Timeless Light

di MeggyElric___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO: Tuffo nella Memoria [parte 1] ***
Capitolo 2: *** PROLOGO: Tuffo nella Memoria [parte 2] ***
Capitolo 3: *** PROLOGO: Tuffo nella Memoria [parte 3] ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 1: Le fiamme dell'Oscurità ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 2: L'alba del nuovo Futuro ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 3: Il mio Migliore Amico ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 4: Riflessi d'un Ricordo negato ***



Capitolo 1
*** PROLOGO: Tuffo nella Memoria [parte 1] ***


Inizio col salutarvi tutti e ringraziarvi enormemente per aver seguito il prequel di questa storia. Per chi non lo conoscesse, il titolo è “GOLD IN THE BLUE”, probabilmente conviene leggere prima quella, tanto per rimanere un attimo a passo con il racconto, ma questa è una decisione vostra.

Sono tornata alcuni mesi più tardi dalla conclusione della mia prima storia sperando con tutto il cuore di riuscire a coinvolgervi e a emozionarvi con le mie parole, nelle quali ho messo tutto l’impegno possibile.

Bene, inizio col spiegare alcune cose. “Timeless Light”, ossia questa mia nuova fanfiction, è strutturata in modo diverso da quella precedente, ora mi spiego meglio. La trama è, come dire, intrecciata, passato e presente si mescolano con giochi di flashback e frammenti di ricordo, così da creare una specie di continui lampi di luce, idee improvvise o ricordi offuscati. Inoltre, appaiono alcuni nuovi personaggi, che conosceremo capitolo per capitolo.

Se riesco – cosa assai improbabile – posterò un capitolo alla settimana, molto probabilmente il lunedì attorno alle 18.00.

Ringrazio tutti nuovamente e vi lasco alla mia nuova storia. Un bacio!

 

 

 

Timeless Light

PROLOGO: TUFFO NELLA MEMORIA (PARTE 1)

Bianco. Candore, purezza, gelo. Così, con quest’atmosfera così insolita, si presentava la piccola cittadina di Resembool, persa tra le campagne, la sera del 12 gennaio 1923. La neve polare aveva imbiancato ogni più misero centimetro del paesello, come se ogni debole filo d’erba fosse stato imprigionato in una fredda morsa dai chiari toni.

Era così strano che a Resembool nevicasse, data la posizione geografica e l’aria mite che aleggiava tra campi e vasti prati. Eppure, quella sera, tutto sembrava essersi fermato, per lasciar spazio alla prima inaspettata nevicata degli ultimi quattro anni.

Edward posò una mano sul vetro ghiacciato della finestra, lasciando come traccia moltissime minuscole goccioline di condensa. Batté le palpebre, seguendo con estrema attenzione la danza delicata di un piccolo fiocco di neve, che volteggiava appena al di fuori di quella sottile barriera di vetro. Rimase incantato da tanta purezza, rilasciata da un così minuto oggetto.

Si allontanò di pochi passi dal vetro, dando un ultimo fugace sguardo al calendario e seguendo con gli occhi d’oro la grande scritta sul primo foglio, impressa con un inchiostro nero.

Sorrise, schiudendo le labbra sottili, incorniciate appena da qualche accenno di barba, che doveva aver rasato da poco.

Quant’era mutata la sua vita, nel corso di quegli anni. Ad Amestris regnava la pace, salvo qualche rara e fievole insurrezione ai confini, causata dagli attacchi esterni. Eppure, il passato continuava a infierire nella sua mente, chissà per quale motivo.

Si strinse, rabbrividendo, nella vecchia palandrana rossa – ultima traccia delle sue memorie – chiedendosi per quale ragione non avesse ancora gettato quel panno logoro e malandato. Si colpì la fronte con leggerezza, dandosi mentalmente dell’idiota, per aver pensato anche un solo secondo di sbarazzarsi della sua amata compagna di mille avventure.

Scosse la lucente massa di capelli aurei, che crescevano sempre più. Cominciavano a essere leggermente fastidiosi, ma sapeva che, se mai li avesse tagliati, avrebbe dovuto subire le violente ire di una meccanica in particolare. A dire il vero, si era anche concesso qualche spuntatina – rigorosamente di nascosto – altrimenti, in quel momento, avrebbe dovuto far attenzione a non inciamparvi sopra. Ok, forse stava un tantinello esagerando. I ciuffi color del grano gli arrivavano a metà schiena e a Winry ciò sembrava bastare, per fortuna.

Si avvicinò a passi lenti al caminetto, gettandovi all’interno alcuni ceppi di legno secco. Al contatto con il fuoco, il legname produsse un crepitio secco e non faticò affatto ad incendiarsi.

Edward allungò le mani verso quella luminosità, riscaldandole beatamente. Le ritirò improvvisamente, riconoscendo in quelle fiamme e in quella luce un pensiero che lo infastidì parecchio.

Roy Mustang e l’alchimia, due presenze fisse nel suo passato.

Due presenze che, alla luce di quello che sarebbe successo in futuro, avrebbe fatto meglio a non dimenticare.

Seguì il movimento danzante delle lingue di fuoco, osservando ogni più misero gioco di luci e di ombre che riusciva a plasmare quella piccola e luminescente forma di calore. Lo scoppiettare allegro del fuoco era l’unico rumore che animava la stanza e la sua mente, facendolo scivolare nell’oblio dei ricordi del passato.

Gli occhi dorati, luminosi, riflettevano quel tiepido lume, parendo ancor più preziosi del semplice anello d’oro che ornava da ormai più di due anni il suo anulare sinistro. L’osservò, rigirandolo sotto lo sguardo.

Sorrise dolcemente, sospirando appena e spostandosi con naturalezza un ciuffo di capelli all’indietro. Ancora, da quel giorno ormai lontano, nella sua mente vibrava un quesito, e lui ancora non era certo d’averne trovato la risposta.

Che fosse tutto un sogno?

Tese le orecchie, udendo un altro debole suono farsi sempre più vicino. Il cuore dell’ex alchimista d’acciaio aumentò il battito, riconoscendo in quel soffice rumore la risposta a ogni suo più piccolo dubbio. Sorrise, di nuovo, socchiudendo le palpebre, e godendosi quello scalpiccio tenero e infantile, che rievocava alla sua mente preziose immagini dai contorni dorati.

Si chinò lentamente e accolse tra le braccia forti quella piccola creatura, che aveva teso le manine insicure verso di lui. Affondò il naso nei soffici filamenti che imperlavano la testina bionda, percependo in essi un rincuorante profumo di famiglia.

Allontanò il viso, scostandosi appena, ma sempre tenendo ben saldo il piccolo con le mani. Incontrò gli occhi puri e innocenti del suo bambino, così preziosi e rilucenti d’oro splendente che non poté non riconoscere nei suoi.

Strinse al petto il piccolo, cullandolo appena, senza mostrare però troppa enfasi. Se qualcuno l’avesse visto in quel momento, così preso e totalmente dipendente da quel bambino, gli avrebbe di sicuro appioppato il termine “sentimentalone” – appellativo comunque per nulla appropriato al suo modo di fare, a detta sua – e lui si sarebbe ovviamente offeso, scatenando un putiferio.

Eppure, non sapeva perché, né come, ma ogni volta che incontrava quel piccolo sguardo – era anche il suo, quello di Al, quello di loro padre – qualcosa si muoveva dentro di lui. Era una sensazione diversa, sconosciuta, ma incredibilmente piacevole.

Era come se, da due anni a quella parte, quel bambino, suo figlio, fosse improvvisamente diventato il centro di tutti i suoi pensieri, la stella più luminosa di tutto il suo piccolo mondo.

Deglutì, tentando di calmare il palpito insistente del suo cuore, veloce e ritmato come il battito delle ali di un colibrì. Inspirò nuovamente il profumo che emanava quella creatura, talmente piccola e fragile da non sembrare nemmeno reale, ma solamente una luminosa allucinazione derivata da anni di profonde ferite nel cuore.

Il piccolo stirò le braccine, assonnato, giocherellando con i ciuffi ribelli che già solleticavano la fronte di suo padre.

-          Papà.

Sussurrò il bambino, tra uno sbadiglio e l’altro. Edward, con un sorriso colmo d’emozione, abbassò lo sguardo, fino a trovare quello del figlio. Un rivolo d’aria sfuggì dalle sue labbra, rendendosi conto di non essere affatto sorpreso della sensazione che lo aveva abbracciato, quando aveva incontrato quegli occhi vispi. Quel bambino, sembrava riflettere la sua figura come la superficie lucida di uno specchio. Era lui. Un lui ovviamente più piccolo, che ancora non riusciva a parlare correttamente, ma pur sempre lui.

Si era soffermato molto su quel particolare, osservando le foto che lo ritraevano da bambino, quelle che la zia Pinako custodiva sulla bacheca della sua casa.

-          Che cosa c’è, Daniel?

Rispose l’ex alchimista, un po’ titubante. Si sedette a terra, reggendo comunque tra le braccia il bambino, che nel frattempo aveva afferrato con la manina un lembo della vecchia palandrana rossa.

-          La mamma.

-          La mamma? Che cos’ha combinato la mamma?

Chiese Edward, canzonatorio, scompigliando giocosamente i capelli del figlio. Nonostante tutto, si guardò intorno, facendo scattare lo sguardo da un lato all’altro della stanza, ma della moglie non vi era traccia. S’incupì un po’, forse leggermente preoccupato. Deglutì e scosse la testa, cercando di spazzare via dalla sua mente le immagini della prima gravidanza di Winry.

Non che fosse successo qualcosa di grave, ma il ricordo del travaglio e dopo del parto – e soprattutto delle urla della povera ragazza – risuonò nella mente dell’ex alchimista come l’assordante e monotona sirena di un allarme, agitandolo non poco.

-          Winry?

La chiamò, allarmato, cercandola nuovamente con gli occhi. Vide una scia color miele spuntare da dietro il muro che dava sulle scale. Chiuse gli occhi e sospirò, rassicurato dal volto divertito della moglie dagli occhi color del cielo.

-          La mamma sta bene.

Si limitò a dire lei, raggiungendoli e sedendosi sul divano a pochi passi da loro. Socchiuse le palpebre inviando dolci occhiate al pancione rotondo che portava ormai da otto mesi. Lentamente, vi passò sopra la mano destra, accarezzandolo, raggiunta poi dalla sinistra, che compì lo stesso gesto.

L’ex alchimista arrossì di botto, meravigliato da quella scena. Sorrise beatamente, mentre la sua attenzione tornava a concentrarsi sul biondino che teneva in braccio, il quale sembrava essere veramente interessato a quel panno ormai antico color vermiglio acceso.

-          Dani?

Lo chiamò, squadrandolo con aria truce. Il bambino alzò lo sguardo d’oro, per poi sorridere in modo fin troppo innocente al padre, che già aveva alzato un sopracciglio, confuso.

-          Sì?

-          Che cosa volevi dire prima della mamma?

Daniel alzò un attimo lo sguardo, come a recuperare un pensiero ormai accantonato in un angolo della sua mente. Posò le mani a terra, scendendo dalle gambe di Edward, che seguiva ogni suo movimento incuriosendosi sempre più. Gattonò per alcuni metri, per poi alzarsi in piedi e proseguire con qualche difficoltà verso l’altro lato della stanza, dove si trovava una delle sue “ceste dei giochi”.

Winry voltò la testa, assicurandosi che suo figlio non combinasse qualche marachella. Il biondino, per nulla infastidito dagli sguardi inquisitori dei genitori, si chinò ad aprire la cesta, estraendone un pallone di cuoio dall’aspetto trasandato, forse consumato dall’estate passata a rotolare tra le colline del paese.

Lo trattenne tra le mani a fatica, tentando di fare qualche passo, ma trovò l’impresa troppo ardua da portare a termine. Con un leggero sbuffo, posò il pallone a terra, spingendolo un po’ con le mani, un po’ con i piedi, fino a raggiungere nuovamente l’ex alchimista. Edward l’osservò, inclinando la testa.

-          Ecco.

Sbuffò il bambino, sedendosi a terra accanto al suo giocattolo, producendo in piccolo tonfo. Guardò suo padre per qualche istante, poi tornò a concentrarsi sulla sua palla. Era un regalo di compleanno che lo zio Alphonse gli aveva porto qualche mese prima, invitandolo a non farsi male, mentre ci giocava. Lo ricordava distintamente. Eppure, in quel momento, quel pallone gli pareva tutt’altro rispetto a un gioco potenzialmente pericoloso.

-          Papà?

Lo richiamò, tirandogli un ciuffo di capelli. Edward grugnì sommessamente, alzando gli occhi al cielo, per poi sorridere, pronto ad ascoltare le parole del figlio.

Winry lo incenerì con lo sguardo, mormorando qualcosa sulla “calma verso i figli”. Lui era calmo. Perfettamente. Non avrebbe avuto alcun motivo per essere agitato, in fondo, Daniel non lo aveva ancora chiamato nano. Deglutì, dandosi mentalmente dell’idiota. Winry ridacchiò, avendo intuito i pensieri contorti del marito. Schiuse le labbra in un sorriso colmo di serenità, sussurrando una piccola parola. “Fagiolino”.

Eh no, adesso basta. Lui non era basso. O almeno, non lo era più.

“Prendi e incassa, Winry. Questa me la paghi.”

-          Papà??

Lo chiamò ancora il piccolo, strattonando – questa volta – la palandrana, con una forza e una determinazione che un altro qualsiasi bambino della sua età avrebbe solamente potuto sognarsi. L’ex alchimista si vide costretto ad assecondare i desideri del figlio ed ad ascoltare ciò che aveva da dire.

-          Sì?

-          La mamma.

Disse Daniel, indicando la madre con l’indice della mano destra. Winry inclinò la testa, incuriosita. Pochi istanti dopo, il bambino additò invece il pallone. Sul volto di Edward apparvero i primi segni di una risata rinchiusa e poi ingoiata, trattenuta al limite dello sforzo.

-          Perché la mamma ha mangiato una palla?

Edward si lasciò scappare una risata sguaiata, scompigliando con una mano i capelli del figlio, come a premiarlo per quell’affermazione. Daniel, perplesso, sbatté un paio di volte le palpebre. Sentendosi preso in giro, il piccolo si rattristò e sulle estremità dei suoi occhi d’oro puro comparvero grappoli di lacrime cristalline.

Winry, dapprima divertita dall’accaduto, si alzò dal divano con uno scatto felino non appena vide il pianto farsi strada nello sguardo del biondino. Afferrò la chiave inglese, che si trovava da chissà quanto tempo posata sul tavolino di legno intarsiato accanto al divano e la lanciò senza tanti complimenti sulla testa del povero ex alchimista, che stroncò la sua risata e si afflosciò a terra apparentemente privo di sensi.

-          Sei un idiota!

Lo ammonì Winry, correndo a soccorrere Daniel, che si sfregava gli occhi umidi con le manine strette a pugno. Edward si alzò dolorante, massaggiandosi con la mano destra il grosso bernoccolo che quel dannato arnese gli aveva provocato.

-          Winry, sei impazzita per caso?

Sbraitò, tornato improvvisamente in salute, voltando la testa da un altro lato con fare stizzito. Winry, con in braccio il piccolo, gli si avvicinò pericolosamente. L’ex alchimista indietreggiò poco sul pavimento.

-          Sei un insensibile, Ed.

-          Che cosa? Perché?

-          Ma non hai visto? L’hai fatto piangere!

-          Ma che dici?

-          Potevi non metterti a ridere così! Poverino, ci è rimasto male!

-          Ma hai sentito che ha detto!

-          Certo! Ti ricordo che ha due anni, Ed. Non può sapere come...

-          ... Oh, già. Hai ragione.

Ammise Edward, alzandosi da terra e raggiungendo il piccolo tra le braccia della mamma. Portò una mano verso una lacrimuccia, che si apprestava a scendere dalla guancia paonazza del bambino e l’asciugò. Daniel tirò su con il naso, facendo vibrare le labbra.

-          Scusami, piccolo.

Sussurrò Ed, sfiorando la punta del naso del figlio con quella del suo. Daniel smise di piangere e posò una manina sulla guancia del suo papà. Edward fu scosso da miliardi di brividi ed emozioni diverse.

-          Avevi ragione. La mamma sembra proprio un pallone.

-          Edward!

-          Hey, non contestare le sagge parole di tuo figlio.

-          Umph. Sei impossibile.

-          Lo so.

Disse l’ex alchimista, avvicinandosi questa volta al viso della sua meccanica di fiducia. Arrivò a pochi millimetri dalle sue labbra, socchiudendo gli occhi. Winry sospirò, colta da un’ondata di sensazioni che le fecero battere il cuore.

Con il suo respiro sulle labbra, Edward concluse il suo discorso, abbozzando un sorrisetto compiaciuto.

-          Ed è per questo che sei innamorata di me.

Mormorò, prima di azzerare la già inesistente distanza che li divideva con un bacio dolce, uno di quei baci che le riservava solo in alcuni momenti, quando erano soli, quando aveva bisogno veramente di averla tutta per sé.

-          Continuo a chiedermi come tu riesca a zittirmi ogni maledetta volta.

Edward sogghignò dolcemente, rubando il figlio dalle braccia della moglie. Lo strinse un po’ al petto, sedendosi sul divano. Winry lo imitò ritrovandosi nuovamente accanto a lui. Daniel si arrampicò sulle braccia di Ed, raggiungendo il pancione della madre.

-          Ma...

Cominciò, mordicchiandosi le labbra.

-          Io posso giocare anche con questo pallone?

Winry si lasciò sfuggire un risolino dolce, intenerita dalla pura ingenuità di quel bambino così meravigliosamente simile al suo papà.

-          No, piccolo.

Gli disse semplicemente, accarezzandogli la testolina bionda. Il bambino assunse un’espressione dapprima pensosa, successivamente sempre più abbattuta.

-          Perché?

-          Perché questo non è un pallone. Qui dentro c’è la tua sorellina.

Gli occhi di Daniel sembrava stessero per uscire, tant’era rimasto sconvolto da quella rivelazione. Posò titubante una manina sul ventre rigonfio della madre, tastando qua e la nel vano tentativo di riconoscervi una figura umana. Sconsolato, posò un orecchio sul pancione ed attese.

Improvvisamente, saltò dalla sua posizione per rifugiarsi tra le braccia di Edward.

-          Mamma! Mamma!

Piagnucolò il bambino, terrorizzato.

-          La sorellina si è mossa!

-          Oh, tesoro!

Disse Winry, con le lacrime agli occhi, riprendendo Daniel, che tornò di buon grado tra le sue braccia. Il bambino appoggiò nuovamente la mano sul “pallone”, invitato dalla mano esperta di sua madre. Tocchettò curioso quella superficie liscia e rigida, eppure morbida e setosa, ricoperta da uno spesso e candido maglioncino di lana.

-          Ciao. Come ti chiami?

Sussurrò Daniel, abbastanza timoroso, rivolgendosi al pancione. Winry scoppiò in un pianto liberatorio, di cui ogni lacrima era pregna di felicità e commozione. Edward le passò una mano sulle spalle, stringendola a sé, mentre l’altra raggiungeva quella del figlio sul giusto luogo, quel ventre rotondo che simboleggiava una nuova parte del loro futuro.

-          Vi amo, più di ogni altra cosa.

-          Anche noi, vero Daniel?

-          Certo papà! Ma perché non mi risponde?

-          Perché ancora non sa parlare. È troppo piccola.

S’intromise Winry, posando la testa su quella del marito. Il fresco profumo d’erba bagnata la travolse, inebriandole i sensi più di quanto non lo fossero già.

-          E quando uscirà da lì?

-          Oh, prima di quanto immagini, piccolo.

Mormorò, abbassando poi lo sguardo al pancione. Un nuovo sorriso si fece strada sul suo volto, già rigato da calde lacrime di gioia. Sentì il sapore salato sulla lingua, passata a inumidire le labbra secche.

-          Arriverai presto da noi.

Sussurrò, a voce bassa, rivolgendosi a lei. Volse lo sguardo alla lontana finestra, scorgendo ancora qualche fiocco di neve imperlare la nottata. Strinse forte la mano di Edward, che la ringraziò con un tenero bacio sul collo.

Nella loro mente, già si formava l’immagine del loro nuovo mattino. Un mattino pieno di sole e di aria tranquilla.

-          Aspetta... ancora per poco.

Un mattino incorniciato dal profumo delle rose bianche, lontano dal freddo di quel vento che ha trascinato lontano ogni traccia di tristezza. Il loro nuovo mattino senza pioggia.

-          Sarai la nostra luce, Rosalie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SPAZIO AUTRICE ^W^

Ed ecco la prima parte (ce ne saranno tre) del prologo di questa fanfiction. Dunque, che ne pensate? Lasciate qualche recensione, così che io possa sapere come avete trovato l’inizio di Timeless Light!

 

Alla prossima settimana! :D

 

MeggyElric___

 

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Capitolo 2
*** PROLOGO: Tuffo nella Memoria [parte 2] ***


Eccomi qua, nuovamente, dopo una settimana, come promesso!  ^^ *si alzano fischi di disappunto* Bene, a parte tutto sono felice del risultato che ha ottenuto il primo prologo. Ringrazio tantissimo le tre persone che mi hanno lasciato una recensione, oltre naturalmente a tutte quelle che l’hanno solo letto J.

Con questa seconda parte del prologo (non so neanche se è possibile chiamarlo così) noterete che le due parti non sono collegate tra di loro, soprattutto perché tra le due insiste un lasso di tempo piuttosto consistente, ossia quattro anni. Ho deciso di utilizzare un prologo spezzato in tre parti perché avevo bisogno di uno stratagemma per far correre in fretta il tempo, soffermandomi su punti cruciali della vita dei nostri protagonisti.

Ora basta parlare, vi sarete anche stancati della solita noiosa tiritera! Come al solito vi auguro buona lettura e vi chiedo una piccola recensione! ^^

 

 

PROLOGO: TUFFO NELLA MEMORIA (2)

-          Perché quell’idiota sparisce sempre a quest’ora?

Si lamentò Winry, premendo con violenza la spugna ruvida sul piatto ormai lindo che stava lavando, immaginando di trovarsi tra le mani non un semplice oggetto di ceramica qual era, ma l’espressione strafottente del marito.

-          Ah, ma certo. Scappa quando ci sono da fare i lavori di casa!

Continuò a borbottare, risciacquando l’ennesimo bicchiere e posandolo forse con troppo intensamente sul piano della cucina lì accanto. Sbuffò insoddisfatta, maledicendo il fatto di possedere così tanta pazienza e di aver promesso al medico di famiglia di non lanciare mai più chiavi inglesi dirette alla testa del povero ex alchimista.

-          Vero, Ed?!

Nessuna risposta, come sospettava. Si mordicchiò le labbra, irritata, mentre toglieva il tappo dal lavandino e lasciava fluire l’acqua, che scomparve in pochi istanti in un piccolo vortice.

Si asciugò lesta le mani su un panno morbido, che poi ripiegò impeccabilmente e appoggiò sopra il lavandino, senza però darci troppa importanza. Si avvicinò alla finestra e scostò gentilmente la tenda con le dita della mano destra, così da poter osservare il delicato paesaggio primaverile che fioriva al di fuori, come quei deliziosi petali colorati che tinteggiavano qua e là i vasti spazi d’erba odorosa.

Si mordicchiò il labbro inferiore, spostandosi una ciocca di capelli biondi e luminosi dietro l’orecchio. Sospirò, alzando gli occhi al cielo.

