'Cause I love the way you lie...

di Flaqui
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trottola Mortale ***
Capitolo 2: *** Qualcosa da cambiare... ***
Capitolo 3: *** Questione d'orgoglio... ***
Capitolo 4: *** Io viaggio sola... ***
Capitolo 5: *** Dejavù ***



Capitolo 1
*** Trottola Mortale ***


Angolo Autrice.
So che probabilemte mi vorrete uccidere perchè non ho ancora aggiornato Ironic, ma ho dovuto riscrivere completamente il decimo capitolo (se vi dico che la mia personalità si sta sdoppiando peggio di quella di Justina allora, forse, inizierete a farvi una vaga idea!) Volevo soltanto ringraziare tutti quelli che mi hanno recensito e vi prometto che il prossimo chappy è quasi pronto. per ora godetevi questo primo capitolo di una storia che ha preso vita da sola, e cercate di indovinare chi saranno i personaggi....
Flaqui
P.S. Voglio ringraziare ThiaguellaItaly e Rossy97 a cui ho sottoposto il primo capitolo di questa storia, come penso abbiate notato ho fatto qualche piccolo cambiamento e ho introdotto un altro chappy prima di quello che vi ho fatto leggere.
BESITOOOOO


 PROLOGO

 
-Signorina, mi scusi, non può entrare con la borsa!- la bloccò un ragazzo con la maglietta del luna park, con tanto di cappellino, fischietto e tracollina coordinata, tutto targato Rosert Park.
La ragazza gli scaraventò la borsa in mano, con violenza.
Voleva solo salire su quella giostra.
Voleva avere un buon motivo per piangere, per traballare, per sentirsi male.
Impaziente si lasciò cadere al suo posto, e aspettò che la barra di sicurezza si abbassasse, stringendola contro il sedile.
Accanto a lei presero posto un gruppo di ragazzini.
Erano più piccoli di lei. Forse di qualche anno.
La ragazzina bionda con una mano stringeva un orsetto di peluche, rosa confetto, di quelli che si vincevano al chiosco e con l’altra la mano di uno dei suo amici.
Si sedettero e ridendo aspettarono che la barra si abbassasse anche su di loro.
-Deve essere forte questo gioco!-esclamò uno di loro.
-Si, ho sentito che dopo ti gira forte la testa!- commentò l’altro.
Piano, piano la giostra iniziò a salire, le luci lampeggianti che illuminavano la notte scura.
La ragazza guardò il cielo.
Non si era resa conto che fosse così tardi.
Nico l’avrebbe uccisa, al suo rientro.
Ma ora non le importava.
La giostra iniziò a girare, all’inizio un moto lento, tranquillizzante, poi mano a mano sempre più veloce, sempre più vorticoso.
Sentiva le urla dei suoi vicini senza sentirle davvero.
E mentre la “Trottola Mortale” raggiungeva velocità impressionanti, lei chiuse gli occhi e pianse.
Pianse perché nulla era come avrebbe dovuto essere.
Perché lei non era come avrebbe dovuto essere.
-La verità è che non ti importa niente di nessuno!-
-Tu non sai cosa è l’amore! Non lo sai!-
-Pensavo fossi diversa!-
-Come hai potuto farmi questo?-
-Tutto quello che dici è una bugia! Tu sei una bugia!-
-Non mi stupisco che nessuno ti ami!-
Le voci urlavano dentro di lei e il pensiero dei loro proprietari mentre le pronunciavano,la fece appoggiare alla testata del sedile.
Mentre la giostra faceva il suo ultimo, velocissimo, giro qualcosa invase il suo campo visivo.
Una macchia rosa.
L’orsetto della ragazza.
La giostra si fermò e iniziò a scendere.
Richiuse gli occhi.
Ma riusciva a sentire.
-Tu hai visto dove è volato?- stava dicendo una voce maschile.
-Uffa! Avevi impiegato ore per vincerlo! Mi dispiace!- esclamò quella che doveva essere la biondina.
-Non ti preoccupare, ne prenderemo un altro!- la rassicurò lui.
I due raggiunsero il gruppo, che intanto erano andati avanti, continuando a parlottare fino a che non furono abbastanza lontani e le loro voci si confusero con il chiacchiericcio della folla.
Era rimasta sola, ormai.
Ma non voleva scendere.
Non ci riusciva.
-Signorina, si sente bene?- chiese il ragazzo con il cappellino.
-Si, si, io… io volevo fare… un altro giro…- mormorò lei, poi estrasse dalla tasca un foglietto giallo –Ho un ultimo biglietto…-
Il ragazzo la guardò preoccupato.
Era abituato a queste scene, persone che si sentivano male, che piangevano o peggio vomitavano copiosamente, ma nessuno di loro aveva mai voluto fare un “secondo giro”.
Si chiamava “Trottola Mortale” anche per questo.
-Signorina, scusi se glielo ripeto, ma è sicura di stare bene?-
Lei, lo guardò, poi spazientita gli strappò la borsa nera che gli aveva consegnato in precedenza e se ne andò, un po’ barcollante.
Il ragazzo la guardò andare via, incerto sul seguirla o meno.
Poi si strinse nelle spalle e andò ad occuparsi del prossimo gruppo.
 
