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Non erano tempi facili quelli che il Togenkyo, fiorente
regno della parte orientale del mondo, stava attraversando: molte guerre
interne lo avevano logorato, e le ribellioni di alcuni gruppi di demoni contro
il potere centrale – e contro gli umani in generale – avevano finito per
costituire il colpo di grazia. L’equilibrio del paese era fragile, sconnesso, e
sarebbe bastato ben poco per farlo crollare definitivamente. Molti erano coloro
che sceglievano la via dell’esilio, in cerca di fortuna, e altri si arrendevano
all’evidenza dei fatti. Purtroppo i problemi non si limitavano a questioni
belliche e politiche: uno di essi era costituito dal figlio dell’ultima
imperatrice.
La somma Kanzeon Bosatsu, sovrana del Togenkyo intero,
aveva un unico erede, e adesso che si sentiva prossima alla scomparsa aveva
necessità di affidare il regno nelle sue mani. Ma il principe, da diversi anni
ormai, non sembrava intenzionato ad attenersi ai desideri della madre: correva
voce – ed era fondata – che fosse un giovane tanto bello quanto spietato, che
obbligava i suoi pretendenti, donne e uomini che fossero, ad affrontare una
prova crudele. E nessuno, fino ad allora, si era salvato.
Nonostante ciò, ancora in gran numero si presentavano al
palazzo imperiale chiedendo di sottoporsi al cimento, e l’imperatrice non aveva
completamente perso la speranza che prima o poi uno di essi avrebbe ottenuto la
vittoria e la mano di suo figlio, salvando così la sorte del Togenkyo e dei
suoi abitanti. Presto o tardi, un miracolo sarebbe avvenuto.
Correva l’anno della Tigre, e quella sera tutta la
capitale era in fermento: l’ultimo pretendente sconfitto, il tredicesimo dacchè
l’anno era iniziato, sarebbe stato giustiziato al sorgere della luna, e nessuno,
per quanto ribrezzo e sgomento provasse, voleva perdersi lo spettacolo, con la
tipica curiosità atroce del popolo verso le esecuzioni. La folla si stava
radunando nella vasta piazza che si apriva dinnanzi al palazzo imperiale,
mentre la luce fredda del crepuscolo andava scemando per lasciare spazio alla
notte; vi erano mendicanti, gente comune vestita di abiti scuri e semplici,
alti dignitari e cortigiane sfavillanti nei loro gioielli, e soldati armati di
lunghe picche e alabarde che controllavano ogni angolo della zona. L’attesa era
più che mai fremente: colui che di lì a poco sarebbe stato condotto al patibolo
era il principe Homura Toshin, giovane, attraente e valoroso, e molti provavano
pena per lui.
Tra la gente vociante avanzavano, lenti e cauti, un uomo
piuttosto anziano e una serva che lo sorreggeva: lui indossava una lunga veste
chiara, strappata in più punti, che un tempo doveva essere stata estremamente
sontuosa, e aveva i capelli raccolti in una grossa treccia che gli arrivava
fino a metà schiena; benchè camminasse con fare stanco, il suo aspetto tradiva
una regalità invidiabile, il volto e gli occhi una profonda giustizia. La
ragazza che era con lui era minuta e bruna, l’espressione gentile, e lo teneva
sottobraccio senza mostrare alcun segno d’insofferenza. Chi li avesse visti non
avrebbe mai potuto immaginare che quell’uomo dimesso fosse in realtà il sovrano
di un regno limitrofo, ormai decaduto, il saggio Komyo Sanzo Hoshi.
I due cercarono di farsi strada tra la folla, in cerca di
qualcuno, e inavvertitamente si scontrarono con un gruppetto di nobili
circondati dalla propria scorta. La ragazza si prodigò subito in umili scuse,
ma quelli non vollero sentire ragioni:
- Spostati, vecchio! – vociò una delle guardie
all’indirizzo di Komyo – Sei d’intralcio! E tu, donna, chiudi quella bocca! -
Fece per spingerla indietro con il bastone della lancia,
quando una mano spuntò dal niente, bloccandolo:
- Non torcere loro un solo capello, soldato, o dovrai
risponderne a me – disse il proprietario di quella mano chiara.
Le guardie, i nobili, l’anziano re e la serva si
voltatono: un giovane alto e biondo li scrutava con espressione severa, una
luce autoritaria negli occhi viola. Il suo portamento fiero, la piega severa
delle labbra, la bellezza del suo viso pallido e, non ultima, la lunga katana
che portava al fianco ebbero il potere di far allontanare in fretta e furia, e
senza ribattere, nobili e scorta.
Komyo sorrise appena, avanzando verso di lui: - Ti
ringrazio, figlio mio. Grazie al cielo ti abbiamo trovato –
L’altro scosse la testa: - Semmai sono stato io a
ritrovare voi, padre – ribattè, in tono volutamente piatto.
- Mio signore – la serva s’inchinò – Perdonatemi, temo
sia stata colpa mia -
- Lascia stare, Yaone, non intendo discuterne più – tagliò
corto il biondo.
Nel frattempo, il buio era calato, e qua e là brillavano
le fiamme guizzanti di torce e lanterne. D’improvviso la folla si zittì, le
voci ridotte a mormorii, e tutti puntarono gli sguardi verso il centro della
piazza: un dignitario riccamente vestito, seguito da altri soldati, era sceso
dalla scalinata del palazzo imperiale, un rotolo di pergamena in pugno.
Rullarono i tamburi.
- Fate silenzio e prestate ascolto al sommo Jiroushin,
portavoce della divina imperatrice! – gridò un araldo.
Il dignitario gettò un’occhiata cupa attorno a sé, poi
srotolò la pergamena e declamò quel che vi era scritto.
Popolo
del Togenkyo!
La
legge è questa: il principe Seiten
sposo
sarà a chi, di sangue regio,
spieghi
i tre enigmi ch’egli proporrà.
Ma chi
affronta il cimento e vinto resta,
porga
alla scure la superba testa!
Il
principe Homura avversa ebbe fortuna:
al
sorger della luna, per man del boia
muoia!
La fine del discorso fu sottolineata da sussurri di nuovo
sgomento e da un secondo rullo di tamburi. Il sommo Jiroushin ripiegò con cura
il rotolo, girò i tacchi e risalì la scalinata della reggia assieme alla sua
scorta, svanendo oltre lo scuro porticato sulla sommità.
Il giovane biondo inarcò perplesso un sopracciglio: - Che
storia è questa? –
- Non ne ho la più pallida idea, mio signore – ammise
Yaone guardandosi nervosamente attorno.
- Bah… Ehi, tu! – esclamò lui, prendendo per un braccio
una donna che passava lì vicino – Spiegami che cosa sta accadendo -
Quella lo fissò sbalordita: - Davvero non lo sapete,
giovane altezza? –
Il biondo ebbe un moto di stizza: - Se lo sapessi non te
lo chiederei. Avanti, parla! – replicò.
- Si vede che venite da lontano. Chiunque qui sa che il
principe Seiten Taisei, o Son Goku, poiché questo è suo nome, ha indetto da anni
una terribile prova. Chiunque voglia averlo in sposo deve prima sciogliere i
tre indovinelli che gli vengono proposti dal principe in persona – spiegò la
donna – Chi ci riesce otterrà la sua mano, e chi perde… beh, lo avete visto.
Chi perde viene giustiziato -
- Per gli Dei! Perché mai un futuro imperatore dovrebbe
fare una cosa tanto spietata? – interloquì Komyo.
La loro interlocutrice scosse il capo: - Non
chiedetemelo. C’è chi dice che il principe sia vittima di un incantesimo o robe
simili, ma nessuno ci crede granchè. Sarebbe molto più semplice trovare una
soluzione, forse… -
Detto questo, la donna li salutò con un inchino e
sgattaiolò via, lasciando i tre sconcertati. Il re e Yaone presero a parlottare
a bassa voce, mentre il giovane giocherellava con un lembo del mantello con
fare assente. Ciò che aveva appena appreso aveva instillato in lui due diversi
pensieri: da una parte, ammirava il principe per la sua totale e sincera
assenza di misericordia, fattore che riteneva a volte obsoleto per governare un
regno con mano salda; dall’altra, sentiva crescere verso di lui una rabbia
gelida, sebbene non gl’importasse niente degli sconsiderati e sconsiderate che
avevano sfidato la sorte. Trovava sleale e insensata la storia dei tre enigmi.
Con un sospiro irritato, il biondo si passò le dita tra i
capelli: - Basta, non me ne importa – borbottò, come per rimproverarsi.
Ma come finì la frase, un boato s’innalzò dalla folla
stipata davanti a lui, a suo padre e alla ragazza. Un piccolo corteo si stava
facendo strada tra la gente, ben illuminato da lanterne bianche, e in mezzo
alle persone che lo componevano stava un uomo alto e bruno, esangue come la
morte cui andava incontro, i polsi cinti da due pesanti catene: Homura Toshin
non mostrava alcun segno di paura, eppure fu sufficiente la luce smarrita che
aveva negli occhi e la consapevolezza che stava incamminandosi verso la lama
del boia perché il popolo riprendesse a sussurrare, simile al vento tra le
foglie di un albero.
- Che il cielo lo salvi! È così giovane! – diceva
qualcuno.
- Principe, abbiatene pietà! Pietà! – si ritrovò a
gridare qualcun altro, un braccio proteso verso la reggia.
- Non uccidetelo! – aggiunsero altre voci supplichevoli.
Yaone nascose il volto tra le pieghe del manto di Komyo:
- È atroce, atroce! – singhiozzò. Aveva visto tanti orrori, da quando lei, il
re e il biondo principe erano fuggiti dal loro regno d’origine, ma ogni volta
era come la prima.
