L'odore dei ricordi

di Imaginary82
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Apple Pie ***
Capitolo 2: *** Eyes from the past ***
Capitolo 3: *** The heart beating ***
Capitolo 4: *** Just Friends ***
Capitolo 5: *** All by myself ***
Capitolo 6: *** Playing for her ***
Capitolo 7: *** Hopeless ***
Capitolo 8: *** Scent Of Women ***
Capitolo 9: *** Sweet chocolate ***
Capitolo 10: *** A step away from her ***
Capitolo 11: *** Checkmate! ***
Capitolo 12: *** A little piece of apple pie ***
Capitolo 13: *** Rawness ***
Capitolo 14: *** The Date ***
Capitolo 15: *** Never Alone ***



Capitolo 1
*** Apple Pie ***


Apple Pie Salve a tutti. Questa ff (o "zozzifiction", come l'ho ribattezzata io XD) è nata più per gioco che per altro. Doveva essere solo un modo per delirare su msn con gli amici. Poi ha preso strade tutte sue, che non ho la più pallida idea di dove mi porteranno. Per ora non posso fare a meno di seguirle e di bearmi delle parole che zozzEdward mi sussurra all'orecchio.
I personaggi sono presi in prestito da Twilight, ma se ne discostano quasi completamente. Il mio Edward e la mia Bella sono assolutamente umani...fin troppo.
Bene, questo è più o meno tutto.
Vi ringrazio.
Miki.





Primo capitolo

APPLE PIE

Sono cinque minuti che mi domando che razza di posto sia mai questo.

Afferro il cellulare e scorro la lista dei messaggi.

Non è una richiesta stavolta. È quasi una supplica.

Per me non fa differenza. È come tutte le altre...beh, non proprio come le altre. Ha un corpo da mozzare il fiato e una pelle liscia e profumata. I capelli lunghi sono morbidi e lucenti...e parla poco. Sono questi i motivi che mi hanno spinto ad avere con lei un rapporto, oserei dire, fisso.

Mi piace?

Non credo.

O meglio...mi piace che non abbia speranze. Mi piace che mi guardi senza aspettarsi nulla.

Lei usa me allo stesso modo in cui io uso lei.

Le 18:50. Dannazione. Sono in anticipo. E mi ritrovo in una delle strade più squallide di Boston.

La gente si volta a guardarmi, attratta evidentemente dal mio cappotto dal taglio raffinato o  dalle mie scarpe lucide. O forse è il profumo della mia colonia?

Sono passati i giorni in cui facevo perfettamente parte di questo squallore.

Mi guardo in giro.

Perché non arriva?

A quel pensiero il palmare vibra, allontanando la mia mente dalle angosce del passato.


“Sono in ritardo, scusami. Non andare via, ti prego. Faccio prima che posso”.


La tentazione di mandare al diavolo lei e i soldi di suo marito è tanta, è forte.

Ma rimango. Non voglio cadere di nuovo nel tunnel dei ricordi, devo tenere la mente occupata...e lei è una piacevole distrazione.

Il tintinnio di un campanello mi fa voltare di scatto.

Twilight Café

Ma che razza di nome...

Mi avvicino all'ingresso e guardo dentro: non c'è nessuno per fortuna.

All'interno l'ambiente è caldo e apparentemente pulito. L'odore prevalente è quello di caffè e non di fritto rancido, come nella maggior parte delle tavole calde della zona.

Decido di entrare, non voglio dare nell'occhio. So che è impossibile che qualcuno mi riconosca, ma la sensazione di disagio che provo mi toglie il respiro. L'ultima cosa che mi serve ora è un attacco di panico.

Mi siedo ad un tavolo vicino alla finestra, rivolto verso il vetro, dando le spalle al bancone e a tutto il resto. Vedo ancora la stessa strada, gli stessi edifici, ma stare seduto qui è come essere al sicuro, è come se tutto ciò che c'è là fuori non mi possa ingoiare di nuovo.

- Signore, cosa desidera?

- Del caffè, grazie

Non alzo nemmeno lo sguardo, so che c'è una ragazza accanto a me, ma non m'importa.

- Abbiamo un'ottima torta di mele...

- NO grazie – la interrompo con un tono un po' troppo aspro – il caffè va benissimo.divisa

Quando si gira per tornare dietro il bancone la guardo. Non è molto alta. Indossa una divisa dal taglio discutibile, rosa, con un grembiule bianco, legato dietro con un fiocco. Dalla gonna larga spuntano due gambe affusolate, la pelle candida. Ai piedi un paio di sneakers ed un'orribile cuffietta sul capo, dalla quale fuoriesce una lunga coda di cavallo. Esegue ogni gesto rapidamente e torna da me dopo pochi attimi. Versa la bevanda fumante in una tazza. 

Torno a guardare fuori e penso che le lascerò una grossa mancia.

- Ecco il caffè.

- Grazie.

- E la torta...

- Ma...io non...

- Non si dice no alla mia torta. Soprattutto se appena sfornata! È la migliore torta di mele che esista!

Non mi dà nemmeno il tempo di protestare che si allontana dal mio tavolo.

Guardo davanti a me. La tazza è piena di caffè bollente e accanto c'è un piattino con una fetta di questa fantomatica torta.

tortaDue strati di sfoglia dorata racchiudono un morbido e fumante ripieno. L'odore che sprigiona è tra i più deliziosi che abbia mai sentito. Non è semplicemente odore di mele...c'è qualcosa in più. Il fumo pungente e speziato che sprigiona colpisce le mie narici, ed è un senso di familiarità quello che provo e mi viene in mente lei.


- EJ tesoro, mi passi la cannella?

- Certo mamma, subito. Che stai facendo?

- Ti preparo una torta di mele, la signora Swan non ha dimestichezza con i fornelli e mi ha chiesto di farne una per la sua bambina, a quanto pare la piccola adora la mia torta!

Gli ingredienti che mi ha portato, però, sono decisamente troppi per una sola. Gli Swan sono persone adorabili e la loro bambina è meravigliosa, così rosea e paffuta. Sono contenta che siete amici.

- Non siamo amici mamma...è piccola!

- Ma ha solo due anni meno di te EJ.

- E' piccola. Ogni tanto la faccio giocare un po' con me...è una piagnucolona!

- Mmh...se lo dici tu.

- Mamma, non pensi che papà si arrabbierà per questo?

- Oh no, stai tranquillo. Tuo padre ha il doppio turno oggi in fabbrica e, quando tornerà, non ci sarà più traccia delle torte.


Parlava mentre continuava a mescolare gli ingredienti. Sul suo viso, invecchiato precocemente, si affacciava un debole sorriso. Il taglio sul labbro le faceva male, così come l'occhio gonfio. Ma gli occhi le brillavano, sembrava quasi felice.


- E adesso, l'ingrediente segreto.

- Metti un ingrediente segreto mamma? Dai dimmi qual è, voglio saperlo!

- Oh no! Se te lo dicessi poi dovrei ucciderti.

- Dai mamma, ti prego...non lo dirò mai a nessuno

- Lo prometti?

- Croce sul cuore!

- Mh...va bene, mi fido! La vedi questa pallina?

- E cosa sarebbe?

- Senti l'odore...si chiama noce moscata.

- Ma è dura, non la vorrai mettere lì dentro?!

- Ma certo che no...vedi questa? Si usa per grattugiarla e la polvere si unisce all'impasto.

- Ed è quello che fa la differenza?

- Beh, lo sentirai quando la torta sarà pronta.


Ricordo ancora il profumo di quel dolce. Ne avevo assaggiato un solo boccone eppure mi basta pensarci per sentire distintamente il sapore. Non ho mai più assaggiato qualcosa che gli si avvicinasse lontanamente. Avevo ancora gli occhi chiusi quando all'odore delizioso del dolce si sovrappose il puzzo disgustoso di birra...era tornato!


- Dove cazzo avete preso questa fottutissima torta?! - disse scaraventando in un solo colpo il tegame giù dal ripiano.

- Edward...non...

- Taci cagna! Ti sei fatta fare di nuovo l'elemosina, vero?

Le sue dita affondavano nell'esile braccio di mia madre, mi andai a nascondere dietro il bancone, ma non potevo non sentire tutti gli insulti e il rumore dei colpi che le infliggeva con una furia animalesca.

- O è la ricompensa? Ma si...lo sapevo...ti fai scopare dal bel poliziotto...ti piace la sua bella divisa inamidata...

- No Edward, lo giuro...non è così, sai che non potrei mai! Sai che amo solo te.

Un gran frastuono mi costrinse a voltarmi. La mamma era riversa al suolo, dopo essere stata scaraventata con violenza contro il mobile della cucina. Vedevo sangue, dalle labbra, dalla testa.

La afferrò nuovamente, per le spalle, portandola alla sua altezza.

- Quando ti parlo mi devi guardare...che devo fare con te – disse scuotendola vigorosamente – io non ce la faccio più. Ne ho piene le palle di te!

Non riuscivo a muovermi, avrei voluto saltargli addosso, urlargli di lasciare in pace la mamma, ma cosa potevo io contro di lui? Vedevo le sue mani, che in passato mi avevano accarezzato con amore, afferrarla per i capelli. Lei continuava a chiedere scusa, continuava a dirgli che lo amava.

- Che devo fare con te, eh? COSA?! Mi capisci quando parlo? Hai capito quello che ho detto?

L'ennesimo spintone, stavolta, a fermarla, il frigorifero.

- Tu non capisci un cazzo! Sei un'idiota...lo sai che sei un'idiota eh? E spostati!

Con un calcio allontanò il corpo oramai inerme di mia madre dallo sportello del frigo. Lo aprì e ne tirò fuori una bottiglia di succo. Ne bevve un sorso, rumorosamente per poi sputarglielo sulla testa.

- E' acido! È così che cresci tuo figlio? Col succo acido?

Fu quando le svuotò l'intero contenuto addosso che scattò qualcosa dentro di me. Gli saltai addosso, urlandogli tutte le offese che fossi in grado di pronunciare. Affondai le mie unghie nella faccia e lui si dimenava urlando. Ma che poteva fare un bambino di otto anni ad un uomo, il cui fisico era temprato dal lavoro e il cui animo era inasprito dalla rabbia, dall'odio e dall'alcool?

Riuscì ad afferrarmi per il collo e ad allontanarmi da lui. Non feci in tempo a scappare che un sonoro ceffone mi fece cadere a terra. Sentivo tutta la faccia pulsare e il sapore ferroso del sangue inondarmi la bocca.

- M...mamma...

Deve essere stata quella che lei chiamava “forza dell'amore” a darle quell'ultimo guizzo di vitalità. Mentre lui si avvicinava nuovamente a me, lei lo colpì furiosamente con un mortaio di pietra ponendo fine definitivamente alla sua lurida esistenza. Uno sforzo troppo grande dopo tutto ciò che aveva subito. Si accasciò al suolo e, solo dopo aver sussurrato il suo amore per me, si spense.


Mi asciugo in fretta le lacrime, cazzo...non posso farmi vedere in questo stato! Tutta colpa di quella cameriera e della sua fottuta torta! Per fortuna che un bagliore rosso mi riporta nel mio mondo.

Mi alzo, finisco il caffè e prendo il portafoglio per saldare il conto. Lascio una banconota da dieci dollari sul tavolo e mi giro per andare via, ma...mi volto nuovamente verso il tavolo e afferro la forchetta. La affondo nel dolce e la porto alla bocca!

Uhmf...

Apro la porta, facendo suonare quel fastidiosissimo campanello e senza girarmi dico ad alta voce:

- La torta...la tua torta...non è assolutamente la migliore!

Non le lascio il tempo di rispondere che vado via.

Mi avvicino a quell'incanto e faccio scorrere lo sguardo su di lei.macchina

Ha delle curve da mozzare il fiato. Anche ferma esprime la sua dirompenza. Poggio una mano sul fianco, è liscio, caldo...eccitante. Vorrei poterla avere tutta per me, sentirla fremere sotto le mani. Non sapevo l'avrebbe comprata. Mi aveva chiesto quale fosse la mia macchina preferita e la mia risposta era stata fin troppo spontanea: una Porsche Cayman rossa...rossa fiammante, come le tue labbra!

Vedermela davanti adesso è come un sogno. Il finestrino del lato passeggero, rigorosamente oscurato, si abbassa.

- Edward sei con me? Andiamo?

- Si certo – dico deglutendo – andiamo.

interniQuando entro l'odore di nuovo mi assale. E' tra le fragranze più belle che abbia mai sentito. Guardo gli interni, e mi perdo nel colore della passione.

In netto contrasto lei è seduta lì, fiera e bellissima, al volante. Sembra nata per guidare una macchina del genere.

Mi allontano, poggiando la schiena contro l'interno dello sportello e la guardo.

E' la solita esibizionista. Sfoggio il sorriso sghembo che tanto la eccita e continuo a far scorrere lo sguardo su di lei.

Un foulard rosso le incornicia il viso baciato dal sole, souvenir del suo ultimo viaggio ai Caraibi. Gli occhiali scuri, dalla linea raffinata, le coprono lo sguardo...ma so bene cosa c'è dietro quelle lenti: brama, eccitazione...so anche che cerca il mio consenso, vuole piacermi e si sforza in ogni modo perché sia così. Non le dico che farei lo stesso il mio dovere, anche se dovesse presentarsi sciatta e scarmigliata. L'importante è che alla fine metta mani alla borsetta per il mio compenso.

Devo dire però, che in questo modo mi rende il compito molto più piacevole.scarpe

Indossa un completo nero, la giacca con un solo bottone le copre a malapena il petto, da dove spunta un reggiseno in pizzo rosso fuoco. Scuoto la testa e continuo a sorridere. La gonna è un tubino nero, stretto, ma con un profondo spacco che le scopre la coscia, quasi fino all'inguine, mostrando il bordo liscio, come piace a me, delle autoreggenti. Ai piedi un paio di Laboutin nere lucide che completano degnamente il tutto.

Mi metto comodo e lei capisce che ha passato l'esame. In effetti ha un aspetto assolutamente fantastico. Anche se la cosa che più mi eccita è sapere che ha fatto tutto questo per me.

Quando Rosalie mi ha presentato Tanya, la sua migliore amica, di certo non avrebbe mai immaginato che tipo di rapporto sarebbe nato tra noi. D'altronde nessuno di loro immagina lontanamente in che razza di situazione mi sia andato a mettere. Ma l'odore dei soldi cancella l'odore dei ricordi e per ora va bene così.

Per fortuna non accende lo stereo. La musica adesso coprirebbe il rombo del motore, che alle mie orecchie suona come le fusa di una gatta in calore.

- Non vedevo l'ora di tornare – dice con la voce tremula per l'agitazione – mi sei mancato così tanto!

- Non ti sei divertita col maritino?

- No! - risponde piccata – fosse per me potrebbe marcire all'inferno.

- Oh, sono sicuro che ne saresti molto felice. Ti ci vedo nella parte della vedova inconsolabile che ha appena ereditato milioni di dollari. Saresti perfetta nella parte – le dico sfiorandole la coscia con il dorso dell'indice. Al mio tocco la pelle rabbrividisce e la vedo deglutire. La presa sul volante diventa meno sicura e la macchina ha un impercettibile sbandamento.

- Sarebbe il minimo dopo tutto quello che sono stata costretta a sopportare. Avevo dei sogni, Edward, una carriera come modella, un futuro e sono stata praticamente venduta!

Si morde le labbra. Il dolore è ancora forte nonostante gli anni, nonostante i soldi, nonostante tutto.

Il padre di Tanya, per evitare la bancarotta, costrinse la figlia appena diciottenne a diventare la moglie di Mr. Leech, un magnate della finanza, senza l'aiuto del quale, il fallimento delle industrie di famiglia sarebbe stato inevitabile. Purtroppo per lei, Arold era un uomo viscido e senza scrupoli, convinto di poter ottenere qualsiasi cosa con i soldi, sempre pronto a dissanguare le piccole imprese in difficoltà, per poi acquisirle, smontarle dall'interno e rivenderle, assieme ai suoi fratelli, Marcus e Caius. 

Anche sua moglie era stato un affare per lui.

Un bel trofeo da ostentare nella grandi occasioni e di cui godere in privato.

La cella dorata in cui era stata rinchiusa questa splendida fenice era invisibile agli occhi della maggior parte della gente, ma per me era diverso...io vedevo il modo in cui si stava spegnendo e riuscivo a darle quello che lei voleva: libertà, anche per una sola notte o per un'ora. Da me non cerca pietà, non cerca romanticismo, non le interessano l'anima, il cuore e tutte quelle cazzate a cui si legano le altre donne. Lei pretende da me l'unica cosa che sono in grado di dare, egregiamente oserei aggiungere.

Non andiamo in albergo, non le piace, e casa sua è esclusa, anche se il marito non c'è mai.

Con i guadagni del suo lavoro, poco dopo le nozze, Tanya ha acquistato un piccolo appartamento, in una zona periferica. Lì c'è tutta la sua vita, lì passa le giornate quando non ne può più di una vita che non le appartiene, lì c'è lei..anche dopo che fa ritorno a casa. Ed è lì che le regalo momenti di pura estasi.

Beh...”regalo” non è il termine più appropriato!

Quando spegne il motore, scendo e, velocemente, faccio il giro per aprirle la portiera. So che apprezza queste carinerie. Non per nulla sono così richiesto. Non per nulla il mio nome è quello più sussurrato tra le signore della classe benestante di Boston e il più temuto dai mariti.

Mentre con fare seducente scende dalla macchina, mi accorgo che sotto la gonna non indossa nulla. Faccio finta di non aver visto e la accompagno con il braccio verso l'entrata.

L'andatura è sinuosa e provocante e la scia di profumo mi investe, non opprimente, ma delicata, sottile, come un assaggio di ciò che mi spetterà a breve.

Quando richiudo la porta non mi dà nemmeno il tempo di voltarmi che è già su di me. Mi lascio spingere contro la porta, le sue labbra premono con forza contro le mie, in un bacio che urla impazienza, desiderio, bisogno disperato. Le sue mani risalgono sul collo, sono calde, lisce, mi accarezzano il viso e poi si portano tra i capelli, afferrandoli e strattonandoli con forza. Mi discosto, cercando di non essere brusco. Lo sa che non mi piace...

Mi guarda con aria mortificata, allontanandosi, anche se di poco.

- Scusami, non volevo. Lo sai che amo i tuoi capelli...a volte non riesco a trattenermi.

Accosto la guancia alla sua e strofino leggermente, le sussurro all'orecchio di non preoccuparsi e al suono della mia voce sento il suo corpo tendersi come corde di violino..

Porto una mano dietro la nuca e la avvicino a me ricominciando a baciarla.

Scendo più giù, lentamente, dietro la schiena, spingendo il corpo contro il mio, la mia eccitazione preme contro la sua coscia ed un gemito soffocato le sfugge dalle labbra.

Le mani continuano a vagare sul suo corpo, riempiendosi delle sue natiche sode, per poi risalire di nuovo a cercare la pelle sotto la giacca. La sua schiena è bollente e la pelle si solleva in un brivido lungo la scia che tracciano le mie dita.

Mi allontano un po' per portarle sul davanti e sbottonare quell'unico bottone. Con un fruscio la giacca cade sulla moquette, scoprendo qualcosa di molto eccitante.

Cerco, dietro la nuca, l'estremità del foulard e le scopro il capo. I capelli sono raccolti in uno chignon molto stretto, ma non mi ci vuole molto per liberarli dalle forcine e farli ricadere in indomabili onde sulle sue esili spalle. Con una mano le piego la testa da un lato e con l'altra sposto i capelli lasciando scoperto il collo.

Lei sussurra, ad ogni movimento, ad ogni mio gesto, è argilla tra le mie mani, o meglio, ferro incandescente, e si lascia plasmare amabilmente.

Le accarezzo il collo col naso, cercando, sotto il profumo, l'odore della sua pelle. Non c'è nulla di più buono dell'odore della pelle di una donna.

Con la lingua lambisco lentamente una spalla, lascio piccoli baci, intervallati da delicati morsi.

Il suo respiro si fa sempre più accelerato ed il cuore sembra che stia per uscirle dal petto. Le sue mani sono sul mio cappotto, ferme. Sa che non deve farlo. Non deve spogliarmi.

È una delle mie regole.

Ma è impaziente e devo dire che questo suo modo di fare mi rende le cose estremamente facili.

Senza staccare le mie labbra dalla sua clavicola mi libero del soprabito, della giacca e comincio a sbottonarmi la camicia tirandone fuori i lembi dai pantaloni.

- Oh Edward – le sfugge quando finalmente il mio torace le si presenta dinanzi. Le sue mani sono su di me ancor prima che riesca a sfilarmi del tutto l'indumento. Con le unghie laccate di rosso segue la linea dei pettorali, mi sfiora i capezzoli, per poi scendere sui fianchi e fermarsi poco sopra la cintura.

Con le labbra continuo ad infuocarle la pelle. I miei baci scendono sul suo petto e affondo il viso nell'incavo dei seni strizzati in un reggiseno in pizzo che lascia ben poco alla fantasia.

La stringo tra le braccia e la sollevo da terra. Agilmente porta le gambe attorno ai miei fianchi, cominciando a strusciarsi languida contro la mia erezione.

Raggiungo il letto e la poso dolcemente senza staccare le labbra da lei.

Con le dita le sfioro il piccolo seno da sopra il tessuto e sorrido quando vedo il capezzolo indurirsi all'istante. Sposto quel sottile pezzo di stoffa e mi porto con la bocca su di esso.

- Tu mi farai impazzire prima o poi – sussurra, mentre si porta le mani dietro la schiena per slacciare il reggiseno. Nessun contorno più chiaro riveste il suo petto. La pelle ha un colorito dorato e uniforme.

La guardo per un attimo per poi rituffarmi sulle sue labbra.

- Hai preso il sole in topless? - le chiedo tra un bacio e l'altro.

- No – risponde allontanandomi. Con le mani spinge sul mio petto facendomi capire le sue intenzioni. Scivolo su un fianco e perplesso la vedo alzarsi dal letto.

Mi volta le spalle e, lentamente, comincia a far scendere la lampo. Mi metto seduto, comodo, per gustarmi lo spettacolo che mi si offre davanti.

Fa scendere l'indumento lungo i fianchi, scoprendo lentamente la pelle nuda.

Prima di sfilarlo completamente si volta.

-...integrale...l'abbronzatura l'ho presa integrale.

E alzando prima una gamba e poi l'altra si libera completamente della gonna, rimanendo nuda di fronte a me, con solo le autoreggenti e le scarpe.

Avanza verso il letto e, poggiando un piede sul materasso, tra le mie gambe, fa per srotolare la calza lungo la coscia.

- No – le dico afferrandole il polso con decisione – tienile!

Le circondo la caviglia e risalgo lentamente accarezzandole il polpaccio sottile. Quando arrivo al ginocchio le sollevo la gamba e le faccio poggiare il piede accanto a me, portando la sua intimità all'altezza del mio viso. Con un gesto del bacino si avvicina ancora di più offrendomi un frutto che sa coglierò presto.

Continuo a carezzarle la coscia, soffermandomi lungo il bordo della calza. Con le mani si sta torturando i capezzoli, mentre la mia risale lungo l'interno coscia.

Getta la testa all'indietro imprecando.

- Tanya...non sono parole che si addicono ad una signora – dico con voce roca, prima di posare le labbra sul ginocchio.

- Cazzo Edward...non sarei qui se fossi una signora.

Sorrido...nel suo tono c'è quasi disperazione.

Con la punta delle dita comincio a sfiorarle il contorno dei fianchi, l'ombelico, il ventre, che sembra avere piccoli spasmi sotto il mio tocco leggero.

Le labbra compiono inesorabili il proprio cammino, raggiungendo, finalmente, il suo centro.

Non mi sorprende trovarla così eccitata, pronta, perfetta.

Basta poco per farle raggiungere l'apice e mentre il corpo è scosso da un violento fremito, con le mani la sostengo senza staccare la lingua da lei.

Quando l'ondata di piacere si attenua e lei ricomincia a muovere, languida, il bacino contro la mia bocca, mi alzo in piedi e la bacio, facendole sentire il suo sapore sulla lingua.

La spingo sul letto e, mentre si sistema nel mezzo, sfilo calzini e scarpe e mi libero dei pantaloni e dei boxer in un colpo solo.

Il suo sguardo malizioso vaga lungo il mio corpo nudo, fino a fermarsi al centro esatto. Ed io posso quasi sentirlo, il fuoco che emana, sul mio membro eccitato.

La raggiungo e le circondo un seno con la mano, stuzzicandone la punta con il pollice. Tanya inarca la schiena e spalanca di più le gambe, chiaro segno che adesso i preliminari sono finiti.

Mi sollevo sulle braccia e, dopo aver infilato il preservativo, la penetro velocemente. Non è mai stata così calda, così bagnata. Quando comincia a muoversi, dettando il ritmo, assecondo i suoi movimenti. Il silenzio è interrotto solo dai nostri respiri sempre più veloci, dai suoi sussurri strozzati, dai gemiti.

Le circondo la schiena con un braccio e sollevandola mi porto a sedere sul bordo del letto. Le gambe mi circondano il bacino e le spinte diventano più rapide, più profonde.

Guardo i suoi piccoli seni tondi sobbalzare, sul suo viso un'espressione di pura estasi.

Ancora una volta penso a quanto sia facile stare con lei. Il suo unico scopo è quello di essere libera, libera di provare piacere, libera di essere una donna. Mentre ondeggia i fianchi, poggia il viso nell'incavo del mio collo, leccandolo e mordicchiandolo quando il movimento rallenta, per poi affondare i denti quando improvvisamente riprendo a spingere con maggiore decisione.

- Edward...io...io..sto per...oh Edward.

A quelle parole mi alzo in piedi e sostenendola con le mani sotto i glutei, la poggio con la schiena al muro, continuando a spingere dentro di lei.

Un orgasmo intenso, devastante ci coglie contemporaneamente e, prima che le forze vengano a mancarci, raggiungo il letto.

Dalla finestra la luce della luna entra nella stanza inondandola di una meravigliosa luce azzurrina. Improvvisamente il pensiero che di lì a breve mi sarei ritrovato solo nel mio appartamento mi coglie mozzandomi il respiro.

La notte arriva e puntualmente arrivano le sue ombre, le sue paure, i ricordi. So che è inevitabile. Mi alzo e comincio a raccogliere i vestiti dal pavimento.

- Edward non andare. Ti prego, non andare. Solo per stanotte rimani qui. - la voce è bassa, il sonno si sta già impadronendo di lei.

E, per la prima volta, tale richiesta mi appare come un'ancora di salvezza a cui non esito aggrapparmi.

-Ok Tanya. Ma solo per questa notte. Non mi va di aspettare un taxi – le rispondo con finta superficialità.

Ed è nel sonno che lei sussurra – non avresti dovuto...non avresti dovuto aspettare un taxi.

Senza nemmeno chiedermi cosa abbia voluto dire mi stendo sul letto accanto a lei sperando che il sonno mi sottragga dal supplizio dei ricordi.

Eccoci qua, alla fine di questo primo capitolo. Spero che la lettura non sia stata troppo pesante e noiosa.

Qualche breve nota: la storia è ambientata a Boston. Perché? Non ne ho la più pallida idea! Volevo fosse una citta, ma non una delle solite metropoli. Mentre scrivevo è uscita questa e l'ho lasciata.

Mr Arold Leech è, ovviamente, Aro e "leech" significa sanguisuga, mi sembrava perfetto.

Se ne avete voglia, lasciate un piccolo commento. Fa sempre piacere sapere l'opinione, positiva o negativa, di chi legge.

Al prossimo capitolo, che arriverà a breve (una settimana al massimo).

Baci.

Miki ^_^


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Capitolo 2
*** Eyes from the past ***


L'odore dei ricordi 2

Come promesso, eccovi il secondo capitolo.

Ringrazio tutti coloro che hanno letto (dalle visualizzazioni sembrate tanti e la cosa mi riempie di gioia *___*), le persone che hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate. E DUE grazie a chi ha inserito me tra gli autori preferiti. Non ho parole.

Ciò che scrivo non ha alcuna pretesa, è solo uno svago, ma sapere che può piacere a qualcuno mi riempie di orgoglio.

Ma vi lascio al capitolo...che è meglio. Ci vediamo "giù" XD

Secondo capitolo

EYES FROM THE PAST


- EJ che hai? - dice una vocina sottile – non piangere.

Alzo lo sguardo e vedo due occhi spalancati che mi guardano. Sono lucidi, tremano e in un attimo si riempiono di lacrime.


Bellina- E ora tu perché piangi? - Le domando, tirando su col naso.

- Perché EJ c'ha la bua – dice abbassando il capo e nascondendo il viso.

Mi alzo e mi asciugo gli occhi – non piangere – le dico sforzando un sorriso – guardami: è passato.

Quando alza la testa un sorriso le si apre sul suo visetto a forma di cuore ed è come se non fosse successo nulla.

Si rimette dritta velocemente e con le manine si liscia le pieghe del vestitino.

- Allora andiamo a giocare – esulta porgendomi la sua mano.

Devo prenderla...voglio prenderla...ma lui arriva.

-EJ che diavolo fai lì? Pensavo di avere un figlio maschio! Da quando te la fai con le femminucce? - la sua grassa risata mi fa vergognare.

Perchè quando capo Swan gioca con sua figlia ride e la sua risata è dolce, tranquilla.

Ma quando lui ride è ubriaco e dopo si avventa sulla mamma.

E infatti mi afferra per un braccio, trascinandomi dentro casa.

Anche se per un attimo, vedo la sua mano che lentamente si abbassa e poi il buio...


Lui continua a picchiarla ma io non riesco a fermarlo.

Li vedo lontani e corro, corro per raggiungerla, ma è come se andassi nella direzione opposta

- Mammaaaaa – urlo con tutto il fiato che ho nei polmoni, ma lei non mi sente.

È riversa per terra, immobile e lui continua...continua...

-Edward...Edward svegliati – la voce che sento è lontana, vorrei svegliarmi...vorrei, ma non ci riesco.

Vorrei aiutare la mamma e non posso, vorrei non sentire questo macigno sul petto, ma lo sento premere sempre più forte...e vorrei non piangere, ma le lacrime si riversano inarrestabili e i singhiozzi mi scuotono violentemente.


Quando apro gli occhi mi ci vuole un po' per capire dove mi trovo. Il respiro è affannato e il cuore sembra voglia uscire dal petto.

- Non è niente calmati, era solo un brutto sogno.

Due mani fredde mi trattengono il viso e ciò non fa che aumentare la sensazione di panico che si è impossessata di me. Mi scanso bruscamente e poggio i piedi a terra. Una piccola luce si accende e, finalmente, capisco dove mi trovo. Lo capisco dal colore della moquette, dai vestiti sparsi per terra e da questo maledetto profumo che adesso mi dà la nausea.

- Edward, c'è qualcosa che non va?

- No, nulla...ho avuto un incubo. Non preoccuparti. Adesso passa – le rispondo, cercando di convincere me stesso. E mi rendo conto che sarebbe stato meglio se lo avessi chiamato quel fottuto taxi. Mi sarei svegliato a casa mia, nel mio letto e non avrei dovuto fingere che va tutto bene. Perché non va bene un bel niente!

Sento il materasso muoversi e capisco che lei si sta avvicinando, vorrà tranquillizzarmi, penso un attimo prima di sentire la sua lingua avvolgermi il lobo dell'orecchio.

- Vieni qui...ti faccio passare io la paura – sussurra. Le sue unghie percorrono i muscoli contratti della mia schiena, ma questo non contribuisce a rilassarmi, anzi, sento la tensione farsi sempre più insopportabile.

-Tanya, non è il momento...dammi un attimo – cerco di non sembrare eccessivamente disturbato dal suo atteggiamento, ma se potessi me la scrollerei di dosso e la manderei al diavolo. La voce di mio padre risuona ancora vivida nella mia testa. Chissà cosa direbbe se mi vedesse...sarei abbastanza uomo adesso davanti ai suoi occhi? Probabilmente no. È vero, io le donne le uso...ma non le ammazzo. Razza di...

- Eppure non mi sembra che tu abbia bisogno di un momento – ghigna portando la mano tra le mie gambe.

Testa e corpo sembrano scollegati oramai: la prima vorrebbe solo un attimo di tregua, vorrebbe cercare di cacciare i torbidi pensieri che miBocca tormentano...vorrebbe che le labbra di Tanya non prendessero il posto della sua mano...e invece, cazzo! Lo fanno!

Il secondo quei pensieri li ha già scacciati ed esulta in maniera indecente, assecondando il movimento della sua bocca.

Ho talmente tanta rabbia dentro che la prenderei per capelli pur di farla allontanare da me. Ma è un'azione che non posso permettermi di compiere, per un bel po' di motivi: lei, oramai, è la mia principale fonte di reddito, mi paga profumatamente e per questo posso concedermi di rifiutare altre offerte, se dovessi contrariarla sarei nella merda totale; inoltre non sono un violento...e già papà...rassegnati...non farei mai del male intenzionalmente ad una donna, non se non è lei a chiedermelo, ovviamente!

In ultima analisi, lei è fottutamente brava!

Cerco con tutto me stesso di non pensare a ciò che sto subendo, ma il modo in cui la sua lingua mi avvolge, mi lambisce...il modo in cui la mano accompagna il movimento, il contrasto della sua pelle dorata con quella oramai arrossata del mio sesso, i capelli che mi solleticano le cosce, ogni cosa mi sta facendo perdere il contatto con la realtà.

Senza nemmeno accorgermene il fiato si fa corto e gemiti sempre più rapidi escono dalle mie labbra. Mi porto indietro con la schiena, poggiandomi sui gomiti, e chiudo gli occhi.

È come se riuscissi a vedere la scena dall'esterno: nudo, seduto sul letto, i piedi poggiati sul pavimento, i fianchi che si muovono su e giù, in una danza dettata dalla bocca di una donna, che se ne sta scompostamente per terra, tra le mie gambe, i capelli le coprono in parte il viso, in parte le cadono sulle spalle, che ritmicamente ondeggiano regalandomi pura estasi.

Questa femmina non ha il minimo pudore...

...il modo in cui i suoi occhi, senza vergogna,

sguardo mi osservano maliziosi, rivendica ciò che sta facendo, sottolinea che è lei la padrona adesso. Mi ha in pugno...in tutti i sensi!

Potrei lasciarmi andare. Potrei, per una volta, pensare solo ad ottenere senza dare...ma non è quello che vuole lei e, stranamente, non è ciò che voglio io.

Non si tratta della mia donna, farle terminare ciò che ha iniziato sarebbe una cosa troppo personale. Non è mai successo e mai permetterò che accada.

Per stanotte sono stato fin troppo succube delle mie debolezze.

Le avvolgo una guancia con la mano, carezzandole l'orecchio con il pollice e infilando, poi, le dita tra i capelli.

Si stacca da me per nulla contrariata, anzi...vogliosa e piena di aspettative. Sa benissimo che adesso tocca a lei.

…...


Quando la luce impietosa penetra dalle finestre, mi coglie nel pieno del sonno.

Avrò dormito un paio d'ore, per fortuna senza incubi, stavolta.

Allungo una mano e cerco alla rinfusa i pantaloni. L'unica cosa che trovo è una scarpa...col tacco...la lascio cadere e mi allungo, scivolando col torace sul materasso, afferrando qualcosa. Una calza...

Porc...cominciamo bene!

Apro gli occhi imprecando mentalmente e cercando di capire dove cazzo siano finiti i miei pantaloni.

All'ennesimo tentativo finito male decido di alzarmi.

Dall'altro lato del letto arriva un fruscio di lenzuola.

-Mmh...Edward? Che fai...vieni qua – dice allungando una mano verso di me.

- Tanya devo andare, è tardi, ho da fare e devo passare da casa per farmi una doccia.

Continua a borbottare qualcosa, ma non la sto a sentire, faccio il giro della stanza per scovare i miei vestiti e li sistemo sulla sedia, cercando di lisciare le pieghe.

orologioPrendo l'orologio dalla tasca e, per fortuna, mi accorgo che non è tardi.

Tardi per cosa poi?

Semplicemente voglio andare via, se ancora non fosse chiaro.

- Falla qui...la doccia. Hanno installato un nuovo box.

La sua voce è più chiara adesso, segno che si sta svegliando. Entro nel bagno per sciacquarmi il viso e non posso fare a meno di notare l'astronave che quella pazza ha fatto montare al posto della vecchia ed obsoleta doccia...scuoto il capo passandomi le dita tra i capelli.

Perché no?

- Vuoi farla insieme a me? - dice, raggiungendomi e allacciando le braccia alla mia vita.

Mi volto verso di lei, facendo scontrare i nostri corpi nudi e posando le labbra sul suo piccolo orecchio sussurro – No! Non sono previsti extra per oggi.

- Uhmf...lo sai che i soldi non sarebbero un problema – il suo tono è visibilmente offeso. In fondo è ancora una ragazzina viziata ed io sono solo il suo giocattolino. Quando si stuferà di me, non ci penserà due volte a gettarmi via.

Com'è che si chiamava? Ah sì...Ken. Sono il suo Ken gigante e umano, da vestire e spogliare a suo piacimento...beh, con una piccola differenza. Anzi...non tanto “piccola”.

Esce dal bagno chiudendosi la porta alle spalle e finalmente posso concedermi questa esperienza ultraterrena.

docciaQuando riesco a capire come azionare i comandi, sei getti d'acqua colpiscono simultaneamente il mio corpo. Il massaggio che eseguono sui muscoli riesce a sciogliere la tensione accumulata durante la notte. Non ho scordato l'incubo che ho fatto, anzi...le immagini scorrono nella mia testa nitide. Probabilmente si tratta di un ricordo vero, di qualcosa che ho rimosso crescendo e che, non so per quale motivo, il mio subconscio ha ripescato.

Schiaccio un altro pulsante ed un getto vigoroso mi investe dall'alto.

Poggio le mani sul vetro e mi lascio andare ud una sensazione di puro godimento.

Ma cosa...?

Qualcosa alla base della cabina comincia a muoversi sotto i miei piedi. Il massaggio è vigoroso e si trasmette dalla pianta alle gambe.

Potrei stare qui dentro per ore.

Le mensole sono piene di boccette, tutte dall'aspetto costosissimo. Ne afferro una a caso e dopo aver svitato il tappo la annuso per controllare che non sia uno stucchevole sapone zuccheroso. Per fortuna l'odore è gradevole, speziato e pungente. Ne verso un po' sulla mano e comincio a passarla sul petto, sulle braccia, insapono l'addome e scendo giù sull'inguine e poi le cosce e le gambe. Lascio che l'acqua lavi via la schiuma, concedendomi ancora qualche minuto di questa meraviglia.

Un piccolo schermo lampeggia sotto lo specchio. Una playlist alquanto discutibile fa bella mostra di sé. Lo scroscio dell'acqua è un sottofondo decisamente migliore. Me la immagino Tanya dimenarsi sulle note di Lady Gaga.

A malincuore chiudo l'acqua ed esco fuori. L'ambiente del bagno è decisamente più freddo, rispetto alla cabina e rabbrividisco a contatto con l'aria. Afferro un a spugna ampia e morbida e me la passo sul viso, sul petto e sulla testa, per poi avvolgerla attorno ai fianchi.

Maledizione...i vestiti...

Faccio ritorno in camera da letto sperando che la mia mise non la inviti a sferrare un altro attacco.

Per fortuna il broncio che ha messo su prima è ancora lì e, nonostante mi osservi dallo specchio, non mi rivolge la parola...

Quando si accorge che sorrido per la sua finta indifferenza, abbassa lo sguardo e comincia a rivestirsi.

Indossa l'intimo, con movimenti lenti, sensuali...vorrebbe essere fermata, ma non lo faccio. Comincio a rivestirmi anche io, senza staccarle gli occhi di dosso. Non voglio lasciarla così e so come farla cedere.

TanyaGuarda per un attimo il proprio riflesso, passandosi le dita tra i capelli arruffati, per poi cominciare a spazzolarli, consapevole del mio sguardo su di lei.

Vorrei sorridere, ma mi impongo di rimanere serio.

Tra di noi è una sfida continua.

Sappiamo bene che è lei ad avere il comando, di tutto, ma mi ha sempre trattato come un suo pari, lasciandosi provocare e provocando a sua volta. Spesso mi chiedo se questo suo comportamento non sia dettato da qualcos' altro, ma scaccio subito il pensiero, illudendomi, forse, che le sia ben chiara la situazione e che un coinvolgimento di quel tipo da parte sua, implicherebbe la fine di tutto.

Una persona come me non è capace di amare.

O probabilmente il mio è un semplice rifiuto, dettato dal fatto che ogni persona in cui ho riposto il mio affetto è venuta a mancare, o peggio, mi ha usato, maltrattato, umiliato.

Scaccio questo ennesimo pensiero deprimente dalla testa e afferro la camicia.camicia

Maledizione...è cominciata proprio bene questa giornata!

Finisco di abbottonarla e vedo che lei stavolta mi guarda seria. Le braccia lungo i fianchi, un'espressione delusa, le labbra strette in un broncio.

Mi avvicino lentamente, mentre i suoi occhi si spalancano increduli.

- Devo andare davvero...mi dispiace.

Le circondo il collo con una mano e dolcemente la costringo ad indietreggiare fino a farle incontrare il comò. Le boccette di profumo tintinnano e qualche cosmetico cade per terra. Le stringo un fianco, infilando le dita sotto il bordo dello slip. L' altra mano scende sulla stoffa liscia del reggiseno, raffinato, ma molto più casto di quello di ieri sera. Col pollice le accarezzo il seno e la risposta è immediata: i brividi che ricoprono il suo petto culminano nel capezzolo che, turgido, spinge contro il tessuto sottile.

- Oh Edward...rimani ti prego.

Il suo corpo è già caldo e se fosse un altro giorno, un altro momento, non avrei esitato.

- Per stavolta basta così – soffio sulle sue labbra prima di premervi le mie. Quando sento che le schiude per approfondire il bacio mi stacco da lei, allontanandomi, solo dopo essermi assicurato che avesse i piedi ben piantati a terra.

- Chiamo un taxi.

- NO! - è la sua risposta quasi urlata.

- Tanya, ti ho dett...- poggia un dito sulla mia bocca, per azzittirmi, e per un attimo spero che non mi chieda ancora di rimanere. Mi preparo mentalmente ad un rifiuto, quando invece è lei a voltarmi le spalle.

Si dirige verso l'ingresso e si china a raccogliere qualcosa, mi sporgo per cercare di capire cosa stia facendo. Si alza e lancia ciò che ha raccolto verso di me. chiaveAfferro prontamente il piccolo oggetto e, quando apro la mano, noto che si tratta di un'unica chiave. Il logo impresso sopra è inconfondibile.

- Non c'è bisogno che mi presti la tua auto – le dico controvoglia, senza alzare gli occhi. In realtà il solo pensiero di poggiare le mani sul volante mi eccita a dismisura.

- Non si tratta di un prestito, consideralo come...un piccolo regalo!

- Ma...ma...no. Tanya no! N-non potrei mai accettare – balbetto come un idiota, o peggio, come un bambino che vorrebbe mettere le mani su un giocattolo ma sa che non dovrebbe farlo.

- Certo che puoi. E poi oramai cosa potrei farne? Lo sai che giro in Limo e se avessi dovuto comprarla per me, non avrei assolutamente scelto una macchina del genere.

- Io...io non so cosa dire.t

- Oh, non dire nulla. Ci sono altri modi per ringraziarmi. Modi che preferisco.

Non so per quanti minuti me ne sto lì, impalato. Quando alzo gli occhi davanti a me non c'è più la donna che mi ha sedotto stanotte. La donna che paga per sentirsi tale è scomparsa. Ora davanti a me c'è la signora Leech, bellissima, seria, fiera...e spenta.

- Vado avanti io – dice cupa – aspetta dieci minuti e poi esci. Non preoccuparti della porta, tra un'ora viene la domestica.

È nel momento del commiato, che involontariamente lei sottolinea l'abisso che corre tra noi. E, per questo motivo, il metallo della chiave brucia sul palmo come ferro incandescente. Non essere riuscito a rifiutare mi mette in una posizione scomoda...troppo scomoda!

Non ho mai lasciato che si creasse un legame. Avrei dovuto troncare quando ho cominciato a provare compassione per lei. Quando vederla imbronciata mi causava un senso di pietà.

Coglione...sei un coglione!

Poggio le spalle al muro ed è proprio così che mi sento...senza via d'uscita. Quando arriverà il momento, e prima o poi arriva sempre, sarà difficile tagliare con lei.

Estraggo l'orologio dalla tasca e mi accorgo che posso andare.

Per un attimo, fuori dall'appartamento, dimentico tutto e guardo compiaciuto la mia macchina.

È favolosa. Nemmeno fra cent'anni avrei mai potuto possedere una cosa simile. Premo il pulsante sulla chiave ed il bip che segue è un armonioso invito a salire a bordo.

Sistemo il sedile all'indietro, di poco, considerando la notevole statura di Tanya, sistemo lo specchietto e indosso la cintura di sicurezza.

Wow...

Il rombo del motore mi causa un brivido lungo la schiena e quando, lentamente, quasi con timore, lascio andare la frizione, sembra che la strada si apra al mio passaggio. Sono consapevole che non sia giusto, ma in questo momento voglio solo godere di questa sensazione di benessere.

Abbandono la postura rigida che avevo assunto, per poggiarmi completamente sullo schienale morbido.

Ho letto su una rivista che le prestazioni di questa macchina sono elevatissime. Il motore è in grado di raggiungere in pochissimi secondi velocità impronunciabili. Ma non è questo ciò che voglio fare adesso. La mia guida è tranquilla, rilassata. Voglio vedere il paesaggio che scorre e sentire i rumori, che, all'interno, arrivano ovattati e lontani.

Ho mentito prima. In realtà non ho alcun impegno. Volevo solo starmene da solo e cercare di capire il motivo di certi ricordi.

Avevo rimosso completamente la mia amicizia con la figlia degli Swan. Avevo rimosso che, dopo quell'episodio, non le avevo più rivolto la parola.

Lui accusò mia madre di aver cresciuto una femminuccia, di essere una buona a nulla, ed era colpa mia. Cercavo di comportarmi in modo che non trovasse un pretesto per picchiarla, ma ogni giorno c'era un motivo: la cena era troppo calda o troppo fredda, la casa non era pulita, non c'era abbastanza birra in frigo...se tutto andava bene, si limitava a capovolgere il tavolo, far volare qualche sedia e imprecare.

Sennò...

Colpisco il volante con entrambe le mani e cerco di scacciare questi pensieri.

Forse con un po' di musica...

Sfioro il computer di bordo con le dita e vedo un piccolo dispositivo usb inserito.

Quando premo play, vengo investito da un rumore assordante


Don't call my name
Don't call my name
Alejandro
I'm not your babe
I'm not your babe
Fernando
Don't wanna kiss
Don't wanna touch
Just smoke my cigarette and hush
Don't call my name
Don't call my name
Roberto

Afferrare quell'aggeggio e lanciarlo fuori dal finestrino è qualcosa che faccio senza nemmeno pensarci su.

Fottiti Tanya, tu e la tua musica del cazzo!

Smanetto un po' con i pulsanti, fino a trovare una stazione che trasmetta qualcosa di decente...impresa assai ardua al giorno d'oggi.

Quando le prime note di Nothing Else Matters si diffondono nell'abitacolo, chiudo per un brevissimo istante gli occhi.

Ascolto la melodia tamburellando con le dita il ritmo sul volante.

Penso a mia madre...cerco di ricordare i momenti in cui sorrideva. La musica la faceva sorridere,

guardarmi giocare dalla finestra, suonare. Le risate della piccola Swan la facevano sorridere, adorava quella bimba.

Ma come diavolo si chiamava?

caffèSenza nemmeno rendermene conto mi trovo nella stessa strada di ieri pomeriggio. Rallento e abbasso il volume.

Perché no?! Il caffè non era tanto male...

Arrivato davanti l'ingresso del locale, accosto e spengo il motore.

Rispetto a ieri c'è un po' più di gente. Nulla di caotico per fortuna.

Senza dire buongiorno mi siedo allo stesso tavolo e dalla vetrina controllo che nessuno si avvicini alla mia macchina.

- Cosa desidera?

Questa voce...Uff...di nuovo lei.

- Un caffè...e nient'altro – rispondo seccato, sperando che stavolta faccia diligentemente il suo dovere.

Dopo qualche minuto sento posare qualcosa sul tavolo e il rumore della bevanda che fuoriesce dalla caraffa. Immediatamente l'odore deciso mi riempie le narici.

Non faccio in tempo ad ingoiare il primo sorso che un altro rumore attrae la mia attenzione.

- Ecco! È appena sfornata! Ho apportato alcune modifiche alla ricetta. Vedrà se non si tratta della più buona torta di mele che abbia mai mangiato!

Ma dannaz...Quando sollevo lo sguardo è come ricevere un pugno nello stomaco.Bella

Quegli occhi...due occhi color cioccolato mi fissano curiosi. Sono grandi, limpidi, luminosi. Nel momento in cui riesco a mettere a fuoco tutto il resto, vorrei che qualcuno mi desse uno scossone per ridestarmi dal sogno.

La sua pelle è come una distesa di neve candida, che non è mai stata calpestata da nessuno, liscia, perfetta. Un lieve rossore colora le guance, sottolineandone le curve deliziose.

Sembrano essere state create per posarvi dolcemente il palmo della mano, per essere ricoperte da leggeri baci.

Il naso, piccolo e grazioso guida lo sguardo più in basso, verso la sua bocca.

Le labbra...Dio quelle labbra...tirate in un timido sorriso, sono tra le cose più belle che io abbia mai visto.

Quale rosa è stata privata del suo colore?

A cosa hai rubato tanta morbidezza?

E il tuo profumo? Da cosa si ottiene un distillato così puro? È forse una pozione? È così che incanti gli uomini? Una strega forse....

- Hey? Che fai, dormi?

Le sue parole sono quello scossone che temevo. Ma il sogno rimane reale e vivido davanti a me.

Cazzo Edward! Datti un tono...sembri un idiota!

E poi l'occhio cade lì...sulla piccola targhetta appuntata sul colletto bianco della divisa.

Isabella S.

...Bella...ecco come ti chiami piccola Swan!

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Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto.

Grazie.

Miki.

PS: il prossimo, tra una settimana, forse meno ;)




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Capitolo 3
*** The heart beating ***


terzo capitolo Eccovi il terzo capitolo. Sono assolutamente lusingata per il numero di persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite e le seguite, mi ripeto, lo so, ma la cosa mi fa immensamente piacere.
Spero che questo vi piaccia come gli altri.
Miki.



Capitolo terzo: The heart beating.



- ...quindici...sedici...diciassette... - conto lentamente, per darle il tempo di nascondersi e sorrido perché so bene dove andrà a ficcarsi.

- EJ! Rientra in casa, sta per arrivare tuo padre – la mamma mi chiama dalla finestra e, controvoglia, sollevo il viso. Non vorrei rientrare, ma devo.

- Bella! - continua lei, cobellinan un tono più dolce – Reneé mi ha chiesto di avvertire anche te. Se non rientri subito a casa, niente torta stasera.

Mi giro verso la buca delle lettere ed è proprio lì che si trova.

Pensa di essersi nascosta ed invece è perfettamente visibile.

- Hey...su, andiamo.

Fa finta di niente ma so che mi ha sentito.

- Beh io vado...poi tu rimani sola – dico mentre volto le spalle e faccio per andarmene. Dopo pochi secondi il rumore dei suoi passettini conferma che ha deciso di seguirmi. La accompagno davanti alla porta e, salutando anche la signora Swan, mi avvio verso casa.

- EJ!sorriso

Quando mi volto verso di lei, vedo il suo viso illuminato da uno splendido sorriso, un sorriso che mi fa sentire felice. Un sorriso spontaneo, uno sguardo limpido che non ha conosciuto la paura, il dolore...

- Ci vediamo domani – dice quasi urlando e agitando la manina.

Erano passati tre mesi da quando Bella e la sua famiglia si erano trasferiti accanto a noi. All'inizio ero stato gentile con lei solo perché la mamma me l'aveva chiesto. Ma poi, passare il tempo insieme era diventata una piacevole abitudine. Era una piccoletta curiosa ma non rompiscatole, mi seguiva con interesse pronta ad eseguire con attenzione qualsiasi cosa facessi. Quando inciampava e si sbucciava le ginocchia, e succedeva spesso, piangeva finché non la prendevo sulle spalle per portarla a casa. Lei sorrideva trionfante e si aggrappava ai capelli per reggersi.

- Da grande sposerò EJ – diceva sempre...

Dopo quel giorno non abbiamo più giocato insieme. Se la incontravo nel vialetto, la scansavo bruscamente e le dicevo di stare alla larga da me.

Quante volte l'ho fatta piangere?

Non avrei mai voluto....

-Hey? Mi senti? Allora, la assaggi o no?

Sbatto più volte le palpebre per mettere di nuovo a fuoco il suo volto.

I ricordi, che si sono affacciati solo guardandola, è come se avessero frapposto nuovamente i diciotto anni che sono passati dall'ultima volta che l'ho vista e, ritrovarmela davanti, mi provoca lo stesso identico brivido che ho avuto pochi minuti fa.

Mi scruta pensierosa e titubante, spostando la testa di lato, come per inquadrarmi meglio.

Forse anche lei ha capito...mi ha riconosciuto.

Sono io Bella...mi riconosci?

- Sei narcolettico per caso?

DUH! Complimenti Edward, bella figura da coglione!

- No, scusami. È che ho avuto la sensazione di conoscerti. Ci siamo visti da qualche parte prima di oggi?

Spalanca gli occhi prima di portarsi una mano alla bocca e...scoppiare a ridere!

- Che diav...perché stai ridendo? Che ho detto di così esilarante?

- Ok, ok...bel tentativo, devo dire proooprio originale – dice, trattenendosi dal continuare a ridere.

- M...ma...a cosa ti riferisci?

- Credi che sia stupida? È solo perché faccio la cameriera o c'è altro? - stavolta il tono è più seccato, ma, nonostante ciò, non riesco davvero a capire dove voglia arrivare.

- E' inutile che fai lo splendido, ricordo perfettamente dove e quando ci siamo visti. QUI! IERI! - dice alzando un po' la voce e posando in maniera decisa la caraffa sul tavolo - E hai detto che la mia torta non era buona. Quindi evita di atteggiarti a playboy dallo sguardo trasognato, come se fossi stato folgorato da una stella...o, piuttosto, sembra che il corpo celeste in questione ti abbia colpito in testa!

Wow, piccola Swan...che caratterino!

Distolgo lo sguardo da lei e sorseggio il caffè, vederla così risentita, combattiva e imbronciata è...è...non so com'è. È strano.

Eccitante?

Quando mi accorgo che con la mano afferra il piattino, per portar via la torta, faccio appena in tempo ad afferrarle il polso, per fermarla.

La mia pelle è a contatto con la sua ed è come se quella stella mi colpisca in pieno, proprio come ha detto lei. O forse è come essere travolti da uno tsunami? O folgorati da un fulmine? Investiti da un tir, sotterrati da una valanga...

Cazzo Edward!

Dalle mie dita, una sensazione di calore travolgente si diffonde in tutto il corpo, andandosi a concentrare inaspettatamente tra le gambe.

L'ennesima imprecazione mentale mi distoglie dall'ennesimo stato di trance.

- Lasciala. Non ho detto che non era buona – la voce esce bassa, roca e il rossore che le imporpora il viso mi fa perdere un battito.

Mi schiarisco la gola, cercando di riacquisire un po' di dignità, e continuo – non è come pensi. Ho avuto l'impressione di averti già vista...in passato – e non sa quanto mi sforzi pronunciare quelle parole. Non sa il dolore che provo anche solo ad ammettere di averlo avuto un passato.

Il suo viso da corrucciato diventa perplesso, mentre la presa delle sue dita si allenta.

Cosa che dovresti fare anche tu...lasciarle il polso! Hai presente quella cosa sottile, candida e fragile che stai stringendo da diversi secondi?

Ecco...si è rincoglionito pure il mio subconscio!

Interrompere il contatto è come essere investito da una doccia fredda.

Quando allontana il braccio, è lei stessa ad avvolgere il polso con la sua mano. E per un attimo sono sul punto di chiederle se ha sentito le stesse sensazioni che ho sentito io.

Per fortuna stavolta riesco a fermarmi!

- Probabilmente ti ho scambiata per un'altra persona – dico, pentendomene quasi subito.

D'altronde perché dovrebbe ricordarsi di me? Non aveva nemmeno cinque anni.

E che senso avrebbe dirle chi sono?

Chi sono io?

Chi è Edward Masen?

Il solo pensiero mi causa un senso di nausea.

E lei è così bella, sembra così ignara dello schifo della vita che non potrei mai coinvolgerla in tutto questo.

-Scusami allora – sussurra mortificata – è che lavorando qui ho fatto l'abitudine a certi metodi.

È assurdo...

E' fastidio quello che sento. No, è rabbia.

Chi ha osato avvicinarla?

Chi le ha parlato?

Chi l'ha sfiorata?

È normale reagire così?

No che non lo è!

Certo che lo è...il mio è...senso di protezione sì.

La conosco da quando era bambina...solo questo.

- Lo fai spesso?

- Eh?

- Estraniarti!

EJ- Uh...ehm..no. No, è che in questi ultimi giorni ho avuto un po' di pensieri. Ricordi più che altro.

Non posso fare a meno di osservare ogni sua reazione. Non è mai quella che ci si aspetterebbe. Anche in questo momento la tristezza che le leggo negli occhi è del tutto ingiustificata. D'altronde non sa di conoscermi.

Non ti conosce!

- Ah. Spero non troppo spiacevoli – dice aprendosi in un sorriso dolcissimo. Un sorriso che ha la forza di scavarmi dentro, come mai niente e nessuno era riuscito a fare.

- Non tutti – rispondo – non tutti.

-Allora? Me lo dai un parere sulla torta? - il tono che assume pronunciando questa semplice richiesta è tra il supplichevole e l'infantile e l'unica cosa che riesco a pensare è quanto sia dannatamente attraente.

Muore dalla curiosità di sapere, ma sono convinto del fatto che abbia cambiato repentinamente argomento apposta.

Piccola Swan, sei davvero così sensibile?

Riesci a leggermi dentro così bene?

O è perché davanti a te cade ogni muro che ho eretto negli anni?

Senza staccare gli occhi dal suo viso, avvicino una mano alla forchetta, afferrandola.

La consistenza è la stessa di ieri. La sfoglia è leggermente croccante in superficie, ma superato questo primo strato, i rebbi affondano in un cuore morbido.

Lei mi guarda e un'espressione di ansia le si dipinge sul volto. La bocca è leggermente dischiusa e quando porto il boccone vicino alle labbra, deglutisce e si morde il suo di labbro, quello inferiore, quello leggermente più pieno...un'asimmetria deliziosa!

Faccio appena in tempo ad estrarre la forchetta dalla bocca che lei mi chiede – Com'è?

Così intento ad immaginare di assaporarla, di passare la lingua laddove i sui denti hanno lasciato il segno, mi faccio cogliere alla sprovvista dalla sua domanda, tanto da farmi andare di traverso la torta.

Comincio a tossire convulsamente mentre lei prende a darmi pacche vigorose sulla schiena.

Vigorose secondo lei...non scalfirebbe nessuno con quei suoi inutili polsi.

Inutili ma stupendi.

Quando finalmente riesco ad inspirare profondamente, deglutisco e mi lascio andare sullo schienale.

Da quanto non mi sentivo così leggero?

-Tutto ok? - sembra come impaurita, probabilmente pensa che mi possa essere arrabbiato – scusami, davvero, non volevo.

Non potrei mai...

Decido di alimentare i suoi sensi di colpa e, guardandola accigliato, prendo un altro pezzetto di torta. Comincio a masticare e vedendo le sue labbra schiudersi le lancio uno sguardo truce. Spalanca gli occhi e, arrossendo, si porta il pollice e l'indice vicino alle labbra mimando il gesto di chiudere una zip.

Come ieri il sapore è squisito, la consistenza perfetta...ma...manca qualcosa.

- Mi dispiace – dico con un tono solenne, degno del miglior critico gastronomico – è ottima. Ma non è la migliore che io abbia mai mangiato.

Piccola Swan, non sai quanto sia terribilmente doloroso tutto questo.

Non sai quanto sia inspiegabilmente piacevole starti vicino.

Alle mie parole Bella sbuffa alquanto platealmente e si lascia andare sul divanetto di fronte al mio.

-Io non capisco – dice stizzita – ho fatto tutto quello che c'era da fare. Mi sono alzata all'alba per andare al mercato della frutta e scegliere le mele migliori. Anni e anni di prove per arrivare a questo risultato, partendo da zero, e ora arrivi tu e mandi tutto all'aria!