La ragazza scese barcollando, dalla piattaforma.
Si sentiva quasi ubriaca, l’equilibrio andava e veniva, le ginocchia tremavano convulsamente.
Ma dubitava fosse solo colpa della giostra.
No, non era solo per quello.
Mentre camminava verso l’uscita urtò contro qualcosa.
Era un peluche rosa.
Era l’orsetto rosa.
Rischiando di cadere a faccia a terra, si chinò e lo afferrò.
Lo fissò per un secondo.
Non era nulla di che.
Il pelo sintetico, soffice al tatto era un po’ sbiadito e l’occhio destro aveva perso un po’ di vernice, ma per essere stato appena scaraventato giù dalla “Trottola Mortale” era davvero in ottime condizioni.
Quasi migliori delle sue.
Incurante del fatto che fosse caduto per terra, e soprattutto che fosse di qualcun altro, se lo portò al petto e lo strinse forte.
Era bello.
Sentire che in quell’orsetto c’era stato amore.
Che quel ragazzo aveva impiegato ore per vincerlo.
Solo per la sua amata.
Non le importava che tutto quell’amore non fosse per lei.
Le andava bene comunque.
 
Il parcheggio del parco era a pochi metri di distanza.
Ma si sentiva ancora strana.
I suoi occhi non vedevano, appannati, come se davanti a lei ci fosse un enorme velo.
Anzi come se quell’enorme velo l’avesse avvolta, impedendole di respirare, schiacciandole forte il petto, premendole forte sul cuore, se mai ne avesse avuto uno.
Aprì la bottiglietta dell’acqua e se ne versò un po’ sui polpastrelli, poi se li passò sulle palpebre, come se potesse in qualche modo aiutarla a calmarsi.
A togliere il velo.
Ma era ancora lì, inossidabile, ancora più spesso e impenetrabile di prima.
Si portò la mano al petto, premendo per farlo abbassare.
Ora finalmente sapeva cosa significasse “mancare il respiro”.
 
La gente si accalcò rapidamente.
Un ragazzo le si avvicinò, cercando di parlarle.
-Ehi, ehi? Mi senti?-
Ma non ci fu nessuna risposta.
Una signora fece rapidamente il numero dell’ambulanza, annunciando spaventata che lì al Rosert Park, una ragazza era svenuta nel parcheggio, stringendo in mano un orsetto di peluche rosa.

