Vampire's diary//Flowery Field

di Aribea398
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Come tutto ebbe inizio... ***
Capitolo 3: *** Meet my family ***
Capitolo 4: *** Crazy ***
Capitolo 5: *** Hug me ***
Capitolo 6: *** Sweet baby-Don't touch my sister ***
Capitolo 7: *** Peace ***
Capitolo 8: *** Blackout ***
Capitolo 9: *** Daniela... ***
Capitolo 10: *** Clan Sânge ***
Capitolo 11: *** Friends ***
Capitolo 12: *** Like Pretty Woman ***
Capitolo 13: *** Dancing Kiss ***
Capitolo 14: *** Asasin, shut up! ***
Capitolo 15: *** avviso ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Prefazione:

 

Ho riflettuto a lungo su come potrei iniziare questo diario, ma credo che un "salve a tutti" sia perfetto.

Salve a tutti, io sono Cassandra e lo sono da molto tempo.

In questo diario vi racconterò come sono diventata immortale, certo, non racconterò tutto nei minimi particolari, ma solo le parti salienti o comunque solo quello che mi va.

Non avete capito niente? State tranquilli, capirete tutto molto presto.

Posso soltanto dirvi che questo non sarà una cosa semplice, a volte non capirete il mio comportamento, a volte non lo capisco neanche io.

Quindi vi do ufficialmente il benvenuto nel mio diario, "Il Diario di una Vampira".

 

Cassandra.

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Capitolo 2
*** Come tutto ebbe inizio... ***


Come tutto ebbe inizio.

Come potrei iniziare questa "avventura"?

Inizierò raccontandovi la mia vita da umana, semplice.

In questo capitolo capirete perché sono diventata un immortale.

Io vivevo in Italia; si, ero italiana come voi. Sono vissuta durante l'Alto Medioevo, durante Carlo Magno. A quel tempo l'Italia non era unita come oggi, ma i suoi territori erano distribuiti e in ogni territorio vivevano popolazioni con culture completamente diverse fra loro.

Era l'811 quando sono stata trasformata, tre anni dopo morì il grande sovrano.

In quest'era orma si parla in modo blando di ogni cosa, quindi non indugerò e vi dirò come è successo: avevo diciannove anni quando sono stata trasformata e lo devo ammettere, ero bellissima. Il mio povero padre era un calzolaio e non veniva quasi mai pagato dal suo capomastro. Il proprietario di questa bottega aveva un figlio, che io non avevo mai visto, ma che sarebbe entrato in modo violento nella mia vita.

Quando avevo sedici anni lui tornò da un viaggio di piacere durato dieci anni. Quando mi vide non gli importò che ero solo una povera disgraziata senza una misera dote e mi sposò.

Certo, era bello. Con i suoi occhi verdi ed i capelli color dell'ebano, ma io non lo amavo. Amavo Gianfilippo, figlio di un arrotino lì vicino, lui per me era la cosa più bella del mondo: era magro e gracile, ma il suo sorriso mi mandava lo stomaco in subbuglio.

La notte prima del mio matrimonio ci promettemmo che ci saremmo amati segretamente, ma dopo appena sei mesi dal mio matrimonio fasullo conobbe una ragazza dai capelli rossi, se ne innamorò e scappo con lei nella capitale del grande Impero, Roma.

Ero disperata, a diciassette anni vivevo ogni giorno con una fatica immensa, l'uomo che non amavo mi regalava di tutto e impazziva di gioia a ogni mio piccolo sorriso: non ero una persona molto socievole.

L'uomo che amavo invece non lo vedevo da mesi, probabilmente si era già sposato e i suoi figli avrebbero avuto i capelli rossi.

I figli. La mia disperazione, il mio dolore più grande.

A diciotto anni, dopo due anni di tentativi, non ero ancora rimasta incinta, Davide, mio marito mi diceva che mi avrebbe amato lo stesso, ma non era la stesso cosa che pensava mio suocero.

Senza che ci dicesse niente andò a Roma dal papa in persona, nascondendo le sue intenzioni sotto delle bugie: "E' solo un viaggio di lavoro." Continuava a ripetere. Fatto sta che poco dopo ottenne l'annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota, perché quel bastardo aveva i soldi e io mi ritrovai sola.

Davide si risposò con una ragazza graziosa e bionda che stravedeva per lui, ma lui non la guardava. Lui pensava solo a me. Così mi scriveva nei suoi messaggi d'amore.

In quei due anni mi ero affezionata a lui e mi ero dimenticata di Gianfilippo, quindi mi ritrovavo di nuovo a soffrire per amore.

Mia madre morì di crepacuore nel vedere la sua unica figlia zitella e che non si poteva più risposare: avevo perso la mia purezza. Allora era la cosa più importante, ancora prima dell'amore che univa i due coniugi.

A diciotto anni e mezzo morì anche mio padre: ero sola, ancora più sola.

Davide quando lo scoprì iniziò a portarmi dei soldi di nascosto, il sufficiente per sfamarmi e affittare una camera in una locanda.

Sua moglie, scoperto il nostro amore segreto, lo andò a riferire al padre di lui, che diede di matto. Venne lui stesso alla locanda dove alloggiavo e chiese alla cameriera quanto avevo speso.

Qual maledetto rivolle indietro tutti i soldi che avevo ricevuto, pena la morte. Era illegale ammazzare qualcuno anche allora, ma nessuno si sarebbe accorto che io, povera disgraziata, non sarei più ritornata nell'alberghetto la sera. Avrebbero riaffittato la stanza, cambiato le coperte e nessuno si sarebbe più ricordata di Cassandra.

Non avevo altra possibilità: dovevo prostituirmi. Era il lavoro più vecchio del mondo e anche quello pagato meglio. Avevo la bellezza e questo bastava. All'epoca non pensai che sarebbe stato meglio farsi ammazzare, all'epoca ero legata alla vita, pensavo fosse sacra. Non sapevo ancora quanto mi stessi sbagliando.

Mi ricordo ancora come era fatto il mio primo cliente: biondo, alto, occhi azzurri. Si sarebbe sposato dopo una settimana e doveva fare pratica.

Non mi preoccupavo di rimanere incinta, non potevo rimanere in dolce attesa. Questo era il mio fardello che avrei dovuto affrontare per tutta la vita.

Davide un giorno lo venne a sapere: quando mi vide che baciavo appassionatamente un uomo lo scaraventò dall'altra parte camera. Mi trascinò fuori dalla bettola con qual poco che ero vestita e mi urlò in faccia tutto quello che provava, io ho semplicemente risposto che ero in quelle condizioni a causa di suo padre, che mancava poco perché ripagassi il debito e che avrei continuato questo lavoro anche dopo, ormai la mia vita era quella.

Dopo che facemmo l'amore in un vicolo buio e sporco mi disse semplicemente addio.

Seppi in seguito da alcune mie compagne cortigiane, che Davide, il rampollo del proprietario nel negozi di stoffe più importante della città, aveva ucciso in un duello il padre e in seguito la moglie dalla quale non aveva avuto di nuovo alcun figlio e in seguito si era impiccato allacciando la corda nella trave portante della bottega.

Piansi per intere settimane, ero dimagrita e la bellezza per la quale ero famosa era quasi sparita a causa dei miei occhi rossi e gonfi.

Poi un giorno all'alba mi venne in mente una cosa: se veramente mi amava saremmo dovuti scappare insieme, come avevano fatto Gianfilippo e la sua ragazza dai capelli rossi. Ci saremmo potuti risposare e coltivare un piccolo terreno in una casetta piccolina, con le galline e le oche che giravano intorno. Magari anche una capretta che brucava l'erba. Non eravamo scappati perché altrimenti avrebbe dovuto rinunciare ai soldi del padre e lui era soltanto un bambinone. E' stato meglio così, era un ragazzo viziato e lo sarebbe stato per sempre. Lui non mi amava veramente. Nessuno mi ha mai amato veramente, tranne i miei genitori, ma loro sono morti.

Mi alzai dal mio angoletto buoi e mi fissai allo specchio: facevo pena.

Mi sciacquai la faccia e mi misi il vestito più bello che avevo.

Entrai nella sala dove di solito adescavo gli uomini e dissi in modo più che convincente: << Si riapre l'attività. >>

Ci furono schiamazzi e brindisi e in pochi secondi mi ritrovai seduta sulle gambe di un ragazzotto borghese: in quella bettola c'erano le prostitute più belle della città. Solo le persone più ricche potevano permettersi la nostra compagnia.

Mentre spingevo il ragazzo di prima sul letto coperto di sete mi sentì prendere per le spalle e mi girai con un sussulto.

<< Piacere di fare la sua conoscenza, io sono Edgard, vengo dai Carpazi, dall'Impero bizantino. Vorrei sapere quanto verrebbe una notte con lei. >>

<< Deve chiedere al proprietario. >> Quello che prende quasi tutti i guadagni, pensai mentre mi fermo ad osservarlo.

Aveva la pelle chiara come il latte, i capelli lunghi e neri legati. Alcune ciocche erano libere e andavano ad incorniciare il volto di fattezze nobili. I suoi occhi erano blu come la notte. Non avevo mai visto un colore del genere.

<< Tu, sparisci. Qualsiasi somma hai già versato te la ripagherò. >> Il ragazzo si alzò e comunicò con fare scocciato la somma che aveva pagato poi si eclissò andando a corteggiare un'altra mia collega.

<< Noi due dobbiamo parlare. >> Detto questo mi prese la testa fra le mani e nella mia mente vorticarono mille immagini.

All'inizio non capivo cosa vedevo, sentivo solo un senso di pace. Si fece tutto nero e svenni.

Poco dopo riaprii gli occhi e lui, Edgard, era ancora lì che mi osservava seduto sopra a una sedia in un angolo.

<< Che cosa ha visto signorina? >> Mi domandò con fare interessato.

<< Lei è un… vampiro. >> Le immagini confuse che prima vorticavano si stanno pian piano riassemblando e inizio a comprendere molte cose.

<< Sai cos'è un vampiro? >> Solo in quel momento mi resi conto che non lo sapevo, avevo detto quel nome solo perché lo avevo visto.

<< No. >> Passammo tutta la notte a discutere, non mi toccò, non si avvicinò mai a me, mi rispettò.

Scoprì cos'era un vampiro: un essere demoniaco, si nutre di sangue umano, ha canini lunghi e può essere ucciso solo dal fuoco. Sono molto più forti degli umani e più veloci, sono immortali. Il sole non gli fa niente, ma preferiscono uscire di notte perché possono cacciare indisturbati. Non dormono mai.

L'alba iniziò a nascere e noi stavamo ancora parlando quando lui per la prima volta dopo ore si avvicinò a me e mi disse con fare quasi accademico:

<< Io le domando se vuole entrare a far parte della mia famiglia, ho udito la sua storia quando sono arrivato in città e credo che potrebbe interessarle diventare immortale. Col tempo le ferite guariscono. A dir la verità le ho mentito. Io non ho una famiglia, ma potrei iniziare con lei. Ho intenzione di farla diventare un clan numeroso. Potremmo diventare la famiglia di vampiri più potente di tutti i tempi. Abbiamo l'eternità per diventarlo. >>

Mi tese una mano. Riflettei per circa un minuto, non so perché lo feci, ma strinsi quella mano.

A quel punto i suoi canini si allungarono e si attaccò al mio collo: fu una sensazione bellissima, mai ne provai una così bella. La serenità della morte incombeva su di me, ma prima che l'ascia della bella donna vestita di nero si abbassasse sulla mia testa il vampiro mi baciò. Non era un bacio di un innamorato: il sangue defluì dalla sua bocca alla mia e io in quel momento fui come morta.

Mi svegliai tre giorni dopo.

La prima cosa che feci fu osservare il mio nuovo aspetto: non ero cambiata di molto, la pelle era solo molto più chiara e il colore degli occhi si era fatto più intenso; i miei occhi erano color verde bosco. Con i miei capelli neri e lisci sembravo quasi un folletto e come una stupida mi rallegrai del mio nuovo aspetto. Non sapevo e non immaginavo che ero diventata l'essere più mostruoso che abitasse sulla terra.

Cari lettori, spero che abbiate capito la mia vita da umana, anche se l'ho descritta in modo molto rocambolesco; e non giudicatemi per il lavoro che svolgevo, non siate ipocriti.

Poco dopo la mia trasformazione ci trasferimmo a Venezia e lì risiediamo da 1200 anni. La famiglia si è allargata, ma descriverò i miei "fratelli" in seguito.

Cordiali saluti.

Cassandra

Angolo autrice:

Grazie a tutti!

Nel giro di un pomeriggio e già due persone l'hanno aggiunta nei preferiti.

Non farò tanti angolo autrice lunghissimi.

Vi voglio solo dire che pubblicherò almeno una volta a settimana, altrimenti pubblicherò un avviso.

Di nuovo tanti saluti e se volete ditemi in un commento perché vi ha interessato questa storia!

Aribea398

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Capitolo 3
*** Meet my family ***


Meet my family:

 

Come avevo promesso, cari lettori, oggi vi spiegherò un po' di come viviamo io e la mia famiglia a Venezia. Quando io ed Edgard eravamo arrivati la città non era grande e splendente come è diventata in seguito. All'inizio era solo abitata da marinai e commercianti, ma pian piano si è abbellita di palazzi e ponti sempre più elaborati. In parte anche grazie a noi. Il mio tutore, soprattutto, conosceva molte persone che hanno influito di molto nella crescita della città.

Comunque senza indugio vi presento la mia famiglia, se volete potete entrare nel nostro palazzo, o meglio, nei sotterranei del nostro palazzo. Perché Ca' Loredan e Ca' Farsetti erano di nostra proprietà, ma il comune ci ha offerto di trasferirci nei sotterranei segreti. Avete capito bene, gli uomini sanno che noi esistiamo, ci sono prove e manoscritti sulla nostra esistenza, ma col passare del tempo tutti si sono dimenticati di noi, riponendoci nel fondo del cassetto soprannominato: incubi.

Stavamo parlando della mia famiglia giusto? Inizio subito, altrimenti ricomincerò a divagare.

Se sforzate la vostra immaginazione potete vederci nelle nostre segrete.

Io ed Edgard siamo seduti sui troni: lui come vi ho già detto ha i capelli neri e gli occhi blu notte; lui è in grado di far credere alle persone quello che vuole, oltre che trasmette immagini nelle menti delle persone, proprio come aveva fatto con me.

Affianco a lui siedo io, perché insieme siamo i fondatori di questa famiglia millenaria.

I miei occhi verde foresta sono sempre attenti, la mia frangetta nera rimbalza quando volto la testa da una parte all'alta della sala e i boccoli che mi faccio con il ferro sono lucidi e delineati sotto la tenue luce che arriva dalla laguna.

Anche io ho un potere, leggere la mente delle persone, anche se non lo faccio quasi mai, solo quando me lo ordina il mio tutore.

I membri reali in tutto sono quattro, oltre a noi due.

C'è Angelica, la più giovane e graziosa del gruppo: ha degli occhi grandi e azzurri come il cielo, i capelli biondi lunghi fino alle ginocchia sono lisci come la seta. E' alta poco più di un metro e quaranta, ma la sua allegria investe sempre tutta la sala. Era orfana e stava morendo di fame quando l'abbiamo trasformata, più o meno come me. Adora la natura ed è in grado di controllare tutti gli elementi: acqua, fuoco, terra ed aria.

Richart quando era umano era paralizzato dalla vita in giù, ma la trasformazione gli ha ridato l'uso delle gambe. Probabilmente è stata la sua voglia voler camminare a dargli il suo potere: la possibilità di viaggiare da una parte all'altra della terra in pochi secondi. Lui è il messaggero della famiglia, nonché compagno di Angelica. Angie mi dice che si è innamorata di lui per i suoi occhi viola e profondi e i capelli di un rosso fuoco.

Poi c'è Sofia, lei sa sempre tutto, ha il potere dell'onniscienza. I suoi occhi per me sono splendidi: un miscuglio fra un verde pallido e un azzurro acqua. I suoi capelli cono ricci e castano chiaro, gli arrivo poco più in basso del mento. Lei è la più tormentata della famiglia, avere sulle spalle un potere così importante sulle proprie spalle è difficile. Non è da tutti sapere tutto, conoscere ogni cosa. Lei era una povera pazza, nel vero senso della parola. Era in un ricovero per malati mentali, anche se aveva una semplice forma di depressione.

L'ultimo membro è Sebastian, un greco dai capelli corvini e incredibilmente enorme. Raggiunge i due metri di altezza. Non ha nessun potere in particolare tranne essere il più forzuto della famiglia e di tutti i vampiri che abbiamo incontrato finora. I suoi occhi sono neri come il carbone e la sua iride si distingue a malapena dalla pupilla. Devo ammettere che anche da umano incuteva in me puro terrore. La sua storia fa ancora più paura: era un indemoniato. Quando era piccolo un sacco di preti lo visitarono, ma lui continuava a fare cose che preferirei non descrivervi.

Si occupa lui, insieme a Richart ed Edgard, di addestrare la nostra guardia; è inoltre il compagno di Sofia.

La mia situazione è principalmente triste: sola da 1200 e sola per i prossimi 1200. A onor di logica dovrei sposarmi con Edgard per completare il bel quadretto famigliare, ma io e lui siamo più o meno come padre e figlia. Sarebbe come un incesto…

Chiudendo questa parentesi triste tornerei a parlare della casata reale, perché di questo si tratta.

Siamo una delle poche rimaste e la cosa più divertente è che non abbiamo né uno stemma, né un nome. Sono migliaia di anni che ne dobbiamo decidere uno ma alla fine non ci mettiamo mai d'accordo.

Quando ero stata trasformata c'erano molti clan e molte famiglie potenti, ma grazie al potere di Edgard, insieme al mio potere di leggere la mente siamo riusciti a dilaniare dall'interno tutti i clan che si opponevano al nostro controllo. Quindi non vi preoccupate, ai giorni d'oggi in Transilvania non c'è più il conte Dracula.

I membri di tutte le famiglie si sono sparpagliati per il mondo e non rimangono che alcune piccole comunità di una decina di vampiri in Romania e in qualche paesello dell'Italia.

Voi adesso passerete notti insonni al solo pensiero che un vampiro con poteri immani scali la vostra grondaia e vi dissangui mentre dormite.

Ci sono ben due errori nella frase di prima, rileggetela e poi tornate qui…

Fatto?

Bene, prima di tutto non tutti i vampiri hanno dei poteri, ne ho conosciuti pochi con qualche potere e comunque erano cose futili, tipo il sollevare di pochi centimetri oggetti o far sbocciare dei fiori. Probabilmente noi abbiamo questi poteri perché nella vita da umani abbiamo avuto esperienze che ci hanno segnato nel profondo.

Un'altra cosa sbagliata è il dissanguamento, o meglio la morte.

La nostra famiglia e le nostre guardie non lo praticano. Preferiamo semplicemente mordere e poi dopo un litro o due lasciare il malcapitato da qualche parte al sicuro, magari con una bottiglia d'acqua a fianco.

Naturalmente sto scherzando sull'acqua, ma non sul resto.

Noi ci teniamo a voi piccoli umani, perché senza di voi neanche noi potremmo vivere.

E' l'amore che può avere un leone per una gazzella, per intenderci.

L'unica cosa giusta di questa frase è che un vampiro molto probabilmente scalerà la vostra grondaia.

Ora che ci penso sta scendendo la notte ancora qualche minuto e si aprirà la caccia.

Voi non lo potete sapere, ma prima di iniziare a scrivere questa di frase ci ho messo ben dieci minuti.

Ormai su questo diario non ho più niente da scrivere, quello che dovete sapere di me l'ho già scritto e non posso dire altro.

Quindi molto probabilmente brucerò anche questo diario, come ho fatto centinaia di volte prima di questo.

Miei cari ipotetici lettori, la nostra avventura finisce qui.

Ora inizio a sentire veramente la sete e devo andarmi a nutrire.

Cordiali saluti

Cassandra

Riposi il taccuino nella libreria di camera mia, riattizzai il fuoco dentro al piccolo camino di camera mia.

Sistemai le coperte del letto sul quale ero stata sdraiata tutto il giorno e prima di abbandonare la stanza diedi un ultima occhiata per controllare l'ordine, mai presente nella mia vita: passabile.

Mi incamminai per i corridoi angusti aspirando l'odore di muffa tanto familiare.

Passando davanti ad alcune guardie esse si inchinarono al mio cospetto posando la mano destra a pugno sul cuore, come d'abitudine.

Saltellando leggera fino alla sala del trono mi ritrovai davanti ad Edgard ed il resto della famiglia.

<< Io vado. Ho sete. >> Dissi semplicemente prima di chiudermi il grande portone dietro alle spalle. Il mio udito sviluppato ricevette un "Divertiti!" del quale ero sicura provenisse da Richart. Sempre il solito.

Risalii la scala a chiocciola che portava dentro Ca' Loredan attraverso un passaggio segreto e facendo attenzione che nessuna telecamera mi inquadrasse andai all'entrata principale, salutai il custode che stava sorseggiando un caffè e uscii saltando fuori da una finestra. Alle due di notte nessuno mi avrebbe visto, ma questo significava che sarebbe stato anche più difficile trovare qualche persona con cui sfamarsi.