- Ma...io...scusa. Non avrei dovuto – vederla così scossa...per una torta! È assurdo.

- No, scusa tu. Hai fatto bene – dice abbassando il viso – non puoi capire – continua in un soffio.

E questa affermazione mi toglie il fiato.

Quando poi afferra la forchetta, la mia forchetta, e si porta un po' di torta alle labbra, penso che potrei svenire. La sua bocca, la sua lingua...sulla stessa forchetta che ho utilizzato io...fatemi morire ora...

Quel maledetto campanello ci riporta entrambi alla realtà.

'fanculo.

Non è possibile...non adesso.

In men che non si dica il locale si riempie e Bella scatta in piedi pronta a compiere il suo dovere.

- Torno subito.

Afferra la caraffa con il caffè oramai freddo e si allontana.

È angoscia quella che sento. Un senso di vuoto.

Panico.

Non adesso per favore...non adesso.

Quando torna e versa la bevanda, fumante stavolta, nella tazza, mi sfiora una spalla con la sua e mi sembra quasi di vederle le scintille che il contatto sprigiona.

Hai gli occhi a cuore come quei cazzo di cartoni giapponesi.

Devo andare via. Allontanarmi da lei...perché è così difficile?

Faccio un profondo respiro.

- Mi porti il conto mentre finisco la torta?

È un lampo di tristezza quello che è passato nei suoi occhi?

- No, ma figurati. Offre la casa.

Il sorriso ha abbandonato il suo volto e, nonostante sia ugualmente splendida, mi si stringe il cuore a vederla così.

È cordiale con le persone e anche molto efficiente, svelta. Dall'esterno sembrerebbe serietà, o stanchezza magari. Ma io so che è mortificata e che la sua testolina sta passando in rassegna, a ripetizione, ogni singola azione che ha compiuto durante la preparazione del dolce.

Mi alzo e infilo le braccia nelle maniche del cappotto.

Raggiungo il bancone. Lei è intenta a ripulirne la superficie dalle briciole.

- A domani – dico senza sapere assolutamente perché e maledicendomi all'istante.

- Ok – risponde senza nemmeno alzare lo sguardo.

-Hey – le afferro delicatamente il mento con le dita, sollevandole il viso e cercando di dissimulare l'emozione che esso mi provoca – sorridi!

Non si scansa al mio tocco.

- Mh...no! - dice capricciosa, sbattendo le palpebre.

Potrei annegare nella profondità dei suoi occhi...

- Avanti sorridi – ripeto facendolo a mia volta.

- Non ho niente per cui sorridere adesso.

- Bene! Tra circa venti secondi lo farai!

L'espressione che fa sarebbe da immortalare, ma non ce n'è bisogno, non potrei mai scordarla.

Mi avvio all'uscita e, afferrata la maniglia della porta a vetri, mi giro. Lei è ancora lì che mi guarda stupita.

- A presto piccola Swan – dico velocemente – non si dimentica così il proprio promesso!

A passo svelejto esco dal locale ed entro in macchina, metto in moto e molto lentamente mi allontano.

Venti secondi.

smile

Guardo nello specchietto retrovisore e la vedo, sul marciapiede, le mani strette davanti al petto e le labbra tirate in un grande sorriso.


Non puoi sentirlo, vero Bella? Il mio cuore che ha ripreso a battere....




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L'ultima scena è ispirata, EVIDENTEMENTE, a Notting Hill.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima.
Miki.

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Capitolo 4
*** Just Friends ***


Quarto capitolo Eccomi qui, con qualche giorno di ritardo. Avevo un'altra idea per la testa ma alcune cose che sono successe in questi giorni mi hanno reso davvero impossibile scrivere.
GRAZIE GRAZIE, le visualizzazioni sono tante così come le persone che continuano ad aggiungere la storia tra seguite, preferite ecc.
Mi piacerebbe TANTO sapere cosa ne pensate.
Due grazie a chi perde  un po' di tempo per commentare.
Ed un'infinità di grazie a coloro che nonostante abbiano già letto si fiondano a commentare, anche in più sedi.
Vi adoro.
Ci "vediamo" giù!
^_^ Miki.



Capitolo quarto:  Just Friends



Non posso fare a meno di congratularmi con me stesso ogni volta che rientro nel mio appartamento.

Non è lussuoso, non è enorme ma è finalmente un posto che riesco a chiamare casa.


casaÈ luminoso e pulito. Forse un po' troppo disordinato, per qualcuno. Ma io lo definirei vissuto.

Cerco di non aggiungere paglia al fuoco e mi impongo di riporre il cappotto nel guardaroba invece di buttarlo sul divano assieme ad un'altra pila di vestiti. Appendo le chiavi nella piccola vetrina vicino alla porta, non prima di aver accarezzato il portachiavi della mia nuova macchina.

Al pensiero del bolide parcheggiato nel box auto, vuoto da quando ho preso possesso dell'appartamento, vengo sopraffatto da una sorta di ansia. Come se aver accettato un regalo del genere fosse profondamente sbagliato, come si mi fossi legato, come se lei mi avesse marchiato ed ora fossi di sua proprietà.

Un altro giorno questi pensieri mi avrebbero portato inevitabilmente ad una delle mie solite crisi...ma non oggi.

Oggi ho un motivo per essere felice, ho un motivo per non pensare a chi sono, a cosa faccio.

...Bella...

Mi lascio cadere sul divano e poggio i piedi sul tavolino davanti a me.

Un raggio di sole mi sfiora il viso e per un attimo sento quasi lo stesso calore che ho sentito quando ho visto il suo sorriso.

Chi l'avrebbe mai detto...

Piccola Swan è cresciuta...eccome!

Da bambina era un visetto tutto occhi ed una cascata di boccoli castani.

Come ho fatto a non riconoscerti subito?

I tuoi occhi sono gli stessi: grandi, limpidi, color cioccolato. Mi fanno pensare all'inverno guardato dalla finestra e al tepore del fuoco. Mi fanno pensare ai tronchi bagnati dalla pioggia ed illuminati dal sole estivo...liquidi, scintillanti.

Ma non sono solo i tuoi occhi che mi hanno ridestato l'anima.

Sono racchiusi nel tuo viso: un ovale perfetto che termina in un mento delizioso, piccolo, appuntito ma delicato. Il naso...il tuo naso obbliga lo sguardo a percorrere la sua linea armoniosa, che porta dritta sulle labbra...

Ed al pensiero delle sue labbra potrei venire all'istante.

L'immagine della sua bocca che si chiude attorno alla forchetta mi tormenta...mi manderà al manicomio già lo so.

Mi fa sentire come un moccioso che si eccita davanti ai cataloghi di biancheria intima.

Ed è così che sono in questo momento: eccitato!

Chissà che biancheria indossa Bella...

Cazzone...

'fanculo!

Non credo di aver mai visto in tutta la mia vita una donna più bella.

E di donne ne ho viste parecchie, più ricche, più curate, più sofisticate.

Nessuna è bella come lei...la sua bellezza è priva di inganno.

Il viso è dipinto solo dal rossore delicato delle sue guance e da quello più intenso e invitante delle sue labbra. Chissà come sarebbe sentirle premute sulle mie, accarezzarle con le dita, sfiorarle con la punta del naso, annusando il suo fresco respiro...

Non ho mai provato nulla del genere prima. E la cosa mi spaventa.

Che sia solo attrazione fisica?

Non credo.

Se avessi voluto non ci avrei messo poi molto a portarla nel retro, nel magazzino o anche su uno di quei fottuti tavolini.

Me la sarei fatta.

Il solo accostare una parola del genere a lei mi dà un senso di nausea, come se fosse un oltraggio...e lo è.


Lei non è fatta per questo, lei deve essere amata, rispettata...venerata.

Chi mi dice che non ci sia già nella sua vita qualcuno che abbia avuto l'onore di starle accanto?

No, ti prego no...

Come posso anche solo sperare che sia sola?

Certo che posso...deve essere sola!

E se lo fosse?

Ci sarò io vicino a lei...

Che diritto ho ad immaginarmi al suo fianco?

Non avresti nulla da darle.ej

Come un colpo in pieno viso, questa consapevolezza mi annienta e tra i pensieri si fa largo prepotente una conclusione: non devo più vederla.

Finalmente cominci a ragionare!

O forse potrei...magari facendo in modo che lei non mi veda!

Come non detto.

Oppure...

Non ne saresti capace...

È l'unica soluzione.

Soffrirai come un cane.

Sono abituato.

Sarà peggio.

Per lei ne varrà la pena.

***


Quando mi sveglio la prima cosa a cui penso è che ho dormito!

Se non fossi immerso nella più totale oscurità penserei di essermi appisolato un attimo ed invece ho realmente dormito. Profondamente, senza incubi e mi sento...mi sento bene.

Inutile dire che il mio secondo pensiero è per lei.

Sono soddisfatto della decisione che ho preso e sono sicuro che riuscirò nel mio intento.

Forse...

Sei un illuso...

Probabilmente è vero, ma è l'unico modo per starle vicino senza coinvolgerla nella mia vita.

Cosa ti fa pensare che lei si lascerebbe coinvolgere? O che voglia essere coinvolta?

Il suo sorriso.

E sorrido a mia volta pensando a lei fuori dalla porta. Le sorridevano le labbra, gli occhi. Le sorrideva il viso.

A me sorrideva il cuore...

Non mi ero mai sentito così...così...così vivo.

Il mio corpo freddo e arido era stato avvolto da una sorta di tepore. Come quando dopo una giornata all'aperto, ti immergi in un bagno caldo e ti lasci coccolare dall'acqua, dal vapore, dal profumo.

Che odore avrebbe Bella dopo un bagno caldo?

Non puoi...

Solo una volta. Solo questa volta.

Quali sono i suoi gesti subito dopo?

Si stringe in un caldo accappatoio o si avvolge in un telo corto, che le lascia scoperte gambe e braccia?

Deglutisco pensando alle piccole gocce che scivolano sulla sua pelle.

Fa caldo...

Sbottono la camicia e mi sfilo le scarpe. Guardo l'orologio: le 22:40.

lettoMi dirigo verso la mia camera. Il letto è ancora disfatto. Mi spoglio, rimanendo solo in boxer e mi siedo sul bordo.

Non chiudo le tende, lascio che la notte entri a farmi compagnia, pensando, sognando, di avere Bella accanto a me.

Solo le stelle ad ornare la volta celeste.

Luna nuova.

Un nuovo inizio...


Nelle notti di Luna Nuova, l’energia è matura per manifestare i vostri sogni e desideri.”


Non so dove la mia testa è andata a ripescare questo ricordo. La signora Swan era una tipa particolare. Sempre immersa in strane riviste e voluminosi tomi. Da piccolo, ovviamente, pensavo fosse un po' pazza.

Quella sera lui ebbe la decenza di accompagnarla in ospedale dopo l'ennesimo “incidente” ed io fui lasciato a casa di Bella.

Guardavamo il cielo e lei chiese a sua madre perché la luna fosse scomparsa...

- La luna non è scomparsa tesoro. Noi non la vediamo, ma lei è sempre lì.

In queste notti, dette di luna nuova, dobbiamo riflettere sulla nostra vita. Sugli obiettivi che abbiamo raggiunto e su quelli che ci impegniamo a raggiungere. Nelle notti di luna nuova, l'energia è matura per manifestare sogni e desideri. Per impegnarci con noi stessi e perseguirli.

- Io voglio stare sempre con EJ

- E tu piccolo? Cosa desideri?

- Io vorrei sentire la mamma suonare più spesso.


Quali obiettivi ho raggiunto nella mia vita?

Ho mai vissuto davvero?

Non credo...sopravvivere non è vivere!

Sono sopravvissuto alla cattiveria di mio padre, grazie all'amore di mia madre.

Sono sopravvissuto ad un'infanzia di sfruttamenti, in una casa priva di affetto.

Mi sono scontrato con quello che credevo potesse essere l'amore ed invece mi ha portato dove sono ora.

L'unica indipendenza che ho ottenuto è quella economica. Ma non ho alcun merito.

Non riesco a compiacere nemmeno le uniche persone che si sono mostrate gentili.

Esme…Carlisle…

Perché ogni tipo di contatto umano, oramai, ha perso ogni importanza per me.

Perché chiunque mi ha sfiorato, ha lasciato un segno.

Un segno che immediatamente prendeva a sanguinare.

Ma ora è arrivata lei...

Da Forks a Boston. Possibile che sia una coincidenza?

Possibile che esista davvero quella strana cosa chiamata destino?

Qual è il tuo obiettivo Edward?

Voglio starle vicino. Ma non voglio farle del male.

Non voglio che mi guardi con disprezzo.

Non deve sapere chi sono, cosa faccio.

Voglio parlare con lei, voglio ascoltare la sua voce e farmi cullare dalla sua risata.

Chiedo troppo?

Si...

E per stasera...voglio amarla!


È piccola la mia Bella. La sua informe divisa non mi ha permesso di capire com'è fatto il suo corpo.

Le braccia sono sottili e le gambe, o meglio, i polpacci sono tonici ma per nulla pronunciati.

Mi stendo sul letto, affondo la testa sul cuscino e chiudo gli occhi.

Che fai quando torni a casa?

Mi sembra così facile immaginarti, come se ti avessi osservata a lungo.

Il tuo appartamento è piccolo e semplice, pulito, ordinato.

Quando chiudi la porta, sospiri, come se solo in quel momento tu ti senta te stessa.

Sei stanca e vorrei essere lì con te per massaggiare le tue spalle contratte e i tuoi piedi indolenziti.

Ti sciogli i capelli e con le dita frizioni la cute nel punto in cui l'elastico, troppo stretto, ha lasciato il segno durante la giornata.

Entri in camera e accendi la luce.

Il tuo letto lo immagino ricoperto di cuscini e di peluches, perché per me non smetterai mai di essere quella bambina, piccola Swan.

Sciogli il fiocco del grembiule e lo sfili lentamente, mentre con i piedi ti togli le scarpe.

Entri in bagno e apri l'acqua della doccia, chiudi il box e torni a spogliarti.

Può essere così vivida una fantasia?

Deglutisco pensando a quanto vorrei essere lì a guardarti davvero.

Poi è la volta della divisa. Bottone dopo bottone i lembi si aprono scoprendo la tua pelle.

La immagino liscia e bianca...come la luna.

La sfili sollevando un piede e poi l'altro, fai un fagotto assieme al grembiule e lo porti in bagno nel cesto della biancheria.

Quando ti liberi velocemente dell'intimo, rabbrividisci e a passi svelti raggiungi il box doccia, lasciando che il calore dell'acqua ti coccoli...

A questo punto immaginarti è più difficile.

Che biancheria indossi?

Com'è il tuo corpo?

Il collo, sottile, lo immagino prolungarsi e continuare nelle spalle, esili.

Ne seguirei il contorno con le dita, facendoti rabbrividire per poi baciare là dove poco prima si sono posate. Il petto si alza e si abbassa, segno che il tuo respiro sta accelerando...come il mio.

Infilerei l'indice tra la spallina del reggiseno e la tua pelle e dopo averci giocato per un po' la abbasserei scoprendoti un seno...

Stringo gli occhi...è troppo...mi sto spingendo troppo oltre.

Non posso usarla per le mie fantasie.

Sono eccitato, sento la stoffa dei boxer sfregare sulla mia erezione.

Eppure non riesco a non continuare. Non riesco a non pensare a come sarebbe...

Solo per stasera. È questo il mio proposito.

Come sei, nuda, Bella?

Sei pudica? Cerchi di coprirti? O diventi più audace?

Come sono i tuoi occhi attraversati dalla malizia?

Come sei mentre fai l'amore Bella?

Al pensiero del suo corpo sotto il mio non posso fare a meno di liberarmi anche di quell'ultimo indumento.

È difficile immaginare la tua piccola mano al posto della mia, anche perché i miei movimenti sono decisi, lenti ma profondi e non riesco a pensarti così decisa in un momento del genere.

Probabilmente diventeresti rossa dall'imbarazzo. O no?

Ed il pensiero del sangue che irrora le tue guance ha il potere di incendiarmi.

Il mio respiro è affannato e sento i muscoli tendersi, segno che il piacere è vicino.

- Bella...oh Bella si....

La mia mano si muove più velocemente...su e giù...su e giù...

Sento l'orgasmo avvicinarsi e non faccio nulla per contrastarlo, mi abbandono ad esso, cavalcando le scosse di piacere che mi scuotono violente per un tempo indefinito.

Se è stato così intenso solo immaginandoti, come sarebbe se ci fossi davvero?

Il mare di sensazioni che mi ha avvolto piano piano si ritrae.

È come se una calda e morbida coperta venga tirata via, lasciandomi scoperto in balia del freddo della notte.

E comincio a tremare...

Mi sforzo di alzarmi e di andare in bagno a darmi una sistemata. Mi sciacquo il viso e torno in camera.

Cerco i pantaloni del pigiama, nel groviglio di vestiti e mi rimetto a letto.

Afferro il lenzuolo e mi copro, raggomitolandomi su me stesso.

Non voglio pensare a cosa farò domani, non voglio pensare a nulla. Sento ancora addosso il calore che il contatto con la tua pelle ha sprigionato.

Buonanotte Bella. Te lo prometto...solo amici.


***


Quando la sveglia suona, metto immediatamente fine a quel fastidioso rumore.

Non ho chiuso occhio. Per tutta la notte non ho fatto che pensare.

Come ogni notte i ricordi hanno affollato i miei pensieri: un susseguirsi di immagini dolorose, tante, e piacevoli, poche.

Ho cercato invano di non pensare a lei. Il suo viso ed il suo sorriso si affacciavano prepotenti nella mia mente. Ho pensato a lei da bambina, al broncio che era solita mettere quando non otteneva ciò che voleva ed ho pensato a come non sia cambiata affatto.

Mi alzo dal letto e mi guardo un po' intorno.

Accidenti!

Sono un caso disperato.

Potrei assumere una domestica, un paio di volte a settimana, ma il pensiero che un'estranea frughi tra le mie cose mi innervosisce.

Faccio un rapido giro della casa, raccogliendo biancheria sparsa un po' ovunque. Tolgo le lenzuola dal letto, cambio gli asciugamani in bagno e metto tutto in lavatrice.

Nel momento in cui il mio stomaco brontola, realizzo che non mangio da due giorni.

O meglio, ho assaggiato la torta di Bella...e poi lei ha portato alla bocca la mia stessa forchetta...e le sue labbra si sono chiuse attorno ai rebbi, mentre sicuramente con la lingua assapor...

Basta cazzo! Solo amici, ricordi?

C'è solo una cosa da fare per schiarirmi le idee.

Mi spoglio velocemente ed entro nella doccia, lasciando che un getto d' acqua gelida mi investa. Mi insapono velocemente e, dopo che l'acqua ha lavato via la schiuma, metto fine a quella tortura che ho deciso di autoinfliggermi.

Mi infilo l'accappatoio, sollevando il cappuccio sulla testa, e apro l'armadio per decidere cosa mettere.

Andrò al Caffé a fare colazione, voglio rivederla, voglio che lei mi riveda sapendo chi sono.

Ma, soprattutto...voglio rivederla.

Chissà come l'ha presa?

Si sarà arrabbiata?

Avrà pensato che l'ho cercata, fino a trovarla lì, in quel locale!

Avrà pensato che sono un maniaco.

NO!

Devo assolutamente spiegarle che è stata una coincidenza, che lei era l'ultima persona che mi aspettassi di trovare a Boston.

Devo correre da lei, adesso!

Scelgo un abbigliamento casual e cerco di dare una forma decente ai miei capelli.ejj

Indosso un blazer nero sulla maglia e apro la porta per uscire.

Cazzo, il telefono!

Per un attimo penso di mandare al diavolo quell'aggeggio infernale e di uscire comunque.

Ma poi penso che potremmo scambiarci i numeri...e le mail...e potremmo mandarci sms carini durante giorno...rientro in casa e mi fermo di botto, non sapendo dove andarlo a ripescare. Ripercorro i movimenti di ieri e mi rendo conto che da quando sono rientrato non ho minimamente pensato al telefono, quindi...il cappotto!

Frugo nelle tasche e lo trovo.

Fa' che non si sia scaricato...

Premo un pulsante ed il display si illumina.

- Che razza di fortuna! - esclamo prima di leggere – DODICI MESSAGGI? Tutti di Tanya?!

Non ci penso nemmeno minimamente a perdere tempo per leggere le sue boiate, così come non ho nessuna voglia di rivederla, nel caso mi chiedesse un altro incontro. Non oggi. Non in questi giorni, in questo periodo...insomma, non adesso!

Ed è per lo stesso motivo che non prendo la macchina. Sono sopravvissuto fino a ieri senza averne una, ce la farò ancora.

Servono 45 minuti e 24 secondi per raggiungere il Twilight Café dal mio appartamento.

Mi stupisco come le strade siano così poco affollate e forse non lo farei se solo mi ricordassi che oggi è domenica!

Idiota!

Ok, sono arrivato.

Solo amici, mi ripeto come un mantra.

Solo amici.

Quando entro nel locale, non sento nemmeno quel dannato campanello, la prima cosa che sento è la sua voce. Non posso fare a meno di sorridere, non mi ha nemmeno sentito entrare, impegnata com'è a sistemare i tavoli, canticchiando una buffa canzone che sta trasmettendo la radio in questo momento.

- It's my party and
I'll cry if I want to.
Cry if I want to, cry if I want to.
You would cry too,
if it happened to you.

Spero non si accorga di me. Non subito. Questo spettacolo è esilarante. Vederla mentre sistema i menu sui tavoli e muove i fianchi a ritmo di musica mentre canta, imitando la voce della cantante non ha prezzo. Potrei riprenderla e ricattarla per tutta la vita.

- Judy and Johnny just
walked through the door.
Like a queen with her king.
Oh, what a birthday surprise
Judy's wearing his ring.
It's my...

- Herm – mi schiarisco la voce facendola bloccare improvvisamente – non pensavo ti piacesse Lesley Gore.

Quando si volta, l'espressione che le vedo sul viso non è stranita, non è infastidita, no.

- EJ!!!

Il suo è quasi un grido...non faccio nemmeno in tempo a visualizzare il movimento, che me la ritrovo tra le braccia. Le sue allacciate al mio collo, il viso premuto contro il petto.

Ed è il profumo più sublime che abbia mai sentito quello che mi travolge.


Cazzo Edward! Non sarà per niente facile. Dannazione!

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Se vi interessa vedere il modo di dimenarsi di Bella, andate qui, io l'ho immaginato così XD.

Spero che vi sia piaciuto un pochino.

Grazie.

Miki.

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Capitolo 5
*** All by myself ***


Capitolo cinque Buonasera a tutti. Finalmente ho terminato di scrivere questo luuungo e noioso capitolo! Mi meraviglierebbe se qualcuno dovesse riuscire ad arrivare alla fine!
Spero comunque che vi piaccia anche se probabilmente risulterà "ripetitivo".

Ogni mio capitolo è dedicato a tutti coloro che leggono, alle persone fantastiche che mi incoraggiano a scrivere, a chi riesce ad intravedere pezzetti di me non conoscendomi nemmeno. Questo, in particolare, è dedicato a Jenny, una piccola grande donna che mi ha "investita" con la sua forza, una forza che mi trasmette con le parole, con la mente e con il cuore.
Grazie AmantA!



Capitolo quinto:  All by myself


Quando entro qui è come se la stanchezza evaporasse. Non mi importa se ho lavorato tutto il giorno, non mi importa se ho le gambe gonfie per il troppo stare in piedi e la schiena a pezzi, non mi importa se è l’alba e dopo dovrò andare al Café. Quando entro qui non vedo l’ora di rimboccarmi le maniche e cominciare.
Adoro questo posto. Non avrei mai immaginato di trovarlo così simile a quello dei miei sogni. L’ho amato dal primo momento in cui l’ho visto: la vecchia porta in rovere, pesante e un po’ rumorosa, i vetri opachi per la polvere, l’ampia vetrina dalla quale al mattino entra la luce calda del sole ed i mobili…quando passo il palmo sulle superfici, eliminando un po’ dello spesso strato che si è posato negli anni, scopro un legno levigato e lucido, che chiede solo di essere riportato al suo antico splendore.
La prima volta che lo vidi, l’anziana proprietaria mi disse che se avessi voluto avrebbe fatto portare via tutto ma io mi opposi, chiedendole anzi di permettermi di utilizzare il negozio insieme ai mobili che lo avevano arredato per anni, tanto da sembrare tutt’uno con l’ambiente. Non voglio apportare alcuna modifica se non togliere la carta da parati e probabilmente far sostituire i vetri, ma queste sono cose a cui penserò più in là, quando avrò di nuovo i soldi per poter fare qualcosa. Ora mi limito a venire qui a pulire ed a pensare.
Circondata dalla luce, accompagnata dalla polvere, che danza vorticando tra i fasci luminosi che entrano dalla vetrina, spesso e volentieri si affacciano ricordi di quando ero bambina.

- EJ, che stai leggendo?
- Il Piccolo Principe.
- Posso leggerlo anche io?
- Ma se non sai leggere!
- Uffa. EJ?
- Dimmi.
-Cosa vuoi fare da grande?
- Il pianista.
- E perché?
- Perché mi piace la musica.
- E perché?
- Perché mi piace suonarla.
- E perché?
- Perché così la mamma potrà ascoltarmi suonare, sempre.
- E per…
- E tu? Che vuoi fare tu da grande?
- Mh. Non lo so. La regina!


Sorrido. E ricordo ancora la risata spontanea che uscì dalla sua bocca. Rideva così raramente. Ogni tanto accennava un sorrisetto a metà: solo un angolo della sua bocca di alzava, l’altro rimaneva fermo, ma era nulla paragonato a quel modo così spontaneo di ridere, spalancando la bocca, stringendo gli occhi. Rispose che la regina non era un lavoro ed io scappai piangendo da mia madre che mi disse che se avessi voluto fare la regina nessuno avrebbe potuto impedirmelo.
- La regina della polvere – esclamo quasi imprecando. Comincio a tossire convulsamente, mentre con gli occhi annebbiati dalle lacrime cerco di avvicinarmi alla porta per aprirla.
Era un bel po’ di tempo che non pensavo ad EJ. C’è stato un periodo in cui era diventato un pensiero fisso. Un periodo in cui la mia mente di bambina non poteva accettare la sua assenza, un periodo in cui credevo che avrebbe fatto parte della mia vita per sempre.

- Ssh Bells, non piangere.
- Voglio EJ!
- Bells, vieni qui, vieni da papà. Su, così. Ecco. EJ è dovuto partire. È andato lontano. Ma mi ha detto di salutarti e di darti un bel bacio sulla guancia.
- EJ non me li dava i baci sulla guancia. È una bugia! Dov’è? Voglio andare da lui…
- Non puoi tesoro.
- E io invece ti dico che ci vado, ecco!
- Bells, se sapessi dov’è, ti porterei io stesso. Ma non lo so e non posso. E tu sei troppo piccola per andare ovunque da sola.
- E allora quando sarò grande andrò da lui.
- Sì…come vuoi piccolina –
sussurrò papà.

Ricordo ancora il suo viso addolorato ma non ne capivo il motivo, non sapevo cosa fosse successo in casa Masen.
Quella notte sentii solo un fortissimo trambusto e non era di certo la prima volta. Solo che fu l’ultima. La casa rimase silenziosa e disabitata per un lungo periodo e c’erano giorni in cui passavo interi pomeriggi alla finestra per vederli ritornare. Finché non vedemmo gran parte delle loro cose ammucchiate per strada in attesa che venissero portate via.

-Bells, hai visto i nuovi vicini?
-No!
-Dai, vieni con me a dare il benvenuto.
-No!
-Bella! Non fare la maleducata…
-No, mamma no! Non ci vengo a dare il benvenuto ai vicini! Perché stanno occupando la casa di EJ? E se i Masen volessero tornare?


Ero una ragazzina ostinata. Col passare del tempo ho cominciato a mettere un po’ d’ordine nei miei ricordi, capendo che c’era qualcosa che non andava, qualcosa che i miei genitori mi nascondevano e che io dovevo sapere. Qualcosa che mia madre mi avrebbe raccontato tra le lacrime qualche anno dopo.
Ej è stato il mio unico amico, so che può sembrare stupido ed infantile pensarlo ma mi ero talmente legata a lui che dopo la sua partenza decisi che non sarei più stata amica di nessuno.

- Bella, lui è Jacob.
- Ma puoi chiamarmi Jake!
- Ha più o meno la tua età. È il figlio dei nuovi vicini. Potreste essere amici.


Finalmente riesco a sorridere pensando a Jake. Sono passati già due anni…
Era un ragazzino insopportabile, una palla al piede. Rendeva vano ogni mio tentativo di starmene per i fatti miei. Si presentava a casa a qualsiasi ora del pomeriggio e con le scuse più impensate. Ogni volta avrei voluto cacciarlo via ma mio padre lo adorava e gli consentiva di girare liberamente per casa nonostante il mio disappunto. Con EJ non lo aveva mai fatto.
Mi veniva una rabbia…
Ma il tempo passa e per una bambina della mia età è facile dimenticare, è facile appoggiarsi a qualcuno che è in grado di farti ridere e che è presente, sempre.
Jake non mi faceva pensare a nulla. Mi insegnò ad andare in bici, a pedalare senza mani. Alla fine la sua presenza mi fece bene. Siamo cresciuti insieme. Ho visto il suo viso diventare adulto, il suo corpo cambiare, diventare imponente, sovrastarmi quasi, tanto da farmelo apparire ancora più dolce e tenero. Studiavamo insieme ed insieme abbiamo avvertito i primi imbarazzi dell’adolescenza. Inesperti entrambi, ci siamo presi per mano ed abbiamo intrapreso un cammino sconosciuto fatto di curiosità e piccole scoperte. Era normale per noi scambiarci quei gesti, donarci amore, immaginare il nostro futuro…veniva tutto così naturale.
Ma l’errore più grande per entrambi fu quello di scambiare l’affetto con l’amore…e lui se ne accorse per primo.

- Pronto, Bells? Mi senti?
- Sì, Jake, ti sento.
- Bella, io…
- Dimmelo e basta, Jacob. Non trattarmi da stupida. Non farmi sentire una stupida più di quanto io già non mi ci senta!
- Non fare così, ti prego. Non piangere Bella. Io non…
- Tu non, cosa? Non volevi? E allora perché, eh? Dimmelo!
- Non lo so. Io non lo so. Tu…tu non c’eri.
- Vuoi rinfacciarmelo? Vuoi dare la colpa a me? Lo sapevi che non sarebbe stato facile. Avevi promesso…tu, Jacob Black, avevi promesso! Avevi detto che mi amavi…avevi…avevi detto che saremmo stati insieme per sempre.
- Bella, io lo credevo…io ne ero certo…ma poi…non è colpa di nessuno Bella. Né mia né tua.


Inspiro forte. L’aria non è più satura di polvere, la corrente che si è creata aprendo la porta ha fatto in modo che gran parte uscisse fuori. Le sue parole, che un tempo bruciavano come un marchio a fuoco, che per mesi mi hanno fatta sentire inadeguata, rifiutata, inutile…sola, adesso non sono altro che la conclusione di una realtà che di reale non aveva nulla. Un castello di carte che avevamo costruito ma che una folata di vento ha distrutto fin troppo facilmente, a dimostrazione dell’inconsistenza dei sentimenti che provavamo l’uno per l’altra.

Non è stato facile. Non è stato facile continuare a far scorrere la mia vita con la convinzione di non avere più un’identità. Non è stato facile ricominciare a credere di avere un ruolo in questo mondo, uno scopo, un sogno, diversi da quelli che avevo avuto per sette anni.
Oggi però sorrido. Mi guardo intorno e non posso fare a meno di sorridere, perché tutto ciò che vedo è mio e non devo dire grazie a nessuno.
Certo, il sorriso dura poco perché nonostante io sia qui da ore è come se non avessi fatto nulla.

Ed io che appena entrata avrei già voluto mettere i volumi negli scaffali!

Guardo l’orologio: le 15:10. Ho giusto il tempo di tornare a casa, fare una doccia, prendere il tegame, andare al Caffè ed infornare la torta.

- Buonasera signora Masen.
- Ciao piccolina. Guarda cosa ti ho portato!
- La torta di mele…mamma, vieni, corri!
- Ti piace proprio tanto eh?
- Sì, signora! La sua è la più buona del mondo.


Quel dolce è fonte di ricordi piacevoli ma anche amari e dolorosi. Da bambina ne andavo pazza e, dopo quella che io credevo fosse la partenza di EJ e la sua famiglia, non avevo mai più mangiato una torta di mele così buona. Mia madre era un disastro ai fornelli, infatti non ci aveva nemmeno mai provato.
Appena sono riuscita a riprendermi, a rialzarmi, dopo che Jake mi ha lasciata, la prima cosa che ho fatto è stata cercarmi un lavoro che non mi privasse di troppo tempo per lo studio. Il Twilight Café era perfetto! Anche dopo la partenza della mamma con Phil, sono riuscita ad organizzarmi tra università e lavoro, laureandomi e riuscendo a mettere qualche dollaro da parte.
Poi, quel giorno, mi venne la malsana idea di assaggiare la apple pie che servivamo ai clienti. Qualcosa di disgustoso, sembrava di masticare cartone! Ci mancò poco che non cominciassi a tossire e sputacchiare torta da tutte le parti.
Così mi è venuta l’idea. Potevo provarci…volevo risentire quel sapore, volevo per un attimo tornare a prima, a quando Jake non c’era, a quando ero una bimba felice che giocava con il suo amichetto, che veniva stretta tra le braccia di mamma e papà, che li vedeva insieme, felici.
Mi ci è voluta un’intera settimana di tentativi, cercando varie ricette su internet e sperimentando personalissime modifiche, che compivo in base al vago ricordo di quel sapore. Alla fine ce l’ho fatta e vado talmente fiera del mio risultato che ho chiesto ed ottenuto di poter offrire la mia torta ai clienti, al posto di quella che è stata venduta finora.
E così, anche oggi, mentre sistemo i tavoli, la mia apple pie è in forno e già sprigiona il suo sublime profumo. Sono orgogliosa e non posso che essere lusingata dai complimenti dei clienti, anche quelli non espressi a parole: c’è chi socchiude gli occhi, masticando lentamente, gustando ogni singolo sapore; c’è chi, invece, li spalanca, deglutendo rumorosamente e portando un nuovo boccone alle labbra. Quando entrano, mi piace immaginare la reazione che avranno e, quasi sempre, riesco ad indovinare.

Sarà triste lasciare questo lavoro…

Il pomeriggio trascorre tranquillamente. È una di quelle giornate in cui i clienti entrano per prendere un caffè da portare via e nient’altro, pochi si sono fermati a sedere. Le 18:00, altre tre ore e poi si chiude. Normalmente io e Jessica abbiamo lo stesso turno e, quando c’è lei, il tempo passa molto più in fretta. Mi lascio ubriacare dai suoi racconti frivoli e dai pettegolezzi improbabili che snocciola in continuazione. Per fortuna che oggi è il suo anniversario di fidanzamento ed ha preso un pomeriggio libero per preparare una bella sorpresina a Mike…non oso immaginare cos’abbia in mente: l’ultima volta mi ha raccontato talmente tanti dettagli che mi sono sentita un’emerita idiota, in quel campo.

Mi scappa un sorriso e quasi mi sfugge un urlo quando sento la porta spalancarsi ed il campanello trillare. Mi metto immediatamente dritta e sfoggio un bel sorriso, impugnando il manico della caraffa del caffè. Un’ombra scura mi sfreccia davanti senza nemmeno dire buonasera e va a sedersi al tavolo vicino alla finestra.
Dal bancone riesco a vedere solo il profilo imponente delle spalle coperte da un cappotto nero ed una massa di capelli castani dall’aspetto assolutamente scarmigliato. Non si volta verso di me, non si guarda in giro per cercare qualcuno, per ordinare qualcosa, se ne sta lì, davanti alla finestra, con lo sguardo probabilmente rivolto verso l’esterno. Sembra quasi una statua tanto se ne sta immobile, è innaturale che un essere umano possa starsene così. E, come per rispondere ai miei pensieri, si porta una mano alla testa, intrecciando le dita ai capelli, spettinandoli, se possibile, ancora di più. Mi sento quasi intimorita, come se, avvicinandomi, invadessi il suo spazio.

Sveglia, Bella, è un caffè non un pensatoio!

Inspiro profondamente e piano piano mi avvicino: in effetti le spalle non sono così imponenti come sembravano ed i capelli, che a prima vista possono sembrare castani, sono percorsi da una miriade di riflessi che vanno dal biondo rame al rossiccio, una sfumatura decisamente insolita. Non ho mai visto un ragazzo con i capelli di questo colore, sono…sono…affascinanti.


Non so cosa mi stia succedendo. Sento le gambe pesanti ed il cuore ha cominciato a seguire un ritmo tutto suo. Quando finalmente riesco a scorgere il profilo, la prima cosa che mi colpisce è l’espressione: accigliata, pensierosa, quasi tormentata. Una mano è posata sul tavolo, stretta in un pugno e sotto la pelle diafana si può vedere chiaramente lo scorrere delle piccole vene. Per un attimo sono tentata di rigirarmi e tornare indietro. Ma mi faccio coraggio.
- Signore, cosa desidera? – chiedo con tono fintamente tranquillo.
- Del caffè, grazie – risponde pronto, come se mi avesse sentita arrivare, come se si aspettasse la domanda.
Non alza nemmeno lo sguardo. Appena ho parlato, ha solo aperto lievemente gli occhi, per poi stringerli nuovamente.
- Abbiamo un'ottima torta di mele – insisto leggermente piccata. O forse voglio solo indugiare un po’, continuare ad osservare il suo profilo perfetto, le labbra serrate, la mascella contratta.
- NO grazie – risponde con tono decisamente aspro, scocciato – il caffè va benissimo.

Vedremo…

Torno in fretta al bancone, dove ho lasciato la caraffa, e verso il caffè nella tazza. Senza pensarci due volte, sollevo la campana di vetro e taglio un abbondante fetta di torta.

Chi diavolo sei per rispondere a quel modo? Razza di arrogante! Spalancherai gli occhi estasiato, ci scommetto un mese di mance!

Torno al tavolo spedita e poso la tazza davanti a lui. – Ecco il caffè – dico con un tono di voce fin troppo alto.
- Grazie.
- E la torta!

Che credevi eh?

- Ma…io non…

Non gli lascio il tempo di protestare - Non si dice no alla mia torta. Soprattutto se appena sfornata! È la migliore torta di mele che esista! – Mi giro in fretta e mi allontano. Sorrido soddisfatta e ripenso al tono alquanto sbalordito che avevano le sue parole. Fingo indifferenza, mentre sistemo i tavoli, i menu, le bustine di zucchero negli appositi contenitori, allineo le bottiglie di ketchup e senape, tutto questo per riuscire, con la coda dell’occhio, a scrutarlo, a vedere la sua reazione.

Se ne sta immobile, di nuovo, fissando il tavolo davanti a sé. Improvvisamente inspira forte e stringe gli occhi. Lo fa spesso, come per voler focalizzare qualcosa o, semplicemente, per scacciarla. Non ha ancora toccato nulla, né il caffè né il dolce. Probabilmente è solo un’ impressione ma ha preso a respirare più velocemente.

E poi succede una cosa che non mi sarei mai aspettata. Una cosa che non mi aspetterei da un ragazzo e soprattutto da uno come lui. Spalanca gli occhi e col dorso delle mani se li strofina come a voler asciugare le lacrime. Mi volto di scatto e mi allontano, come se aver assistito alla scena sia stato sbagliato, come se non avessi dovuto. Vado dietro al bancone, svuoto la caraffa, cambio il filtro della macchina del caffè, me ne sto col viso basso, non osando voltarmi verso di lui. Poi improvvisamente il campanello e la sua voce, di nuovo. Una voce che in un lasso di tempo così breve ho sentito indifferente, seccata, titubante e che ora sento sicura, in un tono di sfida quasi.

- La torta…la tua torta…non è assolutamente la migliore!

Rimango impietrita, sento il calore affiorare sulle guance. Stringo i pugni e lancio lo strofinaccio che ho in mano sul ripiano. Mi giro ma faccio solo in tempo a vedere che sale su una macchina e va via. Macchina…non ho mai visto nulla del genere dal vivo. Una di quelle che si vedono nei film o sulle pagine dei giornali.

Un viziato, spocchioso, antipatico, ingrato riccone del cavolo!

Quando vado al suo tavolo e vedo che ha appena assaggiato la mia torta, sento i nervi pervadermi completamente.

-Ma come ti permetti? Chi diavolo sei? La mia torta è la migliore, idiota!
- Scusi, se è chiuso vado via.

Sussulto e mi accorgo di aver parlato ad alta voce e, come se non bastasse, è entrato un cliente.

Grazie tizio col ciuffo! Mi hai rovinato la giornata!

Per fortuna, in men che non si dica, il locale si riempie e ciò mi permette di non pensare e di sbollire la rabbia. Adoro il mio lavoro e adoro i miei clienti. Ci sono quelli occasionali, come il tizio di prima - meno male che non ci dovevo pensare – e quelli abituali come James, che chiede sempre una doppia porzione di uova, e Victoria, che cerca di sedersi in modo che lui possa vederla, e lo guarda come una fiera affamata guarda la sua preda.

Fosse stato un altro giorno, sarei soddisfatta: la mia torta è finita e più di un paio di persone mi hanno fatto i complimenti.

Dovrebbe bastarmi…

…e invece no, maledizione!

Continuo a sbuffare. Ripetutamente. Quando entro in casa, continuo a pensare a cosa potesse esserci di sbagliato, a cosa avrei potuto modificare per migliorare il risultato. Probabilmente le mele non erano buone, o la farina era umida. Avrei dovuto assaggiarla…forse ho messo troppo zucchero. Ricontrollo ogni passaggio, riavvolgendo i ricordi come fossero il nastro di una videocassetta, mentre mi spoglio, mentre mi faccio la doccia, mentre asciugo leggermente i capelli, mentre mi infilo sotto le coperte e lascio che il sonno mi avvolga piano.


***


La sveglia suona puntuale alle 5:00. Normalmente sarei andata al negozio ma non oggi. Ho il turno di mattina, quindi poco tempo per fare ogni cosa. Per fortuna che il mercato della frutta si trova a due isolati da casa mia, lo raggiungo in dieci minuti e comincio ad aggirarmi per le bancarelle in cerca delle mele migliori. La maggior parte dei commercianti mi conosce e mi permette di toccare di volta in volta i frutti per poter scegliere.


Ci sono varie qualità di mele adatte ma quelle che senz’altro preferisco sono le mele rosse: la loro polpa succosa e zuccherina è perfetta. Ieri avevo preso quelle gialle…forse per questo la torta non era buona.
Con il mio sacchetto tra le braccia ritorno velocemente a casa. Ho tutto il tempo di prepare il dolce ed andare al Caffè.
Sbuccio le mele, inspirando forte l’odore che man mano sprigionano, le taglio in spicchi sottili, non in cubetti, perché così faceva la signora Masen. Non posso fare a meno di rivolgerle un pensiero mentre svolgo, quasi meccanicamente, queste operazioni.

Se il paradiso esiste, è lì che si trova Elizabeth.

E tu, EJ? Dove ti trovi? Quanto sei cambiato in questi anni? Eri un bambino biondo e lentigginoso e sbuffavi sempre quando ti venivo dietro…


Nemmeno Charlie è mai riuscito a saperne di più, solo che era stato adottato da un fratello di suo padre e portato in Massachussetts. Chissà, magari proprio a Boston. Magari ci siamo anche incontrati…

Naah! Lo escludo. Lo riconoscerei tra mille!

Quando il timer mi avvisa che la torta è pronta, apro lo sportello del forno per farlo raffreddare e, nel frattempo, mi preparo per andare al Caffè. Il turno di mattina è più impegnativo di quello del pomeriggio. Il via vai di gente è continuo e molte persone si fermano per fare colazione. Infatti, quando arrivo, faccio appena in tempo a posare la torta nell’espositore, che lascio lievemente socchiuso per evitare che l’eccessivo vapore la ammorbidisca troppo, che comincio ad andare avanti e indietro senza sosta.
Ed è mentre ripulisco un tavolo, quel tavolo, il suo tavolo, dalle briciole, che vedo la stessa auto rossa fiammante di ieri. È lui a scendere dal lato del guidatore ed appena lo vedo il mio cuore fa un salto mortale e va ad incastrarsi dritto in gola. Finisco in fretta di asciugare la superficie e scappo, letteralmente, dietro al bancone.
Anche stavolta è il campanello ad annunciare il suo ingresso. Anche stavolta non si degna di dire buongiorno, va a sedersi allo stesso posto, come se fosse un’abitudine, come se fosse un suo diritto. Guarda fuori dalla vetrina, probabilmente per assicurarsi che nessuno di noi poveri plebei si avvicini alla sua costosissima macchina!

Ti faccio vedere io…

- Cosa desidera? – chiedo facendolo quasi trasalire. Vedo chiaramente che alza gli occhi al cielo: non si aspettava o non sperava di trovare di nuovo me.

Che diavolo sei venuto a fare allora?

- Un caffè – risponde subito – e nient’altro – si affretta ad aggiungere, alludendo sicuramente alla torta di ieri sera.

Parla con la voce molto bassa e l’espressione del viso è così stanca. Indossa gli stessi abiti e, nonostante il cappotto abbia un aspetto decisamente costoso, la camicia sotto è visibilmente stropicciata. Evito di indugiare ulteriormente su questi dettagli e mi dirigo verso la macchina del caffè per prendere la caraffa. Torno al tavolo posando la tazza e versando il liquido scuro e fumante. Senza nemmeno dire grazie la afferra e comincia a sorseggiare, il tempo necessario perché possa portargli un’ abbondante fetta di torta. Il rumore del piattino attira la sua attenzione, tanto da smettere di bere ed abbassare la tazza.
- Ecco! È appena sfornata! Ho apportato alcune modifiche alla ricetta. Vedrà se non si tratta della più buona torta di mele che abbia mai mangiato! – mi affretto a dire.
Sento l’aria uscire quasi furiosa dalle narici e vedo il viso voltarsi e sollevarsi piano nella mia direzione. Istintivamente faccio un piccolo passo indietro, arretro di una distanza quasi impercettibile. Quando finalmente ho di fronte a me il suo viso e posso vederlo distintamente, sono due le cose che mi colpiscono: il colore verde intenso dei suoi occhi, un verde limpido, quasi trasparente, percorso da piccole sfumature ambrate che mi ricordano il colore caldo ed invitante del miele; e l’espressione che assume quando mi vede, come se davvero mi stesse vedendo per la prima volta. Dopo aver inizialmente spalancato a dismisura quegli occhi, coimincia a sbattere le palpebre ed a scrutarmi in una maniera talmente penetrante da farmi arrossire, da farmi sentire scoperta e vulnerabile come mai prima era successo.

Non apre bocca, i suoi occhi sono ancora su di me, un’espressione sbalordita è dipinta sul suo viso. Non so se sentirmi lusingata o infastidita da questo atteggiamento e, quando non riesco più a reggere il suo sguardo, sbotto di colpo – Hey? Che fai, dormi?

Riesco ad intravedere un piccolo sussulto ed immediatamente un sorriso sghembo affiora sulle labbra serrate fino a pochi secondi fa. E poi di nuovo quel modo così strano di stringere gli occhi e di estraniarsi da tutto ciò che lo circonda, come se non fossi qui davanti a lui, come se non gli avessi appena rivolto una domanda.

Stupida.

Stupida, sì, ma pur sempre una domanda.

Direi che la cosa si sta facendo assolutamente irritante.
- Hey? Mi senti? Allora, la assaggi o no?
Sbatte più volte le palpebre, come per rimettere a fuoco una realtà in cui le mie parole lo hanno bruscamente trasportato. E quando lo fa, quando gli occhi si posano nuovamente sul mio viso, anch’io prendo a scrutarlo, piegando leggermente la testa di lato e cercando di capire se il ragazzo che ho davanti, oltre ad essere una visione celestiale è anche in grado di intendere e di volere.
- Sei narcolettico per caso? – La domanda mi sfugge senza nemmeno il tempo di riflettere ed il modo in cui si ricompone mi fa pensare di aver ferito il suo orgoglio.

In effetti stai facendo una bella figura da idiota, signor sonofigoenondegnonessunodiunosguardo!


- No, scusami. È che ho avuto la sensazione di conoscerti. Ci siamo visti da qualche parte prima di oggi? – chiede con un’espressione davvero seria. Spalanco gli occhi prima di portarmi una mano alla bocca e...scoppiare a ridere!
- Che diav...perché stai ridendo? Che ho detto di così esilarante?
- Ok, ok...bel tentativo, devo dire proooprio originale – dico, trattenendomi dal continuare a ridere. Anche se mi riesce davvero difficile in questo momento.
- M...ma...a cosa ti riferisci?
Il suo tono apparentemente serio ha il potere di darmi ai nervi, adesso.

Ma con chi credi di avere a che fare?

- Credi che sia stupida? È solo perché faccio la cameriera o c'è altro? - stavolta il mio tono è più seccato - E' inutile che fai lo splendido, ricordo perfettamente dove e quando ci siamo visti. QUI! IERI! - dico alzando un po' la voce e posando in maniera decisa la caraffa sul tavolo - E hai detto che la mia torta non era buona. Quindi evita di atteggiarti a playboy dallo sguardo trasognato, come se fossi stato folgorato da una stella...o, piuttosto, sembra che il corpo celeste in questione ti abbia colpito in testa!

Uff…mi ci voleva. Eccheccavolo!

Per tutta risposta si gira verso la finestra e riprende a sorseggiare il caffè ma non mi sfugge quel suo sorrisino compiaciuto.

È troppo…è davvero troppo.


Non fossi una semplice dipendente gli svuoterei il contenuto della caraffa su quel cespuglio che si ritrova al posto dei capelli! Cos’è? Non vuole la mia torta? Beh, sono io a non volergliela dare! Allungo la mano verso il tavolo ed afferro il piattino davanti a lui, voltandomi per allontanarmi.
In un attimo la sua mi afferra e mi trattiene decisa ma senza strattonarmi. Le sue dita avvolgono completamente il mio polso ed i suoi occhi sono di nuovo, prepotenti, su di me. È un sguardo che mi entra dentro, ogni volta, accompagnato, stavolta, da un calore che dalle sue dita si trasmette alla mia pelle come una scossa elettrica. Non riesco a fare a meno di spostare lo sguardo dal suo viso al punto in cui i nostri corpi sono uniti, in una maniera così penetrante ed intensa da suscitarmi un imbarazzo inspiegabile, un imbarazzo che non credo di avere mai provato e non perché lui sia uno sconosciuto, ma perché il suo tocco ed il modo in cui il mio corpo hanno risposto ha un non so che di…intimo.
- Lasciala. Non ho detto che non era buona.- La voce esce dalle sue labbra bassa, roca ed ha il potere di far affiorare un violento rossore sulle mie guance. Lo sento, lo vedo nei suoi occhi che mi scrutano, nelle sue iridi cupe, che hanno perso la sfumatura dorata per assumerne una più scura e quasi inquietante.- Non è come pensi. Ho avuto l'impressione di averti già vista...in passato – continua ed è come se pronunciare queste parole sia faticoso. L’intensità e la serietà con cui le pronuncia mi colpisce ed automaticamente la presa delle mie dita sul piattino si allenta.
Quando si rende conto del modo in cui mi stringe ritrae la mano ed immediatamente mi porto la mia al petto stringendomi il polso con l’altra, cercando invano di sostituire il calore che mi ha portato via fin troppo repentinamente.
- Probabilmente ti ho scambiata per un'altra persona – dice quasi mortificato. Ed io non posso fare a meno di sentirmi in colpa per il modo in cui ho reagito, per la maniera brusca in cui ho risposto.
- Scusami allora – sussurro – è che lavorando qui ho fatto l'abitudine a certi metodi.
Ed è la verità. Non è raro che qualche cliente, magari un po’ brillo,tenti la carta del “ma io ti conosco!”.
Non risponde. Contrae la mascella e stringe i pugni, di nuovo. Ma adesso ho capito che non è un modo per escludermi, per ignorarmi.
- Lo fai spesso? – gli chiedo a bassa voce.
- Eh?
- Estraniarti!
- Uh...ehm..no. No, è che in questi ultimi giorni ho avuto un po' di pensieri. Ricordi più che altro.

Non immagini quanto ti capisca…


-Ah. Spero non troppo spiacevoli – gli rispondo sorridendo appena.
- Non tutti – risponde – non tutti.

Ho come l’impressione che nelle sue parole si nasconda molto altro, troppo forse. La conversazione sta toccando argomenti personali e se da una parte vorrei chiedere, sapere, raccontare a mia volta, dall’altro questo trasporto che provo così naturalmente verso uno sconosciuto mi spaventa.
- Allora? Me lo dai un parere sulla torta? – gli chiedo sia per cambiare discorso che per conoscere realmente il suo parere. Sono sicura che stavolta non potrà fare a meno di dire che è buonissima. Per tutta risposta afferra la forchetta affondandola nel dolce. Sento chiaramente il crepitare dalla crosticina che si spezza, segno che la cottura è perfetta e che il vapore non l’ha ammorbidita troppo, come temevo. Raccoglie il pezzo e lo porta alla bocca. Sembra una scena a rallentatore. Non posso fare a meno di deglutire e mordermi le labbra in attesa del suo giudizio.
- Com’è? – Domando appena la bocca si chiude attorno alla forchetta. Lui spalanca gli occhi e comincia a tossire convulsamente.

Stupida, stupida, stupida Bella! Mai a riflettere un attimo prima di parlare!

Mi lancio velocemente su di lui, colpendogli la schiena con vigorose pacche.
- Tutto ok? Scusami, davvero, non volevo. – Sono mortificata. Avrebbe tutto il diritto di mandarmi al diavolo adesso. Sarà furioso. Ho quasi paura ad incrociare il suo sguardo. Ed infatti è accigliato, infastidito. Inaspettatamente, però, prende un altro pezzo di torta e comincia a masticare. Schiudo appena le labbra ma lo sguardo truce che mi lancia mi azzittisce immediatamente. E rimango muta, in attesa di sapere.
- Mi dispiace – dice serio – è ottima. Ma non è la migliore che abbia mai mangiato.
Non so se la delusione maggiore sia che a qualcuno non piaccia o se è il fatto che a lui non piaccia a dispiacermi. Come svuotata, mi siedo a peso morto sul divanetto di fronte a lui, sbuffando rumorosamente.
-Io non capisco – dico stizzita – ho fatto tutto quello che c'era da fare. Mi sono alzata all'alba per andare al mercato della frutta e scegliere le mele migliori. Anni e anni di prove per arrivare a questo risultato, partendo da zero, e ora arrivi tu e mandi tutto all'aria!
- Ma...io...scusa. Non avrei dovuto
- No, scusa tu. Hai fatto bene – continuo abbassando il viso – non puoi capire – sussurro.
E neanch’io capisco cosa sia potuto succedere.
Senza pensarci, afferro la forchetta, la stessa che ha utilizzato lui, e assaggio il dolce. Mi rendo conto di ciò che ho fatto solo quando vedo i suoi occhi allargarsi per lo stupore ed il pomo di Adamo abbassarsi e rialzarsi velocemente. Non sento nemmeno il sapore di ciò che ho appena mangiato. Riesco solo a pensare al gesto così intimo e naturale che ho compiuto.
Lui non dice nulla, si limita a fissarmi e ad aspettare che sia io a parlare di nuovo. Peccato che non abbia nulla da dire e che il campanello mi avvisi dell’ingresso di un cliente.
- Torno subito - dico alzandomi.
Mi allontano decisamente controvoglia ma il dovere mi chiama e sembra che tutti abbiano deciso di venire a fare colazione adesso. Quando il caffè è pronto vado verso di lui per versargliene un’altra tazza. Mentre mi sporgo, le nostre spalle si toccano e per fortuna non si accorge del tremito della mia mano che ha fatto oscillare pericolosamente il liquido nero; non so come, riesco a non versarne nemmeno una goccia all’esterno.
- Mi porti il conto mentre finisco la torta?

Di già?

- No, figurati. Offre la casa – rispondo tentando inutilmente di celare la delusione. Delusione che aumenta a dismisura quando lo vedo alzarsi, infilare le braccia nelle maniche del cappotto e allontanarsi dal tavolo per venire verso di me. Continuo a tenere la testa bassa, facendo finta di pulire il bancone dalle briciole, tentando invece di nascondere l’espressione delusa che so essersi dipinta sul mio viso.
- A domani – dice. E non so se credergli o meno. Non l’ho mai visto, non fa parte di questo ambiente. Cosa dovrebbe spingerlo a tornare qui?
- Ok – rispondo con finta indifferenza ed immediatamente nel mio ristretto campo visivo compaiono le sue dita, bianche, lunghe, affusolate, che mi sfiorano il mento delicatamente e mi spingono a sollevare il viso.
-Hey…sorridi.
- No.
- Avanti, sorridi – dice, sorridendo a sua volta. Ed è uno spettacolo incredibile, perché non sorride solo con le labbra ma anche con gli occhi, assumendo un’espressione che riesce a farlo sembrare, se possibile, ancora più bello.
- Non ho niente per cui sorridere adesso - rispondo sconsolata, consapevole che sorridergli non gli offrirebbe nemmeno lontanamente lo spettacolo meraviglioso che lui ha offerto a me.
- Bene! Tra circa venti secondi lo farai!
Sgrano gli occhi e lo vedo dirigersi a passo svelto verso la porta. La spalanca oltrepassandola e poi si gira e dice - A presto piccola Swan. Non si dimentica così il proprio promesso!
Ed in un attimo, in vorticoso, intenso, interminabile attimo i ricordi si affollano, le immagini si sovrappongono e finalmente capisco, finalmente il mio cuore lo vede, la mente lo ricorda.

Come ho fatto a non riconoscerlo.

Mi fiondo fuori dal locale, il cuore che batte all’impazzata, il calore che avvampa sulle guance ed un sorriso involontario, inevitabile, sul viso.
Faccio appena in tempo a vedere il suo sguardo compiaciuto che mi fissa dallo specchietto retrovisore della macchina.

EJ!

Non so per quanto tempo me ne sto lì. Non so come faccio ad affrontare le ore di lavoro che mi rimangono, il pomeriggio infinito che passo a sfogliare album di fotografie, i pensieri e le domande che affollano la mia testa, la nottata insonne con la consapevolezza che non potrò tornare al Caffè solo nel pomeriggio.

E se EJ venisse? E se non mi trovasse? E se decidesse di non venire più?

Non posso permetterlo. Mi alzo ancor prima che sorga il sole ed attendo un orario decente per chiamare Angela e chiederle di scambiarci il turno, solo per oggi. La sua voce assonnata ed il borbottio confuso mentre chiude il telefono mi fanno capire che forse l’orario proprio decente non è!
Non importa, le chiederò scusa quanto prima.
Quando arrivo mi metto subito all’opera, accendo la radio e, a tempo di musica, comincio a sistemare i tavoli. Il volume è altissimo e nemmeno mi accorgo che è entrato qualcuno, tanto sono intenta ad ancheggiare e cantare la canzone che viene trasmessa, una di quelle canzoni che piacevano a mia madre e che sono state la colonna sonora della mia infanzia.
Mi blocco improvvisamente quando sento qualcuno che si schiarisce la voce.

Oddio che figura, fa che non sia EJ…

- Non pensavo ti piacesse Lesley Gore.

È lui…

Non mi importa. Non m’importa che mi abbia vista nel momento meno opportuno, non m’importa se mi prenderà in giro a vita, non m’importa di aver fatto la figura della stupida. Mi importa solo che lui sia qui, davanti a me, così vicino eppure troppo lontano…
Mi bastano pochi, pochissimi passi, per raggiungerlo e tuffarmi senza pensarci tra le sue braccia
- EJ! – esclamo per la prima volta ad alta voce, come se dirlo renda il tutto ancora più reale. E quando mi stringe, quando affonda il viso nell’incavo del mio collo, lo sento sorridere ed inspirare profondamente. E lo faccio anche io, sentendo, così dolce e piacevole, dopo tanto tempo, l’odore dei ricordi…l’odore di casa



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Che vi avevo detto? Uomo avvisato...
Qualche piccola precisazione: l'aneddoto iniziale di Bella che dice di voler fare la regina è liberamente ispirato ad fatto reale. Ebbene sì! da piccola volevo fare la regina. A differenza di Bella, però, a me nessuno diceva che avrei potuto farlo -.-'
Jake non comparirà più, CREDO, nella zozzifiction, è stato un passaggio particolarmente doloroso da raccontare e, per ora, la parentesi è chiusa.
Anche io ho un dolce che mi riporta a quando ero bambina ed è la ciambella bigusto, una sorta di magia ai miei occhi.
Lesley Gore e tutte le canzoni dello stesso periodo sono state davvero parte della colonna sonora della mia infanzia.
Ok, la smetto...anche perchè sono fusa!
Al prossimo capitolo, che è già scritto e che, vi assicuro, è decisamente migliore di questo, credo!
Miki
.

