Land of Make-Believe di Gipsy Danger (/viewuser.php?uid=56002)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00. Pregare - [The leaden sky is a heavy sign] ***
Capitolo 2: *** 01. Sognare - [the sun is broken up by the bright white dregs] ***
Capitolo 3: *** 02. Vagare- [the ringing in my ears is sharp] ***
Capitolo 4: *** 03. Dimenticare - [Quickening, quickening, the low-flying swallow makes a figure of eight] ***
Capitolo 5: *** 04. Ricominciare - [As it flies over the valley of buildings] ***
Capitolo 6: *** 05. Scegliere - [an evening shower is on its way] ***
Capitolo 7: *** 06. Dubitare - [On the path of cloudy weather, fearfully walking in the rain] ***
Capitolo 8: *** 07. Sfidare - [I look up to the Sky] ***
Capitolo 9: *** 08. Distruggere - [Over there, over there, a skillful toddling walk] ***
Capitolo 10: *** 09. Fidarsi - [crowding at the coffee shop, looking for a final rest] ***
Capitolo 11: *** 11. Cadere - [I can't go back, I can't go back] ***
Capitolo 12: *** 12. Sorridere - [On the Path of Cloudy weather, fearfully walking in the rain] ***
Capitolo 13: *** 13. Ripetere - [the two of us are walking like soldiers] ***
Capitolo 14: *** 14. Osservare - [Because I'm also stuck in cowardice, I look up to the sky] ***
Capitolo 15: *** 15. Vacillare - [A timid heart is at disadvantage with someone who likes danger] ***
Capitolo 16: *** 16. Cominciare - [On the path of cloudy weather...]\\ Epilogue Arc 1. ***
Capitolo 17: *** 17 - Scontro. ***
Capitolo 18: *** 18 - Bugie. ***
Capitolo 19: *** 19. Sorriso. ***
Capitolo 20: *** 20. Fuori. ***
Capitolo 1 *** 00. Pregare - [The leaden sky is a heavy sign] ***
Land
of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever
we’ve been-
00. Pregare
[The leaden sky is a heavy sign]
Terra#10: Germoglio.
*
“Mi
ha sorpreso apprendere che la parola samurai voglia dire: servire.”
Nathan
Algren – L’ultimo Samurai
*
Gli fanno male le
mani.
Alla prima palata di
terra gli si sono riempite di vesciche biancastre e doloranti che, poi, sono scoppiate,
lasciandogli i palmi rossi e irritati. Adesso anche la pelle si
è ritirata e ha cominciato a sanguinare.
Hijikata Toshizou
scruta il reticolo rosso scuro che gli cola tra le dita, indifferente,
prima di pulirsi le mani sugli hakama in un gesto sbrigativo. Ha di
meglio da fare che piangere.
Torna a scrutare il
terreno con l’occhio critico degno di un figlio di contadini.
La buca.
È troppo profonda? Troppo larga? Basterà?
‘Va bene
così,’ Si dice infine, sicuro. Lascia cadere la
vanga che ha maneggiato con tanta fatica sin'ora: non gli serve
più. Si inginocchia e tira a sé il sacco di iuta.
Lo apre.
Il
germoglio di bambù è giallastro e fiappo; le
poche, tenere foglie che lo avvolgono penzolano mestamente da un fusto
appena sbozzato. Sembrerebbe morto, non fosse per la protuberanza verde
chiaro che balugina in cima.
È per
quella che Toshi si è sporcato all’inverosimile e
l’ha tolto dai rifiuti prima che potesse sparire, fagocitato
dalla dimenticanza.
Lo prende con
delicatezza. Il sangue e il sudore formano una patina scivolosa sul
mozzicone di pianta, rendendo difficile maneggiarla.
Con cautela, il
bambino la sposta nella buchetta che ha scavato per lei. Il legno morto
è duro e irto di schegge a contatto con i suoi palmi
spellati. Spinge la terra al suo posto, in un monticello scuro e
soffice, seppellendo la parte putrescente del bambù,
finché non è solo quella minuscola punta di
freccia verde pastello.
Fatta. È fatta.
Si asciuga la fronte col dorso della mano, lasciandosi uno sbaffo di
fango in faccia. Con uno sbuffo, allontana i capelli dalla faccia. Si
alza in piedi, concedendo a sé stesso un istante per
ricomporsi.
Uno sguardo al cielo:
nuvole basse tingono la volta immensa di un grigio plumbeo, ferroso. Si
preannuncia brutto tempo.
Distrattamente,
si chiede se qualcuno lo sentirà, attraverso quella cortina
di vapore acqueo.
Batte le
mani martoriate tre volte, richiamando l’attenzione degli
dei. Ha i palmi talmente impastati di sangue e terra che fanno un
umido, schifosissimo ciac,
ma spera che ai Kami non importi.
Bene così. Ora,
inchino.
Poi, anche quel
pensiero si dissolve.
"Vi prego."
Non esiste altro che
la preghiera. Quella che ha sempre ripetuto tra sé e
sé, quasi ogni notte. Quella che ha messo radici dentro di
lui da quando ha memoria.
Radici salde e
profonde come quelle di un sakura.
Parte esitante. Viene
da sola.
Vola.
"Vi prego, o dei,
concedetemi la possibilità di realizzare questo mio
desiderio.
Permettetemi di
diventare un samurai."
È quello
che finora ha sempre bisbigliato al vuoto. Questa è la prima
volta che chiede davvero a qualcuno di accontentarlo. Che si trova
abbastanza coraggio per recitarla ad alta voce.
"Non
m’importa di tutto il resto. Non m’importa se
dovrò allenarmi fino a non stare più in piedi.
Non m’importa quanto farà male. Non importa se
nessuno mi ascolterà.
È tutto
ciò che voglio. Tutto ciò che desidero."
Silenzio.
Solo silenzio a rispondere.
Poi, una
goccia.
Una
goccia che cade dal cielo e gli colpisce il naso.
Toshi spalanca gli occhi, batte le palpebre.
Un’altra lo centra dritto in fronte. E un’altra gli
cade sulla spalla. E un’altra ancora…
Un sorriso gli si
dipinge in faccia.
Piove.
Piove in piena estate,
dopo mesi di siccità. Piove sul villaggio Ishida, nella
provincia di Musashi, in un Giappone che - nessuno lo sa, ancora- sta
cambiando. Piove sui tetti delle case, sui gatti acciambellati agli
angoli delle strade e sui contadini al ritorno dal lavoro.
Piove sui suoi dubbi, sulle sue paure. Piove su di lui, bambino
inzaccherato fino ai capelli, stanco e felice.
Piove sul germoglio
della speranza, ai suoi piedi.
Non è stato
un gran rituale.
Però qualcuno, a quanto pare, l’ha ascoltato.
[632 parole]
#
Note dell'autrice:
Una piccola precisazione storica: Hijikata ha davvero
piantato un bambù all'età di otto anni. E ha
davvero giurato su di essa di diventare un samurai. La pianta si leva
ancora oggi nel giardino di casa Sato, dove Toshizou passò
la maggior parte dell'infanzia e dell'adolescenza e dove
cominciò a prendere lezioni di kenjutsu da Kondou. Se avete
la fortuna di fare una visita a Tokyo e non vi tocca restare chiuse in
casa per tutta l'estate come la sottoscritta, fateci una visitina ;].
*sbadiiiiiiiiiiiiglio*
E come si dice? Si finisce una storia, se ne comincia un'altra. Mi pare
ovvio ;]. Come avevo accennato nelle note finali di Burning, dunque,
eccomi qui - prima del previsto, ma mi premeva postare presto qualcosa.
Dunque. Land of Make-Believe nasce per la Challenge "The Four Elements"
di xdxdxdxd, sul forum di EFP. Si tratta di una raccolta di....48
shots, una per ogni prompts delle quattro tabelle su cui è
basata questa sfida, ognuna con un POV diverso a seconda del
personaggio a cui ho associato il prompt. Inclusi gli improbabili- o
forse dovrei dire invisibili, dato che la serie glissa spesso e
abbondantemente su di loro.
Eh già. Ne avrò di roba con cui stressarvi.
Per rendere la cosa un po' più agevole, ho deciso di
dividere il totale di 48 capitoli in tre "momenti" della
storia della Shinsengumi. Si parte dal passato, come appunto
avrete constatato. Forever
we've been, come cantano gli HIM in Nightside of Eden
(kudos a Ellie per avermi fatto notare quanto questa canzone sia
calzante con i minna-san); dato che solo "passato" mi sembrava banale,
ho aggiunto quel "Donten"; significa cielo piovoso, ed è il
titolo di una splendida canzone dei Does (nonchè epica
opening di Gintama) che ha ispirato questa prima sezione di Land. Qui
la potete ascoltare. Quanto ai lyrics...beh, per la fine del passato,
li avrete tutti in mano ;] ognuno è stato riportato sotto il
titolo della one-shot.
Avviso già da ora che numerose shot prendono spunto dalla
storia della vera Shinsengumi (utilissime fonti d'informazione sono
stati svariati siti web, libri a tema- tra cui il Moeyo Ken- bloggers
che meriterebbero una statua, traduzioni di drama-cd e least but not
last, i pochi frammenti tradotti del diario personale di Nagakura
Shinpachi, pubblicato nel 1998 e purtroppo irreperibile anche solo in
inglese): da qui l'avvertimento di What if.
Che altro dire? Spero
che questa serie
possa piacere a persone più disparate. Cercherò
di essere più eclittica
possibile e di toccare sia argomenti allegri che tristi, in modo da
avere un lavoro variegato. Ringrazio fin d'ora chi mi
lascerà un commento, chi mi seguirà e chi
semplicemente leggera. Buona lettura ^^.
Mata ne,
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 01. Sognare - [the sun is broken up by the bright white dregs] ***
Land
of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever
we’ve been-
01. Sognare
[The sun is
broken up by the bright white dregs]
Aria#12.
Cielo.
*
“Vola
solo chi osa farlo”
Luis
Sepùlveda - la gabbianella e il gatto
*
A naso in su per
guardare il cielo.
Quando lo
vede così, con la testa rovesciata verso l’alto e
le sopracciglia aggrottate, il suo maestro comincia a sbuffare. E,
mentre il ragazzo si affretta a rimettersi in piedi e ad afferrare il
bastone che gli riposa di fianco, gli scaglia dietro sempre la solita
frase.
Si
comincia.
“Ci risiamo,
vedo. Stai ancora controllando che gli dei non stiano per crollarti in
testa, ragazzino?”
Ogni volta, Harada
Sanosuke non può fare a meno di darsi dello stupido-
inutilmente.
“Vi chiedo
scusa, sensei. Stavo solo pensando.”
Sbuffo. Sbuffo.
“Pensare
troppo ti fa male, Sano-kun. Tieni i piedi piantati per terra e gli
occhi sull’avversario, o finirai per ricevere una solenne
batosta.”
È
più forte di lui, lo sanno entrambi: basta un niente
perchè la sua mente si stacchi dal mondo e spicchi il volo.
Per quanto sia
sbagliato.
Per quanto sia pericoloso.
“Sì,
sensei.”
Sbuffo.
“Non
ti è servita la lezione?”
Con
questa battuta nelle orecchie, Sanosuke si porta automaticamente una
mano allo stomaco. Attraverso alla trama leggera dell’haori,
la cicatrice è dura e fredda. A volte gli sembra di sentirla
pulsare. Allora ricorda: la sua vita avrebbe dovuto terminare due anni
prima, affogata in un lago di sangue.
“Sì.”
risponde allora. Convinto. Secco. Morire una volta gli è
bastato.
Arrivati
qui c’è sempre una pausa.
Dipende
da come si sente Tani Sanjuro: se è una buona giornata se ne
andrà masticando insulti.
Se è una
cattiva giornata, sbufferà per la centesima volta, si
lascerà cadere le braccia lungo i fianchi e, dopo
un’occhiatina veloce al cielo, scruterà il suo
allievo.
“Ma che
diavolo ci vedi, là in alto, me lo dici?”
A questa domanda, Sano
non risponde mai.
D’altra
parte, gli manca l’aria per essere sincero. Come potrebbe
parlare? Come potrebbe spiegare?
Fissa di rimando il
maestro, serio. Lascia che le palpebre si chiudano, solo per un
istante. Sprazzi di azzurro gli riempiono gli occhi. Un debole tremito
di aspettativa lo attraversa.
Non è bravo a mentire, ma si sforza di farlo.
“Niente,
sensei. Pensavo e basta.”
A quel
punto nemmeno Tani-dono sa più cosa dirgli. Se ne va
– stavolta davvero – scuotendo la testa.
“Io non so
che fare, con te. ”
"Mi dispiace, sensei."
"Fa che non succeda più. Concentrati sulla
realtà...i voli pindarici non hanno mai salvato la vita a
nessuno."
"Hai, sensei."
"Bravo ragazzo."
Harada
non prova nemmeno a dargli ascolto.
Aspetta che
l’uomo giri l’angolo, si siede con la schiena
contro il muro caldo e si appoggia il bastone sulle ginocchia.
I suoi occhi salgono.
Superano la recinzione di legno che segna il confine della palestra,
superano anche le colline offuscate dalla nebbiolina
dell’afa. Su. Più su ancora. Per prima trova la
linea dell’orizzonte: nei giorni assolati e senza fine
passati nel cortile del dojo, è una riga bianca e sbiadita
come gesso calpestato.
Più su. Su.
E poi.
Azzurro
chiaro. Lì: una curva infinita sopra di lui. Azzurro scuro.
Blu ciano, picchiettato di nuvole- bianchi sbaffi di pennello
dimenticati su un foglio immenso.
Su. Fino ad essere
accecato dalla luce del sole, fino a sentire il suo calore penetrargli
nelle ossa e scioglierlo.
E proprio
quando il collo gli comincia a bruciare e gli sembra di stare per
capovolgersi sull’erba seccata dall’estate, Sano
sente una strana calma scendergli dentro e dissolvere nel nulla
l’ansia, l’attesa, la frustrazione.
D’accapo. Siamo
d’accapo, pensa.
Un sorriso soddisfatto
gli si disegna in viso.
Va
tutto bene. Posso resistere ancora per un po’.
I sogni saranno anche
inutili, ma nei
suoi diciannove anni di vita questi sguardi rubati sono
l’unica cosa che gli ha impedito di soffocare. In attesa di
un cambiamento che, lo sa, sta arrivando.
[616 parole]
Tani
Sanjuro è realmente esistito; si pensa che Sano abbia
frequentato il suo dojo ad Osaka come suo allievo e che da lui abbia
imparato tutto quello che sapeva sul combattimento con la
lancia. Più avanti, Tani e suo fratello sarebbero stati
coinvolti proprio da Harada stesso nella Shinsengumi, diventando
capitani a loro volta.
Well, fuck. Un esame d'inglese lungo otto ore per un dannato
certificato linguistico upper intermediate, quasi sei giorni di febbre
a trentanove fissa e cinque di nullafacenza forzata. -.-" Meh. Che
schifezza.
Confidando che prima o poi mi passi la tremarella convulsa e mi ritorni
la voce, ecco il secondo capitolo. All'inizio, dato che si trattava del
prompt libero della tabella aria, pensavo di usare la parola
"soffocare" e parlare del tentato seppuku di Sano, ma alla fine la
storia ha preso la piega che ha preso e devo dire che mi piace di
più così.
Ringrazio Ellie per il commento e a Nejiko per aver inserito Land tra
le ricordate, oltre ad avermi recensita. E naturalmente tutti coloro
che hanno anche solo letto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** 02. Vagare- [the ringing in my ears is sharp] ***
Land
of Make-Believe
Part
1:
Donten
-Forever
we’ve been-
02.
Vagare
[The
ringing in my ears is sharp]
Acqua#3.
Scorrere.
*
“Mia
madre diceva sempre che mia sorella Satsu era come il legno, radicata
al terreno come un albero sakura. Ma a me diceva che ero come l'acqua.
L'acqua si scava la strada attraverso la pietra, e quando è
intrappolata, si crea un nuovo varco.”
Sayuri
Nitta – Memorie di una Geisha
*
C’era una
volta.
Le storie,
d’altra parte, iniziano sempre così. La sua non
può essere tanto differente dalle altre.
Lungo la
strada, attraverso le ore passate a mettere un piede davanti
all’altro, con la sottile polvere giallastra ad infilarsi nei
suoi sandali e monti, fiumi, boschi a scorrergli di fianco, Nagakura
Shinpachi ha imparato a raccontare il passato e aspettare il futuro.
Un po’
perché, in questo modo, non sente la stanchezza accumularsi
sulle sue spalle insieme alla fatica e al sudore; un po’
perché vagare esige il suo prezzo in memoria, e lui non
vuole dimenticarsi da dove viene.
Comincia
sempre allo stesso modo.
C’era una volta il
figlio di un feudatario che non aveva mai visto la sua terra.
Suo padre
ha sempre amato fregiarsi di quel titolo. Ne parla e parla e parla, e
non si preoccupa troppo dei dettagli - eppure nemmeno lui ha mai
messo piede in quel pezzo di terreno in mano al clan Matsumae.
Probabilmente non lo vedrà mai.
Lui sì, ne
avrebbe avuto la possibilità, ma nel suo peregrinare
Shinpachi non ha sentito alcun bisogno di visitarla. Quella striscia di
campi che porta alla sua famiglia centocinquanta koku all'anno e un
nome rispettato è sempre stata lì e, se tutto va
bene, sempre ci resterà.
E tanto basta.
Tanto non è
casa sua più di quanto non lo sia quella in cui era
cresciuto, a Edo.
Era il secondogenito, quindi non
avrebbe mai potuto ereditare nulla. Per questo motivo un giorno decise
di partire e lasciare dietro di sé quanto era stato.
Mettersi
in strada è stato più facile di quanto pensasse.
Per le prime miglia c’è stato solo quel senso
alieno, quell’oppressione a schiacciargli il petto in una
morsa e l’impulso a girare sui tacchi e a tornare indietro,
alla noia del portico in pieno sole e del giardino dalle lunghe ombre,
al quieto ripetersi delle attività a cui è sempre
stato abituato.
Poi, lentamente, anche
quel bisogno si è acquietato. Come un gatto al sole, si
è accovacciato dentro di lui, in profondità, e
lì si è assopito.
E così se ne
andò.
Per miglia e miglia, in
luoghi di cui aveva sentito parlare per tutta la vita. Un passo davanti
all'altro, e davanti un altro ancora.
Ci sono
giorni buoni e giorni cattivi.
Nei primi
gli sembra di non avere problemi di sorta. Si ferma ai dojo, resta per
qualche tempo, impara, insegna. Scambia qualche parola e tutto va
liscio come se fosse davvero nato per questa vita, per vagabondare e
andare dove lo porta la corrente.
Poi ci
sono i giorni in cui ad ogni passo deve ripetersi che no, non ha
sbagliato tutto, che questa sua scelta è davvero
ciò che vuole. Che non sta buttando il suo futuro. Che la
strada è quella giusta e che la sta affrontando bene.
Ma i dubbi restano.
Inevitabile.
È stato inevitabile.
In giorni
così non c’è rimedio. Non
c’è cura. L’ha imparato in fretta.
Non
può fare altro che andare avanti. Ripetersi che
passerà, come passa tutto. Alzarsi e camminare.
Cercare. Un corso d’acqua.
Anche un ruscello basta.
Quando
infine l’oscurità cala su di lui, sul bivacco che
prepara lui stesso o nella stanza in cui si ferma a riposare, portando
con sé le ombre degli oni che e di tutto
ciò che spaventa l’essere umano, Shinpachi si
stringe alla spada con tutte le sue forze.
Chiude gli occhi e
tende l’orecchio, mettendosi in ascolto.
Acqua.
Acqua in movimento. Acqua che scorre.
Al buio,
ascolta ogni goccia farsi strada nel silenzio della notte e cerca di
convincersi che va tutto bene. Che tutto andrà a posto.
Tutti i fiumi partono
da una sorgente e da essa si allontanano. Lui sta solo seguendo il
letto del suo, un passo alla volta verso quello che lo aspetta.
C’era
una volta. E ci sarà ancora. Dopo il dojo di Yurimoto Shozo
e dopo quello di Tsubochi Tsume e ancora più in
là.
Si va avanti.
Dovunque
sia, quel suono è l’unica cosa in grado di
calmarlo.
Ha perso il conto di quante volte si è addormentato
così, a metà di quelle rassicurazioni e con il
rumore dell’acqua nelle orecchie, un debole sorriso in viso e
la certezza che per quanto oltre si spingerà, la via non
finisce.
Questa
è la sua storia, ancora tutta da scrivere.
Come l’acqua intrappolata, anche lui si scaverà la
sua strada.
[797 parole]
#
Note dell'Autrice:
La febbre è passata, domani mi aspetta una dannata verifica
di matematica che sicuramente topperò in pieno - ma a questo
non c'è rimedio - e in generale mi aspetta una carrellata di
verifiche di epiche proporzioni. Della serie: di bene in meglio,
ohssì. O.O
Aaanyway...penso che se l'ispirazione continua a soffiare dalla mia
parte, questo lavoro si presenterà più facile di
quanto avevo previso. Mi diverto tantissimo a scrivere dei minna-san;
è prendere un bel respiro tra un'equazione, Tasso e le varie
scartoffie per gli ultimi contest a cui mi sono iscritta.
Per quanto riguarda questo capitolo ero un po' - molto- incerta, dato
che è la prima volta che scrivo una Shinpachi-center, ma il
risultato mi pare perlomeno decente. Aw, povero tesoro, ha bisogno di
più spazio. E dire che sul piano storico la sua è
tra le biografie più complete, grazie al fatto che
è morto solo nel 1915 e che ha lasciato dietro di
sè un botto d'informazioni- tra cui un diario introvabile in
qualunque altra lingua a parte il giapponese. Deiiiii lo voglio
>.<.
Da come si sarà capito, Shinpachi era appunto il
secondogenito di un feudatario che non aveva mai lasciato la sua
provincia. Non si sa molto dei suoi primi anni, se non che il nome che
veniva usato per chiamarlo, da bambino, era Eiji. o Eikichi.
Cominciò a frequentare il dojo di Okada Juumatsu
all'età di otto anni e a diciannove decise di lasciare il
clan e completare la sua formazione di spadaccino spostandosi da un
dojo all'altro. Entrambe le palestre citate - Yurimoto Shozo e Tsubochi
Tsume- sono state realmente frequentate da lui: nella prima ricevette
il grado di Menkyou Kaiden, il massimo livello per un esperto di
kenjutsu, e nella seconda incontrò e strinse amicizia con
Shimada Kai, con cui sarebbe poi entrato nella Shinsengumi.
