Arcane profezie

di Mel Winchester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Fine. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***



Capitolo 1.


Guardai le lancette, del mio orologio da polso, che segnavano le 17 passate.
Ero in piedi alla fermata del tram da non so quanto tempo, stanca e piuttosto infastidita da quello sguardo che sentivo su di me.

Ma che avrà mai da guardare? – mi chiesi cercando di non far vedere il mio disappunto mentre osservavo di sottecchi il ragazzo appoggiato al lampione ormai illuminato.

Bene! si sta facendo anche buio, io sono in ritardo e in più c’è questa specie di psicopatico che mi osserva da più di un’ora! – ero proprio esasperata, ma tutte a me capitavano!?

Mi ritrovai a battere nervosamente un piede per terra quando il mio sinistro compagno mi rivolse la parola… – se continui a picchiettare in quel modo finirai per fare un buco sul marciapiede – disse ironico con un mezzo sorriso.
Osservandolo meglio notai che era piuttosto affascinante, alto, con un ciuffo castano scuro che gli scivolava da sotto il cappuccio della felpa, sfiorandogli la fronte, occhi verdi, profondi ma con qualcosa di cupo, come una velata tristezza, un’ombra di dolore.

Ancora ammutolita da quelle sue parole mi ritrovai a fissare il suo sguardo che adesso non sembrava più amichevole ma piuttosto inquietante.

Osservai lui, osservai il mio piede, che con un gesto automatico smise di battere, e poi sentii la mia voce bisbigliare delle scuse.
Lui si costrinse a sorridere e tirò un po’ più giù il cappuccio cercando di ripararsi da quella timida pioggerella che stava cominciando a bagnare l’asfalto.

Rimasi così, a fissare il vuoto, cercando di non fare troppo caso alla sua presenza, di cui però non sentivo più lo sguardo addosso.

Dopo poco, un leggero trillo annunciò l’arrivo del tram.



Saint Mary – comunicò la voce elettronica della vettura.
Mi apprestai a scendere, mi sentivo sollevata, stavo per raggiungere il mio appartamento.

Appena fuori dal tram, una ventata di aria gelida mi investì, facendomi rabbrividire e stringere nel mio piumino bianco.
Mi avvolsi intorno la spessa sciarpa e mi incamminai verso casa.
Ma un rumore mi fece trasalire.
C’era qualcuno alle mie spalle?
No, ero solo io quella sera a essere particolarmente ansiosa...

Così, imponendo me stessa di non guardare indietro, continuai a camminare…
Ma stavolta con un passo leggermente più frettoloso.

E poi di nuovo quel rumore.
Sembravano passi…

Mi voltai lentamente appena in tempo per intravedere un’ombra nascondersi in una stradina secondaria posta a lato del marciapiede.

Così, inconsciamente, mi girai e cominciai a correre...
Correre come mai avevo fatto in vita mia.

Pochi minuti dopo ero davanti al portone di casa.
Con mani tremanti infilai la chiave nella serratura, e entrai nel mio appartamento.


Sono una stupida – dissi appoggiando la fronte contro il freddo legno della porta.

Quella sera mi infilai sotto le coperte con uno strano presentimento.


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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***



Capitolo 2.


Anya smettila di dire sciocchezze, è solo la tua ansia che parla – disse tranquillamente mia nonna, sorseggiando il suo thè, dopo aver ascoltato con attenzione il mio racconto della sera prima.
Cercava di rassicurarmi, è ovvio, però io non ero convinta che il tutto era dovuto al semplice stress o a quella maledetta ansia che mi caratterizzava fin da piccola.

Ok, Adrienne, cercherò di non pensarci – dissi stizzita, tenendo tra le mani la mia tazza fumante, un po’ per riscaldarmi, un po’ perché non avevo tanta voglia di thè e biscotti quel pomeriggio.

L’avevo chiamata col suo nome di battesimo, e questo avveniva solo per due motivi: o perché ero triste, o perché non ero d’accordo con ciò che affermava la mia amata nonna materna.

Adrienne mi osservò, con i suoi occhi color ghiaccio, da dietro gli occhiali dalle spesse lenti, che portava.
Era una donna minuta, dai lunghi capelli grigio piombo raccolti in un morbido chignon e dalle mani rugose e ben curate, sembrava fragile, ma non lo era affatto.
Il terribile conflitto avvenuto nel 1961 tra le due fazioni nemiche di Salem, aveva portato via mio nonno, e lei, ancora così giovane, aveva cresciuto tutta da sola mia madre di appena un anno.
Era una donna forte, e ancora estremamente bella nonostante l’età.

E adesso badava anche a me, non che avessi bisogno di una balia a vent’anni, però era un conforto abitare nell’appartamento accanto a quello della mia adorata nonna, ed evitare due ore di treno al giorno.
Si perché, ormai da un anno, lavoravo nella libreria di South Salem, però la mia casa natale era a 200 chilometri di distanza,a North Salem!
Perciò avevo lasciato i boschi e le montagne dov’ero cresciuta, trasferendomi tra spiagge e baie dove era nata mia madre.

