The punk prince and the dolphin

di Nanix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Terremoto ***
Capitolo 3: *** Un ladro? ***
Capitolo 4: *** Il freddo nei suoi occhi. ***
Capitolo 5: *** il principe punk ***
Capitolo 6: *** Bacio e patate ***
Capitolo 7: *** Ti chiedo scusa ***
Capitolo 8: *** Doccia ***
Capitolo 9: *** Mi fai schifo ***
Capitolo 10: *** V per Vendetta ***
Capitolo 11: *** Il mio delfino ***
Capitolo 12: *** Una brutta sorpresa ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


Doveva essere una giornata normale, assolutamente normale all'insegna della noia oserei dire, invece..invece la terra ha iniziato a girare in maniera opposta. 
Era come vivere una vita sottosopra con gli uccelli nell'acqua e i pesci nel cielo, l'acqua che brucia e il fuoco che bagna. 
Tutto era cosi maledettamente, terribilmente diverso, e io non amo molto i cambiamenti, anzi li evito accuratamente eppure quel cambiamente che all'inizio credevo piccolo e insignificante mi ha fatto vedere le cose da un altro punto di vista. 
Ma forse è meglio partire dal principio.

Provengo da una dinastia di domestici qualificati, lo ammetto l'idea di servire qualcuno non mi esalta per niente, ma in questo modo posso frequentare un prestigioso college e se tutto va come deve andare potrei andare a Yale, o Oxford. Non sò bene quello che voglio diventare, ma di certo voglio rompere la catena di maggiordomi della famiglia Marshall. 
Da più di 100 anni la mia famiglia lavora presso loro, sono persone molto cortesi nei nostri confronti, ma della vita io voglio di più.
Mio madre è morta quando io avevo 5 anni, ero piccola e non me la ricordo bene, anche se mio padre mi ripete spesso che io le assomiglio molto sia fisicamente, sia come carattere e certe volte mi viene spontaneo chiedermi se anche lei qualche volta ha avuto il desiderio d'andarsene da Canterbury.
Mi alzo un pò svogliata dal letto, guardo la sveglia accanto al mio comodino segna le 5 del mattino. Sento mio padre russare rumorosamente nella stanza accanto, non mi va di svegliarlo, sò che è andato a letto tardi per via di una cena che ha organizzato la Signora Marshall.
Mi preparo velocemente indossando la mia divisa da colleggiale, l'ho sempre adorata, almeno sul piano dell'immagine siamo tutti uguali senza differenze evidenti, nella scuola che frequento sono molte le classi benestanti e più di una volta sono stata presa di mira dai ricchi signorini, per non parlare delle ragazze.
Passo davanti allo specchio in camera e mi sistemo nel migliore dei modi il cravattino e cerco di rimuovere quelle piccole pieghe delle gonna, dopo di che mi avvio verso la reggia Marshall.

La casa è immersa in un vasto giardino, circa 50 acri di terra, ed è forse la cosa che preferisco maggiormente della casa e forse di tutta Cantarbury, la pianta che preferisco è il salice piangente molto spesso quando non devo aiutare mio padre a sistemare la casa mi piace restare ai suoi piedi in tranquillità, certe volte leggendo un libro altre facendomi un riposino. ll cielo è nuvoloso e c'è un aria gelida nonostante non sia ancora arrivato l'inverno, il sole non è ancora sorto e la casa, se non fosse per le luci esterne, sarebbe immersa nel buio più totale.
Entro in casa e vengo invasa dal profumo di fragola che si diffonde in tutta la casa, probabilmente la cuoca è già al lavoro. 
Vado in cucina e la vedo tutta indaffarata a preparare la colazione, prima per noi dipendenti e poi per i padroni di casa.

-Buongiorno Brenda-
-Buongiorno Eileen, tuo padre è ancora a letto?-
-Si, ha fatto tardi ieri sera, quindi l'ho lasciato dormire.-
-Brava, hai fatto bene. Tieni dammi una mano-
Mi passa un piccolo grembiule bianco da legarmi in vita e l'aiuto a  preparare la colazione, e il tavolo nel salone principale. Verso le 7 scendono i signori Marshall.
-Buongiorno-
-Buongiorno piccola donna-
Mi è sempre piaciuto quando il signore o la signora Marshall mi chiamavano cosi, fin da piccola ero la piccola donna, per questo motivo lavorando qui mi sento a casa e anche mio padre si trova bene e questa è la cosa più importante.
-Tuo padre?-
-L'ho lasciato dormire un pò di più, tra poco dovrebbe essere qui, ieri ha finito tardi..-
-Hai fatto benissimo, ma tu ora non dovresti andare a scuola?-

Guardo il pendolo accanto alla finestra che da sul giardino e per poco non rischio l'infarto, sono terribilmente in ritardo, mi fiondo fuori dalla porta e di corsa prendo la mia bicicletta appoggiata alla statua del David di Michelangelo, povera statua è diventata un parcheggio per il mio mezzo.
Corro verso la scuola, fortunatamente non dista molto e in breve tempo entro dal cancello secondario dove come ogni giorno da ormai 5 anni posteggio la mia bicicletta. Vedo immediatamente Rosy McGarnet, figlia di un ricco imprenditore e forse l'unica persona che in questo istituto mi porta un briciolo di rispetto nonostante io sia solo la figlia di un maggiordomo.
-Buongiorno Rosy-
-Buongiorno Eileen, come stai?-
-Bene, un pò stanca, ma va tutto bene.-
-Ti dò una mano.-
Prende il mio zaino e me lo tiene finchè non metto il lucchetto alla bicicletta, non mi va di tornare a casa a piedi, non sarebbe la prima volta ma preferisco tornare a casa velocemente. Finito di sistemare la bici le prendo lo zaino e insieme entriamo, in breve tempo veniamo raggiunte da Aaron, il ragazzo di Rosy, ha iniziato a prendermi un pò in considerazione a metà dell'anno scorso, e solo perchè Rosy lo ha minacciato di troncare con lui, nonostante siano assieme da tanto, probabilmente da sempre. Diciamo che è una di quelle coppie programmate per stare assieme, ma si vogliono veramente tanto bene. Rosy è la rappresentante della nostra classe, ottimi voti a scuola, e persona stimata e apprezzata da tutti. Aaron è rappresentante d'istituto assieme ad altri quattro ragazzi con cui io non ho mai avuto a che fare, anche lui ottimi voti a scuola, figlio di uno dei migliori chirurghi dell'Inghilterra, e perennemente in viaggio, titolare della squadra di calcio della scuola e una borsa di studio assicurata per Harvard. Una vita perfetta non c'è che dire, non a caso è uno dei ragazzi più invidiati a scuola.

-Forza entriamo. La prima ora abbiamo letteratura, e non mi va di entrare tardi.-
Entrare tardi alle lezioni erano una cosa che odiavo, e che onestamente non potevo permettermi, non ero vista di cattivo occhio solo dai ricchi compagni viziati ma anche i professori non avevano una buona considerazione della sottoscritta, la sola cosa positiva è che ero molto brava e quindi i miei voti era alti, ma tutto questo era frutto di un duro lavoro e di una buona preparazione, non di certo perchè mio padre era ricco sfondato, o perchè era uno dei migliori investitori della scuola come il padre Taira Queen. Un nome un programma.

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Capitolo 2
*** Terremoto ***


Per l'appunto, si parla del diavolo e spuntano le corna.
Taira Queen, un nome perennemente sulla bocca di tutti, sia nel bene che nel male. Non ho mai capito qual'è il motivo principale della sua popolarità: il padre uno dei maggiori finanziatori dell'istituto, ricco anzi no ricchissimo industriale molto famoso in tutta l'Inghilterra, madre amministratrice di tre industrie e proprietaria di una quarta. Ho avuto modo di incontrarli una volta in casa Marshall durante una cena, e se la prima impressione è quella che conta, bhe sono persone che eviterei per tutta la vita. Possiedono una casa poco più grande di quella dei signori Marshall, e con quello che guadagnano la cosa non mi sorprende. 
Poi arriviamo a lei, Taira, la personificazione della crudeltà. L'ho già detto vero che è ricca e viziata. Quello sarebbe il minimo.
Guarda gli altri come se non valessero nulla, e non mi riferisco solo a me, ma anche alla maggior parte dei mie compagni di scuola, eccetto Rosy, un briciolo di rispetto a lei lo porta, ma credo sia dovuto al fatto che siano cugine di secondo grado, altrimenti anche Rosy verrebbe trattata male.
Costantemente seguita da altre due oche, Kim e Ashley, più che amiche io le vedo come due cagnolini da compagnia, non hanno voce in capitolo su quello che dice o che fa Taira, anzi l'aiutano o la coprono a rovinare la vita a chiunque le capiti difronte, e io sono una delle vittime preferite. 

Ogni anno mi fanno sempre qualche scherzo, in prima mi hanno chiuso nello sgabuzzino per tutto il giorno, senza luce e senza neppure un piccolo spiraglio per respirare, ho creduto di morire, fortunamente dopo molto tempo che urlavo come un'invasata il bidello, guardandomi ovviamente male e dandomi della stupida, mi ha fatto uscire, in seconda hanno messo una notevole quantità di pipistrelli nel mio armadietto, e quando l'ho aperto mi sono venuti tutti addosso, fortunamente Rosy passava di li in quel momento e mi ha aiutato, graffiandosi a sua volta. In terza fortunatamente Taira è andata in America, e quindi quell'anno sono stata fortunata, perchè ovviamente le altre due non avevano il coraggio di farmi qualcosa, infine in quarta per 6 volte mi hanno distrutto e rubato la bicicletta e questo capitava perennemente durante l'inverno, e quindi mi capitava molto spesso di tornare a casa a piedi sotto l'acqua o addirittura mentre nevicava, quest'anno chissà che farà, ormai sono pronta a tutto.

Stavo parlando con Rosy, terminate le lezione, quando Taira ci passò accanto, o meglio mi venne addosso di proposito facendomi cadere tutti i libri e le sue care seguaci vi camminarono sopra.
-Ehi TU stai attenta la prossima volta-
-Mi sembra superfluo farti notare che sei stata tu a venirmi addosso di proposito, Taira.-
-Io non credo, ma se preferisci possiamo chiedere agli altri ragazzi.-
Ecco sempre la stessa storia, lei combinava qualcosa, e io venivo incolpata, eh già perchè ovviamente una persona intelligente si chiude da sola nello sgabuzzino, mette i pipistrelli nel suo armadietto, smonta la propria bici in inverno per sei volte, e fa cadere i libri per poi calpestarli. Purtroppo io rispetto a loro, sono inferiore, solo socialmente parlando, perchè più li frequento e più mi rendo conto d'essere un gradino sopra a tutti.
-Rosy io vado. Ci vediamo domani.-
-Ok ciao.-
Saluto Rosy e vado alla bici che ovviamente ritrovo con le ruote buche, ormai non mi arrabbio più, mi stupisco di più quando le giornate passano tranquille senza incidenti, tolgo il lucchetto e mi avvio verso l'orfanotrofio, dove da quasi 3 anni faccio un pò di volontariato.  

