Rock 'n' roll hearts

di Domi_Carr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chaos in Milan ***
Capitolo 2: *** Great gig girls! ***
Capitolo 3: *** Roma, here we come! ***
Capitolo 4: *** Hotter than hell ***
Capitolo 5: *** Calm down! ***
Capitolo 6: *** Are you ready girls? ***
Capitolo 7: *** A rose for you ***
Capitolo 8: *** Are you tired? ***
Capitolo 9: *** Comin'home ***
Capitolo 10: *** Calm after the storm ***
Capitolo 11: *** Best friends ***
Capitolo 12: *** Something new ***
Capitolo 13: *** L.A. Woman? ***
Capitolo 14: *** Old times ***
Capitolo 15: *** Tattoo convention ***
Capitolo 16: *** A special dinner ***
Capitolo 17: *** Work Meeting ***
Capitolo 18: *** News ***
Capitolo 19: *** See you soon ***
Capitolo 20: *** To L.A. ***
Capitolo 21: *** Out for a gig ***
Capitolo 22: *** Cappuccino time ***
Capitolo 23: *** Just a shy girl ***
Capitolo 24: *** I'll miss you ***
Capitolo 25: *** Feeling lonely ***
Capitolo 26: *** Christmas Time ***
Capitolo 27: *** Let's party! ***
Capitolo 28: *** New record ***
Capitolo 29: *** Good morning! ***
Capitolo 30: *** After the rain ***
Capitolo 31: *** True love? ***
Capitolo 32: *** Wake up! ***
Capitolo 33: *** What am i supposed to do? ***
Capitolo 34: *** Pain & Delusion ***
Capitolo 35: *** Shut up! ***
Capitolo 36: *** Family reunion ***
Capitolo 37: *** Speechless ***
Capitolo 38: *** Welcome, Emma! ***
Capitolo 39: *** Hello girls! ***
Capitolo 40: *** Anonymous call ***



Capitolo 1
*** Chaos in Milan ***


CAPITOLO 1
 
“Ma che casino c’è!?” dissi stupita alla bassista della mia band guardando attraverso il vetro che dalla hall del Grand Hotel dava sulla strada. All’esterno il marciapiede era zeppo di fan, di gente che aspettava ammassata nella speranza di potere incontrare i loro idoli, i Guns n roses, o quello che ne restava, secondo la mia opinione.
Mentre facevamo il check in con il mio gruppo, che avrebbe aperto i concerti di Milano e Roma dei Guns a malapena il vetro insonorizzato teneva fuori le urla. Ragazzine che sembravano sparate dalla macchina del tempo direttamente dagli anni Ottanta, fan della vecchia guardia e gente che passava di lì e si fermava per la curiosità. Ci diedero le chiavi delle nostre stanze e decidemmo di salire subito, giusto per sistemare le nostre cose e prepararci per lo show. Aperta la porta della stanza che mi era stata assegnata, l’ansia improvvisamente iniziò a farsi sentire. In quell’ambiente così asettico realizzai effettivamente quello che stava per succedere: la mia band avrebbe suonato allo stadio di San Siro, prima dei Guns. Era una cosa incredibile, non riuscivo ad immaginare niente di più bello, ed allo stesso tempo più angosciante. A diciotto anni e pochi giorni avevo tatuato il logo dei Guns sulla spalla sinistra, due pistole incrociate con al centro una rosa. Sono da sempre il mio gruppo preferito, anche se sono molto intransigente e personalmente non capisco come abbiano potuto tenere il nome del gruppo con praticamente solo Axl dei membri originali. Ma le guerre legali non mi interessano più di tanto, ragione per cui, se fossi stata una semplice metallara davanti alla possibilità di vedere i “nuovi” Guns, non sarei sicuramente andata allo stadio, per una questione di principio. Gettai la borsa sul letto e presi dalla valigia l’occorrente per una doccia. L’obiettivo era darmi una calmata prima di andare allo stadio per il sound check ma la cosa non funzionò per nulla. Continuavo ad immaginare scene apocalittiche, come la chitarra che magicamente ha qualche problema tecnico, o la mia voce che mi lascia a piedi sul più bello e inizio a cantare come se avessi ingoiato una rana, o peggio ancora il pubblico che ci tira le bottiglie perché siamo solo un gruppo di supporto, e per di più tutto formato da ragazze e quindi ce lo meritiamo doppiamente…mentre l’acqua calda e il bagno doccia profumato creavano un clima tropicale, tutte queste situazioni mi passavano davanti agli occhi, come nel peggiore dei film dell’orrore. Appena uscita, cercai l’asciugamano e gli occhiali. Cose che non trovai vicino, avendo dimenticato di spostarle a portata di mano. In quell’istante sentii bussare alla porta, in modo deciso e ansioso “Scusa, sono io” dalla voce Andrea, il manager della mia band, sembrava in piedi su un tavolo ricoperto di vetri “Ci sono dei problemi di trasporto con gli strumenti”. Preoccupatissima per la domanda, come se fosse necessario aggiungere altra ansia a quella che già avevo, presi una canotta e un paio di shorts, e aprii la porta con un viso talmente rilassato che in confronto l’Urlo di Munch era il ritratto della felicità. Andrea aveva la faccia pallidissima, nonostante il caldo soffocante, ed era accompagnato da un tizio tatuato con un pass enorme dei Guns al collo, che probabilmente era uno della loro crew.
“Lo staff del concerto ha mandato a dire che i vostri strumenti non sono ancora arrivati”
Bum! Sentii il cuore arrivarmi in gola, come se fosse stato spostato da un colpo ben assestato di mazza da baseball. Istintivamente cercai il cellulare in tasca, che non avevo, per chiedere notizie alle altre ragazze del gruppo e a chiunque potesse sembrarmi utile in quel disastro cosmico.
“Quindi inizieranno loro con il sound check, finchè non arriveranno le vostre strumentazioni, che sono state fermate all’aeroporto per errore”
“Oddio!” risposi, senza nemmeno tentare di fare domande, visto che quell’intoppo avrebbe voluto dire dovere aspettare ancora, oltre ad obbligarci a vedere il sound check dei Guns, cosa che avrebbe fatto passare ogni idea di restare una musicista professionista anche a una chitarrista quasi esperta come me.
“Va bene allora, basta che arrivino sennò vado io a prenderli e ve li porto a piedi fino allo stadio. Non è possibile che succedano questi disastri!” disse, andandosene senza salutare e senza presentarmi il tizio che lo accompagnava.
Ancora intontita, chiusi la porta e tornai in stanza, dove il cellulare suonava al massimo del volume possibile della suoneria. “Ma cosa diavolo succede?” la mia chitarrista era infuriata “Hanno lasciato gli strumenti alla Malpensa, non ci posso credere!” urlava come se avesse visto un serpente a sonagli, mentre io ero ancora sotto shock e quasi non riuscivo a dire qualcosa di serio.
“E adesso cosa facciamo?” chiese, senza pensare che venire nella stanza accanto e parlarmi di persona sarebbe stato più comodo “Cosa vorresti fare? Arriviamo tardi allo stadio e ci facciamo venire un’ulcera nel frattempo. Non mi reggo in piedi!” dissi, sprofondando nella poltrona vicino alla finestra “Eh, a chi lo dici” rispose lei, senza aggiungere altro. La conoscevo bene, e il tono di voce così tirato non le si addiceva per nulla. Di solito era lei quella che tranquillizzava tutte, ma oggi questo le era impossibile. Era la nostra prima volta in uno stadio, e non potevamo ancora crederci.
Dopo qualche ora di attesa ulteriore all’hotel, che impegnai scrivendo su Facebook dal cellulare e chiamando ogni persona che pensavo potesse ascoltare le mie ansie in quel momento, vennero a prenderci per arrivare al luogo del concerto. Passammo tra ali di gente che era in coda per l’ingresso, pressate nel caldo e sudate fradice.
I nostri sguardi erano tesi, le altre della band osservavano il palco con il panico negli occhi, come se fosse un gigante da abbattere, per poi volgere l’attenzione verso lo stadio, ancora vuoto e rendersi conto di quello che stava per accadere. Arrivate nel backstage dovevamo sembrare quattro bambole di pezza che a malapena riuscivano a spiegare la propria presenza in quel luogo così off limits e le motivazioni che stavano dietro al pass che avevamo al collo. Lasciammo i nostri trolley nel camerino, con dentro i vestiti per lo show, e andammo a tentare di mangiare qualcosa. Trovammo un posto in un angolo che dava verso il frigo delle bevande e ci sistemammo sul tavolo chiaro con un piatto di insalata di riso e una bottiglietta d’acqua a testa. Sentivo lo stomaco chiuso, e per fortuna nessuno dello staff della mia band né altra gente che era lì a lavorare provò a parlarmi. Sembravamo delle bambine in punizione, tutte silenziose in mezzo a quell’alveare pieno di gente che correva ovunque. O forse era concentrazione, quel momento in cui si raccolgono le forze prima di un attacco al nemico. E io ero talmente nervosa che avrei potuto mandare a quel paese chiunque. Verso la fine del pranzo/cena arrivò il manager con il nostro tecnico. E con la faccia più angosciata che avessi mai visto “Gli strumenti devono ancora arrivare” in quel momento mi salì il sangue al cervello “Ma come devono ancora arrivare? Vi rendete conto di dove siamo? Apriamo per i Guns n Roses stasera, non siamo alla sagra di paese! che ritardo mettiamo allo spettacolo? noi poi, il gruppo spalla?! Ci permettiamo di fare queste figure?” iniziai ad urlare, attirando l’attenzione di tutti i presenti “No, Elena calmati. Intanto iniziano il soundcheck loro e poi dovreste avere tutto per andare anche voi” “Eh, questo lo sapevamo, ce l’hai detto stamattina!” rispose la batterista, facendo notare la ripetizione. “Lo so, è che anche i Guns sono in ritardo quindi qui non si inizia prima delle sette sicuramente”. “Se non possiamo fare niente, stiamo qua ad aspettare!” risposi, urlando e lanciando la bottiglietta d’acqua vuota contro il cestino di latta per la rabbia.
Non volevo fare la figura delle primedonne, o peggio delle dilettanti allo sbaraglio che si mettono a fare le scenate. Ma quella situazione era insopportabile.
Passarono le ore con una lentezza mai provata, e il caldo non aiutava assolutamente. Questo finchè non sentimmo dal palco l’inizio di Sweet child o mine, e capimmo che forse le cose stavano iniziando a funzionare. I Guns finirono il loro sound check, che cercai di non ascoltare, per quanto mi fosse possibile. Era tutto così surreale. Ci chiamarono per il nostro turno del sound check, e nel momento in cui le mie All star toccarono il palco di San Siro le cose iniziarono ad andare nel verso giusto. Le canzoni che provammo andarono bene, e anche le ragazze nonostante l’ansia riuscirono a stare concentrate e a suonare nel modo migliore. Finita anche quella tortura, tornammo nel camerino per il restauro estetico: optai per il mio look più classico: stivali neri da cow boy, un paio di mini shorts di pelle con le calze a rete e un corsetto nero. Mentre cercavo di sistemare l’eye liner, si iniziava a sentire il pubblico che urlava, che chiamava Guns! Guns! Guns! Il brusio si faceva sempre più pesante, come se qualcuno stesse alzando il volume.
“Andiamo!” ci chiamò il manager per dirigerci verso il palco.
Sentivamo le urla del pubblico come se fossero un vento che ci prendeva in faccia, anche solamente restando nell’ultima parte del backstage verso l’ingresso del palco, e lentamente l’adrenalina che spingeva al massimo nelle vene trasformava l’ansia in coraggio.

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Capitolo 2
*** Great gig girls! ***


CAPITOLO 2
 
Scese dal palco, sembravamo appena recuperate da un tuffo un una fontana. Sudatissime, con ogni singolo muscolo del corpo dolorante e i capelli in forme oscene, ma veramente soddisfatte del nostro piccolo show. Appena tornate in camerino ci abbracciammo, come una tribù, fiere del nostro risultato. Non avevamo ricevuto lanci di bottiglie indesiderate o di oggetti contundenti, avevamo finito il nostro set senza errori e con ottima energia, e tutto sommato qualcuno nel pubblico incredibilmente cantava le nostre canzoni. Ottima soddisfazione.
Facemmo tutte una doccia rapidissima per cercare di non perdere l’inizio dei Guns e ci mettemmo al lato del palco, nascoste dalle torrette dell’illuminazione a guardare il loro show, nonostante continuassi a stupirmi di sentire suonare i Guns notando che il colore del ragazzo che suonava la chitarra sotto al cilindro era sbagliato e i suoi tratti somatici erano poco compatibili con quelli di Slash. Ottimo show, spettacolare, nulla da dire per carità ma la macchina da soldi che erano diventati i Guns mi piaceva poco.
Poco dopo la fine del loro spettacolo, il manager ci fece tornare subito all’hotel dove a nostra insaputa era in corso una festa coi fiocchi, già popolata da buona parte dei membri dello staff che avevano lasciato per primo lo stadio, a tempo di record pensai.
“Posso prendere la bottiglia?” sentii una voce alle mie spalle, roca e con un pesante accento americano, che faceva riferimento allo Jägermeister che avevo di fianco.
“Sì, certo” risposi, senza girarmi “Bel concerto ragazze” continuò.
E girandomi mi accorsi che non era esattamente chi pensavo fosse.
“Grazie, anche voi avete spaccato” risposi, cercando di tendere un tono intelligente, ma probabilmente con scarsi risultati.
“Pessima però la scenata con quel povero tecnico!” proseguì il mio interlocutore inaspettato, ridendo.
“Guarda, ci hanno perso gli strumenti all’aeroporto, cosa dovevo fare? Non volevo essere cattiva verso quel ragazzo, è il suo lavoro e va rispettato. Ma ci sono stati dei casini con l’organizzazione e questo mi ha un po’ fatta arrabbiare” risposi, cercando di motivare il mio scoppio d’ira, al quale non mi ero assolutamente resa conto che il nuovo chitarrista dei Guns avesse assistito.
“Ho capito. E’ che casini del genere succedono purtroppo, e come professioniste dovreste farci l’abitudine” rispose, con un tono molto zen, prendendo uno shot dalla bottiglia e versandolo in un bicchierino di vetro.
Se ne andò richiamato da un tecnico del suo staff, voltandosi per salutarmi, facendo il gesto metal delle corna.

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Capitolo 3
*** Roma, here we come! ***


CAPITOLO 3
 
Ritornai nella mia stanza subito dopo quell’incontro, delusa e imbarazzata dal fatto che Dj Ashba dei Guns avesse visto la mia incapacità di gestire gli imprevisti della vita on the road… onestamente non mi sarei aspettata di incontrare qualcuno della sua band, anche se ovviamente ci speravo. E esordire con una figura da prima donna, nonostante non ne abbia le caratteristiche e non lo sia, non è stata proprio la carta migliore da giocare con un chitarrista del suo calibro…
Nella piccola doppia regnava il disordine più assoluto, e la chitarrista della mia band che la divideva con me si era già addormentata. Doveva essersi buttata a letto di peso, visto che aveva lanciato praticamente gli stivali contro il comodino. Faticai a trovare la forza per andare a struccarmi e a prepararmi per le poche ore di sonno, prima di ripartire per Roma. Restai immobile seduta sul letto, guardando le tende che nonostante fossero tirate lasciavano passare i raggi artificiali delle insegne luminose e dei lampioni in strada, oltre ai rumori attutiti del traffico notturno. Non riuscivo a credere a quello che avevo appena avuto la fortuna di vivere: un concerto allo stadio di San Siro di Milano, davanti a migliaia di persone, come gruppo spalla dei Guns n Roses. Il mio gruppo, le Domino Hearts, si era formato da cinque anni, avevamo fatto piccoli tour anche all’estero e il nostro primo disco era stato distribuito in tutta Europa, con discreto successo. Avevamo avuto riconoscimenti dai nostri tour e dalle recensione del nostro disco, ma fu questa serata prima dei Guns che mi fece capire che forse la fortuna per noi stava iniziando a girare nel verso giusto.
 
