Behind Blue Eyes

di Sashy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Behind Blue Eyes ***
Capitolo 2: *** Una storia non deve finire per forza male ***
Capitolo 3: *** A New Day Has Come ***



Capitolo 1
*** Behind Blue Eyes ***


Eccomi qui, con la mia prima fic suicida! Ho fatto fic omicide, di morte per salvare qualcuno, di crisi esistenzali, ma suicide credo mai.
Non vi dirò a cosa mi sono ispirata per scrivere questa fic –credo che lo capirete fra qualche settimana–, spero solo che sentiate i sentimenti che desidero farvi provare.

Le due canzoni sono "Behind Blue Eyes", degli Who, e "Anywhere", degli Evanescence. Le traduzioni sono sotto.

Delle mie amiche, che ci sono troppo rimaste male per il finale, mi hanno chiesto un sequel (e io ho già tutto in testa xD), ma non sono sicura di volerlo fare. Quindi vorrei la vostra opinione, così almeno accontento il pubblico. Please, fatemi sapere!

Buona lettura!


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Behind Blue Eyes

Era circa alla quarta-quinta (o sesta?) bottiglia quella sera. La musica a palla gli stava facendo scoppiare le orecchie e la testa, le luci al neon non potevano sembrare più squallide e Azimio gli sembrava una di quelle vecchie ciccione che passano i pomeriggi nei gazebo a spettegolare su altre vecchie ciccione.

Eppure, in quella festa si stavano divertendo tutti. Alcune ragazze si stavano spogliando per la loro –quella degli altri maschi, quelli a posto– felicità, altre si mettevano a piangere istericamente, e altre ancora che invece non la smettevano più di ridere.

Dave aveva sempre cercato di scappare da questo tipo di feste per paura di essere uno di quegli ubriachi che sputtanano tutti i loro segreti a destra e manca, ma i ragazzi del football avevano insistito, soprattutto dopo la settimana della sensibilizzazione contro l’alcohol, perché ritenevano fosse trasgressivo andare contro quello che voleva il preside.

E in un certo senso non gli dispiaceva, per niente. Era divertente ballare alla cazzo di cane, vedere tutte le follie fatte da parte degli altri, permettersi di comportarsi da perfetto deficiente, per poi tutto essere dimenticato il giorno dopo. Era ufficialmente andato e non capiva più un cazzo, si era dimenticato ormai di chi era, di cosa facesse nella vita, di quali fossero i suoi problemi.

«E-hem! Scusatemi tutti!»

Ma la festa, come la sua vita, venne rovinata per colpa di un incidente.

Una ragazza, decisamente fuori luogo –occhiali spessi, codini alla Pippi Calzelunghe, bassina– era salita su un piccolo palcoscenico di quel locale, accendendo il microfono e attirando l’attenzione di tutti.

«Chiedo scusa per l’interruzione…ma…ecco, vorrei chiedere un favore a tutti voi…c’è, per caso, qui, una televisione?»

«Una televisione? Sì, è nel privé. Perché?»

La ragazza arrossì violentemente, e prese fiato. Stava chiedendo qualcosa di difficile, Karofsky lo aveva capito, ma non avrebbe mai immaginato le parole successiva: «Io, ecco…vorrei vedere le regionali del Glee Club.»

Il Glee Club.

Partì una risata esasperante.

«Il Glee Club? Ma stai parlando sul serio ragazzina?!»

Di nuovo loro.

«Effettivamente sei anche tu una sfigata, perché non ti sei unita a loro?»

Di nuovo lui.

«Io…ecco, avrei voluto, però…»

Sempre.

«Vattene a casa storda!»

La maledizione della sua vita.

«Cesso, ritirati! Io quegli sfigati del Glee in televisione non li metto! Rischiamo di alzare l’audience!»

«Aspettate un attimo!» urLò, e tutti si voltarono verso di lui. Barcollò verso il palco, e Azimio lo seguì confuso. Cosa cazzo stava facendo?!

«Come ti chiami?» chiese alla ragazza.