Andai verso l'interno, passai davanti all'albergo omonimo al nostro palazzo, girai a sinistra entrando in Calle del Carbon per poi proseguire in Calle Carlo Goldoni e prendere di nuovo la prima a sinistra e poi alla fine del viottolo girare a destra. A quel punto sentii una porta sbattere. Qualcuno era uscito, sentivo il suo cuore pulsare per la strada, sentivo il rumore che rimbalzava sulle pareti. Mi accucciai dietro a un bidone della spazzatura quando la persona che seguivo si era girata. E' iniziata la caccia.

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Capitolo 4
*** Crazy ***


Crazy…

Seguivo quel ragazzo da circa dieci minuti, correva e a volte mi sembrava di sentire dei singhiozzi, ma potevano essere i flutti della laguna. Attraversava ponti, saliva gradini. Dopo un po' iniziai a perdere l'orientamento, ma non i importava, la strada l'avrei ritrovata dopo.

Iniziai a seguirlo con attenzione sempre più machiavellica, che aumentava ogni volta che lui si voltava: sapeva della mia presenza, ma continuava nella sua corsa notturna.

A un certo punto si fermò, temei che mi avesse visto e mi arrampicai per una grondai lì vicino raggiungendo il tetto di una casa dove rischiai di rompere una grande quantità di tegole. Grazie al cielo ho un equilibrio innato.

Lo continuai a seguire sulla cresta dei tetti delle case che si affacciavano sulla via che stava percorrendo, godendomi ogni tanto la vista che Venezia mi offriva.

Mentre continuavo a rimirare le solitarie luci delle poche finestre accese e dei lampioni non sentii più i suoi passi.

Guardai la strada sotto di me e non vedi nessuno. Si doveva essere fermato da qualche parte e se fosse entrato in qualche casa? In quel caso addio cena.

Mi sporsi leggermente e scorsi la sua chioma bionda: si era seduto sui gradini di una casa.

La sua posizione smosse in me un moto di pietà, messo così, in posizione fetale, le braccia che circondavano le gambe e la testa scossa dai singhiozzi.

Chissà cosa gli era successo?

Non riuscii a formulare nessuna teoria valida perché in quel momento il vento cambiò direzione e il suo odore mi investì come un treno. Sapeva di prato fiorito, potevo sentire ogni sfumatura presente nel suo sangue, come fossi un'esperta sommelier.

Non riuscii a controllare i canini che si allungarono così velocemente che mi graffiai il labbro inferiore.

Ancora pochi secondi e avrei potuto gustare quel sangue, ormai era diventata un'ossessione.

Saltai direttamente dal tetto posando i piedi sull'acciottolato senza emettere nessun rumore.

Quel ragazzo continuava a piangere, non si era accorto di me.

I miei pensieri divennero sempre più sconnessi.

C'era solo lui e il suo sangue.

Mi mossi senza neanche accorgermene, gli accarezzai prima la testa per poi prendere le ciocche chiare fra le dita e obbligarlo a mostrarmi il collo.

Il suo sguardo era quasi spaventato, la bocca socchiusa e le guance completamente bagnate.

<< Questo è solo un sogno. >> Gli soffiai all'orecchio in modo dolce.

Senza pensarci un altro secondo affondai i denti nella sua carne chiara e iniziai a bere una delle cose più dolci che avessi mai assaggiato, più del miele stesso.

All'inizio il ragazzo si dimenò leggermente, mai poi diventò docile. Mi sdraiai completamente su di lui, in piena balia del gusto del suo sangue. Ero impazzita, non riuscivo più a controllarmi e mai nella mia esistenza era successo.

Le palpebre del ragazzo iniziarono a tremare, lottava per rimanere sveglio.

Dovevo trovare la forza di resistere a quel piacere così peccaminoso.

Entrai nella sua mente nella disperata ricerca di un appiglio per mantenerlo in vita: sarebbe bastata qualsiasi cosa, una fidanzata, una madre ammalata, un mutuo appena estinto; qualsiasi cosa che rendesse la sua morte un peccato, un grandissimo errore.

E fu lì che la vidi: una bambina piccola e calva, malata di cancro.

Lui stava dormendo insieme a lei, le accarezzava dolcemente la guancia mentre lei russava leggermente. Quella piccola bambina mi diede la forza di resistere e di staccarmi dal suo collo.

Rivoli del suo sangue mi sporcarono il mento che io andai a ripulire con la manica del cappotto.

Questo ragazzo deve la sua vita a quella bambina, che cosa buffa.

Un pensiero mi investì prepotente: e se non avessi trovato niente nella sua testa? L'avrei ucciso? Sarei arrivata ad un gesto così immondo, togliere la vita ad un essere vivente?

Mi rifiutavo di rispondere, spaventata dalla verità stessa.

Il corpo stava riverso sulle scale, non dava segni di muoversi. Fu in quel momento che iniziai a preoccuparmi, di solito le persone morse da noi si comportavano come se fossero ubriache, con violenti giramenti di testa e discorsi che sfioravano l'assurdo; ma lui non si muoveva.

Cosa avevo fatto?

Il suo cuore batteva ancora, ma sembrava affaticato, come se non ci fosse sangue a sufficienza: ecco il problema.

Me lo caricai in spalla, senza sapere dove andare: per la prima volta mi ero persa a Venezia. Salii suo tetto nonostante il suo corpo, molto più grande del mio, mi ingombrava non poco.

Avvistai il Canal Grande e automaticamente Ca' Loredan e Ca' Farsetti.

Le poche centinaia di metri che mi dividevano dal palazzo sembravano chilometri in confronto. Avevo la mente annebbiata, non mi rendevo conto neanche di quello che stavo facendo, l'unico pensiero che avevo in mente era che lui non sarebbe morto dissanguato, non per causa mia almeno.

<< Non mi sento bene. >> Per la prima volta sentii la sua voce, e avvertii come una fitta al cuore.

<< Adesso starai meglio. >> Riuscii solo a dirgli prima di spiccare l'ultimo salto e raggiungere la finestra che prima avevo lasciato aperta.

Corsi come una disperata verso l'entrata segreta, rischiando di rompere il meccanismo che faceva aprire la porta.

<< Ancora poco. Resisti. >> Non riuscivo a formulare frasi più articolate. 

Due guardie accorsero dopo la mia richiesta d'aiuto e dopo aver intimato loro che quello che tenevo in braccio non era da mangiare mi scortarono da Edgard.

<< Cosa hai combinato? >> mi domandò anche se entrambi ci eravamo già detti tutto, bastava uno sguardo per capirci.

Senza rendermene conto mi ritrovai nella stanza di Edgard anche se non capivo che cosa avrebbe potuto fare lui.

Con un movimento fluido del braccio sposto una libreria alta come il soffitto, ma stretta come una porta e infatti era una porta che nascondeva. Era argentata e intorno a lei percepivo un aurea di freddo. Continuavo a non capire.

Poi spalancò la porta e del vapore si condensò andando a ornare delle nuvolette che scomparirono in pochi secondi.

Era un frigorifero e conteneva decine di sacche di sangue scarlatto con sopra scarabocchiate le lettere A, B e 0.

Un momento, noi avevamo del sangue nel palazzo ed Edgard non mi aveva detto niente? Io, il suo braccio destro, il suo vice.

<< Poi dopo mi devi spiegare molte cose. >> Dico quasi indignata, incrociando le braccia nervosamente.

Lui non mi rispose, andò dal suo comodino e prese un elastico per capelli, legò la folta chioma nera e da un cassettino di un comò estrasse dei guanti di lattice e con grande attenzione li fece schioccare ai polsi.

Da un altro cassettoni prese un tubicino trasparente e un ago con delle valvoline colorate.

<< Mi vuoi degnare di uno sguardo? >> Gli urlai quasi, ancora più adirata.

Continuava con i suoi movimenti controllati e rilassati, strappo la manica della camicia del ragazzo che tremò leggermente ancora con gli occhi chiusi, per poi ripiombare nel suo stato di incoscienza.

Con un batuffolo di cotone imbevuto di alcool disinfetto nel punto in cui le vene bluastre spuntavano sulla sua pelle pallida.

Con un movimento veloce infilò l'ago e incastrò il tubicino nella valletta viola.

<< Vieni. >> La sua voce mi fece sobbalzare, ero rimasta ipnotizzata dai suoi movimenti.

Mi fece avvicinare e tenere l'altra estremità del tubo in alto poi a velocità vampirica prese una sacca di sangue 0 e rapidamente collegò anch'esso e il liquido defluiva pian piano verso il suo corpo.

<< Rimani qua. Tieni la sacca in alto. >> Fece per andarsene e chiudere la porta quando si voltò di nuovo verso di me. << E pensa cosa gli dirai quando si sveglierà, sarà dura fargli credere che noi non esistiamo dopo che si sveglierà nella nostra "tana". >>

A quelle parole mi venne quasi la pelle d'oca. Che cosa mi sarei inventata?

Agganciando la sacca sulla spalliera del letto antico mi chinai su di lui per controllargli la temperatura.

Il battito stava pian piano tornando normale.

Accarezzandogli la fronte e scostandogli le ciocche bionde dalla fronte sudata gli dissi sospirando: << E ora cosa faccio con te? >>

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Capitolo 5
*** Hug me ***


Hug me

 

Il ragazzo continuava a dormire, non dava segno di miglioramento.

L'alba pian piano stava salendo nel cielo e la laguna si colorava di arancione; i flutti sbattevano placidamente contro la piccola finestrella che illuminava la stanza: il brutto di vivere nei sotterranei è che gli ambienti non sono mai del tutto illuminati.

Pian piano la fronte chiara del giovane si stava corrugando, infastidita dalla luce che filtrava. In un secondo tirai le tende di velluto blu ed andai ad accendere una lampada poco distante dal letto oscurando la lampadina con il foulard verde smeraldo che indossavo dalla sera prima.

Mi avvicinai al capezzale del letto e non sapendo neanche quello che stavo facendo gli presi dolcemente la mano fra le mie sussurrando: << Svegliati… >>

La mia pelle fredda lo fece sussultare lievemente e le sue palpebre iniziarono a tremare e in poco meno di un secondo svelarono degli occhi blu cobalto: non avevo mai pensato che un umano potesse avere un colore così intenso, un vampiro forse, ma non un umano.

Le iridi si mossero in modo frenetico per tutto il perimetro della stanza finché non caddero nelle mie; a quel punto tentò di mettersi in piedi, ma avendo ancora la pressione bassa ricadde su cuscini di piuma d'oca che sbuffarono sotto il suo peso.

<< Ahi. >> Disse fissandosi il braccio con uno sguardo terrorizzato: aveva ancora la flebo per la trasfusione.

<< Stai fermo. >> dissi in modo tutt'altro che gentile. << Guarda dall'altra parte. >> Gli voltai il viso posando due mie dita sulla sua mascella mentre con l'altra mano prendevo contemporaneamente la bottiglia del disinfettante e un batuffolo di cotone.

<< Che cosa mi è successo? >> mi continuava a ripetere mentre io armeggiavo col suo braccio che a prima vista mi era sembrato fragile, ma ora i fasci di muscoli si irrigidivano sotto il mio tocco.

Presi tutto quello che ormai non serviva più, dalla sacca vuota all'ago ormai inutilizzabile, e lo misi in un sacchetto di tela. Aprii la porta che portava al corridoio: una delle tante guardie era già al mio servizio e gli ordinai di bruciare il contenuto di quello che gli stavo porgendo.

Mi ritrovai di nuovo sola col ragazzo che ora si era girato e mi dava le spalle. Il suo sangue ormai non mi attraeva più, era mescolato con dell'altro sangue, quello del donatore.

Mi posai mollemente su una poltroncina blu con degli intarsi bianchi e argento per poi chiedergli strofinandomi stancamente gli occhi: << Come ti chiami, di grazia? >>

Si girò di scatto e ricominciò a fissarmi: << Florenzo, per gli amici Fiore. >> Nome insolito, pensai.

<< Proprio come il tuo odore. >> borbottai, sistemandomi ancora più comodamente sulla poltrona.

<< Cosa? >> probabilmente avevo parlato troppo piano per le sue orecchie.

<< Niente niente. >>

Calò un silenzio tutt'altro che rilassato e iniziai a torturarmi le dita affusolate finché lui non riaprì la bocca: << Cosa è successo, di grazia? >> Sottolinea le ultime due parole. Non è colpa mia se sono di un'altra epoca, mi sono sempre espressa così.

<< Tu cosa ti ricordi? >> Sentii i pensieri di Edgard arrivare da dietro la porta: il saperlo vicino a me mi aiutava in questa situazione.

<< Sono uscito di casa. >> Le labbra gli tremarono un po' e la voce si fece un po' più acuta; Dio, se esisti, non farlo scoppiare a piangere davanti a me, ti prego. << Poi ho iniziato a correre e mi sentivo seguito. >> A quel punto si mise a fissarmi, di nuovo. << Quando mi sono seduto tu mi sei saltata addosso e avevi dei canini… >> Il suo corpo fu scosso da un brivido. Seguì un silenzio catacombale per circa dieci minuti, almeno così segnava la pendola attaccata al muro.

<< Sei una vampira? >> La domanda arrivò come un fulmine a ciel sereno. Non seppi più cosa fare.

A quel punto la porta si spalancò ed Edgard entrò con passo veloce e piantandosi davanti al ragazzo con le gambe divaricate e le braccia conserte.

<< Ce ne sono degli altri? Quanti? >> Florenzo iniziò quasi a sbraitare, ma smise subito: era ancora troppo debilitato per stancarsi così.

<< Come fai a sapere che siamo vampiri? >> Edgard si sedette sul letto sondando ogni movimento con la minima attenzione. Il ragazzo, sconvolto da quella vicinanza, si rannicchiò ancora più lontano da noi, posando la schiena contro la spalliera del letto e mettendosi in posizione fetale.

<< Se lei è una vampira lo devi essere anche te, siete simili. Pelle diafana, eleganti, belli, occhi dai colori strani. Siete padre e figlia? >> A quelle parole scoppiammo entrambi a ridere. Edgard aprì le braccia e io mi accoccolai nel suo freddo abbraccio.

<< Quasi. >> Dissi sorridendoli, ma vedendo che l'orrore in Florenzo cresceva mi staccai dal mio patrigno e ritornai sulla poltrona sempre con movimenti misurati.

Di nuovo il silenzio di prima.

Di sottecchi controllai il ragazzo: era così teso che potevo vedere i nervi guizzargli sotto la pelle.

Questa situazione non ci voleva, non avevo mai creduto che mi sarei trovata implicata in un frangente tutt'altro che tranquillo.

I battiti della pendola si intervallavano a quelli del cuore di Florenzo che nel frattempo non aveva mai smesso di guardarci; il suo sguardo passava dal mio viso a quello di Edgard ogni pochi secondi.

<< E allora? >> La sua voce mi arrivò sgraziata alle mie orecchie.

<< Vuoi sapere se ti uccideremo? >> Dissi dopo aver letto nella sua mente. << Non credo. Certo, dipende da come ti comporterai. Direi che se uscito di qui andrai ad urlare il nostro segreto ai quattro venti avrai firmato la tua condanna a morte. >> Continuai un po' acida, ma un'occhiata tutt'altro che amorevole dal mio patrigno mi costrinse a sorridergli fintamente.

<< Quello che Cassandra vuole dire. >> Prese la parola Edgard. << E' che saremmo disposti a scendere a patti con te pur che tu mantenga il nostro segreto. Sai, noi siamo una razza diversa da come ci dipingono nei romanzi e nei film dell'orrore. Siamo persone molto ragionevoli e ti offriremo di scegliere qualsiasi cosa noi potremmo fare per te. Basta solo che ordini e noi eseguiremo. >> Cosa!?

<< Che diavolo stai dicendo Edgard? Io sotto i voleri di quello non ci sto. Sono una vampira millenaria e ho una dignità. Un fragile umano non mi piegherà ai suoi voleri, sia chiaro! >> Con un gesto elegante della mano mi invitò a risedermi.

<< Tu farai quello che vuole lui, perché tu ci hai fatto finire in questo inconveniente e tu ci tirerai fuori. Noi non lo uccideremo, anche se dirà il nostro segreto. Portiamo rispetto alla vita degli uomini, altrimenti noi non saremmo quello che siamo oggi. Quindi, Florenzo, noi e soprattutto Cassandra siamo sotto il tuo volere. >>

Feci per andarmene da quella stanza ma una mano adamantina bloccò le mie intenzioni. Mi voltai soffiando come una serpe senza rendermene conto e ritrassi la mano. Lo sguardo di Edgard era quasi supplichevole nella sua mente si susseguivano preghiere rivolte a me, la sua vice, la sua spalla destra, la sua figlia prediletta.

<< Smettila! >> Mi risedetti per l'ennesima volta sulla poltrona tappandomi le orecchie, cercando di trattenere i pensieri che mi inviava all'infuori della mia testa, ma era inutile. << Accetto. >> Dissi con un sospiro.

<< Vado a prendere una camicia per il signorino Florenzo. Tu. Fai. La. Brava. >> Mi disse indicandomi con un dito e si volatilizzò nel giro di un secondo facendo sobbalzare il ragazzo, pardon, il mio nuovo padrone.

In quel momento pensai perché lo avessi salvato. Ancora pochi minuti e sarebbe morto, non avrei avuto tutti questi problemi.

Bastava così poco… Ma no, non avrei mai potuto uccidere un essere vivente: io non me lo sarei mai perdonato, Edgard non me lo avrebbe mai perdonato, tutti non me lo avrebbero mai perdonato, soprattutto Angelica, lei piangeva anche se ammazzavamo le formiche col borotalco.

Come un lampo mi riapparve quella bambina nel letto d'ospedale con il ragazzo sdraiato affianco e la domanda mi uscì dalle labbra senza che la potessi controllare: << Chi è quella bambina? Si, insomma, quella malata? >>

Mi guardò per un lungo secondo con la bocca spalancata poi i suoi occhi si riempirono di lacrime.

<< Come fai a conoscerla? Da quanto mi spii? >> Urlò così forte che la sua voce si incrinò. Provai ad avvicinarmi a lui per cercare di calmarlo, ma ottenni in cambio un cuscino che brandiva a mo' di arma. Quando riuscì a toglierli quell'oggetto contundente dalle mani gli afferrai le spalle e lo scossi leggermente. Percepii una sua supplica che pregava che non lo uccidessi e dopo averglielo confermato lo feci risdraiare nel letto sprimacciandogli il cuscino.

Mi risedei per l'ennesima volta sulla poltrona, che a causa della mia forza scricchiolò sotto la mia spinta. Posai i gomiti sulle ginocchia portando le mani all'altezza della mia testa, scostando le ciocche di capelli che si erano scomposte durante la "lotta" per la supremazia del cuscino e inizia a massaggiarmi energicamente le tempie sperando di mettere in ordine tutti gli avvenimenti: gli dovevo ancora rispondere.

<< Ho visto quella bambina nella tua mente. Prima che tu possa interrompermi ti informo che leggo nel pensiero e quando… Si, insomma… Ti ho morso… >> Deglutii a fatica, non mi ero mai trovata in una situazione così complicata con un umano, mi ero sempre tenuta a debita distanza da loro dopo la mia trasformazione. << Ho cercato nella tua mente una ragione per cui ti dovessi lasciare vivere, se tu eri degno di continuare a camminare fra i vivi. Ho visto quella bambina, così piccola… Ma dimmi, sta bene? >> Gli chiesi un po' timida abbassando gli occhi sulle mie mani che avevo ricominciato a torturare strofinandole una con l'altra.

<< Mia sorella >> sottolineò le prime due parole << in questo momento non sta in grande forma. Ha il cancro, ma sta lottando e ce la farà. >> Disse poco convinto, non riusciva a mentire neanche a se stesso.

<< Quanto le resta? >> Domandai fissandolo dritto negli occhi, controllando ogni sua espressione facciale e ogni suo movimento. Era una pentola a pressione, fra un po' sarebbe esplosa.

<< Qualche mese. >> Singhiozza portandosi le mani al viso e scacciando le lacrime con le mani con scatti così violenti che potrebbero sembrare schiaffi.

<< E' per questo che sei scappato? Che ti sei messo a correre 'sta notte? Che ti sei messo a piangere? >>

Annuì impercettibilmente e aggiunse: << L'ho scoperto ieri sera, mia mamma non me lo voleva dire, capisci? Me lo voleva tenere nascosto. Ma poi ho visto il referto medico… >> Si circondò le ginocchia con le braccia e notai il suo braccio nudo, per via della manica strappata da Edgard per permettere la trasfusione. Quanto ci avrebbe messo ancora per prendere una camicia? Non sopportavo più di rimanere con Florenzo.

Iniziò a colpire freneticamente il materasso smosso da un moto di collera improvvisa. Il poveretto, sotto i pugni del ragazzo, rimbalzava impotente.

Gli fermai entrambe le mani fra le mie cercando di catturare il suo sguardo, volevo fargli capire che il suo comportamento non sarebbe servito a niente, ma prima che potessi aprire la bocca sussurrò: << Abbracciami. >>

Rimasi di sale, lui mi aveva chiesto di abbracciarlo; l'umano aveva chiesto alla vampira, la sua eterna rivale, la sua nemica, di abbracciarlo.

