito. “Hai
ragione…” Mormorò poi. “Se n’è
andata senza motivo, io ho diritto di sapere!” Aggiunse,
già più deciso, raddrizzandosi.
“Sai dov’è ora?” Domandò il pittore. Bill si fece perplesso.
“Penso che sia andata dalla sua amica Consuelo…”
Tentennò senza guardare un punto preciso. “Una volta Eve
mi ha detto che abita a South Los Angeles.”
“Ah, è un quartiere pericoloso.“ Si lasciò
sfuggire Michael. Bill lo guardò aggrottando la fronte.
“Davvero?” Fece preoccupato.
“Non ti allarmare, ti posso accompagnare io, conosco la zona e
possiamo usare la mia macchina, darà certamente meno
nell’occhio della tua.” Propose allora il pittore.
L’altro sorrise radioso.
“Oh, ti adoro!” Esclamò contento, prima di
abbracciarlo. “Come posso ringraziarti?” Aggiunse languido,
facendosi più morbido tra le sue braccia.
“Avrei un paio d’idee…” Replicò il pittore, altrettanto sensuale, stringendolo a se.
“Vuoi vedere camera mia?”
“Magari.”
“Ti avverto che è un po’ in disordine, non sono
molto bravo a tenere a posto.” Gli confessò Bill, mentre
lo prendeva per mano e lo guidava dentro.
“Anche io sono disordinato, Bill.” Affermò tranquillo Michael.
“Sì, ma il tuo è un disordine carino, colorato,
creativo, il mio è solo squallido, sporco, orrendo
disordine…” Commentò accigliato il cantante.
“Andrà bene, Bill.” Lo rassicurò lui, prima di lasciargli un bacio leggero sulle labbra.
“Bill, questo non è disordine! Questo è… il
Big One!” Fu l’esclamazione divertita di Michael una volta
varca la soglia della camera del cantante.
“Ma Eve manca quasi da tre giorni!” Ribatté lui con un broncetto infantile.
“Non farmi tornare qui quando mancherà da una settimana!” Scherzò ancora il pittore.
“Uffa!” Protestò l’altro. “Dovevo portarti in camera di Tom e dirti che era la mia…”
“Vieni qui.” Gli ordinò dolcemente Michael.
“Ho dormito in posti ben peggiori, non ti preoccupare… Non
sono per niente schizzinoso, quando si tratta di te…” Gli
sussurrò poi, quando lo ebbe contro di se.
“Sei sicuro?” L’interrogò preoccupato Bill.
“Sì.” Annuì l’altro. “Basta che
fai andare via il cane, perché mi crea qualche problema
lasciarmi andare mentre sono osservato…”
Bill si scostò di scatto da lui, con uno sguardo brillante e
divertito che aveva acceso i suoi occhi, quindi si voltò verso
il letto dove, in mezzo ad un groviglio inaccettabile di lenzuola,
svettava il musetto marroncino ed espressivo di un bassotto. Bill si
girò completamente verso il cane.
“Kikki, raus!” Ordinò autoritario, ma col sorriso
sulle labbra. Il cagnolino alzò le orecchie, poi si rizzò
e balzò giù dal letto, si scosse e lasciò la
stanza. Bill guardò Michael con soddisfazione.
“Oh, mi piace quando dai ordini in tedesco.” Mormorò languido il pittore.
“Se vuoi posso dartene un sacco…” Replicò lui
con espressione furba, mentre gli cingeva il collo con le braccia.
Iniziarono a baciarsi con passione, avvicinandosi sempre più al
letto. Ci caddero sopra e Bill si mise a cavalcioni sul bacino di
Michael, il quale, però, fece un’espressione strana.
Bloccò il compagno con una mano alzata, mentre con l’altra
frugava sotto la propria schiena. Tirò fuori qualcosa di scuro
dalla forma approssimativamente quadrata e lo guardò aggrottando
la fronte.
“Dimmi che questo non è un vecchio toast mangiucchiato.” Implorò con una smorfia.
Bill glielo strappò di mano e lo gettò lontano.
“Non lo è.” Dichiarò assoluto, quindi
tornò a baciarlo e Michael non pensò più a niente.
Bill aveva pensato che posti del genere esistessero sono nei telefilm,
o al cinema. Invece quei sobborghi squallidi, con gli edifici bassi e
chiari, le case fatiscenti, i negozi abbandonati, i vicoli stretti
chiusi da reti di metallo rotte, i campetti da basket arsi dal sole,
esistevano davvero e lui li stava attraversando seduto sulla jeep rossa
di Michael.
Il ragazzo non poteva pensare che Eve si fosse rifugiata in un posto
del genere. La persona più rassicurante che aveva visto era una
vecchietta di colore dall’aria battagliera. Il resto della
popolazione sembrava per lo più fatta da giovani afroamericani o
latini vestiti come rapper molto cattivi, sopra a macchine troppo
pompate.
“Non riesco a credere che Eve sia venuta a vivere qui.”
Mormorò cupo Bill, continuando ad osservare fuori dal finestrino.
“Non è poi così tremendo, credimi.” Lo
rassicurò Michael che guidava disinvolto. “Io ho vissuto
in un’area di parcheggio per roulotte non molto lontano da
qui…” Intercettò uno sguardo inorridito e sorpreso
del cantante. “Era prima di sfondare! Non si può spiccare
subito il volo!”
Bill ridacchiò. “Lo dici a me? Sono cresciuto nella patria
delle carote, casa nostra era un colabrodo, non sono certo cresciuto
nella bambagia.” Replicò poi.
“Come era l’indirizzo?” Gli chiese quindi Michael con un sorriso.
“Crab Street 1022.” Rispose Bill studiando un foglietto spiegazzato che aveva in mano.
“Dovremmo quasi esserci…”
Quella dove avevano svoltato era una strada dall’aspetto
leggermente migliore del resto del quartiere. Le case erano basse, di
colori chiari, precedute da piccoli giardini spogli e troppo brulli,
però nel complesso si aveva meno la sensazione di essere a
Beirut invece che a Los Angeles.
“È questa.” Annunciò Michael, arrestando la
macchina davanti ad una casetta linda con un giardino più curato
rispetto alla media della via.
Bill scrutò la piccola veranda adornata di piante grasse, il
vialetto ordinato, il pick up blu parcheggiato davanti alla casa. Era
tutto ben tenuto e non aveva motivo di pensare male della migliore
amica di Eve. Prese la propria borsa e se la mise in spalla, pronto a
scendere.
“Bill…” Lo chiamò però Michael,
facendolo voltare. “Aspetta me.” Lo pregò quindi,
scendendo velocemente e andando ad aprire la portiera a Bill, senza mai
smettere di guardarsi intorno.
“Dio, Michael, se fai così mi sembra di avere il body guard!” Si lamentò il cantante.
“Non voglio che ti succeda niente…” Provò a replicare lui.
“Oh, andiamo!” Sbottò scocciato Bill, prima di
aggiustarsi gli occhiali e procedere determinato verso la porta,
portando il piccolo carico che depositò sulle scale.
Bill aveva un aspetto dimesso quel giorno. Indossava un paio di jeans
grigi slavati e una maglietta blu scuro; cuffia grigia e scarpe da
ginnastica completavano il look, insieme ad una grossa borsa grigia.
Precedette Michael all’entrata della casa, camminando col suo
passo deciso ed elegante.
Il pittore esitò un attimo, quindi lo seguì, leggermente
preoccupato. Ma non conosceva Bill abbastanza da sapere che sotto
quell’apparenza remissiva si nascondeva un guerriero pronto ad
affrontare il nemico. Bill bussò alla porta.
Qualche attimo e venne ad aprire una ragazza piccolina, pelle olivastra
e capelli scuri, chiaramente latina, che lo fissò perplessa,
aggrottando le sopracciglia. Michael era dietro al cantante.
“Non compro niente.” Dichiarò quindi.
“E io non vendo niente.” Le rispose immediato il ragazzo.
“Sono Bill Kaulitz, cerco Eve, è qui, vero?”
Continuò, spiando dietro alla ragazza, forte della propria
altezza.
“Ah…” Fece lei, prima di scrutarlo per bene. “Ti facevo più basso.”
“Posso entrare, sì?” Soggiunse lui, ignorando la sua
frase, poi la scansò con poca grazia, infilandosi in casa. La
ragazza lo seguì con uno sguardo severo.
“Non ti ho dato il permesso!” Sbraitò con le mani
sui fianchi; lui continuò ad ignorarla, mentre gettava con un
elegante gesto distratto la borsa sul divano colorato. Michael, nel
frattempo, li aveva seguiti dentro.
La casa era composta da un grande soggiorno coloratissimo e
accogliente, su cui affacciava una cucina non elegante e moderna come
quella dei Kaulitz ma ordinata e pulitissima; sulla destra si apriva un
arco che dava su un corridoio, probabilmente l’accesso alla zona
notte.
Proprio da lì, sicuramente attirata dalla confusione causata
dall’entrata di Bill, Eve fece il suo ingresso in soggiorno.
“Che succede?” Domandò tranquilla, ma quando
alzò gli occhi incrociò quelli infuocati del cantante e
quindi aggrottò la fronte.
“Non gli ho dato il permesso di entrare.” Affermò Consuelo.
“Immagino.” Commentò arida Eve, superando Bill, cosa
che le scoprì la vista di Michael, fermo ancora vicino alla
porta. “Ciao, Michael.” Salutò la ragazza.
“Ciao, Eve.” Rispose tranquillo lui.
“Per un attimo ho temuto che fosse venuto da solo.” Disse
allora Eve, mentre andava in cucina a versarsi un bicchiere
d’acqua.
“No, tranquilla…” Fece il pittore per rassicurarla,
ma Bill fece un lungo passo e fu vicino al bancone che divideva la
cucina dal salotto.
“Perché? Pensi che non sarei riuscito a venire qui da
solo?!” Sbottò quindi. “E poi, non hai nessun
diritto di preoccuparti per me, dopo quello che hai fatto!”
Aggiunse con veemenza.
“Si può sapere che diavolo vuoi, Bill?!” Replicò Eve, sbattendo il bicchiere sul piano di legno.
“Voglio delle spiegazioni!” Rispose lui. “Decidi tu
che argomento affrontare per primo: il tuo licenziamento senza motivo,
l’aver tradito la mia fiducia o l’aver spezzato il cuore a
mio fratello, ma sappi che alcuni di questi argomenti potrebbero farmi
diventare molto cattivo!” La minacciò poi, alzando la mano
in avvertimento.
“Io non ti devo nessuna spiegazione!” Ribatté Eve.
“Siamo in America, bello, mi licenzio quando mi pare e piace e
non devo spiegarti proprio un cazzo!”
“Ohhh!” Esclamò Bill scandalizzato. “Ti è andata bene, bella,
perché se eravamo in Europa ti facevo un culo
così!” Aggiunse poi, mimando una considerevole dimensione
con le mani.
I due si fronteggiavano con occhi saettanti, quando Consuelo rivolse
uno sguardo curioso verso Michael, come se lo vedesse in quel momento.
“E tu, chi saresti?” Gli chiese quindi; il ragazzo le sorrise tirato.
“Sono… il suo ragazzo.” Rispose infine, indicando Bill con un cenno del capo.
“Sei votato al martirio o che?” Soggiunse ironica la padrona di casa.
“Beh, devo ammettere che sto scoprendo un lato della sua
personalità che non conoscevo ancora e… mi fa
paura.” Ammise tentennante e con un sorriso timido ma divertito.
Bill e Eve, nel frattempo, continuavano a fissarsi con sguardi duri,
anche se la ragazza cominciava a dare segni d’irrequietezza. Non
era da persone comuni reggere uno sguardo accusatorio di Bill Kaulitz:
i suoi occhi potevano bruciarti fino alle ossa, come lava di vulcano.
“Non devo giustificarmi con te, Bill.” Affermò
infine Eve, abbassando il capo. “Puoi anche andartene, non
m’interessa la liquidazione…”
“Mi chiedo se ti rendi conto di quanto mi hai deluso.” Soggiunse il ragazzo, con tono spento.
Eve alzò gli occhi, pensando di trovarsi ancora sotto il fuoco
dello sguardo rabbioso di Bill, ma lui era immobile dall’altra
parte del bancone, il capo chino.
“Io mi fidavo di te.” Riprese il cantante. “Ti ho
aperto il mio cuore e la mia casa, e così ha fatto Tom. Hai mai
pensato a quanto sia difficile per noi mostrare le nostre debolezze, i
nostri difetti?” Continuò, con espressione arresa ma
velata di rabbia. “Con te lo abbiamo fatto e ci hai ripagato
così… Hai spezzato il cuore a Tom, cazzo!”
Eve sussultò appena, prima di bere un sorso d’acqua. Forse
solo Consuelo si accorse di qualcosa che tremava nel suo sguardo.
“Lo conosci.” Accusò ancora il ragazzo, fissandola
di nuovo. “Mio fratello non è una persona che mette in
campo i suoi sentimenti, se non è sicurissimo di quello che sta
facendo, se non ha… il culo coperto, e tu lo tratti
così?!” Sbottò. “Si è affidato a te e
tu lo hai lasciato cadere!”
“Non doveva dire quello che ha detto!” Replicò nervosa Eve.
“Ha detto che ti ama, mi spieghi dov’è il problema?!” Ribatté immediato Bill.
“Ma non lo vuoi capire? Io non posso essere la fidanzatina di
Tom, sono la sua cameriera, non è così che va il
mondo!” Dichiarò lei urlando.
“Ora non sei più la nostra cameriera.” Fu la risposta di un impettito Bill.
“Non ci arrivi proprio, eh?” Esclamò la ragazza.
“Che direbbero le vostre adorate fans? Quelle stesse mi hanno
martirizzata solo perché mi sono permessa di portare i vostri
cani a cagare?”
“Oh! Ti criticherebbero anche se tu rinascessi Miss America!
È il loro hobby principale criticare le donne di Tom.”
Soggiunse compito Bill.
“Non vuoi capire…” Ripeté sconsolata Eve, scuotendo il capo.
“Ti credevo mia amica.” Affermò lui, sorprendendola.
“Ti credevo una tipa figa, una tosta, invece è bastata la
prima difficoltà vera ed hai messo la coda tra gambe
scappando.” Continuò, con il respiro improvvisamente
più difficoltoso. “Se avessi fatto così sarei
ancora la checca di Loitsche.”
Eve contrasse la mascella e chinò il capo, voltandosi
leggermente di lato. Bill si staccò dal bancone, dandole le
spalle.
Il cantante era abbastanza intelligente da capire quando era meglio
rinunciare, tanto niente di quello che avrebbe potuto dire avrebbe
convinto Eve, né gli argomenti, né le suppliche, nemmeno
uno dei suoi più patetici capricci. Era una battaglia persa e
lui odiava perdere.
“Ti ho portato l’ibisco, il vaso è sul
portico.” Affermò infine, continuando a darle le spalle.
“Spero tu ti renda conto di quello che stai perdendo.”
Aggiunse, incamminandosi verso la porta. “Ah… e non ti
preoccupare della liquidazione, l’ho già fatta versare sul
tuo conto.”
Eve si girò verso di lui, pronta a replicare in qualche
modo, ma Bill aveva già percorso la stanza, recuperato la borsa
ed era uscito di casa. Gli occhi della ragazza vagarono confusi,
finché non incontrarono lo sguardo rammaricato di Michael.
“Mi dispiace, Eve.” Mormorò il pittore, lei scosse
la testa, facendogli chiaramente capire di lasciar stare. Michael, poi,
si girò verso Consuelo. “Piacere di averti
conosciuto.”
“Piacere mio…” Replicò lei un po’ sorpresa, quindi si strinsero la mano.
Il pittore, dopo un’ultima occhiata ad Eve, uscì dalla
casa e raggiunse Bill, che era fermo sulle scale della veranda.
Consuelo li osservò per qualche secondo attraverso la
zanzariera, quindi chiuse la porta.
Sulla strada del ritorno Bill era piuttosto silenzioso. Sedeva composto
sul sedile accanto a Michael, il volto imperscrutabile dietro ai grandi
occhiali scuri e a quel perfetto profilo d’avorio.
“Bill, va tutto bene?” Si decise a domandare il pittore,
quando ormai erano a metà strada. Lui chinò il capo e
sospirò.
“Posso accendermi una sigaretta?” Chiese poi.
“Ci mancherebbe, fai pure.” Rispose Michael. “Però rispondimi…”
Il cantante tergiversò ancora qualche secondo. Cercò le
sigarette ed il suo accendino d’argento in borsa, poi se ne
accese una con calma. Prese un tiro e soffiò il fumo fuori dal
finestrino.
“Non pensavo di convincerla, ma… ci speravo, ecco.” Affermò infine.
“Dovevi provarci.” Commentò l’altro.
“Conosco abbastanza Eve da sapere quanto ha la testa dura,
però io… Non sono bravo nelle discussioni,
m’incazzo e poi… divento stridulo e odioso e…
e…”
“Ok, ok, tesoro!” Lo bloccò Michael, posando una mano sulla sua. “Ho capito… Va di merda.”
Bill si voltò verso Michael e girò la propria mano in
modo da stringere la sua. Anche dietro gli occhiali scuri, il suo
sguardo appariva supplicante. L’artista aveva un’idea
abbastanza precisa di quanto fosse grande l’orgoglio di Bill da
capire che se lo guardava così c’era di mezzo qualcosa di
piuttosto importante.
“Se Tom dovesse chiedertelo, non dirgli che siamo stati qui
oggi.” Lo implorò infatti, stringendo convulsamente le sue
dita.
Michael era sorpreso. Aveva parlato sì e no due volte con Tom e
sempre per scambiarsi poche parole. Ma, evidentemente, per Bill questa
richiesta era fondamentale.
“Stai tranquillo.” Lo rassicurò quindi.
Il cantante, allora, gli lasciò la mano e si rilassò contro il sedile, tornando a guardare la strada.
“Speravo che Eve sarebbe stata più ragionevole.”
Mormorò poi, Michael lo ascoltava, guidando con calma.
“Pensavo che avessimo un rapporto speciale e invece lei ha tirato
su un muro… Io… io…” La voce gli si ruppe
appena e lui deviò lo sguardo verso il finestrino. “Era
tanto tempo che qualcuno non mi faceva così male, forse nessuno
dai tempi… di mio padre, quello vero…”
“Bill…” Esclamò piano Michael, colpito da
quello che l’altro aveva detto. Allungò una mano e gli
sfiorò i capelli. “Mi dispiace.” Sussurrò con
sincerità.
“Lascia stare.” Fece Bill con tono amaro, scuotendo appena
il capo. “Bisogna andare avanti, la vita non sta certo ad
aspettare.”
Non era la prima volta che Michael si accorgeva del pragmatismo e della
concretezza quasi crudele di Bill, evidente retaggio delle sue origini
germaniche e di un carattere solido che lo aveva portato a realizzare
il proprio sogno. Ma da bravo sognatore americano, la durezza teutonica
di Bill un po’ lo sconvolgeva.
“Ad ogni modo, dovevi affrontarla, per provare a capire.”
Affermò Michael, mentre imboccava l’autostrada che li
avrebbe riportati a Malibu.
“Già.” Annuì lui. “Però mi
dispiace non aver fatto niente di concreto per Tom, non abbiamo nemmeno
parlato di lui…”
“Non sarebbe stato un discorso costruttivo, lo sai.” Intervenne saggiamente l’artista.