 
 
 

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Capitolo 2
*** Qualcosa da cambiare... ***


CAPITOLO 1
Qualcosa da cambiare…


“Al collegio Mandalay è scesa la notte.
I ragazzi e le ragazze della ex Casa Magica dormono.
Solo una luce è ancora accesa.
La donna sorride, appagata.
Ha tutto quello che avrebbe mai potuto sognare.
Suo marito accanto a lei, le sorride e poggia la testa sulla sua spalla.
Sbadiglia. È tardi, ormai.
Hanno deciso di rimanere alzati fino a tardi, come quando erano piccoli, e di vedere un bel film, spaparanzati sul divano.
Camillo spalanca gli occhi a forza.
-Amore vai a dormire. Sei stanco- mormora  Paz nel suo orecchio.
Camillo annuisce, soffoca un altro sbadiglio e dà un bacio a sua moglie.
-Ti amo- le dice prima di entrare nella camera de letto.
-Ti amo anche io- risponde lei, sorridendogli.
Camillo va a dormire. Si addormenta subito con il sorriso sulle labbra.
Paz rimane ancora un po’ sveglia.
Non ha sonno.
Prende a giocherellare con la sua collanina d’argento, un regalo di Hope.
Un rumore di passi.
Impercettibile.
Lei non lo sente.
E non sente neanche dolore quando l’ombra la colpisce con l’arma.
La donna cade a terra, addormentata.
Lui si china su di lei, lentamente e le sfila la chiave dal collo.
Poi la infila nel piccolo scrigno dorato, che si apre con uno scricchiolio.
Le bustine da tè sono ancora lì.
Ma ne sono rimaste solo due.
E questo vuol dire che deve riuscirci al primo tentativo.
Afferra una bustina e la stringe forte fra le mani.
Ed esprime il suo desiderio.
Di tornare indietro nel tempo.
Di tornare a quel giorno, 22 anni prima, in cui commise il primo dei suoi, tanti, imperdonabili errori.
Ma ora intende porvi rimedio.
La bustina compie il suo incantesimo.
E ora lui è lì.
Davanti al cancello della Casa Magica, mentre fissa una Malvina ventidue anni più giovane che butta la spazzatura.
Il suo desiderio è stato esaudito.
Ora però tocca a lui.
Tocca a lui fare in modo che tutto proceda per il meglio.
Tocca a lui evitare di compiere li stessi errori.”
 
Un rumore improvviso fece girare la donna.
Si guardò intorno circo sospetta.
La voce di un uomo si sentì chiara nell’oscurità.
-Buonasera Franka-
-Juan Cruz, signore…- mormorò la donna, allungando il collo e cercando di distinguere la figura del suo capo. Niente, riusciva a vedere solo un ombra indistinta –Posso fare qualcosa per lei?-
-Si, in effetti si. Devi aiutarmi a cambiare tutto-
-Temo di non capire-
-Non pretendo che tu capisca. Voglio che tu ti limiti a eseguire i miei ordini. La prima cosa che dobbiamo sapere è questa. Cielo Magico apparirà di nuovo qui, sulla Terra, dopodomani, precisamente sul campo di atterraggio paracadutisti. Dobbiamo trovarla prima che lo faccia Salvador. Annulla l’operazione scambio. Justina deve rimanere in carcere.-
-Signore, ma io non capisco. Perché dovremmo annullare l’operazione di scambio? Lei stesso due settimane fa ha ordinato…-
L’uomo la interruppe.
-No, io ho dato questi ordini ben ventidue anni fa. È tempo di cambiare-
Franka corrugò la fronte.
È possibile che il suo capo avesse bevuto?
O era semplicemente uscito di testa?
-Tu fai quello che ti ho detto. Bisogna iniziare a lavorare ora se si vuole cambiare il futuro-
-Bhe, in questo caso manderò Luca nella Casa come infiltrato e dopo…-
-No- l’ombra scosse la testa- Se tieni alla buona riuscita della missione devi fare in modo che Luca non metta mai piede in quel posto. Sarebbe la sua rovina. E lo stesso vale per Justina-
-Ma io…-
-Si limiti ad eseguire gli ordini, Franka. E soprattutto se non vuole che la storia finisca male eviti di affezionarsi troppo a Luca-
Franka fece per protestare ma Juan Cruz la zittì con un gesto imperioso della mano. –Ora vai. Lasciami solo-
Quando la donna fu uscita l’uomo fece un passo in avanti e si sedette sulla sedia, spense la lampada il cui fascio di luce gli illuminava appena la mano.
Quello che stava facendo era la cosa giusta.
Era l’unico modo per evitare quello che sarebbe successo.
 
