A Brand New Life (NoTitle) di Sh_NT (/viewuser.php?uid=128092)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***
Capitolo 4: *** Chapter Four ***
Capitolo 5: *** Chapter Five ***
Capitolo 6: *** Chapter Six ***
Capitolo 7: *** Chapter Seven ***
Capitolo 8: *** Chapter Eight ***
Capitolo 9: *** Chapter Nine ***
Capitolo 10: *** Epilogue ***
Capitolo 1 *** Chapter One ***
- Peter
Widmore era estremamente calmo per aver appena scoperto che la sua
fidanzata, presto sposa, l'aveva tradito con Charles Widmore, il suo
ricco e disaffettuoso padre. Era seduto al bancone di un bar notturno
in centro, quando scoppiò in una risata sonora. La cameriera
pensò
fosse pazzo o solo ubriaco e, sapendo che il proprietario non
accettava gente nel genere nel locale, si avvicinò a lui e
gli
indicò con un gesto della mano l'uscita. «Devi
andartene», disse
lei. «Non voglio guai.» Peter si alzò e
uscì dal locale con il
bicchiere di whiskey in mano. «Stronza»,
sbraitò finendo di bere e
buttando il bicchiere a terra. Si ritrovò in un vicolo,
separato
dalla strada principale da una rete. Si arrampicò
maldestramente e,
arrivato in cima, si buttò a terra dall'altra parte con un
salto.
Arrivato in macchina, una Porsche 911 Cabriolet, iniziò a
guidare
verso casa del suo unico, vecchio, amico.
- «Guidi
piuttosto bene per essere ubriaco.», iniziò
Matthew uscendo da casa
sua. «Peter, cosa diavolo ci fai qui? I bambini stanno
dormendo e
sai benissimo che mia moglie ti detesta.» Peter mise
una mano in tasca e ne cacciò un pacchetto di sigarette; ne
tirò
fuori una e l'accese.
- «Ottimo.
Hai ricominciato?» «Sai, capita quando la tua
futura sposa si
fotte tuo padre», disse Peter abbozzando un sorriso
sarcastico.
-
L'amico,
prima arrabbiato, si rivolse a lui con un fare dolce, quasi
come stesse parlando a un bambino a cui avessero rubato il cane.
«Isabella?» «Chi, altrimenti? Non pensavo
avessi più
fidanzate», e scoppiò di nuovo a
ridere. «Dio... dopo così tanto
tempo. Il bastardo non poteva risparmiarla, vero? Chiedi alla tua
sposa se posso rimanere, solo stanotte; domani vado in
hotel.»
- «In
quest'istante, ti odio». Matthew entrò in casa e
Peter lo segui su
per le scale; appena entrato in camera, senza neanche spogliarsi e
poggiare la sigaretta, si butto sul letto matrimoniale che si trovava
al centro della stanza degli ospiti e si addormentò
istantaneamente.
- Si
svegliò nel bel mezzo della notte e, colto da un senso di
nausea,
corse in bagno e vomitò nel water. Sì
rialzò e si avvicinò allo
specchio; aveva un aspetto terribile: i capelli scompigliati, le
guance e le labbra bianche, i lati della bocca sporchi di vomito e la
camicia sbottonata sporca del sangue del padre gli davano l'aria di
un assassino. «Figlio di puttana», disse infuriato
ripensando al
padre, la notte precedente, mentre si faceva la sua fidanzata nel suo
letto, nella sua camera, nella sua casa. Si appoggiò al
water e
vomitò di nuovo.
-
«Già,
sei
proprio un figlio di puttana.» Si voltò e non
rimase sorpreso nel vedere Olivia, moglie di
Matthew, appoggiata sullo stipite della porta del bagno. «Per
quanto ti
odi, mi dispiace.»
- «Già,
love you, too.
Hey, Olive, non è che posso 'usufruire dei servizi',
qui?», disse
lui prendendola in giro. Olivia proveniva da una famiglia
aristocratica, come Matthew; detestava Peter per la sua
instabilità,
dovuta all'affetto mancato della famiglia, e perchè aveva
paura che
potesse riportare Matthew ai tempo dell'università.
- «A quanto vedo hai
già sporcato il
water, quindi puoi tranquillamente farti una doccia. Sarebbe meglio,
anzi. Allora, si può sapere perchè lei si fa tuo
padre e tu te ne
devi andare di casa?»
- Mentre rispondeva, Peter
entrò
nella doccia e iniziò a spogliarsi, lanciando i vestiti
sopra la
tenda e lasciandoli cadere a terra, sparsi per il piccolo bagno degli
ospiti. «Perchè riesco a malapena
entrare in casa, figuriamoci viverci.»
- «Senti, Matthew ha
paura che non gli dirai
nulla e...»
- «E...? Ha ragione. Non
riesco a parlarne. Potrei
vomitare anche qui, nella tua stupenda doccia d'oro.» e
scoppiò a
ridere, sapendo di darle fastidio.
- «Potresti parlarne
con me... Insomma, non lo andrò a raccontare in giro e
probabilmente
sono troppo stanca per...»
- «Scordatelo.
Non ho intenzione di parlarne a nessuno, per
ora. Poi non c'è neanche molto da dire: sono entrato, li ho
visti e
sono andato a bere in un bar. Fine della storia. Contenta?
Okay,»
disse uscendo dalla doccia completamente nudo, «che ore
sono?».
- «Sei
disgustoso. Le
cinque.» rispose guardando l'orologio.
- «E tu cosa ci fai
sveglia a quest'ora? Su, su, vai in
camera di Mat e sveglialo in modo decente. Il sesso mattutino
è
un'ottima soluzione per lo stress» e la cacciò dal
bagno.
- Uscì
anche lui in cerca di un asciugamano, che trovò dopo circa
cinque
minuti persi tra profumi e pigiami per gli ospiti. Si
asciugò
velocemente i capelli, indossò i suoi jeans e una
cannottiera
aderente nera trovata in uno dei tanti cassetti e scaffali presenti;
quindi tornò in bagno, raccolse la sua biancheria e
scaricò il
water. Quando uscì dalla camera si scontrò con
uno dei figli di
Matthew, Lucas, che gli buttò le mani al collo e
urlò:«ZIO PETER!»
- «Uomo in miniatura,
cosa ci fai sveglio a
quest'ora? Non dovresti essere nel tuo letto caldo, sognando draghi e
principesse o cose così?», sussurrò
Peter al bambino. Lucas
allontanò il viso dal collo di Peter, che nel frattempo
l'aveva
preso in braccio:«Oggi vado con la maestra a vedere i
dinosauri!»
- «Happy
for you,
Luke. Ora vai da mamma a fare colazione.»
- «Mamma sta svegliando
papà. Puoi
prepararmi i pancakes?» Peter rise sottovoce, poi lo mise
giù, gli
prese la mano e lo portò giù in cucina.
- Arrivati
lì, lo issò sull'isola al centro della cucina,
iniziò a preparare i
pancakes e mise un po' di latte sul fuoco.
- «Allora,
come avete passato questi ultimi mesi senza zio Pet?», chiese
Peter
al bambino che stava giocando con le posate.
- «Robert sta andando al
liceo e io ho preso 9 in italiano! Ma zia Isabella
dov'è?»
- «Zia
non verrà per un po'...», disse Peter a Lucas, con
una nota di
malinconia nella voce. Finì poi di preparare i pancakes e li
poggiò
sull'isola di fianco al bambino, con sciroppo, burro e marmellata;
poi versò il latte in due tazze: in una aggiunse del cacao e
la
passò a Lucas, nell'altra versò del
caffè freddo e lo bevve d'un
sorso. Dopo aver fatto colazione, mandò Lucas in camera sua
a
prepararsi e si avventurò alla ricerca del cassetto delle
medicine
per cercare di arginare il mal di testa per i postumi della
sbornia.
- «Devi smetterla di
frugare tra la mia roba», disse Matthew lanciando una scatola
di
aspirine a Peter.
- «Thank
you,
dolcezza. Com'è stato il risveglio?»
- «Piuttosto...
movimentato. Allora, cosa hai intenzione di fare?», chiese
l'amico,
preoccupato.
- «Non ne ho la
più
pallida idea. Credo che andrò a prendere qualche vestito e
la
macchina da scrivere a casa e prenderò una stanza in
hotel.» «Quindi hai deciso, uh? Sei sicuro di non
voler tenere la casa?
A proposito, cosa farai per la festa?»
- «Non lo so!
Non so niente in questo momento, non sono
sicuro di nulla. Cristo, 5 anni di astinenza dal fumo mandati in
malora, 2 anni senza sbronze ed eccomi qui, a dormire in casa del mio
unico amico come un barbone. Non ho più certezze!»
disse Peter
furioso, scaraventando la tazza nel lavandino senza -miracolosamente-
romperla. In quel momento entrò in cucina Robert, il figlio
maggiore
di Matthew e Olivia:«Peter? Cosa ci fai qui?»,
disse inquieto.
- «Anch'io sono
felice di vederti. Vieni qui!», disse Peter e lo
abbracciò
affettuosamente.
- «Seriamente, come mai
qui?»
- «Un vecchio amico non
può
passare a farti visita?»
- «Non se il
'vecchio amico' viene
a casa tua a notte fonda e rimane a dormire poichè troppo
ubriaco
per guidare», disse il ragazzo scogliendo l'abbraccio e
prendendo
una tazza di latte.
- «Bhè, a
questo
punto io andrei. Grazie per l'ospitalità Mat. Salutami
Olive» disse
Peter, vergognandosi per la prima volta dopo tanto tempo per il suo
comportamento. Uscì dalla grande casa, salì in
macchina, mise in
moto e si diresse verso casa. Durante il tragitto ripensò ai
tempi
dell'università, quando lui e Matthew si divertivano senza
pensieri,
bevendo e fumando. Poi avevano incontrato Olivia e Isabella e l'amico
aveva deciso di mettere su famiglia e di studiare seriamente. Tutto
iniziò a sgretolarsi pian piano: Matthew andò a
vivere con Olivia e
nel giro di un paio d'anni ebbero finito l'università; poi
arrivarono i bambini. Al contrario, Peter e Isabella si divertirono
per anni, ognuno nel proprio piccolo appartamente in centro, fino a
pochi anni prima. Ma non erano fatti per quella vita e Peter lo
sapeva. Le liti continue, lo portavano a pensare che lei non lo
ammasse e che lo sfruttasse soltanto e la sera prima ne aveva avuto
conferma. Come si può tradire una persona pur amandola? Come
si può
solo pensare di stare con un'altra persona, una diversa da quella
alla quale stai per promettere in 'eterno' il tuo cuore? Eterno,
poi... Peter non voleva sposarsi in chiesa, non essendo religioso, ma
soprattutto per questa concezione dell'eterno. Come si puo' credere
in una cosa eterna? Non esiste forse la morte?
Salve! Questo è il
mio primo racconto pubblicato su questo sito, quindi se vi è
piaciuto mi farebbe ultra-piacere sapere cosa ne pensate! I fan di LOST
avranno sicuramente riconosciuto in 'Charles Widmore' Alan Dale; questo
perchè inizialmente per la figura del 'padre-idiota' mi era
venuto in mente Alan Dale (ebbene sì, ho già i
volti per ogni personaggio *-*), ma per non usare il suo volto ho preso
in prestito solo il nome. Il titolo si adatta alla nuova vita di
Peter: senza una fidanzata, senza una casa e senza un genitore,
sarà costretto a ricominciare da capo; la sua vita
sarà come nuova.
Quindi... se vi piace fatemelo
sapere! Grazie mille. *-*
PS: le
notazioni in inglese sono volute.
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Capitolo 2 *** Chapter Two ***
Peter
arrivò a casa ancora assorto dai pensieri, uscì
dalla macchina e si fermò
a osservare la porta del suo piccolo appartamente al piano terra.
Peter viveva lì da 15 anni, da quando a 19 anni
iniziò
l'università, e due anni prima aveva chiesto ad Isabella di
andare a
vivere con lui. La sera prima aveva perso ogni speranza di fare il
passo successivo e di avere un futuro con lei.
Entrò
e trovò Isabella voltata di spalle, seduta sul divano a
fissare lo
schermo nero della televisione. Girò intorno al divano e si
ritrovò
davanti a lei: aveva gli occhi rossi per il pianto e sedeva con i
piedi sul divano e il mento appoggiato sulle ginocchia. Lei
alzò lo
sguardo e fissò Peter negli occhi, felice:«Pensavo
non saresti più
tornato», disse lei abbozzando un sorriso. «Pensavo
mi avessi
abbandonata. Sono stata un cretina ieri sera... non so cosa mi sia
preso. Perdonami, ti prego» e prese le mani di lui,
baciandole. Lui rispose, con
disgusto:«Perdonarti?». Rise leggermente.
«Ti ho
raccontato tutto di me, della mia famiglia, di come mi trattava mio
padre. Ti ho chiesto di venire a vivere con me, di sposarmi, e tu
cosa fai? Ti scopi quello stronzo!» «Non era
intenzionale. Mi ha costretta!», disse lei disperata.
«Non sembravi
molto forzata, ieri sera. Senti, sono venuto solo per prendere la mia
roba, dopodichè uscirò per sempre dalla tua vita.
Non ho intenzione
di rimanere a lungo» rispose sorridendo. Vederla
lì, disperata...
Era penosa. Eppure era lei che neanche 12 ore prima si stava
sbattendo il padre nella stanza a fianco, no? Perchè avrebbe
dovuto
perdonarla?
Andò
in camera e, fortunatamente, non trovò suo padre nudo sul
letto.
Rimase minuti a osservare quel letto vuoto, disfatto e prova di un
tradimento. Non poteva più rimanere in quella casa. Prese i
suoi
vestiti e li mise in un vecchio borsone, poi tornò in
salotto e
trovò Isabella che giaceva in posizione fetale sul divano,
piangendo. Prese quanti libri poté, la macchina da scrivere
e uscì
sbattendo la porta. Mise in moto la macchina e si fermò poco
dopo
davanti a un hotel a cinque stelle. Prima di entrare si accese una
sigaretta e chiamò l'organizzatrice del matrimonio.
«Salve. Peter
Widmore. 31 dicembre», disse Peter alla ragazza dall'altra
parte del
telefono, scandendo il suo nome e la data del matrimonio.
«Oh, signor Widmore! Come va con la futura signora Widmore?
Pronto
per il grande giorno?», rispose la ragazza entusiasta. Aveva
visto
Peter un paio di volte per accordarsi sulla data del matrimonio e
sugli invitati, ma Peter non la conosceva molto bene. «Volevo
parlarle
proprio di questo. Volevo... il matrimonio è
annullato.» «Oh.», mormorò la
ragazza.
«Mi dispiace, davvero. Grazie per avermi avvertito
anticipatamente.
Molti semplicemente non si presentano il giorno delle nozze.
Bhè,
provvederò», disse lei risolutamente.
«Perfetto. Passerò domani per il
pagamento. Arrivederci». Chiuse la comunicazione, prese il
borsone e
la macchina da scrivere ed entrò nell'hotel.
«Signor Widmore!
Come mai qui? Come va con la signorina?» chiese il
receptionist,
Walter, felice di rivedere Peter. Quest'ultimo d'altro canto, non
aveva voglia di chiacchierare. «Direi...
tragicamente», disse lui sorridendo.
«Avrei bisogno di una stanza, una qualsiasi.»
«Signore, mi dispiace, ma stiamo ospitando una convention di
medici, quindi sono rimaste solo poche suite» «Una
suite andrà
benissimo.» «Ottimo. Posso
vedere un secondo i documenti? Sa com'è... la
procedura.» Peter
rovistò nella giacca, ne tirò fuori la carta
d'identità e la passò
a Walter. «Ecco qui.» «Perfetto
signore,» e riconsegnò la carta
d'identità e la chiave magnetica
della suite a Peter, «questa è la chiave della
stanza 260, al terzo
piano. Le serve una mano con i bagagli?» e accennò
al borsone. «No, non preoccuparti. Ci penso io. A
dopo!» «Arrivederci, signore.» Peter si
avviò verso l'ascensore e premette più volte
il pulsante per chiamarlo; arrivò immediatamente e, quando
si aprì,
scorse all'interno una donna stupenda non troppo alta, mora, con una
fluida chioma mora e degli occhi azzurrissimi. La donna uscì
dall'ascensore e passò di fianco a Peter, lasciando
un'intensa scia
di profumo; inebriato da quell'odore, rimase immobile davanti
l'ascensore fin quando qualcun'altro lo chiamò e, arreso,
decise di
salire i tre piani usando le scale. Non sapeva chi fosse quella
donna, ma doveva assolutamente scoprirlo.
Arrivò
in camera, aprì velocemente la porta e posò sulla
scrivania la
macchina da scrivere.
La
suite era enorme. L'entrata era arredata con un'appendiabiti sulla
destra, una scrivania sulla sinistra e, al centro, un quadrato
formato da 4 divanetti di velluto rosso, con al centro un tavolo
quadrato di vetro. A sinistra del piccolo salottino, salendo un tre
scalini, si raggiungeva la camera da letto: di fronte all'entrata,
appoggiato al muro, stava un letto a baldacchino; di fronte al letto
c'era una grande televisione a muro; a sinistra c'era un enorme
armadio e dalla porta finestra, a destra dell'entrata, si poteva
accedere al balcone che circondava la suite ed era distante solo un
metro dal balcone della suite di fianco. Dalla camera matrimoniale,
di fianco all'armadio, si poteva accedere al bagno di marmo nero con
una Jacuzzi al centro e infiniti profumi e oli su uno scaffale a
destra. Un'ulteriore stanza, poco più piccola della camera
da letto,
si trovava a destra del salottino e aveva al centro un tavolo da
biliardo e, a destra, un minifrigo pieno di acqua, succhi e birra; in
fondo alla stanza, infine, c'era un mobile a muro con le ante di
vetro, contenete alcolici di vario genere.
