Chi non muore si rivede.

di Patta97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ciao, Dudley. ***
Capitolo 2: *** Ti ricordi di quella bambina? ***
Capitolo 3: *** Sei un idiota, Harry ***
Capitolo 4: *** Tra amici ***
Capitolo 5: *** Ti stavamo aspettando... ***
Capitolo 6: *** Weasley vs Dursley - Parte I ***
Capitolo 7: *** Weasley vs Dursley - Parte II ***
Capitolo 8: *** Per rimediare. ***
Capitolo 9: *** E non ci fu più silenzio. ***
Capitolo 10: *** Lettere da Hogwarts ***
Capitolo 11: *** Buon Natale! ***
Capitolo 12: *** Ciao, Harry. - Andava tutto bene. ***



Capitolo 1
*** Ciao, Dudley. ***


Harry Potter era davanti alla casa già da un po’, il sole era tramontato da un pezzo. Era grande e quadrata, col giardino verde e curato, con in mezzo un vialetto di ghiaia che portava davanti alla porta d’ingresso bianca, accanto alla quale era disegnato un grande “4” nero. Privet Drive non era cambiata per niente. Harry fece un gran respiro e si decise ad incamminarsi verso la porta. Trillò il campanello. Dall’interno della casa giunsero due voci.
- Hanno suonato! – informò una voce femminile.
- Vado io, Darla! – disse una maschile, così familiare a Harry.
Qualche secondo più tardi, la porta si aprì e Harry si trovò di fronte a un uomo sui trentacinque, robusto e alto quanto lui, con folti capelli biondi e un naso leggermente a grugno. Stava ridendo per qualcosa, ma appena vide Harry smise subito, fissandolo stranito.
- Ciao, Dudley – disse Harry, semplicemente.
- Harry…? – rispose Duddley, incerto. L’altro annuì.
- Oh, ciao! – continuo l’uomo, impacciato. – Tu dove ti eri…? Voglio dire… bé entra, entra pure! – e si fece da parte per far entrare il cugino. Harry si guardò intorno e vide che il numero 4 di Privet Drive era rimasto uguale a se stesso, dopotutto, tranne qualche piccolo cambiamento. Le foto sul tavolo all’ingresso, per esempio, era diverse, ritraevano altre persone. In una in particolare, protetta da una cornice rettangolare, sorridevano quattro persone: l’uomo era senza alcun dubbio Dudley, accanto a lui c’era una donna bionda e con gli occhi chiari, che reggeva in braccio un bambino di circa un paio d’anni; in mezzo a loro stava un altro ragazzino sui dieci anni, biondo come Dudley.
- Questi sono i miei figli e mia moglie – spiegò Dudley, intercettando lo sguardo di Harry. – Lei è Darla – e indicò la donna, - e loro sono Bobby e Vernon – aggiunse, indicando prima il bambino più piccolo e poi l’altro. Sentendo nominare il nome di suo zio, Harry chiese, imbarazzato: - Come stanno… bé, sai… -
- …mamma e papà? – concluse Dudley al posto suo. Harry annuì. – Stanno bene! Sai, papà ha avuto un infarto una decina di anni fa, ma adesso prende farmaci per la pressione, e la mamma sta alla grande. Vivono a qualche isolato da qui, hanno lasciato la casa a me e Darla – spiegò. Harry annuì nuovamente.
- Vieni in salotto – lo invitò Dudley e Harry lo seguì, occupando una delle poltrone, mentre Dudley si sedeva di fronte a lui, sul divano.
- E tu, invece, come stai? Sai… noi, io, mamma e papà, cioè, siamo stati per un anno circa sotto protezione con quei due… quei due… - cercò delle parole, - con quei due – concluse.
- Io… bé, sì, sto bene – rispose Harry, toccandosi automaticamente la cicatrice a forma di saetta sulla fronte. – Adesso, nel… nel mio mondo… stiamo tutti bene -.
Stavolta fu Dudley ad annuire. – Tu, ecco, ti sei… sposato? – domandò.
- Oh, sì… Ho anche tre figli. Il mio secondogenito deve avere più o meno l’età del tuo primo -.
- Tua moglie, ecco… è una come… come te? – chiese l’altro, grattandosi una mano.
- Sì, è… è come me -.
Si fece il silenzio. Non si vedevano da più di diciannove anni. Harry lo aveva voluto cercare e andare a trovare, ma non sapeva che cosa aveva provato nel rivederlo. Dudley gli aveva reso l’infanzia invivibile, facendo in continuazione il bullo con lui, mentre zio Vernon e zia Petunia lo viziavano, trattandolo come un principe, trascurando del tutto Harry. Poi si era scusato e Harry aveva capito che, dopotutto, non era poi così male, ma la Guerra Magica era imminente e si erano dovuti allontanare. Eppure adesso, dopo quasi vent’anni, non sapevano che dirsi.
Una voce interruppe quel momento imbarazzante.
- Dudley, caro, chi era? – disse la voce femminile che Harry aveva sentito quando aveva suonato il campanello, mentre una donna bionda, la stessa della foto all’ingresso, faceva capolino nel salotto. Appena vide Harry lo guardò, confusa.
- Lui è… è mio cugino, Darla, mio cugino Harry – spiegò Dudley, alzandosi. Harry lo imitò.
- Harry – proseguì Dudley, - lei è mia moglie Darla -. Harry e la donna si strinsero la mano, cordialmente.
- Non mi avevi mai parlato di un cugino, Dud – constatò Darla, curiosa. – A meno che… Oh! Certo! Tu sei Harry Potter! Hai vissuto qui con i miei suoceri e Dudley quando eravate dei ragazzi! Dud ha accennato a te delle volte, in realtà, e mi chiedevo come mai non foste in contatto. Certo, sa essere antipatico, il mio caro marito, quando vuole, ma in fondo è buono! Da come, quelle volte, parlava di te, dubito che non vi stimaste… - la parlantina di Darla fu interrotta da un pianto proveniente dal piano di sopra. – Oh, è Bobby! Scusate! – e si precipitò fuori dalla stanza, salendo le scale. Dopo un po’ i due cugini, più in imbarazzo di prima, sentirono che i lamenti di Bobby erano terminati. Poi parlarono nello stesso istante.
- Sembra simpatica… - iniziò Harry.
- Scusala, è che… - cominciò Dudley.
- Vai tu – disse Harry, sorridendo.
- Dicevo di scusarla, è un po’ troppo curiosa, a volte, è che fa la psicologa e tende ad impicciarsi nella vita degli altri, specie in quella di chi ha sentito nominare ma mai incontrati o di cui non sa nulla – completò Dudley.
- Oh, figurati, la trovo simpatica! – disse Harry, facendo un altro mezzo sorriso. Guardò l’orologio appeso alla parete di fronte a lui: le nove di sera.
- Dudley, s’è fatto tardi, dovrei già essere a casa… -
- Oh, sì, certo, vai! – disse il cugino.
Si ritrovarono all’ingresso, Dudley aprì la porta.
- Senti… - si decise a chiedere Harry. – C’è qualche possibilità che io possa, ecco, incontrare gli zii? -
- Sì! Domenica sono a pranzo qui… Se vieni pomeriggio, li becchi di sicuro –.
- Ah, bene, d’accordo – disse Harry. – Allora a, ehm, domenica? –.
- A domenica – disse Dudley. Harry uscì dalla casa.
- Salutami tua moglie – raccomandò il mago.
- Certo! Ci vediamo – rispose il Babbano.
- Ci vediamo – borbottò Harry, percorrendo il vialetto.
Per non ricordare a Dudley cos’era, Harry si strinse in un vicolo cieco prima di Smaterializzarsi. 

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Spero vi sia piaciuto! A presto col secondo capitolo! Patta97

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Capitolo 2
*** Ti ricordi di quella bambina? ***


Si Materializzò a qualche isolato da casa sua, voleva camminare e pensare. Era stato strano, rincontrare Dudley e aveva bisogno di schiarirsi le idee. Rientrò in casa che era mezzanotte passata. Prese dal frigo una Burrobirra, la bevve tutta d’un sorso e, rincuorato, salì in camera da letto. Ginny stava dormendo, i lunghi capelli rossi sparsi sul cuscino. Harry si spogliò e si sistemò sotto il lenzuolo, constatando che faceva molto caldo. Diede alla moglie un piccolo bacio sulla fronte, prima di addormentarsi.
Quando si svegliò la mattina dopo, Harry era solo nel letto. Dal piano di sotto provenivano le voci di Ginny e dei suoi figli. Il mago si alzò, si lavò la faccia e scese le scale, entrando nella grande cucina, da dove arrivava un buon odore di pane tostato e miele. Nemmeno a dirlo, James e Albus stavano litigando per qualcosa che assomigliava molto a un “non mi passi mai la marmellata”. Harry sospirò e si sedette a capotavola, osservando per un attimo Ginny, che stava tenendo d’occhio del bacon sul fornello con fare fin troppo concentrato.
- Buongiorno! – disse, spalmandosi un po’ di confettura d’arance su una fetta di pane tostato.
I ragazzi interruppero il litigio per esclamare un “’Giorno, papà!”. Ginny continuava ostinata a fissare il bacon nella padella.
- Ieri sera non sei tornato per la cena, papà! – lo accusò un’insonnolita Lily, in una pausa tra un sorso di latte e l’altro.
Ginny si irrigidì, mentre il bacon iniziava ad annerirsi.
- Sì, hai ragione, tesoro – disse Harry alla figlia, con un piccolo sorriso. – Avevo bisogno di una passeggiata -.
- Peccato che avevi detto che “uscivi solo per un’oretta” – esclamò Ginny, facendo preoccupare Harry: quando usava quel tono era in arrivo una sfuriata.
- Sì, bé… ho perso la cognizione del tempo… - si scusò Harry, arrampicandosi sugli specchi.
- E si può sapere che facevi, Harry James Potter, mentre “perdevi la cognizione del tempo”? – quasi ringhiò Ginny.
- Andiamo! – disse in fretta Albus, ingoiando la sua fetta di pane tostato e spingendo fuori dalla porta un affranto James, che adorava le sfuriate della madre, specialmente quando non erano rivolte a lui, e una preoccupata Lily, che non sapeva se pentirsi di quello che aveva detto al padre o meno.
Harry si alzò da tavola, andando verso la moglie e, prendendola per le spalle, la guardò dritta negli occhi.
- Sono andato a trovare mio cugino Dudley – ammise il mago, in un sussurro.
- Oh – sospirò solo Ginny, togliendosi di dosso le mani di Harry e facendo sparire con un colpo di bacchetta il bacon nero nella padella, ormai immangiabile. – Il… quel tuo cugino Babbano? Quello che ti picchiava? – chiese, sollevando un sopracciglio.
- Sì… bé, eravamo solo dei ragazzini… -.
Ginny annuì, poco convinta, guardandolo strano.
Passarono dei minuti, Harry si sedette, ricominciando a spalmarsi la marmellata d’arance sul pane.
- Scusa, Harry – mormorò infine. – Sono stata un po’ precipitosa nell’accusarti, solo che non torni mai tardi la sera, se non per il lavoro ed era sabato, ieri… -.
- Non ti preoccupare, Ginny – la interruppe il marito, dolcemente, ma tenendo lo sguardo da un’altra parte. – Non… non potevi sapere, ecco – concluse. Poi lasciò il pane tostato sul tavolo, la fame gli era totalmente passata. Fece per sparecchiare, ma Ginny lo interruppe.
- Faccio io, non ti preoccupare… - lo rassicurò. – Tu, sei vuoi, puoi andare a fare una passeggiata -.
Il mago annuì e aprì la porta socchiusa della cucina, facendo perdere l’equilibro a tre canagliette appostate ad origliare. Lanciando ai figli un’occhiata che assomigliava più a un occhiolino che a uno sguardo di rimprovero, prese il mantello dall’appendiabiti all’ingresso e uscì nella mattinata scura e nuvolosa. Si Smaterializzò senza pensare e si ritrovò a Hogsmeade, davanti alla Testa di Porco.
Sospirando affranto, aprì la porta del sudicio pub e si sedette a un tavolo. Aberfort, dietro al bancone, intento a pulire con uno straccio un bicchiere, gli fece un cenno, che Harry ricambiò.
- Una Burrobirra, Aberfort, per favore… - chiese il mago. L’altro annuì.
Mentre beveva, i nervi di Harry si rilassarono e, quasi nello stesso istante, fuori iniziò a piovere a dirotto. A Harry quella pioggia ricordò un pomeriggio di molti anni prima…
…Era in una stanza del numero 4 di Privet Drive e aveva otto anni. Osservava avido ogni mossa del cugino, che stava giocando con uno dei suoi allora alla moda giochi al computer. Gli zii erano usciti per andare a fare una visita a degli amici, nonostante il maltempo, perché “ormai avevano preso un impegno”, e Dudley era voluto a tutti i costi rimanere in casa, non prima però che zio Vernon avesse promesso a Harry che se non lasciava in pace il figlio gli avrebbe torto il collo.
Dudley allora, tranquillo, aveva sistemato il suo sederone su una sedia a ruote davanti al computer e aveva iniziato a giocare, lasciando che Harry lo guardasse, perché questi più soffriva vedendo che Dudley avesse cose che lui poteva al massimo sognare meglio era.
- Lasci giocare un po’ me? – era la domanda che era scappata dalle labbra di Harry.
Dudley aveva messo in pausa e si era voltato verso di lui, un sorriso cattivo sul volto.
- Scordatelo! - era stata la risposta, accompagnata da un sorriso cattivo.
Harry per la rabbia, inconsapevolmente, aveva spento con la magia il computer, facendo perdere al cugino la partita, non salvata.
Dudley allora, senza ragionare, sapendo solo che, in qualche strambo modo, era colpa di Harry, s’era avventato su di lui, dandogli un pugno sul naso. Quella fu la prima volta che a Harry si ruppero gli occhiali. Il maghetto aveva cercato di dargliele a sua volta, ma era riuscito solo a parare i colpi successivi. Dopo un po’ i due bambinetti, ansanti, si erano lasciati cadere sul pavimento, Harry che si massaggiava il naso sottile, Dudley le braccia simili a prosciutti.
- Sei cattivo! – erano state le parole che erano rimbombate nella piccola stanza, quasi coperte dal suono della pioggia battente sui vetri dell’unica finestra. Contrariamente a quello che si può pensare, a pronunciarle non era stato l’indifeso Harry, ma l’aggressore Dudley.
Il maghetto era rimasto stupito per un istante, poi si era seduto in ginocchio sul pavimento della stanza e aveva fissato gli occhi chiari del cugino.
- Come hai fatto? Ti va sempre tutto meglio, a te! – aveva continuato Dudley, imperterrito quanto inspiegabile.
Harry lo aveva fissato a bocca spalancata.
Dudley aveva sbuffato, spazientito dal fatto che il cugino sembrava troppo tardo per capire.
- Io posso solo privarti dei giochi al computer, delle partite di calcio in TV, delle fette di torta più grosse… ma invece tu… tu… - il bambino aveva preso un bel respiro prima di esclamare, balzando in piedi, in tono d’accusa – Tu le piaci! -.
- Piaccio a chi, scusa? – aveva chiesto Harry, alzandosi pure, sentendosi vulnerabile.
- Lo sai di chi parlo! – aveva detto Dudley, stringendo gli occhi porcini. Ma, dopo aver guardato la faccia sempre più stranita del cugino, si era reso conto che non stava capendo nulla.
- Ti ricordi di quella bambina che si messa davanti al nostro cortile, tre mercoledì fa, mentre noi due eravamo fuori? Quella coi capelli rossi, le lentiggini e il viso sporco di fuliggine… - aveva spiegato Dudley.
Harry, felice di averci finalmente capito qualcosa, aveva annuito.
- Bé, era con quella signora cicciottella, coi capelli rossi pure lei, che poi è sparita… e scommetto che ti ricordi che è accaduto dopo! – aveva accusato nuovamente.
Harry, che ormai aveva ricordato tutto, aveva annuito di nuovo.
La bambina rossa, che non poteva avere più di sei anni, si era messa di fronte a Harry e, ignorando del tutto Dudley, che guardava rapito i riflessi vivaci dei suoi capelli, aveva fissato senza alcun ritegno ogni centimetro del suo viso, per soffermarsi poi sulla sua strana cicatrice a forma di saetta. Harry aveva cercato di guardare altrove, ma gli risultava difficile, con quella che lo fissava insistentemente. Dudley aveva provato senza alcun successo a fare amicizia, ma lei aveva continuato a ignorarlo, aveva occhi solo per Harry. Quando la madre di lei era riapparsa magicamente, aveva anche lei rivolto un sorriso svelto al volto magro del maghetto, per poi prendere per mano la figlioletta e allontanarsi. Una settimana dopo, sempre di mercoledì, la scena si era ripetuta e anche quello dopo. La bambina sporca di fuliggine lo aveva fissato con i suoi caldi occhi marroni, come se volesse controllarlo, con aria stranamente solenne, un sorriso sul volto lentigginoso, facendo orecchie da mercante alle timide domande di Dudley che, ormai era evidente, si era preso una bella cotta. Quel giorno, in cui di solito gli zii uscivano a sbrigare qualcosa fuori e i due cugini scendevano in cortile, però, pioveva.
- Oh! – aveva detto Harry.
- Già, “oh”, dici tu! Chissà che ci trova in te e in quella! – aveva detto Dudley, indicando la cicatrice di Harry. – Sei magro e con gli occhiali… sei uno sfigato! – aveva borbottato il giovanissimo Babbano, sedendosi nuovamente sulla sedia e sprofondando così tanto da far arrivare il naso un po’ simile a un grugno al livello dei braccioli.
- Tu potrai anche privarmi dei giochi e delle fette di torta, ma io quella rossa me la sposo! – aveva detto Harry, in un tono che non era suo e che, anche se non lo sapeva, assomigliava terribilmente a quello del padre, quando parlava di Lily Evans.
Dudley lo aveva fissato, incredulo.
- Abbiamo otto anni, non te la puoi sposare! – aveva detto Dudley, imbronciato, protestando.
- Ma cresceremo! E io la troverò e la sposerò! -.
Quell’idea era venuta a Harry dal nulla, ma, osservando la faccia di Dudley, si era detto che stava riuscendo bene.
- Non puoi! – aveva esclamato il Babbano.
- Sì, invece! – aveva concluso Harry, fissandosi le unghie di una mano. – A meno che… -
- A meno che? –
- A meno che tu non mi faccia giocare al computer per un anno intero! – aveva osato Harry. Ma, vedendo le minacciose nocche del cugino paurosamente vicine e scricchiolanti, aveva ridimensionato i suoi propositi.
- Ovviamente ci alterneremo! Io tre partite al giorno e per tutto il resto del tempo giocherai tu! Pensaci… potrai conquistare la tua rossa fuligginosa senza avere questa – e si indicò la cicatrice – in mezzo -.
Dudley aveva annuito e i due bambini, cugini, il mago e il Babbano, Harry e Dudley, si erano stretti la mano, con aria fin troppo solenne per quei visetti infantili…
…L’ennesimo sorso di Burrobrirra riportò Harry adulto alla realtà. La bambina dai capelli rossi, dagli occhi marroni, dal viso lentigginoso pieno di fuliggine non si era più fatta vedere, ma aveva appena capito perfettamente di chi si trattava… 

