Turning Point

di Fe85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1-Quotidianità ***
Capitolo 2: *** 2-Colpa ***
Capitolo 3: *** 3-Get In Touch ***



Capitolo 1
*** 1-Quotidianità ***


L’ufficio di Light Yagami si trovava al primo piano del cosiddetto grattacielo “ferro da stiro”, il Flatiron; l’edificio era stato ribattezzato in quel modo a causa di una peculiare somiglianza con l’oggetto utilizzato da qualsiasi casalinga.

Mail Jeevas, nome in codice “Matt”, non aveva alcuna voglia di stare a sentire il suo superiore blaterare circa gli ultimi dettagli del caso “Chocolate Bar”. Se fosse stato per lui, avrebbe passato l’intera giornata, sdraiato sul divano a pigiare i tasti della sua inseparabile console con l’intento di battere il nemico finale di Super Mario Bros. Non era il classico tipo che si estraniava dalla realtà perché aveva ricevuto delusioni dalla gente che lo circondava, tutt’altro. Semplicemente, non aveva trovato qualcuno che potesse interessargli a tal punto da catturare la sua attenzione, e farlo uscire dal suo “guscio virtuale”.

Era convinto al cento per cento (parlando in percentuali come era avvezzo fare il suo mentore, L Lawliet, abilissimo detective di fama mondiale che l’aveva preso sotto la sua ala protettiva) che stronzate come l’anima gemella, Cupido e altre sdolcinatezze simili non esistessero, o meglio, erano state inventate per far sognare migliaia di ragazzine innamorate. Cos’era l’amore in fondo? Forse non si era mai fermato a pensarci seriamente, o forse ne aveva una visione talmente disincantata da non essere obiettivo del tutto.

Non appena si presentò in prossimità di una porta automatica, la fotocellula reagì alla sua presenza e superò l’entrata, passando poi nei pressi di un’enorme fontana, dalla quale zampillava dell’acqua ad intermittenza. A Light piacevano molto quel genere di cose vistose, che sembravano quasi voler sottolineare il suo ego smisurato, ma Matt non si era fermato a studiare solo il bel faccino del suo capo, che a quest’ultimo era parecchio utile quando desiderava ottenere qualcosa.

Light Yagami era molto di più. Era carismatico, e soprattutto intelligente. Lo si poteva intuire dal modo in cui si rapportava con il prossimo, e dal suo fare ammaliante che riusciva a rapire chiunque lo ascoltasse, proprio come un serpente incantato dal suono di un flauto. Ormai era da un anno che lo conosceva, e si era abituato ai suoi trucchetti, anche se Light riusciva sempre a fregarlo, o a ricattarlo, in qualche modo.

Era sempre un passo avanti a lui.

Matt salì una rampa di scale, corredata da un tappeto rosso, e scivolò in un lungo corridoio, dove su ambo i lati vi erano cinque porte marroni con un pomello dorato. Bussò alla terza porta alla sua destra, e dopo aver ricevuto un carezzevole “avanti” come risposta, si introdusse all’interno della stanza.

“Buongiorno, Matt. Ho appena scoperto il luogo in cui si nasconde la banda di Mello.” Light era comodamente seduto sulla sua poltrona di pelle girevole, intento ad osservare un plico di fogli che A, il suo assistente, gli aveva appena lasciato sulla lucida scrivania di legno d’acero. Com’era prevedibile, non lo aveva degnato nemmeno di uno sguardo, e non aveva indugiato troppo sui convenevoli, ritenendoli superflui. Anche il suo studio rifletteva appieno la sua personalità: era pratico e funzionale, decorato soltanto da un paio di quadri appartenenti al periodo Rococò.

“E scommetto che il lavoro sporco dovrò farlo io, vero?” intuì Matt, estraendo dalla tasca dei suoi jeans un pacchetto di sigarette, sue fedeli compagne insieme ai videogiochi. Non ricordava più in che occasione avesse contratto quel vizio, ormai erano passati tanti (troppi, forse) anni; era convinto che dietro il fumo, avrebbe potuto celare più facilmente la sua proverbiale insicurezza.

Il suo interlocutore sorrise compiaciuto, premendo poi il tasto di un piccolo telecomando che teneva nella mano sinistra. Dall’alto comparve un monitor di forma rettangolare, sul quale vi era rappresentata la mappa della città di New York.

“Quel puntino rosso che lampeggia è il covo dei malviventi, si trova nel South Bronx. Suppongo che tu abbia già afferrato il tuo compito.” gli spiegò sommariamente Light, mostrandogli un pezzetto di carta dove vi era annotato l’indirizzo dei criminali. Una volta che Matt lo ebbe memorizzato, l’altro si premurò di farlo sparire nel distruggi documenti.

“Ti consiglio di non sottovalutare Mello. Non ho mai avuto l’onore di vederlo in volto, tuttavia si dice in giro che sia piuttosto scaltro, e io non accetto un fallimento” precisò il giovane Yagami, pronunciando l’ultima frase con un tono che non ammetteva repliche.

“Soprattutto da un collaboratore di L.” aggiunse con un pizzico d’ironia, puntando le sue iridi castane in quelle verdi di Matt.

“Oh, tranquillo. Vedi di non deluderlo anche tu, Light.”

La risposta irriverente del videogamer non si fece attendere, e Light lo squadrò lievemente contrariato. Tramite A era venuto a conoscenza della “stretta collaborazione” che intercorreva tra L e Light, e dovette ammettere a se stesso che era piuttosto divertente punzecchiare quest’ultimo. Infatti, era difficile coglierlo in fallo, in quanto Light tendeva a mostrare agli altri solo la parte migliore del suo essere. Lui e L si erano conosciuti in Giappone durante le indagini riguardanti una serie di omicidi, il cui colpevole era un certo Taro Kagami che giustiziava i pregiudicati tramite un quaderno nero. Dopo la cattura del colpevole, il padre di Light, Soichiro, volle premiare il suo primogenito con una promozione, e decise così di mandarlo in America ad occuparsi personalmente di dirigere le trattative di affiancamento con la polizia statunitense, riducendo al minimo le possibilità di Light di frequentare il suo amante, che invece era rimasto nella terra del Sol Levante.

“Bene, puoi andare. Tienimi aggiornato.” lo congedò infine il giovane Yagami che tornò ad occuparsi delle sue faccende.

Matt lo salutò con un cenno della mano, mentre guadagnava l’uscita con la sigaretta accesa tra le labbra. Fortunatamente per lui, la riunione era durata meno del previsto.

