L'ultima battaglia

di emychan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Merlin (Regrets) ***
Capitolo 2: *** Profezia ***
Capitolo 3: *** Una notte ***
Capitolo 4: *** Resta con me ***
Capitolo 5: *** Camlann ***



Capitolo 1
*** Merlin (Regrets) ***


Disclaimers: I personaggi appartengono alla BBC e agli aventi diritto, la storia non ha        
                      scopo di lucro.

Eccola qui come promesso!!!
Questo è il seguito di Regrets e il prequel di Ripetizioni d'amore!
Il primo capitolo è perfettamente parallelo a Regrets!xD

La storia si è anche classificata terza al contest "Tropes & Clichés" indetto da Sisya-chan sul forum di Efp!!!
I prompt che avevo scelto erano future fic, break-up e Heartbroken!xDD
Grazie a Yu_Kanda per il banner stupendo!!!

Spero che la storia vi piaccia, fatemelo sapere in tanti!!!xDD


L’ultima battaglia.


Prologo


Per molto tempo Merlin non provò assolutamente nulla. Si rifiutò di provare qualsiasi cosa.
E cosa avrebbe dovuto provare comunque? Dolore? Delusione? Tristezza? Forse rabbia, per il facile modo in cui era stato messo da parte? Scegliere anche uno solo di questi sentimenti, avrebbe significato dire addio ad Arthur. Accettare che il principe per cui avrebbe dato la vita, non sarebbe mai tornato sui suoi passi. Che non l’avrebbe mai perdonato.
E questo, era impensabile.
L'unica cosa che per ora lo teneva sano, era il pensiero che un giorno, anche se non sapeva quando, l'erede di Camelot sarebbe andato a cercarlo.
Non per arrestarlo o giustiziarlo, come accadeva costantemente nei suoi incubi, ma per chiedergli perdono. Per dirgli che, nonostante tutto, i loro sentimenti valevano più di ogni cosa.
Più delle bugie.
Più della rabbia.
Più della legge.

«Sei uno stregone?»
«Arthur, aspetta... lasciami...»
«Cosa? Spiegare? Non c'è proprio niente da spiegare. Tu mi hai mentito.»

Merlin aveva immaginato spesso come sarebbe accaduto. Cosa si sarebbero detti.
Non era tanto stupido o ingenuo da credere che il suo segreto sarebbe rimasto tale per sempre.
Non era così crudele da pensare di non potersi fidare abbastanza di Arthur, da non voler essere completamente sincero con lui.
Soprattutto visto ciò che condividevano da mesi.
L'amore, i baci, le carezze. Le promesse scambiate davanti al fuoco del camino.
Il mago sapeva che la verità l'avrebbe ferito. Che scoprire la rete di menzogne nella quale viveva senza saperlo, avrebbe danneggiato, forse in modo irreparabile, il loro rapporto.
Ogni giorno che passava, riusciva quasi a percepire la ferita che l’inevitabile scoperta avrebbe provocato. Il suo farsi sempre più profonda. Più dolorosa. Più mortale.
Ma ogni giorno che passava, confessare diventava più difficile. Impossibile.
Ci aveva provato. Infinite volte.
Aveva preparato discorsi, innocui incantesimi da mostrargli, storie di come gli aveva salvato la vita con la magia.
Aveva immaginato eroiche gesta e sacrifici, nobili giuramenti di eterna fedeltà.
Aveva immaginato di inginocchiarsi davanti al suo principe, alla sua mercé. Di porgergli la spada e dimostragli la sua totale fedeltà.
Alla fine, non era mai riuscito a confessare nulla.
Alla fine non ne aveva avuto il coraggio.
E il destino lo aveva privato per sempre dell'occasione di farlo.
Non era andata come aveva previsto. Certo, si era aspettato le grida, il dolore, la rabbia, forse qualche notte in prigione, ma alla fine, era convinto che il principe l’avrebbe perdonato, che lo avrebbe accettato per ciò che era.
Perchè quando ci si ama, il perdono è inevitabile, giusto?
Forse non tra loro, forse aveva semplicemente sopravvalutato il sentimento che sembrava legarli. Forse, nella sua ingenuità, aveva dato troppo peso agli sguardi, ai tocchi, ai sussurri condivisi nella notte.
Stupido. Che stupido era stato.
Arthur Pendragon era fedele a Camelot prima di qualunque cosa.
Fedele a suo padre prima di chiunque.
E Merlin aveva tradito entrambi col suo semplice esistere.
Arthur non l'avrebbe mai perdonato.
Non l'avrebbe mai cercato, né rivoluto accanto a sè.
Non l’avrebbe mai accettato, figuriamoci amato. Ridicolo. E il fatto che ci fosse voluto così poco per dividerli, per distruggere il loro destino, gli aveva creato un vuoto infinito nel petto, un dolore tale da essere incapace di pensare a qualsiasi altra cosa.

«Dovrei ucciderti.»
«Perfavore Arthur.»
«Non osare pronunciare il mio nome, non hai più quel diritto. Non l'avrai mai più.»

L'aveva sentito spezzarsi in quella stanza, il loro legame.
Quando gli occhi di Athur si erano fatti freddi e velenosi come mai li aveva visti. Quando dal suo semplice incrociare le braccia sul petto, Merlin aveva intuito come il suo cuore fosse diventato inaccessibile. Almeno per lui.
Quando la maschera del nobile cavaliere aveva nascosto il dolore e la sofferenza che lui aveva inflitto.
Il mai più di Arthur era risuonato in modo così finale tra le pareti e nella sua mente, che per un attimo Merlin aveva perso perfino la forza di reggersi in piedi.
Aveva provato a farlo ragionare, a farlo riflettere. A farlo ascoltare, solo per un attimo.
Prima che ogni cosa si infrangesse e andasse perduta.
Ma Arthur non era mai stato paziente. Né pronto ad ascoltare.
I suoi umori e la sua rabbia incandescente erano sempre stati simili al temperamento di Uther sebbene durassero meno di un temporale estivo.
Se non altro, non progettava di giustiziarlo e questo qualcosa significava, giusto?
Ancora si chiedeva se non fosse stata solo pietà per le persone che lo amavano, Gaius, Gwen, Gwaine. Loro, forse, avrebbero cercato di salvarlo da una condanna a morte.

«Ma io ti amo, questo non cambia niente.»
«Non posso amare ciò che sei Merlin, non posso e non voglio. Adesso vattene o chiamerò le
guardie.»

Era stata la fine della conversazione, di ogni conversazione.
Lo intuiva dalle spalle tese di Arthur. Dai suoi occhi stranamente lucidi ed incandescenti.
Dalle mani strette a pugno e tremanti sul tavolo.
Il principe gli aveva detto addio.
Lo aveva bandito.
Non solo dalle sue terre. Ma dalla sua stessa vita.
E lo aveva fatto ferendolo nel modo più brutale.
Lui, che per la sua magia era sempre stato trattato come fuori posto, come anormale.
Lui, che si era nascosto per metà della sua esistenza, fingendo di essere ciò che non era.
Per lui quelle parole erano un colpo mortale. E anche se non aveva mai avuto occasione di dirlo a voce aperta, per quanto si ripetesse che non era voluto, che era una coincidenza, sapeva che Arthur aveva cercato di ferirlo. Di vendicarsi. E ci era riuscito alla perfezione.
Forse anche meglio di quanto credesse.
Aveva cominciato a piangere allora, non lo ricordava.
Ma ricordava la sensazione del suo cuore in frantumi. Il suono distorto della sua voce quando aveva detto addio.
Il rumore dei suoi passi mentre correva lungo i corridoi con gli occhi appannati e il sangue che gli ruggiva nelle orecchie.
Nonostante la sua promessa, non era andato lontano.
Nella vana speranza che Arthur ci ripensasse.
Nella stupida convinzione che il loro destino fosse troppo forte per una cosa simile.

Si era nascosto nelle foreste ripetendosi che, presto o tardi, il principe sarebbe andato a prenderlo dandogli dell’idiota e lamentandosi di come non ubbidisse mai agli ordini veri, ma si intestardisse a seguire le sue parole quando era ovvio che non dovesse farlo.
Dopo i primi due mesi, il mago aveva cominciato a non esserne più così certo. Ma, nonostante l'ovvia caduta dalla grazia del suo principe, il pensiero di andarsene dove non avrebbe più potuto vederlo nemmeno da lontano, quando si aggirava per le foreste coi suoi cavalieri, pattugliando i confini o cacciando lepri e conigli, era troppo doloroso.
Così usava la sua magia per sopravvivere nei boschi. Per nascondersi da occhi indiscreti.
Per cacciare quando aveva fame e accendere un fuoco quando aveva freddo.
Perso in un limbo in cui, presto, anche il passare dei giorni perse significato.
In cui la sua vita precedente non sembrava altro che un sogno distante.
A chiedersi che ne fosse stato degli altri. Erano preoccupati per lui? Sapevano della bugia, del segreto che si era portato dentro? Lo avevano abbandonato come aveva fatto Arthur?
Almeno Gaius avrebbe chiesto di lui? Cosa gli avrebbe detto il principe?
Avrebbe rivelato di averlo bandito per la sua magia? O avrebbe inventato qualche triste e vaga scusa per la sua improvvisa scomparsa? Forse avrebbe raccontato a tutti che era morto.
E lui era troppo spaventato, troppo vigliacco per avvicinarsi abbastanza da essere visto, da essere riconosciuto.
Non era il pensiero di essere giustiziato. Certo, c’era anche quello.
Per tutte le sue belle parole o i suoi eroici pensieri, essere bruciato vivo era un pensiero spaventoso. Ma la paura che fosse lo stesso Arthur ad ordinarlo, di essere tradito nel modo più crudele, lo terrorizzava più di tutto il resto.
Come risultato, non sapeva nulla di Camelot o di cosa vi accadesse.
Quando era scappato, il re era stanco e debilitato. Il tradimento di Morgana l’aveva colpito dove neppure Gaius poteva curarlo.
Nella città bassa si mormorava già della salita al trono del nuovo re. E, anche se non lo diceva apertamente, Arthur non si sentiva ancora pronto a quel ruolo.
Col passare dell’inverno, quando la foresta ricominciò a farsi più calda e i fiori a sbocciare,
quando il rumore della vita riprese tutto intorno a lui, Merlin fu stufo di aspettare nel silenzio.
Cominciò a spingersi oltre il confine, in qualche taverna, alla ricerca di notizie.
Non che ce ne fossero molte.
Le voci di corte rimanevano tra le mura del castello. Difficilmente ne uscivano. E con ancora maggiore difficoltà, giungevano nei villaggi lontani.
Si diceva che Uther Pendragon fosse gravemente malato, ma nessuno era certo di cosa avesse.
Tutti però, sembravano concordi nel dire che non gli rimaneva ancora molto da vivere.
Seduto da solo al suo tavolo, Merlin stringeva il calice di sidro tra i palmi sudati e pensava ad Arthur. Chiedendosi come stesse. Cosa provasse. Pensava a Merlin? Ne sentiva la mancanza?
Le notizie che racimolava a stento lo lasciavano in ansia, Arthur non desiderava essere re e Uther... il pensiero che stesse per morire sembrava così assurdo.
Aveva sempre immaginato che sarebbe caduto in guerra, sotto la spada di un nemico troppo potente, in una guerra disperata. Non sotto l'assalto di una comune malattia.
Non per il dolore. Certamente non per amore.
A quanto sembrava, neppure il famigerato Uther Pendragon era immune alle ferite del cuore. E come diceva sempre sua madre, erano spesso queste le più mortali.
Anche Merlin lo aveva imparato a sue spese. E, forse, anche lo stesso Arthur.
Di volta in volta, sentiva parlare di battaglie eroiche, dell'onore dei cavalieri di Camelot, di come il principe fosse impegnato lungo i confini a difendere il suo regno dagli invasori.
Merlin sentiva il panico ogni volta che lo scopriva lontano dalla salvezza delle mura di palazzo.
Sentiva il desiderio di seguirlo, di proteggerlo.
A volte, quando il bisogno di vederlo diventava troppo forte, si spingeva oltre gli alberi della foresta, là dove sapeva avvenire uno scontro.
Abbastanza vicino da vederlo, ma non abbastanza da essere visto.
Gli bastava uno sguardo per riconoscere il rosso del mantello di Arthur tra tutti gli altri.
La sua spada sembrava brillare più di tutte le altre.
E anche se il mago odiava la guerra e la morte che essa portava, non poteva fare a meno di ammirare la vista del suo principe, del suo re, vittorioso sul campo di battaglia.
Se il pensiero che il drago avesse mentito, che in realtà Camelot non avesse mai avuto alcun bisogno di lui o della sua magia, a volte lo tormentava fino a togliergli il sonno, Merlin cercava con tutte le sue forze di ignorarlo.
Era un pensiero meschino in fondo. Ingiusto.
Sperare che Arthur avesse bisogno di lui, soffrire perchè la vita del regno e dei suoi abitanti andava avanti come se nulla fosse mentre il mago continuava a rivivere la stessa notte, era da vigliacchi. E lui non lo era mai stato. Non voleva esserlo.

