Sparking Memories

di fflover89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette ***
Capitolo 8: *** Otto ***
Capitolo 9: *** Nove ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Benvenuti e ben trovati, fan di final fantasy 9, se siete stati attratti dalla mia scarna introduzione, deduco che siete in cerca di una storia dinamica, spettacolare alquanto, divertente al punto giusto, drammatica quanto basta. Deduco anche, se qualcuno mi conosce già, che forse la mia storia precedente vi sia piaciuta a tal punto da vedere quanto di quella vecchia c’è nella nuova. Beh, cari lettrici e lettori… avete cliccato, dunque scorrete il mouse e procedete con la lettura!












Il fragore di un’esplosione svegliò gran parte degli abitanti di Lindblum. Erano passati più di dieci anni da quella terribile notte, quando dei rumori molto simili destarono il sonno degli abitanti del granducato. Tutti avevano ancora il ricordo del bombardamento effettuato dalla flotta reale di Brahne, dell’invasione dei maghi neri e dell’arrivo di Atomos, lo spirito dell’invocazione che risucchiò parti intere di edifici e centinaia di persone, tra cui le guardie della città e gli stessi invasori: tutti avevano ancora il ricordo dell’invasione di Alexandria. Nessun’altro regno aveva avuto per dieci anni idee bellicose, né le nuove città che nascevano in tutta Gaya, né il rinato regno di Burmecia-Cleyra abitato da tutti i sopravvissuti dei due vecchi regni.
Erano da poche le due. I vari graduati e i soldati che fortunatamente non avevano completato il loro turno di guardia, buttarono giù dal letto i loro commilitoni. Dopo una decina di minuti, delle guardie erano state appostate sulle mura difensive della città e metà dei generali di Cid aspettavano i suoi ordini. Il granduca non tardò a presentarsi, e con il mantello sopra la vestaglia ordinò:
       «Dividete le truppe che hanno raggiunto le mura in due gruppi: uno guardi la parte del mare, il secondo controlli tutto il territorio di fronte all’ingresso della città fino a Pinnacle Rocks. Ci sono stati altri colpi, o esplosioni?»
      «No, Granduca.» rispose Oltania.
      «Potrebbe essere stato un colpo di avvertimento. State doppiamente all’erta. Andate ora.»
Dopo che tutti i generali furono usciti dalla stanza, il granduca chiese più a se stesso che a Oltania:
      «Non può buriessere stata Alexandria; Burmecia-Cleyra non ha keròflotta… ma allora chi diavolo sarà stato?»   
Dopo mezzora, i soldati riferirono di non aver riscontrato presenze nelle vicinanze della città, né in mare né in terra, e gli idrovolanti non incontrarono nulla in volo.
Eiko, anzi la granduchessina Eiko, intanto aveva perso completamente il sonno e anche lei in vestaglia da notte andò sul luogo dell’esplosione, che era avvenuta nel borgo commerciale. La non ancora diciassettenne granduchessina era nel pieno dell’adolescenza: era ancora bassina e non era formosa come Daga, ma il fisico era longilineo, i fianchi erano leggermente pronunciati, le gambe snelle e muscolose, e i capelli a caschetto blu, tenuti dal solito fiocco, incorniciavano il bel viso solare con i grandi occhi e il piccolo naso all’insù, su cui spesso posavano degli occhiali, perché era un po’ miope. Quando si presentò sul luogo, il soldato che teneva lontano i curiosi, si imbarazzò: non era cosa di tutti i giorni vedere una fanciulla carina e di alto rango in vestaglia.
      «B-buonasera granduchessina.» salutò.
       «L’importante è che non mi si dica “buonanotte”: detesto essere svegliata di soprassalto.» fece brusca guardandolo di sfuggita mentre lo superava.
Di fronte a lei si stagliava un cratere circolare quasi perfetto, che aveva distrutto parte di un edificio del borgo; le macerie fumavano ancora.
      «Gli inquilini della casa dove sono?» chiese al soldato alle sue spalle.
       «Due, che stavano al piano di sopra sono morti sul colpo. Un altro è rimasto ferito, ma sopravvivrà.» rispose raggiungendola.
La giovane invocatrice scrutava attentamente il buco generato dall’esplosione: era troppo grande e regolare per essere stato fatto da una palla di cannone, e si poteva escludere che fosse il risultato di un incantesimo, perché non avvertiva residui di attività magica. Dal nulla e improvvisamente, gli venne in mente una cosa.
       «I vicini hanno per caso udito il rumore di un fischio, prima dell’esplosione?» chiese.
     «Cosa?»
     «Mai sentito parlare di “resistenza dell’aria”? Prima che raggiunga terra, un oggetto di ferro del genere solitamente fa fiiiii…» fischiò Eiko accompagnandolo con un movimento del braccio dall’alto verso il basso.
      «Un attimo che chiedo…»
Dopo qualche minuto il soldato tornò.
      «Quelli che erano svegli dicono che se ne sarebbero accorti: ricordano bene i fischi di quella volta di dieci anni fa…»
     «Undici, quasi. Fra qualche giorno compio diciassette anni.» disse con l’intenzione di cambiare discorso. Cominciò a pensare che il buco fosse stato generato da un colpo di arma da fuoco sganciato per sbaglio da un idrovolante che volava poco sopra la città. Ma ancora, un lampo gli balenò nel cervello.
     «Dov’è la palla di cannone?» richiese.
     «Cosa?» rispose ancora il soldato.
     «La cosa fottuta che ha fatto questo ca…» disse Eiko sul punto di lanciare un “sancta” al soldato duro di comprendonio «Ah, lascia perdere, faccio da sola.»
Illuminandosi di una lieve luce gialla, cominciò a levitare lentamente, per poi schizzare con rapidità verso il centro della voragine. Aveva visto bene, non c’era nulla: ne piccoli frammenti di metallo, ne puzza di polvere da sparo o di zolfo. Il terreno circostante che non era saltato in aria, si era quasi del tutto fuso e parte dello stesso cingeva l’orlo del cratere come una fascia. La granduchessina lievitò parecchio sul punto più basso prima di riutilizzare “levita” su parte del terriccio fumante per rimestarlo e analizzarlo e dichiarare:
      «È stato un meteorite.»
      «Un meteorite? Quelle cose che vengono dal cielo? Ma avrebbe distrutto la città!» esclamò la guardia.
      «Forse no: ricordo che quando Vivi…» e per un attimo si fermò. Quando pronunciava il nome dell’amico scomparso, sentiva ancora un groppo alla gola, anche dopo tutti quegli anni «…quando Vivi lanciava la magia “meteo” o “cometa”, spiegava che intorno Gaya ci sono migliaia e migliaia di frammenti di roccia, certi grandi come cubetti di ghiaccio, altri grossi come Aircap. Lui riusciva a interagire con gli elementi che li componevano e con l’etere che li circondava per destabilizzarli dalla loro orbita intorno al pianeta, per poi controllarne la caduta sul bersaglio, facendolo esplodere prima che raggiungesse terra. Se l’avesse fatto schiantare a terra, avrebbe fatto più danni, e non solo al nemico. Diceva poi che non era saggio che il meteorite rimanesse su Gaya, ma non ho mai capito il perché. Questo meteorite è caduto qui per cause naturali, non magiche, ecco perché è così ampio. Il problema è, perché la roccia meteorica non è presente, neanche frammentata?»
       «Avete mai visto un frammento di meteorite?» chiese scettico il soldato. Per tutta risposta Eiko si tolse dal lobo il suo gioiello ancestrale, che mise come orecchino tempo addietro.
       «I murali che abbiamo trovato in un condotto sotterraneo di Madain Sairi, narrano la storia del villaggio dalla sua fondazione fino alla distruzione, e raccontano del ritrovamento dell’antico monile in un punto non meglio precisato di Gaya; e una cosa è sicura: venne dal cielo.»
Dopo qualche altro momento di silenzio, si rigirò e disse al soldato:
       «Il fatto che non ci siano frammenti del meteorite può avere interessanti sviluppi scientifici. Se era fragile non avrebbe resistito all’attrito con l’atmosfera… mah. Io ora vado a dormire, voi offrite cure immediate ai feriti.» e fece per andarsene.
       «E se qualcuno l’avesse preso?» disse d’improvviso la guardia. Eiko si fermò e si stavolta fu lei a chiedere:
       «Cosa?»
       «Se uno fosse a conoscenza del potenziale di queste rocce, potrebbe essere interessato ad appropriarsene. Lei ha detto che il gioiello ancestrale è in realtà uno di questi meteoriti, magari anche altri hanno questo potere. D'altronde, non abbiamo chiuso la zona.»
       «Ma se da quando è accaduto il fatto solo noi…» incominciò l’invocatrice ma si fermò e guardò il soldato.
       «…solo noi siamo presenti sul posto.» concluse la frase «Ma quando sono arrivato c’erano altri commilitoni, ma non credo siano così strutti da…»
       «Bisogna isolare tutto. Anzi, ci penso io. Allontaniamoci.»
Eiko chiuse gli occhi, racchiuse le mani e poi le rilasciò verso il cratere: la zona intera venne inglobata da due cilindri, uno giallo e uno rosa che inglobò il primo.
       «Bene, ora niente e nessuno potrà entrarci. Ogni tanto però controllatelo.»
       «Perché, quanto durerà?» chiese il soldato.
       «Per quanto tempo vorrò.»
Escludendo la regina Garnet, che comunque non si allenava da tanto tempo, probabilmente Eiko Carol Fabool era la più potente maga bianca di Gaya.

La mattina successiva, l’edificio era già in ricostruzione e l’incantesimo reggeva ancora, anche durante il sonno non molto continuato di Eiko. Si svegliò di buon’ora e vestita da semplice operaia, si confuse nell’Aircap insieme agli altri lavoratori che iniziavano la mattinata e raggiunse l’abitazione dei Tantarus nel borgo teatrale. Suonò a lungo il campanello a corda prima che l’inconfondibile voce di Kalò chiese:
       «Cu è? Siamo chiusi.»
       «Anche per una piccola amica?» chiese lei.
Da dietro la porta si udì un forte e continuo rumore di serrature e chiavistelli che venivano sbloccati, prima che si aprisse: il boss indossava un classico pigiamone da notte bianco, che era in tinta con la barba e i baffoni che cominciavano a ingrigirsi. Quando vide Eiko, si mise a ridere alla sua maniera abbracciandosela e tirandola su per le spalle, come se quei dieci anni non fossero mai passati.
       «Ah ah ah ah ah! Guarda un po’! La picciliddra innamorata di Gidan! Ma che non mangi su al castello? Come una piuma pesi, ah! Picciotti, giù dalle brande! Avimmo ospiti!»
La “vecchia guardia” dei Tantarus Cina, Marcus, Poddu, Piddu, Puddu anche se intontiti dal sonno salutarono a più riprese l’amica, che certamente si faceva vedere poco in quel covo di ladri-attori-cercatori di tesori.
       «’Anvedi chi c’è! ‘A mejo granduchessina der monno!» fece Cina
       «Quantto teemppo è!» esultarono in coro i tre gemelli.
       «Grazie, grazie è sempre un piacere vedervi. Blank dov’è?» riuscì a domandare Eiko.
       «Il kompare andato con zorella di Gidan. È un zacco che non si fa più fifo.»
Era ormai risaputo che Blank, da quando si era messo con Mikoto, poco dopo il matrimonio di Gidan e Garnet avvenuto sei anni prima, raramente si faceva vedere in giro, tanto che girava voce che i due avevano avuto un figlio e che avevano deciso di crescerlo lontano dal villaggio dei maghi neri per farsi una vita loro. Negli ultimi cinque anni era venuto a trovare gli amici solo in occasione di rare rimpatriate e per il compleanno di Gidan.
       «Come mai sei qui?» chiese Agnes, neo membra dei Tantarus insieme a Vans che teneva la testa bassa poiché aveva una cotta purtroppo non corrisposta per Eiko.
       «Nun me pare che sei venuta pè ‘na visita de cortesia…»
       «Infatti.» rispose la granduchessina «Ho bisogno del vostro aiuto. Avrete sentito di ciò che è successo la scorsa notte…»
       «Veramente abbiamo sentito solo un gran botto, siamo usciti spaventati ma non vedendo fumo e non sentendo altre esplosioni tornammo dentro.» prese la parola il giovane Tantarus che ebbe il coraggio di issare lo sguardo. Eiko allora iniziò la spiegazione, spiegando bene il fatto del meteorite e del sospetto che aveva:
       «Dobbiamo vedere se è rimasto un qualche frammento della roccia che è assente. Così potremmo capire se è stato trafugato e come.»
      «Storia curiosa, non c’è dubbio ah. Tu orra che intenzione hai di farre?» domandò Kalò.
      «Io devo togliermi un altro dubbio. Vi accompagnerò al cratere, e appena possibile parto.»
Il cratere, illuminato dalla luce del giorno, benché apparisse un po’ lugubre per il grigiore e per il fumo che continuava a uscire si stagliava imponente nei suoi dieci metri di diametro per sette di profondità. Eiko, e i Tantarus al completo erano arrivati con setacci, pali e palette.
      «Allora, un consiglio: cercate più sui lati del cratere che sul fondo. Se il meteorite è stato preso, sicuramente chi l’ha fatto sarà stato doppiamente attento a non lasciare frammenti.»
     «Capito: allora picciotti. Agnes e Vans sul lato ovest; Er Cina e Puddu su chillo est; Piddu e Puddu su chillo nord; Marcus e Antinood su chillo sud. Io vi do un mano a turni.» organizzò il boss.
    «E tu Eiko?» chiese Marcus.
Per tutta risposta, l’invocatrice si appropriò della caffettiera piena di Kiliman e Bluman fumante dalle mani di Er Cina.
    «Ahò!» fece questi risentito.
    «E io mi prendo una tazza di caffè: mica ho dormito come voialtri. Buon lavoro!» e se ne andò verso la panchina più vicina a sorseggiare il caffè. Ma prima con uno schiocco di dita, fece sparire l’incantesimo di protezione dal cratere.
   
 
   
      




Se siete arrivati alla fine, vuol dire che avete avuto abbastanza interesse e pazienza nel leggere il mio secondo, modesto lavoro. Quante cose cambiano in dieci anni, vero? Eiko è cresciuta, ed è diventata una brillante e potenzialmente cinica adolescente che sprizza energia da tutti i pori. Vi piace? Non vi piace? Che ne pensate? Fatemelo sapere! Un saluto da “The Alex” fflover89!


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Capitolo 2
*** Due ***


 Un salve e un bentornato a tutti quelli che hanno letto il primo capitolo ed ora si accingono a leggere questo, il secondo! In questo capitolo viene messa ancora più in risalto la figura della giovane Eiko, cosa che servirà parecchio nello svolgersi della storia. Buona lettura!

 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Per tutta la giornata seguente, i Tantarus e Eiko non trovarono alcun frammento di meteorite degno di questo nome: l’unica cosa estranea al cratere erano i pezzi di metallo sparsi un po’ ovunque dell’edificio sventrato.
       «Diamine!» fece calciando via un ciottolo. In quei dieci anni era divenuta parecchio irascibile: quando una sua idea o una sua osservazione non era quella, se la prendeva tantissimo. Lei diceva di no, ma la causa indubbiamente era dovuta a qualche agio di troppo che i genitori adottivi gli avevano concesso.
       «Non c’è bisogno di adirrarsi, grranduchessina, ah. Chilla maliditta pietra moribbilissima doveva essere, ah.»
       «E dire che io pensavo… va beh, voi tornate alle vostre normali occupazioni. Mi dispiace di avervi disturbato, ma al momento abbiamo poco personale. Dirò a mio padre di paga…»
       «Nein nein Eiko!» la zittì Marcus «Non preokuparti! Era da un pel po’ che non scafavamo buke ein straden! Non fogliamo ezzere pagati!»
       «Ecché ce famo coi sordi? Voi mette er piacere de datte ‘na mano?» disse Er Cina.
       «I picciotti rraggione hanno, ah. Non c’è bisogno di pagarre. Se potimmo aiutatti in altre maniere, noi sempe pronti simo.» rincarò il boss.
Eiko sorrideva a quella grande manifestazione di altruismo e di affetto da parte dei suoi vecchi amici: ecco, questa era una cosa che riceveva poco spesso. Quante cose erano cambiate in quegli anni! Da quando il padre gli stava insegnando i vecchi trucchi del mestiere, quali la retorica, la politica, la diplomazia, si distraeva solamente quando passava in cantiere dando la sua opinione sui nuovi modelli di idrovolanti a vapore. Le rare volte che vedeva gli altri amici era negli incontri di rappresentanza con Daga e Gidan, divenuto re dopo essersi sposato con la regina. Ma questi incontri erano ben distanti da quelle chiacchierate con gli amici di vecchia data. Ah, quanto desiderava una vacanza, con un bel viaggio e magari qualche mostriciattolo fastidioso da prendere a calci nel culo. Le sue capacità in battaglia erano aumentate a dismisura: a differenza di Daga, Eiko adorava immergersi in profonde meditazioni, per entrare più in contatto con gli spiriti dell’etere e si esercitava alla lotta in cui era sempre stata bravina. La magia bianca, inoltre, per lei non aveva più segreti, le usava come se fossero parte naturale del suo organismo come espirare o sudare. La sua fama di sapere e di superare i suoi limiti, erano ai limiti della bramosia di potere. Ma sapeva frenarsi. Il nonno le aveva parlato spesso di incantatori che nel tentativo di apprendere magie proibite, vennero consumati dai loro stessi poteri. Le storie che gli raccontava erano per lo più favole, ma la stessa magia “Apocalisse” e molto probabilmente anche “Ultima” dimostravano che erano magie fuori dagli schemi. E Kuja eseguì la sua prima di morire, e Vivi quando la usò contro Trivia per poco non uccise anche gli altri. Sicuramente fu anche il potere di quella magia proibita, ad avvicinare il momento in cui si sarebbe “fermato”.
 
