Cuimhnì na Eirinn (Ricordi d'Irlanda)

di Marguerite Tyreen
(/viewuser.php?uid=112017)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - An old, old letter ***
Capitolo 2: *** 1. Tales of the beginning ***
Capitolo 3: *** 2. Friendship in a box ***
Capitolo 4: *** 3. The velvet of her eyes ***
Capitolo 5: *** 4. Scent of Happiness ***
Capitolo 6: *** 5. Easter's Events ***
Capitolo 7: *** 6. Pieces of Time ***
Capitolo 8: *** 7. The Kiss of the Dream ***
Capitolo 9: *** 8. Tears and Rain ***
Capitolo 10: *** 9. Hearts in the Tempest ***
Capitolo 11: *** 10. Elegy in the Summer ***
Capitolo 12: *** 11. Forgotten Nights / An Heartless Winter ***
Capitolo 13: *** 12. The Abyss ***
Capitolo 14: *** 13. The Last Truth ***
Capitolo 15: *** Epilogo - Saòirse ***



Capitolo 1
*** Prologo - An old, old letter ***


 Nota dell’autrice:
 
Miei cari,
eccoci qua con un altro racconto a sfondo storico e, come sempre in questi casi, anche se ho tentato di documentarmi il più possibile, secondo mia abitudine, certamente finirò per commettere qualche errore. Spero mi perdonerete ;)
Aggiungo che, per quanto abbia tentato di rispettare il più possibile la verosimiglianza storica, ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.
Detto questo, se non siete scappati, vi auguro buona lettura.
Un bacione,
Marguerite.

Ad E. ,che sopporta 
pazientemente i miei "deliri
"

 


Cuimhní na Éirinn

 
(Ricordi d’Irlanda)

 
 
 
 
 
 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

(Immagine realizzata da PIEMME, a cui va un caro ringraziamento)




 
PROLOGO: An old, old letter
 

 
“ Mia adorata Aisling,
 
Ogniqualvolta penso ai giorni passati insieme, mi chiedo se sia possibile desiderare che un breve momento possa prolungarsi in eterno. Continuo a pensare a quello che avrei potuto offrirti se solo fossimo vissuti in un periodo storico meno assurdo e tormentato di questo. Se solo tu mi avessi veramente corrisposto. O se avessi amato me solo.
Avresti potuto prenderti tutto di me, credo: o almeno tutta la mia anima, tutta la mia devozione, la mia arte e la mia ispirazione, per quel poco che valgono.
Le cose migliori che ho fatto nella mia vita, le pagine più belle che ho scritto, gli ideali più alti che ho avuto, sono merito tuo.
Se le cose fossero andate diversamente, avresti potuto essere l’estensione della mia anima.
Ho la presunzione di credere che nessuno proverà mai per te quello che ho provato io, con la stessa gratuità e la stessa assolutezza.
So che chiedere di perdonarmi è troppo, che non riesci a comprendere le motivazioni del mio gesto. E, devo ammettere, in questo inferno di rimorsi, talvolta non le capisco nemmeno io. E  so quanto valeva lui per te. L’ho sempre saputo e non ho mai osato interferire. Prima della mia felicità è sempre venuta la vostra. Ma quando ci si mette di mezzo Erin, tutto il resto passa in secondo piano.
Sono costretto a fuggire e non solo dalla legge. Da me stesso o da te, piuttosto.
In quest’ora buia sarebbe per me una consolazione infinita sapere che ricambi i miei sentimenti.
Non chiederei null’altro se non un istante passato tra le tue braccia, come ai vecchi tempi. Un istante in cui mi illudevo di essere al centro dello stesso amore che nutrivo per te.
Darei qualunque cosa per sentirmi dire che ancora, nonostante tutto, tu m’ami. E l’istante dopo potresti anche rinnegarlo, che mi importerebbe? Io già saprei di poter vivere per quel solo attimo di luce. Per quel solo attimo di immutabile, pura, perfetta felicità.
Ti bacio, tuo
Liam                                                                                                             
Dublino, 28 marzo 1919.”
 
 
 
 
 
Aisling aveva lasciato cadere in grembo la lettera ingiallita dal tempo. Quanti anni erano passati? Dieci, forse. Mese più mese meno. Ma mai abbastanza per dimenticare.
Non aveva più saputo nulla, anche se aveva continuato a seguirlo con l’immaginazione nei suoi spostamenti. Chissà in quali luoghi era stato, se era riuscito ad essere per qualche momento sereno, se non felice. Chissà se era cambiato, se leggeva sempre qualche buon saggio di filosofia, come allora, se aveva mantenuto quella sua risata limpida.
Erano stati questi i pensieri che l’avevano accompagnata per quel lungo, eterno periodo di lontananza. Non era riuscita né a perdonarlo né a serbargli rancore. Del resto non c’era bisogno che ella aggiungesse altro odio: si disprezzava già da solo per ciò che aveva fatto.
E così aveva continuato la sua vita, non smettendo di sperare, però, di ritrovarlo, un giorno, a bussare alla sua porta. Invecchiato, sconfitto, ma con gli stessi occhi di sempre.
Avrebbe sentito ancora pronunciare quel nome che le aveva dato lui. Aisling. Nessuno l’aveva più chiamata così. Lei, che portava il nome di Kathleen e come tale veniva ancora apostrofata.
Ma ora Liam Murray non sarebbe più tornato. Glielo diceva un’altra lettera, che aveva posato sul tavolo di cucina. Poche righe in un inglese stentato la informavano che Liam era caduto da glorioso eroe in Messico, durante la rivoluzione. La firma di chi si era preso a cuore di avvisarla, o di chi aveva scritto per lui, era di un certo Gonzales o qualcosa del genere.
Chissà chi era. Una specie di capo della rivoluzione. Ma che importanza aveva?
Liam non sarebbe più tornato. E lei, che non aveva mai più potuto mandargli nemmeno un rigo, sentiva improvvisamente di aver bisogno di dirgli molte più cose di quante non avesse mai creduto.
Ma era oltremodo tardi.
Le tornarono alla mente molte immagini, troppe. Lei, Liam e Shannon. Sempre insieme, inseparabili.
Quei ricordi non sembravano nemmeno più appartenerle, confinati com’erano nella loro aura di passato mitico. Ed ora non le rimanevano che due lettere, a garanzia che, invece, avevano fatto parte della sua vita.
Si asciugò una lacrima con la manica del vestito.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1. Tales of the beginning ***


 Cuimhnì na Eirinn


Capitolo I: Tales of the beginning


 
Messico, 1929
 
Una raffica di proiettili lo colpì in pieno petto. Liam Murray tentò di resistere quel tanto che bastava per restituire con gli interessi il favore a quello dei regulares che gli aveva sparato, ma le forze gli vennero meno.
Scivolò a terra. Fine ben poco dignitosa, questa, per un rivoluzionario irlandese – pensò – morire in terra straniera sputando sangue per colpa di un soldato messicano qualunque.
Del resto avrebbe dovuto aspettarselo di prendersi, prima o poi, una pallottola a forza di immischiarsi in ogni rivoluzione che gli capitava a tiro.
Quando era arrivato in Messico, a dire la verità, la rivoluzione era quasi finita. Ma qualche focolaio di rivolta era sempre riuscito a trovarlo. Era stato dalla parte dei peones, non perché avesse qualche conto personale in sospeso con l’esercito messicano, ma piuttosto perché ormai era abituato a combattere per l’indipendenza di questo o quel popolo.
Com’era sempre successo in Irlanda.
La sua Erin! Sapeva che sarebbe stato difficile farvi ritorno. Ora era certo che sarebbe stato impossibile. Da anni non sapeva nemmeno in quali condizioni versasse la sua patria.
Ormai era quella la sua gente, quella per cui aveva combattuto e per cui sarebbe morto.
Fra loro aveva trovato un buon amico, Pedro Gonzales, il capo di una banda di ribelli, un brav’uomo di poche parole e parecchi sogni nella testa.
 
- Liam! – il grido di Pedro aveva lacerato la notte. In un attimo era giunto al suo capezzale, per trascinarlo il prima possibile al riparo.
- Non avrai intenzione di morire, eh irlandese?  La pellaccia l’hai sempre avuta dura, non ti farai ammazzare così?– gli disse in tono ironico, nascondendo nella maschera comica del suo volto una nota d’angoscia.
- Non temere, ti faranno generale della rivoluzione, dopo questo combattimento – rispose lui, sforzandosi di sorridere.
- Io a te mi ci ero abituato. – era il suo modo per dirgli che, in fondo, gli voleva bene. Forse più di quanto non osasse confessargli, per non diventare troppo sentimentale: -Che me ne frega di diventare generale, se tu…
Liam chiuse gli occhi; quasi non lo sentiva più.
- Devi farmi un favore, Pedro – gli chiese con tutta la voce che riuscì a trovare.
- Tutto… tutto quello che vuoi, amico mio.
- Quando morirò c’è una persona che devi avvertire.
- Una donna?
Sorrise: - Sì, una donna. Ricordati il suo nome e l’indirizzo: Kathleen O’Connor. 32, Henrietta street. Dublino, Irlanda. Lo ricorderai? Fai in modo che riceva una lettera, dille…
Gli strinse la mano convulsamente, per strappargli la promessa.
- Dille che… che sono morto per una buona causa. Dille che ho espiato le mie colpe, cadendo per un’idea. Dille che Liam è, in fondo, ancora quello che aveva conosciuto i primi tempi, non quello di cui serba un terribile ricordo. Glielo dirai, vero?
Non aveva capito nulla, in realtà, di quello che voleva che venisse scritto nella lettera, ma non aveva importanza, in quel momento: - Glielo dirò, te lo prometto.
- Grazie. Lei è stata… lei è molto importante per me.
- Oh, Liam, non morire, eh? Vado a cercare aiuto.
L’irlandese raccolse tutte le sue forze per sussurrare appena: - Amico mio, non pensare a me. Mettiti in salvo.
L’altro scosse la testa, nascondendo come poteva gli occhi umidi, sotto la falda del sombrero.
Non avrebbe avuto senso andare a cercare aiuto.
Lo sentiva: stava morendo.
Rimase solo, con la sua ultima sigaretta e i suoi pensieri. Quei pensieri che tormentano un uomo per tutta una vita e non l’abbandonano nemmeno mentre sta per morire. Al contrario, proprio negli ultimi momenti si fanno insistenti, più ossessivi, più terribili se possibile, come per farti scontare il prezzo di ogni singolo momento che hai vissuto.
Un volto di donna comparve davanti ai suoi occhi, illuminando per un istante le tenebre della mente.
Quello sguardo, buon Dio, quello sguardo che avrebbe voluto dimenticare. E i suoi capelli, quella impalpabile cascata di seta bionda, ancora li sentiva sotto le dita come fosse stato ieri.
Invece erano passati dieci anni, se ben ricordava. Dieci anni a ramingare per il mondo, andando di rivoluzione in rivoluzione perché era l’unica cosa che sapesse fare o l’unica che lo tenesse in vita, senza nemmeno la speranza di sfiorare per un’ultima volta il suolo patrio.
E lei chissà dov’era ora. Forse nemmeno più su questa terra, eppure Liam avrebbe dato anche gli ultimi attimi della sua esistenza, anche il suo ultimo respiro per averla accanto.
- Aisling – un nome gaelico gli sfuggì dalle labbra.
Una risata argentina risuonò da molto, troppo lontano, come da un abisso, divenendo più lugubre che fresca.
La vide correre, nei verdi campi d’Irlanda della sua memoria, giovane e felice come quando si erano conosciuti.
Correva, sollevando l’orlo candido della gonna per non inciampare, lasciando intravedere le gambe fasciate da calze bianche.
Correva e rideva mentre incitava a seguirla i due uomini dietro di lei.
Un cappello di paglia nelle sue mani sventolava come un aquilone.
- Come siete lenti! Vi farete battere da una donna? – gridava, la voce d’arpa rotta dall’affanno.
Rivide se stesso giovane, lanciato all’inseguimento giocoso della ragazza.
- Aspettami, Aisling. – in un attimo l’aveva raggiunta e, afferratola dolcemente ai fianchi, aveva preso a baciarla.
Lei, incurante dell’altro giovane che da lontano chiedeva di rallentare il passo, lo aveva lasciato fare, appoggiandosi al tronco di un albero.
Liam trasalì. Shannon: non poteva essere che lui l’altro con cui aveva diviso quei momenti.
Chiuse gli occhi: - Perdonami, Shannon – disse nella sua testa – E perdonami anche tu, Aisling.
Rigirò al dito l’anello sottile che portava, nell’illusione di allontanare i ricordi in virtù di un assurdo gesto magico.
Invece, quell’anello che un tempo era stato di Aisling, lo riportò lontano con la mente, verso un’Irlanda perduta, verso l’illusione di un sogno, verso il principio della storia.
 
Irlanda, 1898
 
- Lascialo immediatamente! – il piccolo Liam, all’età di sei anni e qualche mese, aveva gridato queste parole all’indirizzo del suo fraterno amico Shannon Donovan, prima di lanciarsi al suo inseguimento.
- Shannon, t’ho detto di ridarmelo subito!
L’altro, per tutta risposta, era fuggito col quaderno di scuola di Liam, come dispettosa ripicca di una scaramuccia cominciata sui banchi quella mattina, in un modo e per ragioni che nessuno dei due ormai ricordava più.
- Bambini, tornate indietro! Non correte o vi farete male! – da lontano li raggiungeva l’eco della voce lievemente nasale della signora Donovan.
Nel giardino pubblico della città, la madre di Shannon tentava di improvvisare una buffa corsetta, sperando di non inciampare nelle lunghe gonne o di inzaccherare gli scarpini eleganti nelle pozzanghere, ormai unica traccia visibile dell’ultimo temporale.
Doveva essere stato davvero uno spettacolo per quei due marmocchi vedere la povera Eiliònor Donovan, abituata com’era ai salotti borghesi o alle tranquille passeggiate nel parco al braccio del marito quando era proprio di umore particolarmente bucolico, cimentarsi in tale impresa. Tanto è vero che entrambi i ragazzini dimenticarono le loro schermaglie per prestarle un attimo attenzione.
Ma fu solo una fugace interruzione, prima di riprendere la loro corsa.
- Shannon! Liam! Tornate qui!
Imperterrito Shannon aveva continuato a trottare finché non era scivolato su una pozzanghera, cadendo bocconi nel fango e trascinando con sé il quaderno, ormai inservibile.
- Ecco, guarda cosa hai fatto! – il pronunciare quelle parole e il piombare sull’amico, per Liam furono tutt’uno.
Si azzuffarono in modo ben poco signorile, fra ruzzoloni, schiaffi e qualche morso.
- Shannon, smettila subito! Pensa a quando lo saprà tuo padre…
Fiato sprecato, povera Eiliònor.
- Non agitarti, ci penso io. – era sopraggiunta anche Gobnait Murray, la madre di Liam, che memore della sua infanzia priva di sofisticatezze e dotata di più senso pratico dell’amica, richiamò entrambi con un fischio da pastore tale da risvegliare anche un cavallo placidamente appisolato davanti al suo biroccio in attesa.
- Gobnait, mio Dio! Che modi! – la riprese l’altra.
- Però funziona – aveva riso e, tolte le scarpe, era corsa a dividere quei due demoni.
- E’ colpa tua! Non sarai più il mio migliore amico.
- Neanche tu. E non giocherò mai più con te.
Piagnucolarono i due.
- Calma, calma – li esortò dolcemente Gobnait, con tutta la pazienza che era riuscita a mettere nella voce, mentre tentava di scrollarli entrambi dal fango, alla bell’e meglio.
- Non dovete dire queste cose. Voi siete amici, quasi fratelli. Anzi, meglio che fratelli, perché non è stata la sorte a unirvi, ma sono state le vostre anime a scegliere di legarsi l’una all’altra dopo averla eletta tra altre mille. L’amicizia è uno dei beni più grandi che possiamo chiedere alla vita e mai dovrete permettervi di sprecarlo, qualunque incomprensione nasca fra voi.
Un giorno sarete uomini, forti, coraggiosi, indipendenti: eppure sentirete, in un momento difficile, il bisogno di dividere con qualcuno il peso delle vostre sofferenze e delusioni. Quel qualcuno sarà il vostro amico, che vi amerà sia che sarete gli uomini più importanti d’Irlanda, sia le persone più anonime di questo mondo.
Ricordatevi di ciò che vi dico: il nome di amico è l’appellativo più nobile che possiate dare ad un uomo dopo quello di “maestro”.
Non odiatevi e non traditevi mai. L’Irlanda ha bisogno di uomini leali e di nobili sentimenti, per diventare grande e libera.
Pulì il volto di entrambi con il proprio fazzoletto, come fossero stati tutti e due figli suoi.
Ed essendo i loro mariti amici da anni e i due ragazzi nati e cresciuti insieme, era come se davvero lo fossero. E così anche per Eiliònor.
 
Si erano calmati al suono della sua voce e all’udire quella storia che pareva alle loro orecchie una fiaba incomprensibile, per taluni versi, ma che invece sarebbe stata la loro vita.
Gobnait li abbracciò con trasporto: - Ed ora scambiatevi un bacio e ritirate quello che avete detto.
I due bambini si baciarono sulle gote.
- Mi spiace di aver rovinato il tuo quaderno, Liam. Sarai sempre il mio migliore amico.
- E a me dispiace di averti preso a botte, Shannon. Ti vorrò sempre come mio migliore amico, perché ti voglio bene.
- Anch’io.
 
Il sole stava tramontando su Dublino, sul parco cittadino e sui viali circostanti, sempre meno affollati.
Cominciavano ad accendersi i lampioni, avvolgendo tutto nella loro luce arancione e ad alzarsi le prime saracinesche delle birrerie che, a sera, si sarebbero riempite di fumo, avventori e odore caldo di whisky.
Era ora di rientrare. I due bambini, sotto lo sguardo vigile delle madri, ritornavano allegramente a casa, tenendosi per mano.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2. Friendship in a box ***


  Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

Capitolo II: Friendship in a box
 
 
Il viso di Liam si contrasse in una smorfia di dolore, alleviato soltanto dal dolce ricordo di sua madre. Quella donna semplice e saggia se n’era andata troppo presto, un paio d’anni prima della sua fuga dall’Irlanda. Silenziosamente e umilmente, com’era sempre vissuta.
Forse era stato meglio così, almeno non aveva dovuto sopportare l’idea di ciò che era diventato suo figlio e dell’errore, del peccato atroce che aveva commesso.
Come avrebbe potuto confessarglielo?
Aveva sempre avuto troppo senso della giustizia, sua madre, per poter sperare nel suo perdono.
E dava troppo valore alla vita per credere che avrebbe giustificato un uomo che aveva compiuto un atto simile, anche se si fosse trattato di suo figlio.
Povera Gobnait.
Cominciava a temere che non avesse avuto molte soddisfazioni da quel figlio che non sarebbe mai diventato l’illustre letterato che tutti credevano. Forse sarebbe stato un buon irlandese, questo sì, o almeno era l’illusione che l’aveva consolata in punto di morte.
Ella stessa era stata una fervente sostenitrice dell’indipendenza dall’Inghilterra. Aveva fatto appena in tempo a vedere i moti di Pasqua nel ’16, augurandosi che sarebbe stato l’inizio della loro libertà.
Lo sarebbe stato davvero, ma di certo lei, nel suo idealismo, aveva messo in conto soltanto in minima parte il bagno di sangue che tutto ciò avrebbe richiesto.
Erin sarà libera, finalmente. Aveva detto all’orecchio di Liam. E tu e Shannon avrete fatto la vostra parte, allora. Mi dispiacerà non avere il tempo sufficiente per esserci, quando accadrà.
Meglio così, pensava adesso lui con amarezza. Nemmeno Liam aveva avuto modo di veder realizzato quel sogno, a dire il vero non aveva più nemmeno avuto notizia sugli esiti della guerra, essendo fuggito quasi tre anni prima che giungesse al termine.
Rise appena degli scherzi che spesso gioca il destino.
Ricordava a malapena di quando era cominciata la sua battaglia di convinto indipendentista. Forse poco dopo quel curioso ricordo del quaderno durante la loro infanzia. Forse più tardi, mentre erano già adolescenti. Di sicuro anche in quel momento Shannon era con lui, come sempre. O lui era con Shannon, chissà chi era stato il primo a proclamarsi fervente patriota, senza capire esattamente di cosa si trattasse ancora.
L’amore per la patria e la libertà lo conoscevano, certo, con quella spontanea immediatezza con cui provano i sentimenti i ragazzi.
L’impegno e il sacrificio l’avrebbero compreso dopo; l’avrebbero conosciuto con Aisling.
Lentamente gli tornò alla memoria un episodio delle scuole. Forse davvero era cominciato tutto così.
 
Dublino, 1906
 
- William Murray! – il professore di lingua inglese lo richiamò alla cattedra con tono severo – Questo, secondo lei, si può chiamare tema?
E come altro lo voleva chiamare? Era un componimento scritto, sull’argomento che gli era stato chiesto, no? Cos’altro voleva?
- Murray, questo è gaelico! Lo sa che è stato imposto l’insegnamento della lingua inglese nelle nostre classi e, per tanto, lei ha volontariamente trasgredito alla consegna.
- Io sono irlandese – ribatté lui, con un’incoscienza che, forse, solo qualche anno dopo non avrebbe così fieramente ostentato – Questa è la mia lingua. Se mi è richiesto un tema, io scrivo in gaelico.
- Veda di abbassare il tono, Murray!
- Io sono irlandese! – nel ripeterlo, aveva alzato la testa con orgoglio davanti ai compagni.
- Ma questo è dominio britannico.
- Io non ho alcuna intenzione di scrivere nella lingua dell’invasore.
- Murray! Lei rischia l’espulsione. Ritiri immediatamente quello che ha detto e chieda pubblicamente perdono a me e ai suoi compagni per la sua insolenza.
Un sorriso ironico aveva fugacemente increspato le labbra di quel quattordicenne testardo.
La bacchettata del professore gli aveva colpito le mani.
- Questo, Murray, è territorio inglese. Che le piaccia o no, deve sottostare alle sue regole.
- La mia casa è l’Irlanda. E nel mio cuore, Erin è libera.
Un altro colpo di bacchetta lo raggiunse.
- Professore! – una voce l’aveva fermato prima che si accanisse per la terza volta sull’allievo.
- Dica, Donovan.
- È colpa mia: ho convinto io Liam a consegnare il compito in gaelico.
E, per confermare la sua confessione, Shannon aveva presentato sul tavolo il proprio, scritto nella medesima lingua.
- Siamo in due ad essere irlandesi. – aggiunse.
 
- Sai, Shannon, non mi dimenticherò mai di quello che hai fatto. – gli disse Liam quel pomeriggio, mentre riflettevano su come riferire a casa che quella improvvisa alzata di testa era costata loro quattro giorni di sospensione.
- Beh, l’avevamo deciso insieme di farlo. Sarebbe stata una vigliaccata far punire solo te.
- Sì, però avresti fatto in tempo a salvarti, a inventarti che l’avevi lasciato a casa, quel tema. Adesso che dirà tuo padre?
- Che dica quello che vuole. Al massimo mi punisce pure lui, ma questa cosa andava fatta.
Eppoi mio padre non sta mica con gli inglesi. E il tuo?
- Neanche il mio, mia madre gli tirerebbe il collo. – scherzò Liam, guardando lontano. Poi riprese: - Shannon, hai mai pensato che quello che abbiamo fatto potrebbe diventare qualcosa di più grande?
- Che vuoi dire?
- Voglio dire che un giorno, se continueremo a ribellarci, altra gente si unirà a noi e poi altra ancora, fino a far muovere l’intera Irlanda verso la sua strada per la libertà.
Shannon rise: - Parli da poeta, Liam.
- Un giorno lo sarò. – fece lui, spalancando le braccia e ruotando su se stesso – Sarò il nuovo bardo per questa terra.
- Sei tutto matto, Liam.
- Perché, tu cosa vuoi fare?
- Il giornalista. Lavorerò per una grande testata e farò dei soldi. Spero.
- Beh, non parli da buon patriota, amico mio.
- Niente mi impedirà di scrivere qualche buon articolo in proposito. Pensa per te, piuttosto, quando verrai a bussare alla mia porta affamato, senza casa né denaro, per aver girato il mondo con una cetra in spalla.
- Scemo! – gli assestò una pacca affettuosa sulla spalla – Dove vuoi che vada, senza di te, con tutti i sogni che abbiamo da realizzare?
 
Non se ne sarebbe andato da nessuna parte davvero, senza Shannon e sapeva che era lo stesso anche per l’altro. Se la loro amicizia li aveva sempre profondamente legati, dopo quei primi moti di patriottismo, erano diventati inseparabili, uniti come solo coloro che sono consapevoli di aver corso assieme lo stesso rischio.
Ogni volta che si offriva l’occasione, finivano per manifestare anche troppo esplicitamente il loro pensiero, attirandosi occhiatacce di sospetto.
- Sono molto preoccupato per Liam, si caccerà nei guai, prima o poi.
Il vicedirettore di banca James Murray aveva ripiegato il giornale della sera sulle ginocchia e aveva guardato la moglie non senza una certa apprensione.
- Liam sta crescendo, sta cercando la propria strada. Non siamo noi a doverlo fermare. – la voce di Gobnait mischiava la dolcezza ai sospiri.
- Ma a doverlo proteggere sì.
- È alla ricerca di un sogno in cui credere, come me, come te. Come è giusto che sia.
Cosa credi, ho paura anch’io che finisca per esporsi troppo. Adesso ha quindici anni, ma presto sarà un uomo. Non vorrei che anche lui, un giorno, venga ricordato tra i martiri di qualche protesta… - si passò le mani sul viso – Ho paura, se è questo che vuoi sentirmi dire.
- E allora vedi che convieni con me, sul fatto che dovremmo fermarli. Lui e quell’altro scavezzacollo di Shannon. Stasera vedo Donovan al circolo, gliene parlerò. Vedremo insieme di discutere con i ragazzi e di far loro comprendere che amare l’Irlanda è giusto, ma amarla in silenzio è conveniente.
- Lo so, lo so, James… Ma cosa vuoi che ti dica? Non è corretto nemmeno così. Fermarli? Se li fermiamo finiranno per diventare come noi.
- Perché, noi cosa siamo diventati, Gobnait?
- Paralizzati, ecco cosa siamo. Paralizzati dalla mancanza di sogni. Non corriamo rischi, certo, ma non abbiamo nemmeno soddisfazioni. Viviamo in una specie di indistinto crepuscolo in cui non distinguiamo più né grandi dolori né tanto meno grandi gioie.
- Parli bene, tu, con le tue belle parole di poetessa mancata. Lo hai sempre fatto e tuo figlio ha preso da te. – rispose lui, inforcando gli occhiali - Ma la realtà non è tanto facile quanto la immaginiamo nei sogni.
- Lascia che sogni, lui, finché la vita non gli farà aprire gli occhi. Ne avrà di tempo. Commette un reato credendo in qualcosa? Ruba, forse? Sperpera il tuo denaro? No di certo: ha un ideale, nient’altro. E studia, grazie al cielo.
 
Liam non aveva fatto altro che dimostrarsi uno studente appassionato, un lettore vorace, un attento conoscitore di storia.
Un carattere orgoglioso, sicuramente, ma di poche parole, riservato, talvolta quasi cupo.
Per contrasto, Shannon risultava essere il suo luminoso contraltare.
Fin da ragazzi, gli rubava la scena, Shannon, con il carattere gioviale e un’esuberanza ai limiti dell’egocentrismo. Studiava il meno possibile, per essere poi perennemente salvato in extremis dall’intelligenza pronta, la parlantina sciolta degna di un avvocato e la penna altrettanto rapida.
Anche fisicamente erano sempre stati come il giorno e la notte, ma con l’adolescenza il divario si sarebbe fatto ancor più marcato.
Se Liam, da bambino, lo si ricordava come uno di quei marmocchi come tanti, anche verso i diciotto anni era rimasto di fisionomia piuttosto ordinaria. Ne era uscito un intellettuale schivo, infagottato nel cappotto, le spalle tenute curve per abitudine e le mani sprofondate nelle tasche a contendersi d’inverno lo spazio coi libri.
Non che avesse poi un brutto aspetto, in fin dei conti. Il viso era appena un po’troppo lungo per essere definito regolare e il baschetto di tweed, poggiato con noncuranza sui capelli biondo cenere, adombrava misteriosamente uno sguardo di un deciso azzurro torbido.
Piaceva alle ragazze, ma suscitava allo stesso tempo quel misto di attrazione e soggezione che le tratteneva dal farsi avanti.
Lui, del resto, aveva già la testa piena di troppe cose per far posto anche all’amore, o almeno così credeva.
Si era iscritto all’università, per studiare letteratura, ma senza troppa convinzione. A dire il vero, aveva assecondato le aspettative della famiglia in un momento in cui, invece, sentiva più il bisogno di scrivere e di creare egli stesso, piuttosto che analizzare opere di altri.
Tuttavia, qualche buon volume di poesia oppure l’ultimo romanzo di questo o quell’autore, glielo si poteva sempre trovare tra le mani.
E, per il resto, le fanciulle avevano ben poco da preoccuparsi. Dopotutto, quel dongiovanni di Shannon metteva abbastanza impegno nelle sue conquiste da sopperire anche alla pigra indifferenza dell’altro.
Carino lo era sempre stato fin da quando era in fasce, pensava Liam ridendo dei successi dell’amico, e adesso non aveva fatto che migliorare.
Un adorabile giovanotto, da come ne parlavano le donne. Un ciuffo bruno domato a fatica e due occhi neri e ardenti come tizzoni che avevano fatto capitolare parecchie delle loro amiche, senza che però nessuna riuscisse a risultare per lui particolarmente importante.
Il padre giornalista gli aveva lasciate aperte numerose porte per il suo futuro ed aveva finito per accettare, non senza un pizzico di orgoglio, la decisione del figlio di seguire la sua strada.
Brillante era brillante e, con gli anni, si era fatto fin troppo smaliziato.
Seguiva le migliori lezioni e prometteva di diventare un’ottima penna, col suo stile privo di fronzoli.
Gli rubava la scena, appunto, ma mai Liam avrebbe provato meno che soddisfazione davanti ai trionfi dell’altro. Talvolta lo stesso Shannon si meravigliava di tale mancanza di gelosia e di come egli riuscisse a gioire delle sue fortune come fossero state le proprie.
 
- Sai cosa pensavo? – esordì Liam un pomeriggio di primavera del 1910, uno di quelli che preannunciano con il sole l’arrivo imminente della bella stagione.
- Mi preoccupi quando ti passa in testa un’idea, pazzo di un bardo irlandese. – lo canzonò Shannon, non alzando nemmeno gli occhi dal suo esercizio di scrittura.
Liam aveva messo da parte il libro di letteratura e il foglio su cui stava scribacchiando una poesia, come distrazione tra una pagina e l’altra.
- Dovremmo seppellire una scatola, Shan.
- Una che?
- Una scatola di latta, con dentro qualcuno dei nostri ricordi. Che so, una fotografia insieme, una mia poesia, un tuo articolo, cose di questo genere. Io non so cosa metti tu e tu cosa ho messo io e fra venti anni la riapriamo.
Shannon storse il naso: - Sai, a volte mi domando se tu abbia davvero quasi diciannove anni, matto di un bardo.
- E io se tu abbia dei sentimenti, tirchio d’uno scribacchino.
- Sembra una di quelle cose da romanzetti d’avventura, fra pirati e tesori nascosti. Poi finisce sempre male: con uno morto e l’altro che se la riapre da solo sta maledetta scatola.
- Ma dai, sarà divertente riesumarla fra quattro lustri.
- Sempre se saremo ancora vivi…
- Go dté tú an céad, mo chara! 1 – rispose l’altro con ironia.
Gli fece quel suo mezzo sorriso che doveva servire a convincerlo, come sempre.
- Eppoi, cosa ti fa pensare che tra vent’anni avrò ancora voglia di sopportarti? E, soprattutto, che saremo ancora amici? – lo sfidò scherzosamente.
- Go hifreann leat, Shan.2  –  Liam scoppiò a ridere.
Contro la testardaggine di Liam era tempo perso persino tentare di opporsi.
E va bene, seppelliamo questa scatola, fu l’espressione rassegnata di Shannon mentre alzava gli occhi al cielo.
La sotterrarono nel giardino dei Murray, vicino alla pianta di rose bianche, quella preferita di Gobnait.
Il 13 aprile 1930, qualunque cosa capiti, ovunque saremo nel mondo ci troveremo qui a quest’ora per dissotterrarla. Era una promessa.
Non potevano certo sapere che, vent’anni dopo, sarebbero stati costretti dal destino a mancare all’appuntamento.
 

___________
 
 
Note dell’autrice:


1. Gaelico. Trad: “Possa tu vivere cent’anni, amico mio!”
2. Gaelico. Trad: “Ma va all’inferno!”

 
Miei cari, come vanno le cose con questi primi capitoli?
Sono noiosi o si sopportano? Quelli iniziali sono sempre un po’ così, temo, prima di entrare nel vivo della vicenda.
Oltretutto, questi sono anche piuttosto frammentati e “a salti”, ma sono stati una scelta obbligata per farvi conoscere i protagonisti e il rapporto che li lega attraverso alcuni fatti significativi, piuttosto che attraverso la solita descrizione del narratore.
Comunque non appena entrerà in scena Aisling (fra un capitolo, massimo due), la storia procederà fluidamente da lì senza più flashback a interrompere la vicenda.
Ma se state morendo di noia, fatevi vivi, mi raccomando;)
Per qualsiasi consiglio, suggerimento, proposta, critica o anatema, lo sapete che potete sempre esprimervi liberamente, anzi a me farà stra piacere sentire la vostra, se vorrete. :)
E come sempre un grazie di cuore a chi passa a leggere la mia storia per caso e, soprattutto, a DanSperry, Fruttina89 e Martina97 che l’hanno inserita tra le seguite.
Un bacione, vostra
Marguerite.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3. The velvet of her eyes ***


 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online



Capitolo III: The velvet of her eyes
 
 
Liam, occhiali sul naso per leggere da vicino e taccuino alla mano, controllava gli orari delle lezioni nella bacheca dell’università.
Anche quell’anno accademico, quello del 1913/14, il terzo da quando si era iscritto a letteratura, sarebbe stato talmente fitto di impegni da non lasciargli molto tempo libero.
Se cominciava anche ad aggiungerci la scrittura e la politica, forse non avrebbe trovato neppure quello per respirare.
Era meglio non stare nemmeno a pensarci, si disse, rimettendo gli occhiali nel taschino, tanto più che doveva attraversarsi mezza facoltà per l’ora di filologia ed era, come al solito in ritardo.
La verità era che quando scriveva perdeva completamente la cognizione del tempo, trovandosi a vagare negli universi che lui stesso creava. Anzi, a volte, sentiva di mettere così tanto di sé nei suoi personaggi, di porsi al servizio delle storie o della musicalità dei versi, da perdere di vista la propria esistenza. Poi scrollava la testa e rideva dei propri voli pindarici.
Dovresti smettere di scrivere, Liam. Gli aveva detto suo padre più volte. Del resto, con la poesia non si mangia.
Lo sapeva anche lui, ma non poteva farne a meno. Pensare di vivere senza la sua arte, sarebbe stato come non vivere nemmeno. Così Gobnait lo vedeva sempre alzato fino a tardi ad accumulare pagine e pagine di manoscritti, dei quali nessuno conosceva più di qualche accenno di trama.
Almeno si sapesse se ha talento, era stato il commento del vecchio Murray, quando aveva messo mano al cassetto della scrivania del figlio, trovandolo prevedibilmente vuoto.
Stava lavorando ad un romanzo, così aveva detto anche a sua madre, e aveva qualche speranza di pubblicare entro breve. Forse con un piccolo editore, forse facendo circolare la sua opera con lo stesso sistema del giornale di facoltà.
Solo Shannon aveva letto quasi tutti i capitoli in anteprima, venendo così a sapere che si trattava di una vicenda allegorica che, con molta fantasia avrebbe dovuto inneggiare all’indipendenza, senza incastrarsi nelle maglie fin troppo fitte della censura. Non poteva certo correre rischi di essere etichettato come sovversivo fin dall’opera di esordio. Sorrise da solo, immaginandosi la faccia di Shan, quando avrebbe visto la prima copia e, soprattutto, quella di suo padre.
- Ehi, Liam.- si sentì tirare dalla manica della giacca e trascinare fuori a forza dai suoi pensieri.
Si voltò, lasciando cadere lo sguardo sul giovanotto che l’aveva chiamato. Il suo compagno di corso, Patrik O’Connor, un ciuffo di capelli rossi sul muso più allegro e lentigginoso che avesse mai avuto occasione di incontrare, lo guardava quasi in punta di piedi, essendo almeno tre spanne più basso.
- Dia duit, Patrik. 1 Non sei in ritardo per filologia?
-  Dia is Muire duit.2 Ci sono cose più importanti di filologia, in questo momento. – gli disse in un sussurro, prendendolo sottobraccio – Stiamo pensando di organizzarci.
- Senti, è meglio che ne parliamo da un’altra parte. Vieni con me.
Lo condusse fino alla biblioteca, avendo cura di scegliere un reparto polveroso di vecchi testi inutili, non consultati da anima viva da almeno un decennio.
- Organizzarvi per cosa?
- Una società, un movimento patriottico, qualcosa che ci unisca nella lotta d’indipendenza.
Liam si strinse nelle spalle. Non rispose: no, grazie, io lavoro da solo, soltanto per educazione.
- Senti, lo so che non sei d’accordo con queste cose.
- Non sono d’accordo perché mi conosco. E so perfettamente di essere un idealista, di quelli che fin che c’è da scrivere lo fanno, ma quando si tratta di mettersi in società e sbattono il muso nella piccolezza umana, perdono ogni entusiasmo.
- Certo, se parti dal presupposto che ci sia sempre gente che se ne approfitta dei disordini per i propri interessi…
- Non intendevo dire questo.
- Ma l’hai detto, ed io potrei anche sentirmi offeso.
- Macchè offeso! Dicevo semplicemente che credo poco in questo spirito di corpo: tanti buoni propositi che poi si perdono per strada. È un mio limite, lo riconosco. Ma non ho voglia di assistere ai nostri bei ideali cadere per colpa di alcuni che si sbranano per essere i capi di tale movimento.
- Di’ pure che non hai il coraggio di affrontare la vita vera, Liam. E che preferisci quella dei romanzi.
- Forse. Senti, dimmi cosa devo fare e vi darò una mano anche questa volta, come ho sempre fatto. Non potrai certo rimproverarmi di non aver distribuito manifestini, scritto qualche buona ode per commemorare questa o quell’occasione e tenuto un paio di discrete orazioni, quando c’era da parlare. Come dire, non è che non abbia rischiato di persona.
- Assolutamente. Lo sai che vi stimo entrambi, sia te che Shannon. L’unica cosa è che, da quando ho parlato di voi a mio padre, mi sta torturando l’anima per convincervi a entrare con lui in qualche organizzazione, per essere più utili.
- Beh, hai visto com’è finita con la Giovane Irlanda. Se non lo ricordi, te lo dirò io: male.
- Sì, ma allora i tempi non erano maturi, cosa vuoi. Adesso c’è aria di rivoluzione.
- Sarà. E così è un idea di tuo padre, meno male: pensavo che fosse tua.
- No, no: è sua. Io faccio solo da tramite qui in facoltà. Insomma, lui è un professore un po’ troppo in vista. Ma sai, se fosse per lui, recluterebbe anche mia sorella Kathleen, che non ha ancora vent’anni. E quella matta è addirittura peggio di me.
- Sarei curioso di conoscerla, allora.
- Non ti dovrebbe essere difficile: studia filosofia nell’altro edificio. Ogni tanto la si incontra anche qui in biblioteca.
- Magari l’ho anche vista.
- Ne dubito, te lo ricorderesti. Non perché è mia sorella, ma è il genere di ragazza che non si dimentica.
Liam era tutt’altro che interessato alla piega che aveva preso la conversazione, per quella sua battuta che era stata solo di circostanza. Teneva ancora le mani nelle tasche in attesa di sapere cosa avrebbe dovuto fare.
- Affiggere dei manifesti. – gli disse Patrik, senza scomporsi – Stanotte. Porta con te anche Shannon, se vuol venire.
 
