A wish. Her wish.

di Dreamcatcher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hate. ***
Capitolo 2: *** Getaway. ***



Capitolo 1
*** Hate. ***


A wish. Her wish.
Hate.

Era notte. Notte fonda.
Il cielo era di un blu intenso. Sembrava che la luna fosse avvolta da un velo nero, che le dava un'aria abbastanza tetra. Nessuna stella in cielo, solo due o tre, sparse qua e là.
C'era solo la luce pallida dei lampioni, che ogni tanto si spegnevano per via delle lampadine fulminate.
La ragazza prese il suo accendino rosso fiammante, estrasse il suo pacchetto di camel blu dal taschino, e accese l'ultima sigaretta, proteggendola dal vento che tirava quella notte.
Non era una ragazza normale. Semplice, ma complicata. Responsabile, ma impulsiva. Estroversa, ma timida.
Aveva due occhioni verdi e i capelli rossi, proprio come il suo fidato accendino. Una frangetta ben dettagliata, e i capelli poco curati. Erano abbastanza lunghi, ma erano tagliati male. Ogni tanto prendeva le forbici e tagliava le ciocche che non le piacevano. Cambiavano così, a giornata. Ribelli, come lei.
Fece un tiro, poi tirò su la zip della sua giacchetta in pelle, e si accucciò su se stessa, guardando i pallidi raggi della luna riflessi sul mare.
Prese l'ipod e mise Screaming Bloody Murder. Cristo, si stupiva di come quella canzone la rappresentasse in quel momento. E' proprio vero che certe canzoni ti conoscono meglio di te stesso.
Non ne poteva più. Voleva evadere da quella merda. Ogni giorno la stessa storia. A casa volano piatti da una stanza all'altra. Ma perché diavolo non si separano? Le farebbero solo un favore. Tanto al padre non fregava niente di lei. Sempre impegnato col lavoro, soldi, soldi, lavoro. Non si stupirebbe se andasse a puttane la sera, visto che torna sempre così tardi. Starebbe molto meglio stare solo con la mamma. Lei le voleva bene. Un lavoro pagato bene, ma almeno non la prendeva 22 ore al giorno.
"Your father's rage and your mother's love!" questa Billie l'avrà scritta sicuramente per lei.
Iniziò a cantare. Anzi urlare. Insomma, una via di mezzo.
"What can I said? I'm not an angel!
I'm not forsaken, but I CAN BLEED!
Tear me open I believe!
GOD will set you up to bleed!
And no one can deceive, what's mean to be!
Bloody murder we'll scream!
Well I guess it's time for me!"
Cantava. Che liberazione.
Musica, sigarette e il mare. Le bastava quello per vivere.
Si stiracchiò un attimo, poi si guardò intorno. C'era un gatto che la guardava.
-Che c'è? Vuoi odiarmi anche tu?- chiese puntando il dito contro il gatto.
Il felino storse la testa a destra, e si limitò ad un semplice "Miao". Infondo era carino. Tutto nero con una macchiolina bianca sulla fronte, e due occhioni gialli. Le erano sempre piaciuti gli occhi gialli.
Agguantò il micio e se lo mise sulle gambe, iniziando ad accarezzarlo. Era piuttosto amichevole per essere randagio.
Emeryville faceva schifo. Non c'era nulla, nulla di interessante, a parte la sede della Pixar. Sempre i soliti 4 idioti che giravano per il quartiere. Perché non era nata qualche chilometro più a nord, a Berkeley?
Un giorno di quelli ci sarebbe di sicuro andata. Chissà, forse non sarebbe neanche tornata.
Emily non l'avrebbe di sicuro seguita, che peccato. Ci teneva molto a lei.
Si alzò dal molo, tenendo sempre il gatto stretto a sè e si avviò verso casa.
Rintanò verso le 2.30.
Aprì furtivamente la porta, non accese nemmeno la luce dell'ingresso, ed entrò in cucina.
Chiuse per bene la porta dietro di sè e finalmente potette accendere la luce e bere il suo bel bicchirone di latte, posando il micio a terra.
-Cha cazzo ci fai qui?!- disse sopresa fulminando con lo sguardo il padre, seduto su una sedia che l'aspettava.
-Evangeline Ramona Graneri! Ti sembra questa l'ora di rientrare? Da quand'è che dici le parolacce? E quella bestia che ci fa in casa mia?- la tempestò di domande il padre incrociando le braccia, e iniziando a picchiettare nervosamente il piede sul pavimento.
Evangeline sbuffò. Si, il padre era di origini italiane. Che fortuna, eh?
-Devo rispondere a tutte queste inutili domande?- disse aprendo tranquillamente il frigo.
-Ovviamente- disse secco il padre, innervosendosi.
-Allora- incominciò a rispondere all'interrogatorio -Le parolacce le dico da circa 40 anni luce, quindi è inutile che ti stupisci tanto. Ah, e la "bestia" è Jimmy, trattalo bene. Da quand'è che ti preoccupi per me? Non ci sei mai stato. Ti svegli dopo 19 anni? Chissà, magari ho appena finito di fare sesso. Ah, lo sai che fumo?- disse iniziando a sorseggiare il latte dal bottiglione.
Non era vero, era vergine, ovviamente. Ma adorava farlo incazzare, complicargli la vita. Lo odiava, lo odiava tanto.
Il padre diventò rosso di rabbia.
-Ora basta! Non ne posso più! Ho una figlia che fa quel che cazzo vuole e una moglie che non fa nulla dalla mattina alla sera! BASTA!- disse in preda ad un attacco isterico.
Evangeline non sapeva se ridere o piangere. Ridere per quanto fosse ridicolo, o piangere perché quello era purtroppo suo padre?
-Mamma lavora. Mamma cucina. Mamma pulisce. Mamma si preoccupa per me. E chiediti perché sono così. Fatti un'esame di coscienza.- disse riponendo il bottiglione nel frigo.
Il padre non ne poteva più. Cercò di tranquillizzarsi. Doveva mantenere la calma.
-Guardami negli occhi. Prova a rifare una cosa del genere e giuro che non uscirai mai più da qui.- disse prendendole un polso e facendola voltare.
-Ma finiscila. Sei ridicolo.- disse Evangeline, iniziando a salire su per le scale.
-E fila subito a letto!-
-Lo stavo già facendo- rispose con aria superiore.
Si buttò sul grosso letto azzurro. Iniziò a piangere, come sempre. Era stanca. Era stufa. Era annoiata.
In fondo era fragile. Un piccola ragazza indifesa, sola. La corazza che si creava all'esterno era solo per proteggersi.
Ma ormai era così.