 
Dopo aver salutato i Tantarus, si diresse al castello e si vestì con il suo abituale abito rosa confetto che fu della madre, e che gli aveva obbligato a indossare all’interno del castello: il vestito era di dubbio gusto, ma era assai difficile trovarne altri che le stavano e che si confacessero al suo rango, complice anche il fatto che nessuno aveva mai regalato anni addietro vestiti da cerimonia da ragazza alla coppia reale di Lindblum, proprio perché era risaputo che non riuscissero ad avere figli. Eiko non poteva soffrire proprio quel vestito, l’unico altro vestito elegante che aveva era quello che gli aveva regalato Garnet qualche anno prima, che era identico al suo, e le stava benissimo; quello della madre, invece era lungo, e doveva tenerlo perennemente alzato per evitare di cadere, non voleva apparire ridicola. In quegli anni poi, Eiko era divenuta parecchio orgogliosa.
I guardiani all’ingresso della sala del Granduca s’inchinarono e la fecero passare. Il padre era seduto sul trono e stava leggendo un libro. Era raro trovarlo lì, di solito era sempre in giro: sembrava proprio che la stesse aspettando.
       «Ah, buongiorno figlia mia. Brutta buriserata ieri, kerò.» disse il granduca, che spesso non riusciva a reprimere i versi da rana e scaraburi.
       «Buongiorno papà.» salutò Eiko il granduca, sorvolando sul fatto di come avesse saputo che lo stava cercando «Già, è proprio vero. Sai, sono andata ad analizzare la zona e…»
       «Sempre curiosa!» la interruppe mettendosi a ridere «Ma d’altronde è sempre keròmeglio avere il parere di una sciamana di famiglia che di uno di quegli strani buriscienziati che vanno tanto di moda. E dunque?»
       «Ho motivo di credere che non è stata un’esplosione da cannone. Dalla forma del cratere, e da altre cose secondo me è stato un meteorite.»
      «Un meteorite…» mormorò passandosi la mano sul pizzetto.
      «E non è tutto: nel cratere non ve n’è traccia. Né sopra né sottoterra.»
       «Allora?» insistette il granduca. Dopo una breve attesa la figlia adottiva rispose tutto d’un fiato:
      «Secondo me è stato preso da qualcuno che sapeva del suo potenziale.»
       «Oh, andiamo Eiko!» esclamò Cid alzandosi e scendendo i gradini che portavano al suo trono «E chi buriavrebbe interesse nel prendere un sasso caduto dal cielo? Di solito questi keròmaniaci dei minerali non sono così scaltri, se mai vogliono portarsi a casa una cosa del genere aspettano molto tempo, almeno dopo che la notizia si è diffusa.»
       «Posso assicurarti che ieri sera almeno metà Lindblum si è svegliata per il botto, e per quella mezzora passata molte persone si sarebbero potute avvicinare al cratere prima che le guardie mandassero tutti a dormire: chiunque avrebbe potuto facilmente infiltrarsi e prenderlo.»
       «Ammesso e non concesso che sia keròcosì, a che diavolo potrebbe mai buriservire un meteorite?» poi guardò il volto di Eiko, precisamente l’orecchio, e capì.
«Già, è vero, i kerògioielli ancestrali erano un pezzo di meteorite cristallizzato. E buridavvero credi che quello caduto ieri notte, fosse uno di quelli che hanno poteri magici?»
       «È un’eventualità che non va sottovalutata. Per la sicurezza nazionale.» disse serissima. Il padre, infatti, si rimise a ridere di gusto.
       «Sai, figlia mia, stai diventando davvero una buribrava politica. Non riesco davvero a keròdirti di no! E suppongo che tu debba buriandare in un certo posto a controllare, vero? Un certo keròposto dov’è stato rinvenuto e ricostruito dai maghi e dai Troll sciamani uno di quei buricosi per guardare le stelle, eh?» gli chiese infine guardandola chinandosi al livello del suo sguardo, facendola arrossire come una ragazzina. Ma alla fin fine non era proprio quello, una ragazzina?
       «Sì…» rispose intimidita. Lo sguardo indagatore del padre le faceva sempre questo effetto. Anche lei non riusciva mai a dirgli di no.
       «E va bene. Ultimamente ti sei impegnata buritanto nei tuoi studi, meriti una vacanza. Ti do cinque giorni di libertà per raggiungere la tua Madain Sairi.»
       «Solo cinque?! Almeno sette!» disse gonfiando le guancie, una posa che assumeva spesso quando rimaneva delusa o arrabbiata. Il problema è che faceva morire dal ridere: infatti il padre riprese la sua grassa risata. Attratta da quei rumori di ilarità, che si sentivano poco dentro quel noioso castello, entrò la granduchessa Hilda nel suo abito dorato e color rosa –una pacchianata incredibile– e chiese:
       «Cos’è tutta questa allegria? Parti, Eiko?»
       «Sì, ma papà non vuole farmi stare fuori almeno sette giorni!»
       «Andiamo amore, lo sai quanto tua figlia adori quel vecchio e polveroso paese…»
       «Madain Sairi non è polveroso! È solo sabbioso! È perché da sul mare e…» cominciò Eiko a elencare le varie qualità che aveva quel posto dove aveva vissuto i primi sei anni della sua vita. Però, mamma Hilda, che sapeva bene come intervenire, disse:
       «E allora perché non andare a rivisitarlo? Dai, sette giorni puoi star via parlo io con gli insegnanti. Gli dirò che vai anche a studiare. Hai intenzione di passare anche a Sortlibre?»
      «Sì.»
      «Sai, ho sentito che anche Amarant è lì da qualche tempo.»
Ed Eiko iniziò a ridacchiare saltellando, sotto lo sguardo stranito dei suoi che non capivano come una ragazzina così strana, e comunque di alto borgo, potesse volere così bene a una bestia come l’ex cacciatore di teste.
      «Evvai! Parto subito! Ciao mà! Ciao pà!» salutò in fretta e furia, come fa un qualsiasi ragazzo o ragazza nel lasciare i genitori di corsa. Solo che questa ragazza e questi genitori sono tre delle nove persone più potenti di Gaya!
In mezzora di travaglio in camera sua si era presa un borsone con quattro ricambi, due paia di scarpe, il suo vecchio flauto fatato costruito direttamente con il legno di una quercia secolare, il fiocco suo e quello di Mogu. Quindi, si diresse verso la porta drago-celeste al sesto dock, dove partivano gli Air-Travel, i grandi idrovolanti che trasportano centinaia e centinaia di persone in tutti i continenti, direzione Sortlibre, la nuova città costruita da jenoma e maghi neri.
 
       «Ha una lettera da inviare granduca, kupò?» chiese Mokku, il moguri stanziato nel castello di Lindblum.
       «Esatto, buri. È l’unico keròmodo sicuro per far pervenire una lettera senza sollevare voci e conseguenti preoccupazioni.»
       «Il contenuto ha a che fare con quello che è successo ieri notte, kupò?»
       «Anche, buri.» cercò di tagliar corto il granduca. Quel dialogo stava diventando imbarazzante con tutti quei versi.
       «A chi la devo portare?»
       «Già, che scemo: portala alla keròrtese attenzione del Re di Alexandria, Gidan Tribal.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Devo darvene conto, il capitolo non è nulla di che ma credo che abbia anche lui la sua importanza. Vi assicuro che il prossimo sarà migliore. Unica anticipazione: vedrete chi cucinerà i famosi panini con la mortadella della porta sud! Dunque, fatemi sentire la vostra voce, scrivete la vostra opinione, orsù! Vi aspetto, e alla prossima! 

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Capitolo 3
*** Tre ***


Dunque, dopo un capitolo poco corposo, vi offro questo che è pieno e succoso di chiarimenti e intrecciamenti della trama. Cosa aspettate, dunque? Leggete e commentate tutti!
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
       «Come sarebbe a dire che dobbiamo fermarci alla Porta Sud? Io ho fretta maledizione!» disse Eiko “leggermente” irritata al comandante in seconda dell’idrovolante. Era stato comunicato poco prima dall’altoparlante, che il volo avrebbe fatto una sosta di ignota durata alla Porta Sud, il torrione di confine posto su una delle catene montuose che dividevano in tre parti il continente della nebbia. Anche il resto dell’equipaggio era piuttosto turbato: o meglio, erano tutti incazzati come bestie, la granduchessina in testa.
       «M…mi spiace, ma… al momento dobbiamo sostare lì…» si scusò il vice-comandante, che aveva qualche somiglianza con mastro Pardon della locanda di Alexandria: la stessa mano ad arruffarsi i capelli, lo stesso sguardo basso e la stessa voce atona e priva di polso.
       «Possibile che voialtri non siate così intelligenti da svolgerli prima i controlli? E adesso ci venite a dire che avete problemi tecnici!»
       «In-infatti, è che… abbiamo dei problemi al motore… probabilmente sosteremo…due ore.» disse abbassando ulteriormente il capo e il tono di voce.
       «COME?!» si sentì come coro unico all’interno dell’idrovolante, che fece uno scossone. Il danno effettivamente c’era.
       «Signore e signori passeggeri, è il comandante che vi parla.» si fece risentire la voce metallica del capitano «A seguito di un guasto al secondo motore, che potrebbe compromettere la nostra stabilità in volo, siamo costretti a fermarci alla stazione portuale della Porta Sud per rimediare al danno. Il problema non dovrebbe essere grave, e potremmo riuscire a risolverlo in tempi brevi. Se dovessimo metterci più tempo del previsto, ci è stato garantito che un volo Air-Travel proveniente da Alexandria, arriverà alle cinque, e potrà tradurvi a Sortlibre in tempo breve. Ci scusiamo per il disagio. Arriveremo a destinazione fra pochi minuti.»
        «È il colmo! Davvero non so cosa mi trattiene dal non farvi rapporto a mio padre!» continuò Eiko a protestare.
Appena arrivati, la giovane sciamana fu tentata di andare a controllare la riparazione del motore, poiché anche lei se ne intendeva abbastanza da ridurre della metà i tempi di lavoro, ma preferì evitare per non mettersi ulteriormente in mostra. Decise invece, con molti altri passeggeri, di scendere al piano di sotto dove arrivavano le vetture Berqumea, che venivano ancore usate dagli addetti ai lavori tramite certi contrappesi e ingranaggi, e ammazzare il tempo mangiando alla tavola calda che serviva i suoi rinomati panini con la mortadella. Mentre si dirigeva alla porta, Eiko sentì urlare:
       «DU’ SARTIMBOCCA, DU’ PASTA ALLO ZACMAL, E ‘N PANINO CÒ LA MORTAZZA! ‘NAMO ‘N PÒ, DAJE!»
       «Questa voce…» pensò e si fiondò dentro. Aveva sentito bene: la vociona e il dialetto di Quina erano inconfondibili.
       «Eiko, bella de zzia! Famme risorve n’attimo ‘sto casino e vvengo subbito! VOGLIO QUEI SARTIMBOCCA FRA TRENTA SECONDI, SENNO’ ME VENGONO I CINQUE MINUTI, OCHEI?» strillò di nuovo la qu vedendola entrare.
Da quando era cresciuta, la maggior parte degli amici la trattava come una di famiglia: Quina le dava della nipote, per Daga era “la mia sorellina unicorno”, Steiner e Amarant semplicemente “la mocciosa rompiscatole”, per Freija “maestà”. Chissà come l’avrebbe soprannominata Vivi… ma represse quel pensiero con la stessa velocità che gli era venuto. Quando la vecchia compagna di viaggio uscì dal cucinino, dopo trenta secondi esatti, l’accolse col suo solito sorriso e l’abbracciò.
       «Ciao zia! Che ci fai qua? Che ci sono problemi alla tua scuola?»
Negli anni passati, Quina e Quera, avevano fatto propri gli insegnamenti di Quan e fondarono la “Scola de li Qu, pe’ imparà l’arte der magnà”, con sede a Lindblum. Era raro vederla a fornelli che non erano quelli reali.
       «No, no! ‘Sto gruppo de scarcinati, m’ha inviato ‘na lettera de aiuto pe daje ‘na mano a risollevà un po’ ‘sto posto. Vedessi che casino c’era prima che arivassi. So’ arivata stamatina, e già sembra n’artro posto. Ce vole talmente poco pè trasformà ‘na bettola, in una bella, vibbrante, tavola calda…»
       «Ah sei partita prima di me, quindi! Hai sentito cos’è successo la scorsa notte?»
       «N’esplosione me pare de ave’ sentito. Io e la maè se semo affacciate a vede che succedeva, e poco distante c’era n’edificio che fumava. C’ereno già dei sordati che venivano.»
      «Dunque tu e Quera siete state fra le prime a vedere l’impatto!»
      «Sì, perché?»
       «L’esplosione è stata causata dalla caduta di un piccolo meteorite. Sai anche tu che quei cosi spesso possono essere delle gemme magiche, e quindi sono andata a controllare per curiosità. Con mia grande sorpresa non c’era nulla. Non so per quale motivo ho pensato subito che qualcuno lo avesse trafugato. Allora ho isolato il cratere, e ho passato tutta la mattinata a cercare assieme ai Tantarus qualche frammento, ma non ho trovato nulla. Può darsi che non sia stato rubato, può darsi che sì, ma preferisco andare a Madain Sairi a vedere se hanno visto qualcosa relativo a ieri notte. Non ho nemmeno pranzato!»
       «Hai fame, vero?» chiese Quina chinandosi sul tavolo di fronte Eiko. Il capo di Eiko fece un delizioso movimento discendente e ascendente affermativo.
       «Allora, avemo spaghetti ar ragù de Zacmal, er classico panino co’ la mortadella da’ porta sudde, bistecca de phang ai feri…» cominciò a elencare contando sulle dita.
       «Aspetta, aspetta…» la bloccò Eiko alzando la mano.
       «Che è, so’ stata troppo veloce? Allora, spaghetti ar ragù de Zacmal, poi…»
       «No, intendevo quello che hai detto prima, che tu e Quera vi eravate affacciate e vedevate il fumo dell’edificio. Allora vuol dire che la vostra scuola è vicina al cratere!»
       «Stamo ar borgo commerciale, quinni…»
       «Ma quindi avevate visto dei soldati che accorrevano?» la interruppe di nuovo.
       «Sì, me sembra proprio de avenne visto uno solo, che veniva da’a piazza.»
       «Ma non è possibile, la caserma più vicina è dal lato opposto del borgo! Cerca di ricordarti, Quina: com’era fatto? Aveva qualche atteggiamento sospetto?»
La cuoca si grattò la testona bianca sotto la toque da chef, e ci pensò un po’ su. Eiko era in trepidante attesa.
       «Era ‘na guardia semplice, cor cappello a punta, ‘n po’ panzone…»
       «Panzone? Strano, non ci sono persone grasse nel corpo di guardia.»
       «Avoja Eiko, c’aveva un rigonfiamento all’artezza del busto…» e si fermò spalancando gli occhi. Anche la granduchessina fece lo stesso.
       «Come se avesse qualcosa sotto la divisa! Era il meteorite, sono sicura!» fu la conclusione di Eiko «Certo che ce ne vuole di coraggio per toccare un pezzo di roccia vicino alla temperatura di fusione… ti ricordi altro? Qualsiasi dettaglio è importante.» chiese Eiko, novella ispettrice Clouseau.
       «L’ho visto inciampare! Nun è cascato per poco, ma er modo in cui ha ripreso l’equilibbrio m’ha fatto piegà dalle risate!»
       «Capirai, Vivi era uno spasso vivente. Aveva il corpo fatto per resistere alle cadute, come cadeva lui non cadeva nessuno!»
E tre. Certo che ultimamente il pensiero di Vivi gli ritornava spesso, chissà perché.
       «Meglio di niente: almeno di questo fantomatico ladro geologo si sa qualcosa in più. Adesso però mangiamo!»
 