                                                                       *

Approfittando della clemenza del tempo che aveva concesso uno spiraglio di sole in quella gelida giornata di dicembre, Matt si era recato a Central Park. Non appena superò il memoriale di “Strawberry Fields”, si appropriò di una panchina antistante ad uno dei tanti laghetti artificiali, e collaudò il videogioco di seconda mano che aveva acquistato qualche minuto prima in un negozietto della cinquantottesima strada. Gli alberi erano spogli, e la vegetazione in generale non offriva più le splendide tinte autunnali o primaverili; l’inverno, e di conseguenza il Natale, era ormai alle porte. A dire il vero, Matt non era un estimatore della natura, ma amava la tranquillità di quell’oasi, e quando voleva fuggire dal caos della metropoli, si rifugiava nel suo piccolo angolo di paradiso, dove gli unici rumori esistenti erano il cinguettare degli uccelli o il chiacchiericcio dei passanti. L’atmosfera vivace della Grande Mela strideva immensamente con la calma tipica della campagna inglese, dove era cresciuto. Fino all’età di sedici anni, aveva vissuto spensierato in un orfanotrofio per bambini prodigio di Winchester, ma il giorno del suo compleanno venne reclutato da L per diventare il suo erede. Lawliet aveva intravisto in lui un ottimo potenziale, e lo aveva portato con sé in giro per il mondo, affinché potesse apprendere i segreti del mestiere. Inizialmente, Matt era entusiasta della sua nuova vita, e si sentiva tuttora debitore nei confronti di L per tutto quello che aveva fatto per lui, però, col passare del tempo, si era reso conto di aver perso una cosa importante.

La libertà.

Dovendo assumersi certe responsabilità, non poteva permettersi passi falsi, e qualcuno aveva già pianificato il futuro per lui, senza concedergli possibilità di scelta.

Era dunque quello il destino dei geni? Lasciarsi avvolgere e assorbire dalla solitudine?

Non aveva ancora trovato una valida risposta ai suoi interrogativi, perché rispolverare quegli argomenti spinosi e complessi era sempre doloroso per lui.

“Ehi Cindy, secondo te cosa potrei regalare a Paul per Natale?” la voce stridula di una ragazza sulla trentina lo ridestò dai suoi pensieri, costringendolo a mettere in pausa il videogioco.

“Ah, non saprei. Talvolta gli uomini hanno dei gusti così difficili.” controbatté l’amica con fare lamentoso. Le due si erano fermate a dare da mangiare a quattro solitarie paperelle che nuotavano placidamente nel lago, riprendendo poco dopo il loro cammino, e lasciando Matt nuovamente solo.

Al videogamer scappò un sorriso.

“Mail, Mail, Mail! Quando ti deciderai a trovarti una fidanzata?”

Linda, sua amica e vicina di casa, glielo ripeteva in continuazione. Tuttavia, non aveva ancora trovato il coraggio di rivelarle che in realtà lui era omosessuale. Aveva paura che lei lo giudicasse, e che lo emarginasse. Era inutile negare che la società moderna si lasciasse influenzare con troppa facilità dai pregiudizi, nonostante cercasse di ostentare un certo “liberalismo”. Più e più volte aveva tentato, invano, di confessarle quella verità che stava diventando pesante quanto un macigno.

Non voleva perdere Linda che, insieme ad A, era stata l’unica persona ad apprezzarlo in quanto “Mail”, e non in quanto “Matt”.

Con il suo buonumore gli aveva insegnato che la vita non doveva essere vissuta solo “in bianco e nero”, come il colore delle righe della maglietta che lui indossava abitualmente; anche se mettere in pratica quelle belle parole, si stava dimostrando più difficile del previsto.

L’inerzia e l’indifferenza tenevano saldamente in scacco Mail Jeevas.

                                                                       *

La sera calò rapidamente sulla città di New York, come il sipario in un teatro. Per un qualsiasi turista, vedere tutti quei grattacieli illuminati sarebbe stato uno spettacolo mozzafiato, ma non per Matt che era abituato a quegli enormi “scatoloni”, come li definiva lui. Ogni volta che passeggiava per le vie del centro, si sentiva quasi come una formica sovrastata da quei giganti che trasmettevano quasi un senso di oppressione.

Stava aspettando di essere imbarcato sul traghetto che lo avrebbe ricondotto a Staten Island, il borough dove vi era l’appartamento che condivideva con A. Si guardò in giro, osservando l’adunanza di etnie raggruppata in quello spiazzo: ispanici, neri, bianchi, cinesi, meticci. Tutti pendolari che non vedevano l’ora di tornare a casa e lasciarsi alle spalle la giornata appena trascorsa. Ognuno utilizzava uno slang diverso, e di tanto in tanto la comprensione dei loro discorsi si faceva ostica.

Improvvisamente, Matt sentì qualcuno dietro di lui che gli calò i goggles sugli occhi. A sfiorarlo erano state due mani fredde come l’acqua di una sorgente montana.

“Ciao, Ma...tt!” esordì Linda allegramente, dandogli una pacca sulla spalla. Le capitava sovente di confondere il suo vero nome e il suo pseudonimo, vista la loro sottile somiglianza, ma a causa dell’alto tasso di rischi che comportava il lavoro dell’amico, in pubblico doveva obbligatoriamente chiamarlo con quell’appellativo fittizio. Mantenere il riserbo sulla propria identità era una cosa fondamentale per un detective.

“Ehi, com’è andata oggi?”

“Bene, grazie. I ritratti che ho fatto sabato sono piaciuti parecchio al professor Kensington!”

Linda Newton era una studentessa al secondo anno dell’Accademia di Belle Arti, e possedeva l’innata capacità di entrare in sintonia con chiunque. Lei e Matt si erano conosciuti qualche mese prima in un fast food. Il ragazzo le aveva inavvertitamente macchiato la camicia e le tavole con del ketchup, mandandola su tutte le furie, anche se poi la rabbia aveva lasciato spazio alla curiosità. Linda iniziò a tempestarlo di domande (a cui Matt aveva risposto approssimativamente) e a parlargli dei suoi progetti, dei suoi sogni, coinvolgendolo in qualche modo nella sua vita.

Avendo vissuto gli ultimi anni con L, taciturno e poco incline ad aprirsi agli altri, quella fu una novità per Matt.

Il solo dialogare con una persona normale equivaleva a qualcosa di inusuale per lui.