- Quel dannato… Che si mostri, il vigliacco! – proruppe
il figlio del vecchio sovrano, a denti stretti – Che io lo maledica! -
Poteva essere giusto uccidere, ma faccia a faccia in uno
scontro, con giuste motivazioni, per quanto soggettive, non certo in quella
maniera. Che uomo era uno che giocava con le vite altrui come se fossero stati
dadi da lanciare e riprendere?
Il corteo funebre che accompagnava il principe Homura
scomparve oltre l’angolo della piazza, i brusii cessarono quasi, e in quel
preciso istante, mentre una luna immensa faceva capolino da dietro la sagoma
nera del palazzo imperiale, le arcate in cima alla scalinata s’illuminarono a
giorno, le porte si spalancarono e, circondato dalla corte, un ragazzo avanzò
nella luce delle torce: abbigliato di chiaro, altero, aveva lunghi capelli
dello stesso caldo colore delle castagne e un bastone scarlatto con sfere d’oro
alle estremità stretto nella mano destra. Non ci voleva molto per intuire che
si trattava di Son Goku, l’erede al trono, colui che era noto come Seiten
Taisei. E non ci volle molto perché i tre esuli si accorgessero che era bello oltre
ogni dire.
Il principe non parlò. Si limitò a scrutare con freddezza
la folla prostrata sul lastricato della piazza e poi voltò loro le spalle,
dirigendosi con passo deciso verso l’interno del palazzo. Nel giro di pochi
minuti, le arcate furono nuovamente buie e deserte.
Dopo quell’apparizione fugace, calò un assoluto silenzio
tra gli astanti. Molti se ne andarono, e alcuni restarono ai bordi della piazza
ad aspettare, nessuno sapeva cosa. E al centro stava, immobile, circondato dal
padre e dalla ragazza, il giovane biondo, gli occhi ancora puntati verso l’alto
porticato: mai, in tutta la sua vita, aveva visto una creatura tanto
meravigliosa e dannata, mai si era sentito come adesso. Avrebbe voluto correre
lassù e colpire Son Goku con tutta la sua forza, facendogli capire l’empietà di
cui si faceva coscientemente carico, e al tempo stesso… al tempo stesso,
avvertiva un fuoco sconosciuto rodergli le vene, qualcosa che gli faceva sì
desiderare di avventarsi contro il principe Seiten, ma per motivi che non si
limitavano all’ira.
Un attimo era bastato, e già gli sembrava d’impazzire nel
tentativo di scrollarsi di dosso quelle sensazioni.
- Figlio – lo chiamò Komyo in tono sommesso – Che cosa ti
succede? -
Lui non rispose subito. Stava riflettendo: l’unico modo
per avvicinare il principe era quello di proporsi come prossimo pretendente, e
se avesse superato la prova avrebbe potuto prendersi il gusto di dimostrargli
che non era invincibile né intoccabile, e poi se ne sarebbe andato lasciandolo
a consumarsi nella sconfitta. Inoltre, se vinceva…
Il biondo scosse la testa con foga. Era meglio non
abbandonarsi a certi pensieri stupidi in una situazione del genere. Ma l’idea
di partenza lo allettava: - Parteciperò a quella maledetta prova, padre –
rispose quindi, avanzando verso la scalinata.
Il re e Yaone lo rincorsero, l’aria basita: - Mio
signore, ma che cosa state dicendo? – esclamò la serva.
- Figlio, questa è follia! – rincarò Komyo, prendendolo
per un braccio – Perché mai dovresti farlo? Tu certo non lo ami! -
- Certo che no! – scattò il giovane, forse un po’ troppo
bruscamente – Lo faccio affinchè capisca che non può vincere sempre -
La ragazza si gettò a terra in ginocchio: - Mio signore,
vi scongiuro, ripensateci! Se doveste fallire, che ne sarebbe di noi? Avreste
il coraggio di abbandonare vostro padre per una stupida sfida? La mia vita non
ha valore, ma la sua, signore, non… -
- Basta! Ho preso la mia decisione, e non tornerò
indietro -
Con queste parole, il biondo si accinse a precipitarsi su
per i gradini, ma con sua grande sorpresa (e irritazione) tre alte figure gli
si pararono davanti, arrivate da chissà quali angoli, e una dopo l’altra gli
bloccarono la strada.
- Fermo, straniero, dove pensi di andare? – tuonò la
prima, abbigliata d’oro.
- Ecco un altro illuso che vuole suicidarsi! – aggiunse
con fare teatrale la seconda, vestita di rosso.
- Siete ancora in tempo a cambiare idea, altezza –
concluse la terza, ammantata di verde.
Il giovane scrutò scettico gli uomini che avevano appena
parlato: quello vestito d’oro aveva capelli chiarissimi e sembrava il più
autoritario del terzetto; quello che stava in mezzo, dalle vesti color sangue e
la chioma altrettanto scarlatta, lo guardava con aria beffarda e l’ultimo, moro
ed esile, teneva le braccia conserte e aveva un’aria affranta nei profondi
occhi verdi.
- E voi chi sareste? – chiese il biondo, seccato per quel
contrattempo.
Il rosso fece un passo avanti: - Siamo i tre ministri
supremi dell’imperatrice, screanzato! Io sono Sha Gojyo, il Gran Provveditore!
–
- Non fare lo sbruffone come tuo solito – intervenne il
primo – Comunque io sono il Cancelliere, Ryu Gojuin, e questi – indicò il
compagno vestito di verde – è Cho Hakkai, il Cuciniere -
L’altro s’inchinò garbatamente al giovane principe, poi
parlò: - Altezza, cosa state facendo, di grazia? –
Il biondo lo fissò: - Mi sembra che lo abbiate intuito.
Desidero cimentarmi con i tre enigmi, che altro sennò? – rispose.
I tre esplosero in un verso di disappunto che era per
metà una risata di scherno e per metà un grido frustrato.
- Saresti la quattordicesima vittima di quest’anno
tremendo, sciocco! – lo redarguì Gojuin – Tu, come i pazzi e le disperate che
ti hanno preceduto, finirai sotto la spada del carnefice, e ancora non si
estinguerà questo massacro! -
- Che t’importa di un ragazzino quale il nostro principe?
Affascinante come sei e con quegli occhi suadenti puoi trovare tutte le donne e
gli uomini che ti pare, e senza rimetterci le penne! Non ti sembra una
prospettiva più allettante? – disse Gojyo, il tono pericolosamente vicino alla
presa in giro. Il giovane gli riservò un’occhiata glaciale e non ribattè.
- Lasciatemi passare e non impicciatevi – ordinò invece,
e fece per superarli.
Fu Hakkai a bloccarlo di nuovo, qualche gradino più in
su: - Per favore, ne va della vostra vita! –
- Ha ragione! Fermati, figlio, ascoltaci! – implorò
ansante Komyo, che aveva raggiunto il gruppetto assieme a Yaone.
Il biondo serrò le palpebre, cercando di scacciare le
loro voci, soprattutto quella di suo padre. Sapeva di aver scelto di fare una
follia, sapeva che né vittoria né sconfitta erano scontate, sapeva anche che
avrebbe dovuto pensare a difendere l’anziano sovrano e non perdersi in una
sfida assurda, ma da tempo ormai si era ripromesso di vivere e morire soltanto
per sé stesso, senza affezionarsi a persona alcuna, senza che nessuno avesse di
che soffrire se fosse scomparso troppo presto. Senza avere nessuno da
proteggere per poi perderlo e perdersi comunque. Quello era il suo modo di
vivere, e non l’avrebbe tradito.
- Non sprecate fiato inutilmente, non mi convincerete! –
esclamò – Decido io per la mia vita, e così per la mia morte! -
Salì a grandi passi gli ultimi gradini e s’arrestò sul
limitare di una sorta di piattaforma che si apriva a metà della scalinata: al
centro di essa, sotto un piccolo padiglione, s’innalzava un enorme gong di
bronzo dorato. E prima che il re, la serva o i ministri riuscissero a fare
qualcosa, il giovane afferrò la mazza che giaceva lì vicino e percosse il disco
di metallo con forza, per tre volte.
I rintocchi risuonarono cupi nel cielo notturno,
echeggiarono tra le vie e gli edifici, e quando cessarono del tutto la piazza
ed il palazzo parvero riprendere vita all’improvviso: si accesero nuove torce,
fiaccole e lanterne, la gente accorse vociando e scalpicciando sulla pietra,
guardie e dignitari si riversarono fuori dal porticato imperiale, invadendo
l’intera scalinata, mentre Komyo e Yaone si stringevano l’uno all’altra con
rassegnata disperazione e Gojuin, Gojyo e Hakkai scuotevano la testa.
Il quattordicesimo pretendente dell’anno della Tigre
aveva fatto la sua mortale richiesta.
E in mezzo a tutti loro vi era Genjo Sanzo Hoshi, biondo
principe del perduto regno di Cho’an, che aveva appena giocato la prima carta
che avrebbe presto decretato il suo destino.
••• To be
continued •••
Note dell’autrice: immagino che la maggior parte di voi
non conosca l’opera alla quale mi sono ispirata per scrivere questa storia e
dalla quale ho ripreso il titolo (che altrimenti c’entrerebbe ben poco con la
trama in sé)… ma forse è meglio così. In ogni caso, se state leggendo queste
righe significa che siete arrivati in fondo al primo capitolo (pardon, atto), e
la cosa mi fa piacere. Ammetto che come idea debba apparire un po’ “strana”,
questa mia nuova fic, ma mi auguro che vi piaccia comunque…
Ho messo “alternate universe” tra gli avvertimenti
perché, in fondo, sebbene si svolga sempre nel Togenkyo non è certo la
situazione a cui siamo abituati leggendo Saiyuki; ho preferito invece evitare
di mettere “OOC” perché non credo che i personaggi saranno così “stravolti”… o
almeno spero @_@. Comunque starà a voi giudicare, mina-san… Mi raccomando,
fatemi sapere cosa ve ne pare, ci tengo.