L’Air Travel partì con quasi mezzora di anticipo rispetto ai tempi di riparazione previsti, e con lui se ne partirono le idee di protesta che i passeggeri pensavano di mettere in atto. Eiko era quella più felice di tutti: non solo si era rifocillata praticamente per nulla, ma in più aveva avuto conferma delle sue idee. Magari questo mistero sarebbe stato un ottimo modo per distrarsi un po’.
In poco tempo l’idrovolante parcheggiò nel porto di ultima generazione di Sortlibre: la città di nuova fondazione, era praticamente una Brambal un po’ più grande, priva però di quella atmosfera inquietante e di quella luce blu che tanto innervosiva Gidan; ricordava se possibile una città futuristica, nonostante gli edifici non superassero i tre piani di altezza, misura di sicurezza per i frequenti terremoti del continente esterno. Eiko cominciò la sua camminata per le strade di quella città, che in otto anni, dal nucleo del villaggio dei maghi neri era divenuta grande quasi quanto Toleno: c’erano luci di focolai, di bar, di laboratori e non erano solo i jenoma e i maghi neri ad abitarci: molte persone comuni erano partite dalle città principali proprio per rifarsi una vita, e investire nelle nuove scienze specialistiche che stavano nascendo in quegli anni, tanto che l’arte sciamanica e l’arte magica da alcuni erano considerate applicazioni di principi scientifici per scopi diversi. La città per molto tempo era rimasta autosufficiente, come il vecchio villaggio e soprattutto Daguerreo, da cui molto avevano appreso. Tutti, insomma, a Gaya ritenevano Sortlibre il nuovo ombelico del mondo.
Ad Eiko tutte quelle luci non le piacevano, non perché la infastidissero, ma perché riteneva che molti di coloro che ci lavoravano o che la visitavano ignorassero il significato originale di quella città. Sortlibre, destino libero: ovvero, ciò che i maghi neri e i jenoma erano disperatamente alla ricerca dopo la morte dei loro creatori Kuja e Garland. La loro voglia di indipendenza e il loro talento li spinse a crearsi una città dove non erano alle dipendenze di altri popoli; la maggior parte degli abitanti ormai, era quasi del tutto straniera. Per questo il villaggio dei maghi e dei jenoma originali era separato dalla città in un distretto privato, dove l’accesso era severamente vietato, salvo casi eccezionali. Era lì, alla vecchia officina del “Gatto nero” che Eiko era diretta.
       «E questo ti sembra un buon lavoro?» sentì una voce dall’interno. Era calma, ma molto, molto perentoria.
       «A d-dir la verità…no.» ammise Jake, il mago nero al bancone. Quelli che abitavano all’interno del vecchio villaggio avevo iniziato a prendersi dei nomi, al posto dei numeri.
       «Allora vedi di rifarlo: non ci voglio far cattiva figura. Anche tu non vuoi, vero?» stavolta Amarant si chinò minaccioso sul bancone proprio mentre Eiko, gli si avvicinò pian piano alle spalle e gli mise entrambe la mani sugli occhi.
       «Indovina chi sono?!» chiese sorridendo.
Lo sguardo dorato del mago divenne terrorizzato: considerando il cliente che aveva dinanzi, si stava aspettando una sfuriata con probabile rompimento di vetri e suppellettili. Invece con un’espressione fra lo scocciato e il piacevolmente sorpreso –come riuscisse a esprimere entrambe era un mistero anche per Lanì, la sua donna– disse:
       «Sei la mocciosa rompiballe. Giusto?»
       «Giusto! Ciao Amarant!»
       «Ciao Eiko. È da un po’ che non ti si vede in giro.»
       «Ho tante di quelle cose da dirti!»
       «Ok, ma non in questa officina di incapaci.» fece mettendo il braccio enorme davanti all’oggetto che aveva appena criticato.
       «Perché, cosa avevi chiesto di farti fabbricare?» chiese Eiko notandolo, non riuscendo a intravedere l’oggetto oltre le spalle enormi dell’amico.
       «Niente di particolare, sanno cosa farci. Che ne dici di farci una chiacchierata davanti a un bel bicchiere? La reggi ancora la birra vero?»
        «Se la reggo? Ah! Alle feste io e mio padre facciamo a gara e lo batto sempre!»
       «Sai che ci vuole a battere a un vecchio incrocio fra un insetto e un batrace.»
       «Vuoi provare?» chiese con aria di sfida mettendosi le mani ai fianchi.
       «Provaci tu, semmai.»
Mentre raggiungevano un locale ai limiti del villaggio, Eiko gli spiegò un po’ la situazione. Dopo avergli dato una leggera infarinatura del suo sospetto Amarant disse:
       «Ah, ma possibile che la gente che abita questo pazzo mondo non riesca a farsi i cazzi propri? Se me ne capita uno fra le mani lo squarcio con gli artigli.»
Una minaccia del genere avrebbe fatto comparire una smorfia di disgusto o di paura sulla faccia di una qualsiasi persona, debole di cuore o dura. Eiko invece rise. E anche Amarant: ecco perché dopo tutti quegli anni erano ancora amici.            
 
 
 
Al largo del continente dimenticato. Isola centrale. Ora.
 
 
L’uomo nascosto nell’ombra si rigirò il frammento di pietra nera lucida tra le dita, rapito dai giochi di luce che la scarsa illuminazione generava al suo interno.
       «Dunque, sei davvero sicuro che questa sia la cosa che stavamo cercando?» chiese la sua voce baritonale.
       «Assolutamente: anche utilizzando un piccolo quantitativo di energia, i risultati sono… veramente notevoli.» rispose l’interlocutore, che si tolse l’elmo a punta, uguale a quello delle guardie di Lindblum rivelando una folta chioma scura.
Un sorriso con denti dorati illuminò il volto dell’uomo, che chiese:
       «La natura di questo minerale è quella che sospettavamo?»
       «Senza dubbio. Adesso però viene la parte difficile del piano.»
       «Hai il mio consenso a procedere, Kuja.»
 
 
       
 
 
 
Beh, mi sono rifatto con questo capitolo, eh? Nuova città, nuovi impieghi, vecchi amici… ma soprattutto nuovi e vecchi nemici! Chi sarà questo Kuja dai capelli neri? E che centra l’uomo con i denti dorati e quello che stava rigirando tra le dita? Continuate a seguirmi e lo scoprirete!
 
 
IF YA SMEEEEEELLL!!! WHAT THE ALEX IS COOKING!!
 
 
 
 
p.s: (per chi non lo sapesse fra qualche giorno c’è wrestlemania, con il mio idolo, The Rock!)         

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Capitolo 4
*** Quattro ***


Un saluto a coloro che seguono questa storia dall’inizio della pubblicazione, e un benvenuto a chi l’ha iniziata solo ora! È passato quasi un mese dallo scorso capitolo, e me ne scuso molto, ma purtroppo l’opprimente università mi ha tenuto lontano dal pc. Nello scorso capitolo abbiamo rincontrato una nostra vecchia conoscenza e ne abbiamo conosciuta un’altra. Credete che il capitolo precedente fosse strano? Leggete questo!
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
       «Originale come storia. Mi sembrerebbe impossibile, se non ti conoscessi bene.» disse Amarant posando il boccale di birra. Anche Eiko posò il suo, alla gara avrebbero pensato dopo; sempre se ad entrambi non fosse passata la sete.
       «Questa storia deve rimanere tra di noi: se i miei sospetti fossero fondati, ci troveremmo in una crisi tale, che il conflitto della nebbia a confronto sembrerà un picnic di famiglia. Queste pietre funzionano da catalizzatori per evocare gli spiriti dell’evocazione, ecco perché Brahne ne aveva bisogno per evocare Odino, Atomos e Bahamuth: all’interno mise il potere di evocare gli spiriti che aveva sottratto a Daga. E il risultato lo sappiamo tutti e due.»
       «Davvero credi che ci siano altri spiriti da evocare, oltre quelli conosciuti da noi?»
       «Perché no? Sul muro dell’invocazione sono rappresentati tutti gli spiriti legati al piano elementale, del giorno e della notte. Rimangono solo due parti…»
       «La vita e la morte.» disse Amarant come fosse una cosa da nulla «Però gli manca l’evocazione.»
       «Per questo sono venuta qui a cercarti: ho bisogno che tu mi faccia da guardia del corpo.»
L’uomo salamandra fece una espressione perplessa, e rimase così per qualche secondo senza parlare.
       «Se vuoi posso anche ricompensarti in …» cercò di convincerlo Eiko.
       «Il problema non sono i soldi.» la interruppe.
Ma nessuno voleva più i suoi soldi? Anche per pagare quel popò di pranzo che gli preparò Quina dovette insistere moltissimo per pagarle almeno il disturbo.
       «Il fatto è che seguendo la tua logica dovremmo avvertire anche Gidan e Daga. Loro sanno dei tuoi sospetti?» riprese chiedendo.
       «Diciamo di sì.» rispose come se non fosse del tutto sicura.
       «Che vuol dire “diciamo di sì”?»
       «Mio padre avrà avvertito Gidan dell’incidente e del sospetto che qualcuno possa aver rubato il meteorite per scopi non meglio accertati.»
       «Senza dire che sua moglie deve stare attenta a un possibile sicario che gli tolga per la seconda volta gli spiriti dell’invocazione? E ti sembra una cosa da non avvertire di persona?»
       «Va beh, quando è successo mi sono fatta prendere dalla fretta e…» cercò di sorvolare.
       «Non raccontarmi stronzate.» disse fermo come una roccia «Da quanto tempo è che non lasci Lindblum?» chiese Amarant.
Eiko non rispose, anzi distolse lo sguardo.
       «Come pensavo. Avendo solo in mente di lasciare quella fumosa città e di farti una gita, non hai pensato alla cosa più importante: parlarne all’unica persona al mondo, a parte te, che sa usare l’antica arte evocativa. E se per un caso fortuito non avessero ancora ricevuto la lettera di tuo padre, e gli fosse successo qualcosa ancor prima di mettersi in guardia? Sei stata una stupida. Anzi, peggio: ti sei comportata da tale, perché stupida non lo sei.»
       «E da egoista…» aggiunse poggiando la testa sulle braccia rannicchiate sul tavolo.
       «Esatto.» concluse implacabile Amarant.
Eiko rimase in quella posizione per diverso tempo, senza produrre nessun suono. Non si riusciva a capire se stesse piangendo o altro.
       «Non puoi pensare di fare tutto da sola. Anche se sei probabilmente la più potente sciamana del mondo, ricordati che Garnet fece lo stesso errore che feci tu: ed anche con Steiner e Marcus al suo fianco, perse il suo dono. Renditi conto che sei ancora una ragazzina.» continuò il rosso mercenario.
Di solito, se qualcuno gli diceva una cosa del genere Eiko rispondeva al suo solito con “non è vero!” oppure, “ho diciassette anni cavolo!”. Ma restava muta, colpita nel segno.
       «Touché.» infatti disse dalla medesima posizione «Che cosa devo fare allora?»
       «Anzitutto restare in guardia. Ma non come una persona che si aspetta di tutto. Sei fuori da Lindblum? Divertiti. Hai voglia di fare baldoria? Falla. Sarà il modo più veloce per attirare fuori chi è alla ricerca del tuo potere. E lì interverrò io.» fece sorridendo sadicamente l’uomo salamandra sbattendo il pugno contro il palmo opposto. Eiko allora risollevò la testa e ordinò a gran voce:
       «Oste! Portaci da bere!» degno dell’ubriacone di Toleno.
La gara di bevute con Amarant si tenne ugualmente, con gioia degli altri clienti che volevano godersi lo spettacolo. Entrambi però si fermarono al quarto boccalone crollando entrambi sui tavoli. In verità erano a malapena brilli, ma anche questo era stato concordato da entrambi. I presenti se ne andarono via delusi, e Eiko ed Amarant vennero accompagnati di peso da due maghi neri nelle loro stanze.
Era l’una di notte, l’osteria era chiusa e le luci della città si stavano lentamente spegnendo. Le porte delle camere dei due amici si aprirono e si incontrarono nel corridoio. Eiko indossava la sua vestaglia semitrasparente azzurra e si pettinava i capelli, Amarant era semplicemente a torso nudo e senza scarpe.
       «Penso che se qualcuno ci vedesse, mi accuserebbe di pedofilia…» disse Amarant trattenendo una risata.
       «Spiacente Amarantino, ma non sei il mio tipo!»
       «“AMARANTINO”?» disse scioccato appoggiandosi alla parete, diventando più bianco del solito: neanche la sua donna Lanì si permetteva di dargli dei nomignoli del genere. Eiko invece rideva cercando di trattenere la voce e il suo viso divenne di un grazioso porpora.
       «Vedessi che faccia hai fatto... ah, ah, ah!»
       «R-ringrazia che sei una maga bianca e non una guerriera, sennò avrei già dimenticato che ti faccio da guardia del corpo, e muterei in potenziale assassino...» disse a denti stretti comprimendo la rabbia.
       «Permaloso! Allora domani che vogliamo fare?»
       «È vossignoria che deve decidere. Io seguo.»
       «Allora, dobbiamo mandare una seconda lettera di avviso a Gidan e a Daga, già l’ho scritta. Verrà a prenderla Artemisio in persona. Poi dobbiamo dirigerci assolutamente a Madain Sairi»
        «E come? L’esplosione di Lifa ha inghiottito stile buco nero Conde Petit con tutto il sentiero. L’isola ormai è irraggiungibile, e che io ricordi i primi tre ponti costruiti da voialtri sono crollati al primo terremoto di bassa forza. Davvero intelligente: costruire su un terreno sismico.»
       «Allora, prima di tutto dobbiamo uscire dalla città: poi verrà a prenderci Mene con la barca.»
       «Una gita in barca con una mocciosa e un moguri… il sogno di una vita. Vado a dormire, và.» disse Amarant andandosene.
       «Buonanotte…Amarantino!» lo salutò entrando in camera sua, evitando la scarpa che l’amico le aveva tirato appresso da camera sua.
Certo che con soli due giorni di vacanza aveva quasi del tutto cambiato carattere: non una sfuriata, non una battuta sarcastica, niente più comportamenti da stronza. E soprattutto non aveva più quella sensazione di… voler risolvere tutto. Anzi, più che risolvere problemi, a lei interessava il potere di farlo. Così poteva scegliere se farlo o meno. Non che non si prodigasse anima e corpo nei problemi altrui, ma amava far capire che era sicuramente la migliore quando lo faceva.
Entrata in camera sua, cominciò a leggersi un libro, per conciliare il sonno, un libro di magia. Quando fece per posarlo, notò che alla finestra, all’altezza del davanzale, c’era una figura mostruosa che l’osservava: la faccia aveva le pelle rosso bruciata, la mascella col mento all’indietro irta di piccoli denti aguzzi, e dai lati della bocca nera fuoriuscivano due enormi zanne rosse; la pelliccia bruna che aveva sulla testa, continuava in una sorta di mantello per tutta la schiena. L’unica cosa che convinse Eiko che non si trattava di un Antoleon in carne e ossa, fu che al posto dei bulbi oculari aveva due cavità in cui si intravedevano due occhi umani, di una tonalità di giallo più accesa rispetto a quella del mostro sabbioso. La persona mascherata, sembrava si tenesse per qualcosa in aria, ma non la giovane sciamana non riuscì a vedere precisamente cosa. In quei pochissimi secondi prima che il personaggio misterioso sparì nella notte, Eiko lo guardò rapidamente negli occhi, senza emettere suono dalla bocca. Gli sembrò di notare persino un momento di stupore, anzi di imbarazzo in quello sguardo, prima di darsi alla fuga. Nel momento in cui fece per saltare, la sciamana strillò. Dopo pochi secondi Amarant irruppe in stanza con un coltellaccio in mano, e dopo essersi guardato un paio di volte intorno si rimise l’arma fra i calzoni e la pelle e disse:
       «Certo che devi avergli fatto sul serio paura per aver urlato a quel modo…»
Ma appena guardò Eiko capì che aveva inteso male: la ragazza era impallidita, e si stringeva le gambe al petto, e sembrava che tremasse. L’uomo salamandra posò il coltello sul comodino e corse da lei.
       «Eiko, stai bene? Ehi, cos’è successo?»
La granduchessina non rispondeva, era ancora scioccata. Amarant ne ebbe pena e l’abbracciò. Dopo aver fatto questo gesto, sentì la sua voce:
       «Una maschera…un’uomo con una maschera…quegli occhi…gialli…»
       «Dai piccola, tranquilla, se n’è andato. Non ti metterai mica a piangere vero? Sei forte tu, non come quella piagnucolona di Garnet. È finito tutto.»
Eiko iniziò a calmarsi fra il tepore dell’abbraccio dell’uomo salamandra. Era raro vederlo in quell’atteggiamento, ma da quando si era messo con Lanì faceva più spesso bei gesti del genere.
Però Amaranti si sbagliava: Eiko non aveva urlato come una qualsiasi ragazza che stava per essere aggredita, aveva capito che quel tipo la stava solo osservando di nascosto. La giovane sciamana aveva urlato perché quegli occhi, anche se diversi avevano un colore che non poteva non riconoscere: erano uguali a quelli di Vivi.
 
 
Nei cieli sopra l’abisso dei cristalli. Ora.
 
 
 
L’uomo con la maschera si reggeva ad una sorta di macchinario con delle zampe di ragno, tenuto in volo da un meccanismo misterioso che lampeggiava. Il piccolo idrovolante aveva la forma di un disco bombato, e con un rapido balzo l’uomo si rannicchiò sulla sua sommità, e si diresse a nord. Nella sua testa aveva una gran confusione: sapeva di conoscere quella ragazza che l’aveva guardato negli occhi, ma di lei aveva dei ricordi davvero dissonanti tra loro. Ricordava che aveva combattuto con lei, ma non riusciva a capire se insieme o contro; ricordava che parlavano, ma di odio o di amicizia? L’unica cosa sicura che aveva in mente, è che quando incrociò il suo sguardo provò un forte imbarazzo, forse perché in lui aveva riconosciuto una persona del suo passato. Ma chi?
       «Non stare a crucciarti, amico mio.» parlò una voce nella sua testa «I ricordi che hai di quella ragazzina, fanno parte di quelli del tuo vecchio io… e di quelli di altre persone che l’avranno conosciuta. Sei stato creato su una base jenoma, ma con ricordi di altri, quindi è possibile che tu abbia ricordi diversi riguardanti una stessa persona. Ora hai altro da fare: procedi dunque.»
       «Va bene Goldenteeth.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non c’è nulla da fare, la nostra Eiko è sempre una gran monella! Chi è questo uomo mascherato? Forse i suoi occhi celano qualche mistero, qualche “frammento di memoria”?
Passo dunque alla risposta ai commenti!
FFAN: yohohohohohoho! Beh, Quina certamente è una delle mie preferite, e dato che sono romano so interpretarla bene. L’idea di inserirla nella storia mi è venuta di getto mentre scrivevo, ma tutto sommato è servita. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!
p.s: scusa se non sono riuscito a commentare la tua storia, ma sto recuperando.
 
 
 
 
 
 
Ringrazio tutti! Commentate e riceverete risposta!
 
 
See ‘ya! 