Chissà dove si era rifugiato quello scansafatiche di suo marito.

Tornò sui propri passi, quasi danzando sulle punte dei piedi, alla ricerca di qualcosa – qualsiasi cosa – che le fosse da suggerimento per intercettarlo. Eppure, tutt’intorno non vi era altro che silenzio, salvo qualche acuto cinguettio dei passerotti, che giungeva fino alle sue orecchie dalla finestra aperta.

Nemmeno il vociare giocoso di Daniel e Rosalie spezzava quel silenzio così innaturale e diverso da ciò a cui era ormai abituata. Che fine avevano fatto i suoi figli?

Per un attimo, pensò d’essere finita in un mondo parallelo, di cui lei era l’unica abitante. O forse, forse stava sognando. Probabilmente stava volteggiando in una fantasia notturna, silenziosa e ovattata, così estranea al suo attuale modo di vivere. Perfetto. Era un momento assolutamente perfetto.

-          Mamma! Mamma!

Ma dovette ricredersi.

Due vispi occhi dorati, luminosi e limpidi come la voce, acuta e pura, liberata da due labbra sottili. Dolce sapore di caramelle rubacchiate dalla ciotola dei dolci in cucina. Passi vivaci, forse troppo ritmati, come se qualcuno stesse sbattendo i piedi sul pavimento. Uno sbuffo.

-          L’ha fatto di nuovo!

Un sorrisetto fiero, malizioso. Eppure, nello sguardo un vago senso di colpa ombreggiava le iridi preziose. Batté i piedi a terra, un’altra volta, come se quegli stivaletti neri - così piccoli, ma dall’aspetto così teneramente familiare – fossero portatori di un potere speciale, capace di attirare magicamente l’attenzione degli altri.

-          Rose! Rosalie ha disegnato di nuovo per terra!

Si lamentò, piagnucolando, quasi a voler sottolineare la cosa. Allungò la manina tiepida, porgendo un paio di sottili e polverosi gessetti bianchi, probabilmente appena trafugati alla sorellina, così da avere la prova inconfutabile della realtà del delitto annunciato.

-          È tutta colpa di quel libro!

Sbottò, dopo aver consegnato i gessetti alla madre, che si era chinata davanti a lui per poterlo guardare meglio in viso. Il bambino incrociò le braccia al petto, irremovibile.

-          Quale libro?

Chiese Winry, inclinando la testa e accarezzandogli dolcemente la chioma folta di capelli dorati, in un gesto amorevole. Il bambino arricciò le labbra, spazientito.

-          Quello che ha visto a casa dello zio!

-          Alphonse...

Sussurrò la meccanica, facendo qualche breve calcolo mentale. Improvvisamente, s’illuminò, alzando lo sguardo verso quello di Daniel, che si stava dondolando sui piedi, sbuffando, forse attendendo una qualsiasi forma d’interessamento o, quantomeno, d’attenzione.

Winry allargò le braccia, così che il bambino potesse facilmente trovare un comodo rifugio al suo petto.

-          Oh, Daniel. E, questa volta, cos’ha disegnato?

-          Come sempre, mamma. Tanti cerchi con dentro delle forme strane. E poi, li ha fatti male! Sono tutti pieni di punte, sembrano quadrati!

Lei rise, socchiudendo gli occhi azzurri e luminosi, tersi come il cielo in un soleggiato pomeriggio d’estate. Daniel appoggiò la testolina bionda al seno della madre, chiudendo gli occhi. Nonostante avesse da poco superato i sei anni di età, considerava ancora un giaciglio confortante quel soffice e tiepido rifugio.

Tenendo il bambino tra le braccia, la donna, ormai splendida ventott’enne, attraversò il corridoio e salì lentamente le scale, trovandosi di fronte a una porta lignea spessa, lasciata semiaperta.

Posò il figlio a terra e premette una mano sulla superficie dell’uscio, spingendo leggermente. In pochi istanti, la stanza interna si rivelò ai suoi occhi. Accanto a lei, Daniel borbottava saccente, in attesa dell’ammonimento che sarebbe presto giunto all’orecchio della sorellina.

Quando Winry entrò a piccoli passi nella stanza, la bambina non giaceva più a terra, come invece aveva precedentemente immaginato.

I gessetti, spezzettati, si trovavano poco distanti da lei, abbandonati sul pavimento in una nuvoletta di polvere biancastra.

-          Rosalie?

La chiamò la donna, con dolcezza. La bambina arricciò le labbra rosee, sorridendo con delicatezza. Sbatté un paio di volte le palpebre, nascondendo i grandi occhi color del cielo e rimase per qualche istante ad osservare la madre, poi tornò con grande disinteresse ad occuparsi dei fatti suoi.

Andando a tentoni con le mani, si accoccolò alla bell’e meglio sulle gambe incrociate del ragazzo – ormai uomo, a dire la verità – che le accarezzava con estrema tenerezza i capelli biondi, color miele luminoso.

Nella mano destra, l’uomo teneva con destrezza un gessetto bianco, colpevole d’aver segnato il lucido pavimento di legno con un cerchio alchemico dai lineamenti più che perfetti.

L’ex alchimista volse lo sguardo verso la porta, scorgendo lo sguardo adirato e furente di una meccanica di automail in particolare.

-          Edward!

Sbottò la bionda, riferita al marito che le rispose con un enorme sorriso a trentadue denti. Daniel, sogghignando, si appostò dietro le gambe della madre, attendendo che la furia si spostasse da Edward alla piccola Rosalie.

Notando che, sfortunatamente, il suo falsissimo sorriso innocente non era bastato per placare la moglie, sospirò, scuotendo la lunga coda di capelli dorati e posò a terra la piccola, che si lasciò scappare un lamento di disappunto.

Si avvicinò cautamente a lei, sorridendo questa volta maliziosamente. Prese il suo viso tra le mani, accarezzandone le guance soffici con i pollici. Diminuì la distanza che li divideva, pronto a donarle un bacio.

-          Eh no.

Protestò però Winry, posando entrambe le mani sul petto dell’alchimista e spingendo lievemente, in modo che lui facesse un passo indietro. Ed roteò gli occhi, contrariato dal fatto che il suo stratagemma, ideato per fuggire da quella situazione, fosse tragicamente fallito.

-          Perché?

Chiese lui, incrociando le braccia al petto solamente dopo aver accarezzato con dolcezza quasi provocante i fianchi morbidi di Winry, forse leggermente arrotondati dalla maternità. La meccanica arrossì visibilmente a quel tocco e, per un attimo, si perse nelle iridi preziose del marito. Subito, però, la sua parte razionale tornò a farle una visitina e prese il sopravvento sulle sue azioni. Così, Winry si ritrovò ad abbassare lo sguardo e a ripulire con un gesto stizzito il tessuto del grembiule blu notte che indossava, imbrattato da una bianca scia di gesso.

-          Perché no, Ed. E poi le domande, adesso, te le faccio io!

-          Ah, fa’ pure.

Winry percepì una grossa vena pulsarle in fronte, sentendosi parecchio irritata dal tono arrogante con cui l’uomo si rivolgeva a qualsiasi persona – lei compresa – eccezion fatta solamente per le due piccole pesti che si facevano le boccacce sul pavimento della stanza.

-          Ora mi puoi spiegare cosa diavolo stavi facendo?

-          Che cosa ti sembra? Disegnavo con nostra figlia!

-          E... sul pavimento?

-          Non fare tante storie, Win. È gesso, andrà via in un attimo.

-          Oh, certo che andrà via in un attimo. Perché sarai tu che dovrai pulire.

-          Io?

-          Certo, tu.

-          Umph.

-          Senti, Ed. Ho davvero, davvero bisogno di parlarti.

-          E che abbiamo fatto fino ad ora?

-          Mmmh! Vieni!

Così dicendo, scomparvero, lasciando un piccolo Daniel confuso  fermo sulla porta, che ancora malediceva il fatto che la sua cara sorellina non avesse ricevuto nemmeno una piccola sgridata. Per tutta risposta, Rosalie gli mostrò la lingua, tornando ad impegnarsi nelle sue opere d’arte.

Intanto, Winry, trascinato Edward per un braccio fin dentro la loro camera, chiuse bene la porta e dette un giro di chiave, per essere sicura che i bambini non ascoltassero un solo suono di quella conversazione. Si fermò un istante, preoccupandosi per la figlia minore. “no, c’è Dani con lei, la terrà sott’occhio” pensò, girandosi con le spalle alla porta.

-          Bene.

Sentenziò, schiarendosi la voce.

-          “Bene”.

Le fece il verso l’ex alchimista, sfregando le mani per eliminare le ultime fastidiose tracce di gesso. Winry alzò le sopracciglia, passando sopra all’ennesima mancanza di rispetto del marito, tant’era ormai abituata. Si sedette sul letto e lui fece lo stesso.

-          Ora tu, Ed, mi spieghi una cosa.

-          Cosa?

-          Che cosa stavi... insegnando... a Rose?

-          Insegnando? Cosa avrei potuto insegnarle? Stavamo solamente disegnando...

-          Oh, Ed. Non sono una stupida. E non ho nemmeno una memoria corta. Ho passato troppo tempo insieme a te e a tuo fratello, quand’eravamo piccoli. Davvero pensavi che io non mi fossi accorta del fatto che... ah, veniamo al punto. Io non sono arrabbiata perché tu la stai incoraggiando a scarabocchiare per terra.

-          Non erano scarabocchi!

Si tradì Edward, mordendosi il labbro inferiore, quasi a volersi rimangiare la verità appena sgusciata fuori dalla sua bocca. Winry prese un gran respiro e inclinò la testa di lato, con un’espressione che urlava: “Visto? Te l’avevo detto che io so tutto”. Edward roteò gli occhi, posando il mento sul dorso della mano.

-          Ed, so benissimo che quelli erano cerchi alchemici.

L’ex alchimista deglutì, abbassando gli occhi e fissando insistentemente l’automail alla gamba sinistra, per metà scoperto dai pantaloncini di cotone azzurri.

-          Edward.

Lo chiamò Winry, assumendo un tono più serio. Ed alzò lo sguardo, prestando alla moglie quanta più attenzione fosse possibile. Lei sospirò, gettando indietro una ciocca di capelli biondi e torturandosi la manica sinistra della camicia rosa pallido. Dischiuse le labbra per parlare, ma Edward la precedette.

-          So cosa stai per chiedermi e no, non è così.

-          No, assolutamente, non le stavi insegnando l’alchimia.

Lo canzonò la donna, rivolgendosi anche al tono che aveva utilizzato prima con lei. Ed strinse i pugni.

-          Devi credermi, Win.

-          Cielo, Ed. Lo so che ne senti terribilmente la mancanza. Ne sono certa, perché ti conosco da sempre. Però, so anche dove ti ha portato l’alchimia, so a quali errori ti ha condotto. Quando nacque Daniel, anche allora abbiamo avuto una discussione simile, ricordi? Abbiamo deciso insieme che avremmo tenuto loro nascosto tutto ciò che è accaduto. Il nostro passato, quello tuo e di Al, tutto ciò che è capitato in questo paese... al di fuori del normale. Capisci cosa intendo? Gli homunculus e tutto ciò che è stato collegato a loro. Ma soprattutto, ci siamo promessi di tenerli lontani da tutto ciò che riguarda l’alchimia e la trasmutazione per riportare in vita tua mamma. Sai che è per il loro bene. Per questo abbiamo detto loro che hai perso la tua gamba sinistra a causa di una malattia. Ti prego, Ed, non complicare le cose.

-          Winry io so tutti questi fatti. E non complicherò niente, perché sono d’accordo con te. È solamente che... Rose poco fa è corsa a chiedermi cosa fossero quei disegni sul libro di Al e così, non lo so, mi ha fatto tenerezza. Quand’ero piccolo, a volte spiavo mio padre mentre studiava, da dietro la porta, e ho sempre desiderato chiedergli cosa ci fosse scritto in quei libri che leggeva con così tanto interesse, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Chissà, se fossi stato meno codardo, magari mi avrebbe avvertito di più sui pericoli che avrei potuto correre e ora non avrei quest’automail, non avrei mai fatto passare quelle terribili sensazioni ad Al e... tutto sarebbe stato molto più semplice. E lo sarebbe anche ora... probabilmente avrei ancora la mia alchimia e noi non saremmo detentori di un segreto che un giorno dovremo rivelare ai nostri figli. Perché dovremo farlo, e tu lo sai.

Edward finì il suo discorso, lasciandosi cadere all’indietro e sprofondando sulla morbidezza del materasso. Si distese e chiuse gli occhi, confuso, quasi volesse estraniarsi per un istante dalla verità del mondo che lo circondava. Winry si sdraiò accanto a lui e lo confortò con un dolce bacio sulla guancia. L’ex alchimista aprì un occhio, osservando la moglie che si apprestava a porgergli una nuova domanda.

-          Non le hai detto niente?

-          Assolutamente no, anche se avrei tanto voluto fare il contrario.

Winry annuì e posò il mento sulla sua spalla, respirando a fondo l’intenso aroma che proveniva dal collo scoperto dell’uomo, appena solleticato da alcuni ciuffi aurei. Sospirò, sentendo il proprio alito infrangersi a pochi centimetri dalle su labbra. Posò una mano sul suo petto, accarezzandolo attraverso lo strato sottile della maglietta bianca.

-          Era così... bella.

Winry alzò lo sguardo, socchiudendo appena le labbra in un respiro mozzato, confusa dall’affermazione del marito. Si accigliò, osservandolo con curiosità.

-          Rosalie era stupenda. Mentre teneva in mano quel gessetto, mentre tentava di disegnare i cerchi alchemici...

-          Ed...

-          Mi dispiace, Winry. Ho sbagliato, lo so, però mi sentivo talmente felice in quel momento. Mi è sembrato d’esser tornato bambino. Per un attimo, ho quasi creduto di essere nuovamente capace di trasmutare. Ma in un attimo, è scomparso tutto, e io sono tornato alla realtà. Mi sono solamente concesso una piccola fantasia, tutto qui.

Mormorò, alzando le braccia davanti al viso e concentrandosi sulle sue mani, impotenti ormai da quasi dodici anni. Abbassò le palpebre, perdendosi nel vortice pungente dei ricordi.

-          Non sei più felice senza l’alchimia?

-          Cosa? Oh, Winry. Certo che lo sono. Io sono felice ora come non lo sono mai stato. Ho te, una famiglia, Al è tornato nel suo corpo, i problemi qui sono finiti. Non potrei mai desiderare di più.

La meccanica sorrise, stringendosi forte al braccio di Edward, che le aveva posato un delicato bacio tra i capelli biondi. Winry alzò il volto, incontrando lo sguardo d’oro colato dell’uomo, ancora concentrato su di lei. Si alzò, forzando sul braccio sinistro, per poi sdraiarsi nuovamente appena sopra Edward, che le scoccò un sorriso soddisfatto.

Avvicinò lentamente il viso a quello di lui, posando le labbra tra quelle dell’ex alchimista e la sua guancia. Lo sentì irrigidirsi.

-          Winry...

Farfugliò Ed, reso meno lucido dai baci provocanti che la meccanica lasciava bollenti in ogni angolo del suo viso, del suo collo, delle sue spalle appena scoperte. Lei mugugnò, spostandosi verso l’orecchio sinistro e mordicchiandolo un po’ con gli incisivi.

-          I bambini.

Disse lei, ad un tratto, indirizzando quella sottospecie di ammonimento più a se stessa che all’ex alchimista. Lui le accarezzò una guancia soffice, socchiudendo gli occhi con un sorriso estremamente dolce.

-          Hey, stai tranquilla. Sono a pochi metri da qui.

-          Ma la porta è chiusa a chiave.

-          Vuoi mandare all’aria l’unico momento che abbiamo per stare un po’ insieme?

-          No, certo che no. Ma...

Lui ammiccò, prendendola tra le braccia e ribaltando la situazione. Raggiunse le labbra della bionda, prima che questa potesse aggiungere altro.

-          Ed...

Un debole mormorio tra le labbra, rinchiuso e poi rilasciato, continuamente. Non sapeva cosa l’avesse spinta a pronunciare il suo nome, in quel momenti, eppure il suo petto lo reclamava, chiamandolo a gran voce. Lo voleva avere vicino, molto più vicino.

Lentamente, Winry sciolse l’elastico che teneva legata la chioma dorata del marito, così che i ciuffi preziosi scivolassero leggeri sulle sue spalle, rendendolo ancora più attraente ai suoi occhi di quanto non lo fosse già. Si allontanò da lui appena qualche centimetro, per poterlo ammirare anche solo per pochi secondi e convincersi – nuovamente – che sì, era tutto vero.

Un attimo dopo, i loro corpi erano di nuovo allacciati, uniti in un bacio tenero e passionale, intimo, che li stava avvolgendo sempre di più in un abbraccio di contorni sfumati. Winry affondò la mano tra i fili lucenti che scendevano sulle spalle dell’ex alchimista, scossa da profondi brividi che le animavano la schiena, accarezzata a e stretta avidamente da un braccio di Edward. Lesto, slacciò il fastidioso grembiule e lo gettò lontano, facendo poi scorrere una mano sotto la maglietta della meccanica, incontrando la sua pelle, calda e morbida. Winry sussultò, aderendo – se possibile – ancora di più al corpo di quell’uomo che l’aveva sempre fatta impazzire, desiderosa di avere di più.

Con uno scatto, il maggiore degli Elric estrasse la mano e, in pochi istanti, la maglietta leggera di Winry si ritrovò appesa allo schienale della sedia davanti alla scrivania. Poco più tardi, la maglietta candida dell’ex alchimista volò a farle compagnia.

Winry spostò le mani sul petto nudo del marito, seguendo il profilo sinuoso dei pettorali con la punta delle dita, soffermandosi più volte in carezze profonde e dolci, seppur provocanti e maliziose.

Sorrise, osservando i suoi occhi velati di desiderio. Fece scivolare nuovamente le mani, portandole verso l’inguine di Edward, proseguendo le sue carezze brucianti. Stampò un bacio di fuoco alla base del collo del marito e lo mordicchiò appena quando arrivò a sfiorare il bordo superiore dei pantaloncini.

Si morse un labbro, gemendo, mentre le mani di Edward si appropriavano sempre di più del suo corpo, sfiorando con carezze sensuali ogni punto più sensibile della sua pelle accaldata. Lei addentrò la mano nell’intimo dell’ex alchimista, rabbrividendo ancora una volta al tocco delle sue mani fresche, che, impazienti, le avevano strattonato via la gonna in modo non troppo gentile.

-          Winry.

Tese le orecchie, sentendolo mormorare il suo nome a pochi millimetri dal suo orecchio. Incrociò il suo sguardo alterato, percependo il respiro già irregolare farsi sempre più veloce.

-          Ti voglio.

Gracchiò lui, con voce bassa. Milioni di emozioni si accavallarono dentro di loro, rendendoli schiavi si quella passione e di quegli ultimi scampoli di imbarazzo che caratterizzavano la loro relazione.

-          Anche io... ma...

-          Ti prego. Impazzirò se non ti ho adesso. È troppo tempo che non stiamo un po’... da soli. Ho bisogno di sentirti parte di me.

Sibilò Edward, cercando di entrare ancora più in confidenza con il suo corpo, respirando affannosamente. All’improvviso, un rumore estraneo li fece sobbalzare. Dalla porta chiusa provenivano urla e schiamazzi, accompagnati da alcuni colpi battuti sulla superficie lignea.

Se Ed ne fosse stato capace, avrebbe volentieri incenerito quella rumorosa fonte di distrazione. Arretrò subito il pensiero, disgustato dall’essersi messo alla pari di quel bastardo del comandante Mustang.

Si alzò a forza dal letto, raccattando la maglietta e riinfilandosela svogliatamente. Aprì la porta dopo aver girato la chiave, cogliendo i figli l’uno con le mani nei capelli dell’altra. Si ritirarono subito ognuno da un lato della porta, squadrandosi in cagnesco.

-          Ha cominciato lui!

-          No, è stata lei!

Gridarono Rosalie e Daniel, indicandosi a vicenda. Edward si batté una mano sulla fronte e, dopo un fugace sguardo a Winry – che si era coperta con un cuscino -  si accucciò di fronte a loro, passando una mano tra i morbidi capelli di entrambi. Sogghignò nel vederli scambiarsi una linguaccia. Oh, quanto quell’immagine lo faceva tornare ai vecchi tempi! I loro visi così ingenui e innocenti gli fecero battere il cuore ad una velocità di cui si stupì.

Winry aveva ragione. Non era giusto privarli della loro infanzia, macchiando le loro anime e i loro ricordi con taglienti frammenti di passato, dei quali sicuramente avrebbero fatto volentieri a meno.

Eppure, gli si strinse il cuore quando la consapevolezza di dover perdere davvero per sempre ogni ricordo dell’alchimia si fu annidata alla perfezione nella sua mente. Però sapeva, dentro di lui, che quella luce azzurra, che tanto lo spediva in un tumulto di memorie, non sarebbe mai scomparsa totalmente dalla sua vita.

Ascoltò distrattamente le lamentele di Rosalie e Daniel e cercò di calmarli, raccontando di quando lui e Alphonse litigavano per ogni stupida cosa. Raccontò loro anche di quando avevano discusso su chi avrebbe sposato Winry.

Risero, facendo pace. Dopo un breve bacio sulla guancia del padre, corsero via, mano nella mano, felici di aver sotterrato – almeno per il momento – l’ascia di guerra.

Edward, scuotendo la testa, si chiuse alle spalle la porta, e con essa anche i piccoli attimi di passato che aveva rivissuto. Vide la moglie ancora distesa sul letto, il viso deliziato da un meraviglioso sorriso che profumava tanto d’amore.

Si rese conto che quella luce non era mai scomparsa in lui. Era solo mutata, trasformandosi nel desiderio che aveva nutrito per anni. Era lei, la sua famiglia, la donna che avrebbe amato per sempre, la sua nuova luce dai riflessi del cielo.

Avanzò di qualche passo, con il cuore a mille, fermamente deciso di riprendere il loro “discorso” da dove l’avevano interrotto.

 

 

 

 

 

Ed eccoci nuovamente qui, alla fine di questo ritaglio di storia. Edward e Winry hanno comunque bisogno di piccoli momenti di intimità, nonostante ora abbiano dei bellissimi figli a cui badare, giusto? In questo capitolo, comincia a riaffiorare una questione che sembrava essere stata sotterrata per molto tempo, ossia l’alchimia. L’alchimia giocherà un ruolo importante in Timeless Light, soprattutto per uno dei nuovi personaggi. Andando avanti con la storia, capirete perché.

 

Ora vi lascio, ringraziandovi ancora una volta per la vostra buona volontà nel leggermi e per la vostra attenzione nelle recensioni.

 

Baci, alla settimana prossima! :D

MeggyElric___

 

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Capitolo 3
*** PROLOGO: Tuffo nella Memoria [parte 3] ***


Heilà, salve a tutti! Mi scuso per aver aggiornato con un giorno di ritardo, ma ho la febbre abbastanza alta e ieri davvero non riuscivo nemmeno ad alzare la testa dal cuscino. Ringrazio di cuore ogni persona che ha lasciato una recensione! :D

Ora, dato che sto crollando sulla tastiera –ho ancora quella stramaledetta febbre >.< - i lascio all’ultima parte del prologo di questa storia.

Buona lettura! ^^

 

 

 

PROLOGO: TUFFO NELLA MEMORIA (PARTE 3)

Un fruscio ormai scomparso, in una casa avvolta in un velo di ricordi nascosti, accompagnato da quell’essenza polverosa che aleggiava nelle memorie più profonde e gettava, a grandi manciate, sale sulle vecchie ferite che il passato aveva inflitto senza pietà al suo cuore.

