Che cosa significa 'miseria'?

di TheDarkSkull
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


I nobili e i borghesi, quel giorno, erano accorsi in massa alla piazza centrale di Dras-Leona, portando i loro figlioli al grande evento. In realtà, la piazza non era particolarmente addobbata, né i Cavalieri vestiti in pompa magna; ma restava che sarebbe stato scelto –forse- un nuovo Cavaliere quel giorno e ognuno sperava che fosse un membro della propria famiglia, per tenere alto il nome della casata. I giovani Cavalieri, teoricamente, potevano essere scelti indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza; in realtà, solo chi aveva molti o quantomeno sufficienti mezzi economici tentava di far entrare i figli nell’Ordine.  Chi era povero non poteva permettersi di perdere una preziosa giornata di lavoro – e quindi di incassi – per una remota possibilità di vedere un proprio figlio diventare un “pezzo grosso”, come si usava chiamare chiunque fosse membro di importanti categorie. La schiavitù, poi, non aveva mai l’autorizzazione dai propri padroni di partecipare a un tale evento, forse perché i padroni avevano il timore di vedere un figlio di un proprio schiavo ricevere un onore che il loro nobile rampollo non avrebbe mai ricevuto o forse per altri motivi, chi può saperlo?
Morzan aveva sentito molto parlare dell’evento: sapeva che i Cavalieri venivano in città a far toccare uova di drago ai ragazzi dai 10 ai 15 anni ogni quinquennio e, soprattutto, sapeva che, quel giorno di primavera, la piazza sarebbe stata traboccante di nobili. Qual migliore occasione per rubare qualche gioiello o qualche arma costosa, per rivenderli al mercato nero?
Un ragazzo di strada, come lui, non avrebbe avuto molte possibilità di sopravvivere, se non si fosse dedicato ad attività illecite e non fosse entrato sin da giovane nell’ampia cerchia di delinquenti della città. Senza famiglia né denaro, si era abituato a rubare da quando aveva 5 anni; prima, era stato allevato alla bell’e meglio da uomini di strada, che almeno gli procuravano  sufficienti pane e acqua per sopravvivere.
Comunque, il tredicenne si era infilato tra la folla concentrata sui ragazzini che si avvicinavano, a turno, all’uovo rosso al centro della piazza. L’uovo, nonostante i molti tocchi, continuava a non schiudersi e per questo gli adulti avevano il fiato sospeso. Adocchiato un pugnale con il manico d’oro appeso al fianco di  Rassen Tàbor, figlio cadetto dell’anziano governatore della città e padre di uno dei ragazzini che stavano toccando l’uovo, Morzan era proprio sul punto si sfilarlo – le guardie del corpo erano altrettanto prese dal nobile rampollo che sembrava non avere successo con l’uovo – quando sentì una mano sulla spalla. Il sangue gli si gelò nelle vene: l’unica volta che era stato beccato rubare gli avevano tagliato la punta di un dito e ricordava con orrore quello strazio. Con la sinistra tastò istintivamente il moncherino dell’anulare destro, mentre il cuore batteva all’impazzata e non voleva saperne di smettere.
“Ragazzino!” disse l’elfo che gli aveva messo la mano sulla spalla. “Cosa stai facendo?”
E ora cosa faccio?  Pensò Morzan, rendendosi però conto che il tono dell’elfo non era di rimprovero, ma esprimeva più che altro fastidio.
“Coraggio, mettiti in fila con gli altri e aspetta il tuo turno”, gli disse e tra sé e sé: “Ah! Questi umani!”
 Il ragazzino, ubbidientemente, si mise in fila, tirando un sopriro di sollievo. Quello che stava accadendo non rispecchiava i suoi piani, ma almeno aveva evitato di essere beccato. E poi, cosa gli sarebbe costato sfiorare quel benedetto uovo rosso, che non voleva schiudersi? Sarebbe passato inosservato in mezzo alla folla, che in tutta quella tensione non avrebbe fatto caso agli stracci che indossava, e avrebbe rubato qualche cosa sul far della sera.
Mentre pensava, aveva camminato con i suoi piedi nudi fino all’uovo. Lo toccò con la mano buona, la sinistra, e subito la ritrasse. Finito, l’ho scampata per un pelo, pensò.
L’uovo, però, cominciò a tremare e, in meno di un minuto, ne uscì fuori un cucciolo di drago rosso. Il cuore di Morzan batteva a mille. Non sapeva come comportarsi, che cosa dire, dove andare. Il cucciolo gli si avvicinò e gli sfiorò la mano, scatenando un’energia tale da far cadere il robusto ragazzino a terra.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La folla era esterrefatta. Nessuno avrebbe notato l’aspetto di Morzan, è vero, se avesse semplicemente toccato senza successo l’uovo, ma l’uovo si era schiuso e, a quel punto, avevano notato eccome il ragazzino.
Aveva i capelli neri come le penne del corvo, lunghi, mossi e, soprattutto, sudici, così come il resto del corpo. I piedi nudi erano sporchi di terra, con le unghie lunghe e nere. I vestiti che indossava erano degli stracci rattoppati che gli coprivano le parti intime, le gambe fino al ginocchio e il torace. Sulle parti scoperte si vedevano tagli, graffi e croste non medicati né lavati, e numerose cicatrici. Gli occhi, uno azzurro e uno nero, rendevano quel povero ragazzo anche inquietante. Di statura era robusto e, se fosse stato vestito dignitosamente, sarebbe sicuramente stato un bellissimo ragazzino, ma l’aspetto così com’era non risultava gradevole.
Presto uomini e donne cominciarono a borbottare fra loro, per poi esprimere ad alta voce la loro opinione, di certo non positiva.
Morzan, in un primo momento, non si accorse nemmeno di chi gli stava intorno: sentì una presenza nella mente e capì che doveva trattarsi del piccolo drago rosso che l’aveva scelto come Cavaliere. Lo prese in braccio e si sentì, per la prima volta nella sua vita, scelto da qualcuno. Per una volta, si sentì speciale, si sentì al di sopra degli altri, si sentì amato.  L’istinto maturato in tanti anni di furti, però, lo riportò presto alla realtà.
Si rese conto che i nobili e i borghesi della città lo disprezzavano profondamente, provavano disgusto nei suoi confronti e, soprattutto,  invidiavano la sua nuova posizione.
Un elfo si avvicinò a lui, facendo cenno alla folla di fare silenzio; la folla tacque, curiosa di sentire parlare il nuovo Cavaliere, e l’elfo si presentò.
“Caro ragazzo, sei il benvenuto tra i Cavalieri. Io sono Allòn e mi occupo di accogliere i nuovi arrivati. Qual è il tuo nome?”
Morzan lo squadrò un momento. Era snello, con i capelli corvini lunghi fino a metà schiena raccolti in una treccia ed era più bello di qualsiasi umano avesse mai visto. Nonostante ciò, le sue parole suonarono fredde e rituali: i Cavalieri elfi non amavano particolarmente i Cavalieri umani, per non parlare degli umani di umili origini!
“Io…” cominciò Morzan, “…mi-mi chiamo Morzan.” Non sapeva bene come comportarsi, perciò gli tese la mano cercando di non badare a nient’altro.
Il Cavaliere guardò la mano sudicia e gli fece un cenno di piacere, ma non sfiorò neppure il giovane. Questi capì subito che, in fondo, l’elfo la pensava come la folla ma, nella sua posizione, aveva l’obbligo di essere gentile. Gli rivolse un mezzo sorriso, che assomigliava di più a una smorfia di dolore.
 
