AMBRA RAMATA

di OctoberRain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Accadde una sera... ***
Capitolo 3: *** Michael ***
Capitolo 4: *** Dubbi ***
Capitolo 5: *** A prima vista ***
Capitolo 6: *** Ritroviamoci ***
Capitolo 7: *** Te lo racconto ***
Capitolo 8: *** Un peso in meno ***
Capitolo 9: *** Inutili le parole ***
Capitolo 10: *** Ritorno alle origini ***
Capitolo 11: *** Cerimonia ***
Capitolo 12: *** Il vero primo giorno ***
Capitolo 13: *** Cosa mi stai chiedendo, esattamente? ***
Capitolo 14: *** Due o Duemila? ***
Capitolo 15: *** Al molo ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Tutto quello che ho sempre voluto è scrivere.

È quello che amo fare: mi accompagna da quando ero bambina.

Scrivere di persone, sul perchè fanno determinate azioni; scrivere per fare chiarezza, per riordinare la concezione che il mondo ha della vita, delle relazioni umane e delle domande che assillano la mente.

Era da molto tempo che cercavo una storia su cui basare i miei scritti: volevo raccontare di una vita e dai vari eventi che man mano l'hanno sconvolta.

Non importava che quella vita fosse reale o inventata; immaginare, creare, raccontare, scrivere, era tutto quello a cui riuscivo a pensare.

Poi mi è venuta incontro l'ispirazione ed ho capito che tutto quel tempo impiegato cercando una vita di cui parlare, poteva essere benissimo risparmiato. Ce n'era una, complicata, sconvolta e anche piuttosto affascinante proprio davanti a me: la mia.

Iniziai a riflettere su questo circa quattro anni fa: ero su un aereo e fu il primo momento in cui capii che non sarei più stata la stessa, che la mia intera esistenza sarebbe stata sconvolta per sempre.

Dovevo solo capire se in positivo in negativo.

Avevo sempre desiderato andare in Canada, la patria degli aceri (quegli splendidi alberi a foglie rosse), ma sinceramente avrei preferito arrivarci con la mente libera da ogni preoccupazione, pronta a godermi quel viaggio in uno dei paesi più affascinanti del mondo.

Purtroppo non era un lusso che potevo permettermi.

Davanti a me avevo ancora otto ore di volo e quindi di tempo per pensare a tutto quello che mi passava per la testa ne avevo.

Prima di partire ero assolutamente sicura che una vota in volo sopra l'Atlantico mi sarei meravigliata dalla quantità di vita che si estendeva sotto di me in quell'enorme distesa d'acqua.

Ma mi sbagliavo. Avevo in mente solo una particolare quantità d'acqua ed una vita soltanto: nessuna delle due si trovava nell'oceano, erano entrambe dentro di me.

Passai la mano sul mio ventre chiedendomi per quanto ancora sarebbe rimasto piatto.

Solitamente, quando una ragazza della mia età, avevo solo sedici anni, rimane incinta l'unica cosa che precede il panico è la frase: come è potuto succedere?

Dico solitamente perchè a me non capitò.

Sapevo benissimo come è quando era successo. 

_______________

Questo è soltanto l'inizio. Spero vorrete continuare questo viaggio con me.

Vi anticipo che questa storia è piena di sbalzi tra presente/passato/presente/passato!

Alla prossima! =}

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Capitolo 2
*** Accadde una sera... ***


***PAST***

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Aprii la porta dello stanzino adibito ad infermeria con un gomito e la spinsi con la schiena.

Le nostre labbra erano incollate e frenetiche. Le sue mani spesso mi accarezzavano gentili il collo e le braccia mentre altre volte mi afferravano con forza la pelle o il vestito. La mia mano sinistra gli incorniciava il viso mentre la destra non potè fare a meno di accarezzargli continuamente i capelli. Furono la prima cosa che notai di lui; infatti prima di conoscere il suo nome, lo chiamavo “il ragazzo dai capelli splendidi”.

Non erano biondi, né rossi e nemmeno castano chiaro ma erano di un irresistibile color ambra ramata. Non sapevo per certo se quello era il nome esatto della sua sfumatura, il fatto era che gli adoravo. Erano tanti, morbidi ed alcune ciocche gli cadevano disordinatamente bene sulla fronte.

Era nel complesso un bel ragazzo di ventun anni, conosciuto esattamente trentasette giorni prima. Nonostante non avessimo avuto tempo per conoscerci quanto ne avrei voluto e la mia verginità, non percepii in me una sola traccia di esitazione.

Dicono che quando ti chiedi, anche solo per un secondo, se quello che stai per fare è giusto, allora significa che in realtà non sei sicuro di volerlo fare, e non importa se ignori tutto e lo fai lo stesso, il dubbio si è insinuato e purtroppo c'è la possibilità che un giorno si trasformi in rimorso.

Io di dubbi non ne avevo minimamente ed è per questo che mi feci trasportare da lui, mentre delicatamente lasciavo cadere la sua giacca sul pavimento, poi mi sollevò e mi sedette sul lettino delle visite. Non feci cenno di tentennamento nell'allentargli la cravatta, nello sbottonargli la camicia e non ebbi nessuna sensazione di incertezza mentre sentivo le sue dita delicate sulla schiena slacciarmi i nastri del vestito da sera color ceruleo.

Il punto non era essere una sedicenne alla prima esperienza o la differenza di età di cinque anni...no, l'unica cosa che importava dentro quella piccola stanza eravamo noi: due ragazzi che si desideravano.

Infatti nessuno pensò alle conseguenze di questa nostra follia: avevamo solo voglia di sentirci, di appoggiare i nostri petti e sentire i cuori battere sfrenatamente all'unisono.

Non ci dicemmo neanche una parola, al punto in cui c'eravamo spinti ogni parola detta sarebbe stata quella sbagliata.

Mi presi un momento per scrutare attentamente i suoi occhi nocciola chiaro, irresistibili quasi quanto i suoi capelli, e notai qualcosa che non avevo mai visto in nessun altro...sorridevano? Le sue labbra non fecero in tempo ad assumere l'espressione del suo sguardo che gliele stavo già baciando con una passione che non pensavo esistesse dentro di me.

Non sono sicura di quello che mi stava guidando, forse la passione, forse il calore che lui sprigionava, o forse il pensare che lui, in quel momento, voleva solo me.

Riflettendoci, un miscuglio di tutte queste cose, ma principalmente era lui che mi dava tutta quella energia: era il fatto di sentirlo così vicino, così ardente, così concentrato sulle mie labbra e sulla mia pelle. Non capisco come mai alcuni dettagli sono talmente impressi nella mia memoria ed altri così sfocati...so soltanto che mi sentii girare la testa, i miei occhi si appannarono e di colpo, come una secchiata di acqua gelata, mi resi conto di quello che era appena successo. Non mi ero mai sentita così confusa; ero spaventata? Felice? Pentita? No...pentita no. Lui lo era? Questo pensiero mi terrorizzava. Non volevo che una volta ripartito la mattina seguente potesse ricordarmi come “il grande sbaglio dell'altra sera”.

Sapevo bene che non avrei mai avuto il coraggio il chiederglielo.

Mi risistemai il vestito e mi aggiustai i capelli. Avevano impiegato molto tempo sistemarmi e adesso ero tutta da rifare.

Aprii di poco la porta. Non l'avevamo nemmeno chiusa a chiave da quanto eravamo impazienti. Mi sentii così stupida: chiunque avrebbe potuto entrare in qualunque momento.

Infilai lentamente la testa fuori dalla porta, controllai che non ci fosse nessuno e poi mi girai a guardarlo. Volevo trovare una risposta nei suoi occhi. Scorsi altra confusione che sommata alla mia incasinarono i miei pensieri una volta per tutte. Sarei mai riuscita a fare il mio lavoro quella sera? Era la serata del Galà, dovevo rimanere concentrata; avremmo fatto gli ascolti più alti dall'inizio dei giochi.

Dato che erano ragionamenti razionali il mio cervello si rifiutò di analizzarli e tornai a pensare al ragazzo che avevo davanti e al passo che avevo compiuto.

Gli lanciai un ultimo sguardo disordinato e uscii, riuscendo solo a sospirare il suo nome.

<...Michael...>

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Primo capitolo. Spero vi piaccia e che vi abbia fatto provare qualcosa (qualunque cosa)

Con affetto, OctoberRain =}

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Capitolo 3
*** Michael ***


Michael Seetton lavorava come attore di serie per ragazzi nel centro di Toronto.

Recitare gli veniva in modo assolutamente naturale. Non si vedevano segni di sforzo quando si immedesimava in un nuovo personaggio e nessuno ricorda di averlo trovato impreparato sul set. Nemmeno una volta.

Chiunque si sarebbe accorto che aveva talento, e tanto. Non solo era credibile nelle parti che recitava ma riusciva a farti amare ogni personaggio che interpretava.

Tutti amavano i suoi personaggi...ma non tutti amavano lui.

Perchè era fatto così. O non vedevi l'ora di sentirlo parlare perchè ogni cosa che diceva ti affascinava oppure pregavi che chiudesse la bocca.

Non poteva non farti né caldo né freddo, come si suol dire.

L'unico modo per destarti indifferenza era il non conoscerlo.

Un volta sentito parlare, perchè ne bastava solo una, ti schieravi. Era più forte di te.

Prima di partire per Dallas, Texas, non avevo ancora preso posizione. Non mi ero molto informata su tutti gli altri corrispondenti che ci sarebbero stati ai giochi. Avevo letto solo il minimo indispensabile; nomi, provenienza, qualche intervista pre-partenza. Nient'altro.

Comunque sia, ero intenzionata a non lasciarmi trasportare a livello sentimentale da nessun ragazzo, non volevo perdere la concentrazione sul lavoro. Il mio primo lavoro in questo campo. Inutile dire che ero agitatissima. L'ansia per tutto quello che mi aspettava mi aveva tranquillizzata su chiunque avessi potuto incontrare.

Ero sicura che nessuno mi avrebbe fatto un grande affetto.

Già...bastava guardarmi nemmeno quattro mesi dopo per vedere che avevo completamente torto. Mentre ero in volo mi sentivo un po' in colpa. La sua era una bella vita. Non era perfetta, affatto direi, ma era bella.

Parlava spesso di tutte le persone che gli scrivevano chilometriche lettere intrise di sentimento.

Bastava guardarlo negli occhi per capire che la sua vita lo appagava: gli scintillavano.

Ciò che in quel momento non potevo fare a meno di chiedermi era: che diritto avevo io di sconvolgergli la vita in questo modo?

Al solo pensiero mi sentii girare la testa. Era come se qualcuno avesse manomesso quell'aggeggio che controlla la pressione negli aerei e ora sentivo quella effettiva premermi sulla testa.

