AMBRA RAMATA di OctoberRain (/viewuser.php?uid=104756)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Accadde una sera... ***
Capitolo 3: *** Michael ***
Capitolo 4: *** Dubbi ***
Capitolo 5: *** A prima vista ***
Capitolo 6: *** Ritroviamoci ***
Capitolo 7: *** Te lo racconto ***
Capitolo 8: *** Un peso in meno ***
Capitolo 9: *** Inutili le parole ***
Capitolo 10: *** Ritorno alle origini ***
Capitolo 11: *** Cerimonia ***
Capitolo 12: *** Il vero primo giorno ***
Capitolo 13: *** Cosa mi stai chiedendo, esattamente? ***
Capitolo 14: *** Due o Duemila? ***
Capitolo 15: *** Al molo ***
Capitolo 1 *** Introduzione ***
Tutto
quello che ho sempre voluto è scrivere.
È
quello che amo fare: mi accompagna da quando ero bambina.
Scrivere
di persone, sul perchè fanno determinate azioni; scrivere
per
fare chiarezza, per riordinare la concezione che il mondo ha della
vita, delle relazioni umane e delle domande che assillano la mente.
Era
da molto tempo che cercavo una storia su cui basare i miei scritti:
volevo raccontare di una vita e dai vari eventi che man mano l'hanno
sconvolta.
Non
importava che quella vita fosse reale o inventata; immaginare,
creare, raccontare, scrivere, era tutto quello a cui riuscivo a
pensare.
Poi
mi è venuta incontro l'ispirazione
ed
ho capito che tutto
quel tempo impiegato cercando una vita di cui parlare, poteva essere
benissimo risparmiato. Ce n'era una, complicata, sconvolta e anche
piuttosto affascinante proprio davanti a me: la mia.
Iniziai
a riflettere su questo circa quattro anni fa: ero su un aereo e fu il
primo momento in cui capii che non sarei più stata la
stessa,
che la mia intera esistenza sarebbe stata sconvolta per sempre.
Dovevo
solo capire se in positivo in negativo.
Avevo
sempre desiderato andare in Canada, la patria degli aceri (quegli
splendidi alberi a foglie rosse), ma sinceramente avrei preferito
arrivarci con la mente libera da ogni preoccupazione, pronta a
godermi quel viaggio in uno dei paesi più affascinanti del
mondo.
Purtroppo
non era un lusso che potevo permettermi.
Davanti
a me avevo ancora otto ore di volo e quindi di tempo per pensare a
tutto quello che mi passava per la testa ne avevo.
Prima
di partire ero assolutamente sicura che una vota in volo sopra
l'Atlantico mi sarei meravigliata dalla quantità di vita che
si estendeva sotto di me in quell'enorme distesa d'acqua.
Ma
mi sbagliavo. Avevo in mente solo una particolare quantità
d'acqua ed una vita soltanto: nessuna delle due si trovava
nell'oceano, erano entrambe dentro di me.
Passai
la mano sul mio ventre chiedendomi per quanto ancora sarebbe rimasto
piatto.
Solitamente,
quando una ragazza della mia età, avevo solo sedici anni,
rimane incinta l'unica cosa che precede il panico è la
frase:
come è potuto succedere?
Dico
solitamente perchè a me non capitò.
Sapevo
benissimo come è quando era successo.
_______________
Questo
è soltanto l'inizio. Spero vorrete continuare questo viaggio
con me.
Vi
anticipo che questa storia è piena di sbalzi tra
presente/passato/presente/passato!
Alla
prossima! =}
|
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Capitolo 2 *** Accadde una sera... ***
***PAST***
__________________________________________
Aprii
la porta dello stanzino adibito ad infermeria con un gomito e la
spinsi con la schiena.
Le
nostre labbra erano incollate e frenetiche. Le sue mani spesso mi
accarezzavano gentili il collo e le braccia mentre altre volte mi
afferravano con forza la pelle o il vestito. La mia mano sinistra gli
incorniciava il viso mentre la destra non potè fare a meno
di
accarezzargli continuamente i capelli. Furono la prima cosa che notai
di lui; infatti prima di conoscere il suo nome, lo chiamavo
“il
ragazzo dai capelli splendidi”.
Non
erano biondi, né rossi e nemmeno castano chiaro ma erano di
un
irresistibile color ambra ramata. Non sapevo per certo se quello era
il nome esatto della sua sfumatura, il fatto era che gli adoravo.
Erano tanti, morbidi ed alcune ciocche gli cadevano disordinatamente
bene sulla fronte.
Era
nel complesso un bel ragazzo di ventun anni, conosciuto esattamente
trentasette giorni prima. Nonostante non avessimo avuto tempo per
conoscerci quanto ne avrei voluto e la mia verginità, non
percepii in me una sola traccia di esitazione.
Dicono
che quando ti chiedi, anche solo per un secondo, se quello che stai
per fare è giusto, allora significa che in realtà
non
sei sicuro di volerlo fare, e non importa se ignori tutto e lo fai lo
stesso, il dubbio si è insinuato e purtroppo c'è
la
possibilità che un giorno si trasformi in rimorso.
Io
di dubbi non ne avevo minimamente ed è per questo che mi
feci
trasportare da lui, mentre delicatamente lasciavo cadere la sua
giacca sul pavimento, poi mi sollevò e mi sedette sul
lettino
delle visite. Non feci cenno di tentennamento nell'allentargli la
cravatta, nello sbottonargli la camicia e non ebbi nessuna sensazione
di incertezza mentre sentivo le sue dita delicate sulla schiena
slacciarmi i nastri del vestito da sera color ceruleo.
Il
punto non era essere una sedicenne alla prima esperienza o la
differenza di età di cinque anni...no, l'unica cosa che
importava dentro quella piccola stanza eravamo noi: due ragazzi che
si desideravano.
Infatti
nessuno pensò alle conseguenze di questa nostra follia:
avevamo solo voglia di sentirci, di appoggiare i nostri petti e
sentire i cuori battere sfrenatamente all'unisono.
Non
ci dicemmo neanche una parola, al punto in cui c'eravamo spinti ogni
parola detta sarebbe stata quella sbagliata.
Mi
presi un momento per scrutare attentamente i suoi occhi nocciola
chiaro, irresistibili quasi quanto i suoi capelli, e notai qualcosa
che non avevo mai visto in nessun altro...sorridevano? Le sue labbra
non fecero in tempo ad assumere l'espressione del suo sguardo che
gliele stavo già baciando con una passione che non pensavo
esistesse dentro di me.
Non
sono sicura di quello che mi stava guidando, forse la passione, forse
il calore che lui sprigionava, o forse il pensare che lui, in quel
momento, voleva solo me.
Riflettendoci,
un miscuglio di tutte queste cose, ma principalmente era lui che mi
dava tutta quella energia: era il fatto di sentirlo così
vicino, così ardente, così concentrato sulle mie
labbra
e sulla mia pelle. Non capisco come mai alcuni dettagli sono talmente
impressi nella mia memoria ed altri così sfocati...so
soltanto
che mi sentii girare la testa, i miei occhi si appannarono e di
colpo, come una secchiata di acqua gelata, mi resi conto di quello
che era appena successo. Non mi ero mai sentita così
confusa;
ero spaventata? Felice? Pentita? No...pentita no. Lui lo era? Questo
pensiero mi terrorizzava. Non volevo che una volta ripartito la
mattina seguente potesse ricordarmi come “il grande sbaglio
dell'altra sera”.
Sapevo
bene che non avrei mai avuto il coraggio il chiederglielo.
Mi
risistemai il vestito e mi aggiustai i capelli. Avevano impiegato
molto tempo sistemarmi e adesso ero tutta da rifare.
Aprii
di poco la porta. Non l'avevamo nemmeno chiusa a chiave da quanto
eravamo impazienti. Mi sentii così stupida: chiunque avrebbe
potuto entrare in qualunque momento.
Infilai
lentamente la testa fuori dalla porta, controllai che non ci fosse
nessuno e poi mi girai a guardarlo. Volevo trovare una risposta nei
suoi occhi. Scorsi altra confusione che sommata alla mia incasinarono
i miei pensieri una volta per tutte. Sarei mai riuscita a fare il mio
lavoro quella sera? Era la serata del Galà, dovevo rimanere
concentrata; avremmo fatto gli ascolti più alti dall'inizio
dei giochi.
Dato
che erano ragionamenti razionali il mio cervello si rifiutò
di
analizzarli e tornai a pensare al ragazzo che avevo davanti e al
passo che avevo compiuto.
Gli
lanciai un ultimo sguardo disordinato e uscii, riuscendo solo a
sospirare il suo nome.
<...Michael...>
___________________________________
Primo
capitolo. Spero vi piaccia e che vi abbia fatto provare qualcosa
(qualunque cosa)
Con
affetto, OctoberRain =}
|
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Capitolo 3 *** Michael ***
Michael
Seetton lavorava come attore di serie per ragazzi nel centro di
Toronto.
Recitare
gli veniva in modo assolutamente naturale. Non si vedevano segni di
sforzo quando si immedesimava in un nuovo personaggio e nessuno
ricorda di averlo trovato impreparato sul set. Nemmeno una volta.
Chiunque
si sarebbe accorto che aveva talento, e tanto. Non solo era credibile
nelle parti che recitava ma riusciva a farti amare ogni personaggio
che interpretava.
Tutti
amavano i suoi personaggi...ma non tutti amavano lui.
Perchè
era fatto così. O non vedevi l'ora di sentirlo parlare
perchè
ogni cosa che diceva ti affascinava oppure pregavi che chiudesse la
bocca.
Non
poteva non farti né caldo né freddo, come si suol
dire.
L'unico
modo per destarti indifferenza era il non conoscerlo.
Un
volta sentito parlare, perchè ne bastava solo una, ti
schieravi. Era più forte di te.
Prima
di partire per Dallas, Texas, non avevo ancora preso posizione. Non
mi ero molto informata su tutti gli altri corrispondenti che ci
sarebbero stati ai giochi. Avevo letto solo il minimo indispensabile;
nomi, provenienza, qualche intervista pre-partenza. Nient'altro.
Comunque
sia, ero intenzionata a non lasciarmi trasportare a livello
sentimentale da nessun ragazzo, non volevo perdere la concentrazione
sul lavoro. Il mio primo lavoro in questo campo. Inutile dire che ero
agitatissima. L'ansia per tutto quello che mi aspettava mi aveva
tranquillizzata su chiunque avessi potuto incontrare.
Ero
sicura che nessuno mi avrebbe fatto un grande affetto.
Già...bastava
guardarmi nemmeno quattro mesi dopo per vedere che avevo
completamente torto. Mentre ero in volo mi sentivo un po' in colpa.
La sua era una bella vita. Non era perfetta, affatto direi, ma era
bella.
Parlava
spesso di tutte le persone che gli scrivevano chilometriche lettere
intrise di sentimento.
Bastava
guardarlo negli occhi per capire che la sua vita lo appagava: gli
scintillavano.
Ciò
che in quel momento non potevo fare a meno di chiedermi era: che
diritto avevo io di sconvolgergli la vita in questo modo?
Al
solo pensiero mi sentii girare la testa. Era come se qualcuno avesse
manomesso quell'aggeggio che controlla la pressione negli aerei e ora
sentivo quella effettiva premermi sulla testa.
Cercai
di calmarmi guardando il mare. Peccato, non si vedeva; volavamo
già
sopra il grande continente americano. Provai a leggere, per
distrarmi, ma nella mia borsa avevo solo libri di Paulo Coelho.