L'edificio è stato ristrutturato circa 6 anni fa, è stato ampliato aggiungengo 40 camere, 3 sale ricreative, 2 cucina e anche una piscina, dove io aiuto i bambini a nuotare, mi piace stare qui, è la mia piccola oasi di pace, dove sò di venire rispettata e sono tranquilla aiutando il prossimo.
ST.Marianne, questo è il nome che appare sopra il cancello, sò già che molti bambini mi aspetta in piscina, ma uno in particolare sò che è nascosto dietro alla grande quercia al centro del giardino, mi avvio aspettando che esca allo scoperto saltandomi a spalle come fa sempre, e ciò avviene a metà vialetto.
-Ehi piccolo terremoto, come stai?-
-Benissimo, perchè hai fatto tardi?-
-Mi hanno fatto un altro scherzo, forza andiamo in piscina.-
Lo prendo per mano e lo osservo. Il piccolo terremoto in realtà si chiama Ryan, l'ho trovato due anni fa solo e spaventato  sotto un ponte, quella sera pioveva  tantissimo, sembrava il diluvio universale, e io stavo tornando  a casa dopo un pomeriggio passato con i bambini del St. Marianne, passai per caso accanto a quel vecchio ponte ormai in disuso da anni, generalmente faccio la strada opposta ma quella era la via più breve per tornare a casa.
Sentii guire un cagnolino e fu lui a catturare la mia attenzione, mi avvicinai e vidi un piccolo di pastore tedesco che leccava un bambino, mi venne da piangere, e senza pensarci troppo gettai l'ombrello e la bicicletta sul ciglio della strada e mi fiondai per soccorrerlo. Pensai fosse una cosa semplice, ma seppur piccolo il cagnolino mi morsicò il braccio per difendere l'amichetto. Con calma riuscii a tranquillizzare entrambi e il bimbo si avvicinò a me tremante, un pò per il freddo e un pò per la paura, lo portai immediatamente all'orfanotrofio dove io e la titolare lo accudimmo tutta notte, quando fu mattino lo guardai attentamente.
Assomigliava al piccolo principe, per questo lo battezzai Ryan, che significa appunto piccolo prince. Era molto magro, e su tutto il corpo aveva dei lividi, in particolare sulle braccia, un taglio sulla fronte lungo quasi 3 centimetri, i capelli biondi gli cadevano morbidi sul viso, nascondendo due occhi dolcissimi azzurri, labbra rosee con un piccolo taglietto sul labbro superiore, e un nasino alla francesina.
Sembrava una bambina, e faceva una tremenda tenerezza.

Ora a distanza di due anni lo osservo, e noto che notevo cambiamento che ha avuto. Mangia tanto, e ha messo su molti kili, si è fatto più alto, ma la cosa bella è che sorride sempre a chiunque, ama molto stare con gli altri bambini, e dato che è il più grande si sente in dovere di occuparsi di loro, nonostante ci sia la titolare, i due figli che di tanto in tanto aiutano, Carlos un volontario di origini spagnole e la sottoscritta.
Accanto a noi trotterella allegramente il suo fedele amico, Rex, il cagnolino che due anni fa mi morsicò il braccio ora è diventato un bel cagnolone che continua a difendere il suo eterno amico.
Ci dirigiamo tutti e tre assieme verso la piscina, dove appena apro la porta vengo investita da una marea di ragazzini in costume sorridenti e urlanti.

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Capitolo 3
*** Un ladro? ***


Entrando vidi Carlos, sul bordo della piscina, che cercava in vano di tenerli a bada. Erano bambini tutti molto, certe volte troppo vivaci, ma più stavo con loro e più ero contenta di questa cosa perché in questo modo mi dimostravano di stare bene.
Molti di loro hanno alle spalle situazioni familiari difficili, e benchè siano bambini, hanno trovato a forza di tornare a sorridere fidandosi ancora di chi stà loro accanto, c’è molto da imparare.

Li saluto tutti uno ad uno con un bacio sulla guancia.

-Aspettatemi qui, vado a cambiarmi.-

Andai nello spogliatoi e mi tolsi la disiva indossando in custume e la cuffia, presi gli occhiali e mi avviai di nuovo da loro, li vidi tutti in fila sull’attenti come dei bravi soldatini.

-Bravi, allora. Uno…Due…Treeeee.-

Al mio tre ci tuffammo tutti quanti in acqua inziando a schizzarci, io basavo ai bimbi dai 5 agli 8 anni, mentre Carlos ai più piccoli.
Anche lui è un volontario, da quasi 8 anni, e ha molta più esperienza e pazienza di me. È spagnolo, e come i bambini, ha una situazione difficile in famiglia per questo motivo è venuto in Inghilterra, qui ha una zia, sorella di sua madre che fino a tre anni fa lo ospitava, mentre ora, per non disturbare troppo, ha deciso di vivere da solo in un piccolo appartamentino fuori Canterbury.
Carlos, ha 29 anni, ma sembra molto più giovane, i lineamenti sono molto aggrazziati, gli occhi scuri e profondi ora brillano, la prima volta che venne qui, da come mi disse una volta la titolare, era molto cupo e triste, era molto difficile stargli accanto perché allontanava tutti, solo lavorando qui a contatto diretto con bambini come lui, dalle situazioni pressoché simili è riuscito a lasciarsi andare tornando a fidarsi degli altri.
Da quando lo conosco, non sono mai riuscita ad immaginarlo con gli occhi tristi e spenti, è sempre sorridente con tutti, uno sorriso che mette allegria e scalda il cuore, uno di quelli che ti tira su di morale quando sei scoraggiato, ora in piscina ride e scherza mentre qualche ciuffo nero esce dalla cuffia, si volta per prendere un bambino e rivedo la cicatrice che ha sulla schiena.
Solo quasi due anni che lavoravo qui, mi disse della cicatrice, io me n’ero accorta da molto tempo, ma non chiesi mai nulla, fu lui a raccontarmi la sua storia: era stato il padre, ubriaco e violento, di ritorno a casa preso dalla rabbia si scagliò contro la madre invalida e le assestò dei violenti colpi in viso, Carlos quel giorno era in gita, aveva 13 anni e amava molto la scuola perché era l’unico modo per star lontano dal padre, quel giorno rincasò più tardi del previsto, fuori dalla porta di casa sentì suo padre urlare, si scagliò dentro e vide sua madre in pessime condizioni sulla sedia a rotella impossibilitata a difendersi, prese un coltello in cucina e si lanciò addosso al padre. Ma come può un bambino di 13 anni pensare di farcela con un padre grande quasi il doppio? Finì rovinosamente a terra sbattendo la testa e perdendo per qualche istante conoscenza, il padre tornò a picchiare la madre che piangeva e chiedeva aiuto con la flebile voce che aveva, Carlos, ritornò a colpirlo ma il padre stanco di quel moccioso gli diede una coltella alla schiena lasciandolo steso sul pavimento, mentre il sangue continuava ad uscire inesorabile. Quel che accadde dopo nemmeno lui lo ricorda, gli è stato raccontato che un vicino di casa sentendo le grida chiamò la polizia e l’ambulanza, e furono portati d’urgenza in ospedale. Sua madre finì in come e morì due giorni dopo, mentre a lui rimase la cicatrice, il padre fu arrestato e ora si trova nel carcere di Madrid.
Alla fine disse solo –Con questi bambini sono rinato, c’è veramente tanto da imparare da loro, hanno una forza interiore devastante-
Ed è proprio così la forza di quei bambini non è per nulla paragonabile alla forza degli adulti.
Dopo due ore di piscina richiamo, assieme a Carlos, i bambini e li faccio entrare in orfanotrofio dove saluto la titolare, dopo di ché mi cambio e mi avviò verso casa.
Ormai fuori è già buio nonostante siano solo le 17, e i lampioni in quella via sono radi, ma ormai è da diverso tempo che faccio quella strada e la cosa non mi spaventa.

Arrivo a casa, sistemo la bici accanto alla statua, vado in casa, mi cambio velocemente e poi vado da mio padre, dove lo trovo intento a spolverare gli scaffali pieni di libri.

-Ciao papi.-

-Ciao tesoro, come è andata?-

-Come al solito-

-Capisco, stamattina perché non mi hai svegliato? Per fortuna avevo la sveglia d’emergenza.-

-Stavi dormendo come un ghiro, e non volevo svegliarti. Dai ti aiuto, che devi fare.-

-Ok, tieni, e aiutami a lucidare le posate-

Mi passò uno stracciò e mi misi all’opera, guardando di soppiatto mio padre. 50 anni suonati ma portati veramente molto bene, un po’ brizzolato dai capelli rigorosamente corti e ben pettinati, fisico asciutto senza un filo di grasso, occhi color nocciola dolci e profondi, labbra sottili l’opposto delle mie, tendenzialmente sorridenti, in fondo per quanto essere un maggiordomo non sia quello che uno si aspetta dalla vita, in casa Marshall regna sempre la serenità, e non sono la sola a pensarlo, ma è un idea che unisce tutti quanti i dipendenti. Ricchi ma umili e questo è lodevole da parte loro.

Terminate le pulizie ceniamo prima dei Signori, e mentre mio padre alle 22 si corica a letto, io approfitto del silenzio per studiare un po’. La tranquillità dura forse un paio d’ore perché verso mezzanotte sento il rombo di una moto avvicinarsi al cancello, non sarebbe la prima volta che capita, questa volta però i rumori sono più vicini, sistemo il libro sul mobile e resto in ascolto accanto alla porta. I passi di qualcuno nel giardino sono chiari e si stanno avvicinando alla casa Marshall, afferro il bastone delle emergenze e senza far rumore esco in giardino.

Vedo una figura che si aggira furtivamente, istintivamente gli salto addosso e gli do una bastonata in pancia.

-Ahi, che cazz…-

Non gli do il tempo di finire la frase che lo colpisco di nuovo, ma lui è più grande e più forte di me, senza troppa fatica mi afferra per polso stringendolo con forza obbligandomi a mollare l’arma. Mi fa malissimo e gli morsicò la mano, lui urla per il dolore mi spinge via facendomi cadere contro l’albero, sono a terra lui viene sopra di me e mi afferra per il collo della maglia.

Con una mano cerco di spingerlo via mentre con l’altra afferro un po’ di terriccio e glielo gettò negli occhi per stordirlo momentaneamente, perde la concentrazione e io ne approfitto per capovolgere la situazione. Io ora sono sopra di lui e tento di strangolarlo, facciamo continui cambi di posizione per altre 4 o 5 volte finché le luci non vengo accese in tutta la casa.

-Che succede?-

Riconosco immediatamente la voce di mio padre seguito dal Signor Marshall e dalla cuoca.

-Aiutooooo un ladro.-

Quando arrivano a soccorrermi il tizio sopra di me si alza e si pulisce alla bene e meglio i pantaloni, avrei giurato che scappasse immediatamente, invece resta fermo immobile aspettando che arrivino gli altri.

Fu il Signor Marshall a parlare per primo.

-Tu che ci fai qui a quest’ora?-

L’intruso sorrise di sbieco guardandolo con quell’aria di superiorità che ho visto in troppe persone..