- Eh, quanto la fai lunga, Liam, per due manifesti da appendere. – replicò Shannon quel pomeriggio, dopo essersi ascoltato fin nei minimi dettagli il lungo racconto dell’amico. Possibile che gli mancasse del tutto la capacità di sintesi?
- Beh, certo, cosa vuoi che sia finire in gattabuia per i prossimi dodici anni.
- Così hai più tempo per scrivere, pazzo di un bardo. Sai Liam, quello che apprezzo maggiormente in te è l’ottimismo.
- Io invece adoro la tua sottile ironia, scribacchino. Allora, cosa fai, vieni anche tu?
- C’è anche la sorella di Patrik? – scherzò l’altro.
- Ci mancherebbe anche una ragazzina. Ma cos’ha di speciale, questa Kathleen?
- Dicono sia la più bella creatura che abbia mai messo piede in facoltà.
- Per forza, a filosofia sono quasi tutti uomini. Ma tu l’hai mai vista? Che domanda stupida: ovviamente no, altrimenti non si sarebbe salvata da Shannon “il conquistatore”.
- Spiritoso. Donzelle o no, verrò con te: non sono neanche domande da fare. Senza di me, altrimenti, chissà cosa combineresti.
Erano scivolati fuori casa, in tarda serata, senza farsi scoprire. Ormai Gobnait sapeva che Liam usciva sempre più spesso per partecipare a qualche riunione e lei stessa gli avrebbe lasciato campo libero, se non fosse stato per il marito. Ma quello scavezzacollo del figlio aveva dalla sua il sonno pesante del vecchio Murray.
Per Shannon le cose non andavano molto più lisce e si ritrovava molto spesso costretto a non usufruire dell’ingresso principale per andare e venire da casa Donovan.
La mattina seguente, Dublino si era svegliata coi muri tappezzati di manifesti indipendentisti, domandandosi di chi fossero opera.
Liam era rientrato all’alba col cuore in gola, ripensando al pericolo di essere scoperti, che avevano appena passato.
Shannon era andato avanti, deciso a sacrificarsi per entrambi, assumendosi la colpa.
Non se ne parla. Aveva ribattuto lui, seguendolo a ruota. La colpa è mia. Non rovinarti la carriera, tu che hai un brillante avvenire davanti.
Poi, per non finire a discutere proprio in quel momento, decisero di fare come quei due amici latini che, contendendosi la responsabilità, erano riusciti a muovere a compassione anche Dionisio di Siracusa. Solo che, forse, la guardia britannica non sarebbe stata altrettanto incline al perdono quanto il tiranno. Insieme, come sempre, come ai tempi delle scuole.
Si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi un istante al muro, per riprendere fiato.
Grazie al cielo era andato tutto bene.
Sua madre apparve in vestaglia sulle scale, stringendosi le braccia al petto per il freddo e la preoccupazione.
È questa l’ora di rientrare? Chiuse gli occhi e attese per un paio di secondi l’arrivo della fatidica domanda.
Invece lei, in tono piano, gli chiese semplicemente dove fosse andato.
- Ad occuparmi di Erin – disse ad occhi bassi.
Gobnait gli sfiorò appena la guancia con la mano.
- Non sei in collera con me?
- No. – fece lei in un sussurro – Tu sei ciò che io avrei voluto essere, figlio mio. Hai ciò che avrei voluto avere: un sogno.
- Solo perché tu me lo hai insegnato, mamma.
Trattenne una lacrima di commozione.
- E’pericoloso ciò che fai?
- No, no, solo qualche riunione. Non stare in pena per me.
- Solo una cosa, Liam, fa’ attenzione. Non ti chiedo nient’altro. Ma promettimi che non ti metterai in pericolo. Non sopporterei che ti accadesse qualcosa.
- Te lo prometto, stai tranquilla.
Com’era bella sua madre, pensò, piccola e graziosa come una bambola. E con una forza che non aveva mai incontrato in nessun’altra donna. La baciò su entrambe le gote.
- Beannacht Dé leat, mo rùn! 3 – gli disse accennando a un sorriso – E Shannon? Era con te?
- Mamma, ricordi quando eravamo bambini? Quando mi dicesti che saremmo rimasti amici e che servono uomini onesti per fare grande l’Irlanda? Lui è davvero l’amico migliore che si possa desiderare.
Gobnait aveva saputo dei manifesti, quella mattina, non tardando ad associarli all’escursione notturna del figlio. Un brivido le aveva attraversato la schiena. Tuttavia, rientrando, fu pronta a giurare al marito che Liam, quella sera, era rimasto a studiare in camera sua fino a tardi.
 
Erano passati quasi due anni di fervente attività patriottica, come amavano chiamarla loro.
Oramai, come un rito a cui nessuno nelle due famiglie dava più peso, ogni mercoledì Shannon e Liam incontravano altri studenti e discutevano fino a tarda notte sulle questioni che più stavano loro a cuore.
In realtà si ritrovavano tutte le volte con troppe chiacchiere, pochi fatti e sempre più demoralizzati.
Ma sembravano non risentirne troppo. Dopotutto, data la loro giovane età, c’era sempre qualche buona ragione per essere felici: fosse un esame ben riuscito o una passeggiata o una buona chiacchierata sotto un portico in attesa che spiovesse.
Shannon, in particolare, cominciava a pubblicare qualche articolo ben apprezzato.
Le ragazze, cosa per lui fondamentale, non gli mancavano, tanto da non volerne sapere di mettere, come diceva sua madre, la testa a posto.
Quando si trattava di questioni politiche, se c’era da far qualcosa, non era certo il primo a tirarsi indietro, ma cominciava a credere di poter benissimo sopravvivere anche senza.
A dire il vero, forse era solo lo spirito di avventura e l’idealismo della loro età ad averli portati su quella strada, senza che fosse veramente la loro.
Non che non volesse anche lui vedere un giorno Erin libera, semplicemente per carattere era del tutto incapace di vedere il lato drammatico delle cose. Faceva tutto con entusiasmo e Liam, spesso, lo invidiava, ma senza cattiveria.
Era una di quelle invidie che portano con sé più ammirazione che altro.
Dal canto suo, Liam, aveva sempre la sua scrittura a consolarlo, oltre che un anonimo amore finito male, ma senza farlo poi tanto soffrire, dal quale trarre sempre ispirazione per qualche poesia sentimentale.
E se gli articoli di Shannon cominciavano ad avere un loro discreto consenso, anche lui aveva avuto il suo piccolo successo letterario. Il suo romanzo circolava per la facoltà e si era tirato addosso parecchi complimenti e qualche critica.
Almeno non è precipitato nell’abisso dell’indifferenza, si era detto, notando la modestissima edizioncina nelle mani di uno dei colleghi.
- Posso fare i complimenti al mio scrittore preferito? – Shannon aveva riso di soddisfazione, quando finalmente aveva potuto sventolare sotto il naso dell’amico la copia che si era premurato di procurarsi.
- E così già sai? Ma, scusa, avrei dovuto regalartelo io.
- Pazzo di un bardo irlandese, solo perché hai scritto un romanzetto, non ti penserai più ricco di me? Risparmia per quando dovrai girare il mondo con la cetra. Guarda che coi miei articoli io guadagno di più. – scherzò.
- Lo sapevo che avresti fatto carriera presto.
- Come io sapevo che saresti diventato davvero uno scrittore, un giorno. Liam, sono tanto contento per te.
Si abbracciarono.
- A proposito, ho un ottima notizia – continuò Shannon con aria raggiante – Non sono arrivato a piedi, oggi.
- No, non dirmi che…
- Sissignore, guarda fuori dalla finestra.
Davanti a casa Murray era parcheggiata una lussuosa automobile: anche Shannon Donovan era diventato uno dei pionieri di quelle moderne carrozze senza cavalli che le trainassero.
- Cos’è quel trabiccolo? – aveva chiesto Gobnait, ridendo, davanti all’entusiasmo dei due ragazzi per quel pezzo di latta con le ruote.
- Una macchina, ultimo regalo di mio padre per i miei… chiamiamoli successi lavorativi. Mia madre non ha nessuna intenzione di salirci.
- Con giusta ragione, Shan, ma sei sicuro di saper guidare?
- Come no! E se non ti fidi domenica ti lascio a piedi, Liam. Anzi, zia Gobnait, vieni tu con me.
- Che dobbiamo fare domenica? – Liam sorrise, scrollando la testa, davanti alle virtù di pilota dell’amico.
- Domenica si farà una bella scampagnata, vecchio bardo. – attese coscienziosamente che la signora Murray si sedesse al posto di guida, emozionandosi come una ragazzina per quei miracoli della tecnologia e della meccanica. Poi aggiunse: - Vedrò di invitare la mia fidanzata…
- Quale delle tante?
- L’ultima. E le dirò di portare un’amica. Insomma, Liam, a ventiquattro anni non puoi essere ancora da solo come un vecchio di ottanta. Sembri mio nonno.
- Grazie! La verità è che soffro ancora per…
- Ma va’, non ci crede nessuno. Non io che ti conosco come le mie tasche, almeno. Devi solo trovare quella giusta, fidati del vecchio Shan.
In realtà, Liam, non l’avrebbe trovata durante una delle loro gite nella campagna irlandese, ormai diventate una piacevole consuetudine, bensì molto più vicino a casa.
 
Camminava nel corridoio della facoltà con una pila di volumi sulla letteratura francese contemporanea da restituire alla biblioteca e la testa persa fra le parole di Baudelaire, i propri gomitoli di trame e la lettera d’amore commissionatagli da un compagno di corso.
Sorrise soprattutto di questo, prendendolo almeno come un buon esercizio per quando avesse dovuto scriverne una per sé come mittente. Certo che era sempre più facile scrivere di sentimenti altrui che dei propri.
Improvvisamente si scontò con qualcosa o qualcuno; francamente non seppe dirlo con precisione, trovandosi a mantenere pericolosamente in equilibrio i libri.
La pila franò rovinosamente a terra, senza che avesse potuto far niente.
- Gabh mo leithscéal. 4 – si scusò la voce più dolce che ricordasse d’aver mai sentito – Mi dispiace. Accidenti che disastro, lasci che l’aiuti.
La sconosciuta si chinò per aiutarlo coi libri.
Quando alzò lo sguardo, Liam trovò puntati nei propri due occhi di un insolito castano dorato, grandi e profondi. Abbassò di nuovo la testa, prima che lei si potesse accorgere che la stava osservando, in quel modo indiscreto con cui gli scrittori fissano quella che sarà la loro prossima ispirazione.
- E’ colpa mia, ero distratto.
- No, ci mancherebbe. Ero io a non guardare dritto: stavo cercando una persona. Anzi, forse lei può aiutarmi. Conosce William Murray? Credo faccia il quarto anno.
- Sono io.
- Quando si dice casualità! – si era rialzata, mettendo in piena luce la propria figura sottile, avvolta in un cappottino color panna. Da sotto il cappello in tinta, alcune ciocche di capelli biondi sfuggivano dalla elegante pettinatura – Sono la sorella di Patrik O’Connor. Da quando mio fratello mi ha fatto leggere il suo libro, mi sono messa in testa di conoscerla. Me lo lasci dire, mi è piaciuto davvero molto. Lei ha del talento, William. Eppoi… - gli si avvicinò, per non farsi sentire – è anche un buon patriota, come me.
Annuì: - Grazie, troppi complimenti che non mi merito. E così lei è Kathleen?
- Sì.
- Sa, è un nome che non le si addice.
- Perché? – rise appena, divertita da quell’insolita frase –Quale mi si addice, allora?
- Appena l’ho vista, se posso permettermi, ho pensato a “Aisling”, “visione”. – non seppe dire da dove fosse nata quella galanteria, di cui non era solito fare uso.
Kathleen, percependo che quel complimento non era quello rivolto da un dongiovanni qualunque al suo nuovo trofeo, ma piuttosto da un poeta alla sua musa, si lasciò incantare per un istante dalla purezza delle sue affermazioni.
Liam intanto pensava che le voci che correvano su suo conto erano addirittura inferiori alla verità. Era davvero bella come una visione. Il suo sguardo di velluto dava luce a un volto raffinatissimo, dai tratti minuti e dalla pelle di alabastro.
A differenza di quanto aveva creduto, non sembrava per nulla sofisticata. Aveva riso spontaneamente, e lui se ne accorgeva sempre quando le persone fingevano di essere diverse dalla loro natura.
- Grazie, è il più bel complimento che mi sia mai stato rivolto. – sorrise, dolcissima – Ma non parliamo di me. Di lei piuttosto, dato che sono venuta apposta. Del suo romanzo. Della nostra Erin. So tutto, per via di Patrik. Io la penso come lei, come voi tutti. Le va?
- Volentieri. Il tempo di consegnare questi.
Lei gli tolse un paio di libri di mano e attese pazientemente il suo ritorno davanti alla biblioteca.
Poi passò la sua manina guantata sotto il braccio di lui: - Non mi considera sfacciata, vero, se le chiedo di prendere un caffé con me?
- Solo se mi consente di chiamarla Aisling, signorina O’Connor.
- Assolutamente, abolisca quel “signorina O’Connor” e vada per Aisling. Sono una ragazza moderna. A patto di poterla chiamare Liam. Siamo poi quasi coetanei, no?
- Bene, dopotutto siamo nel 1916. Sarà la modernità a salvarci, non pensa?
- Credo che andremo molto d’accordo, Liam. Anzi, ne sono sicura. Intuito femminile.
S’infilarono, chiacchierando con allegria, nel primo caffé.
 

 ___________
 

1 Gaelico. Trad: “Buongiorno”
2 Gaelico. Trad: “Buongiorno” (in risposta a un saluto precedente)
3 Gaelico. Trad: “Gli dei ti aiutino, cuor mio”
4 Gaelico. Trad: “Chiedo scusa”

 
Nota dell’Autrice:
 
Carissime, spero che l’entrata di Aisling vi sia piaciuta e vi abbia incuriosito.
Dal prossimo capitolo, comincerò a movimentare la storia dal punto di vista sentimentale, oltre che da quello storico.
Come sempre, ringrazio di cuore tutti coloro che passano a leggere, ma, soprattutto voi ragazze che avete inserito la storia tra le seguite: AlexandraRoses, DanSperry, fruttina89, ginny89potter, Martina97,Olthir_84 
E, ovviamente, chi vorrà commentare. Se avrete il piacere di farlo, anche solo per “correggere il tiro” della storia, per sapere se vi sto annoiando a morte o se il risultato è decente, io ne sarò felice. Ma non voglio insistere troppo nel chiedervelo, so bene che siamo già abbastanza impegnati a vivere ;)
Al prossimo capitolo che aggiornerò il prima possibile! In genere non ho questi tempi biblici, ma abbiate pazienza per questa serie di “congiunture astrali” che hanno rallentato il tutto XD
Intanto, un saluto affettuoso e un bacio,
vostra
 
Marguerite.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4. Scent of Happiness ***


 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

 Capitolo IV: Scent of happiness


 
 
- Sai, Liam – erano passati al tu molto presto, trovandosi subito a loro agio – Patrik mi parla sempre di voi, di te e Shannon, intendo. Ormai è come vi conoscessi anch’io, ma sono felice di averti incontrato finalmente di persona.
Affondò col cucchiaino la panna nel caffé. La bevanda era davvero terribile, ma Aisling era adorabilmente di compagnia.
- Avrai modo di conoscere anche Shannon, se ti farà piacere.
- Non vedo l’ora! – fece lei con una nota di entusiasmo nella voce – Siete amici da tanto?
- Pressoché da sempre.
Si rabbuiò un istante: - Dev’essere bello crescere assieme fin da quando si è bambini. Io, invece, credo di non aver mai avuto nessuna amicizia autentica. Gente che va, gente che viene. Per via del lavoro di mio padre, non sono mai rimasta nella stessa città più di qualche anno: sempre a fare conferenze in giro per il mondo, lui. E noi al seguito. Ma del resto, da quando mamma è morta, lui e Patrik sono tutta la mia famiglia. Mettiamola così, ho visto quasi tutta l’Europa.
- Io non mi sono mai mosso da Dublino, se per questo. Non la chiamerei sfortuna…
- Lo so, ma si finisce per perdere le proprie radici. E si ha come l’impressione che nessuno ti abbia mai conosciuto per quello che sei veramente. A volte penso: se adesso dovessi morire, nessuno saprebbe chi è stata veramente Aisling, no?
Se l’era tenuto stretto quel soprannome, riferendosi così a se stessa fin da subito.
- Che pensieri tristi. Mi consolo: dicono di me che sia un pessimista, ma tu non scherzi.
- In genere sono più positiva, sarà che questo tempo mi mette di cattivo umore.
Fuori dal locale minacciava di piovere entro breve.
- Ecco, vedi, anche all’università veri amici non ne ho. Solo conoscenze. Le ragazze sono poche, da me. E i maschi – disse “maschi” con un certo infantile disappunto – o sopportano a malapena che una donna sia migliore di loro in tutte le materie oppure non fanno altro che corteggiarti, ma in modo stupido o volgare.
- Certo, ti sei scelta uno strano corso. Filosofia, davvero insolito.
- Per una ragazza?
- No, intendevo in generale. Ai politici spetta di cambiare il mondo, ai poeti di inventarlo, ai giornalisti di descriverlo. E a voi filosofi?
- Chissà.- lei si accese una sigaretta. Era una delle poche donne che Liam avesse visto fumare – Forse a noi spetta di interpretarlo, anche se ce ne vuole!
- Mi intendo soltanto di letteratura, non di filosofia. Mi dispiace, ma a me di sedermi a interpretare non è mai andato. Spero non ti offenda quello che dico.
- Sono ben poche le cose che mi offendono, e sicuramente non quello che viene detto in tutta onestà. Eppoi lo so, lo so, che tu non sei tipo da sederti a interpretare il mondo. A raccontarlo forse sì. È strano, sai, ti credevo incline alla meditazione.
- Alla meditazione, non alle chiacchiere, cosa che spesso capita alle nostre riunioni.
- Touché. – sorrise lei – Prima o poi dovrei venire anch’io. La prendereste una ragazza?
- Immagino di sì, non saresti l’unica. Certo che sei insolita.
- Lo prendo come un complimento.
- Oh, non volevo certo intendere che…
- No, no, va benissimo. Sono io a non fare nulla che possa sembrare usuale. Mi piace pensare di essere una persona bizzarra, non ne soffro.
- Sicura?
Aisling si sentiva perfettamente compresa con lui, nonostante l’avesse incontrato appena da un’ora.
Ma ci sono persone che si conoscono in un’ora, in una vita oppure mai.
Liam era talmente limpido che un’ora era stata più che sufficiente, si disse, ben sapendo che lui, invece, con tutto l’impegno e l’intelligenza che avrebbe potuto metterci, non l’avrebbe compresa mai.
Si confidò apertamente: - Forse è l’abitudine. Forse è che devo sempre trovare il modo di accettarmi, facendo qualcosa di inusuale. Forse, semplicemente, sono sempre stata troppo al centro dell’attenzione di tutti, per rassegnarmi che, prima o poi, dovrò pur passare inosservata.
Oddio, chissà che idee ti stai facendo di me!
- Niente di diverso da quello che mi stai dicendo. Anzi, mi trovo molto bene, nonostante il diluvio fuori – ormai la pioggia batteva con forza sulle vetrate del bar – e questo caffé che fa veramente orrore.
Lei rise di nuovo, continuando a tormentare la povera panna che non si decideva a sciogliersi.
- Grazie, anch’io mi trovo bene con te. – aggiunse con dolcezza.
- Sai, forse è questa città che ti va stretta. Non so, dopo l’Europa, finire a stabilirsi a Dublino, che non è certo il luogo più aperto e culturalmente vivace che si possa trovare… Hai letto quell’ultimo libro di Joyce?
- Quale? Dubliners? Sì, certo: ma mi sono addormentata alla quarta storia. Accidenti, non sarà amico tuo, visto che fra scrittori vi conoscete!
- No, figurati. Puoi dire quello che pensi, non mi formalizzo.
- Beh, credo che la mia dormita abbia già detto tutto. E tu come l’hai trovato?
- Penso che abbia ragione, che davvero, a volte, siamo come paralizzati.
- Oh, non credere che sia un problema solo di Dublino. La gente è così un po’ ovunque: c’è quella con la testa piena di sogni e quella che se ne infischia in ogni paese. Non sperare di trovare chissà cosa fuori di qui. – fece un cenno elegante con la mano che reggeva il lungo filtro della sigaretta. Liam rimase per un attimo a osservare la sottile scia di fumo che sciolse i contorni di lei in una fine nebbiolina, prima di venire catturato di nuovo dalle sue parole: -Magari a Parigi si respira un’aria diversa, Roma è ancora vivace, ma tutto il mondo è paese. Temo sia un difetto dell’essere umano: si strugge tra desiderio e noia e non conclude nulla, se non rovinarsi l’esistenza.
Liam la guardò senza capire.
- E’ Shopenhauer, non dirmi che… No, accidenti, non sarai anche tu un hegeliano!
- No, è che proprio io e la filosofia non andiamo d’accordo.
Lei aveva già tuffato la testa bionda nella borsa alla ricerca di qualcosa, prima che avesse potuto finire la frase.
- Ecco qua. – gli porse un volumetto smilzo dalla copertina gialla.
Il mondo come volontà e rappresentazione. Non prometteva niente di buono. Almeno sarebbe stato un ottimo viatico per le notti di insonnia.
- Tu e la filosofia non andrete d’accordo, ma se vuoi andare d’accordo con me… Ma sono certa che noi due diventeremo ottimi amici, non trovi?
- Certo! A patto che tu finirai Joyce.
- Andata. – posò sulla sua la propria manina guantata.
Avevano continuato a chiacchierare a lungo, del più e del meno, degli esami, dei progetti futuri, di qualche vecchio aneddoto del passato. Avevano riso soprattutto, non curandosi della pioggia che, in quel tardo pomeriggio di fine dicembre continuava a cadere fitta e gelida.
Ridevano sotto i portici ed evitando le pozzanghere come due bambini. Era molto tempo che Liam non si sentiva tanto spensierato.
Poi, improvvisamente com’erano arrivate, le nubi color di cenere erano sparite, lasciando posto ad un tramonto limpido, striato di viola.
L’accompagnò fino a casa, da buon cavaliere.
- Ci si vede. - Aveva detto lei, semplicemente, come si conoscessero da una vita. -  Magari anche domani: se ho un attimo di pausa passo da te, tanto siamo a due passi. Chissà che non conosca anche questo famoso Shannon Donovan. Convincilo a venire, uno di questi giorni.
Era rimasto a guardarla finché non sparì dietro la porta d’ingresso.
Quella sera, lasciati da parte i suoi romanzi e quelli altrui, si immerse nella lettura di Shopenhauer, senza trovarla particolarmente interessante. Ma qualche spunto valido era riuscito a darglielo.
Forse non era poi tanto negato per la filosofia, anche se aveva sempre preferito la storia.
Magari si sarebbe fatto consigliare qualche discreto saggio sul patriottismo, che risultasse più utile per la sua attività. Tanto in casa O’Connor le idee dovevano circolare molto più liberamente che nella sua.
Non riuscì a dormire. L’incontro con Aisling, la chiacchierata, le mille idee che già passavano per la sua testa di poeta glielo impedivano.
Era certamente la più bella e la più imprevedibile delle creature che avesse mai incontrato. Non solo, divideva con lui anche l’ideale di Erin. Era più di quanto avrebbe potuto chiedere in una persona. Per la prima volta in vita sua, si sorprese a non dormire pensando ad una ragazza.
 
L’indomani, nel pomeriggio, come sempre era andato a casa di Shannon.
L’aveva trovato insolitamente intento a lucidare l’automobile nel cortile, mansione che teneva a svolgere personalmente, anziché nello studio a scrivere.
- Ehi, vecchio bardo, cos’è quell’espressione raggiante che hai sul muso? Si direbbe che tu abbia vinto alla lotteria.
- Meglio… - fece l’altro, appoggiandosi al cofano della macchina, dal lato opposto a quello che Shannon stava lustrando.
- Aspetta, aspetta: fammi guardare bene. Quella è la faccia di uno assolutamente cotto. Liam, chi è la disgraziata che ha la scalogna di essere corteggiata da te?
- Per il momento nessuna. Ma ho conosciuto la più bella fanciulla di Dublino, Shan. Quella che sarà la mia musa, quella che potrò, nella poesia, paragonare alla bellezza e alla fierezza della stessa Erin.
Bella come una visione, tanto più che come senhal le ho dato il nome di Aisling.
- Come che?
- Il senhal: il nome dietro al quale i poeti nascondono l’identità della loro musa.
- Ah ah… - fece l’altro, scettico – E quando e dove l’hai incontrata?
Gli raccontò brevemente dello scontro coi libri e tutto il resto, di come fosse stata lei stessa a cercarlo.
- Eppoi dicono che sono i giornalisti a far colpo sulle donne, eh? Congratulazioni, pazzo di un bardo. Sono tanto contento per te.
- Vedi di non correre. Ho detto solo che è molto simpatica, non che me la sposo.
- Possibile, Liam, che tu vedi solo le relazioni o come amicizia o come matrimonio? Santo cielo, c’è una vasta gamma di sfumature in mezzo! Mi sa che dovrò darti qualche lezione… A proposito, la conosco?
- E’ Kathleen O’ Connor, la sorella di Patrik.
- Quella Kathleen O’ Connor?
- Proprio lei. Ah, dimenticavo, Shan: vuole conoscere anche te. Patrik le ha parlato molto di noi. Anzi, vuole venire anche a darci una mano alle riunioni.
- Una patriota? Meglio ancora. Mi sta già piacendo, la ragazza.
 
Aisling e Shannon si erano presi subito in simpatia.
Presto tutti e tre erano diventati inseparabili e già aspettavano la bella stagione per organizzare qualche scampagnata con la macchina di Shan.
Aisling non ricordava di aver mai visto due persone legate da tanta affinità come i due amici, nonostante le notevoli differenze di carattere, tanto che, lei che non si stupiva mai di niente, era davvero meravigliata dalla forza della loro amicizia.
A volte temeva di confonderli o di pensare a loro come un’unica entità.
Ad ogni modo, nonostante il loro affiatamento, era stata integrata nel duo, allargato a trio per l’occasione, senza sentirsi mai fuori luogo o inopportuna.
Al contrario pareva davvero che fosse cresciuta con loro fin dall’infanzia e, per la prima volta in vita sua, si sentiva davvero a casa.
Erano passati quasi quattro mesi, dal dicembre del ‘15 fino alla fine di marzo del ‘16, che avevano visto consolidarsi la loro amicizia.
Come sempre, ogni mercoledì, andavano e venivano dalle riunioni, con l’unica differenza che, da diverso tempo, erano accompagnati da Aisling.
A dire il vero, non era un momento per nulla tranquillo dal punto di vista politico, quello che stavano vivendo.
Per le strade c’era aria di insurrezione e Liam non era per niente sereno. Sentiva il suo serpeggiare insinuarsi nelle riunioni, nei capannelli di amici, nella segretezza delle lettere.
Ciò che più lo inquietava era la possibilità di un fallimento anzi, la probabilità di un fallimento, che non sarebbero stati in grado di gestire né di sopportare.
Era nervoso quel mercoledì e, seduto in un angolo, ascoltava i discorsi degli altri torturando tra le mani il baschetto di tweed.
- Ben venga la rivolta, sono troppi anni che sopportiamo. Se il movimento dei Volontari Irlandesi ha intenzione di insorgere noi lo aiuteremo.- aveva detto qualcuno.
Aisling era rimasta un istante a pensare, prima di prendere la parola: - Noi, certo. Ma noi chi siamo? Solo un gruppo di studenti, di privati cittadini che si riunisce per cercare di capirci qualcosa. Ma, politicamente, non contiamo nulla. Siamo disuniti e disorganizzati. Rischiamo di far cadere nel nulla una buona occasione.
Avevano tutti trattenuto il respiro per ascoltarla. Parlava con una disinvoltura impressionante, con la sicurezza di chi è conscio dei propri argomenti.
- Dunque, cosa proponi, Kathleen? Di organizzarci? Con un’insurrezione in giro, tu stai a perdere tempo con le formalità, solo perché ci riconoscano ufficialmente? Ma andiamo! – aveva replicato uno dei presenti.
- Io dico solo che la gente non è con noi. – la voce di Liam li aveva raggiunti dall’ombra – E se la gente non è con noi, per chi liberiamo Erin?
- La gente sarà con noi, se prendiamo l’iniziativa. – Patrik non perse un istante per ribattere con le sue idee.
- No, se non è con noi non andiamo da nessuna parte.
- Spettava a voi poeti fare propaganda. Altrimenti qui finisce che noi liberiamo Erin a costo di sangue e sacrifici e tutta la popolazione si gode la ritrovata libertà senza aver mosso un dito.
- Non è questo che intendo, Patrik. Voglio dire che insurrezione significa inevitabilmente un combattimento e non possiamo farci andare di mezzo gente che ha scelto di non starci, è chiaro?
- Non è chiaro per niente! Per la miseria, Liam, io credevo fossi con noi.
- Lo sono, infatti. Ma c’è la sua differenza fra scrivere un’ode a Erin e scendere sulle barricate.
- Insomma, hai paura. Dillo: io, William Murray, sono un vigliacco che, fin che c’è da nascondersi dietro qualche bella parola lo fa, ma quando poi c’è da pagare di persona…
- Basta così, Patrik. Io sto con Liam. – fece Shannon risoluto.
- Forse non hai capito, Pat. – sua sorella aveva cercato di mediare – Quello che vuole dire Liam è che senza il consenso della gente, senza sapere se l’insurrezione è quello che Dublino vuole, rischiamo di farci odiare dalla nostra stessa patria, oltre che di venire sconfitti. Non possiamo permettercelo ora: la volta che si lotta per l’indipendenza dev’essere quella buona.
- Era suo il compito di fare propaganda, no? Il cantastorie è lui, ma se non vale un accidente, non sarà mica colpa mia, adesso.
- Pat, non sei tu a comandare, nel caso te lo fossi dimenticato. Liam si è dato da fare quanto te e quanto me, quanto tutti noi. Ma tua sorella ha ragione: siamo solo una decina di studenti, cosa pretendiamo di fare?- gli aveva ricordato qualcuno.
La riunione si tolse senza una soluzione definitiva, se non quella di stare ad attendere gli eventi.
In cuor suo, Liam sentiva di aver parlato in tutta onestà e di essere in pace con la propria coscienza.
Al suo fianco, Shannon camminava in silenzio, assorto nei propri pensieri e guardandosi bene dall’interferire in quelli dell’amico, mentre l’accompagnava verso casa.
- Ehi, e adesso si va via così? – Aisling li aveva seguiti, col fiato corto per la corsa – Senza nemmeno salutare? – si era infilata sottobraccio a entrambi.
- Scusaci, siamo tutti e due soprapensiero, direi.- si giustificò Shannon.
- Non ve la prendete troppo per mio fratello, lo sapete che è un egocentrico attaccabrighe.
- Ci mancherebbe. Tu, piuttosto, Aisling, hai parlato molto bene.
- Grazie, Shan, ho detto quello che credevo opportuno. Ma ora non pensiamoci più. E tu, Liam, sorridi, su, altrimenti ti vengono le rughe. – aveva riso, con quella sua bella voce argentina.
A Shannon non sfuggì la tenerezza che ella mise nell’aggiustare amorevolmente il berretto sui capelli di Liam.
- Su, mo mhúirnín bán1 , non essere tanto pessimista: magari le cose andranno meglio di come pensi.
- Me lo auguro, Aisling.
- La serata è meravigliosa. – sospirò lei, annusando l’aria, in un gesto talmente spontaneo da farli sorridere – C’è già profumo di primavera. Perché non facciamo una passeggiata?
Liam annuì: almeno stare accanto a lei era sempre un buon motivo per rallegrarsi.
- Vieni con noi, Shan?
Lui rimase per un attimo indeciso se lasciarli soli oppure seguirli, poi alla fine adducendo il pretesto di un impegno fissato per la mattina di buon’ora si dileguò dietro l’angolo del viale.
- E così Shan ci ha abbandonati. – fece lei, con una certa malizia nella voce.
- A quanto pare… - improvvisamente Liam si sentì in imbarazzo, senza sapere cosa dire.
Rimase per un momento a fissarsi la punta delle scarpe, finché non ripresero a camminare.
Sprofondò le mani nelle tasche, ritrovandovi uno dei saggi di filosofia che lei si ostinava a passargli.
- A proposito, questo è tuo. – le restituì il volumetto.
- Già letto? Lei, signor Murray, legge più libri di quanti non riescano a produrne gli scrittori. La prossima volta ti porto Il patriottismo di Bakunin. È uno dei testi preferiti di papà. Tanto per stare in argomento, quando venite a trovarlo? Da quando sa che anch’io sono sempre con voi continua a chiedermi di invitarvi a casa per conoscervi di persona. Gli piaceresti, sai: adora gli intellettuali.
Liam si figurò brevemente l’incontro e i discorsi che avrebbe potuto fare con il vecchio filosofo O’Connor. Lo ricordava, per averlo visto un paio di volte in facoltà, come un uomo dall’aria austera e poco favorevole alla spensieratezza dei suoi giovani studenti.
- Capiterà. – disse senza troppo entusiasmo, perdendosi ad ammirare la luna che splendeva piena su Dublino in un cielo incredibilmente terso.
- E’ davvero una stagione splendida, non trovi? Ho voglia di primavera, di sole, di abiti leggeri e di correre nel verde.
- Il verde ce l’abbiamo. – scherzò lui, accennando al parco cittadino dall’altra parte della strada -  Magari non per lanciarci in una corsa a perdifiato con questo freddo marzolino, ma per fare due passi…
- Ma sì, andiamo. Non è poi così tardi.
La luna illuminava i viali del parco con il suo bagliore sidereo e irreale, creando un arabesco d’ombre con le fronde degli alberi.
- C’è un che di magico, questa sera… - Aisling si strinse di più al braccio di Liam – Come se la città fosse sospesa, incantata.
- Sarà la quiete, prima dell’insurrezione. Non so se sia veramente magica, questa situazione, o piuttosto inquietante.
- Oh, via, smetti di rovinarmi il romanticismo. Per fortuna che il poeta sei tu! Pensa solo alla magia.
Senti, ne percepisci anche l’odore.
- Perché, che odore ha la magia?
- Questo! Quello della primavera. Non mi credi? Prova ad annusare l’aria…
Liam, a dire la verità, sentiva soltanto il profumo lievemente dolciastro dei capelli di Aisling, lasciati sciolti a sparpagliarsi nella leggera brezza serale.
Riuscì a dimenticare, guardandola, così fresca, giovane e viva, le sue preoccupazioni, le meditazioni e tutto il resto del mondo.
Erano soli nel parco e, a lui parve, anche sulla faccia della terra. Era con lei e non si era mai sentito così meravigliosamente a casa, nel posto che il caso e la sorte gli avevano assegnato.
Capì, in quel momento, ciò che da mesi ormai sospettava: era arrivato il tempo di desiderare che un attimo potesse durare in eterno, quand’erano insieme. Sentiva la sua risata sincera, le sue deliziose manine di seta sfiorare la lana ruvida del suo cappotto, la sua guancia appoggiarsi alla sua spalla, mentre erano fermi ad ascoltare il suono del vento fra le fronde.
Uno scricchiolio sotto i loro passi li fece sussultare.
- Devo aver calpestato qualcosa – disse lei, sollevando lo scarpino. Chinandosi per vedere meglio, rise di stupore vedendo che si trattava di un pettinino.
Fece per raccoglierlo e appoggiarlo sopra una delle panchine, quando lui la fermò: - Non toccarlo.
- Perché mai?
- Potrebbe averlo perso una Banshee
- Una cosa?
- Non conosci la leggenda delle Banshee? Ma che irlandese sei, allora? – le rispose con tono scherzoso.
- Su, su, racconta. – replicò con una sorta di dolce e fanciullesco entusiasmo – Adoro le leggende.
- Shtt, parla più piano. Non vorrai che questi spiriti ci sentano? – disse in un sussurro, cercando di creare l’atmosfera giusta con la voce – Vieni qui.
- Qui dove? No, toglitelo dalla mente, non mi siedo per terra con la gonna bianca.
- Io le leggende o le racconto come si deve o non le racconto affatto.
Non aveva fatto in tempo a finire la frase che se l’era trovata seduta a fianco, col visino proteso verso di lui in attesa della sua storia, come una bambina.
- Le Banshee – prese a dire lui – sono donne giovani e bellissime, vestite di verde, che proteggono i valorosi eroi irlandesi. Quando si pettinano i lunghi capelli, lamentandosi, significa che qualcuno sta per morire. Difatti, hanno sempre gli occhi arrossati, perché piangono sulle tombe dei loro cari. Ma non si fanno mai vedere dagli esseri umani. Se ciò accade, è un brutto presagio, ovviamente. Però la si può costringere a pronunciare il nome del predestinato per salvarlo.
- Non mi piace questa storia: è troppo triste.
- Non è così triste. Se sei una persona onesta e di valore, hai sicuramente una Banshee a proteggerti.
- Quindi forse anche noi ne abbiamo una…
- Bisognerebbe chiedere a loro se ci ritengono abbastanza degni. – sorrise lui. – Chissà, amano i boschi: magari sono qui in questo momento.
Lei sobbalzò, aggrappandosi al suo braccio: - E come nascono queste creature?
- Sono gli spiriti delle donne morte di parto. Oppure di quelle che hanno sofferto troppo per amore, tanto da morirne.
- Poverine, allora mi dispiace! Banshee, mi sentite? Mi dispiace tanto per voi. – disse a voce appena un po’ più alta.
Liam constatò come fosse deliziosamente infantile in quel momento
– Non ve lo porto via il vostro pettine. Che brutta cosa soffrire per amore, non credi?
- Già. Tu ne hai mai sofferto, Aisling?
- Io? Oh no, non sono proprio il tipo, sai. Ho un carattere troppo frivolo.
- Ma sei mai stata innamorata?
- Tutti i giorni! C’è sempre una buona ragione per innamorarsi: della vita, di Erin, della libertà, della filosofia…
- Intendo dire, di un uomo, Aisling.
- Più o meno due o tremila volte – rise – Ma è sempre finita male.
- Forse non era amore.
- Forse sono io a non esserne capace e a prendere sempre tutto alla leggera. Sono una donna volubile, sai. La donna è mobile… - canticchiò in un pessimo italiano, come da libretto, la romanza di un’opera lirica che ricordava di aver sentito a teatro – E tu, sei mai stato innamorato? Ma che domande faccio? È ovvio: sei così carino!
Liam arrossì appena: - Una volta, credo.
- E lei com’era, racconta!
- Sbagliata, per me, evidentemente. – sorrise con un certo imbarazzo.
- Beh, non abbiamo avuto molta fortuna. C’è tempo, c’è tempo! Speriamo che i nostri spiritelli ci aiutino, allora.
- Già… - sospirò lui, lasciando che il silenzio cadesse su di loro.
Si perse a guardare il profilo di Aisling, sottolineato dolcemente dalla luce argentea. Non gli era mai parsa tanto bella come in quel momento.
Scivolò con lo sguardo sulla sua bocca socchiusa e sui grandi occhi color grano, rivolti al cielo.
Improvvisamente, desiderò di poterla baciare. Tremò a quel pensiero, scacciandolo.
Era tutto così meravigliosamente perfetto che non osò rischiare di rovinarlo per un impulso.
Si limitò soltanto a posare la propria mano su quella di Aisling, ancora appoggiata al suo braccio.
- Sei gelata, forse è meglio rientrare – le disse con la voce incrinata dall’emozione.
- Sì… E’ stata una bellissima serata, Liam.
- Anche per me.
 