Nel frattempo vi saluto e vi do appuntamento (sempre che
vi vada) al secondo atto, in cui Sanzo dovrà affrontare i tre enigmi… e Goku.
Per circa un paio di giorni, la capitale del regno fu in
fermento per preparare l’inattesa nuova cerimonia, e già si favoleggiava sul
quattordicesimo pretendente, a detta di molti bellissimo, valoroso e
sprezzante, un vero principe. E già molti lo davano per spacciato nonostante le
sue evidenti qualità. Gli era stato dato un alloggio privato in un’ala del
palazzo, assieme a suo padre e alla giovane donna che li accompagnava, ma
nessuno lo aveva visto troppo a giro in quei due giorni, né sapevano chi fosse
in realtà.
E lui, dal canto suo, aveva fatto il possibile per non
entrare in contatto con la folla di curiosi che non desiderava altro che
saperne di più: il suo pensiero, per quanto potesse negarlo, era costantemente
rivolto all’esito della prova imminente e al principe avversario.
Arrivò infine la vigilia del gran giorno. Si era alzato
un forte vento col calare della notte, pertanto i tre ministri, dopo una
giornata stancante trascorsa a prendere accordi fin troppo noti con
l’imperatrice, furono ben felici di ritrovarsi nella sala accogliente e caldamente
illuminata che metteva in comunicazione i loro tre appartamenti: Gojuin,
vestito di tutto punto nonostante l’ora tarda, vi entrò per primo e salutò i
due compagni con voce grave; Gojyo si fece avanti stringendosi addosso senza
grande impegno la rossa veste da notte, una bottiglietta di sake in mano, e
Hakkai li raggiunse poco dopo, un libro sotto il naso. Si sedettero
pesantemente sugli sgabelli imbottiti, e Gojuin sospirò mentre rivolgeva lo
sguardo fuori dalle alte finestre:
- Non che mi aspetti cose positive nemmeno questa volta –
esordì – ma sarà bene stare comunque pronti ad ogni evento -
L’uomo dai capelli scarlatti sorrise, buttando giù un
sorso di sake: - Io mi occuperò delle nozze, qualora fosse il caso. Preparerò
le rosse lanterne di festa, le offerte e la portantina color porpora per
accogliere gli sposi, e mi divertirò ascoltando i bonzi che inneggiano felici
al Cielo – disse. E magari avvicinerò le belle ancelle dell’imperatrice, pensò,
ma se lo tenne per sé.
- Io preparerò le esequie, invece – interloquì il moro –
Farò in modo che lo straniero sia seppellito con tutti gli onori -
- Sempre allegro, tu – lo rimbeccò Gojyo, inorridito
all’idea di un ennesimo funerale.
- Si può dire che è realistico – fu il commento del
Cancelliere, che nel frattempo si era alzato in piedi.
Per qualche minuto rimasero in silenzio, perso ognuno nei
propri cupi pensieri. Da quanto tempo andava avanti quella storia? Da circa
cinque anni come minimo. Ed era un mistero il perché il giovane principe
Seiten, che fin da piccolo era stato di indole buona e gentile, seppur di
carattere forte, avesse tutt’ad un tratto intrapreso una campagna così crudele
contro chiunque si presentasse per dichiarargli il suo amore. Tutti e tre ne
ignoravano le cause, e soltanto Gojuin si era forse accorto del cambiamento
avvenuto anche nell’aspetto di Son Goku: i suoi grandi occhi dorati sembravano
più freddi, poco umani, e l’uomo non ricordava di avergli mai visto il diadema
d’oro che gli cingeva la fronte da qualche anno ormai. Aveva provato a chiedere
all’imperatrice, ma questa lo aveva liquidato in fretta, asserendo di saperne
quanto lui. E quindi erano rimasti al punto di partenza.
- Nell’anno del Topo i pretendenti uccisi furono sei –
stava intanto enumerando Hakkai – In quello del Cane, ben otto -
Gojyo si dimenò sullo sgabello: - Come se non lo
sapessimo! Vuoi ricordarci che ci siamo ridotti ad amministrare il lavoro del
boia, Hakkai? O vuoi portare sfortuna anche al biondino pazzo? –
L’amico lo fulminò con lo sguardo: - Che gli Dei ti
perdonino per le tue parole, Gojyo! – esclamò – Come puoi accusarmi di voler
gettare un’ombra nefasta sulla cerimonia di domani? Desidero quanto te che lo
straniero vinca –
- Smettetela con queste sciocchezze. Non possiamo fare
niente, solo attendere – borbottò Gojuin.
Si sentivano tutti e tre di cattivo umore. Se la
sconfitta avesse sopraggiunto anche il biondo principe, la situazione sarebbe
precipitata ancora più in basso: il Togenkyo aveva bisogno, se non della
continuazione della stirpe, almeno della sicurezza che qualcuno avrebbe
continuato a guidarlo per molto tempo ancora, riportandolo al suo giusto
equilibrio e all’antico splendore. E questo certo non sarebbe avvenuto, se il
futuro imperatore avesse continuato ad uccidere uno dopo l’altro figli di
sovrani e nobili. Si sarebbe creato sempre più nemici, avrebbe logorato
rapporti già precari, avrebbe attirato su di sé il malcontento popolare, e i
tre ministri volevano a tutti i costi evitare una simile catastrofe.
D’altronde, prima fosse tornata la pace, prima avrebbero avuto la possibilità
di rivedere i loro amati luoghi d’origine: Gojuin aveva lasciato una bella casa
e una famiglia, Hakkai i suoi giardini e la tomba della moglie adagiata
all’ombra di un vecchio cedro, e Gojyo, sebbene fosse uno spirito libero, una
ricca tenuta e molte amicizie.
- Vi ricordate… - riprese all’improvviso il moro –
Ricordate il figlio del sovrano di Hoto, arrogante e cocciuto? O quel nobile
indiano pieno di gioielli che ebbe persino il tempo di declamare versi appassionati
al nostro principe? -
- Me li ricordo. Parevano invincibili, e guarda come sono
finiti… teste rotolate via, niente di più – rispose il Cancelliere.
- E la principessa guerriera venuta da nord? Era di
bellezza incomparabile, molto più bella di tutte le altre che si son presentate
qui, e sapeva usare la spada come un uomo se non meglio! Che spreco… -
soggiunse il Provveditore, ancora intento a bere sake.
- Uccisi, uccisi, uccisi, tutti quanti! Stolti
innamorati! – gridò Gojuin, le braccia alzate.
Hakkai si alzò: - Ma se giungesse finalmente la notte
della resa… - disse con un sorriso.
Gojyo colse al volo l’occasione e lo imitò, imbracciando
un cuscino con aria maliziosa: - Sprimaccerò le molli piume per il nostro
principe ed il biondino, e profumerò loro l’alcova, e li guideremo reggendo il
lume nuziale! Poi, tutti e tre ce ne andremo sotto i ciliegi e canteremo
d’amore fino all’alba e brinderemo con bicchieri colmi di buon vino –
fantasticò, levando in alto la bottiglia.
I tre ministri si concessero di sognare ad occhi aperti
per un po’, immaginando come sarebbe stato bello vedere di nuovo un luminoso
sorriso sul volto di Son Goku e festeggiare assieme alla corte e al popolo
intero.
Ben presto furono però disolti da questi sogni gioiosi
non tanto dalle prime luci del sole che iniziavano a filtrare attraverso i
tendaggi, quanto da uno squillare argenteo di trombe in lontananza. Il tempo
era trascorso più in fretta del previsto, e di lì a poco avrebbe avuto luogo la
Cerimonia dei Tre Enigmi, come ormai tutti solevano chiamarla.
- Per gli Dei! Noi qui a rincretinirci e intanto il
mattino arriva di soppiatto – si allarmò Gojuin, l’espressione seria.
- Altro che amore, altro che pace, signori miei… - si
lamentò Gojyo, dirigendosi verso la propria stanza per riabbigliarsi.
- … è l’ora dell’ennesimo supplizio – concluse mestamente
Hakkai.
Andarono in fretta a prepararsi, mentre la luce si faceva
più intensa. Le trombe squillarono ancora.
La grande sala del trono era ormai gremita di folla,
quando Sanzo vi mise piede: sul balcone interno che correva lungo tutto il suo
perimetro si accalcavano dignitari e cortigiani e ancelle, tra le alte colonne
sedevano i sudditi e vigilavano i soldati, e in un angolo stavano Komyo e
Yaone, gli occhi fissi sul biondo. La maggior parte degli astanti seguì il loro
esempio, quando Sanzo entrò nella sala, sfilando tra due ali di gente curiosa e
ammaliata: era, se possibile, più attraente che mai, il viso impassibile,
avvolto in un mantello scuro e in una lunga veste che ricordava la calda
luminosità del sole. Avrebbe perso la vita anche lui? si chiedevano.
Sanzo si fermò ai piedi dei larghi gradini che
conducevano al trono, accanto al quale attendevano i tre ministri. Da alcune
porte laterali uscirono nove vegliardi, ciascuno con in mano un rotolo di
pergamena, e poi, tra rinnovati squilli di tromba e rulli di tamburo,
l’imperatrice in persona apparve in cima alla scala: la somma Kanzeon Bosatsu
era interamente vestita di bianco, i capelli neri le ricadevano mossi oltre le
spalle, ed i suoi occhi scuri emanavano grande forza ed autorità. La donna
sedette sul trono, mentre la folla s’inchinava in silenzio.