Mesi dopo, scoprì della romantica storia d'amore tra il principe e una serva.
Nessuno bisbigliava i veri nomi, ma tutti dicevano di averlo saputo da qualcuno, che conosceva qualcuno, che era imparentato a qualcuno che lavorava a corte.
Qualcuno che li aveva visti baciarsi in un’alcova di palazzo.
Non c'era bisogno di fare alcun nome per sapere di chi parlassero, c'era una sola ragazza tanto vicina ad Arthur da conquistarne gli affetti.
Qualcuno giurava di non aver mai visto l'erede di Camelot così felice. Così radioso.
Era stata l'ultima volta in cui si era avvicinato ad una taverna.
Preferiva restarsene solo tra gli alberi, a studiare le erbe e a cercare di riconoscerle, piuttosto che sopportare oltre quelle storie. Di certo poteva fare a meno dei sordidi dettagli.
La sua mente era come una trappola dolorosa in cui le immagini si facevano talmente nitide da farlo quasi vomitare.
La cosa peggiore era sapere di non avere alcun diritto di sentirsi in collera o tradito.
Arthur lo aveva cacciato. Lo aveva lasciato.
E Gwen non sapeva nulla. Non poteva neppure immaginare cosa c’era stato tra loro.
Nessuno dei due gli doveva niente. Eppure il pensiero di saperli insieme lo distruggeva.
Aveva sempre saputo che Arthur prima o poi avrebbe trovato una regina.
Era necessario, inevitabile.
Un re aveva bisogno di un erede. Il popolo ne aveva bisogno. Perciò Merlin si era ripromesso fin dall’inizio di rispettare le necessità di Arthur. Di accettare di condividerlo, seppur per breve tempo.
La regina che si era immaginato, però, era molto diversa da Gwen. Era una nobile straniera.
Una donna bella quanto velenosa. Simile a Vivian forse. Dalla voce pungente e il carattere irritante. Troppo occupata a curarsi di se stessa per essere una minaccia all'affetto di Arthur.
Il re l'avrebbe sposata per dovere, non certo per amore.
Avrebbe avuto l'erede richiesto, ma mai più di quello.
Il suo cuore, la sua stessa anima, quelle sarebbero appartenute per sempre al mago.
Da custodire come il più sacro dei tesori.
Chiaramente il fato aveva altre idee.
E adesso a lui non rimaneva più nulla, né la speranza, né i sogni.
Perchè Arthur era andato avanti senza di lui.
Aveva trovato un modo per riparare il suo cuore e donarlo a qualcun altro e, nel farlo, aveva distrutto completamente quello di Merlin.

Nonostante tutto, il mago continuò a restare a Camelot, sebbene non sapesse neppure lui perchè.
A volte immaginava di tornare da sua madre, ma il pensiero di raccontarle ogni cosa, di lasciar andare i suoi pensieri e mostrarle la ferita che si portava dietro da più di un anno, lo faceva rabbrividire.
Sapeva che si sarebbe sentita in colpa per tutto.
Per averlo costretto a partire.
Per averlo mandato alla ricerca di una strada, di un luogo a cui appartenere.
Non era colpa sua. Niente di ciò che era accaduto.
Non era colpa di sua madre se aveva scelto di distruggere il solo posto che amava e aveva perso la sua strada.
Avrebbe potuto rifarsi una vita.
Magari in un regno dove la magia fosse ben accetta.
Sapeva di regni più a nord, dove maghi come lui erano tenuti in grande considerazione a corte. Ma anche quello era solo un bel sogno.
La verità era che non voleva una nuova vita, rivoleva la sua vita.
Una vita che non c'era più, ma dalla quale non riusciva, non poteva, staccarsi neppure volendo. Una vita che continuava a tormentarlo ogni volta che chiudeva gli occhi.

Infine, giunse il giorno tanto atteso.
Ed era triste definirlo così sebbene non ci fosse altro modo di chiamarlo.
Fu con una sorta di amara delusione che Merlin si avvicinò, per la prima volta in due inverni, alle mura di Camelot.
Aveva pensato a lungo ai pericoli che correva, ma la folla era troppo grande e i soldati troppo pochi perchè qualcuno lo riconoscesse.
E Arthur aveva altro a cui pensare, altro di cui preoccuparsi. Forse non lo ricordava neppure.
Così, mentre la folla festeggiava il nuovo re e le campane suonavano a festa, Merlin rimase in disparte, in un angolo buio della piazza, col volto coperto dal mantello e gli occhi puntanti sul volto del nuovo re.
Un re addolorato dalla perdita dell'unico genitore che avesse mai conosciuto.
Chissà, si chiese con un briciolo di amarezza, se Gwen gli avrebbe portato il conforto necessario. Avrebbe visto ciò che gli altri si rifiutavano di riconoscere?
Avrebbe accettato la parte più nascosta e vulnerabile di Arthur, quella che nessuno vedeva mai? Sperava di sì, anche se il pensiero di perdere quel privilegio, lo feriva profondamente.
Quella notte Merlin pianse tutte le lacrime che il nuovo re non poteva versare.
Pianse per il destino perduto. Per l’amore perso e per l’amicizia tradita.
Pianse per se stesso e per Arthur, chiedendosi cosa avrebbe fatto ora che la sua vita era definitivamente separata da quella del principe... del re.
La solitudine e il dolore, stranamente, non gli erano mai pesate tanto come da quel momento.
Ogni giorno sentiva che presto sarebbe impazzito se non parlava con qualcuno.
Ogni notte sognava di trovarsi a Camelot, tra le braccia e nel letto di Arthur.
Sognava la sua voce che lo chiamava e lo pregava di tornare indietro.
A volte, gli sembrava di sentirlo perfino da sveglio.
Sapeva che era impossibile. Arthur non aveva più bisogno di lui.
E glielo aveva dimostrato con tutta la crudeltà di cui solo un Pendragon era capace.
Con la freddezza e la rabbia di un uomo tradito.
Nonostante tutto, il mago non rimpiangeva di averlo conosciuto, né di averlo amato.
Neppure per un istante.

Fu proprio nel momento più buio della sua disperazione, quando ormai aveva perso ogni speranza che, come per miracolo, Taliesin comparve nella sua vita.
Merlin lo ricordava a malapena.
L'antico stregone, il famoso profeta vissuto più di trecento anni prima.
L'unico in grado di utilizzare la grotta di cristallo.
Ricordava vagamente le parole cariche di ammirazione di Gaius quando gli aveva raccontato la sua breve avventura nella valle dei re caduti. Quando aveva perso Arthur, anche se solo per pochi attimi.
«E' giunto il momento, Emrys.»
All'inizio, Merlin pensò di essere finalmente impazzito.
Si era accampato accanto al lago negli ultimi giorni, pregando in cuor suo di poter rivedere Freya e, forse, poterle chiedere consiglio.
Stanco di rimanere solo. Stanco di non avere nessuno con cui parlare.
Ovviamente non era successo. Merlin non ne era stupito, raramente le cose andavano come voleva.
Taliesin era comparso come dal nulla, avvolto nel suo mantello sgualcito, col volto solcato dalle linee di una vecchiaia impossibile per ogni uomo, trascinandosi dietro il suo bastone di legno e fissandolo con l'indulgenza di chi ha avuto molto tempo per imparare la pazienza.
E forse aveva letto i suoi pensieri o forse aveva capito quanto Merlin fosse incredulo, poichè si era limitato a sedersi davanti al fuoco, fissandolo in silenzio.
Attendendo che il mago decidesse se fidarsi o meno dei suoi stessi occhi.
«Ti ricordi di me?» gli chiese con voce bassa e pacata. Come se parlasse ad un vecchio amico.
«Siete il veggente, quello della grotta» ribatté Merlin, fissandolo con avidità.
Conscio di come quella fosse per lui la prima vera conversazione in molto, troppo tempo.
Sorrise allora e attorno agli anziani occhi neri si formarono mille piccole rughe e Merlin avrebbe voluto abbracciarlo per rassicurarsi che fosse davvero lì, vivo e reale.
«Il momento di cosa?»
«Di conoscere i tuoi poteri, Emrys. Per il futuro e per te
«I miei poteri? Ma ormai io...» non servo più avrebbe voluto dire. Ma il pensiero suonava così patetico perfino nella sua mente, che si rifiutava di dargli voce.
«Il tuo destino, Emrys, è solo all'inizio. Accadranno cose orrende. Se non saprai affrontarle, Camelot cadrà con il suo re.»
Nonostante ogni cosa accaduta tra loro, il solo saperlo in pericolo, risvegliò Merlin come da un lungo torpore «Ditemi cosa avete visto» gli chiese improvvisamente in ansia.
Taliesin sorrise di nuovo, conscio di aver colpito nel punto giusto «Posso fare di meglio, posso mostrartelo. Vieni con me Emrys. La grotta è impaziente. E prima di ogni cosa, devi imparare ad usarla.»
«Arthur non vorrà il mio aiuto» mormorò il mago distogliendo gli occhi, sentendo un'amara stretta al petto nel pronunciare dopo tanto tempo quel nome.
«Ci sono molte strade per realizzare un destino, Emrys. Tu dovresti capirlo meglio di chiunque altro » gli rispose Taliesin riportandolo a tanti anni prima, quando col cuore pieno di speranza, era arrivato in una nuova grande città.
Quando, sotto ad un castello sconosciuto, aveva trovato una creatura magnifica mai vista prima e aveva creduto in un destino magico e grandioso.
Il ricordo lo fece sorridere con nostalgia.
«Mi ricordate qualcuno conosciuto molto tempo fa» mormorò estinguendo il fuoco con un gesto della mano.
Per la prima volta in tanto tempo, sentì di nuovo nascere la speranza.
Sentì di nuovo che qualcosa sarebbe cambiato, che qualcosa di importante sarebbe dipeso da lui e quel pensiero, sembrò riscaldare ogni angolo della sua anima «Alla grotta allora?» chiese quasi eccitato alla prospettiva di imparare, di fare qualcosa.
In tutta risposta Taliesin sorrise tendendogli la mano.

TBC

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Capitolo 2
*** Profezia ***


C'è un piccolo spoiler, davvero minimo, all'inizio. In fondo Taliesin l'ho tratto dall'episodio 3x05! xD