“Dai, ragazze forza! Come siete lente!” Andrea il nostro manager cercava di darci un po’ di velocità mentre caricavamo le nostre cose sul bus che ci avrebbe portate a Roma. Era ancora mattina, ma stavamo già lasciando Milano, nonostante avessimo il secondo show coi Guns il giorno seguente. Inutile dire che a Roma ci aspettava una giornata piena zeppa di interviste, conferenze stampa e sessioni fotografiche. E un caldo incredibile!
Arrivate a destinazione trovammo il tempo per lasciare le nostre cose all’hotel che ci era stato assegnato, che questa volta non era lo stesso in cui stavano i Guns, per darci una sistemata e addentare qualcosa per pranzo, prima di dirigerci verso gli impegni organizzati dalla casa discografica. Le cose andarono bene, senza contare l’onnipresente stupidità di alcuni giornalisti musicali, probabilmente poco competenti. Inoltre, ci divertimmo durante il photoshoot, che finì per produrre le solite foto di quattro metallare che fanno le facce da dure con chili di trucco nero in viso, ma fu stranamente meno noioso del solito.  
“Menomale che il concerto è domani! Stasera non ne avrei proprio avuto la forza!” Marta, la batterista della mia band, ruppe il silenzio che iniziò a regnare dopo la nostra cena in hotel. Posò il cucchiaio del dolce e si lasciò cadere nella sedia.
“Eh sì, menomale! Spero solo che il caldo si attenui un po’, oggi è stato pesante solamente passare de un locale climatizzato all’altro…” risposi, preoccupata.
“Speriamo sì” rispose il manager, consapevole di quanto noi ragazze soffrissimo nei concerti estivi “Ora meglio se andate verso le vostre stanze, vi vedo stanche. Domani sarà una giornata impegnativa” proseguì, dandoci la buona notte e aggiungendo una buona dose di ansia.

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Capitolo 4
*** Hotter than hell ***


CAPITOLO 4
 
 “Qui ci sciogliamo prima di iniziare lo show!” urlò Marta, tornando ai nostri camerini, aprendo con poca grazia la porta del loro ingresso e gettandosi sul divanetto nella nostra piccola area del backstage prima del nostro concerto come gruppo di supporto ai Guns. Prese una bottiglietta di acqua gelida e l’appoggiò sul collo, sperando di riceverne un po’ di refrigerio. Io, visto che avrei dovuto aspettare almeno un altro paio d’ore ora prima di potere indossare il vestito che dovevo mettere per lo show, arrotolai la camicia a quadri bianca e rossa che indossavo e la legai con un nodo malamente sopra l’ombelico, nella speranza di potere soffrire meno caldo…
L’ansia cresceva nel camerino, sentivo la pressione che invadeva la piccola stanza e ormai sembrava ci avvinassimo alla nostra esecuzione capitale, piuttosto che ad un concerto che avrebbe segnato le nostre carriere. Decisi di uscire da quello che stava diventando un bunker e dirigermi verso l’area dove era allestito il catering, per provare a mangiare qualcosa.
Presi un piattino di plastica e lo riempii con della frutta, giusto per non rischiare di svenire. Visto che a quel banchetto non si avvicinava nessuno, decisi di prendere il mio spazio e mi sdraiai su una panca di legno che era stata appoggiata accanto al tavolo, una di quelle che dovevano essere state prese in prestito da qualche sagra di paese. Tolsi le scarpe di pezza e mi misi a fissare il soffitto di cemento della stanza, con la mente che andava al caldo africano che dovevano sopportare i fan dei Guns là fuori (e che aspettava anche me) e inoltre notando che lo show di Milano mi aveva procurato una botta su un ginocchio, non ricordavo come…
“E’ sempre così. Mi faccio male mentre suono, ma sul momento non me ne rendo conto. Me ne accorgo il giorno dopo, e mi trovo le gambe martoriate!” pensavo quando una voce che proveniva da una massa di tatuaggi mi interruppe
“Hey tu!”
“Ciao” risposi, saltando in piedi da quella posizione così poco educata e accorgendomi di essere scalza, con i piedi martoriati dagli stivali di pelle… e con lo smalto rovinato  per di più…
“Dove c’è da mangiare o da bere ti trovo sempre!”commentò, con una risata roca
“Sì, ma ora sto mangiando. Non berrei mai prima di uno show”
“Che ragazza diligente” ribatté lui, con un tono di approvazione e forse un po’ sorpreso. Evidentemente era esasperato dal caldo quanto me e girava senza maglia, con un paio di occhiali da sole giganti a coprirli praticamente metà viso. Ma poi Havoc cosa vuol dire?
“Porca miseria! Devo sembrare una fan girl dei Motley negli anni Ottanta messa così!” pensai, mentre notavo l’abbinamento pessimo tra gli shorts in jeans provenienti da un grande magazzino qualsiasi e la camicia legata praticamente all’altezza del seno, con tutti i vari tatuaggi sul ventre e sulle braccia bene esposti… il tutto completato dai piedi nudi e dai capelli legati in una cosa che doveva sembrare una coda.
“Questo è abituato con le biondone americane, adesso si fa due risate!” continuai, nei miei momenti di auto valutazione.
“Tutto ok per stasera? Vi è arrivato tutto o hanno perso qualcosa anche oggi?” chiese, ancora col tono divertito. Doveva avermi ormai associata ai disastri con gli strumenti …
“No, è arrivato tutto. Non siamo sempre così sfortunate coi trasporti” risposi, cercando di darmi un tono da compassata rock star, cosa che non ero “Tu, tutto ok?”
“Sì, oltre al caldo bestiale tutto ok. Siamo pronti per Roma…” rispose, accendendosi una sigaretta. “Ah, scusa, che maleducato che sono, non ci siamo nemmeno presentati. So chi sei perché l’ho chiesto a un mio roadie, ma sono alla vecchia maniera. Piacere di conoscerti, sono Dj”
“Sì, hai ragione. Elena, piacere” risposi, stringendogli la mano.

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Capitolo 5
*** Calm down! ***


CAPITOLO 5
 
“Hey! Dj! Non si portano le donnine nel backstage! Non te l’ha insegnato la mamma?!” sentii urlare da quello che doveva essere uno dei camerini dei Guns, dal quale sbucava un tizio con un cappello da baseball in testa. Dj scoppiò a ridere, mostrando al camerino il dito medio alzato.
“Grazie, la prossima volta cercherò di ricordarmelo!” rispose, continuando a ridere, per poi rivolgersi a me, quasi sconsolato “E’ sempre così!”
In realtà, ero veramente stanca di essere scambiata per groupie ogni volta che suonavo in qualche festival, solo perché ero una donna e mi trovavo in un posto popolato da rocker. Il problema era che spesso questo accadeva anche a concerti del mio stesso gruppo, quando alcuni tecnici non sapevano di trovarsi davanti a una band tutta femminile.
“Scusa ma mi sono stufata” dissi al chitarrista, scoppiando come un tappo lanciato dalla bottiglia la notte di Capodanno. Mi diressi verso il camerino, brandendo il pass che avevo legato ai pantaloncini davanti a me, nemmeno fosse un crocifisso contro Satana.
“Senti, amico” iniziai ad affrontarlo, sbattendogli il pass davanti agli occhi “Io stasera suono, sono la cantante e chitarrista del gruppo di supporto ai Guns. Per favore, evita di dire cazzate”
Il mio tono infuriato forse si adattava poco alla situazione, ma dopo anni in cui scenette così si sono sommate senza sosta ancora non riuscivo a controllare la rabbia per il non essere mai creduta al cento per cento come rocker.
“Senti, lascia stare” sentii Dj avvicinarsi a me, quasi volesse fermare una rissa, che effettivamente era sul punto di scoppiare. Mi appoggiò una mano sulla spalla, come per calmarmi, o per assicurassi che non tentassi di aggredire il suo amico.
“Secondo me le ragazze come te dovrebbero stare decisamente in un altro posto, che non è non sul palco dei G n r! E tu con tutto questo ben di Dio in bella mostra confermi le mie teorie” continuò imperterrito e strafottente quel soggetto della crew dei Guns, fissandomi la scollatura.
Ero esasperata. Volevo appenderlo al muro e fargli rimangiare quelle battute pessime, ma cercai di ragionare. Dopotutto era inutile spiegare che la mancanza di attributi maschili non impediva alle ragazze di rockeggiare come un qualsiasi uomo, o anche meglio.
Appurato questo, cercai di darmi una calmata.
“Stasera fai una cosa. Mettiti al lato del palco e guardaci suonare. Vedrai che cambierai idea” provai a dire, mentre mi accorgevo che il mio momento di ira stava attirando spettatori dagli altri camerini adiacenti.
“E dopo il concerto cosa mi fai?” chiese, imperterrito.
“Ma vai dal diavolo!” gli urlai contro, di tutta risposta. Scansai la mano di Darren dalla mia spalla, andai scalza a raccogliere le mie All star da sotto il tavolo dove le avevo mandate e me ne tornai nel camerino delle Domino Hearts, sbattendo la porta.
Feci appena in tempo a sentire Dj dire “Sei proprio un coglione!”.
Cosa che mi riempì di soddisfazione.

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Capitolo 6
*** Are you ready girls? ***


CAPITOLO 6
 
“Possibile che tu debba sempre litigare con tutti?” Andrea mi accolse di ritorno al nostro angolino di backstage con un bel commento sulla quasi- rissa che avevo intavolato con un roadie dei Guns. Odiava dover fare la bambinaia in tour, ma a volte si doveva subire situazioni simili. 
“Sono fatta così. Mi sono stufata delle battute sessiste! Voglio dire, non avrà mai sentito nessuna canzone della mia band, non ha idea di quanto lavoriamo! E anzi, lavoriamo il triplo di un gruppo di uomini , e spesso passiamo metà concerti a mandare insulti ai ragazzi che ci fanno gesti volgari dalle prime file!”
“Ecco, appunto!” intervenne la mia batterista, per darmi man forte nel mio sfogo contro il metal maschilista.
“Ho capito. Ma non puoi sempre fare un dramma quando accadono cose del genere. Cerca di smetterla con questi attacchi contro le persone, Elena eh? Prima o poi succederà un casino!”
“Ok. Se la metti sulle minacce…” risposi, mettendo il muso.
“Dai che per le dieci andate sul palco. Forza, a prepararvi! Coraggio!” disse, cercando di chiudere la conversazione. E noi, in modo ubbidiente, andammo a prendere i vestiti da indossare e i trucchi.
 
“Ma ti presenti al chitarrista dei Guns e non ci dici niente!” Marta mi aggredì con le domande appena finì di indossare il suo paio di leggings di pelle. Il gossip era da sempre uno degli argomenti preferiti nei nostri pre concerto. Solo che in questo caso non c’era proprio niente da dire.
“L’ho visto a Milano, e oggi mi ha salutata. Niente di che” risposi, con l’obiettivo di minimizzare.
“Sì sì, ti stiamo proprio credendo” Katia, la bassista, si mise a ridere mentre cercava il rossetto nella trousse dei trucchi.
“Ma davvero! Non sto scherzando. Ci siamo scambiati solamente due parole!” continuai
“Ma se succede qualcosa, vogliamo un messaggino con il resoconto!” Marta veramente non demordeva “E i resoconti dettagliati. Sappilo!”
“Ho capito. Farò un comunicato stampa!” risposi, cercando di stare al gioco, mentre bussavano alla porta per farci sapere che ormai era quasi arrivata l’ora del nostro ingresso sul palco.

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Capitolo 7
*** A rose for you ***


CAPITOLO 7
 
“Questi due sono stati i concerti più pesanti della mia vita! Non mi reggo in piedi” Jo, la chitarra solista della band, era esausta. Si gettò nel piccolo bus che ci avrebbe riportate in hotel, dopo il termine dello show dei Guns. E noi tutte eravamo distrutte come lei, mentre lasciavamo che i sedili del van ci inghiottissero. Erano sicuramente stati due concerti importantissimi per noi, e per di più come gruppo di apertura di una band tanto celebre. Decisamente un’ottima vetrina per farci conoscere, e proprio per questo avevamo impiegato il cento per cento delle energie in queste serate, e il pubblico l’aveva decisamente capito.
 
“Che cos’è?” Marta trovò una rosa rossa appoggiata a terra, sulla moquette beige del nostro corridoio. La rosa sembrava essere accompagnata da un bigliettino, una busta bianca, infilato sotto la porta della nostra stanza.
“Alla chitarrista che dorme qui” diceva, con una calligrafia incerta.
“Apri! Apri!” si mise ad incitarmi Marta, nel mezzo del corridoio, alle tre di notte passate
“Un attimo!” risposi. Non provai nemmeno a pensare chi potesse avermi regalato quella rosa, accompagnandola addirittura ad un bigliettino. Non ne avevo idea.
“Sarà uno scherzo, vedrai!”dissi, con convinzione.
“Ti aspetto, sai dove sono. Devi solamente attraversare la strada, è l’edificio sulla destra. 305. Dj”
“Aaaaa!” Marta si mise ad urlare come una sirena impazzita, nemmeno avesse sedici anni e fosse sbucata direttamente da una puntata di “Gilmore girls”.
“Calmati!” le dissi, cercando di farle abbassare la voce e spingendola dentro la porta della stanza che dividevamo, nella speranza che nessuno dei nostri vicini in quell’albergo avesse sentito la sua reazione scomposta ad un regalo e ad un invito che in realtà erano indirizzati a me.
“Questo è proprio fuori!” commentai, togliendomi le scarpe e la giacca di pelle, che appoggiai ad una sedia.
“E tu vorresti stare qui? Con un invito del genere? Se rifiuti, quella fuori sei tu!” Marta sembrava avere già deciso al posto mio.
“Ma chi si crede di essere?!”
“Cosa?! Ha ragione a comportarsi così. Poi dai!!! Che poetico, una rosa e un bigliettino sotto la porta!”
“Poteva chiedere il mio numero di telefono al posto del numero della stanza…” risposi, un po’ seccata. Quel messaggio non mi piaceva… o almeno quello che secondo me poteva rappresentare…
“Non sai proprio sfruttare le occasioni” Marta era irremovibile. Prese la mia trousse per il trucco e me la mise davanti agli occhi “Adesso ti dai una sistemata, metti le scarpe e vai da quel tizio, per favore! Altrimenti ti mando fuori io a calci nel sedere!”.
Ero stanca, veramente stanca. Ma mi lasciai convincere. Se avessi rifiutato l’invito, i commenti delle mie compagne di band sarebbero stati facili da immaginare, cose tipo “Che occasione sprecata!” o valutazioni simili…
“Ma solo perché abbiamo parlato due volte devo correre ai suoi piedi?” tentai di ribattere, mentre Marta mi chiudeva la porta della stanza alle spalle e io cercavo di infilarmi la scarpa destra, in bilico appoggiata al muro del corridoio dell’hotel.

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Capitolo 8
*** Are you tired? ***


CAPITOLO 8
 
Stranamente i gorilla che si occupavano della sicurezza dei Guns mi fecero entrare nel loro hotel senza tanti problemi, ma arrivata al numero di stanza segnato sul biglietto che accompagnava la rosa di Dj mi sentivo la persona più stupida sulla faccia del pianeta. Voglio dire, era un po’ squallido come modo per abbordare una ragazza secondo me… E ci stavo veramente cascando… la cosa che mi dava più fastidio era l’impressione chiara che mi stesse trattando come una ragazza qualsiasi, non come una musicista che, seppur ad un altro livello, si trovava nello stesso mondo in cui viveva Dj. E senza contare che molto probabilmente Marta nel frattempo doveva avere informato del mio pseudo appuntamento più o meno tutti, partendo dalle altre ragazze del gruppo e arrivando ai suoi parenti di secondo grado.
 