- Straniero, ripeto a te le parole che ho detto a coloro
che ti hanno preceduto – esordì. Aveva una voce profonda e vibrante – A causa
di un giuramento non posso far altro che tener fede al fosco patto stipulato
con mio figlio cinque anni orsono, ma poiché tu saresti l’ennesima vittima di
questo folle massacro ti prego di riflettere un’ultima volta. Sei certo di
quello che fai? -
- Vostra altezza, io chiedo d’affrontare la prova –
rispose Sanzo. Il suo tono non era granchè rispettoso o titubante, aveva più
che altro un’ombra di arroganza. Ci fu un mormorio diffuso.
Kanzeon Bosatsu sorrise appena, leggermente sarcastica: -
O sei un completo incosciente o ti senti completamente sicuro di te, straniero,
e ciò ti rende diverso dai tuoi predecessori. Voglio avere fiducia in te. Che
si compia il tuo destino! – proclamò con enfasi – Del resto, siete voi a
sceglierlo – concluse a voce bassa.
Il biondo chinò la testa. E nel rialzare lo sguardo,
s’accorse che tutti si erano nuovamente prostrati, sempre rivolti verso la
scalinata del trono: una figura esile ne stava discendendo lentamente i
gradini, a passi eleganti e con la testa alta.
Nel riconoscere Son Goku e nel vederlo così da vicino,
Sanzo sentì il proprio sangue ribollire nelle vene, in un misto di rabbia e di
– non poteva negarlo – desiderio. Il principe Seiten era ancor più bello di
quanto avesse immaginato nell’osservarlo da lontano, il volto fanciullesco
acceso da un’espressione languida e fiera al tempo stesso, illuminato dal
candore della veste da cerimonia che il giovane indossava e dal diadema d’oro
che gli cingeva la fronte, seminascosto dalle ciocche di lucenti capelli
castani. Ma gli occhi che il biondo vide puntarsi nei suoi erano quasi
terrificanti, meravigliosamente terribili: grandi, limpidi e dorati, eppure
freddi e ferini, simili a quelli di un demone. In quegli occhi si leggeva
chiaramente la crudeltà del principe.
Son Goku si fermò pochi gradini più in alto del punto in
cui stava il biondo e lo squadrò con un’occhiata attenta:
- Sei dunque tu il quattordicesimo ardito che ha suonato
il gong due notti fa – disse – E sei qui per avermi -
Sanzo annuì. Non era certo quella la verità, considerando
che il suo obbiettivo era il far assaggiare al principe Seiten tutto il sapore
amaro della sconfitta. Si chiese però quanto stesse veramente mentendo, in cuor
suo.
Il giovane parve soddisfatto della risposta. Pertanto,
mentre ad un suo cenno imperioso risuonava un singolo squillo di tromba, tornò
a guardare il biondo e recitò con voce chiara e forte:
Nella
cupa notte
vola un
fantasma iridescente.
Sale e
dispiega l’ali
sulla
nera, infinita umanità.
Tutto
il mondo lo invoca,
tutto
il mondo lo implora.
Ma il
fantasma svanisce con l’aurora
per
rinascere nel cuore.
Ed ogni
notte nasce,
ed ogni
giorno muore…
Era il primo enigma. Tutti, dall’imperatrice alla folla
accalcata tra le colonne, attesero trepidanti che Sanzo parlasse, e non furono
delusi. Passò un minuto soltanto, forse due, e il biondo rivolse a Son Goku
un’espressione di contenuto trionfo:
- Rinasce e in esultanza, principe… la speranza !
– esclamò.
Ci fu un rumore di carta srotolata, e infine i primi tre
dei nove sapienti lessero la giusta risposta:
- La speranza, la speranza, la speranza – ripeterono per
tre volte. Il pubblico sospirò di sollievo, anche se avevano appena iniziato.
Il giovane Seiten fece una smorfia: - Sì, la speranza che
delude sempre! – replicò. E lui in persona lo sapeva bene.
A Sanzo sembrò di cogliere una punta di amarezza nel tono
in cui l’avversario aveva pronunciato la frase, ma non vi si soffermò più di
tanto, poiché aveva ben altro a cui pensare al momento. E difatti, il secondo
enigma giunse rapido, e il principe, per declamarlo, scese un paio di gradini,
trovandosi ancor più vicino al biondo, fissandolo come per ammaliarlo:
Guizza
al pari di fiamma, e non è fiamma.
È
talvolta delirio, è tutta febbre,
febbre
di impeto e d’ardore.
L’inerzia
lo tramuta in un languore,
se ti
perdi o trapassi si raffredda,
se
sogni la conquista avvampa, avvampa!
Ha una
voce che trepido tu ascolti,
e del
tramonto il vivido bagliore.
Per un istante, il biondo parve vacillare, colpito dalle
parole dell’indovinello. Sapeva di avere la soluzione a portata di mano, la
conosceva anche, non era difficile… ma lo sguardo del Seiten, tutta la sua
persona, avevano sortito il loro effetto: Sanzo si sentiva irrimediabilmente e
mortalmente attratto da lui, come incapace di formulare un pensiero sensato che
non fosse di desiderio e di irritazione per il desiderio stesso. Eppure, fu
proprio il rinnovato calore che gli attraversò le vene che lo portò a
rispondere:
- Sì, principe, avvampa e insieme langue, se mi guardi…
il sangue ! -
- Il sangue, il sangue, il sangue – confermarono gli
altri tre saggi, più animati di prima.
La folla, Komyo, Yaone, Kanzeon Bosatsu e i ministri
trattennero a stento un moto di euforia, nel constatare che lo straniero era ad
un passo dal vincere la prova. Son Goku, invece, ordinò loro con voce
implacabile di tacere: era nervoso, e per due motivi diametralmente opposti. Se
da un lato aveva timore dell’ultimo enigma perché non voleva assistere alla
vittoria del principe dai capelli di sole, vittoria che lo avrebbe consegnato a
lui senza possibilità di riscatto, c’era una parte della sua mente che gridava
per la paura che il biondo non rispondesse al terzo arcano, che morisse
anche lui, e per causa sua: c’era un lato di Son Goku, un anfratto ora remoto
del suo essere, che in realtà non desiderava altro che perdersi nelle braccia
di quell’uomo, senza un motivo preciso.
Lottando per allontanare lo strano pensiero che lo
tormentava, il principe Seiten si portò fino al gradino più basso della scala e
si chinò su Sanzo, così dappresso che entrambi potevano sentire, confondendosi
non poco, i rispettivi tiepidi respiri.
E il giovane parlò per la terza volta:
Gelo
che ti dà fuoco,
e dal
tuo fuoco più gelo prende.
Languido
ed oscuro,
se
libero ti vuol ti fa più servo.
Se per
servo t’accetta, ti fa re…!
Un’espressione smarrita, benchè appena accennata, passò
sul viso pallido di Sanzo e non sfuggì al principe, che si raddrizzò con un
sorriso gelido dipinto sulle belle labbra: - Straniero, ti sbianca forse la
paura? E ti senti perduto… - sussurrò.
Il biondo non replicò. Se ne stava a testa china, gli
occhi ombreggiati dalla frangia, immobile e con i pugni serrati. Gli sfuggiva,
stavolta, la risposta era vicina ma gli sfuggiva di mano, e arrivato a quel
punto non voleva perdere, a qualunque costo.
Udì un frusciare di stoffa accanto a sé, poi il giovane
Seiten gli si accostò, tentatore, la bocca appoggiata al suo orecchio:
- Il gelo che dà fuoco… che cos’è? – ripetè in un soffio,
sfiorandogli una mano con la propria.
E allora, Sanzo non ebbe più dubbi. Rialzò il capo e
fissò il ragazzo con sguardo febbrile, e disse quasi gridando con voce ferma:
- Il mio fuoco ti sgela, ormai… Son Goku ! -
Il principe sgranò i grandi occhi dorati, sbiancò, poi
divenne paonazzo e infine arretrò di scatto fino alla base della scalinata,
frattanto che gli ultimi tre dei nove sapienti aprivano le pergamene, leggevano
e dichiaravano pieni di gioia che la risposta giusta era, effettivamente, Son
Goku. Lui stesso aveva quindi offerto la vittoria allo straniero.
La folla esplose in esclamazioni di gaudio, balzando in
piedi e accorrendo verso Sanzo, circondandolo, mentre Komyo e Yaone si
abbracciavano sollevati e ridenti e l’imperatrice si alzava dal trono,
scambiando occhiate soddisfatte con i tre ministri, che dal canto loro erano
non meno euforici: Gojuin sorrideva, Gojyo batteva le mani all’impazzata,
Hakkai appariva commosso.
E il biondo principe, come la sera in cui aveva suonato
il gong, se ne stava in mezzo a tutta quella gente, sempre compassato, ma con
una luce insolita nelle iridi violette. Aveva ottenuto la vittoria, ma la gioia
selvaggia che ancora gli accendeva il sangue non era certamente dovuta a quello
soltanto. Cercò con gli occhi il ragazzo, e lo vide come raggomitolato ai piedi
della scala con un’espressione che non avrebbe saputo se definire sgomenta o
fondamentalmente felice. A che gioco stava giocando? Era una sua impressione o
lo aveva in pratica aiutato, al terzo enigma? Forse il giovane Seiten
nascondeva veramente qualcosa, un qualcosa che era anche la chiave per
comprendere il perché della sua crudele attitudine.
- Gloria a te, straniero! – la voce dell’imperatrice
strappò Sanzo dalle proprie riflessioni. La donna aveva raggiunto il figlio
all’ultimo gradino e osservava il biondo dall’alto in basso: - Come vuole il
giuramento, che il mio erede sia premio al tuo ardimento -
- Madre! Non vorrai davvero offrirmi a lui! – proruppe il
principe, interrompendola.
Era agitatissimo, e scoccava sguardi ansiosi e furenti
ora a Sanzo, ora a Kanzeon, e tutti si voltarono verso di lui, stupiti dal suo
atteggiamento: - Lo straniero ha vinto lealmente, vostra altezza! – gli ricordò
Gojuin, quasi scandalizzato.