Cercai di calmarmi guardando il mare. Peccato, non si vedeva; volavamo già sopra il grande continente americano. Provai a leggere, per distrarmi, ma nella mia borsa avevo solo libri di Paulo Coelho. Storie d'amore? No grazie. Assurdo: avevo sempre odiato il romanticismo da romanzi rosa. Sdolcinature ben scritte, ma pur sempre sdolcinature. Da quando le leggevo?

Ah già...a Michael piacevano. Non mi aveva mai detto il perchè; ogni volta che gli avevo parlato della mia personale visione dell'amore sembrava essere d'accordo.

Questo mi ricordò che di lui conoscevo solo pochi lati della sua personalità, alcuni più profondamente mentre altri in modo molto più superficiale, purtroppo non sapevo tutto quello che stava dietro le sue azioni.

Non fece altro che riempirmi di domande sul mio futuro a breve termine.

Organizzando: sarei atterrata all'aeroporto di Toronto nel giro di due ore, gli avrei telefonato, l'avrei incontrato, conoscendomi avrei vomitato, poi in qualche modo gli avrei detto tutto e poi, per concludere bene, un'altra bella vomitata.

Nausee mattutine...del pomeriggio e della sera.

L'incognita era una sola: la sua reazione. Non solo non avevo idea di come avrebbe potuto reagire ma nemmeno io riuscivo a capire come volevo che reagisse. Cosa volevo in realtà? Volevo che esultasse di gioia all'idea di diventare padre? Non credo.

Desideravo che si arrabbiasse a morte con me e sul volo di ritorno pensare in che modo orribile raccontare la sua morte al bambino? Non lo sapevo.

Volevo che lui mi prendesse le mani dicendomi che era confuso, sconvolto, terrorizzato...ma che in qualche modo l'avremmo risolta perchè ci eravamo dentro insieme?

Beh...questa non era male.

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Terzo capitolo! Godetevelo e fatemi sapere!

Un abbraccio! =}

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Capitolo 4
*** Dubbi ***


L'aspetto più inconcepibile di tutto quel mio senso di colpa era il preoccuparmi di sconvolgergli la vita...lui non aveva fatto lo stesso?

Perchè io ero il colpevole e lui la vittima? L'ultima volta che ho controllato per concepire bisogna essere in due. Avrei potuto fermarmi, pensavo, avrei potuto stare attenta. E giù con altri rimorsi. L'idea di dare metà della responsabilità a lui, nemmeno mi veniva.

Dov'era finito tutto il buon senso che avevo sempre avuto?

Pensando e rimuginando l'aereo atterrò. Ero finalmente a Toronto.

Non ci potevo credere. Era una sensazione meravigliosa. Mi sentivo come quando Sal Paradise arrivò con il suo grande amico Dean Moriarty in Messico, nel libro On the road.

Essere arrivati dove si era sempre voluto andare. Bella sensazione no?

Per un attimo la visione di quella città fantastica mi aveva fatto perdere il senso della realtà finché realizzai quello che ero venuta a fare.

Pensai di chiamarlo al telefono ma sentire la sua voce mi avrebbe inebriato. Mi conoscevo e sapevo bene l'effetto che le belle voci hanno su di me. Tirai fuori dalla borsa il mio portatile.

Si, una mail sarebbe stato il mezzo di comunicazione migliore. Informale ma distaccato.

Risfoderai il mio inglese, messo da parte appena l'aereo decollò da Dallas tre mesi prima.


Ciao Michael...

sono Lars o Lara, o Lari o in uno dei migliaia di modi in cui mi chiamavi...

cioè...Larissa Milani. Ma l'avevi capito dall'indirizzo...comunque

Spero che non ti sia dimenticato di me.

Ti scrivo perchè, strano ma vero, ora mi trovo a Toronto e mi piacerebbe incontrarti!

Avevamo promesso che saremmo rimasti in contatto nonostante tutto...

Poi avrei davvero bisogno di parlarti. Niente di che. Solo una cosetta.

Ti saluto, Larissa.


Restai a fissare il tasto “invia” per due minuti interi, poi finalmente chiusi gli occhi e ci cliccai sopra. Mi pentii quasi subito. Mi sembrava di aver scritto le cose più sbagliate.

Non solo non mi avrebbe mai risposto ma avrei fatto una figura assurda da pazza patetica.

Decisi di consolarmi con un bel caffè lungo, il mio preferito. Girai per una decina di minuti finché non vidi l'insegna bianca, verde e nera di uno Starbucks. Adoravo quella catena.

Dopo aver preso un americano (rigorosamente decaffeinato, ordini del medico) cercai un tavolo dove sedermi a sorseggiarlo.

Scelsi l'unico tavolo libero vicino alla vetrata in modo da poter osservare la gente che passava. Mi guardai intorno e mi sentii sollevata dal vedere che non ero l'unica seduta da sola con un portatile davanti.

Una cinquantina di persone e due scottature sulla lingua dopo mi arrivò una mail.

Che bello, era lui. Mi aveva risposto.

Diceva che sarebbe stato impensabile dimenticarmi dopo che c'era stato. Aggiungeva di essere davvero felice del mio arrivo a Toronto e che voleva parlarmi anche lui.

L'appuntamento era fissato per quel pomeriggio; avremmo fatto una bella passeggiata con la quale mi avrebbe fatto vedere i lati migliori della città.

Accettai l'invito con una mail corta e piuttosto fredda; non volevo sembrare troppo impaziente di incontrarlo...anche se avevo tutti i motivi per esserlo: non avevo nient'altro in programma e c'era un grosso peso che non vedevo l'ora di togliermi.

Avevo ancora tre ore da far passare ed ero sicura che sarebbero trascorse in modo pesante. Invece non le sentii nemmeno: usai tutto quel tempo a disposizione inventando possibili ed improbabili dialoghi tra me e Michael.

Immaginai ogni singola reazione a cui mi sarei potuta trovare innanzi una volta detta la verità.

Finalmente avrei potuto scoprirlo, uscii dal locale e mi incamminai verso il luogo di incontro.

Orientarmi fu facilissimo dato che aveva scelto un luogo turistico indicato da tutte le guide e da decine di cartelli per le strade.

La piazza era piena di gente che camminava freneticamente in tutte le direzioni quando improvvisamente la folla sembrò come aprirsi davanti a me e apparve lui.

Sentii un forte fastidio allo stomaco; non sapevo se incolpare il mio nervosismo o le mie solite nausee. Guardarlo mi fece sentire meglio. Era esattamente come me lo ricordavo: occhi espressivi, sorriso che scoglie alla vista e quel meraviglioso colore di capelli.

Ambra ramata...elettrizzante.

Mi fecero lo stesso effetto di quando li vidi la prima volta.

___________

Eccoci! Quarto capitolo! Spero vi intrattenga!

Con affetto, OctoberRain =}

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Capitolo 5
*** A prima vista ***


***PAST***


Ero atterrata a Dallas da meno di un giorno e mi sentivo ancora frastornata.

Avevo assolutamente bisogno di prendere un po' d'aria fresca, di rilassarmi e pensare che avrei fatto un buon lavoro. Rappresentare l'Italia ai SAVE A CHILD GAMES era una grande responsabilità e tra tutti i ragazzi che avevano fatto domanda loro avevano scelto proprio me. Ci tenevo a fare una bella figura. Potevo concedermi ancora un paio di giorni prima dell'inizio dei giochi e avrei usato quel tempo prezioso per ambientarmi al campus.

Feci una lunga passeggiata quella mattina e girai intorno a tutta la struttura che comprendeva il campo dove si sarebbero tenuti i giochi veri e propri, qualche piccolo studio televisivo, gli alloggi per i concorrenti e noi corrispondenti.

Il paesaggio era davvero bello; ci trovavamo immersi nella natura e poco distante era situato un meraviglioso laghetto. Era molto piccolo ma l'acqua era pulitissima, rifletteva la luce e dava l'illusione che la superficie fosse ricoperta da diamanti.

Intravidi un molo tra la moltitudine di alberi e il mio primo impulso fu di spingermi fino alla fine per immergere la mano in quel liquido argentato.

Ma mi bloccai. Appoggiato ad un tronco vidi un ragazzo che ascoltava la musica con delle cuffie. Era totalmente preso, sembrava quasi in trance. Teneva la testa alzata in direzione del sole e i raggi si infiltravano tra i suoi capelli. Dire che erano belli sarebbe poco. I capelli in sé non erano i migliori che avessi mai visto, erano ben tenuti ma piuttosto ordinari, quello che li rendeva speciali era il colore. Incantevole. Fu in quel momento che mi vennero in mente quelle due parole per descriverlo: ambra ramata.

Diedi una piccola occhiata anche al suo viso. Attraente come pochi, dal mio punto di vista.

Il bello di quel viso consisteva nel non essere di una bellezza oggettiva. So che la bellezza non è mai oggettiva ma ci sono persone che sono belle, punto, potrebbero non attirarti, ma sono belle. Il suo caso era diverso; magari prima di me era passata un'altra ragazza che guardandolo aveva pensato che non era niente di speciale.

Invece io rimasi come ammaliata. Restai a fissarlo per qualche secondo finché non aprì gli occhi e iniziò a guardarsi intorno. Evidentemente non era poi così assorto nella musica se aveva sentito uno sguardo fermo sui suoi lineamenti!

Per mia fortuna aveva il sole a parargli la visuale non mi vide nascondermi dietro ad un albero. Poi ricevetti un altro colpo: il terzo nel giro di pochi minuti.

Bastarono queste poche parole a farmi capire che di lui mi piaceva anche la voce.

Una delle mie grandi passioni era il doppiaggio e di conseguenza avevo una concezione precisa di “bella voce”. Ogni voce che io consideravo bella aveva uno strano effetto su di me: mi faceva venir voglia di sentire la persona a cui apparteneva parlare per ore intere.

Mentre mi allontanavo dal lago mi misi a pensare a cosa mi ero ripromessa prima di partire: nessun coinvolgimento.

Mi rendevo conto che non era ancora successo nulla, avevo solo visto un ragazzo, ma sapevo che se non avessi iniziato subito a controllarmi ci sarebbe stato poco da fare.

__________________

Un capitolo breve breve, che si legge in un minuto!

Spero che almeno sia stato un minuto piacevole! E spero anche che abbiate qualcosa da dire...

Un abbraccio e buona nottata. =}

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Capitolo 6
*** Ritroviamoci ***


Mi venne incontro allargando il sorriso.

"Non hai idea di quanto mi faccia piacere vederti." disse dolcemente.

"È lo stesso per me, davvero."

Passò qualche secondo imbarazzante nei quali pensammo in che modo salutarci.

Optammo, poi, in un rapido abbraccio.

"Spero che tu abbia rinfrescato il tuo inglese perchè ho intenzione di farti parlare fino a perdere la voce! Devi raccontarmi tutto quello che stai facendo!"

"Allora è meglio che faccia rifornimento di pastiglie per la gola!" scherzai.

"Io ho una proposta migliore> disse lanciando gli occhi dappertutto "

Era imbarazzato, come se mi stesse chiedendo di uscire per la prima volta.