Peter
prese un bicchiere di scotch e lo bevette d'un sorso per cercare di
rilassarsi e per cancellare dalla memoria le immagini della sera
precedente. Non era la prima volta che Isabella lo tradiva. Era
capitato un paio di volte, prima che andasse a vivere con lui; prima
di quello, però, neanche lui si era limitato più
di tanto. Peter
pensava si fosse tolta quel vizio, ma a quanto pare non era
così.
Suo padre aveva divorziato dalla moglie anni prima, quando Peter era
ancora un adolescente, perché la tradiva continuamente e,
durante il
periodo in cui Peter frequentava l'università, si era
portato a
letto anche qualche ragazza del figlio, dicendo:"Bisogna
condividere le cose!". Peter, però, aveva messo bene in
chiaro
con Charles che non voleva condividere Isabella. Non la sua futura
moglie.
Quando
si svegliò era ormai sera. Aveva ancora in mano il bicchiere
di
vetro vuoto, in bilico, e lo poggiò sul comodino di fianco
al letto;
si diresse verso il bagno, si spoglio e si fece una doccia veloce. Si
vestì e scese al piano di sotto, al ristorante. Questo era
molto
affollato, ma era vasto e creato per ospitare molte di persone: una
sala enorme ospitava centinaia e centinaia di tavoli; a destra
dell'entrata c'era un palco per esibizioni dal vivo, ora vuoto; sulla
sinistra c'era un bar fornito di qualunque tipo di bevanda.
Fortunatamente trovò un tavolo singolo in fondo alla sala,
contro il
muro. Vedendo arrivare il cameriere, si voltò e solo allora
notò
che al tavolo alla sua sinistra era seduta, con un uomo, la ragazza
dell'ascensore. Rimase minuti ad osservarla, incantato, e fu
'risvegliato' solo dal cameriere che, preoccupato, gli stava
scuotendo davanti gli occhi la sua mano. «Signore, si sente
bene?» «Sì, scusi», rispose
Peter disorientato. La ragazza, intanto, lo stava guardando
preoccupata. «Cosa posso portarle?»
«Prendo una bottiglia di Merlot e una bistecca.»
«Arrivano subito, signore.» Il cameriere
tornò in cucina e Peter tornò a
fissare la ragazza: aveva all'incirca venticinque anni, ma aveva
ancora i lineamenti di una ragazzina. L'uomo di
fronte a lei aveva più o meno cinquant'anni; qualcuno
avrebbe detto
che fosse affascinante, ma a Peter sembrava solo viscido. Provarci
così spudoratamente con quella ragazza davanti a tutte
quelle
persone?! Ma c'era qualcosa nello sguardo di lei, qualcosa di
ricambiato. Il cameriere portò il piatto e il
vino e lui mangiò velocemente. Ad un certo punto della
serata la
ragazza si alzò e si diresse verso il bar, mentre l'uomo
lasciò i
soldi del conto sul tavolo e andò verso l'ascensore. Peter
si alzò
e si sedette di fianco alla ragazza, al bancone del bar. «Hai
vent'anni, quindi probabilmente sei solo una
specializzanda e studi all'università per diventare qualcosa
di più.
L'uomo è un famoso dottore dell'ospedale che ti ha promesso
un salto
di carriera in cambio di... chiamiamolo 'amore'. Tu accetti, ma dopo
un po' ti accorgi che sarai bloccata con lui fin quando
morirà, cioè
quando scoprirai che lui ha molteplici mogli sparse per il paese e
figli illegittimi tra cui si dovrà dividere il denaro: tu
non avrai
un soldo e ti ritroverai con il cuore spezzato e un lavoro di
merda»,
disse lui guardando la donna negli occhi.
L'espressione
di lei passò dallo scetticismo al
divertimento:«Cosa sei un
detective? O uno scrittore?» e inarcò le
sopracciglia. «Oh, prediligo il secondo, ma questa
cosa è talmente ovvia che scommetto che anche il cameriere
ci è
arrivato. Allora?» «Allora cosa?», disse
la donna ridendo. «Quanto di quello che ho detto è
vero?» «Neanche la metà: è
vero, sono una specializzanda; è vero, esco
con quell'uomo, un dottore dell'ospedale in cui lavoro; falso, so
già
che è sposato; falso, non sto con lui perchè mi
ha promesso un
lavoro.» «Sicura? Non ha mai neanche accennato alla
questione? Poi,
scusa, ma sei una bellissima donna. Perchè bloccarsi con
quel tizio?
Vai in giro, divertiti!» «Non sono bloccata
con lui. Io... lo amo. Non sono fatti tuoi, comunque.»
Dopodichè prese la sua borsa e si diresse
verso l'ascensore. «Sto solo cercando di farti ragionare. E
poi è
sposato, avrà dei figli. Vuoi davvero avere il peso della
loro
infelicità eterna sulle tue spalle?», disse Peter
correndole dietro
e salendo con lei sull'ascensore. Perché le stava correndo
dietro?
Cos'aveva di speciale quella ragazza?
La donna premette il tasto '3',
poi disse:«Oh, sul serio la
butti su questo campo, eh? Infelicità eterna dei bambini? Un po' di fantasia, per favore.
Oddio, non ho idea del perché io stia discutendo di questo con te! Sei un perfetto
sconosciuto che fissa le ragazze in modo inquietante.» «Oh, by the way, scusa
per quello.» «Perchè parli in
inglese?» disse la ragazza uscendo dall'ascensore e
incamminandosi
per il corridoio. «E smettila di seguirmi.»
«Non ti sto seguendo: la mia stanza è la 260.
Comunque
non so, ma ho sempre avuto una mania per l'inglese»
«260? Io ho la
259. Sei un incubo.» disse la ragazza e aprì la
porta della sua
camera, entrando senza salutare Peter. Lui entrò velocemente
nella suite,
chiudendo la porta alle sue spalle; corse in camera, poi
andò sul
balcone; raggiunse la fine di questo e con un salto finì su
quello
della stanza a fianco, quello della ragazza. Lei si stava spogliando
quando, voltandosi verso la finestra della camera, notò
Peter che
gesticolava. «Cosa diavolo ci fai qui?», disse la
ragazza aprendo la
portafinestra e facendo entrare Peter, dopo essersi rivestita.
«Te l'ho
detto: la mia suite è qui a fianco. Piacere,
Peter.» «Piacere tuo,
Meredith. Ora puoi, per favore, andartene?»
«Meredith... Ok, a domani.
'Notte!» e le diede un veloce bacio sulla guancia, prima di
scappare
uscendo dalla finestra.
Quella
notte Peter non ebbe bisogno di alcolici per sognare.
E' passata una
settima da quando ho pubblicato il primo capitolo, ma penso che d'ora
in poi aggiornerò più spesso... Vorrei darvi i
nomi di due attori che, secondo me, sono perfetti per i ruoli di Peter
e Isabella. A ogni aggiornamento vi rivelerò gli attori
rappresentanti due personaggi. Ovviamente è una
cosa personale e ognuno può immaginare, per i vari ruoli,
chiunque preferisce! Comunque per il ruolo di Peter ho sempre
immaginato Matthew Bomer mentre, per il ruolo di Isabella, credo che
Marion Cotillard sarebbe perfetta. Voi chi immaginate al posto di
questi due personaggi?
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Capitolo 3 *** Chapter Three ***
Peter
si svegliò all'alba e rimase per ore a fissare il soffitto e
a
pensare; era un uomo bello e affascinante di 34 anni. Alto, con un
bel fisico, capelli corti scuri e gli occhi azzurri. Nessuna donna
era mai riuscita a resistergli, eppure Meredith lo respingeva senza
troppi problemi.
Fino
ad un giorno prima era distrutto per la storia di Isabella e ora non
faceva altro che pensare a Meredith, quella ragazza meravigliosamente
bella. Ovviamente non l'amava, ma era attirato da lei in un modo
impossibile da descrivere. Non riusciva a capire se fosse ancora
depresso per Isabella e questo fosse il modo di riparare quella
ferita o se, in modo veloce e indolore, avesse superato la faccenda e
stesse voltando pagina.
Sentì
il telefono della suite squillare e rispose
immediatamente:«Chi
parla?»
«Signore,
sono Walter. Matthew Ford ha chiesto di lei: ha detto di chiamarla al
numero 'che conosce lei'.»
«Grazie
per la non-informazione, Walter.» e mise giù.
Stava vagando per la
suite in boxer alla ricerca dei pantaloni contenenti il portafoglio,
quando bussarono alla porta della suite. «Peter? Apri, devo
parlarti.» Era la Meredith.
Peter
infilò velocemente i pantaloni di una tuta e andò
ad aprire. «Come mai qui,
amore?»
disse lui, ma non fece in tempo a finire che Meredith entrò
nella
camera. «Non ho idea di cosa tu abbia in mente, ma deve
finire
oggi.»
«Di
cosa stai parlando?»
«Di
te che entri nella mia stanza dalla finestra!»
«Ah,
ho capito cosa gira in quella bella testolina: il vecchio ha visto
come ti guardavo ieri e questa mattina ti ha detto di dirmi che devo
rinunciare al mio piano malefico, altrimenti verrà qui e mi
castrerà.» e si avvicinò a lei.
«Più
o meno. Poi ti ho detto che sono innamorata di lui e che il tuo piano
non funzionerà, quindi smettila.»
«Ok.»
e si avvicinò ancora di più.
«Cosa
stai facendo?», disse lei a disagio
«Assolutamente
nulla»
e la baciò. Meredith non si allontanò e il bacio
si fece più
intenso; rimasero al centro della stanza a baciarsi per svariati
minuti, ma Peter non riuscì a capire se quello che stava
provando
era amore o desiderio, perché bussarono alla porta.
«Peter,
so che sei lì dentro: ti sento respirare. Ti ho detto di
chiamarmi,
ma non l'hai fatto. Sono preoccupato! Con tutto quello che è
successo con Isabella...». Era Matthew.
Meredith
e Peter sciolsero il bacio e, sentendo nominare 'Isabella', Meredith
assunse uno sguardo dubbioso. «Chi è
Isabella?», sussurrò lei a
Peter. «La mia ex-fidanzata, con un anello al dito.
E' una lunga storia.» rispose lui e andò ad aprire
la porta.
«Matthew, devi sapere che non ti amo. Smettila di
pedinarmi.»
«Hai
del rossetto sulle labbra.», disse distrattamente Meredith a
Peter mentre usciva.
«A
dopo, cara!», disse Peter salutandola e pulendosi la bocca
con il
dorso della mano.
«Vedo
che ti sei ripreso velocemente», disse Matthew entrando nella
stanza.
«Sai,
non riesco a ritrovare i jeans.» continuò Peter e
tornò a vagare
per il salottino e la camera alla ricerca dei pantaloni. Li
ritrovò
piegati, nella valigia. «Come ci sono arrivati qui?»
«Non
cambiare discorso, Peter. Fino a ieri eri distrutto per Isabella e
oggi è già passato tutto?». Matthew era
seriamente confuso visto
che, solo due giorni prima, Peter era distrutto per Isabella.
«Capita.»
disse poi Peter sfilando la tuta e indossando i jeans. «Ho
fame.
Allora, come stanno i bambini? E Olivia?»
«Come
stavano ieri. Ma non sono venuto per questo: voglio sapere come stai
e se ti serve qualcosa.»
«Non
ti preoccupare per me, sto benissimo. Credo. Senti, perchè
non vai
dalla tua famiglia mentre io scendo a fare colazione? Giuro di
chiamarti domattina». L'uomo cercò di liquidare
Matthew il prima
possibile per avere la possibilità di parlare con Meredith
o,
perlomeno, di ripensare al bacio.
«Va
bene, allora. Ci sentiamo domani. Mi raccomando, non
suicidarti.»,
disse Matthew prima di uscire.
Peter
indossò una camicia grigia, i jeans e un paio di converse e,
dopo
aver fumato velocemente una sigaretta sul balcone, scese a fare
colazione. Il ristorante non era molto affollato vista l'ora, ma
c'erano comunque molte persone. Ordinò uova strapazzate e
pancetta
con un bicchiere di succo d'arancia e, dopo la colazione, decise di
andare da Meredith per parlarle. Bussò alla porta svariate
volte, ma
non rispose nessuno. Passò a metodi più drastici
e si lanciò
nuovamente sul suo balcone. Meredith era in compagnia dell'uomo che,
in slip, si stava dirigendo verso il bagno; lei era stesa in
biancheria intima sul letto. Bussò alla portafinestra e
Meredith non
potè credere ai suoi occhi quando lo vide sorridente sul suo
balcone. Indossò una vestaglia ed aprì la
finestra. «Ancora tu?
Cosa diavolo vuoi?»
«Non
imprecare. Dobbiamo parlare di quello che è successo
prima.»
«Non
è successo nulla prima. Nulla. Ora vattene.»
«Stai
sul serio con quel tizio? E'... vecchio!»
«Non
è vecchio. E poi anche tu, rispetto a me, sei
vecchio»
«Ma
so baciare e a me non serve la magica pillolina blu». Peter
rise
alla sua stessa battuta, ma si riprese quando vide l'espressione
minacciosa sul volto di Meredith
«E'
un farmaco miracoloso che, certe volte, ti salva la vita.»
In
quel momento uscì dal bagno l'uomo, coperto solo da
un'asciugamano
avvolto alla vita. «Come mai non sono sorpreso? Sei tu il
maniaco,
vero?»
«Maniaco?
Wow, detto da un cinquantenne che si fa una ventenne... Sono davvero
offeso» pungolò il 'vecchio' nei metodi che
conosceva, ma l'uomo
non sembrò accettare quel tipo di umorismo.
«Esci
da qui. Immediatamente.», disse l'uomo.
«Non
credo stia a te decidere.», rispose Peter.
«Peter,
esci.», continuò Meredith, decisamente a disagio.
«Ok. Addio, cara» e uscì senza indugiare.
Deluso,
si diresse verso la sua suite, aprì i piccolo armadio nella
stanza
da biliardo e si riempì un bicchiere di bourbon; poi prese
uno dei
suoi libri, si stese su un divano nel salottino e iniziò a
leggere.
Venne
interrotto ore e ore dopo da un battito di nocche sulla porta.
«Peter,
dobbiamo parlare»
Peter
si alzò stordito, posò il libro sul tavolino di
vetro e andò ad
aprire.
«Padre,
ma quale sopresa! Grazie per essere venuto, ora puoi anche tornare a
farti mia moglie.» disse Peter chiudendo la porta in faccia
al
padre. Era l'unica persona che si aspettava di vedere e preferiva
rimandare la discussione, troppo impegnativa per lui che si era
appena svegliato. E poi, non voleva rischiare di colpire di nuovo il
padre in pieno viso.
Charles
bloccò la porta con un piede e si infilò nella
suite. «Con
piacere, ma prima dobbiamo parlare.»
«Come
mai indossi quelli? Hai paura di far sapere al mondo che brava
persona sei?» disse Peter notando gli occhiali da sole che
indossava
il padre.
Charles
si tolse gli occhiali, mostrando l'occhio destro completamente nero.
«Ora
possiamo parlare?», chiese il padre, desideroso di chiarire
con il
figlio. Ovviamente, non capiva in che situazione si era cacciato;
pensava, infatti, che il figlio l'avrebbe perdonato tranquillamente e
senza troppo indugi, cosa che aveva fatto con tutte le altre donne
prese in 'prestito'.
«Di
cosa? Di cosa dobbiamo parlare?» Peter era furioso e voleva
semplicemente prendere il tavolino al centro del salotto e
frantumarlo buttandolo addosso al padre, come se quel pezzo di
mobilio esistesse per quel solo scopo.
«Del
fatto che mi dispiace. Tra tutte, non avrei dovuto neanche
toccarla.»
«Ma
l'hai fatto, quindi non c'è nulla di cui dobbiamo parlare.
Non ti
perdonerò mai. Nè per questa, nè per
molte altre cose.»
«Quando
crescerai, forse capirai» e uscì. Probabilmente
Charles ne era
molto convinto, ma al figlio parve solo un'ennesima scusa per
scappare.
Peter
non voleva perdonare il padre e non l'avrebbe fatto mai; d'altro
canto, Charles era convintissimo che un giorno Peter avrebbe capito
il perché avesse tradito la moglie con innumerevoli donne e
perché,
pur essendo ormai sulla soglia dell'anzianità, continuasse a
desiderare donne fuori dalla sua portata, ma che, a quanto pareva,
sembravano essere attratte dall'uomo come mosche dallo zucchero.
Peter, comunque, continuava a chiedersi cosa avesse portato Charles
ad avvicinarsi così prematuramente al figlio. Voleva forse
morire?
Era questo il suo desiderio? Essere ucciso dal figlio che non aveva
problemi a farlo?