<< Ti ordino di abbracciarmi. >> Disse in modo che poteva essere descritto come disperato. Sentii Edgard da dietro alla porta che mi incitava a farlo, lo sentivo nella mia mente. Da quando era la dietro? Non potei controbattere, era lui il padrone adesso.

Lo abbracciai il più freddamente possibile, ma lui mi si avvinghiò al busto e ricominciò a piangere sommessamente, tirando ogni tanto su di naso. Mi costrinsi a non sindacare sul fatto che stava bagnando la mia camicia bianca preferita e iniziai, con timore di farlo spaventare ulteriormente per un gesto così intimo, ad accarezzargli i capelli biondicci che gli ricoprivano la nuca e sfioravano il suo collo che sussultava per via dei singhiozzi.

Non sussultò, si strinse anzi di più a me e aggiunse con voce roca: << Mi sto facendo consolare da un mostro, sono pazzo. >>

Quel commento non mi fu di certo di aiuto per vedere Florenzo sotto un'ottica positiva: il sentirsi chiamare mostro non fa piacere, neanche a me.

Cercai di rispondere meglio che potevo.

<< Il mostro è una cosa diversa dal normale e io sono una specie animale proprio come lo siete voi, fragili umani. Mi dispiace deluderti, ma noi non siamo dannati, difatti i crocifissi non ci fanno niente, siamo semplicemente immortali. Poi un mostro è un essere così disgustoso che quando cammina persino la terra sotto i suoi piedi si ritira pur di non essere sfiorata. Io quando cammino non faccio crepare l'asfalto. Comunque, ripeto, mi dispiace di aver deluso le tue aspettative, la prossima volta spero che incontrerai una creatura mitologica più interessante. >>

Gli rubai un piccolo sorriso, ma poi più niente, ricominciò a piangere e Dio solo sa per quanto tempo eravamo rimasti in quella posizione.

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Capitolo 6
*** Sweet baby-Don't touch my sister ***


Sweet Baby-Don't touch my sister!

 

<< Guarda che se il signorino Florenzo deve andare a casa è meglio che andate, sono già le sei di mattina, un'ora e mezza e il comune si riempie. Poi non potremo più utilizzare il passaggio segreto, rischieremmo di farci scoprire e per il momento abbiamo già dato, che ne dici? >> Edgard mi porse una camicia blu scuro, da uomo.

Mi alzai dal tappeto persiano ai piedi del letto e dopo aver afferrato la gruccia argentata dalle sue mani cercai di svegliare il ragazzo nel modo più gentile possibile.

<< Florenzo… Florenzo… >> Gli soffiavo gentile all'orecchio, ma non dava segno di aprire gli occhi. << Fiore… >> iniziai a scrollarlo per le spalle molto lentamente. Non voleva proprio degnarsi di svegliarsi. Con un occhiata fugace controllai che Edgard non mi stesse guardando: si stava pettinando i capelli ed era in grande difficoltà a farsi una coda senza che gli venisse storta. Non potei resistere, portai due dita alla bocca e soffiai. Fischiai così forte che il ragazzo sobbalzò e cadde dall'altra parte del letto, ancora mezzo addormentato.

<< Cassandra! >> Edgard era più che indignato e facevo fatica a non scoppiare a ridergli in faccia. Mi ero dimenticata di quanto fosse divertente spaventare le persone. << Ora basta, se prima dovevamo essere tutti al servizio del signorino ora lo sarai solo te. Non ti preoccupare Florenzo, lei potrà esaudire ogni tua richiesta, è la vampira più abile e scaltra che conosca. Ti farà avere ogni cosa tu desideri. >> Non riuscì neanche a sindacare che era già uscito dalla stanza. Maledizione.

Posai uno sguardo omicida sul ragazzo che nel frattempo faticava a rialzarsi. Se dovevo essere al suo completo servizio allora tanto vale comportarmi bene, così forse mi lascerà libera prima che lui tiri le cuoia. Saltai sul letto e mi portai affianco a lui, passandogli il braccio intorno alla vita e portando il suo sopra e mie spalle. Pesava meno di una piuma, ma mi resi conto che era alto molto più di me, sarà stato un metro e ottanta, quindici centimetri netti più di me.

Lo portai fino alla sedia davanti alla toletta e gli porsi la camicia.

Se la infilò in modo molto goffo e fui costretta ad aiutarlo a trovare le maniche: che umiliazione.

<< I miei capelli fanno schifo. >> Obiettò cercando di ravvivarseli con le dita. Senza dire niente presi una delle tante spazzole del mio patrigno e cominciai a dargli una piega, tirandoglieli indietro. << Io li porto con il ciuffo davanti, se non ti dispiace. >> Dopo che sbuffai sonoramente provai ad acconciarglieli davanti, ma assumeva solo un aspetto più stupido, sembrava la fotocopia di tutti i suoi coetanei.

<< Stavi meglio prima, così sembri un cane. >> Glieli risistemai come erano prima e mentre riponevo la spazzola d'argento mi venne un dubbio. << Quanti anni hai per l'esattezza? >> 

<< Diciassette, quasi diciotto. >> Disse mentre si sistemava il colletto in un modo inguardabile. Scostandogli le mani che trafficavano sulla camicia provai a risolvere il guaio che aveva fatto e mi sentii sollevata quando guardandosi allo specchio fece un "Oh!" di ammirazione.

<< Usciamo, ti porto a casa. E mi raccomando, stai vicino a me. >> Lo presi per un braccio e iniziammo a percorrere una serie di corridoi finché non arrivammo alla scala a chiocciola.

<< Adesso scendiamo dalla finestra, tu non urlare. >> Non gli diedi il tempo di rispondermi che me lo caricai in spalla e saltai sul davanzale della finestra per poi buttarmi nel vuoto. Quando lo feci scendere aveva gli occhi vitrei.

Gli schioccai le dita diverse volte davanti al viso e, forse a causa dello "shock", cadde all'indietro e lo presi all'ultimo.

Tenendolo per la vita lo portai fin davanti al portone di casa sua, cercando di farci vedere da meno gente possibile.

Quando stava per posare il primo piede sui gradini una donna minuta gli si fionda fra le braccia costringendo a staccarmi da lui.

<< Tesoro di mamma. >> Quindi era sua mamma. << Perché sei scappato, quando non ti ho visto tornare io… io… >>

Si mise letteralmente a singhiozzare e il primo pensiero che mi venne in mente è che si sarebbe rovinata la camicia.

Mentre aspettavo che madre e figlio finissero i loro convenevoli diedi un occhiata all'interno del palazzo: niente di che, non era uno dei condomini più carini di Venezia, ma non era da buttare.

Con qualche passo indeciso iniziai a perlustrare l'interno e tanto per fare qualcosa lessi i nomi di tutte le cassette della posta, chissà qual era quella di Florenzo.

<< Lei, signorina, salga al terzo piano, interno sei. Le devo offrire un caffè per avermi riportato la mia ragione di vita! >> Come risposta il ragazzo diventò paonazzo per la vergogna: chissà che sensazione si provava nell'essere umiliati davanti a una vampira.

Salii le scale velocemente, ansiosa di vedere come viveva il mio ormai padrone.

La porta era semiaperta e per iniziare diedi una piccola occhiata di controllo per poi entrare richiudendo la porta dietro di me.

La casa era piccola: la cucina era verde collegata subito con il soggiorno dove c'era un tavolo quadrato bianco e tre sedie spaiate insieme a un divanetto sfondato e una televisione con le antenne a coniglio.

A sinistra iniziava un corridoi, nella prima porta c'era un letto matrimoniale in una stanza spoglia e bianca mentre nella seconda due letti, uno sfatto rosa a fiorellini e uno verde militare; questa stanza invece era piena di disegni, una scrivania e una libraria, con un piccolo computer portatile.

Mi immaginavo una casa ricca, lì invece sembrava di essere in una casa di poveracci, naturalmente senza nessuna offesa personale.

Strofinandomi gli occhi e stiracchiandomi un po' ritornai in soggiorno, quando il rumore di una porta che sbatteva catturò la mia attenzione: una ragazzina minuta con un foulard in testa mi si stava avvicinando, le manine che tenevano chiusa la vestaglia verde troppo grande per lei e la bocca impegnata a sbadigliare.

Mi guardò con gli occhi spalancati, le sopracciglia quasi assenti inarcate all'inverosimile: << E tu chi sei? Sei bellissima! >> L'innocenza dei bambini, possono dire quello che vogliono e non sembrano mai inapropriati. Solo quando la perdi ti rendi conto di quanto sia meravigliosa l'infanzia.

<< Emh… >> Mi guardai un po' intorno in cerca di un appiglio o di ispirazione per mentire. << Sono un'amica di Florenzo. >> Mi rigirai i pollici velocemente, cercando di darmi un'aria tranquilla: gli occhi di quella bambina mi scrutavano peggio del giudice più intransigente.

<< Gli amici di Fiore lo chiamano Fiore! >> Disse mettendosi le mani sui fianchi assumendo lo sguardo di un detective attento ad ogni piccolo particolare. La vestaglia si aprì scoprendo un pigiamino azzurro con gli orsetti. Non potei fare a meno di pensare quanto fosse adorabile… Il mio cuore ebbe come una fitta. Quella bambina stava male, sarebbe morta. Mi uscì un gemito dalla bocca che non potei controllare, ma che nascosi tossendo. Quella povera creatura.

<< Non senti freddo? E' meglio che vai a letto, non sono neanche le sei e mezza! >> Le dissi sorridendo e prendendola per una mano. Lei mi seguì allegra e imboccammo la seconda porta a sinistra. Si sistemò nel suo lettino e si tirò da sola le coperte fino al mento e si girò verso di me.

Stava per dire qualcosa quando sentii il ragazzo rientrare. Chiuse la porta dicendo che la madre era andata ad avvertire la nonna che abitava un piano più sotto che lui era ritornato.

Quando mi vide che ero vicina alla sua sorellina vidi come cambiare il suo volto, i lineamenti indurirsi di botto.

<< Sai, Fiore, ero andata in bagno e ho visto questa ragazza che gironzolava per casa. Mi ha detto che è tua amica. >> Disse sorridendo in un modo così bello che mi riempì il cuore di compassione. Lo dovetti ammettere a me stessa: io amavo i bambini. Se solo il destino mi avesse dato la possibilità di averli…

<< Cassandra, vieni con me! >> Disse, la voce roca per una ragione che non capivo, probabilmente per la rabbia, ma non ne comprendevo il motivo.

Uscii dalla stanza e chiusi la porta dietro di me. Mi stavo per girare quando sentii due mani stringermi le spalle e in seguito il muro dietro si me. Florenzo era riuscito a spingermi contro il muro: mi aveva preso di contropiede e non riuscivo a capacitarmi di come avesse potuto sovrastare la mia forza.

Mi mise le mani al collo e io lo lasciai fare, ancora poco e mi avrebbe detto cosa lo infastidiva così tanto, ma un po' di tensione iniziavo a sentirla anch'io: era nell'aria, come elettricità.

<< Tu, mia sorella, non la tocchi! >> Me lo aveva sussurrato all'orecchio, con una rabbia che sfiorava l'inverosimile.

Iniziava a premere ancora più forte, ma no avrebbe potuto intaccare la mia pelle di marmo.

<< Tu non la tocchi. >> Cercò di tirarmi uno schiaffo ma gli fermai il polso a mezz'aria. << Cos'è? La vampirella non vuole essere schiaffeggiata? >> Non avrei mai pensato che potesse essere così arrogante. Lui che chiamava me "vampirella"?

<< Ti saresti fatto male, io sono fatta di roccia. >> Gli dissi reggendo il suo sguardo di fuoco, così ardente che avrebbe potuto incendiarmi.

<< Esci da casa mia! >> Urlò così forte che la voce gli si incrinò per lo sforzo. Non mi mossi, aspettavo che mi chiedesse scusa: mi aveva insultato lui, dopo tutto.

Vedendo che non davo segno di muovermi mi prese per i capelli e mi spinse con tutta la forza che avevo verso la porta: assecondai il suo volere cercando di ripetere più volte a me stessa che ora era lui il padrone ed io dovevo obbedire. 

Mi richiuse la porta e non potei fare altro che ridiscendere le scale e quando incontrai la madre la liquidai dicendo che mi aspettavano a casa e si preoccupavano se facevo tardi.

Ritornai sui miei passi raggiungendo Ca' Farsetti e Ca' Loredan con un unico pensiero nella testa: avevo deluso Edgard, di nuovo.

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Capitolo 7
*** Peace ***


capitolo già postato, ma ricorretto!

Peace

Ridiscesi per la terza volta quel giorno giù nelle segrete cercando di incontrare meno guardie possibili. Entrando nella mia stanza mi buttai a peso morto sul letto e il copriletto di piume mi avvolse in un morbido abbraccio.

Dopo aver sistemato i capelli sul cuscino mi misi ad osservare i teli semi trasparenti verde smeraldo che andavano a formare il baldacchino.

Cercavo di pensare a tutt'altro che non fosse Florenzo, ma la sua rabbia continuava a tornarmi in mente. Lui mi aveva cacciato da casa sua per una ragione illogica e anche infantile: credeva che avrei fatto del male alla sorellina, preoccupazione immotivata. I vampiri non toccherebbero mai dei bambini, loro sono… intoccabili, inviolabili e candidi. Preferirei morire che fargli del male.

Ora però avrei dovuto giustificarmi con Edgard, si infurierà se mi vedrà qui e non a servire il ragazzo.

Mi tolsi le scarpe buttandole da qualche parte della stanza e iniziai a fischiettare una canzoncina allegra finché non sentii i passi del mio patrigno che percorrevano il corridoi. Trattenni il fiato cercando di far rallentare il battito del mio cuore che sembrava impazzito.

<< Quanto volte ho detto a voi guardie di non entrare… >> Si fermò sulla soglia, gli occhi spalancati ed interdetto se entrare o no.

<< Scusa, pensavo che una guardia fosse entrata… >> lo zittii con un segno della mano e con la stessa lo invitai a sedersi affianco a me. Con un movimento fluido si tolse gli stivali neri e si sdraiò nell'altro lato del letto, sciogliendosi la coda di cavallo e accavallando i piedi.

Dopo un sonoro sospiro si girò da un lato e mi guardò negli occhi: << Perché non sei con il signorino? >> disse sorridendomi paternamente. 

Sospirai a mia volta: << Abbiamo "discusso". >> aggiunsi l'ultima parola facendo con l'indice e il medio di entrambe le mani i segni delle virgolette.

Edgard si strofinò nervosamente gli occhi e mi prese una mano: << Ti va di spiegarti meglio? >> finì baciandomi dolcemente il dorso e strofinandoci il naso sopra.

Dopo aver ritratto la mano e posizionando entrambe dietro la mia testa, fra cuscino e nuca dissi sull'orlo delle lacrime: << Tu sei troppo bravo con me, non mi merito tutta questa gentilezza. >> catturai velocemente una lacrima salata che mi era scivolata fino al labbro con la lingua e cercai con tutte le forze che avevo di iniziare a raccontare.

<< Quando siamo arrivati a casa sua sono salita per prima. Nel loro appartamento ho incontrato la sorellina: non avrà più di dieci anni ed è malata di cancro, morirà. >> Edgard fece una smorfia, anche lui ama i bambini come me. << Sono stata pochi secondi con lei, poi Florenzo ci ha scoperte e si è arrabbiato. Mi ha spinto contro il muro, ancora non so come ha fatto. Lui mi ha detto di andarmene e di non toccarla mai più. Mi ha preso addirittura per i capelli. Pensava che gli avrei fatto del male; come ha fatto a pensare che io avrei fatto del male ad una creatura così meravigliosa e fragile. >> Mi strinsi al suo busto e lui mi accolse come speravo iniziando ad accarezzarmi la schiena, come per calmare calmare i singhiozzi.

Restammo così per un paio di minuti finché lui si staccò da me dicendomi rassegnato che doveva andare a controllare i lavori del tunnel: era da diversi giorni che stavamo facendo un nuovo passaggio segreto che sarebbe finito proprio diverse centinaia di metri più in là della casa del ragazzo. A volte la dea Fortuna è veramente bendata.

Comunque tornando al tunnel, in questo modo saremmo potuti uscire anche di giorno, senza che gli uomini ci potessero scoprire. Sembrerà come se uscissimo da una cantina.

Quei pochi secondi mi servirono per distrarmi, ma quando Florenzo ritornò violentemente ad occupare i miei pensieri presi di nuovo la mano di Edgard: << Sono davvero così malvagia? Cioè, la gente mi vede come un in individuo pericoloso? >> Facendomi un buffetto sulla guancia mi rispose in modo dolce: << Tu non sei malvagia, tu sei una delle persone più candide che conosca. Sono fiero di essere tuo padre. E poi rifletti su questa cosa: un fratello vede la sorellina malata fra le mani di una vampira. Tu come reagiresti? >> Abbassai la testa annuendo e mi risdraiai fra i cuscini. 

<< Scusa Edgard, tu dici di essere mio padre, ma quanti anni hai in realtà? >> Gli dissi con un sorriso di sfida sul volto.

<< 1463. 1464 l'11 marzo. Perché? >> Feci di no con la testa alzando il busto e incrociando le gambe. 

<< Io ho diciannove anni da 1181 anni? Tu? >> Si girò verso di me con le mani sui fianchi, una che teneva gli stivali che si era tolto precedentemente. 

<< Davvero no te l'ho mai detto? Comunque ventisei. >>

Così dicendo si richiuse la porta dietro di se e lo sentii allontanarsi fino a non udire più un suo passo.

Mi alzai di malavoglia e iniziai a girovagare per la stanza come se non conoscessi ogni suo angolo. Mi fermai davanti al muro dove incollavo i fogli ove scrivevo le frasi celebri che più mi piacevano: " Il mondo sta rimanendo senza geni: Einstein è morto, Beethoven è diventato sordo e io comincio a non sentirmi tanto bene…. Woody Allen." Risi sotto i baffi, quella battuta mi è sempre piaciuta.

Decisi di andare a girovagare per i corridoi costringendomi a non pensare a quel ragazzo, ma continuava a tornarmi in mente. Io sono malvagia: Edgard se n'era andato e non c'era più nessuno a consolarmi.

Passarono Richart e Sebastian che mi salutarono sorridenti. Loro non mi avrebbero potuto consolare, riflettendoci quella che io chiamavo famiglia reale per non era una famiglia: non ho legato con nessuno tranne Edgard e rimirando tutti gli anni passati una cosa sola e nitida mi venne in mente. Io ero per loro come una madre autorevole.

Non gli ho mai trattati come miei pari, per me loro sono sempre stati come dei ragazzini, anche se Richart e Sebastian avevano più anni di me quando sono stati trasformati.

Dovevo soddisfare i miei dubbi e andai subito alla ricerca di Angelica e Sofia. Le trovai che stavano salendo la scala a chiocciola per il passaggio segreto.

<< Salve Cassandra, andiamo a fare un po' di compere, sai com'è Angelica: è uscita la nuova collezione primaverile di non so quale stilista e ha intenzione di svuotare il negozio, da quello che ha fatto trapelare. Vuole venire con noi? >> Solo in quel momento mi resi conto che la maggior parte delle volte mi davano del lei. Ero veramente così autoritaria?

<< Non darmi del "lei" Sofia, mi da fastidio. Credo che uscirò con voi, ma dopo un po' me ne andrò. Devo fare una cosa. >> Le dissi sorridendole e cercando con lo sguardo Angelica.

<< Sbrighiamoci Sofia, altrimenti il passaggio segreto non lo possiamo più usare e credo che il comune non sia ancora aperto al pubblico, ma per poco… >> Fece appena in tempo a finire di parlare che i suoi occhi color cielo incontrarono i miei. Subito iniziò a balbettare scuse: << Sono desolata, non avrei dovuto urlare. Mi scusi, Cassandra. >> Come avevo fatto in tutti questi anni a non rendermi conto che tutti mi temevano qui? Dev'essere quel ragazzo, è colpa sua se ho iniziato ad analizzarmi dentro e a vedere il comportamento degli altri.

<< Ripeto, non datemi del "lei". Comunque se voi volete vorrei aggiungermi a voi, sempre se Angelica è d'accordo. >>

Guardai prima l'una poi l'altra e fui lieta nel vedere che sfoggiavano entrambe un grande sorriso.

Purtroppo però mi ritrovai sotto le loro complete attenzioni e verso mezzogiorno avevano comprato completi solo che per me. (vedi piè pagina)

Nonostante fosse ancora marzo e a Venezia si sentiva freddo quel giorno il sole brillava nel cielo in un modo che non ricordavo. Erano anni che non mi esponevo alla piena luce del sole.

<< Mi potete spiegare, di grazia, in quale occasione metterò tutti quei vestiti? >> Risero sonoramente, soprattutto Sofia.

<< Hai presente quel ragazzo? >> Mi disse Sofia affiancandomi e prendendomi a braccetto.

Capii subito che si riferiva a Florenzo e quindi non potei fare altro che annuire; a volte neanch'io sopportavo il suo potere perché finiva per sapere anche i fatti miei, compresa la mia ultima disavventura.

