Tutto cominciò da quella bolla cadente...

di Val2910
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il peso di una scelta (Prologo) ***
Capitolo 2: *** Incontri inaspettati (e inattesi compromesi) ***
Capitolo 3: *** Conoscersi: una gran bella idea ***
Capitolo 4: *** Un passo avanti ***
Capitolo 5: *** Colpo grosso alla base della Marina Militare ***
Capitolo 6: *** La parte di Nami e la falla nel piano ***
Capitolo 7: *** Le memorie del pirata di fuoco ***
Capitolo 8: *** Ultimi ricordi prima della partenza ***
Capitolo 9: *** Rovistando fra le vecchie cose... ***
Capitolo 10: *** Storia di un vecchio, triste, strano oste. Punto. ***
Capitolo 11: *** Perchè fra compagni ci si aiuta, no? ***
Capitolo 12: *** L'inizio di un nuovo viaggo! ***
Capitolo 13: *** Pizze e altre varianti ***
Capitolo 14: *** Separati ***
Capitolo 15: *** Sviluppi in vista ***
Capitolo 16: *** Nuovi (poveri ed ingenui) compagni ***



Capitolo 1
*** Il peso di una scelta (Prologo) ***


A.S.= Come sapete, i "post scriptum" vanno scritti alla fine di qualcosa, propio perchè significano "scritto dopo". Allora io, volendo scrivere qualcosa prima e fare un smacco a chiunque abbia inventato la cosa del post scriptum, ho utilizzato le mie doti di classicista (ma quali doti: non so una parola di latino! T.T) per scrivere un "Ante Scriptum", ossia uno "scritto prima" :D (ok, ora so che sono andata -.-)
Questa storia avrà momenti dove cercherò di essere seria e momenti dove farò ridere (a meno che le mie battute non facciano così schifo da farmi fare brutte figure), proprio la prima parte di questo capitolo è seria, invece la seconda dovrebbe fare ridere (e ripeto: dovrebbe).
Perchè ve lo sto dicendo?
Perchè vi devo proprio avvisare del fatto che certe venature demenziali e prive di ogni logica sono fonte di una mente instabile e potenzialmente pericolosa.
La mia.
Detto ciò, spero che questo come avviso possa bastare e vi auguro una buona lettura ^^

 

Il peso di una scelta

 

Non c’è mai stata una notte dove un pirata di Barbabianca fosse così agitato per un suo compagno, ma quella occasione era pressoché giustificabile. Le strade erano ormai deserte, completamente vuote e buie.
I due uomini passeggiavano sotto i flebili raggi della luna, a passo svelto. Era da un po’ che andavano avanti e indietro: uno doveva partire, e caricava su un’imbarcazione la roba che gli sarebbe servita per il suo viaggio. L’altro lo seguiva, ma soltanto fargli cambiare idea.
Il moro salì su un peschereccio ormeggiato lì vicino e iniziò a posare tutto quello che teneva caricato sulle spalle nelle casse robuste di legno. Il biondo gli si avvicinò ancora di più: -Perché non ne vuoi proprio sapere di cambiare idea?-
-Sta' zitto, Marco-
-Sul serio! Non mi hai dato retta dal primo momento che ti ho detto che la tua è una cretinata assurda! E tu, ancora, non provi a sentire le mie ragioni!-
Il moro incrociò le braccia: -E quali sarebbero le tue ragioni?-
Il comandante della prima flotta aprì la bocca per rispondere, ma da essa uscì solo un silenzio poco convinto. -Dammi un attimo: ci devo ancora pensare...-
Il ventenne alzò gli occhi al cielo e tornò alla sua occupazione.
Marco si girò verso Vista e Jaws, lanciando un sguardo come per dire “Datemi una mano, per l’amor del cielo!”.
Entrambi rimasero muti, con le schiene appoggiate sul muro di pietra fredda, i loro volti lasciavano trasparire una sensazione di rassegnazione che avrebbe fatto rinunciare la propria causa a chiunque l’avesse vista. Il comandante della prima flotta era l’unico a essere immune da quello sguardo, e pareva non voler cambiare opinione. Anche se non riusciva comunque a fare un granché.
-Dovresti provare a metterti nei panni di lui!-
A quel richiamo il moro si voltò verso Marco.
-In fondo... anche tu ti sei preoccupato quando ha rischiato di morire, no?-
-Marco, è diverso...-
-Cosa ci sarebbe di diverso esattamente?-
Il ventenne prese un profondo respiro, cominciando a far passare milioni di pensieri attorno ad un'unica persona.
-Tanto per incominciare, è troppo piccolo...-
-Anche tu sei stato piccolo!- replicò il biondo –Ma nessuno ti ha mai fatto qualcosa di simile!-
-E poi è ancora troppo debole!-
-Valeva lo stesso per te!-
-Si, ma io avevo un Rogia!-
-E lui aveva un Paramisha. Io dico che se lo farai davvero diventeresti un tantino... come dire? Crudele!-
Il moro gli lanciò un’occhiata gelida da lasciar sentire, a chi ricambiasse lo sguardo, dei gelidi cubetti di ghiaccio scivolare lungo la schiena. Il comandante della prima flotta, ancora una volta, si rivelò esserne immune.
-E credo che anche Satch e il babbo l’avrebbero pensata come me-
Jaws e Vista, rimasti impassibili per tutto il corso della discussione dei due pirati, diedero i primi segni di vita sgranando gli occhi, impallidendosi in viso.
Il ventenne s’irrigidì, lasciando cadere le cose che teneva in mano dentro la cassa. Dopo aver ripreso coscienza guardò torvo il compagno. Non aveva ancora cambiato idea. Segno che teneva a convincerlo.
Peccato che i suoi sforzi sarebbero stati vani.
-Senti...- continuò il biondo -... siccome sono tuo amico, se sei proprio deciso, la smetterò di cercare di farti cambiare idea. Ma proprio per lo stesso motivo vorrei che ci pensassi su per un altro po’-
Il moro posò gli occhi sull’interlocutore, prendendo quasi in considerazione quella proposta. In fondo anche lui non era troppo convinto.
-Sto per salpare, credo che tu debba scendere-
Quelle parole gli uscirono dalla bocca senza che lo volesse, strappando tutte le possibilità di tornare indietro.
Marco scese dal peschereccio. Era l’ultimo che non si era ancora rassegnato, e se aveva ceduto significava che non c’era davvero più niente da fare.
L’uomo partì. Albeggiava.
-Mi domando, se sai cosa stai facendo … - si chiese il biondo, mentre guardava l’imbarcazione allontanarsi sulla linea dell’orizzonte.
-... Ace-



Passati due anni dopo il messaggio di Rufy ai suoi compagni riguardo al loro incontro, tutti incominciano a partire verso l’Arcipelago Shabaody. Ma per ora prenderemo in considerazione solo uno si questi.
Le colline si lasciavano accarezzare dalla brezza mattutina, accompagnata dai raggi del sole che le cullavano con caldo tepore.
La rossa era distesa sull’erba, con una gamba leggermente flessa e l’altra stesa, una mano sull’addome e l’altra messa a mo’ di cuscino dietro la nuca.
Era pronta per uscire. Si era allenata, sicura di poter sconfiggere qualsiasi ostacolo le si fosse posto davanti.
Chissà se i suoi compagni di viaggio si sarebbero accorti che, per la prima volta, si era lasciata crescere i capelli.
Per quanto si sentisse pronta, aveva sempre quel pensiero che le vagava per la testa.
Aveva preparato un piano per l’occasione.
Scappare da Watheria non sarebbe stato facile, specialmente sapendo che la scienza dell’isola doveva rimanere un segreto al resto del mondo.
L’unico modo per raggiungere i suoi amici, quindi, era l’evasione.
Non ci voleva molto: bastava prendere uno di quei veicoli-bolla attentamente fabbricati, e poi poteva andare.
Ma aveva bisogno di un complice, e non aveva nessuno a cui chiedere un favore simile, tranne a lui.
Nami si mise in piedi e cominciò ad avanzare mogia verso la casa del vecchio nonnino pazzo.
Sapeva di non avere speranze, chiedendogli un favore simile. Dopotutto l’aveva ospitata e sopportata duramente per due anni a malavoglia, per quale motivo avrebbe dovuto aiutarla?
Prese un sospiro e continuò la sua camminata verso il patibolo d’esecuzione.
 
Il vecchio aprì di colpo la porta della sua abitazione, ma le ginocchia vecchie (e molto probabilmente ammuffite) non ressero la sua velocità, facendolo cadere a terra. Dopo aver staccato la faccia dal pavimento come una ventosa attaccata al vetro, si mise in piedi per raggiungere la ragazza più avara e combinaguai che avesse mai conosciuto. Cominciò a scrutare in lontananza, finchè il suo sguardo non cadde sull’unica figura femminile presente, che si dirigeva giù di corda verso di lui.
-Fermaaaaaa... -
 L’uomo si mise a correre, finché non fece un quadruplo salto mortale, accompagnato da una doppia piroetta a destra con un'inclinazione di 33 gradi e 22 primi, da fare invidia ai trapezisti del circo, cadendo una seconda volta a terra.
La ventenne alzò gli occhi al cielo, per poi avvicinarsi: non riusciva a credere che la vecchiaia potesse fare certi effetti.
–Te l’avevo detto che con l’arteriosclerosi non potevi correre!- aggiunse ironicamente.
Lo scienziato si lasciò aiutare a rimettere in piedi dalla ragazza. Poi scostò il terriccio che aveva sporcato la lunga toga azzurra. Mantenne il fiatone pesante lungo tutto il discorso: -Anf, lo so ormai, anf, anf, che hai deciso di andare…-
La ragazza sospirò, poi rispose bruscamente a quell’affermazione: - E che pensi di fare? Di fermarmi? Che t’immaginavi? Che sarei rimasta qui per sempre?-
-Affatto, ... ma buona fortuna!-
Il vecchio fece un sorriso.
La ragazza, invece, lo guardò storto: che quell’individuo era strano già lo sapeva, ma non si poteva nemmeno immaginare che potesse arrivare a tanto.
-... e mi raccomando di stare attenta al nuovo mondo: ci sono dei tipi davvero forti!- continuò lui.
-Grazie, ma... perché?-
-L’ho detto: perché sono molto forti! E non esiteranno a fare del male a una ragazza... -
-No, non dicevo questo, perché mi auguri BUONA FORTUNA? Te ne sono grata, ma...-
Lo scienziato sorrise, e questo bastò a fermare il discorso della navigatrice.
- Allordunque, ci sono alcune cose che vorrei dirti:
1: Tu puoi capire BENISSIMO che io ti abbia aiutato, considerando che ero sotto minaccia di morte da parte tua, e che, con tutto il rispetto per vostra signoria, imitate benissimo la faccia della strega malefica... -
-2: Ho sentito il tuo discorso, quello che hai fatto sul tuo capitano, il giorno che sei arrivata qua, e che lo volevi aiutare. Ti sei persino messa a piangere per lui! E se occupa uno spazio nelle tue lacrime, certamente occupa anche uno spazio nel tuo cuore.
Voglio che se sei così convita a seguirlo lo insegua ad ogni costo, persino in capo il mondo, e che non te ne penta mai, proprio perché è una scelta di quelle che non vanno mai cambiate! Non fare come me che sono rimasto a poltrire su quest’isola-ammuffita-volante! Credimi se ti dico che ben più di una volta mi sono pentito della mia valutazione! Vai, e vivi la tua avventura, con i tuoi amici-
La ragazza rimase commossa. Infondo, doveva ammettere che quel tipo se la cavava con gli addii.
-Gra... grazie!-
- 3: ... - Continuò il vecchio -Ti auguro buona fortuna, perché voglio proprio vedere come farai a scappare dall’isola senza il consenso dei  maghi più potenti. Questo è tutto... -
La ragazza rimase con la bocca spalancata immobile. Dopo qualche secondo di paralisi, incominciò a voltarsi lentamente verso di lui. Quando fu abbastanza vicino, la ragazza chinò cautamente la testa verso il vecchio. Infine gli chiese con un tono più garbato possibile:
-IDIOTA DI UN MAGO MERLINO DEI MIEI STIVALI!!! STAI DICENDO CHE FRA MENO DI QUALCHE ORA LI AVRO’ ALLE CALCAGNA?-
-Solo... meno... di qualche... ora? Mi aspettavo una previsione più accurata da te, ragazzina- aggiunse il vecchio, sistemandosi sul viso paffuto gli occhialini rotondi.
-Ma che...? - Questo fu tutto ciò che riuscì a dire Nami, prima di sentire dei suoni: pareva una mandria, ma la ragazza escluse subito questa ipotesi. Non c’erano pascoli sull’isola.
Finché non collegò gli eventi: subito si prese il vecchino sottobraccio, come se fosse un libro. Un libro molto vecchio. Iniziò a correre cercando di raggiungere la prima bolla che trovava. Sempre se ne trovava una.
-TU MI HAI DISTRATTA PER DARE IL TEMPO A LORO DI CATTURARMI??-
-Ma sono stati piuttosto PERSUASIVI! Mi hanno minacciato! Stavo rischiando troppo!-
-Ah, si? E che ti hanno detto?- domandò sbigottita la rossa.
-Egregio compagno, potresti cortesemente trattenere quella signorina per un breve lasso di tempo?-
-E QUESTO SAREBBE PERSUASIVO!?!?-
Una volta trovato il mezzo di trasporto che cercava butto lì il vecchietto, che, come risposta, si mise a rotolare sull’erba come un figlio dei fiori. Non appena fu abbastanza vicina alla bolla trasparente si buttò energicamente sopra di essa, riuscendo ad attraversare la parete bolla: a primo impatto flessibile, ma dura. Da lì azionò quello che sarebbe stato il motore, le bastò abbassare un leva e il veicolo cominciò a partire velocemente.
Nami lo direzionò verso l’uscita: quando aveva organizzato il piano aveva calcolato che la distanza, una volta preso la bolla, non sarebbe stata molto grande.
Eppure, perché ora che doveva scappare le sembrava così lontana?
La ragazza correva velocemente nell’aria a bordo della sfera trasparente, ma per sua grande sfortuna non era l’unica ad avere quell’insolito mezzo di trasporto.
–Prendiamola!- gridarono gli inseguitori.
“Ma, fra tutte quelle isole volanti che ci sono, proprio da quella abitata dai vecchietti arzilli dovevo scappare?” pensò la navigatrice.
Più i secondi passavano,
 Più il veicolo sembrava lento...
Più i vecchietti sembravano veloci...
Più l’idea di uscire si stava allontanando...
Un anziano piuttosto agile puntò il suo bastone da passeggio verso l’alto, e solo a quel puntò gridò: -LIGHNING!-  
Immediatamente, la bolla contenente la ragazza divenne bersaglio di numerosi fulmini. La giovane aguzzò la vista: ancora due - tre metri e sarebbe stata fuori.  Improvvisamente la sfera fu scossa, quasi costrinse Nami ad uscirne fuori. I vecchi continuarono a correre, ma ormai, la donna, era fuori dall’Isola .

Vediamo un po': questo, come avrete capito, non è altro che il "prologo" della mia storia. Mi dispiace che la prima parte sia stata un tantino noiosa e spero che almeno la fuga di Nami vi sia sembrata un po' più interessante. Spero che siate riuscito a leggerlo fino in fondo, più precisamente a questa annotazione. So che è un po' presto ma vorrei sapere le vostre prime impressioni...

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Capitolo 2
*** Incontri inaspettati (e inattesi compromesi) ***


Attenzione: questo capitolo non è l'originale, ma è stato modificato per alcuni particolari (tipo personaggi OOC o tecniche di scrittura inadeguate). Per chi già sta seguendo la storia può stare tranquillo: il "succo" è sempre quello.


Su un punto imprecisato della GrandLine

Era in grossi guai.
E a peggiorare la situazione, stava volando sul mare.

“Come volano le bolle di Watheria?”
“Le bolle di Watheria, a differenza di quelle di Sabaody, volano con un gas speciale: inodore, incolore, senza effetti sugli esseri viventi ma leggero come l’elio, che si solidifica sulle pareti della bolla e la rende resistente, facendola sollevare” aveva detto il vecchietto.

E, visto che per la nostra navigatrice questo sarà un racconto pieno di guai, possiamo cominciare dicendo che fra tutti i fulmini che i maghi le avevano scagliato durante la fuga uno aveva colpito la bolla di striscio, ma non facendola scoppiare subito. Bensì, creando un piccolo buco che faceva uscire il gas e l’aria lentamente.
E nel mare aperto non c’era nemmeno un pezzettino piccolo piccolo di terraferma dove atterrare.
“Fantastico...” pensò.
Aveva aspettato due anni per diventare più forte. Ma non si era preparata per una cosa del tipo sto-per-cadere-in-mezzo-al-mare-sconfinato.
Sospirò: “Forza, Nami! Sei una ragazza ricca (ovvio), bella (ben più che ovvio), ma soprattutto intelligente! Usa quella bella testolina che ti ritrovi e risolvi la situazione! Sei una navigatrice in gamba, si o no?”.
Cinque minuti dopo, Nami era in lacrime e depressa: “Non ce la farò mai...”.
Dopo aver sfogato alla meglio la sua malinconia, prese fiato e cominciò a guardare la cosa in modo più razionale: “Bene, sto per cadere in mezzo al mare.  Con me ho una bolla che volerà per ancora qualche oretta prima di affondare,un log pose, cartine, e... una mela”.
Prese il frutto e se lo rigirò fra le mani.
“Dubito che una mela mi possa aiutare a navigare per miglia e miglia”.
Cominciò a pensare che sarebbe caduta in mare, che dopo un po’ non sarebbe più riuscita a nuotare e che sarebbe affondata come un sasso. Sempre che l’intervento di un mostro marino non l’avrebbe messa in pericolo prima.
Nel mentre di tutti questi allegri e positivi pensieri, con la cosa dell’occhio percepì un’ombra sull’acqua. Diede un’occhiata per assicurarsi che i mostri marini non fossero venuti prima del dovuto.
Sbarrò gli occhi: “... una barca?”.
Un piccolo peschereccio, per essere più precisi. Ma in quel momento il tipo di imbarcazione era l’ultima cosa che contava.
La navigatrice si sfregò le mani, facendo scorrere nella sua testa milioni di idee su come sfruttare il povero pescatore, dal farsi dare un semplice passaggio a debiti vari.
Iniziò a scendere in picchiata verso la barca, tenendo la mano sulla manopola del freno, pronta per essere azionata al momento opportuno.
Dovevano mancare pochi metri, quando si accorse di colui che stava navigando.
Un fantasma, ecco l’unica soluzione logica.
Rimase paralizzata da quell’individuo, e non poté muovere la mano che doveva azionare i freni...


Su un punto imprecisato della GrandLine. 5 minuti prima.
Il sole picchiava forte quel giorno, ma Ace non sentivo comunque caldo, non con il rogia che aveva.
A detta sua, ad avere più caldo erano i pesci, che non ne volevano proprio sapere di venire vicino alla superficie e abboccare l’esca.
Non che fosse una buona scusa per giustificare la sua totale inesperienza e bravura in fatto di pesca...
... o forse si.
In qualsiasi caso non avrebbe potuto dirlo a nessuno: con lui c’erano solo il peschereccio, il sole, il mare e la brezza.
Ci sarebbero anche i pesci, ma l’idea di parlare con animali acquatici non lo persuadeva più di tanto.
La cosa peggiore, era che lui preferiva vivere lì, da solo.

 -Stupido -
Era quello che pensava di lui Marco. Era quello che pensavano tutti, in realtà.
Aveva appena finito di spiegare la sua decisione. Marco era immobile, pallido, quasi sotto shock. Aveva gli occhi spalancati e puntati su di Ace, quasi inorriditi da quello che era per dire una cosa simile. Era sempre stato un caro amico, lui. E ora, in quello stato, lo faceva  stare male. Era chiaro: anche lui non era contento di ciò che avevo scelto.
-Fammi capire bene:- Provò a dire, con un tremolio di voce - tu vorresti continuare a fingerti morto a tutto il mondo, alle persone che si preoccupano per te, che hanno pianto lacrime amare a mai finire il giorno che Akainu ti conficcò quel dannato pungo e ai tuoi amici,... solo perché credi che tuo fratello possa capire che deve diventare più forte se vuole sopravvivere nel nuovo mondo? – Il capitano della seconda flotta rispose con un tono secco: -Si, più o meno, qualcosa del genere-
-Ma il troppo magma ti è andato alla testa? Ace! Che ti prende?!?-
 
Sollevò la testa: un flashback. Gli capitava spesso da quando aveva iniziato a vivere da solo.
-Lui però soffre sicuramente più di te!-
Questa era la cosa che più lo tormentava: se n’era andato sperando che Rufy imparasse la lezione, diventasse più forte, si scordasse di Ace e tanti saluti.
Ma se avesse avuto per sempre lo stesso peso sulle spalle, come era successo con Pugno di Fuoco riguardo a Sabo?
Scosse la testa.
“No, Rufy non è tipo del genere” sollevò l’amo per vedere se aveva preso qualcosa “Spero”.
Un sibilo.
Si voltò di scatto, ma non vide niente.
Eppure aveva giurato di sentire un sibilo.
Anzi, lo sentiva ancora.
Ma da dove veniva?
Si guardò a destra e a sinistra, ma non c’era nulla.
Allora dal mare...
Ma nemmeno lì niente, e il rumore si faceva sempre più forte, come se si avvicinasse.
In alto?
Ace sollevò la testa, rimanendo basito: una strana palla trasparente, con dentro una “cosa” che gridava in una maniera assordante.
Non ebbe il tempo di rendersi conto della situazione, né di spostarsi, né di abbassarsi, che venne travolto in pieno cadendo in mare.

Qualche secondo dopo
Nami uscì dall’acqua ansimando, afferrò con la mano il bordo della barca e facendo forza sulle braccia gettò il corpo privo di coscienza del ventiduenne a bordo.
Salì sulla barca anche lei, e ne approfittò per guardarlo bene: aveva i capelli corvini medio-lunghi e mossi e un velo di lentiggini che gli coprivano le guancie. Indossava una maglietta nera e dei jeans.
“La somiglianza è incredibile, ma è possibile che si tratti davvero di Ace?” pensò la rossa.
Se davvero voleva una risposta, innanzitutto doveva svegliarlo.
Provò a scuoterlo un po’ per le spalle, ma non ottenne nulla.
«Proviamo con le maniere forti... » disse la navigatrice.
Avvicinò il suo pugno ben stretto all’altezza dell’orecchio tenendo il gomito alto, prese fiato e mandò con tutta la sua forza l’arto in avanti.
Nami rimase sorpresa nel vedere la mano del ragazzo alzarsi di scatto e parare il colpo a pochi centimetri dalla faccia.
Il ventiduenne si sollevò sui gomiti e aprì gli occhi: «Se proprio volevi svegliarmi, potevi anche usare quella cosa chiamata “respirazione bocca a bocca”...»
Nami sbarrò gli occhi: «COSA?! TU HAI FATTO FINTA DI ESSERE SVENUTO, SOLO PERCHE’ VOLEVI CHE TI BACIASSI?!» » iniziò a dare una raffica di colpi, tutti abilmente schivati o parati con gli avambracci dall’uomo.
Il moro le bloccò i polsi con una mano, immobilizzandola: «A dir la verità non ero svenuto, ma addormentato, cosa che capita spesso per chi è narcolettico come il sottoscritto. Secondo: non è un bacio, ma respirazione bocca a bocca!».
A quella risposta la rossa cominciò  dimenarsi, finché non riuscì a liberare i propri polsi.
«Ad ogni modo,» continuò lui «come sei arrivata fin qui, senza una barca?».
Nami si ricordò della bolla e lanciò uno sguardo in acqua. Riuscì a intravederla mentre affondava sempre più in basso, assieme alle sue valige. A quella profondità poteva già darla per irrecuperabile.
“Mi toccherà fare un bel po’ di shopping” constatò.
«Beh,» gli rispose «non ho mai detto di essere arrivata qui con una barca, Ace».
«Come mi hai chiamato?» domandò il pirata, scuotendo la testa.
«Ace. Come Portuguese D. Ace, il tuo nome!»
Il moro assunse un’aria pensierosa: «Mi spiace, ma non mi chiamo Ace. Ma se t’interessa conosco un tizio con quel nome, magari è anche il tuo tipo...».
«Avanti, Ace! Tanto non ci casco!»
«Non so di cosa tu stia parlando»
Nami stavolta non rispose. Che avesse davvero preso un granchio?
In effetti, sembrava poco più alto dell’Ace che aveva conosciuto ad Alabasta (NdA: Il corpo umano raggiunge il suo massimo all’età di 25 anni, quindi non mi sembra strano che Ace possa essere diventato un po’ più  alto, nonostante abbia già vent’anni). E sembrava anche un po’ più muscoloso. E le lentiggini e la narcolessia potevano anche essere una semplice coincidenza.
“C’è solo una cosa che il vero Ace può avere” si disse fra sé e sé la navigatrice.
Anche se, per controllarlo avrebbe dovuto passare dei momenti imbarazzanti.
Poco male.
Gli saltò addosso facendolo cadere per terra, e infilò la mano sotto la sua maglia per provare a togliergliela.
«Hey!» replicò il ventiduenne, fermandola «Va bene che sei una bella ragazza, ma una maniaca sulla mia barca non la voglio!».
Nami, non ascoltandolo, lo girò e lo spogliò definitivamente del capo.
Rimase sorpresa.
Ace con un po’ di forza (ma non troppa) la scansò e si rimise in piedi.
«Me la passi?» chiese Pugno di Fuoco indicando la T-Shirt nera abbandonata sul pavimento del peschereccio, vicino alla ragazza.
La rossa la prese e gliela consegnò senza fiatare.
«Cosa c’è?» domandò lui mentre si rivestiva «è solo una cicatrice, fa così tanta impressione?».
«Non avevo mai visto la cicatrice di una ferita che passa da un lato all’altro di un corpo» mormorò Nami «Volevo solo vedere se avevi il tatuaggio di Barbabianca sulla schiena».
«Allora lo hai visto, anche se la metà si è cancellata» aggiunse lui.
Rimasero qualche secondo in silenzio. A rompere il ghiaccio fu il pirata: «Ma... ci siamo già incontrati?».
La navigatrice alzò la testa: «Davvero non ricordi?»
«No, per niente!»
«Sono Nami»
«Nami? Quale Na-» Ace s’interruppe di colpo. «Nami, “la Gatta Ladra”?»
«Si, esatto!»
«Quella nella ciurma di Rufy?»
«Si! Ora, visto che mi hai anche riconosciuto, che ne dici di darmi un passaggio fino a terra e... che ne so, di prenderci un bel boccale di birra io, te, tuo fratello e tutti gli altri miei nakama?».
 Il pirata rimase muto per un po’, finché un ghigno divertito (e per Nami con un accento di cattiveria) non si posò sulle sue labbra: «Ni!».
Nami scosse la testa «Eh? Che significa?»
«Semplice...» fece lui, mantenendo un sorriso sghembo sul suo volto «... è quella parola che si ottiene mettendo metà “no” e metà “si”, ovvero “Ni”!»
«Ma perché metà “no” e metà “si”? Voglio dire, qualsiasi cosa possa mai significare, perché non dire semplicemente una parola che sia metà “si” e metà “si”?»
«Diciamo pure che in una situazione come questa significa: “Spiacente, ma non posso”»
Nami era stranita: «Come non puoi? Non mi sembra che tu abbia molto da fare qui!»
«Non vedi che sto pescando? E’ una buona occupazione»
La rossa, non troppo convinta, si diresse verso uno scatolone di legno che sembrava un contenitore per le riserve di cibo, e sollevò il coperchio.
La cassa era completamente vuota, fatta eccezione per un pesciolino poco più grande di una sardina.
«La tua non mi sembra una pesca molto produttiva».
Il moro la affiancò e chiuse subito il coperchio. «L’altra cassa, in compenso, è piena» si spiegò.
La navigatrice aprì anche il coperchio dell’altra, prima che Pugno di Fuoco potesse fermarla.
«Ace, è piena di oggetti e cianfrusaglie!»
«Ho detto che era piena, non che era piena di pesce. Non ho mica mentito» disse chiudendo anche il secondo scatolone.
«Mi dici che succede?» chiese lei. «Perché non vuoi andare a terra? Rufy già lo sa che sei vivo? Lo deve assolutamente sapere!»
«Ecco il punto».
«Che?»
Ace distolse lo sguardo per un secondo, respirando profondamente: «Vedrò di spiegartelo come posso: Rufy è convinto di avere sempre la situazione in pugno, di potercela fare per ogni difficoltà che incontrerà, e finora i nemici che ha avuto sono sempre stati alla sua portata. Ma le cose nel Nuovo Mondo stanno per cambiare: deve rendersi conto che se non sta attento al massimo rischia di pagare un prezzo molto alto»
«E tu come vorresti farglielo capire, se nemmeno vuoi scendere a terra?»
«E’ qui il punto: non scenderò a terra. Sono stato il suo primo prezzo alto da pagare, e se non vuole che capiti ancora deve diventare più forte»
«No! » rispose secca «Non puoi non rivederlo, e fargli credere che sei morto! E’ già diventato più forte! Ora puoi dirgli che sei vivo liberamente!».
Ace ridacchiò: «Non penserai che bastino solo due anni di allenamento per diventare forti...»
«Ma fingerti morto sarebbe troppo, troppo...» non le veniva in mente la parola.
«...crudele?» provò il moro.
«Esatto! Sarebbe troppo crudele».
«Per tua informazione, il mondo è crudele con tutti. E la gente che dice il contrario in realtà non fa altro che chiudere gli occhi, perché sono i primi a non sopportarlo».
Il moro smise di parlare: aveva già detto tutto quello che doveva dire.
 Lo aveva provato sulla pelle che significa non avere il lieto fine: se lo sentiva ancora, nella cicatrice sotto il tatuaggio sulla sua spalla, dove quel giorno, sentendo la lama fredda del coltello scivolare giù sotto la pelle, non aveva altra immagine che quella di Arlong che le mandava a pezzi il suo sogno.
«Un patto!»                                                                                                                                                                    
Il pirata alzò lo sguardo.
«Dammi un periodo di tempo. Dici che il mondo è crudele con tutti? Ti dimostrerò il contrario. Ma devi darmi del tempo. Se ci riesco, tu incontri tuo fratello!»
Ace la guardò negli occhi.
Di solito era lui il “fuoco”, ma stranamente riusciva a sentire in quella ragazza una scintilla pronta a diventare un vero e proprio incendio.
«Se riesci a convincermi, io incontro mio fratello. Ma se riesco a non farmi convincere, io che ci guadagno?»
«Ah, ora vuoi anche un premio?»
«Perché no? Mi spetterebbe!»
La rossa ci pensò su, poi prese un foglietto dalla borsa a tracolla.
«Che roba è? Una mappa?» chiese il pirata.
«Non una mappa qualsiasi! Questa contiene quasi tutta la metà del mondo dietro la linea rossa e un pezzo di Nuovo Mondo, utile sia per terra che per mare. E se proprio non ti serve, basta che la vendi al mercato nero e otterrai un mucchio di Berry!»
Ace la fissò per un attimo. Non gli interessavano le cartine, tantomeno quella. Eppure, quella ragazza non aveva altro da dare. L’idea di un patto, nonostante sembrava più una scommessa che un semplice accordo, lo incuriosiva: se davvero lei aveva un fuoco dentro, per raggiungere il suo obiettivo avrebbe fatto scintille. La voleva mettere alla prova.
«E va bene... Una mappa per un viaggio, la destinazione finale però la decido io»
La ragazza inarcò le sopracciglia: «Destinazione... finale?»
«Certo! Un viaggio esige anche una meta, un qualche posto dove andare. Altrimenti il viaggio stesso non avrebbe un senso...» disse l’uomo.
«Ok...» Nami non ci aveva capito molto «... e quale sarebbe questa “destinazione finale”?»
Il moro portò lo sguardo al cielo, poi si voltò verso di lei: stava sorridendo.
«Non te lo dico»
«Ci mancavano solo i misteri...»
«I misteri rendono un’avventura più interessante, no?»
«Prima di cimentarci in questa avventura che dici tu, potrei chiederti un favore?»
Pugno di Fuoco fece le spallucce: «Dimmi tutto!»
«Possiamo pescare qualcosa per la cena?» poi Nami si ricordò del pesciolino in fondo alla cassa «Qualcosa di possibilmente decente!».
Si sentì il rumore di qualcosa che affondava, ed Ace e Nami spostarono lo sguardo sull’amo che era appena sceso sotto il livello dell’acqua.
Ace ritirò subito la lenza facendo uscire fuori dall’acqua una grossa trota.
“Che colpo di fortuna!” pensò la navigatrice.
«Visto?» chiese Ace «Non sono mica messo così mal-...».
Ace cadde di lato, lasciando la lenza e facendo scappare il pesce.
L’ennesimo attacco di narcolessia era arrivato nel momento meno opportuno.
Nami sospirò: «Ne avremo di strada da fare...» guardò il corpo del pirata rimasto per terra «Mi toccherà svegliarlo» detto questo, schioccò le nocche delle mani e si preparò a svegliarlo come faceva a volte con il fratello minore di Ace.
E stavolta, lui non avrebbe avuto modo di pararsi...

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Capitolo 3
*** Conoscersi: una gran bella idea ***


Ne approfitto per ringraziare

Itacina
per averla messa fra le preferite,

Akemichan

MBCharcoal,
per avere recensito,

leonedifuoco
MBCharcoal
NamiFolle
sihu
stellinatvb

Per aver messo questa storia fra le seguite,
E vorrei ringraziare anche tutti quelli che danno anche una semplice occhiata ai capitoli nuovi,
Non mi rimane altro che augurarvi a tutti buona lettura!



Conoscersi: una gran bella idea


“Come diamine ci sono finita in questa situazione?”
Sulla balaustra umidiccia e legnosa del peschereccio, Nami e Ace stavano seduti, con i piedi penzolanti nell’acqua fresca e rigenerante, mentre le scarpe giacevano in un angolino remoto della barca. Impugnando le due canne da pesca, aspettavano l’arrivo di quella che poi, con l’aiuto del fuoco di Ace, sarebbe diventata la cena.
Se sarebbe diventata una buona cena?
Considerando le capacità culinarie della coppia, si prospettava per un “no” netto.
Fra i due era calato il silenzio: d’altronde non avevano nulla da dirsi. Si erano incontrati solo una volta, ad Alabasta, e non si erano nemmeno presentati come si deve.
Ace si voltò di scatto, ma la ladra riuscì a spostare lo sguardo appena in tempo, prima che l’uomo potesse notare quelle occhiatacce che mandava di tanto in tanto. Per fortuna non si accorse di nulla.
-Perché mi guardi male?-
Come non detto.
-Continuo a chiedermi come hai fatto a tirare avanti per due anni, con la tua pesca di fallimenti!- rispose seccata la rossa, sollevando l’amo: ancora nulla si era impigliato all’esca che aveva posto.
-Modestie a parte, sono un vero mito in questo! Non trovi?-
-Certo! Tu e le tue grandi avventure da pescatore … - rispose lei portando gli occhi al cielo.
-Ed ecco le avventure del capitano Ace e della sua fida assistente, la "terribile menatrice"! Il perché questo nome? Prova a indovinare... -
-Sei crudele! Mi devi cento Berry. Per danni morali. -. Replicò Nami, portando una mano sul fianco.
-Non ti dico nemmeno cosa mi dovresti tu, per danni fisici... -
-La vuoi piantare? Va bene, ammetto di non essere troppo “delicata”, come ragazza, però ti posso assicurare che sono molto... -
-... tosta- la interruppe.
-Non era quello che volevo dire io!- esclamò indispettita.
-Credimi, sei tosta. Ne sono sicuro perché l’ho provato a mie spese. Ti consiglio di non perdere mai questa particolarità, perché ti servirà, prima o poi-.
La metereologa inclinò la testa: “Ace... mi ha fatto... un complimento?”
-... ma ti chiedo anche di metterla da parte quando sei sul mio peschereccio, dato che diventi abbastanza pericolosa!-
“Ti pareva...” finì Nami, tornando ad osservare l’amo mentre galleggiava sul pelo dell’acqua increspata.
Cadde il silenzio, di nuovo.
-Senti, ...- il giovane indugiò per qualche istante, -hai detto che la pesca l’hai imparata sulla nave di Rufy. Lui come se la cava?-.
“Gli interessa!” pensò la compagna. In teoria, il fatto che si preoccupasse per la sorte di Rufy si sarebbe potuto rivelare utile, una volta capito che il piccolo sarebbe stato molto più felice scoprendo che il fratello maggiore era vivo. -Beh, diciamo che è un pochino più disastroso di te... -
-Cosa intendi con “un pochino”?- chiese il moro, ancor più curioso.
- Una volta eravamo diretti verso Alabasta, si crepava dal caldo e quasi tutta la ciurma aveva fame o sete. Dato che (grazie al tuo carissimo fratellino) erano finite le scorte, l’unica cosa che rimaneva da fare era provare a pescare. Dopo qualche minuto d’inutili fallimenti, il cuoco di bordo si era avvicinato al secchio dei vermi che sarebbero stati usati come esca, e lo trovò vuoto... -
-... quindi?-
-...beh, già si sapeva che Rufy era un gran mangiatore, solo che non ci aspettavamo arrivasse a tanto-
Dopo qualche minuto Ace realizzò cosa intendeva la rossa e rise di gusto.
-Invece, ti è mai capitato qualcosa di strano sulla nave di Barbabianca?- chiese la ventenne, incuriosita. Era da molto tempo che, con la sorellona Robin, non faceva delle chiacchierate (pettegolezzi, nella maggior parte dei casi) sugli altri pirati. In particolar modo era interessata alle notizie che arrivavano dalla leggendaria Mobydick, navigata da uomini che, almeno a detta della sorellona, c’era da sbavarci dietro.
“E fra tutti i tipi da sbavarci dietro, mi è capitato quello ottuso e testardo!” prese nota la rossa.
-Qualcosa di strano... sulla Mobydick? Non mi pare ci sia molto da raccontare... -
Sul viso della giovane si posò un’espressione distaccata: -Ricorda che mi devi cento Berry di danni morali-.
Il ragazzo, a quel convincente richiamo, prese subito a raccontare: -C’era una volta, in un paese molto lontano, una leggendaria nave pirata, che aveva la forma di una balena... -
-La forma... di una balena?-.
-Non chiedere spiegazioni, ti prego, mi sono già fatto da solo abbastanza complessi mentali del perché Barbabianca avesse una nave dalla forma di una balena... Dicevamo, su questa nave si trovavano dei capitani, e le oche starnazzanti delle altre ciurme pirata sbavavano dietro questi tipi. Ma il più figo di tutti in assoluto era il capitano della seconda flotta, ovvero Portuguese D. Ace ...-
Il moro si ritrovò conficcata in testa la canna da pesca di Nami, che continuava a osservare la sua vittima in modo indifferente. Anche se l’uomo presto notò che, in realtà, cercava inutilmente di nascondere un sorrisetto che a momenti si sarebbe trasformato in una fragorosa risata.
-Mi fai finire la storia, almeno?- domandò indolenzito il ventiduenne.
-Speriamo che inizi a diventare interessante... -
-... Portuguese D. Ace, era un tipo coraggioso, spericolato, audace, temerario,...-
-... incosciente.- aggiunse la navigatrice.
-Questa te la lascio passare perché è vero... -
-... irresponsabile.- continuò lei.
-Si, va bene, tornando al racconto... -
-... sconsiderato, pazzo, stupido, idiota, un vero deficiente... - Nami non la finiva più.
-Sfogati, cara, così ti passa l’arrabbiatura... -
La ragazza si arrestò: -Racconta, almeno, qualcosa che sia vagamente realistico!-.
-Viva la sincerità! Dicevamo, l’intrepido (e deficiente, a detta di qualcuno) Ace stava navigando sul mare, quando qualcosa gli cadde dal cielo. Qualcosa di arancione... -
-Era una bella ragazza?- domandò incuriosita la rossa.
-Vediamo... forse il "bella" ci sta, il problema era che dietro quel bel visetto c’era una terribile e pericolosa creatura omicida, che torturava tutti i poveri marinai che trovava sul suo cammino...-
-Ace, ricorda che mi devi i cento Berry-
-Tagliando la parte della creatura omicida e compagnia bella, costei si avvicinò al fighissimo Ace e gli disse: “Ace! Sei troppo bello! Ti amo! Ti prego, resta con me per tutta la vita!”...- imitò con la voce stridula.
La rossa scagliò un pugno contro il capitano, ma questo lo frenò in tempo, bloccandole il polso. Finalmente, la risata di prima poté trovare uno sbocco.
-Sei un idiota!- gridò la ragazza, ormai rossa in viso per le risate.
-E’ un altro di quei bellissimi complimenti di poco fa?-
-No! E’ un insulto! E non è nemmeno il peggiore che riceverai!- i due si misero a ridacchiare, come se fossero ubriachi.
Dopo qualche secondo calò un silenzio tombale.
Le loro sghignazzate non furono interrotte, semplicemente Ace si era addormentato, cadendo all’indietro e sbattendo la schiena contro il pavimento freddo e inumidito del peschereccio. Nami lo fissò per qualche minuto: in un primo momento stava per riafferrare un remo (e non c’è bisogno di pensare molto per capire per quale scopo). Ma la giovane cambiò idea in fretta. Ora che il ragazzo era inerme, scese dalla balaustra e si sedette con calma, avvicinandosi al moro, coricato e statico. Guardandolo bene, la navigatrice poté osservare meglio il suo viso: i tratti non troppo duri, la carnagione né troppo chiara né troppo scura, i capelli neri che cingevano la fronte... per un attimo si sentì di dover ammettere che l’aspetto del suo compagno di bordo non era niente male. Niente male davvero. Si avvicinò cautamente alla testa, poi scese adagio fino a raggiungere l’altezza dell’orecchio, e per terminare:
-Aceeeeeeeeeeeeee! Sveglia! Guarda che chi dorme non piglia pesci!-
Il ragazzo si riprese in un attimo. Un po’ frastornato, certo, ma si era comunque ripreso.
-Sai,...- commentò dopo qualche secondo di confusione –chissà perché, ma continuo a pensare che non resisterò un giorno di più con te a bordo.-
-Chissà perché, ma comincio a pensarlo anch’io!-
-E se ti dicessi la famosa “destinazione finale”?-
Nami spalancò gli occhi: -Vuoi dire che ti sei deciso a spiegarmi dove andiamo?-
-Se ci tieni davvero a saperlo... tu avrai un minimo di scrupoli? Sennò nemmeno ci arrivo VIVO alla destinazione!-
La rossa cadde in preda all’euforia: finalmente il compagno di bordo si sarebbe degnato di darle qualche spiegazione. -Dai! Mica lo dico a nessuno!- si lanciò delle occhiate in giro –Non che ci sia qualcuno a cui dirlo,... ma ANCHE SE CI FOSSE non lo direi comunque!-
E Ace poteva fidarsi di quella cosa arancione, venuta su un disco volante, che l’aveva fatto annegare e che l’aveva anche menato per bene?
La esaminò attentamente.
-Ok, come vuoi! Si tratta della riunione dei pirati di Barbabianca-
-Eh?- inarcò le sopracciglia.
-Mi spiego meglio: siccome il babbo è morto, facciamo una riunione ogni volta che ce ne è bisogno, lì decidiamo alcune cosette e ritorniamo un po’ insieme senza farci notare troppo dalla marina. Sono richiamati tutti i membri dell’ex equipaggio-
Nami lo guardò con aria seria, poi, sorridendo, commentò: - Compresi i morti? –
-Morti? Perché? Io ti sembro morto?-
- Di sicuro su questa barca c’era un mortorio,... - riprese sogghignando.

Ad un tratto non poté fare a meno di assumere un’espressione stupita: il suo breve momento di allegria fu interrotto da un forte tirare proveniente dalla lenza. Quando lo sguardo tornò a posarsi sull’amo, la giovane si accorse che questo era immerso sott’acqua. Segno che qualcosa l’aveva tirato giù.
-Cavolo!! Ho preso un pesce!!(E se hai intenzione di mangiarlo dovrai pagarmi altri 400 Berry. Solo per l’acconto)-
Iniziò a tirare, nel frattempo Ace era esterrefatto:
-CHE COSA?!?!? Fammi capire: è da mesi che sto su questo peschereccio a cercare di prendere un merluzzo, una sardina, una vongola, un’alga,... qualsiasi tipo di essere vivente acquatico e arrivi tu con le tue perle di saggezza sulla mia barca, tiri l’amo e prima che tu possa menarmi quattro o cinque volte già un pesce abbocca?-
Mentre farneticava inutilmente, la povera Nami era indaffarata a cercare di tirare il pesce:
-Cavolo, quant’è pesante!-
-Non è di certo il pesce che è pesante, sei tu a essere un po’ deboluccia...- constatò Ace.
-TU! INFIDO ESSERE, SPUTO DI TERRA, RIMANGIATI QUELLO CHE HAI APPENA DETTO O...-
In quel momento Nami balzò fuori dal peschereccio, tirata dalla lenza. Il moro si gettò su di lei, afferrandola appena in tempo: con un braccio prese al volo la canna di legno per non farla scappare via, e con l’altro cinse per la vita la ragazza, ancora attaccata alla sudetta canna da pesca. Infine puntò il piede contro la balaustra della piccola imbarcazione, facendo forza per tirare la lenza. A quel punto il pesce fece un balzo fuori dall’acqua: il corpo era molto muscoloso, lungo circa 7 metri, caratterizzato dalle pinne grandi e anch’esse apparentemente forti. Sul muso la “spada” si agitava notevolmente, prima di ri-affondare un'altra volta in acqua.
-Ma... ma... è un pesce spada!- Esclamò Nami.
-No! E’ troppo grande!... Questo dev’essere un mostro marin... -
Il pesce tirò violentemente, trascinando con sé l’imbarcazione come se questa fosse spinta da una mandria inferocita. La coppia fece degli sforzi disumani per non cadere dalla chiatta e per trattenere la canna.
-HEY, GENIO DELLA PESCA!! LA PROSSIMA VOLTA SCEGLI PESCI PIU’ PICCOLI DA PRENDERE!- fu l’ultimo commento del capitano.
Nami era totalmente irrigidita.
-MA LASCIARE LA CANNA? NO, EH?- notò lei
-NE ABBIAMO SOLO DUE A BORDO, IDIOTA!!- ribadì il moro.
-NON T’AZZARDARE A DARMI DELL’IDIOTA!-
Il pesce strappò definitivamente la lenza col suo lungo naso (che avrebbe fatto invidia a Pinocchio e al grande capitan Usop messi assieme). Una volta frenati, a prendere il sopravvento sulla barca fu il principio d’inerzia, e i due caddero in acqua. Di nuovo.
(splash!)
Nami portò il futuro cadavere sul peschereccio: -Un giorno di questi, tu ed io moriremo annegati!-
-Molto rassicurante... - fece Ace, mentre si riprendeva.
L’imbarcazione si doveva essere allontanata di qualche kilometro da dove era venuta. La navigatrice, fratornata, si guardò intorno:
-Ace! Guarda!- puntò il dito verso l’alto. Ormai era l’ora del crepuscolo, il sole aveva cambiato il suo vigoroso giallo acceso con un cerchio dal color arancione, e attorno ad esso era variopinto dalle tenui sfumature rosa e gialle. Il cielo non era mai stato così limpido, e non era mai accaduto di poter vedere così chiaramente l’attimo del sole in cui dava il suo ultimo e dolce saluto alla terra, prima di tuffarsi nell’acqua del mare.
-Già... - affermò Ace –E’ un bellissimo tramonto!-
La ragazza si voltò e lo guardò sorpresa: -Ace, io dicevo guarda le nuvole: anche se sembrano davvero poche fra un po’ qui ci sarà un tornado, e per quanto possa trovare interessante il tramonto io me ne andrei via il prima possibile. Quindi: ti dispiacerebbe lasciare da parte le tue smielate e sdolcinate voglie romantiche per darmi una mano?-




'Giorno a tutti! Ecco un nuovo capitolo per voi! Lo so, è praticamente inutile perchè non succede nulla di interessante, ma dovevano pur scambiarsi qualche parola in santa pace, quei due! Per il prossimo partirà la vera storia, giuro! Nel frattempo continuate a seguirmi, recensite,... spero che, almeno, leggere questa fan fiction vi stia piacendo!

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Capitolo 4
*** Un passo avanti ***


Bentornati! Ecco a voi un'altro capitolo dell'incontro Ace-Nami! (cosìStraw X Kisshu la smette di chiedermi quando metto il nuovo cap xD) tornando a noi: ringrazio tutti quelli che hanno recensito,
Chi l’ha messa fra le preferite:
Frandra
Itacina
Straw X Kisshu


Chi l’ha messa fra le ricordate:
Death Knight

E chi l’ha messa fra le seguite:
Daistiny
Kiby
kymyit
leonedifuoco
MBCharcoal
NamiFolle
sihu
stellinatvb


Detto ciò... buona lettura!!


Un passo avanti
Quella serata fu pessima: i due erano riusciti ad allontanarsi dalla tempesta, ma solo fino ad un certo punto. Infatti le vele, che non avevano retto la pressione del vento di burrasca, erano state “squarciate” a metà. E le provviste come frutta o carne, che sarebbero state usate in caso fosse mancato il pesce, erano cadute in acqua. In più i due, sempre durante la tormenta, si erano messi a litigare come dei bambini:
Nami infatti diceva che il compagno avrebbe dovuto dargli retta perché era una navigatrice e una metereologa.
Ace invece diceva che lei doveva ascoltarlo, con la scusa che era abituato ad affrontare situazioni simili su di una barca di piccole dimensioni.
L’episodio finì con due pirati esausti, quasi tutto il contenuto del peschereccio finito in acqua e le vele inutilizzabili. Per concludere in bellezza Ace ebbe un attacco di narcolessia, e Nami, ormai sfinita, lo seguì a ruota nel mondo dei sogni.

