L'odore dei ricordi di Imaginary82 (/viewuser.php?uid=69860)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Apple Pie ***
Capitolo 2: *** Eyes from the past ***
Capitolo 3: *** The heart beating ***
Capitolo 4: *** Just Friends ***
Capitolo 5: *** All by myself ***
Capitolo 6: *** Playing for her ***
Capitolo 7: *** Hopeless ***
Capitolo 8: *** Scent Of Women ***
Capitolo 9: *** Sweet chocolate ***
Capitolo 10: *** A step away from her ***
Capitolo 11: *** Checkmate! ***
Capitolo 12: *** A little piece of apple pie ***
Capitolo 13: *** Rawness ***
Capitolo 14: *** The Date ***
Capitolo 15: *** Never Alone ***
Capitolo 1 *** Apple Pie ***
Apple Pie
Salve
a tutti. Questa ff (o "zozzifiction", come l'ho ribattezzata io XD)
è nata più per gioco che per altro. Doveva essere solo un
modo per delirare su msn con gli amici. Poi ha preso strade tutte sue,
che non ho la più pallida idea di dove mi porteranno. Per ora
non posso fare a meno di seguirle e di bearmi delle parole che
zozzEdward mi sussurra all'orecchio.
I personaggi sono presi in prestito da Twilight, ma se ne discostano quasi completamente. Il mio Edward e la mia Bella sono assolutamente umani...fin troppo.
Bene, questo è più o meno tutto.
Vi ringrazio.
Miki.
Primo capitolo
APPLE PIE
Sono cinque minuti che mi domando che
razza di posto sia mai questo.
Afferro il cellulare e scorro la lista
dei messaggi.
Non è una richiesta stavolta. È quasi
una supplica.
Per me non fa differenza. È come tutte
le altre...beh, non proprio come le altre. Ha un corpo da mozzare il
fiato e una pelle liscia e profumata. I capelli lunghi sono morbidi e
lucenti...e parla poco. Sono questi i motivi che mi hanno spinto ad
avere con lei un rapporto, oserei dire, fisso.
Mi piace?
Non credo.
O meglio...mi piace che non abbia
speranze. Mi piace che mi guardi senza aspettarsi nulla.
Lei usa me allo stesso modo in cui io
uso lei.
Le 18:50. Dannazione. Sono in
anticipo. E mi ritrovo in una delle strade più squallide di Boston.
La gente si volta a guardarmi, attratta
evidentemente dal mio cappotto dal taglio raffinato o dalle mie
scarpe lucide. O forse è il profumo della mia colonia?
Sono passati i giorni in cui facevo
perfettamente parte di questo squallore.
Mi guardo in giro.
Perché non arriva?
A quel pensiero il palmare vibra,
allontanando la mia mente dalle angosce del passato.
“Sono in ritardo, scusami. Non andare
via, ti prego. Faccio prima che posso”.
La tentazione di mandare al diavolo lei
e i soldi di suo marito è tanta, è forte.
Ma rimango. Non voglio cadere di nuovo
nel tunnel dei ricordi, devo tenere la mente occupata...e lei è una piacevole distrazione.
Il tintinnio di un campanello mi fa
voltare di scatto.
Twilight Café
Ma che razza di
nome...
Mi avvicino
all'ingresso e guardo dentro: non c'è nessuno per fortuna.
All'interno
l'ambiente è caldo e apparentemente pulito. L'odore prevalente è
quello di caffè e non di fritto rancido, come nella maggior parte
delle tavole calde della zona.
Decido di entrare,
non voglio dare nell'occhio. So che è impossibile che qualcuno mi
riconosca, ma la sensazione di disagio che provo mi toglie il
respiro. L'ultima cosa che mi serve ora è un attacco di panico.
Mi siedo ad un
tavolo vicino alla finestra, rivolto verso il vetro, dando le spalle al
bancone e a tutto il resto. Vedo ancora la stessa strada, gli stessi
edifici, ma stare seduto qui è come essere al sicuro, è come se
tutto ciò che c'è là fuori non mi possa ingoiare di nuovo.
- Signore, cosa
desidera?
- Del caffè,
grazie
Non alzo nemmeno lo
sguardo, so che c'è una ragazza accanto a me, ma non m'importa.
- Abbiamo un'ottima
torta di mele...
- NO grazie – la
interrompo con un tono un po' troppo aspro – il caffè va
benissimo.
Quando si gira per
tornare dietro il bancone la guardo. Non è molto alta. Indossa una
divisa dal taglio discutibile, rosa, con un grembiule bianco, legato
dietro con un fiocco. Dalla gonna larga spuntano due gambe
affusolate, la pelle candida. Ai piedi un paio di sneakers ed
un'orribile cuffietta sul capo, dalla quale fuoriesce una lunga coda di
cavallo. Esegue ogni gesto rapidamente e torna da me dopo pochi attimi. Versa la bevanda fumante in una tazza.
Torno a
guardare fuori e penso che le lascerò una grossa mancia.
- Ecco il caffè.
- Grazie.
- E la torta...
- Ma...io non...
- Non si dice no
alla mia torta. Soprattutto se appena sfornata! È la migliore torta
di mele che esista!
Non mi dà nemmeno
il tempo di protestare che si allontana dal mio tavolo.
Guardo davanti a
me. La tazza è piena di caffè bollente e accanto c'è un piattino
con una fetta di questa fantomatica torta.
Due strati di
sfoglia dorata racchiudono un morbido e fumante ripieno. L'odore che
sprigiona è tra i più deliziosi che abbia mai sentito. Non è
semplicemente odore di mele...c'è qualcosa in più. Il fumo pungente
e speziato che sprigiona colpisce le mie narici, ed è un senso di
familiarità quello che provo e mi viene in mente lei.
- EJ tesoro, mi passi la cannella?
- Certo mamma, subito. Che stai
facendo?
- Ti preparo una torta di mele, la
signora Swan non ha dimestichezza con i fornelli e mi ha chiesto di
farne una per la sua bambina, a quanto pare la piccola adora la mia
torta!
Gli ingredienti che mi ha portato,
però, sono decisamente troppi per una sola. Gli Swan sono persone
adorabili e la loro bambina è meravigliosa, così rosea e paffuta.
Sono contenta che siete amici.
- Non siamo amici mamma...è
piccola!
- Ma ha solo due anni meno di te EJ.
- E' piccola. Ogni tanto la faccio
giocare un po' con me...è una piagnucolona!
- Mmh...se lo dici tu.
- Mamma, non pensi che papà si
arrabbierà per questo?
- Oh no, stai tranquillo. Tuo padre
ha il doppio turno oggi in fabbrica e, quando tornerà, non ci sarà
più traccia delle torte.
Parlava mentre
continuava a mescolare gli ingredienti. Sul suo viso, invecchiato
precocemente, si affacciava un debole sorriso. Il taglio sul labbro
le faceva male, così come l'occhio gonfio. Ma gli occhi le
brillavano, sembrava quasi felice.
- E adesso, l'ingrediente segreto.
- Metti un ingrediente segreto
mamma? Dai dimmi qual è, voglio saperlo!
- Oh no! Se te lo dicessi poi dovrei
ucciderti.
- Dai mamma, ti prego...non lo dirò
mai a nessuno
- Lo prometti?
- Croce sul cuore!
- Mh...va bene, mi fido! La vedi
questa pallina?
- E cosa sarebbe?
- Senti l'odore...si chiama noce
moscata.
- Ma è dura, non la vorrai mettere
lì dentro?!
- Ma certo che no...vedi questa? Si
usa per grattugiarla e la polvere si unisce all'impasto.
- Ed è quello che fa la differenza?
- Beh, lo sentirai quando la torta
sarà pronta.
Ricordo ancora il
profumo di quel dolce. Ne avevo assaggiato un solo boccone eppure mi
basta pensarci per sentire distintamente il sapore. Non ho mai più
assaggiato qualcosa che gli si avvicinasse lontanamente. Avevo ancora
gli occhi chiusi quando all'odore delizioso del dolce si sovrappose il
puzzo disgustoso di birra...era tornato!
- Dove cazzo avete preso questa
fottutissima torta?! - disse scaraventando in un solo colpo il tegame
giù dal ripiano.
- Edward...non...
- Taci cagna! Ti sei fatta fare di
nuovo l'elemosina, vero?
Le sue dita affondavano nell'esile
braccio di mia madre, mi andai a nascondere dietro il bancone, ma non
potevo non sentire tutti gli insulti e il rumore dei colpi che le
infliggeva con una furia animalesca.
- O è la ricompensa? Ma si...lo
sapevo...ti fai scopare dal bel poliziotto...ti piace la sua bella
divisa inamidata...
- No Edward, lo giuro...non è così,
sai che non potrei mai! Sai che amo solo te.
Un gran frastuono mi costrinse a
voltarmi. La mamma era riversa al suolo, dopo essere stata
scaraventata con violenza contro il mobile della cucina. Vedevo
sangue, dalle labbra, dalla testa.
La afferrò nuovamente, per le
spalle, portandola alla sua altezza.
- Quando ti parlo mi devi
guardare...che devo fare con te – disse scuotendola vigorosamente –
io non ce la faccio più. Ne ho piene le palle di te!
Non riuscivo a muovermi, avrei
voluto saltargli addosso, urlargli di lasciare in pace la mamma, ma
cosa potevo io contro di lui? Vedevo le sue mani, che in passato mi
avevano accarezzato con amore, afferrarla per i capelli. Lei
continuava a chiedere scusa, continuava a dirgli che lo amava.
- Che devo fare con te, eh? COSA?! Mi
capisci quando parlo? Hai capito quello che ho detto?
L'ennesimo spintone, stavolta, a
fermarla, il frigorifero.
- Tu non capisci un cazzo! Sei
un'idiota...lo sai che sei un'idiota eh? E spostati!
Con un calcio allontanò il corpo
oramai inerme di mia madre dallo sportello del frigo. Lo aprì e ne
tirò fuori una bottiglia di succo. Ne bevve un sorso, rumorosamente
per poi sputarglielo sulla testa.
- E' acido! È così che cresci tuo
figlio? Col succo acido?
Fu quando le svuotò l'intero
contenuto addosso che scattò qualcosa dentro di me. Gli saltai
addosso, urlandogli tutte le offese che fossi in grado di
pronunciare. Affondai le mie unghie nella faccia e lui si dimenava
urlando. Ma che poteva fare un bambino di otto anni ad un uomo, il cui
fisico era temprato dal lavoro e il cui animo era inasprito dalla
rabbia, dall'odio e dall'alcool?
Riuscì ad afferrarmi per il collo e
ad allontanarmi da lui. Non feci in tempo a scappare che un sonoro
ceffone mi fece cadere a terra. Sentivo tutta la faccia pulsare e il
sapore ferroso del sangue inondarmi la bocca.
- M...mamma...
Deve essere stata quella che lei
chiamava “forza dell'amore” a darle quell'ultimo guizzo di
vitalità. Mentre lui si avvicinava nuovamente a me, lei lo colpì
furiosamente con un mortaio di pietra ponendo fine definitivamente
alla sua lurida esistenza. Uno sforzo troppo grande dopo tutto ciò
che aveva subito. Si accasciò al suolo e, solo dopo aver sussurrato
il suo amore per me, si spense.
Mi asciugo in
fretta le lacrime, cazzo...non posso farmi vedere in questo stato!
Tutta colpa di quella cameriera e della sua fottuta torta! Per
fortuna che un bagliore rosso mi riporta nel mio mondo.
Mi alzo, finisco il
caffè e prendo il portafoglio per saldare il conto. Lascio una
banconota da dieci dollari sul tavolo e mi giro per andare via, ma...mi
volto nuovamente verso il tavolo e afferro la forchetta. La affondo
nel dolce e la porto alla bocca!
Uhmf...
Apro la porta,
facendo suonare quel fastidiosissimo campanello e senza girarmi dico
ad alta voce:
- La torta...la tua
torta...non è assolutamente la migliore!
Non le lascio il
tempo di rispondere che vado via.
Mi avvicino a
quell'incanto e faccio scorrere lo sguardo su di lei.
Ha
delle curve da mozzare il fiato. Anche ferma esprime la sua
dirompenza. Poggio una mano sul fianco, è liscio, caldo...eccitante.
Vorrei poterla avere tutta per me, sentirla fremere sotto le mani.
Non sapevo l'avrebbe comprata. Mi aveva chiesto quale fosse la mia
macchina preferita e la mia risposta era stata fin troppo spontanea:
una Porsche Cayman rossa...rossa fiammante, come le tue labbra!
Vedermela davanti
adesso è come un sogno. Il finestrino del lato passeggero,
rigorosamente oscurato, si abbassa.
- Edward sei con
me? Andiamo?
- Si certo – dico
deglutendo – andiamo.
Quando entro
l'odore di nuovo mi assale. E' tra le fragranze più belle che abbia
mai sentito. Guardo gli interni, e mi perdo nel colore della
passione.
In netto contrasto
lei è seduta lì, fiera e bellissima, al volante. Sembra nata per
guidare una macchina del genere.
Mi allontano,
poggiando la schiena contro l'interno dello sportello e la guardo.
E' la solita
esibizionista. Sfoggio il sorriso sghembo che tanto la eccita e
continuo a far scorrere lo sguardo su di lei.
Un foulard rosso le
incornicia il viso baciato dal sole, souvenir del suo ultimo viaggio
ai Caraibi. Gli occhiali scuri, dalla linea raffinata, le coprono lo
sguardo...ma so bene cosa c'è dietro quelle lenti: brama,
eccitazione...so anche che cerca il mio consenso, vuole piacermi e si
sforza in ogni modo perché sia così. Non le dico che farei lo
stesso il mio dovere, anche se dovesse presentarsi sciatta e
scarmigliata. L'importante è che alla fine metta mani alla borsetta
per il mio compenso.
Devo dire però,
che in questo modo mi rende il compito molto più piacevole.
Indossa un completo
nero, la giacca con un solo bottone le copre a malapena il petto, da
dove spunta un reggiseno in pizzo rosso fuoco. Scuoto la testa e
continuo a sorridere. La gonna è un tubino nero, stretto, ma con un
profondo spacco che le scopre la coscia, quasi fino all'inguine,
mostrando il bordo liscio, come piace a me, delle autoreggenti. Ai
piedi un paio di Laboutin nere lucide che completano degnamente il
tutto.
Mi metto comodo e
lei capisce che ha passato l'esame. In effetti ha un aspetto
assolutamente fantastico. Anche se la cosa che più mi eccita è
sapere che ha fatto tutto questo per me.
Quando Rosalie mi
ha presentato Tanya, la sua migliore amica, di certo non avrebbe mai
immaginato che tipo di rapporto sarebbe nato tra noi. D'altronde
nessuno di loro immagina lontanamente in che razza di situazione mi
sia andato a mettere. Ma l'odore dei soldi cancella l'odore dei
ricordi e per ora va bene così.
Per fortuna non
accende lo stereo. La musica adesso coprirebbe il rombo del motore,
che alle mie orecchie suona come le fusa di una gatta in calore.
- Non vedevo l'ora
di tornare – dice con la voce tremula per l'agitazione – mi sei
mancato così tanto!
- Non ti sei
divertita col maritino?
- No! - risponde
piccata – fosse per me potrebbe marcire all'inferno.
- Oh, sono sicuro
che ne saresti molto felice. Ti ci vedo nella parte della vedova
inconsolabile che ha appena ereditato milioni di dollari. Saresti
perfetta nella parte – le dico sfiorandole la coscia con il dorso
dell'indice. Al mio tocco la pelle rabbrividisce e la vedo deglutire.
La presa sul volante diventa meno sicura e la macchina ha un
impercettibile sbandamento.
- Sarebbe il minimo
dopo tutto quello che sono stata costretta a sopportare. Avevo dei
sogni, Edward, una carriera come modella, un futuro e sono stata
praticamente venduta!
Si morde le labbra.
Il dolore è ancora forte nonostante gli anni, nonostante i soldi,
nonostante tutto.
Il padre di Tanya,
per evitare la bancarotta, costrinse la figlia appena diciottenne a
diventare la moglie di Mr. Leech, un magnate della finanza, senza
l'aiuto del quale, il fallimento delle industrie di famiglia sarebbe
stato inevitabile. Purtroppo per lei, Arold era un uomo viscido e
senza scrupoli, convinto di poter ottenere qualsiasi cosa con i
soldi, sempre pronto a dissanguare le piccole imprese in difficoltà,
per poi acquisirle, smontarle dall'interno e rivenderle, assieme ai
suoi fratelli, Marcus e Caius.
Anche sua moglie era stato un affare per lui.
Un bel trofeo da
ostentare nella grandi occasioni e di cui godere in privato.
La cella dorata in
cui era stata rinchiusa questa splendida fenice era invisibile agli
occhi della maggior parte della gente, ma per me era diverso...io
vedevo il modo in cui si stava spegnendo e riuscivo a darle quello
che lei voleva: libertà, anche per una sola notte o per un'ora. Da me
non cerca pietà, non cerca romanticismo, non le interessano l'anima,
il cuore e tutte quelle cazzate a cui si legano le altre donne. Lei
pretende da me l'unica cosa che sono in grado di dare, egregiamente
oserei aggiungere.
Non andiamo in
albergo, non le piace, e casa sua è esclusa, anche se il marito non
c'è mai.
Con i guadagni del
suo lavoro, poco dopo le nozze, Tanya ha acquistato un piccolo
appartamento, in una zona periferica. Lì c'è tutta la sua vita, lì
passa le giornate quando non ne può più di una vita che non le
appartiene, lì c'è lei..anche dopo che fa ritorno a casa. Ed è lì
che le regalo momenti di pura estasi.
Beh...”regalo”
non è il termine più appropriato!
Quando spegne il
motore, scendo e, velocemente, faccio il giro per aprirle la portiera.
So che apprezza queste carinerie. Non per nulla sono così richiesto.
Non per nulla il mio nome è quello più sussurrato tra le signore
della classe benestante di Boston e il più temuto dai mariti.
Mentre con fare
seducente scende dalla macchina, mi accorgo che sotto la gonna non
indossa nulla. Faccio finta di non aver visto e la accompagno con il
braccio verso l'entrata.
L'andatura è
sinuosa e provocante e la scia di profumo mi investe, non opprimente,
ma delicata, sottile, come un assaggio di ciò che mi spetterà a
breve.
Quando richiudo la
porta non mi dà nemmeno il tempo di voltarmi che è già su di me.
Mi lascio spingere contro la porta, le sue labbra premono con forza
contro le mie, in un bacio che urla impazienza, desiderio, bisogno
disperato. Le sue mani risalgono sul collo, sono calde, lisce, mi
accarezzano il viso e poi si portano tra i capelli, afferrandoli e
strattonandoli con forza. Mi discosto, cercando di non essere brusco.
Lo sa che non mi piace...
Mi guarda con aria
mortificata, allontanandosi, anche se di poco.
- Scusami, non
volevo. Lo sai che amo i tuoi capelli...a volte non riesco a
trattenermi.
Accosto la guancia
alla sua e strofino leggermente, le sussurro all'orecchio di non
preoccuparsi e al suono della mia voce sento il suo corpo tendersi
come corde di violino..
Porto una mano
dietro la nuca e la avvicino a me ricominciando a baciarla.
Scendo più giù,
lentamente, dietro la schiena, spingendo il corpo contro il mio,
la mia eccitazione preme contro la sua coscia ed un gemito soffocato
le sfugge dalle labbra.
Le mani continuano
a vagare sul suo corpo, riempiendosi delle sue natiche sode, per poi
risalire di nuovo a cercare la pelle sotto la giacca. La sua schiena
è bollente e la pelle si solleva in un brivido lungo la scia che
tracciano le mie dita.
Mi allontano un po'
per portarle sul davanti e sbottonare quell'unico bottone. Con un
fruscio la giacca cade sulla moquette, scoprendo qualcosa di molto
eccitante.
Cerco, dietro la
nuca, l'estremità del foulard e le scopro il capo. I capelli sono
raccolti in uno chignon molto stretto, ma non mi ci vuole molto per
liberarli dalle forcine e farli ricadere in indomabili onde sulle sue
esili spalle. Con una mano le piego la testa da un lato e con l'altra
sposto i capelli lasciando scoperto il collo.
Lei sussurra, ad
ogni movimento, ad ogni mio gesto, è argilla tra le mie mani, o
meglio, ferro incandescente, e si lascia plasmare amabilmente.
Le accarezzo il
collo col naso, cercando, sotto il profumo, l'odore della sua pelle.
Non c'è nulla di più buono dell'odore della pelle di una donna.
Con la lingua
lambisco lentamente una spalla, lascio piccoli baci, intervallati da
delicati morsi.
Il suo respiro si
fa sempre più accelerato ed il cuore sembra che stia per uscirle dal
petto. Le sue mani sono sul mio cappotto, ferme. Sa che non deve
farlo. Non deve spogliarmi.
È una delle mie
regole.
Ma è impaziente e
devo dire che questo suo modo di fare mi rende le cose estremamente
facili.
Senza staccare le
mie labbra dalla sua clavicola mi libero del soprabito, della giacca
e comincio a sbottonarmi la camicia tirandone fuori i lembi dai
pantaloni.
- Oh Edward – le
sfugge quando finalmente il mio torace le si presenta dinanzi. Le sue
mani sono su di me ancor prima che riesca a sfilarmi del tutto
l'indumento. Con le unghie laccate di rosso segue la linea dei
pettorali, mi sfiora i capezzoli, per poi scendere sui fianchi e
fermarsi poco sopra la cintura.
Con le labbra
continuo ad infuocarle la pelle. I miei baci scendono sul suo petto e
affondo il viso nell'incavo dei seni strizzati in un reggiseno in
pizzo che lascia ben poco alla fantasia.
La stringo tra le
braccia e la sollevo da terra. Agilmente porta le gambe attorno ai
miei fianchi, cominciando a strusciarsi languida contro la mia
erezione.
Raggiungo il letto
e la poso dolcemente senza staccare le labbra da lei.
Con le dita le
sfioro il piccolo seno da sopra il tessuto e sorrido quando vedo il
capezzolo indurirsi all'istante. Sposto quel sottile pezzo di stoffa
e mi porto con la bocca su di esso.
- Tu mi farai
impazzire prima o poi – sussurra, mentre si porta le mani dietro la
schiena per slacciare il reggiseno. Nessun contorno più chiaro
riveste il suo petto. La pelle ha un colorito dorato e uniforme.
La guardo per un
attimo per poi rituffarmi sulle sue labbra.
- Hai preso il sole
in topless? - le chiedo tra un bacio e l'altro.
- No – risponde
allontanandomi. Con le mani spinge sul mio petto facendomi capire le
sue intenzioni. Scivolo su un fianco e perplesso la vedo alzarsi dal
letto.
Mi volta le spalle
e, lentamente, comincia a far scendere la lampo. Mi metto seduto,
comodo, per gustarmi lo spettacolo che mi si offre davanti.
Fa scendere
l'indumento lungo i fianchi, scoprendo lentamente la pelle nuda.
Prima di sfilarlo
completamente si volta.
-...integrale...l'abbronzatura
l'ho presa integrale.
E alzando prima una
gamba e poi l'altra si libera completamente della gonna, rimanendo
nuda di fronte a me, con solo le autoreggenti e le scarpe.
Avanza verso il letto
e, poggiando un piede sul materasso, tra le mie gambe, fa per srotolare la
calza lungo la coscia.
- No – le dico
afferrandole il polso con decisione – tienile!
Le circondo la
caviglia e risalgo lentamente accarezzandole il polpaccio sottile.
Quando arrivo al ginocchio le sollevo la gamba e le faccio poggiare
il piede accanto a me, portando la sua intimità all'altezza del mio
viso. Con un gesto del bacino si avvicina ancora di più offrendomi
un frutto che sa coglierò presto.
Continuo a
carezzarle la coscia, soffermandomi lungo il bordo della calza. Con
le mani si sta torturando i capezzoli, mentre la mia risale lungo
l'interno coscia.
Getta la testa all'indietro imprecando.
- Tanya...non sono
parole che si addicono ad una signora – dico con voce roca, prima
di posare le labbra sul ginocchio.
- Cazzo
Edward...non sarei qui se fossi una signora.
Sorrido...nel suo
tono c'è quasi disperazione.
Con la punta delle
dita comincio a sfiorarle il contorno dei fianchi, l'ombelico, il
ventre, che sembra avere piccoli spasmi sotto il mio tocco leggero.
Le labbra compiono
inesorabili il proprio cammino, raggiungendo, finalmente, il suo
centro.
Non mi sorprende
trovarla così eccitata, pronta, perfetta.
Basta poco per
farle raggiungere l'apice e mentre il corpo è scosso da un violento
fremito, con le mani la sostengo senza staccare la lingua da lei.
Quando l'ondata di
piacere si attenua e lei ricomincia a muovere, languida, il bacino
contro la mia bocca, mi alzo in piedi e la bacio, facendole sentire
il suo sapore sulla lingua.
La spingo sul letto
e, mentre si sistema nel mezzo, sfilo calzini e scarpe e mi libero
dei pantaloni e dei boxer in un colpo solo.
Il suo sguardo
malizioso vaga lungo il mio corpo nudo, fino a fermarsi al centro
esatto. Ed io posso quasi sentirlo, il fuoco che emana, sul mio membro
eccitato.
La raggiungo e le
circondo un seno con la mano, stuzzicandone la punta con il pollice.
Tanya inarca la schiena e spalanca di più le gambe, chiaro segno che
adesso i preliminari sono finiti.
Mi sollevo sulle
braccia e, dopo aver infilato il preservativo, la penetro
velocemente. Non è mai stata così calda, così bagnata. Quando
comincia a muoversi, dettando il ritmo, assecondo i suoi movimenti.
Il silenzio è interrotto solo dai nostri respiri sempre più veloci,
dai suoi sussurri strozzati, dai gemiti.
Le circondo la
schiena con un braccio e sollevandola mi porto a sedere sul bordo del
letto. Le gambe mi circondano il bacino e le spinte diventano più
rapide, più profonde.
Guardo i suoi
piccoli seni tondi sobbalzare, sul suo viso un'espressione di pura
estasi.
Ancora una volta
penso a quanto sia facile stare con lei. Il suo unico scopo è quello
di essere libera, libera di provare piacere, libera di essere una
donna. Mentre ondeggia i fianchi, poggia il viso nell'incavo del mio
collo, leccandolo e mordicchiandolo quando il movimento rallenta, per
poi affondare i denti quando improvvisamente riprendo a spingere con
maggiore decisione.
-
Edward...io...io..sto per...oh Edward.
A quelle parole mi
alzo in piedi e sostenendola con le mani sotto i glutei, la poggio
con la schiena al muro, continuando a spingere dentro di lei.
Un orgasmo intenso,
devastante ci coglie contemporaneamente e, prima che le forze vengano
a mancarci, raggiungo il letto.
Dalla finestra la
luce della luna entra nella stanza inondandola di una meravigliosa
luce azzurrina. Improvvisamente il pensiero che di lì a breve mi
sarei ritrovato solo nel mio appartamento mi coglie mozzandomi il
respiro.
La notte arriva e
puntualmente arrivano le sue ombre, le sue paure, i ricordi. So che è
inevitabile. Mi alzo e comincio a raccogliere i vestiti dal
pavimento.
- Edward non
andare. Ti prego, non andare. Solo per stanotte rimani qui. - la voce
è bassa, il sonno si sta già impadronendo di lei.
E, per la prima
volta, tale richiesta mi appare come un'ancora di salvezza a cui non
esito aggrapparmi.
-Ok Tanya. Ma solo
per questa notte. Non mi va di aspettare un taxi – le rispondo con
finta superficialità.
Ed è nel sonno che
lei sussurra – non avresti dovuto...non avresti dovuto aspettare un
taxi.
Senza nemmeno
chiedermi cosa abbia voluto dire mi stendo sul letto accanto a lei
sperando che il sonno mi sottragga dal supplizio dei ricordi.
Eccoci qua, alla fine di questo primo capitolo. Spero che la lettura non sia stata troppo pesante e noiosa.
Qualche
breve nota: la storia è ambientata a Boston. Perché? Non
ne ho la più pallida idea! Volevo fosse una citta, ma non una
delle solite metropoli. Mentre scrivevo è uscita questa e l'ho
lasciata.
Mr Arold Leech è, ovviamente, Aro e "leech" significa sanguisuga, mi sembrava perfetto.
Se ne avete voglia, lasciate un piccolo commento. Fa sempre piacere sapere l'opinione, positiva o negativa, di chi legge.
Al prossimo capitolo, che arriverà a breve (una settimana al massimo).
Baci.
Miki ^_^
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Capitolo 2 *** Eyes from the past ***
L'odore dei ricordi 2
Come promesso, eccovi il secondo capitolo.
Ringrazio
tutti coloro che hanno letto (dalle visualizzazioni sembrate tanti e la
cosa mi riempie di gioia *___*), le persone che hanno inserito la
storia tra le preferite, le seguite e le ricordate. E DUE grazie a chi
ha inserito me tra gli autori preferiti. Non ho parole.
Ciò
che scrivo non ha alcuna pretesa, è solo uno svago, ma sapere
che può piacere a qualcuno mi riempie di orgoglio.
Ma vi lascio al capitolo...che è meglio. Ci vediamo "giù" XD
Secondo capitolo
EYES FROM THE PAST
- EJ che hai? - dice una vocina
sottile – non piangere.
Alzo lo sguardo e vedo due occhi
spalancati che mi guardano. Sono lucidi, tremano e in un attimo si
riempiono di lacrime.
- E ora tu perché piangi? - Le
domando, tirando su col naso.
- Perché EJ c'ha la bua – dice
abbassando il capo e nascondendo il viso.
Mi alzo e mi asciugo gli occhi –
non piangere – le dico sforzando un sorriso – guardami: è
passato.
Quando alza la testa un sorriso le
si apre sul suo visetto a forma di cuore ed è come se non fosse
successo nulla.
Si rimette dritta velocemente e con
le manine si liscia le pieghe del vestitino.
- Allora andiamo a giocare –
esulta porgendomi la sua mano.
Devo prenderla...voglio
prenderla...ma lui arriva.
-EJ che diavolo fai lì? Pensavo di
avere un figlio maschio! Da quando te la fai con le femminucce? - la
sua grassa risata mi fa vergognare.
Perchè quando capo Swan gioca con
sua figlia ride e la sua risata è dolce, tranquilla.
Ma quando lui ride è ubriaco e dopo
si avventa sulla mamma.
E infatti mi afferra per un braccio,
trascinandomi dentro casa.
Anche se per un attimo, vedo la sua
mano che lentamente si abbassa e poi il buio...
Lui continua a picchiarla ma io non
riesco a fermarlo.
Li vedo lontani e corro, corro per
raggiungerla, ma è come se andassi nella direzione opposta
- Mammaaaaa – urlo con tutto il
fiato che ho nei polmoni, ma lei non mi sente.
È riversa per terra, immobile e
lui continua...continua...
-Edward...Edward
svegliati – la voce che sento è lontana, vorrei
svegliarmi...vorrei, ma non ci riesco.
Vorrei aiutare la mamma e non posso,
vorrei non sentire questo macigno sul petto, ma lo sento premere
sempre più forte...e vorrei non piangere, ma le lacrime si riversano
inarrestabili e i singhiozzi mi scuotono violentemente.
Quando apro gli
occhi mi ci vuole un po' per capire dove mi trovo. Il respiro è
affannato e il cuore sembra voglia uscire dal petto.
- Non è niente
calmati, era solo un brutto sogno.
Due mani fredde mi
trattengono il viso e ciò non fa che aumentare la sensazione di
panico che si è impossessata di me. Mi scanso bruscamente e poggio i
piedi a terra. Una piccola luce si accende e, finalmente, capisco
dove mi trovo. Lo capisco dal colore della moquette, dai vestiti
sparsi per terra e da questo maledetto profumo che adesso mi dà la
nausea.
- Edward, c'è
qualcosa che non va?
- No, nulla...ho
avuto un incubo. Non preoccuparti. Adesso passa – le rispondo,
cercando di convincere me stesso. E mi rendo conto che sarebbe stato
meglio se lo avessi chiamato quel fottuto taxi. Mi sarei svegliato a
casa mia, nel mio letto e non avrei dovuto fingere che va tutto bene.
Perché non va bene un bel niente!
Sento il materasso
muoversi e capisco che lei si sta avvicinando, vorrà
tranquillizzarmi, penso un attimo prima di sentire la sua lingua
avvolgermi il lobo dell'orecchio.
- Vieni qui...ti
faccio passare io la paura – sussurra. Le sue unghie percorrono i
muscoli contratti della mia schiena, ma questo non contribuisce a
rilassarmi, anzi, sento la tensione farsi sempre più insopportabile.
-Tanya,
non è il momento...dammi un attimo – cerco di non sembrare
eccessivamente disturbato dal suo atteggiamento, ma se potessi me la
scrollerei di dosso e la manderei al diavolo. La voce di mio padre
risuona ancora vivida nella mia testa. Chissà cosa direbbe se mi
vedesse...sarei abbastanza uomo adesso davanti ai suoi occhi?
Probabilmente no. È vero, io le donne le uso...ma non le
ammazzo. Razza di...
- Eppure non mi
sembra che tu abbia bisogno di un momento – ghigna portando la mano
tra le mie gambe.
Testa
e corpo sembrano scollegati oramai: la prima vorrebbe solo un attimo
di tregua, vorrebbe cercare di cacciare i torbidi pensieri che mi
tormentano...vorrebbe che le labbra di Tanya non prendessero il posto
della sua mano...e invece, cazzo! Lo fanno!
Il
secondo quei pensieri li ha già scacciati ed esulta in
maniera indecente, assecondando il movimento della sua bocca.
Ho talmente tanta
rabbia dentro che la prenderei per capelli pur di farla allontanare
da me. Ma è un'azione che non posso permettermi di compiere, per un
bel po' di motivi: lei, oramai, è la mia principale fonte di
reddito, mi paga profumatamente e per questo posso concedermi di
rifiutare altre offerte, se dovessi contrariarla sarei nella
merda totale; inoltre non sono un violento...e già
papà...rassegnati...non farei mai del male intenzionalmente ad
una donna, non se non è lei a chiedermelo, ovviamente!
In ultima analisi,
lei è fottutamente brava!
Cerco con tutto me
stesso di non pensare a ciò che sto subendo, ma il modo in
cui la sua lingua mi avvolge, mi lambisce...il modo in cui la mano
accompagna il movimento, il contrasto della sua pelle dorata con
quella oramai arrossata del mio sesso, i capelli che mi solleticano
le cosce, ogni cosa mi sta facendo perdere il contatto con la realtà.
Senza nemmeno
accorgermene il fiato si fa corto e gemiti sempre più rapidi escono
dalle mie labbra. Mi porto indietro con la schiena, poggiandomi sui
gomiti, e chiudo gli occhi.
È come se
riuscissi a vedere la scena dall'esterno: nudo, seduto sul letto, i
piedi poggiati sul pavimento, i fianchi che si muovono su e giù, in
una danza dettata dalla bocca di una donna, che se ne sta
scompostamente per terra, tra le mie gambe, i capelli le coprono in
parte il viso, in parte le cadono sulle spalle, che ritmicamente
ondeggiano regalandomi pura estasi.
Questa femmina non
ha il minimo pudore...
...il modo in cui i
suoi occhi, senza vergogna,
mi osservano
maliziosi, rivendica ciò che sta facendo, sottolinea che è lei la
padrona adesso. Mi ha in pugno...in tutti i sensi!
Potrei lasciarmi
andare. Potrei, per una volta, pensare solo ad ottenere senza
dare...ma non è quello che vuole lei e, stranamente, non è ciò che
voglio io.
Non si tratta della
mia donna, farle terminare ciò che ha iniziato sarebbe una cosa
troppo personale. Non è mai successo e mai permetterò che accada.
Per stanotte sono
stato fin troppo succube delle mie debolezze.
Le avvolgo una
guancia con la mano, carezzandole l'orecchio con il pollice e
infilando, poi, le dita tra i capelli.
Si stacca da me per
nulla contrariata, anzi...vogliosa e piena di aspettative. Sa
benissimo che adesso tocca a lei.
…...
Quando la luce
impietosa penetra dalle finestre, mi coglie nel pieno del sonno.
Avrò dormito un
paio d'ore, per fortuna senza incubi, stavolta.
Allungo una mano e
cerco alla rinfusa i pantaloni. L'unica cosa che trovo è una
scarpa...col tacco...la lascio cadere e mi allungo, scivolando col
torace sul materasso, afferrando qualcosa. Una calza...
Porc...cominciamo bene!
Apro gli occhi
imprecando mentalmente e cercando di capire dove cazzo siano finiti i
miei pantaloni.
All'ennesimo
tentativo finito male decido di alzarmi.
Dall'altro lato del
letto arriva un fruscio di lenzuola.
-Mmh...Edward? Che
fai...vieni qua – dice allungando una mano verso di me.
- Tanya devo
andare, è tardi, ho da fare e devo passare da casa per farmi una
doccia.
Continua a
borbottare qualcosa, ma non la sto a sentire, faccio il giro della
stanza per scovare i miei vestiti e li sistemo sulla sedia, cercando
di lisciare le pieghe.
Prendo l'orologio
dalla tasca e, per fortuna, mi accorgo che non è tardi.
Tardi per cosa poi?
Semplicemente
voglio andare via, se ancora non fosse chiaro.
- Falla qui...la
doccia. Hanno installato un nuovo box.
La sua voce è più
chiara adesso, segno che si sta svegliando. Entro nel bagno per
sciacquarmi il viso e non posso fare a meno di notare l'astronave che
quella pazza ha fatto montare al posto della vecchia ed obsoleta
doccia...scuoto il capo passandomi le dita tra i capelli.
Perché no?
- Vuoi farla
insieme a me? - dice, raggiungendomi e allacciando le braccia alla
mia vita.
Mi volto verso di
lei, facendo scontrare i nostri corpi nudi e posando le labbra sul
suo piccolo orecchio sussurro – No! Non sono previsti extra per
oggi.
- Uhmf...lo sai che
i soldi non sarebbero un problema – il suo tono è visibilmente
offeso. In fondo è ancora una ragazzina viziata ed io sono solo il
suo giocattolino. Quando si stuferà di me, non ci penserà due volte
a gettarmi via.
Com'è che si chiamava? Ah sì...Ken.
Sono il suo Ken gigante e umano, da vestire e spogliare a suo
piacimento...beh, con una piccola differenza. Anzi...non tanto
“piccola”.
Esce dal bagno
chiudendosi la porta alle spalle e finalmente posso concedermi questa
esperienza ultraterrena.
Quando riesco a
capire come azionare i comandi, sei getti d'acqua colpiscono
simultaneamente il mio corpo. Il massaggio che eseguono sui muscoli
riesce a sciogliere la tensione accumulata durante la notte. Non ho
scordato l'incubo che ho fatto, anzi...le immagini scorrono nella mia
testa nitide. Probabilmente si tratta di un ricordo vero, di qualcosa
che ho rimosso crescendo e che, non so per quale motivo, il mio
subconscio ha ripescato.
Schiaccio un altro
pulsante ed un getto vigoroso mi investe dall'alto.
Poggio le mani sul
vetro e mi lascio andare ud una sensazione di puro godimento.
Ma cosa...?
Qualcosa alla base
della cabina comincia a muoversi sotto i miei piedi. Il massaggio è
vigoroso e si trasmette dalla pianta alle gambe.
Potrei stare qui
dentro per ore.
Le mensole sono
piene di boccette, tutte dall'aspetto costosissimo. Ne afferro una a
caso e dopo aver svitato il tappo la annuso per controllare che non
sia uno stucchevole sapone zuccheroso. Per fortuna l'odore è
gradevole, speziato e pungente. Ne verso un po' sulla mano e comincio
a passarla sul petto, sulle braccia, insapono l'addome e scendo giù
sull'inguine e poi le cosce e le gambe. Lascio che l'acqua lavi via
la schiuma, concedendomi ancora qualche minuto di questa meraviglia.
Un piccolo schermo
lampeggia sotto lo specchio. Una playlist alquanto discutibile fa
bella mostra di sé. Lo scroscio dell'acqua è un sottofondo
decisamente migliore. Me la immagino Tanya dimenarsi sulle note di
Lady Gaga.
A malincuore chiudo
l'acqua ed esco fuori. L'ambiente del bagno è decisamente più
freddo, rispetto alla cabina e rabbrividisco a contatto con l'aria.
Afferro un a spugna ampia e morbida e me la passo sul viso, sul petto
e sulla testa, per poi avvolgerla attorno ai fianchi.
Maledizione...i vestiti...
Faccio ritorno in
camera da letto sperando che la mia mise non la inviti a sferrare un
altro attacco.
Per fortuna il
broncio che ha messo su prima è ancora lì e, nonostante mi osservi
dallo specchio, non mi rivolge la parola...
Quando si accorge
che sorrido per la sua finta indifferenza, abbassa lo sguardo e
comincia a rivestirsi.
Indossa l'intimo,
con movimenti lenti, sensuali...vorrebbe essere fermata, ma non lo
faccio. Comincio a rivestirmi anche io, senza staccarle gli occhi di
dosso. Non voglio lasciarla così e so come farla cedere.
Guarda per un
attimo il proprio riflesso, passandosi le dita tra i capelli
arruffati, per poi cominciare a spazzolarli, consapevole del mio
sguardo su di lei.
Vorrei sorridere,
ma mi impongo di rimanere serio.
Tra di noi è una
sfida continua.
Sappiamo bene che è
lei ad avere il comando, di tutto, ma mi ha sempre trattato come un
suo pari, lasciandosi provocare e provocando a sua volta. Spesso mi
chiedo se questo suo comportamento non sia dettato da qualcos' altro,
ma scaccio subito il pensiero, illudendomi, forse, che le sia ben
chiara la situazione e che un coinvolgimento di quel tipo da
parte sua, implicherebbe la fine di tutto.
Una persona come me
non è capace di amare.
O probabilmente il
mio è un semplice rifiuto, dettato dal fatto che ogni persona in cui
ho riposto il mio affetto è venuta a mancare, o peggio, mi ha usato,
maltrattato, umiliato.
Scaccio questo
ennesimo pensiero deprimente dalla testa e afferro la camicia.
Maledizione...è cominciata proprio
bene questa giornata!
Finisco di
abbottonarla e vedo che lei stavolta mi guarda seria. Le braccia
lungo i fianchi, un'espressione delusa, le labbra strette in un
broncio.
Mi avvicino
lentamente, mentre i suoi occhi si spalancano increduli.
- Devo andare
davvero...mi dispiace.
Le circondo il
collo con una mano e dolcemente la costringo ad indietreggiare fino a
farle incontrare il comò. Le boccette di profumo tintinnano e
qualche cosmetico cade per terra. Le stringo un fianco, infilando le
dita sotto il bordo dello slip. L' altra mano scende sulla stoffa
liscia del reggiseno, raffinato, ma molto più casto di quello di
ieri sera. Col pollice le accarezzo il seno e la risposta è
immediata: i brividi che ricoprono il suo petto culminano nel
capezzolo che, turgido, spinge contro il tessuto sottile.
- Oh
Edward...rimani ti prego.
Il suo corpo è già
caldo e se fosse un altro giorno, un altro momento, non avrei
esitato.
- Per stavolta
basta così – soffio sulle sue labbra prima di premervi le mie.
Quando sento che le schiude per approfondire il bacio mi stacco da
lei, allontanandomi, solo dopo essermi assicurato che avesse i piedi
ben piantati a terra.
- Chiamo un taxi.
- NO! - è la sua
risposta quasi urlata.
- Tanya, ti ho
dett...- poggia un dito sulla mia bocca, per azzittirmi, e per un
attimo spero che non mi chieda ancora di rimanere. Mi preparo
mentalmente ad un rifiuto, quando invece è lei a voltarmi le spalle.
Si dirige verso
l'ingresso e si china a raccogliere qualcosa, mi sporgo per cercare
di capire cosa stia facendo. Si alza e lancia ciò che ha raccolto
verso di me. Afferro prontamente il piccolo oggetto e, quando apro la
mano, noto che si tratta di un'unica chiave. Il logo impresso sopra è
inconfondibile.
- Non c'è bisogno
che mi presti la tua auto – le dico controvoglia, senza alzare gli
occhi. In realtà il solo pensiero di poggiare le mani sul volante mi
eccita a dismisura.
- Non si tratta di
un prestito, consideralo come...un piccolo regalo!
- Ma...ma...no.
Tanya no! N-non potrei mai accettare – balbetto come un idiota, o
peggio, come un bambino che vorrebbe mettere le mani su un giocattolo
ma sa che non dovrebbe farlo.
- Certo che puoi. E
poi oramai cosa potrei farne? Lo sai che giro in Limo e se avessi
dovuto comprarla per me, non avrei assolutamente scelto una macchina
del genere.
- Io...io non so
cosa dire.
- Oh, non dire
nulla. Ci sono altri modi per ringraziarmi. Modi che preferisco.
Non so per quanti
minuti me ne sto lì, impalato. Quando alzo gli occhi davanti a me
non c'è più la donna che mi ha sedotto stanotte. La donna che paga
per sentirsi tale è scomparsa. Ora davanti a me c'è la signora
Leech, bellissima, seria, fiera...e spenta.
- Vado avanti io –
dice cupa – aspetta dieci minuti e poi esci. Non preoccuparti della
porta, tra un'ora viene la domestica.
È nel momento del
commiato, che involontariamente lei sottolinea l'abisso che corre tra
noi. E, per questo motivo, il metallo della chiave brucia sul palmo
come ferro incandescente. Non essere riuscito a rifiutare mi mette in
una posizione scomoda...troppo scomoda!
Non ho mai lasciato
che si creasse un legame. Avrei dovuto troncare quando ho cominciato
a provare compassione per lei. Quando vederla imbronciata mi causava
un senso di pietà.
Coglione...sei un coglione!
Poggio le spalle al
muro ed è proprio così che mi sento...senza via d'uscita. Quando
arriverà il momento, e prima o poi arriva sempre, sarà difficile
tagliare con lei.
Estraggo l'orologio
dalla tasca e mi accorgo che posso andare.
Per un attimo,
fuori dall'appartamento, dimentico tutto e guardo compiaciuto la mia
macchina.
È favolosa.
Nemmeno fra cent'anni avrei mai potuto possedere una cosa simile.
Premo il pulsante sulla chiave ed il bip che segue è un armonioso
invito a salire a bordo.
Sistemo il sedile
all'indietro, di poco, considerando la notevole statura di Tanya,
sistemo lo specchietto e indosso la cintura di sicurezza.
Wow...
Il rombo del motore
mi causa un brivido lungo la schiena e quando, lentamente, quasi con
timore, lascio andare la frizione, sembra che la strada si apra al
mio passaggio. Sono consapevole che non sia giusto, ma in questo
momento voglio solo godere di questa sensazione di benessere.
Abbandono la
postura rigida che avevo assunto, per poggiarmi completamente sullo
schienale morbido.
Ho letto su una
rivista che le prestazioni di questa macchina sono elevatissime. Il
motore è in grado di raggiungere in pochissimi secondi velocità
impronunciabili. Ma non è questo ciò che voglio fare adesso. La mia
guida è tranquilla, rilassata. Voglio vedere il paesaggio che scorre
e sentire i rumori, che, all'interno, arrivano ovattati e lontani.
Ho mentito prima.
In realtà non ho alcun impegno. Volevo solo starmene da solo e
cercare di capire il motivo di certi ricordi.
Avevo rimosso
completamente la mia amicizia con la figlia degli Swan. Avevo rimosso
che, dopo quell'episodio, non le avevo più rivolto la parola.
Lui accusò
mia madre di aver cresciuto una femminuccia, di essere una buona a
nulla, ed era colpa mia. Cercavo di comportarmi in modo che non
trovasse un pretesto per picchiarla, ma ogni giorno c'era un motivo:
la cena era troppo calda o troppo fredda, la casa non era pulita, non
c'era abbastanza birra in frigo...se tutto andava bene, si limitava a
capovolgere il tavolo, far volare qualche sedia e imprecare.
Sennò...
Colpisco il volante
con entrambe le mani e cerco di scacciare questi pensieri.
Forse con un po' di musica...
Sfioro il computer
di bordo con le dita e vedo un piccolo dispositivo usb inserito.
Quando premo play,
vengo investito da un rumore assordante
Don't call my name
Don't
call my name
Alejandro
I'm not your babe
I'm not your
babe
Fernando
Don't wanna kiss
Don't wanna touch
Just
smoke my cigarette and hush
Don't call my name
Don't call my
name
Roberto
Afferrare
quell'aggeggio e lanciarlo fuori dal finestrino è qualcosa che
faccio senza nemmeno pensarci su.
Fottiti Tanya, tu e la tua musica
del cazzo!
Smanetto un po' con
i pulsanti, fino a trovare una stazione che trasmetta qualcosa di
decente...impresa assai ardua al giorno d'oggi.
Quando le prime note di Nothing
Else Matters si diffondono
nell'abitacolo, chiudo per un brevissimo istante gli occhi.
Ascolto la melodia
tamburellando con le dita il ritmo sul volante.
Penso a mia
madre...cerco di ricordare i momenti in cui sorrideva. La musica la
faceva sorridere,
guardarmi giocare
dalla finestra, suonare. Le risate della piccola Swan la facevano
sorridere, adorava quella bimba.
Ma come diavolo si chiamava?
Senza nemmeno
rendermene conto mi trovo nella stessa strada di ieri pomeriggio.
Rallento e abbasso il volume.
Perché no?! Il caffè non era tanto
male...
Arrivato davanti
l'ingresso del locale, accosto e spengo il motore.
Rispetto a ieri c'è
un po' più di gente. Nulla di caotico per fortuna.
Senza dire
buongiorno mi siedo allo stesso tavolo e dalla vetrina controllo che
nessuno si avvicini alla mia macchina.
- Cosa desidera?
Questa voce...Uff...di nuovo lei.
- Un caffè...e
nient'altro – rispondo seccato, sperando che stavolta faccia
diligentemente il suo dovere.
Dopo qualche minuto
sento posare qualcosa sul tavolo e il rumore della bevanda che
fuoriesce dalla caraffa. Immediatamente l'odore deciso mi riempie le
narici.
Non faccio in tempo
ad ingoiare il primo sorso che un altro rumore attrae la mia
attenzione.
- Ecco! È appena
sfornata! Ho apportato alcune modifiche alla ricetta. Vedrà se non
si tratta della più buona torta di mele che abbia mai mangiato!
Ma dannaz...Quando
sollevo lo sguardo è come ricevere un pugno nello stomaco.
Quegli occhi...due
occhi color cioccolato mi fissano curiosi. Sono grandi, limpidi,
luminosi. Nel momento in cui riesco a mettere a fuoco tutto il resto,
vorrei che qualcuno mi desse uno scossone per ridestarmi dal sogno.
La sua pelle è
come una distesa di neve candida, che non è mai stata calpestata da
nessuno, liscia, perfetta. Un lieve rossore colora le guance,
sottolineandone le curve deliziose.
Sembrano essere
state create per posarvi dolcemente il palmo della mano, per essere
ricoperte da leggeri baci.
Il naso, piccolo e
grazioso guida lo sguardo più in basso, verso la sua bocca.
Le labbra...Dio
quelle labbra...tirate in un timido sorriso, sono tra le cose più
belle che io abbia mai visto.
Quale rosa è stata privata del suo
colore?
A cosa hai rubato tanta morbidezza?
E il tuo profumo? Da cosa si ottiene
un distillato così puro? È forse una pozione? È così che incanti
gli uomini? Una strega forse....
- Hey? Che fai,
dormi?
Le sue parole sono
quello scossone che temevo. Ma il sogno rimane reale e vivido davanti
a me.
Cazzo Edward! Datti un tono...sembri
un idiota!
E poi l'occhio cade
lì...sulla piccola targhetta appuntata sul colletto bianco della
divisa.
Isabella S.
...Bella...ecco come ti chiami
piccola Swan!
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Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto.
Grazie.
Miki.
PS: il prossimo, tra una settimana, forse meno ;)
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Capitolo 3 *** The heart beating ***
terzo capitolo
Eccovi
il terzo capitolo. Sono assolutamente lusingata per il numero di
persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite e le seguite, mi
ripeto, lo so, ma la cosa mi fa immensamente piacere.
Spero che questo vi piaccia come gli altri.
Miki.
Capitolo terzo: The heart beating.
-
...quindici...sedici...diciassette... - conto lentamente, per darle
il tempo di nascondersi e sorrido perché so bene dove andrà a
ficcarsi.
- EJ! Rientra in casa, sta per
arrivare tuo padre – la mamma mi chiama dalla finestra e,
controvoglia, sollevo il viso. Non vorrei rientrare, ma devo.
- Bella! - continua lei, con un tono
più dolce – Reneé mi ha chiesto di avvertire anche te. Se non
rientri subito a casa, niente torta stasera.
Mi giro verso la buca delle lettere
ed è proprio lì che si trova.
Pensa di essersi nascosta ed invece
è perfettamente visibile.
- Hey...su, andiamo.
Fa finta di niente ma so che mi ha
sentito.
- Beh io vado...poi tu rimani sola –
dico mentre volto le spalle e faccio per andarmene. Dopo pochi
secondi il rumore dei suoi passettini conferma che ha deciso di
seguirmi. La accompagno davanti alla porta e, salutando anche la
signora Swan, mi avvio verso casa.
- EJ!
Quando mi volto verso di lei, vedo
il suo viso illuminato da uno splendido sorriso, un sorriso
che mi fa sentire felice. Un sorriso spontaneo, uno sguardo limpido
che non ha conosciuto la paura, il dolore...
- Ci vediamo domani – dice quasi
urlando e agitando la manina.
Erano passati tre mesi da quando Bella
e la sua famiglia si erano trasferiti accanto a noi. All'inizio ero
stato gentile con lei solo perché la mamma me l'aveva chiesto. Ma
poi, passare il tempo insieme era diventata una piacevole abitudine.
Era una piccoletta curiosa ma non rompiscatole, mi seguiva con
interesse pronta ad eseguire con attenzione qualsiasi cosa facessi.
Quando inciampava e si sbucciava le ginocchia, e succedeva spesso,
piangeva finché non la prendevo sulle spalle per portarla a casa.
Lei sorrideva trionfante e si aggrappava ai capelli per reggersi.
- Da grande sposerò EJ – diceva
sempre...
Dopo quel giorno non abbiamo più
giocato insieme. Se la incontravo nel vialetto, la scansavo
bruscamente e le dicevo di stare alla larga da me.
Quante volte l'ho fatta piangere?
Non avrei mai voluto....
-Hey? Mi senti? Allora, la assaggi o
no?
Sbatto più volte le palpebre per
mettere di nuovo a fuoco il suo volto.
I ricordi, che si sono affacciati solo
guardandola, è come se avessero frapposto nuovamente i diciotto anni
che sono passati dall'ultima volta che l'ho vista e, ritrovarmela
davanti, mi provoca lo stesso identico brivido che ho avuto pochi
minuti fa.
Mi scruta pensierosa e titubante,
spostando la testa di lato, come per inquadrarmi meglio.
Forse anche lei ha capito...mi ha
riconosciuto.
Sono io Bella...mi riconosci?
- Sei narcolettico per caso?
DUH! Complimenti Edward, bella
figura da coglione!
- No, scusami. È che ho avuto
la sensazione di conoscerti. Ci siamo visti da qualche parte prima di
oggi?
Spalanca gli occhi prima di portarsi
una mano alla bocca e...scoppiare a ridere!
- Che diav...perché stai ridendo? Che
ho detto di così esilarante?
- Ok, ok...bel tentativo, devo dire
proooprio originale – dice, trattenendosi dal continuare a ridere.
- M...ma...a cosa ti riferisci?
- Credi che sia stupida? È solo perché
faccio la cameriera o c'è altro? - stavolta il tono è più seccato,
ma, nonostante ciò, non riesco davvero a capire dove voglia
arrivare.
- E' inutile che fai lo splendido,
ricordo perfettamente dove e quando ci siamo visti. QUI! IERI! - dice
alzando un po' la voce e posando in maniera decisa la caraffa sul
tavolo - E hai detto che la mia torta non era buona. Quindi evita di
atteggiarti a playboy dallo sguardo trasognato, come se fossi stato
folgorato da una stella...o, piuttosto, sembra che il corpo celeste
in questione ti abbia colpito in testa!
Wow, piccola Swan...che caratterino!
Distolgo lo sguardo da lei e sorseggio
il caffè, vederla così risentita, combattiva e imbronciata
è...è...non so com'è. È strano.
Eccitante?
Quando mi accorgo che con la mano
afferra il piattino, per portar via la torta, faccio appena in tempo
ad afferrarle il polso, per fermarla.
La mia pelle è a contatto con la sua
ed è come se quella stella mi colpisca in pieno, proprio come ha
detto lei. O forse è come essere travolti da uno tsunami? O
folgorati da un fulmine? Investiti da un tir, sotterrati da una
valanga...
Cazzo Edward!
Dalle mie dita, una sensazione di
calore travolgente si diffonde in tutto il corpo, andandosi a
concentrare inaspettatamente tra le gambe.
L'ennesima imprecazione mentale mi
distoglie dall'ennesimo stato di trance.
- Lasciala. Non ho detto che non era
buona – la voce esce bassa, roca e il rossore che le imporpora il
viso mi fa perdere un battito.
Mi schiarisco la gola, cercando di
riacquisire un po' di dignità, e continuo – non è come pensi. Ho
avuto l'impressione di averti già vista...in passato – e non sa
quanto mi sforzi pronunciare quelle parole. Non sa il dolore che
provo anche solo ad ammettere di averlo avuto un passato.
Il suo viso da corrucciato diventa
perplesso, mentre la presa delle sue dita si allenta.
Cosa che dovresti fare anche
tu...lasciarle il polso! Hai presente quella cosa sottile, candida e
fragile che stai stringendo da diversi secondi?
Ecco...si è rincoglionito pure il
mio subconscio!
Interrompere il contatto è come essere
investito da una doccia fredda.
Quando allontana il braccio, è lei
stessa ad avvolgere il polso con la sua mano. E per un attimo sono
sul punto di chiederle se ha sentito le stesse sensazioni che
ho sentito io.
Per fortuna stavolta riesco a fermarmi!
- Probabilmente ti ho scambiata per
un'altra persona – dico, pentendomene quasi subito.
D'altronde perché dovrebbe ricordarsi
di me? Non aveva nemmeno cinque anni.
E che senso avrebbe dirle chi sono?
Chi sono io?
Chi è Edward Masen?
Il solo pensiero mi causa un senso di
nausea.
E lei è così bella, sembra così
ignara dello schifo della vita che non potrei mai coinvolgerla in
tutto questo.
-Scusami allora – sussurra
mortificata – è che lavorando qui ho fatto l'abitudine a certi
metodi.
È assurdo...
E' fastidio quello che sento. No, è
rabbia.
Chi ha osato avvicinarla?
Chi le ha parlato?
Chi l'ha sfiorata?
È normale reagire così?
No che non lo è!
Certo che lo è...il mio è...senso di
protezione sì.
La conosco da quando era bambina...solo
questo.
- Lo fai spesso?
- Eh?
- Estraniarti!
- Uh...ehm..no. No, è che in questi
ultimi giorni ho avuto un po' di pensieri. Ricordi più che altro.
Non posso fare a meno di osservare ogni
sua reazione. Non è mai quella che ci si aspetterebbe. Anche in
questo momento la tristezza che le leggo negli occhi è del tutto
ingiustificata. D'altronde non sa di conoscermi.
Non ti conosce!
- Ah. Spero non troppo spiacevoli –
dice aprendosi in un sorriso dolcissimo. Un sorriso che ha la forza
di scavarmi dentro, come mai niente e nessuno era riuscito a fare.
- Non tutti – rispondo – non tutti.
-Allora? Me lo dai un parere sulla
torta? - il tono che assume pronunciando questa semplice richiesta è
tra il supplichevole e l'infantile e l'unica cosa che riesco a
pensare è quanto sia dannatamente attraente.
Muore dalla curiosità di sapere, ma
sono convinto del fatto che abbia cambiato repentinamente argomento
apposta.
Piccola Swan, sei davvero così
sensibile?
Riesci a leggermi dentro così bene?
O è perché davanti a te cade ogni
muro che ho eretto negli anni?
Senza staccare gli occhi dal suo viso,
avvicino una mano alla forchetta, afferrandola.
La consistenza è la stessa di ieri. La
sfoglia è leggermente croccante in superficie, ma superato questo
primo strato, i rebbi affondano in un cuore morbido.
Lei mi guarda e un'espressione di ansia
le si dipinge sul volto. La bocca è leggermente dischiusa e quando
porto il boccone vicino alle labbra, deglutisce e si morde il suo di
labbro, quello inferiore, quello leggermente più
pieno...un'asimmetria deliziosa!
Faccio appena in tempo ad estrarre la
forchetta dalla bocca che lei mi chiede – Com'è?
Così intento ad immaginare di
assaporarla, di passare la lingua laddove i sui denti hanno lasciato
il segno, mi faccio cogliere alla sprovvista dalla sua domanda, tanto
da farmi andare di traverso la torta.
Comincio a tossire convulsamente mentre
lei prende a darmi pacche vigorose sulla schiena.
Vigorose secondo lei...non
scalfirebbe nessuno con quei suoi inutili polsi.
Inutili ma stupendi.
Quando finalmente riesco ad inspirare
profondamente, deglutisco e mi lascio andare sullo schienale.
Da quanto non mi sentivo così leggero?
-Tutto ok? - sembra come impaurita,
probabilmente pensa che mi possa essere arrabbiato – scusami,
davvero, non volevo.
Non potrei mai...
Decido di alimentare i suoi sensi di
colpa e, guardandola accigliato, prendo un altro pezzetto di torta.
Comincio a masticare e vedendo le sue labbra schiudersi le lancio uno
sguardo truce. Spalanca gli occhi e, arrossendo, si porta il pollice
e l'indice vicino alle labbra mimando il gesto di chiudere una zip.
Come ieri il sapore è squisito, la
consistenza perfetta...ma...manca qualcosa.
- Mi dispiace – dico con un tono
solenne, degno del miglior critico gastronomico – è ottima. Ma non
è la migliore che io abbia mai mangiato.
Piccola Swan, non sai quanto sia
terribilmente doloroso tutto questo.
Non sai quanto sia inspiegabilmente
piacevole starti vicino.
Alle mie parole Bella sbuffa alquanto
platealmente e si lascia andare sul divanetto di fronte al mio.
