L'ambasciatore

di BitterSweetSymphony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Pianeta Vulcano, data astrale 2457.2.
Amanda Grayson era senza dubbio una donna notevole.
Un’umana che sposa un vulcaniano, si trasferisce a vivere su un pianeta che non è il suo e, nonostante questo, riesce ad adattarsi perfettamente e a crescere un figlio unico nel suo genere non si incontra tutti i giorni. Sì, Amanda era senza dubbio una donna notevole, e, anche senza conoscerla, lo si sarebbe potuto capire dai gesti sicuri e delicati con cui riempiva di té le tazze dei suoi ospiti, o dal modo sincero e composto in cui sorrideva. Una perfetta padrona di casa vulcaniana, con giusto un pizzico di umanità a condire l’immagine.
- Grazie mille, lady Amanda. - La ringraziò il capitano James Kirk, soffiando sulla sua tazza per raffreddarne il contenuto prima di assaporarne una sorsata.
- É veramente squisito. - Si complimentò il dottor McCoy. - É un vero sollievo non essere costretti a bere qualche intruglio vulcaniano. -
Il primo ufficiale, nonché figlio di Amanda e vulcaniano D.O.C., lo guardò di sottecchi, sollevando un sopracciglio in un muto rimprovero. Il sorriso della donna si allargò.
- Non si preoccupi, dottore, farò in modo che a cena venga servito anche del cibo terrestre. -
- Lei è un angelo, lady Amanda. -
- Madre, - La rimproverò il figlio con tono neutro. - non dovrebbe dar retta alle illogiche lamentele del dottor McCoy, una sana minestra vulcaniana sarà un pasto ideale per tutti. -
Il sorriso sul volto del capitano si sciolse come neve al sole, mentre nella sua mente si faceva strada l’immagine di una minestrina grigia e dal sapore dubbio come unico sostentamento per tutta la durata della licenza. Il medico si voltò a fronteggiare il primo ufficiale, scrutandolo in cagnesco. - Spock... - Sibilò con tono minaccioso.
Il vulcaniano rimase perfettamente impassibile, nei suoi occhi, tuttavia, passò rapido un lampo di divertimento. Far irritare il dottore era uno dei pochi passatempi che si concedeva.
- Tranquilli, avrete la vostra cena terrestre. - Li rassicurò la padrona di casa, sedendosi di fronte ai tre. - Una delle regole base per sopravvivere su Vulcano è non dare mai retta ai vulcaniani. - Spiegò, sorridendo.
- Tutto ciò è altamente illogico, madre. - Commentò Spock, sollevando un sopracciglio.
Amanda sollevò lentamente le spalle, sorseggiando il suo tè.
Fu in quel momento di tranquillità che la porta del salone si aprì e Sarek fece il suo ingresso, avanzava silenzioso e composto e il suo viso non tradì la minima traccia di emozione nemmeno quando unì la punta delle sue dita con quelle della moglie. Vedendo quel gesto così intimo, Spock si sentì per un secondo di nuovo a casa, ma in quel quadretto familiare c’era una nota stonata e la sua parte umana lo notò prima della sua straordinaria mente vulcaniana, avvertendolo con un brivido alla base della schiena. Gli occorse qualche secondo per realizzare dove fosse il problema: Amanda non stava sorridendo.

Pianeta Terra, data terrestre 23/10/2229.
Estratto dal diario personale dell’ambasciatore Sarek.
Ho accetta l’incarico di ambasciatore sul terzo pianeta del sistema della stella Sole, quello che gli abitanti chiamano Terra. Mi trovo qui da quasi una settimana ma ancora continuano a sfuggirmi molte cose sulla natura dei terrestri. Sono esseri emotivi, guidati solo dai sentimenti e incapaci di dominare passioni e pulsioni, tutt’ora non capisco come siano riusciti a realizzare una convivenza pacifica.
L’Accademia delle Scienze Vulcaniana richiede un rapporto sul sistema di vita degli umani e io non sono ancora in rado di fornire dati precisi. Per approfondire i miei studi, ho chiesto di essere accompagnato in una delle loro scuole, forse qualcosa nel loro metodo educativo mi sfugge, impedendomi di cogliere una qualunque logica nei comportamenti dell’uomo.


Sarek aggrottò le sopracciglia come faceva sempre quando osservava un comportamento illogico da parte dei terrestri, il che accadeva molto spesso. Come in quel momento.
Si trovava seduto sul sedile del passeggero in un taxi giallo che vantava almeno trent’anni di onorato servizio e il suo autista stava agitando il braccio in direzione di un’automobile rossa che, a quanto pare, gli aveva tagliato la strada. Non solo sembrava convinto che l’altro guidatore avrebbe prestato attenzione ai suoi gesti, ma sembrava anche credere che l’altro lo riuscisse a sentire, visto con quanta foga continuava ad accusarlo di una sua presunta provenienza dalla città di Troia.
- Brutto figlio di troia! - Stava gridando. - Dovrebbero ritirarti la patente e darti fuoco. -
Il Vulcaniano sollevò ancora di più le sopracciglia, fino quasi a farle sparire dietro all’attaccatura dei capelli, e decise di ignorarlo, osservando le altre automobili, bloccate anche loro nel traffico intenso di San Francisco. Gli umani erano strani. Si ostinavano a muoversi in quel modo illogico, restando chiusi per ore in quelle scatolette di metallo che chiamavano automobili con l’unica compagnia di altri umani che dicevano cose illogiche alla radio. Altamente illogico.
- Allora, signor Sarek, lei è di Vulcano? - Domandò improvvisamente il tassista, probabilmente aveva realizzato di non essere udito dall’occupante della tanto odiata macchina rossa.
- Come poteva logicamente dedurre anche da solo dalla mia pelle olivastra, le mie orecchie a punta, il mio taglio di capelli, le mie sopracciglia e il mio abbigliamento, sì sono di Vulcano. -
Rispose, forse non applicando proprio alla lettera le più basilari regole di cortesia e convivenza civile, ma sputando felicemente (per quanto possa essere felice un Vulcaniano) sull’uomo tutto il fastidio che provava a vivere in quel mondo illogico.
- Non intendevo offenderla. - Borbottò contrariato il tassista, puntando nuovamente gli occhi sulla strada per ritrovarsi ad insultare l’ennesimo automobilista fastidioso.
Sarek appoggiò la fronte al finestrino e chiuse gli occhi, gli serviva un po’ di meditazione per riacquistare il controllo di se dopo il piccolo sfogo che si era concesso con il suo autista. Prima di immergersi totalmente nella trance, non poté fare a meno di calcolare che, se i terrestri non si ostinassero ad utilizzare ognuno un diverso veicolo, sarebbe arrivato a destinazione da almeno 12.4 minuti, risparmiando in totale circa 56.2 minuti. Un sacco di tempo sprecato in modo illogico.
 
Note:
Questa storia è stata praticamente un parto, dovevo postarla entro natale come one shot, poi si sono aggiunti capitoli, poi si è messa in mezzo la scuola, ma, finalmente, eccomi qui a postare!
In parte sono riuscita ad evitare quella che stava diventando ormai la mia firma, ovvero il finale tragico, ma non del tutto. Mi dispiace, è più forte di me, ma almeno non muore nessuno. Ora siete avvisati, Buona lettura.
I capitoli (4 + l’epilogo) arriveranno circa una volta a settimana, forse più in fetta.  
P.S. Ho aggiunto anche l’avvertimento slash perché è impossibile scrivere su Star Trek senza metterci nemmeno un accenno di slash.
P.P.S. Come al solito, se avete consigli, correzioni ecc, non esitate, purtroppo non sono ancora brava come le scrittrici che affollano questo fandom, ma datemi tempo e dominerò il mondo. U.U

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Prima di tutto (e quasi mi dimenticavo) Voglio ringraziare tutti quelli che hanno recensito e/o letto il primo capitolo, quelli che hanno messo la storia nelle seguite e Lady Amber che si è offerta di aiutarmi a conquistare il mondo (per chi volesse collaborare alla causa, ci sono ancora molti posti, affrettatevi). Ora vi lascio al capitolo, buona lettura!