“L’avrei sbranata, purtroppo.” Ammise sconsolato Bill.
“Vedrai che Tom si riprenderà presto, non mi sembra il
tipo che si piange addosso.” Tentò di rassicurarlo
l’altro.
“Oh, non lo è.” Soggiunse il cantante. “Troverà un modo per sfogarsi…” E
quel modo non mi piacerà, perché finirà per fare
cazzate che non gli serviranno a buttare via il veleno che ha
dentro…
“Andrà bene, Bill, vedrai…” Gli disse Michael, cercando di trasmettergli sicurezza.
Bill lo guardò di nuovo, si tolse gli occhiali e gli sorrise con
sincerità. “Grazie per esserci stato.”
Mormorò poi, con dolcezza.
“Figurati, l’ho fatto volentieri.” Rispose il pittore, ricambiando il sorriso.
“Andiamo da te.” Suggerì quindi il cantante.
“Se vuoi.” Acconsentì Michael.
“Non ho voglia di tornare a casa.” Confessò Bill. “Ho bisogno di essere coccolato.”
Michael gli sorrise. “Per tua fortuna sono specializzato in coccole.”
Bill lo guardò riconoscente, mentre davanti a loro l’orizzonte azzurro annunciava la calda luce del pomeriggio.
Consuelo entrò nella stanza e si appoggiò allo stipite
della porta. Eve era seduta a gambe incrociate sul lenzuolo bianco che
copriva il vecchio divano letto marrone. La ragazza latina fissò
l’amica con la fronte aggrottata.
“Allora, che mi combini stavolta?” Domandò
all’improvviso, già sapendo che Eve, pur guardando fuori
dalla finestra, si era accorta del suo arrivo.
“Perché?” Replicò l’altra, dopo essersi sbuffata la frangia dalla fronte.
“Beh, di solito, quando ti lasci con qualcuno, affoghi nel
gelato, o ti prendi una sbronza, o finisci per scoparti qualche
stronzo…”
“Vaffanculo, Lela!” Sbottò Eve, buttandosi giù e dandole le spalle.
L’amica, però, non si arrese ed andò a sedersi sul
bordo del letto, sospirando. Sapeva che sarebbe stata dura far parlare
quella testona di Eve, ma doveva provarci.
“Mi hai detto pochissimo di questo tedesco e quando lo fai
è perché c’è qualcosa di serio, quando hai
paura…” Azzardò Consuelo.
“E di che cosa dovrei avere paura?” La provocò l’altra, mettendosi supina per vederla in faccia.
“D’innamorarti, chica.” Rispose sicura l’amica.
“Oh, ti prego!” Esclamò lei, roteando gli occhi.
“Certo, certo…” Annuì Consuelo con tono
retorico. “Insomma, cosa ha di speciale, questo Tom?”
“Non ha niente di speciale.” Ribatté scocciata Eve. “Non è per niente speciale!”
“Scusa, ma non ci credo.” La bloccò l’altra.
“Intanto, se è il gemello di quello che è venuto
qui, qualcosa di speciale ce l’ha: un gran bel culo!”
“Smettila, non sono dell’umore…” Commentò acida lei, stringendo il cuscino.
“L’ultima volta che ti sei comportata così è
stato per Peter. Te lo ricordi Peter, vero?” Soggiunse
implacabile Consuelo.
“Come potrei dimenticarmi Peter…” Commentò
lugubre Eve; come avrebbe potuto, era stato il suo più grande
amore ed uno dei suoi più grandi dolori.
“E allora… Questo Tom?” Insisté quindi Lela.
“Si può sapere che ti devo dire?!” Sbottò l’altro.
“Qualcosa di lui.”
Eve schioccò la lingua esasperata, buttò via il cuscino e
si alzò nervosamente dal divano letto, cominciando a fare avanti
e indietro nella piccola stanza.
“Ha un sacco di difetti, è supponente, un inflessibile
testardo, pieno di manie, scassa palle, montato e… e…
Intelligente, ironico, dolcissimo e ha le mani calde e gli occhi
più belli del mondo…” La voce di Eve, che era
partita alta e decisa, divenne più flebile via via che il
discorso continuava, così come invece si allargava il sorriso di
Consuelo.
“Che altro vuoi?” Chiese infine Eve, gli occhi un po’ lucidi.
“Che ammetti di essere innamorata di lui.” Rispose sicura l’amica.
“Non sono innamorata di lui!” Dichiarò piccata Eve, ma era veramente poco convincente.
“Sì, e io sono vergine! Ribatté scocciata Lela.
“Eve, falla finita, ti conosco troppo bene.” La gelò
quindi, improvvisamente seria. “Ammetti i tuoi sentimenti e
smettila di nasconderti dietro a scuse idiote che non capisce
nessuno.” Eve la fissava con gli occhi sbarrati ed
un’espressione tra il sorpreso e l’offeso. “Finiscila
di non ritenerti alla sua altezza – perché lo so che lo
fai – e di dire che venite da due mondi completamente diversi.
Ricordati le parole del Boss: t’incontrerò sul ponte tra questi mondi lontani. Il Boss non sbaglia mai. Let's let love give what it gives. E basta seghe mentali.” Concluse il discorso puntadole contro l’indice.
Consuelo, quindi, si alzò dal bordo del letto e lasciò la
stanza. Eve fece uno sbuffo umido, poi si buttò di nuovo sul
materasso, stringendosi contro il cuscino. Usare Springsteen era stato
un colpo bassissimo da parte di Lela. Che cazzo di situazione!
Lasciò che le lacrime scendessero, per la prima volta da quando
aveva lasciato casa Kaulitz.
Tom si svegliò nella luce fumosa di un mattino umido. Si sentiva
appiccicoso di salsedine e di… birra, forse. Si ricordava
vagamente di un locale sulla spiaggia, di un gruppo di ragazze che lo
occhieggiavano interessate, di tanto alcool…
Ricordava molto meno quel piccolo appartamento di cui, probabilmente,
l’oscurità della notte precedente aveva nascosto lo
squallido disordine.
Si alzò, mettendosi a sedere sul bordo del basso letto
arruffato, diede un’occhiata alla ragazza bionda pesantemente
addormentata che aveva affianco. Non ricordava il suo nome: Mandy,
Candy… o un altro stupido nome californiano inutile.
Sperò solo di aver usato il guanto; si rassicurò quando
vide il preservativo usato gettato in terra, vicino ad un tanga
arancione.
Il ragazzo si stropicciò il viso con le mani e masticò a
vuoto. Non aveva il solito mal di testa dopo sbronza, solo una vaga
nausea ed un senso di vuoto.
Si alzò e si vestì con una certa calma, recuperando tutti
i suoi abiti. La ragazza non si mosse minimamente, dovevano proprio
essersi presi una bella sbronza. Quando fu vestito, uscì di casa
silenziosamente.
Trovò davanti a se una piccola discesa di scale di legno che
conduceva alla spiaggia sottostante. Le scese e arrivò su una
larga battigia bagnata. L’oceano era placido, grigio, enorme. Tom
guardò l’orizzonte. La California non gli era mai sembrata
così sporca, vuota e inutile. Si accese una sigaretta e
soffiò il fumo verso il cielo lattiginoso.
Where the distant oceans sing and rise to the plain
In this dry and troubled country your beauty remains
Down from the mountain road where the highway rolls to dark
'Neath Allah's blessed rain we remain worlds apart
CONTINUA
Note:
le traduzioni (pessime) delle due canzoni usate in questo capitolo:
Intro:
Ora non lasciare che il nostro amore scivoli in questa oscurità.
Non lasciarmi tra i cuori infranti
E dimmi che mi ami
Dimmi che hai bisogno di me
Dimmi che mi ami
Dimmi che mi vuoi…
Chiusura:
Dove i lontani oceani cantano e si sollevano sulla pianura.
La tua bellezza rimane in questa arida e problematica terra.
Giù dai sentieri di montagna dove le autostrade rotolano dell’oscurità
Sotto alla pioggia benedetta da Allah noi restiamo mondi a parte
(Worlds apart – Bruce Springsteen)
Anche i versi citati da Consuelo appartengono a questa canzone.
Let's let love give what it gives : Lascia che l’amore dia quel che da
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Capitolo 7 *** 7 - Something explodes ***
7 - Something explodes
Ce
l’ho fatta un’altra volta! So che mi ci vuole tanto, ma
purtroppo i miei ritmi sono questi al momento, mi dispiace… Ad
ogni modo, ecco un altro capitolo.
Temo che sia un po’ slegato tra la prima e la seconda parte, ma sta a voi lettori darmi un giudizio.
Quindi vi lascio alla lettura, ringraziando di tutto cuore chi continua a seguirmi ^_^
Vi adoro!
A presto!
Sara
7. Something explodes
Sometimes I feel so weak I just want to explode
Explode and tear this whole town apart
Take a knife and cut this pain from my heart
Find somebody itching for something to start
(The promised land – Bruce Springsteen)
La stanza fu illuminata improvvisamente dall’accensione di una
lampada azzurra. Le lenzuola frusciarono, ma la figura esile di Bill
Kaulitz si accartocciò ulteriormente su se stessa, restando
ostinatamente di spalle.
“Andiamo, Bill.” Mormorò con delicatezza la voce di
Michael, mentre con una mano gli sfiorava appena il braccio. Lui si
scostò dal suo tocco.
“Non fare così.” Insisté il pittore, sempre
dolcemente. “Non posso credere che stiamo avendo la nostra prima
discussione per una stupidaggine del genere…”
“Non è una stupidaggine!” Reagì a quel punto
Bill, restando però voltato. “Tu parti e io devo saperlo
all’ultimo momento!”
“Mi dispiace, te l’ho detto! Mi ero dimenticato!”
Replicò rammaricato Michael. “Anne ha dovuto chiamarmi
stamattina per ricordarmi di fare le valigie…”
“E io ho dovuto vedere le valigie per sapere che partivi!” Protestò ancora il cantante.
“Mi rendo conto di aver sbagliato, ma sono fatto così,
dimentico le date, le ricorrenze, le feste e i compleanni… Come
posso fare a farmi perdonare da te?”
Trascorse qualche attimo di silenzio. I due ragazzi erano vicini, nel
letto, potevano sentire il calore della pelle uno dell’altro.
“Credevo avessimo fatto la pace, poco fa.” Osò
Michael, allungando di nuovo la mano sul braccio di Bill e facendola
scivolare in una leggera carezza.
“Non pensare di comprarmi col sesso.” Ribatté acido
l’altro. “È un brutto periodo per me, ne avevo
bisogno.”
“Non è bello sapere di essere solo lo scaccia pensieri di
Bill Kaulitz…” Affermò serio l’artista.
A quelle parole, Bill si girò un po’ verso di lui,
stendendo appena le spalle. Michael lo fissava tranquillo, non
arrabbiato o triste.
“Non… non è così.” Mormorò
Bill, serio come Michael non lo aveva mai visto. “Non è
una storia di solo sesso, sarebbe già finita… Io provo
qualcosa per te, sto bene con te.”
Il pittore sorrise e gli carezzò la fronte “Oh, beh, meno
male, perché…” Disse poi, prima di piegarsi a
baciargli la spalla. “…potrei seriamente innamorarmi di
te.”
Bill arricciò le labbra nel palese tentativo di trattenere un
sorriso esultante, quindi nascose di nuovo il viso nel cuscino.
“Sei ancora arrabbiato con me?” Sussurrò allora Michael contro la sua pelle.
“Come faccio, se mi dici certe cose?” Sbuffò Bill.
“Dai, voltati e fammi uno dei tuoi meravigliosi sorrisi.”
Gli ordinò quindi l’artista, spronandolo a girarsi con una
presa dolce. Bill lo accontentò e si baciarono.
“Però sono ancora un po’ incavolato, perché
tu parti e io litigherò con Tom!” Sbottò il
cantante, sempre avvinghiato al collo del pittore.
“Non è obbligatorio litigare con tuo fratello.” Ribatté Michael.
“Certo che lo è! Quando mi annoio, litigo sempre con Tom!” Dichiarò risoluto Bill.
“Bill, sto via solo fino a venerdì e possiamo sentirci senza problemi…”
“Non mi piace particolarmente il sesso telefonico.” Lo interruppe lui, alzando gli occhi al cielo.
“Non ho mai parlato di sesso telefonico!” Bill alzò
allusivamente il sopracciglio. “Oh, ma sei proprio un
porcellino!” Aggiunse Michael ridendo. Risero insieme.
“Sai, a parte tutto… spero che la mostra vada bene,
davvero.” Ammise Bill, quando si ritrovarono abbracciati a
fissare il soffitto.
“Grazie.” Soffiò il pittore, prima di baciargli la
tempia. “Ti prometto che quando torno ci prendiamo qualche giorno
solo per noi, il fine settimana, ti porto in un posto dove non ci
troverà nessuno e potremo girare tutto il giorno nudi e
lascivi.”
“Ohhh…” Commentò Bill con
un’espressione più che interessata. “Sei un tesoro,
mi mancherai.” Aggiunse con sincerità.
“Usiamo bene il tempo che ci resta…” Ribatté
Michael, stringendolo a se e baciandogli il collo. Bill rise e quello
era il segnale che il divertimento iniziava.
Michael partì la mattina dopo per San Francisco, lo aspettava
una mostra personale molto importante che doveva confermarlo uno dei
migliori giovani artisti della costa occidentale.
Ma per Bill significò solo l’inizio di una settimana di
purgatorio, perché senza Michael era costretto ad una convivenza
forzata con suo fratello e la sua trasformazione in un essere grugnante
che viveva di birra e tornava ad ore impensabili.
Era una di quelle serate impossibili. A cena, Tom aveva a malapena
spiccicato parola, in più c’era stata la pizza gommosa e
la Cola calda. Ora Bill era sprofondato sul divano, con intorno almeno
tre cani e decine di cuscini.
Tom scese dal piano di sopra, era ben vestito e fresco di doccia:
significava che stava per uscire. Al gemello salì subito il
nervoso.
“Esci?” Chiese stizzoso.
“Sì.” Si limitò a rispondere l’altro, mentre cercava qualcosa sul mobile dello stereo.
“Devi proprio? Per una sera potresti anche stare con me, ci
vediamo un film, lo sai che sono solo in questi giorni…”
“Non ho voglia di fare il sostituto del tuo artista del culo.” Replicò secco Tom, mettendosi in tasca le chiavi della macchina.
Quelle parole sottolineate, però, fecero balzare la mosca al
naso di Bill, che si raddrizzò di scatto sul divano, facendo
scappare i cani accucciati accanto a lui.
“Sei una bestia, Tom!” Sbottò, mentre sbatteva la
rivista che aveva in grembo sul tavolino. “Non hai rispetto per
niente e odio quando hai questi tuoi periodi birra e fica!”
“Senti, sono più che maggiorenne e faccio quello che cazzo
mi pare!” Esclamò Tom, avvicinandosi minacciosamente al
divano.
“Non credere di farmi paura!” Ribatté Bill,
alzandosi in tutta la sua altezza. “Sei uno stronzo, un
vigliacco, non ammetti nemmeno di stare male a causa di Eve!”
“Non parlare di lei!” Ringhiò Tom.
“Ne parlo eccome!” Dichiarò l’altro,
gesticolando. “Non hai avuto il coraggio di riprovare a parlarle
e, quelle rare volte che sei a casa e vagamente sobrio, non fai che
ascoltare quelle canzoni tristissime dei cd che lei ha lasciato
qui!”
“Non hai nessun diritto di dirmi cosa devo fare!” Gli
urlò in faccia il fratello. “Neanche tu, gran guru del
cazzo, hai fatto un bel niente per aiutarmi! Ti sei rifugiato nella tua
storiella d’amore, a farti consolare da Michael, mentre io stavo
male!”
Le ultime parole di Tom scossero Bill. Perse subito
l’atteggiamento bellicoso e abbassò le braccia,
sospirando. Parlare o tenere tutto per se? Ma sapeva di essere incapace
di mentire a Tom.
“Sono stato da lei.” Mormorò, dopo aver abbassato gli occhi. “Ho provato a parlarci, ma…”
“Cosa?” Soffiò rabbioso Tom.
Si ritrovarono a guardarsi negli occhi. Lo sguardo timoroso e quasi
colpevole di Bill, in quello feroce e offeso di Tom. Il chitarrista non
riusciva a credere che suo fratello avesse fatto una cosa del genere
senza dirglielo e senza consultarlo. Era un suo affare personale!
“Vaffanculo.” Sputò infine, prima di girare i tacchi
e avviarsi verso l’uscita di casa. Bill sospirò, si morse
il labbro inferiore e si lasciò cadere sul divano, mentre la
porta sbatteva.
Non passarono nemmeno cinque minuti che il cellulare di Bill si mise a
squillare. Sperando che fosse Tom, il ragazzo lo afferrò di
scatto, ma visto il nome sul display tornò mogio.
“Ciao, Naty…” Rispose mesto.
“Ciao piccolino!” Replicò la voce allegra di
Natalie, ma poi fece una pausa. “Come mai questa voce
moscia?” Gli chiese quindi.
“Hm, niente… Ho litigato con Tom…” Mormorò Bill, vago.
“Oh, e per quale motivo?” Domandò tranquilla la truccatrice.
Bill sbuffò, non aveva molta voglia di parlare di quella storia,
tenuti in considerazione anche i rapporti di Natalie con Tom, ma
soprattutto con Eve. Però parlarne con qualcuno era sempre
meglio che starsene zitto a litigare col proprio cervello.
“È una storia lunga, ma… insomma, Eve si è licenziata.” Spiegò infine, molto succinto.
“Ah.” Fu la prima risposta di Natalie.
Seguì un lungo momento di silenzio, in cui Bill fu tentato di
urlare nella cornetta per sapere se la sua amica era ancora in linea,
ma alla fine Natalie tornò a parlare.
“Non stare lì a tormentarti, non poteva durare, quella
ragazza era troppo diversa da voi, con tutte quelle sue idee bislacche,
è ovvio che non abbia retto.” Sentenziò la
truccatrice.
“Perché ne parli al passato? Guarda che è viva ed
è una mia amica.” Replicò Bill con la fronte
aggrottata.
“Sì, Bill, perché tu sei così buono e dolce
e ti affezioni alle persone, ma i tuoi veri amici sono altri.”
Ribatté Natalie, non conscia che il nervoso di Bill stava
tornando a livelli di guardia, dopo il litigio con Tom. “Chi ti
vuole veramente bene…”
“Smettila!” La interruppe lui, sobbalzando sul divano.
“Stavo solo cercando di dirti…” Tentò lei.
“Di dirmi cosa? Che sei la mia sola vera amica? L’unica che
mi vuole davvero bene?” L’argine orami era rotto. “Ma
se non vedevi l’ora che Eve si togliesse dai piedi, ti è
sempre stata sulle palle e non provare a negarlo! Ora sono di nuovo
tutto per te, sei contenta?!”
“Bill, sei fuori di te.” Affermò sostenuta Natalie.
“Sei lì che gongoli, perché ora puoi dimostrare che
posso fidarmi solo di te!” Continuò lui, ignorando le sue
parole.
“Certo che è così!” Sbottò la donna.
“Io te lo avevo detto e come sempre finisce che ho ragione! Ti
sei fidato di qualcuno che non lo meritava… Anzi, vi siete
fidati ed ora avete il cuore in pezzi!”
“Non ho voglia di stare ad ascoltare le tue
lezioncine…” Commentò acido il ragazzo, mentre si
accendeva nervosamente l’ennesima sigaretta.