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Capitolo 6
*** Playing for her ***


Capitolo sei Buon pomeriggio a tutti!
Eccomi qui per il sesto capitolo di questa storia. Non ho parole, ancora, per ringraziarvi e per esprimere quanto mi faccia piacere ritrovarvi qui ogni volta.

Il capitolo di oggi è dedicato alla vita mia, Tony, che oggi compie 29 anni. Ti amo da morire.



Capitolo sesto: Playing for her.



È stato come un marchio a fuoco.
Se chiudo gli occhi posso sentire e rivivere sulla pelle la sensazione di quel contatto. Le braccia esili che si stringono al collo, il corpo aderente al mio, senza malizia, senza provocazione. In quel gesto, solo un affetto che si era conservato immutato negli anni. Non avrei mai pensato, dopo tutto quello che mi era successo, di poter sentire di nuovo un’emozione così forte, intensa, pulita.
È stato come rientrare in casa a fine giornata, come sdraiarsi su un materasso di piume dopo un’estenuante fatica. Il calore della sua pelle, il profumo che emanava, il battito furioso del suo cuore, che sentivo violento contro il petto, sono tutte cose che sembravano appartenermi da sempre e che, nel momento in cui le ho percepite, sono tornate ad essere mie.
La cosa terribile è la consapevolezza che tutto ciò che provo sia tremendamente sbagliato. Bella si sta avvicinando troppo a me ed io non sto facendo nulla per scoraggiarla, anzi…
È passata una settimana. Ogni mio proposito di restarle accanto come amico si è allontanato drasticamente nel momento esatto in cui l’ho sentita pronunciare il mio nome, per poi svanire del tutto dopo un paio di giorni.
Ogni mattina vado al Twilight Café a fare colazione.
Non proprio…
Beh sì, ok, solo le mattine in cui c’è Bella.
Quando ha il turno di pomeriggio passo a prendere una fetta di torta, ma non è la stessa cosa. Al mattino cerco di arrivare poco dopo l’apertura, quando lei è ancora intenta a sistemare i tavoli e la vetrina dei dolci. A quell’ora non c’è nessuno e posso avere l’esclusiva della sua presenza. Il pomeriggio, il locale è sempre pieno e lei molto indaffarata. A me però basta osservarla mentre svolge il suo lavoro, mentre sorride ai clienti o ringrazia per le mance. Adoro il modo in cui impugna la penna per prendere l’ordinazione, per non parlare di quando si china a raccogliere qualcosa dal pavimento. Ogni volta che qualcuno la chiama, Bella si ferma vicino al cliente e si sistema le ciocche ribelli dietro le orecchie.
È da quando l’ho rivista che sogno di poterlo fare…sfiorarle i capelli.
E non solo quelli…
Di tanto in tanto lancia uno sguardo verso di me, come per controllare che io sia ancora lì. Mi abbraccia. Sì, ogni volta che mi vede, Bella mi abbraccia ed io mi sento l’uomo più felice del mondo.
Ma anche il più stronzo!
Perché il suo abbraccio è innocente, affettuoso, amichevole, confortante. E mi piace. Ma allo stesso tempo vorrei che fosse appassionato, sensuale, bramoso, antipasto di un bacchetto che so già mi condurrebbe all’estasi.
Non abbiamo parlato molto. Lei non ha fatto domande su quello che successe quella sera, ma, se il discorso si avvicina soltanto all’argomento, i suoi occhi si intristiscono ed è una cosa straziante. Mi prende la mano e si scusa ed io, ipnotizzato dal suo gesto, ammaliato dal suo tocco, non riesco a risponderle.
È come se attorno a noi si stesse creando una bolla. All’interno tutto è ovattato e piacevole e si percepiscono i contorni distorti della realtà che c’è fuori. Arriverà il momento in cui scoppierà. Arriverà il momento in cui lei mi chiederà qualcosa in più ed io non saprò cosa rispondere.
Fino a questo momento la mia vita non è mai stata un peso per me. Non ho mai provato rimorso o vergogna. Il tempo è trascorso senza che nemmeno me ne potessi accorgere. Veloce, indistinto, portandosi via anni della mia vita in cui avrei potuto combinare qualcosa.
C’è stato un tempo in cui avevo grandi progetti. C’è stato un tempo in cui l’orrore a cui avevo assistito non mi impediva di sognare. C’è stato un tempo in cui credevo che non sarei mai e poi mai sceso a compromessi, anche solo per non deludere l’unica persona che mi aveva voluto bene.
Poi è arrivata lei.
Specchiandomi nei suoi occhi, ho visto chiaramente che razza di persona io sia diventata. Ho visto nitidamente quanto sia vuota la mia vita.
Incredibile…
Non posso pensare che tutto questo sia nato da una stupida cotta, dalle prime pulsioni di un adolescente. Diciassette anni…vedevo i miei coetanei con le loro macchine, nuove o usate, regalate dai genitori o acquistate con i soldi ricavati da lavoretti part-time. Li vedevo uscire con le ragazze, andare a studiare in biblioteca, attardarsi a fumare davanti alla scuola.
Io non potevo avere nulla di tutto questo.
Dopo la morte di mia madre, sono stato affidato alla famiglia di mio zio Jack, fratello di mio padre. Com’è che si dice?
Buon sangue non mente.
Ed è stato proprio così. Ero piccolo, spaventato, anzi, terrorizzato. Avrei fatto qualsiasi cosa per una carezza, per una parola dolce.

-Hey…moccioso! Svegliati!
-Mamma? Mamma, sei tu?
-Ma quale mamma…razza di idiota! Anche un ritardato mi dovevano affidare. Sbrigati! Non abbiamo tempo da perdere qui. Se vuoi rimanere sotto questo tetto ti devi guadagnare il pane, hai capito?


Jack aveva un deposito di rottami e cercava, spesso invano, di riparare auto. Il giorno che sono arrivato nella sua casa, mi fece infilare una tuta blu, sudicia e rattoppata e mi afferrò bruscamente le mani, osservandole.

-EJ, tesoro…sei fortunato, lo sai? Hai delle dita lunghe e affusolate. Se ti eserciterai con costanza e passione, potresti diventare un bravissimo pianista.
-Come te, mamma?
-Oh no caro, molto meglio di me. E dovrai usare le tue mani per sfiorare i tasti, gentilmente, e gentilmente sfiorerai le guance della donna che amerai.
-Uffa mammaaaa…
-Ok ok…la smetto. Sei il mio ometto, lo sai?
-Sì, lo so. Ed io vorrò bene solo a te, per sempre!


Una mano si poggia sulla mia spalla facendomi trasalire.
-EJ, è tutto apposto?
-Eh? Oh, si certo. Scusami, ero sovrappensiero.
-Ho un attimo di tregua. Che ne dici di assaggiare quella di oggi? Credo di aver superato me stessa.
-Sì. Sì, certo. Ma stavolta voglio pagare, piccola Swan.
-Ma smettila, non farei mai pagare un caro amico come te.
Caro amico…come me…
Probabilmente è questo ciò che si sente durante la castrazione!
Quando arriva con la torta, si siede di fronte a me e aspetta. Sembra che questo sia diventato un rito. E la cosa mi piace da morire. Aspetta che io assapori il dolce e poi il verdetto.
-È ottima.
-Davvero?- esclama spalancando gli occhi e rizzandosi sulla schiena.
-Sì, certo. Ma…
-Ma come ma?! Ma dai, EJ! Che c’è che non va stavolta?
Adoro la facilità con cui mette il broncio. Non è cambiata affatto in questi anni. Si lascia ricadere sullo schienale, guardandomi a metà tra il risentito e il dispiaciuto.
-Beh…diciamo che non è perfetta.
E poi fa quello che attendo ogni giorno con ansia. Come un adolescente idiota.
Come un coglione!
La guardo afferrare l’unica forchetta, la stessa che ho utilizzato io, ed assaggiare la torta.
Il campanello la avvisa che è entrato qualcuno ed immediatamente si alza per mettersi al lavoro. Sto per muovermi, quando torna indietro e, facendomi la linguaccia, mi dice
– Io credo sia ottima e tu, EJ, sei un mangiatorte a tradimento!
Sorrido e mi affretto a compiere un gesto apparentemente banale, ma che aspetto come la più lauta delle ricompense: afferro la forchetta e la porto alle labbra, illudendomi di sentire sul freddo acciaio il calore della sua bocca, il sapore della sua lingua.
E mi eccito, cazzo! Ogni volta. Senza ritegno, senza averne il diritto.
E poi, puntuale, arriva l’ansia, il panico. E non per il passato, stavolta, no. Le domande che mi assillano sono rivolte al futuro.

Cosa pensi di fare Edward, eh? Trovare un lavoretto? Sistemarti? Fare il bravo ragazzo? Dirle che la ami? E Tanya?

Taci! Stupida coscienza del cazzo! Non ho bisogno delle tue fottutissime perle di saggezza!
Mi prendo la testa tra le mani, massaggiando le tempie, cercando di ricacciare la rabbia, la frustrazione. Cercando di capire se la voglio una speranza a cui aggrapparmi con tutte le forze o recidere questo legame che sento con lei ed andare avanti con l’unica certezza che ho sempre avuto: non c’è speranza. Per me non ce n’è.
Non so quanto tempo me ne sto lì. Non mi accorgo che si è fatto buio, non mi accorgo che il locale è vuoto. Non mi accorgo che Bella è seduta di fronte a me. E mi sta guardando.
-Hey straniero.
-Hey…
-Oggi sei rimasto più del solito. Sono contenta.
Sono rimasto più del solito…e lei è contenta. L’idiota che è in me esulta.
Anche l’idiota che è fuori di me…sto sorridendo come un ebete!
-Non hai programmi per la serata?
-Veramente no.
-EJ, io…
-Cosa?
-Dovrei farti vedere una cosa…
Le sue parole mi lasciano per un attimo perplesso. In questi giorni non ci siamo mai spinti su domande personali. Non abbiamo mai accennato alle rispettive abitazioni o agli eventuali rispettivi compagni. È come se ci stessimo spostando ad un altro livello e la cosa mi terrorizza e mi rende euforico contemporaneamente.
Mi vuole far vedere una cosa…in un attimo, un migliaio di cose che lei potrebbe mostrarmi, mi passano davanti agli occhi.
Non sta parlando delle sue mutandine!
E alla parola “mutandine” accostata a Bella devo costringermi a non ansimare.
-Io, forse, avrei dovuto dirtelo prima, ma…
Non starà parlando del suo fidanzato? Ti prego…dimmi che non sta parlando del suo fidanzato…
-Avevo paura che ti arrabbiassi. O che fosse troppo doloroso per te.
I suoi occhi si fanno improvvisamente lucidi e, a stento, trattiene un singhiozzo. Non posso fare a meno di alzarmi e andarle vicino.
-Hey hey hey…no, piccola Swan, non fare così. Non c’è niente che potrebbe farmi arrabbiare con te e sono sicuro che non riusciresti mai a farmi del male, nemmeno se lo volessi. Puoi dirmi qualsiasi cosa, farmi vedere qualsiasi cosa…o chiunque - sussurro a voce più bassa - io sono qui accanto a te.
-È che noi non sapevamo se…noi non immaginavamo…e quando lo abbiamo visto…non potevamo permettere che venisse portato via.
Non ho la più pallida idea di cosa stia parlando ma vederla così agitata, nervosa, triste, mi dilania dentro. Non so cosa dire, se solo mi svelasse qualcosa di più…
-EJ, verresti a casa mia adesso?
-A…adesso…a ca…a casa tua?
-Sì, adesso, a casa mia - ripete sorridendo.
-Ma certo. D…dov’è casa tua? È lontano?
-No, è qui vicino. Solo un isolato. Possiamo andarci tranquillamente a piedi. Tanto ci pensa Jessica a chiudere, dammi solo un attimo per avvisarla.
-Sì, ok. Ti aspetto fuori.
Uscito da lì, tiro un profondo respiro. Ho il cuore che batte all’impazzata e non riesco a smettere di sorridere. Non posso credere che tra pochi minuti vedrò la sua casa. Potrò inspirare l’odore delle sue giornate, toccare gli oggetti che la circondano.
Perfetto per uno che voleva tenersi fuori dalla sua vita. Molto altruista devo dire.
Io lo so che non dovrei. Lo so benissimo. Ma non ci riesco. Io non riesco a starle lontano. Mi piace la sua compagnia, mi piace parlare con lei, guardarla…
…controllarla…
Non proprio controllarla…diciamo che mi sento un po’…protettivo nei suoi confronti. Come quando era bambina.
Come quando eri tu bambino.
Al diavolo…voglio andare con lei. Non so cosa farò…dopo. Ma ora ne ho bisogno.
-Hey, ci siamo?
-Sì certo.
Camminiamo in silenzio. Non è un silenzio imbarazzante, ma rilassato, piacevole. Senza fretta ci incamminiamo l’uno accanto all’altra, stretti nei nostri cappotti. 
Guardo il suo profilo e non posso fare a meno di notare quanto sia delizioso, perfetto. Oggi ha raccolto i capelli. Mi piace di più quando scendono liberi, in morbide onde luminose, ma quando li lega, come oggi, il suo collo spunta candido e liscio dal colletto della divisa. Ha un neo sotto l’attaccatura dei capelli, piccolo e proprio al centro. Un neo dove mi piacerebbe posare leggere le labbra e annusare profondamente l’odore della sua pelle.
-Brrrr…
-Hai freddo?
-Sì, ho dimenticato la sciarpa al Caffè - dice stringendosi nelle spalle.
Che cazzo stai facendo!
Il mio braccio le si stringe attorno al collo e con l’altro la circondo anche davanti, unendo le mani sulla sua spalla. La sento irrigidirsi per un attimo, ma poi…estrae la mano dalla tasca e mi circonda la vita,portando il suo fianco a stretto contatto con il mio.
-Grazie - sussurra timidamente.
-È questo che fanno i promessi sposi no? Pensano al benessere delle loro future mogli.
-Hey! - esclama dandomi un leggero pugno nello stomaco - ancora con questa storia?
-Beh, se dici così, mi fai pensare che non sei una donna di parola signorINA Swan.
-Lo sai che sembri quasi serio?
Lo sono Bella…tu non sai nemmeno quanto.
-Comunque, signor Masen, eravamo piccoli…non potevamo capire in cosa ci stessimo imbarcando. Non mi sono mai piaciuti i fidanzamenti lunghi e questo lo è decisamente.
-Cioè? Mi stai mollando?
-Beh, sì…potrebbe essere. E poi sono certa che in qualità di tua promessa sposa devo aver subito non pochi tradimenti, signor capelloribellechetuttemiguardanomaiononmifilonessuna.
A quelle parole sputate fuori d’un fiato, mi fermo bruscamente, cercando di realizzare cosa abbia voluto dire e perché lo abbia detto…che sia…gelosa?
No. No, non può essere.
Nel frattempo Bella si è fermata davanti ad un cancelletto e lo sta spalancando.
-Bello addormentato?! Dai che siamo arrivati!
Mi avvicino lentamente a casa sua. Apre la porta e mi fa entrare. Quando entriamo, ciò che vedo mi lascia senza parole.
È impossibile...
È quasi tutto come me l'ero immaginato. Bella si toglie il cappotto ed avanza lungo il corridoio accendendo le luci. Sorrido e guardo uno degli spettacoli più belli che mi si potessero presentare: Bella a casa sua, tra le sue cose. Bella rilassata come se la mia presenza sia la cosa più naturale del mondo.
- EJ non startene lì impalato, entra pure, fa' come fossi a casa tua – dice mentre entra in un' altra stanza.
- Faccio in un attimo – urla quasi – in frigo c'è del tè e del succo, serviti se ne hai voglia.
Piccola Swan...non puoi nemmeno immaginare quanta e quale voglia io abbia...di te.
Avanzo lungo il corridoio guardandomi attorno. Sbircio da una porta socchiusa e vedo un piccolo divano, su cui è ripiegato un plaid rosa. E già me la immagino, avvolta a bozzolo, a guardare la tv. L'ambiente è caldo e regna un ordine ed una pulizia assoluti. Quando sento lo scroscio dell'acqua devo trattenermi dall'imprecare.
Lei è a pochi passi da me, si sta spogliando. Probabilmente è già nuda e sta per entrare nella doccia.
Cristo Edward stai calmo!
Ma non lo è affatto! Non è facile stare calmo. Non è facile avanzare e non cedere al desiderio di entrare in quella doccia con lei.
Raggiungo la cucina e apro il frigo. La curiosità con cui osservo ogni particolare ha un non so che di morboso.
Che novità...
E' come se ogni cosa mi parli di lei. Sui ripiani gli alimenti sono disposti in maniera precisa. Ci sono contenitori di plastica impilati, contenenti, probabilmente, alcuni avanzi. Non c'è traccia di carne ma ci sono molte verdure, alcune lattine di Diet-Coke e Seven-Up, un paio di birre, una caraffa con il tè freddo, un cartone di succo d'arancia e uno di...latte al cioccolato?
...oh, ti amo piccola Swan!
Ma che cazzo dico? Ti amo? Ma che razza di stronzate mi vengono in mente? La amo? Ma è assurdo, impossibile...
…o no?

- Ora va meglio.
La sua voce mi fa sussultare ed ho quasi paura a girarmi. Prego in aramaico di non aver esclamato quelle cazzate ad alta voce… Non sarà avvolta solo dall'asciugamano vero? Con i capelli bagnati sulle spalle e le goccioline d’acqua che scivolano lungo le braccia nude…
Sogna idiota...sogna!
Quando mi raggiunge, posso notare con sollievo che è completamente vestita. Indossa una tuta grigia con alcune scritte rosa sul davanti, i capelli ora sono sciolti e ai piedi indossa delle assurde pantofole a forma di cucciolo di leone! La cosa più assurda è che è sexy da morire.
-Siediti dai. Ti andrebbe di mangiare qualcosa, prima?
-Co…come?
-Non hai fame?
-Sì, ma…non devi. Sarai stanca.
-Beh, qualcosa dovrò mangiarla e mi farebbe piacere se mi facessi compagnia - dice guardando dentro il frigorifero e cominciando ad estrarre varie cose - ma, se hai da fare, non ti devi sentire obbligato a rimanere.
-Allora se ti fa piacere rimango volentieri - rispondo semplicemente - posso fare qualcosa per aiutarti?
-Sì, certo. Nei primi due cassetti trovi l’occorrente per apparecchiare. Ti piacciono le uova?
-Molto.
-Perfetto.
Sposto dal bancone alcuni recipienti, nel frattempo Bella comincia a disporre con ordine le verdure sul ripiano. Prendo due tovagliette da un cassetto, notando con quale cura siano arrotolate e riposte. Le dispongo l’una accanto all’altra, prima vicine, poi più lontane, poi di nuovo vicine, a farle sfiorare, poi le allontano nuovamente
Yu-uh...cervello? Dove sei?
Riesco a terminare l’operazione senza che lei si accorga di nulla, optando per una distanza di circa cinque centimetri: né troppo lontano né troppo vicino. Dispongo in ordine le posate, il tovagliolo, i sottopiatti ed i sottobicchieri.
Bella sta affettando finemente le zucchine ed intorno a lei ha già disposto la cipolla, le carote ed i peperoni a listarelle sottili. Il tagliere sembra la tavolozza di un pittore, con macchie di colore affiancate in maniera armoniosa e precisa.
- Arte commestibile?
- No dai! Anche tu!? Uffa! Ognuno ha le sue manie – risponde piccata riabbassando gli occhi e tornando a lavoro.
Anche io? E chi altri? Chi ha il privilegio di vederti così? Chi? Voglio saperlo Bella. Voglio sapere chi è la persona che detesterò con tutto me stesso.
Calma. Devo cercare di pensare ad altro. Respira Edward, respira…
Quando sto per chiederle dove sono i piatti ed i bicchieri, mi anticipa indicandomi lo stipo sopra il lavandino. Termino di apparecchiare e mi siedo. Bella versa un po’ di olio in una padella antiaderente, che mette subito a scaldare sul fornello. Poco dopo aggiunge velocemente le verdure, spadellandole e coprendo successivamente con un coperchio. Rompe le uova in una ciotola, sbattendole e sistemandole di sale e pepe. Compie ogni gesto con accuratezza e attenzione e non posso fare a meno di guardarla ipnotizzato.
Sono completamente a mio agio e sono sicuro che anche lei lo è. Lo dimostrano la tranquillità dei suoi gesti, il modo in cui si muove attorno a me per raggiungere i vari angoli della cucina.
Quando versa le uova nella pentola, il rumore che produce è piacevole, familiare, molto di più del timer di un forno a microonde.
-È quasi pronto, EJ.
-Mmh…che delizioso profumino.
-Spero che ti piaccia.
-Sono sicuro di sì.
Bella rovescia su un piatto una frittata dall’aspetto delizioso e me ne serve una fetta, poi si siede e aspetta, nello stesso identico modo di quando assaggio la sua torta.
-È squisita, davvero…perfetta.
-Ma?
_Ma cosa? Niente ma! Non mangio una cosa così buona da…probabilmente non ho mai mangiato una cosa così buona.
Sorride e comincia a mangiare anche lei, buttando, di tanto in tanto, uno sguardo verso di me. Quando mi servo una seconda porzione i suoi occhi brillano soddisfatti. Mangiamo lentamente. Bella mi parla di alcune cose accadute oggi al locale ed io la ascolto. Mi piace sentirla parlare, mi piace accorgermi della facilità con cui mi parla e spesso riesco anche a non pensare alle curve appena accennate sotto la larga tuta che la ricopre.
Quando finiamo di mangiare lei si alza ed io la seguo per aiutarla a sparecchiare, nonostante le sue proteste. Alla fine raggiungiamo un compromesso: io le passo i piatti sporchi, lei li sciacqua e li mette nella lavastoviglie.
-Beh? Cos’è che volevi mostrarmi?
-Oh! Già…beh io…
-È tutto ok - le dico poggiando una mano sulla sua spalla. Non so cosa mi voglia mostrare ma la cosa la rende troppo nervosa e non mi piace.
-Vieni con me – sussurra asciugandosi le mani e guidandomi fuori dalla cucina.
Quando arriva davanti alla porta dalla quale avevo sbirciato prima, si ferma, inspira profondamente e la spalanca.
Faccio pochi passi prima di vedere ciò che mi voleva mostrare e, quando succede, il mio corpo è come se fosse paralizzato. Non mi muovo, non dico una parola. Riesco solo a guardare davanti a me. Riesco solo a pensare a quando lui si scagliò violentemente sul pianoforte di mia madre con una mazza da baseball, rendendolo inutilizzabile.
Nella testa vorticano gli insulti, le minacce, l’ira. Il ricordo del viso addolorato della mamma mentre sfiora con mano tremante il legno oramai sfregiato. Non riesco a smettere di tremare, il cuore batte furioso ed il respiro si fa corto, ansante, strozzato.
-EJ tutto bene?
Non ho nemmeno la forza di annuire. Vorrei urlare, vorrei gridare “NO cazzo! Non va per niente bene!”. Ma non lo faccio. Non lo posso fare.
- Scusami. Scusami, davvero, io non volevo…io non pensavo. Credevo ti facesse piacere…che stupida…ti prego parlami, dimmi che hai…
Sento le mani di Bella sul viso. Sono calde e non mi danno fastidio. La sua voce, invece, la sento lontana, riesco a capire solo che si sta scusando. Mi faccio guidare sul divano e mi siedo, capace solo di assecondare i suoi movimenti. Mi tiene il capo tra le braccia e va avanti e indietro, cullandomi e continuando a scusarsi. Il suo movimento, la sua voce, il suo tocco…piano piano sento che l’ansia sta passando. Inspiro profondamente, riuscendo anche a sentire il suo profumo ed è così piacevole che comincio a calmarmi. Quando sollevo il viso e vedo quello di Bella non riesco a credere ai miei occhi: le sue guance sono rosse e rigate da lacrime che scendono silenziose, i suoi occhi sono spalancati e sembra…terrorizzata.
-EJ scusami-sussurra di nuovo.
Non posso fare a meno di abbracciarla. Sono io, stavolta, che la circondo con le mie braccia lasciando che pianga, sentendo i suoi singhiozzi contro il mio petto.
-Noi…quando…quella sera che…
-Sssh Bella, calmati…
-Scusami EJ. Non ho pensato che…io non ho…pensato che…ti potesse fare così male.
-No Bella…guardami - le dico sollevandole il viso - io non me l’aspettavo. Non sono arrabbiato. Non so nemmeno io…non ci posso ancora credere. Raccontami Bella, ti prego, parlami. Come mai il pianoforte di mia madre è in casa tua?
Si mette a sedere asciugandosi il viso con la manica della felpa. Si porta i capelli dietro le orecchie con entrambe le mani e, sospirando, inizia a parlare:
-Qualche tempo…dopo…la casa, la tua casa, è stata venduta e…una mattina, uscendo fuori, io e la mamma abbiamo visto che la stavano svuotando e che ammassavano le vostre cose sul ciglio della strada. Quando lei ha visto il pianoforte di tua madre non c’ha pensato due volte. Lo ha portato in casa insieme a papà e lo hanno fatto sistemare, nonostante nessuno di noi lo sapesse suonare.
-Ma ora è qui…
-Sì, i miei si sono separati un po’ di anni fa.
-Oh, mi dispiace Bella…
-No, non devi. Non stavano più bene insieme. È stato meglio così. Io sono venuta a Boston con mia madre, ma quando lei ha manifestato il desiderio di seguire il suo compagno, ho preferito rimanere qui.
Mi alzo e mi avvicino finalmente al piano. Poso una mano sul legno liscio e lucido e noto come ogni graffio, ogni scheggiatura, ogni crepa, è stata riparata alla perfezione. Alzo il coperchio e sorrido vedendo il velluto nero che ricopre i tasti. Non solo lo hanno salvato, ma lo hanno anche curato, preservato dal tempo, dalla polvere.
In un attimo tutta l’angoscia svanisce e si fa spazio la gratitudine, la commozione. Ricaccio indietro le lacrime e mi volto verso di lei, ancora sul divano, immobile.
-Grazie Bella. Non sai quanto significhi per me questo. Mia madre sarebbe felice…grazie.
Il suo volto si illumina e tutta la tensione svanisce in un attimo.
-EJ?
-Dimmi.
-Suoneresti per me?
No! Assolutamente no!
Questa sarebbe stata la risposta fino a poco tempo fa. O questa sarebbe se non fosse lei a chiedermelo. Mi siedo sullo sgabello e sollevo il velluto. Sfioro i tasti, lentamente. Eseguo qualche nota per accertarmi lo stato dell’accordatura. Non male. Non è perfetto ma si può fare.
Sono emozionato, voglio suonare. Come non mi succedeva da tanto tempo. Voglio suonare per Bella, per mia madre, per me…
Ed è a questo pensiero che le mie mani cominciano a danzare sui tasti. La melodia scivola fuori dolce, senza incertezza, senza timore. Solo bei ricordi la accompagnano. Le mani di mia madre sulle mie, i suoi sorrisi, gli elogi, gli incoraggiamenti. Quando finisco attendo un attimo prima di girarmi e, quando lo faccio, Bella è li che mi guarda rapita col sorriso che le illumina il volto.
-Era Claire de Lune?
-Conosci Debussy?
E se rispondi di sì io ti sposo, adesso!
-Non molto, ma adoro questa melodia e tu l’hai eseguita meravigliosamente. Oh EJ, è stato stupendo, grazie. Guarda – dice scoprendosi il braccio candido – ho i brividi, la pelle d’oca!
-Sono io che devo ringraziarti, di tutto…
-Suoneresti ancora?-dice mentre si tira il plaid a coprirle le gambe
-Tutto quello che vuoi…
Stavolta sono le note di una ninna nanna che avvolgono la stanza. La stessa che mi suonava lei, che mi conduceva verso sogni sereni, la stessa musica di cui ho avuto solo un vago ricordo per anni e che adesso risuna limpida e chiara nella stanza. Una nenia dolcissima e rilassante. E infatti, quando finisco, la mia piccola sta dormendo, avvolta a bozzolo, come la immaginavo, nel plaid rosa.
Mi avvicino lentamente e, annusandole i capelli, le accarezzo la testa e le bacio la fronte.
-Buonanotte piccola Swan. Fai sogni felici…





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Alla prossima! Spero che non sia stato troppo spiacevole e mi scuso con chi voleva il resoconto dettagliato del loro primo incontro: il capitolo è nato così e non ho potuto fare a meno di assecondarlo.
Miki.

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Capitolo 7
*** Hopeless ***


Capitolo sette Buongiorno a tutti. Mi scuso per il ritardo ma è colpa mia solo al 50%.
Il capitolo non voleva saperne di arrivare alla fine. Ed alla fine l'ho tagliato io. In effetti sarebbe risultato troppo lungo e magari confuso. Non che così sia decente ma vabbé, ci accontentiamo. L'altra metà della colpa ce l'ha Tony mio, che è sceso la settimana scorsa dopo due mesi che non ci vedevamo ed ha monopolizzato il mio tempo U.U

Il capitolo di oggi è dedicato ai miei tesori che in questo momento raggiungono Milano per passare una giornata tutti insieme...io sono lì con voi e vi adoro. Un grazie speciale alla mia Paoletta, che ha segnalato la storia per far parte delle scelte.

E tanti, tantissimi grazie alle innumerevoli ( per me lo sono) persone che hanno aggiunto la storia nelle seguite, preferite ecc.
Un bacione.
Miki.


Settimo Capitolo

HOPELESS

È buio. Le strade sono deserte. Le luci dei lampioni illuminano scarsamente queste vie. Procedo piano, con le mani in tasca e la testa bassa, lasciando che sia l’abitudine a condurmi.

Riesco a pensare solo a Bella, ignorando il freddo, ignorando le domande che la mente non cessa di formulare, ignorando il fatto che, prima o poi, dovrò dare delle risposte, e non solo a me.

È come averla ancora davanti, piccola, addormentata, indifesa e…bellissima.

Si è addormentata mentre ero lì con lei, senza timore, come se mi conoscesse così a fondo da fidarsi completamente di me.

E non sa quanto si sbaglia!

Posare le mie labbra sulla sua fronte, inspirare il suo odore, sentire il respiro caldo, tranquillo e, soprattutto, suonare per lei, suonare di nuovo, sono state emozioni intense ed inaspettate.

Quando sono rientrato in casa, non ho sentito la solita sensazione di vuoto. Quella morsa che mi attanaglia lo stomaco e che scatena il panico.

Normalmente accendo le luci, tutte le luci. Non stasera. Il bagliore tenue della lampada sopra il mobile del salotto e le luci che filtrano dall’esterno mi bastano. Per una volta la penombra è rassicurante. Ho paura che se mi lasciassi avvolgere dalla nitidezza delle cose perderei questi ricordi che, così chiari, mi stanno cullando e ai quali voglio rimanere aggrappato.

Faccio una doccia veloce e, quando apro la cabina armadio per riporre i vestiti, l’occhio mi cade sulla scatola. C’è stato un tempo in cui aprirla era come tornare tra le braccia di mia madre. Era rassicurante e forse è stata l’unica cosa che mi ha permesso di sopravvivere. Da bambino.

Poi, invece, è arrivato il momento in cui aprirla era come farle vedere cosa fossi diventato, il fango di cui mi ero ricoperto. I suoi occhi, un tempo limpidi e sorridenti, mi sembravano pieni di tristezza e di biasimo.

Erano anni che non la aprivo.

Mi alzo sulle punte dei piedi e la tiro giù dal ripiano più alto. Mi siedo sul letto, poggiandola davanti a me, vecchia e consunta, al punto che sembra potersi sbriciolare da un momento all’altro. Mi appunto mentalmente di comprarne un’altra al più presto, per conservare il mio piccolo tesoro.

Quando la apro, riesco a stento a trattenere un singhiozzo.

In uno spazio così piccolo, c’è tutto ciò che rimane di mia madre. Ci sono le poche cose che un agente compassionevole ha radunato e mi ha fatto avere dopo le rilevazioni del caso.

La prima cosa che appare è il suo portagioie: uno scrigno nero, a forma di pianoforte a coda. Un tempo aveva tutte e quattro le gambe…prima che lui glielo lanciasse contro. Il coperchio è spezzato in due e incollato e, una volta, quando lo aprivo, faceva partire una musica dolcissima ma che non riesco più a ricordare.

Di tutti i suoi gioielli non è rimasto molto, lui aveva venduto quasi tutto. Le uniche due cose sono un paio di orecchini e un anello di ametista, appartenuti a sua madre, mia nonna, che non ho mai conosciuto: è morta quando avevo sei anni ed il giorno del funerale, mia madre era in ospedale con un braccio rotto.

Accanto al portagioie ci sono varie cose, di molte avevo anche dimenticato l’esistenza.

Un foulard di seta è ripiegato accuratamente. Lo prendo con due dita e lo estraggo, lasciando che si dispieghi davanti ai miei occhi e rivelando l’esplosione di quei colori che lei tanto amava.

Inspiro forte e mi sembra quasi di sentire il suo profumo. Lo stesso odore che mi cullava e mi tranquillizzava, quando, stanco e triste, mi rannicchiavo nel letto dopo una giornata di lavoro. Premevo la stoffa sul viso e versavo lacrime di dolore, di solitudine, di disperazione.

Adesso invece mi avvolge una tristezza infinita ed un senso di vuoto.

Mi manchi mamma. Vorrei stringerti e sentirti ridere. Quelle risate che concedevi solo a me, vedere il sorriso che solo io riuscivo a strapparti. Ci pensi mamma? Avremmo potuto suonare insieme e tu mi avresti preso le mani, dicendo quanto fossero belle e perfette per un pianista.

Stringo la seta con rabbia. Vedo le nocche diventare bianche e vorrei poter sfogare parte dell’odio che da anni mi porto dentro e che mi sta logorando.

Ma lui non c’è. E, se da un lato è questa la cosa giusta, dall’altro vorrei ritrovarmelo davanti e riversargli addosso tutto l’odio che provo, tutto l’odio che, in questi anni, ho riversato su me stesso. Vorrei vedere la sua faccia tumefatta e dolorante. Vorrei che fossero sue, le labbra spaccate e sanguinanti che vedo quando chiudo gli occhi, e non quelle di mia madre. Vorrei che implorasse pietà. E poi vorrei non concedergliela.

Ma poi…

Poi penso a Bella. Penso al suo viso pulito, alla sua voce dolce, i gesti spontanei e fiduciosi…

Sono un mostro! Probabilmente non troppo diverso da lui…

Lascio andare quel pezzo di stoffa e mi porto i palmi davanti agli occhi. Le dita formicolano, probabilmente per il sangue che ha ripreso a circolare. Ritorno alla scatola, al suo contenuto. Evito di guardare le poche foto che contiene, non è questo il momento.

La mia attenzione è catturata da un piccolo quaderno dalla copertina colorata. È voluminoso e ci sono tanti foglietti che sporgono qua e là. Le pagine sono ingiallite e la superficie è ruvida e impolverata.

Quando lo apro riconosco immediatamente la sua calligrafia. Aveva una scrittura minuscola, lievemente inclinata a destra. Anche adesso faccio fatica a decifrarla, probabilmente da bambino non ci avevo mai fatto caso per questo. Le pagine sono ricoperte di macchie e schizzi di ogni colore. Presto più attenzione al contenuto e nel momento in cui capisco di che si tratta un’idea geniale fa capolino nella mia testa.

Comincio a sfogliare il quaderno quasi freneticamente. Passo in rassegna ogni titolo: Plumcake al latte, Pollo fritto croccante, Ciambelle con glassa al cioccolato, Pancakes buoni buoni, Muffin golosi, Pretzel soffici…

Eccola!

Torta di mele profumata.

Leggo gli ingredienti e sorrido alla vista della dicitura “ingrediente segreto”, così come mi fa sorridere il modo in cui intitolava le ricette, facendo seguire un aggettivo alle pietanze.  

Ripongo tutti gli oggetti nella scatola, tranne il quaderno. Sto sorridendo. Sorrido come un idiota. Ma non posso farne a meno. Penso al viso di Bella, alla reazione che avrà, e sono felice.

Mettermi a dormire è fuori discussione in questo momento ma devo tenermi impegnato per evitare di correre da Bella e di spaventarla a morte, suonando a casa sua nel cuore della notte.

Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa da fare e l’occhio mi cade sulla libreria.

Comporre, suonere e leggere…

Questi erano i miei tre desideri, le cose che avrei voluto fare. Non sono riuscito in nessuna delle tre. Ho acquistato spartiti dei compositori più famosi che giacciono inutilizzati accanto ad un sintetizzatore nuovo di zecca, quaderni pentagrammati, rimasti candidi come al momento dell’acquisto, e libri. Decine di libri accumulati negli anni e mai aperti, ordinati negli scaffali per genere, per autore o argomento, libri dalle pagine lisce e lucide o ruvide e porose, dalle copertine colorate o grigie e serie.

Ne afferro uno a caso, piccolo, poco voluminoso: Sulla strada, Jack Keruac. Lo giro e leggo la trama ad alta voce:

Dean e Sal si mettono in viaggio, animati da un’infinita ansia di vita e di esperienza, sulle interminabili highways dell’America e del Messico. Sulla strada ne registra le tappe, le rivelazioni, gli incontri, regalandoci una storia di grande autenticità artistica ed esistenziale. Romanzo dell’amicizia e delle difficoltà dell’amore, della ricerca di sé, del desiderio di appartenenza e dell’impossibilità a rinunciare al desiderio e al bisogno di rivolta. Romanzo della coscienza dell’oscurità, del silenzio insuperabile, dell’impossibilità della comunicazione, del ritorno ossessivo a cui ogni partire sembra ricondurre.

Nonostante la lieve agitazione che si è fatta strada in me leggendo parole così maledettamente vere, decido lo stesso di dargli una possibilità. Mi sdraio sul letto ed accendo l’abat-jour. Salto le varie introduzioni, vita dell’autore, opere e quant’altro e comincio a leggere.

“Incontrai Dean per la prima volta dopo la separazione da mia moglie”.

Chissà se piccola Swan si è svegliata e si è messa a letto. Forse avrei dovuto portarcela io.

“Mi ero appena rimesso da una seria malattia della quale non vale la pena di parlare…”

Idiota! Sarei potuto rimanere un po’ a guardarla. Era così bella con le guance arrossate e le labbra dischiuse. Sarei potuto rimanere tutta la notte.

“…se non perché aveva a che fare con quella separazione avvilente e penosa e con la sensazione di morte che si era impadronita di me”.

Chissà come sarebbe, dormire stretto nel suo abbraccio, affondare il viso nell’incavo del collo, circondato dal profumo delizioso dei suoi capelli.

“Con l’arrivo di Dean Moriarty cominciò quella parte della mia vita…”

Oh, al diavolo!

Richiudo il libro e mi alzo. La sveglia sul comodino indica le 3:57. I miei occhi sono spalancati e la mente lucida come dopo un sonno ristoratore.

Vado in cucina e apro il frigo. Se quello di Bella è rifornito e ordinato, il mio piange miseria. Non ricordo nemmeno l’ultima volta che sono andato a fare la spesa. Mangio al caffè e anche se si tratta solo di uova e bacon, di un hamburger e dell’immancabile torta di Bella, esco da lì sazio e soddisfatto.

Ma c’è una cosa che non manca mai…

 

-EJ, hai messo il pigiama?

-Sì , mamma. Arrivo!

-Lavati le mani.

-Uffa, mammaaa…me le sto lavando.

La sera era quasi un rito. Arrivata l’ora di andare a letto, io mi andavo a mettere il pigiama e lei scaldava il latte al cioccolato.

Prendo il cartone dal frigo e verso il latte in un pentolino. Potrei versarlo direttamente nella tazza e scaldarlo al microonde ma mi piace ripetere i suoi gesti. Sarà stupido ma se non faccio così mi sembra che non abbia lo stesso sapore. Accendo il fornello e vado a lavarmi le mani, come se lei potesse vedermi e sgridarmi se non lo facessi.

Sorseggio il latte lentamente, tenendo la tazza con entrambe la mani e lasciando che il calore si diffonda piano, avvolgendomi in un abbraccio rassicurante e familiare. Quando stacco il bordo dalle labbra, sento nettamente lo sbaffo di cioccolato sotto il naso e, come un bambino, mi pulisco col dorso della mano.

Anche Bella beve latte al cioccolato, anche a lei rimarrà l’impronta sulle labbra, su quelle morbide, deliziose, invitanti labbra. E chissà come sarebbe percorrerle col dito per poi assaporare il gusto del cacao che si sposa con quello della sua pelle. O meglio ancora, chissà come sarebbe accarezzarle con la punta della lingua, sentirle schiudersi in un tacito invito ad approfondire l’assaggio, o accoglierle tra le mie per divorarle, succhiarle, mordicchiarle fino a renderle rosse e turgide come un frutto maturo che solo io ho il privilegio di cogliere.

Vorresti…

Cazzo, sì che lo vorrei!

Mi alzo di scatto, rischiando quasi di far cadere la sedia, poggio i palmi sul tavolo e me ne sto col capo chino per qualche minuto, respirando profondamente, cercando di stemperare un po’ la tensione che quest’immagine ha suscitato.

Eccitazione…forte…incontrollabile.

Mi rimetto dritto sistemandomi l’ingombro che ho tra le gambe senza smettere di pensare a lei. Stasera, per un attimo, l’ho stretta tra le braccia, l’ho cullata, l’ho consolata e anche lei ha fatto lo stesso con me. Per un attimo, brevissimo, l’ho sentita mia senza sensi di colpa, senza sentirmi indegno, senza la sensazione di sporcarla con il mio tocco sudicio e corrotto.

Cosa hai sentito tu, Bella?

L’hai percepito quel senso di appartenenza? È come avere un laccio, stretto attorno al cuore ed uno stesso laccio vorrei che ci fosse attorno al tuo, io lo vedo…lo sento.

Se dovessi allontanarti da me, Bella, quel laccio si spezzerà, dilaniandomi, di nuovo.

Ma quante volte può spezzarsi il cuore di una persona? Quante volte un uomo può reggere un dolore così devastante. Non credo di esserne in grado.

E se fossi io a farlo? Se fossi io a causarle tanto dolore?

Perché non ci riesco? Perché non riesco a stare lontano da te?

È un fiore la mia piccola Bella, una rosa che timidamente è sbocciata in un cespuglio di rovi, la sua bellezza è ammaliante, il profumo è soave, tutto in lei mi invita a coglierla e la mia mano è lì, protesa a compiere un gesto egoista che so già le farebbe del male.

Sarebbe così facile recidere quel gambo.

E poi? Non ho un vaso per accoglierla, non ho acqua con cui dissetarla, non ho luce per nutrirla e, presto, appassirebbe.

E mi maledico! Mi maledico per essere entrato in quel Caffè, mi maledico per esserci ritornato, per averle rivelato chi fossi, per aver continuato a vederla nonostante tutto.

Mi maledico per essere quello che sono, per non essere degno di lei, per non essere degno di nessuno. Non posso andare avanti così. Ma cosa devo fare? Che cazzo posso fare?! Ti rendi conto di tutti i tuoi errori quando vedi quel fottutissimo muro davanti a te e senti che le forze per scalarlo ti mancano. È così che mi sento, privo di forze.

Nonostante ci sia un motivo per rialzarmi, nonostante io possa avere uno scopo, nonostante io abbia la possibilità di cambiare se solo volessi, se solo non mi sembrasse tutto così maledettamente difficile. Cambiare vorrebbe dire spogliarsi della corazza che, con gli anni, si è stratificata sul mio corpo, celando ogni minima parte di me. Vorrebbe dire mostrarsi…a me stesso, agli altri…a Bella. Vorrebbe dire verità. Ma potrebbe voler dire fallimento, dolore…delusione…

Il suono del campanello mi fa trasalire. È notte fonda, non aspetto nessuno ma, soprattutto, nessuno viene mai a trovarmi.

Che sia…no, non può essere…dormiva…non sa dove abito…

Mi fiondo letteralmente ad aprire la porta e non faccio nemmeno in tempo a farlo che vengo travolto da lei. La spinta con cui mi si è lanciata addosso mi ha sbilanciato al punto da ritrovarmi schiacciato contro il muro, sento il suo corpo aderire al mio, le mani che si intrcciano dietro la nuca, spingedomi in avanti, a far aderire maggiormente le labbra alle sue, perché la sua bocca non mi ha dato nemmeno il tempo di proferire parola, che si è attaccata famelica alla mia.

Prima che con gli occhi, l’ho riconosciuta da quel senso di oppressione che mi invade lo stomaco, l’ho riconosciuta dal rifiuto del mio corpo e dal moto di nausea che il suo profumo, dolciastro e così schifosamente artificiale, mi ha provocato.

Tanya…

I miei occhi spalancati vedono i suoi serrati e nient’altro. Sento le labbra premere, le mani vagare ed io non riesco a muovere un dito, non riesco ad allontanarla, non riesco a partecipare. Dopo qualche secondo è lei che si stacca, è lei che comincia a parlare – Edward, dove sei stato? – mi chiede circondandomi il volto con le sue mani fredde e ossute. Non aspetta una risposta, lei nemmeno la vuole una cazzo di risposta! Riprende a baciarmi, il viso, le labbra, il collo. – Ti ho chiamato, un sacco di volte. Mi sono preoccupata, ho pensato ti fosse successo qualcosa. Oh Edward…ho una voglia di te che nemmeno immagini. In questi giorni non ho fatto altro che pensare a te, al tuo corpo, alle tue mani su di me. Toccami Edward, ti prego…

Ed eccole qui, tutte le risposte alle mie domande. Il mio passato, il mio presente, il mio futuro, qui, davanti a me, a rammentarmi chi sono…cosa sono!

Intreccio le dita ai suoi capelli, stringendo e strattonandole il capo per riportare le labbra sulle mie. Le mordo quel tanto che basta per sentire il sapore ferroso del sangue sulla lingua, la stessa lingua che le ficco in bocca togliendole il respiro. Inverto le posizioni, spingendo lei contro il muro ed addossandomi con tutto il peso del mio corpo, spingendo il bacino contro la sua coscia avvolta in un paio di costosissimi pantaloni di pelle nera. E quando sente la mia erezione premere forte su di lei non riesce a trattenere un lamento. Sussurra qualcosa, geme ma io non la sento…non mi importa, le darò quello che vuole e poi dovrà scomparire da questa casa.

Le mie mani stringono senza riempirsi, afferrano senza riguardo, toccano senza senza sentire davvero. Comincio a slacciare i bottoni della sua camicia…il primo…il secondo…decisamente troppi! Afferro i lembi e in un solo colpo la spalanco completamente rivelando il petto che si alza e si abbassa frenetico. Probabilmente lei mi dice qualcosa, probabilmente ha scambiato la mia rabbia, la mia veemenza, per passione, probabilmente…anzi no, sicuramente tutto questo le piace da impazzire.

Le stringo un seno con la mano, sento e vedo i polpastrelli affondare nella carne. Per un attimo credo di aver esagerato, per un attimo mi sento un vero bastardo a sfogare su di lei la mia frustrazione. Mollo la presa ma è lei a portare la mano sulla mia affinchè non mi allontani, è lei a stringere invitandomi a farle sentire dolore, di nuovo.

È come se entrambi ci stessimo punendo per la vita che crediamo ci sia stata imposta ma che in realtà abbiamo scelto, o comunque per la vita che non facciamo nulla per cambiare.

Afferro un lembo del reggiseno e tiro verso il basso, talmente forte che sento qualcosa lacerarsi. Il seno scoperto svetta verso l’alto ed il capezzolo rosso e turgido mi invita ad accorglierlo tra i denti, suscitando un altro gemito soffocato. Alzo lo sguardo e vedo Tanya che si morde le labbra, gli occhi chiusi, il respiro affannato. Poggio la guancia sul suo petto. È questo il cuore che merito di sentire battere. Strusciandola ed arrossandole la pelle per l’accenno di barba. È questa la pelle che sono degno di toccare. Risalgo con le labbra, lasciando una scia di piccoli morsi, fino a raggiungere la sua bocca che, immediatamente, si schiude sulla mia. È questo il fiato che posso sentire sulla faccia. La sua lingua comincia a delineare i contorni delle mie labbra, lentamente, finché non la intrappolo tra i denti e la faccio mia, perché è questo l’unico sapore che merito di sentire.

Sono eccitato. O meglio, è il mio corpo ad esserlo. Il respiro corto è dovuto al senso di ansia e panico che non mi ha abbandonato per un attimo da quando lei è entrata in casa mia. Vorrei urlare, vorrei picchiare qualcuno, vorrei picchiare me stesso. Ma non posso. E se è questo l’unico modo che ho per sfogarmi, adesso, va bene così.

È come se in questo momento qualcuno mi stesse sbattendo la verità in faccia, nuda, cruda, spietata, ed io non posso voltarmi, non posso ignorarala. E fa talmente male che dalla gola il magone sale dritto negli occhi, che cominciano a pizzicare pericolosamente.

Cazzo! Non adesso, non davanti a lei.

Le afferro le spalle e la volto di scatto. Le stringo la vita e comincio a strusciare il bacino contro i suoi glutei. Con le dita le slaccio i pantaloni ed infilo una mano negli slip.

- Cazzo, Tanya! Sei un lago – non riesco a fare a meno di dire, mentre comincio a torturala lentamente.

- Aaah…Edward…sì…

- Mi vuoi eh? Dimmelo che mi vuoi – le ordino. E con l’altra mano le abbasso i pantaloni, scoprendo piano la pelle delle natiche che ha perso la sfumatura dorata ed è tornata ad essere bianco latte.

- Sì! Ti voglio…nemmeno immagini quanto…aaah…

- Non ho sentito – sibilo al suo orecchio. Le dita giocano frenetiche in mezzo alle gambe, le ginocchia si piegano, il respiro diventa corto ed i gemiti più frequenti.

- S-sì Edward…io..aaah…io…ti…oh cazzo sì…ti voglio, ti voglio!

Con un gesto deciso abbasso di più quei maledetti pantaloni fino alle caviglie, abbasso i miei quel tanto che basta e con una spinta decisa entro dentro di lei.

- Aaaaaaaah!!!

Ok, questo lo hanno sentito anche i vicini.

Continuo a spingere. Ad ogni spinta un urlo più forte dalla sua bocca. Ad ogni spinta un’imprecazione nella mia testa.

- Sì…così…dai…

Ti odio Tanya. Odio te e tutte quelle come te.

- Ancora…ancora…

Ti odio. Ti detesto perché sono uguale a te.

- Sto venendo Edward…sto venendo…

Ti odio. Perché mi mostri chi sia realmente.

- Sì…aah…vengo…

Ti odio. Perché sei la mia disillusione.

- Aaaaah.

Mi odio. E nonostante tutto esiste una persona che mi vuole bene…

Appena lei raggiunge l’orgasmo mi blocco e mi allontano rialzandomi i pantaloni.

- Ma Edward! Tu non…

- Vattene Tanya.

- Cos…ma…che dici…dai, vieni qui…ora tocca a t…

-Ti ho detto sparisci! – le urlo senza nemmeno guardarla in faccia. Me ne sto immobile, l’eccitazione ancora evidente, i pugni stretti, le lacrime che spingono per uscire. Sento il sangue ribollire…è come se stesse scorrendo veleno adesso nelle mie vene.

- Io non capisco Edward ma va bene così, quando ti passerà ci risentiremo – dice calma aprendo la borsetta ed estraendo l’assegno, il solito assegno. Lo poggia sulla mensola, accanto alla chiave della sua macchina.

Questo è troppo…

Con uno scatto quasi animalesco, accecato dalla furia, afferro l’assegno, afferro la chiave, sento la carta accartocciarsi ed il metallo bruciare nel mio palmo. Le prendo una mano, scansando i suoi occhi che mi guardano sbigottiti, le sbatto entrambe sulle sue dita, stringendole per farle richiudere il pugno.

- Non li voglio i tuoi schifosissimi soldi. Non voglio la tua fottuta macchina. Non voglio un cazzo da te! E ora sparisci! Lasciami in pace..vattene!

E allora la guardo e, solo adesso, la vedo. Il viso è pallido e sembra più magro dell’ultima volta. Il trucco non riesce a coprire le profonde ombre violacee  che le circondano gli occhi. Il rossetto è sbavato ed un alone rosso le ricopre labbra e guance. Sono sicuro di avere anch’io in faccia la stessa identica sfumatura. Gli occhi lucidi mi guardano, mi accusano, mi odiano.

Benvenuta nel club!

- Come…come ti permetti eh? Chi ti credi di essere per trattarmi in questo modo! – dice con voce tremula, come se stesse per piangere.

- Mmpf – sbuffo e non posso fare a meno di mostrarle un ghigno.

- Eccola qui la signora Sleech! Viziata e capricciosa…che mette il broncio perché ha perso il suo giocattolino – mi avvicino, senza staccarle gli occhi dalla faccia, facendola arretrare e schiacciandola alla porta – che altro vuoi da me?Non ti sei già preso abbastanza?

- Ma…ma Edward, cosa dici?  Io non capisco. Se è per i soldi, posso dartene di p…

- Cazzo Tanya, smettila! Chiudi quella fottuta bocca! Non si tratta di soldi. Non tutto si può comprare, non tutto è in vendita.

Ma le mie parole hanno solo il potere di farle indossare la sua solita maschera di sdegno e superiorità. Immediatamente si ridà un tono, raddrizza le spalle e mi guarda con gli occhi pieni d’ira.

- Sì che lo è Masen! E tu lo sai. Lo sai benissimo! Credi che rifiutandomi, che allontanandomi, potrai allontanarti da te stesso? Sei tu il tuo peggiore incubo e lo sarai sempre!

- Smettila Tanya – ribadisco oramai stremato – ce ne sono tanti come me, devi solo trovare un altro passatempo.

- Oh, certo! Ce ne sono tanti come te, tantissimi. Il punto è che non ce ne sono tante come me! Cos’è? Hai avuto l’illuminazione? Ti si sono rivelate le grandi verità della vita? Non si torna indietro…non si può! L’anima è una, Edward, e quando è lacerata, infangata, corrotta…beh, non c’è niente che tu possa fare.

Inspiro profondamente, non so dove trovo la forza per non prenderla di peso e scaraventarla fuori. Stringo i pugni, le mani oramai formicolano.

- Tu.Non.Sai.Niente.Della.Mia.Anima! – ringhio a bassa voce.

- Ahahahah! Che ingenuo – dice dandomi le spalle e aprendo la porta – bene Masen, hai fatto la tua scelta, sii pronto a pagarne le conseguenze!

Se ne va. Lo capisco dalla porta che sbatte, dal rumore dei tacchi che si allontanano, dall’aria che improvvisamente diventa più respirabile e dal peso che si alleggerisce nel petto. Appoggio le spalle al muro e mi lascio scivolare, lentamente, per terra. E lentamente le lacrime cominciano a scendere. 

Chiudo gli occhi e mi appaiono nitidi il viso di mia madre, il viso di Bella…

- Perché? PERCHÉ?! DANNAZIONE!

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A tratti ho avuto quasi la certezza che la parte finale fosse un po' eccessiva, spero non sia così.

Grazie a tutti.

Miki.


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Capitolo 8
*** Scent Of Women ***


Ottavo Capitolo Buongiorno a tutti. Mi scuso per il TERRIBILE ritardo ma, stavolta, sono state cause di forza maggiore ad impedirmi di scrivere e poi di postare. Sono contenta però, sì, per ogni numero in più che vedo nelle letture ai capitoli o nell'inserimento della storia tra seguite, preferite e ricordate, per me sono traguardi non indifferenti. Sono contenta perché ci sono persone  che mi contattano in privato e con cui, adesso, mi sento regolarmente, anche solo per un saluto e un "come stai".
Non ho FB, è un social network che non mi piace, anche se spesso è utile per comunicare con le persone che seguono le storie ecc. In compenso, se a qualcuno dovesse interessare, sono su Twitter sotto il nick Imaginary82, non vi prometto perle di saggezza o spoiler entusiasmanti, ma quattro chiacchiere in allegria ed un buongiorno sincero. Se ci fosse qualcuno interessato a "seguirmi" (sta cosa mi sa di megalomane...vabbè) specificate il nick di efp.
Un'ultima cosa...un IN BOCCA AL LUPO SPECIALE ad Ari, prima prova da maturanda oggi, un abbraccio. Eccovi il capitolo. E' pessimo, vi avverto -_-"

Ottavo Capitolo

SCENT OF WOMEN



Jane sedeva sempre allo stesso tavolo. Era una di quelle donne con il viso da bambina, quelle a cui daresti sempre vent’anni. In effetti non ho mai saputo quanti ne avesse e adesso non m’importa più. Grandi occhiali nascondevano buona parte del suo viso, ma dalle lenti piuttosto chiare potevo scorgere grandi occhi che mi fissavano insistentemente.
Passavo le mie giornate tra rottami, motori, ricoperto di polvere e di grasso, spesso costretto anche a saltare la scuola o le lezioni di piano da Esme…le uniche ore da ragazzo normale. Il primo pomeriggio era l’unico momento in cui potevo allontanarmi dal deposito, quando Jack russava rumorosamente sulla sua poltrona. Non mi allontanavo troppo, anzi, la mia meta era sempre la stessa: un piccolo bar semivuoto in cui me ne potevo stare indisturbato a sorseggiare solo caffè, senza che nessuno mi facesse delle storie. Ascoltavo la musica che una vecchia radio faceva risuonare e, qualche volta, se avevo ottenuto un po’ di mance, mi concedevo un milkshake al cioccolato.
Solo dopo un po’ di giorni che frequentavo quel posto mi accorsi della presenza di Jane, stupendomi non poco di non averlo fatto prima: lei era assolutamente fuoriluogo lì. All’inizio, il fatto che mi guardasse con insistenza mi metteva a disagio, facendomi vergognare del mio aspetto, degli sbaffi di grasso sulle guance, le unghie sporche, la tuta macchiata e rattoppata in più punti. Tutto di me cozzava con lei, con la sua pelle dorata, i capelli lucenti, le mani curate, eppure ogni giorno i nostri occhi si incontravano, si sorridevano, si parlavano, o almeno così mi sembrava. Nella mia ingenuità e inesperienza, non avevo sentito lo scontrarsi di due lingue completamente diverse.