Oh su dai. Ultimamente sclero di brutto .____.
Lasciatemi un po' sfogare! D:
Fa schifffo, lo saccio. <___<

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Capitolo 2
*** Getaway. ***


A wish. Her wish.
Getaway.

Erano le 5 del mattino.
Iniziavano a comparire i primi rostrassi raggi del sole, mischiandosi con il turchese del cielo, creando una vasta gamma di colori, mentre la luna stava ormai scomparendo. Sì, era ancora abbastanza buio. Si vedevano solo le sagome degli alberi del parco, di fronte alla casa di Evangeline.
Era sveglia. Teneva ancora il guanciale tra le braccia, ma non riusciva più a dormire.
Non si era manco messa il pigiama, si era solamente sdraiata sul letto a due piazze.
Si mise seduta, e accese la lampadina sopra il comodino. Rimase a lungo in quella posizione, a fissare il vuoto, indecisa sul dà farsi.
Finalmente, prese il suo basso, cellulare, sigarette e portafoglio e aprì la porta, riguardando un'ultima volta la sua stanza. Era una sua amica ormai.
I muri tappezzati di poster, la parete di fronte al letto piena di scritte di canzoni, la finestra che dava sul molo, il suo enorme acquario vuoto, vuoto perché non sarebbe mai stata in grado di pulire uno di quei "cosi", la sua scrivania strapiena di gadget vari e CD... Tutto quello le mancherà, di sicuro.
Chiuse la porta dietro di sè e si diresse in camera dei genitori, ancora addormentati. Tra poco si sarebbero svegliati.
Prese uno dei post-it accanto all'armadio, e scrisse un biglietto per la madre, lasciandolo sul suo comodino. Ritornò nel corridoio e iniziò a scendere le scale. Aveva la sensazione di aver dimenticato qualcosa...
"Jimmy!" si disse dandosi una pacca sulla fronte.
Ritornò in camera, prese il gatto e se lo portò dietro. Chissà cosa ne avrebbe fatto.
Fece un grosso sospiro e aprì il portone di quercia. Prima tappa: casa di Emily.
Il gatto non faceva storie, la seguiva senza esitazione, standole appiccicato alle gambe. Stava iniziando a pensare che di lì a poco sarebbe diventato la sua ombra.
Emily, chissà quale sarebbe stata la sua reazione. Adorava quella ragazza, era praticamente la sua Dea. Era bassina, piccola in generale. Due profondi occhi color malva e capelli neri, corti dietro, lunghi davanti. La considerava bellissima, oltre che bravissima. Suonava la chitarra in una maniera divina.
Ormai era arrivata a casa sua. Oltrepassò il basso cancelletto bianco, con una scavalcata alla "olio cuore"*, mentre Jimmy lo attraversò passando tra una sbarra e l'altra. Quel gatto era dannatamente intelligente.
Si mise a lanciare sassolini contro la finistre della sua camera, cercando di farla svegliare.
Continuò a tirarli ancora, ancora, ancora, ancora, ancora, per minuti che sembravano ore. Al suo prossimo compleanno le avrebbe regalato sicuramente un aggeggio Amplifon. Alla fine, decise di chiamarla. Chissà che fracasso infernale che avrebbe fatto il suo telefonino.
... Tu Tu ...
... Tu Tu ...
... Tu Tu ...
-CHI CAZZO E' CHE CHIAMA A QUEST'ORA?- sbraitò Emily dall'altro capo del telefono.
-Oh non urlare! Calma, sono io, affacciati.- la invitò Evangeline.