- Siete stato voi stesso a stipulare questo patto, non
potete mancare alla parola data – aggiunse Hakkai con dolcezza.
Son Goku scosse la testa con forza e si rivolse al
biondo: - Mi vuoi colmo di rancore? Vorresti avermi anche se io venissi
condotto riluttante e a forza tra le tue braccia, straniero? Dimmi, vorresti
questo? – gli domandò, ritrovando un po’ della sua ferocia.
- Mi chiedo, principe, se ne saresti davvero così
dispiaciuto – ribattè Sanzo, e si stupì lui stesso di quelle parole.
Il ragazzo arrossì furiosamente, ma il suo volto non
perse l’espressione dura che aveva assunto poco prima; i presenti mormorarono,
colpiti ancora una volta dall’arroganza schietta dello straniero, e
continuarono a ricordare al principe Seiten che una promessa andava mantenuta.
E poiché questi non dava segno di voler cedere, fu il biondo a parlare di
nuovo, dopo aver rimuginato un po’.
- Principe, ascoltami – disse – Mi hai proposto tre
enigmi, e li ho sciolti tutti quanti. Adesso sono io a proportene uno -
Cadde il silenzio. Son Goku lo fissò incuriosito, e Sanzo
riprese:
- Tu non sai chi io sia in realtà. Se prima dell’alba
scoprirai il mio nome, avrai la tua vittoria… e all’alba, io morirò – concluse,
e la sua voce si fece per un attimo più dolce. Voleva dargli un’altra
possibilità, pensò. Molti avrebbero giudicato folle il suo gesto, ma lui era
quasi certo che nessuno avrebbe saputo come si chiamava, se avesse giocato bene
le sue carte. Inoltre, c’era una cosa che non poteva non ammettere: il principe
dai freddi occhi dorati lo aveva colpito più profondamente di quanto avesse
sospettato, ed ora l’idea di poterlo anche avere, al di là del fatto di averlo
sconfitto, non gli sembrava più così sgradevole.
Il giovane Seiten soppesò la proposta per alcuni istanti,
e infine annuì: - E sia – dichiarò. E così com’era avvenuto durante la prova,
un’ombra che poco aveva a che fare con la sua consueta freddezza baluginò
passeggera sul suo viso fanciullesco.
L’imperatrice sorrise: - Gli Dei vogliano che il mattino
porti con sè una vittoria comunque ad entrambi – disse.
Poi girò i tacchi e se ne andò assieme alle sue ancelle,
mentre tutti s’inchinavano, Sanzo compreso. Le trombe e i tamburi tornarono a
suonare, e ciascuno dei presenti si mosse per uscire dalla grande sala.
E Son Goku, prima di voltarsi e seguire la madre su per i
gradini, scambiò con il biondo un ultimo, profondo sguardo.
••• To be
continued •••
Note
dell’autrice: finito anche il secondo atto! Incredibile ma vero, ho aggiornato
prima del solito, considerando i miei tempi standard… ma quando sono seriamente
ispirata non c’è niente da fare, scrivo di getto e non mi fermo mai >_<.
Allora, intanto voglio ringraziare Hiso, Pois, Nadia e Bibi, che
hanno recensito il primo capitolo: sono contentissima che la storia vi piaccia
e v’incuriosisca, e spero che anche questa seconda parte sia di vostro
gradimento… fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando, mina-san! E grazie
anche a coloro che hanno letto senza recensire.
Ah, un
paio di cose su Goku… Innanzitutto, avrete notato che parlo del diadema,
nonostante lui sia chiaramente (chiaramente °-°?) nei panni del Seiten Taisei:
non è una svista, l’ho fatto apposta per cambiare un po’ le carte in tavola, e
più avanti scoprirete cosa c’è dietro, e saprete anche quali motivi lo hanno
spinto a indire la prova dei Tre Enigmi. Anzi, lo saprete nel prossimo (ed
ultimo, mi dispiace) atto, nel quale tutti si adopreranno per scoprire il nome
di Sanzo e in cui Yaone… beh, avrà una parte fondamentale suo malgrado.
Detto
questo vi saluto, ci sentiamo presto con il terzo capitolo.
See you
soon and go to the West! Yours Black Moody
La notte scese sulla capitale quasi senza far rumore: la
grande città sonnecchiava indolente nella frescura della sera, sotto l’ombra
imponente della reggia. E proprio qui, sebbene dall’esterno ben poco si
notasse, molte persone erano prese da un frenetico subbuglio, entravano e
uscivano, bisbigliavano negli angoli, nervose e concitate, cercavano qualcosa
senza trovarlo.
Il principe Seiten aveva emanato un ordine al quale era
pressochè impossibile sottrarsi: tutti coloro che vivevano a corte, nobili,
dignitari, servi e soldati, dovevano assolutamente scoprire il nome dello
straniero biondo, altrimenti alcuni, scelti a caso, sarebbero stati messi a
morte come esempio di inefficienza per gli altri. Un ordine di crudeltà
indiscutibile.
Ma non mancavano poi troppe ore all’alba e ancora nessuno
aveva trovato traccia di quel nome maledetto, e l’agitazione cresceva di minuto
in minuto, opprimendo il palazzo intero. E il proprietario di quel nome, nel
frattempo, passeggiava per i giardini immensi che si aprivano sui bastioni, respirando
la pulita aria notturna.
Non avrebbero saputo chi era, pensava Sanzo, ne era
sicuro. Ancora poco tempo, e la vittoria sarebbe stata sua… la vittoria, e
forse Son Goku stesso. Le lanterne brillavano fioche tra le foglie, e sopra si
apriva un cielo trapunto di piccole stelle, chiare e visibilissime dacchè la
luna era tramontata: il biondo principe alzò la testa per guardare quei lontani
punti luminescenti, pregando che il mattino giungesse al più presto. La notte
si sarebbe dileguata, le stelle sarebbero scomparse dalla volta celeste, e lui
all’alba avrebbe vinto.
Si augurava soltanto che suo padre e Yaone, che aveva
lasciato nella loro stanza, stessero bene.
- Apprezzi i miei giardini, straniero? – fece una voce di
donna alle sue spalle.
Sanzo si voltò, vedendo l’imperatrice avanzare verso di
lui con un sorriso compiaciuto, avvolta in una leggera veste da notte.
- Vostra altezza – la salutò chinando appena il capo. Non
si aspettava certo di ricevere una sua visita.
- Sei forse preoccupato per l’esito cui questa nottata
potrà portare? – domandò ancora Kanzeon Bosatsu, raggiungendolo – Non avresti
tutti i torti, in fondo. Da parte mia, sai che ti auguro ogni bene con mio
figlio -
Sorrise ancora e si scostò una ciocca di capelli dalla
fronte. Sanzo la squadrò con serietà:
- Il principe Seiten… è veramente vostro figlio? – chiese
a sua volta. Non sapeva da dove gli fosse venuto in mente.
L’imperatrice parve stupita: - Come mai te ne esci con un
dubbio simile, straniero? –
Il biondo scrollò le spalle: - Ho soltanto notato che non
vi assomiglia affatto. Tutto qui – rispose laconico.
- Mi congratulo per la perspicacia, allora. Non è
veramente mio figlio, no, anche se da lungo tempo ormai lo considero tale. E
credo – disse lei guardandolo negli occhi – che tu debba sapere la sua storia,
arrivato a questo punto. Mi ero ripromessa di narrarla soltanto a colui che
avrebbe superato la prova… e conquistato il suo cuore – aggiunse
maliziosa.
Sanzo mosse un passo indietro per precauzione: - Credo di
limitarmi alla prima caratteristica – protestò. Il tono gli era uscito con
molta più debolezza di quanta avesse cercato di evitare. La donna sorrise per
la terza volta e non commentò quell’affermazione; si sedette invece sul bordo
delle mura e si sistemò la stoffa della veste sulle spalle, come per ripararsi
dalla frescura.
- Ed ora ascoltami bene, principe ignoto – esordì, e
prese a raccontare.
Svariati anni prima, suo marito l’imperatore era morto
senza avere il tempo di farle concepire un erede – c’era chi parlava di omicidio
politico per mano di alcuni cospiratori – e lei aveva preso una decisione: con
la scusa del lutto, che peraltro era sincero, sarebbe partita con una piccola
scorta alla ricerca di qualcuno che potesse prendere il posto di quel figlio
mai avuto. Aveva viaggiato per il regno intero, e infine, in una remota regione
montuosa, aveva trovato colui che cercava: un bambino di appena un anno dagli
occhi dorati e un gran ciuffo di capelli castani, un bambino nato non da esseri
umani, bensì dal cielo e dalla terra.
- Come sarebbe a dire? – la interruppe Sanzo, corrugando
la fronte – Dunque Son Goku non è umano? -
- Né umano, né demone, né dio. E al tempo stesso, è tutte
e tre le cose assieme – rispose Kanzeon Bosatsu.
Il biondo restò in silenzio, e lei proseguì nel suo
racconto. Aveva quindi trovato il bambino giusto, e lo aveva preso con sé,
facendo ritorno alla reggia: qui aveva comunicato al popolo e alla corte, in
via ufficiale, che in quei lunghi mesi di viaggio si era ritirata in un luogo
lontano dal caos della capitale per partorire e allevare il figlio che suo
marito le aveva dato poco prima di morire. Nessuno aveva avuto dubbi, e il
principe Son Goku era stato accolto con grande gioia e cresciuto con affetto.
- Sai, straniero, non è stato sempre come tu lo hai
conosciuto – disse l’imperatrice, lo sguardo rivolto altrove – Fino a cinque
anni fa era quello di un tempo, un ragazzino perennemente affamato e vivace,
sensibile, giusto, con l’indole degna di un futuro sovrano. Fu in seguito a
ragioni a lui note che è diventato così… e per colpa del diadema -
Sanzo alzò testa: - Il diadema d’oro che porta sulla
fronte? Cosa c’entra? – chiese.