Come al solito, un ringraziamento a Ellie_x3 per la recensione e il
beta reading e a Nejiko, per il commento, il supporto e la
chiacchierata via mp ;]; e, ovviamente, a tutti coloro che dedicano un
po' del loro tempo alla lettura dei miei scleri. Spero che anche questo
capitolo vi piaccia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** 03. Dimenticare - [Quickening, quickening, the low-flying swallow makes a figure of eight] ***
Land
of Make-Believe
Part
1:
Donten
-Forever
we’ve been-
03. Cercare di Dimenticare
[Quickening, quickening
The low-flying swallow
makes a figure of eight]
Fuoco#4. Scottatura.
*
“Per
cancellare una vita ci vuole un attimo; per cancellare un attimo ci
vuole una vita.”
Jim
Morrison
*
Crack.
“Che
diamine sta succedendo?”
La voce di
Nobutaka-san, brusca. Il suono pesante dei suoi passi in avvicinamento.
Il
giovane non si gira. Conosce quel tono a memoria. In due mesi di lavoro
ha fatto in tempo ad imparare che, per quanto si sforzi di non farsi
notare, al guardiano del cancello non si fa mai sfuggire nulla.
In due falcate
sarà da lui, con le sopracciglia aggrottate e quel lampo di
fastidio in fondo agli occhi, come sempre quando gli si rivolge. Con le
mani piantate sui fianchi e la mascella indurita dal fastidio di dover
parlare con un ragazzino.
Accovacciato
sui talloni, il ronin fissa quello che resta della lanterna: la carta
sottile, l’inchiostro del kamon che sfrigola a contatto con
la fiamma, i cocci della base laccata di nero.
La cera per terra, la
striscia di un rosso collerico e irritato sul dorso della sua mano.
Guarda, ma non vede
davvero.
Ha
dodici anni, la shinai stretta in pugno e l’orrore negli
occhi.
La
cera frammista a grasso dilaga sul pavimento, esalando un vapore
pestilenziale. L’odore di legno bruciato lo investe con la
forza di una mazza. Si china, afferra la lanterna, la lascia cadere con
un grido.
I
frammenti schizzano ovunque. Passi in corridoio, la fusuma che si apre.
Hajime
non la sente.
Il
dolore gli percorre il braccio come una scossa elettrica. Gli sembra di
aver tuffato la mano in mezzo al fuoco.
“Hajime?!”
Si
volta di scatto. Hiroaki.
È solo Hiroaki. Per un
attimo si convince di potersi concedere un sospiro di sollievo, quello
successivo il cuore riprende a martellargli nel petto.
‘Non
è successo niente.’ Vorrebbe dire. La sua bocca
non collabora. Non riesce a fare altro che guardare mentre suo fratello
individua il disastro, a occhi sgranati, e si precipita a riparare al
danno.
“Dei
del cielo, nii-san, che hai combinato?” sbotta, affogando la
fiamma già morente nella cera.
Pulsa.
La scottatura pulsa. La pelle brucia. Accovacciato sul pavimento,
Hajime si tira la manica fino sulle dita, sperando che quel maledetto,
terribile formicolio si fermi. La seta scivolosa gli accarezza il dorso
della mano, spedendogli fitte fino al gomito.
“Mi
dispiace,” riesce a sputare fuori, infine,
“Ho…devo aver colpito la lanterna con la
shinai…”
Hiroaki
scuote la testa. Ha solo un anno più di lui e
l’atteggiamento di un adulto.
“Tu
e la tua mano sinistra.”
Hajime
incassa il colpo senza fiatare, ma dentro di lui il commento affonda e
scotta tanto quando la fiammella della stupida lanterna che ha
abbattuto con la shinai. Tu e la tua mano sinistra. Glielo
ripetono in continuazione, quasi che l’unica causa di
un’occasionale sbadataggine sia il suo essere mancino.
Si
guarda il palmo, aggrotta le sopracciglia.
No,
davvero non li riesce a scorgere, quei demoni che dovrebbero guidare le
sue dita.
Hiroaki,
purtroppo per lui, ci vede benissimo.
“Che
hai fatto lì?”
Hajime
resiste all’impulso di nascondere la mano dietro la schiena.
“Niente.”
Suo
fratello lascia perdere la lanterna e si avvicina. “Niente
come il livido di ieri?” chiede, un sorrisetto esasperato a
piegargli le labbra. “Fammi vedere.”
“Ti
dico che non è niente,” con gli occhi, il ragazzo
fruga il dojo, in cerca di una via di fuga. Non ne trova. Scansa
Hiroaki, come un gatto messo all’angolo. “Torna ai
tuoi calcoli, ani-san; non dovresti perdere tempo con me,”
puntualizza, più secco di quanto intenda davvero.
Hiroaki
lascia cadere il commento nel vuoto.
“Fammi
vedere.” Ripete, quieto.
Hajime
sbuffa, ma la mano di suo fratello resta tesa e aperta sotto il suo
naso. Riluttante, gli porge la sua. In confronto alla sua pelle
bollente, quella di Hiroaki è piacevolmente fredda.
Hiroaki
gli arrotola la manica ed esamina la lunga striatura rosa scuro.
“Niente
di grave,” commenta, “basterà un impacco
freddo. Che stavi cercando di fare, comunque?”
Hajime
avverte il sangue raggiungergli bruscamente le guance.
“Secondo
te?” borbotta, imbarazzato. “Volevo spegnere il
fuoco, prima che facesse danni.”
“Baka.
Si sarebbe estinto da solo. E comunque non basta una fiammella
così piccola per appiccare un incendio.” Hiroaki
sbircia la cera ormai solidificata, i resti di carta e lo stoppino
consumato.
Hajime
non lo guarda. Riesce a sentire le dita del fratello contrarsi sulle
sue, calli lasciati dal pennello e dall’abaco sfregare contro
quelli che la spada ha impresso su di lui.
“Mi
dispiace.” Ripete.
Pausa.
Hiroaki gli allunga un goffo colpetto sul braccio.
“Neh,
Hajime-chan. Non fare quella faccia. Vieni, ti aiuto con
l’impacco.”
Occhi
azzurro chiaro si alzano, perplessi.
“Ma
la lanterna-”
“Possiamo
ripulire dopo. Resterà solo una chiazza un poco
più scura.”
Si alza. Nobutaka
è già lì, a fiatargli sul collo, la
mano appoggiata sull’elsa della katana che gli pende dal
fianco a ricordargli che lì non è altro che un
randagio.
“Allora,
Saitou-kun? Che avete combinato?”
Saitou Hajime gli
dedica un’occhiata fugace.
“Troppo zelo
e un kata,” risponde, freddo.
“Voi e la
vostra mano sinistra.” La voce del guardiano schizza
disapprovazione. Saitou non si spreca a scegliere una risposta pungente
per lui. Non ha voglia di discutere.
“Pensate a
rimediare a questo disastro. Avete lezione tra
un’ora.”
“Hai.”
“Non voglio
ritardi.”
“Non ve ne
saranno.”
Nobutaka lo scruta,
quasi a decidere se lo stia prendendo in giro. Mastica un paio di
imprecazioni e se ne va.
Saitou torna a
osservare la lanterna rotta. L’alone di cera si è
seccato- basterà grattarlo via perché tutto torni
come prima.
Tutto o quasi.
Una
chiazza poco più scura…
‘Avevi
ragione tu, ani-san,’ si dice il ronin. Per un attimo gli
ritorna alla mente il freddo dell’acqua sulla pelle e la voce
di Hiroaki a distrarlo, insieme al dolore.
Se solo fosse ancora
così. Prima. In un'altra vita.
Una smorfia gli
increspa le labbra, poi anch’essa svanisce sotto la consueta
maschera impassibile.
Quella vita si
è conclusa. L’ha bruciata lui stesso, affogandola
nel cherosene prima di darla alle fiamme.
Si chiamava Yamaguchi
Hajime, un tempo.
Ora,
non più.
[982 parole]
#
Note dell'autrice:
E fuori quattro.
Se Shinpachi si è prestato volentieri alla shot precedente e
Sano e Toshi hanno collaborato - più o meno - Saitou si
è rivelato una spina nel fianco. Per non dire in molti altri
posti. Ho scritto questo capitolo due volte e altrettante l'ho
cestinato, prima che l'ispirazione mi desse il calcio in culo finale.
Serviva che scoprissi che Aizu, dove gli Shinsengumi hanno combattuto
la loro ultima battaglia e Saitou è stato sepolto, ai giorni
nostri si chiama Fukushima.
Il vero Saitou Hajime è stato costretto, a diciannove anni,
a rifugiarsi a Kyoto e a lavorare come istruttore in una palestra di un
conoscente del padre per evitare il linciaggio, in seguito
all'uccisione di un hatamoto - un samurai di grado superiore al suo -
in un duello. Oltre ad un fratello maggiore particolarmente bravo in
matematica - Hiroaki, appunto- aveva anche una sorella maggiore, Katsu.
Approfitto dell'occasione per segnalare il sito Autori per il
Giappone, aperto a tutti gli scrittori - amatoriali,
professionisti, fanwriters e chi più ne ha più ne
metta - per sostenere una raccolta fondi per il Giappone. Nonostante
sia aperto da poco, la quota di storie raccolta è
già notevole - siamo oltre le trecentocinquanta.
E io spero che continui a crescere.
Grazie a
Ellie_x3 e Satomi, che hanno commentato e mi sopportano
giornalieramente, a kaliangel e _Annawhite_ che hanno inserito la
storia tra le preferite. E, come sempre, a chi legge e basta. <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** 04. Ricominciare - [As it flies over the valley of buildings] ***
Land
of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever
we’ve been-
04.
Ricominciare
[As
it flies over the valley of buildings]
Terra#2.
Radici.
*
“Aprile
è il mese più crudele, crescendo
Gigli
dalle terre morte, mischiando
Memorie
e desiderio
Risvegliando
fredde radici con la pioggia di primavera”
T.S Eliot
*
Ogni volta si ripete
che non ci cascherà.
Puntualmente, perde.
“Neh,
Sano.”
La lancia traccia un
ultimo arco nell’aria e si ferma. Harada se
l’appoggia sulle spalle, di traverso, come fosse un semplice
bastone per i secchi dell’acqua. Si allontana i capelli dalla
fronte sudata con una manata.
“Che
c’è?”
Shinpachi non risponde
– non subito. I suoi occhi corrono sulla custodia che Kondou
Isami ha tra le mani, brillano di una scintilla di
curiosità.
Heisuke lo scruta,
nervoso. È la prima volta che il ronin si dimostra
interessato nei suoi confronti. E non è sicuro che la cosa
gli piaccia.
Sanosuke si avvicina,
il capo appena inclinato per schermarsi dal sole del tramonto.
Unita a quella di
Shinpachi, la sua ombra è così lunga che Todou,
per un attimo, si chiede se non lo inghiottirà intero.
Paura. Fanno paura,
si ripete. Fino a qualche mese fa quei due nemmeno si
conoscevano, eppure sembra che siano insieme da sempre. Sono un
binomio. Una monade bilobata senza porte né finestre. Tutto
ciò che li unisce agli altri studenti dello Shieikan Dojo
sono i pasti a sbafo e due desideri.
Uno, cambiare le cose.
Due, metterlo alla
prova.
Lui. Il ragazzino.
L’ultimo arrivato che ha ancora tutto da dimostrare.
Kondou passa le dita
lungo il dorso della spada, alzandola a livello del viso per
controllare che il codolo sia dritto. Ne testa l’impugnatura,
studia i riflessi della luce sull’acciaio, la piccola
incisione sul fodero.
“Possiedi
un’arma notevole, Todou-kun,” commenta infine,
porgendo la katana a Hijikata perché continui
l’esame. “ La lama è di buona
fattura.”
“E i
fronzoli pure.” Aggiunge Okita. Non si è ancora
mosso, appoggiato alla fusuma aperta; nella sua voce non
c’è traccia di sarcasmo, eppure Heisuke sente le
guance avvampargli.
È bella,
sì, la sua spada. Non è uno di quei giocattoli
ingioiellati per nobili, ma al confronto la lama scalfita con cui
Shinpachi si è presentato a tutti loro e quella graffiata di
Souji sembrano rottami.
Rottami con cui farebbe
volentieri a cambio.
“Souji.”
Il tono perentorio di Hijikata fredda ogni possibilità di
commento.
…
Quasi.
“Neh,
Hijikata-san, qual è il problema? È un dato di
fatto.”
Harada. Con un
sopracciglio inarcato e una punta d’ironia a tingergli la
voce. Eppure è l’unico che lo stia guardando in
faccia. Tutti gli altri sguardi sono fissi sulla katana, attraversati
dallo stesso pensiero.
Di nuovo, Souji
è l’unico senza peli sulla lingua. L'unico a darvi
voce.
“Dev’essere
costata molto.”
Heisuke stringe i
pugni.
“Non ne ho
idea,” bofonchia.
“Oh? Non
l’hai presa tu?”
“No.”
Okita incrocia le
braccia al petto magro. Nemmeno il sole rossastro riesce a scaldargli
la pelle pallida.
“Un regalo,
dunque.”
Già, bel
regalo. Il più sciocco e inutile che possa esserci;
l’appropriato dono da un Daimyo ad una semplice popolana.
L’appropriato augurio al figlio bastardo che li lega: di
combattere e sparire prima di poter accampare qualche diritto
sull’eredità dei fratellastri.
Ogni
volta si ripete che non ci cascherà.
Ogni volta che guarda
quella maledetta spada, non può fare a meno di vederla per
quello che è.
Un
dannato scorno. Che urla a chiunque abbia occhi per vedere la sua
origine.
Un incidente di
percorso. Un figlio illegittimo, capitato lì solo per
seguire Yamanami Keisuke.
E
tutti loro lo sanno.
“Farai
meglio a dimenticarti la persona che te l’ha data.”
Di nuovo quel tono
leggero; ci sono ancora occhi puntati su di lui. Verdi e penetranti,
troppo acuti. Ma stavolta Heisuke ha la sensazione che non sia un male.
“Che…?”
Souji abbozza quel suo
sorrisetto sghembo, da gatto.
“Sai usarla,
quella spada?”
“Certo che
sì!”
“Bene.
Perché importa solo quello, qui. Da dove venga, chi te
l’abbia data, chi tu sia non sono che dettagli,” lo
sguardo verde passa sugli altri. Ognuno di loro, non ancora uomini, non
ancora soldati. Il sogghigno di Souji si allarga in una
smorfia di sfida. “O qualcuno di voi li trova
rilevanti?”
Nessuno si azzarda a
rispondere.
Negli occhi di Harada
c’è ancora dubbio, in quelli di Kondou il lieve
imbarazzo di quella situazione spinosa. Ma il pregiudizio manca.
Per la prima volta,
nessuno ha qualcosa da dire. Poi, Hijikata riprende la parola.
“Todou-kun,
sai combattere?”
Heisuke gonfia il
petto, indispettito.
“Non sarei
qui, altrimenti,” replica.
“Hm. E che
stile?”
“Hokushin Itto Ryu;
ho studiato allo stesso dojo di San’nan-san e poi presso Ito
Kashitaro-dono.”
Un mormorio. Non
ancora di approvazione, ma se non altro di riconoscimento. Hijikata
resta freddo, ma un accenno di sorriso gli piega le labbra.
“E sei
disposto ad imparare?”
Imparare.
Vivere. Cancellare il passato. Inseguire il presente.
Heisuke annuisce.
“Sì.”
Shinpachi è
il primo a muoversi. Raccoglie la shinai che gli riposava al fianco, si
ripulisce gli hakama dalla polvere e si rizza in piedi. Lo scruta, una
mano sui fianchi, serio.
“Beh, che
fai lì impalato?” chiede, infine,
“trovati una spada di legno, no? Prima che Souji ti riempia
di legnate voglio vedere che cosa sai fare.”
Ed è un
sorriso quello che ha stampato in faccia.
Mentre corre a
recuperare una shinai, l’aspettativa che gli prude le mani e
l’adrenalina che comincia a vorticargli nelle vene, Heisuke
si lascia finalmente andare ad un lungo, lungo respiro. Non si era
nemmeno reso conto di trattenere il fiato.
La strada per essere
accettato è lunga. Ed è scomoda, dissestata e
sassosa e dovrà dimostrare di saperla percorrere.
Non importa.
Il primo passo è fatto.
Le
sue radici lo accompagnano, ma non possono fermarlo.
Non più.
[905 parole]
#
Note
dell'autrice:
Si era appena finito di
parlare di passati disastrosi.
E poi arriva Todou,
scodinzolante, e mi manda a gambe all'aria tutto il pathos.
DDDX
Scherzi a
parte. Credo che il POV multiplo resterà vita
natural durante il mio dio; più proseguo, più
assorbo il cambiamento. Mi piace vedere le differenti reazioni dei
personaggi. Tra l'altro è l'unica storia che non mi fa
venire l'ulcera a causa di blocchi, problemi di stesura, casini vari e
intoppi - salvo quando i minna-san non collaborano
*coffcoffSaitoucoffcoff*.
Devo decidermi a
scrivere più raccolte ._. ecco. Se non altro per mantenere
un briciolo di sanità tra le long fic.
Passando al punto di
vista storico, come si sarà capito ho preferito dare rilievo
al significato secondario del prompt "radici". Nel caso di Todou si
tratta di legami un poì particolari, dato che secondo i dati
raccolti è molto probabile che fosse il figlio illegittimo
di un signore feudale, Todou Izuminokami, e di una semplice borghese.
Come Shinpachi non poteva accampare nessun diritto ereditario sui
possedimenti del padre, ma la katana che utilizzava era del genere che
solo i samurai di rango elevato si potevano permettere. Una bella
differenza rispetto alla katana di Hijikata e di altri ex- appartenenti
alla classe comune.
Che dire di
più? Nada. Mi sembra di aver detto tutto. Ah, ecco: dalla
prossima shot si parte per Kyoto. Eee...beh. Cominceranno le rogne
vere. O.o
Come sempre ringrazio
Ellie_x3, Satomi e _Annawhite_ per aver commentato, chi ha messo tra i
preferiti, chi segue, chi soltanto legge e chi sopporta i miei scleri
quotidiani. ;]
Until next time.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** 05. Scegliere - [an evening shower is on its way] ***
Land
of Make-Believe
Part
1: Donten
-Forever we’ve been-
05.
Scegliere
[An
evening shower is on its way]
Fuoco#1. Fiamma.
*
“Lascia le paure alle
spalle
E prova a prendere il
sentiero meno battuto
Quel primo passo che fai
è la falcata più lunga…”
If today
was your last day, Nickelback
*
“Un
prestito?”
Ritardo, ritardo,
ritardo.
Si sta facendo
maledettamente tardi, e se c’è una cosa che
detesta con tutto il cuore è esserne consapevole e
ritrovarsi, tuttavia, ancora lì.
Seduto a questo basso
tavolino, con una tazza di the a raffreddarsi davanti e Okita a
fissarlo come se abbia appena messo fuori un paio di corna.
“Kondou-san?”
“Sto bene,
Souji,” borbotta l’interpellato, e forse
è vero – ma solo da fuori. Dentro di lui regna il
caos, e per quanto Kondou Isami tenga all’ordine non
può farci proprio niente.
Ansia. Aspettativa.
Timore. Un maledetto, sonoro guazzabuglio. Al momento è
l’irritazione a sovrastare il tutto. Quieta e rassegnata.
“ Un
prestito.” Ripete, infine. Suona come il gong di un funerale.
Kami, no. Fate che abbia
capito male. “Proprio oggi?!”
Evidentemente,
gli dei in questo momento sono occupati: Souji annuisce, le palpebre
abbassate a celare le iridi dello stesso colore del sencha.
“Hai, hai,
Kondou-san,” insiste, appoggiando la tazza.
“Pensavo di avervi già accennato la
cosa.” La scruta per un lungo attimo, seguendo le volute di
schiuma bianco-giallastra e i riccioli di vapore, prima di spiare di
nuovo il suo mentore. Il suo volto ha una contrazione involontaria,
come se stia faticando a contenere un sorriso divertito davanti
all’espressione sempre più accigliata
dell’uomo.
“O forse
m’è sfuggito di mente,” ammette, con una
piccola smorfia. Falso disappunto subito sostituito da un ghigno
felino. “D’altra parte, temo di avere qualche
difficoltà a prestare attenzione a Toshizou, quando parla.
”
Tanto per cambiare.
Kondou esala un
sospiro frustrato, incrociando le braccia al petto.
“ Dovresti
portargli un minimo di rispetto.” Attacca. E si ferma. I
preparativi l’hanno sfinito. È troppo, troppo
stanco, troppo agitato per mettere in piedi una ramanzina seria. Okita
incassa il colpo senza battere ciglio.
“ Vi chiedo
scusa,” replica, allegro. “È
più forte di me, sapete? Finché non apre bocca
riesco ancora a concentrarmi, ma quando comincia a sproloquiare
davvero-”
“Souji.”
“Gomen.”
Attimo di
pausa.
Respiro
profondo. Non stare
lì impalato, mantieni il controllo. Distraiti. Ecco.
Sorso di the. Prendi
fiato. Il sencha di oggi è amaro. Gli lascia
sulla lingua un alone ferroso, ma Kondou lo ingoia senza un fiato. Bene. Posa la tazza. Calma.
Sì, certo.
Come no. Sempre che Hijikata Toshizou si decida ad arrivare.
Maledetto lui e la sua decisione di prendersi una spada degna di questo
nome all'ultimo momento.
“E comunque
è in ritardo,” decreta Souji. “Non fate
finta che la cosa non vi dia fastidio.”
Cielo,
dammi la pazienza. Perché se mi dai la forza faccio una
strage.
“Non poteva
andarci prima, da Nobu-san, a chiederle questo benedetto
prestito?” esplode, infine. Okita ride sotto i baffi. Kondou
gli spedisce un’occhiataccia. ““Che
c’è da ridere,?”
“Niente.
Siete solo così serio…”
“Questa
è una faccenda seria.”
…e nessuno
lo capisce.
Deve esserci qualche
magia all’opera, oggi; la fattura di uno spirito in vena di
giocare, perché la gente si assopisca e perfino le menti
più acute si spengano nel torpore caldo di
quest’estate.
