Christine

di Kastania
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** 17 ***
Capitolo 19: *** 18 ***
Capitolo 20: *** 19 ***
Capitolo 21: *** 20 ***
Capitolo 22: *** 21 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

PROLOGO

 

 

 

Una notte ho udito la tua voce lontana
E nelle fiamme della mia anima torturata
Ho ben compreso che mai saresti stata mia
Eppure attendo ancora,pur senza speranza,
di sfidare il mio destino
Su di me grava un’eterna maledizione,
una condanna alla solitudine assoluta,
so bene che mai dividerai la tua vita con me…
E’una causa persa,perché una Dea non discende mai fra i mortali,
e meno che mai fra i dannati…


Christine si svegliò nel cuore della notte,il fiato corto,ricoperta di un sottile strato di sudore diaccio, del tutto inspiegabile nel rigido mese di gennaio.

 

Il buio dormitorio era silenzioso come sempre: solo, tendendo l’orecchio si poteva avvertire il lento,quieto respiro delle sue compagne di stanza, immerse nel sonno profondo che coglie i giovani dopo che hanno a lungo faticato.


Christine si strinse nelle coperte come una bambina,in un assurdo tentativo di protezione, sollevandosi mezza a sedere sul letto,e spiando l’oscurità che sembrava aver inghiottito il mondo che conosceva e amava.


Un mondo che diventava così estraneo,la notte…

Se solo potessi vedere il mondo come io lo vedo…
Se potessi vivere la notte al mio fianco per sempre..
Se potessi davvero vedermi,angelo mio,
se potessi credere ciecamente in me!

Forse potresti amarmi, e lasciare che io ti veneri
Forse potresti cambiare le pagine del libro del mio destino..
Darei in cambio tutta la mia miserabile vita
Per un solo tuo sorriso di gratitudine…

Cosa accadrà domani?
Cosa accadrà se tu non mi udrai più cantare?
Cosa accadrà quando l’amore verrà a te?
Io perderò il mio dolce angelo...


La voce improvvisamente tacque,e parve ritirarsi nelle profondità oscure della notte, inghiottita dall’ovattato silenzio circostante. Aveva forse sognato?eppure le era parsa così reale…

 

Non poteva aver sognato. Non per tre notti consecutive,non era possibile.


Christine si sentiva smarrita: non le era mai capitato nulla di simile,nella vita.
Sentì un nuovo brivido di freddo mentre la stanza risprofondava nel silenzio totale.

 

Non sapeva come porre rimedio a quell’irreale e crudele tacere….

oh,come avrebbe voluto poter udire di nuovo quella voce cantare!!

Proprio ora che l’Angelo della Musica era venuto a lei, lo stava perdendo per sempre.

No,non doveva permetterlo!!!

Si alzò velocemente dal letto,e si gettò uno scialle di lana scura e pesante sulla sottile camicia da notte.

I piedi nudi sul pavimento gelido le dolevano,ma non perse tempo a rivestirsi o a cercare le sue scarpe. In fondo,quella sensazione di freddo pungente le serviva per rimanere a contatto con la realtà.


Si inginocchiò,ed iniziò a pregare sommessamente,lo sguardo rivolto in alto, affondato nel buio impenetrabile della camera. Non aveva paura di svegliare qualcuna delle sue compagne:se nemmeno quella voce celestiale vi era riuscita,non vi sarebbe riuscita neppure lei con il suo sommesso salmodiare.

“Angelo,Angelo,canta ancora per me! Tu canti come non ho udito mai nessuno fare.. possiedi un dono che a noi esseri umani è precluso. Ho tanto bisogno di te, ora più che mai…Solleva la mia anima fra le tue braccia, eleva il mio spirito alle tue altezze, infondimi la tua grazia ed il tuo dono,ti prego! Angelo della Musica, prendi possesso del mio corpo e del mio spirito, donami la tua gloria! Prendi la mia mano e portami via con te… il mio cuore trema,il mio spirito è debole, solo tu puoi aiutarmi…ti prego…”

Le parole appena sussurrate erano ritmicamente interrotte dalle calde lacrime che le rigavano le guance, e dai singhiozzi che le mozzavano il respiro. Ma lei incurante proseguiva nella sua supplica,inesorabile,sostenuta dalla certezza della sua fede in quell’essere soprannaturale.

 

Nessuna risposta al suo accorato appello,perché?

 

L’angelo era lì con lei,ne era sicura…poteva udirne il respiro irregolare, percepirne l’eterea presenza tutt’intorno. Lo sentiva anche se il suo occhio non poteva vederlo.
In quel buio pesto,non riusciva più a scindere sogno e realtà,immaginazione e fatti.

Eppure le parve…o forse fu anche quello un sogno,che una mano gentile le asciugasse il viso, la sollevasse in braccio e la riportasse a letto.

Christine chiuse gli occhi, e si arrese a quel destino.
Ancora non sapeva cosa le sarebbe accaduto….

 

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Capitolo 2
*** 1 ***


La bambola era assolutamente splendida

CAPITOLO 1

 

In un altro tempo e in un altro luogo...

 

 

 

Quella bambola era assolutamente splendida.
Non ne aveva mai veduta una uguale,nel piccolo villaggio dove era sempre vissuta fino ad allora.
Non aveva mai neppure sognato di possederne una simile…

Sembrava
davvero una piccola dama parigina, con una complicata e raffinata acconciatura di corti riccioli biondo cupo adincoronarle il capo elegante.

 

Un abito soffice e candido come una piuma, vaporoso ed arricciato, le scendeva sulle spalle eleganti,sul vitino sottile e ben delineato, stretto in un busto che imitava l’ultima alta moda francese, ulteriormente impreziosito da piccoli strass che brillavano come veri diamanti.

Le ampie sottogonne le conferivano un’aria seria,posata ed elegante,esattamente come le minuscole scarpine rosse intagliate che le calzavano i piedini torniti.
I grandi occhi blu,incorniciati da folte ciglia corvine, sembravano fieri e distanti, persi nei divertimenti e nel lusso che soltanto la Francia sapeva offrire.

Christine non riusciva quasi a respirare per la fortissima,inaspettata emozione.
Allungò con reverenza una manina, osando appena sfiorire quel meraviglioso balocco.
Alle sue spalle, risuonò la risata divertita di suo padre.

“Forza,bambina,prendila. E’tua…sei contenta del ricordo che ti ho portato da Parigi? Io non dimentico mai le mie promesse…o quasi! Comunque,non appena l’ho vista ho pensato che era il regalo perfetto per la mia adorata principessina,degno della sua bellezza…”

Colma di affetto e gratitudine, Christine si voltò e corse ad abbracciare strettamente l’adorato genitore.
Il padre la strinse forte a sé,sollevandola fra le braccia e facendola roteare nell’aria,leggera come una nuvola.
Ahhh…allora non mi sono ingannato! Ti piace!”

Christine annuì solennemente.

“Non ne ho mai immaginata neppure una così bella… grazie papà,ti voglio tanto bene!” gli rispose schioccandogli un bacio sulla guancia.

Gustave la guardò con malcelato orgoglio.

“Sai Christine? Un giorno,quando sarai più grande,mi accompagnerai nei miei viaggi..

Vedrai Parigi,e ti comprerò un vestito come questo.. solo che tu sarai molto più bella,bambina mia,molto di più! Sarai così bella e piena di talento che anche gli angeli scenderanno dal cielo per venirti a vedere!”
Risero entrambi,nel rinnovare quel semplice gesto fra loro,quel gioco complice e scherzoso che li univa da sempre.

“Sei sempre il solito sconsiderato!”
La voce di Isabelle Daae risuonò gelida nella stanza,fendendo l’aria con il suo carico di ostilità.

Christine spalancò gli occhi,mentre il padre la depositava con cautela a terra.
Fissò abbacinata la figura arrabbiata della madre che si precipitava nella stanza, e che sollevava con un’espressione di scherno la sua preziosa bambola.

“Non mi risultava che fossimo tanto ricchi da poterci permettere giocattoli simili.Anzi,pensavo proprio tutto il contrario!”
La voce della madre le sferzava le orecchie come una frustata,sibilando carica di minaccia nell’aria,e saturando la stanza di una strana,insopportabile tensione.

Gustave Daaè allargò le braccia, in un gesto di sconsolata e buffa disperazione.
Cercava di proposito di non notare il tono carico di risentimento della moglie.

“Isabelle… forse so perché il tuo umore è così nero!” ammiccò,cercando di strapparle un sorriso.

Si allontanò solo di qualche passo, per raggiungere i bagagli abbandonati nell’ingresso.

 

Tornò nella stanza con un pacchetto avvolto in una carta da pacchi celeste e sottile,e lo porse con una manierata e divertente riverenza alla moglie.
“Non mi sono certo dimenticato di te,amore mio…ognuna delle mie principesse ha diritto al suo regalo.”

Isabelle strappò nervosamente l’involucro del pacchetto, senza tuttavia che l’espressione corrucciata abbandonasse il suo viso.

Christine si sentiva stranamente a disagio.

 

Avrebbe desiderato poter scappare fuori, correre fino al mare,fino a sentirsi mancare il respiro…ma una strana trepidazione la tratteneva, la inchiodava al pavimento.

La madre estrasse dall’involto uno scialle sottile, morbidissimo,quasi impalpabile,di colore rosso vivo.
Un’indumento semplicissimo,ma di squisito taglio e fattura.
Perfino Christine,che aveva soltanto cinque anni, se ne rese conto immediatamente.

Un sorriso compiaciuto sembrò stirare le labbra rosse di sua madre…ma durò soltanto un istante.
Con rabbia, Isabelle Daae scagliò l’indumento in un angolo della stanza, con una rabbia inusitata ed improvvisa che terrorizzò letteralmente la figlia e il marito.

“Sei per caso impazzito,Gustave? Te ne vai per mesi in giro per il mondo, ci lasci qui quasi a morire di fame… lo sai che neppure il macellaio ci vuole più far credito? Ed è mio cugino,pensa un po’! E poi te ne torni a casa,carico di pacchi come Santa Claus…pensi davvero che sia questo il modo giusto di occuparsi di una famiglia? Io non riesco più a lavorare come prima, non guadagno più abbastanza, e quest’inverno Christine dovrà andare a scuola… Dio mio,comportati da adulto,per una volta! Smetti di sognare e torna con i piedi per terra,ti prego!”

Gustave Daae si era fatto mortalmente pallido in volto.
“Isabelle..non so che dire. Ti ho mandato la mia paga ogni mese. Lo sai,come violinista non guadagno moltissimo,ma le cose miglioreranno,me lo sento. Ho un’offerta vantaggiosissima per la prossima stagione da parte della Scala di Milano… vedrai,ogni cosa si aggiusterà. Non siamo poi così in miseria,ne sono certo. Domani stesso farò il giro dei creditori e salderò ogni debito. Non ti devi preoccupare più,amore.”

Si avvicinò alla moglie, sollevandole il mento fra le mani e depositandole un rapido ma sincero bacio sulle labbra.

“Sono tornato.”

Isabelle lo spintonò via con malagrazia,gridando come un’ossessa.
“No,tu non sei affatto tornato! Sei soltanto qui di passaggio, fra una tournee e l’altra! Eppure lo sai bene che guadagneresti meglio come insegnante di musica che come musicista! In città avresti molti allievi,la signora Daeogs non si stanca mai di ripetermelo,e non avremmo più problemi…O se ti decidessi ad accettare un contratto stabile con qualche teatro! Quella sarebbe senza dubbio la soluzione migliore…ma no,la tua sfrenata ambizione non ne sarebbe soddisfatta,non è vero? Non ti importa che allora io non dovrei più temere di non avere i soldi per la legna,quando la stagione è più rigida del previsto!Sei un’egoista… Non si possono inseguire i sogni per una vita intera!Devi impararlo!Maledizione,devi impararlo!!”

Lui sospirò,rassegnato,impotente davanti a quella furia smisurata.
“Isabelle,sai bene che non potrei vivere così. Non potrei perdere il mio tempo ad insegnare a qualche imbecille pieno di soldi come martoriare uno strumento musicale solo per vantarsi con i suoi conoscenti. Io ho bisogno di suonare, di vivere di musica. E di viaggiare:solo così si può ampliare la propria conoscenza,migliorare la propria tecnica di esecuzione. Sono sempre stato così,e un tempo lo eri anche tu:avevamo gli stessi sogni,gli stessi ideali. Perché ora non riesci più a capirmi?”

Isabelle fissava un punto indistinto e lontano,mentre seguitava ad ascoltare il marito. O forse no,non lo ascoltava affatto:dalla sua espressione,si sarebbe detto che non avesse compreso una sola parola.
I suoi occhi si erano spalancati,inseguendo immagini e suoni lontani nel tempo..

D’un tratto, afferrò la bambola dal tavolo,e la scagliò in terra,con orrido fracasso.
Christine gridò disperata,iniziando a piangere.

Perché la mamma si comportava così male con lei? Cosa le aveva fatto?

Con occhi fiammeggianti, Isabelle sembrò sfidare ancora una volta il marito.
“Un tempo eravamo uguali. Forse è vero. Ma ora non lo siamo più,stanne certo.”

E scomparve rapidamente dalla stanza,lasciandosi alle spalle lo sbattere dell’uscio e le lacrime incredule della figlia,che cercava inutilmente di ricomporre i cocci della sua bambola,oramai irrimediabilmente incrinata, deturpata...

Perduta per sempre.

Gustave strinse forte i pugni,per dominarsi.
Questa volta Isabelle aveva davvero esagerato…

Poteva bistrattarlo quanto voleva, lui era adulto,e la sua anima aveva le spalle larghe.

Ma Christine…non era che una bambina,maledizione!

Si accovacciò accanto alla figlia,che stringeva al petto i resti di quella piccola dama distrutta dalla furia di una donna tormentata,senza pensare ad altro che al nuovo balocco appena perduto.

“Piccola mia,su, non piangere! Nella vita c’è sempre un rimedio,basta trovarlo e avere fede nel risultato… suvvia,vedrai che l’aggiusteremo! Non hai un po’ di fiducia nel tuo vecchio e saggio papà?”
Cercò di forzare il tono delle sue parole,fingendosi allegro ed ottimista.

 

Ma davanti agli occhi tristi e velati di pianto della figlia,si sentiva davvero spezzare il cuore.
Carponi, raccolse meditabondo i cocci fra le mani, e poi si rialzò in piedi.
“Aspettami qui,principessina”disse soltanto,ed uscì,incamminandosi verso il suo studio.

Christine si asciugò gli occhi,e si sedette rassegnata sul piccolo divano accanto al caminetto.
Il viso di quella bambola stupenda era ormai solcato di ferite inguaribili,e neppure le mani esperte ed amorevoli del padre avrebbero più potuto sanarle.

Stremata dalle lacrime e dai singhiozzi, non si accorse del tempo che passava…il tepore del focolare e le troppe emozioni la vinsero,e sprofondò nel sonno.

Fu svegliata da una strana carezza fredda e gentile.

Le sembrava che una piccola,strana manina gelida le sfiorasse giocosamente la punta del naso…

forse stava ancora sognando…sì,doveva essere così…

No,invece non stava sognando.

Spalancando gli occhi, vide la bambolina parigina fluttuare nell’aria davanti al suo viso, sostenuta dalla mano gentile del suo papà. Il viso dell’incantevole damina era ora celato da una piccola e delicata maschera argentata,che copriva ogni sua imperfezione,e le conferiva un nuovo fascino,misterioso e fatato.

Prima sembrava soltanto una ricca principessa: ora invece sembrava addirittura un essere fatato, forse una enigmatica e potentissima creatura della Luna…

Il padre sorrise soddisfatto nel vedere l’esplosione di gioia e meraviglia che colorò le guance e gli occhi della sua bambina. Era riuscito a riunire i cocci..perlomeno,quelli della bambola.


“Lo vedi Christine? C’è sempre rimedio alle cose brutte della vita,come ti ho detto..basta avere il cuore e la mente aperti per cogliere le opportunità che il fato ci presenta. Nulla è senza speranza,e se te lo dico io... ci devi credere per forza,non ti pare?”
Le accarezzò la guancia,cercando di dare alla sua voce un timbro sereno e convincente.

Christine strinse la bambola fra le braccia,scoccando un’occhiata colma di gratitudine al premuroso genitore.
Ma fremette,quando in lontananza,udì delle grida incoerenti.
Era di nuovo sua madre.

Gustave si sedette accanto alla figlia, di nuovo turbato. Aveva notato la reazione allarmata di Christine a quelle grida senza senso.
Christine..la mamma come è stata in questi mesi? Voglio dire…si è comportata normalmente, secondo te? Oppure ha fatto delle cose strane…di cui vuoi parlarmi?”

Christine si appoggiò alla sua spalla,improvvisamente seria e pensierosa. Non smise di cullare la bambola fra le braccia,ma era visibile un’ombra di preoccupazione nei suoi occhi miti.


“Non lo so papà…alle volte è molto tranquilla,ma proprio tanto,anche per giorni interi. Pensa,non strilla neppure se combino un guaio..Non si alza neppure dal letto, perché è tanto stanca…allora io non la sveglio,e la signora Daeogs o madame Valerius vengono a trovarla,e mi portano a mangiare e dormire a casa loro. Mi diverto tanto,con la sua nipotina dei Daeogs,sai?si chiama Eloisa e ha la mia stessa età..!!” gli sorrise,ma poi si rabbuiò di nuovo.

“Alle volte invece è tanto arrabbiata,anche se non so perché. E papà,te lo giuro,non è colpa mia in quelle occasioni!” si affrettò a chiarire. “Almeno,quasi mai…Io non rompo niente,non faccio il chiasso, non mi comporto da capricciosa…però lei si arrabbia lo stesso,e strilla!”
Assunse una strana espressione,quasi offesa,tipica dell’infanzia,e poi tacque.

Rimasero entrambi in silenzio per alcuni istanti,poi Christine tirò un lembo della giacca del padre.
“Papà? Visto che stiamo parlando di mamma…Volevo chiederti una cosa..”

Il padre le prese la manina fra le sue,e si chinò a guardarla con rinnovata attenzione.
“Dimmi tutto,tesoro mio.”

Christine fece una smorfia contrita,e parlò a bassa voce,guardandosi attorno come se qualcuno potesse ascoltarla,come se non fossero soli nella piccola stanza. Si notava il suo disagio.
“Papà…ma anche le bambine e le signore possono fare musica,e cantare,danzare…o possono farlo solo i papà?”

Gustave spalancò sorpreso gli occhi a quella strana domanda,e sembrò incredibilmente divertito.
Tornò a ridere di cuore,come se l’incidente di poco prima non fosse mai accaduto. Davvero non riusciva a capire perché sua figlia gli avesse posto una domanda tanto assurda.

Christine!ma come ti è venuta in mente una sciocchezza del genere? Ma certo che le bambine possono fare musica…non ti sto forse insegnando a cantare e suonare? Perché mi chiedi questo?”

Christine sembrò rincuorata,e sorridendo sollevata tentò di spiegarsi.
“Sai papà,la mamma… qualche giorno fa stavo canticchiando una delle canzoncine che mi avevi insegnato tu,quella del pettirosso,ricordi? E lei si è arrabbiata tanto…ha detto che le bambine non devono cantare,che nella vita non serve loro saperlo fare,tanto saranno infelici comunque…e poi,poi…” improvvisamente arrossì,e tacque.

“Non devi stare a sentire tutto quello che ti dice la mamma,probabilmente era arrabbiata per qualche altro motivo…sono sicuro che non avevi riordinato la tua stanza!”osservò il padre scherzosamente,per alleggerire la conversazione.

“Beh,e poi cos’altro c’è? Lo vedo bene che non mi hai detto tutto…coraggio! Lo sai che al papà devi raccontare sempre ogni cosa…”

Christine lo fissò con estrema serietà nei grandi occhi verdi. Si vedeva quanto le costasse proseguire quella conversazione.
“Papà..ma chi è Christian?”


Christine non sapeva se si stava ingannando,eppure avrebbe giurato di aver visto il padre impallidire nella luce calda e aranciata del pomeriggio che filtrava nella stanza dalla grande vetrata a ovest.

“Dove hai udito questo nome,Christine?”
D’improvviso sembrava che il peso della vecchiaia fosse piombato su di lui come un avvoltoio funesto.

Il tono sempre allegro e giovanile era diventato improvvisamente cupo,ansioso,preoccupato.

Christine abbassò gli occhi,vergognosa,proseguendo nel suo racconto.
“La mamma quello stesso giorno ha detto che io non devo cantare,perché non sarò comunque mai brava come lo sarebbe stato il suo Christian. Ma non mi ha voluto dire chi è Christian…quando gliel’ho chiesto è scoppiata a piangere e mi ha abbracciato,e continuava a chiedermi scusa,tante tante volte,ma io non capivo perché…E poi non ne ha più voluto parlare,ogni volta che tentavo di chiederle spiegazioni mi guardava con gli occhi tristi tristi,e così io tacevo per non farla piangere…Oh papà,ma chi è Christian?”

Ora,con gli occhi supplicanti,pareva chiedere spiegazione a lui,per quelle strane parole.
Gustave sembrava distrutto,in quel momento. E lo era davvero.

Non era mai stato di robusta costituzione, e con l’età la sua salute stava andando lentamente peggiorando.
La lunga tournèè che lo aveva portato attraverso l’Europa continentale con altri musicisti scandinavi lo aveva segnato nel corpo,minato ormai da mesi con una tosse incessante e fastidiosa,e nello spirito,avvelenato dalla mancanza della famiglia, dalla solitudine forzata di quel viaggio in terre lontane,dalla preoccupazione per la salute sempre più precaria della giovane moglie Isabelle.

Ed ora,anche questo pareva addossarsi agli altri mille problemi quotidiani.
La sua adorata bambina che gli chiedeva…gli chiedeva chi fosse Christian.

O meglio,chi fosse stato.

Bene,forse era meglio che sapesse tutta la storia da lui,piuttosto che apprenderla distorta da qualcun altro,senza potersi difendere dai pettegolezzi malevoli che molto spesso brulicano nei paesini.

Strinse forte la mano di Christine fra le sue, non si sa se per far coraggio a lei oppure per trovare egli stesso il coraggio di ricordare, ed iniziò a raccontare.

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Capitolo 3
*** 2 ***


“Lo sai,Christine,come ci siamo conosciuti io e tua madre

CAPITOLO 2

 

 

“Lo sai,Christine,come ci siamo conosciuti io e tua madre? In un modo davvero particolare..”

 

Christine non mostrò sorpresa,ma una certa eccitazione.

Conosceva bene le circostanze del loro incontro,ma non si stancava mai di sentirlo raccontare. Adorava quella storia, simile ad una vera e propria fiaba.

 

”Io frequentavo un corso avanzato di violino all’accademia musicale di Uppsala,ed ogni giorno aspettavo che la mia lezione iniziasse, ciondolando come uno sfaticato lungo un corridoio del Conservatorio.

E vedevo ogni giorno uscire le ragazze che studiavano pianoforte con Madame Valerius..”

“Ma,ma… Madame Valerius,la signora che vive in città e che mi porta sempre i cioccolatini con la marmellata di rosa nel ripieno quando viene a trovarci??” domandò Christine stupefatta. Sapeva che la donna era un’amica della madre,ma quel particolare,precedente rapporto le era sfuggito.

Gustave rise per quello scoppio di infantile entusiasmo al pensiero dei dolciumi,e le accarezzò la bruna testolina ricciuta.

“Sì Christine, proprio quella madame Valerius. E’ la tua madrina,lo sai?

Ma allora io non la conoscevo neppure,non di persona almeno. Sapevo soltanto che era un’insegnante molto brava,forse la migliore del Conservatorio,e che le sue allieve diventavano quasi sempre concertiste eccellenti.”
Sorrise vagamente,a quel ricordo lontano.

“Ogni anno,in tarda primavera ,venivano scelti un pianista ed un violinista per eseguire il saggio a conclusione dei corsi. Era un onore immenso potersi esibire davanti a tutta l’accademia e agli ospiti esterni,e tutti quanti cercavamo di dare il massimo per essere scelti.”

”Ma lo confesso,in quel periodo io ero sempre più distratto, giorno dopo giorno.
Arrivavo quotidianamente qualche minuto prima della fine dell’altra lezione,e speravo che nessuno lo notasse…” sogghignò furbescamente.

 

“Non arrivavo certo per ascoltare le sonate al pianoforte,oh no… ma perché nei miei pensieri si era fatta spazio sempre più l’immagine di una deliziosa testolina bionda,china sulla tastiera,il viso perso nell’estasi che solo la musica può conferire al viso di una donna… Eppure ero certo che quel bel viso,quegli attenti e quieti occhi azzurri non si fossero mai posati,neppure per sbaglio,neppure una volta, su di me.”

"Così,passavo le mie giornate a pensare a lei…e trascuravo i miei esercizi quotidiani.
Avevo scoperto dove abitava quell’angelo biondo,e di quando in quando passavo casualmente davanti al suo pensionato. Ma la giovane pianista era molto più seria e diligente di me,e non usciva mai di casa.
Ero quasi disperato,ma non per questo pronto a gettare la spugna…non è nel mio carattere!” aggiunse divertito.

“Le settimane passavano,e alla fine furono scelti i due concertisti per il saggio di fine anno.
La pianista scelta dalla commissione era proprio la deliziosa testolina bionda che aveva stregato le mie notti e i miei giorni,trasformando un integerrimo violinista in uno squallido fannullone…”ammiccò,”mentre come primo violino era stato scelto,ahimè, un mio compagno di corso.”

 

“Peter non era affatto un cattivo musicista,sarei crudele nel dire una cosa simile…ma,mia piccola Christine, suonava il suo strumento con la stessa grazia con cui un fabbro picchia sull’incudine! Senza passione,senza anima. Insomma, senza un pizzico di originalità.”

“A quel punto, resomi conto della situazione, ero davvero disperato.

Avevo perduto la possibilità di esibirmi come solista davanti ai più grandi maestri di Svezia e dell’Europa tutta,che ogni anno facevano parte del pubblico d’èlite.

E per di più,non ero neppure riuscito a conoscere la meravigliosa pianista che mi era entrata nella mente: ora conoscevo soltanto il suo nome, e lo ripetevo fra me e me,come una preghiera….Isabelle,Isabelle,Isabelle…”

Chiuse gli occhi per un attimo,assaporando quella dimenticata sensazione di benessere e romanticismo, una sensazione che solo la spensierata giovinezza sa possedere,e che perde smalto e sapore con il passare delle stagioni.

“Insomma,a quel punto ero pronto a rassegnarmi. Eppure…non avevo fatto i conti con un destino a volte beffardo,ma sempre imprevedibile. All’ultimo minuto,appena tre ore,tre ore soltanto prima del grande concerto, Peter si ruppe un braccio cadendo dalla scalinata del teatro. Un incidente davvero stupidissimo,accaduto per caso: quell’imbecille cadde da solo,inciampando nel tappeto rosso steso sulle scale!! Si può essere più maldestri di così??”

Entrambi risero di gusto al pensiero della disgrazia buffissima accaduta al povero Peter,poi Gustave continuò il suo racconto.

“Il nostro professore mi agguantò precipitosamente per la collottola,mi guardò negli occhi e  con mortale serietà mi disse: “Gustave Daaè,razza di pelandrone,ora salirai su quel palco e suonerai con ogni goccia di sangue che hai in corpo,o saranno guai,accidenti a te!!”

“Non avevo mai visto quel brav’uomo tanto stravolto in vita sua,lui di solito così pacato, quieto ed impeccabile….Non puoi davvero immaginare che scena ne venne fuori! ”
Si asciugò una lacrima di divertimento a lato dell’occhio,e proseguì.

“A quel punto,non mi vergogno ad ammetterlo,ero assolutamente terrorizzato. E se a quel punto non fossi riuscito a suonare neppure una nota? Che figura avrei fatto,davanti alla mia amata Isabelle e all’intero panorama musicale svedese ed internazionale? Per fortuna alla fine non ebbi questo problema.”

 

“Non appena salii tremante sul palco,Isabelle si voltò a guardarmi,evidentemente stupita dalla mia apparizione inattesa. Nelle ultime due settimane,aveva provato ogni giorno con Peter,e non si aspettava certo quella novità. Ciononostante era pronta ad affrontare coraggiosamente a testa alta anche quella situazione,come ogni musicista deve saper fare.”

”Non appena i nostri occhi si sono incontrati,in me è svanito ogni dubbio,ogni paura.
E ho capito che quella era la persona con la quale ero destinato a dividere la vita.
Suonammo insieme,e fummo assolutamente perfetti.

 Ci applaudirono a lungo, e per la prima volta ci sorridemmo,complici e soddisfatti.
Di lì a due settimane eravamo ufficialmente fidanzati,ed in capo ad un solo anno eravamo già sposati.”

Christine sorrideva beata,nel sentire per l’ennesima volta la storia romantica del loro incontro.
Ogni volta le sembrava di ascoltare una fiaba leggermente diversa e più interessante,contraddistinta da qualche nuovo dettaglio, nella quale il papà e la mamma le sembravano creature da sogno,immerse in un mondo più felice e solare,completamente irreale.

“Ci trasferimmo qui poco dopo il matrimonio. Eravamo sufficientemente vicini ad Uppsala per continuare ad esibirci e studiare,ed abbastanza lontani per vivere immersi nella natura e nella quiete,come piaceva ad entrambi. Io avevo trovato un posto come assistente di un vecchio professore di violino al Conservatorio,e quando tua madre si accorse di aspettare un bambino…” gli occhi a quel punto gli si riempirono di lacrime.

“Lei decise di smettere di suonare in pubblioo,perlomeno fino alla nascita del bambino.

Rimaneva per ore invece a suonare qui in casa,inventando motivetti e cantando ninnananne per la giovane vita che sentiva crescere dentro di lei.”


”Alla fine,dopo un lungo e doloroso travaglio,il bimbo nacque,e per noi fu una gioia incommensurabile.

Era un maschietto,e così lo chiamammo Christian,come mio padre.
Il nostro piccolo,adorato,fragile Christian..”

 

Christine a quel punto perse il gusto per la fiaba romantica dei suoi genitori, e si sentì gelare fin nel profondo delle ossa. Un brivido che non riusciva a frenare.

Perché non sapeva nulla di quel fratellino? Ora lui dov’era? E perché non viveva con loro? Non glielo avevano mai lasciato incontrare… Oh,come le sarebbe piaciuto vederlo!