Kanzeon tornò a fissarlo, gli occhi che luccicavano alla
luce delle lanterne: - C’entra completamente. È il diadema che lo porta a
manifestare il suo io più crudele, poiché nel diadema stesso è racchiusa
l’essenza del Seiten. Lo aveva quando lo trovai, e glielo tolsi immediatamente.
Ho ragione di credere che lo abbia rindossato di sua volontà cinque anni fa –
- Se sapevate che è per colpa di quel diadema che vostro
figlio si comporta così, perché non glielo avete sottratto di nuovo, di grazia?
– sbottò il biondo principe, incapace di capacitarsi del comportamento ambiguo
della donna.
Questa sorrise ancora: - Perché volevo che fosse il
vincitore a farlo. Soltanto tu puoi, straniero –
Ci fu silenzio all’improvviso. L’affermazione
dell’imperatrice aleggiò nell’aria attorno a loro finchè il suo eco non si
spense, e lei non si rimise in piedi, spazzolandosi la lunga veste. Sanzo rimase
zitto, aspettando un segno da Kanzeon Bosatsu.
- Mi affido a te, principe ignoto. Ho la sensazione che
non fallirai tanto facilmente – disse a bassa voce, e veloce com’era giunta se
ne andò, scomparendo tra le fronde scure, lasciando il biondo solo in compagnia
dei suoi pensieri. Non che fossero granchè ordinati e coerenti, a dire il vero:
il saggio suo proposito iniziale, quello di ottenere la vittoria solo per far
assaggiare la sconfitta all’arrogante principe Seiten, si era tremendamente
assottigliato, aveva perso consistenza ed importanza. La rivelazione sul
diadema poneva in un’ottica del tutto diversa l’intera situazione, dal momento
che Son Goku non era spietato per sua totale e vera natura.
Ma non ebbe tempo di riflettere a lungo su come risolvere
la faccenda. Si udì un gran scalpicciare, rumore di porte spalancate e voci
indistinte che crescevano sempre di più, all’altro capo dei giardini, e in men
che non si dica Sanzo si vide circondare da una folla di gente, persone che
aveva intravisto in quei giorni a palazzo; tra loro, davanti a tutti gli altri,
vi erano i tre ministri. E nessuno di quei volti che lo scrutavano torvi negli
sporadici bagliori delle lanterne promettevano niente di buono.
- Eccoti dunque, straniero! – lo apostrofò Gojuin. Era,
se possibile, più pallido del solito – Non hai sentito il bando? Ad ogni soglia
della reggia batte la Morte e reclama a gran voce il tuo nome! O la tua o la
nostra vita, questo si chiede -
Il biondo s’irrigidì: - Che volete da me? – domandò, la
voce dura e fredda. C’era qualcosa che non gli piaceva, in quei visi.
Gojyo si fece avanti: - Di’ tu che vuoi, piuttosto. Siamo
disposti ad esaudire ogni tuo desiderio, purchè tu accetti di andartene… o di
rivelarci chi sei – rispose – Fallo, e noi avremo salva la pelle! –
- È l’amore che cerchi? Ti cederemo le fanciulle più
belle, i giovani migliori – disse Hakkai, concitato.
- O forse brami ricchezze? – aggiunse il rosso – Ogni
tesoro a te, se è questo che desideri -
Sanzo si limitò ad un spazientito cenno di diniego,
mentre la folla lo accerchiava sempre più d’appresso.
- Vuoi la gloria? Ti faremo fuggire, e tu sarai per
sempre ricordato come colui che sconfisse il nostro principe! -
A quella frase, pronunciata da Gojuin, il biondo non
riuscì subito a controbattere con un no secco e deciso: il Cancelliere gli
stava offrendo l’occasione che lui stesso era andato cercando quando aveva
deciso di presentarsi come pretendente. E se tutto, nella sua testa, fosse
rimasto come prima, non avrebbe esitato ad accettare una tale proposta. Ma
adesso…
- Inutili preghiere e tentativi! Crollasse il mondo,
voglio Son Goku! – gridò, senza potersi trattenere oltre.
Perché la verità, volente o nolente, era quella, e nel
gridarla se n’era reso conto.
La folla reagì con violenza, prese ad aggredirlo con
parole rabbiose, dicendogli che no, non l’avrebbe avuto, che meritava di morire
prima lui di loro perché aveva cercato i guai, non se li era ritrovati
d’improvviso tra capo e collo a causa di un editto crudele.
Dicci il nome, il nome ! gli
urlavano, e prima che Sanzo potesse controbattere in qualche modo ci furono
nuovi scoppi di voci, stavolta più trionfanti, e alcuni soldati comparvero tra
gli alberi, trascinando, si accorse il biondo con una punta d’orrore, suo padre
e Yaone: i due si divincolavano, pur sembrando senza più forze, ed era chiaro
che erano stati strappati inermi dai loro letti.
- Eccolo, il nome, è qua! – annunciò il capo delle
guardie.
- Lasciateli andare! Costoro non mi conoscono! – si
ribellò Sanzo. Avrebbe dovuto prevederlo, evitare questo…
Gojuin lo guardò con espressione tagliente: - Ah no? Non
sono forse tuo padre e la tua serva? Se non sanno loro il tuo nome, chi altri
qui potrebbe rivelarcelo? – disse. Komyo, intanto, si era accasciato a terra in
ginocchio.
- Lasciateli! – ripetè il biondo, con rabbia impotente.
La folla prese allora a chiamare il principe in persona,
e nel giro di pochi minuti Son Goku arrivò, uscendo da sotto le arcate del
basso padiglione che si affacciava sui giardini e che ospitava le sue stanze:
indossava una lunga tunica bianca e scarlatta, chiusa in vita da un semplice
nastro, ma ciò non sminuiva il suo aspetto fiero e freddo. Tutti s’inchinarono,
e Sanzo rimase a fissarlo.
- Principe divino – esordì Gojuin con una certa umiltà –
Il nome dell’ignoto sta chiuso nelle bocche silenti del vecchio e della
ragazza, e disponiamo di molti mezzi per strapparglielo, se così vorrete
comandare -
Il giovane Seiten si soffermò un istante ad osservare i
visi contratti e pallidi di Komyo e Yaone, poi si rivolse al biondo:
- Ti vedo agitato, straniero – lo schernì.
- La tua stessa agitazione, ora che l’alba si avvicina,
si riflette su di me – ribattè caparbiamente Sanzo.
Son Goku scrollò le spalle con alterigia: - Staremo a
vedere. Avanti, vecchio! – ordinò a Komyo – Parla! Il nome di tuo figlio! –
Ma l’anziano re rimase in silenzio, limitandosi a
guardare il principe negli occhi senza mostrare tracce di paura. Il ragazzo
ebbe un moto di stizza, sul punto di fare cenno agli sgherri che lo tenevano di
costringerlo a rispondere, quando qualcuno lo prevenne:
- Il nome che cercate io sola posso dirvi -
Yaone era riuscita a divincolarsi dalla stretta dei
soldati ed era corsa avanti, frapponendosi tra il principe Seiten e Komyo.
Ansimava, era terrea in volto e tremava, eppure la sua voce era ferma e aveva
lo sguardo deciso. Sanzo, che nel frattempo era stato a sua volta trattenuto
dalle braccia salde di due guardie, represse un grido furioso: la ragazza lo
avrebbe dunque tradito?
- Conosco il suo nome – aggiunse lei – E lo terrò
segreto, custodendolo io soltanto! -
La folla mormorò a denti stretti, imprecandole contro;
gli sgherri la riafferrarono, e il biondo comprese allora che Yaone si stava
esponendo affinchè non facessero del male a suo padre, non certo per tradire
lui. Non avrebbe dovuto permettere una cosa del genere, ma d’altronde che altro
poteva fare a quel punto? E la giovane donna appariva oltremodo convinta del
proprio gesto.
Il principe, frattanto, le si era avvicinato: - Il nome –
disse. Yaone scosse la testa, le labbra serrate.
- Il nome! – intimò Son Goku per la seconda volta, più
minaccioso.
La ragazza sollevò la testa per guardarlo: - La tua serva
chiede perdono ma obbedir non può – rispose.
E all’improvviso gridò di dolore. I suoi aguzzini le avevano
serrato le braccia con violenza, tirandogliele indietro.
- Smettetela! – urlò Sanzo. Perché, perché quella pazza
lo stava facendo? Perché rischiare la vita per lui?
Tutti trattennero il fiato, in attesa. Infine Yaone fece
nuovamente udire la propria voce, adesso ben più flebile: - No… non mi fa male,
nessuno mi sta toccando… Stringete pure… ma chiudetemi la bocca – sussurrò –
Non resisto più… -
Il giovane Seiten la osservava, serio, la fronte
aggrottata, e il biondo credette di notare ancora un lampo di qualcosa di ben
diverso dalla sua solita freddezza balenargli in viso: - Sia lasciata – ordinò
– Parla, donna –
Yaone inclinò mestamente il capo: - Piuttosto morirò,
vostra altezza – replicò con dolcezza.
- Da dove ti viene tanta forza? – le domandò il principe.
Sembrava più curioso che adirato.
Sanzo, suo padre, i tre ministri e il resto della folla
non dissero niente e concentrarono le proprie attenzioni sulla ragazza, sebbene
per motivi completamente diversi. Però la sottile ammirazione mista a pietà che
iniziavano a provare nei suoi confronti era la stessa.
- Mi viene da una promessa che mi feci – rispose lei – E
dall’amore per un uomo che non c’è più, principe. Un uomo che sacrificò la vita
per il mio signore, dopo che questi aveva salvato la sua e la mia, tanto tempo
fa – spiegò, e si girò verso il biondo.