Capitolo 1

Pianeta Vulcano, data astrale 2457.2.
Dopo una cena tranquilla e silenziosa che, per la gioia di McCoy e del capitano, comprendeva anche piatti vegetariani terrestri, Amanda aveva invitato i suoi ospiti a farle compagnia sulla veranda davanti ad una bella tazza di tè.
- Forse non lo sapete, ma si dice che il tramonto su Shi Khar sia uno dei più belli della galassia. - Aveva spiegato Amanda con una sottile nota di malinconia nella voce che non sfuggì al figlio.
- Saremo onorati di unirci a lei, lady Amanda. - Aveva replicato galantemente il capitano, sorridendo.
Ecco perché, in quel momento, lui e il dottore si trovavano nel salone di ingresso a convincere un riluttante Spock ad unirsi a loro.
- Necessito di coricarmi nelle mie stanze e riposare. - Stava dicendo il vulcaniano, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di una delle tre persone che aveva davanti.
- Ma come, signor Spock, - Lo aggredì il dottore, sfoggiando un sarcasmo tagliente. - sull’Enterprise non fa altro che vantarsi della superiorità dei vulcaniani, della resistenza dei vulcaniani al sonno, del fatto che possono sopravvivere giorni e settimane senza cibo o riposo. Come mai, proprio stasera, il suo bisogno di dormire si fa così impellente da impedirle di passare un’ora con i suoi amici più cari? -
- Bones... - Lo ammonì il capitano, sfiorandogli il braccio con la mano.
- Capitano, ho il permesso di andare? - Domandò Spock, senza perdere la sua aria impassibile.
- Certamente, riposi Spock. -
- Forse domani sarà meno stanco e si potrà unire a noi. - Aggiunse il medico.
- Forse, dottore. - Concluse il primo ufficiale, congedandosi.

Il tramonto su Vulcano era davvero all’altezza della sua fama. O almeno questo era quello che pensava il dottor McCoy, mentre, immerso nella calda luce rossa del sole morente, sorseggiava una tazza di tè in compagnia del suo capitano e amico. Jim non aveva ancora parlato, lo sguardo perso verso l’orizzonte color sangue, gli occhi marroni che fissavano le colline senza realmente vederle.
- Jim, stai sprecando il più bel tramonto della tua vita pensando ad uno stupido vulcaniano. - Gli sussurrò nell’orecchio per non farsi sentire da Amanda, seduta su una panchina. Non che corressero questo rischio, la mente della donna era lontana anni luce.
- Bones, non sto pensando a Spock. - Replicò il capitano con voce spenta. - Non so perchè tu creda che io passi ogni momento libero a pensare a Spock, ma non è così. -
- Come vuoi, Jim. - Borbottò il dottore, sorseggiando il suo tè. - Ma quando ti renderai conto di sprecare il tuo tempo inseguendo un computer senza cuore o sentimenti, quando soffrirai e verrai da me chiedendomi di raccogliere i pezzi... -
- Non succederà, Bones. -
- Succederà Jim, e quando succederà sai cosa farò? Ti dirò un bel ‘te l’avevo detto’. -
- Grazie. - Rispose il capitano, sarcastico. - Sarà esattamente quello di cui avrò bisogno. -
Il dottore sorrise ed entrambi tornarono a rivolgere lo sguardo verso l’orizzonte.
- Chissà perché ai vulcaniani è toccata tanta bellezza. - Osservò il dottore quando anche l’ultimo raggio di luce scomparve dietro alle colline e solo le stelle rimasero ad illuminare Vulcano.
- Voglio dire, nessun vulcaniano è in grado di godersi il tramonto. -
Lady Amanda sospirò. - Credo che lei abbia ragione, dottore. -
- Io credo che, in tutto il pianeta, ci sia almeno un vulcaniano che, ogni sera, si ferma a osservare il tramonto. - Commentò Jim. - Altrimenti tutto questo non avrebbe senso di esistere. -
- Sempre il solito romantico. - Replicò il dottore, scrollando le spalle.
Nessuno dei due notò che, nel buio, sul viso di Amanda Grayson scivolava lentamente una lacrima.

Pianeta Terra, data terrestre: 23/10/2229.
Estratto dal diario personale dell’ambasciatore Sarek.
Per approfondire i miei studi ho chiesto di poter andare alla scuola elementare Sant Raphael ed assistere ad una lezione. Sono stato assegnato alla classe della signorina Grayson, una terza elementare. Nel corso della mia vita su vulcano sono stato molto poco a contatto con dei bambini, ad eccezione di mio figlio, ma sono certo che gestire una ventina di bambini umani non può certo rivelarsi difficoltoso come mi è stato pronosticato.

- Benvenuto, ambasciatore Sarek. É un vero onore averla nella nostra umile scuola. - Il preside della Sant Raphael si tolse il cappello e sprofondò in un mezzo inchino prima di avvicinarsi al vulcaniano e stringergli la mano. Era un ometto viscido, alto poco più di un metro e cinquanta e con il riporto. Una persona decisamente sgradevole.
- La ringrazio di aver accolto la mia richiesta, preside McOilly. - Rispose educatamente l’ambasciatore vulcaniano.
- Venga con me, le voglio presentare la signorina Grayson. -
Amanda Grayson era una giovane donna sulla trentina, alta e con lunghi capelli scuri. Sorrise educatamente al vulcaniano, scrutandolo attentamente con lo sguardo.
- É un piacere incontrarla, - La salutò Sarek. - ora vuole cortesemente accompagnarmi alla sua classe? -
- Mi segua. -
La donna lo guidò lungo i corridoi della scuola, indicandogli di tanto in tanto alcune aule particolari. Aula di disegno, mensa, palestra. Il vulcaniano notò subito che erano disposte senza un criterio logico, così come non avevano senso o scopo apparente i disegni appesi alle pareti, tutti realizzati con tecniche pessime e scarso senso delle proporzioni.
Sarek finse di ascoltare con interesse le varie divagazioni della donna, annuendo di tanto in tanto, mentre la sua mente era concentrata sull’ambiente che lo circondava.
- Ambasciatore Sarek, mi sta ascoltando? - Domandò ad un certo punto la giovane maestra. Evidentemente si era accorta di parlare da sola.
Sarek annuì senza guardarla nemmeno in faccia.
- Le stavo cercando di spiegare come si deve comportare in classe. - Ripeté, fulminandolo con lo sguardo. - Non so quanto spesso ha avuto a che fare con dei bambini, ma le assicuro che i piccoli umani sono molto diversi dai vostri compostissimi figli vulcaniani. -
- Non voglio mancarle di rispetto, signora... -
- Signorina, prego. - Replicò stizzita, evitando di aggiungere che, sì, le stava mancando di rispetto e che non insegnava da quasi sei anni per sentirsi ignorata da un borioso vulcaniano convinto di aver capito tutto dalla vita.
- Signorina Grayson, - Proseguì il vulcaniano. - ma ritengo di essere perfettamente in grado di parlare ad una classe di bambini umani. -
- Come preferisce. -
Amanda spalancò la porta dell’aula ancora deserta e si sedette nell’angolo, osservando il vulcaniano con aria di sfida. Diceva di essere in grado di gestire una terza elementare senza aiuto? Che lo dimostrasse. Lei non avrebbe mosso un dito.