Bussai cercando di non fare troppo rumore, visto che attorno le altre stanze sembravano tranquille.
Daren aprì subito, sembrava un attimo assonnato. Indossava una canotta nera e un paio di jeans scuri.
“Ciao, sono contento che tu sia venuta. Entra” disse, mentre si stropicciava gli occhi. Probabilmente si era addormentato e l’avevo svegliato.
“Grazie” risposi, chiudendomi la porta alle spalle… la situazione si faceva seriamente imbarazzante.
“Ora che hai finito per oggi di suonare ti posso offrire una birra, Elena? O sei astemia?” chiese.
“No, non sono astemia. Grazie!” risposi, prendendo la lattina e accomodandomi su un divanetto rosso, che si trovava di fronte al letto.
“Sai, non mi sarei mai aspettata una rosa davanti alla porta della mia stanza in hotel. Hai avuto due giorni per chiedermi di incontrarci e non l’hai fatto..” dissi, tentando di rompere il ghiaccio.
“Posso essere un tipo all’antica sai, non tutti i rocker sono grezzi e insensibili” rispose, quasi per difendersi. O per portare avanti l’idea di sé che mi voleva proporre…
“Mah… non sono d’accordo… comunque, cosa hai combinato dopo lo show? Non vi ho visti ripartire”
“Siamo tornati in hotel prima di voi, per questo sono riuscito a mandare un ragazzo del nostro staff a portarti la rosa. Se ti avessi conosciuta meglio a Milano le cose sarebbero state più facili…”
“Per cosa?” pensai nella mia testa, sforzandomi di non esternare questo pensiero cattivo.
Dj si faceva sempre più sfacciato e ormai avevo uno schiaffo pronto all’uso in caso di avances troppo esplicite da parte sua.
“Sai, quel nostro roadie col quale hai litigato stasera, prima del concerto, si è ricreduto” disse, prendendo un generoso sorso dalla bottiglia di Jack che teneva sul comodino.
“Bene, sono contenta” risposi, soddisfatta del fatto che la mia sfuriata potesse avere portato almeno un maschilista a riconsiderare le proprie idee sulle donne nel metal.
Restammo a parlare del concerto, delle nostre impressioni sul pubblico, di Roma… la conversazione si faceva interessante, e così mi misi comoda sul divano, togliendo le scarpe e restando seduta a gambe incrociate verso il letto, dove Dj si era messo a sua volta a proprio agio, in mezzo a un casino incredibile.
I suoi racconti sulla vita a Los Angeles sembravano veramente provenire da un’altra dimensione per me, abituata alla scena musicale italiana che onestamente aveva gran poco da offrire…
Improvvisamente suonò il suo cellulare e dopo aver risposto al messaggio comunicò “Sono le sei, ormai è già l’alba”
“Non mi sono proprio accorta del tempo che è passato!”
“Hai sonno?” chiese
“No, non più. Mi sarei addormentata appena tornata dal concerto, ma ormai mi sono ripresa” risposi, spostandomi dal divano al suo letto, mettendomi sdraiata di schiena al suo fianco, guardando il soffitto e mantenendo una certa distanza di sicurezza fra noi.
“La troviamo una pasticceria aperta a quest’ora? Sono in Italia da qualche giorno e riparto stanotte, non posso fare una vera colazione come la fate qui?” chiese, voltandosi verso di me. I suoi grandi occhi azzurri, un misto tra gli occhi occidentali e quelli orientali, leggermente a mandorla, mi guardavano entusiasti, aspettando una risposta altrettanto entusiastica alla sua proposta.
“Ok, andiamo. Dovrebbe esserci un bar qui vicino, l’ho visto arrivando” risposi, senza trovare la forza di girarmi nel letto e rimettermi in piedi. Dj invece si alzò di scatto, prese la camicia grigio scuro che aveva appoggiato su una sedia e venne verso di me, avvicinandosi al bordo del letto per aiutarmi ad alzarmi “Coraggio, devo assaggiare le vostre brioches!” disse, mentre mi prese le mani e mi sollevo verso di se. Alzata, arrivai a pochi centimetri da lui, di fronte a lui. Restammo qualche secondo immobili, occhi negli occhi, ma poi come se qualcosa ci avesse richiamato all’ordine entrambi decidemmo di uscire dalla suite e dirigerci in strada per la colazione.
 
“Questi sì che sono manicaretti come si deve. La colazione dolce è veramente strana per me, ma apprezzo” commentò, dopo aver divorato una broche alla crema.
“Sono contenta che ti sia piaciuta” risposi, cercando di togliere le briciole che avevo fatto cadere da quella che avevo preso io sulla mia t shirt.
Improvvisamente ci rendemmo conto di essere davanti al mio hotel, dal quale realizzai di dover partire in meno di mezz’ora.
“Io devo andare, Dj” dissi in modo sbrigativo “E’ stata una bella nottata” Tagliare la corda in quel modo, vista l’ora, mi sembrava la maniera migliore per andarmene.
“Aspetta, ma devi ripartire subito?” chiese lui, stupito.
“Sono quasi le sette, dobbiamo ripartire per Bologna, la città dove viviamo. E devo ancora preparare la valigia!”
Improvvisamente, oltre al panico per l’avere realizzato effettivamente che ora fosse, notai anche di non avere controllato il cellulare per tutto il tempo che avevo passato con lui.
Era stata una nottata assurda per i miei canoni e mi sentivo come se fossi in caduta libera da un altro pianeta.
“Allora ok” disse, avvicinandosi lentamente a me, con in viso una smorfia buffa che ricordava l’emoticon triste che si usa per i messaggini “Addio Elena. E’ stato bello conoscerti, spero di rivederti” disse, abbracciandomi sulla soglia dell’ingresso del mio albergo.
Mi salutò con un bacio sulla fronte, prima di voltare l’angolo e tornare alla sua suite.

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Capitolo 9
*** Comin'home ***


CAPITOLO 9
 
“Dove eri finita? Abbiamo fatto noi la tua valigia ed è già sul bus. Ho capito che eri in compagnia, ma il cellulare lo potevi anche guardare!” mi aggredì Marta, non appena mi vide tornare in hotel. La mia valigia rosa era già sulla soglia della nostra stanza.
“Scusa, ma davvero” cercai di rispondere, ma mi interruppe subito “Ci stavamo preoccupando! Guarda se abbiamo messo via tutto” disse, convincendomi a controllare se mancasse qualcosa all’appello prima di lasciare Roma.
Entrai nella camera che avevamo condiviso e controllai in bagno, sul letto e sul tavolo. Non trovai niente di mio, per cui uscii subito.
“No, c’è tutto. Per me possiamo andare” le dissi, mentre stava appoggiata con le spalle al muro, rispondendo a messaggini sul telefono. Alzò lo sguardo non appena mi vide uscire “Scusa se abbiamo preso le tue cose, ma davvero non ti vedevamo più tornare e non potevamo aspettare che la valigia te la facessi tu” commentò, prendendo le sue borse e dirigendosi verso l’ascensore.
“Mi dispiace che vi siate preoccupate, è che ero con Dj e ci è volato il tempo…” le dissi, probabilmente con la voce più sognante che si fosse mai sentita.
“Questo l’avevamo capito, adesso ci mancano i particolari però” Katia si intromise nel discorso, mentre eravamo ammassate nell’ascensore carico di valigie.
“Non c’è niente da raccontare, abbiamo parlato e basta. Ma seriamente!” risposi, ma vedevo che nessuna delle ragazze sembrava credere a questa versione.
“Figuriamoci!” “Ma dai!” reagirono quasi all’unisono, uscendo dall’ascensore, che era nel frattempo arrivato al piano terra ed era ora di scaricare le valigie.
“E’andata veramente così! Quando ho fatto qualche conquista siete sempre state le prime a saperlo, e anche questa volta non vi nasconderei tutto solo perché si tratta dell’attuale chitarrista dei Guns” continuai. Uscimmo dalla porta laterale dell’albergo, e il tour bus che ci avrebbe riportate a casa era già pronto a partire. Mettemmo le valigie nel vano sotto i sedili e salimmo. Io trovai posto su piccolo letto che, anche se non era il più comodo al mondo, al momento era proprio quello che mi ci voleva. Non riuscivo quasi a tenere gli occhi aperti.
“Io continuo a pensare che ce la stai raccontando” Katia restava della sua opinione e si mise a sedere di fronte a me.
“Adesso ragazze per favore, lasciatemi dormire nel viaggio verso Bologna, ho veramente sonno” avvisai, quasi esasperata dai commenti e dalle richieste di gossip che mi arrivavano di continuo dalle ragazze della mia band.
“Ok, ma appena avrai riposato un po’ vogliamo il resoconto” disse, lasciando che finalmente mi addormentassi.
 

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Capitolo 10
*** Calm after the storm ***


CAPITOLO 10
 
Rientrata finalmente a casa, lasciai la valigia nel piccolo spazio all’ingresso del mio appartamento e corsi a cambiarmi per poter indossare qualcosa di comodo. Ma nemmeno un paio di pantaloni corti e una canotta verde potevano fare qualcosa contro la calura estiva. Decisi quindi di mettermi a poltrire sul divano, come un bradipo, con l’aiuto di un gelato e del mio fedele ventilatore, che sistemai (seppur a debita distanza) di fronte al divano. Provai ad accendere la tv, ma i programmi del pomeriggio, specialmente in estate, sono le cose meno interessanti del mondo, per cui dopo un po’ di zapping decisi di spegnere.
Restai sdraiata a guardare il soffitto, senza veramente riuscire a comprendere le emozioni che mi attraversavano.
Era tutto così assurdo.
Due concerti così importanti. Due serate davanti a migliaia di persone, che sembravano avere preso bene la nostra musica, o almeno non avevano lanciato oggetti contundenti sul palco. L’incontro con Dj… le immagini mi tornavano in mente apparentemente senza ordine logico, passando dal cornetto mangiato in pasticceria con quel ragazzo alla canzone di apertura del concerto della mia band … ero stata onesta con le ragazze, non c’era niente tra me e lui, non avevo nemmeno il suo numero di telefono, né tantomeno la sua mail. Avevo insistito con loro affinché non raccontassero in giro della mia nottata nella sua suite perché sicuramente una situazione simile non sarebbe stata una bella pubblicità per il mio gruppo, né ovviamente per me.
Quelle date negli stadi di Milano e Roma mi avevano improvvisamente fatto capire che forse qualcosa di buono stava accadendo per le Domino Hearts, qualcosa di grande. Dopo anni di gavetta e sacrifici grazie a queste due date come gruppo di apertura dei Guns n Roses per la prima volta avevamo la percezione di poter reggere dei palcoscenici di tale portata (nonostante gli inevitabili problemi tecnici e logistici)…
Forse si trattava solamente di un’impressione, ma era chiaro che qualcosa stava per cambiare.

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Capitolo 11
*** Best friends ***


CAPITOLO 11
 
Nei giorni successivi il nostro lavoro si fece sempre più intenso, senza contare il fatto che le nostre nuove canzoni erano già praticamente pronte ed in attesa solamente di essere registrate. L’ultimo concerto del tour fu “in casa”, a Bologna, in un piccolo locale che già alle nove e mezza era stipato di fan, amici e conoscenti che erano venuti per salutarci dopo mesi passati on the road in giro per l’Europa…
 
“Allora Elena come è andata? Non hai nemmeno telefonato dal tuo ritorno dalle date coi Guns” Francesca mi aveva raggiunta al concerto, offrendomi una birra poco dopo che i fan se ne erano andati dal locale. Era la mia migliore amica, per qualche mese aveva diviso casa con me, prima che decidessi di fare qualche sacrificio ed andare a vivere da sola nel mio micro appartamento
“Bene, bene. Siamo super contente. Scusa se non mi sono fatta viva ma sono state settimane impegnative. Tu invece come stai? Cosa mi racconti di bello?” cambiai subito oggetto della conversazione, per farmi perdonare della mia assenza.
“Niente di che. Tra un paio di mesi mi dovrei laureare, poi vedrò di cercarmi un lavoro. Potresti sempre assumermi come ragazza che risponde al telefono e prende gli appuntamenti nel tuo negozio di tatuaggi” rispose lei, ridendo.
“Certo! Viste le mie assenze per i concerti mia madre ti assumerebbe di corsa!”.
Lavoravo come tatuatrice da anni nel negozio di piercing e tattoo gestito da mia madre. Era un bel lavoro, soprattutto perché, oltre che essere la mia passione, a pari merito con la musica, mi permetteva di gestire gli impegni della mia band senza dovere fare grandi sacrifici.
“No, vabbè scherzo. Dovrei iniziare uno stage in un’azienda verso ottobre, spero che le cose vadano bene”
“Lo spero anch’io per te” le dissi, con un augurio direttamente dal cuore.
“Non me la racconti giusta però. C’è qualcosa che non mi stai dicendo sul tour. Di solito mi mandi mille messaggi e mail. Sono settimane che non ho nemmeno notizie. Qui c’è in ballo qualcosa di serio, ti conosco”
“Non è niente, solo che ci sono stati tanti problemi. Ci hanno perso gli strumenti prima della prima data, ho quasi litigato con un roadie dei Guns… meglio lasciar stare”
“Oddio ma cosa è successo?” ribatté lei, preoccupata.
“Nulla di che, solo che come al solito certi tizi se vedono una ragazza nel backstage di un concerto pensano che si debba per forza trattare di una groupie o di una poco di buono…”
“E tu cosa ci facevi nel backstage dei Guns n Roses?”
“Stavo solo mangiando… avevo un caldo incredibile, e l’area col cibo era comune tra loro e il mio gruppo. Stavo parlando con Dj e questo energumeno mi ha veramente fatta arrabbiare. Alla fine ha capito, e ha anche ammesso di avere apprezzato le Domino Hearts”
“Hai conosciuto Dj Ashba e non mi dici niente?! Cosa gli hai detto? Il disco dei Sixx Am è bellissimo, è un genio quel ragazzo”
“Sì, ha veramente un gran talento. Abbiamo parlato, sì. Ma poi siamo dovute tornare a Bologna e non l’ho più sentito” …ecco fatto. Tutte le mie buone intenzioni sul fatto di non raccontare di quella serata erano andate in fumo…
“Scusa ma non puoi aggiungerlo su Twitter? O su Facebook? Dai!” Francesca metteva le cose facili.
“No, dai. Lasciamo stare… è stata una bellissima serata, è un ragazzo adorabile ma”
Katia ci interruppe “Ele, scusa ma dobbiamo sbaraccare. Mi aiuti a caricare la macchina?”
“Sì, arrivo” risposi, contenta che quella conversazione che stava prendendo una piega così malinconica fosse terminata “Fra, ti saluto. Però ci vediamo in settimana, quando hai tempo ti aspetto per un caffe da me, ok?”
“Va bene. Buon ritorno, ragazze” disse, mentre iniziai a raccogliere i primi cavi dal nostro palco.

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Capitolo 12
*** Something new ***


CAPITOLO 12
 
“Hey Elena, ci sei o sei su Marte?”
Mia madre era seduta al bancone dello studio mentre controllava la sua agenda con gli appuntamenti per la settimana.
Il caldo sembrava sul punto di sciogliere la città e nonostante l’aria condizionata si respirava a malapena.
“Sì, sì. Dimmi” risposi, distrattamente, dal divanetto dove solitamente si sedevano i clienti del negozio di tatuaggi.
“Ti ho chiesto se hai preso appuntamenti per giovedì”
“No, no”
“Che risposte eloquenti eh! Qualcuno qui è un po’ stanco?”
“Sto benissimo, solo non ti stavo molto seguendo. Scusami”.
Mi alzai e cercai di stiracchiarmi. Erano le dieci e mezzo di mattina, ma non mi ero ancora svegliata del tutto. “Mi faccio un caffè, ne vuoi uno anche tu?” le chiesi, dirigendomi verso la macchinetta per il caffè che tenevamo nel retro.
“Sì, grazie Elena” rispose, mettendosi a giocare con una matita.
“Ti capisco sai. Il tour deve essere stato pesante, tornare al lavoro non è facile” mia mamma si mise a pensare, guardando il suo caffè nel bicchierino di plastica.
“Eh no” ammisi chiaramente. “Sai, a volte vorrei riuscire a capire se effettivamente ne vale la pena. Se mai riusciremo a fare qualcosa di veramente bello con le Domino Hears, se mai qualcuno di serio ci noterà…” la malinconia e la mancanza di prospettive mi stavano veramente togliendo la motivazione.
“Ammetti però che aver fatto da gruppo spalla per i Guns n roses potrebbe rappresentare un bel trampolino di lancio, vedrai che le cose andranno meglio!”
“Sì, questo sì” aveva ragione, ma le cose dopo quell’improvvisa accelerata non erano cambiate di molto. Continuavamo a provare, ma senza tante speranze di riuscire a trovare qualcuno interessato seriamente a noi. Il nostro manager era stato chiaro: sembrava che nessuna casa discografica fosse interessata a pubblicare le nostre canzoni ed i contatti che avevamo presso una major volevano imporci cambiamenti, e noi non intendiamo scendere a compromessi. Dopo l’interesse per il nostro primo album sembrava non ci fosse più posto per noi e il nostro sound.
“Sai c’è una cosa della quale ti devo parlare” mi disse, sedendosi accanto a me sul divano. Sembrava avesse un tono serio, come se fosse sul punto di dare una brutta notizia.
“Dimmi” risposi, preoccupata.
“Tra tre settimane c’è la Tattoo convention a Los Angeles, ci hanno chiesto di partecipare. Andiamo?”
Mi alzai in piedi di scatto e mi misi a saltellare come una bambina di sei anni “Certo, e me lo chiedi anche!”
“E con il gruppo?” chiese lei, probabilmente stupita dal mio eccessivo entusiasmo.
“Siamo quasi ferme in queste settimane. Finchè non ci danno notizie sulla registrazione del disco non possiamo fare niente, a parte continuare a provare gli stessi pezzi e tenere le dita incorniciate”
“Che ne dici allora? Sarà un bell’impegno, dobbiamo sistemare la nostra galleria di lavori, fare qualche foto nuova. Anzi, chiama la tua batterista, dobbiamo scattare qualche bella foto ai rami di ciliegio che le ho fatto sulla schiena”
“Certo sì, la chiamo subito!”
“Dai Elena, coraggio!” si avvicinò per abbracciarmi “Vedrai che una gita in America ti farà bene”.
 
