That
That's how LOVE
stories ends.
Clio
Caro
Samu,
Si
lo so che odi essere chiamato così. Non so invece perché mi trovo a scrivere
una lettera iniziandola con “Caro …”, ad una persona con cui ho intrapreso
strade che hanno fatto si che alla fine “Io” e “Tu” si confondessero.
Samu,
non farò giri di parole, sai che non mi piacciono come non piacciono a te,
anche se poi tutte le volte, puntualmente li fai. Forse scriverò duecento
pagine, (questa è la volta buona che supero le maledette tre facciate dei
temi!!) ma ti dirò tutte cose indiscutibilmente vere e senza mezzi termini.
Prima
di tutto, odiavo quando mettevi il broncio. Ti giuro, lo odiavo. Odiavo quando
volevi fare a tutti i costi il simpatico, odiavo quando facevi il permaloso e
quando facevi il bambino viziato, odiavo tremendamente la tua insistenza
infantile. Trovavo insopportabile il fatto che dovessi sempre e per forza
mettere tutte le carte in tavola, spiegare tutto, dire tutto, ripetere tutto…
E
quando non ti si poteva togliere dalle mani quel maledetto telecomando? Quando
mi staccavi il telefono perché non riuscivi a sentire il film, senza nemmeno
avvisarmi prima? Lo sai che la mia amica Clarissa ti odiava perché facevi
sempre puntualmente così?
Quando
ti mettevi davanti alla porta e mi dicevi serio “No oggi a scuola non ci vai,
stai qui con me.” Quando ti impuntavi per avere cose che sapevi perfettamente
che non era nelle mie possibilità farti avere. Quando mi spingevi a fare sbagli
che sapevi avrei pagato, solo perché si trattava di stare con te e tu mi volevi
lì.
Come
quando mi convincesti a scappare di casa, saltando giù da quella finestra, in
quella calda notte, andare a piedi fino al lago, con quelle Fajitas straboccanti
di salse strane e verdi e peperoni che tu buttasti dopo un cagno. “Cinque euro
buttati al vento solo per essermi fidato di te. Ricordami di non farlo mai più”
commentasti con quel disgusto dipinto sulle labbra perché ancora avevi quel
sapore in bocca, che tra l’ altro a me sembrava ottimo. Quanto eri schizzinoso
e selettivo quando si trattava di gastronomia…
Fu la prima volta che facemmo l’amore.
Oddio…
poi ti detestavo quando facevi il pazzo in mezzo alla strada, con la tua
noncuranza del mondo esterno, ti mettevi a cantare a squarciagola, o a imitare
qualche strano animale, o ad urlare per qualche indefinito motivo… eri un
pazzo. Ogni volta avrei voluto tapparti la bocca con le mani o con un bacio, il
più delle volte l’ ho anche fatto.
E
poi, mi prendevi in giro. Ti avrei ammazzato in quelle giornate in cui ogni cosa
era un pretesto per ridere di me. Lo so, lo facevi con amore, ma quando
cominciavi… prima era la maglietta, poi le scarpe, poi gli orecchini e poi
l’ espressione, le parole, anche il modo di arrabbiarmi con te. Eri irritante
ogni altro modo. Ma così dolce e sexy, a volte…
Come
eri insensato poi, fissato con quell’oroscopo e quelle cose mistiche
assolutamente idiote, sembravi una donna certe volte…
Ah,
e poi quando partivi con i discorsi morali? Oddio ti avrei soffocato con il
cuscino o con il mio seno, morso le labbra fino a farti stare zitto. Neanche
fossi l’uomo perfetto, ti arrampicavi in quei discorsi intrisi di banalità e
luoghi comuni che poi, se li avessero fatti a te avresti mandato tutti a
fanculo.
E
poi quell’ indecisione così insita in te, che ti permettevi anche di odiare
la gente indecisa, come quella che faceva discussioni per cose come chi paga il
conto.
E
quella tua natura riflessiva, meditabondo per natura. Spesso ti osservavo mentre
guardavi fuori dalla finestra con le dita che giocavano con le labbra o che
accarezzavano le basette o i capelli. Eri così bello che non ci potevo credere,
perché ridevi senza motivo, da solo, mentre stavi lì a pensare e dai tuoi
occhi passavano milioni di emozioni, quasi stessi vistando tutto il mondo e
facendo le cose più belle possibili solo seduto lì, dietro a tuo banco
riempito solo da un foglio ed una matita.