Al suono della campanella i bambini entrarono nella classe, portando con loro un chiasso inimmaginabile. Qualcuno si sistemava al suo posto, come avrebbe dovuto fare, secondo logica, ogni bambino, e iniziava ad appoggiare sul banco l’astuccio e una serie di quaderni dei colori più disparati, ma la maggior parte continuava a parlare o a giocare.
- Bambini, prego, sedetevi. - Disse l’ambasciatore con tono neutro, inutile dire che nessuno dei piccoli umani lo ascoltò. Come unico risultato, i bambini si accorsero della sua presenza e cominciarono ad additarlo, domandandosi chi fosse lo strano tizio con le orecchie a punta.
- Vi dico che è un elfo! Sul mio libro di fiabe c’è un disegno che gli assomiglia tantissimo! - Stava gridando un bambino con corti capelli rossi.
- Smettila, Matthew, gli elfi hanno i capelli lunghi e poi non esistono. Devono essere orecchie finte. - Sentenziò la sua compagna di banco, scuotendo i lunghi capelli castani.
Sarek inarcò un sopracciglio. Un elfo?
- Non è vero! - Protestò Matthew. - Gli elfi esistono, lo dice il mio libro! -
- Guardate che è uno di quelli della Federazione. - Intervenne un’altro. - Lo so perché somiglia al collega di mio padre. -
- Cos’è la Fedazione? - Domandò una bambinetta minuscola.
- Federazione, stupida! - La corresse il bambino. - Sono i Marziani. - Spiegò con aria di superiorità.
- Quindi è un alieno? - Domandò nuovamente la bambinetta.
- Dovreste sedervi ai vostri posti. - Li invitò nuovamente l’ambasciatore, senza ottenere nessun risultato. Alle sue spalle Amanda Grayson sfoggiava un sorriso compiaciuto che avrebbe fatto invidia a quello dello Stregatto.
Mentre la maggior parte degli alunni cercava di capire che creatura fosse il misterioso ospite, Sarek iniziava a sentirsi a disagio a causa di un bambino, seduto immobile al primo banco, che non smetteva un secondo di fissarlo con i suo giganteschi occhi marroni. C’era qualcosa in quel bambino che lo inquietava profondamente. Sembrava che non avesse nemmeno bisogno di sbattere le palpebre quanto un umano normale.
- Seduti, per favore. - Ritentò il vulcaniano, ormai sull’orlo della disperazione, alzando leggermente la voce. I bambini si voltarono per un secondo verso di lui, poi persero immediatamente interesse, tornando ai loro discorsi. Sarek lanciò uno sguardo alla giovane maestra, forse in cerca di aiuto. La donna inarcò un sopracciglio, scimmiottando l’espressione tipica del vulcaniano e gli sorrise. Un brivido scese lungo la schiena dell’ambasciatore, tutta quella situazione era assolutamente illogica.
- Ahi, mi hai fatto male! - Gridò all’improvviso la voce acuta di una bambina. L’espressione di Amanda cambiò all’istante, la donna si alzò in piedi e smise di fissare il vulcaniano.
- Aaron! - Esclamò a voce alta. - Chiedile immediatamente scusa e vai a sederti al tuo posto, -
- Ma signorina... - Protestò il bambino, i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime.
- Niente ma, Aaron. - Replicò la donna, senza lasciarsi commuovere dai capricci.
Con riluttanza, Aaron si avvicinò alla compagna e le chiese scusa, la bambina smise di piangere e iniziò a fissarlo con rabbia.
- Ora tornate tutti al vostro posto, la campanella è suonata già da un pezzo. - Ordinò la maestra.
Sarek sollevò le sopracciglia in una dubbiosa espressione di stupore mentre tutti i bambini tornavano ordinatamente al loro posto.
- Se l’è cavata perfettamente da solo. - Sussurrò ironicamente la donna al suo ospite. - Ora, se non le spiace, lasci fare ai professionisti. -
Amanda si rivolse ai bambini con un sorriso sincero. - Prima di iniziare la lezione, vorrei presentarvi il nostro ospite. Si chiama Sarek e viene da Vulcano. -
- Abita dentro un vulcano? - Domandò una bambina, confusa.
- No, Suzanne. - Spiegò pazientemente la maestra. - Vulcano è un altro pianeta. Come Marte, ma più lontano. -
- Figo. - Commentò Matthew. - Un elfo di un altro pianeta! -
Sarek inarcò un sopracciglio e sospirò. Sarebbe stata una lunga giornata.

Pianeta Vulcano, data astrale 2457.3.
Spock distolse lo sguardo dalla finestra, smettendo di osservare i suoi due amici umani e cercando di convincersi di non desiderare la loro compagnia. O le loro labbra, aggiunse una voce maligna proveniente dalla sua metà umana. Scosse la testa. Lui era un vulcaniano, la sua mente era più forte di quelle stupide emozioni. E allora perché aveva sentito il bisogno di stare lontano dai suoi amici?
La logica suggeriva una sola risposta e a Spock non piaceva per niente. Aveva avuto paura di non sapersi controllare. Paura. Un’altra emozione.
Chiuse gli occhi per qualche secondo, cercando di riacquistare il controllo di se stesso. Liberò al mente da tutto ciò che non era il suo respiro e il battito del suo cuore ma non riuscì comunque a meditare. Il viso di Jim, o forse era quello di Bones, gli passava in continuazione davanti agli occhi, il respiro gli diventava irregolare non appena allentava un po’ il suo autocontrollo e aveva paura, una paura tremenda di perdere la battaglia contro se stesso, consapevole del fatto che quella paura, quel sentimento umano, era il più grande presagio della sua imminente sconfitta.
Per un secondo si sentì di nuovo quel bambino che, spaventato da emozioni che non capiva e non poteva controllare, emozioni che erano il segno indelebile del suo retaggio umano, si rifugiava tra le accoglienti braccia di sua madre che, pazientemente, lo aiutava a riacquistare l’autocontrollo degno di un figlio di Vulcano. Ma nessun abbraccio l’avrebbe salvato quella sera.
Da quando aveva imparato a controllare la sua parte umana fino quasi ad eliminarla, non si era mai sentito così. Spaventato. Confuso. Umano.
Esausto, chiuse gli occhi e cercò di abbandonarsi ad un sonno agitato.

Note:
Per un secondo ho avuto paura di non riuscire ad aggiornare ma il mio computer si è ripreso e ora eccomi qui con un nuovo capitolo.
Amanda e Sarek da giovani sono stati la parte più difficile perché di informazioni su di loro se ne trovano poche e confuse ed’è difficile distinguere quello che è canon da quello che non lo è, ma ho cercato di fare del mio meglio e questa versione del loro incontro mi piace abbastanza (anche se, purtroppo, è ben lontana dall’essere perfetta). Spero piaccia anche a voi.
Per capire cosa turba Amanda, mi dispiace, bisognerà aspettare ancora uno o due capitoli, ma, se tutto va bene (e soprattutto il pc collabora), il prossimo arriverà molto presto, forse già mercoledì.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Prima di tutto, ringrazio sinceramente tutti quelli che si sono fermati a commentare (sono già a 14 recensioni e questo mi rende immensamente felice!!!) e chi ha messo la storia tra le seguite. Grazie di cuore, il vostro sostegno è prezioso per questa povera autrice (se posso definirmi tale).