«S..Sunshine…»

«Sunshine! Ma che nome carino» sorrise, e le mise un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé. «Sunshine! Hahah!»

Lo stavano prendendo per pazzo?

«Sapete, ragazzi» disse, poi prese un altro sorso dalla bottiglia, e riusciva a sentire la forza per parlare «io rischiavo per essere espulso per colpa di uno del Glee Club. Ma in questo anno e mezzo che si sono evoluti, ho notato una cosa particolare del loro club…una mola–more–morale, diciamo così.»

«Mettere sempre il rossetto coordinato allo smalto?» disse Azimio, con la sua solita battuta pronta, e tutti risero.

«Haaaaa divertente Az! Divertentissimo! Sei un gran burlone! Ma no, non parlavo di questo.» Si fermò a pensare a come esprimersi, anche se aveva tre sesti di alcohol nella tesa. Prese un altro po’ di birra «Loro hanno questa cosa…dell’uguaglianza…» i ragazzi lo guardavano straniti «Nella loro testa non esistono…classi sociali. Si fa tutto quel che cazzo si vuole purché si sia se stessi. Si può essere dei trans in minigonna o dei giocatori di football professionali e si è giudicati in ugual modo. E questa cosa, a me, di questa cazzo di morale, a me, il Glee Club…»

Poi la sua testa sentì un tonfo. Stava parlando davanti a metà scuola. Davanti a conosciuti e sconosciuti di cosa pensava del Club.

«…a me può sbatterla dove vuole, ma froci come sono se la ficcheranno in culo!»

E tutti applaudirono. Azimio gli diede una spallata, e Karofsky finse di essersi divertito ad averlo detto, di essere felice di aver mandato a fanculo il Glee. Ormai la musica era ripartita e tutti erano tornati a ballare.

Sunshine piangeva.

Dave la vide, e fece un sorriso ebete «Suvvia Sanchi, non farti tanti problemi! Va’ a casa e vediti ste regionali!»

«Tu..tu…» Sunshine lo stava guardando con odio «Non sei altro che un ragazzino spaventato che non sa quanto sia bello essere sé stessi!»

Il sorriso di Karofsky scomparse in un attimo. Non di nuovo.

No, non era giusto che Shunshine gli dicesse questo. No. Perché Dave aveva già sentito quella frase, e subito dopo averla sentita aveva provato il momento più felice della sua vita. Avrebbe ricordato sempre quella frase come un rifugio, in ramo su cui aggrapparsi, ma adesso che era successo di nuovo, quella frase non significava più quel momento, ma due momenti. Era diventata una frase qualsiasi.

Le diede uno schiaffo.

«TROIA! PUTTANA DI MERDA! COME CAZZO OSI!» si avvicinò verso di lei come per picchiarla, ma Azimio lo bloccò, e anche alcuni altri che si erano allarmati a quelle parole.

Sunshine scappò fuori dal locale spaventata.

«Amico, sei ubriaco fradicio» disse Azimio «Forse è meglio se ti porto a casa, eh? Ragazzi, lo faccio rintanare io che sono ancora poco brillo.»

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

Era in camera sua –come c’era arrivato solo Dio lo sapeva, visto che era all’ultimo piano e l’ascensore era rotto– e aveva avuto il coraggio di accendere la tv e di sintonizzarla –dopo diecimila tentativi di premere il pulsante giusto– sulle regionali.

Si stavano esibendo le Intensità di qualcosa. Ma facevano vedere anche immagini di altri concorrenti, e ovviamente lo vide. Vide la sua bellezza, la sua sicurezza, la sua nuova giacca blu che gli sembrava gli stesse anche troppo stretta. (Dave non sapeva che anche la Dalton, un po’, gli stava stretta.)

Si sentiva vuoto. Si sentiva ad un passo dal cadere da un dirupo. Si sentiva ad un soffio dall’essere trascinato in un vortice senza fine. Si sentiva morire.

L’orologio faceva i suoi ticchettii.