“No, infatti, non mi sembri dell’umore di ascoltare niente
stasera.” Rispose sgarbata Natalie. “Forse è meglio
se te ne vai a letto.”
“Faccio quello che mi pare!” Esclamò lui. “Nemmeno mia madre mi ha mai mandato a letto!”
“Forse avrebbe dovuto farlo di più.” Pontificò la truccatrice.
“Vaffanculo, Naty!”
“Buonanotte, Bill!”
Ed entrambi chiusero la chiamata praticamente all’unisono. Bill,
quindi, gettò il cellulare sul tavolino davanti a se e si
lasciò andare contro la spalliera sospirando. Che serata di
merda!
Pochi istanti dopo un basso ringhio nervoso annunciò il balzo di
Bill dal divano. Quando attraversò il salotto a passo di carica,
i cani si rifugiarono nelle loro cucce, evitando accuratamente
d’intralciarlo. Lui, pantaloni del pigiama e piedi nudi, si
diresse deciso verso la dispensa.
Entrò nella stanza adiacente alla cucina mentre sopra di lui il
neon si accendeva con un riverbero freddo. Davanti al ragazzo scaffali
ricolmi di ogni tipo di cibo secco: biscotti, snack, merendine –
che Eve odiava – cereali e patatine, ma il suo obiettivo era un
altro. Raggiunse il fondo della stanza rettangolare e vide
l’oggetto bianco laccato che voleva raggiungere.
Bill si fermò davanti al freezer con gli occhi rilucenti di una
brillantezza malvagia. Niente lo avrebbe fermato. Spalancò il
coperchio e cominciò sistematicamente a togliere i pacchi di
surgelati che lo separavano dall’agognato premio.
“Ah, lo sapevo!” Esclamò infine, trionfante, con
ancora una scatola di piselli in mano. “Sapevo che quella stronza
me lo aveva nascosto!”
Afferrò vittorioso la grossa vaschetta di gelato sollevandola
con entrambe le mani. Intorno a lui un cimitero di verdure e crostacei
che cominciavano già ad essere aggrediti dalla temperatura
dell’ambiente. Ributtò dentro completamente a caso quel
che aveva tolto e tornò in cucina.
Aprì il cassetto degli utensili e prese una grossa spatola da
servizio, decidendo che avrebbe mangiato il gelato con quella.
“Alla faccia di tutte le donne stronze di cui sono
circondato!” Proclamò marziale, prima di tornarsene sul
divano.
Meno di un’ora dopo il gelato era quasi finito e Bill piangeva a
dirotto davanti ad un film romantico e triste a livelli diabetici che
andava sul megaschermo. Il telefono squillò e lui rispose
tirando su col naso, non guardò il display: stava cercando la
scatola dei kleenex.
“Pronto.” Mormorò liquido.
“Bill, stai piangendo?” Domandò una nota voce preoccupata.
“Michael!” Esclamò il cantante. “Oddio, quanto mi manchi!” Aggiunse melodrammatico.
“Mi manchi anche tu, dolcezza, ma non c’è bisogno di
piangere!” Replicò allegramente l’artista.
“È colpa di questo film di merda!” Sberciò
Bill, gettando via la scatola vuota dei fazzoletti. “Ed ho
litigato con Tom…” Sussurrò poi.
“Bill…” Soffiò Michael, con tono di rimprovero.
“Lo so! Lo so, ti avevo promesso che non ci avrei
litigato!” Squittì l’altro. “Ma è stata
colpa sua, mi ha provocato, ha detto cose orrende su me e te e mi ha
fatto incazzare tantissimo!”
“Lui sta male, Bill.” Replicò calmo il pittore.
“Anche io!” Ribatté subito lui. “Te
l’avevo detto che finiva così.” Aggiunse
piagnucolante.
“Sei testone, però.” Lo rimproverò ancora Michael.
“È una serata di merda, ormai! Ho litigato anche con
Natalie e con il frigorifero!” Dichiarò arreso Bill, ma
sempre con la sua verve.
“Con il frigorifero?” Chiese perplesso Michael, con una certa ilarità nella voce.
“Quella stronza di Eve mi aveva nascosto il gelato, ho dovuto
scavare nel freezer!” Rispose il cantante. Il pittore
scoppiò a ridere. “Cosa c’è di
divertente?” Fece Bill con tono offeso.
“Tu non ti rendi conto di quanto sei buffo!” Esclamò Michael.
“Non c’è proprio niente da ridere, è una
tragedia!” Affermò indignato l’altro. “E tu
sei a centinaia di chilometri con tua moglie!”
“Non sarai geloso?” Domandò l’artista con maliziosa curiosità.
“Io?!” Ribatté immediato il cantante.
“Scommetto che lei non ti ha mai fatto quello che ti faccio
io…” Aggiunse sensuale.
“Non puoi saperlo.” Gli ricordò Michael, con tono ilare.
“Non voglio!” Esclamò Bill, facendolo ridere.
“Cambiamo argomento…” Propose poi. “Deve sei?
Sei solo?” Chiese morbido.
“Sì, sono in camera mia, ho appena fatto la doccia…” Rispose l’altro.
“Ahhh…” Soggiunse interessato Bill. “E cosa hai addosso?”
“L’accappatoio… Perché?”
“Adoro gli accappatoi degli alberghi, sono lascivi.”
Affermò il cantante, ignorando la domanda. “Specie se la
pelle sotto è ancora umida e calda…”
Il tono con cui pronunciò le ultime parole avrebbe potuto
squagliare tutti gli iceberg della Groenlandia. Michael sentì il
calore avvampargli il viso e anche parti più basse…
“Vorrei essere lì, salire sopra di te e cominciare ad
aprirti piano l’accappatoio…” Continuò Bill,
con voce roca e suadente.
“Voglio sperare che tu non abbia addosso niente.” Lo
incentivò Michael, cui cominciava a piacere il gioco. Lui
ridacchiò pestifero.
“Forse… O forse sono completamente vestito, magari di
pelle, per farti soffrire di più.” Infierì il
cantante, con lussuriosa cattiveria.
“Sei crudele!” Proclamò il pittore, con una risatina liquida.
“E tu, come sei?” Gli domandò l’altro in un soffio sensuale.
“Eccitato.”
“E’ proprio quello che volevo.” Dichiarò
soddisfatto Bill. “Vediamo di finire questa serata meglio di come
è cominciata…”
******
Michael era finalmente tornato a Los Angeles. Appena sceso
dall’aereo aveva chiamato Bill e meno di un’ora dopo
sarebbero stati insieme; nessun ritorno avrebbe potuto essere migliore.
Infilò con la macchina il vialetto che conduceva a casa sua, era
già sera ma non ancora buio. Il cancello era aperto ma lui
rallentò lo stesso; ricordava che il dispositivo elettrico per
l’apertura e la telecamera avrebbero dovuto essere installati
mentre lui mancava. Non era stupito di trovare aperto, del resto non ci
sarebbe stato modo di avere il telecomando prima di tornare,
però era del tutto certo che Anne gli avesse detto che avrebbe
trovato la telecamera montata, ma non ne vedeva traccia.
Afferrò il cellulare e richiamò il numero della propria
manager, mentre andava a parcheggiare sotto la tettoia. Il lampione ad
ombrello era già acceso.
“Dimmi, tesoro!” Rispose allegra Anne.
“Annie, mi sbaglio o dovevano montare la telecamera del cancello
ieri?” Le chiese sbrigativo Michael; aveva fretta di andare a
prepararsi per Bill.
“Sì, perché, non lo hanno fatto?” Rispose la donna.
“A quanto pare no.” Replicò lui, mentre cercava le chiavi di casa nella sua grande borsa.
“Senti, qui a casa non ho il numero del direttore dei lavori, ma
domattina appena arrivo in ufficio lo chiamo subito.”
Affermò Anne. “Per stasera stai tranquillo, basta che
chiudi il cancello a mano.”
“Beh… Non posso farlo, aspetto Bill.” Ribatté Michael, titubante ma chiaramente felice.
“Ohhh… Allora lascia aperto e divertiti!” Esclamò subito lei.
“Va bene, ma domattina fammi sapere.”
“Ok, chiamo subito e poi t’informo.” Gli
assicurò la donna. “Ah… Mi fa piacere che non sei
da solo.” Aggiunse dolcemente.
“Sei un tesoro, ti amo.” Le rispose il pittore.
“Ti amo anch’io, a domani!” Lo salutò Anne, dall’altro capo del telefono.
Chiusa la telefonata, Michael era ormai nell’ingresso, davanti
alla porta di vetri colorati. Posò il borsone a terra ed
aprì. Una volta dentro ripose il cellulare in tasca, accese le
luci e si diresse verso la cucina.
Arrivato a metà strada, però, qualcosa attirò la
sua attenzione. Deviò il percorso, avvicinandosi al ritratto di
Bill. Aveva lavorato al dipinto prima di partire ed era abbastanza
avanti col lavoro. Non vedeva l’ora di finirlo e regalarlo al
cantante.
La grande tela era posizionata alla sua sinistra. La raggiunse e si
fermò davanti, con un’espressione sorpresa e incredula.
All’altezza del viso di Bill la tela era rotta e squarciata in
più punti ed il tessuto ciondolava sfilacciato.
Michael, con un sospiro triste, allungò la mano e cercò
di sollevare il lembo su cui era dipinto uno degli occhi. Dio, ma che
diavolo era successo?
“Il tuo piccolo Bill ha avuto una brutta serata.”
Affermò una voce alle sue spalle. Michael si girò di
scatto, trovandosi davanti un volto ben conosciuto.
“Johnathan… Che diavolo ci fai qui?” Domandò sconvolto.
L’altro fece un paio di passi di lato, mettendosi quasi davanti
al pittore, poi si grattò il mento e tornò a
fronteggiarlo. Sembrava del tutto tranquillo.
“Negli ultimi quattro giorni ho vissuto qui.”
Dichiarò, come se fosse normale, allargando le braccia.
“Il tuo letto è sempre molto comodo.” Aggiunse,
stavolta fissando Michael negli occhi.
Il pittore sentì il proprio cuore accelerare i battiti ed il
respiro farsi più difficoltoso. La freddezza del suo
interlocutore lo stava allarmando.
Johnathan, nel frattempo, si era avvicinato al quadro e anche a lui, ma
la sua attenzione sembrava rivolta al dipinto. Osservava attento il
danno.
“Non credi che stia meglio così?” Domandò
quindi, prima di tornare a guardare Michael. “Il suo viso
è troppo perfetto…”
“Johnathan, ti… ti sei stabilito qui?” Chiese Michael, dopo aver deglutito.
“Oh, sì.” Annuì l’altro, cominciando a
camminare piano, praticamente intorno all’artista. “Del
resto, ho praticamente vissuto qui per due anni.”
“Come hai fatto a…”
“Oh, quanto sei ingenuo!” Esclamò il ragazzo,
interrompendolo, poi lo trapassò con uno sguardo di ghiaccio.
“Ti avevo detto che avrei potuto avere una copia delle chiavi,
avresti dovuto cambiare le serrature, Mickey caro.” Michael,
sempre più intimorito, fece un passo indietro, urtando il
tavolino dei colori. “È stato anche piuttosto facile
convincere gli operai che non c’era la tua autorizzazione al
montaggio della telecamera e dell’allarme, del resto… so
tutto di te.”
“Si può sapere che cosa vuoi da me?” Si decise a
chiedere infine l’artista, mentre continuava a fissare attento
ogni mossa di Johnathan.
“Non voglio niente da te, Michael.” Rispose tranquillissimo l’altro. “Io voglio te.”
“Pensavo di essere stato chiaro, ma a quanto pare…”
Tentò il pittore, sempre controllando la situazione.
“Tu non hai capito niente, Michael!” Sbottò
Johnathan. “Io ti amo! Amo te e la tua arte, comprendo la tua
anima!” Continuò toccandosi con forza il petto. “Ti
ho dedicato due anni della mia vita! Ti ho aiutato, ti sono stato
vicino, ti ho servito, ti ho dato letteralmente
il culo!” La sua veemenza andava aumentando, poi prese un altro
lembo del quadro e lo strappò fin quasi alla base. “Ed
è bastato che arrivasse il piccolo Bill, con i suoi occhioni ed
il suo sederino sculettante e tu… Tu mi hai buttato via,
Michael!”
“Io sono stato sincero fin da subito con te, non ho mai approfittato…”
“Stai zitto!” Gli ordinò lui, puntandogli contro il
dito. “Cosa ha lui più di me? È anche tedesco,
Michael, e tu sei ebreo.”
“Johnathan, per favore…” Provò ancora una volta il pittore.
Michael era abbastanza intelligente e ne aveva passate abbastanza, da
capire che la situazione si stava facendo preoccupante. Farlo ragionare
sembrava fuori discussione; forse, se fosse riuscito ad allontanarsi
abbastanza, avrebbe potuto chiamare qualcuno.
“No, Michael! Noi siamo fatti per stare insieme.” Riprese
Johnathan, con atteggiamento sempre più minaccioso. “Lui
non è nessuno, Mickey. Nient’altro che una faccetta carina
da mettere sopra un disco, una macchinetta per fare soldi, il pupazzo
di una casa discografica, non sa nemmeno cantare… Lui non sa che
cosa sia l’arte come la viviamo noi due…”
“Johnathan, ti giuro che hai tutta la mia gratitudine per quello
che hai fatto per me.” Michael riuscì finalmente ad
intervenire. “Ma non ti ho mai detto che ti amavo, non ti ho mai
promesso niente, chiesto niente, non avevo idea che tu potessi reagire
in questo modo…”
“E se lo avessi saputo, cosa avresti fatto?”
L’interrogò l’altro, con lo sguardo duro di una
maestra cattiva, però non aspettò la risposta e
tornò a guardare il quadro. “Due anni insieme e non mi hai
mai fatto un ritratto, nemmeno uno schizzo, mentre lui si merita
questo… Cos’è, gratitudine per un sesso fantastico,
ce l’ha così speciale?”
“Bill è… una persona meravigliosa…” Mormorò Michael.
Johnathan si girò verso di lui con uno sguardo glaciale, poi
tirò fuori dalla tasca qualcosa che si rivelò essere un
coltello a serramanico. Gli occhi di Michael si sgranarono ed il cuore
gli esplose in petto. Il pericolo, ora, era reale.
“Risposta sbagliata, Michael.” Sibilò il suo interlocutore.
“Non fare sciocchezze, Johnathan.” Lo supplicò il
pittore, con gli occhi sul coltello. “In questo momento non stai
bene.” Aggiunse, facendo qualche passo indietro, mentre cercava
di prendere il telefono dalla tasca. “Forse è meglio se ne
parliamo con calma, domani… Ci vediamo, pranziamo
insieme…” Continuò, premendo il tasto di sblocco
del cellulare. “Non mi sembri nelle condizioni di ragionarci con
lucidità e potresti pentirti…”
“Che stai facendo, Michael?” Chiese però lui,
ignorando il suo discorso. “Stai provando a chiamare la polizia?
Eh?” Il pittore non abbassò gli occhi sul telefono, ma le
mani gli tremavano. “Dammi quel cellulare.”
Michael strinse la presa e decise per l’unica via che gli
sembrava giusta: scappare. Diede le spalle a Johnathan e corse verso
l’uscita.
Il ragazzo, con un grido, lo inseguì. Michael non fece in tempo
ad aprire la porta a vetri: un colpo ce lo spinse contro, spaccando
alcuni frammenti colorati. Quella non era più solo una
discussione.
Bill non era esattamente di buon umore, mentre percorreva la strada che
lo avrebbe portato da Michael. Prima di uscire aveva di nuovo discusso
con Tom e quindi non vedeva l’ora di passare la serata con il
pittore, senza pensieri.
Parcheggiò la macchina accanto alla sua; il giardino era buio,
non fosse stato per il lampione ad ombrello. Bill raggiunse
l’entrata quasi saltellando.
Fece per suonare il campanello, ma si accorse che la porta di metallo
era leggermente scostata. Sorrise tra se, forse Michael lo aspettava.
Entrò e si accorse subito che oltre la porta a vetri non
c’erano luci accese. Non amava particolarmente le sorprese, ma la
cosa poteva diventare stimolante. Alzò il sopracciglio
maliziosamente e superò il passaggio. Solo il riflesso azzurrino
della luna attraverso il lucernario rischiarava il grande spazio di
fronte a lui.
Appena entrato calpestò qualcosa che scricchiolò sotto la
suola della sua scarpa. Era un pezzo di vetro. Vetro verde caduto
dall’intelaiatura della porta. Bill lo fissò perplesso.
“Michael.” Chiamò allora, nessuna risposta.
“Andiamo, Michael, non mi piacciono le sorprese!”
Insisté, facendo qualche passo dentro lo studio e calpestando
altro vetro.
Bill si guardò intorno preoccupato, poi si ricordò che
gli interruttori della luce erano sulla parete alla destra della porta.
Si avvicinò fiducioso ma quando alzò le alette nessuna
luce si accese. Riprovò un paio di volte, ma non successe
niente. Sospirò scoraggiato.
“Michael!” Chiamò ancora. “Non mi sto divertendo per niente!” La sua voce suonava stridula.
Si avviò lungo il corridoio tra le grandi tele, accorgendosi ben
presto di uno strano disordine, diverso dal solito caos creativo di
Michael. Ma fu quando si trovò davanti il suo ritratto strappato
che Bill rimase pietrificato. Era chiaro, ormai, che fosse successo
qualcosa. Si guardò di nuovo intorno, smarrito. Dov’era
Michael?
“Michael, rispondimi! Sto cominciando ad avere paura!” Esclamò con tono tremante.
“Credo che dovresti.” Gli rispose una voce.
Bill si voltò velocemente e spalancò gli occhi. Qualche
metro davanti a se vide Johnathan, lo sguardo gelido, la maglietta
sporca di… Oddio, sembrava sangue!
“Ciao, Bill.” Mormorò il ragazzo, con espressione
impassibile. La sua freddezza, però, nascondeva una minaccia che
Bill aveva intuito immediatamente.
Il cantante aveva imparato presto a riconoscere il pericolo, a
sfidarlo, a combattere. Non perse la calma, sapeva bene che per
sopravvivere bisogna lottare. Senza perdere tempo afferrò con
tutta la forza la grande tela che aveva di fianco e la fece cadere
addosso a Johnathan, che, colto di sorpresa, crollò a terra
travolgendo alcuni cavalletti ed il tavolino coi colori.
Bill corse via. Doveva trovare Michael, chiamare la polizia, scappare…
Si rifugiò in cucina, dove il tavolo e le sedie erano
rovesciati; si appoggiò al muro di cubi di vetro, quando
sentì movimento nella stanza affianco. Alzò gli occhi,
per guardarsi intorno, alla ricerca di Michael, ma non c’era
nessuna traccia, tranne l’impronta scura di una mano sul muro
bianco che portava alle scale. Dio… Dio… era
sangue… era sicuramente sangue…
“Piccolo Bill, dove sei?” Chiamava nel frattempo la voce
inquietante di Johnathan. “Ti nascondi da bravo coniglio,
vero?”
Bill respirava profondamente, il cuore impazzito di paura e
preoccupazione per la sorte di Michael, la testa appoggiata contro il
vetro freddo della parete.
“Vieni fuori, Bill, tanto ti trovo…” Minacciò ancora il suo inseguitore, mentre entrava in cucina.