-Io non capisco – dice stizzita –
ho fatto tutto quello che c'era da fare. Mi sono alzata all'alba per
andare al mercato della frutta e scegliere le mele migliori. Anni e
anni di prove per arrivare a questo risultato, partendo da zero, e
ora arrivi tu e mandi tutto all'aria!
- Ma...io...scusa. Non avrei dovuto –
vederla così scossa...per una torta! È assurdo.
- No, scusa tu. Hai fatto bene – dice
abbassando il viso – non puoi capire – continua in un soffio.
E questa affermazione mi toglie il
fiato.
Quando poi afferra la forchetta, la mia
forchetta, e si porta un po' di torta alle labbra, penso che
potrei svenire. La sua bocca, la sua lingua...sulla stessa forchetta
che ho utilizzato io...fatemi morire ora...
Quel maledetto campanello ci riporta
entrambi alla realtà.
'fanculo.
Non è possibile...non adesso.
In men che non si dica il locale si
riempie e Bella scatta in piedi pronta a compiere il suo dovere.
- Torno subito.
Afferra la caraffa con il caffè oramai
freddo e si allontana.
È angoscia quella che sento. Un senso
di vuoto.
Panico.
Non adesso per favore...non adesso.
Quando torna e versa la bevanda,
fumante stavolta, nella tazza, mi sfiora una spalla con la sua e mi
sembra quasi di vederle le scintille che il contatto sprigiona.
Hai gli occhi a cuore come quei
cazzo di cartoni giapponesi.
Devo andare via. Allontanarmi da
lei...perché è così difficile?
Faccio un profondo respiro.
- Mi porti il conto mentre finisco la
torta?
È un lampo di tristezza quello che
è passato nei suoi occhi?
- No, ma figurati. Offre la casa.
Il sorriso ha abbandonato il suo volto
e, nonostante sia ugualmente splendida, mi si stringe il cuore a
vederla così.
È cordiale con le persone e anche
molto efficiente, svelta. Dall'esterno sembrerebbe serietà, o
stanchezza magari. Ma io so che è mortificata e che la sua testolina
sta passando in rassegna, a ripetizione, ogni singola azione che ha
compiuto durante la preparazione del dolce.
Mi alzo e infilo le braccia nelle
maniche del cappotto.
Raggiungo il bancone. Lei è intenta a
ripulirne la superficie dalle briciole.
- A domani – dico senza sapere
assolutamente perché e maledicendomi all'istante.
- Ok – risponde senza nemmeno alzare
lo sguardo.
-Hey – le afferro delicatamente il
mento con le dita, sollevandole il viso e cercando di dissimulare
l'emozione che esso mi provoca – sorridi!
Non si scansa al mio tocco.
- Mh...no! - dice capricciosa,
sbattendo le palpebre.
Potrei annegare nella profondità dei
suoi occhi...
- Avanti sorridi – ripeto facendolo a
mia volta.
- Non ho niente per cui sorridere
adesso.
- Bene! Tra circa venti secondi lo
farai!
L'espressione che fa sarebbe da
immortalare, ma non ce n'è bisogno, non potrei mai scordarla.
Mi avvio all'uscita e, afferrata la
maniglia della porta a vetri, mi giro. Lei è ancora lì che mi
guarda stupita.
- A presto piccola Swan – dico
velocemente – non si dimentica così il proprio promesso!
A passo svelto esco dal locale ed entro
in macchina, metto in moto e molto lentamente mi allontano.
Venti secondi.
Guardo nello specchietto retrovisore e
la vedo, sul marciapiede, le mani strette davanti al petto e le
labbra tirate in un grande sorriso.
Non puoi sentirlo, vero Bella? Il
mio cuore che ha ripreso a battere....
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L'ultima scena è ispirata, EVIDENTEMENTE, a Notting Hill.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima.
Miki.
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Capitolo 4 *** Just Friends ***
Quarto capitolo
Eccomi
qui, con qualche giorno di ritardo. Avevo un'altra idea per la testa ma
alcune cose che sono successe in questi giorni mi hanno reso davvero
impossibile scrivere.
GRAZIE GRAZIE, le visualizzazioni sono tante così come le
persone che continuano ad aggiungere la storia tra seguite, preferite
ecc.
Mi piacerebbe TANTO sapere cosa ne pensate.
Due grazie a chi perde un po' di tempo per commentare.
Ed un'infinità di grazie a coloro che nonostante abbiano
già letto si fiondano a commentare, anche in più sedi.
Vi adoro.
Ci "vediamo" giù!
^_^ Miki.
Capitolo quarto: Just Friends
Non posso
fare a meno di congratularmi con me stesso ogni volta che rientro
nel mio appartamento.
Non è lussuoso, non è enorme ma è
finalmente un posto che riesco a chiamare casa.
È luminoso e pulito. Forse un po'
troppo disordinato, per qualcuno. Ma io lo definirei vissuto.
Cerco di non aggiungere paglia al fuoco
e mi impongo di riporre il cappotto nel guardaroba invece di buttarlo
sul divano assieme ad un'altra pila di vestiti. Appendo le chiavi
nella piccola vetrina vicino alla porta, non prima di aver
accarezzato il portachiavi della mia nuova macchina.
Al pensiero del bolide parcheggiato nel
box auto, vuoto da quando ho preso possesso dell'appartamento, vengo
sopraffatto da una sorta di ansia. Come se aver accettato un regalo
del genere fosse profondamente sbagliato, come si mi fossi legato,
come se lei mi avesse marchiato ed ora fossi di sua proprietà.
Un altro giorno questi pensieri mi
avrebbero portato inevitabilmente ad una delle mie solite crisi...ma
non oggi.
Oggi ho un motivo per essere felice, ho
un motivo per non pensare a chi sono, a cosa faccio.
...Bella...
Mi lascio cadere sul divano e poggio i
piedi sul tavolino davanti a me.
Un raggio di sole mi sfiora il viso e
per un attimo sento quasi lo stesso calore che ho sentito quando ho
visto il suo sorriso.
Chi l'avrebbe mai detto...
Piccola Swan è cresciuta...eccome!
Da bambina era un visetto tutto occhi
ed una cascata di boccoli castani.
Come ho fatto a non riconoscerti
subito?
I tuoi occhi sono gli stessi: grandi,
limpidi, color cioccolato. Mi fanno pensare all'inverno guardato
dalla finestra e al tepore del fuoco. Mi fanno pensare ai tronchi
bagnati dalla pioggia ed illuminati dal sole estivo...liquidi,
scintillanti.
Ma non sono solo i tuoi occhi che mi
hanno ridestato l'anima.
Sono racchiusi nel tuo viso: un ovale
perfetto che termina in un mento delizioso, piccolo, appuntito ma
delicato. Il naso...il tuo naso obbliga lo sguardo a percorrere la
sua linea armoniosa, che porta dritta sulle labbra...
Ed al pensiero delle sue labbra potrei
venire all'istante.
L'immagine della sua bocca che si
chiude attorno alla forchetta mi tormenta...mi manderà al manicomio
già lo so.
Mi fa sentire come un moccioso che si
eccita davanti ai cataloghi di biancheria intima.
Ed è così che sono in questo momento:
eccitato!
Chissà che biancheria indossa Bella...
Cazzone...
'fanculo!
Non credo di aver mai visto in tutta la
mia vita una donna più bella.
E di donne ne ho viste parecchie, più
ricche, più curate, più sofisticate.
Nessuna è bella come lei...la sua
bellezza è priva di inganno.
Il viso è dipinto solo dal rossore
delicato delle sue guance e da quello più intenso e invitante delle
sue labbra. Chissà come sarebbe sentirle premute sulle mie,
accarezzarle con le dita, sfiorarle con la punta del naso, annusando
il suo fresco respiro...
Non ho mai provato nulla del genere
prima. E la cosa mi spaventa.
Che sia solo attrazione fisica?
Non credo.
Se avessi voluto non ci avrei messo poi
molto a portarla nel retro, nel magazzino o anche su uno di quei
fottuti tavolini.
Me la sarei fatta.
Il solo accostare una parola del genere
a lei mi dà un senso di nausea, come se fosse un oltraggio...e lo è.
Lei non è fatta per questo, lei deve
essere amata, rispettata...venerata.
Chi mi dice che non ci sia già nella
sua vita qualcuno che abbia avuto l'onore di starle accanto?
No, ti prego no...
Come posso anche solo sperare che sia
sola?
Certo che posso...deve essere sola!
E se lo fosse?
Ci sarò io vicino a lei...
Che diritto ho ad immaginarmi al suo
fianco?
Non avresti nulla da darle.
Come un colpo in pieno viso, questa
consapevolezza mi annienta e tra i pensieri si fa largo prepotente
una conclusione: non devo più vederla.
Finalmente cominci a ragionare!
O forse potrei...magari facendo in modo
che lei non mi veda!
Come non detto.
Oppure...
Non ne saresti capace...
È l'unica soluzione.
Soffrirai come un cane.
Sono abituato.
Sarà peggio.
Per lei ne varrà la pena.
***
Quando mi sveglio la prima cosa a cui
penso è che ho dormito!
Se non fossi immerso nella più totale
oscurità penserei di essermi appisolato un attimo ed invece ho
realmente dormito. Profondamente, senza incubi e mi sento...mi sento
bene.
Inutile dire che il mio secondo
pensiero è per lei.
Sono soddisfatto della decisione che ho
preso e sono sicuro che riuscirò nel mio intento.
Forse...
Sei un illuso...
Probabilmente è vero, ma è l'unico
modo per starle vicino senza coinvolgerla nella mia vita.
Cosa ti fa pensare che lei si
lascerebbe coinvolgere? O che voglia essere coinvolta?
Il suo sorriso.
E sorrido a mia volta pensando a lei
fuori dalla porta. Le sorridevano le labbra, gli occhi. Le sorrideva
il viso.
A me sorrideva il cuore...
Non mi ero mai sentito
così...così...così vivo.
Il mio corpo freddo e arido era stato
avvolto da una sorta di tepore. Come quando dopo una giornata
all'aperto, ti immergi in un bagno caldo e ti lasci coccolare
dall'acqua, dal vapore, dal profumo.
Che odore avrebbe Bella dopo un bagno
caldo?
Non puoi...
Solo una volta. Solo questa volta.
Quali sono i suoi gesti subito dopo?
Si stringe in un caldo accappatoio o si
avvolge in un telo corto, che le lascia scoperte gambe e braccia?
Deglutisco pensando alle piccole gocce
che scivolano sulla sua pelle.
Fa caldo...
Sbottono la camicia e mi sfilo le
scarpe. Guardo l'orologio: le 22:40.
Mi dirigo verso la mia camera. Il letto
è ancora disfatto. Mi spoglio, rimanendo solo in boxer e mi siedo
sul bordo.
Non chiudo le tende, lascio che la
notte entri a farmi compagnia, pensando, sognando, di avere Bella
accanto a me.
Solo le stelle ad ornare la volta
celeste.
Luna nuova.
Un nuovo inizio...
“Nelle notti di Luna Nuova,
l’energia è matura per manifestare i vostri sogni e desideri.”
Non so dove la mia testa è andata a
ripescare questo ricordo. La signora Swan era una tipa particolare.
Sempre immersa in strane riviste e voluminosi tomi. Da piccolo,
ovviamente, pensavo fosse un po' pazza.
Quella sera lui ebbe la decenza
di accompagnarla in ospedale dopo l'ennesimo “incidente” ed io
fui lasciato a casa di Bella.
Guardavamo il cielo e lei chiese a sua
madre perché la luna fosse scomparsa...
- La luna non è scomparsa tesoro.
Noi non la vediamo, ma lei è sempre lì.
In queste notti, dette di luna
nuova, dobbiamo riflettere sulla nostra vita. Sugli obiettivi che
abbiamo raggiunto e su quelli che ci impegniamo a raggiungere. Nelle
notti di luna nuova, l'energia è matura per manifestare sogni e
desideri. Per impegnarci con noi stessi e perseguirli.
- Io voglio stare sempre con EJ
- E tu piccolo? Cosa desideri?
- Io vorrei sentire la mamma suonare
più spesso.
Quali obiettivi ho raggiunto nella mia
vita?
Ho mai vissuto davvero?
Non credo...sopravvivere non è vivere!
Sono sopravvissuto alla cattiveria di
mio padre, grazie all'amore di mia madre.
Sono sopravvissuto ad un'infanzia di
sfruttamenti, in una casa priva di affetto.
Mi sono scontrato con quello che
credevo potesse essere l'amore ed invece mi ha portato dove sono ora.
L'unica indipendenza che ho ottenuto è
quella economica. Ma non ho alcun merito.
Non riesco a compiacere nemmeno le
uniche persone che si sono mostrate gentili.
Esme…Carlisle…
Perché ogni tipo di contatto umano,
oramai, ha perso ogni importanza per me.
Perché chiunque mi ha sfiorato, ha
lasciato un segno.
Un segno che immediatamente prendeva a
sanguinare.
Ma ora è arrivata lei...
Da Forks a Boston. Possibile che sia
una coincidenza?
Possibile che esista davvero quella
strana cosa chiamata destino?
Qual è il tuo obiettivo Edward?
Voglio starle vicino. Ma non voglio
farle del male.
Non voglio che mi guardi con disprezzo.
Non deve sapere chi sono, cosa faccio.
Voglio parlare con lei, voglio
ascoltare la sua voce e farmi cullare dalla sua risata.
Chiedo troppo?
Si...
E per stasera...voglio amarla!
È piccola la mia Bella. La sua informe
divisa non mi ha permesso di capire com'è fatto il suo corpo.
Le braccia sono sottili e le gambe, o
meglio, i polpacci sono tonici ma per nulla pronunciati.
Mi stendo sul letto, affondo la testa
sul cuscino e chiudo gli occhi.
Che fai quando torni a casa?
Mi sembra così facile immaginarti,
come se ti avessi osservata a lungo.
Il tuo appartamento è piccolo e
semplice, pulito, ordinato.
Quando chiudi la porta, sospiri,
come se solo in quel momento tu ti senta te stessa.
Sei stanca e vorrei essere lì con
te per massaggiare le tue spalle contratte e i tuoi piedi
indolenziti.
Ti sciogli i capelli e con le dita
frizioni la cute nel punto in cui l'elastico, troppo stretto, ha
lasciato il segno durante la giornata.
Entri in camera e accendi la luce.
Il tuo letto lo immagino ricoperto
di cuscini e di peluches, perché per me non smetterai mai di essere
quella bambina, piccola Swan.
Sciogli il fiocco del grembiule e lo
sfili lentamente, mentre con i piedi ti togli le scarpe.
Entri in bagno e apri l'acqua della
doccia, chiudi il box e torni a spogliarti.
Può essere così vivida una fantasia?
Deglutisco pensando a quanto vorrei
essere lì a guardarti davvero.
Poi è la volta della divisa.
Bottone dopo bottone i lembi si aprono scoprendo la tua pelle.
La immagino liscia e bianca...come
la luna.
La sfili sollevando un piede e poi
l'altro, fai un fagotto assieme al grembiule e lo porti in bagno nel
cesto della biancheria.
Quando ti liberi velocemente
dell'intimo, rabbrividisci e a passi svelti raggiungi il box doccia,
lasciando che il calore dell'acqua ti coccoli...
A questo punto immaginarti è più
difficile.
Che biancheria indossi?
Com'è il tuo corpo?
Il collo, sottile, lo immagino
prolungarsi e continuare nelle spalle, esili.
Ne seguirei il contorno con le dita,
facendoti rabbrividire per poi baciare là dove poco prima si sono
posate. Il petto si alza e si abbassa, segno che il tuo respiro sta
accelerando...come il mio.
Infilerei l'indice tra la spallina
del reggiseno e la tua pelle e dopo averci giocato per un po' la
abbasserei scoprendoti un seno...
Stringo gli occhi...è troppo...mi sto
spingendo troppo oltre.
Non posso usarla per le mie fantasie.
Sono eccitato, sento la stoffa dei
boxer sfregare sulla mia erezione.
Eppure non riesco a non continuare. Non
riesco a non pensare a come sarebbe...
Solo per stasera. È questo il mio
proposito.
Come sei, nuda, Bella?
Sei pudica? Cerchi di coprirti? O
diventi più audace?
Come sono i tuoi occhi attraversati
dalla malizia?
Come sei mentre fai l'amore Bella?
Al pensiero del suo corpo sotto il mio
non posso fare a meno di liberarmi anche di quell'ultimo indumento.
È difficile immaginare la tua piccola
mano al posto della mia, anche perché i miei movimenti sono decisi,
lenti ma profondi e non riesco a pensarti così decisa in un momento
del genere.
Probabilmente diventeresti rossa
dall'imbarazzo. O no?
Ed il pensiero del sangue che irrora
le tue guance ha il potere di incendiarmi.
Il mio respiro è affannato e sento i
muscoli tendersi, segno che il piacere è vicino.
- Bella...oh Bella si....
La mia mano si muove più
velocemente...su e giù...su e giù...
Sento l'orgasmo avvicinarsi e non
faccio nulla per contrastarlo, mi abbandono ad esso, cavalcando le
scosse di piacere che mi scuotono violente per un tempo indefinito.
Se è stato così intenso solo
immaginandoti, come sarebbe se ci fossi davvero?
Il mare di sensazioni che mi ha avvolto
piano piano si ritrae.
È come se una calda e morbida coperta
venga tirata via, lasciandomi scoperto in balia del freddo della
notte.
E comincio a tremare...
Mi sforzo di alzarmi e di andare in
bagno a darmi una sistemata. Mi sciacquo il viso e torno in camera.
Cerco i pantaloni del pigiama, nel
groviglio di vestiti e mi rimetto a letto.
Afferro il lenzuolo e mi copro,
raggomitolandomi su me stesso.
Non voglio pensare a cosa farò domani,
non voglio pensare a nulla. Sento ancora addosso il calore che il
contatto con la tua pelle ha sprigionato.
Buonanotte Bella. Te lo
prometto...solo amici.
***
Quando la sveglia suona, metto
immediatamente fine a quel fastidioso rumore.
Non ho chiuso occhio. Per tutta la
notte non ho fatto che pensare.
Come ogni notte i ricordi hanno
affollato i miei pensieri: un susseguirsi di immagini dolorose,
tante, e piacevoli, poche.
Ho cercato invano di non pensare a lei.
Il suo viso ed il suo sorriso si affacciavano prepotenti nella mia
mente. Ho pensato a lei da bambina, al broncio che era solita mettere
quando non otteneva ciò che voleva ed ho pensato a come non sia
cambiata affatto.
Mi alzo dal letto e mi guardo un po'
intorno.
Accidenti!
Sono un caso disperato.
Potrei assumere una domestica, un paio
di volte a settimana, ma il pensiero che un'estranea frughi tra le
mie cose mi innervosisce.
Faccio un rapido giro della casa,
raccogliendo biancheria sparsa un po' ovunque. Tolgo le lenzuola dal
letto, cambio gli asciugamani in bagno e metto tutto in lavatrice.
Nel momento in cui il mio stomaco
brontola, realizzo che non mangio da due giorni.
O meglio, ho assaggiato la torta di
Bella...e poi lei ha portato alla bocca la mia stessa forchetta...e
le sue labbra si sono chiuse attorno ai rebbi, mentre sicuramente con
la lingua assapor...
Basta cazzo! Solo amici, ricordi?
C'è solo una cosa da fare per
schiarirmi le idee.
Mi spoglio velocemente ed entro nella
doccia, lasciando che un getto d' acqua gelida mi investa. Mi
insapono velocemente e, dopo che l'acqua ha lavato via la schiuma,
metto fine a quella tortura che ho deciso di autoinfliggermi.
Mi infilo l'accappatoio, sollevando il
cappuccio sulla testa, e apro l'armadio per decidere cosa mettere.
Andrò al Caffé a fare colazione,
voglio rivederla, voglio che lei mi riveda sapendo chi sono.
Ma, soprattutto...voglio rivederla.
Chissà come l'ha presa?
Si sarà arrabbiata?
Avrà pensato che l'ho cercata, fino a
trovarla lì, in quel locale!
Avrà pensato che sono un maniaco.
NO!
Devo assolutamente spiegarle che è
stata una coincidenza, che lei era l'ultima persona che mi aspettassi
di trovare a Boston.
Devo correre da lei, adesso!
Scelgo un abbigliamento casual e cerco
di dare una forma decente ai miei capelli.
Indosso un blazer nero sulla maglia e
apro la porta per uscire.
Cazzo, il telefono!
Per un attimo penso di mandare al
diavolo quell'aggeggio infernale e di uscire comunque.
Ma poi penso che potremmo scambiarci i
numeri...e le mail...e potremmo mandarci sms carini durante
giorno...rientro in casa e mi fermo di botto, non sapendo dove
andarlo a ripescare. Ripercorro i movimenti di ieri e mi rendo conto
che da quando sono rientrato non ho minimamente pensato al telefono,
quindi...il cappotto!
Frugo nelle tasche e lo trovo.
Fa' che non si sia scaricato...
Premo un pulsante ed il display si
illumina.
- Che razza di fortuna! - esclamo prima
di leggere – DODICI MESSAGGI? Tutti di Tanya?!
Non ci penso nemmeno minimamente a
perdere tempo per leggere le sue boiate, così come non ho nessuna
voglia di rivederla, nel caso mi chiedesse un altro incontro. Non
oggi. Non in questi giorni, in questo periodo...insomma, non adesso!
Ed è per lo stesso motivo che non
prendo la macchina. Sono sopravvissuto fino a ieri senza averne una,
ce la farò ancora.
Servono 45 minuti e 24 secondi per
raggiungere il Twilight Café dal mio appartamento.
Mi stupisco come le strade siano così
poco affollate e forse non lo farei se solo mi ricordassi che oggi è
domenica!
Idiota!
Ok, sono arrivato.
Solo amici, mi ripeto come un mantra.
Solo amici.
Quando entro nel locale, non sento
nemmeno quel dannato campanello, la prima cosa che sento è la sua
voce. Non posso fare a meno di sorridere, non mi ha nemmeno sentito
entrare, impegnata com'è a sistemare i tavoli, canticchiando una
buffa
canzone che sta trasmettendo la radio in questo momento.
- It's
my party and
I'll cry if I want to.
Cry if I want to, cry if
I want to.
You would cry too,
if it happened to you.
Spero non si accorga
di me. Non subito. Questo spettacolo è esilarante. Vederla
mentre sistema i menu sui tavoli e muove i fianchi a ritmo di musica
mentre canta, imitando la voce della cantante non ha prezzo. Potrei
riprenderla e ricattarla per tutta la vita.
- Judy
and Johnny just
walked through the door.
Like a queen with her
king.
Oh, what a birthday surprise
Judy's wearing his
ring.
It's my...
- Herm – mi schiarisco la voce
facendola bloccare improvvisamente – non pensavo ti piacesse Lesley
Gore.
Quando si volta, l'espressione che le
vedo sul viso non è stranita, non è infastidita, no.
- EJ!!!
Il suo è quasi un grido...non faccio
nemmeno in tempo a visualizzare il movimento, che me la ritrovo tra
le braccia. Le sue allacciate al mio collo, il viso premuto contro il
petto.
Ed è il profumo più sublime che abbia
mai sentito quello che mi travolge.
Cazzo Edward! Non sarà per niente
facile. Dannazione!
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Se vi interessa vedere il modo di dimenarsi di Bella, andate qui, io l'ho immaginato così XD.
Spero che vi sia piaciuto un pochino.
Grazie.
Miki.
|
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Capitolo 5 *** All by myself ***
Capitolo cinque
Buonasera
a tutti. Finalmente ho terminato di scrivere questo luuungo e noioso
capitolo! Mi meraviglierebbe se qualcuno dovesse riuscire ad arrivare
alla fine!
Spero comunque che vi piaccia anche se probabilmente risulterà "ripetitivo".
Ogni mio capitolo è dedicato a tutti coloro che leggono, alle
persone fantastiche che mi incoraggiano a scrivere, a chi riesce ad
intravedere pezzetti di me non conoscendomi nemmeno. Questo, in
particolare, è dedicato a Jenny, una piccola grande donna che mi
ha "investita" con la sua forza, una forza che mi trasmette con le
parole, con la mente e con il cuore.
Grazie AmantA!
Capitolo quinto: All by myself
Quando entro qui è come se la stanchezza
evaporasse. Non mi importa se ho lavorato tutto il giorno, non mi
importa se ho le gambe gonfie per il troppo stare in piedi e la schiena a
pezzi, non mi importa se è l’alba e dopo dovrò andare al Café. Quando
entro qui non vedo l’ora di rimboccarmi le maniche e cominciare.
Adoro
questo posto. Non avrei mai immaginato di trovarlo così simile a quello
dei miei sogni. L’ho amato dal primo momento in cui l’ho visto: la
vecchia porta in rovere, pesante e un po’ rumorosa, i vetri opachi per
la polvere, l’ampia vetrina dalla quale al mattino entra la luce calda
del sole ed i mobili…quando passo il palmo sulle superfici, eliminando
un po’ dello spesso strato che si è posato negli anni, scopro un legno
levigato e lucido, che chiede solo di essere riportato al suo antico
splendore.
La prima volta che lo vidi, l’anziana proprietaria mi
disse che se avessi voluto avrebbe fatto portare via tutto ma io mi
opposi, chiedendole anzi di permettermi di utilizzare il negozio insieme
ai mobili che lo avevano arredato per anni, tanto da sembrare tutt’uno
con l’ambiente. Non voglio apportare alcuna modifica se non togliere la
carta da parati e probabilmente far sostituire i vetri, ma queste sono
cose a cui penserò più in là, quando avrò di nuovo i soldi per poter
fare qualcosa. Ora mi limito a venire qui a pulire ed a pensare.
Circondata
dalla luce, accompagnata dalla polvere, che danza vorticando tra i
fasci luminosi che entrano dalla vetrina, spesso e volentieri si
affacciano ricordi di quando ero bambina.
- EJ, che stai leggendo?
- Il Piccolo Principe.
- Posso leggerlo anche io?
- Ma se non sai leggere!
- Uffa. EJ?
- Dimmi.
-Cosa vuoi fare da grande?
- Il pianista.
- E perché?
- Perché mi piace la musica.
- E perché?
- Perché mi piace suonarla.
- E perché?
- Perché così la mamma potrà ascoltarmi suonare, sempre.
- E per…
- E tu? Che vuoi fare tu da grande?
- Mh. Non lo so. La regina!
Sorrido.
E ricordo ancora la risata spontanea che uscì dalla sua bocca. Rideva
così raramente. Ogni tanto accennava un sorrisetto a metà: solo un
angolo della sua bocca di alzava, l’altro rimaneva fermo, ma era nulla
paragonato a quel modo così spontaneo di ridere, spalancando la bocca,
stringendo gli occhi. Rispose che la regina non era un lavoro ed io
scappai piangendo da mia madre che mi disse che se avessi voluto fare la
regina nessuno avrebbe potuto impedirmelo.
- La regina della polvere
– esclamo quasi imprecando. Comincio a tossire convulsamente, mentre
con gli occhi annebbiati dalle lacrime cerco di avvicinarmi alla porta
per aprirla.
Era un bel po’ di tempo che non pensavo ad EJ. C’è stato
un periodo in cui era diventato un pensiero fisso. Un periodo in cui la
mia mente di bambina non poteva accettare la sua assenza, un periodo in
cui credevo che avrebbe fatto parte della mia vita per sempre.
- Ssh Bells, non piangere.
- Voglio EJ!
-
Bells, vieni qui, vieni da papà. Su, così. Ecco. EJ è dovuto partire. È
andato lontano. Ma mi ha detto di salutarti e di darti un bel bacio
sulla guancia.
- EJ non me li dava i baci sulla guancia. È una bugia! Dov’è? Voglio andare da lui…
- Non puoi tesoro.
- E io invece ti dico che ci vado, ecco!
- Bells, se sapessi dov’è, ti porterei io stesso. Ma non
lo so e non posso. E tu sei troppo piccola per andare ovunque da sola.
- E allora quando sarò grande andrò da lui.
- Sì…come vuoi piccolina – sussurrò papà.
Ricordo ancora il suo viso addolorato ma non ne capivo il motivo, non sapevo cosa fosse successo in casa Masen.
Quella
notte sentii solo un fortissimo trambusto e non era di certo la prima
volta. Solo che fu l’ultima. La casa rimase silenziosa e disabitata per
un lungo periodo e c’erano giorni in cui passavo interi pomeriggi alla
finestra per vederli ritornare. Finché non vedemmo gran parte delle loro
cose ammucchiate per strada in attesa che venissero portate via.
-Bells, hai visto i nuovi vicini?
-No!
-Dai, vieni con me a dare il benvenuto.
-No!
-Bella! Non fare la maleducata…
-No,
mamma no! Non ci vengo a dare il benvenuto ai vicini! Perché stanno
occupando la casa di EJ? E se i Masen volessero tornare?
Ero
una ragazzina ostinata. Col passare del tempo ho cominciato a mettere
un po’ d’ordine nei miei ricordi, capendo che c’era qualcosa che non
andava, qualcosa che i miei genitori mi nascondevano e che io dovevo
sapere. Qualcosa che mia madre mi avrebbe raccontato tra le lacrime
qualche anno dopo.
Ej è stato il mio unico amico, so che può sembrare
stupido ed infantile pensarlo ma mi ero talmente legata a lui che dopo
la sua partenza decisi che non sarei più stata amica di nessuno.
- Bella, lui è Jacob.
- Ma puoi chiamarmi Jake!
- Ha più o meno la tua età. È il figlio dei nuovi vicini. Potreste essere amici.
Finalmente riesco a sorridere pensando a Jake. Sono passati già due anni…
Era
un ragazzino insopportabile, una palla al piede. Rendeva vano ogni mio
tentativo di starmene per i fatti miei. Si presentava a casa a qualsiasi
ora del pomeriggio e con le scuse più impensate. Ogni volta avrei
voluto cacciarlo via ma mio padre lo adorava e gli consentiva di girare
liberamente per casa nonostante il mio disappunto. Con EJ non lo aveva
mai fatto.
Mi veniva una rabbia…
Ma il tempo passa e per una
bambina della mia età è facile dimenticare, è facile appoggiarsi a
qualcuno che è in grado di farti ridere e che è presente, sempre.
Jake non mi faceva pensare a nulla. Mi insegnò ad andare in bici, a pedalare senza mani.
Alla fine la sua presenza mi fece bene. Siamo cresciuti insieme. Ho
visto il suo viso diventare adulto, il suo corpo cambiare, diventare
imponente, sovrastarmi quasi, tanto da farmelo apparire ancora più dolce
e tenero. Studiavamo insieme ed insieme abbiamo avvertito i primi
imbarazzi dell’adolescenza. Inesperti entrambi, ci siamo presi per mano
ed abbiamo intrapreso un cammino sconosciuto fatto di curiosità e
piccole scoperte. Era normale per noi scambiarci quei gesti, donarci
amore, immaginare il nostro futuro…veniva tutto così naturale.
Ma l’errore più grande per entrambi fu quello di scambiare
l’affetto con l’amore…e lui se ne accorse per primo.
- Pronto, Bells? Mi senti?
- Sì, Jake, ti sento.
- Bella, io…
- Dimmelo e basta, Jacob. Non trattarmi da stupida. Non farmi sentire
una stupida più di quanto io già non mi ci senta!
- Non fare così, ti prego. Non piangere Bella. Io non…
- Tu non, cosa? Non volevi? E allora perché, eh? Dimmelo!
- Non lo so. Io non lo so. Tu…tu non c’eri.
-
Vuoi rinfacciarmelo? Vuoi dare la colpa a me? Lo sapevi che non sarebbe
stato facile. Avevi promesso…tu, Jacob Black, avevi promesso! Avevi
detto che mi amavi…avevi…avevi detto che saremmo stati insieme per
sempre.
- Bella, io lo credevo…io ne ero certo…ma poi…non
è colpa di nessuno Bella. Né mia né tua.
Inspiro
forte. L’aria non è più satura di polvere, la corrente che si è creata
aprendo la porta ha fatto in modo che gran parte uscisse fuori. Le sue
parole, che un tempo bruciavano come un marchio a fuoco, che per mesi mi
hanno fatta sentire inadeguata, rifiutata, inutile…sola, adesso non
sono altro che la conclusione di una realtà che di reale non aveva
nulla. Un castello di carte che avevamo costruito ma che una folata di
vento ha distrutto fin troppo facilmente, a dimostrazione
dell’inconsistenza dei sentimenti che provavamo l’uno per l’altra.
Non
è stato facile. Non è stato facile continuare a far scorrere la mia
vita con la convinzione di non avere più un’identità. Non è stato facile
ricominciare a credere di avere un ruolo in questo mondo, uno scopo, un
sogno, diversi da quelli che avevo avuto per sette anni.
Oggi però sorrido. Mi guardo intorno e non posso fare a meno di
sorridere, perché tutto ciò che vedo è mio e non devo dire grazie a nessuno.
Certo, il sorriso dura poco perché nonostante io sia qui da ore è come se non avessi fatto nulla.
Ed io che appena entrata avrei già voluto mettere i volumi negli scaffali!
Guardo
l’orologio: le 15:10. Ho giusto il tempo di tornare a casa, fare una
doccia, prendere il tegame, andare al Caffè ed infornare la torta.
- Buonasera signora Masen.
- Ciao piccolina. Guarda cosa ti ho portato!
- La torta di mele…mamma, vieni, corri!
- Ti piace proprio tanto eh?
- Sì, signora! La sua è la più buona del mondo.
Quel
dolce è fonte di ricordi piacevoli ma anche amari e dolorosi. Da
bambina ne andavo pazza e, dopo quella che io credevo fosse la partenza
di EJ e la sua famiglia, non avevo mai più mangiato una torta di mele
così buona. Mia madre era un disastro ai fornelli, infatti non ci aveva
nemmeno mai provato.
Appena sono riuscita a riprendermi, a rialzarmi,
dopo che Jake mi ha lasciata, la prima cosa che ho fatto è stata
cercarmi un lavoro che non mi privasse di troppo tempo per lo studio. Il
Twilight Café era perfetto! Anche dopo la partenza della mamma con
Phil, sono riuscita ad organizzarmi tra università e lavoro, laureandomi
e riuscendo a mettere qualche dollaro da parte.
Poi, quel giorno,
mi venne la malsana idea di assaggiare la apple pie che servivamo ai
clienti. Qualcosa di disgustoso, sembrava di masticare cartone! Ci mancò
poco che non cominciassi a tossire e sputacchiare torta da tutte le
parti.
Così mi è venuta l’idea. Potevo
provarci…volevo risentire quel sapore, volevo per un attimo
tornare a prima,
a quando Jake non c’era, a quando ero una bimba felice che giocava con
il suo amichetto, che veniva stretta tra le braccia di mamma e papà, che
li vedeva insieme, felici.
Mi ci è voluta un’intera settimana di
tentativi, cercando varie ricette su internet e sperimentando
personalissime modifiche, che compivo in base al vago ricordo di quel
sapore. Alla
fine ce l’ho fatta e vado talmente fiera del mio risultato che ho
chiesto ed ottenuto di poter offrire la mia torta ai clienti, al posto
di quella che è stata venduta finora.
E così, anche oggi, mentre
sistemo i tavoli, la mia apple pie è in forno e già sprigiona il suo
sublime profumo. Sono orgogliosa e non posso che essere lusingata dai
complimenti dei clienti, anche quelli non espressi a parole: c’è chi
socchiude gli occhi, masticando lentamente, gustando ogni singolo
sapore; c’è chi, invece, li spalanca, deglutendo rumorosamente e
portando un nuovo boccone alle labbra. Quando entrano, mi piace
immaginare la reazione che avranno e, quasi sempre, riesco ad
indovinare.
Sarà triste lasciare questo lavoro…
Il
pomeriggio trascorre tranquillamente. È una di quelle giornate in cui i
clienti entrano per prendere un caffè da portare via e nient’altro,
pochi si sono fermati a sedere. Le 18:00,
altre tre ore e poi si chiude. Normalmente io e Jessica abbiamo lo
stesso turno e, quando c’è lei, il tempo passa molto più in fretta. Mi
lascio ubriacare dai suoi racconti frivoli e dai pettegolezzi
improbabili che snocciola in continuazione. Per fortuna che oggi è il
suo anniversario di fidanzamento ed ha preso un pomeriggio libero per
preparare una bella sorpresina a
Mike…non oso immaginare cos’abbia in mente: l’ultima volta mi ha
raccontato talmente tanti dettagli che mi sono sentita un’emerita
idiota, in quel campo.
Mi
scappa un sorriso e quasi mi sfugge un urlo quando sento la porta
spalancarsi ed il campanello trillare. Mi metto immediatamente dritta e
sfoggio un bel sorriso, impugnando il manico della caraffa del caffè.
Un’ombra scura mi sfreccia davanti senza nemmeno dire buonasera e va a
sedersi al tavolo vicino alla finestra.
Dal bancone riesco a vedere
solo il profilo imponente delle spalle coperte da un cappotto nero ed
una massa di capelli castani dall’aspetto assolutamente scarmigliato.
Non si volta verso di me, non si guarda in giro per cercare qualcuno,
per ordinare qualcosa, se ne sta lì, davanti alla finestra, con lo
sguardo probabilmente rivolto verso l’esterno. Sembra quasi una statua
tanto se ne sta immobile, è innaturale che un essere umano possa
starsene così. E, come per rispondere ai miei pensieri, si porta una
mano alla testa, intrecciando le dita ai capelli, spettinandoli, se
possibile, ancora di più. Mi sento quasi intimorita, come se,
avvicinandomi, invadessi il suo spazio.
Sveglia, Bella, è un caffè non un pensatoio!
Inspiro
profondamente e piano piano mi avvicino: in effetti le spalle non sono
così imponenti come sembravano ed i capelli, che a prima vista possono
sembrare castani, sono percorsi da una miriade di riflessi che vanno dal
biondo rame al rossiccio, una sfumatura decisamente insolita. Non ho
mai visto un ragazzo con i capelli di questo colore, sono…sono…affascinanti.
Non
so cosa mi stia succedendo. Sento le gambe pesanti ed il cuore ha
cominciato a seguire un ritmo tutto suo. Quando finalmente riesco a
scorgere il profilo,
la prima cosa che mi colpisce è l’espressione: accigliata, pensierosa,
quasi tormentata. Una mano è posata sul tavolo, stretta in un pugno e
sotto la pelle diafana si può vedere chiaramente lo scorrere delle
piccole vene. Per un attimo sono tentata di rigirarmi e tornare
indietro. Ma mi faccio coraggio.
- Signore, cosa desidera? – chiedo con tono fintamente tranquillo.
- Del caffè, grazie – risponde pronto, come se mi avesse sentita arrivare, come se si aspettasse la domanda.
Non alza nemmeno lo sguardo. Appena ho parlato, ha solo aperto lievemente gli occhi, per poi stringerli nuovamente.
-
Abbiamo un'ottima torta di mele – insisto leggermente piccata. O forse
voglio solo indugiare un po’, continuare ad osservare il suo profilo
perfetto, le labbra serrate, la mascella contratta.
- NO grazie – risponde con tono decisamente aspro, scocciato – il caffè va benissimo.
Vedremo…
Torno
in fretta al bancone, dove ho lasciato la caraffa, e verso il caffè
nella tazza. Senza pensarci due volte, sollevo la campana di vetro e
taglio un abbondante fetta di torta.
Chi diavolo sei per rispondere a quel modo? Razza di arrogante! Spalancherai gli occhi estasiato, ci scommetto un mese di mance!
Torno al tavolo spedita e poso la tazza davanti a lui. – Ecco il
caffè – dico con un tono di voce fin troppo alto.
- Grazie.
- E la torta!
Che credevi eh?
- Ma…io non…
Non
gli lascio il tempo di protestare - Non si dice no alla mia torta.
Soprattutto se appena sfornata! È la migliore torta di mele che esista! –
Mi giro in fretta e mi allontano. Sorrido soddisfatta e ripenso al tono
alquanto sbalordito che avevano le sue parole. Fingo indifferenza,
mentre sistemo i tavoli, i menu, le bustine di zucchero negli appositi
contenitori, allineo le bottiglie di ketchup e senape, tutto questo per
riuscire, con la coda dell’occhio, a scrutarlo, a vedere la sua
reazione.
Se ne sta immobile, di nuovo, fissando il tavolo
davanti a sé. Improvvisamente inspira forte e stringe gli occhi. Lo fa
spesso, come per voler focalizzare qualcosa o, semplicemente, per
scacciarla. Non ha ancora toccato nulla, né il caffè né il dolce.
Probabilmente è solo un’ impressione ma ha preso a respirare più
velocemente.
E poi succede una cosa che non mi sarei mai
aspettata. Una cosa che non mi aspetterei da un ragazzo e soprattutto da
uno come lui. Spalanca gli occhi e col dorso delle mani se li strofina
come a voler asciugare le lacrime. Mi volto di scatto e mi allontano,
come se aver assistito alla scena sia stato sbagliato, come se non
avessi dovuto. Vado dietro al bancone, svuoto la caraffa, cambio il
filtro della macchina del caffè, me ne sto col viso basso, non osando
voltarmi verso di lui. Poi improvvisamente il campanello e la sua voce,
di nuovo. Una voce che in un lasso di tempo così breve ho sentito
indifferente, seccata, titubante e che ora sento sicura, in un tono di
sfida quasi.
- La torta…la tua torta…non è assolutamente la migliore!
Rimango
impietrita, sento il calore affiorare sulle guance. Stringo i pugni e
lancio lo strofinaccio che ho in mano sul ripiano. Mi giro ma faccio
solo in tempo a vedere che sale su una macchina e va via. Macchina…non
ho mai visto nulla del genere dal vivo. Una di quelle che si vedono nei film o sulle pagine dei giornali.
Un viziato, spocchioso, antipatico, ingrato riccone del cavolo!
Quando vado al suo tavolo e vedo che ha appena assaggiato la mia torta, sento i nervi pervadermi completamente.
-Ma come ti permetti? Chi diavolo sei? La mia torta è la migliore, idiota!
- Scusi, se è chiuso vado via.
Sussulto e mi accorgo di aver parlato ad alta voce e, come se non bastasse, è entrato un cliente.
Grazie tizio col ciuffo! Mi hai rovinato la giornata!
Per
fortuna, in men che non si dica, il locale si riempie e ciò mi permette
di non pensare e di sbollire la rabbia. Adoro il mio lavoro e adoro i
miei clienti. Ci sono quelli occasionali, come il tizio di prima - meno male che non ci dovevo pensare
– e quelli abituali come James, che chiede sempre una doppia porzione
di uova, e Victoria, che cerca di sedersi in modo che lui possa vederla,
e lo guarda come una fiera affamata guarda la sua preda.
Fosse stato un altro giorno, sarei soddisfatta: la mia torta è
finita e più di un paio di persone mi hanno fatto i complimenti.
Dovrebbe bastarmi…
…e invece no, maledizione!
Continuo
a sbuffare. Ripetutamente. Quando entro in casa, continuo a pensare a
cosa potesse esserci di sbagliato, a cosa avrei potuto modificare per
migliorare il risultato. Probabilmente le mele non erano buone, o la
farina era umida. Avrei dovuto assaggiarla…forse ho messo troppo
zucchero. Ricontrollo ogni passaggio, riavvolgendo i ricordi come
fossero il nastro di una videocassetta, mentre mi spoglio, mentre mi
faccio la doccia, mentre asciugo leggermente i capelli, mentre mi infilo
sotto le coperte e lascio che il sonno mi avvolga piano.
***
La
sveglia suona puntuale alle 5:00. Normalmente sarei andata al negozio
ma non oggi. Ho il turno di mattina, quindi poco tempo per fare ogni
cosa. Per fortuna che il mercato della frutta si trova a due isolati da
casa mia, lo raggiungo in dieci minuti e comincio ad aggirarmi per le
bancarelle in cerca delle mele migliori. La maggior parte dei
commercianti mi conosce e mi permette di toccare di volta in volta i
frutti per poter scegliere.
Ci
sono varie qualità di mele adatte ma quelle che senz’altro preferisco
sono le mele rosse: la loro polpa succosa e zuccherina è perfetta. Ieri
avevo preso quelle gialle…forse per questo la torta non era buona.
Con il mio sacchetto tra le braccia ritorno velocemente a casa. Ho tutto il tempo di prepare il dolce ed andare al Caffè.
Sbuccio
le mele, inspirando forte l’odore che man mano sprigionano, le taglio
in spicchi sottili, non in cubetti, perché così faceva la signora Masen.
Non posso fare a meno di rivolgerle un pensiero mentre svolgo, quasi
meccanicamente, queste operazioni.
Se il paradiso esiste, è lì che si trova Elizabeth.
E
tu, EJ? Dove ti trovi? Quanto sei cambiato in questi anni? Eri un
bambino biondo e lentigginoso e sbuffavi sempre quando ti venivo dietro…
Nemmeno
Charlie è mai riuscito a saperne di più, solo che era stato adottato da
un fratello di suo padre e portato in Massachussetts. Chissà, magari
proprio a Boston. Magari ci siamo anche incontrati…
Naah! Lo escludo. Lo riconoscerei tra mille!
Quando
il timer mi avvisa che la torta è pronta, apro lo sportello del forno
per farlo raffreddare e, nel frattempo, mi preparo per andare al Caffè.
Il turno di mattina è più impegnativo di quello del pomeriggio. Il via
vai di gente è continuo e molte persone si fermano per fare colazione.
Infatti, quando arrivo, faccio appena in tempo a posare la torta
nell’espositore, che lascio lievemente socchiuso per evitare che
l’eccessivo vapore la ammorbidisca troppo, che comincio ad andare avanti
e indietro senza sosta.
Ed è mentre ripulisco un tavolo, quel tavolo, il suo
tavolo, dalle briciole, che vedo la stessa auto rossa fiammante di
ieri. È lui a scendere dal lato del guidatore ed appena lo vedo il mio
cuore fa un salto mortale e va ad incastrarsi dritto in gola. Finisco in
fretta di asciugare la superficie e scappo, letteralmente, dietro al
bancone.
Anche stavolta è il campanello ad annunciare il suo
ingresso. Anche stavolta non si degna di dire buongiorno, va a sedersi
allo stesso posto, come se fosse un’abitudine, come se fosse un suo
diritto. Guarda fuori dalla vetrina, probabilmente per assicurarsi che
nessuno di noi poveri plebei si avvicini alla sua costosissima macchina!
Ti faccio vedere io…
-
Cosa desidera? – chiedo facendolo quasi trasalire. Vedo chiaramente che
alza gli occhi al cielo: non si aspettava o non sperava di trovare di
nuovo me.
Che diavolo sei venuto a fare allora?
- Un caffè – risponde subito – e nient’altro
– si affretta ad aggiungere, alludendo sicuramente alla torta di
ieri sera.
Parla
con la voce molto bassa e l’espressione del viso è così stanca. Indossa
gli stessi abiti e, nonostante il cappotto abbia un aspetto decisamente
costoso, la camicia sotto è visibilmente stropicciata. Evito di
indugiare ulteriormente su questi dettagli e mi dirigo verso la macchina
del caffè per prendere la caraffa. Torno al tavolo posando la tazza e
versando il liquido scuro e fumante. Senza nemmeno dire grazie la
afferra e comincia a sorseggiare, il tempo necessario perché possa
portargli un’ abbondante fetta di torta. Il rumore del piattino attira
la sua attenzione, tanto da smettere di bere ed abbassare la tazza.
-
Ecco! È appena sfornata! Ho apportato alcune modifiche alla ricetta.
Vedrà se non si tratta della più buona torta di mele che abbia mai
mangiato! – mi affretto a dire.
Sento l’aria uscire quasi furiosa
dalle narici e vedo il viso voltarsi e sollevarsi piano nella mia
direzione. Istintivamente faccio un piccolo passo indietro, arretro di
una distanza quasi impercettibile. Quando finalmente ho di fronte a me
il suo viso e posso vederlo distintamente, sono due le cose che mi
colpiscono: il colore verde intenso dei suoi occhi, un verde limpido,
quasi trasparente, percorso da piccole sfumature ambrate che mi
ricordano il colore caldo ed invitante del miele; e l’espressione che
assume quando mi vede, come se davvero mi stesse vedendo
per la prima volta. Dopo aver inizialmente spalancato a dismisura
quegli occhi, coimincia a sbattere le palpebre ed a scrutarmi in una
maniera talmente penetrante da farmi arrossire, da farmi sentire
scoperta e vulnerabile come mai prima era successo.
Non apre
bocca, i suoi occhi sono ancora su di me, un’espressione sbalordita è
dipinta sul suo viso. Non so se sentirmi lusingata o infastidita da
questo atteggiamento e, quando non riesco più a reggere il suo sguardo,
sbotto di colpo – Hey? Che fai, dormi?
Riesco ad intravedere un
piccolo sussulto ed immediatamente un sorriso sghembo affiora sulle
labbra serrate fino a pochi secondi fa. E poi di nuovo quel modo così
strano di stringere gli occhi e di estraniarsi da tutto ciò che lo
circonda, come se non fossi qui davanti a lui, come se non gli avessi
appena rivolto una domanda.
Stupida.
Stupida, sì, ma pur sempre una domanda.
Direi che la cosa si sta facendo assolutamente irritante.
- Hey? Mi senti? Allora, la assaggi o no?
Sbatte
più volte le palpebre, come per rimettere a fuoco una realtà in cui le
mie parole lo hanno bruscamente trasportato. E quando lo fa, quando gli
occhi si posano nuovamente sul mio viso, anch’io prendo a scrutarlo,
piegando leggermente la testa di lato e cercando di capire se il ragazzo
che ho davanti, oltre ad essere una visione celestiale è anche in grado
di intendere e di volere.
- Sei narcolettico per caso? – La domanda
mi sfugge senza nemmeno il tempo di riflettere ed il modo in cui si
ricompone mi fa pensare di aver ferito il suo orgoglio.
In effetti stai facendo una bella figura da idiota, signor sonofigoenondegnonessunodiunosguardo!
-
No, scusami. È che ho avuto la sensazione di conoscerti. Ci siamo visti
da qualche parte prima di oggi? – chiede con un’espressione davvero
seria. Spalanco gli occhi prima di portarmi una mano alla bocca
e...scoppiare a ridere!
- Che diav...perché stai ridendo? Che ho detto di così esilarante?
-
Ok, ok...bel tentativo, devo dire proooprio originale – dico,
trattenendomi dal continuare a ridere. Anche se mi riesce davvero
difficile in questo momento.
- M...ma...a cosa ti riferisci?
Il suo tono apparentemente serio ha il potere di darmi ai nervi, adesso.
Ma con chi credi di avere a che fare?
-
Credi che sia stupida? È solo perché faccio la cameriera o c'è altro? -
stavolta il mio tono è più seccato - E' inutile che fai lo splendido,
ricordo perfettamente dove e quando ci siamo visti. QUI! IERI! - dico
alzando un po' la voce e posando in maniera decisa la caraffa sul tavolo
- E hai detto che la mia torta non era buona. Quindi evita di
atteggiarti a playboy dallo sguardo trasognato, come se fossi stato
folgorato da una stella...o, piuttosto, sembra che il corpo celeste in
questione ti abbia colpito in testa!
Uff…mi ci voleva. Eccheccavolo!
Per tutta risposta si gira verso la finestra e riprende a sorseggiare
il caffè ma non mi sfugge quel suo sorrisino compiaciuto.
È troppo…è davvero troppo.
Non
fossi una semplice dipendente gli svuoterei il contenuto della caraffa
su quel cespuglio che si ritrova al posto dei capelli! Cos’è? Non vuole
la mia torta? Beh, sono io a non volergliela dare! Allungo la mano verso
il tavolo ed afferro il piattino davanti a lui, voltandomi per
allontanarmi.
In un attimo la sua mi afferra e mi trattiene decisa ma
senza strattonarmi. Le sue dita avvolgono completamente il mio polso ed
i suoi occhi sono di nuovo, prepotenti, su di me. È un sguardo che mi
entra dentro, ogni volta, accompagnato, stavolta, da un calore che dalle
sue dita si trasmette alla mia pelle come una scossa elettrica. Non
riesco a fare a meno di spostare lo sguardo dal suo viso al punto in cui
i nostri corpi sono uniti, in una maniera così penetrante ed intensa da
suscitarmi un imbarazzo inspiegabile, un imbarazzo che non credo di
avere mai provato e non perché lui sia uno sconosciuto, ma perché il suo
tocco ed il modo in cui il mio corpo hanno risposto ha un non so che
di…intimo.
- Lasciala. Non ho
detto che non era buona.- La voce esce dalle sue labbra bassa, roca ed
ha il potere di far affiorare un violento rossore sulle mie guance. Lo
sento, lo vedo nei suoi occhi che mi scrutano, nelle sue iridi cupe, che
hanno perso la sfumatura dorata per assumerne una più scura e quasi
inquietante.- Non è come pensi. Ho avuto l'impressione di averti già
vista...in passato – continua ed è come se pronunciare queste parole sia
faticoso. L’intensità e la
serietà con cui le pronuncia mi colpisce ed automaticamente la presa
delle mie dita sul piattino si allenta.
Quando si rende conto del
modo in cui mi stringe ritrae la mano ed immediatamente mi porto la mia
al petto stringendomi il polso con l’altra, cercando invano di
sostituire il calore che mi ha portato via fin troppo repentinamente.
-
Probabilmente ti ho scambiata per un'altra persona – dice quasi
mortificato. Ed io non posso fare a meno di sentirmi in colpa per il
modo in cui ho reagito, per la maniera brusca in cui ho risposto.
- Scusami allora – sussurro – è che lavorando qui ho fatto l'abitudine a certi metodi.
Ed è la verità. Non è raro che qualche cliente,
magari un po’ brillo,tenti la carta del “ma io ti
conosco!”.
Non
risponde. Contrae la mascella e stringe i pugni, di nuovo. Ma adesso ho
capito che non è un modo per escludermi, per ignorarmi.
- Lo fai spesso? – gli chiedo a bassa voce.
- Eh?
- Estraniarti!
- Uh...ehm..no. No, è che in questi ultimi giorni ho avuto un po' di pensieri. Ricordi più che altro.
Non immagini quanto ti capisca…
-Ah. Spero non troppo spiacevoli – gli rispondo sorridendo appena.
- Non tutti – risponde – non tutti.
Ho
come l’impressione che nelle sue parole si nasconda molto altro, troppo
forse. La conversazione sta toccando argomenti personali e se da una
parte vorrei chiedere, sapere, raccontare a mia volta, dall’altro questo
trasporto che provo così naturalmente verso uno sconosciuto mi
spaventa.
- Allora? Me lo dai un parere sulla torta? – gli chiedo sia
per cambiare discorso che per conoscere realmente il suo parere. Sono
sicura che stavolta non potrà fare a meno di dire che è buonissima. Per
tutta risposta afferra la forchetta affondandola nel dolce. Sento
chiaramente il crepitare dalla crosticina che si spezza, segno che la
cottura è perfetta e che il vapore non l’ha ammorbidita troppo, come
temevo. Raccoglie il pezzo e lo porta alla bocca. Sembra una scena a
rallentatore. Non posso fare a meno di deglutire e mordermi le labbra in
attesa del suo giudizio.
- Com’è? – Domando appena la bocca si chiude attorno
alla forchetta. Lui spalanca gli occhi e comincia a tossire
convulsamente.
Stupida, stupida, stupida Bella! Mai a riflettere un attimo prima di parlare!
Mi lancio velocemente su di lui, colpendogli la schiena con vigorose pacche.
-
Tutto ok? Scusami, davvero, non volevo. – Sono mortificata. Avrebbe
tutto il diritto di mandarmi al diavolo adesso. Sarà furioso. Ho quasi
paura ad incrociare il suo sguardo. Ed infatti è accigliato,
infastidito. Inaspettatamente, però, prende un altro pezzo di torta e
comincia a masticare. Schiudo appena le labbra ma lo sguardo truce che
mi lancia mi azzittisce immediatamente. E rimango muta, in attesa di
sapere.
- Mi dispiace – dice serio – è ottima. Ma non è la migliore che abbia mai mangiato.
Non so se la delusione maggiore sia che a qualcuno non piaccia o se è il fatto che a lui non piaccia a dispiacermi. Come svuotata, mi siedo a peso morto sul divanetto di fronte a lui, sbuffando rumorosamente.
-Io
non capisco – dico stizzita – ho fatto tutto quello che c'era da fare.
Mi sono alzata all'alba per andare al mercato della frutta e scegliere
le mele migliori. Anni e anni di prove per arrivare a questo risultato,
partendo da zero, e ora arrivi tu e mandi tutto all'aria!
- Ma...io...scusa. Non avrei dovuto
- No, scusa tu. Hai fatto bene – continuo abbassando il viso – non puoi capire – sussurro.
E neanch’io capisco cosa sia potuto succedere.
Senza
pensarci, afferro la forchetta, la stessa che ha utilizzato lui, e
assaggio il dolce. Mi rendo conto di ciò che ho fatto solo quando vedo i
suoi occhi allargarsi per lo stupore ed il pomo di Adamo abbassarsi e
rialzarsi velocemente. Non sento nemmeno il sapore di ciò che ho appena
mangiato. Riesco solo a pensare al gesto così intimo e naturale che ho
compiuto.
Lui non dice nulla, si limita a fissarmi e ad aspettare che
sia io a parlare di nuovo. Peccato che non abbia nulla da dire e che il
campanello mi avvisi dell’ingresso di un cliente.
- Torno subito - dico alzandomi.
Mi
allontano decisamente controvoglia ma il dovere mi chiama e sembra che
tutti abbiano deciso di venire a fare colazione adesso. Quando il caffè è
pronto vado verso di lui per versargliene un’altra tazza. Mentre mi
sporgo, le nostre spalle si toccano e per fortuna non si accorge del
tremito della mia mano che ha fatto oscillare pericolosamente il liquido
nero; non so come, riesco a non versarne nemmeno una goccia
all’esterno.
- Mi porti il conto mentre finisco la torta?
Di già?
-
No, figurati. Offre la casa – rispondo tentando inutilmente di celare
la delusione. Delusione che aumenta a dismisura quando lo vedo alzarsi,
infilare le braccia nelle maniche del cappotto e allontanarsi dal tavolo
per venire verso di me. Continuo a tenere la testa bassa, facendo finta
di pulire il bancone dalle briciole, tentando invece di nascondere
l’espressione delusa che so essersi dipinta sul mio viso.
- A domani –
dice. E non so se credergli o meno. Non l’ho mai visto, non fa parte di
questo ambiente. Cosa dovrebbe spingerlo a tornare qui?
- Ok –
rispondo con finta indifferenza ed immediatamente nel mio ristretto
campo visivo compaiono le sue dita, bianche, lunghe, affusolate, che mi
sfiorano il mento delicatamente e mi spingono a sollevare il viso.
-Hey…sorridi.
- No.
-
Avanti, sorridi – dice, sorridendo a sua volta. Ed è uno spettacolo
incredibile, perché non sorride solo con le labbra ma anche con gli
occhi, assumendo un’espressione che riesce a farlo sembrare, se
possibile, ancora più bello.
- Non ho niente per cui sorridere adesso
- rispondo sconsolata, consapevole che sorridergli non gli offrirebbe
nemmeno lontanamente lo spettacolo meraviglioso che lui ha offerto a me.
- Bene! Tra circa venti secondi lo farai!
Sgrano
gli occhi e lo vedo dirigersi a passo svelto verso la porta. La
spalanca oltrepassandola e poi si gira e dice - A presto piccola Swan.
Non si dimentica così il proprio promesso!
Ed
in un attimo, in vorticoso, intenso, interminabile attimo i ricordi si
affollano, le immagini si sovrappongono e finalmente capisco, finalmente
il mio cuore lo vede, la mente lo ricorda.
Come ho fatto a non riconoscerlo.
Mi
fiondo fuori dal locale, il cuore che batte all’impazzata, il calore
che avvampa sulle guance ed un sorriso involontario, inevitabile, sul
viso.
Faccio appena in tempo a vedere il suo sguardo compiaciuto che mi fissa dallo specchietto retrovisore della macchina.
EJ!
Non
so per quanto tempo me ne sto lì. Non so come faccio ad affrontare le
ore di lavoro che mi rimangono, il pomeriggio infinito che passo a
sfogliare album di fotografie, i pensieri e le domande che affollano la
mia testa, la nottata insonne con la consapevolezza che non potrò
tornare al Caffè solo nel pomeriggio.
E se EJ venisse? E se non mi trovasse? E se decidesse di non venire più?
Non
posso permetterlo. Mi alzo ancor prima che sorga il sole ed attendo un
orario decente per chiamare Angela e chiederle di scambiarci il turno,
solo per oggi. La sua voce assonnata ed il borbottio confuso mentre
chiude il telefono mi fanno capire che forse l’orario proprio decente
non è!
Non importa, le chiederò scusa quanto prima.
Quando arrivo
mi metto subito all’opera, accendo la radio e, a tempo di musica,
comincio a sistemare i tavoli. Il volume è altissimo e nemmeno mi
accorgo che è entrato qualcuno, tanto sono intenta ad ancheggiare e
cantare la canzone che viene trasmessa, una di quelle canzoni che
piacevano a mia madre e che sono state la colonna sonora della mia
infanzia.
Mi blocco improvvisamente quando sento qualcuno che si schiarisce la voce.
Oddio che figura, fa che non sia EJ…
- Non pensavo ti piacesse Lesley Gore.
È lui…
Non
mi importa. Non m’importa che mi abbia vista nel momento meno
opportuno, non m’importa se mi prenderà in giro a vita, non m’importa di
aver fatto la figura della stupida. Mi importa solo che lui sia qui,
davanti a me, così vicino eppure troppo lontano…
Mi bastano pochi, pochissimi passi, per raggiungerlo e tuffarmi senza pensarci tra le sue braccia
-
EJ! – esclamo per la prima volta ad alta voce, come se dirlo renda il
tutto ancora più reale. E quando mi stringe, quando affonda il viso
nell’incavo del mio collo, lo sento sorridere ed inspirare
profondamente. E lo faccio anche io, sentendo, così dolce e piacevole,
dopo tanto tempo, l’odore dei ricordi…l’odore di casa
_________________________________________________________________________________________________________
Che vi avevo detto? Uomo avvisato...
Qualche
piccola precisazione: l'aneddoto iniziale di Bella che dice di voler
fare la regina è liberamente ispirato ad fatto reale. Ebbene sì! da
piccola volevo fare la regina. A differenza di Bella, però, a me nessuno
diceva che avrei potuto farlo
Jake
non comparirà più, CREDO, nella zozzifiction, è stato un passaggio
particolarmente doloroso da raccontare e, per ora, la parentesi è
chiusa.