Quest’ultimo capì a quale accadimento si stava riferendo:
non avrebbe mai potuto dimenticare uno dei suoi più cari amici – pochi, a dire
il vero – colui che nella disastrosa battaglia in cui Cho’an era stato
conquistato dagli invasori gli aveva fatto scudo con il proprio corpo. Kogaiji,
figlio del consigliere di Komyo suo padre, amante e poi promesso sposo di
Yaone. Sanzo aveva evitato loro la morte anni addietro, in un’imboscata, e da
allora i due gli erano stati fedeli e vicini. Lo ricordava eccome.
- Quando quell’uomo morì, ripagando così il debito che
aveva verso il mio signore, mi ripromisi che anche io avrei offerto la mia vita
per aiutare costui, se mai ce ne fosse stato bisogno – stava dicendo la ragazza
– Quel momento è giunto -
Il biondo si divincolò: - Yaone, no! Non è necessario!
Non fare idiozie! – le gridò.
Per tutta risposta, lei gli rivolse un sorriso triste.
Aveva già preso la sua decisione, e nemmeno lui poteva farci alcunchè. Ma gli
astanti iniziarono a reclamare la presenza del boia e dei suoi scagnozzi, tanto
era il loro terrore di morire, e Gojuin, dato che il principe Seiten non si
esprimeva, gli occhi ancora puntati su Yaone, si trovò costretto a mandare a
chiamare l’uomo.
- Sia messa dunque alla tortura! – vociarono in molti.
La giovane donna, a quelle parole, ebbe un fremito: - No,
vi scongiuro… ho paura di me… lasciatemi passare… - esalò.
- Parla, parla, se non cerchi la sofferenza! –
insistettero.
E Yaone socchiuse le palpebre, prendendo un profondo
respiro, e tornò a rivolgersi direttamente a Son Goku. Era rassegnata, ma non
meno decisa: - Sì, principe, ascoltami… Anche se ora emani solo gelo attorno a te, presto lo amerai tu pure, lo amerai più di quanto lo abbiamo amato
io, suo padre e tanti altri, lo amerai… E dal canto mio, prima di quest’alba
chiuderò stanca gli occhi e il mio signore vincerà ancora, e sarete felici –
fece una pausa; tutti ascoltavano, come rapiti, e Sanzo non cercava nemmeno più
di fermarla. Ci fu un attimo di silenzio, poi riprese:
- Me ne andrò, sì, poiché non ho più niente che mi leghi
a questo mondo, più niente da perdere da quando colui che amavo è morto.
Chiuderò stanca gli occhi per smettere di soffrire, per poterlo rivedere… -
sorrise di nuovo, ed estrasse un piccolo pugnale lucente dalle pieghe
dell’abito - … per non sognarlo invano… mai più! -
E prima che qualcuno potesse fermarla, Yaone affondò la
lama nel proprio petto, senza nemmeno un grido. Urlò la folla, invece, e
urlarono Sanzo e Komyo, mentre Son Goku fissava impietrito la scena, sgomento.
La ragazza cadde a terra con un tonfo sordo, in una delle pozze di luce create
dalle lanterne, i lunghi capelli corvini sparsi attorno al corpo che si andava
imbrattando di rosso. Il biondo riuscì a liberarsi dalla presa dei soldati e
corse verso di lei, inginocchiandolesi accanto: - Stupida… - mormorò.
Yaone stirò le labbra in un ultimo sorriso, poi chiuse
gli occhi con un sospiro, una lacrima che le brillava appena sullo zigomo.
Era morta, e calò il silenzio sui giardini e sugli
astanti. Nessuno si mosse o parlò, fin quando Komyo non raggiunse il figlio
vicino alla giovane , piangendo piano: - Chiedetele perdono – disse alla folla
lì riunita – Si è tolta la vita per causa vostra, per la vostra cordardia di
popolo volubile… perciò chiedetele perdono, voi tutti! –
Allora, uno ad uno, dignitari, servi e soldati si fecero
avanti, e Gojuin per primo s’inchinò al corpo di Yaone, e Gojyo e Hakkai
seguirono il suo esempio, imitati dal resto della folla. Quei volti, che fino a
pochi minuti prima esprimevano un crudele egoismo, erano adesso contratti dalla
tristezza e dal senso di colpa, dalla compassione per il destino della ragazza.
Alcune guardie ne sollevarono il corpo esile, issandolo sopra le teste di
tutti, e con un rinnovato cenno di cordoglio a Sanzo e suo padre si avviarono
verso la reggia in processione, improvvisato e solenne corteo funebre sotto le
stelle immobili. Komyo si rialzò per andar loro dietro e strinse una mano al
figlio: - Non scomparire anche tu, all’alba – bisbigliò.
Erano dunque rimasti solo loro due, nel giardino deserto
illuminato dai bagliori caldi delle lanterne: da una parte il biondo principe,
che ancora fissava la macchia di sangue che Yaone aveva lasciato sulla terra fresca;
dall’altra il giovane Seiten, che gli dava le spalle e guardava ostinatamente
verso il bordo dei bastioni, le mani serrate a pugno. Si sentiva quasi… triste.
Ma Sanzo non attese troppo per prendere la parola, da
tanta che era la rabbia che provava il quel momento, rabbia dovuta
principalmente al fatto che essa stessa era rivolta alla persona che aveva
scoperto di desiderare. Così, si accostò al ragazzo e lo afferrò per un polso,
costringendolo a voltarsi verso di lui:
- Tu per primo avresti dovuto chiederle perdono! –
esclamò – Quel sangue innocente è stato versato per te! -
Son Goku si divincolò, altrettanto furioso: - Come osi,
straniero? Lei si è sacrificata per te ! Non l’ho costretta io! –
ribattè.
- Non l’avrebbe fatto se tu non avessi ricattato la tua
corte! Detesto questa tua crudeltà gratuita, principe! -
Il giovane fece una smorfia: - Non sono stato più
spietato di quanto alcuni di loro lo furono con me – disse con amara ironia.
Il biondo, stupito, gli lasciò il braccio. Di che cosa
stava parlando? gli chiese.
- Perché vuoi saperlo? Perché dovrebbe interessarti? –
rispose Son Goku in un soffio.
- Perché mi interessi tu, principe -
Questi alzò lo sguardo, colpito, ma si trattenne dal
mostrare all’altro il proprio stupore. Cominciò invece a parlare senza
fermarsi:
- Non cercare di confondermi con simili parole,
straniero! Dimmi piuttosto se sai quanto si vocifera a proposito di occhi
dorati come i miei… oh sì, dovresti saperlo, lo avrai sentito. Chi ha le iridi
di questo colore è considerato un essere eretico, una specie di mostro,
qualcosa di non completamente umano. E io lo sono, sì, lo sono… - strinse la
stoffa della veste tra le dita – Ma nessuno se n’era mai curato, quando mi
portarono qui, non se ne curarono fin quando alcuni bastardi, nobili nemici di
mia madre che ponderavano di prendere il potere, non misero in piedi una
cospirazione volta a spodestarmi dal ruolo di erede. Convinsero il popolo che
chi aveva gli occhi dorati era indegno di vivere, che doveva essere ucciso
senza pietà… e quanti omicidi ci furono nel regno, in quel periodo… e ancora
nessuno aveva avuto l’ardire di ammazzare me. Ma io avevo un amico, il mio
amico più caro, che aveva i miei stessi occhi ed era però completamente umano…
Nataku, si chiamava -
S’interruppe, e Sanzo aspettò che continuasse.
- Quella notte di cinque anni fa… eravamo assieme. Lui
era figlio di un dignitario, perciò viveva a palazzo, ci vedevamo sempre. E
quella notte… i sicari dei cospiratori fecero irruzione nelle mie stanze, con
l’intento di uccidermi, giustificando poi il loro gesto in nome di quell’odiosa
dottrina che avevano inventato e diffuso… Ma non colpirono me. Uccisero Nataku,
al mio posto – fece un sorriso storto – Fuggirono quasi subito, quando si
accorsero dello sbaglio, e la cospirazione non fu mai più messa in atto. Era
diventata troppo evidente, e lo scandalo era stato enorme. E lui, che non
c’entrava niente, era morto… Fu allora che presi la mia decisione. Avrei fatto
provare a quanti più principi e principesse e figli di nobili possibili il
dolore, la sconfitta… a loro che mai nella loro vita li avevano conosciuti, che
magari erano stati d’accordo nel dare contro gli esseri eretici ! -
Il biondo lo squadrò con severità: - Non puoi attribuire
ai tuoi pretendenti la morte di Nataku – disse.
Son Goku incatenò il proprio sguardo ferito e rabbioso
con il suo: - Tu non puoi capire! O forse sì, ma non m’importa! Tutti quegli
stolti… meritavano di morire! Arrivavano qui, sicuri del loro successo,
credendosi invincibili, infallibili… così odiosi! –
- Tu non pensavi forse la medesima cosa? – incalzò Sanzo.
Ora vedeva l’umanità del principe Seiten, dietro i suoi occhi ardenti.
- E tu non sei forse come chi ti ha preceduto, straniero
gonfio d’arroganza? – replicò il giovane.
Ma il suo tono era ferito, tormentato, non più freddo e
tagliente, e il biondo gli si avvicinò, prendendolo per entrambe le braccia.
Sentiva il desiderio crescere di nuovo, via via che apprendeva la verità su Son
Goku.
- No che non sono come loro, principe – affermò con serietà
assoluta – Né ti considero un eretico, se temi questo -
Il ragazzo provò a sottrarsi dalla sua presa: - Io non
temo niente! Niente! Ma so di essere quello che sono, so quello che dicono… che
non dovrei esistere, che non sarei mai dovuto nascere! Mai! – gridò.
Sanzo gli circondò allora la vita con le proprie braccia
e lo tirò a sé, il viso vicinissimo a quello del Seiten, e lo guardò dritto
negli occhi: - Invece esisti, Goku, e ne sono grato al Cielo – disse.