Immerso
in queste riflessioni, Peter si accorse che era ormai pomeriggio;
si lavò il viso e uscì dalla camera. Si diresse
verso l'ascensore e
si accorse che dentro c'era Meredith. Entrò comunque
sorridendo e,
quando le porte dell'ascensore di chiusero, si avvicinò a
lei a la
baciò; lei ricambiò e lui la spinse verso la
parete destra
dell'ascensore, baciandola con passione. Quando arrivarono al piano
terra, un secondo prima che le porte si aprissero, Peter si
staccò
da lei e uscì dall'ascensore sorridendo, lasciandola
ansimante
all'interno.
Entrò
nell'ufficio dell'organizzatrice di matrimoni e salutò tutte
le
coppie che stavano aspettando nell'atrio.
Quando
scoprì di Isabella e Charles diventò furioso, ma
allo stesso tempo
era come se si fosse tolto un peso: a quanto pareva non voleva
davvero sposarsi. Supponeva che quell'avvenimento fosse stato la
goccia che aveva fatto traboccare il vaso; dopotutto le cose tra lui
e Isabella non andavano poi così bene.
L'organizzatrice,
Anthea, una bella donna di 31 anni, si sentiva realizzata guardando
altre coppie felici grazie al suo buon gusto in fatto di colori e
fiori. Quando vide Peter nell'atrio, gli corse incontro e lo
abbracciò.
«Oh,
Peter, mi dispiace così tanto! Anche lei mi ha chiamato per
avvertirmi e piangeva a dirotto! Sei sicuro che le cose non possano
più funzionare tra di voi? Eravate una così bella
coppia!»
«Anthea,
ho paura che non si possa più risolvere nulla. Comunque
tranquilla,
finisci con i clienti e poi torna da me; devo solo pagare il conto,
mentre loro devono organizzare il 'giorno più importante
della loro
vita'». Peter si era sempre sentito come un fratello maggiore
di
Anthea o un amico fidato.
«Oh,
non se ne parla neanche. E poi farò in un attimo! Loro sono
così
innamorati che non si accorgeranno del tempo che passa.» e
scortò
Peter nel suo ufficio. «Avevo appena finito di stampare
questi,
prima che tu mi chiamassi.»
Mostrò
Peter una cartolina, l'invito al matrimonio: un caricatura animata di
lui e Isabella. Girando la cartolina si poteva leggere "Peter e
Isabella vi invitano ufficialmente al loro matrimonio, che si
terrà
al Palace il giorno 31 dicembre 2011".
Peter
fissò per qualche minuto la cartolina e la rigirò
tra le mani, poi
la posò sulla scrivania di Anthea.
«Mi
dispiace davvero, Peter.» disse lei sinceramente.
«Non so cosa fare
per dimostrartelo. Vedo coppie ogni giorno, mi assumono, entro nelle
loro vite e cerco di organizzare un giorno perfetto, ma a volte non
arrivano a quel giorno. Per me è sempre un gran
dispiacere.»
Dicendo questo si era alzata dalla sedia dietro la scrivania e stava
girando intorno a questa, ritrovandosi in piedi davanti a Peter, che
si era seduto su una poltrona davanti la scrivania.
«Ancora
non capisco, però, cosa sia saltato in mente a Isabella. Se
può
consolarti, credo onestamente che tu sia un bell'uomo»
continuò
lei.
Gli
passò un dito sotto il mento e gli alzò la testa,
fino ad
incontrare i suoi occhi. Si avvicinò piano e
scoppiò a ridere.
«Oh,
mio, dio. Sono proprio pessima! Cosa diavolo mi è saltato in
mente?
Ahahahah. Scusa Peter. Davvero. Perdonami.» disse lei a
disagio.
«Tranquilla,
non fa niente. In fondo, sono abituato a donne che cascano ai miei
piedi» disse lui cercando di eliminare l'imbarazzo.
«Ok donna,»
continuò lui, «quanto ti devo?»
«Un
secondo e controllo, uomo.» disse lei stando al gioco.
Tornò dietro
la scrivania e si mise al computer, digitando qualcosa nell'archivio
digitale. «Allora... vestito, ristorante, buffet, chiesa,
fiori e
tutto il resto, vero?»
«Sì»
«Sono...
19,000 scontati»
«Un
secondo che firmo l'assegno» disse Peter tirando fuori dalla
giacca
il libretto per gli assegni e compilandone uno. «Ecco a
te» disse
lui consegnandolo ad Anthea.
«Perfetto...
Hey, ci vediamo per un caffè, un giorno di questi?»
«Certo,
basta che non cerchi di assalirmi di nuovo!» disse Peter e
uscì
ridendo.
Eccoci ad
un nuovo capitolo di NoTitle! Che posso dire? Nulla! Ho
revisionato e modificato il capitolo alle 23 di sera, quindi ho la
vista piuttosto annebbiata. Segnalatemi eventuali errori di scrittura,
se ci sono! :L
Sicuramente
qualcuno rimarrà deluso per i due veloci baci tra Peter e
Meredith, ma non posso rassicurarvi dicendovi "Non preoccupatevi, ci
saranno tante scene del genere" perché non ho intenzione di
spoilerarvi i prossimi capitoli.
I due
attori di questa settimana sono Alan Ruck (Charles Widmore) e Matthew
Macfadyen (Matthew Ford), anche se sono leggermente
insicura su quest'ultimo... Comunque, se non avete nulla da fare, mi
farebbe davvero piacere se scriveste, tramite recensione, cosa pensate
del capitolo o della storia in generale e se credete che ci sia bisogno
di un miglioramento. Grazie mille, ancora :)
PS: Questa
è la cartolina che stampa Anthea
|
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Capitolo 4 *** Chapter Four ***
Peter
tornò in hotel e notò che l'atrio era affollato
da dottori che
entravano nella sala conferenze, a sinistra dell'entrata. Nella folla
notò Meredith che lo stava fissando, mentre fingeva di
ascoltare Mr.
Doctor. Le mandò un bacio e, ridendo,
entrò nel ristorante.
Ordinò una fiorentina al sangue e la divorò, non
avendo mangiato
nulla a pranzo. Dopo cena tornò in camera, si butto sul
letto e
accese la tv; mise sul suo conto 'Inception' e iniziò a
guardarlo.
Gli era sempre piaciuta Ellen Page... aveva un che di affascinante
anche in quel film. Dovette fermarlo, però, durante il primo
sogno
di Ariadne, sentendo qualcuno urlare dietro la porta. La
aprì e
trovò Meredith senza fiato.
«Sto
bussando da mezz'ora! Caccia la sgualdrina, devo parlarti.»
«Quale
sgualdrina?»
«Stai
cercando di dirmi che non stavi facendo nulla? Cosa diavolo sei,
sordo?», disse la ragazza visibilmente sconvolta. Era rimasta
fuori
a bussare alla porta per venti minuti e pensava seriamente che Peter
si stesse dando da fare con una donna.
«Si
puo' sapere cosa vuoi?», chiese lui infastidito.
«Oh,
non lo so. So solo che domani mattina torno a Seattle con...
Tu-sai-chi.» disse Meredith iniziando a girare per la suite e
curiosando in camera.
«Ok...
E io cosa posso fare per te?» chiese Peter confuso.
«Sul
serio? Mi fissi come un imbecille mentre sto mangiando, entri in
camera mia dal balcone, mi baci senza alcun motivo apparente e ora
che me sto andando te ne stai lì a chiedermi 'Cosa posso
fare per
te'? SUL SERIO?» urlò, e si buttò sul
letto
«Sei
ubriaca?»
«Uuuh...
Inception! Adoro questo film. Ubriaca? No, perchè
dovrei?»
Peter
la raggiunse in camera e lei iniziò a spogliarsi.
«Ti
assicuro - giuro - che non sono ubriaca.» disse lei
sfilandosi la
camicetta.
Peter
si sdraiò su di lei, la baciò, e
disse:«Hai ragione. Non sei
ubriaca. Allora posso approfittare di questo momento...»
«Anche
se me ne pentirò domattina» continuò
lei.
Meredith
gli passò le mani tra i capelli e lo attirò a se;
si baciarono per
vari minuti, ma Peter non resistette molto e finì di
spogliarla.
Lei, poi, spogliò lui.
Quella
notte Peter sognò, ma ad occhi aperti.
L'uomo
si svegliò presto quella mattina e rimase a fissare Meredith
nuda,
coperta solo dalle lenzuola. Era di una bellezza incantevole e Peter,
pur non sapendo esattamente cosa provasse per lei, sapeva di voler
passare il resto della sua vita in quel letto con quella donna. Si
andò a fare una doccia e uscì dal bagno
coprendosi con un
asciugamano avvolto intorno al bacino.
«Vuoi
tentarmi?» disse Meredith, svegliandosi e vedendo Peter in
ginocchio
sul letto.
«Davvero
devi partire? Questa mattina?»
«Oddio,
me n'ero completamente dimenticata.» disse lei alzandosi dal
letto
nuda, come se nulla fosse, e correndo in bagno.
Ne
uscì cinque minuti dopo, avvolta in un accappatoio.
«Allora?»
chiese lui.
«Allora
cosa?» rispose Meredith iniziando a vestirsi. Decisamente,
non si
era pentita di quella notte, ma adesso era piuttosto impegnata per
stare ai giochetti di Peter.
«Hai
capito. Insomma... Sono o non sono meglio del vecchio?» disse
Peter
sdraiandosi sul letto, ancora coperto solo dall'asciugamano.
«Ma
sei ossessionato!» disse lei, ora completamente vestita.
Saltò sul
letto e si mise a cavalcioni su di lui. «Sì, sei
meglio di lui,
contento? E, se devo dire la verità, anche più
dotato», confessò
lei
«Sono
lusingato, signorina». Si mise a sedere, lasciando Meredith a
cavalcioni su di lui, e la baciò.
«E'
tardissimo! Davvero, non po...» iniziò la ragazza,
ma non fece in
tempo a finire la frase che lui era sceso a baciarle il collo. Le
sbottonò la camicetta che indossava e le slacciò
il reggiseno.
Meredith
lasciò la camera di Peter dopo un'ora e rientrò
velocemente nella
sua suite. Infilò tutti i vestiti nella valigia e
uscì dalla
stanza, scontrandosi con William.
«Buongiorno,
amore» disse lui e la baciò. «Dormito
bene?»
«Benissimo»
rispose lei raggiante.
«Ok,
andiamo a fare colazione e poi prendiamo un taxi per
l'aereoporto».
OVVIAMENTE, era un maniaco del controllo, ma a Meredith piaceva
così.
Le serviva qualcuno che facesse ordine nella sua vita.
«Ottimo.»
Scesero
con calma al piano terra, entrarono nel ristorante e si sedettere
all'unico tavolo libero, vicino al palco.
«Hai
visto chi c'è?» chiese William, dopo aver ordinato
una 'colazione
all'inglese'.
«No,
chi?» chiese lei interessata.
«Il
maniaco» rispose indicando Peter con un cenno della testa,
continuando a bere il succo alla prugna. Meredith non aveva mai
capito come William potesse bere quel succo; insomma, era terribile!
E il colore non aiutava di certo.
La
donna rimase a guardare la bottiglietta di vetro in mano a William
per un po' di tempo, poi seguì lo sguardo di William e
incontrò quello di Peter, che la guardava intensamente
dall'altro
lato della stanza, provocandola.
«Sai,
dovresti smetterla di chiamarlo così. In fondo non ci ha
fatto
nulla.» disse lei continuando a guardare Peter.
«Già,
ma non mi piace il modo in cui ti guarda. Sai che sono geloso»,
insistette lui accarezzandole la mano.
Peter
lasciò il ristorante poco dopo e, uscendo, sorrise a
William; questo
era troppo occupato ad insultarlo, mentre Meredith era occupata a
immaginarlo nudo.
Dopo
la colazione passarono da Walter e William saldò il conto di
entrambe le loro stanze. Incontrarono un po' di traffico andando
all'aereoporto, ma arrivarono in tempo per il check-in e salirono in
orario sull'aereo che partì dopo qualche minuto.
Meredith si sedette vicino al finestrino e, a metà viaggio,
ordinò un bicchiere di whiskey, pur essendo astemia.
Peter,
quella sera, uscì fuori e si sedette su una sdraio sul
grande
balcone. In cielo di Philadelphia era illuminato dalle luci della
grande citta, tanto che non si riuscivano a vedere molte stelle.
Pensò
a Meredith e alle due volte in cui l'aveva fatta sua, poi si accese
una sigaretta e la fumò lentamente, guardando il cielo
diventare
sempre più scuro con il passare delle ore. Era davvero
così
difficile dimenticare quella ragazza? Non l'avrebbe più
rivista, lo
sapeva, eppure non riusciva a non pensare a come sarebbe stato bello
riaverla in quel letto solo per un'altra notte. Era confuso, non
sapeva cosa provasse e gli sembrò di tornare ai tempi del
liceo;
quella ragazza così giovane e all'apparenza innocente lo
confondeva
e lo rendeva incapace di fare qualsiasi cosa. Era straziante per lui
dover giacere come un adolescente in preda agli ormoni e ai
sentimentalismi più patetici, perso tra i brevi ricordi su
Meredith.
Nei
giorni seguenti, Peter incontrò Anthea, camminò
in giro per la
città e passò un paio di volte a casa di Matthew.
Una
mattina, però, Peter saltò in macchina e si
diresse verso la
vecchia villa di famiglia, dove viveva la madre. Arrivò in
un paio
d'ore e, dopo essere sceso dalla macchina, si fermò per
qualche
minuto ad osservare l'imponente cancello e la muratura che circondava
la tenuta e che impediva l'entrata. Per l'occasione aveva indossato
un completo Armani; non vedeva la madre da anni e non voleva passare
il pomeriggio a sentire questa che lo offendeva perchè
andava in
giro in jeans. Premé il bottone del citofono a sinistra
della
recinzione e aspettò una risposta, che arrivò
pochi secondi dopo
dall'apertura del cancello. Lasciò la macchina fuori ed
entrò a piedi. Trovò la madre in piedi davanti
l'entrata; indossava
un tailleur blu scuro e dei tacchi bassi. «E' davvero mio
figlio o
inizio ad avere le allucinazioni?» chiese la donna guardando
negli
occhi Peter.
«Mi
sei mancata pure tu» disse il
figlio sorridendo
leggermente. Non vedeva la
madre da un anno e l'aveva chiamata solo pochi mesi prima per
avvertirla del matrimonio.
Mary
fece entrare il figlio nella suntuosa villa: uno scalone davanti
l'entrata occupava molta parte dell'atrio; a destra un'arco portava
al salone arredato in stile ottocentesco; a sinistra, aprendo una
porta a vetri a doppie ante, si accedeva alla grande sala da pranzo.
Questa era arredata con un lungo tavolo medioevale al centro e con
numerose sedie di velluto nero. Da una porta a destra di questa sala
si accedeva alle cucine. Il piano di sopra era occupato dalle varie
camere da letto e da alcuni bagni.
La
madre proveniva da una famiglia di nobili e aveva ancora quella che,
in tempi moderni, sono chiamati "aiuti domestici".
Entrarono nel grande salotto e Mary cacciò una domestica in
modo
scortese; come sempre, quindi. «Allora, si può
sapere cos'è
successo con quella sgualdrina?» chiese la donna riferendosi
a
Isabella. La donna era stata sempre diretta con Peter, riguardo alle
sue ragazze e riguardo a tutto il resto.
Prima
media: la donna fece guardare un film porno al figlio per
"istruirlo"; a quanto pareva, il discorso delle api era
troppo convenzionale.
Primo
liceo: la madre, di fianco a Charles, regala a Peter il suo primo
pacchetto di preservativi dicendo:«Insomma, prima o poi
dovrà pur
succedere!»
Meglio
evitare il resto del liceo e le numerose entrate di Mary nella camera
del figlio mentre si dava da fare con una ragazza diversa a
settimana. Ebbene sì, anche da giovane Peter ci sapeva fare
con le
donne. Quindi, Peter a 19 anni fu costretto ad iscriversi
all'università per ricevere dai genitori l'assegno mensile
per
università e appartamento. Da quel tempo, e da quando i suoi
genitori divorziarono, Peter troncò i rapporti con il padre
e,
quando la madre sposò un giovane della sua stessa
età, con la
madre. Il giovane lasciò Mary dopo dieci d'anni e Peter
tornò a
casa della donna per due Natali, poi si persero nuovamente. Due mesi
prima, poi, Isabella chiamò Mary per avvertirla del
matrimonio, ma
la futura sposa rifiutò un suo invito a cena e, a quanto
pareva, la
madre di Peter se lo legò al dito. Probabilmente Matthew
l'aveva
avvertita della loro rottura e la donna aveva affermato la sua
ipotesi secondo cui "Dio, se è una prostituta!". Ma
Matthew non aveva una famiglia con cui parlare e a cui rivelare tutti i
pettegolezzi?
Salve,
gente. Sinceramente, non mi piace molto questo capitolo. Ho paura di
aver mischiato troppi avvenimenti e, magari, di non averli approfonditi
abbastanza >< Voi cosa ne pensate? Vi è
piaciuto? Comunque, oggi vi rivelo i volti di Meredith e William (Il
dottore) u.u Ebbene, per Meredith ho scelto Jessica Stroup,
mentre per William c'è Gary Oldman. Sì, lo so,
Gary Oldman è figo e affascinante e pensate che nel ruolo di
William non c'entra niente, ma vi assicuro che William ha il suo
perché v_v
PS:
Odio o amo Mary? Non lo so ancora! xD
AH! Sul prossimo capitolo continuerò la conversazione di Mary e Peter, ovviamente!
|
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Capitolo 5 *** Chapter Five ***
«Non
è una sgualdrina.» sibilò Peter dopo
essersi ripreso da
quell'ondata di ricordi.