Anche io ho un dolce che mi riporta a quando ero bambina ed è la ciambella bigusto, una sorta di magia ai miei occhi.
Lesley Gore e tutte le canzoni dello stesso periodo sono state davvero parte della colonna sonora della mia infanzia.
Ok, la smetto...anche perchè sono fusa!
Al prossimo capitolo, che è già scritto e che, vi assicuro, è decisamente migliore di questo, credo!
Miki.
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Capitolo 6 *** Playing for her ***
Capitolo sei
Buon pomeriggio a tutti!
Eccomi qui
per il sesto capitolo di questa storia. Non ho parole, ancora, per
ringraziarvi e per esprimere quanto mi faccia piacere ritrovarvi qui
ogni volta.
Il capitolo di oggi è dedicato alla vita mia, Tony, che oggi compie 29 anni. Ti amo da morire.
Capitolo sesto: Playing for her.
È stato come un marchio a fuoco.
Se
chiudo gli occhi posso sentire e rivivere sulla pelle la sensazione di
quel contatto. Le braccia esili che si stringono al collo, il corpo
aderente al mio, senza malizia, senza provocazione. In quel gesto, solo
un affetto che si era conservato immutato negli anni. Non avrei mai
pensato, dopo tutto quello che mi era successo, di poter sentire di
nuovo un’emozione così forte, intensa, pulita.
È stato come rientrare
in casa a fine giornata, come sdraiarsi su un materasso di piume dopo
un’estenuante fatica. Il calore della sua pelle, il profumo che emanava,
il battito furioso del suo cuore, che sentivo violento contro il petto,
sono tutte cose che sembravano appartenermi da sempre e che, nel
momento in cui le ho percepite, sono tornate ad essere mie.
La cosa
terribile è la consapevolezza che tutto ciò che provo sia tremendamente
sbagliato. Bella si sta avvicinando troppo a me ed io non sto facendo
nulla per scoraggiarla, anzi…
È passata una settimana. Ogni mio
proposito di restarle accanto come amico si è allontanato drasticamente
nel momento esatto in cui l’ho sentita pronunciare il mio nome, per poi
svanire del tutto dopo un paio di giorni.
Ogni mattina vado al Twilight Café a fare colazione.
Non proprio…
Beh sì, ok, solo le mattine in cui c’è Bella.
Quando
ha il turno di pomeriggio passo a prendere una fetta di torta, ma non è
la stessa cosa. Al mattino cerco di arrivare poco dopo l’apertura,
quando lei è ancora intenta a sistemare i tavoli e la vetrina dei dolci.
A quell’ora non c’è nessuno e posso avere l’esclusiva della sua
presenza. Il pomeriggio, il locale è sempre pieno e lei molto
indaffarata. A me però basta osservarla mentre svolge il suo lavoro,
mentre sorride ai clienti o ringrazia per le mance. Adoro il modo in cui
impugna la penna per prendere l’ordinazione, per non parlare di quando
si china a raccogliere qualcosa dal pavimento. Ogni volta che qualcuno
la chiama, Bella si ferma vicino al cliente e si sistema le ciocche
ribelli dietro le orecchie.
È da quando l’ho rivista che sogno di poterlo fare…sfiorarle i capelli.
E non solo quelli…
Di
tanto in tanto lancia uno sguardo verso di me, come per controllare che
io sia ancora lì. Mi abbraccia. Sì, ogni volta che mi vede, Bella mi
abbraccia ed io mi sento l’uomo più felice del mondo.
Ma anche il più stronzo!
Perché
il suo abbraccio è innocente, affettuoso, amichevole, confortante. E mi
piace. Ma allo stesso tempo vorrei che fosse appassionato, sensuale,
bramoso, antipasto di un bacchetto che so già mi condurrebbe all’estasi.
Non abbiamo parlato molto. Lei non ha fatto domande su quello che successe quella sera,
ma, se il discorso si avvicina soltanto all’argomento, i suoi occhi si
intristiscono ed è una cosa straziante. Mi prende la mano e si scusa ed
io, ipnotizzato dal suo gesto, ammaliato dal suo tocco, non riesco a
risponderle.
È come se attorno a noi si stesse creando una bolla.
All’interno tutto è ovattato e piacevole e si percepiscono i contorni
distorti della realtà che c’è fuori. Arriverà il momento in cui
scoppierà. Arriverà il momento in cui lei mi chiederà qualcosa in più ed
io non saprò cosa rispondere.
Fino a questo momento la mia vita non è
mai stata un peso per me. Non ho mai provato rimorso o vergogna. Il
tempo è trascorso senza che nemmeno me ne potessi accorgere. Veloce,
indistinto, portandosi via anni della mia vita in cui avrei potuto
combinare qualcosa.
C’è stato un tempo in cui avevo grandi progetti.
C’è stato un tempo in cui l’orrore a cui avevo assistito non mi
impediva di sognare. C’è stato un tempo in cui credevo che non sarei mai
e poi mai sceso a compromessi, anche solo per non deludere l’unica
persona che mi aveva voluto bene.
Poi è arrivata lei.
Specchiandomi
nei suoi occhi, ho visto chiaramente che razza di persona io sia
diventata. Ho visto nitidamente quanto sia vuota la mia vita.
Incredibile…
Non
posso pensare che tutto questo sia nato da una stupida cotta, dalle
prime pulsioni di un adolescente. Diciassette anni…vedevo i miei
coetanei con le loro macchine, nuove o usate, regalate dai genitori o
acquistate con i soldi ricavati da lavoretti part-time. Li vedevo uscire
con le ragazze, andare a studiare in biblioteca, attardarsi a fumare
davanti alla scuola.
Io non potevo avere nulla di tutto questo.
Dopo la morte di mia madre, sono stato affidato alla famiglia di mio
zio Jack, fratello di mio padre. Com’è che si dice?
Buon sangue non mente.
Ed
è stato proprio così. Ero piccolo, spaventato, anzi, terrorizzato.
Avrei fatto qualsiasi cosa per una carezza, per una parola dolce.
-Hey…moccioso! Svegliati!
-Mamma? Mamma, sei tu?
-Ma
quale mamma…razza di idiota! Anche un ritardato mi dovevano affidare.
Sbrigati! Non abbiamo tempo da perdere qui. Se vuoi rimanere sotto
questo tetto ti devi guadagnare il pane, hai capito?
Jack
aveva un deposito di rottami e cercava, spesso invano, di riparare auto.
Il giorno che sono arrivato nella sua casa, mi fece infilare una tuta
blu, sudicia e rattoppata e mi afferrò bruscamente le mani,
osservandole.
-EJ,
tesoro…sei fortunato, lo sai? Hai delle dita lunghe e affusolate. Se ti
eserciterai con costanza e passione, potresti diventare un bravissimo
pianista.
-Come te, mamma?
-Oh no caro, molto meglio di me. E
dovrai usare le tue mani per sfiorare i tasti, gentilmente, e
gentilmente sfiorerai le guance della donna che amerai.
-Uffa mammaaaa…
-Ok ok…la smetto. Sei il mio ometto, lo sai?
-Sì, lo so. Ed io vorrò bene solo a te, per sempre!
Una mano si poggia sulla mia spalla facendomi trasalire.
-EJ, è tutto apposto?
-Eh? Oh, si certo. Scusami, ero sovrappensiero.
-Ho un attimo di tregua. Che ne dici di assaggiare quella di oggi? Credo di aver superato me stessa.
-Sì. Sì, certo. Ma stavolta voglio pagare, piccola Swan.
-Ma smettila, non farei mai pagare un caro amico come te.
Caro amico…come me…
Probabilmente è questo ciò che si sente durante la castrazione!
Quando
arriva con la torta, si siede di fronte a me e aspetta. Sembra che
questo sia diventato un rito. E la cosa mi piace da morire. Aspetta che
io assapori il dolce e poi il verdetto.
-È ottima.
-Davvero?- esclama spalancando gli occhi e rizzandosi sulla schiena.
-Sì, certo. Ma…
-Ma come ma?! Ma dai, EJ! Che c’è che non va stavolta?
Adoro
la facilità con cui mette il broncio. Non è cambiata affatto in questi
anni. Si lascia ricadere sullo schienale, guardandomi a metà tra il
risentito e il dispiaciuto.
-Beh…diciamo che non è perfetta.
E poi fa quello che attendo ogni giorno con ansia. Come un adolescente idiota.
Come un coglione!
La guardo afferrare l’unica forchetta, la stessa che ho utilizzato io, ed assaggiare la torta.
Il
campanello la avvisa che è entrato qualcuno ed immediatamente si alza
per mettersi al lavoro. Sto per muovermi, quando torna indietro e,
facendomi la linguaccia, mi dice
– Io credo sia ottima e tu, EJ, sei un mangiatorte a tradimento!
Sorrido
e mi affretto a compiere un gesto apparentemente banale, ma che aspetto
come la più lauta delle ricompense: afferro la forchetta e la porto
alle labbra, illudendomi di sentire sul freddo acciaio il calore della
sua bocca, il sapore della sua lingua.
E mi eccito, cazzo! Ogni volta. Senza ritegno, senza averne il diritto.
E
poi, puntuale, arriva l’ansia, il panico. E non per il passato,
stavolta, no. Le domande che mi assillano sono rivolte al futuro.
Cosa pensi di fare Edward, eh? Trovare un lavoretto? Sistemarti? Fare il bravo ragazzo? Dirle che la ami? E Tanya?
Taci! Stupida coscienza del cazzo! Non ho bisogno delle tue fottutissime perle di saggezza!
Mi
prendo la testa tra le mani, massaggiando le tempie, cercando di
ricacciare la rabbia, la frustrazione. Cercando di capire se la voglio
una speranza a cui aggrapparmi con tutte le forze o recidere questo
legame che sento con lei ed andare avanti con l’unica certezza che ho
sempre avuto: non c’è speranza. Per me non ce n’è.
Non so quanto
tempo me ne sto lì. Non mi accorgo che si è fatto buio, non mi accorgo
che il locale è vuoto. Non mi accorgo che Bella è seduta di fronte a me.
E mi sta guardando.
-Hey straniero.
-Hey…
-Oggi sei rimasto più del solito. Sono contenta.
Sono rimasto più del solito…e lei è contenta. L’idiota che è in me esulta.
Anche l’idiota che è fuori di me…sto sorridendo come un ebete!
-Non hai programmi per la serata?
-Veramente no.
-EJ, io…
-Cosa?
-Dovrei farti vedere una cosa…
Le
sue parole mi lasciano per un attimo perplesso. In questi giorni non ci
siamo mai spinti su domande personali. Non abbiamo mai accennato alle
rispettive abitazioni o agli eventuali rispettivi compagni. È come se ci
stessimo spostando ad un altro livello e la cosa mi terrorizza e mi
rende euforico contemporaneamente.
Mi vuole far vedere una cosa…in un attimo, un migliaio di cose che lei potrebbe mostrarmi, mi passano davanti agli occhi.
Non sta parlando delle sue mutandine!
E alla parola “mutandine” accostata a Bella devo costringermi a non ansimare.
-Io, forse, avrei dovuto dirtelo prima, ma…
Non starà parlando del suo fidanzato? Ti prego…dimmi che non sta parlando del suo fidanzato…
-Avevo paura che ti arrabbiassi. O che fosse troppo doloroso per te.
I
suoi occhi si fanno improvvisamente lucidi e, a stento, trattiene un
singhiozzo. Non posso fare a meno di alzarmi e andarle vicino.
-Hey
hey hey…no, piccola Swan, non fare così. Non c’è niente che potrebbe
farmi arrabbiare con te e sono sicuro che non riusciresti mai a farmi
del male, nemmeno se lo volessi. Puoi dirmi qualsiasi cosa, farmi vedere
qualsiasi cosa…o chiunque - sussurro a voce più bassa - io sono qui
accanto a te.
-È che noi non sapevamo se…noi non immaginavamo…e
quando lo abbiamo visto…non potevamo permettere che venisse
portato via.
Non
ho la più pallida idea di cosa stia parlando ma vederla così agitata,
nervosa, triste, mi dilania dentro. Non so cosa dire, se solo mi
svelasse qualcosa di più…
-EJ, verresti a casa mia adesso?
-A…adesso…a ca…a casa tua?
-Sì, adesso, a casa mia - ripete sorridendo.
-Ma certo. D…dov’è casa tua? È lontano?
-No,
è qui vicino. Solo un isolato. Possiamo andarci tranquillamente a
piedi. Tanto ci pensa Jessica a chiudere, dammi solo un attimo per
avvisarla.
-Sì, ok. Ti aspetto fuori.
Uscito da lì, tiro un
profondo respiro. Ho il cuore che batte all’impazzata e non riesco a
smettere di sorridere. Non posso credere che tra pochi minuti vedrò la
sua casa. Potrò inspirare l’odore delle sue giornate, toccare gli
oggetti che la circondano.
Perfetto per uno che voleva tenersi fuori dalla sua vita. Molto altruista devo dire.
Io
lo so che non dovrei. Lo so benissimo. Ma non ci riesco. Io non riesco a
starle lontano. Mi piace la sua compagnia, mi piace parlare con lei,
guardarla…
…controllarla…
Non proprio controllarla…diciamo che mi sento un
po’…protettivo nei suoi confronti. Come quando era
bambina.
Come quando eri tu bambino.
Al diavolo…voglio andare con lei. Non so cosa farò…dopo. Ma ora ne ho bisogno.
-Hey, ci siamo?
-Sì certo.
Camminiamo
in silenzio. Non è un silenzio imbarazzante, ma rilassato, piacevole.
Senza fretta ci incamminiamo l’uno accanto all’altra, stretti nei nostri
cappotti.
Guardo il suo profilo e non posso fare a meno di notare quanto sia delizioso, perfetto. Oggi
ha raccolto i capelli. Mi piace di più quando scendono liberi, in
morbide onde luminose, ma quando li lega, come oggi, il suo collo spunta
candido e liscio dal colletto della divisa. Ha un neo sotto
l’attaccatura dei capelli, piccolo e proprio al centro. Un neo dove mi
piacerebbe posare leggere le labbra e annusare profondamente l’odore
della sua pelle.
-Brrrr…
-Hai freddo?
-Sì, ho dimenticato la sciarpa al Caffè - dice stringendosi nelle spalle.
Che cazzo stai facendo!
Il
mio braccio le si stringe attorno al collo e con l’altro la circondo
anche davanti, unendo le mani sulla sua spalla. La sento irrigidirsi
per un attimo, ma poi…estrae la mano dalla tasca e mi circonda la
vita,portando il suo fianco a stretto contatto con il mio.
-Grazie - sussurra timidamente.
-È questo che fanno i promessi sposi no? Pensano al benessere delle loro future mogli.
-Hey! - esclama dandomi un leggero pugno nello stomaco - ancora con questa storia?
-Beh, se dici così, mi fai pensare che non sei una donna di parola signorINA Swan.
-Lo sai che sembri quasi serio?
Lo sono Bella…tu non sai nemmeno quanto.
-Comunque,
signor Masen, eravamo piccoli…non potevamo capire in cosa ci stessimo
imbarcando. Non mi sono mai piaciuti i fidanzamenti lunghi e questo lo è
decisamente.
-Cioè? Mi stai mollando?
-Beh, sì…potrebbe essere. E poi sono certa che in
qualità di tua promessa sposa devo aver subito non pochi
tradimenti, signor capelloribellechetuttemiguardanomaiononmifilonessuna.
A
quelle parole sputate fuori d’un fiato, mi fermo bruscamente, cercando
di realizzare cosa abbia voluto dire e perché lo abbia detto…che
sia…gelosa?
No. No, non può essere.
Nel frattempo Bella si è fermata davanti ad un cancelletto e lo sta spalancando.
-Bello addormentato?! Dai che siamo arrivati!
Mi avvicino lentamente a casa sua. Apre la porta e mi fa entrare. Quando entriamo, ciò che vedo mi lascia senza parole.
È impossibile...
È
quasi tutto come me l'ero immaginato. Bella si toglie il cappotto ed
avanza lungo il corridoio accendendo le luci. Sorrido e guardo uno
degli spettacoli più belli che mi si potessero presentare: Bella a casa
sua, tra le sue cose. Bella rilassata come se la mia presenza sia la
cosa più naturale del mondo.
- EJ non startene lì impalato, entra pure, fa' come fossi a casa tua – dice mentre entra in un' altra stanza.
- Faccio in un attimo – urla quasi – in frigo c'è del tè e del succo, serviti se ne hai voglia.
Piccola Swan...non puoi nemmeno immaginare quanta e quale voglia io abbia...di te.
Avanzo
lungo il corridoio guardandomi attorno. Sbircio da una porta socchiusa e
vedo un piccolo divano, su cui è ripiegato un plaid rosa. E già me la
immagino, avvolta a bozzolo, a guardare la tv. L'ambiente è caldo e
regna un ordine ed una pulizia assoluti. Quando sento lo scroscio
dell'acqua devo trattenermi dall'imprecare.
Lei è a pochi passi da me, si sta spogliando. Probabilmente è già nuda e sta per entrare nella doccia.
Cristo Edward stai calmo!
Ma
non lo è affatto! Non è facile stare calmo. Non è facile avanzare e non
cedere al desiderio di entrare in quella doccia con lei.
Raggiungo la cucina e apro il frigo. La curiosità con cui osservo ogni particolare ha un non so che di morboso.
Che novità...
E'
come se ogni cosa mi parli di lei. Sui ripiani gli alimenti sono
disposti in maniera precisa. Ci sono contenitori di plastica impilati,
contenenti, probabilmente, alcuni avanzi. Non c'è traccia di carne ma ci
sono molte verdure, alcune lattine di Diet-Coke e Seven-Up, un paio di
birre, una caraffa con il tè freddo, un cartone di succo d'arancia e uno
di...latte al cioccolato?
...oh, ti amo piccola Swan!
Ma che cazzo dico? Ti amo? Ma che razza di stronzate mi vengono in mente? La amo? Ma è assurdo, impossibile...
…o no?
- Ora va meglio.
La
sua voce mi fa sussultare ed ho quasi paura a girarmi. Prego in
aramaico di non aver esclamato quelle cazzate ad alta voce… Non sarà
avvolta solo dall'asciugamano vero? Con i capelli bagnati sulle spalle e
le goccioline d’acqua che scivolano lungo le braccia nude…
Sogna idiota...sogna!
Quando
mi raggiunge, posso notare con sollievo che è completamente vestita.
Indossa una tuta grigia con alcune scritte rosa sul davanti, i capelli
ora sono sciolti e ai piedi indossa delle assurde pantofole a forma di
cucciolo di leone! La cosa più assurda è che è sexy da morire.
-Siediti dai. Ti andrebbe di mangiare qualcosa, prima?
-Co…come?
-Non hai fame?
-Sì, ma…non devi. Sarai stanca.
-Beh,
qualcosa dovrò mangiarla e mi farebbe piacere se mi facessi compagnia -
dice guardando dentro il frigorifero e cominciando ad estrarre varie
cose - ma, se hai da fare, non ti devi sentire obbligato a rimanere.
-Allora se ti fa piacere rimango volentieri - rispondo semplicemente - posso fare qualcosa per aiutarti?
-Sì, certo. Nei primi due cassetti trovi l’occorrente per apparecchiare. Ti piacciono le uova?
-Molto.
-Perfetto.
Sposto
dal bancone alcuni recipienti, nel frattempo Bella comincia a disporre
con ordine le verdure sul ripiano. Prendo due tovagliette da un
cassetto, notando con quale cura siano arrotolate e riposte. Le dispongo
l’una accanto all’altra, prima vicine, poi più lontane, poi di nuovo
vicine, a farle sfiorare, poi le allontano nuovamente
Yu-uh...cervello? Dove sei?
Riesco
a terminare l’operazione senza che lei si accorga di nulla, optando per
una distanza di circa cinque centimetri: né troppo lontano né troppo
vicino. Dispongo in ordine le posate, il tovagliolo, i sottopiatti ed i
sottobicchieri.
Bella sta affettando finemente le zucchine ed intorno
a lei ha già disposto la cipolla, le carote ed i peperoni a listarelle
sottili. Il tagliere sembra la tavolozza di un pittore, con macchie di
colore affiancate in maniera armoniosa e precisa.
- Arte commestibile?
- No dai! Anche tu!? Uffa! Ognuno ha le sue manie – risponde piccata riabbassando gli occhi e tornando a lavoro.
Anche
io? E chi altri? Chi ha il privilegio di vederti così? Chi? Voglio
saperlo Bella. Voglio sapere chi è la persona che detesterò con tutto me
stesso.
Calma. Devo cercare di pensare ad altro. Respira Edward, respira…
Quando
sto per chiederle dove sono i piatti ed i bicchieri, mi anticipa
indicandomi lo stipo sopra il lavandino. Termino di apparecchiare e mi
siedo. Bella versa un po’ di olio in una padella antiaderente, che mette
subito a scaldare sul fornello. Poco dopo aggiunge velocemente le
verdure, spadellandole e coprendo successivamente con un coperchio.
Rompe le uova in una ciotola, sbattendole e sistemandole di sale e pepe.
Compie ogni gesto con accuratezza e attenzione e non posso fare a meno
di guardarla ipnotizzato.
Sono completamente a mio agio e sono sicuro
che anche lei lo è. Lo dimostrano la tranquillità dei suoi gesti, il
modo in cui si muove attorno a me per raggiungere i vari angoli della
cucina.
Quando versa le uova nella pentola, il rumore che produce è
piacevole, familiare, molto di più del timer di un forno a microonde.
-È quasi pronto, EJ.
-Mmh…che delizioso profumino.
-Spero che ti piaccia.
-Sono sicuro di sì.
Bella
rovescia su un piatto una frittata dall’aspetto delizioso e me ne
serve una fetta, poi si siede e aspetta, nello stesso identico modo di
quando assaggio la sua torta.
-È squisita, davvero…perfetta.
-Ma?
_Ma cosa? Niente ma! Non mangio una cosa così buona
da…probabilmente non ho mai mangiato una cosa così buona.
Sorride
e comincia a mangiare anche lei, buttando, di tanto in tanto, uno
sguardo verso di me. Quando mi servo una seconda porzione i suoi occhi
brillano soddisfatti. Mangiamo lentamente. Bella mi parla di alcune cose
accadute oggi al locale ed io la ascolto. Mi piace sentirla parlare, mi
piace accorgermi della facilità con cui mi parla e spesso riesco anche a
non pensare alle curve appena accennate sotto la larga tuta che la
ricopre.
Quando finiamo di mangiare lei si alza ed io la seguo per
aiutarla a sparecchiare, nonostante le sue proteste. Alla fine
raggiungiamo un compromesso: io le passo i piatti sporchi, lei li
sciacqua e li mette nella lavastoviglie.
-Beh? Cos’è che volevi mostrarmi?
-Oh! Già…beh io…
-È
tutto ok - le dico poggiando una mano sulla sua spalla. Non so cosa mi
voglia mostrare ma la cosa la rende troppo nervosa e non mi piace.
-Vieni con me – sussurra asciugandosi le mani e guidandomi fuori dalla cucina.
Quando arriva davanti alla porta dalla quale avevo sbirciato prima, si ferma, inspira profondamente e la spalanca.
Faccio
pochi passi prima di vedere ciò che mi voleva mostrare e, quando
succede, il mio corpo è come se fosse paralizzato. Non mi muovo, non
dico una parola. Riesco solo a guardare davanti a me. Riesco
solo a pensare a quando lui si scagliò violentemente sul pianoforte di
mia madre con una mazza da baseball, rendendolo inutilizzabile.
Nella
testa vorticano gli insulti, le minacce, l’ira. Il ricordo del viso
addolorato della mamma mentre sfiora con mano tremante il legno oramai
sfregiato. Non riesco a smettere di tremare, il cuore batte furioso ed
il respiro si fa corto, ansante, strozzato.
-EJ tutto bene?
Non ho nemmeno la forza di annuire. Vorrei urlare, vorrei gridare “NO cazzo! Non va per niente bene!”. Ma non lo faccio. Non lo posso fare.
-
Scusami. Scusami, davvero, io non volevo…io non pensavo. Credevo ti
facesse piacere…che stupida…ti prego parlami, dimmi che hai…
Sento le
mani di Bella sul viso. Sono calde e non mi danno fastidio. La sua
voce, invece, la sento lontana, riesco a capire solo che si sta
scusando. Mi faccio guidare sul divano e mi siedo, capace solo di
assecondare i suoi movimenti. Mi tiene il capo tra le braccia e va
avanti e indietro, cullandomi e continuando a scusarsi. Il suo
movimento, la sua voce, il suo tocco…piano piano sento che l’ansia sta
passando. Inspiro profondamente, riuscendo anche a sentire il suo
profumo ed è così piacevole che comincio a calmarmi. Quando sollevo il
viso e vedo quello di Bella non riesco a credere ai miei occhi: le sue
guance sono rosse e rigate da lacrime che scendono silenziose, i suoi
occhi sono spalancati e sembra…terrorizzata.
-EJ scusami-sussurra di nuovo.
Non
posso fare a meno di abbracciarla. Sono io, stavolta, che la circondo
con le mie braccia lasciando che pianga, sentendo i suoi singhiozzi
contro il mio petto.
-Noi…quando…quella sera che…
-Sssh Bella, calmati…
-Scusami EJ. Non ho pensato che…io non ho…pensato che…ti potesse fare così male.
-No
Bella…guardami - le dico sollevandole il viso - io non me l’aspettavo.
Non sono arrabbiato. Non so nemmeno io…non ci posso ancora credere.
Raccontami Bella, ti prego, parlami. Come mai il pianoforte di mia madre
è in casa tua?
Si mette a sedere asciugandosi il viso con la manica
della felpa. Si porta i capelli dietro le orecchie con entrambe le mani
e, sospirando, inizia a parlare:
-Qualche tempo…dopo…la
casa, la tua casa, è stata venduta e…una mattina, uscendo fuori, io e
la mamma abbiamo visto che la stavano svuotando e che ammassavano le
vostre cose sul ciglio della strada. Quando lei ha visto il pianoforte
di tua madre non c’ha pensato due volte. Lo ha portato in casa insieme a
papà e lo hanno fatto sistemare, nonostante nessuno di noi lo sapesse
suonare.
-Ma ora è qui…
-Sì, i miei si sono separati un po’ di anni fa.
-Oh, mi dispiace Bella…
-No,
non devi. Non stavano più bene insieme. È stato meglio così. Io sono
venuta a Boston con mia madre, ma quando lei ha manifestato il desiderio
di seguire il suo compagno, ho preferito rimanere qui.
Mi alzo e mi
avvicino finalmente al piano. Poso una mano sul legno liscio e lucido e
noto come ogni graffio, ogni scheggiatura, ogni crepa, è stata riparata
alla perfezione. Alzo il coperchio e sorrido vedendo il velluto nero che
ricopre i tasti. Non solo lo hanno salvato, ma lo hanno anche curato,
preservato dal tempo, dalla polvere.
In un attimo tutta l’angoscia
svanisce e si fa spazio la gratitudine, la commozione. Ricaccio indietro
le lacrime e mi volto verso di lei, ancora sul divano, immobile.
-Grazie Bella. Non sai quanto significhi per me questo. Mia madre sarebbe felice…grazie.
Il suo volto si illumina e tutta la tensione svanisce in un attimo.
-EJ?
-Dimmi.
-Suoneresti per me?
No! Assolutamente no!
Questa
sarebbe stata la risposta fino a poco tempo fa. O questa sarebbe se non
fosse lei a chiedermelo. Mi siedo sullo sgabello e sollevo il velluto.
Sfioro i tasti, lentamente. Eseguo qualche nota per accertarmi lo stato
dell’accordatura. Non male. Non è perfetto ma si può fare.
Sono emozionato, voglio suonare. Come non mi succedeva da tanto tempo. Voglio suonare per Bella, per mia madre, per me…
Ed
è a questo pensiero che le mie mani cominciano a danzare sui tasti. La
melodia scivola fuori dolce, senza incertezza, senza timore. Solo bei
ricordi la accompagnano. Le mani di mia madre sulle mie, i suoi sorrisi,
gli elogi, gli incoraggiamenti. Quando finisco attendo un attimo prima
di girarmi e, quando lo faccio, Bella è li che mi guarda rapita col
sorriso che le illumina il volto.
-Era Claire de Lune?
-Conosci Debussy?
E se rispondi di sì io ti sposo, adesso!
-Non
molto, ma adoro questa melodia e tu l’hai eseguita meravigliosamente.
Oh EJ, è stato stupendo, grazie. Guarda – dice scoprendosi il braccio
candido – ho i brividi, la pelle d’oca!
-Sono io che devo ringraziarti, di tutto…
-Suoneresti ancora?-dice mentre si tira il plaid a coprirle le gambe
-Tutto quello che vuoi…
Stavolta
sono le note di una ninna nanna che avvolgono la stanza. La stessa che
mi suonava lei, che mi conduceva verso sogni sereni, la stessa musica di
cui ho avuto solo un vago ricordo per anni e che adesso risuna limpida e
chiara nella stanza. Una nenia dolcissima e rilassante. E infatti,
quando finisco, la mia piccola sta dormendo, avvolta a bozzolo, come la
immaginavo, nel plaid rosa.
Mi avvicino lentamente e, annusandole i capelli, le accarezzo la testa e le bacio la fronte.
-Buonanotte piccola Swan. Fai sogni felici…
_____________________________________________________________________________________________________________________________________
Alla
prossima! Spero che non sia stato troppo spiacevole e mi scuso con chi
voleva il resoconto dettagliato del loro primo incontro: il capitolo è
nato così e non ho potuto fare a meno di assecondarlo.
Miki.
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Capitolo 7 *** Hopeless ***
Capitolo sette
Buongiorno a tutti. Mi scuso per il ritardo ma è colpa mia solo al 50%.
Il capitolo non voleva saperne di arrivare alla fine. Ed alla fine l'ho
tagliato io. In effetti sarebbe risultato troppo lungo e magari
confuso. Non che così sia decente ma vabbé, ci
accontentiamo. L'altra metà della colpa ce l'ha Tony mio, che
è sceso la settimana scorsa dopo due mesi che non ci vedevamo ed
ha monopolizzato il mio tempo U.U
Il capitolo di oggi è dedicato ai miei tesori che in questo
momento raggiungono Milano per passare una giornata tutti insieme...io
sono lì con voi e vi adoro. Un grazie speciale alla mia
Paoletta, che ha segnalato la storia per far parte delle scelte.
E tanti, tantissimi grazie alle innumerevoli ( per me lo sono) persone
che hanno aggiunto la storia nelle seguite, preferite ecc.
Un bacione.
Miki.
Settimo Capitolo
HOPELESS
È buio. Le strade sono deserte. Le luci dei lampioni illuminano
scarsamente queste vie. Procedo piano, con le mani in tasca e la
testa bassa, lasciando che sia l’abitudine a condurmi.
Riesco a pensare solo a Bella, ignorando il freddo, ignorando le
domande che la mente non cessa di formulare, ignorando il fatto che,
prima o poi, dovrò dare delle risposte, e non solo a me.
È come averla ancora davanti, piccola, addormentata, indifesa
e…bellissima.
Si è addormentata mentre ero lì con lei, senza timore, come se
mi conoscesse così a fondo da fidarsi completamente di me.
E non sa quanto si sbaglia!
Posare le mie labbra sulla sua fronte, inspirare il suo odore,
sentire il respiro caldo, tranquillo e, soprattutto, suonare per lei,
suonare di nuovo, sono state emozioni intense ed inaspettate.
Quando sono rientrato in casa, non ho sentito la solita sensazione
di vuoto. Quella morsa che mi attanaglia lo stomaco e che scatena il
panico.
Normalmente accendo le luci, tutte le luci. Non stasera. Il
bagliore tenue della lampada sopra il mobile del salotto e le luci
che filtrano dall’esterno mi bastano. Per una volta la penombra è
rassicurante. Ho paura che se mi lasciassi avvolgere dalla nitidezza
delle cose perderei questi ricordi che, così chiari, mi stanno
cullando e ai quali voglio rimanere aggrappato.
Faccio una doccia veloce e, quando apro la cabina armadio per
riporre i vestiti, l’occhio mi cade sulla scatola. C’è stato un
tempo in cui aprirla era come tornare tra le braccia di mia madre.
Era rassicurante e forse è stata l’unica cosa che mi ha permesso
di sopravvivere. Da bambino.
Poi, invece, è arrivato il momento in cui aprirla era come farle
vedere cosa fossi diventato, il fango di cui mi ero ricoperto. I suoi
occhi, un tempo limpidi e sorridenti, mi sembravano pieni di
tristezza e di biasimo.
Erano anni che non la aprivo.
Mi alzo sulle punte dei piedi e la tiro giù dal ripiano più
alto. Mi siedo sul letto, poggiandola davanti a me, vecchia e
consunta, al punto che sembra potersi sbriciolare da un momento
all’altro. Mi appunto mentalmente di comprarne un’altra al più
presto, per conservare il mio piccolo tesoro.
Quando la apro, riesco a stento a trattenere un singhiozzo.
In uno spazio così piccolo, c’è tutto ciò che rimane di mia
madre. Ci sono le poche cose che un agente compassionevole ha
radunato e mi ha fatto avere dopo le rilevazioni del caso.
La prima cosa che appare è il suo portagioie: uno scrigno nero, a
forma di pianoforte a coda. Un tempo aveva tutte e quattro le
gambe…prima che lui glielo lanciasse contro. Il coperchio è
spezzato in due e incollato e, una volta, quando lo aprivo, faceva
partire una musica dolcissima ma che non riesco più a ricordare.
Di tutti i suoi gioielli non è rimasto molto, lui aveva
venduto quasi tutto. Le uniche due cose sono un paio di orecchini e
un anello di ametista, appartenuti a sua madre, mia nonna, che non ho
mai conosciuto: è morta quando avevo sei anni ed il giorno del
funerale, mia madre era in ospedale con un braccio rotto.
Accanto al portagioie ci sono varie cose, di molte avevo anche
dimenticato l’esistenza.
Un foulard di seta è ripiegato accuratamente. Lo prendo con due
dita e lo estraggo, lasciando che si dispieghi davanti ai miei occhi
e rivelando l’esplosione di quei colori che lei tanto amava.
Inspiro forte e mi sembra quasi di sentire il suo profumo. Lo
stesso odore che mi cullava e mi tranquillizzava, quando, stanco e
triste, mi rannicchiavo nel letto dopo una giornata di lavoro.
Premevo la stoffa sul viso e versavo lacrime di dolore, di
solitudine, di disperazione.
Adesso invece mi avvolge una tristezza infinita ed un senso di
vuoto.
Mi manchi mamma. Vorrei stringerti e sentirti ridere. Quelle
risate che concedevi solo a me, vedere il sorriso che solo io
riuscivo a strapparti. Ci pensi mamma? Avremmo potuto suonare insieme
e tu mi avresti preso le mani, dicendo quanto fossero belle e
perfette per un pianista.
Stringo la seta con rabbia. Vedo le nocche diventare bianche e
vorrei poter sfogare parte dell’odio che da anni mi porto dentro e
che mi sta logorando.
Ma lui non c’è. E, se da un lato è questa la cosa giusta,
dall’altro vorrei ritrovarmelo davanti e riversargli addosso tutto
l’odio che provo, tutto l’odio che, in questi anni, ho riversato
su me stesso. Vorrei vedere la sua faccia tumefatta e dolorante.
Vorrei che fossero sue, le labbra spaccate e sanguinanti che vedo
quando chiudo gli occhi, e non quelle di mia madre. Vorrei che
implorasse pietà. E poi vorrei non concedergliela.
Ma poi…
Poi penso a Bella. Penso al suo viso pulito, alla sua voce dolce,
i gesti spontanei e fiduciosi…
Sono un mostro! Probabilmente non troppo diverso da lui…
Lascio andare quel pezzo di stoffa e mi porto i palmi davanti agli
occhi. Le dita formicolano, probabilmente per il sangue che ha
ripreso a circolare. Ritorno alla scatola, al suo contenuto. Evito di
guardare le poche foto che contiene, non è questo il momento.
La mia attenzione è catturata da un piccolo quaderno dalla
copertina colorata. È voluminoso e ci sono tanti foglietti che
sporgono qua e là. Le pagine sono ingiallite e la superficie è
ruvida e impolverata.
Quando lo apro riconosco immediatamente la sua calligrafia. Aveva
una scrittura minuscola, lievemente inclinata a destra. Anche adesso
faccio fatica a decifrarla, probabilmente da bambino non ci avevo mai
fatto caso per questo. Le pagine sono ricoperte di macchie e schizzi
di ogni colore. Presto più attenzione al contenuto e nel momento in
cui capisco di che si tratta un’idea geniale fa capolino nella mia
testa.
Comincio a sfogliare il quaderno quasi freneticamente. Passo in
rassegna ogni titolo: Plumcake al latte, Pollo fritto croccante,
Ciambelle con glassa al cioccolato, Pancakes buoni buoni, Muffin
golosi, Pretzel soffici…
Eccola!
Torta di mele profumata.
Leggo gli ingredienti e sorrido alla vista della dicitura
“ingrediente segreto”, così come mi fa sorridere il modo in cui
intitolava le ricette, facendo seguire un aggettivo alle pietanze.
Ripongo tutti gli oggetti nella scatola, tranne il quaderno. Sto
sorridendo. Sorrido come un idiota. Ma non posso farne a meno. Penso
al viso di Bella, alla reazione che avrà, e sono felice.
Mettermi a dormire è fuori discussione in questo momento ma devo
tenermi impegnato per evitare di correre da Bella e di spaventarla a
morte, suonando a casa sua nel cuore della notte.
Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa da fare e l’occhio mi
cade sulla libreria.
Comporre, suonere e leggere…
Questi erano i miei tre desideri, le cose che avrei voluto fare.
Non sono riuscito in nessuna delle tre. Ho acquistato spartiti dei
compositori più famosi che giacciono inutilizzati accanto ad un
sintetizzatore nuovo di zecca, quaderni pentagrammati, rimasti
candidi come al momento dell’acquisto, e libri. Decine di libri
accumulati negli anni e mai aperti, ordinati negli scaffali per
genere, per autore o argomento, libri dalle pagine lisce e lucide o
ruvide e porose, dalle copertine colorate o grigie e serie.
Ne afferro uno a caso, piccolo, poco voluminoso: Sulla strada,
Jack Keruac. Lo giro e leggo la trama ad alta voce:
Dean e Sal si mettono in viaggio, animati da un’infinita
ansia di vita e di esperienza, sulle interminabili highways
dell’America e del Messico. Sulla strada ne registra le tappe, le
rivelazioni, gli incontri, regalandoci una storia di grande
autenticità artistica ed esistenziale. Romanzo dell’amicizia e
delle difficoltà dell’amore, della ricerca di sé, del desiderio
di appartenenza e dell’impossibilità a rinunciare al desiderio e
al bisogno di rivolta. Romanzo della coscienza dell’oscurità, del
silenzio insuperabile, dell’impossibilità della comunicazione, del
ritorno ossessivo a cui ogni partire sembra ricondurre.
Nonostante la lieve agitazione che si è fatta strada in me
leggendo parole così maledettamente vere, decido lo stesso di dargli
una possibilità. Mi sdraio sul letto ed accendo l’abat-jour. Salto
le varie introduzioni, vita dell’autore, opere e quant’altro e
comincio a leggere.
“Incontrai Dean per la prima volta dopo la separazione da mia
moglie”.
Chissà se piccola Swan si è svegliata e si è messa a letto.
Forse avrei dovuto portarcela io.
“Mi ero appena rimesso da una seria malattia della quale non
vale la pena di parlare…”
Idiota! Sarei potuto rimanere un po’ a guardarla. Era così
bella con le guance arrossate e le labbra dischiuse. Sarei potuto
rimanere tutta la notte.
“…se non perché aveva a che fare con quella separazione
avvilente e penosa e con la sensazione di morte che si era
impadronita di me”.
Chissà come sarebbe, dormire stretto nel suo abbraccio,
affondare il viso nell’incavo del collo, circondato dal profumo
delizioso dei suoi capelli.
“Con l’arrivo di Dean Moriarty cominciò quella parte della
mia vita…”
Oh, al diavolo!
Richiudo il libro e mi alzo. La sveglia sul comodino indica le
3:57. I miei occhi sono spalancati e la mente lucida come dopo un
sonno ristoratore.
Vado in cucina e apro il frigo. Se quello di Bella è rifornito e
ordinato, il mio piange miseria. Non ricordo nemmeno l’ultima volta
che sono andato a fare la spesa. Mangio al caffè e anche se si
tratta solo di uova e bacon, di un hamburger e dell’immancabile
torta di Bella, esco da lì sazio e soddisfatto.
Ma c’è una cosa che non manca mai…
-EJ, hai messo il pigiama?
-Sì , mamma. Arrivo!
-Lavati le mani.
-Uffa, mammaaa…me le sto lavando.
La sera era quasi un rito. Arrivata l’ora di andare a letto, io
mi andavo a mettere il pigiama e lei scaldava il latte al cioccolato.
Prendo il cartone dal frigo e verso il latte in un pentolino.
Potrei versarlo direttamente nella tazza e scaldarlo al microonde ma
mi piace ripetere i suoi gesti. Sarà stupido ma se non faccio così
mi sembra che non abbia lo stesso sapore. Accendo il fornello e vado
a lavarmi le mani, come se lei potesse vedermi e sgridarmi se non lo
facessi.
Sorseggio il latte lentamente, tenendo la tazza con entrambe la
mani e lasciando che il calore si diffonda piano, avvolgendomi in un
abbraccio rassicurante e familiare. Quando stacco il bordo dalle
labbra, sento nettamente lo sbaffo di cioccolato sotto il naso e,
come un bambino, mi pulisco col dorso della mano.
Anche Bella beve latte al cioccolato, anche a lei rimarrà
l’impronta sulle labbra, su quelle morbide, deliziose, invitanti
labbra. E chissà come sarebbe percorrerle col dito per poi
assaporare il gusto del cacao che si sposa con quello della sua
pelle. O meglio ancora, chissà come sarebbe accarezzarle con la
punta della lingua, sentirle schiudersi in un tacito invito ad
approfondire l’assaggio, o accoglierle tra le mie per divorarle,
succhiarle, mordicchiarle fino a renderle rosse e turgide come un
frutto maturo che solo io ho il privilegio di cogliere.
Vorresti…
Cazzo, sì che lo vorrei!
Mi alzo di scatto, rischiando quasi di far cadere la sedia, poggio
i palmi sul tavolo e me ne sto col capo chino per qualche minuto,
respirando profondamente, cercando di stemperare un po’ la tensione
che quest’immagine ha suscitato.
Eccitazione…forte…incontrollabile.
Mi rimetto dritto sistemandomi l’ingombro che ho tra le gambe
senza smettere di pensare a lei. Stasera, per un attimo, l’ho
stretta tra le braccia, l’ho cullata, l’ho consolata e anche lei
ha fatto lo stesso con me. Per un attimo, brevissimo, l’ho sentita
mia senza sensi di colpa, senza sentirmi indegno, senza la
sensazione di sporcarla con il mio tocco sudicio e corrotto.
Cosa hai sentito tu, Bella?
L’hai percepito quel senso di appartenenza? È come avere un
laccio, stretto attorno al cuore ed uno stesso laccio vorrei che ci
fosse attorno al tuo, io lo vedo…lo sento.
Se dovessi allontanarti da me, Bella, quel laccio si spezzerà,
dilaniandomi, di nuovo.
Ma quante volte può spezzarsi il cuore di una persona? Quante
volte un uomo può reggere un dolore così devastante. Non credo di
esserne in grado.
E se fossi io a farlo? Se fossi io a causarle tanto dolore?
Perché non ci riesco? Perché non riesco a stare lontano da
te?
È un fiore la mia piccola Bella, una rosa che timidamente è
sbocciata in un cespuglio di rovi, la sua bellezza è ammaliante, il
profumo è soave, tutto in lei mi invita a coglierla e la mia mano è
lì, protesa a compiere un gesto egoista che so già le farebbe del
male.
Sarebbe così facile recidere quel gambo.
E poi? Non ho un vaso per accoglierla, non ho acqua con cui
dissetarla, non ho luce per nutrirla e, presto, appassirebbe.
E mi maledico! Mi maledico per essere entrato in quel Caffè, mi
maledico per esserci ritornato, per averle rivelato chi fossi, per
aver continuato a vederla nonostante tutto.
Mi maledico per essere quello che sono, per non essere degno di
lei, per non essere degno di nessuno. Non posso andare avanti così.
Ma cosa devo fare? Che cazzo posso fare?! Ti rendi conto di tutti i
tuoi errori quando vedi quel fottutissimo muro davanti a te e senti
che le forze per scalarlo ti mancano. È così che mi sento, privo di
forze.
Nonostante ci sia un motivo per rialzarmi, nonostante io possa
avere uno scopo, nonostante io abbia la possibilità di cambiare se
solo volessi, se solo non mi sembrasse tutto così maledettamente
difficile. Cambiare vorrebbe dire spogliarsi della corazza che, con
gli anni, si è stratificata sul mio corpo, celando ogni minima parte
di me. Vorrebbe dire mostrarsi…a me stesso, agli altri…a
Bella. Vorrebbe dire verità. Ma potrebbe voler dire
fallimento, dolore…delusione…
Il suono del campanello mi fa trasalire. È notte fonda, non
aspetto nessuno ma, soprattutto, nessuno viene mai a trovarmi.
Che sia…no, non può essere…dormiva…non sa dove abito…
Mi fiondo letteralmente ad aprire la porta e non faccio nemmeno in
tempo a farlo che vengo travolto da lei. La spinta con cui mi
si è lanciata addosso mi ha sbilanciato al punto da ritrovarmi
schiacciato contro il muro, sento il suo corpo aderire al mio, le
mani che si intrcciano dietro la nuca, spingedomi in avanti, a far
aderire maggiormente le labbra alle sue, perché la sua bocca non mi
ha dato nemmeno il tempo di proferire parola, che si è attaccata
famelica alla mia.
Prima che con gli occhi, l’ho riconosciuta da quel senso di
oppressione che mi invade lo stomaco, l’ho riconosciuta dal rifiuto
del mio corpo e dal moto di nausea che il suo profumo, dolciastro e
così schifosamente artificiale, mi ha provocato.
Tanya…
I miei occhi spalancati vedono i suoi serrati e nient’altro.
Sento le labbra premere, le mani vagare ed io non riesco a muovere un
dito, non riesco ad allontanarla, non riesco a partecipare. Dopo
qualche secondo è lei che si stacca, è lei che comincia a parlare –
Edward, dove sei stato? – mi chiede circondandomi il volto con le
sue mani fredde e ossute. Non aspetta una risposta, lei nemmeno la
vuole una cazzo di risposta! Riprende a baciarmi, il viso, le labbra,
il collo. – Ti ho chiamato, un sacco di volte. Mi sono preoccupata,
ho pensato ti fosse successo qualcosa. Oh Edward…ho una voglia di
te che nemmeno immagini. In questi giorni non ho fatto altro che
pensare a te, al tuo corpo, alle tue mani su di me. Toccami Edward,
ti prego…
Ed eccole qui, tutte le risposte alle mie domande. Il mio passato,
il mio presente, il mio futuro, qui, davanti a me, a rammentarmi chi
sono…cosa sono!
Intreccio le dita ai suoi capelli, stringendo e strattonandole il
capo per riportare le labbra sulle mie. Le mordo quel tanto che basta
per sentire il sapore ferroso del sangue sulla lingua, la stessa
lingua che le ficco in bocca togliendole il respiro. Inverto le
posizioni, spingendo lei contro il muro ed addossandomi con tutto il
peso del mio corpo, spingendo il bacino contro la sua coscia avvolta
in un paio di costosissimi pantaloni di pelle nera. E quando sente la
mia erezione premere forte su di lei non riesce a trattenere un
lamento. Sussurra qualcosa, geme ma io non la sento…non mi importa,
le darò quello che vuole e poi dovrà scomparire da questa casa.
Le mie mani stringono senza riempirsi, afferrano senza riguardo,
toccano senza senza sentire davvero. Comincio a slacciare i bottoni
della sua camicia…il primo…il secondo…decisamente troppi!
Afferro i lembi e in un solo colpo la spalanco completamente
rivelando il petto che si alza e si abbassa frenetico. Probabilmente
lei mi dice qualcosa, probabilmente ha scambiato la mia rabbia, la
mia veemenza, per passione, probabilmente…anzi no, sicuramente
tutto questo le piace da impazzire.
Le stringo un seno con la mano, sento e vedo i polpastrelli
affondare nella carne. Per un attimo credo di aver esagerato, per un
attimo mi sento un vero bastardo a sfogare su di lei la mia
frustrazione. Mollo la presa ma è lei a portare la mano sulla mia
affinchè non mi allontani, è lei a stringere invitandomi a farle
sentire dolore, di nuovo.
È come se entrambi ci stessimo punendo per la vita che crediamo
ci sia stata imposta ma che in realtà abbiamo scelto, o comunque per
la vita che non facciamo nulla per cambiare.
Afferro un lembo del reggiseno e tiro verso il basso, talmente
forte che sento qualcosa lacerarsi. Il seno scoperto svetta verso
l’alto ed il capezzolo rosso e turgido mi invita ad accorglierlo
tra i denti, suscitando un altro gemito soffocato. Alzo lo sguardo e
vedo Tanya che si morde le labbra, gli occhi chiusi, il respiro
affannato. Poggio la guancia sul suo petto. È questo il cuore che
merito di sentire battere. Strusciandola ed arrossandole la pelle
per l’accenno di barba. È questa la pelle che sono degno di
toccare. Risalgo con le labbra, lasciando una scia di piccoli
morsi, fino a raggiungere la sua bocca che, immediatamente, si
schiude sulla mia. È questo il fiato che posso sentire sulla
faccia. La sua lingua comincia a delineare i contorni delle mie
labbra, lentamente, finché non la intrappolo tra i denti e la faccio
mia, perché è questo l’unico sapore che merito di sentire.
Sono eccitato. O meglio, è il mio corpo ad esserlo. Il respiro
corto è dovuto al senso di ansia e panico che non mi ha abbandonato
per un attimo da quando lei è entrata in casa mia. Vorrei urlare,
vorrei picchiare qualcuno, vorrei picchiare me stesso. Ma non posso.
E se è questo l’unico modo che ho per sfogarmi, adesso, va bene
così.
È come se in questo momento qualcuno mi stesse sbattendo la
verità in faccia, nuda, cruda, spietata, ed io non posso voltarmi,
non posso ignorarala. E fa talmente male che dalla gola il magone
sale dritto negli occhi, che cominciano a pizzicare pericolosamente.
Cazzo! Non adesso, non davanti a lei.
Le afferro le spalle e la volto di scatto. Le stringo la vita e
comincio a strusciare il bacino contro i suoi glutei. Con le dita le
slaccio i pantaloni ed infilo una mano negli slip.
- Cazzo, Tanya! Sei un lago – non riesco a fare a meno di dire,
mentre comincio a torturala lentamente.
- Aaah…Edward…sì…
- Mi vuoi eh? Dimmelo che mi vuoi – le ordino. E con l’altra
mano le abbasso i pantaloni, scoprendo piano la pelle delle natiche
che ha perso la sfumatura dorata ed è tornata ad essere bianco
latte.
- Sì! Ti voglio…nemmeno immagini quanto…aaah…
- Non ho sentito – sibilo al suo orecchio. Le dita giocano
frenetiche in mezzo alle gambe, le ginocchia si piegano, il respiro
diventa corto ed i gemiti più frequenti.
- S-sì Edward…io..aaah…io…ti…oh cazzo sì…ti voglio, ti
voglio!
Con un gesto deciso abbasso di più quei maledetti pantaloni fino
alle caviglie, abbasso i miei quel tanto che basta e con una spinta
decisa entro dentro di lei.
- Aaaaaaaah!!!
Ok, questo lo hanno sentito anche i vicini.
Continuo a spingere. Ad ogni spinta un urlo più forte dalla sua
bocca. Ad ogni spinta un’imprecazione nella mia testa.
- Sì…così…dai…
Ti odio Tanya. Odio te e tutte quelle come te.
- Ancora…ancora…
Ti odio. Ti detesto perché sono uguale a te.
- Sto venendo Edward…sto venendo…
Ti odio. Perché mi mostri chi sia realmente.
- Sì…aah…vengo…
Ti odio. Perché sei la mia disillusione.
- Aaaaah.
Mi odio. E nonostante tutto esiste una persona che mi vuole
bene…
Appena lei raggiunge l’orgasmo mi blocco e mi allontano
rialzandomi i pantaloni.
- Ma Edward! Tu non…
- Vattene Tanya.
- Cos…ma…che dici…dai, vieni qui…ora tocca a t…
-Ti ho detto sparisci! – le urlo senza nemmeno guardarla in
faccia. Me ne sto immobile, l’eccitazione ancora evidente, i pugni
stretti, le lacrime che spingono per uscire. Sento il sangue
ribollire…è come se stesse scorrendo veleno adesso nelle mie vene.
- Io non capisco Edward ma va bene così, quando ti passerà ci
risentiremo – dice calma aprendo la borsetta ed estraendo
l’assegno, il solito assegno. Lo poggia sulla mensola, accanto alla
chiave della sua macchina.
Questo è troppo…
Con uno scatto quasi animalesco, accecato dalla furia, afferro
l’assegno, afferro la chiave, sento la carta accartocciarsi ed il
metallo bruciare nel mio palmo. Le prendo una mano, scansando i suoi
occhi che mi guardano sbigottiti, le sbatto entrambe sulle sue dita,
stringendole per farle richiudere il pugno.
- Non li voglio i tuoi schifosissimi soldi. Non voglio la tua
fottuta macchina. Non voglio un cazzo da te! E ora sparisci! Lasciami
in pace..vattene!
E allora la guardo e, solo adesso, la vedo. Il viso è
pallido e sembra più magro dell’ultima volta. Il trucco non riesce
a coprire le profonde ombre violacee che le circondano gli
occhi. Il rossetto è sbavato ed un alone rosso le ricopre labbra e
guance. Sono sicuro di avere anch’io in faccia la stessa identica
sfumatura. Gli occhi lucidi mi guardano, mi accusano, mi odiano.
Benvenuta nel club!
- Come…come ti permetti eh? Chi ti credi di essere per trattarmi
in questo modo! – dice con voce tremula, come se stesse per
piangere.
- Mmpf – sbuffo e non posso fare a meno di mostrarle un ghigno.
- Eccola qui la signora Sleech! Viziata e capricciosa…che
mette il broncio perché ha perso il suo giocattolino – mi
avvicino, senza staccarle gli occhi dalla faccia, facendola arretrare
e schiacciandola alla porta – che altro vuoi da me?Non ti sei già
preso abbastanza?
- Ma…ma Edward, cosa dici? Io non capisco. Se è per i
soldi, posso dartene di p…
- Cazzo Tanya, smettila! Chiudi quella fottuta bocca! Non si
tratta di soldi. Non tutto si può comprare, non tutto è in vendita.
Ma le mie parole hanno solo il potere di farle indossare la sua
solita maschera di sdegno e superiorità. Immediatamente si ridà un
tono, raddrizza le spalle e mi guarda con gli occhi pieni d’ira.
- Sì che lo è Masen! E tu lo sai. Lo sai benissimo! Credi che
rifiutandomi, che allontanandomi, potrai allontanarti da te stesso?
Sei tu il tuo peggiore incubo e lo sarai sempre!
- Smettila Tanya – ribadisco oramai stremato – ce ne sono
tanti come me, devi solo trovare un altro passatempo.
- Oh, certo! Ce ne sono tanti come te, tantissimi. Il punto è che
non ce ne sono tante come me! Cos’è? Hai avuto
l’illuminazione? Ti si sono rivelate le grandi verità della vita?
Non si torna indietro…non si può! L’anima è una, Edward, e
quando è lacerata, infangata, corrotta…beh, non c’è niente che
tu possa fare.
Inspiro profondamente, non so dove trovo la forza per non
prenderla di peso e scaraventarla fuori. Stringo i pugni, le mani
oramai formicolano.
- Tu.Non.Sai.Niente.Della.Mia.Anima! – ringhio a bassa voce.
- Ahahahah! Che ingenuo – dice dandomi le spalle e aprendo la
porta – bene Masen, hai fatto la tua scelta, sii pronto a pagarne
le conseguenze!
Se ne va. Lo capisco dalla porta che sbatte, dal rumore dei tacchi
che si allontanano, dall’aria che improvvisamente diventa più
respirabile e dal peso che si alleggerisce nel petto. Appoggio le
spalle al muro e mi lascio scivolare, lentamente, per terra. E
lentamente le lacrime cominciano a scendere.
Chiudo gli occhi e mi
appaiono nitidi il viso di mia madre, il viso di Bella…
- Perché? PERCHÉ?! DANNAZIONE!
______________________________________________________________________________________
A tratti ho avuto quasi la certezza che la parte finale fosse un po' eccessiva, spero non sia così.
Grazie a tutti.
Miki.
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Capitolo 8 *** Scent Of Women ***
Ottavo Capitolo
Buongiorno
a tutti. Mi scuso per il TERRIBILE ritardo ma, stavolta, sono state
cause di forza maggiore ad impedirmi di scrivere e poi di postare. Sono
contenta però, sì, per ogni numero in più che vedo
nelle letture ai capitoli o nell'inserimento della storia tra seguite,
preferite e ricordate, per me sono traguardi non indifferenti. Sono
contenta perché ci sono persone che mi contattano in
privato e con cui, adesso, mi sento regolarmente, anche solo per un
saluto e un "come stai".
Non ho FB, è un social network che non mi piace, anche se spesso
è utile per comunicare con le persone che seguono le storie ecc.
In compenso, se a qualcuno dovesse interessare, sono su Twitter sotto
il nick Imaginary82, non vi prometto perle di saggezza o spoiler
entusiasmanti, ma quattro chiacchiere in allegria ed un buongiorno
sincero. Se ci fosse qualcuno interessato a "seguirmi" (sta cosa mi sa
di megalomane...vabbè) specificate il nick di efp.
Un'ultima cosa...un IN BOCCA AL LUPO SPECIALE ad Ari, prima prova da
maturanda oggi, un abbraccio. Eccovi il capitolo. E' pessimo, vi
avverto -_-"
Ottavo Capitolo
SCENT OF WOMEN
Jane
sedeva sempre allo stesso tavolo. Era una di quelle donne con il viso da
bambina, quelle a cui daresti sempre vent’anni. In effetti non ho mai
saputo quanti ne avesse e adesso non m’importa più. Grandi occhiali
nascondevano buona parte del suo viso, ma dalle lenti piuttosto chiare
potevo scorgere grandi occhi che mi fissavano insistentemente.
Passavo
le mie giornate tra rottami, motori, ricoperto di polvere e di grasso,
spesso costretto anche a saltare la scuola o le lezioni di piano da
Esme…le uniche ore da ragazzo normale. Il primo pomeriggio era l’unico
momento in cui potevo allontanarmi dal deposito, quando Jack russava
rumorosamente sulla sua poltrona. Non mi allontanavo troppo, anzi, la
mia meta era sempre la stessa: un piccolo bar semivuoto in cui me ne
potevo stare indisturbato a sorseggiare solo caffè, senza che nessuno mi
facesse delle storie. Ascoltavo la musica che una vecchia radio faceva
risuonare e, qualche volta, se avevo ottenuto un po’ di mance, mi
concedevo un milkshake al cioccolato.
Solo dopo un po’ di giorni che
frequentavo quel posto mi accorsi della presenza di Jane, stupendomi non
poco di non averlo fatto prima: lei era assolutamente fuoriluogo lì.
All’inizio, il fatto che mi guardasse con insistenza mi metteva a
disagio, facendomi vergognare del mio aspetto, degli sbaffi di grasso
sulle guance, le unghie sporche, la tuta macchiata e rattoppata in più
punti. Tutto di me cozzava con lei, con la sua pelle dorata, i capelli
lucenti, le mani curate, eppure ogni giorno i nostri occhi si
incontravano, si sorridevano, si parlavano, o almeno così mi sembrava.
Nella mia ingenuità e inesperienza, non avevo sentito lo scontrarsi di
due lingue completamente diverse.
In quel periodo, lavorare, saltare
la scuola, rinunciare ad un pomeriggio al negozio di Esme, non erano
cose che mi pesavano troppo. Le mattinate passavano più velocemente al
pensiero che l’avrei rivista. Finito di lavorare, mi fiondavo in bagno,
mi lavavo accuratamente le mani, le unghie, il viso e cercavo di
pettinarmi i capelli, utilizzando un po’ della brillantina di zio Jack,
poca, pochissima, in modo che non se ne accorgesse.
Quanto può essere idiota un adolescente alla sua prima cotta?
Tanto!
Pensavo
a Jane giorno e notte, immaginavo di parlarle, di tenerle la mano.
Spesso ho anche immaginato a come potesse essere nuda: sicuramente
diversa dalle donne prorompenti che spuntavano dai calendari che
tappezzavano le mura dell’officina, erano sfacciate, mi incutevano quasi
timore. Ma forse questo accadeva solo perché non ero mai stato a letto
con nessuna.
Ebbene sì, io, Edward Masen, a 17 anni, quasi 18, ero ancora vergine!
Nel
bagno della scuola sentivo i discorsi dei miei compagni, il loro
vantarsi delle lunghe ed acrobatiche performances che, probabilmente,
avrebbero fatto invidia anche ad un attore di film porno. Di certo
facevano invidia a me e si facevano beffa dei miei brevi e solitari
attimi di piacere soffocato tra le lenzuola. Sicuramente avrei fatto una
figura pessima se solo fosse arrivato il momento. Non che me ne
preoccupassi, non c’era nessuna ragazza che dimostrasse quel tipo di
interesse per me.
Non prima di Jane…
Dopo cinque giorni sentii la
sua voce per la prima volta. Si alzò dal suo solito posto, si avvicinò
al bancone ed aprì una piccola borsa estraendo una banconota da 10$ per
poi porgerla al proprietario.
- Un milkshake al cioccolato - disse
senza staccare gli occhi da me - offro io.- Mi fece l’occhiolino e,
sorridendo, lasciò il locale.
Ero talmente emozionato, talmente
felice, che quella bevanda mi sembrò la cosa più dolce e deliziosa che
avessi mai assaporato. Avrei dovuto sentire già allora il retrogusto
amaro del fango in cui mi sarei immerso.
