Silenzio… attorno a lui solo
silenzio e buio, non sapeva dove fosse e non vedeva niente.
Solo buio.
Si guardò attorno, disorientato,
vagamente intimorito... attorno al lui: il nulla.
- Dove sono? – pensò l’uomo
guardando il nero che l’avvolgeva – Sono forse morto?
Un brillio lontano catturò la
sua attenzione, una piccola stella argentata brillava in lontananza perforando
le tenebre in cui era precipitato.
Non aveva altra scelta... doveva
capire dov’era.
Iniziò a camminare verso quella
stella.
E, più camminava, più quella
luce gli dava una speranza nel cuore, lo scaldava, lo liberava dal dolore delle
sue membra ferite e sanguinanti.
- Indicami la strada...- mormorò
con un sorriso – stella che brilli così lontano... indicami la strada.
Ma, improvvisamente, la luce
iniziò ad affievolirsi... come se si stesse allontanando.
- No... – mormorò l’uomo
iniziando a tremare e sudare freddo – no...- camminò più veloce cercando di non
farsela scappare, di raggiungerla. Ma, più correva, più la stella si
allontanava e quasi poteva sentirla ridere di lui, della sua ingenuità.
I piedi divennero pesanti da
sollevare, come se fossero di piombo... più correva più faceva fatica, e più
faceva fatica più voleva raggiungere quella stella, la sua unica fonte di
salvezza da quel buio totale.
Le gambe gli cedettero facendolo
cadere in ginocchio mentre la luca si spegneva del tutto lasciandolo,
nuovamente, solo e al buio.
Chiuse gli occhi e cercò di
riprendere fiato... quella corsa l’aveva stremato... si sentiva così
dannatamente debole...
All'improvviso qualcosa
l’afferrò alle gambe, l’uomo cercò di alzarsi ma quella morsa bollente non
voleva lasciarlo andare, guardò a terra e vide delle lingue di fuoco uscire dal
terreno e avvolgerlo intrappolandolo. Iniziò a dimenarsi nel tentativo di
liberasi ma, più si muoveva, più quelle catene di fuoco lo immobilizzavano al
terreno bruciandogli la pelle.
Urlò mentre vedeva una fiamma
più alta delle altre avvicinarsi a lui quasi come se fosse viva ed entrare nel
suo corpo tramite la bocca.
Un calore insopportabile gli
esplose dentro, si sentiva morire... gli sembrava che i suoi organi si fossero
sciolti e trasformati in lava incandescente.
Avrebbe preferito morire
piuttosto che continuare quella tortura.
***
La
porta della camera da letto si spalancò, l’uomo disteso tra le coperte di
cotone si agitava nel sonno.
Urlava e si dimenava come se lo
stessero torturando.
Gli posò una mano sulla fronte
ma la ritrasse immediatamente... scottava, aveva la febbre molto alta.
Velocemente prese un catino con dell’acqua gelata e delle
pezze pulite.
Iniziò a bagnargli lentamente il viso, era molto caldo,
delirava, a tratti urlava addirittura... probabilmente stava facendo un
orribile incubo.
Mentre passava la pezza bagnata
sul suo viso si fermò a contemplare i lineamenti duri che aveva il volto di
quel ragazzo.
Non doveva avere molti anni in
più di lei, eppure era così malridotto... gli aveva curato le varie ferite ma,
nel togliergli i vestiti zuppi, aveva notato altre vecchie cicatrici, sulla
schiena, sulle braccia, senza contare gli ematomi sparsi per il corpo.
Fortunatamente lei sapeva come curarlo, lo aveva lavato alla bene e meglio,
aveva fatto degli impacchi sulle ferite, le aveva bendate e ora aspettava il
suo risveglio.
Gli passò la pezza sugli occhi
serrati... li aveva appena intravisti quando l’aveva incontrato nel vicolo.
Erano neri, penetranti, erano stati proprio quegl’occhi a convincerla che,
portare in casa uno sconosciuto ferito da chissà quale rissa, non fosse una
cosa sbagliata.
Inzuppò la pezza di nuovo e
tornò ad osservarlo, era un bel ragazzo, alto almeno venti centimetri più di
lei, moro, sembrava un uomo forte, molto combattivo eppure in quel frangete
anche molto debole e fragile.
Chissà cosa gli era successo?
Ci vollero altre due ore prima
che la febbre calasse, due ore dove aveva pazientemente vegliato al suo
capezzale, doveva aveva cercato di curarlo, dove si era preoccupata per quel
ragazzo di cui non sapeva neppure il nome.