Eppure, per quanto segreto e rinchiuso in antiche immagini, ecco che un lume dai riflessi saettanti torna a fare capolino nella mente, ultimo breve ma bruciante graffio a un cuore ormai dolorante.

E una luce, un sole che più non esiste, torna a splendere, come se non si fosse mai estinto. Ed ecco piombare su di lui, e sul suo respiro pesante e saggio, temprato da mille avventure, una pioggia battente colma di rimorsi e parole ormai spente,  illuminati da un barlume che pareva troppo lontano per essere raggiunto, ma allo stesso tempo così vicino da poterlo sfiorare, allungando un braccio al cielo, come a tentare di catturare una stella.

Una luce senza tempo.

Era da un po’ di tempo, settimane, forse mesi, che in quella casetta, persa tra le campagne di Resembool e incorniciata da campi dal vago odore familiare, vibrava una strana atmosfera, come se un ulteriore segreto si fosse legato alla catena di bugie che aveva attanagliato Edward a una verità irrivelabile, verità che  premeva sulla sua gola, e alla bocca dello stomaco, come se tentasse di sfuggire al suo controllo.

Sulla sua lingua, indecisa, pronta a rivelare tutto a quella famiglia che aveva sempre desiderato, s’impastava un vago sapore vissuto, come se già sentisse tra i suoi denti il ferroso gusto del sangue, che già troppe volte aveva visto scorrere in passato, forse – anzi, quasi sicuramente – per colpa di ciò che stava tenendo nascosto ai suoi figli.

Per proteggerli, così si ripeteva sempre. Eppure, l’immagine di quella luce ormai lontana, di tutti i sacrifici che aveva dovuto tollerare, continuava a trafiggergli l’anima, mostrandogli scene inesistenti, frutto della sua fantasia, e che forse – forse – in qualche modo, avrebbe potuto attribuire alla realtà.

Ed ancora, un mare di dubbi, nel veder trasparire da quella porta chiusa, a quell’ora tarda della notte, uno spiraglio di luce caldo e tremolante, come la fiammella d’una candela, o una lanterna ad olio. Una diversa fitta al cuore che Edward, forse, non avrebbe mai dovuto ignorare.

E così passavano i giorni, e quella luce, che tanto lo faceva viaggiare indietro nel tempo, rendendolo nuovamente bambino, quando con Alphonse studiava l’alchimia, continuava rimanere accesa, tanto che, ad un tratto, l’ex alchimista dovette auto convincersi che, probabilmente, non stava accadendo niente, e che quella luce – così ben definita, reale – non fosse altro che una proiezione della sua mente, indebolita da quei pensieri.

Però, nel suo cuore, sapeva fin troppo bene che qualcosa, prima o poi, sarebbe cambiato, spezzando quella luminosa felicità che sembrava tanto falsa ai suoi occhi.

-          “La pietra divina che distrusse Xerxes in una sola notte”.

Citò la biondissima Rosalie, sfiorando con ammirazione ed estrema attenzione la pagina ruvida di quel libro sgualcito, probabilmente ancora più vecchio e malandato dell’amatissima palandrana rossa di suo padre.

Daniel, sdraiato sul letto e intento a rimirare il soffitto, voltò il viso verso la sorella, aggrottando un sopracciglio. Rosale non se ne accorse, continuando ad osservare il libro, affascinata.

-          La pietra divina...

Biascicò, con gli occhi che brillavano dall’emozione e dalla curiosità.

-          La “pietra divina” te la darà in testa papà se scopre che hai rubato quel libro dal cassetto segreto della libreria dello zio.

-          Non l’ho rubato.

Sbottò la biondina, irritata da una simile affermazione, sebbene non fosse esattamente infondata. Esibì un sorrisetto arrogante al fratello, che, scuotendo il capo, si chiese se davvero potesse essere così tremendamente fastidioso il modo di fare di una bambina di dieci anni come Rosalie.

-          L’ho soltanto preso in prestito.

-          Senza chiedere?

-          Santo cielo, come sei noioso! Lo zio capirà.

-          Oh, certo. E capirà sicuramente anche perché sei andata a mettere il naso nella “zona proibita”.

-          È solo un cassetto, Dan. Uno stupido cassetto.

-          Ma uno stupido cassetto proibito.

-          Proibito. Non era nemmeno chiuso a chiave.

-          Sì che lo era, ma tu lo hai aperto.

-          Dettagli, dettagli.

-          Rose, ascoltami! Ti conviene riportare quel libro dove l’hai trovato.

-          Insomma, Dan. Sei sempre più noioso. Solo perché hai due anni più di me ti senti così potente da pensare di potermi impartire ordini?

-          Era un consiglio, non un ordine, sorellina.

-          Beh, un consiglio che non ho intenzione di seguire.

-          Però dovrai farlo, non discutere.

-          Vedi? Avevo ragione, era un ordine. Ti tradisci da solo, fratellone.

Daniel si alzò di scatto dal letto, afferrando l’orologio d’argento che suo padre gli aveva donato quand’era piccolo. Lo portò proprio davanti allo sguardo, seguendo le lancette che ticchettavano infinitamente, liberate dalla copertura superiore. Avvicinò di più il viso, perdendosi in quei riflessi metallici, accorgendosi che quell’argento era talmente lucido da potercisi specchiare.

Sentì un fruscio lieve, e si  accorse che la sorella stava ancora sfogliando l’antico volume con enorme disinteresse per il discorso appena concluso. Daniel sbuffò, esasperato.

-          Senti.

Grugnì, il viso nascosto tra i ciuffi di capelli dorati che, dispettosi, giocavano sulla sua fronte, sulle sue guance, creando un gioco di ombre che ritoccava il suo sguardo intenso con una pennellata di serietà. Notando l’indifferenza di Rosalie, si allontanò di lei, grattandosi il capo con fare stizzito.

-          Fa’ un po’ come vuoi.

-          È ovvio.

Acconsentì lei, con un tono che superava di gran lunga la soglia dell’arroganza.

-          Crescerai mai o sei fermamente decisa a comportarti per sempre da bambina? Penso che a dieci anni tu possa evitare di rispondere così.

-          Ma senti un po’, e tu quanti anni hai, quaranta?

-          Piantala, Rosalie.

-          “Piantala, Rosalie.”

-          Sei davvero una bambina! Ora se papà dovesse...

-          Ma sentilo, che uomo. Mi ha appena dato della bambina e vuole subito correre a fare la spia a paparino. Oh, ma che paura!

Mimò, scuotendo le mani. Il dodicenne sentì il sangue ribollirgli nelle vene. Istintivamente, strinse i pugni, quasi a fermare se stesso dal gettarsi sulla sorella e ucciderla a suon di calci e pugni. Tremò dall’esasperazione.

-          Io non ho detto che farò la spia.

-          Sarà, comunque, io sì. È questo che conta, no?

-          Egocentrica fino alla morte, eh?

-          Umph. Idiota.

-          Dimmi.

-          Che cosa?

-          Che cos’è questa “pietra divina”?

-          Perché dovrei risponderti. Tutto ciò non t’è mai interessato, giusto?

-          Sbagliato. Dio, Rose. Quanto sei scorbutica.

-          E tu noioso.

-          Lo sei anche tu, dato che l’hai ripetuto già tre volte. Avanti, di cosa parla quel libro?

Rosalie incollò nuovamente gli occhi sulla pagina, accantonando la domanda del fratello. Si mordicchiò il labbro inferiore un paio di volte, leggendo di volata ogni più flebile parola che sfilava sotto il suo sguardo di zaffiro. Daniel seguì i suoi movimenti, aspettando una risposta.

-          Dan, mamma e papà ci nascondono qualcosa.

-          Eh?!

-          Anche lo zio Al, la zia May. E forse anche la nonna!

-          Tu... tu sei fuori di testa! Che cosa stai dicendo? E cosa centrano loro con quel libro?

-          Ma tu non ascolti mai i loro discorsi?

-          Che cosa? Certo che no!

-          Umph. Sei davvero sicuro di essere mio fratello?

-          Ah, senti un po’. Mi hai letto nel pensiero.

-          Idiota.

-          Allora, Rose. Vuoi dirmi una volta per tutte di cosa parla quel libro?

-          È una cosa che, per qualche motivo, ci stanno nascondendo...

-          Che cosa? Rose, guarda che ti ho fatto una domanda!

-          ...Avevo già sentito questa parola, ma non pensavo che fosse...

-          La vuoi piantare di dire frasi prive di qualunque tipo di logica?

-          ... Quei cerchi sul pavimento...

-          Non dirmi che li disegni ancora!

-          ... papà!

-          Papà?! Insomma, Rosalie, mi stai ascoltando?

-          Daniel...

-          A quanto pare no.

-          Hai mai sentito parlare...

Si fermò, assottigliando gli occhi celesti e osservando lo spazio circostante per assicurarsi che nessuno stesse origliando. Daniel, dal canto suo, la osservò, confuso.

-          ... dell’alchimia?

Per un lungo istante, il silenzio invase la stanza. Solo il respiro dei due spezzava quella quiete quasi irreale. Improvvisamente, Daniel espulse l’aria che teneva nei polmoni in un lungo sospiro, accompagnato da un gemito scocciato.

-          Sei senza speranza.

-          Cosa?!

-          Rosalie, smettila. Riporta quel libro dove l’hai trovato.

-          Daniel, non...

-          Piantala. Ti stai immischiando in affari che non ti riguardano, perciò ti conviene liberarti di questa “alchimia”, o quello che è.

-          Ok, ok. Riporterò il libro al suo posto appena dopo mangiato.

-          Promesso?

-          Certo... promesso.

-          Bene.

-          Bene.

Rosalie roteò gli occhi azzurri, richiudendo irritata il libro e picchiando la mano sulla copertina rigida e ricoperta da un velo di polvere. Arricciò le labbra, non appena udì la squillante voce della madre chiamarli entrambi in cucina. Poté udire in seguito anche un rumore metallico e la voce adirata di Winry avventarsi con violenza sulla testa sanguinante del marito che aveva osato negare alla meccanica l’ordine di apparecchiare la tavola.

-          Arrivo.

Disse, alzando la voce, all’ennesimo richiamo di Winry. Suo fratello era già sparito, così fece per alzarsi dal letto, quando il libro, in bilico sul bordo del letto, non cadde a terra, producendo una nuvoletta polverosa. La bambina allungò un braccio per afferrarlo, svogliata, quando si accorse che, nel precipitare, il volume si era aperto all’incirca sulla metà.

Si guardò intorno, accigliata, mentre l’ultimo richiamo della madre giungeva alle sue orecchie. Ma lo ignorò, concentrandosi sul debole raggio di sole estivo che illuminava appena il titolo del capitolo che si trovava davanti ai suoi occhi. Con un gesto veloce, strappò la pagina, nascondendo poi il libro sotto il letto.

Osservò con rapidità la pagina rovinata, gettandola poi con noncuranza nella tasca dei corti pantaloncini neri.

-          “Trasmutazione Umana”.

Mormorò, prima di sparire nell’ombra del corridoio al di fuori di quella stanza che, da quel momento, custodiva un segreto importante, anche se ancora lei non lo considerava tale. Il ricordo di una pagina strappata che, di sicuro, avrebbe cambiato per sempre la sua vita.

 

@#@#@#@#@#@#@#@#@

 

Era passata ormai quasi una settimana da quando Rosalie aveva strappato furtivamente la pagina di quel libro, che al momento si trovava al sicuro nella libreria di Alphonse. Nessuno poteva essersi reso conto di nulla, nonostante lei si estraniasse sempre più spesso dalla vita familiare, per concentrarsi su quel vecchio pezzo di carta.

Rosalie si passò incurante una mano tra i biondissimi capelli, traendo un lungo respiro. Seduta all’ombra di una quercia, con le spalle appoggiate al tronco robusto, infilò la mano destra nella tasca e ne estrasse il foglio “proibito”, stropicciato, che ormai si portava dietro ad ogni suo movimento.

Aveva letto quelle righe per lei incomprensibili più e più volte, ma l’unica cosa che era riuscita a capire di quel lungo argomento era che la trasmutazione umana era una faccenda assolutamente impossibile e proibita.

Distese le gambe sull’erba umida di rugiada, ripiegando malamente la pagina e ficcandola in tasca con un movimento brusco. Con uno sbuffo, si lasciò ricadere completamente sull’erba, arrancando fino al limite soleggiato che divideva la luce diurna dall’oscurità dell’ombra del grande albero.

Strinse forte le palpebre, finché due lacrime appena pronunciate non bagnarono le sue ciglia esili, aiutandola ad abituarsi alla prepotenza luminosa del sole estivo. Poco più tardi, il suo sguardo precipitò insieme al volto, solleticato lievemente sulla guancia destra da teneri ciuffi d’erba.

Era molto tempo che se n’era resa conto. Edward aveva lo stesso fresco aroma di quei prati che raccontavano la sua vita. Che fosse stata l’unica ad essersi accorta che il suo papà profumava così?

Quand’era piccola – più piccola – Rose era solita uscire con il padre e correre insieme a lui tra le campagne del loro paesello, perdendosi in giochi e risate fino a tarda sera.

Ricordò di quando lui l’aveva svegliata nel cuore della notte, alcuni anni prima, per caricarla sulle spalle e sgattaiolare fuori senza che Winry – insieme alle sue chiavi inglesi – potesse accorgersene. Quella volta, avevano trascorso la nottata all’aperto, sotto il cielo scuro, trafitto da una pioggia di luminose stelle cadenti.

Aveva un così bel rapporto con suo padre, a quel tempo.  Si sentiva quasi un parte di lui, e Edward era più che certo di non poter vivere senza la sua piccola rosellina dagli occhi azzurri.

Eppure, qualcosa stava cambiando tra di loro, come se, in qualche modo, qualcosa di impercettibile li stesse allontanando. Che fosse proprio il silenzio celato dietro quella pagina segreta che custodiva così segretamente?

-          Rosalie!

Una voce più che familiare la distolse dai suoi pensieri, catapultandola al di fuori della sinuosa spirale dei ricordi. Si rialzò, svogliata, sfregando le mani sulla canottiera nera e sistemandosi alla bell’e meglio la gonnellina di jeans.

-          Dan?

Lo chiamò, schermando la forza dei raggi del sole con le mani, cercando di riconoscere in quella sagoma che le era sempre più vicina il conosciuto volto del fratello maggiore. Strinse le palpebre e fece un passo indietro, quasi inciampando sulle radici dell’enorme quercia, quando si accorse che l’ombra che correva verso di lei faceva svolazzare una chioma cupa e nera, invece ce dorata e preziosa.

-          Ma chi...?

Si chiese, indietreggiando ancora, così da nascondere tra il fogliame la fonte di disturbo delle sue iridi dalla tinta celeste. Non passò molto tempo prima che, sul suo viso,  l’espressione confusa lasciasse posto ad un sorriso sincero, proveniente dal profondo del suo cuore.

-          Hiroki!

-          Dio, Rosalie! Finalmente mi hai riconosciuto!

-          Sono così felice che tu sia qui!

-          Oh, anche io, anche se preferisco Central City a queste vecchie campagne.

-          Tu ne parli sempre così Bene, Hiro. Vorrei tanto vederla!

-          Un giorno verrai tu a trovarmi! Passerete voi l’estate da noi, invece del contrario, cosa che accade ormai da anni.

-          Oh, lo vorrei tanto, credimi. Ma dubito che papà accetterà, parla sempre male del tuo. Il comandante di qua, il comandante di là. È sempre una tortura per lui, ogni volta che arrivate per passare l’estate a Resembool. Scommetto che stanno già litigando.

-          Hai fatto centro anche questa volta, come sempre, Rose.

-          Non ci vuole un genio per arrivarci.

-          Oh, non ci vuole un genio nemmeno per rendersi conto che stai diventando proprio una bella bambina.

-          Smettila di prendermi in giro, ho dieci anni, stupido adulatore!

-          E io tredici, che problema c’è?

Rosalie incrociò le braccia al petto, sbuffando indispettito dall’arroganza del ragazzino di fronte a lei. Alzò un sopracciglio, sporgendo un po’ il mento. Hiroki ammiccò.

-          Io te ne darei almeno dodici.

-          Ti dovrei ringraziare?

-          Fa’ un po’ come vuoi.

Rose ridacchiò, sfoderando un tenerissimo sorriso infantile. Hiroki le mostrò la lingua, girandosi di spalle a lei e incamminandosi verso casa Elric.

-          Hey.

Disse il moro, fermandosi. Rosalie tese le orecchie.

-          Tanto per dire, Rose. Potrai essere carina quanto vuoi, ma rimarrai sempre una bambina terribilmente sgraziata e arrogante.

-          Cosa? Vieni qui, idiota, che ti distruggo!

Così, ridendo e inseguendosi,presero la strada del ritorno, rinfrescata qua e la da qualche agguato tra l’erba, o un abbraccio tenero e nascosto. Pochi minuti più tardi, delle voci piuttosto animate giunsero alle loro orecchie. Sospirarono entrambi, nel trovarsi davanti agli occhi l’identica situazione che si erano precedentemente immaginati.

Edward e Roy stavano poco distante dalla veranda esterna alla casa, battibeccando a voce alta come ai vecchi tempi. A lato, sedute sul dondolo di legno, Riza e Winry sorseggiavano una tazza di thè, chiacchierando come due amiche di vecchia data.

Improvvisamente, Rosalie scorse la mano destra del comandante supremo compiere un semicerchio nell’aria e fermarsi a pochi centimetri dal viso, le dita pronte a schioccare. Ad osservare meglio, le parve quasi – se non fosse stato impossibile – alcune saette dai riflessi celesti liberarsi  dalla pelle tesa intorno alle unghie.

Fu un attimo. I riflessi pronti di Edward l’avevano spinto ad abbassare la mano di Roy con un gesto repentino, non appena ebbe intravisto la figura della figlia avvicinarsi rapidamente, e lo sguardo sorpreso di Mustang che, nell’attimo di un risolino divertito, aveva accusato l’ex alchimista di essere un fifone, sostenendo che no, questa volta non avrebbe dato fuoco a mezza Resembool.

Rose vide suo padre premere sulla bocca di Roy la mano destra e spingerlo inconsapevolmente all’indietro, probabilmente per zittirlo.

Ma... perché?

La scena davanti ai suoi occhi cobalto continuò, come al rallentatore, vedendo come protagonista Roy che si era chinato a terra per raccogliere qualcosa – un orologio? – e rinfilarselo in tasca, per poi inveire contro il biondo che si trovava di fronte.

Cos’era successo? Di cosa stavano parlando? Perché, vedendola, suo padre aveva reagito così? E quel... che cos’era? Quell’orologio, dove le pareva d’averlo già visto? L’oro degli occhi dell’ex alchimista si posò sulla sua figura esile, trafitta da un velo di preoccupazione.

-          Rosalie...

La chiamò Hiroki, ma lei sembrò non accorgersene. Fece slittare lo sguardo avanti e indietro, ma un turbine di pensieri ed emozioni le aveva annebbiato la vista. Ora ne era più che certa: suo padre le nascondeva qualcosa.

-          Rosalie?

E, probabilmente, dato che persino Roy ne era a conoscenza, lo doveva sapere anche Hiroki. Era sicura che fosse così. Spaventata, indignata, e con l’anima colma di questi irrisolti, placò il respiro, mordendosi convulsamente il labbro inferiore. Cosa poteva essere successo di così importante nel passato dei suoi genitori da nascondere in quel modo?

-          Rose!

Disse nuovamente il ragazzino accanto a lei, strattonando senza troppa violenza la maglietta dell’amica. Rosalie si destò, intuendo i suoi pensieri infrangersi all’espressione accigliata – e forse velatamente preoccupata – di Hiroki.

Scosse i capelli biondi, facendoli volteggiare al vento tiepido che soffiava da est. Vide Edward avvicinarsi a lei, scoccandole un sorriso talmente innocente da risultare, sul suo viso così sincero, fin troppo finto.

-          Oh, eccoti qui.

La sua voce era calma, eppure c’era una punta d’insicurezza nella sua voce. Sorrise, e in quell’istante i raggi del sole parvero illuminarsi di un alone ancora più prezioso.

-          Dove sei stata?

-          Un po’ in giro. Papà... che sta succedendo qui?

-          Oh. Niente, niente.

Farfugliò l’ex alchimista, agitando una mano, quasi volesse allontanare dal suo corpo quella domanda fastidiosa. La biondina portò una mano al petto, sentendosi ferita. Perché suo padre non voleva rivelarle il suo segreto?

Che centrasse qualcosa con quella pagina strappata che custodiva nella tasca? Ovviamente, non poteva essere altrimenti, ne era più che certa. La trasmutazione umana, l’alchimia, la pietra divina. Tutto troppo complicato per una mente sola.

-          Hiro.

Lo chiamò, senza mostrare alcuna espressione. Il moro la osservò per un istante, rendendosi conto che, quella bambina, dimostrava ben più che dieci anni. si mise scherzosamente sull’attenti, sostenuto da una divertita occhiata di approvazione del padre e da uno sguardo sconsolato della povera Riza.

-          Sissignora!

-          Idiota.

-          Hah.  Proprio come suo padre!

Si aggiunse Edward, ridacchiando e già immaginandosi lo sguardo fiammeggiante dell’ex colonnello puntato sulla sua schiena. Roy, infatti, sibilò qualcosa tra i denti, indispettito, prima di voltarsi, – ignorando completamente il biondo ex alchimista – raggiungere la moglie e sedendosi sul dondolo accanto a lei e Winry.

Edward scosse la testa e si chinò verso la figlia.

-          Stai attenta, ok?

-          A cosa?

-          Il nome “Mustang” è un sigillo di garanzia. E anche piuttosto scadente, oserei dire.

-          Sì, sì. Sempre la solita storia. Forza, vieni, Hiro!

-          Uhm. Va bene.

Edward osservò Rosalie sparire nuovamente con Hiroki – il quale gli aveva appena lanciato uno sguardo omicida vero e proprio – e li seguì per un po’ con lo sguardo, vedendoli dirigersi verso la casa della sua infanzia. Seguì con lo sguardo la loro corsa, i loro giochi, i loro battibecchi, e non poté fare a meno di commuoversi riconoscendo in quelle due sagome lui e Winry, in una corsa estiva di tanti anni prima, quando ancora non conosceva arroganti colonnelli, orridi mostri o dolori intensi provenienti da tutte quelle vite che aveva visto spegnersi davanti ai suoi occhi.

E mentre i bambini sparivano all’orizzonte, Edward si ritrovò a invidiare loro l’innocenza e l’inconsapevolezza di quello che era stato il loro vero mondo al di fuori di quella bolla di falsità, plasmata prima della loro nascita.

Ancora prima che si formasse quella sporca tela tessuta di ricordi, segreti e bugie.

 

@#@#@#@#@#@#@#@#@

 

-          Heilà, nanetto!

-          Senti chi parla!

Hiroki era fermo davanti a Daniel, e gli aveva scompigliato giocosamente i capelli d’oro, facendoli luccicare ai colori caldi del crepuscolo. Il piccolo Elric incrociò le braccia al petto, fingendo di ignorare le parole scherzose del suo migliore amico.

-          Erano ben due anni che non ti facevi vivo, qui a Resembool!

-          Eh, sai... ho avuto davvero molte ragazze di cui occuparmi...

-          Sì, sì, certo!