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Capitolo 5
*** Cinque ***


Buongiornosera a tutti voi gentili lettori e, spero ve ne siano, gentili lettrici! Il sempre vostro “The Alex” vi dà il ben ritrovato su queste pagine! Lo scorso capitolo ci ha lasciato più confusi che persuasi, per citare Montalbano. Questo forse vi lascerà più persuasi, o forse ancora più confusi! Leggete, e lo scoprirete!
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La mattina dopo Eiko si svegliò, si vestì, scese senza fare il minimo rumore e aspettò nella piazza principale del vecchio villaggio che arrivasse Artemisio. Il tutto senza avvertire Amarant, cosa che in verità avrebbe dovuto fare. Aspettò qualche minuto finché in lontananza non vide arrivare il moguri a strisce bianche e viola.
       «Già sveglia signorina Eiko?» chiese educatamente il folletto.
       «Lascia stare, è stata una brutta nottata. Certi sogni…» rispose senza guardarlo.
       «Mi ha chiamato per una lettera?»
       «Certamente non per scrivere un libro!»
Artemisio capì che non era il caso di insistere e tese la manina: ricevette una lettera imbustata con destinazione Alexandria per i reali consorti.
       «Accidenti, è la seconda in tre giorni! Che ci sono problemi?»
       «Ma tu non dovevi andare di corsa?» gli richiese di rimando.
       «Ma veramente…»
       «VAI!» urlò perentoria.
E il moguri schizzò via impaurito. Eiko sbuffò e cominciò il suo giro intorno al villaggio: se qualcuno si era avvicinato presumibilmente volando accanto un edificio, anche se era sera inoltrata, doveva essere stato visto. E se era lo stesso come pensava, anzi ne era sicura, che Quina aveva visto inciampare a Lindblum forse c’era una possibilità che fosse lì.
Iniziò il giro dal proprietario dell’ostello:
       «Ha mai visto in giro, anche prima che noi arrivassimo un tipo che indossava una pelliccia marrone? Forse non è un mago.»
       «Non so. Qui entra spesso gente vestita in maniera strana. Ma riconoscere qualcuno per una pelliccia…» disse vago.
       «Allora qualcuno che aveva o indossava questa maschera?» disse Eiko mostrando un foglio dove aveva disegnato uno schizzo di Antoleon.
Gli occhi dell’oste si allargarono, in un’espressione non meglio identificata tra meraviglia e sorpresa. Riassumendo la solita espressione disse sbrigativo:
       «No. E comunque un tipo con una maschera simile lo ricorderei.»
Eiko, non del tutto convinta uscì, e domandò ai negozi e agli abitanti vicini. Ebbe però sempre la stessa risposta: “Ci sono tanti che vanno in giro con una pelliccia pesante perché di notte fa freddo, un tipo con una maschera simile lo riconoscerei” ed era troppo comune tra i maghi per essere dovuta solo alle scarne domande che poneva la giovane sciamana. Poco più avanti incontrò Amarant.
       «Pensavo non mi avessi sentito uscire.» disse Eiko.
       «Ti ho sentito eccome. L’unica cosa che non ho sentito è la tua richiesta di accompagnamento. Sai, ho trentasei anni ma ancora un certo udito ce l’ho. È da quando sei uscita che ti seguo. Cos’è, vuoi ancora fare tutto da sola?»
       «Non ho bisogno di una guardia del corpo per chiedere informazioni.»
       «E chi ha parlato di protezione? Io voglio solo darti una mano, mocciosa. Ieri almeno lo abbiamo visto in faccia, più o meno: se scopriamo che ha già frequentato questo villaggio, potremmo avere la fortuna di trovarlo subito e andarcene a casa entrambi. Almeno appureremo se è davvero lo stesso che ha trafugato il meteorite. Dopo averlo sistemato, ovvio.»
Eiko si fermò e poi girandosi lo guardò con fermezza:
       «Io non voglio ucciderlo: voglio trovarlo e parlargli.»
       «Si può fare.» rispose Amarant dopo averci pensato un po’«Ma non fare mosse avventate: ricordati che sei comunque una maga: un guerriero ben allenato potrebbe sapere come coglierti di sorpresa.»
       «Vorrà dire che farà male a te, e non a me. Hai una reputazione da difendere.»
Che voleva dire, tradusse Amarant dal linguaggio cinico di Eiko, “conto su di te per proteggermi”.
In realtà in tutto il villaggio dei maghi neri, nessuno sembrava saper qualcosa di questo tipo con la maschera di Antoleon. Eiko era ancora più delusa, e decise di tornarsene in albergo, senza aver finito il proprio giro d’interrogatori. Amarant invece aveva un ultimo posto dove andare:
       «Benvenuti all’officina del gatto nero… ah, siete voi, signore.» lo riconobbe Jake «Mi spiace, ma la sua asta ancora non è pronta…»
       «Ancora non l’hai capito che non è per me, razza di idiota? Comunque, non sono venuto qua per questo. Volevo chiederti un’altra cosa: ultimamente i maghi neri sono implicati in qualche affare con qualche altra popolazione?»
       «Beh, diciamo che molti sono andati al centro della città per specializzarsi in qualche lavoro: scienza, lavori manuali, medicina…»
       «Ecco, proprio di questo volevo parlarti: perché questo posto sembra spopolato di maghi neri? Rispetto a qualche tempo fa eravate molti di più, e non penso dipenda dalla sola emigrazione.»
Il mago nero abbassò il capo e rimase così per un bel pezzo.
       «Dopo che l’albero di Lifa è scomparso mi sono sempre chiesto perché anche voi non vi siete “fermati” come Vivi. Lui è morto poco prima che Gidan tornasse da Daga, cioè otto anni fa, a undici anni, secondo l’età che diceva di avere. Io credo che fosse nato poco prima che Quan lo trovasse in mare per cui… diciamo sei o sette mesi prima che lo incontrassi: dubito che Brahne avesse cominciato la produzione dei maghi neri già da nove anni, la guerra si sarebbe scatenata prima. Anche Garnet, dice di aver visto Kuja per la prima volta l’anno precedente. Quindi mi chiedo: se Vivi è morto praticamente a tre anni di età, che era già tanto, com’è possibile che voialtri siate sopravvissuti più del triplo del tempo?»
Jake continuava a evitare lo sguardo dell’uomo salamandra. Poi, con enorme sforzo rispose:
       «Quando morì il numero 64, eravamo convinti che ci saremmo fermati tutti entro l’anno di vita. Poi quando anche il vostro amico morì, pensammo che era la fine del nostro clan: invece poco a poco, la nostra vita aumentò e per molti anni non morimmo. Anche quelli che nacquero con lo stesso sistema di clonazione che creò i figli di Vivi, sopravvissero. Gli jenoma hanno costatato che la stessa nebbia che ci aveva creato, anche se sparita con l’albero di Lifa, ci stava mantenendo in vita. Ma da qualche tempo, la moria è ricominciata… e quindi cerchiamo altri modi per…»
E si rifermò, non riuscendo a parlare. Stava cominciando a tremare.
       «Ti do una mano. State cercando di nuovo qualcuno che vi prometta di allungarvi la vita. Ed ecco la mia domanda: conoscete quell’uomo con la maschera di Antoleon che ieri notte ha tentato di entrare nel nostro albergo? Ci stanno dicendo tutti di no. E ora tu sei la nostra unica fonte di informazioni su quel tipo.»
Il mago nero, strinse i pugni, si riaggiustò il cappello, sospirò e infine disse con un filo di voce:
       «Ci ha detto… che se noi maghi aiutiamo lui… e il suo capo… porrà fine a questa moria…»
Amarant sorrise dentro di sé. Anche se era molto labile, il sospetto che tra quell’uomo misterioso e i maghi neri potesse esserci un legame gli era stato appena confermato.
       «A voi maghi piace la musica?» chiese come se nulla fosse, con il volto molto più disteso, tanto che il mago sobbalzò quasi come gli avessero pestato un piede.
       «…sì, molto. Riesce a farci dimenticare per un po’ i nostri foschi pensieri.»
       «Perfetto allora. Ordina a tutti i maghi che stasera ci sarà un evento musicale: suonerà una tra le migliori musiciste di Gaya.»
       «Uh, chi?» chiese eccitato Jake.
       «Eiko Carol.»
 
  
      «Tu vuoi che io faccia cosa?!» chiese Eiko a gran voce.
       «Dobbiamo vedere quanti maghi neri presenti nel villaggio ci sono. È da qualche tempo che cominciano a mancarne, e non solo per la moria. Mi sono fatto dire dal fabbro quanti maghi neri sa per certo che sono sopravvissuti, sono quarantatré. Se ne mancherà qualcuno, ci sapremmo far dire chi sono e potremmo cercarli meglio.»
       «Ma che centra la ricerca di questo improbabile tizio che vuole ingannare i maghi neri! Io sto parlando del fatto che dovrò esibirmi davanti a quaranta e più persone!»
       «Suonami qualcosa: ho visto il flauto che hai con te.» rispose Amarant tranquillamente.
A sentire questa richiesta, la sciamana si calmò. Prese cautamente il flauto composto in pratica da un ramo di legno con dei fori, e lo guardò come se fosse la prima volta che lo impugnava. Ci pensò un attimo, e suonò un pezzo molto dolce, lento che aveva scritto pensando alla sua avventura di dieci anni prima, a Gidan e a Daga (le note alterate, ovvio), a lei e a Vivi. Era da un po’ che non suonava per il semplice gusto di sentire la sua stessa musica, e non per i suoi studi di magia. Poi cambiò il ritmo, uno stile simile ad una danza frenetica, allegra, un susseguirsi ubriacante di note acute e non, sbagliando veramente poche volte. Dal flauto ma Eiko inizialmente non se ne accorse, iniziò a uscire una luce e una sorta di piccola nuvoletta bianca che creava forme molto suggestive, simile a mani e volti umani. Avvenendosene, staccò la bocca dal flauto e rimase meravigliata: aveva creato una piccola copia di se stessa da piccola che batteva le mani a tempo davanti ad un’altra piccola massa nuvolosa con una punta, forse un Vivi in miniatura.
       «E ancora hai dei dubbi? Se non ti vai a far bella, ti butto fuori dalla finestra. Forza, via!» disse Amarant perentorio.
       «S-sì!»
 
 
 
I maghi neri avevano fatto un grande fuoco nella piazza principale, quella che anni prima era l’ingresso del villaggio stesso. Ora invece, da quello spiazzo partiva una strada che portava alle luci di Sortlibre. Tutti i maghi neri, piccoli e grandi erano disposti a semicerchio, lasciando spazio tutto davanti il focolaio; c’era anche qualche jenoma. Quando Eiko arrivò dal piccolo ponteggio che portava all’ostello ricevette sguardi colmi di ammirazione, di stupore, di meraviglia.
Erano diversi da quegli sguardi attenti, colmi di tenerezza e di interesse che riceveva, quando suonava qualcosa ai pranzi e alle cene con altri nobili e nobildonne che suo padre invitava a castello: tutti guardavano la piccola Eiko Carol nel suo abito rosa confetto sfoggiare la sua bravura al flauto, come fosse un numero da circo, senza quasi che importasse qualcosa alla bambina che veniva quasi sfruttata come un giradischi. Ad Eiko però era sempre piaciuto sentirsi al centro dell’attenzione. Anche se per quegli altolocati créme della créme di Toleno, era solo una bimbetta capace a suonare, si sentiva orgogliosa di essere oggetto di quegli sguardi quasi inteneriti.
Ma ciò che provò stando a contatto di quelle occhiate fu quasi eccitante, e non a torto: era vestita con la sua vestaglia da notte semitrasparente, ma l’aveva raccolta in modo da avere una gonna che arrivasse poco sopra le ginocchia delle gambe snelle, mise una cinta a risaltare le forme poco pronunciate ma abbastanza sensuali da essere provocanti. Liberò il ciuffo lasciando ricadere i capelli blu mare che aveva reso quasi ondulati, e i grandi occhi verdi rilucevano bellissimi di orgoglio e di amor proprio, e sicurezza della propria femminilità come mai aveva pensato di avere. Prese il flauto che aveva dietro la schiena, e iniziò a suonare la melodia che aveva provato prima in camera, sedendosi su una gamba rannicchiata e mettendo l’altra perpendicolare. Dalla bocca del flauto cominciò pian piano, muovendosi lentamente e sinuosamente una piccola nuvoletta bianca che divenne una piccola scena del passato: erano lei e Gidan che si avvicinavano quatti quatti vicino Vivi che era seduto su un ceppo d’albero assorto come al solito nei suoi pensieri: lei imitava i movimenti suggeritegli prima dal Tantarus per non fare rumore, e una volta vicino all’amico gli prese il cappello, facendo sobbalzare il piccolo mago nero. Poi alzò lo sguardo e dopo aver battuto quattro volte il tempo con il piede nudo sul terreno, si rialzò e suonò un altro pezzo, veloce, facendo una specie di danza con movimenti di gambe e di schiena. La nuvola s’ingrandì, e raffigurava i due ladri di cappelli inseguiti da un furente Vivi che lanciava incantesimi di fuoco e di ghiaccio prima di fulminarli entrambi.
E la rappresentazione continuava, mostrando un momento simile a quello che stava succedendo lì, cioè un ballo con tanti maghi neri intorno al fuoco, con lei che invita un impacciato e timidissimo Vivi a ballare. E anche in quel momento, i maghi neri si unirono alla danza sfrenata della ragazza, che sudava felicità e lacrimava gioia dagli occhi.
Alla fine del pezzo, tutti applaudivano, anche Amarant che le fece l’occhiolino. Eiko sorrideva felice, per la prima volta da molto tempo libera di dar sfogo alla sua personalità. Immediatamente dopo, l’uomo salamandra si crucciò, notando che mancava una persona all’appello della festa, quando prima invece c’erano tutti: il fabbro Jake. Fece cenno a Eiko con la mano aperta con tutte e cinque le dita e poi chiudendone una, e quest’ultima si guardò intorno. Andarsene da un evento così importante, voleva dire che Jake si era allontanato per un motivo più importante.
E poco lontano ecco il motivo: il fabbro stava parlando con un uomo di media statura e con una pelliccia rossiccia, e anche se in piccola parte, si riusciva a intravedere la maschera mostruosa che indossava.Non si riusciva a sentire ciò che dicevano, ma dai movimenti di Jake, si capiva che aveva paura di chi aveva di fronte, si metteva a posto il cappello, guardava in basso, si grattava il braccio. Eiko non fece in tempo a cercare di defilarsi non vista dalla festa, che l’uomo mascherato infilò la mano dentro il volto del mago nero. Cosa quasi impossibile, al tatto quelle teste nere erano sì quasi vellutate e soffici, ma una loro testata faceva male come colpire del legno. Invece la mano di quel tipo era entrata sotto gli occhi del fabbro fino alle nocche come fosse gelatina, e il povero mago rimaneva immobile con le braccia allargate. Poco a poco, le piccole luci ocra che erano i suoi occhi si affievolirono fino a scomparire e fu lì che Eiko scattò attivando automaticamente la magia di lievitazione sul suo corpo. Non aveva mai visto un mago nero “fermarsi”. Nemmeno quando fu al capezzale di Vivi, che le chiese di non esserci nel momento finale.
Così d’improvviso fuggì dalla festa, spiazzando tutti persino Amarant che non aveva visto la scena. Il corpo stesso del mago stava tornando allo stadio in cui era in origine: “nebbia”. Il gas turbinò intorno al braccio dell’uomo mascherato che girandosi, vide la giovane sciamana dirigersi verso di lui e con un rapido movimento fuggì all’interno del bosco nero. Eiko non pensò a nulla, voleva solo mettere le mani addosso alla persona che aveva ucciso in maniera così… malvagia, non riuscì a trovare termine migliore, un mago nero e soprattutto davanti i suoi occhi. Lei ed Amarant avevano calcolato male, evidentemente non era solo la giovane Carol il suo obbiettivo. Anche i maghi dovevano essere implicati nel mistero di quell’uomo con la maschera di Antoleon.
Ad un certo punto Eiko si fermò, c’era un piccolo punto dove gli alberi lasciavano uno spiazzo, e in fondo c’era una roccia molto grande che interrompeva la fluidità che le file di abeti generavano. Per un qualche motivo si mise ad aspettare, in quel punto abbastanza ben illuminato dalla luna, posto perfetto per farsi trovare e per ingaggiare un combattimento. Iniziò a respirare lentamente, a riprendere fiato, a calmare l’adrenalina che la danza e il rapido volo gli avevano riempito il sangue. Richiamò a se le energie eteree che permeavano quell’area così naturale, e attorno le sue mani presero forma due masse luminose, dello stesso colore della luce sacra della luna. Mentre lo faceva, da alcuni punti imprecisi della foresta, arrivarono delle saette globulari scarlatte che esplodendo sullo scudo magico che Eiko aveva istantaneamente alzato con ambo le mani, sollevarono un gran polverone e frammenti della roccia che era stata colpita di striscio da uno dei fulmini. Era una tecnica che conosceva bene: era la stessa che Kuja utilizzò contro di loro, e contro la stessa Tera distruggendola.
       «Dove diavo…»
La giovane sciamana non riuscì a finire la frase, che una mano con dita sottilissime sbucarono dalla povere, attorcigliandosi al suo collo, sbattendola violentemente contro la roccia quasi orizzontale. La prima cosa che notò, guardando meglio l’uomo mascherato, era che aveva la coda, uguale a quella di Gidan, però più sul nero. Poi avvicinò la sua faccia mostruosa e gli occhi ocra, simili, troppo simili a quelli del mago nero che aveva ucciso, al volto di Eiko ed esclamò:
       «Oplà, bellezza. Certo che ne hai di coraggio a venirmi dietro così vestita…»
E appena detto questo cominciò con la mano libera ad accarezzargli la gamba destra, salendo fino alla coscia. La situazione poteva davvero sfuggire di mano alla ragazza, che disse una cosa che non riuscì nemmeno lei a capire da dove gli fosse uscita e perché:
       «Se davvero hai tanta voglia di sbattermi, Vivi, perché non lo fai?»
Nonostante l’avesse visto usare la “folgore astrale” che era una delle tecniche maestre di Kuja, nonostante avesse visto che aveva la coda, segno della razza jenoma, in quel momento era convinta di ritrovarsi davanti una sorta di riflesso sbiadito o roba simile del mago nero a cui aveva voluto tanto bene. Eppure mai lui si sarebbe comportato così con lei, neanche se fosse sopravvissuto e fossero diventati amanti. O sì?
Ma accadde una cosa ancora più strana: l’uomo mascherato fermò la mano poco prima del gluteo, ritraendola come se stesse toccando una fiamma rovente o qualcosa di disgustoso, anziché la natica di una ragazza carina come era effettivamente Eiko.
       «Eiko? Che Garland mi fulmini se sei cambiata. L’ultima volta che ti ho vista eri una bimba ancora sporca di latte che agitava quel flauto a destra e a manca… io però mi chiamo Kuja e ricordo che hai combattuto contro di me. Il nome Vivi però non mi è nuovo…»
Prima che terminasse la frase vide Eiko divenire mortalmente pallida, e inizialmente l’uomo mascherato pensò fosse per lo shock o per la paura, ma poi vide il motivo: un frammento di roccia si era mezzo conficcato all’altezza del fegato della ragazza e sanguinava copiosamente.
Poco prima di svenire disse a quell’uomo orribile che si era presentato come la sua nemesi di dieci anni prima e che la stava per violentare da vergine, con lucidità impressionante:
       «…aiutami…»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Niente male, eh? Sono veramente soddisfatto di questo capitolo, ci ho messo tantissimo a limarlo e perfezionarlo ma devo dire che il risultato mi piace assai. In più sono riuscito a rendere le cose ancora più complicate! Aspettate il prossimo capitolo, e ne vedrete ancora delle belle! Aspetto i vostri commenti!
Adioss!! 