Bill lo vide bene, grazie alla luce proveniente dalla finestra che
stava proprio davanti alla porta. Abbassò gli occhi e
individuò il bricco di vetro della caffettiera, gli bastava
allungare un braccio per prenderlo. Lo fece. Non aspettò che
Johnathan si voltasse e lo vedesse: si lanciò contro di lui e lo
colpì alla base del collo.
L’avversario, però, non crollò come lui aveva
pensato. La scena sarebbe stata comica, senza tutto quel sangue, il
coltello e le minacce.
Ci fu un attimo al rallentatore. John alzò gli occhi su di lui,
lo fissò freddamente. Bill esitò un secondo, poi si
scansò di lato e scattò verso le scale. L’altro gli
fu subito dietro.
“Michael!” Chiamò disperatamente il cantante.
“Vieni qui, piccolo bastardo!” Urlò John,
acchiappandolo per una gamba; poi gli sferrò un fendente col
coltello al fianco sinistro.
Bill gridò e cadde, imprecando in tedesco. Si girò tenendosi la ferita, che bruciava come il fuoco.
“Ti diverti a farmi perdere tempo, eh?” Fece Johnathan,
mentre lo sovrastava, in piedi col coltello in mano. “Dì
la verità, non è divertente come quando giochi con Mickey
all’ufficiale nazista che fotte lo schiavetto ebreo, vero?”
Affermò poi, con un sorriso crudele.
“Fick dich.” Sibilò Bill fissandolo negli occhi con espressione di sfida.
“Gli piace quando dai ordini in quella tua lingua di
merda?” Continuò Johnathan, sempre più minaccioso.
“O preferisce quando gli dai il culo?”
“Stronzo.” Sputò il ragazzo, senza abbassare gli
occhi. Se fosse morto stanotte, l’avrebbe fatto senza chinare la
testa.
“Abbastanza.” Replicò lui con un ghigno crudele.
“Quindi adesso penso a te.” Aggiunse, mentre alzava la mano
in cui teneva il coltello.
“Bill!” Gridò però una voce, poi qualcosa o qualcuno travolse Johnathan, togliendoglielo di sopra.
Bill si sollevò e seguì con gli occhi Michael e Johnathan
che lottavano sulle scale. Il pittore sembrava avere la peggio,
probabilmente era ferito.
Il cantante si alzò, nonostante il dolore e, quando fu in piedi,
si accorse che non era poi così terribile. E doveva aiutare
Michael.
“Lascialo stare!” Esclamò, gettandosi sui due.
Un colpo, però, lo prese alla tempia, gettandolo contro la
ringhiera delle scale. Sbatté la testa sul corrimano e
crollò di lato. La sua coscienza svanì sotto un velo nero.
CONTINUA
Note:
magari non ve ne frega niente e perdo solo tempo, ma alle canzoni che uso ci tengo e quindi, ecco a voi al solita traduzione:
A volte mi sento così fragile che vorrei solo esplodere
Esplodere e fare a pezzi quest'intera città
Prendere un coltello e tagliare questo dolore dal mio cuore
Trovare qualcuno che abbia voglia di cominciare qualcosa
Naturalmente non me ne viene niente e la canzone appartiene solo al genio di Bruce Springsteen.
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Capitolo 8 *** 8 - In this tonight ***
across
Capitolo
lunghissimo, ma calvario infinito… Io mi rendo conto di essere
ingiustificabile ad aver lasciato passare tanto tempo, però le
vicissitudini sono state tante. Prima un periodo prolungato di mancata
ispirazione, poi il mio hard disk esterno ha pensato bene di morire
portando con se mezzo capitolo che ho dovuto riscrivere completamente,
poi nuovo lavoro…
Insomma,
ci son voluti mesi. Giuro che quando ho finito, mi sono commossa. Ora
posso solo chiedervi scusa e sperare che non vi faccia troppo schifo.
Io non ne sono molto soddisfatta…
Ad ogni modo, è quello che ho potuto fare.
Ci sarà un breve epilogo, che cercherò di scrivere in tempi umani, promesso.
Il
titolo del capitolo è volutamente un po’ sgrammaticato, ma
secondo me rende bene il concetto e poi… mi piace così,
oh!
Le
canzoni usate sono di proprietà di Bruce Springsteen. E lui
è un profeta e io lo venero infinitamente. Quindi non sono usate
con scopo di lucro XD
Vi lascio alla lettura e mi raccomando, anche se vi fa schifissimo, commentate…
Un bacio e grazie per la pazienza!
Sara
8. In this tonight
Your voice comes calling through the mist
I awake from a dream and my heart begins to drift
Tonight we're on our own
Tonight we're all alone
Oh-oh, tonight
Someday we'll be together
And the night will fall around us
(Someday [We'll Be Together] – Bruce Springsteen)
La festa sarebbe riuscita
alla perfezione. Doveva riuscire, soprattutto perché lei ed Eve
avevano passato buona parte della giornata a cucinare.
Consuelo osservò il
proprio giardino, che era stato illuminato da tante file di lampadine
colorate. I tavoli erano allegri come piaceva a lei, con le tovaglie di
carta, le pile di piatti e bicchieri, i vassoi pieni di cibo, le
bottiglie di birra. In un angolo trionfava l’enorme barbecue
fumante, su cui Carlos aveva investito buona parte dei suoi ultimi
stipendi e la cui inaugurazione era il motivo della festa.
La ragazza era contenta,
perché adorava essere circondata da luci, colori, musica e buona
birra e dai migliori amici di una vita. Felice, perché
vedeva il suo grande marito allegro e, per una volta, spensierato,
girare bistecche e salsicce, ridendo a gran voce.
Ma la più grande
soddisfazione gliela stava dando Eve. La stava osservando da un
po’ ed aveva un sorrisetto sardonico, mentre la vedeva parlottare
e ridere con uno degli ospiti più considerevoli della serata:
Esteban, un bel moro dal sorriso dolce che era un vecchio amico di
Carlos. Decise di avvicinarsi cautamente.
I due parlavano
amabilmente, guardandosi negli occhi, con gesti che facevano capire che
c’era un flirt in corso. Consuelo alzò soddisfatta le
sopracciglia.
“Sono ottimi questi tacos.” Diceva lui.
“Lo so, li ho fatti
io.” Rispondeva Eve, toccandosi i capelli. Era carina, quella
sera, con una camicetta messicana gialla a fiori e i jeans al polpaccio.
“Davvero? Sei bravissima!” Continuò il ragazzo.
“Grazie…” Fece lei, sbattendo le ciglia.
“Ti va un’altra birra?” Propose Esteban.
“Sì, volentieri.”
“Vado a prenderla io, mi aspetti qui?”
“Non mi muovo.” E continuarono a guardarsi mentre lui si allontanava.
Sorridendo soddisfatta, Eve
tornò a girarsi, ma si trovò di fronte la faccia
compiaciuta della sua migliore amica, sobbalzò sorpresa, ma poi
sorrise.
“È carino Esteban, vero?” Domandò maliziosa Consuelo.
“Molto.” Rispose evasiva Eve. “È dolce e ha dei begli occhi…”
“Oh, sempre sia lodato!” Esclamò l’altra, alzando le mani e gli occhi al cielo.
“Perché
ringrazi Nostro Signore?” L’interrogò perplessa
l’amica, fissandola con la fronte aggrottata.
“Perché finalmente pensi a dei begli occhioni che non siano quei begli occhioni.” Spiegò Lela.
Eve roteò gli occhi
e guardò da un’altra parte. Voleva veramente smettere di
pensare a Tom ed ai suoi occhi commoventi. Chissà se era sulla
buona strada…
“Allora…” Riprese Consuelo. “…uscirai con Esteban?”
“Mi piacerebbe, sì.” Affermò tranquilla Eve, occhieggiando al ragazzo al tavolo delle bevande.
“Evie…”
Mormorò dolcemente l’altra, prendendole la mano.
“…mi fa davvero piacere che stai andando avanti. So che ne
hai passate tante e ti meriti qualcosa di bello.”
“Grazie Lela.” Replicò sincera l’amica. “Non so che farei senza di te…”
In quel momento,
però, il cellulare di Eve squillò nella sua tasca. La
ragazza prese l’apparecchio e guardò il display. Era un
numero sconosciuto. Alzò le sopracciglia stupita.
“Scusa, rispondo.” Disse a Consuelo, prima di allontanarsi di qualche passo. “Pronto?”
“La signorina Eve Chandler?” Rispose una voce femminile dal tono formale.
“Sì, chi parla?” Fece lei.
“È il pronto
soccorso del Cedar Sinai di Malibu…” A quelle parole il
cuore di Eve accelerò: cosa era successo? “La sto
chiamando perché il suo numero è nelle chiamate di
emergenza del signor Bill Kaulitz…”
“Oddio, Bill!”
Esclamò la ragazza, interrompendo la sua interlocutrice.
“Che gli è successo?! Come sta?!” Domandò
poi, allarmata.
“Stia tranquilla, niente di grave, ha avuto un piccolo… incidente, ma è vigile e presente…”
“Dio mio, ma avete
avvertito Tom? Il suo numero dovrebbe essere il primo…”
Riprese Eve, bloccando di nuovo l’altra donna.
“Il signor Kaulitz ha
chiesto ripetutamente di questo Tom, che presumo sia un parente, ma non
siamo riusciti a rintracciarlo, il telefono risulta spento ed al numero
di casa non risponde nessuno.”
“Ah…”
Commentò Eve. “La ringrazio di avermi chiamato, faccia
avvertire Bill che stiamo arrivando, ci vorrà un po’
perché sono fuori zona, ma lo tranquillizzi per
favore…”
Chiusa la chiamata, Eve tornò al tavolo dove era Consuelo, proprio mentre vi tornava anche Esteban con le birre.
“Oddio, grazie
Esteban!” Fece subito la ragazza, ma con tono concitato.
“Però, mi dispiace, ma devo andare via…”
“Come, via?” Intervenne sorpresa Consuelo.
“Bill è in ospedale, non trovano Tom, devo andare subito.” Spiegò lei.
“Un tuo amico?”
S’informò garbatamente il ragazzo, Eve annuì.
“Mi spiace, spero non sia nulla di grave…”
“Lo spero anche
io.” Commentò Eve. “Scusami tanto Esteban, avrei
davvero voluto passare un po’ di tempo con te.” Aggiunse
rammaricata.
“Carlos ha il mio numero.” Affermò lui, collaborativo.
“Tranquillo, glielo chiederò.”
“Allora, aspetto la tua chiamata.” Si sorrisero, poi si salutarono e le due ragazze si diressero in casa.
“Mi accompagni a Santa Monica, Lela?” Domandò Eve all’amica.
“Prendo le chiavi della macchina.” Rispose lei.
“Ok, mi cambio le scarpe e andiamo!” Soggiunse l’altra, sfilandosi le fini infradito dorate.
Il pikup blu di Consuelo si
fermò nel vialetto impeccabile della villa dei Kaulitz a Santa
Monica. Le due ragazze ne scesero quasi contemporaneamente, dirigendosi
all’entrata.
“Come entri, se non hai più le chiavi?” Chiese perplessa Lela.
“Tranquilla.”
La rassicurò Eve, mentre frugava nel vaso di una palma vicino al
portone. “Vedono troppi telefilm americani.” Aggiunse,
tirando fuori una chiave.
“Dio, non dirmi che sono così fessi…”
“C’è
l’allarme da disinserire.” Affermò l’altra,
che aveva appena aperto lo sportellino della tastiera.
“E se hanno cambiato il codice?” Ipotizzò l’amica, che l’aveva raggiunta.
“È impossibile.” Dichiarò ferma Eve.
Era assolutamente sicura
che i gemelli non avrebbero mai potuto cambiare quella sigla
alfanumerica composta dalle iniziali dei propri nomi – e ormai
loro marchio registrato – e dalla loro data di nascita.
Digitò sicura il codice e la luce divenne verde.
Appena aperta la porta, i
cani la stavano già aspettando. Le fecero le feste come non la
vedessero da un anno, facendo persino poco caso all’estranea che
si era portata dietro. Eve si era inginocchiata in mezzo a loro ed i
quattro animali le leccavano il viso uggiolando contenti.
“Oh, i miei piccoli!
Mi siete mancati tanto!” Gli diceva la ragazza, carezzando a
turno ognuno di loro. “Io vi sono mancata?”
“Eve.” La
chiamò Consuelo; lei si girò sorridendo ma con sguardo
interrogativo. “Non credevo ti fossero mancati i cani.”
Affermò l’amica, con un sorriso dolce.
“Scherzi?” Fece
Eve rimettendosi in piedi. “Molto più dei loro
padroni!” Aggiunse, dirigendosi all’interno
dell’abitazione.
Consuelo fece un sorrisetto
amaro, tra se. Sapeva che non era vero, Eve si atteggiava sempre a
cinica, ad una che teneva le distanze, ma lei la conosceva troppo bene
ed aveva letto il terrore nei suoi occhi, quando aveva saputo di Bill.
Eve ci teneva davvero a quei ragazzi tedeschi.
“Sembra che non ci sia nessuno in casa.” Dichiarò quindi Lela, seguendo Eve.
Lei era ferma accanto al
grande tavolo di cristallo e guardava verso la cucina; anche
l’altra ragazza diede un’occhiata: c’era un gran
disordine.
“Già.”
Annuiva Eve, nel frattempo, riprendendo a camminare. “Io vado su.
Controlli, per favore, che i cani abbiano da mangiare e bere? Fuori
dalla porta finestra…”
Eve salì al piano
superiore, evitando accuratamente di guardare verso la sua vecchia
camera da letto. Voleva prendere qualcosa da portare a Bill, se avesse
avuto bisogno di cambiarsi, però… Quando arrivò
all’altezza delle due porte opposte, si diresse in quella di
sinistra.
“Le ciotole sono piene.” Annunciò Consuelo poco dopo, entrando nella stanza con la porta aperta.
Eve era in mezzo alla
camera, vicino alla scrivania, con una mano appoggiata sullo schienale
della sedia di pelle. Sembrava assorta in qualche pensiero malinconico,
guardava il vuoto.
“Evie…” La chiamò piano l’amica. Lei sussultò appena, voltandosi.
“Oh, sei tu.” Commentò sottovoce.
“I cani sono a
posto.” Ripeté Lela, lei annuì.
“Però…” Fece poi la ragazza, guardandosi
intorno. “…credevo ci fosse più disordine,
qui.”
Anche Eve diede
un’occhiata in giro. C’era solo una maglietta spiegazzata
sulla poltrona e un paio di scarpe, evidentemente levate al volo, sul
tappeto.
“È la camera di Tom.” Disse poi, come se spiegasse tutto.
Consuelo aprì la
bocca, come sorpresa o per dire qualcosa, ma poi tacque, tornando ad
osservare la stanza. Era sobria, ordinata, nell’aria un vago
odore di sigarette. Ora vedeva una chitarra acustica appoggiata alla
scrivania, accanto ad Eve.
“Lui, a volte, di
pomeriggio, si siede qui…” Dicendo questo, Eve
sfiorò ancora la sedia girevole di pelle nera dal grande
schienale. “…e ascolta le incisioni o qualche disco che
gli piace. Io mi mettevo dietro e gli massaggiavo il collo… Gli
piace.”
“Non ti fa bene, essere tornata qui ora, Evie.” Affermò preoccupata l’amica.
“Oh,
Dio…” Soffiò mesta Eve, poi si riscosse e
tornò verso la porta. “Devo prendere la roba per Bill, non
posso farlo aspettare tanto… Vieni.” E si diressero
insieme alla camera di fronte.
Qui il panorama era
decisamente diverso. Letto sfatto, roba ovunque, scarpe, riviste, borse
da migliaia di dollari. E Scotty che, con la testolina irsuta, le
fissava dal centro del groviglio di coperte.
“Santo cielo!” Esclamò sconvolta Consuelo.
“Manco da quasi due settimane.” Lo giustificò l’altra, mentre entrava nel guardaroba.
“Non oso immaginare cosa fosse quando sei arrivata…”
“L’inferno!” Commentò Eve ridacchiando.
Quando uscì
dall’armadio con in mano la biancheria di Bill, vide Lela accanto
alla grande cassettiera con una cornice in mano. Si avvicinò e
si accorse che era una foto dei gemelli da bambini.
“Sono loro?”
Chiese Lela, Eve annuì. “Erano dei bimbi carini ma non poi
più di tanto… Come hanno fatto a diventare
così?” Chiese poi, indicando un’altra cornice dove
era esposto un autoscatto storto e scemo di Bill e Tom solo pochi anni
prima. Ed erano bellissimi.
“Buoni geni,
penso.” Rispose Eve, mentre accarezzava con gli occhi quelle
immagini. Improvvisamente, le prese il magone e gli occhi si fecero
lucidi.
“Evie, che succede?” Le domandò subito l’amica preoccupata, stringendole il braccio.
“Mi hanno detto che
sta bene.” Esordì concitata l’altra. “E se non
è vero? Se invece gli è successo qualcosa di grave?! Come
faccio io con Tom?!”
“Tesoro,
calmati.” La rassicurò Consuelo. “Intanto devi
trovarlo, poi dovete andare all’ospedale, finché non siete
lì non puoi sapere…”
“Sì, ma tu non
puoi capire! Loro sono così uniti, Tom si spaventerà a
morte e io dovrò mantenere la calma per tutti e due… E se
non ci riesco? Voglio bene a Bill, sono in ansia… E come
reagirà Tom alla mia presenza, dopo quello che gli ho
fatto?”
“Eve,
ascoltami.” Fece Consuelo, seria. “Ce la farai, tu sei
forte, pensa a tutto quello che hai passato nella vita e non ti sei
arresa mai. E poi… gli vuoi ancora bene.” Le disse,
fissandola negli occhi, mentre la teneva per le braccia.
“Lui probabilmente mi odia.” Affermò mesta Eve, abbassando il capo.
“Io non ne sarei
così sicura, ma…” Riprese Lela, facendo un
sorrisetto storto. “…se ti odia, ha ragione.”
“Oh, vaffanculo,
Lela!” Esclamò Eve ridendo, poi l’abbracciò
forte. “Ti voglio bene.”
“Dai, se hai qualche
idea di dove trovare quel figaccione di un crucco, sarà bene che
facciamo presto!” Dichiarò quindi Consuelo, l’altra
annuì e tornarono di sotto.
Il Blue Lagoon era un
locale sulla spiaggia di Santa Monica dove i ragazzi andavano spesso;
un paio di volte anche Eve era andata con loro. Inoltre, al bar,
lavorava un suo vecchio amico delle superiori, cosa che rallegrò
Consuelo quando lo seppe.
“Eccola!”
Gridò Eve, poco dopo che si erano messe ad ispezionare le varie
auto di lusso parcheggiate sul lungomare.
“Evie, ci saranno
migliaia di R8 a Los Angeles, come fai a sapere che è la
sua?” L’interrogò perplessa l’amica.
“Tante macchine
uguali, ma solo una con la targa tedesca!” Spiegò Eve,
dirigendosi di corsa verso il locale. Un SUV rischiò di metterle
sotto, meritandosi maledizioni varie in spagnolo.
All’interno
c’erano quelle tipiche luci soffuse, opache e colorate che Eve
odiava con tutta l’anima. La musica era pessima e troppo alta e
la gente in giro aveva vestiti costosi e pessimi profumi.
