A Brand New Life (NoTitle)

di Sh_NT
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***
Capitolo 4: *** Chapter Four ***
Capitolo 5: *** Chapter Five ***
Capitolo 6: *** Chapter Six ***
Capitolo 7: *** Chapter Seven ***
Capitolo 8: *** Chapter Eight ***
Capitolo 9: *** Chapter Nine ***
Capitolo 10: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Chapter One ***


Peter Widmore era estremamente calmo per aver appena scoperto che la sua fidanzata, presto sposa, l'aveva tradito con Charles Widmore, il suo ricco e disaffettuoso padre. Era seduto al bancone di un bar notturno in centro, quando scoppiò in una risata sonora. La cameriera pensò fosse pazzo o solo ubriaco e, sapendo che il proprietario non accettava gente nel genere nel locale, si avvicinò a lui e gli indicò con un gesto della mano l'uscita. «Devi andartene», disse lei. «Non voglio guai.» Peter si alzò e uscì dal locale con il bicchiere di whiskey in mano. «Stronza», sbraitò finendo di bere e buttando il bicchiere a terra. Si ritrovò in un vicolo, separato dalla strada principale da una rete. Si arrampicò maldestramente e, arrivato in cima, si buttò a terra dall'altra parte con un salto. Arrivato in macchina, una Porsche 911 Cabriolet, iniziò a guidare verso casa del suo unico, vecchio, amico.


«Guidi piuttosto bene per essere ubriaco.», iniziò Matthew uscendo da casa sua. «Peter, cosa diavolo ci fai qui? I bambini stanno dormendo e sai benissimo che mia moglie ti detesta.» Peter mise una mano in tasca e ne cacciò un pacchetto di sigarette; ne tirò fuori una e l'accese.
«Ottimo. Hai ricominciato?» «Sai, capita quando la tua futura sposa si fotte tuo padre», disse Peter abbozzando un sorriso sarcastico.
L'amico, prima arrabbiato, si rivolse a lui con un fare dolce, quasi come stesse parlando a un bambino a cui avessero rubato il cane. «Isabella?» «Chi, altrimenti? Non pensavo avessi più fidanzate», e scoppiò di nuovo a ridere. «Dio... dopo così tanto tempo. Il bastardo non poteva risparmiarla, vero? Chiedi alla tua sposa se posso rimanere, solo stanotte; domani vado in hotel.»
«In quest'istante, ti odio». Matthew entrò in casa e Peter lo segui su per le scale; appena entrato in camera, senza neanche spogliarsi e poggiare la sigaretta, si butto sul letto matrimoniale che si trovava al centro della stanza degli ospiti e si addormentò istantaneamente.

Si svegliò nel bel mezzo della notte e, colto da un senso di nausea, corse in bagno e vomitò nel water. Sì rialzò e si avvicinò allo specchio; aveva un aspetto terribile: i capelli scompigliati, le guance e le labbra bianche, i lati della bocca sporchi di vomito e la camicia sbottonata sporca del sangue del padre gli davano l'aria di un assassino. «Figlio di puttana», disse infuriato ripensando al padre, la notte precedente, mentre si faceva la sua fidanzata nel suo letto, nella sua camera, nella sua casa. Si appoggiò al water e vomitò di nuovo.
«Già, sei proprio un figlio di puttana.» Si voltò e non rimase sorpreso nel vedere Olivia, moglie di Matthew, appoggiata sullo stipite della porta del bagno. «Per quanto ti odi, mi dispiace.»
«Già, love you, too. Hey, Olive, non è che posso 'usufruire dei servizi', qui?», disse lui prendendola in giro. Olivia proveniva da una famiglia aristocratica, come Matthew; detestava Peter per la sua instabilità, dovuta all'affetto mancato della famiglia, e perchè aveva paura che potesse riportare Matthew ai tempo dell'università.
«A quanto vedo hai già sporcato il water, quindi puoi tranquillamente farti una doccia. Sarebbe meglio, anzi. Allora, si può sapere perchè lei si fa tuo padre e tu te ne devi andare di casa?»
Mentre rispondeva, Peter entrò nella doccia e iniziò a spogliarsi, lanciando i vestiti sopra la tenda e lasciandoli cadere a terra, sparsi per il piccolo bagno degli ospiti. «Perchè riesco a malapena entrare in casa, figuriamoci viverci.»
«Senti, Matthew ha paura che non gli dirai nulla e...»
«E...? Ha ragione. Non riesco a parlarne. Potrei vomitare anche qui, nella tua stupenda doccia d'oro.» e scoppiò a ridere, sapendo di darle fastidio.
«Potresti parlarne con me... Insomma, non lo andrò a raccontare in giro e probabilmente sono troppo stanca per...»
«Scordatelo. Non ho intenzione di parlarne a nessuno, per ora. Poi non c'è neanche molto da dire: sono entrato, li ho visti e sono andato a bere in un bar. Fine della storia. Contenta? Okay,» disse uscendo dalla doccia completamente nudo, «che ore sono?».
«Sei disgustoso. Le cinque.» rispose guardando l'orologio.
«E tu cosa ci fai sveglia a quest'ora? Su, su, vai in camera di Mat e sveglialo in modo decente. Il sesso mattutino è un'ottima soluzione per lo stress» e la cacciò dal bagno.
Uscì anche lui in cerca di un asciugamano, che trovò dopo circa cinque minuti persi tra profumi e pigiami per gli ospiti. Si asciugò velocemente i capelli, indossò i suoi jeans e una cannottiera aderente nera trovata in uno dei tanti cassetti e scaffali presenti; quindi tornò in bagno, raccolse la sua biancheria e scaricò il water. Quando uscì dalla camera si scontrò con uno dei figli di Matthew, Lucas, che gli buttò le mani al collo e urlò:«ZIO PETER!»
«Uomo in miniatura, cosa ci fai sveglio a quest'ora? Non dovresti essere nel tuo letto caldo, sognando draghi e principesse o cose così?», sussurrò Peter al bambino. Lucas allontanò il viso dal collo di Peter, che nel frattempo l'aveva preso in braccio:«Oggi vado con la maestra a vedere i dinosauri!»
«Happy for you, Luke. Ora vai da mamma a fare colazione.»
«Mamma sta svegliando papà. Puoi prepararmi i pancakes?» Peter rise sottovoce, poi lo mise giù, gli prese la mano e lo portò giù in cucina.
Arrivati lì, lo issò sull'isola al centro della cucina, iniziò a preparare i pancakes e mise un po' di latte sul fuoco.
«Allora, come avete passato questi ultimi mesi senza zio Pet?», chiese Peter al bambino che stava giocando con le posate.
«Robert sta andando al liceo e io ho preso 9 in italiano! Ma zia Isabella dov'è?»
«Zia non verrà per un po'...», disse Peter a Lucas, con una nota di malinconia nella voce. Finì poi di preparare i pancakes e li poggiò sull'isola di fianco al bambino, con sciroppo, burro e marmellata; poi versò il latte in due tazze: in una aggiunse del cacao e la passò a Lucas, nell'altra versò del caffè freddo e lo bevve d'un sorso. Dopo aver fatto colazione, mandò Lucas in camera sua a prepararsi e si avventurò alla ricerca del cassetto delle medicine per cercare di arginare il mal di testa per i postumi della sbornia.
«Devi smetterla di frugare tra la mia roba», disse Matthew lanciando una scatola di aspirine a Peter.
«Thank you, dolcezza. Com'è stato il risveglio?»
«Piuttosto... movimentato. Allora, cosa hai intenzione di fare?», chiese l'amico, preoccupato.
«Non ne ho la più pallida idea. Credo che andrò a prendere qualche vestito e la macchina da scrivere a casa e prenderò una stanza in hotel.» «Quindi hai deciso, uh? Sei sicuro di non voler tenere la casa? A proposito, cosa farai per la festa?»
«Non lo so! Non so niente in questo momento, non sono sicuro di nulla. Cristo, 5 anni di astinenza dal fumo mandati in malora, 2 anni senza sbronze ed eccomi qui, a dormire in casa del mio unico amico come un barbone. Non ho più certezze!» disse Peter furioso, scaraventando la tazza nel lavandino senza -miracolosamente- romperla. In quel momento entrò in cucina Robert, il figlio maggiore di Matthew e Olivia:«Peter? Cosa ci fai qui?», disse inquieto.
«Anch'io sono felice di vederti. Vieni qui!», disse Peter e lo abbracciò affettuosamente.
«Seriamente, come mai qui?»
«Un vecchio amico non può passare a farti visita?»
«Non se il 'vecchio amico' viene a casa tua a notte fonda e rimane a dormire poichè troppo ubriaco per guidare», disse il ragazzo scogliendo l'abbraccio e prendendo una tazza di latte.
«Bhè, a questo punto io andrei. Grazie per l'ospitalità Mat. Salutami Olive» disse Peter, vergognandosi per la prima volta dopo tanto tempo per il suo comportamento. Uscì dalla grande casa, salì in macchina, mise in moto e si diresse verso casa. Durante il tragitto ripensò ai tempi dell'università, quando lui e Matthew si divertivano senza pensieri, bevendo e fumando. Poi avevano incontrato Olivia e Isabella e l'amico aveva deciso di mettere su famiglia e di studiare seriamente. Tutto iniziò a sgretolarsi pian piano: Matthew andò a vivere con Olivia e nel giro di un paio d'anni ebbero finito l'università; poi arrivarono i bambini. Al contrario, Peter e Isabella si divertirono per anni, ognuno nel proprio piccolo appartamente in centro, fino a pochi anni prima. Ma non erano fatti per quella vita e Peter lo sapeva. Le liti continue, lo portavano a pensare che lei non lo ammasse e che lo sfruttasse soltanto e la sera prima ne aveva avuto conferma. Come si può tradire una persona pur amandola? Come si può solo pensare di stare con un'altra persona, una diversa da quella alla quale stai per promettere in 'eterno' il tuo cuore? Eterno, poi... Peter non voleva sposarsi in chiesa, non essendo religioso, ma soprattutto per questa concezione dell'eterno. Come si puo' credere in una cosa eterna? Non esiste forse la morte?

Salve! Questo è il mio primo racconto pubblicato su questo sito, quindi se vi è piaciuto mi farebbe ultra-piacere sapere cosa ne pensate! I fan di LOST avranno sicuramente riconosciuto in 'Charles Widmore' Alan Dale; questo perchè inizialmente per la figura del 'padre-idiota' mi era venuto in mente Alan Dale (ebbene sì, ho già i volti per ogni personaggio *-*), ma per non usare il suo volto ho preso in prestito solo il nome. Il titolo si adatta alla nuova vita di Peter: senza una fidanzata, senza una casa e senza un genitore, sarà costretto a ricominciare da capo; la sua vita sarà come nuova.
Quindi... se vi piace fatemelo sapere! Grazie mille. *-*

PS: le notazioni in inglese sono volute.

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Capitolo 2
*** Chapter Two ***


Peter arrivò a casa ancora assorto dai pensieri, uscì dalla macchina e si fermò a osservare la porta del suo piccolo appartamente al piano terra. Peter viveva lì da 15 anni, da quando a 19 anni iniziò l'università, e due anni prima aveva chiesto ad Isabella di andare a vivere con lui. La sera prima aveva perso ogni speranza di fare il passo successivo e di avere un futuro con lei.

Entrò e trovò Isabella voltata di spalle, seduta sul divano a fissare lo schermo nero della televisione. Girò intorno al divano e si ritrovò davanti a lei: aveva gli occhi rossi per il pianto e sedeva con i piedi sul divano e il mento appoggiato sulle ginocchia. Lei alzò lo sguardo e fissò Peter negli occhi, felice:«Pensavo non saresti più tornato», disse lei abbozzando un sorriso. «Pensavo mi avessi abbandonata. Sono stata un cretina ieri sera... non so cosa mi sia preso. Perdonami, ti prego» e prese le mani di lui, baciandole. Lui rispose, con disgusto:«Perdonarti?». Rise leggermente. «Ti ho raccontato tutto di me, della mia famiglia, di come mi trattava mio padre. Ti ho chiesto di venire a vivere con me, di sposarmi, e tu cosa fai? Ti scopi quello stronzo!» «Non era intenzionale. Mi ha costretta!», disse lei disperata. «Non sembravi molto forzata, ieri sera. Senti, sono venuto solo per prendere la mia roba, dopodichè uscirò per sempre dalla tua vita. Non ho intenzione di rimanere a lungo» rispose sorridendo. Vederla lì, disperata... Era penosa. Eppure era lei che neanche 12 ore prima si stava sbattendo il padre nella stanza a fianco, no? Perchè avrebbe dovuto perdonarla?

Andò in camera e, fortunatamente, non trovò suo padre nudo sul letto. Rimase minuti a osservare quel letto vuoto, disfatto e prova di un tradimento. Non poteva più rimanere in quella casa. Prese i suoi vestiti e li mise in un vecchio borsone, poi tornò in salotto e trovò Isabella che giaceva in posizione fetale sul divano, piangendo. Prese quanti libri poté, la macchina da scrivere e uscì sbattendo la porta. Mise in moto la macchina e si fermò poco dopo davanti a un hotel a cinque stelle. Prima di entrare si accese una sigaretta e chiamò l'organizzatrice del matrimonio. «Salve. Peter Widmore. 31 dicembre», disse Peter alla ragazza dall'altra parte del telefono, scandendo il suo nome e la data del matrimonio. «Oh, signor Widmore! Come va con la futura signora Widmore? Pronto per il grande giorno?», rispose la ragazza entusiasta. Aveva visto Peter un paio di volte per accordarsi sulla data del matrimonio e sugli invitati, ma Peter non la conosceva molto bene. «Volevo parlarle proprio di questo. Volevo... il matrimonio è annullato.» «Oh.», mormorò la ragazza. «Mi dispiace, davvero. Grazie per avermi avvertito anticipatamente. Molti semplicemente non si presentano il giorno delle nozze. Bhè, provvederò», disse lei risolutamente. «Perfetto. Passerò domani per il pagamento. Arrivederci». Chiuse la comunicazione, prese il borsone e la macchina da scrivere ed entrò nell'hotel. «Signor Widmore! Come mai qui? Come va con la signorina?» chiese il receptionist, Walter, felice di rivedere Peter. Quest'ultimo d'altro canto, non aveva voglia di chiacchierare. «Direi... tragicamente», disse lui sorridendo. «Avrei bisogno di una stanza, una qualsiasi.» «Signore, mi dispiace, ma stiamo ospitando una convention di medici, quindi sono rimaste solo poche suite» «Una suite andrà benissimo.» «Ottimo. Posso vedere un secondo i documenti? Sa com'è... la procedura.» Peter rovistò nella giacca, ne tirò fuori la carta d'identità e la passò a Walter. «Ecco qui.» «Perfetto signore,» e riconsegnò la carta d'identità e la chiave magnetica della suite a Peter, «questa è la chiave della stanza 260, al terzo piano. Le serve una mano con i bagagli?» e accennò al borsone. «No, non preoccuparti. Ci penso io. A dopo!» «Arrivederci, signore.» Peter si avviò verso l'ascensore e premette più volte il pulsante per chiamarlo; arrivò immediatamente e, quando si aprì, scorse all'interno una donna stupenda non troppo alta, mora, con una fluida chioma mora e degli occhi azzurrissimi. La donna uscì dall'ascensore e passò di fianco a Peter, lasciando un'intensa scia di profumo; inebriato da quell'odore, rimase immobile davanti l'ascensore fin quando qualcun'altro lo chiamò e, arreso, decise di salire i tre piani usando le scale. Non sapeva chi fosse quella donna, ma doveva assolutamente scoprirlo.