Storie d'amore? No grazie. Assurdo: avevo sempre odiato il
romanticismo da romanzi rosa. Sdolcinature ben scritte, ma pur sempre
sdolcinature. Da quando le leggevo?
Ah
già...a Michael piacevano. Non mi aveva mai detto il
perchè;
ogni volta che gli avevo parlato della mia personale visione
dell'amore sembrava essere d'accordo.
Questo
mi ricordò che di lui conoscevo solo pochi lati della sua
personalità, alcuni più profondamente mentre
altri in
modo molto più superficiale, purtroppo non sapevo tutto
quello
che stava dietro le sue azioni.
Non
fece altro che riempirmi di domande sul mio futuro a breve termine.
Organizzando:
sarei atterrata all'aeroporto di Toronto nel giro di due ore, gli
avrei telefonato, l'avrei incontrato, conoscendomi avrei vomitato,
poi in qualche modo gli avrei detto tutto e poi, per concludere bene,
un'altra bella vomitata.
Nausee
mattutine...del pomeriggio e della sera.
L'incognita
era una sola: la sua reazione. Non solo non avevo idea di come
avrebbe potuto reagire ma nemmeno io riuscivo a capire come volevo
che reagisse. Cosa volevo in realtà? Volevo che esultasse di
gioia all'idea di diventare padre? Non credo.
Desideravo
che si arrabbiasse a morte con me e sul volo di ritorno pensare in
che modo orribile raccontare la sua morte al bambino? Non lo sapevo.
Volevo
che lui mi prendesse le mani dicendomi che era confuso, sconvolto,
terrorizzato...ma che in qualche modo l'avremmo risolta
perchè
ci eravamo dentro insieme?
Beh...questa
non era male.
___________________________
Terzo
capitolo! Godetevelo e fatemi sapere!
Un
abbraccio! =}
|
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Capitolo 4 *** Dubbi ***
L'aspetto
più inconcepibile di tutto quel mio senso di colpa era il
preoccuparmi di sconvolgergli la vita...lui non aveva fatto lo
stesso?
Perchè
io ero il colpevole e lui la vittima? L'ultima volta che ho
controllato per concepire bisogna essere in due. Avrei potuto
fermarmi, pensavo, avrei potuto stare attenta. E giù con
altri
rimorsi. L'idea di dare metà della responsabilità
a
lui, nemmeno mi veniva.
Dov'era
finito tutto il buon senso che avevo sempre avuto?
Pensando
e rimuginando l'aereo atterrò. Ero finalmente a Toronto.
Non
ci potevo credere. Era una sensazione meravigliosa. Mi sentivo come
quando Sal Paradise arrivò con il suo
grande amico Dean
Moriarty in Messico, nel libro On the road.
Essere
arrivati dove si era sempre voluto andare. Bella sensazione no?
Per
un attimo la visione di quella città fantastica mi aveva
fatto
perdere il senso della realtà finché realizzai
quello
che ero venuta a fare.
Pensai
di chiamarlo al telefono ma sentire la sua voce mi avrebbe inebriato.
Mi conoscevo e sapevo bene l'effetto che le belle voci hanno su di
me. Tirai fuori dalla borsa il mio portatile.
Si,
una mail sarebbe stato il mezzo di comunicazione migliore. Informale
ma distaccato.
Risfoderai
il mio inglese, messo da parte appena l'aereo decollò da
Dallas tre mesi prima.
Ciao
Michael...
sono
Lars o Lara, o Lari o in
uno dei migliaia di modi in cui mi chiamavi...
cioè...Larissa
Milani.
Ma l'avevi capito dall'indirizzo...comunque
Spero
che non ti sia
dimenticato di me.
Ti
scrivo perchè, strano
ma vero, ora mi trovo a Toronto e mi piacerebbe incontrarti!
Avevamo
promesso che saremmo
rimasti in contatto nonostante tutto...
Poi
avrei davvero bisogno di
parlarti. Niente di che. Solo una cosetta.
Ti
saluto, Larissa.
Restai
a fissare il
tasto “invia” per due minuti interi, poi finalmente
chiusi gli
occhi e ci cliccai sopra. Mi pentii quasi subito. Mi sembrava di aver
scritto le cose più sbagliate.
Non
solo non mi avrebbe
mai risposto ma avrei fatto una figura assurda da pazza patetica.
Decisi
di consolarmi
con un bel caffè lungo, il mio preferito. Girai per una
decina
di minuti finché non vidi l'insegna bianca, verde e nera di
uno Starbucks. Adoravo quella catena.
Dopo
aver preso un
americano (rigorosamente decaffeinato, ordini del medico) cercai un
tavolo dove sedermi a sorseggiarlo.
Scelsi
l'unico tavolo
libero vicino alla vetrata in modo da poter osservare la gente che
passava. Mi guardai intorno e mi sentii sollevata dal vedere che non
ero l'unica seduta da sola con un portatile davanti.
Una
cinquantina di
persone e due scottature sulla lingua dopo mi arrivò una
mail.
Che
bello, era lui. Mi
aveva risposto.
Diceva
che sarebbe
stato impensabile dimenticarmi dopo che c'era stato.
Aggiungeva di essere davvero felice del mio arrivo a Toronto e che
voleva parlarmi anche lui.
L'appuntamento
era
fissato per quel pomeriggio; avremmo fatto una bella passeggiata con
la quale mi avrebbe fatto vedere i lati migliori della città.
Accettai
l'invito con
una mail corta e piuttosto fredda; non volevo sembrare troppo
impaziente di incontrarlo...anche se avevo tutti i motivi per
esserlo: non avevo nient'altro in programma e c'era un grosso peso
che non vedevo l'ora di togliermi.
Avevo
ancora tre ore da
far passare ed ero sicura che sarebbero trascorse in modo pesante.
Invece non le sentii nemmeno: usai tutto quel tempo a disposizione
inventando possibili ed improbabili dialoghi tra me e Michael.
Immaginai
ogni singola
reazione a cui mi sarei potuta trovare innanzi una volta detta la
verità.
Finalmente
avrei potuto
scoprirlo, uscii dal locale e mi incamminai verso il luogo di
incontro.
Orientarmi
fu
facilissimo dato che aveva scelto un luogo turistico indicato da
tutte le guide e da decine di cartelli per le strade.
La
piazza era piena di
gente che camminava freneticamente in tutte le direzioni quando
improvvisamente la folla sembrò come aprirsi davanti a me e
apparve lui.
Sentii
un forte
fastidio allo stomaco; non sapevo se incolpare il mio nervosismo o le
mie solite nausee. Guardarlo mi fece sentire meglio. Era esattamente
come me lo ricordavo: occhi espressivi, sorriso che scoglie alla
vista e quel meraviglioso colore di capelli.
Ambra
ramata...elettrizzante.
Mi
fecero lo stesso
effetto di quando li vidi la prima volta.
___________
Eccoci!
Quarto capitolo! Spero vi intrattenga!
Con
affetto, OctoberRain =}
|
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Capitolo 5 *** A prima vista ***
***PAST***
Ero atterrata a
Dallas da meno di un giorno e mi sentivo ancora frastornata.
Avevo
assolutamente
bisogno di prendere un po' d'aria fresca, di rilassarmi e pensare che
avrei fatto un buon lavoro. Rappresentare l'Italia ai SAVE A CHILD
GAMES era una grande responsabilità e tra tutti i ragazzi
che
avevano fatto domanda loro avevano scelto proprio me. Ci tenevo a
fare una bella figura. Potevo concedermi ancora un paio di giorni
prima dell'inizio dei giochi e avrei usato quel tempo prezioso per
ambientarmi al campus.
Feci
una lunga
passeggiata quella mattina e girai intorno a tutta la struttura che
comprendeva il campo dove si sarebbero tenuti i giochi veri e propri,
qualche piccolo studio televisivo, gli alloggi per i concorrenti e
noi corrispondenti.
Il
paesaggio era
davvero bello; ci trovavamo immersi nella natura e poco distante era
situato un meraviglioso laghetto. Era molto piccolo ma l'acqua era
pulitissima, rifletteva la luce e dava l'illusione che la superficie
fosse ricoperta da diamanti.
Intravidi
un molo
tra la moltitudine di alberi e il mio primo impulso fu di spingermi
fino alla fine per immergere la mano in quel liquido argentato.
Ma
mi bloccai. Appoggiato ad un tronco vidi un ragazzo che ascoltava la
musica con delle cuffie. Era totalmente preso, sembrava quasi in
trance. Teneva la testa alzata in direzione del sole e i raggi si
infiltravano tra i suoi capelli. Dire che erano belli sarebbe poco. I
capelli in sé non erano i migliori che avessi mai visto,
erano
ben tenuti ma piuttosto ordinari, quello che li rendeva speciali era
il colore. Incantevole. Fu in quel momento
che mi
vennero in mente quelle due parole per descriverlo: ambra ramata.
Diedi
una piccola
occhiata anche al suo viso. Attraente come pochi, dal mio punto di
vista.
Il
bello di quel
viso consisteva nel non essere di una bellezza oggettiva. So che la
bellezza non è mai oggettiva ma ci sono persone che sono
belle, punto, potrebbero non attirarti, ma sono belle. Il suo caso
era diverso; magari prima di me era passata un'altra ragazza che
guardandolo aveva pensato che non era niente di speciale.
Invece
io rimasi
come ammaliata. Restai a fissarlo per qualche secondo finché
non aprì gli occhi e iniziò a guardarsi intorno.
Evidentemente non era poi così assorto nella musica se aveva
sentito uno sguardo fermo sui suoi lineamenti!
Per
mia fortuna
aveva il sole a parargli la visuale non mi vide nascondermi dietro ad
un albero. Poi ricevetti un altro colpo: il terzo nel giro di pochi
minuti.
Bastarono
queste
poche parole a farmi capire che di lui mi piaceva anche la voce.
Una
delle mie grandi
passioni era il doppiaggio e di conseguenza avevo una concezione
precisa di “bella voce”. Ogni voce che io
consideravo bella aveva
uno strano effetto su di me: mi faceva venir voglia di sentire la
persona a cui apparteneva parlare per ore intere.
Mentre
mi
allontanavo dal lago mi misi a pensare a cosa mi ero ripromessa prima
di partire: nessun coinvolgimento.
Mi
rendevo conto che
non era ancora successo nulla, avevo solo visto un ragazzo, ma sapevo
che se non avessi iniziato subito a controllarmi ci sarebbe stato
poco da fare.
__________________
Un
capitolo breve breve, che si legge in un minuto!
Spero
che almeno sia stato un minuto piacevole! E spero anche che abbiate
qualcosa da dire...
Un
abbraccio e buona nottata. =}
|
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Capitolo 6 *** Ritroviamoci ***
Mi
venne incontro
allargando il sorriso.
"Non
hai idea di
quanto mi faccia piacere vederti." disse dolcemente.
"È
lo stesso
per me, davvero."
Passò
qualche
secondo imbarazzante nei quali pensammo in che modo salutarci.
Optammo,
poi, in un
rapido abbraccio.
"Spero
che tu abbia
rinfrescato il tuo inglese perchè ho intenzione di farti
parlare fino a perdere la voce! Devi raccontarmi tutto quello che
stai facendo!"
"Allora
è
meglio che faccia rifornimento di pastiglie per la gola!"
scherzai.
"Io ho
una proposta
migliore> disse lanciando gli occhi dappertutto "
Era
imbarazzato, come
se mi stesse chiedendo di uscire per la prima volta.
"Grazie
ma l'ho già
preso."
"in
verità
anch'io...lungo e dolce?"