La
donna lo guardò stranita, poi riprese:«Hai anche
il coraggio di
difenderla? Sai che se avessi difeso tuo padre in
tribunale...»
continuò insistentemente Mary.
«Non...»
iniziò Peter ridendo nervosamente. «Non
paragonarla a tuo marito»
urlò lui e si alzò dalla poltrona di velluto su
cui era seduto.
«E
tu, Peter, non urlarmi contro» ordinò la donna
impassibile.
Peter
respirava affannosamente, come se avesse corso, ed era infuriato per
il paragone di poco prima. Isabella uguale a Charles? Mpf! Stava
scherzando, vero? «Non ho intenzione di calmarmi! Charles ti
ha
tradito con decine di donne, mentre Isabella...» si
fermò un
secondo per riflettere. Anche Isabella, prima che i due si
fidanzassero, andava a letto con altri uomini, ma Peter pensava
davvero che si sarebbe 'dedicata' solo a lui. Che stupido che era
stato! Charles e Isabella... i due adulteri... i due amanti.
Improvvisamente Peter si sentì un completo idiota.
«Grazie mille,
madre! Non ci vediamo da anni, vengo qui e tu cosa fai? Mi parli di
LEI? Molto gentile, grazie. Devo forse ricordarti come stavi tu dopo
il divorzio da Charles?» le gridò contro.
Mary
sorrise seraficamente. «Non hai appena detto di non voler
paragonare
la sg... Isabella...» si corresse. «... a tuo
padre? E poi, solo
per tua informazione, dopo aver divorziato da tuo padre ero stesa nel
mio letto a baldacchino con George»
«George?
Ah, è così che si chiama il tuo secondo ex
marito?», chiese Peter
fingendo curiosità.
«Non
cercare di cambiare discorso, Peter. Allora, vuoi raccontarmi
cos'è
successo o no?»
«No
che non voglio, Mary. E' l'unica cosa che posso evitare di
raccontare, visto che sembra che tutti sappiano tutto di me»
rispose
lui nervoso.
«Ok,
allora vuoi raccontarmi della tua nuova ragazza?» chiese la
madre.
Non vedeva il figlio da un paio d'anni e voleva sapere qualcosa.
Matthew le aveva raccontato di una ragazza molto giovane con cui
Peter era andato a letto.
«Quale
nuova ragazza?» Peter si sedette di nuovo di fronte alla
madre,
sulla poltrona.
Mary
rimase interdetta. «Dai, almeno raccontami di lei. Sai,
quella
ragazza dell'hotel.»
Peter
rimase qualche secondo a fissare la madre, cercando di capire a chi
si riferisse. La sua espressione, piano piano, da seria
passò a
divertita.
«Meredith?» chiese retorico, ridendo.
«Meredith non è
la mia ragazza ed è partita. Comunque, non ho voglia di
parlare di
lei. Tu cosa mi racconti?" chiese alla madre. Era ancora
infuriato con lei, ma voleva riallacciare i rapporti; in fondo non
era così cattiva. In fondo.
«Ascolta:
forse non sono la madre perfetta, ma non ci vediamo da molto tempo,
quindi... raccontami.»
«Sul
serio, non è successo niente, più o
meno.» Ebbene, aveva deciso di
raccontarle tutto. «Ero uscito quel pomeriggio per andare dal
mio
agente. Mi aveva chiamato dicendomi che doveva farmi conoscere
qualcuno, che voleva trasformare in film il mio ultimo libro. Arrivai
nel suo ufficio in mezz'ora a causa del traffico, entrai e conobbi un
paio di persone di una grande casa di produzione di cui non ricordo
neanche il nome; finimmo la riunione dopo tre ore. Salutai il mio
agente promettendogli che avrei pensato alla proposta che mi avevano
fatto quei tipi. Mi avviai lentamente verso casa, convinto che
Isabella fosse uscita con qualche amica. Le luci erano spente
così...» Si fermò un secondo per
sospirare e bere un sorso di the.
«Entrai silenziosamente in casa e vidi la luce accesa in
camera...
seguita da un rumore continuo. Pensai stesse aggiustando qualcosa con
il martello!» Rise nervosamente, poi si passò una
mano tra i
capelli e si abbandonò completamente allo schienale della
poltrona.
«Urlai:"Amore, cosa stai facendo? Dovresti smetterla con quel
martello!" e il rumore si fermò. Corsi in camera e... li
vidi.»
Alzò le spalle in segno di arresa. «Charles si
alzò di malavoglia
dal letto e, quando mi vide, ebbe il coraggio di sorridermi.
Indossava solo un paio di slip. Slip, hai presente? Un adultero come
lui ti sembra persona da slip? Dio, chi indossa gli slip
ormai?»
chiese retorico socchiudendo gli occhi. «Rimasi immobile
sullo
stipite della porta mentre Isabella si copriva velocemente con un
lenzuolo, come se si dovesse nascondere da me. Ero nervoso e fuori di
me, quindi...», rise di nuovo. «... mi avvicinai e
gli assestai un
destro. Un destro perfetto. Dovresti vederlo ora. Mandibola e occhio
destro completamente neri.» Scosse la testa. «Mi
pulii le mani
sulla camicia e uscii lentamente di casa. Quella dannata casa. La MIA
casa. E ora gliel'ho pure lasciata. Perché gliel'ho
lasciata?» finì
di raccontare e osservò l'espressione di Mary.
«Cosa fai, mi
compatisci? Non compatirmi.» Si passò una mano
sugli occhi come per
svegliarsi da un brutto incubo; purtroppo, non lo era.
«Non
ti compatisco affatto. Ci siamo passati entrambi; io più
volte, tu
solo una. Ma, per fortuna, l'ho beccato solo una volta.»
Alzò gli
occhi al cielo e fissò un punto sul grande armadio
ottocentesco alla
sua sinistra. «Mi chiedo, però...»
continuò con un sussurro.
«Come mai si sia fatto beccare»
«Cosa
intendi?» le chiese Peter improvvisamente vispo e curioso.
«Io
l'ho colto in fragrante quell'unica volta solo perché ero
tornata
prima da un viaggio in Europa, ricordi? Per tutte le altre volte...
è
stato impeccabile. Notevole, direi. Invece, adesso, sembra quasi che
abbia fatto di tutto per essere scoperto»
Peter
aggrottò la fronte. «Non capisco»
mormorò tra sé e sé. «Dici
che la cosa andava avanti da tempo e che volevano uscire allo
scoperto facendosi beccare?»
«Sembra
così» disse Mary accavallando le gambe e portando
le mani
incrociate su di esse.
Peter
ci riflesse qualche minuto, mentre la donna lo osservava preoccupata.
Lui era pur sempre suo figlio, lo aveva cresciuto e, per quanto fosse
contraria alle scelte che lui aveva fatto in campo di donne, lo
sosteneva. «Forse mi sto sbagliando...»
mormorò lei al figlio, ma
lui si alzò di scatto, le diede un bacio sulla guancia e
uscì dalla
grande villa urlando un "Grazie!"
Peter
aspettò ansioso l'apertura del cancello, poi corse in
macchina e si
diresse in centro.
Come
gli era sfuggito? Come aveva fatto a non capire? Era stato tradito
ripetutamente dalla fidanzata e lui non si era mai accorto di nulla!
Era tutto sotto i suoi occhi! Era ovvio che Charles non si sarebbe
lasciato sfuggire Isabella, no? Come avrebbe potuto? In un attimo,
capì tutto: le improvvise amicizie di Isabella nel
quartiere, il
pericoloso avvicinamento del padre, il sorriso sul suo volto dopo
essere stato scoperto, le lacrime di Isabella dopo essersi resa conto
di aver fatto soffrire l'uomo che amava a causa di uno stupido
capriccio...
Fermò
la macchina di fronte al One Liberty Place e raggiunse con
l'ascensore l'ultimo piano, il 61esimo.
Uscì
dal grande ascensore e si ritrovò nell'atrio dell'ufficio.
«Salve,
Peter Widmore" mormorò alla segretaria, che di tutta
risposta
gli sorrise maliziosamente. «Mi dispiace, ma sono in riunione
i
maggiori esponenti della compagnia»
«Perfetto»
disse Peter sorridendo.
«Ma
signore...» iniziò la segretaria vedendo che lui
si dirigeva senza
troppi problemi verso l'entrata dell'aula riunioni. Spalancò
la
porta di vetro e irruppe nella grande stanza piena di assicuratori e
finanziatori. Notò la sorpresa del padre vedendolo entrare e
sul
volto di Peter apparve un sorriso crudele.
«Padre,
come stai? Tutto bene? Il mio appartamento è abbastanza
caldo per
entrambi?» chiese sarcastico mentre si dirigeva verso suo
padre,
dall'altra parte della stanza. Intanto si era fatto il silenzio
più
totale a eccezione di qualche mormorio di gente curiosa. «Oh,
bhe,
mi fa piacere. Mi fa davvero piacere» finì la
frase e si ritrovò
faccia a faccia con Charles che, nel frattempo, si era alzato dalla
poltrona di pelle e stava chiedendo silenziosamente al figlio cosa
diavolo cercava di fare. «Cosa cerco di fare?»
chiese retorico
Peter sorridendo. «Questo!» urlò
afferrando il padre per la
cravatta e tirandogli un pugno all'occhio sinistro.
«Così non si
noterà la differenza» si giustificò lui
alzando le spalle. «Ah,
prima che mi dimentichi...» si riavvicinò al padre
che stava
gemendo dal dolore e gli diede una ginocchiata ai genitali. Lo
sorresse per le spalle per non farlo cadere a terra e gli
sussurro:«Questo è per esserti preso
Isabella.» Quelle furono le
sue ultime parole prima di essere placcato dalla sicurezza.
Peter
si svegliò in una cella occupata da un metallaro 50enne
ubriaco –
si sentiva dalla puzza che emetteva. Ricordava solo di essere stato
sedato per ordine del padre e di essere stato portato in quello
schifo di prigione. Si mise seduto sul letto per qualche minuto,
mentre si passava le mani tra i capelli cercando di capacitarsi di
cosa aveva fatto. Era accecato dalla rabbia, ecco cos'era. Un attacco
d'ira, niente di più. Non era pazzo o cose del genere.
Alessandro
Magno era pazzo. Era lui che aveva scatti continui d'ira e uccideva
le persone per sfogarsi.
Peter
si alzò e iniziò a camminare lentamente avanti e
indietro per la
piccola cella, silenzioso, per non svegliare il 'coinquilino'. Era
entrato senza autorizzazione nell'attico di uno dei più
famosi
grattacieli di Philadelphia, aveva interrotto una riunione tra i
più
grandi e ricchi personaggi dell'agenzia, aveva dato un pugno e una
ginocchiata a suo padre, uno dei più famosi finanziatori, ed
era
stato sedato e portato in galera. Per cosa? Per un tradimento. Non si
era mai sentito così stupido prima d'ora.
«Widmore,
dannato Widmore, dove sei?» Una guardia lo stava chiamando
dal
corridoio e lui si buttò letteralmente contro le sbarre.
«Eccomi»
urlò Peter.
«Ok...»
la guardia iniziò a cercare una tra le tante chiavi di un
mazzo che
teneva in mano; finalmente trovò quella giusta e
aprì la cella.
«Fuori per cauzione» disse duramente.
«Anche se qualche altra
notte qui non ti avrebbe fatto male», mormorò
richiudendo la porta
alle spalle di Peter.
Peter
uscì dal carcere e rimanse sorpreso nel vedere il proprio
'salvatore'. Era lei. Era proprio lei. No, lettori, non era Meredith.
Era Isabella.
Il
respiro regolare di Peter s'interruppe per un secondo, riprendendo
nervoso e accellerato subito dopo. «Cosa...» scosse
la testa; si
rifiutava di capire.
«Cosa
ci faccio io qui?» concluse lei al suo posto. Era calma,
incredibilmente calma. Indossava un paio di jeans, una maglia larga
il doppio della sua taglia e le lasciava scoperta una spalla e un
paio di ballerine. «Tua madre ha chiamato Matthew, Matthew ha
chiamato Olivia, Olivia ha chiamato me. Mi hanno detto che hai quasi
ucciso Charles»
Peter
sorrise sarcastico. «Chissà
perché.»
«Me
lo domando, sul serio» rispose lei serafica.
«Te
lo domandi? Tsk! Davvero?» chiese retorico avvicinandosi alla
donna.
«Mh... fammi pensare» alzò gli occhi al
cielo e batté un paio di
volte l'indice sul mento, fingendo di pensarci. «Oh,
già, il fatto
che mi hai tradito ripetutamente sotto il mio naso e non mi sono
accorto di nulla! Già, dev'essere stato proprio
quello.»
«Allora
lo sai...» mormorò Isabella mentre abbassava lo
sguardo.
«Già,
lo so. Sicuramente non grazie a te; e hai anche il coraggio di
fingere indifferenza, vedo. Le lacrime sono passate, eh?»
«Beh,
anche a te è passata subito, da quanto ho
sentito!» sibilò lei
alzando lo sguardo verso Peter e rivelando gli occhi pieni di
lacrime.
«Cosa
intendi?» chiese lui. Matthew non aveva detto di Meredith
anche a
lei, vero? Dio, era peggio di una donna!
«Cosa
intendo? Adesso chi è che finge indifferenza? Quella...
M...» si
portò le mani alle tempie e iniziò a battere il
piede destro per
terra cercando di di ricordare. «Ma... Maria. No... Me...
MEREDITH!»
Ecco,
appunto. «Quindi? Cosa c'entra lei? L'ho conosciuta in hotel
e ho
tentato di dimenticare tutto andandoci a letto! Dov'è il
problema?
Non è quello che hai fatto tu per mesi?». Aveva
alzato il tono di
voce e si accorse solo in quel momento di stare urlando nel bel mezzo
della piazzola di fronte al carcere. Stava mentendo su Meredith e se
n'era accorto da come si era sentendo in colpa. Non era una donna da
una botta e via e lui se n'era reso conto dal primo momento; era
soprattutto per quello che si era sentito attratto da lei. I suoi
capelli, il suo profumo, la sua voce... tutto di lei lo attiravano e
lui non poteva farci nulla. E ora l'aveva persa per sempre.
«IO».
Isabella scandì bene quella parola e Peter si riprese dai
pensieri
su Meredith. «Io non ti ho tradito per mesi. Durava solo da
UN mese
e lui voleva venire per forza allo scoperto. Diceva qualcosa su una
vittoria nei tuoi confronti... una dimostrazione di potere e cose
così. Tra noi non andava poi così bene, anzi
proprio per niente, e
ti vedevo allontanarti ogni giorno di più, ma gli avevo
chiaramente
detto che non ero d'accordo. Ho capito che aveva pianificato tutto
quando sei entrato e si è alzato dal letto divertito. Mi
sono
sentita così in colpa...»
«Oh,
sul serio... stai cercando di discolparti? Tradirmi va bene, ma
farmelo sapere no?» chiese ironico lui. Non gli piaceva dove
stava
andando il discorso e aveva paura che la voglia di picchiare qualcuno
lo assalisse proprio in quel momento.
«No,
hai ragione; sono stata una stronza e non te lo meritavi»
concluse
lei alzando gli occhi al cielo e guardando la Luna che era appena
uscita dal suo nascondiglio tra le nuvole.
«Ecco,
brava, va molto meglio.», sospirò lui guardandola
negli occhi.
Lei
spostò lo sguardo su di lui e gli sorrise debolmente.
«Addio,
Peter. Queste sono le chiavi dell'appartamento»
mormorò posandogli
sulla mano due chiavi.
«Addio,
Isabella» sussurrò lui chinandosi a lasciarle un
lieve bacio sulle
labbra.
La
ragazza si allontanò piangendo e salì in
macchina, lasciando Peter
da solo di fronte al carcere. Perché era questo, solo
questo: solo.
________________________________________________________________________________________________________________________
Scusate
per il ritardo del post, ma non ho davvero avuto tempo di scrivere
questa settimana ç__ç Comunque, come avete visto,
oggi abbiamo scoperto un nuovo lato del carattere di Peter, abbiamo
visto il rapporto conflittuale che ha sia con il padre, sia con la
madre e lo abbiamo fatto rincontrare con Isabella per l'ultima volta.
Abbiamo anche confermato un ulteriore dubbio: Matthew E' effettivamente
peggio di una donna in fatto di pettegolezzi. Questo capitolo mi
è piaciuto davvero, si cambia completamente lo scenario e si
scoprono nuove cose su i personaggi e sulla storia.
Le
attrici di questa settimana, anyway, sono JoBeth Williams (Mary
Widmore - non ha cambiato il cognome dopo essersi sposata con George)
e Gwynet Paltrow (Olivia
Ford).
Spero
che vi sia piaciuto il capitolo e... recensitelo se vi è
piaciuto o se pensate che qualcosa non vada nella trama, nella
scrittura o altro. Insomma, sono aperta sia a critiche che a
complimenti xD
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Capitolo 6 *** Chapter Six ***
Peter
si ritrovò, senza preparazione, a casa sua.