Aveva sempre invidiato tutte le sue amichette che avevano fratelli e sorelle,e aveva pregato tanto Gesù per averne uno anche lei…

Tutte quelle domande le affollavano la mente,e la confondevano tremendamente.
Dovette  quindi sforzarsi per non interrompere il racconto del padre,per non chiedergli immediatamente spiegazioni a riguardo. Ma il suo tono grave l’aveva convinta a tacere,ed attendere.

Gustave, dal canto suo,sembrava ormai parlare più a sé stesso che alla giovane figlia.

“Passarono  così tre anni,tre anni di assoluta,completa,totale felicità. Quella che solo una famiglia unita può provare. Non passava giorno senza che io e tua madre non ringraziassimo il Cielo per la fortuna che ci era capitata: esserci conosciuti,innamorati,sposati,e aver messo al mondo Christian…Fino a quel giorno,d’inizio primavera..”

 

“Era appena iniziata la Quaresima,ed io ero stato al paese ad occuparmi di alcuni affari. Tua madre,avendo passato una notte completamente insonne, dormiva profondamente,e così non si avvide che il piccolo Christian, camminando e gattonando qua e là come aveva imparato a fare ormai da mesi,era uscito dalla porta sul retro,lasciata distrattamente aperta dalla domestica che veniva di quando in quando a fare il bucato. Pensavamo stesse solo giocando in giardino…
Quando ci rendemmo conto della sua scomparsa,erano già passate molte ore.
Tua madre ed io a quel punto siamo quasi impazziti di preoccupazione: abbiamo chiamato a raccolta i vicini ed insieme a loro ci siamo allontanati da casa per cercarlo.”

La voce di Gustave ora si era spezzata, ed era diventata atona e piatta come una distesa immobile di sabbia.
“Tuo fratello ci fu restituito dalle onde del mare solo tre giorni più tardi. Lo trovai io stesso. Riconobbi subito il giallo acceso del suo maglioncino preferito.. era steso sulla battigia,raggomitolato su sé stesso come un gattino che dorme.”

A quel punto calò un silenzio terribile fra di loro.

Christine ripensò con angoscia alla spiaggia vicino alla loro casa,dove spesso giocava e correva spensierata con le amichette. D’estate ci faceva anche il bagno.

 

Non poteva,non riusciva lucidamente ad immaginare che in quel panorama felice,ai limiti del paradisiaco, si potesse essere consumata una simile tragedia,e che proprio la sua mamma e il suo papà avessero sofferto così tanto…
E il suo fratellino,ora,dove era? In Cielo con gli angeli?

La testa le girava all’impazzata, ed iniziava a dolerle…

Gustave proseguì inesorabile,senza neppure essere consapevole delle lacrime che gli stavano scorrendo sul viso.
“Tua madre ebbe un periodo di crisi terribile,che sembrò placarsi appena un poco quando scoprì di aspettare di nuovo un bambino. Non era stato un evento programmato,ma mi sembrò un provvidenziale dono di Dio.”

 

“Tramite quella vita non ancora nata, Isabelle era convinta di poter avere di nuovo fra le braccia il suo Christian,il suo adorato bambino. Non mi resi conto,durante la sua gravidanza,di quanto questo pensiero,questa speranza le avesse offuscato la ragione.”

Alla fine,dopo un altro difficilissimo travaglio, il destino portò invece alla luce te,e per tua madre si trattò di un vero e proprio choc.
Non aveva immaginato neppure per un momento di poter aspettare una bambina: lei sentiva,era assolutamente convinta,che la vita che portava in grembo fosse quella di un maschietto.
La situazione si aggravò ulteriormente quando il dottore ci comunicò che non avremmo dovuto avere altri figli,per non mettere a rischio la sua già precaria salute. Quello fu,in un certo senso,il colpo di grazia.”


“Per lei quel periodo fu quasi più terribile di quello seguito alla morte di Christian.
L’illusione spezzata di poter riabbracciare il suo piccolo perduto…chi può sapere davvero cosa prova una madre nel suo cuore,chi può comprendere davvero il suo tormento e il suo dolore, il senso di colpa che ti cattura e cerca di soffocarti nelle sue malevole spire…anche io ero distrutto,non dubitare, ma cercavo di mantenere il controllo. Dovevo rimanere lucido per badare a lei.. e a te.”

”Lo sai? Eri un piccolo splendore,e sin dalla nascita fortunatamente scoppiavi di salute.
Avevi continuamente appetito, e strillavi a pieni polmoni per dimostrarcelo.
Eppure era come se non esistessi,per lei.”

“Poteva sedere accanto alla tua culla per ore senza degnarti di uno sguardo,né reagire minimamente al tuo pianto e ai tuoi strilli. Eri trasparente,in un certo senso.
In quel periodo fui costretto a lasciare il lavoro,e a vivere grazie all’aiuto dei pochi amici che ci erano rimasti accanto dopo la disgrazia.”

“In paese infatti avevano cominciato a vociferare sul conto di Isabelle e della sua presunta pazzia,e non erano in molti a voler rischiare la propria reputazione avvicinandosi troppo ad una povera donna, malata di nervi forse,ma ancor più di cuore.
Poi,lentamente, la mamma tornò alla vita.
Un giorno,dietro suggerimento del dottore, io non risposi al tuo pianto.
Non ti sollevai dalla culla, né ti badai in alcun modo. Povera bambina,piangevi tanto! Eri disperata…rossa come una ciliegia.”

”Eppure quella tecnica,di cui dubitavo tanto, funzionò: tua madre,quasi come agendo come una sonnambula, ti sollevò dalla culla e ti attaccò al suo seno. Mentre ti dondolava automaticamente fra le braccia,posò distrattamente gli occhi sul tuo visetto.”

“Per la prima volta ti guardò davvero,ti riconobbe, ed una lacrima le scivolò silenziosa fino alla labbra.
Ti baciò pian piano il capo, e da quel momento ti amò davvero,di tutto cuore… e di questo,bada, non dovrai mai dubitare.”

Gustave accarezzò ancora una volta,lievemente,il capo della figlia.
Continuava a fissare ostinatamente il vuoto,come se quei ricordi, quelle parole appena pronunciate a voce alta avessero riportato in vita l’angoscia e la desolazione di quegli anni.
Anni in cui aveva rischiato di impazzire, e di perdere il suo rapporto con la moglie…di perdersi lui stesso,forse,nei meandri della solitudine e della disperazione.

Christine continuava ostinatamente a tacere.

Cos’altro avrebbe potuto fare,del resto?

Suo padre le aveva appena incautamente riversato sulle spalle un fardello troppo grave da portare per la sua giovane età.

Non era assolutamente preparata a conoscere ed assimilare i drammatici retroscena della sua nascita,e adesso si chiedeva ingenuamente se sarebbe mai più riuscita a guardare in viso sua madre senza provare una profonda,irrefrenabile pena per quella donna,che aveva sofferto così tanto…

Era smarrita, non sapeva come affrontare tutto quel dolore che improvvisamente inquinava irrimediabilmente la sua vita.
Era tutto così triste,così drammatico….

Nessun essere umano avrebbe dovuto essere costretto a patire simili sofferenze.

Gustave si riscosse improvvisamente dal suo lungo torpore,e le lanciò un’occhiata supplichevole,ed infinitamente colpevole.
Oh,come gli rimordeva la coscienza! Ma ormai era troppo,troppo tardi…

Si rese conto d’improvviso di averla strappata per sempre al mondo delle fate e dei folletti,e di averla precocemente imprigionata alle pesanti catene del mondo reale, fatto di sofferenza,morte ed ingiustizia.
Un mondo dove i sogni d’amore,di spensieratezza e felicità potevano essere strappati crudelmente dai cuori nel volgere di un solo pomeriggio.


“Christine ti prego,promettimi che non parlerai mai a tua madre di ciò che ti ho raccontato. Non riuscirebbe a sopportarlo,lo capisci vero?. Devi tacere piccola mia, capisci? Per il bene di tutti…è chiaro?”

Christine non capiva affatto.
Con la beata ingenuità tipica dei suoi pochi anni avrebbe voluto correre a cercare la madre, stringersi forte a lei,solo per consolarla, per scusarsi di non aver potuto sostituire il fratellino perduto nel suo cuore, soltanto per farle percepire tutto il suo affetto,il suo bisogno di lei.

Ma non poteva disobbedire all’occhiata angosciosa,alle accorate parole del suo amato papà.
Non gli aveva mai disobbedito in vita sua, e non se ne era mai pentita.
Ancora una volta,avrebbe giocato secondo le regole.

Ancora una volta,avrebbe dovuto avere fiducia in lui.

Annuì solennemente,stringendo forte le sue piccole dita nella mano del padre.
Subito dopo, stringendo al petto la bambola che aveva originato quello strano pomeriggio di litigi e confessioni, corse via.

Ma suo padre non seppe mai quante lacrime bagnarono la sontuosa damina francese mascherata, quella notte,ed ogni notte in seguito.

 

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Capitolo 4
*** 3 ***


Erano passati 4 anni da quel lungo e difficile pomeriggio

CAPITOLO 3

 

 

Erano passati 4 anni da quel lungo e difficile pomeriggio.

All’apparenza Christine non era molto cambiata: gracile e pallida come sempre, e ancora piuttosto piccina per la sua età. Ma l’occhio di un osservatore attento si sarebbe reso conto che la piega risoluta della sua bocca, l’espressione seria e dignitosa del suo sguardo e il generale stato del suo portamento,compunto ed altero, non erano per nulla consueti in una bambina di appena dieci anni.

Sarebbero stati ben più adatti in una persona che avesse almeno il doppio della sua età: ma nell’inconscio di Christine,il peso del proprio passato e il pensiero costante al fratellino mai conosciuto, nonché la pena per l’aggravarsi progressivo della stato di salute della madre, tutto questo contribuiva a tenerla sempre più alla larga dai giochi e dagli altri bambini.

Isabelle infatti in quegli anni aveva sofferto di ripetuti attacchi di depressione, di vera disperazione mista ad un alienante senso di irrealtà. Vagava la notte per casa, soltanto in camicia da notte, canticchiando fra sé e sé nenie prive di senso,con un sorriso distorto sulle labbra, chiamando a gran voce il suo piccolo tesoro,il suo amato Christian, mentre lacrime brucianti le solcavano il viso disperato, gli occhi cerulei spalancati innaturalmente sull’abisso della sua follia.

In altri momenti, d’altro canto, era perfettamente lucida,e si rendeva conto del proprio degrado: in quei giorni era irrequieta ed infelice,dal momento che al dolore,che sempre la straziava,si aggiungeva una bruciante vergogna e il timore di aver spaventato la sua Christine.

Gustave non poteva rinunciare al suo lavoro,dal momento che ormai si era trovato ad essere l’unico sostentamento per la famiglia.

 

Si era rivolto supplichevole, in lacrime, a tutti i dottori disponibili, consumando fino all’ultimo i loro sudati e scarsi risparmi. Aveva una fede incrollabile nella medicina moderna,e nei progressi continui di questa scienza. Prima o poi, certamente, avrebbero trovato una cura per alleviare la sofferenza di sua moglie.

 

Ma nonostante la sua buona volontà,tutto si era rivelato assolutamente inutile.

I solenni dottoroni, dopo varie,costose visite e lunghi,sofferti consulti, avevano scosso tutti il capo, rassegnandosi di fronte ad un caso palesemente inguaribile.

Si erano limitati a somministrarle di quando in quando del laudano,e nulla di più.

Avevano però tutti,uno dopo l’altro, consigliato a Gustave di allontanare Isabelle da casa, e soprattutto di allontanarla dalla bambina. Avevano insistito a lungo,per tentare di convincerlo.

 

La follia permeata di irrealtà della donna, gli avevano spiegato con sufficienza, avrebbe potuto esplodere in maniera violenta,prima o poi, e nessuno sarebbe stato in grado di prevederlo, né di fermarla prima che compisse l’irreparabile. Se la sentiva di assumersi una simile responsabilità,soprattutto nei confronti della bambina?

Ma Gustave si era opposto fieramente al ricovero della moglie in un ospedale psichiatrico.
Ricordava bene le grida strazianti e disumane che udiva da ragazzo, solo passando accanto al triste e buio edificio alla periferia di Uppsala.

Il manicomio pubblico. Il solo nominare quel posto gli dava i brividi.

Ricordava gli sguardi allucinati e pieni di dolore dei ricoverati, che stringevano convulsamente le loro mani livide e graffiate contro le sbarre possenti che circondavano la costruzione e le finestre, implorando pietà e libertà con le loro fredde lacrime di sofferenza.

 

 

Molti di loro, nonostante la continua sorveglianza, escogitavano modi insoliti per togliersi la vita.

Chi colpiva di continuo le pareti della propria stanza con la testa, chi rubava un cucchiaio, unica posata concessa alla mensa, e lo levigava con pazienza, perfino per anni, per poi concludere la propria vita tagliandosi le vene,chi tentava di soffocarsi con le lenzuola….

Quando questi sventurati venivano portati alla morgue, il medico o lo psichiatra di turno riempivano un modulo, adducendo come causa di morte “una forte tendenza al suicidio”.

Gustave reprimeva un brivido.

Certo, quelle persone erano malate,affette da gravi disturbi.
Ma il dover vivere in un posto simile avrebbe ispirato tendenze suicide anche ad un essere perfettamente sano, questo era fuor di dubbio.

E così, incapace di lasciare Christine da sola a badare alla madre, chiese aiuto a Madame Valerius. Si appellò al suo buon cuore,in un certo senso.
La vecchia signora era da pochi mesi rimasta vedova, e dopo tutto era stata buona amica di Isabelle in passato,quasi una madre putativa.
E poi in fondo era pur sempre la madrina di battesimo di Christine…

Onestamente a  Christine Madame Valerius non piaceva granchè.

Era sempre molto gentile e premurosa con lei,e molto generosa anche.Però…


La sua madrina aveva uno sguardo strano ed incredibilmente penetrante, che sembrava scrutarla di continuo per… per cosa? Per intuire i suoi segreti, i suoi pensieri?

Per leggerle l’anima,forse?

Non riusciva a dare molta confidenza a quella signora, che vedeva quasi come una figura mitica e ieratica, a cui perfino sua madre Isabelle non sapeva come disubbidire,se non durante i suoi furibondi accessi di collera…e anche in quel caso,spesso bastava il tono imperioso della donna,che sibilava il suo nome, per riportarla pian piano alla ragione.



Era primavera inoltrata ormai,ma nonostante questo il clima era ancora piuttosto rigido,nelle fredde terre del Nord Europa.

Nonostante il sole splendesse luminoso nel cielo terso, quella mattina un’irriverente brezza marina giocava con l’orlo della sua gonna e con le ciocche che sfuggivano alla sua pettinatura, gelandole il nasino e arrossandole deliziosamente le gote.

Christine aveva accompagnato volentieri sua madre al mercato giù in paese,e cariche di vivande stavano ora facendo ritorno a casa. Era incredibilmente eccitata.

Quel giorno infatti attendevano il ritorno di Gustave da una tournee in Spagna durata quasi sei mesi: per questo Christine era emozionatissima, all’idea di rivedere il suo amato papà.
Le ultime settimane,peraltro, erano state molto dure per lei.

Detestava da molto tempo ormai andare giù alla scuola del villaggio, dove la sua pronta intelligenza veniva mortificata dai programmi di studio adeguati ai suoi compagni, molto meno preparati di lei.

E, oltre a questo, le toccava subire l’indifferenza – o peggio,l’ostracismo – dei suoi compagni,per i quali lei era “la figlia della pazza”.

Alle volte i più crudeli le ballavano attorno,ripentendo quelle parole come una canzone.

Detestava quel crudele nomignolo con tutte le sue forze,e aveva provato sin da subito a ribellarsi.

La prima volta che un monello le aveva rivolto quel cocente insulto aveva completamente perso la testa,e furibonda, si era scagliata contro di lui con tutte le sue forze, graffiandogli il viso e percuotendolo con furia.

Era letteralmente fuori di sé.

 

Ma questo non le era valso altro che un’avvilente punizione da parte dell’insegnante,e mentre la trascinava di peso nell’angolo della punizione e le bacchettava impietosamente le mani, la sentì borbottare severamente qualcosa del tipo “buon sangue non mente”, “la mela non cade mai lontano dall’albero”...
Quelle parole la ferirono assai più delle percosse.

Poco a poco, anche le sue amichette d’infanzia l’abbandonarono, non avendo il coraggio di sfidare l’incontrastata casta infantile che le stava creando velocemente il vuoto intorno.

E Christine si trovò spaventosamente, incredibilmente sola,e senza via d’uscita.
Fingeva che non le importasse affatto,e a casa non ne aveva fatto parola.
Avrebbe dovuto spiegare le cause di quella diffidenza, e non voleva aggiungere un ulteriore dolore a tutti quelli che già vessavano la sua famiglia.



Isabelle quella mattina sembrava stare meglio,molto meglio che nelle settimane passate, forse perché sapeva che avrebbe riabbracciato il marito,dopo tanti mesi.

Quel giorno aveva indossato un vecchio vestitino verde,che aveva conosciuto tempi migliori, ma che donava moltissimo al suo incarnato di porcellana. Era forse il preferito del marito..
Christine,con perizia, aveva pettinato sapientemente i lunghi capelli lisci e biondi della madre in un elegante chignon, e le aveva drappeggiato sulle spalle lo scialle rosso che il padre aveva portato da Parigi qualche anno prima.

Isabelle, gli occhi vuoti fissi sulla sua immagine riflessa nello specchio, per la prima volta da mesi si era guardata con attenzione,ed aveva accennato un sorriso con le sue labbra pallide,stringendo la manina della figlia fra le sue.
Erano settimane che Christine non si sentiva così felice…


Le due risalirono con fatica l’ultimo tratto di strada collinare che portava verso la loro casetta.
Il vento ora si era davvero inasprito, e Christine si pentì amaramente di non aver portato con sé alcuno scialle. Era così orgogliosa del suo vestitino nuovo, di uno splendido color rosa pallido!
Non aveva voluto coprirlo per vanità,ed ora ne pagava irrimediabilmente le conseguenze.

Ma l’occhio vigile e apprensivo di una madre nota tutto,e fu così anche stavolta.
Isabelle prontamente sganciò il fermaglio che le appuntava lo scialle sul petto,e lo avvolse attorno alle spalle intirizzite della figlia.

Christine spalancò affascinata gli occhi, carezzando quasi con reverenza la serica stoffa sotto le dita.
Tratteneva quasi il fiato, scossa dalla sorpresa e dalla felicità,nonché dall’immediato senso di tepore che lo scialle le aveva donato.

Isabelle fece un passo indietro e guardò con ammirazione la sua bambina, come se la vedesse per la prima volta da tempo.
Ma subito il timido sorriso sulle sue labbra si affievolì,così distolse gli occhi e fissò un punto lontano, verso l’alta scogliera che si ergeva a poca distanza.
“Christine” sussurrò in un soffio, “corri a casa,su,e posa la spesa sul tavolo. Io…io arrivo subito.”

Christine trotterellò via felice,senza più voltarsi verso la madre, e mentre correva guardava meravigliata le frange di quel  piccolo scialle che si agitavano intorno a lei,come le ali di un rarissimo pettirosso, o le fiamme ballerine di un fuoco intenso. Si sentiva bellissima.

Rimpianse quel peccato di vanità per il resto della sua vita.
Quando si voltò, stupita nel non sentire dietro sé i passi della madre,vide Isabelle sulla scogliera.

La donna aprì le braccia, e gridò con un tono dolcissimo e straziante poche parole.
Poi,senza indugio, si gettò dalla roccia più alta.

Christine vide tutto,senza poter reagire: il terrore la paralizzò.

Immobile e muta,potè sentire le ultime parole della sua cara mamma.

“Arrivo,mio piccolo Christian.”

 

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Capitolo 5
*** 4 ***


Gustave era sprofondato in poltrona,e non sapeva da quanto

CAPITOLO 4

 

 

Gustave era sprofondato in poltrona,e non sapeva da quanto. Forse minuti, forse ore,che importanza poteva avere,ormai?

Il funerale della sua Isabelle si era concluso quella mattina.

Era stato una cerimonia semplice e silenziosa, senza fronzoli né un corteo funebre.
Il parroco, visibilmente imbarazzato,aveva finto di credere all’ipotesi di un incidente. Era la soluzione migliore per tutti: non voleva infliggere un dolore alla famiglia Daaè.

Se infatti la morte di Isabelle fosse stata registrata come un suicidio, né lui né alcun altro Ministro della Chiesa avrebbe mai potuto benedire la salma,né permettere che fosse seppellita in terra consacrata.
Sarebbe stata l’ultima beffa del mondo che Isabelle aveva scelto di abbandonare.

L’uomo fu riscosso da queste sue amare riflessioni da un fragoroso bussare alla porta,e pochi attimi dopo Madame Valerius fece il suo ingresso.
“Gustave? Posso parlarti un minuto?Si tratta di Christine.”

La donna avanzò lentamente fino al focolare, e si lasciò stancamente sedere accanto a lui.

 

L’età aveva appesantito leggermente la sua figura un tempo snella come una matita, ma ciononostante la donna conservava una notevole signorilità nel portamento e nell’incedere.

Il viso era rimasto altero come un tempo, i capelli,un tempo di un biondo chiarissimo ed ormai quasi bianchi,erano strettamente raccolti in un severo chignon,e gli occhi di un blu intenso scintillavano vivi e pieni di intelligenza.

 

La sua migliore dote era sempre stata la sincerità,e anche in una circostanza così dolorosa non si smentì. Cercò di non essere brutale,ma alla fine sbottò.
“Insomma, cosa hai intenzione di fare con quella bambina?”

Gustave,attraverso gli occhi traboccanti di lacrime,la fissò senza capire,istupidito dal proprio dolore.
In quelle ore angosciose si era quasi dimenticato della presenza silenziosa della loro bambina… no,della sua bambina, ormai.

Le rimaneva lui soltanto,al mondo,e questo pensiero lo terrorizzava.

Madame Valerius, energica come al solito nonostante il dolore che la straziava – per lei Isabelle era stata davvero come una figlia –di fronte a quel silenzio si spazientì.

“Insomma rispondi! Cosa hai intenzione di fare,accidenti a te? Non puoi abbandonarla anche tu, dopo tutto quello che ha già dovuto patire. Devi preoccuparti della sua salute,della sua educazione…E, se vuoi un consiglio, devi portarla il più possibile lontano da qui.”

Ancora silenzio.

Madame riprese a parlare, quasi a sé stessa. La sua rabbia sembrava essersi placata,e cominciò a pianificare una strategia d’azione. Non poteva starsene con le mani in mano,in un momento simile.


“Potresti portarla in Francia, quest’estate. Ho una piccola casetta in Normandia, dove non vado da anni, da quando.. da quando è morto il mio Dag.”

Sospirò al ricordo del marito tanto amato. Le mancava ancora terribilmente.


“Potreste passare lì i mesi estivi.. e d’inverno,quando dovrai tornare a Parigi per lavoro,potresti iscriverla ad un collegio in città,e andarla a trovare il più spesso possibile.Sì,questa potrebbe essere una soluzione..”

Gustave scosse il capo, scoraggiato.
“Christine non sopravvivrebbe fra le mura di un collegio, tutta sola. E poi non posso strapparla a questa terra, ai luoghi della sua infanzia…”

Madame lo interruppe con un’occhiataccia.
“Sei forse impazzito,Gustave? Quali luoghi,quale infanzia? La spiaggia dove è annegato suo fratello? La scogliera da dove si è uccisa sua madre,sotto i suoi stessi occhi? Il paese dove per tutti è la figlia della pazza, destinata a ripercorrere le orme di sua madre?Oh sì,non fare quella faccia! Non ne sapevi davvero nulla? Sono anni che Christine non ha amici in questo posto. Perfino la vostra vicina di casa non permette più a sua figlia di giocare con lei. Che razza di vita può offrirle questo posto?”

Il peso di quelle crudeli e realistiche rivelazioni era quasi insopportabile per il povero Gustave.
Chinò il capo, confuso, rassegnato ed incapace di formulare una risposta coerente.

Impietosa, Madame Valerius proseguì.
“So bene che non riuscirai a badarle da solo, con tutti gli impegni che avrai.. e poi oltre tutto Christine sta per entrare in una fase delicata e difficile,e solo una donna potrà comprenderla e guidarla. Verrò con voi,se l’idea non ti disturba. Qui non mi resterà proprio più nessuno, se partite anche voi…e sono stanca,arcistufa di rimanere sepolta qui, in ozio, a piangere i miei morti,e ad annegare nei miei nostalgici ricordi. Voglio vivere ancora…e anche voi dovete vivere. Nonostante tutto. Nonostante questo.”

La donna a quel punto si alzò con difficoltà,e zoppicando si diresse nell’altra stanza, senza attendere la risposta di Gustave. Sapeva che,presto o tardi, avrebbe dovuto riconoscere la sensatezza di quello che gli aveva appena detto, e di conseguenza accettare la sua proposta.

Ora,il vero problema che le sarebbe toccato affrontare, sarebbe stato far accettare questo progetto, e la sua presenza, a Christine.
Sapeva bene che la bambina non nutriva particolare simpatia per lei,e del resto non aveva mai cercato di avvicinarsi troppo a lei. Non avendo avuto figli,le risultava sempre piuttosto difficile relazionarsi con persone così giovani.

Madame non amava particolarmente  i bambini,e per di più vedeva in Christine una affascinante ma pericolosa somiglianza con sua madre.
Nei suoi occhi, differenti da quelli materni per forma e colore, Madame Valerius leggeva la stessa fragilità, la stessa inadeguatezza a fronteggiare le crudeltà della vita.

Appartenevano entrambe a quel genere di donna che si spezza di fronte alle avversità, se non ha al suo fianco una guida sicura,salda.
E alle volte non era sufficiente neppure quella: la presenza e l’incondizionato amore di Gustave non erano bastati a salvare Isabelle…chi poteva sapere quale sarebbe stata,un giorno, la sorte di sua figlia?

La bambina sedeva rigida,immobile e composta, le mani giunte sul grembo,le gambe ripiegate sotto la gonna dell’umile vestitino nero.
Il viso pallido era completamente privo di espressione,gli occhi fissi su un punto lontano e indistinto,le labbra pallide e tese,nello sforzo di reprimere la voglia di gridare.

Non reagì neppure alla presenza della madrina,che le si sedette accanto.

Madame rispettò il suo silenzio per qualche minuto,poi si decise a parlare.

“Sai qual è il tuo secondo nome,piccola?”
Christine non parve prestarle la minima attenzione,ma Madame proseguì.

“Quando nascesti, tuo padre decise di chiamarti Christine Mathilde.
Christine perché significa “ricciuta”,e tu lo sei sempre stata, fin dalla nascita” le disse sfiorandole piano un ricciolo ribelle con le dita ancora guantate di nero“e Mathilde, perché è il nome della tua madrina.

Il mio nome. Mathilde Svoenson Valerius.”

Sollevò fieramente il capo.
“Il significato del nostro nome,piccola, è “forte in battaglia”. Dobbiamo essere all’altezza di questo nome, ora e in qualunque altro momento difficile delle nostre vite.

Ma non possiamo farcela da sole, ognuna rinchiusa nel proprio dolore. Dobbiamo…restare vicine.”

Christine,per la prima volta, si voltò a guardarla,senza tradire però alcuna espressione particolare.

Il suo viso sembrava quello di una statua. Del tutto privo di emozione.

“Ascoltami, bambina mia. Non ti farò uno di quei discorsi che sentirai mille volte,nei prossimi giorni e mesi.
Non ti dirò che la tua mamma è volata in Cielo, che sta insieme a Gesù o agli Angeli del Paradiso…non so nulla del Regno dei Cieli, e posso soltanto sperare che tutto ciò che è predicato dalla Chiesa sia vero.
Ciò che voglio dirti è meno misterioso,e spero ti sarà più utile.
Non pretendo di sostituire tua madre, non me ne sentirei all’altezza,anzi,mi sembrerebbe di farle un torto ulteriore. Voglio solo esserti amica, nient’altro.
Voglio che tu sappia che,se e quando avrai bisogno di me, io sarò sempre.. a portata di mano. Non così vicina da disturbarti,ma abbastanza da udire il tuo grido d’aiuto. Capito?”

Le tese una mano,e Christine timidamente la strinse nella sua.
Non vi furono altre parole fra loro quella sera, ma da quel giorno Christine ebbe la certezza di avere un’alleata in più.

 

 

 

 

 

 

Christine dapprincipio faticò molto ad abituarsi all’idea del trasferimento in Francia.

L’idea di abbandonare quei luoghi, che odiava, ma che in fondo l’avevano vista anche felice con la sua famiglia, non la allettava granchè, e per di più aveva dovuto anche applicarsi nello studio di un’altra lingua: non voleva rischiare di essere,e di sentirsi, un’emarginata anche in questa nuova vita oltremare.

Ma pian piano scoprì che il doversi impegnare a fondo in qualcosa,con tutte le su forze, produceva su di lei il benefico effetto di farle scordare, per qualche ora o per qualche giorno, tutto ciò che la angustiava.

Ogni notte,quando non riusciva a dormire, scivolava piano fino all’armadio dove erano conservati i vestiti di Isabelle, e si accoccolava per un po’ al suo interno, fra quelle stoffe lise,che conservavano l’indefinibile profumo della sua mamma.

Amava soprattutto avvolgersi nello scialle rosso, pungente testimone di quell’ora di dolore,e che nonostante tutto le ricordava l’amore di sua madre,la sua premurosità,la sua dolcezza. Era parte di lei.

Suo padre se ne accorse,e senza dirle una parola, la sera successiva le fece trovare lo scialle rosso ripiegato sul guanciale. E da quel momento in poi, la piccola Christine si addormentò ogni notte stringendo a sé quello strano e sfortunato talismano.

E poi giunse l’estate.
Christine, Gustave e Madame Valerius attraversarono il mare fino alla costa della Normandia, che conquistò subito la bambina con i suoi colori luminosi,ed i suoi profumi salmastri e inconfondibili.

Quell’estate Christine ritrovò parte della pace e della spensieratezza che credeva perdute per sempre.
Con l’aiuto di un branco di monelli,conosciuti appena dopo il suo arrivo, tutti pieni di vita e di entusiasmo, e soprattutto inconsapevoli del suo passato, in breve rifiorì.