-Ciao papino..-

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Capitolo 4
*** Il freddo nei suoi occhi. ***


Papino? Non avevo idea che i signori Marshall avessero un figlio, dove diavolo era stato per tutto questo tempo? Perché nessuno mi aveva mai detto nulla? O quanto meno avrebbero potuto avvertire del suo arrivo, avrei certamente evitato di prenderlo a bastonate.
A fatica mi rialzai aiutata da mio padre, ero rimasta completamente senza parole, dovetti farmi dare un pizzicotto dalla cuoca per farmi riprendere.
-La prossima volta tenete a bada il cane da guardia, mi ha fatto male.-
-E tu signorino la prossima volta torna a casa ad un orario ragionevole.
Forza è tardi è meglio rimandare le spiegazioni a domani.-
Il Signor Marshall si scusò da parte del figlio che ovviamente non solo non mi aveva chiesto scusa ma non si era nemmeno interessato a come potevo stare dopo quello scontro.
Io e mio padre tornammo in casa, sapevo benissimo che il ragazzo mi stava fissando e seguiva ogni mia mossa, uno sguardo che ti trafigge e ti annienta, per nulla amichevole, uno di quelli che odio tremendamente.
In casa mio padre mi  aiutò a disinfettare le ferite per evitare che facessero infezioni, dopo di ché ce ne andammo a letto, il riposo in quel momento era la cosa migliore per tutti.
Il mattino seguente, nel salotto di casa Marshall, trovammo tutti quanti già svegli benché fossero solo le 6 e mezza, e per giunta di domenica.

-Buongiorno, mi scuso per l’inconveniente di ieri sera, non avrei dovuto attaccare in quel modo vostro figlio.-
Mi stò scusando solo per non mettere in cattiva luce mio padre, non di certo perché mi sento in qualche modo colpevole.
-Eileen, non devi assolutamente scusarti, non avresti dovuto farlo solo perché era molto pericoloso per una ragazza, se fosse stato realmente un ladro forse ora non saresti qui.-
Le parole del Signor Marshall mi colpirono, non avevo valutato l’idea che probabilmente, se al posto del loro figlio ci fosse stato un ladro veramente, mi avrebbe fatto più male senza troppi problemi.
Guardai sia il signore che la signora Marshall, il loro sorriso mi tranquillizzava e mi faceva sentire meno in colpa.
-Eileen, probabilmente non lo ricordi, ma lui nostro figlio Dylan, quando eravate piccoli eravate molto spesso assieme, quasi come fratello e sorella, a 10 anni è andato a vivere assieme ai nonni a New York.-
-Si caro papino e ci stavo bene, se tu non avessi smesso di mantenermi e il nonno non avesse avuto la brillante idea di farmi lavorare, ora sarei ancora la. Invece no, eccomi qui, in Inghilterra, dove il tempo è perennemente tetro, a vivere sotto lo stesso tetto con una cagnolino da guardia formato ragazza, che per quanto tu dica era mia amica, io non voglio avere nulla a che fare con la figlia di un maggiordomo.-
-Ora basta Dylan, vattene in camera tua e restaci, se non vuoi morire di fame e vivere sotto un ponte, ti conviene rispettare le regole in questa casa e portare rispetto a chi vi abita, e ora vattene. Scusalo Eileen.-
-Non si preoccupi, ormai sono parole che non mi feriscono, anzi fanno capire molte cose.-
Ormai discorsi di questo tipo, o parole offensive ne sentivo ogni giorno da chiunque, una volta in più o in meno non cambiava nulla, nemmeno se a dirle era il loro figlio. Nessuno a questo mondo avevo diritto a mancarmi di rispetto in questa maniera, io valevo quanto loro se non di più.
Dylan stava salendo le scale, per andare in camera, ma vedendo che le sue parole non mi facevano effetto rimase a fissarmi per qualche istante, come un lupo che aspetta il momento giusto per attaccare la sua preda. Non disse nulla, non ne aveva bisogno, me l’avrebbe fatta pagare e quello era certo.

Rimasi per quasi un ora in salotto con gli altri, e mi raccontarono un po’ la storia di Dylan, e del rapporto che avevo con lui.

-Tu e Dylan avete solo un anno di differenza, e da piccoli eravate sempre assieme, non so chi dei due seguiva l’altro ma resta il fatto che, dove c’era uno c’era anche l’altro, e nei tuoi confronti era molto protettivo: quando tuo padre ti sgridava lui subito prendeva le tue difese, quando tu piangevi, specialmente dopo la morte di tua madre, lui si comportava da stupido per farti ridere. Ricordo che una volta gli chiesi come mai si comportava cosi, mi disse solo “Lei è più bella quando ride” mi venne da ridere, ma aveva ragione, fin da piccola il tuo sorriso metteva allegria, peccato che con gli anni sia cambiato molto.
Stavo parlando con loro quando scese Dylan. Pantaloni di pelle con una catena attaccata ai passanti della cintura, anfibi neri un po’ consunti in più punti, giubbino di pelle dell’Harley Davidson anche quello un po’ datato. Scende le scale, come se fosse un divo, testa alta, incurante delle persone li attorno. Attira l’attenzione quello è poco ma sicuro.
-Dylan, dove credi d’andare?-
-Affari miei.-
Mi passa accanto urtandomi, guardandomi fisso negli occhi.
Dannatamente bello.
Dannatamente presuntuoso.
Dannatamente sicuro di sé.
Dannatamente lui.
Non ho mai guardato nessun ragazzo con particolare interesse, specialmente se si tratta di un ragazzo ricco e viziato, ma lui è una calamita per i miei occhi.
Camminata sicura di chi sa il fatto suo e non ha paura di nulla, fisico modellato probabilmente dovuto al tempo passato in palestra, viso ovale dalla pelle candida e dagli zigomi marcati,  labbra carnose, quel tanto per renderle seducenti, un piccolo naso, normale, almeno qualche tratto di persona normale ce l’ha anche lui, capelli folti e neri, di media lunghezza, decisamente molto curati, e per finire gli occhi che mi hanno attratto come un magnete.
Freddi e distaccati.
Eppure quegli occhi cosi incredibilmente azzurri da sembrare bianchi hanno la capacità di leggerti dentro, di capire ogni tuo pensiero, di sapere esattamente quale sarà la tua prossima mossa.
Quegli occhi hanno la potenza devastante di un tornado.
In quel momento mi resi conto che la mia vita sarebbe cambiata, ma come nel bene o nel male?

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Capitolo 5
*** il principe punk ***


Dopo che Dylan uscì dalla porta sentii il rombo di una moto, la stessa che avevo sentito nella notte, la scia di profumo che aveva lasciato era incredibile. Tutto di quel ragazzo era incredibile, e tremendamente spaventoso. Carlos avrebbe potuto attirarmi, il ragazzo delle pizze all’angolo della strada o il ragazzo che ogni tanto incontravo quando andava alla biblioteca comunale, ma non lui. Non mi riferisco alla sola differenza sociale, perché per quanto sia un grosso problema non era insormontabile, ma a tutto quanto, dal suo pessimo carattere e alla sua bellissima persona.
Due cosa opposte in una sola persona.
-Eileen ha capito?-
Fu il signor Marshall a farmi ritornare in me.
-No, mi scusi non stavo ascoltando.-
-Stavo dicendo che da domani lui frequenterà il tuo stesso college, mi raccomando, per quanto possibile prenditi cura di lui.-
-Coooosaaa? La mia vita è già abbastanza rovinata cosi, penso che non sia il caso di stargli troppo addosso, vorrei passare l’ultimo anno in maniera tranquilla se è possibile.-
Il signore e la signora Marshall risero, una risata composta, diversa dalle mie, perfino nelle risate siamo diversi.
-Capisco, ok, diciamo che se ti capita evita di fargli fare disastri.-
-Ma scusate perché non è rimasto a New York?-
-Si è trasferito a 10 anni a New York è da rimasto a vivere assieme a mio padre aiutandolo nei campi mentre sua nonna era in ospedale. Ha iniziato le scuole la, e fino ai 15 anni le cose andavano bene, da solo non si manteneva, e quindi gli mandavo una cifra al mese per evitare che utilizzasse i soldi di suo nonno, lo aiutava di tanto in tanto mentre andava a scuola, poi ha iniziato a frequentare cattive compagnie, finendo addirittura in carcere. Da quel momento sono iniziati i problemi. A scuola non andava, stava in giro tutto il giorno, e io ho iniziato a non mandargli più un soldo e mio padre gli disse o di trovarsi un lavoro o di tornare a Canterbury, e quindi eccolo qui.-
-Capisco, quindi è diventato una sorta di principe teppista.-
-Si.-
Bene, oltre ricchissimo, viziato fino al midollo, dannatamente perfetto è anche un teppista. Ecco sono proprio quei momenti in cui ho una grandissima voglia di sparire da quella casa, non bastavano quei compagni di classe a rovinarmi l’esistenza, no, doveva arrivare anche quel dannato punk.
Guardai l’orologio, era già passato mezzogiorno, e nessuno aveva ancora preparato il tavolo e il pranzo.
-Sarà meglio mettersi ai fornelli.-
-Noi, oggi usciamo abbiamo un pranzo importante, buona giornata.-
-Buona giornata a voi.-
Meglio cosi, li salutai e assieme a mio padre andai a casa.
Indossai il cappotto e presi un ombrello.
-Vado a prendere la pizza.-
Fuori pioveva e il cielo era scuro nonostante fosse giorno, faceva freddo eppure eravamo in autunno e per oggi le previsioni avevano messo cielo sereno.
Conoscevo quel tratto di strada a memoria, avrei potuto farla tranquillamente anche ad occhi chiusi, di tanto in tanto mi capitava d’andare a prendere la pizza invece che aspettare la cuoca per la cena o il pranzo.
Vidi il solito vecchio cartellone che raffigurava la pubblicità di un rossetto, chissà quanti anni aveva, probabilmente ormai non era più nemmeno in commercio, mi dava comunque un senso di sicurezza. Era qualcosa che di li non si staccava, qualcosa di fisso che sarebbe rimasto per sempre. Come se la parola per sempre esistesse realmente.
Dopo la morte di mia madre mi sono resa conto che quella persona che sarebbe stata con me per sempre era sparita, se n’era andata e non sarebbe mai tornata.
Inutile che le persone mi dicano che lei è al mio fianco, perché se anche lei può vedermi e sentirmi io non posso.
Non posso parlare con lei, non posso sentire i consigli di una madre, non so quello che pensa di ciò che faccio o di ciò che dico.
E la cosa peggiore ho paura d’innamorarmi perché non so come gestire la situazione, certo potrei chiederlo a mio padre, ma non è la stessa cosa, non è come chiederlo alla propria mamma.
Stava facendo tutti quei pensieri quando sentii il rombo di una moto giungere in velocità, inizialmente non ci fece caso, pensando che in prossimità di una pozzanghera piena d’acqua avrebbe certamente rallentato, invece no.
Prese in pieno la pozza e mi bagnò dalla vita in giù, si voltò a guardarmi, pensando stupidamente per chiedermi scusa, invece no, si girò per ridermi in faccia e quando riconobbi a chi apparteneva il viso, per poco non svenni.
-Dylan, sei fortunato che sei il figlio dei signori Marshall, altrimenti non la passeresti liscia.-
Pensai di dirlo a bassa voce, ma venne fuori un urlo stridulo che arrivò alle sue orecchie, mi venne vicino, afferrò il polso con prepotenza, facendomi cadere l’ombrello che finì davanti alla sua moto, portandomi a pochi centimetri da lui. Sentivo il suo respiro e un forte odore di birra mentre mi fissava dritto negli occhi, cercai di non abbassare lo sguardo ma mi intimoriva, molto più di Taira, e di tutto quelli che mi avevano preso di mira fino adesso.
-Mi spiace, ragazzina, ma sarai tu a non passarla liscia d’ora in poi. Hai avuto una vita fin troppo tranquilla per i miei gusti. Mi raccomando e appena arrivi a casa vedi di sistemare la mia stanza, è uno schifo.-
Si mise a ridere, anche se onestamente io ci trovavo ben poco di divertente in tutto questo. Ero bagnata dalla testa ai piedi e lo stronzo non si preoccupò minimamente di spostare o quanto meno di evitare l’ombrello col risultato di rompermelo a metà.
Speravo che persone cosi maligne esistessero solo nei libri, ma a quanto pare non avevo mai incontrato qualcuno come lui.
Presi la pizza, ringraziando il Signore che non ci fosse nessuno nel locale, altrimenti avrebbero pensato che fossi una pazza da come ero conciata.
Arrivai a casa di corsa, ed evitai accuratamente di spiegare l’accaduto a mio padre, trovando una scusa pressoché plausibile, anche se probabilmente non credeva ad una sola parola di quello che gli dissi.
Prima di mangiare feci una doccia veloce, caldissima e rilassante dato che stavo morendo di freddo e come domenica non si era rivelata molto tranquilla, anche fin troppo movimentata per i miei gusti.
Dopo mangiato, con poca anzi pochissima voglia salii in camera di Dylan.