La rossa dischiuse lentamente gli occhi: era mattino, il sole spiccava alto nel cielo e faceva molto caldo, ma non era questo quello che importava.
La ragazza provò a muoversi, ma era indolenzita per colpa della scomoda posizione che aveva assunto per dormire: sdraiata per terra, con la testa poggiata sul braccio ripiegato, che a sua volta era poggiato sulla balaustra del peschereccio.
Percorse con lo sguardo intorno a sé, e dopo un breve momento di smarrimento si ricordò di come era finita lì, del peschereccio, della tempesta,... poi, con grande delusione, si ricordò di lui.
Ace era sdraiato sulla barca e di sicuro aveva dormito meglio della ventenne, con un cappello fatto con la paglia che gli copriva il viso dal sole, come per una pennichella durante una vacanza.
Pigrone” fu l’ultimo commento della ragazza, invidiosa del compagno di bordo che, a differenza della giovane, aveva passato una notte tranquilla e indolore.
Ne approfittò per stiracchiarsi, tendendo le braccia verso l’alto e strizzando gli occhi. Una volta aperti quest’ultimi, la giovane rimase sbalordita: all’orizzonte non vi era altro che l’acqua azzurra e cristallina del mare, talmente limpida che, osservando fra le increspature delle onde, si poteva scorgere il fondale di sabbia chiaro come il latte, guarnito da qualche scoglio sommerso e ornato da coralli rosso acceso. Ad attirare nuovamente l’attenzione della giovane fu un soggetto diverso: un puntino nero si poteva scorgere all’orizzonte, sul pelo dell’acqua limpida che rifletteva il cielo terso e azzurro.
“Una nave?”
La rossa socchiuse gli occhi per vedere meglio: man mano che la barca si avvicinava a quel puntino lontano poteva definire meglio i contorni, le forme, poi i colori e le loro ombre. Infine poté distinguere perfettamente la figura sull’acqua: non era una nave, era un’isola.
Un’espressione speranzosa si posò sul volto della navigatrice, che non tolse lo sguardo da ciò che non vedeva ormai da troppo tempo.
-Non ci pensare nemmeno!- Ace con fatica si alzò sui gomiti, sollevando di qualche centimetro il cappello e tenendo un occhio ancora chiuso per il sonno.
-Cosa non dovrei pensare?- chiese la metereologa freddamente, senza degnarlo di uno sguardo.
-Non far finta di niente: lo so che non vedi l’ora di scendere a terra-
Nami finalmente si voltò, non facendo trasparire alcuna emozione sul suo viso. Il suo sguardo trasmetteva solo disinteresse e distacco.
Infine si gettò sul pirata e, cingendo il braccio attorno al suo collo, lo iniziò a strapazzare, come una bambina che stringe vivacemente il suo orsetto di pezza appena comprato.
-Dai! Ti prego! E’ da due anni che non scendo a terra!-
Non a caso, l’unico metodo persuasivo che conosceva la rossa consisteva nel “richiedere” le cose. Se con le buone o con le cattive era un altro conto.
Ace era interamente diventato blu, per colpa del tentato omicidio via strangolamento da parte di quella psicopatica dell’ospite a bordo
–Coug! Coug! E ... e allora? Coug! Nemmeno io scendo a terra da due anni!-
-Si,... però... io sono una ragazza! Ho il diritto e il dovere di fare un po’ di shopping!-
-Sho... coug! Shopping?-
-Ma si, dai! Sono stata per troppo tempo su un’isoletta abitata dai sosia di Gandalf il grigio! DEVO andare a fare compere da qualche parte!-
-Coug! Mi.. vuoi lasciare?!?!?-
-Eh? Ah, si certo!- Nami mollò la presa ed Ace cominciò a respirare, portandosi la mano a massaggiarsi il collo. L’uomo aspettò ancora qualche secondo per riprendersi: -Comunque sia, no! Non scendiamo!-
-Uff, Ace! Abbiamo bisogno di nuove vele, abbiamo bisogno di scorte di cibo, abbiamo bisogno di un mucchio di cose e soprattutto: io ho bisogno di vestiti. E tu pensi solo al tuo segreto?-
-Guarda che non è una cosa così stupida!- ribatté il pirata.
-Io non vedo nemmeno una buona conseguenza di questa grande idea che hai avuto... come posso pensare che sia una cosa seria?-
-Sai cosa significa almeno, Nami?-
La giovane si bloccò, notando il turbamento del compagno: –Cosa? Essere creduto morto da tutti?-
-No. Essere ritenuto un demone da tutti- Il ragazzo sollevò un po’ sguardo –Ci sono milioni, miliardi di persone che per ammazzare il figlio di Gold Roger non si farebbero scrupoli. Un mostro, con il sangue di un demone...- a un tratto, abbozzò un sorriso ironico - un demone, che esagerazione! Era solo un uomo che si era dato alla pirateria... che alla fine ha fatto gettare tutte le sue maledizioni su di me.
Non riuscirò mai ad affrontarli. Loro. Ho visto le facce di coloro che hanno saputo per primi la notizia a Marineford.
Non riuscirò mai ad affrontare di nuovo quello sguardo. Ho troppa paura... ma non che mi possono uccidere. No, ho sufficiente forza fisica.
Quello che non riesco ad affrontare è il ricordo di quelle occhiate. Non posso... ritornare ad essere visto... in QUEL modo! Come uno schifoso e ripugnante mostro!- ci fu un momento di silenzio. Uno di quei silenzi vuoti e freddi che ti creano un nodo alla gola, fermando ogni tuo tentativo di pronunciare una qualsiasi parola.
-Sai,...- provò a mormorare Nami, che aveva assunto anche lei un’espressione, ma stranamente non malinconica: bensì un po’ arrabbiata -io... non credo che tu sia stato così sfortunato. Da quel che so di te, l’hai conosciuta tua madre, no? Beh, io non ho mai conosciuto la mia madre naturale. Però...– Sorrise al ricordo –non è di lei che vorrei parlare. Ti voglio parlare della mia VERA madre, quella che mi ha cresciuto. Il suo nome era Bellmere. Non posso dire che era una madre “dolce”...- ridacchiò, mentre il moro continuava a fissarla – era la più tosta ex-marine di tutta Coconault Village! Nonché l’unica che vendesse mandarini buoni come i suoi. Mia madre, è stato con lei e mia sorella che ho imparato a “vivere”. Mia madre era una delle cose più belle che mi fossero capitate! Mia madre... l’hanno... - Il suo sorriso, lentamente svanì - l’hanno uccisa... davanti ai miei stessi occhi... L’hanno uccisa quei pirati, mentre lei stava dando l’ultimo sguardo a me e a mia sorella, per rassicurarci...- La ragazza guardò l’altro, era esterrefatto da quell’esperienza.
–C’è una cosa che però ho imparato dopo tutti quei pianti che ho fatto per lei: era morta per salvare me e mia sorella. Era morta volgendo lo sguardo verso le cose che amava di più, il suo “tesoro” come lo chiamerebbe Rufy. E io non permetterò mai che Bellmere, la ex-marine più tosta di tutta Coconault Village, sia morta per niente. Sai che è successo dopo la sua morte? Ho accettato con tutto il dolore che potevo avere in quel momento di lavorare per gli stessi pirati che l’avevano uccisa. Avrebbero salvato il resto del mio villaggio, compreso Niojiko, mia sorella, la metà del tesoro per cui Bellmere aveva dato la vita pur di salvarla. Tutti, da quel momento, mi guardarono come una strega, un mostro, non importa che nome gli dai. Ho sempre affrontato quello sguardo che mi metteva tanta paura, per salvare ciò che di più voleva al mondo Bellmere, mai madre.-
Ace aveva gli occhi sbarrati: non poteva pensare, nemmeno immaginare che esistesse una persona che avesse avuto un passato simile. Eppure quella ragazza era andata avanti, mentre lui, invece, non si era mai lasciato alle spalle le sue origini.
-E ora...- continuò Nami –Per quella donna, nonché tua madre Rouge, che ti ha dato la vita, che ha perso la propria per salvarti, regalandoti anche il suo stesso nome per darti un futuro... Ora il suo sacrificio a che serve, se la tua vita è ridotta ad un continuo nasconderti dal resto del mondo?-
L’uomo rimase immobile, impassibile di fronte alla ragazza. Quello che gli aveva detto non era un rimprovero, né un insulto per quello che aveva fatto nel corso dei due anni.
Era un incoraggiamento. O forse una scusa per scendere. Ma Ace, dopo tanto tempo, si sentì “libero” da un peso che era forzato di portare da molto.
-Grazie- fu l’unica parola che riuscì a dire.
La rossa sorrise: adesso era pienamente soddisfatta.
-E ora... a terra!-
-Emh... non ti pare di andare un po’ di fretta? Grazie dell’aiuto, ma...-
-Niente “ma”!- Ribadì la ragazza – Ora si scende e ci facciamo un giro...-
-Devo forse prenderlo per un appuntamento?- fece ironicamente il moro.
-Spiritoso...-
-Sii seria per un momento: sei una navigatrice di una ciurma che è già stata battuta ancora prima di superare la Grand Line, e ti stai mettendo contro il capitano della seconda flotta dell’imperatore pirata Barbabianca. Esattamente... che speranze credi di avere?-

Qualche minuto dopo
-Non posso credere di averti dato retta.-
Ace stava girovagando per le vie di una piccola cittadella abitata. Il sole brillava forte sulle strade di pietra levigata, fra case rustiche dove per ogni porta o balcone vi si trovavano almeno qualche vaso di fiori, che facevano sembrare ogni ingresso una magnifica serra. I due pirati attraversavano le strade del paesino: Nami era euforica, raggiante come sempre e in cerca di qualche negozio dove comprare abiti. Ace, al contrario, era diffidente, e cercava inutilmente di nascondere il proprio viso sotto il cappellino di paglia stile giapponese di poco prima.
-Rilassati... non è poi così male qui!- La ragazza era allegra e saltellava qui e là, contenta di vedere tanta gente.
-Rilassarmi? Sono un ricercato!-
-Avanti... con quello strano cappellino (che, francamente, è a dir poco orrendo e fuori moda) chi vuoi che ti riconosca?-
-Anche tu sei una ricercata! E di sicuro non hai un cappello!-
-E puoi stare tranquillo perché non mi metterò mai quel “coso” in testa!-
-Ma non ti preoccupi che ci possano essere quelli della Marina da queste parti?-
-A dire il vero mi preoccupo più del fatto di come spendere tutti i soldi...- rifletté la rossa.
-E’ ufficiale: sei completamente montata...-
La bizzarra coppia continuò a girovagare per un po’, quando la ventenne si fermò davanti a un portone di vetro aperto di un edificio che, per quanto moderno potesse essere all’interno, aveva il classico tetto a spioventi con tanto di tegole rosso mattone.
-Finalmente! Un negozio di abbigliamento!-
-Buon per te...- fece l’altro in tono annoiato.
-Allora entriamo?- disse Nami mantenendo la sua allegria.
-Che? Entriamo? Tutti e due?-
-Che ti aspetti? Che ti lasci qui da solo con quelli della Marina?-
-Divertente...- continuò ironicamente lui.
-Su, Dai! Mica il commesso ti mangia!-
Ace rimase fermo ancora un po’, e dopo qualche secondo sospirò e seguì la navigatrice attraverso la porta trasparente: non gli andava di rimanere solo. Non appena entrarono, poterono finalmente vedere l’intera stanza: le pareti color panna-giallo ocra che mettevano in risalto la luce, ornate da scaffali e crucce pieni di abiti colorati di tutti i generi.
Alla ragazza stavano brillando gli occhi come un faro a 30000 watt.
In un angolo ben visibile c’era un bancone in ebano, e un uomo dai modi al quanto effeminati stava incoraggiando il compagno ad aiutare un trio di giovani ragazze, che chiedevano informazioni per un vestito.
-Bonjour, mademoiselle!- fece allegramente l’addetto, con uno stranissimo accento francese. -Desidera?-
-Buongiorno!- Fece Nami contenta –Avete la mia misura per quel vestito lì esposto?-
Sul punto indicato dalla navigatrice vi era un manichino nero, con addosso un vestitino color rosa chiaro aderente con delle balze.
-Oui! Certaine! Se vuole può anche vedere se sc’è qualcos’altro di suo gradimento nel negozio...-
L’uomo andò a prendere la merce, e al suo ritorno la rossa aveva già una montagna di abiti di tutti i generi fra le braccia, tutti pronti per essere indossati. Il signore le indicò il camerino e la navigatrice si gettò lì dentro e ci rimase per qualche minuto.
Nel frattempo, Ace, che non aveva nulla da fare, appoggiò la schiena contro il muro, aspettando l’arrivo della compagna di bordo. Doveva ammettere che, per quanto si sentisse impaurito dall’idea di essere scoperto dalla Marina, gli piaceva avere gente intorno. Era una sensazione che gli mancava da parecchio. Nami, a quanto pare, aveva avuto ragione. Chissà se sarebbe accaduto ancora.
Mentre se ne stava immerso fra i suoi pensieri, il moro udì delle risatine e dei bisbigli da non molto lontano:
le ragazzine che erano già entrate prima di loro stavano osservando il pirata, e, a quanto pare, lo trovavano anche parecchio carino.
Ok, va bene sensazione di gente attorno e compagnia bella, ma questa era una delle cose che il ventiduenne riusciva a tollerare di meno.
Vediamo se questo trucco funziona ancora...”
Ace ricambiò lo sguardo e il giovane trio si volse immediatamente da un'altra parte. Altro particolare: erano arrossite tutte e tre.
Il pirata sorrise: il vecchio stratagemma funzionava ancora.
-Buh!-
Nami si gettò sul moro, che per tutta risposta balzò a quell’intervento improvviso.
-Ehi! Mi hai fatto prendere un colpo!- rispose scherzosamente il capitano.
-Pare che sia la mia specialità, non trovi? Comunque come mi sta?-
La piratessa si mise eretta. Addosso aveva il vestitino rosa che aveva adocchiato sin dall’inizio: totalmente aderente, con delle leggerissime balze chiare e vaporose che si posavano delicatamente su tutto l’abito. Era messo in risalto un nastro con un fiocco dello stesso colore, che si adagiava morbidamente sui fianchi.
-Carina...- Ace lo sussurrò talmente piano che non fu udito da nessuno, tantomeno da Nami.
-Allora? Che ne dici?-
-Ti sta bene!-
-Grazie!- La rossa scivolò via verso lo stanzino, sorridente.
-La sua ragazza è très jolie! Sciete davvero una coppia adorable!- Il commesso si era avvicinato ad Ace, senza che lui non se ne fosse nemmeno accorto. Come risposta il giovane si voltò di scatto, ancora in stato confusionale e sbigottito da quella affermazione:
-Emh,... no, a dire il vero non siamo fidanzati, non stiamo nemmeno insieme...-
-Vraiment? E’ strano, non si sarebbe detto,...–
-Eccomi!- Nami uscì dallo spogliatoio con un nuovo abito. Erano appena stati interrotti, ma Pugno di Fuoco, di fronte alla rossa, preferì non continuare il discorso che aveva cominciato col venditore.

Andarono in giro così ancora per un po’, con Nami che cercava abiti e Ace che l’accompagnava. Solitamente, per un ragazzo accompagnare una ragazza a fare shopping è tremendamente noioso.
E di certo, dal suo punto di vista, non avrebbe tutti i torti.
Ma il caso di Ace era diverso: non sapeva neppure lui il motivo esatto, se per la preoccupazione di incontrare un marinaio o lo stacco dopo due anni di rivedere le persone, ma stava camminando in una strada, con tanta gente, nessuno che faceva caso a lui, nessuno che lo guardava come un “mostro”.
(Anzi, il numero di ragazzine che lo squadravano e ridacchiavano era notevolmente aumentato!)
Per lui, quello era il più bel dono che avrebbe mai potuto ricevere nella sua vita. Cosa più strana di tutte: il merito di quel bellissimo dono era quella cosa arancione che gli stava accanto. Ci aveva bisticciato, chiacchierato, un po’ riso... in qualsiasi caso si erano ritrovati lì, e di questo ne era debitore, se ne sarebbe ricordato. Ma per ora si limitava a vivere la vita in quell’esatto momento.

Nami si fermò per l’ennesima volta di fronte a un negozio, ma stavolta fece più caso non tanto all’insegna, ma alla scritta sotto: “Reparto uomini”.
-Entra!- fece lei asciugandosi la fronte sudata con il dorso della mano libera.
- Nami, questo è un negozio maschile...-
-Appunto! Credevi forse che in tutto questo non ti avrei dato una sistemata?- detto questo la navigatrice spinse a forza il compagnio dentro l’edificio.
Il povero pirata cadde di faccia per terra e, lo volesse il caso, ci rimase lì per un po’.
Attacco di narcolessia.
-Oh mamma mia!- Si avvicinò subito una donna: sui venti o trent’anni, con i capelli bruni legati con un fazzoletto e una camicia a motivo scozzese blu addosso.
Era la commessa, che si era spaventata per l’entrata del giovane non molto normale: –Si sente bene, signore?-
-Stia tranquilla, fa spesso così!- disse sorridente Nami, entrando nel negozio.
-S-Spesso?-
-Eh, già...-
-E non si preoccupa mai, lei?-
-Diciamo solo che ormai ci ho fatto l’abitudine... - la rossa si chinò e iniziò a martellare la spalla di Ace con l’indice -Hey, bell’addormentato! Sveglia!- il moro non si era ancora mosso.
-Almeno per ora è andato! Non è che mi farebbe vedere un po’ di merce, per favore?-
-Emh... si... Certamente!-

Dopo qualche minuto Ace dischiuse gli occhi: era sdraiato su una panchina (evidentemente la ragazza aveva troppi scrupoli per lasciarlo lì dov’era). Si rese subito conto di ciò che era accaduto, e scattò in piedi, notando che in testa non aveva più il suo cappello: molto probabilmente opera della rossa, che non aveva buoni rapporti con quel copricapo di paglia. Si guardò intorno frastornato, e notò due donne, con i gomiti appoggiati al bancone della cassa, che chiacchieravano sorridenti come se fossero vecchie amiche.
-Guarda un po’ chi si è svegliato!- disse la brunetta, notando la ripresa del moro.
-E vedi di non svenire più! Ci hai fatto prendere un colpo!- continuò la navigatrice, voltandosi e mettendosi le mani sui fianchi.
Ace si massaggiò dolorante la testa –Ti voglio ricordare che a farmi cadere per terra sei stata tu! E poi...- si avvicinò adagio al bancone -... che intendi con “ci hai fatto prendere un colpo”?-
Nami sorrise: -Perché tu ci hai fatto prendere un colpo, sul serio! A me, alla commessa, e a tutti i clienti a dir poco scandalizzati che non hanno più avuto il coraggio di entrare nel negozio!-
-Non li biasimo- disse Ace.
-Nemmeno io- fece eco la brunetta.
-Se è per questo nemmeno io li criticherei,- continuò la rossa - solo che adesso abbiamo un problema. O meglio: TU hai un problema-.
La commessa tirò fuori un foglio da un cassetto del bancone: -Fossero stati solo due o tre individui avrei chiuso un occhio, ma dato che qui la perdita di clientela ha avuto valori altissimi mi auto-impongo il diritto di richiedere un piccolo risarcimento danni: ... - detto questo la donna passò al pirata un foglio che conteneva una serie di dati (tipo il numero dei clienti, la loro rispettiva spessa media ecc) e alla fine, come in uno scontrino, una somma totale da pagare.
-Cosa?? Centomila e dieci Berry e ventuno centesimi?- Pugno di fuoco era totalmente sbigottito.
-Veramente, sono centodiecimila Berry...- precisò la gatta ladra.
-...e ventuno centesimi- concluse la commessa.
Il moro provò a ribattere –Si, ma...-
-Niente “ma”! E’ colpa tua se ci troviamo in questo pasticcio! Ora paga come è tuo dovere da bravo creditore!- - sentenziò la rossa.
-Colpa... mia? Ma se mi hai colpito tu!-
-Si, ma sei tu quello che ha spaventato tutti i clienti!-
-E come avrei fatto a spaventarli? Dormivo!-
-Appunto! Non ti sei accorto che ti sei messo a russare in una maniera spaventosa? Pareva fosse scoppiato temporale, tsunami, terremoto e apocalisse nello stesso momento!-
-Cosa?? Guarda che...-
-Scusate...- interruppe la brunetta, stordita al solo sentire quella conversazione: –ma chi paga?-
Il pirata si rivolse alla navigatrice: -Credo proprio che debba pagare tu: non ho soldi con me...-
-Tzè, ti pareva!- continuò lei, frugando con le mani le tasche. Con i suoi compagni di ciurma non si sarebbe mai permessa di pagare un anticipo, ma data la situazione e considerando che Ace gli stava dando un passaggio, per una volta, diede uno strappo alla regola. –non solo mi sono ritrovata a navigare con un pescatore penosamente fallito, ma anche squattrinato! Se penso che...- S’interruppe. Il suo sguardo gelò subito, mentre volgeva la testa verso Ace lentamente, letteralmente paonazza.
Quasi lo fece preoccupare: -Perché mi guardi in quel modo? Ho qualcosa che non va?-
La navigatrice afferrò il moro per la maglietta, con l’altra prese i sacchetti pieni di abiti e con un movimento improvviso e uno scatto fulmineo si catapultò verso la porta. Iniziò a scappare come una furia, mentre la commessa iraconda, ormai circondata da un’aurea negativa che avrebbe fatto paura a belzebù, seguiva la coppia. Nami si giustificò: -Mi sono finiti tutti i soldi...-
-Fantastico, non credi?- rispose Ace.
Corsero più velocemente che potevano: appena trovarono un vicoletto un po’ più stretto e nascosto svoltarono lì, anche se con la venditrice alle costole non era facile scappare.

Dopo aver superato il doppio del percorso della maratona, si fermarono in quello che pareva essere una piazza affollata, dall’altra parte della città. Dell’addetta al negozio neanche l’ombra.
I due poggiarono le mani sulle ginocchia e si concedettero un po’ di respiro.
-L’abbiamo... seminata?- chiese il moro sfinito.
-Credo di si...- rispose la piratessa, ansimando.
Ci fu un breve momento di silenzio, poi i due scoppiarono a ridere, come se stessero ancora smaltendo i residui di una gran brutta sbronza. Dopo qualche minuto di andare avanti con discorsi sull’accaduto e ridere come ubriachi, si accorsero che si era fatta l’una, e che avevano un po’ di fame.
-Ma... non abbiamo i soldi!- notò Ace.
-Beh, ci sarà un motivo perché mi chiamano “gatta ladra”- rispose Nami –Seguimi!-
-Non possiamo usare l’infallibile, spettacolare e ancora sperimentale mossa alla “Portoghese” Mangia&scrocca?- domandò Ace portando una mano dietro la nuca.
-Ormai è da due anni che non rubo nulla, quindi, prima che mi arrugginisca del tutto, dovrei dare una bella ripassata. Ergo, a meno che non vuoi trovarti menato per bene, facciamo come dico io- La ragazza afferrò Ace per la maglietta, il quale aveva assunto un’aria rassegnata per colpa della testardaggine della compagna, e se lo trascinò via.

Mezz’ora dopo:
Immaginatevi, sempre in quella borgata, una pizzeria: una di quelle in piazza con i tavolini all’aperto, sulle strade di pietra e sotto il sole caldo estivo. I chiacchierii della gente allegra che passa un pranzo in compagnia di amici; oppure qualcuno solo, costretto a fare un pasto veloce che decide di concedersi un break sfizioso. Nelle cucine, con gli enormi forni a legna, cuochi di tutte le età o quasi ricevono ordinazioni su ordinazioni.
Fuori, con i tavolini, ci sono i clienti.
Dentro le cucine, ci sono i cuochi.
Nei forni a legna, invece, ci sono le pizze.
Sul tetto a spioventi della cucina, ci sono due pirati. Uno moro e una rossa, che stanno mangiando le loro pizze “prese in prestito” dalle cucine lì sotto:
-Mamma mia, che buona!- commentò la navigatrice.
-Devo ammetterlo: questa è stata la mossa migliore in tutta la tua carriera da ladra!-. Il capitano addentò un’altra fetta di pizza: ormai ne aveva già mangiate due.
-Ma noi non le abbiamo mica rubate! Stiamo solo controllando se i cuochi qui sotto sono bravi o no... - continuò Nami, afferrando un po’ di margherita dal piatto del compare.
-E se i cuochi si accorgono della nostradisponibilità a controllare?-
-Non vedo il problema: avremo fatto anche una bella corsetta per digerire, no?-
-Giusta osservazione- commentò Pugno di Fuoco.
Da quel punto si vedeva quasi tutta la cittadina: tantissimi tetti rosso mattone che ornavano un’enorme distesa, e in fondo le case che continuavano a scendere fino a raggiungere le spiagge bianche e le acque cristalline del mare.
-Non è... - disse il capitano mentre ingoiava un altro assaggio -...che stai cercando di corrompermi, non è vero?-
-Io? Perché dovrei corromperti? Ho già la vittoria in pugno!- rubò una fetta di pizza dal piatto dell’amico –Comunque sia, spero che quello non lo prenderai per corruzione!- detto questo indicò un sacchettino nero, messo in un angolino assieme agli altri.
-Se me lo prendi e me lo fai vedere, magari posso decidere se si tratterà di corruzione o no!-
-Vuoi scherzare? – replicò lei – Ho le mani strafatte di pizza! Non mi azzarderei ad avvicinarmi ai miei adorati sacchetti, neanche morta!-
Ace ghignò: che strana compagna di viaggio che si era trovato. Apparte la fissazione per lo shopping, per i soldi e per la smania continua di picchiare chi non l’accontentava, era simpatica.
Passata un’ora o due, la coppia scese dal tetto scivolando giù per le grondaie, senza farsi vedere da nessuno, con le pance piene e deliziate dal loro pranzo.
-Che meraviglia!- disse Ace, stirandosi le braccia.
-Di un po’: da quant’è che non mangi così?- chiese interessata Nami.
-Temo sia passato troppo tempo... comunque credo che dovremo tornare alla barca-
La ragazza gli si pose davanti: -E se vedessimo un’altra isola... scenderemmo di nuovo a terra o resteremo a guardarla da lontano?-.
-Credo scenderemmo, anche perché abbiamo tre problemi: provviste, vele e soldi!- rispose sorridendo il ventiduenne.
-Tranquillo: considera che, in fatti economici, sono io l’esperta della ciurma!-
-Ah, ma davvero?-chiese con un sorrisetto ironico il giovane –Sai, dopo il disastro di oggi, non si direbbe...-
-...disastro?-
-Sai com’è: hai finito tutti i soldi prima che potessimo comprare quello che ci serviva veramente! Ti sei riscattata solo con la sparata della pizza “presa in prestito”!...-
Nami fece per rispondere,
-Pizza? Allora siete stati voi, ladruncoli!- ma qualcuno la anticipò.
Una schiera di spavaldi pizzaioli coi camici bianchi e sporchi di sugo era appena uscita da una porticina sul retro del locale, alcuni armati di minacciose e lunghe pale per infornare.
-Ecco chi è stato a finire le scorte!-
-Ladri! Avete insultato la grande arte che rappresenta tutti noi pizzaioli!-
-Acciuffiamoli!-
Due pirati contro una schiera di ristoratori arrabbiati e armati di utensili da cucina. Questa sì che è una battaglia degna di prodi e nobili pirati...” pensò il capitano.
Nami e lui rimasero impassibili per un po’, la prima con la testa inclinata, il secondo con il sopracciglio inarcato.
Fino a quando non videro un uomo grasso e pelato, dall’immane corporatura, i contratti muscoli delle braccia chiaramente visibili sotto le maniche ripiegate della maglietta e un’espressione che avrebbe intimorito chiunque. Cosa assai peggiore: era armato di mattarello.
-E ora?- chiese il moro perplesso.
-E ora... beh, che ti aspettavi? L’avevo detto, io, che avremmo fatto la corsetta per digerire...-
I due iniziarono a scappare dall’ammasso di pizzaioli, che, anche se erano solo cuochi, parevano dei razzi. La coppia raggiunse la balia, si catapultarono sul peschereccio e quasi si ammazzarono per remare più velocemente possibile. Si allontanarono dalla costa, lasciando il gruppo di ristoratori che li insultava dal ciglio del bagnasciuga, che agitavano le padelle, i mattarelli, le teglie e le pale per infornare verso l’alto.
-Nota per il futuro: mai insultare la grande arte che rappresenta tutti i pizzaioli- aggiunse Ace, sfinito.

Una volta raggiunto il mare aperto, dove l’isola era tornata ad essere un puntino lontano, Nami cedette alla tentazione: afferrò da dentro un sacchetto un foglio e incominciò ad esaminarlo, senza riuscire a trattenere un sorrisetto sghembo.
-Che stai leggendo?- domandò insospettito il pirata.
-Diciamo, ... che sto calcolando la rotta per la prossima isola-
L’uomo si catapultò subito dietro di lei, scrutando con attenzione la mappa che la ragazza teneva in mano.
-Non vedi l’ora di tornare a terra, eh?- concluse inavvertitamente il moro.
-Credo che sia la mia natura ostinata da navigatrice a costringermi... e comunque pare che non sia l’unica a volerlo, sai?- la giovane ghignò, in risposta del compagno di bordo –Posso chiederti una cosa?- aggiunse.
-Certo!- rispose Ace.
-Ti sei convinto a vedere Rufy?-
-Niente affatto!-
-Ah, ok... -
-Cosa c’è? Ti sei già arresa?- domandò con tono soddisfatto.
-Assolutamente no! Rimandavo di poco i festeggiamenti della mia vittoria, tutto qui!-.
Ace poté costatare ancora una volta di avere una compagna di viaggio tosta.
Osservando la mappa, si poteva dire che era rimasto meravigliato. Dietro l’isola che aveva visto quel giorno, aveva trovato una bellissima, anche se piccola, avventura. E su quella mappa erano indicati milioni di arcipelaghi: ognuno che ne nascondeva un’altra, ricca di azione e pericolo.
Un brivido gli percorse la schiena: il rischio, l’azzardo, la sfrontatezza,... ognuna di queste cose si celava dietro ogni piccolo pezzo di terraferma sulla cartina: quello del richiamo dell’avventura era un desiderio che si sentiva ardere dentro, proprio come una ferita d’ustione che brucia reclama senza obiezione l’acqua.
-Ah! Lo sapevo!- l’esclamazione della ventenne portò alla realtà Pugno di Fuoco.
-... che? ... cosa?-
-L’isola che abbiamo visitato: fa parte di un grande insieme, chiamato “L’arcipelago del Sole”! Quindi ci sono tante altre isole da visitare nei dintorni! E non solo... -
L’uomo la guardò torvo: -Che intendi dire con “Non solo”?-.
Nami indicò una di quelle macchie-isole che aveva, come poche altre, il simbolo di una piccola ancora azzurra, dall’arco rivolto verso il basso. Il moro scrutò la parte inferiore del foglio, ove vi era riquadrata una piccola legenda. Vicino a un’ancora azzurra, nello stretto riquadro, c’era scritto “Appostamento della Marina”.
-Fantastico...- mormorò Ace.




Ta-tan! Fine capitolo! (mi vorrete ammazzare perché non vi ho ancora detto come se l’è cavata Ace ^-^’’)
Comunque... ora Ace non si è proprio “convinto” a farsi vedere da Rufy, ma già si è lasciato andare. Vincerà Nami la scommessa/patto/quel che è? Lo scopriremo nel prossimo cap! C; Nel frattempo mi piacerebbe sapere che ne pensate di questo, per cui recensite e, intanto, vi ringrazio di leggere ancora la mia fan fic!
P.S.= Per il prossimo capitolo si prevedono piani malefici... in tutti i sensi!
P.S.S.= Grazie 1000 (ancora) per chi legge!

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Capitolo 5
*** Colpo grosso alla base della Marina Militare ***


Nuovo capitolo! (ovvero una nuova tortura da Vale2910 O_O)
Scherzi a parte, spero che non sia davvero una tortura! E spero che leggiate questo capitolo uscito di colpo a metà settimana! Ringrazio:


Chi l’ha messa fra le preferite:
Frandra
Itacina
Sayuri_91
Straw X Kisshu


Chi l’ha messa fra le ricordate:
Death Knight

E chi l’ha messa fra le seguite:
Daistiny
Gol D Ann
Kiby
kymyit
 leonedifuoco
 MBCharcoal 
 NamiFolle
 sihu
 stellinatvb
 Ma ringrazio anche quelli che la leggono e basta!
Quindi buona lettura!

Colpo grosso alla base della Marina Militare

-E se la Marina ci trovasse?- domandò la rossa una volta approdati su una baia nascosta di un’isola. Quello era il pezzo di terraferma più vicino a loro in quel momento e, per loro sfortuna, era anche protetta dalla Marina con un avamposto.
-... non ero io quello che si doveva preoccupare?- rispose ironicamente Ace.
I due s’inoltrarono nel secondo paesino: era abbastanza simile a quello che avevano già visitato.
C’erano anche parecchi negozi. Molto probabilmente erano di più rispetto all’altra isola perché questa era decisamente più abitata. Di sicuro, lì avrebbero trovato ciò che cercavano.
Nami si diede una veloce ma attenta occhiata in giro, posando lo sguardo su qualsiasi mercato, negozio, bancarella o venditore ambulante che le capitasse di incontrare con gli occhi. Infine rifletté su alcuni punti: -Credo sia meglio incominciare a occuparsi delle cose di maggiore valore e importanza, nonché assolutamente non trascurabili (e da me di sicuro preferite)-
Il comandante diede all’unisono una risposta secca e concisa: -Fammi indovinare: vestiti?-
-A dire il vero, io mi stavo riferendo ai soldi... -
-Sto comunque cominciando a capire meglio i tuoi gusti, non ti sembra un gran bel passo avanti?-
-Lasciamo stare i passi avanti e occupiamoci dei problemi che abbiamo adesso. Ho una mezza idea di dove trovare i Berry, ma mi serve solo una cosa... -
-Sarebbe?-
-Tu!-
-...?-

 
Intanto, nella base della Marina incaricato di sorvegliare la zona denominata “Arcipelago Del Sole”...
Nella base della Marina ci sono parecchi corridoi, dalle mura dipinte di bianco, con qualche porta qui e là. Ce ne è una in particolare: un portone di legno con dipinto sopra un’ancora azzurra, dall’arco rivolto verso il basso, nonché il simbolo della marina. Quella stanza, sola nel lungo corridoio del primo piano, è l’archivio.
Che documenti custodiva l’archivio?
Un po’ di tutto: anagrafe, liste dei prigionieri, entrate e uscite del denaro pubblico, dati personali dei singoli soldati, ... tutto ciò che non si sarebbe potuto definire “una lettura leggera”. Il compito dei due uomini lì presenti, era di sorvegliare vigili e attenti tutto ciò, anche a costo della vita.
Dunque, la domanda sorge spontanea: che stanno facendo i due prodi marinai?
Dormivano.
Erano seduti su delle sedie “prese in prestito” dalla sala riunioni: uno stava addormentato con la testa volta all’indietro, le gambe incrociate e una bottiglia di sakè mezza vuota in mano. L’altro aveva posto la seggiola al contrario e aveva poggiato la testa, che russava beatamente, sullo schienale di questa.
Ad accompagnarli nel loro sonno, una finestra priva di ante d’innanzi a loro faceva passare il caldo sole pomeridiano e una leggera brezza marina. E non solo quello...
-Spicciati, pigrone!-
Ace cadde di faccia sul freddo pavimento di marmo, precipitando dall’albero lì fuori sul quale si era arrampicato per raggiungere l’altezza della finestra, e attraversando questa.
Quasi dimenticavo: era stato spinto da Nami.
Rimase a testa in giù per qualche minuto. Infine il resto del corpo, dopo la paralisi, cadde con un grande tonfo. Il ventiduenne si rimise lentamente in piedi, massaggiandosi la parte dolorante e stanco di ricevere tutti quei brutti colpi. 
“Giuro che questa gliela farò pagare, alla ragazzina...”
Nemmeno il tempo di terminare quel pensiero che il moro si ritrovò catapultato a terra: la rossa gli era caduta di sopra, utilizzandolo momentaneamente come materasso per attutire la caduta.
Ruolo che al pirata non piaceva troppo.
La giovane si rimise in piedi noncurante dei Marines. (non erano, infatti, nello stato più adatto ad attaccare). Nami prese uno spillone che teneva i capelli legati in un tuppè. E, mettendolo nella serratura, cominciò a girarlo finché questa non si sbloccò.
Una volta aperta la porta la navigatrice prese Pugno di Fuoco da terra (che si era palesemente addormentato per colpa di un suo attacco di narcolessia, a meno che non avesse dato un colpo troppo forte alla testa) e dopo averlo svegliato a suon di bastonate (poverino) entrarono.
La camera era un po’ più grande di una stanza normale, bianche le mura, e quasi tutte le pareti coperte da librerie di legno come quelle delle biblioteche, contenenti un mucchio di fogli e registri.
-Allora... è questo il famoso posto?- chiese il pirata, ancora indolenzito e appena svegliatosi.
-Ne sono sicura! Tu sta tranquillo: ho già visto archivi come questo un sacco di volte!- enfatizzò lei.
-Io mi preoccuperei di ben altro... -
-Zittiti e comincia a cercare, pescatore sulla bagnarola!-
Il duo di criminali si gettò fra gli scaffali, tentando di trovare qualcosa che potesse interessargli, senza sapere cosa stessero cercando. Gli occhi della navigatrice si posarono parecchie volta fra i titoli sui dorsi dei libri, ma senza successo.
Ad un tratto desiderò con tutta se stessa di avere accanto a sé la sua sorellona, Robin: era un vero topo da biblioteca, lei! Se Nami aveva bisogno di una mano fra le librerie, la mora era quella che la sapeva aiutare di più.  Immersa fra i pensieri, la rossa posò lo sguardo su una scrivania che non aveva notato prima: era messa contro il muro, fatta in legno e con una macchina per scrivere a vecchio stampo su di essa. La cosa che le interessò di più furono i cassetti lì sotto: infatti, i cassetti servono a contenere.
Se contenevano qualcosa che le potesse interessare?
C’era un solo modo per scoprirlo, no?
Si catapultò verso il tavolo e iniziò a cercare. Finché, con grande rallegramento per se stessa, trovò delle buste timbrate e bollate.
-Trovati!-
Il moro si avvicinò in fretta, mentre la navigatrice afferrava la posta destinata alla base della Marina e la buttava lì, facendosi spazio spostando la macchina per scrivere. I due cominciarono a leggere e smistare le lettere, finché il capitano non trovò qualcosa di interessante:
-Andrebbe bene qualcosa del genere?- il giovane portò davanti agli occhi della rossa una lettera –Non è proprio quello che cercavamo...- aggiunse -... ma credo potrebbe essere OK!-
La ventenne scrutò il foglio attentamente: –Va più che bene! E’ perfetta!-

Qualche minuto dopo, nel piano di sopra
Nel piano superiore a quello dell’archivio stava un ufficio molto importante. E non solo perché apparteneva all’uomo con il rango più alto di tutta quella base, ma anche perché l’uomo in questione era un viceammiraglio. Vi starete chiedendo quale fosse l’impegnativa occupazione del marinaio...
Dormiva.
Pare che quello di ronfare sul posto di lavoro fosse un’attività molto popolare fra i marinai dell’arcipelago del sole, non credete?
L’uomo stava sull’elegante poltrona blu cobalto. Ebbene si, russava anche lui. La testa era priva di capelli e una barbetta accennata si trovava sul suo viso. Aveva una corporatura leggermente robusta (era poco più grosso di nonno Garp, per intenderci. E la cosa è al quanto inquietante...). La poltrona dove dormiva era situata davanti a una larga e spaziosa scrivania (utilizzata momentaneamente come poggiapiedi) e alle spalle di questa una grande finestra. La porta era esattamente opposta alla suddetta finestra: era chiusa, proprio per nascondere l’occupazione fuori luogo del soldato. Mentre ancora quest’ultimo russava, il portone si aprì, ed un soldato semplice si scaraventò all’interno della stanza. Dopodiché portò la mano sulla fronte e sbatté i talloni, facendo il saluto militare:
-Viceammiraglio Avod, buongiorno!- il giovane rimase sull’attenti per qualche minuto, finché non allargò lo sguardo fino a comprendere l’immane figura situata sulla poltrona blu cobalto. Iniziò a scrollare il vecchio, scandalizzato dalla scena:
-Ma come? Viceammiraglio Avod! Lei che dovrebbe dare l’esempio... si addormenta nelle ore di servizio?-
Il grassone, lentamente, cominciò ad aprire gli occhi. Era ancora un po’ assonnato, finché il suoi occhi non si posarono sul giovane soldato semplice. A quel punto trasalì.
-Cosa odono le mie orecchie, soldato? Come osi mancare di rispetto con accuse infondate su un tuo superiore?-
-A dire il vero, viceammiraglio....-
-Basta farneticare! Per oggi sei perdonato, ma vedi di non farti più cogliere in fragrante!-
-Ma... viceammiraglio Avod!-
-Niente “ma”! Piuttosto, hai novità per me?-
Il messaggero, sconsolato, iniziò prese un foglietto dalla sua tasca -Allora: tanto per incominciare, c’è stata un’altra rapina nel 13esimo settore...-
-Ci sono stati feriti?- chiese Avod, portando alla bocca un sigaro da una scatoletta posta sulla scrivania ed accendendolo.
-Per fortuna, solo uno-
-Chi sarebbe la vittima?-
-Il ladro.-
-Come sarebbe a dire “il ladro”?-
-Pare che la persona rapinata era un’esperta indiscussa di arti marziali, così ha reagito come meglio poteva...-
-Conclusioni?-
-Il ladro è stato portato all’ospedale. Per quanto riguarda la “vittima” è sana e salva...-
-Molto bene, un altro lavoro della Marina militare compiuto come si deve!-
-A dire il vero, viceammiraglio...-
-Osi controbattere, soldato?-
Il militare si ricompose subito: -Dicevamo, dopo questa notizia abbiamo un’altra novità: pare sia arrivata una lettera da parte del quartier generale...-
Detto ciò il ragazzo porse al suo superiore una busta. Quest’ultimo la prese e in un secondo momento la aprì:
Spett.le
direttore dell’avamposto
della Marina militare n.086


Oggetto: Apprendistato alla Marina Militare
Con la presente siamo a comunicare quanto segue: il corso di apprendistato, ufficializzato per i giovani arruolati dalla sede principale della Marina militare, avrà luogo il 14 luglio. Per lo svolgimento delle attività, verranno mandate nei reparti militari sotto citati delle reclute prive di esperienza, ai quali verranno assegnati mansioni differenti. Ci scusiamo formalmente per il ritardo della relativa notizia e richiediamo collaborazione.


L’uomo osservò attentamente la lettera: -Soldato, che giorno è oggi?- chiese infine.
-Credo sia il quattordici luglio, perché?-
-Fra un po’ dovrebbe arrivare la nuova matricola...-  disse tirando una boccata di fumo.
-Nuova... matricola?-
-La seconda lettera di quello stupido corso di formazione della marina-
-Capisco... e quando arriverà?- concluse chiedendo il soldato semplice.
Un altro soldato arrivò nella stanza e si mise sull’attenti: -Viceammiraglio Avod, buongiorno!-
-Buongiorno- rispose tranquillamente Avod -...novità?-
-Si! Qui fuori c’è un uomo che sostiene di essere una recluta che deve svolgere un corso di apprendistato...-
-Visto, soldato?- disse il vecchio alzandosi. L’uomo uscì dalla camera, seguito a ruota dai suoi subordinati. Giunse fino alla fine del corridoio, scese le scale e andò dritto fino a che non entrò in una stanzetta più piccola, comunicante con l’esterno.
-Ebbene?- fece entrando nella camera. Lì vi erano già due marinai, dalle classiche divise bianche col fazzoletto al collo, legato sul camisaccio, che stavano facendo delle domande ad un terzo: il nuovo arrivato.
-Viceammiraglio Avod! Quest’uomo è il soldato semplice “Misha Ethanne”, una recluta che...-
-E’ venuto per il corso dell’apprendistato. Già sono stato informato.- L’uomo si avvicinò al nuovo arrivato: indossava una camicia bianca con le maniche ripiegate, il fazzoletto al collo di ogni marinaio e il cappellino albino con rifiniture blu e la solita scritta “Marine”, che nascondeva gli occhi del giovane e i suoi folti capelli neri.
-Bene,  se non le dispiace, vorrei parlare con lei nel mio ufficio- terminò Avod.
-Si, certo- rispose il giovane, incamminandosi con il viceammiraglio all’interno della struttura.

Qualche minuto prima...

A tutte le basi
della Marina sotto
indicate:

Si comunica che avrà luogo in tempo indeterminato il nuovo corso di formazione per le giovani reclute. Le informazioni più dettagliate giungeranno in seguito. Per coloro i quali non sono disponibili a cooperare sono pregati di riferire le motivazioni al quartier generale il prima possibile.

 
–Va più che bene! E’ perfetta!- esclamò Nami raggiante, afferrando la lettera che gli era stata avvicinata dal compagno.
-Dici veramente?-
-Altroché, Ace! Con questa siamo apposto!-
-Si, ma...- continuò il moro –Non so se l’hai notato, ma ci sarebbe una certa frase: “Le informazioni più dettagliate giungeranno in seguito”, quindi, a meno che non sia stata ancora inviata la seconda lettera, non abbiamo idea di cosa si aspettano questi marinai...-
I due, quindi, continuarono a smistare la posta per un bel po’.
-Trovato niente?- chiese il pirata.
-Io nulla. Tu?- mormorò la rossa.
-Ho trovato la pubblicità dei biscotti con l’uvetta. Non credo, comunque, che possa esserci d’aiuto per entrare nella base della Marina-
-Dici?-
-Bah, potrei anche sbagliarmi...- scherzò lui.
Ace e Nami continuarono a leggere lettere e buste di ogni tipo, finché non ebbero finito e si accorsero che non c’era ciò che cercavano.
Il moro si passò la mano dietro la nuca: -Non c’è altra soluzione se non che non l’hanno ancora inviata...-
-Già... - confermò la navigatrice . –Che peccato: era un così bel piano... – si diede un’altra occhiata intorno, cercando con la coda dell’occhio una busta fuori posto. Si accorse di un altro importantissimo elemento della scena: la rossa si sedette su una sedia presa da lì vicino e cominciò a premere i pulsanti della macchina da scrivere.
-Che hai intenzione di fare?- chiese ancora un po’ scombussolato Ace.
-Se fra quelle non c’è la lettera che cerchiamo, vorrà dire che la scriveremo noi!- replicò la ladra.

Egregio sig. ...

-Come si chiama il direttore di qui?- domandò la metereologa.
-Secondo te io conosco tutti i nomi di tutti i membri della Marina?-
-Beh... perché no? E’ una cosa così interessante... - sbuffò Nami

Egregio sig. direttore

-Allora? Che te ne pare per sostituire il nome?-
-L’idea è buona... - costatò il capitano -... ma credimi, ho già ricevuto una lettera della Marina in passato, e non inizierebbero mai con “egregio”!-
-Tu avresti ricevuto una lettera della Marina? E perché? Non manderai mica romantiche lettere d’amore con l’ammiraglio Akainu?-
Ace la guardò storto, con un sorrisetto sghembo sul viso: -Ha ha, divertente... - rispose ironicamente -... guarda, comunque, che la lettera me l’hanno inviata per invitarmi a far parte della flotta dei sette! Solo che ho rifiutato.-
-Sai, sono proprio contenta che tu abbia rinunciato!- disse Nami, strappando il foglio dalla macchina.
-Perché? Pensi che io sia troppo pericoloso per gli altri pirati?-
-A dire il vero non è per questo: la Marina avrebbe già perso in partenza la guerra contro i pirati, senza un minimo d'illusa speranza!- la navigatrice tornò con le dita sulla macchina da scrivere:
-Si vede che ancora non conoscono la potenza della perfida e spietata creatura omicida Nami- si vendicò Pugno di Fuoco, con un ghigno soddisfatto sulle labbra.

Spett. le
direttore dell’avamposto
della Marina militare n.086

-Perché dell’avamposto della Marina numero ottantasei?- domandò incuriosito il ragazzo.
-L’ho letto in alcune altre lettere...- La rossa tornò nuovamente sul marchingegno.

Oggetto: Tirocinio alla Marina Militare

-Tirocinio?- ri-chiese Ace, osservando attentamente le mosse della navigatrice
-Esatto! Hai forse qualcosa da obbiettare?- domandò lei inarcando le sopracciglia e mettendo le braccia conserte.
-Sarà solo una mia impressione, ma la parola “tirocinio” è stata sempre un po’, come dire, più simile a qualcosa come “fucilazione di massa”-
La giovane guardò attentamente il foglio: –Se sei davvero così convinto, prova a scrivere tu- la ventenne strappò il foglio, si alzò dalla sedia e lasciò l’occupazione al compare.

Oggetto: Apprendistato alla Marina Militare

Con la presente siamo a comunicare quanto segue: il corso di apprendistato, ufficializzato per i giovani arruolati dalla sede principale della Marina militare, avrà luogo il 14 luglio. Per lo svolgimento delle attività, saranno mandate nei reparti militari sotto citati delle reclute prive di esperienza, ai quali verranno assegnati mansioni differenti. Ci scusiamo formalmente per il ritardo della relativa notizia e richiediamo collaborazione.

-Allora?- domandò infine il pirata
-Ok, ammetto che sei bravo a scrivere lettere della Marina...- giudicò Nami –ma ci hai messo dieci minuti in più!-
Pugno di Fuoco inarcò le sopracciglia: -In più... rispetto a cosa?-
-Massì, in più... lascia stare- e la rossa uscì dalla porta.
Ace sorrise: fra tutti i modi di non accettare la sconfitta che aveva visto con suo fratello Rufy, quello era il più strano di sicuro.