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Capitolo 3
*** Sei un idiota, Harry ***


- Harry! Mi hai fatto spaventare! – disse la voce squillante di Ginny quando il marito spuntò dietro di lei, abbracciandola e baciandola.
- Buonasera anche a te! – rispose lui, sciogliendo l’abbraccio. – I bambini? – chiese poi.
- Sono da Ron e Hermione… che, tra parentesi, ci hanno invitato a cena, quindi tra un’oretta dobbiamo essere da loro… - spiegò Ginny, facendo finire a un panno di asciugare un piatto con un colpo di bacchetta.
- Cosa alquanto difficile visto che abitiamo di fronte a casa loro, no? – disse Harry, ironico.
- Cos’è, Harry? T’è tornato il buon umore? – chiese Ginny sospettosa, con un sorriso incerto sul volto.
- In un certo senso… sì – rispose il mago.
- Oh, bé… era ora… - borbottò Ginny, prendendo una vasca di vestiti puliti e bagnati e dirigendosi nella lavanderia. Harry la seguì.
- Sai, sono andato alla Testa di Porco… - incominciò Harry.
Ginny smise di affaccendarsi e lo guardò, capendo che se prima non le diceva quello che aveva da dirle non le avrebbe lasciato finire le sue faccende.
- Ah, ho capito il tuo buonumore! Sei ubriaco! – scherzò la strega.
- Ci sei arrivata, alla fine! – rise il mago, abbracciandola.
- Già… - sussurrò lei. Lo sentì sospirare. – Sputa la Cioccorana, Harry… che c’è che non va? – chiese alla fine.
- Ho bevuto un po’… - riniziò lui. – E mentre bevevo ho pensato a un pomeriggio di circa ventisette anni fa… -. Harry fece una pausa, per vedere se la moglie reagiva in qualche modo, ma lei ricambiava solamente il suo abbraccio e ascoltava le sue parole, attenta.
- Pioveva e io e Dudley eravamo chiusi a casa, soli. Scoppiò un litigio e facemmo a botte. Ricordo che mi disse che era come invidioso di me, perché c’era una bambina che, da qualche settimana, si appostava nel nostro giardino di Privet Drive e ci osservava. O meglio, osservava me. Quella bambina era bella, sai? Aveva i capelli rossi… gli occhi scuri… e il visetto sporco di fuliggine e pieno di lentiggini… - Harry fece un’altra pausa e notò che Ginny, adesso, si era irrigidita e tratteneva il respiro. – Non ci pensavo da anni… - cominciò Harry, ma Ginny sciolse l’abbraccio e prese a rioccuparsi dei panni da stendere, con lo sguardo chino. Appuntava allo stendino - che avevano comprato solo per non far venire strani pensieri ai vicini Babbani – i vestiti, invece che asciugarli solamente con un incantesimo, come faceva sempre quando c’era brutto tempo. Stava guadagnando tempo…
- Non capisco perché pensarci proprio adesso, allora… - disse piano lei.
- Bé, perché… - disse Harry, afferrandole il polso e costringendola a guardarlo. – Perché ho capito che quella bambina eri tu – finì lui.
Sentendo la mano bruciare, Harry lasciò la presa dal polso di Ginny, che era arrossita nella zona delle orecchie e che, ormai, aveva lasciato perdere i vestiti umidi.
- E allora? – disse la strega, in tono di sfida.
- E allora vuol dire che mi spiavate quando ero solo un bambino! – scattò Harry.
- Sei sempre il solito, Harry… come pretendi che ti lasciassimo solo senza nessuno a sorvegliarti? C’erano ancora Mangiamorte in circolazione… avevano detto che erano stati sottoposti alla Maledizione Imperius ma non era così, lo sai! –
- Tu eri solo una bambina! – accusò il mago. – E poi c’era già la signora Figg che mi controllava! –
- Oh, no che non c’era! O come spieghi che io tuoi zii ti avessero lasciato solo col loro pargoletto adorato? – si difese Ginny, il volto che ormai aveva raggiunto la tonalità rossa dei capelli.
- Sì, certamen…!  Aspetta, cosa? La signora Figg… non c’era? – si calmò Harry, vinto dalla curiosità. – E dov’era? – chiese, di nuovo sospettoso.
- E che ne so! Come hai detto, ero solo una bambina! Non mi dicevano granché, sai! –
- Eppure ti consideravano abbastanza adulta per poter sorvegliare me! –
- Non ti sorvegliavo, signor io-sono-importante-e-quindi-mi-badano-sempre! – gridò Ginny e, vedendo che Harry aveva già aperto la bocca per ribattere, furioso, lo zittì con un’occhiataccia.
- La signora Figg è stata via di casa per un mesetto e aveva lasciato alla mamma il compito di imbottire la casa di pesce autoriformante una volta alla settimana per i suoi stupidi gatti! Ci andavamo solo io e mamma, con la Metropolvere, e, quando mamma s’è lasciata scappare che vicinissimo abitavi tu, il mio eroe, sono venuta subito a guardarti mentre lei era alle prese con quell’odioso tonno puzzolente! Mi sentivo importante io, a soli sette anni, a “sorvegliare” il grande Harry Potter, il Bambino che è Sopravvissuto! Non c’era bisogno che ti tenessi d'occhio né io né mamma, comunque… c’era già Mundungus che passava di lì ogni tanto. E la mamma ne approfittava per dare un’occhiata pure a lui! Poi la signora Figg è tornata e ai suoi inutili e insulsi gatti riniziò a badare lei! -.
Ginny, che aveva detto tutto praticamente con solo una boccata d’aria, riprese lentamente il fiato e il suo colorito naturale. Harry rimase interdetto a guardarla.
- Oh… - disse, alla fine.
- “Oh” un corno! – disse Ginny, esasperata. Quel tono piacque così tanto a Harry che non si poté trattenere dall’abbracciarla di nuovo, stringendola forte.
- Sei un idiota – affermò Ginny, tranquilla.
- Sì, direi di sì – ammise lui.
Stettero in quella maniera per un po’. Poi la voce di Ginny ruppe il silenzio.
- Davvero tuo cugino era invidioso di te perché ti guardavo? – sorrise.
Harry esplose in una fragorosa risata.
- E già… - sorrise, dandole un bacio.
- Me lo farai conoscere? – chiese poi, a bruciapelo.
- Chi? Il mio cugino Babbano che odia la magia? Quello che mi usava come pallone da punch ball quando eravamo piccoli? – scherzò Harry.
- Proprio lui – rispose Ginny, seria.
- Suppongo di sì… domenica mi ha detto che potevo andare ad incontrare gli zii. Sono a pranzo da lui. Ma credo sia meglio che vada solo io… - disse il mago.
- Sì, lo credo anch’io… già c’è troppa tensione -.
Harry ringraziò il cielo per avere una moglie così ragionevole.
- Sai, credo che tu e la moglie di Dudley potreste diventare amiche, e anche Hermione, direi… darla è una gran chiacchierona… -.
- Che vorresti insinuare, Harry James Potter? – accusò Ginny.
Quando la moglie lo chiamava col nome per intero di solito Harry si doveva preoccupare, ma in quel caso lo disse in un modo così giocoso che gli venne da sorridere e di baciarle i capelli.
- Oh, nulla… -.
Poi sciolse l’abbraccio.
- Sbaglio o abbiamo una cena dove andare? – chiese.
- Quale cena? Quella dai nostri migliori amici che ci aspettano tra sì e no dieci minuti? Quella nella casa di fronte alla nostra? – domandò Ginny.
- Quella dove ci stanno aspettando anche le nostre piccole pesti? Sì – sorrise lui, salendo le scale verso la camera da letto, per andare a cambiarsi.
- Oh, bé, muoviamoci allora! – esclamò la strega, salendo di corsa dietro di lui.


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Bene, cari lettori! Spero che questo capitolo scritto in… mezz’ora circa sia di vostro gradimento! Credo che se tra i lettori ci sono delle amanti delle Harry/Ginny questo capitolo sarà piaciuto particolarmente! So che è lasciato un po’ in aria, ma…è così!
Lasciate una recensioncina,
Patta97

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Capitolo 4
*** Tra amici ***


Harry suonò il campanello del numero 20 e aspettò.
Una voluminosa testa di capelli rossi e ricci venne ad aprire la porta.
- Ciao, Hugo! – salutò Ginny, con un gran sorriso.
- Zio, zia! – fece lui, mentre il suo volto strapieno di lentiggini si illuminava. – Era ora! Vi stavamo aspettando… -.
- Zia Ginny! Zio Harry! – disse una voce di bambina, mentre da dietro le spalle di Hugo spuntavano i capelli cespugliosi e ramati di Rose. – Falli entrare, no? – sussurrò poi al fratello.
- Giusto! – esclamò Hugo, come se si fosse appena ricordato una cosa importantissima e si fece da parte per fare entrare gli zii.
- Papà! Eccoti, finalmente! – gridò una radiosa Lily, saltando in braccio al padre. Nonostante i suoi otto anni, infatti, era ancora piuttosto leggera. Harry le diede un bacio sulla fronte e la posò a terra.
- È bello ricevere così tante attenzioni… - borbottò Ginny, indispettita.
- Ma mamma! – protestò Lily, come se quel commento la offendesse. – Sono stata con te tutto il giorno! Lui non lo vedo da stamattina! – concluse, convinta.
- Non fa una grinza! – disse uno spettinatissimo James, entrando nell’ingresso con una camminata molleggiata, tenendo la testa di Albus sottobraccio, il quale stava per soffocare.
- James, piantala! Lo stai uccidendo! – lo rimproverò Ginny, alzando un sopracciglio. James mollò immediatamente la presa, vedendo l’arrossamento delle orecchie della madre. Albus si massaggiò il collo dolorante, lanciando occhiate assassine al fratello e allontanandosi da lui. Forse non fu un caso che il tappeto su cui James poggiava i piedi si arricciasse e che, così facendo, il primogenito dei Potter cadde rovinosamente a terra. Albus ghignò.
- Basta, Al – disse Harry, trattenendo le risate, mentre, invece, Ginny e i ragazzini ridevano apertamente.
- Ron! – esclamò Ginny, vedendo un uomo con tanti capelli rossi che tremava dalle risate, appoggiato allo stipite della porta. Gli corse incontrò e, alzandosi in punta di piedi, gli scoccò un bacio sulla guancia e lui sorrise. Harry sorrise di rimando all’amico.
Ron li guidò in cucina, dove trovarono un’Hermione indaffaratissima attorno ai fornelli, mentre lanciava qua e là incantesimi a qualche padella o coltello, in evidente difficoltà, i capelli vaporosissimi a causa dei vari vapori.
Ginny sorrise sotto i baffi ed andò ad aiutare l’amica.
Harry sentì che la voce melliflua di James sussurrare qualcosa e il sospiro irritato di Albus alle sue spalle. Ma non facevano altro che litigare, quei due? Si voltò e vide i maghetti in compagnia di Rose sul divano verde della cucina. Si guardò intorno in cerca di Ron, ma lui, Lily e Hugo erano nel salotto, stanza adiacente a quella, e Harry poteva sentire le loro risate soffocate. Si avvicinò al divano per sentire la conversazione.
- È la verità, caro il mio Albus… potresti finire in Serpeverde, c’è questa possibilità… non c’è nulla di male, in fondo, è solo la Casa più orrenda… - stava dicendo James, ghignando.
- Non è vero! – disse Albus, infastidito.
Harry sospirò: da quando, due settimane prima, Albus aveva ricevuto la sua lettera per Hogwarts, James non gli aveva dato tregua. All’inizio, per un paio di giorni, lo aveva iniziato ad assillare dicendogli che sarebbe finito a Tassorosso, Casa per mollaccioni come lui, poi, da una settimana e mezzo circa a quella parte, si portava dietro la storia che Al sarebbe finito in Serpeverde, divertendosi dei suoi crucci. Harry inoltre sospettava che la canaglia avesse rifilato al fratello minore strambe storie su un’ipotetica gara per essere Smistati…
- Non c’è nulla di male, Al – lo rassicurò la pacata Rose, poggiando una mano sulla spalla del cugino. – Tutte le Case di Hogwarts sono belle e con i loro pregi, sennò non starebbero lì! – sentenziò. Al parve rincuorarsi appena, mentre James scuoteva la testa, ghignante.
- A tavola! – annunciò la voce di Ginny dall’altro capo della cucina.
Ridendo, Harry s’avvicinò al divano e prese saldamente James per i capelli, che provò inutilmente a divincolarsi, e lo fece sedere su una delle sedie che attorniavano il grande tavolo di legno. Poi si accomodò accanto a lui.
- Al potresti andare a chiamare lo zio, Lily e Hugo? Dovrebbero essere in salotto… - domandò Harry al figlio. Quello annuì e uscì dalla stanza, facendo ritorno quasi subito seguito dai tre.
Si accomodarono tutti a tavola, mancavano solo Hermione e Ginny, che stavano servendo le varie porzioni nei piatti.
Appena il pollo arrosto con patate, rosmarino e brodo di Plimpi d’acqua dolce – suggerito tempo prima da una convinta Luna Lovegood ad una scettica Hermione che però, dopo averlo provato, anche non riuscendo tuttora a capire a che animale appartenga, non ne può più fare a meno – fu servito, tutti iniziarono a mangiare, e nessuno aprì bocca per qualche minuto.
Il primo a finire fu un alquanto satollo James, che si lasciò ricadere sullo schienale della sedia, massaggiandosi la pancia, soddisfatto di aver battuto i record di mangiata di zio Ron, che stava ancora finendo. Dopo il dessert – torta di melassa – i commensali si dispersero per la casa. Ginny e Hermione presero a sfogliare alcuni vecchi album in cucina, ridendo e commovendosi davanti alle foto viventi. Rose, James, Albus, Hugo e Lily andarono al piano di sopra a giocare nella camera della prima. Harry e Ron, invece, si sistemarono nel salotto a giocare a scacchi magici.
- Sai, sono andato a trovare quel mio cugino Babbano, Dudley, ieri – buttò lì Harry, mentre Ron rifletteva su una mossa alquanto decisiva per gli esiti del gioco. L’amico non rispose, ma si limitò a dare a un suo cavallo l’ordine di mangiare uno dei pedoni di Harry e poi alzò lo sguardo su quest’ultimo.
- Vedi che non sei riuscito a distrarmi… - scherzò il rosso, abbozzando un sorriso, ma, vedendo che Harry era serio, capì che l’aveva fatto davvero: - Wow, bé… intendi, Dudley Lingualunga? – chiese, provando ancora a scherzare, usando il soprannome che Fred e George avevano dato al povero Dudley quanto aveva mangiato una delle mou magiche dei gemelli, facendo aumentare le dimensioni della sua lingua a dismisura.
Harry, allora, raccolse quel momento di ilarità e ci scherzò su pure lui.
– Mi ricordo quando George e Fred… - ma si interruppe quando vide che il sorriso di Ron si era congelato al sentire il nome del fratello morto, così cambiò subito discorso.
- Sì, ehm, intendo lui… domenica vado di nuovo lì a incontrare i miei zii… - disse, e poi fece mangiare una torre di Ron al suo alfiere.
- Oh, bé… - commentò Ron, che si era rilassato appena. – Buona fortuna, allora, amico e… scacco matto -.
Una mezz’oretta dopo i Potter salutarono i loro amici e attraversarono la strada. Appena arrivati in casa, i bambini corsero a lavarsi i denti e ad andare a letto. Ginny sistemò con un colpo di bacchetta un paio di cose fuori posto e poi salì in camera da letto. Harry restò ancora un po’ di sotto, seduto in cucina, a sorseggiare una Burrobirra, poi, poco dopo, la raggiunse.
 