In quel periodo, lavorare, saltare la scuola, rinunciare ad un pomeriggio al negozio di Esme, non erano cose che mi pesavano troppo. Le mattinate passavano più velocemente al pensiero che l’avrei rivista. Finito di lavorare, mi fiondavo in bagno, mi lavavo accuratamente le mani, le unghie, il viso e cercavo di pettinarmi i capelli, utilizzando un po’ della brillantina di zio Jack, poca, pochissima, in modo che non se ne accorgesse.
Quanto può essere idiota un adolescente alla sua prima cotta?
Tanto!
Pensavo a Jane giorno e notte, immaginavo di parlarle, di tenerle la mano. Spesso ho anche immaginato a come potesse essere nuda: sicuramente diversa dalle donne prorompenti che spuntavano dai calendari che tappezzavano le mura dell’officina, erano sfacciate, mi incutevano quasi timore. Ma forse questo accadeva solo perché non ero mai stato a letto con nessuna.
Ebbene sì, io, Edward Masen, a 17 anni, quasi 18, ero ancora vergine!
Nel bagno della scuola sentivo i discorsi dei miei compagni, il loro vantarsi delle lunghe ed acrobatiche performances che, probabilmente, avrebbero fatto invidia anche ad un attore di film porno. Di certo facevano invidia a me e si facevano beffa dei miei brevi e solitari attimi di piacere soffocato tra le lenzuola. Sicuramente avrei fatto una figura pessima se solo fosse arrivato il momento. Non che me ne preoccupassi, non c’era nessuna ragazza che dimostrasse quel tipo di interesse per me.
Non prima di Jane…
Dopo cinque giorni sentii la sua voce per la prima volta. Si alzò dal suo solito posto, si avvicinò al bancone ed aprì una piccola borsa estraendo una banconota da 10$ per poi porgerla al proprietario.
- Un milkshake al cioccolato - disse senza staccare gli occhi da me - offro io.- Mi fece l’occhiolino e, sorridendo, lasciò il locale.
Ero talmente emozionato, talmente felice, che quella bevanda mi sembrò la cosa più dolce e deliziosa che avessi mai assaporato. Avrei dovuto sentire già allora il retrogusto amaro del fango in cui mi sarei immerso.
Il giorno dopo arrivai io per primo e mi andai a sedere al suo tavolo, sperando che la cosa non la infastidisse. Con mio grande stupore, al suo arrivo, non fu affatto sorpresa di trovarmi lì, anzi, sul suo volto comparve un’espressione di trionfo, che ingenuamente scambiai per semplice felicità
Fu la prima e l’unica a cui raccontai interamente la mia storia, l’unica a vedere quante lacrime avessi ancora da versare, quanta rabbia ci fosse dentro di me, e insoddisfazione. Le parlai anche della musica, di mia madre, di come mi rendesse felice sfiorare i tasti di un pianoforte. Lei invece non mi raccontò molto della sua vita. Mi accennò del lavoro, che detestava, nell’azienda di famiglia, dell’ingombrante presenza di suo fratello gemello, Alec, e della storia finita da poco con Demitri, un collaboratore di suo padre.
La cosa che mi colpiva ogni volta che parlavamo era che nessun turbamento attraversasse il suo volto, non un segno di dispiacere, di rabbia, di dolore, niente. Sorrideva, rideva ed a volte sembrava dispiacersi, ma ogni emozione rimaneva statica sulla forma delle sue labbra, non arrivava agli occhi, non arrivava alle guance. L’unica cosa che non riusciva a nascondere era nel suo sguardo: me lo sentivo bruciare addosso, penetrare dentro, ed ero talmente disarmato, incapace di proteggermi da esso.
Uno sguardo capace di distruggere…ed infatti mi distrusse.
Un giorno mi chiese se avessi voluto vedere il suo pianoforte. Al solo pensiero fremetti di impazienza. Non ci fu bisogno nemmeno di rispondere. Mi diede appuntamento al pomeriggio successivo, poco distante dal bar, e passò a prendermi con la sua macchina. Avevo preso l’abitudine di farmi la doccia, prima dei nostri “appuntamenti”. Sfregavo la pelle in maniera così energica, le braccia, il collo, il viso, che alla fine era tutta arrossata. Sapendo che sarei andato a casa sua, ci misi più impegno del solito, indossai il mio paio di jeans migliore ed una camicia pulita. Quando mi guardai allo specchio fui quasi soddisfatto del risultato. Ero agitato, nervoso, spaventato, ma allo stesso tempo euforico.
Lungo il tragitto non dissi una parola. Anche Jane rimase muta, limitandosi a lanciarmi qualche occhiata maliziosa di tanto in tanto.
La casa era avvolta nella penombra, ma potevo ugualmente vedere come ogni cosa mostrasse ricchezza, ostentasse sfarzo. Il pavimento di marmo scuro era talmente lucido che, camminando a testa bassa, potevo vedere distintamente l’angoscia che mi si era impressa sulla faccia.
Nonostante non fosse molto alta ed avesse una corporatura fin troppo minuta, guardandola avanzare a pochi passi da me, Jane mi sembrava così…distante, e imponente, le spalle dritte, le mani che ondeggiavano lungo i fianchi, il passo sicuro. E poi la seguivo io…curvo, impacciato, i passi incerti e le mani che si torturavano tra loro. Un ragazzino! Che diavolo ci facevo lì?
Alla fine del lungo corridoio ci trovammo di fronte ad una porta che Jane spalancò senza esitazione. Si era voltata verso di me, per la prima volta da quando eravamo entrati in casa, e guardandomi mi aveva fatto cenno di entrare.
La stanza era enorme e luminosa, al punto che dovetti stringere gli occhi per riuscire a mettere a fuoco qualcosa, dopo che si erano abituati alla semioscurità che avvolgeva la casa. La lieve agitazione divenne q
uasi panico quando mi accorsi del grande letto a baldacchino che troneggiava al centro della stanza.
Deglutii rumorosamente quando si avvicinò a me e si sollevò sulle punte.

- C’è tempo per quello! - sussurrò al mio orecchio, sfiorandomi il collo con la punta delle dita.
Nell’angolo opposto, sotto una grande finestra, c’era un pianoforte a coda, dalla superficie nera e lucida, su cui era posato un vaso di cristallo che conteneva un mazzo di fiori bianchi. Gigli, avrei scoperto dopo, Casablanca: i fiori preferiti di Jane.
Più mi avvicinavo più il loro odore si faceva forte, intenso. Era un odore che non mi piaceva, forse troppo sofisticato perché ne potessi apprezzare la bellezza. A casa mia, sul vecchio pianoforte a muro, mia madre metteva un piccolo vaso con i fiori che crescevano spontaneamente al limitare del giardino e che arricchivano la casa con il loro profumo fresco e delicato.
- Beh, non ti avvicini? - mi chiese indicando lo strumento. Raggiunsi lentamente lo sgabello, sfiorando il copritasti e ritirando la mano subito dopo, con la paura di poter lasciare l’impronta delle mie dita sul legno pregiato.
- Fammi sentire qualcosa.
Quasi trasalii quando sentii di nuovo la sua voce. Si poggiò al bordo del piano. Guardai il profilo della sua schiena, la curva dei glutei, appena accennata, che si interrompeva laddove il suo corpo veniva a contatto col bordo dello strumento. Ingoiai, di nuovo, e distolsi lo sguardo. Sollevai il coperchio e tolsi la stola di velluto scarlatto che ricopriva i tasti. Sentivo il cuore martellare nel petto e le dita tremanti. Provai a concentrarmi, a ricordare le parole di Esme: “Quando sei davanti al pianoforte, Edward, ci sei tu e c’è lui. Nessun altro.”
In quel momento non era affatto così, dannazione!
C’era lei vicino a me, e mi guardava con gli occhi socchiusi. Le braccia incrociate al petto mettevano in evidenza le forme del suo piccolo seno, normalmente appena accennate. C’ero io, con un assurdo rigonfiamento tra le gambe che non faceva che mettere in evidenza quanto fossi uno stupido, inesperto ed incapace ragazzino! E poi quel maledetto odore…che mi entrava prepotente nelle narici e che sembrava quasi stordirmi.
Improvvisamente si mise dritta, sciogliendo le braccia e avvicinandosi a me. Era piccola e, seduto, mi ritrovavo col viso all’altezza del suo petto, che si alzava e si abbassava velocemente, rivelando una certa agitazione anche in lei.
Strabuzzai gli occhi quando cominciò a liberare i piccoli bottoni di madreperla dalle asole e quando notai un impercettibile tremolio delle sue dita mi feci coraggio e portai le mie mani sulle sue per continuare. I miei movimenti non avevano nulla di sicuro e determinato, anzi, mostravano tutta la mia agitazione e probabilmente anche quella che era diventata impazienza. Niente a che vedere con quella che sembrava esitazione e paura e che leggevo chiaramente sul suo viso.
Arrivai all’ultimo bottone dopo un tempo che sembrò interminabile, spalancai i bordi della camicia trovandomi di fronte al tessuto liscio e lucido di un body color carne. Appoggiai i palmi sulla vita facendoli scorrere verso l’alto, mentre Jane portava le mani dietro la schiena per far scendere la lampo e liberarsi della gonna che, in un attimo, fu ai suoi piedi.
Risalii fino alle bretelle sottili, le feci scorrere tra le dita e comincia ad abbassarle. Volevo vederla. Volevo vedere se, nuda, fosse bella e perfetta così come l’avevo immaginata. Ma arrivato alle spalle Jane si irrigidì improvvisamente bloccandomi le mani. Le scostai subito da lei, nel timore di aver esagerato, di aver osato troppo. Con la paura che lei si fosse improvvisamente accorta chi avesse davanti. Con la paura di veder comparire sul suo viso una smorfia di disgusto.
Ciò che vidi fu un’espressione accigliata e le labbra serrate e ciò non fece che confondermi ancora di più. Le risposte ai miei dubbi arrivarono subito dopo, quando, sollevando una mano, Jane abbassò da sola la bretella destra, scoprendosi il seno.
Come un idiota, ipnotizzato dalla dolce curva che mi si presentava davanti, sollevai la mano poggiandovi sopra l’indice e premetti piano per vedere se quella distesa di pelle fosse davvero così soffice come sembrava.
E lo era. Anche di più.
Continuai seguendo il contorno del seno col dito, alternando la punta al dorso. Vedevo la pelle rabbrividire al mio tocco, non poteva essere per il freddo, la sua pelle era calda e la mia credo fosse incandescente. Probabilmente le piaceva, così mi sembrava. Con questa consapevolezza continuai ad accarezzarla piano ma con maggiore sicurezza. Mi alzai in piedi senza staccare la mano dal suo corpo e appoggiai le labbra sulla sua spalla, premendo ed inspirando forte il suo profumo. Rimasi così, immobile, mentre con le dita cominciai a stuzzicarle il capezzolo scoperto e ormai turgido. Seguii il contorno della stoffa, abbassata e arricciata alla base del seno, fino ad arrivare al bordo della coppa che ancora celava l’altro. Feci per scoprirlo e di nuovo lei mi fermò bruscamente, senza scansarsi stavolta.
- No, Edward! - disse con quello che mi sembrava un tono disperato.
- Jane…ma…io…scusami, io volevo solo guardarti - le risposi impacciato.
- No, tu non vuoi realmente vedere che c’è qui sotto.
Un singhiozzo soffocato uscì dalla sua bocca e non potei fare a meno di abbracciarla e continuare a posare piccoli baci sul collo e sulla spalla.
- Io vorrei vedere tutto…di te - le sussurrai all’orecchio, e la mano, che fino a quel momento non si era staccata da lei nemmeno per un attimo, cominciò a scendere, trascinando con sé la stoffa.
Le impedii di protestare catturandole il labbro inferiore, arricciato e tremante, cominciai a leccarlo dolcemente, a seguire i contorni della sua bocca con la lingua, alternando piccoli baci a leggeri morsi. Piano piano, finalmente, le sue labbra si distesero e si schiusero lasciandomi libero accesso. Continuai a baciarla, portando le mani dietro la sua schiena e spingendola verso di me. Il suo corpo aderì al mio ed io sentii distintamente le punte dei suoi seni premere sul mio petto, nonostante avessi ancora la camicia. Il bacio si fece da incerto sempre più approfondito. Jane portò le mani sulla mia nuca e poi risalì intrecciando le dita ai capelli. Piegò la testa da un lato e indietro per permettermi un più facile accesso alla sua bocca. Presi ad esplorarla attentamente, accarezzandole il palato con la lingua, seguendo il bordo di quei denti bianchi e perfetti, e poi di nuovo sulle labbra, morbide, dolci, e poi il mento, le guance, le tempie.
Quando finalmente sentii la sua tensione sciogliersi ed il corpo ammorbidirsi tra le mie braccia, feci un passo indietro, scivolando con le mani sulle sue braccia ed intrecciandole alle sue. Jane voltò di scatto il viso e strinse gli occhi.
Finalmente riuscii a vederla, riuscii a guardarla, nuda, o quasi, ed era certamente ancora più splendida di come l’avevo immaginata. - Sei bellissima - non pei fare a meno di esclamare. E lo pensavo davvero. Pensavo davvero che fosse una visione. Lo pensavo nonostante il lato sinistro del suo petto, dell’addome e dei fianchi, non fosse ricoperto dalla stessa distesa liscia e soffice di pelle che avevo potuto assaporare dall’altro lato. Era bellissima, per me, nonostante l’estesa cicatrice rossastra che le ricopriva interamente il seno e scendeva giù, inesorabile, fino alla coscia.
Non mi aveva mai raccontato dell’incidente d’auto, prima. Non mi aveva mai parlato del litigio con Demitri, della corsa folle, la rabbia, le urla…e poi lo schianto, l’esplosione e le fiamme. E poi il suo corpo orribilmente marchiato e quel rifiuto negli occhi e nel corpo di lui, che bruciavano ancora più intensamente delle fiamme.
Ed io non potevo che chiedermi come avesse fatto lui a rifiutare quel corpo che non potevo fare a meno di sfiorare, con dita incerte, nell’ingenuo timore che potesse farle ancora male. Non avevo capito che nessuno avrebbe più potuto farlo. Jane non lo avrebbe permesso. Nell’istante in cui mi permise di avere accesso alla sua vita, non mi accorsi che in realtà mi aveva sbattuto fuori e, nell’illusione di poter essere il fortunato che avrebbe potuto farla sentire di nuovo viva, umana, non realizzai che in realtà Jane di umano non aveva più niente. In realtà, dopo l’incidente, lei era morta dentro.
Continuavo a seguire l’intricata rete di striature, fino a risalire sul seno per poi accarezzarlo con ardore anche maggiore rispetto a prima. Non sapevo nemmeno da dove riuscissi a prendere tanta sicurezza, da dove uscissero quei gesti sconosciuti che eseguivo come se non avessi mai fatto altro. Le mie dita esploravano il suo corpo cercando e riuscendo a scovare ogni punto sensibile, e lo capivo dai gemiti e dai sospiri che prepotenti sfuggivano alle sue labbra, ancora serrate.
La presi per mano conducendola verso quel punto della stanza che tanto mi aveva angosciato poco prima, desideroso di dimostrarle tutto l’amore che provavo per lei. Continuavo a guardarla negli occhi, senza smettere di toccarla, lasciai che lentamente mi sbottonasse la camicia, che sfilai facendola cadere sul pavimento, e poi i pantaloni, che le sue mani cercavano con impazienza di portare giù assieme alla biancheria.
Ero sicuro che non avrei mai scordato la sensazione che mi esplose dentro quando finalmente sentii il mio corpo nudo su quello di Jane, un calore inaspettato, che si tramutò in imbarazzo, vergogna e mortificazione, quando l’unica cosa che riuscii a trattenere fu il gemito che avrebbe dovuto accompagnare il raggiungimento del culmine del mio piacere.
Scivolai lateralmente, affondando la faccia nel materasso, terrorizzato anche solo all’idea di voltarmi verso di lei e leggere sul suo viso scherno e derisione o, peggio, disgusto. Un ragazzino incapace, ecco quello che era. E ne ebbi la dimostrazione.
- Hey…guardami - disse Jane posandomi una mano sulla schiena. Voltai lentamente il viso e sul suo trovai un’espressione distesa, tranquilla.
- È la tua prima volta, vero?
- N…no…NO! - negai con fin troppo fervore - io…scusami. Non mi è mai successo prima - continuai sollevandomi e mettendomi a sedere di fronte a lei - ho rovinato tutto - ammisi mortificato.
- Non si direbbe - rispose lanciando un’occhiata in mezzo alle mie gambe.
Abbassai lo sguardo automaticamente e mi sfuggì un “oh” di stupore quando vidi che la mia eccitazione era già di nuovo evidente.
Ed il secondo “oh” che esclamai, più forte, roco e prolungato, scaturì dalla visione della testa bionda di Jane che ondeggiava tra le mie gambe, con le mani artigliate ai fianchi ed i capelli che mi solleticavano la pelle. Se la sensazione avvertita poco prima mi sembrava intensa ed irripetibile era solo perché non sapevo, non avevo la minima idea di cosa si provasse ad essere avvolti dalle calde e morbide labbra di una donna. Ciò che stava accadendo davanti ai miei occhi, aveva dell’incredibile. Non fosse che ogni tanto avvertivo le lievi fitte di dolore provocate dai suoi denti sulla pelle sensibilissima del mio membro, avrei creduto fosse un sogno.
Se non avessi appena avuto un orgasmo, non sarei durato più di tre minuti. Così,forse, sarei arrivato a cinque! Probabilmente Jane se ne accorse…sollevò il capo per risalire con una scia di baci caldi e umidi sulla mia pancia, sul petto, sul collo, lungo la mandibola. Portò le ginocchia attorno ai miei fianchi, facendo ondeggiare il bacino e sfregando la sua intimità contro la mia. Ciò che mi sfuggì fu più simile ad un ringhio che ad un gemito. Dopo quel contatto appena accennato, non potei fare a meno di afferrarle le cosce e sollevare i fianchi per approfondirlo, un contatto che mi aveva fatto perdere la cognizione del tempo e dello spazio.
Non fui io ad entrare in lei, fu lei ad abbassarsi su di me e ad avvolgermi completamente. Sentii d’un tratto una sensazione di calore inarrestabile, che dai lombi si diffondeva rapidamente al resto del corpo, intorpidendomi non solo le membra ma anche la mente. Avrei voluto stringerla in quel momento, avrei voluto sentire i nostri corpi a contatto, pelle contro pelle, mentre i bacini ondeggiavano al ritmo dei nostri cuori. Ma lei rimase lì, dritta su di me, lo sguardo perso nel vuoto, il mio perso in lei.
Mentre il piacere continuava a montare dentro, presi a chiamare il suo nome con la voce scossa dai tremiti che percorrevano il mio corpo. Poggiò le mani sulle mie spalle, portando il busto in avanti, facendomi affondare ancora più in profondità.
- Jane! - urlai all’ennesima spinta. Era tutto così forte, così intenso…ed io l’amavo. - Jane…Dio…sì! -. Le spinte si fecero più veloci, i suoi gemiti più forti, solo quelli dalle sue labbra. Avrei voluto sentirle gridare il mio nome, come io stavo urlando il suo. Le afferrai i gomiti facendole perdere la presa sulle mie spalle ed il suo petto si scontrò con il mio nell’attimo esatto in cui esplosi dentro di lei.
“Ti amo…ti amo..Jane!”
“Sì…oh sì Demitri…ti amo anche io!”


Sono ormai quattro giorni che me ne sto qui. Continuo a rievocare quel pomeriggio come se già non mi perseguitasse abbastanza, e lo faccio cercando di riportare alla mente il maggior numero di dettagli. Non so perché. Non so se lo stia facendo per punirmi oppure per trovare qualcosa, anche solo un piccolo dettaglio, che mi possa giustificare. Probabilmente ciò che provavo per Jane era solo una stupida cotta da ragazzino, probabilmente si sarebbe affievolita e spenta in pochi giorni, settimane magari. Ci sarei stato male. Avrei pianto. Poi, mi sarei svegliato un giorno per accorgermi che mi era passata. E invece non c’è giorno che io non mi svegli con lo stesso pensiero, non c’è giorno in cui non maledico l’attimo esatto in cui i suoi occhi hanno incrociato i miei e mi hanno distrutto.

Ci rivestimmo in silenzio, lei probabilmente imbarazzata, io che trattenevo a stento le lacrime. L’atmosfera si era fatta insostenibile, almeno per me. Non vedevo l’ora di uscire da lì e respirare un po’ di aria fresca.
- Vuoi…vuoi bere qualcosa? Faccio portare un caffè? -. Il modo in cui la guardai le diede una chiara idea della risposta. Abbassò lo sguardo sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Voglio andare a casa - dissi con un tono che sarebbe dovuto essere duro, accusatorio, e che invece risultò patetico e infantile.
- Sì, certo, andiamo, ti accompagno.
- No! Non ce n’è bisogno. Vado a piedi - risposi girandomi per varcare finalmente la porta di quella maledetta stanza. Feci appena in tempo ad abbassare la maniglia – Aspetta - disse avvicinandosi e porgendomi una busta - grazie Edward. A domani
A sentirle pronunciare, finalmente, il mio nome, non potei non sussultare. Presi la busta, ansioso di leggere ciò che conteneva nella speranza di trovarvi parole in grado di farmi capire il perché di tutto quanto.


Mi alzo dal letto non senza difficoltà. Non so nemmeno da quanto tempo me ne sto stravaccato qui sopra. Mi volto verso il materasso, convinto quasi di trovarvi impressa l’impronta del m
io corpo. Mi dirigo verso il comò guardando nello specchio lo spettro di me stesso: le occhiaie, la barba incolta, le labbra secche e screpolate. Poggio i gomiti sulla superficie impolverata e mi stropiccio la faccia con le mani. Apro il primo cassetto e, proprio lì, basta scostare di poco la biancheria, c’è una busta ormai ingiallita con ancora dentro il prezzo della mia innocenza, un conto che la vita mi sta presentando con gli interessi! Le banconote mi bruciano in mano oggi come allora. Le ho conservate per ricordarmi chi ero prima di lei e cosa sono diventato dopo. Ricordo ancora le lacrime che versai lungo la strada del ritorno, gli occhi bassi, la busta stretta in una mano, senza nemmeno capire realmente il significato del gesto di Jane. La giustificai in ogni modo, credendo che mi volesse aiutare, confidando nel suo amore.
Il giorno dopo tornai al bar. La trovai seduta al solito posto, ad aspettarmi. Quando mi vide sorrise ed io mi convinsi che mi andava bene così, che avrei fatto qualsiasi cosa per quel sorriso. Ci vedevamo ogni giorno, non parlavamo più molto, salivamo in macchina ed andavamo a casa sua. Non ho mai incrociato nessun altro lì.
Nelle prime ore del pomeriggio, con la luce del sole che dalle finestre s’infrangeva nelle volute bianche e luminose delle lenzula di seta, Jane m’insegnò ad amare una donna, a toccare il suo corpo, sfiorarlo o stringerlo. Accompagnava le mie mani in punti che da solo non avrei mai raggiunto, insegnò alla mia bocca a dare e prendere piacere. Imparai a chiedere, a pretendere, ad ordinare. In quei momenti non pensavo a nient’altro che non fosse lei, noi, che comunque ci ritrovavamo lì stretti l’una nell’altro.
Non ha mai più nominato Demetri ma non ha mai, nemmeno una volta, sussurrato il mio nome, durante. Se dovessi raccontare come, da Jane, sono arrivato a tutte le altre, non saprei nemmeno farlo. Ricordo solo Kate…

Aspettavo già da un po’ l’arrivo di Jane, non era mai in ritardo ed io non ero in anticipo, non stavolta. Quando la porta si aprì, entrò una ragazza bionda che si guardò intorno e sorrise imbarazzata non appena mi vide. Era notevolmente più alta di Jane, i capelli più lunghi e leggermente mossi, il fisico più statuario e le forme prorompenti. Quando capii che era proprio me che cercava deglutii a vuoto ma cercai di non darle a vedere il mio imbarazzo.
-Tu sei Edward?
- Sì, sono io.
- Io sono Kate. Sono un’amica di Jane.
- Le è successo per caso qualcosa? – chiesi allarmato.
Lei si sedette scuotendo la testa. Non mi guardava negli occhi, non sollevava nemmeno lo sguardo.
- Jane mi ha detto di dirti…Jane…mi ha detto che…insomma…domani! Vi vedrete domani.
- Ah, ok. Grazie Kate, grazie per essere venuta fin qui solo per dirmi questo.
Feci per andarmene ma lei mi afferrò la mano.
- Aspetta! Io…lei mi ha mandato qui…lei mi ha parlato di…te…io…ho bisogno di un favore…


Da allora è stata solo una Jane diversa. Non mi importava più, non mi importava di niente. Il mio obiettivo era diventato solo quello di accumulare quel che mi sarebbe bastato per andare via da lì, lontano da tutti. Dopo il mio ventunesimo compleanno, Jack manifestò chiaramente l’invito a lasciare casa sua e, solo ciò che avevo messo da parte mi diede la possibilità di non stabilirmi sotto i ponti. Continuare quella vita è stata la cosa più facile. Finora. Fino a lei. Bella.
Accartoccio quella che per me è solo carta ormai. Vado in cucina cercando di fare attenzione a dove metto i piedi. Il pavimento è un immondezzaio di cartacce e bottiglie vuote. Ebbene sì, ho fatto davvero schifo! Ho mangiato quel poco di commestibile che c’era in casa e annaffiato abbondantemente lo stomaco semivuoto con la birra. Tanta birra. E puzzo da far schifo.
Raggiungo il fornello e accendo la fiamma, avvicino la busta e guardo la carta ingiallirsi per poi prendere fuoco. La guardo accartocciarsi lentamente e quando la fiamma sta per arrivare alle dita, butto l’ultimo pezzetto nel lavandino. Quando il fuoco si spegne, l’unica traccia che rimane è qualche frammento bruno che viene portato via dall’acqua.
- Addio Jane – sussurro tra me e me.

E adesso?

E adesso cercherò di dare una parvenza di pulizia alla casa.
E poi?

E poi farò una doccia e avvierò una lavatrice. Anche due.

E dopo?

E dopo non lo so, cazzo! Cercherò di vivere, forse. Cercherò di sopravvivere al massimo.

E Bella?

‘Fanculo!

Prendo il cestino della carta e comincio a raccogliere rabbiosamente l’immondizia dal pavimento. La testa è un incessante vorticare di pensieri.

Bella…Bella…Bella…

Beh, sì. In effetti il pensiero è solo uno. Ma non vedo piccola Swan da quattro giorni e l’immagine di lei sdraiata sul divano mi tormenta. Chissà cosa avrà pensato. Chissà se si è accorta di quanto tempo è passato. Io mi sono accorto di ogni.fottutissimo.singolo.secondo!
Ed il nervoso è così irrefrenabile che non posso fare a meno di calciare una bottiglia e spedirla a frantumarsi dritta sotto il letto!

CAZZO!

Quando mi chino per rimediare al disastro, oltre ai cocci noto…una fotografia? Mi allungo per afferrarla. Probabilmente è caduta dalla scatola di mia madre senza che me ne accorgessi. Quando la giro, in un attimo metto a fuoco

- Ciao.
- Hey, pulce! Che hai?
- La mamma mi ha tagliato i capelli. Ora sono brutta.
- Ma se eri brutta pure prima!


Non mi aspettavo che si mettesse a piangere, non in quel modo. Se mia madre mi avesse sentito mi avrebbe di certo sgridato…ed io odiavo essere sgridato da mia madre.

- Dai…non fare così. Io…io stavo scherzando. Stai proprio bene invece, sembri più grande.
- Davvero?
- Sì, davvero.
- Ma grande quanto te?
- Beh…sì…più o meno…


Mi saltò al collo senza avere nemmeno il tempo di realizzare cosa stesse facendo. Solo dopo ci accorgemmo di una Renée sorridente che scattava la foto.
Se chiudo gli occhi sento ancora le sue braccine paffute che mi stringono e posso sentire il suo profumo di bambina, dolce ed innocente. Lo stesso profumo che le sento ancora adesso sul collo. L’unica cosa che riesco a pensare è che io voglio riaverlo quell’abbraccio, voglio poterlo meritare, posso meritarlo. Posso provarci. Il solo pensiero mi dà una scarica di adrenalina e sento il battito accelerare. Il cuore mi batte furioso nel petto e mi alzo da terra, deciso, spinto da una nuova consapevolezza.

Ce la posso fare.

Mi fiondo sotto la doccia, al resto posso pensarci dopo. Lavo via accuratamente i quattro giorni di disperazione, di angoscia, lascio che il sapone sciolga l’odore di Jane, quello di Tanya, l’odore dei ricordi spiacevoli e dolorosi. Sarà impossibile cancellarli ma posso provare ad annegarli in nuovi, più gioiosi e sereni. Posso provarci. Posso farlo.

Aspettami piccola Swan…sto arrivando.




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Il prossimo capitolo arriverà tra due settimane AL MASSIMO. Spero sia stata una lettura gradevole.
Un bacione.
Miki ^_^


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Capitolo 9
*** Sweet chocolate ***


Capitolo nono Buon pomeriggio a tutte le fantastiche persone che mi leggono, che mi commentano e che con il loro entusiasmo mi danno la carica necessaria per andare avanti nella storia. Scusate il ritardo. A mia discolpa devo dire che il capitolo era già pronto dopo una settimana ma non ho proprio avuto il TEMPO MATERIALE per mettermi al pc, ricopiarlo e postarlo.
Ma adesso eccolo qui, tutto per voi, sperando con tutto il cuore che vi piaccia.
GRAZIE.



Nono Capitolo

SWEET CHOCOLATE.

Prendo le chiavi, afferro una giacca ed esco. I capelli sono ancora umidi e me ne accorgo solo quando sono fuori, quando sento il vento pungente di Marzo sul viso. Non so se Bella si trovi a casa o al caffè, la cosa positiva è che adesso so dove abita e posso andare a cercarla anche lì.
Cammino a passo spedito, non senza una certa fatica dopo giorni di immobilità quasi assoluta, sento i muscoli indolenziti, ma non m’importa. L’unico muscolo di cui voglio preoccuparmi adesso è quello che batte furioso nel mio petto.
Raggiungo il locale e, prima di entrare, mi fermo un attimo per riprendere fiato. Mi passo le mani tra i capelli ed entro. I tavoli sono quasi tutti occupati e la cosa mi dà come una fitta di…gelosia! Mi sento come se quelle persone, sedute lì a mangiare e chiacchierare, stessero invadendo il mio spazio. Mi guardo intorno in cerca di Bella ma non la vedo. Forse è nel retro o forse ha il turno di pomeriggio.
- Scusi? – dico ad un’altra cameriera che si trova dietro al bancone, intenta a preparare il caffè.
- Sì, si accomodi, arrivo subito – risponde senza nemmeno voltarsi.
- No, mi scusi! – ripeto alzando di più la voce – sto cercando Bella…Bella Swan.
La ragazza si volta lentamente e mi squadra da capo a piedi, con un’aria che vorrebbe essere minacciosa.
- Bella non è di turno oggi – esclama scandendo chiaramente le parole. Abbasso lo sguardo e guardo il nome scritto sulla targhetta: Angela W.
- Tu sei il tipo, vero? L’amico d’infanzia.
Sgrano gli occhi per la sorpresa.
Lei mi conosce? Sa di me? Bella le ha parlato di me!
- Sì…EJ… - mi affretto a rispondere – sono io, sono EJ…d’infanzia…l’amico!

“Coglione” non rende neanche più l’idea!

- Hmpf! – sbuffa alzando gli occhi al cielo – Bella mi ha chiesto di darti questa, se fossi passato.
Non riesco a celare la meraviglia e un “oh” di stupore mi sfugge nel vedere un piattino con una fetta di torta di mele, con la mia fetta di torta di mele, la torta di mele che Bella a lasciato per me.
- Fosse per me – continua Angela – ti farei mangiare la fetta che ha preparato quattro giorni fa!
- C…come, scusa?
- Hey! D’infanzia l’amico – mi canzona seria – attento a te! – minaccia puntandomi l’indice.
Non posso fare a meno di sorridere. Mi fa piacere che Bella abbia delle amiche così…appassionate. La cosa che mi dispiace è che, per essere arrivata a dire certe cose, probabilmente lei le ha parlato di me, probabilmente riferendosi alla mia assenza, al mio comportamento.

REGOLA NUMERO UNO: NON FERIRE MAI BELLA…

…FALLITO! Cominciamo bene!

- Devo andare…scusa. Grazie per la torta, Angie. Mangiala tu, offro io! – le dico facendole l’occhiolino e dirigendomi alla porta.
- Cos…Angie? Ma…
Esco senza prestare ascolto alle sue proteste. Mi fermo un attimo cercando di fare mente locale.
Che strada ha preso Swan per andare a casa sua?

Se avessi prestato attenzione invece di guardarle il culo…

Non le guardavo il culo! Sì, beh…ogni tanto una sbirciatina. E poi è sedere! Si chiama sedere il culo di Bella!
Mi guardo in giro cercando di ricordare, imboccando una strada dall’aspetto familiare.

Sicuro?

No, per niente!
Ci metto almeno il doppio del tempo che ci sarebbe voluto ma, alla fine, mi ritrovo davanti alla sua porta.

E te la stai facendo sotto.

Più o meno.
Faccio un respiro profondo e busso. Due volte. Una, potrebbe non sentirla e tre potrebbero essere troppe.

Aspetto…

Niente…

Busso di nuovo, stavolta un po’ più forte. Nonostante ciò non viene ad aprire.
Poggio i palmi sulla porta e mi avvicino con l’orecchio per sentire se dall’interno provenga qualche rumore.
Silenzio assoluto.
Mi sposto dalla porta alla finestra, cercando di sbirciare ma le tende chiuse non mi consentono di vedere nulla. Improvvisamente decine di scenari non proprio piacevoli affollano la mia testa. In quasi tutti Bella giace esanime in qualche punto della casa. Negli altri, quelli che più mi terrorizzano, Bella giace non proprio esanime in un letto, nel suo letto. E non è sola!
Mi abbatto sulla porta, cominciando a bussare ripetutamente. Perché non apre? Che sta facendo? Che è successo? Chi c’è con lei?

Sarà semplicemente uscita?

Mi ritraggo di scatto dalla porta, come se all’improvviso fosse diventata incandescente. In effetti è così che mi sento: scottato. E non tanto per il fatto che muoio dalla voglia di vederla, ma proprio per la consapevolezza che lei possa avere una vita al di fuori del caffè, di casa sua. Al di fuori di me. Una vita di cui io non so niente.
E adesso non so che fare. Avrei potuto telefonarle se solo ci fossimo scambiati il numero di telefono.

Il telefono!

Mi porto una mano sulla tasca dei pantaloni trovandola, ovviamente, vuota. Ovvio, visto che il mio cellulare è un mucchietto di frantumi in un angolo imprecisato dell’ingresso. Potrei comprarne un altro, cambiare numero, e poi tornare al caffè o riprovare a casa. Sì, farò così. E se non dovessi trovarla potrei lasciare il numero a quella cameriera, Angela.
Mi incammino un po’ amareggiato ma tranquillo. In fondo si tratta di rimandare solo di qualche ora. Raggiungo il centro guardandomi intorno alla ricerca di ciò che mi serve. Ho imboccato una strada a caso eppure non impiego nemmeno un secondo per riconoscerla.

Appena entrai nel negozio, con la mano del dottor Cullen posata su una spalla, la prima cosa che sentii fu l’odore pungente della vernice. Da lontano proveniva un rumore continuo, come di un piccolo trapano. I mobili, tutti dall’aspetto antico, erano sistemati lungo le pareti in maniera ordinata e la maggior parte portava sopra un cartello con su scritto “non toccare”. Sgranai gli occhi alla vista di tutti i pianoforti che c’erano lì dentro. Alcuni erano così strani che non che non ero nemmeno tanto sicuro che fossero proprio pianoforti.
Raggiungemmo il retro dove la quantità di mobili era superiore ma l’aspetto molto più polveroso e dissestato. Nonostante tutto la stanza era luminosa e ben arieggiata e gli odori di solvente, legno e vernice si mescolavano in maniera tutt’altro che fastidiosa.
- Esme?
Al richiamo del dottor Cullen, una donna si alzò in piedi da dietro un baule antico. Aveva dei grandi occhiali protettivi sul viso ed un foulard in testa da cui fuoriuscivano alcune ciocche castane, che, colpite dalla luce, rivelavano riflessi color caramello.
Si avvicinò a noi sorridente, sfilandosi i guanti e togliendosi gli occhiali.
Era bellissima…
- Esme, lui è EJ o Edward, ricordi? Te ne ho parlato.
- Oh, sì certo. Tu sei il ragazzino che si è fatto male…al lavoro! – chiese con un’espressione accigliata.
- No, NO! Io…stavo giocando…e sono caduto. Zio Jack non c’entra…lui…
- Basta così, Edward – mi interruppe Carlisle, stringendo dolcemente le dita sulla mia spalla - non c’è bisogno che giustifichi tuo zio. Non preoccuparti, ho dato la mia parola che non avrei sporto denuncia, e non lo farò…per ora. Spero che sia abbastanza intelligente da attenersi al nostro accordo. Ritornando a noi, lei è Esme, mia moglie. Si è diplomata alla Juillard e sarebbe diventata una grande pianista se non fosse per questa insana passione per i mobili vecchi.
- Antichi, tesoro…sono antichi, non vecchi.
- Oh, beh…è la stessa cosa.
Continuarono a punzecchiarsi per un po’ ed io li fissavo divertito e un po’ imbarazzato.
- Se vorrai, Edward, Esme ti darà un po’ di lezioni e potrai venire qui a suonare ogni volta che ne avrai voglia. Avrei preferito venissi a casa nostra ma è un po’ troppo lontana perché tu possa raggiungerla a piedi.

Mi mancano le lezioni di piano con Esme. Mi manca il modo in cui si complimentava con me di quello che lei chiamava “il mio talento naturale”. Spesso suonavo per lei tutto il pomeriggio, mentre lavorava e tante volte si fermava, gli attrezzi in mano, gli occhi chiusi, a sentire la mia musica. Sarebbe bello riabbracciarla. Sono scomparso dalla loro vita un po’ alla volta, limitandomi, nell’ultimo periodo, a brevi telefonate di circostanza, più per rendermi conto se avessero scoperto qualcosa, che per altro. Il pensiero che Tanya potesse dire qualcosa a Rosalie non mi ha mai abbandonato. E adesso è un’ombra scura che si fa sempre più minacciosa. Mi concedo un sospiro, continuando a camminare. Potrei andare a trovarla. Il negozio di Esme, se non ricordo male, dovrebbe essere proprio da queste parti. Procedo guardando le vetrine, ricordando perfettamente ogni insegna. La gioielleria, il negozio di abiti da sposa, la profumeria, la cioccolat…

Un momento!

Dov’è la cioccolateria?

Mi avvicino alla vetrina, sollevando lo sguardo per riconoscere l’insegna. La prima è vuota, la seconda inesistente. Deluso e stupito non posso fare a meno che ritornare con la mente a quando, da piccolo, mi ci fermavo per minuti interi ogni volta che andavo da Esme, deglutendo la voglia che avevo di assaporare ognuno di quei piccoli agglomerati di cacao dalle forme più strane.
Mi avvicino di più al vetro portando i palmi alle tempie per guardare all’interno, dove, incredibilmente, sembra tutto uguale. C’è ancora il bancone in mogano scuro, con i pannelli intagliati e gli angoli arrotondati, sostenuti da finte colonnine. Ci sono gli scaffali alle spalle e le vetrine lungo i muri. Il tutto è vuoto e impolverato. Sul pavimento è poggiata una scala di legno, alcune scatole, un secchio, una ramazza…talmente intento ad osservare e cercare di capire cosa ne stiano facendo del mio negozio preferito, che non mi accorgo del movimento, non mi accorgo della sagoma e mi ritrovo con due occhi castani sgranati che mi guardano sorpresi attraverso il vetro.
Fare un balzo indietro è automatico quanto assolutamente idiota.
Quegli occhi…due pozze di cioccolato fuso, altrettanto invitanti di una distesa di cioccolatini. Caldi, di un calore in cui potrei annegare e perdermi sempre e per sempre. Mi avvicino di nuovo al vetro e l’immagine dell’interno vuoto mi dà la conferma che ho solo creduto di vederli.

Stai messo male, amico!

- EJ!

Cazzo!

Mi volto di scatto e, davanti alla porta, scarmigliata e col viso arrossato, mi appare Bella. “Appare” è il termine perfetto, perché in questo momento lei è una visione…

Piccola Swan…che hai fatto in questi quattro giorni per diventare ancora più incantevole?

Si sistema velocemente e inutilmente i capelli. Sembra agitata, nervosa. Con i denti si tortura il labbro inferiore, le dita delle mani cominciano ad intrecciarsi e torturarsi convulsamente e, cosa peggiore, se ne sta col viso basso, privandomi della visione del suo sguardo.
- Hey…
- Io…
Apriamo bocca contemporaneamente e, mentre lei avvampa, aggiungendo colore alle sue guance già deliziosamente rosate, io non posso fare a meno di sorridere per aver parlato insieme ma, soprattutto, per aver sentito nuovamente la sua voce.
Il sorriso svanisce in fretta quando mi rendo conto che Bella non sorride, che non mi è saltata addosso per aggrapparsi al mio collo come al solito, ed il suo corpo è rigido e chiuso a voler sottolineare la distanza che c’è tra noi. Una distanza che pesa come un macigno e che in pochi minuti è diventata intollerabile.
- Ciao – ricomincio con calma. Non ottengo risposta. Allora faccio ciò che avrei dovuto fare dall’inizio. Colmo lo spazio tra noi in pochi passi e poso le mani sulle sue spalle. Al contatto Bella trasalisce ma il movimento è praticamente impercettibile.
- Hey…non mi senti piccola Swan? – sussurro quasi, con un tono di voce più basso e roco di quello che avrei voluto – non mi aspettavo di veder…
- Sei arrabbiato con me?
- Cos…
- Rispondi! Sei arrabbiato con me? Ho fatto qualcosa che ti ha infastidito?
- Ma…io…
- È per il pianoforte, vero? Lo sapevo! Sapevo che ti saresti arrabbiato…sapevo di non avere nessun diritto di farlo…
- Swan…guardami. Ti sbagli. Io non so…non lo so cosa abbia elaborato la tua testolina in questi giorni ma non è così.
- Ti sei arrabbiato perché mi sono addormentata? Pensi che non mi sia piaciuta la tua musica? Io…io te lo giuro! Non è così…
Bella non mi sta nemmeno ascoltando, il corpo è scosso da piccoli tremiti e la voce si fa sempre più spezzata.
La scuoto dolcemente e quando alza il viso vedo le guance solcate da grosse lacrime.
- È che io non dormo…la notte…non dormo bene…quasi mai…quella sera, la tua musica…io…oh, scusami!
- Adesso basta! Bella, smettila. Ascoltami… - le dico con voce ferma, asciugandole le lacrime con i pollici - Non sono arrabbiato. Ascoltami ti ho detto! – ripeto dopo che lei ha distolto lo sguardo – Ritrovare un pezzo della mia vita, un pezzo importante di mia madre, a casa tua, vedere come è stato curato, preservato dal tempo…oh Bella, credimi, non potevi regalarmi un’emozione più forte, più intensa. E no, non mi sono arrabbiato perché ti sei addormentata, anzi, ne sono stato felice. Sono felice che fossi rilassata a tal punto…con me…da abbandonarti al sonno.
- Ma allora perché? Perché quattro giorni?!
La sua domanda unita a quegli occhi colmi di lacrime mi provocano un’esplosione di emozioni. Da un lato, la consapevolezza che lei si sia accorta della mia assenza mi riempie di una sorta di orgoglio, dall’altro, sapere che si sia tormentata in questo modo, colpevolizzandosi del mio silenzio, mi fa sentire un emerito stronzo e forse tutto questo si traduce in un’espressione di confusa sorpresa, ben evidente agli occhi di Bella. La reazione è immediata: si allontana da me lasciandomi con le mani vuote sollevate a mezz’aria. Con le maniche della felpa che indossa si asciuga ripetutamente gli occhi, col risultato che la stoffa ruvida dei polsini le arrossa ancora di più la pelle.
Sorride. Ma è un sorriso tirato, forzato, il sorriso di chi sta biasimando se stesso.
E infatti…
- Scusami. Io…non so che mi è preso. Non ho il diritto di farti una sceneggiata del genere. Dio, che idiota!
Parla in fretta, gesticolando e guardando ovunque tranne che davanti a sé.
- Magari ti sto anche facendo perdere tempo. Eri uscito sicuramente per fare qualcosa. Cioè…non è che tu fossi venuto qui…per me…scusami, davvero…buona giorn…
- Pulce! – la interrompo – Per essere così piccola ne hai di parole da sprecare!
Bella si volta, prima con gli occhi sgranati, poi con un’espressione confusa e anche un po’ irritata. Sono sicuro che la sua testolina si è fatta un bel viaggetto sentendo l’appellativo che ho utilizzato…lo odiava! Diventava rossa e stringeva i pugni. Mi guardava in un modo…sembrava che le dovesse uscire il fumo dalle orecchie da un momento all’altro. Come adesso.
Non riesco a trattenere una risata, una di quelle che ti esplodono dentro facendoti sentire più leggero, di quelle che ti fanno sentire quanto ti sia mancato ridere così, al punto che ti si forma quel groppo in gola e riesci a ricacciare a stento le lacrime.

Come una femminuccia insomma!

Sì, ‘fanculo! Come una femminuccia, non m’importa.

- Scusa pulce…ehm…volevo dire…Bella…non ho resistito. Ma ti dovevo fermare in qualche modo. Stavi leggermente delirando – le faccio notare con tono divertito. Non smette di guardarmi accigliata, ma si vede, adesso, che è tutta una posa. Proprio come quando era piccola. Gli angoli della bocca si sollevano impercettibilmente, vorrebbe ridere ma è cocciuta la mia Bella, orgogliosa e testarda. Me ne sono accorto subito. Ed io adoro questo lato del suo carattere.
- Non avevo il tuo numero e non potevo chiamarti. Sono stato…diciamo poco bene.

Ed il premio oscar per la miglior interpretazione vaaaaaa…

...non a te!

- Solo oggi mi sono sentito un po’ meglio.
- Cavolo! Scusami…scusami EJ, davvero. Io non pensavo…cioè sì, l’ho pensato, poi però ho pensato a quello che è successo e allora ho pensato anche…
- Piccola Swan – dico avvicinandomi e guardandola negli occhi…potrei perdermici… - Tu.pensi.troppo. Ok?
- Ok – sussurra mortificata mordendosi il labbro inferiore. Un gesto che fa spesso, troppo spesso, un gesto che mi fa desiderare ogni volta di affondare i miei denti nella sua tenera carne. Un gesto che mi fa passare la lingua sulle labbra, immaginando di passarla sulle sue. Un gesto che rende minimo lo spazio vitale nei miei pantaloni.
- Cosa hai avuto? – mi chiede, interrompendo pensieri che si stavano facendo troppo fuori luogo – Stai bene adesso? Se lo avessi saputo…avrei potuto fare qualcosa…
La mia risposta è un chiaro segno di come la grandezza del mio cervello sia inversamente proporzionale a ciò che sta pulsando in mezzo alle gambe e che è celato agli occhi di Bella solo dai lembi della camicia che ho lasciato fuori dai pantaloni…per fortuna!
- Ehm…sarà stato un…virus! Sì, un virus…intestinale…sta girando ultimamente. Ma ora sto meglio.

UN.VIRUS.INTESTINALE!!! MA CHE CAZZ…

- Mi dispiace – risponde subito, forse cogliendo il mio imbarazzo – In effetti sembri molto dimagrito ed hai il viso stanco e sciupato.

Bene! Hai appena fornito a Bella un’incantevole visione di te con le brache calate seduto sulla tazza del cesso ed ora lei ti ha detto che stai di merda! Meglio di così…

- Oggi mi sento decisamente meglio – cerco di rimediare – La prima cosa che ho fatto è stata venire al caffè a cercarti e poi a casa – le parole mi scivolano fuori senza che possa rendermene conto.
Bella sorride timidamente, come se ciò che ho detto l’abbia messa in imbarazzo. Ma non me ne pento, non stavolta. Come al solito, è lei a sbloccare la situazione.
- Io…mi sono presa un giornata libera oggi. Aspettavo alcune consegne – dice indicando col pollice il negozio dietro di sé – Vieni, entra.
Mi prende per mano e si volta. I suoi capelli ondeggiano a mezz’aria rimandandomi un profumo dolcissimo…ma diverso.
- Hai cambiato shampoo? – penso.

No, tu non pensi! Tu dici!

Io dico.

Oh cazzo!

Bella si blocca e si volta a guardarmi. L’aria stupita la dice lunga.
- Io, beh, veramente sì.
Poi sorride e stringe gli occhi. Da sorpresa, la sua espressione diventa furba.
- Sai Masen? I ragazzi normali non fanno caso all’odore dello shampoo. Evidentemente tu ed il tuo ciuffo siete ferrati in materia. Ti ci vedo ad annusare bottigliette e consumare litri di balsamo!

E con questo puoi dire definitivamente addio alla tua dignità.

***

Un’ora dopo, io e Bella siamo seduti sugli alti sgabelli davanti al bancone. Fosse per me rimarrei qui ad ascoltarla per ore. Sto amando il modo appassionato in cui mi parla dei suoi progetti. Amo il modo in cui gli occhi le brillano, il modo in cui la luce gioca con i suoi capelli. Sto amando la sua voce, che accompagna il suo racconto, diventando bassa e profonda quando parla delle difficoltà che ha dovuto affrontare, la separazione dei suoi, lo studio, il college, il lavoro, l’acquisto del locale, più entusiasta e squillante quando invece mi parla di ciò che vuole realizzare.
- Tu sei un genio, piccola Swan! È un’idea fantastica. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di aprire una libreria in una cioccolateria. Sono sicuro che avrai un grande successo. Per quando è prevista l’apertura?
Bella si guarda intorno ed io non posso fare a meno di seguire il suo sguardo e ciò che vedo non è affatto rincuorante. Alcuni mobili portano evidenti i segni del tempo e delle tarme. Ci sono un bel po’ di mensole traballanti, alcune plafoniere sono rotte e la carta da parati manca in alcuni punti svelando un inquietante color verde muffa. Il pavimento non è più lucido ma macchiato e quasi grezzo.
- Direi che non sei a buon punto.
- Direi di no, per niente! Uff…è che vengo qui nei ritagli di tempo e cerco di fare tutto da sola, sai…per risparmiare. Ci sono giorni in cui mi sembra di aver fatto passi da gigante, altri in cui vorrei mettermi a piangere e ad urlare pentendomi amaramente della mia scelta. Avrei potuto acquistare uno di quei cubicoli bianchi e asettici all’interno del centro commerciale.
Bella continua a parlare e, nonostante io riesca a comprendere tutto ciò che dice, la sua voce è solo un sottofondo. Ci sono altri pensieri che mi vorticano nella testa.
- Ti aiuto io! – sbotto, interrompendola nel bel mezzo del discorso.
- Cosa?
- Sì, ti aiuto io. Fidati di me, sono bravo nei lavori manuali.
- Mh…sai che, a vederti, non si direbbe affatto?
- Beh, due braccia in più fanno sempre comodo, no? Con tutto il rispetto, pulce…
- Hey!
- …dicevo…con tutto il rispetto, non credo che le tue braccine potrebbero fare molto.
- EJ, davvero, io non posso accettare. Ora come ora non potrei nemmeno pagarti.
Mantenere un tono di voce normale, adesso, non è facile, non lo è affatto.
- Ma guarda un po’ che coincidenza. Io non avrei accettato un dollaro da te.
Per la prima volta da quando sono uscito di casa la mia mente è tornata allo schifo che mi tormenta da anni.
- Non puoi perdere tanto tempo. Come farai con il tuo lavoro?

Già…come farai con il tuo lavoro?

- Oh, sì…il mio lavoro…io non lavoro! Cioè…no…io non lavoro…adesso.
- Mi dispiace EJ! Ti hanno licenziato? Ma che lavoro facevi? Di cosa ti occupi?
Ogni domanda sull’argomento è come un’incisione sulla carne. L’ultima cosa che vorrei fare è mentirle ma, ora come ora, non ho scelta.

C’è sempre scelta.

Sì, c’è, ok, ma cazzo! Non posso dirle: “Hey, sono uno smidollato che non ha saputo dire di no ad una stronza e si è ritrovato a fare la puttana di lusso! No, non posso. Non adesso. Non così.
- No, non mi hanno licenziato. Diciamo che me ne sono andato io. Mi occupavo di…pubbliche relazioni.
Beh, non è proprio una bugia, no?
- E non ti piaceva?
- No…cioè sì…ma mi sentivo un po’…oppresso. Vorrei cambiare radicalmente, magari tornare a suonare. Quindi, piccola Swan, non mi costa nulla aiutarti – dico riportando l’attenzione su di lei, sul negozio – a meno che…il tuo fidanzatononsiageloso!
Bella sussulta impercettibilmente alle mie parole e, reazione ormai scontata e prevedibile, avvampa vistosamente. La provocherei anche solo per vedere quel rossore colorarle le guance e, come ogni volta, mi chiedo se sia quello il colore che ha sul viso dopo una carezza, dopo un bacio…dopo un orgasmo. Immaginare il suo viso stravolto dal piacere non è affatto facile, così come non è facile starle di fronte nascondendo la voglia che ho di lei, di assaporare le sue labbra, di sentire il calore del suo corpo…
- Non c’è nessun fidanzato – dice con un filo di voce.
- Beh, non mi meraviglio – sbotto per stemperare la tensione e per ignorare le campane a festa che mi assordano da dentro – Sei rimasta una piccola pulce, sai?
- Sì, hai ragione. Chi è che vorrebbe stare con me…
Cosa? Io credevo che si sarebbe infuriata, che mi avrebbe apostrofato con gli epiteti più offensivi. Non questo, no! Che diavolo vuol dire “chi è che vorrebbe stare con me”? Ma io! Io vorrei stare con te…
- E tu? Sarà d’accordo la tua ragazza? – chiede, interrompendo il vociare nella mia testa ed evitando che mi sfugga qualcosa. Evitando l’ennesima figura da coglione.
- Non c’è nessuna ragazza – rispondo subito – A dir la verità, non c’è mai stata. Beh, non dopo di te – dico facendola sorridere – Ho avuto qualche…storia, ma senza importanza.
Bella annuisce ma non aggiunge altro. Non che mi aspettassi i salti di gioia…

Bugiardo!

- Allora ci stai? Posso aiutarti?
- Beh, se proprio insisti…
- Insisto!
- Affare fatto – esclama alzandosi e porgendomi la mano.
Ogni contatto con lei, anche il più piccolo, ha il potere di destabilizzarmi. Le dita sottili della sua piccola mano riescono ad avvolgere a mala pena il mio palmo. La sua pelle è calda nonostante la temperatura, nonostante nel negozio non sia in funzione il riscaldamento, ed il suo calore si trasmette al mio corpo inondandomi di una delle sensazioni più inebrianti che io abbia mai provato. È sempre così con lei. Non amo il paragone ma probabilmente è ciò che spiega meglio il modo in cui mi sento: è come una droga che, dal punto di contatto, si diffonde rapidamente raggiungendo e stimolando punti che non avresti nemmeno pensato di avere, e non ti dà il tempo di riprenderti, di abituarti, che ne vuoi ancora e ancora, e di più, spingendoti a compiere vere e proprie follie per ottenerlo.

Follie. Come quella che sta compiendo la mia mano, quando stringe di più quella di Bella attirandola verso di me.

Follie. Come quella che sta compiendo il mio braccio, che si apre per accogliere il suo corpo.

Follie. Come quella che compie il mio viso, che si tuffa nell’incavo del suo collo, annusando disperatamente il suo odore, quell’odore di vita che mi è mancato per quattro giorni, che mi è mancato per diciotto anni.

E, costretta dalla posizione, costretta dalla sorpresa e dalla differenza di altezza tra noi, non può fare a meno di sollevare la testa, sfiorandomi il collo con le labbra che, dischiuse, lasciano una scia umida e calda.

Ed io potrei morire di overdose.

Bella non si ritrae. Dopo un po’, solleva le braccia e le posa delicatamente sulle mie spalle. Ce ne stiamo così, in silenzio, per un po’, in una posa innaturale ma per niente scomoda. Io piegato su di lei, lei protesa verso di me.
Lo senti, piccola Swan? Senti come i nostri corpi siano perfetti per incastrarsi l’uno con l’altro? Senti come le mie braccia siano fatte apposta per sorreggerti? Per cingerti i fianchi?
E, prima che le mie mani comincino a vagare, prima che i polpastrelli affondino nella deliziosa curva del bacino, per sentirne la morbidezza, mi allontano piano, dandole il tempo di riacquistare il suo equilibrio.
- Sono sicuro che insieme faremo un ottimo lavoro, piccola Swan.
- Sì…lo credo anch’io. Grazie EJ, non sai quanto sia importante per me.
Potrei cominciare subito ma entrambi conveniamo che sia meglio rimandare a domani. Comincia a fare buio e Bella non ha ancora chiesto alla compagnia elettrica di allacciarle la corrente. Mi mostra velocemente gli attrezzi che comprato, nel caso in cui potesse servirmi qualcosa in più. In effetti la sua cassetta è quanto di più principiante ci possa essere. Mi annoto mentalmente le altre cose che potrebbero servirmi e, dopo che ha chiuso con cura tutte le imposte, ci avviamo verso casa sua.
Non mi ha chiesto di accompagnarla a casa ma lo faccio, come se fosse la cosa più naturale del mondo. In realtà lo è…per me.
- Potremmo vederci al caffè, verso le otto, fare colazione e poi andare al negozio.
- Hai il turno di pomeriggio?
- No, domani è il mio giorno libero ufficiale.
- Allora niente caffè! Alle otto in libreria, la colazione la porto io.
- Mi devo preoccupare?
- Hey…che vorresti dire? – protesto punzecchiandole un fianco con la punta dell’indice.
Bella si scosta di scatto ridendo ma inciampa nei suoi stessi piedi rischiando di finire per terra. Faccio appena in tempo ad afferrarla e lei si rimette in piedi imbarazzata.
- Non sei cambiata di una virgola! Sono sicuro che sotto i jeans le tue ginocchia sono sbucciate come quando eri piccola!

Potrei sfilarteli io…adesso…accarezzandoti le cosce con le dita e posando piccoli baci sulla tua pelle candida…

- Smettila! – dice con aria offesa – non cado più…non così di frequente – conclude a bassa voce.
Non posso fare a meno di scoppiare a ridere ma ora è lei a darmi una gomitata.
- Anche manesca, Swan?
- Prrrrrrrrrrr

Attenta Swan, non mi provocare…ricaccia quella lingua in bocca!

- Di’ la verità: volevi che ti prendessi “a cavalluccio” come allora, eh?
Il pensiero del suo petto premuto sulla mia schiena mi fa perdere un battito e deglutire a vuoto.

Prevedo una lunga doccia fredda…anche due.

Bella non risponde, si limita ad alzare gli occhi al cielo e sospirare. Dopo pochi minuti arriviamo a casa sua.

Chiedimi di entrare…chiedimi di entrare…chiedimi di entrare…

- Allora ci vediamo domani mattina?
Duh!
- Sì…sì, certo, ok. Alle otto.
- Ok, alle otto. ‘Notte, EJ.
- ‘Notte, Bella.
- Ah, EJ?

Sì, sto entrando!

- Sono contenta…sono contenta di aver ritrovato il mio amico.
Le sorrido mentre entra in casa. Mi allontano stringendomi nel giubbotto, le mani in tasca, lo sguardo davanti a me, il cuore ancora con lei…

…non sai quanto ti sbagli, piccola Swan! Cancella la parola amico dal tuo vocabolario…io, oramai, l’ho fatto.



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Spero che il capitolo vi sia piaciuto un pochino. Il prossimo arriverà non prima di fine mese...c'è l'estate, c'è il mio fidanzato, c'è il mare...fate voi ^_^
Buone vacanze a tutti.
Un bacione.
Miki.




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Capitolo 10
*** A step away from her ***


capitolo 10 Ciao a tutti!!!
Tornare a postare dopo tanto tempo è come farlo per la prima volta. Gli stessi identici timori: mi leggeranno? Mi criticheranno?
Stavolta aggiungo anche: si ricorderanno di me? Del mio EJ e della piccola Swan?
Io spero proprio di sì.
E ringrazio anticipatamente tutti coloro che leggeranno .
Come avevo già detto nell'AVVISO , non è stato un periodo facile e non lo è tuttora.
Piano piano sembra che le cose si stiano sistemando. Il percorso è lungo ma bisogna avere fiducia e pazienza.
Ci sono state tante di voi che mi sono state vicino anche durante questa lunga assenza, continuando a leggere le altre mie OS, chiedendomi se ci fossero novità, chiedendomi come stessi.
In verità la cosa mi ha davvero sorpresa ed emozionata. Probabilmente non merito tanta considerazione me ne sono stata felice.
Non mi dilungo oltre. Vi lascio al decimo zozzipitolo, sperando che ci sia qualcuno che riesca ad arrivare alla fine e non si perda nei meandri delle idiozie che ho scritto.
Vi adoro.
Miki.









Decimo capitolo.

A STEP AWAY FROM HER.


Le mani di Bella si aggrappano alle mie spalle affondando i polpastrelli nella carne. Le mie, posate sui suoi fianchi, accarezzano con le dita la pelle liscia e bianca, accompagnando il movimento del suo bacino. Ondeggia lentamente su di me, sporgendosi in avanti, cercando di sfregare il più possibile il clitoride contro il mio pube. Si solleva ogni tanto, quel poco che basta a farmi temere di scivolare via da lei, ma poi si riabbassa decisa, strappandomi un ruggito, venendo incontro ai miei fianchi che già s’impennano per cercarla.
Affondo in lei completamente sentendo sulla pelle il fuoco che le brucia dentro e che mi avvolge come lava bollente.
- Bella…sei…fantastica…
Mi spinge indietro, facendomi stendere. I capelli le circondano il viso e dalle spalle scendono a posarsi sul mio petto, oscillando ed accarezzandomi i capezzoli duri. Ne afferro una ciocca con le dita per sentirne la morbidezza, per cercare di concentrarmi su qualcos’altro, per non abbandonarmi al piacere e prolungare il più possibile questo momento. Osservo i riflessi alla luce della luna. Meravigliosi riflessi…
…biondo rame?!
- Sii, Edward…così…
Tanya?!
NO! Bella? Dov’è Bella?
Mi guardo intorno ma improvvisamente è tutto buio. Un altro paio di mani cominciano a vagare sul mio torace. Cerco di divincolarmi ma Tanya mi tiene incollato al letto, esercitando un peso innaturale. Provo a muovermi invano, braccia e gambe sembrano incollate al materasso.
D’un tratto una lingua comincia a percorrere lentamente le linee tese dei miei addominali.
- Demitri… - sussurra la donna bionda.
Jane!
Non può essere…no!
Voglio andarmene da qui, non voglio che mi tocchino, non voglio sentire questa eccitazione che cresce dentro di me…non voglio!
Per tutta risposta i movimenti di Tanya diventano sempre più rapidi. I gemiti sfuggono dalle mie labbra nonostante il disgusto, nonostante il rifiuto. Gemiti e sospiri che non mi appartengono e che si fondono tra loro creando un’inquietante melodia che ha il potere di farmi girare lo stomaco.
La mia mente subisce ma il mio corpo gradisce gli affondi, le carezze, i baci…
Allo stremo delle forze, chiudo gli occhi ed assecondo quel piacere che prepotente vuole esplodere in me, nella speranza che defluisca in fretta e scompaia assieme a Tanya e Jane.
Nel momento in cui l’orgasmo mi investe non riesco a trattenere un singhiozzo ed il suo nome mi sfugge dalle labbra.