Arrivò in camera, aprì velocemente la porta e posò sulla scrivania la macchina da scrivere.

La suite era enorme. L'entrata era arredata con un'appendiabiti sulla destra, una scrivania sulla sinistra e, al centro, un quadrato formato da 4 divanetti di velluto rosso, con al centro un tavolo quadrato di vetro. A sinistra del piccolo salottino, salendo un tre scalini, si raggiungeva la camera da letto: di fronte all'entrata, appoggiato al muro, stava un letto a baldacchino; di fronte al letto c'era una grande televisione a muro; a sinistra c'era un enorme armadio e dalla porta finestra, a destra dell'entrata, si poteva accedere al balcone che circondava la suite ed era distante solo un metro dal balcone della suite di fianco. Dalla camera matrimoniale, di fianco all'armadio, si poteva accedere al bagno di marmo nero con una Jacuzzi al centro e infiniti profumi e oli su uno scaffale a destra. Un'ulteriore stanza, poco più piccola della camera da letto, si trovava a destra del salottino e aveva al centro un tavolo da biliardo e, a destra, un minifrigo pieno di acqua, succhi e birra; in fondo alla stanza, infine, c'era un mobile a muro con le ante di vetro, contenete alcolici di vario genere.

Peter prese un bicchiere di scotch e lo bevette d'un sorso per cercare di rilassarsi e per cancellare dalla memoria le immagini della sera precedente. Non era la prima volta che Isabella lo tradiva. Era capitato un paio di volte, prima che andasse a vivere con lui; prima di quello, però, neanche lui si era limitato più di tanto. Peter pensava si fosse tolta quel vizio, ma a quanto pare non era così. Suo padre aveva divorziato dalla moglie anni prima, quando Peter era ancora un adolescente, perché la tradiva continuamente e, durante il periodo in cui Peter frequentava l'università, si era portato a letto anche qualche ragazza del figlio, dicendo:"Bisogna condividere le cose!". Peter, però, aveva messo bene in chiaro con Charles che non voleva condividere Isabella. Non la sua futura moglie.


Quando si svegliò era ormai sera. Aveva ancora in mano il bicchiere di vetro vuoto, in bilico, e lo poggiò sul comodino di fianco al letto; si diresse verso il bagno, si spoglio e si fece una doccia veloce. Si vestì e scese al piano di sotto, al ristorante. Questo era molto affollato, ma era vasto e creato per ospitare molte di persone: una sala enorme ospitava centinaia e centinaia di tavoli; a destra dell'entrata c'era un palco per esibizioni dal vivo, ora vuoto; sulla sinistra c'era un bar fornito di qualunque tipo di bevanda. Fortunatamente trovò un tavolo singolo in fondo alla sala, contro il muro. Vedendo arrivare il cameriere, si voltò e solo allora notò che al tavolo alla sua sinistra era seduta, con un uomo, la ragazza dell'ascensore. Rimase minuti ad osservarla, incantato, e fu 'risvegliato' solo dal cameriere che, preoccupato, gli stava scuotendo davanti gli occhi la sua mano. «Signore, si sente bene?» «Sì, scusi», rispose Peter disorientato. La ragazza, intanto, lo stava guardando preoccupata. «Cosa posso portarle?» «Prendo una bottiglia di Merlot e una bistecca.» «Arrivano subito, signore.» Il cameriere tornò in cucina e Peter tornò a fissare la ragazza: aveva all'incirca venticinque anni, ma aveva ancora i lineamenti di una ragazzina. L'uomo di fronte a lei aveva più o meno cinquant'anni; qualcuno avrebbe detto che fosse affascinante, ma a Peter sembrava solo viscido. Provarci così spudoratamente con quella ragazza davanti a tutte quelle persone?! Ma c'era qualcosa nello sguardo di lei, qualcosa di ricambiato. Il cameriere portò il piatto e il vino e lui mangiò velocemente. Ad un certo punto della serata la ragazza si alzò e si diresse verso il bar, mentre l'uomo lasciò i soldi del conto sul tavolo e andò verso l'ascensore. Peter si alzò e si sedette di fianco alla ragazza, al bancone del bar. «Hai vent'anni, quindi probabilmente sei solo una specializzanda e studi all'università per diventare qualcosa di più. L'uomo è un famoso dottore dell'ospedale che ti ha promesso un salto di carriera in cambio di... chiamiamolo 'amore'. Tu accetti, ma dopo un po' ti accorgi che sarai bloccata con lui fin quando morirà, cioè quando scoprirai che lui ha molteplici mogli sparse per il paese e figli illegittimi tra cui si dovrà dividere il denaro: tu non avrai un soldo e ti ritroverai con il cuore spezzato e un lavoro di merda», disse lui guardando la donna negli occhi.

L'espressione di lei passò dallo scetticismo al divertimento:«Cosa sei un detective? O uno scrittore?» e inarcò le sopracciglia. «Oh, prediligo il secondo, ma questa cosa è talmente ovvia che scommetto che anche il cameriere ci è arrivato. Allora?» «Allora cosa?», disse la donna ridendo. «Quanto di quello che ho detto è vero?» «Neanche la metà: è vero, sono una specializzanda; è vero, esco con quell'uomo, un dottore dell'ospedale in cui lavoro; falso, so già che è sposato; falso, non sto con lui perchè mi ha promesso un lavoro.» «Sicura? Non ha mai neanche accennato alla questione? Poi, scusa, ma sei una bellissima donna. Perchè bloccarsi con quel tizio? Vai in giro, divertiti!» «Non sono bloccata con lui. Io... lo amo. Non sono fatti tuoi, comunque.» Dopodichè prese la sua borsa e si diresse verso l'ascensore. «Sto solo cercando di farti ragionare. E poi è sposato, avrà dei figli. Vuoi davvero avere il peso della loro infelicità eterna sulle tue spalle?», disse Peter correndole dietro e salendo con lei sull'ascensore. Perché le stava correndo dietro? Cos'aveva di speciale quella ragazza?

La donna premette il tasto '3', poi disse:«Oh, sul serio la butti su questo campo, eh? Infelicità eterna dei bambini? Un po' di fantasia, per favore. Oddio, non ho idea del perché io stia discutendo di questo con te! Sei un perfetto sconosciuto che fissa le ragazze in modo inquietante.» «Oh, by the way, scusa per quello.» «Perchè parli in inglese?» disse la ragazza uscendo dall'ascensore e incamminandosi per il corridoio. «E smettila di seguirmi.» «Non ti sto seguendo: la mia stanza è la 260. Comunque non so, ma ho sempre avuto una mania per l'inglese» «260? Io ho la 259. Sei un incubo.» disse la ragazza e aprì la porta della sua camera, entrando senza salutare Peter. Lui entrò velocemente nella suite, chiudendo la porta alle sue spalle; corse in camera, poi andò sul balcone; raggiunse la fine di questo e con un salto finì su quello della stanza a fianco, quello della ragazza. Lei si stava spogliando quando, voltandosi verso la finestra della camera, notò Peter che gesticolava. «Cosa diavolo ci fai qui?», disse la ragazza aprendo la portafinestra e facendo entrare Peter, dopo essersi rivestita. «Te l'ho detto: la mia suite è qui a fianco. Piacere, Peter.» «Piacere tuo, Meredith. Ora puoi, per favore, andartene?» «Meredith... Ok, a domani. 'Notte!» e le diede un veloce bacio sulla guancia, prima di scappare uscendo dalla finestra.
Quella notte Peter non ebbe bisogno di alcolici per sognare.

E' passata una settima da quando ho pubblicato il primo capitolo, ma penso che d'ora in poi aggiornerò più spesso... Vorrei darvi i nomi di due attori che, secondo me, sono perfetti per i ruoli di Peter e Isabella. A ogni aggiornamento vi rivelerò gli attori rappresentanti due personaggi. Ovviamente è una cosa personale e ognuno può immaginare, per i vari ruoli, chiunque preferisce! Comunque per il ruolo di Peter ho sempre immaginato Matthew Bomer mentre, per il ruolo di Isabella, credo che Marion Cotillard sarebbe perfetta. Voi chi immaginate al posto di questi due personaggi?

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Capitolo 3
*** Chapter Three ***


Peter si svegliò all'alba e rimase per ore a fissare il soffitto e a pensare; era un uomo bello e affascinante di 34 anni. Alto, con un bel fisico, capelli corti scuri e gli occhi azzurri. Nessuna donna era mai riuscita a resistergli, eppure Meredith lo respingeva senza troppi problemi.
Fino ad un giorno prima era distrutto per la storia di Isabella e ora non faceva altro che pensare a Meredith, quella ragazza meravigliosamente bella. Ovviamente non l'amava, ma era attirato da lei in un modo impossibile da descrivere. Non riusciva a capire se fosse ancora depresso per Isabella e questo fosse il modo di riparare quella ferita o se, in modo veloce e indolore, avesse superato la faccenda e stesse voltando pagina.
Sentì il telefono della suite squillare e rispose immediatamente:«Chi parla?»
«Signore, sono Walter. Matthew Ford ha chiesto di lei: ha detto di chiamarla al numero 'che conosce lei'.»
«Grazie per la non-informazione, Walter.» e mise giù. Stava vagando per la suite in boxer alla ricerca dei pantaloni contenenti il portafoglio, quando bussarono alla porta della suite. «Peter? Apri, devo parlarti.» Era la Meredith.
Peter infilò velocemente i pantaloni di una tuta e andò ad aprire. «Come mai qui, amore?» disse lui, ma non fece in tempo a finire che Meredith entrò nella camera. «Non ho idea di cosa tu abbia in mente, ma deve finire oggi.»
«Di cosa stai parlando?»
«Di te che entri nella mia stanza dalla finestra!»
«Ah, ho capito cosa gira in quella bella testolina: il vecchio ha visto come ti guardavo ieri e questa mattina ti ha detto di dirmi che devo rinunciare al mio piano malefico, altrimenti verrà qui e mi castrerà.» e si avvicinò a lei.
«Più o meno. Poi ti ho detto che sono innamorata di lui e che il tuo piano non funzionerà, quindi smettila.»
«Ok.» e si avvicinò ancora di più.
«Cosa stai facendo?», disse lei a disagio
«Assolutamente nulla» e la baciò. Meredith non si allontanò e il bacio si fece più intenso; rimasero al centro della stanza a baciarsi per svariati minuti, ma Peter non riuscì a capire se quello che stava provando era amore o desiderio, perché bussarono alla porta.
«Peter, so che sei lì dentro: ti sento respirare. Ti ho detto di chiamarmi, ma non l'hai fatto. Sono preoccupato! Con tutto quello che è successo con Isabella...». Era Matthew.
Meredith e Peter sciolsero il bacio e, sentendo nominare 'Isabella', Meredith assunse uno sguardo dubbioso. «Chi è Isabella?», sussurrò lei a Peter. «La mia ex-fidanzata, con un anello al dito. E' una lunga storia.» rispose lui e andò ad aprire la porta. «Matthew, devi sapere che non ti amo. Smettila di pedinarmi.»
«Hai del rossetto sulle labbra.», disse distrattamente Meredith a Peter mentre usciva.
«A dopo, cara!», disse Peter salutandola e pulendosi la bocca con il dorso della mano.
«Vedo che ti sei ripreso velocemente», disse Matthew entrando nella stanza.
«Sai, non riesco a ritrovare i jeans.» continuò Peter e tornò a vagare per il salottino e la camera alla ricerca dei pantaloni. Li ritrovò piegati, nella valigia. «Come ci sono arrivati qui?»
«Non cambiare discorso, Peter. Fino a ieri eri distrutto per Isabella e oggi è già passato tutto?». Matthew era seriamente confuso visto che, solo due giorni prima, Peter era distrutto per Isabella.
«Capita.» disse poi Peter sfilando la tuta e indossando i jeans. «Ho fame. Allora, come stanno i bambini? E Olivia?»
«Come stavano ieri. Ma non sono venuto per questo: voglio sapere come stai e se ti serve qualcosa.»
«Non ti preoccupare per me, sto benissimo. Credo. Senti, perchè non vai dalla tua famiglia mentre io scendo a fare colazione? Giuro di chiamarti domattina». L'uomo cercò di liquidare Matthew il prima possibile per avere la possibilità di parlare con Meredith o, perlomeno, di ripensare al bacio.
«Va bene, allora. Ci sentiamo domani. Mi raccomando, non suicidarti.», disse Matthew prima di uscire.

Peter indossò una camicia grigia, i jeans e un paio di converse e, dopo aver fumato velocemente una sigaretta sul balcone, scese a fare colazione. Il ristorante non era molto affollato vista l'ora, ma c'erano comunque molte persone. Ordinò uova strapazzate e pancetta con un bicchiere di succo d'arancia e, dopo la colazione, decise di andare da Meredith per parlarle. Bussò alla porta svariate volte, ma non rispose nessuno. Passò a metodi più drastici e si lanciò nuovamente sul suo balcone. Meredith era in compagnia dell'uomo che, in slip, si stava dirigendo verso il bagno; lei era stesa in biancheria intima sul letto. Bussò alla portafinestra e Meredith non potè credere ai suoi occhi quando lo vide sorridente sul suo balcone. Indossò una vestaglia ed aprì la finestra. «Ancora tu? Cosa diavolo vuoi?»
«Non imprecare. Dobbiamo parlare di quello che è successo prima.»
«Non è successo nulla prima. Nulla. Ora vattene.»
«Stai sul serio con quel tizio? E'... vecchio!»
«Non è vecchio. E poi anche tu, rispetto a me, sei vecchio»
«Ma so baciare e a me non serve la magica pillolina blu». Peter rise alla sua stessa battuta, ma si riprese quando vide l'espressione minacciosa sul volto di Meredith
«E' un farmaco miracoloso che, certe volte, ti salva la vita.»
In quel momento uscì dal bagno l'uomo, coperto solo da un'asciugamano avvolto alla vita. «Come mai non sono sorpreso? Sei tu il maniaco, vero?»
«Maniaco? Wow, detto da un cinquantenne che si fa una ventenne... Sono davvero offeso» pungolò il 'vecchio' nei metodi che conosceva, ma l'uomo non sembrò accettare quel tipo di umorismo.
«Esci da qui. Immediatamente.», disse l'uomo.
«Non credo stia a te decidere.», rispose Peter.
«Peter, esci.», continuò Meredith, decisamente a disagio.
«Ok. Addio, cara» e uscì senza indugiare.
Deluso, si diresse verso la sua suite, aprì i piccolo armadio nella stanza da biliardo e si riempì un bicchiere di bourbon; poi prese uno dei suoi libri, si stese su un divano nel salottino e iniziò a leggere.