Scherzò, uscendo definitivamente dalla porta della casa di Pinako, seguito timidamente da una bambina di circa dieci anni, ce teneva la sguardo basso.

I liscissimi capelli corvini le arrivavano fluidi a metà della schiena e la leggera frangetta sulla fronte nascondeva appena due luminosissimi occhi aurei, più preziosi dell’oro più splendente.

-          Ah, ciao, Yumi.

Sorrise Hiroki, inclinando la testa in segno di saluto.

Yumi era la figlia di May e Alphonse, cuginetta di Rosalie e Daniel. Era una bambina molto dolce e timida, con un carattere paziente ed altruista. Reggeva tra le mani un grosso libro di narrativa,segno che, dal padre, aveva ereditato il grande amore per la lettura, oltre ai tratti del carattere.

Era stata con la madre a Xing per qualche tempo, per andare a trovare i parenti di May e assicurarsi che il regno di Ling Yao, diventato imperatore da pochi anni, stesse procedendo bene.

-          Ciao, Hiroki!

Esordì, con un  enorme sorriso. Dan si morse le labbra, senza saperne il motivo. Il moro rispose a Yumi strizzandole l’occhio, facendola arrossire.

-          Sono appena tornata di Xing.

-          Com’è lì?

-          È tutto diverso, è davvero molto bello.

-          Mi piacerebbe davvero molto visitarlo, un giorno. Insieme a te, magari.

Yumi sì imporporò nuovamente, avanzando di qualche passo e affondando i piedi nudi tra l’erba umida. Raccolse un fiore colorato da terra, portandolo al naso e traendone un lungo respiro.

-          Certo che non è male la cuginetta, eh Dan? Sono sicuro che appena sarà un po’ più grande, diventerà una vera delizia per gli occhi!

Sussurrò Hiroki all’orecchio del suo migliore amico. Daniel s’irrigidì, sputando un rivolo d’aria troppo fastidioso, tant’era amaro. Cosa diavolo era quella sensazione?

-          Mmh.

Rispose il biondo, senza pensarci troppo. Dopo un ultimo sguardo d’intesa, il gruppo si mosse verso i prati fioriti. Circa un’ora più tardi, dopo un tramonto trascorso a  correre nelle campagne, le forze li avevano abbandonati, così avevano deciso di fare una pausa. Ai piedi di un grande albero, Daniel e Yumi si erano addormentati, l’una con la testa appoggiata sulla spalla dell’altro, il libro aperto sulle ginocchia.

Sul ramo più robusto dell’albero, Hiroki raggiunse Rosalie, che si era appostata a rimirare gli ultimi rossastri scampoli della giornata.

-          Si sono addormentati.

-          Lo immaginavo. E tu? Hai sonno?

-          No. te?

-          Nemmeno io. Sai, quando ci sei tu, non ho motivo di dormire, mi perderei del tempo prezioso. Tutto, quando sei qui, sembra più bello.

-          È così anche per me. Mi siete mancati, davvero.

-          Tornerai l’estate prossima?

-          Certo che lo farò.

-          Promesso?

-          Promesso.

-          Hiro?

-          Sì?

-          Resteremo sempre amici noi, vero?

-          Sì, per sempre. Dan sarà il mio migliore amico per tutta la vita, come tu la mia “sorellina”. Non ci separeremo mai. E anche Yumi, sarà sempre con noi.

-          Hiro... ti voglio bene.

-          Anche io, Rose.

Si avvicinò a lei, che decise di appoggiare la testa al tronco dell’albero. Pochi istanti più tardi, spostò la testa sulla spalla del moro, sospirando. Rimasero così per un po’, finché Rose non infilò una mano in tasca e ne estrasse una logora pagina strappata.

-          Hiroki.

Sussurrò, con un filo di voce. Il suo viso, illuminato dagli ultimi raggi porpora del sole, appariva come avvolto da un velo di incantato mistero.  Hiroki la guardò curioso, osservando i suoi luminosi occhi azzurri, troppo interessati a quel foglio stropicciato. Lei prese un gran respiro, prima di formulare una domanda che avrebbe frantumato ogni più piccolo dubbio della sua esistenza.

-          Tu la conosci, l’alchimia?

 

 

 

 

 

Ecco quei, il prologo si è concluso. In quest’ultima parte qualcosa è cominciato ad essere più chiaro, giusto? Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, aspetto le vostre recensioni!

 

Alla settimana prossima, baci

MEggyElric___

 

 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 1: Le fiamme dell'Oscurità ***


Salve salve salve a tutti! Finalmente, oggi non ho più febbre, ma dato che ancora non sto bene, mi tocca stare a casa... così ho deciso di mettermi al lavoro prima, ed ecco il nuovo capitolo pronto qualche ora in anticipo! 
Ci troviamo nel vero lasso di tempo in cui è ambientata la storia, ossia nell’estate del 1938. Rosalie ha quindici anni, Daniel diciassette e le cose sono cambiate. C’è stato un evento, nel passato, che ha cambiato completamente le relazioni di alcuni dei personaggi. In questo capitolo, ci introduciamo un po’ anche nel passato, grazia a un flash-back di Rose.

Ok, a questo punto vi lascio al capitolo, che spero sia di vostro gradimento. Lasciatemi una recensione, mi raccomando! ^^

 

 

CAP. 1: LE FIAMME DELL’OSCURITA’

Un leggero alito di vento, talmente debole da risultare quasi dolce all’olfatto, forse perché portatore di ricordi lontani, misti al profumo dei fiori dell’ormai tramontata primavera. Quell’alba chiara, delicata, riflessa nel fiume limpido che serpeggiava quieto tra le campagne, l’aria intrisa di ogni sensazione che riportava alla mente immagini definite di frammenti di passato, luminosi, ben lontani da quel tempo in cui la guerra aveva avvolto il paesaggio nell’oscurità.

E tra le foglie degli alberi, quel fruscio lieve, che ricopriva la pelle di brividi piacevoli, portando con sé la consapevolezza che rendeva certi d’essere veramente a casa.

Sospirò, il suo fiato si sciolse nell’aria frizzante di quella mattina, rischiarata da un alone di riflessi rosati.  Tra il cinguettio dei passerotti, seduta sul ramo ruvido di quell’albero accanto al quale era cresciuta, Rosalie scrutava l’orizzonte, inseguendo un punto lontano che, probabilmente, nemmeno lei era certa di conoscere. La brezza le mosse appena i biondissimi capelli, facendoli volteggiare tra le foglie.

Sorrise, accarezzando con una mano il tronco rugoso, rendendosi conto che l’estate, a Resembool, non era mai stata così bella. Eppure, eppure, eppure, mancava qualcosa.

Rosalie adorava svegliarsi presto per gustarsi in pace il sorgere del sole, senza essere costantemente disturbata dai borbottii del padre, che ancora si rifiutava di far colazione con i cereali perché andavano immersi nel latte, condizione che a lui proprio non andava giù.

Certe volte, Rose avrebbe scommesso sul fatto che chiunque, vedendoli insieme, avrebbe giudicato lei più matura, nonostante non contasse più di quindici anni.. Probabilmente, sarebbero persino arrivati a pensare che Edward fosse il suo sconsiderato e infantile fratello maggiore, ma sicuramente non suo padre. Sembrava così giovane.

-          Rose!

Si voltò, un ciuffo di capelli le sfiorò il viso, accarezzando le sue labbra piene e rosee, insinuandosi tra loro. Lo scostò con un gesto della mano, e i capelli miele tornarono a posarsi sulla canotta viola, ricamata con una fascia in pizzo sulla scollatura.

Assottigliano gli occhi, riconobbe tra le foglie dell’albero la figura del fratello, che avanzava lentamente verso di lei, con le mai affondate nelle tasche e stampata in viso un’espressione pressoché annoiata.

-          Sapevo di trovarti qui.

-          Immaginavo che saresti arrivato.

-          Cosa pensavi che avrei fatto quando non ti ho trovata nel letto?

-          Non lo so, una festa?

La sua voce toccò una nota d’ironia un po’ troppo aggressiva. Daniel le rispose con un mugugno.

-          Mmh.

-          Perché sei entrato in camera mia?

-          Perché rispondi a una mia domanda con un’altra domanda?

-          Lo hai appena fatto anche tu, no?

-          Umph.

-          Forza, rispondimi.

-          Eri troppo silenziosa, così sono venuto a controllare se qualcosa non andava, avevo paura che stessi male. Ma appena sono entrato, ho notato che la stanza era vuota, il letto rifatto.

-          Sorpresa!

-          Hai dormito fuori, di nuovo, Rose?

-          È importante?

-          Può darsi. Perché sei così scontrosa stamattina?

Rosalie sospirò, saltando giù dal ramo e atterrando con i piedi nudi sull’erba umida. Gli occhi color del cielo si posarono su quelli oro del fratello, successivamente tornarono all’orizzonte, dove ormai il sole era sorto completamente.

-          Perché mi hai disturbata.

-          Sempre più acida, eh?

-          Scusa, Dan. Sono solo un po’ nervosa. È solo che... lui ha sempre da ridire su ogni cosa.

-          Lui? lui chi?

-          Lui, papà.

Daniel alzò gli occhi al cielo, avanzando di un paio di passi e spostando con la mano un ramo dispettoso che avrebbe altrimenti ostacolato il suo cammino.

-          Dannazione, Rosalie. Avete litigato ancora?

-          Può darsi.

-          Che hai fatto stavolta?

-          Perché dovrei essere stata io a iniziare?

-          Ah, chissà. Forse perché è sempre così?

-          Taci, stupido. Tu eri da Yumi, - come al solito - cosa ne vuoi sapere?

-          Che c’entra nostra cugina, adesso?

-          Ha. Hahaha.

Rise la ragazza, seria, gettando i capelli di lato. Daniel la fissò irritato, afferrando tra le mani l’orologio d’argento, tenuto fino a quel momento affondato nella tasca posteriore dei pantaloni.

-          Cugina.

Sussurrò Rosalie, chiaramente allusiva, quasi volesse inserire tra virgolette quella semplice parola. Il ragazzo dagli occhi d’oro finse di non capire, rimanendo muto alla debole affermazione della sorella. Rosalie, dal canto suo, tamburellò le dita sottili sulla coscia, ricoperta appena dai pantaloncini neri, cortissimi. Fissò l’orologio tra le mani del fratello e si mordicchiò un labbro, inseguendo nella sua mente le parole giuste da rivolgere.  Ad un tratto, Daniel riprese la parola.

-          Perché avete litigato?

-          La solita storia, Dan. La solita storia.

Daniel abbassò il capo, gettando nuovamente in tasca l’orologio e stringendo i pugni, sibilando tra i denti qualcosa che la ragazza non capì. Si lasciò improvvisamente cadere a terra, atterrando sull’erba ruvida che graffiò i suoi polsi scoperti.

La ragazza, accigliata, lo raggiunse. Seduta accanto al fratello, lo osservava, seguendo i lineamenti ombrosi del viso tesi in un’espressione mista tra il rimorso e la rabbia. Istintivamente, l’abbracciò, posando il mento chiaro sulla sua spalla, coperta da uno strato di cotone rosso.

-          Che c’è?

Sbottò Daniel, facendo slittare lo sguardo alle mani della sorellina, intrecciate al suo collo e posate sulla spalla opposta a quella dove giaceva il suo viso.

-          Scusa. Per come mi sono comportata. Mi dispiace, sono un’idiota.

-          Spiace anche a me che tu sia un’idiota.

-          Sei sempre molto simpatico, sai?

Scherzò Rosalie, sedendosi tra le sue gambe, precedentemente incrociate. Posò la schiena al suo petto, scuotendo appena la testa per scostare alcune ciocche di capelli dal viso. Daniel le accarezzò i fili mielati, sospirando appena e sorridendo affettuosamente.

-          Comunque, sicuramente più di te.

Ammise, spostando il viso di lato, per poter ammirare l’orizzonte.

Rosalie chiuse gli occhi, i quali avevano assunto la stessa fresca tonalità del cielo. Un tepore dolciastro s’impadronì di lei, facendola sprofondare in un’oscurità dai riflessi rosati. Stava talmente bene in quella posizione e sapeva che, tra le braccia del suo fratellone, tutti i mali del mondo sembravano essersi dissolti nel nulla.

Eppure, c’era ancora qualcosa che si muoveva dentro di lei, qualcosa di graffiante, che lasciava dei piccoli tagli nel suo cuore. Era una battaglia fastidiosa, infinita, sentiva come se, dentro di lei, due combattenti  si battessero per uno stesso valore, ma nessuno fosse disposto a soccombere per permettere all’altro di prendere il sopravvento, e vincere. Così, le lame dei due guerrieri s’erano incrociate, squarciando ciò che di ingenuo restava nella sua anima, lasciandola a bocca asciutta.

E quella maledette voglia che l’attanagliava, il voler sapere tutto, sapere di più, la stava divorando lentamente, a piccoli morsi amari, mentre delle fiamme ardenti facevano razzia dei suoi pensieri.

Fuoco, fuoco, fuoco.

Quelle splendide fiamme che illuminavano la sua notte, l’ultimo ricordo che s’inceneriva nella sua mente, un vento pungente che spezzava ogni scampolo di memoria.

Eppure, quelle fiamme erano ancora vive nella sua testa, così luminose e dorate che nulla avrebbe mai potuto eguagliarle. Nemmeno la luce del sole riusciva a riscaldarla come le memorie di quella sera, il suo cuore che galoppava verso un futuro diverso, lontana da tutte quelle bugie che – ne era certa – erano legate al passato.

Ma la verità – dannata –  era tornata, insospettabile, e l’orrore negli occhi fluidi di Edward si era impossessato anche di lei, quasi obbligandola a dimenticare quelle care fiamme, e la pagina di quel libro strappata anni prima.

“La verità è davvero crudele” aveva ripetuto più volte suo padre, fin da quand’era piccola, ma lei non era mai riuscita a cogliere il vero significato di quell’affermazione. Incontrava sempre gli occhi di Edward, persi in un turbine di ricordi – lo erano sempre, i suoi. E non l’avrebbe mai scordato, lo sguardo vissuto di suo padre – che pareva così doloroso, o il sorriso di Winry, di una dolcezza mista ad apprensione, o quasi... commozione? E così, la meccanica si perdeva, osservando l’automail del marito.

Ecco un altro quesito che, tra i suoi dubbi, non aveva trovato risposta.

Le avevano più volte raccontato che quella gamba sinistra Edward l’aveva persa a causa di una malattia, ma la cosa le puzzava terribilmente.

Il dolore e il dispiacere con i quali suo padre osservava quella protesi era troppo evidente per passare inosservato. O almeno, così era per lei. Si era sempre chiesta se suo fratello, così riluttante com’era verso i suoi pensieri, fosse davvero tanto ottuso da non accorgersi di nulla, o se sapesse invece qualcosa di più, magari la verità che legava il passato della sua famiglia con il mistero dell’alchimia.

-          Dan, fratellone.

-          Sì?

Bisbigliò lui, scostando alcuni capelli della sorella che, fastidiosi, si erano posati sulle sue labbra.

-          Ti va di parlare?

-          Parlare? Parlare di cosa?

-          Uhm. Per prima cosa, promettimi che non farai storie.

-          Ok, Rose. Ok. Ma ora dimmi, te ne prego.

-          Tu ricordi... quella faccenda legata... all’alchimia, vero?

Daniel arricciò le labbra, assottigliando le palpebre e distogliendo lo sguardo dall’orizzonte, posandolo in un punto non ben definito nel cielo. Strappò alcuni fili d’erba, lasciandoli poi liberi nell’aria, osservandoli sparire lontano in una macchi verdeggiante.

-          Certo.

fu la sua debole risposta, la voce rotta dal risentimento.

-          È per l’alchimia, che è iniziato tutto questo.

-          Già.

-          Già.

-          Sai, continuo a sospettare che papà ci nasconda qualcosa.

-          Lo pensavi anche quando avevi dieci anni.

-          Lo so benissimo, sapientone.

-          A quel tempo, andava tutto bene, nonostante i tuoi dubbi.

-          No, non è affatto così.

-          Sì, invece. È andato tutto bene finché non è tornato quello, ad è accaduto l’irreparabile

-          Hey, non fargliene una colpa! Lui non ha fatto proprio niente!

-          Che cosa? ma non ricordi che...?

-          Certo che me ne ricordo, che cosa credi, idiota? Diamine, Daniel! Hiroki è...

-          Uno stronzo. Un vero stronzo che non ah neanche motivo di stare al mondo.

-          No, non lo è, non lo è affatto!

-          È stato lui a rovinare il tuo rapporto con papà, se non ricordo male.

-          Stava tentando di consolarmi!

-          In quel modo?

-          Per me è stato meraviglioso! Non puoi entrare nella mia mente, Daniel!

-          Sì, s’, certo. Solamente perché avevi una cotta per lui.

Rosalie premette le mani a terra, forzando abbastanza per darsi la spinta ed alzarsi in piedi, così da allontanarsi dalla tenera presa del fratello, che in quel momento risultava essere solamente un impedimento.

Daniel scattò in piedi e afferrò saldamente il polso della biondina, che stava già tentando la fuga attraverso i prati fioriti. La strattonò forse troppo sgarbatamente verso di lui, così da poterla guardare negli occhi.

Solo allora si accorse che le iridi cobalto erano solcate da grosse lacrime, trattenute con forza, ma pronte a sciogliersi da un momento all’altro. Avvertì una fitta al cuore.

-          Rosalie...

-          Che vuoi? Perché non mi lasci andare?!

-          Perché stai piangendo, stupida?

-          Non sto piangendo! E ora lasciami!

Gridò, scoppiando in lacrime e abbandonandosi tra le braccia di Daniel, che l’accolse, sorpreso. Posò il mento sulla cima della sua testa, stringendola forte al petto.

-          Shh.

-          Avevi detto che non saresti più tornato sull’argomento. Lui non mi piace.

-          Non l’ho fatto. Perché piangi?

-          Ti ho detto che non sto piangendo!

Singhiozzò, il ragazzo roteò gli occhi.

-          Ok, Rose. Allora, perché “non stai piangendo”?

-          Idiota.

-          E siamo a due oggi.

-          Idiota.

-          Tre.

-          Devo continuare?

-          No, no ho capito. Sono un idiota.

Rosalie sorrise, e fu come se un raggio di sole le avesse illuminato il viso, facendo risplendere le sue lacrime. Daniel spostò una leggera ciocca di capelli della sorellina dietro l’orecchio, lasciando che un orecchino luccicasse sul suo lobo destro.

-          Perché non capisce?

-          È per il tuo bene.

-          Ma lui...

-          Rose. Papà ha deciso tempo fa tutto ciò. E scusami, ma condivido pienamente la sua scelta. Non giudicarmi male, ma non ho alcuna voglia di rivedere quel bastardo di Hiroki. Né ora, né mai.

La ragazza si sciolse dall’abbraccio e indietreggiò di qualche passo, posando le mani a terra e rotolando sull’erba umida. L’ultima lacrima si perse tra le gocce di rugiada. Sorrise, crogiolandosi al tiepido sole mattutino. Daniel, scombussolato dagli improvvisi sbalzi d’umore della sorella, tornò a sedersi al suolo.

-          Tu, ragazza, mi devi spiegare un paio di cose.

-          Stavo per chiederti la stessa cosa.

-          Rispondi prima a me, d’accordo?

-          Ok, ok.

-          Cos’è successo quella sera, due anni fa?

-          Non lo so, dimmelo tu. Sei tu quello che sa tutto.

-          Rosalie.

-          Ok,ti racconterò.

Affermò, sedendosi accanto a lui. Sospirò, viaggiando con la mente fino a raggiungere l’ultimo sbiadito – e bruciante – ricordo di quella notte di luna piena.

 

Rosalie camminò per la via sterrata, saltando, di tanto in tanto, le piccole pozzanghere grigiastre, ultime tracce dell’acquazzone estivo che aveva da poco inondato con le sue forti piogge l’intera regione dell’est.

Con le lacrime che premevano sugli occhi, intrisi di rabbia, s’avviò per le stradine che contornavano la sua casa, fermamente decisa a trovare la sua quercia preferita, salire su uno dei rami più alti e appollaiarsi lì, finche qualcuno – del quale lei conosceva pienamente il volto – la raggiungesse e si scusasse in ginocchio ai piedi dell’albero.

Certo, era più che sicura che Edward non si sarebbe mai scomodato per andare a raccattarla, né tantomeno per scusarsi. Molto più probabilmente, qualora si fosse stancato di stare ad aspettarla, l’avrebbe raggiunta sul ramo, caricata sulle spalle e trascinata a forza fino alla porta di casa.

E forse – forse – anche fino in camera sua, dove sicuramente avrebbe mandato Winry a parlarle e a cercare di calmarla, mentre lui sarebbe tornato ad allenarsi – chissà poi per quale motivo un uomo come lui dovesse allenarsi nelle arti marziali – tirando calci a destra e a manca, puntando alla semplice aria pura, talvolta uscendo sene con dei sonori “muaahhhhh!”.

Ma sinceramente tutto ciò a lei non importava, perché si sarebbe aggrappata saldamente a quel ramo e non sarebbe più scesa senza prima aver ricevuto delle scuse sincere, a costo di rimanere lì anche per tutta la notte.

Dopotutto, non sarebbe stata nemmeno la prima volta che dormiva fuori casa. L’aveva fatto persino la notte precedente, e la cosa, a Edward, sembrava non essere affatto andata a genio.

Avevano litigato di brutto per tutto il giorno, poi, all’improvviso, Rosalie aveva afferrato la mantellina, si era girata di spalle e aveva annunciato, spalancando la porta: <<  Adesso basta, mi hai stufata. Non sai quando è veramente ora di finirla!>> E così Edward, ferito nell’orgoglio, le aveva sbattuto la porta alle spalle, concludendo con un falsamente disinteressato: << Certo, certo, vai pure! E non tornare! >>.

A quel punto era fuggita via, pestando i piedi nell’erba secca dal sole, dirigendosi a passo spedito verso il suo piccolo angolo di paradiso.

E fu allora che, tra le foglie e i fiori colorati, notò una macchia dorata saettare via e, un secondo dopo, la schiena di suo fratello sparire tra le sterpaglie.

 

-          Che cosa?

Chiese Daniel, stupito, riferendosi al racconto della sorella. Rosalie sbuffò, spazientita, odiava essere interrotta. Lanciò uno sguardo indecifrabile al ragazzo, il quale, però, le pose un’ulteriore domanda.

-          Tu eri lì?

-          Sono arrivata in quel momento, ma non ho visto né sentito nulla. Quando mi accorsi che quella sagoma era la tua, tu eri già lontano.

-          Umph. E poi?

-          E poi... quello che successe dopo non l’ho mai dimenticato. Dietro quell’erba alta, nascosto dalla semi-oscurita del tramonto, c’era Hiroki.

 

Si voltò nuovamente, chiedendosi per quale motivo Dan stesse ancora correndo a quel modo, con lo sguardo basso, come era solito fare quand’era adirato, o peggio, deluso. Scosse la testa, superando l’ombra sottile e grigiastra della quercia, rendendosi conto che, per quanto egoista potesse sembrare, di suo fratello, in quel frangente, non le importava proprio niente.

Si aggrappò alla corteccia ruvida e scagliata, saltellando un paio di volte finché non riuscì a puntare anche i piedi, pronta così a salire. Si arrampicò abilmente e con un colpo di reni si ritrovò seduta sul ramo più spesso e robusto della pianta.