"Grazie ma l'ho già preso."

"in verità anch'io...lungo e dolce?"

"Esattamente" Fu l'unica cosa che riuscì a dire.

Sapere che conosceva queste piccole cose di me mi fece uno strano effetto.

"Allora..." riprese mentre iniziavamo a passeggiare "So che potrò sembrare poco contento di averti qui ma devo chiederti cosa ci fai a Toronto...voglio dire, so che ti è sempre piaciuta ma...insomma...hai capito no?"

Il suo nervosismo era respirabile.

Strano, era teso più di me, che mi auto-definivo “la regina del nervoso”.

"Si, si, ho capito...e comunque è una domanda lecita."

"A proposito di domande lecite, i tuoi genitori ti hanno fatto venire qui da sola?"

Mi sentii sollevata dato che stava ignorando la prima domanda che mi aveva fatto ma anche in difficoltà per la seconda.

I miei genitori erano un tasto dolente. Riuscì per poco tempo a tener loro nascosta la cosa forse semplicemente perchè non lo volevo. Non avevo voglia di iniziare a mentire.

Tanto a cosa sarebbe servito?

Inspiegabilmente la presero in maniera ragionevole.

Fece malissimo: invece delle urla, dei gridi, delle minacce di buttarmi fuori di casa...tutte reazioni che mi aspettavo, mi abbracciarono e mi dissero che in qualche modo saremmo riusciti a venirne fuori. Sapere di averli delusi mi uccise. Non credo che ce l'avrei mai fatta senza mia sorella Alessandra. Lei fu l'unica che riuscì a starmi vicino senza giudicarmi. Fu la prima a cui raccontai il mio progetto di partire per il Canada e, cosa che non mi stupì, capì la mia scelta.

Si offrì anche di venire con me ma non mi sembrò il caso.

Mi ricordo ancora le sue parole:

"È la scelta migliore, Michael ha diritto di sapere. Non importa come la prenderà."

Tenendomi all'oscuro, Ale disse del Canada ai nostri genitori e tutti e tre insieme mi programmarono questo viaggio. Non so bene come si organizzarono. Un giorno tornai a casa e vidi il biglietto sul mio letto. Mi lasciò sbalordita e grata: sapere di avere una famiglia pronta a sorreggermi soprattutto in questi momenti difficili mi sembrò una fortuna enorme.

"Si può dire che hanno capito la mia scelta." dissi alla fine.

"Mi fa piacere."

Michael era uno che sbatteva la palpebre spesso e velocemente, ma dopo aver detto quelle semplici parole iniziò a scrutarmi, come se stesse cercando qualcosa.

"Cosa c'è?" chiesi infastidita. Se c'è una cosa che odio sono le persone che fissano.

"Niente..." sospirò senza convinzione. "È solo che sei diversa. Hai presente quando le persone affrontano delle battaglie impegnative dai cui escono segnate e incomprensibilmente riesci a vedere questo cambiamento sui loro volti?"

Mi fece questa domanda sapendo che non avrei compreso appieno quello che voleva dire.

Ma, bisogna ammetterlo, ci aveva preso.

"Ah, dimenticavo, ti trovo benissimo." Il suo sorriso si fece impercettibile.

"Grazie, anche tu, meglio dell'ultima volta."
Mi lasciai sfuggire un complimento sincero.

"Ma va!" disse iniziando a ridere

"Anch'io allora!" esclamai.

"Affatto...non assomigli proprio alla ragazza che vidi la prima volta nella caffetteria."

Allontanò lo sguardo e si mise ad osservare la strada.

Io riflettei un attimo.

"Pensavo che la prima volta che ci vedemmo fu alla cerimonia di inizio dei giochi."

Ovviamente con “ci vedemmo” intendevo “mi vedesti”.

"Io non l'ho mai detto."

"E quando mi avresti vista?" La mia curiosità era alle stelle.

"Va bene, te lo racconto."

______________________

Come continuerà il racconto di Michael? Sarà tutto nel prossimo capitolo!

Per ammazzare l'attesa che ne dite di farmi sapere quello che pensate?

Buon Sabato Sera! OctoberRain =}

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Capitolo 7
*** Te lo racconto ***


***MICHAEL'S PAST***

Come ho già detto ero in caffetteria. Ero sceso prestissimo e mi aspettavo di non trovare nessuno quando sentii dei passi sulle scale precedermi.

Non pensavo ci fossero altri mattinieri tra i corrispondenti. Quando capii che ti stavi dirigendo proprio dove stavo andando io mi fermai ad aspettare che te ne andassi: la mattina appena sveglio non ho mai molta voglia di parlare e la prospettiva di avere una banale conversazione di circostanza non mi attirava affatto.

Non so bene cosa mi spinse a farlo ma rimasi dietro la porta socchiusa ad ascoltare quello che avresti ordinato. Come me, anche l'addetta alla sala fu sorpresa di trovare qualcuno così presto. Ricordi? Si chiamava Marisol Diez, di origini portoricane, e appena ti vide fu per lei la fine della noia di quella prima mattinata in cui tutti si sarebbero alzati dopo le dieci. Purtroppo il suo turno iniziava alle sette del mattino. Camminasti per un paio di volte davanti alla schiera di immagini che rappresentavano i vari tipi di caffè tra cui potevi scegliere. Avevi gli occhi spalancati, come se scegliere la miscela adatta condizionasse tutta la tua giornata.

Ti avvicinasti al banco e dopo aver salutato cortesemente Marisol, dicesti che avresti preso un normale caffè lungo molto dolce. Non riuscii immediatamente a capire da quale paese europeo prevenivi e desideravo sentirti parlare ancora per placare la mia insolita curiosità.

"Certo cara," ti disse Marisol. Poi aggiunse: "Lo vuoi aromatizzare?"

"Aromatizzare?" eri sorpresa, nel ripetere quella parola si capiva che ne avevi inteso il significato teorico ma non molto quello pratico.

"Certo, su quella mensola" indicò con un dito alla sua sinistra "ci sono delle bustine con degli aromi; trovi tutti i tipi di frutta e anche qualche spezia. Te le consiglio, danno un tocco in più."


Marisol era una donna gentile, sulla trentina, che amava entrambi gli aspetti del suo lavoro: il caffè e interagire con la gente. Sapeva togliere dall'imbarazzo le persone alle quali rivolgeva la parola e senza rendertene conto, iniziavi a parlarle.


Ti avvicinasti alla mensola e dopo una lunga osservazione prendesti una bustina e la mostrasti a Marisol.

"Frutti di bosco...ottima scelta." ti disse sorridendo gentilmente.

Tornasti al bancone e assaporasti il profumo che si riusciva a sentire anche se la confezione era ancora chiusa.

"Come ti chiami?" ti chiedette dopo pochi secondi di silenzio.

"Larissa, molto piacere"

Pensai subito che avevi un nome strano, anche se molto interessante.

Allungasti la mano e mentre te la stringeva Marisol ti disse:
"E da dove vieni, cara?"

"Italia."

In quel momento chiuse gli occhi come se stesse visualizzando nella sua mente Milano, o Venezia, o Firenze oppure Roma.

"Deve essere splendida."

"Mi piace."

"Sei una ragazza di poche parole vero?"

"Quando non sono nel “mio ambiente naturale”, sì."

"La caffetteria non è il tuo ambiente?"
Rideste entrambe per quella battuta che, si notò moltissimo, ti tolse dall'imbarazzo.

"No," spiegasti "Sono tutte queste telecamere, gli studi televisivi...gli attori famosi..."

"Ma...pesavo che tutti i corrispondenti facessero parte di questo ambiente. Ho lavorato a tutte e quattro le edizioni dei SAVE A CHILD GAMES ed è sempre stato così."

"Sono la prova vivente che non lo è stato quest'anno!"

"E allora come sei arrivata qui?"

"Vedi Marisol...io amo scrivere. Nel mio liceo, in Italia, io scrivo per il giornale della mia scuola: tengo una specie di rubrica in cui cerco di capire perchè le persone fanno quello che fanno. Cerco di fare chiarezza, insomma...anche se capita che quando cerco di rispondere ad una domanda non faccio altro che trovarne altre. Ma questo è uno degli aspetti che preferisco: mi piace far riflettere la gente. L'insegnante che cura il giornale, la professoressa Rossetti, guardando il sito italiano della fondazione “Save a Child” trovò questo concorso in cui ogni ragazzo o ragazza che avesse compiuto 16anni poteva inviare uno scritto in cui spiegava che cambiamenti farebbe se fosse a capo del mondo. Il premio per il vincitore sarebbe stato il lavoro da corrispondente ai SAVE A CHILD GAMES. Ci teneva molto che io partecipassi così non volli deluderla; in meno di tre giorni avevamo già inviato il mio saggio. Evidentemente lo avevano trovato molto buono dato che fui selezionata tra i primi dieci. A noi finalisti chiesero di inviare un video in cui fingevamo di trovarci ai giochi, credo volessero sapere il modo in cui relazioniamo alla telecamera o se avevamo la stoffa. È successo tutto così in fretta...vinsi e mi ritrovai con i miei genitori a firmare una specie di contratto. Beh, questo è tutto."

"Una storia singolare, Larissa. Sai una cosa? Posso immaginare quanto nervosa tu ti senta in questo momento ma appena ti troverai in mezzo a quei ragazzi della tua età ti dimenticherai che sono attori molto conosciuti e inizierai a sbloccarti. Da lì in poi ti sembrerà tutto naturale. Credimi."

Il tuo sorriso dopo quella frase è difficile da descrivere, un misto tra riconoscenza e speranza. Radioso.

"Grazie mille, spero solo di non deludere nessuno."

"Non succederà. Cambiando discorso, come mai in piedi così presto? Non dirmi che è il nervosismo a tenerti sveglia!"

"In parte, in verità, ma oggi è una giornata splendida e non ho resistito. Andrò a cercarmi un buon posto in cui leggere per un'oretta."

"Bel programmino...ed ecco il tuo caffè!"

Lo prendesti e lo annusasti. "Ha un profumo buonissimo. A domani, Marisol."

"Buona giornata, cara." Dal suo sguardo si capiva che le piacevi.

___________________

Ecco qua! Un altro capitoletto!

Se vi piace ditemelo! Se non vi piace....pure! Mi interessa comunque!

Un abbraccio! =}

Devo i dovuti ringraziamenti a Lady Elaisa che mi segue fin dall'inizio e mi ha dato la sua opinione. Grazie Mille!!!!!!!

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Capitolo 8
*** Un peso in meno ***


Quella mezzora vista attraverso i suoi occhi mi aiutò a conoscerlo meglio.

"Non posso crederci che non me hai mai parlato!"

"Nemmeno io so perchè non l'ho mai fatto."

"Non fa nulla...anzi, mi ha fatto piacere sentirla adesso."