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Capitolo 6
*** Sei ***


 
 
 
 

       «Hai sentito di quello che è successo a Lindblum?» chiese la regina.
       «Mmmrhm?» fece il re come risposta da sopra il cuscino.
       «Hai sentito di quello che è successo a Lindblum?» richiese.
        «La tipa dell’osteria è andata a letto con Cid? Eh, prima o poi doveva capitare. Vecchio marpione…»
       «Ma che c’entra la cameriera! Io intendevo…»
        «Certo, mi chiedo con che coraggio una sventola del genere possa andare a letto con uno che invece di dirti frasi eccitanti fa “buri” e “kerò”…»
       «Hai intenzione di ascoltarmi, o cosa?» chiese lei.
       «Lo faccio mai?» ridomandò con un sorriso sghembo Gidan, che ricette una cuscinata in testa. Gli piaceva da matti fare innervosire la sua Garnet. Però per alcuni minuti, la moglie non parlò più. Tanto che Gidan, ormai svegliatosi del tutto, toltosi il lenzuolo di dosso fece per scendere dal letto, e incominciò a mettersi le scarpe. Mentre si metteva la seconda disse:
       «Dai, sì che so cosa è accaduto: pare che ci sia stata un’esplosione nel borgo commerciale. Cid ha diffuso la notizia che la causa è stata una fuga di gas o roba simile, ma nella lettera che mi ha inviato ieri parla di un piccolo meteorite. Eiko sospetta addirittura che qualcuno l’abbia preso per farne qualcosa.»
       «Certo che ne ha di fantasia… però è un risvolto da non escludere. Ce ne sono tanti di meteoriti che hanno un grande potere magico al loro interno. E con così tanti scienziati che ci sono in giro, magari qualcuno può farsi venire l’idea di farne qualcosa di losco.»
       «Beh, io conoscevo una regina bruttona e un tizio strano effeminato che hanno fatto una guerra per quattro di questi sassi…» disse Gidan che aveva ancora voglia di fare lo spiritoso. Però stavolta Daga aveva la risposta pronta:
       «Ed io so che la figlia della regina bruttona e il fratello del tizio effeminato, ora sono circondati da un sacco di persone ricche e belle… e se il fratello del tipo effeminato non la smette di fare lo scemo, rischierà di avere la figlia della bruttona che gli mette le corna con una di quelle…» disse con voce sibilante da serpente. E Gidan facendo un verso d’ira, gettò lo stivale lontano in un gesto di stizza.
       «E che diamine, non si può più scherzare? Mi fai incazzare quando fai così!» urlò.
Per tutta risposta ricevette la risatina di Garnet, che anche lei adorava fare “incazzare” il marito: gli si avvicinò e tiratolo per le spalle lo fece ristendere sul letto, gli si mise cavalcioni, e si chinò con il petto nudo all’altezza del viso del jenoma.
       «Io non lo so proprio perché ti sopporto ancora…»
La vista del re ragazzo, si oscurò di colpo occupata dalla vista di due collinette rosa pesco.
       «Lvami qefte due cofe rotnde dalla faffa.» mugugnò.
       «Come?» chiese Daga alzando il petto.
        «Levami queste due cose rotonde dalla faccia.» disse con la sua solita faccia da schiaffi, prima di baciarla appassionatamente.
        «E dimmi Daga, queste persone ricche e belle, sanno che ultimamente il tuo sedere sta leggermente ingrassando?» chiese accarezzandoglielo, facendola sobbalzare leggermente «Fidati, lo conosco bene, da quando mi è arrivato in faccia…»
        «E tutte quelle persone, sanno che con la barba piaci solo a me?» chiese accarezzandogli il volto ricoperto da una leggera ma presente peluria biondiccia «Hai intenzione di rispondere alla lettera del granduca?»
       «Dopo, dopo…»
Un quarto d’ora, un bacio, una carezza e altre cose dopo, Gidan scese dal letto, si vestì e si diresse in armeria.
 
 
 
Eiko aprì gli occhi di scatto, e vide un soffitto chiaro ammuffito dall’umidità. Alzò di scatto la schiena, sentendo una fitta muscolare al fianco.
       «Piano signorina, ha ricevuto una brutta ferita.» sentì la voce atona di un jenoma in una veste da infermiere. Dopo essersi sistemata il cuscino per rimanere con mezzo busto alzato si guardò intorno: era nella sua stanza di albergo, non ricordava come e quando fosse giunta lì. Dentro c’erano diversi jenoma, sicuramente dottori e medici, e collegata al suo braccio sinistro vi era una fastidiosa flebo. La cosa che calamitò la sua attenzione erano i frammenti di sedia sparsi davanti al tavolo che pareva avesse ricevuto un pesantissimo colpo, tanto era incrinato. Sull’orlo della porta vi era appoggiato Amarant che guardava altrove.
       «Che cosa mi è successo?» chiese con la sua solita voce, per niente indebolita.
       «La sua guardia del corpo l’ha rinvenuta dodici ore fa priva di conoscenza con una brutta ferita al costato, fra la milza e il fegato. L’ha portata qui e stavamo per operarla, quando abbiamo visto che i suoi organi interni inspiegabilmente non avevano subito lesioni, ma la ferita continuava a sanguinare, così l’abbiamo ricucita.»
Nonostante fosse stato interpellato indirettamente, Amarant continuava a tenere lo sguardo lontano dal letto di Eiko.
       «Le abbiamo fatto una flebo per sicurezza, ma il suo organismo sembra essersi totalmente ristabilito: sicuramente la sua abilità di rigenerazione magica ha diminuito il tempo di degenza.»
       «Devo rimanere ancora a letto?» chiese apprensiva la granduchessina.
       «Almeno per mezza giornata.»
       «Scordatevelo. Mi sento già meglio.» e fece per togliersi la coperta.
Fermò istantaneamente il movimento quando si sentì addosso lo sguardo di sottecchi di Amarant.
       «Lasciateci per cortesia.» disse.
Dopo essere tutti usciti, Eiko noto che l’uomo salamandra aveva ripreso la sua attenta analisi delle venature dello stipite della porta.
       «È venuto anche qui, per caso?» chiese Eiko indicando il tavolo rotto.
Non ricevette risposta.
       «Mi sono lasciata prendere dall’agitazione, non succederà più.» continuò.
       «Sono stato io.» disse per la prima volta Amarant, sempre senza guardarla.
       «…ho capito. Mi dispiace, scusami…»
       «Scusami un cazzo!» sbottò fulminandola con lo sguardo.
L’uomo salamandra si avvicinò al letto martoriandosi il viso con la mano destra, nel tentativo di calmarsi.
       «Avevamo fatto un patto… non devi pensare a tutto tu. Sei stata fortunata a non essere stata colpita mortalmente. Meno male che ho visto dove stavi andando.»
       «Non è un mago nero per quanto possa somigliargli: è un jenoma.» cercò di cambiare discorso Eiko.
       «Peggio mi sento. Se era un mago nero almeno magari non gli sarebbero venuti istinti, diciamo pericolosi…»
       «Mi hai visto?» chiese quasi imbarazzata, come se avesse fatto effettivamente qualcosa di cui vergognarsi.
       «No! Perché che è successo?» chiese Amarant, che evidentemente parlava per assurdo.
       «Nulla, mi pare di ricordare che mi ha tenuto ferma contro quella roccia, fatto un paio di apprezzamenti, mi ha accarezzato la coscia mi sembra, e poi mi ha mollata di scatto, forse si era accorto che ero ferita.»
       «Ci mancava solo che ti violentasse! Diavolo, Eiko! Quando ti deciderai a crescere!»
       «Avrei potuto cavarmela anche da sola!» ribatté alzandosi sulle braccia.
       «Da svenuta? Ringrazia che sono arrivato in tempo da tirargli un Rising Sun, sennò avremmo trovato altri liquidi oltre al sangue!» sbraitò l’uomo salamandra, facendo arrossire di nuovo la giovane sciamana. 
       «Comunque, sappi che ho inviato una lettera a Freija prima della festa. Verrà anche lei ad aiutarci.» disse Amarant girandogli le spalle.
       «Cosa? Perché non mi hai avvertita?»
       «Perché volevo evitare altre tue alzate di ingegno. E poi questo tizio mi sembra piuttosto potente, quando gli tirato il Rising Sun è riuscito a fermare l’incantesimo che stava facendo e fuggire via su una sorta di piccola piattaforma volante a forma di disco.»
       «Incantesimo?»
       «Già, non ho visto di che tipo però. Adesso tu pensa a riposarti. Continuerò a raccogliere informazioni. Questo tizio era conosciuto dai maghi, senza dubbio.»
Ma le previsioni di Amarant si rivelarono troppo rosee: dopo aver visto cosa era successo al fabbro, nessuno aveva più voglia di parlare di questo tizio mascherato, e ciò ovviamente riconfermava che c’era qualche legame segreto fra il popolo dei maghi e l’assalitore di Eiko. Quest’ultima, molto prima del tempo di degenza determinato dai medici, era già scesa dal letto e si era vestita con il suo classico completo a metà tra il suo vecchio abito e quello di un operaio: la sua femminilità poco accentuata ma presente e attraente, in quelle vesti era veramente ridotta, al contrario di quando era vestita da sensuale danzatrice. Scese al pian di sotto e pagò il locandiere, dopo aver mangiato qualcosa al volo. Non fece in tempo a uscire, che vide arrivare di corsa l’uomo salamandra.
       «Dobbiamo uscire dal villaggio: un testimone ha visto quel tizio dirigersi a est verso la reggia del deserto; e contemporaneamente un osservatore ha notato delle strane creature che stanno per entrare nel bosco. Qualcosa mi dice che vogliono fermarci.»
      «Che ci provino! Gli romperemo i loro culi canditi a forza di schiaffi!»
Sorvolando sulle strani frasi della granduchessina, l’uomo salamandra gli fece strada. Attraversarono il bosco -ormai abitato veramente solo da civette e non da Zacmal e Zemzelet vari- di gran carriera prima di uscire al sole pomeridiano del continente esterno. Fecero per dirigersi verso la spiaggia poco distante, luogo dove li avrebbe dovuti aspettare Mene per avvertirlo del pericolo, ma videro fuoriuscire dal mare una creatura mostruosa come mai ne avevano viste nel corso della loro avventura: era un’enorme gambero che al posto delle chele, aveva delle zampe di ragno fatte di uno strano metallo scuro, ramificate in due. Aveva più occhi sulla faccia proprio come un aracnide, e la coda piatta era riversata in avanti in maniera del tutto analoga a uno scorpione; ai suoi fianchi, vi erano due palle avvolte in placche di metallo triangolari, che avevano due fori a imitare due occhi a mezzaluna, da cui fuoriusciva una luce cangiante, la stessa che usciva da quelli della chimera.
       «Certo che sono davvero brutti…» commentò a mezza bocca Eiko.
       «Beh, almeno Kuja aveva più gusto…» rispose Amarant.
Poi accortesi delle immense stupidaggini dette, si guardarono e scoppiarono a ridere entrambi. Smisero subito quando con un grande scatto, la creatura metà meccanica e metà organica li assalì facendo uscire dal capo tre spuntoni anch’essi del metallo misterioso. I due saltarono di lato lanciando in contemporanea Amarant un Rising Sun, ed Eiko un sancta più piccolo del solito, ma più veloce da evocare. Entrambi gli attacchi esplosero sul dorso del nemico che rimase immobile, mentre le due sfere metalliche si gettarono una contro la sciamana e l’altra contro l’uomo salamandra. Curiosamente la prima lanciava fiotti di acido magico velenoso e l’altra si manteneva costantemente in volo colpendo di rado Amarant. Eiko però stufatasi della sfida, aspettò un momento di stanca dell’avversario e levitò lontano, preparando un nuovo incantesimo:
       «Lamù, signore delle tempeste, comanda agli elementi che la folgore cada!»
L’invocazione sembrava anticipare l’arrivo di Lamù, lo spirito del tuono tanto caro a Garnet: nubi nere e cariche di elettricità si addensarono nel cielo sopra la sciamana, che issò il braccio destro. Le nuvole si aprirono con un rombo di tuono e comparve il barbuto spirito con la sua inconfondibile asta; ma anziché lanciarla verso il malcapitato nemico, la diresse verso la mano aperta di Eiko che venne circondata da un globo di lampi turbinanti contenuti da una barriera trasparente azzurra. Poi la giovane distese il braccio e lanciò l’incantesimo: un’insieme di almeno dieci fulmini concentrati in un solo raggio colpirono la sfera metallica che venne distrutta dalla tempesta di lampi che l’esplosione generò. I suoi allenamenti le avevano dato una tale simbiosi con gli spiriti dell’evocazione che spesso gli imprestavano i loro poteri. In verità ciò era proibito per gli sciamani, che a differenza dei maghi neri non dovevano trarre energia per le magie dal piano degli elementi, ma ad Eiko non importava e l’ebbrezza di quel potere la ubriacava sempre.
Amarant nel frattempo non se la cavava male: presto aveva capito che aspettare di riuscire a colpire l’elusiva sfera metallica non l’avrebbe portato a nulla. Allora si ricordò dei tanti allenamenti che aveva fatto con Steiner, le cui tecniche erano così diverse dalle sue: il cavaliere gli aveva insegnato che per combattere ad armi pari contro un avversario, bisogna individuare i suoi punti deboli, e approfittarne. Dopo aver girato intorno al nemico, notò che per continuare ad attaccare, la sfera doveva necessariamente girare di cent’ottanta gradi. Aspettò un attacco e parandolo con una mano, schizzò sotto il nemico che non vedendolo, cominciò a girarsi ma troppo lentamente: gli artigli di Amarant perforarono le placche come fosse burro. La sfera cadde a terra, e la luce che fuoriusciva dagli occhi si spense.
       «Direi che abbiamo fini…»
Ma prima che Eiko potesse terminare la frase, fu colpita violentemente da qualcosa che la scagliò lontano. Nel tentativo di rialzarsi, capì che avrebbe fatto meglio a non sottovalutare la ferita che aveva ricevuto nell’incontro con l’uomo con la maschera di Antoleon, poiché ricadde a terra con una dolorosa fitta la fianco. Vide da lontano Amarant che teneva fermo con entrambe la mani con tutte le sue forze due delle zampe di ragno dell’enorme chimera, che evidentemente non aveva subito grandi danni dall’attacco combinato precedente. I piedi dell’uomo salamandra non trovavano appiglio sulla rena della spiaggia, e le mani fumavano tanto il metallo delle appendici era permeato di magia velenosa; il gambero presto ebbe ragione della presa indebolita dell’uomo salamandra che giaceva in ginocchio tenendo ancora le due zampe che si liberano e colpirono violentemente dall’alto in basso la testa scarlatta di Amarant. Eiko intanto cercava con tutte le forze di rialzarsi, ma riusciva solamente a strisciare verso l’amico che sembrava ancora cosciente: ne ebbe conferma quando il gambero conficcò nella schiena una delle due zampe riunendo la ramificazione in un grosso cuneo, facendolo mugolare di dolore.
        «No…noo!! Amarant!!» urlò la giovane sciamana, che con l’aiuto di un “levita” riuscì a rialzarsi. Il bel viso si era corrugato in una maschera iraconda solcata da lacrime, e lentamente il suo fisico cominciò a trasformarsi. Dalla schiena, iniziarono a spuntare delle ali d’uccello composte solamente di luce, il vestito da combattimento cominciò a diventare una veste da mago di colore bianca con ghirigori dorati, il corno venne permeato da una luce splendente; i capelli di Eiko cominciarono a crescere e a divenire ricchi di boccoli e a permearsi anch’essi di una luce dorata. Prima che riuscisse a terminare la trance, il viso della chimera improvvisamente esplose, e si ritrasse dal corpo di Amarant che teneva la mano insanguinata issata.
       «Mi dai… già per morto?» disse.
La creatura sembrava stesse per crollare, ma improvvisamente da dentro le corazze sferiche uscirono due fiotti magici di un colore che cambiava, dal giallo, al verde, al rosso, al viola, al blu, lo stesso che usciva in precedenza dalle aperture a forma di occhio. Congiungendosi sul corpo della chimera, divenne un pallone con diverse fasce colorate che stava caricando un incantesimo. Eiko era sul punto di calmarsi, ma all’improvviso venne colta da un istinto che non l’aveva mai colta: voleva uccidere quell’essere. Non fermarlo, non batterlo, voleva vederlo morire davanti ai suoi occhi con il sangue  –se ne aveva– uscire dal suo corpo mostruoso. Dal punto del fianco dove aveva ricevuto la ferita, comparve un misterioso simbolo nero che emanò una luce rossa scura che permeò tutta la trance, cambiando ulteriormente il corpo di Eiko: i capelli divennero castano scuro, gli occhi cambiarono in un rosso sanguigno, il corno sembrò incurvarsi e scurirsi, le ali che sembravano bianche divennero nere come quelle di un corvo, il vestito diventò grigio scuro, e le decorazioni rosse. Sopra le dita dei guanti di pelle si formarono artigli metallici. La pelle di Eiko invece che illuminarsi, ritornò alla tonalità normale, e dalla bocca uscì un acuto urlo che smosse la terra e fece tremare le querce secolari. La sciamana, anche se difficilmente poteva essere definita così, si scagliò contro la chimera e ficcò gli artigli dentro i pochi occhi che ancora aveva nel volto, e con una forza incredibile la sollevò schiantandola al suolo di schiena. Amarant, vedendola rimase stupefatto: dove era finita la piccola e sprezzante sciamana, mingherlina e debole, incapace persino di tirare uno schiaffo? Dinanzi a lui si stagliava una specie di strega, che riluceva di un’aura scarlatta e nera, che sprizzava cattiveria da ogni poro. Ebbe una sensazione simile quando si trovò di fronte a Trivia, il terribile dio della morte. Eiko poi strappò a mani nude le zampe della bestia che strillò un verso gorgheggiante simile a quello di un tacchino, ma smise quando la granduchessina le infilzò nel suo ventre molle. La sfera multicolore stava per darsi alla fuga, ma dalle mani di Eiko uscì un raggio nero a forma di arco, con strane protuberanze amebiche intorno che disintegrarono il pallone, generando una stranissima luce. Eiko si girò intorno, come per vedere se rimanesse ancora qualcosa da sterminare e vide Amarant, che per la prima volta da molto tempo ebbe paura. Invece, misteriosamente, il viso corrugato si distese lentamente e iniziò a camminare verso di lui con gli occhi sbarrati. Mentre camminava, la luce rossa cominciò a ridursi e gli abiti e l’aspetto di Eiko tornarono normali.
       «Uhm?» fece «Merda, Amarant!» e si precipitò a lanciargli una magia di recupero.
Dopo che Amarant si fu ripreso le chiese:
       «Cos’era quello?»
       «“Quello” cosa?»
       «Ti sei trasformata.»
       «Non mi hai mai visto entrare in “trance”?»
       «Non così perdonami. Anche questo è merito degli allenamenti?»
       «Riconosco che stavolta ero un attimo più violenta del solito…» disse.
       «Poco?! Gli hai cavato gli occhi, strappato le gambe e infilzatolo con quelle, e mi dici “poco più violenta del solito”?»
Eiko per tutta risposta fece spallucce. Amarant invece non era per nulla convinto.
       «Quando arriveremo a Madain Sairi, termineremo il discorso.»
 