Posò la schiena al tronco, incrociando le braccia al petto, finché le ultime luci del tramonto non scomparvero definitivamente all’orizzonte. Esalò un sospiro tiepido, che si sciolse nell’aria mite dinnanzi a lei. Perché doveva essere tutto così difficile? In fondo aveva solamente optato per una nottata all’aperto. Certo, aveva passato la notte a chiacchierare con Hiroki del più e del meno, ma la cosa non le era sembrata poi così grave. D’altra parte, quello che con il tempo era diventato il suo migliore amico – o quello che era – aveva ormai quindici anni, ed era abbastanza maturo e indipendente per prendersi le proprie responsabilità e proteggerla da qualunque imprevisto.

Sicuramente, come se a Resembool ci fossero tutti questi pericoli.

Forse, però, era stato proprio quello il problema, magari suo padre aveva pensato che lei e Hiro... no, assolutamente! Che idiozia! Arrossì al solo pensiero.

 

-          Hahahahaha!

La risata sguaiata di Daniel aveva spezzato il freddo silenzio che si era creato dopo quell’affermazione, e Rosalie s’era imporporata nuovamente. Il ragazzo dagli occhi dorati s’era avvicinato al suo viso e l’aveva squadrato curiosamente.

-          Rose... ma sul serio, ti piaceva quell’idiota?

-          No, santo cielo! Non mi piace e non mi è mai piaciuto!

-          Sei credibile quanto papà che dice d’aver bevuto il latte.

-          Hahaha! Ottimo paragone, fratellone.

Ridacchiò serena, socchiudendo gli occhi.

-          Grazie.

-          Ora, se la pianti di interrompermi – e di ridere – continuerò.

-          D’accordo, d’accordo. Ma sbrigati, Rose. Comincio ad avere fame.

 

Strappò una foglia e la piazzò davanti al viso, così da poterne ammirare le venature, per poi gettarla al vento, e vederla volteggiare lontano dal suo sguardo.

Ad un tratto, sentì un lieve fruscio e un rumore secco, poi improvvisamente Hiroki comparve davanti a lei, agile e leggero come un gatto. Rosalie, colta di sorpresa, sussultò e ondeggiò, rischiando di cadere dal ramo.

Con uno scatto, Hiroki l’aveva afferrata per la schiena e l’aveva stretta a sé, comprimendola contro il suo petto.

Alla tredicenne mancò un battito. S’imporporò violentemente, mentre un calore fin troppo intenso invadeva ogni centimetro del suo corpo e un fresco aroma maschile prendeva fieramente possesso delle sue narici. Una forza a lei sconosciuta premeva sulla sua testa, come se volesse farle scoppiare le orecchie. Le mancò anche il fiato, per un istante.

Solo per un istante.

In un attimo, si ritrovò nuovamente appoggiata al tronco, la nebbia nello sguardo s’era dissolta, il cuore aveva ricominciato a battere, il respiro era tornato regolare. Nascose il viso arrossato tra i capelli luminosi come raggi di sole, boccheggiando. Cosa diavolo le era successo?

-          Hey? Terra chiama Rosalie!

Aveva esclamato Hiroki, vedendo l’amica persa nei meandri dei pensieri. Alzò lo sguardo vitreo, incontrando quello di lui, del colore dolce del cioccolato e tentennò a parlare, tentando di non arrossire nuovamente. Non era da lei essere così intimidita.

-          Rose?

La chiamò nuovamente, sventolandole una mano davanti al viso. Lei si riscosse, trovandosi faccia a faccia con Hiroki e i suoi capelli color della notte. Si morse un labbro, rendendosi conto di non aver mai amato la notte quanto in quel momento.

-          Ahm, sì. Ci sono.

-          Stai bene?

-          Oh, sì. Sì. Sto benone.

Si asciugò velocemente una lacrima che aveva rigato il suo volto qualche minuto prima, ma fu bloccata dal ragazzo che fermò la sua mano e asciugò la goccia lucente con una tenera carezza. Hiroki sorrise, specchiandosi negli occhi celesti di lei.

 

-          La cosa si fa sempre più interessante!

Scherzò nuovamente Daniel, cercando però di allontanare il fastidioso ricordo del ragazzo. Vide il volto di Rosalie farsi sempre più serio e indietreggiò meccanicamente, colto da un’infondata paura che gli faceva immaginare la sorella brandire pericolosamente una delle pesanti chiavi inglesi di Winry.

-          Ok, ok.

Si rassegnò, portando le braccia sopra la testa in segno di resa, sotto lo sguardo fiammeggiante della biondina.

-          Vai avanti, Rosalie. Non t’interromperò più.

 

Rosalie indietreggiò appena sul ramo, aderendo perfettamente con la schiena al tronco solido, spinta da una forza a lei estranea, che la attirava senza pietà verso Hiroki, ma allo stesso tempo la spingeva lontano contro la sua volontà, come una calamita che incontra una sua simile allo stesso polo.

Trovava tremendamente assurda quella situazione, così come lo era anche la complessità dissolta nei suoi pensieri. Diamine, era solo Hiroki.

-          Hey, Rose? Rose! Che ti prende?

-          Oh, oh, niente, niente. Mi hai solo colta di sorpresa. Non me l’aspettavo!

-          Fifona!

-          Hey, non iniziare una battaglia di insulti che non puoi portare a termine. Hai per caso visto mio fratello?

Hiroki si rabbuiò, improvvisamente. Distolse lo sguardo da lei, concentrandolo in quel primo lontano bagliore lunare che stava spuntando da una nuvola. Rosalie inclinò la testa di lato, studiando profondamente l’espressione – per lei indecifrabile – dell’amico d’infanzia.

Perché Hiroki non le rispondeva più? Aveva perso quel sorriso arrogante – eppure così dolce, così affascinante – ed era diventato come più... distaccato. Che avesse detto qualcosa di sbagliato?

-          No.

Disse lui, ad un tratto, con voce talmente ferma e decisa da far rabbrividire la ragazza.

-          Non l’ho visto.

Si affrettò ad aggiungere, inghiottendo un boccone che doveva essere davvero amaro, a giudicare dall’espressione enigmatica del suo viso. Velocemente, Hiroki saltò giù dal ramo, atterrando perfettamente in piedi. Allungò una mano verso Rosalie, che l’osservò senza capire.

-          Forza.

La rassicurò lui, recuperando il buon umore.

-          Vieni giù e spiegami cosa ti è successo.

-          ...cosa?

-          Fidati di me, Rosalie. Poi, ti mostrerò una cosa che adorerai sicuramente.

Rosalie afferrò la mano che il ragazzo le tendeva e si lasciò trascinare giù. Si sedettero a terra, una di fronte all’altro, mentre la luce lattea della luna piena, ormai completamente libera, delineava i loro profili, regalando loro magici riflessi argentei. La bionda raccontò tutto all’amico, a partire dalle parole di suo padre, delle scenate che erano seguite e della sua fuga. Inspiegabilmente, Hiroki parve divertito dal discorso.

-          Sono così ridicola?

-          No, no. ma tuo padre è assurdamente geloso.

-          ...eh? C-cosa?

Balbettò la ragazza, arrossendo.

-          No, non... voglio dire, non ce ne sarebbe motivo!

-          Tu dici?

-          Ehm... sì, Hiro.

-          Umph, come vuoi. Va meglio adesso?

-          Insomma. Tu che volevi mostrarmi?

-          Oh, ora vedrai. Ti piacerà, sicuramente!

Il ragazzo dai capelli corvini si alzò dal suolo facendo forza sulle braccia e girovagò nelle vicinanze, lo sguardo puntato sul prato ombroso. Ad un tratto si chinò, raccogliendo qualcosa con facilità. Velocemente, corse di nuovo verso Rosalie.

-          Un fiore?

Domandò lei, accigliata. Hiroki ridacchiò.

-          Sì, Rose. È un fiore.

-          E che dovrei farmene? È carino ma... a me i fiori non piacciono molto.

-          Tu tienilo lo stesso. Ecco, così, un po’ distante dal viso.

-          Ok, come vuoi.

Biascicò, diffidente. Inclinò la testa, scorgendo Hiroki infilarsi un paio di guanti bianchi, aderenti, segnati sul dorso da uno strano simbolo. Non l’aveva mai visto prima di quel momento, eppure quello strano cerchio le ricordava terribilmente qualcosa. Il ragazzo sorrise, tirando il guanto destro e facendolo schioccare sul polso.

-          Sei pronta, Rosalie?

Lei annuì. Un solo schiocco di dita, debole, seppur pronunciato, e dal guanto destro si liberò una piccola scossa dai riflessi celesti. I petali del fiore s’accesero improvvisamente, mentre una fiammella danzava languidamente tra le mani della ragazza, che spalancò gli occhi, incredula, trattenendo il fiato. Non era possibile, no, era impensabile. Eppure, quel fuoco sembrava così vero, così caldo. Che fosse... che fosse magia?

No, non lo era.

Tutto tornò di botto alla sua mente, come un’implacabile onda che s’infrange sullo scoglio più appuntito dell’oceano. Si rese conto, in quel momento, di conoscere perfettamente la natura di quel calore che stava scemando piano piano, gettando rossastre lingue fiammanti nell’oscurità.

-          Ma questa è... è alchimia!

 

 

 

 

 

 

 

Nuovamente, siamo alla conclusione del capitolo. Che ne pensate, allora? Qualcosa comincia a incastrarsi, e la verità sull’alchimia comincia a venire a galla.

 

Ringrazio tutte le persone che seguono la mia fanfiction e tutte quelle che hanno recensito. Siete voi che mi date l’ispirazione! Grazieee!! :D

 

Alla prossima settimana!

Baci baci

MeggyElric___

 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 2: L'alba del nuovo Futuro ***


CAP. 2:  L’ALBA DEL NUOVO FUTURO

L’alba era ormai alta, quel mattino, e il sole estivo, ospite ormai abituale della piccola cittadina di Resembool, filtrava senza impedimento alcuno nella camera semibuia, silenziosa e tranquilla.

La porta era socchiusa, segno che qualcuno, quella notte, era uscito e rientrato, forse per sgranchirsi le gambe, o dare una boccata alla pura aria notturna della campagna. Appoggiato alla maniglia, vi era un panno bianco, macchiato all’angolo da un fluido giallognolo, forse olio da lavoro.

Appena sotto alla finestra, sul tavolo di legno scuro, luccicavano al sole i vari metalli di automail di ogni genere, forma e dimensione, accanto a chiavi inglesi, viti e bulloni.

Nella parete opposta alla grande finestra, era posizionato un imponente armadio in stile antico, che occupava quasi tutta la larghezza del muro, luminoso e riflettente per gli specchi che occupavano ogni anta. Il riflesso lucido mostrava un letto dalla superficie disfatta, un lenzuolo bianco, spiegazzato.

Edward prese un gran respiro, beandosi dell’aria tiepida e profumata che aveva inondato il suo petto. Stringendo le palpebre per ripararsi dalla luce fastidiosa, mugugnò, posando il mento tra i capelli di Winry, stringendo forte a sé il suo corpo.

Il contatto con la sua pelle nuda, morbida e calda, lo fece rabbrividire dal piacere e dalla dolcezza, in ogni angolo del corpo.

Tenne le palpebre serrate, sospirando al ricordo di quella notte d’amore. Rimembrò il viso della moglie, teso in un’espressione che solo lui – o almeno, così sperava – aveva avuto l’occasione di vedere, ricordò il suo corpo, connesso al suo, che si muoveva con una grazia eccezionale, una grazia che contrastava con il suo modo di essere, così – a volte – violento.

Fece scorrere un dito sul fianco di Winry, sentendola fremere e mugugnare qualcosa nel sonno. L’ex alchimista sorrise, chiedendosi, per l’ennesima volta, chiedendosi come potesse essere possibile tutto ciò.

Il ricordo della guerra civile, della lotta contro gli homunculus, di tutte le sofferenze che aveva patito, sembrava così lontano, in quel pacifico momento.

Il calore e la luce che gli erano tanto mancati in quegli anni, erano tornati ad avvolgerlo, donandogli molto più di ciò che aveva sempre sognato. E, per quanto scontato potesse sembrare – lo era anche per lui, e forse un po’ si vergognava di quel pensiero – anche sentire la morbidezza scottante del seno di sua moglie sulla pelle, era un’esperienza che non avrebbe mai voluto perdersi, e che lo rendeva estremamente felice. Arrossì, nascondendosi tra le pieghe del lenzuolo.

Aprì e richiuse gli occhi, un paio di volte, riflettendo. Era sposato – e con Winry! - , aveva due splendidi figli – nonostante Rosalie fosse sempre stata una vera peste - , tutte cose che, nella sua vita passata, non avrebbe nemmeno potuto immaginare.

Mugugnando, prese tra le labbra il lobo dell’orecchio della donna accanto a lui, giocherellando con gli orecchini argentei che lei, da quando lui stesso glieli aveva riportati, non aveva più smesso di indossare. Addolcì lo sguardo, al ricordo di lui stesso e del suo fratellino – che avevano all’epoca 13 e 12 anni – regalare a Winry il suo primo paio di orecchini.

Lei mormorò qualcosa che a Edward sfuggì, accomodandosi meglio su di lui.

Abbracciati da un’atmosfera dolce e impalpabile, chiusa in un silenzio di respiri deboli, ritmati dal battito di due cuori in accelerazione, esitavano a proferir parola. Era tutto troppo bello, e perfetto, per essere spezzato. Winry aveva aperto lievemente gli occhi, liberando i suoi due oceani turchini. Batté le ciglia lentamente, riparandosi dai raggi del sole che, prepotenti, ferivano le sue iridi liquide.

Schiuse le labbra in un leggero sorriso, socchiudendo nuovamente gli occhi.

-          Buongiorno, Ed.

Sussurrò, addolcendo la voce nell’ultima sillaba. L’ex alchimista ricambiò il sorriso, accarezzandole con grazia i capelli mielati scompigliati sul cuscino. Avvicinò il viso al suo, cercando le sue labbra calde; le trovò subito, con grande sollievo. La baciò lentamente, accarezzandole la spalla destra, appena scoperta. La sentì fremere al suo tocco, e sorridere contro i suoi denti, colta da milioni di brividi piacevoli.

Con l’ultimo spasimo di respiro, si allontanò di pochi millimetri per poi gettarsi nuovamente su di lei, catturandola in un bacio a cui non seppe resistere, uno di quelli che riservava per i momenti speciali.

Winry incrociò le braccia dietro al collo di lui, affondando le dita sottili tra i capelli sciolti e dorati più del grano. Il profumo d’erba bagnata – quell’aroma che l’aveva fatta impazzire già dal primo istante – entrò in lei, confondendo ogni immagine e ogni emozione.

Intrecciò dolcemente la lingua con quella di Edward, che invece cercava di muoversi sempre più velocemente tra le sue labbra dischiuse.

-          E...Edward.

Balbettò. Seguendo il profilo del mento del marito con baci e morsi bollenti. Si allontanò poi da lui svogliatamente, tornando a distendersi sul letto. Edward sorrise, soddisfatto.

-          Buongiorno anche a te, Winry.

-          Che ottimo risveglio!

Ed scoppiò a ridere, scoccando uno sguardo allusivo alla donna, che arrossì un po’. Il cuore dell’ex alchimista ebbe un tuffo. Si morse il labbro inferiore, procurandosi dei brividi che corsero lungo tutta la spina dorsale. Dio, quanto l’amava quand’era imbarazzata!

Non avrebbe mai ammesso ad altri – nemmeno ad Al –  di quanto fosse felice in quel momento, perché nessuno sarebbe realmente mai stato in grado di capire il vero significato di ciò che stava provando. Lui era un uomo guerriero, l’amore non avrebbe mai fatto per lui. O almeno, così pensava molti anni prima.

Si alzò dal letto, facendo l’ultima carezza a Winry, per poi raccattare i vestiti sparsi a terra e gettarli in un angolo del muro. La moglie sospirò, scendendo anch’essa e avvolgendosi il corpo esile in un soffice accappatoio bianco.

-          Vai a fare la doccia.

Consigliò a Edward con un sorriso, superandolo e appoggiandosi allo stipite della porta. Lui la fissò interrogativo.

-          Se vuoi, ti preparo una bella torta di mele per colazione! Ci vorrà un po’, ma sarà ottima, vedrai!

Cinguettò, mandandogli un bacio e saltellando per le scale. Raggiunse la cucina, udendo lo scroscio dell’acqua risuonare nel silenzio.

Arricciò le labbra, nel svelare in quel silenzio qualcosa di... insolito? Erano le sette e...quanto? Le sette e mezza, e nella casetta non volava una mosca. Nonostante il sole fosse appena sorto, si ritrovò stupita dal fatto di non udire il quotidiano trambusto che era solita fare Rosalie, dato che s’alzava la mattina presto.

Afferrò la cesta delle uova dal ripiano fresco, posandola poi sulla credenza. Le aveva comprate al mercato il pomeriggio precedente, ed erano davvero belle e grosse, segno che la vecchia contadina che abitava al di là del campo aveva svolto un ottimo lavoro, con le sue galline.

Batté un paio di volte il guscio rigido sulla ciotola che si trovava lì accanto, facendovi scendere tre tuorli pieni e rossi. Con estrema calma, aggiunse anche la farina, lo zucchero e il burro, che aveva fatto intenerire.

Mescolò distrattamente con un cucchiaio di legno, accorgendosi che il suono lontano dell’acqua s’era ormai arrestato. Lasciò la scodella sul ripiano, prendendo tra le mani alcune mele rosse e iniziando a sbucciarle con impegno, un sorrisino divertito comparve sulle sue labbra, quando udì Edward imprecare a voce alta, irritato dal fatto che l’automail alla gamba si fosse impigliato nell’asciugamano che si era probabilmente avvolto intorno ai fianchi.

Ridacchiò silenziosamente, mentre con un colpo deciso tagliava a metà il frutto succoso. Non si accorse però che l’indice della sua mano sinistra si trovava in traiettoria.

-          Ahia!

Piagnucolò, portando immediatamente il dito alle iridi cobalto. Dall’apice della scala comparve Edward, vestito con la solita canottiera nera e dei pantaloni morbidi del medesimo colore.

-          Cos’è successo?

Chiese, avvicinandosi alla moglie, afferrandole con velocità la mano e portandola a pochi centimetri dal viso. Winry ritrasse la mano, portandola verso il lavandino.

-          Niente.

Borbottò. Una gocciolina scarlatta di sangue scivolò lenta sul pavimento ligneo, macchiandolo appena. Edward aggrottò un sopracciglio.

-          Mi sono tagliata.

-          Lo vedo. Ma come? Sbucciando le mele?

-          Uhm, sì.

L’ex alchimista nascose un risolino, gonfiando appena le guance. Poco dopo, avendo ricevuto un’occhiataccia di fuoco dalla donna, la raggiunse, stringendola da dietro e posando il mento sulla sua spalla sinistra.

-          Non ti sei fatto la barba stamattina?

Commentò Winry, accorgendosi della carezza pungente della guancia del marito.

-          Stai per caso tentando di somigliare a tuo padre, Ed?

Edward svanì come un’ombra su per le scale, senza proferire parola, i passi coperti dalla risata di Winry, che nel frattempo aveva applicato velocemente un cerotto sulla ferita ed aveva ripreso il suo lavoro.

Alcuni minuti più tardi, la meccanica stava sistemando le ultime fettine di mela sulla pastella morbida, quando un Edward alquanto infastidito attraversò la stanza, lasciandosi cadere, con un notevole chiasso di ferraglia, sul divano imbottito poco distante.

Winry infornò la teglia, chiudendo lo sportello caldo con un colpo secco.

-          Hey, Win.

La chiamò il marito, appoggiando la testa sullo schienale del divano, e inclinandola leggermente all’indietro. Lei si girò, cercandolo con gli occhi.

-          Mmmh?

-          Rose... e Dani, dove sono?

Chiese, massaggiandosi il mento rasato, forse appena solcato da qualche ciuffetto di barba biondiccia, sfuggito alla sua vista per via della fretta. Winry  alzò gli occhi al cielo, ormai del tutto convinta che quel sospettoso silenzio, che fin da quand’era sveglia aveva avvertito, nascondeva realmente qualcosa di sbagliato.

Attraversò la cucina a passo spedito, fermandosi poi proprio davanti a Edward, ch la osservava di sottecchi. Sospirò, abbandonandosi accanto a lui.

-          Lo sapevo.

Si lasciò sfuggire, affondando testa e schiena sui cuscini morbidi. Edward le si avvicinò, accarezzandole i capelli biondi. La donna abbassò lo sguardo, compiacendosi di quelle piccole attenzioni.

-          Daniel? Non... non c’è nemmeno lui?

-          È un deserto, lì sopra.

-          Quando potrebbero essere usciti?

-          Molto presto, direi. Rosalie, per come stanno le cose, potrebbe anche aver dormito fuori. Il letto era rifatto, e lei non si prende mai la briga di sistemarlo, la mattina. Dopotutto, non sarebbe nemmeno la prima volta.

-          Io... non ci posso credere, Ed.

-          A cosa?

-          Insomma, lei è... come dire? Mi ricorda tanto te, quando avevi la sua età. Non eri mia a casa, se non quando facevi qualcosa d sbagliato e facevi a pezzi i miei automail.

-          Quando io avevo quindici anni, io non ero mai a casa non solo perché ormai una casa non ce l’avevo più, ma anche perché avevo una missione da compiere, e tu lo sai bene.

-          Ed, non è questo il punto. Tu hai sempre desiderato viaggiare, muoverti, scoprire cose nuove. La vita sedentaria non ha mai fatto per te. Ed io, che rimanevo qui a Resembool, ero sempre più preoccupata. Avevi quindici anni, la mia età, e benché non mi avessi mai voluto rivelare cosa tu e tuo fratello combinavate a quel tempo, ho sempre sospettato che si trattasse di qualcosa di estremamente pericoloso, a giudicare da com’eri conciato le poche volte che riuscivo ad incontrarti. Avevo già perso troppe persone importanti, e il solo pensiero di veder sparire anche voi, mi lacerava il cuore. Però, tu volevi continuare il tuo viaggio, e per quanto io desiderassi tenerti stretto, ti ho lasciato andare, perché sapevo che, altrimenti, la tua anima non sarebbe mai stata in pace con se stessa.

-          Ma Rose è...

-          Esattamente come te! Ha sempre amato vivere fuori da queste quattro mura, e non ci sarebbe da sorprendersi se un giorno decidesse di prendere e partire per un viaggio simile al tuo.

-          Ma Winry, perché devi sempre parlarmi sopra?!

-          Perché sapevo che avresti detto qualcosa di insensato, come al tuo solito!

-          Come insensato?! Winry, nostra figlia è scappata di casa stanotte!

-          Ancora non ne siamo sicuri! E anche se fosse? Abitiamo in un paesino di campagna, lo conosce meglio di qualsiasi altra cosa! Tu invece te ne sei andato per anni in posti completamente diversi, senza mai degnarti di fare una telefonata, o mandare una lettera!

-          Vuoi litigare, Winry?!

-          Qui l’unico che vuole litigare sei tu, nanetto!

-          Come mi ha chiamato?! Sono più alto di te, idiota!

-          Idiota a me?!

-          Smettila di urlare!

-          Smettila tu! Non sarebbe successo niente se tu non avessi cominciato a rispondere così!

-          Hai detto che sapevi che avrei ammesso qualcosa di insensato!

-          È vero, scusami, Ed... ma tu...

-          Ah, mi hai stufato!