Grazie a tutte quelle che leggono e recensiscono, scusate per questo capitolo un pò cosi..


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Capitolo 6
*** Bacio e patate ***


In camera di Dylan trovai realmente il caos più totale, e dire che era arrivato li solo da qualche ora, dopo una settimana la sua camera com’era?un campo di battaglia?
-Che disordine. Viziato, arrogante, maleducato, disor..-
Stavo facendo l’elenco dei suoi molteplici difetti, ma non riuscii a terminare la frase perché dalla porta del bagno, che da direttamente sulla camera, uscii Dylan, mezzo nudo, il che mi fece tappare la bocca anche per quella visione.
Sperai con tutto il cuore che non avesse sentito nemmeno un insulto, ma mi sbagliai di grosso.
Si fece più vicino, troppo per i miei gusti, e per quanto io cercassi ardentemente di non guardarlo, il mio sguardo si posava continuamente sul suo fisico perfetto.
Sembrava un bronzo di Riace, addominali scolpiti, spalle larghe, quel tanto che bastava per sentirsi al sicuro e allo stesso tempo intimoriti.
-Prego continua pure con gli insulti.-
-Emh, ho sistemato, ora vado.-
Presi lo straccio che avevo usato per rimuovere la polvere e andai verso la porta della stanza, Dylan mi cinse la vita facendo combaciare il suo petto alla mia schiena.
Avvicinò il viso al mio e sentii il suo respiro sul collo e questo mi provocò dei brividi lungo la schiena.
-Stai attenta bambolina.-
Fece scorrere la sua lingua sul collo fino arrivare all’orecchio che morsicò leggermente aumentando i brividi che ormai erano diventati i padroni del mio corpo.
Riuscii ad uscire dalla stanza, pregando il Signore che si trattasse di un sogno e non della realtà, per qualche strano motivo mi voltai verso la stanza e lo vidi appoggiato alla porta mentre mi sorrideva divertito, che razza di pervertito avevano i signori Marshall?!
Mi feci una bagno rilassante, ne avevo veramente bisogno in quel momento, non riuscivo a capire il motivo di quell’atteggiamento decisamente ambiguo, probabilmente il suo interesse era di farmi innervosire e mandarmi sull’orlo di una crisi di nervi.
 
Il mattino seguente mi svegliai in ritardo, la sveglia non aveva suonato, mio padre non si era minimamente preoccupato di chiamarmi e per giunta la mia bicicletta era ancora rotta, non avevo ancora avuto tempo di sistemarla durante il fine settimana.
Come una pazza riuscii ad entrare in classe giusto due secondi prima dell’arrivo dell’insegnante. Oltretutto alla prima ora avevo matematica e per quella professoressa ero una spina nel fianco, fortunatamente amavo quella materia e per quanto l’insegnante fosse odiosa nei miei confronti avevo sempre una buona media, forse non da borsa di studio ma me la cavavo.
Durante la pausa andai con Rosy e Aaron in mensa, dove notammo immediatamente un gruppo sostanzioso di ragazze che accerchiavano un ragazzo, inutile dire che quel ragazzo era Dylan.
Gli passai accanto assieme agli altri, sperando d’essere abbastanza invisibile per lui, ma come un aquila, appena mi vide mi chiamò.
-Ehi, Leen, prendimi da mangiare.-
Gli avrei risposto molto volentieri d’arrangiarsi e che non ero la sua serva, ma pensai a mio padre e mai e poi mai avrei fatto qualcosa che potesse causargli problemi, cosi molto riluttante, mi misi di nuovo in fila  sotto lo sguardo omicida di tutte le ragazze.
Un ragazzo del genere che chiede un favore a me, è una cosa impossibile e disdicevole.
Anche se più che favore io lo definirei un ordine bello e buono.
Presi il vassoio e mentre mi avvicinavo a lui, vidi una ragazza di terza o forse di quarta vicino a me, troppo vicino per i miei gusti. Il mio radar capta guai mi segnalava problemi in arrivo, mi guardai attorno ma non vidi ne Taira e nemmeno le sue amiche, quindi mentre pensavo che il mio radar avesse problemi, la ragazza li accanto mi fece un bello sgambetto.
Risultato? Il mio viso nel pure di patate, per terra con qualche patatina sui capelli, e io rossa sia di rabbia che di vergogna. Tutti attorno a me iniziarono a ridere e io sperai di morire in quel modo, con la faccia nel piatto pur di non dovermi alzare e farmi vedere dagli altri.
Sentii Rosy parlarmi accanto mentre dolcemente mi accarezzava la schiena, ringraziavo il fatto d’averla dalla mia parte, mi dava sicurezza ed era uno dei motivi per cui restavo in quella scuola.
Le risate furono interrotte da una voce maschile che iniziò ad insultare la ragazza che mi aveva fatto lo sgambetto, le disse che io ero di sua proprietà e che nessuno da quel momento in poi avrebbe dovuto farmi qualcosa.
Pensai che Dylan fosse totalmente impazzito per dire una cosa del genere e oltretutto per difendere la sottoscritta, in quel modo davanti a me, ma tutto sommato la cosa mi fece felice.
Sentii le sue mani prendermi in braccio, mentre Rosy lo minacciava di allontanarsi da me o gliel’avrebbe fatta pagare cara.
-Stai buona, la porto in infermeria, magari si è anche fatta male quest’imbranata.-
Il momento di dolcezza è finito e tra le sue braccia andai in infermeria probabilmente sotto lo sguardo incuriosito, minaccioso dei miei compagni di classe.
In infermeria, mi fece sdraiare sul letto, io tenevo gli occhi chiusi, li avevo da quando ero finita in terra e non avevo intenzione di aprirli, sentivo il suo respiro sul mio viso e la cosa non mi faceva affatto piacere.
-so che non dormi, se non ti apri gli occhi ti bacio.-
Li aprii immediatamente mentre lui divertito se la rideva tenendosi la pancia.
-ahahah, oddio dovresti vederti sei buffissima..ahaha..-
Io non trovavo nulla di altamente comico in quella situazione, ero sporco e probabilmente avevo anche preso una botta alla fronte, anzi più che divertita ero infuriata, tutto questo era colpa sua. Se fosse stato zitto e non m’avesse chiesto di prendergli da mangiare non sarebbe accaduto nulla, anzi no se fosse restato a New York non sarebbe accaduto niente.
-Che diavolo ci trovi da ridere? Se mi trovo conciata in questo modo è solo ed esclusivamente colpa tua. Non potevi startene dov’eri? Potevi rimanere a New York con i tuoi nonni, o se proprio avevi voglia di tornare dalla tua famiglia perché diavolo non ti sei iscritto ad un'altra scuola? Il mondo non è ai tuoi piedi, tu non sei nessuno, smettila di dare ordini, solo perché sei figlio di gente ricca questo…-
Non mi fece finire la frase, perché mi afferrò con forza facendomi arrivare a pochi centimetri dal suo viso, il suo respiro era sulle mie labbra, e i suoi occhi mi penetravano ed eravamo cosi vicino che riuscii a specchiarmi.
-Tu parli troppo e inutilmente..-
Mi tirò quel tanto che bastava per far aderire le sue labbra alle mie.
Un bacio vuoto, privo del più minimo sentimento, se non odio e ribrezzo da parte mia.
Mi divincolai e con quella poca forza che avevo lo staccai da me guardandolo intensamente negli occhi.
-Tu mi fai schifo-
Le mie mani reagirono da sole, non ero io a controllarle, e dopo quella frase gli diedi un sonoro schiaffo lasciandolo di stucco e in un certo senso sorprendendo anche me. 

La mia mano sfiora la guancia che hai colpito.
Brucia, fa male.
Mai male come quello che ho fatto io. Solo un bacio ma probabilmente per te il primo.
Non mi piaci e in un certo senso ti odio, ma sono attratto da te.
Forse saranno i tuoi capelli corvini che mi ricordano la notte che tanto adoro, oppure i tuoi occhi che sembrano due zaffiri, per non parlare di quelle labbra rosee che anche se delicate pronunciano perennemente parole offensive nei miei confronti.
Eri veramente bella quando ridevi?
Non ti ho ancora visto, ma mi piacerebbe tanto, almeno un secondo, giusto un attimo per farmi ricordare quella dolcezza che da piccolo ho conosciuto e che non ho più ritrovato in nessuno

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Capitolo 7
*** Ti chiedo scusa ***


Me ne andai da scuola prima che le lezioni fossero terminate, non mi importava nulla se questo poteva causare problemi con la scuola. Ero stufa di quella situazione, stufa di farmi prendere in giro, stufa di farmi deridere da tutti, stufa, dannatamente stufa.
Uscii dal cancello e vidi Dylan appoggiato alla colonna e mi fissava.
Gli passai accanto senza degnarlo di uno sguardo ma mi sbloccò la strada fermandosi davanti.
-Scusa.-
-Cosa?-
-Ti stò chiedendo scusa, cos’è sei sorda oltre che povera.-
Teneva le braccia incrociate e vidi un lieve rossore sulle sue guance, in quel momento vidi un Dylan tenero, diverso, e oserei dire anche sincero.
-Ok.-
-Non sto scherzando, non avrei dovuto baciarti, ma a mia discolpa dico che tu parli troppo per i miei gusti-
-Cosa?-
Questo è scemo mi ha baciato, oltretutto il mio primo bacio, solo perché io parlo troppo? Io questo lo uccido, e non mi interessa di chi è figlio e nemmeno se mio padre lavoro per i suoi genitori.
-Ehi senti, ti ho detto che mi spiace, non avrei dovuto baciarti, che poi io non lo definirei proprio un bacio vero e proprio, le nostre labbra si sono solo avvicinate un po’, diciamo che si sono solo salutate un po’.-
-Le nostre labbra si sono salutate un po’?-
-Si esatto.-
-Evapora o ti ammazzo.-
In qualche modo ero più rilassata, e non per la sua teoria del bacio non bacio, ma per le sue scuse che per come la vedevo io erano sincera. Era la prima volta che qualcuno dopo avermi fatto qualcosa si scusava, in genere continuavano a farmi scherzi idioti finché non interveniva Rosy.
Lo vidi rilassarsi e portare una mano ai capelli scompigliandoli, si mise a ridere di gusto. Era la prima volta che lo vedevo ridere in quel modo, non era il suo solito ghigno, ma una vera risata che metteva allegria.
-Ora perché ridi?-
-Hai delle patate sui capelli..ahahaha-
Gli mollai un pugno nello stomaco e me ne andai.
Arrivai all’orfanotrofio prima del previsto, e i bambini non se lo aspettavano, ma rimasero comunque contenti di vedermi. Giocai per quasi un ora a pallone con i bambini e con le bambole assieme alle bambine, per farli addormentare gli lessi quasi un libro intero e nel pomeriggio andammo come al solito in piscina fino le 17.
Quando uscii dall’orfanotrofio alcuni bambini mi accompagnarono al cancello tra cui Ryan. Prima di salutarlo mi saltò letteralmente in braccio e in un orecchio mi disse che mi voleva bene e questo fece sparire quei residui di rabbia che avevo prima d’arrivare.
 