L’ultima,
prima che il profumo di erba seccata al sole si tramuti nel freddo
odore di pioggia sui ciottoli di Kyoto.
Sembra così
definitivo…
“Non
vi arrabbiate, Kondou-san. Sapete bene che tengo quanto voi a questo
progetto.”
“Gomen,
Souji.” Kondou Isami si passa una mano sul viso. Nemmeno il
buio dietro le palpebre riesce a donargli un barlume di calma.
“Solo…faccio ancora fatica ad accettare tutto
questo.”
Ancora una volta,
passa in rassegna quel “tutto”.
La proposta. Come una
scintilla. Come una fiamma nel buio.
La decisione.
I preparativi.
Okita sorride.
“È
un bel passo in avanti, neh?” constata, gentile.
Malgrado il ritardo,
malgrado la smania, Kondou ricambia il sorriso.
“Uscito
direttamente da un libro,” concorda, pensando con gratitudine
a quelle storie con cui è cresciuto. “È
questo a renderlo così irreale. È
troppo…”
“Bello per
essere vero?”
Kondou si stringe
nelle spalle. Suona pericoloso. Qualcosa dentro di lui avvisa che ci
sarà un tempo in cui rimpiangerà quelle parole.
Non oggi, però.
“Hai.”
Mormora. Pausa. “Quando ero bambino… ah, non
importa, Souji. Non ti voglio annoiare con queste
sciocchezze.”
Okita si limita a
guardarlo da sopra la tazza. Lo sguardo di sempre, attento e vivido. E
viene da un ragazzo grande,
che ormai capisce più di quanto dovrebbe.
“Vi prego di
continuare, Kondou-san. Sapete che non mi date alcun
fastidio.”
“Quando
ero bambino, mio padre mi raccontava spesso le grandi leggende
cinesi,” riprende. “Storie di eroi, o di semplici
uomini. Ogni volta che ci ripenso, non riesco a smettere di
meravigliarmi di quanto le storie possano essere preziose. Allora erano
tutto, per me.”
Adesso ho voi,
aggiunge mentalmente. Una trentina di giovani scalmanati pronti a
lanciarsi a testa bassa nella vita, qualunque cosa gli si presenti
davanti.
Ma basta pensieri:
Souji aspetta.
“Ho sempre
cercato di rispettare i valori che vi erano infusi. Sono un sogno a cui
non credo di aver mai saputo rinunciare interamente. Ora che
è qui, che siamo a un passo dal recarci alla
Capitale…” ride. “Dei del cielo,
confesso di aver quasi paura che possa sfumare tutto!”
Un tonfo,
da fuori, prima che Souji possa replicare. I due sobbalzano, una mano
alle spade. Un secondo di silenzio, poi dal cortile esterno si alza una
stringa d’improperi.
Okita sbuffa una risata.
“Ho come il
sospetto che Shinpachi-kun si sia fatto sfuggire di mano qualcosa,
Kondou-san.”
Probabilmente sul
piede di Harada, considerati gl’insulti sanguinosi.
L’interpellato
crolla il capo.
No,
decisamente oggi gli dei non sono in casa per lui.
“Vado
a controllare,” si arrende, alzandosi, “mi spiace
interrompere la nostra chiacchierata, Souji, ma…”
Il giovane alza una
mano, fermando le scuse con la solita espressione cortese.
“Non preoccupatevi, sensei. Possiamo riprendere
più tardi. Vi dispiace se non mi unisco a voi, per stavolta?
Ci tenevo a sbrigare un paio di faccende.”
“Assolutamente
no, non ti preoccupare.”
“Grazie. Vi
terrò da parte i dango.”
“Ah…!
Se ti fa piacere, finiscili pure. Non preoccuparti per me.”
“Ma…”
“Niente
ma.” Kondou si sistema il daisho al fianco. Sorride, ma i
suoi occhi sono velati, la sua mente già da rivolta altrove.
“Mangi fin troppo poco, Souji. Ne hai necessità
più tu che io.”
Okita alza gli occhi
al cielo con uno sbuffo, ma non ribatte.
“Andate,”
incalza, “dal volume, credo che stia per scoppiare una
rissa.”
“-…figlio di buona
madre!” ulula Sano dal cortile, quasi cogliendo
il suggerimento. Kondou si passa una mano sul viso, rassegnato
– forse più felice di quando non ammetterebbe di
potersi distrarre. Si avvia.
Da solo,
Souji rimesta il fondo del sencha con un dito. Il vento
s’infiltra tra le fusuma socchiuse. Attraverso la fessura, il
ningen riesce a vedere le porte del dojo.
Chiuse.
Per tutti, tranne che
per i ricordi.
I giorni sempre
uguali. Gli allenamenti. Girovagare per Edo. Dare lezioni. Accogliere
chi arriva. Salutare chi se ne va. Discutere fitto. Nutrire illusioni
per dimenticare che, svegliandosi, si troverà il mondo
uguale a come lo si è lasciato.
Ma
anche…
Le risate. Il sudore.
I lividi. La volontà di imparare. Di crescere. Le sfide, il
codice. La frustrazione. I sogni. Le speranze. Così belle,
perché tali.
Il principio. Prima
che la fiamma si trasformi in un incendio, e la storia in mito.
Souji sospira.
Guardare avanti, per
non perdere un sogno e non vedere il passato che evapora. È
una scelta condivisibile. Forse quella che fa meno soffrire.
Tuttavia,
Kondou-san, non state forse già perdendo qualcosa?
[1.210]
#
Note dell'Autrice:
...E diventano sempre più lunghi 'sti capitoli
ò.ò che diamine! Mi scombinano tutti i piani!
(Come se fosse una novità, neh?)
Parlando di scombinamenti di piani...questa shot avrebbe dovuto essere
esclusivamente in POV Kondou. Avevo già fatto un primo
tentativo per l'altra raccolta in elaborazione, Dear Agony, e non era
andato neanche troppo male. Ma dopo questo...*le viene male solo
pensarci* Erhm.
Diciamo che prima che mi venga voglia di riprovarci crescerà
la barba a Kazama O_O. Dire che è un suicidio non rende
l'idea. Mi sento, tuttavia, piuttosto soddisfatta di com'è
venuto questo pezzo - per quanto mi sia toccato ripiegare su Okita e
far cascare i bagagli sul piede di Sano per smuovermi XD.
Venendo alle note storiche. Come si sarà capito (spero) la
shot è ambientata poco prima della partenza degli allievi
dello Shieikan Dojo da Edo; la decisione non era stata presa
direttamente da Kondou, bensì da un primo "comandante" del
gruppo, un ronin che aveva lanciato la proposta di spostarsi a Kyoto
per sostenere lo shogunato attraverso l'azione diretta. L'idea di
Hijikata e del prestito è presa da Moeyo Ken (il capitolo
riguardante la questione mi ha fatta spanciare dal ridere XD). Per
questioni di capitoli non ho potuto includere l'episodio nella serie,
ma mi sembrava quantomeno d'obbligo citarlo <3.
Da questo capitolo in poi, il ciclo si concentrerà di
più sugli avvenimenti strettamente legati alla Shinsengumi e
meno al passato dei singoli protagonisti (quindi niente più
seghe mentali. Quasi). Ho i prompt pronti, i POV stabiliti e, a questo
punto, zero idee su come verrà fuori la prossima shot. Fare
previsioni con i minna-san che m'incasinano ogni singolo capitolo
è impossibile.
Ringrazio come al solito Ellie_x3, Satomi e _Annawhite_ per le
recensioni, kaliangel, Nejiko e Megumi2 che mi seguono e chi
semplicemente legge. Ci si vede alla prossima shot (si spera non tra
cent'anni >.<) che, scuola permettendo, dovrebbe saltare
fuori abbastanza presto...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** 06. Dubitare - [On the path of cloudy weather, fearfully walking in the rain] ***
Land
of Make-Believe
Part
1: Donten
-Forever we’ve been-
06. Dubitare
[On
the path of cloudy weather,
fearfully
walking in the rain]
Aria#10. Atmosfera.
*
“ I’m
everything you know
You wonder friend or foe,
I'm the burning in your
throat when you swallow,
Then you spit me out
Your stomach full of
doubt,
Still you're faking
every word out of your mouth.
And you won't let go,
It's all about control
Understand I'm born to
lead
you will
follow”
Sr-71,
Goodbye
*
Quanto lo odia, quel
sorriso.
Davvero.
È
stucchevole. Sognante. Proiettato direttamente dal palazzo degli dei.
Per lui, che ha sempre
fatto in modo di rimanere ben piantato al mondo reale, da voltastomaco.
“
Neh, neh, Hijikata-san, ma ci pensate?! Quasi a Kyoto. La capitale!
Ancora stento a crederlo...”
“Hm.”
“Ma avete
visto la gente, per strada?! Ci lasciano il passo. E Kiyokawa-san ha
detto che lo shogun ci concedera udienza- sembra uscito tutto da un
racconto, come i quarantotto ronin... ”
Sì,
certo. Come no.
Solo che
loro sono…quanti? Duecento, secondo Kondou – un
altro a cui, al solo menzionare la coda infinita di uomini che marcia
sotto il sole autunnale, brillano gli occhi come un bambino davanti ai
regali. E si aggiungeranno altri, molti altri. Vedrai, Toshi-kun.
Bene, ecco.
Loro sono
i duecento allo sbaraglio.
Da
qualunque prospettiva la guardi, l'eccitata chiacchiera continua di
Heisuke sembra una maledetta presa per i fondelli e la loro rimane una
compagnia di scapestrati, disgraziati, squattrinati e
indebitati.
Non che lui faccia
eccezione alla regola, intendiamoci. Col prestito che ha dovuto
chiedere a sua sorella il suo nome è entrato nella lunga
lista di ronin senza paga che da mesi si devono arrangiare per
sopravvivere. E che compongono i tre quarti del loro gruppo.
5 ryo.
Un furto, gli ricorda
la coscienza, acida. Ogni volta che ci ripensa gli viene mal di
stomaco. 5 ryo per il suo sogno da bambino: comprarsi una katana degna
di questo nome. Senza ruggine, senza graffi, che non lo abbandonasse
inerme nel mezzo di una lotta.
Non
ti bastavano quelle del dojo? Valeva la pena di essere così
egoista?
Non ha saputo dare
risposta a quella domanda.
E tuttavia, di
chiedere un prestito a Kiyokawa-sama non se l’è
sentita.
Non dopo che ha fatto
così tanto per loro.
“Hijikata-san?”
Heisuke. Lo sta
guardando. Con quell’ombra perplessa in fondo agli occhi
chiari e la fronte corrugata in maniera comica, le sopracciglia che
quasi si toccano.
Hijikata non
può fare a meno di sorridere.
Durante le ultime
estati la crescita metà dei ragazzi del dojo è
pressoché esplosa: Souji supera Kondou di tutta la testa,
Shinpachi è l’armadio a tre ante che ha sempre
promesso di diventare, Sano li sovrasta tutti, alto e secco come la
yari che usa… solo Todou è rimasto uguale. Un
tappo di uno e sessanta che dimostra a malapena quindici anni e scoppia
dalla voglia di compensare il fatto a suon di spada.
Nonché
l’unico che deve ancora tirare lo sguardo per guardarlo in
faccia.
“Vi sentite
bene?” lo sente chiedere, “mi rispondete a
grugniti.”
Non mi dire.
Succede abbastanza
spesso, da quando è arrivato l’altro gruppo.
“Sto
benissimo,” replica, “È solo questo
maledetto caldo. Non riesco a pensare.”
Magari fosse davvero
così.
Magari potesse dimenticarsi per un po’ della fila infinita,
della strada che si snoda davanti a loro da quindici giorni, delle
donne che chiamano i bambini in casa quando li vedono passare.
Degli
altri.
Li cerca con la coda
dell’occhio, lasciando Heisuke a sbuffare, stufo del muso
lungo del suo senpai, e a raggiungere i suoi compagni.
Kamo
Serizawa non ha l’aria dell’uomo che è
appena uscito di prigione. Semmai i suoi tirapiedi: lo strisciante
Niimi Nishiki, Hirayama Goro, Noguchi Kenji…quelli
sì, quelli non sono che cani rognosi. Si muovono in
branco: mangiano, bevono, litigano, aizzano. Sempre insieme, cone
un'unica entità.
Per un allievo solo
sarebbe difficile metterli alle corde, ma anche un cieco è
in grado di capire che presi uno alla volta non valgono nulla. Quando
lo Shieikan è unito, i problemi non li toccano.
È Serizawa
a disorientarlo.
L’assassino
di tre innocenti. Il pazzo. Quello che non ha niente da perdere. Quello
che, appena i loro gruppi si sono incrociati, ha ribadito con forza la
sua fedeltà allo shogun e la sua intenzione di dare tutto il
suo appoggio.
Quasi inciampa sulla
strada dissestata. Hijikata impreca, riprende il ritmo.
Forse è troppo prevenuto. Da quando sono partiti da Edo gli
pare di essere diventato paranoico, a forza di macinare congetture e
ipotesi.
Non lo so inquadrare, ecco tutto,
ammette, con riluttanza.
Da lontano, Serizawa cattura i suoi occhi prima che possa distoglierli.
Si
studiano. Il samurai la cui fama gli ha salvato la vita e il ronin che
ancora non ha ucciso nessuno.
Poi, Serizawa sorride.
Un lupo che digrigna i
denti davanti alla preda.
Hijikata
abbassa lo sguardo sull'acciottolato. Accellera, i pugni affondati
nelle maniche dell'haori, le unghie conficcate nei palmi.
È questo che mi
logora i nervi.
Sono duecento. Il futuro non
ancora disegnato, la strada quasi alla fine. Presto entreranno a Kyoto,
gli occhi della capitale saranno puntati su di loro.
La sola prospettiva
rende l’atmosfera pesante come piombo. Qualcuno, prima o poi,
finirà per commettere un passo falso…
E l’istinto
gli dice che il branco Mito non aspetta altro.
[804]
#
Note dell'Autrice:
Finalmente
un capitolo sotto le 1000 parole O.o cominciavo a non sperarci
più. Mi scuso per il ritardo di quasi un mese, ma maggio
è stato un rush di verifiche, interrogazioni, prove di
teatro e squisitezze simili, e ogni goccia d'ispirazione l'ho spremuta
su Derail, la fanfiction che al momento rappresenta il mio progetto
principale.
So. Per quanto riguarda le note storiche:
Kiyokawa Hiroshi fu colui che per primo lanciò l'idea di
andare a Kyoto per servire lo shogun. Lo Shieikan dojo aderì
all'iniziativa con entusiasmo; insieme ad esso si mosse un numero
decisamente consistente di ronin, samurai e fedeli del Bakufu. Il
gruppo ci mise sedici giorni a raggiungere Kyoto, armi e bagagli. Lungo
la strada si aggiunse al gruppo la fazione Mito, capeggiata da Serizawa
Kamo - un guerriero piuttosto conosciuto, rispettato per la sua forza e
temuto per i suoi scatti d'ira e di violenza. Proprio in un raptus di
rabbia, Serizawa decapitò tre suoi sottoposti senza un
motivo apparente e devastò letteralmente un tempio di Edo.
Fu condannato a morte per giustificazione non valida: sostenne di aver
sentito l'ispirazione divina e di essere stato spinto da essa. Kiyokawa
lo scagionò con la promessa di aiutarli nella causa del
Bakufu. Non avendo niente da perdere, Serizawa si unì
così a quel primo nucleo di uomini...ma non esattamente ai
loro ideali.
Oh well. Ma questa è roba del prossimo capitolo v.v
Ringrazio Ellie_x3, Satomi, Eikotchi e Nejiko per le recensioni, chi mi
segue e chi legge e basta, come sempre. Se tutto va bene dovrei
riuscire ad aggiornare - ... no, meglio che stia zitta O.o non si sa
mai.
Bis bald.
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** 07. Sfidare - [I look up to the Sky] ***
Land
of Make-Believe
Part
1: Donten
-Forever we’ve been-
07. Sfidare
[I
look up to the sky]
Fuoco#08.
Falò.
*
“Like
a dog without a bone, an actor out on loan
Riders
on the storm
There's
a killer on the road
If
you give this man a ride, sweet family will die
Killer
on the road”
Riders
on the storm, Santana
*
È
il crepitio a svegliarlo.
Heisuke si strofina gli occhi appiccicosi di sonno, batte le palpebre
per scacciare le distese d’erba di Edo del suo sogno ancora
davanti. La notte del piccolo villaggio di Mibu è
rossa di bagliori sanguigni e puzza di bruciato.
C’è un continuo scricchiolare di fondo, una serie
di schiocchi sempre più forti, e un rombo che cresce
– come di animale infuriato.
Per un lungo attimo, Heisuke rimane immobile sul futon spiegazzato,
istupidito dal caldo e dal sonno. Getta le coperte da parte e barcolla
alla finestra, si sporge.
Sgrana gli occhi.
“AL FUOCO!”
In un attimo, il dormitorio è sveglio. Occhi che si guardano
nel buio, Sano che solleva la testa arruffata dal cuscino con
l’aria di chi ucciderebbe volentieri il colpevole di aver
interrotto il sogno migliore della sua vita. Shinpachi sobbalza e
sbatte un ginocchio contro il muro, una mano già sulla
katana e i capelli così sparati che sembra più un
cespuglio che un essere umano.
“Che hai da gridare, Heisuke?”
“C’è un incendio!”
Iridi azzurro chiaro si dilatano nella penombra. Un mormorio scuote i
presenti.
“Cosa?”
“Non può essere-”
“Ragazzino, non è che te lo sei sognato?”
Heisuke stringe i pugni.
“Guardate fuori se non mi credete!” rincara.
“Che diavolo fare ancora lì?”
Esitano.
“Heisuke,” chiama Harada. È
perfettamente lucido, teso come una molla. “Ne sei
sicuro?”
È in quel momento che cominciano le urla, giù in
strada.
“Al fuoco!”
“Acqua! Portate dell’acqua!”
“Aiko! Dov’è Aiko? I bambini!”
“Al fuoco!”
Heisuke freme. Gli manca la voce, insieme al respiro. Il vento cambia,
spirando verso di loro, gli riempie la bocca di quel puzzo dolciastro.
Un soffio rovente che gli fodera la gola di bitume liquido e
irritante. Tossisce.
“Viene dalla casa-.”
“YAGI-DONO.” Lo interrompe una voce di donna. La
porta del dormitorio si spalanca. È una domestica.
Avrà a malapena la sua età, ed è
terrorizzata. Li fissa, implorante, appoggiandosi alla fusuma per
riprendere fiato. “La casa va a fuoco! V-vi prego!
Aiuto!!”
È sufficiente.
Shinpachi scatta in piedi, acciuffando gli hakama.
“MUOVERSI!”
urla.
Il dormitorio si riempie di rumore.
Non è il fuoco in sé a fargli paura. In un mondo
in cui le case sono di fragile legno ad incastro, gli incendi domestici
sono una realtà piuttosto comune. Se cominci a lasciarti
spaventare dal ruggito delle fiamme, dalle sue tinte scarlatte e dagli
scoppi delle scintille, non riuscirai mai a fermarlo.
È il riflesso negli occhi di Okita a gelare il sangue nelle
vene di Heisuke. Un lampo omicida, brutale, sanguinario, indirizzato
alla figura in piedi davanti al gigantesco nido di fiamme sbocciato nel
cortile di casa Yagi.
Souji ringhia come un animale ferito e Serizawa sorride.
“Che diavolo sta facendo?” sibila Shinpachi. Alza
un braccio a schermarsi gli occhi, accenna un paio di passi verso il
comandante. Sano lo acciuffa per il colletto prima che possa muoversi.
“Shinpachi, resta qui.”
“È pericoloso! Potrebbe restare
coinvolto!”
L’espressione di Sano, illuminata dai bagliori arancio del
fuoco, è impenetrabile. Accenna col capo alla loro destra.
Niimi Nishiki e Goro Hirayama ricambiano lo sguardo, un sorrisetto
soddisfatto sulle labbra del primo, una smorfia a deformare il viso
orbo dell’altro.
Le mani sull’impugnatura delle katana.
“Che volete?” chiede Niimi, beffardo, avvicinandosi.
Heisuke deglutisce.
“L’incendio….abbiamo portato
dell’acqua.” Si è quasi ammazzato,
cercando la fonte e riempiendo affannosamente i secchi, ed è
grato che
sia buio, così che nessuno lo veda stringersi nelle
spalle sotto l’occhiata disgustata di Goro ai suoi ginocchi
striati di sangue e all’haori lordo di terra.
Nishiki inarca un sopracciglio.
“Nessuno vi aveva chiesto niente, ma suppongo che un grazie
sia d’obbligo. Lasciatela lì e
andatevene.”
Andarsene?
Come?
“ Ci hanno mandato per aiutare.” Interviene
Heisuke, con un filo di voce. La mano di Sano gli cala sulla spalla. Il
lanciere fissa Goro. Un lupo che rizza il pelo davanti a un cane,
minaccioso.
“Non serve.”
“Allora sei cieco.” Ringhia Shinpachi tra i denti.
“Ma il fuoco-" obietta qualcuno dalle retrovie.
“È perfettamente sotto controllo.”
Dal petto di Shinpachi sgorga un ringhio.
“Sotto controllo?” Esplode. “Quello?! Se non ci
muoviamo a spegnerlo attaccherà le case!”
Niimi socchiude gli occhi, annoiato. Sorride.
“Non succederà. Sempre che il vostro Kondou-san
implori il perdono di Serizawa-dono in tempo.”
La stretta sulla sua spalla diventa una morsa ferrea. Heisuke si lascia
sfuggire un piccolo gemito.
“Che diavolo ti prende?” sbotta, rivolto ad Harada,
ma l’amico non lo guarda.
Fissa l’uomo prostrato a terra, inghiottito
dall’ombra della casa di Yagi-Dono, tra il fuoco e Serizawa.
Il boato delle fiamme è tale che non riescono a sentire una
sola parola di ciò che dice, ma non è necessario.
Basta la faccia di Hijikata, corso a trattenere Okita prima che si
lanci addosso a Kamo.
Basta l’espressione stravolta di Shinpachi, quella
oltraggiata e furibonda di Sano.
Basta il sorriso di
Serizawa. Mente Kondou-san, in ginocchio, la fronte che
tocca terra, a supplicare di lasciare che i suoi uomini plachino il
falò.