Venne interrotto ore e ore dopo da un battito di nocche sulla porta.
«Peter, dobbiamo parlare»
Peter si alzò stordito, posò il libro sul tavolino di vetro e andò ad aprire.
«Padre, ma quale sopresa! Grazie per essere venuto, ora puoi anche tornare a farti mia moglie.» disse Peter chiudendo la porta in faccia al padre. Era l'unica persona che si aspettava di vedere e preferiva rimandare la discussione, troppo impegnativa per lui che si era appena svegliato. E poi, non voleva rischiare di colpire di nuovo il padre in pieno viso.
Charles bloccò la porta con un piede e si infilò nella suite. «Con piacere, ma prima dobbiamo parlare.»
«Come mai indossi quelli? Hai paura di far sapere al mondo che brava persona sei?» disse Peter notando gli occhiali da sole che indossava il padre.
Charles si tolse gli occhiali, mostrando l'occhio destro completamente nero.
«Ora possiamo parlare?», chiese il padre, desideroso di chiarire con il figlio. Ovviamente, non capiva in che situazione si era cacciato; pensava, infatti, che il figlio l'avrebbe perdonato tranquillamente e senza troppo indugi, cosa che aveva fatto con tutte le altre donne prese in 'prestito'.
«Di cosa? Di cosa dobbiamo parlare?» Peter era furioso e voleva semplicemente prendere il tavolino al centro del salotto e frantumarlo buttandolo addosso al padre, come se quel pezzo di mobilio esistesse per quel solo scopo.
«Del fatto che mi dispiace. Tra tutte, non avrei dovuto neanche toccarla.»
«Ma l'hai fatto, quindi non c'è nulla di cui dobbiamo parlare. Non ti perdonerò mai. Nè per questa, nè per molte altre cose.»
«Quando crescerai, forse capirai» e uscì. Probabilmente Charles ne era molto convinto, ma al figlio parve solo un'ennesima scusa per scappare.
Peter non voleva perdonare il padre e non l'avrebbe fatto mai; d'altro canto, Charles era convintissimo che un giorno Peter avrebbe capito il perché avesse tradito la moglie con innumerevoli donne e perché, pur essendo ormai sulla soglia dell'anzianità, continuasse a desiderare donne fuori dalla sua portata, ma che, a quanto pareva, sembravano essere attratte dall'uomo come mosche dallo zucchero. Peter, comunque, continuava a chiedersi cosa avesse portato Charles ad avvicinarsi così prematuramente al figlio. Voleva forse morire? Era questo il suo desiderio? Essere ucciso dal figlio che non aveva problemi a farlo?

Immerso in queste riflessioni, Peter si accorse che era ormai pomeriggio; si lavò il viso e uscì dalla camera. Si diresse verso l'ascensore e si accorse che dentro c'era Meredith. Entrò comunque sorridendo e, quando le porte dell'ascensore di chiusero, si avvicinò a lei a la baciò; lei ricambiò e lui la spinse verso la parete destra dell'ascensore, baciandola con passione. Quando arrivarono al piano terra, un secondo prima che le porte si aprissero, Peter si staccò da lei e uscì dall'ascensore sorridendo, lasciandola ansimante all'interno.

Entrò nell'ufficio dell'organizzatrice di matrimoni e salutò tutte le coppie che stavano aspettando nell'atrio.
Quando scoprì di Isabella e Charles diventò furioso, ma allo stesso tempo era come se si fosse tolto un peso: a quanto pareva non voleva davvero sposarsi. Supponeva che quell'avvenimento fosse stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso; dopotutto le cose tra lui e Isabella non andavano poi così bene.
L'organizzatrice, Anthea, una bella donna di 31 anni, si sentiva realizzata guardando altre coppie felici grazie al suo buon gusto in fatto di colori e fiori. Quando vide Peter nell'atrio, gli corse incontro e lo abbracciò.
«Oh, Peter, mi dispiace così tanto! Anche lei mi ha chiamato per avvertirmi e piangeva a dirotto! Sei sicuro che le cose non possano più funzionare tra di voi? Eravate una così bella coppia!»
«Anthea, ho paura che non si possa più risolvere nulla. Comunque tranquilla, finisci con i clienti e poi torna da me; devo solo pagare il conto, mentre loro devono organizzare il 'giorno più importante della loro vita'». Peter si era sempre sentito come un fratello maggiore di Anthea o un amico fidato.
«Oh, non se ne parla neanche. E poi farò in un attimo! Loro sono così innamorati che non si accorgeranno del tempo che passa.» e scortò Peter nel suo ufficio. «Avevo appena finito di stampare questi, prima che tu mi chiamassi.»
Mostrò Peter una cartolina, l'invito al matrimonio: un caricatura animata di lui e Isabella. Girando la cartolina si poteva leggere "Peter e Isabella vi invitano ufficialmente al loro matrimonio, che si terrà al Palace il giorno 31 dicembre 2011".
Peter fissò per qualche minuto la cartolina e la rigirò tra le mani, poi la posò sulla scrivania di Anthea.
«Mi dispiace davvero, Peter.» disse lei sinceramente. «Non so cosa fare per dimostrartelo. Vedo coppie ogni giorno, mi assumono, entro nelle loro vite e cerco di organizzare un giorno perfetto, ma a volte non arrivano a quel giorno. Per me è sempre un gran dispiacere.» Dicendo questo si era alzata dalla sedia dietro la scrivania e stava girando intorno a questa, ritrovandosi in piedi davanti a Peter, che si era seduto su una poltrona davanti la scrivania.
«Ancora non capisco, però, cosa sia saltato in mente a Isabella. Se può consolarti, credo onestamente che tu sia un bell'uomo» continuò lei.
Gli passò un dito sotto il mento e gli alzò la testa, fino ad incontrare i suoi occhi. Si avvicinò piano e scoppiò a ridere.
«Oh, mio, dio. Sono proprio pessima! Cosa diavolo mi è saltato in mente? Ahahahah. Scusa Peter. Davvero. Perdonami.» disse lei a disagio.
«Tranquilla, non fa niente. In fondo, sono abituato a donne che cascano ai miei piedi» disse lui cercando di eliminare l'imbarazzo. «Ok donna,» continuò lui, «quanto ti devo?»
«Un secondo e controllo, uomo.» disse lei stando al gioco. Tornò dietro la scrivania e si mise al computer, digitando qualcosa nell'archivio digitale. «Allora... vestito, ristorante, buffet, chiesa, fiori e tutto il resto, vero?»
«Sì»
«Sono... 19,000 scontati»
«Un secondo che firmo l'assegno» disse Peter tirando fuori dalla giacca il libretto per gli assegni e compilandone uno. «Ecco a te» disse lui consegnandolo ad Anthea.
«Perfetto... Hey, ci vediamo per un caffè, un giorno di questi?»
«Certo, basta che non cerchi di assalirmi di nuovo!» disse Peter e uscì ridendo.

Eccoci ad un nuovo capitolo di NoTitle! Che posso dire? Nulla! Ho revisionato e modificato il capitolo alle 23 di sera, quindi ho la vista piuttosto annebbiata. Segnalatemi eventuali errori di scrittura, se ci sono! :L

Sicuramente qualcuno rimarrà deluso per i due veloci baci tra Peter e Meredith, ma non posso rassicurarvi dicendovi "Non preoccupatevi, ci saranno tante scene del genere" perché non ho intenzione di spoilerarvi i prossimi capitoli.

I due attori di questa settimana sono Alan Ruck (Charles Widmore) e Matthew Macfadyen (Matthew Ford), anche se sono leggermente insicura su quest'ultimo... Comunque, se non avete nulla da fare, mi farebbe davvero piacere se scriveste, tramite recensione, cosa pensate del capitolo o della storia in generale e se credete che ci sia bisogno di un miglioramento. Grazie mille, ancora :)

PS: Questa è la cartolina che stampa Anthea

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Capitolo 4
*** Chapter Four ***



Peter tornò in hotel e notò che l'atrio era affollato da dottori che entravano nella sala conferenze, a sinistra dell'entrata. Nella folla notò Meredith che lo stava fissando, mentre fingeva di ascoltare Mr. Doctor. Le mandò un bacio e, ridendo, entrò nel ristorante. Ordinò una fiorentina al sangue e la divorò, non avendo mangiato nulla a pranzo. Dopo cena tornò in camera, si butto sul letto e accese la tv; mise sul suo conto 'Inception' e iniziò a guardarlo. Gli era sempre piaciuta Ellen Page... aveva un che di affascinante anche in quel film. Dovette fermarlo, però, durante il primo sogno di Ariadne, sentendo qualcuno urlare dietro la porta. La aprì e trovò Meredith senza fiato.
«Sto bussando da mezz'ora! Caccia la sgualdrina, devo parlarti.»
«Quale sgualdrina?»
«Stai cercando di dirmi che non stavi facendo nulla? Cosa diavolo sei, sordo?», disse la ragazza visibilmente sconvolta. Era rimasta fuori a bussare alla porta per venti minuti e pensava seriamente che Peter si stesse dando da fare con una donna.
«Si puo' sapere cosa vuoi?», chiese lui infastidito.
«Oh, non lo so. So solo che domani mattina torno a Seattle con... Tu-sai-chi.» disse Meredith iniziando a girare per la suite e curiosando in camera.
«Ok... E io cosa posso fare per te?» chiese Peter confuso.
«Sul serio? Mi fissi come un imbecille mentre sto mangiando, entri in camera mia dal balcone, mi baci senza alcun motivo apparente e ora che me sto andando te ne stai lì a chiedermi 'Cosa posso fare per te'? SUL SERIO?» urlò, e si buttò sul letto
«Sei ubriaca?»
«Uuuh... Inception! Adoro questo film. Ubriaca? No, perchè dovrei?»
Peter la raggiunse in camera e lei iniziò a spogliarsi.
«Ti assicuro - giuro - che non sono ubriaca.» disse lei sfilandosi la camicetta.
Peter si sdraiò su di lei, la baciò, e disse:«Hai ragione. Non sei ubriaca. Allora posso approfittare di questo momento...»
«Anche se me ne pentirò domattina» continuò lei.
Meredith gli passò le mani tra i capelli e lo attirò a se; si baciarono per vari minuti, ma Peter non resistette molto e finì di spogliarla. Lei, poi, spogliò lui.
Quella notte Peter sognò, ma ad occhi aperti.

L'uomo si svegliò presto quella mattina e rimase a fissare Meredith nuda, coperta solo dalle lenzuola. Era di una bellezza incantevole e Peter, pur non sapendo esattamente cosa provasse per lei, sapeva di voler passare il resto della sua vita in quel letto con quella donna. Si andò a fare una doccia e uscì dal bagno coprendosi con un asciugamano avvolto intorno al bacino.
«Vuoi tentarmi?» disse Meredith, svegliandosi e vedendo Peter in ginocchio sul letto.
«Davvero devi partire? Questa mattina?»
«Oddio, me n'ero completamente dimenticata.» disse lei alzandosi dal letto nuda, come se nulla fosse, e correndo in bagno.
Ne uscì cinque minuti dopo, avvolta in un accappatoio.
«Allora?» chiese lui.
«Allora cosa?» rispose Meredith iniziando a vestirsi. Decisamente, non si era pentita di quella notte, ma adesso era piuttosto impegnata per stare ai giochetti di Peter.
«Hai capito. Insomma... Sono o non sono meglio del vecchio?» disse Peter sdraiandosi sul letto, ancora coperto solo dall'asciugamano.
«Ma sei ossessionato!» disse lei, ora completamente vestita. Saltò sul letto e si mise a cavalcioni su di lui. «Sì, sei meglio di lui, contento? E, se devo dire la verità, anche più dotato», confessò lei
«Sono lusingato, signorina». Si mise a sedere, lasciando Meredith a cavalcioni su di lui, e la baciò.
«E' tardissimo! Davvero, non po...» iniziò la ragazza, ma non fece in tempo a finire la frase che lui era sceso a baciarle il collo. Le sbottonò la camicetta che indossava e le slacciò il reggiseno.

Meredith lasciò la camera di Peter dopo un'ora e rientrò velocemente nella sua suite. Infilò tutti i vestiti nella valigia e uscì dalla stanza, scontrandosi con William.
«Buongiorno, amore» disse lui e la baciò. «Dormito bene?»
«Benissimo» rispose lei raggiante.
«Ok, andiamo a fare colazione e poi prendiamo un taxi per l'aereoporto». OVVIAMENTE, era un maniaco del controllo, ma a Meredith piaceva così. Le serviva qualcuno che facesse ordine nella sua vita.
«Ottimo.»
Scesero con calma al piano terra, entrarono nel ristorante e si sedettere all'unico tavolo libero, vicino al palco.
«Hai visto chi c'è?» chiese William, dopo aver ordinato una 'colazione all'inglese'.
«No, chi?» chiese lei interessata.
«Il maniaco» rispose indicando Peter con un cenno della testa, continuando a bere il succo alla prugna. Meredith non aveva mai capito come William potesse bere quel succo; insomma, era terribile! E il colore non aiutava di certo.
La donna rimase a guardare la bottiglietta di vetro in mano a William per un po' di tempo, poi seguì lo sguardo di William e incontrò quello di Peter, che la guardava intensamente dall'altro lato della stanza, provocandola.
«Sai, dovresti smetterla di chiamarlo così. In fondo non ci ha fatto nulla.» disse lei continuando a guardare Peter.
«Già, ma non mi piace il modo in cui ti guarda. Sai che sono geloso», insistette lui accarezzandole la mano.
Peter lasciò il ristorante poco dopo e, uscendo, sorrise a William; questo era troppo occupato ad insultarlo, mentre Meredith era occupata a immaginarlo nudo.
Dopo la colazione passarono da Walter e William saldò il conto di entrambe le loro stanze. Incontrarono un po' di traffico andando all'aereoporto, ma arrivarono in tempo per il check-in e salirono in orario sull'aereo che partì dopo qualche minuto.
Meredith si sedette vicino al finestrino e, a metà viaggio, ordinò un bicchiere di whiskey, pur essendo astemia.

Peter, quella sera, uscì fuori e si sedette su una sdraio sul grande balcone. In cielo di Philadelphia era illuminato dalle luci della grande citta, tanto che non si riuscivano a vedere molte stelle. Pensò a Meredith e alle due volte in cui l'aveva fatta sua, poi si accese una sigaretta e la fumò lentamente, guardando il cielo diventare sempre più scuro con il passare delle ore. Era davvero così difficile dimenticare quella ragazza? Non l'avrebbe più rivista, lo sapeva, eppure non riusciva a non pensare a come sarebbe stato bello riaverla in quel letto solo per un'altra notte. Era confuso, non sapeva cosa provasse e gli sembrò di tornare ai tempi del liceo; quella ragazza così giovane e all'apparenza innocente lo confondeva e lo rendeva incapace di fare qualsiasi cosa. Era straziante per lui dover giacere come un adolescente in preda agli ormoni e ai sentimentalismi più patetici, perso tra i brevi ricordi su Meredith.