Esci dall’orfanotrofio e per la prima volta rivedo quel sorriso.
Ha ragione mio padre, il tuo sorriso mette pace e tranquillità.
Vorrei poterlo vedere sempre, vorrei poter essere io quella persona che ha il potere di farti ridere.
 
Quando esco mi rendo conto che aveva iniziato a piovere e io non avevo nemmeno uno straccio d’ombrello, chiedere un passaggio a Carlos non era il caso dato che abitava dalla parte opposta alla mia quindi a malincuore me ne andai a casa.
Mancavano quasi 5 km quando sentii il rombo di una moto avvicinarsi e rallentare quasi vicino a me, sapevo già chi era senza dovermi voltare.
-Ehi mi sembri un pulcino bagnato-
-ah ah ah, come siamo simpatici. Piuttosto dammi un passaggio, in moto evito di bagnarmi completamente.-
-ma che sei matta? Sulla mia bambina solo io posso salirci.-
-Allora vattene no?!-
-No è divertente vederti bagnata, sei quasi sexy con la divisa bagnata.-
Istintivamente mi coprii all’altezza del petto facendolo ridere per l’ennesima volta.
-Sveglio, in questo modo però ti lavi anche tu.-
-Ah.-
A questo evidentemente non c’era arrivato perché mi regalò un bellissimo sguardo da ebete, che stavolta fece scoppiare a ridere la sottoscritta.
Ci passò accanto una macchina fermandosi accanto a noi, mi abbassai e vidi Carlos.
-Elieen, ti serve un passaggio?-
-No grazie.-
Mi guardò stranito, probabilmente pensando che fossi pazza a volermela fare a piedi fino a casa, ma per qualche strano motivo volevo stare li sotto la pioggia con Dylan che mi prendeva in giro, mentre anche lui si lavava pur di non farmi salire sulla sua moto.
Mi salutò e partì a tutta velocità lavando ancora di più Dylan.
-Perché sei rimasta e hai rifiutato il passaggio?-
-Boh forse per lo stesso motivo per cui tu stai qui senza andare a casa in moto.-
Scese il silenzio, di tanto con la coda dell’occhio lo vedevo fissarmi, chissà che aveva.
Quando arrivammo a casa mi ricordai che i signori Marshall sarebbero andati a Londra per due giorni dai genitori di lei, la cuoca aveva il permesso per andare un mese in Brasile a trovare la sua famiglia e mio padre aveva una specie di conferenza di maggiordomi a Norwich, quindi per qualche giorno saremmo stati a casa da soli e la cosa non mi piaceva neanche un po’.
-Faccio la doccia da te.-
Dylan mi riportò alla realtà.
-Cosa?No, hai una bella e comoda camera, falla da te.-
-Se la faccio a casa mia dopo tocca pulire a te, se la faccio da te evito di entrare in casa in queste condizioni.-
-Uffa, va bene, solo perché non ho voglia di pulire-
Io e lui da soli in casa mia per giunta, no era troppo assurdo. 

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Capitolo 8
*** Doccia ***


Dover fare la doccia con lui era forse la cosa più imbarazzante al mondo, una volta in casa mi resi conto di non aver sistemato casa che regnava nel caos più totale.
-Mmmh immaginavo ci fosse più ordinato in casa tua onestamente.-
-Ero troppo impegnata a trovare un modo per salvarmi da te.-
-Che simpatica che sei. Dai vado a farmi la doccia.-
Che rabbia.
Si comportava come se fosse casa sua, nonostante ci abitassi io, fino a prova contraria.
Nell’armadio in bagno gli diedi un asciugamano senza rendermi conto di quanto fosse grande, era quello che in genere usavo io, e a me andava perfetto.
Iniziò a spogliarsi davanti a me.
-Ma che fai?-
-Io non mi lavo con i vestiti.-
-Ma ci sono io.-
-Allora esci, a meno che tu non voglia goderti lo spettacolo. Ti consiglio però di sederti sul bordo della vasca, altrimenti rischi di svenire-
Divenni rossa all’istante, lo ammetto, l’idea di restare a guadare mi era passata per la testa, ma non mi fidavo di lui e poi sarebbe stato troppo imbarazzante. Mentre era ancora indecisa sul da farsi, Dylan, iniziò a levarsi la maglietta mostrando i suoi addominali che avevo avuto modo di vedere in un'altra occasione, mi guardava fisso negli occhi mentre continuava a spogliarsi togliendosi i jeans, e mostrando gambe perfette e muscolose, il problema che ad attirare la mia attenzione non erano affatto le gambe ma altro, qualcosa coperto da dei boxer neri.
Portò le mani sull’elastico dei boxer pronto a toglierli senza troppi problemi.
-Vedo che ti piace-
Mi ripresi di colpo rendendomi conto che probabilmente mi ha preso per una pazza ninfomane, e imbarazzata fino all’inverosimile uscii dalla porta decisa ad aspettarlo in camera mia.
Ci mise quasi un secolo per fare la doccia, nel frattempo riuscii anche a sistemare un po’ la casa nella speranza che mio padre tornasse prima da quel convegno.
-Eccomi, puoi andare a farti la doccia.-
-Che bello finalmente posso andare a lavarmi nella MIA doccia.-
Marcai per bene la parola MIA.
Passandomi accanto sentii un forte profumo di pino silvestre, era il bagnoschiuma di mio padre, ma su Dylan faceva un altro effetto. I capelli bagnati ricadeva sul viso bagnandogli le spalle e la schiena nuda.
-Senti hai un paio di boxer di tuo padre, non mi va di girare con questo affare per sempre.-
Indicò l’asciugamano avvolto attorno alla vita che gli copriva poco sotto il sedere, possibile che a me andasse perfetto mentre a lui era cosi piccolo, mi resi conto solo dopo un po’ che in realtà era l’asciugamano che usavo per i capelli.
-Ehm, si ti porto un paio-
Andai nella stanza di mio padre e cercai un paio di boxer che potessero andargli bene, più o meno erano simili di costituzione e a grandi linee dovevano avere la stessa taglia.
-Vado a farmi la doccia.-
Gli porsi i boxer e andai in bagno onde evitare di vederlo mezzo nudo, non che la cosa mi dispiacesse però era sempre meglio tenere una sorta di distanza tra noi.
 
Mentre vai in bagno guardo la tua camera, è disordinata, eppure da piccola ricordo perfettamente che odiavi il disordine, sei cambiata cosi tanto in questi anni.
So che non dovrei, ma quando vedo il tuo diario lo apro e inizio a leggerlo dall’inizio.
La prima volta che l’hai scritto è stata a 12 anni, esattamente due anni dopo la mia partenza.
“Caro diario, mi manca tanto Dylan. Prima la mamma e ora lui, eppure credevo fosse sincero quando mi disse che non sarebbe mai andato via da me. Perché ora non è qui?”
Mi spiace cosi tanto Eileen, non avrei dovuto abbandonarti.
Controllo la porta del bagno e tengo un orecchio attento al rumore dell’acqua, vado avanti a leggere.
In questo testo hai 15 anni e inizi le superiori.
“odio quella scuola, non fanno che prendermi in giro e farmi scherzi di ogni tipo, fortunatamente c’è Rosy che è al mio fianco. Sai diario a chi penso ultimamente? A Dylan, lui mi avrebbe difeso, ne sono certa.”
Mi conosci cosi bene infondo, con te non sono mai cambiato.
Leggo l’ultima pagina del diario, risale al giorno in cui sono arrivato.
“Dylan è cambiato, non vedo più il ragazzino di una volta anche se ho fatto finta di non ricordarmelo, i ricordi che ho con lui li ho custoditi tutti nel cuore. Sai diario, è diventato veramente un bellissimo ragazzo, forse se non fossi la figlia del suo maggiordomo mi guarderebbe in maniera differente..”
Chiudo velocemente il diario e lo rimetto al suo posto, tra poco esci dalla doccia e non voglio che mi vedi mentre ficco il naso nei tuoi affari, anche se non mi spiace averlo fatto.
 
Esco dal bagno e trovo Dylan sul bordo del mio letto ancora in mutande e coi capelli bagnati, i miei li ho asciugati velocemente e qualche goccia scende ancora lungo le spalle bagnando la maglietta bianca che indosso sempre dopo la doccia.
-Hai i capelli bagnati, rischi di ammalarti.-
Non mi risponde e la cosa è strana, in genere qualche battutina la tira sempre, anche quando litighiamo. Senza che lui dica nulla prendo un asciugamano piccolo e glielo appoggio sui capelli.
-Forza asciugateli.-
-Cosa?-
-Ma sei tonto? I capelli ovvio.-
-Ah-
Il ragazzo è strano, sembra essere in un mondo diverso, parallelo al mio. Mi fissa negli occhi intensamente, troppo per i miei gusti, sembra volermi leggere dentro. Faccio finta di nulla e inizio ad asciugargli i capelli sfregandoglieli per poterli asciugare.
Quel che accade dopo è improvviso.
Mi prende le mani, facendo scivolare l’asciugamano per terra, mi avvicina di colpo e mi bacia, la sua mano è dietro alla mia nuca mentre l’altra è sulla schiena.
Non mi ribello, non riesco.
No, non è vero potrei spostarmi, spingerlo via, dargli uno schiaffo, urlare. Fare qualunque cosa eppure non faccio nulla, ricambio il bacio con passione e con trasporto. Il cuore sembra scoppiare nel petto e istintivamente mi avvicino di più. 