L’aveva baciato su entrambe le guance, prima di sparire nel portone d’ingresso.

Il suo profumo l’aveva raggiunto più forte di prima, mentre l’abbracciava, e s’impresse nella sua memoria per tutta la notte e per quelle successive.
Lentamente ma inesorabilmente, il profumo di Aisling stava diventando quello, meraviglioso e intangibile, della felicità.
 

 
 _______________
 
1. Gaelico. Trad: “mio caro”

Nota dell’autrice:
 
Mie carissime,
spero che il capitolo vi sia piaciuto, soprattutto in questa ultima parte dell’idillio notturno, al quale sono molto affezionata :)
Come sempre, un sincero e sentito grazie a tutti voi che passate a leggere.

In particolare a:  AlexandraRoses, dubhefly, fruttina89, ginny89potter , Littlejane, Martina97 , Olthir_84 che hanno messo la storia tra le seguite.

A Minimelania per averla inserita tra le ricordate.

E di nuovo a dubhefly, per la prima recensione, di cui sono stata enormemente felice.
 
Se avete piacere di farmi sapere la vostra opinione, io sono qui ;)
In attesa del prossimo capitolo, un bacione e un saluto affettuoso,
vostra
 
Marguerite.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5. Easter's Events ***


 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

 We know their dream; enough
To know they dreamed and are dead.

(W.B. Yeats, Easter 1916)

 
Capitolo V: Easter’s Events
 
 
Quando quella mattina Liam aprì la finestra, la lieve nebbia che era calata su Dublino gli riempì i polmoni.  Eppure era il 24 di aprile e la giornata avrebbe dovuto essere almeno soleggiata.
Il lunedì dell’angelo, come tutti gli anni, non sapeva mai cosa fare. Aveva trascorso il giorno di Pasqua fra la messa e il pranzo coi parenti che Gobnait amava allestire.
Girò un paio di volte per la stanza, sfiorò i libri che aveva abbandonato a mezzo sulla libreria, i fogli affastellati sulla scrivania in attesa che completasse la sua ultima fatica letteraria.
Avrebbe avuto bisogno di Aisling, si disse. Con gli esami e qualche altro impegno, non aveva visto né lei né Shannon per più di una settimana.
Era strano come si perdesse sempre più spesso a pensare a lei.
Anche quando non c’era, la sentiva sempre presente, nella sua testa, nella sua immaginazione, nelle righe che scriveva.
Era lei, sempre, continuamente lei, dal primo momento che l’aveva conosciuta.
Per lungo tempo aveva pensato che fosse colpa della sua eccessiva sensibilità di poeta, che lo portava ad affezionarsi troppo alle persone, a vedere in loro la bellezza di un mondo interiore capace sempre d’ispirarlo. Poi, conoscendola, si era convinto che doveva esserci dell’altro.
Dell’altro, sicuro, altrimenti come spiegare quello stato di apatia in cui cadeva quando ne sentiva la mancanza e quello opposto, di folle felicità, che aumentava proporzionalmente all’accorciarsi del tempo che lo separava da Aisling.
Si sedette a rileggere il suo lavoro, combattendo contro l’impulso di cestinare il tutto.
Ricaricò la stilografica e restò in attesa delle parole giuste, che non arrivarono.
Tanto valeva uscire a fare due passi, si disse.
L’aria era ancora fresca, constatò mettendo il naso fuori.
Aveva alzato il bavero dell’impermeabile, per ripararsi da quell’umidità che sembrava entrargli nelle ossa.
Passeggiando, meccanicamente si era ritrovato a dirigere i suoi passi verso casa di Shannon.
Mise in conto di dover attraversare l’intero centro cittadino per raggiungerlo, ma di tempo, ad ogni modo, ne aveva.
Mentre passava per O’Connell street, un capannello di gente ferma davanti al General post office attirò la sua attenzione.
- Mi perdoni, ma cos’è accaduto?
- Cos’è accaduto, giovanotto? – gli rispose uno dei presenti – A dire il vero non lo abbiamo capito neanche noi, ma sembra che abbiano occupato l’edificio.
- Chi?
- Gli insorti! Ormai è la rivoluzione.
Decise di informarsi di persona.
 
- Shannon! – tempo una mezzora e si era precipitato a casa Donovan ancora affannato per la corsa.
Eiliònor gli aveva aperto la porta con una lieve preoccupazione dipinta in viso, dopo le insistenti scampanellate che avevano turbato quella mattinata di festa.
- Liam? – fece lei perplessa, trovandoselo davanti tanto trafelato, mentre sventolava in mano un volantino.
- Zia Eiliònor, c’è Shan?
- Shannon? Sì, certo. È di sopra, come al solito. È accaduto qualcosa?
- Hanno proclamato la Repubblica. – le aveva annunciato, appena entrato nell’atrio.
- Hanno che? – Shannon si era affacciato sulle scale, sporgendosi persino dalla ringhiera per la sorpresa.
- Hai capito bene, Shan! Hanno proclamato la Repubblica Irlandese. I Volontari Irlandesi e la Irish Citizen Army hanno occupato mezza Dublino e hanno dichiarato l’indipendenza dall’Inghilterra dal General post office. Erin è libera!
Forse era troppo presto per esultare, ma si abbracciarono di felicità, dimenticandosi dello scetticismo che li aveva accompagnati nei mesi precedenti. Poi Shannon improvvisamente si rabbuiò.
- Come hanno occupato la città? Con le armi?
- Con le armi. Ma finora non ci sono stati feriti.
- L’immagino, è solo da stamattina che siamo in rivolta. Il problema sarà la reazione degli inglesi. Tu credi che…
- Non lo so, Shan. Mi auguro solo che non ci siano troppi spargimenti di sangue. – rispose arrotolando tra le mani il foglio dattiloscritto che aveva portato con sé.
- Cos’è quello?
- Il proclama.
- Allora, avanti: leggilo.
-  Dopo. Adesso andiamo ad avvertire Aisling.
- Mm, ho capito: ce l’hai sempre in mente, la nostra Aisling, anche adesso che dovresti pensare ad una donna più importante di lei. Alla nostra Irlanda.
- Andiamo, dai, poche prediche, Shan. Ha diritto anche lei a sapere.
- Sì, figurati se a casa O’Connor le notizie non sono già arrivate.
 
A casa O’Connor le notizie erano arrivate eccome, come aveva saggiamente previsto Shannon.
A dire il vero, sembrava che da loro circolassero con una rapidità maggiore rispetto a qualsiasi altro ambiente.
Mentre esitavano sul da farsi, se suonare o meno il campanello, turbando la serenità festiva della famiglia e col rischio di trovarsi sulla soglia il vecchio professore, la porta si aprì.
Aisling, bella e perfetta come sempre, comparve sul vialetto di ghiaia che conduceva al cancello d’ingresso, sistemandosi il cappello.
Non si aspettava certo di trovarseli lì in quel momento. Ci mise un lungo istante ad associare i fatti.
- Liam, a stòr! 1 Shan, mo chara! 2 Cosa vi ha portato da queste parti?
- Non hai saputo la notizia? Ragazza, mentre tu eri qui ad aggiustarti il cappellino sulle ventitrè qui qualcuno proclamava la repubblica. – Shan non era riuscito a trattenere nemmeno in quelle circostanze la sua ironia.
- Di già? Hanno già fatto la repubblica senza di me?! Come no, io so tutto. Patrik e papà sono con gli insorti dall’alba. Io li stavo raggiungendo, appunto. Cosa dice quel foglio, Liam?
- Non ho avuto ancora il tempo di leggerlo come si deve. – rispose scorrendo velocemente le righe – Dunque, vediamo. “ Il governo provvisorio della Repubblica Irlandese ai cittadini dell’Irlanda. I repubblicani, assieme ai Volontari irlandesi e all’Irish Citizen Army, avendo atteso il momento opportuno per rivelarsi, ora confidano nella vittoria. Dichiariamo il diritto del popolo d’Irlanda al possesso dell’Irlanda stessa e il controllo assoluto del suo destino… Facendo nostro questo diritto e avendolo difeso con le armi davanti al mondo intero, oggi proclamiamo la repubblica irlandese stato sovrano e indipendente, e mettiamo le nostre vite e quelle dei nostri compagni d’armi al servizio della causa della sua libertà, del suo benessere e del suo riconoscimento fra le altre nazioni... La repubblica garantisce libertà civile e religiosa, uguali diritti e uguali opportunità a tutti i cittadini e dichiara di perseguire la felicità e la prosperità dell’intera nazione.” Eccetera, eccetera. Qualche riga sul suffragio universale di tutte le donne e gli uomini, eppoi…Ah, sì: “Preghiamo che nessuno che serve questa causa possa disonorarla con la sua codardia, disumanità o avidità. In quest’ora suprema, la nazione irlandese deve, col suo valore, la sua disciplina e il sacrificio dei suoi figli, dimostrarsi degna dell’augusto destino al quale è chiamata.” *
Quando rialzò la testa, vide che Aisling era quasi mossa a commozione da quelle parole.
- Allora è vero, siamo liberi…- disse in un sussurro, come se alzare la voce potesse infrangere quel fragile istante di pura e speranzosa felicità.
- A quanto pare.
- E voi, noi anzi, che non ci credevamo! Che avevamo paura di prendere l’iniziativa,  che temevamo di fallire. Abbiamo mancato di coraggio, miei cari. Mi spiace dare ragione a Patrik, ma aveva visto giusto, questa volta. – aggiunse lei con una nota di amarezza.
- Ma siamo ancora in tempo a seguirli, no? – le rispose Liam, dopo aver riflettuto a lungo – Possiamo farci perdonare questa mancanza.
- Hai ragione, Liam. Veniamo con te, Aisling. – le annunciò Shannon, risoluto.
- Giuriamo fedeltà alla repubblica allora. E a noi tre, con un patto nostro. - Aisling strinse la mano di entrambi, prima di pronunciare quel loro giuramento: - Io, Kathleen Aisling O’Connor, prometto di essere fedele alla nostra amicizia e alla causa della libertà irlandese senza tradirla o disonorarla mai, né con la mia codardia né con la mia disumanità, né con la mia avidità. E voi promettete?
- Prometto.
- Lo prometto.
Ripeterono entrambi, tenendo nelle loro mani quelle di Aisling.
Era la prima volta che suggellavano il loro legame con una promessa ufficiale. E quel frangente conferiva al patto un’aura di intensa solennità.
I mesi che avevano passato assieme, con Aisling ad accompagnarli sempre e ovunque, avevano consolidato un rapporto ormai fraterno. Forse anche lei era una di quelle anime che si scelgono fra altre mille, dopo aver passato la vita a cercarla.
Come sempre, lei li aveva presi sottobraccio e assieme si erano diretti verso il General post office.
 
- Allora è vero! – gli aveva detto quasi piangendo di commozione Gobnait, quando era rientrato tre giorni dopo. L’aveva lasciata in pensiero, a casa, senza dirle nulla, ma mandando solo a riferirle che stava bene ed era anche lui ad occupare Dublino con gli altri.
- Figlio mio, allora è vero! Siamo liberi.
Aveva scrollato la testa dolorosamente, Liam, affondando come d’abitudine le mani nelle tasche, quando non sapeva cosa dire.
- No, mamma.
- Come no? Ma i giornali, la gente in città dice che…
- Gli inglesi stanno già soffocando la rivolta. Vedrai che in pochi giorni tutto sarà finito e noi più oppressi e demotivati di prima. È stato un errore agire così presto. Lo sapevamo tutti.
- Ma no, no, non può essere… Liam, non può essere che il nostro sogno sia già finito così.
L’abbracciò, stingendola con forza. Sembrava tanto fragile da potersi spezzare. Liam si era accorto che da tempo diventava di giorno in giorno più debole e pallida. Era malata di cuore, lo sapeva anche lei. Ma, prima di morire, vedrò Erin libera, diceva.
- Invece sì, mamma. Sono morti per noi, ma senza ottenere nulla. E altri ne morranno.
- Non ci si sacrifica mai per nulla, Liam.
- Forse.
La guardò a lungo, come se stesse imprimendosi nella mente il suo volto ed i suoi occhi.
Stava per uscire di nuovo.
- Dove vai, Liam?
- Torno dagli altri. Per quanto poco si possa fare, ho il dovere di essere con loro, nel bene e nel male. Oramai ho dato la mia parola per questa causa. È troppo tardi per sottrarmi.
Sua madre annuì, con amara consapevolezza.
- Shannon è con te?
- Sì, come sempre. Ed anche Kathleen, la figlia di O’Connor.
- Siete bravi ragazzi. Go n'éirí leat, mo rùn. 3
- Se non dovessi tornare, mamma, sappi che è stato per una nobile causa e sii orgogliosa di tuo figlio.
- Io sono sempre orgogliosa di te, Liam. Mo sheacht mbeannacht ort! 4 Ma cerca di tornare, per me.
La baciò sulla fronte: - Tornerò, non temere.
 
Era tornato Liam. E con lui Aisling e i suoi e Shannon. Ma in molti non avevano avuto la stessa sorte. Loro, che non erano affiliati a nessuna organizzazione, non li avrebbero neppure notati. Per quello, le madri non avevano di che inquietarsi.
L’insurrezione era stata repressa in pochi giorni, nonostante avessero combattuto con ogni mezzo. Ma con i carri armati nelle piazze c’era stato poco da discutere. Il 30 aprile, esattamente sei giorni dopo la proclamazione di indipendenza, il loro sogno era andato in fumo.
Liam era rimasto a guardare i capi della rivolta venire condotti in carcere. Non passò molto tempo prima di sapere che la condanna era stata una sola: la morte.
Non rimaneva più nulla del loro tentativo, come aveva previsto. Nulla se non un peso amaro sulla coscienza di non aver creduto abbastanza. Di non aver potuto fare abbastanza.
- Cos’altro potevamo fare, Liam? – gli aveva detto Aisling – Eravamo così pochi. Abbiamo resistito, finché è stato possibile.
- E allora perché mi sento in colpa, Aisling? Perché mi sembra quasi un peccato essere ancora vivo mentre gli altri… Oh, Aisling, non può essere tutto finito. Tutti i nostri sogni, i nostri ideali, tutto quello che ci ha tenuti in vita per questi anni non può scomparire così, in pochi giorni, per un errore di valutazione, per un fallimento.
Lei lo abbracciò con trasporto: - No, non può finire tutto così. Vedrai, Liam, alcuni sono caduti ma altri si alzeranno. Noi siamo ancora vivi: significa che ancora possiamo fare qualcosa. Sono troppo belli, troppo alti, i nostri sogni per sprofondare così nell’oblio. Avremo la nostra occasione, ne sono sicura.
Incrociando i suoi occhi azzurro torbido, si accorse della lacrima che gli rigava la guancia. Gliela asciugò dolcemente, con affetto, passandogli sul viso quelle sue piccole mani ancora di bambina.
- Dobbiamo essere forti, noi che siamo rimasti.. Devi andare avanti, Liam. Per Erin
- Già, per Erin. – ripeté.
E non ebbe il coraggio di aggiungere: e anche per te.
Per lei che, mentre lo consolava tra le sue braccia, gli pareva bella come l’Irlanda. Forse più dell’Irlanda stessa.
Non disse nulla. Sembrava un momento troppo inadatto ai sentimenti. Sembrava che quel piccolo e segreto principio d’amore contraddicesse troppo violentemente, prepotentemente e insolentemente tutta la morte che avevano attorno.
Dimenticò in un attimo l’emozione di quei giorni passati insieme a lei, vicini come non lo erano mai stati. Sarebbero divenuti altri i ricordi che avrebbe conservato di quei giorni.
Il sangue per le strade, la sconfitta, il niente.
E, forse, in un angolo remoto del cuore, tenace come sempre, la speranza.
 __________
 

1 Gaelico, trad. “tesoro mio”
2 Gaelico, trad. “amico mio”
* Le frasi in corsivo sono una mia traduzione dall’inglese del documento originale della Proclamazione della Repubblica Irlandese del 24/30 aprile 1916. Ovviamente ne ho eliminate alcune parti, per evitare di appesantire troppo il discorso.
3 Gaelico, trad. “Buona fortuna, cuor mio”
4 Gaelico, trad. “Hai la mia benedizione”
 
Nota dell’autrice:
 
Cari lettori,
questa volta ce l’ho fatta ad aggiornare in tempi brevi.
Innanzitutto, un grazie di cuore a tutti voi che state leggendo questa storia e che l’avete inserita fra le seguite/ ricordate.
 
Spero di non avervi annoiato con questo capitolo molto storico. Prima o poi andava affrontato. Ma dal prossimo tornerò a raccontarvi dei nostri protagonisti, promesso. Anzi, spero di non aver commesso errori gravi, per quanto abbia cercato di documentarmi al meglio. Nel caso ciò fosse accaduto, mi scuso anticipatamente. Così come se vi ho fatto addormentare dalla noia :) Credetemi, come diceva Manzoni, non lo si è fatto apposta.
E, se invece, vi avessi fatto appassionare almeno un pochettino e voleste lasciarmi anche solo un rigo di commento, avreste tutta la mia più sincera gratitudine.
 
Nel frattempo, vi mando un caro saluto.
Al prossimo capitolo, un bacione
Vostra
 
Marguerite.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6. Pieces of Time ***


  Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

Capitolo VI: Pieces of Time


 
Se n’era andata Pasqua, con le sue rivoluzioni.
Dublino, non si sapeva se per davvero o per esigenza di ritrovare un poco di serenità, dormiva tranquilla sotto il cielo terso di fine maggio.
Anche le giornate che si erano fatte via via sempre più luminose, sembravano promettere un periodo di pace, seppur incerto.
Almeno per ora, pensava Liam, mentre si avviava a passo lento lungo le scale.
Di sotto, parcheggiata davanti al cancello, l’automobile dei Donovan aveva annunciato l’arrivo di Shannon ancora prima del campanello.
Trovò l’amico che discuteva con Gobnait circa il suo stato di salute. Sembrava che il ritorno della primavera avesse cominciato a farle bene, almeno le sue guance avevano ripreso colore e si sentiva abbastanza in forze da tenersi in piedi e, in qualche sporadica occasione, anche per uscire.
- Sei sicura, zia Gobnait, che non vuoi venire con noi?- le aveva chiesto Shannon, prendendole affettuosamente le mani -  L’aria della campagna non può farti che bene. E un posto per te c’è sempre.
- Per carità! I giovani devono stare con i giovani. Io l’età delle scampagnate con James l’ho passata da un pezzo.
- Sei sicura che non vuoi che resti con te? – Liam l’aveva guardata non senza una certa preoccupazione.
- No, caro. Tuo padre tornerà dal circolo prima di pranzo, poi nel pomeriggio andremo a messa. Non me la passo poi così male, come potete vedere. Eh, la vecchia Gobnait ha la scorza dura, nonostante il cuore ballerino.
- Tornerò presto, mamma.
- Andate ora, su, le signorine non vanno fatte aspettare.
- Chi, Aisling? Se tutto va bene non sarà nemmeno pronta, quando arriveremo.
- Mi raccomando, andate piano! – li aveva salutati lei, da stare sulla soglia, agitando la mano.
 
- La prima gita dell’anno. – aveva detto Shan con un sospiro, mentre si dirigevano verso la casa degli O’Connor – Finalmente da soli e in automobile, ancora non mi sembra vero.
Ti ricordi, Liam, di quelle scampagnate domenicali che facevamo coi genitori fino ad un paio d’anni fa?
- Vuoi dire quelle dove noi correvamo per i prati, le madri ricamavano con un occhio alla tela e uno rivolto ai due demoni che eravamo e i padri a discutere di politica? Sì, me le ricordo bene. A dire il vero, data la noia di quei pomeriggi, sono state meglio le passeggiate per Dublino con le ragazze, prima che la mia Dàirine mi piantasse.
- E non dire “la mia Dàirine” con quel tono da melodramma, vecchio bardo. Dovresti solo essere contento di essertela tolta dai piedi: era bella come un vecchio cavallo abulico e simpatica come un macigno sullo stomaco.
- Non sei molto gentile. Io non ho mai criticato le tue donne, per quanto tu ne abbia scelte parecchie non certo per la loro intelligenza.
- Oh, insomma, va bene che sia domenica, ma la predica no! Mi piacciono le belle ragazze. Che dopo non riesca a stare con loro per più di tre mesi sono altri discorsi. A proposito, ho lasciato Cristiona.
- L’unica che ti ha sopportato per quasi un anno e mezzo, poveretta. Se fossi una donna ti manderei al diavolo, Shan. E cos’aveva che non andava? Era deliziosa, questa volta. L’unica assolutamente deliziosa che mi avessi presentata.
- Mi ha chiesto di sposarla. Figurarsi se uno come me, alla mia età, con il corso di giornalismo ancora da finire ma la carriera già ben avviata, può pensare al matrimonio adesso!
- E perché no? Se trovassi quella giusta ci ragionerei seriamente. A ventiquattro anni non mi sentirei sprecato.
- Parli bene tu che, però, non ti decidi ad impegnarti.
- Forse l’ho trovata, Shan. Quella giusta, intendo.
- E me lo dici così? Pazzo di un bardo, non puoi temermi nascosta una notizia simile!
- Ho detto forse. – sospirò Liam – Ci sono molte cose che devo capire.
- Eh, come la fai lunga! Le cose sono due: o ti interessa o non ti interessa. Poi lì si complica, quando a te interessa e lei non ti fila proprio, ma affrontiamo un passo per volta, amico mio.
Ad esempio, non è che Cristiona l’ho lasciata senza un motivo, matrimonio a parte, s’intende.
- C’è già un’altra.
- Magari… – fece Shannon fermandosi proprio davanti al cancello della villa degli O’Connor e scendendo per suonare il campanello. Poi, ritornato verso l’automobile, si appoggiò pesantemente dal lato di Liam: - Magari fosse Aisling. Ecco, lei sarebbe perfetta, assolutamente perfetta.
Si accorse solo dopo che le parole erano uscite da sole, di aver mancato completamente di tatto.
Ma Liam non si era minimamente scomposto.
Era rimasto in silenzio per un lungo momento, prima di rispondere: - Aisling è irraggiungibile, Shan. Sia per me che per te. È troppo più in alto: a volte non riesco nemmeno a comprenderla.
- Andiamo, Liam: è una ragazza come tutte le altre. Fiori candele e poesie e capitola senza troppe difficoltà.
- Te l’ho detto che non la si conosce mai abbastanza.- aveva sospirato volgendo lo sguardo altrove.
Aveva potuto, così facendo, ammirare l’arrivo di Aisling, accompagnato dai raggi del sole mattutino che, filtrando tra i suoi capelli lasciati sciolti, l’avvolgevano di mille bagliori dorati.
Una visione, nient’altro. Era l’unico modo che era riuscito a trovare per descriverla.
-Tu pensi che lei, se io gli dicessi che…
Aveva fatto cenno a Shannon, che stava vagheggiando più o meno frivolamente sul loro futuro, di tacere.
Lei li aveva salutati con affetto, come sempre, baciando di slancio le gote di entrambi.
-Allora, si parte?-  sembrava assolutamente entusiasta dell’idea, mentre aveva sorriso, giungendo le mani – Cosa stiamo aspettando?
- Te, ovviamente. Sempre in ritardo come tutte le donne.- Shannon aveva riso, mettendo in moto.
 
Aisling, aveva detto lui, sarebbe stata la donna perfetta. Anzi lo era, certamente, ma di quelle perfezioni che spaventano. Eppure Liam ne era innamorato, oramai aveva ceduto all’evidenza dei propri sentimenti. E non sapeva nemmeno come aveva fatto a rimanere impassibile davanti alla dichiarazione di Shannon.
Possibile che davvero non fosse possibile capire quello che provava nemmeno per il suo migliore amico, quello che lo conosceva da quando erano bambini, che sapeva comprenderlo con un solo sguardo, con cui aveva diviso tutti i suoi momenti felici e, negli anni ormai di militanza repubblicana, anche i rischi che l’amore di Erin comportava?
Possibile che non ricordasse di aver raccolto il suo entusiasmo quando aveva appena conosciuto Aisling e di avergli addirittura fatto i complimenti non appena aveva saputo che era riuscito a conoscerla? Forse lo ricordava perfettamente e non gl’importava.
Dopotutto, alla loro età, sarebbe stato naturale abbandonare i vecchi ricordi e tutto ciò che li aveva, forse infantilmente, legati per tutto quel tempo, per far rotolare le loro vite verso qualcos’altro. Verso una sorta di indipendenza l’uno dall’altro, che sarebbero stati i rispettivi matrimoni, un giorno. Che, comunque, sarebbe stato l’amore.
Eppure no, non Shannon. Lui avrebbe capito che Liam amava Aisling.
Certo, in fatto di amore, Shannon non era mai stato particolarmente sensibile. Tutti i mesi che Liam e Aisling avevano passato insieme senza concludere nulla o, almeno, senza che ufficialmente si sapesse nulla su loro conto, ai suoi occhi erano più che sufficienti per ritenere che Liam non fosse poi tanto interessato.
Invece no, era lì che continuava a struggersi nella speranza di capire se anche lei provasse qualcosa nei suoi confronti, oppure se rivelarsi fosse soltanto mettere a repentaglio la loro, ormai solida, amicizia.
Ed era rimasto impassibile davanti al commento di Shannon perché, dopotutto, sapeva di poter benissimo fare marcia indietro, prima che fosse troppo tardi.
Se veramente l’amico fosse stato innamorato di Aisling, gli avrebbe ceduto il passo senza rimorsi. Teneva troppo a lui per entrare in competizione: non l’aveva mai fatto, nemmeno da adolescente, nemmeno quando la brillante e futura carriera e il talento di Shannon si erano palesati più manifestamente che i suoi.
E amava troppo Aisling per costringerla a scegliere.
Senza aggiungere che poi non si sentiva abbastanza forte da affrontare il dolore di assistere allo sgretolarsi della loro amicizia per un vagheggiamento di un domani con lei che, molto probabilmente, non avrebbe nemmeno funzionato.
Si era smarrito nei suoi pensieri, rabbuiato. Io farei qualunque cosa per te, Shannon. Fosse anche perdere lei. Aveva detto nella sua testa e un’ombra gli attraversò gli occhi, senza che nessuno se ne accorgesse.
La voce di Shannon lo riportò bruscamente alla realtà: - Sentite freddo?
Lo sorprese il modo in cui la banalità della domanda contrastò col complicato mondo che gli si agitava dentro.
L’automobile era completamente aperta, senza la cappotte e, lanciata a tutta velocità sulla strada che conduceva fuori città, si lasciava avvolgere e trapassare da un vento ancora frizzante.
- Hai freddo, Aisling, lì dietro?
- Immagino come davanti. – rispose lei, abbandonando il mento sulle mani, che aveva appoggiate agli schienali dei sedili anteriori – Piuttosto mi sa che Liam abbia già un principio di congelamento: non dice nulla da quando siamo partiti.
- Liam? – Shannon agitò la mano davanti ai suoi occhi, lasciando per un istante il volante – Sei ancora tra noi?
- Come? No, cioè sì, stavo pensando…- rispose confusamente.
Sentì le dita di Aisling insinuarsi tra il bavero della giacca, la nuca e i suoi capelli.
- Che c’è, caro, non sei contento di essere qui con noi?
Aveva lasciato che la mano di lei scivolasse sulla sua spalla con noncuranza, scacciando con forza il brivido che l’aveva percorso. L’innocenza di quel tocco lieve lo sorprese, ma la sentiva di ardere sotto il tessuto pesante della giacca e sotto la mano tiepida di Aisling.
- Certo che sono felice – si era sforzato di dire – Ma non badate a me: è colpa dell’ispirazione, che mi fa immalinconire.
- Ma è una mattinata così bella! Cosa può esserci di malinconico in questo cielo limpido, nel sole, in noi che siamo giovani e felici. Ah, il mio poeta… - aggiunse in tono comprensivo – Il mio Liam, sempre così sensibile.
Dalla spalla la sua mano era risalita fino al suo viso, cercando il bacio che, talvolta, lui le dispensava. Le sfiorò appena il palmo con le labbra, con affetto.
- Lo sai che ti voglio tanto bene, Liam?- gli aveva detto in un sussurro che gli aveva fatto morire il respiro nel petto.
 -  E anche a te, Shan. – aggiunse, avvicinando il viso a quello dell’amico intento alla guida.
- Forse non ho mai voluto tanto bene a qualcuno come a voi, all’infuori della mia famiglia. Sono tanto felice, quando siamo insieme, sembra che non possa accadere nulla di brutto.
 
Perché ti diverti a torturarmi, Aisling? Perché, proprio adesso che so che anche per Shannon non sei soltanto un’amica. Ma tu sei ignara di tutto, mia piccola dolce Aisling. Per te è tutto così semplice e bello: la campagna, il sole, la nostra gioventù. Sei felice e ti sembra che tutti lo siano assieme a te, così, spontaneamente. Ti pare impossibile che si possa essere tristi in una giornata simile, eppure, a volte, sembra che la natura gioisca nell’essere il nostro opposto contraltare.
Ridi, Aisling. Ridi e non sai cosa provo io. Io, che ho come l’impressione che non riuscirò mai a raggiungerti. Come quando corri libera in questi prati e io arrivo sempre con qualche istante di ritardo alla meta. Non molto tempo dopo, ma sufficiente perché fra noi ci sia questa distanza, incolmabile forse e, proprio per questo, dolorosa.
Liam si era seduto a scrivere con la schiena appoggiata al tronco di un albero. Tracciava qualche rapido segno su un quadernetto, poche parole bastevoli a Shannon per capire che era ritornato alla poesia, la sua vera vocazione.
Loro due, Shannon e Aisling, erano rimasti a rincorrersi ancora per un po’ come due bambini, esaltati dal verde e dall’aria pura che aveva in un attimo cancellato i lunghi mesi di grigiore, d’inverno e di sconfitte trascorsi a Dublino.
Liam li guardava sorridendo, ora. Per quanto si sentisse tormentato dai dubbi, la loro allegria era troppo contagiosa per non rischiarargli l’animo col suono cristallino delle loro risate.
Aggiunse qualche rima sulla carta: sarebbe risultato un buon sonetto, quello che avrebbe descritto i suoi due amici, rendendo quell’istante immortale come una fotografia.
Già, rimpianse di non avere modo di poter ritrarre il momento. Un giorno avrebbero dovuto posare davanti all’obbiettivo, si disse, per rivedere quell’immagine dopo anni e ridere di nuovo del ricordo della loro spensieratezza.
Respirò a lungo, con profondità la pace del posto. 
Era davvero un luogo magnifico, quello che avevano scelto. La campagna che circondava l’Howth Castle, poco fuori Dublino, li aveva accolti nel biancore dei suoi viali, nel sussurrare delle fronde dei suoi alberi, nell’elegante intrico di luci e ombre tra i cespugli e nel suo eterno, immobile e sereno silenzio.
- Non è splendido? – Aisling si era lasciata cadere al suo fianco, distendendo sull’erba le gambe fasciate dalle calze bianche.
Vestiva spesso di quel colore, notò Liam. O, comunque, di chiaro. Anche quel giorno, faceva sfoggio di una gonna leggera e di un raffinato giacchino color ecrù, che sottolineavano il pallore del viso e la sua figura eterea.
- Accidenti, che caldo! – si era lamentato Shannon, levandosi la giacca.
- Qui all’ombra si sta bene. – commentò pigramente Liam, socchiudendo gli occhi.
- Eh, fai presto a parlare tu, vecchio bardo. Stai al fresco a scribacchiare. A proposito, quale sarà il nuovo capolavoro col quale ci tedierai nei prossimi mesi?
- Segreto…
- Come “segreto”? Il pubblico ha diritto di sapere. – protestò Aisling, nel tentativo di sbirciare nel quadernetto.
Ma l’oggetto incriminato era già sparito com’era comparso, nelle tasche sicure di Liam.
- Poesie. Sono poesie, questa volta. – si era rassegnato a svelare.
- Poesie su quale argomento? Su Erin? – lei lo aveva guardato con aria supplice, per carpirgli qualche informazione in più.
- Anche. Su Erin, su di noi, su tante cose messe assieme.
Non aveva avuto il coraggio di confessarle che la maggior parte di esse le aveva scritte pensando a lei. Che lei ormai era la sua musa, la ragione per cui continuava a produrre arte, se arte si poteva chiamare, la luce, l’ispirazione, la gioia di vivere, di guardare il mondo sempre con occhi diversi. Tutto. Si era presa tutto, prepotentemente, eppure così dolcemente, da quando si erano conosciuti.
- Ma non eravamo qui per farci una bella cavalcata?- finse di ricordarsi all’improvviso, tanto per avere il pretesto di attirare l’attenzione su tutt’altro.
- Giusto. Ma prima dobbiamo noleggiare i cavalli. C’è un maneggio qui poco lontano, da quanto ne so. – rispose Shannon.
- L’ultimo che arriva al maneggio è una vecchia mummia. – Aisling era partita di corsa senza nemmeno aspettare che si alzassero.
Era incorreggibile. Era lei, meravigliosamente viva. La sua Aisling, la sua splendida ed incredibile visione.
 
Non sapeva cavalcare bene Aisling, da quanto aveva detto, scusandosi per essere una frana coi cavalli e, sinceramente, di averne anche piuttosto paura.
Ma, dopotutto, lei che aveva sempre viaggiato per l’Europa in treno, non aveva mai avuto la necessità di mettersi in sella.
- Avanti, mica ti mangia, il cavallo. Coraggio, Aisling, salta su con uno di noi.
Lei aveva lasciato che lo sguardo scorresse lentamente su entrambi. Era quello che Liam non avrebbe mai voluto, metterla nelle condizioni di dover scegliere fra loro due. Ma Shannon sembrava non averci dato troppo peso.
Poi, porgendo a Liam la mano guantata perché l’aiutasse a salire, aveva deciso.
- Mi perdonerai, Shannon, ma se porti il cavallo come guidi la macchina… - aveva riso – Liam sembra meno incosciente di te.
- Tutta apparenza – scherzò l’altro, lanciando l’animale al galoppo.
 
Shannon li aveva seminati, mentre la loro cavalcatura, gravata dal peso di due fantini era rimasta indietro.
- Ti farò perdere la gara, Liam.
- Oh, non era una gara. È solo una cavalcata.
- E’ strano come non vi sia competizione fra voi. Non vi è mai stata?
- Mai, tranne che una sana ammirazione. Abbiamo sempre fatto in modo di essere felici l’uno per i successi dell’altro.
- Non ho mai incontrato nessuno come voi, Liam. A volte penso che…
- Cosa?
Aisling aveva voltato la testa, per evitare di incrociare il suo sguardo. Ma, ormai, la frase l’aveva già pronunciata a mezzo e non vi sarebbe stato modo di nascondere che stava per aggiungere qualcosa di non troppo felice.
- Avanti, Aisling. Lo sai che puoi dirmi qualunque cosa.
- No, lascia perdere. Niente di importante.
- Aisling… - il suo tono si era piegato in un leggero rimprovero.
- Niente, caro, niente. – l’aveva rassicurato. E, per essere maggiormente creduta, gli aveva puntato nei suoi quegli occhi color dell’ambra.
- Posso? – aveva afferrato lei le redini – Come si fa?
- Come si fa? Aisling, il cavallo va da solo. – Liam era scoppiato a ridere – Basta che tu lo guidi. Ma sei sicura di quello che stai per fare.
- Sicurissima.
- Oh cielo, Aisling, mi raccomando.
- Tu tieniti stretto. – e, senza aspettare risposta, si era portata ai fianchi le mani di lui – Si parte!
- Per carità, Aisling, va’piano.
 
Avevano raggiunto Shannon con aria trionfante. O meglio, Aisling aveva un’aria trionfante, Liam piuttosto l’espressione di chi era appena sbarcato da un battello dopo un viaggio di solo mare mosso.
Ma durante il tragitto, a dire la verità, non aveva minimamente pensato ai pochi centimetri che li avevano divisi da un frontale con un cipresso né al canale che avevano pericolosamente costeggiato.
Pensava a lei, al fatto che mai l’aveva avuta tanto vicina. A come fosse felice e si sentisse finalmente bene solo quando ella fosse stata con lui. Sembrava quasi di tornare a respirare e, allo stesso tempo, di sentirsi mancare l’aria quando contemplava tanta bellezza.
Anche ora, mentre Aisling si era addormentata sull’erba, esausta per le corse le cavalcate e la troppa gioia di essere lì, era certo che mai nessuna opera sua oppure d’altri sarebbe stata altrettanto perfetta quanto lei. Come nessun ritratto, nessuna scultura avrebbero riprodotto la purezza delle linee del suo viso. E allo stesso modo, nemmeno la più chiara trattazione di filosofia sarebbe stata altrettanto limpida come i suoi pensieri, quando rideva.
È tutto ciò che si può chiedere dalla vita. O tutto ciò che non si deve desiderare.
Nel gesto di scostarle una ciocca di capelli biondi dal volto avvertì un brivido più simile ad una scossa. Capì, in quel momento, che una creatura simile poteva essere un balsamo benefico ma, allo stesso tempo, capace di portarlo alla dissipazione o a quella di tutto ciò che lo circondava. Eppure, per quanto ne fosse consapevole, non sapeva né voleva evitarlo.
 