Era come se fossi stata in letargo da quando l'avevo visto l'ultima volta a Dallas, sentivo che mi stavo risvegliando, in quell'esatto momento, con lui.

Poi riprese: "Ah, mi dispiace, tu avevi qualcosa da dirmi, vero? Io mi sono messo a divagare e me ne sono dimenticato..."

"Si, giusto. È molto importante anche."

Eccolo lì. Il momento era giunto. Avrei dovuto tirar fuori ogni traccia di coraggio che c'era in me, oppure inventarmene un po'.

"Forse è meglio che ci sediamo." Si, era meglio davvero.

Trovammo un panchina, illuminata dal gelido sole di novembre.

"Devi promettermi che finché non ho finito tu non dirai nemmeno una parola. Altrimenti, lo so già, finisce che la cosa che ti devo dire...non te la dico più. Ma è importante che te la dica."

Probabilmente in quel momento il mio viso di fece più pallido del solito perchè vedevo negli occhi di Michael uno sguardo apprensivo.

"Stai bene?" mi chiese con una punta di preoccupazione.

Annuì, mentendo. Avevo lo stomaco che era un disastro.

"Michael, hai presente quando ci sono situazioni che sai che dovrai affrontare prima o poi e allora cerchi di prepararti perchè non sai quando sarà il tempo di farlo ma poi, quando ti accorgi che non puoi più scappare ti rendi conto che non sei pronto, e non è perchè non ti sei preparato abbastanza ma è perchè non sarai mai, mai pronto?"

"Cosa vuoi dire?" si fece cupo.

Presi un respiro profondissimo, sentii l'aria fredda dell'inverno canadese fin dentro le ossa, e poi dissi tutta d'un fiato quella frase tanto pensata, immaginata e dolorosa.

Il suo sguardo diventò vuoto in un istante e si mise a fissare davanti a sé. Mi guardò per un attimo come se volesse chiedermi se stavo scherzando ma si rese conto che non si potrebbe mai scherzare su una cosa del genere. Almeno io non avrei mai potuto farlo. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra la mani. Lo sentii respirare in modo pesante, poi si rialzò mi fissò freddo negli occhi e disse solo:

"Sei sicura che..." non ce la fece a continuare e in un secondo mi diede le spalle.

Cosa voleva chiedermi? Se ero sicura di essere incinta? Si, lo ero. Se ero sicura che fosse suo? Si, ancora più sicura.

Da lì in poi silenzio assoluto. Camminava nervosamente, poi si risiedeva, poi si appoggiava alla ringhiera dietro la panchina, poi si allontanava di una paio di metri e poi tornava indietro con decisione verso di me, apriva la bocca come se volesse parlare ma la richiudeva subito e con un rapido gesto della mani si allontanava ancora.

Che era visibilmente sconvolto, riuscivo a vederlo ma in quel momento avrei dato qualsiasi cosa per sentirlo parlare, qualsiasi cosa per sapere cosa gli passava per la testa.

Sembrò calmarsi ad un certo punto, si sedette vicino a me sulla panca e guardando la gente che ci passava davanti respirava normalmente.

Non potevo più aspettare; volevo attendere che fosse lui il primo a rivolgermi qualche parola ma non resistevo più. Parlai io per prima.

"Non sai cosa dire, vero?" Non trovai niente di più intelligente in quel momento.

Si girò verso di me e sentii nei miei i suoi occhi nocciola che non mi erano mai sembrati così spaventati. Allargò di poco gli angoli della bocca, fingendosi calmo.

"A volte le parole sono del tutto inutili."

________________

Capitolo minuscolo ma significativo...che soprattutto prepara al prossimo

in quale altra occasione sarà stata detta quella frase?

Al prossimo capitolo! (che è praticamente pronto quindi...)

1abbraccio! OctoberRain =}

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Capitolo 9
*** Inutili le parole ***


Non era la prima volta che mi diceva quella frase.

Le circostanze in cui la udì la prima volta sono come marchiate a fuoco nei miei ricordi.

Era precisamente il 30 agosto, dell'estate più calda che io abbia mai passato.

Non avevo parlato per tutto il giorno; ero triste all'idea che l'indomani sarebbe tutto finito, sarei tornata a casa mia, in Italia.

Diventavo solare e piena di parole soltanto quando mi trovavo davanti ad una telecamera accesa. Devo ammettere che fingere in quel modo mi riusciva piuttosto bene e nessuno si accorse di nulla dato che mascheravo il mio mutismo con il nervosismo in vista del Galà di quella sera.

Registrammo solo di mattina mentre il primo pomeriggio lo passammo a provare.

La novità era che non avrei condotto da sola il Galà come avevo fatto per tutto l'arco dei giochi, infatti dall'Italia la fondazione mi mandò un cavaliere. Si chiamava Jari, faceva il cantante e l'attore di sit-com. Mi fece molto piacere riuscire a parlare la mia lingua con un ragazzo della mia età. In verità ero partita con Valentina Francesconi, sedici anni come me e attrice nella stessa sit-com di Jari, ma dato che era una concorrente avevo raramente l'occasione di parlarci. Era un peccato perchè quella ragazza mi piaceva. La incontrai la prima volta in aeroporto la mattina della partenza. Notai subito che dal modo di camminare, vestire e parlare era una ragazza molto eccentrica; aspetto che apprezzo nelle persone.

Nascondeva la sua tensione per il viaggio parlando molto e velocemente, di tutto quello che le passava per la mente. Una volta scese dall'aereo conoscevo già tutti gli aspetti più importanti della sua vita, la sua famiglia, i suoi affetti e le sue passioni. Pensandoci ora, un'amica con cui confidarmi mi avrebbe fatto molto comodo durante quelle 5 settimane. Credo che sarei riuscita ad affrontare tutte le mie questioni complicate riguardanti Michael in modo più tranquillo.

Il mio bisogno di parlare e sfogarmi si fece notare da Jari il quale si proclamò volenteroso ad ascoltarmi. In un primo momento rifiutai ma continuai a riflettere sulla sua proposta mentre mi truccavano, sistemavano i capelli e sceglievano il vestito più adatto alla mia carnagione. Secondo loro il blu ceruleo era perfetto per me.

Più tardi stavamo aspettando di iniziare davanti ad una delle grandi porte della sala da ballo, eravamo in anticipo di circa un'ora. Infatti per i corridoi non c'era nessuno.

Senza voltarmi verso di lui e senza spostare lo guardo da davanti a me gli dissi:

"Sai...non so se voglio partire."

"Beh, mi sembra ovvio. Io sono qua da poco più di un giorno e già me ni sono innamorato di 'sto posto quindi non faccio fatica a credere che tu non te ne voglia andare più via!"

Sapevo che quello che stava dicendo era vero ma non mi sentivo del tutto convinta.

"Si, in parte."

"E l'altra parte quale sarebbe?"

"Mi sembra come se mi fossi persa qualcosa in questo viaggio, come se ci fosse qualcosa che mi sento di fare ma non so cosa."

"Certo che lo sai."

Ero stupita. Come faceva lui a dirmi cosa sapevo io?

"Lo saprei?"

"Assolutamente! Ma è probabile che questa cosa ti esponga così tanto che non vuoi ammetterla nemmeno tu. Capisci cosa intendo?"

"Si, credo che tu abbia ragione. Ti sei mai sentito così anche tu?"

Annuì.

"E come ti sei comportato?"

"Ero convito che se fossi partito ignorando quella sensazione me ne sarei pentito e mi sarei sempre chiesto “cosa sarebbe successo se...”. Quindi mi buttai e col senno di poi me ne pentii ma almeno non ho rimorsi. Per me è meglio così."

"Centrava una ragazza?" chiesi insinuante.

Per la prima volta dall'inizio della nostra conversazione si girò a guardami.

"E nel tuo caso centra un ragazzo?"

Abbassai lo sguardo iniziando a fissarmi la punta delle scarpe eleganti.

"Ecco, ti sei risposta da sola."

Era il momento di fare una scelta: i sicuri rimpianti o i possibili pentimenti.

Decisi in un attimo; non volevo essere una di quelle persone che arrivate ad un certo punto della loro vita si chiedono quali decisioni prese diversamente l'avrebbero resa migliore.

Gli dissi solo: "Torno subito." e non sapendo nemmeno dove andare mi misi a correre per i corridoi nella speranza di incontrare lui, Michael.

Mentre mi allontanavo vidi Jari sorridere, e quello mi convinse che stavo facendo la cosa migliore in quel momento.

Le mie speranze si concretizzarono alla vista di un ragazzo dai capelli ramati camminare canticchiando con la spalla addossata alla parete ricoperta da una discutibile carta da parati lilla.

Vedendomi, assunse quel sorriso che mi era sempre piaciuto, ed io non riuscì che a fare lo stesso. Poi si accorse che avevo appena finito di correre: guance arrossate, respiro affannoso e, inizio principale, le scarpe col tacco in mano.

"Dove vai così di fretta?" disse mentre rideva.

Il fatto di non salutarci mai con la parola di rito “ciao” la consideravo una nostra tradizione.

"Veramente cercavo te." Mi pentii immediatamente della mia sincerità sfacciata.

Non lo vidi affatto stupito anzi il suo ego, tipicamente maschile, ne godeva.

Mi sentivo un po' a disagio, la sicurezza che avevo durante la corsa mentre pensavo a cosa dirgli non la trovavo più.

"Beh, sai com'è...tra poco inizia il Galà e non potremmo parlare più di tanto poi domani ho l'aereo presto quindi..." finsi calma mentre lo guardavo negli occhi la prima volta dall'inizio della conversazione "Ci tenevo a salutarti."

"Mi fa piacere, hai fatto bene." Si mise la mano tra i capelli scompigliandoli, come se stesse cercando di tirarne fuori le parole più adatte.

"Non mi piacciono molto i saluti, non so mai cosa dire."

"Nemmeno io, posso solo dirti che i capelli in disordine non stanno bene con lo smoking!" Ironizzai per calmarmi. Adoro l'ironia, in me e negli altri, rende le cose divertenti ma non troppo e soprattutto allevia la tensione.

"Non smetti nemmeno l'ultimo giorno con le tue frecciatine vero?"

"Come potrei? Sono il mio marchio! Non l'hai ancora imparato?"

"Si, è vero." Ridemmo entrambi.

Mi ricordai che avevo ancora le mie scarpe in mano e, cercando di fare il più in fretta possibile, me le rinfilai diventando otto centimetri più alta.

"E poi sono i miei capelli che non si adattano all'eleganza della serata, vero?"

Sorrisi. "Touché." 
Avevo perso la cognizione del tempo quindi era meglio fare quello che volevo fare in fretta.

"Comunque," ripresi cercando di essere seria "C'è una cosa che devo fare, altrimenti so già che non riuscirò a tornare a casa tranquilla. Capisci cosa voglio dire?"

"Si, più o meno, forse...hai bisogno di me?"

Da quel momento in poi è tutto avvolto da un aura nebulosa.