<< Tranquilla, di questa ne è a conoscenza solo la famiglia reale. >> E mi strizzò l'occhio. << E poi quel bel vestito rosso ti servirà. >> Disse saltellando e facendomi cadere le buste che tenevo in mano.

Provai a leggere nella sua mente il motivo di tale gioia, ma la ritrovai che pensava in una lingua molto simile all'albanese, un mistero per me. Non sopporto neanche quando uno mi mette la pulce nell'orecchio e non si spiega a fondo.

Angelica passeggiava placida davanti a noi, con gli occhiali a tenerle a posto i capelli a mo' di cerchietto e il viso leggermente rivolto verso l'alto, probabilmente per catturare il maggior numero di raggi solari possibili.

Controllai l'ora e mi resi conto che probabilmente fra mezz'ora Florenzo sarebbe uscito da scuola. Io sarò ad aspettarlo, a chiedergli umilmente scusa.

Ci fermammo in un piccolo bar con le sedie e i tavoli in ferro battuto per prendere un french toast e una bibita.

Provai a tirare fuori il portafoglio, ma loro mi dissero che avrebbero offerto loro: mi meravigliai del fatto che dopo quelle cifre astronomiche spese in quelle boutique avessero ancora più di un centesimo. Avrei dovuto dire ad Edgard di controllarle meglio se non volevamo finire in bancarotta nel giro di qualche mese.

Battevo nervosamente il piede contro la gamba di ferro del tavolo, pochi minuti e sarei dovuta andare dal ragazzo.

Dopo averle avvertite che se avrebbero speso un capitale per comprare vestiti che mai avremmo potuto mettere le avrei tolto la possibilità di accedere alla nostra cassaforte, mi indirizzai con passo svelto verso casa di Florenzo sperando che non fosse già arrivato.

Durante il tragitto riflettei sul fatto che conoscevo relativamente poco di lui, tranne dove abitava e che aveva una sorella. Non sapevo né il suo cognome, né che scuola faceva.

Quando raggiunsi casa sua mi resi conto che non era ancora nell'edificio perché non precepì il suo flusso di pensieri fra quelli degli altri. In compenso capii che la sua vicina aveva bruciato il polpettone e sentii pensieri tutt'altro consoni ad una donna.

Mi sedetti sui gradini e aspettai diligentemente contando quante persone passavano per la via: passatempo noioso, ma l'unico che mi era venuto in mente.

Quando arrivai a cinquantatré riconobbi il rumore dei suoi passi fra gli altri e mi alzai cercando di sistemarmi la camicia rossa che indossavo quel giorno e cercando di ravvivare il foulard nero a fiori grigi.

Appena i suoi occhi mi videro si fermò, interdetto. Poi con uno sbuffo così forte che riuscii a sentirlo, nonostante fosse circa cento metri da me, si rimise in moto e mi si fermò di fronte.

<< Ti prego di ascoltarmi. Sono desolata per quello che è successo e ti giuro sul mio onore che non mi avvicinerò mai più ai tuoi cari. Né io e né gli altri vampiri, naturalmente. >> Gli dissi cercando di sembrare il più neutrale possibile.

<< Io invece per scusarmi del mio comportamento esagerato… >> Sorridendo posò lo zaino su di un muretto e ne estrasse un foglio piegato in quattro. << Tieni, non è un gran ché, ma è l'unica cosa che mi posso permettere. >>

Aprii pian piano il foglio e scoprii un disegno ove riconobbi la mia fisionomia. << Questa tecnica si chiama "Manga", è nata nella zona del Giappone e della Cina… >> Lo interruppi con un gesto della mano.

<< Sono un essere antico, non un essere idiota. So cosa sono da molto più tempo di te. Però i canini potevi farli più lunghi… >> Come mi aspettavo sorrise e fui contenta del fatto di aver fatto pace con il mio padrone. << Posso tenerlo? >> Gli dissi cercando di assumere uno sguardo languido.

<< Emh… E' tuo… E' per te… E' un regalo per te… >> Si passo una mano dietro al collo in modo nervoso e mentre sogghignavo ripiegai il foglietto e lo misi nella tasca dei pantaloni.

<< Ho due domande da farti… >> Fece vorticare la sua mano come per incitarmi a continuare. << Qual'è il tuo cognome? >> La mia voce fu squillante e vivace senza che io lo volessi; cercai di ricompormi incrociando le braccia.

<< Emh… Fiorini? >> Sembrò più una domanda e mi scappò una risata, a quanto pare era uno dei tanti uomini che capitolava davanti ai miei occhi.

<< Florenzo Fiorini. Quindi Fiore Fiorini! >> Dissi nuovamente allegra, questa volta assumendo un tono canzonatorio.

<< Già. A volte i genitori sono proprio stronzi. >> L'ultima parola mi fece sussultare.

<< Ti prego, modera il linguaggio quando sei con me. Passando alla seconda domanda: che scuola fai, sempre se ne fai una. >> In quel momento un ragazzo saltò addosso a Florenzo facendolo cadere per terra. Lo scostai bruscamente e feci rialzare il mio padrone quando una voce sgraziata e roca per il fumo mi giunse alle orecchie: << Tranquilla, non te lo sgualcisco il tuo Fiorellino. Ma guardati, sembri più aggressiva di una pantera. E che pantera! Gente venite a vedere 'sta bomba. >> Si interruppe ridendo sguaiatamente. << Comunque bellissima… >> E mi posò una mano sulla spalla. << Io e il mio compare andiamo al Liceo Scientifico Benedetti, sull'Isola San Pietro. Ti ho sentito sai che glielo chiedevi. Cos'è Fiore, ti rimetti in attività? Perché dopo la Daniela non sei più uscito con nessuna. Ripensandoci è un eternità che non esci con nessuna. >> E gli passo una mano sul viso con fare da ubriaco. << Bello il mio Fiorellino, aprila come una lattina di pelati 'sta qua. Ti saluto che la mamma ha buttato la pasta e si fredda. E tu… >> Mi indicò ridendo di nuovo. << Se questo non ti soddisfa vieni da me che mi chiamano "Bananafish". >> E se ne andò cantando una canzone che doveva essere degli My Chemical Romance.

Ero rimasta alquanto interdetta, non avevo sentito tali volgarità neanche quando facevo la cortigiana e questa la dice lunga. Florenzo rimaneva in silenzio, gli occhi vitrei come se avesse visto un fantasma e la mascella contratta. Non si capiva se era shoccato o irritato.

Gli schioccai le dita davanti agli occhi e dopo qualche secondo socchiuse leggermente la bocca per poi dire: << Lo so che non vuoi che imprechi… Ma quel COGLIONE purtroppo è amico mio. Già, non aggiungere altro. Si fuma canne da quando ha quattordici anni. E tu ti chiederai: "Ma come fa uno alle due di pomeriggio a essere già strafatto?" Non lo so, so solo che da quando è un fattone non  lo riconosco più, cazzo! >>

Gli accarezzai i capelli per poi scendere verso il collo e la spalla per poi dire: << Sono dispiaciuta per te… E soprattutto per il tuo amico. Beh, insomma… Devo ammetterlo, nessuno mi ha mai detto una cosa del genere, ma è incredibilmente divertente. >> Dissi accasciandomi a terra ridendo e battendo le mani come per applaudire al monologo dell'amico "fattone".

Salimmo su e mentre facevamo le scale mi offrii di aiutarlo a fare i compiti: avrei dovuto copiare il Duomo di Milano, si prospettava una giornata lunga.

 

Vestiti:

Vestitino nero

Cappotto

Vestito da giorno

Completo da giorno

Vestito rosso

Scarpe

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Capitolo 8
*** Blackout ***


"Blackout"

 

Cancellai per l'ennesima volta la stessa guglia sbuffando sonoramente.

Florenzo stava leggendo sottovoce la lezione di storia: la prima rivoluzione industriale, me la ricordavo bene.

Ero sdraiata sulla moquette a pancia in giù facendo dondolare le gambe avanti e indietro. Soffiai i trucioli di gomma che volarono per gran parte della stanza. Mi mancava solo la guglia principale, la più grande e poi avrei finito. Iniziai a fischiettare un motivetto del periodo romantico mentre cercavo di lottare contro la frangetta che non mi permetteva di vedere. Ero abbastanza arrugginita nel disegno, non ero io quella brava in famiglia. Stranamente lo era Sebastian: quando teneva in mano il pennello e la tavolozza tutta imbrattata di colore riusciva a controllare meglio la sua forza. Nei primi anni durante la sua trasformazione non riusciva neanche a tenere in mano un bicchiere senza che si frantumasse. Nella stanza del trono c'è un'affresco che lui continua a ritoccare quasi ogni settimana a causa dell'umidità, che regna nelle segrete, dove sono raffigurati i sei membri della famiglia. Sembra un dipinto del settecento e difatti lo è.

Quando raggiunsi il pezzo più allegro del brano che stavo eseguendo fischiando mi arrivò in testa un libro enorme e pesante: non mi fece niente, ma procurò un grande tonfo.

<< Non fare rumore, Viola sta dormendo nell'altra stanza. Anche se siamo in soggiorno non vuol dire che possiamo fare rumore. >> Mi disse sibilando fra i denti.

Gli allungai il dizionario di latino che aveva usato a mo' di pietra lapidaria.

Mi alzai facendo leva sui gomiti e presi da terra il foglio e le varie matite per poi dirigermi svogliatamente verso il tavolo dove studiava il ragazzo.

<< Tieni, ho fatto quello che ho potuto… >> Gli posai il foglio sopra al libro costringendolo a smettere di leggere e iniziai a sfregarmi stancamente il volto.

<< Ma voi vampiri non dovreste essere mai stanchi? Da quando ti conosco sarà la decima volta che ti strofini gli occhi. >> Mi disse alzando un sopracciglio chiaro per poi osservare con occhio esperto la tavola del Duomo.

<< Noi non dormiamo mai, ma a volte ci capita, quando siamo stanchi o stressati di cadere in un limbo. Hai presente Dracula e la sua bara? Il concetto è lo stesso solo che a volte è inevitabile e ci ritroviamo a cadere come pere cotte. Succede soprattutto ai vampiri che quando cacciano non uccidono la "preda". Ho una teoria al riguardo: un secondo prima della morte il cervello rilascia nel sangue una forte dose di adrenalina ed è proprio quest'ultima che ci permette di rimanere svegli per sempre. La mia famiglia, non assumendo a pieno l'adrenalina di voi umani rimane più debole, ma comunque ci sono i nostri poteri a compensarci. >> Presi una mela rossa dal cesto e ne staccai un grosso morso. Mi pulii con una manica l'angolo della bocca perché un po' del succo era colato.

<< E quali poteri sarebbero, oltre leggere nella mente? >> Aveva posato il foglio da un lato e aveva tolto il tappo ad un evidenziatore giallo per sottolineare una parola sul libro.

<< Perdonami, ma adesso non ne ho voglia di elencarli tutti, sarà per la prossima volta, ti va bene? >> Annuì un po' deluso e ricominciò a studiare, con più trasporto di prima.

Quando finii di rosicchiare il torsolo della mela la buttai nel cestino che il ragazzo mi aveva indicato. Cominciai a camminare avanti e indietro sbuffando e soffiando come un animale in gabbia. Dopo un'occhiataccia del mio padrone e il suo ordine di stare ferma mi sdraiai sul divano sfondato abbandonando il capo su un bracciolo e incrociando le braccia sul petto: era una posizione rilassante, mi mettevo sempre così quando sentivo che il periodo di limbo, o meglio definito "momento di stasi", stava arrivando.

Le palpebre non mancarono di farsi sentire pesanti e mi sentii pian piano sprofondare, il filo che mi teneva collegato alla realtà diventava sempre più labile fino a spezzarsi con uno schiocco secco e tutto diventò nero.  

Immagini vorticarono davanti a me, chiare e voluttuose al mio sguardo. Poi pian piano tutto divenne più delineato e mi ritrovai ad osservare tutte le mie esperienze, dalla prima all'ultima, da quando ero solo una bambina a quando quella maledetta notte avevo incontrato Florenzo. La zona di limbo era la cosa più vicina al sogno che noi potevamo raggiungere, ci permetteva di ragionare su quello che facevamo, ci aiutava a migliorarci mostrandoci sotto una lente di ingrandimento tutte le nostre azioni, che fossero misericordiose o malvagie.

Ripercorrendo tutte le fatiche e le negazioni che io ed Edgard avevamo affrontato per diventato quello che siamo diventati non fece altro che accrescere il mio rancore verso quel ragazzo, che in per sé non aveva fatto niente, ma mi aveva rovinato l'esistenza.

A un certo punto sentii qualcosa di caldo sfiorarmi la mano per poi concentrarsi sul polso, velocemente si staccò per posarsi sul mio cullo e poi sul mio cuore. Quella cosa cominciò a smuovermi e con un altro suono secco, simile al suono di un coro in una cattedrale ritornai alla realtà spalancando gli occhi per poi socchiuderli a causa della forte luce che aleggiava nella stanza.

Di fronte a me c'era un viso di donna, che identificai come la madre di Florenzo.

<< Oh, cara! Grazie al cielo ti sei svegliata. Proviamo da non so quanto tempo a farti svegliare. Poi non riuscivo a sentire il tuo battito… La tua pelle era così dura e fredda che pensavo fossi morta. Oh Dio! Ho avuto così tanta paura! >> La donna iniziò a singhiozzare: la potevo comprendere, una ragazza morta in casa non farebbe piacere a tutti e poi era molto stressata a causa delle condizioni di Viola, sua figlia.

Cercai di rassicurarla come meglio potevo a cercai di rialzarmi, ma le piccole mani di madre mi obbligarono a ristendermi.

<< Cara, sono un'infermiera. Quando si hanno cali di pressione così importanti bisogna stare sdraiati e aspettare che tutto ritorni nella norma. >> Detto questo si incamminò verso la piccola cucina verde e con movimenti sicuri prese un bicchiere che riempì d'acqua e in seguito da un contenitore bianco e giallo prese dello zucchero: ho capito cosa voleva fare.

Bevvi il liquido estremamente dolce e mi sistemai il cuscino sotto i piedi che mamma Rosa (così si chiamava) mi aveva porso.

Nel frattempo il ragazzo sogghignava e a stento riusciva a trattenere le risa nonostante le mie occhiate tutt'altro che amorevoli.

La signora Rosa insistette di chiamare a casa mia, ignara che vivevo in una segreta. Gli dissi l'unico numero che avevamo visto che rifiutavamo ogni tipo di cellulari e oggetti elettronici annessi. La donna si meravigliò che avessimo un numero di telefono composto quasi da soli zeri e le mentii dicendole che quel numero apparteneva già a mio nonno, sorvolando sul fatto che era stata proprio io a firmare il contratto per il servizio molti anni addietro.

Mi passò la cornetta del telefono a disco e mi immaginai dall'altra parte Edgard con in mano il nostro vecchio telefono a muro di legno.

<< Pronto, posso aiutarla? >> Notai divertita che non aveva detto nessun cognome o il nome della casata: non lo avevamo ancora deciso dopo secoli e secoli.

<< Salve Serena, mi può passare mio "padre", Edgard? >>

<< Certo signorina Cassandra. >> Aspettai qualche istante e la sua voce mi arrivò un po' distorta a causa dell'oggetto antico, il quale il mio colloquiatore stava adoperando.

<< Ciao papà, sono a casa di Florenzo e sono svenuta, mi puoi venire a prendere? >> Dissi quella frase sperando che capisse quello che in realtà gli volevo dire.

<< Tu mi manderai al manicomio. Arrivo subito, oggi abbiamo finito il passaggio. >> Riagganciai la cornetta e mi sdraiai di nuovo cercando di pensare ad altro pur di non ricadere di nuovo in stasi.

Dopo pochi minuti sentii il citofono emettere un suono sgraziato che mi costrinse a coprirmi le orecchie con le mani. Ero ancora troppo sensibile a causa del risveglio improvviso.

Chiusi gli occhi e mi rilassai leggermente quando un dito mi tamburellò sulla fronte. I miei occhi caddero in quelli azzurro cielo di Angelica che mi sorrise per poi cercare con lo sguardo Florenzo.

<< Ciao, tu devi essere Florenzo. Io sono la sorellina di Cassandra, piacere. >> Gli strinse calorosamente la mano e iniziò una fitta conversazione chiedendogli tutti gli aspetti della sua vita. Cercai di salvare il ragazzo dall'interrogatorio, ma nel frattempo Edgard stava tranquillizzando la signora Rosa sul fatto che io stessi bene e che mi succedeva raramente.

Per rendere credibile il fatto che fossi solo svenuta mi feci prendere in braccio dal mio patrigno fingendo che mi girasse la testa. Eravamo già dalla porta quando ci rendemmo conto che Angelica parlava ancora col ragazzo. Riuscimmo a staccarla da lui solo dopo che la voce autorevole di Edgard l'avvertì che ce ne stavamo andando via.

Mi scappò un sorriso nel vedere che Florenzo era rimasto come abbagliato da quella vampira così solare tanto che mi passò per la mente che si fosse preso una cotta. Chissà Richart quando lo verrà a sapere… Sorrisi di nuovo a quell'idea per poi ritornare ad avere un'atteggiamento consono ad una ragazza appena svenuta. Mi strinsi di più al petto del mio patrigno e chiusi gli occhi per ricadere nel limbo.

Mi svegliai sul mio letto.

Mi guardai un po' attorno e mi resi conto che ero sola. Avrei potuto pensare ad ogni cosa in quel momento, ma mi salto alla mente il disegno che il ragazzo mi aveva regalato. Era nella tasca sinistra della giacca, piegato in quattro, me lo ricordavo bene.

Gattonai fino al bordo del letto per poi posare i piedi a terra e dirigermi verso il muro dove attaccavo i fogli con tutte le scritte e le frasi celebri che mi piacevano di più.

Presi un pezzo di scotch e lo attaccai in un punto libero conscia del fatto che ora quella era la mia nuova vita, obbligata a servire Florenzo.

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Capitolo 9
*** Daniela... ***


Daniela...

 

Mentre leggevo "Il Principe" di Machiavelli mi cadde per caso l'occhio sulla pendola e non potei che lanciare per aria il libro. Ero in ritardo, maledettamente in ritardo.

Mi tolsi la vestaglia di velluto verde che gettai da qualche parte della sala. Aprii l'armadio staccandone un'anta: grazie al cielo le guardie servivano anche come tuttofare. Presi una camicia bianca e dei jeans che non indossavo dagli anni '80, ma ero in ritardo! Non avevo tempo per abbinamenti originali.

Presi il primo foulard che trovai dal primo cassetto e delle scarpe nere appena lucidate. Nella corsa mi resi conto che non erano scarpe, ma stivali: ancora peggio, ci voleva di più per indossarli.

Presi il cappotto appeso al muro e corsi per tutti i corridoi costringendo le guardie che incontravo a spostarsi agilmente.

Imboccai l'entrata della galleria e maledissi il fatto che dell'acqua penetrava ancora dai muri: il fango mi arrivava alle caviglie e gli stivali in quel momento diventarono utili.

Presi la chiave dalla tasca della giacca e aprii frettolosamente il lucchetto che cadde a terra tintinnando. Con la coda dell'occhio vidi il nuovo guardiano del passaggio segreto che lo prendeva in mano: quando sarei uscita avrebbe richiuso tutto.

Era l'inizio di marzo e il sole iniziava a farsi più caldo. Marzo. Una settimana e sarebbe stato il compleanno di Edgard. Perfetto, avrei dovuto acquistare un regalo anche se dopo 1200 anni potevo usufruire della scusante di essere a corto di idee per un dono originale.

Erano le sette e un quarto di mattina e avrei dovuto essere lì ad aspettare Florenzo da quindici minuti. Abitava lontano dal liceo e il modo più economico per arrivarci era andare a piedi. Gli avevo proposto che avremmo potuto pagare noi il biglietto del traghetto, ma lui aveva sviato il discorso dicendo che a lui bastava soltanto il fatto che io lo accompagnassi e lo venissi a prendere.

Come immaginavo era già in strada che aspettava, il giaccone ocra lungo fino alla vita e lo zaino nero in spalla.

Quando mi vide mi venne incontro prendendomi per un braccio: << Sei in ritardo. Ed ora lo sono anche io. >> Mi feci trainare da lui per qualche minuto, poi con un movimento veloce gli tolsi lo zaino dalle spalle e lo caricai sulle mie.

<< Lascia. E' pesante! E poi non mi faccio portare lo zaino da una ragazza! >> Lo guardai accigliata e lui capì. << Giusto, giusto. Hai i "super poteri". In più sei la mia "serva". Anche se io non ti reputo come una serva, sei tu che te lo sei ficcato in testa! >>

Sbuffai cambiando il passo e superandolo: << Fidati, se potessi fare diversamente, lo farei. >> Io lo precedevo in silenzio, mentre lui ogni tanto si fermava per rispondere agli SMS, così mi ha detto che si chiamano i nuovi telegrammi, che riceveva, preceduti sempre da una musichetta snervante. Probabilmente era Fulvio, il "fattone".

A un certo punto si fermò per telefonare al suo amico e mi disse di aspettarlo perché l'ultima volta che aveva parlato al telefono camminando era finito in un canale.