- Per quanto tu ti ostini a negarlo, Liam, qualcosa non va . – gli aveva detto Shannon, quando l’aveva raggiunto all’ombra di un albero, poco distante dal luogo in cui si era addormentata lei.
- Non c’è nulla che non vada. Sono solo un po’ in pena per mia madre, ecco tutto.
- Hai un altro sguardo, quando si tratta di tua madre. Qui c’è di mezzo Aisling.
Non gli si sarebbe potuto nascondere nulla: Liam lo sapeva bene.
- Lo so, Liam, ho sbagliato. Ha mancato di delicatezza a dirti che ero interessato a lei, pur sapendo che piace anche a te. La verità è che so che quando tu ti scomodi per una ragazza c’è qualcosa di serio sotto. Ti conosco. Ne sei innamorato, vero?
Liam gli dava le spalle, troppo in imbarazzo per quella conversazione, per potersi mettere a sedere.
- Già. – gli aveva passato il proprio quadernetto come una garanzia di quella ammissione – Sono mesi che scrivo per lei. Mesi che non faccio che pensare a lei.
- E’ giusto. Senti, Liam, a me non interessa veramente. O meglio, finirebbe dopo tre mesi, come con le altre. Lo sai che sono fatto così, un capriccioso dongiovanni, come mi ha gridato il mese scorso Cristiona, quando l’ho lasciata. Quindi faccio marcia indietro, come scommetto che avresti fatto anche tu. Aisling non merita di soffrire e tu, sono certo, non gliene darai motivo.
- Senti, Shan, non dipende da me. Si tratta di chi sceglierà lei. Magari nessuno dei due…
- Hai mai pensato che possa essere infatuata di entrambi, invece?- azzardò – E hai mai pensato che potremmo arrivare a doverla, come dire, dividere?
- Shan, per favore! L’idea non mi ha mai nemmeno sfiorato. – aggiunse, sottovoce – Tu ed io? Una donna in due? No, con tutto l’affetto che posso avere per te, stavolta sarei io a fare marcia indietro.
Quanto all’essere infatuata di entrambi, può darsi, ma prima o poi dovrà decidere.
- Chi, Aisling? Decidere non fa parte del suo vocabolario. È troppo più in alto di noi, l’hai detto tu. E la situazione sospetto non le dispiaccia affatto: vive nell’indecisione e aspetta di essere scelta.
- Non mi aspettavo di sentirti parlare di lei in questi termini.
- Non fraintendermi, è una delle persone migliori che io conosca, ma ammetto che abbia i suoi difetti. Non per questo le voglio meno bene, per carità. Aisling è assolutamente un amore. Tuttavia, sei tu che corri sempre un grave rischio, Liam.
- Quale?
- Idealizzi troppo le persone. Non è colpa tua, forse piuttosto della tua anima di poeta. Ami più l’immagine che ti sei fatto di loro, quando dovresti amarle per quello che sono, sapendo che sbaglieranno, che può darsi ti feriranno.
- Perché me lo dici adesso?
- Perché con Dàirine non era una cosa seria. Adesso sì, ed ho paura che tu soffra.
- Stai tranquillo, so badare a me stesso. Eppoi chi ti dice che…
- Te lo dico io: oggi, col pretesto del cavallo, ha scelto te. E altre volte è successo ed altre ancora succederà. Le sue attenzioni sono chiaramente rivolte a te e tu sei l’unico a non essertene accorto.
- Tu dici? Shan, io non vorrei che tu stessi rinunciando per me…
- No, Liam. Fa’ solo in modo di non dimenticarti di me, quando sarete troppo felici per pensare ad altro.
- Oh, Shan, ti sembrano discorsi da fare? – gli disse, increspando le labbra, mentre gli passava un braccio attorno alle spalle – Niente, ti dico, niente riuscirà a dividerci.
 
 ____________

 
Nota dell’autrice:
 
Carissime,
quando l’ispirazione prende, non c’è verso di arrestarla. Quindi, scrivo i nuovi capitoli e li posto quasi subito altrimenti poi sorgono mille indecisioni e mille correzioni e non ci si decide più :)
Grazie per aver letto, spero il capitolo vi sia piaciuto.
Oramai siamo al sesto, settimo contando il prologo, e la storia – spero – sta cominciando a prendere forma.
Se volete commentare anche con due parole sulla trama, sui personaggi, sullo stile o qualunque altra cosa, ne sarei immensamente felice.
Altrimenti alla prossima!
Un bacione, sempre vostra
 
Marguerite

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7. The Kiss of the Dream ***


 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

 Capitolo VII: The Kiss of the Dream


 
 L’immagine lontana di una scampagnata all’Howth Castle, sfuocata come una fotografia ad un soggetto in movimento, come quegli esperimenti futuristi che andavano tanto di moda in quel tempo, tornò alla mente di Aisling, mentre fissava senza convinzione la coppia di lettere che teneva tra le mani.
Non riusciva a credere che Liam fosse morto. Non poteva essere vero.
Ancora aveva davanti agli occhi il suo volto, quando si era presentato da lei quella notte, a rivelarle il suo terribile segreto.
Il volto di un uomo che aveva perduto se stesso.
Si era fermato fino all’alba successiva ed era ripartito, questa volta per sempre. Non l’avrebbe più rivisto. Ed ora era morto, senza che lei potesse svelargli il suo, di segreto.
Si chiese se non ne avesse avuto, in fondo, il diritto. Ma, diritto o meno, non ci sarebbe stato modo di contattarlo. Non avrebbe certo potuto immaginare che avrebbe scelto il Messico.
Avrei dovuto amarti di più, Liam. Abbandonò il viso tra le mani.
Avrei dovuto amarti e basta. Perché lo meritavi, prima di tutto questo. Perché, forse, se ti avessi amato non ti avrei trascinato in quella storia. Ti avrei lasciato andare. Avrei lasciato che tu e Shannon proseguiste la vostra battaglia per Erin pacificamente e spontaneamente come avevate sempre fatto.
Sarei uscita dalla tua vita in punta di piedi. Una cosa che non mi si addiceva, ma l’avrei fatto.
Per te. Per voi. Perché, in fondo, la colpa non è stata d’altri che mia. Del mio egoismo.
E, se mi fossi allontanata, avrei sofferto, certo, ma almeno vi avrei ancora qui, tutti e due.
Magari a bere lo sherry in salotto, a raccontarci di quando siamo stati ragazzi, a ricordare quanta strada Erin ha fatto da allora per essere, adesso, finalmente libera.
Non chiederei molto, soltanto quelle cose banali che i vecchi amici finiscono per fare, col tempo che avanza. Vi avrei qui, ancora una volta, a sfidare al bridge mio marito o a giocare coi miei bambini sul tappeto.
E invece no . Come faccio io a rassegnarmi, adesso, di avervi perso entrambi?
Come faccio ad accettare che il tempo, la storia, la nostra stessa follia cancelleranno pian piano il vostro ricordo? Cosa rimane a me, se tutta la mia giovinezza se n’è andata con voi?
Nulla, se non una vita che sembra non appartenermi più, un gomitolo intricato che è il mio matrimonio, nel quale non ho mai creduto e in cui fatico a dibattermi, persino a respirare.
Solo ora comprendo di averti dovuto amare, Liam, amare di più di quanto non abbia fatto.
Perché io ti amavo, Liam, te lo giuro, ora, che è troppo tardi.
Perché ti amavo e l’ho capito tardi e il tuo pensiero, saperti vivo seppur lontano, mi ha tenuta in vita per questi dieci anni. In vita, in attesa di un tuo ritorno, essendo certa che Shannon, invece, non sarebbe più tornato.
Ed ora, cosa faccio? Come posso immaginare di passare il resto della mia esistenza seduta al tavolo di questa cucina in attesa di vederti comparire alla porta come se nulla fosse, ora che non puoi più farlo?
O forse, Liam, ti ho amato solo perché eri lontano, perché eri la mia immaginazione che correva a te, salvandomi dal grigiore di questa vita, senza più ideali, senza una ragione per combattere.
Erin è libera ora. Sono arrivata, siamo arrivati, a quello che cercavamo di ottenere.
E adesso? Adesso non c’è più nulla da fare e si sprofonda, nella nebbia e nel nulla. Come Shopenhauer, ricordi?
Nulla, se non qualche vecchio, appassito ricordo.
Se così fosse, se ti avessi amato solo per un mio tornaconto, sarebbe solo l’ennesima volta che ti faccio del male, mio caro. Ti direi che sbagliavi tutto, sbagliavi ad idealizzarmi.
Se fosse così sarei davvero la donna volubile e incostante che pensavo. Incapace di pensare agli altri senza pensare a se stessa.
Se fosse così mi disprezzerei. Ma non lo so.
Non so più niente. Dannazione, Liam, so che ti amo! Che ti amo, che ti amo, che ti amo…
Che mi manca il respiro adesso che so di non poterti rivedere.
Che non mi rimane più nulla di te se non queste due lettere.
Niente o forse…
Si alzò di scatto e andò nel salotto.
Nella libreria, dietro i volumi di storia della filosofia scritti da suo marito, dietro i suoi saggi che non aveva più riaperto, lontano dagli occhi nella speranza che lo fosse anche dal cuore, alloggiava da anni quel quadernetto ingiallito, riempito in inchiostro nero con una fitta grafia.
Le poesie di Liam, quelle non erano state date alle stampe, per una sorta di delicato pudore. Come se avesse voluto proteggere il loro sentimento.
Quel volumetto le era stato dato l’estate del ’16. Per essere precisi, il 21 giugno del 1916, durante una festa da ballo in un locale di Dublino.
Lo ricordava perfettamente, perché era la sera che si erano baciati.
Chissà se Liam l’aveva rievocato quel momento, prima di… Soffocò nelle mani un altro accesso di pianto.
 
Anche Liam l’aveva ricordata quella sera, come aveva previsto Aisling.
Ma le immagini non erano più tanto lucide. Forse erano i suoi sensi che lo stavano abbandonando, portando con sé anche la sua memoria.
Poi, all’improvviso, rammentò che nemmeno prima, nemmeno pochi giorni dopo, lo erano state.
Tutto quello che aveva seguito sì, ma quella notte era così confusa.
Solo una nebbia vaga fatta della musica lontana di una quadriglia e dei lamenti gravi di una zampogna.
Si chiese quale fosse la causa, se la troppa birra, se lo stordimento della danza, se l’emozione oppure Aisling stessa. Troppo bella per credere di averla a pochi passi da lui, così vicina al suo viso.
Troppo bella per credere di aver baciato davvero lei e non una visione, un sogno.
 
Dublino, giugno 1916
 
Chissà come l’avevano convinto a partecipare a quella festa.
Di certo doveva essere stata Aisling a trascinarlo, a lei non aveva mai saputo dire di no, nonostante non amasse ballare.
Andiamo, Liam, è per festeggiare l’arrivo dell’estate. Gli aveva detto qualcosa di simile, come se l’estate che avanzava fosse stato un motivo più che sufficiente per fare festa.
Li aveva raggiunti senza troppo entusiasmo.
A gennaio avrebbe terminato l’università e ormai consumava le sue giornate tra la stesura della tesi – sulla poesia francese ottocentesca – e le assemblee per Erin.
- Dai, Liam, non puoi startene sempre rintanato in casa come un vecchio topo. Non vuoi proprio concedermi l’onore di un ballo?
- In realtà sarei io a dovertelo chiedere. Comunque, non so ballare.
- Come non sai ballare? Non conosci le danze tradizionali? Ma che irlandese sei, allora? Eppoi dicevi di me, solo perché non sapevo cos’erano le Banshee.
Se la ricordava, allora, quella sera che avevano trascorso insieme sotto la luna.
- Vengo solo per sedermi in un angolo, bere una birra in santa pace e sentire della musica, ma non mi vedrete ballare nemmeno se mi pagate. Ne approfitterò per scrivere, chissà che questo folklore non mi sia di ispirazione.
- Come sei noioso! – gli aveva fatto eco Shannon – Lo dicevo che la letteratura fa male.
- Appunto, e io potrei anche ritenermi offesa e non rivolgerti più la parola per tutto il resto della serata.
- Consolati, Aisling. Vorrà dire che balleremo noi.
- Non mi hai nemmeno detto se ti piace il mio vestito. – aveva continuato lei, facendo un giro su se stessa, con una certa vanità.
Era stupenda, a tal punto da fargli mancare le parole, proprio a lui, che sapeva sempre cosa dire.
La sera era calda, finalmente. E lei aveva potuto fare sfoggio di un abito di seta leggera, di un tenue azzurro pastello, ornato di balze sul fondo.
Il taglio svasato ne allungava la figura, come cominciava a essere di moda sul finire degli anni dieci, lasciando le caviglie scoperte, con quegli orli che iniziavano progressivamente ad alzarsi.
- Stai benissimo – le disse in un soffio.
 
Era davvero rimasto a guardarli seduto a un tavolo del pub, attorniato dal fumo e dall’odore caldo del whisky e da quello amaro della birra.
Il boccale di Guinness da un lato e il manoscritto dall’altro, tuttavia gli riusciva difficile scrivere, se non impossibile, mentre l’attenzione si concentrava soltanto sul set di coppie in cui danzavano Shannon e Aisling.
Lei si moveva con grazia, lui si vedeva che aveva passato gran parte delle sue serate, quando non era insieme a Liam, a corteggiare le ragazze fra una giga e una quadriglia.
Formavano una bella coppia, oggettivamente.
C’era aria di allegria.
Erano scesi dalla pista per raggiungerlo e, accaldati, avevano entrambi abbondantemente attinto dal suo boccale.
- Prego, fate pure!
- Tirchio come uno scozzese! – aveva scherzato Shannon – Accidenti, Liam, ma è birra o brodo? Ma come fai a bere questa roba calda?
- Sta’ a vedere che adesso è colpa mia. Fa un caldo maledetto, stasera. Non si riesce a stare da nessuna parte. Mi chiedo come facciate voialtri a ballare.
- Certo che sei cattivo, Liam. Davvero crudele, a non aver mai voluto fare con me nemmeno un giro di quadriglia.
- Per carità! Sono un totale disastro per queste cose, Aisling. Non azzecco un solo passo. Finirei per rendermi ridicolo davanti a tutta questa gente.
- Perché, tu credi che questa gente stia a badare a te? – aveva fatto lei alzandosi in piedi.
- A me no di sicuro, ma quando si ha una dama simile, è inevitabile.
- Che galante! – prese a strattonarlo – Avanti, Liam, andiamo. Un ballo solo, con te. Per favore… Guarda, se vuoi mi metto anche in ginocchio.
E lo fece, veramente.
- Ti prego, ti prego, ti prego…
- Matto di un bardo, non ci si fa pregare dalle signore.
- Ma cos’è? Un complotto? – rise Liam, divertito – E va bene. Una sola quadriglia, che è l’unica di cui mi ricordi qualcosa. Ti avverto, Aisling: ti farò fare brutta figura e, forse, ti pesterò anche i piedi.
- Poco male: non ci farà caso nessuno. Ne vedi forse qualcuno di perfettamente sobrio?
Lo trascinò in un set con un’altra coppia.
Era decisamente disastroso come aveva garantito, ma si divertirono comunque.
 
- Fa davvero un caldo terribile – gli aveva detto lei, scostandosi i capelli dal viso – Usciamo un momento?
L’arrivo all’aria aperta fu accompagnato da qualche sospiro di sollievo di Aisling, che tentava di farsi vento con le mani.
- Allora, ti sei convinta che sono un pessimo cavaliere?
- No, sei stato perfetto. Assolutamente perfetto. Ed io avevo voglia di stare un po’ con te. Mi sfuggi ultimamente, Liam, e la cosa non mi va .
- Davvero? Sai, la tesi, le riunioni, tante cose…
- Così tante che non c’è più nemmeno un posticino per me, nella tua mente?
- Aisling… - sospirò.
- Sì?
- Nulla.
- Avanti, Liam, cosa devi dirmi? Coraggio, non ti mangio mica. Ti do noia, forse? Avresti ragione, sai. Tu sei così serio, responsabile ed io così frivola, invece. Lo riconosco di avere un brutto carattere, incostante.
- Ma che dici? Aisling, il fatto è che… Ma come faccio a dirtelo? – si tormentava le mani, senza trovare le parole – Quel posto che tu mi chiedi, nella mia mente, nei miei pensieri è…
- Occupato? C’è un’altra? Oh, Liam, io non mi offendo, sai?
- No, cosa vai a pensare? Intendo dire, quel posto è già tuo, solo tuo, da tanti, troppi mesi. Ed io non te l’ho mai detto per paura che anche Shan… Ecco, intendo dire che… Diavolo, che disastro. Non ci avrai capito niente nel mio discorso, immagino. Il fatto è che avevo nella testa un ragionamento perfetto, ma le parole si sono confuse ed è… un gran casino. E pensare che basterebbero cinque parole. Tá grá agam duit, Aisling. – le disse d’un fiato – Io ti amo, Aisling.
So che non è stata una gran dichiarazione, non quella che mi ero preparato almeno. Ma se tu…
Gli aveva impedito di dire altro, chiudendogli le labbra con un bacio.
 
Era successo. Era accaduto davvero. Aisling l’aveva baciato ed era rimasta lì, tra le sue braccia, senza fuggire. Dopotutto sono i sogni che fuggono, non la realtà. Quella resta, come il suo sapore sulle proprie labbra. Sarebbe rimasta per sempre, scolpita nel ricordo.
E anche adesso, che stava per andarsene, e questa volta per sempre, lei era quanto di più nitido e più vicino gli restasse.
Ti amo, Aisling, ti amo ancora e non ho mai smesso di farlo. Anche quando credevo di averti perduta per la colpa che ho commesso. Credimi, Aisling, mai nella vita il rimorso mi ha abbandonato. Mai sono riuscito a conservare un solo istante intatto, libero di questo macigno che mi ha oppresso la coscienza. E nemmeno ora, nel momento più estremo, sento di aver espiato. Ho combattuto per la libertà del Messico nella speranza che questo potesse farmi ritrovare me stesso. Ma l’omicidio non si cura con altri morti. Non si cura e basta. Non si cura nemmeno con l’amore.
Per quanto alto e puro e sincero sia stato il mio sentimento per te, non è stato sufficiente per salvarmi dalla mia stessa follia.
Dalla nostra follia, Aisling.
Perché, se prima di partire ti ho accusato di essere stata responsabile di averci trascinato nell’Ira, anziché lasciarci a credere e sperare pacificamente nel risveglio di Erin, purtroppo lo credo ancora.
È anche vero che non si può imputare tutto a te, quando in realtà noi avremmo potuto rifiutare.
Ma eravamo giovani e incoscienti e di certo non credevamo che la nostra vita potesse degenerare a tal punto da scivolare lungo una china senza ritorno. Eravamo troppo ingenui per capirlo.
Eppure, Aisling, ho paura che non ci sia redenzione per me. Non dopo quello che ho fatto.
Perché un conto è tentare di liberare la propria terra, un altro è calpestare tutto per un obiettivo, persino l’amore, persino l’amicizia.
Aisling, potrai mai perdonarmi per questo? Potrai mai capire perché l’ho fatto?
No che non capirai, perché non lo capisco nemmeno io. E più ci penso, più non capisco dove fosse la mia mente, da cosa fosse ottenebrata mentre premevo quel grilletto.
Mi chiedo se davvero un uomo può erigersi a giudice di un altro uomo privandolo della vita.
Mi chiedo se davvero si può perdere se stessi tanto da non riconoscere più nemmeno i valori in cui ti sei sempre rispecchiato per tutta la tua esistenza.
Ma, mia adorata Aisling, io sono arrivato al punto di non riuscire nemmeno più a strisciare davanti allo specchio senza che il mio sguardo non mi rimandi l’immagine del mio peccato.
Ho paura, Aisling, paura di morire.
Anni fa la morte mi era sembrata l’unica soluzione possibile. Una vita per una vita.
Col tempo, invece, ho imparato a comprendere che la morte sarebbe stata soltanto una vigliaccheria, un modo di sfuggire al rimorso.
La pena peggiore a cui potessi condannarmi era la vita. E ho vissuto, ho scontato giorno per giorno il peso della mia esistenza, per dieci lunghi anni.
Chissà cosa avrai fatto tu in questo tempo, se sei riuscita a ripartire daccapo, se ancora vivi, se la sorte si è abbattuta su di te con ancora più violenza.
Chissà se mi hai aspettato, tremando di gioia e di timore, ogni volta che sentivi bussare alla porta.
Non lo so perché non sono tornato, a parte la banalità della legge inglese a cui non avrei per nessuna ragione voluto sottostare. Fossero state le leggi di Erin sarebbe stato diverso.
Non sono tornato perché non avrei retto il peso del tuo giudizio.
Ti sei perdonata, Aisling? Ammesso che tu abbia qualcosa da doverti perdonare?
Sei felice, per quanto sia possibile? Cosa ti rimane di me?
Vorrei soltanto che ti rimanesse un ricordo degno di ciò che sono stato prima. Soltanto questo, altrimenti me ne sarei andato senza che nemmeno tu lo sapessi.
Forse non t’importerà più nulla. Forse non mi ami, Aisling, non mi hai mai amato.
Nemmeno quando stavamo insieme: ti sentivo sempre tanto lontana.
E adesso ho paura, paura di morire, eppure non ho nulla da perdere.
Nulla a parte il tuo ricordo, che si è cristallizzato nel tempo e nella memoria.
Per quanto rancore possa esserci stato, odio forse, per quello che era successo, per me non è stato altro che una faccia diversa dell’amore. Un amore che non aveva saputo mantenersi puro e limpido come quando era nato, perché noi non eravamo più puri e limpidi come allora.
Il tuo ricordo è tutto ciò che lascio, morendo. Nient’altro. E sembra così poco.
Ma quello è rimasto puro e perfetto come quando eravamo ragazzi.
Troppo puro e troppo perfetto. Troppo importante per non temere di perderlo.
Non voglio lasciarlo, Aisling. Non voglio lasciarti.
Mi ha tenuto aggrappato disperatamente alla vita, il frammento di memoria dei tuoi occhi, del tuo viso.
Non voglio andarmene prima di averti rivista. Non voglio perderti, Aisling.
Ma è la morte adesso, che aspetta ch’io esaurisca questi antichi ricordi irlandesi per portarmi via. Lontano da tutto, lontano da te.
Questa volta per sempre.
 
Ricordava ancora, Liam, quando avevano fatto l’amore per la prima volta.
Forse non esattamente il giorno, ma era accaduto quell’estate, un tardo pomeriggio, a casa di lei, quando non c’era nessuno.
Ciò che ne rimaneva era una strana sensazione confusa di felicità e la consapevolezza che era sempre stata lei a guidare il gioco.
Si era addormentato tra le sue braccia, sussurrando che l’amava.
E non l’aveva mai detto a nessuna prima. E se l’aveva detto, di certo allora non conosceva che cosa significasse davvero amare.
Era stata una strana relazione, la loro. Una di quelle che non si sentivano di definire fidanzamento. Lui sapeva di starle regalando tutto se stesso, ogni suo respiro, ogni sua emozione, senza riceverne nulla in cambio se non una minima parte.
Era fatta così, Aisling, incapace di darsi completamente a qualcuno. Sapeva farsi amare, esigeva di essere amata, ma non riusciva a ricambiare se non con un affetto distaccato, che non era niente di paragonabile all’assolutezza dei sentimenti di lui.
Con il tempo, i mesi che avevano passato assieme, l’affetto amicale che aveva provato fin da subito nei suoi confronti, si era trasformato in un legame più forte, forse perché sentiva che egli lo meritava. Che meritava che i suoi pensieri, il suo cuore, la sua vita gli appartenessero, ma non riusciva a sentirsi davvero serena.
La verità era che aveva scelto Liam con la consapevolezza di non essere completamente immune al fascino di Shannon. Lui si era dichiarato per primo, forse l’aveva scelto per questo.
Forse aveva davvero una predilezione per lui, fra i due, ma senza sapere nemmeno lei come gestire  la situazione.
Forse avrebbe preferito non dover decidere, poter amare entrambi, così, semplicemente come ad entrambi aveva dato la sua amicizia.
Ma Liam l’amava con tutto se stesso e un affetto simile, disinteressato e sincero, poteva essere ricompensato solo con un sentimento analogo.
In caso contrario avrebbe sofferto.
Avrebbe sofferto comunque: era troppo incostante, lei, troppo frivola e indecisa per renderlo felice.
Sapeva che non vi sarebbe riuscita e ne soffriva. perché, in fondo, teneva a lui, in modo profondo e schietto. E più soffriva, più desiderava, senza riuscirvi, di allontanarlo da sé.
Ma Liam sembrava, pur sapendo che ella l’avrebbe distrutto, lasciandolo solo e ferito, dopo avergli sottratto l’illusione dell’amore eterno, non desiderare nemmeno di allontanarsi.
Avrebbe affrontato tutto con rassegnazione. Avrebbe lasciato che la sua vita rotolasse in balia della fortuna verso quella china che sarebbe stato impossibile risalire.
 
- Sei felice, Aisling? - le aveva chiesto un pomeriggio di fine agosto, mentre, distesi sul prato del parco, all’ombra ancora tiepida degli alberi, lei era stretta a lui, col viso appoggiato sul suo petto.
- Felice? Sì, credo di sì.
- Voglio dire: sei felice con me?
Aisling annuì: - Ho paura che tu non lo sia.
- Io? Io quando sono con te sento di aver trovato il mio posto nel mondo, Aisling.
- Sai, te lo chiedo perché ho paura di non amarti abbastanza, Liam. Ho paura a volte di non essere la persona giusta per te.
- Ma che dici? Mi ami, Aisling? È tutto quello di cui m’importa. Tutto il resto non ha nessun senso.
- Tengo molto a te.
- Ma non mi ami, vero?
- Non lo so… so che ti voglio bene, che sei importante.
Non lo so se è questo l’amore, Liam. Non lo so perché non l’ho mai veramente provato. E se ti dicessi che ti amo, forse mentirei.
- Non importa, non fa nulla, Aisling. Io non cesserei di vivere, di respirare, di scrivere per te. Continuerei ad amarti e basta, irragionevolmente, irrazionalmente, come ho sempre fatto per tutti questi mesi.
- Dire ti amo, mi sembra tanto scontato: come se lo si dicesse troppe volte a al punto da fargli perdere di significato.
Hai mai pensato piuttosto che noi potremmo essere legati da qualcosa di più alto che dall’amore, quello comune di tutti gli altri?
Potrebbe essere un legame che trascende tutto questo, fatto di ideali e di memorie, un legame che ci terrà uniti per tutto il resto della nostra vita, indipendentemente da ciò che accadrà.
- Io sono legato a te, Aisling. So di esserlo.
- Anch’io, Liam. E perdonami se non è con l’intensità che vorresti. Ma sappi che senza di te io non vivrei, ecco tutto.
- Nemmeno io so se è questo l’amore. Ma sento che è giusto viverlo finché ce ne sarà data la possibilità. Se tu lo vorrai.
- Liam, per te, con te, farei qualunque cosa. – l’aveva baciato, affinché quel gesto fosse una garanzia alle sue parole - Finché ci sarà concesso, io sarò accanto a te. Ti amerò come posso, come so fare, sperando che il tuo amore possa bastare per entrambi, se il mio non sarà sufficiente.
Aveva taciuto a lungo e poi: - Chiudi gli occhi, ora.
- Perché?
- Tu chiudi gli occhi e basta.
Aisling si era sfilata l’anello che portava per metterlo al dito di Liam.
- Ora puoi aprirli.
- Il tuo claddagh… - aveva sorriso. Sapeva che quell’anello aveva tradizionalmente un importante significato. Era il pegno d’amicizia e d’amore eterno. Com’era strano che gliel’avesse donato lei, proprio lei che non era nemmeno sicura di ciò che stava provando.
O, forse, era lui che non riusciva, come sempre a comprenderla. Lei sapeva vedere più lontano e, probabilmente, già era consapevole che il loro legame non si sarebbe fatto incatenare dalle convenzioni degli uomini. Solo perché non si sarebbe lasciato chiamare amore nel senso più stretto del termine, non voleva dire che non fosse altrettanto profondo.
Più alto e indissolubile, aveva detto lei, di ciò che unisce comunemente le persone.
Liam stava cominciando a crederlo.
Ma perché le cose non potevano essere semplici? Perché con Aisling si finiva sempre per complicare tutto.
- Ecco, portalo così: nella mano destra, rivolto verso di te. Ed ogni volta che lo guarderai, rammenterai di avere il cuore impegnato, come l’ho io.
Apparteneva a mia madre. Ora voglio che lo tenga tu, in mio ricordo.
E sappi che, comunque vadano le cose, io ti sono legata con una promessa, quella promessa che ci siamo fatti a Pasqua. E che, se un domani non dovessimo più amarci come in questi giorni, saremo sempre uniti dall’amicizia e dall’onore, e dall’amore comune per Erin.
Me lo prometti, non è vero?
- Te lo prometto. Sempre insieme, Aisling, fosse anche solo per Erin.- le aveva risposto.
Eppoi, portato l’anello alle labbra, l’aveva baciato con solennità, a suggello della promessa.
 

 _________________
 
Nota dell’autrice:
 
Carissime,
un grazie come sempre a tutti i lettori abituali e di passaggio; a tutte voi che avete inserito la mia storia tra le seguite/ ricordate/ preferite.
Un ringraziamento di cuore a Piemme per la cara e accurata recensione.
Al prossimo capitolo!
Un bacione e un saluto a tutte.
Sempre vostra

Marguerite.

 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8. Tears and Rain ***


 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

 Capitolo VIII: Tears and Rain
 
 
- Mi sto ancora chiedendo perché tu mi abbia chiesto di incontrarti, Shan. Sono settimane che non ti fai vivo, e se non fosse per le riunioni del mercoledì, io nemmeno saprei come stai. E sono giorni che non degni Liam di una parola, alle assemblee. - lo aveva rimproverato seccamente Aisling.
Poi si era avvolta con un gesto elegante lo scialle che portava sul cappotto, scivolato inavvertitamente lungo la spalla.
Era la fine di febbraio del 1917, pioveva incessantemente e si gelava.
Dublino, plumbea sotto le nubi, sembrava avvolta in una luce innaturalmente abbacinante.
Accanto a lei, Shannon reggeva l’ombrello, senza dire nulla, proprio perché non c’era nulla da aggiungere. Aveva ragione, aveva perfettamente ragione lei. Le cose fra loro tre non erano andate molto bene da quando Aisling e Liam si erano messi insieme.
Esattamente come lui aveva prospettato, erano troppo impegnati a capire in che direzione stava andando il loro amore o a gioire dei loro, sempre più rari, momenti di felicità da ricordarsi del terzo incomodo.
Un po’ la colpa era anche sua, ma non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. Dopotutto, avrebbe potuto smettere di fare il bambino e rassegnarsi all’idea che, prima o poi, Liam si sarebbe fatto una vita. Che non sarebbe stato per sempre quel pazzo di un bardo pronto in ogni momento a cacciarsi nei guai assieme a lui. O meglio, lo sarebbe stato, ma in modo diverso.
Ed anche Aisling si sarebbe innamorata e, come tutti, concentrata su un uomo pressoché stabilmente. Ma non aveva mai messo veramente in conto di vederli allontanarsi entrambi. Di vederli allontanarsi insieme.
E adesso era inutile, tentare di concentrarsi sugli articoli e su tutto il resto. Era inutile barricarsi dietro quel risentimento infantile: doveva cominciare ad essere felice per loro, com’era giusto.
- E adesso – aveva continuato lei – vorrei sperare sia di questo che desideravi parlarmi, perché non ho intenzione di sentire scuse Shan. Dillo chiaramente cosa non va . Anche se continuo a non capire perché non hai scelto di discutere con Liam.
- Perché era di te che avevo bisogno, Aisling.
- Sai quanto ti posso essere utile… Senti, Shan, mi dispiace, non avrei mai voluto che sia arrivasse a questo punto. Non avrei mai voluto essere io a condurre la vostra amicizia verso la crisi, nemmeno per un istante. Ecco, - continuò tormentandosi i capelli – io ho paura che tu possa pensare a me come ad una sciagura.
- In che senso?
- Lo so che cosa finiscono per pensare gli uomini. Prima che ci si mettessero in mezzo le donne, l’amore, prima di rincitrullirci dietro mille smancerie andava tutto bene: una bella e solida amicizia virile. Poi arriva lei e…
- Ma no, non è questo.
- Sì che lo è: avanti, Shan, non mi perdoni di avertelo portato via.
Non mi perdoni di aver mostrato a Liam la strada per crescere ed affrancarsi dal vostro mitico mondo dell’infanzia. Forse sei proprio tu che non vuoi diventare grande.
- E smettila di credere sempre di sapere cosa pensano tutti quelli che ti circondano, Aisling.
Non ti sopporto quando fai così! Guardati, piuttosto, fumi, leggi saggi di filosofia, ti dai arie da grande intellettuale e dalla vita ancora non hai capito niente.
- Ah davvero? Perché tu cos’hai capito? Quando vi ho incontrati, non eravate che due vaghi sognatori che credevano che Erin si potesse cambiare con la poesia.
- Non credevo fosse questo il problema. Ecco, lo vedi come sei fatta? Ci capisci talmente poco in materia di sentimenti che butti tutto sulla politica. E non usare il nome di Erin per giustificarti, porca miseria.
Lei sbuffò d’insofferenza.
Ma l’aveva sempre saputo che Shannon non la stimava come la grande filosofa che lei credeva di essere.
Che le volesse bene come persona, di questo ne era sicura. Tuttavia non era l’idealizzazione che Liam aveva fatto di lei. Era un affetto più terreno, che non si perdeva nel turbinio di sonetti, discorsi e alti paragoni della sua figura con lo splendore di Erin.
Forse per questo Aisling ne era attratta.
- Lo so che non lo ami… - le disse ad un tratto.
- Chi? Liam? Lo amo più di me stessa.
- Sono cose facili a dirsi. La verità è che tu non hai ancora scelto, Aisling. Ho imparato a conoscerti.
Sei infatuata di entrambi e non riesci a decidere. E, anche quando credi di aver compiuto la tua scelta, non sarai mai felice: stando con lui penserai a me e viceversa.
Sei troppo affascinata da quello che non puoi avere per accontentarti di quello che possiedi.
Non è così? Ho imparato a conoscerti in questi mesi, mentre Liam era troppo accecato dal suo poetico sentimento per te da non vedere i tuoi difetti.
Non è felice ed io non posso farci niente, non posso dirgli che sei tu la causa della sua infelicità: lo distruggerei, capisci?
Aisling annuì, dolorosamente: - L’ho detto che, per voi, non sono che una catastrofe.
- L’unica catastrofe è amare sapendo di non essere riamati.
- Ma io amo Liam, per quanto ti riesca difficile pensarlo.
- Non parlavo di Liam, parlavo di me.
- Di te?
- Sì, di me. Non credo di essermi mai innamorato prima. Dicevo che la carriera per me fosse la cosa più importante, che non avevo bisogno di nessuno per vivere e, invece, mi sbagliavo.
Ma, dannazione, Aisling, perché proprio con te doveva succedere? Tu hai Liam, no? Sarebbe una ragione più che sufficiente per mandare tutto al diavolo e dimenticarti.
Invece il destino si diverte e non solo mi porta ad innamorarmi della donna del mio migliore amico, ma oltretutto lei non è perfettamente in grado di scegliere tra me e lui. E, a rotazione, si alterna la speranza col dolore, Aisling.
- L’immaginavo. Mi aspettavo che sarebbe successo.
- Mi aspettavo che sarebbe successo? È tutto qui quello che hai da dire?
- E cosa ti aspetti che dica? Che ti amo anch’io, ti butti le braccia al collo e ti giuri che non ci lasceremo mai più, Shan?
Si passò nervosamente la mano tra i capelli.
- Non ci pensi a me che devo scegliere? Oh, Shan, sono così confusa… non so più cosa devo fare.
Vi amo, accidenti. Vi amo e non l’ho chiesto io di essere tra due fuochi.
- Ma davvero poi ci ami entrambi? Oppure sei felice di essere corteggiata e stai troppo bene in questa situazione per mettervi fine?
- Felice! Se tu questo lo chiami essere felice… E tu, allora, mi ami davvero o solo perché sono l’unico mezzo per riavvicinarti a Liam? Scusami, - si affrettò ad aggiungere – non pensavo quello che ho detto. non volevo mettere in dubbio i tuoi sentimenti.
- No, scusami tu. Non riesco a immaginare come tu debba sentirti.
- Già… E’ tutto così strano. Ho bisogno di riflettere, Shan, di capire. Di decidere davvero. Ma tu devi promettermi una cosa: qualunque avvenimento arrivi a stravolgere le vostre vite, voi due non dovete perdervi. Di me non m’importa, dopotutto. Ma voi, Shan, io non ho mai visto due persone così profondamente legate.
Non vorrei mai farvi soffrire, so che la cosa più giusta da fare sarebbe allontanarmi, ma sono troppo egoista per lasciarvi andare.
Le lacrime scorrevano silenziose lungo le guance e non c’era verso di camuffarle fra le gocce di pioggia.
- Aisling – sussurrò lui, asciugandogliele con la punta delle dita – vorrei non avertelo detto.
- No, credimi è giusto così.
- Vieni, ti riaccompagno a casa.
- Vado da sola, ho voglia di fare due passi.
- Come vuoi. Ci vediamo mercoledì, come al solito.
- Sì, come al solito.
 