Si avvicinarono di soppiatto verso il vero ingresso della base, senza farsi notare. Infilarono la lettere nella cassetta della posta e se la diedero a gambe. Si fermarono solo dopo un bel po’:
-Ora non ci rimane altro che trovare una recluta...- fece la rossa.
-...che sia in divisa! Altrimenti non se la bevono! Cosa che non possiamo permetterci, non avendo soldi...-
-Problema già risolto. Vieni!-
Nami afferrò il polso del capitano e se lo trascinò fino a raggiungere il peschereccio che avevano lasciato nella baia nascosta. Quando arrivarono, la ventenne afferrò un sacchettino, reduce dello shopping di quella stessa mattinate, e ne estrasse una camicia bianca a maniche lunghe:
-Che te ne pare?-
In effetti, le camicie o i camisacci bianchi sono fondamentali nella divisa di un Marinaio.
-Ma... insomma, è per me?- chiese stranito il pirata da quello strano dono.
-Di chi vuoi che sia? Di Babbo Natale messo a dieta? Certo che è per te!-
-Beh... grazie!- fece ancora un po’ stupito.
-Di niente!-
-Ma credo che c’è ancora un problema...- aggiunse sconsolato.
-E quale?-
Inaspettatamente, Ace fece per togliesi la sua maglietta nera.
Quando il moro si tolse definitivamente l’indumento, la ragazza sbarrò gli occhi:
“Nami, sposta lo sguardo.
Fregatene se c’è una tartaruga scolpita sul suo addome che lo fa sembrare un bonazzo da far paura e voltati.
Fregatene se fra poco muori per un attacco di salivazione acuta o per dissanguamento per via nasale e girati.
Cerca, almeno, di non far vedere che gli stai letteralmente sbavando dietro!”
Ace finalmente indossò la camicia: si era tirato su le maniche per praticità. La rossa, una volta tornata nel mondo reale, provò a chiedere:
-Allora, cosa c’è che non va?-
Il giovane le diede le spalle, mostrando il vistoso tatuaggio viola sulla schiena, che traspariva attraverso il sottile tessuto bianco.
-Ecco la nostra pecora nera: questa è sempre stata la mia “firma”. Se qualcuno la nota mi riconosceranno subito!-
La navigatrice assunse un’aria pensierosa: -E’ per questo che hai perso l’abitudine di andartene in giro a torso nudo?-
-Eh, già!-
“Che peccato...” pensò tristemente Nami.
-Non ti preoccupare, Ace! Basterà il fazzoletto da marinaio sulle spalle! Ora che mi ci fai pensare, servirebbe anche un cappello per nascondere la faccia...-
-Scusa, ma, esattamente, dove pensi di trovare un fazzoletto da marinaio e un cappello?-
-Mi dispiace DAVVERO TANTO, ma temo che oggi un povero marinaio si ritroverà senza alcuni particolari della sua solita divisa...-

Torniamo al tempo reale, nell’ufficio del viceammiraglio Avod...
Nell’ufficio del viceammiraglio si trovavano due uomini, seduti da una parte e dall’altra della saziosa scrivania: il primo era il viceammiraglio Avod in persona, che teneva in mano il curriculum (rigorosamente falso) del marinaio. Il secondo era una recluta mandata dalla base della marina militare, o almeno così fingeva.
-E così, lei sarebbe il soldato semplice “Misha Ethanne”. Da quanto è in servizio?- fece il viceammiraglio, interrompendo il breve flashback dell’interlocutore.
-All’incirca,... – rispose incerto - ... beh, questo sarebbe il primo giorno.-
-Capisco... –
Quello che aveva davanti a sé era un vero viceammiraglio. Lo stesso grado di nonno Garp.
“Nonno...”
Il pirata, solo per un momento, desiderò di chiedere di suo nonno, il viceammiraglio Garp.
Come stava?
Se l’era cavata, dopo la guerra?
E il colpo di Rufy gli aveva fatto nulla di grave?
Dovette tenersi tutto dentro, per non far saltare la copertura.
-Sa usare un fucile a canne mozze, soldato?-
Ace cercò di ricordarsi cosa c’era scritto in quel maledetto curriculum –Beh, diciamo che lo so caricare e so sparare, ma non posso dire che sia molto facile... –
Avod aspettò ancora qualche secondo: –E’ strano , qui dice che lei ha un’esperienza ben più che pregevole nell’utilizzo di quell’arma-
“Questo mi è sfuggito...” pensò il moro –Beh, si, diciamo pure che ho avuto molta fortuna durante i test...-
-Test? Per il fucile a canne mozze?-
-Cioè,... non test!- si corresse velocemente il pirata -Insomma, un capitano ha potuto vedere che ero un discreto tiratore... ma è stato per puro caso-
-In che senso “per puro caso” ? –
-Ci siamo... incontrati per caso! Come si incontrano due persone per strada...-
-Lei si è messo a sparare col fucile a canne mozze... per strada?-
-NO! Ci mancherebbe altro! In realtà... eravamo in un campo-
-Che tipo di campo?-
-Di addestramento-
-E chi era il capitano in questione?-
Il moro sparò il primo nome di capitano che gli venne in mente -Era... Smoker, signore-
-Ma Smoker è un commodoro!-
-Emh... prima, però, era un capitano!-
-Ma questo due anni fa!-
-Cioè,... si, in effetti questa è una cosa che è accaduta due anni fa, per cui... - si giustificò il giovane.
-Non aveva detto che per lei questo è il primo giorno?-
-Si, l’ho detto! Infatti... questo episodio è successo proprio due anni fa, quando ancora non era un marinaio-
-E lei si è messo a sparare con un fucile in un campo d’addestramento della marina, quando ancora non era un marinaio?-
-No! Non intendevo questo!-
-Viceammiraglio Avod, buongiorno!- In quell’istante un soldato entrò nella stanza e si mise sull’attenti per dare il saluto. Ace lo ringraziò con tutto il cuore nel silenzio più assoluto.
-Ah, buongiorno. Novità, soldato?-
-Ebbene si: c’è stato un furto- disse l’altro.
-Dove? Di nuovo nel settore tredici?-
-No. Qui alla base della marina.-
-Ah, molto bene... COSA? Un furto qui? Sotto il naso?- fece sbigottito il viceammiraglio.
-Scusi, effettivamente la merce rubata non è di rilevante importanza...-
-E che merce è, sentiamo...-
-Un cappello...-
-Un cappello?- fece eco Avod.
-...più il fazzoletto da legare al camisaccio. Spariti tutti e due dall’armadietto di un suo subordinato-
-E allora? Vi pare modo di avvisare un ammiraglio...-
-Viceammiraglio, signor Avod!- corresse soldato semplice.
-...viceammiraglio, solo per un cappello e un fazzoletto?-
-Di sicuro ha ragione, signore. Ma vede, la brunetta del negozio che ci invia le divise, nell’isoletta qua accanto, fa pagare caro qualsiasi accessorio!-
Ace si ricordò della tipa coi capelli castani, dalla quale era scappato assieme a Nami quella stessa mattina.
-...allora, soldato?-
-Allora, con i prezzi che fa quella lì, il cappello e il fazzoletto diventano piuttosto costosi...-
-Mmh, capisco... bene, soldato. Provvedete a cercare il ladro e dargli un’esecuzione esemplare-
-Agli ordini, viceammiraglio Avod!-
-Bene, soldato. Dicevamo?- Il viceammiraglio si era dimenticato, dopo quella breve discussione, di cosa stesse parlando con il nuovo arrivato.
-Non lo ricordo più nemmeno io- si scusò il moro.
-Capisco... lei di dove ha detto di essere nativo?-
-Non l’ho detto!-
-Glielo chiedo adesso, allora- disse il viceammiraglio osservando attentamente il curriculum. Né Nami né il capitano avevano pensato alla biografia del personaggio del marinaio: avrebbe dovuto improvvisare. D’un tratto la sua mente fu percorsa da un ricordo, che si dimostrò piuttosto utile in quel momento:
-Vengo da un posto chiamato Coconault Village-
-Ah!...- Esclamò il vecchio -... mi hanno parlato di quel luogo! Ho sentito dire che è un villaggio piuttosto, come dire, “tranquillo”, soldato?-
-“Tranquillo”? A dire il vero, fino a due anni fa, dei pirati l’occupavano riducendolo praticamente in schiavitù. Gran brutta storia... - ribadì il ventiduenne. Era una domanda a trabocchetto, quella che gli era stata fatta. E lui aveva comunque risposto in modo corretto: punto a favore.
-Bene, molto bene... sa, parrebbe che quella ciurma pirata era sotto la protezione della marina militare, non crede che questo sia ancora più buffo?-
Pugno di fuoco sgranò gli occhi: -Pirati? Marina militare? Scusi, c’entrano forse quelli della flotta dei sette?-
-Flotta dei sette? Mi faccia pensare... ah, ora ricordo! Il capitano della ciurma in questione, in realtà, non era altro che un subordinato di Jimbei, “Il cavaliere del mare”-
- Jimbei? Non credo... è troppo orgoglioso per mandare qualcuno dei suoi in un posto tranquillo come il mare orientale...- osservò il pirata.
-Ah, lei conosce l’ex flottaro Jimbei, soldato?- chiese incuriosito Avod
Il capitano si rese conto di ciò che aveva appena detto –No! Certo che no! Diciamo che da quello che scrivono i giornali si capisce molto com’è fatto...- Ecco. Questa fu la più grande bufala che poté dire Portuguese D. Ace.
Fino a quel momento.
-Capisco... ora mi dica: cos’è che l’ha spinto a diventare marinaio?- continuò Avod.
“Meraviglioso! Adesso mi tocca anche sparare uno di quei discorsi idealisti sulla marina che è giusta e che vuole combattere il crimine, perfetto!”
Ace pensò attentamente a ciò che gli aveva detto la navigatrice il giorno prima.
-Beh, a dir la verità, la mia motivazione è legata a una persona morta a causa di quei pirati...-
-Prego, dica pure!- lo incoraggiò l’altro.
-Ebbene, si tratta di nientemeno che la ex-marinaia più tosta di tutta Coconault Village: Bellmere...-
-Bellmere? Oh, carissima amica!- esclamò stupito.
-Ma come, la conosce?- per il criminale la situazione si faceva sempre più complicata.
-Certamente! E concordo col fatto che sia la ex-marinaia più tosta di quel villaggio! E’ stata una grande perdita, no?-
-Eh, già!-
-Viveva sola, dico bene?-
-Affatto! Aveva due figlie! Beh, non naturali, ma era pur sempre la loro madre!-
-Davvero? Ah, ora ricordo! Me ne avevano parlato... la prego, mi dica come sono diventate!-
Ace si fermò a pensare –Vediamo,.. una mi pare si chiamasse Niojiko, e chissà, forse è ancora su quell’isola... -
-C’è dell’altro, su questa ragazza?-
-Emh, a dir la verità non ho mai avuto tutta questa confidenza con lei...- provò a discolparsi il moro.
-Suvvia! Le prime impressioni le sanno dare tutti!-
Pugno di fuoco rifletté un po’: che poteva dire?
-E’ tutta sua madre-  “Vedi un po’ che mi tocca dire...” concluse mentalmente il moro.
 -Molto bene, molto bene... tuttavia c’è ancora qualcosa che non mi quadra, soldato-
-E cioè?-
-E cioè, mi hanno sempre detto che quelle ragazze, in un modo o nell’altro erano abbastanza popolari: chi non conosceva bene una conosceva bene l’altra!-
-Io, infatti, ho conosciuto meglio l’altra-
-Davvero?- domandò stupito il vecchio.
-Beh, è stata costretta a lavorare per molti anni al servizio dei pirati che erano lì, ma l’ha fatto solo per proteggere il villaggio!-
-Capisco... mi parli un po’ meglio di lei!-
-Parlare... di lei?- chiese sbigottito il giovane.
-Si, ha capito bene!-
Il pirata tentennò -Beh, si chiama Nami...-
-... continui!- lo incoraggiò l’altro.
-... ha dei capelli arancioni piuttosto caratteristici. E’ strana, un po’ bisbetica, e sfruttatrice. E non credo che si possa ribadire su questo. Ma... è tosta! E non si ritira indietro se è davanti a un problema: dovesse costarle caro, si getta nell’avventura e se ne frega di tutte le conseguenze...-
Il vecchio ascoltava attentamente.
-Ha dovuto passare dei lunghi anni  lì al suo villaggio, lavorando per quelli che avevano persino ucciso la sua stessa madre. Eppure non si è mai arresa, credo che io la stimi proprio per questo...- Ace sorrise: era un buon motivo per stimare qualcuno.
“Qualcuno come Nami...” pensò.
-Da come ne parli, si direbbe che tu ne sia innamorato- osservò il viceammiraglio.
Il ventiduenne tornò alla realtà più frastornato che mai: -Che? Io? Innamorato? No! Per niente! E poi, lei è una pirata, e io un marinaio! Non funzionerebbe nemmeno...-
-Esistono anche gli amori proibiti...-
-Può sembrare strano, ma è davvero una ragazza violenta!-
Avod si massaggiò il mento con fare pensieroso: -“E’ davvero una ragazza violenta” è al presente, vuol dire forse che la frequenta tutt’ora?- chiese.
-Che? Non sarebbe comunque possibile: lei e la sua ciurma non si fanno più vedere da due anni...-
-E questo come fa a dirlo, soldato?- Avod inarcò le sopracciglia.
-Semplice: leggo il giornale!-
-E’ una notizia di poco conto, difficile da tenere a mente o semplicemente da leggere, e vecchia di due anni. A meno che non la si cerchi, e per quello c’è bisogno di un valido motivo...-
Ace era con le spalle al muro. -E va bene, l’ammetto: mi sono perdutamente e palesemente innamorato di lei-
“Ma che scusa geniale che mi sono trovato...”
-Ed ecco svelato il mistero!- fece  soddisfatto il pelato.
-Preferirei comunque che non lo dicesse a nessuno: sa com’è, potrebbero non farmi mai superare un certo grado se scoprono che sono innamorato di una piratessa... -
-Più che comprensibile, e va bene, soldato.-
-Grazie tante!-
-Di nulla. Piuttosto, riguardo alla storia che la ragazza ha lavorato per tutti questi anni per quei tipi, lei pensa che sia stata sola?-
Il moro inarcò il sopracciglio a quell’enigmatica domanda: -Beh, si, così mi ha detto. Ma che intende dire?-
-Pare che in realtà, la ragazzina, abbia parlato della sua situazione con il resto del villaggio, quindi non era così “sola” o “odiata” come pensa-
Ace si sentì confuso.
Aveva capito che Nami sapesse cosa stesse provando.
Come si sentiva.
E sapesse incoraggiarlo ad andare avanti.
Ma allora, tutto questo non era vero?
Si sentì in trappola quando realizzò di essere nella tana del lupo e di fare affidamento su qualcuno che gli aveva mentito.
-C’è solo una cosa che non mi è chiara, soldato- continuò Avod.
-Si?- rispose Ace, con gli occhi velati di nero.
-Ebbene, per quanto ne so, questa storia venne raccontata dalla ragazzina a tutta Coconault Village-
-Quindi?-
-Quindi se è un membro di quel villaggio, mi sorprende che non lo sappia, tutto qui-
Ace rimase muto per un po’.
-Bene, può andare- terminò l’uomo, posando il curriculum sul tavolo.
-Molto bene- Pugno di Fuoco si alzò e si diresse verso l’uscita. Ora doveva solo andare fuori da lì, e togliersi da quel dannato impiccio in cui si era messo.
-Soldato, quasi dimenticavo l’ultima domanda-
Il moro si fermò sull’uscio della porta, ma non si voltò, aspettando l’ultimo quesito.
-Non mi ha ancora detto che ci faceva il capitano Smoker a Coconault Village, se in quel periodo era a Logue Town. O come lei potesse sparare in un campo d’addestramento quando, almeno in quelli della marina, è proibito portare armi da fuoco-
Ace sospirò, chiudendo gli occhi. Sentì dei ticchettii dietro la testa, infine alzò le mani in alto, mentre il viceammiraglio teneva la pistola con la canna appoggiata sulla testa del giovane. Particolare ancor più importante: la pistola era pericolosamente carica.

Fine capitolo. Ancora non si sa nulla della storia di Ace, è vero, ma vi giuro che il capitolo X si sta avvicinando! Tornando a questo: ebbene, ecco il piano per ottenere soldi di Nami!
(Un piano che è miseramente fallito...)
E che fine ha fatto Nami? Ha piantato in asso Ace? Lo scoprirete fra qualche giorno C;
Spero che fra flash back vari e con la storia delle lettere non ho confuso le idee a nessuno... Ci vediamo!
mo! C;

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Capitolo 6
*** La parte di Nami e la falla nel piano ***


Buongiorno! Vi auguro innanzi tutto una buona primavera (ormai, col tempo che c'è, mi sento libera di dirlo)
Ringrazio:
Chi l’ha messa fra le preferite:
Frandra
Itacina
Sayuri_91
Straw X Kisshu


Chi l’ha messa fra le ricordate:
Death Knight

E chi l’ha messa fra le seguite:
Daistiny
Gol D Ann
Kiby
kymyit
leonedifuoco
MBCharcoal 
NamiFolle
sihu
stellinatvb
SvEtY

E, sopratutto, vi auguro una buona lettura!



La parte di Nami e la falla nel piano

Qualche minuto prima...
-Non ti preoccupare, Ace! Basterà il fazzoletto da marinaio sulle spalle! Ora che mi ci fai pensare, servirebbe anche un cappello per nascondere la faccia...-
-Scusa, ma, esattamente, dove pensi di trovare un fazzoletto da marinaio e un cappello?-
-Mi dispiace DAVVERO TANTO, ma temo che oggi un povero marinaio si ritroverà senza alcuni particolari della sua solita divisa...-
Il moro la guardò storto: -E va bene, che sei strana già si sapeva, magari un po’ bisbetica...-
-E sfruttatrice!- aggiunse Nami sinceramente.
-... ma non ti facevo così crudele! Rubare un cappello e un fazzoletto ad un marinaio! Si può essere così  egoisti?-ridacchiò Pugno di Fuoco.
-Beh,... si?-
-Nami, sei un’egoista!-
-Anch’io ti voglio un gran bene, Ace-
I due si erano già avviati verso la base della Marina da un bel pezzo, camminando adagio.
-Tanto per cominciare...- fece la rossa –quando arriveremo, ti scriverò con quella sottospecie di pezzo d’antiquariato un curriculum!-
-E’ davvero necessario?- chiese il moro alzando gli occhi al cielo.
-Dobbiamo fare in modo che la scenata regga! O preferisci essere sbattuto nelle prigioni?-
-Va bene, mi hai convinto. E ora sentiamo: che ci vuoi scrivere?-
-Iniziamo dal nome: che mettiamo?- disse Nami.
-Nella mia ciurma c’era un tizio che si chiamava Misha-
-Ah, e come sta?-
-E’ morto.-
-Vabbè, a noi serviva il nome- esclamò lei agitando le mani -E per il cognome?-
-Spara tu un nome!-
-La ragazza ci pensò un  po’ -... c’era un tipo che di cognome si chiamava Ethanne: era un viaggiatore che ho incontrato per caso mentre vagavo e che si era preso una cotta per me. Dico che come cognome va bene!-
-Misha Ethanne... – si ripetè il moro –Fa un po’ schifo, ma va bene comunque!- schernì.
Dopo questa discussione raggiunsero l’avamposto.
Quando si avviarono di nuovo verso l’archivio si accorsero, con stupore, che i due marinai di prima dormivano ancora. Non appena entrarono scrissero le schede con la macchina posta sulla scrivania di legno, presero il curriculum di un altro soldato a caso e sostituirono le parti da cambiare.
Infine, uscendo, Nami prese dall’ubriaco addormentato che “sorvegliava” la porta della stanza il cappellino da marinaio e il fazzoletto legato alla giacca. Solo a quel punto il duo di criminali saltò giù dalla finestra, lasciando da soli i due scansafatiche. L’uomo con la bottiglia di Sakè in mano aprì leggermente gli occhi, riuscendo a scorgere Portuguese D. Ace.
Ebbe un veloce flash con lui come protagonista della guerra di Marineford: lo riconobbe subito.
I suoi occhi, dopo un momento di stupore, si posarono sulla bottiglia ormai vuota di Sakè che teneva fra le dita, e se ne fece una ragione.
Si voltò verso il compagno e cominciò a scrollarlo un po’:
-Sveglia! Ci siamo ubriacati di brutto, ieri sera!-
L’altro soldato cominciò ad aprire lentamente gli occhi. Poi si stiracchiò: -Che ore sono?-
-Credo che ormai sia finita persino l’ora di pranzo-
-Vabbè, l’importante è che non sia entrato nessuno dentro l’archivio- volse lo sguardo, preoccupato, sull’amico -... perché non è passato nessuno qui, vero?-
-Ma certo! Pensi che i pirati siano entrati qui dentro a leggere la posta, per caso?-
L’uomo di mare annuì, tranquillizzato, e si diede una veloce controllata.
-Acc...!- strillò.
-Che c’è adesso?-
-Il cappello, il fazzoletto! Non ci sono più! Li devono avere fregati mentre dormivo... e se il viceammiraglio mi chiedesse come mai non ce li ho? Lo sai quali sono le severe punizioni di chi dorme in servizio!-
-Tu racconta che te li hanno fregati dall’armadietto, e andrà tutto liscio...-
-Ma... qui alla marina non ci sono armadietti!-
-Ha importanza?-

Nel frattempo Ace e Nami raggiunsero l’entrata della base, rimanendo ben nascosti dietro un albero. Lì la rossa gli mise velocemente addosso il fazzoletto bianco sulle spalle, legandolo al collo, e il cappellino con la scritta “Marine”.
La ventenne doveva ammettere che in quel modo Ace stava benissimo, anche se lo preferiva di gran lunga a torso nudo.
-Ecco qual è il piano:...- cominciò a spiegare la ragazza –Tutte le basi della marina hanno una cassaforte dove tengono il denaro...-
-...denaro pubblico- precisò Ace.
-Non c’è bisogno che ti fai tanti scrupoli: voglio prendere solo il denaro delle famiglie dei nobili mondiali-
-Qui si trova il denaro delle famiglie dei nobili mondiali?-
-Sai com’è, nobili mondiali e draghi celesti sono “troppo importanti” per custodire i loro soldi in semplici e comunissime banche...
Dicevo, il denaro viene conservato in una cassaforte, dove vengono fatti dei turni per sorvegliarla.
Fra questi vigilatori c’è anche un certo Avod, che è anche il tipo incaricato di ricevere le reclute.
Ecco il tuo obiettivo: devi distrarlo per un’ora o due, facendoti fare tutti i controlli possibili e inimmaginabili, proprio mentre è il suo turno di guardia.
Se non se ne accorgerà nessuno, io andrò a prelevare i soldi dalla cassaforte scoperta e non ci metterò molto.
Tu invece vedi  di non farti beccare, ok?-
Ace e Nami raggiunsero l’entrata nascondendosi dove potevano. Quando Ace dovette lasciarsi la rossa alle spalle, questa lo prese per il bavero della camicia: -Allora, hai capito che devi fare?-
-Si: entro, trovo Avod e uso la tecnica del “sorridi e annuisci”!-
-Ace...?-
-Si, Nami?-
-Buona fortuna. Ti servirà.-
Il ragazzo entrò dentro il cortile interno della base. Due uomini in divisa gli si avvicinarono: stava per incominciare la scenata.
-Lei chi sarebbe?-
-Sono una recluta venuta per un apprendistato!- fece il pirata, mettendosi sull’attenti.
-Ha un curriculum?- chiese il primo.
Ace gli porse la cartellina che teneva sottobraccio. L’uomo l’afferrò e sfogliò qualche pagina.
-Molto bene,- fece l’altro –Ci segua-
Il moro fu accompagnato dentro l’ingresso: una stanza piccola e dalle pareti bianche.
Uno dei due uomini porse a una guardia il curriculum:
-Consegnalo al viceammiraglio!-
“Viceammiraglio? C’è un viceammiraglio in questa base della marina? E che c’entra con le reclute?”
Un richiamo distrasse il pirata: -Qual è il suo nome?-
Ace si voltò bruscamente: -Mi chiamo Misha. Misha Ethanne!-
-Che grado?-
-Soldato semplice-
-Potrebbe ripetere il perché lei è qui?-
-Sono venuto qui per il corso d’apprendistato, dovrebbe essere arrivata una lettera...-
-Ebbene?- Un uomo, dalla corporatura robusta, la capoccia pelata e la barbetta bruna.
I due marinai si voltarono in quel momento.
-Viceammiraglio Avod! Quest’uomo è il soldato semplice “Misha Ethanne”, una recluta che...-
“Viceammiraglio... Avod? Questo non l'avevo previsto...”  pensò Ace.
-E’ venuto per il corso dell’apprendistato. Già sono stato informato.-
L’uomo si avvicinò al pirata e lo scrutò attentamente.
Se l’avessero smascherato, un viceammiraglio non sarebbe stato un vero problema.
Ma la notizia avrebbe fatto il giro della maggior parte delle basi della Marina, cosa che non poteva permettersi.
Provò a nascondere gli occhi sotto il cappellino bianco.
-Bene,  se non le dispiace, vorrei parlare con lei nel mio ufficio- terminò Avod.
-Si, certo- provò a rispondere il criminale, e si incamminò nei corridoi della marina militare.

Nello stesso momento, fuori dalla base della marina...
-E’ il mio turno ora!- La ragazza uscì come un lampo fuori dal suo nascondiglio, prese la rincorsa e si lanciò su un ramo di un albero, lo stesso che aveva usato più di una volta per raggiungere il primo piano.
Una volta salita si accorse che, proprio nel momento meno adatto, i due Marinai che sorvegliavano l’archivio avevano interrotto la loro pennichella.
Rimasero immobili tutti e tre per qualche minuto.
-Ma... è una ragazza!- spaccò il ghiaccio il primo.
-Oppure è un effetto del Sakè di ieri sera- rispose il secondo.
Nami ebbe un lampo di genio: -Ebbene si, sono un frutto della vostra immaginazione. A dirla tutta, sono solo una povera ladra, nonché una fanciulla indifesa, caduta da una bolla volante sul peschereccio di uno che è morto e sepolto da due anni e che non sa pescare. Così gli ho dato una mano e abbiamo fatto un patto: se io lo convinco lui vedrà il mio capitano, altrimenti gli devo consegnare una mappa, che sarebbe anche il sogno della mia vita (anche se devo ammettere che il sogno della mia vita potrebbe essere cambiato, ora che l’ho visto a torso nudo...) no, aspetta, che sto dicendo? In realtà lui è solo un povero pescatore che fa pietà e che gli piace la pizza!-
I due marinai rimasero immobili come statue di ghiaccio, con la bocca spalancata, senza capirci nulla.
-Volete che vi ripeta tutto d’accapo?- chiese la rossa.
-NO! Un po’ di pietà!-
-Allora, potreste dirmi dove si trova la stanza della cassaforte?-
-Da quella parte, girando la seconda a sinistra!- I due indicarono il corridoio lì accanto.
-Ci si rivede! Grazie tante!- La giovane fece l’occhiolino e se ne scappò.

Corse seguendo le indicazioni, finché non si ritrovò vicino alla sua meta. Stava per entrare dentro la stanza, ma un marinaio camminava avanti e dietro di fronte alla cassaforte: un’enorme sportello in ferro, due metri per due, incassato dentro il muro, con le rotelle in metallo per mettere la combinazione. La ventenne si nascose dietro l’uscio della porta per un po’.
L’attacco più sicuro, in quel momento, era quello ravvicinato.
Ma come lo faceva venire verso di lei?
Il suono di un campanello elettrico spaventò la ragazza, quasi costringendola a gridare per la paura. A quel suono il marinaio si limitò ad appoggiare la schiena al muro, aspettando il cambio della guardia.
Passò qualche minuto, e il militare cominciò a diventare nervoso.
Forse Avod non faceva mai aspettare per così tanto tempo i suoi compagni.
Almeno il suo ritardo indicava che Ace stava recitando abbastanza bene.
Il soldato divenne sempre più stufo di aspettare, e pensò bene di iniziare a cercare per conto suo il compagno.
La rossa, lì fuori, non aveva dove andare a nascondersi. “Cavolo!” pensava, continuando a guardarsi intorno, mentre l’uomo si avvicinava lentamente all’uscio della porta.
Il marinaio uscì dalla stanza.
Non affrettò subito il passo alla ricerca del suo superiore, perché d’innanzi a sé si trovava una giovane ragazza, poco più giovane di lui, dai capelli lunghi e rossi e, cosa assai importante, si stava per togliere la maglietta.
-Hey! Ma che cosa stai...?-
-Oh! Mi scusi, signorina! Sono mortificato!- il soldato semplice si girò, diventato rosso in viso e imbarazzatissimo.
-Un momento: che ci fa una signorina nella base della...-
Un colpo da dietro la testa fece perdere i sensi all’uomo. Il vecchio trucchetto non aveva ancora tradito la rossa. Dopo aver fatto il suo rituale “linguaccia-al-nemico” entrò.
Non vi era nulla. La stanza era un semplice rettangolo grande e spazioso, ma era svuotata da ogni tipo di oggetto, lasciando da soli la cassaforte incassata al muro, che mostrava solo il grande sportello, e una larga finestra alla destra di questo, da cui passava la luce del giorno, sufficiente per illuminare l’intero ambiente. La ventenne posò delicatamente l’orecchio contro la superficie fredda e liscia del ferro nero come la pece, girando le rotelline argentate e sperando di riuscire miracolosamente a trovare la combinazione giusta.
-MA CHE DIAVOLO STAI FACENDO??- Quel grido fece sobbalzare la metereologa.
-Niente! Assolutamente niente...-
-Stai mangiando un panino con panelle e crocchè col LIMONE?-
La ragazza guardò verso la finestra: le voci provenivano da qualche piano sopra, e l’altra da sotto.
-Come hai potuto tradirci così?- fece il primo.
-Ma, capo, è solo un limone! C’è anche nella maionese...-
-No! La maionese sul “panelle e crocchè” è un conto, ma IL LIMONE...-
-Non capisco che c’è di male!-
-C’è che hai distrutto un’opera d’arte! Un capolavoro della gastronomia del nostro paese!-
Si affacciò, scorgendo in lontananza un uomo corpulento nel cortile, con la divisa da marinaio e un panino, a quanto pare con crocchette di patate e panelle, in mano. Al quarto piano un uomo affacciato gli stava urlando contro.
-Hey, tu chi sei?- Il tipo di sopra aveva notato la terza nuova presenza nella scena. La piratessa nascose i lunghi capelli rossi legandoseli con un tuppè, come tocco finale si mascherò la voce: -Emh, sono un nuovo arrivato!-
Il marine di sopra la scrutò un bel po’. La donna deglutì, temendo di essere scoperta. Eppure, data la distanza, non avrebbe dovuto riconoscerla.
-Hey, traditore-mangia-limoni! Abbiamo un compagno pel di carota!-
I due cominciarono a ridere a crepapelle.
-Smettetela di ridere! ...- la ladra stava per incominciare a controbattere, come sapeva fare solo lei.
Si bloccò non appena si ricordò che non tutti i marinai erano intelligenti, e che nella maggior parte delle volte poteva portare questo loro difetto a suo vantaggio: -Piuttosto, mi ricordate la combinazione per la cassaforte? L’ho scordata!-
- Uno, tre, tre, otto, cinque, quattro, dai che qui nell’isola la conoscono tutti! Anche il cane della signora Peppina...-
“Idiota. Imbecille. Imprudente. ” lo rimproverò mentalmente la rossa.
-Grazie!-
-Di nulla, pomodoro!- un altro coro di risate tuonò nell’aria, e la navigatrice, arrossita in viso per l’imbarazzo, tornò alla cassaforte e inserì la combinazione impropriamente suggerita dall’uomo.
Ruotò tutte e sei le rotelline, finchè non sentì un click e lo sportello si aprì. Dentro, sacchi pieni di denaro e fascette di Berry colmavano gli scaffali. Nami non poté evitare il luccichio negli occhi, ormai sfavillanti: -Wow!-
Una volta riempiti due sacche intere con i soldi di quei viziatissimi Draghi Celesti, li annodò all’estremità.
Prima di uscire decise di andare a controllare un'ultima cosa, e tornò nel corridoio dell'archivio dove i due marinai si erano messi a chiacchierare: -Scusate: se mi servisse una divisa, dove la trovo?- chiese loro.
-Puoi provare a vedere dentro lo scatolone degli oggetti smarriti. C’è da farsi un intero corredo con quel che contiene! Il problema, poi, è se trovi la tua taglia...- fece il primo.
-E dov’è questo scatolone?-
-Dalla parte opposta del corridoio dove sei andata, nello spogliatoio. Serve altro?-
-No. Sono apposto, grazie!- e se ne andò.
-Tu dici che facciamo bene ad aiutare quella tipa?- domandò il secondo, quando la ragazza scomparve dalla vista.
-Ma certo! Tanto è un frutto della nostra immaginazione! L’ha detto anche lei, no?-
-Se lo dici tu... -

La ventenne arrivò fino allo spogliatoio: non c’era nessuno.
Afferrò in fretta un borsone blu che si trovava lì e gli mise le sacche dei soldi.
Dopo ciò allargò lo sguardo fino a comprendere l’intera stanza, finché questo non si posò su uno scatolone in cartone, con un’iscrizione fatta col pennarello indelebile: “Oggetti Smarriti”.
Si avvicinò e cominciò a smistare fra la roba lì dentro. Riucì a trovare quasi tutto quello che le serviva: un camisaccio senza fazzoletto, ma grosso e ingombrante. Lo stesso valeva per un paio di pantaloni sporchi lì dentro.
Date le grandi dimensioni degli abiti la ragazza non avrebbe avuto problemi a nascondere le forme femminili.
Rimaneva il problema dei capelli, troppo lunghi per essere semplicemente legati.
La giovane spostò la sua zona di ricerca dallo scatolone alla borsa dove aveva messo il denaro, e lì trovò un cappellino: una comoda soluzione.
Raccolse la chioma in un disordinato tuppè e lo coprì con il berretto bianco. Dal cappellino usciva qualche ciocca rossa, ma non ci fece molto caso.
Quando fu pronta salì le scale del piano di sopra: le bastava trovare Ace ed era fatta.

Qualche minuto prima...
Ace sospirò, chiudendo gli occhi. Sentì dei ticchettii dietro la testa, infine alzò le mani in alto, mentre il viceammiraglio teneva la pistola con la canna appoggiata sulla testa del giovane. Particolare ancor più importante: la pistola era carica.
-Credevi davvero di poter prendere in giro in questo modo un viceammiraglio della marina?- le sue parole risuonarono nell’aria con un’impronta di disprezzo.
-Credevi davvero che noi, l’organizzazione militare conosciuta come “Marina Militare”, potessimo essere presi in giro in questo modo?-
L’ironia di Ace sovrastò la prudenza: -Perché no? Era un bel piano... -
-Silenzio!- il vecchio poggiò la bocca della pistola contro la nuca di Pugno di Fuoco. –Comunque devo ammetterlo, era davvero un bel piano. Mi riesce tuttavia difficile pensare che sia stato frutto di una sola mente. Hai un complice qui fuori, per caso?-
Ace rimase silenzioso, continuandosi a chiedere perché si lasciasse puntare quella pistola  per Nami.
Avod sospirò, stanco di non riuscire ad ottenere risposte.
Odiava i tipi come lui. Riuscivano ad apparire tanto coraggiosi, ma in realtà facevano solo perdere tempo a chi, come il viceammiraglio, aveva di meglio di cui occuparsi: -Molto probabilmente, ragazzo, non hai capito che io, anzi, NOI siamo delle persone serie...-
-MA CHE DIAVOLO STAI FACENDO?-            
Un grido acuto e improvviso fece trasalire entrambi.
-Niente! Assolutamente niente... - rispose una voce dal basso.
-Stai mangiando un panino con panelle e crocchè col LIMONE? Come hai potuto tradirci così?-
-Ma capo, è solo un limone! C’è anche nella maionese... -
-No! La maionese sul “panelle e crocchè” è un conto, ma IL LIMONE...-
-Non capisco che c’è di male!-
-C’è che hai distrutto un’opera d’arte! Un capolavoro della gastronomia del nostro paese!-
-Persone serissime... - commentò sarcasticamente Ace, lasciandosi scappare una risatina.
-Eccezioni che capitano di tanto in tanto. Ma ti assicuro che questi due che hanno gridato riceveranno uno stupendo rapporto disciplinare...- fece Avod.
-Smettetela di ridere! Piuttosto, mi ricordate la combinazione per la cassaforte? L’ho scordata!-
- Uno, tre, tre, otto, cinque, quattro, dai che qui  la conoscono tutti! Anche il cane della signora Peppina... -
-Ma è normale che diciate, o meglio, gridiate le combinazioni “segrete” alla finestra?- domandò il moro ancor più divertito dalla situazione del viceammiraglio, che diventava sempre più imbarazzate.
-A dir la verità, è vero che la combinazione la conoscono tutti, quindi se la gridano dalla finestra non farebbe alcuna differenza. Sai perché tutti ne sono informati? Me ne sono occupato io, personalmente.
Mi sono assicurato che la combinazione della cassaforte fosse conosciuta da tutti, e come sospettavo nessuno è ancora riuscito a organizzare una rapina decente. Perché in questa base della marina ci sono io, e non permetterò mai a nessuno di insultare la Marina Militare con dei giochetti da quattro soldi.
Nemmeno quei ladri che sono in netto vantaggio, conoscendo già la combinazione della cassaforte, non riescono poi ad uscire.
Di sicuro i due tipi che hanno gridato poco fa avranno capito il tuo gioco e quello del tuo amico, che ha chiesto la combinazione in modo stupido. Saranno già sulle sue tracce.
E non pensate di poterla fare franca: abbiamo una prigione sorvegliatissima,  ne avrebbe da invidiare la stessa Impel Down, e i guardiani saranno felici di avere dei nuovi ospiti!-
-Evviva, pare che la cara e vecchia Impel Down abbia avuto un brutto calo di popolarità... -
-Girati!- ordinò il marinaio.
Il moro si girò lentamente, percependo la continua presenza della pistola puntata accanto a sé. Tenne gli occhi bassi.
Il vecchio afferrò con estrema durezza il cappellino albino, prima di buttarlo a terra violentemente e di puntare sul collo del giovane l’arma da fuoco, facendogli sollevare la testa, per poter scorgere i tratti del viso.
Ace fissò il viceammiraglio con durezza, sperando che, per quanto fosse vecchio, due anni prima non facesse parte della marina.
Sperò che non lo avesse visto durante la guerra di Marineford.
Sperò che non lo potesse riconoscere per chi era veramente.
Sperò che non si potesse ricordare del sangue che gli scorreva nelle vene.

-Viceammiraglio Avod, buongiorno!- La figura esile di un soldato semplice sull’attenti apparve sull’uscio della porta, proprio accanto al criminale. La reazione del viceammiraglio fu immediata:-Soldato! Ti pare questo il modo di interrompere una simile situazione?-.
Ace si voltò, percependo nella voce del giovane marinaio vaga una sensazione di familiarità.
Il soldato aveva addosso una divisa notevolmente più grande della sua taglia. Un paio di occhialini dalla montatura spessa e nera si posavano sul nasino all’insù, mentre sulla fronte il cappellino bianco dei Marines copriva la testa, facendo uscire qualche ciocca arancione.
“... Nami?” Ace la riconobbe all’istante. Era lì accanto, si stava mettendo nei pasticci anche lei, perché lo voleva aiutare. Non l’aveva tradito.
In fondo, il moro se lo aspettava.
Forse.
-E poi, si presenti! E’ buona educazione... - aggiunse Avod, ancor più innervosito.
-Sono la nuova recluta venuta per il corso di apprendistato, signore!- fece la donna travestita, battendo i talloni.
-Mmh, molto bene. Non aspettavamo più nessuna recluta perché quest’uomo aveva occupato il suo posto, ma per rimettergli la testa a posto basterà mandarlo in prigione per un mesetto o due... -
Pugno di Fuoco in quel momento guardò la ventenne con un’espressione del tipo “Datti una mossa e fatti venire un’altra idea geniale!”. La giovane, come risposta, si limitò a squadrarlo attentamente per un po’. Ace non riusciva a capire perché. Nami balzò di scatto, facendo trasalire tutti i presenti, aggiungendo con aria scioccata: -Signore, io conosco quest’uomo!-
-Ah, si? E chi sarebbe, soldato?- fece Avod, appena ripreso dallo spavento del salto di prima.
-E’ un rappresentante (miseramente fallito) dei famosi biscotti con l’uvetta, e ha la mania di travestirsi e di entrare nei posti più inimmaginabili pur di cercare di vendere la sua merce... -
“Nami, ma una scusa più intelligente no?” la rimproverò mentalmente il capitano, assumendo un’aria stizzita.
-Ah! I biscotti con l’uvetta! Abbiamo ricevuto una pubblicità per posta l’altro giorno... -.
-Vede che li conosce anche lei?- disse la camuffata -... ora tanto vale lasciarlo andare, no?-
-Siccome si è infiltrato nella base della marina, come ho già detto, mi costringerà a tenerlo in prigione per un mese o due... - disse l’uomo, riponendo la pistola sulla scrivania. Già il fatto che avesse posato l’arma era un buon inizio -... comunque, soldato, se lei è la nuova recluta, potrebbe gentilmente passarmi il suo curriculum?-.
La rossa sgranò gli occhi: -Il mio... curriculum?-
-Si, il suo curriculum! E’ fondamentale per un apprendistato, lo sa?-
Nami rimase immobile per qualche minuto, fissando attraverso le lenti trasparenti degli occhiali, il volto del viceammiraglio che ancora aspettava una risposta.
Ace ruppe il ghiaccio: -Scappiamo?-
-Ovviamente... -
Il ragazzo con uno scatto fulmineo diede un colpo alla pistola sulla scrivania, facendola cadere. Prima che Avod la potesse afferrare, i due iniziarono una corsa a dir poco sfrenata, ormai troppo lontani per diventare bersagli delle pallottole. Il viceammiraglio afferrò il lumacofono più vicino: -Emergenza! Due infiltrati stanno cercando di scappare...-

Nel frattempo la coppia di pirati continuava a correre veloce.
-Me lo potevi dire prima che avevamo a che fare con un viceammiraglio della marina, no?- chiese il moro mentre si dava alla fuga.
-E come potevo saperlo? In quei dannati registri non c’era scritto il rango di questo “Avod”!-
-Almeno li hai soldi?-
-Sono in un borsone, di sotto!-
Continuarono a correre fino a quando non scesero le scale, giungendo in una stanza vuota dalle mattonelle bianche e dalle panchine contro il muro. Erano nello spogliatoio, e c’era mancato poco che ci fossero due o tre Marines nudi, che di sicuro avrebbero scandalizzato la ragazza. Per fortuna quella stanza era vuota. Troppo vuota.
-E la borsa?- fece Ace.
-Emh, temo che il proprietario se la sia ripresa... - si scusò lei.
-Come sarebbe a dire “se la sia ripresa”? Io sono stato a farmi un interrogatorio per due ore, inventandomi la storia della mia vita e compagnia bella, in una maniera che, come minimo, dovrebbero darmi l’oscar, ora arrivi tu e te ne esci con “se la sono presa”?-
Nami si gettò sull’uscio della porta, nella speranza vana di trovare il proprietario nelle vicinanze. Si affacciò anche dalla finestra, facendo cadere lo sguardo per caso sul tipo del panino con le panelle e crocchè (e limone). Si portava su una spalla ciò che solo in quel momento poteva illuminare gli occhi a Nami.
-L’ho trovata! E adesso?-
 L’uomo stava camminando a passo svelto nel cortile, dirigendosi verso un gruppo di soldati che chiacchierava animatamente. Se i due pirati avessero dovuto combattere contro un marinaio per ottenere la borsa, ce l’avrebbero fatta. Ma contro tutti quelli?
-Lascia fare a me!- Ace si calò abilmente dalla finestra, atterrando silenziosamente come un gatto sull’erba fresca. Si diresse senza fretta verso il gruppo di amici, senza deconcentrarsi dalla parte di militare che era tornato a immedesimare. Quando fu abbastanza vicino, rimase qualche minuto ad ascoltare i battibecchi dei soldati, e mentre nessuno se l’aspettava afferrò saldamente la spalla del corpulento e, gesticolando parecchio, esclamò: -Ma tu sei quello che ha messo il limone nel panelle e crocchè!-
-Cosa?!?- strillò un marinaio.
-Non ci posso credere!-
-Come hai potuto fare una cosa simile?-
L’uomo cadde nel panico e nell’imbarazzo più totale. Si sentì avvampare e diventare rosso come un peperone, e quando non ce la fece più, scoppiò iniziando a discolparsi come meglio poteva, mentre gli “amici” gli rispondevano ad ogni sua giustificazione. Nello stato di vergogna più totale poggiò per terra la borsa blu che, piena di roba com’era, aveva incominciato a essere pesate.
Quando tutti furono immersi nella discussione Ace afferrò la sacca e senza che nessuno se ne potesse accorgere girò i tacchi e se ne andò.
Nami lo guardava dalla finestra del piano di sopra. Un ghigno stupito le si era posato in viso, strabiliata dall’idea che aveva avuto il compagno. Geniale. Afferrò la grondaia lì accanto e si lasciò scivolare giù, finché non raggiunse il cortile. In quel punto era arrivato Pugno di Fuoco.
-Di la verità, non sono un genio?- disse compiaciuto alla giovane.
-Tu sei solo un genio diversamente idiota, Ace. E’ per questo che sono caduta sulla tua bagnarola-
La coppia cominciò a dirigersi verso l’ingresso della base: all’incirca dovevano raggiungere l’altro cortile, dall’altra parte dell’edificio. Incominciarono quindi la loro camminata verso la libertà, ma qualcosa li frenò. Il suono di una sirena d’allarme aveva cominciato a riecheggiare nell’avamposto, stonando i timpani a chiunque si trovasse dentro. Il gruppo di marinai che stava discutendo si ammutolì, spostando gli sguardi sui due, che nessuno di loro aveva mai incontrato prima. Avevano incominciato a capire.
Ace e Nami si guardarono negli occhi per qualche secondo, con aria preoccupata, infine si gettarono all’interno dell’edificio, inseguiti dai soldati della marina.
-Sai come si dice, in questi casi?- chiese correndo il giovane.
-Cosa? Sentiamo... - rispose la navigatrice.
-Che i problemi vanno affrontati a faccia a faccia!-
Detto ciò Pugno di Fuoco si voltò, mentre la navigatrice, non capendo il suo gesto, aveva continuato a correre per qualche metro. Rimase ancor più stranita quando vide il compagno rimanere immobile mentre i marines si avvicinavano sempre di più.
Realizzò la situazione solo quando vide il pirata cominciare a schioccarsi le nocche delle mani.
-Ace! Non fare l’idiota!-
Un marinaio impugnò il fucile come se fosse una mazza da baseball, ma prima che potesse colpire il moro quest’ultimo, si era chinato per terra facendo lo sgambetto al militare.
Ace affrontò senza troppi problemi un altro gruppo di marinai, mentre Nami aveva poggiato la spalla al muro, a braccia conserte, e nel frattempo guardava indifferente la scena.
Un altro Marines provò ad attaccare Pugno di Fuoco da dietro, mentre era indaffarato con altri due soldati davanti. Prima che se ne potesse accorgere, Nami aprì il suo Perfect Clima Sansetsukon, ma per quell’occasione colpì semplicemente la testa del militare, facendolo svenire. Il corridoio ormai era deserto, tranne che per i due pirati e per i corpi inermi dei militari a terra.
Per ora non c’erano più Marines.
E non ne valeva la pena di aspettarli.
-Sono andati da quella parte!- quella voce che si avvicinava spaventò la ladra e il pirata, che tagliarono la corda più svelti che potevano.
-Aspetta!- Gridò la rossa, fermandosi e sistemandosi meglio il cappello da marinaio e gli occhiali. La ragazza si affacciò alla finestra più vicina, agitando le braccia allo stesso modo con cui si saluta qualcuno lontano. Un marinaio del piano di sopra si sporse, come se avesse appena risposto a un richiamo SOS o simili.
-Dove sono andati?- gli urlò, mascherandosi la voce.
-Dovrebbero essere dalle tue parti, amico!-
-No! Ho già cercato per tutto il piano e non ci sono! Sono sicuro che si trovino di sopra!-
-Ricevuto!- il giovane soldato si ritirò.
-A tutte le unità: i criminali si trovano verso il primo e il quinto piano!...- si sentì da lontano.
-Nami, devo dirti una cosa... - disse Ace –non credo che l’avrei mai detto, ma anche tu hai l’onore e il privilegio di essere, come il sottoscritto, un genio diversamente idiota!-
-Oh! Sono così emozionata... - ironizzò lei.
I travestiti corsero ancora un po’. Nami, abituata a vestiti provocanti e succinti, si tolse il camisaccio, il berretto e gli occhiali, rimanendo con i capelli legati a tuppè dietro (moltissime ciocche lasciate libere, come se fosse un’acconciatura disordinata) e una banale canotta. Preferì non togliersi i pantaloni, per non rimanere in mutande (succinta si, ma questo...)
Sentirono delle altre voci: -Ci hanno preso in giro! Sono ancora di sotto!-
La situazione non preoccupò minimamente i due compagni: avevano raggiunto il corridoio prossimo all’ingresso, e a momenti sarebbero usciti.
-Ci siamo, Ace! Ce l’abbiamo fatta!- la ragazza si fermò, guardandosi intorno –Ace, dove sei?-
Si voltò: il pirata aveva appena avuto un attacco di narcolessia, e se ne stava sdraiato a terra, steso sul dorso.
-Ace!- la rossa corse preoccupata verso di lui, e una volta raggiunto si sedette lì accanto, dedicandogli la scrollata violenta più dolorosa che avesse fatto in tutta la sua vita: –Non è l’ora di andare a nanna! Svegliati!-
La donna sentì dei rumori alle sue spalle. Si voltò, trovando d’innanzi a sè il viceammiraglio Avod in compagnia di quattro dei suoi uomini, con i fucili armati e puntati sulla coppia. La giovane posò temporaneamente la testa dell’amico sulle sue ginocchia.
A guardare i fucili carichi si sentì pervadere dalla sensazione fredda della paura, specialmente immaginando come avrebbero passato lei e Ace  il resto della giornata. Nelle prigioni.
-Bene bene, che abbiamo qui?- Avod tirò una boccata di fumo dalla sigaretta –Tu devi essere Nami, detta “la gatta ladra”, dico bene?-
La rossa sbarrò gli occhi per la preoccupazione.
-... riguardo al tuo amichetto, non abbiamo ancora capito chi è, ma non tarderemo molto...-
Si sentì anche sudare freddo. Non sapeva se a preoccuparla di più fossero le parole fredde del viceammiraglio o i fucili puntati dei due marinai.
-Tuttavia... sei ancora in tempo per fuggire, ragazzina. Non sei ancora diventata una chissà quale minaccia. Ma il tuo amico, forse, ha una situazione ben diversa. Scappa. Lascia tutto qui, bottino e socio. D’altronde è svenuto, per te sarebbe solo un peso. Molla tutto e vattene!-
Nami diede un ultimo sguardo al viceammiraglio. Pareva abbastanza quieto della sua proposta, il rischio di prendere un ladruncolo come tanti non lo preoccupava affatto. La rossa spostò gli occhi sul viso addormentato del pirata, sulle sue ginocchia. Osservandolo bene le venne un tuffo al cuore, sapendo che il compagno non avrebbe mai sentito quello che Avod le aveva chiesto, ma la conseguenza avrebbe avuto in qualsiasi caso un certo peso.
Mollare Pugno di fuoco e incontrare i suoi compagni, dopo due anni di lunghe attese.
Oppure venire catturata e non tradirlo.
La navigatrice giurò di stare per fare la cosa più stupida di tutta la sua vita. Ma si sentì comunque il dovere di farla.
Diede un altro sguardo al viceammiraglio, che attendeva da qualche minuto la risposta.
-Ebbene? Non vorrai fare parte del gruppo di persone che fanno gli eroi coraggiosi?- fece Avod innervosito.
La  ragazza annuì. –No. Non credo proprio di voler fare parte di quel gruppo-
-Molto bene...- le rispose.
 -Ma ci sono persone che sono state considerate coraggiose perché avevano troppa paura per scappare. Credo di fare parte di questo gruppo. E non ho la benché minima intenzione di cambiare idea-
Un leggerissimo abbaglio di nervosismo percorse gli occhi del marinaio. La rossa sapeva di aver firmato la sua condanna.
Sentì qualcosa muoversi sulle sue ginocchia.
Abbassò gli occhi. Ace stava dando delle leggere scosse alla testa, aprendo le palpebre. Non appena fu abbastanza cosciente si poggiò sui gomiti, mantenendo un’aria assonnata. Si ritrovò disorientato nella scena fra Nami, Avod e i marinai armati dietro.
-Lui? Qui? Ma cosa è successo mentre dormivo?-
La navigatrice aprì la bocca, pronta per dare con un filo di rassegnazione la notizia, ma qualcosa la cose di sorpresa.
Il pirata, continuando a guardarsi intorno confuso, aveva passato la mano dietro la ragazza, tastandole la schiena.Molto in basso.
-Ma che...?-
-Shhhh!- La zittì.
La ladra si preparò a dargli il pugno in faccia più colossale della storia, che non gli avrebbe lasciato un’impronta in viso con cinque dita ben stampate, ma un vero e proprio tatuaggio rosso, di quei tipi indelebili che ti rimangono per tutta la vita. Prima che potesse sferrare il pugno, sentì la mano inopportuna del moro afferrare un oggetto dalla tasca posteriore dei pantaloni. Ma non era riuscita a immaginaree di cosa potesse trattarsi. Data la situazione, era probabile che servisse a scappare.
-Sai di chi erano questi pantaloni?- sussurrò silenziosamente la ragazza al camuffato, ma questo non rispose.
-Allora?- domandò nervosamente Avod.
Il ragazzo tirò fuori dalla tasca un cilindro. Era medio-lungo e sottile, di colore rosso vivace. Nessuno dei marinai riuscì a scorgerlo da dietro la rossa.
Ace sfiorò l’estremità del tubo col pollice.
-Afferra!- Gettò il tubo in faccia ad Avod, mandandolo in stato confusionale. Prima che qualcuno potesse rendersi conto della situazione, il moro si era caricato la ventenne sulle spalle scappando verso la porta dell’uscita. Si sentirono alcuni spari, ma nessuno colpì i due criminali.
Avod afferrò l’oggetto che gli era stato lanciato, lo stesso che l’aveva distratto dando il tempo necessario al ragazzo di darsela a gambe.
Furbo.
Non appena il viceammiraglio notò meglio e con orrore di cosa si trattasse, lo lanciò più lontano che poté.
-A terra! Tutti a terra! E’ una dinamite! Ed è già accesa!- si sentì un boato, mentre il fumo e il fuoco riempivano le stanze e i corridoi. Ace e Nami erano già in salvo.


I due pirati passarono il resto della giornata occupandosi delle compere per la nave e per il viaggio.
Nami andò ad acquistare le vele, al moro toccò occuparsi delle provviste.
Si era fatto tramonto, ed il ragazzo, per quanto avesse sviluppato un olfatto finissimo per andare alla ricerca di cibo, non aveva trovato nessun mercato, bancarella o fruttivendolo di qualsiasi genere. Era sicuro che la rossa avesse già svolto la sua mansione e lo stesse aspettando da qualche ora alla bagnarola... emh, barca.
Evidentemente quell’isola doveva essere famosa per i suoi tessuti o per la stoffa che fabbricava, perché sul ciglio della strada c’erano milioni di bancarelle affiancate che vendevano vestiti, tende, tappeti,... tutto ciò che avesse a che fare con i tessuti. Ma di cibo neanche l’ombra.
Ace vagava da ore, ed era stanco. Molto stanco.
Si avvinò lentamente ad una bancarella che vendeva tappeti e oggetti vari.
-Signore, le interessa questo manto? Guardi che è fatto di stoffa di ottima qualità, e...-
-Mi dispiace, - lo interruppe il moro –ma in realtà volevo solo sapere dove potevo trovare un bancarella che vendesse cibo!-
Il mercante abbassò lo sguardo col morale a terra: -Vada sempre dritto per tre o quattro kilometri. Lì in fondo ci dovrebbe essere il mercato-
-Che? Tre o quattro kilometri? Così lontano?-
-Mi creda, è un mercato enorme e ben fornito!-
-Si, ma... non c’è qualcosa di più vicino?-
-Entro questo raggio troverà solo venditori di stoffa. O di oggettistica, come il sottoscritto. Non le interessa nemmeno una raffinatissima lampada ad olio?-
-A dir la verità no. E quanto ci vuole per arrivarci e tornare?-
-All’incirca venti minuti per l’andata, solo se ha il passo veloce. Per il ritorno, contando la stanchezza, ce ne vogliono almeno trenta. Il viaggio è lungo: prenda una borraccia d’acqua! O una mappa, per non perdersi...-
-La borraccia basterà, grazie!-
Il moro acquistò in fretta l’articolo e bevve più che poté dalla fiaschetta. Mentre sorseggiava, lo sguardo cadde su un oggetto della bancarella abbastanza interessante.
-Vedo che le interessa quella merce! Le posso garantire l’efficienza! Lo vuole comprare?-
Ace allontanò dalle labbra il beccuccio della borraccia, e mentre si strofinava col dorso della mano la bocca pensò: “Perché no? Potrebbe far piacere a Nami...”