Tre giorni dopo, in un assolato e afoso pomeriggio di domenica, Harry si ritrovò nuovamente davanti al numero 4 di Privet Drive, a suonare al campanello. Trattenne il respiro e incrociò le dita mentre la porta si apriva…

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Ehilà! Questo capitolo è leggermente più lungo del precedente e ho lasciato un po’ di suspense, alla fine… sperando vi sia piaciuto, non posso fare altro se non pregarvi di recensire numerosi! Grazie,
Patta97

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Capitolo 5
*** Ti stavamo aspettando... ***


… Tre giorni dopo, in un assolato e afoso pomeriggio di domenica, Harry si ritrovò nuovamente davanti al numero 4 di Privet Drive, a suonare al campanello. Trattenne il respiro e incrociò le dita mentre la porta si apriva.
- Harry! – disse la voce di Dudley, leggermente imbarazzata. – Ti stavo… stavamo aspettando – si corresse, lasciandolo entrare.
- Ciao – disse una voce di bambino.
Harry si voltò, trovandosi davanti un ragazzino sugli undici anni, con i capelli dello stesso biondo di Dudley, gli occhi grandi e azzurri e il volto paffuto.
- Io sono Vernon – disse questi, tendendo la mano.
Harry la strinse, incerto, mentre Dudley osservava la scena, scuotendo leggermente la testa.
- Harry Potter – disse Harry.
- Vernon! Stai rendendo tutto così… formale, in questo modo! – lo rimproverò Darla, entrando nell’ingresso e facendo un gran sorriso a Harry. – Harry è un parente, uno di casa! – spiegò ancora la donna, mentre il figlio la guardava di sottecchi.
- Vieni, Harry! Ti stanno aspettando in salotto! – continuò Darla, facendo un cenno al mago. Lei, Dudley e Vernon precedettero Harry nel salotto. Lì, sullo spazioso divano, stavano seduti zia Petunia e zio Vernon, impettiti come se avessero appena inghiottito un manico di scopa per uno. Harry notò che la zia era sempre uguale a sé stessa, solo che i capelli biondi erano quasi del tutto bianchi, adesso, e il volto cavallino pieno di rughe; zio Vernon era molto più magro di come Harry lo ricordava, i capelli erano candidi, il volto, però, era rimasto grassoccio ed era solcato da rughe che affondavano nel grasso. Appena Harry entrò nella stanza, i due si voltarono verso di lui, tesi.
Vernon si infilò svelto nella stanza per origliare la conversazione, avido, e, proprio mentre Darla e Dudley decidevano se restare o meno, un provvidenziale pianto giunse dal piano superiore.
- Vernon, tesoro! Saliamo su a vedere che ha Bobby! – disse Darla, col solito tono di voce gentile, eppure con qualcosa che non ammetteva repliche. A un deluso Vernon non rimase altro da fare che seguire i genitori su per le scale.
Nel salotto calò il silenzio. Harry guardava i Dursley, zio Vernon guardava Harry. Dopo qualche minuto, durante il quale si era dondolato leggermente sui talloni, Harry, imbarazzato, decise di sedersi sulla poltrona, sistemata davanti al divano. Gli zii, se possibile, stirarono le loro schiene ancora di più dopo quel gesto di palese voglia di avvicinamento e presero a guardarsi i piedi.
- Bé – disse Harry, facendo sussultare i Dursley, che alzarono nuovamente lo sguardo su di lui.
- Come… come va? – domandò il mago.
Dopo quello che Harry ritenne un grande sforzo, zio Vernon aprì la bocca.
- Va tutto bene, ragazzo – disse pacato, le guance arrossate, mentre zia Petunia annuiva, sempre evitando accuratamente di guardare il nipote. – Tu va… insomma… va bene? – domandò poi.
- Sì, sì… me la cavo – rispose il mago. Altro silenzio teso. Zia petunia ancora non alzava lo sguardo su Harry.
Il mago si stava proprio chiedendo chi glielo avesse fatto fare, che era troppo presto, troppo sbagliato, quando zia Petunia lo guardò. Harry ricambiò lo sguardo, sorpreso nel vedere che gli occhi leggermente sporgenti e pallidi della zia erano pieni di lacrime; poi, prima che lei stessa riuscisse a fermarle, le lacrime sgorgarono sulle sue guance e prese a singhiozzare. Zio Vernon sobbalzò, stupito, e prese a darle colpetti sulla spalla, non sapendo che fare. Harry era ancora più scioccato di lui.
- C-ci hanno detto… q-quei due come te, che tu eri morto e i-io ho pensato che non ero stata abbastanza brava a p-portare a termine il compito che mi aveva dato quell’uomo c-con la barba bianca… quello di proteggerti – singhiozzò zia Petunia, tra le lacrime. – Prima che me ne andassi di qui… – continuò, calmandosi leggermente, - avrei giurato che ti odiavo, come avevo odiato lei, la mia unica e povera sorella. Ma ho capito, riflettendo in quei giorni segregata in quella casetta con solo mio marito, mio figlio e quei due, che io non odiavo lei e non odiavo neanche te. Ero solo una ragazzina invidiosa della sua bellezza, della sua bravura e poi della sua… magia. Ma era solo invidia, meno forte dell’amore, e io volevo bene a Lily… era mia sorella, dopotutto, solo che non gliel’ho saputo dimostrare quando ero ancora in tempo. E quando ce ne siamo andati di qui, da questa casa, con quei due come te… non vi era giorno che non mi chiedessi dove tu fossi, che stessi facendo, se fossi in pericolo. Perché se così fosse stato, io non ero stata in grado di mantenere la mia promessa a quel mago con la barba bianca, avevo fallito miseramente. E quando ci hanno detto che eri morto… il mio cuore ha perso un battito: anche tu, tutto quello che mi rimaneva di mia sorella, eri sparito, strappato via dalla vita come lei. Poi hanno detto subito dopo che non era vero, che tu avevi ucciso quel Lord come si chiama e che eri salvo… - fece un bel respiro, sotto lo sguardo incredulo del marito e – riconoscente, commosso? – di Harry. -  Quello che sto cercando di dire, Harry, è che sono felic… che è bello che tu sia vivo – concluse la zia, mentre zio Vernon, dopo averci riflettuto su un attimo, annuì con vigore, impacciato.
Harry sentì i suoi occhi pungere e li chiuse, stringendoli forte per un attimo, per non piangere.
- Grazie, zia – disse, riaprendoli. – Sono sicuro che mamma sapeva, in fondo, che tu le volevi comunque bene, infatti lei te ne ha voluto, ne sono certo, nonostante tutto, fino alla fine – si decise poi a dire, dopo un attimo di esitazione. Zia Petunia gli rivolse un sorriso tremulo, lo stesso che aveva rivolto a Dudley, diciotto anni prima, in quella stessa stanza, quando quello aveva salutato Harry in modo “affettuoso” e il mago si sentì voluto bene, accettato; dopo tutti quegli anni di esitazione in cui non aveva voluto rivederli, temendo che lo avrebbero rifiutato, temendo solo situazioni assurde, gli parve naturale stare lì seduto, nel salotto del numero 4 di Privet Drive, a parlare con zia Petunia e zio Vernon, recuperando il rapporto perduto o forse mai davvero avuto e voluto. Raccontandogli la sua vita, la sua storia, Harry si stupì che loro ascoltassero, sforzandosi di capire cose che avevano rifiutato per diciassette anni mentre lui viveva con loro. E loro gli raccontarono i loro giorni passati sotto sorveglianza con Dedalus Lux ed Hestia Jones, in una casa piccola, piena di protezioni; poi, quando Voldemort era stato sconfitto e tutti i Mangiamorte catturati, erano stati liberi di tornare a casa, ma questo Harry lo sapeva già… si era informato su cosa era successo loro. Solo che non aveva trovato la forza di andare da loro, di rincontrarli, doveva far cicatrizzare tutte le ferite, prima. Ora sapeva che anche i Dursley erano stati in pensiero, come lui nei loro confronti, ma troppo timidi, anche se a modo loro, per farsi avanti e andarlo a cercare. Ora, sentiva che si stavano facendo perdonare velocemente i loro errori e Harry, adesso, invece di infastidirsi, sorrideva alle espressioni stranite di zia Petunia e alle occhiate di disapprovazione di zio Vernon ad udire frasi e parole come “doni della morte”, “bacchetta invincibile”, “crucio” e “patronus”. Quando parlò loro di Piton, di come si fosse redento solo per amore, di come si era dovuto ricredere completamente sul suo conto, zia Petunia serrò le labbra, prima di sussurrare un “lo avevo sempre sospettato che era innamorato di Lily, quello là!”, per poi tornare ad ascoltare, avida. Il sole stava tramontando e la luce, nel salotto immacolato, stava divenendo in modo frettoloso aranciata e bruna, quando una serena Darla entrò nella stanza. Prendendola come un’intrusione, i Dursley smisero all’istante di guardare Harry, che s’interruppe.
- Oh, scusatemi! – disse Darla, sinceramente dispiaciuta di aver rotto l’atmosfera familiare della stanza. – Pensavo che… sapete, sono già le sette… - farfugliò.
- Non ti preoccupare, Darla – disse Harry, alzandosi dalla poltrona e rivolgendole un sorriso.
– Avevo notato anch’io che stava facendo buio e non voglio fare arrabbiare mia moglie – concluse il mago. Poi si rivolse ai Dursley, che avevano un’aria turbata, come se si stessero ancora chiedendo se aveva davvero appena finito di dialogare amabilmente col loro nipote dai poteri magici. – Zio… zia… grazie – disse semplicemente il mago, loro fecero un cenno col capo. Uscendo dalla stanza, Harry quasi si scontrò con il giovane Vernon, che era seguito dal padre, così, riflettendo appena, il mago prese una decisione.
- Che ne dite di venire a mangiare da me, tra un paio di settimane, il 31 agosto? – chiese, deciso. Tutti e cinque i Dursley ebbero reazioni differenti: zio Vernon diventò paonazzo, zia Petunia strinse paurosamente le labbra sottili, Vernon spalancò bocca e occhi, Dudley si grattò i polsi, stranito, mentre Darla esplose in un gran sorriso. – Bé… - tentò di spiegare Harry, pentendosi di essere stato tanto impulsivo. – Il giorno dopo i miei due primi figli e quelli dei miei amici partiranno per la scuola e facciamo sempre una cena coi genitori e i fratelli di mia moglie, prima, e mi chiedevo se… vi andava – finì.
- Ma certamente! – disse Darla, entusiasta. – Vero, Dudley caro? Petunia, Vernon! Sono sicura che voi accetterete l’invito, no? – aggiunse poi, rivolgendosi ai suoceri, nel solito tono che metteva alle strette. A Harry scappò un sorriso nel vedere come Darla teneva tutti sotto controllo, anche se all’apparenza sembrava solo dolce e gentile, e gli ricordò molto Ginny. I Dursley annuirono, sempre più confusi.
- Vieni, Harry, ti accompagno alla port… - iniziò Darla, ma Dudley la interruppe.
- Faccio io, tesoro, non preoccuparti – disse e guidò il cugino fino all’ingresso.
- Harry… - gli sussurrò. Il mago lo guardò negli occhi. – Darla… non sa niente sul fatto che tu sei… quello che sei. So che non la prenderebbe troppo a male, se sapesse, ma è meglio di no, al momento… i parenti di tua moglie sono… maghi, no? Bé, io non voglio che lo venga a scoprire così… - finì, indeciso. Harry rifletté che Dudley aveva ragione, ma, quando fece per aprire bocca, quegli lo interruppe.
- Glielo dirò io, Harry – decise. – Magari non mi crederà ma… io non voglio più perdere i contatti con te, cugino, e so che anche Darla si è affezionata a te. È sempre stata un po’ stramba… capirà – disse in tono definitivo. Harry annuì.
- Io abito qui – disse il mago, porgendogli un biglietto, che Dudley prese tra le mani grandi, stringendolo.
- Al 31 agosto, allora, sarà una gran serata… - salutò Dudley.
- Eccome… - commentò Harry. – Ci vediamo, Big D – aggiunse poi, uscendo dalla porta bianca.
Respirando l’aria frizzante Harry Potter si sentì vivo, intero. Forse era successo tutto troppo in fretta, o forse semplicemente solo troppo in ritardo, ma era successo. Ed era una nuova, grande avventura.