Lo fissai negli occhi per dei secondi che sembrarono lunghi il doppio cercando di raccogliere la mia decisione e la forza di seguire, senza pensare alle conseguenze, i miei desideri.

Non avevo più voglia di pensare. Premetti le mie dita contro le sue spalle, gli feci fare un paio di passi all'indietro in modo che la schiena si appoggiasse al muro e in quel momento, grazie ai tacchi alti, sollevai la mia testa solo di qualche centimetro e le mie labbra sfiorarono le sue con una lieve pressione. Mi allontani immediatamente, dandogli le spalle.

Non saprei spiegare perchè non mi sentivo del tutto soddisfatta. Avevo appena fatto quello che volevo ma dentro di me sapevo, anche se in quel momento non lo avrei ammesso, che quello che c'era appena stato non era un bacio. Quel gesto intimo non era degno di essere chiamato con quel nome; erano solo due corpi che si erano toccati, il fatto che fossero state le nostre labbra era irrilevante. Probabilmente avrei raccolto quella mia piccolissima vittoria e sarei scappata lontano cercando, poi, di evitare il suo sguardo per tutta la serata, ma una reazione inaspettata sconvolse il mio progetto di fuga, fuga dal corridoi e da lui.

Gli bastarono pochi lunghi passi per raggiungermi e in un gesto solo mi voltò e appoggiò la mia schiena all'altro muro. Adesso erano le sue labbra che erano sulle mie e sentivo la sua mano dietro la mia nuca, come se non volesse lasciarmi andare via. Cosa che, comunque, non avrei fatto.

Dopo pochissimi secondi sentii le sue labbra allontanarsi e scorrere lentamente sul mio viso mentre con la sua guancia accarezzava la mia.

"Non ho parole." dissi impulsivamente.

"A volte le parole sono del tutto inutili." Mi sussurrò all'orecchio pronto a baciarmi di nuovo.

Provare sulla mia pelle tutte le sensazioni che scaturiscono da un bacio vero mi fecero sentire leggera e rilassata, come se si fosse riempito tutto d'acqua e noi ci eravamo dentro, noi che non avevamo bisogno di respirare ma volevamo solo lasciarci trasportare dalla corrente.

Cominciammo a schiudere le labbra rendendo il bacio ancora più vero e profondo. Istintivamente intrecciai le dita tra i suoi capelli poco più scuri dell'ambra e da li non le spostai più. Sentivo le sue, invece, dappertutto lasciando al loro passaggio una scia di calore che mi sembrò così forte da sentire il vestito andare a fuoco. Forse eravamo solamente noi ad andare a fuoco. Un fuoco incontrollabile, quel fuoco che hanno sempre chiamato passione, che è un insieme di desideri, voglie e piaceri. Non riflettendo su quello che stavamo facendo mi lasciai condurre per il corridoio e automaticamente abbassai una maniglia che apparve come dal nulla vicino al mio gomito.

_______________

Scusate questo ritardo mostruoso ma ho avuto seri problemi al computer…tutto risolto, per fortuna! Mi faccio perdonare con questo capitolo bello sostanzioso! Buona Serata! =}

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Capitolo 10
*** Ritorno alle origini ***


Michael mi aveva appena lasciato all'albergo dove stavo. Non aveva detto nemmeno mezza parola sull'argomento, ma mi aveva assicurato che una volta sistemate bene le idee ne avremmo parlato per bene. Non aspettavo altro, non mi interessava quanto avrei dovuto aspettare.
Ero esausta. Mi sdraiai sul letto e iniziai a seguire con gli occhi le linee intrecciate disegnate sul soffitto. In quel mare di confusione, che non solo disorienta ma fa anche star male, viaggiai con la mente verso il periodo migliore della mia vita: le cinque settimane passate a Dallas, ai SAVE A CHILD GAMES.

L'avventura vera a propria iniziò un'assolata mattina di fine luglio, lunedì 28 per essere precisi. Si teneva la cerimonia di inizio e nonostante le rassicurazioni di Marisol mi sentivo nervosa come mai prima. Anche Valentina lo era, cosa a cui non avevo pensato. Ero convinta che lei, essendo dell'ambiente, fosse più tranquilla. Quando glielo feci notare mi disse che recitare in uno studio a Milano era diverso che vivere e giocare con personaggi famosi nel Texas. Era anche preoccupata che il non essere un tipo molto sportivo potesse crearle dei problemi.

Mi sentii un po' egoista: mi ero preoccupata solo del mio nervosismo ignorando quello della mia unica amica in quel momento. E pensare che mi definivo empatica...

Nonostante tutto questo riflettere su come stesse Valentina, una volta separate ripresi a pensare alle tenaglie che mi sentivo nello stomaco.

Continuavo a ripetermi che una volta davanti alla telecamera per il mio primo turno di registrazione tutto mi sarebbe venuto naturale e sarei stata visibilmente tranquilla e spontanea. Non me lo aspettai ma successe proprio così.

Le parole mi uscirono da sole e parlai ad una velocità normale senza incepparmi. Non ci fu nemmeno bisogno di ripetere la mia presentazione. Come credo si dica in questo campo, fu buona la prima. Di certo La piccola troupe italiana non mi fu inizialmente d'aiuto dato che non mi conosceva; sapeva solo che una “normale” studentessa avrebbe fatto da corrispondente. Notai subito che la mia assoluta mancanza di esperienza li infastidiva e li preoccupava di perdere tempo prezioso.

La mia vanità ricevette un rinfrescatina quando mi accorsi che avevo stupito tutti e cominciai a pensare che se al concorso avevano scelto me tra tanti un motivo ci doveva essere pur stato!

Il cameraman, un uomo sulla quarantina che tutti chiamavano Rambo nonostante si chiamasse Marco (e non seppi mai il perchè) mi guardò per un momento senza dire nulla come se qualcosa in me gli piacesse e lo innervosisse allo stesso tempo. Mi diede un paio di dritte e mi spiegò cosa avrei dovuto fare alla cerimonia, della quale avevo tanto annunciato l'incombenza ai miei telespettatori ma di cui mi accorsi di non sapere ancora nulla.

Entrai in una grande sala, quella che avrebbe anche ospitato il Galà settimane dopo, e rimasi colpita dalla quantità di ragazzi che vedevo parlare e scherzare come se si trovassero ad un normale campeggio estivo. Solo per me la cosa aveva dell'incredibile? Solo per me calpestare il suolo americano era così emozionante da essere classificato nella mia lista una delle 15 cose da fare assolutamente nella vita? Capivo perchè non lo era per gli americani, che erano la maggior parte, ma la minoranza era formata anche da canadesi, messicani, brasiliani, giapponesi, indiani, inglesi, spagnoli, francesi e italiani, ovviamente.

In quel momento mi piacque pensare che fu solo la prima impressione che si ha quando non si sa niente delle persone che ci stanno intorno e non che il mio entusiasmo fosse un po' troppo esagerato. Tra la folla vidi Valentina e le andai incontro felice di vedere una faccia amica.

Notai che aveva già fatto qualche conoscenza e che chiese un minuto di permesso per venirmi a parlare. Inaspettatamente quando mi raggiunse, mi abbracciò calorosamente.

"Per cosa merito tutto questo affetto? Non vorrai mica confermare i luoghi comuni che gli stranieri hanno degli italiani e le loro...effusioni, spero!"

Quando mi accorsi che non aveva afferrato il mio umorismo, credendolo anzi un insulto, la tranquillizzai con un timido "Scherzavo."

Sembrò ignorare ogni cosa detta per dire al massimo dell'euforia:
"Oh, Lary, non sai quanto sono felice che tu ti sia unita a noi! È tutto così bello e i ragazzi che fin ora ho conosciuto sono assolutamente incredibili! Soprattutto un ragazzo...hmm...non puoi capire quanto è bello se non lo vedi, si chiama Carlos, è messicano, e spero proprio di averlo come compagno di squadra!"

Camminando tra la gente e la sua eccitazione arrivammo all'altro lato della sala dove mi presentò al gruppo.

"Ragazzi, questa è Larissa." disse fingendo un accento mezzo inglese e mezzo americano.

Feci un gesto impacciato di saluto correlato al sorriso migliore che mi venne.

"Allora,> riprese Vale indicando col dito quelli che nominava

"Michael Seetton, Toronto." Si presentò da solo.

Ero così presa dal vedere il tipo che aveva fatto già perdere la testa a Vale che non notai quello che avrebbe, prima o poi, fatto perdere la mia. Fui felice di dare finalmente al “ragazzo dai capelli splendidi”, di cui non mi ero affatto dimenticata, un nome.

"Sei italiana anche tu, vero?"

"Si, da Milano."

Sorrise tra sé, come uno che sa di aver vinto una scommessa.

Quasi all'unisono, in minimo cinque lingue diverse (o almeno cinque furono quelle che riuscì a riconoscere) tutte le troupe presenti nella sala cominciarono a chiamare i propri concorrenti e rispettivi corrispondenti perchè era ora di dare inizio alla cerimonia.

Accennai un collettivo senza però allontanarmi dato che aspettavo Vale che sorrideva languida al bel messicano. Michael fu l'unico a rispondere al mio saluto.

"Ci vediamo, Lara." E sparì tra la folla.

"È Larissa, comunque." Dissi conscia che non avrebbe potuto sentirmi.


_________________________________________

So che non siete molti a seguire la mia storia, ma volevo dirvi che mi dispiace tantissimo di averla lasciata così! Non ho smesso di scriverla ma, nonostante mi piacesse la piega del racconto, non mi piace ancora il modo in cui l'ho scirtta. Mi sono un po' arenata. Ho deciso, allora, di scrivere una parte che avevo solo in mente da un po'. Spero vi piaccia. Un abbraccio, October Rain =}
[Specialmente a voi, Lady Elaisa, Lady Book, Nerissa_Blu e Benzina! Grazie di cuore!]

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Capitolo 11
*** Cerimonia ***


Per i concorrenti la cerimonia consisteva nella consegna delle uniformi e nella divisione nelle 5 squadre ognuna delle quali portava il nome di una nazione in cui i bambini vivono nelle peggiori condizioni. La squadra che si sarebbe classificata al primo posto avrebbe vinto 50'000$ che la fondazione avrebbe usato per migliorare le condizioni di vita nello stato che dava il nome al gruppo. Le rimanenti quattro squadre avrebbero ricevuto 10'000$ da usare nello stesso modo.

A noi corrispondenti, invece, venne consegnata la maglietta ufficiale dei SAVE A CHILD GAMES (di un colore neutrale in modo da non favorire nessuno) e il microfono con cui avremmo fatto le presentazioni e le interviste.

Bastava un rapido colpo d'occhio per capire che ero italiana dato che entrambi gli oggetti consegnatomi avevano stampato un tricolore enorme.

Il lato positivo era che non avrei mai fatto gaffe sulla nazionalità dei miei colleghi ma, e di questo ero certa, avrei trovato altre occasioni per fare delle pessime figure.