Non seppe dire, Aisling, quanto tempo passò a camminare sotto la pioggia.
Abbastanza da inzupparsi d’acqua, tremare dal freddo e piangere per quella rivelazione. Rivelazione non così inaspettata, comunque.
Quando rientrò a casa, tentando di scivolare oltre la porta dello studio di suo padre per non dare spiegazioni circa il proprio orribile stato, era quasi ora di cena.
Ma non c’era stato verso di passare inosservata. Lui, il professor O’Connor, leggeva il giornale nella stanza della figlia, contendendosi il posto sulla poltrona con il fagotto di abiti che ella sempre vi abbandonava.
La luce fioca della lampada stagliava la sua figura sul muro di fronte alla porta.
- Papà… sei tornato prima, oggi.
- No, sei tu che sei tornata tardi. Ti sembra questa l’ora di rientrare?
- Sono appena le sette.
- Sì, lo so – sorrise con benevolenza – ma ogni tanto devo pur tentare di fare il padre presente.
Non lo era stato e, ogni volta che vedeva Kathleen, ormai donna e così bella, il ritratto della sua povera mamma, e Patrik, già diventato uomo, si rendeva conto di quanto aveva irrimediabilmente perduto.
Non che non ci fossero bei ricordi di famiglia, nella sua memoria, ma quando pensava a cosa fosse stata la sua vita, solo due parole gli venivano in mente: la patria e la filosofia.
- Dove sei stata?
- Fuori con Shannon.
- Guarda in che condizioni sei! Cambiati o prenderai un malanno.
- Piove. – disse semplicemente.
- Di questo me ne sono accorto. Ma gli ombrelli esistono ancora. Cosa c’è che non va, Kathleen?
- Problemi, papà. Parecchi problemi.
- Con la filosofia?
- No, con l’amore.
- E allora temo di non poterti aiutare. – sospirò lui.
E non è che lo temesse, ne era proprio certo. Si era occupato dei suoi figli, li aveva cresciuti con affetto, ma provvedendo più alla loro educazione intellettuale che a quella sentimentale.
E, se è vero che nessuno può insegnare ad amare ad un’altra persona, almeno gli può sempre dare il buon esempio.
Invece, aveva fatto di loro un ottimo letterato e un promettente filosofo, ma rimanevano tuttavia due individui incapaci di affrontare con decisione il gomitolo arruffato delle loro emozioni.
Troppo abituati ai libri, non sapevano gestire la vita reale, come lui del resto.
Lo constatò con amarezza, guardando Kathleen che si struccava davanti allo specchio, dopo essersi asciugata e rifugiata dentro una vestaglia da camera.
- Non credo. Sono di quelle cose che o le si risolve da soli o nessun’altro può farlo in vece tua.
- Giusto. – commentò O’Connor, accendendo la pipa.
Tanto fumava anche lei, senza bisogno nemmeno di nasconderlo. Le aveva lasciato molta libertà e non solo dal punto di vista culturale. Andava e veniva da quella casa senza troppe limitazioni, leggeva qualsiasi libro desiderasse, attingendo senza permesso alla sua biblioteca, usciva con due giovanotti che lui nemmeno conosceva, nonostante qualcuno si ostinasse a definirlo un comportamento sconveniente.
Kathleen aveva avuto davvero meno restrizioni di quanto non fosse imposto a qualsiasi altra giovane donna della sua età. Anche solo concederle di frequentare l’università e studiare filosofia, quella materia quasi riservata agli uomini dalla notte dei tempi, era stata una decisione, per così dire, insolita e moderna.
Ma non voleva che Kathleen finisse per sposarsi con un uomo di cui non era innamorata, magari che lui stesso aveva scelto per lei, e a condurre una vita che non le sarebbe appartenuta. Quella che, comunque, era destinata alle sue compagne.
Anche per questo non aveva amiche. Le ragazze che avevano trascorso con lei l’infanzia, le poche volte che era a Dublino, ormai erano già mogli, qualcuna anche madre. Non c’era più nulla che potesse condividere con loro.
- A che pensi, Kathleen? Chi è che ti tormenta? Quel giovanotto con il quale ti frequenti? Quel Murray? – aveva detto “giovanotto” come fosse stata ancora una bambina alle prese con le prime simpatie.
- Liam? Oh, no, lui è la persona più cara che si possa incontrare. Ma…
- Ma c’è un altro, vero? – non sapeva neanche lui come avesse fatto ad immaginarselo. Forse perché per mesi, continuando a sentir parlare di Liam Murray e di Shannon Donovan quasi come una singola entità, non era stato poi tanto difficile prevedere cosa sarebbe accaduto, nemmeno per uno abituato a ragionare sull’iperuranio senza sapere cosa accadesse sulla terra.
- Un altro? Già, un altro. E non uno qualunque. Ma proprio Shan. Non so davvero cosa fare, papà. L’amore non è come la filosofia, dannazione. Non è solo ragionamento, non potrà mai essere un perfetto sillogismo in cui ogni premessa torna necessariamente a combaciare. È mistero puro e semplice. E non c’è niente che noi possiamo fare contro di esso, per fermarlo o per stornarlo da noi.
- Mi addolora sentirti parlare in questo modo, ma spero che tu riesca a guardare dentro te stessa con sufficiente sincerità. Ricordati che non sempre la soluzione migliore è quella più facile.
- Può voler dire tutto e niente. – rispose con un sorriso tirato. Non aveva mai saputo come servirsi di quei consigli che sembravano piuttosto responsi di un oracolo apollineo.
Continuava a parlarle da intellettuale, quando lei aveva bisogno di un padre.
- A proposito, Kathleen, quand’è che me li porti a far conoscere? Alla fine sono curioso di incontrare questi famosi e coraggiosi patrioti.
- Se tu venissi alle riunioni del mercoledì ti saresti tolto la curiosità ancora prima. Ma già, - disse con una punta di risentimento – tu non ami mescolarti con noi studenti. E dire che qualche buona idea la troveresti anche lì.
- Solo chiacchiere. Come quest’articolo che ha pubblicato il tuo amico Shannon nell’edizione della sera. Dovrebbe stare più in guardia e non esporsi così. E anche tu.
Piuttosto, anziché rischiare la reputazione per qualche bella parola buttata al vento, dovrebbero pensare ad agire seriamente se vogliono davvero servire Erin nel migliore dei modi.
- Cosa intendi dire?
Tòmas O’ Connor chiuse con un pesante sospiro il quotidiano, lasciandolo scivolare sul bracciolo della poltrona. Si alzò in piedi con l’aria di chi si sentiva le ossa intorpidite dall’umidità di Dublino e dalla noia di una vita sedentaria dopo tanto peregrinare.
- Voglio dire che ci siamo quasi. Non siamo molto lontani dal mettere in piedi un’organizzazione che, questa volta, non sbaglierà dove le altre hanno fallito.
- Un’organizzazione?- Aisling inarcò il sopracciglio. Il filosofo poteva vederne l’immagine perplessa del viso rimandatagli dallo specchio. – Di che natura?
- Un’organizzazione di tipo militare di rivoluzionari. Ormai siamo vicini, credo che entro ottobre riusciremo a metterne le basi. La chiameremo Ira, Irish Repubblican Army.
- Di nuovo sangue? – lei tormentava le pagine del Patriottismo di Bakunin, posato sul suo mobile da toeletta.
- Di nuovo liberi. – aveva sorriso O’Connor, cingendole le spalle con un braccio – E tu, se vorrai, ne farai parte con me. Sei diventata una donna meravigliosa, Kathleen, forte e intelligente. Saprai farti ascoltare e stimare da molti, un giorno.
Lei rimase a guardare la sua immagine riflessa, cercandosi nel volto i segni di quelle qualità che suo padre tanto decantava e di cui non era più così sicura.
Dove vedeva quella donna forte e intelligente? A lei pareva soltanto di essere una ragazzina viziata e frivola che per tutta la vita non aveva fatto altro se non essere sopravvalutata.
E, ora, stava facendo soffrire Liam, l’unico che, forse – suo padre escluso – non vedeva le sue piccolezze e le sue meschinità.
La soluzione migliore non è sempre quella più facile, aveva detto.
Già, ma cos’era facile, adesso? Lasciarli o amarli entrambi? Scegliere uno di loro, sceglierne un terzo, forse?
E lui, pur vedendo che sua figlia aveva il cuore più gonfio di lacrime che quelle nuvole di pioggia, continuava a parlarle dei propri piani e dei progetti che aveva per lei.
Che andasse al diavolo tutta quella filosofia! Imigh sa diabhal! Gridò nella sua testa.
A cosa le era servita se poi, nella vita, non poteva nemmeno utilizzarla per soffrire meno?
Anzi, più si ragiona e ci si crogiola a riflettere nel proprio dolore, più si soffre.
- Non dire nulla ancora a quei ragazzi. Voglio parlargliene io a cose fatte: vedrai che a me non diranno di no . – aggiunse.
E lei, che aveva sperato di sentire qualche parola di conforto per i suoi crucci, fu nuovamente delusa.
Chiuse con uno scatto il libro che aveva tra le mani.
- Come vuoi. – rispose con freddezza – Adesso esci, per favore, devo cambiarmi d’abito per la cena.
 
 
 ________________
 

Nota dell’autrice:
 
Ciao carissimi!
Lo so, è un capitolo di transizione, questo e me ne scuso. Ma ahimé anche questi sono necessari.
Cercherò di postare al più presto il successivo per riportare la storia all’azione, oltre che al dialogo. Diciamo che è stata una puntata piena di chiacchiere, quella che avete appena letto :)
Come sempre, un ringraziamento sentitissimo a tutti: lettori, casuali e non, pubblico affezionato e recensori.
Un abbraccio, sempre vostra
Marguerite

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 9. Hearts in the Tempest ***


 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

 Ok, con questo capitolo finiamo il momento di transizione, che si è preso più spazio del previsto. Dal prossimo riprendono i colpi di scena, abbiate pazienza. Spero apprezzerete comunque.
Visto che ormai vi ho annoiato all’inizio, ne approfitto per ringraziarvi ora, così non interrompo più. Un bacione, vostra
Marguerite



 
Capitolo IX: Hearts in the Tempest 

 

 
- Questo ti sembra un articolo da scrivere, Shan?
L’aveva convocato nel suo studio, deciso a far valere le ragioni del direttore editoriale su quelle del padre. Frank Donovan camminava nervosamente nella stanza, con in mano il giornale della sera, dove, nella pagina della cultura, troneggiavano le tre colonne scritte dal figlio.
Parlava del risveglio di Erin, lui, ad ogni costo, anche a quello del sacrificio più alto.
Inoltre, incurante delle autorità britanniche, difendeva strenuamente il tentativo di insurrezione della Pasqua dell’anno precedente, infischiandosene del fatto che equivaleva a dire: coi rivoluzionari c’ero anch’io.
E non si spiegava come diavolo avesse fatto a non passare dalla sua censura, quel pezzo, prima di andare in stampa.
Shannon aveva sempre avuto soggezione di suo padre; ma era una soggezione strana, fatta di orgoglio e di ammirazione, a tal punto da volerne seguire ad ogni costo le orme.
Aveva cercato la sua approvazione fin da bambino e credeva, forse, di averla finalmente trovata.
E invece, ora, con quel suo severo rimprovero più da datore di lavoro, da superiore, che da genitore, temeva di averla perduta.
- E’ un articolo a difesa di Erin.- si giustificò – Nient’altro, solo un tentativo per convincere la gente ad alzare la testa.
- Alzare la testa? Ecco qual è stato il risultato nel ’16: sei giorni di sangue e i carri armati nelle strade!
- E allora continuiamo a subire! Finirà che muoio senza aver visto l’Irlanda libera.
- Finirà che morirai ammazzato, Shan. Che, libera o no, la terra d’Irlanda ti inghiottirà prima del tempo, se continui con questi articoli.
E va bene, il nostro giornale è indipendentista e repubblicano, ma non è una bacheca di annunci per aspiranti suicidi.
Vuoi farti sbattere in galera, forse? Perché con questo – gli sventolò davanti il giornale con una rabbia mista ad inquietudine – con questo è come dire: prendetemi e fucilatemi come quei quattro disgraziati che hanno organizzato l’insurrezione.
Ma come ti salta in mente di non chiedere nemmeno la mia autorizzazione, prima? Io non solo sono tuo padre, sono il tuo direttore ed ho delle responsabilità nei confronti del giornale e dei colleghi.
Certe cose o si fanno bene o non si fanno affatto. E il giornalista è una di quelle.
Mi chiedo dove tu abbia la testa?
Se lo chiedeva anche lui, Shannon stesso, dove avesse la testa.
Certamente perduta ad inseguire Aisling. Era stato un rischio inutile, quello che aveva corso.
Se ne accorgeva anche lui e suo padre aveva ragione.
Così, da solo, propagandare le sue idee davanti a mezza città in un articolo firmato con nome e cognome era stata davvero un’avventatezza. Una di quelle da evitare.
Un conto era far circolare gli articoli nelle riunioni del mercoledì, un altro quello di metterle in piazza senza troppe precauzioni.
Un gesto assurdo, il pericolo di rovinarsi la carriera con nulla, per cosa poi?
Per fare colpo su una donna? No, non poteva essere solo questo.
Era tormentato da quel rimorso, per essersi nascosto dietro il nome di Erin, per una stupida dimostrazione di coraggio.
Il punto era che senza di lei e senza di Liam credeva di aver perduto le sue sicurezze, di dover cercare una strada diversa e l’Irlanda era l’unico appiglio da cui ripartire.
Suo padre era riuscito a mettere le cose a posto, in qualche modo che ancora gli risultava oscuro.
Ma non era quello che contava.
Era continuamente lacerato dai denti aguzzi della gelosia, a tal punto da dover recuperare la stima di se stesso a quel modo.
Assurdo, si disse, veramente assurdo e infantile da parte sua. Tuttavia, sul momento, gli era sembrato giusto così.
 
- Perdonate il ritardo. – aveva detto Liam quel mercoledì sera, entrando nella stanza con un plico di fogli sotto il braccio e una sciarpa grigia attorno al collo – Sono stato trattenuto a scuola.
Mi sono perso molto?
Aveva scaricato il fardello sopra un tavolo con un sospiro di sollievo.
Non credeva che potessero pesare tanto, i compiti dei suoi studenti.
- Niente di che, le solite cose. – Patrik aveva fatto un gesto di insoddisfazione con la mano.
- Meglio così.
- Certo, le solite cose. – era intervenuto qualcun altro – Le solite cose, ma qui nessuno dice che Donovan ha rischiato di farci andare nei casini tutti, col suo bell’articolo celebrativo della rivolta di Pasqua.
- Allora, cosa ne pensi, Murray? – gli aveva fatto eco uno degli altri convenuti.
- So di quell’articolo. Non ho nulla da dire. – aveva commentato Liam, freddamente, per non dare adito ad altre polemiche – E’ stato un rischio, l’ammetto, ma se Shannon ha ritenuto opportuno così…
- Opportuno? Ne va della nostra pelle, Liam!
- L’incidente è chiuso, no? Non è accaduto nulla. – si vedeva lontano un miglio che se doveva davvero sbrigare quella faccenda, l’avrebbe fatto a quattr’occhi con Shan, senza dare spettacolo – Mi sembra quanto meno superfluo continuare a discuterne adesso. E, scusate, se la riunione è conclusa, io tornerei a casa a correggere questi temi.
Li aveva lasciati tutti spiazzati, Shannon in particolare.
Dopo settimane che si guardavano appena e nemmeno si parlavano quasi più, non si aspettava certo che prendesse così le sue difese. Certo, lo conosceva abbastanza bene da sapere che non sarebbe stato tanto meschino da prendere il pretesto al balzo per metterlo in cattiva luce. Avrebbe taciuto, si aspettava, semplicemente come aveva sempre fatto per quel periodo.
Dopotutto, di mezzo c’era soltanto quella stupida gelosia. Avrebbero dovuto metterla da parte e non gettare a mare tutti quegli anni di amicizia che avevano diviso, solo per gli ultimi eventi.
Gli tolse dalle mani il malloppo di fogli: - Aspetta, ti aiuto.
Si sentiva impacciato e non sapeva cosa dire.
- Che cosa sono? – continuò Shannon, tanto per rompere il silenzio.
- Questi? Compiti dei miei alunni.
- Liam, da quando insegni? E perché io non ne so niente?
- Perché non ci parliamo da quasi due mesi, Shan. Comunque sono tre settimane che ho trovato un impiego. Insegno lettere in una scuola elementare. Per il momento sono solo supplenze, ma non mi lamento, visto che mi sono appena laureato.
- Troverai presto qualcosa di più adatto alle tue capacità. Diventerai un grande intellettuale, ne sono sempre stato sicuro.
Gli aveva risposto sorridendo: - Mi piacciono i bambini, mi ricordano com’eravamo. Sono adorabili, davvero, e mi hanno preso in simpatia. Non so se vorrò andarmene, una volta che mi sia stabilito, sai. Forse sarà il preside a cacciarmi. – si chinò verso di lui per dirgli, in un orecchio: - Permetto loro di scrivere in gaelico.
Rise appena. Gli mancava sentirlo ridere. A dire la verità gli mancava proprio, e glielo disse.
- Davvero, Liam. Mi sei mancato. E mi dispiace per come mi sono comportato, dalla gelosia all’indifferenza fino a questo articolo.
- Dispiace anche a me, Shan. Ho passato tutto questo tempo a pensare a come rimediare, a come fare per…
- Tu non devi rimediare proprio a nulla. Semmai sono io a doverti delle scuse. Il problema lo conosci, Liam, e nemmeno io so come risolverlo.
- Aisling. – disse sottovoce.
- Già, Aisling. Le ho parlato, le ho detto cosa provavo per lei, finendo solo per confonderla di più.
Lei stessa non sa come comportarsi, chi scegliere, ammesso che voglia scegliere.
- Me ne ha parlato: le ho detto che doveva comportarsi come il cuore le avesse suggerito. Che io avrei accettato tutto, pur di renderla felice.
- Ma come fai? Come fai a vivere per quello che vogliono gli altri, Liam? Per quello che vuole lei?
Liam scrollò la testa, non se lo spiegava nemmeno lui.
- Non voglio perderti, Liam. Non voglio perderti perché sono geloso di lei.
- Nemmeno io, Shan. Non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme. Guardo i miei allievi e mi ricordo di come siamo stati, di quando scrivevamo di nascosto i temi in gaelico, per protesta, durante le ore di inglese. Non mi sembra possibile che tutto questo sia scivolato via senza che ce ne accorgessimo.
- Non è scivolato via del tutto. Non se glielo impediamo.
Liam annuì, pensieroso: - Era bello, allora. Ricordi?
- Non ho nessuna intenzione di vivere nel ricordo. Viviamo adesso. – gli rispose, abbassando lo sguardo.
Solo allora si accorse del claddagh nella destra di Liam. Gli prese la mano per osservarlo meglio.
- E’suo? E’ una cosa seria, allora?
- Meno di quanto tu possa pensare. Quando è con me pensa a te.
- E se fosse insieme a me, sarebbe lo stesso. Mi chiedo se… se è davvero giusta questa situazione. Se davvero possiamo continuare a struggerci e a barcamenarci in questa eterna indecisione quando invece la soluzione migliore sarebbe non mettere vincoli.
- Vincoli?
- Sì, vincoli, limiti di proprietà: questo è mio, quello è tuo... Se Aisling ci ama entrambi, dovrebbe avere il diritto di farlo, no? Senza essere costretta a sottostare a tutte queste convenzioni, non trovi?
- No, per niente. Insomma tu intendi un triangolo sentimentale. Non ci sto, Shan. Ho sempre visto l’amore come qualcosa di esclusivo, come puoi pensare che, così su due piedi, io possa accettare di dividere con te Aisling.
- Intanto bisognerebbe sapere cosa ne pensa lei.
- Ecco, appunto. – ribatté, anche se in cuor suo sapeva che non si sarebbe certo tirata indietro, lei.
Non aveva il coraggio di dirgli che la cosa gli faceva impressione.
- Abbiamo diviso tutto, Shan, ma le donne mai. Non mi va, no, non sono d’accordo. Mi sembrerebbe un amore a metà, capisci? Piuttosto sparisco dalla circolazione, mi tiro fuori da questa storia e vi lascio vivere in pace quello che ne verrà fuori.
- Vuoi fuggire, Liam? Non è la soluzione, questa. Lo sai che lei continuerebbe ad inseguirti, perché a modo suo ci tiene a te. Complicheresti solo le cose.
- Perché, così sono semplici?
- Avanti, Liam, tu sei sempre stato di mentalità aperta… Non ti sto mica chiedendo di venire a letto con me.
- Ci mancherebbe solo questo.
- Sarebbe soltanto non pretendere da Aisling di esserti fedele. Dopotutto, si tratterebbe di me, non di un estraneo, no?
- Non mi sembra un motivo sufficiente per…Senti, Shan, è tardi. Ne riparleremo. Discutine con lei, quando la vedi e dille… Dille che per me l’importante è che sia felice, nient’altro. Mi rimetto alla sua volontà, qualunque essa sia. – gli tolse di mano i fogli e fece per andarsene.
- Liam, solo un momento.
Shannon tacque, prendendo un respiro profondo.
- Sei in collera con me?
- No, per quanto mi riguarda ho già dimenticato.
- Liam, voglio che le cose tra noi tornino come prima. Voglio che questo ti sia chiaro. Facciamo finta che non sia successo nulla, ripartiamo da qui.
- Per me è già così. – gli strinse la mano – Non pensarci. Dimentica, Shan.
- Grazie, vecchio bardo. Is breá liom duit. 1
- Is breá liom duit, mo chara. 2
 
 
Non ricordava esattamente come fosse successo.
Tentava di farsi tornare il momento alla memoria, mentre dava disposizioni alla cuoca per la cena.
Aisling non aveva mai toccato una pentola in vita sua e cominciava a dispiacersene. Innanzitutto perché, in quei momenti di vuoto, non vi era nulla a distrarla dalla noia. Nemmeno la filosofia aveva più valore.
Accese un’altra sigaretta, mentre trasferiva le lettere e tutto il resto sul tavolo del soggiorno, lasciando spazio alla preparazione delle vivande.
- Signora,  i vostri ospiti arriveranno alle diciannove come previsto?
- Sì, sì, come previsto – rispose distratta a Gwendaline che continuava a fissarla con le teglie in mano.
- Allora comincio con gli arrosti?
- Con gli arrosti, certo.
Ma cosa gliene importava a lei degli arrosti, delle cene di suo marito con i suoi amici, tanto presi dalla loro saccente arroganza da non degnare mai di attenzione nemmeno una delle sue parole.
Eppure era stata un’ottima studiosa. Anzi, forse aveva più conoscenze e più diritto lei di aprir bocca su talune faccende che tutti loro messi assieme.
E mai, mai una volta che lui le avesse chiesto: che cosa ne pensi?
- Signora, va tutto bene? – azzardò la ragazza, timidamente.
Dannazione, no, che le cose non andavano bene. Non andavano bene per niente.
Ma nessuno l’avrebbe potuta aiutare, adesso.
- Va tutto bene, Gwendaline. Solo un po’di stanchezza. Passerà.
- Si affatica troppo sui libri, signora.
- Lo so, ma cos’altro mi rimane? – aveva risposto con amarezza, chiudendosi la porta alle spalle.
Tornò ai suoi pensieri.
Non ricordava come, ma cosa fosse successo certamente sì. Alla fine era andata che aveva accettato di amare entrambi. Si era rassegnata a quella verità.
Allora le cose le erano sembrate nitide e giuste. Col tempo, invece, aveva compreso che erano state solamente un errore.
Un errore perché Liam era sincero, perché era l’unico che avrebbe potuto salvarla anche da se stessa. E, invece, a lungo andare, aveva finito per stancarsi del suo amore, delle sue attenzioni e delle mille piccole cose che fino a quel momento avevano costituito e sorretto il loro rapporto.
Era sincero, certo, ma continuava a vedere in lei non la donna, ma la musa, l’incarnazione di Erin, lo splendido scrigno in cui custodire l’ispirazione, i sogni e gli ideali.
Forse, quella forma di venerazione, di sublimazione che egli aveva operato sulla sua figura era tutto ciò che, col tempo, sarebbe rimasto di veramente importante.
Ma in quel periodo, le risultava stucchevole, eccessivo, quasi insopportabile.
E tutto perché le aveva troppo vicine, troppo a portata di mano, troppo sue.
L’amore e l’attrazione, dopotutto, passano come le nubi nel cielo di giugno. Shannon se ne sarebbe dimenticato altrettanto presto, se lei non si fosse messa ad alimentare il suo fuoco.
Tuttavia, sentiva il bisogno di essere amata come donna e non come musa. Shan aveva avuto il coraggio di sbatterle in faccia l’immagine dei suoi difetti più spietato di uno specchio, ma allo stesso tempo più schietto.
Dopo una vita passata tra l’ovatta, cominciava a credere di meritarselo. Liam non l’avrebbe mai fatto, per lui, idealista e sognatore, sarebbe eternamente rimasta la sua visione. La sua Aisling.
Per giorni, anzi settimane, il pensiero di Shan aveva continuato a tormentarla.
Lo voleva, con tutta la decisione che era riuscita a trovare in se stessa.
E voleva fuggire, da Liam e dalla sua perfezione. Essere se stessa, donna, viva e fallibile, non più soltanto un’entità, un’immagine idealizzata.
Ma, allo stesso tempo, al figurarsi di poterlo perdere, sembrava che nulla avesse più senso.
E aveva accettato.
Quel pomeriggio aveva detto, molto semplicemente, a Shan, che sarebbe stata legata a entrambi.
Che era legata a entrambi. Ormai facevano parte della sua vita in modo talmente saldo, radicato e profondo da non poter immaginare i suoi giorni senza di loro.
Eppoi era accaduto: l’aveva baciato. Sotto la pioggia, mentre attendevano che l’acquazzone si placasse, riparati in un portico.
Era successo, così, naturalmente, senza sensi di colpa, senza nemmeno il rimorso di star tradendo Liam. Era successo e basta.
Aveva lasciato che il proprio corpo aderisse a quello di lui, scivolando tra le sue braccia, permettendo a Shan di stringerla, di condurla verso territori inesplorati attraverso quei baci, luoghi dell’anima che non aveva mai conosciuto.
E si sarebbe concessa, ora, in quello stesso istante, se non fossero stati sotto il portico, davanti a Dublino che, bella e indifferente ai loro tormenti, come sempre, si lasciava mondare le vie dall’acqua e riscaldare il cuore dal prossimo sole.
Le pareva le avessero tolto un macigno dal cuore, adesso che non si sentiva più costretta a scegliere. Poi, quella sera stessa, aveva incrociato lo sguardo di Liam. Non aveva tardato a capire che era diversa, che qualcosa aveva cominciato a cambiare.
Le erano serviti dieci anni di silenzi e lontananze per comprendere che davvero era stato un errore. Che se fosse riuscita ad accettarlo e a capirlo, l’amore e la vita avrebbero contraddetto la morte. Ed ora non sarebbe stata lì, a scolorare l’inchiostro con le lacrime e a rimpiangere quello che erano stati. Le poesie erano l’unico appiglio ormai a quel passato, tutto ciò che le permetteva di non disprezzarsi completamente, perché testimoniavano, coi loro versi che qualcuno aveva saputo vederci qualcosa di buono nella selva indecifrabile della sua anima.
Con la mano sfiorò la spinetta che era stata di sua madre e che l’aveva seguita nella sua nuova casa.
Ti piaceva quando suonavo qualche ballata tradizionale, non è vero Liam? Parecchi pomeriggi se n’erano andati così, nella casa degli O’Connor, accompagnati da una musica lontana.
Premette i tasti, improvvisando una scala, ma lo strumento ormai scordato non le rimandò che una serie sgraziata di note.
Lasciò cadere con rabbia il coperchio. Rabbia con se stessa, per essere stata troppo stupida e frivola per capire.
Lo vide, all’improvviso, nel fondo oscuro del tempo passato.
Sedeva alla scrivania di casa Murray, a correggere i compiti dei suoi alunni.
- Guarda…- le aveva detto attirandola a sé – leggi. Non sono carini? Sono il nostro avvenire questi figli di Erin.
Era felice, aveva trovato la sua strada, se ella non si fosse messa in mezzo a deviarla.
Perdonami, Liam. Ho sbagliato.
E adesso darei tutto quello che ho, tutto quello che sono per potertelo dire solo una volta.
Io vorrei solo che tu potessi sentirmi, da dove sei. Ma che illusione, dopo la morte può esservi solo il nulla eterno.
I treni non ripassano, mo ghra. 3
Non ripassano una seconda volta quando li abbiamo perduti.
Avrei dovuto inseguirti, dirti che ti avevo perdonato, che non dovevi andartene.
Che avevo bisogno di te. Che adesso avrei così bisogno di te
Ma eri tu il primo a non aver perdonato te stesso ed il tuo rancore avrebbe distrutto entrambi.
Ma quell’addio ha distrutto me.
Vorrei solo baciarti, un’ultima volta, sfiorare il tuo viso, sentire ancora la tua voce pronunciare il mio nome. E dimenticare, dimenticare tutto ciò che è successo, darmene la colpa per permettere a te di liberarti di questo peso.
Ma è tardi, troppo e inesorabilmente tardi.
Nemmeno rimpiangere ha un senso.
Abbiamo avuto la nostra occasione e l’abbiamo sprecata. Non si torna indietro. Si possono solo trascinare i propri giorni verso un futuro che perde di senso e di consistenza, come l’orizzonte che quando ci si avvicina non fa che allontanarsi.
Ci sono state parole, come l’amore, i sogni, la libertà, che allora significavano tutto per noi. Parole antiche come il mondo, ma animate da un soffio vitale sempre nuovo, perché eravamo noi ad animarle.
Adesso non sono che parole, vuoti gruppi di lettere prive di senso. Non vogliono dire più nulla. O forse siamo noi a non essere più disposti ad ascoltarle.
E parlano, loro, ci chiedono di andare avanti, di non abbandonarle in fondo al pozzo dei rimpianti, che di giorno in giorno si fa più profondo.
Vorrei tornare a dar loro un senso, se solo trovassi una ragione per farlo.
Dammi una ragione, Liam, un motivo. Uno solo per pensare che non è finita e che c’è ancora una speranza, che c’è ancora vita.
Liam, mo rùn, mo ghra, mo shaol! 4
 
Il rumore di una chiave che girava nella toppa.
Non si aspettava certo - ma avrebbe dovuto immaginarlo -  che quel motivo sarebbe entrato dalla porta.
 

 
 
 _____________
 
Traduzione dal gaelico
 
1 “Ti voglio bene”
2 “Ti voglio bene, amico mio”
3 “ Amore mio”
4 “ Cuore mio, amore mio, vita mia”

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 10. Elegy in the Summer ***


 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

Capitolo X: Elegy in the Summer
 

 
Dublino, Giugno 1917
 
L’ Howth Castle li avvolse con la sua mole d’un biancore abbagliante.
Un anno dopo ed erano ancora lì.
Sembrava che il tempo non fosse passato, eppure ne erano cambiate di cose.
Non che stessero male, ora. Avevano trovato un loro equilibrio, si poteva dire.
La stessa strada, la stessa automobile che correva veloce: loro due davanti e Aisling sul sedile posteriore, abbracciata a entrambi.
Come un dagherrotipo, riprodotto più e più volte. Come un sonetto bucolico, un madrigale nelle sue mille, ma sempre simili varianti, al quale sembrava essere stata cambiata solo la data.
Rideva ancora, Aisling. Un po’meno spensierata, forse, ma la sua allegria, all’epoca inarrestabile, continuava a portare gioia anche a Liam e Shan.
Con qualche difficoltà, alla fine, erano riusciti a far tornare le cose come prima, sotterrando la gelosia e sopprimendo i rancori.
- E’stato un brutto inverno. – disse lei con un sorriso – Ma siamo ancora tutti qui, tutti e tre insieme. Come prima. Come ai tempi della nostra promessa.
- Credete sia ora di rinnovarla? – chiese Liam.
- Rinnoviamola, dopo tutto quello che è successo. – aveva confermato Shannon.
Aisling prese nelle sue le mani di entrambi: - Com’è che era? Ah, già, ma questa volta sarà un po’diversa. Io, Kathleen Aisling O’Connor prometto solennemente di essere fedele alla nostra amicizia e al nostro amore. Qui, davanti all’Howth Castle, prima meta della nostra prima scampagnata, giuro di amare ora e per sempre solo voi, William Murray e Shannon Donovan, fino alla fine dei miei giorni.
Promisero, in una sorta di insolito matrimonio profano.
- E, inoltre, - aggiunse Liam – do la mia parola, solennemente, di destinare la mia vita alla causa della libertà di Erin.
- Senza tradirla né disonorarla mai con la mia codardia né con la mia disumanità, né con la mia avidità. – concluse Shannon, che ricordava stralci del proclama praticamente a memoria.
 
 
Senza tradirla né disonorarla mai con la mia codardia né con la mia disumanità, né con la mia avidità. Tradirla e disonorarla. Tradirla.
Tradimento.
Quelle parole rimbombarono nella testa di Liam come provenienti da un baratro profondo, fatto di colpe e di oblio. Pronunciate da Shan si coloravano di un’ombra inquietante.
È davvero crudele come il destino si diverta a illudere gli esseri umani, a farli convincere per anni interi di essere ciò che in realtà non sono, atterrando le loro convinzioni nel modo più meschino e ingrato che si possa immaginare.
La pena del contrappasso non è prerogativa dell’inferno, allora. Raccolse il coraggio per un sorriso tirato. A volte la si sconta anche sulla terra, che forse è il vero e proprio inferno.
Il contrappasso. Ti fa promettere fedeltà anima e corpo alla tua causa e ti costringe a tradirla ignobilmente. Non per causa tua, ma perché gli eventi si avvinghiano a te con le loro spire, stringendo, stringendo forte, assurdamente forte, da non lasciarti respirare, da non lasciarti scegliere. Da non lasciarti vivere.
Bisogna scontare giorno per giorno ogni istante felice che si ha vissuto, ogni risata, ogni momento in cui si è riusciti a dimenticare la sofferenza, la morte, gli errori.
Ed è tutto talmente assurdo, a volte, che la vita ti presenta il conto ancora prima della fine.
O forse sbagliava ad attribuire tutte le responsabilità al destino.
Forse non esisteva né il destino né la sorte né Dio, in qualunque modo lo si volesse intendere.
O forse il destino esisteva ma era così in alto, così lontano da quello sputo di universo in cui gli uomini si arrabattavano come formiche, da non prestare orecchio alle loro pochezze, alle loro inutili beghe.
La responsabilità, allora, era solo dell’essere umano. Solo sua in quella fattispecie, pur non avendo il coraggio di ammetterlo. Perché, dopotutto, mandare al diavolo la sorte che ti ha sbattuto a terra con violenza, lasciandoti privo della dignità necessaria anche solo per guardarti allo specchio, era un modo come un altro per sgravarsi la coscienza.
Eppure, prima di morire, qualcosa di buono l’aveva fatto, Liam. E che smettessero di dire che dalla storia e dagli errori non s’impara nulla.
Non s’impara nulla se si sceglie di voltare la testa e fregarsene, adducendo il pretesto che, in fondo, era così che doveva andare, che la vita va avanti e non sta ad aspettare che ricomponiamo i pezzi del nostro cuore, se l’abbiamo in frantumi. O della nostra anima.
Ma per uno che, per quante miglia avesse messo fra sé ed il suo passato aveva continuato a viaggiare con un malato, che aveva preso al volo un treno, un piroscafo eppoi una motocicletta per fuggire da se stesso senza riuscirci, la vita non poteva andare avanti.
L’esistenza, può darsi, ma la vita no .
Quando si arriva a quel punto, stava dicendosi, s’impara dagli sbagli, a forza di portarseli dietro, peggio di una valigia, più ingombranti di una valigia, ché nel bagaglio non ci stanno e nemmeno nella mente. S’impara. S’impara eccome.
E, per una volta sola da quando aveva lasciato l’Irlanda, aveva fatto qualcosa di giusto.
C’era un medico, con loro, coi rivoluzionari messicani. Il dottor Morales, uno dei loro teorici.
Ebbene, era stato catturato dai regulares, massacrato di botte per fargli fare i nomi dei capi, ed infine rilasciato come ringraziamento. Fino all’ultimo Murray aveva pensato di fargliela pagare, dopo che quella sua vigliaccheria era costata la vita a molti dei suoi compagni.
Poi si era ricordato di ciò che era successo e aveva saputo fermarsi in tempo.
Morales era morto comunque, ma in un’azione, da grande e glorioso eroe come, in fondo, era giusto che venisse ricordato.
Ma se c’era qualcosa di importante in tutta questa storia, era che lui aveva saputo perdonare. Aveva compreso quanto le persone fossero fallibili, quanto lui stesso lo fosse, ragion per cui non gli spettava il compito della vendetta.
Era tutto ciò che avrebbe voluto dire ad Aisling, prima di morire.
Dove diavolo era andato Pedro? Doveva ricordarglielo, doveva essere sicuro che l’avrebbe scritto nella lettera. Doveva.
Lei meritava di sapere che, nella lontana ipotesi che l’avesse mai amato o l’amasse ancora, lui non era l’uomo spietato che aveva creduto. Meritava di conservare di lui un’immagine diversa, quando ne avrebbe parlato ai suoi figli, se mai ne aveva.
Quando ne parlava con Patrik, magari, il quale alla notizia della sua morte avrebbe certamente commentato: meglio così.
Come si può perdonare un assassino?
Si chiese se davvero non meritasse nemmeno una lacrima sulla sua tomba. Se davvero non si potesse dire nemmeno una preghiera per lui, senza che risultasse indirizzata ad un’anima empia.
Dopotutto, dopo la pena che già aveva scontato, più dura della legge e del carcere, quanto solo può esserlo la vita  per un uomo che non la desidera più, adesso veniva la condanna più grande.
Morire senza il conforto di sapere il proprio corpo accolto e coperto dalla terra di Erin.
La vedeva nitidamente davanti a sé la fossa comune, come se gliel’avessero già scavata. E del resto, cosa poteva pretendere in guerra?
Ma quello che di lui avrebbe avuto suo padre, sarebbe stata solo una tomba vuota. Un nome, una lapide sulla quale non valeva nemmeno la pena piangere, tanto lui non ci sarebbe stato.
- Pedro – chiamò con la forza che gli rimaneva.
Che la smettesse di andare alla ricerca di qualche praticone che si dava arie di medico, tanto lo sapevano entrambi che per lui era finita. Anzi, si meravigliava di star impiegando così tanto tempo a morire.
Non sapeva nemmeno sparare, quell’idiota.
Se devi morire ammazzato, augurati almeno che sia per mano di qualcuno che sappia dove colpire.
Che la smettesse e tornasse da lui. L’unica cosa che poteva fare ormai, era tenergli la mano e raccogliere le sue ultime volontà, che non aveva né voglia né possibilità di sprecare la voce.
 