- Bella…
- Sono qui, Edward…
Ed allora spalanco gli occhi e mi volto verso il punto da cui proviene la sua voce. Bella è lì, i miei occhi incontrano, anzi, si scontrano con i suoi che hanno osservato tutta la scena. Lo capisco dal viso, dall’espressione di disgusto, di delusione, che riesco a distinguere chiaramente nonostante la penombra.
- Addio – sussurra prima di girare le spalle.
- No, Bella…no…fammi spiegare…ti prego…Bella…BELLA!

- BELLA!

Mi sollevo di scatto dal letto. Il cuore sembra impazzito ed il torace si alza e si abbassa troppo velocemente. Sento il cotone della maglietta appiccicato alla pelle ed i capelli ricadono bagnati sulla fronte imperlata di sudore. Mi guardo intorno ed è un sollievo riconoscere l’ambiente familiare della mia stanza e constatare, soprattutto, di essere solo, che ciò che è “successo” in realtà si tratta solo di un sogno. Anzi, di un incubo.
Allungo la mano verso il comodino e, tastando con le dita, afferro l’orologio…le 6:10. Un sospiro di sollievo mi sfugge involontariamente. Nonostante mi sia messo a dormire solo tre o quattro ore fa, il fatto che sia mattina e che mi debba alzare non può che farmi piacere. Il solo pensiero di rimettermi a dormire e magari riprendere da dove ho interrotto mi fa venire la pelle d’oca.
Mancano meno di due ore e poi rivedrò Bella. Questa è una spinta più che sufficiente per alzarmi di buon umore, nonostante tutto.
Eseguo automaticamente i soliti gesti che compio appena sveglio. Percorro il tragitto dalla camera al bagno con gli occhi semichiusi, sperando che non ci sia niente ad ostacolarmi. Apro la manopola della doccia e mi sfilo la maglietta che getto nel cesto della biancheria sporca. Nell’attesa che l’acqua raggiunga la temperatura mi lavo i denti e, finalmente, spalanco gli occhi davanti allo specchio.

Wow…che faccia! Non avevo un’aria così da quando facevo gli “straordinari”!

Sbattuta…è proprio la parola adatta!


Mi strofino gli occhi e passo il palmo sulla mandibola per sentire la consistenza della barba. Decido di non radermi e mi fiondo sotto la doccia. Lascio che l’acqua tiepida mi scorra addosso e che il getto vigoroso tenti di portare via le ultime tracce di sonno. Poggio i palmi sulle piastrelle e abbasso il viso godendo del massaggio che l’acqua esercita sulla nuca.
Chissà se anche Bella è sveglia. Chissà cosa fa appena abbandona il letto. Chissà se anche lei adesso è sotto la doccia.

…nuda…

Cerco di scacciare l’immagine dalla testa, non ho di certo bisogno di incoraggiare ulteriormente la situazione ai piani bassi.
Ruoto completamente il miscelatore verso destra e, imprecando, termino di lavarmi sotto il getto di acqua ghiacciata. Ma nemmeno questo riesce a distogliere i miei pensieri da lei.
Dopo aver immaginato ogni possibile traiettoria delle piccole gocce d’acqua sulla sua pelle, non posso non chiedermi cosa stia facendo adesso, quali sono i gesti che anche lei compie meccanicamente al mattino.

Chissà come sei, piccola Swan, appena sveglia. Se i tuoi occhi gonfi e arrossati sono ancora più belli e dolci e se i tuoi capelli sono arruffati in un groviglio che ti aiuterei a sciogliere.
Chissà come sarebbe svegliarsi con te tra le braccia, affondare le labbra nei capelli ed inspirare il tuo odore, lasciando che si diffonda piano nel corpo.
Chissà come sarebbe sentirti cedere alle languide carezze delle mie mani e poi amarti e amarti ancora, fino a scambiarci l’anima.
Ti ostini a pronunciare la parola “amici”, ma io ho visto, Bella, ho visto come arrossisci quando il mio sguardo indugia sulle tue labbra, e come il tuo corpo sussulta quando ti sfioro. E lo sento il tuo cuore, che galoppa quando tu mi abbracci.


Ho deciso, Swan. Col tempo…non troppo…e poi potrò farlo, potrò amarti come meriti. Per ora posso anche accontentarmi di starti solo vicino, di condividere le piccole cose, di camminare accanto a te…per ora!

***

La mia meta è la Donut House. Sono le sette ed ho tutto il tempo di acquistare la colazione e raggiungere Bella al suo negozio.
Ho in mente questo posto da quando ho ritrovato la foto. Da quel momento il ricordo del suo viso di bambina si fa sempre più nitido e nella mente si aprono nuovi ricordi che fino ad oggi erano rimasti nascosti chissà dove.

Di fronte alla vetrina, deglutendo l’acquolina che si riversa nella mia bocca, mi domando quale possa piacere a Bella e, soprattutto, se ancora oggi adori le donuts come quando era piccola.
Ogni mattina, prima di andare in centrale, capo Swan portava a casa una scatola di ciambelle e d’estate sedevano sotto il portico a fare colazione. Io li guardavo dalla finestra, vedevo Bella tuffarsi letteralmente sui dolci con la sua piccola mano ed addentare la ciambella con la glassa rosa e gli zuccherini colorati.

-Oh…ehm…b-buongiorno signor Masen. C’è EJ?
- EJ non ha il permesso di uscire stamattina. Tornatene a casa tua!
- Ma…ma…io gli ho portato una ciambella…


Non avevo osato avvicinarmi ma riuscii lo stesso a vedere la sua espressione terrorizzata. Lui le chiuse la porta in faccia, lasciandola lì con il dolce tra le mani. Avrei voluto mettermi a piangere e invece rimasi immobile ad assistere all’ennesimo scroscio di urla contro mia madre che “permetteva che la figlia degli Swan ci facesse l’elemosina”.
- Signore? Mi scusi, le ho chiesto cosa desidera.
- Ah, sì…mi scusi lei. Uhm…me ne dia due con la glassa rosa, due al cioccolato e due caffè.
Con il mio pacco tra le mani ed un sorriso da ebete sulle labbra mi incammino attento a non versare le bevande. Sono in perfetto orario e non vedo l’ora di vedere i suoi occhi. Se potessi non mi staccherei da lei nemmeno per un secondo. Mi viene da ridere perché è proprio ciò che faceva lei quando eravamo bambini: cercava ogni pretesto per allontanare il momento di rientrare in casa.
Quando arrivo al negozio mancano dieci minuti alle 8:00 ma dopo pochi lunghissimi secondi la vedo svoltare l’angolo.
È bellissima.
Cammina piano, con la testa bassa e le cuffie dell’i-pod nelle orecchie. I capelli sono sciolti e tirati un po’ indietro da un cerchietto. Le labbra rosse spiccano nettamente sulla pelle bianca del viso e, come al solito, il labbro inferiore, più sporgente, è come se fosse un invito alla mia bocca di catturarlo e sentirne la pienezza tra i denti.
L’aria pungente del mattino l’ha costretta ad imbacuccarsi tutta. Sembra così goffa che mi fa tenerezza. Ha un giacca marrone abbottonata fino al collo e dei buffi guanti grigi che le avvolgono insieme tutte le dita. Un paio di jeans stretti le fascia le gambe snelle e dritte quasi come una seconda pelle, è impossibile non immaginare di circondarle la caviglia con le dita per poi risalire seguendo la curva del polpaccio, la piega del ginocchio e la morbidezza delle cosce.
Le gambe sono l’unica parte del suo corpo che riesco ad immaginare con facilità. I fianchi, la vita, il seno e le spalle sono sempre coperti da indumenti abbondanti o lunghi dai quali riesco a malapena a percepire i contorni. E lei non sa, nemmeno immagina, quanto questo sia maledettamente sexy. Da quando l’ho rivista non posso non pensare a quanto sia dannatamente eccitante l’idea di scoprire lentamente quella pelle coperta e di lasciarla fiorire in tutta la sua bellezza. È perfino più eccitante della visione di una donna completamente nuda!

Comincio ad avanzare verso di lei, che ancora non ha sollevato lo sguardo e non si è accorta di me. Quando mancano solo pochi passi mi fermo improvvisamente e mi sporgo avvicinando il viso al suo.
Bella si blocca improvvisamente e solleva il viso sul quale si è dipinta un’espressione spaventata. Quando mette a fuoco che si tratta di me, i lineamenti si distendono e con un gesto rapido tira il filo delle cuffie.
- Buongiorno – dico, ora che mi può sentire.
Bella sorride e ricambia il mio saluto con un filo di incertezza nella voce. Non so se sia perché l’ho colta alla sprovvista ma non si sporge a baciarmi come ha sempre fatto, anzi, fa un passo indietro portandosi una mano chiusa a pugno sul petto, come a voler celare quel battito furioso che non potrei comunque sentire ma che posso immaginare.

Perché anche il mio cuore sta galoppando, piccola Swan. E solo per aver inspirato il profumo dei tuoi capelli.

Ed allora sono io che mi sporgo verso di lei e le circondo una guancia con la mano.

Ghiaccio e fuoco.

La sua pelle sembra quasi incandescente sotto la mia, fredda, ed il rossore si diffonde ancora più intenso quando arrivo a sfiorarle il lobo dell’orecchio con la punta delle dita. I suoi occhi si spalancano mentre con le labbra mi avvicino piano dall’altra parte per posarle poi delicatamente un bacio sulla guancia. Indugio qualche secondo in più del normale e nemmeno so come riesca a ritrarmi senza avventarmi sulla sua bocca dischiusa per lo stupore.

- Su, entriamo – la esorto dandole le spalle. Non posso fare a meno di lasciarmi sfuggire un ghigno divertito. Bella è rimasta immobile, con le mani a circondarsi le guance. Non sa che posso vederla, ignora il fatto che la vetrina del negozio rifletta perfettamente la sua immagine, rendendo chiara l’emozione che quel lieve bacio le ha suscitato.

Mhpf…amici…

Mi schiarisco la voce e Bella sussulta alzando lo sguardo ed accorgendosi che sto aspettando con la colazione tra le mani. Si riavvia i capelli e mi raggiunge per aprire la porta.
Una volta dentro, poggio la scatola ed i bicchieri sul bancone e mi levo la giacca. Tolgo i coperchi e sono sollevato nel vedere che il liquido è ancora caldo. Bella si avvicina, anche lei si è tolta la giacca. Indossa un maglioncino blu scuro, con lo scollo a V, non troppo profondo.

…purtroppo…

Il modo in cui quel colore si sposa con la sua carnagione è delizioso. La tonalità fredda del blu esalta la sfumatura rosata della pelle del suo petto e del collo, rendendo ancora più caldo il riflesso mogano dei capelli.
È incredibile come i miei occhi riescano a cogliere così tanti dettagli, sfumature che non avevo mai colto in nessun’altra donna. Sfumature che non mi importava di cogliere. Con lei è diverso.
Aspetto che si sieda accanto a me per sollevare il coperchio della scatola.
- Ciambelle! – esclama con un’espressione tra lo stupito e l’entusiasta – Io adoro le ciambelle, EJ. E ci sono quelle rosa, ma dai! Sono le mie preferite. Sembra che tu mi legga nel pensiero!
- Non sai quanto vorrei poterlo fare, Swan – dico a bassa voce, quasi sicuro che lei non mi abbia sentito.
Mi risparmierei un bel po’ di seghe mentali!

Sì…mentali!

Ok, non solo quelle…


- In realtà me lo ricordavo, pulce! – ammetto candidamente. Bella non dice nulla, si limita a guardarmi con un sorriso dolcissimo sulle labbra.
È uno sguardo, il suo, talmente pulito ed innocente, che è difficile da sostenere per uno come me. Ho quasi paura che solo guardandomi Bella possa spalancare le ante dell’armadio e rimanere sconvolta dalla quantità di scheletri che esse nascondono. Vorrei poter ricambiare tale sguardo e mostrarle tutto di me, senza dovermene vergognare.

…non credo che sarà mai possibile…

- Che stiamo aspettando?! – esclama battendo i palmi – Posso?
- Certo che puoi! – le rispondo. Prendo un tovagliolino e le porgo la ciambella. Scelgo quella con il maggior numero di zuccherini e dai suoi occhi, che seguono attenti i miei gesti, capisco che è proprio quella che avrebbe scelto lei stessa. Infatti, quando la afferra, sorride come una bambina e guarda il suo dolce indecisa sul punto da cui cominciare a divorarla.
Io non sono affatto indeciso, invece. Le divorerei la bocca, in questo momento. Quella bocca tentatrice che si dischiude esitante mostrandomi la punta rossa della sua lingua, per poi richiudersi imbronciata e scoraggiata dalle dimensioni del dolce.
Afferro una ciambella e ne addento un grosso pezzo. Lo faccio solo per evitare di perdere il controllo e di avventarmi su di lei, ignara e per questo ancora più irresistibile, dell’effetto che ha su di me.
Consumiamo la colazione in silenzio, sorseggiando il caffè e scambiandoci sguardi e sorrisi. Bella mangia con gusto la sua ciambella mentre io ne divoro due, scoprendomi stranamente affamato.
- Che ne dici? Facciamo a metà? – le chiedo osservando l’ultima rimasta nella scatola.
- EJ! Hai deciso di farmi diventare una balena? No, grazie. Mangiala tu, io comincio ad organizzare qualcosa. – risponde dandomi la schiena per allontanarsi.
Le mie mani le afferrano la vita e le dita stringono ripetutamente come a voler tastare la sua carne.
- Mh…dici? Io non disdegnerei un altro po’ di sostanza qui – mento spudoratamente. I suoi fianchi sono perfetti da afferrare, da stringere, da accarezzare…
Bella mi schiaffeggia le mani e si gira incrociando le braccia al petto. Adoro quando assume quell’espressione furibonda. È una pessima attrice.

Al contrario di me…

- Questi sono i rischi che si corrono quando ci si fidanza da bambini! – dice irritata…e quasi quasi lo sembra davvero. - Si cresce, si cambia, e ci si deve accettare per come si è, pregi e difetti! - Mi guarda di sottecchi e poi continua – Nessuno ti costringe a…
- Vedrò di accontentarmi – dico serio cogliendola alla sprovvista, afferrando la ciambella e facendola a metà – Tu, però, cerca di venirmi incontro – concludo mettendole davanti il suo pezzo di dolce che stavolta non può fare a meno di accettare.

***

La mattina passa velocemente tra frecciatine e ricordi. Dopo un primo momento di imbarazzo, io e Bella abbiamo cominciato a collaborare come una squadra affiatata. Ho cercato di capire quali fossero le sue intenzioni senza così doverla interrompere ogni cinque minuti per chiederle qualcosa.
Ho scoperto un sacco di cose. È una gran lavoratrice, instancabile e veloce. È testarda, più di quanto immaginassi: pur di non chiedere aiuto è capace di lanciarsi in manovre assolutamente pericolose.
Come in questo momento!
Mi volto e la vedo sull’ultimo piolo della scaletta, in punta di piedi, a voler raggiungere il soffitto per portar via alcune ragnatele. Per poco non mi prende un colpo: in equilibro precario ad allungarsi verso il muro su una vecchia scala pericolosamente traballante. Le basterebbe un attimo per finire sul pavimento e rompersi un braccio o una gamba, o tutti e due. Quasi mi trattengo per non mettermi ad urlare.
Mi avvicino lentamente, cercando di mantenere un apparente autocontrollo.
- Bella? – dico piano per non farla spaventare.
- Sì? – risponde continuando imperterrita nella sua impresa, come se fosse la cosa più normale del mondo.
- Che diavolo stai facendo?! – chiedo allora alzando un po’ il tono. Finalmente Bella si volta verso di me e, guardando in basso, si rende conto di quale sciocchezza stia commettendo.
- Oddio! EJ, e adesso come faccio? – esclama presa dal panico, agitandosi e facendo oscillare pericolosamente la scala.
- Swan, calmati! Stai tranquilla, ci sono io. Mi senti? Sono qui.
- Aiutami ti prego…non riesco a scendere.
- Bella, ti ho detto di stare tranquilla. Non guardare giù e fidati di me. Non devi saltare da una scogliera, devi solo scendere da questa sottospecie di scala!
- La fai facile tu! Non stai quassù, in bilico…cadrò, ne sono sicura.
- Non succederà. E se dovesse succedere, sono qui, sono pronto a prenderti. Mh, forse non avresti dovuto mangiare tutte quelle donuts…
- Razza di…
- Sssh…stai calma, piccola Swan. Ti fidi di me?
- Sì – sussurra in un sibilo quasi impercettibile.
- Non ho sentito. Ti fidi di me?
- Sì, EJ, mi fido di te.
- Ok, perfetto. Ora fa’ quello che ti dico. Lentamente, molto lentamente, solleva un piede, sì così, bravissima. Senza guardare giù, mi raccomando.
- E adesso? Che faccio adesso?
- Calma…abbassati, piano. Piega l’altro ginocchio, Bella. Adesso poggia il piede più in basso…brava. Ora anche l’altro.
Bella esegue alla lettera tutte le mie istruzioni. È terrorizzata davvero. Lo capisco dal lieve tremolio delle sue spalle, dal modo in cui le tiene contratte, dalle nocche sbiancate dalla forza che esercita nella presa.
Quando finalmente si trova più in basso di un gradino, emette un sospiro, di sollievo forse o di frustrazione per gli altri che le rimangono prima di raggiungere il pavimento.
Per quanto riguarda me, superato l’iniziale spavento, i benefici della situazione si sono presentati con chiarezza.

Prima si chiamava “sedere” il culo di Bella. Adesso ha cambiato nome…si chiama “benefici”!

Sì, ok, lo ammetto. Da questa prospettiva le sue morbide, sode ed invitanti curve, fasciate nei jeans stretti, sono quanto di più invitante possa esistere. E più si avvicina, più l’invito rimbomba nella mia testa.

Ora come ora pare stia rimbombando nei pantaloni!

Cazzo! Devo darmi una calmata, se Bella mi vedesse così…
- EJ, ci sei? Come sto andando? Manca molto?
Per fortuna lei e la sua voce preoccupata mi riportano alla realtà…non mi ero nemmeno accorto che oramai i suoi piedi sono all’altezza della mia faccia.
- Sì Bella, ci sono. Sono qui – rispondo afferrandole piano una caviglia – mi senti?
- Sì, risponde in un soffio – ti sento.
Anche se sono consapevole di doverle dare lo spazio necessario, non riesco a non portarmi con il corpo ancora più vicino alla scala, il viso quasi a contatto con le sue gambe, la mano che circonda la caviglia senza accennare a staccarsi. Cerco di ignorare il sussulto che ha avuto quando ha sentito il contatto, cerco di convincermi che non sia fastidio o paura o altro e, soprattutto, cerco di non pensare a quanto sia azzardato il mio gesto.
Bella ricomincia a scendere e lo fa con una lentezza che non ha nulla dell’incertezza di prima.

Possibile che…

Non c’è paura in questo suo muoversi piano, quasi trattenendo il respiro. Non parla, non guarda giù, non se ne sta aggrappata come uno scalatore alla roccia in cima ad una montagna.
Io, ipnotizzato, guardo la mia mano che, immobile, circonda e segue le curve della sua gamba durante la discesa…il polpaccio che si tende mentre si abbassa, il ginocchio che piegandosi trattiene le mie dita, che in questo momento vorrebbero solo stringere.
Deglutisco rumorosamente quando Bella non si ferma, quando col pollice mi accorgo di essere nella zona proibita…l’interno coscia!
Un solo gradino e potrei sfiorare ciò che ho sfiorato solo nei miei sogni.

Non posso farlo…non così…non adesso.
Possibile che non si sia accorta della situazione?
Possibile che invece se ne sia accorta? E se lo stesse facendo apposta?
Cosa significherebbe?


Oh, cazzo!

Ritraggo la mano come scottato. Nello stesso istante Bella scende un altro gradino e adesso mi ritrovo il suo meraviglioso fondoschiena davanti agli occhi.
- EJ, ci sono?
- …oooh, sì…ci sei proprio – non riesco a fare a meno di rispondere.

E la voce da maniaco sessuale completa il tutto!

- Cioè, no…sì…voglio dire, un altro e sei a terra.
Quando i piedi di Bella raggiungono il pavimento, si lascia sfuggire un grosso sospiro. Io, invece, lo sto trattenendo, il respiro…il mio petto sfiora le sue spalle e le sono talmente vicino che posso sentire chiaramente il delizioso profumo dei suoi capelli. Sembrano così morbidi che vorrei potervi affondare il viso, le mani, e per evitare le porto sui bordi della scala, circondando Bella con le braccia.

Adesso, Swan, sei in trappola!

- Visto? – le sussurro all’orecchio – sei sana e salva adesso.
- Sì…grazie – risponde con un filo di voce mentre si sposta un po’ all’indietro.
Peccato che quel po’ sia sufficiente…dannatamente sufficiente. Non credevo di essere così vicino. Non prima che i suoi glutei mi sfiorassero all’altezza del bacino. Non prima che una forte scossa elettrica, dal punto di contatto, si propagasse rapidamente in tutto il mio corpo.
In un gemito strozzato sussurro il suo nome. Che si fottano i “non posso” ed i “non devo”.
Io voglio!
La voglio come non ho mai voluto nulla in vita mia. Voglio sentirmi così, vivo…per lei, con lei. Voglio sentire ogni fibra del mio corpo tendere verso il suo come adesso. Voglio sentire questo folle desiderio offuscarmi la mente. Voglio che lei si lasci avvolgere dalla foschia della passione assieme a me. Voglio che sia mia come non è mai stata di nessun altro.
Vorrei che non ci fosse nemmeno mai stato un fottutissimo altro!
Inaspettatamente Bella si volta, facendosi indietro con il busto, poggiando quasi la schiena alla scala che ora è dietro alle sue spalle. Come attratto da un magnete, mi sporgo in avanti fermandomi ad un palmo dal suo viso.

Dio, quant’è bella!

Sento il suo respiro caldo sulla bocca, una dolce brezza che abbandona le sue labbra dischiuse, turgide e rosse come le sue guance.
I miei occhi, come impazziti, rimbalzano da un punto all’altro del suo viso, ora che non possono ammirarlo nell’insieme, ma possono gustarsi ogni più piccolo particolare: gli occhi spalancati, incorniciati da lunghe ciglia nere, il piccolo naso lievemente arrossato, che vorrei racchiudere tra le labbra per poterlo scaldare. La pelle…una distesa nivea e perfetta adornata qua e là da piccole e deliziose lentiggini.
Mi avvicino ancora e Bella non si ritrae. I nostri respiri veloci rimbombano nel silenzio della stanza.Come seguendo una coreografia perfetta, entrambi pieghiamo di lato la testa. Socchiude gli occhi, mentre io mi passo rapidamente e nervosamente la lingua sulle labbra.
Tutto questo è deliziosamente assurdo.
Sto per baciare Bella e credo di non avere la minima idea di cosa fare!
Le sue labbra sono ad un soffio dalle mie e mi sento nervoso ed impacciato come un ragazzino. Come se fosse il mio primo bacio.

In realtà, probabilmente, lo è davvero…

Chiudo gli occhi pronto a colmare questo piccolo grande vuoto.
Ciò che sento è solo il battito folle del mio cuore nelle orecchie.
- Bella? Ci sei?
E LO SPALANCARSI RUMOROSO DELLA PORTA?!

Ma che cazz…

- Jason! – esclama colei che fino ad un attimo fa era intrappolata tra le mie braccia, ad un palmo dalle mie labbra.
Come diavolo ha fatto a divincolarsi così facilmente?

E poi…un attimo…Jason? Chi cazzo è Jason?!

Jason è quel tipo figo che sta stringendo la tua fidanzatina tra le braccia…

No, no, NO! Che vuole questo tipo dalla mia ragazza? Come si permette a stringerla a quel modo. Chi cazzo lo ha invitato ad entrare!!!
Se penso che un attimo fa stavo per stringerla…io! Non lui! Dannazione…è come vivere un’esperienza extracorporea. A mani vuote me ne sto qui a guardare le sue attorno la vita di di Bella.
Ma io ti ammazzo brutto figlio di put…
- EJ? – mi interrompe Bella voltandosi verso di me – ti presento Jason – Jason questo è il m… lui è EJ.
- Piacere – dice il tizio dall’aspetto finto-trasandato ed il capello spettinato ad arte.
Lo so, amico, che passi la mattinata davanti allo specchio!

Già…chissà perché lo sai…

- Non ho mai sentito parlare di te – esclama sorridendo. Anzi, ghignando.
Il ghigno di Giuda!

Quello era il bacio…

Fottiti!
- Io ed EJ siamo cresciuti insieme, eravamo vicini di casa e ci siamo ritrovati da poco.
Il tono della voce di Bella è un po’ troppo alto, sembra quasi sia nervosa e la cosa non fa che irritarmi ulteriormente.
- Sì – aggiungo io – ci siamo ritrovati da poco ma è come se non ci fossimo mai lasciati.
Uno a zero per me, damerino!
Lo sguardo che si scambiano mi lascia senza parole. Bella ha un espressione dispiaciuta e mortificata, il tipo sembra essere improvvisamente a disagio ed io mi sento inaspettatamente di troppo.
- Scusatemi, ho un lavoro da finire. Ciao Jason. – dico con voce incolore.
- Sì, sì…certo. Vai pure. È bello sapere che qualcuno sta aiutando Bella. È stato un piacere.
- Sapessi… - rispondo oramai di spalle, oramai lontano, estraneo a tutto quello che si diranno.
Quando Bella mi raggiunge, dopo dieci minuti, mi affianca in silenzio aiutandomi a strappare gli ultimi brandelli di carta da parati. Ha un’espressione seria e mi lancia degli sguardi di sottecchi come se volesse capire se sono arrabbiato o meno.
In realtà non lo so nemmeno io. Mi sento…triste! Per un attimo ho pensato che fosse mia, l’ho quasi tenuta tra le braccia, ho visto nei suoi occhi, ho sentito nel suo respiro, lo stesso trasporto che provo io. Ed in un attimo tutto si è dissolto…talmente breve che sembra quasi che io l’abbia immaginato.
Non so che dire, non so come comportarmi. Ho paura di aver sputtanato tutto.
Bella interrompe il flusso dei miei pensieri sconnessi poggiando una mano sul mio braccio.
- Sei arrabbiato? – mi chiede. E lo fa con uno sguardo talmente contrito che vorrei prendermi a calci da solo.

Idiota, idiota, idiota!

- No…io? No…che vai a pensare? Perché dovrei…
- Jason è…
- No Bella, tranquilla. Non devi spiegare nulla. Io credevo che…io…cioè insomma…non avevo capito…
- Infatti non hai capito nulla – esclama divertita avvampando vistosamente – Jason lavora per il corriere espresso che mi consegna i libri.

Primo calcio.

- Quando posso, quando riesco a mettere qualcosa da parte, faccio un ordine…per la libreria, vecchie edizioni di romanzi oppure alcune edizioni limitate. Vorrei che l’atmosfera “antica” del negozio sia la stessa dei libri che proverò a vendere. Sono pazza vero?
- No, non lo sei – esclamo estasiato dai suoi occhi accesi dall’ardore che sente in quello che sta facendo.
- Jason l’ho conosciuto così. È un caro ragazzo e non sta passando un bel momento.

Secondo calcio.

- Ci siamo ritrovati a parlare qualche volta. Sai? Lo ha lasciato la fidanzata, ha perso il lavoro e si è dovuto arrangiare con le consegne.

Terzo calcio.

- Quando hai detto…quando hai parlato di noi, della nostra…amicizia…beh, la sua ragazza lo ha mollato per un vecchio amico, un amico d’infanzia. È per questo…è solo per questo che ci siamo guardati a quel modo.

Quarto calcio…dritto tra le gambe!

- Non c’è niente tra noi…è solo un amico, gli voglio bene come ad un fratello.
- Ok Bella, ho capito. Ti chiedo scusa. Il mio comportamento è stato inaccettabile. Non avevo alcun diritto di reagire così.
- No, non ti scusare. L’importante è che non ci siano fraintendimenti, ok?
Riesco solo ad annuire. Non so se si riferisca unicamente a Jason oppure se la scala sia compresa nei fraintendimenti.
- Non vuoi vedere cosa mi ha portato?
- S-sì, sì certo.
La seguo fino al bancone, dove mi aspetto di trovare uno scatolone ingombrante o una pila di libri. Ciò che trovo è, invece, una busta gialla alquanto sottile.
- Su, aprila – mi invita Bella. Sembra quasi ansiosa, si vede dal modo in cui osserva ogni mio piccolo gesto, dal modo in cui si tortura le dita.
Quando la apro, avvolto in una sottilissima velina bianca c’è uno spartito musicale. Un vecchissimo spartito musicale. La copertina è visibilmente consunta, i bordi sono arrotondati, il colore sbiadito, ma la minuziosità e l’eleganza della cornice e del carattere sono incredibili. Al centro “Debussy” troneggia all’interno di intricati ghirigori e sotto “Clair de Lune” completa il tutto.
Non so quanto tempo me ne sto con lo spartito tra le mani, forse un po’ troppo.
- Allora? – mi chiede impaziente. Ed io non so cosa risponderle. Non lo so per molti motivi…troppi.
L’ultimo regalo che ho ricevuto, un piccolo aeroplano di legno, l’ho tenuto tra le mani per dieci minuti, prima che lui lo facesse a pezzi sotto i piedi. Avrei voluto piangere in quel momento, ma non lo feci. Avevo il terrore che fosse il viso di mia madre a fare la stessa fine.
Ho sognato di giocarci per giorni ma non ho versato una lacrima. Ho asciugato quelle della mamma che si scusava e mi prometteva che mi avrebbe fatto presto un altro regalo. Un regalo che non arrivò mai.
Tutti quelli che ho ricevuto in seguito non si possono considerare regali. Erano solo un modo per tenermi legato, per ribadire chi fossero loro e chi fossi io. Oggetti belli e costosi privi di qualsiasi valore.

Proprio come me!

E adesso guardo lo spartito che ho tra le mani e non posso non pensare che lei lo abbia scelto per me. Non posso non pensare alla sera che ho suonato per lei la stessa composizione. Non posso non pensare…

Ecco…non puoi solo pensare! Di’ qualcosa…

- Piccola Swan, io non ho parole, davvero.
E devo aver usato un tono molto serio, perché il volto di Bella cambia espressione improvvisamente. Dischiude la bocca come a voler dire qualcosa ma non emette alcun suono.
- Probabilmente non dovrei accettarlo. Dovresti risparmiare, per il negozio intendo.
- Oh. Capisco…probabilmente è stata un’idea stupida – dice Bella afferrando lo spartito e cercando di togliermelo dalle mani.
- Come al solito non hai capito nulla, pulce! – rispondo tirando dalla mia parte, lasciandola a mani vuote. – Non è stata affatto un’idea stupida. Tutt’altro. Sei riuscita a farmi rimanere senza parole. Diciamo che non sono solito ricevere regali e probabilmente non so come comportarmi. Scusami se ti ho dato l’impressione di non aver gradito. Non è affatto così. Questo, Swan – continuo sollevando il regalo – è un pensiero fantastico. Non avresti potuto farmi regalo migliore – concludo sorridendo.
E lo fa anche lei, sorride, anche se è evidente la sua perplessità.
Decido di avvicinarmi, poggio lo spartito sul bancone accarezzando la copertina con le dita.
Voglio sentirla vicina come prima, voglio toccarla…baciarla.
- Questa musica mi riporta alla mente tante cose, – le dico mentre circondo le sue spalle con le mani – momenti tristi, dolorosi, ma anche sereni. Mi ricorda mia madre, che la suonava meravigliosamente, mi ricorda Esme ed i suoi insegnamenti – non posso fare a meno di aggiungere, notando il sussulto che ha nel sentire quel nome – e adesso…mi ricorda te, piccola Swan.
Le mie mani risalgono a circondarle il collo sottile e caldo. Posso sentire chiaramente il sangue che scorre frenetico.
Il mio è un fiume in piena. Dovessi assecondare tale impeto mi avventerei sulla sua bocca come un assetato all’acqua. Le divorerei le labbra togliendole il respiro e stringendola talmente forte da imprimere ogni sua curva sul mio corpo.
Ma non posso farlo.
Poggio la fronte sulla sua, inspirando profondamente e sperando che il suo profumo non scateni l’effetto contrario. I nostri nasi si sfiorano, lentamente.
Bella abbassa il volto, forse imbarazzata, forse per sfuggire il contatto, ma la mia mano è subito sotto il suo mento pronta a sollevarlo ed a riportare le labbra lì dove devono essere: di fronte alle mie, rosse, turgide, dischiuse, pronte.

Ok Edward…o adesso o mai più!





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Siate pure spietati. Ho avuto questo capitolo davanti per così tanto tempo, l'ho letto e riletto così tante volte, che mi è venuto davvero a noia. Lo trovo insulso, noioso, inutile e noioso. Sì, due volte!
Non so quando arriverà il prossimo, spero di non farvi aspettare troppo.
Alla prossima, per chi ci sarà,
Miki.

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Capitolo 11
*** Checkmate! ***


capitolo 11 Buonasera a tutti!
Non ve l'aspettavate eh?
Nemmeno io sinceramente.
Questo capitolo mi è scivolato fuori co n una facilità che mi ha lasciata sbalordita! Il merito è tutto vostro. Ritrovarvi qui pronti a leggere di nuovo della storia di EJ e Bella mi ha fatto davvero troppo piacere! Vedere i commenti, vedere quei numeretti che aumentano...ne sono stata davvero molto felice...
Spero davvero che il capitolo vi piaccia, che vi diverta come ha divertito me.
BUONA LETTURA!





Undicesimo Capitolo

CHECKMATE


Ho un nuovo scopo nella vita: uccidere Jason!

Non mi importa che sia un bravo ragazzo, non mi importa che Bella ne sarà sicuramente dispiaciuta, io lo ammazzo.

E deve averlo capito anche lei che il suo amichetto rischia grosso visto il modo in cui mi guarda, camminando nervosamente per la stanza.

Se penso che pochi minuti fa ero a tanto così dal baciarla e adesso lei è al telefono con lui… mi sale una tale rabbia. Mi viene voglia di strapparle quel maledetto telefono dalle mani e ridurlo ad un mucchietto di indistinti pezzettini.

E poi…aspetta un attimo. Perché lui ha il suo numero ed io no?

Per quale dannatissimo motivo lui può chiamarla ed io no?

Perché lui ha un telefono e tu no!

Il telefono… Cazzo! Me ne ero totalmente dimenticato.

Tutta questa storia mi sta facendo diventare matto.

Ben due, non uno, due tentativi falliti miseramente. E adesso che faccio? Come mi comporto? Ma, soprattutto, come si comporterà Bella? Non può fare finta di nulla, non di nuovo!

È terribilmente frustrante.

Quando si è voltata di scatto verso il telefono che squillava, c’è mancato poco che non le finissi addosso. In un attimo mi sono ritrovato di nuovo a mani vuote e con le labbra “a culo di gallina” come un idiota!

Credo che la mia faccia in quel momento la dicesse lunga. “Sconvolto” non si avvicina nemmeno lontanamente…ero…ero allibito!

Forse dovremmo parlarne, forse glielo dovrei chiedere chiaramente. Ma queste non sono cose che si chiedono, cazzo! Non posso andare lì a dire: “Swan, tu mi piaci, io ti piaccio? Ok, baciamoci!”.

NO!

Quando due persone si amano, non c’è bisogno di chiedere…si sente!

Un momento…

Amano?

Piacciono…volevo dire piacciono!

Perché non hai semplicemente ignorato quello stramaledetto telefono, Swan?

Possibile che ti sia lasciata trasportare dalla situazione fino a questo punto? Ma che in realtà tu non lo voglia?

Uff…non so che darei per sapere cosa ti passa in quella testolina, pulce.

Forse, se facessi il distaccato, magari anche un po’ scontroso, potrei capirci qualcosa. Se non fossi così disponibile lei potrebbe esporsi un po’ di più. Non devo essere solo io ad espormi, giusto? Le cose si fanno in due…

Sì, ok. Ho deciso…

- EJ?

- Siiiì? – dico voltandomi e sfoderando il più ebete e paralitico dei miei sorrisi.

…scontroso e distaccato…idiota e smidollato vorrai dire! E coglione, ovviamente!

- Io direi di fermarci qui per oggi. L’ora di pranzo è passata da un pezzo, sarai affamato e…stanco.

Questa è la tua occasione…

Sì, ok… ora le dico che va bene, che ci fermiamo qui e con tono distaccato le dico arrivederci. Non ha ben chiaro con chi ha a che fare.

- EJ, mi hai sentita?

- Eh? Sì, certo…Io affamato? Stanco? Ma che ti passa per la testa. Possiamo continuare per un altro po’ se vuoi. Non sono affatto stanco e non ho molto appetito.

Peccato che il mio stomaco non la pensa come me e, non appena finisco la frase, si esibisce in uno dei più profondi ed imbarazzanti ruggiti che si possano emettere.

Punizione divina per sparare stronzate! E per pensarle, soprattutto!

Bella non riesce a trattenere un sorriso che dopo un po’ si trasforma in una vera e propria risata, spontanea, cristallina, liberatoria e contagiosa, tanto che non posso fare a meno di sorridere anche io.

- Beh, magari giusto un po’ – dico massaggiandomi la nuca con la mano.

Una cosa è certa: la tensione è passata. Non c’è più l’imbarazzo palpabile che aleggiava prima. È come se non fosse successo niente e, se da un lato mi fa piacere, dall’altro è profondamente scoraggiante.

- Potremmo mangiare qualcosa – propongo. – Vorrei almeno sistemare quelle mensole.

- Non c’è problema, EJ. Puoi farlo un altro giorno, non voglio che perdi il tuo tempo qui, è da stamattina che…

- Non è tempo perso! – la interrompo quasi irritato. Non la capisco quando fa così! Non so se si preoccupi davvero per me o se semplicemente non mi voglia tra i piedi. Soprattutto alla luce di quanto è successo prima.

- Abbiamo un accordo, giusto?

- Sì, ma…

- Niente ma! C’è tanto lavoro da fare – osservo, mentre Bella si guarda in giro sospirando. – Non mi ci vorrà molto, in un paio d’ore quelle assi saranno saldamente attaccate alle pareti e la prossima volta potrò occuparmi dei muri. Dobbiamo eliminare quelle tracce di muffa prima di stendere il colore. Conosco un prodotto che fa davvero mi…

- C’è qualcosa che non sai fare, Masen?. – Bella mi guarda sospettosa, socchiudendo gli occhi e piegando la testa da un lato come a volermi mettere a fuoco.

- Potrei stupirti piccola Swan – dico avvicinandomi e dandole un colpetto con l’indice sul quel naso delizioso. – In effetti sono bravo in molte cose

Il modo in cui il suo sangue affluisce al viso, colorandole gustosamente le guance, mi conferma che ha capito perfettamente a quali cose io mi riferisca.

- Ehm…quindi…direi di andare a prendere qualcosa da mangiare. – Si allontana indietreggiando e distogliendo lo sguardo.

- Attenta! – Le afferro un braccio poco prima che finisca a terra dopo aver inciampato nei suoi stessi piedi. – Puoi.Guardare.Dove.Metti.I.Piedi?! Stai qui…vado io. Faccio in un attimo.

- NO! Vado io…per favore. Hai qualche preferenza? – mi chiede affrettandosi a mettere la giacca.

- Nessuna. Va bene qualsiasi cosa.

- Perfetto. Torno subito – dice aprendo la porta.

- Bella?

- Sì?

- Stai attenta. – E non lo dico tanto per dire o per prenderla in giro. Quando è accanto a me, sono sicuro che non possa succederle nulla di male.

Tranne che stare accanto a te.

- Faccio in un attimo – risponde sorridendo e alzando gli occhi al cielo.

Ogni volta che lo vedo, quel sorriso, sento una sensazione di calore esplodermi nel petto.

Ho una voglia devastante di poter arrivare a lei, di sfiorarla, di farla mia in ogni modo possibile… e non mi riferisco solo al sesso. Anche a quello, sicuramente, ma non solo.

Ma allo stesso tempo, la paura di contaminarla non mi abbandona nemmeno per un attimo.

Sì, esatto. Perché Bella, ai miei occhi, è pura. E non nel senso che intendono di solito gli uomini quando idealizzano una donna, no. Bella è pura perché non sa cosa voglia dire scendere a compromessi, sa cosa sia il sacrificio e l’impegno costante. È piena di forza di volontà e spirito d’iniziativa. È forte, indipendente, sveglia, e la cosa più bella è che non ha perso quel lato più infantile e ingenuo del suo carattere.

Non sono attratto da lei perché non ha nulla a che fare con tutto quello che sono stato finora. Sono attratto da lei perché… è lei, semplicemente.

È Bella.

Ogni secondo che passiamo insieme mi fa desiderare di non allontanarmi neanche per un attimo. Adesso che non c’è, la sua assenza pesa come un macigno e non posso non temere il momento in cui oggi dovrò separarmi da lei.

Quando rientra in negozio e posa il sacchetto sul bancone, mi avvicino notando quanto sia infreddolita. Le tolgo i guanti e comincio a sfregarle le mani gelate sotto il suo sguardo stupito. Bella mi guarda perplessa ma per fortuna mi lascia fare, senza trattenere un sorriso.

Mi limito a scaldarle le mani anche se vorrei poter fare di più.

Potrei abbracciarla ad esempio, circondarle le spalle e farle sentire il mio calore.

Sì…e magari potresti spogliarti e ricoprire il suo corpo nudo con il suo!

Perché no!

Sopravvivenza, corso base!

Mangiamo i panini che Bella ha acquistato, sorseggiando una coca e discutendo del colore delle pareti. Lei vorrebbe un colore caldo ma io le suggerisco un blu scuro, con le rifiniture color avorio, trovo che si sposi meglio con il colore dei mobili e, soprattutto, è il colore che meglio si sposa con lei. Dopo un primo momento di titubanza, anche Bella concorda che sarebbe un abbinamento perfetto, che darebbe alla libreria un’aria un po’ retrò. È davvero contenta di poter parlare di queste cose. Finora ha sempre preso da sola ogni decisione ed avere un secondo parere, un altro punto di vista, è una cosa che gradisce molto.

Appena finiamo di mangiare, Bella comincia a sistemare i vari utensili che abbiamo utilizzato mentre io mi occupo della riparazione delle mensole. In meno di due ore ci ritroviamo al centro del negozio a guardare il lavoro che abbiamo fatto.

Potrebbe sembrare poco ma non lo è.

L’espressione di Bella è soddisfatta e ciò mi rende orgoglioso perché parte di quella soddisfazione è dovuta al mio lavoro. È la prima volta che rendo soddisfatto qualcuno.

È la prima volta che rendi soddisfatto qualcuno senza utilizzare l’arnese che hai tra le gambe!

Anche! Ed è stato molto più appagante.

Aiuto Bella a mettere tutto a posto e, dopo aver chiuso, ci incamminiamo verso casa sua, come se fosse scontato che io debba accompagnarla.

E lo è…per me lo è.

Lungo il tragitto Bella comincia a farmi un sacco di domande assurde, dalla musica che mi piace a che tipo di colazione faccio al mattino o se sono solito bere il latte dal cartone.

Io rispondo pazientemente. Mi piace che lei mi chieda certe cose.

Mi piace che le sappia!

Mi chiede se mi piace leggere e le rispondo che, sì, mi piace, ma che in passato non ho avuto molto tempo per farlo.

- Ultimo libro letto?

- Mh…Sulla strada.

- Piaciuto?

- Ho gettato la spugna poche righe dopo aver cominciato. Avevo la testa altrove quella sera.

In verità pensavo a te, piccola Swan. Le parole si rimescolavano sulla pagina bianca e ciò che vi leggevo era solo il tuo nome.

- Beh, ti consiglio di riprovarci. È un bellissimo romanzo. L’ho letto al college e ricordo di aver avuto anch’io un po’ di difficoltà all’inizio.

- Allora farò sicuramente un altro tentativo. E tu? Cosa stai leggendo?

- Oh, io sono monotona in fatto di letture: alterno libri nuovi a classici della letteratura inglese, americana o russa, e non nego di avere un debole soprattutto per questi ultimi. Adesso sto rileggendo Jane Eyre…per la quinta volta.

- Cosa? La quinta?!

- Sì, adoro quel romanzo. Lo conosci?

- Ho intravisto il film, vale? – mento spudoratamente. Ho visto il trailer in tv…mi pare.

- No che non vale! – mi ammonisce Bella colpendomi un braccio. – Il film non rende neanche lontanamente l’intensità del romanzo, la passione di Jane, il legame con Rochester. Io adoro Jane. È un’umile istitutrice dall’aspetto ordinario ma il suo animo è così ricco, nobile, mentre lui…

- Lui?

- È un bugiardo! Ecco che cos’è.

- U-un…b-bu-bugiardo?

- Sì! Jane si innamora profondamente di lui, gli affida la sua giovane vita, la sua anima, è pronta a giurargli amore eterno ed alla fine si scopre che è già sposato. Ti rendi conto?

- E…c-come finisce?

- Beh, se te lo dicessi che gusto ci sarebbe a leggerlo? – Mi fa l’occhiolino ed io riesco ad abbozzare un sorriso tirato.

Mi sento come se mi fosse passato sopra un tram.

Il modo e l’espressione che aveva quando ha sputato quella parola, bugiardo, mi hanno fatto mancare la terra sotto i piedi.

…bugiardo…

Come fosse una malattia contagiosa, un peccato mortale, un crimine imperdonabile…

Come darle torto? Come…

Lei non immagina la voglia che ho di aprirle, quelle fottutissime ante dell’armadio, e mostrarle i miei scheletri, ma non riuscirei a sopportare quello sguardo indignato su di me. No, non da lei.

Forse… se mi conoscesse meglio, se riuscissi a mostrarle chi sono in grado di essere e cosa sono capace di fare, forse capirebbe il perché di tutto…

Sei tu, Swan, che mi ha dato e che continui a darmi la forza per tirarmi fuori da quello schifo. È solo grazie a te se oggi per la prima volta non mi sento sprofondare in un baratro senza fine. Sono ancora sull’orlo di quel baratro e spesso sento la terra cedere ma, quando sto con te, tu mi fai compiere quei piccoli passi in avanti che non credevo di poter compiere.

- …sco te lo presto.

- Co… Scusa, come?

- Ho detto che, se vuoi, appena lo finisco te lo presto.

- Sì, certo…naturalmente!

- Allora…ci vediamo.

Dannazione! Siamo già arrivati!

- Sì…quando? Domani potremmo fare quel lavoro di cui ti parlavo.

- Domani proprio non posso, ho il doppio turno al caffè. Devo sostituire Jessica.

Magari…potremmoscambiarciilnumeroditelefono – dice d’un fiato arrossendo vistosamente.

Cazzo! Il telefono…

- No!

- Ah. Ok. Sì, scusa…non volevo essere invadente. Fai finta che non abbia detto niente.

- No no no…cioè, sì. Porc…voglio dire…mi piacerebbe, ma in questo momento non ho un telefono. Si è rotto e non ho ancora avuto il tempo di andare a comprarne un altro. Anzi, potrei andare adesso. V- vuoi venire?

Di’ di sì, di’ di sì, di’ di sì…

- Mi piacerebbe, davvero, ma sono stanchissima ed ho urgente bisogno di una doccia. Mi sento le ragnatele ovunque!

- Oh, beh…certo…non preoccuparti – rispondo in fretta, cercando di celare la delusione e, soprattutto, cercando di non pensare alle sue parole.

Ragnatele uguale scala uguale bacio mancato.

Doccia uguale nuda.

Bacio più nuda uguale restringimento immediato dello spazio vitale nei miei pantaloni.


- Allora ci vediamo domani al caffè – dico, cercando di cambiare il discorso che si sta svolgendo nella mia mente bacata. – Impegnati, mi raccomando. Ne voglio una fetta enooorme.

Le faccio l’occhiolino e Bella sorride facendo un cenno di assenso col capo.

- Mi è mancata – mi lascio sfuggire. Ed è chiaro che non mi riferisca solo alla sua torta.

- A domani allora…

- Buonanotte piccola Swan.

- Buonanotte EJ.

* *** * *** *

Steso sul letto, al buio completo, smanetto con il mio telefono nuovo come un bambino che ha appena scartato il suo regalo di Natale.

Dopo aver installato un bel po’ di applicazioni inutili, impostato la suoneria e regolato la sveglia, torno al display principale, che ho lasciato privo di immagine, completamente nero. In questo modo è molto più facile immaginare che ci possa essere una sua foto…o una foto che ci ritrae entrambi.

Mi addormento sorridendo, pensando a Bella avvolta nelle coperte. Mi addormento stringendo un cuscino, immaginando che sia lei.

- Buonanotte piccola Swan – sussurro prima di cadere in un sonno profondo.

* *** * *** *

Il locale di Emmett si trova in centro. “The Grizzly Bear” è il nome. Fosse stato per lui sarebbe stato una bettola, ma grazie all’aiuto ed al gusto di Alice è un locale di lusso, che mantiene lo stile rustico, quasi country che voleva Emmett, ed è il più rinomato di tutta la città.

L’ambiente pulito e l’atmosfera accogliente lo rende adatto ad una clientela varia, da coppie giovani a famiglie o gruppi di amici, e la musica live, jazz, blues, rithm’n blues, attira non pochi appassionati del genere.

Suonare al “Griar”, così lo ha ribattezzato Emmett, è un’esperienza esaltante. L’acustica è qualcosa di fenomenale, senti la musica scorrerti dentro e vibrare negli occhi della gente che ti ascolta.

Quando Carlisle ed Esme mi chiesero se volessi lavorare nel locale del loro primogenito come pianista, l’offerta mi stupì non poco. I nostri rapporti si erano allentati da tempo, in realtà mi facevo vedere e sentire poco e niente per paura che mi leggessero negli occhi cosa fossi diventato. Nonostante questo, accettai l’offerta con entusiasmo. Avrei potuto suonare. Avrei potuto fare la cosa che più amavo fare. Sembrava un sogno…

- Rosalie, chi è lui?

- Lui chi?

- Come chi? Lui…il pianista.

- Oh, Edward! Lui è un amico di Emmett, una sorta di fratello in effetti. Carlisle ed Esme, i suoi genitori, lo hanno aiutato molto, ha avuto un infanzia difficile: orfano di entrambi i genitori ed affidato ad uno zio che lo ha sfruttato nonostante fosse poco più di un bambino.

- Capisco…Edward, eh? Chi lo avrebbe mai detto…

- Tanya, no! Edward è un bravo ragazzo ed Emmett tiene molto a lui.

- Non preoccuparti Rose…un bravo ragazzo…sì, certo…


Quella sera notai subito la donna che era in compagnia di Rosalie. Tutti lo fecero. Il tubino nero le avvolgeva il corpo come una seconda pelle ed era tanto castigato sul davanti quanto peccaminoso sul didietro, scoprendo gran parte della schiena attraverso un’apertura così ampia e profonda da rivelare chiaramente la totale assenza di biancheria intima. Le gambe, velate da un impalpabile strato di seta trasparente, erano lunghe e affusolate e la sottile riga nera, che dietro le percorreva in tutta la sua lunghezza, guidava il mio sguardo eccitato dalle caviglie sottili fino al suo sedere perfetto.

Ogni cosa in lei mi eccitava. Il suo corpo dalle forme perfette, le sue labbra rosse, i capelli raccolti, il suo sguardo fisso su di me, prepotente, sicuro, come se già fossi una cosa di sua proprietà.

Non ho mai saputo con esattezza cosa si fossero dette Tanya e Rose quella sera, ma il loro dialogo si svolge abbastanza chiaramente nella mia testa e durante gli incubi che popolano le mie notti.

Quando chiesi a Rosalie chi fosse la sua amica, mi disse che era una delle più importanti finanziatrici della sua associazione, che si occupa di donne vittime di violenza. È sempre in cerca di fondi per sostenerle ed aiutarle nel difficile percorso di riabilitazione e Mrs Leech le stava dando grande aiuto. Nonostante ciò mi disse chiaramente di starle alla larga.

Rosalie non immagina nemmeno che quella sera, all’uscita dal Griar, una limo nera con i vetri oscurati mi attendeva. Sentii solo il rumore del finestrino che si abbassava ed un “entra” appena sussurrato.
All’interno dell’auto eravamo soli, io e lei. Un divisorio ci celava dallo sguardo dell’autista. L’unica luce proveniva dal suo cellulare e Tanya guardava il display con uno strano sorriso sul viso e alzando di tanto in tanto lo sguardo.

- Sei tu, vero? – mi chiese mostrandomi l’immagine che fissava con tanta insistenza.

Sapevo di quella foto, sapevo anche chi me l’aveva fatta, e sapevo che era proprio per quella foto che il mio telefono squillava ininterrottamente da settimane.
Non feci nemmeno in tempo a rispondere che mi ritrovai schiacciato contro il sedile con i fianchi intrappolati tra le sue gambe.

Non fu facile addomesticare Tanya, farle capire quali fossero i limiti. Non avevo mai avuto a che fare con una donna così…passionale.

Prenderla sul sedile posteriore di una limousine, mentre le luci della città proiettavano i loro bagliori sui nostri corpi nudi, sudati ed intrecciati, fu un’esperienza esaltante, non mi era mai successo prima di lasciarmi coinvolgere al punto da non riuscire ad anteporre il suo piacere al mio.

La seconda volta, sulle scale per raggiungere il suo appartamento, ritornai in me, nonostante mi costasse uno sforzo maggiore del solito, e le strappai un orgasmo talmente violento da farle piegare le ginocchia. Dovetti trattenerla a me, circondarle la vita con il braccio e schiacciare la sua schiena contro il mio petto per non farla cadere in avanti.

La terza e la quarta volta lo facemmo a letto.

Ed il letto fu l’unica cosa convenzionale.

Tanya assorbiva tutto il mio tempo… e buona parte delle mie energie. Dopo poco fui costretto a lasciare il lavoro al Griar.

Ed Emmett non me lo ha mai perdonato. Non è stato molto…carino, da parte mia, scomparire in quel modo.

* *** * *** *

- No Edward! Ti ho detto di no e te lo ripeto…NO!

- Ma, Emm…lo sai che il locale non è mai stato così pieno come quando c’ero io a quel piano – dico indicando lo strumento al centro del palco.

- La tua solita modestia!

- Non si tratta di modestia. È un dato di fatto…non puoi negarlo.

- Mi sento un idiota ad inseguire Emmett per tutto il locale. Sono due giorni che cerco di farmi riassumere ma lui sembra assolutamente irremovibile.

- Non si tratta solo di riassumerti, Ed. Ma possibile che tu non ti renda conto? Sei sparito! Spa-ri-to!

- Lo so, ma…

- No, niente ma. Sono mesi che non ti fai né vedere né sentire.

- Sì, ma…

- Ho detto niente ma, Edward! – sbotta voltandosi e puntandomi il dito. – Hai la più pallida idea di quanto mamma sia in pensiero? Cazzo Edward…tu sei come un figlio per loro. Io ti consideravo un fratello, credevo fossi una persona seria.

- Lo so, Emm, credimi. Ho fatto un errore ma adesso è diverso…adesso è tutto diverso. Dammi una seconda possibilità. Fidati di me, non ti deluderò…non stavolta. Mettimi alla prova.

- Al massimo potrei metterti al lavare i pavimenti – dice sottovoce.

Continua a fare l’inventario degli alcolici, borbottando tra sé e sé. Non posso fare a meno di sorridere, quando fa così è fatta.

- Ok – sbuffa senza nemmeno guardarmi.

Lo sapevo!

- Sabato sera…voglio sentire cosa sanno fare ancora quelle mani.- La sua sembra quasi una minaccia.

- Non te ne pent…

- Se ti sei arrugginito, sei fuori!

- Sì, io…

- Se non piacerai alla clientela, sei fuori!

- Bene, vedr…

- Se fai cazzate, sei fuori!

- Emm, ti ass…

- Se scompari di nuovo…sei morto!

- Grazie…grazie! A sabato sera allora…a sabato – ripeto entusiasta ed eccitato solamente all’idea. Non vedo l’ora di dirlo a Bella…sarà sicuramente contenta, magari orgogliosa…

- Hey, Ed?

- Sì?

- Chiama Esme…per favore.

- Lo avrei fatto comunque. A sabato.

Quando esco dal Griar non posso fare a meno di sorridere. Erano giorni che pensavo di trovare un lavoro e, dando un’occhiata alle offerte, sui giornali, ho capito che le cose erano due: o mi andavo a rinchiudere di nuovo in una fottuta officina, oppure mi sarebbero servite un paio di lauree ed una decina d’anni d’esperienza…in qualsiasi settore.

Probabilmente ho scelto la strada più facile, ma ciò che voglio fare deve pur valere qualcosa, no? Ed io voglio suonare…

Sono felice. Tempo fa non avrei mai creduto di poterlo dire. Tutto sembra volgere per il verso giusto, non potrebbe andare meglio.

Beh…non proprio…con Bella potrebbe andare decisamente meglio.

Non che non vada bene…anzi, ma dal “giorno della scala” non c’è stato alcun progresso. Semplicemente è come se non fosse successo nulla.
Nelle ultime due settimane abbiamo passato un sacco di tempo insieme, i lavori al negozio stanno andando alla grande, tra qualche giorno daremo la prima mano di colore alle pareti. Quando non ci vediamo lì lo facciamo al caffè e, se non c’è troppa gente, riusciamo anche a chiacchierare un po’.
Sono riuscito a raccontarle, non senza difficoltà, un po’ della mia vita dopo la morte della mamma. Ho addolcito molte cose, non mi piace vedere piangere Bella, o dispiacersi, soprattutto se la causa sono io.
Anche lei mi ha raccontato della sua vita prima di rincontrarci ed anche se lo fa con il sorriso sulle labbra, sono sicuro che non deve essere stato facile affrontare ed accettare il divorzio dei suoi genitori e la separazione da suo padre.

Anche in questo Bella dimostra una forza invidiabile.

Ci siamo scambiati il numero di telefono…finalmente, e spesso, subito dopo esserci salutati, cominciamo un fitto scambio di messaggi. Ci teniamo compagnia mentre ceniamo, facciamo la spesa o vediamo la tv, commentando il programma o il film come se lo stessimo vedendo insieme.
Il suo “Buongiorno” e la sua “Buonanotte” segnano l’inizio e la fine delle mie giornate ed aumentano disperatamente la voglia di vederla.

Non abbiamo mai parlato di quello che stava per succedere tra noi, anche se ci sono dei momenti in cui l’imbarazzo è palpabile. Quando ci sfioriamo, a volte per caso, a volte no, non sono il solo a sentire una forte scossa elettrica ed il calore pervadermi il corpo, li sente anche lei, me ne accorgo, è evidente. Può nasconderlo nelle parole, nei gesti, ma la tradisce quello stupendo e soffuso rossore che le colora le guance, la tradisce il modo in cui ritrae la mano, con cui velocemente si sposta mordendosi il labbro inferiore. In quei momenti cala un silenzio imbarazzante, che per fortuna riusciamo a superare in pochi minuti. Sono quasi sicuro che, se la baciassi, Bella non mi rifiuterebbe, ma ho deciso di non farlo, ho deciso di lasciarle il suo spazio ed il suo tempo. Aspetterò che sia lei a farsi avanti, cercando nel frattempo di non fraintend
ere i segnali.

Non è per me che non indossa più maglie abbondanti.

Non è per me che calza meno frequentemente le scarpe da ginnastica per sostituirle con graziose e più femminili ballerine.

Non è per me che ha cominciato a mettere il lucidalabbra facendo sembrare il suo labbro inferiore ancora più pieno e sporgente e perciò dannatamente invitante.


In alcuni momenti mi viene anche il dubbio che stia flirtando, ma poi mi bacchetto mentalmente pensando che non è per me che, quando parliamo, gioca con i suoi capelli, intrecciandoli tra le dita e portandoli dietro alle orecchie. Non è per me che sbatte le lunghe ciglia più del dovuto o che gioca con il ciondolo appeso alla collana, invitando i miei occhi sul suo petto, come se già non vi indugiassero abbastanza.