Dave non sa dove prese il coraggio di fare quella follia, ma dopo cinque minuti prese il telefono. Aveva rubato il numero di cellulare di Kurt da Sam, di nascosto ovviamente. Giusto in caso.

Ovviamente c’era la segreteria. E quindi decise di lasciare un messaggio. Ovviamente prima prese un altro sorso.


"Ehilà fatina.

Sono Dave, Dave Karofsky. Sono quello stronzo che ti ha maltrattato per tre settimane. Tre fottute settimane, e sei scappato come un coniglio per una minaccia. Ho pensato semplicemente di dimenticarti e farti diventare un fantasma del mio passato. Ma non funziona. Tutto mi riporta a te. Voglio parlarti, ma so che hai paura di sentirmi, quindi ti tranquillizzo con una canzone. Faccio schifo a cantare, e sono anche ubriaco, ma zitto e ascolta.”


Si fermò per un secondo per prendere fiato. Poteva farcela.

“No one knows what it's like
To be the bad man,
To be the sad man.”


Dave chiuse gli occhi, e se li immaginò.

“Behind blue eyes.”

La sua tristezza iniziò a diventare piacere.

“No one knows what it's like
To be hated,
To be fated.
To telling only lies.

But my dreams,
They aren't as empty
ss my conscience seems to be.

I have hours, only lonely.
My love is vengeance
That's never free.”*


Pensò che fosse abbastanza, anche perché di sicuro Kurt aveva già riattaccato sentendo quella voce schifosa. Era il momento di sfogarsi.

“Sai, Kurt” iniziò “La mia vita era così bella. Non sapevo niente e mi andava tutto bene. Non mi rendevo conto di cosa sentissi o provassi per chiunque, e non mi ero mai posto domande. Stavo bene, punto. Mi divertivo così tanto a passare le serate con gli amici dell’hockey e del football, a ridere, a ubriacarmi, e andare bene a scuola allo stesso tempo. Mi sentivo un gran figo.”

Sentì la tv. Le Nuove Direzioni stavano cantando una canzone che lui non aveva mai sentito prima.

“E il Glee Club mi era indifferente. E anche tu mi eri indifferente, prima di quest’anno.”

La voce iniziò a farsi spezzata. Era sul punto di piangere. Ricordare questo non era mai facile.

“Ma poi un giorno ti ho sentito cantare. Non ho idea che cosa, ma so solo che, anche se avevi una voce da frocio, una postura da frocio e un atteggiamento da frocio, cazzo, eri il più bel frocio che avessi mai visto e sentito. Mi sei riuscito a entrare nel cuore. E ho capito che ero frocio anche io, perché ho iniziato a volerti ogni giorno, ad abbracciarti nei miei sogni e nei miei pensieri, a doverti malmenare ancora di più solo per poterti toccare.”

Si fermò per riprendere fiato. Ormai aveva detto la parte più difficile.

“Mi hai fatto tornare la passione. Mi piaceva ballare e cantare e mi hai fatto venire voglia di rifarlo. Ma lo sai che non lo facevo in pubblico.”

Fece una risatina. Poi, sentendosi le guance incandescenti, il cuore come se venisse tirato da due lati opposti, lo stomaco sentire la nausea, scoppiò finalmente a piangere.

“Mi hai frantumato la testa. Mi hai diviso in due. Guardami. Sono in camera mia, per terra, di sabato sera, a guardarti in tv, e a desiderare di essere lì a fare il tifo per te e per chi sta cantando con te, chiunque essi siano. Quando io vorei…vo-vo…non so manco io cosa vorrei. Non lo so! Spero che invece tu sappia cosa vuoi, ora che sei in quella specie di accademia gay.”

Si stese definitivamente sul pavimento, continuando a versare lacrime, a far uscire urla di dolore dalla bocca e bere.