Ritrovò rapidamente l’appetito,il sonno regolare, le guance rosate, le risate argentine e gorgoglianti che sembravano essersi spente per sempre nella sua gola.

Il padre quasi non riusciva a credere a questo cambiamento improvviso e positivo, mentre Madame Valerius, che aveva saggiamente organizzato il viaggio proprio in previsione di tutto questo, non poteva far altro che annuire soddisfatta,riempiendo il piatto della sua figlioccia per l’ennesima volta con evidente autocompiacimento.

Come sempre,non si era sbagliata, gongolava la madrina fra sé e sé.

A Christine sembrava di vivere una specie di strano sogno.

Certo il dolore per la morte della madre non l’aveva abbandonata,e molte lacrime avrebbe ancora versato in futuro, pensando alla sua dolce mamma.
Ciononostante le sembrava incredibile che la vita le avesse offerto una specie di seconda opportunità.

Qui nessuno conosceva la sua triste storia,e di conseguenza veniva giudicata solo in base alle sue azioni e alle sue capacità.

Nessuno la giudicava “strana”,o peggio folle.
Non sarebbe mai più stata “la figlia della pazza”….


Certo,tutti i suoi nuovi amichetti sapevano che era orfana di madre…ma del resto, in tempi in cui la medicina spesso non era in grado di salvare vite umane, non erano pochi i bambini ad aver perso almeno un genitore.
E lei si era ben guardata dal raccontare il vero svolgersi delle cose.


Qualche pomeriggio, quando la malinconia lo avvolgeva, Gustave si sedeva sulla panchina dinanzi alla casetta con il suo violino.

Quando era solo, suonava lenti e strazianti melodie, che lo lasciavano sempre affranto e con le lacrime agli occhi. In ogni nota,in ogni spartito che eseguiva metteva tutto l’amore e il dolore che lo straziavano,al pensiero della moglie e del figlio,lontani anni luce da lui e dal suo bisogno d’aiuto,d’affetto…si sentiva incapace di crescere da solo Christine, aveva bisogno di aiuto,di supporto.

Di amore,di quell’amore che anni prima lo aveva benedetto e che ora pesava su di lui come una maledizione..

Quando invece Christine era nei dintorni,con il suo gruppo di nuovi amichetti, Gustave faceva di tutto per mostrarsi spensierato ed effervescente.

Afferrava con energia il suo strumento e improvvisava motivetti allegri e ballabili, per intrattenere al meglio quella vivace banda di ragazzini scatenati.

E se sentiva le lacrime pungergli a tradimento  gli occhi, gli bastava lanciare uno sguardo al viso estatico,al sorriso luminoso della sua bambina per scacciare la malinconia e suonare con maggiore,rinnovato slancio.

Un giorno,mentre suonava un motivetto allegro, attorniato dalla solita folla di ragazzini schiamazzanti, Gustave alzò gli occhi dal violino, per un attimo soltanto, ed incontrò un paio di occhi chiari e seri che lo fissavano attentamente.

 

Quegli occhi appartenevano ad una giovane donna, ferma a poca distanza da loro, piuttosto attraente ma vestita con estrema severità.

Il suo visetto era pallido e grave, l’acconciatura semplice,pratica e rigorosa, il vestito nero ed accollato nonostante la stagione calda …sembrava, dall’aspetto, una giovane vedova.

 

La donna teneva protettivamente per mano un bambino biondo e fragile,che mostrava circa una dozzina d’anni: ma era di costituzione apparentemente così cagionevole da rendere difficile stabilire un età precisa.

Probabilmente,era suo figlio: ma non esisteva alcuna somiglianza fra i due.

Gustave sorrise incoraggiante verso  quella coppia di nuovi ascoltatori,e fece loro un cordiale cenno per invitarli ad avvicinarsi,ad unirsi al gruppo.

 

La giovane donna, accorgendosi di essere stata notata dal musicista, immediatamente avvampò,e corse quasi via, trascinando dietro di sé il ragazzino, che continuava a voltarsi indietro e a guardare con aria chiaramente implorante il gruppetto di bambini.

 

Che strana apparizione,pensò Gustave.

 

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Capitolo 6
*** 5 ***


Erano passati alcuni giorni da quello strano incontro, eppure Gustave non riusciva a togliersi la bella sconosciuta dalla mente

CAPITOLO 5

 

 

Erano passati alcuni giorni da quello strano incontro, eppure Gustave non riusciva a togliersi la bella sconosciuta dalla mente. Era diventata quasi un’ossessione per lui,una curiosità che lo stuzzicava.

 

Forse perché sospettava che si trattasse di una vedova anche lei, forse perché sia lei che il bambino sembravano essere attratti dalla musica,ma non abbastanza da avere l’ardire di avvicinarsi..

No,niente di tutto questo.

Non era stata neppure l’indubbia avvenenza della giovane donna a colpirlo, ma quel suo sguardo.
Quello sguardo profondamente ferito, svuotato d’ogni volontà, eppure ugualmente angosciato ed inerme…

Lo stesso identico sguardo che aveva imparato a riconoscere col tempo negli occhi di Isabelle, che lo aveva torturato per mesi,per anni.

Si era sentito nudo,completamente impotente davanti a quello sguardo,e aveva sperato di non doverlo sostenere mai più.

Ed ecco,ora una perfetta sconosciuta risvegliava in lui pensieri così dolorosi…

Era completamente perso in questi strani pensieri,quella sera, nel salottino immerso nell’oscurità.
Fu strappato alle sue riflessioni dalla voce serena e leggermente cantilenante di Madame Valerius.
E’ quasi autunno ormai, Gustave. Mancano solo un paio di settimane. Cosa conti di fare per il futuro? Non possiamo rimanere qui in eterno…”

L’uomo sospirò
pesantemente. Ecco che la realtà delle cose tornava inesorabilmente a torturarlo.
Non ne ho proprio idea,Mathilde. Dovrei riprendere la tournee fra tre settimane, partiremo dalla Spagna e concluderemo in Italia, dopo cinque mesi. In questo periodo ovviamente non potrò occuparmi di Christine,e non posso neppure pensare di accollare a te ogni responsabilità che la riguardi. Non-..

“Non ho l’età per farlo,per caso? Secondo te sarei una povera,inerme,fragile vecchietta che non può controllare una ragazzina scatenata?” Mathilde represse a stento una risata amara.
“Negli ultimi tre anni ho sopportato più dolore di quanto avrei mai pensato di poter tollerare nella mia intera esistenza. E guardami. Ne sono uscita rafforzata,anzichè infragilita. Perciò permettimi di fare la mia parte per la felicità della mia figlioccia. Servirà a sentirmi più utile e meno vicina alla morte.”

Fece qualche passo incerto nella stanza,e si fermò di fronte alla finestra,contemplando il paesaggio.
Fuori la pioggia cadeva fitta,spazzando la costa e rinfrescando l’aria.

Christine non sopravvivrebbe in un collegio,sei stato tu a farmelo notare. E d’altronde, l’idea di riportarla in Svezia è completamente inammissibile. Si sta abituando alla lingua, ai costumi, all’aria della Francia.

Cercherò una sistemazione stabile da queste parti,questa casa non è adatta all’inverno.. Oppure ci trasferiremo a Parigi,ecco,questa sarebbe la sistemazione migliore in assoluto. Occasionalmente forse potrai venirci a trovare, fra un concerto e l’altro:hai suonato a Parigi svariate volte,negli anni scorsi. E la prossima estate,ovviamente,torneremo tutti qui. L’aria di mare l’ha rafforzata molto,non trovi? Non sembra più la stessa bambina sparuta…”

Il suo tono deciso non ammetteva repliche,e d’altro canto Gustave non riusciva a formulare obiezioni sensate. Non riusciva davvero a pensare ad altre soluzioni che non costringessero la sua Christine in un freddo collegio, sola e fra completi estranei.

“Ci penserò. Le rispose soltanto,risprofondando nelle sue meditazioni.


Christine,nell’altra stanza, aveva udito tutta la conversazione.

Aveva gioito delle parole della sua madrina: si era affezionata davvero a Madame,in un modo che non avrebbe mai creduto possibile,e ora le si stringeva il cuore all’idea di dover lasciare anche lei, oltre al suo amato papà.

Ma appena Gustave aveva parlato, si era sentita gelare.
Evidentemente non aveva approvato granchè l’idea della sua madrina, dal momento che aveva laconicamente mormorato un generico “ci penserò”.

Gli occhi le si riempirono di lacrime.
Si sentiva doppiamente tradita,ora.

Tradita dal destino che le aveva portato via la madre,e dal padre, che preferiva rinchiuderla in qualche istituto piuttosto che affidarla alle cure di una persona che la amava.
Come poteva essere tanto egoista ed insensibile? Perché non poteva decidere da sola della sua vita?

Aveva quasi smesso di piovere.
Christine si sedette sulla veranda, stringendosi nello scialle di sua madre,e si dondolò a lungo sulla vecchia sedia di legno,finchè le lacrime ed il sonno la vinsero.


 

Si risveglio all’alba.
Il mare era  molto ingrossato dalla notte precedente, e la superficie ribolliva di schiuma biancastra e rabbiosa.
Il vento si era fatto gelido e sferzante,e le fendeva il viso come una lama affilata di coltello.

Christine scese alla spiaggia antistante la casa,e si sedette fra le piccole dune.
Era ancora molto triste per quanto aveva udito la notte precedente.

Per l’ennesima volta,si sentiva come se il mondo l’avesse estromessa, rifiutata, allontanata da ogni affetto comune.
La sua famiglia era stata distrutta dal fato,e non aveva veri amici. Cosa sarebbe stato di lei,ora?

Sulla spiaggia deserta,improvvisamente vide una figura avvicinarsi.
Era un bambino, pallido e biondo,che avanzava lentamente verso di lei.
Christine si alzò,incuriosita da quella apparizione. Lo aveva già visto da qualche parte,ne era sicura.. ma dove?

D’improvviso, una dispettosa folata di vento freddo la travolse, e le strappò dalle esili spalle lo scialle rosso.

 

Lo scialle di sua madre…. Lo scialle di sua madre!!!
Gli occhi di Christine si spalancarono d’improvviso, colmi di angoscia.

Il vento stava trascinando quel suo unico ricordo in alto,e  verso il mare…e le onde ora si richiudevano su di esso,per inghiottirlo e non restituirlo mai più.

Tentò di entrare in acqua e di recuperarlo,ma fu costretta ad arretrare a causa dell’impeto dell’acqua.

La corrente si era fatta troppo, troppo forte…

Christine,senza neppure rendersene conto,gridò.
Fu un grido lacerante,violento, irrefrenabile.

Il ragazzino non esitò un attimo,di fronte a tanta apparentemente immotivata disperazione.
Correndo verso di lei gettò via la giacca e si buttò fra le onde infuriate, nuotando a piene bracciate verso quel pezzo di stoffa fradicia, che si stava rapidamente inabissando.
Riuscì ad afferrarla prima che fosse troppo tardi, e faticosamente guadagnò la riva.

Christine lo seguiva con lo sguardo da riva,trepidante e preoccupata.
Da un lato non vedeva l’ora di stringersi al petto il piccolo cimelio,ma d’altra parte era grandemente preoccupata per la sorte di quel ragazzo.

Il mare era davvero burrascoso.. se non fosse riuscito a tornare a riva?
Se…no,non poteva pensarci!

Fortunatamente non accadde nulla di grave, e il ragazzo riuscì a tornare senza eccessivi problemi.
Le porse la sciarpa rossa senza una parola,scrollandosi i vestiti grondanti e sputacchiando acqua salata.

Neppure Christine riusciva a parlare,tanta era l’emozione che provava in quel momento.
Potè soltanto sorridergli,colma di gratitudine.
Il ragazzo le sorrise timidamente a sua volta.

“Christine!!”

La voce ansiosa di Madame Valerius chiamò a gran voce la sua protetta.
Il grido della bambina era penetrato fin dentro la casa, fino a farla sussultare nel bel mezzo del sonno…fino a farla quasi morire di spavento.

La buona donna ora era affacciata alla finestra,e la richiamava nervosamente in casa.

“Devo tornare a casa.. mi stanno cercando. Vieni con me, ti devi asciugare, o ti prenderai un raffreddore.
Christine gli fece segno di seguirla.

“Non posso…cioè.. penso che mi stiano cercando e… beh,non credo…”

Il ragazzino sembrava imbarazzato,confuso. Si schiarì la voce,tentando di ritrovare il controllo.
“Il mio nome è Raoul.”

“Io sono Christine”.La piccola gli sorrise di nuovo.
“Ma ora vieni con me,o ti ammalerai davvero! Sei letteralmente fradicio!”

 

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Capitolo 7
*** 6 ***


CAPITOLO 6

CAPITOLO 6

 

 

Di lì a pochi minuti, Raoul e Christine si ritrovarono in casa, avvolti in spesse coperte di lana, davanti ad una grande tazza di latte caldo e miele,e ad una montagna di biscotti.

Gustave e Madame Valerius, superato lo spavento iniziale, si godevano rilassati l’imbarazzo dei due bambini.  In verità Madame a causa dello spavento si sentiva anche piuttosto arrabbiata,ma aveva deciso di lasciar correre,per una volta.

Quei due sembravano proprio una coppia di piccoli malviventi colti sul fatto…

“Visconte! Visconte de Chagny!”
Dalla spiaggia giungevano le grida di una donna,piuttosto nervose ed affannate.
“Visconte! Dove siete? Visconte!”

Madame Valerius brontolò,seccata.
“Ma chi è questa pazza che si mette a strillare all’alba? Si vede davvero di tutto, oggigiorno..E poi,chi diavolo è questo Visconte de Chagny?”

Il ragazzino biondo avvampò e si mise a tossicchiare,profondamente imbarazzato.

Si alzò in piedi.
“Ehm,scusate madame… Sono io,il Visconte. Il mio nome è Raoul de Chagny.

Questa mattina sono sgattaiolato di nascosto dalla mia stanza, per fare una passeggiata da solo.. la mia governante mi sta cercando. Scusatemi,ma devo proprio andare.”

Fece per uscire dalla stanza,ma Gustave lo trattenne per un braccio..
“Non credo che sia una buona idea figliolo,sei ancora completamente fradicio,e il vento fuori continua ad essere gelido. Resta qui,asciugati e finisci la tua colazione. Avvertirò io la tua governante,anzi vado subito a farlo…certo che le hai giocato un bel tiro,povera donna!”

Il ragazzino, che era visibilmente preoccupato dalla reazione della sua educatrice, a quell’offerta gli sorrise con gratitudine, e tornò a tuffarsi nella dolce consolazione del latte caldo e del sorriso di quella strana, affascinante bambina che sedeva al suo fianco.

Gustave infilò il mantello e si incamminò verso la spiaggia, dove una giovane donna correva gridando, accompagnata da un uomo anziano,probabilmente un cocchiere.

“Ehi!Ehi! Fermatevi!” gridò per attirare la sua attenzione. “Fermatevi,madame! Il vostroVisconte è qui!”
La donna si bloccò subito,si voltò e gli corse incontro,inciampando maldestramente nella sabbia.

Gustave la riconobbe immediatamente, e solo allora collegò il motivo per cui il viso di quel bambino gli era sembrato stranamente familiare.
Era la donna che aveva visto qualche giorno prima, mentre suonava il violino in strada per gli amichetti di Christine…

La donna dagli occhi tristi come quelli di Isabelle.. La giovane vedova con il bambino per mano.

Anche la donna doveva aver riconosciuto a quel punto il musicista, perché abbassò immediatamente gli occhi, visibilmente imbarazzata.

Gustave tentò di rassicurarla.
“Il piccolo Visconte si trova a casa miam,madame. Questa mattina si è comportato da perfetto cavaliere con mia figlia Christine, e per farlo,con grande generosità si è tuffato in acqua. Così si è tutto infradiciato ovviamente, e perciò ho trovato opportuno tenerlo al caldo e rifocillarlo,per evitargli un malanno.

Potete venire subito a prenderlo,ma se non avete fretta.. vi consiglierei di lasciarlo asciugare ancora un po’.”
Le sorrise incoraggiante,e le indicò la casetta a poco distanza.

La donna ascoltò attentamente ed annuì, accennando un piccolo inchino.
”Vi ringrazio signore,siete molto cortese. Perdonate il mio comportamento,ma stavo impazzendo per la preoccupazione. I parenti del signorino sono rimasti a Parigi qust’estate,e quindi lui si trova sotto la mia completa responsabilità. Potete immaginare come mi sono sentita questa mattina, quando ho trovato il suo letto vuoto.

Deglutì, scacciando dal cuore la preoccupazione che aveva provato.
“Per fortuna non gli è accaduto nulla di brutto,non me lo sarei mai perdonata.”

I due così si incamminarono verso la casetta,in silenzio.
Gustave aprì la porta di casa, e fece cenno alla ragazza di entrare.
“Prego,madame…perdonate,non conosco il vostro nome.”

La ragazza alzò su di lui i suoi grandi occhi chiari e tranquilli.
In un attimo, sembravano essersi velati di lacrime. Quando l’aveva chiamata madame…
Mademoiselle,signore. Mademoiselle Verònique Millard.”

Gustave le tese la mano.

“Perdonate l’errore,mademoiselle. Il mio nome è Gustave Daaè.”

 

Gustave Daaè?”ripetè incredula la ragazza. Sembrava colpita da quella rivelazione.

“Allora,volete entrare oppure no? Non rimanete lì sull’uscio a gelare! Coraggio.”
La voce energica di madame Valerius li tolse da quella situazione imbarazzante.

L’anziana donna si presentò cortesemente alla nuova arrivata,sorridendole affettuosamente, poi le indicò una sedia,invitandola ad accom,odarsi.
Sul tavolo era magicamente comparsa un’altra tazza di latte caldo con il miele.

Penso che dopo la vostra corsa,abbiate bisogno anche voi di essere rifocillata e riscaldata,non è vero? E poi credo che il vostro protetto non sia così ansioso di fare ritorno a casa…” ed indicò con un cenno del capo la stanza attigua,dove Christine e Raoul si erano messi a giocare tranquillamente con dei soldatini di legno.

Raoul non sembrava neppure essersi reso conto dell’entrata della sua governante.

Verònique a quel punto si lasciò cadere esausta sulla sedia, prendendosi la testa fra le mani.
“Vi ringrazio di cuore,madame. Sono così stanca.. da non trovare neppure la forza per sgridarlo.”

Madame Valerius le rivolse un’occhiata di comprensione.
“Non deve essere facile per voi badare da sola ad un ragazzo in crescita. E’normale che lui senta il richiamo della libertà.. Immagino che per il resto dell’anno sia sottoposto alla rigida disciplina che il suo rango gli impone,non è vero?”

La ragazza annuì,senza entusiasmo.”

“Purtroppo avete ragione,madame. Durante l’inverno Raoul frequenta il College Saint Hilaire di Parigi, un rigido collegio di impostazione cattolica,per volere di sua madre.”

Gustave si mostrò piuttosto sorpreso a quella notizia.
“Che strano,pensavo che i figli maschi dei nobili parigini frequentassero tutti l’Accademia militare…”

Verònique lo interruppe.
“Il vecchio Visconte certamente lo avrebbe desiderato.. ma era piuttosto anziano,ed è morto lo scorso anno.

Da allora la signora Viscontessa e il Visconte Philippe,il fratello maggiore di Raoul, hanno pensato che la sistemazione nel nuovo collegio fosse più consona. Del resto,Raoul resta pur sempre un figlio cadetto della famiglia.”
Tacque, ascoltando le risa gioiose dei bambini. Ne sembrava contenta.

“Non dovete sentirvi in colpa per la fuga del ragazzo.”la rassicurò
madame Valerius.

“E quindi è normale che alla sua età sia assetato di compagnia di coetanei… i bambini devono giocare per crescere, e non possono farlo certo con gli adulti,per quanto animati dalle migliori intenzioni,o in un collegio.”

Come richiamato improvvisamente al dovere, il piccolo Raoul fece capolino nella stanza.
“Vi chiedo perdono,mademoiselle. Non dovevo allontanarmi da casa senza avvertirvi. Non accadrà più,ve lo prometto. Mi perdonate Verò?”

Verònique gli scompigliò
i capelli con un gesto affettuoso.
“Va bene Raoul. Sei perdonato,per questa volta. Ma che non si ripeta,mi raccomando.”

Raoul le sorrise felice.
“Ve lo prometto,ve lo prometto. Peròmademoiselle, posso tornare qui ogni tanto? A giocare con Christine? Vi prego, vi prego!” la supplicò.

Anche la voce di Christine si fece sentire.

 “Oh sì, mademoiselle…fateci giocare ancora insieme! Ci siamo tanto divertiti! E Raoul ha salvato la mia sciarpa dalle acque,è stato un vero eroe..”

Verònique parve a disagio,e confusa davanti a quelle pressanti suppliche.
“Non dipende solo da me, lo sai Raoul.. e poi non dobbiamo abusare della cortesia di queste gentili persone...”

Gustave rise divertito.
“Ma di che parlate! In realtà non ho mai visto Christine tanto entusiasta di un compagno di giochi, quindi mi fareste un favore enorme,se voleste riaccompagnare qui il Visconte di quando in quando. Se la cosa non vi crea problemi,è ovvio.”

Raoul e Christine si misero a saltellare per la stanza,come impazziti dalla gioia.

Sentivano di essere vicini alla vittoria.

Verònique finalmente sorrise in modo rilassato.
“Immagino di non potermi opporre a tanto sano entusiasmo... Se mi assicurate che la nostra presenza non vi reca davvero alcun disturbo..”

“Assolutamente no,ve lo posso assicurare.” Madame Valerius scosse la testa energicamente,come per sottolineare le proprie parole.
“Anzi, dal momento che ormai siete qui, perché non vi fermate entrambi per il pranzo? Non è un problema per me aggiungere due posti in più. Nel frattempo potreste fare una passeggiata sulla costa, il vento è calato ed è spuntato un bel sole. Ai bambini farebbe bene una passeggiata,non credete?”

Verònique e Gustave non poterono che trovarsi d’accordo.

Quando i bambini furono ben asciutti e ben coperti, i quattro si incamminarono lentamente sulla spiaggia.

 

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Capitolo 8
*** 7 ***


CAPITOLO 7

CAPITOLO 7

 

Le ore passarono velocemente,almeno per i quattro viaggiatori.
Madame Valerius sedeva sulla veranda, mentre le sue dita indugiavano pigramente su un vecchio ricamo. Metteva sempre mano a quel lavoretto,quando aveva bisogno di pensare.

La sua mente volava dietro pensieri indefinibili…

D’un tratto si riscosse,nel sentire il rumoroso e festante vociare dei due bambini, impegnati in un vero duello all’ultimo sangue: una gara di corsa a perdifiato verso casa.

Sorrise a quell’immagine così tenera,infantile.

Poi alzò gli occhi, e in lontananza vide arrivare Gustave e Verònique.
I due camminavano a passo lento e regolare,e sembravano quasi aver scordato il loro compito di sorvegliare i bambini. Passo dopo passo, non smettevano di parlare.

Il sorriso quieto stampato sui loro volti provocò quasi una fitta di invidia nel cuore dell’anziana donna.

Era tempo che non vedeva uno sguardo simile,così complice eppure sereno… lo sguardo che lei e suo marito si erano scambiati per tutti i quarant’anni del loro matrimonio.

Gustave ed Isabelle avevano posseduto quel tipo di sguardo, un tempo. Ma esso era svanito molti anni prima, sepolto dai cumuli del dolore,del rimpianto, della solitudine. Avevano sofferto troppo insieme,quei due, per mantenere quello sguardo inalterato.


Ed ora,una persona conosciuta solo poche ore prima produceva su di lui un effetto così totalizzante,così… Madame Valerius trovò la parola giusta.

Pericoloso.

Certo,la ragazza era molto attraente, aveva sicuramente ricevuto una buona educazione,ed era ancora nubile.

Ma madame non aveva mai pensato all’eventualità che Gustave potesse risposarsi.
Non che fosse contraria,sia chiaro: semplicemente l’idea non l’aveva mai sfiorata.

E poi, una ragazza così giovane ed inesperta sarebbe stata in grado di diventare una buona madre per la sua Christine? La bambina stava per entrare in una età difficile e tumultuosa..

La donna iniziava davvero a sentirsi angosciata.

Poi decise di scacciare quei brutti pensieri.

No, non era possibile che in mezza giornata fra quei due fosse nata più di una semplice e cortese amicizia. Era inutile perdere tempo a costruire castelli in aria…

Eppure madame Valerius non riuscì a tranquillizzarsi davvero,quel giorno.



Verònique, al sicuro nella carrozza che stava riportando lei e Raoul alla magione estiva della famiglia de Chagny, si sentiva terribilmente confusa. Accarezzò piano i capelli biondi del bambino,che esausto per la giornata intensa si era addormentato al suo fianco,il capo ciondolante contro la sua spalla.

Verònique sorrise a sé stessa.
Lei e Raoul,diversi in ogni cosa,età,sesso,condizione sociale, avevano però in comune il bisogno spasmodico di essere amati da qualcuno. Non era ironico tutto ciò?

La ragazza chiuse gli occhi,e si lasciò dondolare dal movimento del veicolo.
Erano mesi che non trascorreva una giornata così piacevole,mesi che non passava un intero pomeriggio senza pensare a… Robert.

Una fitta le attraversò il cuore,e d’improvviso si sentì colpevole per la felicità che aveva gustato in quelle poche ore,per la gioia che le aveva procurato il destino facendole incontrare quella strana famiglia, sulla spiaggia.
Madame Valerius si era rivelata essere una donna energica e simpatica, Christine un vero tesoro di bambina, arguta ed intelligente,e Gustave…

 

Gustave…

Si sentì a disagio. Aveva provato immediatamente dell’attrazione per quell’uomo così pieno di talento, fin da quando lo aveva ascoltato suonare in strada, qualche giorno prima.

Verònique era cresciuta in mezzo alla musica e all’arte, e provava una fitta di eccitazione ogni volta che conosceva qualcuno dotato di vere capacità. Le veniva naturale.

No,stava semplicemente mentendo a sé stessa.
Non era soltanto per quel suo modo straordinario di suonare il violino che aveva immediatamente provato interesse per Gustave Daaè.
Era stata la sua impressionante somiglianza con Robert a guidarla verso quello che aveva creduto essere un semplice artista di strada.

Era rimasta a bocca aperta quel pomeriggio,quando aveva scoperto che quell’uomo era proprio Gustave Daaè,uno dei più promettenti violinisti al mondo. L’uomo aveva già suonato nei teatri di mezza Europa, riscuotendo successi incredibili. Lei stessa aveva assistito ad una sua performance, a Parigi, un paio di anni addietro.. ma i posti che si era potuta permettere,all’epoca, erano così lontani dal palco da non averlo potuto scorgere in viso.

E probabilmente non si sarebbe nemmeno accorta di lui,se anche fosse stata nelle prime file, o in un palco di proscenio.
Quella sera,a teatro, c’ era andata con il suo Robert. Se anche ci fosse stata la regina d’Inghilterra in platea, era certa che non l’avrebbe notata.

“Maledizione!” pensò poco dignitosamente fra sé e sé.

Doveva smetterla di rovinarsi la vita pensando a lui… non poteva continuamente guastarsi ogni momento piacevole con la sua ossessione morbosa per Robert.

Aveva promesso a Christine di riportare Raoul a giocare sulla spiaggia, la settimana seguente.  

I bambini ne erano stati entusiasti,e si erano messi a ballarle il girotondo intorno.. Gustave aveva annuito con approvazione, ed un sorriso gli aveva increspato le labbra. Solo madame Valerius aveva sorriso,ma in modo un po’ fozato. O forse così le era parso…

 

Si sentì una vera traditrice nei confronti dei due bambini, poiché doveva ammetterlo, ciò che davvero la interessava era rivedere Gustave.



 

Durante la settimana successiva Raoul e Christine si videro praticamente ogni giorno, e Christine iniziò a trascurare i monelli di strada pur di giocare insieme a quello strano, silenzioso bambino, che le aveva riportato ciò che aveva di più prezioso al mondo, e non le aveva mai chiesto perché una semplice,sciupata sciarpina avesse per lei tanto valore.

Ai suoi occhi innocenti ed infantili, una persona capace di un eroismo del genere era davvero un principe azzurro,un cavaliere senza macchia e senza paura,come quelli delle fiabe che madame le leggeva ogni sera. E Raoul ne aveva davvero l’aspetto, oltrechè lo spirito.

I bambini ormai erano diventati inseparabili, e Gustave soffriva molto all’idea del giorno in cui avrebbero dovuto separarsi: di lì a un paio di settimane le scuole avrebbero riaperto,e Raoul sarebbe stato nuovamente spedito in collegio. E Christine non pareva essersi mai affezionata tanto ad un coetaneo.

Quanto a Christine,occorreva trovare una buona scuola anche per lei.
Alla fine Gustave aveva accettato di iscrivere Christine in una scuola di Parigi,la stessa dove aveva studiato Verònique durante l’infanzia, e di lasciare la bambina alle cure di madame Valerius.

Inutile descrivere la gioia incontenibile con cui la piccola, e la sua madrina, avevano accolto tale notizia.

Inoltre Gustave le aveva promesso di fare ritorno a Parigi quanto più spesso possibile,compatibilmente con gli impegni lavorativi, e Verònique, che durante l’inverno dava lezioni di danza, le aveva promesso di venirla a trovare spesso, e di portarle notizie di Raoul.

 

Christine ancora non lo sapeva, ma suo padre e Verò avevano già preso accordi affinché durante l’inverno la piccola potesse prendere lezioni di danza proprio dalla sua nuova amica.
Insomma,quei giorni di fine estate erano stati un vero Paradiso per la piccola Christine.

La piccola, ingenuamente,non aveva notato quanto l’amicizia,il legame che univa il suo papà alla giovane istitutrice si fosse rafforzato, approfondito in quei lunghi e soleggiati pomeriggi trascorsi sulla spiaggia, fra un pic-nic,una passeggiata e le lunghe,cupe fiabe del nord con cui Madame Valerius soleva intrattenere gli ascoltatori di tutte le età.

Al contrario, l’occhi vigile di madame Valerius non aveva perso un dettaglio.
A dire il vero, con il passare dei giorni si era affezionata a quella strana ragazza. Aveva avuto modo di apprezzare la sua cortesia,la sua pronta intelligenza, il suo spirito sagace.
Eppure,qualcosa non le tornava.