Capitolo 2

Pianeta Terra, data terrestre: 24/10/2229.
Il primo giorno di scuola dell’ambasciatore Sarek non era stato dei migliori. La signorina Grayson aveva fatto di tutto per metterlo in difficoltà, chiedendogli perfino di tenere d’occhio i bambini durante la ricreazione e facendolo assistere all’ora di disegno. Risultato: Sarek era tornato in ambasciata ricoperto di fango e tempera colorata. Un’esperienza sufficiente a far desistere qualunque umano, e anche una certa percentuale di vulcaniani a dirla tutta, ma non Sarek. L’ambasciatore non aveva mai lasciato a metà un incarico, per quanto difficile o gravoso, e non aveva intenzione di iniziare in quel momento.
Armato di tutta la sua incrollabile logica, e di una buona dose di pazienza, si gettò nuovamente nel traffico mattutino, cercando di ignorare gli improperi e le bestemmie del tassista di turno. Gli umani, quando guidavano, diventavano davvero fastidiosi. Forse, concluse, era per questo che non condividevano i mezzi di trasporto, per non infastidirsi gli uni con gli altri.
Arrivò davanti alla scuola alle nove precise, in tempo per assistere all’ingresso degli studenti, se così si poteva chiamare l’orda inferocita che si riversava nelle classi. Sembravano un branco di animali spaventati dall’arrivo di un predatore.
Saggiamente, Sarek preferì aspettare qualche minuto prima di avventurarsi guardingo nei corridoi, erano deserti se si escludeva un pugno di ritardatari che si affrettava a raggiungere la propria classe.
Sarek bussò educatamente alla porta della 3°F e venne accolto dai mormorii degli studenti, finalmente avevano realizzato che lo strano ospite non era un elfo, ma un autentico alieno ed erano pieni di domande. La maestra sollevò gli occhi dal registro solo per lanciare al vulcaniano uno sguardo di sufficienza.
- Bentornato, ambasciatore. - Lo salutò freddamente.
- Buongiorno signorina Grayson. - La salutò in tono neutro, prima di rivolgere un gesto di saluto anche alla classe.
- Signorina Amanda, signorina Amanda! - Chiamò con insistenza Matthew dal fondo dell’aula.
- Quante volte devo ripetere di alzare la mano per chiedere la parola? - Sospirò la maestra. - Cosa c’è, Matthew? -
- Il signor elfo - Sarek lo fulminò con lo sguardo. - Mi scusi, il signor vulcaniano non potrebbe raccontarci qualcosa del suo pianeta? -
- Mi sembra un ottima idea. - Commentò Amanda, lanciando un’occhiata al loro ospite. - Che ne pensa, signor vulcaniano? -
Sarek mantenne uno sguardo impassibile. Stava iniziando a pentirsi di aver accettato il lavoro di ambasciatore. Non poteva starsene tranquillo su Vulcano a fare l’astrofisico, senza umani emotivi e, soprattutto, senza bambini?
- Non ho preparato nulla, signorina Grayson. Forse per domani potrei preparare una presentazione multimediale. Inoltre al momento non sono in possesso di tutti i dati relativi a Vulcano, la formazione geologica precisa degli strati inferiori al mantello non è stata ancora studiata alla perfezione, così come non è del tutto chiara l’origine di alcune formazioni carsiche nei pressi del monte Seleya. -
Gli studenti lo osservarono perplessi.
- Credo, signor Sarek, che lei stia sopravvalutando i suoi interlocutori. - Osservò Amanda, facendogli il verso. - Forse una disquisizione sulla teoria della relatività applicata ai concetti fondamentali della meccanica quantistica sarebbe più appropriata. -
- Sta forse facendo del sarcasmo? -
- Non mi permetterei mai, signor ambasciatore. - Rispose la donna, soffocando una risata.
Il vulcaniano aggrottò la fronte e si voltò verso i bambini.
- Credo che, in questa situazione, la scelta più logica sia rispondere direttamente alle loro domande. -
- Mi sembra una buona idea. - Commentò Amanda. - Allora, bambini, che domande volete fare al signor Sarek? Mi raccomando, prima di parlare, alzate la mano. - Li ammonì.
Subito una selva di mani si levò davanti a loro.
- Dov’è Vulcano? -
- Si chiama così perché è a forma di vulcano? -
- Perché hai le orecchie a punta? -
- Anche sul tuo pianeta i bambini nascono da sotto i cavoli? -
Sarek rispose pazientemente ad ogni domanda, compresa l’ultima, domandandosi tuttavia quale fosse il pianeta in cui i bambini nascono sotto i cavoli.
Fu mentre stava mostrando alla classe il saluto vulcaniano che i suoi occhi incontrarono per la prima volta quelli azzurri di Amanda Grayson.
- Prima di tutto si mette la mano in questa posizione, ogni dito ha un significato particolare e, se lo desiderate, ve lo posso illustrare. - Stava spiegando, mentre i bambini si sforzavano di separare il medio e l’anulare come aveva fatto il vulcaniano.
- Poi, - Proseguì. - Bisogna porsi di fronte alla persona che si desidera salutare. - Si voltò verso Amanda. - E recitare la formula tradizionale. -
- Tai nasha no karosha. - Lo precedette la donna, esibendosi in un perfetto saluto vulcaniano.
- Tai nasha no karosha - Ripetè il vulcaniano, fissandola dritta negli occhi, incatenato dal suo sguardo e incapace di nascondere il suo stupore. - Conosce il vulcaniano? -
- In parte. - Replicò, sollevando le spalle. - Paikau? *-
- Rai. Veling ak'wikmun. *-
Amanda sorrise.  

Pianeta Vulcano, data astrale 2461.5.
James Kirk non era un uomo che si arrendeva facilmente e, soprattutto, odiava perdere. Era andato su Vulcano, trascinandosi dietro un riluttante dottor McCoy per convincere un ancor più riluttante vulcaniano ad accettare la verità, ed’era determinato ad avere successo. Ecco perchè quella mattina era entrato di soppiatto nella camera del dottore e l’aveva letteralmente buttato giù dal letto alle cinque del mattino.
- Dannazione, Jim, ma sei impazzito? - Gridò McCoy, districandosi dal bozzolo di coperte e cercando di rialzarsi da terra. - Che razza di ore sono? -
- Sono le cinque, Bones. - Rispose il capitano, sorridendo.
- Le cinque? LE CINQUE! Spero che tu abbia un ottimo motivo per svegliarmi ad un orario così assurdo! - Urlò il dottore, minacciandolo con un cuscino.
- Spock. - Sussurrò Jim, abbassandosi. A pochi millimetri dalla sua testa sfrecciò una delle ciabatte del suo medico.
- E tu mi svegli alle cinque del mattino per parlare di Spock? -
- Che c’è, Bones, sei geloso? - Esclamò il capitano, sorridendo furbamente e avvicinandosi al dottore per iniziare a baciarlo dolcemente sul collo.  
- Jim, smettila. - Ordinò McCoy, cercando di allontanare la bocca di Jim. - Non è in questo modo che riuscirai a farti perdonare. - Disse, ma la sua voce si stava già addolcendo.
Ci vollero dieci minuti e parecchi baci per far calmare definitivamente il dottore, ma, terminato l’arduo compito, il capitano si sedette sul letto di fronte a lui. Sorrideva compiaciuto.
- Sei un bastardo, lo sai vero, Jim? - Esclamò il dottore, rassegnato.
- Anche io ti amo tanto, Bones. - Sussurrò in risposta, evitando un cuscino.
- Stavamo parlando di Spock. - Proseguì, ignorando i grugniti di protesta di McCoy. - E di come possiamo convincerlo. -
- Convincerlo, Jim? Vuoi smettere di tormentarti con questa storia? É una battaglia persa. -
- Non sono pazzo, Bones, so quello che ho visto. E so che lo vedi anche tu, solo che non lo vuoi ammettere. -
- Non vedo niente perché non c’è niente da vedere. É un vulcaniano, Jim! Non prova emozioni. Non può amare e di certo non ama te o me. -
Il capitano aggrottò la fronte. - Vuoi forse farmi credere che è tutto frutto della mia immaginazione? I sorrisi, gli sguardi, tutti finti? Quella volta che ti ha sfiorato la mano senza apparente motivo l’ho solo sognata? -
- Sono solo coincidenze. - Replicò testardamente McCoy. - Non puoi certo pensare di far nascere una storia da uno sfioramento casuale di mani! -
- Ascoltami bene, Leonard. Oggi ho intenzione di fare una bella gita, io, te e il signor Spock...-
- Jim... - Tentò di interromperlo.
- e dimostrerò a voi due testoni che anche lui prova qualcosa per noi. - Affermò risoluto.
- E io ti dimostrerò che gli asini sanno volare. Abbiamo più o meno le stesse probabilità di riuscita. - Replicò McCoy, incrociando le braccia con aria scettica.
- Direi ottime possibilità, allora. - Osservò il capitano, sogghignando. - Visto che gli asini di Delta Vega sanno effettivamente volare. -
Il dottore, rimasto senza oggetti da lanciare, imprecò tra i denti.
- Ora vestiti. Ho intenzione di partire all’alba. -