 
 
Gidan entrò in armeria imprecando da solo.
       «Possibile che Monsciù quando non c’è non tiene in ordine il materiale per scrivere?»
Nel cercare, passò davanti due armadi ricolmi di elmi, guanti e divise Plutò. In mezzo a questi un uomo osservava il giovane re di Alexandria che gli dava le spalle, ed estrasse una strana scimitarra bianca con diversi tagli e spunzoni.
       «Certo che voi sicari non conoscete più il significato della parola “circospezione”, vero? Conosco gente che non si sarebbe mai fatta notare in quel modo.» disse Gidan sprezzante. L’uomo, che indossava una mostruosa maschera rossa scura, sferrò un colpo che tranciò in due il tavolaccio dove poco prima c’era l’ex-Tantarus.
       «Chi ti manda? Il comitato di conservazione della specie degli Antoleon?» chiese Gidan che quella mattina si era davvero svegliato spiritoso «Effettivamente ne abbiamo fatti fuori diversi al povero Kuja.»
       «Carina.» ammise l’uomo mascherato «Non ho mandanti. Sono qui per scoprire chi sei…realmente.»
Capendo che quell’uomo non voleva semplicemente ucciderlo, e intuendo che forse poteva centrare qualcosa col meteorite scomparso di cui Cid parlava nella lettera, prese una delle daghe con cui aveva viaggiato in passato che riponeva in armeria per sicurezza e si mise in guardia.
       «Il prossimo che mi dice che non devo mettere l’Ultima Weapon in armeria, che è il suo posto, lo strangolo…»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Come avete notato, se ci siete ancora miei affezionati lettori, non ho introdotto la mia solita introduzione, poiché volevo proprio lasciarvi interdetti con la scena tra Garnet e Gidan. Stavolta sono riuscito a pubblicare con più velocità, proprio per non lasciarvi ulteriormente con l’amaro in bocca. Non so fra quanto tempo pubblicherò il prossimo capitolo, ma giuro che farò il possibile affinché non sia troppo. Nel frattempo risponderò alle vostre recensioni, che aspetto numerose!
 
 
Arrivedooorci!!!

 

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Capitolo 7
*** Sette ***


 

Un saluto dal sempre –spero– vostro The Alex! Dunque, questo capitolo è una sorta di flashback, diviso temporalmente in due pezzi. In verità avevo in mente di metterli dentro ad altri due capitoli, ma mi sono reso conto che sarebbero risultati troppo lunghi. Questo capitolo è parecchio importante, e riuscirà a mettere a posto altri pezzi del puzzle della trama. Alla lettura!
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
A largo del continente dimenticato. Il sottosuolo. Un mese fa.
 
 
 
Sotto la superficie di permafrost, Goldenteeth aveva costruito un enorme bunker che avrebbe dovuto ospitare le sue più grandi e forti creazioni: era abbastanza capiente da poter contenere l’Invicible e l’Hilda Garde III insieme, e forse ci sarebbe avanzato altro spazio. Al suo interno aveva predisposto un intricatissimo sistema di catene e carrucole metalliche, che partiva dai muri laterali e convergeva verso il basso in un vertice centrale, proprio sotto un grosso generatore di elettricità statica che tramite dei conduttori più piccoli riversava l’energia –che probabilmente avrebbe tenuto accesa da sola Lindblum per tutta una notte – sull’unico abitante dell’enorme sala. Ma non era un esperimento, e senza dubbio non era un mostro: era un uomo di mezza età con gli occhi grigi con le occhiaie ed infossati da tante ore di veglia e di  scarsa illuminazione; il torso nudo, muscoloso e ben delineato per la sua età apparente, era costellato di tatuaggi che ricordavano i disegni delle armature mitologiche dei demoni; i capelli grigiastri e neri gli occupavano la fronte spaziosa e il naso aquilino. Le catene erano collegate a delle grosse manette che lo tenevano sollevato a pochi centimetri dal suolo, e lo bloccavano ai polsi, alle braccia, alle gambe, alle caviglie e al bacino. I pochi tentativi di forzatura che aveva tentato si erano rilevati tanto inutili quanto dolorosi. Non sentiva fame, o altri bisogni fisiologici che una qualsiasi altra persona avrebbero provato stando imprigionato per diverse settimane in quella posizione. Era stremato invece dalla continua elettricità che gli impediva di evocare incantesimi e di trasformarsi. Già, perché quella non era l’unica forma che poteva assumere: egli anni prima era un essere enorme e mostruoso, simile ad un demone, seduto su un trono ed incatenato ad esso da millenni. Era rimasto per tantissimo tempo in una dimensione parallela prima di essere scoperto e battuto da un certo gruppetto variopinto di otto persone.
Dal fondo della sala entrarono i responsabili della sua prigionia. Erano due: uno era una persona di media statura che indossava una maschera rossa da cui partiva un folto mantello di pelliccia color sabbia; l’altro era una persona anziana un po’ più bassa, con un camice da scienziato e sotto una divisa da mago simile a quella del compare.
       «Allora, il nostro ospite ha intenzione di parlare?» chiese l’anziano al più giovane.
       «Non saprei Goldenteeth. A quanto pare la stanza non è di suo gradimento nonostante i comfort. Eppure dovrebbe sapere che senza la sua sapienza non possiamo né procedere, né liberarlo.»
L’uomo incatenato rizzò lentamente la testa, facendo rifluire di lato i capelli.
       «Stavate parlando di me?» chiese un po’ intontito cercando di fare un sorriso sarcastico.
       «Certo, con chi altri?»
       «Non ho intenzione di aiutarvi.» rispose riabbassando la testa.
       «Credo che dovremmo rinfrescarli la memoria, Kuja.»
       «Penso anch’io. Come hai potuto vedere dal nostro incontro, sappiamo tutto di te: Hades, ex-sacerdote di Esto Gaza, conosciuto come il fabbro fantomatico, autore di tantissimi artefatti definiti armi finali perché ponevano “fine” ai conflitti. Spesso creando casini aggiungerei.»
       «Andavo dove mi chiamavano…»
       «Certo, sei un professionista dopotutto. Uno di questi casini però ti ha fatto sparire dalla scena per un po’ di tempo, facendoti diventare una specie di mostro. Colto dalla vergogna sei fuggito in una dimensione parallela.» prese la parola Goldenteeth.
       «Come fate a saperlo?» chiese Hades sgranando gli occhi. Solo quel ristretto gruppo di persone sapeva del suo passato e della sua esistenza, ed erano le stesso che sconfiggendolo nel mondo dei ricordi dieci anni prima, lo avevano liberato dalla forma demonica in cui era imprigionato. Gli stessi poi lo richiamarono quattro anni dopo, per aiutarlo a sconfiggere il redivivo Trivia, che aveva preso possesso del corpo di uno di loro (cfr. The Ultimate Weapon, raggiungibile da questo link:http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=436097).
       «Nella biblioteca che c’è nella reggia del mio amico, abbiamo trovato molti libri proibiti che parlano di te, e della tua misteriosa scomparsa di cinquecento anni fa. Nello stesso periodo, fu rinvenuto nel villaggio di Madain Sairi una misteriosa iscrizione, sicuramente tua. Era una specie di lascito dove cercavi di mantenere la gente lontano dalle tue creazioni, soprattutto l’ultima, anzi la “Ultima”. Ed io ho l’impressione che l’hai fabbricata proprio per Trivia.»
Hades non rispondeva, aveva rialzato lo sguardo ponendo grande attenzione.
       «Non c’è voluto molto tempo per fare due più due. Così abbiamo pensato di cercarti. Vedi, vogliamo controllare un’enorme fonte di energia per il nostro piano, e quindi sempre tramite quei libri proibiti abbiamo letto di un tentativo simile fatto da una popolazione antichissima, più antica del clan degli sciamani: vollero creare una creatura magica, una golem come si dice, che catalizzasse un certo quantitativo energia pura, in grado di  fermare il decadimento che Gaya stava subendo per il tentativo di fusione di Tera. Non riuscendoci, diedero vita ad un vero e proprio “spirito dell’invocazione artificiale” che si è incarnato in un pallone da circo, ingrandendosi. Bizzarro, non trovi? Lo spirito si chiamava Ozma, e per millenni nessuno ne ha più sentito parlare. Volevamo trovarlo per studiarlo e capire come fosse fatto, ma farlo da vivo era impossibile. E poi, avevamo bisogno della tua bravura di fabbro. Immagini anche tu a che cosa, vero?»
       «Non lo immagino, me l’hai detto mille volte: vuoi che ti crei uno scettro che possa amplificare l’energia magica. Però io sono riuscito ad incontrare Ozma per avvertirlo, ricordate? Sapete, non sarò uno spirito dell’invocazione, ma certi poteri telepatici li ho.»
       «Prendemmo due piccioni con una fava invece: sapevamo dove si trovasse Ozma, ma tu eri molto recalcitrante. Il resto lo sappiamo tutti: lo spirito ti ha attaccato ed entrambi siete quasi morti nello scontro. Ma noi ti abbiamo salvato e curato, e sai perché? Perché Ozma da vivo non ci serviva a nulla. Abbiamo estratto il suo potere e l’abbiamo analizzato per creare potenti alleati, metà macchina e metà mostro. Io lo chiamo “la progenie di Ozma”. E tu, mi aiuterai a fare di questo meteorite…» disse mostrando ad Hades una pietra violacea molto luminosa grossa quanto la palla di un lampione «… lo strumento per creare la stirpe perfetta.»
 
Una settimana dopo
 
 
         «Goldenteeth, il fabbro ha deciso di aiutarci.» disse Kuja entrando nella stanza dell’anziano scienziato.
       «Dopo tutto questo tempo si è finalmente convinto…»
       «Posso capirlo: ha il potere di una semidivinità: può essere ucciso, ma fisicamente è immortale. Non trarrebbe alcun vantaggio dal rimanere in eterno in quella prigione statica in cui è intrappolato.»
       «Andiamo ad incontrarlo allora. Portiamolo all’osservatorio.»
Hades fu liberato da Kuja, ma ai polsi portava ancora quelle manette magiche infuse di elettricità statica che gli permettevano di muoversi ma che limitavano notevolmente la sua forza. Fu portato in un’altra sala, più piccola della prigione-laboratorio in cui era stato carcerato: al suo interno vi era un macchinario fantascientifico simile ai primissimi computer. Aveva diversi schermi e bottoni, ognuno con dati e scritte. Le banche-dati circondavano un telescopio fatto di metalli diversi, alto quattro metri collegato con dei tubi agli altri macchinari. Goldenteeth guardava al suo interno.
       «Ah, benvenuto Hades, fabbro fantomatico! Benvenuto, al centro del mio laboratorio: questo è lo spettro-magico, costruito con tecniche jenoma su base dell’antico telescopio ancestrale del villaggio degli sciamani.»
Hades fu curioso di sapere cosa intendesse per tecniche jenoma, ma suppose che fosse stato la persona presentatosi come Kuja a fornirgliele. Ma possibile che quell’essere abbastanza prestante e basso di statura fosse il “fratello” di Gidan redivivo? Lui, per quanto strani, aveva più gusto nello scegliere i vestiti. E poi quegli occhi gialli…
       «Non penso che vi limitiate a guardare le stelle con questo…» disse Hades osservando il macchinario.
       «Perspicace. Devi sapere che molti degli oggetti celesti che circondano Gaya hanno un potere magico al loro interno, la maggior parte catalizzatore. Certi aumentano il calore, altri come fu il gioiello ancestrale, amplificano il potere dell’invocazione. Derivano anch’essi dalla mancata fusione con Tera di millenni fa. A me serviva qualcosa che aumentasse la forza magica. Vedi, io ne sono quasi del tutto sprovvisto mentre ne ho un grande bisogno. Allora ecco l’utilità di questa macchina: essa non permette solamente l’individuazione di questo e quel meteorite magico, ma anche di capire di che tipo sia, grazie alla rifrazione della luce. Questo tipo di luce ha una certa frequenza, che sono diverse l’uno dall’altre.  Io lo chiamo “spettro magico”. E ne ho trovato uno, che aveva uno spettro altissimo maggiore di tantissimi altri che avevo tentato di ottenere.»
       «“Tentato di ottenere”?» chiese Hades alquanto interdetto. 
       «Esatto, una volta individuato… ma lascia che Kuja te lo mostri.»
E Goldenteeth pigiò un tasto che fece abbassare la parete di fronte all’apparecchio, mostrando il panorama ghiacciato di un’isola del continente isolato, con la neve che impattava sul vetro che scese al suo posto. Poi si mise al comando del telescopio e tracciò su un foglio diverse coordinate. Sul soffitto, si accese una mappa stellare che rappresentava in maniera incredibilmente precisa l’anello roccioso che circondava orizzontalmente Gaya, parte dello spazio circostante, e un pezzo delle due lune; diverse sezioni degli anelli erano indicate come “magici”, “catalizzatori”, “ghiaccio”, eccetera. Uno dei settori s’illuminò e la luce investì Kuja che la raggruppò fra le mani. Sul suolo sotto di lui, comparvero delle strane formule incastonate in un paio di cerchi rituali. Erano poche le magie che funzionavano così, ed erano quelle proibite. Poi Goldenteeth disse:
       «Settore roccioso 5. Oggetto numero 009 777 443; quindicesima fila ascendente, quarta discendente. Trovato?»
Le cifre presenti nelle formule del cerchio magico slittarono a velocità impressionante fino a fissarsi nella serie detta dall’anziano scienziato.
       «Sì. Obbiettivo, continente isolato, pianura di luogo.» pronunciò l’uomo con la maschera di Antoleon. Poi abbassò violentemente il braccio sinistro, accompagnando il movimento con la piegatura di metà corpo.
Goldenteeth indicò ad Hades il cielo. Pochi secondi dopo si vide una piccola scintilla bruciare nel blu dell’isola e impattare poco lontano.
       «Vedi, con questo potere, noi potremmo benissimo controllare il più grande masso del cielo, e scaraventarlo sul pianeta.» finì Goldenteeth.
       «Ahia, questa l’ho già sentita.» pensò Hades.
       «Ma non ho assolutamente bisogno di scatenare un disastro, per quello basta una semplice magia Meteo. Questo incantesimo proibito permette di interagire con qualsiasi frammento dell’etere, e solo chi ha un grosso potere magico, come il nostro Kuja, può usarlo. Ed ora veniamo a noi: quella che ti ho mostrato è la pietra con più capacità catalizzatrice che abbia mai trovato. Il tuo compito è, primo, aumentarne se possibile le capacità, due, modificarla in maniera che possa contenere stabilmente una potente forma di magia, tre che funzioni anche come arma. In un’altra sala ti ho munito di pietre, gemme e metalli vari. È ovvio che se solo proverai a progettare qualcosa che non rientra nei tre punti che ti ho detto, ritornerai in prigione e non esiterò ad ucciderti e ad usare il tuo, di potere.»
 
 
        «Ho bisogno di un’arma.» esordì Kuja entrando di soppiatto nella stanza in cui Hades stava lavorando notte e giorno per tentare di uscire da quella situazione.
        «Non hai sentito cosa ha detto il tuo capo? Non posso creare altre cose che non sia il contenitore di quella gemma.»
       «L-lui non è il mio capo!» rispose l’uomo mascherato sdegnosamente.
       «Va bene, va bene. Resta il fatto che non posso crearti un’arma dal nulla. I materiali Goldenteeth me li ha dati ma non potrei crearti un’arma decente. Poi per quello che mi ricordo sei un mago, no?»
       «Sì, ma devo incontrare un guerriero. Da solo. Mi basta che tu modifichi questa. Deve diventare un’estensione del mio corpo.»
E gli mostrò una scimitarra tutta bianca, fatta di diverse ramificazioni, che pulsava di potere magico. Una buona arma, ma non certo come quelle fatte da Hades.
       «L’ho trovata nella mia reggia del deserto, ma non ricordo se l’ho fabbricata io. Deve riuscire a convogliare il mio potere in modo che possa eseguire attacchi magici.» continuò Kuja.
       «Per farlo ho bisogno solo di due cose: una gemma che ti sia cara, e una goccia del tuo sangue.»
La testa mascherata di Kuja calò un secondo, poi prese dalla tasca una pietra blu, incastonata in vetro decorato a forma di rombo e gliela mostrò.
       «La famosa pietra Gulgu… non mi è mai capitato di operare con una gemma simile. La applicherò sulla lama in modo che possa essere degna di essere adoperata da te. Ma a cosa ti servirebbe?» chiese Hades.
       «Voglio vedere se riuscirò a raccogliere le mie scintille di memoria.» rispose.
      