1. Profezia.


La grotta di cristalli.
La prima volta che vi aveva fatto ingresso, guidato da Taliesin, Merlin era stato diffidente, quasi spaventato da ciò che vi avrebbe visto.
La mente gli era tornata al dolore e alla confusione provati guardando nel cristallo di Neahtid e a tutte le conseguenze di quel gesto irresponsabile.
Il futuro era un peso troppo grande da portare, preferiva scoprirlo giorno per giorno, affrontarne le difficoltà man mano che si presentavano. Ma Taliesin aveva salvato la vita di Arthur e in cambio gli aveva solo chiesto di guardare, perciò lo aveva fatto.
Era stato doloroso. Ancora una volta aveva visto qualcosa che non riusciva a spiegarsi e, quando aveva cercato di impedire che si avverasse, il risultato era stato tragico.
Anche adesso le cose non erano diverse.
L'anziano stregone l'aveva trovato pochi mesi prima, ai bordi del lago in cui una volta aveva detto addio alla sua Freya. La notte in cui Arthur era finalmente diventato re.
In cui il loro destino si era compiuto senza l'aiuto della magia e soprattutto... senza Merlin.
La delusione, il dolore, l'amarezza per ciò che aveva perduto, avevano rischiato di distruggerlo da dentro.
Senza una casa, senza uno scopo, Merlin era stato perso e confuso.
La cosa peggiore era sapere che Arthur lo aveva scordato, dimenticato.
Senza un secondo sguardo. Senza un secondo pensiero. Senza neppure parlargli un'ultima volta.
Nell'abisso di autocommiserazione nella quale era precipitato, Taliesin aveva rappresentato la sua speranza, la sua ancora di salvezza.
Grazie a lui aveva trovato un nuovo scopo e, sebbene non credesse affatto nella sua visione o nell'essere indispensabile per il futuro di Camelot, adesso l'assenza di Arthur era un po' meno dolorosa.
E se di notte la loro ultima discussione continuava a perseguitarlo come un incubo da cui non riusciva a svegliarsi, di giorno il mago cercava di fuggire dai suoi pensieri. Di fuggire dal passato, seguendo in silenzio gli insegnamenti del veggente.
Passava le giornate a meditare, a concentrarsi su libri e rotoli dell'antica religione o sdraiato all'interno della grotta. Sulla roccia fredda e umida intento a contemplare i cristalli.
Fila e fila di bianche stalattiti tutte uguali, tutte intrise di una magia così potente da mettere a rischio la sua stessa mente.
Secondo Taliesin ognuno di essi custodiva un segreto e, un giorno, Emrys li avrebbe conosciuti tutti.
Merlin non ne era affatto convinto, ma non voleva contraddirlo apertamente.
Quasi per la paura che l'anziano si accorgesse di aver sbagliato e decidesse di abbandonarlo... anche lui.
Non voleva deluderlo. E non voleva restare di nuovo solo.
Perciò si limitava a fare ciò che gli chiedeva e sperava in silenzio che fosse sufficiente.
«Concentrati Emrys» gli arrivò la voce dello stregone riscuotendolo dai suoi pensieri.
Il druido si era seduto all'entrata della grotta, il bastone abbandonato sul pavimento al suo fianco e una tazza di qualche bevanda calda tra le mani.
Negli ultimi mesi non aveva fatto altro che tenerlo chiuso lì dentro per ore infinite.
La mente bombardata da immagini senza alcun apparente filo logico, il corpo incapace di sopportare quel carico di magia. Più di una volta era svenuto a causa delle vertigini,risvegliandosi con terribili mal di testa e le forze prosciugate per giorni.
Al contrario di ciò che affermava lo stregone, il passare del tempo non l'aiutava affatto, anzi. Sembrava quasi che la grotta si accanisse contro di lui perché non si arrendeva.
Iniziava a disperare di poterla davvero controllare.
«Devi solo concentrarti di più. Devi essere tu a guidare i cristalli, non il contrario. Costringili a mostrarti ciò che vuoi vedere.»
La voce gli arrivava distante, come in una specie di sogno.
Stava perdendo di nuovo le forze.
Le immagini continuavano ad essere distorte, vaghe.
Sprazzi del passato... sua madre, col volto molto più giovane di quanto lo ricordasse, il sorriso sereno e gli occhi pieni d'amore mentre guardava un Balinor altrettanto giovane, ma col volto già segnato dalla preoccupazione.
Volti che non conosceva, persone che aveva visto solo di sfuggita.         
L'immagine di Ygraine seduta sul trono di Camelot, con le mani sul grembo tondeggiante e un sorriso sognante dipinto in volto. Stupita e felice per il miracolo del bambino che, per natura, non avrebbe potuto far nascere. Per la vita della quale ancora, non conosceva il prezzo. Dietro di lei, col volto arrogante e identico a come sarebbe stato vent'anni dopo, stava Nimueh. Le labbra rosso sangue e gli occhi privi d'anima. Era difficile capire come Uther si fosse potuto fidare di un sorriso tanto crudele e falso.
«Devi prendere il controllo Emrys o cercheranno di farti impazzire» tornò a rimproverarlo la voce di Taliesin. Alta e severa, come accadeva ogni volta che perdeva la concentrazione.
Che perdeva se stesso nel mare infinito dei cristalli.
Ci stanno già riuscendo... avrebbe voluto rispondergli, ma la testa gli doleva troppo e aveva la gola troppo secca per costringersi a parlare.
«Mostragli ciò che vuoi vedere» gli ordinò ancora in tono perentorio.
Merlin duplicò i suoi sforzi, concentrandosi sul soffitto tanto che gli occhi presero a bruciargli e i contorni dei cristalli si fusero in un'unica marea bianca.
Il futuro, pensò furiosamente, mostrami il futuro.
Come sempre, la grotta sembrò trattenere il fiato, pronta a resistere alla sua magia, ma poi... accadde qualcosa di diverso.
Uno strappo, un lieve tremore sotto le sue mani premute a terra e fu come se la roccia stessa sospirasse. Si arrendesse.
Le immagini si distorsero davanti ai suoi occhi. Nella sua mente.
Dapprima in colori sfocati, indistinguibili, come se le immagini stesse non sapessero cosa fare, finchè, a poco a poco, Camelot prese vita di fronte ai suoi occhi.
Ma non era la sua Camelot.
Non era la città maestosa dei suoi ricordi. Era una città distrutta e arsa dalle fiamme.
Morte e desolazione strisciavano per le strade una volta affollate di voci e risa.
Un esercito di soldati dai mantelli neri falciava vite come fossero grano, indomabile, inarrestabile.
Merlin si sentì soffocare dall’angoscia.
Com'era possibile? Dov'era il re? Dov'erano i cavalieri? Dov'era Arhur?
Le immagini vibrarono e si fermarono, un’esitazione durante la quale Merlin credette di aver rovinato tutto e poi, l'immagine cambiò di nuovo.
Una distesa d’erba rigogliosa... una pianura? Un lungo fiume dall’acqua trasparente.
Non ricordava di aver mai visto un luogo simile.
Due eserciti erano schierati ai lati del campo di battaglia.
Il rosso di Camelot e il verde di un regno che non conosceva.
Chi?
Il viso di un ragazzo a comando delle truppe. Un viso familiare, giovane. Dagli occhi verdi, ma freddi, carichi d'odio. Conosceva quegli occhi. Conosceva quello sguardo.
Era…
Sei pronto Emrys?
Mordred. Era Mordred.
Il ragazzo sorrise passando lo sguardo sulle truppe nemiche, convinto di aver già vinto.
Merlin tremò «Tu devi far si che il bambino muoia»
La profezia del drago, le parole che tanta indecisione gli avevano provocato in passato, adesso tornavano a tormentarlo.
Era colpa sua
.
Arthur, dov'era Arthur? Perché non riusciva a vederlo? Era già troppo tardi?
La sua scelta di salvare un bambino innocente era stata davvero così sbagliata?
Il mago tremò. Colpa sua.
«Calmati Emrys. Devi imparare a guardare con distacco o la profezia sarà influenzata dalle tue emozioni.»
Merlin voleva gridargli di fare silenzio.  
Non capiva la gravità di ciò che vedeva? Non capiva cosa stava accadendo?
E Arthur… era rimasto a corte? Difendeva la cittadella? Impossibile.
Arthur non era tipo da restarsene nascosto tra le mura di palazzo. Doveva essere lì, da qualche parte. Sapeva il rischio che correva? Sapeva cosa stava affrontando?
Contro Mordred le spade non sarebbero servite a nulla.
Il bisogno di sapere, di vedere, di assicurarsi che Arthur fosse salvo, quasi gli strappò un singhiozzo.
Lentamente, finalmente, le immagini mutarono di nuovo.
Una fresca ondata di vertigini e nausea quasi lo costrinse a chiudere gli occhi, a perdere i sensi, ma Merlin strinse i denti costringendosi a resistere.
Doveva vedere. Doveva sapere.
E alla fine, il viso tanto familiare, prese forma.
Il volto che aveva cercato di non immaginare per tanto tempo, prese vita davanti a lui e sembrava così reale, così vicino da farlo quasi piangere.
Arthur protetto da un’armatura che non sarebbe mai stata sufficiente di fronte alla magia del suo nemico, in sella al suo migliore destriero nero, roteava la spada sui nemici come un dio intoccabile.
Il calore, l’affetto, l’amore incondizionato che provò a quella vista, lo colsero del tutto impreparato. Così forti da sembrargli addirittura accresciuti.
Era possibile amare così tanto una persona? Adorarla al punto di star male solo nel vederla?
Il cavallo nitrì ferito, il suo corpo maestoso si piegò sulle zampe anteriori, prima di cadere sull’erba.
Il re rotolò a terra e si rialzò, aveva perduto l’elmo e i capelli erano più lunghi di come li ricordava. Si guardò attorno, gli occhi spalancati in cerca del nemico e fece roteare la spada tra le mani in un gesto familiare.
Davanti agli occhi spaventati di Merlin, Mordred lo vide e affondò la spada nel suo avversario, lasciandolo cadere a terra senza degnarlo di un secondo sguardo.
Gli occhi dei due nemici si osservarono da distante. Sfidandosi.
Arthur sorrise e puntò la lama verso il druido. Convinto di vincere. Sicuro della sua forza.
Disposto a morire pur di trionfare.
Le spade vibrarono nell'aria e tutto attorno a loro sembrò fermarsi. Come se esistessero solo loro due in mezzo al campo di battaglia, come se tutti gli altri fossero semplicemente svaniti.
Fendente dopo fendente, affondo contro affondo, Merlin trattenne il fiato col cuore in gola.
Quasi gli parve di sentire il sinistro suono di carne lacerata quando Excalibur trapassò il petto di Mordred. Quasi si lasciò sfuggire un grido di gioia nel vederlo cadere, ma Mordred non era sorpreso, né spaventato. Non era vinto. Era… soddisfatto.
E davanti agli occhi inorriditi di Merlin, Arthur cadde a terra col suo nemico, la spada affondata nel suo addome, la bocca macchiata di sangue.
Il mago spalancò la bocca, ma non uscì alcun suono.
Gli occhi azzurri del re fissarono il cielo senza vederlo.
Le sue labbra insanguinate mormorarono qualcosa prima di fermarsi.
Prima che la vita le abbandonasse per sempre.
E allora Merlin gridò e la bile gli bruciò la gola.
Gridò e gridò incapace di ascoltare la voce di Taliesin. Incapace di fermarsi, incapace di controllarsi.
Gridò finché la grotta intorno a lui prese a tremare e tutto si fece buio.