Nei giorni seguenti, Peter incontrò Anthea, camminò in giro per la città e passò un paio di volte a casa di Matthew.

Una mattina, però, Peter saltò in macchina e si diresse verso la vecchia villa di famiglia, dove viveva la madre. Arrivò in un paio d'ore e, dopo essere sceso dalla macchina, si fermò per qualche minuto ad osservare l'imponente cancello e la muratura che circondava la tenuta e che impediva l'entrata. Per l'occasione aveva indossato un completo Armani; non vedeva la madre da anni e non voleva passare il pomeriggio a sentire questa che lo offendeva perchè andava in giro in jeans. Premé il bottone del citofono a sinistra della recinzione e aspettò una risposta, che arrivò pochi secondi dopo dall'apertura del cancello. Lasciò la macchina fuori ed entrò a piedi. Trovò la madre in piedi davanti l'entrata; indossava un tailleur blu scuro e dei tacchi bassi. «E' davvero mio figlio o inizio ad avere le allucinazioni?» chiese la donna guardando negli occhi Peter.
«Mi sei mancata pure tu» disse
il figlio sorridendo leggermente. Non vedeva la madre da un anno e l'aveva chiamata solo pochi mesi prima per avvertirla del matrimonio.
Mary fece entrare il figlio nella suntuosa villa: uno scalone davanti l'entrata occupava molta parte dell'atrio; a destra un'arco portava al salone arredato in stile ottocentesco; a sinistra, aprendo una porta a vetri a doppie ante, si accedeva alla grande sala da pranzo. Questa era arredata con un lungo tavolo medioevale al centro e con numerose sedie di velluto nero. Da una porta a destra di questa sala si accedeva alle cucine. Il piano di sopra era occupato dalle varie camere da letto e da alcuni bagni.
La madre proveniva da una famiglia di nobili e aveva ancora quella che, in tempi moderni, sono chiamati "aiuti domestici". Entrarono nel grande salotto e Mary cacciò una domestica in modo scortese; come sempre, quindi. «Allora, si può sapere cos'è successo con quella sgualdrina?» chiese la donna riferendosi a Isabella. La donna era stata sempre diretta con Peter, riguardo alle sue ragazze e riguardo a tutto il resto.
Prima media: la donna fece guardare un film porno al figlio per "istruirlo"; a quanto pareva, il discorso delle api era troppo convenzionale.
Primo liceo: la madre, di fianco a Charles, regala a Peter il suo primo pacchetto di preservativi dicendo:«Insomma, prima o poi dovrà pur succedere!»
Meglio evitare il resto del liceo e le numerose entrate di Mary nella camera del figlio mentre si dava da fare con una ragazza diversa a settimana. Ebbene sì, anche da giovane Peter ci sapeva fare con le donne. Quindi, Peter a 19 anni fu costretto ad iscriversi all'università per ricevere dai genitori l'assegno mensile per università e appartamento. Da quel tempo, e da quando i suoi genitori divorziarono, Peter troncò i rapporti con il padre e, quando la madre sposò un giovane della sua stessa età, con la madre. Il giovane lasciò Mary dopo dieci d'anni e Peter tornò a casa della donna per due Natali, poi si persero nuovamente. Due mesi prima, poi, Isabella chiamò Mary per avvertirla del matrimonio, ma la futura sposa rifiutò un suo invito a cena e, a quanto pareva, la madre di Peter se lo legò al dito. Probabilmente Matthew l'aveva avvertita della loro rottura e la donna aveva affermato la sua ipotesi secondo cui "Dio, se è una prostituta!". Ma Matthew non aveva una famiglia con cui parlare e a cui rivelare tutti i pettegolezzi?

Salve, gente. Sinceramente, non mi piace molto questo capitolo. Ho paura di aver mischiato troppi avvenimenti e, magari, di non averli approfonditi abbastanza >< Voi cosa ne pensate? Vi è piaciuto? Comunque, oggi vi rivelo i volti di Meredith e William (Il dottore) u.u  Ebbene, per Meredith ho scelto Jessica Stroup, mentre per William c'è Gary Oldman. Sì, lo so, Gary Oldman è figo e affascinante e pensate che nel ruolo di William non c'entra niente, ma vi assicuro che William ha il suo perché v_v

PS: Odio o amo Mary? Non lo so ancora! xD AH! Sul prossimo capitolo continuerò la conversazione di Mary e Peter, ovviamente!

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Capitolo 5
*** Chapter Five ***



«Non è una sgualdrina.» sibilò Peter dopo essersi ripreso da quell'ondata di ricordi.
La donna lo guardò stranita, poi riprese:«Hai anche il coraggio di difenderla? Sai che se avessi difeso tuo padre in tribunale...» continuò insistentemente Mary.
«Non...» iniziò Peter ridendo nervosamente. «Non paragonarla a tuo marito» urlò lui e si alzò dalla poltrona di velluto su cui era seduto.
«E tu, Peter, non urlarmi contro» ordinò la donna impassibile.
Peter respirava affannosamente, come se avesse corso, ed era infuriato per il paragone di poco prima. Isabella uguale a Charles? Mpf! Stava scherzando, vero? «Non ho intenzione di calmarmi! Charles ti ha tradito con decine di donne, mentre Isabella...» si fermò un secondo per riflettere. Anche Isabella, prima che i due si fidanzassero, andava a letto con altri uomini, ma Peter pensava davvero che si sarebbe 'dedicata' solo a lui. Che stupido che era stato! Charles e Isabella... i due adulteri... i due amanti. Improvvisamente Peter si sentì un completo idiota. «Grazie mille, madre! Non ci vediamo da anni, vengo qui e tu cosa fai? Mi parli di LEI? Molto gentile, grazie. Devo forse ricordarti come stavi tu dopo il divorzio da Charles?» le gridò contro.
Mary sorrise seraficamente. «Non hai appena detto di non voler paragonare la sg... Isabella...» si corresse. «... a tuo padre? E poi, solo per tua informazione, dopo aver divorziato da tuo padre ero stesa nel mio letto a baldacchino con George»
«George? Ah, è così che si chiama il tuo secondo ex marito?», chiese Peter fingendo curiosità.
«Non cercare di cambiare discorso, Peter. Allora, vuoi raccontarmi cos'è successo o no?»
«No che non voglio, Mary. E' l'unica cosa che posso evitare di raccontare, visto che sembra che tutti sappiano tutto di me» rispose lui nervoso.
«Ok, allora vuoi raccontarmi della tua nuova ragazza?» chiese la madre. Non vedeva il figlio da un paio d'anni e voleva sapere qualcosa. Matthew le aveva raccontato di una ragazza molto giovane con cui Peter era andato a letto.
«Quale nuova ragazza?» Peter si sedette di nuovo di fronte alla madre, sulla poltrona.
Mary rimase interdetta. «Dai, almeno raccontami di lei. Sai, quella ragazza dell'hotel.»
Peter rimase qualche secondo a fissare la madre, cercando di capire a chi si riferisse. La sua espressione, piano piano, da seria passò a divertita.
«Meredith?» chiese retorico, ridendo. «Meredith non è la mia ragazza ed è partita. Comunque, non ho voglia di parlare di lei. Tu cosa mi racconti?" chiese alla madre. Era ancora infuriato con lei, ma voleva riallacciare i rapporti; in fondo non era così cattiva. In fondo.
«Ascolta: forse non sono la madre perfetta, ma non ci vediamo da molto tempo, quindi... raccontami.»
«Sul serio, non è successo niente, più o meno.» Ebbene, aveva deciso di raccontarle tutto. «Ero uscito quel pomeriggio per andare dal mio agente. Mi aveva chiamato dicendomi che doveva farmi conoscere qualcuno, che voleva trasformare in film il mio ultimo libro. Arrivai nel suo ufficio in mezz'ora a causa del traffico, entrai e conobbi un paio di persone di una grande casa di produzione di cui non ricordo neanche il nome; finimmo la riunione dopo tre ore. Salutai il mio agente promettendogli che avrei pensato alla proposta che mi avevano fatto quei tipi. Mi avviai lentamente verso casa, convinto che Isabella fosse uscita con qualche amica. Le luci erano spente così...» Si fermò un secondo per sospirare e bere un sorso di the. «Entrai silenziosamente in casa e vidi la luce accesa in camera... seguita da un rumore continuo. Pensai stesse aggiustando qualcosa con il martello!» Rise nervosamente, poi si passò una mano tra i capelli e si abbandonò completamente allo schienale della poltrona. «Urlai:"Amore, cosa stai facendo? Dovresti smetterla con quel martello!" e il rumore si fermò. Corsi in camera e... li vidi.» Alzò le spalle in segno di arresa. «Charles si alzò di malavoglia dal letto e, quando mi vide, ebbe il coraggio di sorridermi. Indossava solo un paio di slip. Slip, hai presente? Un adultero come lui ti sembra persona da slip? Dio, chi indossa gli slip ormai?» chiese retorico socchiudendo gli occhi. «Rimasi immobile sullo stipite della porta mentre Isabella si copriva velocemente con un lenzuolo, come se si dovesse nascondere da me. Ero nervoso e fuori di me, quindi...», rise di nuovo. «... mi avvicinai e gli assestai un destro. Un destro perfetto. Dovresti vederlo ora. Mandibola e occhio destro completamente neri.» Scosse la testa. «Mi pulii le mani sulla camicia e uscii lentamente di casa. Quella dannata casa. La MIA casa. E ora gliel'ho pure lasciata. Perché gliel'ho lasciata?» finì di raccontare e osservò l'espressione di Mary. «Cosa fai, mi compatisci? Non compatirmi.» Si passò una mano sugli occhi come per svegliarsi da un brutto incubo; purtroppo, non lo era.
«Non ti compatisco affatto. Ci siamo passati entrambi; io più volte, tu solo una. Ma, per fortuna, l'ho beccato solo una volta.» Alzò gli occhi al cielo e fissò un punto sul grande armadio ottocentesco alla sua sinistra. «Mi chiedo, però...» continuò con un sussurro. «Come mai si sia fatto beccare»
«Cosa intendi?» le chiese Peter improvvisamente vispo e curioso.
«Io l'ho colto in fragrante quell'unica volta solo perché ero tornata prima da un viaggio in Europa, ricordi? Per tutte le altre volte... è stato impeccabile. Notevole, direi. Invece, adesso, sembra quasi che abbia fatto di tutto per essere scoperto»
Peter aggrottò la fronte. «Non capisco» mormorò tra sé e sé. «Dici che la cosa andava avanti da tempo e che volevano uscire allo scoperto facendosi beccare?»
«Sembra così» disse Mary accavallando le gambe e portando le mani incrociate su di esse.
Peter ci riflesse qualche minuto, mentre la donna lo osservava preoccupata. Lui era pur sempre suo figlio, lo aveva cresciuto e, per quanto fosse contraria alle scelte che lui aveva fatto in campo di donne, lo sosteneva. «Forse mi sto sbagliando...» mormorò lei al figlio, ma lui si alzò di scatto, le diede un bacio sulla guancia e uscì dalla grande villa urlando un "Grazie!"


Peter aspettò ansioso l'apertura del cancello, poi corse in macchina e si diresse in centro.
Come gli era sfuggito? Come aveva fatto a non capire? Era stato tradito ripetutamente dalla fidanzata e lui non si era mai accorto di nulla! Era tutto sotto i suoi occhi! Era ovvio che Charles non si sarebbe lasciato sfuggire Isabella, no? Come avrebbe potuto? In un attimo, capì tutto: le improvvise amicizie di Isabella nel quartiere, il pericoloso avvicinamento del padre, il sorriso sul suo volto dopo essere stato scoperto, le lacrime di Isabella dopo essersi resa conto di aver fatto soffrire l'uomo che amava a causa di uno stupido capriccio...
Fermò la macchina di fronte al One Liberty Place e raggiunse con l'ascensore l'ultimo piano, il 61esimo.


Uscì dal grande ascensore e si ritrovò nell'atrio dell'ufficio.
«Salve, Peter Widmore" mormorò alla segretaria, che di tutta risposta gli sorrise maliziosamente. «Mi dispiace, ma sono in riunione i maggiori esponenti della compagnia»
«Perfetto» disse Peter sorridendo.
«Ma signore...» iniziò la segretaria vedendo che lui si dirigeva senza troppi problemi verso l'entrata dell'aula riunioni. Spalancò la porta di vetro e irruppe nella grande stanza piena di assicuratori e finanziatori. Notò la sorpresa del padre vedendolo entrare e sul volto di Peter apparve un sorriso crudele.
«Padre, come stai? Tutto bene? Il mio appartamento è abbastanza caldo per entrambi?» chiese sarcastico mentre si dirigeva verso suo padre, dall'altra parte della stanza. Intanto si era fatto il silenzio più totale a eccezione di qualche mormorio di gente curiosa. «Oh, bhe, mi fa piacere. Mi fa davvero piacere» finì la frase e si ritrovò faccia a faccia con Charles che, nel frattempo, si era alzato dalla poltrona di pelle e stava chiedendo silenziosamente al figlio cosa diavolo cercava di fare. «Cosa cerco di fare?» chiese retorico Peter sorridendo. «Questo!» urlò afferrando il padre per la cravatta e tirandogli un pugno all'occhio sinistro. «Così non si noterà la differenza» si giustificò lui alzando le spalle. «Ah, prima che mi dimentichi...» si riavvicinò al padre che stava gemendo dal dolore e gli diede una ginocchiata ai genitali. Lo sorresse per le spalle per non farlo cadere a terra e gli sussurro:«Questo è per esserti preso Isabella.» Quelle furono le sue ultime parole prima di essere placcato dalla sicurezza.


Peter si svegliò in una cella occupata da un metallaro 50enne ubriaco – si sentiva dalla puzza che emetteva. Ricordava solo di essere stato sedato per ordine del padre e di essere stato portato in quello schifo di prigione. Si mise seduto sul letto per qualche minuto, mentre si passava le mani tra i capelli cercando di capacitarsi di cosa aveva fatto. Era accecato dalla rabbia, ecco cos'era. Un attacco d'ira, niente di più. Non era pazzo o cose del genere. Alessandro Magno era pazzo. Era lui che aveva scatti continui d'ira e uccideva le persone per sfogarsi.
Peter si alzò e iniziò a camminare lentamente avanti e indietro per la piccola cella, silenzioso, per non svegliare il 'coinquilino'. Era entrato senza autorizzazione nell'attico di uno dei più famosi grattacieli di Philadelphia, aveva interrotto una riunione tra i più grandi e ricchi personaggi dell'agenzia, aveva dato un pugno e una ginocchiata a suo padre, uno dei più famosi finanziatori, ed era stato sedato e portato in galera. Per cosa? Per un tradimento. Non si era mai sentito così stupido prima d'ora.
«Widmore, dannato Widmore, dove sei?» Una guardia lo stava chiamando dal corridoio e lui si buttò letteralmente contro le sbarre.
«Eccomi» urlò Peter.
«Ok...» la guardia iniziò a cercare una tra le tante chiavi di un mazzo che teneva in mano; finalmente trovò quella giusta e aprì la cella. «Fuori per cauzione» disse duramente. «Anche se qualche altra notte qui non ti avrebbe fatto male», mormorò richiudendo la porta alle spalle di Peter.