Le due ragazze si
avvicinarono al bancone nero, percorso da un tubo di luce blu. Dietro:
scaffali a specchio e lampadari di cristallo a goccia piuttosto
pacchiani.
“Eddy… Eddy Gutierrez!” Chiamò Eve, costretta ad un tono di voce piuttosto alto.
Un ragazzo alto e magro,
dai capelli scuri, si avvicinò alla loro zona mentre maneggiava
uno shaker. Appena le vide sorrise radioso.
“Eve! Che piacere
rivederti!” La salutò allegramente, prima di servire il
cocktail preparato ad un altro cliente. “Dio mio, ma tu sei
Consuelo Barra! Che sorpresa! Adesso vi offro da bere…”
“Eddy,
veramente…” Eve attirò la sua attenzione,
prendendolo per il polso. “Devo parlare con urgenza con Tom
Kaulitz, dimmi che è qui, per favore…” Lo
supplicò.
“Sì, è
di là nel privé, ma…” Rispose incerto lui.
Eve lo lasciò e si diresse verso il luogo indicato. “Il
gorilla la fermerà.” Commento scontento Eddy.
“Nessuno ferma
Eve.” Rispose Lela. “Come stai Eddy?” E da lì
partì una piacevole conversazione.
Eve, nel frattempo, aveva
raggiunto il privé a grandi passi, scansando gente che ballava o
chiacchierava in mezzo al locale. Davanti alla porta di vetro a
specchio c’era un omone di colore vestito di scuro.
“Devo parlare con Tom, mi fai entrare?” Chiese subito Eve, decisa.
“Ti ha invitato
lui?” Ribatté l’uomo, dopo averla sommariamente
osservata. La camicia messicana e il giubbino di jeans della ragazza
non erano certo il tipico abbigliamento per un locale del genere.
“No, ma si tratta di
una questione piuttosto urgente.” Fece lei, cercando di
aggirarlo. “Vedi che se gli dici che sono qui, mi fa entrare
lui.”
“Certo.” Si limitò a dire lui, bloccandole l’entrata.
“Senti, io non mi abbasso a supplicare, ma è veramente una cosa importante, o non gli romperei le scatole, sono una sua amica…”
Non finì la frase,
perché in quell’esatto istante, la porta a specchio si
aprì e ne comparve Tom, pallido come se avesse visto un
fantasma. Evidentemente da dentro, si vedeva l’esterno.
“Eve…” Esalò il ragazzo, fissandola.
“Ciao, Tom…” Rispose lei, abbastanza imbarazzata.
“Cosa… Tu… Che ci fai qui?” Balbettò il chitarrista, senza riuscire ad articolare la frase.
“Devo parlarti un
minuto.” Affermò la ragazza, dopo essersi riscossa; lo
prese per un braccio e lo tirò dentro la stanza.
Fu inevitabile, per lei,
guardarsi intorno. La stanza era scura, illuminata solo da pallide luci
blu e rosse; sul fondo c’era un divano di velluto nero –
pessimo da pulire, fu il suo pensiero fugace – sovrastato da un
tendaggio dello stesso colore che ricadeva in infiniti drappeggi.
Sedute lascivamente sul divano, con abiti piuttosto succinti, tre
bellissime ragazze. Sul tavolo bottiglie di champagne e di birra. Eve
represse uno strano strizzone infastidito allo stomaco.
“Ascolta,
Tom…” Esordì ad occhi bassi, ma lui la
bloccò stringendole il braccio. Lei alzò lo sguardo e si
trovò davanti l’espressione colpevole e disperata di Tom.
“Io…
Loro… Stavamo solo bevendo…” Biascicò lui,
con il chiaro tono di chi cerca di giustificarsi.
Eve trasecolò. Il
suo fastidio doveva essere stato palese nell’espressione, oppure
Tom si sentiva davvero in colpa, in ogni caso era una situazione
assurda. La ragazza sbatté le palpebre.
“Come…”
Tentò, ma poi l’urgenza ebbe il sopravvento, strinse il
braccio di Tom con forza, guardandolo negli occhi. “Credi che
m’importi quello che stavi facendo con queste troie?”
Sbottò, causando repliche offese dalle ragazze, che lei
ignorò. “Bill è in ospedale.” Soffiò
infine.
Tom, in un istante, perse ogni colore. “Co… cosa?” Domandò confuso.
“Ha avuto un
incidente, non è grave, ma è meglio se andiamo.”
Rispose Eve, cercando di essere rassicurante.
“Prendo la
giacca.” Affermò il chitarrista, facendo per dirigersi al
divano, ma quando lasciò il braccio di Eve barcollò
pericolosamente.
La ragazza lo seguì
con lo sguardo preoccupata: lo shock mischiato all’alcool non era
mai una bella condizione. Lui prese la sua felpa e tornò alla
porta, ma il suo colorito era peggiorato.
“Cazzo, Tom, sei verde…” Gli disse Eve, sostenendolo istintivamente per il gomito.
“Sto bene, non
perdiamo tempo…” Ma non fece in tempo a finire la frase
che fu preso da un conato. “Devo vomitare…”
Annunciò, come se non fosse stato chiaro.
“Vieni.” Lo invitò lei, spingendolo velocemente verso i bagni.
Consuelo, nel frattempo,
stava perdendo la speranza di rivederli, mentre loro erano piegati
sulla tazza di un gabinetto di ceramica rossa in un bagno pieno di
piastrelle rosse e oro.
“Hey, questo è
il bagno degli uomini!” Esclamò un tipo, quando vide Eve
infilata a metà in un gabinetto.
“Senti…” Tentò Tom, sollevando il capo dalla tazza.
“Tu stai zitto e
vomita!” Gli ordinò Eve, spingendogli di nuovo giù
la testa. “E tu: vaffanculo!” Aggiunse, rivolta
all’altro avventore.
“E che cazzo!” Fece quello. “Non si può neanche più pisciare in pace!”
Tom si risollevò
poco dopo, lo stomaco libero dal poco che aveva mangiato e dal molto
che aveva bevuto. Si lavò il viso e la bocca e, quando
guardò lo specchio, gli occhi gli si fecero lucidi.
“Ma che gli è
successo, Eve?” Domandò alla ragazza, dopo essersi voltato
verso di lei, con l’acqua che cadeva a bagnargli la maglietta.
Era spaesato e impaurito.
Eve prese due salviette e
gli asciugò il viso, come si fa con i bambini. Anche lei aveva
paura, ma sapeva che doveva essere forte per entrambi.
“Ma niente,
vedrai.” Cercò di rassicurarlo. “Mi hanno detto che
è vigile, starà rompendo le scatole a tutti, lo
conosci…” Tom le prese le mani.
“Giurami che sta
bene.” La implorò, con gli occhi così pieni di
emozioni che se Eve avesse ceduto un momento si sarebbe messa a
piangere come una cretina.
“Dai, certo che
è così!” Sentenziò, fingendosi sicura.
“Però ha bisogno di te, quindi andiamo.” Tom,
leggermente più tranquillo, annuì e la seguì.
Quando Consuelo li vide
arrivare si sentì sollevata, nonostante l’aspetto un
po’ sbattuto di tutti e due. Salutarono velocemente Eddy il
barista ed uscirono fuori.
Il marciapiede era largo,
fortunatamente non troppo affollato e illuminato. L’aria della
sera era fresca e umida per colpa di un lieve vento proveniente dal
mare.
Tom prese un lungo respiro,
sperando che il cambio tra l’aria stantia del locale e quella
brezza salina lo facessero sentire meglio. Ma la testa continua a
vorticargli e lo stomaco a fargli male.
“Tom.” Si
sentì chiamare, mentre scrutava la strada cercando di ricordarsi
dove aveva messo la macchina; abbassò gli occhi e vide Eve.
“Lei è Consuelo.”
Il ragazzo, confuso, spaziò con gli occhi, finché non vide la bassa ragazza latina accanto ad Eve.
“Oh, ciao.” Salutò distratto. “Piacere di conoscerti.”
“Piacere mio.” Rispose lei con un sorriso.
“Mi spiace, ma ho
fretta…” La liquidò velocemente, prima di tornare a
guardare l’altra. “Eve, andiamo.” Disse, quasi
supplichevole.
“Prendo la
borsa.” Dichiarò lei, sporgendosi dentro il finestrino del
pickup di Lela; ne uscì con in mano una piccola borsa tipo
palestra.
“Cosa hai lì?” L’interrogò il chitarrista.
“Un cambio per Bill, se lo tengono in ospedale…”
Qualcosa in quella frase
fece contrarre lo stomaco sia a lei che a Tom; qualcosa che contrastava
con la speranza che stesse abbastanza bene da uscire subito.
Tom non le rispose,
abbassò il capo, prese le chiavi della macchina dalla tasca e si
diresse alla sua auto, parcheggiata qualche metro più in
là.
“No, tu in queste
condizioni non guidi.” Lo bloccò Eve, acchiappandolo per
la felpa. “Dammi le chiavi.” Aggiunse, porgendo la mano.
Tom
s’irrigidì, come faceva sempre quando vedeva offesa la sua
integrità di maschio. Ma c’era qualcosa di fragile, nel
suo cuore in quel momento. Sarebbe bastato pochissimo perché si
spezzasse e non se la sentiva proprio di essere virile. Remissivo, mise
le chiavi nella mano di Eve, affidandosi così completamente a
lei. Che lo capì solo guardandolo negli occhi, e accettò.
“Evie.” La
richiamò Consuelo, lei si girò. “Adesso che
l’ho conosciuto di persona capisco tante cose.” Le
sussurrò, dopo essersi fatta più vicina. “Ed
è anche un brutto momento…” Scherzò poi.
“Ti prego…” Replicò Eve con un sorriso stanco.
“Chiamami, ok?” Fece l’altra, mentre le stringeva con dolcezza il polso.
“Tranquilla.”
Annuì la ragazza. “Grazie di tutto.” Aggiunse poi,
quindi si salutarono baciandosi la guancia ed Eve salì sulla
macchina dove Tom l’aspettava.
Eve salì al posto di
guida e prese un lungo respiro, prima d’inserire le chiavi.
Lanciò un’occhiata a Tom; lui teneva la testa bassa e si
sfiorava con le dita il tatuaggio sulla mano destra, quello che lui e
Bill si erano fatti uguale, il simbolo indelebile del loro legame.
Eve sospirò di nuovo e spinse l’accensione. Tutto si sarebbe aspettata, tranne la musica che partì.
We'll let blood build a bridge over mountains draped in stars
I'll meet you on the ridge between these worlds apart
We've got this moment now to live then it's all just dust and dark
Let's let love give what it gives
Rimase bloccata con la mano
sul cambio e avvertì anche Tom irrigidirsi imbarazzato. Dio, era
la canzone che Consuelo aveva usato per spronarla… Lascia che l’amore dia quello che da…
“Ehm… Io…” Biascicò pateticamente Tom.
“No, ma niente…” Replicò Eve senza senso; poi mise la freccia e partì.
Let's let love give what it gives…
“È carina, la
tua amica.” Esordì timidamente Tom, quando l’assolo
stridente di chitarra che chiudeva il pezzo si spense, lasciando posto
ad una canzone meno impegnativa.
“Già.”
Annuì Eve, con gli occhi sulla strada. “Se non ci fossero
stati lei e suo marito non so cosa avrei fatto, quando è morta
mia madre.”
La sua frase, pesante del
dolore che lei sempre provava ripensando a quegli anni, si
esaurì in uno strano silenzio denso dell’ansia di entrambi.
“Tom, sta bene…” Tentò la ragazza, sapendo a cosa stava pensando lui.
“Giurami che non è morto.” Soffiò lui, dando voce alla sua più grande paura.
“Non dire cazzate!” Esclamò Eve, mentre le si attorcigliava lo stomaco dalla paura.
“Lo sai come sono
negli ospedali!” Replicò Tom stizzito, col tono liquido di
chi sta per piangere. “Quando ti dicono che uno è grave,
probabilmente è già morto!”
“Ma mi hanno detto che sta bene, che è vigile…” Tentò lei.
“Sì,
certo…” Sbuffò scettico il ragazzo. “Se ti
dicono così, forse lo stanno operando al cervello…”
“La vuoi
smettere?!” Sbottò Eve, lanciandogli un’occhiata di
rimprovero. “Non fare così, per favore…” Lo
implorò poi, posando una mano sulla sua.
Tom tirò su col naso e spostò la testa verso il finestrino, ma girò la mano e strinse quella di Eve.
“Ti prego, se fai
così, fai stare male anche me.” Riprese la ragazza
supplicante. Sentì Tom prendere un lungo respiro tremolante e
seppe che si stava trattenendo dallo scoppiare in un pianto dirotto.
“Dai.” Lo
incoraggiò con voce dolce, massaggiandogli il polso. “Tra
poco siamo all’ospedale e quando lo vedrai ti passerà
tutto lo spavento…”
Tom non le rispose,
continuò a guardare fuori dal finestrino e le lasciò la
mano, ben sapendo che le serviva per cambiare marcia. Lei lo
osservò ancora un attimo, poi tornò a dedicarsi alla
strada. Ormai mancava poco, pochi minuti ed avrebbero saputo cosa era
successo a Bill.
Eve e Tom arrivarono
all’ospedale che l’una era passata da poco. Davanti
all’infermiera dell’accettazione – un tipo antipatico
con un’evidente ricrescita di capelli – il ragazzo
sembrò dimenticare l’inglese e si confuse un paio di
volte, ma alla fine riuscirono a sapere che Bill era lì e fu
chiamato il medico di turno.
Il dottore era un giovane
dalle chiare origini indiane e si avvicinò a loro sorridendo. La
sua espressione sembrava rassicurante.
“I parenti del Signor Kaulitz?” Domandò fermandosi davanti ai due.
Tom odiava come gli
americani pronunciavano il suo cognome, trasformando il dittongo Au in
una O stretta, simile alla ö tedesca.
“Kaulitz.” Corresse subito.
Il medico spostò lo sguardo dal ragazzo ad Eve con espressione interrogativa.
“È tedesco.” Precisò la ragazza.
“Ah…” Fece l’uomo.
“Sono il
fru…(*) fratello.” Affermò quindi Tom, inciampando
di nuovo nell’inglese. “Lei è la mia ragazza.”
Aggiunse indicando Eve.
Lei lo guardò
sorpresa, dopo aver avuto un incontrollato tuffo al cuore, ma lui si
limitò a stringersi nelle spalle, troppo occupato con il dottore.
“Ci dica cosa
è successo a Bill, per favore.” Supplicò infatti il
chitarrista. “Ci hanno detto che ha avuto un
incidente…”
“Suo fratello
è stato vittima di un’aggressione in un’abitazione
privata.” Spiegò il medico.
“Un’aggressione?!”
Esclamò Tom incredulo; per tutto il viaggio aveva pensato ad un
incidente con la macchina ed invece… Che diavolo era successo?
“Oddio…”
Mormorò Eve, realizzando all’improvviso cosa poteva essere
capitato. “E dove… Da Michael? Michael Heller?”
Chiese poi, sempre più consapevole.
Il dottore annuì.
“Anche il Signor Heller è stato ferito, ora è in
sala operatoria. Mi spiace, ma non posso dirvi di più.”
“Cavolo…” Commentò la ragazza chinando il capo.
“Cosa hanno fatto a
mio fratello?” Sentì domandare a Tom; Eve alzò gli
occhi e vide il suo sguardo farsi duro, aveva la mascella contratta per
la rabbia.
“Il Signor
Kaulitz…” S’impegnò a pronunciarlo bene.
“…ha sbattuto la testa, tra poco verrà sottoposto
ad una Tac, ma sembra che non ci siano conseguenze neurologiche;
inoltre ha subito una ferita d’arma da taglio al fianco, non
grave, che è già stata suturata.”
“Chi… Hanno preso chi gli ha fatto questo?” Domandò il ragazzo con sguardo furente.
“Non so darle questa informazione, mi spiace.” Ammise rammaricato il dottore.
Eve, a quel punto,
toccò la schiena di Tom, attirando la sua attenzione. Lui
abbassò gli occhi sulla ragazza, un po’ confuso.
“Andiamo da Bill.” Suggerì lei, con un sorriso incoraggiante. Il chitarrista annuì.
“Da questa
parte.” Indicò il medico, invitandoli a precederlo lungo
il corridoio asettico del pronto soccorso.
Quando Tom vide Bill
attraverso il vetro nella parte superiore della porta, si
slanciò in avanti e l’aprì d’impeto con un
suono sordo.
Il fratello, che era seduto
su un lettino con le gambe penzoloni, sollevò immediatamente la
testa. Era pallido, arruffato e con l’espressione smarrita, gli
avevano fatto mettere uno di quei camici verdi che evidenziava il suo
colorito cereo. Vedendo Tom, i suoi occhi si spalancarono e si fecero
lucidi.
“Tomi…” Mormorò.
Il gemello lo raggiunse in
un paio di lunghi passi e lo prese per le spalle, mentre lo osservava
attentamente con gli occhi per tutto il corpo, ancora preoccupato per
quello che gli era successo.
“Billi…” Soffiò, sollevato di poterlo finalmente toccare. “Come stai?”
“Ho avuto tanta
paura, Tomi!” Esclamò lui, buttandogli le braccia al
collo, si abbracciarono per un lungo momento, sotto gli occhi
comprensivi dell’unica infermiera presente.
“Anche lui se
l’è fatta addosso, sai?” Fece una voce femminile;
Bill sollevò il viso dal petto del fratello e vide Eve vicino
alla porta. “Meno male che c’ero io.” Aggiunse
sorridendo.
“Evie!” La chiamò Bill, allungando una mano verso di lei, che la ragazza prese dopo essersi avvicinata.
“Che combini, tesoro?” Gli chiese poi dolcemente, accarezzandogli i capelli spettinati.
“Oh, come sono felice
di vedervi tutti e due!” Piagnucolò il cantante,
stringendosi di nuovo al fratello, senza lasciare la mano di Eve.
“Ho avuto così tanta paura!”
Tom, a quelle parole,
intensificò istintivamente l’abbraccio; da quando aveva di
nuovo accanto Bill, fisicamente vicino, cercava di ignorare lo
spaventoso pensiero di essere stato ad un passo dal perderlo.
Già così, si sentiva come se gli avessero tagliato un
braccio.
“Ci dici cosa
è successo, Bill.” La voce di Eve lo riportò nella
piccola saletta di medicheria. “Ci hanno detto che siete stati
aggrediti, ma…”
“È stato terribile, Eve.” Mormorò il ragazzo, fissandola con gli occhi rossi e lucidi.
“Raccontaci.” Lo spronò Tom, anche se l’idea di sapere gli faceva bruciare lo stomaco.
E Bill raccontò
tutto: dalla sua entrata in casa di Michael, alla sua conversazione con
Johnathan, passando per l’aggressione e le sue conseguenze, fino
a quando era svenuto dopo aver battuto la testa contro la ringhiera.
“Quando mi sono
ripreso Johnathan non c’era più, c’era solo Michael
sulle scale, coperto di sangue…” Si fermò un
istante, rabbrividendo. “Non sapevo cosa fare, così ho
chiamato il 911.” Concluse poi.
“Hai fatto la cosa giusta.” Annuì Tom, con una mano posata delicatamente sulla sua nuca.
“Sei stato
coraggioso.” Rincarò Eve con un sorriso incoraggiante, poi
lo abbracciò piano. Lui le sospirò contro il collo.
“Dio, piccolo, sei un ghiacciolo!” Affermò quindi
lei, avvertendo il freddo delle sue mani e del viso.