Quando smise di delirare e di
muoversi tra le lenzuola, tirò un sospiro di sollievo: il peggio era passato.
***
Pace.
Era questo quello che sentiva:
una gran pace.
Non si sentiva così tranquillo da parecchio tempo, il suo
corpo non gli doleva più, un tessuto fresco e profumato lo avvolgeva, un
giaciglio confortevole sosteneva il suo peso.
Tutt’attorno silenzio e calma...
una calma quasi irreale...
Una brezza calda gli sfiorò il
viso, sentiva i cinguettii degli uccellini da qualche parte e un vago profumo
di spezie ed oli.
Forse era morto...
Aprì lentamente le pesanti
palpebre, gli ci volle qualche secondo per mettere a fuoco il posto dove si
trovava.
Era in una camera da letto,
piuttosto spoglia, c’era un grande armadio a dieci ante che copriva l’intera
parete alla sua destra, il letto era matrimoniale, a baldacchino, attorno a lui
c’erano tende bianche, talmente leggere da sembrare fatte d’aria, la finestra
era sulla parere davanti, le gelosie di legno chiuse lasciando entrare solo
qualche spiraglio di luce avvolgendo la stanza in una piacevole penombra,
proprio lì accanto c’era uno scrittoio in legno di mogano scuro e due mensole.
Tutta la mobilia aveva l’aria si
esser molto antica e preziosa.
Cercò di alzarsi, la pezza che
aveva sulla fronte gli cadde sulle gambe, era ancora umida.
L’uomo la prese in mano e la guardò... qualcuno lo stava
curando.
Osservò il suo corpo, le ferite
erano state pulite e bendate, indossava un pigiama nero di seta che non era
suo, sul comodino accanto c’era un mortaio di pietra bianco e qualche sacchetto
di velluto dai vari colori.
Spostò le lenzuola di cotone blu
e mise un piede a terra quando la porta della stanza si aprì.
Rimase a bocca aperta.
Una bella ragazza stava
entrando... era molto giovane, probabilmente sui venticinque anni, indossava un
grazioso vestito estivo turchese che le fasciava il corpo perfetto, era a piedi
nudi ma non faceva nessun rumore sul pavimento, quasi come se volteggiasse a
qualche millimetro dal parquet di legno chiaro. Aveva lunghi capelli biondi che
le arrivavano fino in fondo alla schiena, sembravano una nuvola leggera d’oro
in un cielo turchese.
La ragazza si voltò e poté
vedere i due grandi occhi blu che lo fissavano.
Allora la riconobbe: la ragazza
della strada.
Lei sorrise e poggiò le piccole
boccette che aveva in mano sul comodino.
- Finalmente ti sei svegliato. –
la sua voce era dolce, melodica, quasi come il canto ammaliatore di una sirena
– Iniziavo a preoccuparmi seriamente.
Spostò lo sguardo sulla gamba che aveva posato a terra e
scosse lievemente il capo.
- Il fatto che ti sia svegliato
non vuol dire che sei guarito. – e lo fece sdraiare di nuovo – Sei ancora molto
debole. Devi restare a riposo fino a quando te lo dirò io.
Sorrise debolmente... effettivamente si sentiva ancora
molto stanco, ma, almeno, era vivo.
La ragazza bionda si mise a
sedere sulla sedia posta accanto al letto, probabilmente era da lì che l’aveva
accudito per tutto il tempo.
La vide prendere qualche
sacchetto di velluto, aprirli e prendere qualche manciata delle erbe che
contenevano, metterle nel mortaio e iniziare a triturarle. Seguiva i movimenti
del suo polso millimetro dopo millimetro, stregato da tanta grazia e perfezione
nei suoi gesti.
- Allora mio giovane straniero,
- disse lei mentre prendeva una boccetta contenente un denso liquido color verde
bottiglia – posso conoscere il tuo nome o devo tirare ad indovinare?
Fu solo allora che si accorse di
non aver mai parlato da quando lei era entrata.
Fece un piccolo sorriso e
sprofondò nei cuscini di piuma d’oca che aveva sotto il capo.
- Mamoru...- mormorò con un filo
di voce – il mio nome é Mamoru.
La donna sorrise e aprì la
boccetta, un penetrante aroma di bosco gli solleticò il naso.
- Bene Mamoru, - rispose lei
versando due gocce nelle erbe sminuzzare nel mortaio – io sono Usagi.
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