Peter uscì dal carcere e rimanse sorpreso nel vedere il proprio 'salvatore'. Era lei. Era proprio lei. No, lettori, non era Meredith. Era Isabella.


Il respiro regolare di Peter s'interruppe per un secondo, riprendendo nervoso e accellerato subito dopo. «Cosa...» scosse la testa; si rifiutava di capire.
«Cosa ci faccio io qui?» concluse lei al suo posto. Era calma, incredibilmente calma. Indossava un paio di jeans, una maglia larga il doppio della sua taglia e le lasciava scoperta una spalla e un paio di ballerine. «Tua madre ha chiamato Matthew, Matthew ha chiamato Olivia, Olivia ha chiamato me. Mi hanno detto che hai quasi ucciso Charles»
Peter sorrise sarcastico. «Chissà perché.»
«Me lo domando, sul serio» rispose lei serafica.
«Te lo domandi? Tsk! Davvero?» chiese retorico avvicinandosi alla donna. «Mh... fammi pensare» alzò gli occhi al cielo e batté un paio di volte l'indice sul mento, fingendo di pensarci. «Oh, già, il fatto che mi hai tradito ripetutamente sotto il mio naso e non mi sono accorto di nulla! Già, dev'essere stato proprio quello.»
«Allora lo sai...» mormorò Isabella mentre abbassava lo sguardo.
«Già, lo so. Sicuramente non grazie a te; e hai anche il coraggio di fingere indifferenza, vedo. Le lacrime sono passate, eh?»
«Beh, anche a te è passata subito, da quanto ho sentito!» sibilò lei alzando lo sguardo verso Peter e rivelando gli occhi pieni di lacrime.
«Cosa intendi?» chiese lui. Matthew non aveva detto di Meredith anche a lei, vero? Dio, era peggio di una donna!
«Cosa intendo? Adesso chi è che finge indifferenza? Quella... M...» si portò le mani alle tempie e iniziò a battere il piede destro per terra cercando di di ricordare. «Ma... Maria. No... Me... MEREDITH!»
Ecco, appunto. «Quindi? Cosa c'entra lei? L'ho conosciuta in hotel e ho tentato di dimenticare tutto andandoci a letto! Dov'è il problema? Non è quello che hai fatto tu per mesi?». Aveva alzato il tono di voce e si accorse solo in quel momento di stare urlando nel bel mezzo della piazzola di fronte al carcere. Stava mentendo su Meredith e se n'era accorto da come si era sentendo in colpa. Non era una donna da una botta e via e lui se n'era reso conto dal primo momento; era soprattutto per quello che si era sentito attratto da lei. I suoi capelli, il suo profumo, la sua voce... tutto di lei lo attiravano e lui non poteva farci nulla. E ora l'aveva persa per sempre.
«IO». Isabella scandì bene quella parola e Peter si riprese dai pensieri su Meredith. «Io non ti ho tradito per mesi. Durava solo da UN mese e lui voleva venire per forza allo scoperto. Diceva qualcosa su una vittoria nei tuoi confronti... una dimostrazione di potere e cose così. Tra noi non andava poi così bene, anzi proprio per niente, e ti vedevo allontanarti ogni giorno di più, ma gli avevo chiaramente detto che non ero d'accordo. Ho capito che aveva pianificato tutto quando sei entrato e si è alzato dal letto divertito. Mi sono sentita così in colpa...»
«Oh, sul serio... stai cercando di discolparti? Tradirmi va bene, ma farmelo sapere no?» chiese ironico lui. Non gli piaceva dove stava andando il discorso e aveva paura che la voglia di picchiare qualcuno lo assalisse proprio in quel momento.
«No, hai ragione; sono stata una stronza e non te lo meritavi» concluse lei alzando gli occhi al cielo e guardando la Luna che era appena uscita dal suo nascondiglio tra le nuvole.
«Ecco, brava, va molto meglio.», sospirò lui guardandola negli occhi.
Lei spostò lo sguardo su di lui e gli sorrise debolmente. «Addio, Peter. Queste sono le chiavi dell'appartamento» mormorò posandogli sulla mano due chiavi.
«Addio, Isabella» sussurrò lui chinandosi a lasciarle un lieve bacio sulle labbra.
La ragazza si allontanò piangendo e salì in macchina, lasciando Peter da solo di fronte al carcere. Perché era questo, solo questo: solo. 

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Scusate per il ritardo del post, ma non ho davvero avuto tempo di scrivere questa settimana ç__ç Comunque, come avete visto, oggi abbiamo scoperto un nuovo lato del carattere di Peter, abbiamo visto il rapporto conflittuale che ha sia con il padre, sia con la madre e lo abbiamo fatto rincontrare con Isabella per l'ultima volta. Abbiamo anche confermato un ulteriore dubbio: Matthew E' effettivamente peggio di una donna in fatto di pettegolezzi. Questo capitolo mi è piaciuto davvero, si cambia completamente lo scenario e si scoprono nuove cose su i personaggi e sulla storia. 

Le attrici di questa settimana, anyway, sono JoBeth Williams (Mary Widmore - non ha cambiato il cognome dopo essersi sposata con George)  e  Gwynet Paltrow (Olivia Ford).  

Spero che vi sia piaciuto il capitolo e... recensitelo se vi è piaciuto o se pensate che qualcosa non vada nella trama, nella scrittura o altro. Insomma, sono aperta sia a critiche che a complimenti xD

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Capitolo 6
*** Chapter Six ***


Peter si ritrovò, senza preparazione, a casa sua.
La sera prima era tornato in hotel in taxi, aveva trascorso lì l'ultima notte e, dopo aver preso la sua roba, era tornato a casa sua. Era ancora casa sua? Ne dubitava fortemente. Il giorno precedente aveva avuto la conferma che suo padre aveva fatto sesso con la sua fidanzata e adesso aveva completamente perso la fiducia in lui. «Diceva qualcosa su una vittoria nei tuoi confronti... una dimostrazione di potere e cose così.» Gli tornarono in mente le parole di Isabella davanti al carcere. Dimostrazione di potere... ancora non aveva capito a cosa si riferisse. Suo padre era davvero in 'competizione' con lui? Che tipo di competizione, comunque? Chi ruba più donne all'altro? Doveva farsi sua madre per vincere? Sul suo viso apparse una smorfia di disgusto e si accorse che era fermo da circa mezz'ora davanti alla porta chiusa dell'appartamento. Si guardò intorno per vedere se c'era qualcuno che l'aveva notato, ma non vide nessuno in giro quindi aprì la porta ed entrò.
Il vicinato era formato da una serie di villette a schiera, alcune con piscina, ed erano sormontate da grandi alberi; a volte Peter sperava che un albero di spezzasse e cadesse su una di quelle case, solo per vedere l'espressione di quei ricconi a disagio. Il suo piccolo appartamento a un piano e mezzo – ebbene sì, c'era una piccola mansarda al piano superiore – c'entrava davvero poco con tutta quella ricchezza, ma a lui piaceva così. Gli piaceva distinguersi dalla classe sociale a cui, un tempo, apparteneva. A 19 anni si era trasferito lì, che allora era un vecchio magazzino, e si era allontanato da quel mondo.
Era ormai nell'appartamento e iniziò a guardarsi attorno: la casa era completamente vuota a parte il letto in camera, un divano, una vecchia televisione mai usata in salotto e qualche libro su un armadio a muro; ovviamente bagno e cucina erano al loro posto.
Peter scrollò le spalle. Poco gli importava dei mobili, l'importare era riavere la casa. Poggiò la macchina da scrivere sul divano e buttò il borsone in salotto prima di stendersi a terra a osservare il soffitto.
«Devo comprare una bottiglia di whiskey» fu la sua prima parola in quella casa dopo una settimana di assenza. Gli sembrava che fossero passati mesi, ma era solo una settimana. «Meredith» mormorò. Meredith. Quella donna gli era rimasta impressa nella memoria e non voleva saperne nulla di andarsene dalla testa di quel poveruomo. Il problema era: come ha fatto Peter ha passare dal whiskey a Meredith? Mistero, ma quell'uomo aveva davvero bisogno di una bottiglia di whiskey quella sera; non poteva rimanere sobrio la prima notte in quella casa. Si alzò dal pavimento e posò gli occhi sul divano, dove era poggiata la sua fantastica, favolosa, unica e vecchia macchina da scrivere. Soprattutto vecchia. Insomma, era una vecchia macchina da scrivere e lo aveva accompagnato durante la scrittura del suo primo romanzo. Le vendite non l'avevano fatto divenire un bestseller ma aveva comunque venduto parecchie copie e da allora Peter non l'aveva più abbadonata. La portava ovunque andasse in viaggio o anche quando si allontanava da casa per qualche giorno; era una sorta di portafortuna e la usava ancora quando aveva l'ispirazione.
Aprì il borsone che era stato buttato al centro della stanza, prese da lì il portafoglio e indugiò sul cellulare, ma lo ributtò sul divano rischiando un rimbalzo pericoloso e prese le chiavi di casa uscendo.


Entrò nel grande bar affollato e si fiondò sul primo posto libero al bancone che trovò. Aveva infine optato per una serie di bicchieri di whiskey, non la bottiglia, per non creare sporco in casa. Si sedette di fianco a un giovane ragazza, probabilmente appena maggiorenne, e cercò di evitare il suo sguardo; però non ci riuscì visto che ci si risvegliò il giorno dopo in camera sul suo materasso.
La ragazza era completamente spalmata sul suo corpo, nuda, e lui non aveva altra via di uscire se non svegliarla. Cercò di rammentare il suo nome, ma non riusciva a ricordarlo, quindi iniziò a pungolarla sul braccio con l'indice. No, non voleva essere gentile. Lei si svegliò quasi immediatamente e scosse più volte la testa per liberarsi dei riccioli chiari che le invadevano il volto.
«Oh, buongiorno bellezza» mormorò lei sorridente dandogli un bacio sulla bocca. Probabilmente notò l'espressione spaventata di Peter, perché socchiuse gli occhi e lo guardò intensamente. «Non ti ricordi neanche il mio nome, vero?» chiese lei cercando di dare una mano.
«No» ammise Peter grattandosi la testa. «Scusa»
«Oh, non preoccuparti» scosse le spalle nel limite del possibile. «Ho fatto dell'ottimo sesso ieri sera e questo basta» rispose sorridente, poi si inginocchio di fianco a lui e gli porse la mano. «Allyson, piacere»
Lui, in tutta risposta, corse in bagno a vomitare. Doveva aver bevuto un po' troppo la notte precedente.
«Ottimo.» commentò Allyson dalla camera, sottovoce.
Peter tornò dopo qualche minuto. Aveva indossato un paio di boxer e si era lavato i denti, quindi stava asciugando i lati della bocca con un asciugamano; porse la mano ad Allyson. «Piacere mio, Allyson, io sono Peter. Quanti anni hai?» domandò nervosamente.
Lei rise, una risata cristallina e incantevole. «21 compiuti ieri. Non preoccuparti»
«Mh. Okay, allora, Allyson.» disse scandendo bene il suo nome. «Io... ho bisogno di un caffè,» constatò lui dopo qualche secondo ad occhi chiusi, a causa del mal di testa. «ma a non ne ho qui. Ti va di uscire per una passeggiata?»
«No, credo che mi vestirò e tornerò a casa. Grazie per l'offerta, comunque» sorridente, come sempre.


Peter aspettò che la ragazza uscisse – lei gli lasciò il suo numero di telefono – e si avviò verso il bar della sera prima in cerca di un caffè. Si sedette allo stesso posto e bevve un caffè forte; rimase lì mezz'ora e, piano piano, si ricordò tutto.


La ragazza si voltò verso Peter e iniziò a parlargli della sua vita, senza che lui dovesse rispondere o altro. Quel giorno era il suo compleanno e alla sua festa era stata lasciata dal ragazzo, quindi aveva preferito scappare e piangere in un bar, magari sulla spalla di qualche bel ragazzo. Peter ascoltava a tratti, assorto nei suoi pensieri, ma poi lei gli chiese di lui e fu quasi costretto dalla giovane a rivelarle il perché della sua espressione affranta. Aveva davvero bisogno di sfogarsi e non poteva farlo con Matthew, visto che era peggio di 'Gossip Girl', di conseguenza iniziò a raccontare alla ragazza tutto quello che gli era capitato durante la vita: il padre stronzo, la madre sulla retta via per raggiungerlo, Isabella, il tradimento... perfino Meredith. Poi avevano iniziato a bere un po' troppo e, dopo qualche strusciamento in bagno, avevano scelto di andare a casa di Peter. Il sesso era stato fantastico, come aveva detto lei, e lui l'aveva convinta a rimanere per la notte.


Il resto, come si suol dire, è storia.


Peter si alzò dallo sgabello su cui era seduto, finì con un sorso il caffè, poi uscì nell'aria gelata di Philadephia. Corse a casa, prese il telefono dal divano e digitò il numero di Allyson.
«Pronto?» rispose una voce squillante dall'altro capo del telefono.
«Uhm... sono Peter» rispose lui. L'aveva chiamata, sì. Era una frana con i messaggi.
«Oh, Peter.» Era... sorpresa? Sollievo?
«Già, Peter. Ero al bar prima e ho ricordato tutto»
«Oh.» troppi oh. Decisamente troppi.
«C'è qualcosa che non va?»
«No, no, non preoccuparti. In un certo senso volevo che dimenticassi tutto. Insomma, andare a letto con un ragazzo dopo essere stata mollata non da proprio un'ottima impressione, no?» domandò nervosamente.
«Non preoccuparti, non giudico nessuno. Anche io ti ho detto un sacco di cose... private. Cose private"
«Già... ricordo»
Troppi puntini e troppo nervosismo. La conversazione stava diventando a dir poco imbarazzante.
«Già...» ripeté Peter.
«Non dirlo a nessuno»
«Non dirlo a nessuno» ordinarono all'unisono
«Ok» mormorò Allyson prima di riattaccare.
Peter buttò nuovamente il telefono sul divano. «Stupidi aggeggi» mormorò a denti stretti. Non gli erano mai piaciuti i telefoni, specie i più moderni, e il nonsense della conversazione appena avuta con la ragazza era la prova della loro inutilità. Sbuffando prese le chiavi della macchina e decise di andare a casa di Matthew, giusto per fargli una predica, rubargli un po' di cibo e tornare a casa.