I pugni di Heisuke si serrano, duri e tesi come pietre. Dietro di lui,
gli allievi dello Shieikan esplodono in un coro furioso. Si conficca le
unghie nei palmi e sente il sangue colargli tra le dita sudare, la
corda del secchio bruciargli le ferite, ma non è niente,
niente, niente in confronto alla rabbia.
La katana. Dove ho
lasciato la katana? Ma che importa? Potrebbe scagliarsi
contro la faccia ghignante di Goro anche a mani nude e strappargli il
sorriso sprezzante insieme ai denti, ridurli il naso a una poltiglia,
picchiarlo fino a fargli esaurire la voce, sentirlo implorare come il
loro capo – Dojo.
“Che pena. Temo proprio che anche con tutta la sua buona
volontà, Kondou-san non otterrà nulla.”
commenta Niimi.
“Tu….” Sibila Shinpachi, livido. Apre e
chiude le mani e trema. “Tu, maledetto…”
“Attento, Nagakura-san, se vi scivola la lingua potrei essere
costretto a lavare l’insulto col vostro sangue.”
“Non aspetto altro,
razza di...”
“Shinpachi."
“No,
Sano, si meriterebbe...”
“Non serve.” La voce di Harada è bassa e
ringhiosa. “Guarda.”
Serizawa sta guardando dalla loro parte. Attraverso l’aria
tremolante che sale dal falò, Heisuke distingue il suo lieve
cenno del capo, il sussulto di sollievo di Kondou.
Nishiki emette uno sbuffo.
“Pare che alla fine ce l’abbia
fatta.”
“Taci, Niimi.”
Sano scosta il samurai con una spallata che potrebbe buttarlo a terra.
Nishiki non reagisce, osservando soddisfatto il lanciere correre verso
il fuoco con il suo carico d’acqua. Shinpachi lo segue a
ruota, e con lui gli altri allievi, timidi fantasmi nella notte
rimasti. Nella penombra Heisuke vede arrivare altre sagome dalla strada
per il pozzo, sente le loro voci concitate.
“Non vai, ragazzino?”
Si gira. Goro è sempre davanti a lui, le braccia
ostentatamente incrociate a dimostrare che non farà nulla
per aiutarli.
Heisuke resiste a stento all’idea di tirargli addosso
l’acqua, secchio e tutto.
“La pagherete.” Minaccia, sordo.
“Puoi anche risparmiare il fiato. La colpa è solo
vostra.”
“Cosa…?”
“Non sarebbe successo nulla, se solo il vostro comandante si
fosse ricordato di noi.” Goro fa una pausa e un cenno con la
testa. “ Oh, ma non temere. Serizawa-san è in
grado di pazientare. Per questa volta vi va bene. Semmai avrete bisogno
di rinfrescarvi la memoria, avanza ancora del legno.”
È così che il ragazzo diventa uomo, imparando ad
odiare.
Harada gli passa di fianco, scuote l’amico più
giovane. Lancia a Hirayama un’occhiata velenosa.
“Andiamo, Heisuke. Non risolverai niente rodendoti il
fegato.” Mormora. “Anche questa maledetta notte
dovrà pur finire. Sbrighiamoci.”
Heisuke si scrolla di dosso la mano del lanciere, raccoglie il secchio
e corre avanti. Entro mattina sarà più dolorante
che mai e avrà ginocchia e piedi contusi, lacerati e sporchi
all’inverosimile, ma non importa.
Porterà acqua fino a spaccarsi la schiena per spegnere il
falò, ma già sa che passerà molto,
molto tempo prima che il suo orgoglio cancelli l’ustione
dell’umiliazione.
[1269]
#
Note dell'autrice
Acc. Cos'è che avevo detto la volta scorsa? Un capitolo
sotto le mille parole. Ugh. Proprietà di sintesi, portami
via.
Sorvolando sulla quantità, mi sono divertita a scrivere
questa one-shot. Il prompt, falò, è stato uno di
quelli che mi ha spinta a buttarmi sulla Four Elements Challenge,
proprio per l'attinenza a questo episodio piuttosto famoso - che
è stato trattato nel dettaglio in Reimeiroku, tra l'altro
<3. Le cg di Kazuki Yone sono state davvero ispiratrici. In
pratica, essendo arrivato per ultimo nel gruppo della Roshingumi,
Serizawa e la sua fazione erano stati dimenticati da Kondou-san durante
la "conta" degli alloggi per tutti, e di conseguenza erano rimasti
senza rifugio per la notte. Sul momento Serizawa non sembrò
disturbato dalla cosa: si limitò a chiedere di poter fare un
falò per scaldarsi. Ottenuto il permesso, impilò
una catasta di legna tale che il fuoco divenne gigantesco, tanto da
mettere a serio rischio anche le abitazioni di Mibu ( all'epoca una
frazione di Kyoto, situata nella periferia della vecchia capitale). Per
poter spegnere l'incendio, Kondou fu costretto a implorare il perdono
di Serizawa, il quale acconsentì finalmente a lasciare che
il falò fosse spento.
Inizialmente questo episodio non avrebbe dovuto essere trattato da
Heisuke. Ormai, tuttavia, si è capito che i minna-san fanno
quello che vogliono O.o morale della favola, me lo sono tenuto. E ne
sono stata molto felice.
Ringrazio come sempre i recensori: Ellie_x3, Satomi, AliceinHeartland e
Theoryofadeadman; oltre a loro chi segue, chi legge e chi non dice
nulla e basta. Spero continuerete a leggere questa storia.
Alla prossima,
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** 08. Distruggere - [Over there, over there, a skillful toddling walk] ***
Land
of Make-Believe
Part
1: Donten
-Forever we’ve been-
08. Distruggere
[Over there,
over there, a skillful toddling walk]
Aria#02. Ossigeno.
*
“Per
chi è considerato guerriero, durante il combattimento
l'annientamento del nemico deve essere l'unica preoccupazione.
Reprimete qualsiasi emozione o compassione. Uccidete chiunque vi
ostacoli, ancorché fosse Dio, o Buddha in persona. Questo
è il cuore dell'arte del combattimento.”
Hattori
Hanzo- Kill Bill vol. 1
*
Finisce
per guardarla più spesso di quanto non voglia, quella tavola.
Una
parata e un affondo. Il suo avversario scarta a destra. La sua posa di
guardia è un castello di carte in bilico: ha i piedi sulla
stessa linea e la presa sulla shinai è troppo rigida.
Ciò
nonostante, si vanta di essere un provetto spadaccino.
Souji glielo lascia
credere. Odia la scarsa modestia. Gli scava dentro come acido.
“Yamazaki,
è roba vostra?”
Sente
l’interpellato avvicinarsi, ma non si volta a guardarlo.
Tutta la sua attenzione è calamitata dal pezzo di carta che
ha per le mani: una griglia in inchiostro colorato, con una cinquantina
di quadretti. All’interno di ciascuno sono racchiuse due
lettere in un alfabeto estraneo.
“Oh,
ecco dov’era finita! Temevo di averla persa durante il
viaggio.”
Okita
si rigira il foglio davanti agli occhi.
“Che
cos’è?”
Susumu
si fa riconsegnare la tabella.
“Un
regalo di un occidentale ospite di mio padre.” spiega.
“Un uomo di scienza, a sua detta. Non ho avuto occasione di
conoscerlo a sufficienza per verificare se lo fosse
realmente.”
Souji
sposta il peso da un piede all’altro, accigliato.
“Questo
non risponde alla mia domanda.”
Yamazaki
rotea gli occhi.
“Un
poco di pazienza e ve lo avrei spiegato.” borbotta.
“Allora?”
“Si
chiama tavola di Mendeleev. Stando a quanto mi raccontava
quell’uomo, servirebbe per classificare gli
elementi.”
Souji
inarca un sopracciglio.
“Non
bastavano i soliti?” Acqua, legno, metallo, fuoco, aria e
terra sembrano molto più semplici di tutte quelle scritte
minute.
Yamazaki
sorride.
“A
quanto pare no. Ma ogni elemento ha caratteristiche ben
precise.”
Un attimo
di sospensione e poi è braccio contro braccio, le shinai che
si oppongono a vicenda. È un test di forza. Normalmente li
lascia a Shinpachi. Lui preferisce giocare di agilità.
Ma non oggi.
Oggi ha bisogno di
tenere la mente occupata. E lo sforzo fisico va benissimo.
Le
dita di Yamazaki sulla carta, ad indicare. A spiegare.
“
Questo è l’idrogeno. Il più semplice. E
subito dopo c’è l’elio. È un
elemento nobile: non reagisce con nulla.”
Come
Saitou-kun, si dice Souji. Con rammarico, perché
è mesi che Hajime non si fa vedere allo Shieikan, e si
è perso la partenza. Peccato, era interessante. Se non
altro, era in grado di tenergli dietro.
“Che
nomi assurdi.” ridacchia, per scacciare il pensiero.
“Saranno
facili i nostri, per loro.”
“Hm.
Avete ragione. E questo?”
“Carbonio.
Si lega agli altri più facilmente.”
Ecco.
Shinpachi. Che appena arrivato ha fatto prima quasi a botte con Sano e
poi è diventato la sua ombra.
“Come
diavolo fate a ricordarvi tutte queste cose?”
Yamazaki
si stringe nelle spalle.
“Sono
un buon ascoltatore.” mormora, modesto.
L’avversario
attacca di punta. Souji si flette di fianco, parando con la shinai
perché l’altro non lo colpisca di taglio. Lo
spinge via e si lancia contro di lui.
Prega che lo colpisca.
Ha voglia di ferire. Di sentire il bruciore dei lividi e il pulsare
sordo delle ossa incrinate, per lenire il bisogno feroce di rispondere
con forza uguale e contraria.
“Che
altro c’è, poi?”
“Mi
state prendendo in giro, Okita-kun?”
“Io?
Mi sto solo annoiando. Allora, continuiamo o no?”
“Mercurio,
argento e oro. Questi sono noti anche a noi.”
Mercurio.
Heisuke, quello scricciolo senza requie, perennemente mosso dal
desiderio di dimostrare di valere quanto gli altri. E
oro…l'oro è Sano. Ce l’ha negli occhi,
e, in fondo, anche nel cuore, per quanto si sforzi di nasconderlo.
Il colpo
cala sul suo polso. Con forza. E anche se è cresciuto
contando le botte guadagnate in dojo, il dolore gli esplode in corpo,
gli consuma le ossa e le tramuta in frammenti anneriti.. Lampi bianchi
e rossi gli lampeggiano davanti agli occhi, lo accecano.
E non arriva altro.
Souji
allontana l'avversario con un fendente, a denti stretti. L'intero
braccio gli pulsa, ora pietra ora carne, ma non concede alla ferita
nemmeno un'occhiata.
“Perchè
ti sei fermato?” sbotta, brusco.
Hijikata, fermo in un
angolo del dojo,
“Il
combattimento è sospeso.” dichiara.
La rabbia gli gonfia
le vene come una marea.
“Nemmeno a
pensarci.” sibila Okita.
“Siete
entrambi senza protezioni: è troppo rischioso. Ringrazia il
cielo che il colpo non ti abbia sfondato il braccio.”
Vero: è
stato fortunato. Ma il commento non fa altro che irritarlo.
“Sto
benissimo.”
“Souji.”
“Se non
cominciamo ad abituarci adesso a combattere davvero, quando saremo
pronti, Hijikata-san?”
Toshizou tace. Non si
chiamano mai per cognome - crescere assieme ha eradicato
qualunque formalità tra loro – ma questa
è una delle rare volte in cui la cortesia nasconde ben altro.
“Hai
ragione.” decide, infine. “Ma ti avverto, Souji. Se
ti spezzi il polso, sei fuori.”
Fuori.
Già. Come
se non avessero già programmato di rispedirlo a casa, dopo
che Serizawa ha quasi dato fuoco a mezza Mibu e lui ha cominciato a
detestarlo.
Okita si rimette in
guardia. Vede negli occhi del nemico una scintilla di scherno.
Ignora il dolore.
Ricomincia.
“Il
silicio. L'inflessibile. Dicono che gli specchi siano fatti di questo
elemento. È così rigido che perfino da fluido
solidifica.”
Come Hijikata.
Souji
fa una smorfia.
Il
vice e le sue paure. I suoi dubbi. La sua... oh, come l'ha definita
Serizawa? Ingenuità da campagnolo.
Allo
Shieikan Hijikata non era così. Per lui era semplicemente
Toshi, la parodia di un fratello maggiore piuttosto seccante. Bravo con
la spada e con la strategia nel sangue.
Ora
quel fratello sta scomparendo sotto una corazza d'acciaio. Prima o poi
annegherà nella marea crescente di sangue.
Souji
ne è certo.
È
più forte di lui. È tutto ciò che sa
fare, alla fine. Spingersi oltre il limite, sentire il corpo tendersi
quasi sin al punto di rottura.
Lottare.
È nato per
questo. Lo respira. Lo vive.
È la sua
unica abilità.
Souji inclina la
spada, indirizzando la punta verso l'avversario. Si raccoglie.
Serra gli occhi per un
istante, e quello successivo c'è Serizawa davanti a lui. A
imporgli di non badare al polso ferito.
Di crescere.
Di odiare.
Di più.
“E
questo? Perchè c'è scritto due, sopra al
simbolo?”
Yamazaki
posa il pennello e la tabella dell'inventario. Osserva la lettera. Una
tonda, piccola O.
“
Perchè l'ossigeno si trova sempre composto da due
particelle, almeno in natura.” si strofina il mento come un
vecchietto, lasciandosi uno sbaffo di inchiostro sulla guancia.
“Trovarlo allo stato puro è impossibile. E per
fortuna.”
Souji
inclina il capo.
Yamazaki
sospira. Ha una montagna di lavoro da svolgere e tutto sembra
complottare contro di lui, per impedirgli di completarlo.
“L'ossigeno
è nell'aria che respiriamo. Senza, non potremmo vivere. Ma
solo quando è in coppia...”
Ora.
Crack!
“MATE!”
Ed
è di nuovo nel dojo, la shinai puntata verso il basso, gli
occhi socchiusi nella posa di guardia. Dietro di lui, lo sfidante.
A terra, il respiro
rotto e il volto imperlato di sudore freddo. Si tiene il braccio
destro, piegato in un angolo innaturale.
Rotto.
Hijikata. Dietro la
maschera di rabbia che gli stravolge il viso c'è
l'esasperazione.
Lentamente, Souji
abbandona la posizione. Si raddrizza e infila la shinai nella cintura.
Nel polso ha schegge
di vetro roventi. Fa così male che per un attimo gli sale il
vomito, ma stringe la mascella e si rifiuta di cedere. Non
più. È finito il tempo in cui si lasciava
intimidire da una ferita così insignificante. Non
più. Mai più.
Incrocia lo sguardo di
Hijikata. Sorride.
"...Allo stato puro, l'ossigeno
annienta qualunque cosa. Come voi, Okita-kun."
“Sembra che,
dopotutto, resterò ancora per un po',
Hijikata-san.” mormora Souji, dolcemente.
Così il ragazzo diventa uomo.
[1200]
#
Note dell'Autrice:
E
rieccomi, dopo una settimana in Liguria particolarmente ispirativa e
una al male, a condividere con dieci persone una casetta che ne avrebbe
potuto contenere solo quattro (un desfo XD). Ormai ho rinunciato a
essere sintetica, quindi in malora anche il rant sulle parole.
Quello di attribuire un
elemento ad ogni persona è un giochetto che facevo in terza
superiore - il che dovrebbe dire tutto sul mio grado di attenzione in
classe. Che ci volete fare, quando avete davanti un gorilla peloso che
minaccia di darvi "richiamini" sui "compitini" se non fate i "bravini"
la cosa è abbastanza ardua. Mi è venuto in mente
per puro caso, e come vedete è stato il cardine dell'intera
shot. Come lo stesso Yamazaki afferma, l'ossigeno allo stato puro -
composto cioè da una sola molecola - è uno degli
elementi più distruttivi, essendo fortemente instabile.
Okita Souji fatto e finito, a poco tempo di distanza dal disastro
combinato da Serizawa.
Mi sono presa una
piccola licenza anacronistica - la tavola periodica degli elementi
è stata ideata da Mendeleev nel 1869, un anno dopo la morte
di Hijikata. Spero me la perdonerete, era necessaria ai fini della shot.
Un ringraziamento
rinnovato a Ellie_x3 e Satomi, recensitrici fedeli, a chi segue, a chi
legge, a chi passa per caso. E ad Aldo, che ha sopportato i
miei scleri su quale elemento andasse meglio per quello o per questo da
bravo chimico. Grazie, papà.
Hasta luego.
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** 09. Fidarsi - [crowding at the coffee shop, looking for a final rest] ***
Land
of Make-Believe
Part
1: Donten
-Forever we’ve been-
09. Fidarsi
[Crowding
around the coffee shop, looking for a final rest]
Acqua#03.
Zampillo.
*
“They
say there’s no such a place as Paradise.
Even
if you walk ‘til the end of the
earth…there’s nothing there. No matter how far
away you go.
It’s
always the same road. That goes on, and on.
But
in spite of that…why am I so driven to find it?
I
hear a voice inside of me.
It
says: “Search…for Paradise”.
Kiba, Wolf’s Rain
*
Troppo.
Parlano troppo.
E non si accorgono che
basterebbe così poco, perché la fonte riprenda a
dare acqua…
Il ronin
infila le mani gelate nelle maniche, in cerca di un po’ di
calore. Si è svegliato presto, stamattina. Un sogno e strani
discorsi l’hanno fatto meditare tutta la notte, eppure non
è stanco.
Per la prima volta
dopo molto tempo, non lo è.
“Sarà
colpa di un rospo?” si chiede uno dei contadini,
perplesso. Un altro scuote la testa, sconsolato.
“Un demone,
semmai! Si è mai sentito di un animale che si comporta
così? Avremmo dovuto onorare di più i kami,
invece che preoccuparci di queste voci sulla Capitale! Questa
è la giusta punizione.”
“Macché
demone.” Un terzo affianca il duo, una gerla sulle spalle e
una smorfia in volto. “Lo so io chi è stato:
quella peste di Maki. L’ho visto giocare qua vicino
l’altro ieri, lui e quegli altri scavezzacollo... ci
avrà messo un sasso per farci uno scherzo.”
“Taci,
Moeru! Che dici?! È un segno! E le tue chiacchiere finiranno
solo per peggiorare le cose e-”
“Sveglia,
vecchio! È uno scherzetto da bambini, stai
farneticando.”
Uomini
dei campi. Spicci, ma non abbastanza. Se invece di ciarlare dessero
un’occhiata più da vicino eviterebbero di perdere
tempo.
E di farlo perdere a
lui.
Ha
imparato a essere paziente, Hajime, ma anche lui ha i suoi limiti.
La voce allegra della padrona lo distrae.
“The caldo,
Saitou-san?”
Saitou. Fa
così strano sentirsi chiamare così, ancora non vi
ha fatto il callo. Hajime si limita ad un cenno del capo.
“Arigatou.”
“…sono
gli dei!”
“…è
Maki! Maki, come ve lo devo dire? Adesso vado a casa e sua madre mi
sente, oh, se mi sente, quel ragazzo ne ha fatta una di
troppo!”
Idioti.
Forse dovrebbe andare ad aiutarli, risparmierebbe tempo.
Meglio di no,
suggerisce l'istinto. Si farebbe notare troppo. E a lui va benissimo
che la gente si scordi di lui, che lo lasci nella marea grigia degli
indifferenti.
La
locandiera sembra leggergli nel pensiero.
Ecco. Lei è
una di quelle che vede oltre la facciata.
Non gli piace.
“Vi
arrecano fastidio?”
Il the è
bollente, gli ustiona la lingua e pare fuoco. Il freddo autunnale
rattrappisce e lo abbandona come una foglia morta.
“No. Non
davvero.” È diventato piuttosto bravo anche a
mentire, Hajime. Si esercita ogni giorno, per ispessire la maschera che
lo protegge. “Nonostante sia alquanto difficile
ignorarli.”
“Oh, lo so.
Che volete farci? Sono uomini. Se fossero nati con un pizzico di
buonsenso in più, a quest’ora non sarebbero
lì a discutere.”
È un
commento da donna di campagna, sfrontata e poco rispettosa, ma nel suo
piccolo Saitou non può fare altro che trovarsi
d’accordo. E la cosa lo mette a disagio.
Non
scoprirti. Non sbilanciarti. Non fidarti di nessuno.
“Quanto
dista la Capitale da qui?” domanda, cambiando discorso.
Lei lo
scruta.
“Dipende da
cosa andate a farci, Saitou-san.” Replica, circospetta.
“Per essere
tanto indiscreta dovete essere abituata a dare ospitalità ad
assassini.”
Il commento taglia, ma
sulla donna rimbalza.
“Ammetto che
a me e mio marito è capitato, sì. E, viste le
conseguenze, gradirei che non si ripetesse.”
Hajime si
prende un attimo per pensare. Dalla fonte otturata, l’acqua
esce a spruzzi con un singhiozzo quasi umano.
“Sto
cercando qualcuno.” Mormora. E i ricordi ballano dietro le
sue palpebre, nelle volute del the: di come, vagabondando, è
arrivato allo Shieikan. La rabbia cocente nell’ingiustizia di
essere scacciato dai dojo dove ha vinto, solo per il suo essere
mancino. La sorpresa nel trovare solo quattro allievi a badare alla
palestra, in assenza dei maestri.
La confusione.
Quando, vedendolo
impugnare la shinai con la sinistra, Okita Souji ha sorriso.
“Per
vendetta o per pura curiosità?”
Saitou tace.
“Vi chiedo
scusa. Non volevo essere invadente.”
“No, non fa
nulla. Stavo solo pensando.” Deglutisce. Il sencha
è all’improvviso amaro. “Mi è
capitato di udire i discorsi di vostro marito e altri ospiti,
l’altra sera. Di un gruppo di ronin radunatisi nella Capitale
per riportare l’ordine, e della concessione dello shogun di
formare un corpo d’armata.”
“Ah, i
Mibu-Roshi. Sì, è così. Ormai sono in
città da un paio di mesi in pianta stabile.” La
donna sorride. “Vi siete perso per strada, voi che volete
raggiungerli?”
Saitou si stringe
nelle spalle.
“Una
specie.”
Alla fine
del duello con Okita aveva più lividi che altro, ma la cosa
non gli ha impedito di tornare allo Shieikan. Ancora e ancora.
Fino alla proposta di
partire.
Saitou mette
giù il the.