Il giorno dopo arrivai io
per primo e mi andai a sedere al suo tavolo, sperando che la cosa non la
infastidisse. Con mio grande stupore, al suo arrivo, non fu affatto
sorpresa di trovarmi lì, anzi, sul suo volto comparve un’espressione di
trionfo, che ingenuamente scambiai per semplice felicità
Fu la prima e
l’unica a cui raccontai interamente la mia storia, l’unica a vedere
quante lacrime avessi ancora da versare, quanta rabbia ci fosse dentro
di me, e insoddisfazione. Le parlai anche della musica, di mia madre, di
come mi rendesse felice sfiorare i tasti di un pianoforte. Lei invece
non mi raccontò molto della sua vita. Mi accennò del lavoro, che
detestava, nell’azienda di famiglia, dell’ingombrante presenza di suo
fratello gemello, Alec, e della storia finita da poco con Demitri, un
collaboratore di suo padre.
La cosa che mi colpiva ogni volta che
parlavamo era che nessun turbamento attraversasse il suo volto, non un
segno di dispiacere, di rabbia, di dolore, niente. Sorrideva, rideva ed a
volte sembrava dispiacersi, ma ogni emozione rimaneva statica sulla
forma delle sue labbra, non arrivava agli occhi, non arrivava alle
guance. L’unica cosa che non riusciva a nascondere era nel suo sguardo:
me lo sentivo bruciare addosso, penetrare dentro, ed ero talmente
disarmato, incapace di proteggermi da esso.
Uno sguardo capace di distruggere…ed infatti mi distrusse.
Un
giorno mi chiese se avessi voluto vedere il suo pianoforte. Al solo
pensiero fremetti di impazienza. Non ci fu bisogno nemmeno di
rispondere. Mi diede appuntamento al pomeriggio successivo, poco
distante dal bar, e passò a prendermi con la sua macchina. Avevo preso
l’abitudine di farmi la doccia, prima dei nostri “appuntamenti”.
Sfregavo la pelle in maniera così energica, le braccia, il collo, il
viso, che alla fine era tutta arrossata. Sapendo che sarei andato a casa
sua, ci misi più impegno del solito, indossai il mio paio di jeans
migliore ed una camicia pulita. Quando mi guardai allo specchio fui
quasi soddisfatto del risultato. Ero agitato, nervoso, spaventato, ma
allo stesso tempo euforico.
Lungo il tragitto non dissi una parola.
Anche Jane rimase muta, limitandosi a lanciarmi qualche occhiata
maliziosa di tanto in tanto.
La casa era avvolta nella penombra, ma
potevo ugualmente vedere come ogni cosa mostrasse ricchezza, ostentasse
sfarzo. Il pavimento di marmo scuro era talmente lucido che, camminando a
testa bassa, potevo vedere distintamente l’angoscia che mi si era
impressa sulla faccia.
Nonostante non fosse molto alta ed avesse una
corporatura fin troppo minuta, guardandola avanzare a pochi passi da me,
Jane mi sembrava così…distante, e imponente, le spalle dritte, le mani
che ondeggiavano lungo i fianchi, il passo sicuro. E poi la seguivo
io…curvo, impacciato, i passi incerti e le mani che si torturavano tra
loro. Un ragazzino! Che diavolo ci facevo lì?
Alla fine del lungo
corridoio ci trovammo di fronte ad una porta che Jane spalancò senza
esitazione. Si era voltata verso di me, per la prima volta da quando
eravamo entrati in casa, e guardandomi mi aveva fatto cenno di entrare.
La
stanza era enorme e luminosa, al punto che dovetti stringere gli occhi
per riuscire a mettere a fuoco qualcosa, dopo che si erano abituati alla
semioscurità che avvolgeva la casa. La lieve agitazione divenne quasi
panico quando mi accorsi del grande letto a baldacchino che troneggiava
al centro della stanza.
Deglutii rumorosamente quando si avvicinò a me e si sollevò sulle punte.
- C’è tempo per quello! - sussurrò al mio orecchio, sfiorandomi il collo con la punta delle dita.
Nell’angolo
opposto, sotto una grande finestra, c’era un pianoforte a coda, dalla
superficie nera e lucida, su cui era posato un vaso di cristallo che
conteneva un mazzo di fiori bianchi. Gigli, avrei scoperto dopo,
Casablanca: i fiori preferiti di Jane.
Più
mi avvicinavo più il loro odore si faceva forte, intenso. Era un odore
che non mi piaceva, forse troppo sofisticato perché ne potessi
apprezzare la bellezza. A casa mia, sul vecchio pianoforte a muro, mia
madre metteva un piccolo vaso con i fiori che crescevano spontaneamente
al limitare del giardino e che arricchivano la casa con il loro profumo
fresco e delicato.
- Beh, non ti avvicini? - mi chiese indicando lo
strumento. Raggiunsi lentamente lo sgabello, sfiorando il copritasti e
ritirando la mano subito dopo, con la paura di poter lasciare l’impronta
delle mie dita sul legno pregiato.
- Fammi sentire qualcosa.
Quasi
trasalii quando sentii di nuovo la sua voce. Si poggiò al bordo del
piano. Guardai il profilo della sua schiena, la curva dei glutei, appena
accennata, che si interrompeva laddove il suo corpo veniva a contatto
col bordo dello strumento. Ingoiai, di nuovo, e distolsi lo sguardo.
Sollevai il coperchio e tolsi la stola di velluto scarlatto che
ricopriva i tasti. Sentivo il cuore martellare nel petto e le dita
tremanti. Provai a concentrarmi, a ricordare le parole di Esme: “Quando
sei davanti al pianoforte, Edward, ci sei tu e c’è lui. Nessun altro.”
In quel momento non era affatto così, dannazione!
C’era
lei vicino a me, e mi guardava con gli occhi socchiusi. Le braccia
incrociate al petto mettevano in evidenza le forme del suo piccolo seno,
normalmente appena accennate. C’ero io, con un assurdo rigonfiamento
tra le gambe che non faceva che mettere in evidenza quanto fossi uno
stupido, inesperto ed incapace ragazzino! E poi quel maledetto odore…che
mi entrava prepotente nelle narici e che sembrava quasi stordirmi.
Improvvisamente
si mise dritta, sciogliendo le braccia e avvicinandosi a me. Era
piccola e, seduto, mi ritrovavo col viso all’altezza del suo petto, che
si alzava e si abbassava velocemente, rivelando una certa agitazione
anche in lei.
Strabuzzai gli occhi quando cominciò a liberare i
piccoli bottoni di madreperla dalle asole e quando notai un
impercettibile tremolio delle sue dita mi feci coraggio e portai le mie
mani sulle sue per continuare. I miei movimenti non avevano nulla di
sicuro e determinato, anzi, mostravano tutta la mia agitazione e
probabilmente anche quella che era diventata impazienza. Niente a che
vedere con quella che sembrava esitazione e paura e che leggevo
chiaramente sul suo viso.
Arrivai all’ultimo bottone dopo un tempo
che sembrò interminabile, spalancai i bordi della camicia trovandomi di
fronte al tessuto liscio e lucido di un body color carne. Appoggiai i
palmi sulla vita facendoli scorrere verso l’alto, mentre Jane portava le
mani dietro la schiena per far scendere la lampo e liberarsi della
gonna che, in un attimo, fu ai suoi piedi.
Risalii fino alle bretelle
sottili, le feci scorrere tra le dita e comincia ad abbassarle. Volevo
vederla. Volevo vedere se, nuda, fosse bella e perfetta così come
l’avevo immaginata. Ma arrivato alle spalle Jane si irrigidì
improvvisamente bloccandomi le mani. Le scostai subito da lei, nel
timore di aver esagerato, di aver osato troppo. Con la paura che lei si
fosse improvvisamente accorta chi avesse davanti. Con la paura di veder
comparire sul suo viso una smorfia di disgusto.
Ciò che vidi fu
un’espressione accigliata e le labbra serrate e ciò non fece che
confondermi ancora di più. Le risposte ai miei dubbi arrivarono subito
dopo, quando, sollevando una mano, Jane abbassò da sola la bretella
destra, scoprendosi il seno.
Come un idiota, ipnotizzato dalla dolce
curva che mi si presentava davanti, sollevai la mano poggiandovi sopra
l’indice e premetti piano per vedere se quella distesa di pelle fosse
davvero così soffice come sembrava.
E lo era. Anche di più.
Continuai
seguendo il contorno del seno col dito, alternando la punta al dorso.
Vedevo la pelle rabbrividire al mio tocco, non poteva essere per il
freddo, la sua pelle era calda e la mia credo fosse incandescente.
Probabilmente le piaceva, così mi sembrava. Con questa consapevolezza
continuai ad accarezzarla piano ma con maggiore sicurezza. Mi alzai in
piedi senza staccare la mano dal suo corpo e appoggiai le labbra sulla
sua spalla, premendo ed inspirando forte il suo profumo. Rimasi così,
immobile, mentre con le dita cominciai a stuzzicarle il capezzolo
scoperto e ormai turgido. Seguii il contorno della stoffa, abbassata e
arricciata alla base del seno, fino ad arrivare al bordo della coppa che
ancora celava l’altro. Feci per scoprirlo e di nuovo lei mi fermò
bruscamente, senza scansarsi stavolta.
- No, Edward! - disse con quello che mi sembrava un tono disperato.
- Jane…ma…io…scusami, io volevo solo guardarti - le risposi impacciato.
- No, tu non vuoi realmente vedere che c’è qui sotto.
Un
singhiozzo soffocato uscì dalla sua bocca e non potei fare a meno di
abbracciarla e continuare a posare piccoli baci sul collo e sulla
spalla.
- Io vorrei vedere tutto…di te - le sussurrai all’orecchio, e
la mano, che fino a quel momento non si era staccata da lei nemmeno per
un attimo, cominciò a scendere, trascinando con sé la stoffa.
Le
impedii di protestare catturandole il labbro inferiore, arricciato e
tremante, cominciai a leccarlo dolcemente, a seguire i contorni della
sua bocca con la lingua, alternando piccoli baci a leggeri morsi. Piano
piano, finalmente, le sue labbra si distesero e si schiusero lasciandomi
libero accesso. Continuai a baciarla, portando le mani dietro la sua
schiena e spingendola verso di me. Il suo corpo aderì al mio ed io
sentii distintamente le punte dei suoi seni premere sul mio petto,
nonostante avessi ancora la camicia. Il bacio si fece da incerto sempre
più approfondito. Jane portò le mani sulla mia nuca e poi risalì
intrecciando le dita ai capelli. Piegò la testa da un lato e indietro
per permettermi un più facile accesso alla sua bocca. Presi ad
esplorarla attentamente, accarezzandole il palato con la lingua,
seguendo il bordo di quei denti bianchi e perfetti, e poi di nuovo sulle
labbra, morbide, dolci, e poi il mento, le guance, le tempie.
Quando
finalmente sentii la sua tensione sciogliersi ed il corpo ammorbidirsi
tra le mie braccia, feci un passo indietro, scivolando con le mani sulle
sue braccia ed intrecciandole alle sue. Jane voltò di scatto il viso e
strinse gli occhi.
Finalmente riuscii a vederla, riuscii a guardarla,
nuda, o quasi, ed era certamente ancora più splendida di come l’avevo
immaginata. - Sei bellissima - non pei fare a meno di esclamare. E lo
pensavo davvero. Pensavo davvero che fosse una visione. Lo pensavo
nonostante il lato sinistro del suo petto, dell’addome e dei fianchi,
non fosse ricoperto dalla stessa distesa liscia e soffice di pelle che
avevo potuto assaporare dall’altro lato. Era bellissima, per me,
nonostante l’estesa cicatrice rossastra che le ricopriva interamente il
seno e scendeva giù, inesorabile, fino alla coscia.
Non mi aveva mai
raccontato dell’incidente d’auto, prima. Non mi aveva mai parlato del
litigio con Demitri, della corsa folle, la rabbia, le urla…e poi lo
schianto, l’esplosione e le fiamme. E poi il suo corpo orribilmente
marchiato e quel rifiuto negli occhi e nel corpo di lui, che bruciavano
ancora più intensamente delle fiamme.
Ed io non potevo che chiedermi
come avesse fatto lui a rifiutare quel corpo che non potevo fare a meno
di sfiorare, con dita incerte, nell’ingenuo timore che potesse farle
ancora male. Non avevo capito che nessuno avrebbe più potuto farlo. Jane
non lo avrebbe permesso. Nell’istante in cui mi permise di avere
accesso alla sua vita, non mi accorsi che in realtà mi aveva sbattuto
fuori e, nell’illusione di poter essere il fortunato che avrebbe potuto
farla sentire di nuovo viva, umana, non realizzai che in realtà Jane di
umano non aveva più niente. In realtà, dopo l’incidente, lei era morta
dentro.
Continuavo a seguire l’intricata rete di striature, fino a
risalire sul seno per poi accarezzarlo con ardore anche maggiore
rispetto a prima. Non sapevo nemmeno da dove riuscissi a prendere tanta
sicurezza, da dove uscissero quei gesti sconosciuti che eseguivo come se
non avessi mai fatto altro. Le mie dita esploravano il suo corpo
cercando e riuscendo a scovare ogni punto sensibile, e lo capivo dai
gemiti e dai sospiri che prepotenti sfuggivano alle sue labbra, ancora
serrate.
La presi per mano conducendola verso quel punto della stanza
che tanto mi aveva angosciato poco prima, desideroso di dimostrarle
tutto l’amore che provavo per lei. Continuavo a guardarla negli occhi,
senza smettere di toccarla, lasciai che lentamente mi sbottonasse la
camicia, che sfilai facendola cadere sul pavimento, e poi i pantaloni,
che le sue mani cercavano con impazienza di portare giù assieme alla
biancheria.
Ero sicuro che non avrei mai scordato la sensazione che
mi esplose dentro quando finalmente sentii il mio corpo nudo su quello
di Jane, un calore inaspettato, che si tramutò in imbarazzo, vergogna e
mortificazione, quando l’unica cosa che riuscii a trattenere fu il
gemito che avrebbe dovuto accompagnare il raggiungimento del culmine del
mio piacere.
Scivolai lateralmente, affondando la faccia nel
materasso, terrorizzato anche solo all’idea di voltarmi verso di lei e
leggere sul suo viso scherno e derisione o, peggio, disgusto. Un
ragazzino incapace, ecco quello che era. E ne ebbi la dimostrazione.
-
Hey…guardami - disse Jane posandomi una mano sulla schiena. Voltai
lentamente il viso e sul suo trovai un’espressione distesa, tranquilla.
- È la tua prima volta, vero?
-
N…no…NO! - negai con fin troppo fervore - io…scusami. Non mi è mai
successo prima - continuai sollevandomi e mettendomi a sedere di fronte a
lei - ho rovinato tutto - ammisi mortificato.
- Non si direbbe - rispose lanciando un’occhiata in mezzo alle mie gambe.
Abbassai lo sguardo automaticamente e mi sfuggì un
“oh” di stupore quando vidi che la mia eccitazione era
già di nuovo evidente.
Ed
il secondo “oh” che esclamai, più forte, roco e prolungato, scaturì
dalla visione della testa bionda di Jane che ondeggiava tra le mie
gambe, con le mani artigliate ai fianchi ed i capelli che mi
solleticavano la pelle. Se la sensazione avvertita poco prima mi
sembrava intensa ed irripetibile era solo perché non sapevo, non avevo
la minima idea di cosa si provasse ad essere avvolti dalle calde e
morbide labbra di una donna. Ciò che stava accadendo davanti ai miei
occhi, aveva dell’incredibile. Non fosse che ogni tanto avvertivo le
lievi fitte di dolore provocate dai suoi denti sulla pelle
sensibilissima del mio membro, avrei creduto fosse un sogno.
Se non
avessi appena avuto un orgasmo, non sarei durato più di tre minuti.
Così,forse, sarei arrivato a cinque! Probabilmente Jane se ne
accorse…sollevò il capo per risalire con una scia di baci caldi e umidi
sulla mia pancia, sul petto, sul collo, lungo la mandibola. Portò le
ginocchia attorno ai miei fianchi, facendo ondeggiare il bacino e
sfregando la sua intimità contro la mia. Ciò che mi sfuggì fu più simile
ad un ringhio che ad un gemito. Dopo quel contatto appena accennato,
non potei fare a meno di afferrarle le cosce e sollevare i fianchi per
approfondirlo, un contatto che mi aveva fatto perdere la cognizione del
tempo e dello spazio.
Non fui io ad entrare in lei, fu lei ad
abbassarsi su di me e ad avvolgermi completamente. Sentii d’un tratto
una sensazione di calore inarrestabile, che dai lombi si diffondeva
rapidamente al resto del corpo, intorpidendomi non solo le membra ma
anche la mente. Avrei voluto stringerla in quel momento, avrei voluto
sentire i nostri corpi a contatto, pelle contro pelle, mentre i bacini
ondeggiavano al ritmo dei nostri cuori. Ma lei rimase lì, dritta su di
me, lo sguardo perso nel vuoto, il mio perso in lei.
Mentre il
piacere continuava a montare dentro, presi a chiamare il suo nome con la
voce scossa dai tremiti che percorrevano il mio corpo. Poggiò le mani
sulle mie spalle, portando il busto in avanti, facendomi affondare
ancora più in profondità.
- Jane! - urlai all’ennesima spinta. Era
tutto così forte, così intenso…ed io l’amavo. - Jane…Dio…sì! -. Le
spinte si fecero più veloci, i suoi gemiti più forti, solo quelli dalle
sue labbra. Avrei voluto sentirle gridare il mio nome, come io stavo
urlando il suo. Le afferrai i gomiti facendole perdere la presa sulle
mie spalle ed il suo petto si scontrò con il mio nell’attimo esatto in
cui esplosi dentro di lei.
“Ti amo…ti amo..Jane!”
“Sì…oh sì Demitri…ti amo anche io!”
Sono
ormai quattro giorni che me ne sto qui. Continuo a rievocare quel
pomeriggio come se già non mi perseguitasse abbastanza, e lo faccio
cercando di riportare alla mente il maggior numero di dettagli. Non so
perché. Non so se lo stia facendo per punirmi oppure per trovare
qualcosa, anche solo un piccolo dettaglio, che mi possa giustificare.
Probabilmente ciò che provavo per Jane era solo una stupida cotta da
ragazzino, probabilmente si sarebbe affievolita e spenta in pochi
giorni, settimane magari. Ci sarei stato male. Avrei pianto. Poi, mi
sarei svegliato un giorno per accorgermi che mi era passata. E invece
non c’è giorno che io non mi svegli con lo stesso pensiero, non c’è
giorno in cui non maledico l’attimo esatto in cui i suoi occhi hanno
incrociato i miei e mi hanno distrutto.
Ci
rivestimmo in silenzio, lei probabilmente imbarazzata, io che
trattenevo a stento le lacrime. L’atmosfera si era fatta insostenibile,
almeno per me. Non vedevo l’ora di uscire da lì e respirare un po’ di
aria fresca.
- Vuoi…vuoi bere qualcosa? Faccio portare un caffè? -.
Il modo in cui la guardai le diede una chiara idea della risposta.
Abbassò lo sguardo sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-
Voglio andare a casa - dissi con un tono che sarebbe dovuto essere
duro, accusatorio, e che invece risultò patetico e infantile.
- Sì, certo, andiamo, ti accompagno.
-
No! Non ce n’è bisogno. Vado a piedi - risposi girandomi per varcare
finalmente la porta di quella maledetta stanza. Feci appena in tempo ad
abbassare la maniglia – Aspetta - disse avvicinandosi e porgendomi una
busta - grazie Edward. A domani
A sentirle pronunciare, finalmente,
il mio nome, non potei non sussultare. Presi la busta, ansioso di
leggere ciò che conteneva nella speranza di trovarvi parole in grado di
farmi capire il perché di tutto quanto.
Mi alzo dal letto
non senza difficoltà. Non so nemmeno da quanto tempo me ne sto
stravaccato qui sopra. Mi volto verso il materasso, convinto quasi di
trovarvi impressa l’impronta del mio corpo. Mi dirigo verso il comò
guardando nello specchio lo spettro di me stesso: le occhiaie, la barba
incolta, le labbra secche e screpolate. Poggio i gomiti sulla superficie
impolverata e mi stropiccio la faccia con le mani. Apro
il primo cassetto e, proprio lì, basta scostare di poco la biancheria,
c’è una busta ormai ingiallita con ancora dentro il prezzo della mia
innocenza, un conto che la vita mi sta presentando con gli interessi! Le
banconote mi bruciano in mano oggi come allora. Le ho conservate per
ricordarmi chi ero prima di lei e cosa sono diventato dopo. Ricordo
ancora le lacrime che versai lungo la strada del ritorno, gli occhi
bassi, la busta stretta in una mano, senza nemmeno capire realmente il
significato del gesto di Jane. La giustificai in ogni modo, credendo che
mi volesse aiutare, confidando nel suo amore.
Il giorno dopo tornai
al bar. La trovai seduta al solito posto, ad aspettarmi. Quando mi vide
sorrise ed io mi convinsi che mi andava bene così, che avrei fatto
qualsiasi cosa per quel sorriso. Ci vedevamo ogni giorno, non parlavamo
più molto, salivamo in macchina ed andavamo a casa sua. Non ho mai
incrociato nessun altro lì.
Nelle prime ore del pomeriggio, con la
luce del sole che dalle finestre s’infrangeva nelle volute bianche e
luminose delle lenzula di seta, Jane m’insegnò ad amare una donna, a
toccare il suo corpo, sfiorarlo o stringerlo. Accompagnava le mie mani
in punti che da solo non avrei mai raggiunto, insegnò alla mia bocca a
dare e prendere piacere. Imparai a chiedere, a pretendere, ad ordinare.
In quei momenti non pensavo a nient’altro che non fosse lei, noi, che comunque ci ritrovavamo lì stretti l’una nell’altro.
Non ha mai più nominato Demetri ma non ha mai, nemmeno una volta, sussurrato il mio nome, durante. Se dovessi raccontare come, da Jane, sono arrivato a tutte le altre, non saprei nemmeno farlo. Ricordo solo Kate…
Aspettavo
già da un po’ l’arrivo di Jane, non era mai in ritardo ed io non ero in
anticipo, non stavolta. Quando la porta si aprì, entrò una ragazza
bionda che si guardò intorno e sorrise imbarazzata non appena mi vide.
Era notevolmente più alta di Jane, i capelli più lunghi e leggermente
mossi, il fisico più statuario e le forme prorompenti. Quando capii che
era proprio me che cercava deglutii a vuoto ma cercai di non darle a
vedere il mio imbarazzo.
-Tu sei Edward?
- Sì, sono io.
- Io sono Kate. Sono un’amica di Jane.
- Le è successo per caso qualcosa? – chiesi allarmato.
Lei si sedette scuotendo la testa. Non mi guardava negli occhi, non sollevava nemmeno lo sguardo.
- Jane mi ha detto di dirti…Jane…mi ha detto che…insomma…domani! Vi vedrete domani.
- Ah, ok. Grazie Kate, grazie per essere venuta fin qui solo per dirmi questo.
Feci per andarmene ma lei mi afferrò la mano.
- Aspetta! Io…lei mi ha mandato qui…lei mi ha parlato
di…te…io…ho bisogno di un favore…
Da
allora è stata solo una Jane diversa. Non mi importava più, non mi
importava di niente. Il mio obiettivo era diventato solo quello di
accumulare quel che mi sarebbe bastato per andare via da lì, lontano da
tutti. Dopo il mio ventunesimo compleanno, Jack manifestò chiaramente l’invito
a lasciare casa sua e, solo ciò che avevo messo da parte mi diede la
possibilità di non stabilirmi sotto i ponti. Continuare quella vita è
stata la cosa più facile. Finora. Fino a lei. Bella.
Accartoccio
quella che per me è solo carta ormai. Vado in cucina cercando di fare
attenzione a dove metto i piedi. Il pavimento è un immondezzaio di
cartacce e bottiglie vuote. Ebbene sì, ho fatto davvero schifo! Ho
mangiato quel poco di commestibile che c’era in casa e annaffiato
abbondantemente lo stomaco semivuoto con la birra. Tanta birra. E puzzo
da far schifo.
Raggiungo il fornello e accendo la fiamma, avvicino la
busta e guardo la carta ingiallirsi per poi prendere fuoco. La guardo
accartocciarsi lentamente e quando la fiamma sta per arrivare alle dita,
butto l’ultimo pezzetto nel lavandino. Quando il fuoco si spegne,
l’unica traccia che rimane è qualche frammento bruno che viene portato
via dall’acqua.
- Addio Jane – sussurro tra me e me.
E adesso?
E adesso cercherò di dare una parvenza di pulizia alla casa.
E poi?
E poi farò una doccia e avvierò una lavatrice. Anche due.
E dopo?
E dopo non lo so, cazzo! Cercherò di vivere, forse. Cercherò di sopravvivere al massimo.
E Bella?
‘Fanculo!
Prendo
il cestino della carta e comincio a raccogliere rabbiosamente
l’immondizia dal pavimento. La testa è un incessante vorticare di
pensieri.
Bella…Bella…Bella…
Beh,
sì. In effetti il pensiero è solo uno. Ma non vedo piccola Swan da
quattro giorni e l’immagine di lei sdraiata sul divano mi tormenta.
Chissà cosa avrà pensato. Chissà se si è accorta di quanto tempo è
passato. Io mi sono accorto di ogni.fottutissimo.singolo.secondo!
Ed
il nervoso è così irrefrenabile che non posso fare a meno di calciare
una bottiglia e spedirla a frantumarsi dritta sotto il letto!
CAZZO!
Quando
mi chino per rimediare al disastro, oltre ai cocci noto…una fotografia?
Mi allungo per afferrarla. Probabilmente è caduta dalla scatola di mia
madre senza che me ne accorgessi. Quando la giro, in un attimo metto a
fuoco
- Ciao.
- Hey, pulce! Che hai?
- La mamma mi ha tagliato i capelli. Ora sono brutta.
- Ma se eri brutta pure prima!
Non
mi aspettavo che si mettesse a piangere, non in quel modo. Se mia madre
mi avesse sentito mi avrebbe di certo sgridato…ed io odiavo essere
sgridato da mia madre.
- Dai…non fare così. Io…io stavo scherzando. Stai proprio bene invece, sembri più grande.
- Davvero?
- Sì, davvero.
- Ma grande quanto te?
- Beh…sì…più o meno…
Mi
saltò al collo senza avere nemmeno il tempo di realizzare cosa stesse
facendo. Solo dopo ci accorgemmo di una Renée sorridente che scattava la
foto.
Se chiudo gli occhi sento ancora le sue braccine paffute che
mi stringono e posso sentire il suo profumo di bambina, dolce ed
innocente. Lo stesso profumo che le sento ancora adesso sul collo.
L’unica cosa che riesco a pensare è che io voglio riaverlo
quell’abbraccio, voglio poterlo meritare, posso meritarlo. Posso
provarci. Il solo pensiero mi dà una scarica di adrenalina e sento il
battito accelerare. Il cuore mi batte furioso nel petto e mi alzo da
terra, deciso, spinto da una nuova consapevolezza.
Ce la posso fare.
Mi
fiondo sotto la doccia, al resto posso pensarci dopo. Lavo via
accuratamente i quattro giorni di disperazione, di angoscia, lascio che
il sapone sciolga l’odore di Jane, quello di Tanya, l’odore dei ricordi
spiacevoli e dolorosi. Sarà impossibile cancellarli ma posso provare ad
annegarli in nuovi, più gioiosi e sereni. Posso provarci. Posso farlo.
Aspettami piccola Swan…sto arrivando.
____________________________________________________________________________________
Il prossimo capitolo arriverà tra due settimane AL MASSIMO. Spero sia stata una lettura gradevole.
Un bacione.
Miki ^_^
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Capitolo 9 *** Sweet chocolate ***
Capitolo nono
Buon
pomeriggio a tutte le fantastiche persone che mi leggono, che mi
commentano e che con il loro entusiasmo mi danno la carica necessaria
per andare avanti nella storia. Scusate il ritardo. A mia discolpa devo
dire che il capitolo era già pronto dopo una settimana ma non ho
proprio avuto il TEMPO MATERIALE per mettermi al pc, ricopiarlo e
postarlo.
Ma adesso eccolo qui, tutto per voi, sperando con tutto il cuore che vi piaccia.
GRAZIE.
Nono Capitolo
SWEET CHOCOLATE.
Prendo le chiavi, afferro una giacca ed
esco. I capelli sono ancora umidi e me ne accorgo solo quando sono
fuori, quando sento il vento pungente di Marzo sul viso. Non so se Bella
si trovi a casa o al caffè, la cosa positiva è che adesso so dove abita
e posso andare a cercarla anche lì.
Cammino a passo spedito, non
senza una certa fatica dopo giorni di immobilità quasi assoluta, sento i
muscoli indolenziti, ma non m’importa. L’unico muscolo di cui voglio
preoccuparmi adesso è quello che batte furioso nel mio petto.
Raggiungo
il locale e, prima di entrare, mi fermo un attimo per riprendere fiato.
Mi passo le mani tra i capelli ed entro. I tavoli sono quasi tutti
occupati e la cosa mi dà come una fitta di…gelosia! Mi sento come se
quelle persone, sedute lì a mangiare e chiacchierare, stessero invadendo
il mio spazio. Mi guardo intorno in cerca di Bella ma non la vedo.
Forse è nel retro o forse ha il turno di pomeriggio.
- Scusi? – dico ad un’altra cameriera che si trova dietro al bancone, intenta a preparare il caffè.
- Sì, si accomodi, arrivo subito – risponde senza nemmeno voltarsi.
- No, mi scusi! – ripeto alzando di più la voce – sto cercando Bella…Bella Swan.
La ragazza si volta lentamente e mi squadra da capo a piedi, con un’aria che vorrebbe essere minacciosa.
-
Bella non è di turno oggi – esclama scandendo chiaramente le parole.
Abbasso lo sguardo e guardo il nome scritto sulla targhetta: Angela W.
- Tu sei il tipo, vero? L’amico d’infanzia.
Sgrano gli occhi per la sorpresa.
Lei mi conosce? Sa di me? Bella le ha parlato di me!
- Sì…EJ… - mi affretto a rispondere – sono io, sono EJ…d’infanzia…l’amico!
“Coglione” non rende neanche più l’idea!
- Hmpf! – sbuffa alzando gli occhi al cielo – Bella mi ha chiesto di darti questa, se fossi passato.
Non riesco a celare la meraviglia e un “oh” di
stupore mi sfugge nel vedere un piattino con una fetta di torta di
mele, con la mia fetta di torta di mele, la torta di mele che Bella a lasciato per me.
- Fosse per me – continua Angela – ti farei mangiare la fetta che ha preparato quattro giorni fa!
- C…come, scusa?
- Hey! D’infanzia l’amico – mi canzona seria – attento a te! – minaccia puntandomi l’indice.
Non posso fare a meno di sorridere. Mi fa piacere che Bella abbia delle amiche così…appassionate.
La cosa che mi dispiace è che, per essere arrivata a dire certe cose,
probabilmente lei le ha parlato di me, probabilmente riferendosi alla
mia assenza, al mio comportamento.
REGOLA NUMERO UNO: NON FERIRE MAI BELLA…
…FALLITO! Cominciamo bene!
-
Devo andare…scusa. Grazie per la torta, Angie. Mangiala tu, offro io! –
le dico facendole l’occhiolino e dirigendomi alla porta.
- Cos…Angie? Ma…
Esco senza prestare ascolto alle sue proteste. Mi fermo un attimo cercando di fare mente locale.
Che strada ha preso Swan per andare a casa sua?
Se avessi prestato attenzione invece di guardarle il culo…
Non le guardavo il culo! Sì, beh…ogni tanto una sbirciatina. E poi è sedere! Si chiama sedere il culo di Bella!
Mi guardo in giro cercando di ricordare, imboccando una strada dall’aspetto familiare.
Sicuro?
No, per niente!
Ci metto almeno il doppio del tempo che ci sarebbe voluto ma, alla fine, mi ritrovo davanti alla sua porta.
E te la stai facendo sotto.
Più o meno.
Faccio un respiro profondo e busso. Due volte. Una, potrebbe non sentirla e tre potrebbero essere troppe.
Aspetto…
Niente…
Busso di nuovo, stavolta un po’ più forte. Nonostante ciò non viene ad aprire.
Poggio i palmi sulla porta e mi avvicino con l’orecchio per sentire se dall’interno provenga qualche rumore.
Silenzio assoluto.
Mi
sposto dalla porta alla finestra, cercando di sbirciare ma le tende
chiuse non mi consentono di vedere nulla. Improvvisamente decine di
scenari non proprio piacevoli affollano la mia testa. In quasi tutti
Bella giace esanime in qualche punto della casa. Negli altri, quelli che
più mi terrorizzano, Bella giace non proprio esanime in un letto, nel
suo letto. E non è sola!
Mi abbatto sulla porta, cominciando a bussare ripetutamente.
Perché non apre? Che sta facendo? Che è successo? Chi
c’è con lei?
Sarà semplicemente uscita?
Mi
ritraggo di scatto dalla porta, come se all’improvviso fosse diventata
incandescente. In effetti è così che mi sento: scottato. E non tanto per
il fatto che muoio dalla voglia di vederla, ma proprio per la
consapevolezza che lei possa avere una vita al di fuori del caffè, di
casa sua. Al di fuori di me. Una vita di cui io non so niente.
E adesso non so che fare. Avrei potuto telefonarle se solo ci fossimo scambiati il numero di telefono.
Il telefono!
Mi
porto una mano sulla tasca dei pantaloni trovandola, ovviamente, vuota.
Ovvio, visto che il mio cellulare è un mucchietto di frantumi in un
angolo imprecisato dell’ingresso. Potrei comprarne un altro, cambiare
numero, e poi tornare al caffè o riprovare a casa. Sì, farò così. E se
non dovessi trovarla potrei lasciare il numero a quella cameriera,
Angela.
Mi incammino un po’ amareggiato ma tranquillo. In fondo si
tratta di rimandare solo di qualche ora. Raggiungo il centro guardandomi
intorno alla ricerca di ciò che mi serve. Ho imboccato una strada a
caso eppure non impiego nemmeno un secondo per riconoscerla.
Appena
entrai nel negozio, con la mano del dottor Cullen posata su una spalla,
la prima cosa che sentii fu l’odore pungente della vernice. Da lontano
proveniva un rumore continuo, come di un piccolo trapano. I mobili,
tutti dall’aspetto antico, erano sistemati lungo le pareti in maniera
ordinata e la maggior parte portava sopra un cartello con su scritto
“non toccare”. Sgranai gli occhi alla vista di tutti i pianoforti che
c’erano lì dentro. Alcuni erano così strani che non che non ero nemmeno
tanto sicuro che fossero proprio pianoforti.
Raggiungemmo il retro
dove la quantità di mobili era superiore ma l’aspetto molto più
polveroso e dissestato. Nonostante tutto la stanza era luminosa e ben
arieggiata e gli odori di solvente, legno e vernice si mescolavano in
maniera tutt’altro che fastidiosa.
- Esme?
Al richiamo del dottor
Cullen, una donna si alzò in piedi da dietro un baule antico. Aveva dei
grandi occhiali protettivi sul viso ed un foulard in testa da cui
fuoriuscivano alcune ciocche castane, che, colpite dalla luce,
rivelavano riflessi color caramello.
Si avvicinò a noi sorridente, sfilandosi i guanti e togliendosi gli occhiali.
Era bellissima…
- Esme, lui è EJ o Edward, ricordi? Te ne ho parlato.
- Oh, sì certo. Tu
sei il ragazzino che si è fatto male…al lavoro! –
chiese con un’espressione accigliata.
- No, NO! Io…stavo giocando…e sono caduto. Zio Jack non c’entra…lui…
-
Basta così, Edward – mi interruppe Carlisle, stringendo dolcemente le
dita sulla mia spalla - non c’è bisogno che giustifichi tuo zio. Non
preoccuparti, ho dato la mia parola che non avrei sporto denuncia, e non
lo farò…per ora. Spero che sia abbastanza intelligente da attenersi al
nostro accordo. Ritornando a noi, lei è Esme, mia moglie. Si è diplomata
alla Juillard e sarebbe diventata una grande pianista se non fosse per
questa insana passione per i mobili vecchi.
- Antichi, tesoro…sono antichi, non vecchi.
- Oh, beh…è la stessa cosa.
Continuarono a punzecchiarsi per un po’ ed io li fissavo divertito e un po’ imbarazzato.
-
Se vorrai, Edward, Esme ti darà un po’ di lezioni e potrai venire qui a
suonare ogni volta che ne avrai voglia. Avrei preferito venissi a casa
nostra ma è un po’ troppo lontana perché tu possa raggiungerla a piedi.
Mi
mancano le lezioni di piano con Esme. Mi manca il modo in cui si
complimentava con me di quello che lei chiamava “il mio talento
naturale”. Spesso suonavo per lei tutto il pomeriggio, mentre lavorava e
tante volte si fermava, gli attrezzi in mano, gli occhi chiusi, a
sentire la mia musica. Sarebbe bello riabbracciarla. Sono scomparso
dalla loro vita un po’ alla volta, limitandomi, nell’ultimo periodo, a
brevi telefonate di circostanza, più per rendermi conto se avessero
scoperto qualcosa, che per altro. Il pensiero che Tanya potesse dire
qualcosa a Rosalie non mi ha mai abbandonato. E adesso è un’ombra scura
che si fa sempre più minacciosa. Mi concedo un sospiro, continuando a
camminare. Potrei andare a trovarla. Il negozio di Esme, se non ricordo
male, dovrebbe essere proprio da queste parti. Procedo guardando le
vetrine, ricordando perfettamente ogni insegna. La gioielleria, il
negozio di abiti da sposa, la profumeria, la cioccolat…
Un momento!
Dov’è la cioccolateria?
Mi
avvicino alla vetrina, sollevando lo sguardo per riconoscere l’insegna.
La prima è vuota, la seconda inesistente. Deluso e stupito non posso
fare a meno che ritornare con la mente a quando, da piccolo, mi ci
fermavo per minuti interi ogni volta che andavo da Esme, deglutendo la
voglia che avevo di assaporare ognuno di quei piccoli agglomerati di
cacao dalle forme più strane.
Mi avvicino di più al vetro portando i
palmi alle tempie per guardare all’interno, dove, incredibilmente,
sembra tutto uguale. C’è ancora il bancone in mogano scuro, con i
pannelli intagliati e gli angoli arrotondati, sostenuti da finte
colonnine. Ci sono gli scaffali alle spalle e le vetrine lungo i muri.
Il tutto è vuoto e impolverato. Sul pavimento è poggiata una scala di
legno, alcune scatole, un secchio, una ramazza…talmente intento ad
osservare e cercare di capire cosa ne stiano facendo del mio negozio
preferito, che non mi accorgo del movimento, non mi accorgo della sagoma
e mi ritrovo con due occhi castani sgranati che mi guardano sorpresi
attraverso il vetro.
Fare un balzo indietro è automatico quanto assolutamente idiota.
Quegli
occhi…due pozze di cioccolato fuso, altrettanto invitanti di una
distesa di cioccolatini. Caldi, di un calore in cui potrei annegare e
perdermi sempre e per sempre. Mi avvicino di nuovo al vetro e l’immagine
dell’interno vuoto mi dà la conferma che ho solo creduto di vederli.
Stai messo male, amico!
- EJ!
Cazzo!
Mi
volto di scatto e, davanti alla porta, scarmigliata e col viso
arrossato, mi appare Bella. “Appare” è il termine perfetto, perché in
questo momento lei è una visione…
Piccola Swan…che hai fatto in questi quattro giorni per diventare ancora più incantevole?
Si
sistema velocemente e inutilmente i capelli. Sembra agitata, nervosa.
Con i denti si tortura il labbro inferiore, le dita delle mani
cominciano ad intrecciarsi e torturarsi convulsamente e, cosa peggiore,
se ne sta col viso basso, privandomi della visione del suo sguardo.
- Hey…
- Io…
Apriamo
bocca contemporaneamente e, mentre lei avvampa, aggiungendo colore alle
sue guance già deliziosamente rosate, io non posso fare a meno di
sorridere per aver parlato insieme ma, soprattutto, per aver sentito
nuovamente la sua voce.
Il sorriso svanisce in fretta quando mi rendo
conto che Bella non sorride, che non mi è saltata addosso per
aggrapparsi al mio collo come al solito, ed il suo corpo è rigido e
chiuso a voler sottolineare la distanza che c’è tra noi. Una distanza
che pesa come un macigno e che in pochi minuti è diventata
intollerabile.
- Ciao – ricomincio con calma. Non ottengo risposta.
Allora faccio ciò che avrei dovuto fare dall’inizio. Colmo lo spazio tra
noi in pochi passi e poso le mani sulle sue spalle. Al contatto Bella
trasalisce ma il movimento è praticamente impercettibile.
- Hey…non
mi senti piccola Swan? – sussurro quasi, con un tono di voce più basso e
roco di quello che avrei voluto – non mi aspettavo di veder…
- Sei arrabbiato con me?
- Cos…
- Rispondi! Sei arrabbiato con me? Ho fatto qualcosa che ti ha infastidito?
- Ma…io…
- È per il pianoforte, vero? Lo sapevo! Sapevo che ti
saresti arrabbiato…sapevo di non avere nessun diritto di
farlo…
- Swan…guardami. Ti sbagli. Io non so…non lo so
cosa abbia elaborato la tua testolina in questi giorni ma non è
così.
- Ti sei arrabbiato perché mi sono addormentata? Pensi
che non mi sia piaciuta la tua musica? Io…io te lo giuro! Non
è così…
Bella non mi sta nemmeno ascoltando, il corpo è scosso da piccoli tremiti e la voce si fa sempre più spezzata.
La scuoto dolcemente e quando alza il viso vedo le guance solcate da grosse lacrime.
- È che io non dormo…la notte…non dormo
bene…quasi mai…quella sera, la tua
musica…io…oh, scusami!
-
Adesso basta! Bella, smettila. Ascoltami… - le dico con voce ferma,
asciugandole le lacrime con i pollici - Non sono arrabbiato. Ascoltami
ti ho detto! – ripeto dopo che lei ha distolto lo sguardo – Ritrovare un
pezzo della mia vita, un pezzo importante di mia madre, a casa tua,
vedere come è stato curato, preservato dal tempo…oh Bella, credimi, non
potevi regalarmi un’emozione più forte, più intensa. E no, non mi sono
arrabbiato perché ti sei addormentata, anzi, ne sono stato felice. Sono
felice che fossi rilassata a tal punto…con me…da abbandonarti al sonno.
- Ma allora perché? Perché quattro giorni?!
La
sua domanda unita a quegli occhi colmi di lacrime mi provocano
un’esplosione di emozioni. Da un lato, la consapevolezza che lei si sia
accorta della mia assenza mi riempie di una sorta di orgoglio,
dall’altro, sapere che si sia tormentata in questo modo,
colpevolizzandosi del mio silenzio, mi fa sentire un emerito stronzo e
forse tutto questo si traduce in un’espressione di confusa sorpresa, ben
evidente agli occhi di Bella. La reazione è immediata: si allontana da
me lasciandomi con le mani vuote sollevate a mezz’aria. Con le maniche
della felpa che indossa si asciuga ripetutamente gli occhi, col
risultato che la stoffa ruvida dei polsini le arrossa ancora di più la
pelle.
Sorride. Ma è un sorriso tirato, forzato, il sorriso di chi sta biasimando se stesso.
E infatti…
- Scusami. Io…non so che mi è preso. Non ho il diritto di farti una sceneggiata del genere. Dio, che idiota!
Parla in fretta, gesticolando e guardando ovunque tranne che davanti a sé.
-
Magari ti sto anche facendo perdere tempo. Eri uscito sicuramente per
fare qualcosa. Cioè…non è che tu fossi venuto qui…per me…scusami,
davvero…buona giorn…
- Pulce! – la interrompo – Per essere così piccola ne hai di parole da sprecare!
Bella
si volta, prima con gli occhi sgranati, poi con un’espressione confusa e
anche un po’ irritata. Sono sicuro che la sua testolina si è fatta un
bel viaggetto sentendo l’appellativo che ho utilizzato…lo odiava!
Diventava rossa e stringeva i pugni. Mi guardava in un modo…sembrava che
le dovesse uscire il fumo dalle orecchie da un momento all’altro. Come
adesso.
Non riesco a trattenere una risata, una di quelle che ti
esplodono dentro facendoti sentire più leggero, di quelle che ti fanno
sentire quanto ti sia mancato ridere così, al punto che ti si forma quel
groppo in gola e riesci a ricacciare a stento le lacrime.
Come una femminuccia insomma!
Sì, ‘fanculo! Come una femminuccia, non m’importa.
- Scusa pulce…ehm…volevo dire…Bella…non ho resistito. Ma ti dovevo fermare in qualche modo. Stavi leggermente
delirando – le faccio notare con tono divertito. Non smette di
guardarmi accigliata, ma si vede, adesso, che è tutta una posa. Proprio
come quando era piccola. Gli angoli della bocca si sollevano
impercettibilmente, vorrebbe ridere ma è cocciuta la mia Bella,
orgogliosa e testarda. Me ne sono accorto subito. Ed io adoro questo
lato del suo carattere.
- Non avevo il tuo numero e non potevo chiamarti. Sono stato…diciamo poco bene.
Ed il premio oscar per la miglior interpretazione vaaaaaa…
...non a te!
- Solo oggi mi sono sentito un po’ meglio.
-
Cavolo! Scusami…scusami EJ, davvero. Io non pensavo…cioè sì, l’ho
pensato, poi però ho pensato a quello che è successo e allora ho pensato
anche…
- Piccola Swan – dico avvicinandomi e guardandola negli occhi…potrei perdermici… - Tu.pensi.troppo. Ok?
-
Ok – sussurra mortificata mordendosi il labbro inferiore. Un gesto che
fa spesso, troppo spesso, un gesto che mi fa desiderare ogni volta di
affondare i miei denti nella sua tenera carne. Un gesto che mi fa
passare la lingua sulle labbra, immaginando di passarla sulle sue. Un
gesto che rende minimo lo spazio vitale nei miei pantaloni.
- Cosa
hai avuto? – mi chiede, interrompendo pensieri che si stavano facendo
troppo fuori luogo – Stai bene adesso? Se lo avessi saputo…avrei potuto
fare qualcosa…
La mia risposta è un chiaro segno di come la grandezza
del mio cervello sia inversamente proporzionale a ciò che sta pulsando
in mezzo alle gambe e che è celato agli occhi di Bella solo dai lembi
della camicia che ho lasciato fuori dai pantaloni…per fortuna!
- Ehm…sarà stato un…virus! Sì, un
virus…intestinale…sta girando ultimamente. Ma ora sto
meglio.
UN.VIRUS.INTESTINALE!!! MA CHE CAZZ…
-
Mi dispiace – risponde subito, forse cogliendo il mio imbarazzo – In
effetti sembri molto dimagrito ed hai il viso stanco e sciupato.
Bene!
Hai appena fornito a Bella un’incantevole visione di te con le brache
calate seduto sulla tazza del cesso ed ora lei ti ha detto che stai di
merda! Meglio di così…
- Oggi mi sento decisamente meglio –
cerco di rimediare – La prima cosa che ho fatto è stata venire al caffè
a cercarti e poi a casa – le parole mi scivolano fuori senza che possa
rendermene conto.
Bella sorride timidamente, come se ciò che ho detto
l’abbia messa in imbarazzo. Ma non me ne pento, non stavolta. Come al
solito, è lei a sbloccare la situazione.
- Io…mi sono presa un
giornata libera oggi. Aspettavo alcune consegne – dice indicando col
pollice il negozio dietro di sé – Vieni, entra.
Mi prende per mano e si volta. I suoi capelli ondeggiano a mezz’aria rimandandomi un profumo dolcissimo…ma diverso.
- Hai cambiato shampoo? – penso.
No, tu non pensi! Tu dici!
Io dico.
Oh cazzo!
Bella si blocca e si volta a guardarmi. L’aria stupita la dice lunga.
- Io, beh, veramente sì.
Poi sorride e stringe gli occhi. Da sorpresa, la sua espressione diventa furba.
- Sai Masen? I ragazzi normali
non fanno caso all’odore dello shampoo. Evidentemente tu ed il tuo
ciuffo siete ferrati in materia. Ti ci vedo ad annusare bottigliette e
consumare litri di balsamo!
E con questo puoi dire definitivamente addio alla tua dignità.
***
Un’ora
dopo, io e Bella siamo seduti sugli alti sgabelli davanti al bancone.
Fosse per me rimarrei qui ad ascoltarla per ore. Sto amando il modo
appassionato in cui mi parla dei suoi progetti. Amo il modo in cui gli
occhi le brillano, il modo in cui la luce gioca con i suoi capelli. Sto
amando la sua voce, che accompagna il suo racconto, diventando bassa e
profonda quando parla delle difficoltà che ha dovuto affrontare, la
separazione dei suoi, lo studio, il college, il lavoro, l’acquisto del
locale, più entusiasta e squillante quando invece mi parla di ciò che
vuole realizzare.
- Tu sei un genio, piccola Swan! È un’idea
fantastica. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di aprire una libreria
in una cioccolateria. Sono sicuro che avrai un grande successo. Per
quando è prevista l’apertura?
Bella si guarda intorno ed io non posso
fare a meno di seguire il suo sguardo e ciò che vedo non è affatto
rincuorante. Alcuni mobili portano evidenti i segni del tempo e delle
tarme. Ci sono un bel po’ di mensole traballanti, alcune plafoniere sono
rotte e la carta da parati manca in alcuni punti svelando un
inquietante color verde muffa. Il pavimento non è più lucido ma
macchiato e quasi grezzo.
- Direi che non sei a buon punto.
-
Direi di no, per niente! Uff…è che vengo qui nei ritagli di tempo e
cerco di fare tutto da sola, sai…per risparmiare. Ci sono giorni in cui
mi sembra di aver fatto passi da gigante, altri in cui vorrei mettermi a
piangere e ad urlare pentendomi amaramente della mia scelta. Avrei
potuto acquistare uno di quei cubicoli bianchi e asettici all’interno
del centro commerciale.
Bella continua a parlare e, nonostante io
riesca a comprendere tutto ciò che dice, la sua voce è solo un
sottofondo. Ci sono altri pensieri che mi vorticano nella testa.
- Ti aiuto io! – sbotto, interrompendola nel bel mezzo del discorso.
- Cosa?
- Sì, ti aiuto io. Fidati di me, sono bravo nei lavori manuali.
- Mh…sai che, a vederti, non si direbbe affatto?
- Beh, due braccia in più fanno sempre comodo, no? Con tutto il rispetto, pulce…
- Hey!
- …dicevo…con tutto il rispetto, non credo che le tue braccine potrebbero fare molto.
- EJ, davvero, io non posso accettare. Ora come ora non potrei nemmeno pagarti.
Mantenere un tono di voce normale, adesso, non è facile, non lo è affatto.
- Ma guarda un po’ che coincidenza. Io non avrei accettato un dollaro da te.
Per la prima volta da quando sono uscito di casa la mia mente è tornata allo schifo che mi tormenta da anni.
- Non puoi perdere tanto tempo. Come farai con il tuo lavoro?
Già…come farai con il tuo lavoro?
- Oh, sì…il mio lavoro…io non lavoro! Cioè…no…io non lavoro…adesso.
- Mi dispiace EJ! Ti hanno licenziato? Ma che lavoro facevi? Di cosa ti occupi?
Ogni
domanda sull’argomento è come un’incisione sulla carne. L’ultima cosa
che vorrei fare è mentirle ma, ora come ora, non ho scelta.
C’è sempre scelta.
Sì,
c’è, ok, ma cazzo! Non posso dirle: “Hey, sono uno smidollato che non
ha saputo dire di no ad una stronza e si è ritrovato a fare la puttana
di lusso! No, non posso. Non adesso. Non così.
- No, non mi hanno licenziato. Diciamo che me ne sono andato io. Mi occupavo di…pubbliche relazioni.
Beh, non è proprio una bugia, no?
- E non ti piaceva?
-
No…cioè sì…ma mi sentivo un po’…oppresso. Vorrei cambiare radicalmente,
magari tornare a suonare. Quindi, piccola Swan, non mi costa nulla
aiutarti – dico riportando l’attenzione su di lei, sul negozio – a meno
che…il tuo fidanzatononsiageloso!
Bella
sussulta impercettibilmente alle mie parole e, reazione ormai scontata e
prevedibile, avvampa vistosamente. La provocherei anche solo per vedere
quel rossore colorarle le guance e, come ogni volta, mi chiedo se sia
quello il colore che ha sul viso dopo una carezza, dopo un bacio…dopo un
orgasmo. Immaginare il suo viso stravolto dal piacere non è affatto
facile, così come non è facile starle di fronte nascondendo la voglia
che ho di lei, di assaporare le sue labbra, di sentire il calore del suo
corpo…
- Non c’è nessun fidanzato – dice con un filo di voce.
-
Beh, non mi meraviglio – sbotto per stemperare la tensione e per
ignorare le campane a festa che mi assordano da dentro – Sei rimasta una
piccola pulce, sai?
- Sì, hai ragione. Chi è che vorrebbe stare con me…
Cosa?
Io credevo che si sarebbe infuriata, che mi avrebbe apostrofato con gli
epiteti più offensivi. Non questo, no! Che diavolo vuol dire “chi è che
vorrebbe stare con me”? Ma io! Io vorrei stare con te…
- E tu? Sarà
d’accordo la tua ragazza? – chiede, interrompendo il vociare nella mia
testa ed evitando che mi sfugga qualcosa. Evitando l’ennesima figura da
coglione.
- Non c’è nessuna ragazza – rispondo subito – A dir la
verità, non c’è mai stata. Beh, non dopo di te – dico facendola
sorridere – Ho avuto qualche…storia, ma senza importanza.
Bella annuisce ma non aggiunge altro. Non che mi aspettassi i salti di gioia…
Bugiardo!
- Allora ci stai? Posso aiutarti?
- Beh, se proprio insisti…
- Insisto!
- Affare fatto – esclama alzandosi e porgendomi la mano.
Ogni
contatto con lei, anche il più piccolo, ha il potere di
destabilizzarmi. Le dita sottili della sua piccola mano riescono ad
avvolgere a mala pena il mio palmo. La sua pelle è calda nonostante la
temperatura, nonostante nel negozio non sia in funzione il
riscaldamento, ed il suo calore si trasmette al mio corpo inondandomi di
una delle sensazioni più inebrianti che io abbia mai provato. È sempre
così con lei. Non amo il paragone ma probabilmente è ciò che spiega
meglio il modo in cui mi sento: è come una droga che, dal punto di
contatto, si diffonde rapidamente raggiungendo e stimolando punti che
non avresti nemmeno pensato di avere, e non ti dà il tempo di
riprenderti, di abituarti, che ne vuoi ancora e ancora, e di più,
spingendoti a compiere vere e proprie follie per ottenerlo.
Follie. Come quella che sta compiendo la mia mano, quando stringe di più quella di Bella attirandola verso di me.
Follie. Come quella che sta compiendo il mio braccio, che si apre per accogliere il suo corpo.
Follie.
Come quella che compie il mio viso, che si tuffa nell’incavo del suo
collo, annusando disperatamente il suo odore, quell’odore di vita che mi
è mancato per quattro giorni, che mi è mancato per diciotto anni.
E,
costretta dalla posizione, costretta dalla sorpresa e dalla differenza
di altezza tra noi, non può fare a meno di sollevare la testa,
sfiorandomi il collo con le labbra che, dischiuse, lasciano una scia
umida e calda.
Ed io potrei morire di overdose.
Bella non
si ritrae. Dopo un po’, solleva le braccia e le posa delicatamente sulle
mie spalle. Ce ne stiamo così, in silenzio, per un po’, in una posa
innaturale ma per niente scomoda. Io piegato su di lei, lei protesa
verso di me.
Lo senti, piccola Swan? Senti come i nostri corpi siano
perfetti per incastrarsi l’uno con l’altro? Senti come le mie braccia
siano fatte apposta per sorreggerti? Per cingerti i fianchi?
E, prima
che le mie mani comincino a vagare, prima che i polpastrelli affondino
nella deliziosa curva del bacino, per sentirne la morbidezza, mi
allontano piano, dandole il tempo di riacquistare il suo equilibrio.
- Sono sicuro che insieme faremo un ottimo lavoro, piccola Swan.
- Sì…lo credo anch’io. Grazie EJ, non sai quanto sia importante per me.
Potrei
cominciare subito ma entrambi conveniamo che sia meglio rimandare a
domani. Comincia a fare buio e Bella non ha ancora chiesto alla
compagnia elettrica di allacciarle la corrente. Mi mostra velocemente
gli attrezzi che comprato, nel caso in cui potesse servirmi qualcosa in
più. In effetti la sua cassetta è quanto di più principiante ci possa
essere. Mi annoto mentalmente le altre cose che potrebbero servirmi e,
dopo che ha chiuso con cura tutte le imposte, ci avviamo verso casa sua.
Non mi ha chiesto di accompagnarla a casa ma lo faccio, come
se fosse la cosa più naturale del mondo. In realtà lo
è…per me.
- Potremmo vederci al caffè, verso le otto, fare colazione e poi andare al negozio.
- Hai il turno di pomeriggio?
- No, domani è il mio giorno libero ufficiale.
- Allora niente caffè! Alle otto in libreria, la colazione la porto io.
- Mi devo preoccupare?
- Hey…che vorresti dire? – protesto punzecchiandole un fianco con la punta dell’indice.
Bella
si scosta di scatto ridendo ma inciampa nei suoi stessi piedi
rischiando di finire per terra. Faccio appena in tempo ad afferrarla e
lei si rimette in piedi imbarazzata.
- Non sei cambiata di una virgola! Sono sicuro che sotto i jeans le tue ginocchia sono sbucciate come quando eri piccola!
Potrei sfilarteli
io…adesso…accarezzandoti le cosce con le dita e posando
piccoli baci sulla tua pelle candida…
- Smettila! – dice con aria offesa – non cado
più…non così di frequente – conclude a bassa
voce.
Non posso fare a meno di scoppiare a ridere ma ora è lei a darmi una gomitata.
- Anche manesca, Swan?
- Prrrrrrrrrrr
Attenta Swan, non mi provocare…ricaccia quella lingua in bocca!
- Di’ la verità: volevi che ti prendessi “a cavalluccio” come allora, eh?
Il pensiero del suo petto premuto sulla mia schiena mi fa perdere un battito e deglutire a vuoto.
Prevedo una lunga doccia fredda…anche due.
Bella non risponde, si limita ad alzare gli occhi al cielo e sospirare. Dopo pochi minuti arriviamo a casa sua.
Chiedimi di entrare…chiedimi di entrare…chiedimi di entrare…
- Allora ci vediamo domani mattina?
Duh!
- Sì…sì, certo, ok. Alle otto.
- Ok, alle otto. ‘Notte, EJ.
- ‘Notte, Bella.
- Ah, EJ?
Sì, sto entrando!
- Sono contenta…sono contenta di aver ritrovato il mio amico.
Le
sorrido mentre entra in casa. Mi allontano stringendomi nel giubbotto,
le mani in tasca, lo sguardo davanti a me, il cuore ancora con lei…
…non sai quanto ti
sbagli, piccola Swan! Cancella la parola amico dal tuo
vocabolario…io, oramai, l’ho fatto.
__________________________________________________________________________________________
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto un pochino. Il prossimo arriverà
non prima di fine mese...c'è l'estate, c'è il mio
fidanzato, c'è il mare...fate voi ^_^
Buone vacanze a tutti.
Un bacione.
Miki.
|
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Capitolo 10 *** A step away from her ***
capitolo 10
Ciao a tutti!!!
Tornare a postare dopo tanto tempo è come farlo per la prima
volta. Gli stessi identici timori: mi leggeranno? Mi criticheranno?
Stavolta aggiungo anche: si ricorderanno di me? Del mio EJ e della piccola Swan?
Io spero proprio di sì.
E ringrazio anticipatamente tutti coloro che leggeranno .
Come avevo già detto nell'AVVISO , non è stato un periodo facile e non lo
è tuttora.
Piano piano sembra che le cose si stiano sistemando. Il percorso è lungo ma bisogna avere fiducia e pazienza.
Ci sono state tante di voi che mi sono state vicino anche durante
questa lunga assenza, continuando a leggere le altre mie OS,
chiedendomi se ci fossero novità, chiedendomi come stessi.
In verità la cosa mi ha davvero sorpresa ed emozionata.
Probabilmente non merito tanta considerazione me ne sono stata felice.
Non mi dilungo oltre. Vi lascio al decimo zozzipitolo, sperando che ci
sia qualcuno che riesca ad arrivare alla fine e non si perda nei
meandri delle idiozie che ho scritto.
Vi adoro.
Miki.
Decimo capitolo.
A STEP AWAY FROM HER.
Le mani
di Bella si aggrappano alle mie spalle affondando i polpastrelli nella
carne. Le mie, posate sui suoi fianchi, accarezzano con le dita la pelle
liscia e bianca, accompagnando il movimento del suo bacino. Ondeggia
lentamente su di me, sporgendosi in avanti, cercando di sfregare il più
possibile il clitoride contro il mio pube. Si solleva ogni tanto, quel
poco che basta a farmi temere di scivolare via da lei, ma poi si
riabbassa decisa, strappandomi un ruggito, venendo incontro ai miei
fianchi che già s’impennano per cercarla.
Affondo in lei completamente sentendo sulla pelle il fuoco che le brucia dentro e che mi avvolge come lava bollente.
- Bella…sei…fantastica…
Mi
spinge indietro, facendomi stendere. I capelli le circondano il viso e
dalle spalle scendono a posarsi sul mio petto, oscillando ed
accarezzandomi i capezzoli duri. Ne afferro una ciocca con le dita per
sentirne la morbidezza, per cercare di concentrarmi su qualcos’altro,
per non abbandonarmi al piacere e prolungare il più possibile questo
momento. Osservo i riflessi alla luce della luna. Meravigliosi riflessi…
…biondo rame?!
- Sii, Edward…così…
Tanya?!
NO! Bella? Dov’è Bella?
Mi
guardo intorno ma improvvisamente è tutto buio. Un altro paio di mani
cominciano a vagare sul mio torace. Cerco di divincolarmi ma Tanya mi
tiene incollato al letto, esercitando un peso innaturale. Provo a
muovermi invano, braccia e gambe sembrano incollate al materasso.
D’un tratto una lingua comincia a percorrere lentamente le linee tese dei miei addominali.