Come mai una ragazza tanto affascinante,intelligente e spiritosa non era ancora maritata, o quantomeno fidanzata? Come mai una ballerina, probabilmente di talento, passava le estati a far da istitutrice,e si contentava di dare qualche lezione di danza durante l’inverno? Come mai non menzionava mai né il suo passato né la sua famiglia d’origine?

Madame era davvero ossessionata da queste domande. Le pareva impossibile che una ragazza simile potesse essere una poco di buono.. ma allora perché tanto riserbo? tanto mistero? Cosa poteva voler tenere nascosto?

Gustave invece non pensava affatto a queste cose.

Per lui la compagnia di Verònique era divenuta una piacevole consuetudine,un aiuto per non sprofondare ogni giorno nel costante rimpianto della moglie morta.

Era felice e soddisfatto di sè ogni volta che strappava a quella strana ragazza un sorriso,perché in un certo senso gli sembrava di aiutarla a guarire, a lasciarsi alle spalle qualunque dolore le avesse rattristato a tal punto lo sguardo e l’anima stessa.

Non avevano mai toccato argomenti personali,nelle loro conversazioni: parlavano d’arte,di musica, di letteratura.. e per la maggior parte del tempo i bambini si intromettevano nella loro conversazione, creando dei discorsi buffissimi.

Insomma, nonostante la vicinanza,erano ancora due estranei.

Fino a quella sera,almeno…

 

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Capitolo 9
*** 8 ***


Era l’ultima sera di vacanza per Verònique e Raoul, e per accomiatarsi nel migliore dei modi, Madame aveva preparato una cena favolosa

CAPITOLO 8

 

 

Era l’ultima sera di vacanza per Verònique e Raoul.

Sarebbero dovuti partire la mattina seguente, anche se l’estate non era ancora conclusa.

La madre di Raoul, Blanche de Chagny, era ritornata con qualche giorno d’anticipo dall’ultimo dei suoi viaggi, e aveva predisposto tutto affinché il loro ritorno fosse anticipato, per trascorrere un po’ di tempo con il figlio minore.

 

Verònique aveva raccontato tutto alla famiglia Daaè con voce asciutta,senza commentare, ciononostante  perfino i bambini si rendevano conto di quanto disapprovasse il comportamento della sua datrice di lavoro.

Si era sfogata con Gustave, in un momento in cui erano soli.

 

“Non è accettabile un comportamento simile! Lo sapete? Non si cura mai di suo figlio, è sempre troppo occupata a viaggiare su e giù per l’Europa, o a curare qualcuna delle sue molte proprietà. Come il figlio maggiore, del resto. Raoul rimane chiuso in un collegio tutto l’anno, non lo visitano neppure alle feste comandate … l’estate è l’unico momento di libertà di cui gode quel bambino. Ed ora,per un suo stupido capriccio,Raoul dovrà rinunciare anche agli ultimi giorni di vacanza!”

 

Gustave,come tutti del resto, era triste per quella partenza.  Ma non c’era nulla da fare, salvo arrendersi.

Per accomiatarsi nel migliore dei modi, Madame Valerius aveva organizzato una cena favolosa,con tutte le pietanze che i bambini amavano di più.

Avevano riso, mangiato di gusto, e dopo cena Gustave aveva suonato a lungo il violino, mentre i bambini e le due donna ballavano e battevano il tempo, sino a non avere più fiato.

Christine e Raoul,stremati,si erano poi addormentati sul divanetto della veranda, e Verònique aveva deciso di non svegliarli. Era molto tardi, e all’alba avrebbero dovuto mettersi in viaggio: le valigie erano già state caricate in carrozza. Lei avrebbe atteso desta l’arrivo del mattino,e avrebbe poi dormito durante il viaggio, per recuperare il sonno perduto.

Gustave, cogliendo l’occasione, le propose un’ultima passeggiata sulla spiaggia che in quei giorni avevano percorso in lungo e in largo. Accesero due lumi e si incamminarono nella notte.


Passeggiarono a lungo, in silenzio. Al ritorno, si sedettero sulla riva, a poca distanza dalla casa. Madame Valerius doveva già essersi messa a letto,perché nessuna luce filtrava dalle imposte.
Le stelle infatti avevano già quasi lasciato il posto all’aurora.

Fu Gustave a rompere quel silenzio pacifico.
Verònique,da molti giorni desidero ormai farvi una domanda. Ma mi chiedo se sia opportuno.”

Il cuore della ragazza prese a battere con maggior forza,e le guance le avvamparono. Per fortuna, il buio la proteggeva,e custodiva la sua vergogna.
“Ditemi pure, Gustave. Non ho segreti per voi.”

Gustave la guardò fissamente,esitando ancora un poco. Poi parlò.

“Come mai vestite sempre di nero? Avete perduto da poco la vostra famiglia? Lo so, è una domanda che può suonare irrispettosa,ma.. ”

Verònique chinò il capo. Non si era attesa quella domanda. Pensava ad altro.
“Ho perduto mio padre quando avevo pochi mesi, quindi in pratica non l’ho mai conosciuto.

Mia madre invece è ancora viva, ma i nostri rapporti si sono incrinati tempo fa, quando ho preso la decisione di danzare. Lei era contraria e da allora…ci siamo perse di vista. A farmi praticamente da madre ci ha pensato una mia compagna di danza, di poco più anziana. Lei si è presa cura di me,quando non avevo nessuno.”  Si morse le labbra.

 

“E’con lei che ho vissuto per anni, durante l’inverno,in un appartamento del teatro: era rimasta vedova da poco, con una figlia piccola. Da un paio d’anni, quando ho lasciato l’Opera, mi sono trovata un appartamento tranquillo, per conto mio. Quindi in un certo senso sì,ho perduto la mia famiglia.”

Gustave tacque,non osando chiedere di più. Ma Verònique proseguì.

“Due anni fa, dopo una soireè, conobbi un giovane inglese, Robert Abbott. Era un giovane di nobile famiglia,venuto in Francia per delle questioni d’affari. A quel tempo io danzavo ancora all’Opera di Parigi, fu lì che ci conoscemmo. Un vero colpo di fulmine. Le mie compagne,mia madre stessa si opponevano a questo nostro amore. “E’un nobile”mi dicevano,”si approfitterà della tua innocenza e poi ti abbandonerà senza pensarci due volte”. In teoria non potevo che dar loro ragione, da anni venivamo costantemente messe in guardia da quel tipo d’uomo.”

Verònique chiuse gli occhi, mentre una lacrima iniziava solitaria a solcarle la guancia.

“Ma ovviamente,non avevano mai conosciuto Robert.”

“Avevamo già fissato la data del matrimonio. Robert sarebbe tornato in Inghilterra, avrebbe ottenuto il consenso dei suoi genitori e sarebbe ritornato a prendermi. Io avevo lasciato il balletto dell’Opera,un po’ perché ero stanca di sentirmi addosso la disapprovazione delle mie compagne e della mia insegnante, e un po’ perché Robert non voleva che continuassi a lavorare. A me dispiaceva, perché amavo moltissimo danzare.. ma ora avevo qualcosa di più importante, nella vita. L’amore,e la felicità.. o almeno, lo speravo.”
La sua bocca prese una piega amara,nell’ultima parte del racconto.

“Lo attesi per settimane,senza avere sue notizie. Tutti pensavano che mi avesse abbandonata definitivamente,e e mi guardavano con compassione e sufficienza, ma io sentivo che non era possibile. Ci amavamo troppo.. Poi mi arrivò una lettera dall’Inghilterra. Era della madre di Robert. Mi diceva soltanto che sarebbe stata a Parigi la settimana successiva,e che voleva incontrarmi.

Mi recai a quell’appuntamento con una gran dose di nervosismo. Pensavo fosse venuta per opporsi alle nozze, per ricordarmi che io non ero nessuno,mentre suo figlio era un nobile. Forse, sotto la minaccia di diseredarlo,o sotto qualche altra costrizione, era riuscita a persuaderlo ad abbandonarmi.

Ma non mi sarei arresa tanto facilmente: avrei lottato con le unghie e con i denti, per difendere ciò che sentivo essere mio.

Invece il motivo era ben diverso…

Appena la vidi, nella saletta dell’albergo, pallida, esausta e vestita di nero,compresi in un lampo ciò che era accaduto, e mi sentii svenire.

 

Mentre ritornava in Francia,dopo aver faticosamente ottenuto il consenso della sua famiglia alle nozze,la nave su cui Robert viaggiava si era inabissata in mare. C’erano stati pochi superstiti, e lui.. lui non era fra quelli.”
Verònique fece una pausa,si asciugò il viso con le mani,e poi tornò a fissare il mare,che in quel momento aveva lo stesso colore dei suoi occhi melanconici.

“Da allora ho sempre vissuto quasi come una vedova, senza aver conosciuto il matrimonio. Amici di famiglia mi hanno trovato questo posto di governante per l’estate, e d’inverno me la cavo dando qualche lezione di danza. Il mondo mi ha ferita,ed io ho reagito chiudendolo fuori dalla porta. Non mi sono più legata a nessuno,e per nessuno ho provato interesse.” Tacque un attimo. “Prima di conoscere voi,almeno.”

Gustave la guardò con infinita pena negli occhi. Non replicò.

“So che avete perduto da poco, e in modo tragico,vostra moglie.” Verònique arrossì lievemente,nel confessarlo. “Madame mi ha raccontato tutto. Immagino lo abbia fatto per proteggervi da me,e da ciò che sento per voi. All’inizio mi avete colpito per la somiglianza fisica con il mio Robert..avete i suoi occhi,sapete?”

Deglutì a fatica, per l’imbarazzo e per le lacrime. “Ma in questi giorni in cui ho potuto conoscervi meglio, credo di essermi innamorata di voi. E non sapevo se fosse giusto dirvelo, oppure no. Non lo so neppure ora,forse ho fatto un errore colossale.”

Verònique si alzò in piedi, e fece qualche passo verso il mare,voltando le spalle a Gustave.
Le onde le sfiorarono i piedi, ma lei non parve neppure accorgersene.

“Ho compreso bene che il vostro sentimento per me non è di questo tipo. E lo capisco,credete. Avete perso la compagna della vostra vita nel modo più tragico possibile. Ciò che vi chiedo è solo di non giocare con il mio cuore, già troppo malconcio e debole. Ho bisogno di un amico, di qualcuno di cui fidarmi. Potete essere voi quell’amico?” gli domandò voltandosi a guardarlo, un’espressione angosciata ed ansiosa sul viso.

Gustave si alzò a sua volta, e le si avvicinò.
“Voi siete stata onesta,lo devo essere anch’io. Non conoscevo nulla del vostro passato sino a questa notte,ma nei vostri occhi ho riconosciuto sin dal primo sguardo la malinconia, il vuoto che avevo imparato a riconoscere negli occhi di Isabelle, mia moglie.” Abbassò gli occhi,lievemente imbarazzato.

“Offrendovi la mia amicizia,ho pensato di alleviare un poco la vostra solitudine. Non credevo di mettere in moto…tutto questo. L’ultima cosa al mondo che vorrei è farvi soffrire, perché sebbene la nostra conoscenza si è alquanto recente, io mi sono affezionato molto a voi.. come Christine,come Madame”aggiunse in fretta.

 

“Non è possibile conoscervi e non amarvi,Verònique. Ma non posso farvi promesse che non sarei in grado di mantenere. E in questo momento non potrei amare davvero nessuna donna al mondo. Perciò,se la nostra amicizia potrà continuare dopo le confessioni di questa notte, avrete in me l’amico più sincero che possiate desiderare.. ma null’altro. Non in questo momento.”

Verònique sorrise stancamente,e fissando il suo sguardo in quello di lui gli tese la propria mano.

Gustave la strinse,senza una parola.

Si incamminarono silenziosamente verso casa, affidando alla sabbia,alle onde del mare e a qualche sperduto gabbiano tutti i segreti che quella notte avevano avuto modo di confessare.
Non era cambiato nulla,dopo quella notte. Non materialmente
Ma il loro cuore,stranamente, aveva preso a soffrire meno…

 

 

 

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Capitolo 10
*** 9 ***


CAPITOO 8/BIS

CAPITOLO 9

 

 

Giunse l’autunno,con il suo carico di grandi novità.

La famiglia Daaè lasciò la Normandia alla volta della capitale. Gustave ebbe tutto il tempo di accompagnare la figlia e madame,e di aiutarle a sistemarsi, poiché la sua tournee non sarebbe ripresa che nel mese di ottobre.


Madame Valerius aveva invano tentato di convincere Gustave a stabilirsi definitivamente in Francia,e quindi a cercare un lavoro fisso in un teatro. Gustave era sempre stato insofferente a quell’idea; secondo il suo estro artistico, rimanere fermi in un solo luogo nuoceva alla qualità della musica,perché non le permetteva di fondersi e arricchirsi di nuovi stimoli.

Madame aveva dovuto chinare il capo. Era stata musicista anche lei, quindi non poteva contraddirlo, poiché lo capiva alla perfezione. Quanto le erano pesati la rinuncia ai viaggi, e l’insediamento stabile presso Uppsala… lo aveva scelto per amore del suo Dag,altrimenti non ci si sarebbe mai abituata.

Christine e madame Valerius si trasferirono così in un piccolo e grazioso appartamento in Rue de Rivoli, a Parigi, e la ragazzina prese a frequentare un’ottima scuola poco distante. La casa era piuttosto fatiscente in verità,essendo rimasta disabitata per parecchio tempo. Ma le braccia robuste di Gustave e il tocco energico ma delicato e femminile di Madame operarono dei veri e propri miracoli: in poche settimane la casa ne fu completamente trasformata.

Le visite di Verònique divennero una piacevole consuetudine, specialmente dopo la partenza di Gustave, e Christine si affezionò moltissimo alla giovane donna, con il passare dei giorni. L’assenza del padre le pesava, e per questo le era più facile affezionarsi a chiunque le stesse vicino in quel momento.

In qualche modo, inconsciamente, Verònique iniziò a sovrapporsi al ricordo della madre morta, fin quasi ad oscurarlo. La ragazza era tenera, affettuosa, divertente, paziente nell’insegnarle i primi rudimenti del ballo: Christine in quei mesi arrivò quasi a sperare, con tutta la sua ingenuità di bambina, che fra Verònique e il padre potesse nascere del sentimento, e che questo facesse della sua Verò una nuova mamma…

Ogni tanto il rimorso la sopraffaceva: le pareva che un pensiero simile fosse pura cattiveria verso la madre morta
. Ma poi,con le lacrime agli occhi, pensava che la mamma era stata molto egoista ad abbandonarli così,e non meritava le sue lacrime…

Madame Valerius seguiva con ansia questi piccoli dolori della sua Christine, e faceva del suo meglio per alleviarli. All’inizio aveva pensato di limitare le visite di mademoiselle Millard, visto il turbamento che parevano suscitare nella piccola. Ma poi aveva deciso di non intromettersi,anche perché le pareva sano che Christine frequentasse qualcuno più giovane di quanto non fosse lei.

A pochi giorni dal Natale Christine fu estasiata nell’apprendere da una lettera che il padre sarebbe tornato per le festività natalizie,e non sarebbe ripartito che il giorno dell’Epifania. Era così felice: avrebbe potuto festeggiare con tutte le persone che amava,forse anche con Raoul,che certo sarebbe tornato dal collegio per poter stare con la sua famiglia..

Fu delusa nell’apprendere da Verònique che i suoi piani non si sarebbero potuti realizzare.

La giovane donna infatti,non appena seppe dell’imminente ritorno di Gustave,sbiancò.
Non disse una parola sull’argomento, ed il frenetico chiacchiericcio di Christine colmò il silenzio che era improvvisamente ricaduto nella stanza.
Madame Valerius notò tutto, ma come al solito tacque.

Verò si riprese in fretta,e cercando di sorridere prese le manine di Christine fra le sue,con un gesto protettivo.
“Mi dispiace tesoro mio, ma né io né Raoul potremo essere qui a festeggiare con voi. E la cosa mi addolora,te lo giuro. Ma avevo promesso ad una vecchia amica vedova di passare le festività da lei, con la sua bambina, e non posso davvero cambiare i miei piani. Quanto a Raoul..si morse il labbro inferiore.

Le dispiaceva dover deludere così la sua Christine.

“Per quel che ne so, la sua famiglia non passerà il Natale a Parigi,poiché si trova in viaggio, da parecchio tempo, su e giù per la penisola italiana. Perciò temo che lui sarà costretto a passare le vacanze da solo, in collegio. Come accade spesso, peraltro.”

Christine sgranò gli occhi, che pian piano le si riempirono di lacrime.
Dover rinunciare alla compagnia di Verònique era già abbastanza spiacevole di per sé,ma sapere che non avrebbe rivisto Raoul fino all’estate successiva…e l’immaginarlo solo e triste, in un collegio freddo e semideserto,era davvero troppo!!

Scappò nell’altra stanza,per non far vedere a nessuno le sue lacrime di delusione.
Madame Valerius e Verònique rimasero sole,e continuarono a tacere.

Fino a che madame non si risolse a parlare.
“Non dovreste farlo,Verònique. Scappare dai vostri problemi serve soltanto a peggiorarli,ricordatevelo.”
Verònique la guardò stupita. Credeva che madame Valerius  fosse la prima ad osteggiare qualunque rapporto fosse nato fra lei e Gustave.

“Non fraintendetemi,ragazza. Non intendo incoraggiare in alcun modo questa vostra…amicizia” concluse l’anziana con una smorfia bizzarra.

 

“Non credo che due dolori possano fondersi in una felicità.. non senza problemi, almeno. Ma devo riconoscere che,a quanto pare, vi trovate più in sintonia di quanto voi stessi vogliate ammettere. E allora, a che pro comportarsi in maniera così infantile? Pensate forse di non incontrarlo mai più? Oppure di sfuggire a ciò che provate?”

La voce impietosa,eppure sincera, di madame Valerius crivellava il cuore di Verònique come la punta di un affilato pugnale. Eppure,la ragazza sapeva che quelle erano parole ragionevoli.

“Non rinunciate al vostro sentimento,ad ogni possibile gioia. Oppure una mattina vi sveglierete, avrete la mia età ed i miei stessi rimpianti….o meglio,i rimpianti che avrei potuto avere,per l’esattezza.”

Verònique non riuscì a nascondere la sua sorpresa.
Credeva che madame Valerius fosse stata felicemente sposata…cosa intendeva dire?
L’anziana donna proseguì.

“Non mostratevi tanto sorpresa,ragazza. A vedermi ora forse non si direbbe, ma sono stata giovane e bella anch’io, in passato. Sorrise,mentre gli occhi le si velavano di lacrime.
Lei,che non aveva quasi mai pianto in vita sua!

 

“Perdonatemi, madame,davvero…”balbettò Verò. “Io non intendevo…”

“Si chiamava Jan. Eravamo entrambi molto giovani…e molto stupidi. E’stato il mio primo grande amore. Dovevamo sposarci,era già tutto sistemato, le nostre famiglie ci avevano perfino già preparato una casa.”

Fece una pausa straziante.

Ma Jan rimase ucciso durante un’esercitazione. Era un militare,sapete? Un suo compagno lo uccise per errore… fece fuoco nella direzione sbagliata.”

”Passai giorni, mesi interi chiusa dentro casa. Non ero riuscita neppure a trovare il coraggio di andare al suo funerale: semplicemente, in un angolo della mia testa, pensavo che il negarne la scomparsa avrebbe alleggerito la mia sofferenza,la mia solitudine. Che sciocca…”

”Poi, quasi un anno più tardi, un’amica mi convinse ad affrontare la realtà.
Mi trascinò di peso davanti alla sua tomba,mentre io scalciavo,mi dibattevo, le dicevo cose orribili.

Ero fuori di me,completamente impazzita. “

”Mi spinse contro quella lapide, e mi disse “Ora piangi,Mathilde, piangi e disperati. Riconosci la sua morte, il fatto che non lo rivedrai mai più. Poi, a te la scelta: o accetti ciò che la vita ti ha imposto, ti alzi e te ne vai per la tua strada,pronta a compiere il tuo destino;oppure rifiuti tutto questo e ti uccidi. Fai come ti pare, ma scegli. Non puoi continuare così!” –concluse madame, recuperando la sua lucidità.

“E’terribile…” mormorò Verònique a fior di labbra,troppo sconvolta per aggiungere altro.

“No, non fu terribile. Le sue parole aspre ma schiette mi obbligarono a confrontarmi con il mio passato,e mi convinsero a costruirmi un futuro. Senza di lei, forse mi sarei davvero uccisa, o avrei perso il senno. Invece in seguito ebbi una vita abbastanza serena, conobbi un uomo che amai profondamente e da cui fui amata. Insomma,compii il mio destino. Senza più paura. Comprendete ciò che vi dico, Verònique?”

La ragazza abbassò il capo ed annuì. Sì,aveva davvero compreso.

Nell’altra stanza, un’esterefatta Christine si lasciò cadere sul letto.

Non aveva avuto intenzione di origliare la conversazione delle due donne, ma era fatalmente accaduto…

 

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Capitolo 11
*** 10 ***


Gustave si sentiva stranamente nervoso, durante il viaggio verso casa

CAPITOLO 10

 

 

Gustave si sentiva stranamente nervoso, durante quel viaggio verso casa.

Era stanco morto per gli ultimi giorni di tournee, particolarmente pesanti.. ma non era quello ad affliggerlo.

Una preoccupazione più subdola minava la sua tranquillità.


Era rimasto ore a fissare il paesaggio innevato fuori dal finestrino del treno, chiedendosi cosa gli avrebbero riservato quei pochi giorni di vacanza con la famiglia. Non sapeva cosa aspettarsi…

Era ansioso di rivedere Christine,che gli era mancata immensamente, in quei pochi mesi.

Ormai si sentiva ancora più legato che in passato,alla figlia, forse perché sapeva di essere l’unica persona che le era rimasta al mondo.

Riceveva settimanalmente una lettera da casa: una piacevole consuetudine che rallegrava le sue solitarie e cupe serate. L’aggraziata e sottile grafia di madame Valerius lo informava di ogni novità casalinga, del rendimento scolastico di Christine, della sua bravura al pianoforte e nelle esercitazioni di canto, del tenero affetto della bambina per un gattino smarrito che girovagava nella strada vicino casa loro, dell’acquaio che continuava a sgocciolare creando loro un mare di problemi con l’inquilino del piano inferiore..

Insomma, un resoconto accurato della vita di ogni giorno, ravvivata da qualche disegno affettuoso della piccola e da qualche riga vergata di sua mano, in cui gli diceva quanto gli mancasse,e gli domandava immancabilmente quando avrebbe fatto ritorno a casa.

Ma,in mezzo a queste piccole e dolci banalità quotidiane, non mancava mai qualche frase di Madame Valerius capace di stupirlo,e di turbarlo. Qualche frase che sembrava essere opportunamente inserita allo scopo di farlo riflettere su qualcosa..

“La scorsa settimana, ho assistito ad una delle lezioni di danza che Verònique Millard sta impartendo a Christine. La nostra piccola ha fatto enormi progressi,certo grazie alle amorevoli cure della sua giovane insegnante. Dovremmo essere molto,molto grati a Verònique per ciò che sta facendo: Christine le è davvero affezionata,e da parte mia non posso che essere felice per questa inaspettata serenità.”


“Mademoiselle Millard ci è stata davvero di grande aiuto,ieri. Grazie a lei siamo riuscite a procurarci un pianoforte nuovo ad un ottimo prezzo. Quello vecchio era completamente scordato e mezzo mangiato dai tarli. Non avremmo potuto permettercene uno nuovo,ma Verònique ci ha presentato un vecchio artigiano che cura la manutenzione degli strumenti dell’Opera Populaire. In pratica, ci ha procurato un ottimo strumento ad un prezzo quasi irrisorio. Una vera fortuna,ed ovviamente una squisita cortesia della nostra buona amica.”


“Ieri è stato il compleanno di Christine. Era molto triste per la tua assenza,e non avrei saputo davvero come fare per risollevarla dal suo stato di apatia. Neppure gli spartiti che le hai mandato le hanno risollevato il morale. Ieri sera,verso l’ora di cena, è arrivata del tutto inaspettatamente mademoiselle Millard:nonostante una giornata di lavoro piuttosto piena,era riuscita a trovare il tempo di cucinare una stupenda torta di compleanno e di cucire dei nuovi vestiti per la bambola di Christine. Insomma,ha praticamente salvato una situazione ingovernabile. Che cara ragazza. Lei e Christine si sono affezionate così tanto l’una all’altra…come se si conoscessero da sempre.”


Come leggere quelle frasi, in apparenza tanto innocue, senza rifletterci su? Senza domandarsi per quale motivo madame le avesse scritte?
Gustave non possedeva risposte a questo proposito,purtroppo.

In quei mesi di assenza si era più volte scoperto a ricordare quei pochi giorni passati in Normandia in compagnia di mademoiselle Millard…di Verò,come la chiamavano i bambini. Non erano state che due settimane.. ma gli pareva di rammentare ogni istante, ogni parola, ogni scoppio di risa.

Si scopriva a rimpiangere i suoi occhi quieti,la sua conversazione intelligente,il suo sorriso timido ed insicuro. La sua dolcezza con i bambini, la sua gentilezza con gli sconosciuti. Non era affatto sicuro che questo significasse solo l’esistenza di una tenera amicizia..


Gustave abbandonò la testa contro il finestrino. Doveva soffocare quegli strani,inaspettati pensieri, oppure doveva abbandonarvisi?

Non era mai stato innamorato,prima di conoscere Isabelle. Solo qualche innocua cotta adolescenziale.

E sin dal primo momento in cui l’aveva vista,aveva capito che sarebbe stata la donna della sua vita,sua moglie,la madre dei suoi figli,la donna accanto alla quale vivere,invecchiare,morire. Non aveva mai neppure visto le altre donne..

Quale beffa  ci ha giocato il destino..

Né durante la malattia di Isabelle,né dopo la sua morte aveva mai pensato di poter amare di nuovo.

Di correre di nuovo il rischio di soffrire,e al tempo stesso ritrovare il gusto di vivere.

E poi, Verònique aveva sofferto quanto lui. Come essere certi di non ferirla di nuovo, di non spezzarle il cuore per l’ennesima volta? No, non poteva permettersi di farle del male.
Avrebbe soffocato ogni sentimento,e avrebbe pensato soltanto al bene della ragazza, a dispetto di sé stesso e di ciò che avrebbe potuto provare

E poi,erano passati dei mesi.

Forse,superato finalmente il lutto, Verònique si era innamorata di qualcun altro. Di un uomo più giovane, scapolo, più ricco…più adatto a lei, insomma.
Gustave si augurò in cuor suo che fosse davvero così.

 

 

 

 

Madame Valerius non fece letteralmente in tempo ad aprire la porta di casa.
Fu inghiottita da una specie di tornado: Christine quasi la travolse nel tentativo di buttarsi immediatamente nell’abbraccio del suo papà.

Gustave la sollevò in aria, rimirandola e sorridendo. Dio,quanto le era mancata!
“Come sei diventata grande Christine…se stavo in viaggio ancora qualche mese” scherzò riposandola a terra “tornando non ti avrei riconosciuta e mi sarei innamorato di te…”

Christine per tutta risposta gli fece una buffa ed affettata riverenza…concludendo poi con un’encomiabile linguaccia,prima di aggrapparsi nuovamente alle sue braccia, tirandolo di peso dentro casa,e subissandolo di parole.

Madame Valerius richiuse la porta,con un sospiro pesante.
In quei giorni aveva pensato spesso a cosa sarebbe accaduto durante le feste natalizie,ma in un certo senso erano state tutte speculazioni teoriche.
Di lì a poco tempo si sarebbero trasformate ineluttabilmente in verità.

 


Il giorno seguente era la Vigilia di Natale.

Madame Valerius era uscita per fare la spesa,pensando di lasciare soli per un po’ padre e figlia.

Gustave stava sprofondato in poltrona, fingendo di leggere un vecchio libro trovato sul tavolino del salotto,ma in realtà non si perdeva una nota degli esercizi che Christine andava eseguendo al pianoforte.

Mostrava di essere terribilmente a suo agio con la tastiera..possedeva lo stesso talento di sua madre.

Christine,una volta ultimate le esercitazioni, chiese al padre il permesso di andare a trovare Verò,per portarle il suo regalo e per invitarla alla Messa del giorno seguente,nonché al pranzo che vi avrebbe fatto seguito.

Gustave si sentì a disagio a quella domanda,ma non ebbe cuore di inventare qualche scusa e di sciupare la gioia della sua bambina. Così,prese il mantello dal gancio del corridoio e fece per indossarlo,ma Christine lo fermò immediatamente,con un sorriso supplichevole.

Dopotutto,mademoiselle Millard abitava a poca distanza,e spesso lei andava a casa sua per le lezioni di danza senza che madame Valerius la accompagnasse.
Dunque, non poteva,anche stavolta…?

Gustave le sorrise,riaccomodando l’indumento.
Decisamente,la sua piccola aveva voglia di crescere in fretta. Ma non trovò alcuna obiezione da fare,e le diede il permesso.

Mentre Christine usciva frettolosamente di casa, ben avvolta in un pesante cappotto e con la sciarpa rossa ben stretta attorno alla esile gola, Gustave tornò in poltrona.

Forse fu il delizioso tepore del caminetto acceso, per il cadere monotono della neve fuori dalla finestra, forse solo per quello strano senso di stanchezza che lo attanagliava ormai da qualche settimana…
Gustave si addormentò come un sasso.

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Capitolo 12
*** 11 ***


Il giorno seguente era la Vigilia di Natale

CAPITOLO 11

 

Gustave fu risvegliato dallo sbattere della porta d’ingresso,e dai passi ritmati di madame Valerius nel corridoio.
Sbattè  incredulo le  palpebre per qualche secondo.
Che strano, sembrava già buio…ma per quanto aveva dormito? Si stropicciò lentamente il viso con la mano.

Madame Valerius si affacciò in salotto,trafficando con le borse della spesa, che reggeva a malapena, e con il vecchio cappello di feltro, che teneva calcato sugli occhi per proteggersi dal freddo umido della Parigi dicembrina.

Christine,Christine! Ma dove si è cacciata quella benedetta ragazza!! Christine,vieni a darmi una mano!” sbuffò madame in modo querulo,mentre si levava di dosso il mantello, letteralmente inzuppato.
Accortasi della presenza di un insolitamente assonnato Gustave, gli sorrise affettuosamente.