«Bevi un sorso di questo prima di parlare.»
Taliesin gli chiuse le dita intorno al ruvido legno di una coppa ricolma di una qualche bevanda calda, Merlin la sorseggiò senza commentare.
Aveva rinunciato da tempo a scoprire cosa Taliesin mettesse nei suoi rimedi e, ad essere sincero, in quel momento avrebbe bevuto qualsiasi cosa potesse aiutarlo ad allontanare la nausea e il panico che sembravano sul punto di strozzarlo.
Nel silenzio che seguì, Merlin provò a tenere sotto controllo il respiro, ma i suoi sforzi sembravano del tutto inutili.
Ogni volta che il suo cuore tornava a battere a ritmo normale, le immagini della sua visione tornavano a tormentarlo, rischiando di rigettarlo nel panico.
«Quello che ho visto... era il futuro? Accadrà?» la voce gli si incrinò, il mago si strinse nel mantello per smettere di tremare.
La mano di Taliesin si posò sul suo polso costringendolo ad alzare gli occhi.
Nel suo sguardo, Merlin lesse la risposta che cercava e quasi pianse per l'angoscia «No» scosse la testa «Non può... Albion è…»
«Costruita ormai. Il destino di re Arthur si avvicina al suo ovvio tramonto» replicò il druido con aria afflitta. Se fosse triste per il re o per Merlin, il mago non lo sapeva.
«Se… se tornassi con lui, se lo proteggessi... potrei evitarlo?» sussurrò speranzoso.
Era per questo che il druido lo aveva cercato, per salvare Camelot, per salvare Arthur. Per aiutarlo come una volta. Per questo lo stava addestrando.
Avrebbe fatto di tutto, accettato tutto, pur di impedire che quel futuro si realizzasse.
Odio, rabbia, disgusto. Niente lo avrebbe fermato.
Avrebbe accettato di essere insultato, umiliato, perfino di vederlo con Gwen e saperlo felice.
Tutto pur di saperlo vivo.
Taliesin rimase chiuso nel suo ostinato silenzio, guardandolo tristemente, quasi con pietà.
Merlin non voleva accettare il significato di quello sguardo, non poteva farlo.
«Il destino non è scritto nella pietra. Mi basterà intervenire. Avviserò Arthur. Oppure… cercherò Mordred. Lo fermerò prima che...» ma l'anziano strinse la presa sul suo polso e scosse la testa interrompendolo.
Il mago si sentì improvvisamente furioso.
Con rabbia si strappò alla sua presa e gettò la tazza ormai vuota nel fuoco «Perchè no? Non è per questo che devo imparare ad usare i miei poteri? Non è per questo che me ne sto sdraiato giorno dopo giorno in quella stupida grotta?» gridò in collera, ma Taliesin non si scompose.
Non si mosse neppure, attendendo in silenzio che il suo sfogo finisse.
 «Ci sono volte Emrys, in cui il destino non può essere cambiato. Neppure da te. Il tempo di re Arthur sta finendo. Anche se riuscissi a salvarlo, cosa impossibile, alla fine il destino troverebbe altri modi per manifestarsi e le conseguenze potrebbero essere gravissime.»
Merlin lo fissò, sentendosi come svuotato. Cosa poteva esserci di più grave di questo?
Cosa poteva esserci di più orrendo e impensabile di ciò che aveva visto?
«State dicendo che morirebbe comunque vero? Che anche se uccidessi Mordred in questo momento... Arthur…»
Da quando uccidere qualcuno aveva smesso di essere sbagliato?
Da quando gli pesava così poco pensarlo o dirlo?
«La sua storia finirebbe comunque, ma come o quando diventerebbero un mistero.»
Merlin si sentì disperato.
Disperato come neppure il giorno in cui Arthur gli aveva strappato il cuore dal petto bandendolo da Camelot l’aveva reso.
Sconfitto come neppure il suo matrimonio con Gwen, il suo amore per un’altra persona, avrebbe mai potuto renderlo.
E la cosa peggiore era che aveva solo se stesso da rimproverare.
Se solo non avesse scelto di ignorare i consigli del drago.
«Perchè dovrei tornare allora? Solo per vederlo morire?» mormorò con voce rotta.
«Che Arthur cada nella battaglia di Camlann è un destino ineluttabile Emrys, ma che Mordred perisca per sua mano, è solo una possibilità per adesso» gli rispose Taliesin.
Il mago lo fissò confuso.
C’era una possibilità che Mordred sopravvivesse? Ma aveva visto Excalibur ferire a morte il suo avversario. Gli aveva visti combattere.
«Al momento Arthur non è in sè. Il suo corpo è forte, ma il suo spirito è ferito. Indebolito da una profonda sofferenza. Se non tornerai da lui, se non lo convincerai a perdonarti, Mordred trionferà e Camelot sarà perduta col suo re.»
«Camelot sarà comunque perduta» sputò con veleno il mago.
Cosa gli importava di tutto il resto? Se Arthur moriva, cosa gli importava di Camelot? Cosa ne sarebbe rimasto in fondo? Una città distrutta dalla guerra, senza eredi e senza sovrani.
«Vorresti condannare la storia dell'uomo per il tuo re, Emrys? Vuoi condannare tutti gli altri solo perché ritieni che la vita sia stata ingiusta con te?» lo rimproverò il druido e Merlin sentì la vergogna divampare in lui, ma allo stesso tempo avrebbe voluto ridergli in faccia.
Non era forse la verità? Era infantile, lo sapeva. Crudele. Ma perché spettava sempre a lui sacrificarsi, se poi doveva perdere tutto?
C'era una parte di lui troppo ferita, troppo delusa, per essere in grado di preoccuparsi ancora del prossimo.
E c'era una parte di lui che inorridiva al pensiero di non fare niente.
«Come potete chiedermi di tornare lì, sapendo quello che so. Sapendo di non poter fare niente. Mi state chiedendo di guardarlo morire» bisbigliò con voce rotta. Impensabile.
«E' una tua scelta Emrys. Posso insegnarti ciò che so, ma spetta a te scegliere.»
Con quelle parole Taliesin si alzò, lasciandolo solo con i suoi pensieri. Con i suoi incubi.
Tutte le lacrime del mondo non erano sufficienti a cancellare il peso che portava nel cuore, ma ciò nonostante Merlin pianse e pianse davanti al fuoco.
Ricordando Camelot e la vita perduta. Ricordando di risate felici e carezze nascoste.
Chiedendosi per la prima volta cosa sarebbe accaduto se tanti anni prima, quando tutto era andato distrutto, invece di fuggire da vigliacco fosse rimasto ad affrontare le conseguenze.
Il suo principe l'avrebbe davvero ucciso ?
Oppure tanto dolore sarebbe stato risparmiato ad entrambi?
Ma ormai era troppo tardi per scoprirlo.

Tbc

La storia entra nel vivo! Cosa ne pensate dell'idea? E soprattutto, cosa ne pensate di Taliesin?? Personalmente è un personaggio che mi ha incuriosito fin da subito, non potevo non scrivere qualcosa su di lui, spero troverà altri sbocchi nella serie!! Fatemi sapere i vostri pareri!!xDD

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Capitolo 3
*** Una notte ***


2:Una notte


I mesi successivi passarono in fretta. Anche troppo.
Ad ogni tramonto, Merlin sentiva il poco tempo a sua disposizione scivolare via, come sabbia tra le dita.
Ogni fallimento sembrava adesso più grave e deludente di prima, perché ogni volta che sbagliava, che non riusciva, non era solo Taliesin che deludeva, ma lo stesso Arthur.
Eppure tutta la sua dedizione, la sua decisione, non sembravano bastare.
Per quanto Taliesin si ostinasse ad incitarlo, a spronarlo, per ogni incantesimo ci volevano giorni. Per imparare a meditare, per concentrarsi, per sentire la magia e come essa collegava ogni cosa nel mondo.
Per sentire come essa fluiva nel suo sangue e faceva parte di lui in modo sconosciuto e diverso rispetto ad ogni altra forma di vita.
Per quante nuove formule e lezioni imparasse, sentiva sempre di essere un passo indietro, di non essere ancora pronto... e questo lo rendeva furioso.
La grotta era ancora la parte più difficile del suo addestramento.
Col tempo, il suo corpo sembrava essersi abituato alla magia contenuta nei cristalli, ma riuscire a controllare davvero le visioni, era tutta un'altra storia.
«Devi concentrarti» continuava a rimproverarlo il druido «Smetti di pensare a ciò che vedi e pensa a ciò che devi fare.»
Erano tutte parole vuote per lui. Insegnamenti senza logica.
Ogni volta che si sdraiava sulle rocce della grotta, i suoi pensieri tornavano inevitabilmente ad Arthur. Cosa stava facendo in quel momento? Aveva idea di cosa stava per accadere?
Era al corrente del grande pericolo che correva? Pensava ancora al suo servo?
Purtroppo il suo controllo sui cristalli era ancora così debole che ogni sua emozione finiva con l'influenzare le visioni.
Non aveva più rivisto Camelot, né il suo sovrano, ma spesso intravedeva il passato. Il loro passato. La fitta di nostalgia e dolore che provava ogni volta era talmente forte da obbligarlo ad interrompere la lezione. A volte, riviveva la notte in cui Arthur lo aveva lasciato.
Non poteva sentire le parole, ma la sua mente sembrava felice di rievocarle per lui in modo nitido e chiaro.
Quelle erano le volte in cui finiva per perdere i sensi nella grotta con le guance bagnate e un sordo dolore nel petto.
Taliesin non diceva mai nulla in quelle occasioni, ma il suo sguardo era abbastanza eloquente da fargli capire che sapeva e che probabilmente riteneva i sentimenti di Merlin una zavorra di cui avrebbe fatto meglio a liberarsi. Il peso che gli impediva di migliorare.
Ma per quanto a volte non desiderasse altro che dimenticare, Merlin non avrebbe mai potuto smettere di amare Arthur.
Anche se ormai il suo amore non era più ricambiato.

Nonostante le pene e le ferite che si portava dentro, vivere con Taliesin aveva anche i suoi lati positivi.
Il druido era tutto ciò che aveva sempre sognato e desiderato, qualcuno che conosceva la magia, che la viveva da sempre… qualcuno come lui. Qualcuno che per la prima volta, poteva davvero capire.
Merlin poteva parlargli liberamente della sua magia, dei suoi doni. Poteva fargli domande a cui non aveva mai avuto risposta, esprimere tutti quei dubbi e quelle paure che prima si era ostinato a nascondere al mondo e Taliesin avrebbe sorriso indulgente mettendo a tacere ogni timore. Il mago non si era mai sentito a suo agio come con il veggente.
Se non fosse stato per l'orribile profezia che pendeva sul loro capo, forse avrebbe addirittura potuto vivere lì per sempre.
Secondo Taliesin, anche se Merlin non aveva idea di come facesse a dirlo, la visione si sarebbe realizzata solo anni dopo.
A pensarci bene, l’età di Mordred confermava quell’ipotesi, così come l’aspetto invecchiato del re, ma con la magia non si poteva mai essere certi di nulla.
Col passare delle stagioni, il pensiero di Arthur e della sua visione, divennero un tarlo al quale cercava con tutte le sue forze di non pensare, ma dal quale non poteva fuggire neanche volendo.
Le notizie di Camelot difficilmente arrivavano fino alla valle dei re caduti dove i due si erano praticamente stabiliti. L'unico legame con l'esterno era la grotta che si ostinava a non mostrargli il presente, sebbene Taliesin affermasse che fosse possibile vederlo. Che fosse tutta una questione di controllo e concentrazione. Merlin iniziava ad odiare quelle parole.
Finché un pomeriggio, dopo infiniti tentativi di vedere sua madre, Ealdor o chiunque conoscesse là fuori, la grotta, forse per pietà, decise di avverare i suoi desideri e finalmente ubbidirgli.
L'immagine di Arthur si formò inaspettata ed improvvisa, provocandogli quel vuoto nel petto e quella fitta improvvisa di amarezza e desiderio che gli creava ogni volta.
La prima cosa che vide fu la sala del consiglio e per un attimo pensò di vedere il passato.
Tutto era esattamente come lo ricordava.
Le finestre coperte dai pesanti tendaggi rossi con l'emblema del regno e i candelabri d’argento accesi lungo le pareti di pietra ruvida. Eppure, il tavolo rettangolare del precedente sovrano era stato sostituito da una tavola rotonda e lo stesso Arthur non era come lo ricordava.
Il suo viso era diverso, più maturo, segnato dal passare degli anni e dal dolore della perdita. La pelle era più pallida, gli occhi una volta luminosi e ridenti, erano ridotti a due fessure rosse e segnate dalla fatica.
Quello non era più il suo principe, ma un re.
Un re che sembrava portare un peso troppo grande sulle spalle.
Merlin avrebbe voluto abbracciarlo.
Avrebbe voluto liberarlo dal fardello di quella corona appartenuta a Uther che adesso cingeva il suo capo. Portarlo lontano, dove sarebbero rimasti solo loro due e nessun destino da compiere.
Se solo avesse potuto tornare da lui. Se solo avesse avuto ancora il diritto di consigliarlo, di confortarlo e rimanere al suo fianco.
Ma purtroppo la realtà era ben diversa e lui non avrebbe più avuto quel diritto.
C'era Gwaine con lui, i capelli più corti di un tempo, gli conferivano un aspetto più serio e nobile. Quasi da vero cavaliere.
Sembrava preoccupato, spaventato. Parlava in fretta, gesticolando in modo furioso
all’indirizzo del re. Non potendo sentire le loro voci, il mago non capiva cosa stesse accadendo.
Arthur lo interruppe con un gesto della mano e gli diede le spalle cominciando a marciare per la stanza in silenzio.
Sembrò mormorare qualcosa, Merlin credette di leggere il nome di Ginevra sulle sue labbra.
Era successo qualcosa a Gwen? Per questo Arthur sembrava così addolorato?
Gwaine scosse la testa, fece per ribattere, ma sotto lo sguardo del re sembrò decidere di lasciar perdere e chinò il capo prima di andarsene, lasciando Arthur solo con i suoi pensieri.
Le spalle del re erano curve e tremanti quando si sedette alla tavola rotonda.
Sembrava sul punto di crollare. Il mago si sentì preoccupato, spaventato.
Il principe che conosceva non si sarebbe mai abbattuto in quel modo, non si sarebbe mai arreso davanti a nulla.
Cos'era accaduto di tanto grave da rinunciare a combattere?  
«Cosa significa?» chiese con un filo di voce, mentre la visione si dissipava lasciandolo nel dubbio e nella paura «Era il futuro?» continuò voltandosi verso Taliesin seduto come di consueto all’ingresso della grotta.
Il veggente non rispose e Merlin si tirò su a sedere, l'improvviso gesto gli provocò le vertigini, ma non gli importava. Doveva sapere.
«Spiegatemi cosa ho visto!» ordinò all'altro con voce tremante.
«Niente. Le tue emozioni hanno interferito con la visione» mormorò Taliesin senza guardarlo e il mago sapeva che mentiva, ne era certo.
 «State mentendo. Spiegatemi cosa ho visto o tornerò a Camelot e lo scoprirò da solo» pronunciò con decisione e non appena lo disse, seppe che l'avrebbe fatto davvero. Per Arthur.
L'anziano lo scrutò in silenzio, come soppesando le sue scelte, come chiedendosi se Merlin avrebbe davvero concretizzato la sua minaccia e il mago ricambiò lo sguardo con decisione. Con fermezza.
Alla fine Taliesin sospirò e recuperò il suo bastone «Seguimi» gli ordinò prima di condurlo accanto al fuoco, facendolo sedere e passandogli una tazza di liquido caldo.
Entrambi sorseggiarono in silenzio, ascoltando lo scoppiettio del fuoco per diverso tempo. «Era il presente» gli arrivò infine la risposta.
Merlin alzò gli occhi stupito.
Il cuore sembrò saltargli un battito. Il presente.
«La notte scorsa, la regina Ginevra è fuggita con uno dei cavalieri del re. I soldati li hanno cercati a lungo, ma pare che il re abbia appena dato ordine di lasciarli andare entrambi.»
Il mago rimase in silenzio. Impietrito. Quasi incapace di comprendere cosa il druido stesse dicendo. Fuggita con un cavaliere? Gwen non era il tipo da... E poi lo colpì, l'ovvia realtà.
Il pensiero fuggente che lo aveva colpito anche in passato, quando aveva scoperto delle loro nozze, quando aveva temuto per il cuore del principe.
Lancelot... Gwen amava ancora Lancelot ed era fuggita con lui.
Ma perchè proprio ora? Dopo tutto quel tempo. Proprio ora che Arthur aveva bisogno di qualcuno di cui fidarsi. Di qualcuno da amare. Di qualcuno che restasse al suo fianco e lo aiutasse ad affrontare il futuro.
Come avevano potuto spezzargli il cuore in quel modo? Al suo Arthur. Al suo re.
Il bisogno fisico di vederlo, di assicurarsi che stesse bene lo assalì in modo irresistibile.
L'immagine del viso tirato del re, del suo dolore, tornò a tormentarlo, impedendogli di pensare a qualsiasi altra cosa.
Non c'era scelta a quel punto. Non c'era altro che potesse fare.
«Devo andare» dichiarò senza neppure pensarci, quasi nel panico.
«No Emrys» provò a fermarlo Taliesin, ma Merlin scosse la testa. Ormai aveva già deciso. Non poteva fingere di non aver visto nulla. Doveva essere lì per Arthur. Doveva almeno provarci, anche a costo di gettare all’aria tutto.
Anche a costo di rischiare l'intero futuro di Camelot e di Albion.
«Non sei ancora pronto, pensa alla tua visione. Ricorda perchè ti trovi qui» il tono
dell’anziano si fece veloce, urgente. Quasi supplicandolo di ragionare, di riflettere.
Ma Merlin ormai era deciso «Solo una notte» lo pregò, quasi disperato «Solo una notte, vi prego. Vi giuro che all’alba sarò di nuovo qui» continuò in fretta, senza nemmeno chiedersi come avrebbe mantenuto una promessa simile visto che Camelot era almeno ad un giorno di cammino da lì. Non gli importava, avrebbe trovato il modo, avrebbe fatto qualunque cosa.
«Perfavore Taliesin, io... devo andare» e mentre lo diceva, fissò il suo mentore negli occhi cercando di fargli capire, di trasmettergli quanto fosse importante per lui.
Doveva tornare da Arthur, anche se gli avrebbe gridato contro, anche se l’avrebbe odiato e cacciato. Era disposto a tutto pur di assicurarsi che stesse bene. Pur di vederlo coi suoi occhi.
E forse fu il suo tono, o l'espressione disperata del suo viso, ma l'anziano sospirò e il mago seppe di aver vinto.
«Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto. Ti concederò una notte, ma solo una. Prendi il mio bastone, ti condurrà dal tuo re e al sorgere del sole ti riporterà qui, per completare il tuo cammino. Ma devi tornare, Emrys. O tutto sarà perduto.»
Merlin quasi lo abbracciò.
Avrebbe rivisto Arthur. Dopo tutto quel tempo, dopo tutto quel vuoto.
Il solo pensiero quasi lo fece ridere istericamente mentre il panico più assoluto minacciava di togliergli il fiato. Come avrebbe reagito il re? Questa volta lo avrebbe lasciato spiegare?
«Vai» gli ordinò il druido «Non sprecare il poco tempo che ti ho concesso nell'indecisione» gli passò il suo lungo bastone di legno e non appena lo toccò, fu avvolto da un vortice di luce bianca che lo costrinse a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì, Merlin non era più nella foresta.
Non c’erano più Taliesin o il loro fuoco, ma pareti bianche ornate da familiari stendardi rossi.
Il cuore cessò di battergli nel petto.
Perché Taliesin non l’aveva avvertito? Non era preparato, non era pronto
E quelle erano senza dubbio le stanze del re di Camelot.