"Esattamente" Fu
l'unica cosa che riuscì a dire.
Sapere
che conosceva
queste piccole cose di me mi fece uno strano effetto.
"Allora..."
riprese mentre iniziavamo a passeggiare "So
che potrò
sembrare poco contento di averti qui ma devo chiederti cosa ci fai a
Toronto...voglio dire, so che ti è sempre piaciuta
ma...insomma...hai capito no?"
Il
suo nervosismo era
respirabile.
Strano,
era teso più
di me, che mi auto-definivo “la regina del
nervoso”.
"Si,
si, ho
capito...e comunque è una domanda lecita."
"A
proposito di
domande lecite, i tuoi genitori ti hanno fatto venire qui da sola?"
Mi
sentii sollevata
dato che stava ignorando la prima domanda che mi aveva fatto ma anche
in difficoltà per la seconda.
I
miei genitori erano
un tasto dolente. Riuscì per poco tempo a tener loro
nascosta
la cosa forse semplicemente perchè non lo volevo. Non avevo
voglia di iniziare a mentire.
Tanto
a cosa sarebbe
servito?
Inspiegabilmente
la
presero in maniera ragionevole.
Fece
malissimo: invece
delle urla, dei gridi, delle minacce di buttarmi fuori di
casa...tutte reazioni che mi aspettavo, mi abbracciarono e mi dissero
che in qualche modo saremmo riusciti a venirne fuori. Sapere di
averli delusi mi uccise. Non credo che ce l'avrei mai fatta senza mia
sorella Alessandra. Lei fu l'unica che riuscì a starmi
vicino
senza giudicarmi. Fu la prima a cui raccontai il mio progetto di
partire per il Canada e, cosa che non mi stupì,
capì la
mia scelta.
Si
offrì anche
di venire con me ma non mi sembrò il caso.
Mi
ricordo ancora le
sue parole:
"È
la scelta
migliore, Michael ha diritto di sapere. Non importa come la
prenderà."
Tenendomi
all'oscuro,
Ale disse del Canada ai nostri genitori e tutti e tre insieme mi
programmarono questo viaggio. Non so bene come si organizzarono. Un
giorno tornai a casa e vidi il biglietto sul mio letto. Mi
lasciò
sbalordita e grata: sapere di avere una famiglia pronta a sorreggermi
soprattutto in questi momenti difficili mi sembrò una
fortuna
enorme.
"Si
può dire
che hanno capito la mia scelta."
dissi alla fine.
"Mi fa
piacere."
Michael
era uno che
sbatteva la palpebre spesso e velocemente, ma dopo aver detto quelle
semplici parole iniziò a scrutarmi, come se stesse cercando
qualcosa.
"Cosa
c'è?"
chiesi infastidita. Se c'è una cosa che odio sono le persone
che fissano.
"Niente..."
sospirò senza convinzione. "È
solo che sei diversa.
Hai presente quando le persone affrontano delle battaglie impegnative
dai cui escono segnate e incomprensibilmente riesci a vedere questo
cambiamento sui loro volti?"
Mi
fece questa domanda
sapendo che non avrei compreso appieno quello che voleva dire.
Ma,
bisogna ammetterlo,
ci aveva preso.
"Ah,
dimenticavo, ti
trovo benissimo." Il
suo sorriso si fece impercettibile.
"Grazie,
anche tu,
meglio dell'ultima volta."
Mi lasciai sfuggire un complimento
sincero.
"Ma va!"
disse
iniziando a ridere
"Anch'io
allora!"
esclamai.
"Affatto...non
assomigli proprio alla ragazza che vidi la prima volta nella
caffetteria."
Allontanò
lo
sguardo e si mise ad osservare la strada.
Io
riflettei un attimo.
"Pensavo
che la
prima volta che ci vedemmo fu alla cerimonia di inizio dei giochi."
Ovviamente
con “ci
vedemmo” intendevo “mi vedesti”.
"Io
non l'ho mai
detto."
"E
quando mi avresti
vista?" La
mia curiosità era alle stelle.
"Va
bene, te lo
racconto."
______________________
Come
continuerà il racconto di Michael? Sarà tutto nel
prossimo capitolo!
Per
ammazzare l'attesa che ne dite di farmi sapere quello che pensate?
Buon
Sabato Sera! OctoberRain =}
|
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Capitolo 7 *** Te lo racconto ***
***MICHAEL'S
PAST***
Come ho già
detto ero in caffetteria. Ero sceso prestissimo e mi aspettavo di non
trovare nessuno quando sentii dei passi sulle scale precedermi.
Non
pensavo ci
fossero altri mattinieri tra i corrispondenti. Quando capii che ti
stavi dirigendo proprio dove stavo andando io mi fermai ad aspettare
che te ne andassi: la mattina appena sveglio non ho mai molta voglia
di parlare e la prospettiva di avere una banale conversazione di
circostanza non mi attirava affatto.
Non
so bene cosa mi
spinse a farlo ma rimasi dietro la porta socchiusa ad ascoltare
quello che avresti ordinato. Come me, anche l'addetta alla sala fu
sorpresa di trovare qualcuno così presto. Ricordi? Si
chiamava
Marisol Diez, di origini portoricane, e appena ti vide fu per lei la
fine della noia di quella prima mattinata in cui tutti si sarebbero
alzati dopo le dieci. Purtroppo il suo turno iniziava alle sette del
mattino. Camminasti per un paio di volte davanti alla schiera di
immagini che rappresentavano i vari tipi di caffè tra cui
potevi scegliere. Avevi gli occhi spalancati, come se scegliere la
miscela adatta condizionasse tutta la tua giornata.
Ti
avvicinasti al
banco e dopo aver salutato cortesemente Marisol, dicesti che avresti
preso un normale caffè lungo molto dolce. Non riuscii
immediatamente a capire da quale paese europeo prevenivi e desideravo
sentirti parlare ancora per placare la mia insolita
curiosità.
"Certo
cara,"
ti disse Marisol. Poi aggiunse: "Lo vuoi aromatizzare?"
"Aromatizzare?"
eri sorpresa, nel ripetere quella parola si capiva che ne avevi
inteso il significato teorico ma non molto quello pratico.
"Certo,
su quella
mensola" indicò con un dito alla sua sinistra "ci sono
delle bustine con degli aromi; trovi tutti i tipi di frutta e anche
qualche spezia. Te le consiglio, danno un tocco in più."
Marisol
era una donna gentile, sulla trentina, che amava entrambi gli aspetti
del suo lavoro: il caffè e interagire con la gente. Sapeva
togliere dall'imbarazzo le persone alle quali rivolgeva la parola e
senza rendertene conto,
iniziavi a
parlarle.
Ti
avvicinasti alla
mensola e dopo una lunga osservazione prendesti una bustina e la
mostrasti a Marisol.
"Frutti
di
bosco...ottima scelta." ti disse sorridendo gentilmente.
Tornasti
al bancone
e assaporasti il profumo che si riusciva a sentire anche se la
confezione era ancora chiusa.
"Come
ti chiami?"
ti chiedette dopo pochi secondi di silenzio.
"Larissa,
molto
piacere"
Pensai
subito che
avevi un nome strano, anche se molto interessante.
Allungasti
la mano e mentre te la stringeva
Marisol ti
disse:
"E da dove vieni, cara?"
"Italia."
In
quel momento
chiuse gli occhi come se stesse visualizzando nella sua mente Milano,
o Venezia, o Firenze oppure Roma.
"Deve
essere
splendida."
"Mi
piace."
"Sei
una ragazza
di poche parole vero?"
"Quando
non sono
nel “mio ambiente naturale”, sì."
"La
caffetteria
non è il tuo ambiente?"
Rideste entrambe per quella
battuta che, si notò moltissimo, ti tolse dall'imbarazzo.
"No,"
spiegasti "Sono tutte queste telecamere, gli studi
televisivi...gli attori famosi..."
"Ma...pesavo
che
tutti i corrispondenti facessero parte di questo ambiente. Ho
lavorato a tutte e quattro le edizioni dei SAVE A CHILD GAMES ed
è
sempre stato così."
"Sono
la prova
vivente che non lo è stato quest'anno!"
"E
allora come
sei arrivata qui?"
"Vedi
Marisol...io amo scrivere. Nel mio liceo, in Italia, io scrivo per il
giornale della mia scuola: tengo una specie di rubrica in cui cerco
di capire perchè le persone fanno quello che fanno. Cerco di
fare chiarezza, insomma...anche se capita che quando cerco di
rispondere ad una domanda non faccio altro che trovarne altre. Ma
questo è uno degli aspetti che preferisco: mi piace far
riflettere la gente. L'insegnante che cura il giornale, la
professoressa Rossetti, guardando il sito italiano della fondazione
“Save a Child”
trovò questo concorso in cui ogni ragazzo o ragazza che
avesse
compiuto 16anni poteva inviare uno scritto in cui spiegava che
cambiamenti farebbe se fosse a capo del mondo. Il premio per il
vincitore sarebbe stato il lavoro da corrispondente ai SAVE A CHILD
GAMES. Ci teneva molto che io partecipassi così non volli
deluderla; in meno di tre giorni avevamo già inviato il mio
saggio. Evidentemente lo avevano trovato molto buono dato che fui
selezionata tra i primi dieci. A noi finalisti chiesero di inviare un
video in cui fingevamo di trovarci ai giochi, credo volessero sapere
il modo in cui relazioniamo alla telecamera o se avevamo la stoffa.
È
successo tutto così in fretta...vinsi e mi ritrovai con i
miei
genitori a firmare una specie di contratto. Beh, questo è
tutto."
"Una
storia
singolare, Larissa. Sai una cosa? Posso immaginare quanto nervosa tu
ti senta in questo momento ma appena ti troverai in mezzo a quei
ragazzi della tua età ti dimenticherai che sono attori molto
conosciuti e inizierai a sbloccarti. Da lì in poi ti
sembrerà
tutto naturale. Credimi."
Il
tuo sorriso dopo
quella frase è difficile da descrivere, un misto tra
riconoscenza e speranza. Radioso.
"Grazie
mille,
spero solo di non deludere nessuno."
"Non
succederà.
Cambiando discorso, come mai in piedi così presto? Non dirmi
che è il nervosismo a tenerti sveglia!"
"In
parte, in
verità, ma oggi è una giornata splendida e non ho
resistito. Andrò a cercarmi un buon posto in cui leggere per
un'oretta."
"Bel
programmino...ed ecco il tuo caffè!"
Lo
prendesti e lo
annusasti. "Ha un profumo buonissimo. A domani, Marisol."
"Buona
giornata,
cara." Dal suo sguardo si capiva che le piacevi.
___________________
Ecco
qua! Un altro capitoletto!
Se
vi piace ditemelo! Se non vi piace....pure! Mi interessa comunque!
Un
abbraccio! =}
Devo
i dovuti ringraziamenti a Lady Elaisa che mi segue fin dall'inizio e mi
ha dato la sua opinione. Grazie Mille!!!!!!!
|
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Capitolo 8 *** Un peso in meno ***
Quella
mezzora vista
attraverso i suoi occhi mi aiutò a conoscerlo meglio.
"Non
posso crederci
che non me hai mai parlato!"
"Nemmeno
io so
perchè non l'ho mai fatto."
"Non
fa
nulla...anzi, mi ha fatto piacere sentirla adesso."
Era
come se fossi stata
in letargo da quando l'avevo visto l'ultima volta a Dallas, sentivo
che mi stavo risvegliando, in quell'esatto momento, con lui.