“Mi dispiace di non essere tornata in tempo per il pranzo, ma mentre tornavo dai negozi ho incontrato un vecchio amico…un compagno di conservatorio,che ora è direttore d’orchestra all’Opera! Ne avrai sentito parlare suppongo…il maestro Bruno Reyer. Quasi non ci riconoscevamo…beh,è ovvio, cinquant’anni ti cambiano moltissimo!” rise di gusto, continuando a spacchettare la spesa.  Da tempo non passava un pomeriggio così divertente.

“Eravamo
così sorpresi! Una cosa tira l’altra,mi ha invitato a bere qualcosa in una caffetteria,e alla fine ci siamo trovati a pranzare…insomma,avevamo moltissime cose da raccontarci.”

Sospirò mestamente.

“Povero ragazzo,è così solo…non si è mai sposato. Beh…”fece una pausa allusiva “Non che qualcuno di noi pensasse di vederlo sposato,capisci... Ma è davvero una persona squisita. Avrei pensato di invitarlo a cena,una di queste sere.. se per te va bene,ovviamente.”

Gustave, ancora intontito dal sonno e da quel fiume di parole, annuì ,chiedendo soltanto:”Ma che ore sono?”

Madame scrollò le spalle.

“Saranno le cinque, almeno credo. Forse le cinque e mezzo. Il tempo vola quando si è in compagnia dei vecchi amici.” Arretrò di qualche passo, sbirciando nel corridoio deserto.
Christine! Insomma! Vuoi venire a darmi una mano in cucina sì o no?”

Gustave si passò una mano fra i capelli arruffati.
“Devo essermi addormentato…Christine è uscita stamane per invitare al pranzo di domani mademoiselle Millard…Deve avere pranzato da sola,povera piccola,senza svegliarmi.”
Si stropicciò gli occhi gonfi. “Christine! Vieni,su!”

Madame Valerius d’improvviso perse il sorriso.
“Ma…Verònique mi aveva detto di avere altri programmi per il Natale. Avrebbe dovuto passarlo con un’amica…forse fuori Parigi..maledizione,non mi ricordo con esattezza! Comunque Christine sapeva certamente che non sarebbe potuta venire al nostro pranzo. Mademoiselle gliene ha parlato in mia presenza, questo lo ricordo bene…ci era rimasta così male che quella sera non ha neppure cenato.”

Anche Gustave d’improvviso non ebbe più sonno.
La paura lo aveva attanagliato come una fredda morsa.
“Ma
…ne siete sicura?Verònique non avrebbe potuto cambiare programma all’ultimo minuto? Forse ha avvisato Christine del cambiamento mentre voi non c’eravate..E Christine avrebbe potuto decidere di fermarsi da lei per pranzo,e non accorgersi dell’ora tarda…si ferma spesso a pranzo da lei,non è vero?” chiese,il tono della voce più agitato del normale.

Madame riflettè per un momento.
”Certo, questo è vero. Però di solito torna ad avvisarmi… Sarà meglio andare a cercarla. La casa di mademoiselle Verònique è proprio qui dietro.”

In fretta e furia si vestirono ed uscirono, alla volta di Rue Paradise.
Gustave camminava velocemente,senza quasi avvedersi di madame Valerius, che incespicava faticosamente alle sue spalle,non riuscendo a reggere il suo passo.

Sembrava come impazzito.

Appena giunti vicino alla palazzina, Madame sospirò di sollievo.
Vide il lume acceso nell’appartamento di Verònique,e quindi si tranquillizzò. Non era andata fuori Parigi..
Sicuramente la bambina si era appisolata dopo il pranzo,e Verò non aveva pensato di avvertirli. Magari credeva che ne fossero già a conoscenza..

Fecero di corsa le anguste scale della palazzina, fino al terzo piano, e Gustave picchiò con energia all’uscio.
Pochi attimi, e la porta si aprì.

Davanti a loro, una donna alta e asciutta,di poco più vecchia di Verònique, forse appena di un paio d’anni.
Vestita con estrema sobrietà e pettinata con cura,sembrava un’insegnante o qualcosa di simile. Il contegno e il semplice vestito accollato di rigatino nero suggerivano l’idea che fosse vedova.

 

Gustave immediatamente comprese chi si trovava davanti: quella donna era probabilmente la  famosa amica dei tempi dell’Opera, quella che era stata come una madre per Verònique.

La donna li squadrò con occhio vigile,senza proferire parola né mostrare sorpresa. La sua espressione non tradiva neppure preoccupazione,e non sembrava nemmeno seccata da quell’intrusione. I suoi occhi erano.. assolutamente neutri, specchi di lago tranquilli in attesa degli eventi.

Madame Valerius la fissò a sua volta con attenzione.
Nell’atteggiamento e nell’espressione di quella donna vedeva la stessa sicurezza, la stessa noncurante dignità che appartiene normalmente ai felini. Ne era ammaliata…

“Prego,desiderate?” chiese gentilmente la donna,senza muoversi dall’uscio.

“Perdonate l’ora madame.. Vorremmo parlare con Mademoiselle Verònique Millard…è in casa?” mormorò Gustave,quasi messo anch’egli in soggezione dallo strano comportamento della donna.

Verò? Ci sono due persone che chiedono di te! Lascia stare Meg, e vieni qui!” richiamò la donna, senza far cenno loro di entrare. La sua voce,nonostante il tono più alto, non era diventata stridula o spiacevole, pur conferendole maggiore autorità. Sì,doveva proprio essere un’insegnante..

Con occhi liquidi, squadrò a lungo Gustave, con aria un po’diffidente.

In effetti l’aspetto trasandato e arruffato che aveva in quel momento non gli rendeva giustizia, e lo invecchiava di qualche anno. Poteva anche sembrare un poco di buono, ad una prima, frettolosa occhiata..

“Sì,vengo subito!”cinguettò la voce di Verònique.
La ragazza comparve in corridoio, tenendo in braccio una bambina poco più giovane di Christine, ma assai più minuta…un angioletto biondo che rideva a crepapelle, avvolto in un asciugamano rosso, su cui i suoi capelli d’oro ricadevano come fiamma. Profumava di sapone, ed era evidente che avesse appena finito un bagno.

Non appena vide Gustave, l’espressione di Verònique mutò:sembrava quasi atterrita.  Strinse a sé la bambina, come cercando un qualche conforto da quel contatto. Recuperò a fatica il suo sangue freddo, e salutò gli ospiti,facendo loro cenno di accomodarsi.

Lei e Gustave continuarono a guardarsi, muti, dimentichi forse della stessa,strana situazione che stavano vivendo. Verò non poteva capire il significato di quella visita,ovviamente: e quindi la sua mente vagava, alla ricerca di spiegazioni plausibili…

Fu madame Valerius a parlare, fornendo qualche spiegazione.
“Perdonateci Verònique, non volevamo disturbare voi.. e le vostre ospiti. Siamo passati soltanto a prendere Christine,e a darle una bella tirata d’orecchi. Non ci aveva avvertito che si sarebbe fermata a pranzo qui, e ci ha fatto preoccupare moltissimo.”

Di colpo il viso di Verònique si fece cereo,gli occhi vuoti.
“Madame…ma io non vedo Christine dallo scorso lunedì,dall’ultima lezione! Le avevo detto che in questi giorni non ci saremmo potute vedere e…insomma,davvero non ho idea di dove sia! Oh,Dio…dove si sarà cacciata?”

Un pesante silenzio ricadde nella stanza.
Ognuno di loro sembrava pietrificato nella sua costernazione, nella sua pena.

Fu la donna che aveva aperto la porta a sbloccare l’angosciosa situazione.
Rapidamente, aveva preso la bambina dalle braccia di Verònique,e l’aveva portata nell’altra stanza. Dopo averle messo fra le mani un balocco, era ritornata rapidamente nel corridoio.

Aveva staccato dal gancio il mantello blu cupo di Verònique,e glielo aveva drappeggiato nervosamente sulle spalle, il viso teso nella concentrazione…stava pensando.
Poi si era rivolta a tutti loro, con una voce tanto autoritaria da non ammettere alcuna replica.

“Bene, ascoltatemi. Non ho idea di dove potrebbe trovarsi questa bambina, del resto non la conosco neppure. Ma voi sì: quindi ora uscirete ed andrete a cercarla in qualunque posto vi venga in mente. Io e Meg rimarremo qui,nel caso la piccola si facesse viva.. Se non riuscite a trovarla, passate nuovamente qui e poi date un’occhiata a casa vostra: e se non è ancora tornata andrete a denunciare la scomparsa alla Gendarmerie o …” tacque.

 

Non era il caso di accennare ad un eventuale giro per ospedali.. o a qualcosa di perfino peggiore.

Dovevano essere ottimisti.
“Adesso su,coraggio,andate. Fra poco sarà completamente buio,e vi sarà più difficile proseguire le ricerche.”

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Capitolo 13
*** 12 ***


Erano passate diverse ore

CAPITOLO 12

 

Erano passate diverse ore dalla scomparsa di Christine.

Avevano freneticamente perlustrato l’intero quartiere, domandando ad ogni negoziante abituale,e ad ogni conoscente: avevano interrogato invano tutti i sorveglianti ed i portinai.

Si era rivelato inutile: alcuni non rammentavano proprio nulla, altri invece avevano veduto passare la bambina,nella mattinata, ma non ricordavano altri dettagli significativi.

Gustave non riusciva né a piangere né a parlare: si sentiva in colpa per quanto accaduto.

Un nodo gli serrava la gola, e gli impediva di esternare la propria infelicità.

Era stato lui a darle il permesso di uscire,lui ad addormentarsi come uno stupido,senza rendersi conto del tempo che passava…se almeno si fosse svegliato prima, avrebbe avuto più tempo per cercarla prima del calare della notte.
Continuava a maledire la propria stupidità,la propria fiducia.

Madame Valerius ,al pari di Gustave, si sentiva il cuore scoppiare per l’apprensione.
Si sentiva l’unica responsabile di quella scomparsa. Avrebbe dovuto portare Christine con sé,quella mattina,a far la spesa,come del resto era solita fare quando la bambina non era a scuola: così l’avrebbe tenuta costantemente sott’occhio. Del resto, se almeno fosse rientrata all’orario stabilito,avrebbe subodorato immediatamente che qualcosa non andava;e le ricerche sarebbero iniziate ore ed ore prima.

Povera Christine, sola,al freddo, nella notte…mio Dio, dove diamine ti sei cacciata?

Neppure Verònique si sentiva del tutto immune dal senso di colpa,dal peso schiacciante della responsabilità di quella scomparsa. Se non avesse tentato con ogni mezzo di evitare Gustave,se avesse accettato di trascorrere con loro le feste natalizie…

Oh,è tutta colpa mia! Christine non sarebbe mai uscita per venirmi a trovare,magari per pregarmi un’altra volta di partecipare al loro pranzo di Natale…Non lo avrebbe fatto,se io non fossi stata così sciocca!

D’un tratto Verònique si bloccò in mezzo alla via trafficata.
Christine non sapeva che lei all’ultimo aveva deciso di rimanere a casa,e di invitare l’amica presso di lei,anziché il contrario. No,era piuttosto sicura di questo. Quindi la bambina non avrebbe avuto motivo di andarla a trovare…e allora perché aveva inventato quella scusa?

Il padre era ritornato a casa, con madame non aveva avuto discussioni di sorta, non aveva motivo di pensare che Verònique le avesse mentito,cos’altro…

Verònique capì. In un lampo.
E scoppiò a ridere, un riso isterico e liberatorio, fra le lacrime di sollievo che presero a rigarle il viso infreddolito, sferzato dal vento.

Madame Valerius e Gustave la guardarono, con un’espressione a metà fra l’allibito e l’impaurito sui loro volti.
La povera ragazza stava evidentemente perdendo la bussola…

“So dove può essere Christine!Fidatevi di me” li rassicurò
lei.

Madame Valerius fece una smorfia di dolore,massaggiandosi l’anca sinistra. Tutto quel correre le aveva riacceso vecchie fitte nelle sue stanche ossa. Non riusciva quasi più a reggersi in piedi…


“Andate voi due, Gustave. Io tornerò a casa. Non riesco a proseguire,e vi sarei solo d’impaccio. Fermerò una carrozza e vi attenderò a casa. Fate presto, riportatela subito a casa... raccomandò sollecita.



I due giovani si affrettarono nella direzione indicata da Verònique.
“Posso almeno sapere dove stiamo andando?” le chiese Gustave dopo qualche minuto. Sembrava a disagio nel seguire Verò come un automa,senza idea della meta.
La neve aveva ripreso a cadere fitta,e le strade semideserte sembravano uscite da un libro di fiabe.

“Alla stazione ferroviaria.”fu la laconica risposta di Verònique.
Gustave non indagò oltre, assecondando l’intuizione della ragazza. Dopo tutto, nell’ultimo periodo lei e Christine si erano legate tanto..

Non fu facile frugare sistematicamente da cima a fondo l’enorme stazione centrale di Parigi, affollata di mille viaggiatori in vacanza. La gente rivolgeva occhiate appena incuriosite a quei due giovani stravaganti, che vagavano affannosamente per tutto l’edificio, lo sguardo stralunato, ansimanti..

Ma ad un tratto, ecco apparire,in un canto, su una vecchia panca, il vecchio mantello liso e la sciarpa rossa di Christine. La bambina giaceva profondamente addormentata,in mano un pacchettino avvolto alla meglio in carta da regalo,tenuto stretto contro il petto.

Gustave sentì gli occhi inumidirsi.
Aveva giurato a stesso di essere severo con Christine
Di punirla per questa sua fuga immotivata, che aveva portato loro tanta preoccupazione….

Di insegnarle un po’ di educazione e disciplina.

Ma quando la vide… le guance arrossate per il sonno ed il freddo pungente, i capelli scompigliati dal vento e la bocca semichiusa, non ebbe cuore di proseguire nel suo intento. Le accarezzò piano la testolina, e la prese in braccio, sollevandola come se fosse stata una piuma.
Solo allora la piccola si svegliò,come se avesse sentito su di sé lo sguardo bruciante del genitore.

“Oh,papà..” mormorò,ancora immersa nel sonno. Parlava con voce leggermente impastata dalla stanchezza.
“Volevo andare a trovare Raoul in collegio.. però arrivata qui non sapevo quale treno prendere,non ricordavo il nome del posto…nessuno mi ha aiutato…e non volevo tornare a casa, avevo paura che mi sgridassi…”

Shhh….dormi,piccola. Ne riparliamo domani.”
Gustave, raggiante nello stringere a sé la figlia, incrociò lo sguardo di Verònique,finalmente  lieto e sereno, che si posava affettuoso sulla piccola bella addormentata.

In quel momento Gustave comprese: avrebbe potuto far di tutto per scacciare quella strana ragazza dalla propria mente,ma non avrebbe mai potuto scacciarla dal suo cuore.

Perché,lo ammettesse oppure no, ormai era innamorato di lei.

 

 

 

Il loro ritorno a casa fu decisamente più tranquillo dell’affannosa ricerca che avevano condotto tutto il pomeriggio e la sera. Fermata una carrozza,con gran difficoltà data l’ora tarda, fecero sdraiare Christine, ancora addormentata, su uno dei sedili e si sedettero l’uno accanto all’altra,un po’impacciati, nell’altro lato della carrozza.

La strana situazione aveva creato fra loro,dopo l’esplosione di felicità, un mutismo quasi ostinato, come se temessero di spezzare una specie di incanto. Si studiavano reciprocamente, senza spiccicare parola.
La neve, il vento freddo,il buio della notte… Il fracasso delle ruote della carrozza era l’unico rumore percepibile.

“Erano anni che non vedevo una nevicata simile. Credo sia eccezionale,da queste parti.” disse ad un tratto Gustave,quasi parlando a sé stesso.

Era vero.
Da anni Gustave durante il Natale si trovava in tournee,spesso in Spagna o in Italia, dove non si potevano certo ammirare le nevicate tipiche delle sue terre del Nord.
Gli mancava la sua terra natia, ogni tanto,allora come adesso. Ma di certo non aveva più alcuna intenzione di farvi ritorno.
Soprattutto, non dopo quella sera.

Verònique assentì col capo,in un movimento rapido e grazioso.

Gustave non riusciva a staccare gli occhi dal suo viso..
“Avete ragione. Credo sia un fatto molto raro, perfino per Parigi. Ma del resto questa è una serata strana,quasi magica…cioè” aggiunse in fretta,arrossendo “è una notte magica soprattutto perché è la Vigilia di Natale. E credo che manchi davvero poco a mezzanotte…”

Gustave la interruppe.
“Devo ringraziarvi davvero,mademoiselle. Senza di voi non sarei riuscito a ritrovare Christine. Non pensavo che la sua nostalgia per  il suo amichetto l’avrebbe spinta a ..farci prendere una paura simile!” concluse scherzosamente.

Verò parve più sollevata. Gustave non sembrava intenzionato a punire la figlia.
Monsieur,se non fosse stato per me, Christine non avrebbe avuto alcun appiglio con cui mentirvi. Quindi,in un certo senso,è anche colpa mia…più mia che sua.”

Parlavano entrambi a bassa voce,per paura di disturbare il sonno di Christine.

“Chi è quella donna che stava a casa vostra? Vostra sorella,una cugina?”
Gustave era rimasto davvero impressionato dal tono deciso,dal piglio sicuro eppure non invadente di quella strana ospite. Una donna strana e affascinante, senza dubbio.

“Oh,no davvero!”rise Verò. “Anche se,in un certo senso,è ben più di una sorella. Vi ho già parlato di lei, rammentate? La mia seconda madre…”

”Si chiama Julienne Giry. Era una mia compagna,quando danzavo nel corpo di ballo dell’Opera Populaire. Era già fra le migliori ballerine quando io ero appena corifea,ovviamente. Eppure, ha soltanto tre anni più di me.”si schermì.

“Era sposata con un giovane violinista dell’orchestra,Emile Giry, pieno di talento. Forse ne avrete sentito parlare perfino voi: era una vera promessa. Ed erano una coppia bellissima,Julienne così seria e posata,ed Emile così solare e pieno di vita…” Le brillavano gli occhi, nel veder danzare di fronte a sé ombre di quel passato meraviglioso.

 

“La loro bambina, la piccola Meg, non era ancora nata,quando Emile è morto,in circostanze…” aggrottò le sopracciglia “diciamo poco chiare. Julienne non ne ha mai voluto parlare con me.. ma credo sia stato assassinato, e certamente per errore. Probabilmente lo avevano scambiato per qualcun altro.. chi mai poteva avercela con un uomo così onesto,così buono? Ve lo giuro monsieur Daaè… non ho mai conosciuto nessuno al mondo più onesto e meritevole di Emile Giry.”

I suoi occhi, da sempre intensi,erano diventati ancora più tristi. Evidentemente aveva conosciuto bene questo Emile,e vi era affezionata almeno quanto all’amica Julienne.

Julienne da quel momento è rimasta sola,con una bambina da allevare. I suoi genitori erano morti anni prima, e non le rimaneva nessuno, tranne noi compagne. Ma l’avete vista,no? Bastano pochi istanti per capire com’è… è così forte,così sicura. Non sapete quante volte l’ho invidiata,per questa sua personalità. Temo che sia il mio esatto opposto.” concluse con una certa amarezza nella voce.

 

Gustave tentò di consolarla.
“No,non dovete scoraggiarvi così. E’vero,al mondo ci sono persone più sicure,ed altre che almeno in apparenza appaiono più fragili. Ma le canne,per sopravvivere al vento, sono costrette di quando in quando a piegarsi. Passata la tempesta,si rialzano più vigorose di prima. E non sono per questo meno nobili delle querce che sfidano impavide ogni stagione, non credete?”

Senza accorgersene,la voce di Gustave si era fatta quasi paterna. Gli era venuta naturale.
Di fronte alla fragilità di quella giovane, alla sua aperta franchezza,non sapeva davvero quale condotta tenere. Si sentiva spaesato,confuso.

“Si fermerà a lungo la vostra amica presso di voi?”proseguì.

“Temo che altrimenti la vostra giovane alunna avrà di che lamentarsi. Pare che le vostre lezioni di danza siano diventate una piacevole consuetudine…”

“Oh sì, certamente! Christine è eccezionalmente capace,un vero talento naturale per la danza. E da quando l’ho sentita suonare e cantare,direi che è un vero talento in generale! Quandosi appassiona a qualcosa,non c’è verso di dissuaderla! In effetti,devo proprio far vedere i suoi progressi a Julienne. Non si sa mai,potrebbe anche farle un vero provino per l’Operà!”rise scherzosa.

“Sì,lo so bene quant’è cocciuta la mia piccola,quando vuole ottenere qualcosa. E’simile a me in questo,lo confesso.” Il suo tono si fece più serio, a dispetto del sorriso che gli increspava le labbra. “Sarebbe un difetto, se non ci accadesse la stessa cosa quando ci affezioniamo alle persone. La nostra amicizia, il nostro affetto a quel punto divengono immutabili, per sempre.”

La duplice natura di quella frase fece calare nuovamente il silenzio.
Solo per pochi attimi, tuttavia.

Comunque,per rispondere alla vostra domanda… no,la mia amica Julienne si tratterrà soltanto per un paio di giorni. Il 27 di questo mese ho infatti deciso di partire per un viaggio.”

Gustave parve sinceramente sorpreso. “E quale luogo rappresenta la vostra meta,se posso chiedervelo?”

Verònique non parve né turbata né infastidita da quella domanda.
“Vado in Inghilterra. Devo…visitare un certo posto. Madame Valerius capirà il perché,quando glielo riferirete. In un certo senso,è stata lei a convincermi dell’importanza di questo viaggio.. Qualche giorno fa abbiamo intrattenuto una conversazione che mi ha aperto gli occhi su certe riflessioni.”

Gustave annuì,senza aver capito alcunché di quelle enigmatiche parole.
D’altronde aveva imparato che non c’è donna senza misteri,e quel nuovo lato di Verònique era per lui particolarmente apprezzabile.

Erano arrivati davanti a casa di Verò.
La ragazza scese con un balzo dalla carrozza,senza dare il tempo a Gustave di scendere per primo per aiutarla.
Lo guardò attraverso il finestrino scuro e appannato,e sorrise dolcemente,mentre lo sguardo indugiava sulla piccola Christine,ancora addormentata.
Sussurrò soltanto “Buon Natale!” prima di sparire nell’atrio buio della palazzina.

Gustave rimase immobile, fissando quella figuretta imbacuccata che spariva nell’oscurità.
D’improvviso gli parve triste l’idea di passare le vacanze di Natale senza rivederla…senza rivederla forse fino all’estate successiva.

O forse non rivederla mai più…se avesse deciso di fermarsi in Inghilterra? Qualunque fosse lo scopo del suo viaggio, aveva senz’altro a che fare con la morte dell’antico fidanzato,anche se Gustave non riusciva a comprenderne lo scopo.


Una volta ritornato a casa coricò la bambina nel suo lettino, ancora vestita,per non svegliarla.
Bussò alla camera di madame Valerius e le raccontò brevemente l’accaduto. La vecchia signora era pallida e si sentiva debole: quella disavventura l’aveva duramente provata, e Gustave si sentiva in pensiero per le sue condizioni. Le somministrò un poco di laudano per facilitarle il riposo,e poi si ritirò nella sua camera.

Quella notte continuò a girarsi e rigirarsi nel letto,pensando a quanto era accaduto e a cosa avrebbe dovuto fare l’indomani con Christine.

E con Verònique

Gli venne un’idea.
C’era senza dubbio il modo di far mutar parere a Verònique,e forse lo aveva appena escogitato..

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Capitolo 14
*** 13 ***


Christine aprì piano gli occhi, senza rendersi perfettamente conto di dove si trovasse

CAPITOLO 13

 

Christine aprì piano gli occhi, senza rendersi perfettamente conto di dove si trovasse. Certo non era più alla stazione dei treni…faceva un meraviglioso calduccio…

Era ancora vestita,perché sentiva distintamente gli stivaletti allacciati ai piedi, l’abito stretto in vita… però al contempo le sembrava di essere nel suo lettino.
Forse stava ancora sognando,chissà…

Si ricordò in un attimo della sera precedente, e sospirò sconsolata.
Il padre l’aveva ritrovata alla stazione,e l’aveva riportata a casa.. senza troppe storie,per la verità.
Si era aspettata una sgridata colossale…chissà poi come avevano fatto a trovarla..

Ah,sì. Verò.

Senz’altro era stata lei a capire dove poteva essersi nascosta. Doveva raccontare una bugia più convincente… aveva sottovalutato l’opportunità che la cercassero a casa sua.
Ma forse Verò l’avrebbe scovata lo stesso. La capiva troppo bene,si ricordava tutto di lei..

Christine strinse forte un lembo della trapunta.
A Verònique IMPORTAVA di lei,anche se non era sua madre, né sua sorella.

Anche se non era che una vicina di casa, un’insegnante di danza o una governante. Era una persona su cui si poteva contare.

Christine si rabbuiò,pensando che forse ora la sua amica sarebbe stata arrabbiata con lei,per tutto il disturbo che le aveva procurato. Sicuramente le aveva mandato a monte i festeggiamenti di Natale…chi al suo posto non si sarebbe sentito almeno seccato?

Stranamente, si sorprese a temere più la perdita dell’amicizia di Verònique che non la punizione paterna, che sarebbe ineluttabilmente arrivata.
Bastava aspettare,di questo Christine era sicura. Una simile fuga non poteva rimanere impunita.

Richiuse gli occhi. Non solo avrebbe scontato chissà quale castigo,ma il suo brillante piano era fallito.
Non era riuscita ad andare a trovare il suo amico Raoul per Natale….e lui sarebbe stato solo, solo proprio nel giorno in cui nessuno dovrebbe sentirsi escluso, abbandonato.

Abbandonato perfino dalla sua stessa famiglia..

Sentì la porta cigolare,ed istintivamente serrò strettamente le palpebre, fingendo di dormire.

Ma non sarebbe riuscita a fingere a lungo,purtroppo: il suo stomaco brontolava come un vulcano.

Del resto, era dalla mattina precedente che non toccava né cibo né acqua.

I passi lenti e cadenzati di Gustave riempirono il silenzio della cameretta buia. D’un tratto il padre tirò le tendine, e tutto fu baciato dal bianco chiarore del cielo.
Christine?su,svegliati…”

La bambina aprì mestamente gli occhi,e guardò con aria contrita il genitore.
Forse mostrandosi estremamente pentita,afflitta,addolorata per la pena che aveva procurato…forse sarebbe riuscita a cavarsela con poco….

“E’inutile quell’aria da santarellina,Christine.”  

La voce di Gustave sembrava molto severa,ma i suoi occhi non lo erano altrettanto.

“Hai fatto una cosa bruttissima ieri,e lo sai bene, o non faresti quella faccia. Prima di tutto perché mi hai deliberatamente mentito,e lo sai che non bisognerebbe mai mentire,tanto meno al proprio papà.”

 

Fece qualche passo attorno al lettino, come un lupo che fiuti la preda…ma giocosamente.
“E poi perché ci hai fatto prendere un gran bello spavento,a tutti quanti: madame Valerius si è affaticata troppo nel cercarti,e oggi non si sente bene; io stavo impazzendo di preoccupazione e rimorso,e per di più anche mademoiselle Millard ha dovuto rinunciare ai suoi piani per aiutarci a ritrovarti. E se non ci fosse stata lei…Non oso nemmeno pensare a cosa avrebbe potuto succederti, se non ti avessimo trovata!Era notte fonda… ma non avevi nemmeno un po’ di paura? ”

Christine scosse il capo. Aveva ragione dunque: era stata davvero Verònique ad intuire lo scopo della sua fuga. Come volevasi dimostrare…
“Papà…mi dispiace davvero,davvero tanto. Io-“

Gustave si era avvicinato all’armadio della bambina, e ne aveva tirato fuori un vestito,dopo aver curiosato un po’ fra i vari capi.

Era di uno stupendo color bianco avorio, di lana pesante, impreziosito da un sottile ricamo in pizzo attorno alla gola e ai polsi. Christine lo adorava,ma le era concesso di indossarlo solo in occasioni importanti.
“Ora vestiti e corri a fare colazione,sarai affamata immagino. Sbrigati,più tardi dobbiamo andare alla Messa. Dopo riparleremo con calma di tutta questa faccenda.”

Di malavoglia nonostante l’appetito, Christine obbedì.
Sperava soltanto che,per punirla,il padre non le proibisse di frequentare le lezioni di danza da Verònique. Qualunque altra cosa,ma non quella…

Mentre faceva colazione, divorando di gran gusto diverse fette di torta inzuppate nel latte tiepido, sentì il padre e la madrina confabulare nell’altra stanza,ma per quanto tendesse l’orecchio non riuscì a capire di cosa stessero parlando. Sicuramente di lei e della sua punizione…

Dopo la solenne Messa di Natale, a cui Madame Valerius non aveva partecipato perché ancora troppo debole per uscire,Christine si sentì più sollevata. Forse lo spirito cristiano di quella giornata avrebbe mitigato la rabbia di suo padre…

Si incamminò dunque verso casa, ma il padre la fermò,e la condusse ad una carrozza poco distante dal sagrato della chiesa. La sua espressione era indecifrabile.
“Sali, su. Ti avevo detto che avremmo dovuto parlare,no?”

Mentre la carrozza si incamminava lenta per le strade ammantate di neve, Gustave estrasse da una tasca del mantello il pacchettino che,la sera precedente, Christine stringeva fra le mani.

“Che cos’è?”le domandò semplicemente, una certa curiosità ironica nello sguardo.

Christine si morse il labbro inferiore,combattuta.
Negare fino all’ultimo il mio piano oppure confessare, pentirmi e giurare di non farlo più?
Si decise: meglio la verità.

E’il mio regalo di Natale per Raoul, papà. Verònique mi ha detto che quest’anno dovrà trascorrere il Natale in collegio,perché la sua famiglia non si trova in Francia, e non ha intenzione di ritornare... Così.. avevo pensato di andarlo a trovare io. Perché non si sentisse troppo solo,capisci?” lo guardò implorante.

Christine non poteva immaginarlo,ma in quel momento, a dispetto della preoccupazione passata, Gustave era davvero molto orgoglioso di lei,e del suo animo gentile.

La carrozza accostò,e Christine riconobbe la palazzina di rue Paradise in cui abitava Verònique.
“Aspettami qui,capito?” le disse soltanto il padre,prima di balzare fuori dalla vettura,e di divorare in fretta i gradini delle scale. Christine non riusciva proprio a capire cosa stesse succedendo..