“Tutto merito del modello.” replicò Matt autocompiacendosi, mentre Linda roteava gli occhi divertita.

“Sempre modesto, eh Matt?” lo apostrofò A, intento a sorseggiare il cappuccino che aveva appena comprato da Starbucks “buonasera, Linda.”

Adam Bilton, soprannominato “A” oppure “After”, proveniva da una delle numerose sedi europee dell’orfanotrofio in cui era stato allevato Matt. Fungeva da “jolly” e, oltre ad aiutare Light nella sua attività di supervisore, coordinava l’operato del suo coinquilino. A differenza di Matt, si era stanziato a New York già da quattro anni, e gli innumerevoli vicoli della metropoli non erano più un segreto per lui. Come di consuetudine, i tre ragazzi si ritrovavano alle cinque e trenta in punto per prendere insieme il traghetto.

Timido e riservato con gli estranei, ma gentile e premuroso con le persone di cui si fidava ciecamente, A preferiva ascoltare, piuttosto che parlare di sé. Inoltre, sapeva dispensare dei buoni consigli, a dispetto della sua indole apparentemente distaccata. Occhi grigi, capelli biondi che gli arrivavano di poco sotto i lobi e un naso leggermente aquilino, contraddistinguevano il ventiduenne che era appena sopraggiunto.

“S-salve, A! Diglielo anche tu a questo stupido che non è mica un Adone!” proclamò Linda diventando rossa come un pomodoro e torturando uno dei suoi codini.

“La stupida sei tu, lo sai cosa succederà adesso, vero?!” la riprese Matt con fare concitato, spostando poi lo sguardo sull’amico.

A era rimasto in silenzio, limitandosi a scrutare la luna, dopodiché si voltò di scatto verso i due.

“Vi ho mai raccontato la storia di Adone? E’ una figura di origine semitica, e la tradizione sostiene che sia nato dal rapporto incestuoso fra il re di Cipro e sua figlia. Pensate che grazie alla sua fulgida bellezza, ha incantato sia Afrodite che Persefone.” A fece una pausa per riprendere fiato, ma pareva non avere ancora finito. La mitologia greca lo affascinava sin dalla più tenera età, e la sua libreria conteneva un numero incalcolabile di testi riguardante l’argomento. Tuttavia, quella non era la sua unica passione.

“E conoscete l’etimologia della parola “stupido”? Deriva dal latino “stupidus”, e propriamente sta per “stordito”, “attonito”, “senza senso”. E’ magnifico comprendere…”

“Ehm, non vorrei interrompere il tuo Simposio etimologico, ma il traghetto è appena arrivato, e se lo perdessimo, saremmo nei guai. Stasera dobbiamo preparare un piano d’azione.” lo avvertì Matt, fingendo un tono solenne.

“D’accordo, sbrighiamoci allora.” A precedette gli amici, gettandosi nella fiumana di gente che stava salendo sulla rampa d’accesso.

Linda e Matt, rimasti indietro di qualche metro, soffocarono una risata.

Il secondo non poteva certo immaginare che in breve tempo la sua vita avrebbe preso una piega del tutto inaspettata.

 

 

 

 

FE SCRIVE...

No, non ho cambiato “schieramento” all’improvviso XD

Rimango sempre una fedelissima delle MelloxNear, però qualche giorno fa è stato il compleanno di una mia amica, ed essendo lei una fan delle MelloxMatt, ho deciso di farle questo regalo ^^ (seppur con qualche giorno di ritardo).

E’ la primissima volta che scrivo su questa coppia, e a parte una (appartenente alla raccolta “Le Cronache Poetiche” di Myrose, così faccio un po’ di pubblicità :P), non ho mai letto storie che la riguardasse, quindi spero che la mia idea possa essere quantomeno originale.

Ho inserito l’avvertimento AU, perché il Death Note viene solo menzionato, e, come potete vedere, ci sono un po’ di cambiamenti. La storia è ambientata a New York, e per descrivere il tutto mi sono affidata ai  ricordi del mio viaggio nella Grande Mela risalente al dicembre 2009.

Ci sono un po’ di cosucce da spiegare:

-il grattacielo “ferro da stiro” a cui faccio riferimento all’inizio della storia è questo http://it.wikipedia.org/wiki/Grattacielo_Flatiron ;

-“Chocolate Bar”, per chi non sapesse l’inglese, significa “tavoletta di cioccolato”;            

-il Bronx e Staten Island sono due dei cinque distretti (borough) che compongono la città di New York. Siccome Staten Island è un’isola (come dice il suo nome), per raggiungerla è necessario prendere un traghetto;

-A è un personaggio che viene menzionato nel romanzo “Another Note”, di cui non viene fornita né una descrizione fisica né psicologica. Il fatto che sia fissato con l’etimologia delle parole e con la mitologia greca è frutto della mia immaginazione (così come il suo nome) ^^ Per la storia di Adone ho fatto riferimento a Wikipedia, mentre per l’origine di “stupido”, ho consultato il dizionario etimologico http://www.etimo.it/ ;

-Starbucks è una catena di caffetterie diffusa anche qui in Europa. Famosissimo il suo cappuccino da passeggio (servito in un bicchierone) che consuma il nostro A  http://it.wikipedia.org/wiki/Starbucks ;

-Non so se in America esista un’Accademia di Belle Arti, per cui chiudete un occhio XD inoltre, ho preferito usare “Matt” e non “Mail” per una questione di praticità;

-Taro Kagami è un personaggio che compare nel capitolo 0 (presente nel volume 13), eccovi il link per avere maggiori informazioni http://it.wikipedia.org/wiki/Death_Note#Capitolo_0 .

Spero che la storia possa essere di vostro gradimento (è già tutta scritta e non sarà lunghissima), e ripeto, essendo la prima volta che mi cimento con questo pairing che per me è “nuovo”, accetto ben volentieri critiche, suggerimenti e quant’altro.

Per il momento, non ho messo l’avvertimento OOC, perché farò il possibile per mantenere intatti i caratteri dei personaggi, ma se doveste notare delle incongruenze, fatemelo tranquillamente notare>___<

Fe

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Capitolo 2
*** 2-Colpa ***


«Non ti sembra un piano troppo semplice e prevedibile?» esordì Matt, la sigaretta abbandonata tra le labbra e gli inseparabili goggles dalle lenti arancioni calati sugli occhi. Quegli occhiali da aviatore gli erano stati regalati da L, il suo maestro, il primo Natale che aveva trascorso alla Wammy’s House, l’orfanotrofio in cui era stato allevato.