Samu
a ripensarci, se non per il sesso, per i baci, per le carezze, gli abbracci e i
massaggi, quelle tue mani dorate, non c’ era proprio niente che non detestassi
di te.
Però
mi manchi.
Ora
cammino per strada e so che nessuno si metterà a cantare o a strillare. So che
nessuno mi prenderà tra le braccia ridendo, in mezzo alla piazza di Domenica,
urlando come un pazzo “Questa è la mia ragazza, è la mia ragazza!”.
Ora
so che la mia vita è in equilibrio, che nessuno mi chiamerà o mi suonerà al
citofono inaspettatamente per chiedermi di andare con lui a Roma per tre giorni.
Non
c’ è nessuno che mi sconvolgerà o spingerà a fare cose pazze, nessuno che
alle 5 di notte mi busserà alla finestra ubriaco con una rosa in mano stile
venditore da pub del sabato sera, dicendomi “Io voglio che mi sposi, lo giuro
davvero… e se no… se non ti va bene… ecco, allora io ti sposerò senza
dirtelo. Non c’è niente che mi possa fermare…”
So
che nessuno sarà mai più capace di farmi svegliare ogni mattina, anche dopo i
litigi e gli urli e le lacrime, con solo la voglia di prendere il telefono e
chiamarlo. Oppure, quelle splendide mattine in cui tu eri di fianco a me, di
guardarti dormire ed accarezzarti i capelli, poi svegliarti e saltarti addosso,
pizzicarti, farti il solletico, sentire le tue mani sulla mia schiena, morderti
l’orecchio, sussurrarti parole dolci a volte passionali o perfino volgari…
tutto sembrava bello, puro, semplice.
Ma
io amavo di te tutte le cose che ho sempre detto di odiare ed ora me ne accorgo.
Non
so con esattezza cosa ci ha cambiato.
Non
so perché l’ amore finisce, o perchè tutte le cose cambiano e passano.
Non
so perché ora siamo lontani, perché tutte le cose che amavamo l’ uno dell’
altra sono svanite.
Oggi
quando ti ho rivisto, seppur a distanza di quasi un anno, il mio cuore si è
riempito di quella dolce malinconia che sono sicura anche tu hai sentito. Ti
guardavo e pensavo a quante cose di te sapevo solamente io e quante cose tu sai
di me, solo tu.
Quando
quei tuoi occhi azzurri hanno guardato i miei mi sono sentita dopo così tanto,
così nuda. Mi ha fatto un po’ paura, quando ho pensato a quante volte le mie
unghie erano affondate nelle tue spalle, quelle spalle che ora avevo davanti,
che potevo sfiorare. Pensare che tu avresti potuto descrivere esattamente ogni
mia cicatrice, quella sotto la pianta del piede, quella dietro l’orecchio…
Ricordare quando mi coprivi con le mani gli occhi e mi baciavi.
E
ti ho visto che mi guardavi le labbra come quando mi volevi tutta per te,
baciare e stringere forte.
Ti
ho visto che mi prendevi in giro un po’ a fatica, che mi guardavi serio serio
quando me ne andavo, come quando in passato mi volevi far capire che ti stavo
ferendo mortalmente.
Ti
ho visto guardare il mio sorriso sempre incerto mentre io guardavo il cielo per
far sì che le lacrime mi ritornassero giù da dove sentivo stavano venendo.
Ero
felice Samu. Ma proprio mortalmente triste.
So
che questa lettera non te l’aspetti, perché non è da me, non l’avrei mai
fatto. Non la Clio che conoscevi.
Ma
ti stupirò, te ne ho scritte molte di lettere. Non te ne ho mai data nemmeno
una perché io non sono come te, non ho mai avuto il coraggio di aprirmi così
completamente come hai fatto tu. Ma sai, non ti stupirò affatto invece, perché
non ti darò nemmeno questa di lettera.
E
allora ci posso scrivere quello che voglio… SEI UNO STUPIDO! Perché non mi
hai sposato eh? L’avevi giurato, bugiardo! bugiardo…
Sai,
sono arrivata alle tre facciate. Non le supererò però perché ora non mi
rimane che dire una cosa, la più scema che avrei potuto dire cento righe fa e
avrei risparmiato a tutti questo strazio di lettera… ma tutto sommato chi se
ne frega come è scritta. Sono scema sai, avevi ragione… me lo dicevi sempre
che sono una scema.