“Io ti amo. Io ti amo, cazzo, io ti amo. Non ti ho baciato perché volevo zittirti o ne avevo voglia. Io ti amo. Amo come cammini spavaldo per i corridoi con tutta quella roba strana sul corpo. Amo come canti. Amo come ti muovi. Amo come guardi cinicamente chi non ti accetta. Amo come sei quel Kurt Hummel che io non riesco a levarmi dalla testa. Io non ti ammazzerei mai. Mi ammazzerei io per te. Ascoltami! Come spero che tu sentirai questo, una volta acceso il cellulare. Non sarò mai abbastanza stordito da rifarlo. Aiutami Kurt. Io non voglio fare coming out.. Ora voglio solo sentirti o vederti, cantare o ballare o fare cose da froci con te. Aiutami.”

Come disse ciò, sentì il campanellino magico. La Dalton si stava esibendo. E poté sentire benissimo la voce di Kurt, insieme a quella degli altri. Si alzò di scatto. Vide che stava cantando con un altro ragazzo affianco. Un duetto amoroso.

“Ah, quello è il ragazzo che è venuto l’altra volta” ricominciò a parlare col telefono “Lo ami, si vede da come lo guardi mentre dici quelle parole smielate, da come gli sorridi, da come ti muovi. Vorrei essere al suo posto.” Tirò su col naso, che ormai stava colando da quando aveva iniziato a piangere. “Io però lo vedo che non ti ama. Non ti guarda neanche. Ma a te non importa. Vorrei essere al suo posto. Io ti guarderei sempre, e non bacerei un’altra né dubiterei di quello che provo neanche per sbaglio – sì, le voci su Rachel girano. Io non ne sono un grande amante, ma sarei disposto a vivere in una casa piena di fru fru e di roba rosa con tutto ciò che vorresti. Non saresti neanche obbligato ad essere con me, se vuoi. Potremmo anche non condividere lo stesso letto. Mi basterebbe solo poterti vedere la matina, il pomeriggio, la sera, e magari solo un bacio a stampo a settimana. Andrebbe bene anche sulla guancia. Andrebbe bene qualsiasi cosa. Dio come sono disperato.”

Karofsky fissò l'immagine di Kurt, come se lui dallo schermo lo stesse ascoltando, come se stesse aspettanto una risposta, un segno, un qualsiasi segno da parte sua che gli dicesse "ti prego, non lo fare."
L’esibizione finì, e Karofsky vide Kurt e Blaine inchinarsi ed abbracciarsi per gli immensi applausi ricevuti.

“Se mi avessi dato solo un segno, in questo video, che non eri felice, io non sarei giunto a questo.”

Dave si alzò, dirigendosi verso il balcone.

“Avrei tanto voluto sentirti cantarla, ma dovrò farlo io pensando a te. Ti prego, ascoltami, Kurt. Questa è l’ultima volta che mi sentirai.”

Chiuse gli occhi, e si immaginò di nuovo la figura di Kurt. Sorridente, triste, scioccato. Quanto più poteva ricordarsi.

“Dear my love, haven't you wanted to be with me?
And, dear my love, haven't you longed to be free?
I can't keep pretending that I don't even know you,
And at sweet night, you are my own.
Take my hand.

We're leaving here tonight,
There's no need to tell anyone,
They'd only hold us down.
So by the morning light
We'll be half way to anywhere,
Where love is more than just your name.

I have dreamt of a place for you and I.
No one knows who we are there.
All I want is to give my life only to you.
I've dreamt so long I cannot dream anymore.
Let's run away, I'll take you there.

We're leaving here tonight,
There's no need to tell anyone,
They'd only hold us down.
So by the mornings light
We'll be half way to anywhere,
Where no one needs a reason.
Forget this life,
Come with me,
Don't look back you're safe now!
Unlock your heart,
Drop your guard,
No one's left to stop you now…”*


Dave si fermò, perché ormai la voce si era esaurita, come la sua testa ed il suo cuore.

Mormorò qualcosa come un “Morirò pensando ai tuoi occhi azzurri, Kurt” e chiuse il telefono, dopo essersi assicurato che il messaggio era stato registrato ed inviato.