 «Spero che con questi tu possa vedere oltre.» gli aveva detto il celebre detective, criptico come sempre. Probabilmente, anche in quell’occasione aveva voluto metterlo alla prova, anche se lui non aveva ancora risolto il mistero annidato in quella frase. Anzi, temeva quasi di scoprirne il reale significato.

 L’intelligenza è un’arma a doppio taglio: permette di comprendere con immediatezza cose che alla maggior parte delle persone sfuggono, e allo stesso tempo, apre le porte a verità talvolta scomode che gli individui preferiscono ignorare.

 «Solitamente, le cose elementari sono quelle più efficaci.» ribatté A che stava navigando in Internet alla ricerca di alcune informazioni. Il ticchettio dei tasti del computer su cui stava lavorando, abbinato alla musichetta emessa dal videogioco di Matt, erano gli unici rumori udibili nella stanza. Dopo il loro rocambolesco incontro, avvenuto per mezzo di Light, avevano deciso di coabitare, dividendosi l’affitto dell’appartamento e…i guai. Avevano traslocato in una vecchia casa in stile coloniale che si diceva essere infestata dal fantasma di un musicista jazz.

In realtà, era stata la fervida immaginazione di Linda e del vicinato ad inventare quella storia per tenere lontano dal quartiere una cosca mafiosa che nel South Bronx regnava incontrastata; solo in un secondo momento, scoprirono che la banda che tutti temevano era quella del famigerato Mello.

 «Mi chiedo se quel tizio di nome Mello avrebbe creduto ad una scusa talmente banale. Light sostiene che sia molto arguto.»

 Matt fece un lungo sospiro, limitandosi ad osservare il dibattito che si stava svolgendo tra gli avvocati protagonisti del suo gioco[1]: se Light avesse avuto ragione, avrebbe dovuto prevedere tutte le possibili mosse del suo avversario, e se qualcosa fosse andato storto, avrebbe dovuto improvvisare come un attore che, accortosi di aver sbagliato un dialogo, cerca di porvi rimedio.

I casi che L gli aveva affidato fino a quel momento non erano stati particolarmente impegnativi, e aveva utilizzato solo un quarto delle sue reali capacità in essi.

 Perché si era lasciato coinvolgere in tutto questo? Principalmente per non deludere L, colui che aveva provveduto a trovargli una casa e a fornirgli una solida educazione. Matt era fatto così: accontentava chiunque, ma mai se stesso.

 «Va bene, faremo come dici tu, After. Ricapitolando: mi infiltrerò nell’organizzazione di Mello per sventare i suoi traffici, giusto?» chiese conferma Matt, che sistemò per un attimo la sigaretta sul posacenere e assaggiò uno dei pancake che Linda aveva preparato per loro. Nessuno dei due era molto propenso a cucinare, così la ragazza si era offerta di cucinare la cena tutte le sere, soprattutto per poter stare un po’ di tempo con A, del quale era innamorata. Tuttavia, lui pareva non contraccambiare i sentimenti dell’amica.

 «Esatto. Al momento si nascondono in un magazzino antistante il fiume Bronx. Domani mattina ti fornirò le coordinate esatte, intanto cancello la cronologia delle pagine che ho visitato e provvedo a sbarazzarmi di questo pc, in modo che non possano risalire a noi.» sentenziò A con il solito cipiglio serio.

Si guardò rapidamente intorno, notando quanto fosse caotico il loro soggiorno: sul divano su cui era seduto Matt erano accatastate pile di vestiti, mentre su una lampada ad olio erano appoggiati un paio di boxer sporchi. Sul tappeto persiano, posto davanti alla televisione al plasma, giacevano abbandonate numerose riviste e una scia di fogli di carta, simile alle briciole di pane di Pollicino, era disseminata lungo tutto il perimetro della stanza.

 «La conosci l’etimologia della parola “disordine”?»

 Matt, per tutta risposta, gli tirò un cuscino di raso blu in faccia.

                                                                                                                                     *

Il getto d’acqua calda della doccia eliminò dal suo corpo i residui della nottata trascorsa con Gevanni, il suo compagno, e Halle Lidner poté così iniziare una nuova giornata. Si avvolse nell’accappatoio di spugna color pesca, frizionando i capelli biondi con un asciugamano e ascoltando distrattamente i discorsi degli uomini radunati all’esterno dell’edificio.

Di tutte quelle voci sgradevoli e possenti, ne mancava una all’appello, che era completamente diversa dalle altre.

Era arrogante, graffiante e ironica.

Era la voce di Mello, il ragazzo che lei amava disperatamente, ma che non avrebbe mai potuto avere. Sembra insito nella natura umana bramare ciò che non si può possedere concretamente.

La donna guardò allo specchio la sua immagine riflessa, portandosi poi una mano sulla tempia.

«Ha quasi dieci anni in meno di te…toglitelo dalla testa.» continuava a ripetere a se stessa come una sorta di mantra, sperando che il viso di Mello abbandonasse definitivamente i suoi pensieri. Però non era così semplice zittire il proprio cuore che sembrava gridare quel maledetto nome come un dannato dell’Inferno dantesco che invocava pietà.

Come aveva potuto innamorarsi di lui? Era una colpa?

Purtroppo, l’amore non si può accendere o spegnere come un televisore, né tantomeno programmare.

Perché proprio Mello?

Forse perché era un tipo estremo, un tipo che non conosceva mezze misure, ma che credeva fermamente in ciò che faceva e lottava con le unghie e con i denti per raggiungere i suoi obiettivi. O forse non esisteva una ragione vera e propria; era semplicemente accaduto.

Sapendo di non essere ricambiata, aveva deciso di provare a frequentare Gevanni, il leader di una banda rivale, che aveva dimostrato da subito un certo interesse nei suoi confronti. In quel modo aveva provveduto a sancire una sorta di tacita alleanza con la fazione opposta, favorendo i loro affari. Indubbiamente, Mello nutriva stima e affetto nei suoi confronti, ritenendola una collaboratrice precisa e affidabile, ma niente di più.

«Ehi, Hal ti stiamo aspettando.» la chiamò Rodd Loss, un omone sulla quarantina, entrando come se niente fosse nella stanza e mettendo a dura prova l’autocontrollo della giovane.