Meno di un’ora dopo, il dottore raggiungeva il capitano e il primo ufficiale nel salotto, trascinandosi dietro un pesante zaino.
- Dannazione, Jim - borbottò irritato. - sono un dottore, non un maledetto Boy Scout! -
- Smettila di lamentarti, Bones. Il signor Spock si è gentilmente offerto di farci da guida, non potevamo sprecare questa occasione , non credi? -
- Veramente, - Protestò il primo ufficiale. - è stato il capitano a... -
Il capitano sollevò una mano per interromperlo. - Dettagli, signor Spock, semplici dettagli. - Il medico ridacchiò, sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle.
- Non crede, dottore, di aver esagerato? - Domandò il primo ufficiale, riferendosi all’enorme zaino.
Leonard lanciò un’occhiata alla piccola tracolla di Spock e allo zainetto del capitano e corrugò la fronte.
- Ho preso lo stretto indispensabile. - Replicò risoluto.
- Lo stretto indispensabile per esplorare un intero pianeta. - Commentò il capitano, ridacchiando. - Sai che questa è una gita di un giorno sulle colline intorno a Shi Khar e non sull’Everest, vero? -
Bones incrociò le braccia, sempre più irritato. - Lo so perfettamente, ma so anche che con voi due bisogna aspettarsi l’impossibile. Chi mi assicura che tu - Aggiunse indicando Jim. - non ti faccia trasportare in un’altra dimensione o attaccare da una capra di montagna… -
- Su Vulcano non ci sono capre. - Osservò Spock, con tono neutro. Il dottore soffocò una bestemmia prima di proseguire.
-… o da qualunque altra dannata bestia con il sangue verde che vive su questo dannatissimo pianeta!  -
Non riuscendo più a trattenersi, il capitano scoppiò in una sonora risata che ebbe come unico risultato il far arrabbiare ancora di più il povero dottore che gettò lo zaino a terra e fece per allontanarsi.
- Io ne ho abbastanza! Torno a dormire! - Urlò.

L’alba era passata da un pezzo quando, finalmente, i nostri eroi riuscirono ad incamminarsi verso le colline. Lo zaino del dottore si era fortunatamente rimpicciolito dopo che il primo ufficiale aveva decretato l’impossibilità, nonostante la presenza del capitano, di incontrare piante carnivore, vermi giganti kardassiani o Klingon durante quella breve gita.
- Continuo a ripetere che sarebbe stato meglio portare il rilevatore di tachioni. - Ripeté per l’ennesima volta Leonard. Forse più per interrompere la conferenza di Spock, che quella mattina priva bocca solo per descrive le bellezze di Vulcano, che per sostenere la sua tesi.
- Per l’ultima volta, Bones, - Lo prese in giro Jim. - ti giuro che se vedrò dei vortici luminosi in grado di trasportarmi indietro nel tempo, non ci salterò dentro senza averti prima chiesto il permesso. -
Il dottore lo mandò poco elegantemente a quel paese, si asciugò la fronte sudata e, risistemato lo zaino, seguì il vulcaniano lungo il ripido sentiero.

Pianeta Terra, data terrestre: 27/10/2229.
L’esperienza scolastica dell’ambasciatore Sarek era, finalmente, giunta alla sua fine e, dopo aver fallito un tentativo di insegnare i logaritmi ai bambini della 3°F e aver fatto quasi esplodere l’aula di scienze durante un piccolo esperimento (non lasciate mai del sodio puro vicino ad un lavandino con dei bambini nei paraggi), si stava finalmente preparando a tornare nei suoi alloggi per stendere un rapporto definitivo.
Tutto sommato, si disse, la settimana non era stata disastrosa come poteva sembrare all’inizio. I bambini terrestri erano le creature più illogiche dell’universo, ma le loro dinamiche comportamentali erano decisamente affascinanti da studiare e la loro società, aveva notato, possedeva una sorta di primitiva gerarchia. Anche la signorina Grayson era stata una continua fonte di sorprese, l’atteggiamento velatamente ostile dei primi giorni aveva lasciato spazio ad una sorta di complicità che, se non amichevole, avrebbe potuto definirsi basata su un rispetto reciproco.
Quel pomeriggio pioveva, quella pioggerella fine fine contro la quale ogni ombrello sembra essere impotente, e Sarek stava in piedi sul marciapiede davanti alla scuola attendendo pazientemente l’arrivo di un taxi che non sarebbe probabilmente mai arrivato visto che, dall’altra parte di San Francisco, uno sfortunato tassista con la radio rotta e l’auto in panne, aspettava speranzoso un carro attrezzi. Inconsapevole di tutto ciò, Sarek stava in piedi, rigido come una statua, sotto un ombrello nero con il logo della Federazione, cercando di ignorare la pioggia che il vento gli spruzzava insistentemente in faccia.
Un’auto si fermò a pochi metri da lui, schizzandolo ulteriormente.  Era uno di quei vecchi modelli a idrogeno con le ruote che, anche sulla terra, erano stati quasi completamente sostituiti da quelli a cuscinetto d’aria alimentati da piccole batterie al dilitio.
- Le serve un passaggio, ambasciatore? - Dal finestrino abbassato, fece capolino il viso sorridente di Amanda Grayson.
- La ringrazio, ma il taxi che ho chiamato dovrebbe arrivare a minuti -  Declinò cortesemente l’invito.
- Insisto. Non posso certo lasciarla qui sotto la pioggia. I vulcaniani non sono immuni al raffreddore, sa? -
- Sul serio, non è il caso... - Cercò di convincerla Sarek.
La donna lo ignorò e aprì la portiera dal lato del passeggero. - Salga. - Disse nuovamente.
- Ma io... - Protestò il vulcaniano. Troppo abituato al temperamento della donna per restare sorpreso da un simile comportamento.
- Non ho intenzione di stare qui tutto il giorno con la portiera aperta. - Lo incalzò. Rassegnato, Sarek salì in macchina.

- Dove la devo portare? – Domandò la donna, sorridendo. Sarek rispose, telegrafico il più possibile, poi fissò lo sguardo fuori dal finestrino. Quella donna lo scombussolava e non poteva permettersi simili debolezze.
Fu solo dopo molto tempo che, spinto da un’insana voglia di sentire la voce della donna e da una più normale voglia di far tacere quell’umana che ululava note a caso attraverso la radio, Sarek parlò di nuovo.
- Quindi lei conosce il vulcaniano. -
- Sì, l’ho studiato all’università come seconda lingua. La vostra cultura mi affascina. -
- La nostra cultura? -
- Ho studiato la dottrina di Surak e letto molti estratti del Kir'Shara. Una lettura affascianante -
- E, tuttavia, continua a perseverare nel suo essere una creatura guidata dalle emozioni. -
- Ho studiato Surak, ma non ho mai detto di concordare con lui. Tentare di eliminare una parte di sé, per quanto scomoda, è quanto di più illogico e innaturale possa fare un essere vivente. -
- Tutte le emozioni che le sono tanto care, signorina Grayson, non sono altro che illusioni della mente di cui solo la ragione può svelare l’inconsistenza. Liberarsi dalla schiavitù delle illusioni è davvero così illogico? -
- Eppure, tolti l’amore, l’amicizia, la speranza, per cosa si vive? Cosa ci rende diversi dalle piante o dai computer se non le nostre emozioni, i nostri sentimenti? -
- Le emozioni limitano il potere della ragione. - Affermò Sarek, risoluto.
- O forse lo aprono a nuovi orizzonti. - Ribatté Amanda, altrettanto convinta.
- Temo che sia impossibile, per noi, raggiungere un punto di accordo. - Concluse l’ambasciatore, rassegnato. Aveva davanti un fiero avversario anche se altamente illogico.
- Ha perfettamente ragione, ma mi piacerebbe, se lei non ha nulla in contrario, incontrarla di nuovo e parlare ancora di questo, o altri argomenti di comune interesse. -
Nella mente di Sarek suonò un campanello d’allarme quando, udendo quelle parole, provò l’illogico impulso di sorridere. Si trattenne, ma, prima che il suo cervello potesse impedirglielo, rispose:
- Sarebbe un onore. -