Poi
riprese: "Ah, mi
dispiace, tu avevi
qualcosa da dirmi, vero? Io mi sono messo a divagare e me ne sono
dimenticato..."
"Si,
giusto. È
molto importante anche."
Eccolo
lì. Il
momento era giunto. Avrei dovuto tirar fuori ogni traccia di coraggio
che c'era in me, oppure inventarmene un po'.
"Forse
è
meglio che ci sediamo." Si, era meglio davvero.
Trovammo
un panchina,
illuminata dal gelido sole di novembre.
"Devi
promettermi
che finché non ho finito tu non dirai nemmeno una parola.
Altrimenti, lo so già, finisce che la cosa che ti devo
dire...non te la dico più. Ma è importante che te
la
dica."
Probabilmente
in quel
momento il mio viso di fece più pallido del solito
perchè
vedevo negli occhi di Michael uno sguardo apprensivo.
"Stai
bene?" mi
chiese con una punta di preoccupazione.
Annuì,
mentendo.
Avevo lo stomaco che era un disastro.
"Michael,
hai
presente quando ci sono situazioni che sai che dovrai affrontare
prima o poi e allora cerchi di prepararti perchè non sai
quando sarà il tempo di farlo ma poi, quando ti accorgi che
non puoi più scappare ti rendi conto che non sei pronto, e
non
è perchè non ti sei preparato abbastanza ma
è
perchè non sarai mai, mai pronto?"
"Cosa
vuoi dire?"
si fece cupo.
Presi
un respiro
profondissimo, sentii l'aria fredda dell'inverno canadese fin dentro
le ossa, e poi dissi tutta d'un fiato quella frase tanto pensata,
immaginata e dolorosa.
Il
suo sguardo diventò
vuoto in un istante e si mise a fissare davanti a sé. Mi
guardò per un attimo come se volesse chiedermi se stavo
scherzando ma si rese conto che non si potrebbe mai scherzare su una
cosa del genere. Almeno io non avrei mai potuto farlo.
Appoggiò
i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra la mani. Lo sentii
respirare in modo pesante, poi si rialzò mi fissò
freddo negli occhi e disse solo:
"Sei
sicura che..."
non ce la fece a continuare e in un secondo mi diede le spalle.
Cosa
voleva chiedermi?
Se ero sicura di essere incinta? Si, lo ero. Se ero sicura che fosse
suo? Si, ancora più sicura.
Da
lì in poi
silenzio assoluto. Camminava nervosamente, poi si risiedeva, poi si
appoggiava alla ringhiera dietro la panchina, poi si allontanava di
una paio di metri e poi tornava indietro con decisione verso di me,
apriva la bocca come se volesse parlare ma la richiudeva subito e con
un rapido gesto della mani si allontanava ancora.
Che
era visibilmente
sconvolto, riuscivo a vederlo ma in quel momento avrei dato qualsiasi
cosa per sentirlo parlare, qualsiasi cosa per sapere cosa gli passava
per la testa.
Sembrò
calmarsi
ad un certo punto, si sedette vicino a me sulla panca e guardando la
gente che ci passava davanti respirava normalmente.
Non
potevo più
aspettare; volevo attendere che fosse lui il primo a rivolgermi
qualche parola ma non resistevo più. Parlai io per prima.
"Non
sai cosa dire,
vero?" Non trovai niente di più intelligente in quel
momento.
Si
girò verso di
me e sentii nei miei i suoi occhi nocciola che non mi erano mai
sembrati così spaventati. Allargò di poco gli
angoli
della bocca, fingendosi calmo.
"A
volte le parole
sono del tutto inutili."
________________
Capitolo
minuscolo ma significativo...che soprattutto prepara al prossimo
in
quale altra occasione sarà stata detta quella frase?
Al
prossimo capitolo! (che è praticamente pronto quindi...)
1abbraccio!
OctoberRain =}
|
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Capitolo 9 *** Inutili le parole ***
Non
era la prima volta che
mi diceva quella frase.
Le
circostanze in cui la
udì la prima volta sono come marchiate a fuoco nei miei
ricordi.
Era
precisamente il 30
agosto, dell'estate più calda che io abbia mai passato.
Non
avevo parlato per
tutto il giorno; ero triste all'idea che l'indomani sarebbe tutto
finito, sarei
tornata a casa mia, in Italia.
Diventavo
solare e piena
di parole soltanto quando mi trovavo davanti ad una telecamera accesa.
Devo
ammettere che fingere in quel modo mi riusciva piuttosto bene e nessuno
si
accorse di nulla dato che mascheravo il mio mutismo con il nervosismo
in vista
del Galà di quella sera.
Registrammo
solo di
mattina mentre il primo pomeriggio lo passammo a provare.
La
novità era che non
avrei condotto da sola il Galà come avevo fatto per tutto
l'arco dei giochi,
infatti dall'Italia la fondazione mi mandò un cavaliere. Si
chiamava Jari, faceva
il cantante e l'attore di sit-com. Mi fece molto piacere riuscire a
parlare la
mia lingua con un ragazzo della mia età. In
verità ero partita con Valentina
Francesconi, sedici anni come me e attrice nella stessa sit-com di
Jari, ma
dato che era una concorrente avevo raramente l'occasione di parlarci.
Era un
peccato perchè quella ragazza mi piaceva. La incontrai la
prima volta in
aeroporto la mattina della partenza. Notai subito che dal modo di
camminare,
vestire e parlare era una ragazza molto eccentrica; aspetto che
apprezzo nelle
persone.
Nascondeva
la sua tensione
per il viaggio parlando molto e velocemente, di tutto quello che le
passava per
la mente. Una volta scese dall'aereo conoscevo già tutti gli
aspetti più
importanti della sua vita, la sua famiglia, i suoi affetti e le sue
passioni.
Pensandoci ora, un'amica con cui confidarmi mi avrebbe fatto molto
comodo
durante quelle 5 settimane. Credo che sarei riuscita ad affrontare
tutte le mie
questioni complicate riguardanti Michael in modo più
tranquillo.
Il
mio bisogno di parlare
e sfogarmi si fece notare da Jari il quale si proclamò
volenteroso ad
ascoltarmi. In un primo momento rifiutai ma continuai a riflettere
sulla sua
proposta mentre mi truccavano, sistemavano i capelli e sceglievano il
vestito
più adatto alla mia carnagione. Secondo loro il blu ceruleo
era perfetto per
me.
Più
tardi stavamo
aspettando di iniziare davanti ad una delle grandi porte della sala da
ballo,
eravamo in anticipo di circa un'ora. Infatti per i corridoi non c'era
nessuno.
Senza
voltarmi verso di
lui e senza spostare lo guardo da davanti a me gli dissi:
"Sai...non
so se voglio
partire."
"Beh,
mi sembra ovvio. Io sono qua da poco più di un giorno e
già me ni sono innamorato di 'sto posto quindi non
faccio fatica a credere che tu non te ne voglia andare più
via!"
Sapevo
che quello che
stava dicendo era vero ma non mi sentivo del tutto convinta.
"Si,
in parte."
"E
l'altra parte quale
sarebbe?"
"Mi
sembra come se mi
fossi persa qualcosa in questo viaggio, come se ci fosse qualcosa che
mi sento
di fare ma non so cosa."
"Certo
che lo sai."
Ero
stupita. Come faceva
lui a dirmi cosa sapevo io?
"Lo
saprei?"
"Assolutamente!
Ma è
probabile che questa cosa ti esponga così tanto che non vuoi
ammetterla nemmeno
tu. Capisci cosa intendo?"
"Si,
credo che tu abbia
ragione. Ti sei mai sentito così anche tu?"
Annuì.
"E
come ti sei
comportato?"
"Ero
convito che se
fossi partito ignorando quella sensazione me ne sarei pentito e mi
sarei sempre
chiesto “cosa sarebbe successo se...”. Quindi mi
buttai e col senno di poi me
ne pentii ma almeno non ho rimorsi. Per me è meglio
così."
"Centrava
una
ragazza?" chiesi insinuante.
Per
la prima volta
dall'inizio della nostra conversazione si girò a guardami.
"E
nel tuo caso centra
un ragazzo?"
Abbassai
lo sguardo
iniziando a fissarmi la punta delle scarpe eleganti.
"Ecco,
ti sei risposta
da sola."
Era
il momento di fare una
scelta: i sicuri rimpianti o i possibili pentimenti.
Decisi
in un attimo; non
volevo essere una di quelle persone che arrivate ad un certo punto
della loro
vita si chiedono quali decisioni prese diversamente l'avrebbero resa
migliore.
Gli
dissi solo: "Torno
subito." e non sapendo nemmeno dove andare mi misi a correre per i
corridoi
nella speranza di incontrare lui, Michael.
Mentre
mi allontanavo vidi
Jari sorridere, e quello mi convinse che stavo facendo la cosa migliore
in quel
momento.
Le
mie speranze si
concretizzarono alla vista di un ragazzo dai capelli ramati camminare
canticchiando
con la spalla addossata alla parete ricoperta da una discutibile carta
da
parati lilla.
Vedendomi,
assunse quel
sorriso che mi era sempre piaciuto, ed io non riuscì che a
fare lo stesso. Poi
si accorse che avevo appena finito di correre: guance arrossate,
respiro
affannoso e, inizio principale, le scarpe col tacco in mano.
"Dove
vai così di
fretta?" disse mentre rideva.
Il
fatto di non salutarci
mai con la parola di rito “ciao” la consideravo una
nostra tradizione.
"Veramente
cercavo
te." Mi pentii immediatamente della mia sincerità sfacciata.
Non
lo vidi affatto
stupito anzi il suo ego, tipicamente maschile, ne godeva.
Mi
sentivo un po' a
disagio, la sicurezza che avevo durante la corsa mentre pensavo a cosa
dirgli
non la trovavo più.
"Beh,
sai com'è...tra
poco inizia il Galà e non potremmo parlare più di
tanto poi domani ho l'aereo
presto quindi..." finsi calma mentre lo guardavo negli occhi la prima
volta
dall'inizio della conversazione "Ci tenevo a salutarti."
"Mi
fa piacere, hai
fatto bene." Si mise la mano tra i capelli scompigliandoli, come se
stesse
cercando di tirarne fuori le parole più adatte.
"Non
mi piacciono molto
i saluti, non so mai cosa dire."
"Nemmeno
io, posso solo
dirti che i capelli in disordine non stanno bene con lo smoking!"
Ironizzai
per calmarmi. Adoro l'ironia, in me e negli altri, rende le cose
divertenti ma
non troppo e soprattutto allevia la tensione.
"Non
smetti nemmeno
l'ultimo giorno con le tue frecciatine vero?"
"Come
potrei? Sono il
mio marchio! Non l'hai ancora imparato?"
"Si,
è vero." Ridemmo
entrambi.
Mi
ricordai che avevo
ancora le mie scarpe in mano e, cercando di fare il più in
fretta possibile, me
le rinfilai diventando otto centimetri più alta.
"E
poi sono i miei
capelli che non si adattano all'eleganza della serata, vero?"
Sorrisi.
"Touché."
Avevo perso la cognizione del tempo quindi era meglio fare quello che
volevo
fare in fretta.
"Comunque,"
ripresi
cercando di essere seria "C'è una cosa che devo fare,
altrimenti so già che
non riuscirò a tornare a casa tranquilla. Capisci cosa
voglio dire?"
"Si,
più o meno,
forse...hai bisogno di me?"
Da
quel momento in poi è
tutto avvolto da un aura nebulosa.