Lì
si è fermato. Lì ha tracciato la sua linea di
confine. È stato un bel sogno, finché
è durato. Non poteva andare più in là.
Si è fidato
di Souji, durante quel primo scontro. No, non solo: si è
fidato di sé stesso. Non va bene. Non può
permetterselo.
L’ultima
volta che se l’è concesso ha ucciso un hatamoto.
L’ultima
volta è stato scacciato e disconosciuto.
“Sapete,
sono passati di qua.”
Ancora una volta la
voce della donna lo riporta alla realtà. È
pensosa. “In effetti, ora che ci penso, uno di loro deve
avermi lasciato un biglietto, qualora mi fossero state chieste
informazioni da qualcuno
in particolare.”
L’occhiata
è più penetrante che mai.
“Un
biglietto?”
“Posso
fidarmi di voi?”
Saitou esita.
No.
Io
non lo farei.
Io
non mi fiderei di me stesso.
Hiroaki l’ha
fatto. Sua sorella, sua madre, suo padre. E guarda
com’è finita.
Però
c’è quella punta di curiosità. Lo
stesso bisogno pulsante che l’ha spinto a mettersi in strada.
È successo quattordici giorni fa, quando ha trovato lo
Shieikan chiuso ed è stato colpito dalla fredda, dura
consapevolezza di aver perso l’unico luogo dove avevano
cominciato ad accettarlo.
È un
sentimento molto piccolo, fievole, incerto. Ma lo manda avanti. Un
passo dietro l’altro.
E adesso gli dice che
non può fermarsi qui.
Hanno
lasciato una traccia. Per te.
Hajime annuisce.
“Vi
ascolto.”
*
“Allora,
ricordate: tre ore di cammino da qui, poi troverete il bivio. Prendete
a destra. Dovreste farcela a raggiungere il prossimo ryokan prima di
notte. E poi non avete che da proseguire sempre dritto.”
“Arigatou
Gozaimasu.”
La donna gli sorride
con cortesia. È
una di quelle che vede oltre, si ricorda Hajime. E adesso
la cosa non gli dispiace poi tanto.
“Buona
fortuna.” Gli augura.
“Anche a
voi.”
Di
cuore.
La porta
si chiude e le strade si separano.
Saitou resta solo, di nuovo, sulla via per Kyoto. I contadini sono
ancora lì a bisticciare. Uno è andato a
recuperare un ragazzino bruno per il sole, rosso in faccia per la
vergogna e il pianto.
Di acqua, neanche
l’ombra. Il sasso è ancora al suo posto.
Saitou
sospira.
Dovrebbe
davvero proseguire. Eppure sa che quella maledetta fontana col
singhiozzo lo tampinerebbe fino all’esaurimento.
Non metterti in mostra,
lo redarguisce l’istinto.
Saitou lo ignora.
Passa tra i contadini, si rabbocca una manica, la infila nel condotto. Muschio. Alghe. E
qualcosa di duro e liscio.
Lo stringe e lo
strappa.
L’acqua
nel legno tossisce, sputacchia. Il primo schizzo è fresco e
vivace. Ne segue un secondo, un terzo.
I contadini
ammutoliscono. Perfino Maki smette di frignare.
Suo
malgrado, Saitou abbozza un mezzo sorriso. Stringe il ciottolo umido
nel palmo della mano e prosegue senza voltarsi, le indicazioni ben
salde in mente e un pizzico di euforia, dopo molto, molto tempo.
I suoi pensieri
altrove.
Un luogo sicuro.
Forse. Non sarà mai come casa, ma è cento, mille
volte meglio di essere da solo.
Chi lo ha accettato lo
aspetta e la fonte è libera. È una buona giornata.
Forse, alla fine della
strada, imparerà perfino a curare anche lo zampillo di
fiducia nato dentro di lui.
Oggi si sente da tanto.
[1.321]
#
Note dell'Autrice:
Quasi un
mese, una settimana prolifica in montagna e scleri vari dopo, rieccomi.
Ovviamente ho sforato anche questa volta, ma chissenefrega. La shot
è nata in un rush d'ispirazione inaspettato, ormai ero
convinta che non ci sarebbe stato niente da fare e di doverla
rimandare. Phew.
Il primo incontro tra
Saitou e i minna dello Shieikan fa parte della sua Route in Reimeiroku.
Il "biglietto" è totalmente campato per aria. E Shinpachi
ringrazia per essersi fatto fregare il capitolo (in origine avrebbe
dovuto essere incentrato su di lui. Oh well. Si rifarà.)
La prossima è con Sano, coming at you from every side.
Come al solito, un
grazie a Ellie_x3, Satomi e Kaliangel che hanno recensito, i lettori
silenziosi, chi segue, chi legge, blah e blah.
Until next time,
Kei <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** 11. Cadere - [I can't go back, I can't go back] ***
Land
of Make-Believe
Part
1: Donten
-Forever we’ve been-
10. Cadere (e
rialzarsi)
[I can‘t go
back, I can‘t go back]
Fuoco#03. Cottura.
*
“Per sette
volte che cadi, rialzati otto”.
Daruma
*
È
una sfida che non può vincere. Non stavolta.
“Signore, ve
lo chiedo per favore…”
“Puoi anche
far scomodare gli dei, ronin, non ti aiuteranno.”
Harada si tira le
maniche dell’haori sulle mani, sperando che bastino a
nascondere i suoi pugni contratti. Si umetta le labbra.
Ancora.
Provaci ancora.
È penoso,
lo sa. Non è mai stato robusto quanto Shinpachi, ma appena
arrivato da Edo se non altro i muscoli li aveva. Ora si stanno
logorando anche quelli. Gli hakama gli cadono bassi sulle anche, ha lo
stomaco contratto in un nodo e la vista annebbiata dalla fame.
Più che un lupo, come insiste a chiamarlo la gente,
è un randagio. Battuto, affamato e senza speranza.
Ma non
c’è nessuna pietà negli occhi del
negoziante.
“La possiamo
pagare.” insiste, ingoiando la frustrazione.
“Non li
voglio, i vostri soldi.” ringhia il mercante. Se possibile
è ancora più secco di lui, ma ciò che
gli manca in stazza compensa in veleno. “Sono sporchi di
sangue. Non voglio nemmeno vederli.”
“Signore-”
“No. Basta
così. Ho sopportato fin troppo - e voi non avete alcun senso
di decoro né dignità, se vi ostinate a strisciare
alla mia porta per mendicare del cibo.”
Harada soffoca un
ringhio.
“Non sto
mendicando un bel niente. Voglio solo comprare da mangiare.”
“Come un
onesto cittadino?” Il negoziante sorride, sprezzante. Il
sogghigno si trasforma in una smorfia di rabbia. “Siete
penoso. Fuori. Subito.”
Sano resta
dov’è.
“Perché?”
“Ho detto
fuori!”
“Perché?
Datemi un buon motivo! Perché dovreste comportarvi in modo
diverso per noi?”
L’uomo si
prende un lungo attimo per squadrarlo da capo a piedi. Harada sostiene
il suo sguardo, ma vorrebbe sprofondare. Gli occhi
dell’intero negozio sono su di lui, sulle vesti da civile
impolverate. Sul suo volto, senza pudore, senza traccia
dell’usuale discrezione.
Con aperto odio.
“Non ho
nessuna intenzione di sfamare un branco di assassini.”
scandisce il mercante, a voce abbastanza alta perché tutti
lo sentano.
Sano deglutisce. Ha la
gola arida.
Non
ce la posso fare.
“Stiamo solo
cercando di proteggere la capitale.” mormora.
L’occhiata
che gli viene riservata è sterile, indifferente.
“Nessuno vi
ha mai chiesto di farlo.” Un cenno verso l’uscita.
Lo stesso che si fa a un animale.
Con un senso di nausea
opprimente, Harada non può fare altro che girarsi e
andarsene. Ad ogni passo la sacca di tela gli dondola nel pugno e gli
batte contro il fianco, ricordandogli che è vuota, vuota,
vuota, e che lui ha perso.
Ancora una volta.
Non
è colpa loro.
Oh,
per favore. Non raccontiamoci idiozie.
Si è seduto
vicino al tempio, sperando che nessuno lo riconosca. Se ritarda
è probabile che Hijikata-san si faccia scoppiare una vena
per il nervoso, ma non se la sente di tornare così, con
l’orgoglio a pezzi e appena un pugno di riso. Non ce la
farebbe a sopportare l’espressione delusa di Heisuke,
né le occhiate sempre più preoccupate del
comandante e del vice.
Figuriamoci
l’espressione compiaciuta di Niimi.
Un paio di ragazzi lo
vedono e prendono a tirargli sassi. Sono poco più giovani di
Heisuke, mocciosi che se la farebbero nei pantaloni se lo vedessero
passare con l’unità al completo. Ma oggi lui
è da solo, e tanto basta.
“Ehi,
Miburo! Ti hanno cacciato via un’altra volta?”
Una piccola pietra
appuntita lo colpisce in fronte. Sano scocca un’occhiata
torva al mandante. Di norma si alzerebbe e li caccerebbe via a calci
senza pensarci due volte.
È costretto
a tollerarli, occupato com’è a racimolare quel
poco di decenza che gli resta.
Socchiude gli occhi e
sopporta, chiedendosi se Inoue - san non sia riuscito a raccattare
qualcos’altro. Tofu. Soba. Qualunque cosa, pur di rimpinguare
la cena.
“Non abbaia
più, adesso che non ci sono gli altri.”
“Cane del
Bakufu!”
“Sì,
cane! Gli sta proprio bene. Vengono a distruggere Kyoto e pretendono
che gli diamo da mangiare senza che spendano un soldo.”
All’inizio,
a dire il vero, il denaro c’era. Hijikata ha tirato
giù i kami dal cielo pur di convincere il fratello maggiore
a concedergli il prestito necessario. È stato Serizawa a
dilapidarli. In donne, sakè, scommesse, banchetti. E se da
una parte Kondou è stato costretto a contribuire per mettere
a tacere le malelingue, dall’altra ci sono state le spese
mediche, l’alloggio, il cibo.
Finché i
finanziamenti dello Shieikan si sono esauriti.
Serizawa e i suoi
continuano a tornare ubriachi da Shimabara quasi ogni notte.
Loro sono costretti a
chiedere prestiti e faticano perfino a mettere insieme un pasto per
tutti.
I ragazzi ridono.
“Hai fame,
Miburo?”
Sì,
dannazione.
Sono due mesi che non
mangia a sazietà. Gli pare di avere lo stomaco ridotto alle
dimensioni di una mela, un buco nero perennemente contratto e
dolorante.
Si sforza di farsi
bastare quel che riescono a trovare - riso, qualche verdura. Una volta
Souji è riuscito a tornare a casa Yagi con della carne, dopo
una contrattazione epica, e allora è stata una festa - ma
per il suo corpo traditore non è mai sufficiente.
Una zaffata improvvisa
gli raggiunge il naso. Profumo di braci, fumo e pesce arrostito. Sano
spalanca gli occhi.
È
così vicino che si può immaginare il rosso dei
carboni, il grasso che scoppietta e scivola lungo i
bastoncini, la pelle dei pesci dorata dalle fiamme. Dei no, per favore.
È una tortura. La bocca gli si riempie di acquolina. La
pancia gli brontola. Prima che possa riflettere è in piedi e
sta mettendo un passo dietro l’altro, senza pensare, diretto
verso la fonte del profumo.
È una
ragazzina. Piccola, minuta, se si avvicinasse gli arriverebbe a
malapena allo sterno. Sano la osserva muoversi intorno al fuoco con la
destrezza di una donna di casa, avvolta nel suo yukata azzurro chiaro.
Per quanto si sforzi di fissarla, è sempre fuori fuoco.
Tutta la sua attenzione è focalizzata sulle forme allungate
dei pesci, infilzati sugli spiedi. Da dietro l’angolo il loro
profumo è così forte che muore dalla voglia di
strapparli dai bastoncini, cotti o no, e portarseli via tutti.
Non
dovrebbe essere così difficile.
Il pensiero gli
sfarfalla pigro nella mente. Di nuovo, Harada si concentra sulla
ragazza. È un poco in carne, ma piuttosto graziosa, con un
viso rotondo e capelli neri ben pettinati e raccolti. Sembra una
bambina. Sarebbe così facile buttarla per terra con una
spinta, prendere il pesce e poi…poi…
Che
diavolo ti viene in mente? No. No. Assolutamente no. Passi domandare la
carità, ma…rubare?
Eppure sembra
l’unica via che gli resta…
“Neh,
Masa!”
La ragazzina
s’irrigidisce, e Sano con lei. Conosce quella voce. Sono i
giovani di prima.
Tre, indolenti, le
gambe coperte di sbucciature e cicatrici e i capelli ancora acconciati
da bambini malgrado l’età. Uno si avvicina, gli
altri ronzano intorno agli spiedi. Masa cerca di guadagnare la porta,
ma si trova tagliata fuori.
“Dove vai
così di fretta?” scherza uno. Ha la testa rasata
come un monaco.
“Koichi, vai
via. Oggi non ho tempo.”
“Ma come?
Noi veniamo a trovarti e ci cacci via così?”
Masa serra le labbra;
con la coda dell’occhio scorge un movimento alle sue spalle.
“Ehi!
Giù le mani!” alza il ventaglio per il fuoco,
minacciosa. Testa rasata le afferra il polso.
“Non sei
molto gentile, sai?”
“Koichi!
Digli di non toccare il pesce! È per mio padre!”
“Chi, il
vecchio?” sghignazza uno. Sfila un bastoncino e lo dondola
sotto il naso di Masa. Le mani della ragazza scattano a vuoto, e subito
lei viene spinta indietro, con abbastanza forza da mandarla col sedere
per terra. Risate. Sano stringe i pugni. “Lui non ne ha
bisogno! E tu nemmeno. Guardati: più grassa di una
scrofa.”
Gli occhi di Masa
lampeggiano.
“Metti
giù quello spiedo.” Sibila, accovacciandosi.
“Scrofa,
scrofa! Continua pure a grufolare, tanto nessuno-”
Il ragazzo non finisce
la frase. In un attimo Masa è scattata verso
l’alto e lo ha colpito. Dritto allo stomaco, con una testata
che, per quanto debole, farebbe invidia a un teppistello di strada. Il
pesce vola per aria e Sano, interdetto, quasi si mette a ridere
all’assurdità della scena, dimentico dei suoi
problemi. Una donna che
picchia un uomo. Una donna in miniatura, per di più.
Il sorriso gli si
cancella dalla faccia quando Testa rasata afferra Masa per i capelli e
la tira in piedi, scrollandola. Lei grida.
“Questa ce
la paghi! Non l’hai ancora imparato il tuo posto,
mocciosa?!”
Adesso
basta. Basta.
“Potrei
rigirarti la domanda.” ringhia Harada, uscendo allo scoperto.
Non si prende nemmeno la briga di sguainare la katana, andando incontro
al trio con un sorriso minaccioso.
La vendetta
è così dolce che per un po’ si scorda
perfino di avere una voragine, al posto dello stomaco.
Cinque minuti dopo il
fuoco è morto sotto la sabbia tirata su dalla zuffa, i
ragazzi sono spariti e lui ha le nocche spellate e più fame
che mai. In compenso, ha un sorriso da un orecchio all’altro,
soddisfatto per la prima volta da un pezzo.
Sano si pulisce il
sangue sugli hakama.
“State
bene?” chiede.
Masa non risponde,
tremante in un angolo. È scarmigliata e ha un bernoccolo in
fronte, lì dove ha colpito il ragazzo, ma non è
nulla.
Nulla in confronto
allo sguardo.
Harada deglutisce a
vuoto. Potrebbe imporsi. Potrebbe arrabbiarsi, perché
è un samurai, ha diritto a una maledetta risposta, a un
po’ di rispetto.
Potrebbe.
Quegli occhi, quegli
occhi gli fanno più male delle sassate. Perché
all’improvviso capisce.
Lui ha visto tre
mocciosi che meritavano una lezione. Lei, un uomo che massacrava di
botte tre coetanei fino a metterli in fuga. E poco importa se
l’ha salvata – è sangue quello sulle sue
mani, quello che gli cola da qualche graffio.
Sangue che non gli
appartiene.
Rimangono immobili per
attimi che paiono eterni, lui e la ragazza, le ultime braci crepitanti
tra loro, il profumo di carne cotta e affumicata che infesta il
giardino.
Profumo.
Harada si china,
raccoglie uno dei pesci dalla cenere, si rigira lo stecco tra le mani.
Ha un po’ di polvere di carbone sulla coda, ma la pelle
è bruna e croccante e la consistenza tenera. Deve lottare
con la tentazione di portarselo alla bocca, mordere, saziarsi.
Contegno,
baka. Non spaventarla.
Indossa il suo
migliore sorriso di circostanza, alza gli occhi.
Di nuovo, gli si
stringe lo stomaco.
La ragazza
è sparita. E lui è solo nel cortile.
Solo con un pranzo abbandonato e un magone tale da strangolare anche la
fame.
Ha perso. Ancora una
volta.
*
“Sano?
C’è qualcuno che ti vuole.”
Harada alza gli occhi.
No, non se l’è immaginato – Heisuke
c’è davvero, appoggiato a braccia conserte contro
la fusuma. E sembra sinceramente sorpreso delle parole che gli sono
uscite di bocca.
“Creditori?”
scherza Shinpachi, seduto a fare il filo alla spada. È
l’unico che ancora si permetta di fare battute sullo stato
delle loro finanze, ma Sano non è dell’umore
giusto per rispondere al sorriso dell’amico.
“Non
chiamarli, Shinpachi, finisce che ce li troviamo alla porta
davvero.” Borbotta, alzandosi. “Che succede?
Problemi?”
Heisuke si stringe
nelle spalle, vago. Gli occhi azzurri sono sgranati. Sano inarca un
sopracciglio, ma non fa commenti, seguendolo.
È solo nel
corridoio che il ragazzino si decide a sputare il rospo.
“Sano
– san?”
“Eh.”
“Siamo
amici, vero?”
Al
tappo è spuntata la vena sentimentale?
“Che domande
sono?”
“Dai,
rispondi. Sì o no?”
“Ovvio che
sì, chibibaka. Che diavolo ti salta in testa?”
Heisuke fa una pausa,
rosicandosi il labbro inferiore. Un topo incastrato
all’angolo.
“A me lo
puoi dire.” Borbotta, infine.
Harada lo guarda
storto.
“Dire
cosa?”
“Beh,
sai…”
“Heisuke,
parla chiaro. Che cos’avrei fatto?”
Heisuke lascia perdere
il labbro e comincia a tormentarsi le dita.
“Ehm…ecco…c’è…c’è
una ragazza al cancello e…hmm, ecco, come posso dire?
Niente, siccome vai piuttosto spesso a
Shimabara…insomma…pensavo di toglierti
d’impaccio prima che Hijikata – san vi vedesse e
che venissero fuori problemi…”
Una ragazza? Il cuore
di Sano salta un battito. Ecco. Merda. Ci mancava solo quella. Forse
uno dei tanti mercanti “offesi” dalla loro
presenza, forse –
Poi il suo cervello
registra la parola Shimabara. E casca l’asino.
“Heisuke,
che accidenti ti salta in testa?!”
Il giovane capitano si
ferma, un’espressione addolorata in viso. Espressione che non
ci mette niente a trasformarsi in indignazione.
“Senti,
Sano, è già abbastanza brutto che tu e Shinpachi
ve ne andiate a bere e a visitare le geishe senza che mi diciate
niente: almeno potresti evitare di fare lo scemo! Ti sto coprendo le
spalle!”
“Ma coprendo
le spalle per COSA,
per l’amor del cielo?!”
“Per la
stupidaggine che hai fatto! Anche se immagino che possa succedere a
tutti…” occhiata ansiosa. “Dirai a
Hijikata che è stato un incidente, vero?”
“C-O-S-A?!”
Heisuke si ferma. Ha
la faccia rossa come un papavero, le mani che sfarfallano
nell’aria come impazzite.
“I -
insomma, hai fatto
un…un…b-b-b…”
“Un cosa, un
embolo?” Sano sbuffa, gli occhi rivolti al soffitto.
“Heisuke, non ho tutto il pomeriggio e stiamo già
facendo aspettare l’ospite, chiunque sia, quindi o ti dai una
mossa.”
“Un bambino!”
esplode Heisuke, i pugni stretti. Tre giovani ronin poco più
avanti si girano a guardarli “Hai fatto un bambino con una
geisha?! Non potevi controllarti?”
Sano si blocca in
mezzo al corridoio, una statua di sale. Le occhiate stralunate degli
altri Roshingumi e quella imbarazzata di Heisuke gli sembrano
lontanissime.
Così come
la sua voce, quando la ritrova. Calmissima, granitica.
“Heisuke.
Cos’è che ti sfugge del fatto che NON posso aver
fatto figli con nessuna, dal momento che possiamo permetterci solo di
sognarcela, Shimabara?”
Heisuke ammutolisce.
Potrebbe quasi leggere i suoi pensieri in un fumetto sopra la sua
testa: eh
già, com’è stato possibile?
“Non…non
sei andato…?”
“NO. Ti pare?! Con
che soldi
avrei pagato, dannazione? E comunque le geishe sono artiste, non si
prestano a quel genere di cose.” Sano sospira, passandosi una
mano tra i capelli. Incenerisce con un’occhiata il drappello
di novellini che li stanno osservando e picchia la lancia per terra. Ecco. Ci mancava il
tappo, a ricordargli che la fame ha tanti volti diversi.
“E comunque
grazie tante, eh, nanerottolo. La prima cosa che ti viene in mente se
una donna viene a fare reclami è che l’abbia messa
incinta?”
Heisuke rimpicciolisce
sotto la sua occhiata di fuoco. Apre la bocca, ma non ne esce alcun
suono per una pausa più che rivelatrice.
“Ehm.
Ecco…”
Stai
calmo. Stai calmo. Non puoi ammazzarlo, poi ti tocca fare seppuku.
“Stare con
Shinpachi ti fa male.” Decreta il lanciere. E gira sui
tacchi, perché se restasse lì un minuto di
più finirebbe per prendere Heisuke per i capelli –
l’unica cosa lunga che il tappo possieda – e
lanciarlo sul tetto.
Via,
veloce.
“E voi
tornate in dojo.” Abbaia, passando di fianco al gruppetto di
ronin. “Se siete ancora in mezzo ai piedi quando torno giuro
che non vi rimarrà un osso intero in corpo! Via!