Quando Verònique aprì la porta,si trovò davanti un uomo ansimante, dai capelli buffamente spettinati e dall’aria affaticata e accaldata,ma il cui sorriso non era mai stato più sincero e affascinante.

“Non dite nulla,mademoiselle,lasciatemi parlare” interloquì lui a fatica, senza neppure notare la presenza di Julienne Giry,che osservava incuriosita, alle spalle di Verònique.

“Ieri sera mi avete davvero aiutato,e non vi ho ringraziata nel modo più adeguato.  Ci ho riflettuto a lungo questa notte, e ho concluso che mi trovo in debito nei vostri confronti. Così,per sdebitarmi, avrei intenzione di invitarvi a fare un gita con me e Christine, in questa mattina di Natale.”

Verònique fece per parlare,ma un gesto di Gustave la ridusse al silenzio, prendendo tempo.
“Lo so che volete partire,e non conosco lo scopo del vostro viaggio. Sono certo che si tratta di qualcosa di  assolutamente importante,ma… non potete proprio rimandare? L’Inghilterra rimarrà allo stesso posto anche l’anno venturo, no?” le sorrise di nuovo,in quel suo modo franco.

“Non volete farci compagnia, in un giorno tanto importante?Christine ne rimarrebbe delusa..

Verònique gli indicò la valigia già pronta nel piccolo corridoio, balbettando incoerentemente.
“Io,io….vedete,monsieur Daaè,ho già preparato…e poi,avevo deciso di… insomma..”

Julienne,estremamente divertita,a quanto pareva, dalla situazione, si fece avanti e posò una mano sulla spalla dell’amica , rivolgendosi a Gustave col sorriso sulle labbra.
“Perdonatela,monsieur Daaè,ha dormito molto poco questa notte…ed è ancora un po’confusa. Sono certa che accetterà con piacere il vostro invito,non è vero Verò?”le chiese,scuotendola leggermente, denotando quasi una certa impazienza.

Poi tese la mano verso l’uomo, con cordialità e naturalezza.

 

“E’ stato tale il pasticcio di ieri che non ho ancora trovato il tempo di presentarmi! Voi dovete essere il celebre monsieur Daaè. Verònique  mi ha parlato molto di voi…”sorrise, e Gustave percepì una strana allusione, dietro quelle parole.   “Il mio nome è Julienne Giry,e quella piccola peste che sentite urlare è mia figlia Marguerite.”

Gustave le strinse affabilmente la mano, portandosela cavallerescamente alle labbra.

Anch’io ho molto sentito parlare di voi, Madame Giry. Vi ringrazio per l’aiuto che ci avete offerto ieri sera: ci avete aiutati a ritrovare coraggio, un elemento prezioso. Per sdebitarmi,posso invitare anche voi alla nostra piccola gita fuori porta?”

Madame Giry lo fissò dubbiosa, seppure visibilmente tentata.
Innanzitutto, chiamatemi Jiulienne,ve ne prego. Gli amici di Verònique sono miei amici. E poi…Perdonate monsieur,ma alla mia età è bene conoscere la meta del viaggio prima della partenza. Onde evitare di diventare un peso,ovviamente. Sapete, con la bambina…”

Gustave assentì
.
“Certo Julienne…ma ricambiate la cortesia, chiamandomi Gustave. Dunque..Il mio intento era di regalare a mia figlia Christine, la piccola fuggiasca, ciò che apparentemente ella più desidera in occasione del Natale.

Una giornata con il suo amico,il giovane Visconte Raoul de Chagny. Il ragazzo pare che sia rinchiuso anche quest’oggi in un orrido collegio poco fuori Parigi,solo e abbandonato a sé stesso.. non è vero mademoiselle?” Scherzò.

“Così,pensavo che anche mademoiselle Millard,essendo la sua governante durante l’estate, avrebbe rivisto volentieri il suo pupillo. E,al ritorno, a casa mia è pronto un pasto principesco che basterebbe tranquillamente per noi tutti. Che dite,signore? L’offerta vi pare allettante?”

Julienne esitò per qualche secondo,prima di rispondere.

Da un lato quell’uomo le ispirava grande fiducia,e giudicava una buona cosa il fatto che Verònique lo frequentasse:e quindi non era il caso di intromettersi con la sua inopportuna presenza.

Non s’era mai osata di muover critiche alla vita ritirata dell’amica,per il fatto che lei stessa,dopo la morte del marito,si era rinchiusa in una specie di dorato esilio volontario. Non aveva mai avuto nessuna intenzione di uscire con altri uomini.

Ma la loro situazione era differente: Julienne era stata sposata,anche se per troppo poco tempo, e di quell’amore stroncato così giovane le rimanevano dolci ricordi,ed una figlioletta da crescere,e sul cui affetto poter fare affidamento. Verònique non aveva nulla a testimonianza del passato,se non i suoi stessi ricordi, le sue illusioni,le sue speranze di ragazza.

Nulla…

D’altro canto,però,non sapeva quanto l’amica si sarebbe sentita a suo agio,senza alcuna protezione.
Le aveva raccontato di aver confessato a quell’uomo ciò che provava per lui,l’estate precedente, e di esserne stata respinta,se non come amica. Le aveva poi rivelato di voler visitare la tomba di Robert,per chiudere definitivamente quel periodo della sua vita.

Julienne non approvava affatto quel viaggio a ritroso nel tempo e nel dolore,e glielo aveva espresso chiaramente. Erano passati due anni,perché riaprire vecchie ferite?

Julienne pensava a stessa.

Il suo senso pratico l’aveva strappata presto alle lacrime, e non certo perché la sofferenza si fosse sopita. No, non c’era giorno in cui Julienne,aprendo gli occhi,non sperasse di aver sognato, e non credesse di rivedere il suo Emile accanto a lei.

Aveva però deciso di mantenere i propri occhi asciutti, per non rattristare la piccola Meg, che non avrebbe mai assaporato il bene di conoscere il proprio padre.
E poi, detestava visceralmente l’affettata compassione dei suoi colleghi.

Non voleva dar loro la soddisfazione di considerarla una povera vedova incapace di reagire e di badare a stessa… no, fosse stato anche solo per quello, non si sarebbe data per vinta.

In effetti,una piccola gita fuori città non avrebbe potuto distorcere l’equilibrio fra quei due.
Innanzitutto,ci sarebbe stata la piccola Christine,la figlia “fuggiasca” di Gustave Daaè.
E comunque, durante una visita in un collegio non ci saranno certo delle dichiarazioni d’amore,sorrise fra sé e sé.

“Da parte mia accetto volentieri il vostro invito, monsieur Daaè”rispose prima che Verònique potesse opporsi. “Se non vi disturba la mia presenza e quella di mia figlia,saremo liete di passare il Natale insieme a voi e alla vostra Christine, in questa strana avventura che proponete.”

Gustave fissò speranzoso Verònique. Sapeva di aver già vinto quella sfida.
La ragazza non potè  più obiettare,e preso il mantello e il cappello gli disse semplicemente “Andiamo”.

 

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Capitolo 15
*** 14 ***


Il viaggio fu piacevole e non troppo lungo

CAPITOLO 14

 

Il viaggio fu piacevole e non troppo lungo.

Christine aveva pianificato di prendere un treno, il giorno precedente,perché si immaginava che il college Saint Hilaire fosse “lontano lontano”,come si leggeva nelle favole.

Ma in realtà non si trovava che a qualche miglio da Parigi, e in meno di due ore,nonostante la neve avesse reso impraticabili molte strade, furono a destinazione,sani e salvi.

Dovettero penare non poco per ottenere il permesso di incontrare il giovane Visconte.

Il rigido regolamento infatti non permetteva né visite fuori orario,né tantomeno da persone che non fossero genitori,parenti stretti o tutori legali degli alunni.

Fortunatamente, il sorvegliante di turno si ricordava bene di Verònique, quella graziosa e compita ragazza che aveva accompagnato il giovane de Chagny al suo primo giorno di scuola,e animato dallo spirito del Natale,o forse impietosito da quella strana carovana di visitatori, aveva acconsentito a farli entrare, raccomandandosi di non fare troppo chiasso e di non stancare troppo il bambino.

Quell’uomo severo giudicava ben triste che un allievo fosse accompagnato e visitato solo da domestici, invece che dalla sua famiglia: del resto, non era né il primo né l’ultimo bambino di famiglia nobile ad essere trattato come una valigia da parenti troppo presi a vivere la loro vita per occuparsi di lui.


Nessuno potrebbe descrivere,e neppure immaginare, la gioia di Raoul quando li vide apparire nel corridoio che conduceva alla sala visite. Tutti insieme,sorridenti,felici.

Aveva trascorso la mattinata,dopo la funzione religiosa, in completo isolamento.
Nulla nuoce al cuore di un bambino più della solitudine, specialmente quando sa che per il resto del mondo quel giorno è tanto lieto ed importante, vissuto in famiglia e fra gli affetti.

Ed ora,questo.
Mentre sua madre era in viaggio per l’Europa, mentre suo fratello a malapena gli aveva scritto un biglietto d’auguri, queste persone avevano rinunciato a passare comodamente le festività a casa loro, sfidando anche la neve, solo per poterlo vedere,per abbracciarlo festanti, augurandogli buon Natale…

Christine,dopo essersi staccata dal suo interminabile e commosso abbraccio, gli porse con aria di gran mistero un pacchetto sgualcito,e Raoul lo scartò freneticamente.
Il suo unico regalo di Natale…

Dentro, trovò un soldatino di piombo.
Lo stesso soldatino che le aveva regalato l’estate precedente,prima di separarsi.
Raoul lo fissò interrogativamente,senza capire,rigirandolo fra le dita.

“Ricordi quando mi hai lasciato il tuo soldatino,come ricordo di quanto ci eravamo divertiti a giocare alla guerra,quest’estate?”disse Christine.

“Beh, ha funzionato. Quando ero molto triste, quando mi sentivo sola nella nuova classe o quando prendevo qualche votaccio,mi bastava stringere fra le mani il soldatino per scoppiare a ridere. Allora ho pensato: lo riporto a Raoul,così gli terrà compagnia in questi prossimi mesi di scuola. Quest’estate me lo ridarai, e io te lo riporterò il Natale prossimo,che tu sia qui o a casa tua a Parigi. Così aiuterà entrambi, non credi?Il nostro piccolo portafortuna…”

Gustave si scoprì ad avere gli occhi lucidi,e tentò di ricomporsi. Non voleva farsi vedere in quello stato.
Non immaginava che la figlia possedesse una simile immaginazione.
Era davvero una piccola fatina…

Raoul,con tutta la serietà che riuscì a dimostrare, strinse solennemente il soldatino nel palmo e promise di restituirglielo l’estate successiva. Dopodichè entrambi scoppiarono a ridere, e corsero a giocare nel giardino, seguiti a ruota dalla piccola Meg che si affannava per star loro dietro, tentando di familiarizzare con quei nuovi amici.

Gustave,Verònique e Julienne si sedettero allegri sotto i portici del cortile, tenendo d’occhio le esuberanti gesta dei tre piccoli scatenati, e conversando amabilmente di musica e di teatro.

 

Madame Giry in particolare sembrava molto colpita da quel giovane intelligente e talentuoso, che aveva già udito suonare ma che non aveva mai conosciuto personalmente. E,mentre lo ascoltava, spiava di sottecchi la sua amica Verò..

Le guance rosse,il sorriso aperto eppure timido,e gli occhi scintillanti di Verònique parlavano da soli.

Julienne era davvero incredula. Pochi giorni,poche ore della compagnia di quell’uomo avevano operato una tale trasformazione in lei da renderla…quasi una persona diversa. Era riuscito laddove avevano fallito tutti, perfino lei…

Julienne sorrise con affetto a Verò.
D’ora in poi,per la sua amica le cose sarebbero state più facili, non ne dubitava.

Comprendeva bene la reazione di rifiuto di Gustave,avvenuta qualche mese prima.
L’uomo aveva perso la moglie da poco, e Julienne conosceva in prima persona quanto è duro tornare a vivere, a provare dei sentimenti dopo un lutto simile.
Verònique aveva conosciuto la sua parte di dolore,è vero: ma non era lontanamente paragonabile.

Julienne si augurava che,in un modo o nell’altro,quella strana amicizia potesse maturare,anche se lentamente, e sbocciare infine al momento giusto in un sentimento più profondo ed avvincente.

Gustave,Christine e Verònique,un giorno,avrebbero potuto formare una splendida famiglia…

 

 

 

Julienne era rimasta subito molto colpita dalla serietà e dalla garbata intelligenza di Christine: non avendola conosciuto in precedenza ,la sua strana fuga del giorno precedente l’aveva indotta a pensare che si trattasse di una bambina viziata,petulante,dispettosa,egoista.

 

Alla luce delle vere motivazioni che l’avevano invece spinta a scappare, Julienne l’aveva rivalutata,fin quasi ad ammirarla. La ragazzina aveva già sofferto molto per la sua età,eppure conservava una bizzarra,eppure encomiabile, capacità di dare affetto,di occuparsi di quelli che considerava meno fortunati di lei,il tutto con una caparbietà che non possedevano alcune donne fatte.

 

Lo poteva vedere anche ora,sollevando lo sguardo: Christine aveva appena conosciuto la sua Meg, eppure l’aiutava a salire sul piccolo muretto troppo alto per lei così come l’aiutava a scendere,e le aveva allacciato con aria protettiva i bottoni,troppo sfuggenti,del cappottino,che correndo le si era aperto...

 

,decisamente quella ragazzina ha qualcosa di diverso dalla maggioranza delle sue coetanee…qualcosa di diverso,e a suo modo affascinante.

 

Si scusò con Verònique e monsieur Daaè,e si diresse verso i bambini.

Dalla sua capiente e logora borsa di pelle estrasse un involto con alcuni biscotti al cioccolato, che divise equamente fra i tre festanti ed affamati bambini. Poi prese a stringere le loro sciarpe,a calzare bene i loro cappelli,e a distribuire sorrisi e carezze non solo alla figlia,ma anche agli altri due.

 

Gustave sorrise a quel dolcissimo gesto di amore materno: decisamente,a lui non era affatto venuto in mente di portare loro uno spuntino! Questo era quel tipo di pensiero,di previdenza e buon senso che solo una madre può possedere: un padre,per quanto affettuoso e premuroso oltre ogni dire,non vi arriverà mai.

 

Julienne osservava divertita il formidabile appetito di quegli scatenati,che in pochi secondi avevano spazzolato religiosamente anche le ultime briciole di quei poveri dolci;si era poi rivolta a Christine,incredibilmente carina con quel suo sorriso smagliante e le guance rosse d’eccitazione per quell’inaspettato e meraviglioso Natale.

 

“Sai Christine,Verò mi ha tanto parlato del tuo talento nel suonare e nel danzare… Poco fa,parlando con tuo padre, ho avuto una certa idea.”

Tacque un momento,osservando quei limpidi occhi sgranati di sorpresa e di curiosità.

 

“In questi giorni non c’è un gran fermento,all’Opera Populaire: la nostra Diva è in vacanza,e il teatro è praticamente chiuso per qualche restauro. Non riaprirà i battenti che in occasione dell’Epifania. Così pensavo che…se ti andasse,ovviamente”sorrise sorniona “potresti venire a visitarlo,insieme a Verònique e a tuo padre. Potresti perfino accennare qualche passo di danza su quel palco,sopra cui hanno danzato le punte migliori del mondo conosciuto!Che ne dici?”

 

Prima che Christine potesse parlare,Meg esplose in acuti strilli di gioia.

Sìììì,sììì che bello mamma!Anch’io voglio ballare insieme a Christine!” si rivolse alla sua nuova amica, con un sorriso estremamente orgoglioso.

“Lo sai Christine,che fra quelle punte migliori del mondo c’è stata anche la mia mamma? Verò me lo ha raccontato…era bravissima,la più bravissima di tutte!”

 

Il sorriso di Julienne si era spento d’improvviso, come se un colpo di spugna avesse cancellato la serena felicità di quelle ore dal suo viso e dal suo cuore.

Meg, quante volte ti ho detto di curare di più la tua grammatica! E soprattutto di non strillare a questo modo. Hai otto anni,non sei più una bambina piccola. Impara cos’è il contegno.”


Meg chinò il capo,mortificata dalla severità del rimprovero materno.

Christine provò pena per quella bambina entusiasta di tutto,così chiaramente poco in sintonia con l’irreprensibile controllo di sua madre.

 

Fra sé e sé invidiò la piccola Meg: quante volte le capitava di rimpiangere anche i più aspri rimproveri di sua madre! Avrebbe sopportato umiliazioni ben peggiori pur di avere il piacere di rivederla,di riabbracciarla…ma certo,chi non aveva provato il dolore di una simile perdita non poteva apprezzare le piccole quisquilie quotidiane.

 

Accennò una riverenza.

“Certamente madame Giry,un simile privilegio mi farebbe davvero felice. Se non vi creerà disturbo,sarò lieta di visitare la celebre Opera Populaire. Mio padre me ne ha parlato spesso, descrivendola come uno dei teatri più belli, eleganti e famosi d’Europa.

 

Julienne accennò nuovamente un sorriso.

“Immagino che un simile commento da parte di tuo padre sia davvero un complimento per monsieur Garnier, l’architetto. Bene,allora prenderò accordi con lui e con Verònique. E’un secolo che non rimette piede a teatro,penso che le farebbe davvero piacere tornare a visitarlo.”

 

Julienne lasciò i bambini ai loro giochi e fece ritorno nel mondo degli adulti.

 

Qualche ora dopo, tra abbracci e promesse di scriversi, la strana comitiva abbandonò il collegio e fece ritorno a Parigi.

 

Raoul de Chagny fissò nel buio la carrozza che si allontanava lentamente sulla strada principale,e rimase a guardare fin quando la sua lucerna non scomparve del tutto, nella nebbia fitta.

Non lo avrebbe mai ammesso,ma sentiva il groppo alla gola.

 

Madame Valerius,che nella giornata di riposo aveva recuperato le forze e il suo spirito sagace, aveva preparato per tutti loro una cena davvero luculliana.

 

E intorno a quella tavola imbandita, mentre la neve fuori ricominciava a cadere fitta e le due bambine si divertivano a strimpellare al pianoforte e a cantare motivetti natalizi,quelle persone, fino a poco tempo prima estranee, recuperarono seppur brevemente una felicità ed una spensieratezza che pensavano perduta per sempre.

 

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Capitolo 16
*** 15 ***


Due giorni più tardi Christine Daae varcava per la prima volta la maestosa entrata dell’Opera Garnier

CAPITOLO 15

 

 

Due giorni più tardi Christine Daae varcava per la prima volta la maestosa entrata dell’Opera Garnier. Tratteneva quasi il fiato, la manina stretta in quella di Madame Valerius.

Piena di riverenza, in quel suggestivo e maestoso tempio della musica e dell’arte, su cui aveva fantasticato a lungo,si sentiva piccina piccina,ed insignificante.

 

Verònique,alle sue spalle, le accarezzò lievemente i capelli.

Era quasi più a disagio della bambina, in quell’alto e spazioso ingresso, impreziosito di magnifiche colonne istoriate, che convergevano imponenti verso l’estesa e preziosa scalinata principale in marmo rosa, quella che conduceva ai palchi.

 

Se per Christine quello era l’insperato avverarsi di un sogno,per Verònique era il materializzarsi di un incubo a lungo temuto,che però ora si trovava a dover affrontare.

 

Non aveva mai accettato di fare ritorno all’Opera,dopo la morte del suo  Robert.

Ogni viso, ogni luogo le avrebbe ricordato la vita che aveva vissuto in passato,e a cui era stata disposta a rinunciare per amore.

 

Non solo.

 

Ci sarebbe stato sempre qualche maligno a mettere in dubbio la morte del suo fidanzato,e a burlarla dietro le spalle, credendola vittima di un seduttore vigliacco e bugiardo.

Una situazione, insomma, che non sarebbe riuscita a tollerare.

 

In particolar modo una persona l’avrebbe messa letteralmente in croce: la persona che in effetti aveva beneficiato maggiormente del suo ritiro dalle scene, e che avrebbe mal sopportato un’usurpatrice del suo trono appena conquistato.

 

Questa persona era Anna Maria Sorelli,l’attuale prima ballerina del teatro,che purtroppo aveva avuto modo di incontrare anche dopo la disgrazia, essendo quest’ultima l’amante ufficiale e preferita del Visconte Philippe de Chagny,il fratello maggiore di Raoul.

 

Benché Verònique avesse tentato di scordare i suoi trascorsi e di cancellare le sue tracce,ben pochi parigini,un paio di anni addietro,non conoscevano il talento di Odette. Sì,Odette,come la protagonista del Lago dei Cigni,il suo vero cavallo di battaglia: danzando in quell’opera,si sentiva trasfigurata,posseduta dalla musica fin nel profondo,e faceva sognare schiere di ammiratori devoti.

 

Odette.

 

Questo era stato il nome con cui tutti avevano conosciuto Verònique Millard,ai tempi del suo fulgore.

Verò sorrise amaramente fra sé,a quel pensiero. Il suo soprannome era stato una triste profezia del dolore che avrebbe vissuto di lì a poco. Nessuno dei suoi nuovi amici conosceva questo segreto,e non lo avrebbe rivelato mai. Quel capitolo della sua esistenza si era concluso con la morte di tutte le sue speranze,annegate in fondo al mare,una notte…

 

 

Julienne andò loro incontro,accompagnata dal vecchio e rugoso maestro Reyer,che conquistò subito le simpatie di Christine,con la sua aria buffa e divertente. Il maestro e madame Valerius sedettero nel foyer,e sprofondarono subito in una pigra conversazione,intervallata da sonori scoppi di risa,e da mille rievocazioni del passato.

 

Dopo i convenevoli di rito, Verònique arretrò di qualche passo,decisa a guadagnare l’uscita,con una scusa o con un’altra..

 

Ma Julienne riuscì ad impedirle la fuga,giocando d’astuzia.

“Ora Christine,Verònique ti porterà a vedere il palco,e poi ti svelerà i misteri che si celano dietro il sipario. Ahh Verò…portala anche a vedere il tuo vecchio camerino. L’ho riaperto questa mattina,prima di uscire.. pensavo che ti avrebbe fatto piacere. Perdonatemi,ma vi dovrò lasciare sole per un po’. Le sarte che dovevano aggiustare i costumi delle ballerine hanno fatto un vero scempio,e dovrò controllare i nuovi lavori. O al loro ritorno gli impresari se la prenderanno con me,com’è ovvio.”

Roteò gli occhi al cielo, con aria comicamente tragica.

 

Chistine scoppiò a ridere,colta di sorpresa da quella smorfia: Julienne non le era sembrata tipo da simile scherzetti. Poi tornò seria, si guardò intorno e chiese notizie di Meg. Aveva simpatia per quella bambina così dolce ed ingenua.

 

Julienne scosse il capo,risoluta e afflitta.

“Mi dispiace davvero Christine,ma oggi dovrai fare a meno della sua compagnia. Ha fatto una cosa molto, molto brutta,e l’ho messa in punizione.”

 

Così Christine,un poco delusa, e Verònique si recarono verso il palco,e madame Giry tornò seccata alle sue noiose faccende quotidiane.

 

Christine credeva di sognare.

Quando si era affacciata timidamente dalle cortine di spesso velluto cremisi,e aveva spiato la sterminata platea, un brivido le aveva percorso la schiena,e aveva immaginato di suonare su quel palco, oppure di danzarvi, sotto gli occhi stupiti ed ammirati di centinaia di spettatori.

Aveva riso di questa assurda idea,eppure sapeva che quella sensazione stupenda l’avrebbe accompagnata ancora. Nei suoi sogni,ovviamente.

 

Poi Verònique l’aveva condotta nel retroscena, mostrandole le botole ed i macchinari che animavano gli spettacoli,e infine l’aveva portata nell’ala dei dormitori. Lei,e altre poche fortunate, avevano avuto diritto anche ad un camerino personale,dove tenere i loro pochi oggetti e soprattutto conservare un po’ di privacy,cosa pressoché impossibile quando si vive in un teatro.

 

Christine non era rimasta particolarmente colpita da quella nuda stanzetta che Verò chiamava con orgoglio “il mio regno”, abbellita soltanto da una tendina di cinz verde chiaro alla finestra, da un crocifisso intagliato alla parete e da una toilette di legno scuro,proprio accanto al piccolo lettino,al tocco duro e scomodo.

Verònique invece sembrava rapita dai suoi ricordi,quasi dimentica della presenza della bambina.

 

 

 

Christine si affacciò sul corridoio,dove si estendeva una fila ordinata di queste camerette,quasi tutte con le porta chiusa a chiave dalle loro gelose proprietarie. Al fondo del corridoio,però,vi era una stanza..diversa.

A colpo d’occhio,era proprio diversa..

 

L’arredo al suo interno era sempre logoro,ma più elegante: una chaise longue in velluto rosso, un letto minuscolo ma ornato da un grazioso baldacchino color porpora, una toilette più lussuosa delle altre e soprattutto un enorme specchio dalle rifiniture dorate ,che ricopriva quasi l’intera parete di fondo.

Sebbene impolverato e sporco,doveva trattarsi di un oggetto di squisita fattura.

Era assolutamente splendido.

 

Verònique seguì il suo sguardo interrogativo.

“Quella è una camera molto strana,sai?Un tempo era la stanza di Julienne, quando era prima ballerina. Poi,quando lei ebbe un..incidente,e non potè più danzare,le fu offerto il posto di insegnate di danza e responsabile del balletto. Lei accettò,e di conseguenza dovette trasferirsi in una stanza più vicina al dormitorio comune,per tenere d’occhio le ballerine più giovani.”

 

“Questa stanza fu quindi assegnata alla successiva prima ballerina,Agnes. Ma non vi restò a lungo.

Dopo tre notti la poverina era assolutamente distrutta: disse di aver subito uno scherzo piuttosto pesante da qualche stupido buontempone,e di volersi trasferire in un altro camerino al più presto possibile. A suo dire era stata investita da vere folate di vento gelido,anche se la finestra era ben sprangata;aveva udito per tutta la notte grida strazianti e sinistre,accompagnate da una specie di requiem suonato al violino;e aveva trovato dei fiori morti fra le coltri,fiori che mandavano un terribile puzzo di morte,di decomposizione. A distanza di anni,quello strano mistero non è stato svelato. Ma del resto,l’Opera Populaire è famosa per i suoi misteri:non so se tuo padre te ne ha mai parlato…” abbassò la voce,con fare cospiratore.

“Qui all’Opera vive un fantasma! Un vero fantasma!”

 

Christine rise,credendo che l’amica la prendesse in giro. Aveva dieci anni, mica quattro!

E’vero che le era stato insegnato a credere agli spiriti soprannaturali,sempre presenti nei pittoreschi racconti svedesi,ma quelli erano folletti gentili,oppure troll orribili e crudeli.

Certo però non assomigliavano a questo strano,presunto fantasma,che passava le notti a far ammattire le giovani ballerine e distribuiva folate gelide e petali marci e puzzolenti…

 

Ma Verònique ora era assolutamente seria.

“Fossi in te non riderei così, Christine. Non ci si burla impunemente del Fantasma dell’Opera,neppure se si è bambine. Egli è ovunque,sente tutto,tutto sa…e può vendicarsi da un momento all’altro.”

 

Christine annuì,fingendo comprensione.

“Va bene Verò,ammettiamo che esista un fantasma. Non mi farebbe certo alcun male,dal momento che io non ne ho fatto a lui, ti pare?”

 

Verònique scosse la testa.

“Non funziona così. Il Fantasma a volte beneficia le persone,e più spesso le tormenta. Senza apparente motivo. Non so se è vero ma…”abbassò di nuovo il tono. “Quando io vivevo qui,ogni tanto si sussurrava di operai strangolati, di poliziotti di ronda qui vicino spariti misteriosamente e ritrovati assassinati in modo brutale. E tutto questo era certo opera del Fantasma..”

 

Furono interrotte da uno scalpiccio insistente in corridoio.

Pochi attimi dopo,sulla soglia apparve una ragazza esile e graziosa,dai lunghi capelli biondi come oro filato, che le ricadevano sulle spalle come un manto liquido. Sorrise piena di gioia,e volò praticamente nelle braccia di un’esterefatta Verònique.

 

“Mio Dio,allora Julienne non mi prendeva in giro! Verò,la mia Verò..sei tornata! Come mi sei mancata…cattiva,cattiva,non ti sei più fatta viva con la tua Vittoria!”

 

Verònique sorrideva,stupita e compiaciuta di tutto questo entusiasmo,e abbracciava strettamente la sua vecchia amica. Vittoria Masselli.

 

Vittoria e Julienne,le sue uniche due amiche. Da sempre e per sempre, era il loro motto,un tempo.

Le uniche due,sebbene trepidanti,ad incoraggiare la sua storia d’amore.

Le uniche due vicine nel dolore, pronte a raccogliere i cocci della sua vita e a rincollarli con pazienza.

 

Verònique lottava con sé stessa per non piangere di commozione,mentre stringeva l’amica,e mentre entrambe iniziavano contemporaneamente a ridere,parlare…un vero cicaleccio.

 

Christine in quel momento,osservando la gioia dell’amica,decise di lasciarla da sola.

Un momento del genere non doveva essere disturbato dalla sua inopportuna presenza.

Passeggiando nel lungo corridoio,accennò qualche passo di danza avvicinandosi alla strana camera con lo specchio,e alla fine entrò. Posò sulla chaise longue il mantello e il cappellino, e sfiorò con reverenza lo specchio, annerendosi i polpastrelli per la polvere accumulatasi lì sopra.

 

 Sì,ne era certa. Pulita ed illuminata,sarebbe diventata una stanza deliziosa…quanto le sarebbe piaciuto vivere in una stanza simile! Vivere nel celebre teatro dell’Opera, circondata da artisti di fama mondiale, immersa nell’arte più pura dalla mattina alla sera…quella era felicità! Chissà se sarebbe mai diventata abbastanza brava da poter fare,almeno, la figurante…

 

D’un tratto si irrigidì.

Forse le emozioni di quella giornata la stavano condizionando ma.. le era parso di udire uno strano, sommesso lamento proveniente da.. da dove?

 

Si guardò intorno,mentre il lamento si faceva più insistente e doloroso.