Grugnì, alzandosi con uno scatto dal divano e dirigendosi a passo svelto verso la porta d’ingresso. Lesta, Winry lo raggiunse, e cercò di fermarlo, afferrandogli il polso del braccio destro.

-          No, Ed, aspetta!

-          Lasciami. Li vado a cercare.

-          No, Ed! Torna qui!

Si girò verso di lei mostrandole un sorrisetto strafottente.

-          No, mi dispiace. Non sono il tuo cagnolino.

-          Ma che diavolo stai dicendo?

Lui si voltò, senza rispondere e riprese a camminare. Winry tentò di seguirlo, incespicando con i piedi nudi tra l’erba ruvida. Fece per riafferrare il suo polso, ma lui lo strattonò con un gesto violento, aumentando il ritmo dei passi.

-          Edward.

Lo chiamò, in un sussurro, fermandosi nel punto in cui era arrivata. Si lasciò cadere con le ginocchia a terra, graffiandosi appena la pelle con i ciuffi secchi. Si aggrappò a quei fili d’erba sentendo le lacrime premere con forza sui suoi occhi già liquidi.

-          Edward!

Gridò, il volto ormai solcato dalle gocce cristalline. Per Edward fu un colpo al cuore. Si voltò, e corse verso di lei, gettando all’aria calda di luglio i suoi stupidi propositi di rabbia e orgoglio.

<< Idiota >> si disse, mentalmente.

Idiota, idiota, idiota. Ecco cos’era. Solo un emerito idiota. Come aveva potuto farla piangere ancora? In quel momento, avrebbe tanto voluto farsi trapassare da uno dei tentacoli di Pride, o farsi cogliere improvvisamente dalle fiamme di Roy. Avrebbero sicuramente entrambi bruciato molto meno sulla sua pelle delle lacrime di Winry, che scivolavano inesorabili sul suo braccio destro.

Idiota, idiota, idiota. Come poteva permettersi di stringerla al petto, scossa com’era da singhiozzi rumorosi, che lei tentava, invano, di trattenere? Se in quell’istante ci fosse stato Al, certamente l’avrebbe riempito di rimproveri.

-          Winry, Winry, io...

Balbettò, non conoscendo realmente le parole giuste da pronunciare. Era completamente inutile ricominciare a darsi dell’idiota, in quel momento, perché, nonostante fosse una verità accertata, non avrebbe di certo risolto la situazione.

-          Hey, Win... scusa

Perché continuava a piangere? Si sedette accanto a lei, lasciando che il viso scendesse verso il suolo. Aveva quasi quarant’anni e ancora non aveva capito come comportarsi con lei. Non era più un bambino, ormai avrebbe dovuto cominciare a capire come andavano le cose.

-          Ok, scusami. Sono un vero idiota.

-          Sì, sì lo sei! Lo sei sempre stato e non mi stupisce affatto che tu non sia cambiato. Si può sapere perché diavolo t’è saltato in testa di comportarti così?

Sbraitò, negli occhi fiamme accese che sbriciolarono anche gli ultimi residui delle lacrime, ormai asciutte anche sulle guance arrossate. Sbuffò, cercando di alzarsi in piedi ma questa volta fu la calda mano di Edward ad afferrarle il polso e a pregarla di restare. Alzando gli occhi al cielo, si sedette di nuovo sull’erba e si sorprese quando vide l’oro dei capelli dell’ex alchimista posarsi tra le sue gambe incrociate.

Sorrise, percependo il cuore iniziare a battere furiosamente nel suo petto.

-          Ti prego, stai qui.

Sussurrò, mentre il sole faceva risplendere la sua testa di una luce aurea. Una strana sensazione pervase il corpo di Winry, che si ritrovò a pensare un’unica cosa davanti a quello spettacolo.

-          ...Bellissimo.

-          Che cosa?

-          Oh, no. Niente.

-          Hey, dimmi. Bellissimo cosa?

-          Ah... uhm, tu.

Edward alzò lo sguardo, incontrando quello fluido di lei. Le sorrise, facendola rabbrividire dalla meraviglia.

-          Sei... bellissima anche tu.

Mormorò, arrossendo terribilmente. Era bastato così poco per fare pace? Si fece sfuggire un rivolo d’aria dalle labbra, che bastò per smuovere poco i capelli biondi della moglie, sciolti e lisci come seta.

-          Abbiamo... fatto pace?

Chiese lei, socchiudendo le palpebre.

-          Vuoi anche il giuramento con il mignolo?

-          Spiritoso. Non sono più una bambina, sai?

-          Ha. Tu dici?

Ridacchiando, si alzò da lei, lasciandole un’improvvisa e spiacevole sensazione di vuoto. La spinse leggermente, facendola cadere tra l’erba e si allontanò spedito, mentre lei, boccheggiando, tentava di rendersi conto di quella ridicola situazione.

-          Forza, prendimi!

-          Cosa?!

Esordì, sconcertata.

-          Cosa c’è? hai forse paura di perdere?

-          Hai quarant’anni e vuoi... giocare?

-          Certo, che problema c’è?

-          Ah, io non lo so. Che problema c’è?

-          Sei splendida.

Le sussurrò, tornando verso di lei e prendendole il viso tra le mani per regalarle un bacio carico di dolcezza. Per loro, era come se il tempo non fosse mai passato. Erano ancora bambini, non erano mai cresciuti. O almeno, tentavano di rimanere aggrappati a quell’idea di infanzia, forse per recuperare, a poco a poco, la vita che era stata loro rubata.

Winry si gettò su di lui, facendolo rotolare a terra. Si fermarono dopo qualche istante e rivolsero lo sguardo al cielo. Edward la strinse a sé, sospirando.

-          Sai che Daniel è più maturo di te, vero?

-          Umph.

-          Sai una cosa? Mi ricorda davvero molto Al, come modo di pensare. È così... responsabile,razionale. Cioè, lo guardi e ti viene da pensare: “è impossibile, questo ragazzo non ha diciassette anni”. anche io, ad esempio, ho sempre pensato che Alphonse sembrasse più grande di te. Non solo per l’altezza, intendiamoci, però davvero qualcuno potrebbe pensare che sia lui il maggiore. E Daniel, beh, lui gli è così simile.

Edward ascoltò in silenzio. Trattenne il respiro, corrugando il viso in un’espressione che dava l’idea di una riflessione profonda. La donna l’osservo incuriosita, assottigliando gli occhi sotto i raggi del sole.

-          Winry.

Disse l’ex alchimista, ad un tratto, con voce seria. La meccanica tese le orecchie.

-          Uh... Daniel... è figlio mio?

-          ... eh?!

-          Cioè, voglio dire, non è che poi vengo a scoprire che tu e Al...

Non fece in tempo a completare la frase, che una pesante chiave inglese lo colpì dritto in testa, lasciandolo tramortito al suolo. Da dove sua moglie avesse estratto quell’arma mortale non gli era dato saperlo, e preferì l’ipotesi di una eventuale grande tasca nell’accappatoio piuttosto di quella in cui Winry aveva segretamente imparato le trasmutazioni alchemiche.

Per un momento, tenne a mente che la meccanica potesse essere una strega, ma si vide costretto a scacciare il pensiero, vedendo l’espressione severa che gli si presentava davanti.

-          Sei davvero un idiota. Come puoi pensarlo?

Edward si risedette e tornò a fissare il suolo, senza rispondere. Winry scoppiò a ridere, sedendoglisi accanto. Si arrese, ben sapendo che lui non avrebbe mai abbandonato il suo orgoglio per risponderle.

-          Ok, Ed. lasciamo stare. Però, ti devo chiedere una cosa.

-          Mh?

-          Mi vuoi spiegare perché ti sei arrabbiato così prima?

-          Beh, così.

-          No, Ed. Non “beh, così”.

-          Umph. Certo che sei sempre la solita...

-          Ok, ascoltami. So benissimo che Rosalie ha quindici anni e tu la vedi ancora come una bambina, ma...

-          Winry, è proprio questo il punto!

-          Scusa?

-          Insomma, io... avevo la sua età, anzi, avevo dodici anni quando me ne sono andato. Ho percorso molte avventure, alcune pericolose e ora... ora ho paura.

-          Paura?

-          Sì, Win. Paura. Ho un’immensa paura che tutto si ripeta, perché lei non è più una bambina. Sarò anche debole per questo, ma ho davvero paura di perderla.

Winry trattenne il respiro, accarezzando con i polpastrelli i fili d’erba ruvida solcata da qualche rilucente goccia di rugiada. Sentì il cuore addolcire il battito, come se ogni parte del suo corpo si fosse tutt’un tratto trasformata in tessuto soffice e impalpabile, qualcosa che lei non riuscì a riconoscere.

Quell’estrema dolcezza che aveva ritrovato nella voce di Edward, nel momento in cui le labbra avevano pronunciato quel “paura di perderla”, nascosta a una punta d’acidità che lo caratterizzava, la fece sorridere inconsciamente, mentre una grossa lacrima – soltanto una, non aveva intenzione di piangere, non ancora – premeva sugli occhi luminosi.

Istintivamente, lo abbracciò, posando il mento sulla sua spalla destra e sfiorando con le mani, attraverso la stoffa della canottiera, le grosse e profonde cicatrici che quell’antico ricordo – l’automail che lei stessa aveva costruito, quel braccio che gli aveva donato – avevano lasciato sulla sua pelle altrimenti liscia e pura.

Edward la strinse forte, lasciando che i capelli chiari gli solleticassero il naso. Le baciò il collo, accompagnando il gesto con una carezza sulla schiena. Si allontanarono quanto bastava perché l’ex alchimista riuscisse a leggere negli occhi della moglie una luce diversa, tremolante che sussurrò qualcosa che il suo cuore intuì subito.

“Non succederà mai.”

“Mai”. Quella parola gli suonava tanto come “impossibile” e lui aveva imparato, a sue spese, che tutto poteva essere possibile. Annuì, poco convinto, mentre un pensiero spietato cominciava ad agitarsi nel suo petto, graffiandogli il cuore, sopra ferite non del tutto risanate.

Afferrò la mano che Winry gli tendeva e si diresse nuovamente verso la loro casa, quel piccolo angolo in cui tutto il passato doveva essere lasciato alle spalle. eppure tutto, in quelle campagne – la casa della zia, di Al, May e Yumi, quella stradina che portava all’orizzonte, verso un mondo così diverso da quel minuscolo paradiso, quei resti della casa dei suoi ricordi, e l’albero, l’altalena che non potrà volare più – lo incatenavano sempre di più ai ricordi dolorosi, così difficili da cancellare, timorosi di essere vissuti.

-          Vieni dentro.

Lo intimò Winry, aprendo la porta. Un profumo delizioso lo avvolse, scaldandogli il cuore martoriato.

-          Sbrigati, o la torta si brucia.

Sentì quelle parole sbiadite, come musica in sottofondo. Lanciò un ultimo sguardo all’esterno, rivelando in controluce le sagome dei figli accanto ad un albero lontano, poco distante dal cimitero in cui erano sepolti suo padre e sua madre.

Lasciò la porta socchiusa, entrando, spiegando alla moglie – o forse era solo un modo di ingannare se stesso – che Rosalie e Daniel sarebbero tornati presto. La verità era che – e lui lo sapeva più che bene – quello spiraglio sulla porta non era altro che un ultimo bagliore che scemava sempre più nel suo cuore.

Una debole luce che, però, non avrebbe mai potuto serrare al di fuori di sé.

 

 

 

SPAZIO AUTRICE ^___^

 

Saaaaalve a tutti.

Scusate. Scusate, scusate, scusate. Dovreste appendermi a testa in giù sulla cima di un vulcano per questo. Miiiiiiiiiiiiiiiiiiiii dispiace tanto! Non so come scusarmi, sono stata malata, ho avuto le gare di danza e la fine della scuola, ma non sono validi motivi per abbandonarvi!

Sono terribile D: *si deprime in un angolino*

Ma... ora sono tornata! Diciamo che il problema è stato più che altro ricopiare il testo al computer, perché, come capitoli scritti a mano, sono arrivata al numero sei ^w^ *esce dall’ombra* Per cui.. ora vi prometto di impegnarmi a non essere più così ritardataria! :D

 

Vi lascio al capitolo numero due, buona lettura! ^___^

 

 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 3: Il mio Migliore Amico ***


Eccoci qua, un’altra volta. Devo dire che ricopiare pagine e pagine scritte a mano sta diventando meno estenuante, ora che la scuola è finita xD Ma accantoniamo l’argomento, mi scuso per il ritardo. Non riuscirò più a postare una volta alla settimana, spero solo che l’irregolarità degli aggiornamenti non crei troppi problemi. Oggi ho risposto a tutte le vostre recensioni: i vostri complimenti mi lasciano sempre senza parole, grazie!

 

Nello scorso capitolo abbiamo lasciato Edward in balia dei suoi ricordi, Winry alle prese con la torta di mele e i ragazzi che tornavano dal luogo della loro chiaccherata. In questo capitolo, verrà svelato qualcosa che, piano piano,  vi aiuterà a rimettere insieme i pezzi della storia.

Buona lettura! :)

 

 

 

CAP. 3: IL MIO MIGLIORE AMICO

Era quando calava la sera che Edward s’accorgeva veramente di quanto la sua Rosalie si stesse estraniando da tutto ciò che riguardava la famiglia. La vedeva sempre uscire, in silenzio, avvolta ogni notte da un abito scuro, che risultava essere una sorta di camicia da notte, del color della notte, che tanto faceva confondere il suo corpo nell’oscurità.

Ma i capelli biondi, argentei sotto la luce della luna, si smuovevano appena dalle sue spalle, ritmati dal calmo ansito del suo respiro regolare, illuminandole il viso – e la pelle chiara, gli occhi luminosi colore del mare – fino a farla sembrare un angelo delle tenebre.

L’ex alchimista serrò i vetri della finestra dalla quale osservava la figlia, seduta in silenzio sui gradini della veranda all’ingresso, i piedi nudi tra l’erba e lo sguardo volto al cielo stellato.

Gettò uno sguardo a Winry, che era china sul tavolo da lavoro, alla luce della lampada che gli stava vicino, e trafficava con vari attrezzi che Edward già conosceva, tante erano le volte che avevano fatto visita alla sua gamba sinistra. Le scoccò un sorriso tenero che lei ricambiò, infilandosi gli occhiali con le lenti graduate e tornando ad occuparsi dell’automail che stava assemblando, molto probabilmente per un cliente.

Edward raccattò un elastico sul comodino e se lo portò alle labbra, mentre le mani raccoglievano i lunghi capelli dorati sulla nuca. Prese poi tra le dita l’elastico e lo annodò tra i capelli, sbuffando indispettito ad alcuni ciuffi che erano sfuggiti al suo controllo.

-          Ed? Dove vai?

Chiese Winry a mezza voce, liberando gli occhi azzurri dai grossi occhiali e osservando il marito stringere la maniglia tra le dita, pronto ad abbassarla. Il biondo si voltò, facendo ondeggiare la coda appena fatta.

-          Da nessuna parte.

Disse, guardando altrove, con falsa indifferenza. La meccanica si portò le mani ai fianchi, sbuffando.

-          Ti conosco da quarant’anni, pensi che non riconosca quando qualche idea ti frulla per la testa?

-          No, ma...

-          Avanti.

-          Ah, Winry...

Sospirò passandosi una mano sul viso.

-          Voglio parlare con Rose.

Winry gettò un breve sguardo alla finestra, senza però riuscire a scorgere altro che il buio della notte. Posò il cacciavite che teneva nella mano destra e si pulì le dita con uno straccio asciutto, per eliminare tutto l’olio che aveva utilizzato nelle giunture. Si alzò dalla sedia con un sospiro e si avvicinò a lui, accarezzandogli una spalla.

-          Cerca di non combinare disastri.

-          Perché dovrei? Quando mai io...

Scherzò, giocherellando con la coda dorata e facendo un passo attraverso la porta. La donna preferì non rispondere e indietreggiò nella direzione opposta a quella del marito, portandosi una mano al cuore, in segno di sconfitta.

-          Fai attenzione.

Sussurrò, accarezzando con delicatezza la superficie lucida e gelida degli automail che si trovavano sul tavolo, distogliendo per un istante lo sguardo dall’ex alchimista. Edward sbuffò divertito e la salutò con un gesto della mano, uscendo definitivamente dalla porta e scendendo le scale con velocità. Attraversò rapidamente il salotto – dove Daniel era impegnato a bere u bicchiere di latte fresco – per dirigersi all’ingresso. Lanciò uno sguardo disgustato alla bevanda orribilmente conosciuta che stava sorseggiando il maggiore dei suoi figli, per poi fermarsi sullo stipite della porta.

Rosalie era seduta sul gradino lì fuori, e scrutava il cielo con lo sguardo perso nel vuoto. Udendo il rumore di ferraglia che l’automail del padre produceva contro il pavimento solido, s’irrigidì, pronta a balzare lontano da lui se le cose avessero cominciato a prendere una brutta piega.

Edward la raggiunse e si sedette accanto a lei, rimanendo muto. Rose abbassò l sguardo, trovando improvvisamente molto interessante la composizione del prato sotto ai suoi piedi. L’ex alchimista stette in silenzio, imitando la ragazza e spostando lo sguardo a terra.

Il canto dei grilli s’insinuò nelle loro menti, rendendo ancora più imbarazzante quel lungo silenzio che appariva senza uscita. La ragazza percepì il proprio corpo andare a fuoco quando la voce di suo padre ruppe quella barriera che aveva costruito a poco a poco, quasi inconsapevolmente.

-          Rosalie.

La voce gli uscì in un sussurro quasi gracchiante, come se il suo cuore avesse paura di affrontare un discorso con quella ragazza dagli occhi di un azzurro penetrante, esattamente identici a quelli di sua madre.

Si chiese per quale motivo, quando Rosalie aveva voltato il viso per guardarlo negli occhi, una scarica elettrica aveva attraversato la sua schiena, quasi fosse un’intimidazione ad allontanarsi.

-          Papà.

rispose lei, seria, boccheggiando. Gli lanciò uno sguardo indecifrabile, spostandosi distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

-          Scusa.

Sussurrarono, all’unisono. Si sorpresero entrambi, scivolando appena all’indietro sullo scalino. Un sorrisetto compiaciuto comparve sulle labbra sottili di Edward, seguito da una risatina divertita. Rosalie alzò un sopracciglio.

-          Che c’è?

-          Oh, niente, Rose. Niente.

-          E perché ridi, dunque?

-          Perché mi hai sorpreso. Sei così orgogliosa, credevo che non ti saresti mai scusata. La mamma ha ragione, sai? Sei proprio come me.

-          Umph. Eppure, anche tu ti sei scusato.

-          Hai ragione.

-          Perché l’hai fatto?

-          Non c’è una ragione per ogni cosa. Da quando ragioni in modo così matematico?

-          Oh, oh. Senti chi parla.

Borbottò, digrignando i denti. L’ex alchimista alzò gli occhi al cielo, riconoscendo nella voce della figlia quella nota d’arroganza e superiorità che tutti avevano sempre riscontrato in lui.

-          E non mi guardare così, come se tu avessi mai avuto una mente creativa. Tutto ha una spiegazione, tutto ha inizio da qualcosa. Uno è tutto, e tutto è uno. Me lo ripetevi sempre, quand’ero piccola, ed io non era mai riuscita a coglierne il significato.

-          E così, te ne ricordi ancora.

-          Certo che me ne ricordo. E tu, tu te ne ricordi?

Edward si lasciò sfuggire un sorriso che non lasciava spazio a dubbi. “Ovvio, con chi credi di parlare?” sembrava urlare quello sguardo, prezioso e splendente come l’oro. Rosalie si avvicinò impercettibilmente, posando lo sguardo proprio sulle iridi auree. Edward se ne accorse.

-          A cosa stai pensando?

-          Oh, niente. Solamente vecchi ricordi.

-          Hai quindici anni e pensi a vecchi ricordi.

-          Hai quarant’anni ma dentro hai ancora la mia età.

-          Direi che siamo pari. La mia è stata un’esistenza piena, Rose. È come se la mia infanzia e la mia adolescenza, mi fossero state strappate via, per farmi crescere interiormente troppo in fretta.

-          Già, già. La malattia alla gamba, le guerre ai confini...

Elencò, con l’aria di chi la sa lunga, ma cerca di mascherare quella conoscenza segreta con l’indifferenza. L’ex alchimista avvertì una pungente sfumatura d’ironia nella sua voce pulita, e per un attimo si chiese se non fosse stato solamente frutto della sua immaginazione.

-          Esatto.

Esalò, scostando lo sguardo da lei per evitare che notasse quel guizzo di menzogna nei suoi occhi profondi. Ci fu un nuovo momento di silenzio estremamente teso, saturato solo da due respiri lenti, irregolari.

-          Papà, non è stata una malattia il vero problema per la tua gamba, vero?

-          Che cosa...?

-          Pensi... pensi che non me ne sia mai accorta? Ogni volta che osservi il tuo automail, il tuo sguardo è talmente carico di disprezzo, di rammarico, di colpevolezza, che mi viene totalmente impossibile credere che hai perso la tua gamba sinistra a causa di una malattia. C’è qualcos’altro, qualcosa che ci tieni nascosto, non è forse così? E poi, la tua spalla destra, quelle cicatrici, sono certa che non sono un segno casuale. Dimmi la verità, papà. Quella giusta.

Edward ammutolì, rimanendo paralizzato dalle fredde parole della figlia. Si maledisse mentalmente, insultandosi, perché in fondo sapeva che, prima o poi, la verità sarebbe venuta a galla. La verità, la verità. Digrignò i denti, ad un altro doloroso ricordo.

-          La verità, eh? È questo che vuoi?

-          Sì, sì esatto. La verità.

L’ex alchimista si alzò, spolverandosi i pantaloni con le mani. Accarezzò dolcemente i capelli di Rosalie e le diede le spalle, sospirando.

-          “Dà agli uomini giusta disperazione cosicchè non diventino troppo vanitosi. Questa è l’essenza stessa di ciò che chiamate con il nome di divinità. Questa, è la verità.”

Citò, in un sussurro, prima di riprendere a camminare e svanire, a poco a poco, nell’oscurità dinnanzi a lui. rosalie rimase senza parole.

-          Che cosa?! Papà? Papà! Che cosa significa?

Nessuna risposta arrivò al suo orecchio, se non un lontano uggiolio di un cane, o di un lupo, perso tra i boschi bui della notte. Rosalie si alzò da terra, ondeggiando per via dell’equilibrio che le era venuto a mancare. Si aggrappò alla staccionata che circondava la veranda, cercando con gli occhi suo padre nell’oscurità. Un rumore che non s’aspettava la fece sussultare, costringendola a voltarsi verso la porta che stava alle sue spalle.

-          Daniel?

-          Ciao sorellina. Parlavi con papà?

-          Più o meno. È come scomparso. Ha detto qualcosa a proposito della “verità che dà giusta disperazione” e poi è sparito nel buio. È venuto qui a chiedermi a cosa stessi pensando  ed è uscito questo discorso. Credo che papà volesse farmi capire qualcosa, Dan, qualcosa che non può rivelare, che deve tenere nascosto. Qualcosa di importante.

-          Hei, Rose. Rose! Pensaci un attimo, tu hai sempre creduto in quest’idea.

-          Sì, su questa hai assolutamente ragione, però...

-          Però niente. A che stavi pensando?

-          Vecchi... vecchi ricordi.

-          Hiroki.

-          Non nominarlo in quel modo. E comunque no, signorino “sotuttoio” , non stavo pensando a lui, affatto.