Ed io spero che pensi che non sia affatto per lei che il mio pomo d’Adamo fa bungee jumping nella mia gola e che non sia per lei che spesso devo assentarmi per cercare di darmi una calmata ed evitare che si accorga del “terzo incomodo”.

Insomma… l’ho detto che potrebbe andare meglio?

Decisamente potrebbe.

Potrebbe anche andare peggio.

E bentornato ottimismo!

Cerco di ignorare questo pensiero e mi affretto a raggiungere il caffè. Oggi non ho visto per niente la mia piccola Swan e lei non si aspetta di vedermi prima di domani pomeriggio, ma sono troppo impaziente di darle la notizia e, se mi sbrigo, arrivo prima della chiusura. Nonostante gli ultimi metri me li sia fatti quasi correndo, quando raggiungo il locale, il cartello “CLOSE” troneggia beffardo sulla porta. Le luci sono accese anche se dentro non si vede nessuno. Solo metà delle sedie sono sollevate sui tavoli, segno che c’è ancora qualcuno.

Busso sul vetro, ma niente.

Quando, senza speranza, cerco di aprire la porta, mi sorprende trovarla aperta. Il suono del campanello avrà attirato sicuramente l’attenzione di qualcuno e mi aspetto di veder comparire Bella da un momento all’altro.

Ancora niente.

Sto per andarmene quando sento la porta del retro cigolare rumorosamente.

- Brrr…Jessica avrebbe almeno potuto buttare l’immondizia!

È lei…è Bella. Sentire la sua voce dopo quasi ventiquattro ore è…emozionante.

- Bella?

C’è anche Angela.

- Quando ha un appuntamento non ce n’è per nessuno.

- Bella!

- Che c’è?

- Non cambiare discorso…

- Oh, Angela, non c’è nulla di cui parlare, nulla!

- Ma sono passate più di due settimane.


Mi blocco all’istante sentendomi improvvisamente fuori posto. Non so di che stanno parlando ma ho il vago sospetto che non dovrei sentire questa conversazione.

- Lo so… - La voce di Bella è sconsolata.

- Ma tu DEVI fare qualcosa.

- No, non credo. Le cose vanno benissimo così. Non voglio rovinare tutto. Non di nuovo…non con lui. Ho bisogno di EJ. Ho bisogno della sua amicizia.


Oh cazzo! Decisamente non dovrei essere qui.

Che cazzo faccio adesso? Se esco, quella fottutissima campanella si mette a suonare e se rimango qui potrebbero scoprirmi da un momento all’altro.

Sono fottuto!

- Amicizia? Bells…ma lo hai visto? I tipi come lui non ispirano amicizia, ispirano violenza. Carnale! Non venire a dirmi che non sei attratta da lui.

- B-beh…s-sì…ma è normale no? È un bel ragazzo! Obiettivamente v-voglio dire.


Oh. Santo. Cazzo! Harry Potter aiutami tu! Fammi smaterializzare…ora!

- E si dà il caso che tu faccia sogni zozzi su tutti i bei ragazzi che conosci, giusto?

- Beh…non che io ne conosca molti…

- Bella!

- No. Non mi era mai successo.


Piccola Swan fa sogni erotici…su di me…ed io potrei venire nelle mutande.

Le piaccio…

Mi trova bello…

E non dovrei essere qui.

Mi guardo intorno per valutare le vie di fuga.

Nessuna, tranne la porta.

E se apro quella porta sono fottuto!

E se non la apro, sono fottuto lo stesso.

Potrei nascondermi dietro al bancone e rimanerci fino a domani mattina. Potrei aprire la cassa, afferrare qualche dollaro e fuggire via facendo credere loro di essere un ladro.

Bella si spaventerebbe da morire.

Sono fottuto!

- Non posso espormi troppo, Angela. Non dopo che per due settimane non ha mai accennato all’episodio…

- Ti riferisci a quando stavate per farlo sulla scala?

- Angela!


Le ha raccontato della scala…

- Dai Bella! È ovvio che non ci abbia riprovato. Lo hai interrotto…due volte!

- Ma…

- E non dirmi che è squillato il telefono. Non dirmelo! Potrei non rispondere delle mie azioni.

- E cosa dovrei fare? Non c’ha più provato, evidentemente ha capito anche lui che era uno sbaglio, che è meglio lasciare le cose come stanno.


Ti facevo più intelligente, piccola Swan.

- Bella, ascoltami, mister torta di mele ha provato a baciarti, due volte. E tu lo hai interrotto…due volte! Ti rendi conto che è come averlo castrato? Sta aspettando una tua mossa, un cenno. È un uomo, Bella, è orgoglioso, non può rischiare di nuovo.

Angela comincia proprio a piacermi.

- Ma io…veramente…l’ho fatta la mossa.

- Tu cosa? E che avresti fatto, sentiamo.

- Beh, mi faccio carina…per lui.

- Mettersi una maglia decente non è una mossa! Mettersi un push up è una mossa!


Non pensare al push up, non pensare al push up…

- Mi sembri Jessica.

- Jessica per alcune cose ha ragione Bella. Stiamo parlando di ragazzi, non di libri, santo cielo! Sii sincera, lui ti piace?

- Sì, mi piace.


Io le piaccio.

- Cosa provi per lui?

- Oh Angie…non puoi farmi sempre le stesse domande.


Rispondi Swan, ti prego…

- Rispondimi!

- Io…non lo so. Non so se provo qualcosa, non so se sia giusto provare qualcosa.

- Per una volta, Isabella, non pensare a cosa sia giusto o sbagliato, pensa a te, a quello che vuoi.

- Sono contenta, ecco cosa provo. Sono contenta di averlo ritrovato, sono contenta che faccia parte della mia vita, sono contenta quando mi guarda, quando siamo vicini. EJ mi fa stare bene…e la cosa mi terrorizza!


Terrorizza anche me…credimi…

- Sei un caso disperato. Io ci rinuncio. Sei un pedone, Bella! Ed i pedoni non fanno mai scacco!

La voce di Angela sembra più vicina e, preso dal panico, l’unica cosa che mi viene in mente di fare è quella di aprire e richiudere rumorosamente la porta.

- Bella? Ci sei? Posso entrare? – chiedo ad alta voce come se fossi appena entrato.

La prima ad affacciarsi è Angela e, subito dopo, Bella compare andando a sbattere contro la schiena della sua amica.

- EJ?! C-che…cosa ci f-fai..qui? – mi domanda con voce stridula ed imbarazzata.

- Beh, passavo per caso ed ho visto le luci accese. È tardi. Non vorrai tornare a casa da sola! Finisci pure, io ti aspetto – le dico sedendomi ad un tavolo.

Non mi sfugge la leggera gomitata che Angela dà a Bella e lo sguardo di rimprovero di quest’ultima.

Dopo qualche minuto, senza che io le abbia chiesto niente, mi porta un caffè ed una fetta di torta. Mangio il dolce e la osservo, senza il timore di essere scoperto, stavolta, anzi, con la speranza che lei se ne accorga. Se c’è una cosa che ho capito da quello che ho sentito prima è che non conosco le donne così bene come credevo. O meglio, è la mia piccola pulce a non essere affatto come le donne che ho conosciuto.

Volevo un segno e l’ho avuto, anche se lei non lo sa.

Lungo il tragitto verso casa sua siamo entrambi molto silenziosi. Bella cammina guardando in basso, io cammino guardando lei.

- Com’era la torta? – mi chiede d’un tratto.

- Ottima, come al solito.

- Ma non era la migliore che tu abbia mai mangiato – dice alzando gli occhi al cielo e ripetendo le mie parole come una cantilena.

- Che turno hai domani?

- Come?

- Domani, Swan, che turno hai?

- Pomeriggio, perché?

- Facciamola insieme.

- COSA?!

- La torta. Vengo qui domani mattina – dico indicando casa sua, che abbiamo ormai raggiunto – e ti aiuto a farla.

- E pensi che cambierà qualcosa con la tua presenza?

- Hey…fai poco la spiritosa, piccola Swan. È della torta di mia madre che stiamo parlando. Potrei aver ereditato il gene.

Bella ride di gusto ed io la ammiro incantato. È splendida, è spontanea e starle vicino è come respirare una ventata di aria fresca.
Guardo il suo viso pulito, radioso, e non riesco a credere a ciò che ho sentito poco fa, al caffè.
È attratta da me, vuole quel bacio quasi quanto lo voglio io e se anche questo fosse un sogno mi sveglierei felice.

- Ahi! Ma che…

- Rammollito! Era solo un pizzicotto…eri di nuovo nel mondo dei sogni.

Eccome…ma a volte i sogni si avverano.

- Allora siamo d’accordo.

- Sì…su cosa?

- Uff…sei impossibile. Domani? La torta?

- Ah, sì, giusto. A domani allora – dico avvicinandomi e costringendo Bella a poggiare la schiena contro la porta.

Crede che mi sia pentito di aver provato a baciarla… Vediamo di farle cambiare idea.

- A-a…d-domani – risponde con voce tremula, cercando a tentoni la maniglia.

- Mi raccomando – le sussurro all’orecchio con voce bassa, sfiorandole la tempia con il naso, - fai tanti bei sogni, piccola Swan.
Inspiro forte il suo odore, lasciando che una scarica di eccitazione pervada tutto il mio corpo. Il respiro di Bella è corto, affannato, e lo sento bruciare sul collo.

Poi è un attimo.

- A-anche a tu…buonanotte! – La porta si apre, Bella scivola dentro ed in pochi secondi mi ritrovo con il legno bianco ad un palmo dalla mia faccia.

A domani Bella…e non ci sarà nessuna porta a salvarti!

Hai fatto la tua mossa…tocca a me fare scacco matto!





Mi scuso se non ho risposto alle recensioni dello scorso capitolo, ho intenzione di farlo al più presto. Appena avevo un minuto mi fionadavo a scrivere...sorry.
Questo capitolo aveva un altro titolo ed un altro scopo. Per motivi di ECCESSIVA lunghezza ho preferito dividerlo in due, anche se ciò allontanerà ancora un po' il "momento della svolta". La notizia positiva è che il prossimo è praticamente pronto e posterò al massimo tra una settimana.
Grazie a tutti.
Miki.

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Capitolo 12
*** A little piece of apple pie ***


capitolo dodici BUON 2012 A TUTTI!!!

Finalmente è il 2011 è andato via, lasciandomi, personalmente, solo bruttissimi ricordi! Spero che quest'anno nuovo sia più sereno, per me e per tutti voi che pazientemente attendete i miei deliri.

Chiedo umilmente scusa! Avevo detto che il capitolo era pronto...e lo era! Purtroppo spesso scrivo su carta e stavolta non ho avuto il tempo materiale di mettermi a ricopiare questa marea di idiozie su word! Ricopiare è una cosa che mi annoia particolarmente, sembra che tutto ciò che ho scritto perda senso... non che ne abbia poi molto -_-"

Spero che abbiate passato delle belle feste, che vi siate divertiti, che abbiate mangiato tanto e bene e che siate potuti stare con le persone che amate. Vi lascio al capitolo, sperando che vi piaccia e che vi emozioni un pochino, come ha emozionato me.

Buona lettura!




Dodicesimo Capitolo

A LITTLE PIECE OF APPLE PIE


Sono a pezzi.

Dopo aver sentito che Bella ha fatto sogni erotici su di me, il mio cervello crede di aver avuto il via libera, il permesso per dare inizio ad uno sceneggiato porno in più puntate in cui i protagonisti eravamo io e lei.

Nemmeno calmare la situazione ai piani bassi è servito a molto.

Non appena chiudevo gli occhi, i nostri corpi apparivano intrecciati nelle più improbabili posizioni.

Ed ho detto improbabili…non impossibili!

Due docce fredde e due caffè avevano stabilito un precario equilibrio. Equilibrio che è andato in frantumi dopo aver letto il messaggio di Bella.

Buongiorno. Io sono pronta, ho trovato delle mele squisite.
Voglio proprio vedere che sarai in grado di fare.


Sono malato! È un dato di fatto. Sono messo peggio di un ragazzino che si eccita guardando i cataloghi di intimo. Riesco ad avere un’erezione semplicemente leggendo che Bella è il mittente del messaggio.

Di fronte all’armadio scarto mentalmente tutto ciò che mette eccessivamente in evidenza la zona critica, optando per un paio di jeans scuri che mi stanno leggermente larghi ed un maglione chiaro decisamente abbondante.
Confido anche in Bella e nelle sue solite mises da fagotto. Oggi meno vedo, meglio è!
Prima di uscire le mando anche io un messaggio. Mi ci vogliono una decina di minuti per mettere insieme tre o quattro parole di senso compiuto.

Sto arrivando. Vedrai che insieme faremo un ottimo lavoro. Siamo una squadra vincente ;)

Ohpperlamiseria! Anche le faccine…

Prendo la giacca, le chiavi, il quaderno di mia madre e m’incammino verso casa di Bella.
Il cuore martella nel petto e mi sento accaldato nonostante la temperatura. Non è stata una buona idea indossare una coperta come maglione!
Ci manca solo che mi presenti da Bella sudato come un maiale!
Davanti alla sua porta inspiro profondamente.

Alito? Apposto!

Ascelle? Sembra tutto ok.

Lampo? Chiusa.

Coraggio…

Busso…

La porta si apre…

- Hey, finalmente!

Oh.Porco.Cazzo!

E spero di averlo solo pensato perché basta la mia deglutizione rumorosa a farmi fare la figura del coglione.
- Non startene impalato, entra.
Non so quale forza sconosciuta mi faccia coordinare il movimento delle gambe. Riesco ad entrare senza stramazzare al suolo mantenendo anche un’andatura non troppo traballante.
Bella mi precede ed io la seguo senza fiatare, come un topolino dietro al pifferaio magico.

Pelle…

Tanta…

Candida…

Liscia…

Voglio morire…
Vorrei che il corridoio non finisse mai, vorrei poterla guardare all’infinito.
È nuda.
È quasi nuda.

Ok, non è nuda, ma è come se lo fosse.

Dio benedica chi ha inventato gli shorts. Era un uomo…sicuro!

Quelli che indossa Bella sono neri e le coprono giusto fin sotto la curva delle natiche. Le avvolgono il sedere tanto da rendere visibili i bordi della sua biancheria intima.
Porta le mutandine. E la cosa mi eccita in maniera inspiegabile, quasi illecita.
Le sue gambe sono completamente nude ad eccezione di un paio di calzettoni neri che si arricciano sulla caviglia e le coprono buona parte del polpaccio, sottolineandone ulteriormente la forma sottile. Per un attimo penso che i calzettoni siano l’indumento più sexy che esista. Solo per un attimo, perché il mio sguardo vola rapido alla sua t-shirt blu, al modo in cui le sottolinea la vita, al modo in cui lascia intravedere il profilo del reggiseno.

Che vuoi dirmi Swan? È la tua mossa? È questo il tuo tacito assenso? A fare cosa? A baciarti?

No, perché questo per me è un invito a saltarti addosso. E nemmeno tanto velato!

O almeno questo è ciò che mi fa pensare dal modo in cui ondeggia i fianchi.

Mi sento stordito. Come se fossi in overdose. Non posso reggere tutto questo, non tutto insieme. Ho una paura fottuta di fare una cazzata!

Calmati Edward…respira. Piccoli passi. Bella non è come le altre. Magari non è per provocazione che si è svestita così. Probabilmente non si rende nemmeno conto dell’effetto che può farmi…e che mi sta facendo.
Sì, sarà sicuramente così. In effetti fa caldo qui dentro, troppo caldo.

Quando entriamo in cucina Bella mi chiede la giacca e, nel toglierla, sento un leggerissimo sollievo.
Lei scompare un attimo e ne approfitto per tirare su le maniche del maglione e sventolarmi un po’ la faccia con le mani, alla ricerca vana di un po’ d’aria fresca.
Questa stanza è un forno nel vero senso della parola e la mia temperatura corporea non aiuta affatto.
- Se vuoi lavarti le mani, il bagno è di là – dice indicandomi una porta accanto a quella della cucina. – L’asciugamano è pulito.
- S…sì, ok. Grazie.
Il bagno ed il fresco venticello che entra dalla finestra socchiusa sono la mia salvezza. Apro l’acqua fredda e mi sciacquo il viso passando una mano umida anche sulla nuca.
Per fortuna l’effetto è immediato, anche se so che sarà solo temporaneo: la gemella malefica di Bella mi aspetta in cucina e devo averle fatto un torto molto grave perché ha deciso di rendermi la vita impossibile.
Quando esco dal bagno, leggermente più calmo, mi accorgo che Bella ha già preparato tutto l’occorrente sul bancone della cucina e mi aspetta sorridente con i gomiti poggiati sul ripiano ed il viso tra le mani.

Non ho avuto modo di guardarla prima, non così bene.

Non smetterò mai di pensarlo: è splendida.

Ha raccolto i capelli ma alcune ciocche sfuggono dal fermaglio e le incorniciano il viso. Le guance sono arrossate e non so se sia per l’eccessivo calore o per l’imbarazzo che, sono certo, sta provando.
Devo ammettere che è più brava di quanto pensassi a fingere disinvoltura.
- Allora, cominciamo? – le chiedo con tono serio.
- Sono pronta! – risponde raddrizzandosi di scatto e portando il petto in fuori. Abbasso immediatamente lo sguardo perché l’ultima cosa che mi ci vuole adesso è fissare il suo seno appena coperto da un sottile strato di cotone.
Sotto gli occhi attenti di Bella tiro fuori il quaderno dalla tasca posteriore dei jeans e lo apro alla pagina della ricetta.
- Cos’è?
- Allora…ingredienti: trecento grammi di farina.
- EJ, no…cos’è? Io non…
- Silenzio per favore! Centocinquanta grammi di burro.
- Non capisco EJ, io ho già la ricet… Aspetta un attimo…NO! EJ, non dirmi che quella è…
Bella mi raggiunge cercando di sbirciare da dietro la mia spalla.
- È la ricetta vero? Quella di tua madre…ti prego, fammi vedere. Ti prego!
Mi gira intorno cercando di afferrare il quaderno mentre io lo sposto da una parte all’altra un attimo prima che le sue dita riescano ogni volta ad afferrarlo.
Sembriamo due bambini e la cosa mi piace e mi diverte incredibilmente.

E per piacermi intendo piacermi

Pervertito…

Sì, ok, lo sono e allora? Bella mi si sta strusciando addosso in un modo talmente innocente da essere dannatamente eccitante!
Quando sollevo un braccio per impedirle di raggiungere il suo obiettivo, vedo la sua mano arpionarmi il fianco.
- No, Bella…no! Ferma…ferma…ti prego…non il solletico. Basta!
Mi piego in avanti per sottrarmi a quella tortura e quando lei mi offre il suo di fianco, sporgendosi per afferrare nuovamente il quaderno, sono io che comincio a farle il solletico, costringendola a piegarsi in avanti. Bella si volta ma non riesce a sfuggire alla mia presa. Le circondo la vita con un braccio, tenendola ferma con la schiena contro il mio petto, e con le dita continuo a torturarla. Lei scalcia per cercare di liberarsi e non riesce a trattenere le risate. Mi supplica di smettere ma non ne ho la minima intenzione. Tenerla stretta a me è la sensazione più intensa che io abbia mai provato.

Poi succede tutto all’improvviso: le mie dita risalgono più del dovuto e lei si sporge in avanti con il risultato che sfiorano involontariamente la base del suo seno. È un attimo, ma in quell’attimo riesco a coglierne la rotondità, la morbidezza…
Tutto il mio sangue fluisce all’istante in un unico punto e sento l’erezione crescere così velocemente che sono costretto ad allontanarla quasi bruscamente da me.
Mi dà le spalle e rimane immobile. Vedo e sento che ha il respiro corto. Come me. Le braccia sono abbandonate lungo i fianchi. Come le mie. I pugni stretti.
Quando comincia a voltarsi ho il terrore di vedere il suo viso arrabbiato. Ho paura che mi cacci via. Ho paura di aver oltrepassato il limite.
Avanza verso di me. È seria, non sembra arrabbiata. Mi guarda negli occhi ed io non riesco a distogliere lo sguardo. Un passo dopo l’altro, finché le punte dei suoi seni sfiorano pericolosamente il mio petto. Deglutisco a vuoto e sono sicuro che, adesso, sono io ad essere arrossito come un pivello.
Bella abbassa lo sguardo e solleva una mano portando le dita a sfiorarmi il gomito scoperto. Scende lentamente seguendo il profilo delle vene gonfie. Il pensiero delle sue dita su altre vene gonfie è inevitabile e mi causa la perdita di un battito.
Dal suo tocco si diparte una scia bollente di brividi. Mi solletica il polso e riesco a pensare solo al modo in cui lo fa, penso che non sono mai stato toccato così in tutta la mia vita. Non so cosa mi trattenga dall’afferrarla per i fianchi, posarla sul bancone e farla mia tra la farina e le mele a pezzetti.
- EJ? – mi chiama, continuando a disegnare ghirigori sul dorso della mano. Lo fa utilizzando una voce…cazzo, quella voce! Non può usarla, non con me, non adesso…
- EJ…
- S…sì?
- Tu…sei…

- I…io c…cosa? – Sto balbettando come un idiota ma non riesco a fare altrimenti. In questo momento ci sono due cuori pulsanti che riesco a fatica a controllare e l’altro è nel mio petto.
- Tu… - continua con quella voce bassa, dolce, melliflua…

- Io?
- Tu…ti distrai molto facilmente! Ah ah. Te l’ho fatta!
Lì per lì non capisco. Poi vedo Bella dall’altra parte della stanza con il naso tra le pagine del quaderno e, sollevando la mia mano, la stessa che lei ha accarezzato con le sue dita, mi accorgo che è vuota.
Non ci posso credere…
- Ennooooooò…ma come? – esclama d’un tratto sconsolata.
Sospiro scuotendo la testa e sento la tensione scivolare via.
- Che succede?
- Qui – dice picchiettando con l’indice la pagina – c’è scritto “ingrediente segreto”! Io NON SO quale sia questo ingrediente…come faccio a saperlo?
- Si dà il caso che io lo sappia!
- Davvero?
- Davvero. Ma…
- Ma, cosa?
- Mh, non so se dovrei dirtelo. Si tratta di un segreto di famiglia. Non credi che probabilmente dovrei tenerlo per me?
- No. NO! Non dovresti. EJ, ti prego…tipregotipregotipregotipregotipre
- Hey, hey, hey…ok. Mettiamoci al lavoro, che è meglio.

* *** * *** *
Dopo dieci minuti siamo entrambi davanti al bancone, fianco a fianco. Bella versa gli ingredienti nella ciotola nell’ordine e nella quantità scritta sul quaderno da mia madre ed io li mescolo come mi ha detto lei: lentamente e dal basso verso l’alto.
Quando il composto è troppo duro per essere lavorato con il cucchiaio di legno, capovolge la ciotola sul marmo e comincia ad impastare con le mani. Nel frattempo mi chiede di preparare le mele, alle quali aggiungo il limone grattugiato ed un po’ di succo, la cannella, la noce moscata ed un pizzico di farina.
Aspettiamo che l’impasto riposi mentre riordiniamo la cucina. Bella è particolarmente meticolosa in questa operazione. Pulisce ogni cosa con attenzione e scrupolosità. Quando tutto è sgombro e pulito, prepara il tegame imburrandolo ed infarinandolo per bene. Io sto seduto a guardarla, sarei solo d’impiccio adesso, e mi godo ogni suo singolo movimento, dal modo in cui spennella il burro, al modo in cui sollevandosi sulle punte ripone la farina nel mobile in alto, inarcando la schiena e sollevando quel delizioso didietro, che è da quando sono arrivato che sta urlando “mordimi”.

Stiamo in silenzio. Ma non è quel silenzio imbarazzante, no. È un silenzio piacevole, rilassante. Non mi era mai accaduto prima. Con nessuna.

Con nessuno.

Quando finalmente la torta è in forno, ci mettiamo accovacciati davanti al vetro per seguirne la cottura. In realtà Bella segue la cottura, io credo di aver memorizzato alla perfezione la posizione di ogni singola lentiggine sul naso.
Quando il calore, non solo quello che proviene dal forno, si fa insopportabile, mi sollevo per sfilarmi il maglione. Attratta dal movimento, Bella solleva lo sguardo ed appena capisce le mie intenzioni spalanca gli occhi scuri senza smettere di fissarmi.

E adesso me la paghi, piccola Swan!

Sollevo il bordo inferiore del maglione tirandolo su lentamente, facendo in modo che si sollevi la t-shirt che ho indossato sotto.
So che i pantaloni larghi poggiano sui miei fianchi lasciando intravedere molto più del dovuto. So che le linee degli addominali sono evidenti e che guidano lo sguardo verso il basso in una “v” che converge esattamente al centro del bacino.
Ed infatti Bella deglutisce e si volta rapidamente. La luce arancione del forno le colora il viso e non mi fa capire quanto sia imbarazzata adesso.
Mi rimetto affianco a lei e non posso non trattenere un sorriso.

Chissà che genere di sogno hai fatto.

Chissà se intravedere le linee dei miei muscoli ti ha eccitata così come mi accende vedere i profili interni delle tue cosce convergere al centro, lasciando spazio sufficiente affinché la mia mano possa chiudersi a coppa intorno a te.


Visioni della mia mano in mezzo alle sue gambe e della mia lingua lungo i contorni del suo sedere si alternano ad altre decisamente meno caste.

Mi basterebbe pochissimo.

Potrei afferrarle una caviglia, farle perdere l’equilibrio e ritrovarmi sopra di lei per poi avventarmi sulle sue labbra.
La mia mano sta già muovendosi per conto proprio quando, per fortuna, il timer del forno ci avvisa che la torta è pronta.
- Ora dobbiamo aspettare che si raffreddi – dice senza guardarmi – il sapore del dolce viene fuori quando è tiepido.
- Aspettare? No, dai! Non sei curiosa di assaggiarlo? Perché attendere di assaporare qualcosa quando potresti averla subito?

Ma che cazzo sto dicendo? Tanto vale che le dica “baciami”. Idiota, idiota, idiota!

E coglione!

Sì, pure.

Ancora una volta Bella mi lascia senza parole.

- Preferisco aspettare se so che ciò che mi aspetta sarà sicuramente più gustoso. E l’attesa renderà il momento ancora più speciale. Nel frattempo posso osservarne la bellezza: i bordi ondulati, la crosticina dorata, ed il profumo avvolgente. E questo può essere ugualmente gustoso ed aumenterà il piacere, dopo, quando la assaggerò, senza rischiare di scottarmi…la lingua intendo, scottarmi la lingua.
- Che c’è di male nel bruciarsi un po’ la lingua? Vuol dire che desideriamo talmente tanto una cosa che non possiamo aspettare, non possiamo fare a meno di prendercela.
- Sì, ma è l’impulso del momento. Spesso crediamo di volere qualcosa e poi, dopo che ci scottiamo, ci pentiamo amaramente di non aver aspettato.
- E se poi aspettiamo troppo? – la incalzo. Non voglio metterla in difficoltà ma è più forte di me. Per la prima volta stiamo parlando di ciò che è successo…anche se c’è di mezzo una torta! – Se quando ci decidiamo il dolce sarà ormai freddo?
- Manterrà comunque il suo sapore e, nel frattempo, avremo goduto di tutto il resto.
- E se dovesse…deluderci? Se quel sapore che tanto attendiamo non dovesse essere come lo abbiamo immaginato?

Ed è questo il mio più grande terrore, la mia paura, che possa non piacerti, che tu te ne penta, Bella.

- Io…sono sicura che mi piacerà…- sussurra abbassando il viso e mordendosi le labbra. – La torta! – aggiunge in fretta. – Sono sicura che sarà squisita. Abbiamo seguito alla lettera la ricetta. Sarà ottima.
- Puoi tenerlo.
- Cosa?
- Il quaderno di mia madre…è tuo, tienilo.
- No, EJ. Non posso assolutamente accettare.
- Sì che puoi. Bella, io non cucino. Riesco a malapena a provvedere al pranzo ed alla cena, figurati i dolci e tutte le altre ricette complicate che ci sono lì sopra.
- Ma non è questo. Era di tua madre…è un ricordo. Dovresti tenerlo tu.
- Mia mamma è qui, Bella - dico portandomi una mano sul cuore – ed è qui come non lo è mai stata prima. Sono convinto che sarebbe contenta che lo abbia tu. E poi vorrà dire che dovrai impegnarti…particolarmente!
- In che senso?
- Beh, è da quando non c’è più che non mangio quelle prelibatezze. Voglio assaggiare tutto ciò che si trova su quelle pagine. E sarai tu a prepararmelo!
- Ho…ho capito! Tu, Masen, - dice Bella puntandomi il dito e aggrottando lo sguardo – sei un vero approfittatore. – Lo strofinaccio che mi lancia mi colpisce in pieno viso.
Continuiamo a punzecchiarci per una decina di minuti ed è inspiegabile quanto io adori questi momenti con lei. Scherziamo e ridiamo come due bambini, come due vecchi amici, come due complici, come due persone che si conoscono da sempre…come una coppia.
Quando Bella si accorge che è quasi ora di pranzo, mi propone di mangiare qualcosa insieme, qualcosa di veloce in attesa del dolce.
Accetto più che volentieri, ansioso di assaggiare nuovamente la sua cucina e, mentre lei comincia a preparare del pollo fritto, io apparecchio come la prima volta che ho mangiato qui. Stavolta nessun dubbio sulla distanza delle tovagliette: le metto praticamente attaccate.
Seduto sullo sgabello osservo Bella concentrata nella preparazione del pranzo. Non mi ci vuole molto ad immaginarmi parte di tutto questo: immerso nei profumi della cucina, lo sfrigolio del cibo in sottofondo e la visione celestiale della mia piccola Swan, con i suoi shorts microscopici e le gambe toniche e snelle che chiedono solo di essere accarezzate, la t-shirt leggermente sollevata a scoprire una piccolissima porzione di pelle che ricoprirei di baci e sospiri fino a farla rabbrividire.

Non potrei chiedere di più.

Ti accontenti di poco!

Sarebbe tutto…sarebbe perfetto.

- Ti scoccia se mangio con le mani? – mi chiede sedendosi accanto a me e servendo il pollo nei piatti.

Questa donna me la sposo…sì sì…

- Come credi che lo mangi io il pollo, Swan? Forchetta e coltello? – le rispondo afferrando una coscia e addentando la carne. – Mmmh…è delizioso…squisisto. – La cottura è perfetta ed il sapore semplicemente sublime. Bella tiene il suo pezzetto tra le dita di entrambe le mani e sbocconcella la carne lentamente ma con gusto. Ogni tanto si ferma per pulirsi con un tovagliolo ed è un vero peccato perché leccarsi le dita mentre si mangia il pollo fritto è una di quelle cose che non si possono non fare.

Ed io continuo a fissarla, immaginando come sarebbe afferrarle una mano e portare un dito alla volta nella mia bocca avvolgendolo con la lingua e succhiando fino a sentire il sapore della sua pelle.

Terminato il pollo, Bella mi costringe a mangiare la frutta. Io odio la frutta ma lei dice che fa bene e mi impongo di ingoiare quasi per intero uno spicchio di mela.
- Che faccia! Sembra tu abbia ingoiato veleno.
- Beh…quasi…
- Sei peggio di un bambino! Anzi no, i bambini fanno decisamente meno storie. Niente frutta, niente dolce!
- Se io sono peggio di un bambino, tu sei peggio di una suocera…- bofonchio contrariato, addentando un altro spicchio e sperando che questa tortura finisca presto.
Ho la netta sensazione che questa donna mi darà del filo da torcere.
- Hmpf…
- Non mugugnare…hai finito?
- Sì…ho finito…
- Ti va una tazza di caffè?
- Ti prego. Almeno mi levo questo saporaccio dalla bocca.
Bella alza gli occhi al cielo e comincia a trafficare con la macchinetta. Io sparecchio e faccio spazio alla torta che lei posa sul bancone, lentamente, quasi fosse una reliquia. Prendo un piattino ed una forchetta e li sistemo accanto al dolce.
Lo osserva, in silenzio, con il sorriso sulle labbra, ed io osservo lei, come sempre. E come sempre è…
- Bella vero?
- Bellissima – rispondo, completando i miei pensieri a voce alta.
La lama del coltello affonda nella crosta dorata producendo un crepitio invitante. La prima cosa che arriva alle mie narici è il forte odore di cannella, reso più pungente e speziato dalla noce moscata. Bella chiude gli occhi ed inspira, estasiata come me da quell’aroma delizioso.
Passiamo pochi secondi così, in silenzio, dopo di che Bella adagia la fetta sul piatto e mi porge la forchetta.
- A te l’onore.
Affondo i rebbi nella torta e raccolgo il pezzetto di dolce. Bella mi guarda ed il suo viso non è solo pieno di aspettativa, posso vedervi chiaramente anche un’infinita dolcezza.
Schiudo le labbra e ciò che provo quando sento il sapore inondarmi la bocca è qualcosa di indescrivibile. È come essere risucchiato in un vortice di ricordi. Mia madre, il suo sorriso, le sue lacrime, il suo dolore. La rivedo inerme sul pavimento. Mi rivedo bambino, rannicchiato vicino a lei, la mia mano sulla sua guancia gonfia e sporca di sangue, a ricacciare lacrime che premevano per venir fuori. Lacrime che negli anni ho versato in silenzio, che nessuno ha mai asciugato.
Lacrime che devono essere ancora versate.
Ma non è solo quello.
È la sua risata cristallina mentre trafficava in cucina, è la sua voce che intonava dolci ninna nanne, le dita che danzavano sui tasti del pianoforte.
Le piroette…
Mi ero dimenticato delle piroette. Quando ero triste, mi prendeva per mano e mi faceva girare su me stesso ed io ridevo e lei rideva con me. Mi accarezzava i capelli. Intrecciava le dita nelle mie ciocche ribelli scompigliandole ancora di più.
Non ho mai permesso a nessuno di farlo.
Ingoio con non poca difficoltà, mandando giù non solo la torta ma anche il groppo che mi si è formato in gola.
Bella è rimasta in silenzio e, non so da quanto tempo, la sua mano è sulla mia, avvolge le mie dita che stringono ancora la forchetta. Sciolgo la presa ma solo per raccogliere un altro pezzo di dolce e portarlo alla sua bocca. Schiude piano le labbra e, lentamente, accoglie ciò che le offro.
- Allora? – le chiedo senza lasciarle nemmeno il tempo di richiudere la bocca, come fece lei la seconda volta che ci siamo visti. – Com’è?
Bella mi sorride con le labbra chiuse e tirate, gli occhi si stringono e le gote si sollevano. Continua a masticare, affrettandosi per potermi dare una risposta e, quando ingoia, il suo sorriso finalmente si apre facendo accelerare bruscamente i battiti del mio cuore.
- EJ, è… è lei! Sì, è lei…è proprio lei.
Bella è in ginocchio sullo sgabello, seduta sulle sue caviglie, con le mani sulle cosce nude. Io sono accanto a lei, in piedi. Il suo sguardo si sposta dalla torta a me.
- Sì, è lei – rispondo più a me stesso che a lei. Percorro il suo corpo con gli occhi con la stessa dovizia con cui lo percorrerei con le mani, con la bocca, con la lingua.
È tutto così forte e intenso. Sentirla così vicina, vederla così vicina…è una tentazione troppo grande.
Possibile che lei non la stia sentendo questa attrazione devastante?
Sembra così tranquilla, così a suo agio. Mangia un altro boccone, più grosso del precedente, lo mastica con gusto, facendomi venire voglia di fare altrettanto.
- È buonissima, squisita – dice prima di mangiare l’ultimo pezzo. Continua a commentare estasiata, con le dita davanti alla bocca piena.
Mi faccio più vicino, posso quasi sfiorarla con le braccia. I nostri visi sono alla stessa altezza e, quando Bella si volta verso di me, le nostre labbra sono a pochi centimetri di distanza. Spalanca gli occhi per la sorpresa e smette in fretta di masticare, deglutendo a fatica.
I suoi occhi, fissi nei miei, sono due laghi profondi di cioccolato. Le lunghe ciglia scure che li incorniciano sbattono frenetiche, incredule e ansiose, e, ad ogni battito, il mio cuore accelera ulteriormente la sua corsa.
- EJ… - sussurra con un filo di voce, indietreggiando leggermente con il busto quando io mi sporgo di più verso di lei.
- Swan…ferma! – esclamo in quello che è tutt’altro che un ordine. È una preghiera, una supplica quasi. Non farei mai una cosa del genere se non sapessi che lei lo vuole quanto lo voglio io e che le sue paure sono lo specchio delle mie.
Il suo viso si imporpora e quel rossore accende nel mio corpo un calore che mi pervade all’istante. Le sue labbra rosse e dischiuse per l’attesa, per lo stupore, sono un invito alle mie che attendono questo momento dalla prima volta che l’ho vista.
Gli incisivi intrappolano la carne in un gesto che mi è ormai caro e familiare.
Porto l’indice sul suo labbro inferiore, liberandolo dalla morsa dei denti, e lo accarezzo lentamente gustandone la morbidezza e cercando di cancellare il segno. Continuo a sfiorarla, proseguendo sullo zigomo, la tempia, e poi di nuovo giù, la guancia morbida, il profilo della mandibola, il mento.
Bella chiude gli occhi, piegando il viso lateralmente, abbandonandosi al tocco della mia mano. Sollevo anche l’altra, circondando l’altra guancia, incorniciandole il volto e trattenendolo piano come fosse un tesoro raro.
- Piccola Swan, apri gli occhi…guardami. Guardami, Bella.
Non voglio che ceda sopraffatta dalle sensazioni che stiamo provando. Voglio che sia consapevole, che abbia il tempo di rendersi conto di quello che succede e di fermarmi se lo ritiene necessario.

Non farlo, ti prego…non mi fermare.

Per tutta risposta, Bella li apre, li spalanca, e posa una mano sul mio petto, una mano all’altezza del mio cuore, una mano che può sentire adesso quanto stia battendo furioso.

Per lei, solo per lei.

Forse indugio più del dovuto sui suoi occhi, sulla sua bocca, perché la mano si chiude a pugno, stringendo il cotone della mia maglietta, e tira leggermente ma con decisione verso di lei.

E lo faccio. Copro finalmente quell’ultimo vuoto che ci separa.

Le sue labbra sono sulle mie. Le sue labbra sono dove sarebbero dovute stare dall’inizio. Ed è…perfetto. È un incastro perfetto.
Stiamo fermi, le nostre bocche sono ferme, eppure mi sento come in un vortice, un vortice di vento caldo che mi scuote da dentro.
Faccio scorrere indietro le mani, intrecciando le dita nei suoi capelli raccolti, cerco a tentoni il fermaglio che li trattiene, sperando di riuscire a sganciarlo senza farle male.
Lunghi boccoli scuri ricadono ondeggiando sulle spalle mentre con le dita sulla sua nuca spingo leggermente per sentire la sua bocca premuta ancora di più sulla mia.
È calda, morbida e tutto è così…giusto.
Bella mi attira ancora di più a sé, le nostre labbra si modellano le une sulle altre. Con il naso premuto contro la sua guancia, inspiro come mai prima il suo profumo.
È tortura e delizia.
È un sogno. Sentirla, toccarla, amarla.
Sì, amarla.
Schiudo lentamente le labbra, dandole il tempo di capire cosa voglio, sperando che lo voglia anche lei.
Bella risale con la mano sul mio petto, mi circonda il collo con entrambe le braccia, sollevandosi sulle ginocchia e sovrastandomi di qualche centimetro. Me la ritrovo praticamente aggrappata, con il corpo schiacciato contro il mio. Le mie mani scivolano verso il basso, lentamente, carezzandole le spalle, la schiena, posandosi sui fianchi. Il tessuto della maglietta è così leggero che posso quasi sentire la setosità della sua pelle.
- EJ? – sussurra sulle mie labbra. Il suo fiato caldo e profumato mi provoca un’ondata di calore ed eccitazione che dalla bocca si trasmette a tutto il corpo. Affondo le dita nella carne, scoprendola morbida così come l’avevo immaginata.
- Bella…
- Baciami Edward, ti prego. Baciami.
Non so se sia la sua richiesta, il tono sensuale che ha usato, la smania che ho di sentire il suo sapore o la bellezza del mio nome pronunciato per intero dalle sue labbra, ma ciò che a fatica ho tenuto sotto controllo esplode travolgendoci entrambi.
Mi avvento sulla sua bocca ricoprendola di soffici baci e lievi morsi. I miei denti affondano laddove i suoi hanno lasciato nel tempo impercettibili solchi. Sono labbra piene, morbide e sanno di zucchero e cannella. Con la lingua ne seguo il contorno perfetto ed il gemito che le sfugge mi incendia completamente.
Accolgo il suo corpo tra le braccia, stringendolo a me come ho creduto di poter fare solo nei sogni, le nostre lingue si incontrano e si accarezzano, assaporandosi e vezzeggiandosi scrupolosamente. È un insieme di sensazioni quasi insopportabile.

È…troppo. È troppo.

È troppo calda. È troppo morbida. Il suo sapore è troppo dolce, troppo buono.

Le dita di Bella, sulla mia nuca, solleticano la pelle all’attaccatura dei capelli. Le mie mani vagano sulla sua esile schiena, mentre i nostri volti si piegano da un lato all’altro per assecondare più profonde esplorazioni delle nostre bocche.
Posso sentire il sapore della torta di mele ma riesco a percepire anche il suo, decisamente più buono.
I nostri respiri affannati riempiono la cucina ed è un accompagnamento troppo eccitante, che fa da sottofondo ad una coreografia perfetta di baci e carezze.
Continuerei a baciarla all’infinito, continuerei a stringerla all’infinito, ma non posso.
Sono troppo eccitato. Troppo.
Cazzo!
Baciare Bella è troppo. Averla mezza nuda tra le braccia è troppo.
Amarla è troppo.
Adesso.
Posso farcela. Ma non così, non tutto insieme.
- Bella – dico staccandomi per un attimo. Non so nemmeno come abbia fatto ad allontanarmi dalle sue labbra. Respirare l’aria fresca al posto del suo fiato caldo è innaturale. Non mi piace.
La mia piccola Swan rende tutto più difficile. Insegue la mia bocca nonostante le deboli proteste. Si aggrappa ancora più saldamente alla nuca premendo la bocca sulla mia, schiudendola e colpendo il mio labbro inferiore con la lingua per invitarmi ad accoglierla.
Ed ogni mia effimera resistenza crolla miserabilmente come un castello di carte.
Bella lambisce le mie labbra con una passione inaspettata. Le assapora, le lecca, le morde dolcemente. I sospiri di prima sono diventati quasi gemiti. Le sue mani risalgono intrecciandosi ai miei capelli.
Inaspettatamente non c’è alcun fastidio, non sento nessun disagio.
Mi piace.
E quando Bella approfondisce il bacio, quando con la lingua si spinge più a fondo, solleticandomi il palato, stringe le ciocche tirando un po’ più forte.
Cazzo se mi piace!
Continuiamo a baciarci così, io in piedi, lei inginocchiata sullo sgabello, le sue mani nei miei capelli, le mie di nuovo sui suoi fianchi. La maglietta si è sollevata e con le dita sento la sua pelle nuda, liscia, morbida e calda.
Sono eccitato come non lo sono mai stato in vita mia.
E non va bene!
Non va bene che il mio cervello vada a puttane per un bacio. Non va bene che ogni volta che sento il suo seno strusciare contro il mio petto devo impormi di non venire.
Bella è fantastica. Riesce ad essere dolce e passionale allo stesso tempo. Alterna momenti in cui sembra impacciata a momenti in cui sembra che non abbia fatto altro in vita sua: baciare. Baciare me. Ed è un mix sensuale e fortemente erotico.
Un mix talmente erotico che mi farà fare la più grande figura di merda della mia vita.
- Bella – soffio tra un bacio e l’altro. La mia testa vuole fermarsi ma le mie mani continuano a stringere i suoi fianchi.
Non so come fermarla senza sembrare brusco. Non so come fermarla facendole capire che è l’ultima cosa che vorrei adesso.
- È…è troppo, Bella. Ti prego… - sono al limite. Le afferro dolcemente i polsi, slegando le braccia dal mio collo, li stringo al petto sospirando profondamente.
Finalmente si ferma e mi guarda e la sua espressione è tra le più mortificate che le abbia mai visto sul viso. Come se fosse colpa sua.
E adesso è tutto così sbagliato, perché quel broncio stona profondamente con le labbra gonfie e umide, le gote arrossate e gli occhi languidi, occhi che distoglie immediatamente dal mio sguardo.
È qui, di fronte a me, e la distanza che ci divide è insostenibile. Senza di lei tra le braccia sento…freddo. È come essere privato improvvisamente del calore delle coperte al mattino e l’aria gelida ti entra subito nelle ossa, interrompendo il sogno.
Ho freddo, ma il sogno è ancora qui davanti a me, reale e bellissimo.
- Swan, guardami – le dico sollevandole il mento con le dita, - è troppo – continuo senza nemmeno provare a nascondere a cosa mi riferisca. – Tu…sei troppo, adesso. I miei occhi sul suo corpo chiariscono in maniera abbastanza eloquente il concetto.
Bella avvampa e finalmente posso accarezzarle la guancia per godere di quel calore.
- Sei…sei bellissima piccola Swan.
- EJ…
- No, non dire niente. È tutto perfetto. È perfetto così, non trovi?
- Sì – dice sorridendo dolcemente – è…perfetto.
- È stato…è stato splendido.
- È tardi!
- C…come?
- È tardi…oh, porca miseria. EJ, scusami.
- Swan, io…non capisco.
- Ohccavolo…Oh.Cavolo…Angela mi ammazza, dovevo aprire io. È tardissimo…
Bella sgattaiola via con un’agilità che ho imparato a conoscere, mio malgrado. Quando ha questi scatti, quasi non posso credere che si tratti della stessa ragazza che inciampa anche nelle foglie secche.
Sento rumori provenire dal bagno, porte che si aprono e si chiudono, tonfi non meglio definiti, lo scroscio dell’acqua. Cerco di non pensare a ciò che sta accadendo di là sistemando la cucina, non prima di aver sistemato l’erezione tra le gambe.
Dopo dieci minuti Bella rientra nella stanza. Si è rinfrescata il viso ed è splendida nella sua divisa, con cappotti e borsa tra le mani.
- EJ, scusami, davvero. Io devo andare.
- Non scusarti. È tutto ok. Su, andiamo.
- Oh! No…cioè…non c’è bisogno che tu…se devi andare…
- Non essere ridicola piccola Swan. Non posso accompagnare la mia ragazza al lavoro?

Eccola! L’ha sparata…

L’ho sparata.

Ma Bella sorride e mi porge la giacca.
- Certo che puoi.
E l’adolescente che è in me esulta indecentemente.

Non ti ha detto “ti amo”.

Adesso, è come se lo avesse fatto.

Ci incamminiamo velocemente verso il Café. Bella è ad un passo da me. Guardo le sue spalle strette nel cappotto e vorrei circondarle con un braccio; vedo la sua mano che ondeggia lungo il fianco e vorrei stringerla nella mia.
Insomma, vorrei fare tutte quelle cose vomitevoli che fanno i fidanzati e che io non ho mai fatto. Non ho mai nemmeno pensato che un giorno avrei potuto e voluto farle.
Mi consolo ripensando al bacio…ai baci che ci siamo scambiati e non riesco a trattenere l’agitazione…l’eccitazione.
La tenevo stretta tra le braccia, il suo corpo attaccato al mio, le sue labbra morbide che si modellano contro le mie, la lingua…oh cazzo, la sua lingua! Non devo pensare al modo in cui mi solleticava, al modo in cui avvolgeva la mia, al suo sapore.
Dannazione! Ero appena riuscito a farmi passare una delle più insistenti e pulsanti erezioni della mia vita.
Uff…non tollero tutta questa lontananza, non dopo ciò che è successo a casa sua non più di venti minuti fa.

E tu sei un cazzone!

Ed io sono un cazzone! Un cazzone che non ha le palle di fare uno stramaledettissimo passo avanti per abbracciare la sua ragazza.

Però…la mia ragazza…suona bene…

Cazzone!

Quando arriviamo al Café, Angela è poggiata con le spalle contro la porta e batte velocemente un piede a terra.
- Bella! – esclama quando ci vede arrivare. – Ma si può sapere che fine… Hai visto che ore sono?
- Sì… Angela, scusami. Io… Noi… non mi sono accorta… - Bella è imbarazzatissima ed i suoi occhi si spostano rapidamente da me alla sua amica.
Angela segue a ruota lo sguardo di Bella, puntando i suoi occhi scuri prima su di me e poi su di lei.
- Oh! Finalmente – esclama. E sembra realmente sollevata e, soprattutto, sembra aver capito davvero. È così evidente ciò che è appena successo?

Beh…probabilmente i tuoi occhi a cuore, i capelli modello tsunami, la terza gamba…

E poi c’è Bella: gli occhi lucidi, le labbra rosse e gonfie, il viso in fiamme, la voce tremula.

No, direi che non è affatto evidente.

Ce l’avete scritto in faccia!


- Per questa volta ti perdono – aggiunge guardandomi di sottecchi, mentre Bella cerca di infilare la chiave giusta nella serratura.
- Bacia bene mister torta di mele? – le sussurra all’orecchio, ma non così piano da non poterla sentire.
- Angela! – urla Bella con un tono quasi isterico, diverse ottave più sopra rispetto al normale. Le mani le si bloccano a mezz’aria e le chiavi precipitano inevitabilmente per terra.
Da vero gentiluomo mi chino immediatamente ai suoi piedi per raccoglierle ed il dorso delle dita scivola inavvertitamente ad accarezzarle una caviglia.

Gentiluomo sì…ma non troppo!

E poi è deliziosa quando è così imbarazzata.

Apro la porta indovinando la chiave giusta al primo tentativo.
- È inutile che ti fingi contrariata – dice Angela, entrando nel locale. – Ce l’hai scritto in faccia, piccola Swan! – conclude, pronunciando le ultime due parole con tono quasi canzonatorio.

Ci mancava pure l’amica in sintonia con il mio subconscio! Potrei presentarli…andrebbero d’accordo. E magari non me lo ritroverei continuamente tra i piedi.

Bella si volta di scatto verso di me, sul viso un ‘espressione quasi mortificata.
Le sorrido. Non mi importa che Angela mi prenda in giro, non m’importa che gli altri sappiamo o vedano quanto sono pazzo di lei. Perché è così: sono pazzo di lei!
- EJ, non entri?

Non ti lascerei nemmeno per un secondo.

- No…mi piacerebbe molto ma ho un impegno.
- …va bene…allora ci vediamo dom…
- Dopo, piccola Swan. Ci vediamo dopo. Sarò qui alle nove, puntuale, pronto per riportarti a casa sana e salva.
- Beh, grazie. Chissà come avrò fatto a sopravvivere finora! – dice ironica.
- Non posso e non voglio nemmeno pensarci – rispondo serio, avvicinandomi a lei e costringendola con le spalle al muro. – Odio dovermi separare da te – aggiungo sfiorandole una guancia con la punta del naso. Su, fino alla tempia, giù, fino al mento, dove poso un piccolo bacio. Bella trattiene il respiro e sento i suoi occhi spalancati su di me. – Anche cinque secondi sarebbero troppi lontano da te. – Risalgo dall’altro lato, annusando il profumo della sua pelle fino all’attaccatura dei capelli.
Semplicemente soave.
- Uno – dico baciandole la fronte. – Due – la guancia destra. – Tre – la sinistra. – Quattro – la punta del naso. – E cinque.
Ritrovare le sue labbra mi fa toccare il cielo con un dito. Ritrovarle pronte a ricevere il mio bacio è esaltante. Le nostre bocche si muovono piano, quasi timidamente. La sua lingua sfiora appena la mia per poi ritrarsi dispettosa, lasciandomi insoddisfatto e terribilmente eccitato. La voglia di approfondire il bacio, la voglia di affondare nella sua bocca, la voglia di intrappolare piano quella lingua tra i denti è bruciante. Mi impongo a trattenermi. Non qui. Non adesso. Non ancora.
Mi stacco molto lentamente da lei, continuando a darle piccoli baci sulle labbra dischiuse. Bella sospira e si lascia sfuggire un verso di disappunto che arriva dritto in mezzo alle gambe. I suoi occhi sono fissi su di me ed il calore che emanano è avvolgente e rassicurante.
- Penserò a questi cinque secondi mentre sarò via.

Sorride.
- A dopo, piccola Swan.
Darle le spalle è tremendamente difficile. Se dovessi girarmi e la vedessi ancora lì, non credo che riuscirei a trattenermi dall’abbracciarla e baciarla ancora e ancora.
- EJ?
Mi blocco all’istante e lo faccio. Mi volto e Bella è lì, bellissima.
- Ti ha deluso? I…il sapore…della torta, intendo. Ti ha deluso?

La mia piccola Swan…
- È anche migliore di quello che ho sempre immaginato.
Il sorriso che, radioso, le illumina il volto sono sicuro che riuscirebbe a sciogliere il ghiaccio, così come è riuscito, sin dalla prima volta, a penetrare quello strato spesso di gelo che avvolgeva il mio cuore.
Lo sento tremendamente esposto adesso, vulnerabile, ma lo sento anche battere forte, per la prima volta dopo quelli che sembrano secoli di mutismo e immobilità.
Tutto grazie a lei, grazie a quella piccola grande donna che sorridendo mi dice – A dopo – con gli occhi colmi di felicità e di aspettativa.

* *** * *** *

Cammino piano fino a casa, sorrido come un idiota, incurante della gente che mi guarda come fossi un alieno.
Per la prima volta, appena entrato in casa, mi sento assurdamente fuori luogo. Mi guardo in giro ed è come se questo posto non mi appartenesse.
È pieno di cose belle ma non è bello. Sento il calore emesso dal riscaldamento ma non è caldo.
Non è casa di Bella, ecco qual è il problema.
Qui lei non c’è. Non c’è nessun segno della sua presenza. Se non sentissi ancora il calore del suo corpo addosso, la morbidezza della sua pelle sulle dita, il profumo dei capelli ed il sapore dei suoi baci sulle labbra, sulla lingua, penserei che si sia trattato solo di uno dei miei soliti sogni.
Invece no. È successo davvero.
L’ho baciata. Ci siamo baciati ed è stato meraviglioso.
Raggiungo la mia camera e mi lascio cadere pesantemente sul materasso, affondando la testa nel cuscino.
Perfetto. È stato perfetto. Scoprire la mia piccola Swan così calda e appassionata è stato…cioè…io…non credevo. Non me l’aspettavo. Mi piace il modo in cui mi stuzzica, mi provoca, quasi inconsapevole di ciò che può scatenare.
E poi…oh cazzo…presentarsi svestita a quel modo…è stato un colpo basso. O forse è meglio dire un colpo alle parti basse!
- Swan, Swan…tu mi manderai al manicomio, io lo so.
Mi rigiro nel letto, ritrovandomi a pancia in su. Le immagini della splendida mattinata trascorsa insieme mi scorrono davanti agli occhi, ricordandomi quanto sia stato speciale e intenso viverle.
Mentre la tenevo stretta tra le braccia, mentre le sue labbra tormentavano le mie, le sue mani stringevano i miei capelli ed il corpo era premuto sul mio, sarebbe stato facilissimo pensarla nuda, immaginarla senza quel fazzoletto di stoffa che aveva addosso.
Le sue gambe…cazzo, le sue gambe!
Sono snelle ma tornite, non lunghissime ma affusolate.
Butto fuori un grosso sospiro. Fa caldo. Sento caldo.
Mi sfilo la maglietta, gettandola in un punto imprecisato della stanza.
Così va meglio.
L’ immagine di quelle gambe allacciate ai miei fianchi mi esplode nella testa senza che io possa oppormi. Una fitta insistente al basso ventre mi ricorda che è da stamattina che combatto contro un’erezione costante ed un orgasmo impellente.
Chiudo gli occhi e, con una mano, sbottono i pantaloni, sentendo un leggero sollievo per ogni bottone liberato dall’asola.
È ancora troppo poco.
Mi sollevo sui talloni e con un unico gesto abbasso jeans e boxer.
Non riesco a trattenere un gemito quando finalmente non c’è alcuna costrizione a contenere la voglia che ho di Bella.
Comincio a toccarmi così, incastrato nei pantaloni abbassati fino alle ginocchia, impossibilitato a spalancare meglio le gambe ma troppo eccitato per rimandare ulteriormente.
Non posso aspettare nemmeno un secondo. Il desiderio è devastante. È come se ogni terminazione nervosa sia concentrata sulla punta del mio sesso. Anche il contatto con l’aria mi causa un gemito di piacere.
Continuo a pensare alle sue gambe. Non faccio in tempo a pensare ad altro perché mi bastano due sole spinte contro la mia stessa mano per farmi godere violentemente.
Una risata di scherno mi sfugge dalle labbra. La durata non è mai stata un problema per me. Instancabile, insaziabile, così mi hanno definito molte delle donne che hanno ottenuto i miei favori.
Ed ora sono qua. Solo, su un letto, le brache calate a mezza gamba ed il respiro corto. Durata: due minuti scarsi. Ma posso dire con certezza che è stato l’orgasmo più intenso di tutta la mia vita.
L’ho fatto altre volte, pensando a lei, ma stavolta è stato diverso. Quel bacio…è come se avessi avuto il permesso di poterla immaginare mia, di poterla sentire mia. E poi, tutta quella pelle…una distesa di pelle liscia e rosea che si è presentata davanti ai miei occhi, turbandomi come un ragazzino che vede una donna nuda per la prima volta.
Devo alzarmi da questo letto. Adesso. Se non lo faccio sarei capace di stare qui a gingillarmi per tutto il pomeriggio.Se non fosse così importante ciò che devo fare, non ci penserei due volte ad assecondare la mia mente perversa.
Faccio una rapida doccia, avvio la lavatrice con le lenzuola e la biancheria ed indosso qualcosa di comodo.
Domani è la grande serata, voglio che tutto sia perfetto, voglio che Emmett sia fiero di me, ma soprattutto voglio che Bella veda con i suoi occhi un’altra parte di me, quella parte che ha intravisto per pochi istanti la sera che ho suonato per lei a casa sua.
Quando accendo lo strumento, sento di nuovo, dopo non so quanto tempo, quell’insostenibile formicolio alle dita, che mi impedisce di indugiare ulteriormente. È come se i tasti mi stessero invitando a sfiorarli, ad accarezzarli.
Ancor prima di generare un suono, la melodia risuona nelle mie orecchie chiaramente. Nota dopo nota, l’essenza stessa dei sentimenti che provo per lei prende forma, prende vita, colmando la stanza di un crescendo di dolcezza ed amore che sarebbe inspiegabile a parole.
Chiudo gli occhi, lasciando che sia Bella a guidare le mie mani, immaginandola accanto a me ad ascoltare la sua canzone. Il suo carattere forte, la sua gentilezza, la sua disponibilità, la determinazione e la vitalità permeano questa musica. Come il ritratto di un pittore alla sua musa, così le note delineano perfettamente non solo la mia piccola Swan, ma anche il legame che sta crescendo tra noi.
Spero che lei lo senta, il mio cuore, battere fra queste note.
È una dichiarazione, Swan. Ti sto dicendo che ti amo, lo senti?
È troppo?
Tu sei troppo. Per me. Eppure non sono mai stato tanto sicuro come adesso. Io posso farlo. Posso amarla come merita, posso renderla felice, posso essere felice accanto a lei.
Le dita continuano a danzare senza pause, senza esitazione, come se avessi davanti uno spartito da seguire. E quando anche l’ultima nota si è dissolta nel silenzio, mi scopro emozionato, quasi commosso.
Durante le successive tre ore, riporto la melodia sul pentagramma, correggendo alcuni accordi, allungando alcune pause, sorridendo al ricordo delle parole di Esme.

“Le pause sono importanti quanto la musica, devi suonarle e sentirle, così come, in un dipinto, l’ombra è importante quanto la luce.”

Mi esercito ininterrottamente fino alle otto, finché ogni singolo passaggio non è perfetto.
Dire che sono soddisfatto è un eufemismo.
Sono esaltato, impaziente, eccitato.

Che novità.