La
sera prima era tornato in hotel in taxi, aveva trascorso lì
l'ultima
notte e, dopo aver preso la sua roba, era tornato a casa sua. Era
ancora casa sua? Ne dubitava fortemente. Il giorno precedente aveva
avuto la conferma che suo padre aveva fatto sesso con la sua
fidanzata e adesso aveva completamente perso la fiducia in lui.
«Diceva qualcosa su una vittoria nei tuoi
confronti... una
dimostrazione di potere e cose così.»
Gli tornarono in
mente le parole di Isabella davanti al carcere. Dimostrazione di
potere... ancora non aveva capito a cosa si riferisse. Suo padre era
davvero in 'competizione' con lui? Che tipo di competizione,
comunque? Chi ruba più donne all'altro? Doveva farsi sua
madre per
vincere? Sul suo viso apparse una smorfia di disgusto e si accorse
che era fermo da circa mezz'ora davanti alla porta chiusa
dell'appartamento. Si guardò intorno per vedere se c'era
qualcuno
che l'aveva notato, ma non vide nessuno in giro quindi aprì
la porta
ed entrò.
Il
vicinato era formato da una serie di villette a schiera, alcune con
piscina, ed erano sormontate da grandi alberi; a volte Peter sperava
che un albero di spezzasse e cadesse su una di quelle case, solo per
vedere l'espressione di quei ricconi a disagio. Il suo piccolo
appartamento a un piano e mezzo – ebbene sì, c'era
una piccola
mansarda al piano superiore – c'entrava davvero poco con
tutta
quella ricchezza, ma a lui piaceva così. Gli piaceva
distinguersi
dalla classe sociale a cui, un tempo, apparteneva. A 19 anni si era
trasferito lì, che allora era un vecchio magazzino, e si era
allontanato da quel mondo.
Era
ormai nell'appartamento e iniziò a guardarsi attorno: la
casa era
completamente vuota a parte il letto in camera, un divano, una
vecchia televisione mai usata in salotto e qualche libro su un
armadio a muro; ovviamente bagno e cucina erano al loro posto.
Peter
scrollò le spalle. Poco gli importava dei mobili,
l'importare era
riavere la casa. Poggiò la macchina da scrivere sul divano e
buttò
il borsone in salotto prima di stendersi a terra a osservare il
soffitto.
«Devo
comprare una bottiglia di whiskey» fu la sua prima parola in
quella
casa dopo una settimana di assenza. Gli sembrava che fossero passati
mesi, ma era solo una settimana. «Meredith»
mormorò. Meredith.
Quella donna gli era rimasta impressa nella memoria e non voleva
saperne nulla di andarsene dalla testa di quel poveruomo. Il problema
era: come ha fatto Peter ha passare dal whiskey a Meredith? Mistero,
ma quell'uomo aveva davvero bisogno di una bottiglia di whiskey
quella sera; non poteva rimanere sobrio la prima notte in quella
casa. Si alzò dal pavimento e posò gli occhi sul
divano, dove era
poggiata la sua fantastica, favolosa, unica e vecchia macchina da
scrivere. Soprattutto vecchia. Insomma, era una vecchia macchina da
scrivere e lo aveva accompagnato durante la scrittura del suo primo
romanzo. Le vendite non l'avevano fatto divenire un bestseller ma
aveva comunque venduto parecchie copie e da allora Peter non l'aveva
più abbadonata. La portava ovunque andasse in viaggio o
anche quando
si allontanava da casa per qualche giorno; era una sorta di
portafortuna e la usava ancora quando aveva l'ispirazione.
Aprì
il borsone che era stato buttato al centro della stanza, prese da
lì
il portafoglio e indugiò sul cellulare, ma lo
ributtò sul divano
rischiando un rimbalzo pericoloso e prese le chiavi di casa uscendo.
Entrò
nel grande bar affollato e si fiondò sul primo posto libero
al
bancone che trovò. Aveva infine optato per una serie di
bicchieri di
whiskey, non la bottiglia, per non creare sporco in casa. Si sedette
di fianco a un giovane ragazza, probabilmente appena maggiorenne, e
cercò di evitare il suo sguardo; però non ci
riuscì visto che ci
si risvegliò il giorno dopo in camera sul suo materasso.
La
ragazza era completamente spalmata sul suo corpo, nuda, e lui non
aveva altra via di uscire se non svegliarla. Cercò di
rammentare il
suo nome, ma non riusciva a ricordarlo, quindi iniziò a
pungolarla
sul braccio con l'indice. No, non voleva essere gentile. Lei si
svegliò quasi immediatamente e scosse più volte
la testa per
liberarsi dei riccioli chiari che le invadevano il volto.
«Oh,
buongiorno bellezza» mormorò lei sorridente
dandogli un bacio sulla
bocca. Probabilmente notò l'espressione spaventata di Peter,
perché
socchiuse gli occhi e lo guardò intensamente. «Non
ti ricordi
neanche il mio nome, vero?» chiese lei cercando di dare una
mano.
«No»
ammise Peter grattandosi la testa. «Scusa»
«Oh,
non preoccuparti» scosse le spalle nel limite del possibile.
«Ho
fatto dell'ottimo sesso ieri sera e questo basta» rispose
sorridente, poi si inginocchio di fianco a lui e gli porse la mano.
«Allyson, piacere»
Lui,
in tutta risposta, corse in bagno a vomitare. Doveva aver bevuto un
po' troppo la notte precedente.
«Ottimo.»
commentò Allyson dalla camera, sottovoce.
Peter
tornò dopo qualche minuto. Aveva indossato un paio di boxer
e si era
lavato i denti, quindi stava asciugando i lati della bocca con un
asciugamano; porse la mano ad Allyson. «Piacere mio, Allyson,
io
sono Peter. Quanti anni hai?» domandò nervosamente.
Lei
rise, una risata cristallina e incantevole. «21 compiuti
ieri. Non
preoccuparti»
«Mh.
Okay, allora, Allyson.» disse scandendo bene il suo nome.
«Io... ho
bisogno di un caffè,» constatò lui dopo
qualche secondo ad occhi
chiusi, a causa del mal di testa. «ma a non ne ho qui. Ti va
di
uscire per una passeggiata?»
«No,
credo che mi vestirò e tornerò a casa. Grazie per
l'offerta,
comunque» sorridente, come sempre.
Peter
aspettò che la ragazza uscisse – lei gli
lasciò il suo numero di
telefono – e si avviò verso il bar della sera
prima in cerca di un
caffè. Si sedette allo stesso posto e bevve un
caffè forte; rimase
lì mezz'ora e, piano piano, si ricordò tutto.
La
ragazza si voltò verso Peter e iniziò a parlargli
della sua vita,
senza che lui dovesse rispondere o altro. Quel giorno era il suo
compleanno e alla sua festa era stata lasciata dal ragazzo, quindi
aveva preferito scappare e piangere in un bar, magari sulla spalla di
qualche bel ragazzo. Peter ascoltava a tratti, assorto nei suoi
pensieri, ma poi lei gli chiese di lui e fu quasi costretto dalla
giovane a rivelarle il perché della sua espressione
affranta. Aveva
davvero bisogno di sfogarsi e non poteva farlo con Matthew, visto che
era peggio di 'Gossip Girl', di conseguenza iniziò a
raccontare alla
ragazza tutto quello che gli era capitato durante la vita: il padre
stronzo, la madre sulla retta via per raggiungerlo, Isabella, il
tradimento... perfino Meredith. Poi avevano iniziato a bere un po'
troppo e, dopo qualche strusciamento in bagno, avevano scelto di
andare a casa di Peter. Il sesso era stato fantastico,
come aveva
detto lei, e
lui l'aveva convinta a rimanere per la notte.
Il
resto, come si suol dire, è storia.
Peter
si alzò dallo sgabello su cui era seduto, finì
con un sorso il
caffè, poi uscì nell'aria gelata di Philadephia.
Corse a casa,
prese il telefono dal divano e digitò il numero di Allyson.
«Pronto?»
rispose una voce squillante dall'altro capo del telefono.
«Uhm...
sono Peter» rispose lui. L'aveva chiamata, sì. Era
una frana con i
messaggi.
«Oh,
Peter.» Era... sorpresa? Sollievo?
«Già,
Peter. Ero al bar prima e ho ricordato tutto»
«Oh.» troppi oh.
Decisamente troppi.
«C'è
qualcosa che non va?»
«No,
no, non preoccuparti. In un certo senso volevo che dimenticassi
tutto. Insomma, andare a letto con un ragazzo dopo essere stata
mollata non da proprio un'ottima impressione, no?»
domandò
nervosamente.
«Non
preoccuparti, non giudico nessuno. Anche io ti ho detto un sacco di
cose... private. Cose private"
«Già...
ricordo»
Troppi
puntini e troppo nervosismo. La conversazione stava diventando a dir
poco imbarazzante.
«Già...»
ripeté Peter.
«Non
dirlo a nessuno»
«Non
dirlo a nessuno» ordinarono all'unisono
«Ok»
mormorò Allyson prima di riattaccare.
Peter
buttò nuovamente il telefono sul divano. «Stupidi
aggeggi» mormorò
a denti stretti. Non gli erano mai piaciuti i telefoni, specie i
più
moderni, e il nonsense della conversazione appena
avuta con la
ragazza era la prova della loro inutilità. Sbuffando prese
le chiavi
della macchina e decise di andare a casa di Matthew, giusto per
fargli una predica, rubargli un po' di cibo e tornare a casa.
Durante
il tragitto si ritrovò a pensare a sua madre, a come doveva
aver
sofferto quando aveva scoperto dei continui tradimenti del marito...
e ora quello stesso uomo era in cerca di una qualche specie di
vendetta nel suoi confronti. Che vendetta? Voleva dimostrare di
essere il settantenne più figo a farsi la fidanzata di suo
figlio?
Probabilmente era solo pazzo. Gli serviva un po' di terapia.
Decisamente. Peter pensava costantemente a cosa avesse spinto suo
padre a comportarsi in quel modo... ma l'avrebbe scoperto; magari
anche evitando di andare in galera.
Arrivando
a casa di Matthew notò che nel vialetto non era presente la
macchina di Olivia, di conseguenza bussò alla porta
sorridente.
«Peter?
Cosa ci fai qui?» chiese l'amico aggrottando la fronte.
«Stai
tradendo Olivia?» domandò Peter alzandosi sulle
punte dei piedi
cercando di vedere al di là delle spalle di Matthew.
«Cosa?
No, perché dovrei?» A volte l'ingenuità
di quell'uomo era assurda.
«Ottimo,
allora fammi entrare» e si infilò in casa passando
sotto il braccio
di Matthew.
Andò
dritto in cucina, prese una mela rossa e l'addentò.
«Io e te
dobbiamo parlare» comunicò Peter sedendosi sul
bancone della cucina
con la mela in mano.
«Di
cosa, se posso?» Matthew lo raggiunse in cucina e si
appoggiò allo
stipite della porta.
«Di
come tu racconti la mia vita in giro. Insomma, mia madre? Sul
serio?»
«Pensavo
fosse giusto che lei sapesse. Come mai non ti lamenti di
Isabella?»
«Perché
dovrei lamentarmi di lei? Bhe, in effetti dovrei, ma non voglio dirti
perché, altrimenti andresti a raccontarlo a Charles. Sappi
solo che
mi ha restituito l'appartamento» affermò duramente.
«Sul
serio?» chiese incredulo Matthew. Quando aveva parlato con
Isabella
lei non sembrava molto decisa ad andarsene. «Allora,
cos'è successo
ieri? Mi ha detto tua madre che sei scappato prima di poter
pranzare.»
«Sul
serio.» confermò Peter. «E'...
complicato. A quanto pare mio padre
voleva – vuole – una rivincita su di me, ma non so
per quale
motivo. Per questo è andato a letto non una, ma molte volte
con
Isabella; quel giorno li ho scoperti perché lui voleva che
accadesse. Non riesco a crederci.» Immobile su quel ripiano,
abbassò
lo sguardo e lasciò la mela; sembrava incredibilmente
fragile.
L'amico
si avvicinò per confortarlo. «Rivincita su cosa?
Probabilmente è
solo pazzo, è inutile rifletterci troppo su. Pensavo
però che
avessi affrontato l'argomento Isabella»
«Infatti
lei non è più un problema.»
Alzò lo sguardò e incontrò quello
preoccupato di Matthew. Sorrise. «Senti, non fa nulla. Non
preoccuparti, ok? Sono venuto qui solo per fregarti qualcosa da
mangiare e una bottiglia di Bourbon, se c'è»
«Devi
smetterla di bere» ordinò l'amico.
«Ormai
ho ricominciato! Che senso avrebbe smettere?» chiese retorico
sorridendo. Si diresse verso il frigo e prese un pacco di uova, delle
salsicce e una bottiglia di succo poi lo richiuse, prese una pagnotta
di pane e infilò il tutto in una busta. Iniziò a
vagare per il
salotto in cerca del ripostiglio segreto di alcolici di Olivia.
Matthew non beveva ma lei sì e, per tenere al sicuro i
bambini,
aveva fatto costruire un ripostiglio segreto; questo a quanto diceva
Matt. Risultò essere – sorpresa - una serie di
mattonelle del
camino. 'Rubò' una bottiglia di Bourbon e una di Rum e, dopo
aver
salutato Matthew, si avviò verso la macchina.
«Peter,
aspetta!» urlò proprio lui raggiungendolo. Aveva
l'aria corrucciata
e sembrava uno che aveva ragionato a lungo su qualcosa.
«Senti, a
casa da solo non... non mi sento sicuro a lasciarti lì."
«Guarda
che starò benissimo...» rispose Peter.
«No,
non è vero. Per questo volevo farti una proposta: io, Olivia
e i
ragazzi andremo una settimana in vacanza il prossimo mese.»
«Quindi?»
«Vorrei
che venissi con noi» concluse Matthew sorridendo
«Dove?»
chiese scocciato Peter. Non gli piaceva essere trattato da bambino.
Insomma, doveva fare i conti con molte cose in questi giorni... il
movente di suo padre, il comportamento di Isabella, Meredith.
"Perché
arrivo sempre a Meredith?" si domandava a volte. Quella donna...
Mi avete stregato anima e corpo. Si
ricordò le parole di Mr
Darcy in Orgoglio e Pregiudizio. Era proprio così? In quel
poco
tempo trascorso con lei se n'era innamorato? Era così facile
innamorarsi di una persona, anche alla sua età? Oppure era
lui che,
scioccamente, si era lasciato soggiogare da quell'incantevole donna?
«Seattle»
rispose Matthew.
«Come
scusa?» domandò, visto che non aveva capito la
risposta.
«In
vacanza per una settimana... andiamo a Seattle.»
___________________________________________________________________________
Ebbene sì, Seattle,
baby! Ricordate
chi c'è a Seattle, vero? VERO? u.u Scusate, anyways, per il
ritardo di questo capitolo, ma non ho avuto tempo di scrivere neanche
durante le vacanze di Pasqua! ç_ç Comuuuuunque...
Spero vi sia piaciuto. Nei prossimi capitoli, prima della partenza,
vedremo come se la cava Peter con tutto questo casino che ha combinato
il padre e come si preparerà a rivedere Meredith. Recensite se
volete e... AL PROSSIMO CAPITOLO!
PS: Ecco a voi *Rullo di tamburi* ALLYSON!
u.u
|
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Capitolo 7 *** Chapter Seven ***
Da
qualche parte in un ospedale di Seattle, Peter ansimava e cercava di
controllare il respiro, mentre Meredith si sistemava la gonna e si
riallacciava convulsamente i bottoni della camicietta bianca.
«Oddio,
io dovrei essere in una sala operatoria a quest'ora», fece
notare
lei guardando lo schermo del piccolo cercapersone.
«Non
avevi detto di aver avvertito del ritardo?» chiese Peter
guardandola
sottecchi mentre si infilava la camicia nera e cercava
un'interruttore per accendere la luce; doveva cercare i pantaloni.
L'interruttore era uno di quelli che cadevano dal soffitto quindi lui
aveva cercato una sporgenza lungo il muro per circa dieci minuti
inutilmente.
«Sì,
ma che c'entra?» disse Meredith corrucciata.
«Dovevo salvare una
vita ma ho preferito lasciarmi trascinare qui dentro con te! Non che
me ne sia pentita, assolutamente, è stato fantastico e lo
sai, ma
era un trapianto di cuore!» Sembrava piuttosto triste per
essersi
persa un intervento così raro per una tirocinante della sua
età.
Peter trovò i pantaloni, se li infilò e
baciò con passione
Meredith che stava ancora vaneggiando su come sarebbe stato bello
assistere all'asportazione di un tumore di 38 chili, decisamente
disgustoso vista la situazione in cui si trovavano. La ragazza si
distaccò posando le mani sul suo petto, lo guardò
negli occhi, poi
si avvinghiò nuovamente all'uomo.