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Ed eccomi qui, con solo un giorno di pausa! Non so se ho reso bene sensazioni e dialoghi, ma spero di sì dato che era un capitolo così tanto atteso! Solo, non abituatevi a pubblicazioni così vicine xD
Bé, vi lascio recensire, se volete! ;)
Patta97
PS Nel prossimo capitolo: Weasley vs Dursley! O_O

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Capitolo 6
*** Weasley vs Dursley - Parte I ***


Godric’s Hollow è un paesello inglese e tranquillo che, lontano qualche chilometro dai rumori e dallo stress di Londra, trasmette ai suoi abitanti pace e tranquillità.
Il numero diciannove di Parlor Street, però, quel pomeriggio del 31 agosto, non sembrava poi così tranquillo…
- James Sirius Potter! Hai messo in ordine la tua camera e fatto il baule?! – gridò Ginny, con i capelli ancora bagnati dopo la doccia appena fatta, al suo figlio maggiore.
- Sì, certo! – fu la risposta del giovane mago, proveniente dal piano di sopra, mentre iniziava a prendere in considerazione l’ide di farlo davvero. Regnava davvero il caos nella sua stanza: vestiti lanciati qua e là, calzini appallottolati sparsi sul pavimento; piume e pezzi di pergamena sporchi d’inchiostro scarlatto occupavano la scrivania di legno da settimane, insieme a libri che sembravano nuovi, da quanto poco erano stati utilizzati. Con un sospiro, James si alzò dal letto e, prendendo il cestino in una mano, iniziò a buttarvi dentro tutte le sporcizie che vedeva, noncurante, coi pensieri altrove.
- Sai che stai buttando nell’immondizia il tuo nuovo libro di Storia della Magia? – domandò una voce, facendo spostare lo sguardo di James su ciò che teneva in mano: sì, era proprio Storia della Magia, volume secondo. Lo riposò sulla scrivania, tremando al pensiero di ciò che gli avrebbe fatto sua madre sapendo che stava per buttare un libro fresco di libreria.
- Grazie, Lily – borbottò lui, con un piccolo sorriso, riprendendo a riordinare. La sorella minore si fece largo tra i vestiti, riuscendo ad arrivare al letto del fratello e sedervi.
- Quindi, domani parti… - buttò lì lei, incrociando le gambe.
- Sì, domani parto – disse James, osservando disgustato un paio di cacche del suo gufo, Malandrino, e gettandole con l’aiuto di un fazzoletto nella pattumiera.
- E parte anche Al…  - mormorò la bimba, fissandosi le ginocchia.
Sentendo che il tono della sorellina era cambiato, James posò a terra il cestino e si sedette accanto a lei, sul letto, facendo cigolare le molle. Le circondò le spalle con un braccio e vide una lacrima solitaria scendere giù dai suoi occhi scuri. Mentre James rifletteva su come consolare Lily, sentì che un’altra persona si era seduta sul letto, vicino a loro. Guardò oltre la testa rossa della sorella ed incontrò gli occhi verdi di Albus, sconsolato quanto lui alla vista delle lacrime della piccola Lily. Fu un attimo, con un sorriso e un’occhiata d’intesa e… iniziarono a farle il solletico.
Lily si sdraiò sul letto, ridendo a crepapelle, cercando di proteggersi con le mani; ma i due maghetti erano implacabili e non si fermarono neanche di fronte alle sue “disperate” richieste d’aiuto. Dopo qualche minuto, i tre si abbandonarono sul letto, con ancora qualche eccesso di risata. James e Albus sapevano che la tristezza di loro sorella non era finita, ma erano felici di avergliela fatta dimenticare, anche solo per un momento.
- Ragazzi! – disse Harry, entrando nella stanza e vedendo tutto quel disordine, a cui era stato posto ben poco rimedio. I tre si issarono a sedere e lo guardarono, gli occhi ridenti e il sorriso ancora sulle labbra. – Se vostra madre passa qua davanti e vi vede in mezzo a questo caos… - lasciò la frase incompiuta, consentendo all’immaginazione dei figli di andare a briglia sciolta su quanto la madre potesse fare loro. Albus e Lily balzarono in piedi e uscirono di corsa dalla stanza, diretti nelle proprie a riordinare, sotto lo sguardo divertito del padre. James si alzò con più calma e si passò una mano sui capelli scompigliati. Harry sospirò, trattenendo una risata e scese le scale, ritornando in cucina. Lì trovò una Ginny alquanto irritabile, che gli dava le spalle.
- Hanno finito di riordinare?! – chiese brusca, quando avvertì la presenza di Harry, mentre teneva sotto controllo una spugna insaponata che strofinava un pentolone nel lavello e uno straccio che lucidava l’argenteria.
- Stanno per finire… - chiarì lui, in tono condiscendente, appoggiandosi al tavolo.
Lei s’irrigidì e si voltò lentamente verso di lui.
- Harry caro – iniziò e lui s’allarmò al sentire quel tono mieloso. – Mi spieghi, per cortesia, che cosa stai facendo, se non ti è di disturbo…? – domandò, socchiudendo gli occhi, minacciosa.
- B-bé, sto… sto… - balbettò il mago, alla ricerca di che cosa dire. Ma non sarebbe andato bene anche se le avesse detto che stava per salvare l’intero mondo magico – di nuovo – perché non stava comunque essendo di alcuna utilità per lei. Ginny infatti stava per ribattere, quando suonò il campanello ed Harry, grato, si diresse in tutta fretta nell’ingresso per vedere chi fosse. Guardando attraverso lo spioncino riuscì a vedere una testa rossa e, con un gran sorriso, aprì la porta.
Si trovò davanti a quattro persone sorridenti: in prima fila c’erano due bambine sui nove anni della stessa altezza, ma molto diverse; una aveva lunghi capelli neri e setosi, l’altra, che li portava corti, li aveva rossi e lisci, entrambe avevano grandi occhi azzurri, il visetto con le lentiggini e il nasino all’insù; seguivano un uomo alto dai capelli rossi, con il viso magro e occhiali cerchiati di corno, e una donna bassina e magra, con i capelli lunghi e neri e gli occhi di un azzurro intenso.
- Ciao, Percy! – salutò Harry, stringendogli calorosamente la mano. – Audrey, Molly, Lucy… è sempre un piacere! – aggiunse poi, facendoci baciare sulle guance dalla donna e dalle bimbe. Li fece entrare e guidò il mago e la strega in cucina.
- Siete arrivati giusto in tempo…! So che siete due assi in cucina e Ginny, anche se non lo ammetterà mai, aveva giusto bisogno del vostro aiuto e consiglio… - farfugliò Harry.
- Zio, possiamo salire su da Lily? – chiese Lucy.
- Certo! – rispose il mago.
- Ma prima andate a dare un bacio a zia Ginny! – raccomandò Audrey. Le bambine li sorpassarono, correndo, e, quando i tre raggiunsero la cucina, Molly e Lucy già stavano uscendo per salire al piano superiore. Raggiunsero la stanza di Lily, che aveva la porta chiusa, col respiro leggermente accelerato e bussarono. La rossa venne ad aprire loro e, appena le vide, si aprì in un sorriso.
- Molly! Lucy! – fece, prima di abbracciarle.
Passarono pochi minuti prima che anche Albus facesse il suo ingresso nella stanza, seguito da James, che sembrava accaldato. Le bambine gli si gettarono al collo.
- Riordinata la camera, James? – chiese Lily, alzando un sopracciglio, non appena i quattro smisero di salutarsi.
- Come no, mammina – rispose lui, sarcastico, sventolandosi con una mano.
- Non mi chiamare con quell’inutile soprannome! – ribatté la bambina, socchiudendo gli occhi marroni.
- Basta litigare, eh? – suggerì la pacifica Lucy.
- Giusto – convenne Albus.
- Quello che dico sempre… - disse la voce di Rose, mentre la sua proprietaria entrava nella camera, seguita da un sorridente Hugo. – Si può…? – aggiunse, con un sorriso: non scordava mai le buone maniere.
Molly, Lucy e Lily le fecero spazio sul letto, mentre Hugo rimase in piedi, accanto ai cugini. Nonostante fosse due anni più giovane, era alto quanto il minuto Albus.
- Perciò domani andate a Hogwarts, eh? – disse Molly, rivolta ai maggiori, una punta d’invidia nella voce. Quelli annuirono, contenti. Il sorriso di Hugo vacillò leggermente: desiderava tanto andare a Hogwarts, proprio come Lily.
- In che casa vorreste andare? – chiese Lucy, interessata.
- Ce lo chiediamo pure noi, cuginetti! – disse Fred, entrando nella stanza, i capelli ricci e scuri disordinati. Poco dopo fece capolino la testa altrettanto riccia ma rossa di Roxanne. Fred fece un gran sorriso ai cugini, tutti più giovani di lui; la sorella lo imitò. Dopo i saluti, ci fu il silenzio: tutti volevano sapere dove Albus e Rose speravano di finire. La prima a parlare fu Rose.
- A papà piacerebbe tanto che io finissi in Grifondoro e non è che a me dispiaccia – chiarì la streghetta, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. – Ma mamma credo che pensi che starei meglio in Corvonero e lo penso anch’io; domani si vedrà dove il Cappello invece mi vede meglio… - concluse la giovane Weasley.
Tutti annuirono.
 - Pure io penso che tu debba andare dove ti porta il tuo cuore – commentò Lucy, convinta. Rose le sorrise, radiosa. Poi gli sguardi di tutti i presenti si rivolsero verso Albus, che arrossì lievemente.
Fece per aprire bocca, ma James lo precedette.
- Al non sa dove vuole finire, vero? – chiese con una vocetta falsamente infantile. – Ma io lo so! Albusino Severino finirà in quella Casa… com’è che si chiama? Quella degli idioti… Ah, ecco sì! Serpeverde! – rise poi, strappando un sorriso anche a Fred, Roxanne e Hugo, sempre pronti alle battute di James, ma causando occhiate d’indignazione da parte di Lily, Rose e Molly e una rassegnata di Lucy.
Rose e Lily stavano per iniziare a polemizzare con un “Quante volte ti abbiamo detto che…” quando un’altra voce s’intromise.
- Casa degli idioti, eh, James? – domandò Dominique, la prima Weasley Serpeverde, appoggiandosi allo stipite della porta con fare minaccioso. Era l’unica tra tutti i cugini che riusciva ad intimorire James, che infatti si gratto la nuca, a disagio.
- Ciao, ragazzi! – disse una voce dolce e calma, salvando James dalle occhiate assassine della strega, mentre una testa bionda e liscia faceva capolino dietro la spalla di Dominique, seguita da un paio di grandi occhi azzurri e un visetto d’angelo.
- Ciao, Louis! – dissero tutti in coro, con un immancabile sorriso: difficile resistere ai suoi dolci sorrisi e al suo fascino per un ottavo Veela.
- Bonsoir, cousins! – esclamò una radiosa Victoire, perfetta nei suoi jeans e maglietta attillati, scompigliando i già fin troppo sfasciati capelli di Hugo, che le rivolgeva un gran sorriso da vicino la porta.
- Bonsoir, Victoire! – disse una deliziata Lucy, che ogni tanto prendeva delle lezioni di francese dalla cugina; gli altri si limitarono a sorrisi e semplici “ciao, Vic”.
Poi, da dietro la maggiore dei figli Weasley, spuntò una zazzera di un acceso turchese, che faceva leggermente ombra su un viso smagrito acceso da grandi occhi azzurri e ridenti. Teddy Lupin fece per aprire bocca, ma fu sommerso da così tanti ragazzi e bambini adoranti e urlanti in una volta che gli fu difficile parlare per qualche minuto, impegnandosi piuttosto a trovare ossigeno tra tutti quei baci e abbracci che stavano attentando al suo già scarso equilibrio. Quando la folla si diradò, Teddy era a terra, i capelli giallo limone, con Lily attaccata al suo braccio, che non aveva alcuna intenzione di mollare. Victoire gli lanciò un’occhiata divertita, che lui ricambiò, leggermente imbarazzato.
- Prima che attentavate alla mia vita… - disse il mago, alzandosi da terra e sollevando Lily – ancora ancorata saldamente al suo braccio – di peso. – Ero venuto a dirvi che vi cercano di sotto zii e… richieste d’aiuto: serve manodopera minorile – concluse con un mezzo sorriso, tentando di far staccare gentilmente Lily, che non mollò. Rassegnato, si avviò fuori dalla porta, seguito a ruota da Molly, Lucy, Rose, Hugo, Albus, Fred, Roxanne e Louis, mano nella mano con Victoire. James fu l’ultimo a uscire, sorridente, ma non s’era accorto che Dominique era ancora appoggiata allo stipite della porta e ancora altrettanto arrabbiata per il commento del maghetto sulla sua tanto amata Casa. James inghiottì a vuoto.
- Ne parleremo a Hogwarts, Jimmy caro – disse minacciosa, lanciandogli un’occhiata truce prima di seguire la scia della sorella, ondeggiante quasi quanto lei, la lunga coda di cavallo rossa che si muoveva a ogni passo. James la seguì, ciondolante.
 
Due ore dopo erano le sette in punto e ogni cosa era pronta e al proprio posto: due tavoli di legno lucido erano stati uniti per ricavarne uno molto lungo, abbastanza per far entrare tutti comodamente; ogni posto era apparecchiato con due piatti, due bicchieri, forchetta, cucchiaio, coltello e cucchiaino per il dolce e, al centro tra i due tavoli, stava un grosso centrotavola di fiori profumati e freschi. Ginny osservava soddisfatta l’opera con aria fiera, gli occhi che luccicavano maniacali quasi quanto quelli della madre, di Audrey, di Andromeda e di Fleur, messe vicino a lei, come i bracci destri di una super eroina. Percy stava ancora controllando le ultime cose nel forno, un grembiule legato in vita, mentre con le mani sudate si tirava su sul naso gli occhiali. I ragazzi erano tutti seduti a tavola con i padri, Angelina, Hermione e nonno Arthur.
Lily, seduta ovviamente tra Teddy e James, Lucy, Molly e Albus pendevano dalle labbra di Bill, che stava raccontando loro della lettera ricevuta due giorni prima dal fratello Charlie, dalla Romania. Il piccolo Louis ascoltava ugualmente, anche se aveva letto la lettera personalmente. Anche Ron, Hermione e Arthur ascoltavano, ogni tanto, sorridendo quando Bill esagerava una parte del racconto per fare impressionare il suo giovane pubblico. Angelina, James, Rose, Hugo, Fred e Roxanne ridevano alle battute di George. Dominique stava in disparte, ascoltando un po’ tutte le conversazioni ma senza partecipare mai veramente a nessuna. Victoire era seduta all’altro fianco di Teddy e sorrideva dolcemente guardandolo trasformare più velocemente che poteva il proprio viso, solo per lei. Harry, a capotavola, stava impettito sulla sua sedia, teso come una molla: aspettava con ansia l’arrivo dei Dursley. Aveva spiegato a tutti i presenti che i suoi parenti erano del tutto Babbani, ma erano a conoscenza della magia di tutti loro; Harry confidava, infatti, che Dudley, dopo aver raccontato tutto a Darla, avesse anche messo al corrente il giovane Vernon, per Bobby non c’erano problemi: Harry sapeva, anche se non l’aveva mai visto, che il bimbo era troppo piccolo per comprendere la situazione.
Poi il campanello trillò. Harry saltò su come una molla e si diresse all’ingresso, mentre tutti si zittirono, voltandosi verso la porta dalla quale il mago era appena sparito. Ginny, dopo averci pensato un po’ su, seguì il marito. Harry stava prendendo un bel respiro prima di aprire la porta a quella che sarebbe stata una lunga e faticosa serata; Ginny apparve al suo fianco, stringendogli un braccio, incoraggiante, quello le sorrise debolmente di rimando. Aprì la porta.