“Ventidue anni nel futuro, al collegio Mandalay, intanto, tutto era cambiato senza che nessuno se ne accorgesse davvero.
Hope assetata cammina a passo strascicato verso il frigorifero.
Poi sente qualcosa sotto la scarpa.
È una chiave d’argento.
La sua chiave d’argento.
Chissà che ci fa lì?
La raccoglie pensierosa e la mette in tasca.
Poi tranquillamente si versa da bere.
Camillo si sveglia spaventato.
È completamente bagnato dal sudore.
Ha fatto un sogno assurdo.
Una donna bionda, dal sorriso celestiale e occhi bellissimi è seduta accanto a lui sul divano, stanno guardando un film.
All’improvviso succede qualcosa, la donna inizia a scomparire, lentamente.
Fino a che non ne rimane più traccia
-Camillo!- urla, prima che un ombra la ingoii.”
 
E solo ora mi accorgo che cambiando un solo pensiero, una sola azione, le conseguenze sono le più disastrose.

Angolo Autrice.

So, che vi ho fatto aspettare molto, e che questo capitolo non è dei migliori.
Anzi per la verità avevo pensato di toglierlo e di metterlo alla fine ma poi ho cambiato idea e ho deciso di tenerlo...
Ringrazio tutti quelli che mi hanno recensito...
Non so cosa farei senza di voi <3
Flaqui
 
 

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Capitolo 3
*** Questione d'orgoglio... ***


Capitolo 2
Questione di orgoglio
 

 


 

La ragazza si muoveva con gesti lenti e sinuosi.
Le labbra socchiuse.
Si lasciava trasportare dalla musica.
Il suo era un pubblico ristretto.
Tre marinai, che godendosi il loro giorno di libera uscita, ne approfittavano per farsi un giro in città e tener alto la loro fama di irresistibili rubacuori, fissavano la ballerina con tanto di occhi e ogni tanto facevano qualche commento a bassa voce.
C’erano anche due coppiette.
Le fidanzate tenevano stretti i loro uomini, stringendoli sotto il braccio, impaurite dalla bellezza di quella che poteva essere un rivale occasionale, non ostante la giovane età.
La ragazza poteva avere massimo diciotto anni, forse anche di meno.
Aveva lunghi capelli dorati, raccolti in un fazzoletto colorato.
Il top, che le lasciava scoperta uno spicchio di pelle, bianca, quasi di porcellana, si alzò di un altro centimetro mentre lei si esibiva in un piroetta.
Ma la cosa che più colpiva li spettatori erano gli occhi.
Erano di un verde mai visto prima.
Trasmettevano gioia, paura, tristezza, orgoglio, rimorso, spavalderia.
Senza che davvero se ne rendessero conto tutti ne erano rimasti affascinati, seguendola con lo sguardo.
Alla fine la musica cessò.
La ragazza si inchinò, prendendo la lunga gonna fra le mani.
Ci fu una piccola serie di applausi.
Soprattutto da parte dei marinai.
La ragazza sorrise, facendo dondolare i suoi orecchini a cerchio.
Raccolse da terra un cappellaccio verde e lo porse al gentile pubblico.
Le donne istintivamente si allontanarono ignorando gli sguardi interessati che i mariti/fidanzati rivolgevano alla bionda.
La ragazza si volse allora verso i marinai che un po’ borbottando, un po’ perdendo tempo, si allontanarono.
La ballerina si lasciò cadere accigliata sul marciapiede.
E se avesse fatto la scelta sbagliata?
E se avesse sbagliato ad andarsene dalla fondazione?
Dopotutto lì si stava bene.
-No- rispose a se stessa –Io non tornerò più lì. Ne va del mio orgoglio. Non posso più sopportarlo-
Una moneta cadde nel berretto accanto a lei.
La ragazza alzò lo sguardo verso il suo benefattore.
Era un ragazzo.
Aveva capelli neri, e occhi marroni.
Era alto, con le spalle grandi e un sorriso rassicurante.
-Grazie- sospirò lei.
-Brutta giornata?- chiese lui.
La ragazza annuì e tornò a giocare con le pieghe della gonna.
-Bhe, siamo in due allora…-
Lo sconosciuto si sedette per terra accanto a lei.
-Sei brava, sai? Ti ho visto prima-
Lei sorrise.
-Grazie. Sai io sono gitana. Ballare è la cosa che so fare meglio-
-Non penso che sia così. Bella come sei è impossibile che tu non sappia fare altro. Senti ti va qualcosa da bere? Potremmo prenderci una cioccolata…-
La ragazza si mordicchiò il labbro.
Doveva accettare?
Dopotutto era uno sconosciuto.
Poteva avere cattive intenzioni?
Forse le avrebbe fatto del male.
Poi scosse la testa.
-Allora? Vieni?- lui si era già alzato e le porgeva la mano.
Alla fine lei l’afferrò.
Era passato tanto tempo da quando aveva bevuto una cioccolata.
Era passato tanto tempo da quando aveva bevuto una cioccolata con qualcuno.
Era passato tanto tempo da quando era stata con qualcuno.
Con un amico.
Lui l’aiutò ad alzarsi.
Il bar era lì vicino.
-Come ti chiami?-
La ragazza sorrise.
-Jasmine. Io sono Jasmine-