Non eccitato in quel senso. Cioè, sì, anche in quel senso. È che non vedo l’ora che arrivi domani sera.
Mi infilo qualcosa di decente addosso ed esco per raggiungere Bella al Café.
Sembra che sia passata un’eternità da quando l’ho lasciata sorridente davanti alla porta.
A pochi metri dal locale vengo sopraffatto dall’ansia. Mi sento nervoso, agitato. Ho paura che in queste ore, pensando a ciò che è successo, Bella se ne sia pentita.
Il cuore accelera la sua corsa ed il groppo che mi si forma in gola rende difficoltoso ogni respiro.Fare gli ultimi passi è quasi impossibile, le gambe pesano come due blocchi di cemento.
Poi la vedo.
Il groppo in gola scompare, le gambe si alleggeriscono, ogni paura si dissolve con la stessa rapidità con cui è nata.
Solo il cuore continua la sua folle corsa. Ma è un incedere gioioso, emozionato, impaziente.
Bella si accorge della mia presenza ed avanza a passo svelto verso di me.
Non vedo l’ora di baciarla di nuovo. Ora che so quanto sono calde le sue labbra, quanto è morbido il suo corpo, non vedo l’ora di sentirla vicina come quando eravamo a casa sua.
Sembra la scena di un film: lei che va incontro a lui, lui che avanza verso di lei e, quando finalmente si raggiungono, si baciano appassionatamente.
Quando io e Bella ci raggiungiamo, lo facciamo troppo in fretta, senza tenere conto della distanza e, per non sbattere l’uno contro l’altra, ci fermiamo bruscamente. Sia io che lei ci sporgiamo in avanti in quello che è l’approccio meno romantico nella storia del bacio. Lei si scosta leggermente come a voler cercare la mia guancia ed io la inseguo con il risultato che le nostre labbra vanno a sbattere le une sulle altre in un penoso bacio a stampo.
Penoso…ma bellissimo.
- Ciao… - dice Bella, visibilmente imbarazzata. Adesso che è così vicina, riesco a vedere sul suo viso anche la stanchezza oltre all’imbarazzo.
- È stata una giornata piena? – le chiedo mentre si incammina al mio fianco.
- Oh, non puoi immaginare! Jessica non si è fatta vedere ed eravamo solo io ed Angela ai tavoli. Non abbiamo avuto un attimo di tregua. E tu? Che cosa hai fatto di bello?
È normale che io mi emozioni ad una domanda del genere?

No che non lo è.

Eppure è così. Mi sento emozionato. Non è la prima volta che mi fa una domanda simile o che ci raccontiamo come abbiamo trascorso la giornata o i momenti che non trascorriamo insieme, eppure adesso ha un significato diverso, come fosse una cosa…intima.
- Avevo alcune commissioni da sbrigare – le rispondo vago, sperando che lei non insista.
Non posso certo dirle “sai Bella, ero talmente eccitato che ho dovuto concedere un po’ di sollievo all’amico delle parti basse e poi dopo ho suonato e composto una musica dedicata a te”.
Non so quale delle due cose sarebbe peggio.
Camminiamo fianco a fianco e, mentre mi chiedo cosa pensi, le nostre mani ondeggiano e si sfiorano quasi ritmicamente.
Mi faccio coraggio e, aprendo le dita, le afferro la mano all’improvviso, quasi bruscamente, tanto che Bella sussulta facendomi ritrarre subito la mano.
- Scusami…non volevo…non volevo spaventarti…
- No, scusa tu. Io…non me l’aspettavo. È tutto un po’…strano. Non trovi anche tu che sia strano? Cioè…voglio dire…
- Ssssh…ho capito perfettamente cosa vuoi dire.
Mi fermo e mi volto verso Bella, le prendo una mano con entrambe le mie, avvolgendola e stringendola all’altezza del mio petto.
- È strano questo?
- No – risponde subito.
Avvicino il dorso alle labbra e vi poso un piccolo bacio.
- E questo?
- No.
La sua giacca non è abbottonata, scosto i lembi e poso le mani sui suoi fianchi, mi avvicino e le faccio scivolare indietro per poi congiungerle sulla schiena.
- No – risponde prima che possa farle la domanda. Non posso trattenere un sorriso.
Bella si avvicina ancora di più, si solleva sulle punte e, circondandomi il collo con le braccia, mi stringe a sé in un abbraccio inaspettato.
È…è sconvolgente…non sono mai stato abbracciato così. È una sensazione nuova. È come abbandonarsi completamente. In questo momento potrebbe accadere di tutto ma io non me ne accorgerei minimamente.
È così piccola e tenerla così stretta la fa sembrare ancora più piccola. Eppure nonostante la notevole differenza che c’è tra noi, qui, adesso, mi sento al sicuro, mi sento protetto. Il volto di Bella trova un incastro perfetto nell’incavo del mio collo e posso sentire distintamente la punta del suo naso freddo sulla pelle.
Rimaniamo così per non so quanto tempo e, quando sciogliamo l’abbraccio, senza dire nulla continuiamo a camminare verso casa sua e lo facciamo mano nella mano, le sue dita intrecciate alle mie.
- Che programmi hai per domani? – le chiedo quando arriviamo davanti alla sua porta.
- Ho il turno di mattina al Café e nel pomeriggio devo sistemare un po’ la casa. C’è un tale casino lì dentro.
Mi fa sorridere tutta questa dedizione alla casa, alla pulizia, all’ordine. Io trovo che la casa di Bella sia perfetta, non è assolutamente disordinata ma solo vissuta.
- E domani sera? È sabato…programmi? – le nostre dita si accarezzano, si cercano, si trovano, risalendo sui polsi, solleticando la pelle.
- Io…beh…no…cioè…
- Vuoi uscire con me? – Con l’altra mano le accarezzo una guancia, raggiungendo il lobo con le dita.
- U…uscire…io e te…cioè…intendi un appuntamento?
- Sì, intendo proprio un appuntamento. Sai, vestirsi bene, lui che va a prendere lei, la porta a cena fuori…
- Oh…un appuntamento.
- Già…un appuntamento. – Seguo i contorni dell’orecchio, giocherellando con i ciuffi di capelli che sono sfuggiti dall’elastico che li trattiene in una lunga coda. – Allora? – continuo avvicinandomi. Ci ritroviamo nella stessa situazione di ieri sera: addossati contro alla porta. Le mie labbra si posano sulla sua tempia e Bella mi stringe di riflesso la mano.
Ho atteso fin troppo.
Premo le mie labbra sulla sua bocca prima di schiuderle, cercando di superare la barriera debole delle sue ed incontrare la sua lingua. Se possibile il suo sapore è ancora più buono. Lo assaporo lentamente in attesa che Bella risponda con la stessa passione che mi ha mostrato stamattina.
È strano…sarà stanca ma la sento piuttosto…trattenuta.
Le circondo il collo con le dita, facendole piegare leggermente la testa all’indietro. Continuo a baciarla ma Bella sembra non voler collaborare come si deve.
- Tutto ok Swan? – le chiedo continuando a mordicchiarle il labbro inferiore.
- Sì…sì…tutto…ok… - risponde assecondando le mie labbra timidamente.
- Dovresti chiamare tua sorella…
- C…chi? Cos…mia…io non ho…
- Tua sorella…quella che mi ha baciato stamattina…quella che si è avventata sulle mie labbra facendomi perdere ogni contatto con la realtà. – Bella sorride ed arrossisce abbassando lo sguardo imbarazzata.
- Tu…tu avevi detto che era troppo…io pensavo…
- Quante volte te lo devo dire, piccola Swan? Tu pensi troppo per i miei gusti. – Le sfioro il collo con le dita di entrambe le mani, allargando il colletto della divisa e scoprendo la pelle candida e invitante. Le mie labbra trovano perfetto alloggio nel piccolo avvallamento che si trova alla base, ne seguo il contorno con la lingua, risalendo con una scia di baci caldi verso il mento. Ripeto lo stesso percorso più e più volte mentre il respiro di Bella si fa più rapido.
Finalmente le sue mani trovano il mio viso, lo circondano trattenendolo per invitarmi a continuare ciò che sto facendo. Ed io non ho la minima intenzione di smettere. Le dita si intrecciano nei miei capelli e tirano come hanno fatto stamattina. Una scossa di piacere mi invade ed inconsapevolmente mi spingo ancora di più verso Bella, schiacciandola contro la porta. Succhio la sua pelle gustosa sentendo pulsare il sangue contro le mie labbra.
- Tu…sarai sempre troppo…sempre…
- EJ…
Soffia il mio nome e lo fa in una maniera così sensuale ed eccitante che devo imporre alle mie mani di non scendere sui suoi seni che adesso premono contro il mio torace.
Mi solleva il viso tirando i capelli indietro e, quando i nostri sguardi si incontrano, infuocati entrambi dalla passione, Bella si avventa sulle mie labbra mordendole e succhiandole prima di permettere alle nostre lingue di incontrarsi e di cominciare a lambirsi e vezzeggiarsi scrupolosamente.
Continuiamo questa danza finché non ci scopriamo entrambi senza fiato. La mia fronte è poggiata sulla sua e le nostre bocche schiuse respirano l’una il fiato dell’altra. L’eccitazione è a livelli assurdi e basterebbe non so cosa per farmi perdere totalmente il senno.
- V…vuoi…entrare?
Cazzo, Swan!
Ricomincio a baciarla con ancora più foga, sperando così di calmare la voglia di portarla dentro, spogliarla e fare l’amore con lei senza nemmeno riuscire ad arrivare in camera da letto.
Speranza assolutamente vana visto che più la bacio, più la stringo, più la voglia di entrare in lei e sentirla godere si fa insopportabile.
- Swan…no…no… - La allontano e non perché è quello che voglio fare ma perché è quello che devo fare.
- Ok…ok… - Bella scioglie la presa e le sue mani si allontanano dalla mia testa.
Abbiamo entrambi il respiro corto e le labbra gonfie e per entrambi è chiaro ed evidente il fatto che se non ci fermiamo adesso potremmo non riuscire più a farlo. Sappiamo entrambi che sarebbe sbagliato.
O meglio…cerco di convincermi che sarebbe sbagliato nonostante adesso, nella mia mente, non c’è nulla di più giusto delle mie mani sul suo corpo.
Faccio un passo indietro ed inspiro l’aria fresca e pulita della sera, sperando che mi disintossichi da lei, almeno momentaneamente.

- A domani sera, piccola Swan.

- A domani EJ. Buonanotte…

- Non credo proprio lo sarà…




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*si dilegua, augurandovi ancora buon anno!!!

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Capitolo 13
*** Rawness ***


Capitolo tredici Lo so. Sono passati DUE ANNI!

Per tanto tempo molte di voi mi hanno chiesto che fine avessi fatto, se avrei mai posto la parola fine a questa storia.

Alcuni messaggi erano vere e proprie dichiarazione d'amore per il mio EJ e per la piccola Swan.
Non so se ci siete ancora o se avete ancora voglia di leggere la zozzifiction, ma io sono qui e, senza promettervi aggiornamenti puntuali e a breve termine, credo proprio che potremo vedere, insieme, dove porterà il loro viaggio.
EFP ha deciso di eliminare le foto che avevo messo negli scorsi capitoli, per questo ho deciso di non inserirne più e la cosa mi dispiace molto, perché le immagini erano un po' la caratteristica di questa storia, ma così facendo avrò anche un "pensiero" in meno e potrò scrivere e postare più velocemente (non escludo che in un attimo di follia io possa ricaricarle tutte e continuare come di consueto).

Il capitolo è dedicato a Sara, che ha sempre mostrato un grande affetto per questa storia, che ho avuto il grande piacere di conoscere di persona e che lo ha letto in anteprima, consigliandomi di pubblicarlo. Questo per dirvi che se fa schifo ve la dovete prendere con lei!

Ok, basta sproloquiare. Vediamo un po' dove eravamo rimasti:

- E domani sera? È sabato…programmi? – le nostre dita si accarezzano, si cercano, si trovano, risalendo sui polsi, solleticando la pelle.
- Io…beh…no…cioè…
- Vuoi uscire con me? – Con l’altra mano le accarezzo una guancia, raggiungendo il lobo con le dita.
- U…uscire…io e te…cioè…intendi un appuntamento?
- Sì, intendo proprio un appuntamento. Sai, vestirsi bene, lui che va a prendere lei, la porta a cena fuori…
- Oh…un appuntamento.
- Già…un appuntamento. – Seguo i contorni dell’orecchio, giocherellando con i ciuffi di capelli che sono sfuggiti dall’elastico che li trattiene in una lunga coda. – Allora? – continuo avvicinandomi. Ci ritroviamo nella stessa situazione di ieri sera: addossati contro alla porta. Le mie labbra si posano sulla sua tempia e Bella mi stringe di riflesso la mano.
Ho atteso fin troppo. 
Premo le mie labbra sulla sua bocca prima di schiuderle, cercando di superare la barriera debole delle sue ed incontrare la sua lingua. Se possibile il suo sapore è ancora più buono. Lo assaporo lentamente in attesa che Bella risponda con la stessa passione che mi ha mostrato stamattina. 
È strano…sarà stanca ma la sento piuttosto…trattenuta.
Le circondo il collo con le dita, facendole piegare leggermente la testa all’indietro. Continuo a baciarla ma Bella sembra non voler collaborare come si deve.
- Tutto ok Swan? – le chiedo continuando a mordicchiarle il labbro inferiore.
- Sì…sì…tutto…ok… - risponde assecondando le mie labbra timidamente.
- Dovresti chiamare tua sorella…
- C…chi? Cos…mia…io non ho…
- Tua sorella…quella che mi ha baciato stamattina…quella che si è avventata sulle mie labbra facendomi perdere ogni contatto con la realtà. – Bella sorride ed arrossisce abbassando lo sguardo imbarazzata.
- Tu…tu avevi detto che era troppo…io pensavo…
- Quante volte te lo devo dire, piccola Swan? Tu pensi troppo per i miei gusti. – Le sfioro il collo con le dita di entrambe le mani, allargando il colletto della divisa e scoprendo la pelle candida e invitante. Le mie labbra trovano perfetto alloggio nel piccolo avvallamento che si trova alla base, ne seguo il contorno con la lingua, risalendo con una scia di baci caldi verso il mento. Ripeto lo stesso percorso più e più volte mentre il respiro di Bella si fa più rapido. 
Finalmente le sue mani trovano il mio viso, lo circondano trattenendolo per invitarmi a continuare ciò che sto facendo. Ed io non ho la minima intenzione di smettere. Le dita si intrecciano nei miei capelli e tirano come hanno fatto stamattina. Una scossa di piacere mi invade ed inconsapevolmente mi spingo ancora di più verso Bella, schiacciandola contro la porta. Succhio la sua pelle gustosa sentendo pulsare il sangue contro le mie labbra. 
- Tu…sarai sempre troppo…sempre…
- EJ…
Soffia il mio nome e lo fa in una maniera così sensuale ed eccitante che devo imporre alle mie mani di non scendere sui suoi seni che adesso premono contro il mio torace.
Mi solleva il viso tirando i capelli indietro e, quando i nostri sguardi si incontrano, infuocati entrambi dalla passione, Bella si avventa sulle mie labbra mordendole e succhiandole prima di permettere alle nostre lingue di incontrarsi e di cominciare a lambirsi e vezzeggiarsi scrupolosamente. 
Continuiamo questa danza finché non ci scopriamo entrambi senza fiato. La mia fronte è poggiata sulla sua e le nostre bocche schiuse respirano l’una il fiato dell’altra. L’eccitazione è a livelli assurdi e basterebbe non so cosa per farmi perdere totalmente il senno.
- V…vuoi…entrare?
Cazzo, Swan!
Ricomincio a baciarla con ancora più foga, sperando così di calmare la voglia di portarla dentro, spogliarla e fare l’amore con lei senza nemmeno riuscire ad arrivare in camera da letto.
Speranza assolutamente vana visto che più la bacio, più la stringo, più la voglia di entrare in lei e sentirla godere si fa insopportabile.
- Swan…no…no… - La allontano e non perché è quello che voglio fare ma perché è quello che devo fare. 
- Ok…ok… - Bella scioglie la presa e le sue mani si allontanano dalla mia testa.
Abbiamo entrambi il respiro corto e le labbra gonfie e per entrambi è chiaro ed evidente il fatto che se non ci fermiamo adesso potremmo non riuscire più a farlo. Sappiamo entrambi che sarebbe sbagliato.
O meglio…cerco di convincermi che sarebbe sbagliato nonostante adesso, nella mia mente, non c’è nulla di più giusto delle mie mani sul suo corpo.
Faccio un passo indietro ed inspiro l’aria fresca e pulita della sera, sperando che mi disintossichi da lei, almeno momentaneamente.

- A domani sera, piccola Swan.

- A domani EJ. Buonanotte…

- Non credo proprio lo sarà…

E allora, buona lettura!

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Tredicesimo Capitolo

RAWNESS

Tu-tum, tu-tum, tu-tum, tu-tum…

Lo sento forte nelle orecchie, il rumore, è una corsa folle, implacabile, inarrestabile. Ho quasi paura di sentirmi male. Lo sento in gola, nel petto, nello stomaco e, sì, lo sento anche in mezzo alle gambe. Perché, ne sono più che certa, non sono mai stata così eccitata in vita mia. Mai.

Per fortuna che ho ancora le spalle appoggiate alla porta, se così non fosse credo che crollerei miseramente per terra.

Non so perché me ne sto qui, senza entrare in casa. Probabilmente perché non riesco a staccare gli occhi dalle sue, di spalle, che si allontanano, nella speranza che si volti e torni di nuovo da me.

E per il suo fondoschiena…

Sì, me ne sto qui senza entrare in casa anche per ammirare indisturbata il suo fondoschiena. Mi viene quasi da ridere per questo. Mi fa sentire molto… Jessica!

Ma come si fa a non rimanere senza fiato di fronte ad una meraviglia del genere? Praticamente impossibile. Impossibile non notare con quale armonia i suoi fianchi ondeggiano appena, in un’andatura sicura, elegante, ma così dannatamente sensuale.

Non sono mai stata una persona gelosa, non che in vita mia ci siano state troppe occasioni per esserlo, semplicemente non credevo di essere una persona così gelosa. Il punto è, ovviamente, EJ. Non sono cieca e non sono stupida e, soprattutto, mi sono sempre considerata una ragazza pacifica ed assolutamente contraria alla violenza, ma quando vedo come certe oche sfacciate e starnazzanti lo guardano, ammiccanti e lascive, per strada o al Cafè, beh, mi viene voglia di prenderle a pugni!

Quando gira l’angolo e scompare, lo fa senza voltarsi nemmeno per un attimo. Un sospiro frustrato sfugge dalle mie labbra e, rassegnata, cerco di trovare la forza e soprattutto l’equilibrio necessari per entrare in casa.

- Dannazione!

Mentre mi giro, qualcosa mi fa inciampare e riesco per un pelo ad aggrapparmi alla maniglia della porta per non cadere.

Non so come, non so quando, ma ad un certo punto devo aver lasciato cadere la borsa per terra e la cosa non mi meraviglia per niente. Probabilmente, pochi minuti fa, non avrei saputo dire nemmeno il mio nome.

Mentre frugo all’interno per trovare le chiavi, sento il telefono vibrare. Lo afferro quasi annoiata, certa di trovarvi uno dei soliti messaggi di Angela in cui mi chiede se ho “combinato” qualcosa.

Invece no…

  Scusami se sono andato via in quel modo ma, credimi, era la cosa migliore da fare. Sono quasi a casa e non riesco a smettere di pensare a te. Sono seriamente tentato di tornare indietro. Distraimi, Swan… dimmi un po’, che fai?

Devo appoggiarmi nuovamente alla porta. Non è possibile che poche parole in un sms mi destabilizzino in questa maniera. Io non sono mai stata così facilmente… eccitabile, così schiava del mio corpo, dei miei ormoni, e adesso basta che mi scriva che sta pensando a me, che si sta trattenendo dal ritornare qui, che sento il cuore balzarmi in gola e le gambe piegarsi.

Un po’ mi vergogno, ma avrei davvero voluto che non se ne andasse, che entrasse in casa con me, che continuasse a baciarmi. E poi? Che avrei fatto poi? Dove si sarebbe spinto lui? Fin dove io avrei voluto che si spingesse?

Le dita compongono autonomamente la risposta che il mio cervello in piena autocombustione ha dettato:

  E se non volessi distrarti? Sto entrando adesso in casa.

Mi rendo conto di ciò che ho scritto solo quando leggo il successivo messaggio:

 Ringrazia che mi sono appena richiusa la porta alle spalle. Piuttosto, tu, che diavolo ci fai ancora là fuori?

Ok, sono ufficialmente una cretina. Per oggi posso ritenermi soddisfatta della quantità di figuracce che ho fatto.

Infilo in fretta la chiave nella toppa, entro veloce in casa e mi richiudo anche io la porta alle spalle.

 Volevo dire che sono appena rientrata. Probabilmente ho indugiato nella speranza che qualcuno si rifacesse vivo ;)
La casa è ancora invasa dal profumo della nostra torta.

È la verità. La prima cosa che ho sentito, entrando, è stato un fortissimo odore di cannella e noce moscata, che mi riportano subito alla mente ciò che è accaduto stamattina.

  Non posso non sorridere mentre lo specchio dell’ingresso si fa beffe di me mostrandomi la mia stessa espressione da ebete.

Poi lo sguardo mi cade sulle labbra e, senza pensarci, le sfioro con le dita per avere la conferma che si tratti davvero delle mie. Sono rosse, turgide, lisce.

Una risatina mi sfugge ripensando ad una delle più frequenti massime di Jessica: “baciarsi è il miglior balsamo per le nostre labbra!”.

- Beh… non posso che darle ragione – dico a me stessa, avvicinandomi allo specchio.

Non è solo la bocca ad avere questo aspetto insolito, anche gli occhi mi sembra che abbiano una luce diversa. Per un attimo penso alla possibilità di avere la febbre e, quando porto il dorso della mano sulla fronte, in effetti, la sento calda.

No, non credo sia febbre. È l’effetto EJ, come lo chiama Angela.

Continuo l’ispezione e quasi inorridisco di fronte allo spettacolo che mi si presenta davanti.

Sono un disastro!

Il cappotto è scivolato giù dalle spalle. Dandomi un aspetto dimesso e sbilenco. La divisa è esageratamente aperta, scoprendomi il petto, ed i lembi del colletto sono sollevati in maniera assolutamente asimmetrica. La mia pelle, sottile e sensibile, è arrossata nei punti in cui EJ ha indugiato di più con la sua bocca e nei punti in cui ha strofinato la guancia ricoperta da un velo di barba. Quel velo di barba che gli dà un aspetto fintamente trasandato che mi fa impazzire.

Sfioro questi punti con le dita, sentendoli bruciare come fossero rivoli di lava incandescente che ancora scorrono inarrestabili su di me.

Avrei voluto sentire quei baci ovunque

Chiudo gli occhi, godendomi quel senso di beatitudine, per poi spalancarli improvvisamente quando un dubbio si fa strada nella mia mente.

Che avrà pensato EJ quando gli ho chiesto di entrare? Oddio! Avrà pensato che sono… facile?!

Do le spalle allo specchio, appoggiandomi col bacino al mobile dell’ingresso. Razionalmente sapevo che era inadeguato, che non avrei dovuto, che era troppo presto, che avrei lanciato un messaggio sbagliato, ma EJ mi stava baciando in quel modo. E le sue mani… Oddio, le sue mani! Più mi accarezzava, più avrei voluto sentirle ovunque, stringerle, baciarne i palmi, le dita. Sentire il suo respiro affannato, vedere il suo petto che si alzava e abbassava così rapidamente, scorgere le linee del suo torace perfetto sotto alla maglietta e sognare di seguirle con la punta delle dita.

Quando posa i suoi occhi verdi su di me, sento un brivido violento incendiarmi da dentro.

Ed il suo sorriso… cavolo, quel sorriso! Mi fa tenerezza, da un lato, perché mi ricorda quando eravamo bambini: EJ non sorrideva molto ma quando lo faceva non potevo non sorridere a mia volta. Era… contagioso!

Dall’altro però, ciò che sento quando solleva le labbra a quel modo, in un sorriso un po’ asimmetrico, scoprendo una fila di denti bianchissimi, perfetti, con i canini leggermente appuntiti, beh… non è affatto tenerezza.

E ci mancava anche Angela! Grazie a lei, anche le sue mani sono diventate un’ossessione, la pelle liscia e morbida, le dita lunghe e affusolate… Se qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei avuto pensieri decisamente poco casti sulle mani di un uomo, non ci avrei mai creduto!

Quando il cellulare squilla e vibra nella mia, di mano, sussulto come una cretina lasciandomelo sfuggire.

- No! No, no, no… ti prego, fa’ che non si sia rotto… ti prego!

Mi inginocchio per terra prendendo il telefono tra le mani e notando che il display è minacciosamente spento. Il pensiero che possa essersi rotto mi manda nel panico. Se così fosse, non potrei leggere la risposta di EJ. E se non la leggo non potrò rispondergli… e se non gli rispondo, potrebbe rimanerci male…

Ok, calma. Chiudo gli occhi, inspiro, e nel frattempo, ancora con gli occhi chiusi, cerco con le dita il tasto di accensione.

La musichetta mi fa quasi urlare al miracolo!

Mi siedo per terra, incrocio le gambe ed aspetto di poter leggere il messaggio.

 Io sento ancora il TUO profumo. Lo sento addosso, dolce ed intenso. Sarà quasi come averti accanto a me, stanotte.

Deglutisco a vuoto, cerco di ignorare l’improvviso calore che si propaga su viso e sul collo… e più giù… Non so quante volte lo rileggo ed ogni volta, a quel “quasi”, il mio cuore fa una capriola.

 Vorrei poter dire lo stesso… in realtà addosso ho solo gli odori del Cafè e non vedo l’ora di lavarli via con una doccia.

Decido, finalmente, di alzarmi e rimettere in moto il cervello.

Mi sfilo il cappotto, lo appendo assieme alla borsa e, con il telefono stretto in una mano, raggiungo la mia stanza. Per terra c’è ancora ciò che ho indossato stamattina e che ho dovuto levare in fretta per correre al lavoro. Sollevo gli shorts quasi inorridita, li mantengo tra il pollice e l’indice cercando di tenerli lontano da me il più possibile.

- Che vergogna! – sbuffo, buttandomi a peso morto sul letto e coprendomi il viso tra le mani. Non ci posso credere di aver dato retta a quelle due.

Il ricordo dell’espressione di EJ quando ho aperto la porta irrompe nella mia mente. Non posso fare a meno di provare un’immensa vergogna per essermi mostrata scoperta a quel modo, ma vedere i suoi occhi spalancarsi per la sorpresa e poi scurirsi, in uno sguardo che nella frazione di un secondo mi ha percorso il corpo come fosse completamente nudo, mi ha eccitata così intensamente da provocarmi un lieve capogiro.

Non so nemmeno io come ho fatto ad invitarlo ad entrare, voltargli le spalle e fingere indifferenza.

Oddio! Chissà cosa avrà pensato! Prima mi presento davanti a lui mezza nuda, poi non faccio che provocarlo, mi bacia… e gli salto letteralmente addosso e, per finire in bellezza, lo invito ad entrare in casa dopo nemmeno dodici ore dal nostro primo bacio.

Mi sollevo sui gomiti ed osservo il mio viso arrossato, riflesso nello specchio sopra il comò.

- Sei una poco di buono, Isabella Swan! – dico allo specchio, puntando il dito.

Nonostante questa consapevolezza, ciò che vedo è quanto di più lontano ci possa essere dalla vergogna, dall’imbarazzo o dal pentimento. Nei miei occhi c’è un guizzo vivace di curiosità, di eccitata euforia, di impazienza. Perché, ammettiamolo, io non ho mai provato nessuna delle sensazioni che EJ riesce a suscitarmi anche solo con lo sguardo.

 Jacob… non dovrebbe venirmi in mente in questo momento ma credo sia inevitabile. È l’unico paragone che io possa fare nonostante il più delle volte mi imponga di non pensare a lui.

Con Jacob non è mai stato così.

Accanto al fastidio provato per aver pensato a lui adesso, c’è anche la consapevolezza che farlo non mi causa quel misto di delusione, rabbia e senso di colpa. È come se fosse un dato di fatto: ho avuto un ragazzo, Jacob, credevamo di essere innamorati l’uno dell’altra, abbiamo fatto l’amore, mi sono trasferita… e lui ha pensato bene di andarsi a rifugiare tra le gambe di un’altra!

- Wow! – mi sfugge, misto ad un sospiro liberatorio. Non so se sentirmi sollevata o sconcertata per essere riuscita ad ammettere in pochi minuti ciò che non sono riuscita ad ammettere per ben due anni. O meglio, essere riuscita a farlo con questa facilità.

Pensare a Jacob, per tanto, per troppo tempo, è stato doloroso e deprimente e non c’è stato giorno che io non mi sia fermata almeno per un attimo a ricordare ciò che è successo tra noi, il modo in cui è finita, la sensazione soffocante di aver perso tutto, di non valere nulla, di non essere nessuno.

Buttarmi a capofitto nel lavoro, lanciarmi in maniera quasi incosciente nel progetto della libreria, investendovi ogni centesimo, sfinirmi fino a non avere nemmeno la forza per addormentarmi sono state le uniche cose alle quali mi sono aggrappata e che mi hanno tenuta in piedi.

Nell’ultimo periodo ed ancora di più da quando ho ritrovato EJ, ho preso a vedere le cose in maniera diversa. Probabilmente riesco a vedere me e Jacob per quello che eravamo realmente: due ragazzini. Due ragazzini che credevano di essere innamorati, affascinati dall’idea di essere i primi e gli unici l’uno per l’altra, semplicemente perché, essendo cresciuti insieme, era la cosa più ovvia, più facile ma anche la più bella e naturale.

Adolescenti, in piena tempesta ormonale… è venuto naturale scoprirsi, toccarsi, rinchiusi in una cameretta, eccitati dalla possibilità di essere scoperti, consapevoli di oltrepassare quel limite invisibile tracciato dai nostri genitori ma anche da noi stessi, fino a quel momento.

Sapevo come era fatto un uomo. A scuola, le lezioni di educazione sessuale si avvalevano di una dettagliata riproduzione dei genitali, sia maschili che femminili, ma la prima volta che ho visto Jake nudo ricordo di aver pensato che fosse… strano.

Probabilmente non posso parlare di “attrazione sessuale”, era più che altro una sorta di curiosità quasi analitica, azzarderei, di scoprire un qualcosa di così diverso da me. E credo che lo stesso sia stato per lui. Sorrido al ricordo di come ha toccato per la prima volta il mio seno acerbo, raccogliendolo con un palmo e soppesandolo neanche fosse un frutto, appunto, da valutare prima dell’acquisto.

Dalle prime palpatine al sesso c’è voluto, in effetti, più del normale e credo che la mia partenza sia stata determinante. In quel momento, farlo sembrava un modo per rafforzare un legame che avevamo già il sospetto si sarebbe spezzato. E, considerando come è andata, probabilmente sarebbe stato meglio così. Invece, la sera prima di partire per Boston, ci ritrovammo nudi nel suo garage, su una coperta stesa per terra alla meno peggio, Jacob, beatamente sorridente, ansante, sudato e soddisfatto ed io, inquieta e, se vogliamo dirla tutta, per nulla appagata.

Eppure ho creduto che fosse la cosa più giusta. Ero innamorata, sicura di esserlo, e donarmi a Jacob in quel momento mi aveva fatto sentire felice. Tornando indietro, probabilmente, rifarei lo stesso errore. Un errore che mi ha portato ad essere una ventitreenne con le esperienze sentimentali e sessuali di una sedicenne. Ma che dico! È molto probabile che una sedicenne abbia molta più esperienza di me!

Dopo Jake non c’è stato più nessuno e, se consideriamo che sono passati due anni dalla mia prima e ultima volta, beh, sono praticamente ancora vergine! La mia esperienza si riduce ad un paio di letture e qualche film che ha ampliato un po’ le mie conoscenze, per il resto sono una completa ignorante.

Ah… dimenticavo i dettagliati ed inquietanti resoconti di Jessica!

Con questo non voglio dire che avrei preferito essere come lei, e cambiare letto con la facilità con cui cambia paio di scarpe, ma nemmeno avere il terrore di fare la figura della ragazzina imbranata. Anche perché EJ è così… così…”EJ è troppo” penso, utilizzando lo stesso aggettivo che lui ha utilizzato per me oggi. Lui è davvero troppo.

Con i suoi baci e le sue carezze ha fatto affiorare sensazioni sconvolgenti in punti del mio corpo che non credevo nemmeno potessero provare tali sensazioni.

I miei polsi si infuocano quando lui li avvolge e li accarezza con le dita ed il collo è attraversato da forti scosse elettriche quando lo vezzeggia ed infila la mano tra i miei capelli.

Mi bacia il mento e sento il cuore accelerare la sua corsa seguendo un ritmo tutto suo.

In effetti non fa poi tutta questa differenza sapere o non sapere cosa fare, avere o non avere esperienza, la sua vicinanza mi stordisce al punto di non essere più in grado di intendere e di volere.

O forse solo di intendere, il volere è un discorso a parte e mi spaventa da morire. Perché non è normale, per me, volere EJ in questa maniera. So che, in questi casi, l’istinto è la cosa più importante e, cavolo, non credevo di avere un istinto così intraprendente.

Rifugiarmi tra le sue braccia, inspirare il suo odore, schiudere maggiormente le labbra per accogliere la sua lingua sono stati sin da subito gesti naturali, come se i nostri corpi si fossero sempre cercati, come se si fossero sempre appartenuti.

Nonostante ciò, ho paura che la Bella imbranata si faccia viva anche in queste situazioni e finisca col mettermi in ridicolo agli occhi di EJ. Non credo di voler sapere quale e quanta sia la sua esperienza, credo che queste cose non debbano mai essere troppo chiare tra due persone, ma sono sicura che avrà avuto sicuramente più di qualche storia.

A meno che il suo non sia talento naturale… non mi meraviglierebbe.

Ricado indietro sul letto pensando a tutte le doti che ho imparato ad apprezzare in lui in queste settimane. EJ riesce a conversare amabilmente di qualunque cosa, riesce a mettermi a mio agio e mi sa ascoltare come mai nessuno era stato in grado di fare, realmente interessato a ciò che dico e sempre pronto ad esprimere la sua opinione o a dare un suo giudizio. È un lavoratore instancabile. Oramai si destreggia in qualsiasi tipo di riparazione, al negozio, senza che sia io a dirgli cosa fare e la cosa sorprendente è che fa tutto esattamente come lo farei io o come vorrei che fosse fatto. In due settimane, la libreria ha cambiato aspetto e quando entriamo ciò che vedo non è più frutto della mia immaginazione ma è la reale forma che l’ambiente sta prendendo, che noi due, insieme, gli stiamo dando. È un galantuomo e, per quanto questo termine mi faccia sorridere, non riuscirei a trovarne un altro che meglio si adatti a lui. Non sono abituata a ricevere le premure che lui mi riserva e, nonostante l’imbarazzo, mi lusingano e mi fanno sentire al centro delle sue attenzioni. Come lui lo è delle mie, anche se io non sono altrettanto brava a dimostrarlo.

È spiritoso, divertente, ironico e credo di non aver mai riso tanto in vita mia. Il ragazzo che ho visto la prima volta al Cafè sembrava triste, esasperato, tormentato, così lontano da quello che in realtà si è dimostrato essere. Eppure ci sono delle volte che lo sguardo di EJ si rabbuia, che il suo corpo si irrigidisce ed il viso si contrae in un’espressione di dolore che lui cerca di dissimulare. Quando capita vorrei dirgli: “Parlami, dimmi cosa ti tormenta. Sono qui… non c’è nulla che tu non possa dirmi”. Ma non lo faccio, per riservatezza, credo, o per paura, forse perché sono convinta che quando sarà il momento lui mi racconterà qualsiasi cosa lo turbi e non voglio mettergli fretta. EJ è un uomo ma in lui posso ritrovare tanto del bambino che è stato e non solo nell’aspetto esteriore. È buono, con le persone, non solo con me; è gentile ed educato proprio come lo era da bambino, quando, se arrivava mia madre con i sacchetti della spesa, lui si offriva ad aiutarla, anche se erano più grandi di lui.

È un pianista eccezionale e quando parla di musica gli si illuminano gli occhi allo stesso modo di quando ricorda la sua mamma. Ogni giorno vorrei chiedergli di suonare per me come quella sera, ogni giorno evito di farlo perché ho paura che la cosa gli causi troppo dolore. Se e quando vorrà farlo, sarò felicissima di ascoltarlo.

EJ è sexy… No, parliamone!

Ci sono momenti in cui è ben consapevole del suo fascino e dell’effetto che ha su di me, e mi sembra che non si risparmi affatto nel mettere in evidenza il suo corpo. Ma sono altri i momenti che preferisco. Quando è talmente preso da ciò che sta facendo da non rendersi conto che lo sto osservando, ed in quei momenti, per me, è ancora più attraente. I suoi movimenti sicuri, la sua forza, la prontezza nei riflessi, il modo in cui si ferma per un attimo, si volta, mi sorride e si rimette al lavoro.

Mi piace la complicità che si sta creando tra di noi e l’atmosfera rilassata mentre lavoriamo insieme.

Ok, mi piace di più quando la vicinanza è tale che posso quasi vedere le scintille di elettricità che i nostri corpi sprigionano. Mi piace essere più piccola di lui e vederlo troneggiare su di me… mi avvolge, mi piega. In quei momenti mi sento così piacevolmente sopraffatta che potrebbe fare di me qualsiasi cosa.

Ma mi piacciono, anzi no, adoro quegli attimi di tenerezza, gli abbracci, le carezze, quando mi sfiora la fronte per scostare una ciocca ribelle, quando pulisce uno sbaffo di vernice sulla mia guancia.

Qualche giorno fa, mentre ero intenta a lavare i vetri, è scomparso per dieci minuti per poi ripresentarsi con un sacchetto.

- Tieni – mi ha detto, porgendomelo bruscamente.

All’interno c’erano un paio di guanti di gomma ed un barattolo di crema per le mani. Lui si è rimesso a lavorare senza dire nulla ed io sono rimasta a guardarlo, sorridendo come un’ebete per diversi minuti.

Ogni sera, quando sono a letto, afferro il barattolo da sopra il comodino e mi massaggio le mani con la crema, apprezzandone il profumo delicatamente fiorito, la consistenza morbida e l’immediata azione idratante. È una coccola che mi concedo e che mi fa pensare ad EJ prima di mettermi a dormire.

Non che ce ne sia bisogno…

Alla fine della giornata, nel buio della mia stanza, sotto le coperte, pensare a lui è il modo che preferisco per terminare la giornata e al mattino mi sveglio con la rinnovata voglia di rimboccarmi le maniche e dedicarmi al mio progetto, anche perché so che posso contare sul suo aiuto.

Il suono di un messaggio in arrivo mi riporta alla realtà. Allungo una mano cercando a tentoni il telefono sul materasso.

Ti sei addormentata sotto la doccia, piccola Swan? Io sono a letto…

Sussulto mettendomi a sedere quando mi trovo davanti il volto perfetto di EJ, illuminato dalla luce calda di una lampada. Nella foto si vedono anche le spalle, nude, ed il braccio su cui è appoggiata la testa. Un fascio di muscoli scolpiti resi ancora più evidenti dal gioco di luci ed ombre.

Sento il sangue affluire alle guance ed il cuore aumentare il ritmo…

EJ è a letto… nudo…

Magari non completamente, ma mi è bastato vedere quel poco per farmi andare in iperventilazione.

Con dita tremanti, digito una risposta senza pensarci troppo e mi fiondo nel bagno sfilandomi l’uniforme e rabbrividendo al contatto della pelle accaldata con l’aria più fresca della stanza.

Mi insapono e mi risciacquo velocemente.. è tardi, dovrei essere a letto da un pezzo. Domani sarà una giornata molto lunga e non sarà facile aspettare che arrivi la sera.

Un appuntamento… Quasi non ci credo!

Torno in camera sorridendo come una scema… Da quando ho incontrato EJ questa è l’espressione che sempre più spesso compare sulla mia faccia. Sembra di avere una paresi!

Mi infilo il pigiama, afferro il telefono e mi metto sotto le coperte. L’icona sul display  mi informa della presenza di un messaggio. Lo apro, ansiosa di leggere cosa ha scritto EJ e, quando lo faccio, per poco non mi prende un colpo!

Non pensavo di farti questo effetto, Swan… E solo con una foto innocente…

Con il cuore in gola, apro immediatamente la cartella dei messaggi inviati e quando leggo ciò che gli ho scritto prima non posso fare a meno di maledirmi mentalmente.

Adesso devo proprio farmi una doccia…

Ora penserà che stia facendo la civetta con lui. Dopo essermi presentata alla porta mezza nuda stamattina ed averlo praticamente invitato nella mia camera da letto stasera, non è così difficile da credere. Oddio, forse pensa che voglia fare sesso al telefono?!

Isabella Swan, sei una cretina! Idiota, stupida… e cretina!

Sesso al telefono… Oddio! Io non ho mai fatto sesso al telefono, non sono nemmeno tanto sicura di come si faccia!

(Qualche mese prima…)

- Jessica ci sei? È tutta la sera che non stacchi gli occhi da quel telefono. Cos’avrete tu e Mike di così importante da dirvi che non possa attendere un’altra ora?

- Fidati Bella, non lo vuoi sapere.

- Eh? Che vuoi dire? Ora sono curiosa.

- Ok, se insisti. Io e Mike stiamo sessaggiando.

- Cosa?! M… messaggiando vorrai dire.

- No, voglio dire proprio quello che ho detto. Sesso al telefono Bella, hai presente?

- Io… ma, voi due vi vedete ogni giorno!

- E allora? È stuzzicante, divertente, eccitante. Quando arrivo a casa, Mike è talmente su di giri che non mi dà nemmeno il tempo di arrivare in camera da letto!

E ora che faccio? Che gli rispondo?

Il telefono vibra tra le mie mani e quasi lo lancio in aria per lo spavento.

Ti stai godendo la doccia?

Oook, Calmati Bella. EJ ti sta sfacciatamente provocando. Ora sta a te decidere se assecondarlo o ignorarlo.

Sembra facile… Il problema è che non ho la più pallida idea di come fare sia l’una che l’altra cosa. Non so se sia sessaggiare questo, ma lui lo fa dannatamente bene!

Sono senza speranza.

Sono a letto. E, prima, non intendevo dire quello.

La risposta arriva immediatamente.

Non intendevi dire cosa?

Hai capito.

No, spiegamelo.

La doccia, la foto e tutto il resto.

Rimango con lo sguardo fisso sul display, ma la risposta di EJ tarda ad arrivare. Sospiro frustrata e mi risistemo nel letto, girandomi di lato e raccogliendo le gambe al petto in quella che è la mia posizione preferita da quando ero bambina. Sto per domandargli se c’è ancora, quando arriva il suo messaggio.

Quindi non ti fa nessun effetto la foto che ti ho mandato?

Ma… come può chiedermi una cosa del genere? Maledizione EJ… cosa vuoi che ti dica?

Sento gli occhi pizzicare ed il testo si fa sfocato per le lacrime che premono impietose.

Sono patetica!

Esasperata digito l’unica risposta che mi viene in mente.

Non sono brava in queste cose. Mi dispiace. Buonanotte.

 Il telefono comincia a squillare dopo pochi secondi. Mi schiarisco la voce e rispondo senza nemmeno guardare il display. So che è EJ, spero solo non si accorga che sto piangendo.

- EJ…

- Che succede, piccola Swan?

- Io… no, niente.

- Stai piangendo?

Ouch!

- No, no, affatto. Sono solo un po’… raffreddata.

Spero che EJ se la beva.

- Non la bevo, pulce. Ti conosco troppo bene e non è la tua voce da raffreddata quella.

Ri-ouch!

- EJ, io…

- No, lascia parlare me – mi interrompe – Scusami, Bella, non volevo. Non riuscivo a smettere di pensare a stasera, al bacio e…

- Oh…

- E’ stato… non so dirti com’è stato. Non so nemmeno come ho fatto ad andarmene e lasciarti lì. Prima, quando mi sono messo a letto, nonostante la doccia, sentivo ancora il tuo profumo addosso. Non ho mai provato una cosa del genere in passato. Scusami se ti ho stuzzicata. Mi impongo dei limiti, con te, ma poi è difficile rispettarli.

- EJ…

- No, lasciami finire. Non so come comportarmi con te. Tu sei così… diversa. Ho una fottuta paura di sbagliare. E stasera ho sbagliato. Io…

- EJ basta, ti prego. Basta. Tu non hai sbagliato nulla. Non hai fatto niente di male. È colpa mia.

Una risatina soffocata mi giunge dall’altro capo del telefono.

- Non starai ridendo di me, Masen!

- Sì, Swan, sto ridendo proprio di te. Spiegami per quale diavolo di motivo dovrebbe essere colpa tua!

- Beh, io… vedi…

- Mh mh…

- Smettila! Non prendermi in giro!

- Ma io non ti sto prendendo in giro.

- Sì invece. Lo fai sempre – dico imbronciata.

-Perché adoro il broncio che fai. Anche adesso scommetto.

- Non è vero! – rispondo, immediatamente sulla difensiva.

- Ok pulce. Ricominciamo dall’inizio. Perché sarebbe colpa tua?

- Perché sì. Beh, insomma… lo sai.

- Per la miseria, Swan. No che non lo so!

- Uff… te l’ho detto. Non sono brava.

- Non sei brava a fare cosa?

- Dai, EJ… quello che stavamo facendo prima – dico esasperata.

Improvvisamente fa così caldo. Sento il viso in fiamme. Scalcio il piumone e mi giro sulla schiena.

- E cosa stavamo facendo prima, Swan?

Il tono di voce con cui mi fa la domanda dovrebbe essere legalmente inammissibile. Come miele dolce e caldo… Ma che dico, miele? A me non piace il miele. È cioccolato, caldo, denso, morbido… lo sento scorrere dentro e la sua dolcezza si diffonde in tutto il corpo.

- Io – ammetto candidamente – non l’ho mai fatto.

- Cosa?

La sua voce sta diventando, se possibile, ancora più roca e profonda.

- Sesso al telefono… - sussurro. Oddio, l’ho detto. Chiudo gli occhi aspettando di sentire la sua risata. Ma non succede.

- E’ questo che pensi? Credevi che volessi fare sesso al telefono?

Non sta ridendo. È serio.

- No? – chiedo, sperando che non colga la nota di delusione nella mia voce.

- No, Bella.

- Oh… Io pensavo… Lascia perdere, sono una sciocca.

- Quante volte te lo devo dire Swan? Tu pensi troppo. E, fidati, quando faremo sesso al telefono, te ne accorgerai.

Un gemito mi sfugge e mi copro immediatamente la bocca con la mano, dandomi, per l’ennesima volta solo stasera, della cretina! Non so se mi agita di più il modo in cui ha pronunciato “sesso” o quel “faremo”. So solo che al solo pensiero mi manca il respiro.

Improvvisamente il peso di tutto quello che è successo oggi e nell’ultimo periodo mi piomba addosso. Ho come l’impressione che stia succedendo tutto troppo in fretta, anche se razionalmente so che non è così. Ho paura. Ho paura di non meritarlo, ho paura che finisca. Ho paura di non essere in grado di gestirlo, di gestire tutte queste emozioni che in alcuni momenti è come se mi travolgessero. EJ ha risvegliato sensazioni che non credevo avrei mai più provato ed a quelle se ne aggiungono altre completamente nuove e inaspettate.

Vicino a lui mi sento al sicuro e allo stesso tempo mi sento più sicura di me stessa. Davanti a lui mi sento bella, quasi sempre, anche dopo una giornata al Cafè, con i capelli scarmigliati e gli odori della cucina addosso. Mi sento ascoltata, capita, supportata come non mi era mai successo prima. E, soprattutto nell’ultimo periodo, mi sono sentita e mi sento desiderata, in un modo così intenso da togliermi il fiato.

- Swan, sento il cigolio degli ingranaggi del tuo cervello da qui.

- Scusami…

- Parla con me, Bella. Sono qui, ti ascolto.

E la sua voce è così dolce e va a stuzzicare quelle corde che già da tempo avevano preso a vibrare, che tutto ciò che ho cercato di contenere esplode in un pianto disperato. Il mio petto sussulta per i singhiozzi e le lacrime scorrono copiose e inarrestabili bagnandomi le tempie e i capelli.

Sento il mio nome, sento EJ che mi prega di calmarmi, mi chiede cosa sia successo ed è solo per il suo tono preoccupato che cerco di farlo, iniziando a respirare profondamente mentre mi asciugo gli occhi con la manica del pigiama.

- Ok Bella, sì, così… Respira. Stai tranquilla, sono qui…

- EJ…

- Dimmi tutto, pulce.

- Sono felice… Sono felice che tu sia qui. Sono felice di averti ritrovato. Grazie.

- Non ringraziarmi, piccola Swan. Sono felice anche io. Non puoi nemmeno immaginare quanto – dice sollevato, dopo aver sospirato profondamente.

- EJ?

- Sì?

- Non hai paura?

- Talmente tanta che a volte mi sembra di impazzire.

- Anche io…

- E di cosa hai paura, Bella?

- Di deluderti.

- Impossibile…

- E tu? – gli domando sorridendo.

- Di farti del male.

- Come puoi pensarlo? – gli chiedo allarmata – Non puoi dire sul serio. Non ne saresti capace, sono sicura di questo.

- Spero che tu abbia ragione.

- Certo che ce l’ho. Io ho sempre ragione!

- Oh, ecco che ritorna miss sottuttoio, non mi era mancata affatto.

- Ahahahahah, beh, abituatici. Uomo avvisato…

- Mh, ci proverò. Certo che, unita alle altre cose… è una gran bella lista di difetti la tua.

- Ma senti chi parla!

- Che vorresti dire?

- Che anche la lista dei tuoi difetti non scherza…

- Ah! Questa è bella. E, sentiamo, quali sarebbero i miei difetti?

- Umpfh, sei uno spocchioso arrogante, per iniziare. La prima volta che sei venuto al Twilight, ti guardavi intorno come se il locale fosse appestato. Ti avrei preso a calci nel sedere!

Mi preparo mentalmente alla sua risposta provocatoria, ma, dopo qualche secondo, quando parla, il suo tono è completamente diverso. Amareggiato.

- Non era un buon momento.

- Scusa – sussurro mortificata dopo un po’. Ricordo perfettamente la sua espressione accigliata e pensierosa. Non avrei dovuto…

- E poi c’era una cameriera acida e fastidiosa!

- COSA?!

- Ma molto carina…

- Ah sì? E com’era? – gli chiedo sorridendo.

- Era uno schianto! Peccato che poi ne sia arrivata un’altra con un’insulsa torta di mele…

- EJ! Sei un… Un…

- Un?

- Un…

- Sono tutt’orecchi.

- Sei odioso! – sbotto alla fine, censurando tutti gli altri aggettivi che mi sono venuti in mente!

- Lo so. E ti piace…

Sì, mi piace. Mi piace tutto di EJ.

Non so per quanto tempo continuiamo a stuzzicarci, ma all’ennesimo mio sbadiglio, EJ decide che è ora di mettersi a dormire.

- Ci vediamo domani al Cafè?

- No, domani sono impegnato tutto il giorno. Ti passo a prendere alle venti in punto.

- Ok  – dico. Mi rattrista anche il solo pensiero di passare tutta la giornata senza vederlo.

- Allora, fai bei bei sogni, piccola Swan.

- Buonanotte EJ. Fai bei sogni anche tu.

- Lo spero.

* *** * *** *

- FINALMENTE! – la voce di Jessica, già normalmente stridula, è due ottave sopra rispetto al solito – Cominciavo seriamente a pensare che Mr. Torta di mele fosse gay!

- Jessica!

- Cosa? È un’eternità che vi fate gli occhi dolci. Era ora che ti chiedesse di uscire. Certo, ci sono momenti in cui sembra volerti saltare addosso qui, davanti a tutti, e possederti su uno dei tavoli, ma la cosa stava andando decisamente per le lunghe.

Promemoria: tenere le mie amiche, anzi no, tenere le mie colleghe fuori da questa storia, soprattutto Jessica!

- Jess, lascia stare Bella…

- Grazie Angela – le dico sorridendo, riconoscente. Almeno lei…

- Allora? Lo avete fatto?

- ANGELA!!!

- Beh? Avreste dovuto vedere le vostre facce ieri sera…

- Dai, Bella, racconta – le dà man forte Jessica – e non risparmiarci i dettagli piccanti.

Afferro la caraffa, esasperata, e do loro le spalle per riempire le tazze dei clienti. Lo faccio lentamente, ma quando ritorno al bancone, quelle due sono ancora lì ad aspettare.

Con una maschera di indifferenza dipinta sul volto, continuo a svolgere le mie mansioni, ignorando i loro sguardi.

- Ok! – sbotta Jessica – Dicci almeno cosa indosserai stasera.

Penso di ignorare anche questa domanda, quando mi rendo conto che, effettivamente, potrei avere bisogno di un consiglio.

- Ecco – comincio, avvicinandomi – EJ non mi ha dato nessun indizio. Non ho la più pallida idea del posto in cui andremo, del tipo di serata… Ho paura di esagerare o, al contrario, di sembrare sciatta.

Jessica e Angela si sono avvicinate lentamente, scivolando con i gomiti appoggiati al bancone ed il busto proteso in avanti. Le nostre teste si toccano. I loro occhi sgranati mi inquietano. Sembra di essere di fronte all’inquisizione.

- I… Io av… avevo pensato… magari… di mettere un… pantalone ne…

- Cooosa?! – esclamano in coro facendo voltare tutti i clienti. Oddio, adesso ho paura.

- Sì… Ne ho uno, molto eleg…

-NO! – quasi urlano insieme. Ora anche i clienti hanno paura.

- Smettetela di fare così! – dico a denti stretti. Lo sapevo che avrei dovuto tenere la bocca chiusa!

- Bella, è il vostro primo appuntamento ufficiale – dice seria Jessica, come se non lo sapessi! – Devi mettere in mostra l’armamentario! – conclude, oscillando l’indice davanti al petto, dove la divisa riesce a malapena a contenerle il seno.

- È di me che stiamo parlando… Non c’è molto armamentario da mettere in mostra.

Io e Angela ci guardiamo, alzando gli occhi al cielo e Jessica mi guarda con un’espressione sconsolata come se fossi un caso senza speranza.

Dopo qualche minuto di silenzio, batte una mano sul bancone, facendo sussultare noi e tutta la gente presente nel locale.

- Ho trovato! Siamo tutte e tre libere oggi pomeriggio, giusto? Sapete cosa vuol dire questo?

Non so se si tratti di una domanda retorica o se si aspetti davvero una risposta. In ogni caso, comincio a sentire una lieve agitazione.

- Shopping ragazze! Non c’è nulla che un push-up non possa fare!

 

* *** * *** *

Seduta sul letto, stretta nell’accappatoio, i capelli avvolti in un asciugamano, guardo compiaciuta il vestito appeso all’anta dell’armadio. Manca un’ora all’appuntamento e mi sento agitata ed euforica allo stesso tempo. Non credevo di uscirne viva oggi pomeriggio, ma alla fine si è rivelato più facile e piacevole del previsto.

Sono riuscita a non spendere un capitale, a persuadere Jessica dal farmi vestire come lei, a non comprare un push-up da settanta dollari!

Beh, sì, ok, mi sono lasciata convincere dalla commessa del negozio a comprare un corsetto. Mi imbarazza il solo pensiero! Quando me l’ha mostrato, sono inorridita e penso di aver storto anche il naso. Ma quando l’ho indossato sotto al vestito, quando ho notato la differenza, il modo in cui sottolineava il punto vita, in cui metteva in risalto il seno, senza che schizzasse fuori ad ogni movimento, come con il reggiseno proposto da Jessica, il modo in cui mi sono sentita mentre mi guardavo allo specchio, beh, ho sorriso, facendo sì con la testa, sotto lo sguardo compiaciuto delle mie amiche.

Adesso invece sono qui, con il cuore in gola ed il terrore di sembrare ridicola e di non riuscire nemmeno a sedermi o mangiare, strizzata in quello strumento di tortura.

Prendo il telefono e rileggo il messaggio.

Mi sei mancata, piccola Swan. Non vedo l’ora di rivederti. A tra poco.

Come una molla, scatto in piedi e comincio a prepararmi.

* *** * *** *

E se ci siete ancora, non posso che dirvi GRAZIE.

Miki.

 

 

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Capitolo 14
*** The Date ***


Quattordicesimo Capitolo Che dire? Che non ho parole che per la vostra accoglienza? Che non mi aspettavo i vostri commenti? Che non mi aspettavo che tante di voi stessero ANCORA aspettando EJ e Bella?
I messaggi privati, le lettrici che hanno inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate, i complimenti per il capitolo... Insomma, GRAZIE.

Avrei voluto aggiornare a San Valentino, scenario temporale perfetto per un primo appuntamento, ma non ce l'ho fatta, quindi eccolo qui, ancora una volta è Bella che racconta, ma dal prossima tornerà il mio amato EJ.

Buona lettura!

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Quattordicesimo Capitolo

THE DATE

Non credevo che sarei stata così agitata. All’improvviso nulla mi sembra più al suo posto. Il vestito è troppo stretto e, forse, troppo esagerato, le scarpe sono troppo alte, il trucco troppo marcato. Avrei dovuto legare i capelli: il ciuffo proprio non ne vuole sapere di stare al suo posto.

- Dannazione!

Quando il campanello suona per la seconda volta, mi fiondo nell’ingresso, rischiando di inciampare sui trampoli e cadere per terra!

Calma, Bella… calma.

Faccio un respiro profondo e apro la porta.

Ogni dubbio sul mio aspetto scompare nell’istante esatto in cui vedo l’espressione di EJ. I suoi occhi sono quasi sgranati e la bocca è dischiusa non solo per lo stupore, credo, ma anche per un saluto probabilmente bloccato sul nascere.

- Ciao – dico io al suo posto.

- Ciao – soffia lui in un sussurro appena percepibile, che mi strappa un sorriso. Il suo sguardo continua a scivolarmi addosso, dalla testa ai piedi, così intensamente che d’istinto porto le mani sui fianchi per sentire la stoffa del vestito.

Ok, ce l’ho!

Mi scosto da un lato, sperando che lui colga l’invito ad entrare, ed infatti fa un passo avanti, mentre con l’indice si accarezza il labbro inferiore quasi a voler celare il suo splendido sorriso sghembo.

Il modo in cui ha fissato gli occhi sul mio corpo mi sta rendendo nervosa, ma in un modo inaspettatamente piacevole. Sento il sangue affluire alle guance e scorrere frenetico martellandomi le tempie, sento la gola secca ed il calore irradiarsi in posti che in questo momento dovrebbero starsene tranquilli.

- Prendo giacca e borsa e sono pronta – dico d’un fiato, girandomi svelta nel tentativo di sfuggire al suo sguardo, raggiungere la mia stanza e disintossicarmi un po’ dalla sua presenza.

- Non così in fretta, Swan.

EJ afferra con decisione il mio gomito e, senza rendermene conto, mi ritrovo incastrata tra le sue braccia. Il suo corpo troneggia sul mio obbligandolo a piegarsi all’indietro. Dal fianco una mano risale sulla schiena, lentamente. Lo sento indugiare sulle stecche del corsetto e, in quell’attimo, mi sembra quasi che i suoi occhi si facciano più scuri, prima di circondarmi la nuca e spingere gentilmente la mia testa in avanti, finché le nostre labbra sono ad un soffio le une dalle altre. La sua presa è salda ma gentile, il suo sguardo cupo è fisso sulla mia bocca dischiusa, il respiro regolare e profondo soffia sulle mie labbra un delizioso sapore di menta e di EJ. Lo inspiro avidamente senza nemmeno cercare di celare il ritmo sovraeccitato del mio. Ma la sua apparente calma è tradita dall’ipnotizzante movimento del pomo di Adamo, che cerco di fissare per evitare i suoi occhi.

- Sei una visione, Isabella Swan – mi sembra di sentire prima che la sua bocca prema sulla mia.

A dispetto delle premesse, il bacio che ci scambiamo è dolce e lento. Le nostre lingue si accarezzano e si riconoscono dopo quelli che sembrano giorni, mesi, anni di lontananza. Riesco a liberare le braccia, sollevandole e circondandogli il collo. EJ detta il ritmo di questo bacio ed il mio capo lo asseconda come se fosse la cosa più naturale nel mondo. Risalgo con le dita sulla nuca, intrecciandole ai suoi morbidi capelli, che sento ancora umidi. Basta questo a scuotermi violentemente in un brivido di eccitazione amplificato dalla pressione che la sua mano esercita alla base della schiena e che consente al mio corpo di aderire completamente al suo.

- Swan – protesta, staccandosi leggermente.

Un gemito di piacere e di frustrazione mi sfugge e le dita si stringono attorno alle ciocche morbide dei suoi capelli per spingerlo nuovamente su di me.

- Swan!

- COSA?!

Il tono quasi irritato della mia risposta sorprende entrambi. EJ mi guarda e dopo un po’ sorride scuotendo la testa.