Peter
si risvegliò sudato e agitato da quel sogno ormai
ricorrente. Il
rigonfiamento nei boxer era anch'esso quotidiano, da quando era
venuto a conoscenza della breve vacanza dei Ford. Rimase disteso sul
materasso a fumare una sigaretta, poi si alzò ed
entrò nella doccia
ancora vestito, mentre un getto d'acqua fredda lo bagnò
completamente e lo calmò. Il giorno dopo Matthew sarebbe
partito con
i bambini e lui non aveva ancora deciso cosa fare, aveva pensato e
ripensato, ma a che pro andare a Seattle? Non sapeva neanche in che
ospedale lavorasse Meredith! Hey, un momento, come era arrivato a
pensare a Meredith? Ci stava andando per una vacanza, per separarsi
da quella casa deprimente, non per altro. Un secondo, quando aveva
deciso di partire? Probabilmente una parte del suo cervello si era
convinta di ciò che era giusto fare, cioè partire
e godersi una
meritata vacanza con il suo migliore amico... giusto?
Dopo
mezz'ora, però, era diretto al Four Seasons di Philadelphia,
dove
aveva alloggiato fino a poco più di una settimana prima.
Prima di
entrare rimase qualche minuto in macchina, dopodiché indosso
la
giacca di pelle che aveva portato con sé, si tolse gli
occhiali e si
avviò verso l'entrata del lussuoso hotel. Circa due
settimane prima
era stato cacciato da un locale dopo aver scoperto che Isabella lo
aveva tradito, e ora stava per partire per incontrare una donna con
cui aveva passato una notte insieme; la faccenda sfiorava
l'impossibile. Il fatto che con Isabella non andassero bene le cose
prima della loro rottura non giustificava come si sentiva in quel
momento, completamente preso da Meredith. Dannazione!, non riusciva a
capire neanche lui come si fosse innamorato così
velocemente! Doveva
essere stato il suo profumo, sì, decisamente il suo profumo.
Quel
profumo che era rimasto per così tanto tempo sul cuscino
della sua
stanza... quel profumo l'aveva fatto innamorare di una sirena.
Fortunatamente alla reception c'era Walter, quel ragazzo era una
salvezza a volte.
«Walty, caro, perché non andiamo a bere
qualcosa un giorno di questi?»
«Signor Widmore, caro, mi dica
cosa posso fare per lei», ripose il giovane capendo le
intenzioni di
Peter.
«Ok, senti qui, hai presente una giovane dottoressa sulla
ventina, alta, mora, che era qui la stessa settimana in cui ci sono
stato io?»
«Peter, dici sul serio?», chiese Walter incredulo.
«Sì,
perché?». Peter aggrottò le
sopracciglia. Quella era una faccenda
di vita o di morte e lui se ne stava lì impalato a dire
"Dici
sul serio?". Ovvio che diceva sul serio! Tsk.
«Peter»,
cominciò lui ripetendo il suo nome – forse
così avrebbe attirato
la sua attenzione – «mi stai chiedendo di
ricordarmi di una donna
che ha alloggiato qui due settimane fa, mora, alta, giovane, una
dottoressa...?»
«Già,
esatto» rispose l'altro annuendo e mordendosi il labbro
inferiore.
«Okay, magari non ci arrivi anche se sembravi
piuttosto intelligente, quindi te lo spiego meglio... Uhm...
vediamo... Come posso ricordarmi di una dottoressa su un migliaio che
erano qui due settimane fa?»
«Oooh,
ora capisco... Okay. Posso dirti il nome e la stanza in cui
alloggiava, ma...» continuò come se quelle fossero
notizie inutili,
tipo chi ha vinto l'ultimo campionato di pallavolo regionale.
Insomma, chi guarda il pallavolo regionale?
«Quello
sarebbe effetivamente d'aiuto»
«Okay,
Meredith, stanza 259»
Walter
iniziò a digitare concentrato una serie di dati al computer.
Conosceva Peter da un paio d'anni, Charles Widmore tempo prima
possedeva il palazzo ed era stato lui ad assumerlo, poi devette
venderlo e... Per fortuna non l'avevano licenziato, quindi a soli 22
anni era il più giovane a lavorare lì. Lui e
Peter di conseguenza
erano in confidenza, certo non proprio amici, ma erano conoscenti e
gli dava del lei solo quando lo vedeva dopo un po' di tempo o, come
pochi minuti prima, quando gli chiedeva cose impossibili.
Chissà
cosa voleva da quella donna.
«Okay, trovata. Meredith...
Williams»
«Un nome un po' più comune no, eh?»
borbottò
sottovoce. «Potresti dirmi da che ospedale
proveniva?»
«Veramente
no, ma...»
In un secondo Peter girò leggermente lo schermo del
computer, si arrampicò sul bancone e vide il nome
dell'ospedale
sulla scheda aperta dal receptionist: Harborview Medical Center di
Seattle. Fece appena in tempo a scendere prima di vedere due uomini
della sicurezza andargli incontro.
Diede un buffetto a Walter e
scappò fuori dall'hotel, per poi salire in macchina e
sgommare via.
L'ufficio
del suo agente era ampio e ben arredato, merito della moglie, ma in
quel momento era soprattutto pieno di persone. La riunione con Peter
era stata stabilita qualche giorno prima; ovviamente il protagonista
era in ritardo, però iniziarono comunque convinti che
sarebbe
arrivato a minuti. In effetti arrivò... un'ora dopo. Si
sedette a
capotavola, con i piedi incrociati e poggiati sul lungo tavolo di
vetro a cui erano seduti i produttori, il regista e gli attori del
possibile film basato sul suo ultimo libro.
Il suo modo di fare,
strafottente e menefreghista, la barba incolta, le sigarette fumate
una dietro l'altra, indispettirono l'agente, ma, come per miracolo,
convinsero i produttori del film a comprare i diritti e a firmare il
contratto.
Eppure Peter stava solo cercando di fare l'esatto
contrario: aveva conosciuto scrittori il cui nome era stato rovinato
da uno stupido film tratto dai loro libri, e non voleva finire come
loro.
D'altra parte, quegli sconosciuti in giacca e cravatta
furono convinti dell'autenticità dello scrittore proprio dal
suo
comportamento, ed era proprio questo che cercavano: realtà.
Tizi
in giacca e cravatta accecati dal denaro convinti di poter
riconoscere una persona vera da una persona falsa e ipocrita, forse
perché proprio loro appartenevano a quell'ultima categoria.
La
società d'oggi disgustava Peter, proprio questo odio lo
aveva spinto
a scrivere un romanzo sugli abitanti del mondo, cercando di far
trasparire l'abominio che lo circondava; che poi proprio questa
società sembrava cieca di fronte al significato del libro ed
era
pronta a trasformarlo in qualche film orribile solo per il
divertimento di farlo, era un altro conto.
Le sigarette si
susseguivano una dopo l'altra, il posacenere si rimpiva sempre di
più
mentre gli altri uomini discutevano già della sceneggiatura,
senza
neanche consultarlo.
Finita la riunione si alzò, con un lieve
giramento di testa dovuto al fumo, dalla sedia girevole su cui era
seduto, e scappò da quella sala per rifugiarsi nell'ufficio
del suo
agente.
«Sapevo
che ti saresti annoiato, Peter, ma ho voluto comunque invitarti. Mi
sembrava più che giusto farti sentire cosa pensano di fare
con il
tuo libro» proferì Bill sedendosi alla scrivania
del proprio
ufficio e osservando quell'Adone allungato sul suo divano che
continuava a strofinarsi gli occhi e a massaggiarsi le
tempie.
«Appunto, il MIO libro» sottolineò con
il tono della
voce quell'aggettivo che cambiava tutto.
Passava tanto tempo,
almeno in passato, con il suo agente, e lo avrebbe ucciso volentieri.
Beh, magari non ucciso, ma... sì, lo avrebbe ucciso senza
problemi.
Lo guardò per un secondo girando leggermente la testa di
lato, poi
la riportò di fronte a sé e richiuse gli occhi.
«Non potrò
esserci alla prossima riunione.»
«Non avresti comunque
contibuito un granché, ma posso chiederti il
motivo?»
«In
teoria no, ma vado in vacanza con i Ford»
«I Ford?» Non li
aveva mai sentiti nominare quei... Ford.
Non era colpa sua se era
grasso, veniva tradito da sua moglie e, per riscattarsi, si faceva la
segretaria in cerca di un aumento o riempiva il vuoto d'amore con la
continua ricerca di soldi, giusto? Dio, se era patetico.
«Ford è
un cognome. Solitamente, in questo grande paese qual è
l'America,
con il cognome del padrone di casa indichiamo la famiglia in
sé.»
«Non fare il saputello solo perché scrivi,
Widmore» lo
riprese esasperato l'agente.
«Sai benissimo che odio parlarti in
quel modo, ma a volte sembri dimenticare che sono un essere umano,
che esisto e che ho amici e famiglia»
«Da quel che mi raccontano
non hai più una famiglia...»
Stuzzicare Peter in quel momento
non era decisamente una scelta saggia, infatti l'uomo si
alzò dal
grande divano su cui era sdraiato e si mise di fronte all'ormai
nemico appoggiandosi con le mani alla scrivania d'ottone guadagnata
con nient'altro che adulazioni. I nervi tesi erano visibili perfino
sotto la camicia. «Davvero, Bill? Sei sceso così
in basso? Ora
insulti anche i tuoi clienti?»
«Clienti?» saltò sulla poltrona
dietro la scrivania e guardò infuriato l'uomo di fronte a
lui. «Non
scrivi... da quanto? Due anni? Stai portando nuovo lavoro solo grazie
a questi produttori che vedono in te un qualche tipo di Gesù
della
letteratura in vesti morderne!»
«Non scrivo per te, agente del
cazzo, scrivo per me! Altrimenti, se dovessi scrivere un libro ogni
mese come fanno molti altri tuoi clienti, saresti andato già
in
fallimento!»
La discussione non andò per le lunghe, infatti
dopo quest'ultima frase rimasero qualche secondo in silenzio a
fissarsi, adirati l'uno con l'altro.
«Non so perché continuo a
venire in quest'ufficio. Sinceramente non ne ho la più
pallida idea.
So, però, che sei il migliore nel tuo campo, soprattutto a
rompere
in giro per vendere, quindi non ho intenzione di abbandonarti»
«Oh,
grazie mio grande cliente. Cos'è, una specie di
elemosina?»
«Non
ricominciare, ti prego.» Il mal di testa era tornato,
più forte di
prima. «E io che cercavo pure di farti un
complimento» commentò
mormorando e avviandosi verso l'uscita; si fermò poco prima
di
uscire, con una mano sulla maniglia della porta. «Torno tra
una
settimana, e se combini qualche casino con il libro ti
uccido.»
Detto questo, uscì dall'ufficio sbattendo la porta.
_________________________________________________________________________________________________________
Ok,
innanzitutto: SCUSATEMI PER L'ULTRA RITARDO, ma la scuola mi sta
letteralmente facendo a pezzi ç__ç Volevo
introdurre già da qui il viaggio verso Seattle, ma proprio
non ce l'ho fatta.
Ringrazio
tutti coloro che seguono la storia in silenzio e chi l'ha aggiunta tra
le seguite! Davvero, grazie!
Come
in ogni capitolo vorrei introdurre due personaggi della storia in carne
ed ossa; per questa settimana ho scelto loro due:
-
Anthea ( Kate Beckinsale)
- Walter
(Jesse Eisenberg)
Come
avrete letto, in questo capitolo ho finalmente introdotto l'agente di
Peter: BILL! Inizialmente l'avevo immaginato in tutt'altro modo, ma poi
ho iniziato a scrivere, una cosa tira l'altra e... vabeh! Spero che vi
piaccia, casomai fatemi sapere in una recensione! ;)
Cheers
~
|
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Capitolo 8 *** Chapter Eight ***
(Prima
che iniziate a leggere, vorrei informarvi che sì, questa
è la
storia che avete letto fino ad ora. Questo capitolo sarà
diverso
rispetto agli altri, perché sarà scritto in prima
persona, tuttavia
il nono capitolo sarà nuovamente scritto in terza persona.)
~
Sono
un uomo peccaminoso, se prendiamo l'accidia come un reale peccato,
quindi pochi giorni prima ero comodamente seduto sul vecchio divano
del mio appartamento – sì quello che tempo prima
condividevo con
Isabella – quando accesi un computer comprato quello stesso
giorno
e iniziai a giocare a The Sims (creai Meredith, era praticamente
identica, ma non stiamo parlando di questo, giusto?). Mentre Robert
sedeva al mio fianco e giocava al nuovo Nintendo 3DS, e Lucas si
arrampicava su di me per guardare Philadelphia ridursi ad un insieme
di strade senza senso dal minuscono finestrino dell'aereo, ripensai a
come quegli esserini fatti di pixel ci assomigliano. Siamo stati
tutti creati dai nostri genitori, quando loro non possono
più
comandarci cosa fare, però, sono altre le cose che ci
guidano; non
sto parlando di un dio, o di una fede in particolare, perché
una
persona potrebbe agire anche in nome della scienza e della medicina,
di un hobby o di un'aspirazione. Tutti abbiamo un obiettivo nella
vita, altrimenti ci ritroveremo a fare la pipì nei nostri
pantaloni
fuori dalla piscina comunale di Sunset Valley.
Nella mia testa,
pensieri come questo si sono sempre sovrastati, si prendevano a pugni
per la posizione del più importante, del più
urgente, del più
ricordato, del più rimandato,... Forse è per
questo che la mia
espressione è sempre la stessa, uguale, immutabile da quando
ero
adolescente, cioè da quando ho capito che volevo scrivere e
che per
farlo serviva pensare. Perfino in quel momento, con Matthew e Olivia
nelle poltrone di fronte e me stesso costipato contro il finestrino,
la mia testa cercava di vagare lontano mentre con sguardo perso
osservavo il paesaggio scorrere sotto di me come un film di due ore
visto in cinque minuti.
Ero di nuovo vittima di un'azzuffata,
infine prevalse uno strano pensiero, cioè che molte persone
credono
che saranno salvi fin quando il loro cane abbaierà a ogni
sconosciuto che entra in casa così, se per caso un assassino
tenterà
di ammazzarli nel sonno, almeno il loro cane li avrà
svegliati prima
in un modo orribile. Poi però vengono fregati da
telefilm/film/libri
gialli e polizieschi che tirano a caso una percentuale, e che
dicono:"Si, bhe, ma il 78,6% degli assassini è una persona
conosciuta", e si rimane fregati da queste piccole cose. Ma
allora, la sicurezza, dove sta? Magari rimanendo tutto il giorno
seduti in casa, senza parenti o amici stretti, sarà il tuo
stesso
cane ad ammazzarti nel sonno.
Lo so, in quel momento sarei dovuto
scendere dall'aereo, tornare a Philadelphia e riprendere i contatti
con il terapista, ma che volete farci?
Ormai
volavamo da un'ora. Il tempo passava veloce tra pensieri inutili
rimasti segregati a lungo in un angolo della mente o idee peccaminose
riguardanti Meredith e una lattina di panna spray, però
forse non
troppo veloce da isolarmi dai continui commenti di Olivia su quanto
sia stato egoistico da parte mia pretendere il viaggio in "economico"
invece della prima classe pagata da lei. Il servizio non era
abbastanza veloce, il cibo abbastanza buono o la poltrona abbastanza
comoda; fortuna che c'erano i figli a distrarla un po'. Matthew
intanto doveva sorbirsi anche le lamentele di un uomo sulla moglie
che aveva partorito dall'altra parte del Paese, come se l'avesse
fatto apposta. Era un tizio sulla quarantina e quando si
alzò per
andare in bagno notai che, seppur fosse alto il suo metro e sessanta,
le braccia e le gambe poco più corte della norma lo facevano
sembrare affetto da nanismo, il che mi aveva fatto immaginare una
moglie snella e graziosa dalla la pelle candida.
«Zio Peter,
perché le persone si sono trasfigurate in
formiche?» mi sussurrò
Lucas all'orecchio mentre accostava alla bocca una mano a coppa.
Sperai che Robert non gli avesse davvero fatto leggere Harry Potter
come promesso da lui sotto forma di minaccia, ma la conversazione
andò via via peggiorando. «Non posso parlare
davanti a questi
Babbani, ma ora i maghi possono smetterla di nascondersi da
Voldemort" e mormorò il nome di Voi-Sapete-Chi con tono
fiero.
«Harry ha ucciso gli Orcuc anni fa!».
«Si dice Horcrux, non ti
ho imparato nulla?» sibilò in tutta risposta
Robert che stava
alzando gli occhi dopo tanto tempo dal nuovo DS sul cui schermo
volteggiavano coriandoli per il primo posto guadagnato da
Luigi.
«Lucas...» iniziai prendendolo in braccio e
facendolo
sedere sulle mie gambe. I genitori erano occupati e io dovevo fare il
possibile per addolcire la pillola. Insomma, mi sembrava di
distruggere un mito come Babbo Natale! «I maghi...»
sospirai. Forse
non c'era soluzione. «Hai presente quando nei libri si parla
spesso
di Purosangue e di come gli umani servano per la procreazione anche
se creano Mezzosangue o maghi Nati Babbani?»
«Cosa significa
procreazione?» chiese cercando inutilmente di scompigliarmi i
capelli impregnati di gel, con l'unico fine di sporcarsi le mani e di
fiondarsi poi da Olivia. Comunque, feci finta di nulla e andai
avanti; anche se non stava ascoltando – cosa che giocava a
mio
favore – non potevano certo accusarmi di farlo vivere nelle
favole.
Insomma, almeno c'avevo provato.