Tre ore dopo, notte fonda...
-Ti piace?- chiese il capitano alla ragazza.
-Vuoi scherzare? Ace, è bellissima! Grazie! Come si accende?-
-Dovrei mettere la mano qui...-
Il moro sfiorò con la punta delle dita la cordicella della candela. Questa si accese, facendo illuminare l’intena lanterna di carta. Era di colore arancione, con dei motivi floreali stampati sopra.
Un regalo da Pugno di fuoco per Nami, che l'aveva ricevuto con moltissima euforia.
La rossa tenne quella lampada sulla ginocchia, sedendosi sulla balaustra del peschereccio, accanto al pirata.
-A cosa devo questo regalo?- gli chiese.
-Tanto per incominciare, per ringraziarti della camicia-
-Ma che gentile...-
-Secondo: mi ricordava il colore dei tuoi capelli. E credimi se ti dico che non è facile trovare un colore così!-
Erano soli: il peschereccio ormai troppo lontano dalla costa, e adesso intorno a loro il buio sovrastava, fatta eccezione per il cerchietto bianco della luna che quella notte aveva timidamente mostrato la sua forma con un sottilissimo quarto.
L’acqua era calma, ma faceva sentire il rumore delle piccole onde infrangersi sul freddo e ruvido legno.
-Vorrei farti una domanda: - continuò la ventenne -come facevi a sapere che in tasca avevo una dinamite?-
-Semplice: mi sono accorto che la tua divisa puzzava di polvere da sparo, e così ho pensato che lo sfortunato proprietario dei vestiti fosse un bombardiere!-
-Si, va bene, ma che un bombardiere della marina tiene le dinamiti in tasca ti sembra normale?-
-Ok, l’ammetto: quello è stato un colpo di fortuna... – sul viso del giovane, illuminato debolmente dalla luce della lanterna, apparve un sorriso sghembo. -Ora, invece, ho io una domanda per te!-
-Sarebbe?-
-Quando ti sei accorta che fingevo di dormire, mentre scappavamo?-
La piratessa sorrise: -Più o meno sin dall’inizio: era troppo strano che non ti eri messo a russare!-
Ace ridacchiò: -E hai capito a cosa serviva?-
-Volevi mettermi alla prova, vero?-
-Esattamente...-
-Ma ancora non capisco il perché!-
 Fra i due ci fu un breve scambio di sguardi.
-Nami,... – richiamò Pugno di Fuoco -... tu, insomma, mi hai spudoratamente mentito!-
-Eh? Cosa? Ma che stai dicendo?-
-La storia dei pirati a Coconault Village! Insomma, non è vero che eri sola! Il viceammiraglio Avod me ne ha parlato: avevi tutto il villaggio che ti aiutava! Io... io avevo capito che avevi una situazione come la mia, e che eri riuscita ad affrontarla da sola... -
La ragazza lo osservò, notando attentamente come un accenno di malinconia si era posato sul volto del compagno di bordo.
-Allora... – continuò il giovane -... è vero o no?-
-Vuoi sapere davvero la verità?- chiese lei.
-Certo!-
-Ni!-
-Eh?- il moro la guardò storto.
-Ma come, non lo sai? E’ la parola che si ottiene mettendo metà “no” e metà “si”, ovvero “ni”!-
-Ok, vero che questa frase è spudoratamente copiata dal sottoscritto, ma mi piacerebbe tanto capire meglio la tua lingua... - rispose il ventiduenne, poco chiaro.
-E’ vero che una piccola parte del villaggio sapeva qualcosa. Ma a me non avevano detto nulla. In più avevo tutto il resto di Coconault Village che mi chiamava “la strega” e che mi avrebbero tirato il collo volentieri; e con “il resto del villaggio” intendo qualcosa come il 99,9%. Che te ne pare?-
Ace la fissò stupito: -Capisco...- -Ecco, bravo. C’è qualcos’altro che vuoi dirmi?-
-Emh... – il moro assunse un’aria pensierosa -... a dire il vero, no.-
-Avanti! Serve anche per parlare di qualcosa! Di’ qualcosa che hai chiesto, che ne so, a TUTTI quelli che conosci... -
-Come ti chiami?- domandò il pirata scherzosamente.
-Ok, sì, va bene, qualcosa di meno generico? Che magari hai detto a TUTTI quelli di cui ti sei fidato?-
Il pirata mugugnò per un po’. Infine parve essere riuscito a trovare qualcosa, anche se era piuttosto insicuro: –Secondo te, sarei mai dovuto essere nato?-
-Eh?- la ragazza inclinò la testa.
-Ok, questa è una sparata peggiore di quella di prima...-
-Spiegati allora!-
-... è una cosa che mi chiedo fin da bambino. Ammetto che potrebbe sembrarti un po’... “psicologicamente spostato” uno che da bambino si faceva domande sul senso della vita, ma tu che risponderesti?-
Nami rimase a fissarlo per un altro po’: -Eppure, è strano... – rispose cautamente la rossa -... ieri sei stato proprio tu a rispondere a questa domanda-.
Pugno di Fuoco, bloccato da quell’enigmatica affermazione, provò a chiedere: -Cos’è che avrei detto, esattamente?-
-E’ stato quando abbiamo parlato di quella roba della “destinazione finale”. Hai detto: “Un viaggio esige anche una meta, un qualche posto dove andare. Altrimenti il viaggio stesso non avrebbe un senso... ”-
-Ancora non capisco cosa c’entra... - continuò il moro non troppo convinto.
-La vita non è già di per sé un viaggio? E la meta non potrebbe esserne il senso? Se vuoi un esempio più concreto del senso della tua vita, guarda me! Se non fosse stato per te e il tuo peschereccio, io sarei caduta in mare!-
 Ace ammutolì per qualche minuto, senza rispondere.
-Vediamo, come posso spiegartelo meglio? ... – continuò la metereologa -... hai mai visto qualcuno sorridere da vicino?-
-E questo che c’entra?-
-Rispondi e basta!-
-Certo!-
-E ora: tan-tan! Sorpresa fra le sorprese, la causa di quel sorriso sei stato tu! Non so se è per una figuraccia che avrai fatto chissà dove o perché hai aiutato qualcuno che ne aveva davvero bisogno.
Ma sono del tutto sicura che se alla gente piaccia il fatto di sorridere, è perché gli piace anche la persona che l’ha causato! Adesso, prova a ricordare tutte le persone che hai visto sorridere... e troverai (in teoria) i volti di quelli a cui vuoi più bene.-
Ace rifletté: la persona più vecchia che si ricordava che avesse mai sorriso era stato il nonno, Garp.
Poi c’erano anche Dadan e gli altri banditi di montagna, che l’avevano adottato.
C’erano Sabo e Rufy, i suoi due fratelli.
Makino, la simpatica locandiera.
C’erano i compagni della sua prima ciurma pirata.
Aveva visto sorridere persino Shanks, quella volta che gli aveva fatto visita.
C’erano anche i membri dell’equipaggio di Barbabianca: Sacth, il primo che gli aveva per primo rivolto la parola, quello con cui rideva di più.
Subito dopo Marco, l’amico “fidato” che cercava sempre di farlo ragionare.
Jewels, Vista, il babbo, e così via.
E per ultimo, Nami.
-Quindi, secondo te... - disse Ace -... il senso della vita, è intrecciato alle vite di ci sta accanto. Dico bene?-
-Più o meno sì! So che come ragionamento è strano, ma... -
-Shh!- la ragazza fu zittita dall’amico.
-Nami, tu... - il ragazzo tentennò -insomma, mi fai...- si bloccò, non avendo il coraggio di continuare la frase.
-... sorridere?- timidamente, la rossa avvicinò il volto, fievolmente illuminato dalla lanterna sulle sue ginocchia, a quello del capitano.
-Se devo essere sincero, tu mi fai proprio crepare dalle risate... -
Dopo un breve momento di silenzio ghiacciato, Ace cadde in acqua rimanendo appoggiato all’imbarcazione solo con una mano. Indovinate da chi era stato spinto?
-Possibile che tu sia così violenta?- disse il pirata un po’ schernendo e ridacchiando.
-Ace, se solo tu cercassi di dire qualcosa di sensato... -
-Ma quello che ho detto era davvero sensato! Ed era anche un complimento!- aggiunse.
“E’ stato molto di più, Ace. Grazie.” la ladra tenne quel pensiero per sé, come aveva custodito da sempre ogni suo piccolo tesoro. Forse, per quella situazione, aveva persino riservato un trattamento particolare.
-Comunque, credo sia ora di andare a dormire-
La giovane sbarrò gli occhi: -Di già?-
-Credimi, fare il pescatore impone delle brutte regole-
-E per dormire? Voglio dire, la scorsa notte siamo svenuti per terra, ma se devo essere sincera, non lo rifarei tanto volentieri...- nel frattempo, la metereologa si massaggiò i lividi che si era procurata durante la notte scorsa.
Ace si avvicinò alle casse dall’ignoto contenuto che si trovavano sul peschereccio. Aprì una di queste e tirò fuori una specie di sacco a pelo, molto più simile a un materasso, con un’imbottitura abbastanza spessa da lasciare sogni tranquilli.
-E va bene, hai un materasso. Ma noi siamo in due!- fece notare la navigatrice.
Il moro a quell’affermazione tirò fuori un secondo sacco a pelo.
-Ok, per quale motivo hai due materassi?- chiese sbigottita lei.
-Nel caso uno mi cadesse in acqua, si rompesse o nel caso qualcosa di arancione mi piombi sul peschereccio e abbia bisogno di un posto dove dormire-
-Haha, divertente...- schernì la ragazza.
-Oh, ma non ti offendere! Sei la cosa arancione piombata dal cielo più carina che abbia mai visto... - – aggiunse sempre in modo ironico. -Ma che bello... grazie!- le rispose per le rime l’altra.
Detto ciò, i due spensero la lanterna di carta e si accovacciarono nelle cuccette, sistemate in modo tale da stare testa contro testa.
-‘Notte Ace!-
-‘Notte... ragazza violenta!-
La coppia, dopo non molto, si lasciò cullare dolcemente dalle onde del mare, mentre si addormentavano nel buio notturno.


Rivisto e corretto per quanto potevo la parte OOC di Ace
Fine capitolo! Spero di non avervi deluso nemmeno questa volta!
Per chi non lo sapesse, le
crocchè sono le crocchette di patate e le panelle una specie di frittelle salate fatte con la farina di ceci... almeno credo.
Diciamo che dalle mie parti è abbastanza famoso, ma mi sono preoccupata se fosse così solo dalle mie parti. Nel dubbio ho messo questa breve spiegazione xD.
(Comunque vi posso assicurare che è buonissimo! Ma la storia del limone l'ho inventata io: sulle crocchette si ci mette eccome!)
Saltando crocchette, panelle e simili, finalmente Ace e Nami hanno un momento un po' più "per loro", e spero sia piaciuto a tutti. Non potevo fare niente di troppo romantico perchè pensavo fosse troppo presto, spero che la cosa del senso della vita sia andata bene...
Comunque, per il prossimo capitolo ci sarà l'agoniato capitolo del ritorno in vita di Ace! A presto! C;

P.S.= grazie davvero davvero davvero a tutti quelli che seguono la storia, sul serio

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Capitolo 7
*** Le memorie del pirata di fuoco ***


Buongiorno! Ultimo giorno prima delle vacanze pasquali! (finalemente **!) Ho un nuovo capitolo per voi, ma prima vorrei ringraziare:
Chi ha messo la mia storia fra le preferite:
Cloe_Chan
Frandra
Itacina
niki 96
Sayuri_91
Straw X Kisshu


Chi l’ha messa fra le ricordate:
Death Knight

E chi l’ha messa fra le seguite:
Cloe_Chan
Daistiny
Gol D Ann
Kiby
kymyit
leonedifuoco
MBCharcoal 
NamiFolle
sihu
stellinatvb
SvEtY
_Lunatica_

Dunque non mi resta che augurarvi una buona lettura!

Le memorie del pirata di fuoco

Quella notte Ace sognò. Ma il suo non fu un “sogno”: fu un ricordo passato, dissotterrato da macerie di ricordi vecchie di circa due anni, facendolo viaggiare fra memorie che, col passare del tempo, aveva incominciato ad ignorare persino l’esistenza.
Quella notte Ace sognò la guerra di Marineford.
O meglio, sognò quel che accadde dopo.

-La guerra è finita!- le parole rimbombarono come l’eco in una grotta buia e senza fondo. A Marineford  era davvero finita la guerra, e a confermarlo era stato proprio Shanks.
Che ci faceva lì?
Se lo stavano chiedendo tutti.
Non c’entrava niente, tranne per il fatto che prima era un membro della ciurma del re dei pirati.
Era un membro della ciurma di Roger.
Era più che un semplice membro: era un suo amico.
Adesso, il figlio del suo amico era morto.
Shanks si guardò intorno: l’avevano ascoltato. Marinai e pirati prendevano ciascuno la loro strada.
C’era chi aiutava un compagno ferito, ancora sporco e grondante di sangue rosso e caldo, che spesso non era neanche il proprio.
C’era invece chi invece rimaneva sdraiato, sul suolo di pietra fredda come il ghiaccio. Morto.
L’imperatore scrutò i corpi inermi sul campo di battaglia, soffermandosi particolarmente su due di questi. Provò a pronunciare i loro nomi, senza tralasciare un sottile velo di malinconia tra le parole: -Barbabianca, Ace... lascerete il lutto di questi due a noi!-.

Ben Beckman e lo stesso Shanks si occuparono della sepoltura di Barbabianca: un uomo che, amico o nemico che fosse, aveva sempre avuto rispetto per gli altri pirati, e tale rispetto riceveva da costoro.
Il campo di battaglia era vuoto come il più vasto dei deserti. Le uniche persone ad essere ancora presenti erano quelle morte, spalmate per terra ed inermi, coperte di sangue nero e sporco sulle ferite. Oltre ad esse, di tanto in tanto, girava qualche uomo a controllare che non ci fosse un miracoloso sopravvissuto.
Ma i miracoli accadevano davvero di rado.
Un’ombra si posò sopra il corpo di un ragazzo sulla ventina, coi capelli corvini e un’inspiegabile espressione beata in volto. Stava prono e immobile per terra, con un buco enorme all’altezza dello stomaco, mentre i due pirati della ciurma del rosso lo fissavano attentamente.
-Un’esecuzione... per un ragazzo così giovane!- esclamò Lucky, tenendo sulle spalle la barella vuota presa dalla nave di Barbabianca, con il consenso dei suoi figli.
-Credo che la cosa peggiore sia che è morto “in nome della giustizia”!- Yasop disse quelle parole come se avesse in bocca una caramella amara. Sputandole.
Rimasero immobili per un po’.
-Forza! Dammi una mano- il biondo cecchino si avvicinò cautamente al cadavere, e assieme all’amico lo girò avvedutamente sulla lettiga, mettendo il corpo supino. Alzarono la barella e cominciarono a portarlo vicino a dove avevano ormeggiato la maestosa Red Force. Nello stesso punto dove stavano scavando le tombe. Per le lapidi se ne sarebbero occupati dopo.
Molti dei membri della ciurma di Barbabianca avevano posato per un attimo lo sguardo sulla lettiga, dove giaceva il loro fratello.
Morto.
Era una parola difficile da imprimere nella mente, ma dovevano comunque rassegnarsi.
Yasop camminava a testa china il percorso per raggiungere la destinazione, portando la barella dai manici posteriori. Proprio come stava facendo il luogotenente, di fronte a lui mentre gli dava le spalle.
L’uomo si mise a riflettere, continuando a pensare ad Ace: era morto perché figlio di un pirata. I marinai non avevano avuto pietà nemmeno sapendo che aveva a mala pena vent’anni.
Suo figlio Usop, fra diciannove mesi, ne compiva proprio venti.
E se i marines l’avessero catturato, gli avrebbero riservato lo stesso cruento trattamento.
Un brivido gli percorse la schiena. Non riusciva ad immaginare suo figlio come un cadavere freddo e immobile. Troppo doloroso per un padre.
Sentì un gemito provenire dal compagno, distraendolo dalle sue riflessioni e da ciò che stava pensando. Quel breve ronzio fu una sensazione fastidiosa, come quella di un moscone che gira intorno a te come se fossi un barattolo di miele senza il coperchio.
-Che vuoi, Lucky? Sei già nervoso per l’astinenza dal tuo cosciotto di pollo? Solo dopo cinque minuti?-
Il compagno voltò la testa, fermandosi: -Smettila! Ti avrò chiesto un milione di volte di non prendermi in giro, solo perché spesso ho un cosciotto di pollo in mano! Serve per calmare la fame!-
-Primo: tu non hai un cosciotto in mano spesso! Tu lo hai sempre, fino alla fine del mondo e per l’eternità, finché morte non vi separi.
Secondo: è da un po’ ch fai rumori strani! Mi spieghi che hai, e la pianti?-
-Io? Rumori strani? Yasop, giuro che non so di che stai parlando!-
-E chi è stato a mugugnare? Il morto?-
Un terzo rumore viaggiò nell’aria. Anche stavolta molto vicino, ma il cecchino poté ben constatare che il responsabile non era di certo Lucky. Abbassò lentamente lo sguardo, fino a posarsi sulla figura del ventenne messo supino. Sgranò gli occhi.
Per un secondo, per uno stupido e veloce secondo avrebbe giurato che il gemito fosse uscito dalla bocca del moro.
Impossibile. “Quello è un corpo privo di vita!” si ripeté il biondo.
Yasop rimase comunque a fissare Ace per un po’.
 “...forse”
-Non lo starai pensando sul serio, non è vero?- Lucky rimaneva fermo e con la testa in parte girata, fissando attraverso lo strato trasparente degli occhialini gli occhi dell’amico e le sue improbabili intenzioni.
-A..Ahi- Pugno di Fuoco formulò in modo flebile quelle deboli parole, quasi non esistessero nemmeno, accompagnate da un leggerissimo scostamento di testa, mentre gli occhi si stringevano un poco di più in modo fievole.
Il luogotenente e il biondo fissarono stupiti la scena.
-Vai...- il cecchino prese un sospiro, preoccupato -.. vai avanti, e cerca di far finta che non sia successo nulla-
-Yasop, MA TI E’ ANDATO DI VOLTA IL CERVELLO? E’ vivo! E tu lo vorresti far seppellire?- gridò l’altro.
Lucky si abbassò di scatto, sentendosi un vago bruciore martellargli dentro la testa. Dopo che Yasop gli diede il suo amorevole pugno, spiegò le sue ragioni: -Non ho la benché minima intenzione di seppellirlo vivo, infatti lo portiamo sulla Red Force-
-E perché dovremo portarlo sulla nostra nave?-
-Vediamo un po’: abbiamo l’intero esercito della marina che ha smesso di fare una delle guerre più catastrofiche della storia solo perché questo ragazzino è morto, e i militari che incomincerebbero a fare stragi inutili scoprendo che Portugase D. Ace è ancora vivo sono parecchi. Ti basta o devo aggiungere altro?-
Lucky prese respiro, convinto dall’affermazione dell’amico: -Ma perché proprio sulla Red Force? Non possiamo portarlo sulla nave dei suoi compagni?-
-I suoi amici saranno troppo contenti del fatto che è ancora vivo per nasconderlo ai militari, cadranno in preda all’euforia, i marines si insospettiranno e verranno a conoscenza di tutto, in un modo o nell’altro. Fine della spiegazione-
-E a Shanks?-
-Nemmeno a lui diremo niente-
Lucky sbarrò gli occhi, incredulo e sbigottito: -Ma non è né un marinaio né un membro della ciurma di Barbabianca! Perché lui non dovrebbe sapere?-
-...non per ora almeno. Appena è arrivato a Marineford ha detto ai Marines di non combattere perché ormai Ace era morto (o questo era quello che pensava). Ma rimane sempre attaccato al suo onore, e gli verrebbero persino i sensi di colpa perché ha mentito...-
-Quindi ci addossiamo la colpa noi, mentre lui fa la figura del santerellino?-
-Lucky, Ricorda che stiamo parlando di Shanks...- provò a farlo ragionare.
-Ricordo che non si dovrebbe mentire al proprio capitano!-
-Ricorda, almeno, che è pur sempre nostro amico... -
Il luogotenente parve poco convinto da quell’ultima breve risposta, specialmente per via di quello sguardo assassino che stava mandando all’amico. Alla fine aprì bocca: -Andiamo, prima che se ne accorgano... -
Il cecchino sorrise, e i due iniziarono a camminare allo stesso lento ritmo di prima verso la Red Force.
Più si avvicinavano al confine con l’acqua, più aumentava il numero delle macerie. Quelle che si potevano scorgere prima erano due blocchi di pietra, forse delle vecchie torri, cadute a terra proprio a due passi da dove stavano scavando le tombe.
Yasop e Lucky si nascosero dietro uno di questi, e dopo aver posato la barella per terra cominciarono ad osservare di nascosto gli scavatori della tomba, che sarebbe toccata a Portugas D. Ace.
Dovevano essere quattro o cinque, tutti della ciurma di Barbabianca, ma solo due avevano un nome abbastanza noto. Una decina di metri più distante si trovava la passerella che collegava il porto alla nave del rosso. Si riaffacciò il problema dei figli dell’imperatore, che in quella situazione era meglio se non sapessero nulla.
-Ohi, Lucky?- sussurrò il cecchino.
-Che vuoi?-
-Come facciamo ad arrivare alla Red Force senza farci vedere da nessuno?-
Un ghigno malefico si posò sul volto paffuto del luogotenente: -Ho in mente un piano ingegnoso e ben costruito, che ci permetterà di essere invisibili agli occhi dei figli di Barbabianca e di raggiungere l’infermeria della nostra nave!-
-Lucky, sei un genio!-
-Lo so!- rispose compiaciuto il grassottello.
Ci furono alcuni secondi di silenzio, interrotti di tanto in tanto dal rumore delle vanghe che scostavano la terra.
-Ohi, Lucky?- fece Yasop.
-Che vuoi adesso?-
-Quale sarebbe questo piano ingegnoso e ben costruito?-
Il luogotenente sbuffò: -Se non mi dai il tempo di pensarci, che razza di piano vuoi che t’inventi?-
Il cecchino sbatté la mano sulla faccia, rassegnato a convivere la sua esistenza da pirata con quell’individuo, che certe volte sembrava che avesse barattato il suo cervello e tutti gli intrugli ad esso collegati con quel cosciotto di pollo che aveva sempre in mano.
Mentre questi due parlavano, si avvicinò un sesto ragazzo al gruppo di scavatori della tomba di Ace. Aveva una bizzarra acconciatura ad ananas bionda sulla testa, un tatuaggio sul petto e una delle facce più malinconiche che la coppia di pirati avesse mai potuto vedere.
-Dobbiamo dare la sepoltura al babbo,- disse con tono basso -voi venite?-
Marco aveva ragione: ci sarebbe stato bisogno dell’aiuto di molti uomini per spostare Barbabianca, gigante com’era.
Tutti gli scavatori misero da parte le loro vanghe per prendersi cura dell’imperatore.
Per Yasop e Lucky fu un vero e proprio colpo di fortuna.
Tutti erano intenti ad aiutare l’imperatore, in un gruppo indistinto di pirati, troppo impegnati a dare l’ultimo saluto al vecchio per accorgersi dei due marpioni.
Yasop e Lucky corsero in fretta verso il ponticello, iniziando a percorrerlo facendo attenzione a non lasciar cadere il corpo dalla barella.
Sospirarono sapendo che la nave era vuota, così non avrebbero incontrato nessun compagno di bordo che andasse a fare la spia a Shanks su quello che stava accadendo.
I due non si sarebbero comunque dovuti preoccupare molto: erano un luogotenente e un tiratore scelto, fatta eccezione per il capitano tutti gli altri pirati erano loro subordinati.
-Hey, che ci fate voi qui?-
Ma c’era un altro compagno che non era loro subordinato.
Ben Beckman era rimasto a fare la guardia alla nave. Era chiaro che Shanks, prudentemente, non si fidava troppo dei marinai, tanto da lasciare il suo vice a guardia della nave.
L’uomo sovrastava l’ingresso della nave ai due pirati, paonazzi e preoccupati per quella scena ambigua. Sperarono che nessuno di sotto alzasse lo sguardo, o sarebbero stati fregati.
-Ma, quello... è Portugas D. Ace?- chiese inebetito Ben, portando alla bocca una bottiglia di sakè, utilizzata per far passare un po’ il tempo durante il turno di guardia sulla deserta Red Force.
-Emh...- l’unico ad osare di parlare fu il cecchino, dietro a Lucky e alla barella -... in effetti, lo è!-
-Vi siete accorti, almeno, che la tomba la stanno scavando laggiù?- fece il vicecapitano in modo un po’ strafottente, con un accenno di sarcasmo. Prese un altro sorso del liquido alcolico.
-Ben, cercherò di dirtelo nel modo meno shockante possibile:... - il luogotenente, deciso a dire la verità pur di salire in fretta sulla nave, prese un lungo sospiro -... Portugase D. Ace è sfacciatamente vivo-
Ben sputò tutto il sakè che aveva in gola sul povero pirata, il quale si pentì amaramente di aver aperto bocca. I lineamenti del viso di Lucky, modificati in una smorfia dagli occhi stretti e dalle labbra e il naso arricciati, iniziarono a modificarsi finché non si rilassarono completamente, tranne per un sopracciglio inarcato. Mentre ancora il viso era grondante di alcol chiese: -Adesso, di grazia, possiamo salire a bordo?-
Il vicecapitano, ch’era rimasto paralizzato e con gli occhi sbarrati, tornò alla realtà: -Si... certo! Fate in fretta!-
Il due scavalcarono in fretta il loro superiore, catapultandosi dentro l’infermeria e sistemando il ventenne su un lettino. Per quanto fosse vivo, era pieno di sangue e di ferite, tra cui spiccava quella sull’addome. Non avrebbero potuto tenerlo segreto a tutti: era necessario informare almeno il medico.
Sull’uscio della porta li raggiunse Beckman: -Voi andate pure, a lui ci penso io-
-Andare? A fare che?- domandò confuso il cecchino.
-Serve il medico!-
-Questo era chiaro a tutti, non credi?- rispose ironicamente l’altro.
Il moro si avvicinò velocemente al falso cadavere: -Chiamatemi anche Shanks, vorrei parlare con lui...-
-Il medico te lo chiamiamo subito, ma per dirlo al capitano ti chiediamo di aspettare. Ti spieghiamo dopo...- Yasop e Lucky cominciarono a correre  verso l’uscita.
-Non avete la sensazione di esservi scordati di qualcosa?- a quel richiamo i due si fermarono ad un passo dalla porta.
-Cosa, Ben?-
-La tomba è vuota! Prima che qualcuno si accorga che Ace è scomparso dovete riempirla di terra!-
-Ricevuto!- il cecchino e il luogotenente scesero la passerella e, mentre il primo si gettava su una vanga ricominciando a spalare terra dentro la fossa, l’altro si buttò nella folla che commemorava il vecchio e defunto imperatore pirata, finché non trovò il medico.
-Lucky! Cosa stai cercando di fare?- esclamò un uomo con i capelli bianchi e lunghi, le rughe che marcavano profondamente il viso e un paio di occhialini rotondi sugli occhi grigi spenti dalla vecchiaia.
-Sali in infermeria, ti spiega tutto Ben!- dopo ciò il grassone corse a riprendere la sua vanga goffamente. Ebbero il tempo necessario per finire metà del lavoro, quando le persone tornarono a disperdersi dopo un breve momento di commemorazione per l’imperatore.
Il peggio era passato.
Shanks, dopo aver dedicato anche lui un momento alla memoria del pirata, si avviò verso la tomba accanto. Si soffermò ad osservare la terra scostata, immaginando il povero ragazzo che c’era lì sotto.
Naturalmente non c’era nessuno lì sotto. Ma lo sguardo triste e malinconico del capitano fece venire dei ripensamenti al suo luogotenente, intento a spalare le ultime manciate di terra e allo stesso tempo a fissare il suo superiore. Una stretta lo colse di sorpresa allo stomaco, stringendosi sempre di più in una morsa per i sensi di colpa.
-Yasop... – sussurrò al compare.
-Dimmi tutto!-
-Sei davvero sicuro sicuro che dobbiamo mentire al capitano?-
-Ohi, guarda che non stiamo “mentendo”. Semplicemente gli nascondiamo quella che viene comunemente chiamata “verità”!-
-Si, ok, ma io ho i dolori allo stomaco per i sensi di colpa!-
-Nah! Di sicuro è solo fame! Sai che ti dico? Quando finiamo con tutta questa faccenda, ti regalerò il più grosso cosciotto di pollo che tu abbia mai visto!-
-Mi sono finiti i sensi di colpa-
Questo bastò a placare i timori e la fame del bassino, che continuò a scavare come se stesse davvero sotterrando un cadavere.
Non appena ebbero finito, i due pirati salirono sulla Red Force ancora deserta, fatta eccezione per le due presenze nell’infermeria, ossia quella del vicecapitano e del dottore. Quest’ultimo stava esaminando lo stato del suo primo paziente della giornata, che non pareva affatto in buone condizioni, valutando il buco nello stomaco.
Il portone si aprì con un tonfo rumoroso e secco: erano entrati nella stanza Yasop e Lucky.
-Ci sono novità?- domandò il primo.
-E’ ancora vivo?- chiese il secondo.
Prima che la coppia potesse trovare risposta alle proprie domande, un colpo netto e secco della canna del fucile di Beckman sbatté sulle loro teste, facendo risuonare quel dolore ancora per un bel po’.
Lo stesso uomo che li colpì si occupò di rispondergli: -Di vivo, è vivo. Anche se messo piuttosto maluccio...  Piuttosto, potreste spiegarci come cavolo ha fatto a sopravvivere con un colpo come quello?-
Il duo di pirati ammutolì. Spiegò in fretta di come si erano accorti che Ace fosse vivo, ma che non avevano la minima idea del perché. Ne approfittarono per riferire il perché Shanks non dovesse sapere nulla.
-Ci toccherà aspettare che si svegli, allora- concluse il medico, ancora indaffarato col ventenne.
-L’idea di non dirlo al capitano, in ogni caso, mi lascia al quanto perplesso. Ma se volete comunque tenerglielo nascosto, consiglio caldamente di spostarlo: fra un po’ questa sala sarà riempita dei feriti che non riusciranno ad entrare negli ultimi posti liberi dell’infermeria delle navi di Barbabianca, e credo proprio che il nostro caro Shanks verrà a farci una visitina-
-E dove dovremmo metterlo?- fece inarcando un sopracciglio il biondo.
Ci fu un silenzio riempito di mugugni dei pensatori.
-Io, un’idea, ce l’avrei...- mormorò il luogotenente, con le mani che accarezzavano il mento con fare riflessivo.
-Spara!-
-Ben, devi cedergli la tua camera!-
-Lucky, scordatelo-
-Sul serio, Ben! Gli unici due ad avere una camera singola sulla nave sono il capitano e il suo vice, cioè tu. Tutti gli altri hanno camere quadruple o per sei persone! E ci sono troppi tipi che farebbero la spia!-
-Mettiamo caso che accetti: dove vado a dormire, io?-
-Puoi dormire con noi e i ragazzi! C’è tanto casino nella nostra camera, che non si accorgerebbero nemmeno di avere un montone sul letto!- esclamò serenamente il cecchino.
-Un montone no... ma un morto?– disse con un che ironico il moro.
-Ti prego, se non lo vuoi fare per noi... – il luogotenente indicò il letto dove riposava il ventenne –fallo per lui!-
Il vicecapitano sospirò, assumendo un’aria scoraggiata: -E va bene, mi avete convinto! Ma se Shanks lo scopre, vi addosso tutta la responsabilità!-
-Ben, sei un mito!- enfatizzò Yasop.
-Si, si, certo... ma ora occupiamoci di spostarlo!-

Passò un po’ di tempo: Shanks rimase a Marineford per qualche ora, salutando il suo vecchio compagno Buggy e stando un po’ con i membri... anzi, ex-membri della ciurma di Barbabianca. Dopodiché salì sulla nave e, una volta radunati tutti i suoi subordinati, salparono per altre isole.

Qualche giorno dopo:
Ace dischiuse gli occhi, concentrando in quel piccolo gesto tutte le fatiche e i dolori che sentiva in quel momento sul suo corpo. Mentre si metteva lentamente seduto, si accorse di essere in una camera che non riconosceva. Era su un letto dalle lenzuola bianche e pulite, posto vicino a un oblò poco più grande del normale, che mostrava attraverso il sottile strato di vetro il mare blu e immenso, come era sempre stato.
Il ventenne capì di trovarsi su una nave.
Dopo aver guardato attentamente dalla finestrella, allargò lo sguardo fino a comprendere il resto della stanza. Il pavimento era in parquet e le pareti bianche, una scrivania di legno si appoggiava ad una di esse, sovrastata da innumerevoli scaffali colmi di oggetti di ogni forma e dimensione. C’era una gran confusione in quella camera dalle modeste dimensioni, ma bisognava ammettere che ci si stava bene.
Mentre ancora era intento ad osservarsi attorno, la mente di Ace fu sfiorata da parecchi ricordi, che non andavano trascurati:
il ventenne si rammentò della guerra di Marineford,
della vista dal patibolo di esecuzione,
l’arrivo in campo del babbo,
l’inaspettata entrata di Rufy,
il pugno di magma che gli trapassava l’addome,
poi il buio più freddo e vuoto che avesse mai provato.
Pugno di Fuoco si passò la mano sullo stomaco, ma le sue dita percepirono qualcosa che non era la sua pelle. Abbassò lo sguardo, notando che l’addome era stato fasciato con delle bende. Quindi qualcuno l’aveva curato. Ma chi?
Una porta dalla parte opposta della stanza si aprì, rispondendo alla domanda del ventenne:
-Ohi, ragazzo! Ben tornato nel mondo dei vivi!- nella stanza entrò un uomo alto, smilzo, dall’aria un po’ svogliata e biondino. Dietro di lui lo seguiva un secondo uomo bassino e grassottello,che teneva in mano un cosciotto di pollo.
-Cosa...? Dove...? Ci conosciamo?- domandò stordito il moro, continuandosi a chiedere nella sua testa come  fosse arrivato lì.
-Ohi, si, ci conosciamo eccome! Ma ci siamo visti solo una volta, qualche annetto fa!- il cecchino prese fiato, sedendosi sul bordo del letto accanto al comandante della seconda flotta di Barbabianca -... prima che me dimentichi: benvenuto sulla Red Force!-
Ace scosse la testa: -...Red Force?-
“La nave del rosso? Come ci sono finito qui?!”
-Ma non ero a Marineford?- Il ventenne attese ancora qualche secondo –Ma... non ero morto?-
-Suvvia! Che pessimismo! Diciamo solo che non ti sono accadute troppe cose belle!- esclamò sorridente Lucky, appoggiandosi al muro e addentando il cosciotto di pollo.
Pugno di Fuoco rimase non troppo convinto dalle parole dell’uomo, soprattutto perché “pessimista” non era uno degli aggettivi che preferiva. Per la precisione, in quel momento gli dava veramente fastidio, anche senza un preciso motivo. Un flashback gli percorse velocemente la testa, facendolo diventare paonazzo: -Rufy!-
-Che... ?- domandarono confusi gli altri due pirati.
-Mio fratello! Insomma... sta bene, vero?-
Il cecchino e il luogotenente compresero al volo le preoccupazioni del moro: -Si, sta bene! Anche se non sappiamo dirti esattamente dov’è andato, ma siamo sicuri che se la caverà!-
-E Marco? Marco sta bene?-
-Si, è apposto anche lui!-
-Jaws? Vista? Gli altri? Stanno tutti bene?... -
-Si, si, ora calmati!-
-... Barbabianca?-
Yasop e Lucky rimasero muti nell’udire quel nome.
-Perché anche il babbo sta bene, non è vero?- domandò speranzoso il moro.
I due pirati si diedero una veloce occhiata, come se stesse a dire “diglielo tu!”. Certe notizie non erano facili da dare, e in qualsiasi caso non sarebbe piaciuto molto al ventenne sapere che l’uomo che chiamava “babbo” era morto nel campo di battaglia.
L’unico ad avere abbastanza coraggio per aprire la bocca fu Yasop: -Ace, vedi...-
Già dopo quell’ambiguo silenzio, il giovane aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Quel tono di voce ne fu la conferma.
–ecco, Barbabianca in realtà è...-
Un rumore improvviso riecheggiò nella stanza, lasciando vedere sull’uscio della porta appena aperta la  sagoma di un uomo dalla corporatura vigorosa, i capelli rossi come il fuoco e solo un braccio, il destro, che apriva la maniglia del portone: -Ben, volevo chiederti se avevi delle cariche per...- Shanks si bloccò, diventando pallido in volto.
Conoscendo il suo vice, sapeva che avrebbe potuto trovare qualcosa di strano nella sua cabina. D’altronde Ben aveva lo strano vizio di portare sulla sua camera qualcosa di ogni isola che trovavano. Vizio che aveva reso la sua stanza molto disordinata. Dopo gli avvenimenti di Marineford il rosso sapeva che il pirata si sarebbe preso un altro souvenir...
... ma non il protagonista defunto di quella battaglia.
Cosa c’era di peggio?
Che il suddetto protagonista defunto, era vivo!
 -Scusate... - dopo qualche istante di shock mentale, afferrò la maniglia e chiuse il portone con un tonfo.
Lucky e Yasop portarono le mani all’altezza della testa. Il luogotenente si chinò sul ventenne e gli diede un consiglio:  -Tappati le orecchie-
-Cosa?-
Un grido riecheggiò su tutta la Grand Line: -BEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEN! NELLA MIA CABINA, ORA!-

Qualche minuto dopo
Ace se ne stava seduto a gambe incrociate sul cuscino del divanetto tappezzato di rosso. Di fronte a lui se ne stava Ben, con la schiena appoggiata nella parete opposta e una sigaretta fumante in bocca. Entrambi avevano un’aria preoccupata.
Non si tirava una bella aria nella cabina del capitano della Red Force, e loro avrebbero dato qualsiasi cosa per poter uscire da quella scomoda situazione.
Una figura dai capelli rossi e un solo braccio lo impediva, standosene in mezzo alla stanza.
Non erano le uniche persone presenti: il capitano si era premurosamente preoccupato di non far mancare all’appello il cecchino, il luogotenente e il medico.
I primi due erano seduti a destra e a sinistra del comandante della seconda flotta di Barbabianca, sul divanetto.
Il terzo si era preso una sedia e si era seduto all’incontrario, appoggiando il mento e le braccia conserte sullo schienale di questa.
Anche loro non se ne stavano troppo tranquilli.
Il primo ad aprir bocca fu Shanks: -Allora: qualcuno mi spiega questa storia?-
Precedette un silenzio glaciale e desertico, prima che scoppiasse un caos infernale:
-Questi due tuoi subordinati mi hanno portato un cadavere sulla nave! Che altro potevo fare, io?-
-Noi? Guarda che è colpa sua!- i due amici indicarono il pirata in mezzo a loro.
-E io che c’entro? Fino a qualche minuto fa ero morto!-
-Appunto! Dovevi proprio tornare tra i vivi e incasinarci tutti?-
-BASTA!- il grido del rosso portò momentaneamente la pace nella stanza.
-Tu!- Shanks indicò Ace, il quale rimase sbigottito dallo scatto del capitano –Sei tu il vero protagonista della vicenda! Racconta che è successo!-
-E io che ne so? Un momento prima sono bello che piazzato sul patibolo aspettando l’esecuzione, un momento dopo mi ritrovo a scappare a gambe levate con quel testardo del mio fratellino, tutto questo mentre scopro il profondo senso della vita dopo circa vent’anni... ah, dimenticavo: mi ficcano un pugno di magma nello stomaco a venti metri dal suddetto patibolo!-
Ci fu un altro momento di silenzio.
-Che culo...- sussurrò fra sé e sé il dottore.
-Tutto qui?- chiese l’imperatore.
-Beh, questo è tutto quello che so io... -
-Quindi non sai nemmeno come hai fatto a sopravvivere al pugno di Akainu, dico bene?- domandò Ben.
-Esatto- gli rispose il moro.
-Non ci rimane altro che affrontare un problema alla volta: - il rosso socchiuse gli occhi - come diavolo è riuscito Ace a rimanere in vita, se il magma dovrebbe distruggere tutto ciò che tocca?-
Nessuno rispose, ma qualcuno si lanciò delle occhiate in cerca di aiuto di nascosto.
-Qualcuno sa perché il magma dovrebbe distruggere tutto ciò che tocca?- continuò il rosso.
Ancora silenzio.
-Qualcuno sa, esattamente, cos’è il magma?-
Ci fu un altro momento di silenzio.
In un secondo momento qualcuno alzò le mani, come se stessero per rispondere a una domanda di scienze alle elementari, senza essere sicuri della soluzione.
Un’alta e onorevole figura per la ciurma dell’imperatore pirata.
Il capitano volse gli occhi al cielo, poi con un cenno cedette la parola a Yasop.
-Tanto per incominciare, il magma è un gas prodotto dai vulcani...-
-Ma che stai dicendo?- intervenne Beckman –Il magma è pietra fusa!-
-Quella è la lava, amico!- gli rispose.
-Ti pare che il gas possa trapassare i corpi?-
-ZITTI!- quel grido portò nuovamente la calma nella sala –Ma guarda un po’ cosa mi tocca fare... – Shanks si passò la mano sugli occhi –Vediamo di mettere in chiaro i residui delle informazioni dell’epoca delle scuole medie: chi vota per “pietra fusa” alzi la mano!-
Per quanto stupido potesse essere quel modo di ragionare, si alzarono in alto tre mani: quella di Yasop, Lucky e Ace.
-Ace, perché voti per “pietra fusa”?- chiese curiosamente l’imperatore.
-Perché mi sento ancora i sassi nello stomaco. Nel vero senso della parola- gli rispose tranquillamente.
-Va bene... – il rosso tornò alle votazioni –Chi vota per “gas” alzi la mano-
Dei due rimanenti solo Ben alzò l’arto, mentre il medico non mosse un solo muscolo.
-Ma... dottore! Lei non vota? Il suo parere come studioso sarebbe davvero utile!-
-Non voto, perché sono anarchico.  Ergo non apprezzo molto le votazioni-
-Ma questo che c’entra?-
-Orsù, torna alla tua occupazione... –
Shanks tornò confuso al bizzarro suffragio: -Molto bene, abbiamo un pareggio!-
Il trio sul divano, dopo un momento si stranezza, protestò: -Ma c’erano tre voti per “pietra fusa” e uno per “gas”! Come puoi arrivare ad un pareggio?-
-Guardate che ho contato anche il mio voto, per gas-
-Rimanete comunque in minoranza!- esordì furioso il cecchino.
-Come capitano, anzi, come imperatore pirata, ho il diritto di avere un voto in più!-
Yasop sbattè la mano sulla faccia, Lucky espresse la sua rassegnazione addentando più velocemente il suo cosciotto di pollo ed Ace, mentre perdeva la speranza di incontrare un solo uomo che fosse normale su quella nave, mormorò al vecchio infermiere: -Ma voi avete un capitano o uno spietato dittatore soverchiatore?-
Pugno di fuoco ricevette una calorosa batosta dietro la nuca, rimpiangendo ciò che aveva il capitano: un udito finissimo e un buon utilizzo dell’haki.
Il rosso chiuse in fretta la faccenda: -Dopo questo pareggio, non ci rimane altro che pensare che il magma sia pietra fusa piena zeppa di gas!-
-Non è una conclusione un po’ azzardata?- domandò indifferente il dottore albino.
-Se proprio volevi dare la tua opinione votavi come tutti gli altri, invece di fare l’anarchico! Piuttosto, ora che sappiamo che cosa sia il magma, avete qualche idea su come il ragazzino qui presente se la sia cavata?-
Per l’ennesima volta nessuno rispose, lasciando da solo il rosso nel suo subbio.
-... Ben?- chiese per prima al suo vice, ma questo scosse la testa.
-... Lucky?- domandò, ma il luogotenente fece no con la testa. Evidentemente non riusciva neanche lui a trovare una soluzione a quell’episodio.
-... Yasop?- il biondo alzò le spalle. Dunque, nemmeno lui.
-... Ace?- provò a chiedergli, ma anche questa volta senza alcun successo.
Shanks, per ultimo, assunse un’aria un po’ seccata, poi portò gli occhi al cielo come segno di sconfitta: -... anarchico?-
-Mi ci gioco il bisturi che ho scoperto qual è il punto.- fece il medico, sistemando con la punta dell’indice gli occhialini sul volto.
Susseguì un momento di sguardi gelidi e crudi sul vecchio, il quale se ne stava rilassato  con le braccia conserte appoggiate sullo schienale della sedia al rovescio.
-TU CI HAI FATTO SCERVELLARE PER NIENTE?- gli gridò in faccia nervosamente il comandante della seconda flotta di Barbabianca. Una mano si poggiò sulla spalla del ventenne, dando qualche pacca: -Non ti arrabbiare, Ace. Il nostro caro medico fa sempre così- gli fece rassegnato Lucky.
-Ma... poteva anche dirlo prima!-
-Non sono sicuro: è solo un’ipotesi...- si giustificò l’albino.
-Spara!-
-Ace...- continuò  – da quanto so di te, tu hai il rogia del fuoco, giusto?-
-Beh, si!-
-E durante la battaglia di Marineford ti sei incavolato con Akainu perché ha insultato Barbabianca, e così?-
-...esatto.-
-Lo sapevi che il corpo umano alza di una piccola percentuale la sua temperatura quando uno si arrabbia?-
-Veramente no-
-Ebbene, nei normali esseri umani questo innalzamento non è molto notevole... ma prendiamo ad esempio qualcuno col rogia del fuoco... non potrebbe essersi riscaldato molto di più?-
-Probabile... ma ancora non capisco cosa c’entra!- rispose confuso il moro.
-Dico solo che, se fossi diventato più caldo di Akainu, non avresti avuto troppi problemi con la lava, e ti saresti rigenerato-
-Ma io non mi sono rigenerato!- urlò Pugno di Fuoco -Sono rimasto per ore sdraiato per terra, a non far nulla di buono in quella schifosa guerra!-
-Calmati...- disse cautamente Shanks. Il ventenne si riprese e si ricompose, imbarazzato.
-Non ti sei generato, forse perché il magma è fatto anche di pietra.
Devo anche ricordarti che ti ha ferito al petto, ma sono rimasto colpito da una cosa: il cuore è stato solo sfiorato.
Sai, quella piccola regola che dice che il muscolo cardiaco si trova leggermente a destra ti ha salvato... ma solo per qualche ora. Dopo neanche il cuore avrebbe retto più: la piccola parte mancante sarebbe stata troppo importante. Per fortuna due stupidi pirati che si trovavano lì per caso hanno scoperto che eri vivo...-
Yasop e Lucky sorrisero.
-... e ti hanno portato qui, dove, correndo come un forsennato all’ospedale più vicino, sono riuscito a trovare un cuore per un trapianto. Sai, sei stato fortunato: non si trovano delle banche degli organi in giro facilmente... ma con la storia della guerra ce ne sarebbero state bisogno di molte, e l’ospedale della Marina, devo ammetterlo, è ben fornito-
Tutti quanti rimasero ad ascoltare: in fondo, come storia reggeva...
-Io non ho ancora capito perché il magma non avrebbe dovuto crearmi problemi se fossi stato più caldo di Akainu, e non ho nemmeno capito a cosa è servito esattamente...-
Il povero moro si ritrovò un pugno ben piantato in testa da parte del caro dottore.
-Riguardo alla storia del perché non hai problemi se diventi più caldo della lava... hai presente il tuo amico Jaws?-
-Che c’entra ora Jaws?-
-Rispondi!-
-Si, c’è l’ho presente...-
-Ok, ora, prova ad immaginare un uomo di mina di matita che gli da un pugno: Jaws si farebbe male?-
-Vuoi scherzare? Lui è fatto di diamante! Al massimo MR. Mina di matita si sfracella...- disse il moretto.
-Esatto! Anche se la mina di matita e il diamante sono fatte dello stesso materiale: il carbonio. Ma allora perché la mina di matita è più fragile del diamante? Te lo spiego io: perché il carbonio, nel brillante, è più concentrato. Lo stesso vale per te e Akainu: chi ha il calore più concentrato “sfracellerà” l’altro. Dunque tu ti sei rigenerato, ma di poco: hai avuto lo svantaggio di avere a che fare con uno che utilizza anche la pietra fusa.  Per questo, in un primo momento, eri “morto”. Anche se dopo ti sei ripreso alla grande! Ti è chiaro adesso?-
Il ragazzo si massaggiò la testa: -Così e così...-
-Vuoi dire che ti devo ripetere tutto d’accapo?-
-NO!- Il medico volse lo sguardo su chi aveva gridato: erano stati Yasop, Lucky, Ben e Shanks -...ci è già bastata una lezione di chimica! Ora basta!-
Finalmente tutto era stato chiarito, o almeno la spiegazione che avevano trovato aveva lasciato riposare il senso della curiosità che li aveva toccati con la punta delle dita. Si diedero diversi scambi di occhiate, commenti, opinioni e riflessioni, finché una domanda particolare non attirò l’attenzione di tutti:
-Emh, Ace... – lo richiamò Yasop, senza nascondere un velo di incertezza nella voce.
-Cosa c’è?- gli rispose il ventenne.
-Poco fa, insomma, hai chiesto di Barbabianca... -
Le reazioni furono svariate e molte: Ben sobbalzò, tirando dalla sigaretta una boccata troppo profonda, che lo costrinse a tossire.
Il medico sospirò, lasciando perfettamente intendere che si stava preparando a qualcosa che non fosse troppo allegro e felice.
Lucky si limitò spostare lo sguardo per non vedere la faccia di Ace quando l’avrebbe saputo.
L’unico ad avere avuto una reazione diversa da quella dei compagni era stato Shanks, che aveva subito assunto un’aria interessata, e ora se ne stava a fissare intensamente la scena, pronto a qualsiasi risposta avesse dato il giovane Ace.
Yasop era stato coraggioso a offrirsi per dare la notizia al moro.
-... ecco, vedi, la guerra è stata dura e Barbabianca... -
-Non lo voglio sapere.-
Quella risposta fredda e secca stupì i presenti, in particolar modo il rosso.
-Non... non lo vuoi sapere? E perché?- fece il luogotenente sbigottito.
-Sentite... – Pugno di Fuoco prese un profondo respiro -... orami, dalle vostre facce, ho capito che Barbabianca o è gravemente ferito... oppure è morto. Non so se il babbo è vivo o no. Non so se mi sto trattenendo dal sapere la notizia che mi renderebbe la persona più felice della terra o se mi sto parando con uno scudo di carta da ciò che mi renderebbe più triste. Quindi non lo voglio sapere. Non ora almeno. Tanto prima o poi dovrò scoprirlo comunque, no?-
Nessuna obiezione fu sospirata dai pirati del rosso. E poi, loro sapevano la verità.
-E va bene... – abbozzò alla fine Shanks, accennando un leggerissimo sorriso -... non credo ci sia nessuno contrariato: se è questo quello che vuoi, fa’ pure! Ora però, se non vi dispiace, ho dei compiti da capitano da svolgere!- detto ciò, l’imperatore allungò il passo verso la porta d’ingresso. Senza fretta. –Dottore, se non la disturbo, vorrei parlare con lei per sapere quando il ragazzo potrà tornare a navigare...- aggiunse.
-Non vedi l’ora di liberarti di me, vero?- schernì Ace.
Shanks si fermò. Aveva raggiunto ormai l’uscio della porta, voltando la testa verso il ragazzo, e mostrando solo per metà come un sorrisetto divertito era caduto sul suo viso.
-E se lasciassi a te la risposta?-
Pugno di fuoco inarcò il sopracciglio, confuso: -Che intendi dire, rosso?-
-Diciamo solo che stavo per chiederti l’esatto contrario. Solo se vuoi, naturalmente...- Shanks passò la soglia e si sentì il rumore dei suoi passi che attraversava il corridoio. Per quanto ambiguo fosse ciò che aveva detto il capitano, e per quanto stranito potessero essere i suoi subordinati da quella strana risposta, Ace pareva aver capito ciò che voleva dire il rosso. E non pareva contento. Per niente.
-Ohi, Ace!- richiamò il cecchino –Ma che ha detto esattamente il capitano?-
Il moro spostò lo sguardo sul biondo: -Ha detto... che voleva chiedermi il contrario di “liberarmi di me”... -
-Quindi?- fece alle sue spalle Lucky.
-Quindi, vuole che rimanga. In poche parole mi ha offerto un posto nella sua ciurma- il volto del ragazzo, a quelle parole, si scurì.
-Da quella faccia, l’idea di far parte della ciurma del rosso ti fa proprio schifo...- aggiunse sarcasticamente il vicecapitano.
-No, non è questo! Solo che... non potrei accettare in qualsiasi caso, perché faccio già parte di un’altra ciurma pirata. A meno che...- Pugno di Fuoco si ammutolì, lasciando inconcluso il suo discorso.
-A meno che... ?- chiese Yasop.
-A meno che, non abbia più un’altra ciurma pirata di cui fare parte-

Ace passò diversi lunghi giorni a bordo della Red Force. Trovò molte somiglianze fra i legami dei subordinati del rosso e quelli dei figli di Barbabianca, ma il concetto di “famiglia” era presente solo in quest’ultima ciurma.
Gli mancavano i suoi amici.
Gli mancava il babbo.
E non sapeva nemmeno se era vivo.
Di tanto in tanto si avvicinava ad un pirata qualsiasi di quella nave, quando si sentiva pronto per poter affrontare la cruda e nuda verità e provava a chiedergli di Barbabianca.
Una volta aperta bocca, però, lo sopraggiungeva un senso di paura e angoscia che gli creavano un nodo alla gola. E se l’interlocutore chiedeva se stesse per domandargli qualcosa, il ventenne rispondeva con “Dov’è la cucina?” o “Dove siamo diretti?” o roba simile.
E non riusciva a fare QUELLA domanda.
Si era accorto di una cosa: quando provava a chiedere al rosso e faceva una di quelle domanda che non c’entravano nulla, questo si fermava attentamente a scrutarlo in volto, come se gli stesse leggendo la mente. Poi accennava un sorriso rispondendogli, come tutti gli altri. Ma quando Pugno di Fuoco parlava con lui, si sentiva smascherato.
Oltre a questo, Ace si preoccupava anche di quello che era già successo: aveva imparato una lezione dalla guerra di Marineford, si era accorto che aveva trovato una risposta alla sua domanda. Ossia che non era stato un errore essere nato.
Tuttavia, l’inevitabile natura umana di ciascuno di noi impone di farsi delle domande. Quindi Pugno di Fuoco iniziò ad avere un secondo dubbio, che aveva incominciato a martellargli in testa al posto del primo:
aveva capito che non era un male che fosse nato, ma PERCHE’ era nato?
Ora si era messo a cercare il senso della vita. Della sua almeno.
Un giorno si appoggiò coi gomiti sulla balaustra, osservando l’orizzonte visibile con uno sguardo intenso.
Passò lì vicino una delle conoscenze con cui aveva stretto di più: -Ace, che stai guardando?-
Il moro si voltò bruscamente, trovando d’innanzi a sé la figura bassina con la solita coscia di pollo in mano in parte già mangiucchiata: -Sto guardando il mare, Lucky. Chi l’avrebbe mai detto... – fece sarcasticamente.
-Che ne sapevo io? Pensavo che trovassi più interessante quello!-
Detto ciò il luogotenente indicò, in lontananza, un puntino nero che il ventenne non aveva ancora notato. Pareva che la Red Force fosse diretta lì. Ace socchiuse gli occhi per definire meglio la sagoma, ma era troppo lontana per capire di che si trattasse. Si convinse di chiederlo all’amico: -Cos’è? Una nave o un’isola?-
Lucky addentò ancora il pollo che teneva in mano, poi sorrise: -E’ un’isola. Per la precisione, è Marineford-


Fine prima parte del flashback

Ecco a voi la mia idea di come Ace sia riuscito a sopravvivere! Se ci sono cose non troppo chiare o "falle" mi piacerebbe che me lo diceste, così in caso aggiungo qualche spiegazione (in un modo o nell'altro).
Come ho già detto, finalmente stanno arrivando le nostre agoniate vacanze, e man mano che la storia va avanti ci sono sempre più persone che seguono la storia. Quindi vi ringrazio, veramente!
Al prossimo mercoledì! C:

P.S.= Mi dispiace per tutte quelle ragazze che adorano Shanks e a cui ho distrutto il loro idolo con la storia del dittatore ^-^''

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Capitolo 8
*** Ultimi ricordi prima della partenza ***


Buone vacanze!
(Magari!)
Eccomi con un altro capitolo: la seconda parte del flashback, ed anche l'ultima. Prima però, come sempre, voglio ringraziare chi, qiesta storia, l'ha messa fra le seguite:

1 - Cloe_Chan [Contatta]
2 - Daistiny [Contatta]
3 - Gol D Ann [Contatta]
4 - Kiby [Contatta]
5 - kymyit [Contatta]
6 - leonedifuoco [Contatta]
7 - MBCharcoal [Contatta]
8 - milan010 [Contatta]
9 - NamiFolle [Contatta]
10 - sihu [Contatta]
11 - stellinatvb [Contatta]
12 - SvEtY [Contatta]
13 - _Lunatica_
[Contatta]

Chi fra le ricordate:
1 - Death Knight [Contatta]

E chi fra le preferite:
1 - Cloe_Chan [Contatta]
2 - Frandra [Contatta]
3 - Itacina [Contatta]
4 - Mymoon96 [Contatta]
5 - niki 96 [Contatta]
6 - Sayuri_91 [Contatta]
7 - Straw X Kisshu [Contatta]


E si, anche se è da tanto che non lo scrivo (scusatemi) chi le ha recensite, perchè un commentino ci vuole sempre! Detto ciò vi lascio alla lettura!