 

Angolo autrice.
Ciao a tutti...
Questo devo ammetrlo non è uno dei miei capitoli migliori, ma Jasmine è un personaggio davvero molto difficile da interpretare per me... quindi vi chiedo di essere clementi...
Lo so, lo so questo è un capitolo molto breve ma i prossimi capitoli saranno tutti così, mostrando le situazioni che vivono i vari personaggi, poi tornerò al mio solito stile...
Ringrazio TUTTI!
Besito Fra

 

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Capitolo 4
*** Io viaggio sola... ***


  
CAPITOLO 3
Io viaggio sola
 


 
Di tre cose Valeria Gutierres era assolutamente certa.
Nessuno sarebbe mai riuscita a vincerla.
Nessuno le avrebbe mai fatto cambiare idea.
Nessuno poteva sconvolgerla enormemente.
Nemmeno quel pallone gonfiato che le parlava con voce estremamente spaventata, giocherellando nervoso con la sua cartellina rosso acceso, gli occhi che scivolavano dal suo piano lavoro, alla finestra, poi di nuovo alla scrivania, senza mai incontrare gli occhi della ragazza, seduta scompostamente sulla seggiolina davanti a lui.
-Bene, allora, signorina Gutierres, sono spiacente di informarla che, alla luce del suo disonorevole comportamento…- Mr Weserm era il direttore della sua scuola, dove i suoi nuovi genitori, l’avevano spedita il mese prima.
Non era la prima volta che la adottavano.
Era un “caso difficile”, una ragazza da riformatorio, di quelle che sono destinate a vivere per strada, magari rubando e commettendo atti di vandalismo contro povere vecchie signore dei quartieri alti.
E lo era stata, dopo la morte dei suoi veri genitori, almeno fino a che quelli dei servizi sociali non l’avevano sbattuta in orfanotrofio.
Il suo faccino angelico e il suo comportamento ribelle, le avevano dato da una parte una subitanea adozione, dall’altra una sempre velocissima, visita al riformatorio e infine di nuovo in orfanotrofio.
E la storia si era ripetuta così tante volte che ormai le sue innumerevoli “nuove case” e “nuove famiglie” erano diventate solo un numero, un insignificante presenza. Alcune volte la sua permanenza presso i nuovi genitori durava qualche mese, altre volte era durata solo poche settimane.
Non le dispiaceva comunque, era come vivere in un albergo, con cibo, bevande, un letto comodo dove dormire, un bagno dove lavarsi, magari qualcuno con cui fare due chiacchiere. Le persone che aveva intorno erano solo membri del personale, o al massimo altri clienti, ma mai dei compagni di viaggio. Lei viaggiava da sola.
La sua ultima famiglia era una giovane coppia di sposini. Lei i lunghi capelli rossi, alta e magrissima, con quegli occhiali da diva, neri, che a suo parere facevano diventare ogni donna, anche la più bella, simile ad una mosca. Lui uno di quegli sportivi instancabili, che scalano anche una montagna in un oretta, e poi sono capacissimi di farsi una bella e faticosa partita di rugby.
Ovviamente la coppia perfetta in tutto non era stata molto contenta dell’arrivo di una quindicenne dai capelli biondo cenere che si rifiutava di indossare vestiti alla moda e di iscriversi in palestra, ben lontana dalla dolce e gentile ragazzina dagli occhi color cielo che era stata loro descritta al momento dell’adozione.