Durante il tragitto si ritrovò a pensare a sua madre, a come doveva aver sofferto quando aveva scoperto dei continui tradimenti del marito... e ora quello stesso uomo era in cerca di una qualche specie di vendetta nel suoi confronti. Che vendetta? Voleva dimostrare di essere il settantenne più figo a farsi la fidanzata di suo figlio? Probabilmente era solo pazzo. Gli serviva un po' di terapia. Decisamente. Peter pensava costantemente a cosa avesse spinto suo padre a comportarsi in quel modo... ma l'avrebbe scoperto; magari anche evitando di andare in galera.
Arrivando a casa di Matthew notò che nel vialetto non era presente la macchina di Olivia, di conseguenza bussò alla porta sorridente.
«Peter? Cosa ci fai qui?» chiese l'amico aggrottando la fronte.
«Stai tradendo Olivia?» domandò Peter alzandosi sulle punte dei piedi cercando di vedere al di là delle spalle di Matthew.
«Cosa? No, perché dovrei?» A volte l'ingenuità di quell'uomo era assurda.
«Ottimo, allora fammi entrare» e si infilò in casa passando sotto il braccio di Matthew.
Andò dritto in cucina, prese una mela rossa e l'addentò. «Io e te dobbiamo parlare» comunicò Peter sedendosi sul bancone della cucina con la mela in mano.
«Di cosa, se posso?» Matthew lo raggiunse in cucina e si appoggiò allo stipite della porta.
«Di come tu racconti la mia vita in giro. Insomma, mia madre? Sul serio?»
«Pensavo fosse giusto che lei sapesse. Come mai non ti lamenti di Isabella?»
«Perché dovrei lamentarmi di lei? Bhe, in effetti dovrei, ma non voglio dirti perché, altrimenti andresti a raccontarlo a Charles. Sappi solo che mi ha restituito l'appartamento» affermò duramente.
«Sul serio?» chiese incredulo Matthew. Quando aveva parlato con Isabella lei non sembrava molto decisa ad andarsene. «Allora, cos'è successo ieri? Mi ha detto tua madre che sei scappato prima di poter pranzare.»
«Sul serio.» confermò Peter. «E'... complicato. A quanto pare mio padre voleva – vuole – una rivincita su di me, ma non so per quale motivo. Per questo è andato a letto non una, ma molte volte con Isabella; quel giorno li ho scoperti perché lui voleva che accadesse. Non riesco a crederci.» Immobile su quel ripiano, abbassò lo sguardo e lasciò la mela; sembrava incredibilmente fragile.
L'amico si avvicinò per confortarlo. «Rivincita su cosa? Probabilmente è solo pazzo, è inutile rifletterci troppo su. Pensavo però che avessi affrontato l'argomento Isabella»
«Infatti lei non è più un problema.» Alzò lo sguardò e incontrò quello preoccupato di Matthew. Sorrise. «Senti, non fa nulla. Non preoccuparti, ok? Sono venuto qui solo per fregarti qualcosa da mangiare e una bottiglia di Bourbon, se c'è»
«Devi smetterla di bere» ordinò l'amico.
«Ormai ho ricominciato! Che senso avrebbe smettere?» chiese retorico sorridendo. Si diresse verso il frigo e prese un pacco di uova, delle salsicce e una bottiglia di succo poi lo richiuse, prese una pagnotta di pane e infilò il tutto in una busta. Iniziò a vagare per il salotto in cerca del ripostiglio segreto di alcolici di Olivia. Matthew non beveva ma lei sì e, per tenere al sicuro i bambini, aveva fatto costruire un ripostiglio segreto; questo a quanto diceva Matt. Risultò essere – sorpresa - una serie di mattonelle del camino. 'Rubò' una bottiglia di Bourbon e una di Rum e, dopo aver salutato Matthew, si avviò verso la macchina.
«Peter, aspetta!» urlò proprio lui raggiungendolo. Aveva l'aria corrucciata e sembrava uno che aveva ragionato a lungo su qualcosa. «Senti, a casa da solo non... non mi sento sicuro a lasciarti lì."
«Guarda che starò benissimo...» rispose Peter.
«No, non è vero. Per questo volevo farti una proposta: io, Olivia e i ragazzi andremo una settimana in vacanza il prossimo mese.»
«Quindi?»
«Vorrei che venissi con noi» concluse Matthew sorridendo
«Dove?» chiese scocciato Peter. Non gli piaceva essere trattato da bambino. Insomma, doveva fare i conti con molte cose in questi giorni... il movente di suo padre, il comportamento di Isabella, Meredith. "Perché arrivo sempre a Meredith?" si domandava a volte. Quella donna... Mi avete stregato anima e corpo. Si ricordò le parole di Mr Darcy in Orgoglio e Pregiudizio. Era proprio così? In quel poco tempo trascorso con lei se n'era innamorato? Era così facile innamorarsi di una persona, anche alla sua età? Oppure era lui che, scioccamente, si era lasciato soggiogare da quell'incantevole donna?
«Seattle» rispose Matthew.
«Come scusa?» domandò, visto che non aveva capito la risposta.
«In vacanza per una settimana... andiamo a Seattle.»

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Ebbene sì, Seattle, baby! Ricordate chi c'è a Seattle, vero? VERO? u.u Scusate, anyways, per il ritardo di questo capitolo, ma non ho avuto tempo di scrivere neanche durante le vacanze di Pasqua! ç_ç Comuuuuunque... Spero vi sia piaciuto. Nei prossimi capitoli, prima della partenza, vedremo come se la cava Peter con tutto questo casino che ha combinato il padre e come si preparerà a rivedere Meredith. Recensite se volete e... AL PROSSIMO CAPITOLO!

PS: Ecco a voi *Rullo di tamburi* ALLYSON!  u.u



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Capitolo 7
*** Chapter Seven ***


Da qualche parte in un ospedale di Seattle, Peter ansimava e cercava di controllare il respiro, mentre Meredith si sistemava la gonna e si riallacciava convulsamente i bottoni della camicietta bianca.
«Oddio, io dovrei essere in una sala operatoria a quest'ora», fece notare lei guardando lo schermo del piccolo cercapersone.
«Non avevi detto di aver avvertito del ritardo?» chiese Peter guardandola sottecchi mentre si infilava la camicia nera e cercava un'interruttore per accendere la luce; doveva cercare i pantaloni. L'interruttore era uno di quelli che cadevano dal soffitto quindi lui aveva cercato una sporgenza lungo il muro per circa dieci minuti inutilmente.
«Sì, ma che c'entra?» disse Meredith corrucciata. «Dovevo salvare una vita ma ho preferito lasciarmi trascinare qui dentro con te! Non che me ne sia pentita, assolutamente, è stato fantastico e lo sai, ma era un trapianto di cuore!» Sembrava piuttosto triste per essersi persa un intervento così raro per una tirocinante della sua età.
Peter trovò i pantaloni, se li infilò e baciò con passione Meredith che stava ancora vaneggiando su come sarebbe stato bello assistere all'asportazione di un tumore di 38 chili, decisamente disgustoso vista la situazione in cui si trovavano. La ragazza si distaccò posando le mani sul suo petto, lo guardò negli occhi, poi si avvinghiò nuovamente all'uomo.


Peter si risvegliò sudato e agitato da quel sogno ormai ricorrente. Il rigonfiamento nei boxer era anch'esso quotidiano, da quando era venuto a conoscenza della breve vacanza dei Ford. Rimase disteso sul materasso a fumare una sigaretta, poi si alzò ed entrò nella doccia ancora vestito, mentre un getto d'acqua fredda lo bagnò completamente e lo calmò. Il giorno dopo Matthew sarebbe partito con i bambini e lui non aveva ancora deciso cosa fare, aveva pensato e ripensato, ma a che pro andare a Seattle? Non sapeva neanche in che ospedale lavorasse Meredith! Hey, un momento, come era arrivato a pensare a Meredith? Ci stava andando per una vacanza, per separarsi da quella casa deprimente, non per altro. Un secondo, quando aveva deciso di partire? Probabilmente una parte del suo cervello si era convinta di ciò che era giusto fare, cioè partire e godersi una meritata vacanza con il suo migliore amico... giusto?


Dopo mezz'ora, però, era diretto al Four Seasons di Philadelphia, dove aveva alloggiato fino a poco più di una settimana prima. Prima di entrare rimase qualche minuto in macchina, dopodiché indosso la giacca di pelle che aveva portato con sé, si tolse gli occhiali e si avviò verso l'entrata del lussuoso hotel. Circa due settimane prima era stato cacciato da un locale dopo aver scoperto che Isabella lo aveva tradito, e ora stava per partire per incontrare una donna con cui aveva passato una notte insieme; la faccenda sfiorava l'impossibile. Il fatto che con Isabella non andassero bene le cose prima della loro rottura non giustificava come si sentiva in quel momento, completamente preso da Meredith. Dannazione!, non riusciva a capire neanche lui come si fosse innamorato così velocemente! Doveva essere stato il suo profumo, sì, decisamente il suo profumo. Quel profumo che era rimasto per così tanto tempo sul cuscino della sua stanza... quel profumo l'aveva fatto innamorare di una sirena.
Fortunatamente alla reception c'era Walter, quel ragazzo era una salvezza a volte.
«Walty, caro, perché non andiamo a bere qualcosa un giorno di questi?»
«Signor Widmore, caro, mi dica cosa posso fare per lei», ripose il giovane capendo le intenzioni di Peter.
«Ok, senti qui, hai presente una giovane dottoressa sulla ventina, alta, mora, che era qui la stessa settimana in cui ci sono stato io?»
«Peter, dici sul serio?», chiese Walter incredulo.
«Sì, perché?». Peter aggrottò le sopracciglia. Quella era una faccenda di vita o di morte e lui se ne stava lì impalato a dire "Dici sul serio?". Ovvio che diceva sul serio! Tsk.
«Peter», cominciò lui ripetendo il suo nome – forse così avrebbe attirato la sua attenzione – «mi stai chiedendo di ricordarmi di una donna che ha alloggiato qui due settimane fa, mora, alta, giovane, una dottoressa...?»
«Già, esatto» rispose l'altro annuendo e mordendosi il labbro inferiore.
«Okay, magari non ci arrivi anche se sembravi piuttosto intelligente, quindi te lo spiego meglio... Uhm... vediamo... Come posso ricordarmi di una dottoressa su un migliaio che erano qui due settimane fa?»
«Oooh, ora capisco... Okay. Posso dirti il nome e la stanza in cui alloggiava, ma...» continuò come se quelle fossero notizie inutili, tipo chi ha vinto l'ultimo campionato di pallavolo regionale. Insomma, chi guarda il pallavolo regionale?
«Quello sarebbe effetivamente d'aiuto»
«Okay, Meredith, stanza 259»
Walter iniziò a digitare concentrato una serie di dati al computer.
Conosceva Peter da un paio d'anni, Charles Widmore tempo prima possedeva il palazzo ed era stato lui ad assumerlo, poi devette venderlo e... Per fortuna non l'avevano licenziato, quindi a soli 22 anni era il più giovane a lavorare lì. Lui e Peter di conseguenza erano in confidenza, certo non proprio amici, ma erano conoscenti e gli dava del lei solo quando lo vedeva dopo un po' di tempo o, come pochi minuti prima, quando gli chiedeva cose impossibili. Chissà cosa voleva da quella donna.
«Okay, trovata. Meredith... Williams»
«Un nome un po' più comune no, eh?» borbottò sottovoce. «Potresti dirmi da che ospedale proveniva?»
«Veramente no, ma...»
In un secondo Peter girò leggermente lo schermo del computer, si arrampicò sul bancone e vide il nome dell'ospedale sulla scheda aperta dal receptionist: Harborview Medical Center di Seattle. Fece appena in tempo a scendere prima di vedere due uomini della sicurezza andargli incontro.
Diede un buffetto a Walter e scappò fuori dall'hotel, per poi salire in macchina e sgommare via.


L'ufficio del suo agente era ampio e ben arredato, merito della moglie, ma in quel momento era soprattutto pieno di persone. La riunione con Peter era stata stabilita qualche giorno prima; ovviamente il protagonista era in ritardo, però iniziarono comunque convinti che sarebbe arrivato a minuti. In effetti arrivò... un'ora dopo. Si sedette a capotavola, con i piedi incrociati e poggiati sul lungo tavolo di vetro a cui erano seduti i produttori, il regista e gli attori del possibile film basato sul suo ultimo libro.
Il suo modo di fare, strafottente e menefreghista, la barba incolta, le sigarette fumate una dietro l'altra, indispettirono l'agente, ma, come per miracolo, convinsero i produttori del film a comprare i diritti e a firmare il contratto.
Eppure Peter stava solo cercando di fare l'esatto contrario: aveva conosciuto scrittori il cui nome era stato rovinato da uno stupido film tratto dai loro libri, e non voleva finire come loro.
D'altra parte, quegli sconosciuti in giacca e cravatta furono convinti dell'autenticità dello scrittore proprio dal suo comportamento, ed era proprio questo che cercavano: realtà.
Tizi in giacca e cravatta accecati dal denaro convinti di poter riconoscere una persona vera da una persona falsa e ipocrita, forse perché proprio loro appartenevano a quell'ultima categoria.
La società d'oggi disgustava Peter, proprio questo odio lo aveva spinto a scrivere un romanzo sugli abitanti del mondo, cercando di far trasparire l'abominio che lo circondava; che poi proprio questa società sembrava cieca di fronte al significato del libro ed era pronta a trasformarlo in qualche film orribile solo per il divertimento di farlo, era un altro conto.
Le sigarette si susseguivano una dopo l'altra, il posacenere si rimpiva sempre di più mentre gli altri uomini discutevano già della sceneggiatura, senza neanche consultarlo.
Finita la riunione si alzò, con un lieve giramento di testa dovuto al fumo, dalla sedia girevole su cui era seduto, e scappò da quella sala per rifugiarsi nell'ufficio del suo agente.