Il resto della giornata passò senza che Morzan, un po’ travolto dall’emozione, un po’ offeso per come lo trattavano tutti quelli che lo incontravano, se ne rendesse conto fino in fondo. Di sera si ritrovò in una stanza all’interno del Palazzo Dei Cavalieri, vestito con una tunica rossa di semplice stoffa, sdraiato su un letto simile a una brandina che gli parve essere il letto più comodo del mondo – prima, non aveva mai dormito su un letto. Accanto a lui, riposava il piccolo drago.
Dovrò dargli un nome…Ma quale? Ah, che castigo farmi scegliere un nome! Non so né leggere né scrivere, come posso sapere un nome adatto a un drago?
 Nella sua testa, sentì una vocina inaspettata.
Castigo…
Guardò il cucciolo rosso e si rese conto che era stato proprio lui a parlare!
Castigo, eh? Ti piace? Non è un nome, però, mi dispiace!
Ma il cucciolo scosse la testolina e di nuovo disse il nome che desiderava, quello strano vocabolo che Morzan aveva detto quasi casualmente.
Il Cavaliere, rassegnato ma anche intenerito, sospirò. “E sia. Il tuo nome è Castigo, ora”
Nella sua testa sentì la risposta.
Castigo…e Morzan.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il viaggio in carrozza verso Ilirea non fu lungo quanto previsto. Morzan lo passò giocando con Castigo: il cucciolo gli mordicchiava affettuosamente le mani e il ragazzo lo tirava su e giù, quasi fosse un bebè. Quando Castigo notò il dito mancante del ladruncolo, non gli disse nulla a parole, maespresse tutto il suo affetto e conforto mentalmente e gli leccò lievemente il moncherino. Morzan si sentì inspiegabilmente protetto, anche se sapeva che, almeno per i primi tempi, sarebbe stato lui a proteggere il suo piccolo amico. Allòn, che viaggiava con loro, stette in silenzio tutto il tempo, osservando di tanto in tanto il nuovo Cavaliere.
Con tutti i giovani di buona famiglia che ci sono in Alagaësia, proprio un disgraziato del genere doveva capitarmi? Ah, maledetto sia tu, Morzan, e anche tu, Castigo!
 