Lo
fissai negli occhi per
dei secondi che sembrarono lunghi il doppio cercando di raccogliere la
mia
decisione e la forza di seguire, senza pensare alle conseguenze, i miei
desideri.
Non
avevo più voglia di
pensare. Premetti le mie dita contro le sue spalle, gli feci fare un
paio di
passi all'indietro in modo che la schiena si appoggiasse al muro e in
quel
momento, grazie ai tacchi alti, sollevai la mia testa solo di qualche
centimetro e le mie labbra sfiorarono le sue con una lieve pressione.
Mi
allontani immediatamente, dandogli le spalle.
Non
saprei spiegare perchè
non mi sentivo del tutto soddisfatta. Avevo appena fatto quello che
volevo ma
dentro di me sapevo, anche se in quel momento non lo avrei ammesso, che
quello
che c'era appena stato non era un bacio. Quel gesto intimo non era
degno di
essere chiamato con quel nome; erano solo due corpi che si erano
toccati, il
fatto che fossero state le nostre labbra era irrilevante. Probabilmente
avrei
raccolto quella mia piccolissima vittoria e sarei scappata lontano
cercando,
poi, di evitare il suo sguardo per tutta la serata, ma una reazione
inaspettata
sconvolse il mio progetto di fuga, fuga dal corridoi e da lui.
Gli
bastarono pochi lunghi
passi per raggiungermi e in un gesto solo mi voltò e
appoggiò la mia schiena
all'altro muro. Adesso erano le sue labbra che erano sulle mie e
sentivo la sua
mano dietro la mia nuca, come se non volesse lasciarmi andare via. Cosa
che,
comunque, non avrei fatto.
Dopo
pochissimi secondi
sentii le sue labbra allontanarsi e scorrere lentamente sul mio viso
mentre con
la sua guancia accarezzava la mia.
"Non
ho parole."
dissi impulsivamente.
"A
volte le parole sono
del tutto inutili." Mi sussurrò all'orecchio pronto a
baciarmi di nuovo.
Provare
sulla mia pelle
tutte le sensazioni che scaturiscono da un bacio vero mi fecero sentire
leggera
e rilassata, come se si fosse riempito tutto d'acqua e noi ci eravamo
dentro,
noi che non avevamo bisogno di respirare ma volevamo solo lasciarci
trasportare
dalla corrente.
Cominciammo
a schiudere le
labbra rendendo il bacio ancora più vero e profondo.
Istintivamente intrecciai
le dita tra i suoi capelli poco più scuri dell'ambra e da li
non le spostai
più. Sentivo le sue, invece, dappertutto lasciando al loro
passaggio una scia
di calore che mi sembrò così forte da sentire il
vestito andare a fuoco. Forse
eravamo solamente noi ad andare a fuoco. Un fuoco incontrollabile, quel
fuoco
che hanno sempre chiamato passione, che è un insieme di
desideri, voglie e
piaceri. Non riflettendo su quello che stavamo facendo mi lasciai
condurre per
il corridoio e automaticamente abbassai una maniglia che apparve come
dal nulla
vicino al mio gomito.
_______________
Scusate
questo ritardo mostruoso ma ho avuto seri problemi al
computer…tutto risolto,
per fortuna! Mi faccio perdonare con questo capitolo bello sostanzioso!
Buona
Serata! =}
|
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Capitolo 10 *** Ritorno alle origini ***
Michael
mi aveva appena lasciato all'albergo dove stavo. Non aveva detto
nemmeno mezza parola sull'argomento, ma mi aveva assicurato che una
volta sistemate bene le idee ne avremmo parlato per bene. Non aspettavo
altro, non mi interessava quanto avrei dovuto aspettare.
Ero esausta. Mi sdraiai
sul letto e iniziai a seguire con gli occhi le linee intrecciate
disegnate sul
soffitto. In quel mare di confusione, che non solo disorienta ma fa
anche star
male, viaggiai con la mente verso il periodo migliore della mia vita:
le cinque
settimane passate a Dallas, ai SAVE A CHILD GAMES.
L'avventura
vera a propria
iniziò un'assolata mattina di fine luglio, lunedì
28 per essere precisi. Si
teneva la cerimonia di inizio e nonostante le rassicurazioni di Marisol
mi
sentivo nervosa come mai prima. Anche Valentina lo era, cosa a cui non
avevo
pensato. Ero convinta che lei, essendo dell'ambiente, fosse
più tranquilla.
Quando glielo feci notare mi disse che recitare in uno studio a Milano
era
diverso che vivere e giocare con personaggi famosi nel Texas. Era anche
preoccupata che il non essere un tipo molto sportivo potesse crearle
dei
problemi.
Mi
sentii un po' egoista:
mi ero preoccupata solo del mio nervosismo ignorando quello della mia
unica
amica in quel momento. E pensare che mi definivo empatica...
Nonostante
tutto questo
riflettere su come stesse Valentina, una volta separate ripresi a
pensare alle
tenaglie che mi sentivo nello stomaco.
Continuavo
a ripetermi che
una volta davanti alla telecamera per il mio primo turno di
registrazione tutto
mi sarebbe venuto naturale e sarei stata visibilmente tranquilla e
spontanea.
Non me lo aspettai ma successe proprio così.
Le
parole mi uscirono da
sole e parlai ad una velocità normale senza incepparmi. Non
ci fu nemmeno
bisogno di ripetere la mia presentazione. Come credo si dica in questo
campo,
fu buona la prima. Di certo La piccola troupe
italiana non mi fu
inizialmente d'aiuto dato che non mi conosceva; sapeva solo che una
“normale”
studentessa avrebbe fatto da corrispondente. Notai subito che la mia
assoluta
mancanza di esperienza li infastidiva e li preoccupava di perdere tempo
prezioso.
La
mia vanità ricevette un
rinfrescatina quando mi accorsi che avevo stupito tutti e cominciai a
pensare
che se al concorso avevano scelto me tra tanti un motivo ci doveva
essere pur
stato!
Il
cameraman, un uomo sulla
quarantina che tutti chiamavano Rambo nonostante si chiamasse Marco (e
non
seppi mai il perchè) mi guardò per un momento
senza dire nulla come se qualcosa
in me gli piacesse e lo innervosisse allo stesso tempo. Mi diede un
paio di
dritte e mi spiegò cosa avrei dovuto fare alla cerimonia,
della quale avevo
tanto annunciato l'incombenza ai miei telespettatori ma di cui mi
accorsi di
non sapere ancora nulla.
Entrai
in una grande sala,
quella che avrebbe anche ospitato il Galà settimane dopo, e
rimasi colpita
dalla quantità di ragazzi che vedevo parlare e scherzare
come se si trovassero
ad un normale campeggio estivo. Solo per me la cosa aveva
dell'incredibile?
Solo per me calpestare il suolo americano era così
emozionante da essere
classificato nella mia lista una delle 15 cose da fare assolutamente
nella
vita? Capivo perchè non lo era per gli americani, che erano
la maggior parte,
ma la minoranza era formata anche da canadesi, messicani, brasiliani,
giapponesi, indiani, inglesi, spagnoli, francesi e italiani, ovviamente.
In
quel momento mi piacque
pensare che fu solo la prima impressione che si ha quando non si sa
niente
delle persone che ci stanno intorno e non che il mio entusiasmo fosse
un po'
troppo esagerato. Tra la folla vidi Valentina e le andai incontro
felice di
vedere una faccia amica.
Notai
che aveva già fatto
qualche conoscenza e che chiese un minuto di permesso per venirmi a
parlare.
Inaspettatamente quando mi raggiunse, mi abbracciò
calorosamente.
"Per
cosa merito tutto
questo affetto? Non vorrai mica confermare i luoghi comuni che gli
stranieri
hanno degli italiani e le loro...effusioni, spero!"
Quando
mi accorsi che non
aveva afferrato il mio umorismo, credendolo anzi un insulto, la
tranquillizzai
con un timido "Scherzavo."
Sembrò
ignorare ogni cosa
detta per dire al massimo dell'euforia:
"Oh, Lary, non sai quanto sono felice che tu ti sia unita a noi!
È tutto
così bello e i ragazzi che fin ora ho conosciuto sono
assolutamente
incredibili! Soprattutto un ragazzo...hmm...non puoi capire quanto
è bello se
non lo vedi, si chiama Carlos, è messicano, e spero proprio
di averlo come
compagno di squadra!"
Camminando
tra la gente e
la sua eccitazione arrivammo all'altro lato della sala dove mi
presentò al
gruppo.
"Ragazzi,
questa è
Larissa." disse fingendo un accento mezzo inglese e mezzo americano.
Feci
un gesto impacciato
di saluto correlato al sorriso migliore che mi venne.
"Allora,>
riprese
Vale indicando col dito quelli che nominava
"Michael
Seetton,
Toronto." Si presentò da solo.
Ero
così presa dal vedere
il tipo che aveva fatto già perdere la testa a Vale che non
notai quello che
avrebbe, prima o poi, fatto perdere la mia. Fui felice di dare
finalmente al
“ragazzo dai capelli splendidi”, di cui non mi ero
affatto dimenticata, un
nome.
"Sei
italiana anche tu,
vero?"
"Si,
da Milano."
Sorrise
tra sé, come uno
che sa di aver vinto una scommessa.
Quasi
all'unisono, in
minimo cinque lingue diverse (o almeno cinque furono quelle che
riuscì a
riconoscere) tutte le troupe presenti nella sala cominciarono a
chiamare i
propri concorrenti e rispettivi corrispondenti perchè era
ora di dare inizio
alla cerimonia.
Accennai
un collettivo senza però allontanarmi dato che
aspettavo Vale che
sorrideva languida al bel messicano. Michael fu l'unico a rispondere al
mio
saluto.
"Ci
vediamo, Lara."
E sparì tra la folla.
"È
Larissa,
comunque." Dissi conscia che non avrebbe potuto sentirmi.
_________________________________________
So
che non
siete molti a seguire la mia storia, ma volevo dirvi che mi dispiace
tantissimo
di averla lasciata così! Non ho smesso di scriverla ma,
nonostante mi piacesse
la piega del racconto, non mi piace ancora il modo in cui l'ho scirtta.
Mi sono
un po' arenata. Ho deciso, allora, di scrivere una parte che avevo solo
in
mente da un po'. Spero vi piaccia. Un abbraccio, October Rain =}
[Specialmente a voi, Lady Elaisa, Lady Book, Nerissa_Blu e Benzina!
Grazie di
cuore!]
|
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Capitolo 11 *** Cerimonia ***
Per
i concorrenti la
cerimonia consisteva nella consegna delle uniformi e nella divisione
nelle 5
squadre ognuna delle quali portava il nome di una nazione in cui i
bambini
vivono nelle peggiori condizioni. La squadra che si sarebbe
classificata al
primo posto avrebbe vinto 50'000$ che la fondazione avrebbe usato per
migliorare le condizioni di vita nello stato che dava il nome al
gruppo. Le
rimanenti quattro squadre avrebbero ricevuto 10'000$ da usare nello
stesso
modo.
A
noi corrispondenti,
invece, venne consegnata la maglietta ufficiale dei SAVE A CHILD GAMES
(di un
colore neutrale in modo da non favorire nessuno) e il microfono con cui
avremmo
fatto le presentazioni e le interviste.
Bastava
un rapido colpo
d'occhio per capire che ero italiana dato che entrambi gli oggetti
consegnatomi
avevano stampato un tricolore enorme.
Il
lato positivo era che
non avrei mai fatto gaffe sulla nazionalità dei miei
colleghi ma, e di questo
ero certa, avrei trovato altre occasioni per fare delle pessime figure.