 
- Allora! Vi farete battere da una donna? Come siete lenti! – aveva gridato Aisling, abbracciando, ansante, il tronco d’albero che segnava la meta della loro corsa.
Il nastro del suo cappello di paglia sventolava come un aquilone, come una bandiera, che, forse, voleva indicare loro la strada.
Si sorpresero a giocare e a rincorrersi come bambini, adesso che il tempo dell’adolescenza era già lontano e, piuttosto, era venuto quello dell’impegno.
Ma la risata di Aisling, allora, risuonava come un fresco invito.
L’orlo della sua gonna, le gambe candide e veloci, erano il presagio più vivo e lieto che avessero mai incontrato. C’era ancora vita e c’era ancora amore, in quel giugno carico di promesse.
La raggiunse, Liam, molto prima di Shannon. La strinse alla vita, tenendola stretta tra l’albero e il proprio petto. La baciò con l’anima sulle labbra. Era il momento più bello di tutti, quello, quando sentiva sulla propria la bocca setosa e tiepida di Aisling. Quando il tessuto dei suoi capelli s’impigliava tra le dita, nel tentativo di scostarli dal viso. Quando le proprie mani percorrevano ad occhi chiusi il suo viso, come per imprimersi ogni lineamento, ogni espressione di lei nella mente.
Le mani, quelle di Aisling, invece, si muovevano lente sulle sue spalle.
Scivolò con le labbra sulla sua guancia, adorava baciarle le gote: profumavano di rose e di gioventù.
- Dimmi che mi vuoi bene, Aisling. – le sussurrò piano all’orecchio.
- Oh, Liam, come se non lo sapessi… - gli rispose lei, ridendo appena.
- Dimmelo comunque.
- No, non te lo dico. – fece, con malizia – Però ti do un bacio.
Shannon li aveva raggiunti, mettendosi diligentemente a dare di gomito all’amico, perché gli facesse spazio.
Liam aveva approfittato degli ultimi momenti per stringersi ad Aisling prima che lei, con un mezzo giro leggiadro su se stessa, finisse tra le braccia di Shan, sulle labbra del quale l’attendeva il bacio.
Lui non le chiedeva mai di parlargli d’amore, gli bastava sentirla, viva e ardente, aderire al proprio corpo, dimenticando nei laghi dei suoi occhi e nel miele della sua bocca ogni sentimentalismo.
Aisling respirava piano, ad occhi chiusi, vicinissima al viso di Shan, quella sensazione di completezza. Non aveva mai pensato di poter amare due uomini contemporaneamente, eppure era accaduto. Entrambi erano troppo diversi, troppo complementari, troppo importanti per rinunziarvi.
E, nonostante tutta la sua tenerezza fosse riservata a Liam e alla purezza dei suoi sentimenti, sapeva che non avrebbe potuto rinunciare alla spavalda, quasi egoistica, passione di Shannon.
Erano riusciti ad essere felici, quel giorno. Constatava Liam mentre si schermava gli occhi dal sole, guardando il cielo. C’era un’aria serena e elegiaca, intorno, dolce come potevano esserlo solo i prati verdi di Erin, quella morbida coltre d’erba su cui stavano distesi.
Una nube passò veloce sopra di loro, macchiando il blu col suo candore.
Gli occhi di Liam avevano lo stesso colore del cielo, pensò Aisling, mentre gli tormentava dolcemente i capelli sulla fronte.
Erano riusciti ad essere ancora felici. Forse era stato l’ultimo momento di spensieratezza, di gioia assoluta, fatta di cose semplici, di una corsa nei prati, una chiacchierata, un ruzzolone nell’erba e il ricordo. Il ricordo della luminosità di quel pomeriggio di giugno, degli occhi sinceri di Liam, delle mani di Shan che, accompagnando le sue parole, disegnavano immagini del loro futuro.
Il futuro c’era, allora, e sembrava non essere nemmeno più tanto lontano e fuggevole.
Ma dopo, tutto quello che era venuto dopo, era un’assurda, tragica e lunga notte che sarebbe stato meglio dimenticare.
 
Ottobre, 1917
 
- Condoglianze, James. – Frank Donovan si era mestamente tolto il cappello, nell’entrare in casa Murray, non senza un senso di imbarazzo, quell’imbarazzo che si ha solo davanti al dolore, accorgendosi di non avere alcun rimedio per farvi fronte.
- Grazie, Frank. – aveva risposto l’altro, che pareva ormai l’ombra di se stesso, nonostante non fosse passato che un giorno. Ma un giorno senza di lei era un’eternità, anche quando sapeva che l’avrebbe rivista. Ora, invece, diventava insostenibile. Un inferno.
- James, sapevamo che negli ultimi tempi non era stata bene – prese a dire Eiliònor con la voce incrinata – Ma non ci aspettavamo certo che… - si coprì il viso con il fazzoletto, accorgendosi di non essere di nessun aiuto. Anzi, di star peggiorando solo le cose, probabilmente.
In fin dei conti, era stato come perdere una sorella. I loro mariti si conoscevano da quando erano ragazzi e i rispettivi matrimoni le avevano fatte incontrare e diventare ottime amiche, avevano cresciuto i figli insieme, come se fossero stati di entrambe. Avevano creduto di poter anche invecchiare assieme, se lo erano dette, un giorno, fra le chiacchiere, un paio di ricette e di segreti di bellezza. Perché il loro legame, in fondo, era fatto di piccole e semplici attenzioni. Sapeva bene, Eiliònor, di non essere all’altezza della cultura dell’altra, da non poterla accompagnare lungo i sentieri della conoscenza, della storia e del patriottismo in cui ella amava avventurarsi. Ma non si erano perse d’animo, cercando subito qualche passione che potesse tenerle vicine.
I loro figli erano stati l’elemento più importante.
E, adesso, se n’era andata, Gobnait. Troppo presto.
- Da molti anni era malata di cuore, ma ultimamente la situazione si era aggravata e ieri mattina… - Murray non ebbe la forza di continuare.
- Liam? – chiese lei, timidamente.
Povero ragazzo, adorava sua madre, sarebbe stato un duro colpo.
Shannon era andato ad avvisare Aisling, nella speranza che, stringersi attorno a lui, le cose sarebbero state appena di poco più semplici.
- E’ di sopra.
S’infilò veloce e silenziosa lungo la scala che portava al primo piano.
 
- Liam, mo rùn… - nella penombra della stanza sua madre aveva teso a fatica le mani verso di lui.
Era accorso prontamente, prendendogliele nelle proprie, avvicinando il viso alle sue labbra per sentire meglio quelle parole. Era arrivato il momento di affidare a lui i suoi ultimi pensieri, il suo ultimo canto d’amore, il suo testamento per non essere dimenticata.
- Liam, non ho fatto in tempo… non ho fatto in tempo a vedere Erin libera. Non ho vissuto abbastanza, figlio mio.
- Mamma, la vedrai la sua indipendenza. Perché tu vivrai, non è vero? E scenderemo assieme nelle strade di Dublino, a cantare e a inneggiare alla libertà. Sarà bellissimo allora, e tu sarai con me.
- Veglierò su di te da lassù, amor mio. Ringrazio ogni giorno il Signore per avermi concesso abbastanza tempo da vedere l’uomo che sei diventato. Sono orgogliosa di te, della tua generosità, del tuo talento, delle tue idee. Speravo, un giorno, di tenere tra le braccia i tuoi bambini. Ma è andata così. Me ne vado in pace, sai. La mia vita l’ho vissuta, per quanto sia. Ed è stata anche felice: tu e tuo padre mi avete resa felice.
Una sola cosa devo chiederti.
- Tutto… tutto quello che vuoi – rispose a stento, trattenendo le lacrime.
- Abbi cura di te. Ed abbi cura della nostra causa. Di Erin. È quanto di più bello, oltre all’amore, ci ha tenuti uniti.
Erin go bragh. Erin per sempre. Erano state le sue ultime parole.
 
Liam aveva sussultato al rumore di passi alle sue spalle.
Senza dire nulla, Eiliònor se l’era abbracciato. Aveva atteso che piangesse, che versasse tutte le sue lacrime col viso nascosto tra il suo collo e la sua spalla.
- Scusami.- le aveva sussurrato lui.
- Non preoccuparti, ci sono io adesso. – rispose sfiorandogli i capelli con un bacio – Avrò cura di te come fossi mio figlio, come fossi fratello di Shan.
Si strinse a lei appena un po’ più forte. Aveva un odore dolce e buono, lo stesso di sua madre.
Ne era certo. Avrebbe avuto cura di lui come fosse davvero stato parte della sua famiglia. Lei era stata la donna più importante, dopo Gobnait. Sarebbe rimasta sempre un punto di riferimento. Non meritava di soffrire, non lei.
Come aveva potuto, lui, solo pochi mesi dopo, toglierle ciò che aveva di più caro al mondo? In quale oscuro e folle fondamento aveva trovato la ragione del suo gesto?
Ma ancora non lo sapeva, Liam.
Non sapeva e lasciava lenire il dolore tra le parole care e l’abbraccio caldo di Eiliònor.
 
 
_______________

 
Note dell’autrice:
 
Mie carissime,
scusate la nota melodrammatica, ho come l’impressione di esserci andata giù pesante, in questo capitolo. Lo so, il melodramma è nel mio temperamento, ma non preoccupatevi: sono una persona molto più positiva di quello che traspare dalle mie storie XD
Anzi, spero di non avervi intristito troppo o abbattuto di noia. A volte temo che voi lettori possiate- come dire-  non sentirvi a vostro agio nella storia. I personaggi sono piuttosto insoliti, il periodo storico non è dei migliori, e il dramma è di casa, ma spero comunque di continuare ad appassionarvi. Anche perché secondo i miei calcoli, mancano quattro capitoli al termine.
A proposito di capitoli, il prossimo sarà quello storicamente e quantitativamente più impegnativo, per me. Quindi se per un paio di giorni non mi faccio viva, sapete che sono in fase produttiva ;)
 
Passiamo ai ringraziamenti. Un caloroso e sincero grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite (AlexandraRoses,  Cerridwen Shamrock,  fruttina89, Littlejane, Martina97, Olthir_84, Sereko), tra le ricordate (minimelania) e tra le preferite (piemme).
Di nuovo un sentito grazie a piemme per le recensioni.
 
Se volete farmi sapere un vostro parere, o qualsiasi altra cosa, non abbiate paura: non mordo e non vampirizzo ;) In compenso sarei molto felice di scambiare qualche parola!
 
Buon weekend!!! Un bacione e alla prossima.
Sempre vostra

Marguerite

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 11. Forgotten Nights / An Heartless Winter ***


 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

Ben trovati, miei carissimi!!!
Mi sono serviti un paio di giorni prima di aggiornare con il nuovo capitolo, ma sempre meno di quello che avevo messo in conto.
È parecchio lungo, come previsto, ma mi dispiaceva postare in due volte, anche se effettivamente si prestava a due suddivisioni.
Spero vi piaccia e non vi annoi.

Grazie a tutti, come sempre. Buona lettura!
Un bacione, vostra
Marguerite

 
 
Nota al capitolo XI
 
Nel raccontare le vicende di questo capitolo ho seguito soltanto due strade: quella della ricostruzione storica, attraverso la ricerca, e quella della ipotetica ricostruzione di comportamenti “umani” di personaggi del tutto fittizi, attraverso l’immaginazione.
Nessuna propaganda, quindi, e nessun giudizio di valore né sugli avvenimenti né sulle scelte di nessuno. Lungi da me peccare di giustificazionismo nei confronti di qualsiasi evento.
Lasciamo che a questo ci pensi la Storia e riflessioni più accurate e approfondite da sviluppare in altra sede.
Alla narrativa sia concesso soltanto il suo compito più lieve: quello dell’intrattenimento e della fantasia.

 
 



Capitolo XI – parte prima: Forgotten Nights


 
 
Il professor Tòmas O’ Connor era rientrato a Dublino da pochi giorni, dimostrando anche in quell’occasione l’infallibile dote di preveggenza tanto decantata dagli amici.
In ottobre fonderemo l’Ira, aveva detto. Aisling lo ricordava ancora alla perfezione il sorriso con cui era tornato a casa dalla prima riunione del direttivo. Era il sorriso di un uomo che aveva ottenuto ciò che voleva.
- Ci siamo. La nostra organizzazione è nata. Adesso abbiamo bisogno di uomini fidati e coraggiosi, che abbiano a cuore la sorte di Erin più della loro stessa vita.
Più della loro stessa vita. Quelle parole le avevano dato un brivido.
Perché un conto era scegliere per se stessa, un altro obbligare le persone che amava ad assistere e a soffrire per il suo sacrificio.
- Quale sarà il tuo ruolo? – gli domandò a cena lei, la sera stessa del suo ritorno.
Faticava a credere che ad un personaggio del suo calibro non fosse stata assegnata una parte di spicco in quella vicenda.
- Cosa ti fa pensare che abbia un ruolo definito? – O’Connor aveva sorriso, versandosi nel bicchiere uno di quei vini rossi che aveva importato anni prima da un viaggio in Italia e che ora costituivano la sua riserva per le occasioni speciali.
- No, non inquietarti, mia cara. Non sono a capo di nulla, se è questo che ti fa stare in pena per me.
Ho un’immagine da salvaguardare e il modo per agire più liberamente possibile è proprio non espormi. Sarò uno di quegli oscuri teorici che si muovono nell’ombra.
Si protese per riempire anche il calice della figlia: - Avanti, Kathleen, si vede lontano un miglio che hai qualcosa da dire. Parla, tanto ti ho sempre concesso di esprimere qualsiasi opinione.
- E’ venuto il momento – disse lei con l’espressione più seria e cupa che egli le avesse mai conosciuto – Voglio dire, è venuto il momento di mettere da parte i sogni e le illusioni e di scendere in campo per davvero. Ho riflettuto molto in questi mesi, da quando me ne hai dato notizia.
È arrivata la fine dell’adolescenza, almeno per me.
- Intendi entrare nell’organizzazione? Quando parlavo della possibilità di farti ascoltare ed apprezzare, io intendevo un appoggio esterno: qualche articolo, qualche valida teoria filosofica e nemmeno necessariamente a tuo nome.
- Perché mai? Perché sono donna?
- No, Kathleen, perché sei mia figlia. E io sono seriamente preoccupato.
Fosse solo per la questione di essere donna, risolveremmo subito: saresti in buona compagnia.
- E Patrik, non è forse anche lui figlio tuo?
- Tuo fratello ha occupato Dublino nel ’16, sa come vanno queste cose. Mentre tu… tu hai visto le insurrezioni dalla finestra, le hai lette e descritte soltanto sulla carta.
- A Pasqua c’ero anch’io al Post Office, se ben ricordi.
- Certo, ma col cappellino sulle ventitrè e l’ombrellino. Ma l’ombrellino può proteggere dal sole, figlia mia, non dalle pallottole.
Lascia stare, questa volta è una questione che non ti riguarda.
- Tutto quello che riguarda Erin riguarda anche me. – sibilò con fierezza – Pensi forse di essere più portato tu per le rivoluzioni di quanto non sia io?
Lo sai che ti stimo, papà, ma lascia che te lo dica: sei un intellettuale, esattamente quanto me. La vita la conosci solo attraverso le opere e gli occhi di altri.
- Appunto. Io sono un intellettuale, Kathleen, e come tale voglio continuare a comportarmi.
Attraverso il tavolo, posò la propria mano su quella della figlia.
Lei avrebbe ricordato per sempre lo scintillio, sotto la luce impersonale della lampada, del suo anello, quello con il trifoglio inciso.
Non sapeva perché, ma anche negli anni a venire sarebbe rimasto il primo oggetto ad essere associato a lui nella sua memoria.
Forse perché lo aveva sempre visto, fin da bambina.
Anche ora, che suo padre lo incontrava sempre più di rado da quando si era sposata, lo rammentava così. Ancora relativamente giovane, come in quel dicembre del ’17, come se il calendario della sua vita si fosse arrestato su quei giorni.
Assurdo, davvero assurdo continuare a vederlo in quel modo.
Imponente, un bell’uomo, a conti fatti, dall’aspetto austero. Il ritratto più elegante e distinto di suo fratello Patrik.
Ora Tòmas O’Connor era invecchiato in fretta, molto più in fretta di quanto ella non si fosse aspettata. Non sapeva dire se fosse colpa degli anni della guerra d’indipendenza, delle fatiche dei viaggi, o della malattia ai polmoni che lo stava logorando.
Spesso gli toglieva persino la voce, permettendogli soltanto di scrivere e nemmeno più con la passione di un tempo.
Se non fosse riuscito a farsi scarcerare, dopo l’arresto in quei terribili e sanguinosi mesi del ’21, provando – non sapeva neanche lui come – la propria innocenza, forse non sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo da poter consumare i propri giorni in una clinica in Svizzera.
L’ultima volta che l’aveva rivisto, si era accorta che solo gli occhi erano rimasti gli stessi. Grigi, d’uno strano bagliore sidereo, indagatori, capaci di entrare nell’animo di chiunque avesse davanti.
Gli stessi che sentiva puntati nei propri durante quella cena, per quanta tenerezza egli avesse tentato di riporre nel suo sguardo.
- Lo so, Kathleen – aveva continuato – che noi non conosciamo la vita per esperienza diretta, che abbiamo sempre passato la nostra esistenza in una torre d’avorio senza comprendere davvero nessuno fino in fondo. E, tanto meno, senza comprendere questa città. L’ammetto: la colpa è mia.
E, forse, proprio per sopperire a questa mancanza, non ti ho mai imposto limiti. Un altro errore, per inciso. Ma ti ho mai negato la libertà? Ho mai soffocato il tuo amor patrio?
Era inutile che la riempisse di quelle domande retoriche davanti alle quali non le rimaneva altro da fare se non annuire.
- Hai continuato e continui tutt’ora a uscire la notte per partecipare alle vostre riunioni del mercoledì tra studenti ed ex tali. Il fatto è che le cose saranno molto diverse da questi vostri ingenui conciliaboli. L’hai detto tu, si tratta di passare all’azione.
Ma se è vero che dove c’è confusione c’è rivoluzione, è anche vero che la confusione bisogna crearla. Anche imbracciando le armi, quando necessario.
- Già, le armi. – lei aveva vuotato il suo bicchiere con una spavalderia troppo studiata per apparire, anche lontanamente, naturale – Cosa ti dice che non ne sarei capace?
- Sono obbligato, e non solo come padre, ma come patriota e membro dell’organizzazione, ad informarti dei rischi e delle conseguenze.
- Informami degli obiettivi, piuttosto. Sarà sempre e solo la libertà di Erin, vero? E mai un vostro interesse personale?
- Sempre e solo Erin, te l’assicuro.
- E allora sia. Voglio essere dei vostri.
- Se è questa la tua decisione, potrei solo ostacolarti, ma non impedirtelo.
- Certe cose non si decidono. Si sentono e basta. Sono pronta a qualunque sacrificio.
Girò attorno al tavolo, per abbracciare suo padre di spalle.
- Promettimi solo di essere prudente. Se solo tu sapessi quanto ti voglio bene, figlia mia e come non potrei nemmeno immaginare la mia vita senza di te, se ti perdessi.
Lei gli sussurrò con affetto, all’orecchio: - Non aver paura, farò attenzione. Ma non impedirmelo, sento che è giusto così. Dimmi solo cosa bisogna fare, esattamente.
 
 
- Dunque, professore, mi dica solo cosa bisogna fare, esattamente.
Alla fine ce l’aveva fatta, Aisling,  a convincerlo ad incontrare suo padre e, ora, Liam stava seduto di fronte a lui sulla poltrona del salotto, a suo agio come fosse stato su un rovo anziché su del broccato.
Aveva esordito con quella frase senza troppi preamboli, visto che oramai sapeva perfettamente il motivo di quell’incontro.
Si sentiva sotto esame mentre O’Connor lo fissava con quei suoi occhi da rapace, da sopra gli occhiali. E la cosa non gli piacque per nulla.
Come non gli piaceva il fatto di essere stato invitato senza Shannon. Aveva come l’impressione che il filosofo stesse cercando di valutare singolarmente la loro fedeltà alla causa, come fosse qualcosa che si potesse misurare. E la loro idoneità all’incarico che aveva in mente per loro.
Incarico che Liam non aveva cercato.
- Non sia tanto nervoso, signor Murray. Sembra uno studente impreparato davanti ad un’interrogazione a sorpresa. E dire che sono mesi, forse un anno, che chiedo a mia figlia di farci incontrare. - O’Connor aveva sorriso con espressione complice, nella speranza di farlo sentire meno fuori luogo: - Ho sentito molto parlare di lei, sia da parte di Patrik che da parte di Kathleen. Anzi, devo dire, che non ho fatto altro che sentir parlare di lei.
- Devo cominciare a preoccuparmi? – fece lui con un tono a metà tra la bonaria ironia e l’imbarazzo – Spero solo le siano arrivate all’orecchio cose positive.
- Positive è dire poco. Kathleen parla da donna innamorata e non è una fonte molto attendibile. – rispose, dando un’occhiata benevola al claddagh che era stato di sua figlia – Ma Patrik mi ha detto della sua fedeltà ad Erin, della sua intelligenza. Aveva previsto il fallimento dell’insurrezione di Pasqua, non è vero? “Senza l’appoggio della cittadinanza non si va da nessuna parte”. Sono parole sue.
- Già. Ma “previsto” mi sembra una parola grossa. Non mi si attribuiscano meriti che non ho.
- Eppure è lei che anima le famose riunioni del mercoledì dai tempi dell’università. Quello attorno al quale il gruppo si stringe per avere delucidazioni, indicazioni… Per quanto io non vi abbia mai preso parte, so molte più cose di quante lei possa credere.
- Non ne dubito. – Liam aveva riso appena di quella frase, non faticando a immaginarne la veridicità, con due simili messaggeri per casa.
- Per quanto siate su posizioni diverse, Patrik la stima.
- La stima è reciproca.
Si prese un lungo istante di silenzio durante il quale rifletté sull’opportunità o meno di rivelare quello che gli stava passando per la mente.
Aggiunse: - Ma, professore, non mi avrà certo invitato qui, a casa sua, per tessere le mie lodi.
C’è dell’altro?
- Ha fretta di andar via?
- No, affatto. Solo curiosità di sapere.
- Io credo che lei stia sprecando le sue energie, Murray.
- Le mie energie?
- Sì, esattamente. Da quanti anni si trascinano quei vostri incontri?
- Pressoché sei anni.
- Sei anni… - ripeté piano. Accese la pipa, si avvicinò con estrema lentezza alla finestra e rimase a lungo a guardare fuori, dopo aver scostato la tenda, in silenzio.
- Sei anni. E cosa avete concluso in sei anni?
- Nulla? – azzardò lui, sapendo che sarebbe stata l’unica risposta che O’Connor avrebbe gradito.
- Appunto, nulla.
- Nulla se si esclude l’aver discusso, capito, creduto e sperato assieme. Nulla eccetto le poesie, gli scritti, gli articoli che sono sorti per celebrare e spronare Erin! – si sentì stupido per aver tentato, fino a un momento prima, di compiacerlo.
- Questo è il nulla, Murray. – ribatté secco.
No, non lo credeva che fosse il nulla. Quella che il filosofo disprezzava con tanta leggerezza era stata la sua vita. Tutta la sua vita per sei lunghi anni.
- Nulla. Soltanto una settimana di insurrezione finita nel dimenticatoio.
- Eppure ce l’avevamo fatta a proclamare la repubblica, allora. E lei era con noi.
- Se questo le basta.
- No che non mi basta, ovviamente. Non avrò pace finché l’Irlanda sarà occupata dallo straniero.
E fino a quando avrò un filo d’aria in corpo combatterò per la sua libertà. – anche Liam si era alzato. Stava cominciando a perdere il controllo di quella discussione e non vedeva più all’orizzonte il porto nel quale O’Connor voleva approdare.
- E come pensa di farlo? Con la poesia, Murray? Con qualche tema in gaelico fatto scrivere ai suoi bambini? Non sono più sufficienti, ora. C’è altro da fare.
- Organizzarci, non è vero? È questo a cui vuole arrivare.
- Esattamente. Lo so che la cosa la spaventa.
- Mi spaventa la violenza umana, professore. È tutto ciò che mi fa paura. assieme alla possibilità di non sapere se riusciremo a controllare la nostra.
- Siamo persone, non animali, Murray. Non è l’istinto che ci guida.
- Lo so, professore. Ma spesso la luce dei nostri ideali diventa talmente forte da accecarci.
Ad ogni modo, è giusto che io rimanga ad ascoltare le sue ragioni. Potrebbe avere dei validi motivi per convincermi. Le chiedo solo di non disprezzare però quello che è stato il senso della mia esistenza per tutto questo tempo.
- Le chiedo di perdonarmi. – disse con sincerità, tornando a sedersi.
Erano rimasti a discutere per diverse ore, prima di stringersi la mano in segno di congedo.
- Mi lasci solo il tempo di pensarci. – aveva concluso Liam, sulla porta, prima di riprendere la strada verso casa.
 
 
Il tempo di pensarci erano state diverse settimane, fatte di riflessioni e di discussioni con Shannon ed Aisling. In separata sede, anche all’amico era stata rivolta la sua stessa proposta da parte di O’Connor. E, per una seconda volta, il professore si era sentito chiedere un periodo per pensare.
La verità è che non sapevano cosa fare, combattuti tra il portare avanti la loro battaglia di sempre, fatta di piccole vittorie e frequenti sconfitte e la possibilità di ottenere qualche risultato concreto per Erin. Aveva ragione O’Connor: non avevano ancora concluso nulla. Ed era inutile che continuassero a negarlo unicamente perché erano troppo legati a quelle vecchie memorie per lasciarle cadere nel vuoto della loro inutilità.
Eppure Liam sentiva che non erano state inutili, che qualcosa a lui avevano trasmesso, che avrebbero fatto parte per sempre della sua vita.
Ma, allo stesso tempo, sentiva egualmente di dovervi mettere un punto e ripartire daccapo.
Perché dopo sei anni, a forza di poesia e di riunioni, per Erin ancora la libertà non c’era.
- Stiamo davvero sprecando il nostro tempo. – aveva scrollato la testa Aisling – Possibile che non riusciate a capirlo?
- Riesco a capirlo, Aisling. – Liam camminava nervosamente lungo il perimetro della propria camera da letto – E proprio perché riesco a capirlo che, improvvisamente, mi sembra tutto così difficile e confuso. Mi sembra che sia stato tutto inutile ma, allo stesso tempo, non riesco a concepire come si possa… Oh, Aisling, sei tu a non comprendere che potremmo finire per sparare, per uccidere se dovesse esserci un’occupazione violenta della città.
- Allora te ne sei accorto anche tu, Liam, che stiamo scivolando verso la rivoluzione? –Shannon l’aveva guardato fisso, con espressione seria. Nei suoi occhi non c’era più la spavalda ironia che gli conoscevano.
- Sì, lo sento. Dai discorsi che comincia a fare la gente, da come si stanno organizzando i patrioti. Dalla nascita dell’Ira, adesso. Sono cose di cui ci si accorge, se si presta attenzione. È come se la rivoluzione avesse un odore. Un odore inconfondibile.
- E’ proprio per questo che dobbiamo essere preparati. Che dobbiamo unirci ad altri patrioti con il nostro stesso obiettivo. – Aisling aveva cercato di guardarlo negli occhi, nonostante Liam non riuscisse a stare fermo un solo istante – Da soli non possiamo fare niente. Dovete rassegnarvi a quest’ idea. Dovete capire che quello che è stato è stato, che adesso non basta più.
- Insomma, anche tu credi che tutto quello che abbiamo fatto, gioito e sofferto per Erin per sei lunghi anni non è contato nulla? Che eravamo degli illusi, allora? – nemmeno Shannon sembrava voler rassegnarsi.
- Non è questo che sto dicendo. Allora era importante, era giusto così. Era giusto sognare e affidarsi ad un’illusione. Ma adesso le cose sono cambiate. Siamo cambiati noi.
Siamo diventati adulti.
- Diventare adulti non significa necessariamente imbracciare le armi.
- Lo so, Liam. – lei aveva cercato di mantenere un tono indulgente – Ma significa sapersi assumere le proprie responsabilità. Decidere da che parte stare, una volta per tutte.
E quando scoppierà davvero la rivoluzione, voi dove starete?
- Perché, tu dove sarai, Aisling? – le aveva chiesto Shannon.
- Dove sarò? Con l’Ira. Ho deciso di entrare a farvi parte.
- Per via di tuo padre?
- No, per una decisione mia. Ho scelto cosa farne della mia vita. La metterò al servizio di Erin, costi quel che costi.
- E’giusto che tu scelga per te, ma non credere così facendo di influenzare la nostra decisione.
- Non pretendo di influenzare la decisione di nessuno. Saranno gli eventi a farlo. Quando scoppierà la rivoluzione, allora ditemi dove sarete? A farla o a raccontarla. Quando Erin sarà finalmente libera, e potrà raccontare i nomi degli uomini che l’hanno resa grande, voi non sarete nell’elenco se resterete a guardare.
Con che coraggio guarderete negli occhi i patrioti che hanno combattuto e rischiato per voi, con che coraggio omaggerete i martiri che sono caduti per voi? E come oserete abbracciarne le madri e le vedove ricordando loro e insultando con la vostra vita di codardi la loro morte da eroi?
Mi meraviglio di te, Liam, che accusavi Dublino di essere paralizzata. Qui gli unici ad essere paralizzati siete voi.
O paralizzati o vigliacchi. O indifferenti, il che sarebbe ancora peggio.
Non so dove sarete voi, ma so per certo dove sarò io. Con i miei fratelli, coi patrioti. Con l’Irlanda. Perché una vita senza libertà e senza un obiettivo non è degna di essere vissuta.
Siete con me? Vi ho chiesto, siete con me?
 
Se tu fossi qui, mamma, sapresti consigliarmi, sapresti dirmi cosa fare.
Le disse in silenzio.
Avrei bisogno di sapere cosa ne pensi, di capire cosa vorresti da me.
Te ne sei andata con il nome di Erin sulle labbra, con l’anelito della sua indipendenza nel cuore.
Cosa dovrei fare io, adesso? Ti avevo promesso che avrei lottato per la nostra terra, mamma. Ti avevo promesso che sarebbe stata libera un giorno, che avremmo ballato e festeggiato per le strade, allora. E non ce l’ho fatta. Per tutto questo tempo, per quanto tu fossi stata orgogliosa di me, non ce l’ho fatta. Ed Erin è rimasta costretta, impigliata nel suo destino di schiavitù.
Cosa devo fare? Accettare di mettere da parte la purezza del mio idealismo ingenuo per entrare in un’organizzazione. L’Ira, mamma. Non ne hai mai sentito parlare, non ne hai avuto il tempo.
Si tratterà di difendere la patria con le armi, e non solo con un paio di rime.
È diverso, adesso. È tutto completamente e inevitabilmente diverso.
C’è odore di rivoluzione nell’aria, più forte di quando è scoppiata a Pasqua l’insurrezione.
Un odore più disperato e ineluttabile che avvolge questi tempi violenti.
L’Irlanda vivrà mesi, forse anni, di sangue e di combattimenti. Le cose stanno cambiando ed è giunto il momento di scegliere.
Bisogna scegliere, decidere da che parte stare adesso.
E se dovessi farlo, il mio patriottismo e il mio amore per Erin, mi porterebbero a fare qualunque cosa per essa, fosse anche combattere non solo con le parole e con il pensiero.
È solo che non so quanto questo possa essere legittimo, capisci?
Quanto la giustezza dei nostri ideali possa fornire un fondamento altrettanto giusto al passo che sto per compiere.
Non lo so, ma sento che Aisling ha ragione. Che non avrei il coraggio di camminare a testa alta fra la mia gente, che non avrei il coraggio di guardare la mia immagine riflessa se non avessi dato ad Erin tutto me stesso, la parte migliore di me e dei miei giorni.
Non so quanto tu sia d’accordo.
Non so come finirà tutto questo, forse davvero non mi riconoscerai più, dopo.
Non so se è quello che vuoi, mamma. Ma adesso è quello che credo più opportuno io, per l’Irlanda.
Ricordo che tu mi dicevi sempre che le cose vanno fatte perché giuste e non perché opportune. Ma la verità è che mi sembra che i confini si siano assottigliati, avvicinati fino a toccarsi.
Sto sbagliando, forse. Sto sbagliando, ma mi valga come giustificazione la buona fede.
Ho scelto, mamma. Ho scelto di entrare nell’Ira. Perdonami, se non era quello che volevi da me. Anch’io ho sperato, ed ho sperato fino alla fine, Dio solo sa quanto, che la poesia bastasse. Che bastasse l’idea e il pensiero, che le parole potessero muovere mari e monti, e commuovere il mondo permettendoci di conquistare la libertà.
Tuttavia non è bastato. E adesso altre strade mi si spalancano davanti e mi inghiottono. Mi costringono a seguirle verso luoghi che non credevo possibili.
Non lo sto facendo per lei e nemmeno per Shannon, se è questo che pensi. E nemmeno per me, non cerco la gloria, non me ne è mai importato nulla. Non ho mai inseguito nemmeno quella letteraria e mi sarei accontentato del mio ruolo di insegnante senza rimpiangere mai la mia esistenza.
Se ho scritto e ho pubblicato le mie opere è stato solo per baciare le mani e inginocchiarmi davanti alla mia unica musa, Erin.
Ecco, tutto quello che faccio lo faccio per Erin, per i suoi figli. Per vedere i suoi figli, i miei, se un giorno ne avrò, crescere liberi. Soltanto per questo. Soltanto per lei.
Non per denaro, non per amore, non per il cielo. Soltanto per lei.
Soltanto per il domani di Erin.
 
- Allora, sarete con me?
Liam aveva taciuto ancora a lungo, prima di rispondere.
- Non per te, ma per Erin. Eppure, allo stesso tempo, con te, Aisling.
 Il passo era fatto.
- Tu cosa farai, Shannon? – gli aveva chiesto poi, all’improvviso.
Cosa avrebbe dovuto fare? Lasciarli andare da soli incontro al precipitare degli eventi?
Non era giusto rispondere sulla base della loro scelta, meditò.
Ma la verità era che, messi da parte i sentimentalismi per i bei tempi passati con fin troppa facilità, Shannon era altrettanto convinto di dover servire L’Irlanda in altro modo.
- Dove vuoi che vada, senza di te, vecchio bardo? – poi aggiunse, serio – Non lo faccio per non abbandonarti. Ne sono convinto, per una volta. Lo faccio per Erin.
Il viso di Aisling si illuminò di un sorriso: - Per Erin. Insieme. Di nuovo insieme.
 
 
 
 - parte seconda: An Heartless Winter
 
 
Era cominciata così la loro vita da rivoluzionari.
Non che le cose fossero molto cambiate dall’ingresso nell’Ira, a parte qualche impegno in più e l’abbandono delle loro antiche riunioni. Del resto, eccetto qualcuno che non aveva voluto rischiare, tutto il resto della compagnia era confluito nella nuova organizzazione.
James Murray non sapeva esattamente cosa stesse accadendo nell’esistenza del figlio. Non avevano mai parlato del suo patriottismo e Liam sapeva bene quale sarebbe stata la sua reazione.
Finché Gobnait era stata in vita, il vecchio Murray aveva avuto qualche barlume di ardore nel sostenere la riuscita dei progetti del figlio e della moglie, ma ora che erano rimasti soli, sarebbe arrivato a denunciare l’organizzazione agli inglesi pur di tenerne fuori e salvaguardare tutto ciò che  era rimasto della sua famiglia.
Aveva capito che qualcosa stava cambiando. Si accorgeva che Liam usciva sempre più spesso, a volte per l’intera nottata, e la causa non poteva essere solo una ragazza conosciuta chissà dove.
C’era dell’altro, c’era la questione nazionale in mezzo, ma più di consigliargli di fare attenzione e di non immischiarsi in faccende più grandi di lui, altro non poteva fare.
Era un uomo, dopotutto, aveva il suo lavoro, la sua vita, aveva fatto le sue scelte.
Non possiamo impedirglielo, gli diceva sempre la moglie, o meglio, non dobbiamo.
Non per queste cose, almeno. Per quanto potesse tentare, sarebbe stato comunque inutile.
Non gli era rimasto molto altro da fare se non aspettare. Aspettare che, se mai un giorno fosse tornato sconfitto, avesse di nuovo bisogno di lui.
Che fosse fuori casa parecchie notti era vero, si ritrovavano sempre di nascosto in un pub sulla Baggot Street, dopo l’orario di chiusura. Il proprietario era uno dei loro e li lasciava andare e venire quando volevano.
Il solito basco di tweed, la solita sciarpa avvolta mollemente al collo, apriva la porta, lasciando che ai suoi occhi si presentasse la consueta scena che per tutti quegli anni di attività patriottica l’aveva accompagnato.
In piedi, al centro della sala, Shannon distribuiva i giornali clandestini stampati in proprio, i primi fogli ciclostilati e altri mezzi per far circolare le loro idee. Incitava qualcuno, convinceva qualcun altro, propagandava le sue posizioni con la stessa sicurezza con cui l’avvocato di un innocente arringherebbe la corte.
Sorrideva Liam, compiaciuto dalla sua sicurezza. Avrebbe fatto strada e, anche in quell’occasione, gli avrebbe rubato la scena, senza che lui se ne curasse.
Lui, come sempre, d’altra parte, stava in un angolo e ascoltava. A volte passava ore intere ad ascoltare, senza dire una parola se non alla fine della riunione.
Shannon sapeva attirarsi le attenzioni e la fiducia come una calamita. Tuttavia, quando Liam parlava, riusciva a portare sul sentiero delle proprie convinzioni chiunque, con solo una mezza frase.
Proprio come un bardo celtico, che sapeva risvegliare con la sua poesia le emozioni che la gente credeva sopite, scherzava Shannon.
Ma ormai, il tempo della poesia era finito.
Dal punto di vista sentimentale, non c’erano state troppe variazioni. La storia con Aisling andava assurdamente avanti, con annesso il triangolo amoroso del quale ancora Liam faticava a capacitarsi.
Dopo l’incontro con O’Connor che aveva sdoganato il loro ingresso in casa dell’austero professore, ora circolavano liberamente nella sua villa, soprattutto durante i suoi lunghi periodi di assenza.
Che ci fosse del chiacchiericcio sul fatto che due giovanotti continuassero a far visita alla signorina Aisling, talvolta insieme e talvolta a giorni alterni, era oramai indubbio.
Ma nessuno sembrava farci caso. Almeno da quando nelle loro menti si era affacciato il tarlo ben più serio e urgente della politica.
Non si poteva dire certamente che la loro fosse una situazione usuale, ma col tempo avevano fatto l’abitudine agli sguardi delle concittadine più puritane, alle proteste del consorzio delle corteggiatrici di Shannon che a parer loro da quando frequentava la O’Connor “faceva vita di monastero”, fino ai sospiri disillusi delle pretendenti di Liam.
Quello a cui quest’ultimo, però, faticava a rassegnarsi era la mancanza di stabilità. Perché, a conti fatti, a ventisei anni, con un buon lavoro e una donna innamorata accanto, cominciava a sentire la necessità di impegnarsi più seriamente in una relazione.
Sapeva che Aisling non sarebbe stata la donna giusta per un simile progetto. Anzi, da quando era entrata nell’Ira, si era fatta, se possibile, ancora più indipendente e fiera della propria libertà.
A volte, Liam aveva paura che quella situazione fosse stata messa in piedi solo per un capriccio di lei, che poteva abbondantemente crogiolarsi nelle attenzioni di entrambi.
Ma per quanto non fosse la donna giusta per mettere su famiglia, sentiva che era quella giusta per lui, l’unica che qualsiasi cosa fosse accaduta avrebbe continuato davvero ad amare.
E non avrebbe avuto senso mettersi alla ricerca di un’altra ragazza con la quale costruire un amore più solido e più convenzionale, dal momento che avrebbe continuato a pensare a lei.
Non sarebbe stato giusto.
Avevano passato così un altro anno.
 