«Ecco... imaghisonoestinti»
sbottai tutto insieme e, con mio enorme piacere, Lucas era ancora
tutto preso dalla mia capigliatura e provava, con lo sguardo fisso e
la bocca leggermente socchiusa in una smorfia di concentrazione, a
ricreare una perfetta cresta stile punk.
Il risultato, constatai
accompagnandolo in bagno a pulirsi le mani, era niente male. La
cresta però mi stava da schifo. Ma deludere il bimbo era
l'ultimo
dei miei obiettivi, perciò lasciai i capelli così
com'erano e
tornai sulla poltrona fieramente, poi riallacciai la cintura a Lucas
sul suo posto e tornai al mio.
Il viaggio fu... normale.
Esiste un viaggio normale? Non ne ho idea e di
sicuro non devo
preoccuparmene ora che sto semplicemente qui a scrivere questo
racconto in modo davvero poco formale. Non credo che lo
pubblicherò
mai sotto questa forma, ma chi lo sa... magari sono davvero un
pessimo scrittore come sostiene il mio agente. Che dite, sto
divagando? Mha.
Olivia aveva finalmente smesso di sbraitare (a
proposito, dopo la piccola conversazione quella notte a casa sua,
tutto è tornato alla normalità per mio grande
piacere) e aveva
iniziato a comportarsi da madre. Con una mano occupata dal beauty
case e l'altra stretta in quella del più piccolo dei Ford,
non era
nulla a confronto con Matthew che portava la valigia della moglie, la
propria, e quella più piccola dei ragazzi. Ovviamente quello
era un
loro compito, quindi io mi limitai a trasportare soltanto il mio
borsone mentre seguivo Robert a passo lento, ancora impegnato in una
sfida a squadre a Mario Kart, e non chiedetemi come ho fatto a
indovinare il nome del gioco perché non ho intenzione di
rivelarlo.
Ho però un punto bonus – perché state
contando i punti, credo,
visto che ora mi credete tutti un bastardo egocentrico –: ho
dovuto
pagare la macchina in affitto e caricarci su tutti i bagagli.
Già,
lo so, sono un vero gentiluomo quando voglio.
Per l'hotel avevo
ascoltato Olivia, quindi assomigliava molto all'ultimo in cui ero
stato: hall gigantesca, ristorante enorme, sala conferenze, sala
video, millemila stanze, suite e così via... ma se volete
continuo.
Da piccolo immaginavo che avrei iniziato a lavorare in un hotel di
lusso e la cosa non mi dispiaceva affatto: avrei avuto finalmente
modo di osservare persone che non fossero bambini della mia stessa
età. Purtroppo questo sogno è scomparso con un
sonoro "Puff"
quando ho letto il mio primo libro di Wilde.
Ero praticamente
rimasto immobile davanti al bancone dell'entrata, con lo sguardo
congelato sulla chiave della suite all'ultimo piano.
«Io prendo
quella» dissi indicandola, senza neanche accertarmi che
l'uomo
dietro al bancone mi stesse realmente ascoltando. Dio, era passato
troppo tempo dall'ultima volta che avevo dormito in un attico!
«Peter, cosa diavolo stai dicendo? Abbiamo già
prenotato, non
puoi aspettarti che tutto d'un tratto un uomo ti ceda la sua
stanza»
mi sbottò Olivia acida come sempre. Dire che la detesto
è poco,
farò di tutto quindi per farla sembrare una iena. Mpf.
«In
verità,» iniziò il receptionist posando
lo sguardo su di me con
aria compiaciuta, «l'attico è attualmente libero.
Se vuole darmi la
carta di credito, signore...» disse l'uomo continuando a
ignorare il
piede di Mrs Ford che continuava a battere ripetutamente sul
pavimento.
Guardai sorridente Olivia, poi Matthew che mi guardava
come se al mio posto ci fosse stato Robert, e che avessi appena
rovesciato a terra una bottiglia di ottimo whisky invecchiato. Bhe,
forse è un brutto esempio, perché a quel punto mi
sarei
rimproverato da solo. In quel momento, però, poco
m'importava della
stanza al quinto piano già prenotata.
Fui accompagnato dal
facchino che portava il mio borsone e che, una volta arrivato
all'ultimo piano, mi mostrò la stanza in modo dettagliato.
Era, se
possibile, più grande di quella al Plaza di Philadelphia. Vi
si
accedeva direttamente dall'ascensore e all'entrava si veniva colpiti
dalla luce diretta del sole che penetrava dalla vetrata che prendeva
il posto del solito muro.
Il ragazzo poggiò il borsone in una
stanza a destra con la porta a due ante, poi si piazzò di
fronte a
me e, senza voltarsi, battè due volte le mani. Il muro alternativo
fu oscurato completamente da delle tende nere, probabilmente di seta.
«Piuttosto fico, eh?» commentò divertito.
«Già, piuttosto
fico». In realtà non lo trovavo molto fico visto
che non riuscivo a
vedere assolutamente nulla e non conoscevo la stanza, ma sono
dettagli. Altri due battiti e la luce tornò costringendomi a
chiudere gli occhi per un minuto.
«L'effetto può colpire, se
capisce cosa intendo». Continuava a ridere. Forse gli ormoni
da
adolescente non aiutavano; probabilmente era ancora impressionato
dalle auto modificate. E anche qui, il fatto che mi diverto anch'io
con poco è solo un dettaglio e non siete autorizzati a fare
commenti. Però non lo saprò mai, quindi fate
pure! Urlate al mondo
i miei difetti! Disprezzatemi!
Risposi con un cenno della testa e
lui iniziò a mostrarmi la stanza mentre io lo seguivo
diligente.
«Quindi... come vede il vetro sostituisce il muro solo nel
salotto e di fronte all'ascensore, in modo da, appunto, colpire chi
entra. Qui a destra, come può vedere, c'è un
televisore al plasma
da 80 pollici. Qui a terra può trovare ogni tipo di console,
come
può vedere, e per giocare può comodamente
allungarsi su questo
divano di pelle nera. Qui c'è lo stereo d'ultima generazione
– o
così lo chiamano – e l'armadietto con alcolici che
arriveranno a
breve come da lei richiesto, di fianco alla porta della camera da
letto principale.» Si girò nella mia direzione e
aprì la grande
porta con la schiena. «Letto a baldacchino, due comodini con
sopra
sveglia e orologio. Qui di fronte un'altra televisione, più
piccola
di quella vista in salotto, ma comunque piuttosto fica. Però
qui
sotto al posto dei videogiochi c'è un piccolo
comò, come può
vedere. Non ha ante, ha delle piccole lastre scorrevoli.»
Piegò le
ginocchia fino a ritrovarsi a livello del piccolo armadietto e lo
aprì. «Ci sono una serie di film più
conosciuti, alcuni CD
musicali e roba del genere. Non le consiglio di rubarli o "prenderli
in prestito" perché hanno una specie di inventario e la
possono
beccare. Non sto suggerendo che lei sia un ladro, sa, ma non si
può
mai sapere. Se torniamo in salotto le faccio vedere la camera
più
piccola.»
La porta a sinistra dell'armadietto vuoto portava,
appunto, in una camera più piccola senza televisione ma
ugualmente
grande perché, di fronte al letto, stava uno scaffale in
stile
moderno che conteneva ogni tipo di libri, compreso uno dei miei. Non
me ne facevo nulla di quella stanza, ma non potevo dirgli di
eliminarla. Due porte a vetri, una in ognuna delle due stanze,
portava al bagno.
«La vasca idromassaggio al centro è
assolutamente fantastica, ovviamente. Non che io l'abbia mai provata,
eh, ma ci sono molti clienti soddisfatti. Già.»
Non mi fidavo molto
del suo continuo annuire mentre guardava sognante la vasca quadrata,
ma feci finta di non aver intuito che, di tanto in tanto sgattaiolava
nell'attico per un po' di divertimento. «Non c'è
molto da mostrare
a parte lo specchio che occupa parte di questa parete e la grande
varietà di profumi, sali da bagno e prodotti per il corpo e
per i
capelli. Oh, devo mostrarle anche una cosa in salotto!»
Lo
seguii all'entrata e lo osservai con sguardo assorto mentre premeva
un bottone di fianco alla porta a sinistra e si voltava di
180°. Il
pavimento a qualche metro dalla vetrata iniziò a ruotare e
apparve
una poltrona azzurra e un tavolino affianco. «Fico, eh?
Così può
godersi il panorama!»
Questa volta non potei dargli torto.
Mi sedetti sulla poltrona e rimasti sinceramente sconvolto dalla
vista che non avevo notato prima di allora. Da lì potevo
vedere
tutta la città. Altri hotel a qualche miglio di distanza, lo
Space
Needle, alcuni ospedali, e da lì il mio pensiero
scattò a Meredith.
Solo un paio d'ore, massimo, e l'avrei rivista. E lì mi
persi a
immaginare il nostro incontro e a ricordare il suo corpo nudo
perfetto. Quando ritrovai me stesso, il ragazzo era in piedi e mi
copriva la visuale, ma si dondolava sui talloni visibilmente contento
del suo lavoro. Lo ringraziai e lo congedai con una banconota da 20.
Avevo intenzione di andare direttamente da Meredith chiedendo
al receptionist della hall l'indirizzo dell'ospedale, ma Matthew mi
precedette raggiungendomi nella suite.
«Bastardo traditore.»
Sibilò sedendosi sulla macchia azzurra che si distingueva a
malapena
quando i raggi del sole la colpivano direttamente. «Io sto in
una
suite, certo ma di sicuro non all'ultimo piano, mentre tu ti godi
questo panorama del cazzo.»
«Sì, e tra un'ora non sarà
l'ultima cosa che mi godrò» borbottai chiudente le
grate
dell'ascensore che era già partito per il secondo piano. Mi
era
scappato, di sicuro non potevo dirgli che ero venuto solo per
incontrare Meredith.
«Non voglio sapere nulla, sul serio. So solo
che di sicuro non sei venuto per me o per i bambini. Non nomino
nemmeno Olivia; da come vi guardate e vi parlate spero solo che non
siate amanti» disse alzandosi dalla poltrona. Stava
scherzando, era
palese, tuttavia mi finsi indignato. Non volevo che sospettasse una
cosa del genere per nulla al mondo e mi chiesi come diavolo fosse
arrivato a quella conclusione.
Nonostante le premesse, mi sentivo
comunque in dovere di dirgli la verita. «Sono venuto per
andare a
trovare... un ospedale.» Okay, forse non proprio tutta la
verità.
«La dottoressa» mormorò semplicemente
appoggiandosi
allo schienale. Si passò una mano sugli occhi. Si era
rassegnato
alla verità, cioè che pensavo davvero di poter
avere un futuro con
Meredith. Forse ero davvero un idiota, ma non potevo credere che
fosse tutta una balla, vero? il mio innamoramento per una donna che
non conoscevo neanche.
«Non ho parlato di Meredith, in verità.
E se la ritroverò per caso qui a Seattle, beh, una cosa in
più
giusto?» Sapevo che fingere non era la mossa migliore
specialmente
con Matthew che mi conosceva da anni.
«Sei un
ipocrita.»
«Probabile, ma cosa c'entra ora?» L'atmosfera
iniziava a riscaldarsi e con lui succedeva spesso in quegli ultimi
tempi.
«Due mesi fa stavi per sposarti, cos'è successo?
Sei
arrivato distrutto a casa mia, quella notte, quando hai trovato tua
moglie a letto con tuo padre. Te lo sei forse dimenticato?»
Anche
se la situazione era piuttosto delicata e Matthew aveva cercato di
non parlarne, forse pensando che così avrei dimenticato
Meredith e
che lui aveva raccontato tutto a mia madre, quella megera, stavamo
tenendo la voce a livelli normali. «Certo che lo so, grazie
per
ricordarmelo. E finalmente ho anche capito doveva vuoi arrivare. Stai
cercando di dirmi che dovrei rimanere in lutto per altri 12
mesi?»
«Sto dicendo che dovresti essere ancora incazzato
per quello che è successo solo poche settimane fa, e invece
eccoti!
Prendi al volo la primo opportunità per trasformare una
sveltina
nell'amore della tua vita!»
«Già, sembro proprio un uomo in
crisi di mezza età, vero? Peccato che lei non sia rimasta
con me
nonostante tutti i soldi che si sta fottendo il mio agente grazie a
quel dannato film. Ebbene sì, ho passato 7 ore su un
fottutissimo
aereo solo per portarmi di nuovo a letto una donna che mi ha fatto
dimenticare quella stronza di Isabella. Hai un problema con questo?
Problemi con il mio stare bene?»
«Oh, ma bravo, ora riesci ad
ammetterlo?» Applaudì in modo teatrale e le luci
si spensero e si
riaccesero così velocemente da poter causare un'attacco di
epilessia. «Cosa diavolo sta succedendo?»
S'interruppe
improvvisamente e alzò gli occhi al cielo, io scoppiai
semplicemente
a ridere.
«Attento, qualche mostro potrebbe venire a
ucciderti!»
Le fantasie di Lucas lo avevano contagiato, a quanto
pareva.
Mezz'ora e una pacca sulla spalla dopo, stavo
chiedendo al fattorino di prima – che continuava ad usare le
stesse
parole e esclamazioni come una macchinetta – dove si trovava
l'Harborview Medical Center.
«A cosa le interessa, eh? Non è che
si sente male? C'è un infermeria, sa, se le serve... oppure
posso
chiamare un'ambulanza!»
«Grazie, ma sono... uhm... costretto
a rifiutare l'ambulanza» dissi con ben poca sicurezza, non
perché
volessi fare una grande entrata in ospedale, ma perché un
aiuto in
quell'hotel mi sarebbe stato utile. Gli allungai una banconota da 50,
che in occasioni del genere possono sempre servire, e il ragazzo mi
spiegò con precisione come arrivare da lei.
Trovai
l'ospedale con semplicità e m'intrufolai dentro. Vagai per
vari
corridoi e finalmente mi resi conto che non avevo idea del reparto in
cui si trovasse la dottoressa che cercavo. Tornai al primo piano e mi
avvicinai allo sportello di quella che sembrava una segreteria.
«Salve, cerco una tirocinante... Meredith Williams»
scandii
bene il nome e guardai la donna nera che mi osservava
scettica.
«Meredith, eh? Sta lavorando in questo momento, se
vuole l'avverto che è qui, ma non posso dirle il nome del
reparto in
cui si trova» disse in tono neutro, come da mamma orso, che
non
assicurava nulla di buono.
Una voce mi dissolse dal volto
dell'anziana, una voce melodica che avevo già ascoltato in
precedenza, seguita dall'inconfondibile profumo dei suoi capelli
mori. «Sto sognando, vero?» e un brivido mi
percorse la schiena.
~
(Bhe,
ci ho messo un po' per pubblicare questo capitolo e l'ho scritto
nell'aria della Germania, quindi spero che vi piaccia :3 PS: Joshua
Jackson è il mio nuovo Peter u_u
Lucas Ford -> Jackson
Brundage
Robert Ford -> Ryan Hanson Bradford)
|
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Capitolo 9 *** Chapter Nine ***
Peter
camminava avanti e indietro per il lussuoso attico, e in quel momento
si distaccò dai pensieri su ciò che gli aveva
detto Meredith
qualche ora prima, per domandarsi cosa diavolo ci avrebbe fatto di un
attico se doveva passare il resto della settimana da solo.
"Devi
andartene. Ora" ordinò Meredith appena posò gli
occhi su di
lui.
Non aveva idea del perché fosse lì e specialmente
come
avesse fatto a trovarla così facilmente, ma forse neppure
gl'interessava. Era riuscita nel suo intento, dimenticarlo, e si
preparava a vivere una vita felice e senza i problemi che sembravano
circondare quello strano scrittore.
"A- Andarmene? Non ci
penso proprio!"
Aveva passato sette ore su un dannato aereo
e non intendeva rinunciare a lei così facilmente, non senza
averci
neanche parlato. Avanzò verso di lei e l'avvicinò
a sé posando le
mani sui suoi fianchi. "Avanti, voglio solo parlare, nulla di
più"
Ma la donna si scostò bruscamente vedendo passare
William, che lanciò ai due un'occhiata furente. Si
domandò cosa
diavolo ci facesse lì il 'maniaco' e di certo non aveva
tutti i
torti.
"Non voglio parlare con te. Non ti conosco, non
abbiamo nulla da dirci." Detto questo si voltò e prese il
corridoio opposto a quello di William, per evitare il più a
lungo
possibile la quotidiana scenata di gelosia da quando gli aveva
confessato ciò che lei definiva "solo una scappatella".
Non
era mai stata il tipo di donna sottomessa agli uomini, eppure con
William si sentiva inferiore, forse perché a lavoro era
davvero un
gradino più in alto nella scala sociale.
Ma Peter non voleva
demordere, era andato lì per riprendersela e questo era
ciò che
sarebbe dovuto succedere, a tutti i costi. Per cui la rincorse sotto
lo sguardo attento di MammaOrsa e la fece voltare afferrandole un
polso. "Non riuscirai a scappare da me così facilmente,
Meredith" e in quel momento non aveva idea di come sarebbe
potuta apparire quella scena agli occhi di altri.
I due della
sicurezza chiesero a Meredith se andava tutto bene e, al suo secco
"No", gli energumeni scortarono Peter fuori dall'ospedale,
ma non prima di risciure a far scivolare il biglietto dell'hotel nel
taschino suo camice bianco.