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Eccoci qua!
Oltre che per lo spaventoso ritardo mi scuso anche per la lunghezza esasperante del capitolo e per eventuali errori di battitura o temporali o ripetitivi: non volevo farvi attendere oltre!
Fatemi sapere che ne pensate di questo nuovo capitolo!
Baci,
Patta97

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Capitolo 7
*** Weasley vs Dursley - Parte II ***


…Ginny apparve al suo fianco, stringendogli un braccio, incoraggiante, quello le sorrise debolmente di rimando. Aprì la porta.
- Harry! – fece la voce trillante di Darla, mentre il suo viso sorridente spuntava all’aprirsi della porta. Teneva in braccio un bimbo sui tre anni profondamente addormentato, dal viso incredibilmente dolce, che Harry immaginò essere Bobby. Accanto a lei stava un paonazzo e imbarazzatissimo Dudley, che teneva per le spalle un contrariato e allo stesso tempo eccitato Vernon. Dietro di loro, se possibile ancora più impacciati, stavano zia Petunia e zio Vernon, la prima con le labbra serrate in un quasi impercettibile sorriso di cortesia e un colorito verdognolo, il secondo con la carnagione che variava in modo sublime dalle tonalità del rosso a quelle del viola con apparente nonchalance. La donna abbracciò forte Harry e gli diede un grosso bacio sulla guancia; Harry arrossì abbondantemente. Poi il mago strinse la mano a Dudley e anche al giovane Vernon, mentre rivolse solo un breve sorriso agli zii - erano infatti tutti e tre ancora stravolti dal loro ultimo incontro – per poi passare alle presentazioni.
- Darla, lei è mia moglie, Ginny – la Babbana rivolse un gran sorriso alla strega, che rispose con uno tirato, cercando di non socchiudere gli occhi, leggermente infastidita dal comportamento che Darla aveva avuto nei confronti di Harry, nonostante si conoscessero da pochissimo. – Ginny, loro sono Dudley, Vernon… - la strega rivolse loro sorrisi più sereni e strinse la mano a Dudley, mentre Vernon la fissava, un sopracciglio appena sollevato.
– Mentre loro sono zio Vernon e zia Petunia – finì Harry, teso. Ginny li guardò con il migliore dei suoi sorrisi, ma loro risposero solamente con un brusco cenno del capo. Mentre li facevano accomodare nell’ingresso e Harry, che stava sudando freddo, faceva strada loro verso la cucina, Ginny sbatté la porta di casa.
- Cominciamo bene… - borbottò, afflitta. Quando la strega arrivò, ciondolante, in cucina, trovò il quasi assoluto silenzio, rotto solo da Harry che faceva le presentazioni e spiegava le parentele. Darla annuiva, contenta, anche Dudley si sforzava di essere cordiale e il piccolo Bobby, nel sonno, rivolgeva a tutti un sorriso beato; Vernon e zia Petunia scrutavano tutti, avidi, mentre zio Vernon sembrava più a disagio che mai ed era sbiancato: non era mai stato in un luogo con tutti quei maghi assieme. Quando Harry finì le presentazioni e tutti erano con un sorriso di cortesia sul volto, Darla ruppe il ghiaccio.
- Oh, bé… siete tanti! E di sicuro non ricorderò tutti i vostri nomi, ma… - lasciò in sospeso, mortificata. – Ma quando vedrò una persona coi capelli rossi la saluterò di sicuro, non si sa mai! – concluse con un occhiolino, strappando qualche sorriso. Ginny, senza farsi sentire, sbuffò.
Dudley, sconcertato, stava fissando da un po’ George, che gli sorrideva apertamente, sornione, stringendo qualcosa in tasca: delle vecchie caramelle mou appiccicose, mentre James, Roxanne, Fred e Hugo, che sapevano tutta la storia, cercavano di trattenere le risate. Zio Vernon, nonostante il sorriso nervoso, aveva un paio di piccole chiazze rosse sulle guance e gli occhi stretti a due fessure, forse perché aveva appena riconosciuto Arthur, che gli aveva sfasciato il salotto quando Harry aveva quattordici anni, e che, in quel momento, sembrava rapito da una delle manopole del gas del forno. Zia Petunia osservava con occhi critici ogni dettaglio della cucina e di come fosse apparecchiata la tavola, le numerose teste rosse scompigliate ed era un po’ che osservava, accigliata, i voluminosi capelli viola di Teddy, che, in un attimo, diventarono… arancioni. Mentre la zia spalancava la bocca, sorpresa, il giovane Vernon e Darla , che guardavano entrambi, con la coda dell’occhio, i non esattamente sobri capelli del mago, ebbero invece due reazioni differenti: Vernon strizzò gli occhi un paio di volte e li lasciò socchiusi, sospettoso e… spaventato? Mentre Darla fece un sorriso timido, rivolta a Teddy.
- Che strano, Teddy (Teddy, giusto?)! Un attimo fa avrei giurato che i tuoi capelli fossero viola! -
- Bé, è così infatti – rispose Ted, che era stato informato dal padrino che Darla era a conoscenza della loro magia.
- E come hai fatto? – domandò sorpresa Darla, sgranando un po’ gli occhi, e mentre Teddy, confuso, cercava le parole e Harry stava per venire in suo aiuto, il piccolo Bobby, tra le braccia della madre, spalancò lentamente gli occhi, appannati dal sonno, stropicciandoseli con le manine paffute. A molti mancò un battito: il colore degli occhi di Bobby era molto simile a un altro, che possedevano solo altre due persone in quella stanza, un verde chiaro, limpido e sincero.
Darla rivolse un sorriso al bimbo, che fece una breve risata, battendo le mani piene di fossette. Poi la donna rivolse nuovamente la sua attenzione a Teddy, con aria interrogativa, mentre tutti facevano saettare lo sguardo da Darla e Bobby a Teddy e poi a Harry. Fu la saggia Andromeda a cambiare discorso.
- Lascia perdere, Darla, gli strani trucchetti di mio nipote, sai, sono ragazzi…! Se ne inventano una nuova al minuto! Piuttosto, il bel bimbo, lì, come si chiama? -
Molly capì la situazione e annuì.
- Complimenti, Darla, è molto bello! Quanti anni ha? – aggiunse.
- Ti somoglia molto, cherie! Ed è bello paffuto! Quanto mangia? - accorse Fleur.
Mentre Darla, stranita, rispondeva alle numerose domande, Harry, grato, prese Dudley in disparte.
- Dudley, sei ancora in tempo – disse Harry, con aria leggermente minacciosa. – C’è qualcosa che devi dirmi? -.
- Bé, ecco… - temporeggiò l’altro. – Sai, quando ti ho detto che avrei detto tutto a Darla… bé… -
Harry gli fece cenno di continuare, concitato.
- Bé, non gliel’ho detto! – finì Dudley, con aria di sfida.
Il mago sbatté le palpebre un paio di volte prima di parlare.
- Dudley, non hai fatto… cosa?! – chiese, cercando di rimanere calmo.
- Non ho detto né a Darla né tantomeno a Vernon delle tue, anzi, vostre stramberie magiche! – ripeté Dudley, tutto d’un fiato.
- Cosa?! – urlò quasi Harry, perdendo il controllo.
Ginny che, appoggiata alla credenza lì vicino, aveva sentito tutto, capì al volo che doveva fare.
- Darla, Vernon, signori Dursley! Perché non venite un attimo in salotto? Potete posare le vostre borse, giacche… - disse Ginny, in tono che non ammetteva repliche, quasi spingendo i quattro attraverso la porta a vetri che conduceva nel salotto, stanza adiacente a quella, e chiudendosela alle spalle.
Dudley, mortificato e incapace di incontrare lo sguardo di Harry, mentre tutti i maghi restanti capivano lentamente la situazione, fissò la porta a vetri, dove poteva vedere i movimenti dei suoi familiari e di Ginny. Tutti fecero lo stesso, persino George, Roxanne, Fred, Hugo e James si scordarono di prendere in giro con le occhiate Dudley.
- Ragazzi… - esordì Harry, a bassa voce. – A quanto avete spero tutti capito, i parenti di mio cugino non sanno che siamo magici e quindi, vi prego, niente stramberie… Teddy, cerca di mantenere lo stesso colore di capelli, James, Hugo, Roxanne, Fred… George, niente scherzi, d’accordo? – tutti annuirono, fissando ancora la porta a vetri, tristi per non poter seguire le tradizioni degli anni precedenti: Teddy che cambiava forma, George che faceva scherzi e battute con i monelli al seguito, nonno Arthur che chiedeva a Hermione nomi e funzioni di stramberie Babbane…
- Bene, ricordate che non sanno nulla della magia, ok? D’accordo, ora vado di là a chiamare Ginny e gli altr… - Harry si interruppe, mentre tutti trattenevano il fiato e si irrigidivano, lo sguardo come ipnotizzato alle ombre che si intravedevano attraverso la porta a vetri. Un qualcosa, che assomigliava tremendamente a un bambino molto piccolo, volteggiava a mezz’aria, battendo le mani e ridendo come un pazzo, mentre si sentivano i piccoli strilli terrorizzati di zia Petunia, Darla e Vernon. Ginny spalancò la porta a vetri, stravolta, lasciando che tutti vedessero bene la scena, diventando sempre più inorriditi. In quel momento, Bobby atterrò preciso e tranquillo tra le braccia della madre, facendo sorrisi a tutti. George si alzò da tavola e si diresse verso Harry e Dudley; poi, posando la mano sulla spalla di quest’ultimo, che aveva occhi e bocca spalancati, disse:
- Benvenuto nel club, amico! –
Darla avanzò attraverso la porta a vetri, rientrando nella cucina, avvicinandosi al marito, stringendo convulsamente Bobby, che la guardava con aria interrogativa, come se temesse volasse ancora via.
- T-tu… tu nei sa qualcosa, Dudley? - chiese, il tono sempre allegro incrinato.
Dudley si ridese un contegno e guardò la moglie, assentendo piano col capo. Vernon, che stava attaccato alla madre, sussultò, come se suo padre fosse colpevole di un delitto plurimo. Darla però guardava solo Dudley, gli occhi pieni di domande, come se tutti i presenti, per i quali quella cosa che aveva fatto suo figlio era quasi del tutto normale, non esistessero.
- Darla…  - sussurrò Dudley, ignorando anch’egli tutti gli altri. – Io avrei voluto, anzi dovuto, dirtelo, ma… non ce l’ho fatta -.
- Dirmi cosa, esattamente, Dudley? –
Quest’ultimo parve accorgersi in quell’istante di tutti quelli che li fissavano, di quelli che provavano a guardare da un’altra parte, di quelli che osservavano suo figlio Bobby con aria curiosa; trascinò la moglie nell’ingresso e Vernon, rimasto solo, si strinse ai nonni, impaurito, fissando tutti con aria truce. James arricciò leggermente il labbro inferiore, guardandolo: non lo sopportava proprio. Petunia e Vernon Dursley, durante tutta la scena, avevano mantenuto un’aria composta. La zia aveva assunto un delizioso colore verdastro, come se stesse per vomitare, e, in effetti, represse a stento un paio di conati; mentre lo zio era diventato rosso come un pomodoro e, per un attimo, stette per esplodere, poi però chiuse gli occhi, contò fino a dieci, e riassunse un colorito degno di essere chiamato tale. Erano entrambi sconcertati dal prodigio, o meglio “obbrobrio” a sentire i loro pensieri, del minore dei loro due nipoti ma, tutto sommato, a parte battito accelerato e pressione a mille, stavano prendendo bene la cosa. Aspettando che Darla e Dudley facessero ritorno, molti si misero a bisbigliare su quanto era successo. Nel brusio, Ginny si avvicinò a Harry, che era rimasto vicino al frigo, dove prima aveva sospinto Dudley per parlare a quattrocchi.
- Hai visto gli occhi del bambino? – chiese, a bassa voce, il mago.
Ginny annuì lentamente.
- Sono identici ai tuoi – affermò.
- Identici a quelli di mia madre – la corresse Harry. – Evidentemente anche qualcos’altro di lei è arrivato al piccolo Bobby -.
La strega annuì di nuovo, non sapeva che dire.
- Povera Darla… piombare nel nostro mondo così all’improvviso… - sospirò infine. Le era stata antipatica in un primo momento, ma adesso, che provava a mettersi nei suoi panni, le riusciva difficile non dispiacersi per lei, non capire la sua frustrazione e sorpresa.
Proprio in quel momento, la Babbana fece il suo ingresso in cucina, Bobby era tra le braccia di Dudley, che, mortificato, stava dietro di lei. Darla sembrava stravolta e irritata, tratteneva a stento le lacrime.
- Vernon, andiamo – disse solo. Il ragazzino fu subito al suo fianco. Darla afferrò la mano del figlio stretta. – Buona serata a tutti – fu l’unica frase di cortesia che riuscì a dire, senza guardare nessuno, prima di uscire nuovamente dalla stanza. Qualche secondo dopo, si sentì il portone di ingresso sbattere.
 
____________________________________ 
Ok, lo so che volete uccidermi! E non sapete quanto sto ringraziando il cielo per il fatto che davanti a me ci sia solo un computer e non una folla inferocita.
Il capitolo è finito più all’aria del precedente e inutile dire che ci sarà anche una terza parte di “Weasley vs Dursley”. Bé, direi che c’è un grande colpo di scena e, a parte questo, in realtà, non succede granché; comunque, ovviamente, aspetto le vostre recensioni e i vostri pareri (numerosi, eh?).
Ciao,
Patta97

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Capitolo 8
*** Per rimediare. ***


Come avete intuito questo capitolo non si intitola “Weasley vs Dursley – parte III”, infatti ho pensato, dato il contenuto del capitolo e un consiglio datomi inavvertitamente dalla mia cara omonima lettrice (Omonima, il tuo consiglio prenderà forma maggiormente nel prossimo capitolo!), di intitolarlo “Per rimediare”, leggendo scoprirete il perché.
Vi lascio, buona lettura e spero non facciate confusione! ^^''
PS Scusate per il ritardo, causa blocco della “scrittrice”!

 

Harry rimase basito e immobile per qualche secondo. Il vociare nella stanza, adesso, si fece palese e forte. Fissò la porta della cucina, dalla quale se ne era appena andata la sua occasione per riconciliarsi con il suo cugino perduto e si sentì pungere gli occhi. Consapevole che ciò che stava per fare era un vero e proprio gesto da adolescente incompreso, uscì dalla stanza lentamente, per poi correre su per le scale e chiudersi con un incantesimo nella camera da letto sua e di Ginny, piangendo.
 