“Fa freddo, qui…” Replicò Bill, stringendosi nelle spalle.
“Infermiera.”
Chiamò Tom, rivolgendosi alla donna impegnata a rifornire gli
armadietti; lei lo guardò interrogativa. “Posso dare la
felpa a mio fratello? Ha freddo.”
“Certamente.”
Gli rispose cordiale lei. “Adesso dobbiamo prepararlo per la Tac,
ma può lasciargliela.” Aggiunse con un sorriso.
Tom si sfilò la
felpa nera e la posò sulle spalle del gemello, strusciandogli
piano le braccia per scaldarlo. Eve, però, si era accorta
dell’espressione assente del cantante.
“Cosa c’è, Bill?” Gli chiese con dolcezza.
“Se… se
Michael…” Dovette fermarsi per deglutire, non riusciva
nemmeno a dirlo. “Se Michael fosse morto, me lo diresti, vero
Eve?”
“Non dire
sciocchezze!” Esclamò lei. “Lo stanno operando, gli
hai salvato la vita chiamando l’emergenza…”
“Io l’ho
visto!” Protestò lui, interrompendola. “Lo hanno
rianimato! Lo hanno intubato davanti a me!”
“Andrà tutto
bene, devi calmarti.” Cercò di rassicurarlo la ragazza,
tenendogli la mano. “Non possono dirci molto, ma vedrò
d’informarmi, ok?”
“Cerca almeno di sapere se hanno avvertito sua moglie.” La supplicò lui con espressione mesta.
“Un attimo…” Intervenne Tom, la fronte corrucciata. “Sua moglie? È sposato?”
Bill sventolò una
mano in un gesto incurante. “È una storia lunga…
Fai il possibile, ti prego.” Aggiunse, tornando infine a guardare
Eve.
“Ci sono parecchie
cose che dovrai spiegarmi, signorino…” Borbottò
Tom, con tono severamente paterno. Bill lo guardò con aria
innocente, poi si rivolse di nuovo a Eve.
“Evie…”
Chiamò sottovoce, facendola avvicinare a se. “Trovami
qualcosa per cambiarmi, questo camice mi sbatte da morire e la polizia
si è portata via la mia roba.” La ragazza sorrise della
vanità di Bill, che non lo abbandonava neanche in quei momenti
avversi; poi vide che gli tremavano le labbra. “Hanno tagliato
via i miei jeans vintage, erano veri Calvin Klein degli anni
80…” Soffiò sconvolto. Eve sorrise.
“Stai tranquillo, ha
pensato a tutto la tua Evie.” Gli disse, quindi gli mostrò
la borsa col cambio e gli strizzò l’occhio. Lui sorrise,
finalmente radioso.
Pochi minuti dopo
arrivò il portantino con la barella per accompagnare Bill in
radiologia. Tom ed Eve lo salutarono, quindi si divisero: lui doveva
fare delle telefonate, mentre lei doveva sapere di più riguardo
le condizioni di Michael.
Tomo chiuse la telefonata e
sospirò, appoggiandosi ad un bancone inutilizzato che aveva
davanti. Era stata la nottata più lunga della sua vita e ancora
non aveva chiamato sua madre per dirle che il suo tesoruccio aveva
rischiato seriamente di finire all’altro mondo. Rabbrividì
al solo pensiero.
“Com’è
andata?” Gli domandò Eve; lui si girò e la vide
raggiungerlo con in mano un grosso bicchiere di carta.
“Un casino.”
Ammise il ragazzo. “Sono tutti incazzati, ma hanno già
allertato l’ufficio legale, siamo ufficialmente in silenzio
stampa.” Aggiunse. “Tu?”
“Non possono dirmi
niente, non sono un parente.” Ammise sconsolata lei. “Ho
solo saputo che l’intervento dura ancora e che la moglie è
arrivata da un po’.”
“Perché non mi ha detto questa cosa della moglie…”
“Perché tu eri
del’umore sbagliato e poi… non è così
importante, Tom.” Spiegò Eve, interrompendolo; lui la
guardò sconsolato. “Ne vuoi un po’?” Gli
domandò poi, porgendogli il bicchiere.
“No, grazie.” Rispose lui, deviando il capo. “Il caffè mi fa venire la nausea…”
“È the.”
Dichiarò lei, con un sorriso paziente. “Al limone, ti fa
bene allo stomaco, su…”
Eve gli porgeva il
bicchiere con garbo e lui aveva sete, oltre che un cattivissimo sapore
in bocca. Lo prese e bevve un sorso, mentre lei lo guardava con un
sorriso.
“Non te la sei presa
prima, vero?” Fece quindi il ragazzo, Eve aggrottò la
fronte con espressione interrogativa. “Quando ho detto che eri la
mia ragazza… L’ho fatto per evitare storie.”
“Ah…”
Esclamò lei; se ne era quasi dimenticata, ma ripensarci le fece
venire un vuoto allo stomaco. “Non fa niente, capisco.”
Mormorò quindi.
Si fissarono per qualche
istante. Perché Tom aveva gli occhi più belli che Eve
avesse mai visto? Avevano sempre un qualcosa di malinconico e
struggente che le faceva venire voglia di piangere. Abbassò il
capo, arresa.
“Mi dispiace…” Soffiò a voce bassissima.
“Come?” Fece lui, aggrottando la fronte e avvicinandosi per sentire meglio.
“Sono stata una vera
stronza con te.” Ammise la ragazza, alzando di nuovo la testa.
“Non so cosa stavo pensando, era tutto così confuso,
così… grande. Ho avuto paura…”
Tom la fissava serio,
l’espressione indecifrabile su quei lineamenti perfetti. Lei
esitò ancora, tormentandosi le mani; era dura stare sotto quello
sguardo.
“Non guardarmi così.” Lo supplicò.
“Così come?” Chiese lui.
“Con quegli occhi…” Spiegò lei.
“Ho soltanto questi.” Replicò duro il chitarrista.
Eve lo guardò di
nuovo in quelle iridi calde e intense. “Già.” Si
rassegnò, con un sorriso sconsolato.
“Eve, io davvero non
capisco di…” Tom provò ad iniziare un discorso che
lo portasse dove voleva arrivare: a chiarire una volta per tutte.
“Lo capisco se non
puoi perdonarmi.” Intervenne lei, togliendogli la parola.
“Ti ho fatto del male e non te lo meritavi.”
“Ma che cosa stai dicendo?!” Esclamò Tom, il tono quasi furente.
“Sì,
sì, lo so che è impossibile!” Continuò lei,
senza guardarlo. “Non pretendo che accetti le mie scuse,
però…”
“Eve!”
Sbottò lui, prendendola per le spalle e costringendola a
guardarlo negli occhi. “Ma che cazzo stai dicendo? Io sono
innamorato di te!”
Le pupille della ragazza si dilatarono leggermente per la sorpresa e socchiuse appena la bocca.
“Non puoi essere ancora innamorato di me, non dopo quello che ti ho fatto…” Mormorò affranta.
“Io ci ho provato,
Eve, a non pensare a te, a dimenticarti.” Le confessò
allora lui. “Sono uscito tutte le sere, ho bevuto e scopato, non
posso nascondertelo, ma non sono riuscito a toglierti dalla mia testa.
Lo vuoi capire?”
La ragazza lo fissava un
po’ imbambolata. Questa era una confessione perfino più
intensa della prima, che già l’aveva lasciata annichilita.
Tom era una persona sincera, uno a cui non piacevano i giri di parole.
Se trovava il coraggio di parlare, ti metteva il cuore in mano.
“Ascolti le mie canzoni…” Fu l’unica cosa che Eve riuscì a dire.
“Da qualche parte dovevo cercarti.” Ribatté lui.
“Ho avuto paura.” Ripeté la ragazza, trattenendo le lacrime.
“Credi che non ne
abbia avuta anche io? Guarda come è finita la mia ultima
storia…” Oh, se lo sapeva, era stata lei ad aiutarlo a
raccogliere i cocci. “Ma non possiamo continuare ad avere paura
Eve.”
“Oh, Tom…” Esalò lei, abbracciandolo alla vita; lui la strinse a se, carezzandole i capelli.
“Stai con me, Eve,
stai con me e non pensare più a nulla.” Le disse
dolcemente. “Siamo più forti di tutto…”
Sussurrò al suo orecchio.
Eve sussultò appena,
con il viso affondato sul petto confortevole e forte di Tom, quindi lui
sentì una risatina umida provenire dalla ragazza.
“Cosa c’è?” Le chiese, scostandole i capelli dalla fronte.
“Lo dice anche il Boss.” Affermò lei, alzando gli occhi nei suoi. “Tougher than the rest…”
“Beh, allora siamo autorizzati!” Esclamò divertito il chitarrista.
Tom, quindi, le prese il
viso tra le mani e la baciò. Eve si lasciò andare contro
di lui, circondandogli la schiena con le braccia. Gli era mancato
troppo baciare Tom e, da come lo faceva anche lui, si sarebbe detto lo
stesso.
“Hey!” Li
interruppe una voce, si staccarono di malavoglia, vedendo davanti a se
una robusta infermiera di colore che li osservava con benevolo
rimprovero. “Questo è un ospedale, non un serial
televisivo!” Gli disse scherzosa.
Loro scoppiarono a ridere
imbarazzati, tenendosi ancora vicini. Ora sembrava che ci fosse voluto
così poco a colmare la lontananza. Ora questa notte poteva
davvero finire bene.
Bill era stato spostato in
una camera singola del quarto piano, area vip che non poteva mancare in
un ospedale californiano. Si sentiva ancora un po’ spaesato,
seduto su quel letto, mentre Eve e Tom si muovevano nella stanza,
parlandosi a monosillabi.
Li guardò stranito, improvvisamente gli era venuto un dubbio: si comportavano in modo strano.
“Avete fatto la pace?” Domandò, finalmente curioso di qualcosa che non riguardasse quella nottata infame.
Eve si bloccò ai piedi del letto, mentre Tom guardava ovunque, grattandosi la nuca.
“Beh…” Biascicò il chitarrista.
“Abbiamo parlato.” Fece lei.
“Con la lingua o senza?” Li interrogò il cantante, alzando un malizioso sopraciglio.
“Stronzetto!”
Esclamò la ragazza, lanciandogli contro la sua maglietta
appallottolata, che lo colpì senza forza.
“Hey, io sono
ferito!” Protestò petulante Bill. “Non lanciarmi
roba addosso, ho un’orrenda ferita che mi lascerà una
brutta cicatrice sul mio bellissimo tatuaggio!”
“Allora dovevano
spararti al petto, perché quel tatuaggio lì sì che
è brutto!” Commentò sarcastica Eve, facendo
ridacchiare Tom.
“Stronza!”
Sbottò l’altro, fingendosi offeso ma non nascondendo il
sorriso; quegli scambi di battute lo rassicuravano, sembrava di essere
a casa, di nuovo tutti insieme. “Tom, dovevi proprio innamorarti
di lei? Non era meglio una capra?”
Il fratello gli rispose con un sorrisetto poco divertito. “Cambiati, faccia di culo.” Gli disse poi.
Ridacchiarono tutti e tre,
mentre Eve toglieva dalla borsa il resto del cambio di Bill. Tom,
quindi, si spostò verso il gemello per aiutarlo a vestirsi e la
ragazza pensò che fosse il momento giusto per fare una cosa.
“Ragazzi, io vado a
prendere qualcosa di caldo.” Propose. “C’è
un’ottima caffetteria ventiquattr’ore qui vicino,
così voi due potete parlare un po’, farvi le
coccole…”
“Eve!” Esclamò Bill, ma il suo sorriso grato la diceva lunga.
“Torno presto.” Soggiunse allora lei, rivolta a Tom, che la fissava serio. Il chitarrista annuì.
Rimasti soli, Bill sorrise
a Tom, poi si sfilò il camice e fece per mettersi la maglietta
pulita. Il gesto, però, gli strappò un gemito di dolore.
Il fratello gli si fece immediatamente accanto con sguardo preoccupato.
“Tutto bene?” Chiese apprensivo.
“Sì.”
Rispose Bill con una smorfia. “I punti tirano un
po’.” Aggiunse, sfiorandosi il cerotto con la punta delle
dita.
“Ma sei sicuro che non è la ferita a farti male, o…”
“Tom, mi hanno
accoltellato, è ovvio che mi fa male.” Lo interruppe lui,
alzando una mano. “Ma mi hanno dato tanta di quella roba che mi
sento stordito come un tossico…”
“Oh, Billi…” Fece l’altro, prima di carezzargli piano il capo.
“Sono più forte di quello che credevo.” Commentò lui, con un breve sorriso.
“Mi devi perdonare.” Affermò allora Tom, apparentemente a sproposito.
Bill alzò gli occhi in quelli del gemello. Erano rammaricati e tristi. E lui odiava vedere Tom triste.
“Per che cosa?” Chiese con ingenuità.
“Per come mi sono
comportato con te ultimamente.” Rispose l’altro.
“Sono stato orrendo, ti ho trattato male…”
“Tom, non è colpa tua, stavi male.” Lo giustificò il fratello.
“Sì!”
Esclamò lui, battendo i piedi. “Ma ti rendi conto di cosa
stava per succedere?! Potevo perderti… e l’ultima cosa che
ho fatto con te è stata coprirti d’insulti!”
Aggiunse poi, stringendo denti e pugni.
“Tom…”
Mormorò Bill, col suo tono più dolce. “Guardami,
Tomi.” Continuò, prendendo nelle sue le mani strette del
gemello.
Tom alzò il viso ed
incrociò i begli occhi stanchi di Bill. Era pallido e provato,
ma gli sorrise come solo lui sapeva fare. Uno di quei sorrisi speciali
solo per il suo fratellone.
“Sono ancora qui.” Gli disse quindi. “Ho la pellaccia dura, lo sai.” Aggiunse ironico.
“Ma Billi, poteva…” Tentò l’altro, ancora rigido.
“Ho avuto paura anche
io, ed ho pensato a te, quando credevo di non farcela.” Gli
confessò il fratello. “Però ce l’ho fatta,
non sei riuscito a liberarti di me nemmeno stavolta.”
Scherzò poi.
Tom sbuffò un sorriso, quindi rilassò le mani e strinse quelle fredde del fratello.
“Forse hai rischiato di più cadendo dal melo di nonna.” Gli disse divertito.
“Cazzo, che botta quella!” Ricordò Bill; scoppiarono a ridere del ricordo comune.
“Non farmi mai
più spaventare così.” Gli ordinò poco dopo
Tom, prima di stringerlo a se. Il gemello gli circondò il torace
con le braccia.
“Non ne ho intenzione.” Dichiarò lui deciso.
Tom gli accarezzò i capelli disordinati e gli baciò la testa, mentre Bill strusciava il viso sul suo petto.
“Sono contento, sai.” Mormorò quindi il cantante, sempre comodamente affondato nel suo abbraccio.
“Di essere vivo?” L’interrogò sarcastico il fratello.
“Che tu ed Eve vi siete rimessi insieme.” Rispose lui sornione.
“Beh, proprio rimessi…” Fece vago Tom.
“Vi manca la scopata della pace, ma sostanzialmente…” Dichiarò sostenuto Bill.
“Oh, vaffanculo!” Sbottò Tom, spingendolo sul letto.
“Hey!” Esclamò l’altro, fingendosi indignato. “Ho rischiato la vita, io, trattami bene!”
“Falla finita, coglione!” Ribatté il chitarrista, mimando dei colpi che non gli avrebbe dato davvero.
Perché era troppo bello poter sentire ancora la risata pestifera e scema del suo adorato fratellino.
Quando Eve tornò
nella camera, capì subito che i cappuccini sarebbero andati
sprecati. La stanza era in penombra, illuminata solo dalla lampada
sopra il letto. Tom e Bill erano abbracciati e, molto probabilmente,
addormentati.
Lei sorrise e posò
il vassoio sul tavolino. Il divano era largo e sembrava comodo, sarebbe
andato bene. L’importante era che loro riposassero.
Si avvicinò al letto
e li guardò. Tom era quasi supino, teneva una mano tra i capelli
del fratello, Bill gli posava il capo sulla spalla e lo abbracciava
alla vita, appoggiato sul fianco sano. Erano proprio belli i suoi
piccoli stronzetti tedeschi.
Sorrise di nuovo e fece per
tornare al divano, ma una mano la prese al polso, costringendola a
voltarsi di nuovo verso il letto. Trovò Tom con un sorriso
leggero.
“Che fai, non dormi?” Gli chiese la ragazza a bassa voce.
“Sembra magro, ma
pesa.” Rispose lui, accennando alla testa del gemello a
bloccargli il braccio. “Tu non ti riposi un po’?”
Domandò quindi il chitarrista.
“Mi stendo sul divano.” Fece lei, indicando dietro di se.
“Vengo con te.” Affermò lui, facendo per alzarsi.
“No.” Lo fermò Eve, respingendolo contro il cuscino. “Bill ha bisogno di te, stai con lui.”
Tom, allora, sorrise con
tutta la dolcezza di cui era capace – tanta da far venire il
diabete all’intera California meridionale – e fece
scivolare la mano lungo il suo polso, fino a stringere la sua.
“Sai.” Le disse morbido. “Questo è uno dei motivi per cui mi sono innamorato di te.”
“Quale?” Fece lei con un sorriso confuso.
“Il fatto che stai
sempre un passo indietro, quando si tratta di Bill.” Le
confessò Tom. “Che non mi chiedi di scegliere tra te e
lui.” Aggiunse, lanciando un’occhiata al gemello.
“Non potrei
mai.” Disse Eve. “So quanto siete importanti uno per
l’altro e voglio bene a tutti e due, non sarebbe giusto mettersi
in mezzo.”
“Lo so.” Annuì il ragazzo. “Ma lo hanno sempre fatto tutte.”
“Io non sono tutte.” Affermò Eve decisa. “Io ti amo, Tom.”
Il sorriso di Tom fu
più bello di quanto già non fosse di solito, poi la
tirò più vicino a se e le sussurrò: “Era
l’ora che lo dicessi anche tu…”
“Scemo!”
Ridacchiò lei piano. Si scambiarono un breve bacio. “Ora
riposati, sarà una giornataccia, domani.” Gli
ordinò dolcemente, prima di lasciarlo e tornare al divano.
Quella notte, nonostante la scomodità della sistemazione, dormirono tutti e tre come bambini.
Tom guardò ancora
una volta la sua faccia nello specchio. Non aveva un bell’aspetto
e la poca barba che si era fatto crescere durante l’assenza di
Eve gli sembrava proprio come la descriveva lei: rada e brutta. Si
massaggiò il mento. Si era svegliato confuso e con un lieve mal
di testa e, a peggiorare le cose, ci si era messa la prospettiva di una
giornata di discussioni con l’ufficio legale ed il
management… Senza contare che, molto probabilmente, Bill sarebbe
stato una piaga per il prossimo mese a venire, con quei punti.
Se almeno quei due di là l’avessero fatta finita di bisticciare in modo insopportabile!
“Bill, smettila di fare i capricci!” Urlò Eve, la voce alta che arrivava chiara anche in bagno.
“Mi hanno aggredito,
pugnalato, ho subito un trauma psicologico non indifferente, ho il
diritto di essere capriccioso!” Ribatté lui con tono
squillante.
“Tu sei sempre capriccioso!” Replicò la ragazza.
“Non è vero!” Protestò il cantante.