 
Il 1918 se n’era andato, fra amori incomprensibili, riunioni e dinamite.
Non faceva che pensarvi, Liam, a come era davvero tutto diverso, ora. Ora che erano entrati ufficialmente nella guerra d’indipendenza dal gennaio del ’19, aveva assistito alle sparatorie per le strade. Vi aveva preso parte, a volte, alle barricate contro gli inglesi.
Era diventata quella la sua vita, fatta di armi, di esplosivo, di incursioni per procurare altre armi, di attentati, la notte. E, di giorno, quella dell’insegnante, come sempre, insospettabile.
E, intanto, quando le riunioni segrete e gli addestramenti clandestini non gli sottraevano il resto del tempo, continuava a chiedersi dov’era finita l’innocenza di allora. Di quando erano ragazzi lui e Shannon, poco più grandi dei suoi studenti, e che credevano di aver cambiato il mondo solo per aver tenuto testa al professore d’inglese. L’innocenza di quelle notti dimenticate del mercoledì.
Se n’era andata. Aveva ragione Aisling, erano loro ad essere ormai diversi. Il passo, la loro trasformazione in rivoluzionari, era stata quasi inevitabile. Per la violenza dei tempi, forse.
O perché quell’innocenza, per quanto si ostinassero a cercarla, in loro non ve n’era più traccia.
Aveva davvero ragione, Aisling, quando lo diceva.
Aisling, quella sera, dormiva accanto a lui, respirando piano. Non era la prima volta che rimaneva a casa degli O’Connor, in assenza di suo padre. Anzi, ormai era diventata un’abitudine, a tal punto che non si preoccupava nemmeno più di sapere se la notte avanti o quella successiva, c’era o ci sarebbe stato Shannon al suo posto, nel letto che adesso occupava lui.
La sua stanza era avvolta nel suo profumo e nell’odore dolciastro del trucco.
Nel sonno, Aisling si stringeva a Liam, come non volesse lasciarlo andare.
- Ho paura, sai – gli aveva detto all’alba, credendo che egli non la udisse – Ho paura di perderti, Liam. Tutte le volte che esci di qui, che ti so impegnato in qualche missione e sento bussare alla porta, ho sempre il terrore che mi vengano a dire che non sei più con me.
- Cosa vai a pensare, Aisling? Io e te vedremo assieme il risveglio di Erin, è una promessa.
- Questa sera sarà la data stabilita, non è vero?
Lui aveva annuito in silenzio: - Tornerò, te lo assicuro. Tornerò da te, Aisling. Ora che ti ho incontrata non posso permettermi di perderti tanto facilmente.
L’aveva baciata sulla fronte.
- Se vi perdessi, Liam, non so cosa farei. Giurami che farai attenzione.
- Amore mio, non è la prima volta che…
- Lo so, ma non significa nulla. Ogni volta la sorte potrebbe essere in agguato.
- La sorte non esiste. E, in ogni caso, il mio amore per te sarebbe più forte da piegare anche il destino.
Lei sorrise per la dolcezza di quelle parole. Un cattivo presentimento la stava tormentando da giorni, da quando aveva saputo di quella nuova, pericolosa azione che avrebbero dovuto compiere.
E, sempre più forte, sentiva il rimorso di averli convinti a entrare nell’Ira. Doveva immaginarlo che sarebbe scoppiata l’insurrezione. Che trascinarli in quella storia sarebbe stato mettere a repentaglio la loro vita. Ma allora Erin era più importante, più importante di tutto.
- Ad ogni modo, se io non dovessi più tornare, non piangere per me, Aisling. Sarò morto per un’idea ed è la fine più dignitosa che possa spettare a un patriota.
- Non dirlo nemmeno. Io non posso neanche immaginare la mia vita senza di te, adesso.
E aveva detto “di te”, non “di voi”, senza nemmeno pensarci.
Era stata la prima volta, dopo tanto tempo, che egli ebbe la consapevolezza che Aisling era sincera.
Intrecciò le proprie dita con quelle di lui: - Morirei con te, Liam.
- Vivrai con me, invece. Presto tutto questo sarà finito, vedrai. E saremo stati noi a dare un futuro a questa terra.
- Ho come l’impressione di aver sbagliato tante cose con te, Liam. Troppe. Meritavi di essere amato in modo esclusivo e più profondo di quanto non abbia fatto io.
- Non rimpiango nulla, Aisling. I giorni passati con te sono quanto di più bello possa chiedere alla vita. E se anche dovessi morire, tu sarai stata la fonte e la cagione principale della mia felicità.
Lei nascose il viso nella sua spalla, respirando forte il suo profumo.
Le sfuggì una lacrima. Egli l’amava veramente ed era sempre più convinta di non averlo saputo ripagare. Bisognerà mettere in chiaro le cose, una volta per tutte. Dire a Shannon che, per quanto bene gli voglia, ho deciso.
Questo tempo che ci costringe a vivere nel sangue e nella violenza, a tremare ogni giorno per la nostra vita e quella dei nostri cari, almeno ha saputo spartire le cose importanti da quelle fatue.
E la passione per Shannon non è stata che una frivolezza, un timore di perderli entrambi.
Ho capito che non potrei vivere senza Liam, che per quanto abbia sottovalutato il sentimento che ci legava, per quanto abbia tentato di fuggire, il cuore mi ha sempre portato da lui.
Stava per dirglielo, prima che il rumore di una chiave che girava nella serratura, da basso, li interrompesse.
- Liam, devo parlarti. Devo parlarti di noi.
- Credo sia rientrato tuo padre. È meglio che vada. Lo sai che mi imbarazza incontrarlo.
- E perché mai? Lo sa che ci frequentiamo. Gli piaci e sarebbe felice se restassi per colazione.
- Devo incontrare gli altri, prima di questa sera, per fissare gli ultimi dettagli del piano. Non prendertela, parleremo presto. È qualcosa di molto importante?
- Sì, perché riguarda te. E tu sei molto importante per me. Ma posso aspettare.
- Sei in collera perché non rimango?
- No. So che Erin viene prima.
Lui sorrise. Nel raccogliere la giacca, dalla tasca scivolò a terra una rivoltella con un tonfo sordo.
- Sei armato? – gli chiese lei senza scomporsi.
- Sì. Sono mesi che giriamo armati. – raccolse la pistola da terra con imbarazzo – Non avrei voluto che tu venissi a saperlo così.
- Non mi sconvolgo. Fai attenzione, Liam. Dillo anche a Shan. Abbiate cura di voi.
- Lo farò.
- Liam- gli era corsa incontro per abbracciarlo con slancio – Dammi un bacio, prima.
Gli passò una mano sul viso: -Beannacht Dé leat, mo ghra . Che Dio ti protegga, amore mio.
- Non stare in pena, fra qualche giorno sarò di nuovo da te. Sai che per un po’ è prudente restare lontani, dopo un’incursione.
 
 
- Oggi, 20 marzo 1919, alle 23 precise attaccheremo il presidio dell’esercito inglese. – uno dei dirigenti del gruppo di Dublino aveva spianato sul tavolo del pub la pianta della città.
- Questo è il punto più debole dell’edificio: le cariche esplosive andranno piazzate esattamente sul lato est. Ma ne avevamo già discusso. Murray, è tutto chiaro?
- Perfettamente. – aveva risposto Liam, non staccando gli occhi dalla carta.
Sarebbe spettato a lui guidare il manipolo di uomini che gli era stato affidato, durante l’attentato.
Era diventato uno dei più abili con gli esplosivi, senza che nessuno, nemmeno lui se l’aspettasse.
Non sapevano dire da dove fosse derivato quell’inquietante talento, soprattutto in un uomo che credevano tutti mite e dedito all’arte. Liam era rimasto spaventato da se stesso, dal lato oscuro che si nasconde in ogni essere umano, pronto ad emergere quando meno lo si aspetta.
Non era più lo stesso, se ne accorgeva giorno per giorno. Si era fatto più lucido, più calcolatore, forse più spietato. E con lui anche Shannon. Il vecchio bardo e lo scribacchino erano sepolti in un angolo remoto del loro cuore, soppiantati e seppelliti dalle loro nuove figure di rivoluzionari.
L’addestramento intensivo di quei dieci mesi l’avevano reso un valido elemento per l’organizzazione.
Non sarebbe stata la prima volta, quella. Ormai, in due mesi, cominciavano ad aver perso il conto delle azioni.
- Di quanta gente pensi di avere bisogno?
- Di due uomini, oltre a me. Uno che mi aiuti con la dinamite e uno per guardarci le spalle.
Non di più, altrimenti finiremmo per dare nell’occhio.
- Hai ragione. Chi vuoi?
- O’Connor – Patrik fece un passo avanti – E… - per un attimo Liam desiderò di non dover fare quel nome. Fosse stato per lui avrebbe tenuto Shannon lontano da ogni pericolo. Ma sapeva che desiderava seguirlo, anche quella volta, come tutte le precedenti.
- E Donovan.
- Bene. Che Dio vi aiuti, ragazzi.
- Erin go bragh. – disse Liam prima di uscire, seguito dai suoi due compagni, sfiorandosi appena la tesa del cappello in cenno di saluto
.
Dublino quella notte fu svegliata dal fragore infernale dell’esplosione.
L’attentato era riuscito, come sempre. Gli altri membri dell’Ira lo avrebbero appreso l’indomani con soddisfazione. Ancora non sapevano, nemmeno loro che avevano preso parte all’azione, però, che qualcosa era andato storto.
Qualcosa era andato dannatamente storto, quella mattina stessa.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 12. The Abyss ***


 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

 Capitolo XII: The Abyss

 
 
- Murray! Se sei qui, allora non hai saputo! – uno dei loro era entrato nel pub di Baggot Street, dopo l’ora di chiusura, con aria sconvolta.
- Cosa avrei dovuto sapere? – a casa praticamente non era tornato, rinchiudendosi poche ore dopo l’attentato, nel locale dove, assieme ad alcuni degli altri, aveva fatto il punto della situazione.
Non poteva sapere null’altro tranne quello che avevano pubblicato i giornali.
L’altro si tormentava le mani senza sapere come dirglielo, rimanendo in piedi di fronte a lui, temporeggiando.
- Avanti, parla. -  replicò Liam, senza dare troppo peso a quel silenzio. Lo guardò di sfuggita da sopra il boccale della birra, alzando appena un sopracciglio. Ma gli bastò per capire che era accaduto qualcosa di grave.
Si erano voltati tutti, in attesa di una risposta.
Fuori pioveva incessantemente. L’acqua batteva sui vetri, scandendo con passo inquietante, quel lungo momento in cui nessuno più parlava.
- Allora, vuoi dirmi cos’è successo, invece di tenermi qui in apprensione?
- Si tratta di Shannon Donovan.
A quelle parole, Liam scattò in piedi: - Per l’amor del cielo, qualunque cosa sia successa, parla!
La porta si spalancò con fragore. Incurante del temporale, delle precauzioni che avrebbero dovuto prendere dopo un’azione, del rischio che correva venendo lì, Aisling aveva percorso a piedi, correndo, col cuore che le martellava nel petto per l’angoscia, la strada cha da casa O’Connor portava a Baggot Street.
- Liam! Grazie a Dio sei qui! – si precipitò tra le sue braccia.
Alzò appena il viso, bagnato di pioggia e di lacrime, verso di lui per aggiungere in un sussurro: hanno arrestato Shan.
- Cosa significa: hanno arrestato Shan? Quando è successo? – era stato Patrik a parlare per lui, perché Liam aveva dovuto tornare a sedersi sullo sgabello che aveva occupato fino ad un attimo prima.
- Stamattina, credo. Frank Donovan ha chiamato nemmeno un’ora fa papà per chiedergli di intervenire, di fare qualcosa, lui che è un professore famoso, che ha qualche conoscenza. Ma finora non c’è stato modo nemmeno di farsi passare al telefono qualcuno della centrale. – Aisling cercava di trattenere le lacrime per sostenere Liam, ma si vedeva che increspava e si mordeva il labbro inferiore per non scoppiare a piangere.
- Devo andare. – Liam aveva fatto per indossare il cappotto – Devo andare da Eiliònor e Frank. Sua madre, devo andare da sua madre.
- Tu non vai proprio da nessuna parte. – Patrik l’aveva costretto a rimettersi seduto, facendogli riempire di nuovo il bicchiere – Siediti e vedi di calmarti. Bevi, Liam.
- Ma cosa vuoi che beva per calmarmi? Devo andare da Eiliònor, è come una madre. Ha bisogno di me, io devo andare.
- Non aspettano altro, Liam. Se ti esponi è come chiedere di arrestarti. – continuò Patrik – Cerca di ragionare, lo so che sei sconvolto. Si sa perché hanno preso proprio lui?
- In realtà, da quanto papà ha capito, non sono riusciti a ricondurre con sicurezza a lui l’attentato alla caserma inglese. Ma hanno comunque voluto fare una retata tra patrioti, rivoluzionari di pasqua e simpatizzanti o presunti tali. Lui si era già mezzo compromesso con quell’articolo ed era schedato per l’occupazione del Post Office, così l’hanno preso.
- Sono stati anche a casa tua, Murray. – gli disse l’uomo che era entrato a dare la notizia – Ma non preoccuparti, tuo padre è riuscito a convincerli che eri fuori città.
- Ad ogni modo è meglio che non torni a casa, Murray, potrebbero tornare. – gli disse Colin, uno dei dirigenti della cellula di Dublino – Hai un posto sicuro dove andare?
- Magari potremmo nasconderti noi. – aveva proposto Patrik.
- La cosa più logica è che tu rimanga qui. Nessuno sa di questo posto. – Colin aveva preso a camminare nervosamente nella sala – A meno che… Voglio dire, a meno che qualcuno non lo riveli.
Liam gli si era parato davanti, sostenendo il suo sguardo con aria di sfida: - Cosa vuoi insinuare? Conosco Shannon come me stesso e so che non tradirebbe mai la nostra causa.
- Conosci lui, forse, ma non i limiti di un uomo messo alle strette.
- Cosa vuoi dire?
- Che per far parlare una persona, spesso non ci si limita ad un interrogatorio. Ci sono molti mezzi.
- Smettila, Colin, non ti sembra già abbastanza sconvolto? – Aisling si era stretta a Liam, come se avesse voluto proteggerlo  - Dobbiamo sperare che la polizia si convinca che Shannon è estraneo ai fatti e che lo rilascino prima ancora di interrogarlo. Lui … - la voce le tremò – lui è sempre stato bravo con le parole e saprà cavarsela anche questa volta. Non… non è vero, Pat?
Suo fratello annuì senza convinzione.
- Oppure potremmo tentare di liberare lui e gli altri. Con un’azione, qualsiasi cosa… Non c’è nulla che si possa fare?
- Aisling, è impossibile. Cercate di rimanere lucidi, andrà tutto bene, vedrete.
 
Andrà tutto bene, facevano presto a parlare. C’era Shannon, il suo amico, suo fratello, in prigione, non sapeva nemmeno più cosa pensare.
Non riusciva a pensare.
Se n’erano andati tutti. Tutti tranne Aisling, che continuava a tenergli la mano nelle proprie, e a baciargliela per confortarlo.
- Ho sbagliato, Aisling. Non avrei dovuto portarlo con me, ieri sera.
- Fosse o meno venuto con te, l’avrebbero arrestato lo stesso. Hanno colpito ovunque hanno potuto, non è accusato proprio di quell’azione. Io sono sicura, Liam, che Shan ce la farà.
- Ed ho sbagliato a permettergli di entrare nell’Ira. Dovevo prevedere che sarebbe finita così, che uno di noi due, o entrambi, avremmo pagato.
Ma dovrei esserci io al suo posto! Maledizione, sarei io a dover pagare! L’ho piazzato io l’esplosivo, Shan mi guardava solo le spalle. Sono responsabile, e la colpa è solo mia. – voltò la testa, per non permettere che lei vedesse che stava piangendo.
- Smetti di torturarti a questo modo. Mi fa male vederti così. Liam, guardami. Amore mio, - gli prese il viso tra le mani – sono certa che lui ha sempre saputo qual era il rischio che stava correndo. E se l’ha accettato, è perché crede in quello che state facendo per Erin. Sono certa che lui non rimpiange nulla. Credimi
- Potrei costituirmi, glielo devo. Forse ci sarebbe la possibilità di far scarcerare lui e gli altri, se mi assumessi la responsabilità dell’attentato.
- E’una follia, Liam. Non servirebbe a nulla.
- Una follia, sì. Ma tu sai qual è la pena, vero? È la condanna a morte. Se Shannon dovesse morire per una colpa che ho anche io, non ho nessuna intenzione di sopravvivergli.
- E a me non pensi? Io vi perderei entrambi! Cosa farei senza di voi, amore mio?  - si lasciò scivolare a terra, chinando la testa sulle ginocchia di lui.- Non t’importa nulla di quello che dovrei passare ?
Liam le accarezzò i capelli: - Cosa dici, Aisling? Tu sei la cosa più bella che la vita potesse darmi.
L’unica cosa per cui, assieme ad Erin, valga la pena di vivere.
- E allora vivi, Liam. Devi cercare di salvarti almeno tu, per me, per Erin. Non sottrarre un altro uomo alla sua battaglia. Dio solo sa quanto soffro per Shannon, solo per saperlo in carcere. Se dovesse… non voglio nemmeno pensarci.
- Ora basta, Aisling. – l’interruppe – Dobbiamo stare calmi, per avere la situazione sotto controllo. Insieme non facciamo che peggiorare le cose. Vai a casa, adesso, è più prudente.
- A casa? Io credevo di restare con te. Non voglio lasciarti solo, Liam. Non in questo momento.
- Non stare in pena per me. Perdonami, Aisling, ma ho bisogno di restare da solo, per pensare. Per capire.
- Promettimi che non farai nulla di avventato, che non andrai a costituirti.
- Te lo prometto, non lo farò. Almeno fino a quando ci sarà qualche speranza. Forse hai ragione tu e presto lo rilasceranno.
- Pregherò per lui. Dirò a mio padre di fare il possibile, di mobilitare tutte le sue conoscenze.
Liam annuì, quasi senza ascoltarla, perdendosi nel labirinto dei suoi pensieri.
- Aisling! – disse dopo un lungo silenzio, mentre lei era già sulla porta.
- Sì?
Corse a baciarle le mani: - Aisling, ti amo. Non dimenticarlo.
La porta si chiuse. Liam abbassò la serranda, per essere più tranquillo.
Non era un buon nascondiglio, Colin aveva ragione. Ma era l’unico che gli fosse venuto in mente.
Se Shannon avesse rivelato qual era il luogo in cui avvenivano le riunioni, certamente l’avrebbero preso. Ma Shannon no, lui non li avrebbe traditi.
Ci sono molti mezzi per far parlare un uomo.
Quelle parole l’avevano tormentato per tutta la notte e per tutto il giorno seguente, come il tarlo insopportabile del dubbio che rode e consuma il cervello e l’anima.
Se ci tradisse, proprio lui, proprio quello che credevo e ritengo ancora il migliore dei patrioti, davvero non saprei come perdonarlo.
Chi tradisce non merita il perdono, non merita di vivere.
I suoi stessi pensieri gli diedero un brivido. Voltò con sdegno la testa, per non vedere la propria immagine riflessa nello specchio sopra il bancone.
Quel posto, così pieno di specchi, sembrava una pena scelta apposta.
E più il dubbio continuava a farsi insistente, più i suoi sentimenti prendevano una strada che nemmeno lui aveva previsto, la strada oscura e senza ritorno dell’odio.
Si disprezzava e quello specchio, che lo guardava con insistenza, che gli rimandava uno sguardo che non era più il suo, diventava intollerabile.
Non mi riconosco più, si disse. Non sono più quello di un tempo.
La violenza, il sangue, le armi, questi mesi, mi hanno cambiato.
La violenza ti entra dentro e ti cambia fino in fondo, fino alle ultime fibre del tuo essere.
Quando si comincia, la vita perde di valore, la tua e quella degli altri. E persino la morte non conta più nulla.
Sono diventato un uomo che non credevo di poter essere. Quella parte oscura che si nasconde in ognuno di noi, ha cominciato ad emergere con una prepotenza che mi spaventa, fino quasi a prendere il controllo di me.
Perché un conto è combattere per la propria patria, volerla vedere libera, un giorno, un altro è desiderare, ora, la morte di chi si frappone tra te e il tuo obiettivo.
No, non Shan. Lui non ci tradirà. Non deve.
Maledizione, non deve, per me, per lui, per la nostra salvezza.
O sarebbe troppo tardi. Sono troppo cambiato per fermarmi in tempo, adesso, e so che non avrei la lucidità per perdonarlo.
Non lo perdonerei e annullerei in un dannato istante tutto quello che ci ha legati per una vita intera.
Se ti condanneranno, Shan, io seguirò il tuo destino. Non ti lascerò andare da solo incontro alla morte. Ci sarò io con te, come sempre. Ma tu giurami, giurami Shan che non parlerai.
Maledizione, giuramelo. Giuramelo. Giuramelo!
Dimmi che Erin è ancora tutto per noi, tutto quello che ci permette di credere, di lottare, che è talmente importante da morire per lei, pur di non tradirla.
Shannon, dimmi che preferirai una morte da patriota piuttosto che una vita da vile traditore.
Ma come si può chiedere questo ad un uomo? Dio mio, come posso chiederti io il sacrificio più alto di tutti?
Perdonami, perdonami se l’ho pensato.
Ma come puoi essere tanto crudele, Erin, da chiedere ai tuoi figli di morire per te, sperando che vadano incontro a questo abisso senza nemmeno tremare?
Eppure, la colpa non è tua. Tu meriti tutto l’amore e tutta la devozione che un uomo possa trovare nella propria anima. E nemmeno della Storia, forse. Ella non fa che avvolgerci nelle spire delle circostanze, travolgerci nel fiume in piena degli eventi che
È solo mia la colpa. Sono io a non essere più quello di un tempo. Se fossi rimasto quello di allora, Shan, quello che conoscevi, adesso ti amerei, continuerei ad amarti come ho sempre fatto, indipendentemente da tutto.
E, invece, se dovessi tradire, sento che ti odierei. E solo Dio sa quanto non vorrei farlo.
 
Perdonami, Liam. Ho parlato. Non ho potuto evitare ed ho parlato.
Shannon sedeva sul pavimento della cella, al buio. La sera era già calata su Dublino e da fuori poteva sentire il passo pesante degli ultimi cavalli che rientravano stancamente verso casa, il cigolio delle serrande dei pub, lo scrosciare insistente della pioggia. Tutto esattamente come un tempo.
O tutto diverso, perché ormai lui aveva parlato.
La verità è che si crede sempre di essere i più forti, che la devozione ai propri ideali e l’amore assoluto, totalizzante per la propria patria siano uno scudo sufficiente alle avversità della sorte.
Certo, è così finché si vive nell’illusione che tutto questo non debba ami essere realmente messo alla prova. È così, finché non accade a te.
E si fa presto a criticare, a giudicare, Liam, i compagni che tradiscono.
Tu ed io l’abbiamo fatto più volte, di giudicare intendo.
Ma quando ciò è accaduto, c’è sempre stata troppa leggerezza, troppo distacco, nelle nostre parole.
Si fa sempre troppo presto a salire sulla cattedra del giudice, quando non sei tu l’imputato. O quando non è qualcuno a cui sei legato indissolubilmente per la vita e dalla vita.
Come mi giudicherai, adesso, Liam? Ricorderai ancora dei momenti che abbiamo trascorso insieme, delle risate, dei pianti, di ogni giorno che non poteva essere felice o completo, se eravamo lontani?
Ricorderai delle nostre madri, che ci hanno cresciuto come fratelli, di mio padre che ci incantava con i segreti della tipografia, di tuo padre che ci aiutava nei calcoli, quando eravamo bambini?
E dopo, i successi dell’uno e dell’altro, di cui non siamo mai riusciti ad essere invidiosi, e le ragazze, e Aisling. Aisling, che è quanto di più bello, sincero e puro ci abbia legati. Dopo Erin, ovviamente, che ora non sono più degno nemmeno di nominare.
Lo ricorderai tutto questo, quando ti verranno a dire che Shannon Donovan è un traditore, che vi ha venduti per un’illusione, per una vaga promessa di libertà?
Oppure mi maledirai, Liam, mi odierai per questo?
Porterò nella tua mente questo marchio di infamia per tutti i giorni a venire, lo sento.
Perché tu sei cambiato, come me, del resto. Ma in questi mesi, a volte, la tua lucidità e la tua intransigenza mi facevano paura. incontravo i tuoi occhi e non erano più quelli che conoscevo.
Forse anche per te era lo stesso.
Puoi essere convinto di ciò che vuoi, Liam, ma avresti anche tu confessato ogni cosa, dopo quello che ho dovuto subire. E se dicono che esistono molti modi per far parlare un uomo, spesso essi possono superare anche l’immaginazione. E non sempre si tratta di tortura fisica.
La spietata capacità di calcolo degli uomini sfiora limiti che non vorremmo mai dover conoscere e, la maggior parte delle volte, da essa non ci salva nemmeno l’appartenere al genere umano.
Non mi sento giustificato da tutto questo. A dire il vero non c’è nulla che mi giustifichi. Avrei potuto continuare a subire, arrivare fino all’estremo confine della sopportazione, affrontare con coraggio la mia condanna a morte, ma tacere – buon Dio – tacere!
E invece no, ho detto tutto ciò che sapevo: ogni piano, ogni azione, ogni nome che in quel momento mi è affiorato nella memoria, nella speranza che ad ogni parola corrispondesse un istante di libertà, un solo miserabile istante di libertà che si avvicinava.
Durante l’inquisizione, erano capaci di strapparti a forza, per consunzione, per sfinimento, una confessione per stregoneria.
Quanto tempo credi che serva per estorcertene una per attività sovversiva?
Molto meno di quello che pensi, Liam. Di quello che puoi riuscire a immaginare, mentre lotterai contro l’impulso immediato e soffocante di odiarmi.
Per me sono bastati soltanto quattro giorni. Quattro giorni di percosse e di minacce, di implorazioni, di grida e di ostinate domande che, a tratti, cedono il passo a profondi e spaventosi abissi di silenzio e isolamento, in cui pregheresti per la tortura, che almeno estranea la mente, piuttosto che sentirti lacerare l’animo dai dubbi e dai sensi di colpa.
Siamo esseri umani, fragili, imperfetti e fallibili: tanto più chiediamo a noi stessi, tanto meno riusciamo ad ottenere. Sarò io ad essere ancora più debole e ancora più fallibile, nella mia finitezza, ma quando davanti a te c’è solo la condanna a morte, le scelte non sono poi così ampie.
O la morte o la vita, Liam.
Ho scelto la vita e la speranza di riavere indietro la mia libertà, a costo di tradire.
Ho fallito, Liam, nella missione che ci eravamo prefissati.
Non credere che questo non mi addolori, che adesso possa riprendere la mia esistenza senza il peso di questa viltà. Non credere che possa ancora incontrare e sostenere il tuo sguardo, il giudizio dei compagni, la condanna di Erin che mi premerà sul cuore, dopo ciò che ho fatto.
Ho fallito.
Non cerco giustificazioni, né ai tuoi occhi né ai miei.
Non cerco nemmeno pietà. Cerco soltanto di capire, di comprendere come questo sia potuto accadere.
Sono la prova vivente che spesso nemmeno le idee possono essere sufficienti per salvarci dal folle precipitare degli eventi, dalle circostanze violente che si sono abbattute sul nostro paese, dall’incapacità dell’uomo di vivere in pace con altri uomini, dalla nostra limitatezza e dal nostro cammino verso la distruzione.
Queste mie parole non ti arriveranno mai, Liam, amico mio.
Più passano le ore e più mi accorgo che la libertà sarà solo un miraggio, che è servita solo a farmi parlare.
Se anche uscirò di qui, avrò solo il tuo disprezzo e allora, per me non vi sarebbe più né vita né libertà. Non potrò dirtele, queste cose.
Avrò il tuo disprezzo e sarà giusto così. Lo merito.
Posso solo pregare con tutta la forza che mi è rimasta che facciate in tempo a fuggire, che siate abbastanza prudenti, che Dio vi protegga sempre.
Non voglio il tuo perdono. So che non potrei averlo. Non so perdonarmi nemmeno io.
Sono pronto a farmi carico del tuo giudizio e della condanna che riterrai opportuna per me.
La porta della cella si aprì, lasciando che la luce del corridoio gli ferisse gli occhi.
- In piedi, Donovan. Devi venire con noi in Baggot Street. C’è della gente che devi riconoscere, prima della tua liberazione.
 
 
Quella sera, il 25 di marzo, una data che Liam non avrebbe mai più dimenticato, la porta del locale di Baggot Street si aprì di colpo.
Lui era rimasto impassibile, per non farsi notare e confondersi tra gli altri clienti.
Dava le spalle all’ingresso, osservando i movimenti attraverso lo specchio.
Un paio di poliziotti inglesi e un paio di irlandesi erano entrati, conducendo con loro un uomo che si reggeva a stento.
Rimase a guardare la sua immagine, il suo viso segnato dai lividi e dalle ferite, il suo Shannon. Cosa gli avevano fatto? Perché era lì?
Poi li vide che indicavano i presenti uno ad uno, che Shannon a volte annuiva, abbassando lo sguardo. E capì. Capì che aveva parlato.
Tentò di nascondere alla meglio il suo viso, stringendo tra le mani il fucile che aveva nascosto nel giornale e teneva sul bancone davanti a sé.
Attese e per un istante pregò che Shannon non annuisse quando sarebbe stato il suo turno, mentre guardava i suoi compagni venire condotti via.
E, invece, lentamente, inesorabilmente, al cenno dell’ufficiale, la sua testa si piegò. Confermò che anche lui era colpevole di aver difeso Erin con le armi. Confermò la sua condanna.
- Liam Murray, dovete seguirci.
Strinse il fucile più forte. Lo caricò. Aveva deciso.
 
 
Il campanello suonò insistentemente la mattina del 26 a casa O’Connor.
Tòmas e Patrik avevano lasciato Dublino quasi subito, per precauzione. Ma non c’era stato verso di convincere Aisling a partire: qualunque fosse stata la piega che avrebbe preso la situazione, ella avrebbe condiviso con loro fino in fondo il loro destino.
Aprì la porta con le mani che le tremavano. Guardò furtiva l’orologio dell’ingresso: le quattro e venti.
- Signorina O’Connor? – l’ufficiale inglese aveva cercato nella tensione del suo viso i segni di una possibile colpevolezza.
- Sì? Cos’è accaduto per venire a bussare alla mia porta a quest’ora? Un incidente, forse? Da giorni mio padre è in viaggio di lavoro e…
- Non si preoccupi, non si tratta della sua famiglia. Abbiamo motivo di credere che il sovversivo William Murray si nasconda in casa sua.
- In casa mia? Ci fosse un rivoluzionario in casa mia me ne sarei accorta. – si sforzò di trovare un sorriso ironico.
- Lei non offre rifugio a ricercati dalla legge? Eppure Murray è uno dei suoi amici, non neghi.
- Conosco Murray da anni, ma non credevo certo che… - mentì – Per quale motivo è ricercato?
- Attentato dinamitardo. – questo lo sapeva, ma le parve che il mondo si fosse fermato quando il poliziotto aggiunse: - E omicidio. Ieri sera in Baggot Street ha ucciso due dei nostri, due agenti della polizia irlandese e, sapendo dell’amicizia che vi legava mi dispiace dirglielo così signorina, anche Shannon Donovan.
- Shannon Donovan è morto? Liam ha…- non riuscì a finire la frase.
- Un regolamento di conti, mi è dato supporre. Donovan si è costituito colpevole per l’attentato del 20 marzo e ha denunciato altri dei responsabili, fra cui Murray. Ed egli gli ha sparato con un fucile, all’interno di un locale.
Lei non potè fare altro che abbassare gli occhi, senza rendersi veramente conto di quello che era accaduto. No, non era possibile. Liam non sarebbe mai arrivato a tanto. Doveva essere un trucco, un piano crudele e meschino per farla parlare.
Mantenne la lucidità necessaria per dire: - Agente, se vuole controllare, io non ho nulla da nascondere.
La perquisizione non sarebbe nemmeno servita: i suoi occhi garantivano per lei.
 
 
Aveva deciso e aveva sparato. Anzi, in quel momento, decidere e sparare erano stati tutt’uno.
Prima ai poliziotti per salvare la propria vita e liberare i prigionieri. Poi a Shannon.
In quel momento non aveva più pensato a nulla.
Era stato come se gli ultimi quattro giorni avessero cancellato d’un colpo i ventisei anni precedenti, lasciando aleggiare nell’aria giallastra del bar soltanto quella parola, pesante e dolorosa come una condanna: tradimento.
Quello che aveva davanti non era più Shannon, l’amico con cui aveva sempre condiviso tutto. Era soltanto Donovan, il traditore.
E, senza pensare a come si sarebbe comportato lui al suo posto, alla possibilità che anche a lui sarebbe sfuggita dalle labbra la confessione, se costretto, aveva sparato.
Credendosi il più forte, il più puro portatore delle loro idee, il figlio più devoto alla patria, aveva sparato.
Ergendosi a giudice, con la facilità che mai ad un uomo dovrebbe venir concessa, aveva sparato.
Ed era così convinto di essere nel giusto, che era rimasto a guardarlo un istante di troppo. Un istante in cui aveva incontrato i suoi occhi e la sua richiesta silenziosa di perdono. Non li avrebbe mai più dimenticati, quegli occhi, sarebbero tornati ogni notte a perseguitarlo nei sentieri dei suoi incubi.
Annuendo appena, come un ammissione di colpa, come una muta accettazione del proprio destino, Shannon era scivolato a terra, gridando nella propria mente: ti ho amato, Liam, più di me stesso.
Perdonami, se puoi, io l’ho già fatto.
Poi, dalla porta sul retro, Liam era riuscito a fuggire. La notte l’aveva inghiottito, come fosse stata la più buia delle viscere dell’inferno.
E, ad ogni passo, il peso del proprio crimine, il disprezzo che nutriva nei propri confronti, il rimorso si erano fatti più pressanti, gli avevano schiacciato il petto, fino ad arrivare ad ostruirgli la gola.
E così sarebbe stato, nonostante le miglia che aveva messo tra se e l’Irlanda, come se la distanza non fosse affatto un balsamo per le pene.
In quella notte inorridì di se stesso e dell’uomo che era diventato.
No, la colpa non era della storia, dei tempi, dell’Ira o di Aisling. Era solo sua. Lui, e solo lui, avrebbe dovuto e potuto fermarsi prima che fosse troppo tardi.
Aveva ucciso Shannon, era inutile che tentasse di nasconderlo agli occhi spietati della propria coscienza, sì l’aveva ucciso e nulla adesso aveva più senso.
Aveva ucciso per un’idea. Aveva preferito le idee alle persone, agli esseri umani, agli affetti. Ma le idee sono solo idee. Esse non sbagliano, non sono fallibili, non tradiscono. Ma neppure amano.
Le idee non sono giuste o sbagliate, quando rimangono idee, ma siamo noi ad animarle e a farle sedere dal’uno o dall’altro lato della barricata. Ma è l’uso a cui l’uomo sceglie di destinarle. E non sempre l’uomo è buono: quel lato oscuro, folle e violento è sempre in agguato, sempre pronto ad aggredirti alle spalle quando più sei vulnerabile.
Le idee non hanno sentimenti e possono riuscire a consumarti dentro, a legarsi così strettamente alle fibre dell’anima fino a intrecciarsi, fino a confondersi, fino a non poterle più districare.
Non hanno sentimenti, le idee, non amano. Non ci amano, anche se noi passiamo la vita ad amarle o a fare di esse la nostra stessa vita.
Non hanno sentimenti, ma prima o poi proprio per questo, finiscono per scontrarsi con noi, che di sentimenti ne abbiamo, che per qualche brandello del nostro essere siamo puro e inarrivabile sentimento. E allora una parte deve soccombere, inevitabilmente. E Liam non sapeva perché la parte che aveva scelto di schiacciare fosse stato proprio l’amore.
E dire che, se fosse stato capace di amare di più, forse sarebbe riuscito a resistere al cambiamento, forse non si sarebbe piegato all’imperativo della propria spietata lucidità. Forse non l’avrebbe ucciso.
Non si possono stringere, abbracciare, baciare le idee. Non puoi conversarvi sotto un portico in attesa che spiova, in quei momenti in cui non hai detto nulla ma ti sembra che l’altro abbia compreso tutto. Non puoi affidare loro i tuoi sogni, le tue speranze, le tue disillusioni.
Alle persone sì. Agli amici sì. Ma le persone muoiono. Soccombono sotto la follia, sotto il bagno di sangue a cui porta sempre la violenza.
Shannon era morto. E lui l’aveva ucciso.
Le idee no, non si possono uccidere. Ma che senso avevano, ora, le idee?
Le idee, per lui, adesso si portavano dietro solo un’aura nera di morte.
Shannon era morto.
Nulla trovava più il suo senso.
 