Probabilmente
Matthew e Olivia erano già in ospedale, eppure lui non
riusciva più
ad abbandonare quel dannato attico con vista panoramica. Avrebbe
dovuto andare anche lui, forse sarebbe dovuto essere l'unico
lì, ma
qualcosa lo bloccava.
"Probabilmente è per i sensi di
colpa, anche se in questo contesto io non c'entro molto. Insomma, non
è mica colpa mia!" continuava a ripetersi come un mantra
cercando in qualche modo di eliminare il silenzio straziante che
regnava nella stanza.
Come aveva fatto a trasformarsi in così
poco tempo?
Come aveva fatto a passare dal fidanzato perfetto al
rovina-matrimoni?
Ma soprattutto, cosa aveva acceso l'ira in lui?
Meredith
finì il turno piuttosto tardi quella sera. Avrebbe dovuto
staccare
prima di cena, ma l'avevano avvertita all'ultimo minuto di
un'operazione a cui doveva assolutamente assistere e da cui era
uscita soltanto dopo mezzanotte.
William la sorprese alle spalle
con un bacio sul collo, come di consueto. Attacchi di gelosia a
parte, dopo la confessione era diventato più sciolto, felice
che la
donna gli avesse detto cosa la turbava, ma soprattutto che si pentiva
di essere andata a letto con quello sconosciuto. Sapere che era
preferito rispetto a un trentenne aveva alzato la sua autostima e
abbassato le manie di controllo con cui tentava disperatamente di
trattenere Meredith.
"Devo rimanere per un ultimo
intervento. Ci vediamo a casa, sì?" chiese con un sussurro
l'uomo mentre accarezzava la mano destra della ragazza.
"Certo,
amore. Ci vediamo a casa" e detto questo diede un lieve bacio a
William prima di avviarsi verso la macchina.
Infatti non solo
l'accaduto aveva abbassato molte difese del dottore, ma gli aveva
anche dato la forza di rivelare tutto alla moglie e di andare a
vivere con la donna che amava davvero, o forse solo quella in grado
di sopportarlo.
Appena il dottore si fu allontanato abbastanza,
Meredith tirò fuori dal taschino un cartoncino simile a un
biglietto
da visita.
Continuava a
camminare, stringendosi convulsamente le mani. Stava aspettando il
taxi che lo avrebbe portato all'aeroporto anche se non era ancora
sicuro di potercela fare. Continuando di quel passo avrebbe consumato
il pavimento e si sarebbe scavato direttamente una tomba.
Non
poteva farcela.
Era stato egoista, ma non poteva farcela. Non
poteva affrontare tutto ciò che lo aspettava al ritorno a
casa. Era
andato lì per un motivo, un solo motivo, e aveva fallito.
Doveva
farsi forza ed entrare in quella stanza. Tutto sembrava così
surreale. Era come entrare nell'inferno. Avrebbe fatto qualche
cazzata, se lo sentiva, ma doveva assolutamente chiarire con Peter.
Alzò la mano destra per bussare mentre la sinistra
continuava a
distruggere lentamente quel pezzo di carta; desiderava non averlo mai
trovato. Pensava che forse era ancora in tempo; in tempo per tornare
indietro, eliminare per sempre la bolla che si creava ogni volta che
vedeva Peter e che li separava dal resto del mondo e tornare a casa
dove avrebbe atteso l'uomo della sua vita. Non sarebbe stata una vita
perfetta, ma dopotutto chi riesce ad averla? Tutti si nascondono da
qualcosa o da qualcuno... lei si sarebbe nascosta dal mondo dietro
l'uomo che aveva rinunciato a moglie e figli per lei.
Aspettò
cinque minuti, era pronta ad andarsene tirando un sospiro di
sollievo, ma la porta si aprì e mostrò l'uomo
distrutto con un
bicchiere di vodka in mano. Dopotutto se l'era aspettato visto
ciò
che aveva preteso all'ospedale. Come avrebbe potuto passare il resto
della vita con lui? Aveva bisogno di sicurezza, di... William.
Peter
d'altra parte non aveva forza di parlare vista la sorpresa della
visita e l'alcohol che iniziava a fare effetto.
Meredith entrò
nella grande stanza a passi misurati, con la paura che ad ogni passo
in più corrispondesse una tortura una volta tornata a casa.
Avrebbe
fatto presto, sperava, ma che intervento aveva William? Non
gliel'aveva detto. Forse non aveva affatto un intervento,
semplicemente si aspettava un'azione del genere dopo l'incontro di
quel pomeriggio e voleva dimostrare che lei non era poi così
fedele
come voleva far credere. Sì, erano tesi fondate sul nulla ma
da
quando stava ufficialmente col dottore aveva iniziato a pensare,
pensare tanto su cose inutili che non l'avrebbero portata da nessuna
parte se non a diventare paranoica.
Sbuffò, si volto e rimase un
secondo incantata davanti al panorama. Come trascinata da una fune
invisibile, si avvicinò al vetro che costituiva buona parte
della
parete e osservò Seattle come non aveva mai fatto.
Sentì una bocca
sfiorarle l'orecchio e dei capelli che incontravano i propri: lo
scrittore aveva lasciato il bicchiere e le mani ora si trovavano,
come alcune ore prima, sui suoi fianchi. Tentava di sfruttare al
meglio quello che sarebbe stato molto probabilmente il loro ultimo
incontro o l'ultima occasione di poterle stare così vicino.
Non gli
importava nulla del suo semi-ragazzo, né di una possibile
protesta
da parte sua; era un piccolo premio di consolazione. Ma lei non si
oppose.
«Mi manchi» sussurrò Peter. Si sentiva
debole,
indifeso, un ragazzo alle prime cotte. L'amore in quel frangente lo
aveva afferrato, scaraventato giù dal ponte di una nave ed
era ora
costretto a nuotare verso un'isola immaginaria.
«Non posso» e
nella sua voce non c'era nulla di debole o indifeso. Nonostante
volesse abbandonare tutto, lavoro e fidanzato, non lo avrebbe fatto
per l'amore nei confronti di un altro uomo... l'avrebbe fatto per
liberarsi di un peso opprimente. Si mosse da quella posizione quando
divenne imbarazzante e si andò a sedere sul divano
aspettando che
l'uomo la raggiungesse, cosa che non accadde. Per tutta la durata
della conversazione lui rimase immobile, le mani in tasca e lo
sguardo vacuo. Era in dubbio perfino il fatto che stesse ascoltando o
meno.
«Sai perché non posso?»
Iniziò lei.
«No, Meredith,
perché non puoi?» Perdeva spesso la pazienza
facendosi cogliere da
attacchi d'ira ma in quel momento aveva davvero voglia di urlare
"Bene, non puoi? Allora cosa diavolo ci stai facendo qui? Ti
diverti a uccidermi?"
«Non posso perché...» Perché
non
poteva? Perché i suoi genitori avevano delle aspettative,
perché
aveva fatto una promessa a un uomo, perché aveva organizzato
già la
sua vita, perché il suo lavoro la attendeva,
perché doveva salvare
vite non distruggerle. Ma più importante...
«perché non ti amo.»
La verità nuda e cruda. La voleva così lui, gli
piaceva, allora
perché si sentì trafiggere da una decina di
pugnali in una volta?
«Non mi ami. Beh, è una ragione, sì.
Quindi ami... lui...
William?» Già che c'era, tanto valeva saperle
certe cose.
«Sì,
amo William. Noi.. ci sposeremo il prossimo mese.»
«Auguri.» Le mani strette in pugni, le nocche che
divenivano bianche, la
mascella che si contraeva erano l'unico segno di cosa sentiva
realmente. Si sarebbero sposati il prossimo mese, eppure lui non la
vedeva da quanto? Due settimane? Giorno più giorno meno. Il
che
significava che la proposta era avvenuta appena tornati in
città.
Lei aveva rivelato al dottore cos'era successo? Per questo non voleva
tardare le nozze? Per paura che qualcun altro la rubasse?
«Quindi
perché sei venuta qui? Oggi mi hai comunicato piuttosto
chiaramente
che non avevi nulla da dirmi.» Aveva paura di cos'altro
sarebbe
potuto uscire fuori da quella conversazione, ma contava sul fatto che
sarebbe riuscito vivo da quella stanza, anche se solo fisicamente.
«C'è una cosa di cui devo parlarti, in
verità. Non volevo
dirtelo all'ospedale, mi sembrava il posto meno adatto a questo tipo
di annuncio.» Cercava di temporeggiare in tutti i modi,
però non
poteva tardare ancora. Il cartoncino nelle sue mani affusolate
iniziava a sgretolarsi e ben presto si ritrovò a
giocherellare solo
con striscioline di quello che inizialmente era un rettangolo
completo. Aveva giocato a fare dio e aveva fallito.
«Parla.» Tagliò corto lui.
«Sono incinta.» Alzarono gli occhi
contemporaneamente, uno dalle luci indistinguibili di una
città che
non conosceva, l'altra dalle mani da cui erano appena cadute le
briciole di ciò che aveva ricevuto. Il primo aveva intuito
tutto,
sapeva che sarebbe stato un padre orribile ma aveva voglia di urlare
"Ci sono, sono qui! Scegli me!", la seconda aveva paura che
ciò che avrebbe detto tra pochi secondi avrebbe potuto
scatenare lo
scrittore introverso che era in lui. «Voglio tenerlo e
William pensa
che sia suo figlio, quindi ti prego di-»
«Quindi gli lascerai
crescere un bambino che non è suo? Che non ha concepito lui?
GLI
LASCERAI CRESCERE MIO FIGLIO? SEI VENUTA QUI PER DIRMI CHE,
NONOSTANTE NON MI AMI E NONOSTANTE QUELLO CHE ABBIAMO AVUTO, TU
LASCERAI VIVERE MIO FIGLIO, IL FIGLIO DI UN ADULTERIO?» Era
scoppiato. Si era voltato completamente verso di lei e agitava le
braccia, gridava più che poteva.
«Quello che abbiamo avuto? Sai
cos'abbiamo avuto? Nulla! Ci siamo incontrati in un bar, tu mi hai
seguito e siamo finiti a letto insieme per due volte. E' tutto
lì.
Nessun significato nascosto, nessun amore a prima vista.» Era
calmissima e sembrava indifferente alle sue grida, come se ci fosse
abituata. Era stata abituata fin da piccola ai suoi genitori che
litigavano, poi a suo padre che le urlava contro dopo la morte della
madre, a William che durante i suoi attacchi era capace di
distruggere la camera da letto.
«NON PARLARMI IN QUESTO MODO,
CERCANDO DI CALMARMI COME SE FOSSI UN BAMBINO.» Aveva il
fiato
corto e si fermò un secondo a guardarla negli occhi mentre
Meredith
si avvicinava e poggiava le mani sulle sue guance calde e
arrossate.
«Ma tu sei un bambino. Lo sei e dovresti saperlo. Tu
non mi hai mai amata. Era un momento difficile per te, lo capisco,
avevi bisogno di qualcuno a cui aggrapparti ma quel qualcuno non sono
io, non posso esserlo. Non sono un giocattolo. Dal momento in cui mi
avrai, non mi vorrai più, ma io non sono un giocattolo ed
è ora che
iniziate a capirlo.»
Dall'aeroporto
andò direttamente all'ospedale in taxi. Chiese le
informazioni, salì
al piano di chirurgia e si fermò appena raggiunta la stanza.
Quell'ambiente gli ricordava ciò che era accaduto la sera
prima e,
anche se sarebbe stata difficile, avrebbe superato anche quel periodo
della sua vita.
«Ti sei deciso, allora.» Mormorò Mary
arrivandogli alle spalle con due tazze di caffè.
«Vieni, tuo padre
ti aspetta.»
La madre aprì la porta della stanza con un
sorriso davvero poco consono all'ambiente che li circondava e
salutò
con un cenno della testa Matthew prima di porgergli il
caffè.
L'amico si alzò dalla sedia su cui si era appolaiato per far
compagnia alla signora Widmore, compagna di gossip; gli diede una
pacca sulla spalla e uscì dalla stanza per lasciare alla
famiglia un
po' di tempo. Isabella era addormentata in un angolo e Peter non
aveva idea di cosa ci facesse lì visti i rapporti che aveva
con
Mary, poi ricordò. Evitò di fare commenti e
osservò l'uomo
allungato sotto le coperte.
Charles Widmore giaceva moribondo nel
letto ospedaliero, due tubetti per l'ossigeno uscivano dalle narici e
veniva nutrito e idratato tramite una flebo perennemente attaccata al
braccio, mentre una borsa di plastica per le urine era collegata al
catetere e rimaneva attaccata al lato del letto.
Nessuno aveva
saputo della malattia di Charles, oltre Charles stesso, fin quando
era diventata talmente grave da non potere essere controllata con
visite mensili in quell'ambiente troppo bianco e sterile.
Peter
non poteva fingersi incredibilmente dispiaciuto per il padre dopo
ciò
che aveva fatto in tutti quegli anni, ma aveva anche lui bisogno di
risposte. Si sedette sulla sedia prima occupata dal suo migliore
amico, afferrò la mano del padre che si voltò e
sorrise. «Peter...» sussurrò
semplicemente. E il cuore smise di battere.
____________________________
(Sì,
lo so, non ho scuse e merito di morire come Charles Widmore. Facciamo
una cosa, evitate e godetevi il capitolo. E se non vi piace il
capitolo... okay, in quel caso potete uccidermi. Btw, questo
è
l'ultimo.
Presto, e sottolineo PRESTO, pubblicherò un breve epilogo,
ma sarà BREVE. Inizialmente Peter doveva morire in un
incidente mentre andava da Meredith, quindi dovrei essere
ringraziata.
Grilli
Comunque,
i ringraziamenti li rimando alla prossima volta. Anzi, no. Grazie a
tutti quelli che hanno letto e stanno leggendo questa storia, a
quelli che mi hanno seguita dall'inizio e ai nuovi arrivati. Grazie
per avermi letto♥ )
|
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Capitolo 10 *** Epilogue ***
Epilogo
La
Jane Austen di "Becoming Jane" alla domanda «Tutti i tuoi
romanzi avranno un lieto fine?» ha risposto:«I miei
protagonisti
avranno, dopo alcune sventure, ciò che
desiderano». Peter, dopo la
morte di suo padre, rifletteva spesso su questa frase. Non era un
uomo religioso, eppure si era sempre sentito in balia di un oceano,
perennemente insicuro e sull'orlo di cadere a terra e rotolare;
oppure, per adattarsi di più al suo "lavoro", spesso
pensava che qualcuno stesse scrivendo la sua storia. Ma se davvero
era così, allora lo scrittore in questione era estremamente
sadico
e, senza alcuna ombra di dubbio, non era Jane Austen.
Nel
frattempo Meredith, a Seattle, invecchiava con felicità ma
con una
leggera ombra sul cuore, una parte oscura che non riusciva
più a
raggiungere: l'amore per un uomo. William dopo il matrimonio era
divenuto sempre più paranoico e lei, per paura di divenire
l'ennesima donna maltrattata dal marito, scappò con Peter,
il
piccolo, e andò a vivere in un appartamento in centro pagato
con gli
alimenti che solo un ricco e famoso dottore poteva dare. Quel nome...
Non avrebbe mai odiato suo figlio, non ci sarebbe riuscita, ma
qualcosa dentro di sé le aveva detto di chiamarlo
così. Quell'uomo
aveva cambiato la sua vita, e a lei piaceva pensare che lo avesse
fatto in bene.
Olivia continuò a nascondere bottiglie di
alcool fin a quando una sera, Matthew, tornando a casa e trovandola a
bere un bicchiere di vino per rilassarsi, tirò fuori le
bottiglie
dal nascondiglio segreto e le mise su una mensola
in cucina,
quindi le diede un bacio sulla fronte e si andò a fare una
doccia.
Rimasta un attimo sorpresa da quell'atto, sul momento non
pensò
affatto che avrebbe passato il resto della vita insieme a lui.
Molti potranno pensare che questo è stato il periodo
più
importante della vita di un uomo, ma non è così.
Non ci sono
momenti più importanti. Certo, ha perso due donne che
credeva di
amare, ha perso un padre e la madre non sarà più
la stessa, ma ci
sono anche altre cose che formano la vita di una persona: il primo
giorno di scuola, la fine del liceo, le amizie, la morte di un
parente stretto, il primo lavoro, l'orgoglio di riuscire a mantenere
una famiglia, magari dei figli, trovare la persona giusta con cui
trascorrere il resto della tua vita... Ebbene, Peter aveva avuto
abbastanza esperienze.
L'unica cosa che rimpianse era che non
riuscì mai a capire di cosa volesse vendicarsi suo padre.
______________________
(Mi
hanno rimproverata per il finale insoddisfacente e non credo di aver
migliorato in qualche modo la situazione. Purtroppo non sono
geneticamente predisposta a scrivere un lieto fine, per cui vi
dovrete accontentare in qualche modo, ma sappiate che mi dispiace per
qualsiasi aspettativa delusa riguardo a questo epilogo. Avevo in
mente altro, ma sembrava estremamente poco. Cooomunque, ecco qui. E'
questa ed è finita. In alcuni punti è stato come
partorire (vedere
i ritardi di 1-2 mesi), ma sono felice di non averla distrutta
completamente nel tempo facendola diventare una storia d'amore,
perché non lo è.
Ringrazio tutti i lettori silenziosi.
Ringrazio tutti i lettori. Vi ringrazio ♥)
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