- Demitri… - sussurra la donna bionda.
Jane!
Non può essere…no!
Voglio andarmene da qui, non voglio che mi tocchino, non voglio sentire
questa eccitazione che cresce dentro di me…non voglio!
Per
tutta risposta i movimenti di Tanya diventano sempre più rapidi. I
gemiti sfuggono dalle mie labbra nonostante il disgusto, nonostante il
rifiuto. Gemiti e sospiri che non mi appartengono e che si fondono tra
loro creando un’inquietante melodia che ha il potere di farmi girare lo
stomaco.
La mia mente subisce ma il mio corpo gradisce gli affondi, le carezze, i baci…
Allo
stremo delle forze, chiudo gli occhi ed assecondo quel piacere che
prepotente vuole esplodere in me, nella speranza che defluisca in fretta
e scompaia assieme a Tanya e Jane.
Nel momento in cui l’orgasmo mi investe non riesco a trattenere un singhiozzo ed il suo nome mi sfugge dalle labbra.
- Bella…
- Sono qui, Edward…
Ed
allora spalanco gli occhi e mi volto verso il punto da cui proviene la
sua voce. Bella è lì, i miei occhi incontrano, anzi, si scontrano con i
suoi che hanno osservato tutta la scena. Lo capisco dal viso,
dall’espressione di disgusto, di delusione, che riesco a distinguere
chiaramente nonostante la penombra.
- Addio – sussurra prima di girare le spalle.
- No, Bella…no…fammi spiegare…ti prego…Bella…BELLA!
- BELLA!
Mi
sollevo di scatto dal letto. Il cuore sembra impazzito ed il torace si
alza e si abbassa troppo velocemente. Sento il cotone della maglietta
appiccicato alla pelle ed i capelli ricadono bagnati sulla fronte
imperlata di sudore. Mi guardo intorno ed è un sollievo riconoscere
l’ambiente familiare della mia stanza e constatare, soprattutto, di
essere solo, che ciò che è “successo” in realtà si tratta solo di un
sogno. Anzi, di un incubo.
Allungo la mano verso il comodino e,
tastando con le dita, afferro l’orologio…le 6:10. Un sospiro di sollievo
mi sfugge involontariamente. Nonostante mi sia messo a dormire solo tre
o quattro ore fa, il fatto che sia mattina e che mi debba alzare non
può che farmi piacere. Il solo pensiero di rimettermi a dormire e magari
riprendere da dove ho interrotto mi fa venire la pelle d’oca.
Mancano
meno di due ore e poi rivedrò Bella. Questa è una spinta più che
sufficiente per alzarmi di buon umore, nonostante tutto.
Eseguo
automaticamente i soliti gesti che compio appena sveglio. Percorro il
tragitto dalla camera al bagno con gli occhi semichiusi, sperando che
non ci sia niente ad ostacolarmi. Apro la manopola della doccia e mi
sfilo la maglietta che getto nel cesto della biancheria sporca.
Nell’attesa che l’acqua raggiunga la temperatura mi lavo i denti e,
finalmente, spalanco gli occhi davanti allo specchio.
Wow…che faccia! Non avevo un’aria così da quando facevo gli “straordinari”!
Sbattuta…è proprio la parola adatta!
Mi
strofino gli occhi e passo il palmo sulla mandibola per sentire la
consistenza della barba. Decido di non radermi e mi fiondo sotto la
doccia. Lascio che l’acqua tiepida mi scorra addosso e che il getto
vigoroso tenti di portare via le ultime tracce di sonno. Poggio i palmi
sulle piastrelle e abbasso il viso godendo del massaggio che l’acqua
esercita sulla nuca.
Chissà se anche Bella è sveglia. Chissà cosa fa
appena abbandona il letto. Chissà se anche lei adesso è
sotto la doccia.
…nuda…
Cerco di scacciare l’immagine dalla testa, non ho di certo bisogno di incoraggiare ulteriormente la situazione ai piani bassi.
Ruoto
completamente il miscelatore verso destra e, imprecando, termino di
lavarmi sotto il getto di acqua ghiacciata. Ma nemmeno questo riesce a
distogliere i miei pensieri da lei.
Dopo aver immaginato ogni
possibile traiettoria delle piccole gocce d’acqua sulla sua pelle, non
posso non chiedermi cosa stia facendo adesso, quali sono i gesti che
anche lei compie meccanicamente al mattino.
Chissà
come sei, piccola Swan, appena sveglia. Se i tuoi occhi gonfi e
arrossati sono ancora più belli e dolci e se i tuoi capelli sono
arruffati in un groviglio che ti aiuterei a sciogliere.
Chissà come
sarebbe svegliarsi con te tra le braccia, affondare le labbra nei
capelli ed inspirare il tuo odore, lasciando che si diffonda piano nel
corpo.
Chissà come sarebbe sentirti cedere alle languide carezze
delle mie mani e poi amarti e amarti ancora, fino a scambiarci l’anima.
Ti
ostini a pronunciare la parola “amici”, ma io ho visto, Bella, ho visto
come arrossisci quando il mio sguardo indugia sulle tue labbra, e come
il tuo corpo sussulta quando ti sfioro. E lo sento il tuo cuore, che
galoppa quando tu mi abbracci.
Ho deciso, Swan. Col
tempo…non troppo…e poi potrò farlo, potrò amarti come meriti. Per ora
posso anche accontentarmi di starti solo vicino, di condividere le
piccole cose, di camminare accanto a te…per ora!
***
La
mia meta è la Donut House. Sono le sette ed ho tutto il tempo di
acquistare la colazione e raggiungere Bella al suo negozio.
Ho
in mente questo posto da quando ho ritrovato la foto. Da quel momento
il ricordo del suo viso di bambina si fa sempre più nitido e nella mente
si aprono nuovi ricordi che fino ad oggi erano rimasti nascosti chissà
dove.
Di fronte alla vetrina, deglutendo l’acquolina che si riversa
nella mia bocca, mi domando quale possa piacere a Bella e, soprattutto,
se ancora oggi adori le donuts come quando era piccola.
Ogni mattina,
prima di andare in centrale, capo Swan portava a casa una scatola di
ciambelle e d’estate sedevano sotto il portico a fare colazione. Io li
guardavo dalla finestra, vedevo Bella tuffarsi letteralmente sui dolci
con la sua piccola mano ed addentare la ciambella con la glassa rosa e
gli zuccherini colorati.
-Oh…ehm…b-buongiorno signor Masen. C’è EJ?
- EJ non ha il permesso di uscire stamattina. Tornatene a casa tua!
- Ma…ma…io gli ho portato una ciambella…
Non avevo osato avvicinarmi ma riuscii lo stesso a vedere la sua espressione terrorizzata. Lui
le chiuse la porta in faccia, lasciandola lì con il dolce tra le mani.
Avrei voluto mettermi a piangere e invece rimasi immobile ad assistere
all’ennesimo scroscio di urla contro mia madre che “permetteva che la
figlia degli Swan ci facesse l’elemosina”.
- Signore? Mi scusi, le ho chiesto cosa desidera.
- Ah, sì…mi scusi lei. Uhm…me ne dia due con la glassa rosa, due al cioccolato e due caffè.
Con
il mio pacco tra le mani ed un sorriso da ebete sulle labbra mi
incammino attento a non versare le bevande. Sono in perfetto orario e
non vedo l’ora di vedere i suoi occhi. Se potessi non mi staccherei da
lei nemmeno per un secondo. Mi viene da ridere perché è proprio ciò che
faceva lei quando eravamo bambini: cercava ogni pretesto per allontanare
il momento di rientrare in casa.
Quando arrivo al negozio mancano dieci minuti alle 8:00 ma dopo pochi lunghissimi secondi la vedo svoltare l’angolo.
È bellissima.
Cammina
piano, con la testa bassa e le cuffie dell’i-pod nelle orecchie. I
capelli sono sciolti e tirati un po’ indietro da un cerchietto. Le
labbra rosse spiccano nettamente sulla pelle bianca del viso e, come al
solito, il labbro inferiore, più sporgente, è come se fosse un invito
alla mia bocca di catturarlo e sentirne la pienezza tra i denti.
L’aria
pungente del mattino l’ha costretta ad imbacuccarsi tutta. Sembra così
goffa che mi fa tenerezza. Ha un giacca marrone abbottonata fino al
collo e dei buffi guanti grigi che le avvolgono insieme tutte le dita.
Un paio di jeans stretti le fascia le gambe snelle e dritte quasi come
una seconda pelle, è impossibile non immaginare di circondarle la
caviglia con le dita per poi risalire seguendo la curva del polpaccio,
la piega del ginocchio e la morbidezza delle cosce.
Le gambe sono
l’unica parte del suo corpo che riesco ad immaginare con facilità. I
fianchi, la vita, il seno e le spalle sono sempre coperti da indumenti
abbondanti o lunghi dai quali riesco a malapena a percepire i contorni. E
lei non sa, nemmeno immagina, quanto questo sia maledettamente sexy. Da
quando l’ho rivista non posso non pensare a quanto sia dannatamente
eccitante l’idea di scoprire lentamente quella pelle coperta e di
lasciarla fiorire in tutta la sua bellezza. È perfino più eccitante
della visione di una donna completamente nuda!
Comincio ad avanzare
verso di lei, che ancora non ha sollevato lo sguardo e non si è accorta
di me. Quando mancano solo pochi passi mi fermo improvvisamente e mi
sporgo avvicinando il viso al suo.
Bella
si blocca improvvisamente e solleva il viso sul quale si è dipinta
un’espressione spaventata. Quando mette a fuoco che si tratta di me, i
lineamenti si distendono e con un gesto rapido tira il filo delle
cuffie.
- Buongiorno – dico, ora che mi può sentire.
Bella
sorride e ricambia il mio saluto con un filo di incertezza nella voce.
Non so se sia perché l’ho colta alla sprovvista ma non si sporge a
baciarmi come ha sempre fatto, anzi, fa un passo indietro portandosi una
mano chiusa a pugno sul petto, come a voler celare quel battito furioso
che non potrei comunque sentire ma che posso immaginare.
Perché anche il mio cuore sta galoppando, piccola Swan. E solo per aver inspirato il profumo dei tuoi capelli.
Ed allora sono io che mi sporgo verso di lei e le circondo una guancia con la mano.
Ghiaccio e fuoco.
La
sua pelle sembra quasi incandescente sotto la mia, fredda, ed il
rossore si diffonde ancora più intenso quando arrivo a sfiorarle il lobo
dell’orecchio con la punta delle dita. I suoi occhi si spalancano
mentre con le labbra mi avvicino piano dall’altra parte per posarle poi
delicatamente un bacio sulla guancia. Indugio qualche secondo in più del
normale e nemmeno so come riesca a ritrarmi senza avventarmi sulla sua
bocca dischiusa per lo stupore.
- Su, entriamo – la esorto dandole le spalle. Non posso fare a meno di lasciarmi sfuggire un ghigno divertito.
Bella è rimasta immobile, con le mani a circondarsi le guance. Non sa
che posso vederla, ignora il fatto che la vetrina del negozio rifletta
perfettamente la sua immagine, rendendo chiara l’emozione che quel lieve
bacio le ha suscitato.
Mhpf…amici…
Mi
schiarisco la voce e Bella sussulta alzando lo sguardo ed accorgendosi
che sto aspettando con la colazione tra le mani. Si riavvia i capelli e
mi raggiunge per aprire la porta.
Una volta dentro, poggio la
scatola ed i bicchieri sul bancone e mi levo la giacca. Tolgo i coperchi e sono sollevato nel vedere che il liquido è
ancora caldo. Bella si avvicina, anche lei si è tolta la giacca. Indossa
un maglioncino blu scuro, con lo scollo a V, non troppo profondo.
…purtroppo…
Il
modo in cui quel colore si sposa con la sua carnagione è delizioso. La
tonalità fredda del blu esalta la sfumatura rosata della pelle del suo
petto e del collo, rendendo ancora più caldo il riflesso mogano dei
capelli.
È incredibile come i miei occhi riescano a cogliere così
tanti dettagli, sfumature che non avevo mai colto in nessun’altra donna.
Sfumature che non mi importava di cogliere. Con lei è diverso.
Aspetto che si sieda accanto a me per sollevare il coperchio della scatola.
-
Ciambelle! – esclama con un’espressione tra lo stupito e l’entusiasta –
Io adoro le ciambelle, EJ. E ci sono quelle rosa, ma dai! Sono le mie
preferite. Sembra che tu mi legga nel pensiero!
- Non sai quanto vorrei poterlo fare, Swan – dico a bassa voce, quasi sicuro che lei non mi abbia sentito.
Mi risparmierei un bel po’ di seghe mentali!
Sì…mentali!
Ok, non solo quelle…
-
In realtà me lo ricordavo, pulce! – ammetto candidamente. Bella non
dice nulla, si limita a guardarmi con un sorriso dolcissimo sulle
labbra.
È uno sguardo, il suo, talmente pulito ed innocente, che è
difficile da sostenere per uno come me. Ho quasi paura che solo
guardandomi Bella possa spalancare le ante dell’armadio e rimanere
sconvolta dalla quantità di scheletri che esse nascondono. Vorrei poter
ricambiare tale sguardo e mostrarle tutto di me, senza dovermene
vergognare.
…non credo che sarà mai possibile…
- Che stiamo aspettando?! – esclama battendo i palmi – Posso?
-
Certo che puoi! – le rispondo. Prendo un tovagliolino e le porgo la
ciambella. Scelgo quella con il maggior numero di zuccherini e dai suoi
occhi, che seguono attenti i miei gesti, capisco che è proprio quella
che avrebbe scelto lei stessa. Infatti, quando la afferra, sorride come
una bambina e guarda il suo dolce indecisa sul punto da cui cominciare a
divorarla.
Io non sono affatto indeciso, invece. Le divorerei la
bocca, in questo momento. Quella bocca tentatrice che si dischiude
esitante mostrandomi la punta rossa della sua lingua, per poi
richiudersi imbronciata e scoraggiata dalle dimensioni del dolce.
Afferro
una ciambella e ne addento un grosso pezzo. Lo faccio solo per evitare
di perdere il controllo e di avventarmi su di lei, ignara e per questo
ancora più irresistibile, dell’effetto che ha su di me.
Consumiamo la
colazione in silenzio, sorseggiando il caffè e scambiandoci sguardi e
sorrisi. Bella mangia con gusto la sua ciambella mentre io ne divoro
due, scoprendomi stranamente affamato.
- Che ne dici? Facciamo a metà? – le chiedo osservando l’ultima rimasta nella scatola.
-
EJ! Hai deciso di farmi diventare una balena? No, grazie. Mangiala tu,
io comincio ad organizzare qualcosa. – risponde dandomi la schiena per
allontanarsi.
Le mie mani le afferrano la vita e le dita stringono ripetutamente come a voler tastare la sua carne.
-
Mh…dici? Io non disdegnerei un altro po’ di sostanza qui – mento
spudoratamente. I suoi fianchi sono perfetti da afferrare, da stringere,
da accarezzare…
Bella mi schiaffeggia le mani e si gira incrociando
le braccia al petto. Adoro quando assume quell’espressione furibonda. È
una pessima attrice.
Al contrario di me…
-
Questi sono i rischi che si corrono quando ci si fidanza da bambini! –
dice irritata…e quasi quasi lo sembra davvero. - Si cresce, si cambia, e
ci si deve accettare per come si è, pregi e difetti! - Mi guarda di
sottecchi e poi continua – Nessuno ti costringe a…
- Vedrò di
accontentarmi – dico serio cogliendola alla sprovvista, afferrando la
ciambella e facendola a metà – Tu, però, cerca di venirmi incontro –
concludo mettendole davanti il suo pezzo di dolce che stavolta non può
fare a meno di accettare.
***
La mattina passa velocemente tra frecciatine e ricordi. Dopo un primo
momento di imbarazzo, io e Bella abbiamo cominciato a collaborare come
una squadra affiatata. Ho cercato di capire quali fossero le sue
intenzioni senza così doverla interrompere ogni cinque minuti per
chiederle qualcosa.
Ho scoperto un sacco di cose. È una gran
lavoratrice, instancabile e veloce. È testarda, più di quanto
immaginassi: pur di non chiedere aiuto è capace di lanciarsi in manovre
assolutamente pericolose.
Come in questo momento!
Mi volto e la
vedo sull’ultimo piolo della scaletta, in punta di piedi, a voler
raggiungere il soffitto per portar via alcune ragnatele. Per poco non mi
prende un colpo: in equilibro precario ad allungarsi verso il muro su una
vecchia scala pericolosamente traballante. Le basterebbe un attimo per
finire sul pavimento e rompersi un braccio o una gamba, o tutti e due.
Quasi mi trattengo per non mettermi ad urlare.
Mi avvicino lentamente, cercando di mantenere un apparente autocontrollo.
- Bella? – dico piano per non farla spaventare.
- Sì? – risponde continuando imperterrita nella sua impresa, come se fosse la cosa più normale del mondo.
-
Che diavolo stai facendo?! – chiedo allora alzando un po’ il tono.
Finalmente Bella si volta verso di me e, guardando in basso, si rende
conto di quale sciocchezza stia commettendo.
- Oddio! EJ, e adesso come faccio? – esclama presa dal panico, agitandosi e facendo oscillare pericolosamente la scala.
- Swan, calmati! Stai tranquilla, ci sono io. Mi senti? Sono qui.
- Aiutami ti prego…non riesco a scendere.
-
Bella, ti ho detto di stare tranquilla. Non guardare giù e fidati di
me. Non devi saltare da una scogliera, devi solo scendere da questa
sottospecie di scala!
- La fai facile tu! Non stai quassù, in bilico…cadrò, ne sono sicura.
-
Non succederà. E se dovesse succedere, sono qui, sono pronto a
prenderti. Mh, forse non avresti dovuto mangiare tutte quelle donuts…
- Razza di…
- Sssh…stai calma, piccola Swan. Ti fidi di me?
- Sì – sussurra in un sibilo quasi impercettibile.
- Non ho sentito. Ti fidi di me?
- Sì, EJ, mi fido di te.
-
Ok, perfetto. Ora fa’ quello che ti dico. Lentamente, molto lentamente,
solleva un piede, sì così, bravissima. Senza guardare giù, mi
raccomando.
- E adesso? Che faccio adesso?
- Calma…abbassati, piano. Piega l’altro ginocchio, Bella.
Adesso poggia il piede più in basso…brava. Ora anche
l’altro.
Bella
esegue alla lettera tutte le mie istruzioni. È terrorizzata davvero. Lo
capisco dal lieve tremolio delle sue spalle, dal modo in cui le tiene
contratte, dalle nocche sbiancate dalla forza che esercita nella presa.
Quando
finalmente si trova più in basso di un gradino, emette un sospiro, di
sollievo forse o di frustrazione per gli altri che le rimangono prima di
raggiungere il pavimento.
Per quanto riguarda me, superato l’iniziale spavento, i benefici della situazione si sono presentati con chiarezza.
Prima si chiamava “sedere” il culo di Bella. Adesso ha cambiato nome…si chiama “benefici”!
Sì,
ok, lo ammetto. Da questa prospettiva le sue morbide, sode ed invitanti
curve, fasciate nei jeans stretti, sono quanto di più invitante possa
esistere. E più si avvicina, più l’invito rimbomba nella mia testa.
Ora come ora pare stia rimbombando nei pantaloni!
Cazzo! Devo darmi una calmata, se Bella mi vedesse così…
- EJ, ci sei? Come sto andando? Manca molto?
Per
fortuna lei e la sua voce preoccupata mi riportano alla realtà…non mi
ero nemmeno accorto che oramai i suoi piedi sono all’altezza della mia
faccia.
- Sì Bella, ci sono. Sono qui – rispondo afferrandole piano una caviglia – mi senti?
- Sì, risponde in un soffio – ti sento.
Anche
se sono consapevole di doverle dare lo spazio necessario, non riesco a
non portarmi con il corpo ancora più vicino alla scala, il viso quasi a
contatto con le sue gambe, la mano che circonda la caviglia senza
accennare a staccarsi. Cerco di ignorare il sussulto che ha avuto quando
ha sentito il contatto, cerco di convincermi che non sia fastidio o
paura o altro e, soprattutto, cerco di non pensare a quanto sia
azzardato il mio gesto.
Bella ricomincia a scendere e lo fa con una lentezza che non ha nulla dell’incertezza di prima.
Possibile che…
Non
c’è paura in questo suo muoversi piano, quasi trattenendo il respiro.
Non parla, non guarda giù, non se ne sta aggrappata come uno scalatore
alla roccia in cima ad una montagna.
Io, ipnotizzato, guardo la mia
mano che, immobile, circonda e segue le curve della sua gamba durante la
discesa…il polpaccio che si tende mentre si abbassa, il ginocchio che
piegandosi trattiene le mie dita, che in questo momento vorrebbero solo
stringere.
Deglutisco rumorosamente quando Bella non si ferma, quando
col pollice mi accorgo di essere nella zona proibita…l’interno coscia!
Un solo gradino e potrei sfiorare ciò che ho sfiorato solo nei miei sogni.
Non posso farlo…non così…non adesso.
Possibile che non si sia accorta della situazione?
Possibile che invece se ne sia accorta? E se lo stesse facendo apposta?
Cosa significherebbe?
Oh, cazzo!
Ritraggo
la mano come scottato. Nello stesso istante Bella scende un altro
gradino e adesso mi ritrovo il suo meraviglioso fondoschiena davanti
agli occhi.
- EJ, ci sono?
- …oooh, sì…ci sei proprio – non riesco a fare a meno di rispondere.
E la voce da maniaco sessuale completa il tutto!
- Cioè, no…sì…voglio dire, un altro e sei a terra.
Quando
i piedi di Bella raggiungono il pavimento, si lascia sfuggire un grosso
sospiro. Io, invece, lo sto trattenendo, il respiro…il mio petto sfiora le
sue spalle e le sono talmente vicino che posso sentire chiaramente il
delizioso profumo dei suoi capelli. Sembrano così morbidi che vorrei
potervi affondare il viso, le mani, e per evitare le porto sui bordi
della scala, circondando Bella con le braccia.
Adesso, Swan, sei in trappola!
- Visto? – le sussurro all’orecchio – sei sana e salva adesso.
- Sì…grazie – risponde con un filo di voce mentre si sposta un po’ all’indietro.
Peccato
che quel po’ sia sufficiente…dannatamente sufficiente. Non credevo di
essere così vicino. Non prima che i suoi glutei mi sfiorassero
all’altezza del bacino. Non prima che una forte scossa elettrica, dal
punto di contatto, si propagasse rapidamente in tutto il mio corpo.
In un gemito strozzato sussurro il suo nome. Che si fottano i “non posso” ed i “non devo”.
Io voglio!
La
voglio come non ho mai voluto nulla in vita mia. Voglio sentirmi così,
vivo…per lei, con lei. Voglio sentire ogni fibra del mio corpo tendere
verso il suo come adesso. Voglio sentire questo folle desiderio
offuscarmi la mente. Voglio che lei si lasci avvolgere dalla foschia
della passione assieme a me. Voglio che sia mia come non è mai stata di
nessun altro.
Vorrei che non ci fosse nemmeno mai stato un fottutissimo altro!
Inaspettatamente
Bella si volta, facendosi indietro con il busto, poggiando quasi la
schiena alla scala che ora è dietro alle sue spalle. Come attratto da un
magnete, mi sporgo in avanti fermandomi ad un palmo dal suo viso.
Dio, quant’è bella!
Sento
il suo respiro caldo sulla bocca, una dolce brezza che abbandona le sue
labbra dischiuse, turgide e rosse come le sue guance.
I miei occhi,
come impazziti, rimbalzano da un punto all’altro del suo viso, ora che
non possono ammirarlo nell’insieme, ma possono gustarsi ogni più
piccolo particolare: gli occhi spalancati, incorniciati da lunghe ciglia
nere, il piccolo naso lievemente arrossato, che vorrei racchiudere tra
le labbra per poterlo scaldare. La pelle…una distesa nivea e perfetta
adornata qua e là da piccole e deliziose lentiggini.
Mi avvicino ancora e Bella non si ritrae. I nostri respiri veloci rimbombano nel silenzio della stanza.Come
seguendo una coreografia perfetta, entrambi pieghiamo di lato la testa.
Socchiude gli occhi, mentre io mi passo rapidamente e nervosamente la
lingua sulle labbra.
Tutto questo è deliziosamente assurdo.
Sto per baciare Bella e credo di non avere la minima idea di cosa fare!
Le sue labbra sono ad un soffio dalle mie e mi sento nervoso ed impacciato come un ragazzino. Come se fosse il mio primo bacio.
In realtà, probabilmente, lo è davvero…
Chiudo gli occhi pronto a colmare questo piccolo grande vuoto.
Ciò che sento è solo il battito folle del mio cuore nelle orecchie.
- Bella? Ci sei?
E LO SPALANCARSI RUMOROSO DELLA PORTA?!
Ma che cazz…
- Jason! – esclama colei che fino ad un attimo fa era intrappolata tra le mie braccia, ad un palmo dalle mie labbra.
Come diavolo ha fatto a divincolarsi così facilmente?
E poi…un attimo…Jason? Chi cazzo è Jason?!
Jason è quel tipo figo che sta stringendo la tua fidanzatina tra le braccia…
No, no, NO! Che vuole questo tipo dalla mia ragazza? Come si permette a stringerla a quel modo. Chi cazzo lo ha invitato ad entrare!!!
Se
penso che un attimo fa stavo per stringerla…io! Non lui! Dannazione…è
come vivere un’esperienza extracorporea. A mani vuote me ne sto qui a
guardare le sue attorno la vita di di Bella.
Ma io ti ammazzo brutto figlio di put…
- EJ? – mi interrompe Bella voltandosi verso di me – ti
presento Jason – Jason questo è il m… lui è
EJ.
- Piacere – dice il tizio dall’aspetto finto-trasandato ed il capello spettinato ad arte.
Lo so, amico, che passi la mattinata davanti allo specchio!
Già…chissà perché lo sai…
- Non ho mai sentito parlare di te – esclama sorridendo. Anzi, ghignando.
Il ghigno di Giuda!
Quello era il bacio…
Fottiti!
- Io ed EJ siamo cresciuti insieme, eravamo vicini di casa e ci siamo ritrovati da poco.
Il tono della voce di Bella è un po’ troppo alto, sembra
quasi sia nervosa e la cosa non fa che irritarmi ulteriormente.
- Sì – aggiungo io – ci siamo ritrovati da poco ma è come se non ci fossimo mai lasciati.
Uno a zero per me, damerino!
Lo
sguardo che si scambiano mi lascia senza parole. Bella ha un
espressione dispiaciuta e mortificata, il tipo sembra essere
improvvisamente a disagio ed io mi sento inaspettatamente di troppo.
- Scusatemi, ho un lavoro da finire. Ciao Jason. – dico con voce incolore.
- Sì, sì…certo. Vai pure. È bello sapere che qualcuno sta aiutando Bella. È stato un piacere.
- Sapessi… - rispondo oramai di spalle, oramai lontano, estraneo a tutto quello che si diranno.
Quando
Bella mi raggiunge, dopo dieci minuti, mi affianca in silenzio
aiutandomi a strappare gli ultimi brandelli di carta da parati. Ha
un’espressione seria e mi lancia degli sguardi di sottecchi come se
volesse capire se sono arrabbiato o meno.
In realtà non lo so nemmeno
io. Mi sento…triste! Per un attimo ho pensato che fosse mia, l’ho quasi
tenuta tra le braccia, ho visto nei suoi occhi, ho sentito nel suo
respiro, lo stesso trasporto che provo io. Ed in un attimo tutto si è
dissolto…talmente breve che sembra quasi che io l’abbia immaginato.
Non so che dire, non so come comportarmi. Ho paura di aver sputtanato tutto.
Bella interrompe il flusso dei miei pensieri sconnessi poggiando una mano sul mio braccio.
- Sei arrabbiato? – mi chiede. E lo fa con uno sguardo talmente contrito che vorrei prendermi a calci da solo.
Idiota, idiota, idiota!
- No…io? No…che vai a pensare? Perché dovrei…
- Jason è…
- No Bella, tranquilla. Non devi spiegare nulla. Io credevo
che…io…cioè insomma…non avevo capito…
-
Infatti non hai capito nulla – esclama divertita avvampando
vistosamente – Jason lavora per il corriere espresso che mi consegna i
libri.
Primo calcio.
-
Quando posso, quando riesco a mettere qualcosa da parte, faccio un
ordine…per la libreria, vecchie edizioni di romanzi oppure alcune
edizioni limitate. Vorrei che l’atmosfera “antica” del negozio sia la
stessa dei libri che proverò a vendere. Sono pazza vero?
- No, non lo sei – esclamo estasiato dai suoi occhi accesi dall’ardore che sente in quello che sta facendo.
- Jason l’ho conosciuto così. È un caro ragazzo e non sta passando un bel momento.
Secondo calcio.
-
Ci siamo ritrovati a parlare qualche volta. Sai? Lo ha lasciato la
fidanzata, ha perso il lavoro e si è dovuto arrangiare con le consegne.
Terzo calcio.
-
Quando hai detto…quando hai parlato di noi, della nostra…amicizia…beh,
la sua ragazza lo ha mollato per un vecchio amico, un amico d’infanzia. È
per questo…è solo per questo che ci siamo guardati a quel modo.
Quarto calcio…dritto tra le gambe!
- Non c’è niente tra noi…è solo un amico, gli voglio bene come ad un fratello.
- Ok Bella, ho capito. Ti chiedo scusa. Il mio comportamento è
stato inaccettabile. Non avevo alcun diritto di reagire così.
- No, non ti scusare. L’importante è che non ci siano fraintendimenti, ok?
Riesco solo ad annuire. Non so se si riferisca unicamente a Jason oppure se la scala sia compresa nei fraintendimenti.
- Non vuoi vedere cosa mi ha portato?
- S-sì, sì certo.
La
seguo fino al bancone, dove mi aspetto di trovare uno scatolone
ingombrante o una pila di libri. Ciò che trovo è, invece, una busta
gialla alquanto sottile.
- Su, aprila – mi invita Bella. Sembra quasi
ansiosa, si vede dal modo in cui osserva ogni mio piccolo gesto, dal
modo in cui si tortura le dita.
Quando la apro, avvolto in una
sottilissima velina bianca c’è uno spartito musicale. Un vecchissimo
spartito musicale. La copertina è visibilmente consunta, i bordi sono
arrotondati, il colore sbiadito, ma la minuziosità e l’eleganza della
cornice e del carattere sono incredibili. Al centro “Debussy” troneggia
all’interno di intricati ghirigori e sotto “Clair de Lune” completa il
tutto.
Non so quanto tempo me ne sto con lo spartito tra le mani, forse un po’ troppo.
- Allora? – mi chiede impaziente. Ed io non so cosa risponderle. Non lo so per molti motivi…troppi.
L’ultimo regalo che ho ricevuto, un piccolo aeroplano di legno, l’ho tenuto tra le mani per dieci minuti, prima che lui
lo facesse a pezzi sotto i piedi. Avrei voluto piangere in quel
momento, ma non lo feci. Avevo il terrore che fosse il viso di mia madre
a fare la stessa fine.
Ho sognato di giocarci per giorni ma non ho
versato una lacrima. Ho asciugato quelle della mamma che si scusava e mi
prometteva che mi avrebbe fatto presto un altro regalo. Un regalo che
non arrivò mai.
Tutti quelli che ho ricevuto in seguito non si
possono considerare regali. Erano solo un modo per tenermi legato, per
ribadire chi fossero loro e chi fossi io. Oggetti belli e costosi privi
di qualsiasi valore.
Proprio come me!
E
adesso guardo lo spartito che ho tra le mani e non posso non pensare
che lei lo abbia scelto per me. Non posso non pensare alla sera che ho
suonato per lei la stessa composizione. Non posso non pensare…
Ecco…non puoi solo pensare! Di’ qualcosa…
- Piccola Swan, io non ho parole, davvero.
E
devo aver usato un tono molto serio, perché il volto di Bella cambia
espressione improvvisamente. Dischiude la bocca come a voler dire
qualcosa ma non emette alcun suono.
- Probabilmente non dovrei accettarlo. Dovresti risparmiare, per il negozio intendo.
- Oh. Capisco…probabilmente è stata un’idea stupida
– dice Bella afferrando lo spartito e cercando di togliermelo
dalle mani.
-
Come al solito non hai capito nulla, pulce! – rispondo tirando dalla
mia parte, lasciandola a mani vuote. – Non è stata affatto un’idea
stupida. Tutt’altro. Sei riuscita a farmi rimanere senza parole. Diciamo
che non sono solito ricevere regali e probabilmente non so come
comportarmi. Scusami se ti ho dato l’impressione di non aver gradito.
Non è affatto così. Questo, Swan – continuo sollevando il regalo – è un
pensiero fantastico. Non avresti potuto farmi regalo migliore – concludo
sorridendo.
E lo fa anche lei, sorride, anche se è evidente la sua perplessità.
Decido di avvicinarmi, poggio lo spartito sul bancone accarezzando la copertina con le dita.
Voglio sentirla vicina come prima, voglio toccarla…baciarla.
-
Questa musica mi riporta alla mente tante cose, – le dico mentre
circondo le sue spalle con le mani – momenti tristi, dolorosi, ma anche
sereni. Mi ricorda mia madre, che la suonava meravigliosamente, mi
ricorda Esme ed i suoi insegnamenti – non posso fare a meno di
aggiungere, notando il sussulto che ha nel sentire quel nome – e
adesso…mi ricorda te, piccola Swan.
Le mie mani risalgono a circondarle il collo sottile e caldo. Posso sentire chiaramente il sangue che scorre frenetico.
Il
mio è un fiume in piena. Dovessi assecondare tale impeto mi avventerei
sulla sua bocca come un assetato all’acqua. Le divorerei le labbra
togliendole il respiro e stringendola talmente forte da imprimere ogni
sua curva sul mio corpo.
Ma non posso farlo.
Poggio la fronte
sulla sua, inspirando profondamente e sperando che il suo profumo non
scateni l’effetto contrario. I nostri nasi si sfiorano, lentamente.
Bella
abbassa il volto, forse imbarazzata, forse per sfuggire il contatto, ma
la mia mano è subito sotto il suo mento pronta a sollevarlo ed a
riportare le labbra lì dove devono essere: di fronte alle mie, rosse,
turgide, dischiuse, pronte.
Ok Edward…o adesso o mai più!
________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Siate
pure spietati. Ho avuto questo capitolo davanti per così tanto
tempo, l'ho letto e riletto così tante volte, che mi è
venuto davvero a noia. Lo trovo insulso, noioso, inutile e noioso.
Sì, due volte!
Non so quando arriverà il prossimo, spero di non farvi aspettare troppo.
Alla prossima, per chi ci sarà,
Miki.
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Capitolo 11 *** Checkmate! ***
capitolo 11
Buonasera a tutti!
Non ve l'aspettavate eh?
Nemmeno io sinceramente.
Questo capitolo mi è scivolato fuori co n una facilità
che mi ha lasciata sbalordita! Il merito è tutto vostro.
Ritrovarvi qui pronti a leggere di nuovo della storia di EJ e Bella mi
ha fatto davvero troppo piacere! Vedere i commenti, vedere quei
numeretti che aumentano...ne sono stata davvero molto felice...
Spero davvero che il capitolo vi piaccia, che vi diverta come ha divertito me.
BUONA LETTURA!
Undicesimo Capitolo
CHECKMATE
Ho un nuovo scopo nella vita: uccidere Jason!
Non mi importa che sia un bravo ragazzo, non mi importa che Bella ne sarà sicuramente dispiaciuta, io lo ammazzo.
E
deve averlo capito anche lei che il suo amichetto rischia grosso visto
il modo in cui mi guarda, camminando nervosamente per la stanza.
Se
penso che pochi minuti fa ero a tanto così dal baciarla e adesso lei è
al telefono con lui… mi sale una tale rabbia. Mi viene voglia di
strapparle quel maledetto telefono dalle mani e ridurlo ad un mucchietto
di indistinti pezzettini.
E poi…aspetta un attimo. Perché lui ha il suo numero ed io no?
Per quale dannatissimo motivo lui può chiamarla ed io no?
Perché lui ha un telefono e tu no!
Il telefono… Cazzo! Me ne ero totalmente dimenticato.
Tutta questa storia mi sta facendo diventare matto.
Ben
due, non uno, due tentativi falliti miseramente. E adesso che faccio?
Come mi comporto? Ma, soprattutto, come si comporterà Bella? Non può
fare finta di nulla, non di nuovo!
È terribilmente frustrante.
Quando
si è voltata di scatto verso il telefono che squillava, c’è mancato
poco che non le finissi addosso. In un attimo mi sono ritrovato di nuovo
a mani vuote e con le labbra “a culo di gallina” come un idiota!
Credo che la mia faccia in quel momento la dicesse lunga.
“Sconvolto” non si avvicina nemmeno
lontanamente…ero…ero allibito!
Forse
dovremmo parlarne, forse glielo dovrei chiedere chiaramente. Ma queste
non sono cose che si chiedono, cazzo! Non posso andare lì a dire: “Swan,
tu mi piaci, io ti piaccio? Ok, baciamoci!”.
NO!
Quando due persone si amano, non c’è bisogno di chiedere…si sente!
Un momento…
Amano?
Piacciono…volevo dire piacciono!
Perché non hai semplicemente ignorato quello stramaledetto telefono, Swan?
Possibile che ti sia lasciata trasportare dalla situazione fino a questo punto? Ma che in realtà tu non lo voglia?
Uff…non so che darei per sapere cosa ti passa in quella testolina, pulce.
Forse,
se facessi il distaccato, magari anche un po’ scontroso, potrei capirci
qualcosa. Se non fossi così disponibile lei potrebbe esporsi un po’ di
più. Non devo essere solo io ad espormi, giusto? Le cose si fanno in
due…
Sì, ok. Ho deciso…
- EJ?
- Siiiì? – dico voltandomi e sfoderando il più ebete e paralitico dei miei sorrisi.
…scontroso e distaccato…idiota e smidollato vorrai dire! E coglione, ovviamente!
- Io direi di fermarci qui per oggi. L’ora di pranzo è passata da un pezzo, sarai affamato e…stanco.
Questa è la tua occasione…
Sì,
ok… ora le dico che va bene, che ci fermiamo qui e con tono distaccato
le dico arrivederci. Non ha ben chiaro con chi ha a che fare.
- EJ, mi hai sentita?
-
Eh? Sì, certo…Io affamato? Stanco? Ma che ti passa per la testa.
Possiamo continuare per un altro po’ se vuoi. Non sono affatto stanco e
non ho molto appetito.
Peccato che il mio stomaco non la pensa
come me e, non appena finisco la frase, si esibisce in uno dei più
profondi ed imbarazzanti ruggiti che si possano emettere.
Punizione divina per sparare stronzate! E per pensarle, soprattutto!
Bella
non riesce a trattenere un sorriso che dopo un po’ si trasforma in una
vera e propria risata, spontanea, cristallina, liberatoria e contagiosa,
tanto che non posso fare a meno di sorridere anche io.
- Beh, magari giusto un po’ – dico massaggiandomi la nuca con la mano.
Una
cosa è certa: la tensione è passata. Non c’è più l’imbarazzo palpabile
che aleggiava prima. È come se non fosse successo niente e, se da un
lato mi fa piacere, dall’altro è profondamente scoraggiante.
- Potremmo mangiare qualcosa – propongo. – Vorrei almeno sistemare quelle mensole.
- Non c’è problema, EJ. Puoi farlo un altro giorno, non
voglio che perdi il tuo tempo qui, è da stamattina che…
-
Non è tempo perso! – la interrompo quasi irritato. Non la capisco
quando fa così! Non so se si preoccupi davvero per me o se semplicemente
non mi voglia tra i piedi. Soprattutto alla luce di quanto è successo
prima.
- Abbiamo un accordo, giusto?
- Sì, ma…
-
Niente ma! C’è tanto lavoro da fare – osservo, mentre Bella si guarda in
giro sospirando. – Non mi ci vorrà molto, in un paio d’ore quelle assi
saranno saldamente attaccate alle pareti e la prossima volta potrò
occuparmi dei muri. Dobbiamo eliminare quelle tracce di muffa prima di
stendere il colore. Conosco un prodotto che fa davvero mi…
- C’è
qualcosa che non sai fare, Masen?. – Bella mi guarda sospettosa,
socchiudendo gli occhi e piegando la testa da un lato come a volermi
mettere a fuoco.
- Potrei stupirti piccola Swan – dico
avvicinandomi e dandole un colpetto con l’indice sul quel naso
delizioso. – In effetti sono bravo in molte cose…
Il
modo in cui il suo sangue affluisce al viso, colorandole gustosamente
le guance, mi conferma che ha capito perfettamente a quali cose io mi riferisca.
- Ehm…quindi…direi di andare a prendere qualcosa da
mangiare. – Si allontana indietreggiando e distogliendo lo
sguardo.
-
Attenta! – Le afferro un braccio poco prima che finisca a terra dopo
aver inciampato nei suoi stessi piedi. –
Puoi.Guardare.Dove.Metti.I.Piedi?! Stai qui…vado io. Faccio in un
attimo.
- NO! Vado io…per favore. Hai qualche preferenza? – mi chiede affrettandosi a mettere la giacca.
- Nessuna. Va bene qualsiasi cosa.
- Perfetto. Torno subito – dice aprendo la porta.
- Bella?
- Sì?
-
Stai attenta. – E non lo dico tanto per dire o per prenderla in giro.
Quando è accanto a me, sono sicuro che non possa succederle nulla di
male.
Tranne che stare accanto a te.
- Faccio in un attimo – risponde sorridendo e alzando gli occhi al cielo.
Ogni volta che lo vedo, quel sorriso, sento una sensazione di calore esplodermi nel petto.
Ho
una voglia devastante di poter arrivare a lei, di sfiorarla, di farla
mia in ogni modo possibile… e non mi riferisco solo al sesso. Anche a
quello, sicuramente, ma non solo.
Ma allo stesso tempo, la paura di contaminarla non mi abbandona nemmeno per un attimo.
Sì,
esatto. Perché Bella, ai miei occhi, è pura. E non nel senso che
intendono di solito gli uomini quando idealizzano una donna, no. Bella è
pura perché non sa cosa voglia dire scendere a compromessi, sa cosa sia
il sacrificio e l’impegno costante. È piena di forza di volontà e
spirito d’iniziativa. È forte, indipendente, sveglia, e la cosa più
bella è che non ha perso quel lato più infantile e ingenuo del suo
carattere.
Non sono attratto da lei perché non ha nulla a che
fare con tutto quello che sono stato finora. Sono attratto da lei
perché… è lei, semplicemente.
È Bella.
Ogni secondo che
passiamo insieme mi fa desiderare di non allontanarmi neanche per un
attimo. Adesso che non c’è, la sua assenza pesa come un macigno e non
posso non temere il momento in cui oggi dovrò separarmi da lei.
Quando
rientra in negozio e posa il sacchetto sul bancone, mi avvicino notando
quanto sia infreddolita. Le tolgo i guanti e comincio a sfregarle le
mani gelate sotto il suo sguardo stupito. Bella mi guarda perplessa ma
per fortuna mi lascia fare, senza trattenere un sorriso.
Mi limito a scaldarle le mani anche se vorrei poter fare di più.
Potrei abbracciarla ad esempio, circondarle le spalle e farle sentire il mio calore.
Sì…e magari potresti spogliarti e ricoprire il suo corpo nudo con il suo!
Perché no!
Sopravvivenza, corso base!
Mangiamo
i panini che Bella ha acquistato, sorseggiando una coca e discutendo
del colore delle pareti. Lei vorrebbe un colore caldo ma io le
suggerisco un blu scuro, con le rifiniture color avorio, trovo che si
sposi meglio con il colore dei mobili e, soprattutto, è il colore che
meglio si sposa con lei. Dopo un primo momento di titubanza, anche Bella
concorda che sarebbe un abbinamento perfetto, che darebbe alla libreria
un’aria un po’ retrò. È davvero contenta di poter parlare di queste
cose. Finora ha sempre preso da sola ogni decisione ed avere un secondo
parere, un altro punto di vista, è una cosa che gradisce molto.
Appena
finiamo di mangiare, Bella comincia a sistemare i vari utensili che
abbiamo utilizzato mentre io mi occupo della riparazione delle mensole.
In meno di due ore ci ritroviamo al centro del negozio a guardare il
lavoro che abbiamo fatto.
Potrebbe sembrare poco ma non lo è.
L’espressione
di Bella è soddisfatta e ciò mi rende orgoglioso perché parte di quella
soddisfazione è dovuta al mio lavoro. È la prima volta che rendo
soddisfatto qualcuno.
È la prima volta che rendi soddisfatto qualcuno senza utilizzare l’arnese che hai tra le gambe!
Anche! Ed è stato molto più appagante.
Aiuto
Bella a mettere tutto a posto e, dopo aver chiuso, ci incamminiamo
verso casa sua, come se fosse scontato che io debba accompagnarla.
E lo è…per me lo è.
Lungo
il tragitto Bella comincia a farmi un sacco di domande assurde, dalla
musica che mi piace a che tipo di colazione faccio al mattino o se sono
solito bere il latte dal cartone.
Io rispondo pazientemente. Mi piace che lei mi chieda certe cose.
Mi piace che le sappia!
Mi chiede se mi piace leggere e le rispondo che, sì, mi piace, ma che in passato non ho avuto molto tempo per farlo.
- Ultimo libro letto?
- Mh…Sulla strada.
- Piaciuto?
- Ho gettato la spugna poche righe dopo aver cominciato. Avevo la testa altrove quella sera.
In verità pensavo a te, piccola Swan. Le parole si rimescolavano
sulla pagina bianca e ciò che vi leggevo era solo il tuo nome.
-
Beh, ti consiglio di riprovarci. È un bellissimo romanzo. L’ho letto al
college e ricordo di aver avuto anch’io un po’ di difficoltà
all’inizio.
- Allora farò sicuramente un altro tentativo. E tu? Cosa stai leggendo?
-
Oh, io sono monotona in fatto di letture: alterno libri nuovi a
classici della letteratura inglese, americana o russa, e non nego di
avere un debole soprattutto per questi ultimi. Adesso sto rileggendo
Jane Eyre…per la quinta volta.
- Cosa? La quinta?!
- Sì, adoro quel romanzo. Lo conosci?
- Ho intravisto il film, vale? – mento spudoratamente. Ho visto il trailer in tv…mi pare.
-
No che non vale! – mi ammonisce Bella colpendomi un braccio. – Il film
non rende neanche lontanamente l’intensità del romanzo, la passione di
Jane, il legame con Rochester. Io adoro Jane. È un’umile istitutrice
dall’aspetto ordinario ma il suo animo è così ricco, nobile, mentre lui…
- Lui?
- È un bugiardo! Ecco che cos’è.
- U-un…b-bu-bugiardo?
-
Sì! Jane si innamora profondamente di lui, gli affida la sua giovane
vita, la sua anima, è pronta a giurargli amore eterno ed alla fine si
scopre che è già sposato. Ti rendi conto?
- E…c-come finisce?
- Beh, se te lo dicessi che gusto ci sarebbe a leggerlo? – Mi fa
l’occhiolino ed io riesco ad abbozzare un sorriso tirato.
Mi sento come se mi fosse passato sopra un tram.
Il modo e l’espressione che aveva quando ha sputato quella
parola, bugiardo, mi hanno fatto mancare la terra sotto i piedi.
…bugiardo…
Come fosse una malattia contagiosa, un peccato mortale, un crimine imperdonabile…
Come darle torto? Come…
Lei
non immagina la voglia che ho di aprirle, quelle fottutissime ante
dell’armadio, e mostrarle i miei scheletri, ma non riuscirei a
sopportare quello sguardo indignato su di me. No, non da lei.
Forse…
se mi conoscesse meglio, se riuscissi a mostrarle chi sono in grado di
essere e cosa sono capace di fare, forse capirebbe il perché di tutto…
Sei
tu, Swan, che mi ha dato e che continui a darmi la forza per tirarmi
fuori da quello schifo. È solo grazie a te se oggi per la prima volta
non mi sento sprofondare in un baratro senza fine. Sono ancora sull’orlo
di quel baratro e spesso sento la terra cedere ma, quando sto con te,
tu mi fai compiere quei piccoli passi in avanti che non credevo di poter
compiere.
- …sco te lo presto.
- Co… Scusa, come?
- Ho detto che, se vuoi, appena lo finisco te lo presto.
- Sì, certo…naturalmente!
- Allora…ci vediamo.
Dannazione! Siamo già arrivati!
- Sì…quando? Domani potremmo fare quel lavoro di cui ti parlavo.
- Domani proprio non posso, ho il doppio turno al caffè. Devo sostituire Jessica.
Magari…potremmoscambiarciilnumeroditelefono – dice d’un fiato arrossendo vistosamente.
Cazzo! Il telefono…
- No!
- Ah. Ok. Sì, scusa…non volevo essere invadente. Fai finta che non abbia detto niente.
-
No no no…cioè, sì. Porc…voglio dire…mi piacerebbe, ma in questo momento
non ho un telefono. Si è rotto e non ho ancora avuto il tempo di andare
a comprarne un altro. Anzi, potrei andare adesso. V- vuoi venire?
Di’ di sì, di’ di sì, di’ di sì…
- Mi piacerebbe, davvero, ma sono stanchissima ed ho urgente bisogno di una doccia. Mi sento le ragnatele ovunque!
-
Oh, beh…certo…non preoccuparti – rispondo in fretta, cercando di celare
la delusione e, soprattutto, cercando di non pensare alle sue parole.
Ragnatele uguale scala uguale bacio mancato.
Doccia uguale nuda.
Bacio più nuda uguale restringimento immediato dello spazio vitale nei miei pantaloni.
-
Allora ci vediamo domani al caffè – dico, cercando di cambiare il
discorso che si sta svolgendo nella mia mente bacata. – Impegnati, mi
raccomando. Ne voglio una fetta enooorme.
Le faccio l’occhiolino e Bella sorride facendo un cenno di assenso col capo.
- Mi è mancata – mi lascio sfuggire. Ed è chiaro che non mi riferisca solo alla sua torta.
- A domani allora…
- Buonanotte piccola Swan.
- Buonanotte EJ.
* *** * *** *
Steso
sul letto, al buio completo, smanetto con il mio telefono nuovo come un
bambino che ha appena scartato il suo regalo di Natale.
Dopo
aver installato un bel po’ di applicazioni inutili, impostato la
suoneria e regolato la sveglia, torno al display principale, che ho
lasciato privo di immagine, completamente nero. In questo modo è molto
più facile immaginare che ci possa essere una sua foto…o una foto che ci
ritrae entrambi.
Mi addormento sorridendo, pensando a Bella avvolta nelle coperte. Mi addormento stringendo un cuscino, immaginando che sia lei.
- Buonanotte piccola Swan – sussurro prima di cadere in un sonno profondo.
* *** * *** *
Il
locale di Emmett si trova in centro. “The Grizzly Bear” è il nome.
Fosse stato per lui sarebbe stato una bettola, ma grazie all’aiuto ed al
gusto di Alice è un locale di lusso, che mantiene lo stile rustico,
quasi country che voleva Emmett, ed è il più rinomato di tutta la città.
L’ambiente
pulito e l’atmosfera accogliente lo rende adatto ad una clientela
varia, da coppie giovani a famiglie o gruppi di amici, e la musica live,
jazz, blues, rithm’n blues, attira non pochi appassionati del genere.
Suonare
al “Griar”, così lo ha ribattezzato Emmett, è un’esperienza esaltante.
L’acustica è qualcosa di fenomenale, senti la musica scorrerti dentro e
vibrare negli occhi della gente che ti ascolta.
Quando Carlisle
ed Esme mi chiesero se volessi lavorare nel locale del loro primogenito
come pianista, l’offerta mi stupì non poco. I nostri rapporti si erano
allentati da tempo, in realtà mi facevo vedere e sentire poco e niente
per paura che mi leggessero negli occhi cosa fossi diventato. Nonostante
questo, accettai l’offerta con entusiasmo. Avrei potuto suonare. Avrei
potuto fare la cosa che più amavo fare. Sembrava un sogno…
- Rosalie, chi è lui?
- Lui chi?
- Come chi? Lui…il pianista.
-
Oh, Edward! Lui è un amico di Emmett, una sorta di fratello in effetti.
Carlisle ed Esme, i suoi genitori, lo hanno aiutato molto, ha avuto un
infanzia difficile: orfano di entrambi i genitori ed affidato ad uno zio
che lo ha sfruttato nonostante fosse poco più di un bambino.
- Capisco…Edward, eh? Chi lo avrebbe mai detto…
- Tanya, no! Edward è un bravo ragazzo ed Emmett tiene molto a lui.
- Non preoccuparti Rose…un bravo ragazzo…sì, certo…
Quella
sera notai subito la donna che era in compagnia di Rosalie. Tutti lo
fecero. Il tubino nero le avvolgeva il corpo come una seconda pelle ed
era tanto castigato sul davanti quanto peccaminoso sul didietro,
scoprendo gran parte della schiena attraverso un’apertura così ampia e
profonda da rivelare chiaramente la totale assenza di biancheria intima.
Le gambe, velate da un impalpabile strato di seta trasparente, erano
lunghe e affusolate e la sottile riga nera, che dietro le percorreva in
tutta la sua lunghezza, guidava il mio sguardo eccitato dalle caviglie
sottili fino al suo sedere perfetto.
Ogni cosa in lei mi
eccitava. Il suo corpo dalle forme perfette, le sue labbra rosse, i
capelli raccolti, il suo sguardo fisso su di me, prepotente, sicuro,
come se già fossi una cosa di sua proprietà.
Non
ho mai saputo con esattezza cosa si fossero dette Tanya e Rose quella
sera, ma il loro dialogo si svolge abbastanza chiaramente nella mia
testa e durante gli incubi che popolano le mie notti.
Quando
chiesi a Rosalie chi fosse la sua amica, mi disse che era una delle più
importanti finanziatrici della sua associazione, che si occupa di donne
vittime di violenza. È sempre in cerca di fondi per sostenerle ed
aiutarle nel difficile percorso di riabilitazione e Mrs Leech le stava
dando grande aiuto. Nonostante ciò mi disse chiaramente di starle alla
larga.
Rosalie non immagina nemmeno che quella sera, all’uscita
dal Griar, una limo nera con i vetri oscurati mi attendeva. Sentii solo
il rumore del finestrino che si abbassava ed un “entra” appena
sussurrato.
All’interno dell’auto eravamo soli, io e lei. Un
divisorio ci celava dallo sguardo dell’autista. L’unica luce proveniva
dal suo cellulare e Tanya guardava il display con uno strano sorriso sul
viso e alzando di tanto in tanto lo sguardo.
- Sei tu, vero? – mi chiese mostrandomi l’immagine che fissava con tanta insistenza.
Sapevo
di quella foto, sapevo anche chi me l’aveva fatta, e sapevo che era
proprio per quella foto che il mio telefono squillava ininterrottamente
da settimane.
Non feci nemmeno in tempo a rispondere che mi ritrovai schiacciato contro il sedile con i fianchi intrappolati tra le sue gambe.
Non fu facile addomesticare Tanya, farle capire quali fossero i limiti. Non avevo mai avuto a che fare con una donna così…passionale.
Prenderla
sul sedile posteriore di una limousine, mentre le luci della città
proiettavano i loro bagliori sui nostri corpi nudi, sudati ed
intrecciati, fu un’esperienza esaltante, non mi era mai successo prima
di lasciarmi coinvolgere al punto da non riuscire ad anteporre il suo
piacere al mio.
La seconda volta, sulle scale per raggiungere il
suo appartamento, ritornai in me, nonostante mi costasse uno sforzo
maggiore del solito, e le strappai un orgasmo talmente violento da farle
piegare le ginocchia. Dovetti trattenerla a me, circondarle la vita con
il braccio e schiacciare la sua schiena contro il mio petto per non
farla cadere in avanti.
La terza e la quarta volta lo facemmo a letto.
Ed il letto fu l’unica cosa convenzionale.
Tanya assorbiva tutto il mio tempo… e buona parte delle mie energie. Dopo poco fui costretto a lasciare il lavoro al Griar.
Ed Emmett non me lo ha mai perdonato. Non è stato molto…carino, da parte mia, scomparire in quel modo.
* *** * *** *
- No Edward! Ti ho detto di no e te lo ripeto…NO!
-
Ma, Emm…lo sai che il locale non è mai stato così pieno come quando
c’ero io a quel piano – dico indicando lo strumento al centro del palco.
- La tua solita modestia!
- Non si tratta di modestia. È un dato di fatto…non puoi negarlo.
-
Mi sento un idiota ad inseguire Emmett per tutto il locale. Sono due
giorni che cerco di farmi riassumere ma lui sembra assolutamente
irremovibile.
- Non si tratta solo di riassumerti, Ed. Ma possibile che tu non ti renda conto? Sei sparito! Spa-ri-to!
- Lo so, ma…
- No, niente ma. Sono mesi che non ti fai né vedere né sentire.
- Sì, ma…
-
Ho detto niente ma, Edward! – sbotta voltandosi e puntandomi il dito. –
Hai la più pallida idea di quanto mamma sia in pensiero? Cazzo
Edward…tu sei come un figlio per loro. Io ti consideravo un fratello,
credevo fossi una persona seria.
- Lo so, Emm, credimi. Ho fatto
un errore ma adesso è diverso…adesso è tutto diverso. Dammi una seconda
possibilità. Fidati di me, non ti deluderò…non stavolta. Mettimi alla
prova.
- Al massimo potrei metterti al lavare i pavimenti – dice sottovoce.
Continua
a fare l’inventario degli alcolici, borbottando tra sé e sé. Non posso
fare a meno di sorridere, quando fa così è fatta.
- Ok – sbuffa senza nemmeno guardarmi.
Lo sapevo!
- Sabato sera…voglio sentire cosa sanno fare ancora quelle mani.- La sua sembra quasi una minaccia.
- Non te ne pent…
- Se ti sei arrugginito, sei fuori!
- Sì, io…
- Se non piacerai alla clientela, sei fuori!
- Bene, vedr…
- Se fai cazzate, sei fuori!
- Emm, ti ass…
- Se scompari di nuovo…sei morto!
-
Grazie…grazie! A sabato sera allora…a sabato – ripeto entusiasta ed
eccitato solamente all’idea. Non vedo l’ora di dirlo a Bella…sarà
sicuramente contenta, magari orgogliosa…
- Hey, Ed?
- Sì?
- Chiama Esme…per favore.
- Lo avrei fatto comunque. A sabato.
Quando
esco dal Griar non posso fare a meno di sorridere. Erano giorni che
pensavo di trovare un lavoro e, dando un’occhiata alle offerte, sui
giornali, ho capito che le cose erano due: o mi andavo a rinchiudere di
nuovo in una fottuta officina, oppure mi sarebbero servite un paio di
lauree ed una decina d’anni d’esperienza…in qualsiasi settore.
Probabilmente ho scelto la strada più facile, ma ciò che
voglio fare deve pur valere qualcosa, no? Ed io voglio suonare…
Sono
felice. Tempo fa non avrei mai creduto di poterlo dire. Tutto sembra
volgere per il verso giusto, non potrebbe andare meglio.
Beh…non proprio…con Bella potrebbe andare decisamente meglio.
Non
che non vada bene…anzi, ma dal “giorno della scala” non c’è stato alcun
progresso. Semplicemente è come se non fosse successo nulla.
Nelle
ultime due settimane abbiamo passato un sacco di tempo insieme, i lavori
al negozio stanno andando alla grande, tra qualche giorno daremo la
prima mano di colore alle pareti. Quando non ci vediamo lì lo facciamo
al caffè e, se non c’è troppa gente, riusciamo anche a chiacchierare un
po’.
Sono riuscito a raccontarle, non senza difficoltà, un po’ della
mia vita dopo la morte della mamma. Ho addolcito molte cose, non mi
piace vedere piangere Bella, o dispiacersi, soprattutto se la causa sono
io.
Anche lei mi ha raccontato della sua vita prima di rincontrarci
ed anche se lo fa con il sorriso sulle labbra, sono sicuro che non deve
essere stato facile affrontare ed accettare il divorzio dei suoi
genitori e la separazione da suo padre.
Anche in questo Bella dimostra una forza invidiabile.
Ci
siamo scambiati il numero di telefono…finalmente, e spesso, subito dopo
esserci salutati, cominciamo un fitto scambio di messaggi. Ci teniamo
compagnia mentre ceniamo, facciamo la spesa o vediamo la tv, commentando
il programma o il film come se lo stessimo vedendo insieme.
Il suo
“Buongiorno” e la sua “Buonanotte” segnano l’inizio e la fine delle mie
giornate ed aumentano disperatamente la voglia di vederla.
Non
abbiamo mai parlato di quello che stava per succedere tra noi, anche se
ci sono dei momenti in cui l’imbarazzo è palpabile. Quando ci sfioriamo,
a volte per caso, a volte no, non sono il solo a sentire una forte
scossa elettrica ed il calore pervadermi il corpo, li sente anche lei,
me ne accorgo, è evidente. Può nasconderlo nelle parole, nei gesti, ma
la tradisce quello stupendo e soffuso rossore che le colora le guance,
la tradisce il modo in cui ritrae la mano, con cui velocemente si sposta
mordendosi il labbro inferiore. In quei momenti cala un silenzio
imbarazzante, che per fortuna riusciamo a superare in pochi minuti. Sono
quasi sicuro che, se la baciassi, Bella non mi rifiuterebbe, ma ho
deciso di non farlo, ho deciso di lasciarle il suo spazio ed il suo
tempo. Aspetterò che sia lei a farsi avanti, cercando nel frattempo di
non fraintendere i segnali.
Non è per me che non indossa più maglie abbondanti.
Non è per me che calza meno frequentemente le scarpe da
ginnastica per sostituirle con graziose e più femminili
ballerine.
Non
è per me che ha cominciato a mettere il lucidalabbra facendo sembrare
il suo labbro inferiore ancora più pieno e sporgente e perciò
dannatamente invitante.
In alcuni momenti mi viene anche
il dubbio che stia flirtando, ma poi mi bacchetto mentalmente pensando
che non è per me che, quando parliamo, gioca con i suoi capelli,
intrecciandoli tra le dita e portandoli dietro alle orecchie. Non è per
me che sbatte le lunghe ciglia più del dovuto o che gioca con il
ciondolo appeso alla collana, invitando i miei occhi sul suo petto, come
se già non vi indugiassero abbastanza.