Ginny non rincorse Harry, si considerò di troppo per lo sfogo del marito. Alcuni sbocconcellarono la cena, ma nessuno era davvero in grado di mangiare, tranne i giovani James, Molly e Fred. Così, Ginny guardò suo fratello Percy e sua madre giungere alla conclusione che nessuno avrebbe finito di mangiare il tanto preparato amorevolmente pasto e imballarlo in vaschette, avvolgerlo in alluminio o riporlo nel frigorifero. Ginny dovette quasi spingerli fuori di casa per non far lavare loro anche i piatti e le stoviglie. Tutti chiacchierarono ancora un po’, piano, come a non voler disturbare i pensieri di Ginny o di Harry, chiuso al piano superiore. Teddy e Victoire sparirono nel cortile per un quarto d’ora buono, James li andò a cercare, indispettito per l’assenza così lunga del suo “cugino acquisito” preferito, tornando poco dopo con entrambi, paonazzi e infastiditi.* I suoi ospiti, infine, andarono via lentamente, sussurrandole parole e sorrisi di conforto. La strega si ritrovò nell’ingresso quasi totalmente buio: l’unica luce era quelle della luna, che filtrava dalla finestrella posta sopra la porta di legno scuro; era in compagnia di James, Al e Lily, quest’ultima che le teneva la mano, Ron, Hermione, Rose e Hugo.
Ron si grattò la nuca, cercando qualcosa da dire.
- Bé… non è che Harry o chiunque di noi ci siamo persi più di tanto… - cominciò, non vedendo lo sguardo ammonitore di Hermione. - Quel Vernon era antipatico, e quel Dudley, poi… - Hermione era minacciosa, adesso, ma il suo sguardo di fuoco non interessò minimamente Ron, che continuò a infischiarsene bellamente. - …il prodigioso bimbo maghetto che fa magie a tre anni era un fenomeno, persino Rosie, che è intelligente, ha fatto la prima magia a quasi sette anni… - adesso l’occhiata ardente era anche da parte della figlia; James e Hugo quasi rotolavano dalle risate, Ginny lo fissava con un sopracciglio arcuato e Lily scuoteva lentamente la testa. - …Darla, in effetti, era caruccia, diciamo bella, miseriaccia… - Hermione non ne poté più: lo afferrò per le spalle, quasi stritolandogliele e si incamminò decisa fuori dalla casa degli amici, infuriata, Rose la tallonò, interrompendo il suo broncio solo per sussurrare ad Al un “ci vediamo domani alla stazione!” eccitato, e Hugo fece l’occhiolino a James prima di seguirli, quasi ridendo ancora.
Si poté benissimo udire Hermione “sussurrare” a Ron, rabbiosa: - “Diciamo bella, miseriaccia”?! Adesso io e te scambieremo due paroline sui tuoi canoni di bellezza, Ronald Weasley! -.
Ginny chiuse la porta dietro di loro, appoggiandovisi e lasciandosi scappare un sonoro sospiro. Fece per dirigersi nuovamente verso la cucina, quando, alzando gli occhi, si ritrovò davanti Vernon e Petunia Dursley. I ragazzi sussultarono: tutti e quattro, madre compresa, avevano scordato la presenza dei Dursley in casa.
- Ragazzi, lavate i denti e filate a letto. Domani mattina sveglia alle sette e mezzo – ordinò la strega ai figli, i quali iniziarono a incamminarsi su per le scale. – E niente battaglia di cuscini stasera, sono stata chiara, Albus, James? – aggiunse, in un tono che non ammetteva repliche, rivolta ai due figli maggiori, che si erano scambiati uno sguardo battagliero. Quelli annuirono, afflitti, scomparendo in cima alla rampa di scale. Ginny si rivolse agli zii acquisiti con aria interrogativa. Contro ogni regola, fu zio Vernon a prendere la parola per primo.
- Vorrei parlare con mio nipote Harry, se posso – chiese, titubante, gli occhi sfuggenti.
Ginny era incerta se Harry avrebbe gradito una chiacchierata con lo zio, ma, infine, acconsentì.
- Credo sia nella nostra camera da letto. Salga le scale, in fondo al corridoio, ultima porta a destra – spiegò, dopo lo sguardo perso di Vernon. Quello annuì e, dopo essersi lanciato uno sguardo - d’incoraggiamento? – con la più che mai tremula moglie, salì le scale anche lui.
Sul pianerottolo fiocamente illuminato dai raggi argentati della luna rimasero solo Petunia e Ginny. Questa fece come cenno all’altra di seguirla nella cucina, Petunia la seguì, incerta.
 
Harry, accovacciato per terra ai piedi del letto, alzò lo sguardo quando sentì bussare alla porta.
- Entra, Ginny… - disse, gli occhi asciutti, pensando fosse la moglie, e, con un colpo di bacchetta, tolse l’incantesimo alla porta.
La porta si aprì appena, lasciando intravedere gli spropositati baffi candidi di zio Vernon, forse paonazzo per la prima volta non per la rabbia davanti al nipote, ma per l’imbarazzo. Harry saltò su a sedere, nascondendo la bacchetta dietro la schiena, sapendo quanto infastidisse lo zio e, incerto, gli fece cenno di entrare.
 
Ginny si diresse spedita al lavello, dove c’era una pila di piatti, stoviglie e posate sporche. Iniziò a lavarli, senza usare la magia per non infastidire Petunia che, sapeva, stava dietro di lei all’in piedi, incerta sul da farsi.
- Posso fare qualcosa di utile? – sussurrò Petunia, così piano che Ginny poté far finta di non averla sentita sopra lo scrosciare dell’acqua corrente.
La Babbana si lasciò cadere su una delle sedie.
- Non essere così fredda con me… - disse, stavolta in modo udibilissimo.
La strega si irrigidì, tendendo le orecchie, ma rivolgendole ancora le spalle.
 
Harry si accomodò sul letto e l’imponente zio Vernon fece lo stesso dopo un attimo di esitazione, facendo cigolare le molle.
Harry teneva ostinatamente lo sguardo rivolto al pavimento, davvero non capiva il perché della visita dello zio.
- Non essere così freddo con me… - disse il Babbano con voce roca.
Il mago sollevò lentamente lo sguardo verso di lui, incontrando i suoi occhi leggermente umidi.
 
Ginny si voltò verso Petunia gradualmente, incrociando il suo sguardo ardente con quello lacrimoso di lei. Si sentì pronta per ascoltarla, la vide come una donna piena di rancori, rimpianti, paure…
- Non essere così fredda con me – ripeté Petunia, con voce chiara e forte. – Voglio solo… -
 
- …solo rimediare – concluse Vernon. Harry voltò completamente il capo verso di lui e prese ad ascoltarlo attentamente, grato di quell’incontro: forse la serata non era stata del tutto inutile…
 
Quando zio Vernon fece il suo ingresso nella cucina, seguito da Harry, trovarono Ginny e zia Petunia sedute una di fronte all’altra, gli occhi di una comprensivi, quelli dell’altra lucidi di lacrime. Le donne si alzarono e i quattro si diressero all’ingresso, Ginny aprì il portone. I saluti furono dei timidi sorrisi e degli occhi brillanti di consapevolezze, scuse e perdoni. Harry chiuse la porta. Ginny spense tutte le luci del piano terra. Salirono le scale uno di fianco all’altro, senza dirsi una parola. In un gesto meccanico, socchiusero prima la porta della cameretta di Lily, che dormiva composta e con le guance inumidite di lacrime tra le lentiggini sparse, e poi quella della camera dei maschietti, che dormivano uno tutto aggrovigliato nelle lenzuola e l’altro con le braccia spalancate, anche loro avevano le guance bagnate: forse non erano stati solo i grandi a parlare, quella sera, forse anche i tre fratelli si erano riuniti prima di separarsi, il giorno seguente.
Ginny e Harry sorrisero, chiusero piano la porta e si diressero verso la loro camera, si misero il pigiama senza guardarsi e, altrettanto silenziosamente, si sistemarono sotto il lenzuolo, dandosi le spalle, eppure avendo in testa i medesimi pensieri.
 
Zio Vernon e zia Petunia erano in macchina già da un po’, con i finestrini abbassati. L’aria era frizzante e il cielo blu trapunto di luminose stelle, la luna era uno spicchio lontano. Non si parlavano, ma pensavano, inconsapevoli del fatto che, se lo avessero fatto ad alta voce, le loro parole si sarebbero quasi sovrapposte perfettamente tanto erano simili i pensieri.
 
Nella mente di tutti e quattro, poi, improvvisamente, presero forma delle parole di ringraziamento per quel magico cielo stellato, che aveva creato quella sera per parlare, perdonare… e per rimediare.
 
*Spero di fare una one-shot a parte su questa scena solitaria tra Teddy e Victoire, interrotta bruscamente dal caro James….

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Capitolo 9
*** E non ci fu più silenzio. ***


Erano passati tre giorni dall’infausta cena. I bambini erano partiti per Hogwarts. Dudley non si era fatto sentire con Harry, né viceversa.
Nella casa del primo, regnava un silenzio pesante da quella sera. Dudley era imbarazzato, era andato tutto male, e per colpa sua; se solo avesse detto a Darla tutta la verità prima… ma ora era tardi. Darla si comportava normalmente, svolgeva le faccende di casa, andava a lavorare, cucinava, ma in silenzio. Non era mai stata una donna silenziosa, neanche da bambina, aveva sempre colpito le persone per la sua lingua pronta e anche per questo era molto amata e stimata dai suoi pazienti e colleghi. Quel silenzio così rumoroso premeva sulle pareti della casa, quasi a volerla fare esplodere. Quella mattina erano seduti a tavola a consumare il pranzo, mangiavano senza far rumore. Se Darla non parlava, Vernon non proferiva parola, se lui non apriva bocca non lo faceva nemmeno Dudley e il piccolo Bobby non era mai stato un chiacchierone. Il bambino, vedendo le reazioni della madre alla sua rivelazione magica straordinaria, si sentiva come in colpa; capiva che aveva rotto qualcosa e credeva che il peso di quella cosa spezzata, qualsiasi fosse, pesasse sulle sue minuscole spalle. I suoi occhi verdi erano tristi, tra le sopracciglia si era sistemata una rughetta di preoccupazione e pasticciava con la sua pappa senza entusiasmo e senza mangiare nulla. Vernon aveva sempre mangiato tanto, ma da tre giorni quasi non toccava cibo. Fissava il fratellino con aria ferita, quasi si sentisse tradito. Bobby era sempre stato migliore di lui, nonostante i suoi tre anni e mezzo. Aveva gli occhi verdi, il visetto angelico, era tranquillo e piangeva sempre per un motivo, era magro e slanciato e sorrideva a tutti, guadagnandosi subito la simpatia e la tenerezza altrui. Mentre lui era grasso, con la faccia antipatica, sempre curioso dei fatti degli altri. Ma non lo faceva apposta. Era il suo unico modo per conoscere gli altri, non conosceva altro modo.
Quando era più piccolo e Bobby non era ancora nato, sua madre e suo padre erano molto più impegnati col lavoro: Darla aveva appena aperto il suo studio da psicologa, mentre Dudley aveva preso le redini della Grunnings, così lasciavano il bimbo alle cure dei nonni. Nonno Vernon, per non avere delle piante meno curate dei vicini, si cementava col giardinaggio e Vernon usciva nel passeggino con nonna Tunia per delle commissioni. Lei, con gli latri, si comportava proprio come lui adesso. Naso per aria, espressione superiore, alzava un sopracciglio quando qualcosa era “strana”, gli sussurrava in un orecchio che quello “non andava”, quell’altro era “una stramberia” e quell’altro ancora “faceva così perché non stava a posto con la testa”; quando Vernon non capiva, confuso, lei gli sorrideva e gli dava un bacino sulla guancia paffuta. Il piccolo Dursley, che, trascorsa praticamente tutta la sua infanzia con la nonna, le voleva molto bene, iniziò a prenderla per modello. Quando, quasi quattro anni prima, era nato Bobby, Darla e Dudley erano più stabili col lavoro e avevano dedicato più tempo al figlio minore di quanto non ne avessero mai dato a Vernon; il maghetto, quindi, sotto l’influenza amorosa dei genitori, aveva stabilito un carattere migliore di quello del fratellone. Fu in questo momento, mentre tutti erano presi dai loro pensieri, che suonò il campanello. Darla, che si era appena alzata per sparecchiare, andò a vedere chi fosse.
- Oh, ciao Petunia – si sentì dalla cucina.
- Buon pomeriggio, Darla – disse la voce di nonna Tunia. – Spero di non aver disturbato… -
- No no, figurati – disse Darla. – Entra -.
- Grazie – disse la donna. Poco dopo fece il suo ingresso in cucina.
- Nonna! Nonna! – esclamò Bobby, facendo un sorriso a trentadue bianchissimi denti da latte.
Vernon sorrise piano alla nonna, lei ricambiò, anche se aveva un’aria come dispiaciuta.
Dudley si alzò col proprio piatto vuoto in mano e andò a dare due baci alla madre.
- A che dobbiamo questa visita, mamma? – chiese.
- Vi vorrei raccontare una… - Petunia sembrò pensarci su. - …una storia -.
Dudley la guardò, confuso; Darla sembrava più perplessa di lui.
- Intendi dire ai ragazzi? – chiese la donna, senza capire.
- In realtà, se è possibile, vorrei raccontarla a tutti e quattro insieme – puntualizzò. - Se non avete niente da fare, s’intende… - aggiunse.
Vernon balzò in piedi, curioso come sempre.
– Io no – disse. – La scuola ancora non è iniziata, non ho compiti – spiegò.
- Tu dovresti ripassare matematica, me lo avevi promesso – lo rimproverò Darla.
- Lo farò dopo che la nonna sarà andata! – assicurò il ragazzino. Darla sospirò, annuendo.
- Questa settimana allo studio siamo ancora in ferie – comunicò lei.
- Bé, oggi a lavoro pensava a tutto Smith… - disse Dudley.
- Perfetto – decretò Petunia.
Darla fece strada a tutti verso il salotto e si accomodò sul divano assieme a Dudley e Bobby sulle ginocchia di quest’ultimo. Petunia su una poltrona e Vernon sull’altra.
- Che… storia vuoi raccontarci, nonna? – chiese Vernon, impaziente.
- Questa storia, Vernon, parla di due sorelle – incominciò Petunia, prendendo un bel respiro prima di parlare. – La maggiore aveva quasi tre anni quando la minore nacque. I genitori la chiamarono Lily… - la donna fece una pausa. Tutti e quattro la ascoltavano, ma solo negli occhi del figlio, adesso, al sentire quel nome, era comparso un velo di consapevolezza e si fece più attento; Petunia continuò.
– Le due sorelle si volevano molto bene anche se, man mano che Lily cresceva, la sorella maggiore diventava sempre più invidiosa di lei. – lanciò un’occhiata a Vernon, che abbassò lo sguardo sulle ginocchia, in silenzio. - Lily era snella e aggraziata, aveva il visetto magro e con qualche piccola lentiggine, folti capelli rossi, lunghi fino alla vita, ereditati dalla madre, e gli occhi avevano il colore del padre: verdi, verdi come l’erba a primavera, come le foglie di un albero forte e flessuoso, come la speranza della giovinezza, come… - prese un altro respiro, aveva gli occhi lucidi. - Come l’invidia che la sorella maggiore provava nei suoi confronti. Lei era tutto l’opposto della dolce sorella. I capelli erano biondo scuro, gli occhi chiari, quasi privi di calore, ma pieni di rancore. Lily colpiva sempre per la sua simpatia, e adesso so che, a soli nove anni, si era guadagnata un amore che sarebbe durato in eterno. Le due sorelle crebbero e, quando erano sole, la maggiore era protettiva e gentile con Lily. Quando erano sole, era come se tutte le loro differenze sparissero, spazzate via dal loro amore. Sognavano di diventare grandi, innamorarsi dell’uomo perfetto, farsi da damigelle d’onore a vicenda il giorno del matrimonio, far crescere insieme i propri bambini. Lily, però, intorno ai sette anni, mostrò qualche stranezza: faceva nascere fiori da boccioli appassiti, quasi volava dandosi una forte spinta con l’altalena, trasformava pietre in foglie con un solo tocco. Poi, un giorno, successe una cosa che fece trasformare il cuore rancoroso della sorella maggiore in un cuore ferito, che fece arrivare l'odio al culmine. Infatti Lily, l’estate prima del suo undicesimo compleanno, ricevette una lettera giallastra scritta con inchiostro verde, che portava uno stemma in ceralacca rossa. Quella lettera la informava di essere una strega – altra pausa. Fissò i suoi ascoltatori: Dudley la osservava, curioso di sapere del perché stesse raccontando loro quella storia; Darla sembrava aver capito da un po’ dove quel racconto andasse a parare; Vernon continuava a guardarsi le gambe, mortificato, e Bobby ascoltava, entusiasta; Petunia continuò. - Il giorno dopo arrivò una donna vestita con un lungo mantello sopra a dei vestiti normali, che la invitava a iscriversi a una scuola di magia. Spiegò tutto ai genitori delle bambine e, mentre Lily ascoltava, attenta, cercò lo sguardo della sorella, ma quella era salita al piano di sopra a scrivere una lettera al Preside di quella scuola, pregandolo… supplicandolo di permetterle di seguire la sorella. La lettera di risposta arrivò un paio di giorni dopo: il Preside le diceva che no, purtroppo non era possibile. Lily partì a Settembre per quella scuola, la sorella la chiamò mostro – pronunciò la parola con disgusto, come se si vergognasse di averla ripetuta. – Lily frequentò quella scuola per sette anni, tornava a casa per le vacanze di Natale, di Pasqua e in estate, ma il suo rapporto con la sorella si faceva sempre più teso… non che lei non si sforzasse, ma la sua sorella maggiore metteva ogni ostacolo possibile davanti a lei: non rispondeva alle sue lettere e presto Lily smise di scrivergliene. Poi, il settimo anno in quella scuola, Lily s’innamorò. Si chiamava James, si fidanzarono. Nel frattempo la sorella conobbe quello che sarebbe diventato suo marito: entrambe avevano incontrato “l’uomo dei propri sogni” che sognavano da bambine. Lily invitò sua sorella per una cena di riconciliazione coi rispettivi fidanzati, ma James litigò con il ragazzo della sorella maggiore, e la serata finì in un disastro, con Lily in lacrime. La sorella maggiore e il suo fidanzato si sposarono, ma lei non scelse Lily come sua damigella d’onore, come progettavano da piccole. Lily si sposò pure e, al contrario della sorella, la invitò a essere la propria damigella, ma quella rifiutò, non presentandosi al matrimonio. L’ultima lettera che la sorella ricevette da Lily fu trentasei anni fa, quando quest’ultima la informava della nascita del suo bambino, Harry; la sorella maggiore non le rispose, senza nemmeno dirle che, a sua volta, un mese prima, aveva partorito un maschietto – Petunia si interruppe l’ennesima volta, le lacrime le riempivano gli occhi, mentre raccontava della sua infinita invidia, del suo odio gratuito verso la sua sorellina si sentiva lei il mostro. Tutti la guardavano, ormai avevano capito ed erano immensamente dispiaciuti. Petunia finì il suo racconto fissandosi il grembo. - Quella fu la penultima volta che ebbi notizie di mia sorella e l’ultima che ne ricevetti direttamente da lei. Conservo ancora quella lettera. Le altre notizie le ricevetti in una lettera, infilata in delle coperte nelle quali era avvolto un bambino minuscolo con una cicatrice sulla fronte; in questa era scritto che mia sorella era morta assieme al marito e mi pregava di prendermi cura di mio nipote come se fosse mio. Bé, io non trattai Harry come un figlio, lui era il riflesso dell’amore tra mia sorella è uno “spostato” come lei, solo diciannove anni fa mi resi conto della mia stupidità. E solo tre giorni fa ho avuto l’occasione di rimediare – alzò il capo, fissando ogni membro del suo piccolo pubblico, che sembrava ammutolito da quel racconto.
- Dudley, abbi cura della tua famiglia – disse, rivolgendosi al figlio. Lui annuì e sfiorò la mano della moglie, che gli rivolse un piccolo sorriso. - È fantastica e la proteggerò… - sussurrò l’uomo.
- Darla, comprendi mio figlio per le sue scelte e accetta il mondo magico, non ti farà del male – consigliò rivolta alla nuora. Quella assentì, carezzando i capelli biondi di Bobby.
- Mio piccolo bambino – aggiunse rivolgendosi al minore dei suoi due nipoti. – Sei speciale, e ti assicuro che avrai sempre l’affetto di tutti, soprattutto del tuo caro fratello, che ti vuole più bene di qualsiasi altra cosa al mondo, perché so che è così, vero, Vernon? – si voltò verso il nipote, che stava nella poltrona accanto a lei. Gli rivolse uno sguardo carico di aspettative, gli chiese di non fare lo stesso errore che lei aveva commesso. Lui sorrise a lei e poi subito al fratellino, che balzò giù dal divano e gli saltò addosso, ridendo felice.
 