Tutto
si concluse prima di
quando avessi immaginato o forse fu solo una mia impressione. Dicono
che quando
ci si diverte il tempo sembra passare più velocemente. A
rendere divertente il
tutto fu la presentatrice ufficiale dei giochi, una donna esilarante e
dalla
parlantina assurda. Si chiamava Charlotte Porter ma tutti la
conoscevano come
Cha-cha.
Prima
di darsi alla
conduzione Cha-cha faceva la modella di costumi da bagno, richiesta dai
fotografi più famosi di Los Angeles e che si poteva trovare
sui cataloghi
perfino di Pietroburgo.
Nonostante
non arrivasse
ai trent'anni aveva già un paio di matrimoni alle spalle
terminati entrambi
perchè non intendeva rinunciare alla sua carriera e nemmeno
al suo fisico
perfetto per concedere figli a mariti scontenti. Sembrava non curarsene
se la
gente, venuta a conoscenza dei dettagli dei suoi divorzi tramite i
tabloid
pieni di pettegolezzi, la considerasse una persona di dubbio gusto,
Cha-cha
diceva di essere troppo giovane per pensare a queste cose serie da
donna
matura.
Durante
la cerimonia ogni
due per tre faceva battutine o commenti maliziosi agli operatori
dall'aspetto
migliore scatenando una risata generale che, però, si
spegneva subito.
Il
suo umorismo e la sua
risatina esaltavano anche me ma a volte volevo solo che fosse
più seriosa solo
per dare un tono solenne alla cerimonia e renderla più
simile a come l'avevo
immaginata.
Devo
ammettere che guardai
più di una volta Michael cercando di vedere se mi stava
guardando anche lui e
arrabbiandomi se mi rendevo conto di avere ragione. Inutile dire che
questo
comportamento non aveva molto senso. Quando fummo liberi di lasciare la
sala
corsi a cercare Vale perchè sapevo che una volta raggiunto
il dormitorio della
sua squadra l'avrei rivista solo sul campo da gioco e saremmo state
troppo
impegnate per parlare.
La
cercai invano per dieci
minuti buoni quando mi sentii afferrare il braccio da dietro.
Mi
voltai di scatto e vidi
Michael.
"È
nel giardino
interno." mi disse distaccato.
"Chi?"
mi resi conto
subito della stupidità della mia domanda. "Come fai a sapere
che cerco lei? Potrei
cercare chiunque altro."
"Certo,
Laree, chiunque
altro..."
"Mi
chiamo Larissa,
comunque!" Speravo che sentendolo bene se lo sarebbe ricordato.
"So
come ti chiami."
"Allora
perchè nelle
due volte che ci siamo parlati non hai mai usato il nome giusto?"
Alzò
le spalle e si
allontanò fischiettando, contento di aver vinto una
battaglia verbale che però
era solo nella sua testa. Mi chiesi come il ragazzo dai capelli
splendidi
potesse affascinarmi tanto mentre Michael Seetton infastidirmi in quel
modo.
Si
comportava con me come
se ci conoscessimo da tanto anche se c'eravamo appena presentati.
Ripensandoci
credo che avesse bisogno di considerare qualcuno in quel modo visto che
era
l'unico canadese e quindi si sarebbe presto separato dal concorrente
che
accompagnava, nonché suo unico conoscente lì al
campo, un biondo di nome Noah
che dal modo in cui si guardava intorno ricordava Alice nel paese delle
Meraviglie.
Mi
diressi verso il
cortile interno per riuscire finalmente a parlare con Vale. Una volta
trovatamela
davanti mi venne voglia di raccontarle i miei pensieri ma poi mi
accorsi che
non mi avrebbe ascoltata, troppo felice di avere Carlos in squadra con
lei.
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Capitolo 12 *** Il vero primo giorno ***
Per
fare in modo che si
creasse affiatamento tra i sei gruppi (cinque squadre più
noi corrispondenti)
la fondazione aveva organizzato un pranzo speciale con sei ampie tavole
rotonde. La mia nota capacità di perdermi anche nei luoghi a
me familiari mi
fece arrivare per ultima: infatti nella tavola c'era un solo posto
vuoto, il
mio.
Nonostante
fossero tutti
evidentemente presi dalle proprie conversazioni, quando arrivai
calò un
silenzio imbarazzante e sentii tutti i loro nove sguardi su di me.
Presi posto
tra l'inglese dai capelli a spazzola e i modi gentili di nome Brendan e
Jordan,
l'americana sportiva che se avesse voluto avrebbe fatto a pezzi tutti
quelli
che là dentro si credevano “macho man”.
I
miei molteplici
tentativi passati di sentirmi a mio agio in mezzo a sconosciuti avevano
sempre
fallito e anche in quel momento, pur non essendoci alcun motivo reale,
mi
sentivo tesa e fuori luogo. Avevo il presentimento di non piacergli e
che
avessero creato il loro circolo privato, escludendomi. Mia sorella mi
aveva
sempre attaccato per la mia insicurezza che talvolta diventava
paranoia. Presto
i loro sguardi interrogativi si addolcirono e mi sorrisero tutti,
tempestandomi
di domande. Mi sarei volentieri presa a schiaffi da sola per aver
pensato
quelle cose di loro. Avevo voglia di conoscere tutti almeno quanto loro
ne
avevano di conoscere me. Risposi alle loro domande sulla mia
città e ne
approfittai per elogiare Milano in un inglese che non sapevo nemmeno di
conoscere. Sembravano
affascinati dalle
più solite usanze italiane, dalle parole che si usavano
anche all'estero al
caffè espresso.
Quando
le maggiori
curiosità su di me vennero placate, iniziammo a farci
domande simili a vicenda.
Tutta
la tavolata era
composta da: i miei vicini di posto Brendan e Jordan,
la francese
Martinette dall'aspetto candido conferitole dai
capelli biondi e la
carnagione chiarissima, il brasiliano Pablo che
tenne a precisare che
nonostante le sue origini ballava come un manico di scopa, Carolina
la
messicana che assomigliava ad una famosa attrice latina che
però non riuscii
mai a identificare, Isabella la cantante delle
sigle dei cartoni animati
in Spagna, i due ragazzi, giapponesi dai nomi praticamente
impronunciabili (di
cui non ricordo nemmeno vagamente il suono) che conducevano un talk
show a
Tokyo e poi...e poi c'era Michael.
I
dialoghi che avevamo
avuto fin ora, sempre se si potevano chiamare dialoghi, erano stati
così brevi
che non mi permisero di capire niente di lui. Quando prese lui la
parola parlò
tantissimo di quanto gli piaceva Toronto e non solo perché
c'era nato,
cresciuto e aveva trovato il lavoro dei suoi sogni ma anche
perché, diceva,
sprigionava un'energia particolare.
Una
volta sentito parlare
capii due cose. La prima fu che mi ero schierata nel gruppo degli
affascinati
dai suoi modi. La seconda fu che mi era sembrato così
fastidioso perché nel
parlarmi mi aveva punzecchiato usando toni sarcastici. La cosa mi
infastidiva
semplicemente perché era quello che facevo sempre anch'io.
Mi
accorsi che avrei
passato cinque settimane con delle persone interessantissime che
già mi
dispiaceva del tempo limitato che avevamo a disposizione. Cercai di
allontanare
quei pensieri e promisi
a me stessa che
mi sarei goduta al massimo quell'esperienza.
Finito
il pranzo era ora
di andare a sistemarci nei nostri alloggi definitivi. Il tempo che
avevamo non
era molto: mancava poco più di un'ora al primo gioco. Le
camere di noi
corrispondenti donne erano due: uno da tre posti e uno da due.
Io
finii in camera con
Martinette e Isabella.
Sorrido
ancora nel pensare
che nonostante fossimo originarie di tre paesi europei diversi avevamo
in
valigia, ma soprattutto nel BeautyCase, praticamente le stesse cose.
Cominciai
a convincermi che le ragazze appartengono tutte ad una specie di
sorellanza, come
un club sconosciuto ai maschietti, che è solo nostra.
La
prima cosa che fece
Isabella una volta in camera fu quella di appendere un poster di
Orlando Bloom
sopra il suo letto dicendo che senza non sarebbe mai riuscita a
dormire.
Invece
Martinette cercò la
presa di corrente più adatta per attaccare il suo
arricciacapelli, mentre io ne
volevo solo una per collegare il mio portatile e scrivere e-mail
chilometriche
a mia sorella e alla mia amica storica.
Avemmo
giusto il tempo di
infilarci la T-shirt bianca e azzurra, poi corremmo dove le nostre
troupe erano
già pronte. Io venni mandata prima al
“Trucco&Parrucco” (come lo chiamavo
io) dove mi riempirono la testa di boccoli e mi misero una strana cosa
sulla
pelle per fare in modo che il mio naturale pallore non sembrasse da
malato. In
quel momento tutte le pressioni da parte di Alessandra di farmi una
lampada,
che avevo sempre ignorato, non mi sembrarono così inutili.
Riconoscevo
di aver fatto
soltanto un'apparizione davanti alla telecamera ma mi sembrava di non
aver mai
fatto altro per tutta la vita. Presentai le squadre e il primo gioco
attenendomi alla traccia che mi avevano scritto ma aggiungendo anche
qualcosa
di mio. Stavo benissimo. Non sarei riuscita ad essere
nervosa nemmeno volendolo; la ragazza che
fino al giorno prima abitava nel mio corpo, insicura e agitata, era
stata
ufficialmente sfrattata.
Addio
vecchia Larissa,
stammi bene e tante care cose.
Quello
che mi chiedevo era
perché dovevo ancora sottostare a quello che pensavo che la
gente pensasse di
me. Era un'inutile perdita di energie e pensieri preziosi.
Perché non pensare
semplicemente a vivere meglio? Mi spiego: io ero un po’
nevrotica e fin qui
niente di nuovo ma decisi che la Nuova Larissa dovesse conciliare i
suoi lati
timorosi con la sua voglia di godersi le cose e le situazioni.
La
Nuova me non era
diversa...era solo la versione migliorata ed aggiornata.
Fu
come quando le aziende
indagano facendo dei sondaggi ai loro clienti e modificano i propri
prodotti o
prestazioni in base alle risposte ricevute.
Da
quel giorno in poi le
giornate trascorsero in una deliziosa routine, non mancarono certo
alcuni
giorni “no” ma nel complesso posso dire che non mi
divertii in quel modo dalla
mia prima ed unica festa di compleanno in prima elementare.
Proprio
il giorno di
inizio della terza settimana al campo successe qualcosa che non avevo
previsto…
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Capitolo 13 *** Cosa mi stai chiedendo, esattamente? ***
cap 13 - AMBRA RAMATA
La
giornata era iniziata
esattamente come tutte le altre: mi alzai prima di tutti, in perfetto
silenzio,
mi misi i pantaloni da ginnastica e le scarpe comode e andai a correre
un po'.
Scoprì
a Dallas il piacere
sottile del correre la mattina: riusciva a darmi una concentrazione
mentale
incredibile, quando correvo era come se tutto intorno a me, a parte la
strada,
si dissolvesse e nelle mia mente c'era posto solo per i miei pensieri e
le note
delle canzoni che usavo ascoltare. Adoravo correre fino ad essere
completamente
distrutta e non perché mi piacesse sentire dolore ma
perché amavo il modo in
cui il dolore mi faceva percepire ogni singola parte del mio corpo. Mi
sentivo
viva, contemporaneamente esausta e piena di energia. Dopo la mia solita
corsa,
con lo stesso silenzio con cui ero uscita, tornai in camera, mi
rilassai con
una bella doccia calda e svegliai le mie coinquiline. Poi veniva il
turno delle
chiacchiere mattutine con Isa e Martinette mentre ci si preparava;
nonostante
cercassimo di parlare di lavoro, delle nostre infanzie o amici i nostri
discorsi si indirizzavano immancabilmente su i ragazzi più
carini. Isabella
aveva un ampio registro mentale in cui aveva catalogato ogni esemplare
di sesso
maschile per colore di occhi e capelli, età, senso
dell'umorismo e
disponibilità, il tutto correlato, ovviamente, da un voto
complessivo da 1 a
10.