Ed io spero che pensi che
non sia affatto per lei che il mio pomo d’Adamo fa bungee jumping nella
mia gola e che non sia per lei che spesso devo assentarmi per cercare
di darmi una calmata ed evitare che si accorga del “terzo incomodo”.
Insomma… l’ho detto che potrebbe andare meglio?
Decisamente potrebbe.
Potrebbe anche andare peggio.
E bentornato ottimismo!
Cerco
di ignorare questo pensiero e mi affretto a raggiungere il caffè. Oggi
non ho visto per niente la mia piccola Swan e lei non si aspetta di
vedermi prima di domani pomeriggio, ma sono troppo impaziente di darle
la notizia e, se mi sbrigo, arrivo prima della chiusura. Nonostante gli
ultimi metri me li sia fatti quasi correndo, quando raggiungo il locale,
il cartello “CLOSE” troneggia beffardo sulla porta. Le luci sono accese
anche se dentro non si vede nessuno. Solo metà delle sedie sono
sollevate sui tavoli, segno che c’è ancora qualcuno.
Busso sul vetro, ma niente.
Quando,
senza speranza, cerco di aprire la porta, mi sorprende trovarla aperta.
Il suono del campanello avrà attirato sicuramente l’attenzione di
qualcuno e mi aspetto di veder comparire Bella da un momento all’altro.
Ancora niente.
Sto per andarmene quando sento la porta del retro cigolare rumorosamente.
- Brrr…Jessica avrebbe almeno potuto buttare l’immondizia!
È lei…è Bella. Sentire la sua voce dopo quasi ventiquattro ore è…emozionante.
- Bella?
C’è anche Angela.
- Quando ha un appuntamento non ce n’è per nessuno.
- Bella!
- Che c’è?
- Non cambiare discorso…
- Oh, Angela, non c’è nulla di cui parlare, nulla!
- Ma sono passate più di due settimane.
Mi
blocco all’istante sentendomi improvvisamente fuori posto. Non so di
che stanno parlando ma ho il vago sospetto che non dovrei sentire questa
conversazione.
- Lo so… - La voce di Bella è sconsolata.
- Ma tu DEVI fare qualcosa.
-
No, non credo. Le cose vanno benissimo così. Non voglio rovinare tutto.
Non di nuovo…non con lui. Ho bisogno di EJ. Ho bisogno della sua
amicizia.
Oh cazzo! Decisamente non dovrei essere qui.
Che
cazzo faccio adesso? Se esco, quella fottutissima campanella si mette a
suonare e se rimango qui potrebbero scoprirmi da un momento all’altro.
Sono fottuto!
-
Amicizia? Bells…ma lo hai visto? I tipi come lui non ispirano amicizia,
ispirano violenza. Carnale! Non venire a dirmi che non sei attratta da
lui.
- B-beh…s-sì…ma è normale no? È un bel ragazzo! Obiettivamente v-voglio dire.
Oh. Santo. Cazzo! Harry Potter aiutami tu! Fammi smaterializzare…ora!
- E si dà il caso che tu faccia sogni zozzi su tutti i bei ragazzi che conosci, giusto?
- Beh…non che io ne conosca molti…
- Bella!
- No. Non mi era mai successo.
Piccola Swan fa sogni erotici…su di me…ed io potrei venire nelle mutande.
Le piaccio…
Mi trova bello…
E non dovrei essere qui.
Mi guardo intorno per valutare le vie di fuga.
Nessuna, tranne la porta.
E se apro quella porta sono fottuto!
E se non la apro, sono fottuto lo stesso.
Potrei
nascondermi dietro al bancone e rimanerci fino a domani mattina. Potrei
aprire la cassa, afferrare qualche dollaro e fuggire via facendo
credere loro di essere un ladro.
Bella si spaventerebbe da morire.
Sono fottuto!
- Non posso espormi troppo, Angela. Non dopo che per due settimane non ha mai accennato all’episodio…
- Ti riferisci a quando stavate per farlo sulla scala?
- Angela!
Le ha raccontato della scala…
- Dai Bella! È ovvio che non ci abbia riprovato. Lo hai interrotto…due volte!
- Ma…
- E non dirmi che è squillato il telefono. Non dirmelo! Potrei non rispondere delle mie azioni.
-
E cosa dovrei fare? Non c’ha più provato, evidentemente ha capito anche
lui che era uno sbaglio, che è meglio lasciare le cose come stanno.
Ti facevo più intelligente, piccola Swan.
-
Bella, ascoltami, mister torta di mele ha provato a baciarti, due
volte. E tu lo hai interrotto…due volte! Ti rendi conto che è come
averlo castrato? Sta aspettando una tua mossa, un cenno. È un uomo,
Bella, è orgoglioso, non può rischiare di nuovo.
Angela comincia proprio a piacermi.
- Ma io…veramente…l’ho fatta la mossa.
- Tu cosa? E che avresti fatto, sentiamo.
- Beh, mi faccio carina…per lui.
- Mettersi una maglia decente non è una mossa! Mettersi un push up è una mossa!
Non pensare al push up, non pensare al push up…
- Mi sembri Jessica.
- Jessica per alcune cose ha ragione Bella. Stiamo parlando di ragazzi, non di libri, santo cielo! Sii sincera, lui ti piace?
- Sì, mi piace.
Io le piaccio.
- Cosa provi per lui?
- Oh Angie…non puoi farmi sempre le stesse domande.
Rispondi Swan, ti prego…
- Rispondimi!
- Io…non lo so. Non so se provo qualcosa, non so se sia giusto provare qualcosa.
- Per una volta, Isabella, non pensare a cosa sia giusto o sbagliato, pensa a te, a quello che vuoi.
-
Sono contenta, ecco cosa provo. Sono contenta di averlo ritrovato, sono
contenta che faccia parte della mia vita, sono contenta quando mi
guarda, quando siamo vicini. EJ mi fa stare bene…e la cosa mi
terrorizza!
Terrorizza anche me…credimi…
- Sei un caso disperato. Io ci rinuncio. Sei un pedone, Bella! Ed i pedoni non fanno mai scacco!
La
voce di Angela sembra più vicina e, preso dal panico, l’unica cosa che
mi viene in mente di fare è quella di aprire e richiudere rumorosamente
la porta.
- Bella? Ci sei? Posso entrare? – chiedo ad alta voce come se fossi appena entrato.
La prima ad affacciarsi è Angela e, subito dopo, Bella compare andando a sbattere contro la schiena della sua amica.
- EJ?! C-che…cosa ci f-fai..qui? – mi domanda con voce stridula ed imbarazzata.
-
Beh, passavo per caso ed ho visto le luci accese. È tardi. Non vorrai
tornare a casa da sola! Finisci pure, io ti aspetto – le dico sedendomi
ad un tavolo.
Non mi sfugge la leggera gomitata che Angela dà a Bella e lo sguardo di rimprovero di quest’ultima.
Dopo
qualche minuto, senza che io le abbia chiesto niente, mi porta un caffè
ed una fetta di torta. Mangio il dolce e la osservo, senza il timore di
essere scoperto, stavolta, anzi, con la speranza che lei se ne accorga.
Se c’è una cosa che ho capito da quello che ho sentito prima è che non
conosco le donne così bene come credevo. O meglio, è la mia piccola
pulce a non essere affatto come le donne che ho conosciuto.
Volevo un segno e l’ho avuto, anche se lei non lo sa.
Lungo il tragitto verso casa sua siamo entrambi molto silenziosi. Bella cammina guardando in basso, io cammino guardando lei.
- Com’era la torta? – mi chiede d’un tratto.
- Ottima, come al solito.
-
Ma non era la migliore che tu abbia mai mangiato – dice alzando gli
occhi al cielo e ripetendo le mie parole come una cantilena.
- Che turno hai domani?
- Come?
- Domani, Swan, che turno hai?
- Pomeriggio, perché?
- Facciamola insieme.
- COSA?!
- La torta. Vengo qui domani mattina – dico indicando casa sua, che abbiamo ormai raggiunto – e ti aiuto a farla.
- E pensi che cambierà qualcosa con la tua presenza?
- Hey…fai poco la spiritosa, piccola Swan. È della torta
di mia madre che stiamo parlando. Potrei aver ereditato il gene.
Bella
ride di gusto ed io la ammiro incantato. È splendida, è spontanea e
starle vicino è come respirare una ventata di aria fresca.
Guardo il suo viso pulito, radioso, e non riesco a credere a ciò che ho sentito poco fa, al caffè.
È attratta da me, vuole quel bacio quasi quanto lo voglio io e se anche questo fosse un sogno mi sveglierei felice.
- Ahi! Ma che…
- Rammollito! Era solo un pizzicotto…eri di nuovo nel mondo dei sogni.
Eccome…ma a volte i sogni si avverano.
- Allora siamo d’accordo.
- Sì…su cosa?
- Uff…sei impossibile. Domani? La torta?
- Ah, sì, giusto. A domani allora – dico avvicinandomi e costringendo Bella a poggiare la schiena contro la porta.
Crede che mi sia pentito di aver provato a baciarla… Vediamo di farle cambiare idea.
- A-a…d-domani – risponde con voce tremula, cercando a tentoni la maniglia.
-
Mi raccomando – le sussurro all’orecchio con voce bassa, sfiorandole la
tempia con il naso, - fai tanti bei sogni, piccola Swan.
Inspiro
forte il suo odore, lasciando che una scarica di eccitazione pervada
tutto il mio corpo. Il respiro di Bella è corto, affannato, e lo sento
bruciare sul collo.
Poi è un attimo.
- A-anche a
tu…buonanotte! – La porta si apre, Bella scivola dentro ed in pochi
secondi mi ritrovo con il legno bianco ad un palmo dalla mia faccia.
A domani Bella…e non ci sarà nessuna porta a salvarti!
Hai fatto la tua mossa…tocca a me fare scacco matto!
Mi scuso se non ho risposto alle recensioni dello scorso capitolo, ho
intenzione di farlo al più presto. Appena avevo un minuto mi
fionadavo a scrivere...sorry.
Questo capitolo aveva un altro titolo ed un altro scopo. Per motivi di
ECCESSIVA lunghezza ho preferito dividerlo in due, anche se ciò
allontanerà ancora un po' il "momento della svolta". La notizia
positiva è che il prossimo è praticamente pronto e
posterò al massimo tra una settimana.
Grazie a tutti.
Miki.
|
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Capitolo 12 *** A little piece of apple pie ***
capitolo dodici
BUON 2012 A TUTTI!!!
Finalmente è il 2011 è
andato via, lasciandomi, personalmente, solo bruttissimi ricordi! Spero
che quest'anno nuovo sia più sereno, per me e per tutti voi che
pazientemente attendete i miei deliri.
Chiedo umilmente scusa! Avevo detto
che il capitolo era pronto...e lo era! Purtroppo spesso scrivo su carta
e stavolta non ho avuto il tempo materiale di mettermi a ricopiare
questa marea di idiozie su word! Ricopiare è una cosa che mi
annoia particolarmente, sembra che tutto ciò che ho scritto
perda senso... non che ne abbia poi molto -_-"
Spero che abbiate passato delle belle
feste, che vi siate divertiti, che abbiate mangiato tanto e bene e che
siate potuti stare con le persone che amate. Vi lascio al capitolo,
sperando che vi piaccia e che vi emozioni un pochino, come ha
emozionato me.
Buona lettura!
Dodicesimo Capitolo
A LITTLE PIECE OF APPLE PIE
Sono a pezzi.
Dopo
aver sentito che Bella ha fatto sogni erotici su di me, il mio cervello
crede di aver avuto il via libera, il permesso per dare inizio ad uno
sceneggiato porno in più puntate in cui i protagonisti eravamo io e lei.
Nemmeno calmare la situazione ai piani bassi è servito a molto.
Non appena chiudevo gli occhi, i nostri corpi apparivano intrecciati nelle più improbabili posizioni.
Ed ho detto improbabili…non impossibili!
Due
docce fredde e due caffè avevano stabilito un precario equilibrio.
Equilibrio che è andato in frantumi dopo aver letto il messaggio di
Bella.
Buongiorno. Io sono pronta, ho trovato delle mele squisite.
Voglio proprio vedere che sarai in grado di fare.
Sono
malato! È un dato di fatto. Sono messo peggio di un ragazzino che si
eccita guardando i cataloghi di intimo. Riesco ad avere un’erezione
semplicemente leggendo che Bella è il mittente del messaggio.
Di fronte all’armadio scarto mentalmente tutto ciò che mette eccessivamente in evidenza la zona critica, optando per un paio di jeans scuri che mi stanno leggermente larghi ed un maglione chiaro decisamente abbondante.
Confido anche in Bella e nelle sue solite mises da fagotto. Oggi meno vedo, meglio è!
Prima
di uscire le mando anche io un messaggio. Mi ci vogliono una decina di
minuti per mettere insieme tre o quattro parole di senso compiuto.
Sto arrivando. Vedrai che insieme faremo un ottimo lavoro. Siamo una squadra vincente
Ohpperlamiseria! Anche le faccine…
Prendo la giacca, le chiavi, il quaderno di mia madre e m’incammino verso casa di Bella.
Il
cuore martella nel petto e mi sento accaldato nonostante la
temperatura. Non è stata una buona idea indossare una coperta come
maglione!
Ci manca solo che mi presenti da Bella sudato come un maiale!
Davanti alla sua porta inspiro profondamente.
Alito? Apposto!
Ascelle? Sembra tutto ok.
Lampo? Chiusa.
Coraggio…
Busso…
La porta si apre…
- Hey, finalmente!
Oh.Porco.Cazzo!
E spero di averlo solo pensato perché basta la mia deglutizione rumorosa a farmi fare la figura del coglione.
- Non startene impalato, entra.
Non
so quale forza sconosciuta mi faccia coordinare il movimento delle
gambe. Riesco ad entrare senza stramazzare al suolo mantenendo anche
un’andatura non troppo traballante.
Bella mi precede ed io la seguo senza fiatare, come un topolino dietro al pifferaio magico.
Pelle…
Tanta…
Candida…
Liscia…
Voglio morire…
Vorrei che il corridoio non finisse mai, vorrei poterla guardare all’infinito.
È nuda.
È quasi nuda.
Ok, non è nuda, ma è come se lo fosse.
Dio benedica chi ha inventato gli shorts. Era un uomo…sicuro!
Quelli
che indossa Bella sono neri e le coprono giusto fin sotto la curva
delle natiche. Le avvolgono il sedere tanto da rendere visibili i bordi
della sua biancheria intima.
Porta le mutandine. E la cosa mi eccita in maniera inspiegabile, quasi illecita.
Le
sue gambe sono completamente nude ad eccezione di un paio di calzettoni
neri che si arricciano sulla caviglia e le coprono buona parte del
polpaccio, sottolineandone ulteriormente la forma sottile. Per un attimo
penso che i calzettoni siano l’indumento più sexy che esista. Solo per
un attimo, perché il mio sguardo vola rapido alla sua t-shirt blu, al
modo in cui le sottolinea la vita, al modo in cui lascia intravedere il
profilo del reggiseno.
Che vuoi dirmi Swan? È la tua mossa? È questo il tuo tacito assenso? A fare cosa? A baciarti?
No, perché questo per me è un invito a saltarti addosso. E nemmeno tanto velato!
O almeno questo è ciò che mi fa pensare dal modo in cui ondeggia i fianchi.
Mi
sento stordito. Come se fossi in overdose. Non posso reggere tutto
questo, non tutto insieme. Ho una paura fottuta di fare una cazzata!
Calmati Edward…respira. Piccoli passi. Bella non è come
le altre. Magari non è per provocazione che si è svestita così. Probabilmente non si rende nemmeno conto dell’effetto che può farmi…e che mi sta facendo.
Sì, sarà sicuramente così. In effetti fa caldo qui dentro, troppo caldo.
Quando entriamo in cucina Bella mi chiede la giacca e, nel toglierla, sento un leggerissimo sollievo.
Lei
scompare un attimo e ne approfitto per tirare su le maniche del
maglione e sventolarmi un po’ la faccia con le mani, alla ricerca vana
di un po’ d’aria fresca.
Questa stanza è un forno nel vero senso della parola e la mia temperatura corporea non aiuta affatto.
-
Se vuoi lavarti le mani, il bagno è di là – dice indicandomi una porta
accanto a quella della cucina. – L’asciugamano è pulito.
- S…sì, ok. Grazie.
Il
bagno ed il fresco venticello che entra dalla finestra socchiusa sono
la mia salvezza. Apro l’acqua fredda e mi sciacquo il viso passando una
mano umida anche sulla nuca.
Per fortuna l’effetto è immediato, anche
se so che sarà solo temporaneo: la gemella malefica di Bella mi aspetta
in cucina e devo averle fatto un torto molto grave perché ha deciso di
rendermi la vita impossibile.
Quando esco dal bagno, leggermente più
calmo, mi accorgo che Bella ha già preparato tutto l’occorrente sul
bancone della cucina e mi aspetta sorridente con i gomiti poggiati sul
ripiano ed il viso tra le mani.
Non ho avuto modo di guardarla prima, non così bene.
Non smetterò mai di pensarlo: è splendida.
Ha
raccolto i capelli ma alcune ciocche sfuggono dal fermaglio e le
incorniciano il viso. Le guance sono arrossate e non so se sia per
l’eccessivo calore o per l’imbarazzo che, sono certo, sta provando.
Devo ammettere che è più brava di quanto pensassi a fingere disinvoltura.
- Allora, cominciamo? – le chiedo con tono serio.
-
Sono pronta! – risponde raddrizzandosi di scatto e portando il petto in
fuori. Abbasso immediatamente lo sguardo perché l’ultima cosa che mi ci
vuole adesso è fissare il suo seno appena coperto da un sottile strato
di cotone.
Sotto gli occhi attenti di Bella tiro fuori il quaderno dalla tasca posteriore dei jeans e lo apro alla pagina della ricetta.
- Cos’è?
- Allora…ingredienti: trecento grammi di farina.
- EJ, no…cos’è? Io non…
- Silenzio per favore! Centocinquanta grammi di burro.
- Non capisco EJ, io ho già la ricet… Aspetta un attimo…NO! EJ, non dirmi che quella è…
Bella mi raggiunge cercando di sbirciare da dietro la mia spalla.
- È la ricetta vero? Quella di tua madre…ti prego, fammi vedere. Ti prego!
Mi
gira intorno cercando di afferrare il quaderno mentre io lo sposto da
una parte all’altra un attimo prima che le sue dita riescano ogni volta
ad afferrarlo.
Sembriamo due bambini e la cosa mi piace e mi diverte incredibilmente.
E per piacermi intendo piacermi…
Pervertito…
Sì, ok, lo sono e allora?
Bella mi si sta strusciando addosso in un modo talmente innocente da
essere dannatamente eccitante!
Quando sollevo un braccio per impedirle di raggiungere il suo obiettivo, vedo la sua mano arpionarmi il fianco.
- No, Bella…no! Ferma…ferma…ti prego…non il solletico. Basta!
Mi
piego in avanti per sottrarmi a quella tortura e quando lei mi offre il
suo di fianco, sporgendosi per afferrare nuovamente il quaderno, sono
io che comincio a farle il solletico, costringendola a piegarsi in
avanti. Bella si volta ma non riesce a sfuggire alla mia presa. Le
circondo la vita con un braccio, tenendola ferma con la schiena contro
il mio petto, e con le dita continuo a torturarla. Lei scalcia per
cercare di liberarsi e non riesce a trattenere le risate. Mi supplica di
smettere ma non ne ho la minima intenzione. Tenerla stretta a me è la
sensazione più intensa che io abbia mai provato.
Poi succede
tutto all’improvviso: le mie dita risalgono più del dovuto e lei si
sporge in avanti con il risultato che sfiorano involontariamente la base
del suo seno. È un attimo, ma in quell’attimo riesco a coglierne la
rotondità, la morbidezza…
Tutto il mio sangue fluisce all’istante in
un unico punto e sento l’erezione crescere così velocemente che sono
costretto ad allontanarla quasi bruscamente da me.
Mi dà le spalle e
rimane immobile. Vedo e sento che ha il respiro corto. Come me. Le
braccia sono abbandonate lungo i fianchi. Come le mie. I pugni stretti.
Quando
comincia a voltarsi ho il terrore di vedere il suo viso arrabbiato. Ho
paura che mi cacci via. Ho paura di aver oltrepassato il limite.
Avanza
verso di me. È seria, non sembra arrabbiata. Mi guarda negli occhi ed
io non riesco a distogliere lo sguardo. Un passo dopo l’altro, finché le
punte dei suoi seni sfiorano pericolosamente il mio petto. Deglutisco a
vuoto e sono sicuro che, adesso, sono io ad essere arrossito come un
pivello.
Bella abbassa lo sguardo e solleva una mano portando le dita
a sfiorarmi il gomito scoperto. Scende lentamente seguendo il profilo
delle vene gonfie. Il pensiero delle sue dita su altre vene gonfie è inevitabile e mi causa la perdita di un battito.
Dal
suo tocco si diparte una scia bollente di brividi. Mi solletica il
polso e riesco a pensare solo al modo in cui lo fa, penso che non sono
mai stato toccato così in tutta la mia vita. Non so cosa mi trattenga
dall’afferrarla per i fianchi, posarla sul bancone e farla mia tra la
farina e le mele a pezzetti.
- EJ? – mi chiama, continuando a
disegnare ghirigori sul dorso della mano. Lo fa utilizzando una
voce…cazzo, quella voce! Non può usarla, non con me, non adesso…
- EJ…
- S…sì?
- Tu…sei…
-
I…io c…cosa? – Sto balbettando come un idiota ma non riesco a fare
altrimenti. In questo momento ci sono due cuori pulsanti che riesco a
fatica a controllare e l’altro è nel mio petto.
- Tu… - continua con quella voce bassa, dolce, melliflua…
- Io?
- Tu…ti distrai molto facilmente! Ah ah. Te l’ho fatta!
Lì
per lì non capisco. Poi vedo Bella dall’altra parte della stanza con il
naso tra le pagine del quaderno e, sollevando la mia mano, la stessa
che lei ha accarezzato con le sue dita, mi accorgo che è vuota.
Non ci posso credere…
- Ennooooooò…ma come? – esclama d’un tratto sconsolata.
Sospiro scuotendo la testa e sento la tensione scivolare via.
- Che succede?
-
Qui – dice picchiettando con l’indice la pagina – c’è scritto
“ingrediente segreto”! Io NON SO quale sia questo ingrediente…come
faccio a saperlo?
- Si dà il caso che io lo sappia!
- Davvero?
- Davvero. Ma…
- Ma, cosa?
- Mh, non so se dovrei dirtelo. Si tratta di un segreto di famiglia. Non credi che probabilmente dovrei tenerlo per me?
- No. NO! Non dovresti. EJ, ti prego…tipregotipregotipregotipregotipre…
- Hey, hey, hey…ok. Mettiamoci al lavoro, che è meglio.
* *** * *** *
Dopo
dieci minuti siamo entrambi davanti al bancone, fianco a fianco. Bella
versa gli ingredienti nella ciotola nell’ordine e nella quantità scritta
sul quaderno da mia madre ed io li mescolo come mi ha detto lei:
lentamente e dal basso verso l’alto.
Quando il composto è troppo duro
per essere lavorato con il cucchiaio di legno, capovolge la ciotola sul
marmo e comincia ad impastare con le mani. Nel frattempo mi chiede di
preparare le mele, alle quali aggiungo il limone grattugiato ed un po’
di succo, la cannella, la noce moscata ed un pizzico di farina.
Aspettiamo
che l’impasto riposi mentre riordiniamo la cucina. Bella è
particolarmente meticolosa in questa operazione. Pulisce ogni cosa con
attenzione e scrupolosità. Quando tutto è sgombro e pulito, prepara il
tegame imburrandolo ed infarinandolo per bene. Io sto seduto a
guardarla, sarei solo d’impiccio adesso, e mi godo ogni suo singolo
movimento, dal modo in cui spennella il burro, al modo in cui
sollevandosi sulle punte ripone la farina nel mobile in alto, inarcando
la schiena e sollevando quel delizioso didietro, che è da quando sono
arrivato che sta urlando “mordimi”.
Stiamo in silenzio. Ma non è
quel silenzio imbarazzante, no. È un silenzio piacevole, rilassante. Non
mi era mai accaduto prima. Con nessuna.
Con nessuno.
Quando
finalmente la torta è in forno, ci mettiamo accovacciati davanti al
vetro per seguirne la cottura. In realtà Bella segue la cottura, io
credo di aver memorizzato alla perfezione la posizione di ogni singola
lentiggine sul naso.
Quando il calore, non solo quello che proviene
dal forno, si fa insopportabile, mi sollevo per sfilarmi il maglione.
Attratta dal movimento, Bella solleva lo sguardo ed appena capisce le
mie intenzioni spalanca gli occhi scuri senza smettere di fissarmi.
E adesso me la paghi, piccola Swan!
Sollevo
il bordo inferiore del maglione tirandolo su lentamente, facendo in
modo che si sollevi la t-shirt che ho indossato sotto.
So che i
pantaloni larghi poggiano sui miei fianchi lasciando intravedere molto
più del dovuto. So che le linee degli addominali sono evidenti e che
guidano lo sguardo verso il basso in una “v” che converge esattamente al
centro del bacino.
Ed infatti Bella deglutisce e si volta
rapidamente. La luce arancione del forno le colora il viso e non mi fa
capire quanto sia imbarazzata adesso.
Mi rimetto affianco a lei e non posso non trattenere un sorriso.
Chissà che genere di sogno hai fatto.
Chissà
se intravedere le linee dei miei muscoli ti ha eccitata così come mi
accende vedere i profili interni delle tue cosce convergere al centro,
lasciando spazio sufficiente affinché la mia mano possa chiudersi a
coppa intorno a te.
Visioni della mia mano in mezzo alle
sue gambe e della mia lingua lungo i contorni del suo sedere si
alternano ad altre decisamente meno caste.
Mi basterebbe pochissimo.
Potrei afferrarle una caviglia, farle perdere l’equilibrio e ritrovarmi sopra di lei per poi avventarmi sulle sue labbra.
La mia mano sta già muovendosi per conto proprio quando, per
fortuna, il timer del forno ci avvisa che la torta è pronta.
- Ora dobbiamo aspettare che si raffreddi – dice senza guardarmi
– il sapore del dolce viene fuori quando è tiepido.
- Aspettare? No, dai! Non sei curiosa di assaggiarlo? Perché
attendere di assaporare qualcosa quando potresti averla subito?
Ma che cazzo sto dicendo? Tanto vale che le dica “baciami”. Idiota, idiota, idiota!
E coglione!
Sì, pure.
Ancora una volta Bella mi lascia senza parole.
-
Preferisco aspettare se so che ciò che mi aspetta sarà sicuramente più
gustoso. E l’attesa renderà il momento ancora più speciale. Nel
frattempo posso osservarne la bellezza: i bordi ondulati, la crosticina
dorata, ed il profumo avvolgente. E questo può essere ugualmente gustoso
ed aumenterà il piacere, dopo, quando la assaggerò, senza rischiare di scottarmi…la lingua intendo, scottarmi la lingua.
-
Che c’è di male nel bruciarsi un po’ la lingua? Vuol dire che
desideriamo talmente tanto una cosa che non possiamo aspettare, non
possiamo fare a meno di prendercela.
- Sì, ma è l’impulso del momento. Spesso crediamo di volere qualcosa e poi, dopo che ci scottiamo, ci pentiamo amaramente di non aver aspettato.
-
E se poi aspettiamo troppo? – la incalzo. Non voglio metterla in
difficoltà ma è più forte di me. Per la prima volta stiamo parlando di
ciò che è successo…anche se c’è di mezzo una torta! – Se quando ci
decidiamo il dolce sarà ormai freddo?
- Manterrà comunque il suo sapore e, nel frattempo, avremo goduto di tutto il resto.
- E se dovesse…deluderci? Se quel sapore che tanto attendiamo non dovesse essere come lo abbiamo immaginato?
Ed è questo il mio più grande terrore, la mia paura, che possa non piacerti, che tu te ne penta, Bella.
-
Io…sono sicura che mi piacerà…- sussurra abbassando il viso e
mordendosi le labbra. – La torta! – aggiunge in fretta. – Sono sicura
che sarà squisita. Abbiamo seguito alla lettera la ricetta. Sarà ottima.
- Puoi tenerlo.
- Cosa?
- Il quaderno di mia madre…è tuo, tienilo.
- No, EJ. Non posso assolutamente accettare.
-
Sì che puoi. Bella, io non cucino. Riesco a malapena a provvedere al
pranzo ed alla cena, figurati i dolci e tutte le altre ricette
complicate che ci sono lì sopra.
- Ma non è questo. Era di tua madre…è un ricordo. Dovresti tenerlo tu.
-
Mia mamma è qui, Bella - dico portandomi una mano sul cuore – ed è qui
come non lo è mai stata prima. Sono convinto che sarebbe contenta che lo
abbia tu. E poi vorrà dire che dovrai impegnarti…particolarmente!
- In che senso?
-
Beh, è da quando non c’è più che non mangio quelle prelibatezze. Voglio
assaggiare tutto ciò che si trova su quelle pagine. E sarai tu a
prepararmelo!
- Ho…ho capito! Tu, Masen, - dice Bella puntandomi il
dito e aggrottando lo sguardo – sei un vero approfittatore. – Lo
strofinaccio che mi lancia mi colpisce in pieno viso.
Continuiamo a
punzecchiarci per una decina di minuti ed è inspiegabile quanto io adori
questi momenti con lei. Scherziamo e ridiamo come due bambini, come due
vecchi amici, come due complici, come due persone che si conoscono da
sempre…come una coppia.
Quando Bella si accorge che è quasi ora di
pranzo, mi propone di mangiare qualcosa insieme, qualcosa di veloce in
attesa del dolce.
Accetto più che volentieri, ansioso di assaggiare
nuovamente la sua cucina e, mentre lei comincia a preparare del pollo
fritto, io apparecchio come la prima volta che ho mangiato qui. Stavolta
nessun dubbio sulla distanza delle tovagliette: le metto praticamente
attaccate.
Seduto sullo sgabello osservo Bella concentrata nella
preparazione del pranzo. Non mi ci vuole molto ad immaginarmi parte di
tutto questo: immerso nei profumi della cucina, lo sfrigolio del cibo in
sottofondo e la visione celestiale della mia piccola Swan, con i suoi
shorts microscopici e le gambe toniche e snelle che chiedono solo di
essere accarezzate, la t-shirt leggermente sollevata a scoprire una
piccolissima porzione di pelle che ricoprirei di baci e sospiri fino a
farla rabbrividire.
Non potrei chiedere di più.
Ti accontenti di poco!
Sarebbe tutto…sarebbe perfetto.
- Ti scoccia se mangio con le mani? – mi chiede sedendosi accanto a me e servendo il pollo nei piatti.
Questa donna me la sposo…sì sì…
-
Come credi che lo mangi io il pollo, Swan? Forchetta e coltello? – le
rispondo afferrando una coscia e addentando la carne. – Mmmh…è
delizioso…squisisto. – La cottura è perfetta ed il sapore semplicemente
sublime. Bella tiene il suo pezzetto tra le dita di entrambe le mani e
sbocconcella la carne lentamente ma con gusto. Ogni tanto si ferma per
pulirsi con un tovagliolo ed è un vero peccato perché leccarsi le dita
mentre si mangia il pollo fritto è una di quelle cose che non si possono
non fare.
Ed io continuo a fissarla, immaginando come sarebbe
afferrarle una mano e portare un dito alla volta nella mia bocca
avvolgendolo con la lingua e succhiando fino a sentire il sapore della
sua pelle.
Terminato il pollo, Bella mi costringe a mangiare la
frutta. Io odio la frutta ma lei dice che fa bene e mi impongo di
ingoiare quasi per intero uno spicchio di mela.
- Che faccia! Sembra tu abbia ingoiato veleno.
- Beh…quasi…
- Sei peggio di un bambino! Anzi no, i bambini fanno decisamente meno storie. Niente frutta, niente dolce!
-
Se io sono peggio di un bambino, tu sei peggio di una suocera…-
bofonchio contrariato, addentando un altro spicchio e sperando che
questa tortura finisca presto.
Ho la netta sensazione che questa donna mi darà del filo da torcere.
- Hmpf…
- Non mugugnare…hai finito?
- Sì…ho finito…
- Ti va una tazza di caffè?
- Ti prego. Almeno mi levo questo saporaccio dalla bocca.
Bella
alza gli occhi al cielo e comincia a trafficare con la macchinetta. Io
sparecchio e faccio spazio alla torta che lei posa sul bancone,
lentamente, quasi fosse una reliquia. Prendo un piattino ed una
forchetta e li sistemo accanto al dolce.
Lo osserva, in silenzio, con il sorriso sulle labbra, ed io osservo lei, come sempre. E come sempre è…
- Bella vero?
- Bellissima – rispondo, completando i miei pensieri a voce alta.
La
lama del coltello affonda nella crosta dorata producendo un crepitio
invitante. La prima cosa che arriva alle mie narici è il forte odore di
cannella, reso più pungente e speziato dalla noce moscata. Bella chiude
gli occhi ed inspira, estasiata come me da quell’aroma delizioso.
Passiamo pochi secondi così, in silenzio, dopo di che Bella adagia la fetta sul piatto e mi porge la forchetta.
- A te l’onore.
Affondo
i rebbi nella torta e raccolgo il pezzetto di dolce. Bella mi guarda ed
il suo viso non è solo pieno di aspettativa, posso vedervi chiaramente
anche un’infinita dolcezza.
Schiudo le labbra e ciò che provo quando
sento il sapore inondarmi la bocca è qualcosa di indescrivibile. È come
essere risucchiato in un vortice di ricordi. Mia madre, il suo sorriso,
le sue lacrime, il suo dolore. La rivedo inerme sul pavimento. Mi rivedo
bambino, rannicchiato vicino a lei, la mia mano sulla sua guancia
gonfia e sporca di sangue, a ricacciare lacrime che premevano per venir
fuori. Lacrime che negli anni ho versato in silenzio, che nessuno ha mai
asciugato.
Lacrime che devono essere ancora versate.
Ma non è solo quello.
È
la sua risata cristallina mentre trafficava in cucina, è la sua voce
che intonava dolci ninna nanne, le dita che danzavano sui tasti del
pianoforte.
Le piroette…
Mi ero dimenticato delle piroette. Quando
ero triste, mi prendeva per mano e mi faceva girare su me stesso ed io
ridevo e lei rideva con me. Mi accarezzava i capelli. Intrecciava le
dita nelle mie ciocche ribelli scompigliandole ancora di più.
Non ho mai permesso a nessuno di farlo.
Ingoio con non poca difficoltà, mandando giù non solo la
torta ma anche il groppo che mi si è formato in gola.
Bella
è rimasta in silenzio e, non so da quanto tempo, la sua mano è sulla
mia, avvolge le mie dita che stringono ancora la forchetta. Sciolgo la
presa ma solo per raccogliere un altro pezzo di dolce e portarlo alla
sua bocca. Schiude piano le labbra e, lentamente, accoglie ciò che le
offro.
- Allora? – le chiedo senza lasciarle nemmeno il tempo di
richiudere la bocca, come fece lei la seconda volta che ci siamo visti. –
Com’è?
Bella mi sorride con le labbra chiuse e tirate, gli occhi si
stringono e le gote si sollevano. Continua a masticare, affrettandosi
per potermi dare una risposta e, quando ingoia, il suo sorriso
finalmente si apre facendo accelerare bruscamente i battiti del mio
cuore.
- EJ, è… è lei! Sì, è lei…è proprio lei.
Bella è in
ginocchio sullo sgabello, seduta sulle sue caviglie, con le mani sulle
cosce nude. Io sono accanto a lei, in piedi. Il suo sguardo si sposta
dalla torta a me.
- Sì, è lei – rispondo più a me stesso che a lei.
Percorro il suo corpo con gli occhi con la stessa dovizia con cui lo
percorrerei con le mani, con la bocca, con la lingua.
È tutto così forte e intenso. Sentirla così
vicina, vederla così vicina…è una tentazione
troppo grande.
Possibile che lei non la stia sentendo questa attrazione devastante?
Sembra
così tranquilla, così a suo agio. Mangia un altro boccone, più grosso
del precedente, lo mastica con gusto, facendomi venire voglia di fare
altrettanto.
- È buonissima, squisita – dice prima di mangiare
l’ultimo pezzo. Continua a commentare estasiata, con le dita davanti
alla bocca piena.
Mi faccio più vicino, posso quasi sfiorarla con le
braccia. I nostri visi sono alla stessa altezza e, quando Bella si volta
verso di me, le nostre labbra sono a pochi centimetri di distanza.
Spalanca gli occhi per la sorpresa e smette in fretta di masticare,
deglutendo a fatica.
I suoi occhi, fissi nei miei, sono due laghi
profondi di cioccolato. Le lunghe ciglia scure che li incorniciano
sbattono frenetiche, incredule e ansiose, e, ad ogni battito, il mio
cuore accelera ulteriormente la sua corsa.
- EJ… - sussurra con un filo di voce, indietreggiando
leggermente con il busto quando io mi sporgo di più verso di lei.
-
Swan…ferma! – esclamo in quello che è tutt’altro che un ordine. È una
preghiera, una supplica quasi. Non farei mai una cosa del genere se non
sapessi che lei lo vuole quanto lo voglio io e che le sue paure sono lo
specchio delle mie.
Il suo viso si imporpora e quel rossore accende
nel mio corpo un calore che mi pervade all’istante. Le sue labbra rosse e
dischiuse per l’attesa, per lo stupore, sono un invito alle mie che
attendono questo momento dalla prima volta che l’ho vista.
Gli incisivi intrappolano la carne in un gesto che mi è ormai caro e familiare.
Porto
l’indice sul suo labbro inferiore, liberandolo dalla morsa dei denti, e
lo accarezzo lentamente gustandone la morbidezza e cercando di
cancellare il segno. Continuo a sfiorarla, proseguendo sullo zigomo, la
tempia, e poi di nuovo giù, la guancia morbida, il profilo della
mandibola, il mento.
Bella chiude gli occhi, piegando il viso
lateralmente, abbandonandosi al tocco della mia mano. Sollevo anche
l’altra, circondando l’altra guancia, incorniciandole il volto e
trattenendolo piano come fosse un tesoro raro.
- Piccola Swan, apri gli occhi…guardami. Guardami, Bella.
Non
voglio che ceda sopraffatta dalle sensazioni che stiamo provando.
Voglio che sia consapevole, che abbia il tempo di rendersi conto di
quello che succede e di fermarmi se lo ritiene necessario.
Non farlo, ti prego…non mi fermare.
Per
tutta risposta, Bella li apre, li spalanca, e posa una mano sul mio
petto, una mano all’altezza del mio cuore, una mano che può sentire
adesso quanto stia battendo furioso.
Per lei, solo per lei.
Forse
indugio più del dovuto sui suoi occhi, sulla sua bocca, perché la mano
si chiude a pugno, stringendo il cotone della mia maglietta, e tira
leggermente ma con decisione verso di lei.
E lo faccio. Copro finalmente quell’ultimo vuoto che ci separa.
Le sue labbra sono sulle mie. Le sue labbra sono dove sarebbero dovute
stare dall’inizio. Ed è…perfetto. È un
incastro perfetto.
Stiamo
fermi, le nostre bocche sono ferme, eppure mi sento come in un vortice,
un vortice di vento caldo che mi scuote da dentro.
Faccio scorrere
indietro le mani, intrecciando le dita nei suoi capelli raccolti, cerco a
tentoni il fermaglio che li trattiene, sperando di riuscire a
sganciarlo senza farle male.
Lunghi boccoli scuri ricadono
ondeggiando sulle spalle mentre con le dita sulla sua nuca spingo
leggermente per sentire la sua bocca premuta ancora di più sulla mia.
È calda, morbida e tutto è così…giusto.
Bella
mi attira ancora di più a sé, le nostre labbra si modellano le une
sulle altre. Con il naso premuto contro la sua guancia, inspiro come mai
prima il suo profumo.
È tortura e delizia.
È un sogno. Sentirla, toccarla, amarla.
Sì, amarla.
Schiudo lentamente le labbra, dandole il tempo di capire cosa voglio, sperando che lo voglia anche lei.
Bella
risale con la mano sul mio petto, mi circonda il collo con entrambe le
braccia, sollevandosi sulle ginocchia e sovrastandomi di qualche
centimetro. Me la ritrovo praticamente aggrappata, con il corpo
schiacciato contro il mio. Le mie mani scivolano verso il basso,
lentamente, carezzandole le spalle, la schiena, posandosi sui fianchi.
Il tessuto della maglietta è così leggero che posso quasi sentire la
setosità della sua pelle.
- EJ? – sussurra sulle mie labbra. Il suo
fiato caldo e profumato mi provoca un’ondata di calore ed eccitazione
che dalla bocca si trasmette a tutto il corpo. Affondo le dita nella
carne, scoprendola morbida così come l’avevo immaginata.
- Bella…
- Baciami Edward, ti prego. Baciami.
Non
so se sia la sua richiesta, il tono sensuale che ha usato, la smania
che ho di sentire il suo sapore o la bellezza del mio nome pronunciato
per intero dalle sue labbra, ma ciò che a fatica ho tenuto sotto
controllo esplode travolgendoci entrambi.
Mi avvento sulla sua bocca
ricoprendola di soffici baci e lievi morsi. I miei denti affondano
laddove i suoi hanno lasciato nel tempo impercettibili solchi. Sono
labbra piene, morbide e sanno di zucchero e cannella. Con la lingua ne
seguo il contorno perfetto ed il gemito che le sfugge mi incendia
completamente.
Accolgo il suo corpo tra le braccia, stringendolo a me
come ho creduto di poter fare solo nei sogni, le nostre lingue si
incontrano e si accarezzano, assaporandosi e vezzeggiandosi
scrupolosamente. È un insieme di sensazioni quasi insopportabile.
È…troppo. È troppo.
È troppo calda. È troppo morbida. Il suo sapore è troppo dolce, troppo buono.
Le
dita di Bella, sulla mia nuca, solleticano la pelle all’attaccatura dei
capelli. Le mie mani vagano sulla sua esile schiena, mentre i nostri
volti si piegano da un lato all’altro per assecondare più profonde
esplorazioni delle nostre bocche.
Posso sentire il sapore della torta di mele ma riesco a percepire anche il suo, decisamente più buono.
I
nostri respiri affannati riempiono la cucina ed è un accompagnamento
troppo eccitante, che fa da sottofondo ad una coreografia perfetta di
baci e carezze.
Continuerei a baciarla all’infinito, continuerei a stringerla all’infinito, ma non posso.
Sono troppo eccitato. Troppo.
Cazzo!
Baciare Bella è troppo. Averla mezza nuda tra le braccia è troppo.
Amarla è troppo.
Adesso.
Posso farcela. Ma non così, non tutto insieme.
-
Bella – dico staccandomi per un attimo. Non so nemmeno come abbia fatto
ad allontanarmi dalle sue labbra. Respirare l’aria fresca al posto del
suo fiato caldo è innaturale. Non mi piace.
La mia piccola Swan rende
tutto più difficile. Insegue la mia bocca nonostante le deboli
proteste. Si aggrappa ancora più saldamente alla nuca premendo la bocca
sulla mia, schiudendola e colpendo il mio labbro inferiore con la lingua
per invitarmi ad accoglierla.
Ed ogni mia effimera resistenza crolla miserabilmente come un castello di carte.
Bella
lambisce le mie labbra con una passione inaspettata. Le assapora, le
lecca, le morde dolcemente. I sospiri di prima sono diventati quasi
gemiti. Le sue mani risalgono intrecciandosi ai miei capelli.
Inaspettatamente non c’è alcun fastidio, non sento nessun disagio.
Mi piace.
E
quando Bella approfondisce il bacio, quando con la lingua si spinge più
a fondo, solleticandomi il palato, stringe le ciocche tirando un po’
più forte.
Cazzo se mi piace!
Continuiamo a baciarci così, io in
piedi, lei inginocchiata sullo sgabello, le sue mani nei miei capelli,
le mie di nuovo sui suoi fianchi. La maglietta si è sollevata e con le
dita sento la sua pelle nuda, liscia, morbida e calda.
Sono eccitato come non lo sono mai stato in vita mia.
E non va bene!
Non
va bene che il mio cervello vada a puttane per un bacio. Non va bene
che ogni volta che sento il suo seno strusciare contro il mio petto devo
impormi di non venire.
Bella è fantastica. Riesce ad essere dolce e
passionale allo stesso tempo. Alterna momenti in cui sembra impacciata a
momenti in cui sembra che non abbia fatto altro in vita sua: baciare.
Baciare me. Ed è un mix sensuale e fortemente erotico.
Un mix talmente erotico che mi farà fare la più grande figura di merda della mia vita.
- Bella – soffio tra un bacio e l’altro. La mia testa vuole
fermarsi ma le mie mani continuano a stringere i suoi fianchi.
Non so come fermarla senza sembrare brusco. Non so come fermarla
facendole capire che è l’ultima cosa che vorrei adesso.
-
È…è troppo, Bella. Ti prego… - sono al limite. Le afferro dolcemente i
polsi, slegando le braccia dal mio collo, li stringo al petto sospirando
profondamente.
Finalmente si ferma e mi guarda e la sua espressione è
tra le più mortificate che le abbia mai visto sul viso. Come se fosse
colpa sua.
E adesso è tutto così sbagliato, perché quel broncio stona
profondamente con le labbra gonfie e umide, le gote arrossate e gli
occhi languidi, occhi che distoglie immediatamente dal mio sguardo.
È
qui, di fronte a me, e la distanza che ci divide è insostenibile. Senza
di lei tra le braccia sento…freddo. È come essere privato
improvvisamente del calore delle coperte al mattino e l’aria gelida ti
entra subito nelle ossa, interrompendo il sogno.
Ho freddo, ma il sogno è ancora qui davanti a me, reale e bellissimo.
-
Swan, guardami – le dico sollevandole il mento con le dita, - è troppo –
continuo senza nemmeno provare a nascondere a cosa mi riferisca. –
Tu…sei troppo, adesso. I miei occhi sul suo corpo chiariscono in maniera
abbastanza eloquente il concetto.
Bella avvampa e finalmente posso accarezzarle la guancia per godere di quel calore.
- Sei…sei bellissima piccola Swan.
- EJ…
- No, non dire niente. È tutto perfetto. È perfetto così, non trovi?
- Sì – dice sorridendo dolcemente – è…perfetto.
- È stato…è stato splendido.
- È tardi!
- C…come?
- È tardi…oh, porca miseria. EJ, scusami.
- Swan, io…non capisco.
- Ohccavolo…Oh.Cavolo…Angela mi ammazza, dovevo aprire io. È tardissimo…
Bella
sgattaiola via con un’agilità che ho imparato a conoscere, mio
malgrado. Quando ha questi scatti, quasi non posso credere che si tratti
della stessa ragazza che inciampa anche nelle foglie secche.
Sento
rumori provenire dal bagno, porte che si aprono e si chiudono, tonfi non
meglio definiti, lo scroscio dell’acqua. Cerco di non pensare a ciò che
sta accadendo di là sistemando la cucina, non prima di aver sistemato
l’erezione tra le gambe.
Dopo dieci minuti Bella rientra nella
stanza. Si è rinfrescata il viso ed è splendida nella sua divisa, con
cappotti e borsa tra le mani.
- EJ, scusami, davvero. Io devo andare.
- Non scusarti. È tutto ok. Su, andiamo.
- Oh! No…cioè…non c’è bisogno che tu…se devi andare…
- Non essere ridicola piccola Swan. Non posso accompagnare la mia ragazza al lavoro?
Eccola! L’ha sparata…
L’ho sparata.
Ma Bella sorride e mi porge la giacca.
- Certo che puoi.
E l’adolescente che è in me esulta indecentemente.
Non ti ha detto “ti amo”.
Adesso, è come se lo avesse fatto.
Ci
incamminiamo velocemente verso il Café. Bella è ad un passo da me.
Guardo le sue spalle strette nel cappotto e vorrei circondarle con un
braccio; vedo la sua mano che ondeggia lungo il fianco e vorrei
stringerla nella mia.
Insomma, vorrei fare tutte quelle cose
vomitevoli che fanno i fidanzati e che io non ho mai fatto. Non ho mai
nemmeno pensato che un giorno avrei potuto e voluto farle.
Mi consolo ripensando al bacio…ai baci che ci siamo scambiati e
non riesco a trattenere l’agitazione…l’eccitazione.
La
tenevo stretta tra le braccia, il suo corpo attaccato al mio, le sue
labbra morbide che si modellano contro le mie, la lingua…oh cazzo, la
sua lingua! Non devo pensare al modo in cui mi solleticava, al modo in
cui avvolgeva la mia, al suo sapore.
Dannazione! Ero appena riuscito a farmi passare una delle più insistenti e pulsanti erezioni della mia vita.
Uff…non tollero tutta questa lontananza, non dopo ciò che
è successo a casa sua non più di venti minuti fa.
E tu sei un cazzone!
Ed
io sono un cazzone! Un cazzone che non ha le palle di fare uno
stramaledettissimo passo avanti per abbracciare la sua ragazza.
Però…la mia ragazza…suona bene…
Cazzone!
Quando arriviamo al Café, Angela è poggiata con le spalle contro la porta e batte velocemente un piede a terra.
- Bella! – esclama quando ci vede arrivare. – Ma si può sapere che fine… Hai visto che ore sono?
-
Sì… Angela, scusami. Io… Noi… non mi sono accorta… - Bella è
imbarazzatissima ed i suoi occhi si spostano rapidamente da me alla sua
amica.
Angela segue a ruota lo sguardo di Bella, puntando i suoi occhi scuri prima su di me e poi su di lei.
-
Oh! Finalmente – esclama. E sembra realmente sollevata e, soprattutto,
sembra aver capito davvero. È così evidente ciò che è appena successo?
Beh…probabilmente i tuoi occhi a cuore, i capelli modello tsunami, la terza gamba…
E poi c’è Bella: gli occhi lucidi, le labbra rosse e gonfie, il viso in fiamme, la voce tremula.
No, direi che non è affatto evidente.
Ce l’avete scritto in faccia!
-
Per questa volta ti perdono – aggiunge guardandomi di sottecchi, mentre
Bella cerca di infilare la chiave giusta nella serratura.
- Bacia bene mister torta di mele? – le sussurra all’orecchio, ma non così piano da non poterla sentire.
-
Angela! – urla Bella con un tono quasi isterico, diverse ottave più
sopra rispetto al normale. Le mani le si bloccano a mezz’aria e le
chiavi precipitano inevitabilmente per terra.
Da vero gentiluomo mi chino immediatamente ai suoi piedi per raccoglierle ed il dorso delle dita scivola inavvertitamente ad accarezzarle una caviglia.
Gentiluomo sì…ma non troppo!
E poi è deliziosa quando è così imbarazzata.
Apro la porta indovinando la chiave giusta al primo tentativo.
- È inutile che ti fingi contrariata – dice Angela, entrando nel locale. – Ce l’hai scritto in faccia, piccola Swan! – conclude, pronunciando le ultime due parole con tono quasi canzonatorio.
Ci
mancava pure l’amica in sintonia con il mio subconscio! Potrei
presentarli…andrebbero d’accordo. E magari non me lo ritroverei
continuamente tra i piedi.
Bella si volta di scatto verso di me, sul viso un ‘espressione quasi mortificata.
Le
sorrido. Non mi importa che Angela mi prenda in giro, non m’importa che
gli altri sappiamo o vedano quanto sono pazzo di lei. Perché è così:
sono pazzo di lei!
- EJ, non entri?
Non ti lascerei nemmeno per un secondo.
- No…mi piacerebbe molto ma ho un impegno.
- …va bene…allora ci vediamo dom…
- Dopo, piccola Swan. Ci vediamo dopo. Sarò qui alle nove, puntuale, pronto per riportarti a casa sana e salva.
- Beh, grazie. Chissà come avrò fatto a sopravvivere finora! – dice ironica.
-
Non posso e non voglio nemmeno pensarci – rispondo serio, avvicinandomi
a lei e costringendola con le spalle al muro. – Odio dovermi separare
da te – aggiungo sfiorandole una guancia con la punta del naso. Su, fino
alla tempia, giù, fino al mento, dove poso un piccolo bacio. Bella
trattiene il respiro e sento i suoi occhi spalancati su di me. – Anche
cinque secondi sarebbero troppi lontano da te. – Risalgo dall’altro
lato, annusando il profumo della sua pelle fino all’attaccatura dei
capelli.
Semplicemente soave.
- Uno – dico baciandole la fronte. – Due – la guancia
destra. – Tre – la sinistra. – Quattro – la
punta del naso. – E cinque.
Ritrovare
le sue labbra mi fa toccare il cielo con un dito. Ritrovarle pronte a
ricevere il mio bacio è esaltante. Le nostre bocche si muovono piano,
quasi timidamente. La sua lingua sfiora appena la mia per poi ritrarsi
dispettosa, lasciandomi insoddisfatto e terribilmente eccitato. La
voglia di approfondire il bacio, la voglia di affondare nella sua bocca,
la voglia di intrappolare piano quella lingua tra i denti è bruciante.
Mi impongo a trattenermi. Non qui. Non adesso. Non ancora.
Mi stacco
molto lentamente da lei, continuando a darle piccoli baci sulle labbra
dischiuse. Bella sospira e si lascia sfuggire un verso di disappunto che
arriva dritto in mezzo alle gambe. I suoi occhi sono fissi su di me ed
il calore che emanano è avvolgente e rassicurante.
- Penserò a questi cinque secondi mentre sarò via.
Sorride.
- A dopo, piccola Swan.
Darle
le spalle è tremendamente difficile. Se dovessi girarmi e la vedessi
ancora lì, non credo che riuscirei a trattenermi dall’abbracciarla e
baciarla ancora e ancora.
- EJ?
Mi blocco all’istante e lo faccio. Mi volto e Bella è lì, bellissima.
- Ti ha deluso? I…il sapore…della torta, intendo. Ti ha deluso?
La mia piccola Swan…
- È anche migliore di quello che ho sempre immaginato.
Il
sorriso che, radioso, le illumina il volto sono sicuro che riuscirebbe a
sciogliere il ghiaccio, così come è riuscito, sin dalla prima volta, a
penetrare quello strato spesso di gelo che avvolgeva il mio cuore.
Lo
sento tremendamente esposto adesso, vulnerabile, ma lo sento anche
battere forte, per la prima volta dopo quelli che sembrano secoli di
mutismo e immobilità.
Tutto grazie a lei, grazie a quella piccola
grande donna che sorridendo mi dice – A dopo – con gli occhi colmi di
felicità e di aspettativa.
* *** * *** *
Cammino piano fino a casa, sorrido come un idiota, incurante della gente che mi guarda come fossi un alieno.
Per
la prima volta, appena entrato in casa, mi sento assurdamente fuori
luogo. Mi guardo in giro ed è come se questo posto non mi appartenesse.
È pieno di cose belle ma non è bello. Sento il calore emesso dal riscaldamento ma non è caldo.
Non è casa di Bella, ecco qual è il problema.
Qui
lei non c’è. Non c’è nessun segno della sua presenza. Se non sentissi
ancora il calore del suo corpo addosso, la morbidezza della sua pelle
sulle dita, il profumo dei capelli ed il sapore dei suoi baci sulle
labbra, sulla lingua, penserei che si sia trattato solo di uno dei miei
soliti sogni.
Invece no. È successo davvero.
L’ho baciata. Ci siamo baciati ed è stato meraviglioso.
Raggiungo la mia camera e mi lascio cadere pesantemente sul materasso, affondando la testa nel cuscino.
Perfetto.
È stato perfetto. Scoprire la mia piccola Swan così calda e
appassionata è stato…cioè…io…non credevo. Non me l’aspettavo. Mi piace
il modo in cui mi stuzzica, mi provoca, quasi inconsapevole di ciò che
può scatenare.
E poi…oh cazzo…presentarsi svestita a quel
modo…è stato un colpo basso. O forse è meglio dire
un colpo alle parti basse!
- Swan, Swan…tu mi manderai al manicomio, io lo so.
Mi
rigiro nel letto, ritrovandomi a pancia in su. Le immagini della
splendida mattinata trascorsa insieme mi scorrono davanti agli occhi,
ricordandomi quanto sia stato speciale e intenso viverle.
Mentre la
tenevo stretta tra le braccia, mentre le sue labbra tormentavano le mie,
le sue mani stringevano i miei capelli ed il corpo era premuto sul mio,
sarebbe stato facilissimo pensarla nuda, immaginarla senza quel
fazzoletto di stoffa che aveva addosso.
Le sue gambe…cazzo, le sue gambe!
Sono snelle ma tornite, non lunghissime ma affusolate.
Butto fuori un grosso sospiro. Fa caldo. Sento caldo.
Mi sfilo la maglietta, gettandola in un punto imprecisato della stanza.
Così va meglio.
L’
immagine di quelle gambe allacciate ai miei fianchi mi esplode nella
testa senza che io possa oppormi. Una fitta insistente al basso ventre
mi ricorda che è da stamattina che combatto contro un’erezione costante
ed un orgasmo impellente.
Chiudo gli occhi e, con una mano, sbottono i pantaloni, sentendo un leggero sollievo per ogni bottone liberato dall’asola.
È ancora troppo poco.
Mi sollevo sui talloni e con un unico gesto abbasso jeans e boxer.
Non riesco a trattenere un gemito quando finalmente non
c’è alcuna costrizione a contenere la voglia che ho di
Bella.
Comincio
a toccarmi così, incastrato nei pantaloni abbassati fino alle
ginocchia, impossibilitato a spalancare meglio le gambe ma troppo
eccitato per rimandare ulteriormente.
Non posso aspettare nemmeno un
secondo. Il desiderio è devastante. È come se ogni terminazione nervosa
sia concentrata sulla punta del mio sesso. Anche il contatto con l’aria
mi causa un gemito di piacere.
Continuo a pensare alle sue gambe. Non
faccio in tempo a pensare ad altro perché mi bastano due sole spinte
contro la mia stessa mano per farmi godere violentemente.
Una risata di scherno mi sfugge dalle labbra. La durata non è mai stata un problema per me. Instancabile, insaziabile, così mi hanno definito molte delle donne che hanno ottenuto i miei favori.
Ed
ora sono qua. Solo, su un letto, le brache calate a mezza gamba ed il
respiro corto. Durata: due minuti scarsi. Ma posso dire con certezza che
è stato l’orgasmo più intenso di tutta la mia vita.
L’ho fatto altre
volte, pensando a lei, ma stavolta è stato diverso. Quel bacio…è come
se avessi avuto il permesso di poterla immaginare mia, di poterla
sentire mia. E poi, tutta quella pelle…una distesa di pelle liscia e
rosea che si è presentata davanti ai miei occhi, turbandomi come un
ragazzino che vede una donna nuda per la prima volta.
Devo alzarmi da questo letto. Adesso. Se non lo faccio sarei capace di stare qui a gingillarmi per
tutto il pomeriggio.Se non fosse così importante ciò che devo fare, non
ci penserei due volte ad assecondare la mia mente perversa.
Faccio una rapida doccia, avvio la lavatrice con le lenzuola e la biancheria ed indosso qualcosa di comodo.
Domani
è la grande serata, voglio che tutto sia perfetto, voglio che Emmett
sia fiero di me, ma soprattutto voglio che Bella veda con i suoi occhi
un’altra parte di me, quella parte che ha intravisto per pochi istanti
la sera che ho suonato per lei a casa sua.
Quando accendo lo
strumento, sento di nuovo, dopo non so quanto tempo, quell’insostenibile
formicolio alle dita, che mi impedisce di indugiare ulteriormente. È
come se i tasti mi stessero invitando a sfiorarli, ad accarezzarli.
Ancor
prima di generare un suono, la melodia risuona nelle mie orecchie
chiaramente. Nota dopo nota, l’essenza stessa dei sentimenti che provo
per lei prende forma, prende vita, colmando la stanza di un crescendo di
dolcezza ed amore che sarebbe inspiegabile a parole.
Chiudo gli
occhi, lasciando che sia Bella a guidare le mie mani, immaginandola
accanto a me ad ascoltare la sua canzone. Il suo carattere forte, la sua
gentilezza, la sua disponibilità, la determinazione e la vitalità
permeano questa musica. Come il ritratto di un pittore alla sua musa,
così le note delineano perfettamente non solo la mia piccola Swan, ma
anche il legame che sta crescendo tra noi.
Spero che lei lo senta, il mio cuore, battere fra queste note.
È una dichiarazione, Swan. Ti sto dicendo che ti amo, lo senti?
È troppo?
Tu
sei troppo. Per me. Eppure non sono mai stato tanto sicuro come adesso.
Io posso farlo. Posso amarla come merita, posso renderla felice, posso
essere felice accanto a lei.
Le dita continuano a danzare senza
pause, senza esitazione, come se avessi davanti uno spartito da seguire.
E quando anche l’ultima nota si è dissolta nel silenzio, mi scopro
emozionato, quasi commosso.
Durante le successive tre ore, riporto la
melodia sul pentagramma, correggendo alcuni accordi, allungando alcune
pause, sorridendo al ricordo delle parole di Esme.
“Le
pause sono importanti quanto la musica, devi suonarle e sentirle, così
come, in un dipinto, l’ombra è importante quanto la luce.”
Mi esercito ininterrottamente fino alle otto, finché ogni singolo passaggio non è perfetto.
Dire che sono soddisfatto è un eufemismo.
Sono esaltato, impaziente, eccitato.
Che novità.
Non eccitato in quel senso. Cioè, sì, anche in quel
senso. È che non vedo l’ora che arrivi domani sera.
Mi infilo qualcosa di decente addosso ed esco per raggiungere Bella al Café.
Sembra che sia passata un’eternità da quando l’ho lasciata sorridente davanti alla porta.
A
pochi metri dal locale vengo sopraffatto dall’ansia. Mi sento nervoso,
agitato. Ho paura che in queste ore, pensando a ciò che è successo,
Bella se ne sia pentita.
Il cuore accelera la sua corsa ed il groppo
che mi si forma in gola rende difficoltoso ogni respiro.Fare gli ultimi
passi è quasi impossibile, le gambe pesano come due blocchi di cemento.
Poi la vedo.
Il groppo in gola scompare, le gambe si alleggeriscono, ogni paura si
dissolve con la stessa rapidità con cui è nata.
Solo il cuore continua la sua folle corsa. Ma è un incedere gioioso, emozionato, impaziente.