 
 
 
 
 
 
 
Come avrete notato, in questo capitolo do finalmente un senso al titolo della fanfiction (“sparking memories”, memorie frammentate oppure scintille di memoria). Il link che ho messo porta alla mia altra fan fiction,The Ultimate Weapon, che come già vi ho detto non è necessario leggere per capire meglio questa. È solo un’aggiunta che magari se siete più curiosi sulla figura (inventata da me, ovviamente) di Hades, potrete leggere. Vi ringrazio della pazienza, e vi ricordo di commentare, commentare, commentare! Risponderò a tutti!
 
 
    

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Capitolo 8
*** Otto ***


I colpi di scimitarra e di daga si susseguivano velocemente e senza posa, e gli occhi dei contendenti trasudavano sensazioni diverse: Gidan sembrava quasi incuriosito dal fatto di aver trovato un jenoma così stranamente simile a un umano nonostante la coda, mentre invece l’uomo mascherato era seriamente irritato. La sua scimitarra incantata non funziona come doveva: doveva essere in grado di convogliare il suo potere e di sferrare colpi magici, cosa che non riusciva a fare contro un avversario veloce come era l’ex Tantarus. Le lame cozzarono per l’ennesima volta, e stavolta Kuja tentò di usare la forza. Gidan non sembrava per nulla preoccupato, nonostante le braccia gli tremavano per lo sforzo.
       
 «Allora non sei un granchè… chissà per quale motivo ho pensato che fossi più potente.» provocò il giovane re.
 L’altro non rispose.
       «La spada è carina, ma sembra un’opera d’arte più che un’arma. La gemma però mi ricorda qualcosa… vediamo un po’.»
Gidan diede uno scossone all’arma avversaria che vibrò talmente forte che rischiò di andare in faccia a Kuja. Poi con un colpo caricato, spezzò in due la scimitarra e parte della maschera di Antoleon, che cadde a terrà squarciata.
       «No!No!No!» urlò ripetutamente l’avversario addossandosi alla parete cercando istericamente di coprirsi il volto.
Improvvisamente Gidan provò pena per lui. Raccolse la pietra blu al cui interno risplendeva una goccia di liquido rosso e la esaminò: non c’era dubbio, aveva visto bene, era la Pietra Gulgu. Gli si avvicinò e chiese:
       «Chi sei? Perché hai tentato di uccidermi?»
       «I-io… non avrei m-mai tentato di ucciderti… volevo solo…c-capire.» rispose cambiando totalmente tono di voce: dall’uomo arrogante si trasformò in un bambino insicuro.
       «Capire? Cosa?»
L’uomo si aggrappò con forza al colletto della camicia di Gidan.
       «Capire il p-perché! Perché un m-momento sento in me una paura folle di m-morire e l’altro mi s-sento appagato come se lo fossi? Perché sogno di a-aver rapito una ragazzina e poi dopo v-vedo che giochiamo insieme? Spiegami Gidan!»
L’ex tantarus era del tutto basito: davanti a lui c’era una copia quasi esatta del fratello Kuja, solo che aveva i capelli neri e più setosi, la carnagione più scura, quasi nera, e la corporatura più mascolina. I lineamenti del volto erano leggermente più tondeggianti, ma furono gli occhi, a cui prima non aveva dato particolarmente attenzione, a colpirlo di più: avevano la stessa tonalità di quella dei maghi neri. Anzi, per essere precisi erano identici a quelli di…
       «P-perché penso che tu sia mio fratello, e poi mi r-ricordo di quando mi cantasti una f-filastrocca sull’eterna amicizia? Chi sono io?»
       «…Vivi?» uscì dalla bocca di Gidan: più che averlo pensato fu un riflesso condizionato «Kuja?» ridisse. Era come se avesse di fronte a se due persone in una.
       «Ho parlato troppo.» si rialzò recuperando in maniera impressionante la compostezza. In quel momento ricordava di più il jenoma. «Aveva ragione Goldenteeth, avrei fatto meglio a non venire. Tanto Garnet non ci serve.»
       «Goldenteeth? E cosa intendi per “Garnet non ci serve”? Allora perché Eiko sì? Perché avete trafugato quel meteorite? Cosa volete farci?»
L’uomo presentatosi come Kuja, si diresse verso la finestra aperta, girò lo sguardo e disse atono:
       «Se davvero tenevate a Kuja e a Vivi, non tentate di fermarci. I frammenti di memoria sono già stati raccolti.»
E prima di lanciarsi su uno strano disco volante con delle zampe di ragno che lo portò via, riportò telepaticamente alla sua mano la pietra Gulgu.
Gidan rimase più confuso che persuaso.
 
 
 
 
 
Il continente esterno. Fuori dal bosco delle civette. Ora.
 
 
 
 
 
 
 
Il mezzo di trasporto di Mene arrivò poco dopo la battaglia che Amarant e Eiko avevano sostenuto. Era ad esclusivo uso dei moguri e dei loro amici più vicini: era composto da uno scafo di una nave di piccola stazza, che aveva quattro posti a sedere, escluso quello del conducente; dal centro di essa partiva una colonna di legno alta quattro metri, collegata a dei tiranti di legno che partivano dal bordo della nave, e dalla cui cima partivano dei raggi che terminavano in una ruota grande il doppio della barca. Ad ogni raggio, otto in tutto, era collegato un chocobo che volando in avanti seguendo una radice di erba Ghisal riusciva a far sollevare l’imbarcazione, che era regolata da una barra posta alla prua dello scafo. In parole povere, era una sorta di elicottero… anzi, un’ eli-chocobo.
       «Ma non gli gira la testa?» chiese sarcastico Amarant osservando i pennuti.
       «Che te ne importa, kupò? Allora, dove vogliamo andare Eiko?»
Eiko montò sulla nave e letteralmente crollò sul sedile, facendo preoccupare non poco Amarant che ancora cercava di trovare spiegazioni razionali all’inaudita ferocia e alla misteriosa trasformazione accaduta alla giovane sciamana.
       «Madain Sairi. Devo controllare l’osservatorio e consultare i troll sciamani.»
I troll sciamani erano una razza diversa dai troll classici che si trovavano nel continente esterno: erano discendenti della stessa razza di Gilgamesh, l’essere con quattro mani, e per molto tempo erano vissuti nei boschi e nelle foreste intorno Madain Sairi, perfino sottoterra, fin quando la “nebbia”, nociva per la loro salute, li aveva quasi del tutto decimati. Erano più piccoli e magri, ed avevano il viso leggermente diverso, più simile a quello di un umano, con le e il naso orecchie che i troll normali non avevano. Insieme a tantissime persone venute da ogni dove, Madain Sairi stava rinascendo, ed erano riusciti a ricostruire persino il vecchissimo telescopio spaziale.
Nonostante l’enorme peso apparente, i chocobo dorati cominciarono a volare in circolo sempre più velocemente, facendo librare lo scafo da terra.
       «Pensi che Rokhan possa sapere qualcosa di questo meteorite?»
       «I troll sono fra i pochi rimasti su Gaya a conoscere le arti del clan degli sciamani, e consultano le stelle da diversi anni ormai. Difficile che non abbia visto questo meteorite misterioso.»
       «Allora hai intenzione di lasciar perdere quel tizio mascherato?»
       «Se mi vuole cercare che venga. Stavolta sarò pronta.» rispose Eiko dopo aver assunto una strana espressione, come se sperasse che accadesse.
Il mezzo, nonostante la sua bizzarra forma, si sollevò rapidissimamente e cominciò a dirigersi verso l’isola. Improvvisamente dabbasso si sentì un violento fragore, ed un globo fiammeggiante esplose contro uno dei chocobo, che lanciando uno stridio raccapricciante, si carbonizzò insieme a parte del marchingegno che costituiva “l’elica” del veicolo. I restanti pennuti terrorizzati, non volavano più nella direzione che dovevano seguire, e si liberano dalle cinghie che le tenevano bloccati, fuggendo in ogni direzione. Il veicolo era ormai in balìa della sola forza di gravità. Il povero Mene urlava frasi di pericolo terrorizzato, ma Eiko lo invitò alla calma.
       «Mene, mantieni dritta l’imbarcazione!»
       «Che hai intenzione di fare?» chiese Amarant nel vano tentativo di aggrapparsi a qualcosa di saldo in quel proiettile in caduta libera che era divenuta l’eli-chocobo.
       «Farò in modo che questa bagnarola non cada!»
E si alzò in piedi, nonostante lo scafo avesse assunto un orientamento verticale e allungò le braccia: lo scafo venne permeato da una luce dorata e alcune aluccie d’angelo tentarono di risollevare lo scafo che iniziò a rallentare.
       «Stiamo per morire, kupò! Noi moguri non sappiamo volare in caduta libera! Ci schianteremo, kupò! E non mi sono neanche dichiarato a Moliscia, che disgrazia kupòòòòò!» urlò il moguri.
       «Vuoi star zitto?! Non moriremo! Se riesco a mantenere il “levita” ci poggeremo su quell’albero!»
Non fece in tempo a finire la frase che la luce scomparve con uno strano effetto sonoro simile a quello di un trombone che fa una stecca. Eiko aveva finito la potenza magica. Lo scafo riprese la caduta con velocità.
       «Ok. Ci schianteremo.» concluse algida Eiko.
       «AAAAAAAAAHHH!!!» urlarono i tre.
Quando ormai la fine sembrava essere giunta, lo scafo di legno venne circondato da degli spiriti a forma di drago serpentino, di un colore grigio chiaro che li faceva sembrare di una delicatezza e di una potenza allo stesso tempo incredibile. Gli spiriti fatui frenarono la caduta libera di ciò che rimaneva dell’eli-chocobo e lo depositarono lentamente a terra, vicino ad un masso, dove era seduta una figura familiare vestita con un abito rosso e una lancia con la punta simile al muso di un drago in mano.
       «Ma quand’è che voi ragazzi imparerete a volare? O almeno ad atterrare!» dichiarò con la mano fra gli occhi verdi, nel classico gesto di perplessità.
        «Freija! Ci hai salvato la vita!» urlò Eiko con gli occhi ancora sgranati dalla paura.
       «A dopo i ringraziamenti! Ora dobbiamo occuparci di questo qui!»
Poco più avanti, arrivò dinanzi a loro il responsabile della scampata morte di Eiko Amarant e Mene –che giaceva svenuto con gli occhi a girandola poco più in là–. Era uno zombie-dragon ricoperto di scaglie metalliche, con delle ali più simili a quelle di un pipistrello, fatte di un liquido nero simile a catrame, ma che puzzava semplicemente di…morte. Infatti da esse uscirono due cadaveri putrefatti che ricordavano degli umani, ma avevano entrambi delle braccia e delle gambe che probabilmente erano frutto del pasto che il drago aveva fatto poco prima. I tre non-morti caricano ognuno un avversario: intanto il drago meccanico stava preparando un altro incantesimo.
Gli zombie sputarono un liquame nero sicuramente velenoso, ma che era come acqua fresca per i tre eroi che avevano affrontato ben altro nel tempo in cui salvarono Gaya: infatti le tre creature, stupite, caddero facilmente sotto i colpi di artigli, lancia, e attacchi sacri di Amarant, Freija e Eiko. Restava il drago: colpirlo sembrava facile, quel tipo di fiera non riusciva a muoversi mentre caricava la magia, ma i tre guerrieri rimasero sbigottiti da quello che videro: la testa del drago si stava aprendo in due e così stava facendo anche il collo e parte del busto; dall’interno del corpo fuoriuscì un’enorme cannone con migliaia di applicazioni metalliche, un gioiello tecnologico mai visto su Gaya. L’energia che stava caricando all’interno della bocca di fuoco era avvertibile nell’aria, che quasi tremava anch’essa per la paura. Per fortuna era anche molto lento, e il colpo di laser venne evitato per un pelo dai tre, andando a colpire una montagna vicina che venne forata da parte a parte.
       «Incredibile!» esclamò Freija.
       «Se non ci fossimo tolti, saremmo stati disintegrati! Ma che razza di incantesimo è?» chiese Amarant.
       «Voi intrattenetelo. Adesso gliene faccio uno io!» urlò Eiko allontanandosi con un salto. Intanto il muso del drago stava ritornando com’era e Freija ed Amarant decisero di approfittarne.
       «Ehi lucertolone, da quand’è che non facciamo più uno “strike di potenza”?» chiese la draghiera.
       «Da troppo, muso di topo.»
E Amarant mise entrambe la grandi mani a coppa, e Freija ci saltò sopra rannicchiata. Poi con un’enorme slancio la tirò letteralmente  contro il drago. La burmeciana venne circondata dagli spiriti dei draghetti che prima avevano controllato la caduta della nave, e colpì l’ala sinistra della chimera meccanica, che venne troncata di netto. Imprecò, aveva sbagliato mira: la bestia urlò di dolore e di rabbia, e benché ferita sferrò un colpo con le zampe artigliate che ricordavano quelle di un grifone. Arrivati a qualche centimetro dal corpo della draghiera l’arto della fiera esplose, cortesia del Rising Sun che Amarant le aveva lanciato.
       «Ifrit, dio delle fiamme e del fuoco infernali, dammi la forza per distruggere questi immortali!»
L’invocazione di Eiko sembrava anticipare l’arrivo di Ifrit, lo spirito del fuoco. Il terreno vicino a lei si disintegrò e da esso uscirono le altissime fiamme del cane infernale, che invece di andare ad investire il nemico, confluirono in un globo infuocato, che Eiko scagliò contro il drago-zombie che venne distrutto dalla tempesta di fuoco che l’esplosione generò.
Freija ed Amarant rimasero di stucco: avevano già visto per esperienza diretta la potenza di Ifrit, ma questo incantesimo più simile ad un Firaga era tutt’altra cosa. La sciamana camminò claudicante verso i due, sembrava spossata.
       «Non pensavamo fossi in grado di evocare Ifrit.» riuscì a dire Freija.
       «Infatti: per richiedere l’aiuto degli spiriti bisogna avere un legame molto stretto con loro, che con Ifrit io non ho. Gli ho solo chiesto di “imprestarmi” il suo potere: non ho bisogno di forza magica per farlo. Basta solo un po’ di forza di volontà.»
       «Ma perché non hai invocato uno dei tuoi?»
       «Troppo lenti, e non efficaci.» rispose sbrigativa Eiko che dopo aver aiutato i due a rialzarsi disse:
       «E poi volete mettere l’effetto scenico spettacolare?»
Mentre lo diceva, anche se visibilmente spossata, i suoi occhi rilucevano di un bagliore che alle sue guardie del corpo non piacque per nulla.
 
                                                       
 
 
 
 
 
Niente male, eh? Eiko quando ci si mette da calci in culo meglio di uno stregone! E l’uomo misterioso? È davvero Kuja? E allora perché ricorda Vivi? Rispondete a questi interrogativi!
p.s: il ritardo è dovuto per via di altri impegni. Cercherò di caricare a scadenze di trenta giorno più o meno. Domando scusa, e comprensione.  

 

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Capitolo 9
*** Nove ***


Arrivarono a Madain Sairi il pomeriggio del giorno dopo: in quei dieci anni, il vecchio villaggio degli sciamani era stato quasi del tutto ricostruito grazie alle opere di restauro volute da Eiko e da Garnet, e da lontano sembrava una sorta di abete color sabbia, con al centro il grande muro dell’invocazione che svettava sugli edifici rimanenti. Molti erano semplici abitazioni, altri laboratori: un edificio del tutto particolare era però l’osservatorio: era una cupola posta su un basamento rettangolare, con un’apertura verticale a forma di spaccatura che percorreva metà della parte sferica, da cui usciva la punta dell’enorme telescopio. All’interno c’era un rarissimo cristallo di mithril e nelle sue viscere di legno e roccia calcarea riluceva una sostanza magica creata dagli sciamani, che ricalcava l’uso dell’originale “osserva-stelle” una specie di composto gassoso fatto di pura magia bianca, che consentiva di amplificare la potenza di osservazione del pesantissimo telescopio, grande quasi il doppio di un Aircap. 
 