Valeria li aveva odiati. Li aveva odiati con tutto il cuore. Loro, pieni di soldi, con i loro stupidi amici, anche loro ricchissimi, le loro arie di prime donne e grandi signori, le davano i brividi.
Così come quella scuola, con l’uniforme che la rendeva uguale a tutti gli altri, e stupidi professori che la guardavano sospettosi come se fosse pronta ad esplodere da un momento all’altro.
-Signorina Gutierres, mi ha capito?- chiese il preside, richiamando la sua attenzione.
Lei lo guardò torva e sorrise compiaciuta dentro di sé quando notò l’uomo rabbrividire sotto il suo sguardo. Era davvero una bella sensazione che il preside avesse paura di lei. Era divertente.
-Si, si, però potrebbe farmi un breve riassunto di quello di cui ha blaterato per un ora?- chiese irriverente, scostandosi i capelli dalla fronte.
-Ecco, dico alla luce della suo comportamento inadeguato e scorretto, io mi sento in dovere di assegnarle una nota di demer…-
-Aspetti, aspetti lei mi ha fatto saltare l’intera pausa pranzo solo per dirmi che mi mette una nota?-urlò la ragazza, alzandosi in piedi, irritata al massimo.
-Signorina Gutierres un po’ di contegno!-
-Sa dove deve metterselo il suo contegno?- esclamò la biondina afferrando la tracolla dal pavimento e uscendo sbattendo con forza la porta della direzione.
Attraversò furente il corridoi, spintonando con forza i suoi amatissimi compagni di scuola, fino a raggiungere la porta che dava all’esterno.
-Gutierres un altro passo e lei è espulsa!-
La voce del preside risuonò alta nel corridoio ghermito di gente, interrompendo una decina di conversazioni fra studenti,  lo schiamazzare delle ragazze pompon e un pomiciamento fra una di quelle ochette che la guardavano male quando passava e il suo povero anche se attraente ragazzo.
La ragazza si bloccò, la mano sulla maniglia della porta. Serrò quella che non stringeva la sua unica via d’uscita in un pugno.
Poi si staccò dalla porta con un profondo respiro, senza però girarsi.
-Bene Gutierres, ora che abbiamo ristabilito l’autorità e ha capito di essere una studentessa come tutt..-
-Come tutti gli altri?-
L’urlo di Valeria fu così alto da far sussultare il preside, che si portò una mano alla fronte, calva non ostante le innumerevoli nozioni per stimolare la crescita dei capelli.
-Io non sono come loro. Posso anche vestirmi come loro, e frequentare questa stupida scuola, ma io non sono, né voglio essere come voi!-
Poi con uno scatto d’ira inaudito, si lanciò contro la porta, spalancandola e uscendo nel sole del primo pomeriggio sotto lo sguardo divertito, canzonatorio e al tempo stesso spaventato di suoi compagni.
-Gutierres lei è espulsa!- urlò l’ometto, uscendo dal portone e agitando la sua cartellina rossa.
-Vada a farsi fottere!-
Il silenzio plumbeo che si venne a creare venne interrotto da una risatina, proveniente dal fondo della stanza, che piano, piano si espanse all’intero corpo studentesco.
Anche Valeria scoppiò a ridere, ignorando bellamente gli sguardi di tutti puntati sulla sua schiena. Non si guardò indietro mentre scendeva i gradini due alla volta.
Quello era un posto come un altro.
La sua vita, la sua vera vita, iniziava lì.
Fuori da quei portoni.
Per strada.
Era quella la sua casa.
Era quella la sua famiglia.
Era quella la sua vita.
E correndo andò incontro al suo destino.