Filate!”
I giovani, poco più che ragazzini, quasi si calpestano nella
fretta di ritirarsi.
Harada li ignora e
marcia fino alla soglia di casa Yagi, vero il Cancello. A passi larghi
e testa bassa, con la voglia di rompere la testa a qualcuno.
Dannazione
ad Heisuke e alle sue domande idiote.
Dannazione
a Shinpachi che lo travia.
Dannazione
alla giornata orribile.
Dannazione
a questa situazione assurda.
E
dannazione anche all’ospite, chiunque essa-
“Harada
– san?”
Sia.
A Sano manca un
battito. Quasi non l’aveva riconosciuta, troppo preso dai
suoi pensieri, ma ora che se la trova davanti è impossibile
sbagliarsi. Avvolta in un kimono verde e chiaro e con i capelli
ordinati in una crocchia sulla nuca, c’è Masa.
Sembra una bambina, con quella veste e quell’aria computa sul
viso.
Regge una pila di
o-bento in mano.
E Harada, prima ancora
che lei s’inchini, si scusi, lo ringrazi, prima ancora di
evitarle quell’imbarazzato contegno, abbozza un sorrisetto.
Sette volte
giù, otto su, dice il detto. Come la bambola Daruma.
Forse oggi, dopotutto,
non è stata una completa sconfitta.
[2.619]
#
Note
dell'Autrice:
Due
paroline veloci veloci prima di passare al commento personale:
a) Per il particolare
dell'embolo nel battibecco tra Sano ed Heisuke, passatemelo. Ci stava
troppo bene, pur non essendo conosciuto allora.
b) Questa shot ha doppio
significato. All'inizio non ci avevo fatto caso, ma con il siparietto
tra il nano e la stanga mi sono improvvisamente ricordata, complice una
conversazione su FB, che restare incinta in inglese si dice "bun in the
oven", pagnotta nel forno. Guarda caso, il personaggio di Masa
è ispirato alla figura reale della moglie di Sano, sua
omonima, e la prima cosa che Heisuke va a pensare è che sia
lì per reclamare una possibile gravidanza
(responsabilità: ovviamente del nostro VM18 su due gambe,
ovvero Sano). Azzeccato con il tema della cotture XD.
Detto questo...
FINALMENTE,
CAZZO. >.> Scusate lo sfogo, ma è da luglio
che la shot è quasi pronta e continuo a rigirarmela. Il
finale è stata una via crucis, non riuscivo a rendere
decentemente le interazioni tra Sano e Masa. Alla fine ho risolto tutto
con un bel taglione, ma senza l'OAV di Harada non sarei andata molto
distante. Cheppalleeeh. ;A; prima che mi venga voglia di scrivere di
nuovo con il signor testardo, qui, passeranno secoli. Ovviamente, vista
la mia coerenza nel tener fede alle promesse delle NDA,
finirò per ritrovarmelo tra i piedi da qui a pochissimo.
Così
come il capitolo sul falò, anche questa era una delle scene
che mi ero immaginata dall'inizio della challenge. Gli anni della fame
sono stati riportati nel diario di Shinpachi come uno tra i periodi
peggiori, per l'allora Roshingumi: mentre la fazione di Mito aveva
abbastanza denaro, quella dello Shieikan si è ritrovata
presto squattrinata e incapace di concordare le richieste di banchetti
e altre occasioni mondane di Serizawa con il sostentamento dei singoli
membri, fino quasi al punto da costringere gli uomini a chiedere
l'elemosina. Ho voluto rappresentare un episodio positivo per non
scadere nel patetico, ma purtroppo nella realtà le cose sono
state ben diverse.
Il personaggio di Masa
è di mia proprietà e, come ho già
detto, ispirato alla vera moglie di Harada. Di lei si sa molto poco, se
non che fosse figlia di mercanti: da qui lo spunto per un suo possibile
incontro con Harada. Il suo comportamento può risultare
anomalo, in quanto abbastanza "violento" per i canoni di allora, ma
d'altra parte Masa si trova a fronteggiare suoi coetanei e soprattutto
la certezza che se non tenta almeno di salvare il pesce sarà
punita dalla famiglia. E perché mi ero immaginata Harada
restare piuttosto sorpreso davanti ad una "teppistella" infagottata in
un kimono. E perché, diamine, se Chizuru può
portare una spada al fianco e agitarla sotto il naso delle persone,
penso che almeno nel contesto dell'anime un tentativo di difesa non sia
così anormale.
Mi pare di aver detto
tutto v.v quindi passo ai ringraziamenti.
Come al solito, un
arigatou gigantesco a Ellie_x3 e a Satomi per le recensioni, a chi ha
letto in silenzio, chi segue, e tutti i poveretti che hanno avuto la
malsana idea di aprire questa storia XD.
Ci vediamo al prossimo
capitolo. Scuola e ispirazione permettendo, si spera prima della fine
del mondo.
Tschuss.
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** 12. Sorridere - [On the Path of Cloudy weather, fearfully walking in the rain] ***
Land
of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-
11. Sorridere:
[On the Path of cloud wather, fearfully walking in the rain]
Acqua#10. Acqua cheta.
*
"Vi Veri Veniversum
Vivus Vici.
Con la forza della
verità, in vita, ho conquistato l’universo."
Faust
*
Cos’è
un sorriso?
Yamanami
Keisuke si è ritrovato spesso a chiederselo, dal loro arrivo
a Mibu. Per quanto sciocca sia, è una domanda che lo
assilla.
Una
variabile in continuo mutamento.
“Hijikata
– kun, dovreste calmarvi. Non fa bene rimuginare
troppo.”
Hijikata,
per esempio, sorride di rado. Nemmeno nelle sue giornate
migliori allo Shieikan era particolarmente allegro, ma la sua era
un’espressione tranquilla, calma, un segno di rilassamento.
Quando se lo permetteva, anche il resto degli studenti sapeva che
andava tutto bene.
Ora
Hijikata sorride quando minaccia. È il ghigno di un lupo che
snuda le zanne per intimidire, sfrontato, che non avrebbe remore a
squarciare la gola a chi gli sta davanti.
E
la cosa più curiosa è che lui non se ne accorge.
Passi
su e giù per la stanza. Da fuori arrivano le risate dei
bambini del quartiere. San’nan ne intravede un paio tampinare
Harada, di ritorno dalla pattuglia. Una piccolina di quattro anni si
alza in punta di piedi per aggrapparsi
all’estremità smussata della lancia, incurante
dell’espressione esasperata del Miburoshi.
Quanto passerà prima
che sua madre la venga a prendere in tutta fretta?, si
chiede. È già successo, di recente.
Ormai
non suscitano più solo disprezzo nelle persone. La paura sta
cominciando a scivolare al primo posto.
Ma
non è ancora all’apice.
Non
ancora.
Ed
è questo, il problema.
“Non
sto lavorando abbastanza.” Il borbottio masticato suona
amaro. Hijikata intreccia le mani dietro la schiena, poi le passa sul
davanti. Incrocia le braccia e si ferma vicino alla finestra.
L’inverno ha spruzzato Kyoto del candore della neve. I tetti
delle case sono ammantati di bianco e grigio, lì dove la
neve è stata macchiata dal fumo dei comignoli. Il giardino
di casa Yagi si è trasformato in un angolo silenzioso,
addormentato sotto una coltre gelida. San’nan ringrazia che
siano solo in tredici dello Shieikan, ad essere rimasti, o il dojo non
potrebbe contenerli tutti.
“Questo
non è vero.”
“L’avete
sentito anche voi, San’nan – san. L’hanno
sentito tutti.”
“Non
credo Serizawa – san avesse il diritto di farvelo notare di
fronte agli uomini, in ogni caso.”
Hijikata
serra gli occhi. La mascella contratta guizza, i tendini del collo sono
come cavi sotto pelle. Non sorride: ricorda. E San’nan non
può fare a meno di ripensare a quella conversazione
dell’altra sera.
“Di
cosa vi preoccupate, Hijikata? La faccenda è chiusa. La
magistratura di Osaka ha riconosciuto la colpevolezza degli allievi
della scuola di Sumo; non ci saranno ritorsioni contro di
noi.”
“Non
è questo il punto! Avete una vaga idea di ciò che
pensa la gente di Kyoto? Dopo l’incidente le voci sono
raddoppiate. Non siamo la polizia del Bakufu, siamo assassini, per
loro. E tutto per il vostro comportamento! Non vi permetterò
di rovinare il nome della Roshingumi!”
Il
sorriso di Serizawa è più frequente di quello di
Hijikata. Lento e rilassato, una piega sbilenca in un volto su cui
è rimbalzata anche la prigione. Senza effetto.
È
il genere di allegria che nasconde una tempesta.
“Direi
che è il mio turno di farvi una domanda. Hijikata
– kun, perché siete venuto fin qui, nella
Capitale?”
Il
viso di Hijikata è cereo.
“Pensavo
fosse chiara. Per costruirci un nome. Perché Kondou Isami
sia rispettato.”
Non
c’è un briciolo di esitazione nella sua voce, ma
non è sufficiente. Non per Serizawa. La sua risata
– sarcastica, ustionante – rimbomba nella stanza.
“Rispetto
per Kondou – kun, hm? In questo caso, non stai lavorando
abbastanza duramente.”
“Cosa?”
“Apparteneva
ad una famiglia di contadini da Tama, giusto? Riesci a capire quanto
sia difficile per un civile essere riconosciuto come samurai?”
“Non
mi serve che me lo ricordiate.” Le mani di Hijikata si aprono
e si chiudono, come preda di uno spasmo. Come Souji quando cerca
l’impugnatura della spada, come Shinpachi quando una sassata
vagante lo centra…per sbaglio. “Ho visto quanto si
è impegnato per conquistarsi il diritto di portare la spada.
Ero lì quando l’hanno sottovalutato…ma
ora, finalmente, abbiamo una possibilità di allontanare i
pregiudizi. E non lascerò che svanisca per causa
vostra.”
Le
sopracciglia di Serizawa si inarcano appena – e
c’è ancora quel sorriso, mentre si porta la lunga
pipa affusolata alle labbra e la brace prende vita sotto il suo respiro.
“Non
basta.” Ripete, sbuffando il fumo dalle narici.
“Che
diavolo significa non basta?!”
“Hai
la passione necessaria, ma non puoi tirare avanti con i tuoi bei
discorsi. Ti manca la determinazione per sporcarti le mani, per fare
qualunque cosa sia necessaria.” Gli occhi grigi fissano
Hijikata, ma sono distanti. “Non importa ciò che
dirai: Kondou – kun è nato contadino e
sarà sempre tale. È la natura del mondo, il senso
comune dal punto di vista del pubblico generale. Non può
cambiare in dieci, venti anni.”
Cos’è
un sorriso?
La
nostra espressione di vittoria, la nostra maniera di sfidare il mondo.
San’nan osserva quello di Harada, mezzo nascosto sotto un
velo di scocciatura, mentre si abbassa per permettere ai bambini di
aggrapparsi alla lancia sulle sue spalle e li scarrozza in giro, tra le
risate generali.
Quando
torna a guardare Hijikata, ve ne trova un altro. Una parodia contorta.
“
Potrà anche non averne avuto il diritto, ma l’ha
fatto,” mormora il ronin. “ E la cosa peggiore
è che più ci penso, più mi accorgo che
è ha ragione. È vero. I bei discorsi non ci
stanno portando da nessuna parte.”
San’nan
ascolta in silenzio. Riesce a carpire la scintilla del giovane samurai
– quella che gli brucia nel fondo degli occhi e che risale in
superfice quando Hijikata comincia a dare ordini. Che Toshizou abbia la
stoffa per diventare un capo migliore di Serizawa, più
efficiente, più deciso, più forte, nessuno lo
mette in dubbio. Ma il suo è un impulso che deve ancora
emergere.
E
perché possa farlo…
Un
sorriso.
Quest’involontaria
rivolta dell’uomo davanti alla sua fragilità.
All’unica alternativa – uccidi o sii preda.
Un
sorriso, sul volto di San’nan.
“Posso
capire il vostro nervosismo, Hijikata – kun. Credetemi,
è così.”
“Apprezzo
la comprensione, ma serve a poco.” Hijikata si ferma di nuovo
di fianco alla finestra. Anche Kondou è uscito in strada, a
schermare il suo esecutivo prima che una delle tante madri accorra a
difendere la prole. “Quella frase…maledizione,
vorrei che smettesse di girarmi in testa. Vorrei non averla
sentita.”
Quella
frase.
“Sapendo
questo, volete ancora fare di Kondou – kun un samurai agli
occhi altrui?”
L’espressione
di Hijikata parla da sola. Gli occhi sono freddi e duri come ametiste,
la postura rigida. La bocca ridotta in una linea tanto sottile da
impedire a qualunque parola di fuggirne.
Serizawa
fa compiere un elegante arabesco al ventaglio di ferro che stringe in
mano. Peserà mezzo chilo, ma lui lo maneggia come fosse una
piume. Volteggio, giro, volteggio. Assente.
Il
sorriso è ancora lì, provocatorio.
“Allora
dovete diventare un demone, Hijikata – kun.”
C’è
curiosità, oltre la diffidenza nello sguardo del ronin.
“Un
demone…?”
“Non
importa quanto famosi diverrete, ritornelli come ‘figli di
pezzenti’ vi seguiranno ovunque. Dunque non dovete esitare di
dimostrare il contrario e fare di chiunque un nemico. A costo di
sprofondare nel sangue per primo.”
Il
ventaglio si chiude, una tagliola di metallo elegante.
“Questo
è ciò che intendo con il diventare un demone. Per
il bene di Kondou – kun. Se potete farlo, allora avrete una
possibilità di capovolgere le regole di questo
mondo.”
Non
c’è stata risposta, così come non
c’è ora. Hijikata gira per la stanza, un animale
in gabbia. San’nan resta a guardare.
Non
si è intromesso nella discussione. È
più comodo, oh, mille volte più comodo lasciare
che Niimi e gli altri seguaci di Serizawa lo credano un debole,
più adatto alla diplomazia che alla spada. Non
c’è neppure bisogno di essere particolarmente
cauti – basta indossare la maschera giusta e avere cura di
non rovinarla.
Un
sorriso.
Una
menzogna.
Con
Serizawa è diverso: è una vecchia volpe,
già troppo vicina alla morte per non subodorare una minaccia
quando gli si accosta. Con lui dev’essere più
attento. O rischia di passare per pessimo attore. Come
l’ultimo arrivato, Saitou Hajime.
Osservare,
incamerare, rielaborare. Vedere le linee – di –
colpa di ognuno, capire dove lo porteranno.
Questo,
il suo compito.
E
ora non può che concedersi un lieve sorriso, scorgendo
quelle di Hijikata. Lo porteranno su un cammino di sangue, lo sa
già.
“Permettere
un consiglio, Hijikata – kun?”
Il
ronin batte le palpebre, accenna stancamente un sì. Nemmeno
lui ci crede fino in fondo, ma non può impedirsi di sperare
che ci sia una maniera per uccidere quel maledetto tarlo.
“Ditemi
pure.”
“Promettetemi
di ascoltarmi fino in fondo.”
Occhiata
perplessa.
Ingenuità,
muori. Non c’è più spazio per te.
San’nan
sorride, rassicurante.
“Credo
sia giunto il momento di accettare il consiglio di Serizawa –
san. A modo nostro.”
Un
sorriso.
Nelle
mani giuste, si trasforma in un incubo.
[1454 words]
N\A:
E rieccomi
a voi.
Per prima cosa la nota
tecnica: questa shot è liberamente ispirata alla route di
Hijikata in Reimeiroku, in cui compare il colloquio tra lui e
Serizawa. Mi sono concessa una piccola licenza temporale, spostando in
inverno un episodio che si svolge in una stagione più mite.
Nella fattispecie, la Roshingumi aveva avuto un piccolo alterco con
alcuni studenti di una scuola di sumo di Kyoto.
Serizawa si era
intromesso e aveva risolto la cosa a colpi di spada, uccidendo alcuni
studenti e ferendone altri, per poi andare a questionare alla
Magistratura di Osaka.
Di qui la protesta di
Hijikata.
Il prompt è
stato a lungo oggetto di indecisione. Il detto "l'acqua cheta rompe i
ponti" stava bene sia per Saitou che per San'nan. Alla fine ho deciso
per quest'ultimo, sfruttando la sua apparente calma. Direi che sono
più soddisfatta del tentativo fatto con Kondou, anche se
sono ben lungi dall'uguagliare altre rappresentazioni di questo
personaggio.
Oooook...mi pare di aver
detto tutto. Mancano solo quattro capitoli alla fine della prima parte,
gente: parte il countdown <3.
Un grazie a Satomi,
Ellie_x3 e Hikari92 per i commenti, a chi legge, a chi segue, a chi
passa.
Alla prossima,
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** 13. Ripetere - [the two of us are walking like soldiers] ***
Land
of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-
13. Ripetere:
[The two of us are walking like soldiers]
Terra#04. Eclittica.
*
“This second
chance I know won't last
But it's ok, got no
regrets
And I, I feel the end is
near
I'm a fool
Can't get closer
But I'm doing what I
should
I've been drowning in
sorrow
chasing tomorrow
running away
Now you're crossing the
border
sealing tomorrow
but you're not
afraid”
Sinéad, Within
Temptation
*
Giriam giriam intorno al Sole
intorno alla Terra, la Luna
s'avvita...
Dovrebbe concentrarsi, ma
quella filastrocca non smette di tormentarlo. Si allunga pigra tra un
pensiero e l'altro, complice del profumo d'incenso. Da quando ha messo
piede nella casa da tè, non l'ha più abbandonato.
Giriam giriam intorno al Sole.
È fermo, lui, in
questo istante. Fermo al centro della stanza dalle pareti dipinte e
fermo d'intenti.
“Possiamo iniziare,
Amagiri – dono?”
La diffidenza negli occhi del
Satsuma inginocchiato davanti a lui è palese. Un miscuglio
di rispetto, timore, nervosismo – anche ribrezzo,
sì.
Ribrezzo per i suoi capelli
rossi e gli occhi azzurro ghiaccio.
Troppo poco ordinari, anche
per un oni.
Amagiri Kyuuju si dimentica
spesso che agli occhi umani è alieno tanto quanto i gaijin
approdati sulle coste con le loro navi nere. Cose che
capitano. Agli oni non interessa poi così tanto il proprio
aspetto fisico.
“Hai.”
Un cenno di assenso. Il
Satsuma si allunga e prende la missiva.
“Mi aspetto che
venga presentata ai vostri due compagni,” ammonisce, ma la
voce gli muore in gola sotto lo sguardo dell'oni. Imperscrutabile.
Davvero ti aspetti qualcosa,
ningen? Veramente?
Ancora una volta, Amagiri si
limita a un cenno del capo.
“Naturalmente.
Com'è già stato stato stabilito, sono portavoce
per tutti e tre.”
Il funzionario stringe le
labbra.
Forse spera di mantenere un
certo contegno, con la maschera di bronzo che gli presenta, ma Amagiri
è bravo a leggere oltre la facciata.
Al di là del
grazioso contegno, l'uomo sta pensando che tre oni sono anche troppi.
“Mi chiedo
perché non si siano presentati a loro volta.”
“Non sarebbe stato
necessario. Conoscono i termini del patto quanto me, se non
meglio.” Shiranui di malavoglia, Kazama perché
deve, ricorda Amagiri. “E avevano affari a cui
badare.”
“Oh?”
Amagiri prende un respiro
profondo.
Trova un punto tranquillo e
concentrati.
Tra poco uscirà
dalla stanza e dalla casa da té, tra poco sarà
tutto finito. Non vale la pena di indispettirsi per l'indiscrezione di
un essere umano.
Tace, dispiega la missiva, la legge – conosce già
il testo a memoria, è solo per dare una parvenza di
umanità a quest'incontro.
Come già prima, lo
trova una stupidaggine.
I feudi ribelli non fanno che
scannarsi alle spalle gli uni degli altri, troppo guerrafondai per
rinunciare alle liti interne, ma quando si tratta di siglare accordi
non è necessario né lo spreco di carta
né l'umiliazione di appartarsi per firmarla.
Tra gli umani basta la parola.
Così facile da rompere, così ipocrita.
Per tenere sotto scacco loro
ci vuole una catena ben più forte.
“Ho controllato e
ricontrollato affinché fosse tutto in ordine,” lo
informa il funzionario, distaccato.
Amagiri lo ignora e scorre le
ultime righe dell'accordo.
Qui, nell'inchiostro,
è racchiusa la sorte della sua razza. Sempre che razza si
possa ancora chiamare.
Dopo le rappresaglie dello
shogun contro la loro presa di posizione, sono rimasti in tre
– e, secondo gli umani dei clan Satsuma, Chooshu e Tosa,
inevitabilmente destinati a spegnersi.
Lui glielo lascia credere.
Giriam giriamo intorno al sole
intorno alla terra la luna
s'avvita
non moriamo di morte, noi...
“Va bene.”
*
Kazama non c'è ad
aspettarlo fuori.
Amagiri lancia a Shiranui un'occhiata interrogativa, e il demone
più giovane risponde con una stretta di spalle.
“Si
annoiava.” borbotta, a mo' di scusa.
“Ti avevo chiesto di
tenerlo d'occhio.”
“Hai paura che si
faccia ammazzare?” ironizza il cecchino. Il suo è
un sorriso scherzoso solo a metà. Fino a qualche secolo fa
sarebbe stata una battuta.
Adesso è
realtà.
Amagiri scuote il capo. Non
sono nella capitale, sotto gli occhi dello Shogun e dei suoi cani da
guardia, ma non per questo si fida della discrezione di Edo.
“Almeno ti ha detto
dov'era diretto?”
“No. Se ti consola,
non dovremmo frugare i bordelli. Anche se una visita non mi sarebbe
dispiaciuta.” Shiranui si appoggia al muro del vicolo, prende
qualcosa dalla vita e se lo passa tra le mani. Una pistola, una di
quelle nuove armi dall'Occidente.
Amagiri non commenta.
“Com'è
andata con le trattative?”
“Come doveva
andare.”
“Quanto mi piace il
tuo lato espansivo, Amagiri, davvero! Volevo venirci anch'io,
comunque”
“Avresti ammazzato
tutti per noia.” puntualizza l'oni, in tono pratico.
“Per non parlare di Kazama.”
Pausa.
“Da dove viene
quella?”