Eiko ed Amarant entrarono nella struttura, e subito furono accolti da Rokhan, un essere che definire strano è riduttivo: il troll era alto qualche centimetro più di Amarant (cosa che infatti all’uomo salamandra dava molto fastidio) e sembrava avesse una corporatura robusta; aveva un viso quasi umano, ma le orecchie e il naso a punta, la carnagione verde acqua, e i due denti aguzzi che gli spuntavano dalla bocca, tradivano la sua origine. Anche il suo abbigliamento era curioso: indossava un cappello blu con enorme visiera con su una penna rossa strappata a non si sa quale uccello, un grosso poncho di velluto e tessuti tribali intessuti verde e beige, con sotto una normalissima giacca con alamari blu. Indossava dei pantaloni larghi, pure loro verdi e un paio di stivaloni di pezza bianchi.
       «Oh, Eiko! Mi fa sempre piacere vederti qui!» salutò Rokhan.
       «Mi spiace che venga a trovarvi solo per motivi seri e non per respirare aria di casa…»
       «E che ci vuoi fare? Pare che i problemi ti seguano quando vuoi far qualcosa! Dimmi, che t’occorre?»
       «Qualche giorno fa a Lindblum è caduto un piccolo meteorite, e vorrei saperne qualcosa di più.»
       «Sì, l’abbiamo visto, e quindi? Sai quanti pezzi di roccia cadono su Gaya ogni giorno. E spesso neanche li vediamo.»
       «Ma questo è proprio caduto sul serio: ha fatto un cratere di alcuni metri di diametro. Piccola cosa strana: non ha rilasciato frammenti in giro, come se fosse stato trafugato.»
       «Rubato? Ma che mi dici?»
       «Ne ho le prove. Magari chi l’ha preso aveva un qualche potere particolare che…»
       «Ah, ora mi ritorna in mente! Il nostro telescopio può persino riconoscere la componente magica di alcuni meteoriti che circondano il nostro pianeta. Ti spiego: Gaya è circondata da un anello di frammenti, più o meno grandi, di roccia e ghiaccio. Ogni tanto capita che uno di questi sfugga dalla fila e cade giù. E ultimamente ho notato che questa cosa succede spesso.»
       «Come se qualcuno controllasse il fenomeno?»
Il troll rimase stupito: per quanto sembrasse impossibile il fenomeno era troppo strano e ricorrente per escludere che fosse manovrato.      
       «Forse. Ma per farlo, un incantatore dovrebbe usare delle magie proibite.»
       «Magie proibite?» chiese Amarant.
       «Già, magie che sono state proibite perché o troppo pericolose per gli altri o per l’evocatore. Molti di questi si sono lasciati andare fino a morire per l’eccessiva ricerca di potere.»
       «A me sembra che questo cerchi altro. Ha un’ossessione per le persone che invocano gli spiriti.»
       «E come ha fatto a scoprire chi sa usarle?»
       «Ci vuole poco, alla nostra Eiko gli spiriti dell’invocazione prestano i poteri!» disse sprezzante Freija che non era ancora persuasa che la capacità della giovane sciamana fosse del tutto normale.  
         «Siete dunque sicuri che questo tipo voglia utilizzare gli spiriti dell’invocazione come fece Brahne?» chiese il troll.
       «Mi ha assalito un paio di volte, troppe per essere una coincidenza.» rispose Eiko   «E Freija, è stata un’idea di Amarant quella di utilizzare magie speciali per attirare l’attenzione. Sono sicura che il meteorite è stato controllato per cadere su Lindblum, in modo che attirasse anche la mia attenzione. Adesso posso passare alla seconda parte del piano: cercare uno di quei mostri strani che ci hanno attaccato l’altra volta e catturarne uno: voglio capire da chi sono stati così barbaramente…modificati.»
       «Non hai avuto molta remora nel disintegrarli. E a cosa ti servirebbero?» disse Freija.
      «A qualsiasi cosa riesca a farmi capire. E Almeno io riesco a fare qualcosa, “draghiera”: se non fosse stato per la mia magia, tu e Amarant a quest’ora sareste dei pezzi per quegli zombie. E poi a Lanì e a Flatrey che avreste detto? Che vi siete sacrificati perché non volevate che una vostra alleata usasse una magia un po’ rischiosa?» rispose rossa di rabbia Eiko avvicinandosi muso contro muso alla burmeciana, che ricambiò lo sguardo di sfida. Rokhan si mise fra le due nel tentativo di riportare la calma. La sciamana si girò bruscamente e si diresse verso l’uscita.
       «Dove vai?» chiese il troll.
       «A respirare un po’ d’aria di casa. Tutta questa scienza mi ha rotto le palle.»
Freija fece un verso di stizza e distolse lo sguardo.
 
 
 
Eiko si diresse verso l’unico posto che fosse in grado di calmare il suo stato d’animo, come in passato: la sua casa. Nessuno abitava più stabilmente a Madain Sairi, salvo gli operai che verso sera se ne andavano a casa loro. L’ambiente era esattamente come lo ricordava: grezzo, sabbioso e polveroso, impregnato dall’odor di salsedine. Era più di un anno che non passava un po’ di tempo lì, il luogo che per sei anni era stata casa sua. Com’era silenziosa senza i “kupò” dei suoi moguri! D’altronde molti di loro erano scappati dalle grandi città, dopo che molti maniaci erano ossessionati dall’averli come animali domestici. Erano arrivati persino a fondare una loro città, Mag Mogu, che altro non era la centrale del mogu-net.
Scese al piano di sotto, dov’era il ponteggio che collegava il villaggio al porticciolo dove Gidan aveva dedicato la poesia di Ipsen e Cornelia alla sua Garnet. Rimase per un po’ a rimirare il suo riflesso nell’acqua, e si stupì di quanto fosse cambiata: non era più Eiko Carol, la ragazzina di sei anni, fissata con la cucina, e con gli uomini più grandi di lei. Ormai era Eiko Fabool, la figlia adottiva dei reali di Lindblum, studiosa –scarsa– di politica e leggi, meccanica niente male, potente sciamana. Quanto si era impegnata per poter difendere lei sola coloro che amava, i suoi genitori, la città che l’aveva ospitata, e i suoi amici. E allora perché si preoccupavano della sua ricerca di potere? Per paura che ne sarebbe stata sopraffatta! Che sciocchezze!
Dopo essere rimasta per un po’ di tempo a studiare la sua immagine, uscì fuori dal villaggio e incominciò a camminare, fino a raggiungere un pezzo di terra cosparsa un po’ d’erba ancora verde. I profumi di salsedine e di sabbia si miscelavano con quello dell’erba fresca, creando una mistura mille volte migliore di un qualsiasi deodorante artificiale. Eiko si mise a sedere e cominciò a respirare a pieni polmoni, nel tentativo di riprendere la calma cercando contemporaneamente una maniera per ritornare dagli altri senza ricominciare a litigare. Ci rimase per dieci minuti, rimuginando su possibili frasi, ma nessuna di esse conteneva le parole “vi chiedo scusa”. Tre parole che difficilmente diceva. Si alzò e cominciò a camminare, pensando che le venisse l’illuminazione. Nulla. In un gesto di nervosismo si mise le mani nei capelli fino a tastare il suo secondo fiocco, quello di Mogu. Lo slacciò e lo prese in mano.
      «Mogu… anche te pensi che esagero con questa fissazione degli incantesimi?» disse sottovoce. Poi sentì dietro le sue spalle una voce che sicuramente non era quella dei suoi amici.
       «Penso che tu sia abbastanza grande da decidere da sola.»
Era l’uomo con la maschera di Antoleon. Eiko cominciò a caricare un incantesimo difensivo intorno alle mani con l’intento di saltargli addosso, ma il jenoma mise le mani avanti.
       «Non sono qui per questo. Se avessi voluto aggredirti lo avrei fatto mentre eri assorta nei tuoi pensieri.»
       «Cosa vuoi, bastardo? Vuoi terminare il lavoro lasciato in sospeso?» chiese Eiko rabbiosa.
       «Per carità. Tra poco potrò avere donne, e sottolineo adulte, molto più attraenti di te e di quelle della mia stessa razza.»
       «Razza? Che termine orrendo per definire un’etnia. I jenoma sopravvissuti sono tutti a Sortlibre, escluso Gidan, e tutti hanno la coda bionda.»
       «E chi ha mai detto di appartenere a quel branco di idioti?»
       «Ma se ti sei presentato come uno di loro!»
Eiko ricordava benissimo che prima di perdere i sensi, quel giorno in cui l’aveva bloccata su quella roccia, l’uomo si era presentato come Kuja.
       «Il corpo che ho è sì di un jenoma, ma sono qualcosa… di diverso ora.» e lo disse con una pienezza di se, che mai il fratello di Gidan avrebbe espresso verso la sua natura di recipiente per anime. Una volta terminata la frase si tolse la maschera, che Eiko notò solo ora era spezzata e incollata alla bell’e meglio.
       «Tu conosci questo viso vero?» chiese.
La giovane sciamana rimase scioccata: davanti a lui c’era una copia sbiadita di quell’orribile individuo che aveva seminato con i suoi inganni, morte e distruzione su tutta Gaya e che aveva distrutto gran parte di Tera. Però continuava ad avere in quegli occhi gialli uno sguardo che ricordava troppo qualcun altro.
       «Non guardarmi con i tuoi occhi reali. Guardami dentro.» chiese avvicinandosi.
Per quanto Eiko volesse allontanarsi da quell’essere che l’aveva ferita mortalmente, il suo corpo non rispondeva. Dentro il suo cuore sentiva che non gli avrebbe fatto nulla. Kuja si inginocchiò, e da persona più alta della ragazza, divenne poco più alto di un bambino.
       «Concentrati: è da quando ti ho vista che ho capito che sei l’unica a darmi la conferma che cerco. Solo tu puoi farlo.»
La sciamana lo guardò di nuovo e allora capì quanto fosse diverso dal fratello di Gidan: aveva il viso leggermente più rotondo, i capelli più setosi di quelli che sembravano piume del jenoma, la bocca che sembrava di sua natura incline al sorriso al contrario di Kuja.
       «La mia mente non appartiene al mio corpo, ecco perché è diverso da quello che ricordi. Non solo da quello di Kuja, ma anche da quello di…Vivi.»
Eiko venne soprafatta da una gioia incontenibile che non riuscì a contenere. Senza nemmeno accorgersene, abbracciò fortissimo colui che in quel momento per lei era semplicemente il suo adorato maghetto nero.
       «Sei tornato…sei tu… sei tornato…» disse con la voce rotta dall’emozione. Kuja rimase di stucco, non si immaginava né questa reazione né questa sensazione di puro calore che il corpo della ragazza gli infondeva.
       «Eiko… non devi. Io sono e non sono chi pensi che sia: sono un miscuglio sfatto di ricordi e carne morta. Se sono venuto qui è anche per avvertirti. In nome dei sentimenti che provavi per me…cioè, per Vivi.» disse l’uomo staccandosi dall’abbraccio «Fra poco tempo i maghi neri e gli jenoma adempieranno alla loro natura. Anche se questo potrebbe significare la fine per le civiltà di Gaya, non intervenire. Non hai idea delle forze a cui anderesti contro.»
       «Che vuoi dire?»
       «I maghi e gli jenoma sono dei tentativi falliti di raggiungere la razza perfetta. I primi sono scarti di anime, i secondi recipienti per quest’ultime. Riesci ad immaginare cosa succederebbe se venissero… riempite?»
       «Volete fondere i maghi con gli jenoma? Ma io credevo che quei tipi fossero recipienti per le anime di Tera!»
       «Le anime sono anime. Noi creature senzienti non siamo poi così diversi dagli animali.» disse l’uomo con sufficienza. Era pazzesco come un momento sembrasse così tanto Vivi con le sue timidezze e paure, e poi un altro ricordasse la boriosità e la sicurezza di Kuja. Sembravano davvero due anime messe in un corpo solo. Aspetta un’attimo…
       «Anche tu sei un risultato di una di queste fusioni?» chiese Eiko.
       «Forse.»
       «Come “forse”?»
       «L’unica cosa che so di me stesso è che sono il corpo dell’angelo della morte Kuja, che per una strana concatenazione di eventi è ritornato in vita. E ora so, che per qualche motivo i ricordi di Vivi Orunitia mi frenano e insieme mi spingono verso l’obbiettivo.»
       «È per questo che sei venuto a chiedermi di esaminarti? Per toglierti un dubbio personale, e non per vedere me a cui volevi bene?» fece indagatrice Eiko mettendosi le mani ai fianchi. L’uomo non rispose.
       «Come ti chiami?» chiese la ragazza sperando di coglierlo in castagna.
       «Goldenteeth mi chiama col mio vecchio nome. Cioè, solo uno, Kuja.»
       «E chi sarebbe Goldenteeth?»
       «La persona che ha rimesso in moto il corpo dell’angelo della morte. Anche se non sa spiegare esattamente perché abbia i ricordi di Vivi. È lui che vuole finalmente fare qualcosa per fermare la morte di entrambi gli jenoma e i maghi. Ma per fare questo occorre una grande quantità di energia, e a questo mondo non ce n’è moltissima. I semplici elementi e gli spiriti dell’invocazioni per quanto potenti, dispensano energia solo di un tipo, invece occorre un’energia… pura.»
Eiko non capì perché quella persona presentatasi come Kuja, che forse era anche un po’ il piccolo maghetto nero, gli stava raccontando tutte quelle cose che probabilmente dovevano rimanere segrete. Probabilmente lo stesso narcisismo che aveva portato il “fratello” di Gidan a spifferare tutti i suoi piani alla granduchessa Hilda sua madre, gli era rimasto insito in lui. Per questo tese le orecchie.
       «Dei maghi prescelti lavoreranno per creare l’elemento più potente mai esistito, e con la tecnologia jenoma costruiremmo un catalizzatore da inserire nel…»
E Kuja si fermò improvvisamente.
       «Catalizzatore? Allora è a questo che vi serve quel meteorite! Quindi i maghi neri sono in combutta con voi!» esclamò la granduchessina.
       «Combutta?!» sbottò di colpo «Cosa avete mai fatto voi per i maghi neri? Eh? I jenoma almeno li avete salvati dall’esplosione di Tera, ma dopo tutta quella moria fra i maghi, qualcosa potevate inventarvi no? Nessuno ha mai fatto niente, per anni.»
E detto questo si avvicinò perentorio.
       «Neanche dopo la morte di Vivi. I maghi neri si sono uniti a noi di loro spontanea volontà, sono d’accordo con noi. E anche i jenoma. Non sono ne forzati, ne obbligati.»
      «Non sono obbligati? Non sono forzati, dici! Stronzate!» rispose Eiko arrabbiandosi e affrontando di petto l’uomo più alto. «Che mi dici del povero Jack, eh?» e gli diede uno spintone che lo fece indietreggiare. «Del mago nero che hai ucciso così barbaramente, eh?» e lo spinse di nuovo. «Non hai pensato che era un tuo simile, bastardo?» e gli diede un terzo spintone, per poi fermarsi e riprendere fiato. Kuja rimaneva interdetto, ma si vedeva che non aveva gradito quella reazione.
       «Tu non sei nemmeno l’ombra di Vivi… come pensavo: mi hai raggiunta solo per toglierti un dubbio, ma per me non faresti nulla! Mi hai quasi uccisa nel nostro primo incontro!» continuò ad urlare.
       «Ah, e così che la pensi eh? Allora guarda qua!» rispose. E si avvicinò ad una velocità incredibile ad Eiko che non ebbe tempo di reagire. Invece di attaccarla, come si immaginava, le posò semplicemente la mano dove era abbastanza visibile la cicatrice che lo sperone di roccia le aveva causato sul fianco. Improvvisamente intorno ad essa comparve un disegno circolare, con scritte sconosciute che emanava una luce lampeggiante nera. Eiko si immobilizzò e sentì un forte dolore pervaderle ogni membra.
       «La vedi questa cicatrice? Quando quello spuntone di roccia ti colpì, pensai bene che potevi servire ai nostri scopi. Usai un incantesimo proibito per sottrarti alla morte, ma non come un volgare “Reiz”. Dentro di te c’è una infinitesima parte del potere oscuro della divinità della morte: Trivia in persona. Sarà battuto, ma un incantesimo proibito è il massimo per fare un patto.» disse con voce bassa e malvagia. Dal suo braccio si illuminò una luce rossa che entrò dentro la cicatrice e permeò il disegno. La sciamana spalancò gli occhi che cominciarono a diventare color del rame, i capelli a scurirsi, e l’abito diventare simile a quello di una strega. La stessa mutazione che la trasformò il giorno prima.
       «Hai già provato questa sensazione, vero?» continuò Kuja «Non è una vera e propria “Trance”. È una specie di effetto collaterale dell’incantesimo: non si attiva quando ricevi danni o per l’odio verso il nemico. Nasce dalla brama di potere. Ed ora ne hai più di quanto tu possa mai sognare.»
E la baciò. Così, come se fosse una cosa ovvia e diretta. Ne rimase stupito persino lui. Eiko, pensò che tutta la situazione fosse sbagliata: era vero che ultimamente la sua voglia di accrescere la sua forza era diventata un’ossessione per lei, che gli incantesimi che usava in combattimento non erano scritti in nessun libro di magia evocativa; era per questo che Kuja, ma sì ormai poteva chiamarlo così, la stava cercando perché sperava che la aiutasse ad ottenere il potere che serviva ai suoi scopi. “È tutto sbagliato, non posso lasciarmi andare. Non devo…” ma perché mai non farlo? Tutta la sua vita era stata controllata da altri, giudicata da persone più grandi e, diciamola tutta, più deboli di lei. Cosa potevano sapere della magia? Cosa ne sapevano della soddisfazione che si ha nel lasciarsi finalmente andare? I dubbi sparirono immediatamente. Non era più arrabbiata, sorrise anzi. Quell’uomo l’aveva resa libera. E lei l’avrebbe seguito per fare finalmente qualcosa per i maghi neri e gli jenoma. Basta chiacchiere. Basta ricordi di gente morta.
       «Le parole sono inutili! L’azione è tutto!» dichiarò Kuja quasi leggendole nel pensiero. Evocò da sottoterra il suo mezzo a forma di granchio e vi salì sopra. Eiko lo seguì. Con uno sbuffare sulla sabbia il piccolo idrovolante schizzò via. Amarant, Freija e Rokhan videro lo spettacolo poco lontano e rimasero impietriti. Capirono che la disgrazia che stava per accadere, era stata involontariamente anche colpa loro.
            
 
 
 
 
 
Sì, lo so, sono imperdonabile: è trascorso un casino di tempo da quando ho pubblicato l’ottavo capitolo è quest’ultimo è stato soggetto ad una grossa opera di perfezionamento e correzione, e forse ancora non mi soddisfa pienamente. Mi auguro che sia comprensibile e che chiarisca altri punti della storia. Vi avverto che non avendola ancora terminata gli aggiornamenti saranno molto distaccati e irregolari. Ultimamente, sto preparando altre pubblicazioni, di cui una su One Piece che ho già pubblicato, e una su full metal alchemist, quindi sapendo che con questo perderò molti lettori e recensori potenziali, vi saluto e vi aspetto alla prossima!
 
 
The Alex 

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