 

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Capitolo 13
*** L.A. Woman? ***


CAPITOLO 13
 
“Buon lavoro, divertiti e non fare troppo la stalker a Ashba.
Ps. Portaci una maglietta dall’Hard rock cafe per favore :D”
Il messaggino delle ragazze che suonavano con me arrivò poco prima che spegnessi il cellulare all’aeroporto, pronta per partire per Los Angeles. Risposi in fretta:
“Sarà fatto. E Ashba lo lascio stare. Promesso!”
 
Salita a bordo, cercai di non pensare al viaggio.
Avevo sempre odiato gli aerei, sapevo che si trattava di mezzi di trasporto sicuri e dopotutto era l’unico modo per arrivare negli Stati Uniti. Ma comunque iniziavo a sentirmi veramente male, come se mi mancasse il respiro.
“Stai calma, Elena. Basta che ti metti a guardare un film o ti prendi il libro che ho nella borsa. Non agitarti, che già sarà pesante sopportare il cambio di fuso orario…” mia mamma cercava sempre di sdrammatizzare e se ne stava calmissima seduta a fianco a me, con una rivista di musica in mano.
Dovevamo sembrare una famiglia veramente strana agli occhi degli altri passeggeri.
Mia mamma era sempre stata molto diversa da quelle delle mie compagne di classe, tatuata e con un lavoro che la impegnava sempre. Quando avevo raccontato di avere fondato il mio gruppo le si erano illuminati gli occhi e da allora mi ha sempre supportata, al contrario di tanti genitori che cercano di fermare le idee artistiche dei propri figli. Vedeva questo viaggio di lavoro a Los Angeles come una cosa di famiglia, un’occasione per passare del tempo assieme e per mostrare i tatuaggi che abbiamo realizzato anche al di là dell’oceano.
 
“Adesso fatti una doccia e cambiati. Ti porto io in un bel posto stasera!” sembrava elettrizzata dall’idea di uscire, nonostante dovesse essere anche lei essere provata dal lungo viaggio.
“No, sono super stanca. Non capisco che ore siano, scusa ma non mi va di uscire” risposi, svogliata.
“Dai dai! Coraggio! Ti porto al Whisky a go go!”
Il Whisky a go go. Un locale storico, ci avevano suonato i Doors ed era stato il centro della scena glam negli anni Ottanta. Dovevamo effettivamente andarci.
“Va bene”
Raccolsi un po’ di forze e mi costrinsi a cambiarmi.
“Come sto?” le chiesi. Indossavo una maglietta dei Van Halen e un paio di jeans forse troppo stretti, con delle scarpe dal mega tacco al limite della sopportazione.
“Stai benissimo!” rispose lei, quasi commossa. “Mi ricordi tanto com’ero alla tua età!”
Aveva da poco superato la cinquantina, nei suoi vent’anni aveva vissuto il rock n roll nella forma più divertente e scanzonata, prima delle derive degli anni novanta.
Mentre si sistemava capelli e trucco allo specchio, vedevo nel riflesso la sua espressione farsi nostalgica.
Non tingeva i capelli, che erano di un grigio chiaro e le davano un tocco di saggezza e le rughe le segnavano leggermente gli occhi. Ma lo spirito era ancora quello di una ragazzina.
“Ho tanti ricordi di quel locale” disse, mentre si metteva il rossetto “Quando vivevo qui ci passavo quasi ogni sera”
Quella frase mi arrivò come una rivelazione “Come?! Hai vissuto a Los Angeles!? Non me ne hai mai parlato!”
“Beh, diciamo che ho aspettato che arrivasse l’occasione adatta per farlo. Sono rimasta qui quasi tre anni, prima di aprire lo studio a Bologna e conoscere tuo padre. Lavoravo dal più famoso tatuatore della Sunset Strip… che tempi!” la sua voce si era velata di entusiasmo misto alla consapevolezza che quel periodo fosse ormai terminato da tempo.
“Chissà quante rock star che hai visto!” fu l’unica espressione che riuscii a dire, presa dallo stupore.
“Eh sì… Ma queste sono cose passate, lascia stare. Meglio se andiamo” si alzò velocemente ed aprì la porta con un gesto deciso.

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Capitolo 14
*** Old times ***


CAPITOLO 14
 
“Due birre per favore” ordinai al bar anche per mia mamma, che si guardava attorno con l’aria di chi conosceva bene quel locale.
“Ecco qui” disse la ragazza al bancone, porgendoci i nostri bicchieri.
Ci sedemmo in un tavolino laterale, passando in mezzo alla massa di gente che riempiva il Whisky il sabato sera.
“Perché non mi hai mai raccontato di avere vissuto qui?” chiesi, ancora stupita da quella notizia bomba.
“Sai, devo ammettere che per me lasciare una città così affascinante non era stato per nulla facile. Ma ho dovuto, quindi per tanto tempo avevo quasi rimosso questa esperienza, tutto il tempo che ho passato qui. Invece quando dei vecchi amici, colleghi tatuatori, mi hanno mandato l’invito per la convention ho deciso di tornare dopo più di venticinque anni e di affrontare il mio passato. Mi sembrava giusto parlartene e che in qualche modo potessi vedere anche tu posti come questo e capire che modo fosse Los Angeles anni fa, anche se ormai non c’è n’è più traccia”.
Quel discorso mi colpì molto, soprattutto perché sentivo che doveva essere stata un’esperienza negativa a farla tornare in Italia, prima che io nascessi. Decisi di chiederle la ragione della sua partenza “E perché hai lasciato tutto e te ne sei andata a Bologna?”
Alla mia domanda sospirò, prese un sorso di birra e mi raccontò quello che aveva vissuto.
“Sai, ero veramente felicissima di essere in una città così alternativa, conoscere gente interessante e potere lavorare nel migliore studio di tatuaggi che esistesse in California. Solo che ai tempi ero ancora ingenua, mi fidavo dei ragazzi, cosa che non bisogna mai fare, soprattutto se si tratta di musicisti. Mi ero innamorata di un tizio, che faceva il batterista in un gruppo sconosciuto, che poi non ha mai fatto fortuna. Si chiamava Andrew, e ovviamente, visto il clima decadente della scena di Los Angeles, prendeva delle droghe pesanti. Vivevamo assieme e non ce la facevo più, la sua dipendenza era diventata dannatamente seria e nonostante i miei tentativi per rimetterlo in piedi rifiutava ogni aiuto. Finchè una mattina non lo trovarono morto nel bagno del tugurio dove viveva il cantante della sua band. Quel giorno decisi di raccogliere armi e bagagli, tornare in Italia e farmi una famiglia seriamente, lontano dagli eccessi e dai rocker”
Mentre parlava, il tono di voce divenne sofferto ed i suoi occhi lucidi, con il rimmel sul punto di colorarle di nero le guancie.
“Sai, sono sempre preoccupata per te… Perché so che nell’ambiente musicale si rischiano tante fregature, relazioni dolorose che fanno solamente soffrire, senza contare che on the road si incontrano persone che non si riesce mai a conoscere a fondo, al di là delle apparenze che ciascuno costruisce attorno a sè… per questo non ti ho mai raccontato questa parte della mia vita, perché sapevo per prima cosa che conoscevi, almeno come fama, metà della gente che frequentavo ai tempi e non era giusto che ti rovinassi il mito che hai creato su di loro, ma soprattutto non l’ho fatto perché non volevo trasmetterti questa tutta questa negatività. Vorrei proteggerti, ma allo stesso tempo so che devi fare le tue esperienze da sola e le devi vivere sulla tua pelle”.
Ormai le lacrime le correvano sul viso, mentre anch’io iniziavo a sentire una stretta allo stomaco, rendendomi partecipe della sua tristezza che per tanti anni aveva represso nel profondo del cuore.
“Lo so, mamma. E mi dispiace per il tuo ragazzo che è morto, seriamente. Ma adesso sei felice con me e papà, hai il tuo lavoro e siamo qui assieme. Sono passati tanti anni, e come vedi tutto qui è totalmente cambiato. Capisco che la nostalgia possa diventare pesante, ma devi farti forte. Per quanto riguarda me, sono contenta che tu mi abbia sempre lasciata sbagliare… ti voglio bene”
“Anch’io, Elena…” prese il suo bicchiere e finì la birra tutta d’un fiato “Adesso però è meglio se torniamo in hotel, domani sarà una lunga giornata alla convention”.
“Ok, sì. Forse è meglio…” le risposi, alzandomi dal nostro tavolo.
 

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Capitolo 15
*** Tattoo convention ***


CAPITOLO 15
 
“Sono contenta che tu sia riuscita a parlami del tuo passato qui a Los Angeles, mamma. Deve essere stato un peso per te avere nascosto dentro tutto questo per anni” le dissi, mentre iniziavamo a sistemare la nostra parte di stand alla grande esposizione e fiera di tatuaggi della città californiana.
“Sì, davvero. La morte di Andrew è stata un’esperienza dolorosa, anche se conoscevo bene il suo stile di vita quando ho avuto la notizia della sua overdose ho creduto di morire anch’io…” fece una pausa per poi continuare “Ma adesso per favore lasciamo stare questo argomento, sarà già abbastanza dura affrontare tutti i colleghi che passeranno oggi a vedere i nostri lavori, riascoltare gli aneddoti, le cose che abbiamo combinato… non vorrei che mi prendesse un po’ di tristezza… ma so che ci sei qui tu in caso” rispose, mentre sfogliava il librone con le foto dei suoi lavori.
Non fecero in tempo ad arrivare i primi visitatori che un omone tatuatissimo si avvicinò al nostro angolino di esposizione.
“Marisa, ma sei tu?” le chiese con stupore “Non pensavo che avessi accettato l’invito per la convention!”
“E invece sono qui, Peter! Sorpresa!” nonostante non si vedessero da decenni, mia madre e questo tizio si abbracciarono con affetto, al limite delle lacrime.
“Ti presento mia figlia, si chiama Elena e lavora con me. Suona anche una rock band, sai?”
Allungai la mano per stingere quella dell’amico di mia madre, che mi guardò con stupore “Marisa sarà orgogliosissima di te, guarda che grande che sei!” mi squadrava come se fossi una bambina di tre anni un po’ cresciuta, probabilmente non aveva mai saputo che mia mamma si fosse sposata in Italia e nemmeno che avesse messo su famiglia.
“Dai, raccontami come vanno le cose” Peter si mise a sedere accanto a noi, prendendo tra le dita il nostro biglietto da visita “Tutto apposto” rispose mia mamma “vivo a Bologna e il mio studio va abbastanza bene. Ho accettato di venire fin qui per affrontare finalmente il mio passato e mi sembra di aver fatto la scelta giusta. Sai, ieri sera ho portato Elena al Whisky, è rimasta incantata”
“E’ sempre affascinante, anche se ovviamente ai nostri tempi era un posto molto più figo” Peter sembrava guardare nel nulla, probabilmente anche lui, come mia mamma, rivedeva le scene della loro gioventù, con la consapevolezza di trovarsi però in un’altra epoca della loro vita.
“Sì, decisamente…” mia madre sospirò, presa dai suoi ricordi, per poi cambiare rapidamente discorso “E tu? Come te la passi? Stai ancora con Michelle?” chiese.
“Sì, abbiamo da poco superato i trent’anni assieme, è un bel record in questo secolo! Abbiamo due figli e un nipotino piccolissimo. Gestisco il mio studio di tatuaggi con un socio. Dovresti venire a trovarci finchè sei in città! A mia moglie e ai miei ragazzi farebbe piacere conoscervi!”
“Certo, ci fermiamo una settimana. Grazie per l’invito, dacci il tuo numero di telefono così ci mettiamo d’accordo” propose mia mamma.
“Ok, a presto allora. E buon lavoro!” Peter se ne andò verso altri stand, mentre nuovi curiosi sembravano prendere d’assalto l’esposizione.

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Capitolo 16
*** A special dinner ***


CAPITOLO 16
 
“Elena, tua mamma diceva che suoni una band. Che genere fate?” mi chiese Peter, passandomi una generosa fetta di crostata alle more, ricetta speciale di sua moglie Michelle, italoamericana.
“Sleaze, direi. Ma abbiamo diverse influenze” risposi, cercando di descrivere la mia musica.
“Bene, bene. Tutti i dischi dei Motley che ti avrà fatto ascoltare Marisa hanno fatto il loro effetto” commentò, sorridendo.
“E che tipo di gruppo siete? Voglio dire, avete pubblicato qualcosa? Fatto qualche tour?” il figlio minore di Peter e Michelle, David, entrò nella conversazione, visibilmente incuriosito dalla mia risposta.
“Siamo in gruppo tutto femminile, suoniamo assieme da cinque anni e abbiamo pubblicato un album con un’etichetta indipendente. Solo che le cose al momento non vanno proprio benissimo…”
“Perché, se posso chiedertelo?” onestamente non capivo la sua curiosità. Era un ragazzo che avrà avuto all’incirca un paio d’anni più di me, coi capelli biondi tagliarti corti e gli occhi chiari, dal classico look che ci si aspetterebbe da un californiano cresciuto in una famiglia rock n roll.
“Il nostro secondo disco è praticamente pronto ma sembra che nessuno sia interessato a pubblicarlo” decisi di rispondere onestamente a quella domanda sulla mia carriera musicale, se così la si poteva chiamare, giusto per essere corretta.
“Potresti darmi da ascoltare un demo, se ti va. Gestisco una casa discografica qui in città, la Swan Records, sempre che non abbiate già dei precedenti accordi. Se ci interessi, vediamo cosa si può fare”.
Quella frase arrivò come un’inaspettata manna dal cielo “Ti farò ascoltare volentieri il nostro demo. Anzi, grazie per l’interessamento” dissi, emozionata.
“La mia etichetta è specializzata nel genere che fate, magari si potrà realizzare qualche progetto assieme, vedremo” quel ragazzone sembrava genuinamente interessato alla mia band, anche se non aveva mai sentito un nostro pezzo in vita propria.
“Beh, sarebbe un sogno” commentai, facendomi qualche illusione.
“Se hai il tuo demo con te, ti invito a pranzo domani così ne parliamo, ok?”
“Dai, che bella occasione. Vedi, i casi della vita!” mia mamma entrò nella conversazione, captando quello che stavo pensando. Non avrei mai pensato di andare con lei a cena a casa di un suo amico di vecchia data e rimediare un discografico interessato alle Domino Hearts.
“Ok,va benissimo. A domani allora” risposi, pronta a mettere a conoscenza le mie compagne di band ed il mio manager di quell’inaspettato incontro.
 

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Capitolo 17
*** Work Meeting ***


CAPITOLO 17
 
“Andrea, forse ho trovato qualcuno interessato al nostro demo!” chiamai il manager della mia band via computer appena tornata in hotel dalla cena, senza pensare al fuso orario verso l’Italia.
“Sì? E chi sarebbe?” chiese, sospettoso
“E’ un discografico di Los Angeles, David McFadden, figlio di un amico di vecchia data di mia madre. Ha la sua etichetta, la Swan Records, dice che ascolterà il nostro demo e ci farà sapere. Lo incontrerò domani a pranzo”
“Ottimo, speriamo bene. Il salto in America sarebbe un bell’inizio per voi” anche Andrea sembrava entusiasta per quel contatto
“Eh, sì. Hai proprio ragione. Speriamo bene!” mi scappò un sospiro di esasperazione, dopo tanti tentativi andati a vuoto.
“Fammi sapere appena ti risponde, anche se sono notizie negative. E stai tranquilla, non vi ha ancora ingaggiate per un tour mondiale” Andrea cercava di tenermi con i piedi per terra
“Ho capito, lo so. Ti mando una mail appena so qualcosa” dissi, sperando di avere notizie positive da mandare a Bologna.
Dopo la video- chiamata ad Andrea mi misi a scrivere una mail alle ragazze del mio gruppo, visto che non erano on line, per avvisarle dell’incontro e della proposta che avevo ricevuto.