Shiranui sbarra gli occhi e
subito il suo sguardo si accende d'irritazione.
“Non l'ho rubata, se
è questo che stai chiedendo.” sibila, offeso. Le
iridi viola percorrono l'arma. L'intera struttura dello strumento puzza
di morte e di polvere da sparo. “È stato un
ningen.”
“A
rubarla?”
“A prestarmela,
spiritoso-” un
giorno o l'altro dovremo fare due parole sul rispetto per chi
è più maturo di lui, si dice
Amagiri, con una punta di irritazione - “Ho scambiato due
chiacchiere con lui e i suoi compagni su questo nuovo tipo di armi. Non
sono male, sai? Affatto.”
“Le armi o i
ningen?”
Silenzio.
Amagiri lancia un'occhiata alla via. Luci, colore, musica, profumi,
risate, chiacchiere. Loro non appartengono a questo mondo. E nemmeno un
patto con i tre feudi più fedeli all'Imperatore possono
cambiare la loro natura.
È solo una
sistemazione temporanea.
Passerà anche
questo.
Come ogni altra cosa.
“Meglio non
affezionarsi a nessuno.”
“Chi, io? A quegli...insetti? Stai
scherzando, spero.”
Amagiri alza una mano, in
segno di pace. Era necessario specificarlo. Quelli di loro che sono
rimasti soli hanno finito per disperdere il proprio sangue
accoppiandosi con gli umani e convivendo con l'altra razza. A loro non
è più concesso.
“Andiamo a cercare
Kazama – dono.” mormora. “Vedi di non
ammazzare qualcuno.”
“Oh, non
temere.” Il volto di Shiranui s'indurisce.
“Aspetterò il momento adatto e le persone
giuste.”
Con questo patto si attesta
l'alleanza tra i clan Satsuma, Chooshu, Tosa e i rimanenti oni
dell'Ovest-
Più ci ripensa
più gli pare un'idiozia. Ma Amagiri non può
dimenticare che anche l'idea di essere distrutti da un gruppo di umani
sembrava un'assurdità, quando il loro clan era numeroso e la
decisione di restare ben distanti dalla guerra pronta a scoppiare era
salda.
Non è un errore che
vuole ripetere.
“Dobbiamo farlo per
forza?” mormora Shiranui, sovra pensiero, mentre si avviano.
Amagiri annuisce.
“Non
durerà per sempre.”
La carta si sbriciola,
l'inchiostro rinsecchisce. I ningen muoiono. Come l'eterno cammino
della Terra intorno al Sole, ogni cosa prima o poi si consuma e
ricomincia.
Loro non ne saranno mai
toccati.
Come sempre.
Giriam giriam intorno al Sole
intorno alla Terra la Luna
s'avvita
Non moriamo di morte, noi.
Di capogiro perdiamo la vita.
[1110 words]
N\A:
Due
note tecniche e poi mi dileguo.
1.
La filastrocca che Amagiri si rigira in mente è presa dal
fumetto americano Il Corvo di J. O' Barr. Pensavo fosse calzante.
2.
Il contesto è completamente inventato. Ovvero, questa
è un'ipotetica missing moment che vede gli oni nel momento
in cui stringono l'alleanza con i tre feudi citati nel testo. I
massacri a cui si riferisce Amagiri sono stati perpetrati dallo Shogun
tempo prima, davanti alla reazione neutrale degli oni davanti alla
necessità di difendere il Paese dagli sbarchi gaijin. That
is all.
Dopo
tante liti, azioni, scontri, incontri eccetra non sono riuscita a
produrre niente di meglio di un'introspettiva extra - strong. Spero non
sia soporifera. E non lasciatevi fregare - è solo la pace
prima della tempesta. :3
Meno
tre capitoli, siori e siore!
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** 14. Osservare - [Because I'm also stuck in cowardice, I look up to the sky] ***
Land
of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-
14. Osservare:
[Because
I'm also stuck in cowardice,
I
look up to the sky]
Terra#04.
Legno.
*
“(Everything
falls apart, even the people who never frown eventually break down)
The
sacrifice of hiding in a lie
(Everything
has to end, you'll soon find we're out of time left to watch it all
unwind)
The
sacrifice is never knowing ”
Pushing
me away, Linkin Park
*
Sul legno
c'è una chiazza ovale. Il bordo sinistro è liscio
e perfetto, una scottatura, l'impronta di una moneta; quello destro
è una cresta frastagliata che s'inarca sulle venature.
Yamazaki l'osserva,
corrucciato.
È arrivato
a casa Yagi da mesi, ormai. Abbastanza a lungo per sapere che i
Miburoshi preferiscono allenarsi all'aperto, qualunque tempo ci sia,
perché chiusi tra quelle mura prima o poi si finisce per
soffocare. Per sapere dove vengono tenute le (scarse) provviste e dove
vanno la scopa e lo straccio.
Per poter andare a
prendere quest'ultimo senza che nessuno gli dica nulla.
Si guarda intorno,
indeciso. Non c'è nessuno, almeno a prima vista. Potrebbe
mettersi in ascolto, potrebbe cercare di carpire qualcosa di
più dei colpi secchi e dei “men!” che
arrivano dal campo. Potrebbe. Dubita che ne ricaverebbe qualcosa.
Oggi non è
giornata.
Yamazaki posa il
secchio, si inginocchia e inzuppa lo straccio. Lo strizza, lo appoggia
sul legno e comincia a sfregare. È un lavoro ingrato, un
lavoro che spetterebbe alle donne di casa.
A quanto sembra,
è anche l'unico che riesce a calmarlo.
La stoffa gratta sul
legno. Nodi, imperfezioni, schegge. Tutte piallate, tutte rese
invisibili dal tempo, dall'abilità del falegname.
La macchia, al centro
dell'alone scuro, spicca come un occhio. Un occhio che vede tutto, un
occhio che risponde al suo sguardo.
Yamazaki chiude la
mente e si concentra su di essa.
Dentro la macchia
c'è un mondo.
A volte ci vede una
sbavatura d'inchiostro, come quelle che Okita – kun ha
lasciato sul libretto di haiku di Hijikata. Altre, una stella esplosa.
Con le viscere fumanti che ne interrompono la perfezione, l'addome
squarciato – avrà fatto seppuku, sarà
stato il Sole ad ordinarle di suicidarsi per il puro gusto di farlo?
È il fondo
nero di un pozzo sfondato. O la sua bocca vista dall'annegato che vi
è caduto dentro, il grembo tondo di una donna incinta.
È un
trucco, e lo sa benissimo, ma fa niente. A lui va bene. È
più costruttivo di osservare gli altri allenarsi, migliaia
di gesti ripetuti all'infinito, o di stare tra i piedi a qualcuno dei
comandanti.
Guarda la macchia e la
mente scorre via con le gocce d'acqua. Intanto lui si perde nelle
pieghe del legno, e ogni giorno quello gli presenta qualcosa di nuovo.
Il gatto nero che ha rubato il pesce l'altro ieri, la luna piena di
ieri.
Oggi è un
giorno storto.
E
adesso devo-
Oggi non fa che
ricordargli quella
cosa.
- sciacquare.
Yamazaki tuffa la
pezza nel secchio e la strizza. L'acqua si tinge di rosa. Chiaro, per
ora. Ma l'alone per terra è scuro, così scuro.
Si romperà
la schiena e l'acqua diventerà nera, prima di aver finito.
Di nuovo la macchia.
Oggi gli dà fastidio, oggi lo disgusta. La nasconde con lo
straccio e sfrega più forte che può. Le mani gli
fanno già male.
Le sue stupide mani.
Mani da figlio di agopuntori, mani di un marmocchio che voleva
diventare samurai.
La macchia, la macchia.
Yamazaki sussulta e
molla lo straccio. Si guarda il palmo. L'ombra della scheggia
è nera sotto la sua pelle.
Brucia. L'afferra e la
sfila e sta a guardare la goccia di sangue che si gonfia sulla sua mano
e sgorga
e cade
e là!
Sul pavimento.
Sciacquare.
La macchia lo fissa.
Come ha fatto l'occhio cieco di quella
cosa, la
notte prima.
*
“Hijikata
– san, che cos'è successo?!”
Saitou
si gira con la mano che vola all'elsa della katana appena ringuainata,
ma si ferma.
“Yamazaki
– kun.” mormora. Che sia un riconoscimento, che sia
solo per avvertire Hijikata, Yamazaki non saprebbe nemmeno dirlo.
Perché
non ha importanza, adesso. La risposta è davanti a lui.
Non
è il corpo a fargli più impressione. Ha visto
corpi di condannati a morti dilaniati da ferite molto peggiori: questo
non è né più ne meno di un fantoccio.
Attraverso gli strappi delle vesti la pelle è una colata di
cera, elastica e imperlata di sudore – ne avverte il puzzo,
penetrante. Le membra giacciono scomposte, come quelle di un burattino.
Le gambe, spezzate durante il loro ultimo passo. Le mani irrigidite in
artigli. Le braccia piegate ad un angolo assurdo, quasi buffo.
E
poi, sopra le spalle, la voragine.
Non
si accorge di essere indietreggiato finché non sente il
tonfo della fusuma alle spalle e sente il legno contro le spalle.
Il
legno è coperto da una pozza nera. Nera, perché
nera? Ma naturale, la luce non basta – altrimenti vedrebbe,
vedrebbe tutto.
Il
filamento dell'esofago stritolato dagli ultimi spasmi dei nervi, gli
spuntoni d'osso – netti: come dita protese – che
emergono dalla massa molle, gli anelli schiacciati della trachea. Il
baluginare del midollo, il rosso scuro della carne che si schiude,
oscena al pari di una vulva spalancata, pronta ad ingoiare il mondo
intero. Tutto.
Anche
il sangue che dilaga sul pavimento – non avresti mai detto che
è così colloso, vero?
Anche
il ghigno osceno sul volto del morto.
Quel
volto che è spiccato dal corpo e sembra capitato
lì per caso.
Quel
volto rivolto verso di lui.
Quel
volto. Con un sorriso nascosto dai capelli sfuggiti al nodo
tradizionale e la pelle rattrappita, così falsa. Con un
occhio ridotto in una poltiglia sanguinolenta lì dove una
lama ha sfondato l'orbita e l'altro – l'altro – dei
del cielo, l'altro-
“Le
spiegazioni dopo,” afferma Hijikata, secco, il respiro
completamente calmo. “Yamazaki – kun, chiama
San'nan – san e digli di venire qui. Subito.”
Yamazaki
non lo sente. Guarda il morto e il morto guarda lui, attraverso l'unico
occhio rimasto.
Spalancato.
ROSSO.
*
Rosso.
Ieri notte tutto era
di quel colore. Quando ha vomitato era sicuro che perfino la cena fosse
scarlatta, una colata di sangue scesa sul mondo intero.
Ciò che
può fare la suggestione, gli borbotta la voce del padre
all'orecchio, familiare. Yamazaki strizza con rabbia lo straccio,
bagna, sfrega, sciacqua.
Suggestione, paranoia.
Lui sa solo che quello
che è successo dopo è dipeso solo da
lui. Rimanere inchiodato al suo posto, farsi riprendere da Hijikata,
farsi vedere da Ibuki mentre lo stomaco lo ha tradito di nuovo e
Hijikata, San'nan e Saitou facevano sparire il corpo: tutta colpa sua.
La macchia lo guarda,
“Se una
quantità tale di sangue ti fa impallidire e star male
così, non sarai in grado di combattere.” ha
sentenziato Hijikata.
Ma
non è il sangue, avrebbe voluto dire.
È
quell'occhio.
Bagnare.
Strizzare.
Sfregare.
Sciacquare.
Ancora e ancora.
Suo padre ha sempre
detto che c'è fin troppo legno dentro di lui. Una
sovrabbondanza di radici che lo tengono ancorato al suo posto come un
solido sakura, che l'hanno portato in giro così come l'edera
si protende verso una nuova casa, che non gli fanno temere le frane
provocate dai commenti derisori sul loro conto.
Ma il legno, per
quanto possa galleggiare, finisce per farsi impregnare prima o poi. E
allora marcisce. Si riempie di vermi, di tarli.
Irreversibilmente.
La macchia
è diventata il suo tarlo.
Hai
visto, oh, hai visto? Sì che l'hai visto, sì,
l'hai visto e lui hai visto te. Si chiama morte. Morte.
Succederà anche a te, prima o poi. Sarai aperto allo stesso
modo. Più nudo di così davvero non si
può, vero? Più esposto al mondo non si
può.
Sciacquare...
Yamazaki si ferma per
un istante. Ha le mani rosse e sul dorso si stanno aprendo minuscoli
tagli. Quando stacca lo straccio dai suoi palmi –
com'è difficile! Come se qualcuno l'avesse cucito
– vede il tremore che li percorrono.
Il sangue del morto
è ancora lì. È un alone
impercettibile, davvero, Hijikata – san non avrebbe mai
permesso di mettere in allarme gli abitanti di casa Yagi. Ai suoi
occhi, tuttavia, è una pozza senza fine.
E sa che ogni volta
che passerà di qui finirà per ricordarsi quel
cadavere, l'acciaio macchiato, quell'espressione ferina sul volto di
Hajime.
Quell'occhio nella
macchia.
Abbassa lo sguardo:
è ancora lì, beffardo, a scrutarlo dal piccolo
sole esploso. Un'orbita vuota. Un bulbo scoppiato.
Yamazaki stringe le
labbra e si impone di non vomitare di nuovo. Immerge lo straccio, lo
strizza, lo appoggia sul legno. Ci preme sopra il palmo.
Sfrega.
C'è
un'altra cosa che dicono del legno – che alcuni tipi si
spezzano ma non si piegano.
E ancora. Che le
bambole Daruma, che di legno sono fatte, cadono sette volte per
rialzarsi otto.
Che il legno cresce
nella direzione dettata dal vento e dal sole, e che rami rimasti
attaccati al tronco a volte rivivono.
A volte.
Non è il
suo caso. Qualcosa si è spezzato, e lui lo sa. Una parte di
lui spera ancora di poter diventare un samurai, di poter combattere
fianco e fianco con gli altri alla luce del giorno.
Un'altra gli ricorda
che non lo sarà mai. Non dopo il discorsetto fatto con
Hijikata dopo l'incidente, non dopo il suo sguardo dubbioso.
Sfrega, bagna,
strizza, sfrega.
Sciacquare.
La macchia lo guarda,
lui risponde allo sguardo. Lo disgusta, ma resterà
lì ancora un po'. E forse tornerà anche domani, e
dopodomani.
Finché non
riuscirà a sostenere quell'occhiata di accusa.
Finché non capirà in che modo può
essere utile.
Verrà la
Morte e avrà i suoi
occhi, ma almeno lui avrà imparato a guardarla di rimando.
[1540 words]
***
N\A.
Meno
due!
La
shot è basata sulla route di Hijikata in Reimeiroku, che
è la più vicina a Yamazaki. Hijikata e Saitou
hanno a che fare con un Rasetsu "sperimentale" creato da Niimi, e
Susumu ha la brutta idea di andare a controllare cosa sia successo a
massacro avvenuto. Inutile dire che la sua reazione non mette
esattamente Hijikata a proprio agio con l'idea di avere Yamazaki tra le
possibili future file di ronin.
Avevo
una mezza idea di farla sulla morte imminente di Serizawa, ma come al
solito i piani vanno a puttane, quindi ho smesso di farmi problemi V.v.
Poi.
Che altro? Oh, sì. Credits ai Linkin Park, senza il cui
album non avrei scritto un bel niente. E il discorso di "Sciacquare"
è un piccolo omaggio a King. Quel che succede quando si
scrive poco tempo dopo essersi messi a leggere Misery.
Prossima
settimana, Praga e Monaco :3. Spero di tornare con tutte le dita dei
piedi ancora attaccate, dato che prevedono minime di - 30 e massime di
- 13.
Rinnovo
i ringraziamenti ai recensori, ai lettori, a chi inciampa per caso. -w-
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** 15. Vacillare - [A timid heart is at disadvantage with someone who likes danger] ***
Land
of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-
15. Vacillare (e resistere):
[A timid heart is at
disadvantage to someone who likes danger]
Acqua#11. Annegare.
*
“Il
mio supplizio
è
quando
non
mi credo
in
armonia”
I
Fiumi, Ungaretti
*
L'acqua si scava
sempre la propria strada, così gli hanno detto; ma nessuno
ha mai parlato di cosa succede quando la piccola goccia isolata
raggiunge il terreno impermeabile e vi resta intrappolata, incapace di
dissolversi, incapace di proseguire oltre con le sue sorelle.
Shinpachi guarda il
foglio bianco e sospira. Forse perché fuori piove, oggi,
forse perché gli sembra che l'intero mondo gli stia per
crollare addosso, ha un'idea abbastanza chiara di come deve sentirsi
quella goccia.
In trappola. Sei piedi
sotto terra, lì dove non si spingono nemmeno gli insetti.
Schiacciata dal peso della terra, troppo piccola per essere assorbita
– ma non abbastanza da scivolare tra i sassi e i detriti.
In bilico. Un punto di
accumulazione.
E l'acqua sale.
Pioveva anche ieri,
ora che ci pensa. Ricorda la sensazione della stoffa appiccicata alla
schiena e il riflesso della pioggia sulla katana di Saitou, quella
puntata su di lui nel loro alterco. La loro piccola zuffa.
Shinpachi fa una
smorfia. Quasi gli dispiace non essere stato beccato: d'altra parte,
Saitou non è così stupido da riferire a Hijikata
che ben due neo – capitani hanno infranto il codice,
scagliandosi l'uno contro l'altro.
No, così sembra quasi
un duello vero, considera, mentre le gocce di pioggia
rimbalzano sulla carta di riso.
Se
lo fosse stato a quest'ora uno di noi sarebbe morto. E l'altro prossimo
ad essere ucciso per insubordinazione.
Ormai è
chiaro a tutti che nemmeno i membri più alti del loro gruppo
sono intoccabili. Con il corpo di Serizawa che si fredda in attesa di
essere seppellito e quello della sua donna, sarebbe difficile scordarlo.
Tuttavia, non
è la paura della morte a costringergli la gola.
È essere
stato estromesso. È essere stato costretto a farsi coprire
le spalle.
Saitou ha accennato ad
un alterco con Hijikata. Non
al fatto che abbia cominciato io.
Saitou ha confessato
di aver risolto il tutto. Non
ha detto nulla riguardo al fatto che l'abbiamo fatto, sì, ma
con la spada. Una lama sguainata contro l'altra.
Saitou ha parlato di
screzi.
Non
di quello che gli ho davvero rinfacciato.
Mi avete lasciato fuori.
Tutti quanti.
Ha saputo la verità dal sangue secco che incrostava la
lancia di Harada, e dal sibilo lieve della pietra pomice sulla lama
lievemente umida di Souji. Serizawa Kamo è morto e
nessuno gli ha detto nulla. Erano troppo preoccupati all'idea che la
sua lealtà verso l'ex – capo della fazione di Mito
fosse più forte di quella che porta alla loro bandiera. Non
è venuto qui per farsi amici, no, ma pensava di potersi
fidare e di essere degno di essere ricambiato.
E adesso, oltre al
danno, davanti a lui si delinea anche la beffa. Nella sua forma
più ipocrita.
Un
epitaffio.
Parole che solo un
simpatizzante della scuola di Mito potrebbe scrivere. Per nascondere la
violenza brutale e il puzzo di alcool sotto l'immagine di un uomo
dall'animo forte e nobile, d'acciaio. Perché la figura di
Serizawa non sfiguri, in una storia – la loro – che
è già stata contaminata dal puzzo della morte, di
fianco a chi gli organizzerà un funerale, questo pomeriggio.
Per far sembrare che
sia tutto a posto.
Ci
fidiamo ancora di te.
Shinpachi stringe i
denti. Le sue nocche si fanno dello stesso colore della carta che sta
schiacciando nel pugno, con un crepitio che sembra quello di un piccolo
animale dalle ossa frantumate.
Eccoli, i sentimenti
della goccia in trappola. Per la prima volta è costretto a
qualcosa che non vuole fare. Per la prima volta è oppresso
dal peso della diffidenza verso i suoi stessi compagni.
E dentro di sé sa che non se ne dimenticherà mai,
nemmeno con tutta la sua buona volontà.
L'acqua si scava la
sua strada, dicono.
Lui, oggi, in
quell'inchiostro nero – l'unica chiave della sua liberazione
– vorrebbe annegare.
Note dell' Autrice:
Ero
indecisa se postare oggi questo capitolo, visto che sono presa dallo
studio, ma alla fine anche il dubbio è andato a farsi
benedire. D'altra parte, tra cinque giorni devo mettere su Bittersweet,
quindi tanto valeva aggiornare finché possibile senza
intralciare i miei altri lavori.
Come si può notare, questa è la shot
più corta della raccolta. La scelta di non rappresentare la
morte di Serizawa è stata voluta, in quanto mi
sono proposta di ripercorrere anche i momenti semplici come
questo. L'ambientazione: poco dopo l'uccisione di Serizawa e la mattina
seguente ad un possibile confronto tra Shinpachi e Saitou sulla
decisione di estromettere il primo dalla "spedizione". Mi sono basata
su un'immagine dal gioco di Reimeiroku. Tenendo le dita incrociate,
forse la vedremo quest'estate, quando la nuova serie animata
di Hakuouki uscirà :3.
Manca solo una one - shot, ormai, per completare la prima parte della
raccolta. Spero di non metterci un altro mese a finirla ^^" rimando le
note generali su questo primo settore al prossimo capitolo, dunque,
come conclusione numero 1 della raccolta.
Come al solito, un grazie infinite a chi legge, chi recensisce, chi ha
inserito tra seguite\preferite\ricordate.
Al prossimo capitolo <3.
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** 16. Cominciare - [On the path of cloudy weather...]\\ Epilogue Arc 1. ***
Land
of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-
16. Cominciare:
Aria#7.
Brezza.
*
“Io
e la mia ombra ci siamo messi in cammino
come
un uccello folle, come un cieco ti seguo
come
può una stella sola osare.”
Qualcuno
con cui correre, David Grossman
*
Non
crede più nelle favole.
Da piccola era tutto
un altro discorso – quando era una bambina viveva per i
racconti che suo padre le mormorava prima di spegnere la luce.
Il mondo fuori dalla
porta non era interessante neanche la metà di quello
costruito con le parole.
Ora ciò che
l'aspetta là, oltre la soglia, è tutto quello che
le resta. È un posto freddo, cattivo, feroce.