Qualche minuto dopo, a Marineford...
Marco era seduto su una roccia, distante da due tombe che avrebbe preferito non vedere mai. Su una di queste era appoggiata un’enorme lancia, su un’altra un cinturone e un cappello da cow boy color arancione vivace.
Vivace... proprio come lo era il suo proprietario.
Il biondo teneva in mano una bottiglia di vetro, come se fosse l’unica sporgenza su cui appoggiarsi per non cadere.
Ma era difficile non cadere, se ti trovavi sul ciglio di un fossato.
Dietro di lui riecheggiavano molte voci, ma non dava peso a nessuna di queste.
“Riunione dei pirati di Barbabianca”, l’avevano chiamata. Ma Marco era dell’opinione che non sarebbe servita a un granché. Farla a Marineford, poi... era solo una scusa per visitare la tomba del babbo. Anche se nessuno riusciva a capire che, almeno per Marco, era una cosa che peggiorava il suo stato d'animo.
-Tu che ne dici, Marco?- quella voce richiamò l’attenzione del biondo, finora distratto e con la testa immersa in un mare di pensieri estranei a quella discussione.
-Che? Come dici?-
Sul volto di Vista cadde un’espressione vagamente rassegnata e ben marcata: -Non stavi ascoltando, non è vero?-
Il comandante della prima flotta abbassò lo sguardo, forse dall’imbarazzo o dalla tristezza, la quale regnava sovrana in quell’atmosfera.
-Scusate, ma è più forte di me! Non riesco a pensare ad altro... -
I presenti sapevano come si stesse sentendo il comandante della prima flotta. C’erano passati tutti.
La voce autoritaria di Jaws tuonò nell’aria lasciando trasparire dello stupore fra i compagni di bordo: -Quello cos’è, Marco?-
-Niente!- il biondo si richiuse velocemente in sé stesso, come un istrice sulla difensiva –Assolutamente niente!-
Jaws fece per avvicinarsi. Si fermò di fronte alla figura rannicchiata del biondo, con le sue braccia che si stringevano le gambe al petto, e il viso seminascosto fra le ginocchia. Si poteva scorgere, anche se con difficoltà, qualcosa di lucido e trasparente posato sullo stomaco del comandante della prima flotta. Qualcosa che lui stava nascondendo.
Jaws tuffò la mano nello spiraglio da cui aveva intravisto il luccichio dell’oggetto.
Mentre il moro lo afferrava saldamente, il comandante della prima flotta si richiuse ancor più in se stesso, senza permettere alla mano dell’altro di uscire, sempre che non lo lasciasse. Cercando di trattenerlo, riuscì solo a farsi male.
Infine Diamond rubò la bottiglia che stava coprendo. Era trasparente, puzzava di alcol ed era vuota. O meglio, era stata svuotata dal desiderio di dimenticare.
Per sua sfortuna, il comandante della prima flotta reggeva perfettamente l’alcol, o almeno sentiva di avere la mente ancora molto lucida.
Jaws sospirò: -Marco... -.
Il biondo distolse lo sguardo dall’uomo: -Era... solo un goccio!-
-Ti sei scolato l’intera bottiglia!- lo rimproverò criticamente Vista, raggiungendo gli altri due.
-Però... – rispose Marco per giustificarsi -... non credo ci sia molto da ridire! Non penso che voi siate stati così santerellini da affrontare la morte del babbo e di Ace a mente lucida!-
I ricordi trafissero le teste dei subordinati di Barbabianca, che ascoltarono quelle parole come delle frecce abbattono con facilità il loro bersaglio.
Marco realizzò in fretta l’errore che aveva commesso senza ragionare. -Scusate... - e si congedò, scomparendo alla vista degli altri pirati.

Ormai era da parecchio che camminava sempre dritto, a testa bassa. Si fermò solo quando si accorse che se avesse fatto un altro passo, sarebbe caduto in mare. Aveva attraversato l’intero diametro di Marineford, senza neanche accorgersene, e aveva ormai raggiunto il confine della baia. Fece un lungo e profondo sospiro preparandosi a camminare di nuovo tutto il tragitto che si era già fatto.
Non appena si voltò, il suo sguardo cadde sulla struttura in parte demolita del patibolo. Lo stesso dove Ace stava per essere...
Un brivido freddo e glaciale percorse la schiena del biondo, riportando alla vita sensazioni che non era riuscito ad abbandonare.
Marco, forse in preda all’alcol, forse in preda alla rabbia che provava per Akainu, forse per il semplice fatto che erano morti suo babbo e suo fratello, a quel ricordo, a quel dolore cadde nella follia più profonda e cupa.
Aveva sorbito un intero mese nella tristezza causata dall’assenza di quelli che erano stati, per lui, un padre e un fratello. Ora era stanco. Stanco di sapere che non sarebbero più tornati. Aveva già sofferto abbastanza durante la guerra, ma non poteva dire mai qualcosa come “Suvvia, domani sarà un altro giorno!”, perché anche quando arrivava il domani, il dolore se lo trascinava con sé.
Portò le mani alla testa: -MALEDETTO ACE!- diede un calcio infuocato, che fece saltare un palo saldato con il cemento armato per terra. -Maledetto te che dovevi proteggere il tuo fratellino! Maledetto te che ti sei fatto catturare! Maledetto te che ti sei fatto quasi giustiziare! Maledetto il babbo che si è fatto ammazzare per colpa tua!-
Colpì con un pugno un lampione, ma questo, notevolmente più robusto e resistente del paletto, non si piegò. Un pugno... che non riusciva a battere l’avversario. Gli era già capitato, quando duellava con Ace per far passare il tempo sulla Mobydick. Alla fine l’aveva sempre vinta il biondo, ma per le prime batoste Pugno di Fuoco era incrollabile.
Esattamente come il suo stato d’animo: incrollabile. Poteva capitargli di tutto, ma lui non si arrendeva mai. L’unica volta che il comandante della prima flotta l’aveva visto mollare era stata sul patibolo. Eppure alla vista dei suoi compagni aveva quasi ricominciato a vivere.
Che cosa strana, ricominciare a vivere proprio a un preludio dalla morte...”
A quell’ultima parola, Marco diede un altro violento pugno contro il palo. Come se colpirlo servisse a trovarsi di fronte, come sfidante, l’amico perduto.
Ne diede un altro.
E un altro ancora.
Nel frattempo le lacrime salate e amare scendevano dal viso seguendo i lineamenti duri del biondo, per poi staccarsi dal suo volto e cadere a terra, lasciando tracce indelebili alle loro spalle. Sentiva le nocche e il dorso delle mani cominciare a bruciarsi e a scorticarsi a causa della brutalità di quei colpi. Eppure non riusciva a fermarsi. Non voleva.
L’ennesimo pugno, più dolorante e stanco degli altri, si fermò a un centimetro di distanza dal lampione. Infine Marco lo poggiò lentamente contro la superficie fredda e ferrosa, con un velo di rassegnazione. Chinò la testa e le spalle in avanti, notando come il pilastro fosse diventato ricurvo, e come non fosse servito a nulla distorcere la sua linea eretta.
No. Poteva picchiare quel palo quanto voleva, ma non sarebbero tornati. Non più.
–Maledetto te... – si lasciò scivolare lentamente lungo la linea del palo, ritrovandosi in ginocchio per terra -... che ci hai lasciato dicendo “grazie”- A quelle parole, le lacrime ricominciarono a scendere giù come pioggia di marzo.
E il biondo si sedette, lasciandosi sbattere la schiena contro il palo. Le gambe ormai erano flesse, e aveva ripiegato la testa fra le ginocchia.
Stava piangendo.
E odiava piangere.
Perché se piangi c’è sempre un motivo per cui lo stai facendo.
E quel motivo è più doloroso del pianto stesso.
-“Grazie” per averti voluto bene, poi... che razza di ultima parola è, Ace? Certo che ti abbiamo voluto bene! Eri nostro frate...- s’interruppe bruscamente, continuando comunque a lasciar scendere le lacrime dagli occhi.
-No. Tu sei  nostro fratello! E lo rimarrai per sempre! Altrimenti non sarei qui, a fare la fontana per te!-
Fra quei ragionamenti, fece cadere un sorriso sghembo e ironico sulla sua bocca, ormai bagnata dalle lacrime salate, che parevano non volergli lasciare tregua: -Non ci posso credere! Riesci persino a farmi fare ciò che odio di più anche da morto! Sei unico nel tuo genere, Ace! Se solo fossi andato avanti, quando Akainu ha detto quelle cose! Se solo fossi stato meno stupido... - diede un ultimo sospiro. Poi si ammutolì, dando libero sfogo al suo pianto.
-Ma io... non sono stupido!-
Il biondo sbuffò: -Si che lo sei, invece! Sei la pecora nera di tutte le ciurme delle flotte di Barbabianca! Fa parte della tua natura essere stupido, Ace!-
Marco si bloccò: -Ace?-
Rizzò in piedi, con gli occhi spalancati e attenti dallo stupore.
A qualche metro di distanza da lui vide la figura di un ventenne, alto, dai capelli corvini e neri come la notte che cingevano quel viso caratterizzato da un sorriso divertito, oltre che a numerose lentiggini. Se ne stava lì, in piedi, con una maglietta a maniche corte addosso e un paio di jeans.
Il comandante della prima flotta prese seriamente in considerazione l’eventualità che si potesse trattare di una visione provocata dalla sbronza, soprattutto per quell’abbigliamento che non era da lui.
Ma se quello era solo un sogno, allora il biondo desiderò come mai aveva fatto in vita sua di potersi non svegliare più. Marco iniziò a correre verso di lui, e Ace si preparò a rispondergli.
Dopo qualche secondo, il moro realizzò le vere intenzioni del biondo, che a giudicare dallo sguardo omicida che gli stava mandando e dal pugno infuocato blu, si avvicinavano molto a qualcosa del tipo “fargli pentire amaramente di essersi fatto vivo solo dopo un mese”.
E nello stesso momento Ace, inarcando lentamente il sopracciglio, iniziò saggiamente a correre verso l’altra parte.
-GIURO CHE TI AMMAZZO!-
-Marco! Dopo tutto il discorso commovente che hai fatto, ti rimangi tutto così?- disse il moro scappando a gambe levate.
-FERMO LI’, RAZZA DI PIROMANE DA CIRCO! MI HAI FATTO DIVENTARE UN FIUME IN PIENA MENTRE ERI SANO COME UN PESCE! GIURO, CHE SE TI PRENDO, TI SFREGO LA TESTA COME SE FOSSI UN FIAMMIFERO FINCHE’ NON TI ACCENDI! PAROLA MIA!-

Qualche minuto prima, dall’altra parte della balia, la Red Force era ormeggiata al molo, stupendo tutti i pirati presenti. Non aspettavano una seconda visita dal rosso.
-Shanks! Che ci fai tu qui?- gli chiese Halta, l’unica donna capitano delle flotte del vecchio.
-Che ci fate VOI qui! Io sono venuto solo a farvi una visita!- gli rispose ironicamente l’imperatore.
-Ora che non abbiamo una ciurma, dovevamo pur sempre discutere di alcune cose, e lo stiamo facendo qui!- disse Vista, osservando come alcuni subordinati stessero crollando per l’estremo utilizzo dell’haki da parte dell’altro capitano. Quest’ultimo lo notò.
-Ops! Scusate... – fece una volta sceso a terra, massaggiandosi la nuca con fare imbarazzato.
-Tranquillo, ormai ci siamo abituati... -
-Ma non vi preoccupate che possa tornare la marina?- chiese Beckman, che coprivano le spalle al suo superiore.
-Perché dovremmo? La guerra è finita da poco, e il campo di battaglia è molto trascurato quando sono spostati i cadaveri. Non vedo cosa ci possa essere da preoccuparsi!- gli rispose Jaws -... tornando a voi: che siete venuti a fare qui? Non credo che abbiate attraversato mari e monti solo per venirci a trovare!-
Shanks si preparò: avrebbe dovuto comunicare lui la notizia di Ace che era vivo, ma l’avrebbe dovuto fare con delicatezza. Aveva mandato Pugno di Fuoco a farsi un giro, tanto per preparare psicologicamente i suoi compagni. Solo che non sapeva come farlo.
Prese un ultimo sospiro, rassegnare. Poi si preparò a dire tutto.
-TI HO PRESO, FOTTUTO PIROFILO!- Marco arrivò in scivolata lungo l’asfalto, proprio davanti al rosso e agli altri pirati, mentre con un braccio cingeva energicamente il collo di qualcuno, di cui non si vedeva il volto. Con l’altro arto sfregava le nocche delle dita sulla testa di quest’ultimo.
Ace quasi non riusciva a respirare, per colpa di quella morsa micidiale. Teneva gli occhi chiusi per lo sforzo immane che faceva con dita, infilate fra il braccio di Marco e il suo collo, cercando di creare uno spiraglio che gli permettesse di riprendere fiato. Non ci riusciva. Sapeva che il comandante della prima flotta era molto forte, ma non immaginava che potesse arrivare fino a questo punto.  Percepiva sulla fronte le gocce di sudore, che scivolavano lungo la testa, fino a cadere con un minuscolo tonfo per terra. Ace provò ad aprire gli occhi, accorgendosi che la sensazione umida sul capo non era per niente dovuta al sudore.
Erano lacrime.
Mentre Marco teneva il viso in un’espressione arrabbiata, scendevano lacrime dagli occhi.  Man mano che piangeva, la sua stretta perdeva vigorosità, permettendo al moro di difendersi.
-... Marco?- provò a dire quest’ultimo, osservando l’amico.
-Che vuoi, piromane da circo?-
-Stai piangendo-
Il biondo lasciò libero il braccio che cingeva quello dell’amico. Si mise in piedi, mantenendo in faccia un’espressione distaccata. Porse la mano ad Ace per aiutarlo ad alzarsi: -Che ti aspettavi? Che avrei riso il giorno che saresti morto? Ti serviva un’esecuzione pubblica per capire che ti volevamo bene?-
Ace afferrò la mano del compagno, poi si fecero forza per metterlo in piedi.
-Se proprio mi vuoi bene perché, ora che sono tornato in vita, cerchi di ammazzarmi e poi ti metti a piangere come una femminuccia?-
Proprio in quel momento, l’espressione arrabbiata di poco prima sparì dal volto dell’amico, lasciando posto a un maligno ghigno pronto a fare qualcosa. Qualcosa che non sarebbe piaciuto troppo al moro.
-Perché tu... -
Marco si gettò un pugno in faccia all’amico, beccandolo in pieno –SEI IL PIROMANE DA CIRCO PIU’ BASTARDO A CUI ABBIA MAI VOLUTO BENE, ACE!-
Ace si rialzò col naso grondante di sangue.
Fra tutti i membri della flotta di Barbabianca che hanno l’haki, proprio Marco doveva essere fra questi?” pensò.
Si strofinò via il liquido dalla faccia con l’avambraccio. Si era reso conto di cosa avesse voluto dire l’amico, ma proprio le parole “piromane” e “bastardo” avevano rotto l’atmosfera.
Peccato.
Pugno di Fuoco diede un altro sguardo al compagno, mentre si rialzava.
-Grazie tante, eh!- fece.
-Se ti è piaciuto, posso concederti il bis!- Marco caricò un altro pugno.
-NO! Ti prego!-
-Dai, scherzavo!- e mentre rideva, gli diede qualche pacca sulla spalla.
Ace si voltò, e notò che sia Shanks che tutta la sua ciurma li guardavano sbigottiti.
Dopo la scenata di prima, non c’era da stupirsi della loro reazione.
-Hey, Shanks! Non avevi detto che andavi a comunicare la notizia agli altri ragazzi?- chiese Ace.
Shanks mosse l’unico braccio che aveva, indicando dietro di lui.
Il moro si girò, trovando con grande sorpresa d’innanzi a sé tutti i capitani della ciurma del babbo, che lo stavano guardando attoniti. Più che attoniti, erano caduti in catalessi.
-Emh... l’avevi già preparati alla notizia, non è vero?- chiese il comandante della seconda flotta speranzoso.
Un rumore riecheggiò nell’aria: Marco stava ridendo. Si avvicinò all’amico e, prendendolo per la spalla, se lo trascinò con sé.
-Marco! Ho appena incontrato i miei compagni di viaggio dopo aver fatto una visitina all’inferno... e ora me ne vado? Già?-
-Diciamo pure che le tue entrate in scena, in particolar modo questa, tolgono sempre il fiato. Dagli almeno i tempi di respirare! Ti offro la cena se vuoi... -
Ace non poté fare a meno di resistere a quel delizioso richiamo, lasciando tutti gli uomini alle sue spalle sbalorditi, con le bocche aperte, senza osar fiatare...
... anche se dentro stavano urlando a squarciagola di gioia.

Naturalmente, sotto smorzatura di Ace, Marco fu costretto a mantener fede alla sua promessa riguardo alla cena. Ma avendo ritrovato un compagno scappato per poco dalle braccia della morte, si poteva permettere qualcosa in grande stile: invitò anche tutti gli altri pirati di Barbabianca sulla nave della prima flotta per un banchetto. Questi furono felicissimi di accettare, anche per allontanare la sensazione di lutto dovuta all’assenza di Edward Newgate, che ormai imperversava su di loro da poco più di un mese. Ospitarono sulla nave anche Shanks e la sua ciurma. Infondo, era stato lui a salvare Pugno di Fuoco.
La sala dove si mangiava era enorme e del tutto riempita. Sarebbero stati tutti più comodi sull’enorme Mobydick, ma questa aveva subito gravi danneggiamenti durante il corso della guerra di Marineford. Della sua riparazione se ne stavano già occupando alcuni carpentieri, ma per ora era inutilizzabile.
Tutti erano seduti attorno a dei lunghissimi tavoli rettangolari, ognuno in qualsiasi momento aveva davanti a sé una pietanza o un boccale di birra. Nella maggior parte dei casi entrambi.
Molti scoppiarono a ridere quando Ace cadde con la faccia nel piatto e la forchetta in mano. Per l’ennesima volta.
Fra i tavoli scoppiava spesso qualche gara di bevute. Se davvero questi erano figli di Barbabianca, dovevano aver ereditato il gene del “reggere bene l’alcol”, perché crollavano solo dopo moltissimi giri. Il rosso volle testare questo loro gene.
-Shanks, Aspetta!-
Proprio poco prima che il pirata potesse portare alle labbra il primo boccale in una sfida contro Atomos, si voltò trovando d’innanzi a sé la figura del dottore albino, con le braccia incrociate e la solita espressione imbronciata sul volto. Accanto a lui il suo vice, dalla medesima espressione.
-Cosa vuole, anarchico? Mi vuole ricordare tutti i rischi di chi beve troppo sakè o degli effetti del dopo sbronza, come farebbe ogni bravo dottore e ogni fedele vice?-
Sul viso della coppia di criminali si posò un ghigno sghembo, poi Ben parlò: -Per niente! Ma i qui presenti anarchico e fedele vice vogliono scommettere contro questi gentilissimi signori cinquemila Berry che il nostro capitano non crolla prima di quest’essere qui accanto... -
Alle parole “quest’essere” Atomos sbuffò.
-... quindi ci dia il tempo di puntare, per la miseria!- aggiunse l’infermiere.
Shanks sorrise. Aspettava quel genere di risposta dai suoi subordinati. –Cinquemila Berry, avete detto?-
 fece il rosso tornando a osservare il liquido ambrato dentro il boccale.
-A testa! – rispose il suo vice.
–Dottore, Ben, davvero mi sorprendete: potevate puntare molto di più!-
Il medico sorrise beffardo: -Non volevamo scialacquare questi pivelli!-
Shanks fece scorrere nella gola l’alcolico, scialacquando il boccale tutto d’un fiato. Batté il bicchiere vuoto contro la superficie del tavolo di legno: -Fine primo giro... avanti col secondo!-.
La gara continuò per un bel po’, e non c’era da stupirsi: Atomos, con l’aspetto che aveva, già faceva intendere di reggere bene qualsiasi cosa, persino l’alcol.
Riguardo a Shanks... beh, era Shanks! C’è bisogno di aggiungere altro?
Verso il nono giro il comandante della flotta di Barbabianca diede i primi segni di stanchezza, finché non chiuse gli occhi e si accasciò sul tavolo.
Attorno ai due partecipanti si sentirono i tristi lamenti di chi aveva puntato per Atomos e le esclamazioni dei membri della ciurma del rosso.
Vittoria.
Fra i più contenti ed esilaranti c’erano il cecchino e il luogotenente.
-Yahoo! Vittoria!- urlò quest’ultimo.
-Non c’è nulla da sorprendersi, se si tratta del nostro capitano e del suo modo di reggere. Non è vero, Shanks?-
Nessuno rispose al biondo.
-Ohi, capitano!- provò a richiamare –L’alcol ti ha reso sordo? -
Non appena si voltò, trovò la figura del rosso (ormai rossa soprattutto sul naso, oltre che ai capelli) che batteva il boccale contro il tavolo e rideva a crepapelle senza un preciso motivo, agitando le braccia come un bambino capriccioso.
Ubriaco.
Yasop rimase a fissare il suo superiore con una punta di disprezzo per un minuto. Dopodiché sentì le pacche sulla spalla da parte del suo grasso amico.
-Lo so, Yasop. Lo so... -

 In un tavolo non troppo distante da questo si stavano già svolgendo altre sfide. Solo uno non aveva ancora provato, ma avrebbe rimediato presto a questo particolare.
Pugnò di fuoco salì su una panca e batté il piede sul tavolo -Hey! - il grido di Ace atterrò l’attenzione di tutti quelli che si trovavano in quel tavolo.
-c’è qualcuno che vuole sfidarmi?-
Il silenzio regnò in quella stanza. Ace era conosciuto, oltre per il fatto di essere il comandante della seconda flotta, per la sua fama da bevitore (più mangiatore, a dire il vero). Quindi nessuno si azzardò a rispondere.
Scappò qualche risatina soffocata, mentre Ace continuava a guardarsi in giro, senza trovar nessuno che volesse gareggiare contro di lui.
Quando aveva perso le speranze, notò una mano alzarsi da lontano: era il comandante della prima flotta.
Pugno di fuoco sorrise: una sfida contro Marco sembrava molto interessante, perché anche lui era conosciuto per il modo in cui reggeva l’alcol.
Il moro si ritrovò profondamente deluso quando notò che l’amico era appena uscito da un’altra sfida e ora era ubriaco fradicio.
-C’è qualcun altro che vorrebbe sfidarmi?- chiese implorante al resto dei ragazzi.
Marco imitò il compagno mettendosi sopra la panca: -Accontentati, Ace! Dammi un buon per questo motivo io non possa gareggiare contro di te!-
Il moro socchiuse gli occhi: -Marco, quante birre ti sei fatto?-
-Diciasette! -
-Ecco il tuo buon motivo -
Il comandante della prima flotta sbuffò, dando le spalle al ventenne e cominciando a  camminare lungo la panca: -Tanto avresti già perso in partenza! Non riesci a bere dieci boccali di seguito, figuriamoci diciassette!-
La mano salda e ferma di Ace afferrò duramente la spalla del biondo. Sul volto di quest’ultimo apparve un sorrisetto soddisfatto. Adorava farlo innervosire in questo modo.
Pugno di Fuoco girò brutalmente il compare: -Rimangiati subito  quello che hai detto!-
Marco, con la solita espressione in viso, porse un boccale che gli capitò per caso all’amico: -Dimostramelo, allora!-
Ace afferrò il bicchiere, si sedette sul tavolo, con le gambe divaricate sulla panca, e bevve tutto d’un fiato l’alcolico. Mentre si affrettava a prendere il secondo, iniziò a dettar le regole: -Tanto per incominciare, io mi faccio diciassette giri, così siamo pari... – si scolò in un sol sorso la birra –poi incominci a bere pure tu, e chi crolla per primo ha perso. Intesi?-
Marco si sedette composto sulla panca, vicino all’amico. Annuì leggermente con la testa. Quel sorriso che aveva in faccia non gli si era allontanato di un millimetro. –Intesi... -
Pugno di fuoco ghignò e portò alla bocca il terzo boccale.

Fu la volta del quarto.
Poi il quinto e il sesto.
Al settimo, ancora non aveva dato il benché minimo segno di stanchezza.
Bevve tutto d’un fiato l’ottavo.
Lo stesso fu per il nono.
Il moro sbatté il decimo boccale di fronte alla faccia di Marco, che aveva il volto semi-affondato fra le braccia conserte poste sul tavolo.
-Chi è che non riuscirebbe ad arrivare a dieci giri di seguito?- aggiunse con una punta di strafottenza nei confronti dell’altro comandante.
-Attento, Ace: ti rimane da bere quasi il doppio di quello che ti sei appena fatto ora. Sei sicuro di voler continuare?-
Pugno di Fuoco lo fissò attentamente in modo vacuo. Ormai la vista cominciava a tradirlo, a giudicare da quelle macchie sfocate che si frapponevano tra lui e il biondo. Le guancie gli si erano avvampate di un rosso talmente acceso da nascondere perfettamente le efelidi sul viso. Gli occhi erano arrossati e semichiusi sia per la stanchezza sia per l’ubriachezza.
Infine, riassumendo l’espressione strafottente di poco prima, afferrò l’undicesimo boccale e fece scorrere il liquido in esso contenuto giù per la gola.
Marco sorrise: -Lo prendo per un sì. -

Arrivato al quindicesimo boccale, la situazione si era fatta critica. Mentre intorno si stagliava una folla di curiosi che facevano il tifo per il moro, quest’ultimo aveva vertiginosi giri di testa e continui stimoli di vomito. L’odore dell’alcol aveva, per la prima volta, evidenziato al giovane il suo lato più nauseante. La sua gola si era richiusa, e Ace era scivolato da sopra il tavolo per poi ricadere sulla panca. Si girò e poggiò la fronte sulla superficie legnosa e fredda del banco. Ebbe un secondo si sollievo, prima che i giramenti di testa tornassero a tormentarlo. A peggiorare l’emicrania sembrava che fosse già iniziato il momento di dopo sbornia, e le grida dei compagni riecheggiavano nella sua testa come un martello su una campana.
“Perché continuo con questa tortura? ...” si chiese mentre sollevava leggermente la testa. Lo sguardo ricadde su un altro boccale di birra. La visione più nauseante che potesse avere in quel momento.
-Ace! – qualcuno tirò indietro la spalla del ventenne, costringendolo a guardarlo in faccia. Era stato Marco, con un’aria certamente preoccupata per il compagno. –Se non la smetti, domani mattina ti ritroverai a vomitare il tuo stesso fegato! -
Pugno di Fuoco lo fissò duramente. “... ah, già. Per la sfida contro Marco” aggiunse nel suo cervello.
La sua testa fu percorsa da quel momento, dove Marco gli aveva passato il primo boccale di birra:
-Dimostramelo, allora!-
Era questo ciò che aveva detto. Infondo quelle parole erano riferite a dieci semplici giri. E li aveva già superati da un bel pezzo.
Al diavolo se Marco reggeva l’alcol meglio di lui! Come aveva appena detto, preferiva tenersi stretto il fegato. Senza contare la ramanzina che gli avrebbe fatto il medico della ciurma del rosso, se avesse scoperto che era svenuto durante una gara di bevute, proprio poco dopo un’operazione.
Aspetta un attimo: la ramanzina, giacché si era ubriacato, gliel’avrebbe fatta comunque.
Vabbè, chi se ne importava di quel vecchio! Al diavolo anche lui!
Ace afferrò come l’amico, la spalla del compare, e si fece aiutare a mettere in piedi. Non appena allargò lo sguardo, notò che dietro di lui numerosi pirati che prima facevano il tifo adesso si stavano lamentando.
C’erano qualche faccia sconsolata e qualche altra che rideva.
Fra tutti quei visi cercò quello di suo padre, Barbabianca. Era curioso di vedere se gli avesse lanciato uno sguardo preoccupato e, da bravo padre, l’avesse trascinato in infermeria con Marco. Oppure se gli avesse dato un semplice sorriso rassicurante e con una o due pacche sulla spalla gli avrebbe detto qualcosa del tipo “Per la prima volta non sono io l’unico che sta seriamente male su questa nave!”.
Ace si ricordò anche che quel giorno non l’aveva ancora visto, a Barbabianca.
Eppure era strano, perché conoscendolo, gli avrebbe dato un caloroso “bentornato”.
Un pensiero percorse velocemente la testa di Pugno di Fuoco. L’impronta che aveva lasciato, però, non se ne andò via.
Il moro cominciò a guardarsi intorno più freneticamente, cosa assai difficile per colpa di quel velo sfocato davanti agli occhi, dovuto a tutte quelle birre.
Ace si era preoccupato di controllare se erano rimasti in vita tutti i suoi compagni. All’appello mancavano solo Little Odr (amico fidato, ma si era già ripreso dalla sua morte parecchio prima), e un tipo della sua ciurma, un certo Misha, ma non aveva avuto modo di parlarci perché quest’ultimo era arrivato lo stesso giorno che era partito per dare la caccia a Barbanera.
Si mise a riflettere su quello che aveva visto quel giorno, come per cercare una semplice ombra che confermasse la presenza di Edward Newgate.
A quanto pare, l’effetto dell’alcol lo aiutava a vedere anche quelle memorie sfocate cui non aveva dato nemmeno attenzione. Un ricordo ben messo a fuoco gli fece sbarrare gli occhi per lo stupore.
Cercò di scacciare via quel pensiero con tutte le forze che gli erano rimaste, ma lo stato di ubriachezza lo teneva prigioniero dei suoi pensieri.
Ace continuò a guardarsi intorno. Era appena riuscito ad alzarsi grazie a Marco, e il mal di tesa era appena peggiorato.
Ma Pugno di fuoco non ci fece caso, troppo concentrato su quel pensiero fisso, sul dubbio di Barbabianca.

-Non... non lo vuoi sapere? E perché?- fece il luogotenente sbigottito.
-Sentite... – Pugno di Fuoco prese un profondo respiro -... ormai, dalle vostre facce, ho capito che Barbabianca o è gravemente ferito... oppure è morto. Non so se il babbo è vivo o no. Non so se mi sto trattenendo dal sapere la notizia che mi renderebbe la persona più felice della terra o se mi sto parando con uno scudo di carta da ciò che mi renderebbe più triste. Quindi non lo voglio sapere. Non ora almeno. Tanto prima o poi dovrò scoprirlo comunque, no?-

Sì. Prima o poi avrebbe dovuto scoprirlo.
Ace voleva reagire, ma tutti quei giramenti di testa e quella nausea glielo impedivano.
L’unica cosa che aveva possibilità di fare, e che poi compì, fu afferrare il diciassettesimo boccale e affrontare il gusto dell’alcol in bocca, pur di scacciare via quel pensiero.
In seguito accaddero solo due cose:
l’arrivo inaspettato (o quasi) del medico albino, che cominciò a sbraitargli contro, mentre le gambe di Pugno di Fuoco crollavano sotto il suo stesso peso.
E Marco che lo prendeva da dietro, mentre il moro iniziava lentamente a socchiudere gli occhi e perdeva i sensi, accasciandosi sul pavimento mentre tutti gli altri pirati, intorno, lo guardavano preoccupati.
 
Il giorno dopo
Marco socchiuse lentamente gli occhi, percependo i raggi di sole che illuminavano l’enorme stanza dei banchetti, ormai vuota ma già ripulita.
La testa era poggiata sul tavolo di legno, e anche il busto era accasciato su questo.
Non c’era nessuno con lui. L’unica cosa a fargli compagnia era un tremendo mal di testa e una vaga sensazione di nausea.
“Maledetta sbronza! Vista, te la farò pagare cara! Me lo sentivo che non dovevo fare la gara di
bevute contro di te... ”
Si mise eretto e si stirò le braccia. Il mal di testa peggiorò di un po’, ma in quel momento Marco era talmente stanco che lo ignorò.
Si diede una veloce occhiata intorno, scorgendo attraverso la porta che collegava con l’esterno un ragazzo con i gomiti appoggiati contro la balaustra, intento a fissare l’orizzonte del mare.
“Beato Ace, sembra non avere problemi con il dopo sbornia...”
Il biondo si alzò e cominciò dirigersi verso il ventenne.
Una cosa che notò fu la presenza del suo cappello arancione da cow boy accanto al giovane, posto sulla ringhiera, ma il comandante della seconda flotta non lo degnava nemmeno di uno sguardo.
Una volta raggiunta la meta, si appoggiò sulla balaustra vicino a Pugno di Fuoco.
-Bella giornata, eh?- fece il biondo.
Ace a quel richiamo distolse lo sguardo dall’orizzonte, poi gli porse un sorriso: -Già, c’è anche un bel sole... -
-Ma tu sei in pensiero,- aggiunse l’altro – e a me piacerebbe tanto capire perchè-
Il sorriso svanì dal volto del ventenne, che tornò a fissare il mare.
-Hai presente Rufy?- chiese infine.
-Non è tuo fratello?-
-Già! Ecco, stavo pensando a quello che ha fatto a Marineford... -
-E’ stato coraggioso- Marco sorrise: non aveva mai visto nessuno combattere in quel modo per ciò a cui teneva veramente.
-Stupido-  aggiunse Ace, senza staccare gli occhi dal filo azzurro dell’orizzonte.
-Si, è vero, un po’ azzardato. Ma non ho mai visto nessuno buttarsi in un mare di guai per ciò a cui tiene di più!-
-Non era ironico. E’ stato stupido- il moro non aveva cambiato espressione facciale, rimanendo serio.
Marco lo guardò torvo, chiedendosi che gli stesse passando nella testa. Lo fissava, ma non riusciva ad avvicinarsi a quegli ignoti ragionamenti.
-Ace, non capisco... -
-Non c’è molto da capire - continuò Pugno di Fuoco -...è stato stupido. Era troppo debole e si è messo lo stesso a correre inutili pericoli. Ha rischiato quasi di morire-
-Magari non gli farà molto piacere, ma basterà che lo convinci ad allenarsi un po’ e... -
-Marco, non gli voglio dire niente-
Il biondo si bloccò una seconda volta. Non riusciva davvero a capirlo. Provò a calare la tensione ridacchiando un po’.
-Andiamo, Ace! Cosa intendi con: “non gli voglio dire niente”? Che avrai intenzione di fare, altrimenti, quando lo vedrai?-
-Semplice: non lo vedrò-
Il sorriso ironico sparì dal volto del comandante della prima flotta. –Stai scherzando, vero?-
Il ventenne attese ancora un po’: -Stupido. Si è letteralmente catapultato dal cielo per venirmi a dare una mano. Ha attraversato l’intero campo di battaglia rischiando di morire. Ma quello che per poco i lasciava la pelle, in realtà, ero io: mi ha fatto quasi prendere un colpo per lo spavento...-
-Si, ma...- ribatté il biondo, quasi arrabbiato -... alla fine è riuscito a raggiungerti!-
-Dimentichi che il colpo di Akainu era diretto a lui. Poi l’ho voluto difendere e mi sono messo in mezzo.
Sono vivo ancora per un frutto del mare! Uno stupido e insignificante frutto!
Se nella mia vita non mangiavo uno di quei cosi a quest’ora, ero morto!
E lo sarebbe anche Rufy, se non fosse stato così stupido-
-Fammi capire bene:- Provò a dire l’altro, con un tremolio di voce - tu vorresti continuare a fingerti morto a tutto il mondo, alle persone che si preoccupano per te, che hanno pianto lacrime amare a mai finire il giorno che Akainu ti conficcò quel dannato, pungo e ai tuoi amici,... solo perché credi che tuo fratello possa capire che deve diventare più forte se vuole sopravvivere nel nuovo mondo? –
Il capitano della seconda flotta rispose con un tono secco: -Si, qualcosa del genere-
-Ma il troppo magma ti è andato alla testa? Ace! Che ti prende?!?-
-Nah, lascia stare! Non puoi capire... - Il moro fece per allontanarsi. Si dovette ricredere quando sentì che qualcuno gli aveva afferrato il polso. Si voltò irritato: era Marco, con l’espressione più arrabbiata che gli avesse mai visto in faccia.
-Ora sei tornato e, cavolo, non credo che io possa essere stato più felice di oggi!
Ma con quello che dici c’è qualcuno che non sentirà questa felicità come ho avuto la grande fortuna di averla sentita io.
E tu vuoi permettere che tuo fratello, che molto probabilmente sai quanto soffrirà, non possa permettersi solo di sapere che stai bene? Per te potrà essere poco, ma per LUI sarebbe il più bel regalo che tu possa mai fargli!-
Pugno di fuoco rimase a fissare con uno sguardo fermo l’amico, che non gli aveva ancora lasciato il polso.
-Marco... - il suo tono di voce nascondeva un filo di ripensamento.
-Ti sei accorto che hai appena sparato una cavolata?- chiese il biondo inarcando un sopracciglio.
-No. Mi sono accorto di avere un compagno di bordo poeta. E magari posso pensare che abbia anche delle gran brutte e perverse intenzioni, se non mi molla subito il braccio-
Marco lasciò la presa, mentre Ace continuò senza fretta a camminare dalla parte opposta.
-Ci si vede, Marco!-
-Guarda che questo è il tipo di scelta di cui uno si può pentire più facilmente!- gli gridò l’uomo da dietro.
Il ventenne non si voltò, ma fece un cenno veloce con la mano: -Questa non ti è riuscita bene, poeta!-
Marco era già stanco di suo per la dopo sbornia. Ci mancava solo Ace...
Si catapultò verso di lui, bloccandolo poco prima che potesse scendere dalla nave.
-“Tanto in meno che non si dica si dimenticherà di me!”, non è vero? Scommetto che è questo quello che pensi di tuo fratello. Non lo vuoi capire che è più complicato?-
Pugno di Fuoco alzò gli occhi al cielo, poi li riportò sul biondo. -Potrà sempre provare a soffocare il dolore con la rabbia, no? -
Marco sbarrò gli occhi: -Soffocare il dolore con... Si. E’ ufficiale: il magma ti è andato al cervello. Mi spieghi come sia possibile una cosa simile?-
-Vediamo se ti rinfresco un po’ la memoria... – Ace si chinò verso l’amico, avvicinando la bocca all’altezza dell’orecchio – “Maledetto te che dovevi proteggere il tuo fratellino, maledetto te  che ti sei fatto catturare, maledetto te che ti sei fatto quasi giustiziare, maledetto il babbo che si è fatto ammazzare per colpa tua...”, ti ricordano niente, Marco?-
Il biondo rimase paonazzo, mentre Pugno di Fuoco lo superava e scendeva dalla nave.

Quella sera, Ace era salito sulla Red Force. Si era messo ancora una volta ad osservare il mare appoggiato alla balaustra, stavolta nel buio scuro e cupo della notte. Il venticello gelido gli accarezzò la pelle, facendogli percorrere un brivido.
-Spettrale, vero?- un uomo avvolto da un mantello nero e con un solo braccio gli si avvicinò, mettendosi accanto a lui.
-Io direi squallido – gli rispose senza volarsi.
Shanks sorrise: -Eppure, continui guardare a il mare con quell’aria interessata... mi piacerebbe sapere cosa vedi-
Ace gli lanciò una veloce occhiata. Il rosso stava scrutando l’orizzonte, attendendo una risposta. Prese un sospiro e tornò a guadare d’innanzi a se: -Vedo... Marineford -
-Davvero? -
-A dir la verità, m’immagino cosa è successo dopo la mia morte e dopo quella del babbo-
-Allora, l’hai scoperto- aggiunse l’imperatore, interrompendolo.
-Già-
-Mi dispiace-
-L’avevo comunque capito, anche se non avevo il coraggio di dirlo-
Il rosso annuì. –Tornando a quello che t’immagini... cosa vedi in questo tuo momento post-guerra?-
-Vedo... tutti quelli che sono rimasti vivi. Ringraziano il cielo di avere avuto, come pochi, la possibilità di vivere.
Li vedo che salpano e prendono il mare.
Vedo che sono contenti di poter vivere, che stanno pregando qualche divinità, spirito o chissà chi per ringraziarli della loro protezione.
Vedo che ognuno lascia a quello che si trova dietro di sé tutte le sue più grandi paure, timori, tristezze che ha vissuto durante la guerra, perché farà di tutto pur di non riaverle più.
E a loro volta, quelli dietro li passeranno a quelli dietro ancora, dopodiché saliranno su una barca e lasceranno tutte quelle paure alle persone alle loro spalle, prendendo il largo.-
Shanks gli volse uno sguardo: -E tu dove sei, in questa tua visione?-
-... io?- Ace per la prima volta si voltò, guardandolo negli occhi: -Io sono quello sull’ultima barca sul mare. Quello a cui hanno addossato tutte le paure di tutti quelli che hanno vissuto la guerra. Quello che si sta sorbendo il peso di tutti i loro timori e le loro colpe. Un peso che sento di non poter reggere-
-E allora, che fai dopo?-
-Dovrei lasciare, come hanno fatto tutti, il mio peso alle spalle. Dovrei abbandonare tutto a Marineford, e scordarmene per sempre. Ma non ci riesco-
-E perché?-
-L’ho già detto: è un peso che non sento di poter reggere-
-Ti sbagli, Ace. Un peso che non puoi reggere non sempre va lasciato alle spalle. Le brutte esperienze servono proprio a darti una lezione, ma se te le lasci indietro non imparerai nulla-
-Cosa dovrei fare, allora?-
-Se proprio è un peso che non riesci a reggere, dovresti trovare qualcuno con cui condividerlo, e vedrai che diventerà molto più leggero. E se ti dico che Rufy sarà molto più contento di dividere questo peso con te anziché diventare più forte, ti posso assicurare che è vero-
Ace gli lanciò un’occhiata gelida. –Marco ti ha detto tutto, non è vero?-
Il rosso, come risposta, abbozzò un sorrisetto sghembo: -Esatto. Ma non te la prendere con lui: gli ho scucito tutto io-
-Sai che consolazione... – il moro tornò a guardare l’acqua scura come la pece.
-Comunque... – lo richiamò l’altro –ascoltarlo non sarebbe una cattiva idea, non credi?-
-Mmm...- Pugno di fuoco continuava a non essere sicuro della propria risposta.
-Mettiamo caso che non cambiassi idea: - aggiunse Shanks –come farai a non farlo sapere a Rufy, se la notizia che Portugase D. Ace è ancora vivo in meno di un minuto farà il giro del mondo?-
-Allora, farò in modo che il mondo non lo sappia-
-Saresti disposto a rinunciare la vita sul mare da pirata?-
-Fare il pirata... si, sarei disposto a rinunciare. Ma posso continuare a navigare fingendo di essere un bravo pescatore solo soletto sulla sua bagnarola, no?-
-Occhio a quello che decidi di fare, Ace: la solitudine non è mai una buona cosa-
Il moro fu colto da un attimo di rabbia passeggera: -Che dovrei fare? Venire a navigare sotto la bandiera nera mi farebbe scoprire subito!-
-Puoi sempre decidere di... -
-No! Ho detto che non voglio che Rufy lo sappia!-
Il rosso provò a calmarlo: -Va bene... ora calmati. Se è questo quello che vuoi, d’accordo. -
Nacque il silenzio fra i due, interrotto solo da un’altra folata di vento.
-Il dottore... ha detto quando potrò tornare a navigare? Da solo, intendo- chiese Ace all’imperatore.
-Ancora un mese-
-Allora prometto che ci penserò su. Ma ti prego di non ribadire la mia decisione, quando la sceglierò, vecchio-
Il capitano si voltò di scatto non appena udì quell’appellativo di troppo, sfoggiando il migliore dei suoi sorrisi ironici: -Vecchio? Io? Ma se sono ancora un baldo giovane!-
-Invece no! Hai passato un’intera carriera da pirata come subordinato di Roger, hai formato una tua ciurma e hai avuto una seconda carriera, così buona da diventare imperatore. Ormai ti puoi considerare un vecchietto decrepito!- scherzò il moro.
-Non sono io che sono vecchio!- fece divertito l’altro capitano –Io sono solo “grande”, tu invece sei solo un ragazzino che gioca a fare il pirata!-
-Ma guarda un po’! Anche tu ti sei messo a giocare a fare il pirata!-
-Si, ma io sono diventato imperatore!-
-E allora?-
-E allora zitto e mosca, moccioso!- e ridacchiò.

Un mese dopo, baia di Marineford
Marco, Jaws e Vista se ne stavano a chiacchierare in disparte, sotto la luce fioca della luna e di un lampione mal ridotto, ma funzionante grazie agli ultimi interventi della marina per rimettere apposto l’isola.
Ace, che ormai doveva aver deciso quello che avrebbe fatto in futuro, aveva chiesto ai tre compagni se potevano portargli le sue cose dalla sua cabina della Mobidick. Si sarebbero dovuti incontrare a Marineford.
Quella nave non avrebbe più navigato. Lo avevano deciso con una votazione, per dei semplici motivi: primo, quella era la nave del babbo, quindi non si toccava. Secondo: la marina non avrebbe avuto difficoltà a riconoscerla, e sarebbe stata causa di  combattimenti senza senso. Al massimo l’avrebbero navigata come punto di incontro della famosa “Riunione dei pirati di Barbabianca”.
La cosa accadde molto velocemente:
L’arrivo di Ace.
I saluti ai compagni.
La spiegazione della sua decisione.
Poi... il resto.
Ace, nonostante i tentativi dei suoi compagni di fargli cambiare idea, partì. Albeggiava.
-Mi domando, se sai cosa stai facendo … - si chiese il biondo, mentre guardava l’imbarcazione allontanarsi sulla linea dell’orizzonte.
-... Ace-

Fine flashback! Eccovi il perchè del titolo "l'ultima barca sul mare",che finora è sempre stato incognito sopra ogni capitolo... Per il prossimo mercoledì, forse, non riuscirò a scrivere il capitolo: ho finito tutte le bozze che avevo, e ora mi ritrovo al verde ^-^''
Comunque ho ancora sette giorni di tempo, quindi si vedrà!
Spero che questo flashback sia piaciuto e ringrazio, davvero, chi legge la mia storia. Grazie!

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Capitolo 9
*** Rovistando fra le vecchie cose... ***


Ciao a tutti! Ecco l'ennesimo capitolo, subito dopo il flashback. Ringrazio chi ha messo questa storia tra le preferite:  
Cloe_Chan [Contatta]
Frandra [Contatta]
Itacina [Contatta]
Mymoon96 [Contatta]
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Sayuri_91 [Contatta]
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Chi fra le ricordate:
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Chi fra le seguite:
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Chi ha recensito:

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tre 88
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Kiby
SvEtY
Gol D Ann
Straw X Kisshu
kymyit
Frandra
Kisses
MBCharcoal

E naturalmente... chi legge e basta!  (Comunque, seriamente, grazie)

Sgranò gli occhi, come se questi fossero assetati dalla voglia di tornare alla realtà. Ace si mise seduto: aveva sognato Marineford. Qualche volta gli era capitato di pensare a quando era stato colpito da Akainu, ma mai aveva avuto certi ricordi durante la notte. Scosse la testa e si diede un’occhiata intorno.
Il sacco a pelo accanto al suo era vuoto, e le coperte scombinate e fredde erano segno che nessuno ci dormiva da un bel po’.
La barca non si trovava più sul mare, ma era ormeggiata alla riva di un’isola. La spiaggia doveva essere lunga kilometri, tutto ciò che si poteva vedere erano una distesa di sabbia bianca come il latte, e pochi metri a seguire una fitta e variopinta vegetazione tropicale. In lontananza una colonna di fumo saliva verso l’alto, come se volesse fare concorrenza alle stesse nuvole del cielo.
Se c’era del fumo, quell’isola doveva sicuramente essere abitata.
Se il letto era vuoto, Nami doveva per forza essere scesa.
E a confermare quell’ipotesi, delle orme stampate sulla sabbia segnavano un percorso che andava dalla barca fino alla fitta boscaglia.
Pugno di Fuoco osservò per un po’ quel paradiso tropicale, mentre pensava a dove potesse essersi cacciata la sua compagna di bordo.
-NAAAMI!- provò a gridare, senza comunque ottenere alcuna risposta.