“Clio
sei una scema!”
“Clio
sei strana…”
“Clio
chi ti capisce è bravo…”
“Clio
ma che cazzo stai dicendo? Eh? Sei una stupida…”
“Clio,
scema, ti amo.”
Oh,
sì, questa me la ricordo proprio bene… la tua dichiarazione d’ amore. Solo
uno stupido come te poteva fare una dichiarazione così…Solo un cretino come
te poteva buttarmi e buttarsi nella neve alta tre metri per darmi il primo
bacio. Solo uno come te poteva regalarmi un “buono per cento baci con furore
da Samuele.” per natale. Solo un cretino come te poteva essere il mio unico più
grande amore.
Allora…
Samu,
scemo, ti amo.
Tua
moglie per sempre,
Clio.
*****************
Samuele
Era
una mattina, all’alba.
Te ne stavi
appoggiata ad un albero che poteva essere una quercia, o un abete. Il golfino di
lana che scendeva lungo i fianchi, l’auricolare nell’orecchio. Battevi il
tempo di una qualche musica con il piede, guardando qualcosa che solo tu vedevi,
proprio sul ciglio della strada, a pochi centimetri dai miei scarponi rovinati
dal tempo.
Giocavo
con il vuoto della strada, battendo la mano sui miei jeans, guardando il rosso
dell’ alba che si dipingeva dietro di te.
C’era
qualcosa nei miei ricordi che, chissà perché, mi lasciava pensare che non
avrei mai potuto muovermi da lì. Quando ti innamori, ogni volta, è sempre così?
Ogni piastrella diventa un ricordo, l’amore ti mangia via ogni parte di libertà,
cancella l’ indipendenza che la tua mente ha di spaziare intorno alle cose,
intorno al vuoto.
Perché
ogni ragazzo di diciassette anni si innamora così follemente di qualcun’
altro, cancellandosi; non c’ è eccezione, ogni adolescente ci deve passare
almeno una volta.
Mi
mette i brividi solo il pensiero. Non so con sicurezza se sia il pensiero di
essere come chiunque altro o se il ricordo del dolore passato, o se ancora la
paura di quello futuro.
Quand’
è poi che il dolore passato è così forte che non si ha più voglia di
sprecare una sola energia per trovare felicità futura? Quand’ è che non ne
vale più la pena?
Strinsi
forte il pugno e feci quei due passi avanti.
Ti
ricordava, tu, di tutti i film che avevamo guardato abbracciati? O che non
avevamo guardato affatto?
Con
lo sguardo fermo, cercai il ciuffo rosso che ti scendeva da dietro l’orecchio
quando ti avevo conosciuta.
Non
c’era più. I capelli erano cresciuti, l’ultimo ciuffo tinto era stato
tagliato. Quanto tempo avevamo passato insieme? A fare le cose che fanno
migliaia di altri. E quand’ è che la cotta era diventata innamoramento?
Quando gli adolescenti erano diventati adulti?
Abbassai
lo sguardo mentre tu alzavi il tuo, perché se mi stavi guardando, io stavo
morendo di paura.
Avevo
vissuto più a casa tua che a casa mia, tu avevi vissuto più a casa mia che a
casa tua, avevamo vissuto in un mondo esclusivo solo nostro, e come era stato
duro, riatterrare su questa terra fatta di strade e d’asfalto e cemento.
Se
stavamo parlando, e litigando, ci stavamo anche accorgendo che il nostro passato
insieme stava svanendo. Quando io alzavo la voce, tu ti ricordava quando ti
giurai che non l’avrei mai fatto. Quando tu mi dicevi che non volevi stare con
me, mi ricordavo quando tra le mie braccia mi sussurravi che non mi avresti
lasciato mai.
Come
si può evitare che le lacrime non lascino mai gli occhi? E che i figli non
lascino mai i genitori? Che i mariti non lascino mai le mogli? Che Peter Pan non
lasci mai l’isola che non c’è?
Allora,
avrei solo avuto voglia d’urlarle “AMAMI!”
***************
Così
finiscono le storie d’ amore.
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