Incontrai David in un caffè che si trovava vicino all’hotel dove alloggiavo con mia mamma.
“Ciao Elena!” mi salutò dal tavolo, alzandosi in piedi
“Ciao” risposi e mi misi a sedere, seguita dalla cameriera che prese le ordinazioni.
Dopo avere mangiato un toast decisi di andare al sodo della conversazione e presi dalla borsa il demo delle Domino Hearts che avevo masterizzato nella nottata.
“Questo è il nostro demo” gli dissi, mettendolo sul tavolino, di fronte al ketchup e alla maionese. “Fammi sapere che impressione hai e poi eventualmente possiamo parlare con il nostro manager. I nostri contatti sono nella copertina del cd”
“Grazie, molto professionale. Sai, stiamo cercando nuovi gruppi e voi ragazze arrivate nel momento giusto” in quel momento tolse gli occhiali da sole, quasi per enfatizzare quella frase. O per mettersi in posa da macho.
“Sì? Mi fa piacere saperlo. Ti faccio presente però una questione: noi siamo quello che si sente in quel demo. Forse il suono può essere migliorato, la qualità della registrazione non è delle migliori ma il resto non si cambia. Quindi o ti piacciamo così o lascia perdere. Detto questo, buon ascolto” volevo mettere in chiaro quella questione perché troppe volte ci eravamo sentite dire la famosa frase “Siete brave però…” seguita da consigli più o meno seri sulla nostra immagine o sul nostro stile. Non volevamo negoziare nulla, e questo David lo doveva sapere.
“Caspita, hai un bel caratterino! Mi piacciono le ragazze con le idee decise! E dai filmati che ho visto su internet avete anche una bella presenza scenica. Il pubblico maschile ai vostri concerti ha di che guardare… Sei proprio un bel tipo, Elena” colsi una sfumatura poco gradita in quei complimenti. Ne avevo visti purtroppo di soggetti viscidi e non volevo sbagliarmi, ma quel discografico dopo quel commento poco aggraziato iniziò ad ispirarmi poca simpatia.
Mi alzai di scatto, presi la borsa e lo salutai in modo sbrigativo “Il mio numero di cellulare è nel demo, assieme a quello del manager della mia band. Chiama solo se sei interessato a noi come musiciste, per il resto lascia stare, capito?!”dissi, in modo deciso.
“Ok, ok. Va bene, va bene” rispose, quasi stupito dalla mia reazione.

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Capitolo 18
*** News ***


CAPITOLO 18

Il cellulare suonò mentre stavo facendo una passeggiata per il centro città con mia madre
“Ciao Elena, sono David”
“Se chiami per chiedere un altro appuntamento dove mi riversi i tuoi complimenti standard hai sbagliato numero!” reagii malamente alla chiamata, ancora schifata dal nostro incontro a pranzo.
“Ragazze, penso che abbiate veramente del potenziale. Ho parlato con il vostro manager e vorrei prenotare lo studio di registrazione per il prossimo mese, se per voi va bene” il suo tono era serio, apparentemente lontano da marpione che avevo incontrato pochi giorni prima. Forse aveva capito la lezione.
“Certo!” per l’emozione mi mancavano le parole, mentre iniziavo a fare segni a mia madre per tentare di spiegarle chi avesse chiamato e il contenuto della telefonata “E me lo chiedi anche! Certo che registriamo!” ero al settimo cielo, non mi sembrava vero.
“Allora definiremo meglio i dettagli nei prossimi giorni, ma mi sembra che si possa dire che il passo sia deciso. Buona giornata Elena, hai di che festeggiare oggi”.
Chiuso il telefono, mi misi a saltellare come se fossi su un tappeto elastico e abbracciai mia mamma per la felicità “Yeeee!” le urlai nelle orecchie, mentre mi stringeva forte a se
“Ve lo meritate davvero ragazze, sono proprio contenta!” disse lei, rispondendo alla mia gioia per essere arrivate, anche se tramite una casualità incredibile, ad un obiettivo tanto importante.

“E’ un po’ viscido ma se è l’unico che ci può dare un contratto possiamo sopportarlo” fu il primo giudizio sul discografico che mi scappò parlando con Katia, che fu la prima alla quale comunicai la notizia. Lei rispose seccamente “ Basta che tenga le mani apposto e non faccia il deficiente per tutto il tempo della registrazione dell’album, io ne ho abbastanza”
“Sì, su questo hai ragione” ammisi
“E tu quando torni?” mi chiese “Ci manchi qui a Bologna. Le passeggiate per i negozi in centro non sono le stesse senza di te!”
“Domenica sera sarò già a casa, dobbiamo organizzare una mega serata per festeggiare questa trasferta in America!” proposi
“Certamente, ce la meritiamo proprio!” rispose, prima di riagganciare.

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Capitolo 19
*** See you soon ***


CAPITOLO 19
 
“Elena, ciao! Sono Dj!”
A quelle parole, mi salì il cuore il gola. Avevo risposto al telefono di casa senza pensare di poter sentire all’altro capo della linea quel chitarrista che non vedevo né sentivo da settimane.
E soprattutto ero ancora presa dai postumi della festa organizzata dalla mia band e dai nostri amici per festeggiare il contratto in America. La sua voce roca, rovinata dal fumo, mi arrivava ancora più disturbata, filtrata dal mio mal di testa post sbronza.
“Ciao! Che sorpresa! Come stai?” chiesi, senza riuscire a pensare nulla di più intelligente.
“Sei venuta a Los Angeles e non mi hai nemmeno chiamato?!”disse, adirato.
“Ero lì per lavoro, con mia madre”
“Ero fuori a bere una birra con David della Swan Records e mi fa “Sai che ho messo sotto contratto un gruppo femminile italiano? Sono delle bombe!” e mi ha raccontato di averti conosciuta. Potevi almeno farmi sapere che averci fatto da gruppo spalla vi ha portato fortuna”
“Eh… hai ragione.. ma torneremo ai primi di ottobre per le registrazioni dell’album”
“Bene bene” il suo tono si era fatto decisamente più dolce
“Sono in tempo per farmi perdonare?” chiesi, imbarazzata per la svista, anche se in realtà non avrei saputo come poterlo contattare, visto che non avevo né il suo numero di cellulare né la sua mail privata.
“Sì, certo… Se sei venuta a Los Angeles per lavoro ti sei persa tutto il divertimento. Qui sappiamo festeggiare come si deve. Ti prenoto per un’uscita quando avrai del tempo libero dalle registrazioni, non voglio che David pensi che ti voglio portare sulla cattiva strada” continuò, ridacchiando divertito.
“Grazie Dj, volentieri” risposi, mentre l’imbarazzo cresceva sempre di più.
“Di nulla. A presto allora Elena”
“A presto”.
E chiuse la chiamata, mentre mi chiedevo “Ma come ha fatto ad avere il mio numero di casa? L’ha chiesto a David?”.

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Capitolo 20
*** To L.A. ***


CAPITOLO 20
 
“Ho sognato questo giorno per anni!” Marta era talmente entusiasta che non reagiva alla hostess che tentava di convincerla a stare seduta al suo posto, prima della partenza del nostro volo per Los Angeles.
“Signorina, si metta seduta per cortesia, stiamo per decollare!” era decisamente seccata.
“Va bene, va bene” rispose lei, cercando di darsi una calmata.
“Non voglio sedermi vicino a te, hai il terrore di volare e mi metti ansia!” osservò, ridendo, prima di schiacciare la sua giacca nel porta oggetti sopra i nostri sedili e obbedire all’ordine ricevuto.
“Dai, mettiti a posto. Ho anche delle cose da raccontare” ammisi.
“Raccontami, per piacere. Mi hai messo curiosità”.
Risposi presa dall’angoscia per il decollo.
Le raccontai della telefonata inattesa di Dj e dell’appuntamento che mi aveva chiesto.
“Sarai contenta! Ok, c’è un po’ di differenza di età ma ci si può tranquillamente passare sopra…”
“Cosa vuoi dire?!”
“Che ha quasi quarant’anni, anche se non li dimostra. Tu non ne hai nemmeno venticinque, ma non volevo fare una polemica. Stai calma per piacere, respira e non stressarmi durante il viaggio. Vedrai che appena arrivate ti richiamerà. Adesso dormi, su!”
Cercai di mettermi calma e seguire il suo consiglio.
 
Al nostro arrivo, seriamente intontite dal fuso orario, trovammo già all’aeroporto ad attenderci due ragazzi dallo staff della nostra nuova casa discografica. Salimmo sul loro furgoncino e ci portarono direttamente all’appartamento che avremmo diviso per i due mesi previsti per la registrazione e la conclusione del nostro disco.
David era ad aspettarci su quella che sarebbe diventata la nostra soglia di casa, con le chiavi dell’ingresso in mano.
“Benvenute nella Città degli Angeli ragazze! Questa sarà la vostra abitazione per il periodo nel quale sarete impegnate qui. Se avete bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, chiamatemi senza nessun problema. Vi consiglio di farvi una bella dormita questa sera, domani ci incontreremo per un meeting. Buon riposo”
“Grazie, a presto allora” risposi, mentre notavo che tirava fuori qualcosa dal taschino della giacca.
“Dimenticavo, questo è per te” mi diede un piccolo foglietto, che sembrava una specie di biglietto da visita stracciato.
Diceva “Chiamami appena ti svegli”.
Seguiva il numero di cellulare di Dj.
 

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Capitolo 21
*** Out for a gig ***


CAPITOLO 21
 
“Pronto? Elena?”
Riuscii a digitare il numero, nonostante il nervosismo.
“Ciao Dj… sono io. Ho ricevuto il tuo numero di telefono”
Avrei voluto aggiungere una bella domanda sul perché non ci fossimo scambiati i numeri prima del mio arrivo, ma decisi di lasciar perdere.
“Come stai? Tutto bene il viaggio?”
“Sono ancora un po’ intontita ma è andato tutto bene. Ci hanno prenotato un appartamento, abbiamo ancora le valigie aperte ma ci sistemeremo presto”.
In realtà non sapevo perché stessi raccontando tutta quella lista di cose ad una persona che praticamente non mi conosceva, ma presa dall’ansia e dalla voglia di fare l’indifferente in realtà dovevo sembrare una stupida completa.
“Ottimo” disse lui, con un tono di voce soddisfatto.
“E tu come te la passi?”
“Sto lavorando, sono stato da Sixx tutta la mattinata ma prevedo un paio di giorni di pace”.
Nella mente mi passavano le immagini di lui e il bassista re del glam (e della depravazione) che suonavano e componevano musica assieme. Cercai di togliermi quel pensiero per seguire il filo logico del suo discorso.
“Siete una bella squadra!” commentai, mascherando il tono da fan girl che inevitabilmente mi usciva quando si trattava dei Motley.
“Mi aveva parlato di un concerto in città questo finesettimana, un gruppo nuovo ma promettente. Lui non andrà, ma se vuoi ci possiamo fare un salto noi, sempre se non hai impegni”
“No, non credo di averne. Penso possa andare”
“Allora ti richiamo io venerdì pomeriggio, così ci mettiamo d’accordo. Buona giornata Elena”
“Ciao Dj, a presto”.
 
La telefonata aveva prodotto il risultato che speravo, ma che in parte mi preoccupava.
Un appuntamento.
In quel momento di grandi cambiamenti però non potevo tirarmi indietro di fronte ad un’occasione del genere…
 
Tornati dal concerto di un gruppo svedese importato negli Stati Uniti, Dj accostò la sua auto di fronte all’ingresso dell’appartamento in cui avrei dovuto vivere per quei due mesi.
“Sinceramente Elena, come ti senti?” chiese, voltandosi verso di me.
“Bene, perché me lo chiedi? E’ stata una bella serata. Erano decisamente dei rocker vecchio stile  quei ragazzi!”
“Ti sei guardata attorno per tutto il tempo. Avevi paura dei paparazzi? Quelli sono ovunque, e non ci si può fare niente”.
Aveva centrato in pieno il punto.  
Ero terrorizzata dalla possibilità che qualcuno potesse farci qualche foto assieme, anche se durante il concerto eravamo stati con altri suoi amici. Non volevo che si pensasse che il salto di qualità della mia band fosse dovuto a queste mie nuove frequentazioni.
“Sai, io vengo da un piccolo gruppo e nessuno mi conosce. Il mondo della musica è sempre pronto a parlare alle spalle, ma questo sicuramente lo saprai meglio di me… Non voglio che si pensi che io sono qui a registrare il mio disco solo perché esco con te”
Ecco fatto, l’avevo detto. Avevo ammesso a me stessa che uscivamo assieme, anche se di fatto un’uscita quasi casuale non poteva essere considerata come tale.
Mi stavo decisamente esaltando.
Presi un bel respiro per controllare la situazione e dissi tutto d’un fiato “Buona notte” aprendomi la portiera della macchina.
“Buona notte” rispose lui, quasi seccato, per poi aggiungere “E fregatene dei paparazzi, sul serio! Non vale la pena perdere tempo in queste preoccupazioni, bisogna fare quello che ci si sente senza paura di giudizi. Devi impararlo questo, ragazzina”.
 

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Capitolo 22
*** Cappuccino time ***


CAPITOLO 22
 
“Sono davvero soddisfatto di come stanno procedendo le registrazioni , ragazze. Il disco sarà una bomba!”
David e il fonico dello studio erano sinceramente entusiasti del nostro lavoro. L’album si preannunciava decisamente più heavy di quanto potessimo pensare, ma il giudizio della critica onestamente non ci interessava. Ci stavamo divertendo un mondo a comporre le canzoni ed il risultato rendeva la band decisamente orgogliosa.
 
Decisi di prende un pomeriggio libero per tentare di parlare con Katia.
Davanti ad un cappuccino mediamente invitante (come spesso sembrano i derivati dal caffè all’estero per gli italiani) decisi di raccontarle quello che stava accadendo con Dj. Dovevo decisamente sfogarmi con qualcuno, tutti i dubbi che avevo mi stavano in parte rovinando quella che doveva essere l’esperienza migliore della mia vita come musicista.
“E’ come se sentissi puzza di bruciato. Mi sembra tutto così impossibile. Che lui mi abbia vista prima del suo concerto, che mi abbia cercata finchè non sono venuta a lavorare al disco nella città dove vive” sputai le mie incertezze tutte di fila, omettendo il fatto che ormai erano un paio di giorni che ci vedevamo, anche se per il momento non era accaduto niente di particolarmente romantico.
“Secondo me sei la solita pessimista. Voglio dire, perché devi sempre pensare che ogni ragazzo con il quale esci debba essere sempre l’uomo della tua vita? Cerca di goderti quello che sta succedendo, è il sogno di tutte o no? Andare in America e uscire con un chitarrista famoso, facendo morire di invidia schiere di ragazze? Sai, onestamente lo prenderei volentieri io il tuo posto se proprio Ashba ti fa schifo!” scoppiò a ridere a quell’ultima frase provocatoria.
“Non è che mi fa schifo, ci mancherebbe! Dovrei essere cieca per non rendermi conto di quanto sia affascinante. E’ solo che…” esitai prima di continuare “di solito non mi fido dei ragazzi così sicuri di se, che pensano che visto che sei una donna devi cadere ai loro piedi…”
“E se invece ti sbagliassi?”
“Non lo so, Katia… non lo so…” risposi, mentre guardavo la città scorrere davanti alla vetrina della caffetteria.