Tutto si concluse prima di quando avessi immaginato o forse fu solo una mia impressione. Dicono che quando ci si diverte il tempo sembra passare più velocemente. A rendere divertente il tutto fu la presentatrice ufficiale dei giochi, una donna esilarante e dalla parlantina assurda. Si chiamava Charlotte Porter ma tutti la conoscevano come Cha-cha.

Prima di darsi alla conduzione Cha-cha faceva la modella di costumi da bagno, richiesta dai fotografi più famosi di Los Angeles e che si poteva trovare sui cataloghi perfino di Pietroburgo.

Nonostante non arrivasse ai trent'anni aveva già un paio di matrimoni alle spalle terminati entrambi perchè non intendeva rinunciare alla sua carriera e nemmeno al suo fisico perfetto per concedere figli a mariti scontenti. Sembrava non curarsene se la gente, venuta a conoscenza dei dettagli dei suoi divorzi tramite i tabloid pieni di pettegolezzi, la considerasse una persona di dubbio gusto, Cha-cha diceva di essere troppo giovane per pensare a queste cose serie da donna matura.

Durante la cerimonia ogni due per tre faceva battutine o commenti maliziosi agli operatori dall'aspetto migliore scatenando una risata generale che, però, si spegneva subito.

Il suo umorismo e la sua risatina esaltavano anche me ma a volte volevo solo che fosse più seriosa solo per dare un tono solenne alla cerimonia e renderla più simile a come l'avevo immaginata.

Devo ammettere che guardai più di una volta Michael cercando di vedere se mi stava guardando anche lui e arrabbiandomi se mi rendevo conto di avere ragione. Inutile dire che questo comportamento non aveva molto senso. Quando fummo liberi di lasciare la sala corsi a cercare Vale perchè sapevo che una volta raggiunto il dormitorio della sua squadra l'avrei rivista solo sul campo da gioco e saremmo state troppo impegnate per parlare.

La cercai invano per dieci minuti buoni quando mi sentii afferrare il braccio da dietro.

Mi voltai di scatto e vidi Michael.

"È nel giardino interno." mi disse distaccato.

"Chi?" mi resi conto subito della stupidità della mia domanda. "Come fai a sapere che cerco lei? Potrei cercare chiunque altro."

"Certo, Laree, chiunque altro..."

"Mi chiamo Larissa, comunque!" Speravo che sentendolo bene se lo sarebbe ricordato.

"So come ti chiami."

"Allora perchè nelle due volte che ci siamo parlati non hai mai usato il nome giusto?"

Alzò le spalle e si allontanò fischiettando, contento di aver vinto una battaglia verbale che però era solo nella sua testa. Mi chiesi come il ragazzo dai capelli splendidi potesse affascinarmi tanto mentre Michael Seetton infastidirmi in quel modo.

Si comportava con me come se ci conoscessimo da tanto anche se c'eravamo appena presentati. Ripensandoci credo che avesse bisogno di considerare qualcuno in quel modo visto che era l'unico canadese e quindi si sarebbe presto separato dal concorrente che accompagnava, nonché suo unico conoscente lì al campo, un biondo di nome Noah che dal modo in cui si guardava intorno ricordava Alice nel paese delle Meraviglie.

Mi diressi verso il cortile interno per riuscire finalmente a parlare con Vale. Una volta trovatamela davanti mi venne voglia di raccontarle i miei pensieri ma poi mi accorsi che non mi avrebbe ascoltata, troppo felice di avere Carlos in squadra con lei.

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Capitolo 12
*** Il vero primo giorno ***


Per fare in modo che si creasse affiatamento tra i sei gruppi (cinque squadre più noi corrispondenti) la fondazione aveva organizzato un pranzo speciale con sei ampie tavole rotonde. La mia nota capacità di perdermi anche nei luoghi a me familiari mi fece arrivare per ultima: infatti nella tavola c'era un solo posto vuoto, il mio.

Nonostante fossero tutti evidentemente presi dalle proprie conversazioni, quando arrivai calò un silenzio imbarazzante e sentii tutti i loro nove sguardi su di me. Presi posto tra l'inglese dai capelli a spazzola e i modi gentili di nome Brendan e Jordan, l'americana sportiva che se avesse voluto avrebbe fatto a pezzi tutti quelli che là dentro si credevano “macho man”.

I miei molteplici tentativi passati di sentirmi a mio agio in mezzo a sconosciuti avevano sempre fallito e anche in quel momento, pur non essendoci alcun motivo reale, mi sentivo tesa e fuori luogo. Avevo il presentimento di non piacergli e che avessero creato il loro circolo privato, escludendomi. Mia sorella mi aveva sempre attaccato per la mia insicurezza che talvolta diventava paranoia. Presto i loro sguardi interrogativi si addolcirono e mi sorrisero tutti, tempestandomi di domande. Mi sarei volentieri presa a schiaffi da sola per aver pensato quelle cose di loro. Avevo voglia di conoscere tutti almeno quanto loro ne avevano di conoscere me. Risposi alle loro domande sulla mia città e ne approfittai per elogiare Milano in un inglese che non sapevo nemmeno di conoscere.  Sembravano affascinati dalle più solite usanze italiane, dalle parole che si usavano anche all'estero al caffè espresso.

Quando le maggiori curiosità su di me vennero placate, iniziammo a farci domande simili a vicenda.

Tutta la tavolata era composta da: i miei vicini di posto Brendan e Jordan, la francese Martinette dall'aspetto candido conferitole dai capelli biondi e la carnagione chiarissima, il brasiliano Pablo che tenne a precisare che nonostante le sue origini ballava come un manico di scopa, Carolina la messicana che assomigliava ad una famosa attrice latina che però non riuscii mai a identificare, Isabella la cantante delle sigle dei cartoni animati in Spagna, i due ragazzi, giapponesi dai nomi praticamente impronunciabili (di cui non ricordo nemmeno vagamente il suono) che conducevano un talk show a Tokyo e poi...e poi c'era Michael.

I dialoghi che avevamo avuto fin ora, sempre se si potevano chiamare dialoghi, erano stati così brevi che non mi permisero di capire niente di lui. Quando prese lui la parola parlò tantissimo di quanto gli piaceva Toronto e non solo perché c'era nato, cresciuto e aveva trovato il lavoro dei suoi sogni ma anche perché, diceva, sprigionava un'energia particolare.

Una volta sentito parlare capii due cose. La prima fu che mi ero schierata nel gruppo degli affascinati dai suoi modi. La seconda fu che mi era sembrato così fastidioso perché nel parlarmi mi aveva punzecchiato usando toni sarcastici. La cosa mi infastidiva semplicemente perché era quello che facevo sempre anch'io.

Mi accorsi che avrei passato cinque settimane con delle persone interessantissime che già mi dispiaceva del tempo limitato che avevamo a disposizione. Cercai di allontanare quei pensieri e  promisi a me stessa che mi sarei goduta al massimo quell'esperienza.

Finito il pranzo era ora di andare a sistemarci nei nostri alloggi definitivi. Il tempo che avevamo non era molto: mancava poco più di un'ora al primo gioco. Le camere di noi corrispondenti donne erano due: uno da tre posti e uno da due.

Io finii in camera con Martinette e Isabella.

Sorrido ancora nel pensare che nonostante fossimo originarie di tre paesi europei diversi avevamo in valigia, ma soprattutto nel BeautyCase, praticamente le stesse cose. Cominciai a convincermi che le ragazze appartengono tutte ad una specie di sorellanza, come un club sconosciuto ai maschietti, che è solo nostra.

La prima cosa che fece Isabella una volta in camera fu quella di appendere un poster di Orlando Bloom sopra il suo letto dicendo che senza non sarebbe mai riuscita a dormire.

Invece Martinette cercò la presa di corrente più adatta per attaccare il suo arricciacapelli, mentre io ne volevo solo una per collegare il mio portatile e scrivere e-mail chilometriche a mia sorella e alla mia amica storica.

Avemmo giusto il tempo di infilarci la T-shirt bianca e azzurra, poi corremmo dove le nostre troupe erano già pronte. Io venni mandata prima al “Trucco&Parrucco” (come lo chiamavo io) dove mi riempirono la testa di boccoli e mi misero una strana cosa sulla pelle per fare in modo che il mio naturale pallore non sembrasse da malato. In quel momento tutte le pressioni da parte di Alessandra di farmi una lampada, che avevo sempre ignorato, non mi sembrarono così inutili.

Riconoscevo di aver fatto soltanto un'apparizione davanti alla telecamera ma mi sembrava di non aver mai fatto altro per tutta la vita. Presentai le squadre e il primo gioco attenendomi alla traccia che mi avevano scritto ma aggiungendo anche qualcosa di mio. Stavo benissimo. Non sarei riuscita ad essere  nervosa nemmeno volendolo; la ragazza che fino al giorno prima abitava nel mio corpo, insicura e agitata, era stata ufficialmente sfrattata.

Addio vecchia Larissa, stammi bene e tante care cose.

Quello che mi chiedevo era perché dovevo ancora sottostare a quello che pensavo che la gente pensasse di me. Era un'inutile perdita di energie e pensieri preziosi. Perché non pensare semplicemente a vivere meglio? Mi spiego: io ero un po’ nevrotica e fin qui niente di nuovo ma decisi che la Nuova Larissa dovesse conciliare i suoi lati timorosi con la sua voglia di godersi le cose e le situazioni.

La Nuova me non era diversa...era solo la versione migliorata ed aggiornata.

Fu come quando le aziende indagano facendo dei sondaggi ai loro clienti e modificano i propri prodotti o prestazioni in base alle risposte ricevute.

Da quel giorno in poi le giornate trascorsero in una deliziosa routine, non mancarono certo alcuni giorni “no” ma nel complesso posso dire che non mi divertii in quel modo dalla mia prima ed unica festa di compleanno in prima elementare.

Proprio il giorno di inizio della terza settimana al campo successe qualcosa che non avevo previsto…

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Capitolo 13
*** Cosa mi stai chiedendo, esattamente? ***


cap 13 - AMBRA RAMATA

La giornata era iniziata esattamente come tutte le altre: mi alzai prima di tutti, in perfetto silenzio, mi misi i pantaloni da ginnastica e le scarpe comode e andai a correre un po'.