Pianeta Vulcano, data astrale 2462.8
L’atmosfera che si respirava dentro alla villa dell’ambasciatore Sarek era talmente pesante da essere quasi palpabile. Un osservatore casuale, forse, non sarebbe stato in grado di notare i piccoli segnali che indicavano l’avvicinarsi di una crisi, ma qualunque essere umano avrebbe certamente avvertito, pur senza essere in grado di darle un nome, quella freddezza, quel vago sentore di equilibri spezzati e speranze infrante che, inevitabilmente, preannunciano la fine.
Ma c’erano dei piccoli indizi che all’occhio esperto di Spock non erano sfuggiti: una coperta arrotolata in fondo al divano, una valigia appoggiata ai piedi delle scale come se fosse una velata minaccia, i piatti sporchi abbandonati nel lavandino. Piccole cose che non avrebbero detto nulla ad un osservatore casuale, piccoli dettagli che facevano rabbrividire la parte umana di Spock come un campanello d’allarme e che mandavo in crisi la sua razionalità, troppo spaventata dalle possibili conclusioni per provare a tirarne qualcuna.
Così aveva accettato l’invito di Jim ed era fuggito. Era fuggito da un problema per gettarsi in braccio ad un altro.
Sapeva cosa aveva in mente il capitano, lo sapeva da mesi, forse da anni. Era da così tanto tempo che si sentiva in bilico tra la sua paura di essere umano e la sua incapacità di allontanare i suoi due amici da sé che quel comportamento ambiguo stava diventando un’abitudine e una prigione. Bloccato nel mezzo. Così si sentiva. A metà tra due opposti che ancora, dopo tanti anni, non riusciva a conciliare, ma solo a far convivere in un clima di perenne guerra fredda.
Ma, in quel momento, sentiva di essere vicino al punto di rottura: paura, controllo, amore, tristezza, emozioni, logica, tutto si mescolava nella sua mente. Si sentiva confuso e spaventato e combatté quei sentimenti nell’unico modo che conosceva, chiudendoli dentro di se, in profondità, soffocandoli con la fredda logica.

- Ne vuole un po’ anche lei, signor Spock? - Jim gli stava porgendo un panino imbottito con un enorme sorriso. Ma non era questo che lo stava turbando, era la dannata mano del capitano che gli stringeva con dolcezza la spalla.
Spock si scostò rapidamente, interrompendo il contatto prima che risvegliasse in lui qualcosa che cercava disperatamente di escludere. Doveva controllarsi, ritornare a pensare in maniera razionale. Doveva salvare la sua famiglia.
- No, grazie, capitano. - Rispose. Freddo, distaccato. - Non necessito nutrimento, al momento. -
Quelle parole, quel comportamento, ebbero su James Kirk l’effetto di una doccia gelata: il sorriso gli si sciolse sul volto e ritrasse la mano come se si fosse improvvisamente scottato.

Il resto della gita fu tremendo. Jim tentò più e più volte di infrangere l’armatura di imperturbabilità che il vulcaniano aveva indossato, ma ogni attacco finiva allo stesso modo: un’alzata di sopracciglia. Spock era talmente freddo da sembrare di ghiaccio, evitava il contatto fisico il più possibile, non litigò nemmeno con Bones quando definì uno dei luoghi sacri di Vulcano ‘un ammasso di sassi mal disposti’. Alla fine, perfino Jim fu costretto a desistere.
- Ho perso una battaglia, ma non perderò la guerra. - Annunciò sottovoce al suo compagno, sfoggiando un sorriso risoluto, mentre i due seguivano Spock sulla via del ritorno.
- Finirai col farti ammazzare a furia di combattere battaglie perse. - Commentò Bones. Per la prima volta, Jim gli sentì dire quelle parole con tono rassegnato e non riuscì a continuare a sorridere. Il dottore criticava sempre i suoi sforzi, ma in fondo sperava che avessero successo, se anche quella piccola speranza era morta, perché ostinarsi a combattere?
- Jim. - Lo chiamò dolcemente, appoggiandogli le mani sulle spalle. Aveva notato l’effetto delle sue parole. - Non ti sei mai arreso una volta in vita tua, anche davanti a situazioni peggiori di questa. Non ascoltare i lamenti di questo vecchio medico brontolone. - Commentò sorridendo.
- Io darti retta? Ma quando mai è successo? - Replicò il capitano, ridacchiando. Il medico sorrise e gli tirò uno scappellotto.
Fu in quel momento che Spock si voltò, inarcò un sopracciglio in direzione dei due uomini, fermi qualche passo dietro di lui, e, con voce inespressiva, consigliò loro di camminare più velocemente: era quasi il tramonto. I due uomini si incupirono all’istante.
- Grazie Bones. - Sussurrò infine il capitano.
- Di cosa? -
- Di avermi risparmiato il ‘te l’avevo detto’. - Sorrise.
Quando arrivarono alla villa di Sarek, il sole era tramontato già da un pezzo e sulla casa regnava un silenzio quasi surreale.


Note:

Dovevo aggiornare ieri, lo so. Solo che ho avuto dei ripensamenti su alcune parti e ho preferito lavorarci ancora un po’.
* Vi avviso che non sono sicura della correttezza grammaticale delle frasi perché non ho la pazienza di leggermi tutta la grammatica vulcaniana (abbiate pietà di me, ho già i miei problemi con quella inglese). La traduzione letterale è:
- Sconvolto? -
- No. Semplicemente sorpreso. -
Tutte le informazioni su vulcano, Surak e le sue opere vengono principalmente da Memory Alpha e da Vulcanopedia. Più un po’ di informazioni raccattate in giro.
Per quanto riguarda la “lite” tra Spock e gli altri, non uccidetemi, per favore, abbiate fede! *Bitter si nasconde in una trincea con un casco in testa e un fucile in mano, pronta a resistere almeno fino a quando non avrà postato il prossimo capitolo. Anche perché sa che a quel punto non avrà scampo.*

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ogni nuovo capitolo che riesco a postare è solo merito vostro, di voi che leggete, recensite e mi spronate a dare il meglio. Grazie.

Capitolo 3

Pianeta Vulcano, data astrale 2463.6
Amanda appoggiò la fronte al vetro della finestra e sospirò. Era già il tramonto e ancora non si vedevano arrivare.
- Non devi preoccuparti per loro. - Disse l’ambasciatore Sarek, avvicinandosi a lei ma non abbastanza da poterla toccare. - Nostro figlio conosce la zona alla perfezione e i suoi due amici non perfettamente in grado di sopravvivere in condizioni ben peggiori. -
- Non è per loro che sono preoccupata, Sarek. - Sussurrò la donna, senza voltarsi verso il marito.
- E allora cos’è che ti turba, moglie mia? -
Amanda si voltò e i suoi occhi lucidi incontrarono quelli scuri e imperturbabili del vulcaniano. Lo sguardo di lei era determinato, sicuro, rassegnato e il vulcaniano non riuscì a sostenerlo.
- É per noi che sono preoccupata. Non vedi cosa ci sta succedendo? - Sussurrò lei, avvicinandosi di un passo. Sarek inarcò un sopracciglio e la fissò senza capire.
Senza dire niente, la donna allungò la mano a sfiorare le dita del marito, poi si avvicinò a lui e gli posò un leggero bacio sulle labbra. Il vulcaniano non si mosse di un millimetro.
- Io ti amo, Sarek. - Sollevò la mano, ancora unita a quella di lui, e la portò all’altezza dei loro visi. - Riesci ancora a sentirlo? Perché io, da te, non sento più niente. Solo un grande,immenso e freddo nulla. -
- Il legame non è spezzato se è questo che intendi. Non riesci più a percepirlo? - Domandò.
Amanda separò violentemente le loro mani. - Sento ancora i tuoi pensieri, la tua stupida logica. Ma, oltre a quello, solo un freddo abisso. - La sua voce si abbassò fino a diventare un sussurrò. -Un tempo mi amavi, Sarek, e io lo sentivo. Ma ora non c’è più nulla. -
- L’amore è un sentimento illogico e irrazionale. - Commentò il marito, meccanicamente. Forse nemmeno si rese conto di quanto quella frase la ferisse.
Calde lacrime iniziarono a solcare il volto segnato dal tempo di Amanda. Risplendevano come rubini nella luce rossa del tramonto prima di scivolare oltre la linea del suo viso e sparire.
- Io ti ho amato e continuo ad amarti, ma non posso più continuare così. Non posso amare una statua. Non posso vivere con un computer. -
Fu in quel momento, mentre la guardava allontanarsi, il passo sicuro nonostante le lacrime che le rigavano il volto, fu allora che capì di averla persa. Forse per sempre. Si voltò verso la finestra, aspettando che il dolore lo assalisse, ma non arrivò nulla, solo il silenzio e la luce del sole che spariva oltre le colline. E tanto, tanto freddo.
Amanda aveva ragione: che razza di mostro era diventato?