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Capitolo 23
*** Just a shy girl ***


CAPITOLO 23
 
“Buongiorno”
Sentii la sua voce lontana, come se provenisse da Marte. Mi voltai nel letto e trovai Dj ad abbracciarmi. “E io cosa ci faccio qui?!” pensai, presa dal panico.
Lo strinsi tra le braccia anch’io, come per riflesso e nascosi il viso nell’incavo della sua spalla.
“Buongiorno a te” risposi, nonostante la mia memoria non collegasse i pezzi mancanti tra la nostra uscita della sera precedente al Whisky à go go e quella conclusione.
Restai immobile. Dovevo avere preso una sbronza colossale quella notte, il filo logico dei miei pensieri era ancora poco lucido. Avevo fatto di tutto per dare l’impressione della ragazza disinteressata con lui … volevo che parlasse con me, che mi conoscesse e mi prendesse sul serio… ed invece ecco che mi ritrovavo in una situazione che lasciava poco all’immaginazione e il sorriso beffardo di Dj a sottolineare ancora di più quell’atmosfera surreale che stavo vivendo. 
Mi baciò la fronte e chiese “Vuoi un caffè, Elena?”
“Sì, grazie” risposi. Si alzò, raccolse i jeans dal pavimento e si diresse verso la cucina, mentre io istintivamente mi coprii con un angolo di lenzuolo e mi misi a prendere a testate il cuscino, che aveva lo stesso profumo di quel ragazzo tanto bello quanto furbo.
“Quanto sono scema!” era l’unica frase che mi ronzava per la mente.
Tornò dopo poco con due tazze di caffè fumante ed un muffin. Li posò su un piccolo comodino, accanto al suo telefono e mi porse il dolce.
“Questo è per te, che stanotte sei stata così carina” mi alzai e mi sporsi verso di lui, cercando di tenere il lenzuolo in modo che mi coprisse, visto che anche guardando attorno non avevo trovato i miei vestiti.
“Come siamo timidi” commentò, ridendo.
“Ho un mal di testa terribile” ammisi, mentre terminavo il caffè e le idee iniziavano a rendersi più chiare.
“Ah sì? Reggi proprio poco l’alcol, baby” Dj sorrideva, restando seduto al bordo del suo letto.
“Devo avere decisamente bevuto troppo”
“Se tre o quattro tequila per te sono troppo, allora sì” la sua risata a quel punto era quasi insopportabile.
Come risposta feci finta di tirargli un pugno nel costato ma lui mi prese la mano e se la portò al viso. Accarezzai le sue guancie con un gesto lento.
“Sei permalosa, sul serio. Era giusto una constatazione”.
Ci avvicinammo, e io continuai a scrutare nei suo occhi chiari.
Quell’atmosfera non mi piaceva.
Improvvisamente suonò il suo telefono e si alzò per andare a rispondere.
Qualcosa scattò dentro di me e decisi di alzarmi anch’io, mettermi alla ricerca del mio vestito della sera prima, delle scarpe e possibilmente anche della borsetta per riuscire a ritornare dalla mia band.
Raccattato tutto, mi diressi verso l’uscita e trovai Dj in piedi in soggiorno, ancora al cellulare. Staccò il telefono dall’orecchio quando mi vide arrivare, ridotta probabilmente come la Courtney Love dei tempi peggiori
“Dove stai andando?”
“Torno dalle ragazze” risposi, senza nessun bacio per salutarlo.

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Capitolo 24
*** I'll miss you ***


CAPITOLO 24
 
I mesi delle registrazioni per il nostro nuovo disco passarono velocemente, tornando nei ricordi come una vecchia videocassetta rivista con il tasto fast forward premuto. Il periodo trascorso in America sembrava come diviso in luoghi separati: la sala di incisione, l’appartamento che dividevo con le mie compagne di band, i posti dove andavamo per mangiare o bere qualcosa e casa di Dj. Nonostante tutto, nonostante quella vaga sensazione di essere presa in giro, avevo deciso di proseguire quella sorta di relazione, anche se in qualche modo ero consapevole che si trattasse solo di una situazione temporanea. Mi sembrava assurdo che uno come lui, che poteva avere tutte le ragazze che voleva, scegliesse me, una signorina nessuno venuta dall’Italia per cercare la fortuna… Cercai di divagare sempre quando mi chiedeva “Quanto vi fermate?”, di non rispondere a quella domanda che avrebbe significato la fine di quei giorni meravigliosi che stavo passando con lui, oltre che il ritorno alla mia quotidianità a Bologna.  
 
“Dj, partiamo dopodomani. Dovevo dirtelo”
Decisi di affrontare l’argomento partenza solo quando ormai non potevo fare altrimenti.
“E cosa hai aspettato a dirmelo?” chiese lui, prendendo una tazza da caffè e versandoci dentro qualcosa che sembrava solo acqua calda colorata.
“Non è molto che sappiamo la data precisa, abbiamo aspettato che il mixaggio del disco fosse terminato, ora ovviamente né la casa discografica né il management possono affrontare economicamente di pagarci qualche settimana in più, quindi dobbiamo tornare”.
Lui si mise a sedere su letto, pensieroso.
“Mi dispiace saperlo solo ora, avrei potuto organizzare qualcosa di carino prima della tua partenza, tesoro”
“Non ce n’è bisogno” risposi come di scatto “non serve. Preferisco partire senza i saluti ufficiali, non vado mica in guerra!” mi misi a sorridere, ma avrei voluto scappare dalla porta principale e salire sul primo aereo, giusto per non affrontare la conversazione che avrebbe seguito.
“Perché parli così?! A volte sembra quasi che non ci tieni a me. Non mi dici le cose, non mi chiami mai, non voglio fare la persona esagerata, ma avresti potuto farti viva di tua spontanea volontà qualche volta!”.
Dj aveva ragione. Non volevo mai scrivergli nessun messaggio, chiedergli di uscire o di andare a trovarlo perché non mi sembrava la cosa adatta da fare, visto che non eravamo nemmeno una coppia. Voglio dire, che diritto avevo io di disturbare i suoi momenti creativi per chiedergli “Mi porti fuori a cena?”. Evidentemente non capiva le mie motivazioni.
Mi avvicinai a lui, che mi abbracciò.
“Mi dispiace che tu parta. Sinceramente”
 

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Capitolo 25
*** Feeling lonely ***


CAPITOLO 25
 
“Come stai? Cosa mi racconti di bello?” Francesca sembrava curiosa. Era la prima volta che la incontravo dal mio ritorno da Los Angeles.
Guardando il bel piatto di pasta che avevo davanti, il primo degno di quel nome che mangiavo da mesi, risposi alla mia migliore amica cercando di essere evasiva.
“Guarda, è stato tutto molto difficile. Anche se ci siamo divertite, le registrazioni avevano ritmi pensati.. siamo state veramente sotto pressione”
“E tutto qui? Non mi racconti niente?”
“Cosa ti dovrei dire? Che ho mangiato male, sono ingrassata qualche chilo a forza di divorare panini e che l’accento americano è abbastanza incomprensibile?!”
Mi guardò male e appoggiò la sua forchetta sul tavolo con un gesto rumoroso.
“Senti, sei tu che mi hai invitata a casa tua. Da mesi e mesi non mi parli praticamente più, da quando è iniziata questa faccenda dell’America non ti fai più sentire… che amica che sei!” si era spazientita. La mia riservatezza sui viaggi negli Stati Uniti l’aveva veramente irritata.
“Scusami Fra, ma davvero non so cosa aggiungere. Non mi va di stare qui a raccontarti i disastri che sono successi, sono troppi anni che subisci quello che ti racconto, i problemi con la band, i problemi con i ragazzi… cerco solo di non essere invadente, tutto qui” risposi seccamente.
“Ma cosa dici! Mi fa piacere sapere cosa combini, te l’ho chiesto io. Solo non mi spiego il tuo silenzio, ecco tutto”.
Seguì qualche istante di imbarazzo.
“E’ che sono stati dei mesi incredibili” ammisi.
“Devo preoccuparmi?” chiese lei, addentando l’ultimo boccone di pasta.
“Mi sono veramente impegnata per non parlarne, sul serio. Ma sto scoppiando”.
Lasciai la posata e mi misi a sedere sul divano, con la testa fra le mani.
Le parole sembravano fluire da sole, come rinchiuse per troppo tempo.
“Fra, sono veramente infantile. Mi sono obbligata a non innamorarmi di un ragazzo ma non ce l’ho fatta. Non lo chiamavo, non mi facevo sentire, non volevo che sapesse quanto aspettassi di contrarlo. Volevo solamente passare il tempo con lui, guardarlo suonare o restare immobile mentre si fumava una sigaretta nel suo studio. Ho rovinato tutto. Come sempre ho rovinato tutto”
Le lacrime colavano sul viso e sporcavano gli occhiali da vista, che tolsi appoggiandoli sul piccolo tavolino. Francesca si alzò a sua volta e venne a sedersi accanto a me.
“Non volevo comportarmi da persona appiccicosa, da groupie da quattro soldi. L’ho trattato male, l’ho trattato diversamente da come avrei voluto. Ma ormai non posso più tornare indietro, posso solo evitare di pensarci. Tutto qui”
“Ma posso sapere di chi stai parlando? E’ il tizio dei Guns?” chiese Francesca
“Sì, ci siamo frequentati nel periodo che ho passato a Los Angeles, solo che insomma… lo so anch’io che non è una persona monogama, sarà uscito con almeno altre tre o quattro ragazze nel periodo che sono stata là, non ci penso nemmeno che possa essersi anche vagamente preso una cotta per me”
“E se fosse così poco interessato perché avrebbe passato tutte quelle settimane con te? Così, per non stare ad annoiarsi?”
“Può essere!” risposi io, seria. Lei si mise a ridere e mi abbracciò.
“Per favore, non essere sempre così tragica. Le cose sono andate così, ma non devi buttarti giù. Sei una ragazza carina, intelligente e con talento, vedrai quanti che ne trovi di chitarristi fighi in giro!”
“Certo che tu sai proprio come motivarmi!”
“Dai, coraggio” disse, tornando al tavolo del pranzo “ La pasta si è freddata ma puoi sempre mangiare il dolce che ho portato. Fatti coraggio Elena, le cose si sistemeranno, con o senza quell’Ashba”.

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Capitolo 26
*** Christmas Time ***


CAPITOLO 26
 
Tazza di cioccolata calda tra le mani, guardavo dalla finestra la gente passare.
Cercai di allungarmi dal divano verso il tavolino del soggiorno per prendere il cellulare, che aveva appena suonato per un messaggio. Sfidando la temperatura poco piacevole faticai per fare uscire una mano dalla coperta patchwork di lana per cercare di leggerlo.
“Buon Natale in anticipo! Aspettiamo risposte per l’invito dell’ultimo dell’anno. Muoviti altrimenti ti lasciamo a casa! Katia & Marta”.
Due delle ragazze della mia band erano prese dagli acquisti dell’ultimo minuto, probabilmente schiacciate come sardine in centro città nelle vie dello shopping mentre io, stranamente, mi ero presa in tempo con i regali ed i pensierini, che se ne stavano tutti comodi nell’armadietto all’ingresso, in attesa di finire ai rispettivi proprietari.
“Siete sempre quelle dell’ultimo minuto! Buon Natale anche a voi, andateci piano al pranzo domani sennò vi vengono i brufoli! Ok per l’ultimo, aspetto che passiate a prendermi però, col diavolo che guido io fino a Milano!” risposi, contenta che le mie ragazze mi avessero di fatto già organizzato la nottata dell’ultimo dell’anno. Non sono mai stata una grande fan delle feste “comandate”, quelle occasioni in cui bisogna divertirsi per forza, ma nonostante questo pensai che la festa degli amici delle mie compagne di band sarebbe stata qualcosa di diverso dalle solite bevute in casa che facevamo abitualmente.
 
Sopravvissuta alla quasi indigestione del pranzo di Natale con i miei genitori e dopo qualche giorno di riposo a casa iniziai a preparami per il capodanno, nella migliore tradizione rock n roll. Nel pomeriggio mi misi a scegliere il look, con il sottofondo musicale adeguato, cioè le peggiori canzoni da festa in circolazione, aspettando che Katia venisse a prendermi.
 
“Oddio! Ma cosa hai fatto?!”
La mia bassista restò di stucco quando mi vide salire sulla sua macchina, accostata sotto casa mia.
“Ho deciso di cambiare un po’” risposi, prendendo tra le dita una ciocca di capelli rosa shocking per mostrarglieli.
“Stai proprio bene, anche se è un po’ estremo come colore! Vedremo cosa ne dirà un certo americano di questo cambiamento!” commentò lei, ridendo.
“Lascia stare, per favore. Non ci siamo nemmeno sentiti per gli auguri di buone feste, nemmeno una mail…”
“Vedi, di solito le donne quando soffrono per amore si taglio di capelli. Tu hai cambiato il colore, ma l’idea è quella” disse, mentre io restavo a fissare la città che sfilava dal finestrino.
Recuperata anche Marta ci dirigemmo verso Milano.
 

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Capitolo 27
*** Let's party! ***


CAPITOLO 27
 
“Ragazze, ma che bello vedervi!” le amiche milanesi di Katia e Marta ci accolsero con grandi abbracci appena entrammo nel locale della festa di capodanno che avevano organizzato. Probabilmente mezzo ambiente metal italiano si trovava lì. Tutto era decorato con vecchie luci stroboscopiche e poster di band, locandine di concerti e ritagli di riviste. Passammo una buona mezz’ora salutando tutti e tutte i presenti, e ovviamente ciascuno di loro ci chiese di raccontare qualcuna delle nostre avventure nella registrazione del disco in America. “Sì, gli americani hanno davvero degli studi di registrazione mega galattici!” e “No, non abbiamo fatto festa tutto il tempo” furono le frasi più ripetute, accettando i drink che ci venivano gentilmente offerti.
“Elena, conoscete già la data di pubblicazione del vostro disco?” chiese Giovanna, una delle nostr amiche della scena rock milanese.
“Penso verso la primavera o inizio estate, ma non abbiamo ancora bene i dettagli. Sicuramente inizieremo il tour appena possibile, per vedere le reazioni del pubblico ai nuovi pezzi. Noi siamo entusiaste e sinceramente non vediamo l’ora di iniziare a proporli live” risposi, euforica.
“Ottimo allora, aspettiamo notizie. Volete un’altra birra?” .
 
Come prevedibile, o meglio come sospettavo, la festa si rivelò veramente un disastro.
Katia e Marta finirono ubriache sui divanetti del locale, mentre io per la stanchezza mi addormentai al loro fianco.
“Non credo che ce la possiate fare a tornare a casa stamattina” Giovanna mi venne a svegliare quando il locale stava per chiudere. “No, non ci credo nemmeno io!” risposi, guardando le mie compagne di viaggio, sedute in modo scomposto, con le teste che si sorreggevano a vicenda ed il trucco colato.
“Meglio se venite a casa con me, vi ospito e poi domani ripartite per Bologna, ok?”
“Non voglio approfittare della tua ospitalità, ma qui siamo messe proprio male” dissi, cercando di non sbadigliare.
Convinsi le ragazze ad alzarsi e assieme ci dirigemmo verso la macchina di Gio.
“E voi sareste state a Los Angeles per mesi! Non sapete reggere nemmeno una festa così, figuriamoci una in stile Hollywoodiano… ah! Non fanno più le rockstar come una volta!” commentò sarcastica mentre con una manovra brusca usciva dal parcheggio del locale con tre relitti nella macchina.
 

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Capitolo 28
*** New record ***


CAPITOLO 28
 
Finalmente arrivò il momento di soddisfazione tanto atteso: postare l’annuncio dell’uscita del nuovo disco sul nostro sito internet. Ci avevamo lavorato molto e speravamo che piacesse al pubblico, dato che ne eravamo orgogliose in prima persona. Ovviamente, allegata a questa notizia c’era l’elenco di date del nuovo tour, che ci avrebbe impegnate per tutta la primavera e l’estate successive. Ma vedere tutta quella sfilza di date per mezza Europa non ci preoccupava né metteva ansia, dato che eravamo più che sicure del nostro lavoro. Viste da parte di certi critici, di quelli che storcono sempre il naso, dovevamo sembrare le solite ragazze poco vestite che si mettono a fare metal solo per attirare ingenui fan maschili, ma in realtà per noi la musica era molto di più.
La prima data del tour era prevista a Bologna, la nostra città natale.
La risposta del pubblico, nel quale erano presenti anche i nostri genitori, fu buona e ci divertimmo sul palco, assieme dopo tanto tempo. L’unico inconveniente fu il caldo asfissiante. L’estate era decisamente la stagione sbagliata per suonare all’interno di locali con gli impianti dell’aria condizionata scarsi, tanto che la nostra batterista iniziò una discussione sul poter suonare in costume da bagno per non finire il concerto grondante di sudore. Dopo lo show, ancora prese dall’entusiasmo, finimmo tutti a casa di Marta per un party improvvisato.
Presi una birra dal frigo, nel suo appartamento invaso di gente, che si era accalcata sul divano per riuscire a stare un po’ comoda.
“Guarda Elena che ti suona il telefono!” urlò la padrona di casa, portandomi il cellulare dalla sua stanza, dove erano state ammassate le borse.
Guardai lo schermo e risposi senza esitazioni “Ciao Dj!”
“Ciao baby! ma che succede?” urlò lui, tentando di farsi sentire nel casino.
Cercai con movimenti scoordinati di scavalcare gli amici nel corridoio per dirigermi verso la camera di Jo, dove mi misi a sedere per terra.
“E’ la festa dopo il nostro primo concerto. C’è un sacco di gente!” risposi, finalmente sentendo i rumori della festa in lontananza.
“Sono contento che le cose siano andate bene. Ti chiamavo velocemente per chiederti una cosa”
“Dimmi pure” dissi, con curiosità.
“Volevo sapere se ti andava seguirmi nel tour dei Guns in Sud America. So che manca molto, sarà ad ottobre, ma ci terrei se tu venissi con me”.
Senza pensare, le parole fluirono da sole “Certo che vengo, che domande sono!”.