Doveva provenire dal piano inferiore: proprio accanto alla strana stanza dello specchio,c’era un’angusta scaletta a chiocciola,che scendeva nel buio sottostante.

 

Christine non era molto coraggiosa per natura,ma un lamento simile la incuriosiva, e la curiosità è ben più forte della paura, nei bambini. Vinse il naturale buonsenso,ed afferrata una candela del corridoio prese a scendere piano, con cautela, per la scaletta.

Decisamente si trattava di un lamento umano.. ma di chi?

 

Arrivata al termine della scala, Christine strizzò gli occhi per abituarsi alla semioscurità. Solo una porta la separava da quei lamenti. Dalla fessura sotto la porta filtrava una debole luce, e Christine con cautela l’aperse…

 

Non era preparata a vedere ciò che vide.

 

La stanza sotterranea era una specie di cappella religiosa. Un grande vetro cattedrale, raffigurante un angelo, illuminava la stanza con una luce colorata, calda ed avvolgente, aumentata dal riverbero delle candele accese presso l’altare.

 

Evidentemente gli angeli erano il tema ricorrente dell’artista che l’aveva decorata, perché il soffitto era affollato di Cherubini,e sulla parete di fondo un Arcangelo dalle ali spalancate sembrava promettere protezione a sofferenti e ai bisognosi.

 

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Capitolo 17
*** 16 ***


E poi,rannicchiata in un angolo,la vide

CAPITOLO 16

 

 

E poi,rannicchiata in un angolo,la vide. Meg Giry.

Era lei che si lamentava sommessamente, il viso rigato di lacrime.

Era stata lei a richiamarla con quei sommessi lamenti,ed ora la fissava quasi spaventata.

 

Christine le si avvicinò,e si frugò nelle tasche per trovare un fazzoletto,che infine le porse.

Meg.. cosa ci fai qui? Perché piangi?”

 

Queste parole provocarono un altro mare di lacrime,e Christine trovò più opportuno non insistere.

Tacque finchè Meg non finì di singhiozzare.

L’amica aveva gli occhi gonfi e rossi, e il viso rubizzo come una ciliegia matura.

 

“Sai Christine,sono in punizione…la mamma è davvero molto arrabbiata con me!”

E ricominciò a piangere,ma si fece forza e proseguì il racconto.

 

“Questa mattina ero così contenta all’idea di rivederti e passare la giornata con te…mi ero ben vestita,ben pettinata,ed ero impaziente che arrivassi. Mentre mi allacciavo il fiocco fra i capelli,alle mie spalle è spuntato Jean Baptiste, il figlio dell’operaio Dommel. E’un moccioso davvero cattivo...mi ha rubato il fiocco,e non me lo restituiva più!”

 

Tirò su con il naso, e proseguì.

“Mi prendeva in giro,e continuava a farlo,non smetteva mai… allora non ci ho visto più,e siccome lui è brutto, ma davvero tanto brutto…sai Christine,quando era piccolo è caduto sul focolare,e ha la metà sinistra del viso con una lunga bruciatura,una cicatrice tutta rossa, e gonfia. Allora per farlo smettere gli ho gridato: ridammelo brutto mostro! Jean Baptiste è ammutolito,ed io mi sono resa conto che nella stanza era entrata la mamma,e aveva visto e sentito tutto. Era pallida pallida, ed arrabbiata. Si è avvicinata e ha strappato il fiocco dalle mani di Jean Baptiste, intimandogli di uscire dalla mia stanza. Io ero contenta,pensavo di aver vinto.”

 

“Ma appena Jean Baptiste è uscito, con tutta calma mamma si è avvicinata, mi ha annodato il fiocco e con molta calma mi ha detto che oggi sarei stata in punizione. Io non capivo, credevo che scherzasse,ma lei mi ha preso per le spalle, scuotendomi, e mi ha detto che dovevo vergognarmi, che non dovevo mai più prendere in giro nessuno perché è stato sfortunato, che solo le persone cattive ed insensibili si comportano così. E visto che a me fa paura stare qui sotto da sola, mi ha ordinato di rimanerci per tutta la mattina. Capisci?è per questo che piango! La mamma è cattiva!” e ricominciò a piangere a dirotto.

 

Christine per un lungo minuto tacque. Poi le tolse una ciocca di capelli dal viso stravolto,e con dolcezza prese a parlare a bassa voce all’amichetta.

 

“Lo so che non volevi fare niente di male Meg…tu sei una bambina dal cuore d’oro. Ma la mamma ha ragione,sai? Non è giusto prendere in giro Jean Baptiste per quello che gli è successo,è stato solo sfortunato. Nessuno ha colpa del proprio aspetto fisico, dei propri difetti. Sono sicura che in realtà Jean Baptiste è un bravo bambino,che vorrebbe soltanto giocare sempre insieme a voi. Scommetto che lo prendono tutti in giro,vero?”

 

Meg annuì ascoltando con attenzione, pur non capendo ciò che intendeva dirle l’amica.

 

“E’logico che abbia reagito diventando dispettoso,sai? E’per attirare l’attenzione, per far finta che non gli importi quando lo prendete in giro per la sua cicatrice. A me succedeva la stessa cosa.”

 

Meg corrugò la fronte. “Ma tu non hai nessuna cicatrice. Sei bella. Perché ti prendevano in giro?”

 

Christine si accoccolò al suo fianco,lo sguardo fisso sull’angelo luminoso della finestra. Si abbracciò le ginocchia, dondolando leggermente.

 

“Sai Meg,mia madre era una persona.. diversa. Strana,per molti versi. Così a scuola mi prendevano sempre in giro per questo motivo,ed io ne soffrivo tanto. Poi un giorno ho quasi rotto il naso ad un mio compagno. Pensavo che mi sarei guadagnata il loro rispetto,se non la loro amicizia. Ma non è accaduto. Sono diventata ancora più sola,isolata.”

 

Meg sembrava rattristata da quella storia. Ma sicuramente aveva capito il messaggio.

“Hai ragione Chris,appena finisce la punizione vado a cercare Jean e gli chiedo scusa. Forse la smetterà di rubarmi i fiocchi così, no?”

 

Christine annuì,sorridendo. Poi vagò con lo sguardo per la stanza,e chiese:”Perché ti fa tanta paura rimanere qui Meg? E’un posto meraviglioso…il più bello che abbia visto oggi.

 

Meg arricciò il naso, con una smorfia poco convinta. 

“Questo posto mi dà i brividi. E poi qui mi sembra quasi di percepire la presenza del Fantasma!”

 

Christine rise di cuore.

Ma siete tutti fissati con questo Fantasma! Meg, quando sei qui, cerca di pensare all’Angelo della Musica…è una storia che mi raccontava sempre il mio papà quando ero più piccola.”

 

“L’Angelo della Musica è uno spirito buono, che aiuta i bambini che hanno talento a suonare,cantare, danzare sempre meglio. E’il loro maestro,il loro conforto,il loro amico. Io prego sempre che il mio fratellino Christian diventi il mio Angelo della Musica. O la mia mamma,lei era una bravissima pianista sai? Ma finora l’Angelo non mi ha mai visitato…però io continuo a sperare. E dovresti farlo anche tu…”

 

Le bambine tacquero,perse nella magia di quella fiaba innocente,e nella speranza che da essa derivava:per la loro vita,per il loro futuro.

Un affannoso rumore di passi per le scale le fece sobbalzare.

 

Verònique, Julienne e Vittoria si affacciarono nella cappella,e sorrisero rassicurate nel vedere le bambine sedute tranquille l’una accanto all’altra.

 

“Forza bambine.. tornate su. Ci avete fatto prendere di nuovo uno spavento… Christine, sei davvero formidabile nello sparire in un batter d’occhio!”rise Julienne.

 

Meg la fissava incerta.

“Posso venire anch’io mamma? Davvero?”

 

Julienne assentì col capo. “Certo Meg. Sono certa che la lezione ti è già servita…o no?”

Meg l’abbracciò di slancio,e corse via con l’amica. Voleva portarla a vedere la grande terrazza dell’Opera Populaire…e poi, doveva assolutamente trovare Jean Baptiste per chiedergli scusa…

 

 

Christine era davvero molto triste all’idea di tornare a casa.

Erano già le sette di sera,ma non si era letteralmente accorta del tempo che passava.

Non aveva ancora visto la sala costumi, e la sala con i fondali di scena, e tutti gli strumenti dell’orchestra…

 

Verònique, a dispetto delle sue più cupe previsioni, si era davvero divertita.

La Sorelli,unico possibile ostacolo, era in vacanza con il Visconte de Chagny,e tutte le altre ballerine l’avevano accolta con entusiasmo ed affetto. Quanto alle nuove,quelle che non la conoscevano, sussurravano ammirate il nome di Odette, che era arrivato alle loro orecchie come quelle di un mito.

 

Christine aveva già salutato Meg promettendole di tornare presto, aveva stretto con garbo la mano di Vittoria e del maestro Reyer,e aveva salutato affettuosamente la severa eppure dolcissima madame Giry.

 

Mentre seguiva Madame Valerius e Verò lungo l’atrio, si rese conto di aver scordato il mantello e il cappello nella strana stanza dello specchio. Avvertì le due donne, e fece una corsa per recuperarli.

 

Entrò precipitosamente in camera,e fece per agguantare i due indumenti,quando fu costretta a fermarsi. Sulla chaise longue, accanto al mantello, giaceva una rosa rosso intenso, dal lungo stelo sottile, orlato da un nastro di soffice velluto nero,chiuso a fiocco. 

 

Attaccato al nastrino, un biglietto color panna, vergato con una strana calligrafia,in inchiostro nero.

 

Un delicato dono per un’anima generosa. Non cambiare, piccola Christine.

 

D’un tratto Christine si sentì a disagio. Chi poteva averle giocato quel tiro? Né JulienneVerò, sicuramente…forse qualche ballerina aveva inteso canzonarla..

Strinse il fiore fra le mani,avvedendosi che era stato privato delle sue spine, e si incamminò pensierosa verso l’uscita.

 

madame ValeriusVerò prestarono attenzione al fiore, pensando che la piccola l’avesse sfilato da uno degli enormi vasi pieni di fiori dell’ingresso, forse per portarsi a casa un ricordo profumato di quella meravigliosa giornata.

 

Ma agli occhi attenti di Julienne non sfuggì quel fiore scarlatto, né il particolare nastro corvino di cui era adornato. Le ricordò immediatamente altri fiori,altri doni di un altro tempo, un’altra era del suo passato,e sentì nel cuore una strana inquietudine,un presagio di vera sventura.

 

Ma scacciò immediatamente quei cupi pensieri, e si incamminò a passo svelto verso il refettorio.

 

 

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Capitolo 18
*** 17 ***


Christine si scordò presto dello strano mistero che circondava la rosa

CAPITOLO 17

 

 

Christine si scordò presto dello strano mistero che circondava quella rosa.

Le ore del giorno parevano non bastarle per fare tutto ciò che desiderava, e madame Valerius ormai faticava a starle dietro. Era diventata un vero tornado in miniatura.

 

Gustave era ripartito subito dopo Capodanno,alla volta di Madrid,dove lo attendevano per una serie di concerti. Il nome di Daaè diventava sempre più famoso nel panorama musicale internazionale; era come se il suo talento anziché esaurirsi aumentasse di giorno in giorno.

 

Forse il pensiero degli affetti lontani in qualche modo rinvigoriva le sue energie e conferiva al suo tocco un’intensità che non possedeva in precedenza. Non era semplicemente più molto bravo,ma assolutamente perfetto.

 

Le sue lettere erano tornate ad essere di nuovo gaie e buffe come quelle di molti anni prima.

E molto spesso,anzi quasi sempre,si concludevano con domande sulla salute o sullo stato d’animo di Verònique, e con i saluti per lei.

 

Christine riportava fedelmente queste pagine a mademoiselle, finchè Verò non prese il coraggio  a due mani, e dopo innumerevoli tentativi finiti miseramente nel cestino, una sue lettera giunse a Gustave, del tutto inaspettata e per questo ancora più gradita.

 

In breve la loro corrispondenza divenne fitta,senza che nessuno sospettasse nulla.

 

Non bisogna però credere che il loro scambio epistolare fosse improntato ad uno sciocco e verboso sentimentalismo. No,le loro lettere non erano che resoconti teneri e divertenti delle loro occupazioni quotidiane, piccoli scherzi, chiacchiere su quanto cresceva Christine o su cosa combinava, marachelle e bei voti a scuola, disimpegno al pianoforte e maggiore impegno nella danza.

 

Niente di più…ma quelle pagine erano un balsamo per i loro spiriti solitari.

 

 

Da quando aveva visitato l’Opera Garnier, Christine si era gettata con rinnovata energia nelle lezioni di danza. Era davvero commovente vedere l’impegno che metteva in quelle figure, quasi che da esse dipendesse il suo futuro. Madame Valerius e Verònique ovviamente non vi avevano pensato.. non potevano immaginare quanti sogni di gloria e fama si agitassero nella bruna testolina ricciuta della bambina.

 

Christine aveva deciso: in un modo o nell’altro, sarebbe riuscita a diventare una stella,e ad esibirsi in quel magico teatro. Non si sentiva abbastanza dotata al piano, e per questo lo aveva abbandonato un po’,contentandosi di suonare per il proprio piacere soltanto: ma con un’insegnante come Verònique, e forse un domani con l’appoggio di madame Giry,sarebbe riuscita a realizzare la sua fantasia,ne era certa.

 

Un giorno tutta Parigi avrebbe applaudito Christine Daaè, stella della danza!

 

Neppure Gustave era al corrente di questi pensieri.

Non aveva mai pensato alla passione per la danza di Christine come ad una prospettiva di futuro reale: credeva che per la bambina non fosse che un piacevole diversivo, un passatempo che le permetteva di trascorrere qualche ora divertente con la sua amica Verònique.

 

Certo però non avrebbe approvato granchè la sua scelta,anche perché inconsciamente avrebbe voluto vederla prendere la stessa strada della madre,come gli pareva più opportuno.

E poi,Christine era ancora così piccola!

Graziosa com’era,si sarebbe certo sposata molto giovane… e allora avrebbe accantonato con piacere qualunque carriera,proprio come Isabelle.

 

Gustave tremava all’idea di perdere l’affetto di sua figlia,ma sapeva che sarebbe inevitabilmente accaduto. Sarebbe venuto un giorno in cui per Christine lui non sarebbe stato che il vecchio papà, e un altro uomo sarebbe divenuto il centro della sua vita,il motivo del suo sorriso.

Gustave lo sapeva e lo accettava. Sperava soltanto che quell’uomo si rivelasse degno di un compito simile.

 

 

La neve cominciò lentamente a sparire dalle strade e dai tetti,e lasciò il passo all’aria frizzante della primavera. La scuola terminò, e Christine tornò al piccolo villaggio in Normandia con madame Valerius, dove di lì a poco le raggiunse Gustave,di ritorno dall’ultima tournee.

 

Dovettero però attendere pazientemente la piena estate per riabbracciare Verònique e Raoul,e per riformare così l’allegra comitiva dell’anno precedente. Ma stranamente,qualcosa era cambiato rispetto ad allora.

 

Raoul in quei pochi mesi si era fatto fisicamente più adulto,ma anche assai più taciturno, e il suo buonumore riaffiorava soltanto a tratti.

Ogni tanto, nel bel mezzo di qualche gioco divertente, sorrideva felice,mostrando l’antica spensieratezza. Ma durava un solo istante: una specie di ombra malinconica e grigia tornava a velargli lo sguardo.

 

Christine non se ne capacitava.

Solo pochi mesi prima, in occasione della strampalata gita natalizia, l’aveva accolta con gioia.

Ed ora che aveva la possibilità di trascorrere giornate intere con lei…le sprecava comportandosi in questo modo stravagante!!

 

Decisamente i maschi sono proprio incomprensibili…

 

Quanto a Gustave

Christine non lo avrebbe mai ammesso,ma cominciava a  sentirsi gelosa della confidenza che si era fatta sempre più profonda fra il padre e Verònique.

 

Era sinceramente affezionata alla ragazza,con cui trascorreva gran parte del suo tempo, ma d’improvviso non si sentiva più così felice all’idea che fra i due adulti nascesse qualcosa di veramente serio.

Insomma,preferiva averli entrambi tutti per sé,senza altre complicazioni…romantiche.

 

Inoltre,in primavera aveva vissuto giornate angosciose.

Si era trovata faccia a faccia con il primo anniversario di morte della madre,e d’improvviso il dolore che aveva inghiottito, mascherato, ignorato per mesi l’aveva sopraffatta con tutto il suo peso.

Un peso che Christine aveva sopportato a fatica.

 

La cosa peggiore è che,a quanto pareva,nessun altro aveva rivissuto quell’evento traumatico con lo stesso dolore. Madame Valerius quel giorno non vi aveva neppure fatto accenno,si era comportata normalmente: aveva cucinato,ripulito l’appartamento, corretto i suoi compiti.

 

Nulla,neppure una parola. Sembrava essersene completamente scordata.

 

Christine aveva vissuto con angoscia l’esperienza della morte della madre,ma aveva trovato dentro sé la forza per ricacciare indietro le lacrime e andare avanti,iniziando davvero una nuova vita.

Ma non aveva sconfitto quel dolore: lo aveva solo spinto a tale profondità da poterlo ignorare durante il giorno.

 

Spesso la notte,mentre suo padre la credeva profondamente addormentata, il ricordo della madre e il pensiero del fratello mai conosciuto la assalivano come spettri esalati dal più profondo inferno della sua anima. Combatteva valorosamente contro quei suoi personali demoni, perché nell’arco di un anno né madame Valerius, né Verònique,né tantomeno suo padre avevano mai sospettato di nulla.

 

Di conseguenza aveva atteso con trepidazione la fine della scuola e l’inizio delle vacanze, certa che avrebbero segnato l’inizio di un periodo tranquillo,una parentesi di fittizia serenità prima del ritorno alla banalità della vita quotidiana,e ai suoi altrettanto quotidiani problemi.

Evidentemente,aveva sperato invano.

 

 

 

I giorni si erano così trascinati stancamente, e il tempo era cupo ed inquieto,come se volesse in qualche modo allinearsi alla turbolenza del suo umore. Quella situazione di tensione prolungata ed apparentemente immotivata le stava logorando i nervi e lo spirito, e per di più la faceva apparire agli occhi degli altri come scontrosa ed irritabile.

 

Christine faceva del suo meglio per correggere il suo comportamento,e per apparire “normale”.

Ma scopriva giorno dopo giorno di non esserne più in grado.

Ogni volta che si sentiva trascurata o ferita reagiva con stizza, arrivando fino a vere e proprie bizze, capricci apparentemente senza motivo né scopo.

 

Madame Valerius e Verònique pazientavano,e  non erano stupite da tutto questo: Christine stava crescendo,e come ogni adolescente sperimentava un periodo di rabbia impotente,di ribellione contro qualunque cosa e in ogni momento.

 

Gustave e Raoul, d’altro canto,ne erano assolutamente sconvolti: una bambina dolce, accomodante, garbata come la loro Christine, capace di tramutarsi in una furia per un piccolo scherzo o per una parola di troppo. Decisamente,era qualcosa su cui non possedevano il minimo controllo e che non erano affatto in grado di prevedere e controllare.

 

Come ora.

Gustave e Verònique avevano programmato da un paio di settimane di fare una gita in un paese poco distante. Infatti Verònique aveva sentito parlare di una chiesa, immersa nel verde dell’entroterra, dove sarebbe stato custodito uno dei più antichi organi di Francia, un vero pezzo da collezione donato da un nobile dei luoghi come ex voto.

 

Non era una gita a cui potessero partecipare i bambini: bisognava fare parte del tragitto in carrozza,e parte a piedi, inerpicandosi fra una fitta boscaglia.

E poi,una simile avventura per vedere uno strumento musicale,per quanto imponente ed antico, non aveva alcuna attrattiva agli occhi dei due ragazzini.

 

Christine aveva accolto con indifferenza l’annuncio di quella gita, soprattutto perché aveva intenzione di uscire con Raoul,quel giorno,a pescare: avevano trovato una barchetta malandata sulla spiaggia,e nei giorni precedenti,con l’aiuto di Gustave e di qualche pescatore, l’avevano rimessa in sesto.

 

L’avevano anche ribattezzata Piccola Lottie, dal soprannome che Raoul aveva affibbiato a Christine:il nome della capricciosa fatina di una fiaba svedese che aveva narrato loro Madame Valerius.

 

Christine,come da copione,all’inizio si era stizzita per quel paragone: la Piccola Lottie era capricciosa ed intemperante,ed usava i suoi poteri per fare mille dispettucci a tutti gli umani che incontrava sul suo cammino.

Ma poi aveva rivalutato il personaggio,e di conseguenza il suo nuovo nomignolo, quando aveva scoperto che,alla fine del racconto, la Piccola Lottie diventava buona, commossa dalle lacrime di un bambino abbandonato, e da quel momento diventava l’Angelo custode di tutte le persone bisognose.

 

Ma il giorno della gita tutto sembrava aver congiurato contro di lei.

 

Una pioggerellina tristemente simile a quella autunnale cadeva fitta fitta, sospinta da un vento leggero ma gelato. Ovviamente, con un tempo simile era da escludersi un’uscita in mare, sospirò rassegnata la ragazzina. Beh,ne avrebbero approfittato per passare una giornata in casa, a cucinare dolcetti, inventare balli divertenti mentre il suo papà avrebbe suonato il violino…

 

Ma un’occhiata le bastò a capire che né Verò né suo padre sembravano aver desistito dall’idea della loro piccola gita. Le parve egoista e cattivo, da parte loro, lasciarla sola a casa ad annoiarsi mentre loro andavano d’attorno a divertirsi!

 

Iniziò a frignare senza ritegno, appendendosi letteralmente alla manica del padre e fissandolo con gli occhi pieni di lacrime,mentre gli chiedeva di portarla con loro, o di posporre la gita.

Quando si accorse che con quella tattica non avrebbe ottenuto nulla,cambiò atteggiamento.

 

Pestò i piedi con rabbia e minaccia, strillò, se la prese con entrambi accusandoli di non volerle bene. Accusò il padre di non provare nulla per lei,come non aveva provato nulla per sua madre.

Fu estremamente crudele, pur senza avvedersene pienamente.

 

Gustave,pallido e teso a quelle parole d’accusa e di sdegno, non le rispose neppure.

Verònique, spaventata dalla reazione di Christine, fece per slacciarsi il mantello e rassicurarla: sarebbero rimasti a casa con lei.

 

Madame Valerius, da un canto, guardava la scena in silenzio,un braccio attorno alle spalle dell’altrettanto attonito Raoul.

Da un po’ di tempo Madame si sentiva molto debole, non più in grado di tener testa alle intemperanze della sua figlioccia. Era giusto che fosse il padre a sgridarla, in un frangente simile.

 

Gustave fece un cenno di diniego a Verònique.

“No. Non vi togliete il mantello,non è necessario. Christine sapeva benissimo che oggi saremmo andati a fare questo piccolo viaggio. Sono assolutamente sicuro che lei e Raoul passeranno un pomeriggio piacevolissimo”disse scoccando un’occhiata di comprensione al ragazzino “mentre noi faremo lo stesso. E quando torneremo, Christine,mi aspetto delle scuse da te: non solo per me, ma anche per mademoiselle Millard. Ti sei comportata molto male stamani, che non si ripeta mai più.”

 

Senza neppure aspettare una risposta, Gustave prese la porta ed uscì, per impedire ai presenti di vedere quanto la rabbia e il dolore lo avessero sconvolto:gli tremavano violentemente le mani,aveva dovuto nasconderle nel mantello.

 

Verò,ancora costernata, posò un bacio lieve sulla guancia di Raoul e di Christine, sebbene quest’ultima si fosse ritratta istintivamente, con rabbia. La ragazza sospirò a quel gesto di risentimento,ed uscì a sua volta, raggiungendo Gustave in carrozza.

 

Christine corse in camera sua, sbattendo violentemente la porta,e iniziando a singhiozzare.

Madame sospirò,battendo una mano sulla spalla dell’impietrito Raoul.

 

Decisamente,sarà una lunga giornata. Il vento sta cambiando…prevedo che il tempo peggiorerà.

Raoul non osò domandarle se si stesse riferendo alla pioggia o alla loro vita.

 

 

 

 

Prima che Madame potesse riprendere a parlare, qualcuno picchiò energicamente alla porta.

Strano,non attendevano alcun ospite,e il cocchiere della famiglia de Chagny aveva ordine di tornare a prendere Verò e Raoul non prima delle nove di sera. Che strano…

 

Christine si precipitò fuori dalla sua stanza, correndo nell’ingresso con il viso ancora umido di lacrime, e aprì la porta. Forse suo padre ci aveva ripensato,sicuramente si era reso conto di essere stato troppo duro ed ingiusto con lei…

 

Si sbagliava. Davanti a lei,una figura che riconobbe immediatamente, malgrado l’aria pallida e stravolta,e gli occhi spalancati,pozze di inquietudine nel bell’ovale del viso delicato.

“Vittoria!”esclamò sorpresa.”E tu che ci fai qui?”

 

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Capitolo 19
*** 18 ***


A pochi chilometri di distanza,la pioggia aveva cessato di cadere,e un pallido sole si era messo a brillare,senza troppa convinzione

CAPITOLO 18

 

A pochi chilometri di distanza,la pioggia aveva cessato di cadere,e un pallido sole si era messo a brillare, senza troppa convinzione, sulla campagna.

 

Gustave e Verònique si inerpicarono lentamente sulla collina erbosa e madida di pioggia, per raggiungere la chiesetta, facendo del loro meglio per non scivolare. Ridevano entrambi, più distesi, delle loro difficoltà.

 

Quando furono entrati nella cappella, trattennero a malapena l’entusiasmo.

La chiesa era piuttosto modesta all’esterno: la tipica cappella di campagna in mattoni cotti, una torre campanaria con un’unica, minuscola campana.

Ma all’interno…

 

Luminosi vetri cattedrali coloravano l’ambiente,diffondendo una luce soffusa e delicata, in varie tinte.

I banchi di legno scuro erano riccamente intagliati nonostante l’apparenza severa, l’altare era ricoperto da una tovaglia di finissimo pizzo candido ed era occupato da paramenti sacri di grande pregio.

 

Ma il vero protagonista dello spazio era quell’immenso strumento musicale, sulla parete ovest.

Ad una sola occhiata, perfino un profano si sarebbe reso conto dell’immenso valore economico e culturale di quell’organo,un vero patrimonio per l’umanità.

 

I due artisti rimasero letteralmente a bocca aperta, spiando avidi ogni dettaglio, ogni tasto, ogni canna d’ottone perfettamente lucida e levigata.

 

Un fraticello suonava rozzamente un Gloria,e si volse a sorridere tranquillo ad entrambi.

Sebbene la sua musica fosse semplice ed egli non possedesse un gran talento, le note che traeva e il loro perfetto risuonare rappresentavano un balsamo per gli spiriti afflitti.

Afflitti come quelli di Gustave e Verònique.

 

Più tardi,mentre ridiscendevano la collinetta in silenzio,entrambi erano trincerati nei propri pensieri e nella gioia per quella visita. Verònique mise il piede in fallo,e iniziò a scivolare su quell’erba umida.

Prontamente, Gustave l’afferrò alla vita,impedendone la caduta rovinosa.

 

Da quella ravvicinata distanza,i loro occhi non riuscivano a mentire,a nascondersi reciprocamente. Non più.

D’impulso Gustave si chinò su di lei,e la baciò.

 

Caddero a terra, infangandosi i mantelli, ma non se ne accorsero neppure,impegnati com’erano a reclamare avidamente le labbra e le carezze dell’altro.

Le loro solitudini si fusero,si incendiarono,si annegarono l’una nell’altra.

 

I loro baci non erano soltanto carichi di tenerezza e di passione,ma anche di rabbia, di sfida per un destino che aveva regalato loro più dolore di quanto umanamente sopportabile.

 

Entrambi si dimenticarono del tempo che passava,del luogo in cui erano, delle responsabilità che li attendevano al ritorno e dei loro infelici trascorsi.

Esistevano loro,e loro soltanto.

 

 

 

 

 

Qualche ora più tardi, la carrozza a nolo li fece scendere davanti alla piccola casetta di Madame Valerius. Cercavano di nascondere i loro timidi sorrisi, lo scintillio dei loro occhi innamorati e finalmente consapevoli dei sentimenti dell’altro. Ma invano. Le loro mani intrecciate parevano non potersi dividere.

 

Entrarono ,ridendo complici, nel piccolo ingresso, continuando a tenersi per mano, decisi a raccontare subito ai loro cari ciò che finalmente era accaduto, pronti a renderli partecipi della loro grande gioia.

Forse la prima reazione di Christine sarebbe stata ostile…o difficile. Poco importava.
La sincerità prima di tutto.

 

Ma la mano di Verònique divenne gelida in quella di Gustave, non appena ebbero varcato la soglia del salottino. Christine e Raoul erano seduti accanto alla finestra, preoccupati e tristi, gli occhi fissi sul mare grigiastro ed inquieto.

 

Madame Valerius si dondolava pigramente sulla sedia a dondolo,avvolta nel suo scialle nero, lo sguardo perso nel vuoto e la bocca atteggiata ad una piega amara. Sembrava non essersi neppure accorta del loro ingresso, sprofondata in chissà quali strani pensieri.

 

Su una poltrona accanto al fuoco, stava Vittoria Masselli, la compagna di ballo di Verò,le spalle incurvate,le gambe ripiegate con grazia sotto di sé. Sul viso,un’indicibile angoscia, che si esasperò non appena li vide entrare, allacciati in quel modo così intimo.


Vittoria saltò in piedi,e corse a seppellirsi nell’abbraccio di Verò, la voce tremante,quasi sul punto di ricominciare a piangere.

Stretta a lei, potè soltanto mormorare contro il suo orecchio:

Robert è vivo”.

 

 

Robert è vivo. Robert è vivo. Robert è vivo.

 

Verònique non riusciva a smettere di ripetere ossessivamente, nella sua mente, quelle poche parole.

La sua fronte scottava, ed ormai smaniava da ore.

 

Appena udita la sconvolgente notizia, Verònique era caduta a terra,priva di sensi.

Troppe le emozioni di quel giorno,anche se alcune erano state piacevoli…ma questa notizia non aveva senso.

Non poteva averne.

 

Robert è morto,con tutte le altre persone che viaggiavano sulla sua nave.