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Capitolo 9
*** Mi fai schifo ***


Mi teneva stretta a se come se avesse paura che potessi scappare da un momento all’altro.
Povero pazzo.
Dalle sue braccia non sarei mai riuscita a scappare nemmeno volendo.
La mano, che prima era sulla mia schiena, divenne un po’ alla volta più audace insinuandosi sotto la mia maglietta. Il contatto con la sua mano calda mi fece venire i brividi lungo il corpo e senza rendermene conto emisi un piccolo gemito.
Era la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere.
Mi fece sdraiare sul letto, continuando a guardarmi negli occhi.
Mi sentivo una perfetta idiota perché non avevo la più pallida idea di cosa fare, al contrario di lui che sembrava abituato a quel genere di situazioni.
Probabilmente anche io sarò solo un numero nella sua innumerevole lista di ragazze, eppure la cosa non mi interessava, quello che volevo era stare con lui perché era la sola cosa che mi faceva stare bene.
Iniziò a baciarmi il collo mentre io gli affondavo le mani nei capelli ancora umidi, più audacemente sfilò la mia maglietta facendomi restare con un paio di pantaloncini corti e il reggiseno, istintivamente mi coprii.
-Non coprirti. Sei cosi bella.-
Frase scontata e banale, e magari pure falsa, ma feci esattamente quello che aveva detto.
Portai le mani lungo i fianchi in modo da tener scoperto il petto.
Sentivo il cuore battere velocemente, era come se volesse uscire da un momento all’altro.
Magari lo sentiva anche lui. Sarebbe stato imbarazzante in quel caso.
Con una dolcezza che pensavo non avesse più prese a tracciare con le labbra dei piccoli disegni sul mio ventre arrivando a sfiorare l’elastico degli short.
Contrariamente a quello che mi aspettavo non continuò, anzi, si mise a sedere sul letto dandomi le spalle.
-Dylan..-
Il suo nome era un sussurro quasi impercettibile.
-Sarà meglio che io vada.-
-Perché?-
-Perché si..-
-è perché sono inesperta? Mi spiace ma è la prima volta che mi trovo in una situazione di questo tipo con un ragazzo e..-
Non ebbi il tempo di finire la frase che subito rispose.
-Non è per quello. È che tu sei la figlia del maggiordomo, siamo diversi. troppo diversi, andava bene quando eravamo bambini, ma ora no. io devo frequentare altre persone.Tu..tu..sei povera.-
In quel istante mi sentii morire, la stanza iniziò a girare velocemente e la vista iniziò via via farsi sempre più sfuocata. Tremavo e trattenevo il più possibile le lacrime.
La cosa che mi fece più impressione fu quel rumore sordo che sentii dentro di me. Il mio cuore si era rotto, non era più bello, rosso e pulsante. No erano tanti piccoli pezzettini vaganti.
Cercai la mia maglietta e mi avviai alla porta d’ingresso aprendola.
-Vai.-
Dylan mi fissò stranito.
-Cosa?.-
-Esci da casa mia. Non mi importa se le scarpe sono sporche e rischi di sporcare, verrò a pulire. Ma ora vattene.-
Senza dire una parola si vestì indossando gli abiti bagnati che aveva lasciato sulla sedia accanto al mio letto.
-A scuola fai finta di non conoscermi. Non parlarmi, non difendermi. Evitami. Ho fatto a meno di te per anni, posso continuare su questa via.-
-Eileen.-
-Non una parola.-
Mi guardava negli occhi, e per un breve istante mi sembrò ferito dalle mie parole, ma molto probabilmente era solo la mia immaginazione. Ero io che volevo che fosse ferito, almeno quanto me in quel istante. Avvicinò la sua mano al mio viso, ma istintivamente mi allontanai spingendolo fuori dalla porta richiudendola subito dopo.
Mi appoggiai alla porta lasciandomi scivolare fino a toccare terra.
Le lacrime iniziarono a scendermi senza che io lo volessi, più le fermavo più loro scendevano.
Era come se perfino loro mi prendessero in giro.
Non so quanto tempo passai in quella posizione, ma appena sentii la moto di Dylan uscire dal cancello, mi vestii e andai dai Marshall per pulire.
Sistemai velocemente stando attenta ad ogni rumore che proveniva da fuori, nel caso avessi sentito la sua moto, sarei corsa a nascondermi.
Pulii il salotto, la cucina e il bagno.
Passai anche davanti alla stanza di Dylan e istintivamente vi entrai.
Era ordinata e questa era l’ultima cosa che mi sarei aspettata.
Ero troppo presa dai miei pensieri che no mi resi conto di una presenza alle mie spalle, se non quando mi voltai per andarmene.
-Sei nella tana del lupo, lo sai?-
Era cosi diverso rispetto a prima, era cosi vicino, che potevo sentire senza ombra di dubbio un forte odore di birra.
-Ho pulito la casa e pensavo che anche la sua camera fosse in disordine.-
Era la prima volta che gli davo del Lei, non l’avevo fatto nemmeno la prima volta.
-Da quando mi dai del lei. Prima nel tuo letto non eri cosi formale.-
Divenni immediatamente rossa, in fondo è vero, prima ero un'altra persona, ma anche lui lo era.
Si avvicinò a me e io d’impulso indietreggiai fino ad arrivare al bordo del suo letto.
Sorrise.
Era li che voleva farmi arrivare, sapeva esattamente che sarei indietreggiata.
Mi diede una spinta e mi trovai sul suo letto. Lui mi venne sopra a cavalcioni, cercai di liberarmi spingendolo via, ma era molto più forte di me e fu totalmente inutile.
Mi baciò per l’ennesima volta e con più irruenza mi tolse la maglia facendomi restare come poco fa col reggiseno davanti a lui.
L’atmosfera di prima era diversa da quella d’adesso. Ora avevo paura, paura di lui.
Una paura folle che mi impediva d’urlare o di fare qualunque gesto sensato per liberarmi.
Mi baciava, mi toccava e io dentro morivo come prima.
Con un gesto fulmineo mi slacciò il reggiseno levandomelo prima che riuscissi a capire quello che stava facendo.
-Hai bel senso.-
Non avevo più forze.
Ero un vegetale totale.
Lui toccava il mio corpo con irruenza, arrivando a farmi male, mentre con la lingua percorreva ogni centimetro del mio petto, divertendosi a torturare il mio seno morsicando e leccando i capezzoli.
All’ultimo morso, più doloroso dei precedenti, mi ripresi e con quella poca forza che mi era rimasta gli mollai un pugno sul viso facendolo cadere al mio fianco.
Raccattai velocemente i miei vestiti e corsi fuori.
-Brutto maiale che non sei altro. Non ti avvicinare più a me. Mi fai schifo.-
 
Mi hai dato un pugno bello forte, mi sanguina il naso e fa malissimo.
Non so cosa mi sia preso, ma sono contento.
Non ti voglio attorno, non voglio avere nulla a che fare con te.
Stammi lontano.
Evitami.
Odiami.
Sii disgustata da me.
Te ne prego, non essere mia amica, non essere nulla per me.
Non voglio che tu sia una persona importante perché ho paura.
Ho paura perché con te mi sento piccolo.
Tu hai il potere di farmi sentire piccolo e non voglio.
Tu sei quella piccola. Tu sei quella che non conta nulla.
Io sono qualcuno e lo sono dalla nascita.
In bagno mi medico nel migliore dei modi, e guardandomi allo specchio mi viene da ridere.
Quando eravamo piccoli eri tu a medicare le ferite, e io medicavo le tue.
Ma ora?
Ora invece sono io quello a ferirti. Non sarei mai dovuto arrivare a quel punto con te, anzi no, non mi sarei mai dovuto fermare e  fare la strada sotto l’acqua, o forse, come hai detto anche tu, non sarei mai dovuto tornare qui.

Grazie a chi con infinita pazienza mi lascia un commentino, anche a chi solo la legge^^
Dylan è un tantino ambiguo e cretino, senza ombra di dubbio.
Povera Eileen
..

  

 

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Capitolo 10
*** V per Vendetta ***