***


Una macchia bionda che si gettava sulla strada.
Uno stridore prolungato di ruote sull’asfalto.
L’urlo della ragazza e il suono di una frenata improvvisa.


Angolo dell'autrice

Allora, molte di voi vorebbero picchiarmi per la mia lunga, lunga assenza ma come dice la pubblicità "Sono appena tornata". Ebbene si due settimane a Londra, fra grattaceli giganti e modelli di Abercrombie..
Comunque ora mi darò molto da fare e mi impegnerò a recensire tutte le storie che avete già aggiornato (Diavolo che rapidità!) quindi non preoccupatevi se non ho ancora commentato...

Grazie a tutti quelli che mi recensiscono/leggono/etc...
Grazie Grazie Grazie
Un enorme grazie a lalikky Marciu96 Alexiel94 che hanno recensito la mia nuova storia...
Vi adorooooo
Fra
P.S. intendo denunciare pubblicamente la scomparsa di ThiaguellaItaly e di Rossy97 scomparse da circa un mese, se avete loro notizie condividetele con me...

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Capitolo 5
*** Dejavù ***


 Dejavù

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Jasmine sorrise, evidentemente alla ricerca di qualcosa da dire. Il ragazzo sogghignò.
Anche lui sarebbe stato incerto a quel punto? Insomma cosa si dice ad un ragazzo che non hai mai visto prima e che all’improvviso ti offre una cioccolata?
Jasmine era bella. Quel genere di bellezza semplice, naturale. Capelli dorati, occhi verdi, fisico slanciato. Era simpatica, fra l’altro, aveva un modo strano di ridere, contraeva il busto e si accasciava, sopraffatta.
A Luca piaceva il suo modo di ridere.
Franka gli aveva dato molte missioni, da quando lavorava per l’organizzazione. Ma quando il giorno precedente gli aveva detto –Devi far innamorare una ragazza- lui stava per scoppiarle a ridere in faccia.
Jasmine si portò una mano ai capelli e se li sistemò dietro l’orecchio, mentre continuava a fissarlo imbarazzata. Luca decise che era finalmente arrivato di porre fine a quella situazione.
-Bhe, mi sono divertito, Jasmine-
-Anche io- la sua occhiata colma di gratitudine lo fece rilassare involontariamente –Grazie per la cioccolata e per tutto-
-Grazie a te per aver accettato- Luca sorrise. Charlie glielo diceva sempre. Continua a sorridere, fai in modo che si sentano al loro agio. E con Jasmine era stranamente facile, come se l’avesse già fatto. Come se tutto questo fosse già successo e stesse vivendo un dejavù.
-Bhe allora ci vediamo in giro- esclamò mentre lanciava un occhiata furtiva all’orologio che aveva al polso. Le tre e mezza. Bene aveva ancora un ora prima dell’incontro con Franka.
-Certo, io sono sempre qui-
Jasmine si fermò, incerta. Poi con una mossa fulminea si avvicinò e gli lasciò un bacio sulla guancia.
Luca continuò a sorridere anche dopo che la sua figura scomparve dietro l’angolo.
In effetti, sarebbe stato un vero piacere farla innamorare.
 