“Volete farla finita,
per favore, ho mal di testa.” Li implorò Tom, uscendo dal
bagno con espressione afflitta.
“Ma Tomi! Eve mi ha
portato una maglietta orrenda, io non posso uscire dall’ospedale
conciato così!” Spiegò immediatamente il gemello.
“Ma che te ne
frega?!” Sbottò il chitarrista. “Dobbiamo solo
andare a casa e ti metterai la giacca sopra, io non
capisco…”
“Ecco, lo
sapevo!” Esclamò Bill, in ginocchio sul letto a braccia
incrociate. “Adesso vi siete rimessi insieme e tu dai ragione a
lei!” Aggiunse indignato.
“Ma che cazzo c’entra questo…”
Nel bel mezzo della replica
di Tom, qualcuno bussò alla porta socchiusa, interrompendo la
discussione. I tre si voltarono in quella direzione e Eve invitò
ad entrare.
Si fece avanti una donna
dall’aria stanca. I capelli ricci e biondi erano disordinati e
raccolti alla meno peggio sulla nuca, indossava una tuta grigia, era
struccata e pallida.
“Buongiorno.”
Salutò piano. “È la camera di Bill Kaulitz?”
Chiese poi, osservando tutti i presenti.
Il cantante, che era ancora
in ginocchio sul letto, si ricompose velocemente e scese, dirigendosi
verso di lei, sotto lo sguardo di Eve e Tom.
“Sono io.” Le disse; lei gli fece un breve sorriso.
“Sono Anne Johnson, la moglie di Michael.” Si presentò la donna, stringendogli la mano.
“Oh,
Dio…” Esalò Bill, ancora con la mano nella sua.
“Oddio, come sta?!” Chiese subito dopo, con urgenza. Anne
fece un lungo respiro.
“È stata una
lunga notte.” Rispose infine. “Abbiamo rischiato di
perderlo, non lo nego, ma ce l’ha fatta.” Aggiunse, con un
sorriso forzato.
Bill si posò una
mano sul petto, sentendosi mancare le gambe. Aveva sospettato che le
condizioni di Michael fossero gravi, ma sentirselo dire così
faceva molto più effetto.
“L’ha già potuto vedere?” Domandò Eve, senza trattenersi. Anne la guardò e le sorrise.
“Sì.”
Disse quindi, e Bill poté riprendere a respirare. “Si
è appena svegliato e… ha chiesto di te.” Aggiunse
poi, rivolgendosi al cantante.
Il ragazzo si commosse, gli
tremò il mento e gli occhi si fecero lucidi. Anne se ne accorse
e gli si avvicinò, carezzandogli piano il viso, poi gli sorrise.
“Stai
tranquillo.” Gli disse dolcemente. “Va tutto bene ora, ce
l’ha fatta.” Lo rassicurò quindi.
Bill
l’abbracciò d’impeto, sorprendendola, ma poco dopo
lei sorrise e strinse a se quel ragazzone altissimo ma sottile come un
figurino. Anche Tom ed Eve sorrisero: sapevano bene quanto potevano
essere improvvisi e sorprendenti gli slanci d’affetto di Bill.
“Ti ringrazio di
essere venuta.” Le disse il cantante, una volta allontanatosi.
“Ti prego di dire a Michael che andrò a trovarlo appena
possibile.”
Lei sorrise e annuì.
Già le piaceva, questo Bill. Sembrava una persona spontanea e
dolce, tutto il contrario di quello che aveva rischiato di togliere la
vita al suo Michael.
“È stato un piacere conoscerti, Bill.” Confessò Anne.
“Oh, anche per
me!” Esclamò lui, con un sorriso stupendo. Non era
difficile capire come qualcuno potesse innamorarsi di lui.
“Scusa…”
S’intromise Eve, facendo voltare verso di se Bill ed Anne.
“Posso chiederti… insomma, di Johnathan, se sai
qualcosa…”
Bill si era completamente
dimenticato di Johnathan, ma le parole di Eve gli avevano fatto
riaprire la mente ad immagini di quella notte che avrebbe, in tutta
sincerità, preferito non vedere più. I capelli biondi
sporchi del sangue di Michael, lo sguardo folle e determinato
dell’assalitore, le sue parole volgari e offensive. Gli
girò un po’ la testa e dovette appoggiarsi alla sbarra in
metallo del letto.
Anne, nel frattempo, abbassò gli occhi con una smorfia amara, poi scosse il capo e tornò a guardare la ragazza.
“È caduto dal
tetto lottando con Michael.” Rispose quindi la donna, senza
nascondere l’astio che ancora provava per l’aggressore.
“Adesso è sotto sorveglianza in ospedale, ma non sanno se
ce la farà.”
Bill pensò che
avrebbe dovuto sentirsi sollevato da quella notizia. Sapere che anche
Johnathan soffriva almeno quando Michael, forse, doveva fargli piacere.
Ma si ritrovò soltanto inorridito da tutta la violenza delle
ultime dodici ore. Si portò una mano alla bocca, mentre prendeva
un respiro profondo. Tom si accorse subito del disagio del gemello.
“Billi.” Lo
chiamò, si guardarono intensamente. “Va tutto bene,
ora.” Gli assicurò poi, in tedesco. Il cantante
annuì, rassicurato dalla voce del fratello e dalla lingua madre.
“Scusate.” Fece
quindi Anne. “Io devo andare, ho lasciato la mia compagna con
Michael, ma anche lei è piuttosto stanca,
così…”
Tom, realizzando che la
donna aveva appena detto di avere una compagna femmina, si girò
sconvolto verso Eve, che gli prese delicatamente l’avambraccio e
gli fece un cenno come a dire: poi ti spiego, tranquillo.
“A presto, Anne.” La salutava nel frattempo Bill, stringendole le mani.
“Ti aspetto da
Michael.” Rispose lei, con un sorriso dolce; lui annuì, si
baciarono sulle guance e poi la donna se ne andò, salutando con
la mano gli altri.
Quando la donna si fu
allontanata nel corridoio, Tom crollò seduto sul letto
sospirando. Non lo avrebbe mai ammesso, ma la stanchezza, la tensione e
la preoccupazione delle ultime ore lo avevano prosciugato. Eve si
avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla,
massaggiandogliela piano; lui la guardò e sorrise dolcemente.
Bill andò vicino a
loro e passò un braccio intorno alla vita della ragazza, mentre
Tom stringeva piano la sua, per non urtare i punti. Eve usò la
mano libera per accarezzare i capelli del cantante. Si erano uniti in
una specie di cerchio e si scambiarono sguardi solidali.
“Andiamo a
casa.” Ordinò Bill e gli altri due annuirono.
Perché era l’unico posto dove, in quel momento, volevano
stare tutti e tre. La loro casa.
CONTINUA
NOTE
- Traduzione dei versi in introduzione del capitolo:
La tua voce arriva chiamando attraverso la foschia
Mi sveglio da un sogno e il mio cuore comincia ad andare alla deriva
Stanotte siamo ognuno per conto suo
Stanotte siamo da soli
Oh-oh, stanotte
Un giorno saremo insieme
E la notte cadrà intorno a noi
Bella canzone, un tantino natalizia come arrangiamento, dal doppio album “The promise”.
- Allora, onestamente non
ho idea di come siano le distanze in una città enorme come Los
Angeles e, lo confesso, non mi sono nemmeno informata,
perché nel calvario di questo capitolo era l’ultima cosa a
cui pensavo. So che i gemelli parlano continuamente di ore passate in
macchina, quindi fate voi… Non ho messo riferimenti temporali,
quindi potete anche pensare che Eve parta alle nove di sera, per fare
tutto il giro e arrivare all’ospedale con Tom all’una di
notte. Potrebbe essere plausibile.
- Ho usato volutamente la
stessa canzone del capitolo 6, come una specie di filo rosso,
perché credo si adatti molto a Tom ed Eve, loro sono mondi a
parte in molti sensi, ma come dice lo zio Bruce – e lui non
sbaglia mai – devono lasciare che l’amore dia quello che
da, e li unisca. E poi è una canzone bellissima, da un disco
superlativo come “The rising”.
Traduzione: Lasceremo che il sangue costruisca un ponte sulle montagne ammantate di stelle
T’incontrerò sul passaggio
tra questi mondi separati
Abbiamo questo momento da vivere adesso poi è tutto solo
polvere e buio
Lascia che l’amore dia quello che da
- (*) questa nota è
una specie di gioco verbale, ho immaginato infatti che Tom si confonda
tra il tedesco Bruder e l’inglese Brother, in italiano tradotto
in Frutello e Fratello… XD Lo so, sono scema.
Mi sembra di aver detto
tutto. Se avete altri dubbi, fatemelo sapere nei commenti, vi
risponderò! Ci sentiamo sull’epilogo!
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Capitolo 9 *** 9 - Epilogo ***
9 - Epilogo
Non
voglio dire niente adesso, lascio tutto alla fine. Questo epilogo
è per voi lettori, sperando che vi teniate un minuto per farmi
sapere cosa ne pensate, ci tengo davvero molto.
Note e saluti a fondo pagina, un bacio.
Sara
9. Epilogo
I'm riding hard carryin' a catch of roses
And a fresh map that I made
Tonight I'm gonna get birth naked and bury my old soul
And dance on its grave
And dance on its grave
It's been a long time comin', my dear,
It's been a long time comin' but now it's here
(Long time coming – Bruce Springsteen)
Los Angeles – qualche mese dopo
Il glorioso sole
californiano sarebbe presto diventato implacabile, ora che
l’estate si stava avvicinando. Bill spense la sigaretta
nell’apposito posacenere pieno di sabbia ed entrò nel
palazzo che ospitava la piscina.
Il cantante si era
ripreso bene dalle ferite riportate nell’aggressione. La botta
alla testa era passata in fretta, una settimana circa. La ferita al
fianco gli aveva dato qualche grattacapo in più, coi punti ed il
resto, ma alla fine era guarita piuttosto bene, lasciando una cicatrice
meno invadente del previsto sul suo prezioso tatuaggio al fianco.
Entrò nel
centro di riabilitazione e oltrepassò il moderno atrio salutando
la ragazza in portineria. Era simpatica e non invadente, a volte ci
chiacchierava un po’. Conosceva, oramai, la porta che conduceva
alle piccole gradinate della piscina; si sedette più vicino
possibile alla vasca.
La faccenda per
Michael era stata più lunga, le sue ferite più gravi.
Quella all’addome, in particolare, che aveva richiesto un lungo
recupero, accompagnato per i primi tempi da orrendi drenaggi e tubi
vari. Michael aveva camminato male per molto tempo. Adesso sembrava che
la fisioterapia in piscina gli facesse davvero bene.
Angie,
l’operatrice che si occupava del pittore, lo vide e lo
salutò con la mano. Era una donna gentile ma energica, con un
marito simpatico e due bei bambini. Stava facendo un lavoro prezioso,
con Michael.
La storia
dell’aggressione aveva suscitato un certo scalpore,
all’inizio. C’erano stati articoli su giornali di gossip,
battutine nel talk show e molti avevano sparlato dell’amicizia
tra Bill e Michael. Ma tutto si era risolto prima e meglio del previsto.
Johnathan, pur con
bacino e anche sbriciolati, era riuscito a salvarsi, ma in tribunale
aveva ammesso le sue colpe, dichiarandosi colpevole di duplice tentato
omicidio. Il giudice gli aveva dato una condanna esemplare e Bill e
Michael si erano risparmiati il dover testimoniare davanti alla giuria.
I pettegolezzi erano
andati avanti, qualcuno aveva cercato di intervistare Johnathan, i
paparazzi avevano continuato a seguirli, sperando in uno scoop. Michael
e Bill non avevano dichiarato niente, né rilasciato interviste,
seppure richieste e nessuno era riuscito a strappargli qualcosa su
quello che era successo o su quanto c’era tra loro. Certo, li
fotografavano insieme sempre più spesso, ma visto che loro non
si lasciavano mai cogliere in fallo, la presunta love story restava un
grosso punto interrogativo.
Michael uscì
dalla piscina usando le scalette. Le sue condizioni non gli
permettevano ancora di issarsi sul bordo come dovrebbe fare un vero
figo, ma la sua versione da sirenetto gocciolante piaceva comunque
molto a Bill. Quando il pittore lo vide, sorrise radioso.
Bill si avvicinò al muretto artificiale che divideva le gradinate dal bordo piscina e Michael fece altrettanto.
“Ciao.” Lo salutò sorridente il cantante.
“Ciao.” Rispose lui dolce.
“Com’è andata oggi?” Gli chiese allora Bill, indicando la piscina.
“Angie mi sta sfiancando!” Rispose allegro Michael.
“Fa
benissimo.” Annuì serio l’altro. “Ti verranno
degli addominali fantastici…” Aggiunse allusivo.
“Non vedi
l’ora, eh?” Scherzò il pittore, Bill gli fece una
smorfia maliziosa e scoppiarono a ridere. “Dove andiamo a
mangiare, oggi?” Domandò poi Michael.
“A casa.” Disse Bill.
“A casa?” Ripeté stupito l’altro.
“Sì.”
Fece lui. “Eve ha cucinato un sacco di roba e pretende che
torniamo a pranzo.” Spiegò quindi.
“Sai che non dico mai di no alla cucina di Eve!” Esclamò entusiasta Michael.
“Hm, anche
perché ha fatto quei cosi col maiale che ti piacciono
tanto…” Accennò quindi Bill, arricciando il naso un
po’ schifato.
“Enchiladas di maiale!” Proclamò estasiato il pittore.
“Hn,
sì…” Fece lui, ancora col naso storto. “Ma tu
non sei ebreo?” Michael roteò gli occhi.
“Quante volte te lo devo dire che non mangio kosher?” L’interrogò ancora.
“Sarà…”
Buttò lì il cantante, poco convinto. “Dai, adesso
sbrigati, che se continuo a vederti così gocciolante mi viene
voglia di sbatterti in una doccia e non farti uscire mai
più…” Aggiunse a bassa voce, con tono sensuale.
“Sporcaccione…” Replicò Michael, con un sorriso compiaciuto.
“Lo sai…” Ribatté Bill, con il sopracciglio sensualmente alzato e uno sguardo incandescente.
Michael rise, poi
prese l’asciugamano, salutò Angie e si diresse verso gli
spogliatoi. Come al solito, Bill avrebbe dovuto aspettare di essere al
sicuro a casa, prima di poterlo baciare.
Tom rise, quando Frank
si tuffò in piscina con un osso di gomma in bocca, sollevando
schizzi. Eve, in piedi vicino alla porta finestra, sbuffò e
alzò gli occhi al cielo.
“Tom, lo sai, la piscina la pulisci tu, dopo che ci hai fatto il bagno coi cani.” Gli ricordò la ragazza.
Lui si girò nella sua direzione e sorrise. “Sì.” Annuì.
“Lo hai promesso.” Insisté lei.
“Sì.”
Annuì nuovamente il chitarrista, mentre lanciava di nuovo
l’osso di gomma. “Perché non vieni anche tu, si sta
benissimo.” Le disse poi.
“No, non con i
cani.” Rifiutò immediatamente la ragazza. “E poi
devo finire di preparare il pranzo.”
“Molla la cucina e vieni dal tuo uomo!” Le ordinò lui.
“Non posso, tra poco arrivano Bill e Michael.” Rispose indifferente Eve, a braccia incrociate.
Tom si spostò
nella parte più bassa della piscina e mise le mani sui fianchi,
mentre i cani giocavano ancora dietro di lui, nell’acqua.
“Certo che siete
strani, voi due… tu e Michael.” Affermò poi.
“Tu lavori per dei vegetariani e ti ostini a cucinare carne e lui
è un ebreo che mangia lasagne col maiale…”
“Sono
enchiladas.” Spiegò rassegnata la ragazza. “E io non
cucino sempre carne.” Aggiunse, prima di girarsi per tornare in
cucina.
Tom, però, si
trovò a non essere d’accordo con la sua decisione di
rientrare in casa. Fece una smorfia pericolosa, poi s’issò
sul bordo della piscina, rischiando di sfilarsi il costume appesantito
dall’acqua, quindi le corse dietro fino in sala, dove la prese di
peso e la trascinò fuori.
“No, Tom!” Gridò lei, quando si vide sollevare da terra. “Stai gocciolando dappertutto, cazzo!”
“Così impari a darmi retta, stronza!” Ribatté lui ridendo.
“Sei gelido,
maledettissimo bastardo!” Continuò ad urlare Eve, ma
trattenendo chiaramente una risata. “Lasciami!”
“Non ci penso neanche…” Replicò perfido Tom, appena prima di gettarsi in acqua.
Riemersero pochi
istanti dopo, uno davanti all’altra. Tom rideva sguaiatamente,
mentre Eve si toglieva i capelli dal viso con espressione minacciosa.
“Me la pagherai…” Sibilò la ragazza.
“Oh, sì,
vieni a riscuotere belle tettine…” Rispose provocatorio
lui, con un sorriso sghembo, fissando la sua maglietta chiara resa
trasparente dall’acqua.
“Uhm, magari
invece ti ripago proprio così, tenendomi lontano…”
Ipotizzò lei, con l’indice sul mento e l’aria
pensierosa. “Un paio di giorni in bianco potrebbero farti
bene…”
“Oh, non dire cazzate!” Protestò immediatamente lui, aggrottando preoccupato la fronte.
“Paura, eh?” Fece lei, sollevando le sopracciglia.
“Non ce la faresti mai a starmi lontano così tanto.” Affermò sornione Tom, avvicinandosi.
“Non ci
giurerei, fossi in te.” Replicò sicura Eve, mentre lui la
stringeva contro il bordo della piscina. La ragazza gli circondò
il collo con le braccia ed il bacino con le gambe.
“Ah, infatti
questa mi sembra la classica posa respingente…”
Dichiarò il chitarrista, aderendo al corpo di lei e baciandole
il collo.
“Ti concedo un bacio, se poi mi lasci andare a finire di cucinare.” Gli disse lei, con tono languido.
Tom fece un sorriso
storto, poi si lanciò sulla sua bocca. Eve si aggrappò
saldamente alle sue larghe spalle abbronzate, mentre lui la teneva con
forza per le cosce, spingendola con ardore contro il bordo della
piscina. Il bacio stava durando più del previsto.
“Oh, scusate… Disturbiamo?” Intervenne una voce furba, con chiaro tono canzonatorio.
“Sei perfido!” Esclamò un’altra voce, divertita.
Tom ed Eve si
staccarono di mala voglia e alzarono gli occhi sui nuovi arrivati. Bill
e Michael li osservavano dall’alto, sorridendo.
“Siamo sicuri
che questo…” Bill indicò i due avvinghiati nella
piscina col suo indice tatuato. “…non abbia ritardato i
preparativi del pranzo?”
“Io sto per affogarti, sappilo.” Minacciò Tom, mentre reggeva ancora saldamente il sedere di Eve.
“Ci hai
già provato quando avevamo dodici anni, ma non ci sei
riuscito.” Gli ricordò il fratello con un sorriso soave,
prima di dargli le spalle.
“Sono troppo buono!” Sbottò Tom, mentre Eve si divincolava da lui e raggiungeva le scalette.
“È assolutamente vero.” Commentò Michael.
Bill, dopo aver posato
la borsa su un lettino, si girò verso di lui con espressione da
cucciolo indifeso. “Perché, io non lo sono?” Gli
chiese, facendo boccuccia.
“No, amore, non lo sei.” Gli rispose pacato il pittore, sorridendogli dolcemente.