In lontananza udì dei piccoli  e veloci battiti sordi, che si facevano sempre più forti col passare dei secondi. Il moro rimase muto ad attendere.
Sentì quei suoni raddoppiarsi e diventare ancora più rumorosi, finché il frusciare di foglie improvviso non attirò la sua attenzione.
Nami era appena uscita dalla vegetazione, passando attraverso un cespuglio e lasciando impigliata ai capelli qualche foglia. In mano teneva ben stretta una sacca di tessuto.
Dopo qualche istante una seconda figura apparve dalla boscaglia: un uomo, mingherlino e con un grembiale sporco sopra i vestiti.
La rossa si precipitò sull’imbarcazione e cominciò a remare. -Buongiorno, Ace!-
-‘Giorno anche a te!- le rispose.
-BUONGIORNO UN CORNO! RIDAMMI LA MIA ROBA, RAGAZZINA!- urlò l’uomo, rimasto solo sulla riva.
-NON SE NE PARLA NEMMENO, CUOCO DEI MIEI STIVALI!- gli gridò in risposta la ladra, continuando a remare.
Pugno di fuoco la guardò torvo per qualche istante, intontito: -Che cosa hai rubato a un cuoco, Nami? Le uova della gallinella d’oro?-
-Lo scoprirai fra un po’ se avrai pazienza e se, per favore, mi dai una mano a remare!-

Continuarono ad andare avanti per un po’, e arrivati a un certo punto si lasciarono trascinare dalla corrente. Nami afferrò la sacca in tessuto e gli infilò una mano dentro, nel frattempo Ace si domandava cosa avesse preso la Gatta Ladra.
La rossa estrasse due piatti bianchi, poi cominciò a riempirli con biscotti assortiti, croissant ripieni, fette biscottate, uno o due barattoli di marmellata e, gioia per occhi di Ace, un’enorme crostata di albicocche che non si era frantumata grazie alla tortiera dentro la quale era contenuta.
-Vedo che hai fatto le cose in grande! – esclamò il capitano, afferrando in fretta un cornetto al cioccolato.
-Avevo pensato che dovevamo festeggiare il nostro primo colpo ben riuscito in qualche modo. Solo che i festeggiamenti costano, e ho preferito risolvere la cosa a modo mio... -
Ace sbruffò, mentre mandava giù l’ultimo boccone del dolce e ne prendeva un altro.
Fra i due, il più affamato e ingordo era sicuramente il capitano, che aveva fatto piazza pulita di tutte le croissant al cacao, non lasciandone nessuna alla povera metereologa.
In meno di qualche minuto l’unico dolce rimanente fu la crostata.
-Come mangiamo questa meravigliosa delizia? – domandò Portugase, ancora affamato.
-Hai delle posate da qualche parte? -
-Dovrebbero essere in quella cassa lì in fondo...-
-Vado io! – e lo lasciò, mentre si dirigeva verso i due grossi cubi di legno.
Aprì lo sportello di quello più vicino, e chinandosi in avanti cominciò a spostare gli oggetti in disordine e accatastati che colmavano più della metà  del cassone. Rimase allibita dalla varietà della roba là dentro: oltre a coperte, cose per la pesca e utensili essenziali per la vita di mare, aveva scoperto che il moro conservava delle cose che, a quanto pare, dovevano far parte della suo passato da ricercato.
C’erano parecchi fogli di giornale che narravano di certi pirati, sparsi qui e là e stropicciati per colpa della noncuranza con cui venivano trattati.
Trovò anche un pugnale, ma la lama consumata e piena di scalfitture le fece intuire che doveva aver visto parecchie peripezie.
Erano molti i cimeli che la incuriosivano, ma si ritrovò particolarmente interessata a un foglio scritto da una mano privata di una buona grafia ma sicura, ingiallito e macchiato dal tempo.
La rossa lo prese e cominciò a leggere.

Pugno di Fuoco se ne stava seduto a gambe incrociate, d’innanzi a quel capolavoro che veniva comunemente chiamato “crostata”.  Fra tutti le deliziose caratteristiche di quel dolce, lui era sicuramente più ammaliato dalla marmellata: lucida, con un profumo dolciastro che si sentiva benissimo anche da lontano, densa e di un vivido colore arancione.
E lui se lo stava chiedendo, perché era ammaliato solo dalla marmellata.
Perché non poteva essere per quel motivo.
Negli ultimi tempi, gli era capitato di trovare un certo fascino per il colore arancione.
E non solo nelle marmellate.
Magari, anche nei colori dei capelli di qualcuno in particolare...
Fermo!” gridò nella sua testa Ace, ritraendosi in avanti “Non devo guardare verso di LEI. Punto. Solo perché penso che mi possa piacere, non vuol dire che sia vero! Potrei anche avere una semplice ossessione per il colore arancione...” si mise a fissare un punto vuoto verso l’alto, con fare pensieroso “... un’ossessione per l’arancione, che ogni volta mi ricorda Nami?
Ok, ora sono ufficialmente ammattito.
Di sicuro mi starò facendo solo delle strane idee...”
Il suo sguardo tornò a cadere alla ventenne dietro di lui.
...credo
Rimase a fissare la ventenne che si era messa a gambe accavallate sul coperchio della cassa chiusa, intenta a leggere un foglio ingiallito e vecchio.
Ricordandosi da dove provenisse quella pagina, il moro abbozzò un sorrisetto sghembo.
Infine si alzò, raggiungendo l’amica e sedendosi accanto a lei, scorgendo la prima riga:

Diario di bordo della ciurma di Picche.

-Scommetto che l’hai scritto tu! – esclamò la ragazza voltandosi –Lo sapevo, io, che non eri bravo solo a fare le lettere fasulle della Marina Militare!-
-Complimenti: mi hai beccato!-
-Ma queste storie... voglio dire, sono tutte vere? -
-Certo! E’ un diario di bordo, mica ci posso mettere fesserie!- le rispose Ace.
-“Ciurma di Picche”... eppure è strano: non facevi parte della ciurma di Barbabianca?-
-Prima ho cercato una ciurma tutta mia, poi Barbabianca mi ha preso con sé!-
Nami tornò con gli occhi puntati sulle righe, divorandosi parola dopo parola il contenuto di quel foglio, finché non arrivò all’ultima frase.
Si chinò di nuovo verso il cassone, cercando il foglio consecutivo di quella storia. Trovò qualcosa di molto più interessante.
-E questo?- la rossa ritornò a sedersi accanto al pirata, tenendogli davanti agli occhi un articolo di giornale. Il titolo era “Duello fra il flottaro Jimbei e il nuovo arrivato dell’era della pirateria: il capitano della ciurma di Picche”
-E’ una lunga storia, quindi cercherò di farti un riassunto più veloce possibile:- il ventiduenne piegò una gamba, ponendo il piede sopra la cassa e mettendosi comodo –tutto inizia con me, un giovane e inesperto pirata, che mi metto in testa di sconfiggere Barbabianca...-
-Non avevi altri modi per far passare il tempo, vero?- schernì la navigatrice.
-... dicevo, durante il viaggio incontrai quello che era un amico del vecchio: un uomo pesce di nome Jimbei. Per fermarmi mi propose una sfida...-
-Scommetto che non te la sei sentita di deluderlo, vero?-
-Il duello è stato molto duro: avevamo la stessa forza, e nessuno riusciva ad avere la meglio sull’altro. Siamo andati avanti così per cinque giorni consecutivi!-
-Ace, non sparare cavolate. – lo interruppe la navigatrice.
-Ma io... ero serio!-
-Cinque giorni? Consecutivi? Andiamo! Raggiungere certi livelli con un flottaro è quasi impossibile! Persino tuo fratello ne ha battuto uno in quattro e quattr’otto! Certo, era il secondo o terzo duello che facevano, ma cinque giorni è troppo! Quindi esigo un risarcimento per promulgazione di notizie false!-
Pugno di Fuoco rimase ammutolito per un po’, finché non prese l’articolo di giornale che aveva la ragazza in mano e indicò alcuni righi. Quando Nami li guardò, si accorse che c’era scritto di un duello durato cinque giorni.
-Ok, e va bene: scusa. Ma la prossima volta sganci subito i Berry, chiaro?-
Il ventiduenne riprese a raccontare: -Dopo cinque giorni a combattere ininterrottamente, siamo caduti tutti e due, esausti. -
-E questo è comprensibile-
-E fu così che lo squalo balena ci fece andare oltre, finché non abbiamo incontrato l’imperatore pirata Edward Newgate.  Il duello contro di lui, però, è stato ancor più difficile... -
-“E questa fu la prima e definitiva sconfitta della ciurma di Picche.”- aggiunse Nami, seguendo le ultime parole riportate nell’articolo dietro al foglio che le aveva passato il pirata, dove si parlava anche del duello contro Barbabianca.
-La storia non finisce mica qui! Piccolo-grande  difetto dei giornali: non ti raccontano mai le cose come stanno per davvero-
-Allora che è successo?-
-Ad un certo punto mi sono preoccupato per i miei compagni, che cominciavano a non reggere il combattimento contro la ciurma del vecchio. E per fare in modo che loro potessero scappare, ho creato un muro di fuoco che avrebbe bloccato i pirati di Barbabianca-
-Ma non sarebbe stato di certo un semplice muro di fuoco a fermare un imperatore pirata!-
-Lo sapevo benissimo. Infatti sono rimasto, o meglio, mi sono “offerto” in cambio della salvezza dei miei amici-
-E Barbabianca accettò?-
-Sorprese anche me, quando mi lasciò fare. Alla fine il muro di fuoco prosciugò tutte le mie forze, e crollai a terra. Non riuscivo nemmeno a mettermi in piedi, figuriamoci reagire o combattere ancora!-
-... l’idea di scappare nemmeno ti sfiorò la testa. -
-Per niente. Ormai ero pronto a ricevere la mia condanna, ma sono sicuro di non avere avuto paura. Non se i miei amici erano sani e in salvo-
-Che successe?-
-All’ultimo momento il vecchio si avvicinò a me. Mi aspettavo che alzasse quella sua sottospecie di ascia e mi desse il colpo di grazia. Ma... -
-Ti fece la proposta. -
-Mi porse la mano e mi chiese di navigare sotto il suo Jolly Roger, diventando uno dei suoi figli-
-Ma una gran testa dura come te non avrebbe mai accettato così facilmente, no?-
-Non ne volevano sapere del mio rifiuto, così mi caricarono di peso e mi portarono sulla Mobydick. Sono rimasto per giorni sul ponte di quella nave, standomene seduto con la testa fra le mani... -
-Trovarti un hobby no, eh?-
-Diciamo che iniziai a complottare omicidi su omicidi contro Barbabianca-
-Quel dolce vecchino doveva proprio starti sul cuore... -
-Mi stava su un’altra parte del corpo, a dire il vero. Una particolarmente in basso. Soprattutto perché non sono mai riuscito a fargli un graffio. Ma un giorno arrivò Marco, e mi fece notare che potevo iniziare a navigare come pirata di Barbabianca o passare un’intera esistenza a fare tentati omicidi contro un vecchio che avrebbe campato fino a cent’anni-
-E sei diventato un pirata di Barbabianca?-
-Questo, mia cara Nami, lo scoprirai solo nella prossima puntata!- detto ciò Ace alzò la mano, dando qualche pacca sulla testa della rossa.
-Ti prego... – fece lei, fissando preoccupata il compagno -... dimmi che stai scherzando!-
Dopo qualche secondo di silenzio, le risate del moro riecheggiarono nell’aria.
-Dai, mi stavo solo divertendo un po’! Alla fine mi sono fatto fare il tatuaggio sulla schiena, e dopo sono diventato capitano della seconda flotta-
-E i tuoi vecchi compagni?-
Il pirata sospirò: -Purtroppo non li ho visti più. Non sono nemmeno riuscito a ritrovarli, ma sono sicuro che stanno bene!-
La Gatta Ladra assunse un’aria pensierosa, come se fosse turbata da qualcosa.
-Che hai? – le chiese il suo compagno.
-Pensavo: se Rufy avesse un’esperienza simile, con qualche altro pirata, allora noi altri della sua ciurma che fine faremmo? Siamo tutti uniti perché cerchiamo di raggiungere i nostri sogni. E per poterli realizzare, dobbiamo seguire tuo fratello e raggiungere l’One Piece. Ma se Rufy ci lasciasse a metà strada?-
Ace mugugnò qualcosa: -Non credo che lo farà-
-Come fai a dirlo?-
-Se tutti i membri della sua ciurma sono come te, non lo farà-
La rossa inclinò la testa: -Aspetta: in che senso?-
-Se fossi al posto di mio fratello, farei la saggia decisione di non fare scappare mai una come te dalla mia ciurma-
-E perché?- chiese la rossa, ancora molto confusa.
-Beh... che ne so? Forse perché non mi dispiace viaggiare con te!-
Nami si mise a mugugnare: -Quindi, se non ti dispiace, ti piace viaggiare con me!-
Il moro, per un momento, si sentì imbarazzato e pentito per le ultime parole che aveva detto. Che Nami si fosse resa conto di quello che passava per la testa a Pugno di Fuoco?
E se si fosse avvicinata fin troppo alla realtà?
Con un chè di nervosismo il ragazzo mise la mano dietro la nuca e guardò da un’altra parte: –Non è che tu sia così male come navigatrice, ...- provò infine a giustificarsi.
-D’accordo... come navigatrice vado bene, ma come compagnia?-
-Un po’ la stessa cosa – concluse Ace.
 Pugno di Fuoco attese la reazione dell’altra.
Che tipo di reazione?
Non lo sapeva nemmeno lui. Ma era sicuro che una cosa come quella che aveva appena detto avrebbe destato qualcosa. E magari, anche un allontanamento da parte della rossa.
Lasciando passare i secondi e rimanendo voltato, non avrebbe comunque potuto capire un granché di quello che stesse pensando la ventenne. Si girò, nella speranza di vedere un viso che non fosse troppo stupito. Magari la sua solita testa inclinata di quando una situazione le sembrava palesemente senza senso, così lui si sarebbe potuto inventare una scusa.
Ace si voltò, ma rimase attonito: -Ma, Nami... -
-Cosa c’è?-
-Ti sei seduta più vicina!-
Quella era stata solo un’ipotesi, ma tanto bastò per far avvampare le guance a Nami di rosso fuoco.
Il povero Ace si ritrovò l’ennesimo bernoccolo in testa.
-E poi non ti lamentare! Sei tu che mi costringi a farlo!- gli fece la navigatrice.
-Lo terrò bene a mente... -
La rossa era nervosissima, forse perché Ace non aveva tutti i torti. Si voleva avvicinare solo un pochino, per quale ragione anche lei l’aveva trovato “un buon navigatore”. Eppure, quando Pugno di Fuoco se n’era accorto, aveva rinnegato tutto istintivamente.
Nami diede un’occhiata all’amico: a furia di colpirlo doveva essere per forza rimbambito, ne era certa, ma quest’ultimo colpo  gli aveva fatto spuntare un bernoccolo poco più grosso dei soliti.
Ergo, a meno che lei non volesse avere un compagno di bordo con un promontorio sulla fronte, doveva darsi da fare per curargli quel fastidioso ematoma.
“Che scocciatura, però!
Tornò alla cassa da dove aveva preso i foglietti e si mise a cercare qualcosa.
-Cosa stai facendo? – chiese il ventiduenne.
-A detta di qualcuno non sono male come compagnia, e mi sembrerebbe un peccato sprecare una così bella reputazione. Però dopo che ti curo, da brava dottoressa, ti presenterò il conto. -
La navigatrice cercò velocemente la cassetta di legno e si accucciò accanto a lui. Afferrò la confezione di pomata, ne mise un po’ sulla punta delle dita e cominciò a tastare il livido sulla fronte del moro. Non era mai stata così vicina a lui. E la situazione non le dispiaceva affatto, perché Ace non avrebbe potuto capirlo. Chissà fin dove poteva arrivare...
-Ahi! Potresti fare un po’ più piano? Fai male... Ahi! – esclamò il moro, traendosi indietro.
-Scusa, ma non sono mai stata delicata. Lo sai che scotti? Sembra quasi che hai la febbre!-
-Sai com’è, quando hai un... -
Ace non ebbe il tempo di continuare, che la rossa gli posò tempestivamente le labbra sulla fronte, tenendogli la testa con entrambe le mani. Pugno di Fuoco rimase sorpreso e ammutolito, finché la navigatrice non si staccò da lui.
-... quando hai un rogia del fuoco, è normale che scotti- concluse in ritardo.
-Non ci avevo pensato- commentò la rossa, tornando a fissare la foto sull’articolo di giornale.
Ebbene si, Ace era un bel ragazzo.
E permettermi certe cose a sua insaputa è troppo divertente!” rifletté la ventenne, tornando con gli occhi sul compagno lì accanto.
L’ematoma si era gonfiato di un po’, anche se non era diventato blu. Nami si permise di studiare tutto il volto del ventiduenne, come le era stato possibile solo mentre lui dormiva. I capelli scarmigliati e nerissimi stavano al di sopra di quegli occhi neri come la notte d’estate che la stavano fissando, facendola perdere in quei pozzi neri come la pece fusa...
Un momento. La stava fissando?
No. Si stavano fissando.
Si squadravano tutti e due, senza parlare, come se il semplice guardare bastasse a comunicare quel poco che serviva per comunicare quel che serviva.
-Perché... mi stai osservando?- domandò tentennante la rossa.
-Scusa, non sapevo che fosse un reato penale o roba simile- le rispose ironicamente.
Distolsero lo sguardo in quel momento.
-No, sul serio, tu perché mi guardavi?- continuò il moro.
La piratessa rimase ad aspettare qualcosa che potava avvicinarsi a quella che, almeno per lei, sarebbe stata un’illuminazione divina, nonché fonte indiscussa di speranze.
-Mi chiedevo... – provò a dire -... che fine avesse fatto questo!- e indicò il cappello arancione da cow boy sulla foto dell’articolo di giornale.
-Perché me lo chiedi?- chiese inarcando il sopracciglio Pugno di Fuoco.
-Da quando ho cominciato a viaggiare con te, l’unico cappello che sono riuscita a vedere è stato quella sottospecie di sugegasa. Questo, in fatto di moda, è decisamente più carino-
-Carino?-
-Simpatico, a dire il vero. E poi, è del mio colore preferito!-
Ed era stata sincera: il cappellino che aveva visto due anni prima le stava particolarmente simpatico. Era un peccato che Ace l’avesse buttato via.
L’uomo rimase con un’aria pensierosa par qualche minuto. Infine si chinò verso lo scatolone aperto e iniziò a cercare tra le cose, finché non si rialzò con un nuovo oggetto in mano.
La ragazza afferrò velocemente il cappello da cow boy per metterlo sulla propria testa, e premerselo come se non se lo volesse lasciar scappare. Sull’angolo delle labbra era comparso un piccolo ghigno.
-Prego, fa come se fosse tuo!- ironizzò il moro.
Mentre ancora parlavano, un immagine in lontananza iniziò ad avvicinarsi. La prima isola al di fuori dell’arcipelago del sole, seguendo la rotta per raggiungere il punto d’incontro con i pirati di Barbabianca.
-Scendiamo?- domandò la rossa, posando gli occhi sul pirata, intento a osservare l’orizzonte. Ace sorrise:
-Io non rimangio mai quello che ho detto- aggiunse -Vedo che questo cappello ti sta più simpatico dell’altro!- notò.
-Decisamente!-
-Hai detto che è del tuo colore preferito, o sbaglio?-
La rossa alzò lo sguardo: -Già: l’arancione è proprio il mio colore preferito!-
Ace le rivolse un sorriso spontaneo: -E’ anche il mio. -

Fine nuovo capitolo...
Bene bene: vedo che la storia continua a piacervi!
(...spero)
xD Scherzi a parte, sono proprio contenta che continuate a seguirmi! Se non fosse per voi lettori, non avrei il coraggio di postare un nuovo capitolo ogni settimana. Poi però mi basta vedere le recensioni, chi ha messo la storia fra le seguite, preferite o ricordate, o il semplice numero delle visualizzazioni, che mi sento felice e che ricomincio a scrivere.
Come riassumere tutto questo in una sola parola?
L'avrò già scritto altre volte... comunque ve lo ripeto con piacere:
grazie.
C:


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Capitolo 10
*** Storia di un vecchio, triste, strano oste. Punto. ***


Giorno a tutti!!
Tanto per incominciare, mi scuso per il ritardo. Ma ho avuto qualche piccolo problema con la scuola (oltre all'ALTRO GROSSO PROBLEMA con il blocco dello scrittore), e non ho potuto aggiornare per molto tempo. In compenso, questo sarà un capitolo un po' più lungo degli altri!
Ringrazio chi ha messo la mia storia fra le seguite:
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2 - Cloe_Chan [Contatta]
3 - Daistiny [Contatta]
4 - dragoon [Contatta]
5 - Gol D Ann [Contatta]
6 - Kiby [Contatta]
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Chi fra le ricordate:

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Chi fra le preferite:
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Cloe_Chan [Contatta]
2 - Frandra [Contatta]
3 - Itacina [Contatta]
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7 - Straw X Kisshu [Contatta]
8 - tre 88 [Contatta]

E naturalmente chi l'ha recensita, perchè (come non smetterò mai di pensare) un commentino ci vuole sempre!
Buona lettura! C;


Le strade erano affollate di gente come lo era un centro commerciale di domenica. Moltissime persone popolavano le vie, in particolar modo una piazza ortogonale, dove qualcuno cercava di rinfrescarsi con l’acqua di una fontana marmorea al centro.
Due ragazzini in bicicletta corsero proprio davanti Ace e Nami, quasi facendoli cadere.
-E adesso? – chiese la rossa. –Voglio dire, questo è un bel posticino... sarebbe davvero un peccato andarsene via subito!-
-Concordo – le rispose Pugno di Fuoco.
-Allora che facciamo?-
-Io inizierei con una gara di corsa... – con gran stupore della ragazza, il ventiduenne si mise a correre verso una meta imprecisata, lasciandola sola e parecchio confusa.
E secondo lui... io dovrei mettermi a fare le gare di corsa come una bambinetta di cinque anni?” rifletté la Gatta Ladra.
Il moro aggiunse: -... e chi arriva per ultimo, paga il pranzo!-
E questo bastò per convincerla a partecipare.

Il pirata stava dando tutto se stesso in quella corsa, percependo la presenza della compagnia che lo inseguiva in quel nuovo gioco.
Finché, dopo una decina di minuti, questa sensazione svanì.
Si voltò scorgendo con la cosa dell’occhio la ventenne che si era fermata, curvando la schiena in avanti e poggiando i palmi delle mani sulle ginocchia.
Ansimava pesantemente.
-Nami... - chiese preoccupato, raggiungendola. –C’è qualcosa che non va?-
Si era impensierito per lei.
La navigatrice fece un balzo felino in avanti, e nel mentre si girava facendo una linguaccia divertita (e per nulla stanca) al pirata. –Ci sei cascato!-
Il moro scosse la testa allietato e ricominciò a correre.
Il loro inseguimento continuò per qualche altro vicoletto, finché non si ritrovarono su una spiaggia deserta, abitata solo da qualche palma.
-Tanto non mi prendi!- lo canzonò lei.
-Invece si!- Ace si tuffò in avanti, ma la rossa riuscì a spostarsi in tempo.
-Invece no!- gli rispose.
Nami sentì dei passi a poca distanza dalle sue spalle, poi si scansò, facendo cadere sulla sabbia prono il capitano.
-Visto?- fece la metereologa, fermandosi solo a debita distanza.
Ace non rispose, né si mosse.
-Hey! Non provare a copiare i miei trucchi! Non funzionerebbe neanche!- rimproverò la rossa.
Pugno di fuoco continuò a starsene immobile.
A quel punto la ventenne fece per avvicinarsi, mantenendo comunque uno stato d’allerta. Una volta che fu non troppo lontana sentì un rumore parecchio familiare. Sospirò, andandosi a sedere accanto al moro.
-Gran brutta cosa la narcolessia, eh?- detto ciò, si scroccò le nocche delle mani...

-Un giorno mi spiegherai perché, se qualcosa non ti va a genio, devi incominciare a picchiare le persone!- esclamò Ace, indicando la nuova protuberanza violacea sulla sua fronte.
-Perché la rabbia repressa sarebbe un’alternativa assai peggiore. Sempre che non mi paghino, a quel punto mi tratterrei!-
Pugno di Fuoco si scoraggiò: se solo quella ragazza non avesse insistito per avere la parte maggiore della refurtiva, a quest’ora, forse, avrebbe avuto qualcosa con cui pagarla per limitare le probabilità riguardanti la sua morte prematura.
Raggiunsero la piazza di poco prima, e lì trovarono un’osteria che pareva essere molto accogliente, con accanto un cartello: “Affittasi Camere”.
Proprio quello di cui avevano bisogno.
Spalancarono le false porte da saloon e osservarono la stanza: era grande, luminosa e spaziosa, non particolarmente piena perché non era ancora arrivata l’ora di pranzo, con alcuni tavoli rotondi sparsi qui e là a mo’ di pizzeria e un lungo bancone da bar in fondo, che attraversava il salone da capo a capo.
Un vecchio oste se ne stava dall’altra parte del suddetto bancone, indosso aveva un camisaccio bianco dalle maniche tirate su per comodità.
Ma non era uno di quei locandieri con il sorriso stampato incorniciato da due baffetti su una faccia paffuta: era un uomo alto, mingherlino, con un accenno di pizzo argentato sul mento, delle braccia messe conserte e il viso imbronciato in un’espressione indice di disprezzo.
I commenti dei nostri due protagonisti?
Ace: “Ma che tipo divertente...
Nami: “Me lo sento: questo ci fa pagare come se fossimo in un cinque stelle!”
Si avvicinarono, mentre il maggiore creava un lungo e complesso discorso mentale su come chiedere una camera a quello strano tipo, scegliendo con cura le parole da utilizzare. Ma un’occhiata del vecchio fu sufficiente per metterli in profondo imbarazzo.
-Una camera... per favore?- chiese Ace, mandando allo scatafascio il complesso discorso mentale.
Il vecchio si girò verso una bacheca piena di chiavi, numerate singolarmente da dei cartellini.
-E un bicchiere di rum!- esclamò la rossa.
Il moro la guardò torvo: -Rum?-
-Se siamo prossimi alla bancarotta (cosa di cui sono sicura) voglio farmi un drink!-
Senza che nessuno potesse capire cosa intendesse l’usuraia, l’oste prese una bottiglia di vetro da uno scaffale accanto, e fece scorrere il liquido in un bicchierino.
La porta si aprì di nuovo, e ad entrare stavolta fu un uomo sulla trentina, dai capelli dello stesso colore delle penne di un corvo, un lungo mantello scuro sulle spalle e un bastone da passeggio in mano. Pronunciò solo un a parola: -Buongiorno. -
Il rumore del vetro che s’infrangeva fece sussultare i presenti, mentre l’oste senza più niente in mano teneva gli occhi puntati sul nuovo arrivato. Dopo qualche istante si riprese, afferrando da terra il bicchiere rotto e la bottiglia scheggiata di rum, che aveva fatto uscire un bel po’ del suo contenuto sul pavimento di legno.  
-A quest’ora si dovrebbe dire “buonasera”.- fece notare una volta alzatosi, con un accento di nervosismo.
-Ne terrò conto per la prossima volta. Vedo che la gentilezza è una dote che non riesci ancora ad apprezzare... -
-Fa la finita!- gli ringhiò l’oste.
L’altro si limitò ad alzare le spalle: -Come siamo suscettibili... Sono pur sempre un cliente, io! -
-Un cliente non benvenuto: fuori dalla mia locanda!-
-Suvvia! Io, piuttosto, proporrei di farci una bella bevuta assieme... – fece l’uomo, sedendosi su uno sgabello -... e magari, fare qualche accordo su... -
-FUORI DI QUI!- fu l’ultimo grido del barista.
L’uomo, forse un po’ indignato, si alzò lentamente, fece un leggero inchino e si diresse verso le false porte da saloon, senza fretta.
Nacque un silenzio tombale trai clienti, i quali si mandavano occhiate sconsolate e comprensive. Tranne Ace e Nami, che ancora non avevano capito bene il senso di quella scenata.
A rompere il ghiaccio fu il cigolio di una porta dietro il bancone, dalla quale si affacciò il timido volto di una bionda.
-E’ tornato, non è vero?- domandò, con voce pudica ed innocente. Uscì dalla porta quasi con cautela. Aveva indosso un grazioso vestitino azzurro, con le maniche corte a palloncino (di cui una leggermente caduta, che mostrava un po’ di spalla) e la gonna che le arrivava a metà coscia.
Si morse le labbra, poi strinse forte gli occhi: -Giuro che se ritorna qui lo prendo a calci nel... -
Venne colpita da un pugno ben assestato sulla testa, e dopo pochi secondi cadde a terra, con gli arti tesi come le corde di un violino.
L’oste si massaggiò il dorso della mano: -Tu non farai un bel niente. E anche se non te lo impedissi non faresti nulla comunque: gli unici momenti in cui sei arrabbiata seriamente, sono solo brevi sbalzi d’umore come non li avrà mai nessuna donna. -
La poverina si massaggiò la testa, rialzandosi: -Ma... non è giusto quello che LUI ha fatto!-
-Ormai ho imparato che ci sono davvero poche cose che sono giuste, in questo mondo-
-Però... -
La ragazza non ebbe il tempo di finire, che il vecchio cominciò a tossire. Fece una serie di starnuti di seguito, finché le ginocchia non cominciarono a tremare, proprio come le spalle.
-Nonnino... !– disse la ragazza, cercando di aiutarlo.
Ma fu battuta sul tempo.
Ace scavalcò il bancone e sostenne il vecchio. –C’è un letto dove si può sdraiare?- chiese infine.
La bionda rimase un po’ sorpresa, poi aprì la stessa porta dalla quale era entrata, e condusse quel gentile ragazzo che aveva aiutato il vecchio a quella strana tizia con i capelli color carota che lo seguiva in una camera piccola, senza finestre. Le pareti e il pavimento di legno erano illuminate solo dalla luce fioca di una lampada ad olio, messa su un comodino vicino ad un letto.
-Mettetelo lì!- disse la bionda, indicando il giaciglio.
Ace aiutò l’oste a sdraiarsi, ma questo sembrava aver perso i sensi.
La ragazza si inginocchiò accanto a lui: -Zietto! - esclamò preoccupata.
Ace e Nami si scambiarono un’occhiata confusa: poco fa non l’aveva chiamato “nonnino”?
-Zieeeeetto! – continuò lei, iniziando a martellare l’indice sulla fronte rugosa dell’uomo.
Immediatamente la bionda finì catapultata a terra, mentre l’oste si massaggiava il dorso della mano.
-Odio quando mi chiami così. – concluse.
La ragazzina sollevò lo sguardo, spalancando gli occhi.
-Che c’è? Un altro momento di stizza?-
Un minuto dopo, la ragazza era un ginocchio sul materasso e lucidava la testata del letto con un fazzoletto preso da chissà dove e un sorriso innaturale sulle labbra.
L’oste ancora sdraiato si passò una mano sugli occhi, rassegnati. Nel frattempo Ace e Nami erano ancor più confusi di prima.
-Ha questo vizio da quando aveva undici anni: pulisce tutto quello che trova sporco con un sorrisetto da ebete in faccia-
La bionda, sentendolo, si voltò verso l’interlocutore e lo indicò con fare arrabbiato: -Non ho un sorrisetto da ebete!-
Rimasero a fissarsi per un po’, poi la ragazza assunse un sorrisetto da ebete e strofinò la pezza contro la testa dell’oste.
-Hai i capelli sporchi- si giustificò.
-Ma che dici? Non vedi quanto sono bianchi?- fece Ace da dietro, meritandosi un pugno da parte del vecchio.
Pugno di Fuoco cadde supino a terra.
Fu questione di attimi, e la bionda gli si accavallò sopra, mettendosi in una posizione alquanto equivoca e iniziando a strofinare la pezza sulla fronte del moro, che era piuttosto sconcertato.
Ma era decisamente più shockata Nami, le quali guancie si stavano mimetizzando con i capelli.
Riguardo al vecchio, continuò a rimanere imbronciato.
-Hai una macchia viola sulla fronte!- esclamò la ventitreenne, sempre sorridendo.
-Emh... no. Quella non è una macchia, è un livido! E l’unico modo per toglierlo è quello di passarci sopra una pomata- balbettò il capitano.
La bionda tirò fuori (di nuovo dal nulla) una confezione di pomata. Ne mise un po’ sulla pezza e continuò a strofinare sulla fronte del moro.
-Sei proprio sicuro? A me non sembra che si tolga!- continuò lei, sempre sorridendo.
Il vecchio tossì per attirare l’attenzione: -Potresti andare a lavorare? Fra un po’ il locale sarà pieno di clienti che vorranno pranzare!-
-Si, nonnino!- disse la ragazza, poco prima di essere colpita da un pugno del caro “nonnino” e di uscire dalla camera.
L’oste sospirò.
-Scusi, signore... – fece Nami, ch’era rimasta zitta tutto il tempo -... ma il tizio di poco prima, quello che lei ha cacciato via... insomma, chi era?-
L’oste sospirò di nuovo: -E’ una storia lunga...-
-Abbiamo tutto il tempo che vogliamo!- gli rispose la ragazza.
-Di solito, con “è una storia lunga”, intendo dire “non sono cavoli vostri”!-
-Però la bionda di prima sembra conoscere questa storia!- fece Ace.
-Per lei è diverso: rappresenta la prima e l’ultima cosa in cui ho creduto veramente in questo mondo. – disse secco l’oste.
Ace e Nami non gliela diedero vinta, e il vecchio si convinse a raccontargli le cose:

Di certo non fu un racconto veloce, ma parlava di un certo Hector. Era uno di quei bambini con una situazione familiare triste, di quelli che le mamme ricordavano ai loro figli per convincerli a mangiare tutte le verdure. Il padre in guerra, mandava quel poco che riusciva a guadagnare a casa.
La madre era malata.
Malata di una malattia che il bambino, stranamente, non riusciva a spiegarsi il perché facesse cadere tutti i capelli.
Lui e il fratellino invece soffrivano la fame, ma lo facevano volentieri per permettere alla loro madre di comprarsi qualche medicine.
Potevano permettersi ben poco, ma allo stesso tempo questo permetteva loro di saper apprezzare le cose più semplici. Per esempio proprio quell’Hector, che si era preso una cotta per una bambina, andava ogni sera a trovarla: si arrampicava su un albero vicino alla finestra e cominciavano a parlare, parlare e parlare.
Lui saliva e la trovava sempre lì, spesso a pettinarsi i lunghi capelli color cioccolato.
Ma c’era un problema: lui viveva nella povertà, lei invece era dell’alta società.
E a ricordarglielo fu un ragazzino. Aveva i capelli scuri come le penne di un corvo. Un giorno, davanti a tutti, gli gridò contro dicendogli di non avvicinarsi più alla loro casa e di tenersi per sé i germi della malattia che avevano tutti quelli nella sua famiglia.
Quei pochi medici che i erano potuti permettere per far visitare la madre avevano sempre detto che quell’ospite indesiderato chiamato tumore non era qualcosa di contagioso, ma bastò che quel damerino si preoccupasse per far credere a tutto il resto della città che quegli stessi medici si sbagliavano.
E chi non ci credeva, veniva guardato con occhi diversi da tutti.
Lo stesso sguardo venne riservato proprio ai membri di quella povera famiglia, dove minacce e intimidazioni erano solite a trovarsi nella cassetta delle lettere.
L’unica cosa che poté fare la donna fu ordinare ai due piccoli di buttare sempre quelle buste, senza leggerle. Già bastavano i compagni di scuola che di tanto in tanto facevano tornare Hector e suo fratellocon qualche livido, non avevano bisogno di altro per cadere nella depressione. Eppure, si sa, la curiosità dei bambini ha spesso la meglio sul resto.
Così un giorno Hector prese una busta diversa dalle altre, gialla, con le scritte stampate, l’aprì e dentro ci trovò una lettera con scritto che il padre era caduto in battaglia.
Il bambino, essendo solo un bambino, pensò che doveva essere inciampato da qualche parte. La prese e la buttò. Naturalmente, non poteva dire alla mamma che aveva letto una di quelle lettere. Doveva essere un segreto.
Dopo quel mese, la donna aveva incominciato a fare cose strane: si metteva davanti alla finestra e diceva cose come “Quando ritornerai?” oppure “Non ci invii più dei soldi: non te ne sei scappato abbandonandoci, vero?”. Fu questione di tempo, e la donna cominciò a dire più la seconda frase che la prima. La incominciarono a dire tutti, in realtà.
Hector un giorno venne a sapere di uno scherzo fatto al fratello minore: dei bulli l’avevano buttato dal porto nell’acqua salata per “pulirlo dai germi”.
Quello che solo Hector sapeva, era che il piccolo non aveva mai imparato a nuotare. Al massimo affondava come un sasso...
Dopo la morte della madre e una volta diventato adulto, Hector volle lasciarsi tutto alle spalle, compresa la sua stessa isola. Così partì ma non andò molto lontano, in un posto chiamato Full Shout sempre nella Grand Line. Aveva aperto da poco una locanda, e i clienti non mancavano. Quello che mancava era un po’ di speranza. Perché spesso e volentieri gli uomini si ubriacavano e raccontavano all’oste le loro tristi storie e di come si vergognassero.
A quel punto, Hector sapeva che nel mondo il lieto fine non era destinato a nessuno. Ne era sicuro.
Ma proprio qualche giorno dopo fu proprio il lieto fine ad arrivare in quell’isola: era un metro e venti, aveva undici anni, i capelli biondi e si chiamava Koala.
Una piccola nativa di quell’isola che era stata una schiava dei draghi celesti. Una vera e propria condanna. Eppure era stata salvata da un certo Fisher Tiger, che la stava riportando lì.
Le lacrime della madre che riabbracciava la figlia erano una cosa inspiegabile.
Ma il lieto fine era una cosa che durava solo per una faccia della medaglia.
Un uomo dell’isola aveva fatto la spia ai Marines, e lo stesso Fisher Tiger era stato colpito dalle pallottole. Sei anni dopo la situazione non era cambiata di molto: lo stesso triste oste era da solo nella locanda, a servire uno dei clienti ubriaconi in pieno pomeriggio.
Quando delle gocce di Gin caddero sul tavolo, e prima che Hector potesse pulirle venne anticipato da una bionda diciassettenne, con un sorriso da ebete in faccia che sussurrava “Pulire...”.
Diceva che i chiamava Koala e che cercava un lavoro.
Qualche mese dopo, un’altra presenza conosciuta si presentò alla locanda: aveva i capelli scuri come le penne di un Corvo.
Gli bastò questo per ricordarsi di colui che gli aveva rovinato la vita.
Il vecchio oste prese un lungo respiro, mentre Ace e Nami lo fissavano incredulo.
-Di tanto in tanto viene nel mio locale per mettersi d’accordo sull’unico bene che mi lasciò mio padre, ma che io ancora non ho: una chiave-
-In che senso “ancora non ho”?- fece Ace.
-Dovrei andarla a prendere in una specie di posto dove danno le cose dei testamenti, ma si trova nell’isola dove sono nato, e io lì non ci voglio più tornare-
-Non potevi andarla a prendere prima  di partire?- chiese Nami.
-Ho saputo dell’esistenza di un testamento solo quando me ne ha parlato Il Corvo, sarebbe stato tutto più semplice se non avessi buttato quella lettera come se nulla fosse. -
-E perché lo chiede a te? Perché non se la va a prendere da solo?-
-Perché c’è bisogno che sia io stesso ad andare a prenderla, o non può ritirarla dal posto. Gli unici che potrebbero farlo oltre al sottoscritto sarebbero i parenti, ma come vi ho raccontato sono tutti morti. -
-Ok, hai detto che tuo padre ti ha lasciato una chiave. Ma cosa aprirebbe?-
-Non lo so. Ma pare che Il Corvo lo sappia anche fin troppo bene. -
-Potrebbe aprire il forziere si un tesoro?- domandò la rossa con gli occhi sfavillanti.
-Probabile. Ma se ci fosse davvero un tesoro, la prima cosa che farei sarebbe buttarlo: non voglio apparire, me ne sto molto meglio nell’ombra. -
-Chi è nell’ombra non sente il calore del sole- puntualizzò Pugno di Fuoco.
L’oste gli rispose nettamente: -Il calore del sole non è una cosa che m’interessa. –
La navigatrice continuava ad avere gli occhi sfavillanti: -Nemmeno a me interessa la luce del sole, ma se c’è un tesoro allora la situazione cambia!-
Il vecchio la guardò torvo per un po’: -Prenditelo. – disse infine.
La rossa si confuse.
-Se volete, prendetevi il tesoro. Rubate la chiave a quei tizi e scoprite cosa apre e come ottenerlo. Umiliate Il Corvo, e in cambio potrete prendere tutto quello che è contenuto nell’oggetto che apre quella chiave. -
Ace e Nami si guardarono negli occhi, come se bastasse a comunicare.
Uno diceva: “No, Nami. Per quanto taccagna e avara tu sia non puoi fare certi lavori!
E l’altra: “TI PREEEGO! E’ solo un tesorino, dai!
Dopo qualche istante di discorso mentale, vinse la rossa.
-E va bene! Cercheremo di trovare chiave e cassa!- disse scocciato il moro.
Il vecchio sorrise.
E quello fu il suo primo sorriso dopo dodici anni.
-Bene! Ora dovrei andare a gestire la locanda, se non vi dispiace... -
Hector si alzò, seguito a ruota dai due pirati. Poggiò la mano sulla maniglia della porta e l’aprì. Quando il moro e  la navigatrice uscirono, videro moltissime persone che si accavallavano sul bancone, cercando di ordinare qualcosa da mettere sotto i denti per il pranzo.
-Si, si. Un momento!- gridò l’oste, mettendosi addosso un grembiale. -Dove sei finita, Koala? Mi spieghi perché ti pago, se alla fine non lavori?-
-Eccomi! Ero andata a cambiarmi!- la bionda uscì da un’altra porta dietro il bancone, con addosso non più il vestitino azzurro ma una corta e nera divisa da cameriera, con tanto di grembiulino bianco.
Si udì il fischio di molti degli uomini lì presenti, fra cui quello di Ace.
Un secondo dopo, tutti quelli che avevano fischiato si ritrovarono numerosi bernoccoli in testa, offerti da Hector e dalla navigatrice.
-Che ne dite, ci date una mano anche voi?- fece il vecchio. Dopodiché, prese due grembiuli e li passò ai pirati.
-Stasera ci vediamo in camera mia per decidere come iniziare la missione “Prendi-La-Chiave-E-Umilia-Il-Corvo”!- esclamò Nami al compagno, annodandosi il laccio dietro la schiena.
Ma prima di allora, sarebbe stata una lunga giornata.

Ecco la fine del capitolo!
Dato che l'ho scritto in tempi molto ristretti (eccessivamente ristretti, per la precisione) e che la storia di Hector-Vecchio-Oste-Pazzo-Quel-Che-E' talmente deprimente che io stessa mi sono accasciata sulla tastiera, lasciatemi dire che è venuto un po' da schifezza. C:
Per chi si segue il manga dalle traduzioni su internet, molto probabilmentè avrà riconosciuto il personaggio di Koala, che ho deciso di mettere per evitare di allontanarmi troppo dal mondo di One Piece e far tutto di testa mia. C: C:

Per chi se ne è accorto, le frasi di Hector finiscono quasi tutte con un punto, nonostante io non lo metta negli altri personaggi. E' solo un modo per dire che anche lui è convinto che, oltre le frasi, tutto prima o poi finisce con un punto. Dato che mi sono scervellata per inventare 'sta cosa, pensavo fosse meglio metterlo per iscritto in una nota. C: C: C:
Detto ciò, vi saluto, carissimi e carissime lettori/lettrici!! C;

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Capitolo 11
*** Perchè fra compagni ci si aiuta, no? ***


Nami si lasciò cadere a peso morto sulla parete del corridoio deserto, poi anche le gambe crollarono per la stanchezza e scivolò lentamente, fino a ritrovarsi seduta.
Doveva essere all’incirca mezzanotte, ed era sfinita: quella mattina si era svegliata parecchio presto, e lavorare in quel posto si era rivelato essere più pesante di quanto potesse immaginare.
Gli occhi cedettero e si chiusero, abbandonò uno ad uno tutti i residui di forza che aveva ancora in corpo e cercò di trovare un po’ di riposo in quello scomodo ma allo stesso tempo ammaliante angolino.
L’idea di addormentarsi si faceva più invitante ogni secondo che passava, e la rossa rilassava pian piano i suoi muscoli, accettando quel richiamo tanto suadente.
Qualcosa di caldo si posò sulla sua spalla, ma era troppo stanca per aprire gli occhi e vedere di che si trattasse.
Quella cosa le scrollò la scapola, e Nami a quel punto fu costretta a interrompere la sua tregua.

Ace, nonostante anche lui barcollasse per la stanchezza accumulata nella giornata ben visibile nei suoi occhi semichiusi, agitò ancora una volta la spalla della ventenne e l’aiutò ad alzarsi.
Non appena si mise in piedi, le forze abbandonarono un'altra volta Nami e cadde fra le braccia del capitano.
-Svegliati, Nami... Ancora qualche passo e ti potrai sdraiare sul tuo letto... – disse Ace stanco, mentre la navigatrice chiudeva adagio gli occhi e si accovacciava sul suo petto.
 –Ancora cinque minuti... – furono i suoi unici mormorii.
Pugno di Fuoco portò gli occhi al cielo e poi, nolente, si mise in braccio la rossa tenendo con un arto le gambe e con l’altro la schiena.
La invidiò con tutto se stesso perché si era addormentata, mentre lui svolgeva un sollevamento pesi non programmato. Lei se ne stava con la fronte appoggiata sull’incavo del suo collo, e il volto era incorniciato in un’espressione riposata e tranquilla, l’esatto opposto di quando andava su tutte le furie.
Ace percorse l’intero corso del corridoio cosparso di porte ben distanti fra di loro e numerate, finché non si fermò d’innanzi una in particolare, infine cercò di prendere come poteva la chiave dalla tasca e l’infilò nella serratura.

Entrò nell’ampia stanza quadrata, chiuse con un piede la porta alle sue spalle e accese l’interruttore. Camminò a passo svelto verso il letto e posò la ragazza lì.
Il moro si accasciò sulla parte inferiore del materasso in orizzontale, e lì abbandonò ogni atomo di energia rimanente.
Cominciò a sentire la sensazione dell’essere dolcemente cullato, pronto a perdere i sensi cadendo nel mondo dei sogni.
Una martellata in testa, però, cambiò i suoi programmi.
Aprì gli occhi trovando una ventenne non più sfinita, ma vigorosa e gagliarda messa in ginocchio sul letto.
-La prossima volta mi porti tu in braccio. – concluse Pugno di Fuoco, girandosi dall’altra parte.
-CHE. COSA. CI. FAI. NELLA. MIA. STANZA. DA. LETTO. ?- domandò preoccupata Nami.
Ace  parlò senza aprire gli occhi: -Ricordi cosa ho chiesto oggi all’oste, riguardo le camere? – disse con tono fiacco.
-Hai detto (con una voce del tipo: terrorizzato cronico) “Una camera... per favore?”- rispose la Gatta Ladra.
Il capitano alzò la mano per fare un cenno e poi l’abbassò cercando di riaddormentarsi.
Nami lo guardò spiazzata, mentre tentava di concentrarsi non tanto sul significato di “camera”, ma di “una”.
-COME HAI POTUTO ORDINARE UNA SOLA CAMERA?- gridò lei, infuriata (ma senza poter evitare che il tono della voce fosse leggermente più tenue rispetto alle altre volte).
Ace  non si voltò: -Attenta, Nami. A quest’ora di notte non si dovrebbe gridare, potresti svegliare qualcuno... – rispose con voce debole. -... come il sottoscritto, quindi ti prego di abbassare il tono della voce e lasciarmi fare una bella dormita-
E si beccò un altro pugno  sulla testa.
-Va bene, va bene, ma ora ascolta: ... – provò a dire il moro, massaggiandosi il nuovo bernoccolo. -... se davvero non ti va che io dorma nella tua stessa camera, puoi sempre farti tutta la strada per raggiungere il vecchio e chiedergli un’altra stanza. Solo se riesci a reggere il suo sguardo malefico, ovviamente-
Al solo pensiero di farsi una lunga camminata, la stanchezza riprese la rossa. Per non parlare del dover chiedere qualcosa a quell’oste, che lanciava sguardi perennemente minacciosi.
Quell’idea si dissolse come schiuma nel mare.
Nami si mise in piedi, barcollando a destra e a sinistra per ogni stanco passo che faceva verso l’armadio.
-Che vuoi fare?- domandò Ace accucciandosi sul materasso e chiudendo gli occhi.
Pugno di fuoco, mentre cadeva nel sonno, sentì dei rumori piatti e sordi lì accanto. Quando riaprì gli occhi s’accorse che per terra, proprio di fronte alla sponda inferiore del letto, Nami aveva messo un paio di coperte e un cuscino.
-Stai scherzando, vero? – disse infine. La navigatrice spinse il moro giù dal materasso facendolo crollare in quel cumulo di coperte.
-No, Ace. E’ la triste e cruda verità-
-Ci vai a dormire tu qui, non io! -
-Risparmia il fiato per quando dovrai pagare al vecchiaccio l’affitto della camera-
Il pirata rassegnatosi s’infilò dentro le coperte, utilizzandone una come superficie dove dormire sopra.
-Quindi toccherà a me pagare, eh?-
-Si. Come risarcimento per aver chiesto una sola camera – concluse Nami infilandosi dentro le lenzuola.
-Allora buonanotte, Nami-
-Vedremo... – fece fredda lei.
“Ma da quand’è che è... ridiventata così seccante?” meditò il ventiduenne, mentre lei spegneva le luci e cominciava finalmente ad addormentarsi, finché la stanchezza non lo pervase del tutto e cominciò a dormire.

“Dove mi trovo?” pensò.
Era tutto buio e incorporeo, in un posto di sicuro inesistente sulla terra. Forse era dentro la sua testa.
“O forse sono morto” rifletté. “Ma la cosa non mi dispiace più di tanto.” aggiunse infine.
L’unica sensazione concreta che distingueva, era quella dell’essere bagnato fradicio.
Sbarrò gli occhi e quel luogo scomparve, lasciando spazio a una cella scura e fredda. Ora quello che sentiva era il dolore e il bruciore delle ferite impresse sul suo corpo.
La sensazione dell’essere grondante, invece, veniva marcata.
Una goccia di quel liquido scivolò dalla sua fronte e cadde a terra.
Fu lì che si accorse che quel liquido era rosso.
“Non mi piace...” pensò Ace.
Si ricordava il nome di quel posto, e la cosa lo infastidiva ancor di più. “Impel Down”, avrebbe preferito non essere mai stato lì.
Due uomini in divisa si avvicinarono alla cella. Gli dissero che lo stavano per portare sul patibolo.
Da lì partì una raffica continua di flash, come se fossero gli spezzettoni di un film.
L’arrivo sul patibolo d’esecuzione,
la rabbia che provò Ace sentendo sire il nome “Gold Roger”,
quella rabbia che divenne paura, la stessa che gli venne trasmessa dagli sguardi dei marines,
quella stessa emozione che si tramutò in preoccupazione quando vide suo padre in fondo al campo di battaglia,
e quell’emozione che crebbe tutto d’un fiato, quando scorse il suo fratellino cominciare a correre verso di lui.
Quella cosa minuscola che correva con tutte le sue energie.
“Stupido! Non lo capisci che ti farai ammazzare?” si disse fra sé e sé.
Eppure il ragazzino sembrava così sicuro di se stesso, come se potesse cavarsela. Quella sua certezza l’avrebbe cacciato nei guai.
“Vattene via!” voleva dire Ace, ma stranamente la sua bocca sembrava sigillata.
Dietro di lui sentiva che c’era qualcuno, ma non gli importava se si trattasse di Sengoku, del nonno, o dell’esecutore: la sua testa era occupata da Rufy.
Poi si voltò, scoprendo che la figura dietro di lui non era altri che il suo piccolo fratellino, che lo stava liberando dalle pesanti manette.
Ancora qualche scaramanzia con il grandammiraglio, poi furono entrambi liberi.
La sua testa fu percorsa da un altro flash: gli insulti sputati da Akainu su Barbabianca.
E poi un altro ricordo, che gli riportò alla mente il suo stesso braccio ustionato che gli provocava scosse e fremiti.
Cominciò a sudare.
Per ultimo, Akainu di fronte al suo fratellino minore, con un pugno fatto di lava pronto per essere scagliato.
Ace fece uno scatto in avanti, sperando di poter raggiungere in tempo Rufy, che si era lanciato all’indietro e era caduto nel vano tentativo di schivare l’attacco.
In quello stesso istante si propose d’innanzi a sé una nuova scena, che non aveva mai visto ma che spesso si era immaginato:
Rufy si contorse in avanti sfiorando con la fronte l’avambraccio del marines, non appena la mano rovente colpì con forza il suo torace.
Digrignò i denti sentendo la pelle del petto consumarsi al tocco incandescente della lava, mentre Akainu continuava ad affondare il suo pugno contro il corpo del ragazzino.
Il diciassettenne cominciò a grondare di sudore, cercò di non urlare, limitandosi a contrarre i suoi muscoli silenziosamente. Ma non appena il magma entrò in contatto col sangue e con la carne nuda Rufy si lasciò scappare un lamento.
L’ammiraglio lo spinse costringendolo a finire sdraiato per terra, passando la mano infuocata attorno al collo del pirata, e rendendo la presa più ferrea.
Ace sembrava non presente nella scena, anche se riusciva a vedere tutto.
“Scappa, ti prego!” pensava. “Vederti scomparire per me sarebbe peggio di qualsiasi altra cosa! Ti prego, scappa! Non so come, ma scappa!”. Non riusciva a pronunciare nessuna di queste parole, come se le sue stesse corde vocali fossero immobili come marmo. La sensazione di sudore sulla pelle cominciava ad essere sempre più presente.
Sentì la testa scoppiare.
Portò le mani sporche di sangue a reggersi il cranio e a premerlo con forza, chiudendo stretti gli occhi, mentre impazziva a causa di suo fratello lì davanti che stava morendo. Riuscì a percepire, oltre alle gocce di sudore che lo ricoprivano del tutto, delle lacrime che scendevano dal viso.
Aprì le palpebre e cercò di abbattere quella strana forza che gli impediva di muoversi, ma in realtà era sempre più convinto che la paura l’avesse semplicemente paralizzato. Provò a dimenarsi, facendo uso di tutte le sue forze e infine, solo per un secondo, riuscì a muovere il braccio.
Ora che aveva fatto quella piccola conquista lo scagliò con tutta la sua forza, la sua energia, tutta quella emozione che gli aveva recato paura, preoccupazione, e sì, anche un po’ di rabbia contro la figura imponente dell’ammiraglio Akainu...