Vidi l'insegna di un bar e quando sentii lo stomaco del ragazzo borbottare mi decisi ad entrare per prendergli un cornetto. Lo presi al cioccolato, se non gli piaceva se lo doveva far andare lo stesso bene.

Glielo porsi educatamente e lui lo addentò nonostante stesse parlando. Si ritrovò quindi a biascicare un saluto per poi concentrare tutte le sue attenzioni sul dolce.

<< Come facevi a sapere che avevo fame? >> Mi resi conto che se n'era mangiato già metà. Gli sorrisi divertita e gli risposi dicendogli che avevo sentivo i rumori del suo stomaco a dieci metri di distanza.

Camminavamo scambiandoci frasi di circostanza, cercando di parlare meno personalmente possibile. Qualche giorno prima avevamo stipulato un contratto orale: io lo avrei aiutato e avrei fatto quello che chiedeva, in cambio volevo soltanto che si mantenessero le distanze, detto in parole povere non cerco un amico e neanche un conoscente, sarei stata come un'impiegata.

Stavamo per girare l'angolo, quando con scarso successo tentò di trattenermi per un braccio: non me n'ero accorta e il ragazzo dovette piantare i piedi a terra con decisione prima che mi fermassi.

<< Vieni, nasconditi. >> Non capivo cosa ci poteva essere di così pericoloso da doversi nascondere; ho sempre vissuto sapendo che ero io la cosa più pericolosa in circolazione.

<< Vedi quella ragazza? Quello con lo zaino dell'Eastpack viola? >> Il mio sguardo vagò per le poche persone che camminavano per la via e trovai una ragazza con lo zaino viola e grazie alla mia vista potei vedere la piccola etichetta nera con sopra stampata la marca.

<< Sì. >> In quel momento mi sentivo stranamente eccitata, ero stata troppo tempo chiusa nelle segrete e in quel momento mi sembrava di essere in uno di quei film di spionaggio soliti nei cinema durante la guerra fredda.

<< E' la mia ex. La Daniela. >> Mi ricordai della ragazza a cui aveva accennato Fulvio la prima volta che lo avevo incontrato. << E' ricca come il Patriarca de Venezia, quella stronza. Quando ha scoperto che ero un poveraccio mi ha lasciato. >> Si scrocchiò le dita; per quel poco che lo conoscevo lo faceva sempre quando cercava di reprimere la rabbia.

<< Mi dispiace. >> La mia eccitazione era scomparsa, si trattava solo di una ragazzina, e io che mi immaginavo chissà ché.

Una lampadina si accese nella mia testa, l'idea più stolta della mia vita stava per essere messa in scena.

Cadenzando di più i passi e cercando di muovermi nel modo più sinuoso possibile superai l'angolo nonostante Florenzo mi pregasse di tornare indietro. Accelerai l'andatura per superare la ragazza che passeggiava da sola, le cuffie alle orecchie e il cellulare in mano. Non sapevo neanche quello che stavo facendo, ma a un certo punto mi fermai, mi voltai, costringendo la ragazza a fermarsi di botto, sorrisi più dolcemente possibile e poi dissi: << Fiore, amore, vieni! >> La ragazza mi fissò un po' interdetta, nella sua mente iniziò a balenare l'idea che quel Fiore poteva essere il "suo" Fiore.

Dire che il ragazzo era senza parole era dir poco. Sembrò non volersi muovere, ma lo chiamai di nuovo con voce mielosa.

Mi raggiunse correndo e mi affiancò senza guardare Daniela, la quale stava diventando sempre più rossa e solo allora mi resi conto che era una ragazza principalmente comune: capelli e occhi castani, taglio di occhi e bocca comune. La solita ragazza che non si distingue dalla folla.

Assecondò la mia idea, mi abbracciò dolcemente e mi baciò sulla tempia. Lo abbracciai per la vita e iniziammo a camminare, ma prima che sparissimo dalla sua vista mi tolse galantemente lo zaino dalla spalla e tornai ad abbracciarlo più intimamente di prima.

Quando girammo l'angolo, senza staccarsi da me, mi chiese con gli occhi che gli brillavano: << Cosa pensa? Dimmi cosa pensava! >> Risi di gusto per poi tornare a guardarlo negli occhi blu cobalto: << Testuali parole: "Brutta… ehm" senti, io dirò solo una volta questa parola, quindi fattela bastare. "Brutta puttana, una volta era a me che portava lo zaino. Uffa! >>

Mi strinse ancora più forte e fra i capelli mi sussurrò un "grazie" sospirato.

Solo allora mi resi conto della posizione in cui ci trovavamo: troppo vicini.

Lui se ne rese conto pochi attimi dopo di me, ma non mi lasciò, allentò soltanto la presa posando la sua schiena contro il muro di una casa.

Avevo le mani posate sul suo petto, che si abbassava e alzava seguendo il suo respiro. Sotto i polpastrelli sentivo il suo cuore battere più velocemente.

Deglutì due volte prima di parlare: << Scusa, il mio odore è tornato buono come prima della trasfusione? >> Mi lasciò la vita e le sue braccia scivolarono sul muro bianco, lasciando una patina chiara sul palmo delle sue mani.

So solo che quando mi lasciò sentii un vuoto, il suo calore naturale mi faceva sentire bene, come quando ero vicina al focolare accanto a mia mamma, tanti anni fa, quando ero ancora umana.

Lo presi sottobraccio: << Pian piano sta tornando normale, ma riesco a sopportarlo senza difficoltà. Ti dispiace se ti sto vicina? Il tuo calore è piacevole. >> Posai la testa sulla sua spalla beandomi del caldo che trapassava il giaccone.

<< Anche il tuo "freddo" è piacevole. >> Mi passò il braccio intorno alle spalle e continuammo a camminare in silenzio fino a raggiungere il liceo.

Si voltò verso di me: << Quindi adesso noi per Daniela e quindi anche per gli altri stiamo insieme? >> Mi guardò negli occhi con fare interrogativo.

<< Dì a chi vuoi te che stiamo insieme, basta che aggiungi che ho quasi vent'anni e non frequento la scuola con te. Te lo dico solo perché non vorrei essere obbligata a frequentare la scuola per reggere questa messa in scena. >>

Mi baciò la fronte facendo attenzione che qualcuno ci stesse guardando. Mentre le sue labbra calde entrarono in contatto con la mia pelle non potei fare a meno che chiudere gli occhi per gustare meglio quel momento.

<< Figo, sto con una più grande… >> Mi accarezzò la guancia e i pensieri di tutti i ragazzi intorno a noi mi arrivarono limpidi: erano attoniti.

<< Non ci fare l'abitudine. >> Gli tirai un pugno amichevole sulla spalla e si mise a ridere insieme a me.

<< Oh, Ok. Senti, prendi questo e portalo ad Angelica, mi ha fatto piacere parlare con lei. E' tanto simpatica e le ho fatto un ritratto. Non è un gran ché, ma spero che le piacerà. >> Mi porse un foglio piegato in quattro, che misi in tasca senza guardare.

<< Non provare a fare la corte a mia sorella, è già sposata. Guarda che mi sono resa conto di come la fissavi. Non ci sperare. >> Mi guardò sconcertato.

<< Quindi te ne sei accorta. Si notava così tanto? >>

Annuii e me ne andai senza aggiungere altro, tendendo però un orecchio verso di lui e riuscii a captare i suoi passi sopra i gradini dell'entrata dell'istituto.

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Capitolo 10
*** Clan Sânge ***


Clan Sânge

 

Cercai Angelica per tutte le segrete e nella sua stanza, ma niente era come volatilizzata. Trascinandomi a fatica nella sala del trono trovai i miei quattro fratelli sdraiati per terra circondati da centinaia di bigliettini tutti con stili di scrittura diversi.

<< Signori, non sarebbe il caso che la famiglia reale si sedesse ad un tavolo per scrivere? >> Alzarono tutti la testa di scatto, a quanto pare mi ero mossa più silenziosamente del previsto. Si misero in piedi sistemandosi le rispettive camicie e vestiti.

<< Ci scusi Cassandra, è che è bello stare sdraiati a terra, è rilassante. >> Sebastian mi invitò ad avvicinarmi a loro, ma non avevo abbastanza tempo per riposarmi. Mi misi di fronte ad Angelica e le porsi il foglio piegato in quattro. << Per te, da parte del signorino Florenzo. >> Lei lo aprì curiosa e lo mostrò subito a Richart che dopo aver guardato torvo il disegno mi chiamò in causa con una voce seria. << E chi sarebbe Florenzo? >>.

<< E' il padroncino di Cassandra. Un bravo ragazzo e tanto simpatico, aggiungerei. >> Mi incamminai fuori dalla sala ricca di decorazioni dorate quando la voce di Richart mi arrivò canzonatoria: << E da quando, se si può chiedere, lei, signora dei vampiri, si è abbassata al livello di un comune umano? >>

Strinsi i pugni e parlai soffiando fra i denti: << Da quando l'ho quasi ucciso. >>

Corsi fuori asciugandomi la lacrima solitaria che non ero riuscita a trattenere; tutti mi mettevano alla berlina, tutti mi giudicavano. Gliela avrei fatta pagare, soprattutto al rosso, era una promessa. Nessuno poteva deridermi, nessuno.

Dovevo trovare una punizione degna, ma mi serviva aiuto, non ero mai stata portata alle vendette.

Raggiunsi la stanza di Edgard di corsa e bussai alla porta con insistenza.

<< Avanti. >> Una voce stanca penetrò fra il legno e venne percepita dal mio udito. Preoccupata dal quel tono così lamentoso spalancai la porta ritrovandomelo davanti, cadaverico, quasi azzurrognolo da quanto erano visibili le sue ossa. Era accasciato sulla poltroncina blu, una mano che teneva svogliatamente un bicchiere colmo di liquido rosso: sangue, quello della sua riserva segreta.

<< Cosa ti succede? >> mi inginocchiai davanti a lui stringendogli la mano libera fra le mie, nettamente più piccole delle sue. Respirava a fatica, vedevo nei suoi occhi una profonda paura, come se non ci fosse più Edgard nel suo corpo, ma solo la puraessenza del dolore.

Non mi rispondeva e non trovavo la forza di leggergli nel pensiero, solo Dio sapeva in quel momento cosa passava in quella testa.

Gli strinsi ancora di più la mano posando la mia fronte su di essa e lui fece la stessa cosa posando la sua sulla mia, aspirando il profumo che i miei capelli emanavano.

Lo sentivo tremare e il suo cuore correva più veloce di un cavallo a galoppo. Mi iniziava a venire la nausea; e io che prima mi ero arrabbiata come una bambina solo perché Richart mi aveva schermito…

Rimanemmo in quella posizione ancora per pochi secondi finché non sentii un suono simile ad un vetro infranto; alzai la testa e un miscuglio di schegge di vetro e sangue mi investì in pieno il volto. Non mi ferii grazie alla mia pelle più resistente, ma ingoiai parte del sangue e per un secondo persi il controllo di me stessa: stavo per buttarmi sulla chiazza scura e odorosa sul pavimento quando come grazie ad una forza esterna saltai dalla parte esterna della stanza risparmiandomi quella poca dignità che mi rimaneva.

<< Scusami, probabilmente non ti nutrirai da molto. >> Si passò la mano vermiglia sui pantaloni cercando di pulirsi. << Sta per succedere qualcosa, qualcosa di molto grave Cassandra. Il clan Sânge verrà al mio compleanno la settimana prossima. >> Anche se sapevo che era una cosa scientificamente improbabile provai come se il mio sangue gelasse nelle vene. Caddi rovinosamente in avanti tenendo il mio busto rialzato grazie ai gomiti.

<< Come fai a saperlo? >> Ci guardammo negli occhi e contemporaneamente dicemmo: << Sofia! >>

<< Ti ricordi che avevamo deciso di tenere sia i membri della famiglia e sia le guardie fuori dalle questioni "burocratiche"? Solo noi sappiamo quanto possono essere pericolosi questo vecchio e mal ridotto clan di vampiri rumeni. E nessun altro lo deve sapere, sia chiaro. Sofia non può immaginare che in realtà ci sono cose che non le abbiamo detto e quindi non si pone le domande a cui avrebbe sicuramente risposta. Controlleremo di persona i loro spostamenti grazie a delle guardie che ho già collocato a tutte le entrate della città. Tu ti dovrai occupare soprattutto di  Florenzo. Stagli sempre vicino. I vampiri rumeni non sono come noi, le ammazzano le prede e tu lo sai bene. Speriamo solo che non combinano guai, non vorrei che fossimo scoperti a causa di quegli "animali" senza cuore. >>

Come sfinito da quel discorso lungo si lasciò andare sulla poltrona chiudendo le palpebre.

Pensai che stava semplicemente riposando gli occhi, ma quando lo scrollai leggermente per le spalle non mi rispose: era caduto anche lui in stasi.

Dopo un primo secondo di panico decisi di farlo sdraiare sul suo letto. Gli tirai le coperte fino alle spalle anche se sapevo che non avrebbe patito il freddo lo stesso.

Con passo veloce mi sedetti sulla sua scrivania e scarabocchiai su un foglio: " Vado da Florenzo. Lo controllerò notte e giorno se necessario, è il mio dovere. Quando ti svegli va a controllare gli altri, li ho visti con un sacco di bigliettini e non so cosa stavano facendo. Cassandra. P.S. Che cosa ti regalo per il compleanno? ".

Non riuscii neanche a sorridere della mia unica frase. Molte volte i vampiri che invitavamo ai nostri compleanni arrivavano anche una settimana prima a Venezia e il clan Sânge era sempre uno dei primi ad arrivare, anche senza invito.

Se erano già arrivati…

Non riuscivo a comprendere come il sangue così dolce di Florenzo fosse passato inosservato in tutti questi anni: difatti non ero l'inca che aveva sentito il suo odore e pure Edgard mi aveva confermato che sangue come il suo lo aveva incontrato raramente.

Mi ritrovai di nuovo a correre per le segrete; inutile dire che ero esausta dopo tutti quegli avvenimenti.

<< Roberto, mi apra il passaggio. Informi inoltre Sebastian che sto uscendo e che dovrà mettere a mia disposizione almeno tre guardie che dovranno controllare giorno e notte la casa di un umano. Lui sa già a chi mi riferisco. >> Il giovane vampiro, guardiano del passaggio segreto, aprì con movimenti eleganti il catenaccio.

<< Sarà fatto, sua Maestà. >> Un brivido mi corse lungo la schiena: "sua maestà".

<< La prego, mi chiami semplicemente "signorina". >> Il ragazzo provò ad obiettare, ma non stetti a sentirlo. Stavo già camminando verso il liceo.

 

**************************************************************************************************************************************

 

L'una e mezza.

L'una e mezza e Florenzo non era ancora uscito. Mi iniziavo a preoccupare.

Magari qualche membro dei Sânge era già arrivato in città riuscendo a superare i nostri posti di blocco. Si sarà sicuramente diretto verso il nostro palazzo sotterraneo e avrà intercettato il profumo di Florenzo che l'avrà portato fino alla sua scuola. Sarà entrato di soppiatto, lentamente. Avrà aspettato che il ragazzo uscisse per andare in bagno e l'avrà ucciso.

<< Dio mio… >> sussurrai in modo che i ragazzi loquaci affianco a me non potessero sentire.

Ancora poco e sarebbe arrivata la polizia e una bidella urlante gli avrebbe indicato dov'era il cadavere.

Abbracciai un lampione come se fossi stata un'ubriaca e avessi bisogno di un punto per equilibrarmi. Quante possibilità c'erano che quello che avevo immaginato fosse successo veramente? In quel momento mi sebravano centuplicate.

<< Ehi, che c'è? Negli anni sessanta eri un'abbraccia-alberi ed ora sei un'abbraccia lampioni? >> Era Florenzo che mi stava tirando un pugno amichevole sul braccio, ritrasse subito la mano iniziando a massaggiarsela: si sarebbe fatto meno male se avesse tirato un pugno ad un muro. Affianco a lui c'era Fulvio che si fumava una sigaretta e a quanto pare era troppo fatto per rendersi conto che il suo amico aveva praticamente gridato che io ero già nata durante gli anni sessanta.

<< Lo so, la battuta faceva schifo, ma non fare quella faccia ti prego! >> Con la mano sana mi obbligò a girare la testa verso di lui e per un secondo mi persi in quegli occhi cobalto che ogni giorno mi diventavano sempre più famigliari.

<< E' un periodo stressante, non riesco a rilassarmi neanche per un minuto. >> Lui annuì mettendosi le mani in tasca.

<< E' colpa mia per caso? >>

<< No, no te ne incolpare senza motivo. >> Mi staccai finalmente dal lampione serena almeno del fatto che il ragazzo stacca bene.

<< E allora non ci incolpiamo di niente! >> Fulvio mi mise il suo braccio destro sopra le spalle e fece lo stesso con Florenzo, stringendoci violentemente. << Belli che sono i miei amici! Ma lo sai Fiorellina che… No asp, aspetta prima ti devo dire che da ora in poi ti chiamerò Fiorellina perché sei l'amichetta del mio Fiorellino. Comunque stavamo dicendo… Si ecco, la cosa mi era scappata, ma lo riacciuffata la bricconcella! Oggi tutta la scuola parlava di voi due, che questo qui… >> E indicò il suo amico con l'indice << Se la fa con una più grande ed incredibilmente figa, aggiungerei. >> Mi fece l'occhiolino e poi si mise a correre per tutto il piazzale rubando un quaderno ad una ragazza che iniziò ad inseguirlo urlandogli dietro ogni sorta di maledizione.

<< La cosa mi inizia a preoccupare. Che ne dici se gli diamo una mano. >> Gli sussurrai all'orecchio.

<< Ci ho già provato, ma lui non vuole collaborare. >> Incrociò le braccia sul petto e iniziò a guardarsi intorno.

<< Per mia modesta opinione, io riuscirei a convincerlo che nella vita ci sono cose più importante che "sballarsi" >> dissi l'ultima parola facendo le virgolette con le mani.

<< "Sballarsi"? Ma come parli? >> Ignorai il suo schermo e mi misi a camminare. Lui mi seguì in silenzio finché abbracciandomi per la vita non mi disse: << Visto che dobbiamo fingere di stare insieme che ne dici se fingi di raccontarmi la tua giornata? >>

Sbuffai leggermente e mi allontanai da lui, il suo odore non riusciva a farmi ragionare coerentemente. Lui capì e mi sorrise imbarazzato. Cominciai comunque a raccontare la mia giornata.

<< Da dove potrei cominciare? >> Mi picchiettai teatralmente il mento con il dito indice. << Quando ho portato il tuo disegno ad Angelica… >>

<< Oh, oh, oh! Ferma! Angelica? Le è piaciuto il disegno? >> Mi disse con gli occhi che sembravano brillare di curiosità.

<< Cosa ti avevo detto? Niente infatuazione per la mia sorellina. Ha un marito molto geloso e conoscendolo ti spaccherà le ossa. >> Deglutì rumorosamente e con la mano mi fece segno di continuare.

<< Ricomincio. Quando ho portato il disegno ad Angelica suo marito, Richart, mi ha paragonato ad un cagnolino per il fatto che ti seguo ovunque. Dopo sono andata da Edgard che si è sentito male per una questione che non posso spiegarti e sempre per questa "questione" ho avuto seriamente paura che ti fosse successo qualcosa. E per finire in bellezza ora devo fingere di essere la tua ragazza. >> Stavamo quasi per arrivare a casa sua quando mi si parò davanti obbligandomi a fermarmi.

<< Ho due cose da dirti. Uno: che cos'è questa "questione", mi devo spaventare? >>

Mi misi le mani sui fianchi e iniziai a fissarmi la punta dello stivale. << Lo sapevo, non te lo dovevo dire, ma comunque… >> Gli misi le mani sulle spalle obbligandolo a guardarmi << Quando tu sarai con me sarai sempre al sicuro, ricordatelo, non ti succederà mai niente di male. Io sono qui per proteggerti, è il mio compito e lo sarà per sempre. E' il mio nuovo destino. >> Annuì energicamente e si asciugò una lacrima.

<< Ehi, Fiore. Ti posso chiamar Fiore? >> Annuì di nuovo. << Non c'è niente da temere, niente. Io ho promesso di proteggerti e lo farò fino alla morte, rispetto le promesse. >>

Mi abbracciò con slancio e io lottai contro me stessa per non azzannargli il collo. Lo dovevo ammettere a me stessa, iniziavo a volergli bene.

Tirando su con il naso si staccò titubante da me e il suo calore mi abbandonò lasciandomi, come sempre, quella sensazione di perdita.

<< Scusami, è che tutta questa situazione… Insomma, da un giorno all'altro scopro che esistono i vampiri e… ho paura. >>

<< Non posso fare altro che dirti che ti capisco. >> Gli diedi una piccola pacca sulla spalla cercando di trasmettergli un po' di calma. Di impatto sembrò funzionare.

<< Bene, ecco la seconda cosa. >> Si strofinò le mani cercando di riscaldarle. << E' veramente così tremendo essere la mia ragazza? >>

 

Angolo Autrice:

Piccolo angolo autrice, non vi rompo tanto.

Grazie per tutte le persone che recensiscono, siete davvero un toccasana per la mia creatività!