Quel pomeriggio, subito dopo l’incontro con Jasmine, Luca era seduto su una panchina del parco e giocherellava con l’obbiettivo della sua macchina fotografica.
Con il primo stipendio del suo lavoro alla CC, quell’anno, aveva comparato una Nikon, una 1000 mm, pesante. Doveva sostenerla con due mani e spingermi con la schiena all’indietro per sostenerne il peso. Non era spiacevole da tenere tra le mani: come un piccolo cannone brunito, con i riflessi bluastri sulla superficie convessa della lente.
Il commesso che gliel’aveva venduta diceva che gli sembrava assurdo usarla per fotografare la gente, che andava bene per riprendere i leoni nella savana o i crateri della luna. Ma a Luca bastava appena, che anche così con quella 1000 mm doveva avvicinarsi troppo.
Gli piaceva fare diversi scatti ad uno stesso soggetto, in modo da poter studiare il modo in cui interagiva con il suo corpo, il suo modo di muoversi e l’evolversi dell’azione in se.
Si portò la macchina davanti agli occhi e fissando da dietro l’obbiettivo quello che aveva intorno prese a cercare un buon soggetto per i suoi scatti.
Alla sua destra una coppia di anziani camminava a braccetto, sorridendo. Più in là due bambini giocavano a calcetto con una palla di gomma ormai sgonfia. Lasciò lo sguardo correre fino a che non incontrò le figure di due ragazze che camminavano velocemente.
Probabilmente stavano tornando a scuola dopo la pausa pranzo perché indossavano entrambe la divisa. Era una sorta di gilet a quadri che portavano una con dei jeans stretti e l’altra con la gonna.
La prima era alta, molto alta, i lunghi capelli biondo scuro lasciati sciolti sulle spalle. Era quel genere di bellezza statuaria, di quelle che ti aspetti di vedere sulle riviste di moda o sui cataloghi di costumi da bagno. Ciarlava allegramente gesticolando con il braccio in direzione dell’amica.
Luca azionò lo zoom concentrandosi sul profilo della seconda ragazza, seminascosta dietro l’amica.
Aveva i capelli scuri. Era più bassa dell’amica ed era magrissima. Non era bella come Jasmine o come la bionda mozzafiato che le camminava accanto. Ma aveva un qualcosa che gli faceva bloccare la circolazione.
Annuiva, assorta in pensieri che Luca non riusciva a decifrare. Con dolcezza si portò la mano ai capelli e li raccolse in una coda alta e scompigliata.
Aveva gli occhi color cioccolato.
Quella brunetta gli era dannatamente familiare. E guardandola attentamente, senza più il vetro dell’obbiettivo a dividerli, se ne rese conto. Era come se da qualche parte l’avesse già vista, le avesse parlato.
Forse in un’altra vita.
Luca non credeva nel soprannaturale, nel destino o in altre sciocchezze di quel genere. Anzi, si considerava un persona ragionevole e razionale. Ma a volte, come in quel momento, lo prendeva un insensata voglia di correre ad abbracciare una persona che non aveva mai visto prima.
Era successo con Jasmine, quella mattina, e anche con quel buffo ragazzo che lavorava da Jerry, e ora con quella ragazza.
E ciò che lo sorprendeva era che questa volta la sensazione era molto più forte delle altre.
Lui conosceva quella ragazza?
Luca scosse la testa, abbassando la macchina.
Era tardi ormai, avrebbe già dovuto essere da Franka, e invece era ancora lì, bloccato come un idiota in riammirazione di una ragazza che neanche conosceva ma che li era dannatamente familiare.
Si alzò e raccolse la Nikon che aveva poggiato sulla panchina in legno. Velocemente, se la portò davanti al viso e scattò la foto alla ragazza bruna.
Poi, corse alla centrale.

 

Capitolo decisamente troppo breve per giustificare una così lunga assenza ma davvero fra compiti e il resto non so più come gestirmi.. mi scuso per non essere stata molto presente ultimamente ma come direbbe Tic-Tac il tempo non esiste e se anche esistesse io non ce l'avrei...
Ringraziamento speciale a chi ha recensito l'ultimo capitolo..
Fra
p.s. scusatemi ancora ma sono davvero di fretta

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