Martinette
era troppo
gentile per definire con un numero un ragazzo ed ogni volta che le
chiedevamo
come trovasse qualcuno lei diceva che tutti hanno i loro lati belli e
che era
facile dare voti, il difficile era impegnarsi a scoprire davvero una
persona...la solita saggia ed adorabile Martinette!
Io
invece cercavo sempre
di distrarle in modo che non si accorgessero che non davo mai la mia
opinione
su nessuno. Non so bene come successe ma “la cosa”
che avevo sentito tra me,
Michael e i nostri stuzzicamenti era svanita. Trascorrevamo un numero
incalcolabile di ore al giorno insieme ma da soli non avevamo
più parlato.
Adesso, ad anni di distanza, mi chiedo perché nessuno dei
due abbia cercato di
avvicinare l'altro ma in quell'esatto momento a fare la prima mossa non
pensai
minimamente, arrivando a sminuire e ignorare di molto “la
cosa”.
Non
che non lo trovassi
più attraente, anzi, lo diventava ogni giorno di
più ma il suo viso, le sue
mani e il suo fattore Ambra Ramata non bastavano più. Erano
stati sufficienti
il giorno in cui l'avevo visto appoggiato ad un albero ma erano solo le
emozioni date dalla prima impressione che non essendo state alimentate
da
niente, non si erano fatte più vive.
Io
e le ragazze, una volta
pronte e con la scorta delle parole medie che una persone dice al
giorno già
consumata a metà scendemmo per la colazione. Come da mia
abitudine parlai un
attimo con Marisol, sempre pronta a consigliarmi un nuovo aroma appena
arrivato
da chissà dove per il mio caffè che io non
rifiutavo mai.
Furono
rare le volte che
mi fermai insieme agli altri per la colazione, di solito mi allontanavo
per
stare un altro po' da sola e passeggiare su e giù per il
molo col mio caffè e
un buon libro. Credo volessi dedicare almeno un piccola dose del mio
tempo al
silenzio che può dare la solitudine così da
essere pronta al resto della
giornata fatta da un esercito di persone con la loro scorta di parole
ancora da
consumare
.
Fu
proprio sul molo che
una conversazione apparentemente normalissima riuscì a
cambiarmi la
giornata...e, ripensandoci, non solo quella.
Mentre
ero immersa tra le
pagine del nuovo best-seller di un affermato autore spagnolo sentii una
voce
chiamarmi da poco lontano. Ero già pronta a fare un sorriso
di circostanza e
sforzarmi di rispondere cordialmente alla persona che si era intromessa
nel mio
momento di raccoglimento quando vidi una chioma nerissima e due
occhietti vispi
molto familiari che mi fecero dimenticare di colpo il libro.
"Vale!"
"Ehi,
tu! Spero di non
disturbarti!"
"Assolutamente
no! Non
parliamo da tantissimo tempo! Va tutto bene?"
Ero
davvero felice di
vederla.
"Non
c'è male, anche a
te?"
Annuii
trattenendo le
risate che non sapevo perché mi venissero.
Restammo
per qualche
secondo in silenzio come se stessimo cercando quale dei mille argomenti
di cui
avremmo potuto parlare, affrontare per primo.
Inutile
che dica ora su
cosa la scelta cadde...da scommetterci sopra...
"Ecco
Lary...ti ricordi
di quel ragazzo, vero?"
Argomento
ragazzi... din,
din, din, JACKPOT!!!
"Come
no! Certo che me
lo ricordo! Allora...novità con Carlos?"
"Carlos?
Vuoi dire
Noah!"
"No,
voglio dire
Carlos. Ricordi, alto, moro, messicano?"
"Oh,
certo! Come non ho
potuto pensarci...sei rimasta indietro, ragazza mia! Ora penso solo a
Noah!
Carlos è un argomento chiuso, capitolo finito, totalmente
dimenticato!"
Ad
ogni pausa tra una
parola e l'altra il tono della sua voce aumentava di volume e si
riempiva di
qualcosa molto simile alla rabbia.
Roteai
gli occhi, la
guardai con diffidenza e dissi sarcastica: "Come si chiama?"
"Chi?"
fece finta di
non capire.
"Oh
andiamo! Come chi?
La bella chica che sta aspettando Carlos in Messico a braccia aperte!"
"Non
capisco a cosa tu
ti stia riferendo..."
Si
mise a guardare l'acqua
del lago, prese un sassolino, lo lanciò con forza e quando
si accorse che non
avevo smesso di fissarla sorridendo si voltò verso di me
senza però guardarmi
negli occhi.
"Penelope.
Come lo
sapevi?"
"Non
me lo
chiedere." Dissi in tono scherzoso, a volte avevo questi sprazzi di
intuito
inaspettati.
"Comunque
sia,"
incalzai con un tono eccessivamente euforico per sollevare Vale da
quello stato
provocato dalla delusione per Carlos "mi stavi parlando di Noah..il
canadese!"
Come
suo solito, la vista
di un nuovo argomento di conversazione, specialmente se associabile ad
un bel
biondo, le fece dimenticare l'ultimo appena concluso e tornò
a parlarmi col suo
tipico entusiasmo.
"Si
si, giusto! Non so
davvero come spiegartelo ma...è carino, divertente e non
credo di essergli
affatto indifferente!"
"Ottimo
lavoro femme
fatale!"
"Ma
c'è un
problema..."
"Sarebbe?"
Il
suo sguardo si fece
dubbioso e le guance si tinsero di un bel rosa carico.
"Tu
mi definiresti una
persona timida?"
"Poco."
In verità
avrei voluto dire “per niente” ma non mi
sembrò quello che aveva bisogno di
sentire.
Non
dicono forse che una
bugia detta a fin di bene non è necessariamente processabile?
"Infatti.
Ma al solo
pensiero di provarci con lui non trovo le parole, mi sudano le mani, a
volte
perdo addirittura l'equilibrio! Io non sono abituata a queste cose per
questo
sono venuta da te, mi sei sembrata la persona più
adatta...cosa fai per la tua
insicurezza?"
Cercai
davvero di ignorare
lo spillo enorme con la quale mi aveva punto a sua insaputa
auto-convincendomi che
come io non sapevo del suo cambiamento Carlos-Noah, lei non sapesse del
cambio
di Larissa. La Nuova sorrise e si mise i capelli dietro l'orecchio con
assoluta
naturalezza mentre la Vecchia sperava che non si vedesse il sangue che
usciva
dalla ferita dello spillo. Ripresi ignorando la domanda.
"Se
tu non gli sei
indifferente, come mi hai detto poco fa, sarà lui a venire
da te."
Mi
augurai che non si
accorgesse del mio sviamento di discorso. Fui sollevata dal vedere che
fu cosi.
Valentina riprese a parlare solo ed esclusivamente di lei.
"Ci
avevo pensato
anch'io, sai? Ma mancano soltanto due settimane e poi torneremo a
casa...insomma, quanto posso aspettare se quello non si da una mossa e
io
neppure?"
"Scusa
Vale, ma
conoscendo poco lui non so proprio come aiutarti!"
"Veramente
io saprei
come..."
Infatti
mi sembrava strano
che fosse venuta da me solo per qualche consiglio su come controllare
l'agitazione. Non so bene perché ma qualcosa mi diceva di
restare fuori da
quella storia il più possibile; purtroppo ero troppo curiosa
di sapere cosa mi
avrebbe chiesto. Parlai con la consapevolezza che una volta saputo
quale fosse
il favore in questione, non avrei potuto rifiutare.
"Dimmi."
"Noah
è un tipo molto
timido e non si è fatto veri amici qui. Cioè...ce
li ha degli amici ma è quel
genere di amico con cui non parli di quello che ti passa per la testa,
riesci a
seguirmi vero? Perfetto. Fatto sta che ha un unico amico come si deve
ed è
Michael quindi mi chiedevo se tu..."
"...Se
io, dato che
Michael è un corrispondente come me, potevo chiedergli di
spronare Noah a
parlarti, dico bene?"
"Sapevo
che avresti
capito! Grazie davvero Lary, ti devo un favorone enorme!"
Iniziò
ad urlare di gioia,
mi abbracciò con foga e poi saltellò via
continuando a ripetere ringraziamenti
e saluti.
Prima
lo spillo e adesso
Michael. Quella ragazza ci teneva davvero a riesumare la vecchia
Larissa! La
prospettiva di parlare da sola con Michael dopo tre settimane di
discorsi
pressoché superficiali non mi faceva impazzire, ma di certo
non mi avrebbe
uccisa.
Decisi
che non avrei perso
tempo riflettendo sulla cosa ma lo avrei fatto appena possibile, rapido
e
indolore, come strappare un cerotto.
Il
caso, o il Karma oppure
qualche altra identità indefinita fecero in modo che non lo
incrociai neanche
per sbaglio per tutto il resto della giornata. Durante la prima
settimana in
cui ero infastidita dai suoi toni sarcastici me lo trovavo sempre
davanti col
suo sorrisetto da Stregatto ed ora che lo cercavo era come sparito. E
pensare
che quella era l'ironia che amavo tanto...
Tutto
questo non mi impedì
di svolgere il mio lavoro e le altre attività in modo
normale e senza che
pensassi alla nostra futura conversazione in termini tragici.
“La
cosa” era svanita, era
stata una lieve sbandata che non si era più ripresentata e
c'era da ammettere
che Michael era una delle persone più divertenti che
conoscevo e nonostante la
mancanza di tête-à-tête passavo insieme
a lui e agli altri corrispondenti tutti
i miei momenti liberi. Lo consideravo addirittura un amico, e quindi
chiedere
ad un amico di parlare ad un altro amico era una richiesta
più che normale.
Chissà quante volte avrei dovuto ancora ripetermelo per
convincermi del tutto!
__________
Mi
piacerebbe davvero sapere la vostra opinione a riguardo. Anche se
è "fai schifo, va a raccogliere le foglie che fai meglio!"
Ci tengo sul serio! 1abbraccio, OctoberRain =}
|
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Capitolo 14 *** Due o Duemila? ***
Dopo
il tramonto Michael
continuò ad essere introvabile e non si presentò
a cena. Rimandai tutto al
giorno dopo, in fondo Valentina aveva aspettato tre settimane, un altro
paio di
giorni non sarebbero stati niente di che.
Tornai in camera con Isa e Martinette pronte a goderci una di quelle
serate
alla “Sleep Over Club” che io odiavo tanto ma che
riuscivano comunque a farmi
ridere fino alle lacrime. Mentre intrecciavo i lunghi e biondissimi
capelli di
Martinette sentimmo battere dei colpi sul muro, segno che Carolina e
Jordan
erano tornate. Eravamo più che consapevoli che era uno
stupido mezzo di
comunicazione da colonia estiva ma tra le nostre due stanze era nato un
linguaggio segreto a suon di colpi sul muro. Non era eccessivamente
complicato
e la maggior parte delle parole me le sono dimenticate. Mi ricordo bene
però
che due colpi veloci stavano per “ciao” mentre le
altre cose che ci dicevamo
erano per lo più insulti. Insulti amichevoli, ovvio!