Poi fece un salto. Un grandissimo, altissimo, immenso salto. E mentre sprofondava, il suo corpo sembrava svuotarsi, la sua anima sembrava ripulirsi da tutto ciò di cui s’era pentita di fare, la sua testa stava pensando solo ad una cosa. Sorrise.

Morì pensando ai suoi occhi azzurri.



––––––––––

«Nessuno sa come ci si sente
Ad essere l'uomo cattivo, Ad essere l'uomo triste.

Dietro gli occhi azzurri.

E nessuno sa
Come ci si sente ad essere odiato
Ad essere accusato di dire solo bugie.

Ma i miei sogni non sono così vuoti
come sembra essere la mia coscienza.
Ho ore, in totale solitudine.
Il mio amore è una vendetta
Che non è mai libera.»


Mi scoccio di scrivere la traduzione di Anywhere, eccola qua xD: http://www.angolotesti.it/traduzioni/E/traduzione_testo_canzone_tradotto_anywhere_evanescence_948.html

ps. Lo so che gli occhi di Kurt sono cangianti, ma non sapevo che titolo mettere alla fic se non quella della canzone XD

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Capitolo 2
*** Una storia non deve finire per forza male ***


«Alfred, possibile che non ti metti mai a lavoro?!»
«Ora vado, ora vado! Cazzo Wanda è notte fonda e devi rompere ancora le palle tu e ‘sto balcone?!»
«Se ti fossi messo a lavorare stamattina forse adesso non ti romperei le palle!»

Improvvisamente si sentì un tonfo.

Alfred non sapeva cosa fosse stato, ma era certo che proveniva dal suo balcone. Quello stesso balcone a cui stava lavorando per allargarlo, per farlo più grande di quello dei suoi altri conviventi del condominio; “Se non lo facciamo un po’ più grande i nostri vicini non potranno invidiare tutti i miei bellissimi fiori!”, diceva quella rompipalle di sua moglie. Alfred non sapeva neanche se era legale quello che stava facendo.

Si diresse verso la cucina –laddove si affacciava suddetto balcone–, e Wanda, che era stata più veloce di lui, stava gridando per quello che stava vedendo. Alfred si affacciò al balcone e spalancò gli occhi.

A quanto pare, una sottospecie di scimmione era caduto sul loro balcone, e ora si ritrovava schiacciato come un salmone, con il braccio sanguinante. Probabilmente era caduto di lato. Il gatto urlò: la testa dell’uomo-scimmia era finita sul suo innocente animale domestico.

«È il figlio di quelli dell’ultimo piano! Chiama subito l’ambulanza, io avverto il signor Paul!»

Si potrebbe dire che Alfred rimase deluso dall’affermazione di sua moglie. Stava già programmando una storia da raccontare alla stampa su un uomo-scimmia caduto dal cielo. Aveva anche il cellulare in tasca per fare delle foto, ma a quanto pare dovette usarlo per chiamare il 911. Peccato.

“911, come possiamo aiutarla?”
«Sì, ecco, c’è un tizio che è caduto sul nostro balcone. Sta sanguinando, credo si sia fatto male.» disse con le lacrime agli occhi.

Intanto, il gatto si stava già vendicando dell’improvviso scontro, graffiando la faccia di Dave.


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Dunque, la continuo? Vi sta bene se la continuo lasciandolo sopravvivere così? O preferite che rimanga di un solo capitolo?
Let me know! =D

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Capitolo 3
*** A New Day Has Come ***


Ed ecco il finale che tutti volevano. Forse metterò anche quello drammatico, che comunque non fa mai male. Sono molto più brava a scrivere tragedie e bastardate che lieti fine.
Auguro a tutti una piacevole lettura (nonostante la fic non sia stata betata e avrò ripetuto "Dave" diecimila volte) e un "rinsanamento" da tutta la tristezza che vi ho provocato xD Grazie per avermi seguito fin qui.
P.s.: Il titolo NON fa alcun riferimento alla canzone di Celine Dion. Infatti io NON la stavo ascoltando mentre stavo scrivendo la fic e di sicuro NON mi sono ispirata al finale con il titolo di suddetta canzone.