Dopo aver passato tutta notte a maledirlo ero giunta alla conclusione che dovevo vendicarmi. In un modo o nell’altro gliel’avrei fatta pagare.
Appena sento la sveglia suonare fastidiosamente accanto al mio letto, mi alzo di scatto e dopo essermi preparata velocemente, come facevo quando ero in perfetto ritardo, corro letteralmente a scuola.
Già sapevo che non avrei incontrato molti ragazzi, cosi ebbi tutto il tempo per preparare una piccola e innocente vendetta.
Quando la prima campanella suonò la scuola iniziò ad animarsi e appena vidi Rosy le andai incontro finendo di tanto in tanto addosso a qualche studente.
-Ciao Rosy-
-Ciao Leen, come mai cosi presto? In genere arrivi tardi.-
-Beh mi sono alzata prima del solito e non mi andava di restare in casa-
In realtà sarei rimasta a letto ancora qualche minuto, ma non potevo di certo dirle che avevo in programma di rovinare la giornata ad uno stupido ragazzo viziato figlio di papà rischiando di venire espulsa da scuola, non avrebbe capito e avrebbe fatto di ogni per non farmi commettere quella piccola e innocente vendetta
-Capisco, forza entriamo, non vorrai far tardi a lezione spero?!-
-No, no. Andiamo-
Assieme ci avviammo verso la nostra classe, come di consueto incontrammo Taira e le sue seguaci che senza troppi problemi cercarono di venirmi addosso, ma dopo quasi 5 anni, sapevo a memoria le loro mosse, cosi riuscii a deviarle facendo in modo che fosse Kim ad andare contro il muro.
Taira mi guardò in malo modo, avrebbe certamente trovato un modo per farmela pagare, ma quello in quel preciso istante era l’ultimo dei miei problemi.
Le lezioni passarono in tranquillità e in professori, per mia fortuna, erano di buon umore.
Prima della pausa pranzo, fingendo di non stare bene, uscii dall’aula.
Conoscevo perfettamente i movimenti di Dylan, li avevo studiati nei minimi dettagli e sapevo esattamente a che ora usciva dalla classe, che strada faceva per andare in mensa e il tempo che impiegava, dovevo solo sperare che nessuno interferisse con il programma.
Ore 12. La campanella suona la pausa, gli alunni esco diretti alla mensa.
Ore 12.06. Dylan esce dall’aula senza rivolgere parola con nessuno, come al solito. Io da lontano lo seguo senza farmi notare. Esce dalla porta d’emergenza e attraversa in parco. Corro e lo precedo sempre ben attenta a non farmi beccare mi posiziono dietro alla grande quercia, aspetto in ansia che passi e tiro la cordicella, legata in precedenza dalla sottoscritta.
La corda è legata ad un secchio, situato sul bordo della finestra nel primo piano della scuola, e quel leggero movimento lo fa cadere finendogli in testa.
Beh non sarebbe niente se il secchio fosse vuoto, purtroppo per lui il secchio è pieno di tempera bianca e a primo impatto assomiglia all’omino della Michelin.
A fatica cerco di non ridere, ma la vista di un Dylan in quelle condizioni è troppo comica, mentre io mi trattengo lui imprecando si guardo attorno cercando il responsabile. Io non muovo un muscolo e cosi nascosta non può assolutamente vedermi.
Per ora il piano sta funzionando.
Ore 12.14. Dylan, cercando di pulirsi, si avvia all’entrata della scuola, peccato però che le scale siano cosparse di un lucidante che mio padre usa per pulire i pavimenti in casa loro. Cos’ha di particolare quel lucidante? È inodore, è impossibile notare la sua presenza e cosa peggiore è dannatamente scivoloso.
E quello che accade è anche più comico di quello che gli è accaduto prima.
Le scale sono quasi una decina e ovviamente non ho messo il lucidante sui primi gradini ma solo sugli ultimi accanto all’ingresso e arrabbiato com’era non ha notato il sacco dell’immondizia li accanto. È quasi arrivato in cima e al penultimo gradino perde un po’ equilibrio, ma riesce a mettersi in piedi, scivolando però sull’ultimo finendo sul sacco dell’immondizia che però non era pieno di sporco ma bensì di uova.
Peccato non avere una macchina fotografica a portata di mano.
Dylan rimane sdraiato a terra per qualche minuto, quando si alza si rende conto su cosa è caduto e anche li un'altra scarica di imprecazioni verso, a suo dire, quel grandissimo pezzo di merda.
Ora manca l’ultimo pezzo del mio piano.
Passando del retro rientro a scuola, prendo il sacco che avevo nascosto in precedenza nel laboratorio di chimica, già sapendo che quel giorno non c’erano lezioni, e vado verso le scale che portano al piano superiore dove c’è la mensa.
Mi nascondo, per quanto mi è possibile, dai miei compagni di scuola.
Lo sento arrivare, grazie alle dolci parole che indirettamente rivolge a me, sporgo quel tanto il sacco che si apre facendo scivolare una quantità notevole di penne.
Ho fatto fuori quasi due piumini per recuperarle, ma alla fine lo scherzo è riuscito, o quasi.
Quando mi sporgo per vedere il risultato, in quell’esatto momento lui alza gli occhi e mi vede. Solo dopo uno sguardo imbarazzato, uno curioso e uno furioso, realizza che l’artefice di quello scherzo sono io. Anche perché ho le mani sporche di pittura, guarda caso bianca e il sacco delle penne in mano.
Io invece impiego meno tempo a realizzare che la mia vita è finita.
Dylan inizia a insultarmi come se fosse uno scaricatore di porto e io scappo ad una velocità notevole, andando a sbattere contro tutti.
Passo accanto a Rosy che mi guarda come se fossi impazzita.
-Sono morta. Addio. Prendi tu il mio zaino.-
Riesco a formulare solo quella misera frase prima di riprendere a correre più veloce di prima, investo Taira che si ritrova con sedere per terra mentre anche lei inizia a maledirmi dicendomi che me la farà pagare molto cara, come se non lo sapessi.
Corro verso il laboratorio di chimica, li dovrei essere al sicuro.
Chiudo la porta, e non trovando nessun posto dove nascondermi decido di andare fuori dalla finestra.
Mi aggrappo ai tubi che passano al di sotto del cornicione sperando di non finire spalmata al suolo.
La porta si apre, e sento Dylan chiamarmi.
-Ragazzina, dove sei. So che sei qui, esci. Non ti faccio nulla te lo prometto.-
Si come no, e io sono cosi cretina da crederti. Le mani iniziano a tremare, se non esce alla svelta mi schianto veramente al suolo.
Per un po’ non sento nulla, poi finalmente la porta sbatte.
Finalmente è andato via.
-Ecco qui la ragazzina.-
O cacchio, si ora sono morta.
-Dammi la mano o ti schianti al suolo. Non vorrei mai che ti succedesse qualcosa-
Il modo melenso in cui dice quella frase mi fa venire i brividi.
-No grazie infondo mi piace qui. C’è una bell’arietta.-
Mi allunga la mano.
-Afferrala, non fare stronzate-
-No, grazie.-
-Eileen, sei diventata pazza?-
-Se afferro la tua mano, tu mi ammazzi.-
-Se non l’afferri di sfracelli al suolo. Morta per morta è meglio che sia per mano mia non credi.-
-Se posso scegliere preferisco il suolo.-
Se non fosse stato per quel brutto insetto sulla mia mano sarei rimasta in quella posizione ancora per molto, ma la paura per i ragni è più forte della paura di Dylan.
Lancio un urlo e istintivamente mollo la presa con una mano restando aggrappata solo con una, solo allora mi rendo effettivamente conto della cavolata che avevo appena fatto.
Un po’ alla volta le dita allentano la presa fino a che mi rendo conto di non essere aggrappata più a nulla, chiudo gli occhi aspettando l’inevitabile fine.
Le cose sono due: o sono morta e non me ne sono resa conto oppure la distanza tra la finestra e il suolo e maggiore di quello che credevo. Per sicurezza rimango comunque ad occhi chiusi.
-Deficiente apri gli occhi.-
È una voce che conosco fin troppo bene, per mia sfortuna, riluttante faccio come richiesto.
Se non sono ancora caduta è solo perché Dylan ha afferrato tempestivamente la mia mano riuscendo a salvarmi, quindi ora è diventato anche il mio salvatore? O bene.
-Cerca di spingerti con un piede-
Trovo una piccola insenatura e mi do una spinta facilitando il lavoro di Dylan.
Superiamo la finestra a finiamo a terra tutti e due.
Sono quasi stanca di quei dannati contatti ravvicinati.
Io sono sopra di lui col cervello che deve ancora connettere e il cuore in gola mentre batte all’impazzata, mentre lui disteso a terra col fiatone, manco avesse fatto la maratona, con una mano sulla mia schiena.
Provo ad alzarmi ma la sua mano fa pressione costringendomi a quella posizione, e in breve tempo la situazione si ribalta.
Io sono sotto mentre lui è a cavalcioni sulle mie gambe e con una mano mi blocca i polsi sopra la testa.
Lo guardo con un aria di sfida, mentre lui sorride divertito.
Vuoi la guerra? Bene e guerra sia.
-E adesso ragazzina?- 


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inizialmente ero indecisa se continuare o meno la storia, però onestamente mi diverto a scriverla.
Sappiate che il lieto fine è lontano, moooolto lontano.
Spero continuiate a leggere e recensire^^

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Capitolo 11
*** Il mio delfino ***


-E adesso, ragazzina?-
Adesso cosa?
Contrariamente a quello che mi aspettavo, non ho paura. Probabilmente è il fatto che siamo a scuola che mi da maggiore sicurezza e so che non farebbe nulla di avventato o stupido. Almeno credo.
Il suo sguardo è fisso nel mio, e in quegli occhi mi perdo completamente.
-E adesso cosa? Scendi, semplice.-
-Dopo un umiliazione del genere?-
-Si.-
Ride divertito, anche se tutto sommato non trovo nulla di comico in quella situazione.
Da notare il fatto che il pavimento è freddo e la divisa che indosso non è quella invernale, è vero che siamo a Maggio, ma io sono una persona alquanto freddolosa e sto bene solo a 30 gradi.
-Dopo quella che hai fatto mi aspetta una vendetta non trovi?-
-Se io ti ho fatto questo piccolo e innocente scherzo è perché mi sono vendicata di quello che hai fatto ieri. Ho forse ti sei scordato che hai quasi cercato di violentarmi?-
Non ride più.
I suoi occhi sembrano vuoti e spenti.
Non pensavo certamente di colpirlo in questa maniera, ma in fin dei conti è la verità.
Non sono stata io a saltargli addosso ieri, e nemmeno a mettergli la mano sotto la maglia. No, io non centro nulla.
Sempre con quello sguardo perso si avvicina al mio viso, con una mano tiene ancora i miei polsi mentre con l’altra mi accarezza il viso.
Una carezza dolce e calda, una di quelle che vorrei che continuasse all’infinito, mi sorride e il mio cuore ha un sussulto.
Il suo viso è a pochi centimetri dal mio.
Si sposta leggermente e ad un orecchio debolmente mi sussurra –Scusami.-
Si rialza quel tanto per vederlo negli occhi.
I suoi occhi ora sono velati da una tremenda tristezza.
Quelle scuse erano sincere, come quelle dopo il primo bacio.
Si alza e gentilmente mi afferra la mano per aiutarmi a rialzarmi.
Il suo sguardo è fisso fuori dalla finestra, chissà cosa guarda, chissà a cosa pensi. Vorrei tanto entrare nella tua testa e capirti un po’ di più.
Vado verso la porta, mi volto per guardarlo ancora. Sembra ancora più bello mentre il sole gli bacia il viso, in questo momento lo invidio un po’.
-Dylan…io so chi sei. Non sei il ragazzo di ieri, e ti perdono. Vorrei che tu tornassi a tormentarmi come sempre.-
Si volta e nella sua espressione leggo stupore che fa largo ad un bellissimo sorriso.
-Preparati perché mi vendico.-
-Ok, aspetterò.-
Lo saluto ed esco dalla scuola. Non ho voglia di fare l’ultima lezione, cosi vado verso l’orfanotrofio.
 
Nonostante il male che ti ho fatto. L’averti sporcata, sei stata tu a consolare me.
Quanto vorrei ritornare il ragazzino di una volta, darei qualunque cose per ritornare ad essere quello che ero anche solo per un giorno.
Solo un giorno per vederti ridere.
Non so quanto tempo rimango nell’aula da solo a pensare, quando mi rendo conto che ormai è tardi per rientrare in classe esco dalla scuola e passo davanti all’orfanotrofio dove fai volontariato.
Rimango all’ingresso indeciso sul quello che devo fare quando accanto a me, oltretutto sbucata da non so dove, c’è una signora un po’ su di età.
-Che fa un bel giovanotto qui all’ingresso?-
-Fa volontariato una mia amica, ma non vorrei disturbare.-
-Figurati. Vieni entra. Come si chiama la tua amica?-
-Eileen-
-Il nostro raggio di sole, vieni vieni è in piscina con i bimbi.-
Posteggio la moto accanto alla porta d’entrata e mentre seguo la signora mi guardo attorno. Mi piace il posto c’è molto verde e spazio libero per i bambini, lontano dal cancello c’è un piccolo parco giochi, a prima vista sembra nuovo, poco distante una buca con della sabbia e qualche secchiello sparso attorno.
Ci avviciniamo ad una costruzione, e da fuori oltre al forte odore di cloro si sentono le urla dei bambini. Seguo la signora mentre arriviamo al bordo della piscina.
Ti vedo nuotare con grazia ed eleganza, è come se l’acqua fosse il tuo elemento naturale. Ricordo che quando eravamo bambini e andavamo al mare assieme tu eri perennemente in acqua e io da lontano ti osservavo e ti invidiavo.
Sembri un piccolo delfino e ancora adesso mentre ti osservo provo invidia, ma allo stesso tempo una forte ammirazione.
Quando ritorni in superficie prendi in braccio un bambino e gli fai un fare un tuffo per poi riprenderlo subito dopo. Il bimbo mi vede, con la mano mi saluta e ti chiama.
Ti volti e mi guardi un po’ perplessa. Chiedimi tutto ma non perché sono qui, nemmeno io riesco a dare una spiegazione logica a quello che mi capita quando ci sei tu nei paraggi.
Esci dall’acqua e ti avvicini.
-In piscina, non si viene con le scarpe e neppure vestiti.-
Mi viene da ridere, sei buffa quando fingi di arrabbiarti.
-Bambiniii. Venite qui.-
I bimbi arrivano di corsa e senza che tu dica nulla sanno già cosa fare, e in meno di un secondo mi trovo dentro la vasca vestito e bagnato fradicio.
Ti tuffi e assieme ai bambini inizi a schizzare l’acqua, provi ad affogarmi ma è fatica sprecata. Sono più forte e te lo dimostro.
Ti afferro per la vita e ti alzo, le tue mani sono appoggiate alle mie spalle mentre ridi come non ti avevo mai visto fare fino a quel momento.
Il mio sguardo è sul tuo viso e in un batter d’occhio è come se in piscina ci fossimo solamente noi due, mi guardi e nei tuoi occhi mi ci tuffo.
Lentamente ti faccio scivolare, i nostri corpi sono attaccati, come se fossimo una cosa sola, le tue mani restano sulle mie spalle mentre le mie sono sulla tua schiena.
Li senti anche tu questi brividi vero? Non sono io che sta diventando pazzo, giusto?
Vengo riportato, purtroppo, alla realtà dalla signora di prima che ci avvisa che è ora d’uscire.
Ti lascio libera e ti aiuto con i bambini.
-Sono tutto bagnato è meglio se torno a casa. Ci vediamo dopo.-
-Ok a dopo.-
Esco, e anche se c’è il sole, per come sono ridotto fa freddo specialmente ora che devo tornare a casa in moto.
Appena arrivo a casa noto un certo movimento che per qualche strana ragione mi rende un po’ irrequieto, in salotto vedo i miei genitori chiacchierare con una coppia che non ho mai visto.
-Dylan, che hai fatto?.-
-Lunga storia.-
-Vai a cambiarti, Eileen dov’è?-
-All’orfanotrofio, perché?-
-Dobbiamo discutere di una cosa importante, e devono essere presenti tutti i membri della famiglia.-
La cosa puzza un po’, ma faccio finta di nulla e vado in bagno per farmi una doccia calda.
 