 
Se lo trovò davanti, la sera del 27 sul tardi, fradicio di pioggia, di lacrime e di rimorsi.
Per due giorni non aveva avuto sue notizie: sapeva solo che era riuscito a fuggire. Nient’altro.
- Aisling. – era riuscito appena a dirle – Aisling, perdonami. Io ho… - non aggiunse altro. Dai suoi occhi aveva compreso che già era a conoscenza di tutto.
- Vieni dentro. – gli aveva risposto freddamente, accertandosi solo che nessuno dalla strada potesse vederli.
- Liam – rimase a guardarlo per un istante. Aveva vagato per tutto quel tempo, si era nascosto chissà dove ed ora – se ne accorgeva dai brividi che lo scuotevano – bruciava di febbre.
E lei, che aveva passato le ore precedenti a maledire il suo gesto, adesso non poteva fare altro se non accoglierlo in casa.
Nemmeno Aisling sapeva come avrebbe reagito lei, forse allo stesso modo di Liam.
Forse erano davvero cambiati tutti e tre, forse la violenza era impossibile da sradicare, adesso.
Non riusciva a giudicarlo, non riusciva ad odiarlo. A dire il vero, non riusciva più a fare nulla: nella sua testa c’era soltanto un vuoto, paradossalmente, un abisso in cui sprofondavano tutti i suoi pensieri.
- Me ne vado, Aisling. Domani, all’alba. Non potevo partire senza… senza averti rivista per l’ultima volta. Aisling! – invocò il suo nome con una disperazione che la fece tremare.
Si gettò tra le sue braccia e non ebbe la forza di respingerlo.
- L’ho ucciso. Lui ci ha traditi ed io l’ho ucciso.
Non sapeva che dire, non potè fare altro che stringerlo, appena un po’ più forte.
- Aisling, ti prego parla! Prendimi a schiaffi, odiami, gridami di andarmene, ma di’ qualcosa. Il tuo silenzio mi toglie il respiro, Aisling.
- Liam… - cercò di asciugargli il viso con le proprie mani. – Liam, non riesco nemmeno ad odiarti.
Sento già che ti disprezzi da solo.
- Non puoi comprendermi, non è vero Aisling?
- Non chiedermi di capirti. Mi sembra già abbastanza riuscire a non giudicarti.
Lo sguardo di lei era come una stilettata. Ella se ne accorse, tanto da addolcire il tono: - Non posso. Non posso, Liam. Vi ho amati troppo, vi ho amati entrambi. Non ho nemmeno la forza di condannarti. Mi hai portato via ogni certezza, Liam. Mi hai portato via tutto ciò che amavo.
Mi hai tolto Shannon e mi hai tolto te stesso. Non mi resta più nulla, adesso.
- Io credevo di averlo fatto per Erin.
- E smetti di nasconderti dietro a Erin! La scelta di premere quel grilletto è stata tua. Sei sicuro che tu, al posto suo, non avresti parlato? Non avresti tradito? Dannazione, Liam, non riesco a capire perché.
Lui le aveva voltato le spalle, non riuscendo a sopportare il dolore nei suoi occhi.
- Io credevo di averlo fatto per Erin, di aver vendicato il tradimento che ha subito. Ma ora, ora non so più niente. So soltanto che Shannon è morto. Ed io sono morto con lui.
- Nemmeno io so più nulla. Non so cosa avrei fatto al tuo posto.
Lo costrinse a voltarsi, stringendo forte nelle mani i baveri del suo cappotto: - Perché? Perché tutto questo? Perché, Liam? – era un gemito soffocato.
Aisling scoppiò in lacrime. La strinse al petto, era così lontana, così irraggiungibile, più di quanto non lo fosse sempre stata.
Pianse con lei, a lungo. Rimasero abbracciati, in piedi, nell’ingresso, senza dire nulla, tentando di lavare via il dolore con le lacrime, spendendole tutte, per ritrovarsi, alla fine ancora più vuoti.
Poi, quando ella si liberò lentamente dalla stretta, Liam la guardò a lungo, tentando di imprimersi nella memoria ogni suo più minuto lineamento, il colore dei suoi occhi, il profumo dei suoi capelli, prima di perderla per sempre.
Cercò nel fondo del suo sguardo se davvero non vi fosse nemmeno l’ombra dell’odio. Non lo trovò. Ma, quella sera, non vi trovò più nemmeno traccia dell’amore. Era come se in lei, con quella maledetta notte, si fosse spezzato qualcosa. Come se fosse spenta per sempre la fiamma dei suoi sentimenti. Di ogni suo sentimento.
 
- E dopo? Dopo cosa farai? – gli aveva chiesto poi, mentre gli si sdraiava accanto, nel proprio letto.
- Prenderò un treno diretto a ovest. Ho preso contatti con un contrabbandiere di whisky: ha un battello che parte dopodomani per le Americhe.
- L’America. – era lontana, l’America. Così sconosciuta e lontana.
- Ho paura, Aisling. Paura di ciò che verrà poi, paura di non poter convivere con la mia colpa, con la consapevolezza che sono un assassino.
- Tu rimarrai sempre un patriota.
- Forse per chi crede che è stato giusto punire un traditore, per chi non si rende conto fino in fondo che la violenza non porta che altra violenza, allora rimarrò un patriota. Per me sarò solo un assassino.
Azzardò in un sussurro: - Lascia… lasciami partire con te.
- No. Ti ho già fatto fin troppo male, Aisling. Hai diritto di dimenticare, di tornare a vivere normalmente, un giorno. Se potrai mai tornare a farlo.
Cosa dovevi dirmi, giorni fa? Non lasciarmi partire con questa domanda.
Aisling fece ritorno con la mente a quella notte, l’ultima, in cui erano stati felici. A quando aveva deciso di rivelargli che aveva scelto, questa volta definitivamente. Che aveva scelto lui perché l’amava.
Ma che senso aveva ancora l’amore, si chiese, in mezzo a quel massacro, in mezzo a quello sfacelo?
Le sembrava davvero di ucciderlo una seconda volta, povero Shannon, rimarcando col suo amore la distanza invalicabile che ora li divideva. Invalicabile come può essere solo l’abisso che separa la vita dalla morte.
Rispose: - Nulla. Nulla che abbia ancora un senso, adesso.
Non parlarono più, per quella notte. Aisling si strinse a lui per l’ultima volta, per l’ultima volta si perse in quegli occhi azzurro torbido come il cielo d’Irlanda dopo la pioggia.
Non dormirono: il sonno sarebbe stato un lusso impossibile da concedersi. Semplicemente tacquero, abbandonandosi alla violenta risacca dei loro pensieri.
All’alba, quando lui se ne andò, lei fece finta di essere addormentata. L’addio era un dolore insopportabile, al quale entrambi avevano preferito sottrarsi.
Rimase immobile, ad occhi chiusi, accompagnandolo col pensiero lungo le scale e per buona parte del tragitto che conduceva alla stazione.
Aveva sentito da basso la porta chiudersi. Abbi cura di te, disse da sola.
Sul tavolo del soggiorno trovò quella lettera, quella che avrebbe conservato per dieci anni, quella che cominciava con “Mia adorata Aisling”.
L’ultima volta che qualcuno l’avrebbe chiamata a quel modo.
L’ultima volta di tutto.
Era tutto finito, adesso. E, questa volta, per sempre.
 
_________

 
Miei cari!
Scusate se ho impiegato un po’ prima di aggiornare, ma il capitolo ha avuto una stesura “travagliata”. Non mi soddisfaceva e ho apportato diverse modifiche nella struttura. Non ne sono ancora del tutto soddisfatta a dire il vero e devo ammettere che sottoporvelo mi preoccupa un po’. Tuttavia, continuando a procrastinare, si finisce solo per fare modifiche su modifiche senza senso. E quindi…
Non so se il risultato possa sembrarvi decente: mi rimetto alla clemenza della corte ;)
Come sempre un ringraziamento a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite (AlexandraRoses,  Cerridwen Shamrock,  fruttina89, Littlejane, Martina97, Olthir_84, Sereko), tra le ricordate (minimelania) e tra le preferite (piemme).
 
Per quanto riguarda le recensioni:
 
@ Piemme: Carissima, per la questione della “colpa” di cui abbiamo parlato, mi è venuta in mente  una cosa che non ho scritto nella risposta, ma a cui tenevo, perché non ho avuto modo di approfondirla nella storia più di tanto (difatti si trovano solo vari accenni).
 Penso che la colpa che Liam attribuisce ad Aisling non sia di natura storica o politica, che dir si voglia, nel senso che non la ritiene responsabile del loro ingresso nell’Ira e del loro cambiamento. Per quello, immagino valga la responsabilità individuale. Non sono pratica di organizzazioni paramilitari, ma immagino che lui avrebbe potuto uscirne (?) prima che le cose degenerassero, o non entrarvi affatto.
La colpa di cui parla piuttosto è di natura “affettiva”, nel senso che Liam ha continuato a illudersi che se lei l’avesse amato di più, o meglio, probabilmente il loro sentimento sarebbe stato abbastanza forte da contraddire e scacciare l’odio; avrebbe prevalso, forse, più l’amore per lei che quello per le idee. Paradossalmente avrebbe potuto scegliere la strada dell’amore piuttosto che proseguire su quella della violenza. Forse.
Poi è ovvio che è anche un modo per scaricare la coscienza dal peso del suo errore, per quanto non sia giustificabile. Per un poeta sognatore e completamente inadatto alla realtà, il cambiamento è stato radicale ed estraniante.
L’aver lasciato vago questo concetto generico di “colpa” è un po’ una mancanza mia.
Ad ogni modo il giudizio sui personaggi – in particolare su Aisling – non è mio, da autrice, ma è sempre filtrato dal punto di vista degli altri protagonisti.
Scusa per il lungo racconto, ma mi è sempre piaciuto far sapere cosa c’è dietro alla storia e ai personaggi, dal momento che finisco per sapere molte più cose su di loro di quanto, per esigenze narrative, nei capitoli non compaia. E scusa anche se finisco per parlare dei protagonisti con un certo trasporto, in fondo sono sempre mie creature :)
Spero di non averti annoiata. Di nuovo grazie. Un bacione!
 
Un saluto affettuoso a tutti.
Al prossimo capitolo. Sempre vostra,
 
Marguerite.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 13. The Last Truth ***


  Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

Penultimo Capitolo

Capitolo XIII: The Last Truth
 
 
La porta si aprì e la casa fu avvolta da un paio di fresche risate infantili.
- Mamma! Mammina, siamo tornati!- gettata la cartella a terra, il piccolo Tòmas le era corso incontro per abbracciarla.
Aveva nascosto appena in tempo le lettere dentro il libro, anche se nessuno vi avrebbe fatto caso.
Sperò che gli occhi rossi non si notassero troppo, altrimenti avrebbe anche dovuto fingere un principio di un immaginario raffreddore.
- E allora, com’è andata la giornata del mio principino? – gli chiese, sentendosi tornare appena il sorriso, guardandolo.
Sei anni appena compiuti. Il ritratto in sedicesimo di suo marito.
- La maestra mi ha detto che sono il più bravo della classe in matematica.
- Non avevo alcun dubbio – rispose Aisling, strofinando il naso contro quello del suo “principino”.
Chissà da chi l’aveva ereditata la passione per la matematica, in quella famiglia di filosofi.
- Tommy! – una voce di bambina lo richiamò dall’ingresso – Quante volte ti ho detto di non lasciare i libri a terra!
Sulla soglia del soggiorno comparve una ragazzina di una decina d’anni, con le trecce bionde che le cadevano morbide sulle spalle, ancora avvolta in un cappottino rosso.
Sua figlia Saòirse sventolava con aria severa la cartella davanti agli occhi del fratellino.
- Uffa, sono solo libri.
- Non sono solo libri. Sono libri, dovresti esserci affezionato. Ci sono dentro tante storie interessanti.
- Ma a me piace la matematica.
Lei gli rispose con un’eloquente smorfia di disgusto.
- Ciao, mamma. Sai, la maestra mi ha messo dieci nella composizione.
Aisling sorrise di soddisfazione, mentre un brivido l’attraversò incontrando gli occhi azzurri di sua figlia. Quell’azzurro torbido che non avrebbe mai dimenticato.
E una passione ed un talento innato per la scrittura.
- Mamma, perché non dici niente? Non sei contenta?
- Oh, sì: scusami, stavo pensando. Sono davvero orgogliosa di te.  – la baciò su entrambe le guance.
Li abbracciò entrambi, forte, contro il seno e le parve di tornare a vivere. Erano loro la sua ragione per andare avanti. Solo loro e sarebbe stato sufficiente.
Ma adesso, aveva qualcosa da portare a termine, prima. Quella lettera, quella di Pedro Gonzales, che non era riuscita a terminare di leggere, perdendosi nei ricordi, le bruciava ancora tra le mani.
- Gretta! – chiamò la bambinaia che si occupava dei suoi figli, e che era rimasta nell’atrio a togliersi il cappotto – Pensi lei ai bambini. Tra due ore arrivano gli ospiti e loro devono avere già cenato.
- Venite, bambini – li aveva presi per mano – Salutate la mamma, adesso è ora del bagno.
Li guardò salire al piano di sopra, salutando con la mano il piccolo Tòmas che faceva altrettanto.
Tornò al tavolo, spiegando nuovamente quel foglio sgualcito dal viaggio che aveva dovuto affrontare.
 
 
- Pedro… Per me è finita, Pedro. Mantieni fede alla promessa di scriverle, se puoi. Sai, era bella, lei. Più bella di qualunque altra donna abbia mai incontrato. L’ho amata tanto. Ho amato lei sola.
Tutto il resto non ha avuto alcun senso.
- Le scriverò, non preoccuparti. Ma tu resisti. Amico mio, non puoi mollare adesso, adesso che ce l’abbiamo quasi fatta.
- La vittoria del Messico la vedrai solo tu. Sappi che sei stato un caro amico, Pedro.
- Anche tu, Liam. Il migliore che abbia mai avuto.
Liam si morse il labbro inferiore, raccogliendo le forze: - Dille… Dille di Morales. Deve sapere che ho imparato dai miei errori, che all’ultimo ho saputo riscattarmi. Dille che mi perdoni.
- Ma tu non hai nulla da farti perdonare, sei un eroe della rivoluzione.
Scosse la testa: - No, ci sono tante cose che dovrei dirti, ma…
- Non affaticarti. Pensa solo a resistere, ce ne andiamo da qui.
Liam si sfilò l’anello, lo portò alle labbra per baciarlo e lo porse a Pedro: - Fa’in modo che lo abbia lei, di nuovo. Grazie, Pedro.
Gli strinse la mano, in un ultimo contatto umano prima del nulla eterno.
- Grazie a te, Liam.
La presa lentamente si allentò, fino a che la mano di Liam non ricadde, inerte.
Pedro si segnò, scacciando le lacrime e rimase ad ascoltare per un istante il vuoto che gli si agitava dentro.
Non è dato sapere altro sulla fine di Liam Murray.
 
 
“ Senora O’Connor,
le scrivo per conto di una persona che dice di averla conosciuta bene, molti anni fa.
Il mio nome non le dirà nulla. Pur essendo un generale della rivoluzione messicana, Pedro Gonzales non è riuscito a far giungere notizie di sé fino all’Irlanda. Ma di certo ricorderà Liam Murray.
Credo che dobbiate esservi amati molto, per essere stata lei il suo ultimo pensiero, pertanto mi addolora doverle dare notizia della sua morte.
Egli è caduto da grande eroe della rivoluzione, combattendo con coraggio e con spirito di sacrificio per la libertà del popolo messicano.
Solo Dio sa con quale sofferenza ho vissuto questa perdita: Liam è stato uno dei migliori amici che abbia mai avuto.
Prima di lasciare questo mondo è stato lui a chiedermi di inviarle questa lettera per avvertirla della sua scomparsa, pregandola di perdonarlo per questioni che di certo lei saprà e di cui io sono all’oscuro.
Mi ha espressamente chiesto di raccontarle la storia del dottor Morales. Egli era uno dei nostri migliori compagni, che, tuttavia, catturato dai regulares, si è trovato costretto a rivelare i nostri nomi e i nostri piani. Liam avrebbe avuto la possibilità di vendicare il tradimento, ma ha preferito perdonare e lasciarlo in vita. Non so perché tenesse così tanto al fatto che lei venisse a conoscenza di questa vicenda, ad ogni modo mi è sembrato giusto adempiere alle sue volontà.
Credo che volesse permetterle di conservare di lui il ricordo di un uomo capace di riscattare il proprio passato. Era chiaro che portava con sé un peso sulla coscienza, ma non ho mai osato domandargliene spiegazioni né lui ha mai cercato di farlo.
Ci teneva a dirle che era cambiato, che non era l’uomo che aveva conosciuto negli ultimi mesi prima della partenza, che aveva combattuto per questo paese con lo stesso amore con cui aveva combattuto per il proprio. E che, stando così le cose, probabilmente, era la dimostrazione che poteva ancora credere in qualche altro ideale che non fossero la violenza e gli esplosivi.
Diceva sempre: «Quando ho cominciato a usare la dinamite credevo in molte cose, in tutte. Poi ho finito per credere solo nella dinamite». Ma non penso fosse ancora così. Io ritengo fermamente che in lui ci fosse molto di più, un mondo molto più profondo, una fiamma di calore umano che non si era del tutto sopita. Tanto è vero che lei è stata il suo ultimo pensiero, l’unica persona che avrebbe voluto accanto. L’unica che abbia mai amato.
E, con tutto che non so niente di lei, ho conosciuto abbastanza Liam Murray da sapere che era sincero. È morto col suo nome sulle labbra, Aisling, se mi permette di chiamarla a questo modo.
Si è raccomandato di dirle di recuperare una scatola sotterrata sotto le rose bianche del giardino di casa Murray, di aprirla e conservarne il contenuto, nella speranza che serva a conoscerlo davvero per quello che era la sua parte migliore.
Fino all’ultimo ha pensato a lei e, mi creda, mai nella vita ho visto tanta devozione. Non è da tutti, sa, ed io fossi in lei ne sarei orgoglioso.
Qualunque cosa abbia commesso in patria, quello che ha visto e passato qui in Messico sarebbe stato sufficiente a riscattare anche la peggiore delle colpe. Solo il modo in cui è morto, nel tentativo di salvare noi, i suoi  compagni, sarebbe bastato. E glielo dice un uomo che con la rivoluzione ha perduto tutti i suoi figli.
Non si nega una preghiera a nessuno, nemmeno ai nemici, Senora Aisling.
Ora le sue spoglie riposano in suolo messicano, ricordate da tutti noi come le spoglie di un uomo coraggioso, di un eroe. E da me come un caro e sincero amico. Faccia in modo che anche in patria lo siano, portandone intatto nel cuore il ricordo.
Prima o poi si finisce per perdonare, quando si capisce che l’odio genera solo altro odio.
Non sono le parole di una persona colta, le mie, e me ne dispiaccio. Ma sono le parole di chi ha conosciuto la vita e, nonostante tutto, la ama ancora e parla per esperienza.
La saluto caramente e mi stringo a lei in questo momento di dolore.
Generale Pedro Gonzales”
 
Scorse di nuovo con gli occhi il racconto della storia di Morales, come se volesse convincersene. Aveva perdonato, dunque. Non tutto era perduto. Aveva saputo redimersi prima di andarsene.
Le mani le tremarono e la busta della lettera era scivolata a terra con rumore metallico.
La raccolse per rovesciarne il contenuto sul tavolo.
L’anello di Liam rotolò davanti ai suoi occhi per un breve istante.
Lo portò alle labbra, lo baciò, quasi per poter ristabilire un contatto con lui.
Non te ne sei mai separato, gli disse in silenzio mettendosi il claddagh al dito, mi hai amata, allora Liam. Per tutti questi anni hai continuato ad amarmi, come ho fatto io.
Sapevo, sentivo da qualche parte nel mio cuore, che avevi saputo riscattarti. Avrei dovuto seguirti, quella mattina, non lasciarti andare, Liam.
Sarebbe stato tutto diverso. Non ci saremmo perduti.
Sapere che tu hai continuato ad amarmi per tutti questi anni, a pensare a me, a volere che io fossi il tuo ultimo ricordo, mi riempie adesso di uno struggimento profondo.
Rimpiango solo di non averti potuto dire per l’ultima volta che ricambiavo, molto più di quanto tu potessi immaginare. Ma voglio credere che tu lo sapessi, che lo sentissi come lo sentivo io.
Voglio crederlo, altrimenti non avrei pace.
Forse, col tempo, riuscirò a rassegnarmi della tua perdita, forse riuscirò a pensare a te con serena malinconia. Riuscirò a ricordare di te, di me e di Shannon soltanto i ricordi che ci hanno visti felici e cancellare la tragedia che ci ha distrutti.
Voglio immaginarti così, Liam Murray, come l’uomo che ha saputo, dopo la sua discesa agli inferi, ritrovare se stesso. Come l’uomo di cui mi ha parlato Gonzales, che ha trovato in Messico la sua pace e il suo riscatto.
Voglio pensare che non avevi perduto del tutto il significato degli affetti, dell’amicizia e della pietà.
E voglio continuare ad amarti, Liam, finché avrò vita. Nella mia mente e nel mio cuore, in silenzio, in segreto, ma per sempre.
E a pregare Dio che ci conceda un’altra possibilità, di ritrovarci, un giorno, quando dovrà accadere.
Anche se non lo credo, Liam. Dopo questa vita non vi è nulla. E proprio per questo dovrei cominciare ad amarla di nuovo, per noi, per il nostro sentimento. Se me ne vado io, cosa resterà di questo amore, Liam?
E per i miei figli, che meritano di essere felici, che sono l’unica cosa che mi rende felice.
Guardò l’orologio: le sei.
Aveva tempo, forse, di tornare alla casa dei Murray.
Sulla porta si scontrò con suo marito che rientrava in quel momento.
- Kathleen, stai uscendo a quest’ora? – lui aveva posato il cappello e la valigetta, osservandola con aria scettica – Gli ospiti saranno qui alle otto.
- Ho da fare una cosa importante, ma non mi ci vorrà molto. – rispose lei, cercando di non far notare sul suo viso i segni delle ultime lacrime.
- Kathleen? – rimase in attesa di una spiegazione, che non arrivò – Kathleen, cosa è successo? Kathleen, vuoi rispondermi?
- Liam Murray è morto. L’ho saputo oggi per lettera. – comunicò in un soffio.
Lui sapeva tutto, l’aveva sempre saputo. Era stato un matrimonio di convenienza, non c’era stato bisogno di nascondergli che l’amore, lei, l’aveva trovato altrove.
- Mi dispiace. – aggiunse Oscar, senza sapere veramente cosa dire – Mi dispiace, sapevo quanto contasse per te.
- Grazie. – c’era una certa formalità nel suo tono.
Si chiuse la porta alle spalle.
 
Casa Murray era rimasta disabitata da almeno due anni, da quando era morto James.
Fino alla fine aveva atteso il ritorno di suo figlio, rifiutandosi di lasciare Dublino e quella villa che parlava di lui e della amatissima moglie, nonostante il dolore causatogli dalla permanenza in quei luoghi.
Eppoi se n’era andato, consumato dalle troppe sofferenze.
Per quanto abitassero nella stessa città, non l’aveva più rivisto da allora, come se vi fosse stato tra loro un tacito accordo di non rivangare vecchi ricordi. Come non aveva più incontrato i Donovan. Da quanto ne sapeva si erano trasferiti quasi subito dopo la morte di Shannon, per lasciarsi alle spalle la tragedia il prima possibile, anche se non vi sarebbero mai riusciti.
Lei, dal canto suo, non aveva nemmeno più messo piede nella casa di Henrietta Street, da quando si era sposata. In quelle stanze vivevano ancora sospese nell’aria le immagini di quell’ultima notte, troppo difficili d affrontare. Era rimasto solo Patrik, da quando suo padre era in Svizzera. Era stato lui a spedirle quella lettera di Gonzales che era arrivata al vecchio indirizzo, l’unico di cui Liam aveva memoria.
Non era rimasto molto, del loro passato.
Le si strinse il cuore quando vide il giardino, un tempo orgoglio di Gobnait, ridotto ad un cumulo sterile di sterpaglie.
Poi un rumore la fece trasalire, assieme all’andirivieni di alcuni operai che trasferivano dei mobili dentro casa.
Una donna giovane, avrà avuto la sua età, si affacciò sulla porta d’ingresso.
- Buongiorno, è venuta per la casa? Mi spiace, l’abbiamo comprata noi la settimana scorsa, ma abbiamo dimenticato di togliere il cartello.
Uscì per aprirle il cancello e stringerle la mano, con cordialità.
- No, non è per la casa. A dire il vero non sapevo nemmeno fosse in vendita. Mi chiamo Kathleen O’Connor e sono… ero un’amica della famiglia Murray che abitava qui, anni fa.
- Mi rincresce, se li cerca non so come aiutarla. Ci siamo appena trasferiti da Galway e, purtroppo, in città non conosciamo nessuno.
- Non è rimasto più nessuno. – disse in un soffio – Ma mi è stato chiesto di recuperare una cosa che è rimasta qui. – indicò il punto in cui, prima, cresceva rigoglioso il rosaio bianco.
- Qui? – la donna sembrava non capire – Intende, sottoterra?
Aisling annuì: - Posso? È molto importante per me.
- Prego. – chiamò a gran voce il marito ed il figlio: - Qualcuno può portare una pala ed aiutare questa signora?
Approfittò del tempo che precedette il loro arrivo per presentarsi. Aveva un volto solare e modi gentili, un bel bambino pressoché coetaneo di Saòirse e un marito cortese. Niente di troppo diverso da lei.
Attese che dalla terra emerse la scatola di latta, arrugginita e sporca di terra, ma ancora ben conservata.
Maureen, la padrona di casa, rimase a guardarla sorpresa. Tutto quel disturbo per una scatola di latta. Poi lesse negli occhi di lei una pena antica e profonda, che la fece pentire della propria frivola curiosità.
- Mi posso permettere, Kathleen? Qualcosa non va? – le chiese, appoggiandole una mano sulla spalla.
- Le persone a cui è appartenuta non ci sono più. E sono state, per me, tra le più importanti che abbia mai incontrato. – le rispose, con quella confidenza che si può, a volte, accordare solo a un estraneo che si è convinti di non vedere più.
- Siamo stati ragazzi insieme e… - aveva voglia di raccontarsi, di rivelare a qualcuno quella storia da cima a fondo, come non aveva mai fatto, ma non osava.
- Vuole entrare? La casa è in disordine, ma posso offrirle un tè.
- Davvero? Grazie, perché no .
Le aveva detto tutto, non sapeva nemmeno lei per quale motivo, per la confidenza che talvolta nasce tra le persone, senza che si possa rendersene conto.
Tutto, fin dal principio, aiutata dai ricordi che aveva trovato nella scatola.
E, alla fine, si erano commosse entrambe.
- Posso… posso tornare, qualche volta, Maureen?
- Ogni volta che vorrà. – rispose l’altra, stringendole la mano.
- E anche lei verrà a farmi visita, non è vero? Non vorrei essere stata invadente ma era tanto, troppo tempo che mi tenevo tutto dentro. – ammise in un soffio, asciugandosi furtivamente una lacrima.
- Vorrei poter fare qualcosa, Kathleen.
- Ha già fatto molto, molto di più di quanto crede. Grazie.
- Dev’essere stato un amore molto forte, il vostro. Mi creda, lui sapeva. Quando il sentimento è così forte, nemmeno la lontananza può affievolirlo. Ma ora deve tentare di ripartire daccapo. Non sono nessuno, si può dire che non la conosca, forse non ho nemmeno il diritto di darle questo consiglio: viva, Kathleen. Si sforzi di vivere, per se stessa, per lui e per i suoi figli.
Annuì dolorosamente.
Si avviò verso casa, stringendo al petto la vecchia scatola.
Fra i fogli, le fotografie e altri oggetti, uno l’aveva particolarmente turbata. Un appunto ingiallito di Liam, diciannovenne, su un pezzo di carta.
Una frase appena.
“Vorrei poter arrivare alla fine e dire, come Tosca: vissi d’arte e vissi d’amore”.
Non è andata così, Liam. Per qualche oscura ragione non è potuta andare così.
Ma vivrai per sempre, nel ricordo di chi ti ha conosciuto per mezzo della tua arte, e nel mio ricordo per mezzo del nostro amore.
 
 _______________

 
Mie care!!!
Siamo arrivati al penultimo capitolo e comincio a sentire la nostalgia da fine storia.
Vi do appuntamento prestissimo per l’epilogo e per sciogliere l’ultimo, piccolo mistero del racconto, ovvero quella bambina con gli occhi color azzurro torbido.
Anzi, dato che mi toccherà farmi il sabato in casa per questa settimana, mi sa che potrei mettermi a scriverlo già da stasera. Ma voi, mi raccomando, godetevi il weekend e divertitevi ;)
Per il resto, vi ringrazio di cuore come sempre.
Un bacione, vostra
 
Marguerite

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Epilogo - Saòirse ***


 Cuimhnì na Eirinn
Editor fotografico online

 Ultimo capitolo – Credits e Ringraziamenti alla fine
 
Epilogo: Saòirse

 
- Non scenderò, questa sera, per cena. Cerca di capirmi, Oscar – gli aveva detto appena rientrata – Inventa una scusa e dì agli ospiti di perdonarmi.
- Kathleen, ma loro contavano proprio sul tuo parere a proposito di quel saggio sulla filosofia kantiana.
- La filosofia kantiana! È morto l’unico uomo che ho amato, Oscar, come puoi pensare che davvero m’importi qualcosa di Kant e dei tuoi amici?
- Io credevo che tu fossi contenta di tornare nell’ambiente. Erano mesi che studiavi con passione: sembravi serena, da un po’ di tempo.
- Già, sembravo. Ma non lo ero. È inutile negarlo, ci siamo sposati per convenienza. Ho amato Murray e, a parte lui e Donovan, non vi è mai stata altra felicità per me.
- Hai ragione, hai ragione, scusami. Sono stato superficiale. Non so pensare ad altro che al mio lavoro e non ti ho capita mai, Kathleen. Ma a modo mio ti voglio bene, ti sono affezionato e mi addolora quello che è successo.
- No, Oscar, sono io a dovermi scusare. Dopotutto, sei stato un buon marito e un ottimo padre. Non è colpa tua – infilò le scale.
Aveva sposato Oscar nel settembre del ’19.
Poche settimane dopo la partenza di Liam, aveva scoperto di essere incinta, senza sapere esattamente quale dei due, se Liam o Shannon, fosse il padre del bambino.
Ad ogni modo, l’avrebbe dovuto crescere da sola. Si era aggrappata con ogni sua forza a quella creatura non ancora nata, perché era tutto quanto le rimanesse di loro, tutto quanto la facesse sentire ancora in vita.
Nel frattempo, aveva cominciato a frequentare la loro casa un giovane professore, Oscar O’Toole, che stava aiutando suo padre per alcune ricerche storiche riguardo alla filosofia europea del rinascimento. Lei non aveva dimostrato particolare interesse nei suoi confronti, al contrario di Oscar, che da subito era rimasto affascinato da quella fanciulla bella e triste, irraggiungibile, nonostante non fosse che l’ombra della donna che era stata.
Aveva chiesto la sua mano dopo un paio di mesi, dicendole francamente che era più interessato a legare il proprio nome a quello degli O’Connor che a sposare lei. Venerava suo padre come un maestro e si augurava, con quelle nozze, di poterne un giorno prendere il posto.
Per sdebitarsi del favore e del fatto che lei, col suo sì, gli avrebbe aperto le porte dei più illustri salotti intellettuali, lui si sarebbe preso cura del bambino come fosse stato suo, senza chiederle mai nulla in proposito.
Aveva accettato, alla fine, e tutto sommato non si poteva dire che non ci fosse stato dell’affetto tra loro. Dopo quattro anni avevano avuto anche un figlio, nella speranza di dare a quel matrimonio anche una parvenza d’amore. Se c’era qualcosa di cui non poteva accusarlo, era proprio di aver fatto differenze o di aver amato in modo diverso Saòirse e Tòmas.
Per il resto, Oscar era sempre stato un tiepido indipendentista e lei, con un figlio appena nato, aveva passato i due anni seguenti – quelli del ’20 e del ’21 – soltanto a scrivere articoli da far circolare nell’organizzazione o a nascondere in casa loro qualche rivoluzionario.
E così la guerra d’indipendenza era scivolata via davanti ai suoi occhi, senza che lei potesse o volesse far nulla. Pian piano, tutto quello che era, tutto quello che credeva importante, si era sgretolato ed era scivolato via assieme ai sogni, alla filosofia e al resto. I suoi giorni erano andati consumandosi, senza che ne tenesse il conto, dato che erano tutti uguali.
Il tempo dei sogni era finito. Forse era finita ogni cosa.
 
Un colpo leggero alla porta della propria stanza la fece sussultare.
- Posso entrare, mamma? – Saòirse si era affacciata con titubanza – Va tutto bene?
- Tutto bene? Oh sì, cara, va tutto bene.
Lei la guardò scettica, con quei suoi occhi azzurro torbido. Se per lungo tempo si era interrogata sulla paternità di sua figlia, da alcuni anni ormai non aveva più dubbi. Quegli occhi, i suoi, non le lasciavano dubbi. Da Liam aveva ereditato anche il biondo cenere dei capelli e l’amore per la scrittura.
Lei era la cosa più bella che egli le aveva lasciato. Non era sola, non quanto avesse creduto dall’alto del suo rimpianto. Non era sola: Saòirse e Tòmas sarebbero stati la ragione più importante per vivere. Doveva tentare di essere di nuovo felice: non lo sarebbe stata come allora, ma forse in modo diverso sì. Per loro aveva il dovere di andare avanti.
Aveva perduto Liam e Shannon: il tempo di amare, di amare con quello specifico significato, se n’era andato. Ma non era finito l’amore, non ancora.
Erin era libera, quasi completamente, gran parte dei suoi sogni erano arrivati al capolinea. Ma il cammino per l’unità era ancora lungo: non avrebbe dovuto smettere di credere nella possibilità di dare ai suoi figli un mondo diverso dai tempi violenti che avevano visto loro.
La sua battaglia avrebbe dovuto seguire altre strade, quelle della giustizia e dei diritti e non più quella della violenza. Doveva ripartire, adesso. I suoi bambini meritavano un avvenire, non dovevano passare ciò che avevano passato loro.
Per questo l’aveva chiamata Saòirse, perché lei sarebbe stata la sua speranza di libertà. Saòirse, come sarebbe piaciuto a Liam.
- Vieni qui – disse a sua figlia, facendola sedere accanto a lei, sul proprio letto, ed abbracciandola forte.
- Cosa succede, mamma? Perché non sei alla cena?
- Ho ricevuto una brutta notizia, bambina mia. Una lettera mi ha avvertita che è morto un carissimo amico. Si chiamava Liam Murray, siamo stati giovani assieme. Ci siamo voluti molto bene,  eravamo poco più che ragazzi, allora.
Trasse una fotografia dalla scatola di latta.
Saòirse guardò senza capire quell’anello che non ricordava d’aver mai visto al dito di sua madre.
- Guarda – le indicò, con le mani che le tremavano, l’immagine di quei due giovanotti non ancora ventenni – Liam è quello di sinistra.
- Era carino  -sorrise lei, con quella sua infantile dolcezza – E l’altro?
- Shannon. Era Shannon, il nostro più caro amico. Anche lui, purtroppo, non c’è più da quasi dieci anni. Con Liam ci eravamo persi di vista e non credevo certo che… - sospirò con amarezza.
- Mi parlerai di lui, un giorno?
 
Sì, Liam, le parlerò di te, un giorno. Quando sarà donna, le dirò che eri suo padre, ne ha il diritto. Lo stesso diritto che avresti avuto tu. E, invece, non hai sentito le sue prime parole, i suoi primi passi per la casa. Non la vedrai crescere, diventare una scrittrice come te, non la vedrai innamorarsi, non le asciugherai le lacrime quando un ragazzino che non la merita le spezzerà il cuore. Non l’hai potuta conoscere, Liam. Non hai potuto sapere quanto ti assomiglia, quanto è bella e straordinaria nostra figlia. Saresti stato un buon padre, tu. Amavi i bambini, li chiamavi il nostro futuro, il futuro di Erin.
Ma lei saprà di te, Liam. Non verrà mai a conoscenza degli ultimi mesi che hanno sconvolto la nostra vita. O forse sì, perchè tutti sbagliano, Liam Murray, ma sono in pochi quelli capaci di imparare e riscattarsi dai propri errori.
Le racconterò che sei caduto combattendo coraggiosamente per il Messico. Le racconterò del tuo talento, della tua generosità, del tuo idealismo e della tua poesia.
Le parlerò di te e di Shannon, della vostra amicizia e del sentimento meraviglioso che vi ha legati. E del nostro amore, perché sappia da quale affetto alto, forte e puro è nata lei.
Dei nostri giorni di primavera, che profumavano di felicità, di una passeggiata nel parco una notte di marzo, del cielo quando aveva il colore dei tuoi occhi, dell’avvenire ancora da percorrere, come la strada che avevamo davanti alla nostra automobile. E del senso, ancora perfetto e intatto, della vita, allora.
Una lacrima le rigò il viso. Strinse al seno la testa bionda di Saòirse e la baciò a lungo.
La vita, Saòirse! C’è ancora vita, tu sei la vita, Saòirse. Ed io devo vivere, per te, per far volare i tuoi sogni, mia amata bambina. Per tuo padre e per il nostro amore.
Tornerà la vita in me, Liam, e i sogni, la voglia di continuare a credere e a sognare, per nostra figlia. Per lei. L’amore cancellerà la violenza che c’è stata. Ho scelto l’amore, adesso.
E finirà questa maledetta notte.
Sì, io le racconterò di te, di noi, di Shannon, un giorno. Le racconterò di una gita all’Howth Castle, quando l’estate portava con sé la gioventù, l’amore, l’idealismo e l’amicizia. Quando io correvo, facendo sventolare il cappello e ancora ridevo, ridevo, come solo allora ho fatto. E voi eravate felici e ridevate e m’inseguivate nel verde dei prati della nostra Erin.
Questo le dirò, amore mio.
Questo le dirò e tante altre cose che conserverò per sempre nel cuore come i migliori dei nostri giorni. Come i migliori di questi nostri antichi ricordi irlandesi.
 

Fine

 
Credits:
 
Con le opportune modifiche di nomi, luoghi, personaggi e vicende, l’ispirazione generale per questa storia è nata dalla visione di un film: “Giù la testa” di Sergio Leone.
Tutto il resto, invece, è colpa mia!
Volevo inserire un paio di fotogrammi di alcune scene, ma con l’html sono un caso disperato, anche al liceo prendevo sempre 4 in informatica ;)
Accontentiamoci dei link, abbiate pietà di me :)
 
La gita in automobile
http://img46.imageshack.us/img46/5456/pdvd000f.png
 
La corsa all’Howth Castle
http://img51.imageshack.us/img51/702/pdvd003da.png
 
 
Ringraziamenti:
 
Ecco, siamo arrivati alla fine… Non so mai cosa dire in questi casi, se non ringraziarvi davvero di cuore, infinitamente, per il tempo che mi avete dedicato. Un enorme grazie a tutti voi, dai recensori, ai lettori abituali fino a quelli di passaggio.
Se, adesso che siamo arrivati al capolinea, volete lasciarmi due parole di recensione, sarà mia premura rispondervi. Altrimenti, ci si rincontra e rilegge in giro ;)
Spero di non avervi annoiato ed essere riuscita a regalarvi qualche emozione. Se dovessi esserci riuscita, per me sarebbe la più grande delle soddisfazioni.
Un bacione grande, sempre vostra
 
Marguerite.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=652724