Il pugno andò a sbattere contro la base del letto, svegliando Ace per il dolore. Il ragazzo non riuscì a trattenere un gemito, dovuto alla paura ancora non scomparsa.
Lasciò che l’arto cadesse a terra, mentre ansimava in modo pesante e il suo corpo veniva di tanto in tanto percorso da fremiti e tremolii, come se avesse fatto la maratona in apnea. Era fradicio di sudore da capo a piedi, abbastanza da bagnare anche i vestiti che aveva addosso. Si sentiva talmente stanco da non avere nemmeno la forza per muovere un muscolo.
Capì che se il suo incubo era riuscito a stremarlo in quel modo, doveva essere durato per molto tempo.
La schiena venne percorsa da un altro brivido glaciale, come se cubetti di ghiaccio fossero stati lentamente trascinati sulla pelle calda e ambrata del moro.
-Ace, tutto a posto?-
Pugno di Fuoco alzò gli occhi, intravedendo nella penombra della stanza una figura femminile e familiare inginocchiata sul ciglio del letto.
-Era... solo un brutto sogno- mormorò sfinito. Si girò dall’altra parte e sperò che la ragazza non gli facesse troppe domande.
Già non riusciva a chiudere gli occhi perché continuava a vedere la cruenta scena di Akainu e di suo fratello, ormai impressa nella sua testa, ma raccontare tutto quello che accadeva in quell’incubo sarebbe stato ancora peggio.
Oltre ogni previsione, sentì dei movimenti provenire da sopra il letto, e quando ridiede un’occhiata la rossa non c’era più.
Cercò di ricadere fra le braccia di Morfeo, ma quel sogno appena fatto era maledettamente reale, e se non lo era l’incubo, lo era almeno la paura che Ace continuava a sentirsi addosso. Continui tremolii che lo tormentavano, il respiro che non era riuscito a calmare del tutto, lo stato d’animo che era costantemente inquieto...
Era ufficiale: quella notte l’avrebbe passata in bianco.
Con la mano strinse ancor di più il lenzuolo, sperando che la visione potesse svanire.
“Speranze al vento” pensò.
Le coperte dove stava dormendo furono scostate, e il pirata avvertì una folata di fresco accarezzarlo velocemente, prima di accorgersi di non essere più da solo sotto le lenzuola.
-Nami?-
-Primo: non metterti in testa strane idee. L’ultima cosa che non converrebbe fare a te è il maniaco. Secondo: la scusa ufficiale è che stavo morendo di freddo e tu, sinceramente, sei la stufa più economica che conosca. E per ultimo: fra compagni si ci aiuta, no?-
La rossa si accovacciò accanto a lui quasi sfiorandolo, e premette istintivamente i suoi piedi gelati contro quelli più caldi del ragazzo.
-Ma... -
-Niente “ma”!- lo bloccò la Gatta Ladra –Oppure ti farò pagare una tassa su... beh, vedrò di inventarmi qualcosa!-
Pugno di Fuoco ammutolì. L’aveva sempre detto che quella era una ragazza tosta, e riusciva a non smentirlo mai.
Sorrise: magari, come accadeva ai bambini, una figura un po’ materna accanto avrebbe allontanato i brutti sogni.
-Sogni d’oro, Nami-
-Oh, ci puoi scommettere!-
Pugno di Fuoco ridacchiò, e finalmente lasciò che il sonno lo portasse lontano dalla realtà, magari in un posto dove non esisteva né Akainu né Marineford. In un luogo dove si trovavano anche Rufy e Sabo. E volendo, anche tanta carne, cornetti al cioccolato e crostate alla marmellata.
Quel posto sarebbe davvero stato troppo bello per essere la realtà.
C’era solo una cosa che avrebbe voluto aggiungere: con sé, in quel sogno, avrebbe voluto che ci fosse Nami.
Abbassò lo sguardo, poggiando la fronte sulla testa della rossa.
Poteva consolarsi con quel piccolo pezzo di sogno già diventato realtà.

Apro questo commento finale chiedendo scusa per l'ultima frase sdolcinata e smielata di questo nuovo capitolo, ma ci stava troppo.
Come ve la passate? Ormai stanno per cominciare le vacanze estive, e a quel punto avrò molto più tempo per scrivere! Ma per ora continuo ad avere problemi... scusate!
Spero che continuate a seguire ancora e ancora e ancora, e do un bacione a:
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E naturalmente chi legge e basta!! C:
Al prossimo capitolo!!!

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Capitolo 12
*** L'inizio di un nuovo viaggo! ***


-Mmmh... – Nami dischiuse gli occhi lentamente, per poi far apparire un accenno di sorriso su un angolo delle labbra.
Cadere dalle braccia di Morfeo non le era mai piaciuto, soprattutto quando a interrompere il suo sonno erano le grida di Rufy che reclamavano la colazione.
Ma quello era uno dei migliori risvegli che le fosse capitato.
Sfiorò con la punta delle dita, tanto per assicurarsi che fosse reale, il braccio di Ace che la stava avvolgendo caldamente e che li teneva vicini. Parecchio vicini.
Con la fronte appoggiata su quella dell’altro, la rossa studiò centimetro per centimetro il viso del compagno di viaggio: dagli occhi chiusi alle sottili labbra rilassate.
Stavolta la ragazza si fece scappare una risatina. Più lo guardava, più aveva per la testa i momenti trascorsi insieme. E non voleva saltare nemmeno una di quelle memorie: le piaceva ricordare con chi le stava trascorrendo.
In quello stesso istante, una scarica di adrenalina le percorse la spina dorsale.
Il suo sorriso svanì, lasciando posto ad un’espressione impensierita. Sapeva bene di che si trattava, e ne rimase preoccupata.
No. Non va bene. Non va bene per niente! Non posso permettermi una cotta!
Ho in ballo una caccia al tesoro con quell'oste! E poi, io e Ace abbiamo fatto un patto, devo convincerlo a rivedere suo fratello...

Provò a mettersi seduta, allontanando l’arto del ventiduenne e continuando ad osservarlo. “Se mi lasciassi trasportare dalle emozioni, rischierei di lasciarlo vincere volutamente.” Tenne ancora gli occhi fissi su di lui, cominciando a scostare lentamente qualche ciocca corvina e ribelle dal suo volto, come se ogni spostamento fosse una carezza. Fece un lungo e profondo respiro di riflessione.
Però...
–Però, temo proprio che tu cominci a piacermi seriamente... – concluse a voce alta, remissiva.

-Ma l’avete fatto davvero?-
Nami inclinò la testa lateralmente, e incuriosita si voltò: alle sue spalle una Koala inginocchiata e sorridente li osservava da chissà quanto tempo.
Da quella camera, si sentì l’urlo più acuto e spaventoso che un essere umano potesse mai udire.

-Mhpf!- sbottonò Ace.
-Che c’è? – disse Nami, parecchio innervosita.
-Assolutamente niente. -
-Allora potresti smettere di sbruffare ogni cinque minuti?- domandò lei, continuando a camminare lungo il corridoio.
Pugno di Fuoco scosse la testa: -Mi sta bene se ti arrabbi.
Mi può anche stare bene se ti metti a picchiare le persone (certo, la mia testa avrebbe molto da ridire, ma mi sta comunque bene).
Mi sta bene anche se dai colpi così violenti da far sanguinare il capo.
Ma se poi la gente perde troppo sangue e sviene, perché devo essere io a portarla sulle spalle?-
-Perché tu sei “il fighissimo e coraggioso capitano Ace”, no?- la navigatrice rise sotto i baffi, nel frattempo Ace sbruffò un’altra volta, continuando a camminare dietro la ventenne e con Koala caricata sulle spalle a mo’ di sacco.

Scesero le ripide scale a chiocciola di massello e raggiunsero l’osteria di sotto, scorgendo il vecchio locandiere mentre lucidava la superficie del bancone di legno.
I due pirati lo salutarono in coro: -Buongiorno, Hector!-
Una sua occhiata bastò per far svanire il loro sorriso sulle labbra.
-E’ da anni che non mi chiamano così. – fece lui non contento. –E lei? – continuò, indicando la cameriera svenuta.
-E’ una lunga storia... – disse Ace.
-Se mettessi una tassa oraria sul racconto, lei la vorrebbe sentire lo stesso?- domandò avara la navigatrice.
Il vecchio sospirò, interrompendo la sua attività.
Andò a prendere una bottiglia di Cherry da sotto il bancone e, con lo stupore dei due unici presenti (non contando la bionda, ormai priva di sensi), cominciò a versare il liquido cremisi sul tavolo.
Immediatamente Koala si svegliò e si catapultò accanto alla pozza di alcol, e cominciò a pulirla con la sua pezza.
Ingegnoso...” rifletterono i due criminali.
Hector richiuse la bottiglia di Cherry: -Koala, potresti dirmi come hai fatto a svenire? -
E la tassa oraria sul racconto può andare a farsi benedire...” meditò il moro, mentre con qualche pacca sulla spalla cercava di rinvenire una Nami addolorata e paralizzata da quella sconfitta.
La bionda strizzò la pezza fradicia dentro un bicchiere di vetro: -Ero venuta a fare il normale giretto per ripulire le camere, finché non entro in una e trovo questi due abbracciati e addormentati... CHE CARINI!- la ventitreenne cominciò a girare su se stessa con le mani strette a pugno sul cuore, e gli occhi sfavillanti -... a proposito, che ci facevate per terra? Eravate caduti dal letto? E poi... l’avete fatto?-
Quell’ultima domanda in particolare, mise tanto in soggezione i due criminali, abbastanza da lasciarli a bocca aperta.
Hector si massaggiò il mento, mantenendo la sua abituale espressione fredda e distaccata: -Comincio a capire perché l’avete colpita-
-Io invece no!- strillò indispettita la cameriera, mettendo il broncio.
Il vecchio rimase impassibile per un po’, poi andò verso un armadietto appeso contro il muro, e da lì prese due tazze: -Volete mangiare o no? -

La colazione di quella mattinata non fu un granché: un po’ di fette biscottate e del latte. Poi basta.
Ma non era quella la parte più importante dell’inizio giornata.
-Allora, - fece Ace, allontanando la tazza ormai vuota –chi è questo “Corvo”, esattamente?-
-“Corvo” è un appellativo che gli ho dato io. Credo sia il più azzeccato. Il suo vero nome credo sia Tom D. e qualcos’altro... -
-Anche lui la D. nel nome?- chiese la navigatrice, che aveva smesso di mangiare da un bel po’.
-Questa storia della D. non l’ho mai capita, né so che cosa significhi. Ma se indica che il suo possessore reagisce d’impulso, allora non mi stupisce che un uomo come lui l’abbia-
-Cosa sai di lui?- continuò la rossa.
-Da alcune voci di corridoio, pare che il suo carattere impulsivo sia peggiorato di parecchio. Apparte questo, non un solo essere umano osa fiatare contro di lui, forse per la paura che riesce a infondere. Lui è un uomo di potere...-
-Nobile mondiale? – domandò Pugno di fuoco.
-No. Significherebbe avere potere in modo legale, ma si sa che lui è un gran riccone, tuttavia non si conosce il luogo di provenienza dei soldi-
La Gatta Ladra sorseggiò un po’ di latte: -Inizio a capire... -
-Se non si sa molto di lui, come facciamo a capire le sue intenzioni riguardo alla cassa di tuo padre?-
-Beh...- il vecchio sospirò –c’è un certo locale che appartiene a lui, in un’isola qui vicino. Si dice che sia il luogo più malfamato della Grand Line. Direi che è un buon punto di inizio. -


Il vento sventolava i lunghi capelli ramati della rossa, mentre Ace, al timone di una piccola imbarcazione per lo scambio merci, seguiva la rotta da Hector contrassegnata.
-Suvvia, non è poi così male!- esclamò divertito.
Nami non rispose, ma continuò a guardare l’orizzonte e a non degnare il suo compagno di viaggio di uno sguardo.
-Dai, Nami! Non ci credo che te la sei presa con me! Non è stata una mia idea!-
-Ma non hai nemmeno replicato.-
-Questo perché non avevo nulla in contrario!-
Calò momentaneamente il silenzio.
-Senti... – disse Pugno di Fuoco -... mi spieghi perché non ti va a genio che Koala venga con noi?-
A quelle ultime parole, un brivido corse lungo la colonna vertebrale della navigatrice.
-Prometto di essere una buona marinaia! Parola di scout! - esclamò da dietro la cameriera -...ah, no. Gli scout non sanno navigare... almeno credo. -.
Finalmente la Gatta Ladra si voltò: -Ma si può sapere perché non sei rimasta ad aiutare il vecchio alla locanda, proprio tu che sei fissata con le pulizie?-
-Perché voi non siete del posto, e scommetto che avrete bisogno di una mano per non perdervi! -
In men che non si dica, Koala finì a terra colpita da un pugno di Nami.
-Ho viaggiato dal Mare Orientale fino alla Grand Line con una ciurma di cui fanno parte certi elementi che non sanno nemmeno cosa significhi la parola “orientamento”! Che vuoi che sia una passeggiata su un’isola? -
La bionda si rimise in piedi, testandosi di tanto in tanto il nuovo livido: -Ahi! Ma fa male! -
-Ben ti sta: così ti ricordi che la prossima volta ti conviene fidarti della sottoscritta, o richiederò un risarcimento per danni morali!-
Da dietro le due litiganti, si stagliò in aria una risata familiare.
Il viso di Koala divenne imbronciato: -Ma...  che c’è di divertente!?-
-Haha! Niente, è solo che di solito sono io quello che si lamenta per i bernoccoli! -
-Bene! Avete un argomento da condividere!- Nami, ancora un po’ arrabbiata, andò sottocoperta e sbatté la porta alle sue spalle.
Poggiò la schiena contro il legno umido e fresco, e si lasciò scivolare fino a quando non si ritrovò seduta per terra.
Koala... quella cameriera un po’ deficiente che va a fare da guida a me, la navigatrice che disegnerà la prima cartina completa? Eh, no! Non credo proprio.
Che ci è venuta a fare con noi, ancora non l’ho capito...”
-L’ho fatta arrabbiare? E’ colpa mia, non è vero?-
Nami, incuriosita dal tono intristito e angosciato di Koala, avvicinò la testa vicino alla serratura della porta, in modo da poter spiare gli altri due compagni.
-Macchè! Nami è sempre stata un po’ fiscale, nel vero senso della parola... ma non è assolutamente colpa tua!-
-Da... Davvero?-
Il tentativo di rincuorare la bionda da parte di Ace, rese molto più interessante la scena agli occhi della rossa.
-Ma certo! Vedrai, Koala: per staserà sarà di nuovo serena!-
-Fiuuu! Meno male! Ora sono molto più tranquilla!-
-Emh... Koala?-
-Dici che sbaglio ad essere tranquilla? Ecco, lo sapevo! Magari mi getterà in mare mentre non me l’aspetto, oppure... -
-Non è questo... ma la tua fronte sta grondando di sangue!-
La cameriera si catapultò vero il parapetto dell’imbarcazione, squadrando con attenzione la sua immagine riflessa nell’acqua increspata.
–Pulire... – disse sorridendo, prima di afferrare la sua solita pezza e cominciare a strofinarsela sulla ferita.
L’intervento del pirata non tardò ad arrivare: -Aspetta!-
-Cosa c’è?-
-Non si sistema così una ferita!-
-Davveeeeeeeeeero?- domandò lei, spalancando la bocca il più possibile.
-Già... -
-Allora come?-
-Tanto per incominciare, la si dovrebbe sterilizzare!- fece, cercando qualcosa che potesse assomigliare a una cassetta del pronto soccorso.
-Stercitizzare?-
-No, sterilizzare. Serve per far guarire più velocemente la lesione- Ace afferrò una bottiglietta di acqua ossigenata da uno scatolone e ne versò un po’ su un batuffolo di cotone.
Quando si rialzò, sollevò il mento della ragazza con l’indice e le iniziò a tastare l’ematoma.
-Ecco, sta’ ferma-
-Perché?- chiese Koala. Immediatamente, la percezione fine e fredda del tampone bagnato creò una leggera sensazione di solletico.
-Perché ti sei messa a ridacchiare, Koala?-
-Fai il solletico! Hihi! -
-No. Questo non è solletico... -
Proprio mentre finì di ripulire la ferita, Ace gettò il batuffolo insanguinato per terra, afferrò il braccio alla cameriera e, tenendola ferma, cominciò a farle il solletico nello stomaco.
-... QUESTO è solletico!!!-
-Hahaha! No, dai!! Haha! Smettila, ti prego! Ti scongiuro! Hahaha! -

Le guance avvamparono, non facendole trattenere un sussulto. Nami osservava la scena da un po’ di tempo, e man mano che i secondi passavano si sentiva sempre più irritata e incuriosita.
La sua attenzione fu catturata dall’attività degli altri due compagni.

Ace si era seduto sul parapetto e l’aveva messa in braccio: con un arto cingeva le spalle di Koala, tenendola ferma. Con l’altro le solleticava la pancia.
La bionda non si poteva dire che non soffrisse il solletico, perché si dimenava e si agitava ridendo  e pregandolo di smettere.
Tanto si contorse, che a un certo punto poggiò la testa sull’incavo del collo di Pugno di Fuoco, quasi sfinita.

Quest’ultimo gesto fece indispettire ancor di più Nami, ancora dietro la porta a spiare i due.

Koala sussurrò qualcosa all’orecchio del capitano.
Qualsiasi cosa fosse, aveva portato Portuguese a smettere di fare il solletico e a guardare la ragazza con un certo sguardo.
Uno sguardo diverso.
Non freddo, né distaccato. Piuttosto fisso e immobile sul viso della bionda, la quale aveva cominciato a sorridere.

La rossa sbarrò la porta di scatto, cercando di creare un botto più rumoroso possibile.
Come previsto, Koala ed Ace si voltarono verso di lei, finendo di ridacchiare o di parlare.
Solo che ora entrambi la fissavano, e lei doveva trovare una scusa per il suo atteggiamento.
-Isola!- gridò d’un tratto, indicando l’orizzonte.
La cameriera e il moro si voltarono all’unisono.
–Ah, si! Eccola lì! Brava, Nami!- esclamò compiaciuta Koala.
Nami fece brillare i suoi occhi avidi, e non perse tempo per dar sfogo a una sua nuova idea: -Allora, se non vi dispiace, esigo un pagamento per aver avvistato l’isola: voglio parecchio denaro, e...-
Un tonfo sordo riecheggiò nell’aria, fermando la navigatrice e lasciandola a bocca aperta.
Ace, dopo aver colpito con un pugno il parapetto della nave e rimanendo fermo per un tempo interminabile, alzò lo sguardo sulla rossa, facendola traballare.
-Nami, si può sapere perché devi chiedere risarcimenti o pagamenti vari per ogni cosa che fai?-
Si alzò di scatto e si diresse a passo svelto verso la sottocoperta.
 Quando fu molto vicino alla ventenne, rallentò e avvicinò la sua bocca all’orecchio di lei: -Sei davvero insopportabile, quando fai così-
Camminò ancora, e chiuse la porta alle sue spalle.

Nami fissava preoccupata la porta chiusa.
Non l’aveva mai visto così arrabbiato.
Per la verità, non l’aveva mai visto arrabbiato.
E adesso, il fatto che fosse adirato con lei un po’ la preoccupava: si era detta che non le piaceva, ma ci teneva. Almeno come amico. E l’idea di dover rompere ogni contatto la metteva terribilmente a disagio.
-Non... -
La rossa si voltò verso Koala.
-...Non ti devi preoccupare! Secondo me, per stasera tornerà sereno!-
La navigatrice osservò l’interlocutrice per un altro po’.
-Speriamo... – disse, prima di allontanarsi da lei.

Ohilà! Buonasera a tutti! C:
Chiedo ancora scusa per i capitoli sempre meno frequenti, ma vi giuro che ce la sto mettendo tutta!
Questo capitolo è venuto un po' scafazzato, ma credo che mi rifarò con il prossimo (che, premetto, tarderà ad arrivare causa viaggio, speriamo che mi arrivi almeno un po' di ispirazione!)
Il motivo dell'arrabbiatura di Ace non tarderà ad arrivare, spero piuttosto di essere riuscita a dare l'idea della confusione di Nami (mia piace o non mi piace? Perchè Koala con noi? Etc.)
Detto ciò ringrazio:

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E naturalmente grazie anche a chi legge e basta!!!

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Capitolo 13
*** Pizze e altre varianti ***


Prima di cominciare questo nuovo capitolo voglio ringraziare:
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 E naturalmente grazie anche a chi legge e basta!!!


Ora una piccola richiesta per voi!
*Mette Ace davanti*

Vale2910: Forza, Ace...
Ace: Ma... non voglio!
Vale2910: Si che vuoi, invece!
Ace: No. Non ho intenzione di cadere così in basso.
Vale2910: Guarda che la prossima volta, invece di mandare Nami a prenderti la crostata all'albicocca, ti faccio mangiare asparagi e broccoli lessi!
Ace: Hey! Guarda che quella crostata non l'ho nemmeno toccata!
Vale2910: Colpa tua, che ti sei lasciato distrarre da Nami... ah, già che parliamo di lei, NAMIIIII! Ti dispiacerebbe fare dello sporco lavoro al posto di Ace?
*Compare Nami, un po' irrequieta*
Nami: Come ti permetti solo di provare a chiedere certe cose? Sono una povera ragazza, sai?
Vale2910: ("Povera", poi... ¬¬)
Nami: Guarda che ti ho sentito! Voglio un milione di Berry per i danni morali!
Vale2910: Ti do il doppio se vi sbrigate a dare questo annuncio!
*Nami si mette al centro della scena e inizia a parlare*
Nami: Allora, quella mente malata di Vale2910...
Vale2910: Hey!
Nami: Non ti lamentare: chi altro poteva creare un personaggio come Koala? Tornando a noi: lei vuole preparare un angolo delle domande*, ma la sua mente è troppo malandata per formulare domande da sola...
Vale2910: (E continua... -.-)
Nami: ...Pertanto voleva chiedere se VOI potevate fare delle domande e scriverle nelle recensioni.
E ricordate: dobbiamo dare una mano a chi, come lei, è in gravi difficoltà psichiche e mentali!

Vale2910: Molto toccante, davvero.
Nami: Ora voglio i Berry!!
Vale2910: Dalle mie parti ci sono solo euro. Niente Berry.
Nami: Cosa vuoi dire?!?!?!?
Ace: Emh, scusate?
Nami: E tu che vuoi ora?
Ace: Non so se voi lettrici mi darete retta, ma... guardate che vi conviene davvero fare come Nami dice! Perchè lei può diventare davvero... emh...
Vale2910: ...toccante?
Ace: No.
Nami: ...tosta?
Ace: Non è proprio quella la parola...
*Spunta un vecchietto che pare nonno Simpson, con la toga azzurra, un paio di occhialini tondi da Harry Potter e il cappello da fata turchina*
Vecchietto: ...persuasiva?
Ace: Esatto! Proprio quello che volevo dire ^-^
Nami: Scusa, ma non ti avevo lasciato rotolare al primo capitolo, vecchio?
Vecchietto: Si, però... tu non l'avresti mai potuto immaginare! Perchè in realtà... si! Il mio cappello è un potente talismano che non fa rotolare sui prati! E ora che ho svelato a tutti il mio segreto, conquisterò il mondo facendo rotolare tutti!! Muahahahahaha! Muahahahaha... Cough! Cough! Cough! Maledetta... Cough! ...broncopolmonite acuta!
*Vale2910, Ace e Nami hanno una gocciolina che scende dalla fronte*
Vale2910: Si... emh, buona lettura.

Messaggio Promozionale: Si ricorda alle lettrici che Ace in questo Ante Scriptum (vedi prima nota del primo capitolo) è a torso nudo, se la cosa può essere più persuasiva


L’Agenzia si occupava, come se fosse un municipio o una vera e propria base della Marina, di tutto ciò che avesse a che fare con le parole “questione legale” e “cittadino”.
Se un cittadino aveva un qualsiasi problema collegato a una questione legale, allora andava all’Agenzia, portava un documento di riconoscimento e quelli gli facevano sapere tutto ciò che voleva sapere su di lui e gli facevano avere tutto ciò che doveva avere per diritto.
Come ciò che è stato lasciato in eredità.
Capitava, a volte, che per prendere qualcosa che non era proprio si portava all’Agenzia dei documenti falsi.
Visto e considerando che era diventata un’abitudine, i dipendenti dell’Agenzia sapevano benissimo come riconoscere gli artefatti, e cacciavano fuori tutti quelli che venivano con i falsificati.
Proprio come quella mattina, quando un uomo dai capelli più scuri delle penne di un corvo e un’inusuale bastone da passeggio in mano, appena tornato da un’altra isola chiamata Full Shout,  era andato per l’ennesima volta lì.
Per sua sfortuna, era stato cacciato via. Di nuovo.
Il Corvo uscì velocemente per la rabbia, ancora insoddisfatto a causa delle sue sconfitte.
Era molto tentato di strappare esasperatamente il documento mal riuscito ancora stretto in mano, ma preferì non fare brutte figure davanti ai compaesani e non far iniziare alcun pettegolezzo.
Perché lui sapeva bene come funzionavano i pettegolezzi.
Prima sono solo qualche chiacchierio, poi iniziano a farsi voci di corridoio sul perché dell’accaduto, poi le due cose si fondono assieme creando supposizioni prive di ogni fondamento, ma che dopo qualche giorno erano sulla bocca di tutti e diventavano inconfutabili realtà.
Cercando di tenere le spalle larghe, mento alto e passo non troppo svelto, cominciò ad attraversare la strada come faceva tutti i giorni, finché non entrò nella sua villa: la più bella di tutta la Grand Line, diceva lui. Seconda sola alla terra sacra di Marijoa.
Una volta entrato, non ricevette uno dei migliori bentornati.
-Signore! Signore! ...- a gridare era stato un uomo alto e vecchio, dai guanti e il panciotto bianchi, incorniciati da una giacca elegante nera.
Sarebbe sembrato più un cameriere che un maggiordomo.
-... signore! Porto terribili notizie!-
Il Corvo lanciò un’occhiata sinistra al servitore, ma si limitò a rispondergli freddamente, senza ancora mostrare alcun segno della disfatta di quella giornata: -Che c’è adesso? Parla! -
-Sua sorella, signore! Non è più in camera sua! Abbiamo trovato la sua stanza vuota e una fune creata con le lenzuola appesa a una maniglia della finestra, dalle ante spalancate! Per di più abbiamo saputo che una delle barche al porto è stata rubata da poco!-
-E allora? Non è la prima volta che scappa di casa. Anzi, mi sembra strano che, rispetto alle altre volte, non si sia limitata a scendere sul solito ramo di quercia per scappare... -
-Ma... signore! Deve capire che anche la signora comincia ad avere una certa età! Per lei potrebbe diventare davvero... -
-...pericoloso? Andiamo, non sii ridicolo! “Una certa età”... magari! Mia sorella invece sembra essere più agile di un gatto!- continuando a chiacchierare, s’inoltrò nei corridoi della villa inseguito dal goffo maggiordomo.
Una vola raggiunta la sua camera, sbatté la porta in faccia al servitore e si sdraiò sul letto di vimini.
Ancora una volta non era riuscito a raggiungere quella maledetta chiave.
Nessun aveva saputo cosa potesse aprire. Nessuno, tranne loro quattro. E lui era l‘unico rimasto in vita, quindi non avrebbe avuto alcun problema o fastidio.
Certo, c’era sempre Hikari... ma non avrebbe potuto creare molti problemi.
Forse.

-Koala, abbi pazienza. Aspetta di... -
La bionda si affacciò oltre la soglia della balaustra, sputando l’ennesimo coniato di vomito.
-... raggiungere la terraferma. – concluse la frase Ace, anche se inutilmente.
La ventitreenne fece forza sulle braccia per rimettersi dritta. Le gote erano rosse come due papaveri selvatici, e gli occhi semichiusi trasmettevano a chi guardava il senso di stanchezza che stava provando.
-“Mal di mare”, che brutta cosa... – mormorò quasi sfinita. -... che brutta parola... – continuò, ancora stanca. -... che brutta senzazion... – immediatamente rilanciò il suo busto in avanti per espellere il nuovo rigetto, mentre Ace le teneva la fronte.
-Dai, siamo quasi arrivati! Abbi solo un po’ di pazienza e... -
Koala rigurgitò ancora, interrompendolo. –Io la pazienza ce l’ho, solo che fra un po’ non avrò più del vomito da vomitare!- fece ancora più debole.
-Koala, guarda che il vomito non finisce mai -
-Oh, no! Ancora peggio!- esclamò, vomitando ancora una volta. –Potresti... – provò a chiedere al moro -... insomma, potresti chiedere a Nami se, per favore, ha qualche cosa contro il mal di mare? -
-Nami per ora è impegnata: è al timone e si deve preparare ad attraccare-
-Non è vero. - E rigettò un altro coniato di vomito in mare.
-Che hai detto?-
La ragazza si voltò verso il pirata, abbozzando un sorriso: -Che non è vero. Non è per questo. E’ una scusa per non andare da lei. Te lo si legge in faccia -
Pugno di Fuoco, dopo un momento di confusione, guardò sbigottito la ragazza.
Non la faceva così sveglia.
(Chi avrebbe potuto farlo?)
-Beh, dopo averle risposto in quel modo, non credo che mi permetta di parlarle senza darmi un pugno-
Koala si mise eretta, pulendosi con l’avambraccio i residui sull’orlo della bocca: -Nah! Non si è mai fatta tutti questi problemi per colpirti!Però tu le hai risposto davvero male!-
Ace la guardò storto: -Ma... mi hai detto tu di farlo!-
-No. Io ti ho detto: “Si vede proprio che Nami ti piace, forse dovresti darlo meno a vedere!”, poi tu mi hai guardato male, lei è arrivata e l’hai rimproverata. Ci sarà rimasta malissimo!-
Ace fece per rispondere, ma dalla sua bocca uscì solo un silenzio tombale. –Voi donne... che scusa usereste in questo caso?-
Koala assunse un’aria pensierosa: -Diremmo... “Ero sotto pressione”-
-No, troppo da femminuccia... -
La bionda erse ancora un po’ di tempo a riflettere.
-Mal di mare. – disse infine.
-Bene, allora le ho risposto in quel modo per colpa del mal di mare!-
-Non tu, io. – e si affacciò oltre la soglia della balaustra, continuando a rigettare coniati di vomito.

Una volta ormeggiati, e visto l’ora tarda, i tre scesero per andare a pranzare da qualche parte.
Da ricordare: prima di andare su una barca di qualsiasi genere, compra le pillole contro il mal di mare!”  pensava fra sé e sé Koala.
Lungo la strada trovarono una taverna, visione celestiale per gli occhi della bionda, visto che dopo il suo “svuotarsi” aveva poi bisogno di “riempirsi”, per intenderci.
Tuttavia Ace e Nami, noncuranti, proseguirono lungo la strada.
La ventitreenne provò in ogni modo a far notare quella visione paradisiaca ai due, ma quelli non ne vollero sapere.
Così come per le altre osterie avanti, ognuna un rimpianto per la poverina, che se le vedeva passare davanti senza poter metterci piede.
Finché non si ritrovarono davanti ad un locale un po’ diverso da quello che si aspettava la ventitreenne...

-Hey! Mi sentite? – richiamò per l’ennesima volta Koala.
-No. Per niente.- fece schernendo la rossa.
-Si può sapere cosa avete di così tanto interessante da leggere nel menù di una pizzeria?-
Va bene che Ace e Nami, tutto d’un tratto, sembravano essere tornati d’amore e d’accordo. Ma il fatto che stavano leggendo da ore lo stesso menù e non calcolavano Koala nemmeno un po’ cominciava a diventare fastidioso per la bionda.
Il moro alzò lo sguardo dalla pagina che stava condividendo con la ventenne: -Stiamo facendo a gara su chi trova la pizza più strana, sembrano essercene parecchie in giro... -
-Ah, eccone una!- esclamò la navigatrice indicando un punto nel menù. -Pizza all’ananas! Che te ne pare?-
-Ma non è così strana...-
-Vuoi dire che non è strana una pizza fatta con l’ananas?-
-E’ un po’ come la pizza alla nutella: un po’ anormale, ma pur sempre un classico!-
-Se, se... tutte scuse perché non hai trovato una pizza strana come la mia!-
Pugno di Fuoco ghignò: -E invece si, mia cara Nami: pizza al mais!-
-Nulla di originale. -
Ace sbarrò gli occhi: -Ma che razza di pizze sei andata a mangiare, tu?-
-Prova a dare un impasto di pizza a tuo fratello e a dirgli: “Mettici gli ingredienti che vuoi e fai una pizza”. La cucina era diventata il laboratorio del dr. Frankenstein!-
Ace ebbe un flash con un laboratorio da scienziato pazzo, con tanto di fulmini  di sottofondo, cervelli spappolati ovunque (negli scaffali, dentro i barattoli contenenti liquidi fluorescenti che nessuno si era mai chiesto cosa fossero, etc.) e il suo piccolo fratellino che echeggiava risate malefiche, con uno dei cervelli spappolati in mano, vestito con il camice bianco, guantoni in lattice e ilcappello da cuoco.
Sapeva benissimo che un cappello da cuoco non c’entrava nulla con lo scenario dello scienziato pazzo, ma doveva ricordare che suo fratello stava pur sempre cucinando una pizza.
 -Inizio a pensare che i cervelli spappolati siano tocchi di classe...- concluse a mezza voce il moro.
Nami continuò: - ...Sanji si era pentito amaramente di voler dare “lezioni di cucina” a quelli della ciurma –
-Che ci aveva messo Rufy nell’impasto?-
-Polpo, marmellata di fragole,  frittata ... E sai qual è la cosa peggiore? -
-Quale?-
-Era squisita. -
-Scusate!- Koala battè il pugno sul tavolo, attirando l’attenzione degli altri due. –Volevo dire che questa gara non avrà un buon fine, perché ho appena finito di leggere il menù, e fatta eccezione per quelle due che avete detto prima, non ci sono più pizze strane-
I due pirati tornarono con gli occhi fissi  sul foglio, osservando con sconforto che la cameriera aveva ragione da vendere.
Nami scattò in piedi, più decisa che mai: -Hai ragione, Koala. Questa pizzeria non ha nulla di originale da offrirci: non è degna della nostra presenza. Andiamocene via! – e con aria fredda e altezzosa fece per andare verso la porta, imitata da Ace.
Koala, per tutta risposta, rimase immobile, paralizzata e con la bocca aperta: -Da ricordare: compra le pillole per il mal di mare... e non parlare se non sei interpellata e se stai morendo di fame. -

Dopo qualche decina di minuti (che alla povera ventitreenne sembravano ore), giunsero in un’altra pizzeria, molto particolare. Infatti lì c’erano tutte le pizze più strane che Nami ed Ace avrebbero mai potuto immaginare, roba da non credere.
Osservando il menù, i due pirati poterono considerare che c’erano tutti i tipi di pizza possibili e inimmaginabili: da quella con sopra la fonduta a quella con fichi e prosciutto, passando per la “pizza puffi”.
-Cos’è la “pizza puffi”?- domandò Ace, curioso.
-Pare sia una pizza con sopra un gelato fatto con uova, panna montata, sale marino e latte. Si chiama “puffi” perché è di colore blu... -
-La prendo. -

Quando finirono di mangiare, a Koala era tornata la nausea da mal di mare.
Ad accorgersene per prima fu Nami: -Koala, non per cosa, ma sei diventata dello stesso colore della “pizza puffi” di Ace!-
Non ne era molto sicura, ma la bionda pensò che l’idea della sua pelle colorata di blu avesse aumentato la sensazione nauseante.
-Da ri... – provò a mormorare la cameriera, trattenendo un coniato di vomito – ...Da ricordare: compra le pillole, non parlare se stai morendo di fame... e non mangiare più pizza col montone, crema di panna di carciofi e sardine meringate! -
Ace la guardò dispiaciuto: -Potevi prendere qualcosa di più semplice, come ha fatto Nami!-
-Perché? Che ha preso Nami?-
-Pizza con crema di aglio, cipolla e gorgonzola-
A quelle parole, la ragazza scattò in piedi, per poi correre verso il bagno.
Ace inarcò il sopracciglio: -Ho detto qualcosa che non va?-
Nami ridacchiò: -No, tranquillo! Piuttosto, credo che poteva davvero evitare di prendersi una pizza così pesante!-
-E tu come fai a dire che era pesante?-
-Ne ho assaggiato un pezzettino. (E poi, una pizza con montone, crema di carciofi e sardine meringate non ti fa venire in mente nulla?)-
-Ah, vero. Ve ne siete scambiate un pezzo a vicenda -
-... a differenza di te. -
-Io avevo la pizza col gelato: dolce e salato poi fanno venire l’acidità! Sarò anche un mangione, ma certe cose le so!-
-Certo, certo... – fece la rossa, ridacchiando ancora un po’. –Ah! Per il conto il solito, giusto?-
Prima Ace la squadrò attentamente, per poi capire cosa intendesse la compagna. –Certo! Hey, Koala!- disse, richiamando la compagna appena tornata.
-Sai che se cerchi la parola “portoghese” sul vocabolario... -
-... trovo la tua faccia? Davvero? Wooow! Non avevo mai avuto un amico con la faccia sul vocabolario!- fece lei, cominciando a saltellare e ad avere gli occhi brillanti come delle lucciole la notte.
-Emh, a dire il vero... no. Se cerchi la parola “portoghese” sul vocabolario trovi “Chi, con sotterfugi o con altri espedienti, riesce a entrare in un luogo di spettacolo o di servizi in genere senza pagare”-
Koala sbarrò gli occhi: -Quindi... tu... con un “sottofungo” e un “esperto dente” sei entrato in un luogo di spettacolo! Wow!-
Una gocciolina di sudore scivolò dalle fronti confuse della navigatrice e del capitano.
Ace aprì la bocca per dare spiegazioni, ma venne preceduta da Nami: -Si... è proprio così. -
-Woaaaoh! Mi piacerebbe molto conoscerli!- continuò Koala, ancora stupita.
-Si! E sai che ti dico? Sono proprio qua fuori! Se esci in fretta forse riesci a raggiungerli!-
Nemmeno il tempo di concludere la frase, che Koala era partita in quinta verso l’uscita e correva per raggiungere il “sottofungo” e l’“esperto dente”.
-Beh, ora tocca a noi!- fece Pugno di Fuoco un po’ rassegnato ad andare al passo con la mente arretrata all’infantilità di Koala. Si alzò da tavolo e cominciò a dirigersi verso l’uscita.
Qualcuno, però, gli afferrò la spalla da dietro: -Signore, prima di andarsene dovrebbe pagare. -
Di sicuro era il cameriere che reclamava il conto.
Ace sbruffò, preparandosi ad un’uscita “con stile”. Così, mentre ancora era voltato, chiese al cameriere: -Mi dica, lei sa cosa si trova se si cerca la parola “portoghese” sul vocabolario?-
E qui si girò verso l’interlocutore.
-Si trova: “chi fa l’errata scelta di andare a mangiare a scrocco”- il cameriere che aveva preso Ace per la spalla era alto circa il doppio di lui, muscoloso e robusto.
L’espressione facciale invece... beh, di certo non sembrava un allegro “sottofungo” o un amichevole “esperto dente”.
-Si, infatti... – rispose il moro, ormai sbiancato in viso. –Ma non me ne faccio un problema: tanto paga lei!- indicò Nami e uscì dal locale.
-Signorina?- richiamò l’omone, ancora in attesa del pagamento.
Nami sentì sbiancarsi. Ormai le gambe cominciarono a tremarle, provò ad appoggiarsi allo schienale di una sedia ma lì notò che anche i polsi non erano messi troppo bene. Abbozzò un leggero sorriso: -Emh... lei rispetta la grande arte che rappresentano tutti i pizzaioli?-
Il cameriere fece per avvicinarsi, assumendo una faccia ancor più minacciosa di prima.
Ma prima arrivò Ace, che afferrando di corsa il polso della ventenne se la trascinò dietro fino alla strada, dove l’aspettava anche Koala.
Il cameriere che sembrava un orso, al seguito di quattro o cinque scagnozzi (in realtà erano camerieri anche loro, il termine “scagnozzi” serviva per rendere meglio l’idea dal punto di vista dei tre scrocconiNdA), cominciarono a correre per raggiungere il trio sbafatore.
Dejà-vu” pensò Nami, immaginandosi quei tipi vestiti da spavaldi pizzaioli.
-Correte!- Il grido di Ace risvegliò la navigatrice, facendo attenzione a non finire fra le grinfie dei perfidi camerieri.
I tre corsero lungo la via principale per un po’, seguiti a ruota dai maligni uomini vestiti in smoking, abbozzando qualche idea per scampare a loro.

Nel frattempo, uno degli scagnozzi rimasti indietro si voltò e corse con tutte le forze che aveva verso la pizzeria.
Una volta arrivato, sbarrò le porte e si diresse verso l’uomo alla cassa.
-Sbrigati! Vai a chiamare le forze dell’ordine! Qui c’è qualcuno che si diverte a mangiare a sbafo!-
-Il più vicino è il commodoro Smoker... venuto qui solo di passaggio-
-Chiamalo!-
-Ma non ha una carica troppo alta per occuparsi di semplice gente che mangia a scrocco?-
-Chiama qualcuno con una carica più bassa! Il capitano Tashigi andrà benissimo!-

Seduto ad un tavolo non troppo distante, un uomo aveva sentito tutto il discorso. E mentre i due commensali si sbrigavano a prendere un lumacofono, lui affinava l’udito.
-Questo sembrrrra interrrressante... – mormorò a bassa voce. Poi si alzò in piedi, lasciò qualche Berry sul tavolo e uscì dal locale, con le mani nelle tasche.

Fine del nuovo capitolo!
Ace: Era ora!
Tu che ci fai ancora qui? Torna a correre!
Ace: Già che siamo in tema: si può sapere chi è quel cameriere che sembra un lupo mannaro? E' una cosa enorme!
Beh, sai, dovevo trovare qualcuno che fosse in grado di spaventarti...
Ace: Spaventarmi? Qualche chilo in più e mi sarebbe venuto un infarto!
Vabbè, sono cose che capitano!
Comunque, ci tenevo a precisare che le pizze qui sopra scritte, per quanto possano essere stravaganti, SONO TUTTE VERE!!!
Solo tre si estraneano dai menù del nostro mondo:

1: La prima è quella inventata da Rufy, con polpo, marmellata di fragole e frittata. Però vi devo avvertire che sono andata in un ristorante per la laurea di mio cugino, e la prima cosa che mi hanno servito è stata la FRITTATA DI POLPO con MARMELLATA DI FRAGOLE. E come ha detto la nostra cara Nami, è squisita!
2: La pizza "puffi". Scommetto che avete pensato anche voi che fosse un po' troppo bizzarra xD. Però il gelato sopra quella pizza esiste veramente, ed è davveto fatto con gli ingredienti lì descritti (uova, vaniglia, sale marino, panna montata etc.). Solo che, a differenza di come starete pensando voi, non si tratta del gelato ai Puffi che a volte si trova nelle gelaterie! In realtà questo è chiamato "Gelato Salmastro" o "Gelato al sale marino". E, per chi l'avesse riconosciuto dal nome, è il gelato che si trova nel videogioco/manga e prossimamente anime di Kingdom Hearts II
3: La terza e ultima pizza inesistente è quella di Koala, con il montone, la crema di carciofi eccetera. Quella è proprio inesistente u.u

Spero che arrivino tante domande per l'angolo delle domande, vi saluto e a presto! ^^
E ricordate: Ace a petto nudo! C;


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Capitolo 14
*** Separati ***



Nami, Ace e Koala giunsero in prossimità di un bivio.
-E ora dove andiamo?- domandò Koala, guardandosi le spalle per vedere a che punto erano arrivati gli inseguitori.
-Di là!-
Sentire una risposta chiara e immediata per la cameriera fu un respiro di sollievo, peccato che Nami e Ace indicavano due strade opposte.
-Ok, quindi... dove andiamo?- riprovò a chiedere.
Ace prese delicatamente il polso di Koala, facendo un passo verso la strada a destra: -Andiamo di là! E’ lì che abbiamo ormeggiato la barca!-
Nami, per tutta risposta, afferrò il braccio della ragazza e se la trascinò per qualche metro verso sinistra: -Sarebbe la strada giusta, se noi dovessimo andare dall’altra parte della città! Invece il porto si trova di là!- e indicò la via a sinistra.
-Non è vero! Siamo venuti da quella strada!-
-Si, ma dopo aver fatto un giro lunghissimo per raggiungere la pizzeria! Da questa parte arriveremo prima!-
-No! Da quella parte si arriva a quell’enorme piazza con la statua... -
-Ma che dici? Si trova alle nostre spalle, quella piazza!-
-Ci sono due piazze con le statue, Nami!-
-Ma nessuna delle due si trova nel tragitto verso il porto!-
Koala cominciò ad avere i giramenti di testa. Molto fitti.
Si voltò notando i camerieri che iniziavano a comparire dal fondo della strada: -Stanno per arrivare! – strillò impaurita.
Nami e Ace ebbero solo il tempo per guardarli, prima di iniziare a correre verso la loro imbarcazione.
Nami, che non aveva mollato la presa del braccio di Koala, andò a sinistra.
Ace invece andò a destra.


-Corri, Koala! Corri! -
-Ma sono stanca! Ieri sera ho dormito poco per andarmi a fare il giro delle camere della locanda! -
-Hai recuperato il sonno perso quando sei svenuta. Datti una mossa, per la miseria! Preferiresti farti una dormita in una cella buia, umida e senza finestre accerchiata da moltissime sentinelle o preferiresti correre ancora un po’ ed essere libera? -
-Emh... – la bionda assunse un’aria vagamente pensierosa -a dir la verità, un sonnellino non guasterebbe affatto... -
-Koala, ti prego, corri e basta! -
Passarono alcuni minuti fuggendo, finché non si ritrovarono in una zona periferica della città. Le strade erano sporche e vuote, non una sola anima viva si trovava nei dintorni.
Koala percepì la mano della rossa, ancora appoggiata sul suo braccio, che iniziava a inumidirsi per il sudore freddo e il volto della compagna diventare bianco.
-Ti sei persa?- domandò, quasi sussurrando.
La navigatrice non diede subito una risposta, perdendo tempo a guardarsi intorno cercando qualcosa di familiare. –Non credo... cioè, non è possibile... mi sono allenata due anni per diventare la migliore! Non posso essermi persa... -
-Ma ti sei persa. – fece notare la ventitreenne.
Nami abbassò la testa, emettendo un lungo sospiro: -Hai ragione -
-Però – aggiunse l’altra –non sei mai stata qui! Quindi anche il migliore navigatore del mondo si sarebbe potuto smarrire! Allora... coraggio! Cerchiamo Ace e raggiungiamo la barca!-
Nami la squadrò per bene. La stava incoraggiando? Dopo essersi comportata in quel modo nei suoi confronti?
Era una ragazza strana. Punto.
Però... la navigatrice sorrise. Le ricordava parecchio il modo di comportarsi del suo capitano.
Un po’ idiota, certo, ma che ti sapeva far andare avanti nei momenti più difficili.
-Graz... – stava per ringraziare, quando... -CHE HAI DETTO?!? -
-Che... “anche il migliore navigatore del mondo si sarebbe potuto smarrire”?-
-Poco dopo? -
-“Raggiungiamo la barca”?-
-Poco prima? -
-“Allora... coraggio!”?-
-Poco dopo? -
-“Cerchiamo Ace”?-
La rossa si guardò intorno, notando solo ora l’assenza del compagno.
Esasperata, portò le mani fra i capelli: -Porca di quella... -
-... trota!- Gridò il bambino, agitato ed emozionato –Papà! Papà! Guarda: ho pescato una trota!-
-Bravo, figliolo!-
E mentre su un peschereccio si ambientava questa allegra e felice scena fra padre e figlio, lì davanti passò Ace.
Il sole cocente picchiava forte, e quello di sicuro non era il migliore degli orari per fare una passeggiata su un’isola estiva.
Stanco morto, Pugno di Fuoco si lasciò cadere su una delle panchine lì accanto.
La fuga l’aveva stremato, il caldo lo stava consumando e la cosa che più desiderava ardentemente era un sorso d’acqua fresca.
E doveva ancora camminare per cercare la loro imbarcazione.
Dannazione, Nami!” pensò, asciugandosi le gocce di sudore sulla fronte con l’avambraccio “Te l’avevo detto che le piazze erano due!” continuò nella sua testa.
Udì dei passi dietro di lui, e ne approfittò per chiedere indicazioni.
-Mi scusi!-
L’uomo si fermò e si voltò a pochi metri dal suo interlocutore.
Era moro, con un accenno di pizzetto sotto il mento, ispanico, alto e smilzo. Pareva un poco di buono.
-No, scusi io. Vado di frrrretta – si girò e fece per continuare la sua strada.
-Mi serve solo un’indicazione! -
L’uomo, nolente, si fermò ancora. Il pirata aveva avuto la strana sensazione di essere squadrato male da quest’ultimo.
-Che ti serrrve?-
-Dove si trova il molo otto?-
L’ispanico indicò una strada che portava verso il centro della città: -Semprrrre drrritto, seguendo il naso -
Ace inarcò un sopracciglio: -Ma non è questo il porto? Da lì dovrei andare dall’altra parte! -
-Ci sono due porrrrti, rrragazzo. Il molo otto è dall’altrrra parrrte della città-
A quella risposta, il pirata farfugliò qualcosa del tipo “Signore, dammi la forza... ”, e poi cominciò a correre dove gli aveva detto quell’uomo.
Uomo che, Ace credeva, aveva probabilmente riconosciuto il pirata giustiziato a Marineford due anni prima.

“Sarebbe la strada giusta, se noi dovessimo andare dall’altra parte della città! Invece il porto si trova di là!”
Il fatto che Nami aveva avuto ragione era solo la seconda cosa che gli rodeva di più dentro.
La prima era che doveva fare il doppio della strada per colpa della sua cocciutaggine, sotto il sole.
Per non parlare dei marinai, doveva scappare anche da loro.
Ultimo dettaglio: aveva sete.
Una birretta ci stava eccome.
E mentre Ace immaginava boccali volanti colmi di liquido ambrato, andò a sbattere contro una ragazza cadendole addosso, mettendo erroneamente le mani in “posti equivoci”.
Dopo aver ricevuto un bel ceffone in faccia mentre era ancora sdraiato, si sentì dire: -Maniaco! -.
Ace si mise a quattro zampe per dare un po’ di respiro alla giovane e per mettersi il prima possibile in piedi.
-Mi scusi, signorina! Non avevo intenzione di... -
Si ammutolì osservando la persona sotto di sé: una tipa sui vent’anni, con i capelli corti blu come il cielo notturno, un paio di occhialini da vista miracolosamente non caduti da sopra la sua testa e un abbigliamento da motociclista. Le era scivolata una tracolla piena di spade.
La ragazza si mise seduta, massaggiandosi la testa: -Lei è un pervertito! Si tolga subito da qui, prima che la faccia arrestare per molestie sessuali a un pubblico ufficiale! -
-... Tashigi? -
La donna indossò gli occhiali da vista per vedere meglio il suo assalitore. –Portuguese D. Ace?! Ma... tu sei morto! Sei morto e sepolto da due anni! Tu sei... Tu sei un maniaco! Uno squilibrato! Ehi, torna qui! Dove pensi di andare, pirata? Ti devo arrestare! -
Ma Ace correva veloce, voleva raggiungere le sue due compagne il prima possibile e l’idea di farsi arrestare non lo attirava più di tanto.