Tbc

Nel prossimo capitolo avremo finalmente il tanto atteso incontro!!! Cosa accadrà?? Cosa si diranno??
Emozionati??xDD
Attendo le vostre reazioni a questa 'visione' e alla scelta di Merlin!xDD

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Capitolo 4
*** Resta con me ***



3: Resta con me.



Le stanze erano diverse da quelle precedenti. Quelle in cui si erano baciati per la prima volta, in cui avevano riso e parlato per ore. In cui Arthur gli aveva confidato ogni suo segreto.
In cui, alla fine, ogni cosa era andata distrutta.
Le pareti erano della stessa, ruvida pietra, decorate dagli scudi e dagli stendardi rossi di Camelot, dal drago d'oro dei Pendragon, ancora più luminoso e regale di quanto ricordasse.
Se chiudeva gli occhi, quasi gli sembrava di sentire la voce bassa e roca di Arthur sussurrargli  il primo ti amo, tremante, quasi disperato, come qualcosa a cui non riusciva ad opporsi nonostante tutti i suoi sforzi.
Il suono di un respiro strozzato, il tonfo di un calice che colpiva il pavimento, gli fecero riaprire gli occhi.
Sulla porta che divideva anticamera e camera da letto, col viso cinereo e gli occhi sbarrati, Arthur lo fissava immobile.
Non era come nei suoi sogni. E nemmeno come nelle visioni.
Per quanto queste fossero nitide e reali, non erano neppure vicine a cogliere e riprodurre l’essenza di Arthur. La sua luce.
Di certo non erano in grado di mostrargli quanto i suoi occhi fossero blu o i suoi capelli dorati, i sottili cambi subiti dal suo corpo nel trascorrere del tempo.
«Merlin?» sussurrò a bassa voce, quasi in un sospiro, come se temesse di vederlo sparire da un momento all'altro «Sto impazzendo» continuò con tono vagamente disperato, portandosi una mano sugli occhi.
Merlin si sentì stringere il cuore.
Solo adesso capiva davvero le parole di Taliesin, il re non è in sè aveva detto e lui non aveva capito... non aveva ascoltato, perchè Arthur era… Arthur.
Forte, coraggioso, nobile Arthur. Niente poteva davvero abbatterlo. Niente poteva sconfiggerlo.
Eppure lì, davanti a lui, non c'era più il suo principe, ma qualcuno con troppe cicatrici nel cuore e un vuoto troppo grande nell’anima. Era terribile vederlo in quello stato.
Sapere di essere in parte colpevole.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per ridargli almeno Gwen.
Per punire tutti coloro che l’avevano ferito. Tradito. Ma questo avrebbe significato punire se stesso prima di tutti gli altri.
«Non stai impazzendo. Sono io» gli rispose nello stesso tono basso, indeciso, quasi temendo di spaventarlo e farlo svanire nel nulla.
Arthur non sembrava sul punto di gridare o di ucciderlo, sembrava più che altro... confuso, stupito. Meravigliato.
Il re boccheggiò in silenzio, studiandolo dalla testa ai piedi con attenzione quasi morbosa, prima di scuotere la testa. Come se non credesse di vederlo davvero, come se si rifiutasse di crederlo.
E nel suo sguardo smarrito, Merlin trovò il coraggio di muoversi. Di avvicinarsi.
Perchè Arthur non lo guardava come si guarda qualcuno che si odia. Qualcuno che si vuole cacciare dalla propria vista.
Arthur lo guardava come un uomo assetato guarda l'acqua.
Come un uomo ferito guarda la sola ancora che gli è rimasta nel mondo.
Fissandolo dritto negli occhi, come sfidandolo a fermarlo, il mago si fece avanti.
Attraversò la stanza lentamente, per dargli il tempo di ordinargli di sparire, di andarsene, ma Arthur non fece nessuna di queste cose. E Merlin arrivò ad un passo da lui.
Teso, quasi tremante, quasi incredulo di essere tanto vicino da toccarlo, fece esattamente questo.
Tese la mano e la poggiò sul petto del re, del suo re.
 «Sono tornato, sire» bisbigliò ad un fiato da lui, il cuore sotto il suo palmo incrementò i battiti.
Tutto il viso di Arthur sembrò riprendere vita sotto i suoi occhi incantati. Come le foglie di un albero sotto il sole di primavera.
Era dunque lui la causa di tanto dolore? Possibile che per tutto quel tempo, Arthur stesse solo aspettando che tornasse? Era dunque stato lui lo sciocco?
«Merlin…» esalò infine la voce roca del re, e il mago si ritrovò stretto nel suo abbraccio.
Il suo fiato era spezzato, le sue spalle tremavano vistosamente, ma Merlin fece finta di non accorgersi di nulla, limitandosi a stringerlo con altrettanta forza. Con altrettanta disperazione.
Felice di perdersi in quel calore tanto familiare.
Chiedendosi se non fosse solo un bellissimo sogno dal quale si sarebbe presto svegliato.
Domandandosi com'era potuto sopravvivere così a lungo senza di lui e come avrebbe potuto lasciarlo di nuovo venuta l'alba.
Come avrebbe potuto separarsi di nuovo da quelle braccia, adesso che le aveva riavute attorno a sè?
Il solo pensiero sembrava più insopportabile che mai.
«Merlin, Merlin, Merlin» continuava a mormorare l’altro.
E in quella disperata litania, il mago sentiva tutto il resto, tutte le parole che il re non poteva, non riusciva a formulare.
Ti amo. Perdonami. Non lasciarmi più. Non aveva bisogno di dirlo a voce alta.
Era chiaro nei suoi tocchi. Nei respiri. Nelle sue lacrime silenziose.
E Merlin seppe di essere stato perdonato già tantissimo tempo prima. Fin dal principio.
Solo adesso lo capiva.
Tutto quel tempo. Tutto quel dolore inutile.
E adesso... il tempo a loro disposizione stava per finire...
                                                                                   per sempre.