«Perché questo branco di zoticoni non rispetta la mia privacy?» pensò Halle indispettita, evitando di generare inutili polemiche «Arrivo. Immagino che Mello sia andato al solito posto.» l’espressione della donna si era fatta quasi comprensiva, e assomigliava quasi ad una mamma premurosa che si preoccupava per la sorte del proprio figlio.

Le fu spontaneo paragonare Mello, il suo capo, ad una nave attraccata saldamente in un porto: non riusciva a salpare l’ancora, ovvero il proprio passato, e a "partire" verso nuovi orizzonti.

«Sì, ci conviene raggiungerlo.»

                                                                                                                                   *

Il coro gospel della chiesa di St.Anthony[2] stava intonando le note di One Day At a Time, mentre il pubblico, composto in gran parte da neri, ascoltava rapito la melodia e forniva supporto ai “cantanti”. Era inusuale il contrasto tra le loro uniformi candide e le loro anime, forse ancora più scure della loro carnagione. Il coro era infatti costituito da persone che avevano commesso ogni sorta di crimine, dalla rapina all’uso di stupefacenti, dall’omicidio al sequestro di persona. Eppure, ognuno di loro si era pentito delle atrocità perpetrate, e aveva deciso di voltare pagina, seppellendo gli sbagli e gli errori.

Era questa la rivoluzione che Mihael Keehl, noto ai più con lo pseudonimo di Mello, doveva compiere dentro di sé: vivere il presente, senza lasciarsi travolgere da antichi e dolorosi ricordi. Mentre il coro stava alla destra dell’altare, il ragazzo si era ritagliato un posto vicino all’uscita della chiesa e alla fonte battesimale. La cicatrice che deturpava il suo volto fungeva quasi da spartiacque: da una parte vi era il Mello tenace e orgoglioso che combatteva per il conseguimento del suo scopo, dall’altra invece vi era un Mello assetato di vendetta che aspettava con ansia il giorno del giudizio.

Il rumore della tavoletta di cioccolato a contatto con i suoi denti venne attutito da un paio di acuti che risuonarono nell’abside dell’edificio.

I'm only human; I'm just a man
Help me believe in what I could be and all that I am
Show me the stairway
I have to climb
Lord for my sake

Teach me to take
One day at a time
[3]

Come mai un ricercato della portata di Mello aveva violato la sacralità di quel posto? Uno che non riservava scrupoli per nessuno e che aveva sacrificato parecchie vite, la sua in primis, per arrivare dov’era, cosa cercava nella casa di Dio?

Un raggio di sole che filtrava solitario attraverso le vetrate colorate della chiesa lo colpì di striscio, ma lui subito si ritrasse, come se ne fosse scottato. Nascose persino il crocifisso che portava sovente al collo nel suo gilet di pelle.

Inseguiva delle risposte, anzi una risposta.

«Sarò io il numero uno.» mormorò deciso, portandosi un pugno sulla parte sinistra del petto e guardando dritto davanti a sé. Pareva un giuramento stipulato tra lui e un’altra persona che conosceva bene. Poco dopo, lasciò un’offerta e abbandonò la cappella per dedicarsi ai suoi traffici malavitosi.

In seguito al sacrificio dell’Agnello, Mihael Keehl tendeva a dimenticare con facilità la sua natura umana.



[1] Mi riferisco al videogioco “Ace Attorney”

[2] Nome fittizio

[3] Strofe di One Day At A Time, canzone gospel

 

Ciao a tutte!

Scusate se mi sono fatta attendere, ma ho la connessione Internet ballerina, e in seguito ad uno spiraglio di clemenza, sono riuscita a postare^^ Recensirò anche tutte le storie che mi sono lasciata indietro, promesso>___<

Bene, passiamo subito a parlare della storia: sono contenta che vi abbia incuriosite, perchè per me è un cosiddetto salto nel buio, dato che sto procedendo a tentoni in un universo a me sconosciuto. Dunque, che dire di questo capitolo? Siamo venuti a conoscenza del piano di Matt e A, e Mello ha fatto la sua comparsa. Ammetto di essermi basata molto sull'episodio 30 in un punto (le fan delle MelloxNear dovrebbe sapere perchè <3), cioè quando ho fatto riferimento alle vetrate della chiesa. Mi piace immaginare un  Mello, oltre che arrogante ed impetuoso, anche "umano".

Ringrazio tantissimo le otto persone che hanno inserito la storia tra le ricordate e le seguite, ma anche chi ha letto soltanto^^

Un grazie speciale va a:

redseapearl: questa storia è il mio banco di prova, e sebbene non abbia cambiato idea, ammetto che è difficile scrivere su un pairing che non sento mio, ma le sfide sono stuzzicanti per meXD Hai intuito bene, Linda è innamorata di A, ma a quanto pare lui finge di non accorgersene, poveretta. Se comparirà BB? Ho deciso di non fare spoiler, quindi ho la bocca cucita <3 Grazie mille, besos, Fe.

kiriku: diciamo che ho voluto mescolare un pò le carte in tavola, e far fare a Light la parte del buonoXD Grazie mille per aver commentato e soprattutto per avermi fornito info sull'accademia di belle arti della Grande Mela*_* Besos, Fe.

Myrose: ho colto al volo il tuo suggerimento, e l'ho applicato già a partire da questo capitolo, ti ringrazio davvero tanto <3 sono contenta che la mia storia ti abbia colpito, spero di non deluderti con questo capitolo!^^ Besos, Fe.

sadie_: come puoi vedere, in questo capitolo il cioccolatomane è apparso (ho cercato di caratterizzarlo al meglio e spero di esserci riuscita), per il resto non posso fare spoiler <3 grazie a te per aver lasciato un commento, spero che tu abbia apprezzato il riferimento all'episodio 30XD Besos, Fe.

Ovviamente, critiche, suggerimenti e quant'altro sono sempre ben accetti^^

Nel prossimo capitolo si entra nel vivo della storia!

Fe

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Capitolo 3
*** 3-Get In Touch ***


Il cielo coperto di nubi e l’aria gelida che soffiava quella mattina non rappresentavano certo un buon inizio per Matt che, nonostante avesse dormito tranquillamente per tutta la notte, non si sentiva affatto riposato.

Era forse quel senso di insoddisfazione permanente a conferirgli quella spossatezza?

In fondo, benché nel suo lavoro il pericolo fosse all’ordine del giorno, la sua era un’esistenza comune, ordinaria, e talvolta, per rendersi conto del fatto che fosse vivo, si portava una mano sul cuore, ascoltandone il battito un paio di minuti.