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A New Day Has Come

Si trovava in una dimensione senza né spazio né tempo. Era solo un insieme di sfumature arance, gialle e rosse, e brillavano stelle attorno a lui. Era forse il paradiso?
Si dovette ricredere subito, quando vide il corpo di Kurt –nudo, ma era solo un dettaglio– avanzare a passi felini verso di lui, per poi fermarsi e fissarlo. A Dave non passò neanche per l’anticamera del cervello che Kurt sarebbe potuto essere un angelo. Ora si ricordava e sapeva. Quel sogno lo faceva spesso. Come da manuale, Kurt avrebbe aperto le labbra e sussurrato…

“Dave? Dave, figliolo, svegliati!”

…No, non era proprio questa la frase.

Né tantomeno Kurt avrebbe preso in prestito la voce di suo padre.

*

Fatica è il sostantivo perfetto per descrivere come Dave aprì gli occhi. La luce del sole, insieme al bianco di quella camera, trafiggeva i suoi occhi. La testa gli girava e sentiva dolore al braccio sinistro.
Dopo aver ripreso un po’ i sensi, capì di trovarsi in un ospedale, e che quello seduto vicino a lui era suo padre; questi tirò un sospiro di sollievo nel vedere Dave svegliarsi.

«Papà.» Riuscì a sibilare Dave.
«Buongiorno, Dave» Paul aveva uno sguardo serio e preoccupato. «Come ti senti?»
«Da schifo.» Ridacchiò.
«I dottori hanno detto che non potrai giocare a football per settimane, ma ti riprenderai.»
«Ok.»
Paul stette un po’ in silenzio, poi sistemò la sedia per avvicinarsi di più al figlio.
«Perché l’hai fatto?»
«Come mi sono salvato?»
«I Crownbell stanno allargando il loro balcone e sei caduto lì. Dave, perché l’hai fatto?»
Dave non rispose. Si limitò a guardare il soffitto, scocciato. Non voleva che suo padre sapesse il perché. Non ne aveva bisogno e se ne vergognava.
«Figliolo…» il padre si sentì fortemente ferito da quel silenzio. Aveva ringraziato tutti gli angeli presenti nel cielo che Dave non fosse morto, ma essere ignorato, nonché indesiderato dal proprio figlio, non recava meno dolore.
Che differenza fa se o non esiste lui o non esisto io?
Suo figlio non disse una parola. Paul si arrese, e se ne andò in silenzio.
Dave si riaddormentò.

*

Dave non era morto dopo essersi buttato dal balcone, ma, quando riaprì gli occhi, capì che sarebbe potuto morire tranquillamente in quell’istante: per poco non gli venne un infarto, quando, focalizzando la vista, si accorse che era un Kurt Hummel con i lacrimoni quello che lo stava guardando da chissà quanto tempo.

Hummel spalancò gli occhi notando che Dave si era svegliato: «Ciao, Karofsky.» Non sapeva esattamente cosa dire.
Dave si alzò pigramente, senza guardarlo negli occhi, sistemandosi solo il cuscino. Per un breve ma ansiosissimo periodo, il silenzio regnava nella camera. Poi finalmente Dave disse «Da quanto tempo sei qui?»
«Un quarto d’ora massimo.»
«Good.»
Seguì di nuovo un altro silenzio angosciante. Dave non aveva il coraggio né di guardarlo né di parlarci. Se era lì, di sicuro aveva sentito il messaggio. O forse si era semplicemente preoccupato sapendo che il suo bullo si era buttat–

«Canti davvero bene.»

Ok, aveva sentito il messaggio.

«Lo dice anche Shuester.» si limitò a rispondere.

Poco dopo pensò che c’era qualcosa in Mr.Shue che all’altro forse dava particolarmente fastidio: Hummel iniziò a singhiozzare e a respirare incostantemente. Lui non disse niente, anche se voleva guardarlo.