“Siamo arrivati a Ilirea, Morzan. Ci sei mai stato prima?” La voce di Allòn lo distrasse dai giochi con Castigo.
“No,” ammise lui “mai.” Non si sentiva esattamente in vena di parlare con quell’uomo che solo il giorno prima si era rifiutato di stringergli la mano. Il ragazzo guardò fuori dal vetro della carrozza, colpito dalle vie così larghe e organizzate della capitale del regno; Dras-Leona era una città caotica con strade strette e palazzi costruiti senza criterio estetico, e pure con molto poco criterio pratico. Le uniche case belle erano quelle della zona presso il lago, larghe ville con giardino dei nobili cittadini. Morzan aveva sempre desiderato avere una residenza presso il lago, con un ampio giardino e una servitù a sua disposizione. Ilirea, rispetto a Dras-Leona, era molto più bella: lì, anche i cittadini più poveri avevano abitazioni quantomeno dignitose.
Procedendo per la città, la carrozza entrò nella zona dei Cavalieri: presto Morzan, Allòn e Castigo si ritrovarono di fronte alla famosa sede dell’Ordine, attesi da due elfi.
Uno dei due aveva i capelli argentei, lunghissimi e liscissimi, ed era vestito con una tunica gialla, impreziosita da fili d’oro.  Al fianco gli pendeva una spada color oro e sembrava vecchio. L’altro, i capelli biondi legati in una treccia, sembrava più giovane, ma – così pensò subito Morzan – anche più potente. Nello sguardo aveva un che di autoritario e forse un po’ arrogante, mentre il vicino sembrava più saggio e pacato. L’elfo con la treccia, molto più bello di Allòn, era vestito con una tunica verde scuro tenuta ferma in vita da una cintura di platino e al fianco aveva una spada molto più larga di quella del compagno, color verde brillante.
L’elfo vestito di verde si avvicinò.
“Benvenuto, giovane Cavaliere, e benvenuto, giovane drago. Io sono Vrael, il capo dell’Ordine. Quali sono i vostri nomi?”
Morzan si inchinò al famosissimo Vrael. Ieri mattina incontrare Vrael in persona mi sembrava un sogno impossibile, e oggi ce l’ho proprio davanti!
“Mi chiamo Morzan, signore, e lui è Castigo” Il draghetto balzellò avanti e indietro.
“Castigo?” Vrael alzò un sopracciglio.
“Gli piaceva questo nome.” Rispose il ragazzo all’istante, un po’ troppo spavaldamente.
Vrael notò subito quest’attitudine del nuovo Cavaliere, ormai abituato ad accogliere nuovi membri da secoli.
“Vedo che non sei timido. Bene, ti troverai sicuramente bene con lui.” E indicò l’elfo più vecchio.
“Buongiorno, ragazzo…Come hai detto che ti chiami?”
“Morzan.” La risposta fu un po’ troppo secca.
“Bene, Morzan, io sono Oromis e d’ora in poi sarai il mio apprendista. Prima di tutto, ti chiedo di rispondermi più cortesemente e di rivolgerti a me chiamandomi Maestro. Ora sei scusato, in fondo sei appena arrivato. Seguimi, ora, ti mostrerò la mia dimora, dove vivrai per i prossimi anni. Lì avremo molto tempo per parlare e conoscerci meglio.”
“Va bene, Maestro.” Inutile a dirsi, a Morzan non andò a genio l’atteggiamento autoritario del vecchio elfo, essendo egli per natura un ragazzo orgoglioso e ribelle.
Si congedarono da Vrael e –con gran gioia del ragazzo- da Allòn e, preso in braccio Castigo, si avviarono verso la casa di Oromis. Allòn disse qualcosa sottovoce a Vrael, e quest’ultimo annuì fissando il giovane con la tunica rossa che si allontanava con il suo mentore.  