Tu-tum. Tu-tum.

Anche la sua vita procedeva nello stesso modo  cadenzato, monotono, immutabile come il paesaggio di un quadro.

Una settimana prima, A lo aveva quasi rimproverato di non comprendere il suo essere “speciale” in quanto erede di L. Gli ripeteva che all’orfanotrofio molti invidiavano la sua posizione, e i più ambiziosi avrebbero fatto carte false pur di “spodestarlo” e di collaborare con il detective del secolo.

A dire il vero, le parole di After lo avevano notevolmente stupito: non si era mai accorto che nel posto in cui era cresciuto, potesse annidarsi una tale invidia. E se persino il suo amico era a conoscenza di questo dettaglio[1], significava che anche nelle altre sedi doveva avere parecchi rivali.

Perché mi accorgo di certi dettagli quando è troppo tardi? pensò il videogamer, osservando distrattamente il fumo di un comignolo mischiarsi nell’aria già fortemente inquinata della Grande Mela. Contrariamente ai suoi standard, si era alzato di buon’ora (senza l’ausilio di una cuscinata del suo coinquilino), e dopo aver salutato Linda e After, si era lasciato alle spalle le belle case coloniali di Staten Island per essere accolto dai bassifondi del South Bronx, dove Light aveva provveduto a trovargli una sistemazione temporanea fino alla risoluzione del caso.

Sistemazione era una parola grossa: perfino una roulotte sarebbe stata più accogliente di quel buco, dal cui soffitto, pregno di umidità, pendevano alcuni calcinacci e una lampadina rotta. Nel lavello del cucinino erano ancora accatastati dei piatti sporchi, lasciati dai vecchi proprietari e la carta da parati a fiori era strappata in più punti, accentuando la sensazione di degrado che si respirava in quella casa.

Se Linda, ordinata e precisa qual era, avesse visto quello spettacolo, le sarebbe certamente venuta una sincope.

 Il ragazzo passò ad ispezionare il bagno, temendo di imbattersi nel serpente scappato dallo zoo di Manhattan qualche settimana prima, e invece, per sua fortuna, vi trovò solo dei ragni e una scritta sulla tenda della doccia, Fuck you, presumibilmente fatta con una bomboletta spray che sembrava volergli dare il “benvenuto” in quel mondo a lui sconosciuto.

Il divano verdognolo pareva attirarlo a sé come una calamita, e la tentazione di gettarsi in una nuova avventura in compagnia di Lara Croft[2] era forte, ma il lavoro andava anteposto al piacere, dato che in quella situazione erano coinvolti due “aguzzini” quali L e Light che pretendevano da lui una certa solerzia.

Lasciò sospirando quella che lui definiva una “topaia” e dopo aver camminato per una ventina di minuti raggiunse l’officina di Mike, il suo meccanico di fiducia. A dire il vero, quella era la prima volta che lo vedeva dal vivo, di solito si parlavano telefonicamente e l’uomo gli forniva le auto che Matt gli richiedeva, e fu piuttosto  sorpreso di aver azzeccato l’idea che si era fatto di Mike: se l’era immaginato basso, paffuto, sulla cinquantina e con il viso scuro e la tuta schizzati di macchie d’olio.

Le lezioni di criminologia che si era imposto di seguire tempo addietro stavano iniziando a dare i loro frutti.

«Buongiorno, Mike sono Matt.» esordì il giovane Jeevas con un mezzo sorriso, mentre si accendeva una sigaretta.

«Ciao Matt, piacere di conoscerti!» lo salutò Mike amichevolmente, asciugandosi il sudore che gli colava dalla fronte con un braccio «vieni con me, nel retro bottega avremo modo di parlare meglio.» detto questo, si diressero entrambi nella parte posteriore del garage, in cui vi erano una serie di vetture parcheggiate. C’erano sia macchine d’epoca che moderne, tutte perfettamente funzionanti; un vero e proprio paradiso per qualsiasi collezionista che si rispetti.

«Ormai credo di aver intuito i tuoi gusti in fatto di auto, e questa Ford Gran Torino potrebbe fare al caso tuo, soprattutto se dovrai cimentarti in qualche inseguimento.»

Matt osservò con interesse la macchina di un bel rosso fiammante che Mike aveva scelto per lui: era lo stesso modello che avevano utilizzato gli attori che impersonavano Starsky e Hutch nell’omonimo telefilm.

Per un attimo gli balenò in mente l’immagine di lui e After nei panni dei due poliziotti che avevano divertito le generazioni degli anni Ottanta, e trattenne una risatina. Senza perdere altro tempo, salì in auto e mise in moto, abbassando poi il finestrino.

«Hai fatto quella cosa?»

«Sì, certo. Ho avviato il ventilatore. Buona fortuna, Matt.»

Solitamente, quando dovevano comunicare, usufruivano di un linguaggio in codice per evitare che orecchie indiscrete comprendessero i loro discorsi. Oltre ad essere un bravo meccanico, Mike era anche uno dei tanti informatori che Light aveva disseminato in tutto il territorio newyorkese. Era stato lo stesso Yagami, qualche settimana prima, ad ordinargli di diffondere la notizia dell’esistenza di un bravo hacker tra i suoi clienti, per la maggior parte malavitosi: si augurava che quella fosse una buona esca per attirare Mello allo scoperto.

Più passava il tempo e più era incuriosito da questo fantomatico criminale e dall’alone di mistero che lo circondava. Chissà se era il classico delinquente pieno di tatuaggi e piercing, o se invece era un ladro gentiluomo, celebre per il proprio savoir faire. Si divertiva spesso a tracciare gli identikit di persone di cui sentiva parlare o che avrebbe dovuto incontrare.

Una volta congedatosi da Mike, inaugurò e testò subito la sua nuova auto, immergendosi in una delle strade principali del borough, scalando le marce con sicurezza e disinvoltura; per lui era certamente più facile familiarizzare con le cose inanimate piuttosto che con le persone in carne ed ossa. Non erano difficili da gestire e non si lamentavano mai se si agiva in maniera errata.

Probabilmente, questo era uno dei tanti fattori che avevano condotto Mail Jeevas ad un isolamento cronico, degno di un eremita.

Un eremita circondato da videogames, però.