«Sei un'idiota.»
Merlin non sapeva esattamente quanto fosse passato.
Le spalle di Arthur avevano smesso di tremare molto tempo prima, ma si rifiutava ancora di lasciarlo andare.
Erano rimasti in piedi, abbracciati in mezzo alla stanza.
Dovevano sembrare proprio strani in quel momento.
Arthur nei suoi preziosi vestiti reali, col suo fisico massiccio forgiato da tante battaglie, seppellito nella spalla di Merlin, coperto da vecchi stracci e ancora più magro ed esile di un tempo, grazie alla sua vita nei boschi.
«Onestamente mi aspettavo un'accoglienza più dolce dopo tutto questo tempo. Sono un po’deluso» sorrise provando di nuovo ad allontanarsi, ma Arthur scosse la testa, stringendo il suo abbraccio «Questo è perchè sei il più gigantesco idiota della terra» brontolò con voce arrochita dal pianto.
Merlin sospirò.
Se lo meritava certo, ma anche Arthur non era proprio il più brillante del mondo. Era anche colpa sua se era fuggito.
Lo aveva bandito, in fondo.
«E tu sei il solito arrogante babbeo» brontolò.
«Forse, ma tu resti comunque un'idiota
E dopo sei anni, per la prima volta, Merlin scoppiò a ridere.
Il suo cuore finalmente, sembrò guarire dalle tante cicatrici che si portava dietro.
In quel semplice istante, lontano da futuro e passato, da visioni e profezie, sentì di poter essere di nuovo felice. Completo.
Ma non poteva ignorare la realtà per sempre, purtroppo «Devo parlarti, è importante» mormorò in fretta, cercando di convincere Arthur a lasciarlo andare così che potessero parlare.
Il re scosse nuovamente la testa e lo baciò nell’incavo della spalla facendolo tremare.
Era passato così tanto tempo. Troppo.
Le labbra dell'altro risalirono lente lungo il collo, accarezzandolo, mordendolo, fino ad arrivare alla mascella.
Sospirando, il re gli posò un bacio accanto alla bocca prima di iniziare a torturare le sue labbra.
Un bacio lento, dolce, come se conoscesse per la prima volta la sua bocca.
Come se non riuscisse più a ricordarla e volesse imprimersi il suo sapore nella mente.
Merlin si ripeté che doveva fermarlo, che doveva dirgli di Mordred, di Excalibur.
Perchè avevano solo una notte per parlare e se Arthur continuava a baciarlo in quel modo... ma poi il re sollevò il capo e lo guardò dritto negli occhi.
C'era di nuovo quell'espressione di incredulità, di muta meraviglia, dipinta sul suo viso e  Merlin capì quanto Arthur avesse bisogno di questo adesso, più di ogni altra cosa.
Ne aveva bisogno per convincersi che era tutto vero.
Che non era impazzito, che non era un illusione.
Che il suo mago era lì, con lui.
Perciò lo lasciò continuare, dimenticando ogni altra cosa, gemendo nella bocca dell'altro e chiedendosi quante volte, in quegli anni, Arthur si era svegliato per scoprire che tutta quella gioia era solo dovuta ad uno stupido sogno.
Le mani del re scesero a sciogliere i lacci della sua tunica e Merlin sentì l’improvviso bisogno di averlo di nuovo su di sè.
Il desiderio di unirsi a lui, di essere di nuovo insieme. Uniti.
Arthur lo fece indietreggiare fino al letto e lo imprigionò sotto di sé, le sue labbra improvvisamente brucianti ed affamate sul suo corpo.
Il ti amo che fino a poco prima aveva solo percepito nella sua mente, divenne all'improvviso reale, consumante.
Un marchio sulle sue labbra, nelle sue orecchie, su ogni centimetro della sua pelle.
Arthur lo ripeteva come una preghiera, come un voto disperato, incidendolo con ogni tocco, con ogni carezza, trasformando il mago in una massa di sospiri e gemiti incoerenti.

Neppure nei suoi sogni Arthur lo aveva mai adorato in modo simile.

«Dovrei metterti alla gogna per quello che mi hai fatto passare. Me lo sono anche ripromesso sai?»
La stanza era nella penombra, le candele si erano consumate molto tempo prima e Merlin non aveva alcuna voglia di cambiarle o accenderle, neppure con la magia.
L’alba stava per arrivare e, con essa, il momento in cui avrebbe dovuto salutare ancora una volta il suo amante.
«Non credo che avrai il tempo di farlo» mormorò mezzo addormentato e Arthur gli posò un bacio sulla spalla «Perchè? Che c'è di meglio da fare che guardarti mentre un mucchio di bambini ti getta contro la verdura marcia?»
«Beh, temo che dovrai aspettare il mio ritorno per farlo» si lasciò sfuggire senza pensare.
Il corpo al suo fianco si irrigidì, allontanandosi di colpo e Merlin si maledisse mentalmente per la sua boccaccia.
«Non resterai?» Arthur lo fissava inorridito, tradito, aggrappandosi alle coperte come se potessero difenderlo dall'ennesima ferita.
Merlin provò ad abbracciarlo, a rassicurarlo, ma lui si ritrasse dal suo tocco «Allora perchè sei tornato?» gli sibilò con rabbia, con veleno.
Il mago non poteva biasimarlo. Sapeva che non gli sarebbe piaciuta l'idea di lasciarlo andare di nuovo.
Nemmeno a lui piaceva, ma doveva. L'aveva promesso.
Se solo avesse potuto evitarlo… ma da questo dipendeva il futuro Camelot in fondo.
«Dovevo assicurarmi che stessi bene Arthur. Io… ho saputo di Gwen e…» si interruppe di fronte al lampo di sofferenza sul visto dell’altro «Ma ho bisogno di altro tempo per finire... per imparare» continuò, pregandolo con gli occhi, supplicandolo di comprendere.
Di capire che se avesse potuto scegliere, sarebbe rimasto lì per sempre.
«Imparare?» aggrottò la fronte l’altro «Imparare cosa
Merlin sospirò mettendosi a sedere contro i cuscini del letto «Ricordi la valle dei re caduti?»
Arthur annuì, ma era chiaro che non capisse affatto cosa c’entrasse.
«C'è un uomo, uno stregone. Mi sta insegnando ad usare i miei poteri. Per proteggerti.»
«Proteggermi da cosa
E questa era la parte più dura, la domanda che temeva. Mentire o essere sincero? Cosa doveva fare?
Poteva far preparare Arthur per una battaglia che sapeva già persa?
Poteva chiedergli di scendere sul campo di battaglia sapendo di dover morire?
«Mordred, il bambino druido che hai aiutato a fuggire tanti anni fa, lui…»
«Lo so» lo interruppe Arthur con una smorfia di disgusto «Sta radunando una specie di esercito, credo che anche Morgana sia con lui» si fermò distogliendo lo sguardo, la ferita provocata dal tradimento della sorellastra ancora fresca e dolorante «Non hanno forze sufficienti per costituire una minaccia» continuò poco dopo.
«Per ora» rispose il mago e Arthur lo guardò confuso.
Chiedendogli in silenzio di spiegarsi.
«Ci sarà una battaglia. Se non imparerò ad usare i miei poteri, Camelot non sopravviverà. Per questo devo andare. Per favore Arthur, cerca di capire.»
«Come fai ad esserne certo? Sei un veggente adesso?» gli chiese con evidente sarcasmo.
Merlin arrossì sotto al suo sguardo irrisorio, se non altro la magia non sembrava più essere un problema.
«Non proprio» borbottò e Arthur aprì la bocca per commentare, ma sembrò decidere di lasciar perdere.
Scelse invece di sospirare, passandosi una mano tra i capelli. Esasperato dall’idea di vederlo andare ancora una volta, ma incapace di fermarlo.
«Non puoi imparare qui?» chiese infine, alla ricerca di un modo, un qualsiasi modo per non lasciarlo andare.
Il mago scosse la testa spostando lo sguardo sulle proprie mani, incapace di sostenere lo sguardo dell’altro.
Doveva essere forte per entrambi. Lo sapeva, ma se Arthur gli avesse chiesto di restare... non sapeva come avrebbe reagito.
Non sapeva dove o se, avrebbe trovato la forza di rifiutare.
Rimasero in silenzio a lungo, l’unico suono nella stanza quello della legna che bruciava nel camino.
«Non l'amavo davvero» parlò infine Arthur e Merlin ci mise un po' a capire di chi stesse parlando.
«Ci ho provato, ma non potevo amarla, non come amavo te. Non ero stupito quando è andata via con Lancelot… e non era davvero quello il motivo per cui stavo male. Io, immagino di essere stato invidioso, amaro. Avevano trovato la felicità che avevo anche io, ma che avevo distrutto. Sono stato meschino Merlin… e sono stato un vero idiota, con te.»
La gola di Merlin si strinse fino a bloccargli il respiro. Non si era aspettato una scusa, Arthur non era tipo da scusarsi in fondo.
«Ho aspettato sei anni…» continuò l’altro passandogli un braccio sul petto «Posso aspettare ancora. Se non altro, adesso sono certo che tornerai» gli posò un bacio sulla spalla e Merlin sorrise, chinandosi per incontrare le sue labbra.
«Abbiamo ancora un po’di tempo...» gli sussurrò malizioso «e prima di andare dovrò spiegarti dove trovare Excalibur.»
«Excalibur?» il re alzò la testa incuriosito.
Tipico di lui emozionarsi per un'arma, ma il mago lo distrasse nuovamente.
La notte era ancora lunga in fondo...

L’alba successiva, così come aveva promesso, si ritrovò di nuovo in compagnia di Taliesin e, per la prima volta da quando l’aveva seguito nella foresta, Merlin si sentì solo e fuori posto.
Riavere Arthur così vicino, poterlo finalmente toccare, potergli parlare, solo per perderlo di nuovo, sembrava un’inutile tortura.
Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi sollevato perché le cose si erano aggiustate tra loro.
Paziente, perché pochi mesi non erano certo sei anni, eppure, l’averlo visto, aveva scatenato in lui un tipo di desiderio, di fame, del tutto inaspettata.
Non sopportava più quella distanza.
E se di giorno i suoi studi riuscivano a distrarlo, di notte gli sembrava quasi di impazzire.
Taliesin continuava a spronarlo, ordinandogli di concentrarsi, di impegnarsi, di ricordare quanto e cosa rischiava.
E il mago raddoppiava i suoi sforzi.
Perché aveva promesso ad Arthur di tornare il prima possibile. Di restare con lui.
Nonostante il suo impegno, ci vollero altri sei mesi per riuscire a controllare la grotta di cristalli.
Per imparare tutto il possibile.

Era già primavera quando, dopo un’intera giornata passata a modellare visioni di passato, presente e futuro, Taliesin gli sorrise informandolo di quanto fosse fiero di lui.
«Sei finalmente pronto Emrys» gli aveva detto stringendogli una spalla.
Merlin l’aveva fissato stupidamente, quasi senza capire «Non mi sento diverso da prima» aveva mormorato.
Era la verità. Non c’era niente di diverso in lui.
Si sentiva esattamente lo stesso goffo servitore che era scappato da Camelot quasi sette anni prima.
Non si sentiva potente, né tanto meno… qualsiasi cosa dovesse sentire un grande mago.
«E’dentro di te Emrys. Sei parte del mondo e della terra che ti circonda come non lo sei mai stato prima. Chiudi gli occhi e sentirai la magia.»
Il mago lo fissò incredulo.
In cuor suo aveva sempre avuto il dubbio che il vecchio fosse troppo simile al drago per essere sano di mente, ma chiuse comunque gli occhi e si concentrò.
Per suo sommo stupore, scoprì che Taliesin aveva ragione. Era lì... la magia.
Non avrebbe saputo descriverla, ma era lì.
Vera e concreta come non era mai stata prima di allora.
Parte dell’energia dell’intero cosmo. Come una rete di forza e potere che univa ogni essere vivente.
Immaginò di toccarla, di tendere le mani e afferrarla, la magia emise calore e vita, come una fiamma.
Il mago sorrise alla sensazione.
«E’la tua forza Emrys. Finalmente sei completo. Immortale» e c'era qualcosa nel suo tono che disse a Merlin che c'era dell'altro. Qualcosa che ancora non sapeva.
«Che significa?» aprì gli occhi per fissarli sul volto improvvisamente serio dell’altro.
Merlin lo studiò con cautela «Cosa non mi state dicendo?»
«Il tuo nome è legato all’antica religione e come tale ha un significato ben preciso.»
Il mago annuì «Immortale, me lo avete già spiegato.»
L’anziano druido scosse di nuovo la testa «Non è solo un nome, è ciò che sei.»
Merlin boccheggiò senza capire, senza voler capire.
Non poteva intendere ciò che pensava, era impossibile. Ridicolo.
Taliesin sospirò «La tua magia è un dono Emrys, ma come tale ha un prezzo.»
«Un prezzo?» la sua bocca era improvvisamente secca «State dicendo… che non sono umano?» sussurrò incredulo, terrorizzato «E che cosa sono allora?» Un mostro? si trattenne dal chiedere per paura della risposta.
«Tu appartieni all’antica religione Emrys, sei umano a tutti gli effetti, mortale come loro, ma non sei legato alle loro leggi. La decadenza del corpo, il passaggio degli anni. Per te non significano nulla.»
Se il suo intento era quello di confortarlo, fallì in pieno.
«Volete dire che vivrò per sempre?
» balbettò col cuore in gola «Che vedrò morire tutti e resterò solo? Senza nemmeno…» Arthur, avrebbe voluto concludere, ma la parola non lasciò le sue labbra. Non aveva la forza necessaria per pronunciarla.
Il mago, in cuor suo, aveva sempre immaginato di morire proteggendo Arthur. Di dare la vita per lui.
Quando aveva scoperto di Mordred e della tragica fine che attendeva il re di Camelot, non aveva pensato neppure per un istante di sopravvivergli, di non morire con il suo re e, forse, trovare finalmente la pace che sperava ad Avalon, con Arthur.
Ancora una volta il suo patetico destino si accaniva contro di lui.
Gli veniva quasi da ridere.
«Esiste un incantesimo Emrys. Sarà il mio ultimo insegnamento e il mio ultimo dono per te, ma spetterà a te usarlo o meno. Quando toccò a me scelsi di non farlo e a volte me ne pento ancora. Altre volte, invece, sono convinto che sia stata la scelta migliore. Ma il mio amore era diverso dal tuo. Il mio destino lo era.»
Merlin non lo ascoltava più.
Inorridito e spaventato, il solo suono che sentiva era il rumore del battito del suo cuore.
Un cuore che non si sarebbe mai fermato. Mai. In quel momento non c'era nulla di più orribile di quella parola.
Gli occhi di Taliesin si tinsero d’oro e, senza bisogno di parole, il suo ultimo insegnamento passò a lui, al suo unico discepolo.
L’incantesimo che avrebbe segnato il suo cammino nei secoli a venire.
Che avrebbe portato sofferenza e gioia a lui e a coloro che gli stavano attorno.
Ci sarebbero volute settimane, prima che il mago osasse anche solo ripensare a quella conversazione o a quella magia.
L'orrore della realtà così forte e nitido da impedirgli di parlarne con chiunque.
Soprattutto con Arthur.