La ragazza sbucò fuori dalla finestra. Si lamentava di essere stata svegliata alle 5.15, ma aveva una faccia bella vispa.
-Bhe? Che ci fai qui? Ti manco talmente tanto che mi vieni a trovare all'alba?-
-Oh si, ti amo taaanto! No dai seriamente, hai soldi?-
-Ooooh, anvedi sta scroccona che me viene a chiede i soldi a quest'ora!-
-Si, si sono una barbona, ok. Ma questo accento Romanesco da dove sbuca?-
-Tuo padre stupida. Su dai, vieni al dunque- la incitò Emily.
Era nervosa, fare una domanda così strana, e improvvisa a quell'ora non era da persone normali. Per niente. Decise di andare subito al sodo.
Prese un respiro profondo.
-Emily, vieni a Berkeley con me?- disse tutto d'un fiato.
Emily che era appoggiata al davanzale per poco non cadette.
-Ma sei pazza? E i tuoi?- disse alzando la voce.
-Shhh! E stai zitta! Tanto lo sai come sono i miei. E dai, una vacanza veloce veloce. Siamo in estate o no?-
Emily rimase in silenzio. I genitori l'avrebbero subito ammazzata. Però cazzo, andare a Berkeley... Quella sì che si poteva definire una vacanza!
-Fanculo ai miei, possono darmi qualsiasi punizione esistente sulla terra, ma ne sarà sempre valsa la pena!- disse ormai decisa.
Evangeline ne rimase sorpresa. Era all'80% sicura che avrebbe dato una risposta negativa. Ma meglio così. Perfetto.
-Oddio, Grande Emy! Ora muovi le chiappe a vatti a vestire, prima che si sveglino i tuoi.-
-Agli ordini!- rispose, facendo lo stesso che fanno i militari.
Fece, e prese, le stesse identiche cose di Evangeline, solo che al posto del basso prese la chitarra.
-Ci soooooooono!- urlò chiudendo poi la finestra.
Si vede che pure i genitori erano sordi, visto che non l'avevano sentita urlare.
Aprì e chiuse velocemente il portone bianco, e si fiondò dall'amica.
-Ci ho messo poco, vè?-
-Porca troia, di solito ci metti 2 ore solo per metterti le mutande!-
-Che esagerata chesssssssei!- le disse tirandole una pacchetta sulla spalla.
Si sentì una cosa morbida strusciarle sulle gambe, e naturalmente si voltò a guardarla.
-E sta roba cos'è?-
-Un gatto.-
-Oh, grazie Capitan Ovvio.-
-L'ho trovato ieri al molo, si chiama Jimmy. Bel nome eh?-
-Bhe ovviamente. Bhe, che si fa?- disse iniziando a giocare con Jimmy come un bimba di 2 anni.
-Allooooora. Se avessimo la macchina basterebbe prendere la San Pablo Avenue, e poi prendere l'University Avenue**, ma dato che non ce l'abbiamo... Ci conviene percorrere tutte le stradine e passare da Golden Gate, poi dal quartiere del sud-ovest di Berkeley e infine a Berkeley, se non vogliamo essere messe sotto da una macchina.- disse facendo mente locale di tutto quello che aveva letto sulle cartine. Da quanto aveva pianificato quel "viaggio".
-Oddio, mi fai quasi paura. Bhe, partiamo no?- esclamò scavalcando il cancelletto bianco, sempre all'olio cuore.
-Certamente, non aspetto altro!- disse Evangeline, imitando l'amica.

Sarebbe stato un lungo viaggio, ma che soddisfazione raggiungere casa Armstrong.


*Ahahahah, ci stava troppo una citazione del salto di quella pubblicità, lol.
**Ho voluto lasciare il nome delle strade così com'erano. Tanto Avenue e Autostrada sono la stessa cosa, ma Avenue suona meglio.

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