-          No?

-          No.

-          E smettila, Rosalie. Non sei in grado di mentire come si deve.

-          Umph. Chissà da chi ho preso.

-          Smettila, con queste allusioni. E poi, perché’ diavolo stavi pensando a lui?

-          A te che importa?

-          M’importa. M’importa perché sei mia sorella, e mi preoccupo per te. E poi, hai visto? Alla fine hai ammesso che stavi pensando a quello stronzo.

-          Pff. Esagerato. Che mai ti avrà fatto?

-          Oh, niente. Niente.

Daniel abbassò lo sguardo, sedendosi accanto a Rosalie. Lei l’osservò confusa, volgendo poi lo sguardo nuovamente al cielo stellato, buio e lontano come non l’aveva mia visto.

-          No, non ci credo. Non può essere “niente”.

-          Invece, lo è.

-          Pensala come ti pare. Comunque sia, non potrò più rivederlo.

-          Non è altro che un bene.

-          Dimmi cos’è successo, Daniel. Dimmelo adesso.

-          Sei solo una stupida ficcanaso, nanetta. Taci.

-          Oh, senti chi parla, l’altissimo signor “non mi faccio i fatti miei” ora mi vuoi spiegare perché non ti fidi di me?

-          Io mi fido di te, e poi sei tu che ti stai facendo i fatti miei, non il contrario.

-          Sta’ zitto. Forza, dimmi ciò che è successo.

-          Non dovevo stare zitto?

Lo sguardo che ricevette lo intimò invece a parlare. Si passò una mano sul viso, con fare sconsolato. Rose sbuffò impaziente, tamburellando le dita sul legno ruvido del gradino. Daniel alzò lo sguardo verso di lei, arrossendo nuovamente.

-          Ok.

Si arrese, mordendosi nervosamente le labbra. Rosalie si mise comoda e ascoltò, incuriosita dall’imbarazzo espresso dal suo fratellone. Il ragazzo prese un grande respiro, e poi iniziò a raccontare.

-          Due anni fa. È cominciato tutto... due anni fa.

 

Daniel era seduto sul tavolo della cucina della casa degli zii, la dimora in cui suo padre, sua madre e Alphonse avevano trascorso ciò che avevano vissuto della loro infanzia. Rigirava tra le dita la tazza candida, colma di thè che la ormai vecchia Pinako gli aveva versato pochi minuti prima.

-          Che cosa succede?

La voce gracchiante della nonna – BIS-nonna – sdraiata sul divano, lo fece tornare bruscamente alla realtà. Posò la tazza sul piattino, producendo un rumore acuto che lo infastidì.

-          Non è da te perderti così nei pensieri. Qualcosa non va?

-          Mmh, no. non è successo nulla, nonna.

-          Sarò anche ormai molto vecchia, ma non stupida.

-          Non è niente, davvero. Non ti preoccupare.

Si alzò lentamente dalla sedia, afferrando la tazza e posandola, ancora piena, nel lavandino della cucina. Attraversò il salotto, dirigendosi verso la porta, ma quando fece per prendere la maniglia, una voce conosciuta gli fece battere forte il cuore. Si voltò e non fece in tempo a respirare che Yumi – e il suo vestito bianco, che le fasciava morbido i fianchi appena accennati, e i suoi capelli, color della notte, e il suo profumo, così dannatamente dolce – era già tra le sue braccia, con un brillante sorriso dipinto sul volto.

Yumi alzò lo sguardo, dorato come quello del cugino. A Daniel mancò il respiro, quando quel dolcissimo sorriso – che lo fece rabbrividire dal piacere – venne di nuovo presentato ad illuminare il suo volto.

 

-          Daniel, ma tu...

-          Basta.

Mormorò il ragazzo, nascondendo il viso imbarazzato tra i capelli d’oro e sbuffando sonoramente. Rosalie ammutolì, storcendo le labbra in una smorfia impaziente. Daniel la osservò per qualche istante, per poi digrignare i denti e tornare a parlare.

-          Stai un po’ zitta anche tu, per una volta, Rose.

 

-          Ciao.

-          Ciao.

Il silenziò calò nella stanza, e Pinako tossicchiò contrariata, tentando di sciogliere l’imbarazzo celato nelle guance del nipote. Daniel si riscosse dal suo stato di trance.

-          Co-come stai?

-          Bene, Dan! E tu?

Di nuovo quel sorriso. Quel dannato, meraviglioso sorriso.

-          Oh, bene, bene. Ti stavo aspettando. Dai, sbrigati, che Rose e Hiro ci aspettano per il pic-nic!

-          Certo, sono pronta! Ciao nonna!

Così dicendo, uscirono, chiudendosi la porta alle spalle. Yumi saltellò sull’erba umida, stringendosi al petto un oggetto che il ragazzo ancora non aveva notato. Daniel le si avvicinò, sospirando nell’avvertire quel profumo paradisiaco, ancora troppo infantile. Cercò di scacciare il pensiero, convincendosi del fatto che tutto ciò fosse orribilmente sbagliato.

-          Che cos’hai lì?

-          È un libro che mi ha regalato papà. Ho iniziato a leggerlo ieri sera. È molto bello.

-          Di cosa parla?

La mora non fece in tempo a proferir parola che Rosalie le saltò al collo, facendole perdere l’equilibrio e cadere all’indietro. Hiroki ridacchiò, battendo una mano sulla spalla del biondo.

-          Allora!

Cinguettò Rosalie sbattendo velocemente le palpebre e facendo ondeggiare il cesto ricolmo di vivande che Winry le aveva pazientemente preparato. Dan aiutò la cugina ad alzarsi, allungando entrambe le mani verso di lei.

-          Andiamo?

Si avviarono in gruppo, mentre Rosalie e Hiroki continuavano a punzecchiarsi a vicenda, con battute e frecciatine amichevoli. La giornata passò magnificamente, impreziosita da sguardi nascosti e fugaci, colmi di una verità fin troppo sbagliata e irragionevole per essere definita tale.

Era ormai tardo pomeriggio, Rosalie e Yumi s’erano appartate all’ombra di un albero a ridacchiare e confabulare tra di loro. Hiroki si avvicinò a Daniel sorridendo, e passò un braccio sulle sue spalle.

-          Senti un po’, piccoletto.

-          Umph.

-          Che cosa sta succedendo qui? E non dirmi “niente”, perché so per certo che non è così.

-          Perché tu e mia sorella non fondate un club?

-          Beh, ti dirò, tua sorella è fantastica.

Il biondo gli lanciò uno sguardo storto. Dove voleva andare a parare?

-          Però...

Hiroki assottigliò gli occhi vispi, abbassando la voce. Si avvicinò di più all’amico, trascinandolo, con poche semplici parole che avrebbero influenzato la sua vita di lì in avanti, in un baratro oscuro dal quale non sarebbe mai riuscito a risalire.

-          Yumi è davvero molto carina.

La gelosia.

 

Il silenzio si era impadronito della situazione, e il vento scivolava leggero tra le fessure dei rami, tremando nell’aria in un sibilo acuto. Daniel aveva abbassato lo sguardo, di nuovo, e lo aveva agganciato ai suoi piedi, ben fermi sul terreno, fingendo interesse.

Prese una profonda boccata d’aria, sospirando amaramente. Rosalie seguì il suo sguardo nell’ombra, sopprimendo una dolorosa, quanto sconosciuta fitta al cuore.

-          A Hiro piaceva... Yumi?

La voce le uscì strozzata, come se, a pronunciare quella frase innocente, la gola non avesse mai smesso di bruciarle. Eppure deglutì, ignorando quelle sensazioni, cosi come quel dolore estraneo che aveva attanagliato il suo petto qualche istante prima.

-          Sì, sì. È così.

Era la voce di Daniel, quella accanto a lei, e in quel momento la trovava più vicina che mai. Udì un nuovo sospiro infrangersi sul suo collo, e davanti ai suoi occhi scivolarono fluidi i capelli dorati del fratello, che aveva teneramente appoggiato la testa sulla sua spalla.

-          E io...

Era di nuovo la voce del ragazzo, spezzata da un sussulto silenzioso, nascosto tra le sue corde vocali. Respirava piano, il suo fiato caldo si rompeva invisibile sul collo di Rose, mentre un brivido gli percorreva il collo, le spalle, la schiena.

-          Anche se lei aveva solo tredici anni, per me era stupenda. I suoi occhi, i suoi capelli profumati e quel suo modi di essere, così dolce, con il suo viso da bambina.

Trattenne il respiro, chiudendo gli occhi e abbandonandosi al calore della sorellina. Boccheggiò, tentando di trovare le parole giuste che, pochi istanti dopo, s’infransero nell’aria ventosa di quella sera di mezza estate.

-          Forse, forse... mi ero innamorato di lei.

 

In quel momento, fu come se tutto il mondo, per lui, si fosse fermato, e quel silenzio che regnava intorno – il vento che non soffiava più, la voce delle ragazze troppo lontana per essere udita, e quell’improvviso mutismo che aveva avvolto tutto – pulsava sulla fronte come il più assordante dei rumori, veloce e violento come lo scoppio di un imprevisto temporale.

-          Già. È una ragazzina molto bella, mia cugina.

Quella parola, “cugina”, sfuggì dalle sue labbra con uno sfrecciare improvviso, come se quelle poche lettere pesassero enormemente sulla sua anima.

Hiroki si lasciò scappare un sorriso amaro, allontanando per un istante lo sguardo, per poi tornare a posarlo sugli occhi d’oro del suo migliore amico. Osservò la danza dei capelli di Yumi, e il suo sorriso debole, innocente, ancora immaturo. Rosalie, accanto a lei, con quella sua fierezza, quel suo sguardo tenebroso, misterioso, la faceva sembrare tutt’altro che un’innocente tredicenne.

La forza con la quale si schiudeva al mondo, la sua voglia di scovare la soluzione ad ogni mistero che osi intralciare il suo cammino, la faceva apparire ancora più matura di quanto già non fosse. Ed era proprio questo aspetto, che lo attirava in modo impressionante.

Daniel, accanto a lui, aveva lo sguardo basso, come se stesse combattendo contro un’idea che infestava la sua mante come una fastidiosa ragnatela.

-          Che cosa succede, Dan?

Sussurrò il moro, muovendo lentamente le labbra. Daniel alzò a malapena lo sguardo, incrociando quello di Hiroki, illuminato da un raggio di sole.

-          Niente. Lascia perdere.

Daniel sciolse la presa dall’amico, allontanandosi di qualche passo, verso il centro del campo. Hiroki lo seguì, portando una mano sulla sua spalla.

-          Dan?

-          Ti ho detto che non ho nulla!

-          Che cosa...? Ma che diavolo hai da parlarmi così?!

-          E a te che te ne frega di quello che penso io?

-          Che cosa me ne frega, mi chiedi?! Sei il mio migliore amico!

-          Migliore amico!

Il giovane Elric rise amaramente, arrancando tra l’erba alta e alzando la voce, per delineare meglio le proprie parole. Chiuse gli occhi al sole luminoso in fronte a lui, fermando il suo tragitto in un punto ormai lontano da dove si erano appostati. Hiroki lo strattonò con violenza, facendolo voltare verso di lui, al fine di poter leggere nei suoi occhi il perché di quello strano comportamento.

-          Sì, migliore amico!

-          Che razza di migliore amico vuoi che sia quello che non si rende conto che mi sono innamorato di lei?!

Hiroki ammutolì, indietreggiando di un paio di passi, con la bocca aperta, gli occhi sbarrati. Subire lo sguardo velenosi di Daniel, però, scacciò ogni traccia di sorpresa dal suo cuore, lasciandogli l’amaro in bocca.

-          Che cosa?!

-          Che cosa, che cosa! Penso di essermi spiegato più che bene!

-          Ma... ha tredici anni!

-          Lo so!

-          Ed è... tua cugina!

-          Lo so!

-          Come puoi...?!

-          È... è successo e basta, chiaro?!

-          Toglietela dalla testa, idiota!

-          E perché? Perché piace a te?

“No, certo che no!” sembrava urlare lo sguardo tremolante seppur infuocato di Hiroki, che stringeva i pugni per impedirsi di colpire sul naso il ragazzo che li stava davanti. “Stupido idiota!” avrebbe voluto urlargli in faccia, scuotendolo per le spalle. come poteva immaginare una cosa simile, lui, il suo migliore amico? Perché lui ne era sicuro, assolutamente sicuro che Daniel sarebbe uscito male da quella storia. Era perfettamente consapevole che tutto ciò – compreso quell’idiota, a sentir le parole di suo padre, Roy, di Edward, e tutti i problemi che sarebbero sorti di lì in avanti – l’avrebbe solamente portato sull’orlo di un baratro dal quale non sarebbe mai riuscito a risalire.

“Che vuoi che me ne importi se mi piace o no?” avrebbe desiderato urlare, prendendolo a schiaffi per sfogare lo sdegno.

Ma quello sguardo oscuro, combattuto, deluso, gli fece ribollire il sangue nelle vene. Sentì improvvisamente il petto esplodere di calore e una voglia – dolorosa, opprimente – soffocarlo, facendogli pizzicare le dita dal bisogno impellente di incenerire qualcosa.

Mandò al diavolo tutti i suoi buoni propositi, ricordandosi del fatto che Roy gli aveva insegnato che i veri uomini non si mostrano deboli, né davanti agli altri, né a loro stessi, mai. Afferrò Daniel per il colletto della maglia e lo portò a pochi centimetri dal suo viso, fulminandolo con gli occhi.

-          Proprio così, Elric.

Ringhiò, digrignando i denti, mentre ciò che sentiva veramente veniva soffocato dall’orgoglio, e dal bisogno di proteggere quello che, sempre, avrebbe considerato il suo migliore amico.

-          Lei mi piace e sarà mia. Che tu lo voglia, o no.

 

Così, raccontando, Daniel si era alzato di scatto, fermandosi sullo stipite della porta con lo sguardo basso, carico di disprezzo. Rosalie era scivolata all’angolo del gradino, e aveva seguito con gli occhi i rapidi movimenti del fratello, stupefatta.

-          E poi?

Aveva chiesto, con un filo di voce, tendendo un braccio verso Daniel, negli occhi uno sguardo insicuro ma determinato.

-          Quella stessa sera, tu eri rimasta fuori a dormire con Hiroki nel granaio, perché aveva iniziato a piovere davvero forte, e non avevi possibilità di tornare a casa, ricordi?

-          Sì, e papà si è arrabbiato davvero molto quando sono tornata, così sono scappata e mi sono rifugiata sull’albero. Ed è lì, che ti ho visto correre via.

Il ragazzo si allontanò di un passo dalla bionda, ritrovandosi immerso nella rassicurante atmosfera di casa.

-          Poco prima che arrivassi tu, ho voluto parlare con Hiroki. Lui era lì e... ha cominciato ad offendermi, a dire che non avrei mai conquistato il cuore di Yumi, perché ormai era già suo. Rise, mi urlò di averla abbracciata, di averla addirittura baciata, eppure mi sembrava che i suoi occhi fossero lucidi, in quel momento.  Si avventò su di me, urlandomi contro di non voltarmi indietro, che avrei dovuto stare lontano da lei, d’ora in poi.  Però, c’era qualcosa di diverso nella sua voce, qualcosa che io non riuscii a decifrare. Fissai per un ultimo istante gli occhi di quello che era stato il mio migliore amico, poi mi voltai e scappai via. È stata l’ultima volta in cui l’ho visto. A Yumi io... non ho mai avuto il coraggio di chiedere nulla, così... ho chiuso tutto dentro di me.

Rosalie si era alzata in piedi, ed aveva raggiunto il fratello, abbracciandolo da dietro e posando una guancia sulla sua schiena.

-          Hiroki per me... non esiste più.

Era un debole sussurro, la sua voce, pennellata da una sfumatura di amarezza che proveniva dal profondo del suo cuore. Rosalie socchiuse gli occhi.

-          Non è più tornato, dopo quella sera.

-          È vero.

-          Ha lasciato quello che aveva fatto,  ha lasciato tutto. È scappato, quel vigliacco.

-          No, non è stato così.

-          Che fai, Rosalie?! Lo difendi ancora?

-          Certo che no. Ma quella di andarsene, non è stata una sua scelta. Quella sera, poco dopo, lui è venuto da me, già ti ho raccontato cosa successe. Mi è stato vicino, mi ha mostrato la sua alchimia e...

-          E...?

-          Ed è proprio in quel momento, che è arrivato papà.

 

 

 

E così, è finito anche questo capitolo. È stata una bella faticaccia, ma penso di avercela fatta. Lasciatemi scritto ciò che pensate, ho sempre bisogno di nuovi consigli e nuove critiche. Grazie mille per la vostra pazienza, davvero!

 

Un bacio a tutti,

Meggy Elric___

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 4: Riflessi d'un Ricordo negato ***


Ed eccomi qua, dopo quasi un anno dall’ultima pubblicazione. Potrei iniziare dicendo che mi dispiace  da morire, e che sono imperdonabile. Ho avuto talmente tanto da fare che le cose mi sono sfuggite di mano, e ho letteralmente abbandonato questa storia. Ma ora sono tornata, più carica di prima, con questo nuovo capitolo. Ok, non è all’altezza di altro che ho scritto, né di quelli che verranno dopo. Mi scuso anche di questo. Comunque, se ancora tra voi c’è qualcuno che mi segue, questo capitolo è per voi.

Grazie a tutti, sono tornata :D buona lettura J

 

CAP. 4: RIFLESSI D’UN RICORDO NEGATO

-          Ciao Rin! Atsushi! Ci vediamo domani!

Rosalie sventolò una mano al vento, sopra la testolina bionda, saltellando fuori dal cancello ferroso della vecchia scuola di Resembool con una borsa tra le mani. L’estate non si era ancora conclusa e i raggi intensi del sole di mezzogiorno faceva risaltare l’oro dei capelli di Daniel, che seguiva la sorella a passo lento, con la cartella posata su una spalla. La scuola era finita presto, quel giorno, e i pochi ragazzi si erano riversati per le vie della campagna già alle dieci del mattino.

Attraversarono il ponticello che sovrastava il ruscello limpido, continuando per la stradina ghiaiosa che costeggiava il cimitero nel quale loro padre era solito recarsi per portare dei fiori freschi sulla tomba della nonna e... del nonno. Un nonno del quale, né Edward né Winry, avevano mai parlato più di tanto.

-          Dan!

Lo chiamò Rose, fermandosi a cogliere stizzita una margherita che le ispirava mille ricordi. Il fratello la superò appena, gettando la testa all’indietro con fare annoiato, tanto per dare alla sorellina la soddisfazione di sentirsi ascoltata.

-          Ah? Che vuoi?

Rispose, continuando a camminare. Rosalie lo raggiunse con qualche balzo, lasciando che il fiore delicato che reggeva tra le dita si posasse a terra silenzioso. La ragazza riflettè per un istante, scordando la domanda che avrebbe dovuto porgere al ragazzo.

-           Niente.

Si limitò a mormorare, schermando i raggi del sole con le dita sottili. Daniel borbottò qualcosa di indecifrabile, aumentando il ritmo dei passi per allontanarsi dalla sorella.

-          Niente.

Ripetè il ragazzo, in un sospiro, come per sottolineare l’inutilità del discorso troncato da Rosalie, la quale aveva rotto la sua silenziosa pace mentale. Avanzarono, svoltando per la via ghiaiosa che li avrebbe ricondotti a casa.

-          << Resembool! Stazione di Resembool! >>

Gracchiò l’altoparlante della stazione, alcuni metri alla loro destra, vuota e spenta come il cielo in un giorno di pioggia. Un paio di vecchi contadini, che reggevano sulle spalle grossi sacchi di tela, o trascinavano imponenti casse di legno, scesero faticosamente dal treno del secondo binario. Rosalie proseguì per la sua strada, senza darvi troppa importanza, finché, nell’aria mite dell’inizio di settembre, un altro suono disturbato non giunse alle sue orecchie.

-          << Partenza del treno diretto per Central City! >>

La ragazza si volò di scatto, tendendo le orecchie nella speranza d’aver capito bene.

-          << Ultima chiamata per Central City! >>

Un veloce sguardo al fratello maggiore, che non fece in tempo a rendersi conto della situazione, che già Rosalie correva – con i capelli al vento, e la leggera gonna nera che veleggiava nella stessa direzione – verso la ferrovia, in cui venivano richiamati i pochi passeggeri.   

-          Rosalie!

Gridò il biondo, inseguendo la sorellina lungo la via. Veloce, lei saltellò sulla banchina, pronta per salire sul treno. Con un piccolo balzo, mise i piedi sulla carrozza e ricominciò a correre per i corridoi del veicolo, con la mente annebbiata, seguita a ruota da Daniel.

-          Fermati, stupida!

Urlava lui, scavalcando abilmente le grosse valigie dei rari passeggeri seduti sulle poltrone scarlatte del vagone. Rose pareva non sentirlo nemmeno, colta com’era da un istinto estraneo al suo corpo, combattendo tra un sentimento di collera e qualcosa che non riusciva a definire in alcun modo.

-          Rose!

Strillò alla fine Daniel, afferrando saldamente il polso della sorella e strattonandola verso di lui, in un vano tentativo di riportarla alla realtà. La scosse violentemente un paio di volte, facendo ondeggiare ritmicamente all’aria i suoi lunghi capelli color miele. Rosalie chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel movimento e lasciandosi poi cadere tre le braccia del fratello.

-          Che cosa diavolo cercavi di fare, me lo spieghi?

Grugnì il povero ragazzo, reggendola con le braccia, mentre lei ancora ciondolava, con la testa bassa, appoggiata appena al suo petto. Dan boccheggiò, cercando le parole giuste per esprimere tutto il suo disappunto, ma decise di tacere per un istante.

Rosalie alzò o sguardo, nel quale sembrava intravedersi il riflesso di una lacrima, e si ridestò dal suo stato di trance, rendendosi conto solo in quel momento di ciò che stava accadendo.

-          Daniel.

Sputò la parola a fatica, prendendogli la mano e correndo verso la porta del treno più vicina, a un vagone di distanza. Il ragazzo si lasciò trascinare, confuso e muto, ma non riuscì a trattenere un grido strozzato quando la porta si richiuse con uno scatto, proprio davanti ai suoi occhi – doveva essere stato il capotreno – e il mezzo cominciò a muoversi con sempre maggiore velocità, ritmato dal rumore scattante dei freni e della canna fumaria.

Rosalie si lasciò cadere a terra, i piedi posati sul gradino rientrato della porta, rinfrescata da uno spiffero di vento che proveniva dalle fessure dell’uscita. Daniel in piedi accanto a lei, posò una mano sulla porta tremolante e si gonfiò il petto di un lungo respiro.

-          Bene, perfetto.

Borbottò il diciassettenne, passandosi una mano tra i capelli dorati. Sospirò, tendendo una mano alla sorellina. Lei lo fissò senza capire; Daniel roteò gli occhi.

-          Dai.

La intimò.

-          Non sei arrabbiato con me?

-          Ovvio che lo sono. Ma ora..

Gettò uno sguardo sconsolato al paesaggio che scorreva sotto i suoi occhi, per poi tornare a quelli luminosi di Rosalie.

-          Ora è inutile cominciare a litigare, ormai il danno è fatto. È un treno diretto, figuriamoci se il conducente si sogna di fare fermate intermedie. Per cui, conviene stare calmi. Non arriveremo a Central City prima di sei o sette ore di viaggio. Perciò, dobbiamo rassegnarci. Forza, andiamo a cercare un posto a sedere e speriamo che non passi il controllore. Per ora, non possiamo fare altro che aspettare.