Quando Petunia Dursley uscì poco dopo dal numero quattro di Privet Drive, dando un bacio ai nipoti, alla nuora e al figlio, tutti si sentirono sollevati. Era come se un grosso peso, forse “quella cosa spezzata” cui pensava prima Bobby, fosse appena svanito dalle loro spalle. Iniziarono a scherzare, giocare, sorridersi e punzecchiarsi. E non ci fu più silenzio.


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Salve! Scusate il ritardo e l'inusuale lunghezza del capitolo!
Se ci sono errori di qualche tipo perdonatemi, fatemeli presenti e li correggerò! ^^
Grazie di tutto,
Patta
PS Vi prego recensite!

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Capitolo 10
*** Lettere da Hogwarts ***


Harry e Ginny Potter, quando i loro figli lasciavano Godric’s Hollow per andare a Hogwarts sentivano la loro assenza pesante come un macigno: in casa c’erano più tranquillità, certo, ma molte meno risate, scherzi, urli e giochi che, solo quando mancavano, si facevano sentire.
Ma, nonostante James e Albus fossero partiti già da un mese, c’erano stati parecchi scambi di lettere e poi c’era sempre la piccola Lily, che, oltre a quello, sarebbe rimasta con loro un altro anno ancora prima di andare a scuola.
La bambina trascorreva le giornate ad aiutare la madre, andare dagli zii a giocare con Hugo, sbrigare piccole commissioni e a leggere, sospirante, le lettere dei fratelloni:
 
                                                                                                                                                                                                 Hogwarts, 2 Settembre
Cari mamma, papà e Lily,
 
so che questa notizia sarà strana, inaspettata e tutto, ma… sono stato Smistato, e in Serpeverde.
James è da un po’ che non mi parla per questo motivo e mi dispiace.
Sapete, non è poi tanto male, questa Casa non ha più la reputazione di una volta.
Non è più l’emblema “dei cattivi”, qui ci finisce chiunque abbia ambizione, voglia di mettersi alla prova, furbizia… non credo molto le prime due, ma l’ultima caratteristica è proprio mia!
Ci sono molti compagni simpatici e ho fatto conoscenza anche con alcuni amici di Dominique.
Papà, mi avevi detto che il Cappello avrebbe ascoltato le mie scelte, ma insisteva così tanto! Mi diceva quanto sarei stato bene in questa Casa e io ho ceduto… non ha mai sbagliato un colpo, in fondo e tu ne sei la prova!
Vi prego, non mi giudicate!
Mamma, sono sempre il tuo “figlioletto” e Lily, rimango comunque il tuo fratellone.
Vi voglio bene e non vedo l’ora di riabbracciarvi,
                                                                                                                                                                                                     Al
 
Questa lettera aveva lasciato non poco sorpresi i Potter, ma, rassegnati, avevano rispettato le decisioni di Albus, rispondendogli che non lo avrebbero giudicato e che anche loro gli volevano bene, forse, anche più di prima. Quello che li lasciò sconcertati fu la lettera del figlio maggiore:
 
                                                                                                                                                                                    Hogwarts, 10 Settembre
Mamma, Papà, Lily!
 
Avete saputo? Il figlio fedifrago – non io, Albus – è finito in Serp… vabbé, avete capito! Mi disgusta anche solo scriverlo!
Ho sempre saputo che era un poco di buono, ma d’altronde, dopo un simile capolavoro – questa volta me – non potevate fare di meglio (scusa Lily, a parte te)…
Sapete con chi l’ho visto che chiacchierava amabilmente, il traditore, solo qualche ora fa?!
Con SCORPIUS MALFOY. Sì, proprio lui.
Si vede che è come il padre, con quella faccia da finto angelo…
Sapete, mantiene bene la sua copertura da ragazzo modello! Va bene a scuola, fa tenerezza agli insegnanti, è riservato, educato e gentile! Ah, quanto si vede che è un teppistello! Porterà Al sulla cattiva strada, anche se già essere stato Smistato in Serpeverde non è un buon inizio!
Comunque, qui tutto apposto – con “qui” intendo Grifondoro, ovviamente, non so nulla di che fanno in quell’altra Casa, quella del figlio l’altro, quello fedifrago, tanto per precisare -.
Vi lascio e spero che manderete un bella Strillettera al piccolo Albus e lo mettiate in riga!
Con affetto,
                                                                                                                                                                                          James
 
A stupire i Potter non fu tanto il contenuto di questa seconda lettera - anche se avvertirono Albus di stare attento a Scorpius Malfoy, ma aggiunsero anche che riponevano nel figlio il buon senso nello scegliersi le amicizie – quanto i nuovi sentimenti di James verso il fratello minore. Gli scrissero di dare ad Al la possibilità di ambientarsi e prendere la propria strada, ma non includendo che, secondo loro, semplicemente, James aveva solo paura di non avere accanto a sé il fratellino e temeva per il suo futuro.
Così le giornate passarono e si fecero gli ultimi di settembre.
Il 3 ottobre Lily compiva nove anni, ma la bimba non era euforica come gli anni precedenti. Quell’anno non aveva neanche uno dei propri fratelli con sé e si sentiva sola e sconsolata. Ma, il due ottobre, dopo che Harry e Ginny l’ebbero messa a letto e spento la luce, ricevette una sorpresa, legata alla zampa della candida civetta di James, Edvige; l’uccello picchiò piano col becco contro il vetro della finestra chiusa della bambina per attirare la sua attenzione, poi, non appena Lily ebbe slegato la lettera uscì nella notte, un puntolino nel cielo blu.
La lettera era scritta con la disordinata grafia di James, che Lily però ormai aveva imparato a decifrare:
 
                                                                                                                                                                                         Hogwarts, 1 Ottobre
Cara Lily,
 
Sì, hai capito bene, questa lettera è solo per te, sorellina!
Sbagliamo o qualcuno, domani, fa nove anni?
Ci dispiace non essere con te e saltare sul tuo letto a mezzanotte e un minuto urlandoti “buon compleanno!”, proprio come fai tu con noi.
Tu, sorellina, sei proprio magica e speciale: come avrai capito, a scrivere siamo James ed Al - insieme! – a mezzanotte, in un corridoio buio di Hogwarts, sotto il Mantello di papà. In realtà potevamo benissimo scriverti di mattina nella Sala Grande, ma così c’era più adrenalina…
Spero che, leggendo, si sia fatta mezzanotte - Edvige aveva l’ordine preciso di recapitarti questa lettera verso quell’ora – se non è così, aspetta per leggere…
 
Lily, gli occhi accesi di felicità, lanciò un’occhiata al grande orologio, per scoprire che era mezzanotte meno cinque. Aspettò trepidante mezzanotte e un minuto e continuò a leggere.
 
Aspettato? Davvero? Bene…
BUON COMPLEANNO, LILY!
Ti informiamo che stiamo saltellando sul posto simulando i balzi sul tuo letto.
Sappiamo che stai sorridendo col tuo sorriso con le fossette, in questo istante, e vorremmo tanto essere lì ad abbracciarti e farti il solletico per farti ridere ancora di più, fin quando mamma e papà non verrebbero a dirci che è tardi e di andare a dormire.
Ci manchi tanto, Lily, e non vediamo di rivederti a Natale.
Con tutto l’affetto, gli auguri e il solletico del mondo,
                                                                                                                                                                                                       James & Al
 
Lily ripiegò con cura la lettera e si sistemò per bene sotto il piumone, al caldo.
Dopo qualche istante si addormentò, felice, stringendo forte la lettera, vicino al cuore.

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Ciao!
Scusate per la cortezza di questo capitolo, ma è perché non sapevo come inserire il fatto che Al è diventato un Serpeverde e così questo è diventato un capitolo di passaggio prima di quello che temo sarà l'ultimo...
Vi prego, recensite!
Patta

PS Chi ha visto Harry Potter e i Doni della Morte parte II? Impressioni?

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Capitolo 11
*** Buon Natale! ***


Lily Luna Potter aprì la porta piano, stando attenta a non fare il minimo rumore.
Si inumidì le labbra, si stropicciò gli occhi scuri e li fissò sulla propria preda. Si acquattò, pronta a balzare…
- È NATALEEEEEEEEE! – strillò, saltando sulla figura avvolta nelle coperte del padre, ma non ebbe alcuna reazione. Si alzò dal letto e scostò il piumone, trovandoci sotto due cuscini che simulavano suo padre e sua madre. Si guardò intorno, sorpresa e confusa.
Il cielo fuori era ancora scuro, dato che era mattina presto. La piccola Lily, per quanto coraggiosa, si strinse nella vestaglia, presa da un brivido che non c’entrava nulla col freddo.
Un urlo di battaglia spezzò il silenzio e Lily fu travolta da più persone contemporaneamente, che la fecero cadere sul pavimento.
- Aiuto! – gridò, coprendosi il viso con le mani, e le prese sulle sue braccia si allentarono.
Non sentendo nessun rumore, la bimba sbirciò tra due dita e mise a fuoco chi le stava intorno: sua madre, suo padre, James ed Albus.
- Voi?! – accusò, alzandosi in piedi con aria truce.
James tratteneva a stento le risate; Ginny gli lanciò un’occhiataccia e si chinò sulla la figlia.
- Sì, cucciola, noi – le sorrise, scostandole un ciuffo di capelli rossi dalla fronte. Quella si voltò dall’altro lato, irritata. – Ti abbiamo spaventata? – chiese allora Ginny, preoccupata.
- Vi avviso che è Natale, non Halloween – disse Lily, mettendo il broncio.
- Scusaci, tesoro – disse Harry. – Ma quando tuo fratello ci ha suggerito questo scherzo non abbiamo saputo resistere – si giustificò, facendo un mezzo sorriso.
Lily si rivolse a James, adirata.
- Questi scherzi idioti risparmiali per i tuoi amichetti – sibilò.
James smise di ridere e la guardò stupito.
- Ma non sono stato io a programmare lo scherzo! – disse, alzando le braccia come a difendersi. - È stato Al! – spiegò, indicando il fratello minore, che, in effetti, aveva un’aria colpevole. – Albusino Severino sta diventando intelligente coi suoi compari Serpeverde – ghignò. Albus, sentendosi chiamare in causa, arrossì lievemente, ma riservò comunque uno sguardo torvo a James.
Lily guardò Albus, sgranando gli occhi, il quale implorò perdono con lo sguardo.
- D’accordo – esordì la bambina. – Se è stato Al ad architettare tutto, di certo non aveva cattive intenzioni, quindi vi perdono – sentenziò, decisa, causando l’incredulità di James e un gran sorriso in Albus. Lily diede un bacio sulla guancia a entrambi e scoppiò a ridere, subito seguita da loro e dai genitori.
Harry la prese in braccio e uscì dalla porta della stanza.
- Buon Natale, principessina – le disse, dandole un bacio sul naso pieno di lentiggini. Poi girò leggermente il viso per incontrare le labbra della moglie. – Buon Natale anche a te – le sussurrò.
- Bleah – fece James, fingendo di coprirsi gli occhi con una mano per impedirsi la vista di quella scena.
Harry e Ginny risero, mentre iniziavano a scendere le scale.
- Non credevo che i baci ti facessero tanto schifo quando hai baciato Penny Stewart – disse Albus ad alta voce, mentre la famigliola entrava in salotto per aprire i regali e Harry lasciava cadere Lily dalle sue braccia su una poltrona. Tutti si voltarono a guardare i due fratelli.
Albus presentava una faccia soddisfatta e James era rosso come un peperone.
Harry considerò che stare in Serpeverde stava temprando Albus al punto di difendersi dalle continue frecciatine del fratello e pensò che doveva un favore a quella Casa.
- Bé… - provò a difendersi James, portandosi le mani dietro la nuca, in evidente imbarazzo.
- Apriamo i regali, eh? – suggerì Ginny. Lily si gettò sui pacchi colorati posti sotto il grande albero di Natale, decorato con candele svolazzanti e una fata in cima; Albus, dopo aver lanciato un’altra occhiata divertita a James, fece lo stesso. Ginny si limitò a guardarli cercare i loro regali seduta sulla poltrona dalla quale si era appena alzata Lily, serena.
Harry, invece, non riusciva a capacitarsi: suo figlio, il suo bambino, che baciava una ragazzina? Non se lo immaginava proprio. Restò a fissare James che, ancora rosso in viso, iniziava a scartare qualche regalo. Poi si avvicinò a Ginny e si sedette sul bracciolo.
- Non sei preoccupata? – le chiese, a bassa voce.
- E di cosa? – disse di rimando lei, sorridendo alla vista di James che apriva il regalo di George: scorta di Pasticche Vomitose e Merendine Canarine.
- Bé, per James – disse Harry, come se fosse ovvio.
Ginny sembrò capire in quel momento e lanciò un’occhiata canzonatoria al marito.
- Baciare una ragazza – mormorò la strega, pensandoci su. – No, non mi sembra preoccupante – concluse, stringendosi nelle spalle.
Harry la guardò incredulo.
- Harry – disse allora Ginny, sfiorandogli la mano. – James tra poco farà tredici anni, non è più un bambino – gli spiegò.
- Io a tredici anni non mi preoccupavo di baciare ragazze – si accigliò Harry.
Ginny gli lanciò un’occhiata fintamente torva. - Oh, questo lo so anch’io – scherzò.
- James si deve concentrare sulla scuola! – Harry proprio non capiva perché la moglie fosse così tranquilla. – Il mio primo bacio io… - ma s’interruppe, arrossendo.
Il suo primo bacio non l’aveva dato a Ginny, ma a Cho.
- Ti capisco – sospirò alla fine Ginny, prendendo il volto di Harry fra le mani. – Ma i nostri figli crescono e cresceranno sempre di più, Harry, e né tu né io possiamo farci nulla. Saremo solo dei vecchi genitori che si stupiranno ogni giorno dei loro meravigliosi “bambini” cinquantenni – aggiunse, riuscendo a strappare a Harry un sorriso.
- Venite ad aprire i vostri regali sì o no? – li rimproverò James, mentre aiutava Albus a scartare l’enorme pacco datogli da Charlie e Lily accarezzava quello dei genitori, una deliziosa Puffola Pigmea fucsia.
Harry si alzò e andò ad aiutare i figli maggiori, armato di bacchetta.
- È dello zio Charlie? – chiese. I due annuirono. – Speriamo non sia un drago, non abbiamo abbastanza spazio in giardino – scherzò, causando le risa dei figli.
Ginny andò da Lily.
- Ti piace? – domandò, ammiccando alla Puffola che Lily stringeva felice. La bimba assentì, ipnotizzata dai mille riflessi del pelo del suo nuovo animaletto. Poi, improvvisamente, si corrucciò.
- Ma non ho nessun nome… - si lamentò.
- Che ne dici di Arnold? – propose Ginny, sorridendo.