Matt si fermò al semaforo di un  incrocio, la sigaretta tra le labbra e il braccio fuori dal finestrino, aspettando il verde per poter continuare la sua corsa. Spostò lo sguardo su due individui che stavano parlottando in un vicolo: ovviamente, era troppo distante per sentirli, ma a giudicare da come stavano gesticolando, l’argomento della loro discussione doveva essere importante. Il più basso dei due era biondo, portava gli occhiali ed era sicuramente il più impacciato, al contrario dell’altro, palestrato e pelato, che sembrava volerselo divorare.

Non appena scattò il verde, ripartì e fece ritorno nella sua nuova dimora.

                                                                       *

«Sei uno sconsiderato, Mail.» le parole che After ripeteva sovente, gli rimbombavano nel cervello come il suono di un tamburo africano.

O come un monito che serviva a farlo desistere da ciò che stava per fare.

Lo sciabordio dell’acqua interruppe la tranquillità in cui versava la casa e Matt regolò la manopola in modo da far uscire un getto caldo e ristoratore. Utilizzando le percentuali, c’era il 79% di probabilità che farsi una doccia in quel bagno lurido potesse essere alquanto deleterio, tuttavia Matt sentiva il bisogno di togliersi di dosso i residui di stanchezza che lo “appesantivano”. Si stava mettendo lo shampoo tra i capelli, quando il suo cellulare iniziò a squillare.

Merda, che tempismo perfetto.

Recuperò velocemente un asciugamano e se lo legò sui fianchi, senza prestare attenzione alla saponetta che il suo piede aveva erroneamente calpestato. Scivolò per qualche metro fino ad atterrare di schiena davanti all’aggeggio infernale che continuava a suonare, proprio come una professoressa dalla voce stridula che annoia i propri studenti con le sue spiegazioni.

«Pronto?»

«Sono Light. Come procedono le indagini?»

Non procederanno, se attenterai di nuovo alla mia vita, disgraziato avrebbe voluto rispondergli Matt, ma si trattenne e si limitò a massaggiarsi il sedere.

«Ho incontrato Mike, adesso staremo a vedere se il pesce abbocca all’esca.»

«Mail.»

 Sentendo quel vocabolo, Matt rimase basito per qualche secondo, incapace di parlare: possibile che Light lo stesse chiamando con il suo vero nome? Eppure lui per primo sapeva dell’alto rischio di intercettazioni telefoniche.

«Ti ho inviato una mail dove in allegato c’è la foto di uno degli scagnozzi di Mello, così magari potrai metterti in contatto con lui per arrivare al boss.» non udendo risposte dall’altro capo del telefono, Light aveva continuato a parlare come se niente fosse «tienimi aggiornato, mi raccomando. E niente passi falsi.» detto questo riattaccò, lasciando un Matt vagamente pensieroso e intento  a darsi dello stupido per aver frainteso.

Si rivestì alla svelta e accese uno dei suoi videogiochi che fungeva anche da computer, dotato di connessione ad Internet per verificare la corrispondenza elettronica o per navigare nel web.

«O cavolo!» urlò Matt, osservando accuratamente la foto e la mail inviategli da Yagami «questo è uno dei tizi che ho visto poco fa…può darsi che se mi sbrighi, riesca ancora a beccarlo!»

Quella mattina piuttosto movimentata segnò l’inizio del caso “Chocolate Bar”.

                                                                       *

La giornata di indagini di Matt si era conclusa davanti ad un bicchiere di rum, colmo di ghiaccio: in seguito all’importante rivelazione del suo capo, si era messo all’affannosa ricerca di Kal Snyder, il complice di Mello con cui si era involontariamente imbattuto quando era bloccato al semaforo. Peccato che reperire questo tale si stava rivelando un’impresa più difficile del previsto, dato che sembrava essersi volatilizzato nel nulla; dovette ammettere che quei bastardi erano scrupolosi.

Fin troppo.

 Tuttavia, la sua investigazione non era stata del tutto infruttuosa: tramite un informatore, aveva saputo che l’uomo palestrato che era insieme a Snyder quella mattina faceva parte di una banda che osteggiava aspramente quella di Mello.

Adesso ho bisogno di rilassarmi…vaffanculo a Mello e ai suoi tirapiedi mentre pensava quelle parole, il videogamer si scolò, un po’ abbattuto, l’alcolico e non appena questi entrò in contatto con la gola, se la sentì bruciare.

Aveva scelto un pub a caso per passare la serata, anzi, aveva optato per quello la cui l’insegna l’aveva attirato maggiormente. Nonostante fosse andato alla cieca e il Bronx non fosse esattamente il posto più pacifico della Grande Mela, quel locale non era poi tanto male. All’entrata vi era un lungo bancone di legno, sopra il quale vi passava un filo dove vi erano appese le mutande delle celebrità che erano passate di lì, e degli sgabelli di colori diversi. Spostandosi al centro della sala, vi era un palco animato da tre cubiste, che intrattenevano i visitatori con i loro balli sensuali, e sulla destra troneggiava un biliardo, attorno al quale aleggiava una coltre di fumo prodotta dai sigari di alcuni uomini di mezz’età che stavano puntando dei soldi.

Tra la miriade di persone che riempivano il pub quella sera, Matt notò proprio l’uomo che stava cercando: Kal Snyder. Non poteva sbagliarsi: l’espressione preoccupata che oscurava costantemente il suo viso era inconfondibile.

La dea bendata ha iniziato a sorridermi, finalmente!

Il ragazzo si fece largo tra la folla, e pedinò con discrezione Snyder, che aveva appena varcato la soglia di un privè.

Era talmente concentrato nel tallonare la spia da non rendersi conto di essere sorvegliato a sua volta. Si appoggiò leggermente alla porta bianca che recava la scritta “riservato” per poter origliare lo scambio di battute tra i due.

«Se dovessi scoprire che fai il doppio gioco, non esiterò ad ucciderti. Spero sia chiaro il concetto. La partita di droga arriverà domani allo stadio, approfitteremo della confusione per ritirarla e anticipare così Mello. Saranno i Black Panther ad avere il dominio del Bronx.» tuonò una voce minacciosa, e tramite la serratura, Matt riuscì ad intravedere il palestrato che giocherellava con una pistola.

Quindi, Snyder è un traditore e si è venduto ad una banda rivale?!

Il cigolio della porta tradì Matt sul più bello, e insospettì immediatamente i due malviventi che non appena si accorsero di essere stati colti in flagrante, decisero di punire quel “visitatore” scomodo. L’omone prese Matt di peso, e dopo averlo sollevato da terra qualche centimetro, lo sbatté contro il muro.