«Sapevo che ti saresti annoiato, Peter, ma ho voluto comunque invitarti. Mi sembrava più che giusto farti sentire cosa pensano di fare con il tuo libro» proferì Bill sedendosi alla scrivania del proprio ufficio e osservando quell'Adone allungato sul suo divano che continuava a strofinarsi gli occhi e a massaggiarsi le tempie.
«Appunto, il MIO libro» sottolineò con il tono della voce quell'aggettivo che cambiava tutto.
Passava tanto tempo, almeno in passato, con il suo agente, e lo avrebbe ucciso volentieri. Beh, magari non ucciso, ma... sì, lo avrebbe ucciso senza problemi. Lo guardò per un secondo girando leggermente la testa di lato, poi la riportò di fronte a sé e richiuse gli occhi. «Non potrò esserci alla prossima riunione.»
«Non avresti comunque contibuito un granché, ma posso chiederti il motivo?»
«In teoria no, ma vado in vacanza con i Ford»
«I Ford?» Non li aveva mai sentiti nominare quei... Ford.
Non era colpa sua se era grasso, veniva tradito da sua moglie e, per riscattarsi, si faceva la segretaria in cerca di un aumento o riempiva il vuoto d'amore con la continua ricerca di soldi, giusto? Dio, se era patetico.
«Ford è un cognome. Solitamente, in questo grande paese qual è l'America, con il cognome del padrone di casa indichiamo la famiglia in sé.»
«Non fare il saputello solo perché scrivi, Widmore» lo riprese esasperato l'agente.
«Sai benissimo che odio parlarti in quel modo, ma a volte sembri dimenticare che sono un essere umano, che esisto e che ho amici e famiglia»
«Da quel che mi raccontano non hai più una famiglia...»
Stuzzicare Peter in quel momento non era decisamente una scelta saggia, infatti l'uomo si alzò dal grande divano su cui era sdraiato e si mise di fronte all'ormai nemico appoggiandosi con le mani alla scrivania d'ottone guadagnata con nient'altro che adulazioni. I nervi tesi erano visibili perfino sotto la camicia. «Davvero, Bill? Sei sceso così in basso? Ora insulti anche i tuoi clienti?»
«Clienti?» saltò sulla poltrona dietro la scrivania e guardò infuriato l'uomo di fronte a lui. «Non scrivi... da quanto? Due anni? Stai portando nuovo lavoro solo grazie a questi produttori che vedono in te un qualche tipo di Gesù della letteratura in vesti morderne!»
«Non scrivo per te, agente del cazzo, scrivo per me! Altrimenti, se dovessi scrivere un libro ogni mese come fanno molti altri tuoi clienti, saresti andato già in fallimento!»
La discussione non andò per le lunghe, infatti dopo quest'ultima frase rimasero qualche secondo in silenzio a fissarsi, adirati l'uno con l'altro.
«Non so perché continuo a venire in quest'ufficio. Sinceramente non ne ho la più pallida idea. So, però, che sei il migliore nel tuo campo, soprattutto a rompere in giro per vendere, quindi non ho intenzione di abbandonarti»
«Oh, grazie mio grande cliente. Cos'è, una specie di elemosina?»

«Non ricominciare, ti prego.» Il mal di testa era tornato, più forte di prima. «E io che cercavo pure di farti un complimento» commentò mormorando e avviandosi verso l'uscita; si fermò poco prima di uscire, con una mano sulla maniglia della porta. «Torno tra una settimana, e se combini qualche casino con il libro ti uccido.»
Detto questo, uscì dall'ufficio sbattendo la porta.

_________________________________________________________________________________________________________

Ok, innanzitutto: SCUSATEMI PER L'ULTRA RITARDO, ma la scuola mi sta letteralmente facendo a pezzi ç__ç Volevo introdurre già da qui il viaggio verso Seattle, ma proprio non ce l'ho fatta.
Ringrazio tutti coloro che seguono la storia in silenzio e chi l'ha aggiunta tra le seguite! Davvero, grazie!
Come in ogni capitolo vorrei introdurre due personaggi della storia in carne ed ossa; per questa settimana ho scelto loro due:
- Anthea ( Kate Beckinsale)
- Walter  (Jesse Eisenberg)
Come avrete letto, in questo capitolo ho finalmente introdotto l'agente di Peter: BILL! Inizialmente l'avevo immaginato in tutt'altro modo, ma poi ho iniziato a scrivere, una cosa tira l'altra e... vabeh! Spero che vi piaccia, casomai fatemi sapere in una recensione! ;)
Cheers ~

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Capitolo 8
*** Chapter Eight ***


(Prima che iniziate a leggere, vorrei informarvi che sì, questa è la storia che avete letto fino ad ora. Questo capitolo sarà diverso rispetto agli altri, perché sarà scritto in prima persona, tuttavia il nono capitolo sarà nuovamente scritto in terza persona.)

~

Sono un uomo peccaminoso, se prendiamo l'accidia come un reale peccato, quindi pochi giorni prima ero comodamente seduto sul vecchio divano del mio appartamento – sì quello che tempo prima condividevo con Isabella – quando accesi un computer comprato quello stesso giorno e iniziai a giocare a The Sims (creai Meredith, era praticamente identica, ma non stiamo parlando di questo, giusto?). Mentre Robert sedeva al mio fianco e giocava al nuovo Nintendo 3DS, e Lucas si arrampicava su di me per guardare Philadelphia ridursi ad un insieme di strade senza senso dal minuscono finestrino dell'aereo, ripensai a come quegli esserini fatti di pixel ci assomigliano. Siamo stati tutti creati dai nostri genitori, quando loro non possono più comandarci cosa fare, però, sono altre le cose che ci guidano; non sto parlando di un dio, o di una fede in particolare, perché una persona potrebbe agire anche in nome della scienza e della medicina, di un hobby o di un'aspirazione. Tutti abbiamo un obiettivo nella vita, altrimenti ci ritroveremo a fare la pipì nei nostri pantaloni fuori dalla piscina comunale di Sunset Valley.
Nella mia testa, pensieri come questo si sono sempre sovrastati, si prendevano a pugni per la posizione del più importante, del più urgente, del più ricordato, del più rimandato,... Forse è per questo che la mia espressione è sempre la stessa, uguale, immutabile da quando ero adolescente, cioè da quando ho capito che volevo scrivere e che per farlo serviva pensare. Perfino in quel momento, con Matthew e Olivia nelle poltrone di fronte e me stesso costipato contro il finestrino, la mia testa cercava di vagare lontano mentre con sguardo perso osservavo il paesaggio scorrere sotto di me come un film di due ore visto in cinque minuti.
Ero di nuovo vittima di un'azzuffata, infine prevalse uno strano pensiero, cioè che molte persone credono che saranno salvi fin quando il loro cane abbaierà a ogni sconosciuto che entra in casa così, se per caso un assassino tenterà di ammazzarli nel sonno, almeno il loro cane li avrà svegliati prima in un modo orribile. Poi però vengono fregati da telefilm/film/libri gialli e polizieschi che tirano a caso una percentuale, e che dicono:"Si, bhe, ma il 78,6% degli assassini è una persona conosciuta", e si rimane fregati da queste piccole cose. Ma allora, la sicurezza, dove sta? Magari rimanendo tutto il giorno seduti in casa, senza parenti o amici stretti, sarà il tuo stesso cane ad ammazzarti nel sonno.
Lo so, in quel momento sarei dovuto scendere dall'aereo, tornare a Philadelphia e riprendere i contatti con il terapista, ma che volete farci?


Ormai volavamo da un'ora. Il tempo passava veloce tra pensieri inutili rimasti segregati a lungo in un angolo della mente o idee peccaminose riguardanti Meredith e una lattina di panna spray, però forse non troppo veloce da isolarmi dai continui commenti di Olivia su quanto sia stato egoistico da parte mia pretendere il viaggio in "economico" invece della prima classe pagata da lei. Il servizio non era abbastanza veloce, il cibo abbastanza buono o la poltrona abbastanza comoda; fortuna che c'erano i figli a distrarla un po'. Matthew intanto doveva sorbirsi anche le lamentele di un uomo sulla moglie che aveva partorito dall'altra parte del Paese, come se l'avesse fatto apposta. Era un tizio sulla quarantina e quando si alzò per andare in bagno notai che, seppur fosse alto il suo metro e sessanta, le braccia e le gambe poco più corte della norma lo facevano sembrare affetto da nanismo, il che mi aveva fatto immaginare una moglie snella e graziosa dalla la pelle candida.
«Zio Peter, perché le persone si sono trasfigurate in formiche?» mi sussurrò Lucas all'orecchio mentre accostava alla bocca una mano a coppa. Sperai che Robert non gli avesse davvero fatto leggere Harry Potter come promesso da lui sotto forma di minaccia, ma la conversazione andò via via peggiorando. «Non posso parlare davanti a questi Babbani, ma ora i maghi possono smetterla di nascondersi da Voldemort" e mormorò il nome di Voi-Sapete-Chi con tono fiero. «Harry ha ucciso gli Orcuc anni fa!».
«Si dice Horcrux, non ti ho imparato nulla?» sibilò in tutta risposta Robert che stava alzando gli occhi dopo tanto tempo dal nuovo DS sul cui schermo volteggiavano coriandoli per il primo posto guadagnato da Luigi.
«Lucas...» iniziai prendendolo in braccio e facendolo sedere sulle mie gambe. I genitori erano occupati e io dovevo fare il possibile per addolcire la pillola. Insomma, mi sembrava di distruggere un mito come Babbo Natale! «I maghi...» sospirai. Forse non c'era soluzione. «Hai presente quando nei libri si parla spesso di Purosangue e di come gli umani servano per la procreazione anche se creano Mezzosangue o maghi Nati Babbani?»
«Cosa significa procreazione?» chiese cercando inutilmente di scompigliarmi i capelli impregnati di gel, con l'unico fine di sporcarsi le mani e di fiondarsi poi da Olivia. Comunque, feci finta di nulla e andai avanti; anche se non stava ascoltando – cosa che giocava a mio favore – non potevano certo accusarmi di farlo vivere nelle favole. Insomma, almeno c'avevo provato.
«Ecco... imaghisonoestinti» sbottai tutto insieme e, con mio enorme piacere, Lucas era ancora tutto preso dalla mia capigliatura e provava, con lo sguardo fisso e la bocca leggermente socchiusa in una smorfia di concentrazione, a ricreare una perfetta cresta stile punk.
Il risultato, constatai accompagnandolo in bagno a pulirsi le mani, era niente male. La cresta però mi stava da schifo. Ma deludere il bimbo era l'ultimo dei miei obiettivi, perciò lasciai i capelli così com'erano e tornai sulla poltrona fieramente, poi riallacciai la cintura a Lucas sul suo posto e tornai al mio.

Il viaggio fu... normale. Esiste un viaggio normale? Non ne ho idea e di sicuro non devo preoccuparmene ora che sto semplicemente qui a scrivere questo racconto in modo davvero poco formale. Non credo che lo pubblicherò mai sotto questa forma, ma chi lo sa... magari sono davvero un pessimo scrittore come sostiene il mio agente. Che dite, sto divagando? Mha.
Olivia aveva finalmente smesso di sbraitare (a proposito, dopo la piccola conversazione quella notte a casa sua, tutto è tornato alla normalità per mio grande piacere) e aveva iniziato a comportarsi da madre. Con una mano occupata dal beauty case e l'altra stretta in quella del più piccolo dei Ford, non era nulla a confronto con Matthew che portava la valigia della moglie, la propria, e quella più piccola dei ragazzi. Ovviamente quello era un loro compito, quindi io mi limitai a trasportare soltanto il mio borsone mentre seguivo Robert a passo lento, ancora impegnato in una sfida a squadre a Mario Kart, e non chiedetemi come ho fatto a indovinare il nome del gioco perché non ho intenzione di rivelarlo. Ho però un punto bonus – perché state contando i punti, credo, visto che ora mi credete tutti un bastardo egocentrico –: ho dovuto pagare la macchina in affitto e caricarci su tutti i bagagli. Già, lo so, sono un vero gentiluomo quando voglio.
Per l'hotel avevo ascoltato Olivia, quindi assomigliava molto all'ultimo in cui ero stato: hall gigantesca, ristorante enorme, sala conferenze, sala video, millemila stanze, suite e così via... ma se volete continuo. Da piccolo immaginavo che avrei iniziato a lavorare in un hotel di lusso e la cosa non mi dispiaceva affatto: avrei avuto finalmente modo di osservare persone che non fossero bambini della mia stessa età. Purtroppo questo sogno è scomparso con un sonoro "Puff" quando ho letto il mio primo libro di Wilde.
Ero praticamente rimasto immobile davanti al bancone dell'entrata, con lo sguardo congelato sulla chiave della suite all'ultimo piano.
«Io prendo quella» dissi indicandola, senza neanche accertarmi che l'uomo dietro al bancone mi stesse realmente ascoltando. Dio, era passato troppo tempo dall'ultima volta che avevo dormito in un attico!
«Peter, cosa diavolo stai dicendo? Abbiamo già prenotato, non puoi aspettarti che tutto d'un tratto un uomo ti ceda la sua stanza» mi sbottò Olivia acida come sempre. Dire che la detesto è poco, farò di tutto quindi per farla sembrare una iena. Mpf.
«In verità,» iniziò il receptionist posando lo sguardo su di me con aria compiaciuta, «l'attico è attualmente libero. Se vuole darmi la carta di credito, signore...» disse l'uomo continuando a ignorare il piede di Mrs Ford che continuava a battere ripetutamente sul pavimento.
Guardai sorridente Olivia, poi Matthew che mi guardava come se al mio posto ci fosse stato Robert, e che avessi appena rovesciato a terra una bottiglia di ottimo whisky invecchiato. Bhe, forse è un brutto esempio, perché a quel punto mi sarei rimproverato da solo. In quel momento, però, poco m'importava della stanza al quinto piano già prenotata.

Fui accompagnato dal facchino che portava il mio borsone e che, una volta arrivato all'ultimo piano, mi mostrò la stanza in modo dettagliato. Era, se possibile, più grande di quella al Plaza di Philadelphia. Vi si accedeva direttamente dall'ascensore e all'entrava si veniva colpiti dalla luce diretta del sole che penetrava dalla vetrata che prendeva il posto del solito muro.
Il ragazzo poggiò il borsone in una stanza a destra con la porta a due ante, poi si piazzò di fronte a me e, senza voltarsi, battè due volte le mani. Il muro alternativo fu oscurato completamente da delle tende nere, probabilmente di seta. «Piuttosto fico, eh?» commentò divertito.
«Già, piuttosto fico». In realtà non lo trovavo molto fico visto che non riuscivo a vedere assolutamente nulla e non conoscevo la stanza, ma sono dettagli. Altri due battiti e la luce tornò costringendomi a chiudere gli occhi per un minuto.
«L'effetto può colpire, se capisce cosa intendo». Continuava a ridere. Forse gli ormoni da adolescente non aiutavano; probabilmente era ancora impressionato dalle auto modificate. E anche qui, il fatto che mi diverto anch'io con poco è solo un dettaglio e non siete autorizzati a fare commenti. Però non lo saprò mai, quindi fate pure! Urlate al mondo i miei difetti! Disprezzatemi!
Risposi con un cenno della testa e lui iniziò a mostrarmi la stanza mentre io lo seguivo diligente.
«Quindi... come vede il vetro sostituisce il muro solo nel salotto e di fronte all'ascensore, in modo da, appunto, colpire chi entra. Qui a destra, come può vedere, c'è un televisore al plasma da 80 pollici. Qui a terra può trovare ogni tipo di console, come può vedere, e per giocare può comodamente allungarsi su questo divano di pelle nera. Qui c'è lo stereo d'ultima generazione – o così lo chiamano – e l'armadietto con alcolici che arriveranno a breve come da lei richiesto, di fianco alla porta della camera da letto principale.» Si girò nella mia direzione e aprì la grande porta con la schiena. «Letto a baldacchino, due comodini con sopra sveglia e orologio. Qui di fronte un'altra televisione, più piccola di quella vista in salotto, ma comunque piuttosto fica. Però qui sotto al posto dei videogiochi c'è un piccolo comò, come può vedere. Non ha ante, ha delle piccole lastre scorrevoli.» Piegò le ginocchia fino a ritrovarsi a livello del piccolo armadietto e lo aprì. «Ci sono una serie di film più conosciuti, alcuni CD musicali e roba del genere. Non le consiglio di rubarli o "prenderli in prestito" perché hanno una specie di inventario e la possono beccare. Non sto suggerendo che lei sia un ladro, sa, ma non si può mai sapere. Se torniamo in salotto le faccio vedere la camera più piccola.»
La porta a sinistra dell'armadietto vuoto portava, appunto, in una camera più piccola senza televisione ma ugualmente grande perché, di fronte al letto, stava uno scaffale in stile moderno che conteneva ogni tipo di libri, compreso uno dei miei. Non me ne facevo nulla di quella stanza, ma non potevo dirgli di eliminarla. Due porte a vetri, una in ognuna delle due stanze, portava al bagno.
«La vasca idromassaggio al centro è assolutamente fantastica, ovviamente. Non che io l'abbia mai provata, eh, ma ci sono molti clienti soddisfatti. Già.» Non mi fidavo molto del suo continuo annuire mentre guardava sognante la vasca quadrata, ma feci finta di non aver intuito che, di tanto in tanto sgattaiolava nell'attico per un po' di divertimento. «Non c'è molto da mostrare a parte lo specchio che occupa parte di questa parete e la grande varietà di profumi, sali da bagno e prodotti per il corpo e per i capelli. Oh, devo mostrarle anche una cosa in salotto!»
Lo seguii all'entrata e lo osservai con sguardo assorto mentre premeva un bottone di fianco alla porta a sinistra e si voltava di 180°. Il pavimento a qualche metro dalla vetrata iniziò a ruotare e apparve una poltrona azzurra e un tavolino affianco. «Fico, eh? Così può godersi il panorama!»
Questa volta non potei dargli torto. Mi sedetti sulla poltrona e rimasti sinceramente sconvolto dalla vista che non avevo notato prima di allora. Da lì potevo vedere tutta la città. Altri hotel a qualche miglio di distanza, lo Space Needle, alcuni ospedali, e da lì il mio pensiero scattò a Meredith. Solo un paio d'ore, massimo, e l'avrei rivista. E lì mi persi a immaginare il nostro incontro e a ricordare il suo corpo nudo perfetto. Quando ritrovai me stesso, il ragazzo era in piedi e mi copriva la visuale, ma si dondolava sui talloni visibilmente contento del suo lavoro. Lo ringraziai e lo congedai con una banconota da 20.