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4 MESI DOPO
 
Da quando l’uovo rosso si era schiuso per lui, Morzan aveva fatto molti progressi. Era stato un apprendista in gamba sin dall’inizio, imparando molte nozioni di storia, di geografia e dell’antica lingua: Oromis gli aveva insegnato a leggere e scrivere e, qualche volta, gli leggeva personalmente importanti testi. Il giovane aveva dimostrato subito una buona attitudine alla magia, che gli era parsa spontanea sebbene gli apprendisti, in media, impiegassero anni a impararla. Cosa più importante, Morzan aveva sbalordito tutti con il suo talento eccezionale nel combattimento, sia con le armi sia nel corpo a corpo. La sua prestanza fisica, combinata a una velocità e flessibilità fuori dalla media, lo faceva facilmente prevalere su tutti gli altri ragazzi della sua età e un po’ più grandi. Preferiva combattere con una spada a una mano sola, come del resto faceva il maestro Oromis.
Questi, pur essendo consapevole del grande talento del suo allievo, non era soddisfatto di lui per via del suo carattere e del suo atteggiamento: Morzan era un ragazzo orgoglioso, aggressivo e permaloso e queste cose rendevano difficile dialogare con lui. Oromis, però, si sforzava di essere paziente, sia perché il suo allievo era ancora adolescente sia perché si rendeva conto di quanto aveva sopportato in passato e lo compativa, nel profondo.
 
“Morzan, vieni a sederti, devo dirti una cosa.” Vista l’espressione interrogativa del ragazzo, aggiunse subito: “Non è nulla di brutto, sta’ tranquillo”.
Morzan si sedette di fronte al maestro e si limitò ad alzare un sopracciglio e a emettere un suono somigliante a un ‘Mh?’
“Oggi pomeriggio arriverà un nuovo allievo, che condividerà la stanza con te. Si è schiuso un uovo a Kuasta”, rispose, paziente, il vecchio elfo.
“E chi sarebbe questo mio nuovo… compagno?” sbottò Morzan. Nel suo intimo, si sentiva già geloso del suo compagno: Oromis era il suo maestro, dedicava soltanto a lui le sue attenzioni e non gli andava proprio di condividere questa esclusività con qualcun altro.
“Morzan, sii gentile con lui. E’ un umano più giovane di te, ha soltanto 10 anni e il suo nome è Brom. La dragonessa che si è schiusa per lui è di colore blu. Non so dirti altro. Per favore, comportati bene nei suoi confronti.”
“Brom, eh? Vedremo come se la cava.” Morzan si alzò dalla sedia, “Maestro, vado a fare un po’ di pesi in palestra. Arrivederci”. Il giovane accompagnò il saluto con un cenno del capo, che gli fece oscillare i capelli mossi, e uscì dalla porta.
Brom, io non ho idea di chi tu sia, ma già mi sei antipatico.
 
Mentre Morzan si stava asciugando dopo essersi lavato – aveva fatto 3 ore di pesi ed era tornato a casa in condizioni pietose – sentì bussare alla porta. Capì che Oromis doveva essere arrivato in compagnia di quel tale, Brom, che sarebbe stato il suo nuovo compagno. S’infilò rapidamente una tunica rossa e scese le scale.
Davanti alla porta, c’era un ragazzino con i capelli castani chiari, mingherlino, con a fianco un cucciolo di drago blu. Il suo aspetto esprimeva riservatezza e fragilità: in confronto a Morzan, alto, muscoloso e con la pelle abbronzata, il pallido ragazzino pareva quasi malaticcio.
Appena Brom vide il suo nuovo compagno, sorrise. Morzan non ricambiò il sorriso.
“Ciao, io sono Brom! Tu devi essere Morzan! Il qui presente maestro mi ha detto che saremo compagni, dunque sono onorato di conoscerti!” L’agitazione e il tono di voce di Brom infastidirono Morzan, che ebbe subito l’impressione di trovarsi davanti a uno tutto inchini e complimenti, ma totalmente privo di carattere e di coraggio.
“Piacere”, rispose il ragazzo vestito di rosso.
Oromis lanciò un’occhiataccia a Morzan e, con un sorriso, fece cenno a Brom di seguirlo su per le scale.

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