 
_________________________________________________
Eccomi qui!
Sì, avete capito bene, un altro piccolo capitolo di transizione, proprio non mi va di terminare questa ff!
Ma il prossimo è davvero, irrimediabilmente e tristemente (solo per me) l'ultimo capitolo.
Vi avviso che tutto si aggiusterà e vivranno tutti felici e contenti! Non ho un finale diverso per loro, ne hanno passate troppe! x)
Tornerò presto,
Patta

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Capitolo 12
*** Ciao, Harry. - Andava tutto bene. ***


- James! Albus! Lily! – chiamò forte Ginny dall’ingresso, mentre lei e Harry si infilavano il cappotto.
- Arriviamo! – si udì la voce di James dal piano superiore.
Lily fu la prima a scendere le scale, affannata e con Arnold in mano. Ginny l’aiutò a mettersi la giacca e assicurare Arnold in una tasca; poi le sistemò il vestito giallo a strisce nere.
- Sembri un’apetta - sorrise Harry guardando la figlia e portandole una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio.
- Luna direbbe che somiglia a un Nargillo… - osservò Ginny. – Ma sono punti di vista – concluse, causando le risa di Lily.
Dei rumori li informarono di una corsa al primo piano.
- James! – redarguì Ginny.
- Siamo in ritardo, ragazzi, muovetevi! – aggiunse Harry. – Ma che stanno facendo? – chiese rivolto a Lily.
La bambina si grattò l’orecchio destro, come sempre quand’era a disagio, cercando di formulare una risposta plausibile.
- Lily… - iniziò Ginny. – Ma cosa…? – s’interruppe.
- PRIMO! – gridò James, fuori di sé dalla gioia, mentre scendeva le scale a cavallo della sua nuova scopa fiammante. Seguiva Albus, a cavalcioni della sua, con l’aria sconfitta. Il regalo di Charlie si era rivelato non essere un drago, come temuto da Harry, bensì tre nuove velocissime scope per i nipotini. Inutile citare la felicità di tutti e tre. James giocava nella squadra di Quidditch di Grifondoro come Battitore, insieme a Fred.
- James Sirius Potter ed Albus Severus Potter! – sbraitò Ginny, mettendosi le mani sui fianchi, mentre i figli atterravano sulla moquette dell’ingresso. – Cosa vi avevo detto a proposito delle scope?! – domandò retoricamente.
- Che non si usano in casa – risposero i ragazzini in coro. James fece l’occhiolino a Lily.
- Vi rimprovereremo a dovere più tardi, ora siamo in ritardo –ricordò Harry, dirigendosi in salotto, seguito dalla moglie e dai figli.
Ginny prese un pugno di Metropolvere e lo gettò nel camino acceso. Le fiamme diventarono verde smeraldo.
- Bel colore – osservò Al, pensando alla propria Casa. James fece finta di non sentire.
- Vado io per primo! – annunciò, entrando nel grande camino e abbassandosi per non sbattere la testa. – La Tana! – disse chiaro e forte. Venne risucchiato dal camino.
Albus entrò dopo di lui. Poi fu il turno di Ginny.
- Tesoro, vieni con me? – chiese la strega a Lily. La bambina scosse il capo, sconvolta.
- Mamma! – protestò. – Non vengo nel camino con te da quando avevo cinque anni! -.
Ginny alzò un sopracciglio.
- La Tana – bisbigliò, corrucciata. Sparì.
- Non dire così alla mamma, Lily… - la implorò Harry.
Lily si limitò ad annuire ed entrò nel camino. Scomparve pure lei.
Harry sospirò e si immerse fra le fiamme smeraldine. Provò la familiare sensazione di essere circondato da vento tiepido e confortevole nella fredda giornata invernale. Sussurrò il nome della casa dei suoceri a labbra strette ma in modo chiaro, per non inghiottire cenere. Erano passati tanti anni da quando aveva preso la Metropolvere per la prima volta…
Tenne le braccia strette lungo il corpo e gli occhi semichiusi, gli occhiali ben assicurati in tasca.
Atterrò sul tappeto liso davanti al camino della Tana. Inforcò gli occhiali e vide attorno a sé il salotto pieno. I Potter erano stati gli ultimi.
In poco tempo Harry fu travolto da regali, abbracci ed auguri. Si sedette a tavola, con Teddy da un lato, il posto vuoto per Fred dall’altro e Ginny di fronte.
 
Il pranzo fu consumato alla svelta e in silenzio, così come solo con gli squisiti piatti di Molly si poteva fare. George fece perfino levitare una foglia di lattuga avanzata dal contorno del pollo arrosto fino allo gnomo legato in cima all’albero di Natale; l’essere la divorò, burbero, e lasciandosi scappare epiteti non molto gentili nei confronti del mago, il quale gli tappò la bocca con un pomodoro maturo, fra le risate generali.
Poi tutti si alzarono e i bambini andarono a giocare fuori nella neve, muniti di sciarpe, guanti e cappelli di lana marca Weasley. Tra partite di Quidditch – dove vincevano sempre i cugini più grandi, grazie all’esperienza – e battaglie di neve magiche – dove vincevano i più piccoli, dato che potevano usare la magia tranquillamente – il pomeriggio passò svelto. I bambini rientrarono verso le cinque stanchi e umidi, con le guance rosse per il freddo e per il movimento. Si sedettero per terra davanti al camino o sul divano a giocare a Scacchi, Spara Schiocco e Gobbiglie o a provare le nuove invenzioni di George. Dopo un’altra ora di svago erano tutti esausti. Harry si lasciò cadere sul divano, accanto alla piccola Molly e Hugo, nel pieno di una partita a Scacchi. Si guardò intorno nel caldo ed accogliente salotto della Tana, osservando i suoi familiari.
Molly era su una sedia e stava lavorando a maglia, tenendo anche sott’occhio gli altri ferri che facevano un altro maglione a mezz’aria; Arthur stava seduto accanto a lei, leggendo una rivista di orologi Babbani e sorridendo entusiasta guardando il suo nuovo fiammante, regalo di Percy. Quest’ultimo stava lavando in silenzio i piatti con la moglie, sfiorandosi le mani, mentre Lucy asciugava i bicchieri con una pezza. Dominique stava raccontando qualcosa ad Albus, che annuiva convinto; si vedeva che la ragazza era felice di avere finalmente un cugino nella propria Casa.
Lily sonnecchiava appoggiata alla spalla di James, il quale, insieme a Fred, stava raccontando a Roxanne di qualche bravata combinata a scuola. La bambina, che sarebbe entrata ad Hogwarts l’anno successivo, ascoltava rapita i consigli del fratello e del cugino.
Louis, bravissimo nel disegnare, stava ritraendo Fleur e Bill, messi in posa. Andromeda era uscita qualche minuto prima, per andare a trovare al cimitero la tomba della figlia. Sulla poltrona più appartata, Victoire stava seduta sulle gambe di Teddy, le mani intrecciate alle sue e si guardavano, con un mezzo sorriso; il ragazzo aveva i capelli color fiamma ed era rosso in volto. Avevano annunciato che erano fidanzati un paio di mesi prima, tra il buon grado di tutti e lo sconcerto di James.
Rose stava raccontando concitata qualcosa ai genitori che l’ascoltavano rapiti. Charlie, che non veniva a trovare la famiglia da sei mesi a quella parte, stava raccontando di un Dorsorugoso particolarmente cattivo a Ginny, che lo ascoltava con un gran sorriso, come quando era ancora una bambina. George stava rubacchiando di nascosto un po’ di saliva di gnomo ed Angelina faceva finta di non notarlo mentre stava per versargliene un po’ fra i capelli, solo per bloccarlo all’ultimo secondo e rubargli un bacio, facendogli cadere apposta la bava sulla spalla.
Harry pensò che quella era la sua famiglia, adesso. Lo avevano adottato come un figlio quando era solo un ragazzino e adesso continuavano ad accudirlo ed a volergli bene. Ma Harry aveva un’altra famiglia, fuori di lì, e si rese conto che, senza di essa, non sarebbe stato mai completo.
Erano le sette e mezzo e i Potter erano finalmente tornati a casa, dopo tanti saluti ed abbracci. I bambini si lasciarono cadere sul divano, esausti, scrollandosi la cenere di dosso. Ginny, troppo stanca anche per rimproverarli, mormorò “Gratta e netta”, facendola sparire subito; si fece fare un po’ di spazio e si sedette accanto a loro. Harry stava per accomodarsi sulla poltrona e leggere la Gazzetta del Profeta, quando suonò il campanello.
- Non possono essere Ron e Hermione – osservò Ginny, trattenendo uno sbadiglio. – Ci dobbiamo vedere domani -. Harry posò il giornale sul tavolo e andò a vedere chi era. Aprì subito la porta, senza neanche guardare dallo spioncino. Spalancò gli occhi alla vista di ciò che aveva davanti.
- Ciao, Harry – disse Dudley, semplicemente.
 

EPILOGO

 
- Vado io, Ginny! – disse Harry, spalancando la porta con una gran sorriso. – Dudley! Vi stavamo aspettando! – disse, mettendosi di lato per far entrare il cugino, Darla, Vernon e uno sgambettante Bobby.
- Bobby! – esultò Lily, prendendo in braccio a fatica il cuginetto.
Era il primo settembre. Si ammettevano al primo anno solo i decenni che avrebbero compiuto undici anni entro metà Ottobre e Lily rientrava fra quelli. Erano passati quasi due anni da quel Natale in cui Harry, aprendo la porta, si era ritrovato davanti Dudley e la sua famiglia al completo. Inutile dire che Darla aveva finalmente accettato l’essere “speciale” del suo figlio minore, così come Dudley e Vernon. Da quel giorno si erano frequentati sempre, per conoscersi sempre meglio.
Ginny e Darla, come Harry aveva previsto, erano diventate grandi amiche. Lily aveva stretto molto con Bobby, felicissima di avere finalmente un cugino più piccolo di lei. James prendeva sempre in giro Vernon, il quale però aveva trovato appoggio in Albus.
- Siete pronti? – chiese Darla, osservando James, Albus e Lily che trascinavano i pesanti bauli e le gabbie con gufi ed Arnold.
Le due famiglie uscirono dalla casa e Harry girò la chiave nella toppa.
- Non potresti farlo con… un incantesimo? – Darla sussurrò l’ultima parola.
- Oh, sì che potrebbe – disse una voce, mentre Ron li salutava con un gran gesto della mano. – Ma è per fare scena -. Darla scosse la testa, sorridendo.
- Forza, mamma! – pregò Hugo, tirando Hermione per una manica verso l’auto. – Non vorrai farmi arrivare in ritardo! -. Hermione, a sua volta, si trascinò Ron dietro. Rose li seguì tranquilla: era al terzo anno, ormai, e sapeva che il treno partiva alle undici esatte ed erano solo le dieci.
- Bé, fateci strada – disse Dudley, chiudendo lo sportello della sua auto e mettendola in moto.
Harry fece lo stesso, dopo aver sistemato i bauli nel bagagliaio.
- Allora, ragazzi, ci siete? – disse Ginny girandosi verso i sedili posteriori. – Lily, Albus, Jam… Dov’è James? – chiese.
- Arrivo! – disse il quattordicenne, assicurandosi qualcosa di argenteo in tasca, che appariva rigonfia. Si sistemò il maglione in modo che la coprisse in modo casuale.
Suo padre gli aveva donato il Mantello dell’Invisibilità l’anno prima, in gran segreto, raccomandandogli di tenerlo per sé e di averne cura. Non se ne era mai separato.
- Possiamo andare, adesso, forza! – incitò il padre ad accendere il motore.
Arrivarono prima di quanto Lily avesse voluto. Aveva aspettato quel momento per tanto di quel tempo e, adesso che aveva arrivato, aveva un po’ di paura. Ma si raccomandò di mantenere il sangue freddo. Passò un’altra manciata di secondi, secondo la bambina, ed erano già tra il binario nove e dieci. Strinse più forte che poté il carrello e controllò che il telo coprisse per bene la gabbia di Arnold, in modo che nessun Babbano potesse vederlo.
- Ciao, Lily – cincischiò Bobby, abbracciandole un braccio. Lei gli accarezzò i capelli e si fece baciare sulla guancia. Si rivolse a Darla, Dudley e Vernon.
- Voi non potete proprio venire? – chiese, triste.
- Fino a quando Bobby non avrà undici anni, credo proprio di no – le ricordò Darla. Lei e Dudley glielo avevano detto tante volte, ma la bambina non si capacitava.
Lily annuì e si fece abbracciare.
Poi si voltò nuovamente verso il passaggio e sentì la presenza dei fratelli accanto a lei.
- Statemi vicino – sussurrò.
- Sempre – le dissero in coro James ed Al.
Lily sorrise: andava tutto bene.

 
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Oddio, è finita davvero!
La mia tristezza è al massimo.
Volevo postare ancora più tardi questo capitolo, ma, visto che mi assenterò per cinque giorni, ho capito che sarebbe stato esagerato ed inutile rimandare ancora.
Grazie mille, a tutti. A chi ha recensito in primo luogo, ma anche ai lettori silenziosi, che hanno messo questa ff tra le seguite, ricordate ed addirittura preferite! Un saluto particolare alla mia cara Omonima.
GRAZIE.
Chiara <3

PS Alla fine, come avrete capito, ho reso omaggio a Piton e all'ultima e tanto amata frase di Harry Potter e i Doni della Morte.
NB La cosa che si può frequentare Hogwarts a dieci anni, basta che se ne compiano undici entrò la metà di Ottobre è una cosa totalmente inventata da me, dopo che  
Irishgirl mi ha ricordato che a dieci anni Hogwarts non si può frequentare... 

 
 

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