-Thunderbolt Tempo! -
Una pioggia di fulmini colpì gli unici marinai che erano riusciti a resistere fino a quel punto, facendoli crollare a terra.
-Wooooow! Nami, sei bravissima!-
-Lo so, ma avrei voluto utilizzare i nuovi poteri quando sarei tornata con i miei compagni... Cyclone Tempo!-
E mandò K.O. due nuovi arrivati.
-... comunque credo che sia meglio se scappiamo, perché non so per quanto altro tempo potrei resistere-
-Va bene!-
E sia Nami che Koala iniziarono di nuovo a correre, alla ricerca del porto.

-Commodoro! Commodoro Smoker! Ma dove è finito? Commodoro Smoker, ho una notizia importantissima da riferirle! Ah, buongiorno commodoro! No, aspetti... ma che sta facendo?!? La smetta immediatamente di leccarmi la faccia! Commodoro! Oggi mi è già bastato un maniaco, non si ci metti anche lei! ... -
-Tashigi, mettiti gli occhiali: quello è un cane -
La ragazza indossò gli occhiali che teneva sopra la fronte: -Toh, un Husky! Commodoro, è successa una cosa oggi... -
-Magari dopo, Tashigi. Ora dobbiamo salpare per il Nuovo Mondo -
-E’ questo il punto! Non possiamo salpare! -
-E per quale motivo? Non ti sarai mica messa a vedere il fantasma di Portuguese D. Ace? -
-In realtà... è proprio così. -
-... ?-

Pochi minuti dopo, di fronte a due tazzine fumanti di caffè forte e cappuccino.
-Tashigi, sei sicura del fatto che stavi indossando gli occhiali in quel momento?-
-Ma certo, commodoro! E poi, anche se non stavo indossando gli occhiali che differenza fa?-
-Nessuna Tashigi, nessuna... ma sei sicura di non esserti presa troppo caffè?-
-Sicura -
-Di non aver bevuto acqua di mare?-
-Certamente! -
-Di non aver fumato troppi sigari?-
-Commodoro... me ne parla proprio lei?-
-Mettendo da parte questo argomento, cos’ha fatto Portuguese?-
Tashigi si guardò a destra e a sinistra, poi con un cenno invitò Smoker ad avvicinarsi e gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
-NO!-
-E invece si, commodoro. E invece si. -
-Quel Portuguese! Lui è un vero cogl...  -

-... Storione!- esclamò il bambino tutto contento –Papà! Papà! Guarda: ho pescato uno storione! -
-Bravissimo, figliolo! -
E mentre sul peschereccio il padre dava qualche pacca al figlio sulla spalla per congratularsi, davanti a quell’imbarcazione comparvero Nami e Koala.
-Si! Siamo arrivate al porto!-
-Visto che ce l’hai fatta, Nami?-
-Però c’è un caldo... -
-Anche questo è vero! Chissà dove si trova Ace... -
-Potremmo chiedere a qualcuno, no? Hey, signore!-
Le due donne bloccarono un passante. Era moro, con un accenno di pizzetto sotto il mento, ispanico, alto e smilzo. Pareva un poco di buono.
-Che volete, rrrragazzine? -
Nami cercò di apparire il più suadente possibile: -Sarebbe così gentile da dare a queste due povere ragazze delle informazioni?-
L’uomo sostituì i suoi occhi con degli sfarzosissimi cuoricini rosa: -Tutto quello che desiderrrrrate! -
-Bene, ha visto un uomo, per caso? -
-Avete il più virrrile trrra gli uomini prrroprrio qui davanti! Se volete prrrovarrre... -
-Si, si, certo... ma noi cerchiamo un uomo alto, muscoloso, spalle larghe, con i capelli corvini, gli occhi neri come la notte... -
-Nami, sei sicura di non stare descrivendo il principe azzurro? -
La rossa si paralizzò e sbiancò, mentre i due interlocutori la fissavano.
-Rifaccio la domanda: ha visto passare di qui la copia sputata di Portuguese D. Ace due anni più grande?-
L’uomo ci pensò un po’: -Si, mi ha chiesto dove si trrrrrrovava il molo otto-
-E lei che gli ha risposto?- fece Koala.
-Gli ho detto che il molo otto si trrrova nell’altrrro porrto. -
Sia la rossa che la bionda sbarrarono gli occhi –L’altro porto?-
-Esatto. L’altrrro porrrto -
-E come si ci arriva?-
L’uomo indicò una strada che portava verso il centro della città: -Semprrrre drrritto, seguendo il naso! E un’ultima rrraccomandazione: ...- l’uomo prese un sospiro profondo. Salì la tensione delle ragazze. Che Ace fosse andato in un luogo pieno di malviventi?
- ... se state cerrrcando qualcuno con cui diverrrtirrvi, io sono il più qualificato!- e fece il pollice in su e un sorriso che mostrò tutti i denti sporchi e gialli dell’uomo.
 Nami aveva uno sguardo scandalizzato fisso su di lui  –Corri, Koala. Corri -

-Commodoro! Si sbrighi ad allacciarsi le scarpe, dobbiamo catturare Pugno di Fuoco!
E non resti così impassibile, lo sa cosa significhi per noi la carcerazione di qualcuno di pericoloso come il figlio di Gold Roger? Altro che promozione! Come minimo lei diventerà ammiraglio! E si sbrighi con quei lacci, per la miseria! Non abbiamo tutto il giorno!-
-Tashigi, io ho finito di allacciarmi le scarpe da mezzora. Quello lì è un palo per ormeggiare le imbarcazioni -
Tashigi, mortificata, si voltò e si mise sull’attenti: -Ha ragione, commodoro! Chiedo scusa per aver sprecato tempo prezioso, e... -
-Tashigi, quello invece è il cane di prima. -
E la guardiamarina si sentì leccare la faccia.
Mentre la militare si dava da fare (inutilmente) per spostare il cane, Smoker diede un’occhiata intorno. E si accorse di qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di vedere in quel porto.
-Oi, Tashigi!-
-Si, commodoro?-
-Cosa vedi se osservi attentamente lì in fondo?-
-I molari del cane, signore. Ma io mi preoccuperei più che altro dei canini. Più che Husky, azzarderei a dire che questo bestione è Zanna bianca!-
-Ma non lì, Tashigi! Io dico ! Ora, per favore,  puoi dirmi cosa puoi notare se guardi in quella direzione?-
La guardiamarina attese qualche secondo: -Posso notare che questo cane non è un bestione, ma una bestiona, signore -
Smoker sbattè il palmo della mano sulla faccia. Poi afferrò di  peso Tashigi e, una volta allontanato da Zanna Bianca, le spostò la testa nella direzione dove doveva guardare.
-Vedi, Tashigi?-
La guardiamarina poteva osservare due donne, una rossa e una bionda, che stavano parlando.
-Quella è un membro della ciurma di Cappello di Paglia.- mormorò l'albino -quindi, Tashigi, chiama i Marines-
-Commodoro Smooooker!-
-GLI ALTRI marines, Tashigi!-

-Nami, ma sei sicura?- chiese Koala correndo.
-Si, Koala! Quei due tipi sono della marina militare! E hanno preso di mira parecchie volte la mia ciurma!-
-A me sembravano due motociclisti e un cane... mi ricordava tanto Zanna Bianca! -
-Secondo me non mettono le divise proprio per catturare i pirati mentre loro non se l’aspettano... -
-E Zanna Bianca?-
-Quale cane morde meglio i pirati rispetto a un cane lupo?-
Giunsero all’esatto centro della città, e lì ne approfittarono per riposarsi un po’.
-Secondo te catturano anche me?- domandò ancora la bionda.
-E’ probabile siccome ci hanno viste chiacchierare. Ma spero di no, perché non te lo meriti -
E così le due ragazze continuarono a correre lungo la strada.

Il capitolo in teoria non doveva finire qui, ma visto che è da tanto che non aggiorno ho pensato di fare un’eccezione.
Tashigi è tremendamente OOC, lo so, ma la storia della nonna era così divertente che ho preferito non toglierla. Quindi perdonatemi T_T
Scusate se ci ho meso tanto, ma davvero non sapevo più che scrivere. .-.
Poi dovrei lavorare anche per le altre... vedrò comunque di aggiornare appena posso.
Prima che mi dimentichi: l’angolino delle domande non ha racimolato molto, ma non posso permettermi di far aspettare di più, no? C:


Da cola23 (grazie per le domande!! >.<)

1. Come hai inventato il personaggio di Koala?
Chiediamoglielo a lei, no? Koaaaaaala!
Koala:
Pulire...
No, qui Koala!! A cuccia! Bene, Koala. Ora rispondi alla domanda.
Koala:
Ma che ne so, io?
Rispondi!
Koala:
Allora, Vale2910 dice sempre che io sono nata perché ha visto gli ultimi capitoli del manga e ha sempre pensato che io ero una vera cretina, e poi perché dice sempre che nella storia manca Rufy, e quindi io sarei, sempre come dice lei la “subdola sostituta” ^^
Brava, Koala! Ok, domanda 2

2. Cosa ti ha dato l’ispirazione per questa storia?
Allora, tutto risale qualche anno fa quando ho visto l’ennesimo film insopportabile dove Lui era un uomo bellissimo, e Lei pure bellissima. Allora ho pensato: perché non fare questa cosa che odio anche in One Piece? E quindi ecco Lui, il più agognato di tutto il manga, e Lei, seconda in bellezza solo a Boa Hancock. Naturalmente ho voluto modificare un po’ questa caratteristica, ma l’idea base era questa C:

3. Alla fine Ace e Nami si metteranno insieme?
Bah, se si decidono a non sbavare uno dietro l’altro... -.-‘’

4. Koala è una mia impressione ho diventa più scema ad ogni capitolo?  
Koala:Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! :D

5. Fra le pizze di cui hai parlato qual è la più buona?
Quella al montone e crema di carciofi, ovviamente U.U
*Koala porta la mano alla bocca e se ne scappa in bagno*
Se ne ho mai assaggiato una di quelle vere? Solo quella alla fonduta, e devo ammettere che è da mangiare :Q__________________


Grazie mille, cola!!
E ora ringrazio:

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Grazie mille anche per tutti quelli che hanno recensito!!!! ^^

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Capitolo 15
*** Sviluppi in vista ***



«Finalmente!» esclamò Ace, arrivando nel porto giusto.
Nei suoi pensieri era stata fissata l’immagine di una panchina dove potersi sedere e godere il meritato riposo.
Ma un altro ricordo lo costrinse a cambiare piani.
«Dove sono finite Nami e Koala?» si chiese, guardandosi attorno.
Non trovandole subito, Pugno di Fuoco cominciò a girovagare alla loro ricerca.

«Nami... !». La bionda frenò la sua corsa di scatto, esclamando il nome della navigatrice.
«Koala, che stai facendo? Abbiamo due della Marina che potrebbero catturarci da un momento all’altro e tu ti fermi?».
«Ma... non mi sono fermata!» rispose lei, facendo rimanere perplessa la navigatrice «Non volontariamente, almeno!».
Ancora più stranita, la rossa abbassò lo sguardo sulle caviglie di Koala: erano avvolte da fili bianchi e vaporosi come le nuvole, ma spessi e a quanto pareva abbastanza resistenti da immobilizzare qualcuno.
“Avremmo fatto meglio ad essere più veloci” pensò la ventenne, mandando lo sguardo oltre la spalla di Koala e  incontrando quello freddo e duro del commodoro Smoker.

Se prima era certo di essere stanco, e di avere solo il briciolo di forze necessario per poter respirare, ora era sicuro di aver perso anche quello.
Ace trovò una di quelle panchine tanto invitanti che desiderava vedere da quando era arrivato, e si lasciò cadere su questa. Dire che faceva caldo era troppo poco, non si stimava tanto nemmeno per le conseguente dell’effetto serra.  
«Mi ssscusssi?».
Pugno di Fuoco si voltò.
«Ssssaprebbe dirmi dove sssi trova l’altro porto?».
Il moro rimase incredulo: a parlare era stato un uomo ispanico, alto e smilzo, dai capelli mori e un accenno di pizzetto.
Era l’individuo che aveva giurato di aver visto nel primo porto, dall’altra parte della città. Il pirata ricordò che l’uomo in questione aveva la “r” moscia, ma ora parlava correttamente.
«Allora? Mi risssssponda!»
Fatta eccezione per la “s” sibilata come quella di una serpe.
Il ventiduenne, un po’ confuso, rispose: «Da quella strada, poi sempre dritto».
No, iniziare a discutere inutilmente non era la cosa da fare al momento.
«Ne è ssssicuro?»
«Si»
«Al cento percento?»
«Le ripeto di si». “Ma perché è così insistente?” Si domandò Pugno di Fuoco.
«Non è che poi vado a finire dall’altra parte della città?»
«Mi pare ovvio:» disse Ace «il porto è dall’altra parte della citt-».
Il pirata percepì qualcosa che veniva sfilato dalla tasca. Non appena si voltò, si trovò davanti lo stesso uomo con cui stava parlando poco fa; o con qualcuno che gli assomigliava come la pecora Dolly all’altra Dolly.
«Vedo che sei rrrriuscito a rrraggiungerrre il porrrto, amico».
Non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi, che già il moro di prima si era messo a correre con i soldi di Ace, inseguito dal compare.
«A mai più rrrivederrrci!» esclamò quest’ultimo.
Il pirata rimase impassibile mentre vedeva i due ladri allontanarsi e infiltrarsi nella stradina che attraversava tutta la città da un porto all’altro.
Un sorrisetto sghembo apparve sulle labbra del ventenne: «Non hanno idea di chi hanno a che fare...».

«Voi sareste Nami, la Gatta Ladra...» disse Smoker, posando lo sguardo sulla ragazza «e Koala, una cameriera di un locale a Full Shout?»
La bionda fece l’occhiolino: «Prezzi modici e ottima accoglienza!».
«Koala, mi pare sia il momento meno adatto per fare pubblicità».
«Mia cara Nami, un po’ di Business ci vuole!» fece la bionda, mentre veniva ammanettata da Tashigi «Altrimenti chi altri ci fa  propaganda?».
Nami sbatté il palmo della mano contro la faccia: «E’ proprio un’idiota».

Ace teneva stretto il pugno infuocato, sotto gli occhi stupiti e spaventati dei due ladri .
«T-Ti prrrego,» sussurrò l’ispanico «infondo, è colpa sua! E’ lui che ti voleva frrregare perrr prrrimo, sai?»
«Mia?» mormorò l’altro «ma ssse sssei sssstato tu a prendergli il denaro dalle tassssche! E poi non è vero che volevo derubarlo!».
Pugno di Fuoco interruppe il loro continuo addossare la colpa all’altro: «Ma voi chi siete?».
«Sssiamo i gemelli Ramonez,  ladri di mestiere».
«Questo l’avevo capito»  continuò il pirata.
«Sperrro che non te la prrrenda trrroppo perrr quei soldi,» attaccò quello con la “r” moscia «dopotutto, sei anche inseguito dalla Marrrina, ti ho visto mentrrre te ne scappavi! Quindi, si sa, frrra colleghi ci si dovrrrebbe darrre una mano, dico bene?».
L’espressione di Ace non tranquillizzò per niente i due malviventi.
«Fra colleghi ci si dovrebbe aiutare, ma non credo che questa regola valga fra di noi, visto che mi avete appena derubato. E poi... colleghi? Io sono un pirata, voi due ladruncoli. Non vedo perché non dovrei riprendere i miei soldi e darvi una bela lezione»
Mentre Ace si avvicinava, i due strinsero le spalle più che poterono. Se fossero stati cani, avrebbero messo la coda fra le gambe da un bel pezzo.
«Infine...»
 Strinsero le palpebre, attendendo quello che nemmeno loro sapevano cosa potesse essere.
 E poi tutto accadde: il rumore dei battiti sulla strada che si andavano affievolendo e un urlo da ragazzina da parte dei due gemelli.
Poi niente.
I ladri schiusero gli occhi.
«Grrrran bell’acuto!» schernì uno.
L’altro invece rimase zitto, domandandosi perché quell’uomo li avesse spaventati senza motivo. Poi frugò fra le sue tasche: «Tsk! Ssssi è ripressso i sssuoi sssoldi. E non ce ne sssiamo nemmeno accorti».
«Ti parrreva...»
«E ora chi glielo dice al bossss?»
«Io no di cerrrto!»
«E allora diamoci una mosssa e vediamo se posssssiamo dissscutere pacificamente con quel tipo»
«Poco fa stava perrr ammazzarci e tu vorrresti parrrrlarci pacificamente?»
«Giusta osservazione».
I due si voltarono, e non poco spaventati: «Sei tornato!?».
Ace fece le spallucce: «Mi sono ricordato che volevo sapere se avevate visto due rag...»
I gemelli Ramonez se la diedero a gambe levate.
«...azze» Concluse la frase Pugno di Fuoco. «Non ricordavo di essere così spaventoso, quando volevo».

«Patetico, davvero» si disse fra sé e sé Nami.
La scenetta di Koala avvinghiata alla caviglia del Cacciatore Bianco, e quest’ultimo che provava (invano) a scalciarla era, come aveva appena detto, una cosa patetica.
Da quando poi si era immischiata goffamente Tashigi, era diventata una cosa comica.
E lei era costretta a rimanere impassibile e con le caviglie bloccate dal fumo sorbendosi quello spettacolino.
«LARRRGO!»
“Eh?”. La rossa, perplessa, si voltò.
Un uomo che correva la superò a gran velocità, colpendole la spalla.
«Levati dai piedi!» urlò. Era moro, ispanico, alto e smilzo. E per la Gatta Ladra aveva anche un chè di familiare, ma non ne riusciva a capire il motivo.
«Prima impara a chiedere scusa, bifolco!»
Un attimo dopo la navigatrice venne nuovamente spinta da qualcuno che correva a gran velocità.
«Hey!»
«Opsss! Mi ssscusssi bella sssignorina!».
Nami scosse le testa vedendo la stessa scena di prima, con l’uomo di prima, solo in versione gentile e garbata.  
«G-Grazie... » fu tutto quello che riuscì a dire.
Si sentì colpire una terza volta.
«Eh, no! Adesso bast-» Ace le tappò la bocca prima che potesse alzare troppo la voce.
Lo sguardo di entrambi cadde immediatamente sul commodoro e sulla guardiamarina: ancora intenti a liberare la caviglia da Koala, non avevano notato nulla. Anche perché stavano dando le spalle.
«Nasconditi!» sussurrò la rossa a Pugno di Fuoco.
Il moro trovò subito un mucchio di casse affiancate al muro di una casa, e si accucciò lì dietro mantenendo gli occhi ben aperti sui due marinai.
Aspettarono ancora qualche istante prima che la cameriera si staccasse.
«Bene,» mormorò l’albino «Direi che ora possiamo tornare alla nave, ma prima... »
Si avvicinò alla Gatta Ladra, ma lei mantenne lo sguardo basso.
«Tashigi ha detto di aver visto Pugno di Fuoco da queste parti, ne sapete niente voi due?»
«Ma come? Ora la marina da anche la caccia ai fantasmi?».
Ace ridacchiò dietro le casse: Nami era davvero un’ottima bugiarda.
Smoker si rivolse verso la guardiamarina: «Credo che il  tuo sia stato un abbaglio»
«Signore, sono molto dispiaciuta»
«Di nulla: abbiamo avuto comunque fortuna a trovare... queste due»
Quella che aveva appena fatto riflettere al commodoro era una cosa che si chiamava “giustizia morale”. Se ne avete sentito parlare, saprete che è quel tipo di giustizia dove i veri criminali non sono quelli che navigano sotto la bandiera col teschio, ma coloro  che fanno qualcosa di sbagliato alle altre persone.
E Koala non era né una criminale, né una donna che navigava sotto la bandiera nera.
Ma dannate regole imponevano di arrestare anche chi avesse solo fatto una chiacchierata amichevole con qualche pirata.
Quindi, non c’era altro da fare che arrestare entrambe.
Smoker dunque mise le manette anche a Nami, le liberò le caviglie dal fumo e prendendola per un braccio cominciò a portarla verso il porto, imitato da Tashigi che teneva Koala.
Finché non sentì un indice tamburellargli dietro la schiena.
Si voltò.
«Sorpresa!»
Ace tirò il suo Pugno di Fuoco al commodoro, e distratto l’albino lasciò la presa sulla rossa.
Koala ne approfittò per dare una testata a Tashigi e farle perdere i sensi.
«E quello da dove lo hai imparato?» domandò la Gatta Ladra, appena caricata sulle spalle del pirata.
«Ho un amico che mi ha insegnato un paio di trucchetti» esclamò la bionda.
Ace cominciò a correre verso il molo dove si trovava la loro imbarcazione, seguito a ruota dalla bionda.
«E tu?» continuò Nami «Cosa ti è saltato in mente? Che fine fa la tua idea riguardo il rimanere morto agli occhi del mondo?».
«Sai,» le disse il moro «dalle mie parti ho imparato che non si deve mai e poi mai lasciare un compagno in difficoltà. Da questo dovresti anche riconoscere il modo di comportarsi di mio fratello».
La rossa rimase interdetta da quella risposta. «Riconosco te» bisbigliò infine, con la voce troppo bassa per essere sentita da qualcuno.

«Tashigi!»
La mora si rialzò di scatto, ansimando come se si fosse risvegliata da un incubo: non poteva credere di essere stata messa K.O. così velocemente.
Guardò in faccia l’uomo accanto a lei: «Signor Smoker, da quanto sono svenuta?».
Lui attese qualche istante: «Direi, poco più di qualche minuto».
«E secondo lei, se corriamo velocemente, riusciremmo a raggiungerli?».
Il commodoro rimase stupito dalla continua costanza della sua subordinata, anche se non lo diede a vedere.
«Dovremo essere molto, molto veloci, Tashigi».
Misero davvero tutta l’energia che avevano in corpo in quella corsa per raggiungere il porto. Ma quando arrivarono, non c’erano coloro che stavano cercando.
Le uniche cose rimaste erano qualche marinaio che girovagava qui e là per la strada, due o tre navi merci già partite e una serie di imbarcazioni vuote lungo la riva.
La spadaccina, sconfortata, cominciò a retrocedere seguendo il superiore.

Ma proprio su una delle navi merci già partite, tre testoline di cui una gialla, una nera e una arancione semi affacciate dalla balaustra erano rimaste a guardare i marines finché non se ne andarono definitivamente.
Alla fine i rispettivi proprietari si lasciarono cadere sul pavimento legnoso del ponte e cominciarono a ridere, scaricando la tensione.
«Emh,» mormorò la bionda «non vorrei rovinare il lieto fine, ma queste come le togliamo?» e indicò le manette ai suoi polsi e a quelli della navigatrice.
«Non ti preoccupare,» fece Nami «basta trovare qualche ladruncolo da quattro soldi che sabbia scassinare un lucchetto ed è fatta!».
Proprio in quel momento Ace si ricordò di una certa coppia di gemelli che poteva fare al caso loro, prima che rammentasse anche di un’altra cosa.
«Già che siamo in vena di discutere su probabili complicazioni,» fece lui «avete già un’idea su come scendere da questa nave?».
Le due ragazze sbarrarono gli occhi.

«Avanti: entrrra e affrrronta il boss da uomo!» esclamò il moro.
«Io? Perché io? Gliel’ho detto l’ultima volta che è andata male, e non ci tengo a fare il bisss!» gli rispose l’altro.
Si trovavano entrambi davanti alla porta del retro di un locale, e ora i gemelli litigavano per chi dovesse entrare e subire l’ira funesta del loro capo, e per chi invece potesse scappare e fregarsene del fratello in difficoltà.
«Si, ma io sono molto più vecchio di te! Quindi merrrito rrrispetto»
«Più vecchio sssolo  di quindici minuti, mio caro fratello. E poi io sono quello più intelligente: prova tu a rispettare la cultura per primo!».
D’un tratto la porta sbatté sonoramente, lasciando intravedere la figura di un uomo sull’uscio.
«Il capo aspettava vostre notizie» mormorò un quarantenne dalla classica corporatura del buttafuori e una cintura che teneva attaccata a mo’ di spada una mazza ferrata.
I due fratelli si guardarono in faccia.
«Il boss ha detto qualcosa su chi dei due vorrrebbe vederre?»
L’uomo scosse la testa: «Si!»
«Ah, bene. E chi?»
«Entrambi».
Il moro con la “s” moscia sospirò, l’altro invece cadde in ginocchio straziato.
Entrarono in un corridoio buio come la pece, dalle pareti coperte di mattoni che con quell’oscurità sembravano assumere un colore blu come la notte (NdA Tipo Impel Down).
Giunsero in una stanza più grande, stavolta non buia perché illuminata da delle lampade ad olio. Non c’erano finestre, di conseguenza anche l’odore di chiuso regnava sovrano.
Seduto sullo schienale di  una poltrona contro il muro, vi era un uomo dai capelli corti biondi , dei caratteristici occhialini da sole e  un fisico abbastanza muscoloso (NdA Traduzione: il classico fisico da urlo di cui è dotato il 99% dei personaggi di One Piece).
«Fufufufu, quelle facce non promettono nulla di buono».
Il fatto che il loro capo se la rideva nonostante non fosse una cosa positiva, aggiungeva un chè di sadico e inquietante al suo profilo.
«Non siete riusciti a rubare niente? E’ la terza volta in un  mese! Non starete perdendo colpi? Fufufu!»
«Ma, boss...» mormorò uno dei due «SIAMO rrriusciti a rrrubarrrre, ma il tipo in questione errrra molto più forrrte di noi e si è rrrriprrrreso la rrroba!».
Il biondo ghignò, e di sicuro non era un bene per i Ramonez. Poi fece un cenno all’uomo alle loro spalle, lo stesso che aveva aperto la porta, e questo afferrò la mazza ferrata che teneva legata alla cintura.
«No! Asssspetta!» esclamò il moro. «Guarda che era un individuo davvero molto forte! Pensssa che è riusssssscito a infuocare la sua mano sssenza che sssi bruciassssse!»
«Fermati» esordì il capo, facendo prendere un sospiro di sollievo ai gemelli.
“Peccato...” pensò il quarantenne “... era da tanto che non picchiavo qualcuno”.
«Cosa hai detto?»
«Che è riusssssscito a infuocare la sua mano sssenza che sssi bruciassssse!» ripetè il moro.
Il biondo fece un altro dei suoi sorrisetti sadici: «Descrivetemelo».
«Allorrrra, errra alto...»
«... circa uno e ottanta-ottantacinque»
«Più o meno doveva averrrre vent’anni, o forrrse più»
«Moro»
«Aveva le lentiggini»
«Aveva detto di esssssere un pirata, mi pare»
«E faceva paurrrra».
L’altro gli rivolse un’occhiataccia.
«Che c’è? E’ verrrrro!»
Il capo cominciò a sogghignare a mezza voce, attirando gli sguardi indiscreti di tutti i subordinati lì presenti con lui.
«Fufufufu, ho un nuovo incarico per voi, Ramonez:»
I gemelli tesero le orecchie.
«Per stasera, dovrete portarmelo qui».



Mi odiate, vero?
E non dite il contrario: anch’io mi odierei per essermi fatta odiare dopo un sacco di tempo che non aggiorno.
Certo, magari sarei più comprensiva sul fatto di odiarmi per essermi fatta odiare. Forse proprio perché se fossi più comprensiva sul fatto di odiarmi per essermi fatta odiare mi odierei di meno...
Chiaro, no? xD

Scherzi a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Solo qualche annotazione:
1. Gemelli Ramonez: in realtà nella fanfic non sarebbero dovuti esserci. O meglio si, c’erano, ma nella veste di un personaggio scherzo di un criminale a caso (forse messicano o portoghese, da qui il cognome Ramonez) e un bambino che doveva far parte di una coppia di fratelli e che doveva... questo non lo dico sennò diventa spoiler :P
2. NON CI SARANNO PIU’ PERSONAGGI ORIGINALI (fatta eccezione per uno, che però in realtà se ne è già accennato. No, non è il famoso boss). Mi sono accorta che in questa storia sto lavorando un po’ troppo con la fantasia, quindi cercherò di utilizzare persone che già esistono e i personaggi che ho già inventato sino a questo capitolo senza aggiungerne altri.

Vedrò di aggiornare presto (si signori: è solo una falsa speranza), nel frattempo godetevi questo pezzettino!

E ora...
*rullo di tamburi*
... Angolo delle domande!
*scoppia un “no” prolungato in risposta da tutti i personaggi della fanfic*.
Ma come no? Forza e coraggio e ringraziamo cola!

Perchè Tagishi non ha mai pensato di mettersi le lenti a contatto?
Tashigi: Hai mai provato a metterti le lenti a contatto? Fanno malissimo! E poi ti possono cadere da un momento all’altro, e riprenderle da per terra non è semplice come  per gli occhiali...

Smoker, quante volte al giorno pensa di affogare la sua assistente?
*Smoker si mette a contare sulle dita*
Smoker: Diciamo una decina di...
*Tashigi lo fulmina con uno sguardo assassino stile film horror e una musichetta tipo Psico* *
Smoker: *trattenendosi* Perché dovrei voler fare una cosa del genere?

E cosa lo trattiene ogni volta?
*Il commodoro si guarda a destra e a sinistra*
Smoker: Ho i miei motivi, ma non dirò oltre...

A Tagishi è mai capitato di entrare nel bagno degli uomini quando non aveva gli occhiali?
Tashigi:
 Si... l’ammetto: purtroppo è accaduto! Non puoi immaginare che imbarazzo!
*Si mette a disegnare cerchietti per terra raggomitolandosi in se stessa. Nel frattempo, arriva Smoker*
Smoker: Secondo me, l’ha fatto apposta... pervertita.

Ace che è sempre sicuro di se non si dichiara a Nami perchè le fa paura e teme che potrebbe voler comandare anche nel mezzo di un rapporto più "intimo"?
Val2910:
A dire il vero, no. Ma se ti è mai capitato di avere una cotta per una persona che ti ritiene solo un’amica, saprai che Ace non si vuole dichiarare perché non vuole che Nami si “allontani” da lui.
Comunque, direi che per Ace in rapporto intimo sarebbe pareggio, non sconfitta (e non dico vittoria perché Nami è Nami u.u)
E Nami non ha considerato che se lo seduce sarà più facile manovrarlo?
Nami: Sedurre lui è un impresa... al massimo faccio qualche giochino per togliermi lo sfizio di dargli un bacio (vedesi “Controllo febbre” xD). Ah, mi raccomando: non dirlo a Ace. Ne vale del mio orgoglio.
Val2910: Tu avresti un orgoglio? Tu, che te ne vai a rubare quando i proprietari della refurtiva stanno combattendo contro i tuoi nakama?
Nami: L’orgoglio dei ladri è diverso U.u
Val2910: Ah...

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Capitolo 16
*** Nuovi (poveri ed ingenui) compagni ***


I due gemelli Ramonez, ora buttati sulle panchine del porto, ansimavano pesantemente a causa della tensione accumulata.
«C’è mancato poco!» esclamò il primo.
«Ma è ssstrano: il bossss non è mai ssstato clemente con nessssuno. E chi potrebbe mai innteresssarlo a tal punto da non torturarci?».
Una bella domanda, la quale meritava una bella risposta. Ma nessuno dei due ebbe il tempo di formularne una, perché sentirono qualcosa di strano sulla spalla: una morsa.
Li percosse un po’. Era dura, stretta e... umida?
Si voltarono all’unisono.
«AAAAAAAAAAAAAAAAAARG! Ancora tu?»
«Avanti,» disse Ace «non vi starò mica così antipatico...»
«HAI CERRRCATO DI UCCIDERRRRRCI!»i.
«Però non l’ho fatto» si giustificò il pirata.
I due lo guardarono in malo modo: «cosa vuoi da noi?».
«Sapete scassinare?»
«Eh?»
«Lucchetti, serrature... sapete come si aprono senza una chiave o no?»
Ancora una volta i gemelli si sentirono confusi. «Dipende... che tipo di lucchetto è?».
Da dietro le spalle del ventiduenne comparve Nami, che mostrò a loro le manette.
«Ma tu guarda! La bella sssignorina!»
Nami lo scrutò attentamente: «Tu sei quello, che fra i due che mi hanno spinto, era quello cortese ed educato?»
«Pensssso proprio di sssi»
«Adesso so a chi la devo far pagare...»
Cinque minuti dopo, Nami e Koala non avevano più le manette. In compenso, il Ramonez con la “r” moscia aveva un bellissimo bernoccolo stile “Tom e Jerry” sulla testa.
Koala ringraziò: «Molte grazie!»
«Di nulla, sssignorina»
«Molto bene,» fece la rossa «visto che voi due siete delle brave persone,»
Pugno di Fuoco fece finta di tossire, ma nessuno ci fece caso.
«potreste darci qualche indicazione? Stiamo cercando un locale che appartiene ad un certo Corvo. Voi ne sapete qualcosa?»
I due si guardarono in faccia.
«Mi creda, sssignorina: le uniche cosssse che appartengono ai corvi da quessste parti sono i nidi».
«Siete proprio sicuri di non sapere niente?» domandò la bionda «Nella mia isola lo conoscono tutti!»
«Potete dirrrci com’è fatto?»
«E’ brutto e cattivo!» fu la breve spiegazione di Koala.
Ace e Nami la guardarono con una gocciolina di sudore freddo che scendeva dalla fronte.
«Ohi, frrratello! E’ o non è la descrizione del boss?».
I Ramonez scoppiarono a ridere, senza che gli altri tre ne capissero il motivo.
 «Ok,» fece quello più grande, ripresosi dall’attacco di risate  «potrrreste dirrrci qualche dettaglio in più?»
Ace ci pensò un po’: «Trent’anni, capelli neri, mantello scuro e bastone da passeggio. Non saprei dire altro».
«Mhhh,» fecero i due.
«No, non lo conosssciamo» rispose il secondo moro «ma conosssciamo chi potrebbe conossscerlo!».
 «Davvero?»
«Si. E’ un tizio che si trrrova in un locale qua vicino. Solo che rrriceve per appuntamento, per intenderrrci».
Koala si morse il labbro: «E voi potete fare qualcosa?».
«Forrrrse, forrrse...»
«Aspetta un attimo!» ribattè Nami «mettiamo caso che riusciamo ad ottenere questo appuntamento: chi ci dice che potremo fidarci di voi?».
Ace rivolse loro un ghigno divertito: «Non ci prenderanno in giro, vero?»
I Ramonez si sentirono raggelare: «A-Assolutamente vero!»
Nulla di più persuasivo di Ace...

Era tardo pomeriggio, il sole cominciava ad arrossarsi e il cielo a scurirsi.
Nell’atrio dell’albergo, aldilà del bancone, si trovava solo un uomo che aspettava clienti.
Clienti... che di solito arrivavano solo nella stagione turistica, ancora lontana.
Quindi decise di far passare il tempo con un’occupazione oramai molto frequente: si accasciò sul bancone e cominciò a dormire.
A strapparlo dalle braccia di Morfeo fu una presa bagnata sulla spalla che lo percosse un po’.
L’uomo sbarrò gli occhi e si trovò davanti una bella donna grondante d’acqua e dai lunghi capelli rossi, un’espressione arrabbiata e la sua mano sulla spalla che continuava a scuoterlo.
«Una doppia e una singola, per favore».
L’alberghiere scosse la testa e consegnò le chiavi, osservando un uomo e una donna dietro di lei nelle stesse condizioni. «Se posso permettermi, perché siete fradici?».
«Diciamo che abbiamo preso la nave sbagliata, e l’unico modo per tornare a riva era una bella nuotata» Ace ghignò sotto i baffi «almeno l’acqua non era tanto fredda».
«Io l’ho trovato rigenerante!» esclamò la ventitreenne.
Il trio quindi cominciò a dirigersi verso il corridoio dove c’erano le camere.
«Fermi tutti!»
I ragazzi si voltarono nello stesso momento verso l’alberghiere.
«I documenti?»
Ace andò verso il bancone e consegnò un mazzo di banconote.
Sul viso dell’uomo regnò un’espressione interdetta, poi sfoggiò un sorriso ed esclamò: «Benvenuto nel “Quattro passi”, signor Smith!»
Pugno di Fuoco sorrise di rimando e tornò dalle ragazze.
«Quelle risalgono al colpo dell’Arcipelago del Sole?» chiese Nami.
«Si, perché?»
«Perché quella che ha rischiato di più sono stata io, quindi anche la tua parte spetta a me e quindi mi devi la mazzetta che hai usato poco fa».
Ace ridacchiò e le fece la linguaccia: «Sei troppo avara!»
«Io?» fece la rossa «Io non sono avara!»
«Ovviamente...» continuò lui in modo sarcastico.
«No, sul serio! Sono solo un’amante –forse un po’ accanita- del denaro!»
Salirono il secondo piano, e giunsero alle rispettive camere, l’una accanto all’altra.
La stanza con due letti era anche quella più grande, il che faceva già pensare che per parlare sarebbero andati tutti lì. Era anche l’unica fornita di scrivania e sedia.
«Allora,» richiamò l’attenzione Nami «I gemelli hanno detto che entro stasera ci avrebbero dato notizie, quindi fino ad allora cerchiamo di riposare...» poi diede un’occhiata ai suoi vestiti e a quelli di Ace e di Koala «... e di asciugarci».
Detto ciò, entrò nella sua camera e si buttò, sfinita, sul morbido letto.

Quattro ore dopo:
Ace aprì gli occhi, stanco. Non ricordava perché si trovasse sdraiato, finché una parola non gli passò per la mente: narcolessia.
Fece forza sulle braccia per rimettersi in piedi, quando con i polpastrelli delle dita non sentì la superficie dura e liscia del pavimento, ma qualcosa di soffice  e ruvido.
«Credevo di essere caduto per terra, non sul letto...».
«Ti ho messo io lì sopra, con l’aiuto di Koala».
Il moro si girò portando gli occhi sulla navigatrice seduta alla scrivania, di spalle, occupata a scrivere qualcosa.
«Ah, grazie» fece infine «Ma Koala dov’è? Non la vedo»
«Hai presente quella sua mania di pulire che aveva a Full Shout?»
«Si»
«Ecco, diciamo che per lo stesso motivo non lascerà tanto facilmente la tua camera».
Il moro, curioso di sapere cosa Nami stesse scrivendo, si avvicinò silenziosamente alle sue spalle.
Rimase sbalordito.
«Perfetta».
«Che?» domandò Nami.
«E’ perfetta» e indicò la cartina che stava disegnando la ventenne. Ogni dettaglio relativo all’altitudine, al tipo di paesaggio, i nomi delle città e dei paesini più piccoli erano tutti riportati in quel foglio.
«E’ la tua»
«La... mia?» disse Ace inarcando un sopracciglio.
«E’ la carta che ti devo per avermi portato con te, ricordi?».
«Un patto!»
Il pirata alzò lo sguardo.
«Dammi un periodo di tempo. Dici che il mondo è crudele con tutti? Ti dimostrerò il contrario. Ma devi darmi del tempo. Se ci riesco, tu incontri tuo fratello!»
Ace la guardò negli occhi.
Di solito era lui il “fuoco”, ma stranamente riusciva a sentire in quella ragazza una scintilla pronta a diventare un vero e proprio incendio.
«Se riesci a convincermi, io incontro mio fratello. Ma se riesco a non farmi convincere, io che ci guadagno?»
«Ah, ora vuoi anche un premio?»
«Perché no? Mi spetterebbe!»
La rossa ci pensò su, poi prese un foglietto dalla borsa a tracolla.
«Che roba è? Una mappa?» chiese il pirata.
«Non una mappa qualsiasi! Questa contiene quasi tutta la metà del mondo dietro la linea rossa e un pezzo di Nuovo Mondo, utile sia per terra che per mare. E se proprio non ti serve, basta che la vendi al mercato nero e otterrai un mucchio di Berry!»

Se ne era quasi dimenticato.
Accanto alla carta, c’era un atlante aperto alla pagina che la rossa ricopiava.
«E quello dove lo hai preso?»
«Che domande... L’ho comprato!»
Ace a quella risposta la guardò storto.
«Che c’è?» chiese Nami ridacchiando «L’atlante l’ho comprato davvero! E’ la carta, la penna e l’inchiostro che sono “presi in prestito”!».
«Capisco...» mormorò Ace. Volse lo sguardo alla finestra: «Si è già fatto buio?»
«Hai dormito per molto tempo. Forse eri più stanco del solito, o semplicemente perché...» Nami s’ammutolì d’un tratto.
Il pirata aveva girato la sedia, e ora si trovava a faccia a faccia con la rossa.
«Quali strumenti si usano per capire qual è la propria posizione geografica?»
La navigatrice rimase imperterrita: «Scusi signora maestra... ma non ho avuto tempo di studiare la teoria».
«La signora maestra ora ti farà ripassare un po’ di cosette» detto questo, Pugno di Fuoco tirò verso di se la mano di lei e la fece alzare.
«Ace, devo ancora finire la cartina!» esclamò opponendo resistenza.
«Finire? A me sembrava completa»
«Mancano un mucchio di cose, per ora è solo a metà»
«Allora la voglio a metà!» fece il moro.
«Stai scherzando?»
«Per niente! Me ne basta metà, ma tu ora vieni con me!».
«Venire dove? Mi vuoi buttare dalla finestra?»
Oltre ogni aspettativa, il moro si diresse verso la finestra e la aprì.
«Ace, guarda che stavo scherzando...» disse preoccupata la Gatta Ladra.
«Davvero?» chiese Pugno di Fuoco, mettendosi in braccio la ragazza. «Io invece no»
E si buttò dalla finestra.
«ACEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!».
Atterrò in ginocchio, in un vicolo cieco buio e stretto.
«Ecco fatto,» disse il moro «siamo già a metà strada!».
Nami tremava come una foglia e stringeva con entrambe le braccia il collo di Ace, cercando di rimanere aggrappata a lui. Faceva troppo buio per dirlo, ma il pirata giurò che la ragazza fosse pallida.
«T-te la farò p-pagare!» mormorò lei «C-cinquemila B-Berry per ogni o-ora di tremolio!».
«Mi farò perdonare in tempo» sussurrò il ragazzo, lasciando che si mettesse in piedi.
«E ora dove andiamo?» continuò Nami riacquistando un po’ di calma.
Ace si guardò in giro per poi avvicinarsi al muro dove c’erano delle casse appoggiate. Salì su queste e fece scivolare giù una scaletta di ferro da un balconcino.
«Dobbiamo salire sulla scaletta antincendio?» domandò la navigatrice.
«Per la precisione, dobbiamo salire sul terrazzo».
«Sul terrazzo?»
«Già» Portuguese piantò per terra le gambe della scaletta, per poi spostarsi: «Prima le signore».
La rossa sbruffò e lo precedette.
Dopo essere arrivata in cima alla scalinata, Nami poté vedere il terrazzo cinto da ringhiere di ferro arrugginite e una distesa di asfalto che colpiva l’occhio.
«Tutta questa meraviglia non la vedo...» mormorò lei, impassibile.
«Aspetta, e vedrai come cambierai idea!»
«Non credo proprio»
Quando anche Ace la raggiunse le ripropose la domanda di prima: «Quali strumenti si usano per capire qual è la propria posizione geografica?»
«E non potevo risponderti nella camera?»
«Rispondi e basta»
«Vediamo: cartine, bussole, forse il sole, poi basta»
«Ti sbagli invece: ne manca ancora uno»
Nami ci pensò su: «Mmh, non mi viene in mente nulla»
Ace sorrise: uno di quei sorrisi sinceri che solo lui era capace di fare, forse perché trovava un motivo per farlo. Talmente sincero da riuscire a sciogliere il cuore di una ragazza come se fosse cioccolato...
“No, scusa, ma da dove cavolo sono andata a prendere questi pensieri?” meditò Nami, cercando di non far sembrare al ventiduenne di avere un gran conflitto interiore della serie Pazzi&Schizzati (&smielati, in questo caso).
Pugno di Fuoco sfiorò con l’indice il mento di lei, per poi farle sollevare la testa all’indietro, sempre delicatamente.
«Le stelle!» gli rispose solo a quel punto.
Il telo blu notte del cielo era costellato da un manto di puntini splendenti e luminosi.
«E’ fantastico!»
«Lo so» bisbigliò Ace «uno spettacolo imperdibile».
Una cosa che Nami non seppe mai, era che Ace non si stava riferendo alle stelle in quel momento.

«Pulire...».
Molto probabilmente, se il pomello della porta avesse avuto le corde vocali, avrebbe gridato a squarciagola qualcosa del tipo: “Vi prego, fatela smettere!”.
Più che lucidarlo, Koala lo stava consumando con la pezza e la pomata.
E stava usando la pomata anziché il detersivo, perché il pomello aveva una strana macchia blu. E con le esperienze passate con un certo tipo di macchie blu chiamate “lividi”, Koala aveva capito che l’unico modo per toglierle era usare quell’oggetto mitico e facente parte della più elevata forma di tecnologia per le pulizie: la pomata.
«Pulire...» continuò lei mantenendo il sorriso impassibile tipico degli ebeti, torturando ancora per molto il povero pomello.
Questo finché qualcuno dall’altra parte della porta non l’aprì, colpendo in piena faccia la bionda.
E dando un po’ di meritato riposo al pomello.
La bionda scosse la testa e si rimise in piedi: «Ah, ma siete voi due!».
I Ramonez salutarono a modo loro: quello con la “s” moscia sorrise e fece un cenno con la mano, quello con la “r” moscia, invece, batté il cinque.
«Se aspettiamo ancorrra un po’ sarrrremo in rrrritarrrrrdo. Dove sono gli altrrrri due?»
Koala spalancò gli occhioni ingenui e molto simili a quelli di una  bambina, per poi dare una semplice e sincera risposta: «Boh!».
Uno voleva sbattere la mano sulla faccia, ma l’altro voleva sbattere la faccia al muro.
«Ssssai almeno che ssse arriviamo in ritardo, risssschieremo di non riuscire mai a vedere Il Corvo?».
La ventitreenne annuì: «Si, certo!».
E solo allora i Ramonez ebbero la prova certa della deficienza e della stupidità di Koala.

«Ci romperemo un braccio».
«No, non ce lo romperemo, Nami».
«Allora una gamba, sempre se non cadiamo di testa e non finiamo con una bella commozione celebrale».
«Da dove viene tutto questo pessimismo?»
«Beh...» la rossa si strinse poco di più ad Ace «se mi finisce male, posso farti causa».
«Certe volte mi chiedo se queste trovate ti vengono spontanee o se te le prepari»
«Sicuro di volerlo scoprire?»
Il moro, dopo una scalata che sembrava interminabile per raggiungere la finestra della sua camera d’albergo, ci pensò su: «Forse no».
«Meglio così» rispose la navigatrice sorridendo.
Non appena entrò nella stanza, Ace si gettò a terra a pancia in giù, e Nami che era attaccata alle sue spalle con lui.
La ventenne si alzò: «Non è il momento di dormire questo!»
«Dai,» sussurrò l’altro «mi sono fatto un’intera arrampicata con te alle spalle, e non si può di certo dire che tu sia una piuma...».
La stanza si riempì di un’aura negativa con tanto di nuvolette nere pronte a fare tempesta, e spiritelli maligni.
«... Nami?» mormorò il pirata, rigirandosi.
«Tu, Portuguese D. Ace,» lo interruppe la navigatrice «stai forse insinuando che io sia grassa?».
No, Pugno di Fuoco a stento credeva che lei se la potesse prendere per una cavolata del genere.
Anche se la tempesta e gli spiritelli maligni dicevano il contrario.
Abbassò lo sguardo sui fianchi di lei, sottilissimi.
“Ma come le viene in mente un’idea del genere?” pensò. “Con quel fisico, poi. Al massimo, se c’è qualcosa che è fuori misura si tratta di...”
E a quel punto alzò lo sguardo di un po’.
«Che stai fissando?»
Ace tornò alla realtà: «Io? Niente».
Le nuvolette nere in procinto di tempesta raddoppiarono, mentre gli spiritelli assunsero un’aria ancor più spaventosa.
«... Nami?»
«Di’ le tue ultime parole»
«Ma che diavolo... ?!»
Ace e Nami si voltarono contemporaneamente verso la porta, dalla quale erano sbucati Koala e i Ramonez.
Quello con la “s” moscia si fece avanti: «Sssse abbiamo interrotto qualcossssa, posssiamo sssempre andare...».
L’altro invece fece l’ok con la mano come per dire: “Stai andando benone”.
I due pirati si guardarono in faccia scandalizzati.
«Che?» esclamò Ace.
«Ma che avete capito?»
«Anche se fosse, non potrebbe funzionare...»
«Infatti non è, e basta!»
«Come vi vengono in mente certe idee?»
«Richiedo duecentomila Berry di risarcimento per danni morali!»
«Come vengono a TE certe idee?»
«La tenevo in serbo per un’occasione particolare»
«Allora è vero che te le scrivi da qualche parte!»
«A volte si, a volte no... diciamo che dipende»
«Ssssscusssate,»
I pirati si voltarono di nuovo verso la porta.
«Avete finito, o possssiamo andare?».

Capitolo più corto, ma scritto di sicuro più velocemente C:
Le stelle... che cosa romantica, dolce, tenera, SMIELATA E SDOLCINATA! Puah!
Perché certe genialate che mi vengono all’età di dodici anni (perché si, la Ace X Nami la vedevo sin dall’infanzia) le mantengo intatte??
Mentre risolvo questo dilemma, ho una domandina quiz per voi:
-Quali sono le caratteristiche che differenziano i due Ramonez?
Secondo me ci arrivate, in caso contrario ve la svelerò io C;

E ora il QC!! (Fatto solo da Cola - grazie, tesoro. Hey, ragazze, guardate che l’angolo delle domande è per tutti! Fatevi sotto, per l’amor del cielo!)
1) Cos'è esattamente che piace a Ace di Nami? Sia fisicamente sia caratterialmente.
Credo sia la tostaggine... poi se si mette conto delle esperienze passate in comune, anche il modo di pensare su certi argomenti. Fisicamente, non credo ci sia bisogno di palarne.
2) Lei è il suo tipo abituale o è un eccezione a i suoi normali gusti?
E io che ne so?? xD
Seriamente, non ne ho la più pallida idea!
3) C'è invece qualcosa che vorrebbe cambiarle?
Guarda, dubito che ci sia qualcosa che voglia cambiarle. Forse la mania di colpirlo nel sonno... o quella di chiedere soldi... ma che altro rende Nami diversa dal resto del mondo? (oltre alla settima di seno, intendo U.u)
4) Ace si è mai innamorato davvero prima di conoscere Nami ? O lei è il suo primo amore? Ed è per questo che sembra così imbranato con lei?
Ma l’hai visto Ace? Un tipo così le ragazze se lo mangiano con gli occhi, e una non si dovrebbe mai essere fatta avanti?? xD
E’ Nami che ha l’influenza che lo rende imbranato!! Guarda Zoro: così duro, freddo, tenebroso, misterioso, DIO, QUANTO E’ BOOOONO! Ah, no, aspetta, parlavamo di Ace. Dicevo, Nami lo ha ridotto a qualcosa che sembra vada oltre l’imbranato!!
5) Stesse domande anche per Nami
1 E’ un gran figo. Punto.
2 Stessa risposta
3 La narcolessia. Sempre che non se ne voglia approfittare. Cosa molto probabile, conoscendola...
4 Secondo me ha avuto solo cotte, considerando che quando era con zio Arly non si poteva permettere distrazioni e che quando ne è uscita è finita con i Mugiwara.
Con chi poteva mettersi a quel punto? Con Usop?? O con Brook? Si, a fargli vedere tutto il giorno il colore delle mutandine...
Forse con Zoro. Anzi si, Zoro ci sta. O meglio, do per scontato che Zoro sia più che perfetto per stare con...
*Val, frena. Stai facendo uscire il tuo lato interiore da ZoNamista in una fanfic AceX Nami. Un po’ di contegno!*

6) Ma Nami è innamorata davvero o cerca solo un avventura in Ace? Perchè se è evidente che lui ormai è cotto lei invece è troppo ambigua... non si capisce bene.
Il bello delle sorie romantiche è questo: s’innamorano entrambi solo alla fine.
7) Prima o poi fra loro si vedrà un bacio o qualcosa di più spinto? Speriamo!
Allora vediamo... diciamo che ebhidy ctw3iy crqb3c5        298OYX9 B RO8BQAXO Perdono, mi ero scordata di disattivare la censura spoiler -.-‘’.

Ci si vede alla prossima!! Ciaoooooo!! C;

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