Scoprì a Dallas il piacere sottile del correre la mattina: riusciva a darmi una concentrazione mentale incredibile, quando correvo era come se tutto intorno a me, a parte la strada, si dissolvesse e nelle mia mente c'era posto solo per i miei pensieri e le note delle canzoni che usavo ascoltare. Adoravo correre fino ad essere completamente distrutta e non perché mi piacesse sentire dolore ma perché amavo il modo in cui il dolore mi faceva percepire ogni singola parte del mio corpo. Mi sentivo viva, contemporaneamente esausta e piena di energia. Dopo la mia solita corsa, con lo stesso silenzio con cui ero uscita, tornai in camera, mi rilassai con una bella doccia calda e svegliai le mie coinquiline. Poi veniva il turno delle chiacchiere mattutine con Isa e Martinette mentre ci si preparava; nonostante cercassimo di parlare di lavoro, delle nostre infanzie o amici i nostri discorsi si indirizzavano immancabilmente su i ragazzi più carini. Isabella aveva un ampio registro mentale in cui aveva catalogato ogni esemplare di sesso maschile per colore di occhi e capelli, età, senso dell'umorismo e disponibilità, il tutto correlato, ovviamente, da un voto complessivo da 1 a 10. 

Martinette era troppo gentile per definire con un numero un ragazzo ed ogni volta che le chiedevamo come trovasse qualcuno lei diceva che tutti hanno i loro lati belli e che era facile dare voti, il difficile era impegnarsi a scoprire davvero una persona...la solita saggia ed adorabile Martinette!

Io invece cercavo sempre di distrarle in modo che non si accorgessero che non davo mai la mia opinione su nessuno. Non so bene come successe ma “la cosa” che avevo sentito tra me, Michael e i nostri stuzzicamenti era svanita. Trascorrevamo un numero incalcolabile di ore al giorno insieme ma da soli non avevamo più parlato. Adesso, ad anni di distanza, mi chiedo perché nessuno dei due abbia cercato di avvicinare l'altro ma in quell'esatto momento a fare la prima mossa non pensai minimamente, arrivando a sminuire e ignorare di molto “la cosa”.

Non che non lo trovassi più attraente, anzi, lo diventava ogni giorno di più ma il suo viso, le sue mani e il suo fattore Ambra Ramata non bastavano più. Erano stati sufficienti il giorno in cui l'avevo visto appoggiato ad un albero ma erano solo le emozioni date dalla prima impressione che non essendo state alimentate da niente, non si erano fatte più vive.

Io e le ragazze, una volta pronte e con la scorta delle parole medie che una persone dice al giorno già consumata a metà scendemmo per la colazione. Come da mia abitudine parlai un attimo con Marisol, sempre pronta a consigliarmi un nuovo aroma appena arrivato da chissà dove per il mio caffè che io non rifiutavo mai.

Furono rare le volte che mi fermai insieme agli altri per la colazione, di solito mi allontanavo per stare un altro po' da sola e passeggiare su e giù per il molo col mio caffè e un buon libro. Credo volessi dedicare almeno un piccola dose del mio tempo al silenzio che può dare la solitudine così da essere pronta al resto della giornata fatta da un esercito di persone con la loro scorta di parole ancora da consumare      .

Fu proprio sul molo che una conversazione apparentemente normalissima riuscì a cambiarmi la giornata...e, ripensandoci, non solo quella.

Mentre ero immersa tra le pagine del nuovo best-seller di un affermato autore spagnolo sentii una voce chiamarmi da poco lontano. Ero già pronta a fare un sorriso di circostanza e sforzarmi di rispondere cordialmente alla persona che si era intromessa nel mio momento di raccoglimento quando vidi una chioma nerissima e due occhietti vispi molto familiari che mi fecero dimenticare di colpo il libro.

"Vale!"

"Ehi, tu! Spero di non disturbarti!"

"Assolutamente no! Non parliamo da tantissimo tempo! Va tutto bene?"

Ero davvero felice di vederla.

"Non c'è male, anche a te?"

Annuii trattenendo le risate che non sapevo perché mi venissero.

Restammo per qualche secondo in silenzio come se stessimo cercando quale dei mille argomenti di cui avremmo potuto parlare, affrontare per primo.

Inutile che dica ora su cosa la scelta cadde...da scommetterci sopra...

"Ecco Lary...ti ricordi di quel ragazzo, vero?"

Argomento ragazzi... din, din, din, JACKPOT!!!

"Come no! Certo che me lo ricordo! Allora...novità con Carlos?"

"Carlos? Vuoi dire Noah!"

"No, voglio dire Carlos. Ricordi, alto, moro, messicano?"

"Oh, certo! Come non ho potuto pensarci...sei rimasta indietro, ragazza mia! Ora penso solo a Noah! Carlos è un argomento chiuso, capitolo finito, totalmente dimenticato!"

Ad ogni pausa tra una parola e l'altra il tono della sua voce aumentava di volume e si riempiva di qualcosa molto simile alla rabbia.

Roteai gli occhi, la guardai con diffidenza e dissi sarcastica: "Come si chiama?"

"Chi?" fece finta di non capire.

"Oh andiamo! Come chi? La bella chica che sta aspettando Carlos in Messico a braccia aperte!"

"Non capisco a cosa tu ti stia riferendo..."

Si mise a guardare l'acqua del lago, prese un sassolino, lo lanciò con forza e quando si accorse che non avevo smesso di fissarla sorridendo si voltò verso di me senza però guardarmi negli occhi.

"Penelope. Come lo sapevi?"

"Non me lo chiedere." Dissi in tono scherzoso, a volte avevo questi sprazzi di intuito inaspettati.

"Comunque sia," incalzai con un tono eccessivamente euforico per sollevare Vale da quello stato provocato dalla delusione per Carlos "mi stavi parlando di Noah..il canadese!"

Come suo solito, la vista di un nuovo argomento di conversazione, specialmente se associabile ad un bel biondo, le fece dimenticare l'ultimo appena concluso e tornò a parlarmi col suo tipico entusiasmo.

"Si si, giusto! Non so davvero come spiegartelo ma...è carino, divertente e non credo di essergli affatto indifferente!"

"Ottimo lavoro femme fatale!"

"Ma c'è un problema..."

"Sarebbe?"

Il suo sguardo si fece dubbioso e le guance si tinsero di un bel rosa carico.

"Tu mi definiresti una persona timida?"

"Poco." In verità avrei voluto dire “per niente” ma non mi sembrò quello che aveva bisogno di sentire.

Non dicono forse che una bugia detta a fin di bene non è necessariamente processabile?

"Infatti. Ma al solo pensiero di provarci con lui non trovo le parole, mi sudano le mani, a volte perdo addirittura l'equilibrio! Io non sono abituata a queste cose per questo sono venuta da te, mi sei sembrata la persona più adatta...cosa fai per la tua insicurezza?"

Cercai davvero di ignorare lo spillo enorme con la quale mi aveva punto a sua insaputa auto-convincendomi che come io non sapevo del suo cambiamento Carlos-Noah, lei non sapesse del cambio di Larissa. La Nuova sorrise e si mise i capelli dietro l'orecchio con assoluta naturalezza mentre la Vecchia sperava che non si vedesse il sangue che usciva dalla ferita dello spillo. Ripresi ignorando la domanda.

"Se tu non gli sei indifferente, come mi hai detto poco fa, sarà lui a venire da te."

Mi augurai che non si accorgesse del mio sviamento di discorso. Fui sollevata dal vedere che fu cosi. Valentina riprese a parlare solo ed esclusivamente di lei.

"Ci avevo pensato anch'io, sai? Ma mancano soltanto due settimane e poi torneremo a casa...insomma, quanto posso aspettare se quello non si da una mossa e io neppure?"

"Scusa Vale, ma conoscendo poco lui non so proprio come aiutarti!"

"Veramente io saprei come..."

Infatti mi sembrava strano che fosse venuta da me solo per qualche consiglio su come controllare l'agitazione. Non so bene perché ma qualcosa mi diceva di restare fuori da quella storia il più possibile; purtroppo ero troppo curiosa di sapere cosa mi avrebbe chiesto. Parlai con la consapevolezza che una volta saputo quale fosse il favore in questione, non avrei potuto rifiutare.

"Dimmi."

"Noah è un tipo molto timido e non si è fatto veri amici qui. Cioè...ce li ha degli amici ma è quel genere di amico con cui non parli di quello che ti passa per la testa, riesci a seguirmi vero? Perfetto. Fatto sta che ha un unico amico come si deve ed è Michael quindi mi chiedevo se tu..."

"...Se io, dato che Michael è un corrispondente come me, potevo chiedergli di spronare Noah a parlarti, dico bene?"

"Sapevo che avresti capito! Grazie davvero Lary, ti devo un favorone enorme!"

Iniziò ad urlare di gioia, mi abbracciò con foga e poi saltellò via continuando a ripetere ringraziamenti e saluti.

Prima lo spillo e adesso Michael. Quella ragazza ci teneva davvero a riesumare la vecchia Larissa! La prospettiva di parlare da sola con Michael dopo tre settimane di discorsi pressoché superficiali non mi faceva impazzire, ma di certo non mi avrebbe uccisa.

Decisi che non avrei perso tempo riflettendo sulla cosa ma lo avrei fatto appena possibile, rapido e indolore, come strappare un cerotto.

Il caso, o il Karma oppure qualche altra identità indefinita fecero in modo che non lo incrociai neanche per sbaglio per tutto il resto della giornata. Durante la prima settimana in cui ero infastidita dai suoi toni sarcastici me lo trovavo sempre davanti col suo sorrisetto da Stregatto ed ora che lo cercavo era come sparito. E pensare che quella era l'ironia che amavo tanto...

Tutto questo non mi impedì di svolgere il mio lavoro e le altre attività in modo normale e senza che pensassi alla nostra futura conversazione in termini tragici.

“La cosa” era svanita, era stata una lieve sbandata che non si era più ripresentata e c'era da ammettere che Michael era una delle persone più divertenti che conoscevo e nonostante la mancanza di tête-à-tête passavo insieme a lui e agli altri corrispondenti tutti i miei momenti liberi. Lo consideravo addirittura un amico, e quindi chiedere ad un amico di parlare ad un altro amico era una richiesta più che normale. Chissà quante volte avrei dovuto ancora ripetermelo per convincermi del tutto!

__________

Mi piacerebbe davvero sapere la vostra opinione a riguardo. Anche se è "fai schifo, va a raccogliere le foglie che fai meglio!"
Ci tengo sul serio! 1abbraccio, OctoberRain =}

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Capitolo 14
*** Due o Duemila? ***


Dopo il tramonto Michael continuò ad essere introvabile e non si presentò a cena. Rimandai tutto al giorno dopo, in fondo Valentina aveva aspettato tre settimane, un altro paio di giorni non sarebbero stati niente di che.                                           
Tornai in camera con Isa e Martinette pronte a goderci una di quelle serate alla “Sleep Over Club” che io odiavo tanto ma che riuscivano comunque a farmi ridere fino alle lacrime. Mentre intrecciavo i lunghi e biondissimi capelli di Martinette sentimmo battere dei colpi sul muro, segno che Carolina e Jordan erano tornate. Eravamo più che consapevoli che era uno stupido mezzo di comunicazione da colonia estiva ma tra le nostre due stanze era nato un linguaggio segreto a suon di colpi sul muro. Non era eccessivamente complicato e la maggior parte delle parole me le sono dimenticate. Mi ricordo bene però che due colpi veloci stavano per “ciao” mentre le altre cose che ci dicevamo erano per lo più insulti. Insulti amichevoli, ovvio! Passammo il resto della serata così; a testare pettinature, comunicare con Jordan e Carol e ovviamente a chiacchierare. Quella sera non parlammo solo di ragazzi ma anche delle nostre esperienze più significative e per la prima volta fui totalmente me stessa, ed era quello che io, Nuova Larissa, volevo. Euforica dalla serata appena trascorsa, non riuscii a prendere sonno, sentivo la testa che mi frullava, come un mixer di pensieri che non riuscivo a spegnere. Ero stanca ma quello che volevo più di tutto in quel momento era camminare. Mi vestii in fretta senza far caso a quello che prendevo dall'armadio e uscì fuori in corridoio.