Pianeta Terra, data terrestre: 27/10/2229.
Respira, Amanda. Si disse, spostando per la centesima volta il tovagliolo dal bicchiere al centro del piatto, per poi rimetterlo al suo posto iniziale. Non c’è ragione di essere nervosi, è solo una cena. Ripeté a se stessa, cercando di calmare un po’ i nervi.
La minestra era pronta, cotta al punto giusto, abbastanza scialba da risultare gradita ad un vulcaniano, ma anche abbastanza saporita da essere commestibile per un’umana; il piccolo appartamento era pulito come non mai e tutto era pronto, pulito, perfetto. Eppure Amanda continuava a ricontrollare ogni cosa più e più volte, tutta colpa di quel vulcaniano che sembrava giudicare ogni singola azione che compiva ed ogni singolo dettagli della sua vita con quella sua enigmatica alzata di sopracciglia.
Sarek di Vulcano, ambasciatore. Non riusciva ancora a capirlo completamente. All’inizio le era parso solo un vulcaniano noioso e pieno di sé, uguale a mille altri vulcaniani di cui aveva letto le riflessioni o che aveva conosciuto di sfuggita, devoto alla dea Logica e privo di ogni minimo fascino. Con il tempo, però, aveva visto in lui qualcosa di più, come una piccola scintilla che brillava in fondo ai suoi occhi: curiosità, voglia di conoscere e confrontarsi con esseri diversi, determinazione.
Fu in quel momento che suonò il campanello. Amanda si sistemò rapidamente un ciuffo ribelle dietro all’orecchio e corse ad aprire.
- Benvenuto, ambasciatore. -
Sarek inarcò un sopracciglio in un modo che fece accigliare immediatamente la donna, poi esaminò il piccolo bilocale con lo sguardo, soffermandosi talvolta su un quadro o un soprammobile.
- Interessante il modo in cui la sua casa è arredata. - Commentò, togliendosi il cappotto e consegnandolo alla padrona di casa. - Non riesco a intravedere nessuno schema, ma forse mi sta sfuggendo qualche elemento… - Aggiunse, Amanda sorrise, divertita.
- Temo, ambasciatore Sarek, che non riuscirà mai a trovare uno schema nell’arredamento di questa casa. L’unico criterio che ho seguito è stato il mio gusto personale. -
- Un criterio totalmente privo di logica. - Mormorò il vulcaniano tra se e se. Avrebbe dovuto aspettarsi una cosa del genere da una terrestre.

- Che ne pensa della Terra? - Domandò Amanda per interrompere il silenzio imbarazzante che si era creato a tavola. La minestra di Sarek giaceva praticamente intatta nel suo piatto e il vulcaniano stava osservando con estremo interesse i disegni sul suo bicchiere. Lentamente sollevò gli occhi e rispose:
- Mi affascina. Non riesco a spiegarmi come la vostra società riesca a progredire nonostante l’assurda e totale mancanza di logica, organizzazione e controllo. Guardi questo contenitore, - Aggiunse sollevando il bicchiere. - mi domando quante risorse siano andate sprecate per aggiungere questi decori assolutamente eccessivi ed inutili. -
- Lei vede la cosa da una prospettiva del tutto sbagliata. - Spiegò Amanda, sorridendo. - Dovrebbe considerare il perché quel bicchiere sia stato decorato in quel modo quando avrebbe svolto ugualmente la sua funzione anche senza disegni. -
Sarek aggrottò la fronte. - La prego, mi illumini lei. Perché? -
- Ma è ovvio. Perché così è più bello. -
- Dimenticavo che voi umani avete una vera ossessione per la bellezza. - Commentò. Il tono era neutro, ma si avvertiva nella sua voce una piccola nota di disapprovazione.
- Credevo che anche i vulcaniani apprezzassero la bellezza. -
- I vulcaniani apprezzano ciò che è utile e logico. - Replicò Sarek, risoluto. - Decorare con motivi floreali un contenitore per le bevande lo rende esteticamente più piacevole, ma non è di alcuna utilità. -
Amanda aggrottò le sopracciglia. - Come si può vivere un’intera vita senza bellezza? Senza provare un’emozione? -
- Come si possono sprecare la propria vita e le proprie potenzialità crogiolandosi in illusioni come la felicità o ostacolati da illogiche perturbazioni della mente come la tristezza? Lei, signorina Grayson, crede che io perda parte della bellezza della vita perché le emozioni non ostacolano le mie azioni o i miei pensieri, ma non riesce a capire che dal mio punto di vista è lei quella che non potrà mai sviluppare pienamente le sue potenzialità. -
Amanda lo fissò per un attimo, interdetta. Le ci volle qualche secondo per formulare una risposta.
- Io non credo che le emozioni siano un ostacolo. È in questo che io e lei siamo diversi, è in questo che le nostre culture si distinguono. Lei mi dice che sono intrappolata nelle mie emozioni, io le dico che lei bloccato dalla loro assenza. Forse non riuscirò mai a comprendere la fisica quantistica o i principi di funzionamento del motore a curvatura, ma lei non potrà mai apprezzare nessuna delle piccole cose di cui la vita è composta: sorrisi, amore, bellezza. Non potrà mai comprendere nemmeno la musica stessa, al di là della pura matematica che la compone, perché essa è pura emozione. -
Sarek la fissò con un misto di diffidenza e ammirazione. Quella donna era diversa da qualunque terrestre avesse mai incontrato. Non sembrava schiava di basse emozioni e istinti, sembrava che essi convivessero con lei e fossero i suoi più fidati amici. E poi c’era qualcosa nel modo in cui sorrideva, nel modo in cui i suoi occhi splendevano quando credeva in quello che sosteneva e le sue guance si coloravano di rosso che gli provocava una strana sensazione, come una stretta all’imboccatura dello stomaco.
Per un secondo sui due cadde il silenzio, ma non era il silenzio pesante dell’imbarazzo, era il silenzio leggero e carico di tensione di due predatori che si studiavano attentamente, che si fissavano negli occhi intensamente, cercando di comprendere a fondo l’avversario.
- Lei è venuto sulla Terra per conoscere e comprendere i terrestri, - Disse all’improvviso Amanda, solenne. - io, invece, vorrei comprendere meglio la cultura vulcaniana. - Aggiunse sorridendo. - Come vede i nostri interessi si trovano ad essere perfettamente complementari. -
- Sta suggerendo, signorina Grayson, che potremmo aiutarci a vicenda? -
- Credo sia la soluzione più logica. - Rispose la donna, scimmiottando il suo ospite.
- Per la prima volta, mi trovo a concordare con lei. - Aggiunse il vulcaniano. Il suo volto era impassibile, ma nei suoi profondi occhi scuri si riusciva a scorgere,appena accennata, l’ombra di un sorriso.