Il mondo si
è mangiato sua padre.
Il mondo l'ha lasciata
orfana.
Il mondo aspetta anche
lei.
Senza la giusta
protezione finisci per essere inghiottito vivo e masticato –
non può avventurarsi da sola all'esterno, non
così: è per questo che ha tirato fuori il piccolo
specchio dal cassetto.
Ora, mentre guarda la
propria immagine nella superficie increspata, si dice che la ragazza
che vede deve sparire. Ad ogni costo.
L'obi se ne va per
primo. Non è lungo come quello di un'attrice, ma avrebbe lo
stesso bisogno di una mano amica, una che sappia come districare i
nodi; ma le amiche non ci sono, allontanate dalla cautela e dalla
necessità di troncare i rapporti, ad uno ad uno,
perché nessuno la deve fermare.
Lotta contro la
striscia di stoffa. Le spalle bruciano, le dita scivolano –
alla fine ci riesce. Poi tocca allo yukata senza pretese, senza ricami:
alla figlia di un medico non si addicono i fronzoli.
La seta fruscia sulla
sua pelle. L'aria fredda traccia brividi sulle sue spalle.
Li ignora.
Sopporta,
sopporta.
Stringe i denti e
raccoglie le bende.
Ecco,
questo sarà difficile.
È piccola,
è magra: il suo corpo non ha ancora preso curve troppo
evidenti, ma il suo petto sì, e non va bene. Si guarda i
seni acerbi, piccoli, le punte dei capezzoli appena più
scure della pelle chiara.
Via.
Qualcun'altra si
fermerebbe a piangere sulla sua femminilità perduta quando
non è ancora sbocciata.
China il capo e
comincia a svolgere le fasce.
Adagio,
ora.
Un giro, due.
Incrocio. Schiacciare e stringere, trattenere il respiro. Quando ha
finito riesce a stento a boccheggiare, oppressa dal desiderio di
strapparsi via tutto. Si nasconde con l'haori, prima che la tentazione
diventi troppo forte. Poi la casacca. Si sistema: se le pieghe sono ben
tese, non si vede nulla.
L'aria fischia
attraverso la carta di riso, fa fremere la fusuma come se qualcuno
stesse cercando di aprirla. Lei si rannicchia e si infila gli hakama in
fretta, per non guardare la propria ombra spaurita.
Nasconditi.
Nessuno deve vederti.
Ultimo, i capelli. Via
i fermagli elaborati, via il laccio di seta. Ciocche nere le ricadono
sulle spalle. Sono lunghe – troppo. Non le ha mai tagliate
prima, e la sua mano malferma si rifiuta di collaborare.
Non può
chiudere gli occhi,, lei, mentre raccoglie la lama sottile e comincia a
recidere le ciocche più lunghe.
Quando ha finito,
nello specchio c'è un ragazzino androgino e tanto sottile da
sembrare in punto di spezzarsi da un momento all'altro. Ha ancora un
rimasuglio di capelli sulla guancia, una limatura nera.
La toglie con due
dita. La pelle è asciutta.
Si ripromette che non
piangerà, qualunque cosa succeda.
Ancora non lo sa, ma
è la più grande menzogna che possa regalare a
sé stessa.
(E la superficie dello
specchio è incrinata, lì dove non può
vederlo.
Quando apre la fusuma, la
brezza soffia e fa inclinare la superficie.
Lo vedete?
Lì.
Quella crepa sottile.
Lì, a tagliare la
gola di una ragazza cancellata).
***
C'era una volta.
Non crede
più alle favole; eppure, quando si ritrova davanti alla
porta di casa, si ferma a sfiorare i vecchi graffi nel legno con la
solennità che si tributa ad un altare del
sacrificio. Segue le pieghe scavate, rese lisce dalla pioggia
e dal tempo, e ricorda la fatica di grattare via la vernice.
Inseguendo un sogno
- questa impellente necessità di lasciare un
segno, quasi la bambina che era avesse già intuito di non
avere un futuro certo.
La rattristano, quegli
stupidi segni, ma allo stesso tempo risvegliano memorie.
La voce di suo padre,
il calore dei suoi sorrisi, la premura nei suoi gesti.
La brezza soffia
ancora, portandole all'orecchio un tintinnio sommesso dall'ombra.
Chizuru si guarda alle spalle.
Eccolo, appeso vicino
all'ingesso: il furin. L'estate è passata, l'inverno sta
arrivando in fretta – non importa, la campanella continua a
suonare lieve. Lo stormire delle foglie può coprirla, ma non
soffocarla.
C'era
una volta.
Si sistema il bagaglio
sulle spalle, stringe la mano sul fodero della kodachi. Goffa, si
sistema la spada alla vita.
Spera di non doverla
usare mai.
(Ma è solo un'idea.
Dopotutto, la sua storia non
è ancora stata raccontata
e forse, se esiti ancora, non
saprai mai se sarai
la fanciulla in pericolo o il
tuo stesso salvatore).
La brezza soffia.
Non un addio: solo un arrivederci.
Cauta, Yukimura
Chizuru si mette in cammino e comincia a scrivere da sola la sua storia.
*
[On the Path of Cloudy
Weather
a girl who has forgotten
her umbrella
is fearfully walking in
the rain]
END.
Note dell'autrice:
Ed eccoci. Avevo pianificato
questo capitolo da una vita, ma confesso di non essere mai stata sicura
se sarei riuscita davvero a raggiungerlo. Ora, guardando i quindici che
l'hanno preceduto, posso dirmi soddisfatta.
Quando ho iniziato
questa raccolta ero ancora nel periodo in cui, se qualcosa non
m'ispirava, la lasciavo a metà. Non avevo la minima idea se
avrei portato a termine o meno il lavoro e a dirla tutta era il mio
problema minore - avevo fretta di mettere su carta ogni cosa.
Poi è
arrivato Derail, in tutta la sua mole e schifosa indole despota, e Land
è diventata un modo per rilassarsi e distogliere
occasionalmente l'attenzione dalla long in corso. Non è mai
stato divertente, no, a volte avrei voluto prendere a capocciate la
tastiera.
Ciò non di
meno, è stato. E sarà, visto che questa
è solo la prima parte della storia. Il resto
arriverà a settembre, perché da questo momento in
poi tutta la mia attenzione va esclusivamente a Bittersweet, che
manterrà gli aggiornamenti regolari ogni dieci giorni, e
Derail, ancora inedita e attualmente a metà strada. Land of
Make - believe dovrà aspettare. Piccolo spoiler - il titolo
dell'arc: Bakuchi Dancer; la canzone ispiratrice: Hero degli Skillet.
Ecco, insomma. Ho detto
tutto. Ringrazio una volta di più chi ha avuto la pazienza
di arrivare fin qui - recensori, lettori, seguaci eccetra - e vi
rimando a settembre per l'inizio della seconda parte. :3
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** 17 - Scontro. ***
Land of
Make - Believe
Part
2: Hero
17.
Scontro:
Acqua#7.
Goccia.
*
[I
must have dreamed a thousand dreams
Been
haunted by a million screams
But
I can hear the marching feet
They're
moving into the street ]
*
Le
avevano detto che la città sarebbe stata una vista
splendida, in grado di risollevarle lo spirito. Allora
perché in questo momento non vorrebbe fare altro che
sprofondare?
[Una goccia di sudore lungo la
sua schiena, prima di molte. Un dito ghiacciato che le accarezza le
vertebre, come a decidere quale spezzare per prima].
Chizuru
deglutisce, la gola così secca da farle male. Si spreme la
lingua per una stilla di saliva e non ne ricava nulla. Acqua. Ha
bisogno d'acqua. L'odore del sangue la prosciuga di qualunque forza.
Guarda verso l'alto, e
l'acciaio le lecca la gola.
[Una goccia di sangue lungo la
guancia del morto. Cola nella sua bocca spalancata in quel sorriso
folle e lei pensa a come le dita si sono protese verso di lei, adunche,
al sibilo soffocato della creatura].
Gli occhi
dell'uomo che la minaccia sembrano neri nel buio, inchiostro liquido.
“Non ti
muovere. Se scappi, ti ucciderò.”
Una promessa. Nel suo
sguardo, Chizuru legge che la manterrà. Che se azzarda un
passo l'afferrerà per i capelli e le aprirà la
gola senza rimpianto.
Ma
io non sono un mostro.
Pietà: per
lei non ne resta neanche una goccia.
“Fukuchou,
ordini?” la voce dell'altro guerriero risuona nel vicolo. Ha
il volto di un ragazzo della sua età, eppure nell'ombra i
suoi tratti sono affilati, remoti. La guarda come guarderebbe un pezzo
di carne inerte, una bambola.
Pensa,
Chizuru, distraiti. Mantieni la calma. Come diceva otou –
san? Fai come la bambola Daruma, per sette volte che cadi rialzati otto.
Rialzati. Rialzati. Il
suo corpo glielo sta urlando, ma lei non riesce a muoversi.
Il sangue le ronza nelle orecchie, così forte che quasi non
sente la risposta.
“Togliete
loro gli haori. Ai corpi penserà Yamazaki –
kun.”
Gli haori...azzurro
polvere, con triangoli bianchi a rappresentare i picchi innevati. La
sua mente terrorizzata tace, il suo istinto le urla:
“Morte”.
Sa con chi ha a che
fare, all'improvviso. E il peso della realizzazione è la
goccia che fa traboccare il vaso.
Il mondo si capovolge.
L'acciaio le graffia il collo. Lo sguardo verde del terzo guerriero si
tinge di un pizzico di perplessità.
È persa
nelle strade di Kyoto, in balia della corrente, e non può
fare nulla per frenare la caduta.
Io
non sono un mostro.
Buio.
N\A
Hola
mi gente! Come avevo promesso, Land of Make - Believe riparte nei primi
giorni di settembre con la sua seconda parte. Il titolo, avrete
sicuramente notato, ha subito un lieve cambiamento; alla fine non ho
utilizzato la canzone Hero degli Skillet, ma ci tenevo ad inserirla in
qualche modo, perché questo arc si focalizza proprio su
questa tematica.
La
protagonista di Hero è, infatti, Chizuru. Chizuru che arriva
a Kyoto, Chizuru che dà il suo punto di vista sulla
Shinsengumi e sugli eventi. In questa parte di Land la tematica storica
è decisamente meno evidenziata, per lasciare il posto agli
avvenimenti dell'anime. Ci tenevo, tuttavia, a mantenere un POV unico e
il tema di fondo protagonista - personaggi per approfondire un po'
quell'anima candida di Chizuru. Diciamocelo, non ha molto spessore in
Hakuouki -w- meritava un po' di attenzioni.
Un'ultima
nota prima di lasciarvi: il genere storico è stato rimosso
dalle note di Land of Make - Believe. Il motivo è molto
semplice. Dopo attenta considerazione, sono arrivata alla conclusione
che l'introspettività prevale sugli eventi prettamente
storici - e tra l'altro mi è capitato di leggere ultimamente
un lavoro che si attiene alla lettera al significato di "storico", ed
è tutt'altra cosa rispetto a Land. Quindi, pur attingendo
molto alle fonti di documentazione, Land abbandona da questo momento il
genere :3 d'altra parte, Hero si allaccia più ad Hakuouki
Shinsengumi Kitan come lo conosciamo dai giochi e dagli episodi. Mi
sembrava appropriato un cambiamento.
Ringrazio
lettori, eventuali recensori e semplici passer - by, come sempre. A
presto <3
Kei
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** 18 - Bugie. ***
Land of Make - Believe
Part 2: Hero
18. Bugie:
Terra#1. Pietre.
*
[Now, did you read the news
today?
They say the danger has gone
away
But I can see the fire's still
alight
They're burning into the night]
*
La prima cosa che incontra, entrando, sono gli
sguardi. È come essere presa a sassate.
È allora che le viene quell'idea insolita – menti. Menti spudoratamente.
Accumula bugie, come quando giocavi per strada a fare finta che.
Conta.
Un sassolino, due
sassolini, tre sassolini.
Il Demone, Okita, ammicca nella sua direzione e le indirizza un sorriso
sornione.
Chizuru fa un passo indietro, resistendo alla tentazione di nascondersi
dietro ad Inoue. Quasi si aspetta che le pupille tonde del giovane si
trasformino in liste sottili e pericolose, come quelle di un gatto.
“Buongiorno. Hai dormito bene? Perché ti sono
rimasti i segni del tatami sulla faccia...”
Le parole le vengono balbettanti, le mani si alzano in risposta.
Chizuru sente le proprie guance bruciare sotto le dita.
Troppi occhi. Tutti puntati su di lei. Diffidenti, cauti. Un terzetto
di uomini dall'altro capo della stanza le scoccano un'occhiata
sonnolenta, annoiata. Un altro – haori di un gradevole giallo
oro, i capelli scuri stretti nel nodo da samurai – la scruta
con aperta curiosità.
Chizuru nicchia.
Quattro sassolini,
cinque sassolini, sei sassolini.
Le parole le scivolano addosso, mentre il ragazzo della sera prima
– Saitou – ripercorre gli eventi. Mormora una scusa
quando le viene chiesta la sua versione.
Non ha visto niente.
Non sa niente.
Non ha fatto nulla di male.
“Dunque non hai preso parte all'azione?” chiede
l'uomo con la bandana verde, incrociando le braccia. Occhi sinceri.
Occhi aperti e amichevoli, di un limpido azzurro. “Da quello
che aveva raccontato Souji, mi pareva di aver capito che avessi
addirittura aiutato alcuni dei nostri esecutivi.”
Sette sassolini, otto,
nove.
Chizuru incassa la testa nelle spalle. Aiutare? Lei? Ma l'ha vista
bene? Dopo ieri notte non è più nemmeno sicura di
sapersi difendere.
“N-no, io...io stavo scappando da quei ronin. Mi sono
riparata in un vicolo e-e...e quelle...” persone. Non
può definirle persone. La voce le muore in gola, al ricordo
“sono stati loro a ucciderli, e poi Okita – san
è arrivato e...”
Gli occhi azzurri non la lasciano un secondo.
Troppo tardi Chizuru si accorge del suo errore – adesso le
iridi del ronin sono dure come zaffiri. La schiacciano, la pestano.
Fanno male, soffocandola lentamente sotto il peso delle sue stesse
menzogne. Si è rovinata da sola.
“Allora hai visto tutto.”
Non importano più le corde che le devastano i polsi. Non
importano più nemmeno le preghiere inarticolate che le
escono di bocca. Il suo essere maldestra ha firmato la sua condanna a
morte.
Dieci sassolini.
Ora
sono pietre.
N\A:
Dopo un mese. Colpa
dell'università, di Derail agli ultimi capitoli e del corri
corri generale. Scusate ç_ç
Un grazie a Fla che ha
recensito, a coloro che hanno letto e a chi è passato per
caso. Come sempre.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** 19. Sorriso. ***
Land of Make - Believe
Part 2: Hero
19.
Sorriso:
Fuoco#6. Calore.
*
[There's
too many men, too many people
Making
too many problems
And
there's not much love to go around
Can't
you see this is a land of confusion?]
*
Avanza
con passi felpati sul tatami, Heisuke davanti a sistemare per lei il
vassoio con la cena. C'è un cuscino ad attenderla, il
più piccolo e il meno scalcagnato. Sembra
allettante, ma Chizuru fa da tempo a meno della comodità: si
è scottata una volta, non ripeterà mai
più lo stesso sbaglio.
È tra
Nagakura e Harada. E lei non riesce a dimenticare che il primo era
pronto a lasciarla giustiziare e il secondo a obbligarla a spogliarsi.
Sarà per questo che
si sente le guance improvvisamente calde?
“Vieni
pure a sederti qui. Non mordiamo mica, tranquilla.” Harada le
fa spazio e batte un colpetto sul tatami, incoraggiante. Il suo
compagno è ancora preso dal borbottare contro Heisuke. Si
lamenta che c'è poco da mangiare, Nagakura –
eppure i muscoli che guizzano sotto la sua pelle sono forti, fasci di
nervi.
Nervosa, Chizuru
s'impone di non pensarci. Va
tutto bene. Va tutto bene, davvero. Harada aspetta che si
sieda per cominciare a mangiare: non la guarda, non la sfiora, i
movimenti misurati, le iridi ambrate che seguono solo il tragitto delle
bacchette tra la ciotola e le sue labbra.
Chizuru mastica, grata
di quella quieta pazienza. Il riso comincia a sapere meno di stoppa,
nella sua bocca. Forse riuscirà finalmente a non strozzarsi
con un pasto.
Forse, appunto.
“Anche
stasera la cena è una miseria. Quindi...mi rifarò
con la tua!”
“Shinpat-san!
Bastardo, smettila di fregarmi il cibo! Ho fame e devo
crescere!”
“Beh, io
sono più grosso di te, quindi ho bisogno di più
sostentamento!”
Stoviglie che
sbattono, imprecazioni, scricchiolii. Nagakura ed Heisuke si guardano
in cagnesco, a metà tra il gioco e il ringhio. Una gomitata
vola nella sua direzione – Chizuru si fa più
piccola ben prima che la possa anche solo sfiorare, ma non succede
niente.
Harada, al suo fianco, sospira.
“Scusali,”
mormora, “Si comportano sempre così.”
Chizuru
aggrotta le sopracciglia. Una parte di lei vorrebbe dirgli di smetterla
di trattarla come una bestiolina spaventata – sono umana anch'io, forse
più di voi. L'altra, abituata alla
sottomissione, china la testa.
“Ad ogni
pasto?” s'informa.
Harada alza gli occhi
al cielo.
“Non si
sanno controllare nemmeno con degli ospiti.” risponde. La
guarda e la sua bocca si stira in un ghignetto divertito.
Chizuru non
può fare a meno di ricambiare il sorriso. Un sorriso e una
risatina, quando Heisuke quasi vola a gambe all'aria.
“È
la prima volta che te lo vedo fare.” La voce di
Harada la prende alla sprovvista.
“Cosa...?”
“Sorridere.
Dovresti farlo più spesso." Quegli occhi ambrati sono
tiepidi, finalmente. Contagiati. Harada inclina il capo "Mia madre
diceva che la felicità segue chi sorride." mormora.
Chizuru batte le
palpebre.
Non
c'è nome per il fiotto di calore che le sboccia nel petto.
N\A:
Un
altro mese nel mezzo degli aggiornamenti @.@ aaah, gomen, gomen! Giuro
che non volevo far passare così tanto Q_Q spero che, come
idenizzo, il capitolo vi sia piaciuto. Harada - centric, stavolta,
perché mi ha particolarmente colpita - nel gioco - questa
scena. Che è lungi dall'essere romantica, ma che trovo
assurdamente tenera.
Come
sempre, ringrazio per commenti, letture e semplici passaggi! <3
alla prossima
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** 20. Fuori. ***
20.
Fuori:
Terra#3.
Scalata.
*
[This
is the world we live in
And
these are the hands we're given
Use
them and let's start trying
To
make it a place worth living in]
*
Sei mesi, e tutti in salita.
In bilico, come essere appesi alla roccia viva solo con le unghie e la
forza di volontà.
Non ci si sente mai
soli, nel quartiere generale.
C'è fin
troppo da fare. Riordinare, lavare, rassettare, preparare il the. Fare
in modo che il dojo sia pulito – quel sacrario dove aveva
timore a mettere piede, appena arrivata – e curare quel
piccolo quadrato verde davanti a casa Yagi.
Quando hanno
cominciato a fidarsi di lei un po' di più le hanno permesso
di cucinare. Solo le ferite le trattano ancora da soli.
Chizuru li scorge,
capitani e soldati. I primi nascondono le piaghe dietro ad un
sorrisetto di condiscendenza o uno sguardo indifferente; i secondi non
la guardano nemmeno.
Se solo sapessero che
cos'ha imparato da suo padre...ma va bene così. Non
è pronta a sopportare la vista del sangue, dopo quella
notte. Che pensino pure di lei quello che vogliono. È il
piccolo paggio gracile di Hijikata – ci sono altri nomi,
altre teorie, e la fanno arrossire di vergogna. Ma lei è
sempre la stessa ragazzina quieta, inoffensiva, imbranata.
Non può fare del male a nessuno.
Ma
allora perché non la lasciano uscire?
Sei mesi.
Un passo
dietro l'altro. Arrancare, perdere il fiato. Sentirsi ogni giorno un
po' più tranquilla, e ogni notte agitarsi in preda ad
un'angoscia senza nome. Scoprirsi a guardare la luna, a desiderare di
uscire.
Questa non
è la sua vita. È trattenere il fiato e attendere
che Hijikata le dia abbastanza fiducia per lasciarle varcare il
cancello.
Perché la
decisione spetta a lui, lo sanno entrambi.
E Chizuru si
rattrappisce, cerca di rendersi invisibile quando lo vede passare.
Rimane immobile nel futon, quando la luce della stanza del
vicecomandante soffoca e muore. Quando l'uomo si chiude la fusuma alle
spalle e passa davanti alla sua porta, lei non respira, la faccia verso
il muro.
E Hijikata la soppesa
con noncuranza, un'occhiata veloce quando Chizuru posa il vassoio,
quando la trova in cortile tra i panni stesi ad asciugare. Quando la
scorge seduta dietro ad una colonna, le gambe tirate al petto e
un'occhiata quasi rabbiosa verso il cancello che la tiene prigioniera.
Sei mesi
d'attesa, sei mesi di scivolate sulla ghiaia. Sei mesi di domande non
pronunciate e di risposte sepolte sotto la cenere.
Quando finalmente la
chiama da lui e le conferma il permesso di uscire, casuale, come se
avesse davanti un cagnolino da portare a spasso, Chizuru si chiede che
espressione deve avere.
Perché
è la prima volta che coglie l'ombra di un sorriso su quel
volto impassibile. Un incoraggiamento, o una sfida.
La salita
è finita. La scalata
comincia ora.
N\A:
E'
vecchia di secoli, e ce ne sono altre due subito dopo, ma per riempire
il tempo morto ho decido di aggiornare. Chissà che, con il
movie di Hakuouki in arrivo, Urakata ed estate in arrivo, non mi torni
l'ispirazione per finire questa raccolta una volta per tutte.
E
sì, l'impostazione è off. Non mi andava di fare
il solito sbatti di titolo e frin fran. Storia della Filosofia mi ha
esaurita x.x
Come
sempre, ringrazio chi ha letto, commentato, dato questa storia per
morta e chi leggerà.
Kei
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=662594
|