Lo so il capitolo non è il massimo, ma ultimamente mi frulla per la testa una storiellina e spero di riuscire a scrivere almeno il primo capitolo.
Grazie a chi legge e lascia un commentino^^ 

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Capitolo 12
*** Una brutta sorpresa ***


Mi sono proprio divertita oggi con Dylan, mi ha sorpreso, ho visto un ragazzo diverso. Per qualche momento mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, a quando noi eravamo solo due bambini e ci divertivamo assieme nella piscina in giardino.
Appena metto piede in casa, vedo mio padre correre avanti e indietro preparandosi di tutto punto.
-Oddio, Eileen, muoviti. Dobbiamo andare di la, i signori Marshall hanno qualcosa di importante da dirci. Sbrigati.-
In camera mia vedo sul letto un vestito. Ma che carino il papino, ha anche deciso cosa indossare, chissà che devono dirci. Indosso il vestito, semplice col pesca abbinato a un paio di scarpe alte beige, mi guardo allo specchio. Sto bene, e sono graziosa, però non sono abituata a portare questo genere di vestiti, difatti mi sento una pesca gigante.
Aspetto che mio padre scelga tra la cravatta blu notte e quella nera, un dilemma amletico non c’è che dire. Alla fine, dopo averle provate entrambe per otto volte, decide di tenere quella nera. Guardandoci allo specchio non sembriamo due maggiordomi, ma due persone di classe, e io con questi tacchi, finalmente, riesco a dimostrare qualche anno in più.
Entriamo in casa e notiamo che ci sono un sacco di persone che non ho mai visto e che alcune di queste stanno portando alcuni mobili al piano superiore. Passiamo dalla cucina e la cuoca mi viene incontro.
-Tesoro, sei uno schianto. Forza andiamo che da quello che vedo non si prospetta nulla di buono.-
-Come mai?-
-Ci sono di la i signori Queen.-
-Ah-
Che diavolo ci fanno i genitori di Taira, con i signori Marshall?
La cosa non è per niente rassicurante.
-Ehi ragazzina.-
Mi volto e vedo Dylan avvicinarsi. In giacca e cravatta è bellissimo, sembra un adulto e non un ragazzino. Ha un portamento fiero ed elegante, il completo scuro fa risaltare enormemente i suoi occhi chiari nei quali mi sono persa.
-Dylan. Ti sta molto bene il completo, però hai fatto male la cravatta.-
Mi avvicino a lui e sistemo il nodo della cravatta, sento il suo respiro sulle mie mani e quando alzo la testa vedo che mi fissa.
In quel momento è come se il tempo si fosse fermato e attorno a noi non ci fosse nessuno, solo io e lui. Il mondo è fuori, all’esterno da noi, e noi con quel mondo non centriamo nulla.
-Stai bene con quel vestito.-
-Ti ringrazio.-
Si abbassa un po’, fino ad arrivare al mio orecchio.
-Mi vien voglia di mangiarti.-
Mi rendo conto di essere un peperone e d’avere il cuore che batte all’impazzata. Perché deve dirmi certe cose? Poi io rischio l’infarto.
Veniamo riportati alla realtà da una voce che conosco fin troppo bene: Taira.
-Ma come siete carini. Se non è troppo disturbo c’è gente che aspetta voi.-
Ci avviciniamo a lei, mentre non smette di fissare Dylan, e nemmeno lui sembra tanto intenzionato a volgere lo sguardo altrove.
Va beh che ho detto che insieme sarebbero perfetti, ma se evitano di scambiarsi questi sguardi in mia presenza mi farebbero un gran piacere, specialmente dopo quella che mi ha detto Dylan.
Però devo ammettere, che Taira è veramente una ragazza bellissima.
Ha lasciato i capelli biondi e boccolosi liberi sulla schiena, il viso minuto leggermente truccato cercando di mettere in risalto gli occhi verdi, le labbra sensuali impreziosite da un leggero strato di rossetto rosa tenue, e per finire il fisico prefetto avvolto in un morbido vestito bianco probabilmente di seta e di un qualche famoso stilista.
Taira mi guarda dalla testa ai piedi, mentre ci avviciniamo ai suoi genitori e ai signori Marshall, e sogghigna.
Ci accomodiamo sul divano.
-Bene, ho voluto riunire qui tutti perché c’è una cosa importante da dire. Sia ben chiaro, e questo è rivolto ai diretti interessati, ormai la cosa è fatta e non si può cambiare. Le decisioni sono state prese e anche se forse non siete contenti non verranno cambiate.-
Il cuore inizia ad accelerare i battiti come se già sapesse cosa sta accadendo eppure io non so assolutamente nulla.
Dylan mi osserva come se cercasse di leggere nei miei pensieri, mio padre e la cuoca si guardano con aria interrogativa mentre Taira guarda le sue unghie perfette.
-Dopo questa piccola premessa ho il piacere d’annunciare il futuro matrimonio tra mio figlio e Taira Queen.-
Ahaha. Stiamo scherzando vero? Dylan e Taira, sposati? Restiamo tutti quanti a bocca aperta, mentre Dylan mi guarda con un espressione colpevole. Lui in realtà sapeva tutto eppure ha fatto quello che ha fatto. Mi ha fatto credere di provare, anche in una maniera non proprio carina, un piccolo interesse per me, quando in realtà non era affatto cosi.
Taira ora fissa me intensamente, come se volesse dirmi.”Tieni, mi sono vendicata”
Il signor Marshall si rivolge a noi.
-Da oggi Taira vivrà sotto lo stesso tetto. Questo fino al matrimonio.
-E quando sarebbe?-
-Quest’estate.-
Sono da poco maggiorenni e già devono sposarsi.
Chiudo le mani a pugno e trattengo le lacrime, di tempo per piangere ne ho abbastanza, e di certo non gli do la soddisfazione di farlo li davanti a tutti.
No, mi spiace, Taira e Dylan, non mi vedrete piangere.
Dopo essermi unita a mio padre e alla cuoca per fare le congratulazione ai due sposini me ne torno a casa per cambiarmi
 
Sapevo già da tempo che per risanare l’azienda mio padre doveva unirsi al signor Queen, avrei preferito che non mettesse in mezzo anche il sottoscritto, ma alla fine le mie preghiere non sono state ascoltate.
Dopo aver annunciato l’imminente matrimonio, per nulla d’amore sia ben chiaro, vedo Eileen stringere i pugni e fissare un punto indefinito nella stanza, ha gli occhi lucidi e lo sguardo spento.
Ti ho ferito per l’ennesima volta, vorrei alzarmi e annullare tutto quanto ma quel che è fatto è fatto ormai.
Anche i miei genitori, come i genitori di Taira, sono frutto di matrimoni combinati.
Per quelli come no, non esiste l’amore, a meno che tu non sia fortunato e puoi tranquillamente sposarti con la tua domestica senza problemi, ma questo capita raramente e in genere non finisce mai nel migliore dei modi.
E poi mio padre ha ragione, per quanto mi costi ammetterlo, io e Taira proveniamo da mondi simili, sappiamo i sacrifici da fare e come dobbiamo comportarci in pubblico, è un mondo diverso da quello di Eileen.
Anche lei assieme a suo padre e alla cuoca ci fa le congratulazioni, senza però guardarmi.
Certo di tenere la sua mano tra le mia ma lei senza troppi convenevoli se ne va, lasciandomi in piedi al centro del soggiorno a fissarla andar via.
Perché mi deve mandare cosi in confusione?
Vorrei capire perché lei è in grado di rendermi cosi insicuro? Che strano potere ha su di me?
Taira si avvicina e mi appoggia una mano sulla spalla.
È una bellissima ragazza e per giunta molto simpatica e gentile, per quel poco che l’ho conosciuta si è dimostrata tale.
-Dylan, se vuoi un consiglio lasciala stare. Dai un taglio netto con lei. Finirete per farvi male entrambi, e poi che ti vada bene oppure no, noi siamo fidanzati.-
Eh si Taira, hai ragione, devo dare un taglio netto con Eileen e cercare di vederla solo come la figlia del nostro maggiordomo.
-Esco un attimo.-
Le do un bacio casto sulla guancia e vado a casa sua, che ovviamente trovo vuota.
-Sarà da sua madre.-
Mi volto e vedo il padre di Eileen.
-Grazie.-
In sella alla moto vado al cimitero, e la vedo accanto alla tomba di sua madre.
Mi avvicino senza far rumore, è seduta a terra e tiene il viso tra le mani mentre il corpo trema.
-Eileen.-
Un sussurro, nulla di più, quel tanto che basta per farle alzare il viso.
-Vorrei stare sola, se non Le dispiace.-
-Vorrei parlarti.-
-Vorrei non ascoltarti e nemmeno vederti. Quindi se non te ne vai tu me ne vado io.-
Non accenno a muovermi cosi lei si alza e mi passa accanto ma riesco a bloccarla.
-Possiamo parlare?-
-E di cosa? Tu ti sposi quest’estate, tu mi hai preso in giro fino adesso. E io d’ora in poi non voglio più avere più nulla a che fare. Sopporterò di vedervi assieme, e sarò una domestica perfetta. Hai ragione le differenze sociali sono troppe, resta pure nel tuo mondo fatto d’oro io mi accontento del mio, fatto di persone leali. Buona giornata Dylan.-
Se ne va e per l’ennesima volta guardo la sua immagine allontanarsi da me.
È cosi quindi che deve andare?
 
 
Scusate il ritardo, ma ho iniziato anche un'altra fanfiction, ma di questa non mi sono scordata.
Bel colpo di scena vero?
E poi Taira gentile? No non mi sono drogata tranquille, in realtà lei ha un motivo per odiare Eileen, come la maggior parte dei suoi compagni del resto. Fondamentalmente però lei è una tipa ok.
Chissà come andranno avanti ora le cose.. 

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