Pianeta Vulcano, data astrale 2464.4
Quella mattina fu il rumore di un piatto rotto a svegliare gli abitanti della villa ai margini di Shi Khar. Risuonò nella casa semi vuota come il rintocco di una campana, risalendo le scale deserte a malapena illuminate dai primi raggi del sole come un sinistro presagio.
Un piatto rotto.
Un singhiozzo.
Un piatto rotto.
Un urlo di donna.
Queste furono le prime cose che udì Spock quella mattina. Si svegliò di soprassalto e spalancò gli occhi. Troppo sconvolto per nascondere la sua paura. Alla fine era successo. Un parte di lui gli urlava di alzarsi e correre, correre più veloce che poteva per vedere cosa stesse succedendo, per impedire l’irreparabile, ma i suoi muscoli erano come paralizzati. Rimase seduto sul letto, in silenzio, ad ascoltare le urla.
- Basta! - Stava urlando sua madre. La voce era alterata e resa stridula dalla rabbia. Non l’aveva mai sentita urlare così.
- Amanda, tutto questo è illogico... - Sussurrava suo padre. Un altro piatto si infranse.
- Logica! Logica! Sempre e solo questa maledetta logica! -
- Amanda... - Si udì distintamente il rumore di uno schiaffo.
- Smettila! - Spock rabbrividì. Quel tono, disperato, arrabbiato, sconfitto non era mai uscito prima dalle labbra di Amanda.
- Smettila, - aveva ripetuto la donna, la voce bassa e minacciosa. - Io non riesco più ad andare avanti così, Sarek. A fingere di essere felice quando mi sento morire dentro. - Un singhiozzo. -Quando sento il tuo cuore indurirsi ogni giorno di più. -
Silenzio.
La porta di casa che si chiudeva.
Passi leggeri sulla sabbia.
Silenzio.
Spock si abbracciò le gambe come un bambino spaventato e chiuse gli occhi. Non doveva lasciarsi sopraffare dalle emozioni. Lui era più forte. Lui era un Vulcaniano.

Bastarono pochi secondi al capitano per capire la ragione del comportamento di Spock. Pochi secondi, un piatto rotto e il tono di voce di Amanda. Subito uscì dalla stanza e corse verso le scale. Doveva assolutamente fare qualcosa, doveva fermare tutto questo.
Bones lo aspettava all’inizio delle scale. Lo conosceva troppo bene per non capire immediatamente quale sarebbe stata la sua reazione.
- Lasciami passare. - Lo pregò. Il medico scosse la testa. Era una cosa che non potevano risolvere loro due, dovevano solo restare in disparte e aspettare.
Il portone si chiuse e sulla villa cadde nuovamente il silenzio. Jim tentò nuovamente di scendere, ma il suo compagno la trattenne e mormorò una sola parola. - Spock. -  
- Dovremmo andare da lui. - Sussurrò il capitano. Non sapeva nemmeno lui se quella fosse una domanda o un’affermazione. Sapeva solo che pochi secondi dopo, lui e Bones aprivano la porta della stanza del vulcaniano.

Spock sentì la porta aprirsi lentamente e sollevò la testa, assumendo all’istante un espressione impassibile che però non riuscì a mascherare i suoi occhi lucidi. Sulla porta c’erano i suoi due migliori amici che sorridevano debolmente.  
Dopo quello che aveva fatto passare ai due, non riusciva a credere di vederli lì, fermi sulla porta della sua stanza, pronti a correre da lui come avevano sempre fatto.
Rimasero per qualche secondo immobili a fissarsi negli occhi, poi il capitano si avvicinò lentamente e si sedette sul letto accanto al suo primo ufficiale. Con un gesto delicato gli sfiorò l’avambraccio e gli sorrise. In piedi, appoggiato alla porta, McCoy li osservava, in silenzio. Solo dopo qualche secondo trovò la forza di avvicinarsi e sedersi dalla’altro lato del vulcaniano. Le loro spalle che si toccavano a malapena.
Spock desiderava ardentemente di poter rimanere in quella posizione per sempre, dimenticare il mondo esterno, i suoi problemi, tutto. Solo lui, Jim, Bones, i loro respiri e i loro battiti che si fondevo.
Si concesse qualche attimo per riacquistare il controllo, poi scese al piano di sotto, i suoi due compagni sempre al suo fianco.
In cucina, seduto accanto al tavolo, Sarek fissava i frammenti di ceramica che giacevano sul pavimento, il volto sembrava una maschera e il suo respiro era a malapena udibile. Di Amanda nessuna traccia.
- Padre… - Sussurrò Spock, quasi pregandolo.
Il vulcaniano sollevò la testa. Gli occhi due pozzi senza fondo, due piccoli buchi neri che non lasciavano uscire nemmeno un filo di luce.
- È andata. - Due parole, due semplici parole e il mondo di Spock, già in equilibrio precario, gli crollò addosso. Se non avesse avuto la mano di Jim sul braccio, sarebbe probabilmente crollato anche lui, ma si aggrappò a quel contatto con tutto se stesso e riuscì a non perdere il controllo.
- Dove? -
Sarek non rispose. Teneva in mano un piccolo aspiratore e aveva iniziato a fissarlo come se non ne avesse mai visto uno. Gentilmente, McCoy si avvicinò e glielo tolse dalle mani, iniziando a risucchiare i frammenti da terra.
Spock si avvicinò al padre e gli sfiorò leggermente la spalla. - Padre, dov’è andata? -

Amanda lanciò un’altra occhiata alla casa, poi strinse la valigia e iniziò a camminare. Camminava senza una vera meta, seguendo solo l’istinto. Camminava per non piangere, per fuggire il più lontano possibile da quella voce che aveva in testa.
Il Legame era ancora lì e lei sapeva perfettamente cosa stesse provando Sarek. Non voleva ascoltarlo, ma quel Legame era parte di lei, come un braccio o una gamba e l’avrebbe accompagnata tutta la vita se Sarek non avesse deciso di spezzarlo. Eppure quel sottile filo che la univa a lui non faceva che confermare la sua scelta: ogni minuto, ogni secondo, da quel piccolo spazio nella sua mente che aveva cessato di appartenerle il giorno in cui aveva accettato l’ambasciatore come marito, arrivava solo freddo. Non una goccia di dolore, non pentimento, rabbia, tristezza. Niente. Da mesi, ormai, aveva cessato di guardare dentro quel buco per paura di perdersi in un nulla arido e spoglio. Come aveva fatto il cuore di Sarek a seccarsi in quel modo? Come aveva potuto la sua mente, così curiosa e attiva, diventare sterile come il più freddo dei calcolatori?
Certo era stato un processo graduale, come un fiore che appassisce. E lei, Amanda, dov’era quando lui aveva più bisogno di lei? Perché non era riuscita a salvarlo? 
Dopo tanto camminare, Amanda si sedette sul ciglio della strada e pianse. Per se stessa, per Sarek, per Spock.

Note:
Io e la puntualità non siamo molto amici… Anche questa volta l’aggiornamento è arrivato in  ritardo.  Colpa dei ripensamenti dell’ultimo secondo, dei ritocchi finali, delle parti scritte e riscritte in mille modi diversi senza trovare mai quello giusto… Insomma colpa mia che sono perfezionista senza riuscire comunque ad essere perfetta.
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, non so proprio quando arriverà perché, in pratica, lo sto rifacendo da capo, cercando di fonderlo con il famoso seguito che ho in mente in cui quello che è successo in questo capitolo, più o meno, torna a posto.
Devo fare i conti con la mia incapacità di scrivere qualcosa che abbia un lieto fine e con un infinità di impegni (tra cui una gita di una settimana a Londra), quindi se non riesco a postarlo per domenica, l’aggiornamento arriverà alla fine della prossima settimana.

Concludo con una piccola riflessione su questo capitolo. Sembra quasi di avere davanti due Sarek diversi, lo so. Per come la vedo io il Sarek del presente non è un mostro e non è nemmeno un’altra persona rispetto al se stesso del passato, semplicemente in lui si è spenta quella luce che Amanda aveva visto, come spesso capita per molti motivi. Gli amori nascono e, a volte, forse fin troppo spesso, muoiono e non sempre c’è una ragione.
Però, a volte, i fuochi che sembrano spenti stanno in realtà nascosti sotto la cenere, in attesa che qualcuno riesca a risvegliare la fiamma.

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