Passammo il resto della
serata così; a testare pettinature, comunicare con Jordan e
Carol e ovviamente
a chiacchierare. Quella sera non parlammo solo di ragazzi ma anche
delle nostre
esperienze più significative e per la prima volta fui
totalmente me stessa, ed
era quello che io, Nuova Larissa, volevo. Euforica dalla serata appena
trascorsa, non riuscii a prendere sonno, sentivo la testa che mi
frullava, come
un mixer di pensieri che non riuscivo a spegnere. Ero stanca ma quello
che
volevo più di tutto in quel momento era camminare. Mi vestii
in fretta senza far
caso a quello che prendevo dall'armadio e uscì fuori in
corridoio.
Mi
era venuta voglia di
fare un giro nel verde intorno alla struttura e magari fare un salto
anche al
molo ma qualcuno stava salendo le scale e per quanto cercai di non
farmi vedere
me lo trovai davanti.
Potevo
cercare una banale
scusa sul perché ero in giro così tardi, potevo
fingere un malore oppure
un'emergenza familiare delle quali nessuno ti chiede mai i dettagli
perché sono
cose troppo personali, ma niente. Rimasi a fissare i suoi begli occhi
senza
parlare.
Non
che lui si azzardasse
ad aprire la bocca, comunque. Se ne stava là anche lui,
guardandomi come se
fossi uno dei quadri appesi alla parete. Il silenzio era quasi
assordante. In
quella totale assenza di suoni mi parve di sentirne uno che dal
profondo
cercava di farsi sentire: il mio respiro. Inspiegabilmente respiravo
molto più
profondamente di quanto ne avessi realmente bisogno e sebbene mi
sentissi come
soffocare per la mancanza di aria (che invece era l'unica cosa che
c'era) non
mi mossi, non parlai, non me ne andai.
Dato
che era ormai un
minuto buono che non sbattevo le palpebre i miei occhi cominciarono a
bruciare
il che me li fece chiudere di scatto ruotando (finalmente) la testa.
Michael
seguì l'andamento
del mio viso abbassandosi leggermente.
Poi
disse: "Ti ho
spaventata?"
Rimasi
impietrita per un
secondo: quello che aveva appena detto non aveva senso.
Ma,
qualunque significato
quella frase avesse, aveva rotto il ghiaccio e mi permise di iniziare
finalmente a parlare.
"No,
figurati. Sto
facendo due passi."
"Si,
anch'io."
"Certo...ma
dato che è
da oggi pomeriggio che cammini mi sa che i passi sono diventati
due...mila!"
"Ah,
l'hai notato.
Senti, dato che non mi sembra di essere l'unico che vaga per i
corridoi, si può
fare una cosa..."
"Che
genere di
cosa?" chiesi interessata. Non ero certa che l'andare in giro di notte
fosse
una violazione a un possibile regolamento, ma non mi andava di
rischiare.
"Stavo
facendo due
passi...se li stavi facendo anche tu!"
"Così
ci guadagneremmo
entrambi...o comunque, non ci perderebbe nessuno."
"Vedo
che hai afferrato
il concetto."
Annuii
di falsa modestia.
Nella
scarsa luce che
c'era non posso esserne sicura, ma mi sembrò di leggere
sulle sue labbra una
“buonanotte” senza suono e fece per andarsene.
Non
parlavamo da soli da
settimane e quindi colsi l'occasione.
"Aspetta
un
secondo!"
Si
girò lentamente ed io
feci qualche passo per raggiungerlo cercando di trovare le parole
adatte.
"Sono
un po' a disagio,
di solito non faccio queste cose ma...devo chiederti una cosa."
Ricevetti
un OK molto
strano, chissà cosa pensava gli stessi per chiedere!
"So
che tu sei molto
amico di un certo Noah, è giusto?"
"Sappiamo
entrambi dove
vuoi arrivare quindi non ci girare intorno, va bene?"
Ero
confusa. "Arrivare
dove?"
"Ti
piace Noah e vuoi
che ti aiuti a parlarci."
Feci
involontariamente un
balzo all'indietro come respingesi la sola idea.
Finsi
una risata. "Oddio, no! Cioè servirebbe il tuo aiuto
riguardo a Noah...ma non a me, alla
mia amica Valentina!"
Cambiò
immediatamente
sguardo che divenne decisamente migliore di quello seccato di qualche
minuto
prima.
"Valentina
eh! È quella
nella sua squadra vero?"
"Se
ha gli occhi vispi
e una perenne aria allegra è lei!"
"Ho
capito allora...me
ne ha parlato sai?"
"Chi,
Noah? Wow...te ne
ha parlato bene, vero?" chiesi un pochino spaventata.
Rise
nel sentirlo. "Si,
si! Anzi...molto bene."
"Ma
davvero?" Quindi
il fatto che Vale non si sentisse affatto indifferente agli occhi di
Noah era
una giusta osservazione! Saperla così intuitiva
cominciò a far nascere un nuovo
rispetto per quella ragazza!
"Beh,
bene
allora..." dissi ancora in preda allo stupore. "Quindi tu parlerai con
Noah per metterlo sulla buona strada..."
"E
tu con Valentina per
dirle di...fa brutto se dico ""starci"" ?"
"Giusto
un po' ma
lascia fare a me, userò un'alta parola con lei!"
"Quindi..."
"Insomma...."
"Niente,
ci vediamo
domani!"
"Si,
domani!
Buonanotte!"
Gli
diedi le spalle con
l'intenzione di andarmene più in fretta possibile.
"Oh
Lars!"
Mi
voltai verso di lui.
"Ricorda:
due passi,
non duemila, due."
"Due."
E
se ne andò velocemente.
A quel punto della mia passeggiata notturna non avevo più
voglia...anzi, volevo
solo dormire.
Quello
che però non riuscivo a smettere di domandarmi
era: la "cosa” era tornata per restare o era solo
un'apparizione
occasionale?
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Capitolo 15 *** Al molo ***
La
mattina seguente, reduce da un sonno
pesante e senza sogni, mi incontrai con Valentina perché
volevo andarmene dalla
storia Noah/Vale al più presto possibile. In fondo, quella
che doveva essere una
relazione a due era diventata un quadrilatero e se Michael avesse
voluto
partecipare, buon per lui, ma si sarebbe dovuto accontentare di un
triangolo;
io volevo uscirne.
A
colazione, mi sedetti con lei e le
raccontai la mia conversazione con Michael (omettendo ora e luogo) in
cui lei
vide un successo enorme, sorridendo per aver indovinato i pensieri del
bel
biondo. Mi abbandono a metà caffè
perché era impazientissima di, come aveva
detto Michael, starci. E chi poteva darle torto? Dopo settimane di
attesa perché
perdere tempo con i flirt? Tanto valeva passare direttamente ai fatti...
Dal
canto mio, ero fiera del mio lavoro da
consulente e intermediario, e anche contenta per Vale che stava per
ottenere
quello che voleva.
Quella
stessa sera mi sentivo inquieta
quasi quanto la precedente ed il mio letto mi sembrava troppo piccolo
per
contenere tutto quello che mi si agitava nella testa. Mi
salì ancora la voglia
di camminare e senza pensare a dove stavo andando, mi ritrovai
all'estremità
del molo.
Di
notte il lago era decisamente più bello.
Se durante il giorno l'acqua sembrava ricoperta da milioni di diamanti
la notte
aveva più l'aspetto di una lastra di argento solidissima.
L'atmosfera
era delle migliori: bellissimo
panorama, cielo stellato...mancava solo la colonna sonora!
"Peccato
non avere..." Pensai. No, un
momento...
Portai
la mano alla tasca e fui felice di
tirarne fuori il mio lettore MP4 che pensavo di aver perso, inghiottito
dalla
moltitudine di vestiti sparsi per la camera. Feci partire una canzone
acustica
al volume più alto possibile lasciando che la
semplicità di una chitarra e una
straordinaria voce maschile iniziasse a vibrarmi nelle vene.
Restai
così per qualche interminabile
minuto, ignorando il freddo che cominciavo a sentire nonostante fosse
pieno
agosto. Poi un tocco sulla spalla mi costrinse a mettere in pausa la
canzone e
sentii una voce alle mie spalle.
"No,
ti prego non ti buttare! Hai ancora
tanto per cui vivere!" Riconobbi
subito quella voce.
Mi
girai infastidita ed eccola lì...la mia
“cosa” col suo sorriso da Stregatto.
Quello che pensai indipendentemente dalla mia volontà fu: ma
sei un personaggio
del paese delle meraviglie...o direttamente una meraviglia?
Zittì
quei pensieri per fare in modo di trovare qualcosa di sagace e pungente
con cui
rispondere al suo sarcasmo.
"Ma
quanto sei
divertente!" dissi mentre mi toglievo le cuffie dall'orecchio.
"Me
lo dicono tutti
sai?> disse avvicinandosi con le spalle alte e la mani in tasca.
"Potrei
dirti la stessa
cosa, mi pare."
"Verissimo."
"Quindi?"
"Ho
fatto due
passi."
"Due
passi, eh? Che
coincidenza, anch'io!"
"Pensavo
che tu fossi
più il tipo da due...mila passi!"
"Quello
non eri tu?"
Roteò
gli occhi e sospirò.
"Dettagli."
dissi io
poi mi rigirai a guardare l'acqua e ripresi ad ascoltare la canzone
acustica
per la terza volta di seguito.
Mentre
gli davo le spalle
lo immaginai andarsene con una faccia stranita invece si
materializzò alla mia
sinistra.
Mi
voltai si scatto perché
sembrò spuntare dal nulla (cominciava ad assomigliare
veramente tanto allo
Stregatto).
"Cosa
ascolti?"
Disse mentre tendeva una mano verso il mio orecchio per prendere una
delle
cuffie ma io mi allontanai di botto quando le sue dita erano ancora
lontane.
Mi
guardò malissimo mentre
mi toglievo entrambe le cuffie dalle orecchie.
Disse
solamente "Scusa" con tono seccato.
Sospirò
fissando il lago e
un attimo dopo era già a qualche passo di distanza.
Indubbiamente
non aveva
capito niente di me e la cosa non poté farmi più
piacere: decisi che, se lui
avesse voluto, mi avrebbe potuta conoscere, esattamente come volevo io.
Capii
che la questione della nuova e vecchia Larissa non era altro che una
storiella
che mi ero raccontata per farmi stare buona. Non ci sarebbero state
più nuove versioni
o rimodernizzazioni, ci sarei stata soltanto io.
Inseguii
Michael quasi
correndo, lo bloccai tenendolo per la spalla e lo costrinsi a guardarmi
mentre,
con un gesto che marcai, tolsi il cavo delle cuffie dal lettore e la
chitarra
cominciò ad espandersi nell'aria dalla piccola cassa
incorporata.
"Pensi
sempre il peggio
delle persone, o io sono una privilegiata?"
Non
rispose ma mi guardò
con uno sguardo che sembrò dire: ok, hai dimostrato che mi
sono comportato da
idiota, lo sai tu e lo so io, quindi non costringermi ad ammetterlo!
Va
bene, Michael, non 'sta
volta, ma preparati: non sarai sempre così fortunato!
Camminammo
piano verso la
fine del molo e, come se ci fossimo messi d'accordo, ci sedemmo
entrambi con le
gambe a penzoloni e con le scarpe che rasentavano l'acqua.
"Che
canzone è?"
chiese dopo poco.
"She will be loved, dei Maroon 5."
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