Grazie per chi l'ha aggiunta nelle preferite e nelle seguite e grazie anche a quella pazza di Bloody Wolf che recensisce sempre e che mi ha aggiunta nelle autrici preferite ( WTF!? Io!? Me ne sono accorta adesso, non pensavo neanche lontanamente che qualcuno mi potesse aggiungere negli autori preferiti! ).

Ok, adesso vi lascio, tanti cari saluti e al prossimo capitolo!

Aribea398

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Capitolo 11
*** Friends ***


Friends

Ero in un angolo della sala, il Suo odore mi faceva impazzire. Lui stava tranquillo, seduto sul divano a vedere la televisione, mentre in me si scatenava l'inferno; io stavo lottando con la parte animale di me stessa per non saltargli addosso e finirlo una volta per tutte.

Dovevo pensare ad altro, dovevo concentrami sul libro che stavo leggendo: mi misi ad osservare le fantasie che creava la carta pressata, non visibili da un occhio umano.

Proprio quando pensavo di essermi estraniata dal mondo ecco che Fiore si ravvivò i capelli facendo spandere il suo profumo violentemente per tutta la piccola stanzetta; mi costrinse a coprirmi la bocca con la mano per nascondere i canini allungati. Senza accorgermene mi misi a fissarlo, intensamente. Osservavo ogni piccola vena che pulsava sotto pelle, a me visibile anche a quella distanza. Sentivo il suo cuore battere, che accelerava quando un giocatore della squadra di calcio per cui tifava si avvicinava alla porta avversaria nella partita che stava guardando attentamente in televisione.

Quel cuore batteva e doveva continuare a battere, se si fosse fermato non sarebbe stato per causa mia, di questo ne "dovevo" essere certa. Dovevo.

<< Lo stai facendo di nuovo. >> Mi disse senza smettere di fissare lo schermo.

<< Cosa? >> Domandai mentre cercavo di rilassarmi e di far tornare normali i miei denti.

<< Mi stai fissando come se fossi un hamburger. >>

Borbottai una scusa e mi rigirai sulla moquette. Da quando ero entrata in quella casa passavo il tempo sul pavimento: aveva ragione Sebastian, stare per terra è stranamente rilassante, forse per la "trasgressione" del non sedersi su poltrone e letti opulenti.

L'aria era impregnata di odore umano, ogni respiro era una pugnalata al mio autocontrollo.

Trattenendo il respiro gli passai davanti e spalancai la finestra che dava sulla strada: una guardia in incognito mi fece un cenno con la testa per farsi riconoscere, ma gli diedi poca importanza, ero troppo impegnata a riprendere a respirare.

Posai i gomiti sul davanzale e mi portai le mani alle tempie iniziando a massaggiarle: stavo impazzendo, letteralmente.

<< Tutto ok? >> Fiore provò ad avvicinarsi, ma lo respinsi alzando il palmo della mano. Stava minando la mia volontà di mantenerlo in vita.

<< Sei molto più simpatica quando non hai sete. Tè, serviti! >> Mi porse il polso facendolo passare sotto il mio naso, per un secondo netto presi in considerazione di morderlo, in fondo me lo aveva offerto lui, un morso veloce, poco spargimento di sangue, di quel dolcissimo sangue…

Presa da una grande forza di volontà gli circondai il polso con le mie dita sottili e lo allontanai con me con gentilezza, poi: << Ma sei un'essere demente o cosa? Sei, sei… un imbecille! Ti stavo per ammazzare! >> Mi misi le mani fra i capelli e mi accasciai a terra colta da brividi violenti, causati sia dall'astinenza, sia dall'orrore che stavo per compiere.

<< Non lo avresti fatto, mi fido di te. >> I suoi ragionamenti rasentavano l'assurdo.

<< Tu non mi conosci, come fai a fidarti di me? >> Mi allontanai da lui dirigendomi verso la porta.

<< Ok, senti, mi dispiace. Non pensavo di fare una cosa così spaventosa! Però ti prego, non te ne andare: ho paura di rimanere da solo. Se per me esiste veramente un pericolo non mi sembra la cosa più ragionevole lasciarmi da solo. Con mia sorella, per altro. >>

<< "La cosa più ragionevole"!? Ma da che pulpito arriva la predica! Parla il ragazzo con la testa sulle spalle! >> Mi avvicinai a lui e racchiusi la stoffa della sua maglietta fra i miei pugni. << Lo sai vero che non mi nutro da quasi una settimana? Prima mi nutrivo quasi ogni sera. Ed ora solo perché hai "paura" di rimanere da solo tu vuoi farmi morire per astinenza? La casa è circondata da guardie, ma il signorinello qui vuole la sua serva personale a fargli compagnia! Vai al diavolo! >> Dal petto mi uscivano ruggiti sommessi e il mio respiro era affaticato dalla rabbia, non ci vedevo più e tutto pian piano diventava nero: stavo per entrare di nuovo in stasi. Mi costrinsi a rimanere sveglia, dovevo uscire da quella casa.

<< Ripeto, sei più simpatica quando non hai sete. >> Incrociò le braccia assumendo un'aria offesa << E ti ordino di rimaner qua. >> Chi si credeva di essere? La pecorella che dice al lupo cosa fare.

<< Io invece ripeto: vai al diavolo! >> Sbattei la porta violentemente e per un secondo pensai di averla fatta uscire dai cardini, ma per mia fortuna ero riuscita a trattenermi.

 

**************************************************************************************************************************************

 

<< Ti farò una domanda, ma devi rispondermi sinceramente: per quale assurda ragione litighi sempre con Florenzo? >> Edgard era di nuovo in camera mia e ricominciava di nuovo a farmi la predica.

<< Non mi nutro da una settimana, e se prima lo sopportavo ora mi va di traverso. >> Si batté la fronte con la mano adamantina e poi si girò verso di me con una faccia ridicola.

<< Che sciocco che sono stato, e cieco aggiungerei. Tu, sei innamorata del signorino Florenzo! >> Scandì l'ultima frase come se avesse di fronte un ebete. 

<< Tu sei un pazzo da internare! >> Mi sedetti sul letto che scricchiolò sotto la mia forza << Come può un umano attirare la mia attenzione? E' assurdo! >> Mi si avvicinò inginocchiandosi per raggiungere la mia altezza.

<< Ragiona: stai sempre con lui, hai giurato di proteggerlo fino alla morte, litigate come una coppia di fidanzati, oggi non l'hai morso nonostante lui ti avesse offerto il polso, entri in paranoia se non sai dov'è, soprattutto da quando sai che il clan Sânge sta per arrivare. Ed ultimo per importanza hai finto di essere la sua "ragazza" senza che nessuno ti obbligasse. >> Allargò le braccia come per dire: "Ti serve ancora qualche prova? "

Quel ragionamento non aveva ne capo ne coda. Edgard cercava da così tanto tempo un compagno per me che ora si buttava a pesce sul primo ragazzo con cui avevo iniziato a tessere una piccola amicizia, andata completamente distrutta dopo la mia ultima sfuriata.

<< Edgard, passiamo a discorsi più seri: oggi mentre ero a casa di Fiore ho pensato che durante la tua festa non possiamo lasciarlo da solo, è troppo pericoloso. Quindi, o io rimango con lui e non vengo al tuo compleanno oppure lo dovremmo portare qua. Lo so che è rischioso portarlo proprio dove ci saranno un centinaio di vampiri, ma in questo modo sarà controllato meglio sia da me che da tutta la guardia. >> Speravo vivamente che accettasse la mia proposta; in una cosa il mio patrigno aveva ragione: ero completamente ossessionata dal fatto che Fiore non fosse mai al sicuro.

<< Fai come credi più giusto, ma la responsabilità sarà tua. Ora vai subito a scusarti con il ragazzo. >> Detto questo se ne andò via da camera mia lasciandomi sola.

Sempre a scusarmi con Fiorenzo, possibile che Edgard non capiva che la maggior parte delle volte non ero io la causa dei litigi?

Colta da una vena artistica ripresi dallo scaffale il diario che avevo iniziato a scrivere proprio la sera in cui incontrai il ragazzo e iniziai a scrivere:

" Diario, pensavo che non ti avrei scritto più e invece eccomi ancora qua. Ho bisogno di uno sfogo:

quella sera in cui ho scritto su di te ho incontrato un ragazzo e nutrendomene l'ho quasi ucciso. Da quel giorno per sdebitarmi lui è diventato il mio padrone e io sono sotto i suoi voleri anche se a volte vengo colta da un moto di ribellione.

Comunque, oggi Edgard ha insinuato che io mi stia innamorando di Fiore (così si chiama), ma credo che sia una cosa assurda ed improbabile.

E' un ragazzo simpatico e gentile, ma non credo che potrebbe mai nascere qualcosa. Mi rendo conto solo ora che è anche molto bello: alto, biondo ed occhi di un colore quasi innaturale, più intensi di un cielo di primavera. Il naso dritto è al centro di un viso con i lineamenti molto ben proporzionati e le sue labbra… "

Mi bloccai, mi stavo prendendo un'infatuazione per autoconvincimento; tutta colpa di Edgard e le sue strambe idee.

Basta scrivere, dovevo andare dal ragazzo e dimostrarmi dispiaciuta per il mio comportamento.

Quando aprii la porta mi ritrovai con grande piacere Florenzo davanti, ma osservando meglio affianco a lui c'erano due guardie che tenendolo per le braccia lo alzavano di almeno una spanna da terra.

<< Questo ragazzo ha bussato alla porta del passaggio, dice di conoscerti. Che facciamo? Lo facciamo sparire? >> A queste parole sgranò gli occhi e strinse ancora di più quello che teneva in mano: il mio libro.

<< Marcus, Livio riposo. Lui sta con me. >> Con un sonoro sbuffo causato da una succulenta cena mancata, i due vampiri lasciarono andare il ragazzo, che per poco non cadde se non ci fossi stata io a prenderlo prontamente.

<< Si, ecco! Sto con lei! Io ve lo avevo detto, ma voi nooo… Non mi avete creduto! Andatevene via, imbecilli! >> La parte ignorante di Fiore aveva parlato e se non lo avessi trascinato nella mia camera a quest'ora sarebbe sotto i canini di Livio e Marcus, alquanto irritati.

<< Mi dispiace, sono stato uno stupido, mi rendo conto solo ora di quello che sarebbe potuto succedere. Mi perdoni? Ah, e qui c'è il tuo libro, te lo sei dimenticato a casa mia. >> Si sedette rumorosamente sul mio letto, sdraiandocisi sopra.

<< No, tranquillo, fa con comodo! Vuoi che ti porto anche una tazza di tè? >> Dissi sarcastica vedendo come si fosse appropriato senza imbarazzo del mio letto.

Si alzò prontamente in piedi borbottando delle scuse con una faccia da bambino adorabile. Sbuffai portandomi le mani agli occhi, poi senza aprirli gli dissi sospirando: << Fa pure quello che vuoi. >>

Pian piano la stanza iniziava ad impregnarsi del suo odore e non potendo aprire le finestre essendo sotto terra; mi ritrovai nella stessa situazione di prima. Mi serviva del sangue, in quel preciso momento.

<< Vieni con me. >> Gli dissi solamente tendendogli una mano per aiutarlo a scendere dal letto. Quando la sua pelle entrò in contatto con la mia socchiusi leggermente le palpebre beandomi di quel momento di calore.

Percorremmo vari corridoi raggiungemmo la stanza di Edgard: bussai, ma nessuno rispose, quindi con una piccola pressione aprii la porta ed entrai. Solo in quel momento mi resi conto che le nostre mani erano ancora saldamente allacciate; prima di lasciarci ci guardammo un secondo negli occhi per poi ritrarre le mani imbarazzati: cercavo in tutti i modi di convincermi che il mio patrigno si sbagliava, ma ogni secondo le mie convinzioni si sgretolavano anche a causa della vicinanza col ragazzo.

Andai dalla libreria dove sapevo che dietro c'era la porta frigo. Iniziai a spostarla, ma Fiore cercò di fermarmi: << Lascia faccio io… >> Lo guardai alzando un sopracciglio. << Giusto, giusto… superpoteri… >> Spostata la libreria aprii il frigo prendendo una sacca a caso. Florenzo mi guardava un po' inorridito, ma comunque non dava segno di svenimenti causati dalla vista del sangue.

Cercai per tutta la stanza un bicchiere, ma ne trovai uno già usato dal mio patrigno: pazienza, non ero molto schizzinosa e in quel momento non avevo tempo, il sangue di Fiore mi chiamava come una sirena.

Aprii la valvolina e premetti leggermente per fare uscire il liquido vermiglio. Sapevo che non mi avrebbe dato forza a causa della quasi mancanza di adrenalina in esso, ma comunque aiutava a lenire la sete. Quando il bicchiere era colmo mi sedetti sulla poltroncina di fronte alla parente sulla quale stava posato il ragazzo. Senza guardarlo iniziai a bere avidamente, deglutendo rumorosamente. Il fondo arrivò troppo velocemente: con velocità quasi vampirica riempii di nuovo il bicchiere svuotando di già metà sacca.

<< Se ti fa impressione ti puoi voltare, ma non lasciare la stanza: sono arrivate da poco nuove guardie appena trasformate e non riescono ancora a controllare a pieno gli istinti, non mi perdonerei se ti dovesse succeder qualcosa. >> Lui annuì, ma non diede segno di voltarsi.

<< Mi ci dovrò abituare, se vorrò diventare tuo amico. >> Lo guardai con la coda dell'occhio senza però smettere di bere.

<< Concedimi un secondo per comprendere: non avevamo detto che non ci dovevano essere coinvolgimenti? >> Posai il bicchiere su un comodino e la sacca di nuovo in frigo: per quel momento poteva bastare.

<< Lo so, ma inizi a diventarmi simpatica, attacchi di ira esclusi, quindi perché non rendere questa "convivenza" più piacevole ad entrambi? >> Mi diressi verso di lui, continuando a fissarlo negli occhi, meravigliandomi ancora di quel colore così particolare. Gli porsi una mano col palmo aperto.

<< Quindi… amici? >> Mi strinse calorosamente la mano e rimasi sorpresa che la mia pelle fredda non gli facesse più venire i brividi.

<< Amici. >> Mi sorrise caldamente e il mio cuore perse un colpo. 

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Capitolo 12
*** Like Pretty Woman ***


Like Pretty Woman

<< Ok, ora spiegami perché siamo qua. >> Fiore era sulla soglia di un negozio di grandi firme e non dava segno di entrare. Lo presi per una spalla e lo trascinai dentro a forza, nonostante lui mostrasse una forte riluttanza.

<< Perché al compleanno di Edgard non puoi venire vestito in T-shirt e Converse. >> Le commesse ci salutavano augurandoci una buona giornata. Quel negozio era uno dei pochi in cui andavo a comprare qualcosa, quindi non ci misi molto a trovare il reparto uomo.

<< Frena, frena. E chi ti dice che ci verrò? Non ho ancora deciso, io! >> Stavo già perlustrando un campionario in cerca di qualcosa di abbastanza elegante e allo stesso tempo antico: conoscevo i gusti degli invitati e non volevo che Fiore si sentisse come un pesce fuor d'acqua solo perché vestito con un completo troppo moderno. Ragionandoci sarebbe stato lo stesso fuori luogo, qualsiasi umano circondato da vampiri è fuori luogo.

<< Sofia mi ha detto che verrai. Lei ha il potere dell'onniscienza se non lo sapessi, quindi… >> Esaminai una camicia a righe, ma giunsi alla conclusione che non era il capo adatto.

<< Facciamo così, tu ti metti in un angolo e io decido il completo. Dovrai solo misurarlo. >> Da qualche parte avrei dovuto iniziare. Angelica mi aveva insegnato che bisognava partire dalle scarpe, quindi andai dalle vetrinette che mostravano i pezzi più eleganti.

<< Adesso si che si inizia a ragionare. >> Si sedette e si mise le cuffie della radiolina nelle orecchie; fece per posare i piedi su di un tavolino, ma glielo impedii con un'occhiata tutt'altro che rassicurante.

Come facevo a provare qualcosa che fosse più di una semplice amicizia per quel ragazzo? Edgard si era sbagliato sicuramente, la mia era solo paranoia, dovuta anche al fatto che se ci trovavamo in quella situazione era colpa del mio scarso autocontrollo di fronte ad un sangue così dolce e per questo mi sentivo in colpa.

Accantonai quei pensieri concentrando tutte le mie attenzioni su quello che avevo di fronte; alla fine chiesi aiuto ad un commesso ed insieme optammo per uno smoking a doppio petto lungo fino ai fianchi, con camicia bianca e cravattino e fascia azzurro chiaro, che andava d'incanto con i suoi occhi. 

Grazie alla mia vista sviluppata trovai subito le misure di Fiore e iniziai a fargli provare il completo.

Quando uscì dal camerino rimasi sorpresa dal fatto che sembrasse come minimo cinque anni più vecchio, o meglio maturo.

Iniziai a sistemargli il colletto e controllai da me tutte le lunghezze visto che il commesso di prima doveva seguire un altro gruppo di persone.

<< Che bell'ometto che sei! Farai sfigurare un bel gruppo di vampiri. >> Gli sussurrai all'orecchio in modo che nessuno potesse sentire oltre a lui.

<< Non esagerare. E comunque questo colletto deve essere così dritto? Sembro uscito dalla fine dell'ottocento! >> Cercava in tutti i modi di abbassarlo, ma era così inamidato alla perfezione che anche sotto le sue mani prive di grazia  rimaneva impassibile.

<< Si, deve rimanere così e devi sembrare uscito dall'ottocento, tutti si vestiranno così. Poi non ti credere, mica tutti vampiri sono spaventosamente belli come me. >> Gi strizzai un occhio mentre lo aiutavo a togliersi la giacca.

<< Sono anche spaventosamente modesti? >> Iniziai a togliergli cravatta e a sbottonargli i polsini della camicia.

<< Ci puoi giurare. >> Dopo questo scambio di parole rientrò nel camerino e quando ne uscì con i suoi vecchi vestiti mi resi conto che non era cambiato molto da prima, solo che ora era molto più genuino e a suo agio.

Pagai in contanti e dopo aver mostrato quel grande numero di banconote le commesse mi sorrisero ancora più falsamente di prima; a volte non mi serviva leggere nel pensiero per capire a cosa pensassero le persone, ci arrivavo anche senza aiuto.

Con una busta io ed una busta lui iniziammo a camminare per le vie soleggiate di Venezia.

Eravamo in silenzio, io indossavo un cappottino beige comprato una settimana prima e continuavo a giocare distrattamente con le balze di quest'ultimo cercando di guardare il meno possibile Fiore perché ormai mi ero infatuata, mi bastava solo un poco di buona volontà per uscirne, ma in quel momento mi sembrava di esserne sprovvista.

<< Ti dispiace se sto vicina a te? Il tuo calore mi rilassa. >> Quella notte ero riuscita a convincerlo di lasciarmi andare a caccia e nutrendomi del primo paio di persone che avevo trovato quella mattina riuscivo a stargli affianco senza grandi sforzi. 

Mi passò un braccio intorno alle spalle e mi avvicinai al suo petto. Le buste sbattevano contro le nostre gambe, ma non ci davamo retta, sembrava che anche lui stesse annegando in quella sensazione di pace che la sua vicinanza mi dava.

<< Se ti dico una cosa mi prometti di non ridere? >> Annuii leggermente strofinando la mia guancia contro il suo cappotto. << Mi sembra quasi di essere dentro Pretty Woman. >> Una risata mi scappò lo stesso dalle labbra e lui mise un broncio che avrei potuto definire adorabile.

<< Pretty Woman? Non mi sembra che io ti paghi per fare sesso. >> Dissi continuando a ridere anche se l'argomento mi metteva un po' in imbarazzo.

<< Ma che hai capito? Volevo dire che da un giorno all'altro mi sono trovato in questo universo di ricchezza e agiatezza, del quale non conosco niente di niente. >> Sorrise leggermente, chissà quali pensieri vorticavano nella sua testa. Mi costrinsi però a non invadere la sua privacy.

Era sabato mattina e alla sera ci sarebbe stato il compleanno; potevo immaginarmi tutte le cameriere e parte della guardia a pulire la stanza dei ricevimenti, sicuramente impolverata, e ad addobbare con oggetti e statue antiche la sala.

Ci fermammo in un bar dallo stile moderno, pieno di roba kitsch e con l'illuminazione bizzarra.

Fiore, con mio grande disgusto, ordinò uno dei panini più unti e pieni di ingredienti dal menù, mentre io mi limitai a prendere un toast con dell'acqua minerale.

Non avevo fame, non ne avevo mai avuta, ma i toast erano la mia passione.

Quando arrivarono le ordinazioni dopo pochi minuti iniziai subito a mordere una metà di panino. Il ragazzo ci mise un po' di più a prendere in mano il cibo, era attratto molto di più dal fisico slanciato della cameriera bionda.

Poi finalmente iniziò a buttar giù quell'affronto alla salute: << Se vuoi lo mangio io il toast, so che a voi altri non piace il nostro cibo. >>

<< Leggenda. >> Dissi mentre aprivo con facilità la bottiglietta dal tappo rosa.