«Mi dispiace che tu abbia fatto questo per me.»

Erano le parole più mortificanti che Dave potesse mai sentire. Effettivamente, con quel messaggio, si era esposto completamente, e quindi da Hummel non poteva aspettarsi altro che misera compassione. Dio, che cazzata che è stata.

Continuò a non parlare, guardando le sue mani che giocavano con la coperta. Era troppo imbarazzato per dire qualsiasi cosa.

Hummel, capendo probabilmente ciò, ricominciò ad attaccare bottone: «Non voglio rimproverarti o altro, però credo che questo sia successo perché tu non sei mai stato sincero con te stesso e, soprattutto, con gli altri. Nascondere la propria sessualità è orribile.»
«Avrò sentito questo discorso almeno una trentina di volte, Hummel.»
«Allora perché hai continuato a vivere così?»
«Al McKinley non sono molto comprensivi.»
«Che t’importa?»
«M’importa eccome. Verrei esiliato, umiliato da tutti. Non sarebbe felice seguire quella via.»
«Perchè questa invece ti ha fatto saltare di gioia, vero? Ti sei ritrovato solo.»

Colpito e affondato, pensò Dave. Sospirò, poggiò la testa sul cuscino, guardando di nuovo il soffitto, come fece col padre.

Kurt, che fino ad allora si era accurato di rimanere a distanza di sicurezza, si avvicinò verso il letto di Dave, prendendogli la mano. Il gesto improvviso fece balzare Dave, e il balzo di Dave fece a sua volta balzare Hummel. Poteva sentire le sue mani tremare. Anche se Hummel si trovava lì per consolarlo ed aiutarlo, tuttavia aveva un’immensa paura del bullo. Quindi, Dave decise di calmarsi, e stringergli solo leggermente la mano, girando la testa dall’altro lato, perché era sicuro di essere diventato rossissimo.

«Lo so che il liceo è difficile» sibilò Kurt «Ma ti assicuro che non saresti mai solo. Il Glee Club ti starebbe sempre vicino e ti difenderebbe sempre, soprattutto perché saprebbero come sei veramente.»
Dave Karofsky si commosse a quelle parole, e pianse. Gli era sempre sembrato che la sua anima vivesse in un deserto, un arido, secco deserto; ma poi erano arrivate le parole di Kurt, ed aveva iniziato a piovere. Le gocce rinfrescavano finalmente il suo corpo, e non dovette più avere paura di morire per il caldo e la siccità.
Kurt rimase fermo ad accarezzargli la mano per un po', aspettando che l'altro smettesse di far uscire lacrime. Dave smise dopo alcuni minuti, tirò su col naso. Poi lo guardò.

«Entrerò nel Glee Club, allora.» affermò, sempre però nascondendo la sua gioia nel dirlo, sempre cercando di sembrare più forte possibile. Ormai non serviva neanche a qualcosa, visto che Hummel sapeva benissimo cosa provava; inoltre dopo quel pianto non era più credibile.

Kurt sorrise. Lasciò andare lentamente la mano, prese il telecomando e accese la televisione.

«Magari non ti riaddormenterai per l’ennesima volta se sentirai delle voci.»
«Non ho più sonno.»

Hummel sorrise soddisfatto. La luce proveniente dalla finestra gli fece diventare gli occhi di quell'adorabile azzurro che a Dave piaceva tanto.

«Beh» Kurt si alzò e prese la sua borsa. «Ci vediamo quando ti dimetteranno, allora.»
Dave, per la prima volta, lo guardò determinato, preso dalla sorpresa. «Perché?»
«Tornerò al McKinley.»

Dave sorrise, senza esitazione. Quello era un nuovo inizio di una nuova vita, che già si prevedeva felice perché libera. Kurt camminò verso la porta, sorridendo leggermente quando sentì Karofsky ringraziarlo amorevolmente, si potrebbe dire.

«Credo i tuoi occhi azzurri siano l'unica cosa che mi terranno mai in vita.»


The End.

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