Rosalie sorrise debolmente, pentita  del suo momento di follia, e afferrò la mano di Daniel, percependone il calore. Lo seguì a piccoli passi attraverso il vagone, sedendosi poi silenziosa sul sedile accanto a lui. Posò il braccio sull’incavo del finestrino, accomodandosi, sopra la mano, con il mento. Lasciò che la sua mente sciogliesse ogni pensiero, mentre le dolci colline dell’est scivolavano veloci lontano da lei.

Dopo alcuni minuti, Daniel avvicinò il viso al suo, richiamando la sua attenzione.

-          Rose?

-          Mmh?

-          Mi puoi spiegare, per cortesia, che ti è saltato in mente?

-          Non lo so, semplicemente.

-          Come sarebbe a dire “non lo so”? non puoi non saperlo.

-          È così.

Rimasero in silenzio per alcuni istanti, indecisi sulle parole giuste da pronunciare. Daniel le si avvicinò ultreriormente,  assottigliando lo sguardo.

-          Hiroki.

Sussurrò, con una punta di acidità nella voce. Rosalie non rispose. Rimase in silenzio, ancora una volta, spostandosi una ciocca di capelli biondi dagli occhi. Sospirò, sentendo il cuore cominciare a battere pesantemente, come se fosse oppresso da un peso dal quale non riusciva a liberarsi, e avvertì gli occhi pizzicare un po’, ma alcuna lacrima luccicò sulla sua guancia. Il passato tornò ad infierire nella sua mente, accompagnato da un insistente rumore che pulsava alle sue orecchie.

Hiroki, Hiroki, Hiroki.

Come le pareva strano immaginare quel nome, e il suo volto, chiedendosi quanto fosse cambiato nel tempo. Concepiva con la fantasia i suoi capelli neri come la notte, più lunghi. Arrivavano a solleticargli il collo, appena le spalle, a coprire leggeri gli occhi conosciuti, colore del cioccolato al latte.
riuscì quasi a costruire un’immagine virtuale tra i suoi pensieri, un’immagine alla quale, però, non riuscì ad assegnare una voce, o un nome.

In un attimo, con la stessa sorprendente rapidità con la quale si era dipinto, quel volto scomparve, infrangendo i pochi cocci di ricordo contro la lucentezza di una lacrima, intrappolata, senza apparente via d’uscita, tra gli occhi azzurri della ragazza.

No, non poteva essere lui. Hiroki, il ragazzo con il quale aveva, pochi anni prima, un legame talmente forte da sembrare indistruttibile. Non era ovviamente più solido di quello che custodiva con Daniel, era semplicemente ... diverso.

Era totalmente convinta che qualcosa di strano fosse accaduto, quella sera. Qualcosa che aveva distrutto – a colpi calibrati ma irregolari, quasi folli – tutto ciò che si era creato nel corso della loro infanzia. Eppure, Hiroki non si era mai fatto sentire. Non una telefonata, non una lettera. Soltanto una valanga di ormai antichi insulti contro suo fratello e forse, inconsapevolmente, contro il suo cuore. Perché quel bacio, tra lui e Yumi, aveva bruciato, con una sola terrificante fiammata, qualcosa che lei non conosceva, ma era sicuro di custodire all’interno di sé.

Posò una mano sul finestrino, rendendosi conto di quanto fosse stato stupido archiviare quell’accaduto e non andare fino in fondo alla questione. C’era qualcosa che puzzava in quel ricordo e nell’improvviso cambiamento d’umore di Hiroki, e della stessa cugina. Possibile che lei non avesse mai sentito il bisogno di affrontare l’argomento? Che lei sapesse qualcosa in più, riguardo a quella sera, qualcosa per cui avesse deciso di nascondersi dietro al silenzio? Era tutto esageratamente oscuro, per i suoi gusti. Avrebbe dovuto approfondire quella storia, il prima possibile. Non poteva permettere che quella bugia, ossia quell’eterna amicizia che si erano promessi all’ombra di quella grande quercia, rimanesse impressa nella loro storia come una dolorosa verità. A pensarci, avrebbe anche dovuto fare qualcosa per suo fratello, decifrare ogni avvenimento della sera incriminata.

Il sole scomparve dietro ad un monte dalla cima nascosta dalla nebbia, e un cono d’ombra avvolse il viso chiaro di Rosalie, facendola sorridere per un solo, minuto istante. Si sedette più comodamente sulla poltroncina, facendo slittare lo sguardo sul fratello, per poi riposarlo nuovamente al paesaggio veloce, decisa a tenere le sue riflessioni silenziose ancora per un po’.

-          No.

Si limitò a rispondere, arricciando le labbra in un’espressione annoiata, fingendo disinteresse.

-          Non stavo pensando a lui.

Concluse, facendo schioccare la lingua sul palato. Daniel, la imitò, posando il mento sulla mano destra e lanciandole uno sguardo ironico. Gli angoli delle sue labbra morbide si piegarono lievemente verso l’alto, in un sorriso compiaciuto.

-          No?

Domandò retoricamente, alzando un sopracciglio e arricciando a sua volta le labbra, tentando di imitare la sorella, che si spazientì all’istante. Scontenta, Rosalie sbuffò, stringendo al petto la borsa che ancora conteneva i suoi libri di scuola. Si morse un labbro, assottigliando le palpebre e osservando il fratello con aria di sfida.

-          No.

Ammise, sicura, sbadigliando quando il sole ricomparve ad illuminarle il viso. Gettò la testa all’indietro, accomodandosi sullo schienale e socchiudendo gli occhi. Daniel roteò gli occhi, scostandosi dalla fronte una fastidiosa ciocca di capelli dorati.

-          Rosalie, che succede?

-          Niente, Dan. Solo che non capisco perché.

-          Perché?

-          No, no. dimentica. Stavo pensando a voce alta.

-          Tu sa di essere strana, non è così?

-          Mh.

Annuì, senta tener realmente conto delle parole del fratello. Daniel gettò uno sguardo al vagone, circospetto: c’erano solamente dodici persone e il treno era parecchio silenzioso. Forzò sulle braccia, alzandosi dal suo posto ed andando a sedersi a fianco della sorellina. Sorprendendola, l’abbracciò, posando il mento sulla sua spalla. Rosalie sospirò, chiedendosi l motivo di un così improvviso slancio d’affetto.

-          Ricordi quand’eravamo piccolo, e tu ti cacciavi sempre nei guai?

-          Ma non..

-          Rose!

-          Si, ricordo. Ricordo.

-          Abbiamo sempre affrontato i problemi insieme, giusto?

-          Giusto. E allora?

-          E allora, anche questa volta, non ho intenzione di abbandonarti.

Gli occhi della ragazza luccicarono, inteneriti. Sorrise.

-          Grazie, fratellone.

-          Figurati. Ah, Rose! Senza di me saresti persa!

-          Oh, questo è sicuro, Dan. Continua pure a crederci. Illuso!

Risero insieme, scherzando su questo e su quello. Mentre le colline verdeggianti cominciavano a sparire, lasciando spazio ad un paesaggio ben più roccioso e austero. Alcune ore più tardi, il sole era ancora alto e filtrava attraverso le poche grigie abitazioni della periferia, spruzzate qua e là da una macchia verdastra, un albero, un cespuglio. Rosalie storse le labbra, posando una mano sul finestrino. Accanto a lei, Daniel sonnecchiava tranquillamente, con il cappuccio della felpa calato sul volto, i ciuffi che uscivano in modo disordinato ai lati del viso. La ragazza l’osservò per un istante, seguendone lentamente il profilo. Si mosse un po’, allungando la mano verso la borsa e infilandovi una mano all’interno. Alzò un lembo dell’apertura, scoprendo un foglio di carta antico e rovinato intrappolato tra le sue dita sottili.

-          Alchimia.

Sussurrò, assicurandosi che il fratello maggiore non potesse sentirla. Lesta, estrasse la mano e posò la borsa sul sedile di fronte a lei, tornando a guardare fuori dal finestrino.

-          Central City.

Sibilò, tornando a puntare lo sguardo ai primi palazzi smunti della capitale. Sorrise, alzando lo sguardo e assottigliando gli occhi.

-          È qui che troverò quello che sto cercando.

#@#@#@#@#@#@#@#@#@#

-          Wow.

Sputò ironicamente Rosalie, con un marcato accenno d acidità nella voce. Alzò gli occhi verso i palazzi dinnanzi a lei, contornati da strade -grigie- che puzzavano di smog in una modo incredibile. Alcune auto dai colori smunti le sfrecciarono davanti, con un borbottio roco. Tossicchiò un paio di volte, comprendosi la bocca con una mano per non respirare il fumo scuro che avevano liberato quegli aggeggi fin troppo rumorosi. Voltò lo sguardo al cielo, grigio anche quello, constatando che, sebbene non fosse ancora del tutto finita l’estate, del sole caldo a cui era abituata, non v’era l’ombra.

-          Ma che meraviglia.

Sbuffò di nuovo, sventolando una mano davanti al viso, come ad allontanare quel paesaggio austero dal suo sguardo. Daniel la raggiunse, con stampato sul viso un sorrisetto che spaziava tra il nauseato e il divertito, picchiettandole una mano sulla spalla.

-          Central City.

Rise Daniel, con voce possente, posando le dita agli angoli della sorella e tirando le labbra verso l’alto, forzandole un sorriso. Rosalie ringhiò indispettita, allontanando le mai e fratello con un gesto di stizza. Il biondo rise nuovamente.

-          E dai, sorridi, Rose! Sei nella capitale, non è questo che volevi?

-          Ti conviene piantarla di fare l’idiota, Dan.

-          Ma guardati in giro! Non vedi com’è bello?

-          Ma piantala, non ti viene bene la parte del sarcastico. Riesci a stento a trattenere le risate.

Daniel avanzò di qualche passo, prendendo per mano Rosalie e trascinandola dall’altro lato della strada. A quel punto, lei si liberò violentemente dalla presa, voltandosi dalla parte opposta e stringendo forte la borsa a sé.

-          Forza.

Disse lei, ad un tratto, cominciando a camminare lungo il marciapiede dissestato. Il ragazzo la raggiunse velocemente, affiancandola nel suo percorso.

-          Dove pensi di andare?

-          Non lo so. Sei tu il genio della situazione, non io.

-          E allora per quale assurdo motivo di sei incamminata in questa direzione?

-          Perché ne avevo voglia.

Daniel preferì non rispondere. Continuarono a camminare seguendo la strada tra gli edifici fumosi, avvicinandosi sempre più a quello che sembrava essere il centro della città. Rosalie saltò su un rialzo del terreno, camminando in equilibrio sulla muretta biancastra. Daniel la guardò storto, allontanandosi appena da le e scontrandosi con un uomo sconosciuto, il quale indossava una divisa blu.

-          Mi scusi!

Balbettò immediatamente il giovane Elric, aiutando l’uomo a sistemarsi il cappello sulla corta chioma biondiccia, macchiata qua e la da qualche accenno di capelli bianchi.

-          Non c’è problema.

Ammise l’uomo, spolverando la spallina della divisa, che si era sporcata con la cenere della sigaretta che teneva tra le labbra. Daniel lo squadrò, notando le due stelline dorate cucite proprio sulla spalla che l’uomo aveva toccato. Doveva essere un militare.

-          Scusi comunque, ufficiale.

-          Oh, davvero, davvero. Non è stato niente.

Il militare dette un tiro alla sigaretta, osservando attentamente i tratti del viso del ragazzo, che nel frattempo aveva liberato la testa dal cappuccio. L’uomo spalancò gli occhi, e la sigaretta cadde a terra silenziosa, mentre le sue labbra si incurvarono in un’espressione molto sorpresa.

-          Non è possibile.

Mormorò l’ufficiale, ammirando l’oro degli occhi e dei capelli del ragazzo, un oro che gli riportava alla mente milioni di immagini e di ricordi.

-          Acciaio!

Daniel sbatté un paio di volte le palpebre, osservando l’espressione sbigottita di quell’uomo, che pareva riconoscerlo  nella figura di un altro. Acciaio. Che lo stesse scambiando per una sua conoscenza?

-          Che ci fai qui, ragazzo? Certo che non cresci proprio mai eh! E poi hai tagliato i capelli, pensavo non t’avrei mai visto senza l’amata treccia bionda!

Il militare rise, spettinando giocosamente i capelli di Daniel, il quale era sempre più sgomento. Accortosi del silenzio e soprattutto della confusione che animava il ragazzo, l’uomo si zittì, accendendosi un’altra sigaretta.

-          Andiamo, non mi dirai che non ti ricordi di me! È vero, è passato un bel po’ di tempo, ma sono io, il tenente Havoc!

Daniel inclinò la testa di lato, raccattando pensieri sconnessi. Era giunto alla conclusione che il tenente Havoc – aveva detto di chiamarsi così? – doveva seriamente averlo scambiato per un’altra persona. Ma chi? Chi mai poteva assomigliargli tanto da essere confuso per lui? cercò Rosalie con lo sguardo, la quale li raggiunse con un paio di saltelli. Che avesse sentito tutto?

-          Acciaio? Acciaio! Che succede?

Chiese ancora il tenente, sventolandogli una mano davanti al viso. Rosalie aggrottò la fronte, tirando la manica della divisa dell’uomo, che voltò la testa verso di lei.

-          Ho paura che lei abbia scambiato mio fratello per qualcun altro, signor tenente.

La ragazza ricevette una gomitata sul fianco dal fratello, il quale le lanciò successivamente uno sguardo duro, mimando con le labbra qualcosa che avrebbe dovuto suonare come “signor tenente?!”. Rosalie alzò le spalle, ignorando totalmente l’inquietudine del fratello e tornando a concentrarsi sul viso dell’uomo.

-          Tuo fratello? Ma Edward, tu ..

-          Edward?!

Esclamarono all’unisono i ragazzi, strabuzzando gli occhi, mentre Havoc fece un passo indietro, intimorito. Daniel s’illuminò. Perché il tenente l’aveva scambiato per suo padre? E soprattutto, perché l’aveva chiamato “Acciaio”? Aveva troppi dubbi irrisolti.

-          Lei conosce nostro padre?

Continuò Rosalie, stringendo il bracco del fratello. Havoc sussultò, finendo la sigaretta e gettandola a terra, per poi pestarla distrattamente con lo stivale nero.

-          Vostro padre? Aspettate, aspettate. Quel piccoletto ha figli? Saranno vent’anni che non lo vedo! In effetti, sarebbe stato impossibile ritrovarlo così giovane! Come vi chiamate, ragazzi?

-          Siamo Rosalie e Daniel Elric, signore.

-          Oh, per favore. Non sono più giovane come ai tempi della guerra civile del ’14, ma non fatemi sentire così anziano! Sono il tenente Jean Havoc, ma potete chiamarmi per nome, se preferite.

-          Grazie, Jean!

Rispose subito Rosalie, scoccandogli un sorriso smagliante. Daniel scosse la testa, arrendendosi al carattere fin troppo estroverso e irrispettoso della sorellina. Jean però rispose al sorriso, spostandosi il cappello.

-          Che ci fate qui a Central City?

-          Già, che ci facciamo qui a Central City?

Cantilenò il ragazzo allusivo, guardando Rosalie, che gli mostrò la lingua.

-          Nulla di che, tenente. Solamente, la ragazza qui presente ha avuto un attacco di follia, alcune ore fa, e si è letteralmente fiondata sul treno. Ed io, tentando di fermarla, come uno stupido, l’ho seguita senza raggiungere il mio obiettivo. Così, ora, ci troviamo qui.

Rosalie borbottò qualcosa, scavando indifferente nella borsa. Jean alzò un sopracciglio, sospirando. Doveva ammettere che quel ragazzo era proprio identico a suo padre. Però, quel guizzo di sfida, di disprezzo e determinazione che avevano lo sempre caratterizzato, l’aveva notato riflesso negli occhi azzurri di Rosalie. Mise una mano sulla spalla ad entrambi, osservandoli.

-          Immagino che a casa nessuno sappia che siete qui.

-          Esattamente.

-          Ah, era tipico di Edward non avvisare mai, quando decideva di partire.

-          Partire per dove? Chi avrebbe dovuto avvisare?

-          La lunga storia dei fratelli Elric è molto conosciuta nella regione, ma suppongo che l’abbiate sentita ripetere fino alla nausea, non vi annoierò ulteriormente.

Rosalie prese una grande boccata d’aria, spalancando gli occhi. Fece per schiudere nuovamente le labbra, quando un’occhiataccia di Daniel la fece desistere dal chiedere ulteriori informazioni. “non complicare le cose” sembrava averle sussurrato, mentre annuiva falsamente al militare. La ragazza s’incupì, riflettendo a fondo e tentando di sopprimere ogni quesito che nasceva nella sua mente affollata.

-          Venite con me.

Disse ad un tratto Jean, facendo cenno di seguirlo. I due si mossero, svoltando per una via appena più affollata.

-          Dove siamo diretti, tenente?

-          Al quartier generale, Daniel. Central City è un posto pericoloso, specialmente per chi non la conosce. E qui, in periferia, il problema è ancora più persistente. Dove andremo sarete al sicuro e potrete tranquillamente telefonare a casa tramite la linea militare.

-          D’accordo. Grazie mille, signore.

#@#@#@#@#@#@#@#@#@#

Rosalie camminava per il corridoio deserto, con lo sguardo puntato al pavimento lucido. Daniel, seduto comodamente su una poltroncina, la seguiva con gli occhi, infastidito, scacciando una mosca ronzante con la mano destra. Jean si avvicinò ad entrambi, dopo essere entrato nell’ufficio di un suo superiore per comunicare il ritrovamento dei due ragazzi

-          È tutto a posto, potete telefonare.

Rosalie voltò il capo verso Daniel, che scosse la testa in segno di negazione. Si alzò dalla sua postazione e raggiunse la sorellina, dandole un pizzicotto sul braccio sinistro. La ragazza tirò un urlo esagerato per la situazione, poi si massaggiò il braccio con movimenti un po’ troppo violenti.

-          Che ti prende, idiota?!

-          Te lo meriti. E non pensare nemmeno che sia io a telefonare a casa. Tu sei corsa sul treno e tu affronterai papà.

-          Ma...

-          Niente “ma”, Rose. Muoviti. Comincia a rinfrescare, lì fuori, e noi dobbiamo tornare in fretta in stazione.

Rosalie sbuffò, raccattando la cornetta. Compose il numero con mano tremante, affiancata dal fratellone. Il telefono rimase muto per alcuni istanti, finché, all’altro capo, non rispose una voce fin troppo familiare.

-          Pronto? Parla Edward Elric.

Il suo tono pareva lievemente più acuto del solito, forse per la preoccupazione che vibrava tra le sue corde vocali. Rosalie deglutì, pronta ad affrontare suo padre.

-          Papà?

Balbettò Rosalie, con voce roca. Edward rimase muto. Solo il suo respiro pesante giungeva all’orecchio della ragazza. Prese un grande respiro, pronta – di nuovo – a parlare.

-          Papà, sono io. Rosalie.

-          Rosalie?! Cosa? Dove? Tu e tuo fratello, dove siete?!

-          Dan è qui con me, papà, e stiamo bene. Però ci sarebbe un piccolo problema.

-          Dimmi subito dove siete, dannazione!

-          Ecco, appunto. È un po’ strano da dire però, ecco, noi siamo a Central City.

Ed eccolo, di nuovo, quel temutissimo silenzio. Rosalie sospirò, se l’aspettava. Era estremamente sicura del fatto che suo padre sarebbe potuto spuntarle davanti da un momento all’altro, solamente per fargliela pagare. Eppure, la cornetta continuava a rimanere muta.

-          Papà?

Lo chiamò, tanto per assicurarsi che Edward non fosse morto d’infarto. Niente, ancora non rispondeva. Premette di più il telefono sull’orecchio, così da captare meglio i suoni, quando una bomba scoppiò dall’altro capo del filo.

-          A Central City?! Cosa diavolo ci fate a Central City, razza di idioti?!

Rosalie fece un salto all’indietro, e il telefono volò via dalle sue mani, per poi picchiare contro il muro e penzolare, retto dal filo, verso il pavimento. Daniel la raggiunse, imprecando qualcosa di sconnesso tra i denti, ed aiutandola ad alzarsi. Havoc, con uno scatto atletico, raccolse la cornetta e la portò all’orecchio, cominciando a parlare scherzosamente ad Edward per spiegargli la situazione.

Alcun minuti più tardi, il tenente chiuse la conversazione con una strana espressione in volto. Era come se avesse un grosso peso sullo stomaco e Rosalie se ne accorse.

-          Ragazzi.

-          Sì, tenente? Ci potrebbe riaccompagnare in stazione? Immagino che nostro padre ci desideri a casa il prima possibile.

-          Mi spiace deluderti, Daniel, ma temo che ciò non si possibile. Non ci sarà un altro treno che potrà riportarvi a Resembool se non tra tre giorni. Sarete costretti a fermarvi qui nella capitale, fino ad allora.

Rosalie e Daniel si guardarono spaventati, non sapendo che fare. Jean ridacchiò, prendendoli sotto braccio e attraversando tutto il corridoio, per poi fermarsi davanti alla porta di un ufficio.

-          Tranquilli, ho già provveduto io a trovare qualcuno che vi potrà ospitare. E dato che siete i figli di Acc... Edward, vi ho trovato una residenza a cinque stelle. Ora devo solamente trovare ... Oh, eccolo!

Jean fece un paio di passi avanti, attirando l’attenzione di una sagoma scura che stava varcando la soglia di una stanza non molto lontana dalla loro posizione.

-          Eccolo qui. Sarete ospiti della sua famiglia, per questi giorni.

La sagoma s’avvicinò con una camminata annoiata e dondolante. Era un ragazzo sui diciotto anni, con la pelle chiara, i capelli color della notte. Sul mento, si poteva intravedere l’ombra di una barba scura, in tono con i capelli. Indossava un paio di pantaloni neri e una maglietta larga, color vermiglio acceso. Dalla tasca destra dei pantaloni pendeva una catenella argentea, che andava a fissarsi sulle fasce della cintura. Nell’altra tasca s’intravedevano appena dei guanti bianchi, stropicciati, cacciati in quello spazio ristretto con poca grazia. Una sigaretta – ormai ridotta ad un mozzicone – tra le dita, un enigmatico sorrisetto da teppista stampato sul volto.

-          Lui è il figlio del comandante supremo Roy Mustang.

Disse ancora Jean, mentre i due oceani turchi nidi Rosalie entravano in contatto con le iridi cioccolato del ragazzo di fronte a lei. Fu come se una saetta li avesse trafitti entrambi, in quel momento: l’espressione del moro fu inequivocabile.

Rosalie indietreggiò di un passo, mentre il suo cuore – e anche quello di suo fratello, era certa di sentirlo – cominciava a battere all’impazzata, sempre più veloce. Si ritrovò incapace di calmarlo, di tornare a respirare adeguatamente. Aprì la bocca, sentendo il sangue pulsarle nelle vene, la gola chiusa in una stretta morsa. La voce scappò fuori roca, come se fosse soffocata da una fune spinata, indistruttibile.

-          Hiroki.

 

 

 

 

 

Così, è finito anche questo capitolo. Wow, era davvero molto tempo che non aggiornavo Timeless Light, e averlo fatto mi ha fatto ricominciare a sperare. Spero sia di vostro gradimento. Come sempre, riferitemi ogni critica con un commento. Vi voglio bene J

MeggyElric___

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