 Erano stati pochissimi i sopravvissuti,e lui non era fra questi. Il mare non restituiva mai tutte le sue vittime, e quindi nessuno aveva mai visto il corpo… ma era morto,era morto! Deve esserlo…

 

Vittoria,accanto a lei, inumidì nuovamente il panno e le bagnò teneramente la fronte.

Avrebbe desiderato non essere lei a doverle portare quella sconvolgente notizia…ma del resto, meglio così che se l’avesse appreso dai giornali. Non avrebbe certamente retto il colpo.

 

Oltretutto, era assolutamente certa di quanto le aveva raccontato.

L’aveva visto con i suoi stessi occhi.

 

Vittoria lasciò la stanza e ridiscese al piano di sotto,nel salottino dove tutti,ammutoliti,la attendevano.

Gustave le andò subito incontro,il viso seriamente preoccupato. Non ebbe bisogno di parlare.

 

“Non vi preoccupate monsieur Daee. Verò riposa. Ora sta meglio. La capisco, è stato un vero colpo per tutti noi. Ha perso il suo proverbiale controllo perfino Julienne Giry. L’avete conosciuta, sapete cosa intendo.”

 

Gustave annuì,sollevato.

Era davvero preoccupato per la reazione emotiva di Verò,ma non voleva darlo troppo a vedere. Nessuno di loro sapeva cos’era accaduto quel pomeriggio,e stando così le cose, non aveva alcuna intenzione di raccontarlo.

“Ditemi Vittoria…cos’è accaduto? Come avete saputo?”

 

Vittoria sedette nuovamente sulla poltrona,e si preparò a ripetere la storia che al pomeriggio aveva già narrato a madame Valerius e ai bambini.

E’successo solo tre giorni fa. E ancora non mi sembra vero, quindi capisco la vostra ncredulità.

 

“Al teatro è arrivata qualche settimana fa una lettera della famiglia Abbott,per Verònique. Non sapevamo come fargliela pervenire qui,e pensavamo che non fosse nulla di urgente…” parve a disagio. “Abbiamo fatto male. Comunque,nessuno pensava più alla lettera. Ma come vi dicevo, tre giorni fa è arrivata una visita. L’usciere è venuto a chiamare me e Julienne,e così..”

 

Gli occhi le si riempirono di lacrime,ma cercò di trattenersi.

“Lo abbiamo riconosciuto immediatamente. Era Robert Abbott, il fidanzato di Verò, non ci si poteva sbagliare… Ma in un certo senso, era come avere davanti un fantasma.. siamo rimaste paralizzate dallo stupore.

E’ stato lui a rompere il silenzio,e a narrarci brevemente cosa gli era accaduto.”

 

“Il giorno del naufragio,ha rischiato davvero di morire. Per cercare di salvare più persone possibile,e di aiutarle a calarsi nelle scialuppe, ha battuto la testa ed è caduto in acqua. In quella confusione, non se ne accorse praticamente nessuno, ognuno pensava solo a salvarsi. Fortuna vuole che prima di perdere i sensi sia riuscito ad aggrapparsi saldamente ad una tavola di legno.

 

“Un paio di ore più tardi fu ripescato da un peschereccio. Gli prestarono i primi soccorsi,lo salvarono e appena tornati a terra lo portarono all’ospedale. Il suo fisico non ne risentì molto,ma.. Quando si svegliò da quello strano torpore,non sapeva più chi fosse.”

 

“Aveva perso completamente la memoria,e i medici non sapevano proprio chi fosse: non aveva documenti con sé,né orologio,né null’altro che potesse aiutarli a rintracciare una famiglia. Avevano intuito che si trattasse di un nobile per via dei suoi vestiti:sebbene stracciati,si vedeva che erano di valore; e che si trattasse di uno straniero,per via dell’accento.”

 

“Col tempo e le cure, pian piano Robert iniziò a ricordare dei particolari del suo passato, ma non utili per arrivare alla sua identità. Fino a sei mesi fa, perlomeno. Robert ha continuato a migliorare, fino a ricordarsi chi fosse e da dove venisse, ed ovviamente i medici lo hanno immediatamente rispedito in Inghilterra.

Potete immaginare la felicità e il sollievo dei suoi familiari.

 

“Ma solo un paio di mesi fa,ripresosi del tutto, ha ricordato Verònique, il loro amore,il loro fidanzamento. Così ha cercato di scriverle,per non turbarla apparendo all’improvviso. Non ricevendo risposta,ha vinto la paura di viaggiare nuovamente per mare ed è tornato a Parigi. Solo per Verò.”

 

Vittoria tacque per un attimo.

Vedeva la pena, la sconfitta negli occhi di Gustave, ed era sinceramente dispiaciuta per lui.

 

“Ovviamente, Robert non si rende conto di quanto tempo è passato. Per lui, il tempo ha ripreso a scorrere normalmente solo da un paio di mesi…i mesi addietro sono soltanto una macchia confusa.

Non capisce,al momento,che per Verònique questi due anni sono stati lunghi,ed assai duri.”

 

Vittoria non proseguì, ma lei e Gustave riflettevano sulle stesse cose,in quel momento.

Verònique avrebbe scelto la sua nuova vita, circondata dall’affetto della famiglia Daeè, oppure avrebbe scelto il suo vecchio amore, il matrimonio che aveva sognato, l’uomo per cui aveva pianto e pregato?

 

Gustave sapeva di non aver diritto a sperare. C’era stato solo un giorno di felicità per loro.

Non poteva competere con il grande amore della sua vita,un uomo che aveva disperatamente bisogno di lei per tornare alla vita normale,che uno scherzo del destino gli aveva quasi strappato per sempre.

 

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Capitolo 20
*** 19 ***


Verso la tarda serata,aveva smesso di piovere

CAPITOLO 19

 

Verso la tarda serata,aveva smesso di piovere anche sulla costa.

Verònique non si era ancora alzata,e nessuno di loro aveva più osato entrare nella stanza di Christine, dove l’avevano coricata ancora priva di sensi.

Forse perché nessuno di loro avrebbe saputo che cosa dirle, una volta che si fosse ripresa.

 

Gli adulti infatti mantenevano un’aria grave e meditabonda, tale da snervare i due bambini, già duramente provati da    quel surplus di emozioni.
Christine fece cenno a Raoul di seguirla,ed uscì quasi di corsa sulla veranda.

Inalò l’aria fredda della notte,e parve stare meglio,riprendere colore sulle sue pallide guance.

 

“Avevo proprio bisogno di uscire.. mi girava la testa là dentro. Quel silenzio innaturale, quella tensione… non capisco” Sembrava sinceramente stupita.

“Dovremmo essere tutti felicissimi per questo Robert,e per Verònique. Perché poi sarà svenuta?”

 

Christine chiuse gli occhi, dondolandosi meccanicamente avanti e indietro.

“Salterei di gioia fino al cielo,se qualcuno ora mi dicesse che mia madre è ancora viva. Che si è trattato solo di un grosso,incredibile errore. Perfino quando sono sicura che sia morta.. più che sicura.”

 

Raoul non disse niente,ma le passò protettivamente un braccio attorno alle spalle. Anche lui era orfano di padre, ma non aveva mai sofferto molto per quel lutto. A ben pensarci, non ricordava quasi il padre, sempre assente, sempre distratto. Doveva fare uno sforzo perfino per ricordare il suo viso, o il colore dei suoi occhi..

Dopo un attimo,però,le rispose,con tono grave.

 

“Non è così facile,Christine. Verònique ha sofferto molto per la morte del suo innamorato, ma ad un certo punto si è arresa,e ha ripreso a vivere la sua vita. Ha ripreso in mano le redini del suo destino. E’difficile tornare ad un precedente stato di cose. Insomma,te ne sarai accorta anche tu…Verò e tuo padre…beh,vanno molto d’accordo, penso sia evidente..” Concluse diplomaticamente.

 

La ragazzina si staccò risentita dal suo abbraccio,e gli voltò le spalle.

La sua bocca aveva assunto una piega amara. “Sai,in fondo credo che sia stata tutta colpa mia. Tutto questo pasticcio, questo dannato pasticcio…”

 

Raoul si accigliò. “Ma cosa intendi? Cosa centri tu con questa storia?”

 

“Forse sono davvero come la piccola Lottie, Raoul. Ma in senso negativo. Mi sento più una strega malefica che una fata. Mi arrabbiavo spesso con mia madre,e lei è morta. In questi giorni ho pensato spesso a mio padre e Verò, e al tempo che passavano insieme, a come si guardavano l’un l’altra…e non posso negarlo, la cosa mi feriva. Hai  visto, perfino oggi mi sono arrabbiata, perché uscivano insieme. Ed ecco, d’improvviso, accade una cosa quasi irreale che li separerà di sicuro. Per sempre. Ti sembra ancora che io non centri nulla?”

 

Raoul,per rispetto alla sua genuina angoscia,cercò di restare serio,ma dovette sforzarsi moltissimo per non scoppiare a ridere. L’ingenuità di Christine era grande quasi quanto i suoi immotivati sensi di colpa. In qualche modo, doveva cambiare argomento. E in fretta.

 

Strinse nervosamente le mani,l’una contro l’altra. Era un brutto momento ma…doveva parlarle.

 

“In questi giorni ti sono sembrato strano,vero?” non attese risposta,e proseguì.

“Il fatto è che non sapevo come dirtelo ma.. per un po’ non ci vedremo. Credo.. per alcuni mesi, forse un paio d’anni… Non posso saperlo con precisione.”

 

Christine si limitò a fissarlo,ad occhi spalancati. Non riusciva nemmeno a parlare,a chiedergli perché. Perché la volesse abbandonare… anche lui.

 

“Mio fratello ritiene che quel collegio che frequento.. non sia adatto. Vuole iscrivermi all’Accademie Militare dove ha studiato lui…è più adatta al nostro casato,a quanto pare” aggiunse con scherno “e in più non permette vacanze, il che solleva lui e mia madre dal problema di “sistemarmi” con Verònique e i domestici, in quei periodi. Tu nemmeno sai quanto sei fortunata, ad avere tuo padre e Madame Valerius ,che si occupano di te e ti vogliono bene. Io.. non ho nessuno.”

 

Christine sembrava essere diventata di pietra. Senso di colpa e tristezza la stavano vincendo.

Ora,nel momento in cui più aveva bisogno di lui, anche il suo unico amico, il suo compagno di giochi e di avventure, le veniva strappato.

E come al solito, non poteva farci nulla. Quel senso di impotenza la straziava.

 

Gli si avvicinò,e gli prese una mano fra le sue, meditabonda. Non riusciva a guardarlo negli occhi, perché sapeva che non avrebbe potuto frenare le lacrime.. e non voleva, non voleva piangere!!

“Non è vero che non hai nessuno, Raoul. Hai me. E mi avrai sempre al tuo fianco, ogni volta che lo vorrai. Non ci vedremo per un po’,ma tu non mi dimenticherai,vero?”

 

Raoul sorrise, leggermente sollevato. Si era aspettato strilli, lacrime, reazioni isteriche, visto il temperamento di Christine in quei giorni.

Invece,ecco davanti a lui la sua dolce amica di sempre.

“Certo che no,mia piccola Lottie. Saremo amici, amici per sempre.”

 

Rimasero seduti lì fuori, abbracciati, senza più bisogno di parlare.

Nessuno in quella casa dormì, quella notte, ognuno per motivi diversi.

Ma tutti pensavano la stessa, medesima cosa.

 

All’alba, le loro vite si sarebbero divise,e sarebbero cambiate per sempre.

Il sorgere del sole li avrebbe gettati ancora una volta alla deriva, soli nel mondo sconosciuto..

 

 

 

 

 

Erano passate due settimane da quella strana, buia notte di addii.

L’estate era finita,e così tutte le loro illusioni di felicità.

 

Gustave, dopo aver riaccompagnato la figlia e madame Valerius a casa,era ripartito immediatamente, senza bagagli, solo con i vestiti che aveva indosso.

Non aveva neppure detto loro dove trovarlo:aveva semplicemente preso la porta, e via.

 

Non si era voltato a salutarle,non aveva riso e scherzato da giorni: a malapena aveva mangiato e dormito, al limite della sopravvivenza. Il suo viso era diventato come una tavolozza, su cui un pittore crudele si fosse divertito a rappresentare la precarietà e la fragilità di ogni sentimento umano.

 

Christine, nonostante fosse addolorata per quella fuga, che la separava dal genitore anche in quei pochi giorni che potevano trascorrere insieme, non aveva avuto il coraggio di fermarlo,o di chiedergli spiegazioni.

 

Aveva pena per la delusione di suo padre, e rispetto per il suo dolore.

Inoltre,non si era ancora del tutto liberata da quell’oppressivo senso di colpa, assurdo forse, ma saldamente radicato in lei.

 

Come le rimordeva la coscienza!

La gelosia nei confronti del suo rapporto con Verònique era svanita:e avrebbe dato qualunque cosa per riportare indietro le lancette dell’orologio, per far rivivere il passato senza più ombre.

 

Se Verònique  e suo padre fossero già stati sposati.. il ritorno di questo Robert non avrebbe significato assolutamente nulla.

Se lei non avesse fatto di tutto per farli rimanere amici…se non avesse fatto continuamente i capricci, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Forse ora tutti sarebbero stati felici…

 

Non lo avrebbe mai saputo con certezza, ma non se lo sarebbe ugualmente perdonata.

E da quel giorno le solite azioni quotidiane, le sue letture,le sue passeggiate, i lunghi esercizi alla sbarra e al pianoforte, ebbero tutte un retrogusto amaro.

Il gusto di una sconfitta.

 

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Capitolo 21
*** 20 ***


Christine rivide Verònique,pochi giorni dopo

CAPITOLO 20

 

 

Christine rivide Verònique, pochi giorni più tardi.

Era una domenica pigra ed assolata, come ogni domenica autunnale che si rispetti.

 

La ragazza non si era più fatta sentire,così approfittando di un sonnellino pomeridiano di Madame Valerius, Christine era sgattaiolata fuori, ovviamente dopo aver lasciato un biglietto alla madrina.

Non voleva farle prendere un colpo…per l’ennesima volta.

 

Bussò discretamente alla porta,un paio di volte.

Non era sicura che ci fosse qualcuno in casa… o peggio, che Verònique fosse sola.

Come avrebbe reagito se avesse aperto… quell’uomo? No, meglio non pensarci…

 

Trattenne il fiato mentre la porta cigolava…

Fu Julienne Giry ad aprirle,e parve stupita di vederla lì, anche se dissimulò la meraviglia con un caldo sorriso, ed un abbraccio prolungato.

Alle sue spalle, dalla porta del salottino, spuntò la testa bionda di Vittoria.

 

Christine gettò una rapida occhiata all’appartamento, mentre si slacciava il mantello.

Era molto diverso dall’ultima volta che era stata lì.

Era..semivuoto.

 

Era scomparso dall’ingresso il caldo tappeto dalle tonalità rossastre ed orientali, così come i quadretti di ceramica appesi alle pareti, e il grosso vaso panciuto di ottone dorato che fungeva da portaombrelli.

Chissà come le sarebbero apparse le altre stanze..

 

Come temeva. Ogni cosa,svanita o impacchettata.

 

Vittoria, seguendo la meraviglia nei suoi occhi, tentò di spiegarle.

“Sai,Verò ha regalato ad un ricovero tutti i suoi mobili, non avrebbe avuto senso trasportarli per così tante miglia..e poi non sarebbero stati adatti alla nuova casa, e quindi…”

 

Julienne le lanciò un’occhiataccia fulminante, e Vittoria arrossì immediatamente.

Era evidente che avesse appena commesso una gaffe.

Verònique non le aveva raccontato ancora nulla.

 

“Non preoccupatevi per me, davvero! Immaginavo che sarebbe accaduto…solo, non così presto.

Christine fece il possibile perché il suo tono apparisse davvero neutro,e non venato dall’angoscia che si portava dentro come un macigno. Un groppo le serrava dolorosamente la gola.

 

Julienne annuì,comprensiva.

“Vedi Christine,sono certa che te ne avrebbe parlato anche prima, ma forse temeva la tua reazione… ti è così affezionata, non sopporta l’idea di infliggervi.. di infliggerti questo dolore.

Ma crede anche di avere delle responsabilità nei confronti del suo passato.

 

Si sedettero tutte e tre in terra, in cerchio, a gambe incrociate,accanto al camino acceso.

Le ultime fiamme si agitavano nel focolare, illuminando la stanza con luci e ombre.

Sembravano un gruppo di ragazzine al campeggio, perfino Julienne aveva perso la sua aria inflessibile e composta,per ritornare bambina.

Si era disfatta il severo chignon,e i capelli le ricadevano sulle spalle,morbidamente arruffati.

Vittoria, distrattamente, si mise ad acconciarglieli con le dita.

 

“Io proprio non la capisco,Verò” borbottò Vittoria a mezza voce.

“Va bene volerlo rivedere, va bene essere felice per lui, il fatto che si sia salvato ha davvero del miracoloso. Ma sono passati due anni santo Cielo! Quell’uomo ha avuto un’amnesia,potrebbe essere diventato pazzo. Si sentono moltissimi casi di questo tipo,leggete i giornali! E poi, vogliamo parlare della sua famiglia? Quelli la vedevano male due anni fa,pensate un po’ ora… è troppo plebea per la loro grande casata!”

Era veramente indignata.

 

Julienne e Christine si scambiarono un’occhiata.

Vittoria non aveva mai subito la perdita di un caro,non poteva capire come loro l’angoscia di Verò, la sensazione di poter aggiustare ciò che in passato si è ritenuto essere rotto per sempre.

Una sensazione che le avrebbe fatto superare anche i maltrattamenti degli Abbott.

 

“Vedi Vittoria.. Verònique ha diritto di agire come meglio crede della sua vita. Robert e lei si amavano,sognavano una vita insieme, dei figli. Ora ha la possibilità di avere tutto questo. Perché dovrebbe negarsela? Per poi pentirsi amaramente un domani?”

 

L’intervento di Christine stupì entrambe le donne.

La bambina comprendeva evidentemente le cose meglio di molti adulti.

Meglio di me sicuramente, pensò Vittoria.

 

Vittoria si alzò e tornò dal cucinino con una scatola di biscotti, già aperta.

Rimasero accanto al fuoco a sgranocchiare dolcetti e a tormentarsi nervosamente i capelli, in attesa del ritorno di Verònique, fino a cadere preda di un sonno leggero.

 

Quando la ragazza rientrò,trovò le sue amiche in quella intima,familiare posizione.

Provò una stretta al cuore all’idea di doverle lasciare. Tutte e tre…

Per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

Verònique era ritornata immediatamente a Parigi, affidando Raoul alle cure della governante e degli altri domestici della villa, e si era precipitata all’albergo dove si trovava la famiglia Abbott.

Un albergo da ricchi, come è ovvio: la sua era una famiglia importante e facoltosa.

 

Era stata guardata con disapprovazione dal concierge: in un albergo tanto elegante, doveva sembrare decisamente fuori posto. Indossava un vestitino di cotone scolorito, aveva i capelli ravviati alla meglio, gli occhi gonfi di pianto. Doveva sembrare una pazza….e si sentiva come se lo fosse stata davvero.

 

Quando il cameriere, sempre guardandola con curiosità, l’aveva scortata al piano giusto, il suo cuore era in stato di choc.

Chissà come sarebbero andate le cose.. l’avrebbe riconosciuta?cosa si sarebbero detti?

Ed ecco,la porta era aperta davanti a lei.

Bastava qualche passo…

 

E poi lo vide. Robert…

 

Seduto su una poltroncina accanto al letto, vestito elegantemente come suo solito, ma più magro, i lineamenti affilati, i capelli più corti e chiari dell’ultima volta in cui si erano visti.

Le spalle non erano più larghe e possenti,ma scarne e fragili: una lunga cicatrice,sottile e rossa come una ferita di lama gli attraversava la fronte.

 

Ma gli occhi erano i suoi,non c’era dubbio. Azzurri,limpidi. E con quella luce particolare,intensa… poche persone avevano occhi simili.

Fra tutte le persone che conosceva, soltanto lui e Gustave.

 

Scacciò dalla mente l’idea di Gustave,e si concentrò, con gli occhi velati, sull’uomo che ora le sorrideva, ed era balzato in piedi,correndo quasi verso di lei.

 

Ecco,la stringeva forte a sé.

Parlava,parlava,parlava…ma Verò non sentiva nulla, solo il suadente tono della sua voce,Dio quanto le era mancata! Sapeva rimescolarla dentro,quella voce…

 

Le sue labbra percorrevano ogni centimetro del suo viso, come la mani di un cieco gli suggerivano i suoi lineamenti. I baci di un bambino, glielo aveva sempre detto,prendendolo in giro..

 

Una mano le stava accarezzando i capelli, ravviandoli piano dietro l’orecchio…lo aveva sempre fatto. Un gesto intimo e protettivo,che la faceva sentire amata.

 

Forse Robert non ricordava ancora coscientemente ogni dettaglio della loro storia, ma il suo corpo sì, inequivocabilmente. Ciò che aveva passato,patito, non aveva cambiato i suoi sentimenti.

 

Verònique si abbandonò completamente a quelle sensazioni.

Cancellò due anni della sua vita, cascate di lacrime e di rabbia, di delusione e sconfitta.

Si sentiva a casa.

 

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Capitolo 22
*** 21 ***


Avevano parlato moltissimo, praticamente per tutta la notte,seduti sul divano

CAPITOLO 21

 

 

Avevano parlato moltissimo, praticamente per tutta la notte,seduti sul divano, abbracciati in una morsa che consentiva loro a malapena di respirare.

 

Verònique aveva appoggiato la testa sul suo cuore,ed ascoltare quel battito l’aveva fatta tornare alla realtà. Non stava sognando quell’incontro,come era accaduto tante volte in quei due anni.

Lo stava vivendo davvero.

 

Robert,senza smettere di stringerla a sé, le aveva raccontato dettagliatamente tutto ciò che ricordava di quei due anni, il lungo calvario della riabilitazione fisica e quello più massacrante del recupero della memoria. Era profondamente grato e riconoscente ai medici che gli avevano prestato soccorso in Francia, subito dopo il naufragio, ma ora i suoi familiari avevano ingaggiato i migliori psichiatri e medici d’Inghilterra per curarlo.

Quel suo breve viaggio in Francia era votato solo al ritrovarla,e al riportarla con sé a casa.

 

Con molto tatto e svariati giri di parole, le domandò cosa fosse stato di lei in quei mesi.

Se si fosse sposata, se avesse costruito una sua famiglia.

 

Verònique rispose a monosillabi,senza raccontargli tutto.

Aveva visto l’ansia negli occhi di Robert, la paura di perderla di nuovo,definitivamente..

Lo aveva visto tornare a sorridere quando aveva raccontato di essere sempre nubile..

 

In breve, Robert le aveva sommessamente domandato se desiderava ancora sposarlo e dividere la sua vita con lui. Lei aveva risposto di sì, quasi meccanicamente, senza farsi domande, e senza attendere risposte.

 

Ovviamente, si sarebbero sposati e stabiliti in Inghilterra.

Robert desiderava vivere vicino alla sua famiglia, che gli era tanto mancata.

Gli Abbot com’è ovvio non erano entusiasti all’idea di quel matrimonio con una semplice ballerina, ma erano così sollevati dall’averlo ritrovato vivo che si sarebbero piegati a questo suo “capriccio”senza sollevare evidenti obiezioni.

 

E così, nello spazio di una notte Verònique non aveva solo detto addio agli ultimi due anni, ma a tutta la sua vita precedente.

Avrebbe lasciato tutto, perfino la sua patria.

L’amore poteva tanto…e lei amava davvero Robert.

 

Se non per amore,per quale altro motivo sarebbe stata disposta a rivoluzionare la sua intera esistenza,a lasciare tutte le persone care?

 

Smise di porsi quella domanda,e si preparò al suo destino.

Alla vita che aveva scelto di vivere.

 

 

 

Mentre Verònique, in punta di piedi, cercava di uscire dalla stanza, Julienne si riscosse da quello strano torpore che l’aveva vinta, ed aprì gli occhi.

Vide Verò sull’uscio,e piano piano,senza risvegliare né Christine né Vittoria,la raggiunse.

 

“Come mai sei tornata così tardi?” la rimproverò “ti aspettavamo almeno due ore fa…avrei dovuto mandare a casa Christine, sicuramente madame Valerius sarà preoccupata. Accompagnami,vado solo ad avvisarla che la piccola si è addormentata, e che stanotte si ferma da noi.”

 

Verònique annuì mentre Julienne si avvolgeva nel mantello.

Le due donne scesero le scale semibuie in silenzio, ma quando furono all’aperto Julienne vide il viso pallido ed angosciato dell’amica, e le rivolse uno sguardo al contempo interrogativo e preoccupato.

 

Verònique si schermì con un cenno della mano.

“Non mi guardare così…sono soltanto un po’stanca. E poi ..non ho molta voglia di parlare con Gustave, credo tu possa capirmi..”

 

Julienne scrollò le spalle, in un movimento fluido.

“Allora non sai proprio nulla? Gustave è partito, appena ritornato dal mare. A casa c’è soltanto Madame Valerius. Credo che neppure lui avesse molta voglia di parlare con te.”

 

La sincera brutalità di quell’affermazione innervosì oltremodo Verònique.

“Insomma,sono stanca di questa storia! perchè vi sentite tutti in dovere di farmi la predica? Nessuno di voi cerca di capirmi, siete capaci soltanto a giudicare!”

 

Julienne non le rispose neppure, come se nemmeno l’avesse udita.

Salì rapida fino alla porta di casa Daae , lasciandosi volutamente alle spalle l’amica, e bussò discretamente all’uscio. Quando la porta si aprì, confabulò velocemente e a bassa voce con madame Valerius. L’anziana donna non vide neppure Verò, ferma sulle scale: forse Julienne non le permise di aprire completamente la porta proprio a quello scopo.

 

Mentre ridiscendeva quei pochi gradini, Julienne la guardò negli occhi con grande severità.

“Non mi sono mai permessa di giudicarti,perché non posso assolutamente mettermi nei tuoi panni. Ho stretto e cullato il corpo esanime di mio marito fra le braccia, e quindi sono assolutamente sicura che purtroppo non tornerà più a casa da Marguerite e da me. Ma so che nessun ostacolo potrebbe fermarmi o trattenermi, se sapessi che lui è ancora vivo. Perciò, se vuoi sfogare i tuoi dispiaceri cercati qualcuno che non abbia sofferto quanto me.

 

Verò le afferrò una mano, il viso pervaso di rimorso.

“Mi dispiace Julls! Scusami.. non intendevo prendermela con te.” Abbassò lo sguardo, torcendosi nervosamente le mani. “Forse stavo solo cercando di prendermela con me stessa.

 

Una volta fatto ritorno a casa, Verònique  si sedette in un canto della cucina, e Julienne le si accoccolò accanto.

Sapevano entrambe che quello sarebbe stato probabilmente l’ultimo colloquio privato, l’ultima occasione per loro di sentirsi davvero vicine.

 

E c’era soltanto una cosa che Verò desiderava raccomandare all’amica.

“Quando sarò partita Julls…abbi cura di Christine. Mi mancherà moltissimo. E..” esitò per un attimo. “Abbi cura anche di Gustave, quando farà ritorno. Sono stata poco sensibile con lui…e Dio sa che non se lo merita.

 

 

 

Christine guardò la carrozza allontanarsi. Ancora una volta, le sembrava di aver vissuto una situazione irreale.

 

Verònique è partita,non tornerà più,non la vedrò mai più…

Non poteva fare a meno di pensarci, ossessivamente

 

Aveva conosciuto il famoso Robert Abbott,quella mattina, ed era rimasta incredibilmente colpita dalla strana somiglianza con suo padre.

 

Ma ciò che veramente l’aveva conquistata in quell’uomo era stato il modo innamorato con cui lui guardava la sua amica Verò. Come se non ci fosse stato nient’altro al mondo, nella sua vita, nel suo futuro. Uno sguardo totalizzante.

 

D’improvvisò, realizzò che era lo stesso identico sguardo che suo padre rivolgeva a sua madre, quando era ancora in vita.

Uno sguardo che non aveva mai visto fra Gustave e Verònique.

Forse perché il loro amore era stato troncato sul nascere, e non aveva avuto il tempo necessario per divenire così totale e profondo…

 

Ora non era più risentita con Verònique, neppure per quel suo repentino abbandono.

Sapeva di non avere alcun diritto su di lei, e che se veramente le era affezionata non doveva sciupare la sua gioia, il suo futuro con recriminazioni e lacrime.

 

Così quella mattina si era presentata puntuale davanti alla casa di Verònique, ed era rimasta sorridente accanto a Julienne, mentre la povera Vittoria,molto più sentimentale e meno controllata, piangeva tutte le sue lacrime.

 

Verònique e Robert avevano promesso loro di tornare in visita quanto prima, anzi probabilmente subito dopo il matrimonio… ma erano tutti pienamente consapevoli di questa bugia.

 

Verònique aveva le lacrime agli occhi,nel salutare Christine.

Le aveva lasciato, in una scatola, le sue prime scarpette da ballo: una specie di portafortuna, di augurio per il futuro, visto che era a conoscenza del sogno di Christine di entrare nel corpo di ballo dell’Opera Populaire.

La bambina non poteva immaginarselo,ma Verònique, grazie all’interessamento di Julienne, aveva già segnalato la sua allieva all’impresario del teatro, monsieur Lefevre.

 

Verònique era già pronta a partire, ma guardando negli occhi la piccola d’impulso l’aveva abbracciata, stringendola forte a sé. Erano rimaste a lungo così, e Christine aveva letto una strana curiosità sul viso di Robert.

 

Probabilmente l’uomo non aveva la più pallida idea di chi fosse quella strana bambina, segno che Verò non gli aveva parlato di lei …e di Gustave.

Perché non lo aveva fatto? Dopo tutto,se non era stata altro che un’infatuazione passeggera…

 

I due fidanzati erano infine risaliti in carrozza,ed erano partiti.

Si sarebbero sposati appena arrivati in Inghilterra: Christine provò una fitta di invidia.

 

Che strano,non ci aveva mai pensato:però in quel momento si immaginò adulta, libera, al fianco di qualcuno che l’amava pazzamente e che si sarebbe preso per sempre cura di lei…

 

,un giorno tutti i suoi sogni si sarebbero realizzati,ne era sicura.

Un giorno non troppo lontano…

 

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