E lo baciò. Catturò le sue labbra, si fece strada tra
esse, e intrecciò la lingua con quella morbida e calda del giovane, sentendolo
irrigidirsi e ansimare di sorpresa. Ma la passione che aveva messo in quel
contatto profondo era tale che di lì a poco il principe gli si abbandonò
completamente, stringendosi a lui quasi con disperazione e ricambiando il
bacio, i sensi infiammati. Per istanti lunghi quanto una vita mescolarono
respiri, si dissetarono l’uno dalla bocca dell’altro, perdendosi.
E quando infine si staccarono, senza che la tempesta che
si era in loro scatenata cessasse, Son Goku si accasciò quasi sul petto di
Sanzo, che lo sorresse, e mormorò: - Che fai di me…? Lasciami… -
Il biondo si limitò a cingergli le spalle e si avvide che
ad est l’orizzonte andava schiarendosi: - È l’alba –
- L’alba, sì… - sussurrò ancora il principe Seiten. Il
bacio pareva averlo trasfigurato, lavando via la sua freddezza. E non per il
bacio in sé, bensì perché era stato quell’uomo dai capelli di sole a
donarglielo.
- Quando sei giunto qui, quando ti ho visto per la prima
volta – proseguì il giovane – non ho potuto fare a meno di osservarti,
straniero. E mi sentivo diverso, poiché diverso eri anche tu, rispetto agli
altri. Quanti ho visto sbiancare e morire per me… e li ho scherniti, derisi… ma
ho temuto te, per la luce che ti brillava negli occhi e per ciò che mi facevi
provare. Ti ho amato, e per questo ti ho odiato, ed ero tormentato e diviso tra
due terrori uguali… vincerti, o essere vinto. E vinto sono adesso… e non
dall’esito dell’alta prova, ma da questa strana febbre… che mi viene da te -
Lo aveva ammesso. Il desiderio era reciproco, era lo
stesso, e se Sanzo avesse voluto esprimersi avrebbe detto esattamente quelle
parole. Si discostò un poco dal ragazzo e lentamente, dandogli la possibilità
di fermarlo, gli sfilò il diadema d’oro.
Ma Son Goku non si ribellò, e il gioiello cadde al suolo,
baluginando un istante nella luce tenue dell’aurora. Si udì un sospiro, e il
principe chiuse gli occhi, nascondendo il volto tra le pieghe dell’abito del
biondo, che attese. E quando riaprì le palpebre e rialzò il capo, Sanzo vide
che le meravigliose iridi dorate del principe avevano perso il loro aspetto
ferino, che erano tornate limpide, e che il suo bel viso di fanciullo era più
dolce e colorito: - Bentornato – gli disse.
Goku si tastò la fronte: - Mi hai baciato solo per
potermi togliere il diadema? – chiese a bassa voce.
- Ti avrei baciato comunque – fu la risposta.
Il giovane si allontanò di un passo, lo sguardo rivolto
al sole che sorgeva. Cos’avrebbe dovuto fare, ora? Si sentiva felice, ma
faticava a credere che il biondo fosse stato totalmente sincero. Era così
sicuro di sé, caparbio… il tipo d’uomo capace forse di illuderlo, di farlo
innamorare per poi abbandonarlo dicendo trionfante “hai perso, tu che ti
credevi invincibile!”. E c’era ancora la faccenda del nome e dell’ultima prova,
e lui era tornato ad essere quello di un tempo.
- Ti prego, straniero, non umiliarmi e mentirmi più di
così… Hai vinto, perciò sei libero di andartene – sentenziò infine, a fatica.
Non avrebbe voluto lasciarlo andare via, ma era la soluzione migliore – Parti
col tuo segreto -
- Il mio segreto? – ripetè Sanzo – Non ne ho più, non
m’importa ormai! Vittoria o meno, desidero che tu sappia il mio nome, principe,
e lo saprai. Io sono Genjo Sanzo Hoshi, erede al trono del perduto regno di
Cho’an -
Goku sobbalzò e impallidì: - Il tuo nome… so il tuo nome!
– esclamò con una certa angoscia.
Doveva decidere, adesso, capire se doveva fare ciò che
voleva con tutto sé stesso o se doveva piuttosto prestare fede al patto
stipulato: a morte l’onore o a morte Sanzo, queste erano le uniche possibilità
che vedeva.
Si girò verso il biondo, come per riceverne,
paradossalmente un aiuto, e questi gli sorrise appena:
- Ti ho affidato la mia vita, Goku. La facoltà di
scegliere è soltanto tua, ormai. E dopo una notte come questa potrà forse
sembrarmi più dolce anche la morte – disse. Il sole ora era uscito per intero,
nell’aria bianca e rosa dell’alba.
Le trombe squillarono in lontananza, nelle sale della
reggia, e il giovane principe si rese conto che erano arrivati al momento della
verità, quello in cui avrebbe decretato l’esito della prova e la sua decisione
di fronte al popolo e a sua madre.
Represse la voglia di piangere e urlare per il peso di
quella responsabilità e si gettò di slancio tra le braccia del biondo,
cercandogli le labbra. Si baciarono di nuovo, sui bastioni, e poi Goku corse
via, a prepararsi, non prima di aver mormorato il nome dell’altro a mo’ di
estremo saluto – anche se non era detto che fosse davvero l’ultimo.
Sanzo rimase lì un po’, pensoso, e alla fine rientrò a
sua volta nel palazzo, la mente bizzarramente sgombra.
La vasta sala del trono era, se possibile, ancor più
gremita di gente di quanto non lo fosse stata il giorno precedente, in occasione
della Cerimonia dei Tre Enigmi. L’imperatrice sedeva già sul trono, e ai due
lati di esso, oltre ai tre ministri, vi era anche Komyo, sorretto
rispettosamente da Hakkai: dopo il sacrificio di Yaone ciascuno di loro si era
pentito in maniera sincera del comportamento vigliacco che avevano dimostrato
tanto a lui quanto a suo figlio. E trepidavano per sapere come sarebbe finita.
Sanzo e il principe entrarono contemporaneamente nella
grande stanza luminosa, e tutti si zittirono. Il primo si fermò a pochi passi
dalla scalinata, il secondo a metà di questa, e a molti non sfuggì la sua
espressione, così diversa rispetto al solito.
Goku guardò il biondo e la folla di fronte a sé per
qualche attimo, poi si voltò verso Kanzeon Bosatsu:
- Madre augusta, e voi tutti – annunciò a gran voce –
Conosco il nome dello straniero -
Gli astanti gemettero e sospirarono con rassegnazione,
pronti ad assistere a quella che era probabilmente l’ovvia conclusione della
vicenda, ma dovettero ricredersi quando il principe si girò nuovamente e disse:
- Ma ciò che più è importante è che appartiene all’uomo
che ho scelto -
E sorrise come nessuno l’aveva più visto sorridere, e
tese una mano in direzione di Sanzo. E questi, incredulo, stupito, felice anche
se difficilmente l’avrebbe ammesso, si precipitò ad afferare quella mano calda
tra le proprie e strinse Goku a sé, incurante del fatto di essere ben visibile
agli occhi di una sala intera. Ma era solo un dettaglio minimo, in un momento
come quello.
E l’imperatrice si alzò in piedi, sorridendo a sua volta,
mentre i tre ministri, l’anziano re, i dignitari, le ancelle, i soldati e il
popolo tutto battevano le mani ed esultavano, gridavano di gioia, cantavano tra
le colonne e i raggi che entravano dalle alte finestre:
O sole,
vita, eternità!
Luce
del mondo è amore!
Ride e
canta nel fulgore
l’infinita
nostra felicità!
E in mezzo a tutti loro, in cima alla scalinata, stavano
Son Goku e Genjo Sanzo Hoshi, abbracciati, come legati da un prezioso filo
d’oro che mai più li avrebbe divisi, nel corso della loro lunga e luminosa
esistenza.
•••Owari•••
Note dell’autrice:
aaaaaaaah, ho finito anche questa! Ancora non me ne capacito, devo riprendermi…
woah… Comunque sì, siamo giunti a conclusione, e la cosa, come sempre, mi rende
felice e un po’ triste allo stesso tempo… accidenti a me che mi affeziono alle
storie che scrivo!
Spero che anche quest’ultimo
atto vi sia piaciuto, dato che mi è venuto particolarmente “corposo” e vario…
fatemi sapere, mi raccomando. E a questo proposito, voglio ringraziare Hiso,
Pois, Kairi, Nadia, Moon (devo ancora recensire il tuo ultimo capitolo @_@)
e Kei, per i commenti allo scorso aggiornamento… ARIGATOU GOZAIMASU!
Sono davvero contenta che la storia abbia riscosso successo! E come al solito
ringrazio anche chi ha letto senza recensire e chi commenterà questo capitolo
finale. In ogni caso, vi faccio una comunicazione e una proposta… La
comunicazione è che sul mio sito trovate (e troverete) i disegni che sto
facendo su questa fic, perciò tenetelo d’occhio àhttp://blackmoody.altervista.org
La proposta invece è la
seguente: se per caso ci fossero cose che non vi tornano, nella storia, o
vicende delle quali vorreste sapere di più non esitate a dirmelo e vedrò di
scrivere qualche ‘extra’, d’accordo? Sì, sono strana, lo so… ^^”
Credo di aver detto tutto
quello che avevo da dire. Pertanto vi saluto, ci sentiamo con la mia prossima
storia (o meglio, con Last Song, dovrò pur rimettermi a scriverla –
anche perché sennò la mia collega, Yume, mi falcia °-°). Un bacione à tout le
monde!!
See you soon and go to the
West! yours Black Moody
Special thanks to:
sensei Kazuya Minekura
G. Puccini, compositore
dell’opera lirica originale