«E tu chi saresti? La mamma non ti ha insegnato che è maleducazione origliare?» lo provocò il palestrato, ghignando e mettendo in bella mostra i suoi incisivi dorati.

Il videogamer strinse i denti, emettendo un mugugno e cercando prontamente di rialzarsi. L gli aveva insegnato che anche i nemici più temibili possedevano un punto debole su cui far leva, ed era giunto il momento di mettere in pratica quel concetto.

Devo giocare d’astuzia. Sarà come battere l’avversario di un picchiaduro.

Matt dribblò la domanda che gli era stata posta, e per scongiurare l’utilizzo della pistola da parte del nemico, gli fece uno sgambetto, facendolo franare a terra.

«Razza di pivello, adesso…urgh!» ma il gigante non ebbe modo di controbattere, dato che il ragazzo gli aveva rifilato un gancio nello stomaco. Tramite l’ausilio di una corda che portava sempre con sé, lo legò come un salame, per occuparsi poi di Snyder che aveva cercato di colpirlo alle spalle, dimostrando apertamente la sua natura sleale.

Per metterlo KO, fu sufficiente un pugno ben assestato in pieno volto.

Per concludere in bellezza la serata, ci mancava la rissa… pensò Matt, pulendosi con il guanto un rivolo di sangue che gli colava dal labbro inferiore. Un rumore di passi lo mise in allarme, e approfittando della finestra che dava sul retro, tolse il disturbo per scansare eventuali complicazioni.

Mello, accompagnato dai fedeli Halle e Rodd, fece il suo ingresso nel privè, constatando ciò che era successo e osservando una figura scappare nell’oscurità.

«Che cosa ne facciamo di questi qua?» chiese Rodd sbuffando, guardando di sottecchi Mello «a quanto pare, qualcuno prima di noi ha già dato loro una bella lezione.»

Il ragazzo diede un morso alla sua tavoletta di cioccolato, assottigliando gli occhi come un gatto.

«Lo sai che fine fanno i traditori o chi cerca di metterci il bastone tra le ruote.» dopodiché abbandonò definitivamente il pub.

Doveva fare ancora una cosa.

                                                                       *

Rientrato nel suo appartamento, Matt si sdraiò sul divano e ripensò alla lotta che era scoppiata tre ore  prima al locale. Era notte fonda, e in lontananza si udivano solamente i latrati dei cani o le sirene della polizia che riecheggiavano solitari. Sperò vivamente che nessuno l’avesse notato e che dal suo comportamento non derivassero rogne.

Venne distratto dalla suoneria del suo cellulare che gli indicava l’arrivo di una chiamata, ma rispose solo al quarto squillo. Sul display era comparsa la dicitura “anonimo”, quindi dal’altra parte del telefono poteva esserci chiunque.

«Pronto?»

«Ti ho visto scappare dal Lithium. Come ti chiami?»

Non era una voce camuffata, e nel frattempo Matt si sforzò di indovinarne la provenienza, magari tramite qualche rumore di sottofondo. Tuttavia, dovette arrendersi quasi subito perché il silenzio regnava incontrastato nel luogo in cui chiamava lo sconosciuto.

Da quel tono di voce perentorio, Matt dedusse una cosa, però: il suo interlocutore doveva essere un tipo abituato a dare ordini, e a non accettare un “no” come risposta.

O perlomeno questa era la prima impressione che aveva avuto, quindi tanto valeva assecondarlo e vedere cosa voleva.

«Matt. E tu?»

«Non ha importanza. Incontriamoci tra un quarto d’ora allo sbocco di Masen Street.[3]Da soli.»

Diretto. Conciso. Dritto al punto.

Come diamine aveva fatto (e soprattutto da chi) ad ottenere il suo numero? Sicuramente era un tipo in gamba ed essendosi messo in gioco in prima persona, doveva essere un amante del rischio. Poteva essere una trappola, ma lasciarsi sfuggire un’occasione del genere sarebbe stato da idioti e Light non avrebbe approvato. Inoltre, c’era la possibilità che quell’individuo, chiunque egli fosse, gli avrebbe rivelato qualche informazione utile riguardo a Mello. 

«D’accordo, a tra poco.» 

Non appena Matt chiuse la comunicazione, Mello ripose il suo cellulare in tasca e scartò una nuova tavoletta di cioccolato, appoggiandosi ad una lapide piuttosto spoglia.

Benchè fosse notte, il nome scolpito nel marmo era chiaramente leggibile, illuminato dal pallore della luna.

Near.



[1] Vi ricordo che After è cresciuto in una delle sedi europee della Wammy’s House (vedi capitolo 1)

[2] Mi sto riferendo all’eroina del celebre videogioco “Tomb Raider”

[3] Via totalmente inventata.

FE SCRIVE...

Buongiorno fans delle MattxMello e non!

Chiedo venia per il ritardo con cui posto questo capitolo, teoricamente dovrei essere intenta ad ultimare la fiction di un contest che scade stasera, ma ce la farò!XD

Dunque, spero di essere perdonata per l'attesa con questo capitolo, piuttosto lunghetto e inizio a ringraziare tutti coloro che hanno letto soltanto o inserito la storia in una delle tre colonne, grazie davvero!*_*

Un grazie in particolare alle persone che hanno recensito lo scorso capitolo (scusate se vado un pò di frettaT__T):

starhunter: sono contenta che la storia ti piaccia, cerco sempre di condire il tutto con un pò di ironia che con due personaggi come Matt e Mello credo che non guastiXD

kiriku: grazie ancora per avermi segnalato quella svista madornale, se dovessi incontrarne altre, soprattutto in questo capitolo, che ho revisionato alle sei di stamattina (XD), non esitare a scrivermele>__< spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento, e di essermela cavata altrettanto bene>__<

redseapearl: in questo capitolo direi che abbiamo scoperto qualcosina in più e che "le acque stanno cominciando a muoversi" XD

sadie_: sono contenta che il personaggio di After abbia suscitato il tuo interesse, mi sono molto affezionata a luiXD spero che questo capitolo ti piaccia, come sempre l'ho scritto con tanto impegno, ma soprattutto mi sono divertita ;)

LastScream: oh, una nuova lettrice, che bello!*_* sono contenta che la storia ti appassioni e, come puoi vedere, il tuo maritino in questo capitolo la fa da padrone!XD

Grazie a chiunque vorrà lasciare un segno del proprio passaggio e a chi leggerà soltanto^^ scusate, ma oggi sono dislessica=__=

Fe

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