<< Quindi non vi trasformate neanche in pipistrelli? >> A quella domanda non risposi neanche, mi concertai invece sulle righe carbonizzate parallele, che erano sul panino, per non ricominciare una sfuriata.

<< E l'aglio? >> Disse avvicinandosi un po' a me e posando i gomiti sul tavolo.

<< Sempre una leggenda, quindi puoi anche smetterla di ingurgitarne a profusione. >> Rimase un po' perplesso dalla mia risposta per poi assumere un atteggiamento imbarazzato ed iniziare a borbottare.

<< Si sente tanto l'odore? >> Si mise una mano davanti alla bocca, soffiò ed esaminò l'alito: cercò di velare il disgusto attraverso uno starnuto.  

Quando finimmo di mangiare provai in tutti i modi di pagare il conto, ma lui, molto più testardo di me, aveva pagato per entrambi, declinando anche la mia proposta di fare alla "romana".

Tornammo verso il suo quartiere, ma prima andai a posare le buste con in vestiti in camera mia, visto che Fiore mi aveva fatto notare che dei vestiti così costosi avrebbero fatto venire qualche sospetto a sua madre.

Lo salutai quando raggiungemmo il suo portone dicendogli che non sarei potuta stare con lui perché dovevo seguire i preparativi della festa, essendomene disinteressata completamente per la prima volta.

Come un fulmine mi venne in mente una cosa: quel giorno che i miei fratelli erano sdraiati per terra stavano spedendo gli inviti… Ecco tutti quei fogliettini a cosa servivano.

Soddisfatta della mia scoperta tornai nelle segrete umide, ma non potei varcare la soglia che già Sofia e Angelica mi stavano aspettando.

<< Tu. >> Mi disse la più piccola indicandomi col dito. << Aspetti, le posso dare del "tu"? >> la ragazza aveva ritratto la mano portandosela al petto come per proteggersi. Annuii sospirando.

<< Bene. Tu, vieni con noi, sta sera devi essere splendida. >> Il portone si ricuse dietro di me ed in pochi secondi mi ritrovai nella stanza di Angelica e Richart circondata da ogni tipo di cosmetico esistente.

 

Angolo autrice:

Non vi farò perdere tempo… Allora qui c'è il vestito di Fiore!

Lo so, lo so, il disegno fa pena, però non è colpa mia, ma colpa della mia testa bacata che prima ha descritto il vestito e poi DOPO è andata su internet a cercare l'immagine. E la mia testa naturalmente si immaginava di trovare il vestito identico proprio come se lo immaginava.

Ma mi DOVETE perdonare perché oggi è il mio compleanno! YEAAAAAH!

Ho postato proprio per  fare un regalino a voi!

Ora vi saluto!

Aribea398 

 

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Capitolo 13
*** Dancing Kiss ***


Dancing Kiss

Erano le sei del pomeriggio ed io ero già pronta, truccata e pettinata, dovevo solo indossare il vestito.

Avevo di nuovo cominciato a leggere "Il Principe", libro machiavellico che andava letto tutto d'un fiato, che io amavo, dopotutto aveva aiutato me ed Edgard e ci aveva dato degli spunti per dare una base solida al nostro potere appena nato.

Mi persi nei ricordi, rivivevo ogni sacrificio ed ogni sotterfugio per riuscire a prendere una posizione nel panorama politico, da noi non conquistata tanto lealmente, difatti la nostra strategia consisteva nel fatto che io leggevo nella mente i segreti di tutte le famiglie potenti, che poi io andavo a riferire ai vari membri dei clan, mentre invece Edgard era riuscito a convincere le famiglie, ormai dilaniate dalle faide da me personalmente create, che noi saremmo stati il miglior "governo" che i vampiri avrebbero potuto avere. Da quel momento abbiamo iniziato a creare una guardia della quale facevano parte i membri che giuravano fedeltà solo a noi, ma poi avevamo iniziato a sentire una mancanza e abbiamo capito che dovevamo allargare il nostro clan. E lì che si erano aggiunti i miei fratelli, relitti umani che però nascondevano dentro di loro qualcosa e quel qualcosa aveva fatto fruttare i loro poteri durante la trasformazione.

Ero così concentrata nei miei pensieri che non mi resi conto che Sebastian stava bussando alla porta, insieme a lui c'era un altro cuore che batteva: Fiore.

Saltai giù dal letto e spalancai la porta, rischiando di beccarmi una manata in faccia perché mio fratello bussava ancora.

<< Ciao. >> Dissi specchiando i miei occhi in quelli del ragazzo. << Perché sei qua? >> Lui entrò nella mia stanza e si mise dietro di me.

<< Sebastian mi è cortesemente venuto a prendere a casa, qui ho i vestiti per la festa. >> Gli annuii sorridendogli alzando un angolo della bocca. Sebastian dopo un leggero inchino se ne andò.

<< Quell'uomo è spaventoso! >> Risi della sua affermazione, allora non ero l'unica che era in soggezione in sua presenza.

Gli porsi le buste con tutti i vestiti e gli indicai il paravento, si mise dietro ad esso e un po' in imbarazzo si mise a spogliarsi e a cambiarsi. Mi voltai dall'altra parte, ne avevo visti molti di uomini nudi nella mia vita, ma immaginavo che le mie attenzione non sarebbero state ben accettate da lui, in effetti io ero quella che l'avevo quasi ammazzato, probabilmente lui provava del gran ribrezzo verso di me, solo che lo nascondeva dietro una buona educazione. Almeno, così pensavo.

Per quel momento mi limitavo a sbirciare la sua nuca che spuntava dal paravento per colpa della sua altezza.

Ci mise qualche minuto, nel quale restammo in silenzio, per indossare tutto poi uscì fuori mostrandomi, quasi sbattendomi in faccia, la sua bellezza.

Mi avvicinai a lui, e lui continuava a fissarmi in volto. Mi ero dimenticata che ero truccata e in quel momento sperai con tutto il cuore che stesse ammirando anche lui la mia piccola bellezza, che oramai mi pareva un nonnulla vicino a alla sua. Ragionavo come una ragazzina e affogavo in quelle sensazioni come se non le avessi mai provate prima.

Le mie mani tremavano leggermente mentre gli sistemavo la cravatta e continuarono anche quando lo invitai a sedersi per pettinarlo. Ad ogni spazzolata un po' del suo profumo mi arrivava alle narici e io lo aspiravo, come se fosse stata una droga. In quel momento il suo odore non mi attraeva come vampira, ma come donna. Volevo soltanto tuffare il mio naso fra le sue ciocche e ispirare profondamente.

Presi la sacca grigia con dentro il mio vestito, andai dietro il paravento e appendendola la aprì e il vestito rosso mi si mostrò.

Mi tolsi la camicia e la buttai sul letto da dietro dov'ero. Poi indossai in vestito e tenendomelo su con una mano, con l'altra mi tolsi la cintura e i pantaloni. Provai diverse volte a tirare su la cerniera lampo, ma avendo una mano occupata a non far incastrare i volant non riuscivo a farla salire.

<< Vuoi che ti do una mano? >> Mi misi sulle punte e sbirciai da sopra il paravento: lui era seduto sul letto, le code dello smoking messe in modo che non si rovinassero.

<< Si, grazie. >> Sussurrai appena. Lui venne senza indugio verso di me e con le mani che gli tremavano visibilmente mi aiutò.

Una sua nocca entrò in contatto con la mia pelle e debbi come un sussulto, quel punto mi sembrava come scottato.

Quando ebbe finito mi sistemò i capelli lisci dietro alla schiena e si allontanò per andare a prendere le scarpe.

Ebbi pochi secondi per far scomparire l'immagine di me e Fiore come compagni: era una cosa impossibile, mi stavo solo facendo del male da sola e sapevo bene che quando mi innamoravo riuscivo anche ad autodistruggermi.

Presi la scatola nera dalle sue mani evitando qualsiasi possibile contatto: io ero solo la sua serva, non poteva provare sentimenti più simili ad una tenera amicizia per me.

Calzai le scarpe e quando mi misi in piedi lui prontamente mi porse il braccio come un gentiluomo di altri tempi. Posai timida la mano nell'incavo del suo gomito e ci incamminammo verso la sala dei ricevimenti.

Superato il portone, prima di discendere la ripida scalinata, gli diedi qualche secondo per ammirare la sala che sembrava quasi brillare di vita propria tanto i lampadari erano belli.

Angelica mi venne incontro e, separandomi da Fiore mi fece scendere frettolosamente le scale ed iniziò a mostrarmi come avevano sistemato i tavoli per la cena e come avevano organizzato il bar in un angolo. La piccola orchestra stava accordando gli strumenti e Sofia stava distrattamente eseguendo dei complicati arpeggi col piano.

Gli invitati arrivarono circa un'ora dopo, proprio quando dalle cucine era arrivato il messaggio che era tutto pronto.

C'erano vampiri dei quali non conoscevo neanche il nome che mi si presentavano un po' timorosi. Continuavo a tenere d'occhio il ragazzo, assicurandomi che nessuno si volesse appartare con lui di nascosto.

Mancava solo Edgard, sentivo i suoi pensieri provenire da dietro lo spesso portone. Sarebbe stato di sicuro l'uomo più elegante, anche se faticavo a vederlo più luminoso di Florenzo.

Luigi, il nostro servo più fedele, vestito di tutto punto, schiarendosi la voce per richiamare i presenti disse: << Gentili dame e gentiluomini, sta per giungere Edgard, nostro Signore. >> Allargò una mano per indicare l'uomo appena entrato, in tutta la sua bellezza.

Il centinaio di persone si inchinò me compresa, che trascinai il ragazzo con me, perché rimasto imbambolato. 

Prima di scendere dalle scale però chiese di fare un breve discorso.

<< Signori, ringrazio Voi tutti per la Vostra cortese e gradita presenza. Non Vi annoierò con lunghi discorsi… >> Gran parte della sala iniziò a dire che mai lui avrebbe annoiato loro. A quelle parole sussurrate Edgard mi guardò e sorridendomi continuò. << Ma la Vostra signora Cassandra mi ha esplicitamente chiesto di annunciarvi che fra di noi sarà presente un umano. >> Molti si voltarono verso di me e Fiore che si mise dietro di me con un movimento distratto e iniziò a guardarsi indietro. Lo rassicurai accarezzandogli la mano. << Quindi scusate la mia schiettezza se vi dico che non sarà la nostra cena, visto che i nostri cuochi ne hanno preparata una spero più deliziosa. >>

La sala si riempì delle risate cristalline degli invitati, accompagnate dalla mia più nervosa.

Ci sedemmo al nostro tavolo, il ragazzo alla mia sinistra, mentre gli altri vampiri si sedettero ai loro, tediosamente scelti in precedenza per non creare litigi pericolosi. Solo un tavolo era rimasto vuoto, quello del clan Sânge. Che non venissero più? Ma Sofia mai aveva sbagliato. 

Stavano per servire gli antipasti quando sentimmo bussare al portone: le guardie aprirono sotto silenzioso assenso di Edgard. E i membri della famiglia in decadenza entrarono con la loro eleganza e i vestiti perfettamente puliti, ma comunque leggermente antiquati, sicuramente vecchi simboli di una ricchezza perduta. I membri, i compagni più anziani Rău e la moglie Frică e i due figli Otravă e Asasin, si inchinarono davanti a noi e noi fummo costretti ad alzarci per rispondere al saluto.

<< Chiediamo perdono in ginocchio per il nostro ritardo, ma, mio caro Edgard, siamo stati attaccati da briganti durante il nostro tortuoso viaggio dalla nostra amata Romania. Ci potrà perdonare, ma soprattutto ci permetterà di presenziare alla vostra festa? >> Rău sembrava realmente dispiaciuto, ma leggendogli nella mente constatai invece che si erano semplicemente attardati durante uno dei loro tanti "banchetti" selvaggi, fortunatamente fuori città.

I quattro individui dopo il nostro consenso si andarono a sedere nel piccolo tavolo affianco al nostro. Non potei fare a meno di notare che Otravă ed Asasin sgranarono gli occhi quando percepirono la presenza di Fiore: cercai di dimostrar il maggior autocontrollo e quindi non correre via portando con me il ragazzo.

Mi meravigliai del mio sangue freddo, ma in fondo mi ero preparata psicologicamente bene, sapevo già con esattezza che i Sânge si sarebbero messi ad osservare insistentemente la giugulare del mio protetto.

Il pranzo fu servito ed io ero sempre in allerta; Richart mi fece notare che sembravo un gatto che si sentiva in pericolo, lo zittii con un ringhio sommesso.

Edgard non mangiò quasi niente, visto che continuava a passare per i tavoli salutando dimenticati amici, vecchie conoscenze e vampiri che una volta erano nostri padroni prima che compissimo il "colpo di stato".

Quando raggiunse il tavolo che reputavo il più pericoloso mi alzai anch'io, dirigendomi e posizionandomi al fianco del mio patrigno.

Non gli permisi di salutarmi, gli interruppi prima: << Sono lieta della vostra presenza qui, ma voglio mettere le cose in chiaro se non vi dispiace: oggi fra di noi sarà presente un umano, il quale è nostro protetto e gradiremmo che non gli accadesse niente. Non offendetevi, abbiamo già informato tutti gli altri prima che voi arrivaste, quindi mi sento obbligata di avvertire voi pure, quindi non paragonatelo ad un affronto, ho piena fiducia in voi. >> Mentii sull'ultima parte, ma era necessario.

Rău, con uno sguardo innocente mi rispose: << Non si preoccupi, mia signora. Nessuno della nostra famiglia farà del male al vostro protetto; siamo a conoscenza della vostra dieta e la rispettiamo quindi tratteremo quell'umano proprio come voi trattate lui. >>

Stavo per andarmene quando la voce armoniosa di Asasin mi giunse all'orecchio: << Mia signora, sarei onorato se voi mi offrisse il primo ballo. >> Dicendolo si alzò in piedi porgendomi la mano.

<< Mio caro Asasin, il dolce deve ancora essere servito, ma le prometto che il primo ballo sarà vostro. >> Mi voltai e ritornai a sedermi affianco a Fiore.

Gli sussurrai all'orecchio: << Il mio primo ballo l'ho dovuto cedere ad Asasin, il ragazzo dai capelli neri e lunghi di quel tavolo. Tu starai qui, non ti muovere, non parlare e assolutamente non dare confidenza a nessuno tranne che ai miei fratelli. >>

<< Va bene, mamma. >> Sorvolai sul suo tono di voce facendo ricadere la mia attenzione sul dolce appena servito: gelato variegato, e di ottima fattura aggiungerei.

Mangiavo lentamente, sapendo che quando avrei finito il piatto l'orchestra avrebbe iniziato a suonare e io sarei dovuta finire fra le braccia di quel vampiro. Non provavo rancore verso di lui, nonostante una volta fosse stato il mio padrone, ma ultimamente aveva iniziato a farmi delle avance e io non sapevo come deviarle senza urtare i suoi sentimenti.

Un quarto d'ora e la musica aveva iniziato a galleggiare per la sala. Con dei passi fluidi il vampiro moro si avvicinò a me e mi prese delicatamente la mano.

Altre coppie stavano già volteggiando leggiadramente per tutto il perimetro della pista delineato dai tavoli.

La sua mano sinistra si intreccio alla mia destra e il suo braccio destro andò ad avvolgere la mia vita. Era visibilmente più alto di me, anche di Fiore.

Il ritmo del valzer accompagnava i nostri  movimenti; il silenzio che era calato fra di noi iniziava a mettermi in imbarazzo, motivato anche dal fatto che continuava a guardarmi in viso con i suoi occhi verde oliva, quasi dorati.

<< Lo sa, Cassandra, lei questa sera è la donna più bella che abbia mai visto, persino più di mia madre e lei sai che Frică era considerata la vampira più bella mai creata prima della vostra ascesa al trono. Con questo vestito siete come una rosa di maggio appena sbocciata. Posso chiederle, senza sembrare sgarbato, se un giorno potrò mai essere la sua rugiada? Oppure le sue spine mi ricacceranno indietro? >> Rimasi fulminata da quelle parole, Asasin non aveva mai dimostrato così apertamente il suo interesse per me e il fatto che quando ero sua serva non avesse dimostrato la benché minima attenzione per me non faceva altro che far crescere in me il presentimento che lui in realtà non mirava al mio cuore, ma al potere mio e di Edgard.

<< Mio caro Asasin, mi dispiace deluderla , ma non credo che questo sarà mai possibile. >>

<< Non sia così irremovibile, Cassandra, ho tutta l'eternità per corteggiarla e farla mia. >>

<< Ed io ho tutta l'eternità per rifiutare. Se non le dispiace non mi chiami Cassandra, non abbiamo tutta questa confidenza. >> Lo guardai dritto negli occhi sperando ce cedesse e mi lasciasse continuare tranquillamente la serata, ma a differenza di quello che mi aspettavo mi sorrise facendomi fare una piroetta.

<< Cassandra, lei mi offende. >> Mi disse fintamente indignato. << Si fa chiamare dal marmocchio addirittura "mamma" e io che la conosco da secoli non posso avere il privilegio di chiamarla per nome? >> In quella frase capii che aveva chiamato Florenzo marmocchio e che aveva origliato senza ritegno la conversazione di prima fra me e il ragazzo.

<< Gradirei che non chiamaste Florenzo "marmocchio" e che non origliaste mai più una mia conversazione. >> Stavo per andarmene, ma la sua presa ferrea sulla mia vita non mi permise di allontanarmi, ma anzi mi fece avvicinare a lui bruscamente facendomi scontrare col suo petto. A quel punto non stavamo ballando più, eravamo fermi in un angolo della pista, il mio corpo completamente appoggiato al suo.

<< Cosa c'è, Cassandra, mi vuole dire che si sta infatuando del ragazzo umano? Me ne sono accorto da come lo difendi e da come gli stai sempre appresso, mi meraviglio che tu ti sia allontanata da lui per questo ballo. Anzi, credo che tu stia ballando con me per non far aumentare i rancori delle nostre rispettive famiglie. Lascia che ti dica una cosa, sono io l'uomo giusto per te, mia dolce Cassandra, con il ragazzo finirà tutto in un lago di sangue. >> Un piccolo sorriso sadico spuntò dalle sue labbra sottili e rosse. Sorvolai sul fatto che mi aveva dato del "tu" e cercai di divincolarmi con scarso successo.

<< Mi lasci andare o mi metterò ad urlare. >> Sibilai vicinissima al suo viso con gli occhi che probabilmente lanciavano fiamme immaginarie.

Asasin si umettò le labbra, socchiuse gli occhi e inclinò la testa avvicinandosi al mio collo: << Hai un odore straordinario. >> Appena sentii la punta del suo naso sfiorarmi la pelle lo spinsi via con tutta la mia forza e finalmente potei allontanarmi da quell'uomo che stava diventando sempre più inopportuno.

<< Non mi tocchi, non mi dia del tu e non mi parli più. >> Chiusi i pugni facendomi male ai palmi delle mani. Tremavo dalla rabbia e sarebbe bastata soltanto una sua parola e sarei impazzita.

<< Cassandra… >> Non continuò la frase, il mio braccio si mosse impercettibilmente e subito dopo ci fu un rumore raccapricciante, simile a due massi che cozzano. Gli avevo tirato uno schiaffo.

<< Quante volte le devo dire, signor Sănge, che non mi deve chiamare per nome. Ora se ne vada via dalla mia vista, io la disprezzo. >> Mi voltai e me ne andai, constatando che quasi nessuno si era accorto del nostro scontro.

Con la coda dell'occhio notai Asasin che si massaggiava la guancia e borbottava qualcosa tipo: "Col ragazzo finirà male".

L'unica cosa buona che aveva fatto il vampiro quella sera era aprirmi gli occhi: io e Fiore non avremmo potuto avere un futuro, io ero pericolosa per lui. Amarci significherebbe una sua condanna a morte.

Scacciai una lacrima cercando di non rovinare il trucco. Nella mia mente una frase si ripeteva come un disco rotto: io e Fiore, nessun futuro.

Ritornai al mio tavolo dove c'era solo il ragazzo, gli altri stavano ballando allegramente tranne Sofia, che mentre volteggiava con Sebastian cercava il mio sguardo come per consolarmi: lei sapeva cos'era successo, lei sapeva sempre tutto.  

Stavamo in silenzio, lui mi guardava ogni tanto di sbieco ed io controllavo distrattamente l'ora: le dieci e un quarto, la festa sarebbe durata tutta la notte, visto che nessuno degli invitati dormiva.

Io, però non speravo altro che androgene, scappare nella mia stanza e stare da sola.

<< Te ne vuoi andare? Sembri un'anima in pena. >> La sua voce, che diventava più cara a me ogni vota che l'udivo, mi fece voltare e per un attimo, uno soltanto, mi persi di nuovo nei suoi occhi.

<< Si, grazie. >> Ci alzammo contemporaneamente, lui mi porse il braccio e io mi aggrappai ad esso come fosse l'ancora di salvezza. Uscimmo di soppiatto, grazie anche all'aiuto di Luigi e corremmo letteralmente per i corridoi fino ad arrivare alla mia stanza.

Solo quando il ragazzo entrò mi resi conto che avevo dimenticato di avvertire Edgard che mi serri congedata in anticipo.