Tesoro – disse piano, levandosi gli occhiali – non puoi essere sicura di ciò che hai visto. Potrebbe essere stata la stanchezza che ti ha giocato un brutto scherzo o semplicemente l’ombra di un passante che ritornava a casa come stavi facendo tu.
Mi guardava con estrema dolcezza e aspettava pazientemente la mia risposta, che però non arrivava.
Non sapevo cosa dire, le parole di mia nonna erano ragionevoli, e poteva essere stata davvero solo la mia immaginazione.
Perciò era inutile continuare ad insistere su un argomento che non aveva senso.

Si hai ragione, nonna – bisbigliai, posando la tazza ancora piena sul tavolino che stava ai miei piedi – adesso è meglio che vada se non voglio fare tardi a lavoro – detto questo, diedi un buffetto sulla guancia di Adrienne e uscì nell’aria gelida di quel pomeriggio invernale.

Dopo aver preso la mia auto dal meccanico, sollevata dal fatto di non dover prendere più il tram la sera tardi, parcheggiai sotto l’insegna che riportava scritto “Books&Books”.
Ero arrivata a lavoro.

Salve Tim – dissi sorridendo al mio capo, un uomo alto, di mezz’età, con i baffi e l’aria buffa.
Anya, eccoti!- esclamò tutto eccitato, ricambiando il sorriso – è arrivato questo per te – disse infine tendendo un pacco nella mia direzione.

Era uno scatolo di cartone di  medie dimensioni, quelli usati tipicamente dalle poste cittadine.
Sul lato superiore un’elegante scrittura informava che era indirizzato a me.
Solo Anastasia Moore. Niente di più.

Non c’è il mittente, chi l’ha portato? – chiesi, osservando confusa Tim, che mi sorrideva affabile.
Non lo so cara, ho sentito bussare alla porta sul retro e quando ho aperto, sul tappetino, c’ho trovato questo – rispose lui-  Ma che fai, non lo apri? – mi chiese infine.

La curiosità stava prendendo il sopravvento anche su di me, così accantonai la mia confusione e alla fine mi decisi ad aprire lo scatolone.
Mi ritrovai davanti agli occhi tanto, tantissimo cotone e dopo aver affondato le mani all’interno, alla ricerca di qualcosa, sentii sotto la pelle una superficie fredda e liscia, sembrava avere la consistenza del marmo.
Con trepidazione tirai fuori ciò che il cotone nascondeva, e mi ritrovai tra le mani un enorme libro dalla copertina viola scuro.
Accarezzai leggermente la superficie gelida, pareva fatta di pietra.
Ma mi resi presto conto che non era semplice roccia, quel colore mi ricordava la gemma preziosa incastonata nel medaglione regalatomi da mia nonna il giorno del mio diciottesimo compleanno.  
Si, la copertina era fatta di ametista!


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Capitolo 3
*** Capitolo 3. Fine. ***



Capitolo 3.


Ametista, ametista di quelle più scure.
Con mani tremanti aprii delicatamente il pesante volume e cominciai a sfogliare le pagine che sembravano ingiallite dal tempo.
C’erano numerose scritte, specie di sonetti che non riuscivo a capire.
Erano scritti in una lingua piuttosto antica, sembrava celtico.

Dopo aver scorso numerose pagine incomprensibili, una scritta richiamò la mia attenzione.
Era una delle pagine più rovinate dal tempo, dove lateralmente c’era disegnata una rosa viola, quel viola intenso della copertina e del mio medaglione.
Accanto al disegno un elegante calligrafia riportava scritto il mio nome, e poi una specie di avvertimento: “Anastasia, è tutto buio intorno a te. Trova la luce. Trovala!”.
Spaventata da quelle parole mi apprestai a chiudere il libro, quando un incessante e fastidioso suono mi entrò in testa…



Bip, bip, bip” la sveglia posta sul comodino continuava a suonare ininterrottamente.
Diedi una manata spazientita sull’apparecchio elettronico, e calò di nuovo il silenzio.
Possibile che era stato solo uno strano incubo?
L’unica cosa che ricordavo era che, dopo quello spavento preso alla fermata del tram, ero arrivata col cuore in gola a casa e dopo una lunga doccia calda, mi ero gettata stancamente sul letto.
E adesso eccomi qui, tra le lenzuola stropicciate e con la sveglia che segnava le sette del mattino.

Perciò la discussione con la nonna, quel pomeriggio al lavoro e il grande libro misterioso erano tutto un sogno?
Forse si.


Ancora dubbiosa, ma anche un po’ sollevata mi tirai su, a sedere sul letto, scostai le lenzuola e misi un piede per terra.
In quel momento una fitta di dolore mi percorse.
Avevo messo il piede su qualcosa di appuntito.
Guardai il pavimento, una goccia di sangue, il mio, aveva bagnato la spina di una rosa.

Una rosa viola scuro...

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