“Rassegnati.”
Fece Eve passando accanto al cantante. “Ti conosce troppo bene,
ormai.” Aggiunse, mentre si tamponava la faccia con un
asciugamano.
“Stronzetta.” Le disse, con un sorriso storto e il sopracciglio alzato.
“Faccia di culo.” Replicò lei con dolcezza.
“Ma è un
bellissimo culo!” Si permise di precisare Bill, seguendola con
gli occhi mentre entrava in casa. Tutti risero.
Poco dopo erano tutti
e quattro seduti al tavolo sotto il gazebo, davanti alla piscina, con i
cani che gli scorrazzavano intorno in cerca di bocconcini prelibati.
Eve e Michael si
godevano le loro enchiladas da cannibali, mentre Tom e Bill
apprezzavano l’infinità di piatti vegetariani con cui la
ragazza aveva placato tutte le loro proteste.
“Cosa hai fatto per dolce?” Domandò Bill, seduto davanti ad Eve.
“Torta di mele.” Rispose serafica lei, il ragazzo spalancò gli occhi.
“Ma sei la regina delle streghe!” Protestò immediato lui. Eve, però, gli fece un sorrisino retorico.
“Panna cotta con frutti di bosco.” Rivelò infine, visto che lui non aveva capito lo scherzo.
“Perché
devi sempre prendermi in giro?!” Esclamò indispettito
Bill, ma si vedeva che nascondeva un sorriso.
“Perché sei divertente quando t’incazzi.” Rispose pronta la ragazza.
“Oh, sei
terribile!” Fece lui con un gesto teatrale. “La nostra
nuova governante sarà molto più educata!” Aggiunse
poi. Tutti fecero silenzio, osservandolo.
“La nostra nuova
governante?” Domandò infine Tom, perplesso.
“Perché dovremmo aver bisogno di una nuova
governante?”
“Beh, ne avete
parlato voi, qualche tempo fa.” Spiegò Bill, dopo uno
sguardo d’intesa con Michael. “Eve è convinta di non
poter essere allo stesso tempo la tua ragazza, Tom, e la nostra
cameriera, il che in effetti è giusto: una fidanzata seria non
può farti da cameriera.” Continuò il cantante, con
espressione compita. “Così, Eve dovrebbe trovarsi un altro
lavoro e noi un’altra governante.”
“Non voglio
un’altra cameriera!” Protestò Tom, Eve lo
guardò male. “Cioè, nel senso… non voglio
nemmeno che tu continui a pulire i gabinetti e lavarmi le
mutande…” Le continuò a fissarlo poco convinta.
“La sceglierebbe
Eve di persona.” Affermò Bill, annuendo. “Sono certo
che farebbe un buon lavoro, troverebbe la migliore.”
“Beh, grazie
della fiducia, Bill, ma…” Intervenne la ragazza.
“…io comunque non saprei che fare dopo e, se non voglio
fargli da cameriera, non voglio nemmeno essere la mantenuta di
Tom…” Stavolta fu lui a guardarla male.
“È qui che entro in gioco io.” Disse Michael.
“Come?” S’informò Tom.
“Tre anni fa ho
acquistato un fondo piuttosto bello nei pressi del lungomare di
Venice.” Raccontò il pittore. “Pensavo di farci uno
studio-galleria, ma poi comprai la casa e per le esposizioni ci ha
sempre pensato Anne, così il fondo è rimasto vuoto.”
Bill si girò
verso Eve, alla sua sinistra, e le prese la mano sorridendo fiducioso.
“Se hai ancora quel sogno di aprire una tavola calda con piatti
biologici, hai appena trovato due soci con un po’ di soldi da
buttare e che credono molto nel progetto.”
La ragazza lo
fissò incredula per un lungo istante, poi si riprese. Gli
strinse la mano e allargò le labbra in un sorriso stupefatto.
“Tu… tu sei…” Balbettò.
“Dillo.” L’invitò lui, gongolante.
“Meraviglioso!”
Esclamò Eve, prima di sporgersi sul tavolo e abbracciarlo.
“Sì, sì, che è ancora il mio sogno! Oddio,
grazie!” E così dicendo si alzò ed andò ad
abbracciare anche Michael.
“Ok, non ho
contribuito all’idea, ma saresti ancora la mia
ragazza…” Si lamentò blandamente Tom, sentendosi
escluso.
Eve, nel frattempo, si
sedette in grembo al chitarrista ridendo e gli strinse le braccia
intorno al collo. “Il mio Patatone si sente abbandonato!”
Scherzò, prima di baciarlo.
“Oh, stai tranquillo, fratellone, il tuo contributo sarà bene accolto!” Lo rassicurò Bill.
“Voi tre siete
fantastici.” Proclamò Eve, mentre si accomodava meglio
sulle ginocchia di Tom, il quale sorrideva, ora molto soddisfatto.
“E quindi, credo che dovrò mantenere quella promessa che
ti ho fatto tempo fa, Bill.”
“Quale promessa?” L’interrogò perplesso il cantante.
“Lo sai, quale.” Rispose lei, poi gli ammiccò. “Prepara la muta…”
L’oceano non era
affatto blu. Il suo colore era più un grigio verde opaco,
tumultuoso, simile agli occhi di Eve. E faceva un po’ impressione
esserci in mezzo – non lontanissimi dalla riva, ma comunque
nell’acqua alta – con il solo sostegno di una tavola
leggera.
Tom guardò
Bill, anche lui a cavalcioni su un surf, inguainato in
un’aderentissima muta nera che Michael aveva definito “la cosa più sexy che ti abbia mai visto addosso”.
Si sorrisero, ancora
un po’ incerti su che cosa fare. Beh, i loro due californiani
preferiti gli avevano fatto un po’ di lezione teorica, ma ora
erano abbandonati a se stessi con le alghe che gli sfioravano i piedi e
solo tanta tanta acqua intorno.
Guardarono entrambi un
po’ più al largo, dove Eve e Michael surfavano
tranquillamente un’onda che, in tutta sincerità,
impressionava abbastanza Bill.
“Non sembra così difficile, fatto da loro.” Commentò Tom sollevando le sopracciglia.
“Oh, non dovevo
strapparle questa promessa!” Si lamentò Bill
piagnucolante. “Non mi sento ancora pronto ad affrontare
questo… questo oceano!”
“Beh, dai…” Lo incoraggiò il fratello. “Se riesce a Michael!”
“Lui
c’è nato in California, Tom!” Sbottò il
cantante. “E, onestamente, preferisco quando cavalca
me…” Tom scrollò la testa.
“Questa preferivo non sentirla…” Commentò abbattuto.
In quel momento, gli
altri due si avvicinarono a loro, nuotando distesi sopra alle tavole.
Quando gli arrivarono accanto si misero a cavallo dei surf e gli
sorrisero soddisfatti.
“Allora, ci provate o no?” Domandò Eve, riavviandosi i capelli bagnati.
“Ecco, le onde
mi sembrano un po’ troppo alte…” Rispose Bill
incerto, con una smorfia. Michael ed Eve si scambiarono
un’occhiata perplessa.
“Veramente…”
Fece poi lui. “…oggi sono anche più basse del
solito.” Bill lo fissò come se avesse appena detto
un’eresia.
“Non sono certa
che questo sport faccia per te, Bill.” Affermò quindi Eve.
“Non sei troppo coordinato e agile…” Il cantante le
dedicò un’occhiata indignata.
“Questo non lo
accetto!” Protestò poi. “Mettimi alla prova e ti
dimostrerò che sono capace!”
“Vabbene.”
Accettò la ragazza. “Stenditi e nuota, chico.” Gli
ordinò quindi, prima di fare lo stesso, con Bill che la seguiva,
un’espressione decisa sul bel viso.
“Oh, Dio, si ammazzerà…” Commentò lugubre Tom, rimasto solo con Michael.
“Stai tranquillo, Eve sa quello che fa.” Tentò di rassicurarlo il pittore.
“Non può mettersi un giubbetto di salvataggio o qualcosa…” Continuò apprensivo il chitarrista.
“È legato alla tavola e quella galleggia sempre.” Spiegò l’altro.
“Ma se il laccio
dovesse rompersi, oppure…” Continuò Tom
imperterrito, mentre seguiva con gli occhi i movimenti di Eve e Bill.
Si sentì afferrare un braccio e alzò gli occhi su Michael.
“Adesso basta,
Tom.” S’impose dolcemente il pittore. “Dovresti
provarci anche tu, invece di stare qui ad annegare nella
paranoia.”
Si scambiarono un
lungo sguardo, poi Tom sorrise e abbassò gli occhi, annuendo. A
Michael piaceva quel sorriso di Tom, perché era diverso dal modo
di sorridere di Bill, una di quelle sottili differenze che li rendevano
unici, nel mare di modi di fare uguali che avevano.
“Sei una delle
poche persone di buon senso capitate in questa famiglia,
Michael.” Disse infine Tom. “Mi domando come hai fatto ad
innamorarti di Bill.”
Il pittore gli sorrise. “E lo domandi?” Fece poi, con tono retorico. Risero.
“Andiamo.”
Incitò poi Tom, con un cenno del capo in direzione del mare
aperto; l’altro acconsentì annuendo. Si stesero sulle
tavole e nuotarono verso le onde.
La sera stava
rapidamente avvolgendo la spiaggia, mentre un tramonto spettacolare
infiammava il cielo all’orizzonte. I quattro ragazzi sedevano
intorno al falò che avevano acceso.
Bill tirò su
col naso, Eve lo guardò e sorrise. Il cantante era seduto a
gambe incrociate, con un’espressione mesta ed un’abrasione
scura sullo zigomo sinistro. Per fortuna la ragazza aveva portato un
kit di pronto soccorso.
“Amore, mi
arrostisci un paio di marshmallows?” Chiese Bill con voce
flebile, rivolgendosi a Michael che stava infilzando i dolci in uno
spiedino.
“Certo, tesoro, quanti ne vuoi.” Gli rispose il pittore, prima di accarezzargli la testa.
“Bill ha bisogno di dolcezza.” Scherzò Eve.
“Stai zitta,
stronza!” Sbottò il cantante adirato. “È solo
colpa tua se sono ridotto così! Mi rimarrà il
segno!” Aggiunse, sfiorandosi la guancia ferita.
“Non
toccarlo!” Esclamò lei, afferrandogli la mano tatuata.
“Possibile che devi essere sempre così imbranato, Bill?
Guarda Tom, sta benissimo!”
“In
realtà…” Si permise di correggerla il chitarrista,
alzando una mano. “…credo che piscerò acqua di mare
per i prossimi due secoli…”
“E poi non
capisco perché ti lamenti.” Riprese Eve, ignorando Tom.
“Sei tu che hai insistito tanto per surfare.”
“Ma era quasi
due anni fa!” Sostenne Bill. “E avevo i capelli biondi, la
barba ed ero… ero in una fase molto stupida della mia
vita!”
“Sei stato
redento dalla cucina di Eve?” Gli domandò Michael. Tom e
la ragazza risero, Bill fece un broncetto che non avrebbe convinto
nessuno.
“Non
saprei.” Fece il cantante, stringendosi nelle spalle, mentre il
pittore gli si sedeva accanto. “Sono successe così tante
cose, in pochi mesi.” Aggiunse.
“Già.” Annuì Tom, Eve che sedeva contro il suo fianco.
“Quando abbiamo
conosciuto Eve, non pensavamo certo che ci avrebbe cambiato la
vita.” Affermò Bill, stringendosi a Michael, che gli
avvolse le spalle con un braccio.
“Andiamo,
ragazzi…” Fece lei, raddrizzandosi con espressione
imbarazzata. “…non credo di avervi cambiato la vita.”
“Hai cambiato
noi, il nostro modo di vedere le cose.” Rincarò dolcemente
Tom, guardandola negli occhi. “Io ero intrappolato in una
relazione che non andava in nessun posto e Bill…”
“Io cercavo di
essere diverso da me stesso.” Intervenne lui. “Andavo in
giro sperando che in qualche avventura avrei trovato la persona
speciale che cercavo.” Poi guardò Michael, che gli strinse
la mano e rispose al suo sorriso.
“Mi date più importanza di quella che ho…” Tentò ancora Eve, arrossita.
“Tu non hai idea
di quello che hai fatto per noi.” Le disse Tom, mentre le
accarezzava con tenerezza la schiena. “E non lo dico
perché sono innamorato di te.”
“Nessuno era mai
stato così vero e sincero, con noi.” Aggiunse Bill.
“Nessuno, da quando eravamo dei ragazzini, e ne avevamo
bisogno.” Le fece uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
“Mi sto commuovendo…” Mormorò la ragazza. “Michael, digli qualcosa.” Supplicò.
“Potrebbe facilmente distrarmi con profferte sessuali, ma…” Intervenne il cantante.
“Bill, che cazzo…” Commentò il gemello.
“Ma questo
è un discorso serio.” Continuò Bill, dedicando solo
una smorfia al fratello. “Se siamo delle persone migliori, ora,
è anche merito tuo Eve.”
“Esatto.” Confermò Tom annuendo, con un sorriso dolcissimo.
“E dopo tutte
queste belle parole…” Soggiunse la ragazza, incrociando le
braccia. “…io che cosa dovrei dire, eh, grandissima coppia
di paraculi?”
“Dite la
verità.” Intervenne finalmente Michael, che aveva
osservato tutta la scena sorridendo. “È stato il suo
eloquio elegante che vi ha conquistati, vero?”
“Assolutamente sì!” Esclamò Tom, annuendo convinto; Eve lo colpì al braccio e lui rise forte.
“Una vera lady!” Rincarò Bill e tutti scoppiarono a ridere.
Più tardi,
mentre Eve e Tom si scambiavano tenerezze vicino al fuoco, Bill e
Michael passeggiavano lungo la spiaggia. La sera era tiepida e umida e
c’era una musica indefinita ma dolce, che li raggiungeva da un
punto vicino al falò.
Michael fermò
Bill prendendolo delicatamente per un polso sottile, lui reagì
subito, intrecciando le dita con le sue e si girò sorridendo. Il
pittore non finiva mai di meravigliarsi di quanto luminoso potesse
essere quel ragazzo. Radioso e bello come una notte di luna piena.
“Ti ricordi quando ci siamo conosciuti?” Domandò Michael a Bill; lui annuì continuando a sorridere.
“Sì.” Rispose poi. “Molto bene.” Rincarò, mentre gli stringeva di più la mano.
“Avresti mai
pensato di poter avere una storia con me?” Chiese ancora il
pittore; ora si stringevano le mani, uno davanti all’altro, quasi
appoggiati uno all’altro.
“Una storia non
so… qualcosa di più breve sicuramente sì.”
Affermò il cantante con espressione furba, alzando il suo
malizioso sopracciglio.
“Oh, signor Kaulitz, pensieri sconci al primo incontro…” Lo rimproverò Michael divertito.
“No, quello
no!” Sbottò Bill, ridacchiando timidamente e roteando gli
occhi. “Ho solo pensato che eri bello e che mi piaceva parlare
con te.” Spiegò quindi, prima di tornare a guardarlo negli
occhi. “Tu cosa hai pensato?”
“Che eri uno dei
ragazzi più belli che avessi mai visto.” Confessò
Michael con sincerità e si stupì di vederlo arrossire un
po’ e abbassare il capo. “Ma chissà in quanti te
l’hanno detto…”
“In molti, sì.” Ammise Bill. “Ma non erano te.” Aggiunse, con un tono dolce che solo lui aveva.
Il pittore alzò
di nuovo gli occhi nei suoi. Quei due meravigliosi, caldi, espressivi
occhi nocciola. E sul suo naso perfetto. E quell’opera
d’arte che erano le sue labbra. Si ritenne molto fortunato. Gli
mise le mani sui fianchi e lo strinse a se piano. Bill gli avvolse il
collo con le braccia.
“Sai cosa ho anche pensato, quel giorno?” Fece quindi Michael.
“Cosa?” Lo incitò l’altro.
“Che ero uno
stupido se ti lasciavo scappare, che volevo già baciarti e
sapere tutto di te.” Confessò sorridendo, mentre osservava
lo sguardo adorante del suo ragazzo.
“Mi sa che c’è una cosa che ancora non sai…” Mormorò misterioso Bill.
“È la
notte giusta per saperla.” Replicò dolcemente Michael,
indicando con un cenno della testa il cielo stellato e la grande luna
che rischiarava la spiaggia.
“Io ti amo.” Dichiarò Bill, senza esitazioni. Michael sorrise e alzò gli occhi al cielo.
“Pensavo che non me lo avresti mai detto!” Esclamò poi.
Risero e girarono su
se stessi, prima che Bill lo stringesse in una presa soffocante e gli
chiudesse la bocca con un bacio. Persero l’equilibrio e caddero
sulla sabbia umida, ma non gl’importava.
Bill e Tom Kaulitz
avevano amato la California fin dal primo giorno in cui ci avevano
messo piede, anche se era inquinata, calda e soggetta ai terremoti. La
California, però, non gli era mai sembrata bella come in quella
notte stellata, su una spiaggia buia, con le persone che li amavano per
quello che erano. Quella era davvero la città degli angeli.
FINE
NOTE:
Come d’abitudine, la traduzione dei versi a inizio capitolo.
Sto correndo forte portando un mazzo di rose
Ed una mappa che ho appena fatto
Stanotte sono rinato nudo ed ho sepolto la mia vecchia anima
E ho ballato sulla sua tomba
...
Ce ne ho messo ad arrivare, mia cara
Ce ne ho messo ad arrivare, ma ora sono qui
Questa canzone io
l’adoro, è una vera poesia ed in molti punti mi ricorda
Bill e Tom, ne consiglio l’ascolto. Grazie allo zio Bruce,
è un’ispirazione continua: God bless you.
Ammetto che è
stata molto dura finire questa storia, forse sono un po’ a corto
d’ispirazione tokiosa. Ho altre idee, ma devo trovare quella
giusta per la prossima storia, forse per un po’ non mi vedrete in
questo fandom, ma dovete sapere che i Tokio Hotel sono tutt’ora
(probabilmente per sempre) una cosa molto preziosa per me e non li amo
di meno se scrivo meno su di loro.
Perciò
ringrazio per primi loro, i miei quattro ragazzi speciali e in
particolare Bill e Tom, perché nonostante sia passato il tempo,
loro siano cresciuti e io invecchiata, i cambiamenti che ci sono
inevitabilmente stati, nei loro occhi c’è sempre la luce
che ho amato il primo giorno. Saranno sempre i miei lovely little
bastards, ma fatemi il disco, cazzo!
Un grazie enorme a chi
ha letto, commentato – m’inchino ai coraggiosi –
messo nelle preferite e nelle seguite questa storia. L’ho amata,
anche se è stata dura!
Un grazie
specialissimo a chi mi ha messo tra gli autori preferiti. Spero che mi
seguiate anche su altri fandom e che vi piacciano anche le altre cose
che scrivo.
E un abbraccio
grandissimo alle ragazze del Forum delle Adulte Malate di
Tokiohotellite, scusate se manco sempre dal gruppo, è colpa del
pc. Mi mancate, fonokkie! Che il terzo gemello sia con voi!
Oh, Dio, sono arrivata
in fondo! Quasi non ci credo… ho finito un’altra storia ed
ora ho un periodo nostalgico/malinconico. Ma tutto inizia e finisce,
no? Tiratemi su di morale coi commenti! ^_-
A presto! Baci grandi!
Sara
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