Dovette attendere la sera seguente per tornare a Camelot.
Taliesin lo tenne tutto il giorno con sé tra raccomandazioni e ultimi consigli.
Ripensandoci a distanza di tempo, Merlin si era convinto che probabilmente l’anziano si sentiva triste quanto lui al pensiero di separarsi.
«Ci sono voci Emrys, piccoli sussurri ogni giorno più forti. Una potente strega dalla straordinaria bellezza e crudeltà si aggira con un ragazzo druido per Albion. Raccoglie seguaci, semina odio contro il re di Camelot. Gli animi sono turbolenti.»
Merlin annuì, lo immaginava.
Nella sua visione, Arthur non era stato molto più vecchio di quando lo aveva visto. Poteva essere questione di qualche anno o forse di pochi mesi.
Ingoiando il panico che il pensiero dell’imminente battaglia gli procurava, il mago si morse il labbro inferiore in ansia e tristezza
«Vi rivedrò?» gli chiese tristemente, già immaginando la risposta.
«Il mio ruolo è terminato» replicò l’anziano «Se sarò fortunato il mio nome sarà ricordato col tuo nelle leggende» sorrise stringendogli una spalla e Merlin arrossì sentendo i propri occhi farsi lucidi.
Non voleva perdere il suo insegnante, ma allo stesso tempo non vedeva l’ora di riunirsi al suo re.
«Grazie di ogni cosa» mormorò con voce rotta, abbracciandolo un’ultima volta.
Taliesin annuì lasciandolo andare e donandogli di nuovo il suo bastone.
In ricordo dei suoi insegnamenti gli disse… e magari, del suo viso.

Fu l’ultima volta in cui il cammino di Taliesin e di Merlin si incrociarono nella storia
dell’uomo.

Tbc

Grazie a chi ha commentato e grazie a chi ha inserito la storia tra i preferiti/seguite/ricordate! Vi adoro!xD

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo!
Spero che la 'riunione' vi sia piaciuta, non amo molto i lunghi diagloghi o le lunghe spiegazioni e onestamente non ce li vedo Arthur e Merlin seduti ad un tavolo a discutere di errori e sentimenti. Penso che per loro le parole siano spesso inutili!*__* Spero non siate rimasti delusi!:P
Attendo i vostri commenti prima del gran finale!!
Kiss

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Capitolo 5
*** Camlann ***


Prima di iniziare due precisazioni, non so che religione seguano in Merlin, ma visto tutte le licenze poetiche che usano non stupitevi se il mio Arthur non si fa problemi all'idea della reincarnazione...xD

In secondo luogo,la battaglia di Camlann è giusto accennata, ma anche così è una lunga licenza poetica... mi dispiace,ma la scena non se ne andava dalla mia mente, l'ho dovuta dipingere così com'era...:P

Infine, poichè la serie è finita anche in Italia, la storia non è più segnata da spoilers di alcun tipo!xDD


4:Camlann.



Ancora una volta, Merlin si ritrovò in piedi nelle stanze reali.
Solo che stavolta, era abbastanza sicuro del tipo di accoglienza che avrebbe ricevuto.
Anche se conoscendo Arthur poteva finire alla gogna prima di quanto si aspettasse... o desiderasse.
«Arthur?» chiamò guardandosi attorno. Stranamente le stanze sembravano completamente vuote.
Sul tavolo addossato alla parete c’erano ancora gli avanzi di una cena quasi intoccata e un calice di vino ancora pieno.
Merlin lo fissò confuso, possibile che il re non fosse ancora rientrato per cenare?
Il camino, però, era già acceso e c'era un mantello gettato sulla sedia.
L'intera camera in realtà era tutt'altro che ordinata, c'erano vestiti sparsi a terra e armi in ogni angolo.
Aveva sempre immaginato che le stanze di un sovrano fossero quasi immacolate.
Forse c’era carenza di servi a Camelot. O forse Arthur era tanto asino da averli fatti scappare tutti.
Il pensiero lo fece sorridere divertito.
«Dovresti smetterla di entrare nelle mie stanze con la magia, Merlin. Sono il re dopotutto.»
Il mago si voltò, lo stomaco un'improvviso groviglio d'ansia e nervi.
Arthur si era già ritirato per la notte a giudicare dai capelli piacevolmente arruffati e la semplice tunica bianca che indossava.
Nel vederselo finalmente davanti, sentì un’ondata di desiderio quasi imbarazzante.
Non era il solo, a giudicare dallo sguardo del re.
«Sono tornato» se ne uscì, incapace di smettere di sorridere come un'idiota.
Il re arricciò le labbra studiandolo da capo a piedi con aria seccata «Merlin» pronunciò infine in tono piuttosto irritato, incrociando le braccia sul petto.
Per un attimo il mago si chiese se non si fosse sognato il loro precedente incontro.
«Sei un idiota» se ne uscì Arthur in un sibilo.
Sentendosi irritato per la fredda accoglienza, Merlin fece per rispondere a tono, ma un attimo dopo il re aveva attraversato la stanza sospingendolo contro il tavolo e togliendogli ogni facoltà di parola.
«Sei lo stregone più insopportabile, stupido ed inutile di tutta Albion» lo rimproverò tra un bacio e l’altro « E se osi andartene di nuovo, giuro che ti uccido.»
Merlin sorrise «Allora cercherò di non farlo» sussurrò ricambiando la stretta dell’altro, ricambiandone i baci e, finalmente, sentendosi al posto giusto. A casa.

Le settimane successive furono come un lungo sogno.
Arthur lo nominò mago di corte e gli raccontò tutto ciò che era accaduto in sua assenza.
Merlin lo ascoltava con attenzione, ridendo delle avventure di Gwaine e delle sue continue risse nelle taverne.
Di come Leon fosse costretto a girare per la città per riportarlo al castello ubriaco fradicio.
Pianse, quando scoprì della morte di Gaius e di come l’anziano avesse sempre creduto che Merlin fosse vivo da qualche parte e che, un giorno, sarebbe tornato.
Confortò il re, quando gli raccontò di Ginevra, di come aveva creduto di poterlo sostituire.
Di come l’aveva ferito sapere che Lancelot aveva preferito fuggire di notte invece di affrontarlo faccia a faccia.
In cambio, gli raccontò del suo vagabondare nella foresta.
Della speranza, sempre delusa, che Arthur lo andasse a riprendere.
Di come Taliesin lo aveva preso con sé per insegnarli ad usare i suoi poteri.
Gli parlò di Emrys e dei druidi, gli mostrò magie e trucchi in grado di fargli spalancare gli occhi con ammirazione. Spesso con desiderio.
Non gli disse mai dell’orribile condanna che lo attendeva.
Né dell’incantesimo che avrebbe potuto tenerli legati anche dopo la morte.
Per la maggior parte del tempo, fingeva che non esistessero, fingeva che tutto sarebbe rimasto perfetto per sempre.
Finché un giorno, infine, la notizia dell’esercito guidato da Mordred giunse a Camelot gettando tutti nel panico.
Tutti tranne il re e il suo mago che già sapevano e attendevano preparando le loro mosse.
La loro strategia.
Finchè un giorno, infine, giunse l'ultima notte.
La realtà di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco gli ricadde addosso come la peggiore delle maledizioni e Merlin non fu più in grado di mentire. Né a se stesso, né ad Arthur.
«C’è qualcosa che mi stai nascondendo.»
Erano nelle loro stanze.
Erano trascorsi solo quattro mesi dal ritorno di Merlin e Arthur si era rifiutato di dargli delle stanze solo sue.
Diceva che gli sarebbero state del tutto inutili viste le loro attività notturne e che comunque, non poteva lasciarlo solo con i suoi esperimenti magici da idioti. Avrebbe finito col farsi esplodere con tutto il castello, senza un supervisore col cervello.
Dal canto suo, il mago non si era opposto più di tanto, non gli dispiaceva affatto dividere il suo spazio con Arthur. Anzi.
«Perché lo pensi?» mormorò fissando il piatto ormai vuoto.
Il re, al contrario, non aveva toccato cibo, troppo impegnato a fissare il mago con aria di rimprovero «Ti conosco. E sei un pessimo bugiardo.»
Merlin deglutì a vuoto, voltandosi verso il camino.
C’era qualcosa di confortante nel fissare le fiamme divorare il legno «Non è niente» sussurrò, sperando in cuor suo che l’altro non indagasse oltre. Che lo lasciasse stare.
Non era che volesse mentirgli. Se c'era una cosa che aveva imparato era proprio non nascondergli la verità, ma quel peso era troppo grande. Non poteva condividerlo.
Non voleva che scendesse in battaglia sapendo di dover morire.
Era troppo difficile, troppo doloroso. Non voleva nemmeno pensarci.
«Riguarda la battaglia di domani, vero? Quando ne parli sei sempre strano.»
«Sono preoccupato» si limitò a dire, continuando ad evitare il suo sguardo.
Lascia stare Arthur. Te ne prego.
«No, non lo sei. Sei rassegnato. Perché? Cos'hai visto?» la voce si fece più dura, più severa, ma non spaventata.
Quando parlava di guerra, Arthur era più pronto alla morte di quanto facesse piacere a Merlin.
Di quanto Merlin potesse mai sperare di essere.
«Perderemo?»
La domanda lo colse del tutto impreparato.
Fu un attimo, un lieve tremore, nulla di più, ma sapeva di essersi scoperto. Di aver rivelato la verità.
«Smettila adesso» provò a fermarlo, ma la voce gli uscì tremante, incrinata, troppo perchè Arthur lasciasse perdere.
«Morirò?» continuò con lo stesso tono indifferente di poco prima, come se gli stesse chiedendo di predire il tempo.
Incapace di sopportarlo oltre, Merlin si alzò e andò a rifugiarsi nell’altra stanza.
Si gettò sul letto, col volto seppellito sotto ai cuscini e le mani tremanti strette intorno alle coperte.
Sapeva che non era un vero nascondiglio, ma non sopportava l’idea di uscire da lì.
Di allontanarsi da Arthur.
Nell’anticamera, la sedia grattò contro il pavimento.
Poco dopo, i lenti passi di Arthur attraversarono la stanza.
Merlin strinse gli occhi quando sentì l'altro sedersi al suo fianco «Merlin.»
«Non chiedermelo Arthur» lo interruppe in fretta «Ti prego» bisbigliò implorante.
«Mi dispiace» le dita di Arthur si posarono sulla sua nuca, tra i suoi capelli.
Rassicuranti, confortanti e Merlin, incapace di trattenersi oltre, cominciò a piangere.
Gli dispiaceva? Gli dispiaceva di morire?
«Se potessi fare qualcosa, Merlin, qualsiasi cosa, ti giuro che la farei. Per te.»
Scapperesti con me? Lontano da Camelot, lontano da Mordred. Lo faresti per me?
Per poco non lo disse davvero, ma sapeva di non poterlo fare.
Non poteva chiedergli una cosa del genere. Sapeva che lo avrebbe solo ferito.
Arthur non avrebbe mai abbandonato il suo popolo e non era giusto che Merlin gli chiedesse di scegliere.
Ma non era giusto neppure ciò che stava per accadere.
Non era giusto perderlo così presto, in modo tanto crudele.
«Perciò… morirò» mormorò il re e il mago tremò sotto al suo tocco.
Solo sentirglielo dire era orribile. Insopportabile.
No, avrebbe voluto gridare. Non lo permetterò, ma cosa poteva fare per evitarlo?
«E’questo ciò che hai visto. Per questo sei tornato. Avresti dovuto dirmelo subito Merlin.»
Il mago scosse la testa, non sopportava di parlarne.
Non sopportava il tono quasi meravigliato della sua voce.
Non sopportava il sapere di avere ancora così poco tempo con lui.
Con un singhiozzo si voltò, passandogli le braccia intorno al collo e stringendolo a sé, seppellendo il volto sul suo petto, stringendo le mani attorno alla sua tunica, aggrappandosi a lui con tutte le sue forze.
Arthur ricambiò la stretta in silenzio.
«Promettimi di non fare l’idiota domani, né dopo… quando io…» mormorò tra i suoi capelli e il mago scosse di nuovo la testa, incapace di pensare, di parlare, di ascoltare «Arthur…»
«Chissà, forse ci ritroveremo nell’aldilà. O magari in un’altra vita» il suo tono scherzoso si perse completamente davanti al volto pallido del mago.
Di fronte all'improvviso tremore che lo scosse fin nel profondo dell'anima. Perchè non ci sarebbe stato alcun aldilà per lui, alcuna fine... mai.
«C’è dell’altro vero?» gli chiese stringendolo più forte.
«No» mormorò baciandolo, cercando di distrarlo, ma il re gli afferrò le spalle, obbligandolo a fissarlo dritto negli occhi «Cos'altro?» ripeté agitato, preoccupato.
E il mago si rese conto che Arthur temeva per lui.
Temeva che avesse predetto anche la propria morte e il pensiero di farlo scendere in battaglia anche con quel peso sulle spalle lo fece capitolare.
«Se ci fosse…» gracchiò con voce tremolante, impastata dalle lacrime «Se conoscessi un modo per poterti ritrovare in futuro, per poterti far ricordare… questo» indicò ciò che li circondava, incapace di formulare parole più adatte a spiegare i suoi pensieri «Cosa diresti?»
Arthur rimase in silenzio.
Un lungo silenzio durante il quale Merlin si pentì di aver parlato.
Cosa si aspettava?  Che Arthur volesse passare l’eternità con lui?
Erano cose che si leggevano nelle favole, che si dicevano tra le lenzuola, non che Arthur le avesse mai davvero dette, non erano cose che accadevano nella realtà.
Era stupido pensarlo. Era stupido chiederlo. Era stupido sperarlo.
«Non sono certo di aver capito» rispose infine il re guardandolo confuso.
«Lascia perdere, era un’idea stupida» mormorò in fretta arrossendo, ma Arthur non gli permise di allontanarsi, trattenendolo tra le sue braccia.
«No, sono serio. Spiegati meglio.»
Il mago sospirò. Arthur non avrebbe lasciato perdere finché non avesse saputo tutta la verità.
«C’è un incantesimo. Quando ti reincarnerai, non so quando, manterrai i tuoi ricordi. Non a livello conscio certo, ma saranno e ci sarò anche io. O meglio, ti troverò e… potrò… farti ricordare.»
Il re rimase di nuovo in silenzio, pensieroso.
Probabilmente in cerca del modo migliore per dirgli di non essere tanto idiota.
Di rifiutarlo senza ferirlo. Non che fosse possibile.
Per somma sorpresa del mago, però non erano affatto quelli i pensieri del sovrano.
«Cosa mi dici di te?» fu l'inaspettata domanda.
E stavolta toccò a Merlin fissarlo confuso «Me?»
«Si Merlin, tu. Cosa succederà ai tuoi ricordi quando ti reincarnerai? Li avrai sempre? Oppure sei anche immortale adesso? Ti aggirerai come un fantasma per la terra, aspettando il mio ritorno tutto solo e triste?» il tono quasi divertito di Arthur non fece nulla per mitigare il suo improvviso terrore.
Perchè era esattamente quello il destino che lo attendeva. Descritto così, era davvero orribile.
Merlin si sentì impazzire al solo pensiero. Come poteva sopravvivere ad una cosa simile?
Quanto ci sarebbe voluto per ogni reincarnazione? Non poteva resistere. Nessuno avrebbe potuto. Sarebbe impazzito.
Nel panico ricordò i suoi mesi di solitudine.
Gli interminabili giorni spesi nella foresta e quasi gridò.
«Merlin?»
Il mago distolse gli occhi e forse fu la sua espressione distrutta, o il suo improvviso contorcersi le mani nel panico, ma Arthur sembrò capire.
Con un’imprecazione, si allontanò da lui come scottato e saltò giù dal letto.
Merlin non se la sentiva di biasimarlo per la reazione. Non tutti avevano per amante una specie di mostro immortale.
«Non ci posso credere! Quando pensavi di dirmelo?» gli chiese furioso «Aspetta, pensavi almeno di dirmelo o avresti tenuto il segreto, come per la magia
«Non lo so» mormorò il mago sentendosi improvvisamente colpevole e spaventato, semplicemente nauseato da tutto ciò che gli accadeva.
Il re si sedette sul bordo del letto, per poi mormorare qualcosa e ricominciare a marciare furiosamente per la stanza.
Merlin lo osservò per quasi una candela prima di parlargli.
«Senti Arthur, era un’idea stupida, va bene? Fingi che non ti abbia detto nulla» cercò di placarlo.
Non voleva sconvolgerlo. Non voleva che pensasse a lui come qualcosa di anormale.
Non voleva dirgli addio in quel modo.
Voleva solo che tornasse al suo fianco e lo amasse fino all'alba.
L'ultima alba che avrebbero trascorso assieme.