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Capitolo 29
*** Good morning! ***


CAPITOLO 29
 
Mi svegliò una suoneria del cellulare dal volume altissimo.
Ancora intontita dal fuso orario e dal viaggio premetti la faccia nel cuscino, voltando le spalle a quel rumore fastidioso che finalmente si interruppe quando Dj decise di rispondere. Restò al telefono qualche istante prima di riattaccare, dopo aver ricevuto qualche informazione sul concerto che avrebbe tenuto al Rock in Rio il giorno successivo.
“Scusa la sveglia traumatica Elena” disse, avvicinandosi a me “Buongiorno!”.
Voltandomi restai quasi stupita di trovarmelo accanto.
Ancora non ero convita dell’averlo seguito nel tour in Sud America, mi sembrava una cosa troppo affrettata, senza contare che avremmo finito per farci scoprire dai paparazzi e dalle sue fan incallite che ovviamente mi avrebbero odiata a prima vista.
Restai immobile, con gli occhi appena aperti nella luce del mattino di Rio.
Il contrasto tra le lenzuola chiare del grande letto ed i tatuaggi scuri che ricoprivano il braccio che mi cingeva le spalle era netto, così come la differenza tra la mia stanza, alla quale ero abituata, e quella suite così decorata.
Non ero mai stata in Brasile e sicuramente non avrei mai pensato di andarci in un’occasione simile.
Il tempo sembrava essersi fermato, mentre sentivo il suo respiro rallentato.
“Adesso mi riaddormento, il viaggio mi ha steso!” si accoccolò a me, avvolgendosi nelle lenzuola.
“Coraggio!” cercai di smuoverlo, ma lui oppose resistenza “Non voglio che tra una mezz’ora arrivi qui qualcuno dello staff e ti porti via di peso perché sei un pigrone” gli dissi, cercando di togliergli il cuscino da sotto la testa. Lui cercò di fermarmi e si mise accanto a me.
“E dovrei lasciarti da sola tutto il giorno…” mi guardò negli occhi, che probabilmente erano spaventosi per il trucco colato e la stanchezza da jet lag. Si avvicinò per un bacio, quando il telefono riprese a suonare.
“Che caz…” imprecò lui, andando a riprendersi il cellulare che aveva posato sul comodino.
Io approfittai della situazione e mi alzai, diretta verso la doccia per riuscire a riprendermi.
Cercai di fare il più veloce possibile a darmi una sistemata, ma quando tornai Dj stava ancora parlando, questa volta con un tizio della loro crew che era alla porta d’ingresso della nostra stanza.
Appena mi vide Dj sembrò tagliare corto e lo sentii dire “Ok, a dopo allora. Ciao!” prima di richiudere la porta.
“Il concerto al Rock in Rio sarà una bomba ma ci sta facendo impazzire” disse, buttandosi su una poltrona per sedersi. “Meglio se inizio a preparami per uscire, dice John che ci sono un sacco di fan fuori dall’hotel ad aspettare”.
Mi misi a sedere sul bracciolo della poltrona, mentre lui appoggiò il viso sulla mia spalla.
“Un taxi ti porterà direttamente allo stadio, ci vediamo là” Dj prese il suo inseparabile cappello, gli occhiali da sole e dopo avere ripreso dal comodino il suo pacchetto di sigarette venne verso di me per salutarmi con un abbraccio.
La giornata del Rock in Rio era arrivata e lui ormai non stava più nella pelle dall’agitazione.
Lo aspettavano un numero enorme di fan e tantissime aspettative.
“Quanto sei nervoso da uno a dieci?” chiesi, abbracciandolo.
“Un sacco” rispose lui, facendo scorrere le mani sulla mia schiena “ma è sempre così. Tutta quella gente là fuori vuole un grande show e penso proprio che stasera lo avrà”
“Fatti valere” dissi, mentre lo vidi uscire dalla porta della nostra stanza.

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Capitolo 30
*** After the rain ***


CAPITOLO 30
 
L’esibizione dei Guns fu letteralmente sommersa dalla pioggia, come se qualcuno avesse acceso un idrante alla massima potenza sopra al palco, colpendo direttamente in testa i membri del gruppo e costringendo Axl a indossare uno strambissimo impermeabile giallo canarino.
 
Non riuscii ad incontrare Dj né prima né dopo il suo show, quindi me ne tornai da sola all’hotel, mentre la band era ancora in quel mega acquitrino che era diventata la location del concerto.
Tolsi i vestiti resi umidi dalla pioggia e mi gettai in doccia, ma qualcosa nella mia mente sembrava fuggire altrove… Con lentezza mi asciugai i capelli e decisi di indossare il mio migliore babydoll, che era rimasto sepolto sul fondo della valigia. Mentre presi la trousse con i trucchi, iniziai a percepire quanto grande e vuoto fosse lo spazio che mi circondava. La stanza d’hotel, il bagno così lussuoso, la doccia con le pareti in vetro, mi sembrava tutto così surreale e al tempo stesso asettico. Vedevo le mie cose sparse in giro, la valigia di Dj aperta contro il muro sotto la finestra ma questo comunque non cambiava l’atmosfera fredda di quella suite. Senza contare che per me era ancora più surreale lottare contro il sonno e prendere il correttore per le occhiaie ed il fondotinta praticamente all’alba, per cercare di essere il più bella possibile per il ragazzo che stavo aspettando
 
Terminato il makeup restai in piedi davanti al grande specchio del bagno.
I capelli rosa ricadevano a boccoli sulle spalle, ringraziando la mia amata parrucchiera, contrastando coi tatuaggi sulle spalle e la pelle chiara, mentre il tessuto blu elettrico della lingerie sembrava ancora più scuro con la luce artificiale.
Vedermi così, per di più riflessa nello specchio della stanza di una rock star, avrebbe dovuto aumentare la mia autostima a dismisura, facendomi sentire una delle ragazze più belle e fortunate sulla faccia della terra. Ma qualcosa non andava. Percepivo che quel mondo non mi apparteneva, che nella mia vita quotidiana non mi sarei mai messa così in tiro semplicemente per passare qualche ora di sonno con il mio ragazzo, che per di più doveva essere esausto dopo lo show. Solitamente dopo i miei di concerti non vedevo l’ora di arrivare a casa o all’hotel per struccarmi, mettermi un pigiama over size e dormire di gusto.
A Rio sentivo che qualcosa mi impediva di essere pienamente me stessa, come se avvertissi la pressione a comportarmi come pensavo che le ragazze dei rocker dovessero comportarsi, a vestirmi sempre come se stessi andando ad una festa, ad essere quello che probabilmente non sono.

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Capitolo 31
*** True love? ***


CAPITOLO 31
 
“Sai, mi dispiace parlarne così, via computer, ma secondo me qualcosa non va” dissi, dopo una lunga paura. Ero tornata a Bologna da qualche giorno, e nella mia mente i ricordi del grande show dei Guns sotto il diluvio universale a Rio erano ancora molto vividi, così come la sensazione di inadeguatezza che avevo provato nel restare come una stupida ad aspettare che Dj tornasse all’hotel.
Riflettendo sulla questione, nella mia mente passavano solamente pensieri contrastanti: se volevo bene a quel ragazzo tanto bello quanto festaiolo, dall’altra desideravo una relazione più normale, se possibile, fatta di quotidianità e di cose semplici, senza per forza dovere passare delle giornate in aereo per vederci.
“Dimmi, che succede baby?” chiese lui, senza cambiare il tono di voce.
“Sai, secondo me…” la voce era rotta dall’ansia. Ero terrorizzata, sapevo che le parole sbagliate potevano rovinare quello che volevo dire, ma alla fine decisi di esprimermi come meglio potevo “le ultime giornate che abbiamo passato assieme sono state difficili, te lo dico onestamente. Voglio dire, affrontiamo la realtà: viviamo a migliaia di kilometri di distanza, non ci vediamo praticamente mai e vogliamo tenere in piedi una relazione?”
“Cosa intendi?”
“Che secondo me non funziona niente… io resto qui a sognare di passare una giornata con te, che invece sei dall’altra parte del mondo e per quanto ne posso sapere io potresti non provare quello che provo io”. Ecco, avevo detto tutto.
Dopo una pausa Dj rispose “Senti, ma sinceramente, cosa ti aspettavi?”
A quelle parole il cuore mi saltò in gola “Ti aspettavi che io stessi in casa a strimpellare canzoni tristi mentre tu non sei qui con me? non voglio dirtelo così, ma guarda che esco la sera, e ho anche incontrato altre ragazze… Penso che sia stato chiaro da subito, questa non è una relazione, almeno non nel senso esclusivo del termine”.
Improvvisamente le cose sembrarono molto più chiare. Ringraziando il coraggio che mi aveva consentito di affrontare quel discorso avevo capito come lui viveva il suo rapporto con me.
“Alla fine, sono stata solo una groupie, o poco più per te?!” urlai, mettendomi a piangere copiosamente.
“Perché ti arrabbi così?” distolse lo sguardo “Gesù, sei solo una ragazzina che crede ancora nel vero amore, svegliati cara. Ti do una notizia: non esiste”.
A quelle parole spensi la video chiamata e il computer, continuando a piangere da sola.

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Capitolo 32
*** Wake up! ***


CAPITOLO 32
 
“Elena, ti sei addormentata?” il cellulare mi svegliò di soprassalto.
Il display diceva “Mamma”.
“Che ore sono?” chiesi
“Le undici, sbrigati e scendi per favore. Ci sono dei ragazzi che devono prendere un appuntamento e io non ho tempo di fare tutto!”
“Ok, arrivo subito”.
Dopo una veloce doccia arrivai in studio ancora intontita dalla chiamata che mi aveva svegliata.
“Che succede? Prima arrivi tardi al lavoro, poi non ti presenti nemmeno. Vuoi che vada tutto per aria qui?” mamma era furiosa. E ne aveva tutti i motivi: negli ultimi mesi per gli impegni del tour promozionale del nuovo album avevo perso moltissime giornate nel suo studio di tatuatori e nonostante mi appoggiasse nella mia carriera musicale in quel momento non poté fare altro che riprendermi.
“Hai ragione, solo che sono stata malissimo stanotte. Non ho chiuso occhio. Da quando siamo tornate da Pisa ho ripreso con l’insonnia e non so più cosa fare. Sarò a casa per dieci giorni prima delle prossime date, resterò qui al lavoro quanto ne avrai bisogno” dissi, sentendomi in colpa per avere lasciato mia madre da sola in quelle settimane.
“Per favore però, se vuoi mantenere il lavoro qui con me cerca di rimetterti in sesto e rispetta gli orari. Sei mia figlia, e sai che ti voglio bene. Sono la prima ad essere contenta che il tuo disco stia andando bene, ma qui sei soprattutto la mia dipendente e valuto le tue attività, te come professionista. Capito?”
“Sì, ok” risposi, prima che una fitta mi prendesse lo stomaco.
Mi accovacciai sulla poltrona, prima di alzarmi e correre verso il bagno.
“Elena, tutto bene?” mia mamma chiamava dall’esterno della porta.
“Sto malissimo, chissà cosa diavolo ci mettono nei panini dell’autogrill!” imprecai, con lo stomaco sotto sopra e una nausea terribile.
Appena riuscii a rialzarmi tornai da mia mamma, che mi guardò preoccupata.
“Sei bianca come un cencio. Non è che hai preso un’intossicazione alimentare? Le altre ragazze della band come stanno?”
“Non lo so, penso bene. Ho mangiato solo io tornando in autostrada l’altro giorno, loro hanno solo preso dei biscotti”
“Meglio se vai a casa adesso, e cerca di riposare. Chiamai stasera, mi raccomando”
“Ok” risposi, quasi seccata.
“Non prendertela per quello che ti ho detto. Solo che se davvero vuoi essere brava nel tuo lavoro ti serve un po’ di disciplina. Non volevo essere così dura Elena” mi abbraccio forte, come per rassicurarmi .
“Va bene mamma, capisco” la salutai e tornai nel mio appartamento

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Capitolo 33
*** What am i supposed to do? ***


CAPITOLO 33
 
Il vento freddo mi colpiva il viso. L’aria sembrava più pulita del solito.
Alzai gli occhi e notai che il cielo era terso, senza nuvole e un tiepido sole illuminava la città, mentre la prima neve che era caduta ormai restava solo in piccole montagnette grigie ai lati delle strade.
Misi le mani in tasca perché i guanti potevano poco quella mattina.
Arrivata nello studio della mia dottoressa, mi misi a sedere aspettando il mio turno.
 
Ero incinta.
 
La notizia mi era caduta in testa come un macigno ma ormai era certo.
Dopo settimane e settimane di nausee e dolori mi ero decisa a rivolgermi al mio medico, che mi aveva in cura da tanti anni. Dati i sintomi, la mia teoria sull’intossicazione alimentare da panini vecchi dell’autogrill non la convinse così mi fece fare il test.
Positivo, ovviamente.
Mi sentii la terra mancare da sotto i piedi. Cosa avrei potuto fare?
Chiesi a Francesca di accompagnarmi dalla mia dottoressa, visto che mi serviva un supporto per gestire quel momento.
La mia band significava tutto per me ma la dottoressa fu irremovibile “Non puoi andare in tour. Né questa settimana né nei prossimi mesi. Hai messo in pericolo il tuo bambino con i concerti che hai già fatto, hai idea di quanto hai rischiato?! Dovrai restare a riposo e non puoi assolutamente esporre tuo figlio o tua figlia a tutto quel rumore. Se decidi di tenerlo devi avvisare subito la casa discografica, il manager e le altre ragazze”…. Con un tour intenso programmato per la primavera e l’estate successive si trattava di una decisione con delle conseguenze serie…oltre che il mio diventare madre…
Restai in silenzio.
La mia amica Francesca mi guardava, immobile.
“Elena, dimmi la verità. Cosa pensi di fare?” chiese, con un tono greve.
“Non lo so… sul serio, non mi sembra che ci siano alternative. Non voglio nemmeno pensare di agire diversamente. Annullerò tutto il tour, anche se questo vorrà dire mettere nei casini anche il sogno delle ragazze che suonano con me, che non hanno nulla a che fare con tutto questo…”
“Cosa intendi?”
Istintivamente, mi portai le mani in grembo “Che questa decisione non riguarderà solo me, ma anche loro. Hanno lottato tanto per questo tour, per l’opportunità che ha significato per noi l’album. E io invece ho mandato tutto in rovina…” scoppiai a piangere, come quella volta in cui avevo scoperto che per Dj non avevo rappresentato un bel nulla.
“Non devi parlare così. Sarai una buona madre, e lo sai anche tu”
“Questo non posso dirlo” ammisi, con rabbia
“E il padre?”
“Il padre non c’è” risposi seccamente “Meglio se non c’è, anzi meglio ancora se non saprà mai dell’esistenza di questo figlio. Avrà già collezionato decine di figli illegittimi in giro per il mondo, figuriamoci se gli mancherà il mio”
“E’ un musicista come te?”
Preferii non rispondere.
Mi alzai, mentre Fra chiuse la porta alle mie spalle.