Bella si accorge della mia presenza ed avanza a passo svelto verso di me.
Non
vedo l’ora di baciarla di nuovo. Ora che so quanto sono calde le sue
labbra, quanto è morbido il suo corpo, non vedo l’ora di sentirla vicina
come quando eravamo a casa sua.
Sembra la scena di un film: lei che
va incontro a lui, lui che avanza verso di lei e, quando finalmente si
raggiungono, si baciano appassionatamente.
Quando io e Bella ci
raggiungiamo, lo facciamo troppo in fretta, senza tenere conto della
distanza e, per non sbattere l’uno contro l’altra, ci fermiamo
bruscamente. Sia io che lei ci sporgiamo in avanti in quello che è
l’approccio meno romantico nella storia del bacio. Lei si scosta
leggermente come a voler cercare la mia guancia ed io la inseguo con il
risultato che le nostre labbra vanno a sbattere le une sulle altre in un
penoso bacio a stampo.
Penoso…ma bellissimo.
- Ciao… - dice
Bella, visibilmente imbarazzata. Adesso che è così vicina, riesco a
vedere sul suo viso anche la stanchezza oltre all’imbarazzo.
- È stata una giornata piena? – le chiedo mentre si incammina al mio fianco.
-
Oh, non puoi immaginare! Jessica non si è fatta vedere ed eravamo solo
io ed Angela ai tavoli. Non abbiamo avuto un attimo di tregua. E tu? Che
cosa hai fatto di bello?
È normale che io mi emozioni ad una domanda del genere?
No che non lo è.
Eppure
è così. Mi sento emozionato. Non è la prima volta che mi fa una domanda
simile o che ci raccontiamo come abbiamo trascorso la giornata o i
momenti che non trascorriamo insieme, eppure adesso ha un significato
diverso, come fosse una cosa…intima.
- Avevo alcune commissioni da sbrigare – le rispondo vago, sperando che lei non insista.
Non posso certo dirle
“sai Bella, ero talmente eccitato che ho dovuto concedere un po’ di
sollievo all’amico delle parti basse e poi dopo ho suonato e composto
una musica dedicata a te”.
Non so quale delle due cose sarebbe peggio.
Camminiamo fianco a fianco e, mentre mi chiedo cosa pensi, le nostre mani ondeggiano e si sfiorano quasi ritmicamente.
Mi
faccio coraggio e, aprendo le dita, le afferro la mano all’improvviso,
quasi bruscamente, tanto che Bella sussulta facendomi ritrarre subito la
mano.
- Scusami…non volevo…non volevo spaventarti…
- No, scusa tu. Io…non me l’aspettavo. È tutto un
po’…strano. Non trovi anche tu che sia strano?
Cioè…voglio dire…
- Ssssh…ho capito perfettamente cosa vuoi dire.
Mi fermo e mi volto verso Bella, le prendo una mano con entrambe le
mie, avvolgendola e stringendola all’altezza del mio petto.
- È strano questo?
- No – risponde subito.
Avvicino il dorso alle labbra e vi poso un piccolo bacio.
- E questo?
- No.
La
sua giacca non è abbottonata, scosto i lembi e poso le mani sui suoi
fianchi, mi avvicino e le faccio scivolare indietro per poi congiungerle
sulla schiena.
- No – risponde prima che possa farle la domanda. Non posso trattenere un sorriso.
Bella
si avvicina ancora di più, si solleva sulle punte e, circondandomi il
collo con le braccia, mi stringe a sé in un abbraccio inaspettato.
È…è
sconvolgente…non sono mai stato abbracciato così. È una sensazione
nuova. È come abbandonarsi completamente. In questo momento potrebbe
accadere di tutto ma io non me ne accorgerei minimamente.
È così
piccola e tenerla così stretta la fa sembrare ancora più piccola. Eppure
nonostante la notevole differenza che c’è tra noi, qui, adesso, mi
sento al sicuro, mi sento protetto. Il volto di Bella trova un incastro
perfetto nell’incavo del mio collo e posso sentire distintamente la
punta del suo naso freddo sulla pelle.
Rimaniamo così per non so
quanto tempo e, quando sciogliamo l’abbraccio, senza dire nulla
continuiamo a camminare verso casa sua e lo facciamo mano nella mano, le
sue dita intrecciate alle mie.
- Che programmi hai per domani? – le chiedo quando arriviamo davanti alla sua porta.
- Ho il turno di mattina al Café e nel pomeriggio devo sistemare
un po’ la casa. C’è un tale casino lì dentro.
Mi
fa sorridere tutta questa dedizione alla casa, alla pulizia,
all’ordine. Io trovo che la casa di Bella sia perfetta, non è
assolutamente disordinata ma solo vissuta.
- E domani sera? È
sabato…programmi? – le nostre dita si accarezzano, si cercano, si
trovano, risalendo sui polsi, solleticando la pelle.
- Io…beh…no…cioè…
- Vuoi uscire con me? – Con l’altra mano le accarezzo una guancia, raggiungendo il lobo con le dita.
- U…uscire…io e te…cioè…intendi un appuntamento?
- Sì, intendo proprio un appuntamento. Sai, vestirsi bene, lui che va a prendere lei, la porta a cena fuori…
- Oh…un appuntamento.
-
Già…un appuntamento. – Seguo i contorni dell’orecchio, giocherellando
con i ciuffi di capelli che sono sfuggiti dall’elastico che li trattiene
in una lunga coda. – Allora? – continuo avvicinandomi. Ci ritroviamo
nella stessa situazione di ieri sera: addossati contro alla porta. Le
mie labbra si posano sulla sua tempia e Bella mi stringe di riflesso la
mano.
Ho atteso fin troppo.
Premo le mie labbra sulla sua bocca
prima di schiuderle, cercando di superare la barriera debole delle sue
ed incontrare la sua lingua. Se possibile il suo sapore è ancora più
buono. Lo assaporo lentamente in attesa che Bella risponda con la stessa
passione che mi ha mostrato stamattina.
È strano…sarà stanca ma la sento piuttosto…trattenuta.
Le
circondo il collo con le dita, facendole piegare leggermente la testa
all’indietro. Continuo a baciarla ma Bella sembra non voler collaborare
come si deve.
- Tutto ok Swan? – le chiedo continuando a mordicchiarle il labbro inferiore.
- Sì…sì…tutto…ok… - risponde assecondando le mie labbra timidamente.
- Dovresti chiamare tua sorella…
- C…chi? Cos…mia…io non ho…
-
Tua sorella…quella che mi ha baciato stamattina…quella che si è
avventata sulle mie labbra facendomi perdere ogni contatto con la
realtà. – Bella sorride ed arrossisce abbassando lo sguardo imbarazzata.
- Tu…tu avevi detto che era troppo…io pensavo…
-
Quante volte te lo devo dire, piccola Swan? Tu pensi troppo per i miei
gusti. – Le sfioro il collo con le dita di entrambe le mani, allargando
il colletto della divisa e scoprendo la pelle candida e invitante. Le
mie labbra trovano perfetto alloggio nel piccolo avvallamento che si
trova alla base, ne seguo il contorno con la lingua, risalendo con una
scia di baci caldi verso il mento. Ripeto lo stesso percorso più e più
volte mentre il respiro di Bella si fa più rapido.
Finalmente le sue
mani trovano il mio viso, lo circondano trattenendolo per invitarmi a
continuare ciò che sto facendo. Ed io non ho la minima intenzione di
smettere. Le dita si intrecciano nei miei capelli e tirano come hanno
fatto stamattina. Una scossa di piacere mi invade ed inconsapevolmente
mi spingo ancora di più verso Bella, schiacciandola contro la porta.
Succhio la sua pelle gustosa sentendo pulsare il sangue contro le mie
labbra.
- Tu…sarai sempre troppo…sempre…
- EJ…
Soffia il mio
nome e lo fa in una maniera così sensuale ed eccitante che devo imporre
alle mie mani di non scendere sui suoi seni che adesso premono contro il
mio torace.
Mi solleva il viso tirando i capelli indietro e, quando i
nostri sguardi si incontrano, infuocati entrambi dalla passione, Bella
si avventa sulle mie labbra mordendole e succhiandole prima di
permettere alle nostre lingue di incontrarsi e di cominciare a lambirsi e
vezzeggiarsi scrupolosamente.
Continuiamo questa danza finché non
ci scopriamo entrambi senza fiato. La mia fronte è poggiata sulla sua e
le nostre bocche schiuse respirano l’una il fiato dell’altra.
L’eccitazione è a livelli assurdi e basterebbe non so cosa per farmi
perdere totalmente il senno.
- V…vuoi…entrare?
Cazzo, Swan!
Ricomincio
a baciarla con ancora più foga, sperando così di calmare la voglia di
portarla dentro, spogliarla e fare l’amore con lei senza nemmeno
riuscire ad arrivare in camera da letto.
Speranza assolutamente vana
visto che più la bacio, più la stringo, più la voglia di entrare in lei e
sentirla godere si fa insopportabile.
- Swan…no…no… - La allontano e non perché
è quello che voglio fare ma perché è quello che
devo fare.
- Ok…ok… - Bella scioglie la presa e le sue mani si allontanano dalla mia testa.
Abbiamo
entrambi il respiro corto e le labbra gonfie e per entrambi è chiaro ed
evidente il fatto che se non ci fermiamo adesso potremmo non riuscire
più a farlo. Sappiamo entrambi che sarebbe sbagliato.
O meglio…cerco
di convincermi che sarebbe sbagliato nonostante adesso, nella mia mente,
non c’è nulla di più giusto delle mie mani sul suo corpo.
Faccio un
passo indietro ed inspiro l’aria fresca e pulita della sera, sperando
che mi disintossichi da lei, almeno momentaneamente.
- A domani sera, piccola Swan.
- A domani EJ. Buonanotte…
- Non credo proprio lo sarà…
__________________________________________________________________________________________________________
*si dilegua, augurandovi ancora buon anno!!!
|
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Capitolo 13 *** Rawness ***
Capitolo tredici
Lo so. Sono passati DUE ANNI!
Per tanto tempo molte di voi mi hanno chiesto che fine avessi fatto, se avrei mai posto la parola fine a questa storia.
Alcuni messaggi erano vere e proprie dichiarazione d'amore per il mio EJ e per la piccola Swan.
Non so se ci
siete ancora o se avete ancora voglia di leggere la zozzifiction, ma io
sono qui e, senza promettervi aggiornamenti puntuali e a breve termine,
credo proprio che potremo vedere, insieme, dove porterà il loro
viaggio.
EFP ha deciso
di eliminare le foto che avevo messo negli scorsi capitoli, per questo
ho deciso di non inserirne più e la cosa mi dispiace molto,
perché le immagini erano un po' la caratteristica di questa
storia, ma così facendo avrò anche un "pensiero" in meno
e potrò scrivere e postare più velocemente (non escludo
che in un attimo di follia io possa ricaricarle tutte e continuare come
di consueto).
Il capitolo
è dedicato a Sara, che ha sempre mostrato un grande affetto per
questa storia, che ho avuto il grande piacere di conoscere di persona e
che lo ha letto in anteprima, consigliandomi di pubblicarlo. Questo per
dirvi che se fa schifo ve la dovete prendere con lei!
Ok, basta sproloquiare. Vediamo un po' dove eravamo rimasti:
-
E domani sera? È sabato…programmi? – le nostre dita
si accarezzano, si cercano, si trovano, risalendo sui polsi,
solleticando la pelle.
- Io…beh…no…cioè…
- Vuoi uscire con me? – Con l’altra mano le accarezzo una guancia, raggiungendo il lobo con le dita.
- U…uscire…io e te…cioè…intendi un appuntamento?
- Sì, intendo proprio un appuntamento. Sai, vestirsi bene, lui che va a prendere lei, la porta a cena fuori…
- Oh…un appuntamento.
-
Già…un appuntamento. – Seguo i contorni
dell’orecchio, giocherellando con i ciuffi di capelli che sono
sfuggiti dall’elastico che li trattiene in una lunga coda.
– Allora? – continuo avvicinandomi. Ci ritroviamo nella
stessa situazione di ieri sera: addossati contro alla porta. Le mie
labbra si posano sulla sua tempia e Bella mi stringe di riflesso la
mano.
Ho atteso fin troppo.
Premo
le mie labbra sulla sua bocca prima di schiuderle, cercando di superare
la barriera debole delle sue ed incontrare la sua lingua. Se possibile
il suo sapore è ancora più buono. Lo assaporo lentamente
in attesa che Bella risponda con la stessa passione che mi ha mostrato
stamattina.
È strano…sarà stanca ma la sento piuttosto…trattenuta.
Le
circondo il collo con le dita, facendole piegare leggermente la testa
all’indietro. Continuo a baciarla ma Bella sembra non voler
collaborare come si deve.
- Tutto ok Swan? – le chiedo continuando a mordicchiarle il labbro inferiore.
- Sì…sì…tutto…ok… - risponde assecondando le mie labbra timidamente.
- Dovresti chiamare tua sorella…
- C…chi? Cos…mia…io non ho…
-
Tua sorella…quella che mi ha baciato stamattina…quella
che si è avventata sulle mie labbra facendomi perdere ogni
contatto con la realtà. – Bella sorride ed arrossisce
abbassando lo sguardo imbarazzata.
- Tu…tu avevi detto che era troppo…io pensavo…
-
Quante volte te lo devo dire, piccola Swan? Tu pensi troppo per i miei
gusti. – Le sfioro il collo con le dita di entrambe le mani,
allargando il colletto della divisa e scoprendo la pelle candida e
invitante. Le mie labbra trovano perfetto alloggio nel piccolo
avvallamento che si trova alla base, ne seguo il contorno con la
lingua, risalendo con una scia di baci caldi verso il mento. Ripeto lo
stesso percorso più e più volte mentre il respiro di
Bella si fa più rapido.
Finalmente
le sue mani trovano il mio viso, lo circondano trattenendolo per
invitarmi a continuare ciò che sto facendo. Ed io non ho la
minima intenzione di smettere. Le dita si intrecciano nei miei capelli
e tirano come hanno fatto stamattina. Una scossa di piacere mi invade
ed inconsapevolmente mi spingo ancora di più verso Bella,
schiacciandola contro la porta. Succhio la sua pelle gustosa sentendo
pulsare il sangue contro le mie labbra.
- Tu…sarai sempre troppo…sempre…
- EJ…
Soffia
il mio nome e lo fa in una maniera così sensuale ed eccitante
che devo imporre alle mie mani di non scendere sui suoi seni che adesso
premono contro il mio torace.
Mi
solleva il viso tirando i capelli indietro e, quando i nostri sguardi
si incontrano, infuocati entrambi dalla passione, Bella si avventa
sulle mie labbra mordendole e succhiandole prima di permettere alle
nostre lingue di incontrarsi e di cominciare a lambirsi e vezzeggiarsi
scrupolosamente.
Continuiamo
questa danza finché non ci scopriamo entrambi senza fiato. La
mia fronte è poggiata sulla sua e le nostre bocche schiuse
respirano l’una il fiato dell’altra. L’eccitazione
è a livelli assurdi e basterebbe non so cosa per farmi perdere
totalmente il senno.
- V…vuoi…entrare?
Cazzo, Swan!
Ricomincio
a baciarla con ancora più foga, sperando così di calmare
la voglia di portarla dentro, spogliarla e fare l’amore con lei
senza nemmeno riuscire ad arrivare in camera da letto.
Speranza
assolutamente vana visto che più la bacio, più la
stringo, più la voglia di entrare in lei e sentirla godere si fa
insopportabile.
-
Swan…no…no… - La allontano e non perché
è quello che voglio fare ma perché è quello che
devo fare.
- Ok…ok… - Bella scioglie la presa e le sue mani si allontanano dalla mia testa.
Abbiamo
entrambi il respiro corto e le labbra gonfie e per entrambi è
chiaro ed evidente il fatto che se non ci fermiamo adesso potremmo non
riuscire più a farlo. Sappiamo entrambi che sarebbe sbagliato.
O
meglio…cerco di convincermi che sarebbe sbagliato nonostante
adesso, nella mia mente, non c’è nulla di più
giusto delle mie mani sul suo corpo.
Faccio
un passo indietro ed inspiro l’aria fresca e pulita della sera,
sperando che mi disintossichi da lei, almeno momentaneamente.
- A domani sera, piccola Swan.
- A domani EJ. Buonanotte…
- Non credo proprio lo sarà…
E allora, buona lettura!
Tredicesimo Capitolo
RAWNESS
Tu-tum, tu-tum,
tu-tum, tu-tum…
Lo sento forte nelle orecchie, il rumore, è una corsa folle,
implacabile, inarrestabile. Ho quasi paura di sentirmi male. Lo sento in gola,
nel petto, nello stomaco e, sì, lo sento anche in mezzo alle gambe. Perché, ne
sono più che certa, non sono mai stata così eccitata in vita mia. Mai.
Per fortuna che ho ancora le spalle appoggiate alla porta,
se così non fosse credo che crollerei miseramente per terra.
Non so perché me ne sto qui, senza entrare in casa.
Probabilmente perché non riesco a staccare gli occhi dalle sue, di spalle, che
si allontanano, nella speranza che si volti e torni di nuovo da me.
E per il suo fondoschiena…
Sì, me ne sto qui senza entrare in casa anche per ammirare
indisturbata il suo fondoschiena. Mi viene quasi da ridere per questo. Mi fa
sentire molto… Jessica!
Ma come si fa a non rimanere senza fiato di fronte ad una
meraviglia del genere? Praticamente impossibile. Impossibile non notare con
quale armonia i suoi fianchi ondeggiano appena, in un’andatura sicura,
elegante, ma così dannatamente sensuale.
Non sono mai stata una persona gelosa, non che in vita mia
ci siano state troppe occasioni per esserlo, semplicemente non credevo di
essere una persona così gelosa. Il
punto è, ovviamente, EJ. Non sono cieca e non sono stupida e, soprattutto, mi
sono sempre considerata una ragazza pacifica ed assolutamente contraria alla
violenza, ma quando vedo come certe oche sfacciate e starnazzanti lo guardano,
ammiccanti e lascive, per strada o al Cafè, beh, mi viene voglia di prenderle a
pugni!
Quando gira l’angolo e scompare, lo fa senza voltarsi
nemmeno per un attimo. Un sospiro frustrato sfugge dalle mie labbra e,
rassegnata, cerco di trovare la forza e soprattutto l’equilibrio necessari per
entrare in casa.
- Dannazione!
Mentre mi giro, qualcosa mi fa inciampare e riesco per un
pelo ad aggrapparmi alla maniglia della porta per non cadere.
Non so come, non so quando, ma ad un certo punto devo aver
lasciato cadere la borsa per terra e la cosa non mi meraviglia per niente.
Probabilmente, pochi minuti fa, non avrei saputo dire nemmeno il mio nome.
Mentre frugo all’interno per trovare le chiavi, sento il
telefono vibrare. Lo afferro quasi annoiata, certa di trovarvi uno dei soliti
messaggi di Angela in cui mi chiede se ho “combinato” qualcosa.
Invece no…
Scusami se sono andato via in
quel modo ma, credimi, era la cosa migliore da fare. Sono quasi a casa e non
riesco a smettere di pensare a te. Sono seriamente tentato di tornare indietro.
Distraimi, Swan… dimmi un po’, che fai?
Devo appoggiarmi nuovamente alla porta. Non è possibile che
poche parole in un sms mi destabilizzino in questa maniera. Io non sono mai
stata così facilmente… eccitabile,
così schiava del mio corpo, dei miei ormoni, e adesso basta che mi scriva che
sta pensando a me, che si sta trattenendo dal ritornare qui, che sento il cuore
balzarmi in gola e le gambe piegarsi.
Un po’ mi vergogno, ma avrei davvero voluto che non se ne
andasse, che entrasse in casa con me, che continuasse a baciarmi. E poi? Che
avrei fatto poi? Dove si sarebbe spinto lui? Fin dove io avrei voluto che si
spingesse?
Le dita compongono autonomamente la risposta che il mio
cervello in piena autocombustione ha dettato:
E se
non volessi distrarti? Sto entrando adesso in casa.
Mi rendo conto di ciò che ho scritto solo quando leggo il
successivo messaggio:
Ringrazia che mi sono appena
richiusa la porta alle spalle. Piuttosto, tu, che diavolo ci fai ancora là
fuori?
Ok, sono ufficialmente una cretina. Per oggi posso ritenermi
soddisfatta della quantità di figuracce che ho fatto.
Infilo in fretta la chiave nella toppa, entro veloce in casa
e mi richiudo anche io la porta alle spalle.
Volevo dire che sono appena
rientrata. Probabilmente ho indugiato nella speranza che qualcuno si rifacesse
vivo ;)
La casa è ancora invasa dal profumo della nostra torta.
È la verità. La prima cosa che ho sentito, entrando, è stato
un fortissimo odore di cannella e noce moscata, che mi riportano subito alla
mente ciò che è accaduto stamattina.
Non posso non
sorridere mentre lo specchio dell’ingresso si fa beffe di me mostrandomi la mia
stessa espressione da ebete.
Poi lo sguardo mi cade sulle labbra e, senza pensarci, le
sfioro con le dita per avere la conferma che si tratti davvero delle mie. Sono
rosse, turgide, lisce.
Una risatina mi sfugge ripensando ad una delle più frequenti
massime di Jessica: “baciarsi è il
miglior balsamo per le nostre labbra!”.
- Beh… non posso che darle ragione – dico a me stessa,
avvicinandomi allo specchio.
Non è solo la bocca ad avere questo aspetto insolito, anche
gli occhi mi sembra che abbiano una luce diversa. Per un attimo penso alla
possibilità di avere la febbre e, quando porto il dorso della mano sulla
fronte, in effetti, la sento calda.
No, non credo sia febbre. È l’effetto EJ, come lo chiama Angela.
Continuo l’ispezione e quasi inorridisco di fronte allo
spettacolo che mi si presenta davanti.
Sono un disastro!
Il cappotto è scivolato giù dalle spalle. Dandomi un aspetto
dimesso e sbilenco. La divisa è esageratamente aperta, scoprendomi il petto, ed
i lembi del colletto sono sollevati in maniera assolutamente asimmetrica. La
mia pelle, sottile e sensibile, è arrossata nei punti in cui EJ ha indugiato di
più con la sua bocca e nei punti in cui ha strofinato la guancia ricoperta da
un velo di barba. Quel velo di barba che gli dà un aspetto fintamente
trasandato che mi fa impazzire.
Sfioro questi punti con le dita, sentendoli bruciare come
fossero rivoli di lava incandescente che ancora scorrono inarrestabili su di
me.
Avrei voluto sentire quei baci ovunque…
Chiudo gli occhi, godendomi quel senso di beatitudine, per
poi spalancarli improvvisamente quando un dubbio si fa strada nella mia mente.
Che avrà pensato EJ quando gli ho chiesto di entrare? Oddio!
Avrà pensato che sono… facile?!
Do le spalle allo specchio, appoggiandomi col bacino al
mobile dell’ingresso. Razionalmente sapevo che era inadeguato, che non avrei
dovuto, che era troppo presto, che avrei lanciato un messaggio sbagliato, ma EJ
mi stava baciando in quel modo. E le sue mani… Oddio, le sue mani! Più mi
accarezzava, più avrei voluto sentirle ovunque, stringerle, baciarne i palmi,
le dita. Sentire il suo respiro affannato, vedere il suo petto che si alzava e
abbassava così rapidamente, scorgere le linee del suo torace perfetto sotto
alla maglietta e sognare di seguirle con la punta delle dita.
Quando posa i suoi occhi verdi su di me, sento un brivido
violento incendiarmi da dentro.
Ed il suo sorriso… cavolo, quel sorriso! Mi fa tenerezza, da
un lato, perché mi ricorda quando eravamo bambini: EJ non sorrideva molto ma
quando lo faceva non potevo non sorridere a mia volta. Era… contagioso!
Dall’altro però, ciò che sento quando solleva le labbra a
quel modo, in un sorriso un po’ asimmetrico, scoprendo una fila di denti
bianchissimi, perfetti, con i canini leggermente appuntiti, beh… non è affatto
tenerezza.
E ci mancava anche Angela! Grazie a lei, anche le sue mani
sono diventate un’ossessione, la pelle liscia e morbida, le dita lunghe e
affusolate… Se qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei avuto pensieri
decisamente poco casti sulle mani di un uomo, non ci avrei mai creduto!
Quando il cellulare squilla e vibra nella mia, di mano,
sussulto come una cretina lasciandomelo sfuggire.
- No! No, no, no… ti prego, fa’ che non si sia rotto… ti
prego!
Mi inginocchio per terra prendendo il telefono tra le mani e
notando che il display è minacciosamente spento. Il pensiero che possa essersi
rotto mi manda nel panico. Se così fosse, non potrei leggere la risposta di EJ.
E se non la leggo non potrò rispondergli… e se non gli rispondo, potrebbe
rimanerci male…
Ok, calma. Chiudo gli occhi, inspiro, e nel frattempo,
ancora con gli occhi chiusi, cerco con le dita il tasto di accensione.
La musichetta mi fa quasi urlare al miracolo!
Mi siedo per terra, incrocio le gambe ed aspetto di poter
leggere il messaggio.
Io sento ancora il TUO profumo.
Lo sento addosso, dolce ed intenso. Sarà quasi come averti accanto a me,
stanotte.
Deglutisco a vuoto, cerco di ignorare l’improvviso calore
che si propaga su viso e sul collo… e più giù… Non so quante volte lo rileggo
ed ogni volta, a quel “quasi”, il mio cuore fa una capriola.
Vorrei
poter dire lo stesso… in realtà addosso ho solo gli odori del Cafè e non vedo
l’ora di lavarli via con una doccia.
Decido, finalmente, di alzarmi e rimettere in moto il
cervello.
Mi sfilo il cappotto, lo appendo assieme alla borsa e, con
il telefono stretto in una mano, raggiungo la mia stanza. Per terra c’è ancora
ciò che ho indossato stamattina e che ho dovuto levare in fretta per correre al
lavoro. Sollevo gli shorts quasi inorridita, li mantengo tra il pollice e
l’indice cercando di tenerli lontano da me il più possibile.
- Che vergogna! – sbuffo, buttandomi a peso morto sul letto
e coprendomi il viso tra le mani. Non ci posso credere di aver dato retta a
quelle due.
Il ricordo dell’espressione di EJ quando ho aperto la porta
irrompe nella mia mente. Non posso fare a meno di provare un’immensa vergogna per
essermi mostrata scoperta a quel modo, ma vedere i suoi occhi spalancarsi per
la sorpresa e poi scurirsi, in uno sguardo che nella frazione di un secondo mi
ha percorso il corpo come fosse completamente nudo, mi ha eccitata così
intensamente da provocarmi un lieve capogiro.
Non so nemmeno io come ho fatto ad invitarlo ad entrare,
voltargli le spalle e fingere indifferenza.
Oddio! Chissà cosa avrà pensato! Prima mi presento davanti a
lui mezza nuda, poi non faccio che provocarlo, mi bacia… e gli salto
letteralmente addosso e, per finire in bellezza, lo invito ad entrare in casa
dopo nemmeno dodici ore dal nostro primo bacio.
Mi sollevo sui gomiti ed osservo il mio viso arrossato,
riflesso nello specchio sopra il comò.
- Sei una poco di buono, Isabella Swan! – dico allo
specchio, puntando il dito.
Nonostante questa consapevolezza, ciò che vedo è quanto di
più lontano ci possa essere dalla vergogna, dall’imbarazzo o dal pentimento.
Nei miei occhi c’è un guizzo vivace di curiosità, di eccitata euforia, di
impazienza. Perché, ammettiamolo, io non ho mai provato nessuna delle
sensazioni che EJ riesce a suscitarmi anche solo con lo sguardo.
… Jacob… non dovrebbe
venirmi in mente in questo momento ma credo sia inevitabile. È l’unico paragone
che io possa fare nonostante il più delle volte mi imponga di non pensare a
lui.
Con Jacob non è mai stato così.
Accanto al fastidio provato per aver pensato a lui adesso,
c’è anche la consapevolezza che farlo non mi causa quel misto di delusione,
rabbia e senso di colpa. È come se fosse un dato di fatto: ho avuto un ragazzo,
Jacob, credevamo di essere innamorati l’uno dell’altra, abbiamo fatto l’amore,
mi sono trasferita… e lui ha pensato bene di andarsi a rifugiare tra le gambe
di un’altra!
- Wow! – mi sfugge, misto ad un sospiro liberatorio. Non so
se sentirmi sollevata o sconcertata per essere riuscita ad ammettere in pochi
minuti ciò che non sono riuscita ad ammettere per ben due anni. O meglio,
essere riuscita a farlo con questa facilità.
Pensare a Jacob, per tanto, per troppo tempo, è stato
doloroso e deprimente e non c’è stato giorno che io non mi sia fermata almeno
per un attimo a ricordare ciò che è successo tra noi, il modo in cui è finita,
la sensazione soffocante di aver perso tutto, di non valere nulla, di non
essere nessuno.
Buttarmi a capofitto nel lavoro, lanciarmi in maniera quasi
incosciente nel progetto della libreria, investendovi ogni centesimo, sfinirmi
fino a non avere nemmeno la forza per addormentarmi sono state le uniche cose
alle quali mi sono aggrappata e che mi hanno tenuta in piedi.
Nell’ultimo periodo ed ancora di più da quando ho ritrovato
EJ, ho preso a vedere le cose in maniera diversa. Probabilmente riesco a vedere
me e Jacob per quello che eravamo realmente: due ragazzini. Due ragazzini che
credevano di essere innamorati, affascinati dall’idea di essere i primi e gli
unici l’uno per l’altra, semplicemente perché, essendo cresciuti insieme, era
la cosa più ovvia, più facile ma anche la più bella e naturale.
Adolescenti, in piena tempesta ormonale… è venuto naturale
scoprirsi, toccarsi, rinchiusi in una cameretta, eccitati dalla possibilità di
essere scoperti, consapevoli di oltrepassare quel limite invisibile tracciato
dai nostri genitori ma anche da noi stessi, fino a quel momento.
Sapevo come era fatto un uomo. A scuola, le lezioni di
educazione sessuale si avvalevano di una dettagliata riproduzione dei genitali,
sia maschili che femminili, ma la prima volta che ho visto Jake nudo ricordo di
aver pensato che fosse… strano.
Probabilmente non posso parlare di “attrazione sessuale”,
era più che altro una sorta di curiosità quasi analitica, azzarderei, di
scoprire un qualcosa di così diverso da me. E credo che lo stesso sia stato per
lui. Sorrido al ricordo di come ha toccato per la prima volta il mio seno
acerbo, raccogliendolo con un palmo e soppesandolo neanche fosse un frutto,
appunto, da valutare prima dell’acquisto.
Dalle prime palpatine al sesso c’è voluto, in effetti, più
del normale e credo che la mia partenza sia stata determinante. In quel
momento, farlo sembrava un modo per
rafforzare un legame che avevamo già il sospetto si sarebbe spezzato. E,
considerando come è andata, probabilmente sarebbe stato meglio così. Invece, la
sera prima di partire per Boston, ci ritrovammo nudi nel suo garage, su una
coperta stesa per terra alla meno peggio, Jacob, beatamente sorridente,
ansante, sudato e soddisfatto ed io, inquieta e, se vogliamo dirla tutta, per
nulla appagata.
Eppure ho creduto che fosse la cosa più giusta. Ero
innamorata, sicura di esserlo, e donarmi a Jacob in quel momento mi aveva fatto
sentire felice. Tornando indietro, probabilmente, rifarei lo stesso errore. Un
errore che mi ha portato ad essere una ventitreenne con le esperienze
sentimentali e sessuali di una sedicenne. Ma che dico! È molto probabile che
una sedicenne abbia molta più esperienza di me!
Dopo Jake non c’è stato più nessuno e, se consideriamo che
sono passati due anni dalla mia prima e ultima volta, beh, sono praticamente
ancora vergine! La mia esperienza si riduce ad un paio di letture e qualche
film che ha ampliato un po’ le mie conoscenze,
per il resto sono una completa ignorante.
Ah… dimenticavo i dettagliati ed inquietanti resoconti di
Jessica!
Con questo non voglio dire che avrei preferito essere come
lei, e cambiare letto con la facilità con cui cambia paio di scarpe, ma nemmeno
avere il terrore di fare la figura della ragazzina imbranata. Anche perché EJ è
così… così…”EJ è troppo” penso, utilizzando lo stesso aggettivo che lui ha
utilizzato per me oggi. Lui è davvero troppo.
Con i suoi baci e le sue carezze ha fatto affiorare
sensazioni sconvolgenti in punti del mio corpo che non credevo nemmeno
potessero provare tali sensazioni.
I miei polsi si infuocano quando lui li avvolge e li
accarezza con le dita ed il collo è attraversato da forti scosse elettriche
quando lo vezzeggia ed infila la mano tra i miei capelli.
Mi bacia il mento e sento il cuore accelerare la sua corsa
seguendo un ritmo tutto suo.
In effetti non fa poi tutta questa differenza sapere o non
sapere cosa fare, avere o non avere esperienza, la sua vicinanza mi stordisce
al punto di non essere più in grado di intendere e di volere.
O forse solo di intendere, il volere è un discorso a parte e
mi spaventa da morire. Perché non è normale, per me, volere EJ in questa
maniera. So che, in questi casi, l’istinto è la cosa più importante e, cavolo,
non credevo di avere un istinto così intraprendente.
Rifugiarmi tra le sue braccia, inspirare il suo odore,
schiudere maggiormente le labbra per accogliere la sua lingua sono stati sin da
subito gesti naturali, come se i nostri corpi si fossero sempre cercati, come
se si fossero sempre appartenuti.
Nonostante ciò, ho paura che la Bella imbranata si faccia
viva anche in queste situazioni e finisca col mettermi in ridicolo agli occhi
di EJ. Non credo di voler sapere quale e quanta sia la sua esperienza, credo che queste cose non debbano mai essere troppo chiare tra due persone, ma sono
sicura che avrà avuto sicuramente più di qualche storia.
A meno che il suo non sia talento naturale… non mi
meraviglierebbe.
Ricado indietro sul letto pensando a tutte le doti che ho
imparato ad apprezzare in lui in queste settimane. EJ riesce a conversare
amabilmente di qualunque cosa, riesce a mettermi a mio agio e mi sa ascoltare
come mai nessuno era stato in grado di fare, realmente interessato a ciò che
dico e sempre pronto ad esprimere la sua opinione o a dare un suo giudizio. È
un lavoratore instancabile. Oramai si destreggia in qualsiasi tipo di
riparazione, al negozio, senza che sia io a dirgli cosa fare e la cosa
sorprendente è che fa tutto esattamente come lo farei io o come vorrei che
fosse fatto. In due settimane, la libreria ha cambiato aspetto e quando
entriamo ciò che vedo non è più frutto della mia immaginazione ma è la reale
forma che l’ambiente sta prendendo, che noi due, insieme, gli stiamo dando. È
un galantuomo e, per quanto questo termine mi faccia sorridere, non riuscirei a
trovarne un altro che meglio si adatti a lui. Non sono abituata a ricevere le
premure che lui mi riserva e, nonostante l’imbarazzo, mi lusingano e mi fanno
sentire al centro delle sue attenzioni. Come lui lo è delle mie, anche se io
non sono altrettanto brava a dimostrarlo.
È spiritoso, divertente, ironico e credo di non aver mai
riso tanto in vita mia. Il ragazzo che ho visto la prima volta al Cafè sembrava
triste, esasperato, tormentato, così lontano da quello che in realtà si è
dimostrato essere. Eppure ci sono delle volte che lo sguardo di EJ si rabbuia,
che il suo corpo si irrigidisce ed il viso si contrae in un’espressione di
dolore che lui cerca di dissimulare. Quando capita vorrei dirgli: “Parlami,
dimmi cosa ti tormenta. Sono qui… non c’è nulla che tu non possa dirmi”. Ma non
lo faccio, per riservatezza, credo, o per paura, forse perché sono convinta che
quando sarà il momento lui mi racconterà qualsiasi cosa lo turbi e non voglio
mettergli fretta. EJ è un uomo ma in lui posso ritrovare tanto del bambino che
è stato e non solo nell’aspetto esteriore. È buono, con le persone, non solo con
me; è gentile ed educato proprio come lo era da bambino, quando, se arrivava
mia madre con i sacchetti della spesa, lui si offriva ad aiutarla, anche se
erano più grandi di lui.
È un pianista eccezionale e quando parla di musica gli si
illuminano gli occhi allo stesso modo di quando ricorda la sua mamma. Ogni
giorno vorrei chiedergli di suonare per me come quella sera, ogni giorno evito
di farlo perché ho paura che la cosa gli causi troppo dolore. Se e quando vorrà
farlo, sarò felicissima di ascoltarlo.
EJ è sexy… No, parliamone!
Ci sono momenti in cui è ben consapevole del suo fascino e
dell’effetto che ha su di me, e mi sembra che non si risparmi affatto nel
mettere in evidenza il suo corpo. Ma sono altri i momenti che preferisco.
Quando è talmente preso da ciò che sta facendo da non rendersi conto che lo sto
osservando, ed in quei momenti, per me, è ancora più attraente. I suoi
movimenti sicuri, la sua forza, la prontezza nei riflessi, il modo in cui si
ferma per un attimo, si volta, mi sorride e si rimette al lavoro.
Mi piace la complicità che si sta creando tra di noi e
l’atmosfera rilassata mentre lavoriamo insieme.
Ok, mi piace di più quando la vicinanza è tale che posso
quasi vedere le scintille di elettricità che i nostri corpi sprigionano. Mi piace
essere più piccola di lui e vederlo troneggiare su di me… mi avvolge, mi piega.
In quei momenti mi sento così piacevolmente sopraffatta che potrebbe fare di me
qualsiasi cosa.
Ma mi piacciono, anzi no, adoro quegli attimi di tenerezza,
gli abbracci, le carezze, quando mi sfiora la fronte per scostare una ciocca
ribelle, quando pulisce uno sbaffo di vernice sulla mia guancia.
Qualche giorno fa, mentre ero intenta a lavare i vetri, è
scomparso per dieci minuti per poi ripresentarsi con un sacchetto.
- Tieni – mi ha detto, porgendomelo bruscamente.
All’interno c’erano un paio di guanti di gomma ed un
barattolo di crema per le mani. Lui si è rimesso a lavorare senza dire nulla ed
io sono rimasta a guardarlo, sorridendo come un’ebete per diversi minuti.
Ogni sera, quando sono a letto, afferro il barattolo da
sopra il comodino e mi massaggio le mani con la crema, apprezzandone il profumo
delicatamente fiorito, la consistenza morbida e l’immediata azione idratante. È
una coccola che mi concedo e che mi fa pensare ad EJ prima di mettermi a
dormire.
Non che ce ne sia bisogno…
Alla fine della giornata, nel buio della mia stanza, sotto
le coperte, pensare a lui è il modo che preferisco per terminare la giornata e
al mattino mi sveglio con la rinnovata voglia di rimboccarmi le maniche e
dedicarmi al mio progetto, anche perché so che posso contare sul suo aiuto.
Il suono di un messaggio in arrivo mi riporta alla realtà.
Allungo una mano cercando a tentoni il telefono sul materasso.
Ti sei addormentata sotto la doccia, piccola Swan? Io sono a letto…
Sussulto mettendomi a sedere quando mi trovo davanti il
volto perfetto di EJ, illuminato dalla luce calda di una lampada. Nella foto si
vedono anche le spalle, nude, ed il braccio su cui è appoggiata la testa. Un
fascio di muscoli scolpiti resi ancora più evidenti dal gioco di luci ed ombre.
Sento il sangue affluire alle guance ed il cuore aumentare
il ritmo…
EJ è a letto… nudo…
Magari non completamente, ma mi è bastato vedere quel poco
per farmi andare in iperventilazione.
Con dita tremanti, digito una risposta senza pensarci troppo
e mi fiondo nel bagno sfilandomi l’uniforme e rabbrividendo al contatto della
pelle accaldata con l’aria più fresca della stanza.
Mi insapono e mi risciacquo velocemente.. è tardi, dovrei
essere a letto da un pezzo. Domani sarà una giornata molto lunga e non sarà
facile aspettare che arrivi la sera.
Un appuntamento… Quasi non ci credo!
Torno in camera sorridendo come una scema… Da quando ho
incontrato EJ questa è l’espressione che sempre più spesso compare sulla mia
faccia. Sembra di avere una paresi!
Mi infilo il pigiama, afferro il telefono e mi metto sotto
le coperte. L’icona sul display mi
informa della presenza di un messaggio. Lo apro, ansiosa di leggere cosa ha
scritto EJ e, quando lo faccio, per poco non mi prende un colpo!
Non pensavo di farti questo effetto, Swan… E solo con una foto
innocente…
Con il cuore in gola, apro immediatamente la cartella dei
messaggi inviati e quando leggo ciò che gli ho scritto prima non posso fare a
meno di maledirmi mentalmente.
Adesso devo proprio farmi una doccia…
Ora penserà che stia facendo la civetta con lui. Dopo
essermi presentata alla porta mezza nuda stamattina ed averlo praticamente
invitato nella mia camera da letto stasera, non è così difficile da credere.
Oddio, forse pensa che voglia fare sesso al telefono?!
Isabella Swan, sei una
cretina! Idiota, stupida… e cretina!
Sesso al telefono… Oddio! Io non ho mai fatto sesso al
telefono, non sono nemmeno tanto sicura di come si faccia!
(Qualche mese prima…)
- Jessica ci sei? È
tutta la sera che non stacchi gli occhi da quel telefono. Cos’avrete tu e Mike
di così importante da dirvi che non possa attendere un’altra ora?
- Fidati Bella, non lo
vuoi sapere.
- Eh? Che vuoi dire?
Ora sono curiosa.
- Ok, se insisti. Io e
Mike stiamo sessaggiando.
- Cosa?! M… messaggiando
vorrai dire.
- No, voglio dire
proprio quello che ho detto. Sesso al telefono Bella, hai presente?
- Io… ma, voi due vi
vedete ogni giorno!
- E allora? È
stuzzicante, divertente, eccitante. Quando arrivo a casa, Mike è talmente su di
giri che non mi dà nemmeno il tempo di arrivare in camera da letto!
E ora che faccio? Che gli rispondo?
Il telefono vibra tra le mie mani e quasi lo lancio in aria
per lo spavento.
Ti stai godendo la doccia?
Oook, Calmati Bella. EJ ti sta sfacciatamente provocando.
Ora sta a te decidere se assecondarlo o ignorarlo.
Sembra facile… Il problema è che non ho la più pallida idea
di come fare sia l’una che l’altra cosa. Non so se sia sessaggiare questo, ma
lui lo fa dannatamente bene!
Sono senza speranza.
Sono a letto. E, prima, non intendevo dire quello.
La risposta arriva immediatamente.
Non intendevi dire cosa?
Hai capito.
No, spiegamelo.
La doccia, la foto e tutto il resto.
Rimango con lo sguardo fisso sul display, ma la risposta di
EJ tarda ad arrivare. Sospiro frustrata e mi risistemo nel letto, girandomi di
lato e raccogliendo le gambe al petto in quella che è la mia posizione
preferita da quando ero bambina. Sto per domandargli se c’è ancora, quando arriva
il suo messaggio.
Quindi non ti fa nessun effetto la foto che ti ho mandato?
Ma… come può chiedermi una cosa del genere? Maledizione EJ…
cosa vuoi che ti dica?
Sento gli occhi pizzicare ed il testo si fa sfocato per le
lacrime che premono impietose.
Sono patetica!
Esasperata digito l’unica risposta che mi viene in mente.
Non sono brava in queste cose. Mi dispiace. Buonanotte.
Il telefono comincia
a squillare dopo pochi secondi. Mi schiarisco la voce e rispondo senza nemmeno
guardare il display. So che è EJ, spero solo non si accorga che sto piangendo.
- EJ…
- Che succede, piccola Swan?
- Io… no, niente.
- Stai piangendo?
Ouch!
- No, no, affatto. Sono solo un po’… raffreddata.
Spero che EJ se la beva.
- Non la bevo, pulce. Ti conosco troppo bene e non è la tua
voce da raffreddata quella.
Ri-ouch!
- EJ, io…
- No, lascia parlare me – mi interrompe – Scusami, Bella,
non volevo. Non riuscivo a smettere di pensare a stasera, al bacio e…
- Oh…
- E’ stato… non so dirti com’è stato. Non so nemmeno come ho
fatto ad andarmene e lasciarti lì. Prima, quando mi sono messo a letto,
nonostante la doccia, sentivo ancora il tuo profumo addosso. Non ho mai provato
una cosa del genere in passato. Scusami se ti ho stuzzicata. Mi impongo dei limiti,
con te, ma poi è difficile rispettarli.
- EJ…
- No, lasciami finire. Non so come comportarmi con te. Tu
sei così… diversa. Ho una fottuta paura di sbagliare. E stasera ho sbagliato.
Io…
- EJ basta, ti prego. Basta. Tu non hai sbagliato nulla. Non
hai fatto niente di male. È colpa mia.
Una risatina soffocata mi giunge dall’altro capo del
telefono.
- Non starai ridendo di me, Masen!
- Sì, Swan, sto ridendo proprio di te. Spiegami per quale
diavolo di motivo dovrebbe essere colpa tua!
- Beh, io… vedi…
- Mh mh…
- Smettila! Non prendermi in giro!
- Ma io non ti sto prendendo in giro.
- Sì invece. Lo fai sempre – dico imbronciata.
-Perché adoro il broncio che fai. Anche adesso scommetto.
- Non è vero! – rispondo, immediatamente sulla difensiva.
- Ok pulce. Ricominciamo dall’inizio. Perché sarebbe colpa
tua?
- Perché sì. Beh, insomma… lo sai.
- Per la miseria, Swan. No che non lo so!
- Uff… te l’ho detto. Non sono brava.
- Non sei brava a fare cosa?
- Dai, EJ… quello che stavamo facendo prima – dico
esasperata.
Improvvisamente fa così caldo. Sento il viso in fiamme.
Scalcio il piumone e mi giro sulla schiena.
- E cosa stavamo facendo prima, Swan?
Il tono di voce con cui mi fa la domanda dovrebbe essere
legalmente inammissibile. Come miele dolce e caldo… Ma che dico, miele? A me
non piace il miele. È cioccolato, caldo, denso, morbido… lo sento scorrere
dentro e la sua dolcezza si diffonde in tutto il corpo.
- Io – ammetto candidamente – non l’ho mai fatto.
- Cosa?
La sua voce sta diventando, se possibile, ancora più roca e
profonda.
- Sesso al telefono… - sussurro. Oddio, l’ho detto. Chiudo
gli occhi aspettando di sentire la sua risata. Ma non succede.
- E’ questo che pensi? Credevi che volessi fare sesso al
telefono?
Non sta ridendo. È serio.
- No? – chiedo, sperando che non colga la nota di delusione
nella mia voce.
- No, Bella.
- Oh… Io pensavo… Lascia perdere, sono una sciocca.
- Quante volte te lo devo dire Swan? Tu pensi troppo. E,
fidati, quando faremo sesso al
telefono, te ne accorgerai.
Un gemito mi sfugge e mi copro immediatamente la bocca con
la mano, dandomi, per l’ennesima volta solo stasera, della cretina! Non so se
mi agita di più il modo in cui ha pronunciato “sesso” o quel “faremo”. So solo
che al solo pensiero mi manca il respiro.
Improvvisamente il peso di tutto quello che è successo oggi
e nell’ultimo periodo mi piomba addosso. Ho come l’impressione che stia
succedendo tutto troppo in fretta, anche se razionalmente so che non è così. Ho
paura. Ho paura di non meritarlo, ho paura che finisca. Ho paura di non essere
in grado di gestirlo, di gestire tutte queste emozioni che in alcuni momenti è
come se mi travolgessero. EJ ha risvegliato sensazioni che non credevo avrei
mai più provato ed a quelle se ne aggiungono altre completamente nuove e
inaspettate.
Vicino a lui mi sento al sicuro e allo stesso tempo mi sento
più sicura di me stessa. Davanti a lui mi sento bella, quasi sempre, anche dopo
una giornata al Cafè, con i capelli scarmigliati e gli odori della cucina
addosso. Mi sento ascoltata, capita, supportata come non mi era mai successo
prima. E, soprattutto nell’ultimo periodo, mi sono sentita e mi sento
desiderata, in un modo così intenso da togliermi il fiato.
- Swan, sento il cigolio degli ingranaggi del tuo cervello
da qui.
- Scusami…
- Parla con me, Bella. Sono qui, ti ascolto.
E la sua voce è così dolce e va a stuzzicare quelle corde
che già da tempo avevano preso a vibrare, che tutto ciò che ho cercato di
contenere esplode in un pianto disperato. Il mio petto sussulta per i
singhiozzi e le lacrime scorrono copiose e inarrestabili bagnandomi le tempie e
i capelli.
Sento il mio nome, sento EJ che mi prega di calmarmi, mi
chiede cosa sia successo ed è solo per il suo tono preoccupato che cerco di
farlo, iniziando a respirare profondamente mentre mi asciugo gli occhi con la
manica del pigiama.
- Ok Bella, sì, così… Respira. Stai tranquilla, sono qui…
- EJ…
- Dimmi tutto, pulce.
- Sono felice… Sono felice che tu sia qui. Sono felice di
averti ritrovato. Grazie.
- Non ringraziarmi, piccola Swan. Sono felice anche io. Non
puoi nemmeno immaginare quanto – dice sollevato, dopo aver sospirato
profondamente.
- EJ?
- Sì?
- Non hai paura?
- Talmente tanta che a volte mi sembra di impazzire.
- Anche io…
- E di cosa hai paura, Bella?
- Di deluderti.
- Impossibile…
- E tu? – gli domando sorridendo.
- Di farti del male.
- Come puoi pensarlo? – gli chiedo allarmata – Non puoi dire
sul serio. Non ne saresti capace, sono sicura di questo.
- Spero che tu abbia ragione.
- Certo che ce l’ho. Io ho sempre ragione!
- Oh, ecco che ritorna miss sottuttoio, non mi era mancata affatto.
- Ahahahahah, beh, abituatici. Uomo avvisato…
- Mh, ci proverò. Certo che, unita alle altre cose… è una
gran bella lista di difetti la tua.
- Ma senti chi parla!
- Che vorresti dire?
- Che anche la lista dei tuoi difetti non scherza…
- Ah! Questa è bella. E, sentiamo, quali sarebbero i miei
difetti?
- Umpfh, sei uno spocchioso arrogante, per iniziare. La
prima volta che sei venuto al Twilight, ti guardavi intorno come se il locale
fosse appestato. Ti avrei preso a calci nel sedere!
Mi preparo mentalmente alla sua risposta provocatoria, ma,
dopo qualche secondo, quando parla, il suo tono è completamente diverso.
Amareggiato.
- Non era un buon momento.
- Scusa – sussurro mortificata dopo un po’. Ricordo
perfettamente la sua espressione accigliata e pensierosa. Non avrei dovuto…
- E poi c’era una cameriera acida e fastidiosa!
- COSA?!
- Ma molto carina…
- Ah sì? E com’era? – gli chiedo sorridendo.
- Era uno schianto! Peccato che poi ne sia arrivata un’altra
con un’insulsa torta di mele…
- EJ! Sei un… Un…
- Un?
- Un…
- Sono tutt’orecchi.
- Sei odioso! – sbotto alla fine, censurando tutti gli altri
aggettivi che mi sono venuti in mente!
- Lo so. E ti piace…
Sì, mi piace. Mi piace tutto di EJ.
Non so per quanto tempo continuiamo a stuzzicarci, ma
all’ennesimo mio sbadiglio, EJ decide che è ora di mettersi a dormire.
- Ci vediamo domani al Cafè?
- No, domani sono impegnato tutto il giorno. Ti passo a
prendere alle venti in punto.
- Ok – dico. Mi
rattrista anche il solo pensiero di passare tutta la giornata senza vederlo.
- Allora, fai bei bei sogni, piccola Swan.
- Buonanotte EJ. Fai bei sogni anche tu.
- Lo spero.
* *** * *** *
- FINALMENTE! – la voce di Jessica, già normalmente
stridula, è due ottave sopra rispetto al solito – Cominciavo seriamente a
pensare che Mr. Torta di mele fosse gay!
- Jessica!
- Cosa? È un’eternità che vi fate gli occhi dolci. Era ora
che ti chiedesse di uscire. Certo, ci sono momenti in cui sembra volerti
saltare addosso qui, davanti a tutti, e possederti su uno dei tavoli, ma la
cosa stava andando decisamente per le lunghe.
Promemoria: tenere le mie amiche, anzi no, tenere le mie colleghe fuori da questa storia,
soprattutto Jessica!
- Jess, lascia stare Bella…
- Grazie Angela – le dico sorridendo, riconoscente. Almeno
lei…
- Allora? Lo avete fatto?
- ANGELA!!!
- Beh? Avreste dovuto vedere le vostre facce ieri sera…
- Dai, Bella, racconta – le dà man forte Jessica – e non
risparmiarci i dettagli piccanti.
Afferro la caraffa, esasperata, e do loro le spalle per
riempire le tazze dei clienti. Lo faccio lentamente, ma quando ritorno al
bancone, quelle due sono ancora lì ad aspettare.
Con una maschera di indifferenza dipinta sul volto, continuo
a svolgere le mie mansioni, ignorando i loro sguardi.
- Ok! – sbotta Jessica – Dicci almeno cosa indosserai
stasera.
Penso di ignorare anche questa domanda, quando mi rendo
conto che, effettivamente, potrei avere bisogno di un consiglio.
- Ecco – comincio, avvicinandomi – EJ non mi ha dato nessun
indizio. Non ho la più pallida idea del posto in cui andremo, del tipo di
serata… Ho paura di esagerare o, al contrario, di sembrare sciatta.
Jessica e Angela si sono avvicinate lentamente, scivolando
con i gomiti appoggiati al bancone ed il busto proteso in avanti. Le nostre
teste si toccano. I loro occhi sgranati mi inquietano. Sembra di essere di
fronte all’inquisizione.
- I… Io av… avevo pensato… magari… di mettere un… pantalone
ne…
- Cooosa?! – esclamano in coro facendo voltare tutti i
clienti. Oddio, adesso ho paura.
- Sì… Ne ho uno, molto eleg…
-NO! – quasi urlano insieme. Ora anche i clienti hanno
paura.
- Smettetela di fare così! – dico a denti stretti. Lo sapevo
che avrei dovuto tenere la bocca chiusa!
- Bella, è il vostro primo appuntamento ufficiale – dice
seria Jessica, come se non lo sapessi! – Devi mettere in mostra l’armamentario!
– conclude, oscillando l’indice davanti al petto, dove la divisa riesce a
malapena a contenerle il seno.
- È di me che stiamo parlando… Non c’è molto armamentario da
mettere in mostra.
Io e Angela ci guardiamo, alzando gli occhi al cielo e
Jessica mi guarda con un’espressione sconsolata come se fossi un caso senza
speranza.
Dopo qualche minuto di silenzio, batte una mano sul bancone,
facendo sussultare noi e tutta la gente presente nel locale.
- Ho trovato! Siamo tutte e tre libere oggi pomeriggio,
giusto? Sapete cosa vuol dire questo?
Non so se si tratti di una domanda retorica o se si aspetti
davvero una risposta. In ogni caso, comincio a sentire una lieve agitazione.
- Shopping ragazze! Non c’è nulla che un push-up non possa
fare!
* *** * *** *
Seduta sul letto, stretta nell’accappatoio, i capelli
avvolti in un asciugamano, guardo compiaciuta il vestito appeso all’anta
dell’armadio. Manca un’ora all’appuntamento e mi sento agitata ed euforica allo
stesso tempo. Non credevo di uscirne viva oggi pomeriggio, ma alla fine si è
rivelato più facile e piacevole del previsto.
Sono riuscita a non spendere un capitale, a persuadere
Jessica dal farmi vestire come lei, a non comprare un push-up da settanta
dollari!
Beh, sì, ok, mi sono lasciata convincere dalla commessa del
negozio a comprare un corsetto. Mi imbarazza il solo pensiero! Quando me l’ha
mostrato, sono inorridita e penso di aver storto anche il naso. Ma quando l’ho
indossato sotto al vestito, quando ho notato la differenza, il modo in cui
sottolineava il punto vita, in cui metteva in risalto il seno, senza che
schizzasse fuori ad ogni movimento, come con il reggiseno proposto da Jessica,
il modo in cui mi sono sentita mentre mi guardavo allo specchio, beh, ho sorriso,
facendo sì con la testa, sotto lo sguardo compiaciuto delle mie amiche.
Adesso invece sono qui, con il cuore in gola ed il terrore
di sembrare ridicola e di non riuscire nemmeno a sedermi o mangiare, strizzata
in quello strumento di tortura.
Prendo il telefono e rileggo il messaggio.
Mi sei mancata, piccola Swan. Non vedo l’ora di rivederti. A tra poco.
Come una molla, scatto in piedi e comincio a prepararmi.
* *** * *** *
E se ci siete ancora, non posso che dirvi GRAZIE.
Miki.
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Capitolo 14 *** The Date ***
Quattordicesimo Capitolo
Che dire? Che
non ho parole che per la vostra accoglienza? Che non mi aspettavo i
vostri commenti? Che non mi aspettavo che tante di voi stessero ANCORA
aspettando EJ e Bella?
I messaggi
privati, le lettrici che hanno inserito la storia tra le
seguite/preferite/ricordate, i complimenti per il capitolo... Insomma,
GRAZIE.
Avrei voluto
aggiornare a San Valentino, scenario temporale perfetto per un primo
appuntamento, ma non ce l'ho fatta, quindi eccolo qui, ancora una volta
è Bella che racconta, ma dal prossima tornerà il mio
amato EJ.
Buona lettura!
Quattordicesimo Capitolo
THE DATE
Non
credevo che sarei stata così agitata. All’improvviso nulla mi sembra più al suo
posto. Il vestito è troppo stretto e, forse, troppo esagerato, le scarpe sono
troppo alte, il trucco troppo marcato. Avrei dovuto legare i capelli: il ciuffo
proprio non ne vuole sapere di stare al suo posto.
-
Dannazione!
Quando
il campanello suona per la seconda volta, mi fiondo nell’ingresso, rischiando
di inciampare sui trampoli e cadere per terra!
Calma, Bella…
calma.
Faccio
un respiro profondo e apro la porta.
Ogni
dubbio sul mio aspetto scompare nell’istante esatto in cui vedo l’espressione
di EJ. I suoi occhi sono quasi sgranati e la bocca è dischiusa non solo per lo
stupore, credo, ma anche per un saluto probabilmente bloccato sul nascere.
- Ciao
– dico io al suo posto.
-
Ciao – soffia lui in un sussurro appena percepibile, che mi strappa un sorriso.
Il suo sguardo continua a scivolarmi addosso, dalla testa ai piedi, così
intensamente che d’istinto porto le mani sui fianchi per sentire la stoffa del
vestito.
Ok, ce l’ho!
Mi
scosto da un lato, sperando che lui colga l’invito ad entrare, ed infatti fa un
passo avanti, mentre con l’indice si accarezza il labbro inferiore quasi a
voler celare il suo splendido sorriso sghembo.
Il
modo in cui ha fissato gli occhi sul mio corpo mi sta rendendo nervosa, ma in
un modo inaspettatamente piacevole. Sento il sangue affluire alle guance e
scorrere frenetico martellandomi le tempie, sento la gola secca ed il calore
irradiarsi in posti che in questo momento dovrebbero starsene tranquilli.
-
Prendo giacca e borsa e sono pronta – dico d’un fiato, girandomi svelta nel
tentativo di sfuggire al suo sguardo, raggiungere la mia stanza e
disintossicarmi un po’ dalla sua presenza.
- Non
così in fretta, Swan.
EJ
afferra con decisione il mio gomito e, senza rendermene conto, mi ritrovo
incastrata tra le sue braccia. Il suo corpo troneggia sul mio obbligandolo a
piegarsi all’indietro. Dal fianco una mano risale sulla schiena, lentamente. Lo
sento indugiare sulle stecche del corsetto e, in quell’attimo, mi sembra quasi
che i suoi occhi si facciano più scuri, prima di circondarmi la nuca e spingere
gentilmente la mia testa in avanti, finché le nostre labbra sono ad un soffio
le une dalle altre. La sua presa è salda ma gentile, il suo sguardo cupo è
fisso sulla mia bocca dischiusa, il respiro regolare e profondo soffia sulle
mie labbra un delizioso sapore di menta e di EJ. Lo inspiro avidamente senza
nemmeno cercare di celare il ritmo sovraeccitato del mio. Ma la sua apparente
calma è tradita dall’ipnotizzante movimento del pomo di Adamo, che cerco di
fissare per evitare i suoi occhi.
- Sei
una visione, Isabella Swan – mi sembra di sentire prima che la sua bocca prema
sulla mia.
A
dispetto delle premesse, il bacio che ci scambiamo è dolce e lento. Le nostre
lingue si accarezzano e si riconoscono dopo quelli che sembrano giorni, mesi,
anni di lontananza. Riesco a liberare le braccia, sollevandole e circondandogli
il collo. EJ detta il ritmo di questo bacio ed il mio capo lo asseconda come se
fosse la cosa più naturale nel mondo. Risalgo con le dita sulla nuca,
intrecciandole ai suoi morbidi capelli, che sento ancora umidi. Basta questo a
scuotermi violentemente in un brivido di eccitazione amplificato dalla
pressione che la sua mano esercita alla base della schiena e che consente al
mio corpo di aderire completamente al suo.
-
Swan – protesta, staccandosi leggermente.
Un
gemito di piacere e di frustrazione mi sfugge e le dita si stringono attorno
alle ciocche morbide dei suoi capelli per spingerlo nuovamente su di me.
-
Swan!
-
COSA?!
Il
tono quasi irritato della mia risposta sorprende entrambi. EJ mi guarda e dopo
un po’ sorride scuotendo la testa.
- Che
devo fare con te, piccola Swan?
-
Potresti continuare da dove ci hai interrotti un attimo fa – dico
maliziosamente, salutando il mio, ormai perduto, senso del pudore.
A proposito
della capacità di intendere e di volere…
- Ho
fatto una promessa, Bella, e si sta facendo tardi. Ti aspetto fuori… all’aria
aperta. – Aggiunge le ultime due parole a denti stretti, quasi fosse
un’imprecazione.
Una promessa?
Che promessa? A chi?
Pensierosa,
vado in camera, prendo la mia giacca, la borsa e lo raggiungo, incuriosita
dalle sue parole.