Mi era venuta voglia di fare un giro nel verde intorno alla struttura e magari fare un salto anche al molo ma qualcuno stava salendo le scale e per quanto cercai di non farmi vedere me lo trovai davanti.

Potevo cercare una banale scusa sul perché ero in giro così tardi, potevo fingere un malore oppure un'emergenza familiare delle quali nessuno ti chiede mai i dettagli perché sono cose troppo personali, ma niente. Rimasi a fissare i suoi begli occhi senza parlare.

Non che lui si azzardasse ad aprire la bocca, comunque. Se ne stava là anche lui, guardandomi come se fossi uno dei quadri appesi alla parete. Il silenzio era quasi assordante. In quella totale assenza di suoni mi parve di sentirne uno che dal profondo cercava di farsi sentire: il mio respiro. Inspiegabilmente respiravo molto più profondamente di quanto ne avessi realmente bisogno e sebbene mi sentissi come soffocare per la mancanza di aria (che invece era l'unica cosa che c'era) non mi mossi, non parlai, non me ne andai.

Dato che era ormai un minuto buono che non sbattevo le palpebre i miei occhi cominciarono a bruciare il che me li fece chiudere di scatto ruotando (finalmente) la testa.

Michael seguì l'andamento del mio viso abbassandosi leggermente.

Poi disse: "Ti ho spaventata?"

Rimasi impietrita per un secondo: quello che aveva appena detto non aveva senso.

Ma, qualunque significato quella frase avesse, aveva rotto il ghiaccio e mi permise di iniziare finalmente a parlare.

"No, figurati. Sto facendo due passi."

"Si, anch'io."

"Certo...ma dato che è da oggi pomeriggio che cammini mi sa che i passi sono diventati due...mila!"

"Ah, l'hai notato. Senti, dato che non mi sembra di essere l'unico che vaga per i corridoi, si può fare una cosa..."

"Che genere di cosa?" chiesi interessata. Non ero certa che l'andare in giro di notte fosse una violazione a un possibile regolamento, ma non mi andava di rischiare.

"Stavo facendo due passi...se li stavi facendo anche tu!"

"Così ci guadagneremmo entrambi...o comunque, non ci perderebbe nessuno."

"Vedo che hai afferrato il concetto."

Annuii di falsa modestia.

Nella scarsa luce che c'era non posso esserne sicura, ma mi sembrò di leggere sulle sue labbra una “buonanotte” senza suono e fece per andarsene.

Non parlavamo da soli da settimane e quindi colsi l'occasione.

"Aspetta un secondo!"

Si girò lentamente ed io feci qualche passo per raggiungerlo cercando di trovare le parole adatte.

"Sono un po' a disagio, di solito non faccio queste cose ma...devo chiederti una cosa."

Ricevetti un OK molto strano, chissà cosa pensava gli stessi per chiedere!

"So che tu sei molto amico di un certo Noah, è giusto?"

"Sappiamo entrambi dove vuoi arrivare quindi non ci girare intorno, va bene?"

Ero confusa. "Arrivare dove?"

"Ti piace Noah e vuoi che ti aiuti a parlarci."

Feci involontariamente un balzo all'indietro come respingesi la sola idea.

Finsi una risata. "Oddio, no! Cioè servirebbe il tuo aiuto riguardo a Noah...ma non a me, alla mia amica Valentina!"

Cambiò immediatamente sguardo che divenne decisamente migliore di quello seccato di qualche minuto prima.

"Valentina eh! È quella nella sua squadra vero?"

"Se ha gli occhi vispi e una perenne aria allegra è lei!"

"Ho capito allora...me ne ha parlato sai?"

"Chi, Noah? Wow...te ne ha parlato bene, vero?" chiesi un pochino spaventata.

Rise nel sentirlo. "Si, si! Anzi...molto bene."

"Ma davvero?" Quindi il fatto che Vale non si sentisse affatto indifferente agli occhi di Noah era una giusta osservazione! Saperla così intuitiva cominciò a far nascere un nuovo rispetto per quella ragazza!

"Beh, bene allora..." dissi ancora in preda allo stupore. "Quindi tu parlerai con Noah per metterlo sulla buona strada..."

"E tu con Valentina per dirle di...fa brutto se dico ""starci"" ?"

"Giusto un po' ma lascia fare a me, userò un'alta parola con lei!"

"Quindi..."

"Insomma...."

"Niente, ci vediamo domani!"

"Si, domani! Buonanotte!"

Gli diedi le spalle con l'intenzione di andarmene più in fretta possibile.

"Oh Lars!"

Mi voltai verso di lui.

"Ricorda: due passi, non duemila, due."

"Due."

E se ne andò velocemente. A quel punto della mia passeggiata notturna non avevo più voglia...anzi, volevo solo dormire.

Quello che però non riuscivo a smettere di domandarmi era: la "cosa” era tornata per restare o era solo un'apparizione occasionale?

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Capitolo 15
*** Al molo ***


La mattina seguente, reduce da un sonno pesante e senza sogni, mi incontrai con Valentina perché volevo andarmene dalla storia Noah/Vale al più presto possibile. In fondo, quella che doveva essere una relazione a due era diventata un quadrilatero e se Michael avesse voluto partecipare, buon per lui, ma si sarebbe dovuto accontentare di un triangolo; io volevo uscirne.

A colazione, mi sedetti con lei e le raccontai la mia conversazione con Michael (omettendo ora e luogo) in cui lei vide un successo enorme, sorridendo per aver indovinato i pensieri del bel biondo. Mi abbandono a metà caffè perché era impazientissima di, come aveva detto Michael, starci. E chi poteva darle torto? Dopo settimane di attesa perché perdere tempo con i flirt? Tanto valeva passare direttamente ai fatti...

Dal canto mio, ero fiera del mio lavoro da consulente e intermediario, e anche contenta per Vale che stava per ottenere quello che voleva.

Quella stessa sera mi sentivo inquieta quasi quanto la precedente ed il mio letto mi sembrava troppo piccolo per contenere tutto quello che mi si agitava nella testa. Mi salì ancora la voglia di camminare e senza pensare a dove stavo andando, mi ritrovai all'estremità del molo.

Di notte il lago era decisamente più bello. Se durante il giorno l'acqua sembrava ricoperta da milioni di diamanti la notte aveva più l'aspetto di una lastra di argento solidissima.

L'atmosfera era delle migliori: bellissimo panorama, cielo stellato...mancava solo la colonna sonora!

"Peccato non avere..." Pensai. No, un momento...

Portai la mano alla tasca e fui felice di tirarne fuori il mio lettore MP4 che pensavo di aver perso, inghiottito dalla moltitudine di vestiti sparsi per la camera. Feci partire una canzone acustica al volume più alto possibile lasciando che la semplicità di una chitarra e una straordinaria voce maschile iniziasse a vibrarmi nelle vene.

Restai così per qualche interminabile minuto, ignorando il freddo che cominciavo a sentire nonostante fosse pieno agosto. Poi un tocco sulla spalla mi costrinse a mettere in pausa la canzone e sentii una voce alle mie spalle.

"No, ti prego non ti buttare! Hai ancora tanto per cui vivere!" Riconobbi subito quella voce.

Mi girai infastidita ed eccola lì...la mia “cosa” col suo sorriso da Stregatto. Quello che pensai indipendentemente dalla mia volontà fu: ma sei un personaggio del paese delle meraviglie...o direttamente una meraviglia?

Zittì quei pensieri per fare in modo di trovare qualcosa di sagace e pungente con cui rispondere al suo sarcasmo.

"Ma quanto sei divertente!" dissi mentre mi toglievo le cuffie dall'orecchio.

"Me lo dicono tutti sai?> disse avvicinandosi con le spalle alte e la mani in tasca.

"Potrei dirti la stessa cosa, mi pare."

"Verissimo."

"Quindi?"

"Ho fatto due passi."

"Due passi, eh? Che coincidenza, anch'io!"

"Pensavo che tu fossi più il tipo da due...mila passi!"

"Quello non eri tu?"

Roteò gli occhi e sospirò.

"Dettagli." dissi io poi mi rigirai a guardare l'acqua e ripresi ad ascoltare la canzone acustica per la terza volta di seguito.

Mentre gli davo le spalle lo immaginai andarsene con una faccia stranita invece si materializzò alla mia sinistra.

Mi voltai si scatto perché sembrò spuntare dal nulla (cominciava ad assomigliare veramente tanto allo Stregatto).

"Cosa ascolti?" Disse mentre tendeva una mano verso il mio orecchio per prendere una delle cuffie ma io mi allontanai di botto quando le sue dita erano ancora lontane.

Mi guardò malissimo mentre mi toglievo entrambe le cuffie dalle orecchie.

Disse solamente "Scusa" con tono seccato.

Sospirò fissando il lago e un attimo dopo era già a qualche passo di distanza.

Indubbiamente non aveva capito niente di me e la cosa non poté farmi più piacere: decisi che, se lui avesse voluto, mi avrebbe potuta conoscere, esattamente come volevo io. Capii che la questione della nuova e vecchia Larissa non era altro che una storiella che mi ero raccontata per farmi stare buona. Non ci sarebbero state più nuove versioni o rimodernizzazioni, ci sarei stata soltanto io.

Inseguii Michael quasi correndo, lo bloccai tenendolo per la spalla e lo costrinsi a guardarmi mentre, con un gesto che marcai, tolsi il cavo delle cuffie dal lettore e la chitarra cominciò ad espandersi nell'aria dalla piccola cassa incorporata. 

"Pensi sempre il peggio delle persone, o io sono una privilegiata?"

Non rispose ma mi guardò con uno sguardo che sembrò dire: ok, hai dimostrato che mi sono comportato da idiota, lo sai tu e lo so io, quindi non costringermi ad ammetterlo!

Va bene, Michael, non 'sta volta, ma preparati: non sarai sempre così fortunato!

Camminammo piano verso la fine del molo e, come se ci fossimo messi d'accordo, ci sedemmo entrambi con le gambe a penzoloni e con le scarpe che rasentavano l'acqua.

"Che canzone è?" chiese dopo poco.

"She will be loved, dei Maroon 5."

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