<< Tu rimarrai qua, ti chiudo a chiave e se qualcuno entra e non sono io urla ed io ti sentirò. >> Mentre lui si andava a sdraiare sul letto io rigiravo la chiave nella toppa e la nascondevo nella scollatura del mio vestito.

Questa volta camminai, non volevo apparire al mio patrigno scombinata per la corsa.

La musica e il vociare si facevano sempre più vicini, ma per mia fortuna al portone della sala trovai subito Luigi e riferii a lui il messaggio per Edgard.

Riprendendo la via della mia camera iniziai a sciogliermi l'acconciatura e a togliermi la tiara d'argento con un rubino in cartonato: quello era stato uno dei primi regali che mi aveva fatto Edgard quando eravamo diventati ufficialmente sovrani.

Presi la chiave da dove l'avevo nascosta e feci scattare il meccanismo: sperai che in quei dieci minuti in cui l'avevo lasciato solo non gli fosse successo niente.

Lo ritrovai sempre sdraiato sul mio letto, solo che leggeva qualcosa e avvicinandomi notai la copertina in cuoio: era il mio diario.

Mi immobilizzai constatando che ora lui conosceva tutti i miei segreti, quelli che ero riuscita a nascondere al resto del mondo.

Quando mi vide lui si alzò, con uno sguardo indecifrabile sul volto.

Lui avanzava di un passo e io retrocedevo di uno, sembrava che stessimo danzando, con una musica tutta nostra.

Non potei allontanarmi ulteriormente da lui quando mi scontrai con la porta di legno; con la mano destra cercai la maniglia, ma lui mi bloccò afferrandomi il polso.

Si avvicinò di più a me, i nostri corpi si darebbero potuti toccare se non ci fosse stato il piccolo libro a dividerci. Lo teneva abbastanza basso in modo che potessi vedere la pagina: era l'ultima che avevo scritto, poco tempo fa.

Si schiarì la voce e mi guardò intensamente negli occhi. Iniziò a recitare lo scritto senza leggerne le pagine: chissà quante volte l'aveva letto in quei pochi minuti.

<< " Diario, pensavo che non ti avrei scritto più e invece eccomi ancora qua. Ho bisogno di uno sfogo:

quella sera in cui ho scritto su di te ho incontrato un ragazzo e nutrendomene l'ho quasi ucciso. Da quel giorno per sdebitarmi lui è diventato il mio padrone e io sono sotto i suoi voleri anche se a volte vengo colta da un moto di ribellione.

Comunque, oggi Edgard ha insinuato che io mi stia innamorando di Fiore (così si chiama), ma credo che sia una cosa assurda ed improbabile.

E' un ragazzo simpatico e gentile, ma non credo che potrebbe mai nascere qualcosa. Mi rendo conto solo ora che è anche molto bello: alto, biondo ed occhi di un colore quasi innaturale, più intensi di un cielo di primavera. Il naso dritto è al centro di un viso con i lineamenti molto ben proporzionati e le sue labbra… " >>.

In quel momento ero in un altro universo, dilaniata dall'umiliazione; solo un rumore mi distolse da quell'allineamento, il diario era caduto dalle mani di Fiore.

Adesso sarebbe scappato, forse aspettava che mi levassi dalla porta. Oppure avrebbe preso di nuovo il cuscino e mi avrebbe percosso con esso, come la prima volta che ci eravamo parlati. Oppure…

Non potei trovare altri finali perché le sue grandi e calde mani mi circondarono le guance, che mi resi conto solo in quel momento bagnate di lacrime, quasi come se fossi un bocciolo di rosa delicato.

Inclinò la testa e, come avevo immaginato tante volte, le sua bocca entrò in contatto con la mia, molto più fredda della sua.

Ecco com'erano le sue labbra: calde e morbide, accoglienti.

 

 

Angolo autrice:

Ok, credo di non essere l'unica a dire: finalmente!

Allora, qui c'è il vestito di Cassandra… Lo so, vi stresso con i miei disegni, ma mi piace creare i personaggi da me, senza prendere immagini di modelli o attori. Spero che questo non sia orrendo! Comunque fatemi sapere!

Chiedo umilmente perdono per il ritardo, ma il capitolo era importante e non lo volevo scrivere malissimo come gli altri, anche se rileggendo credo di non esserci riuscita… mannaggia…

Questo capitolo finisce qui e spero di aggiornare prima di questa settimana, altrimenti posterò un avviso!

Tante care belle cose…

Aribea398

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Capitolo 14
*** Asasin, shut up! ***


Asasin, shut up!

 

Fiore mi stava baciando, dolcemente.

Come faceva quel ragazzo ad essere interessato in quel modo a me? Io l'avevo quasi ucciso, maledizione! Come era possibile?

Le sue mani scivolarono dal mio viso al collo e poi sempre più giù fino a raggiungere la vita, mi strinse con possesso e le mie braccia andarono di riflesso a cingergli il collo. Il suo calore era per me come la luce era per le falene.

Si staccò dalla mia bocca percorrendo tutto il perimetro della mia mascella e la lunghezza del collo. Si abbassò abbastanza perché gli potessi accarezzare i capelli.

Quello che stavamo facendo era sbagliato, ma ai miei occhi sembrava maledettamente giusto.

Ritornò alla mia bocca, questa volta con più insistenza. Mi chiedeva in silenzio di aprire la bocca ed io, sempre silenziosamente acconsentii.

Ma appena il suo respiro attraversò la mia gola, senza che potessi controllarlo, mi uscì un ruggito violento e prolungato dal petto. Se non mi fossi staccata in tempo da lui con molta probabilità gli avrei graffiato il labbro con i canini.

Mi poggiai nuovamente alla porta, scivolando per terra.

<< Guardami, sono un mostro. >> Gli dissi con voce affaticata, causata dallo sforzo di non perdere il controllo.

<< Ai miei occhi non sei mai stata più bella che in questo momento. >> Il suo cuore scalpicciava come un cavallo sotto la camicia leggera e la giacca.

Lui ci teneva a me. Un singhiozzo uscì dalla mia bocca. Sentivo la bocca asciutta e la gola salata e mi odiavo immensamente.

<< E' tutto sbagliato… Sbagliato! >> Il pavimento tremò percettibilmente sotto il mio pugno e il marmo chiaro non si spaccò per puro caso. Ricaddi nei miei singhiozzi soffocati senza guardarlo in faccia, mi vergognavo troppo di piangere davanti a lui e la vista dei suoi occhi mi avrebbe avvinghiato la gola. 

In quel momento però non desideravo altro che mi stesse vicino, che mi abbracciasse e che mi dicesse che questo era tutto un sogno, volevo che mi dicesse che io ero umana, che ci saremmo incontrati in qualche luogo comune, magari in una libreria nella sezione dei fumetti che a lui piacevano tanto.

Si sedette anche lui, a gambe incrociate; sembrava che avesse focalizzato tutta la su attenzione sulle frange bianche del tappeto, sistemava ogni singolo filo in modo che tutto fosse in ordine; stava aspettando che io smettessi di piangere.

C'era un silenzio profondo, limpido ma allo stesso tempo pesante come una roccia.

Dopo non so quanto tempo si avvicinò a me a carponi, scomponendo per sbaglio le frange che prima aveva diligentemente venerato con la punta della scarpa.

<< E allora perché a me sembra giusto? >> Mi mise una mano sotto il mento, avrei potuto non alzare il viso, ma essendo una cosa che desiderava lui non volevo dargli un dispiacere.

<< Non piangere, sei bellissima quando sorridi, tu sei importante per me. >> Stavo pregando, pregavo perché non si innamorasse di me. Potevo sopportare il dolore che mi provocava la sua indifferenza, se soffrivo solo io potevo continuare a sopravvivere, ma sapere che anche lui potrebbe provare la stesa stretta al cuore che sento io, allora potrei morire lentamente, dilaniata in due, da una parte perché dovevo stare lontana da lui, dall'altra perché sapevo che se mi fossi fatta avanti lui non si sarebbe ritratto.

<< Non lo dire, ti prego, non lo dire. >> I canini erano tornati normali. Mi raggomitolai più su me stessa affondando il viso fra le ginocchia, bagnando il vestito di pianto. << Io sono un mostro. >>.

<< Non sei un mostro, adesso mi sembri solo una ragazza smarrita e sola. >> La sua voce si incrinò nelle ultime parole e mi sembrò che mi venisse la pelle d'oca. Aveva già pianto davanti a me, ma sapere che la causa ero io mi faceva mancare il respiro.

Mi misi in ginocchio e lui fece la stessa cosa. Ci prendemmo le mani con così tanta devozione che sembrava che stessimo all'altare, entrambi persi negli occhi dell'altro.

<< Perché non riesci a vedermi dentro? Io credo di provare qualcosa di molto forte per te ed è proprio per questo che ti voglio tenere lontano me, io son pericolosa. Il tuo futuro non mi deve vedere come protagonista, io sarò una comparsa, un personaggio in secondo piano che dovrà servirti e renderti la vita migliore e non un inferno in terra come in realtà sarebbe se noi ci innamorassimo. >> Gli accarezzai la guancia con il pollice, facendo scomparire il leggero velo brillante che avevano formato le lacrime.

<< Cassandra, per noi è troppo tardi, io mi sono già innamorato. >> Si portò le mani al viso, come faceva sempre quando non voleva che qualcuno lo vedesse piangere, ma i sussulti delle sue spalle lo tradivano.

<< Non dire così, tu sei un ragazzo, voi umani vi innamorate un giorno e vi odiate un altro. Basterà un po' di impegno e sarà tutto come prima, ma non ci dovevano non essere dei coinvolgimenti personali? >> Gli sorrisi come di solito fanno le mamme per convincere i loro bambini testardi.

Gli accarezzai i capelli biondi per parecchi minuti aspettando pazientemente che smettesse di piangere: nel silenzio mi accorsi che le mie paure erano scomparse non appena Fiore aveva avuto bisogno di me, da quel momento avevo impegnato tutta me stessa solo per farlo stare meglio.

Cercai di alzarmi ma lui mi trattenne per un braccio: << Ti prego non anche tu, prima mio padre, fra qualche mese anche Viola, ti supplico, non abbandonarmi anche te! >>.

Mi sentii la gola chiudersi e gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime. << Cosa è successo a tuo padre? >> Alzò di scatto la testa e deglutì rumorosamente.

<< E' scappato, il vigliacco è scappato. >> La sua voce era un misto di dolore e rabbia. << Ma non ne voglio parlare. >>.

Quanto dolore aveva provato Fiore nella sua vita? In fondo eravamo simili, la vita si divertiva con noi, ci prendeva in giro, ci illudeva e poi ci toglieva tutto. Forse avremmo potuto affrontarla insieme la vita, contare ognuno dell'appoggio dell'altro.

<< Fiore, ti sei reso conto che entrambi abbiamo sempre sofferto? >> Cercai dolcemente di togliergli le mani dal volto, lo volevo vedere in viso.

<< E allora perché continuiamo a farci del male a vicenda? Almeno proviamoci. Basterà un po' di impegno e tutto sarà splendido. >> Aveva rigirato la frase che avevo detto prima; come faceva a convincermi? Forse ero anche io che desideravo la felicità sia per me che per lui.

Sarebbe bastato un mio assenso e avremmo potuto amarci, sarebbe bastato un mio rifiuto ed entrambi saremmo caduti nel dolore. Dovevo essere io a decidere, dovevo essere io la matura, ma quella volta non ne avevo voglia, volevo soltanto ritornare a vivere i miei diciannove anni.

Come immaginavo ero lacerata in due: il mio cervello diceva di scappare, di allontanarmi da lui per salvarlo, ma il mio cuore diceva di amarlo, di renderlo felice anche se significherebbe metterlo in pericolo.

Il mio cuore, dovevo ascoltare il cuore. Quante volte aveva sanguinato? Quante volte era diventato di pietra e mi ero dimenticata di lui? Quante volte si riempiva di invidia quando vedevo i miei fratelli che si amavano teneramente.

Volevo essere egoista, per una volta non pensare solo agli altri, ma anche alla mia felicita.

<< E proviamoci. >> Ci abbracciammo violentemente, con necessità. Ci avremmo provato, ci avremmo messo tutto noi stessi pur di far funzionare questa storia, che sembrava una favola: il bello che si innamora della bestia.

Che mi aiutasse a raggiungere la redenzione come nella fiaba? Lo speravo.

Alzandosi in piedi mi prese in braccio e, mentre mi depositava un bacio sulla fronte, mi adagiò fra i cuscini e le coperte. Fece il giro del letto e si sdraiò al mio fianco trascinandomi sopra di lui. In quel momento era tutto perfetto, il suo petto che si alzava ed abbassava sotto di me, i suoi occhi chiusi e il sorriso accennato: sembrava che dormiva, ma il suo cuore impazzito mi permetteva di capire che non era così. Adoravo procurargli quelle sensazioni, sapere che bastava un mio tocco e lui impazziva di gioia, non mi era mai successo, forse con Davide, ma non ne ero così sicura.

Dopo poco che io ero sdraiata su di lui ebbe un brivido, la mia pelle fredda non aiutava.

<< Mi dispiace. >> Cercai di ritrarmi, ma sentii una pressione all'altezza delle spalle che mi impedii di muovermi, se l'avessi fatto gli avrei fatto del male.

<< Mi abituerò al freddo, sono molto elastico e poi non ho mai amato il caldo. >> Mi diede un piccolo bacio sulla tempia che a me parve come un battito di farfalla.

<< Lascia almeno che accenda il camino. >> Presi dei ciocchi di legno dalla piccola cassapanca, ma non riuscivo a trovare un pezzo di carta per far prendere il fuoco.

Sentii un movimento dietro di me e dei passi: Fiore era sceso dal letto andando a prendere quello che riconobbi come il mio diario.

Me lo porse, ma prima strappò l'ultima pagina: << Questa me la tengo come ricordo. Questo invece per me puoi bruciarlo, non mi importa cos'eri. >> Delicatamente lo presi dalle sue mani, strappai un paio di pagine e con un accendino fatto a posta in modo che non mi bruciassi le diedi fuoco; diventarono velocemente nere e ne dovetti mettere altre perché la canna del camino iniziasse a tirare.

Quando le fiamme erano abbastanza alte buttai l'intero libro dentro che sembrò sciogliersi da quanto scomparve velocemente.

<< Davvero non ti importa? >> Mi alzai in piedi togliendomi le scarpe; ritornando alla mia altezza Fiore mi sembrava ancora più bello, come se la sua altezza mi dovesse proteggere.

<< Sarei stato uno stupido a pensare che dopo milleduecento anni tu fossi ancora vergine. >> Mi prese per i polsi ed accompagnò le mie braccia al suo collo. Soffocai una risata nel suo petto. Ecco cosa mi piaceva di Fiore, lui riusciva sempre a distrarmi e a strapparmi un sorriso col suo fare da ragazzo moderno.

Iniziò a fischiettare un ritmo di valzer e con le sue mani a cingermi la vita iniziammo a saltellare per la stanza. Lui inciampò molte volte nelle frange del mio vestito, ma in quel momento non mi importava, mi gustavo a pieno la gioia nei sui occhi.

Una gioia però sbagliata; quello che facevamo era sbagliato. Era contro natura, in quel senso Asasin aveva ragione, noi non eravamo fatti l'uno per l'altro, sarebbe finita male se io non fossi riuscita a controllarmi.

Mi rabbuiai e smisi di muovermi, come se quei pensieri avessero catturato tutta la mia energia, lasciandomi con un pugno di mosche in mano.

<< Che c'è? >> Nei suoi occhi c'era puro terrore, forse aveva capito i miei pensieri.

<< Fiore, è sbagliato… >>

<< Smettila di ripeterlo! Basta! Chi ti ha messo in mente questa idea? Cos'è? Hai paura di farmi del male? A me non m'importa, non m'interessa! >>

<< Asasin ha ragione, lui ha ragione, finirà in un bagno di sangue! >> Mi sedetti ai piedi del letto, portandomi il palmo del mano alla fronte, le dita ad accarezzarmi i capelli.

<< Se non mi ricordo male Asasin è quello che ci hai ballato insieme… Quello non mi piace, ti metteva le mani dappertutto, sembrava un polpo. E poi non lo ascoltare, per me è un idiota. E per i posteri: chi si fa gli affari suoi campa cent'anni, sua madre non gli ha insegnato l'educazione! >> Dovevo dirlo però, Fiore a volte aveva una dialettica troppo scurrile, gli avrei dovuto insegnare un po' di dizione.

<< Ti ricordo che noi siamo immortali e anche se ci interessassimo di fatti altrui vivremmo cent'anni e più. >> Provò ad obiettarmi, ma lo zittii con un movimento della mano. << Lo so che è un modo di dire. Comunque, non credo che sua madre gli possa aver insegnato molto, che io sappia è stato cresciuto da quando aveva sei anni dal clan Sănge per poi essere trasformato ai vent'anni e Madame Frică non è famosa per il suo gran cuore. Cerca di capirlo, poi è da diversi anni che mi fa intendere il suo interesse nei miei confronti, anche se potrebbe mirare solo al potere che essere il mio compagno significherebbe avere. Probabilmente è solo geloso. >> Mi sdraiai solo col busto, le gambe ancora penzoloni al bordo del letto. Posai pigramente le mani all'altezza dello stomaco, iniziando a rilassarmi.

Si sdraiò affianco a me, nella stessa posizione, voltando il capo verso di me: sentivo i suoi occhi su di me, ma io preferivo tenere i miei chiusi.

<< Sai… >> iniziò << Ho sempre pensato che se due persone si amavano sarebbero state insieme per sempre, ma con te… Con te mi sono dovuto ricredere, sei stata come un uragano, hai messo in disordine tutto, ogni volta che ti vedo sento tutto tremare, si muove tutto, a volte mi sembra di avere i sudori freddi. Il problema è che tu mi hai incasinato ben bene ed ora tu non mi puoi lasciare così, non credo che riuscirei a rimettere tutto a posto da solo. >> 

Aprii pian piano gli occhi ed incontrai i suoi così sinceri, come le sue parole, non consone ad una vera dichiarazione d'amore, ma che però trasmettevano il suo vero io, intaccato e puro, quasi come se non avesse mai incontrato i problemi della vita, anche se di dolori ne aveva provati.

<< Io ti amo. >> dissi guardando il soffitto, nascosto dal sottile velo verde del baldacchino. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi.

<< Ti amo anch'io, Cassandra. >>

<< E allora perché ci facciamo tutti questi problemi? >> Con delicatezza cercò la mia mano, e la imprigionò nella sua, così calda ed accogliente.

<< Io non me ne faccio di problemi, sei tu. Il mio cuore sarà aperto per te. >> Facendo leva con i gomiti mi tirai su e lui mi imitò.

Gli accarezzai una guancia, con rispetto e dedizione: << Scusa se mi sono innamorata di te senza il tuo permesso. >> Una lacrima uscì senza che la potessi controllare dall'angolo dell'occhio, che andò subito a nascondersi, scivolando velocemente, nei miei capelli, leggermente arruffati a causa dei tanti movimenti.

<< Scusami se non riesco a stare lontano da te, lo so che starti affianco significherà mettere in pericolo la mia vita, ma ora come ora non mi importa. >>

Scossi la testa rassegnata, non si sarebbe mai arreso; in quel momento speravo solo che un domani avrebbe potuto cambiare idea, in quel caso mi sarei fatta indietro, anche se sapevo che avrei sofferto.

Si chinò verso di me e il suo profumo di campo fiorito mi arrivò alle narici: era una sensazione strana, come se si tornasse a casa dopo anni dalla tua assenza.

Avvicinò il suo volto al mio e a pochi centimetri dalle mie labbra soffiò un: << Posso? >>.

Annuii, mio mal grado, per me sarebbe stato impossibile negare quel piccolo piacere ad entrambi.

Chiuse gli occhi ed inclinò il capo: le sue labbra si posarono per la seconda volta sulle mie. Erano bollenti e tendevano a modellarsi sulle mie, purtroppo, più dure e fredde.

 

Angolo autrice:

Non vi faccio perdere tempo:

Disegno ispirato dalla frase all'inizio del capitolo: Il suo calore era per me come la luce è per le falene.

Un'altra cosa, vorrei iniziare un'altra storia, scrivo prima dieci capitoli tutti di seguito e poi inizio a pubblicarla, oppure la intervallo a questa anche se gli aggiornamenti saranno più lenti?

Ditemi voi.

Vi lascio sperando che mi lasciate qualche bella recensione con tanti bei consigli che mi fanno sempre piacere! :D

Salutoni

Aribea398

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Capitolo 15
*** avviso ***


Lo so, dovrei aggiornare, ma non potete sapere cosa mi è successo... Ieri sono andata in montagna con degli amici ed è iniziato un temporale... Per farvi capire in che situazione ero vi dico solo che i vestiti e le scarpe si devono ancora asciugare... Quindi oggi febbre da cavallo e raffreddore... Vi faccio sorridere: quando abbiamo raggiunto una tettoia ci siamo messi a fare il trenino conga urlando come dei matti: "Broncopolmonite... tata tata tatà", una signora del posto ci ha detto che siamo da internare... Almeno ci siamo fatti riconoscere! XD Spero di aggiornare appena starò meglio!

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