- Ti
ho già detto che sei stupenda stasera?
- Più
o meno – rispondo con sufficienza, facendolo sorridere. Ed è uno di quei rari,
spontanei e bellissimi sorrisi mozzafiato. – Anche tu lo sei – dico sincera,
notando come l’aggettivo “stupendo” non si addica neanche lontanamente al suo
aspetto.
I
capelli sono spettinati ad arte, e forse io ho contribuito giusto un po’, più
scuri, perché umidi, la pelle del viso è liscia, perfettamente rasata, le
labbra rosse e piene per il bacio che ci siamo appena scambiato e infine quello
sguardo a tratti cupo e tormentato, a tratti stupito ed eccitato, che mi lascia
spesso e volentieri senza fiato.
Indossa
un completo scuro dal taglio perfetto e l’aria costosa. La camicia aderisce
così bene al suo torace che mi è facile, troppo facile, immaginare le linee dei
suoi pettorali. E, per completare il tutto, i primi due bottoni sono slacciati
ed il contrasto tra il grigio scuro ed il pallore della pelle è un invito a
scoprire, centimetro dopo centimetro, tutto il suo corpo.
-
Andiamo? – EJ mi circonda la vita con un braccio, spingendomi gentilmente verso
il taxi che ci attende davanti al cancello. Non mi ero nemmeno accorta che ci
fosse e mi sento immediatamente in colpa per tutto il tempo in cui il
tassametro ha girato.
Con
un gesto fluido, EJ mi apre la portiera e, tenendomi per mano, mi accompagna
all’interno dell’abitacolo. Velocemente, fa il giro della macchina e prende
posto accanto a me, sporgendosi in avanti per comunicare la destinazione al
tassista. Distratta dalla sua mano che si è riappropriata della mia e del suo
pollice che mi accarezza le nocche, non riesco a capire l’indirizzo, ma non
m’importa, siamo insieme e questo è il nostro primo vero appuntamento.
EJ
stringe la mia mano e, in certi momenti, ho come l’impressione che lo faccia
per accertarsi che io sia davvero accanto a lui, in carne e ossa.
Stringo
la sua per rassicurarlo e lui si volta verso di me, sfoggiando il sui splendido
sorriso. Mi scosta una ciocca di capelli dalla fronte e appoggia le labbra alla
mia tempia, inspirando forte e posandovi poi un delicatissimo bacio.
La
tensione di prima si è sensibilmente attenuata ed ora aleggia una sensazione di
dolce tranquillità. Ed è sempre così con lui: un attimo prima vengo
attraversata da una scarica di corrente elettrica e l’attimo dopo mi sento come
pervasa da un senso di tranquilla soddisfazione. Non so per quanto riuscirò a
reggere questo scompenso emotivo. Mi sembra di stare sulle montagne russe senza
cintura di sicurezza.
- A
che pensi? – mi chiede d’un tratto.
- È
strano…
-
Cosa? – Il suo tono è quasi allarmato.
-
Tutto questo. Noi due – gli rispondo, volutamente vaga, tenendolo sulle spine.
- Mh…
- mugugna. Il suo viso si adombra all’istante. Stasera EJ è più pensieroso del
solito, spero che non sia successo nulla di grave. Mi pento immediatamente di
averlo impensierito e cerco di rimediare.
- Sì,
è così… stranamente naturale.
Anche
se siamo praticamente al buio e non posso vederlo distintamente, so benissimo
che l’espressione adesso è più distesa. Lo so perché è ciò che succede ogni
volta che mi capita di rassicurarlo, quando scaccio via qualche suo dubbio,
quando gli do, anche involontariamente, la conferma che in questa cosa siamo in
due.
-
Dove stiamo andando?
- Non demordi, eh? Tra poco lo vedrai, è una
sorpresa.
- Un
indizio?
- No,
siamo quasi arrivati – risponde brusco.
-
Solo uno, daiiii… - insisto con la voce un po’ lamentosa.
- Non
m’incanti Swan. Non sei più una bambina – mi rimprovera scherzosamente. Poi lo
sento avvicinarsi, sento le dita sfiorarmi i capelli e portarli dietro
l’orecchio, sento le labbra calde lambirmi il lobo e dopo un attimo sussurrare
piano: - E per quanto fossi una bimba deliziosa, non potrei essere più contento
che tu sia cresciuta.
La
voce roca ed il modo tutt’altro che innocente di pronunciare quelle parole mi
strappano un gemito che riesco a malapena a trattenere. Il tassista mi lancia
uno sguardo dallo specchietto retrovisore ed io vorrei scomparire per
l’imbarazzo. Non è normale il modo in cui il mio cuore reagisce a lui, il modo
in cui il mio corpo si accende ad un suo sguardo, ad una parola, una carezza.
Anche adesso che si è allontanato, non posso non pensare alla mia mano stretta
nella sua e posata sulla sua coscia, e non basta il sottile tessuto del
pantalone a celarmi la consistenza marmorea dei suoi muscoli, che suggerisce
alla mia, facilmente stuzzicabile, immaginazione scenari non proprio casti.
Improvvisamente
l’abitacolo si fa troppo piccolo e affollato, mi sento inquieta, agitata e
vorrei scendere per respirare un po’ di aria fresca, prima di fare o dire
qualcosa di inopportuno.
-
Eccoci – esclama EJ, mentre il taxi rallenta. Sembra quasi aver percepito il
mio disagio. Spesso ho l’impressione che quest’uomo possa leggermi nel
pensiero.
Scuoto
la testa, pensando che quello che vi leggerebbe lo farebbe scappare a gambe levate.
- Ci
sei piccola Swan?
È già
sceso dalla macchina e mi tende la mano per aiutarmi ad uscire. I suoi occhi
brillano e posso leggervi un’emozione
intensa, nuova. Da quando ci siamo ritrovati, non l’ho mai visto così. Sorride,
ma si vede che è agitato, nervoso. Lo sono anche io, ovviamente, ma è come se
ci fosse qualcos’altro.
Afferro
la sua mano con decisione e lascio che mi accompagni all’esterno.
Mi
guardo intorno perplessa e forse anche un po’ delusa. Il suo abbigliamento mi
aveva suggerito una meta elegante e invece ci ritroviamo in una stradina
piuttosto buia, di fronte ad una tutt’altro che rassicurante porticina in
legno, sovrastata da un’insegna con intagliato il nome del locale: The Greazzly
Bear… un pub.
EJ
non si accorge della mia perplessità o forse fa finta di non accorgersene, apre
la porta e mi circonda la vita invitandomi ad entrare.
Ci
ritroviamo in una sorta di anticamera, completamente in legno e ben illuminata,
di fronte a noi una bellissima ragazza bionda, seduta dietro un tavolino
dall’aspetto antico e costoso, e alle sue spalle una porta a due ante con i
vetri riccamente intarsiati.
Ok,
forse ho giudicato questo posto troppo in fretta.
-
Edward! Da quanto tempo… Che bella sorpresa vederti qui.
E questa che
vuole?
-
Buonasera Irina. È un piacere anche per me rivederti. Possiamo entrare? Abbiamo
un tavolo.
- Ma
certo. Allora sei tu il “per due” che mi ha segnato Emmett sulla lista.
Siamo NOI il
“per due”…
- Chi
lo avrebbe mai detto – aggiunge con quel tono starnazzante che comincia a darmi
sui nervi. – E buona serata – conclude aprendo la porta.
Il
“grazie” acido che vorrei pronunciare mi muore sulle labbra quando entro nella
sala. Definire questo posto “pub” è assolutamente riduttivo, ma in effetti non saprei
quale altra parola utilizzare.
Il
parquet scuro, levigato e lucido continua sulle pareti con assi di legno dello
stesso colore fino a metà altezza ed il resto del muro è rivestito da
un’elegante carta da parati satinata di una splendida e raffinata tonalità di
avorio. La sala è strutturata su diversi livelli, ai quali si accede grazie a
due o tre scalini e ogni mini ambiente è suddiviso da una sorta di balconata
che forma un piccolo privée . La luce di deliziose lampade in stile liberty è
calda e soffusa e conferisce all’ambiente un aspetto ricercato e country allo
stesso tempo.
Sulla
sinistra vi è un lungo bancone in perfetto stile saloon, dove alcune persone
sedute su alti sgabelli sorseggiano i loro drinks, probabilmente aspettando che
si liberi un tavolo.
In
fondo alla sala una jazz band suona intrattenendo i clienti e la musica si diffonde
piacevole e tutt’altro che assordante.
- Ti
piace? – mi chiede EJ, visibilmente emozionato.
-
Tantissimo – rispondo entusiasta. Ed è la verità. Non mi sarei mai aspettata un
posto del genere ed è stato amore a prima vista. Adoro la fusione di stili e la
ricercatezza dei dettagli e sono anche un po’ invidiosa, perché è quello che
vorrei ottenere nella mia libreria.
Seguo
EJ fino al nostro tavolo. La posizione e il biglietto con su scritto
“RISERVATO” mi suggerisce non solo che conosca già questo posto, ma che conosca
molto bene anche il proprietario. Magari è quell’Emmett nominato prima dalla
bionda.
Un
cameriere ci raggiunge e prende in consegna le nostre giacche. EJ mi fissa per
un attimo, prima di invitarmi a sedere, allontanando la sedia dal tavolo. Nonostante,
piano piano, mi stia abituando alle sue attenzioni, ogni volta che compie un
gesto come quello di poco fa mi sento lusingata.
Mi
siedo e traggo un sospiro di sollievo, quando mi rendo conto che nonostante il
corsetto non faccio nessuna difficoltà. Quando anche lui prende posto, non lo
fa come ci si aspetterebbe, considerando il modo in cui è apparecchiato il
tavolo, non si siede di fronte a me, ma accanto, spostando rapidamente le
stoviglie e allungando subito dopo la mano verso di me, il palmo aperto in un
chiaro invito. Senza esitare, poggio la mia mano sulla sua, le nostre dita si
intrecciano, posso sentire il calore della sua pelle, e, quando se la porta
alle labbra, posandovi un bacio, posso sentirne la morbidezza.
La
candela sul tavolo proietta sui nostri volti giochi traballanti di ombre e le
ciglia di EJ appaiono ancora più scure, mettendo in risalto i suoi occhi verdi
e profondi, fissi su di me da quando ci siamo seduti.
- Sei
una visione, piccola Swan. E sei deliziosa quando arrossisci così.
Ed io
vorrei rispondergli che non sto arrossendo, sto letteralmente andando in
autocombustione, ma riesco a malapena a sussurrare un “grazie”.
Ma
complimenti Isabella Swan! Hai lasciato a casa la perspicacia. Accanto
all’autocontrollo.
Quando
il cameriere torna con l’acqua, i menu e la carta dei vini, le nostre mani si
separano. Mi scopro inaspettatamente assetata e quando faccio per prendere la
bottiglia, EJ mi precede riempiendomi il bicchiere.
Chiudo
gli occhi mentre sento scivolare giù l’acqua fresca, attenuando leggermente la
sensazione di calore che ho dentro. Ma quando li riapro, trovo nuovamente lo
sguardo di EJ fisso su di me, sul volto un’espressione indecifrabile, ma che ha
il potere di farmi rabbrividire, di farmi sentire completamente nuda. Nel senso
letterale della parola. E mi fa paura.
-
Smettila – gli dico, cercando di sembrare minacciosa. In realtà la voce mi esce
a stento, decisamente più acuta di quello che avrei voluto.
- Di
fare cosa?
- Di
fissarmi in quel modo!
- E
perché mai? – mi chiede, sfoderando il suo sorriso irriverente.
-
Perché… - abbasso gli occhi, mordendomi le labbra. Non riesco a sostenere
quello sguardo.
-
Perché? – mi esorta.
-
Perché… se mi guardi così…
- Sì?
-
Cioè, magari ti accorgi…
Che sei una
deficiente!
- Mi
accorgo di cosa, Swan? Puoi guardarmi per favore?
Senza
sollevare la testa, alzo lo sguardo e mi ritrovo inaspettatamente il suo viso
più vicino di quanto pensassi. Mi faccio coraggio e, d’un fiato, gli rispondo.
- Ti
accorgi che… che sono brutta, che non ti piaccio e chenonnevalelapena!
Patetica!
Le
dita di EJ mi sollevano il mento, dolcemente e, senza nemmeno avere il tempo di
rendermene conto, la sua bocca è sulla mia, calda, morbida, e tutto il resto
scompare in un attimo. Le labbra si schiudono leggermente e sento la sua lingua
che mi accarezza piano, che segue il contorno delle mie, cerco di schiuderle
anche io, morendo dalla voglia di approfondire il contatto, ma EJ si blocca
immediatamente, allontanandosi un po’.
-
Ferma Swan.
E
allora rimango lì, immobile, mentre lui continua per un tempo indefinito la sua
deliziosa tortura. Chiudo gli occhi ed inspiro il suo profumo avvolgente mentre
lui mi ricopre la bocca di baci, ancora, ancora e ancora…
-
Hem…
EJ
interrompe bruscamente il contatto e sto per sporgermi in avanti quando tutto
riacquista forma, definizione e colore e noto un’ingombrante presenza vicino a
noi. Il tempo di darmi un contegno e lo vedo alzarsi per salutare con un
abbraccio e varie energiche pacche sulla spalla colui che ha interrotto uno dei
momenti più belli della mia vita.
Non so chi
sei, ma già ti odio!
-
Bella, lui è Emmett, il proprietario. Emm, lui è Isabella.
-
Piacere Isabella – dice stringendomi vigorosamente la mano. Un po’ troppo
vigorosamente.
-
Puoi chiamarmi Bella, piacere mio – dico massaggiandola.
- Oh,
Bella… scusami. Comunque… Benvenuta al
Grear. Permettimi di offrirti dello champagne. È la prima volta che Edward
porta qualcuno qui. È un evento.
-
Grazie, ma non credo che…
-
Tranquilla! Non so cosa ti abbia raccontato lui – dice sporgendosi verso di me
e indicando EJ con il pollice – ma qui siete a casa. Edward è di famiglia,
anzi, dovreste venire più spesso. Ho l’impressione che tu sia molto imp…
- Emm
– lo interrompe EJ – basta così. La stai mettendo in imbarazzo con le tue
chiacchiere. Il suo tono è forse troppo duro e in realtà non ero affatto in
imbarazzo. Ma probabilmente lui sì, tanto che la sua espressione è cambiata,
sembra preoccupato, e ha distolto lo sguardo da me.
-
Scusami Bella – dice mortificato Emmett – Rosalie dice che mi faccio cogliere
da diarrea verbale.
La
risata che gli sfugge è contagiosa e mi ritrovo a sorridere a mia volta.
-
Avete avuto modo di dare un’occhiata al menu?
Ops, parlare di diarrea non è stata una scelta felice, eh?
- No,
non ancora – risponde EJ, con un tono più calmo rispetto a prima. Prende posto,
di nuovo, vicino a me e mi passa il menu.
- Vi
consiglio di passare direttamente ai primi, sono la mia specialità… E poi, ho
visto che Edward ha già consumato il suo antipasto, eh ragazzone?
Oddio
che vergogna! Vorrei sprofondare qui, adesso. Certo, potevo pensarci prima che
EJ facesse l’amore con la mia bocca in un luogo pubblico! Ma che cosa mi è
preso?!
Guardiamo
il lato positivo: la battuta di Emmett ha definitivamente sciolto la tensione.
EJ gli ha rivolto uno sguardo assassino ed il suo amico ha risposto con un
pugno sul braccio.
Hanno
continuato a rimbeccarsi per un po’ ma alla fine , con molta professionalità e
competenza, Emmett ci ha aiutato a scegliere le portate ed è andato via con la
nostra ordinazione.
Nel frattempo
la jazz band ha smesso di suonare, il palco è stato sgombrato
dagli strumenti ed ora è occupato da un meraviglioso pianoforte
a coda, nero, lucido, posizionato proprio di fronte al nostro tavolo.
Quando lo hanno portato, ho visto un guizzo di entusiasmo negli occhi
di EJ e da allora il suo sguardo si sposta frenetico dallo strumento a
me, continuamente.
- Hey, sono gelosa! - gli dico all'ennesima occhiata.
Il
sorriso divertito che gli nasce sul volto lo rende ancora più
affascinante e non posso fare a meno di guardarlo, rapita dalla sua
bellezza, chiedendomi, ancora una volta, cosa ci veda in una ragazza
ordinaria come me.
- È un Baldwin personalizzato - sussurra con aria sognante.
Anche
se non ho la minima idea di cosa voglia dire, penso che, in effetti,
è splendido ed i riflettori emanano una luce calda che lo fa
apparire ancora più imponente e lussuoso.
- Insomma, non ci sono paragoni... - dico, un po' per provocarlo, un po' perché lo penso veramente.
-
No - dice subito serio, guardandomi negli occhi. - Non ci sono
paragoni! E se stai cercando di irritarmi con queste stupidaggini
stasera Swan, beh, ci stai riuscendo. Quindi, smettila!
I
suoi occhi mi guardano così intensamente e posso leggervi
così distintamente il rimprovero, che, ancora una volta, abbasso
lo sguardo.
-
Non so che idea distorta tu abbia di te stessa, ma sappi che è
sbagliata. - Adesso il suo tono è più accomodante e
gentile. - Ora ti confesso una cosa, stammi a sentire... Se fossimo
rimasti cinque minuti di più su quel taxi, avrei dovuto prendere
a pugni il tassista, perché smettesse di lanciarti quelle
occhiate dallo specchietto. E quando siamo entrati qui dentro, non
c'è stato un solo uomo che non si sia voltato a guardarti.
Fa una pausa e lo vedo deglutire e stringere le labbra.
-
Sto odiando quel dannato vestito ed il modo in cui mette in risalto il
tuo corpo. Mi sta facendo impazzire. Mi sto trattenendo dal toccarti,
dall'accarezzarti. Vorrei sfiorarti i capelli, le guance, accarezzarti
le braccia, ma non lo sto facendo perché ho paura di non
riuscire a trattenermi e non è né il momento né il
luogo. Quindi, Swan, smettila o sarò costretto a dimostrarti che
ti sbagli... E penso che Emmett mi caccerebbe a calci.
Sento
il cuore esplodere nel petto. Nessuno mi aveva mai parlato così
prima d'ora. Mi sento terribilmente in imbarazzo, ma anche lusingata,
emozionata... eccitata.
La sua mano, calda e rassicurante, mi avvolge una guancia.
- Sei bellissima - sussurra prima di posare un bacio sulle mie labbra. Leggero, dolce, appena accennato... meraviglioso.
Quando
si allontana lentamente da me, riesco a non distogliere lo sguardo ed a
pronunciare un timido "grazie". Soddisfatto, EJ torna composto sulla
sua sedia, pochi attimi prima che un cameriere ci porti i nostri
piatti: ravioli ai funghi per me e tagliatelle al tartufo per lui,
fumanti, profumati. Mi sporgo verso il piatto ed inspiro chiudendo gli
occhi.
Che meraviglia...
- Buon appetito! - diciamo nello stesso momento, e la cosa fa sorridere entrambi.
Infilzo
un raviolo con la forchetta, cercando di raccogliere anche un fungo e
un po' di salsa, e lo porto alla bocca. Comincio a masticare e quando
il sapore si sprigiona sul palato non posso fare a meno di chiudere gli
occhi. È paradisiaco. Non credo di aver mai mangiato nulla di
così buono in vita mia.
- Wow! EJ, è... delizioso!
- Posso? - mi chiede puntando il piatto con la sua forchetta.
- Ma certo! - rispondo fin troppo esaltata dall'idea di condividerlo con lui.
Come fa ad essere sexy anche quando mastica?!
-
Hai ragione, è ottimo. Dovrò fare i complimenti ad
Emmett. - Dice alzando gli occhi al cielo e facendomi ridere. - Non che
mi alletti l'idea di gonfiare ulteriormente il suo ego. Eravamo tutti
abbastanza scettici quando ci disse che avrebbe voluto aprire un locale
e occuparsi personalmente della cucina.
Tutti chi? Quando?
Vorrei
chiedergli un sacco di cose, ma è raro che EJ parli di sé
e lo faccia di sua iniziativa, quindi me ne sto buona ad ascoltare.
-
Anche questo piatto, sai? - continua indicando il suo - È stata
una sfida per lui. Esme lo aveva mangiato in un ristorante in Italia e
non faceva che parlarne, allora lui si è messo in testa che
sarebbe riuscito a prepararglielo uguale. E devo dire che c'è
riuscito. O almeno credo - conclude, continuando a mangiare le sue
tagliatelle con gusto.
- Chi è Esme?
La sua espressione mi fa capire che non ho solo pensato la domanda, ma devo avergliela fatta ad alta voce.
Stupida Bella!
- Esme è la mamma di Emmett.
La sua voce ha perso la spontaneità di prima, ma è comunque tranquilla.
-
Vuoi assaggiare? - cambia discorso. Ci sono alcuni argomenti difficili
da affrontare con lui, è facile capire quando ne abbiamo toccato
uno, come in questo momento, e mi riprometto di fare più
attenzione in futuro.
- Sì, certo. - Cerco di mascherare la delusione.
EJ
arrotola le tagliatelle con la sua forchetta e, prima di imboccarmi, mi
invita a bere un po' di vino, per togliere dalla bocca il sapore dei
funghi porcini.
In
realtà non dovrei, sono completamente astemia, ma la bottiglia
che ha ordinato costa ottanta dollari e non mi va di sprecarla.
Il primo sorso scivola dritto dietro la nuca, il secondo mi inumidisce
gli occhi. Decido di non osare con il terzo, sperando che il cibo
tamponi questa sensazione di stordimento.
- Apri la bocca - mi invita prima di avvicinare il boccone alle mie labbra.
Non
so se sia per il vino, per il tono con cui ha pronunciato quelle
parole, per il gesto così confidenziale o per il modo in cui mi
guarda aspettando la mia opinione, ma sento un brivido caldo lungo
tutta la schiena.
Il fatto è che non riesco nemmeno ad esprimerla la mia opinione
perché EJ poggia le labbra sulle mie con dolcezza, per un attimo
troppo breve prima di allontanarsi.
Ma
stavolta non sono pronta a lasciarlo andare, così mi sporgo in
avanti e ritrovo la sua bocca che si schiude all'istante. Le nostre
lingue si incontrano, finalmente, i nostri respiri affannati si
confondono. Sento le dita di EJ che mi sfiorano la guancia e mi
accarezzano fino ad affondare nei capelli e spingermi dolcemente verso
di lui per approfondire il bacio.
È
il paradiso. Baciare EJ è il paradiso. Scoprire che vuole
ciò che voglio io è esaltante. Ed in questo momento
vorrei che tutto scomparisse e che rimanessimo solo noi.
Ma non è così e per fortuna ce ne ricordiamo.
Ok, lui se lo ricorda.
-
Swan, stai rendendo la serata più difficile di quello che
pensassi. Mangiamo, altrimenti diventa freddo. A Emmett prenderebbe un
colpo se rimandassimo i piatti pieni in cucina.
Continuiamo
a cenare mentre discutiamo dei lavori alla libreria. Ci sono alcune
cose di cui non possiamo occuparci e saremo costretti a chiamare un
professionista. L'impianto elettrico va rivisto, i vecchi mobili vanno
restaurati e già tremo se penso alle spese.
Consumiamo il secondo in silenzio, un ottimo pollo con spinaci e
scaglie di grana insaporito con salsa di soia. Gustiamo la pietanza
beandoci l'uno della presenza dell'altra.
- Era tutto di tuo gradimento, Bella? - Quando i piatti sono ormai vuoti, Emmett si avvicina al tavolo per sparecchiare.
- Sì Emmett, grazie. Era tutto squisito, tutto perfetto. Complimenti davvero.
- Oh, grazie a te. Edward? - I due si scambiano uno sguardo complice.
-
Sì, arrivo. Bella, - dice EJ, spostando lo sguardo dal suo
amico, che si allontana, a me - ti dispiace aspettare un po' per il
dessert?
Cerco di decifrare lo sguardo di EJ, ma è impossibile, come al solito. Comincio ad avvertire una certa tensione.
- No, certo che no. Che succede? Tutto ok?
-
Sì - risponde alzandosi e sorridendo. - Torno subito - conclude
stampandomi un bacio sulla guancia, prima di darmi le spalle e andare
via.
Sbatto
le palpebre leggermente frastornata. Mi guardo intorno per cercare di
capire cosa sia potuto succedere, ma non c'è nulla che mi dia un
indizio.
Improvvisamente
la musica di sottofondo si interrompe e le luci si abbassano. Tutta la
sala è nella penombra ad eccezione del palco, su cui due fari
illuminano il pianoforte.
Il cuore comincia a battere all'impazzata quando lo vedo prendere posto sullo sgabello.
Il locale è silenzioso e lo sguardo di tutti i commensali
è rivolto al bellissimo ragazzo dai capelli ramati seduto al
pianoforte.
Sono
emozionata, sono orgogliosa, sono agitata. Non posso credere che EJ
abbia organizzato tutto questo... per me. Non posso credere che tra un
po' lo sentirò suonare di nuovo.
Mi mordo le labbra impaziente. I suoi occhi sono fissi sui tasti e posso vedere la sua agitazione da qui.
Vedo il torace sollevarsi e abbassarsi velocemente. Troppo velocemente.
- EJ... - sussurro. Ma purtroppo non può sentirmi.
I secondi passano, si trasformano in minuti e lo sguardo di EJ è ancora fisso sullo strumento.
Nella
sala si sollevano bisbigli, la gente comincia a mostrare segni di
insofferenza. Mi guardo intorno e, vicino al bancone, vedo Emmett, i
pugni stretti e l'espressione cupa, quasi minacciosa.
Quando fa un passo verso il palco, viene fermato da una donna che lo
afferra per un braccio. Lui scuote la testa e torna a fissare EJ,
impaziente.
La donna vicino a lui è di una bellezza d'altri tempi. Sul viso
a cuore è disegnata un'espressione di tenera preoccupazione ed i
suoi occhi lucidi brillano nella penombra della sala. Ha un fisico
asciutto e l'abito elegante mette in risalto la figura sinuosa. I
capelli, che ricadono in onde perfette sulle spalle, sono castani ma
riesco ad intravedere riflessi color caramello.
Il modo in cui guarda EJ mi impensierisce. Non mi dà fastidio,
no, ma è come se fosse un legame che non riesco a capire.
Inaspettatamente Emmett fa un cenno verso di me e la donna si volta a
guardarmi. Mi sorride e per un attimo vorrei abbassare lo sguardo e
fare finta di niente, ma non lo faccio e le sorrido timidamente anche
io.
Un
fischio cattura la mia attenzione, proviene da un tavolo al centro
della sala, è rivolto ad EJ e mi fa venire voglia di alzarmi e
andare a svuotargli il bicchiere sulla testa. Cafone!
Anche EJ ha sentito e ha sollevato lo sguardo dalla tastiera,
rivolgendolo alla sala, come se stesse cercando qualcosa. Come se
stesse cercando qualcuno. Nel momento esatto in cui lo trova, la sua
espressione si distende e vedo le labbra piegarsi in un timido
sorriso.
È
lei. EJ stava cercando lei. È avanzata di qualche passo, per
farsi vedere meglio, e sorride, con un'espressione dolce e fiduciosa.
Si
guardano per qualche attimo e quando gli fa un cenno di assenso con la
testa, EJ si ricompone, si volta verso di me e comincia a suonare.
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Spero di non aver deluso le vostre aspettative, al prossimo capitolo,
Miki
|
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Capitolo 15 *** Never Alone ***
Quindicesimo Capitolo
Salve a tutti!
Sì, lo so, in mostruoooooso
ritardo. Ma non hanno ancora inventato l’applicazione che
scrive automaticamente
su Word ciò che io scrivo sul mio squadernino. E questo
passaggio è quello che
mi annoia di più, che mi fa rimuginare sulle scempiaggini
che ho scritto e che,
soprattutto, non ho il tempo di fare.
Ma bando alle ciance. Non
amo particolarmente
leggere lo stesso capitolo anche se da due punti di vista diversi, ma
stavolta
ho fatto un’eccezione perché lo ritenevo
necessario. Quindi, la parola passa al
nostro amato EJ, che in questo capitolo mi ha fatto tanta, ma tanta
tenerezza.
Grazie mille a tutti coloro
che continuano
a leggere, recensire, aggiungere la storia e scrivermi in privato
preoccupati
per le sorti di Bella ed EJ. Ve l’ho detto, lento pede ma
arriveremo ad una
fine.
Buona lettura.
QUINDICESIMO CAPITOLO
Never
Alone.
Se
il buongiorno si vede dal mattino, ho la netta sensazione
che questa sarà una giornata di merda!
Ieri sera devo essermi addormentato con il telefono vicino
all’orecchio e
quando poco fa è suonata la sveglia sono letteralmente
saltato per aria!
C’ho
messo dieci minuti a calmarmi.
‘Fanculo,
proprio oggi che devo cercare di rimanere calmo.
Il pensiero di non poter rivedere Bella fino a stasera poi mi
dà il colpo di
grazia.
Inoltre devo chiamare Esme, e non perché me lo ha chiesto
Emmett, ma perché
voglio farlo, voglio raccontarle di Bella, voglio dirle di stasera,
anche se
sono sicuro che suo figlio le abbia già spifferato tutto.
Quando sento l’avviso di un messaggio in arrivo, raccolgo il
telefono dal
pavimento – sì, è caduto prima, quando
è suonata la sveglia… Ok, l’ho lanciato
io fuori dal letto, ma il commesso del negozio mi ha detto che la cover
è a
prova di urti, cadute, bombardamenti e bla bla bla – e lo
leggo.
È
Bella. Sorrido.
Buongiorno. Oggi sarà una
lunga giornata L Non vedo
l’ora che
arrivi stasera.
Non
sarà lunga questa giornata… sarà
eterna!
Buongiorno pulce. Hai dormito bene?
Sì. È stato bello
ieri sera, grazie <3
Grazie di cosa?
Le
rispondo incuriosito dalle sue parole, mentre sorseggio
un caffè nero e amaro nella speranza che mi svegli.
Di avermi fatto compagnia. Mi
è piaciuto
chiacchierare a letto con te ^__^
Mh…
ringrazia che eravamo al telefono, Swan, perché, se
fossi stato lì, chiacchierare e letto non sarebbero mai
rientrati nella stessa
frase.
Grazie a te, piccola Swan.
Mi piace quando mi chiami piccola Swan *___*
Ed
io adoro farlo, penso, leggendo le sue parole, che
arrivano qualche secondo dopo.
Continuo
a fissare lo schermo, cercando di capire che
diavolo vogliano dire quei simboli. Giro il telefono da una parte, poi
dall’altra,
ma nulla…
Hai un gatto?
Io? No, perché?
Ti sei seduta sul telefono?
Ma insomma, EJ! Che vuoi dire?
Pensavo che un gatto avesse calpestato
la
tastiera del tuo telefono o che ti ci fossi seduta sopra!
AGGIORNATI, MASEN! Sono faccine -___-“
(<- per la
cronaca, questa vuol dire “meglio che non mi
esprimo”).
È che ho lasciato il nido da
un bel po’ e non
capisco il linguaggio dei mocciosi.
Non
posso trattenere un ghigno soddisfatto. Che darei per
vedere la sua espressione adesso… Che darei per vederla tutta, adesso.
Mi hai appena dato della mocciosa?! >.<
Scommetto che quella è la
faccina contrariata…
ti somiglia!
Sorrido
mentre apro l’acqua della doccia, aspettando che si
scaldi.
Fai poco lo spiritoso, Masen. Ringrazia
di non
essere qui.
No
Swan… Tu ringrazia che io non sia lì.
Mi stai minacciando, pulce? E,
sentiamo, che
mi faresti?
Una
fitta pungente mi colpisce al basso ventre solo al
pensiero. Mi libero della biancheria con una mano, mentre con
l’altra reggo il
telefono, aspettando che Bella mi risponda. Ho appena sfilato la
maglietta
quando sento l’avviso del messaggio.
Ti bacerei. Ma solo per farti stare
zitto U.U
Gli
angoli della bocca si sollevano in un sorriso quando
leggo la risposta.
E
non è l’unica cosa che si solleva.
Lo terrò presente, Swan.
Fammi scappare
adesso, sono in ritardo ed è tutta colpa tua!
Chi
lo avrebbe mai detto: Edward Masen che si ritrova a
messaggiare come un idiota e ad eccitarsi come un pivello.
In
un attimo ripenso a quella che è stata la mia vita fino a
poco tempo fa: limousine, locali alla moda, lussuose camere
d’albergo,
champagne e donne. Tante donne. Spesso bellissime, in abiti costosi e
biancheria sofisticata, con i loro intossicanti profumi ed i capelli
perfettamente acconciati, pronti per essere scarmigliati dalle mie mani.
Mi
piacevano, mi eccitavano… Mi soddisfacevano, il
più delle
volte.
Erano
un modo per vivere la pagina strappata dal libro. Un
modo per sentire qualcosa.
Se
ci ripenso adesso, non mi fanno alcun effetto. Non sento
niente. Non è quello che voglio. Non più.
È
Bella che voglio. Voglio il libro, non la pagina.
Possibilmente con un fottutissimo lieto fine.
Pensare
ai baci che ci siamo scambiati, immaginare quelli
che ancora non ci siamo dati, pensare a quando potrò
stringerla, nuda, tra le
braccia, mi eccita come nessuna è stata in grado di fare.
Con la sua semplicità
e innocenza, sprigiona una sensualità inconsapevole che mi
toglie il fiato.
Ipocrita! Come se non
ti piacerebbe vederla in reggicalze e autoreggenti.
Cazzo
sì! Certo che mi piacerebbe. Mi sento mancare solo al
pensiero. Per non parlare dell’ennesima erezione della
giornata che mi
costringerà ad entrare nella doccia di spalle
perché non c’è spazio per me e
per lui.
Ed
è ancora mattina…
Faccio
scorrere il vetro del box e mi lascio avvolgere dal
calore umido che mi procura un brivido intenso. Giro completamente il
miscelatore verso destra e mi faccio investire dal getto di acqua
fredda,
sperando che lavi via l’eccitazione e l’agitazione.
Per la prima ci vorrà
una mano… in tutti i sensi.
* *** * *** *
Per
strada combatto la voglia di deviare e passare dal
Twilight. Un bacio di Bella è la cosa che vorrei di
più in questo momento, ma
so che non mi basterebbe e farei tardi e non posso. Maledizione!
Sento
il telefono vibrare nella tasca dei jeans e sorrido.
Ormai è una reazione automatica. Mi basta vedere la notifica
sul display per
regredire di almeno quindici anni.
Magari
mi ha scritto di passare da lei. E chi sono io per
deludere la mia ragazza?
Se non porti qui il tuo culo secco
entro dieci
minuti, giuro che non potrai più sedertici per i prossimi
dieci anni!
‘Fanculo
Emmett e addio deviazione.
Accelero
il passo, da una parte frustrato ma dall’altra
sicuramente impaziente di arrivare al Grear. Anche perché ci
tengo al mio
sedere!
Emmett
è un tale cazzo di perfezionista. Comincia
all’alba i
preparativi per l’apertura serale. Sembra una casalinga
ossessionata e
isterica: dovrebbe vivere a Wisteria Lane.
Ma
è anche per questo che il suo locale è uno dei
più
rinomati di Boston.
Quando
arrivo, la porta sul retro è aperta. Quattro ragazzi
stanno tirando a lucido la cucina. Tra loro riconosco Bree, che, quando
mi
vede, mi sorride e fa un cenno verso la sala.
-
Come stai? – le chiedo passandole accanto.
-
Bene, adesso. – mi risponde calma ma con gli occhi lucidi.
-
Emmett ti fa avvicinare ai fornelli? – Bree sorride ed io
sono contento di essere riuscito a scacciare quell’ombra.
-
Mi fa preparare le insalate – risponde con una smorfia. E
adesso sono io che rido, alzando gli occhi al cielo. Le poso una mano
sulla
spalla, stringendo affettuosamente, e mi volto per lasciare la cucina.
-
Edward?
-
Sì?
-
Ti aspettano. Non hanno mai smesso di farlo.
-
Lo so – dico senza voltarmi. – Sono tornato.
-
Bene.
Bree
era una randagia, come me. Cercava conforto nei luoghi sbagliati,
nelle persone sbagliate. Era poco più che una ragazzina
quando Carlisle ed Esme
l’hanno accolta.
Ma
lei non è stata una delusione, come me. Non è
stata
un’ingrata.
Penso
ad Esme e mi si stringe il cuore.
Ripenso
alla sua ultima chiamata e avverto un groppo in gola
impossibile da mandare giù.
- Mh… e così questo
è
il nido d’amore dei coniugi Leech, eh? Impressionante.
- Non sei divertente,
Edward. Togliti quei cazzo di vestiti… Non abbiamo molto
tempo.
Non so se essere più
eccitato dal pensiero di scopare con Tanya o dal fatto di farlo sotto
il naso
del marito, il facoltoso Arold Leech Volturi. Nel suo letto.
Mi guardo intorno e
cerco di immaginare quale coglione possa anche solo pensare di
intrappolare una
come Tanya in una gabbia dorata.
Mi sfilo la giacca,
mentre passo in rassegna le foto sul comò, racchiuse in
elaborate cornici
dorate.
- Edward…
Marito e moglie a
decine di eventi mondani, con sorrisi fasi come i soldi del Monopoli.
Allento la cravatta e
mi volto verso la padrona di casa, che mi attende, già nuda,
sul letto.
Comincio a spogliarmi,
lentamente, lo sguardo fisso sul suo seno perfetto, che si alza e si
abbassa
rapidamente.
Quando sfilo la
camicia e sbottono i pantaloni, la sua mano scompare in mezzo alle
gambe.
Scuoto
impercettibilmente la testa senza riuscire a trattenere un ghigno
divertito:
sta facendo praticamente da sola ciò per cui ha pagato me.
Profumatamente.
Ma il sorriso mi muore
in faccia quando sento il telefono vibrare nella tasca. Cazzo!
È la terza volta
oggi.
Un brivido freddo mi
percorre la schiena quando guardo il display: tre chiamate perse. Esme.
Cristo! Quella donna
non mi dà un attimo di tregua! Ce l’ho ancora in
mano quando riprende a
vibrare. Continuo a guardare il nome lampeggiare come se da un momento
all’altro al suo posto possa comparire qualcosa che mi dica
cosa fare, che mi
smuova dallo stato catatonico in cui sono piombato.
E ci pensa Tanya. I
suoi gemiti, forti, esagerati, mi riportano alla realtà.
Blocco la chiamata e
getto il telefono sulla poltrona, assieme al resto dei miei vestiti.
- Finalmente –
sussurra mentre la raggiungo sul letto, sostituendo le mie dita alle
sue.
- Quanto tempo
abbiamo?
- U… Dio, Edward!
Un’ora… siiiì…
un’ora… al massimo…
- Più che sufficiente
per farti urlare un paio di volte!
Quella
è stata l’ultima volta che Esme mi ha cercato.
Mesi
fa. E so che Emmett vorrebbe prendermi a pugni per questo. Come dargli
torto…
-
Guarda chi si è degnato…
A proposito…
-
Ciao Emm.
-
Sei in ritardo.
-
Anche io sono felice di rivederti e non sapevo di dover
timbrare un cartellino.
-
Fai poco lo spiritoso, rosso. Il tuo culo secco non è
ancora al sicuro – mi minaccia con lo sguardo torvo, mentre
si allontana. Ma è
Emmett, insomma, un sentimentalone in centodieci chili di muscoli. Chi
lo
conosce sa benissimo che non farebbe male ad una mosca. A meno che non
vada a
ronzare attorno a Rose.
-
Vuoi muovere il culo?
-
Non sapevo fossi così ossessionato dal mio culo, Emm.
Rosalie lo sa? Fossi in lei, comincerei a preoccuparmi.
Vorrei
continuare a stuzzicarlo, ma mi blocco quando, una
volta arrivati sul palco, lo vedo e allora i rimproveri di Emmett
diventano
solo un brusio lontano.
Mi
avvicino quasi timoroso, sfiorando la superficie con la
mano, come se solo toccandolo possa avere la conferma che è
davvero qui,
davanti a me. O che io sia davvero qui, davanti a lui.
Al
rumore di una sedia trascinata sul pavimento, mi volto e
lo vedo sedersi incrociando le grosse braccia al petto.
-
Avanti, Mozart! Vediamo un po’ che sai fare. È
sabato, e
sto rischiando grosso a darti di nuovo fiducia.
-
Con tutto il rispetto, non credo tu sia sufficientemente…
qualificato, per dare un giudizio. Considerati i tuoi gusti musicali
– gli dico
sollevando un sopracciglio.
-
Vedila da quest’altro punto di vista – risponde con
aria
di sfida. – Dovrai impressionarmi davvero tanto per
convincermi di non aver
fatto una grande cazzata… considerando i miei gusti musicali!
Uno a zero per Emmett!
Alzo
gli occhi al cielo ma confesso di sentire una lieve
agitazione. Mi siedo, sfioro i tasti bianchi, sentendoli scorrere sotto
le
dita, morbidi. Suono qualche nota, poi qualche accordo, compiacendomi
della
perfetta accordatura. Mi sistemo meglio sullo sgabello e, immaginando
Bella
davanti a me, comincio a suonare.
Avverto
immediatamente la differenza, il calore delle note,
l’intensità della vibrazione, l’acustica
perfetta della sala. Suonare questo
pianoforte è un’esperienza ultraterrena. La musica
scivola via dalle mie mani,
si amplifica nella sala e torna dritta al cuore. Con gli occhi chiusi,
rivivo tutte
le emozioni che ho provato in queste ultime settimane: la gioia di
ritrovare
Bella, l’ansia di perderla, la paura di farle del male,
l’affetto infantile che
si trasforma in ammirazione, attrazione… amore. Tutte le
parole che ci siamo
scambiati, tutti i gesti che abbiamo compiuto sono racchiusi in questa
canzone.
Dopo
l’ultima nota rimango qualche secondo con gli occhi
chiusi, aspettando che si dissolva la musica.
Questo è il mio modo
per dirti che ti amo.
Un
battito fragoroso di mani mi fa sussultare.
-
Cazzo! Edward… È…
com’è che si dice in quel vostro cazzo
di ambiente musicale?
Emmett
è in piedi, ha gli occhi lucidi e non smette di
imprecare e farneticare. Una cosa è certa, la canzone gli
è piaciuta.
-
C’è da sistemare qualcosa
nell’amplificazione – gli dico,
sperando che si dia un contegno.
-
Sì certo. Tutto quello che vuoi. Per te e per quelle
fottutissime mani. Fate tutto quello che vi chiede – ordina
ai tecnici con il
tono autoritario da padrone. Poi mi
dà le spalle e si dirige verso la cucina. –
Jeanpieeeerre, tira fuori tutto il
cioccolato che abbiamo! Prevedo un enorme richiesta di
soufflé stasera!
* *** * *** *
Lavoro
assieme ai tecnici del suono per un paio d’ore e, di
tanto in tanto, rispondo a Bella che mi chiede qualche indizio per
l’appuntamento
di stasera. Che io, ovviamente, non le do. Mi dice che non sa come
vestirsi,
come se questo fosse un problema. Sarebbe bellissima, elegante e
deliziosa
anche in pigiama. Cerca di estorcermi informazioni con la terribile
ipotesi che
potrebbe seguire i consigli di Jessica e, in effetti, rabbrividisco al
solo
pensiero. Ma non mi incanta. La conosco troppo bene e non adotterebbe
mai il
Jessica-mettifuorilamercanzia-style.
Se ti conosco bene,
come credo, Swan, avrai tirato fuori dall’armadio un
pantalone elegante, magari
nero, e, non potendo mettere le tue sneakers preferite, opterai per un
paio di
ballerine. Sarai meravigliosa, come sempre, ma per tutta la serata
penserò a
quanto quei vestiti starebbero meglio sul pavimento. Soprattutto dopo
l’assaggio
che ho avuto ieri mattina.
Non
riesco a levarmi dalla mente l’immagine delle sue gambe
nude, e sento ancora sotto le dita la morbidezza della pelle dei suoi
fianchi,
così liscia, setosa.
-
Mozart? Hai finito? La band deve cominciare a provare, se
sua grandiosità lo permette.
Alzo
gli occhi al cielo per l’ennesima volta e maledico
mentalmente Emmett per il suo proverbiale tempismo. Do un ultimo
sguardo al
pianoforte e mi allontano dal palco.
A stasera…
Un
brivido, di eccitazione, di paura…
-
Allora? Chi è?
-
Chi è chi?
-
Ma come chi? Lei, la ragazza della canzone…
Sarà
anche un buzzurro, ma Emmett è una delle persone
più
sensibili che io conosca. Non gli si può nascondere nulla. O
quasi.
-
Lei è… un’amica d’infanzia.
-
Mh. Un’amica d’infanzia, eh? – Non tenta
nemmeno di celare
lo scetticismo.
-
Beh, una cara amica d’infanzia.
-
Una cara amica
d’infanzia – ripete, enfatizzando quel
“cara”. – Mh mh… E vuoi che me
la beva?!
Con quella faccia?
-
Cosa? Ma quale faccia?
Quella da coglione che
hai da settimane!
-
Benvenuto!
Guardo
Emmett con sguardo interrogativo, cercando di capire
cosa abbia sniffato o cosa si sia fumato.
-
Nel club degli innamorati – aggiunge come se fosse la cosa
più ovvia del mondo.
Da
quando ha incontrato Rosalie, Emmett vede il mondo
attraverso spesse lenti rosa e sembra camminare costantemente ad un
metro da
terra. L’ho sempre preso per il culo per questo, ma
adesso…
Adesso sei un coglione
come lui!
‘Fanculo!
Se essere innamorato vuol dire essere coglione,
allora eccomi qua, Edward Masen Cullen, il coglione più
grande del mondo!
-
Emmett?
-
Dimmi, Casanova.
-
Sai che ho un nome?
-
Sai che mamma ha un telefono?
Due a zero per lui!
-
Quando hai conosciuto Rosalie… Beh, ecco, come hai capito
che era lei? Sì, insomma, che era quella giusta.
-
Oh oh… Ma allora fai sul serio, eh?! – La sua
gomitata mi
coglie così alla sprovvista che quasi cado per terra. Mi
passo le dita tra i
capelli, esasperato, pentendomi di aver chiesto consiglio alla persona
più
infantile del mondo.
-
Lascia perdere – gli dico allontanandomi.
-
Edward? – Mi ha chiamato per nome, il suo tono è
serio. –
So che può sembrare sdolcinato, soprattutto per uno come te.
-
Uno come me, come?
-
Uno allergico all’intera gamma delle emozioni umane.
-
Emm…
-
Fammi finire. Non c’è modo di sapere se lei
è quella
giusta. L’amore è un acquisto a scatola chiusa, un
investimento. Non puoi
avere la certezza prima di impegnare il
tuo cuore. Ogni storia ha i suoi rischi, ma sta a noi impegnarci
perché
funzioni.
-
Sembra facile.
-
No, non lo è, affatto. E non c’è altro
che io possa dirti
per tranquillizzarti. Ma questo te lo posso dire: se lei è
il tuo primo
pensiero al mattino, se per qualsiasi cosa che ti capita non vedi
l’ora di
raccontarglielo, se il suono della sua voce ti sembra la melodia
più bella del
mondo, se rabbrividisci al solo pensiero di toccarla, se parlare con
lei è
stimolante, ma allo stesso tempo stare in silenzio è
piacevole e rilassante…
Bella
non è il mio primo pensiero, è l’unico.
Qualsiasi cosa
io faccia, lei è sempre lì. E sì,
qualsiasi cosa mi accada, non vedo l’ora di
raccontarla a lei, anche se ci siamo salutati solo qualche minuto
prima. La sua
voce non sembra la più
bella melodia
del mondo, la sua voce semplicemente è
la più bella melodia del mondo. E quando ride… il
mondo intero dovrebbe smettere
di girare per ascoltare la sua risata. Tutti dovrebbero vedere come
dalle
labbra arriva agli occhi e la luce che sprigiona il suo viso.
Il
solo pensiero di toccarla, di accarezzarla, di stringerla
tra le braccia, mi fa scoppiare il cuore nel petto. Non so cosa
succederà
quando arriverà il momento.
E
parlare con lei è fantastico. Ha un’opinione su
tutto e la
esprime sempre in modo appassionato e coinvolgente.
Ma
sono gli attimi di silenzio i momenti più preziosi. Quel
senso di familiarità così rilassante e
rassicurante.
-
Hey, rosso!
Talmente
immerso nei miei pensieri, non ho fatto più caso a
ciò che stava dicendo Emmett.
-
Sì, dimmi… ti ascolto.
-
Se tutto questo non fosse sufficiente, pensa a ciò che hai
fatto prima.
-
Cosa?
-
La canzone. Se non è amore quello, allora non so proprio
cosa possa esserlo.
Amore…
Sorrido
ripensando alla mia musica, alla musica che ho
composto per Bella. Emmett ha ragione: è amore. Prima che
possa anche solo
pensare a ciò che sto facendo, lo circondo con le braccia.
-
Grazie.
Dopo
un’iniziale esitazione, lui ricambia la stretta. Mi
stacco dopo qualche secondo, leggermente imbarazzato.
-
Wow – esclama, sfregandosi la testa con la mano.
-
Beh, allora io vado. Ricordati il tavolo…
-
Sì, sì certo. A stasera, Mozart.
-
A stasera.
-
Edward?
-
Dimmi.
-
Non deluderci.
Queste
due parole mi scuotono violentemente, spegnendo in un
attimo tutto l’entusiasmo. Inspiro profondamente, cercando di
ricacciare giù
l’ansia e con convinzione gli rispondo: - Non lo
farò.
* *** * *** *
Esco
dal Grear e mi dirigo verso casa. Questa giornata si
sta dimostrando più intensa del previsto. Ma accanto alla
paura e all’ansia c’è
anche una sensazione di completezza, di appagamento, come se finalmente
non mi
sentissi più fuoriposto.
Accelero
il passo, sovrappensiero, inizialmente imboccando
strade a caso, ma subito dopo perfettamente consapevole della
destinazione del
mio girovagare. Mi ritrovo quasi a correre, fino ad arrivare di fronte
alla
vetrina del negozio, col fiato corto e il cuore che martella nel petto.
E non
per lo sforzo.
Ogni volta che entro,
sento pizzicare le narici per l’odore di legno e vernice. Mi
sfrego il naso col
dorso della mano, mentre cammino lentamente con lo sguardo fisso per
terra.
Vedo scorrere la
moquette rosso scuro dell’area esposizione. Mi fermo per un
attimo, prima di
oltrepassare il limite con il parquet lucido dell’area
vendita. L’odore si fa
sempre più intenso, ma mi piace. Oltrepasso la cassa e,
quando mi affaccio
dalla porta, la vedo di spalle, inginocchiata vicino ad una strana
poltrona,
mentre passa la mano sul legno tarlato.
Ogni volta vorrei
correre ad abbracciarla e dirle grazie, ma ogni volta me ne sto
lì aspettando
che si accorga di me.
- Edward, caro,
finalmente.
- Buongiorno signora
Cullen.
- Esme. Quante volte devo
dirti di chiamarmi Esme?
- Ok… Esme.
- Meglio. Su su,
andiamo. È arrivato un nuovo pianoforte, un pezzo unico, e
non vedo l’ora di
sentirti suonare.
Spingo
la porta e non so se il suono del campanello sia
reale o se sia frutto della mia immaginazione influenzata dai ricordi.
Mi sento
pizzicare le narici, mi sfrego il naso e mi incammino verso il retro.
Esme
dà le spalle alla porta ed è dentro ad un
armadio,
letteralmente. Carlisle la rimprovera sempre, le chiede di prestare
maggior
attenzione a chi entra in negozio, ma lei puntualmente si fa cogliere
alla
sprovvista. Grazie a Dio non è mai successo nulla.
-
Ehm… - mi schiarisco la voce e quasi mi tremano le mani
per l’agitazione ed il senso di colpa.
Quando
si volta e mi vede, posso distinguere chiaramente il
guizzo di gioia che le attraversa il viso.
-
Edward!
-
Buongiorno signora Cullen – le dico sorridendo.
-
Edward… - sussurra più piano, la voce rotta da un
singhiozzo.
Sono
io a fare il primo passo, ma in un attimo le sue
braccia mi avvolgono e mi stringono. Nonostante sia più
bassa di me e di
corporatura minuta, mi sento protetto e ritorno piccolo come quando ero
bambino.
Inspiro
il suo odore. Profuma di rosa e di vernice… profuma
di mamma.
-
Oh Edward, sono stata così in pena per te.
-
Mi dispiace Esme, io…
-
Non importa. Sei qui adesso – mi dice prendendomi il viso
tra le mani e baciandomi le guance. – Vieni, beviamo un
caffè. Voglio sapere
tutto di questa ragazza.
Emmett, sei un fottuto
pettegolo!
-
Ricordami di ringraziare tuo figlio.
-
Andiamo, non fare così. Era solo contento di…
-
Esme… - la interrompo afferrando la tazza che mi porge e
guardandola scettico.
-
Hai ragione – sospira – non stava più
nella pelle, mi ha
telefonato non appena sei uscito dal locale – conclude
ridacchiando.
Scuoto
la testa rassegnato. Non che sia arrabbiato, anzi,
vedere questa luce negli occhi di Esme mi rallegra e mi tranquillizza.
Bevo un
sorso di caffè caldo, che sa di casa, di famiglia, di
colazioni insieme, di
risate e felicità.
-
Allora? – mi incalza.
E
lo faccio. Le racconto della famiglia Swan, di Renée e di
suo marito Charlie. E poi comincio a parlarle di Bella, di come fosse
da
bambina, di come negli anni mi sia capitato di ripensare spesso a lei,
di come
l’abbia incontrata quel pomeriggio al Twilight. Esme segue il
mio racconto con
interesse, non perdendosi nemmeno una parola, annuendo di tanto in
tanto e
sorseggiando il suo caffè.
Le
racconto del pianoforte di mia madre, della ritrovata
voglia di suonare, dell’ispirazione per comporre.
-
Emmett mi ha detto che la canzone è molto bella, Edward.
–
Mi guarda con un’espressione dolcissima e riesco solo a
pensare a quanto sia
importante questa donna per me, a quanto mi sia mancata.
-
Verresti? – le chiedo sporgendomi sul tavolo verso di lei.
– Stasera, a sentirmi. – Esme allunga la mano ed io
gliela stringo senza
pensarci due volte.
-
Non me lo perderei per nulla al mondo. Mi è dispiaciuto
così tanto non sentirti più suonare. Sai che
Emmett non ha fatto avvicinare
nessuno al pianoforte? Diceva che ti saresti incazzato
– aggiunge titubante, alzando gli occhi al cielo per aver
detto una brutta parola. E io sorrido immaginandola riprendere suo
figlio,
intimandogli di moderare il linguaggio. - Sapeva che saresti tornato
prima o
poi – aggiunge – io invece cominciavo a non
sperarci più.
-
Mi dispiace. Credimi, non mi sono reso conto del male che
ti ho fatto. Del dispiacere che vi ho causato.
-
Non dispiacerti, tesoro.
Hai fatto del male solo a te stesso ed è questa la cosa che
mi faceva più
soffrire.
Lo
sguardo di Esme è cambiato improvvisamente. È
addolorato e
la tristezza nei suoi occhi è come uno schiaffo in pieno
volto. Non so perché
ma ho una strana sensazione e comincio a sentirmi a disagio.
-
Io… Non è stato un bel periodo. –
Riesco a malapena a
parlare. Allargo il collo del maglione per cercare di alleviare questo
senso di
soffocamento che provo. – Era… tutto buio. Mi
sentivo… mi sentivo in trappola,
senza via d’uscita. – La sua mano stringe la mia,
forte. – Non volevo
allontanarmi. Perdonami, Esme. – Sollevo il viso, guardandola
negli occhi. Non so
nemmeno quando le lacrime hanno cominciato a rigarmi le guance.
– Io non volevo…
- singhiozzo. – Non volevo che vedevi chi fossi…
-
Sssh… sssh, Edward. – Le sue braccia mi stringono
da
dietro e la sua fronte si posa sulla mia spalla. Sentirla
così vicina, sentire
il suo calore, il suo profumo ha il potere di calmarmi da una parte, ma
di
farmi rendere conto delle bestialità che ho fatto
dall’altra.
-
Lo so… - mi sussurra improvvisamente all’orecchio
ed io mi
blocco all’istante, incapace anche di respirare.
Cosa sa? No, non può
essere…
-
Tu… come… - balbetto, pietrificato dalla paura,
dalla
vergogna. Vorrei alzarmi e correre via, ma le gambe sono pesanti come
macigni
ed il corpo di Esme mi pesa addosso rendendomi impossibile ogni
movimento. Il cuore
mi martella nelle orecchie e vorrei prendermi a pugni per essere stato
un così
tale illuso…
Un così tale idiota!
Non
so che dire, non so che fare. Improvvisamente Esme
scioglie l’abbraccio e si siede affianco a me. Rimango col
capo chino, incapace
di alzare lo sguardo e scontrarmi con il disgusto nei suoi occhi.
-
Non te l’ho mai detto, Edward, e forse avrei dovuto farlo.
Sin dalla prima volta in cui ti ho visto, smarrito, ferito,
abbandonato, avrei
voluto abbracciarti e tenerti con me. Avrei voluto proteggerti allo
stesso modo
in cui ho voluto proteggere i miei figli la prima volta che li ho
stretti tra
le braccia. Averti qui, sentirti suonare, insegnarti, mi rendeva
così felice.
Sento
la sua mano avvolgermi la guancia e mi abbandono a
quel contatto. Dovrei ripugnarla e invece mi accarezza come una madre
fa col
proprio figlio.
-
Tesoro – mi dice
per la seconda volta. Ed io sussulto per la seconda volta. –
Nessuno dovrebbe
vivere quello che hai vissuto tu. Oh Edward, non riesco nemmeno ad
immaginare
quanta sofferenza tu debba aver provato.
-
Ma questo non giustifica ciò che ho fatto.
-
Giustifica la tua fragilità. Guardami, - sollevo lo
sguardo e mi volto – non posso dirti di essere fiera di
ciò che hai fatto. Ogni
giorno di silenzio da parte tua, ogni volta che non rispondevi al
telefono era
come una pugnalata. Ma ora sei qui, sei con me, sei tornato.
-
Sono tornato.
-
E non ti lascerò più andare via. Non ti
permetterò di
allontanarti da me.
Mi
butto tra le sue braccia e lei mi stringe baciandomi la
testa. Le sue lacrime tra i miei capelli, le mie a bagnare la sua felpa.
-
È finita. – dico tra i singhiozzi. Lo butto fuori
liberandomi di un peso soffocante.
-
Sì… sì… - mi rassicura
massaggiandomi la schiena – è tutto
finito e non permetterò che ti accada nulla di male. Te lo
prometto.
Ce
ne stiamo così per non so quanto tempo. Quando Esme si
accorge che mi sono calmato, si allontana lentamente e mi prepara un
altro
caffè dopo essersi accertata che il
mio,
nel frattempo, è diventato freddo.
-
Non la conosco ancora ma sento di volerle già bene.
-
Di chi parli?
-
Di Bella. Ho l’impressione che c’entri lei in tutto
questo.
La
mia piccola, dolce Swan…
-
Sì, è merito suo. È solo merito suo
– dico sorridendo.
Vorrei
rimanere qui, continuare a parlare con lei, ma si sta
facendo tardi e non voglio far aspettare Bella.
Tu non vuoi più
aspettare per vederla.
Sì,
assolutamente! Sono io. E allora? Sono quasi ventiquattr’ore
che non la vedo e non la sento. E sì, posso quasi vedere il
mio subconscio che
alza gli occhi al cielo. Ma per me può anche tapparsi la
bocca ed evaporare una
buona volta.
-
Esme, mi dispiace ma devo andare. È tardi e mi devo
preparare… per stasera.
-
Ma certo, caro. Va’ pure. Ci vediamo dopo. – Mi
stringe
velocemente lasciandomi un bacio sulla guancia.
Sto
per andare via, ma una domanda mi vortica nella testa
anche se non sono sicuro di voler sapere la risposta.
-
Come hai fatto a…? Chi te lo ha detto?
-
Ho sentito alcuni discorsi al Golf Club, nella sauna. Non ne
ero sicura, ho solo unito i pezzi e, prima, tu me ne hai data la
conferma.
Mi
sento un miserabile per averle causato tanta sofferenza
tanta vergogna.
-
Chi altro lo sa? – Immagino lo sguardo deluso di Carlisle
e mi sento quasi mancare.
-
Solo io. E non ho intenzione di dirlo a nessuno.
-
Grazie. Grazie Esme.
-
Non ringraziarmi, Edward. Voglio solo che tu sia felice. –
Non merito tutta questa comprensione, tutta questa dolcezza. In fondo,
io non
sono nessuno per lei e non ho fatto nulla per meritare la sua stima, il
suo
affetto. Eppure questa donna tiene a me e me lo ha sempre dimostrato ed
io
voglio essere degno del suo affetto, voglio che sia fiera di me. Voglio
che
Bella sia fiera di me.
Ripercorro
velocemente la strada fino a casa. Non ho mai
camminato tanto in vita mia come nell’ultimo periodo. E mi
piace. Da quando ho chiuso i battenti,
spendere soldi per
taxi e limousine è fuori discussione. Ad eccezione di
stasera, ovviamente.
Il
mio cuore martella nel petto mentre cerco di fare mente
locale.
Ok, calma… Barba e
doccia, tanto per cominciare.
Mentre
mi tampono i capelli con un asciugamano, sperando che
assumano una forma decente, apro l’armadio e ne tiro fuori il
mio completo
migliore, quello che mi ha regalato Esme per la prima volta che ho
suonato al
Grear e che non ho mai usato per i miei incontri
di lavoro. È perfetto per stasera, insomma.
C’è anche la cravatta, ma dopo un
paio di prove decido di non metterla.
Prima
di procedere, mi concedo un attimo… Cerco il telefono
e mando un messaggio a Bella:
Mi sei mancata, piccola Swan. Non vedo
l’ora
di rivederti. A tra poco.
Non aspetto nemmeno
una risposta. Come una molla, scatto in piedi e comincio a prepararmi.
Ed eccoci qui. Anche il
prossimo capitolo è
pronto… su carta! Per cui, se tarderò ad
aggiornare sapete già il motivo.
In generale è
pronta tutta la storyline e
solo a buttarla giù ho pianto… Bah.
Vi auguro la buonanotte.
Miki.
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