Era stato egoista da parte sua proporgli una cosa simile.
Pretendere di legare a sé qualcuno come Arthur, qualcuno che poteva avere chiunque e qualunque cosa in ogni sua vita.
Volerlo legare e imprigionare solo per lenire la sua paura. Il terrore della solitudine che lo attendeva.
Da quando era diventato così egoista?
Il re si fermò in mezzo alla stanza fissandolo come se fosse la creatura più bizzarra che avesse mai visto «Tu sei…» cominciò in tono esasperato per poi allargare le braccia in silenzio, come se non riuscisse a trovare le parole adatte per descrivere la sua stupidità.
Scosse la testa irritato e Merlin trattenne il fiato, sentendosi morire dentro.
Era pronto al rifiuto, ma non avrebbe fatto meno male per questo.
«Fallo allora» arrivò l’inaspettato comando.
Il mago strabuzzò gli occhi e fissò il re come se fosse impazzito.
«Non posso certo lasciarti da solo Merlin. Idiota come sei, chissà cosa potresti fare» brontolò l’altro distogliendo lo sguardo. Le guance lievemente arrossate.
«Sei sicuro, Arthur? Voglio dire… questo è… per l’eternità» balbettò il mago, sentendosi stupido nel dirlo a voce alta e ancora più stupido perchè dirlo, gli provocava una strana sensazione di farfalle nello stomaco del tutto inappropriata e infantile.
«Certo che lo so, non sono mica stupido» brontolò l’altro chiaramente seccato.
Merlin esitò, incapace di accettare che stesse accadendo davvero.
Incapace di crederci.
«Qualsiasi cosa tu stia pensando, smettila. Inizio ad averne la nausea dei tuoi pensieri contorti» sbuffò Arthur.
E Merlin voleva accontentarsi ed esserne felice, ma era così incredibile e improbabile e...
«Sei certo?» non poté trattenersi dal chiedere.
«Santo cielo Merlin! Quante volte devo ripetertelo?» sbottò il re fissandolo storto.
Il mago si sentì punto nel vivo. Non era colpa sua se solo poco prima, aveva dato di testa «Sembravi sconvolto quando te l’ho detto.»
«Mi hai detto di essere immortale! Perdonami per non averla presa meglio, la prossima volta in cui mi rivelerai qualcosa di assurdo e umanamente impossibile, provvederò a comportarmi meglio. Magari ti chiederò di versarmi del vino» sibilò il re tornando finalmente a sedersi al suo fianco.
Il solo averlo di nuovo vicino, lo fece sentire di nuovo più sereno.
Il re gli prese la mano, stringendola e portandosela sul ginocchio.
«Lo sai? Ho sempre saputo che prima o poi te ne saresti uscito con una cosa simile» sorrise sornione poco dopo «Certo, pensavo ad una proposta di matrimonio o qualcosa di altrettanto stupido… direi che ti sei addirittura superato Merlin. Complimenti, ora sei davvero una ragazzina» scoppiò a ridere e Merlin arricciò le labbra contrariato.
«In realtà è l’uomo che fa la proposta. Questo fa di te la donna» replicò ridendo a sua volta.
Il re gli pizzicò l’orecchio per punizione «Non è questo che scriveranno nei libri, ci puoi scommettere» brontolò prima di scendere a baciargli una guancia.
E il mago sorrise, perdendosi nella sensazione delle sue labbra, nel calore delle sue braccia.
Imprimendoli nella propria mente, insieme alla sua immagine, insieme al suo ricordo, così che lo confortassero nei lunghi anni di solitudine che avrebbero seguito quella notte.
Che avrebbero seguito l’odore del sangue e la straziante realtà della morte e della perdita.


La battaglia di Camlann vide molte vittime, tra di esse, il più grande re che Camelot avesse mai avuto.
E tuttavia, nonostante il dolore che la perdita del suo sovrano le provocò, Camelot non cadde.
Albion non venne distrutta.
La profezia della grotta di cristalli si avverò, così come era scritto.
In mezzo al fiume di urla e sangue che erano divenuti i cavalieri dei due eserciti, gli occhi di Mordred e Arthur in qualche modo si incrociarono e dalle retrovie, col cuore in gola, Merlin li vide fronteggiarsi.
A conoscenza dell'esito che lo scontro avrebbe avuto, incapace di muoversi, incapace di fare qualsiasi cosa se non guardarli.
Avrebbe voluto fermarli, avrebbe voluto intromettersi, ma Morgana lo fermò.
E non c'era incantesimo o parola che potesse liberarlo.
Che potesse convincerla dell'errore che commetteva.
Il destino in fondo è anche questo.
E come un urlo silenzioso capace di scuotere la terra stessa, la morte di Arthur lo colpì al cuore.
Non doveva voltarsi per sapere cosa avrebbe visto.
Non doveva controllare, per sapere che la vita aveva già lasciato il suo re.
Quando si chinò su di lui, col volto rigato da lacrime implacabili e il petto stretto in una morsa orribile, Merlin sapeva.
Non c’era più vita nei suoi occhi.
Non ci sarebbe stato nessun ultimo respiro, nessun ultimo messaggio.
Il re se ne era andato mentre il sole raggiungeva il punto più alto del cielo, lasciandolo solo a combattere il dolore.
A Merlin non restò che piangere chiudendo per sempre i suoi meravigliosi occhi azzurri ormai privi di luce.
Continuò a piangere in silenzio quando Morgana gli si avvicinò.
Continuò a stringere il corpo del suo re, quando la strega pianse e gridò per Mordred.
«Non era questo che volevo… non era questo» sussurrò la donna voltandosi implorante verso di lui.
E per un attimo fu di nuovo Morgana.
In preda ad una sofferenza così simile alla sua.
In cerca di una risposta, di un perdono, che lui non era in grado di darle.
La lasciò da sola quel giorno, senza una parola.
Sparendo col corpo del suo re, col suo dolore da curare.
Non la rivide più dopo quella battaglia. Almeno non in quella vita.
Era troppo tardi per perdonarla. Era troppo presto per provarci.
Ci sarebbero voluti quasi cento anni perché riuscisse a guardarla negli occhi senza provare il bisogno di ucciderla, di vendicarsi.
Quasi trecento, per amarla di nuovo come una sorella.
Ma il resto di quella vita, Merlin lo passò accanto al suo lago.
Il lago dove aveva salutato Freya.
Dove aveva seppellito Excalibur.
Dove aveva detto arrivederci al suo re e al suo amore.
Col cuore gonfio di dolore e speranza, il mago più grande che Camelot avesse mai conosciuto, si perse nel tempo e nei ricordi.
In attesa che il suo re tornasse da lui.
Stavolta senza un destino da compiere, ma con una promessa da mantenere.
La promessa di un amore eterno da condividere.

End.

Ricordo ancora una volta(e stavolta è l'ultima lo prometto) che questa storia è parallela/successiva a Regrets e prequel di Ripetizioni d’amore!xD

Bene,anche questa è finita!! Mi è piaciuto molto scrivere la parte finale con Morgana, anche se non so dire il perchè!xD
Così ecco spiegata l'immortalità di Merlin, la storia dei ricordi di Arthur e del ciclio di reincarnazioni e vite che condivideranno in futuro!
Che tristezza!!ç__ç
A parte due oneshot un po' tristi, la prossima long dovrebbe essere molto più allegra di questa!!!
Almeno spero!!xD
Grazie mille a chi ha letto/commentato!!! Come sempre, vi adoro!!

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