- Che devo fare con te, piccola Swan?

- Potresti continuare da dove ci hai interrotti un attimo fa – dico maliziosamente, salutando il mio, ormai perduto, senso del pudore.

A proposito della capacità di intendere e di volere…

- Ho fatto una promessa, Bella, e si sta facendo tardi. Ti aspetto fuori… all’aria aperta. – Aggiunge le ultime due parole a denti stretti, quasi fosse un’imprecazione.

Una promessa? Che promessa? A chi?

Pensierosa, vado in camera, prendo la mia giacca, la borsa e lo raggiungo, incuriosita dalle sue parole.

- Ti ho già detto che sei stupenda stasera?

- Più o meno – rispondo con sufficienza, facendolo sorridere. Ed è uno di quei rari, spontanei e bellissimi sorrisi mozzafiato. – Anche tu lo sei – dico sincera, notando come l’aggettivo “stupendo” non si addica neanche lontanamente al suo aspetto.

I capelli sono spettinati ad arte, e forse io ho contribuito giusto un po’, più scuri, perché umidi, la pelle del viso è liscia, perfettamente rasata, le labbra rosse e piene per il bacio che ci siamo appena scambiato e infine quello sguardo a tratti cupo e tormentato, a tratti stupito ed eccitato, che mi lascia spesso e volentieri senza fiato.

Indossa un completo scuro dal taglio perfetto e l’aria costosa. La camicia aderisce così bene al suo torace che mi è facile, troppo facile, immaginare le linee dei suoi pettorali. E, per completare il tutto, i primi due bottoni sono slacciati ed il contrasto tra il grigio scuro ed il pallore della pelle è un invito a scoprire, centimetro dopo centimetro, tutto il suo corpo.

- Andiamo? – EJ mi circonda la vita con un braccio, spingendomi gentilmente verso il taxi che ci attende davanti al cancello. Non mi ero nemmeno accorta che ci fosse e mi sento immediatamente in colpa per tutto il tempo in cui il tassametro ha girato.

Con un gesto fluido, EJ mi apre la portiera e, tenendomi per mano, mi accompagna all’interno dell’abitacolo. Velocemente, fa il giro della macchina e prende posto accanto a me, sporgendosi in avanti per comunicare la destinazione al tassista. Distratta dalla sua mano che si è riappropriata della mia e del suo pollice che mi accarezza le nocche, non riesco a capire l’indirizzo, ma non m’importa, siamo insieme e questo è il nostro primo vero appuntamento.

EJ stringe la mia mano e, in certi momenti, ho come l’impressione che lo faccia per accertarsi che io sia davvero accanto a lui, in carne e ossa.

Stringo la sua per rassicurarlo e lui si volta verso di me, sfoggiando il sui splendido sorriso. Mi scosta una ciocca di capelli dalla fronte e appoggia le labbra alla mia tempia, inspirando forte e posandovi poi un delicatissimo bacio.

La tensione di prima si è sensibilmente attenuata ed ora aleggia una sensazione di dolce tranquillità. Ed è sempre così con lui: un attimo prima vengo attraversata da una scarica di corrente elettrica e l’attimo dopo mi sento come pervasa da un senso di tranquilla soddisfazione. Non so per quanto riuscirò a reggere questo scompenso emotivo. Mi sembra di stare sulle montagne russe senza cintura di sicurezza.

- A che pensi? – mi chiede d’un tratto.

- È strano…

- Cosa? – Il suo tono è quasi allarmato.

- Tutto questo. Noi due – gli rispondo, volutamente vaga, tenendolo sulle spine.

- Mh… - mugugna. Il suo viso si adombra all’istante. Stasera EJ è più pensieroso del solito, spero che non sia successo nulla di grave. Mi pento immediatamente di averlo impensierito e cerco di rimediare.

- Sì, è così… stranamente naturale.

Anche se siamo praticamente al buio e non posso vederlo distintamente, so benissimo che l’espressione adesso è più distesa. Lo so perché è ciò che succede ogni volta che mi capita di rassicurarlo, quando scaccio via qualche suo dubbio, quando gli do, anche involontariamente, la conferma che in questa cosa siamo in due.

- Dove stiamo andando?

-  Non demordi, eh? Tra poco lo vedrai, è una sorpresa.

- Un indizio?

- No, siamo quasi arrivati – risponde brusco.

- Solo uno, daiiii… - insisto con la voce un po’ lamentosa.

- Non m’incanti Swan. Non sei più una bambina – mi rimprovera scherzosamente. Poi lo sento avvicinarsi, sento le dita sfiorarmi i capelli e portarli dietro l’orecchio, sento le labbra calde lambirmi il lobo e dopo un attimo sussurrare piano: - E per quanto fossi una bimba deliziosa, non potrei essere più contento che tu sia cresciuta.

La voce roca ed il modo tutt’altro che innocente di pronunciare quelle parole mi strappano un gemito che riesco a malapena a trattenere. Il tassista mi lancia uno sguardo dallo specchietto retrovisore ed io vorrei scomparire per l’imbarazzo. Non è normale il modo in cui il mio cuore reagisce a lui, il modo in cui il mio corpo si accende ad un suo sguardo, ad una parola, una carezza. Anche adesso che si è allontanato, non posso non pensare alla mia mano stretta nella sua e posata sulla sua coscia, e non basta il sottile tessuto del pantalone a celarmi la consistenza marmorea dei suoi muscoli, che suggerisce alla mia, facilmente stuzzicabile, immaginazione scenari non proprio casti.

Improvvisamente l’abitacolo si fa troppo piccolo e affollato, mi sento inquieta, agitata e vorrei scendere per respirare un po’ di aria fresca, prima di fare o dire qualcosa di inopportuno.

- Eccoci – esclama EJ, mentre il taxi rallenta. Sembra quasi aver percepito il mio disagio. Spesso ho l’impressione che quest’uomo possa leggermi nel pensiero.

Scuoto la testa, pensando che quello che vi leggerebbe lo farebbe scappare a gambe levate.

- Ci sei piccola Swan?

È già sceso dalla macchina e mi tende la mano per aiutarmi ad uscire. I suoi occhi brillano e posso leggervi  un’emozione intensa, nuova. Da quando ci siamo ritrovati, non l’ho mai visto così. Sorride, ma si vede che è agitato, nervoso. Lo sono anche io, ovviamente, ma è come se ci fosse qualcos’altro.

Afferro la sua mano con decisione e lascio che mi accompagni all’esterno.

Mi guardo intorno perplessa e forse anche un po’ delusa. Il suo abbigliamento mi aveva suggerito una meta elegante e invece ci ritroviamo in una stradina piuttosto buia, di fronte ad una tutt’altro che rassicurante porticina in legno, sovrastata da un’insegna con intagliato il nome del locale: The Greazzly Bear… un pub.

EJ non si accorge della mia perplessità o forse fa finta di non accorgersene, apre la porta e mi circonda la vita invitandomi ad entrare.

Ci ritroviamo in una sorta di anticamera, completamente in legno e ben illuminata, di fronte a noi una bellissima ragazza bionda, seduta dietro un tavolino dall’aspetto antico e costoso, e alle sue spalle una porta a due ante con i vetri riccamente intarsiati.

Ok, forse ho giudicato questo posto troppo in fretta.

- Edward! Da quanto tempo… Che bella sorpresa vederti qui.

E questa che vuole?

- Buonasera Irina. È un piacere anche per me rivederti. Possiamo entrare? Abbiamo un tavolo.

- Ma certo. Allora sei tu il “per due” che mi ha segnato Emmett sulla lista.

Siamo NOI il “per due”…

- Chi lo avrebbe mai detto – aggiunge con quel tono starnazzante che comincia a darmi sui nervi. – E buona serata – conclude aprendo la porta.

Il “grazie” acido che vorrei pronunciare mi muore sulle labbra quando entro nella sala. Definire questo posto “pub” è assolutamente riduttivo, ma in effetti  non saprei  quale altra parola utilizzare.

Il parquet scuro, levigato e lucido continua sulle pareti con assi di legno dello stesso colore fino a metà altezza ed il resto del muro è rivestito da un’elegante carta da parati satinata di una splendida e raffinata tonalità di avorio. La sala è strutturata su diversi livelli, ai quali si accede grazie a due o tre scalini e ogni mini ambiente è suddiviso da una sorta di balconata che forma un piccolo privée . La luce di deliziose lampade in stile liberty è calda e soffusa e conferisce all’ambiente un aspetto ricercato e country allo stesso tempo.

Sulla sinistra vi è un lungo bancone in perfetto stile saloon, dove alcune persone sedute su alti sgabelli sorseggiano i loro drinks, probabilmente aspettando che si liberi un tavolo.

In fondo alla sala una jazz band suona intrattenendo i clienti e la musica si diffonde piacevole e tutt’altro che assordante.

- Ti piace? – mi chiede EJ, visibilmente emozionato.

- Tantissimo – rispondo entusiasta. Ed è la verità. Non mi sarei mai aspettata un posto del genere ed è stato amore a prima vista. Adoro la fusione di stili e la ricercatezza dei dettagli e sono anche un po’ invidiosa, perché è quello che vorrei ottenere nella mia libreria.

Seguo EJ fino al nostro tavolo. La posizione e il biglietto con su scritto “RISERVATO” mi suggerisce non solo che conosca già questo posto, ma che conosca molto bene anche il proprietario. Magari è quell’Emmett nominato prima dalla bionda.

Un cameriere ci raggiunge e prende in consegna le nostre giacche. EJ mi fissa per un attimo, prima di invitarmi a sedere, allontanando la sedia dal tavolo. Nonostante, piano piano, mi stia abituando alle sue attenzioni, ogni volta che compie un gesto come quello di poco fa mi sento lusingata.

Mi siedo e traggo un sospiro di sollievo, quando mi rendo conto che nonostante il corsetto non faccio nessuna difficoltà. Quando anche lui prende posto, non lo fa come ci si aspetterebbe, considerando il modo in cui è apparecchiato il tavolo, non si siede di fronte a me, ma accanto, spostando rapidamente le stoviglie e allungando subito dopo la mano verso di me, il palmo aperto in un chiaro invito. Senza esitare, poggio la mia mano sulla sua, le nostre dita si intrecciano, posso sentire il calore della sua pelle, e, quando se la porta alle labbra, posandovi un bacio, posso sentirne la morbidezza.

La candela sul tavolo proietta sui nostri volti giochi traballanti di ombre e le ciglia di EJ appaiono ancora più scure, mettendo in risalto i suoi occhi verdi e profondi, fissi su di me da quando ci siamo seduti.

- Sei una visione, piccola Swan. E sei deliziosa quando arrossisci così.

Ed io vorrei rispondergli che non sto arrossendo, sto letteralmente andando in autocombustione, ma riesco a malapena a sussurrare un “grazie”.

Ma complimenti Isabella Swan! Hai lasciato a casa la perspicacia. Accanto all’autocontrollo.

Quando il cameriere torna con l’acqua, i menu e la carta dei vini, le nostre mani si separano. Mi scopro inaspettatamente assetata e quando faccio per prendere la bottiglia, EJ mi precede riempiendomi il bicchiere.

Chiudo gli occhi mentre sento scivolare giù l’acqua fresca, attenuando leggermente la sensazione di calore che ho dentro. Ma quando li riapro, trovo nuovamente lo sguardo di EJ fisso su di me, sul volto un’espressione indecifrabile, ma che ha il potere di farmi rabbrividire, di farmi sentire completamente nuda. Nel senso letterale della parola. E mi fa paura.

- Smettila – gli dico, cercando di sembrare minacciosa. In realtà la voce mi esce a stento, decisamente più acuta di quello che avrei voluto.

- Di fare cosa?

- Di fissarmi in quel modo!

- E perché mai? – mi chiede, sfoderando il suo sorriso irriverente.

- Perché… - abbasso gli occhi, mordendomi le labbra. Non riesco a sostenere quello sguardo.

- Perché? – mi esorta.

- Perché… se mi guardi così…

- Sì?

- Cioè, magari ti accorgi…

Che sei una deficiente!

- Mi accorgo di cosa, Swan? Puoi guardarmi per favore?

Senza sollevare la testa, alzo lo sguardo e mi ritrovo inaspettatamente il suo viso più vicino di quanto pensassi. Mi faccio coraggio e, d’un fiato, gli rispondo.

- Ti accorgi che… che sono brutta, che non ti piaccio e chenonnevalelapena!

Patetica!

Le dita di EJ mi sollevano il mento, dolcemente e, senza nemmeno avere il tempo di rendermene conto, la sua bocca è sulla mia, calda, morbida, e tutto il resto scompare in un attimo. Le labbra si schiudono leggermente e sento la sua lingua che mi accarezza piano, che segue il contorno delle mie, cerco di schiuderle anche io, morendo dalla voglia di approfondire il contatto, ma EJ si blocca immediatamente, allontanandosi un po’.

- Ferma Swan.

E allora rimango lì, immobile, mentre lui continua per un tempo indefinito la sua deliziosa tortura. Chiudo gli occhi ed inspiro il suo profumo avvolgente mentre lui mi ricopre la bocca di baci, ancora, ancora e ancora…

- Hem…

EJ interrompe bruscamente il contatto e sto per sporgermi in avanti quando tutto riacquista forma, definizione e colore e noto un’ingombrante presenza vicino a noi. Il tempo di darmi un contegno e lo vedo alzarsi per salutare con un abbraccio e varie energiche pacche sulla spalla colui che ha interrotto uno dei momenti più belli della mia vita.

Non so chi sei, ma già ti odio!

- Bella, lui è Emmett, il proprietario. Emm, lui è Isabella.

- Piacere Isabella – dice stringendomi vigorosamente la mano. Un po’ troppo vigorosamente.

- Puoi chiamarmi Bella, piacere mio – dico massaggiandola.

- Oh, Bella… scusami.  Comunque… Benvenuta al Grear. Permettimi di offrirti dello champagne. È la prima volta che Edward porta qualcuno qui. È un evento.

- Grazie, ma non credo che…

- Tranquilla! Non so cosa ti abbia raccontato lui – dice sporgendosi verso di me e indicando EJ con il pollice – ma qui siete a casa. Edward è di famiglia, anzi, dovreste venire più spesso. Ho l’impressione che tu sia molto imp…

- Emm – lo interrompe EJ – basta così. La stai mettendo in imbarazzo con le tue chiacchiere. Il suo tono è forse troppo duro e in realtà non ero affatto in imbarazzo. Ma probabilmente lui sì, tanto che la sua espressione è cambiata, sembra preoccupato, e ha distolto lo sguardo da me.

- Scusami Bella – dice mortificato Emmett – Rosalie dice che mi faccio cogliere da diarrea verbale.

La risata che gli sfugge è contagiosa e mi ritrovo a sorridere a mia volta.

- Avete avuto modo di dare un’occhiata al menu?  Ops, parlare di diarrea non è stata una scelta felice, eh?

- No, non ancora – risponde EJ, con un tono più calmo rispetto a prima. Prende posto, di nuovo, vicino a me e mi passa il menu.

- Vi consiglio di passare direttamente ai primi, sono la mia specialità… E poi, ho visto che Edward ha già consumato il suo antipasto, eh ragazzone?

Oddio che vergogna! Vorrei sprofondare qui, adesso. Certo, potevo pensarci prima che EJ facesse l’amore con la mia bocca in un luogo pubblico! Ma che cosa mi è preso?!

Guardiamo il lato positivo: la battuta di Emmett ha definitivamente sciolto la tensione. EJ gli ha rivolto uno sguardo assassino ed il suo amico ha risposto con un pugno sul braccio.

Hanno continuato a rimbeccarsi per un po’ ma alla fine , con molta professionalità e competenza, Emmett ci ha aiutato a scegliere le portate ed è andato via con la nostra ordinazione.

Nel  frattempo la jazz band ha smesso di suonare, il palco è stato sgombrato dagli strumenti ed ora è occupato da un meraviglioso pianoforte a coda, nero, lucido, posizionato proprio di fronte al nostro tavolo. Quando lo hanno portato, ho visto un guizzo di entusiasmo negli occhi di EJ e da allora il suo sguardo si sposta frenetico dallo strumento a me, continuamente.

- Hey, sono gelosa! - gli dico all'ennesima occhiata.

Il sorriso divertito che gli nasce sul volto lo rende ancora più affascinante e non posso fare a meno di guardarlo, rapita dalla sua bellezza, chiedendomi, ancora una volta, cosa ci veda in una ragazza ordinaria come me.

- È un Baldwin personalizzato - sussurra con aria sognante.

Anche se non ho la minima idea di cosa voglia dire, penso che, in effetti, è splendido ed i riflettori emanano una luce calda che lo fa apparire ancora più imponente e lussuoso.

- Insomma, non ci sono paragoni... - dico, un po' per provocarlo, un po' perché lo penso veramente.

- No - dice subito serio, guardandomi negli occhi. - Non ci sono paragoni! E se stai cercando di irritarmi con queste stupidaggini stasera Swan, beh, ci stai riuscendo. Quindi, smettila!

I suoi occhi mi guardano così intensamente e posso leggervi così distintamente il rimprovero, che, ancora una volta, abbasso lo sguardo.

- Non so che idea distorta tu abbia di te stessa, ma sappi che è sbagliata. - Adesso il suo tono è più accomodante e gentile. - Ora ti confesso una cosa, stammi a sentire... Se fossimo rimasti cinque minuti di più su quel taxi, avrei dovuto prendere a pugni il tassista, perché smettesse di lanciarti quelle occhiate dallo specchietto. E quando siamo entrati qui dentro, non c'è stato un solo uomo che non si sia voltato a guardarti.

Fa una pausa e lo vedo deglutire e stringere le labbra.

- Sto odiando quel dannato vestito ed il modo in cui mette in risalto il tuo corpo. Mi sta facendo impazzire. Mi sto trattenendo dal toccarti, dall'accarezzarti. Vorrei sfiorarti i capelli, le guance, accarezzarti le braccia, ma non lo sto facendo perché ho paura di non riuscire a trattenermi e non è né il momento né il luogo. Quindi, Swan, smettila o sarò costretto a dimostrarti che ti sbagli... E penso che Emmett mi caccerebbe a calci.

Sento il cuore esplodere nel petto. Nessuno mi aveva mai parlato così prima d'ora. Mi sento terribilmente in imbarazzo, ma anche lusingata, emozionata... eccitata.

La sua mano, calda e rassicurante, mi avvolge una guancia.

- Sei bellissima - sussurra prima di posare un bacio sulle mie labbra. Leggero, dolce, appena accennato... meraviglioso.

Quando si allontana lentamente da me, riesco a non distogliere lo sguardo ed a pronunciare un timido "grazie". Soddisfatto, EJ torna composto sulla sua sedia, pochi attimi prima che un cameriere ci porti i nostri piatti: ravioli ai funghi per me e tagliatelle al tartufo per lui, fumanti, profumati. Mi sporgo verso il piatto ed inspiro chiudendo gli occhi.

 Che meraviglia...

- Buon appetito! - diciamo nello stesso momento, e la cosa fa sorridere entrambi.

Infilzo un raviolo con la forchetta, cercando di raccogliere anche un fungo e un po' di salsa, e lo porto alla bocca. Comincio a masticare e quando il sapore si sprigiona sul palato non posso fare a meno di chiudere gli occhi. È paradisiaco. Non credo di aver mai mangiato nulla di così buono in vita mia.

- Wow! EJ, è... delizioso!

- Posso? - mi chiede puntando il piatto con la sua forchetta.

- Ma certo! - rispondo fin troppo esaltata dall'idea di condividerlo con lui.

Come fa ad essere sexy anche quando mastica?!

- Hai ragione, è ottimo. Dovrò fare i complimenti ad Emmett. - Dice alzando gli occhi al cielo e facendomi ridere. - Non che mi alletti l'idea di gonfiare ulteriormente il suo ego. Eravamo tutti abbastanza scettici quando ci disse che avrebbe voluto aprire un locale e occuparsi personalmente della cucina.

Tutti chi? Quando?

Vorrei chiedergli un sacco di cose, ma è raro che EJ parli di sé e lo faccia di sua iniziativa, quindi me ne sto buona ad ascoltare.

- Anche questo piatto, sai? - continua indicando il suo - È stata una sfida per lui. Esme lo aveva mangiato in un ristorante in Italia e non faceva che parlarne, allora lui si è messo in testa che sarebbe riuscito a prepararglielo uguale. E devo dire che c'è riuscito. O almeno credo - conclude, continuando a mangiare le sue tagliatelle con gusto.

- Chi è Esme?

La sua espressione mi fa capire che non ho solo pensato la domanda, ma devo avergliela fatta ad alta voce.

Stupida Bella!

- Esme è la mamma di Emmett.

La sua voce ha perso la spontaneità di prima, ma è comunque tranquilla.

- Vuoi assaggiare? - cambia discorso. Ci sono alcuni argomenti difficili da affrontare con lui, è facile capire quando ne abbiamo toccato uno, come in questo momento, e mi riprometto di fare più attenzione in futuro.

- Sì, certo. - Cerco di mascherare la delusione.

EJ arrotola le tagliatelle con la sua forchetta e, prima di imboccarmi, mi invita a bere un po' di vino, per togliere dalla bocca il sapore dei funghi porcini. 

In realtà non dovrei, sono completamente astemia, ma la bottiglia che ha ordinato costa ottanta dollari e non mi va di sprecarla.
Il primo sorso scivola dritto dietro la nuca, il secondo mi inumidisce gli occhi. Decido di non osare con il terzo, sperando che il cibo tamponi questa sensazione di stordimento.

- Apri la bocca - mi invita prima di avvicinare il boccone alle mie labbra.

Non so se sia per il vino, per il tono con cui ha pronunciato quelle parole, per il gesto così confidenziale o per il modo in cui mi guarda aspettando la mia opinione, ma sento un brivido caldo lungo tutta la schiena.
Il fatto è che non riesco nemmeno ad esprimerla la mia opinione perché EJ poggia le labbra sulle mie con dolcezza, per un attimo troppo breve prima di allontanarsi.

Ma stavolta non sono pronta a lasciarlo andare, così mi sporgo in avanti e ritrovo la sua bocca che si schiude all'istante. Le nostre lingue si incontrano, finalmente, i nostri respiri affannati si confondono. Sento le dita di EJ che mi sfiorano la guancia e mi accarezzano fino ad affondare nei capelli e spingermi dolcemente verso di lui per approfondire il bacio.

È il paradiso. Baciare EJ è il paradiso. Scoprire che vuole ciò che voglio io è esaltante. Ed in questo momento vorrei che tutto scomparisse e che rimanessimo solo noi.

Ma non è così e per fortuna ce ne ricordiamo.

Ok, lui se lo ricorda.

- Swan, stai rendendo la serata più difficile di quello che pensassi. Mangiamo, altrimenti diventa freddo. A Emmett prenderebbe un colpo se rimandassimo i piatti pieni in cucina.

Continuiamo a cenare mentre discutiamo dei lavori alla libreria. Ci sono alcune cose di cui non possiamo occuparci e saremo costretti a chiamare un professionista. L'impianto elettrico va rivisto, i vecchi mobili vanno restaurati e già tremo se penso alle spese.
Consumiamo il secondo in silenzio, un ottimo pollo con spinaci e scaglie di grana insaporito con salsa di soia. Gustiamo la pietanza beandoci l'uno della presenza dell'altra.

- Era tutto di tuo gradimento, Bella? - Quando i piatti sono ormai vuoti, Emmett si avvicina al tavolo per sparecchiare.

- Sì Emmett, grazie. Era tutto squisito, tutto perfetto. Complimenti davvero.

- Oh, grazie a te. Edward? - I due si scambiano uno sguardo complice.

- Sì, arrivo. Bella, - dice EJ, spostando lo sguardo dal suo amico, che si allontana, a me - ti dispiace aspettare un po' per il dessert? 

Cerco di decifrare lo sguardo di EJ, ma è impossibile, come al solito. Comincio ad avvertire una certa tensione.

- No, certo che no. Che succede? Tutto ok?

- Sì - risponde alzandosi e sorridendo. - Torno subito - conclude stampandomi un bacio sulla guancia, prima di darmi le spalle e andare via.

Sbatto le palpebre leggermente frastornata. Mi guardo intorno per cercare di capire cosa sia potuto succedere, ma non c'è nulla che mi dia un indizio.

Improvvisamente la musica di sottofondo si interrompe e le luci si abbassano. Tutta la sala è nella penombra ad eccezione del palco, su cui due fari illuminano il pianoforte.
Il cuore comincia a battere all'impazzata quando lo vedo prendere posto sullo sgabello.
Il locale è silenzioso e lo sguardo di tutti i commensali è rivolto al bellissimo ragazzo dai capelli ramati seduto al pianoforte.

Sono emozionata, sono orgogliosa, sono agitata. Non posso credere che EJ abbia organizzato tutto questo... per me. Non posso credere che tra un po' lo sentirò suonare di nuovo.

Mi mordo le labbra impaziente. I suoi occhi sono fissi sui tasti e posso vedere la sua agitazione da qui.

Vedo il torace sollevarsi e abbassarsi velocemente. Troppo velocemente.

- EJ... - sussurro. Ma purtroppo non può sentirmi.

I secondi passano, si trasformano in minuti e lo sguardo di EJ è ancora fisso sullo strumento.

Nella sala si sollevano bisbigli, la gente comincia a mostrare segni di insofferenza. Mi guardo intorno e, vicino al bancone, vedo Emmett, i pugni stretti e l'espressione cupa, quasi minacciosa.
Quando fa un passo verso il palco, viene fermato da una donna che lo afferra per un braccio. Lui scuote la testa e torna a fissare EJ, impaziente.
La donna vicino a lui è di una bellezza d'altri tempi. Sul viso a cuore è disegnata un'espressione di tenera preoccupazione ed i suoi occhi lucidi brillano nella penombra della sala. Ha un fisico asciutto e l'abito elegante mette in risalto la figura sinuosa. I capelli, che ricadono in onde perfette sulle spalle, sono castani ma riesco ad intravedere riflessi color caramello.
Il modo in cui guarda EJ mi impensierisce. Non mi dà fastidio, no, ma è come se fosse un legame che non riesco a capire.
Inaspettatamente Emmett fa un cenno verso di me e la donna si volta a guardarmi. Mi sorride e per un attimo vorrei abbassare lo sguardo e fare finta di niente, ma non lo faccio e le sorrido timidamente anche io.

Un fischio cattura la mia attenzione, proviene da un tavolo al centro della sala, è rivolto ad EJ e mi fa venire voglia di alzarmi e andare a svuotargli il bicchiere sulla testa. Cafone!
Anche EJ ha sentito e ha sollevato lo sguardo dalla tastiera, rivolgendolo alla sala, come se stesse cercando qualcosa. Come se stesse cercando qualcuno. Nel momento esatto in cui lo trova, la sua espressione si distende e vedo le labbra piegarsi in un timido sorriso. 

È lei. EJ stava cercando lei. È avanzata di qualche passo, per farsi vedere meglio, e sorride, con un'espressione dolce e fiduciosa.

Si guardano per qualche attimo e quando gli fa un cenno di assenso con la testa, EJ si ricompone, si volta verso di me e comincia a suonare.

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Spero di non aver deluso le vostre aspettative, al prossimo capitolo,

Miki

 
 
 
 
 
 
 



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Capitolo 15
*** Never Alone ***


Quindicesimo Capitolo

Salve a tutti! Sì, lo so, in mostruoooooso ritardo. Ma non hanno ancora inventato l’applicazione che scrive automaticamente su Word ciò che io scrivo sul mio squadernino. E questo passaggio è quello che mi annoia di più, che mi fa rimuginare sulle scempiaggini che ho scritto e che, soprattutto, non ho il tempo di fare.

Ma bando alle ciance. Non amo particolarmente leggere lo stesso capitolo anche se da due punti di vista diversi, ma stavolta ho fatto un’eccezione perché lo ritenevo necessario. Quindi, la parola passa al nostro amato EJ, che in questo capitolo mi ha fatto tanta, ma tanta tenerezza.

Grazie mille a tutti coloro che continuano a leggere, recensire, aggiungere la storia e scrivermi in privato preoccupati per le sorti di Bella ed EJ. Ve l’ho detto, lento pede ma arriveremo ad una fine.

Buona lettura.

 

 

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QUINDICESIMO CAPITOLO

 

Never Alone.

 

Se il buongiorno si vede dal mattino, ho la netta sensazione che questa sarà una giornata di merda!
Ieri sera devo essermi addormentato con il telefono vicino all’orecchio e quando poco fa è suonata la sveglia sono letteralmente saltato per aria!

C’ho messo dieci minuti a calmarmi.

‘Fanculo, proprio oggi che devo cercare di rimanere calmo. Il pensiero di non poter rivedere Bella fino a stasera poi mi dà il colpo di grazia.
Inoltre devo chiamare Esme, e non perché me lo ha chiesto Emmett, ma perché voglio farlo, voglio raccontarle di Bella, voglio dirle di stasera, anche se sono sicuro che suo figlio le abbia già spifferato tutto.
Quando sento l’avviso di un messaggio in arrivo, raccolgo il telefono dal pavimento – sì, è caduto prima, quando è suonata la sveglia… Ok, l’ho lanciato io fuori dal letto, ma il commesso del negozio mi ha detto che la cover è a prova di urti, cadute, bombardamenti e bla bla bla – e lo leggo.

È Bella. Sorrido.

 

Buongiorno. Oggi sarà una lunga giornata L Non vedo l’ora che arrivi stasera.

 

Non sarà lunga questa giornata… sarà eterna!

 

Buongiorno pulce. Hai dormito bene?

 

Sì. È stato bello ieri sera, grazie <3

 

Grazie di cosa?

 

Le rispondo incuriosito dalle sue parole, mentre sorseggio un caffè nero e amaro nella speranza che mi svegli.

 

Di avermi fatto compagnia. Mi è piaciuto chiacchierare a letto con te ^__^

 

Mh… ringrazia che eravamo al telefono, Swan, perché, se fossi stato lì, chiacchierare e letto non sarebbero mai rientrati nella stessa frase.

 

Grazie a te, piccola Swan.

 

Mi piace quando mi chiami piccola Swan *___*

 

Ed io adoro farlo, penso, leggendo le sue parole, che arrivano qualche secondo dopo.

Continuo a fissare lo schermo, cercando di capire che diavolo vogliano dire quei simboli. Giro il telefono da una parte, poi dall’altra, ma nulla…

 

Hai un gatto?

 

Io? No, perché?

 

Ti sei seduta sul telefono?

 

Ma insomma, EJ! Che vuoi dire?

 

Pensavo che un gatto avesse calpestato la tastiera del tuo telefono o che ti ci fossi seduta sopra!

 

AGGIORNATI, MASEN! Sono faccine -___-“ (<- per la cronaca, questa vuol dire “meglio che non mi esprimo”).

 

È che ho lasciato il nido da un bel po’ e non capisco il linguaggio dei mocciosi.

 

Non posso trattenere un ghigno soddisfatto. Che darei per vedere la sua espressione adesso… Che darei per vederla tutta, adesso.

 

Mi hai appena dato della mocciosa?!  >.<

 

Scommetto che quella è la faccina contrariata… ti somiglia!

 

Sorrido mentre apro l’acqua della doccia, aspettando che si scaldi.

 

Fai poco lo spiritoso, Masen. Ringrazia di non essere qui.

 

No Swan… Tu ringrazia che io non sia lì.

 

Mi stai minacciando, pulce? E, sentiamo, che mi faresti?

 

Una fitta pungente mi colpisce al basso ventre solo al pensiero. Mi libero della biancheria con una mano, mentre con l’altra reggo il telefono, aspettando che Bella mi risponda. Ho appena sfilato la maglietta quando sento l’avviso del messaggio.

 

Ti bacerei. Ma solo per farti stare zitto U.U

 

Gli angoli della bocca si sollevano in un sorriso quando leggo la risposta.

E non è l’unica cosa che si solleva.

 

Lo terrò presente, Swan. Fammi scappare adesso, sono in ritardo ed è tutta colpa tua!

 

Chi lo avrebbe mai detto: Edward Masen che si ritrova a messaggiare come un idiota e ad eccitarsi come un pivello.

In un attimo ripenso a quella che è stata la mia vita fino a poco tempo fa: limousine, locali alla moda, lussuose camere d’albergo, champagne e donne. Tante donne. Spesso bellissime, in abiti costosi e biancheria sofisticata, con i loro intossicanti profumi ed i capelli perfettamente acconciati, pronti per essere scarmigliati dalle mie mani.

Mi piacevano, mi eccitavano… Mi soddisfacevano, il più delle volte.

Erano un modo per vivere la pagina strappata dal libro. Un modo per sentire qualcosa.

Se ci ripenso adesso, non mi fanno alcun effetto. Non sento niente. Non è quello che voglio. Non più.

È Bella che voglio. Voglio il libro, non la pagina. Possibilmente con un fottutissimo lieto fine.

Pensare ai baci che ci siamo scambiati, immaginare quelli che ancora non ci siamo dati, pensare a quando potrò stringerla, nuda, tra le braccia, mi eccita come nessuna è stata in grado di fare. Con la sua semplicità e innocenza, sprigiona una sensualità inconsapevole che mi toglie il fiato.

 

Ipocrita! Come se non ti piacerebbe vederla in reggicalze e autoreggenti.

 

Cazzo sì! Certo che mi piacerebbe. Mi sento mancare solo al pensiero. Per non parlare dell’ennesima erezione della giornata che mi costringerà ad entrare nella doccia di spalle perché non c’è spazio per me e per lui.

Ed è ancora mattina…

Faccio scorrere il vetro del box e mi lascio avvolgere dal calore umido che mi procura un brivido intenso. Giro completamente il miscelatore verso destra e mi faccio investire dal getto di acqua fredda, sperando che lavi via l’eccitazione e l’agitazione.

 

Per la prima ci vorrà una mano… in tutti i sensi.

 

* *** * *** *

 

Per strada combatto la voglia di deviare e passare dal Twilight. Un bacio di Bella è la cosa che vorrei di più in questo momento, ma so che non mi basterebbe e farei tardi e non posso. Maledizione!

Sento il telefono vibrare nella tasca dei jeans e sorrido. Ormai è una reazione automatica. Mi basta vedere la notifica sul display per regredire di almeno quindici anni.

Magari mi ha scritto di passare da lei. E chi sono io per deludere la mia ragazza?

 

Se non porti qui il tuo culo secco entro dieci minuti, giuro che non potrai più sedertici per i prossimi dieci anni!

 

‘Fanculo Emmett e addio deviazione.

Accelero il passo, da una parte frustrato ma dall’altra sicuramente impaziente di arrivare al Grear. Anche perché ci tengo al mio sedere!

Emmett è un tale cazzo di perfezionista. Comincia all’alba i preparativi per l’apertura serale. Sembra una casalinga ossessionata e isterica: dovrebbe vivere a Wisteria Lane.

Ma è anche per questo che il suo locale è uno dei più rinomati di Boston.

Quando arrivo, la porta sul retro è aperta. Quattro ragazzi stanno tirando a lucido la cucina. Tra loro riconosco Bree, che, quando mi vede, mi sorride e fa un cenno verso la sala.

- Come stai? – le chiedo passandole accanto.

- Bene, adesso. – mi risponde calma ma con gli occhi lucidi.

- Emmett ti fa avvicinare ai fornelli? – Bree sorride ed io sono contento di essere riuscito a scacciare quell’ombra.

- Mi fa preparare le insalate – risponde con una smorfia. E adesso sono io che rido, alzando gli occhi al cielo. Le poso una mano sulla spalla, stringendo affettuosamente, e mi volto per lasciare la cucina.

- Edward?

- Sì?

- Ti aspettano. Non hanno mai smesso di farlo.

- Lo so – dico senza voltarmi. – Sono tornato.

- Bene.

Bree era una randagia, come me. Cercava conforto nei luoghi sbagliati, nelle persone sbagliate. Era poco più che una ragazzina quando Carlisle ed Esme l’hanno accolta.

Ma lei non è stata una delusione, come me. Non è stata un’ingrata.

Penso ad Esme e mi si stringe il cuore.

Ripenso alla sua ultima chiamata e avverto un groppo in gola impossibile da mandare giù.

 

- Mh… e così questo è il nido d’amore dei coniugi Leech, eh? Impressionante.

- Non sei divertente, Edward. Togliti quei cazzo di vestiti… Non abbiamo molto tempo.

Non so se essere più eccitato dal pensiero di scopare con Tanya o dal fatto di farlo sotto il naso del marito, il facoltoso Arold Leech Volturi. Nel suo letto.

Mi guardo intorno e cerco di immaginare quale coglione possa anche solo pensare di intrappolare una come Tanya in una gabbia dorata.

Mi sfilo la giacca, mentre passo in rassegna le foto sul comò, racchiuse in elaborate cornici dorate.

- Edward…

Marito e moglie a decine di eventi mondani, con sorrisi fasi come i soldi del Monopoli.

Allento la cravatta e mi volto verso la padrona di casa, che mi attende, già nuda, sul letto.

Comincio a spogliarmi, lentamente, lo sguardo fisso sul suo seno perfetto, che si alza e si abbassa rapidamente.

Quando sfilo la camicia e sbottono i pantaloni, la sua mano scompare in mezzo alle gambe.

Scuoto impercettibilmente la testa senza riuscire a trattenere un ghigno divertito: sta facendo praticamente da sola ciò per cui ha pagato me. Profumatamente.

Ma il sorriso mi muore in faccia quando sento il telefono vibrare nella tasca. Cazzo! È la terza volta oggi.

Un brivido freddo mi percorre la schiena quando guardo il display: tre chiamate perse. Esme.

Cristo! Quella donna non mi dà un attimo di tregua! Ce l’ho ancora in mano quando riprende a vibrare. Continuo a guardare il nome lampeggiare come se da un momento all’altro al suo posto possa comparire qualcosa che mi dica cosa fare, che mi smuova dallo stato catatonico in cui sono piombato.

E ci pensa Tanya. I suoi gemiti, forti, esagerati, mi riportano alla realtà.

Blocco la chiamata e getto il telefono sulla poltrona, assieme al resto dei miei vestiti.

- Finalmente – sussurra mentre la raggiungo sul letto, sostituendo le mie dita alle sue.

- Quanto tempo abbiamo?

- U… Dio, Edward! Un’ora… siiiì… un’ora… al massimo…

- Più che sufficiente per farti urlare un paio di volte!

 

Quella è stata l’ultima volta che Esme mi ha cercato. Mesi fa. E so che Emmett vorrebbe prendermi a pugni per questo. Come dargli torto…

- Guarda chi si è degnato…

A proposito…

- Ciao Emm.

- Sei in ritardo.

- Anche io sono felice di rivederti e non sapevo di dover timbrare un cartellino.

- Fai poco lo spiritoso, rosso. Il tuo culo secco non è ancora al sicuro – mi minaccia con lo sguardo torvo, mentre si allontana. Ma è Emmett, insomma, un sentimentalone in centodieci chili di muscoli. Chi lo conosce sa benissimo che non farebbe male ad una mosca. A meno che non vada a ronzare attorno a Rose.

- Vuoi muovere il culo?

- Non sapevo fossi così ossessionato dal mio culo, Emm. Rosalie lo sa? Fossi in lei, comincerei a preoccuparmi.

Vorrei continuare a stuzzicarlo, ma mi blocco quando, una volta arrivati sul palco, lo vedo e allora i rimproveri di Emmett diventano solo un brusio lontano.

Mi avvicino quasi timoroso, sfiorando la superficie con la mano, come se solo toccandolo possa avere la conferma che è davvero qui, davanti a me. O che io sia davvero qui, davanti a lui.

Al rumore di una sedia trascinata sul pavimento, mi volto e lo vedo sedersi incrociando le grosse braccia al petto.

- Avanti, Mozart! Vediamo un po’ che sai fare. È sabato, e sto rischiando grosso a darti di nuovo fiducia.

- Con tutto il rispetto, non credo tu sia sufficientemente… qualificato, per dare un giudizio. Considerati i tuoi gusti musicali – gli dico sollevando un sopracciglio.

- Vedila da quest’altro punto di vista – risponde con aria di sfida. – Dovrai impressionarmi davvero tanto per convincermi di non aver fatto una grande cazzata… considerando i miei gusti musicali!

Uno a zero per Emmett!

Alzo gli occhi al cielo ma confesso di sentire una lieve agitazione. Mi siedo, sfioro i tasti bianchi, sentendoli scorrere sotto le dita, morbidi. Suono qualche nota, poi qualche accordo, compiacendomi della perfetta accordatura. Mi sistemo meglio sullo sgabello e, immaginando Bella davanti a me, comincio a suonare.

Avverto immediatamente la differenza, il calore delle note, l’intensità della vibrazione, l’acustica perfetta della sala. Suonare questo pianoforte è un’esperienza ultraterrena. La musica scivola via dalle mie mani, si amplifica nella sala e torna dritta al cuore. Con gli occhi chiusi, rivivo tutte le emozioni che ho provato in queste ultime settimane: la gioia di ritrovare Bella, l’ansia di perderla, la paura di farle del male, l’affetto infantile che si trasforma in ammirazione, attrazione… amore. Tutte le parole che ci siamo scambiati, tutti i gesti che abbiamo compiuto sono racchiusi in questa canzone.

Dopo l’ultima nota rimango qualche secondo con gli occhi chiusi, aspettando che si dissolva la musica.

Questo è il mio modo per dirti che ti amo.

Un battito fragoroso di mani mi fa sussultare.

- Cazzo! Edward… È… com’è che si dice in quel vostro cazzo di ambiente musicale?

Emmett è in piedi, ha gli occhi lucidi e non smette di imprecare e farneticare. Una cosa è certa, la canzone gli è piaciuta.

- C’è da sistemare qualcosa nell’amplificazione – gli dico, sperando che si dia un contegno.

- Sì certo. Tutto quello che vuoi. Per te e per quelle fottutissime mani. Fate tutto quello che vi chiede – ordina ai tecnici con il tono autoritario da padrone. Poi mi dà le spalle e si dirige verso la cucina. – Jeanpieeeerre, tira fuori tutto il cioccolato che abbiamo! Prevedo un enorme richiesta di soufflé stasera!

 

* *** * *** *

 

Lavoro assieme ai tecnici del suono per un paio d’ore e, di tanto in tanto, rispondo a Bella che mi chiede qualche indizio per l’appuntamento di stasera. Che io, ovviamente, non le do. Mi dice che non sa come vestirsi, come se questo fosse un problema. Sarebbe bellissima, elegante e deliziosa anche in pigiama. Cerca di estorcermi informazioni con la terribile ipotesi che potrebbe seguire i consigli di Jessica e, in effetti, rabbrividisco al solo pensiero. Ma non mi incanta. La conosco troppo bene e non adotterebbe mai il Jessica-mettifuorilamercanzia-style.

Se ti conosco bene, come credo, Swan, avrai tirato fuori dall’armadio un pantalone elegante, magari nero, e, non potendo mettere le tue sneakers preferite, opterai per un paio di ballerine. Sarai meravigliosa, come sempre, ma per tutta la serata penserò a quanto quei vestiti starebbero meglio sul pavimento. Soprattutto dopo l’assaggio che ho avuto ieri mattina.

Non riesco a levarmi dalla mente l’immagine delle sue gambe nude, e sento ancora sotto le dita la morbidezza della pelle dei suoi fianchi, così liscia, setosa.

- Mozart? Hai finito? La band deve cominciare a provare, se sua grandiosità lo permette.

Alzo gli occhi al cielo per l’ennesima volta e maledico mentalmente Emmett per il suo proverbiale tempismo. Do un ultimo sguardo al pianoforte e mi allontano dal palco.

A stasera…

Un brivido, di eccitazione, di paura…

- Allora? Chi è?

- Chi è chi?

- Ma come chi? Lei, la ragazza della canzone…

Sarà anche un buzzurro, ma Emmett è una delle persone più sensibili che io conosca. Non gli si può nascondere nulla. O quasi.

- Lei è… un’amica d’infanzia.

- Mh. Un’amica d’infanzia, eh? – Non tenta nemmeno di celare lo scetticismo.

- Beh, una cara amica d’infanzia.

- Una cara amica d’infanzia – ripete, enfatizzando quel “cara”. – Mh mh… E vuoi che me la beva?! Con quella faccia?

- Cosa? Ma quale faccia?

Quella da coglione che hai da settimane!

- Benvenuto!

Guardo Emmett con sguardo interrogativo, cercando di capire cosa abbia sniffato o cosa si sia fumato.

- Nel club degli innamorati – aggiunge come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Da quando ha incontrato Rosalie, Emmett vede il mondo attraverso spesse lenti rosa e sembra camminare costantemente ad un metro da terra. L’ho sempre preso per il culo per questo, ma adesso…

Adesso sei un coglione come lui!

‘Fanculo! Se essere innamorato vuol dire essere coglione, allora eccomi qua, Edward Masen Cullen, il coglione più grande del mondo!

- Emmett?

- Dimmi, Casanova.

- Sai che ho un nome?

- Sai che mamma ha un telefono?

Due a zero per lui!

- Quando hai conosciuto Rosalie… Beh, ecco, come hai capito che era lei? Sì, insomma, che era quella giusta.

- Oh oh… Ma allora fai sul serio, eh?! – La sua gomitata mi coglie così alla sprovvista che quasi cado per terra. Mi passo le dita tra i capelli, esasperato, pentendomi di aver chiesto consiglio alla persona più infantile del mondo.

- Lascia perdere – gli dico allontanandomi.

- Edward? – Mi ha chiamato per nome, il suo tono è serio. – So che può sembrare sdolcinato, soprattutto per uno come te.

- Uno come me, come?

- Uno allergico all’intera gamma delle emozioni umane.

- Emm…

- Fammi finire. Non c’è modo di sapere se lei è quella giusta. L’amore è un acquisto a scatola chiusa, un investimento. Non  puoi avere la certezza prima di impegnare il tuo cuore. Ogni storia ha i suoi rischi, ma sta a noi impegnarci perché funzioni.

- Sembra facile.

- No, non lo è, affatto. E non c’è altro che io possa dirti per tranquillizzarti. Ma questo te lo posso dire: se lei è il tuo primo pensiero al mattino, se per qualsiasi cosa che ti capita non vedi l’ora di raccontarglielo, se il suono della sua voce ti sembra la melodia più bella del mondo, se rabbrividisci al solo pensiero di toccarla, se parlare con lei è stimolante, ma allo stesso tempo stare in silenzio è piacevole e rilassante…

 

Bella non è il mio primo pensiero, è l’unico. Qualsiasi cosa io faccia, lei è sempre lì. E sì, qualsiasi cosa mi accada, non vedo l’ora di raccontarla a lei, anche se ci siamo salutati solo qualche minuto prima. La sua voce non sembra la più bella melodia del mondo, la sua voce semplicemente è la più bella melodia del mondo. E quando ride… il mondo intero dovrebbe smettere di girare per ascoltare la sua risata. Tutti dovrebbero vedere come dalle labbra arriva agli occhi e la luce che sprigiona il suo viso.

Il solo pensiero di toccarla, di accarezzarla, di stringerla tra le braccia, mi fa scoppiare il cuore nel petto. Non so cosa succederà quando arriverà il momento.

E parlare con lei è fantastico. Ha un’opinione su tutto e la esprime sempre in modo appassionato e coinvolgente.

Ma sono gli attimi di silenzio i momenti più preziosi. Quel senso di familiarità così rilassante e rassicurante.

 

- Hey, rosso!

Talmente immerso nei miei pensieri, non ho fatto più caso a ciò che stava dicendo Emmett.

- Sì, dimmi… ti ascolto.

- Se tutto questo non fosse sufficiente, pensa a ciò che hai fatto prima.

- Cosa?

- La canzone. Se non è amore quello, allora non so proprio cosa possa esserlo.

Amore…

Sorrido ripensando alla mia musica, alla musica che ho composto per Bella. Emmett ha ragione: è amore. Prima che possa anche solo pensare a ciò che sto facendo, lo circondo con le braccia.

- Grazie.

Dopo un’iniziale esitazione, lui ricambia la stretta. Mi stacco dopo qualche secondo, leggermente imbarazzato.

- Wow – esclama, sfregandosi la testa con la mano.

- Beh, allora io vado. Ricordati il tavolo…

- Sì, sì certo. A stasera, Mozart.

- A stasera.

- Edward?

- Dimmi.

- Non deluderci.

Queste due parole mi scuotono violentemente, spegnendo in un attimo tutto l’entusiasmo. Inspiro profondamente, cercando di ricacciare giù l’ansia e con convinzione gli rispondo: - Non lo farò.

 

* *** * *** *

 

Esco dal Grear e mi dirigo verso casa. Questa giornata si sta dimostrando più intensa del previsto. Ma accanto alla paura e all’ansia c’è anche una sensazione di completezza, di appagamento, come se finalmente non mi sentissi più fuoriposto.

Accelero il passo, sovrappensiero, inizialmente imboccando strade a caso, ma subito dopo perfettamente consapevole della destinazione del mio girovagare. Mi ritrovo quasi a correre, fino ad arrivare di fronte alla vetrina del negozio, col fiato corto e il cuore che martella nel petto. E non per lo sforzo.

 

Ogni volta che entro, sento pizzicare le narici per l’odore di legno e vernice. Mi sfrego il naso col dorso della mano, mentre cammino lentamente con lo sguardo fisso per terra.

Vedo scorrere la moquette rosso scuro dell’area esposizione. Mi fermo per un attimo, prima di oltrepassare il limite con il parquet lucido dell’area vendita. L’odore si fa sempre più intenso, ma mi piace. Oltrepasso la cassa e, quando mi affaccio dalla porta, la vedo di spalle, inginocchiata vicino ad una strana poltrona, mentre passa la mano sul legno tarlato.

Ogni volta vorrei correre ad abbracciarla e dirle grazie, ma ogni volta me ne sto lì aspettando che si accorga di me.

- Edward, caro, finalmente.

- Buongiorno signora Cullen.

- Esme. Quante volte devo dirti di chiamarmi Esme?

- Ok… Esme.

- Meglio. Su su, andiamo. È arrivato un nuovo pianoforte, un pezzo unico, e non vedo l’ora di sentirti suonare.

 

Spingo la porta e non so se il suono del campanello sia reale o se sia frutto della mia immaginazione influenzata dai ricordi. Mi sento pizzicare le narici, mi sfrego il naso e mi incammino verso il retro.

Esme dà le spalle alla porta ed è dentro ad un armadio, letteralmente. Carlisle la rimprovera sempre, le chiede di prestare maggior attenzione a chi entra in negozio, ma lei puntualmente si fa cogliere alla sprovvista. Grazie a Dio non è mai successo nulla.

- Ehm… - mi schiarisco la voce e quasi mi tremano le mani per l’agitazione ed il senso di colpa.

Quando si volta e mi vede, posso distinguere chiaramente il guizzo di gioia che le attraversa il viso.

- Edward!

- Buongiorno signora Cullen – le dico sorridendo.

- Edward… - sussurra più piano, la voce rotta da un singhiozzo.

Sono io a fare il primo passo, ma in un attimo le sue braccia mi avvolgono e mi stringono. Nonostante sia più bassa di me e di corporatura minuta, mi sento protetto e ritorno piccolo come quando ero bambino.

Inspiro il suo odore. Profuma di rosa e di vernice… profuma di mamma.

- Oh Edward, sono stata così in pena per te.

- Mi dispiace Esme, io…

- Non importa. Sei qui adesso – mi dice prendendomi il viso tra le mani e baciandomi le guance. – Vieni, beviamo un caffè. Voglio sapere tutto di questa ragazza.

Emmett, sei un fottuto pettegolo!

- Ricordami di ringraziare tuo figlio.

- Andiamo, non fare così. Era solo contento di…

- Esme… - la interrompo afferrando la tazza che mi porge e guardandola scettico.

- Hai ragione – sospira – non stava più nella pelle, mi ha telefonato non appena sei uscito dal locale – conclude ridacchiando.

Scuoto la testa rassegnato. Non che sia arrabbiato, anzi, vedere questa luce negli occhi di Esme mi rallegra e mi tranquillizza. Bevo un sorso di caffè caldo, che sa di casa, di famiglia, di colazioni insieme, di risate e felicità.

- Allora? – mi incalza.

E lo faccio. Le racconto della famiglia Swan, di Renée e di suo marito Charlie. E poi comincio a parlarle di Bella, di come fosse da bambina, di come negli anni mi sia capitato di ripensare spesso a lei, di come l’abbia incontrata quel pomeriggio al Twilight. Esme segue il mio racconto con interesse, non perdendosi nemmeno una parola, annuendo di tanto in tanto e sorseggiando il suo caffè.

Le racconto del pianoforte di mia madre, della ritrovata voglia di suonare, dell’ispirazione per comporre.

- Emmett mi ha detto che la canzone è molto bella, Edward. – Mi guarda con un’espressione dolcissima e riesco solo a pensare a quanto sia importante questa donna per me, a quanto mi sia mancata.

- Verresti? – le chiedo sporgendomi sul tavolo verso di lei. – Stasera, a sentirmi. – Esme allunga la mano ed io gliela stringo senza pensarci due volte.

- Non me lo perderei per nulla al mondo. Mi è dispiaciuto così tanto non sentirti più suonare. Sai che Emmett non ha fatto avvicinare nessuno al pianoforte? Diceva che ti saresti incazzato – aggiunge titubante, alzando gli occhi al cielo per aver detto una brutta parola. E io sorrido immaginandola riprendere suo figlio, intimandogli di moderare il linguaggio. - Sapeva che saresti tornato prima o poi – aggiunge – io invece cominciavo a non sperarci più.

- Mi dispiace. Credimi, non mi sono reso conto del male che ti ho fatto. Del dispiacere che vi ho causato.

- Non dispiacerti, tesoro. Hai fatto del male solo a te stesso ed è questa la cosa che mi faceva più soffrire.

Lo sguardo di Esme è cambiato improvvisamente. È addolorato e la tristezza nei suoi occhi è come uno schiaffo in pieno volto. Non so perché ma ho una strana sensazione e comincio a sentirmi a disagio.

- Io… Non è stato un bel periodo. – Riesco a malapena a parlare. Allargo il collo del maglione per cercare di alleviare questo senso di soffocamento che provo. – Era… tutto buio. Mi sentivo… mi sentivo in trappola, senza via d’uscita. – La sua mano stringe la mia, forte. – Non volevo allontanarmi. Perdonami, Esme. – Sollevo il viso, guardandola negli occhi. Non so nemmeno quando le lacrime hanno cominciato a rigarmi le guance. – Io non volevo… - singhiozzo. – Non volevo che vedevi chi fossi…

- Sssh… sssh, Edward. – Le sue braccia mi stringono da dietro e la sua fronte si posa sulla mia spalla. Sentirla così vicina, sentire il suo calore, il suo profumo ha il potere di calmarmi da una parte, ma di farmi rendere conto delle bestialità che ho fatto dall’altra.

- Lo so… - mi sussurra improvvisamente all’orecchio ed io mi blocco all’istante, incapace anche di respirare.

Cosa sa? No, non può essere…

- Tu… come… - balbetto, pietrificato dalla paura, dalla vergogna. Vorrei alzarmi e correre via, ma le gambe sono pesanti come macigni ed il corpo di Esme mi pesa addosso rendendomi impossibile ogni movimento. Il cuore mi martella nelle orecchie e vorrei prendermi a pugni per essere stato un così tale illuso…

Un così tale idiota!

Non so che dire, non so che fare. Improvvisamente Esme scioglie l’abbraccio e si siede affianco a me. Rimango col capo chino, incapace di alzare lo sguardo e scontrarmi con il disgusto nei suoi occhi.

- Non te l’ho mai detto, Edward, e forse avrei dovuto farlo. Sin dalla prima volta in cui ti ho visto, smarrito, ferito, abbandonato, avrei voluto abbracciarti e tenerti con me. Avrei voluto proteggerti allo stesso modo in cui ho voluto proteggere i miei figli la prima volta che li ho stretti tra le braccia. Averti qui, sentirti suonare, insegnarti, mi rendeva così felice.

Sento la sua mano avvolgermi la guancia e mi abbandono a quel contatto. Dovrei ripugnarla e invece mi accarezza come una madre fa col proprio figlio.

- Tesoro – mi dice per la seconda volta. Ed io sussulto per la seconda volta. – Nessuno dovrebbe vivere quello che hai vissuto tu. Oh Edward, non riesco nemmeno ad immaginare quanta sofferenza tu debba aver provato.

- Ma questo non giustifica ciò che ho fatto.

- Giustifica la tua fragilità. Guardami, - sollevo lo sguardo e mi volto – non posso dirti di essere fiera di ciò che hai fatto. Ogni giorno di silenzio da parte tua, ogni volta che non rispondevi al telefono era come una pugnalata. Ma ora sei qui, sei con me, sei tornato.

- Sono tornato.

- E non ti lascerò più andare via. Non ti permetterò di allontanarti da me.

Mi butto tra le sue braccia e lei mi stringe baciandomi la testa. Le sue lacrime tra i miei capelli, le mie a bagnare la sua felpa.

- È finita. – dico tra i singhiozzi. Lo butto fuori liberandomi di un peso soffocante.

- Sì… sì… - mi rassicura massaggiandomi la schiena – è tutto finito e non permetterò che ti accada nulla di male. Te lo prometto.

Ce ne stiamo così per non so quanto tempo. Quando Esme si accorge che mi sono calmato, si allontana lentamente e mi prepara un altro caffè dopo essersi accertata che  il mio, nel frattempo, è diventato freddo.

- Non la conosco ancora ma sento di volerle già bene.

- Di chi parli?

- Di Bella. Ho l’impressione che c’entri lei in tutto questo.

La mia piccola, dolce Swan…

- Sì, è merito suo. È solo merito suo – dico sorridendo.

Vorrei rimanere qui, continuare a parlare con lei, ma si sta facendo tardi e non voglio far aspettare Bella.

Tu non vuoi più aspettare per vederla.

Sì, assolutamente! Sono io. E allora? Sono quasi ventiquattr’ore che non la vedo e non la sento. E sì, posso quasi vedere il mio subconscio che alza gli occhi al cielo. Ma per me può anche tapparsi la bocca ed evaporare una buona volta.

- Esme, mi dispiace ma devo andare. È tardi e mi devo preparare… per stasera.

- Ma certo, caro. Va’ pure. Ci vediamo dopo. – Mi stringe velocemente lasciandomi un bacio sulla guancia.

Sto per andare via, ma una domanda mi vortica nella testa anche se non sono sicuro di voler sapere la risposta.

- Come hai fatto a…? Chi te lo ha detto?

- Ho sentito alcuni discorsi al Golf Club, nella sauna. Non ne ero sicura, ho solo unito i pezzi e, prima, tu me ne hai data la conferma.

Mi sento un miserabile per averle causato tanta sofferenza tanta vergogna.

- Chi altro lo sa? – Immagino lo sguardo deluso di Carlisle e mi sento quasi mancare.

- Solo io. E non ho intenzione di dirlo a nessuno.

- Grazie. Grazie Esme.

- Non ringraziarmi, Edward. Voglio solo che tu sia felice. – Non merito tutta questa comprensione, tutta questa dolcezza. In fondo, io non sono nessuno per lei e non ho fatto nulla per meritare la sua stima, il suo affetto. Eppure questa donna tiene a me e me lo ha sempre dimostrato ed io voglio essere degno del suo affetto, voglio che sia fiera di me. Voglio che Bella sia fiera di me.

Ripercorro velocemente la strada fino a casa. Non ho mai camminato tanto in vita mia come nell’ultimo periodo. E mi piace. Da quando ho chiuso i battenti, spendere soldi per taxi e limousine è fuori discussione. Ad eccezione di stasera, ovviamente.

Il mio cuore martella nel petto mentre cerco di fare mente locale.

Ok, calma… Barba e doccia, tanto per cominciare.

Mentre mi tampono i capelli con un asciugamano, sperando che assumano una forma decente, apro l’armadio e ne tiro fuori il mio completo migliore, quello che mi ha regalato Esme per la prima volta che ho suonato al Grear e che non ho mai usato per i miei incontri di lavoro. È perfetto per stasera, insomma. C’è anche la cravatta, ma dopo un paio di prove decido di non metterla.

Prima di procedere, mi concedo un attimo… Cerco il telefono e mando un messaggio a Bella:

 

Mi sei mancata, piccola Swan. Non vedo l’ora di rivederti. A tra poco.

 

 Non aspetto nemmeno una risposta. Come una molla, scatto in piedi e comincio a prepararmi.

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci qui. Anche il prossimo capitolo è pronto… su carta! Per cui, se tarderò ad aggiornare sapete già il motivo.

In generale è pronta tutta la storyline e solo a buttarla giù ho pianto… Bah.

Vi auguro la buonanotte.

Miki.

 

 

 

 

 

 

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