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Capitolo 34
*** Pain & Delusion ***


CAPITOLO 34
 
Prima di tutto, l’avrei detto alle ragazze della mia band.
Successivamente avrei parlato con il nostro manager, lasciando che lui chiamasse la casa discografica, per evitare di parlare con David direttamente.
Infine avrei dato la notizia alla mia famiglia.
L’ordine poteva sembrare assurdo, ma era questo quello che mi sentivo di fare. Per i miei era una questione personale, nonostante il rapporto di lavoro con mia madre, mentre per le mie compagne di gruppo era un disastro, un bel sogno che si infrangeva…
 
Arrivai alla porta di ingresso di Katia.
Entrai, mi misi a sedere e le raccontai tutto. Tranne che il figlio fosse di quel chitarrista.
Lei restò shockata, con la sua tazza di cioccolata calda ferma tra le mani, come se il tempo si fosse fermato.
“E cosa ti aspetti che ti dica? Lo sai anche tu che hai fatto un bel casino!” era infuriata, ma intuivo dal suo sguardo che provava comprensione per me.
“Lo so, lo so. Solo che non cosa dire, il tour lo devo annullare, vedremo se sarà possibile rimandarlo all’anno prossimo. Davvero, non so cosa dire” sentivo la malinconia salirmi alla gola, prendermi come in una morsa.
“Ti sarai già urlata abbastanza parolacce da sola, non ti serve che aggiunga nulla io” fu la frase che riassunse quell’incontro.
Quel dolore e quella delusione erano solamente l’inizio.
E non fecero che ripetersi, se possibile con maggiore rabbia, quando andai da Jo, la mia chitarrista, che imprecò contro di me, per raggiungere il culmine quando Marta, la batterista, sentita la famosa frase “Aspetto un figlio” si alzò e se ne andò sbattendo la porta del bar dove l’avevo raggiunta, senza dirmi una parola…
Ora mancava solamente il momento in cui avrei affrontato il management…
E successivamente mia madre e mio padre…
Mi sentivo come sul patibolo, esposta ai giudizi senza un briciolo di comprensione.
 
 

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Capitolo 35
*** Shut up! ***


CAPITOLO 35
 
L’idea di sommare tutti gli incontri con la mia band, il manager e la mia famiglia in una giornata si rivelò devastante. Non mi sembrava di poter fare altrimenti. Rimandare e portare avanti nel tempo le cose avrebbe solamente portato a maggiore sofferenza per me…
“Ciao Andrea, siediti pure. Devo parlarti”
“Che succede? Non potevi parlarmi per telefono? hai idea che fatica abbia fatto per arrivare fin qui con il ghiaccio che c’è per strada?!”
“Aspetto un figlio. Il tour è annullato” la frase mi uscì come in automatico, visto che la quarta volta che la pronunciavo nel corso della giornata.
“Cosa?!” saltò in piedi, rovesciando il the caldo che gli avevo preparato.
“Hai capito benissimo. Sono incinta e per un periodo non potrò suonare”.
Iniziò a sbraitare e urlare con un volume di voce insopportabile “Sei un incosciente! Hai idea di che sforzo economico sia stato per noi mandarvi in America a registrare quel disco? Pensi che quella sala di incisione ce l’abbiano prestata gratis? E le copie del disco le abbiamo pagate coi soldi del Monopoli secondo te ?! Il tour aveva già metà biglietti venduti con la prevendita, e io adesso cosa diavolo dovrei fare?” .
Aveva tutte le ragioni del mondo per arrabbiarsi. E io ero la prima ad essere furibonda. Ma veramente, mettere in discussione la vita di mio figlio era l’ultimo dei pensieri che mi attraversavano la mente. L’avevo accettato, anche se non era stato programmato ed ero una ragazza giovane e single. Gli avrei voluto bene e mi sarei presa cura di lui, anche a costo di mettermi a fare la cameriera, rinunciando al mio sogno di fare la rocker.
“Hai idea di quanti soldi perderemo perché sei un’incosciente?!”
Crollai in lacrime, ma non avevo nulla da obiettare.
“E adesso con David, con la casa discografica chi ci parla? Hai idea di cosa voglia dire annullare un tour dopo un album di successo come il vostro? E’ un suicidio, Elena. Perderanno un sacco di soldi, e anche voi a dirla tutta. La band non avrà una seconda occasione”
A quelle parole la rabbia si impossessò di me e mi alzai a mia volta, reggendomi al tavolo “Come ti permetti di parlare così? Ti chiedo solamente di mettere in pausa il tour per un anno! Prenderò una babysitter o chiederò a mia mamma di darmi una mano, mi organizzerò in qualche modo, ma non puoi dichiarare così la fine della mia band! Chi ti credi di essere? I fan capiranno e ci aspetteranno” urlai quelle parole direttamente, senza tentare nemmeno di essere diplomatica come mi ero ripromessa.
“I fan non si ricorderanno di voi l’anno prossimo. E lo sai anche tu! Voglio proprio vedere! Tu sei pazza, ragazza. Avevi una grandissima occasione e l’hai sprecata”
“Credi che non mi dispiaccia lasciare tutto per qualche tempo? Io non ho lavorato per questo disco, secondo te? Non ci tengo al mio gruppo?!”
“Non prendermi in giro, Elena. Sappiamo tutti e due che sei sempre stata una ragazza ambiziosa, questo figlio tu non lo vuoi. Solamente non hai il coraggio di abortire, tutto qui”
“Vai via da casa mia” reagii, mentre aspettavo che i vicini venissero a suonare da un momento all’altro per lamentarsi di tutto il caos che stavamo producendo.
“E ripeto, con David chi ci parla?! Rispondi!” chiese
“Vattene!”
“Chi, eh?!”
“Tu ci parli!”
“Come sarebbe a dire? Sei tu quella che ha un problema. Tu lo chiami e gli dici tutto”
“Non esiste! Io con quel tizio non riesco a parlarci. Lo sai anche tu che gli ho a malapena detto ciao durante le registrazioni. La decisione è presa. Punto”
“E per curiosità di chi sarebbe figlio?” chiese, con disprezzo.
“Sono fatti miei” risposi
“Altroché se sono fatti miei! Mi deve un sacco di soldi! Dimmelo, Elena”
“Chi ti credi di essere?! Ma vai a quel paese, pallone gonfiato! Ti atteggi da grande manager e poi se non fosse stato per me questi della Swan Record non li avremmo mai incontrati! Se fosse per te suoneremmo ancora alla sagra della pizza!”
“Sei isterica, Elena. Ti senti come parli?! Ma vaffanculo, va!” urlò, sbattendo la porta.

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Capitolo 36
*** Family reunion ***


CAPITOLO 36
 
Ero distrutta, fisicamente e emotivamente, quando arrivò l’ora di andare a cena dai miei.
Mi presentai in tuta e con gli occhi ancora gonfi di pianto.
Non volevo che la notizia si diffondesse senza che fossi io a darla, anche se arrivata a sera sperai solamente che dopo avere affrontato tutti praticamente in un colpo solo mi restassero le forze per respirare e valutare le conseguenze di quello che era accaduto.
Dopo le ragazze della mia band ed il manager mancava la mia famiglia.
 
Dopo il dolce, che mangiai a fatica, ripetei anche a loro la frase-ritornello della giornata.
 
“Eh?!” mio padre sembrò sul punto di prendere un coccolone, divenne rosso in volto e per poco non gli andò di traverso l’ultimo boccone di torta.
“Sì, sarete nonni” dissi
Mia madre si alzo di scatto dalla sedia e venne ad abbracciarmi.
Era il primo abbraccio della giornata. Tutte le altre persone con le quali avevo parlato della mia gravidanza erano state fredde e mi avevano giudicata. Lei scoppiò in lacrime, stringendomi forte.
“Ti staremo vicini, lo sai. Avresti potuto dirmelo prima, ti ho fatto una bella lavata di capo in quest’ultimo periodo per la questione del lavoro”
“L’ho saputo da pochi giorni con certezza”
“E cosa pensi di fare? Col gruppo?” anche mio padre la metteva sul lato pratico.
“Ho chiesto di mettere il tour in pausa fino all’anno prossimo, poi vedremo cosa potrò fare”
“Sono molto deluso, Elena. Ma non c’è niente che si possa fare ormai. Ha ragione tua madre, ti staremo vicino. Questo è il minimo, visto che mi pare di capire che un padre non ci sia” la sua voce era rassegnata, ma allo stesso tempo doveva avere capito la realtà. Anche se ovviamente sospettavo che avrebbe volentieri preso per il collo sia me che il padre di suo nipote.
“No, non c’è” risposi a mio papà, che era stato perspicace.
Mia madre intervenne nel discorso “Resterai al lavoro finchè te la sentirai, poi come dipendente avrai diritto alla maternità. Dai, coraggio” mi asciugò le lacrime “Ce la faremo, vedrai. Assieme ce la faremo”.
 

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Capitolo 37
*** Speechless ***


CAPITOLO 37
 
“Le Domino Hearts annunciano l’arrivo della nuova cantante, Lucy Diamond. L’ex leader Elena lascia la band per problemi personali”.
 
La notizia mi investì come uno shock.
La mia band aveva trovato un’altra cantante per evitare di dovere annullare l’imminente tour. Chiamai tutte per chiedere delucidazioni ma riposero “Parla con Andrea, è stata una sua idea. Noi non volevamo rimpiazzarti, ci mancherebbe! Ci ha spiegato che ci avremmo rimesso troppi soldi, visto che la prevendita va restituita se i concerti sono annullati per cause riguardanti il gruppo così ci siamo trovate con le spalle al muro. Non possiamo permetterci di annullare tutto, e lo sai anche tu”.
Ero senza parole.
Il mio gruppo mi aveva scaricata e sia che la responsabilità fosse delle ragazze sia che si trattasse di un’idea del manager la notizia era la stessa.
Vivevo per la musica, la mia band era tutto per me.
Ora non l’avevo più, e oltre a questo mi trovai decine di messaggi di fan adirati per quella che sembrava una mia partenza ingiustificata.
Decisi di non rispondere a nessuno e cancellare i miei account sui social network.
Tagliare i ponti con i miei fan era l’ultima cosa che avrei voluto fare, ma in quel momento non mi andava di spiegare cosa volesse dire per me attraversare un periodo del genere.
Continuai il lavoro allo studio di tatuaggi finchè non mi fu possibile. I miei clienti guardavano in modo sospetto la mia pancia che cresceva, finchè non dovetti iniziare ad indossare abiti più comodi. Andando verso la primavera, iniziai a presentarmi al lavoro con ampie gonne dallo stipe hippy e canotte, dalle quali le mie forme cambiate sembravano quasi troppo prorompenti.
 
…A volte mi fermavo a guardare l’unica foto mia e di Dj che avevo sul cellulare, un autoscatto che avevamo fatto in pasticceria quella famosa mattina a Roma, prima che ripartissi…
 
…I pensieri si accavallavano nella mia mente, mentre i mesi passavano.

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Capitolo 38
*** Welcome, Emma! ***


CAPITOLO 38
 
Guardai mia figlia per la prima volta.
Da quel secondo capii che le avrei voluto bene per sempre.
 
“Ciao” le dissi, quando mi svegliai nella stanza dell’ospedale.
Mi guardava con curiosità, come stupita da quell’essere che doveva sembrarle così strano.
Dopo che mia madre me la mise in braccio restai immobile a guardarla.
Stinse forte il mio indice con la sua manina.
Era piccolissima, sembrava così indifesa.
Aveva pochi capelli biondi e due grandi occhi azzurro cielo.
“Benvenuta Emma!” le dissi, mentre l’infermiera entrava nella stanza.

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Capitolo 39
*** Hello girls! ***


CAPITOLO 39
 
“Dai tata, stasera andiamo a dormire dai nonni”. Presi mia figlia e la borsa con le sue cosine per portarla dai miei genitori. Dopo quasi un anno e mezzo di stop dai concerti avevo deciso di riprendere con i live, grazie ad un nuovo gruppo, dove suonavo solamente la chitarra. La separazione dalle Domino Hearts è stata veramente un brutto colpo, per non parlare dell’affrontare da sola la crescita di una figlia. Per fortuna che i miei mi sono stati vicino, specialmente mia madre, che mi ha permesso di rimanere nel suo studio come tatuatrice, anche se con meno ore di lavoro.
“Mamma ciao!” dissi, entrando nel soggiorno di casa loro. “Ciao alle mie ragazze!” rispose lei, prendendo in braccio la piccola Emma, che mi guardava con preoccupazione, come se sapesse che non sarei tornata a prenderla prima del pomeriggio successivo.
“A che ora suonate?” chiese mio papà, seduto al tavolo della cucina.
“Per le nove e mezza penso, apriamo un concerto di un tributo ai Van Halen”
“E non ti senti…come dire… sprecata in un gruppo così, che apre le serate dei gruppi tributo? Voglio dire, avete suonato in mezzo mondo…” notò, con una punta di sarcasmo.
“No, papà. Dico davvero” ribattei, senza esitare. Emma allungava le braccia verso di me, mentre i suoi occhi azzurro cielo mi scrutavano “No, per niente al mondo avrei rinunciato a questa meraviglia”.

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Capitolo 40
*** Anonymous call ***


CAPITOLO 40
 
“Chiamata anonima”
Presi il cellulare e risposi istintivamente, senza pensare, dopo avere posato Emma nel seggiolone al lato del tavolo da pranzo. Doveva essere qualcuno che voleva farmi gli ennesimi auguri per il compleanno.
“Pronto Elena? Sono io, Dj”
Un nodo mi si formò in gola. Erano quasi tre anni che non lo sentivo e nemmeno avevo desiderato farlo. Quella telefonata arrivò veramente inaspettata.
“Ciao” risposi io, a corto di idee sulle cose da dire.
“Buon compleanno” disse lui “Ho visto la data di oggi e ti ho pensata”
“Grazie” risposi, sbrigativa.
“Come te la passi? Tutto ok?”
“Ok sì, ho cambiato band dall’ultima volta che ci siamo visti. Le cose vanno bene. Tu?”
La conversazione era veramente sforzata.
“Bene, le cose vanno bene anche qui sai che ho appena finit”- la sua frase venne interrotta dalla vocina acuta di Emma, che chiedeva “Mamma torta! Voglio torta!” indicando la torta alla frutta che avevano portato i miei genitori quella mattina per festeggiare e che lei voleva iniziare a mangiare.
“Un attimo che sono al telefono” risposi, senza pensare alle conseguenze di quella frase.
Ero abituata a fare più cose contemporaneamente, compreso stare al cellulare e badare a mia figlia ma non avevo collegato quell’azione e quella risposta con la persona alla quale stavo effettivamente parlando.
Dj tossì innervosito.
“Scusa, ma chi è che parla?”.
Io restai il silenzio, accorgendomi improvvisamente di quello che era appena accaduto.
“Hai una figlia?” chiese, scandendo le parole con tono sorpreso.
“Sì” risposi, mentre nella mia mente si accavallavano pensieri, sovrapponendosi nonostante cercassi di trovare un filo logico a quello che avrei dovuto dire.
“E… perché…” la voce si era fatta rotta, probabilmente stava elaborando la situazione “quanti anni ha?”
“Due”
“Ed è…” – interruppi la sua domanda con un sacco “Sì”.
“Perché non me lo hai detto?” urlò lui, preso dalla rabbia.
Pensai che, alla fine dei conti, la sua era una reazione perfettamente comprensibile.
“Io non…” nemmeno a me le parole fluivano molto bene.
“Ma è mia figlia! Anche se ci siamo lasciati non avrei il diritto di”- si interruppe. Probabilmente stava piangendo “Come hai potuto decidere anche per me?”
“Quando ho scoperto di essere incinta non sapevo cosa fare… la band mi ha licenziata, ho dovuto fare i salti mortali col lavoro, e devo ancora-”
“Ascolta, ma ti rendi conto di quello che sta succedendo? Io ti chiamo per farti gli auguri per il compleanno e scopro che ho una figlia che non ho mai conosciuto. Cosa dovrei dirti? Che hai fatto bene a non dirmelo nemmeno!?”
“Senti, non è così facile…”
“Ah no, non lo è per niente! Come fai a pensare che io possa stare tranquillo?”
A quel punto per il nervosismo iniziai a piangere anch’io “Dj, ascoltami. Ti ho voluto bene, sinceramente. Ma una figlia è stata un bello shock, sul serio. Il gruppo, la mia carriera, tutto è andato in fumo quando è arrivata lei. Ma adesso è la mia vita, non potrei immaginare nulla di diverso. Non ti ho detto di Emma perché sapevo che avevi altre cose per la mente, altre donne, altri impegni, tutto dall’altra parte del mondo rispetto a dove siamo noi”
“Ma come ti sei permessa di non farmi nemmeno conoscere mia figlia? Qui sei tu che hai deciso per me, Elena. Ti sarei rimasto accanto, se solo lo avessi saputo. Sono uno stronzo, lo ammetto, ma non fino a questo punto”
“Tu non  puoi nemmeno immaginare cosa abbia voluto dire per me tutto quello che è successo da quando ci siamo incontrati. Non avrei mai pensato di essere così felice con qualcuno. Ma le cose cambiano, e nonostante tutti gli errori, si cresce Daren, davvero”.

 
 
 
 Piccola nota conclusiva: un ringraziamento sentito a tutte le lettrici che in questi mesi (otto mesi di fan fiction è veramente un record per me!) hanno letto e apprezzato il mio lavoro.

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