Avevo intenzione di andare direttamente da Meredith chiedendo al receptionist della hall l'indirizzo dell'ospedale, ma Matthew mi precedette raggiungendomi nella suite.
«Bastardo traditore.» Sibilò sedendosi sulla macchia azzurra che si distingueva a malapena quando i raggi del sole la colpivano direttamente. «Io sto in una suite, certo ma di sicuro non all'ultimo piano, mentre tu ti godi questo panorama del cazzo.»
«Sì, e tra un'ora non sarà l'ultima cosa che mi godrò» borbottai chiudente le grate dell'ascensore che era già partito per il secondo piano. Mi era scappato, di sicuro non potevo dirgli che ero venuto solo per incontrare Meredith.
«Non voglio sapere nulla, sul serio. So solo che di sicuro non sei venuto per me o per i bambini. Non nomino nemmeno Olivia; da come vi guardate e vi parlate spero solo che non siate amanti» disse alzandosi dalla poltrona. Stava scherzando, era palese, tuttavia mi finsi indignato. Non volevo che sospettasse una cosa del genere per nulla al mondo e mi chiesi come diavolo fosse arrivato a quella conclusione.
Nonostante le premesse, mi sentivo comunque in dovere di dirgli la verita. «Sono venuto per andare a trovare... un ospedale.» Okay, forse non proprio tutta la verità.
«La dottoressa» mormorò semplicemente appoggiandosi allo schienale. Si passò una mano sugli occhi. Si era rassegnato alla verità, cioè che pensavo davvero di poter avere un futuro con Meredith. Forse ero davvero un idiota, ma non potevo credere che fosse tutta una balla, vero? il mio innamoramento per una donna che non conoscevo neanche.
«Non ho parlato di Meredith, in verità. E se la ritroverò per caso qui a Seattle, beh, una cosa in più giusto?» Sapevo che fingere non era la mossa migliore specialmente con Matthew che mi conosceva da anni.
«Sei un ipocrita.»
«Probabile, ma cosa c'entra ora?» L'atmosfera iniziava a riscaldarsi e con lui succedeva spesso in quegli ultimi tempi.
«Due mesi fa stavi per sposarti, cos'è successo? Sei arrivato distrutto a casa mia, quella notte, quando hai trovato tua moglie a letto con tuo padre. Te lo sei forse dimenticato?»
Anche se la situazione era piuttosto delicata e Matthew aveva cercato di non parlarne, forse pensando che così avrei dimenticato Meredith e che lui aveva raccontato tutto a mia madre, quella megera, stavamo tenendo la voce a livelli normali. «Certo che lo so, grazie per ricordarmelo. E finalmente ho anche capito doveva vuoi arrivare. Stai cercando di dirmi che dovrei rimanere in lutto per altri 12 mesi?»
«Sto dicendo che dovresti essere ancora incazzato per quello che è successo solo poche settimane fa, e invece eccoti! Prendi al volo la primo opportunità per trasformare una sveltina nell'amore della tua vita!»
«Già, sembro proprio un uomo in crisi di mezza età, vero? Peccato che lei non sia rimasta con me nonostante tutti i soldi che si sta fottendo il mio agente grazie a quel dannato film. Ebbene sì, ho passato 7 ore su un fottutissimo aereo solo per portarmi di nuovo a letto una donna che mi ha fatto dimenticare quella stronza di Isabella. Hai un problema con questo? Problemi con il mio stare bene?»
«Oh, ma bravo, ora riesci ad ammetterlo?» Applaudì in modo teatrale e le luci si spensero e si riaccesero così velocemente da poter causare un'attacco di epilessia. «Cosa diavolo sta succedendo?» S'interruppe improvvisamente e alzò gli occhi al cielo, io scoppiai semplicemente a ridere.
«Attento, qualche mostro potrebbe venire a ucciderti!» Le fantasie di Lucas lo avevano contagiato, a quanto pareva.

Mezz'ora e una pacca sulla spalla dopo, stavo chiedendo al fattorino di prima – che continuava ad usare le stesse parole e esclamazioni come una macchinetta – dove si trovava l'Harborview Medical Center.
«A cosa le interessa, eh? Non è che si sente male? C'è un infermeria, sa, se le serve... oppure posso chiamare un'ambulanza!»
«Grazie, ma sono... uhm... costretto a rifiutare l'ambulanza» dissi con ben poca sicurezza, non perché volessi fare una grande entrata in ospedale, ma perché un aiuto in quell'hotel mi sarebbe stato utile. Gli allungai una banconota da 50, che in occasioni del genere possono sempre servire, e il ragazzo mi spiegò con precisione come arrivare da lei.

Trovai l'ospedale con semplicità e m'intrufolai dentro. Vagai per vari corridoi e finalmente mi resi conto che non avevo idea del reparto in cui si trovasse la dottoressa che cercavo. Tornai al primo piano e mi avvicinai allo sportello di quella che sembrava una segreteria.
«Salve, cerco una tirocinante... Meredith Williams» scandii bene il nome e guardai la donna nera che mi osservava scettica.
«Meredith, eh? Sta lavorando in questo momento, se vuole l'avverto che è qui, ma non posso dirle il nome del reparto in cui si trova» disse in tono neutro, come da mamma orso, che non assicurava nulla di buono.
Una voce mi dissolse dal volto dell'anziana, una voce melodica che avevo già ascoltato in precedenza, seguita dall'inconfondibile profumo dei suoi capelli mori. «Sto sognando, vero?» e un brivido mi percorse la schiena.

~

(Bhe, ci ho messo un po' per pubblicare questo capitolo e l'ho scritto nell'aria della Germania, quindi spero che vi piaccia :3 PS: Joshua Jackson è il mio nuovo Peter u_u
Lucas Ford -> Jackson Brundage
Robert Ford -> Ryan Hanson Bradford)

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Capitolo 9
*** Chapter Nine ***


Peter camminava avanti e indietro per il lussuoso attico, e in quel momento si distaccò dai pensieri su ciò che gli aveva detto Meredith qualche ora prima, per domandarsi cosa diavolo ci avrebbe fatto di un attico se doveva passare il resto della settimana da solo.


"Devi andartene. Ora" ordinò Meredith appena posò gli occhi su di lui.
Non aveva idea del perché fosse lì e specialmente come avesse fatto a trovarla così facilmente, ma forse neppure gl'interessava. Era riuscita nel suo intento, dimenticarlo, e si preparava a vivere una vita felice e senza i problemi che sembravano circondare quello strano scrittore.
"A- Andarmene? Non ci penso proprio!"
Aveva passato sette ore su un dannato aereo e non intendeva rinunciare a lei così facilmente, non senza averci neanche parlato. Avanzò verso di lei e l'avvicinò a sé posando le mani sui suoi fianchi. "Avanti, voglio solo parlare, nulla di più"
Ma la donna si scostò bruscamente vedendo passare William, che lanciò ai due un'occhiata furente. Si domandò cosa diavolo ci facesse lì il 'maniaco' e di certo non aveva tutti i torti.
"Non voglio parlare con te. Non ti conosco, non abbiamo nulla da dirci." Detto questo si voltò e prese il corridoio opposto a quello di William, per evitare il più a lungo possibile la quotidiana scenata di gelosia da quando gli aveva confessato ciò che lei definiva "solo una scappatella".
Non era mai stata il tipo di donna sottomessa agli uomini, eppure con William si sentiva inferiore, forse perché a lavoro era davvero un gradino più in alto nella scala sociale.
Ma Peter non voleva demordere, era andato lì per riprendersela e questo era ciò che sarebbe dovuto succedere, a tutti i costi. Per cui la rincorse sotto lo sguardo attento di MammaOrsa e la fece voltare afferrandole un polso. "Non riuscirai a scappare da me così facilmente, Meredith" e in quel momento non aveva idea di come sarebbe potuta apparire quella scena agli occhi di altri.
I due della sicurezza chiesero a Meredith se andava tutto bene e, al suo secco "No", gli energumeni scortarono Peter fuori dall'ospedale, ma non prima di risciure a far scivolare il biglietto dell'hotel nel taschino suo camice bianco.


Probabilmente Matthew e Olivia erano già in ospedale, eppure lui non riusciva più ad abbandonare quel dannato attico con vista panoramica. Avrebbe dovuto andare anche lui, forse sarebbe dovuto essere l'unico lì, ma qualcosa lo bloccava.
"Probabilmente è per i sensi di colpa, anche se in questo contesto io non c'entro molto. Insomma, non è mica colpa mia!" continuava a ripetersi come un mantra cercando in qualche modo di eliminare il silenzio straziante che regnava nella stanza.
Come aveva fatto a trasformarsi in così poco tempo?
Come aveva fatto a passare dal fidanzato perfetto al rovina-matrimoni?
Ma soprattutto, cosa aveva acceso l'ira in lui?


Meredith finì il turno piuttosto tardi quella sera. Avrebbe dovuto staccare prima di cena, ma l'avevano avvertita all'ultimo minuto di un'operazione a cui doveva assolutamente assistere e da cui era uscita soltanto dopo mezzanotte.
William la sorprese alle spalle con un bacio sul collo, come di consueto. Attacchi di gelosia a parte, dopo la confessione era diventato più sciolto, felice che la donna gli avesse detto cosa la turbava, ma soprattutto che si pentiva di essere andata a letto con quello sconosciuto. Sapere che era preferito rispetto a un trentenne aveva alzato la sua autostima e abbassato le manie di controllo con cui tentava disperatamente di trattenere Meredith.
"Devo rimanere per un ultimo intervento. Ci vediamo a casa, sì?" chiese con un sussurro l'uomo mentre accarezzava la mano destra della ragazza.
"Certo, amore. Ci vediamo a casa" e detto questo diede un lieve bacio a William prima di avviarsi verso la macchina.
Infatti non solo l'accaduto aveva abbassato molte difese del dottore, ma gli aveva anche dato la forza di rivelare tutto alla moglie e di andare a vivere con la donna che amava davvero, o forse solo quella in grado di sopportarlo.
Appena il dottore si fu allontanato abbastanza, Meredith tirò fuori dal taschino un cartoncino simile a un biglietto da visita.

Continuava a camminare, stringendosi convulsamente le mani. Stava aspettando il taxi che lo avrebbe portato all'aeroporto anche se non era ancora sicuro di potercela fare. Continuando di quel passo avrebbe consumato il pavimento e si sarebbe scavato direttamente una tomba.
Non poteva farcela.
Era stato egoista, ma non poteva farcela. Non poteva affrontare tutto ciò che lo aspettava al ritorno a casa. Era andato lì per un motivo, un solo motivo, e aveva fallito.

Doveva farsi forza ed entrare in quella stanza. Tutto sembrava così surreale. Era come entrare nell'inferno. Avrebbe fatto qualche cazzata, se lo sentiva, ma doveva assolutamente chiarire con Peter. Alzò la mano destra per bussare mentre la sinistra continuava a distruggere lentamente quel pezzo di carta; desiderava non averlo mai trovato. Pensava che forse era ancora in tempo; in tempo per tornare indietro, eliminare per sempre la bolla che si creava ogni volta che vedeva Peter e che li separava dal resto del mondo e tornare a casa dove avrebbe atteso l'uomo della sua vita. Non sarebbe stata una vita perfetta, ma dopotutto chi riesce ad averla? Tutti si nascondono da qualcosa o da qualcuno... lei si sarebbe nascosta dal mondo dietro l'uomo che aveva rinunciato a moglie e figli per lei.
Aspettò cinque minuti, era pronta ad andarsene tirando un sospiro di sollievo, ma la porta si aprì e mostrò l'uomo distrutto con un bicchiere di vodka in mano. Dopotutto se l'era aspettato visto ciò che aveva preteso all'ospedale. Come avrebbe potuto passare il resto della vita con lui? Aveva bisogno di sicurezza, di... William.
Peter d'altra parte non aveva forza di parlare vista la sorpresa della visita e l'alcohol che iniziava a fare effetto.
Meredith entrò nella grande stanza a passi misurati, con la paura che ad ogni passo in più corrispondesse una tortura una volta tornata a casa. Avrebbe fatto presto, sperava, ma che intervento aveva William? Non gliel'aveva detto. Forse non aveva affatto un intervento, semplicemente si aspettava un'azione del genere dopo l'incontro di quel pomeriggio e voleva dimostrare che lei non era poi così fedele come voleva far credere. Sì, erano tesi fondate sul nulla ma da quando stava ufficialmente col dottore aveva iniziato a pensare, pensare tanto su cose inutili che non l'avrebbero portata da nessuna parte se non a diventare paranoica.
Sbuffò, si volto e rimase un secondo incantata davanti al panorama. Come trascinata da una fune invisibile, si avvicinò al vetro che costituiva buona parte della parete e osservò Seattle come non aveva mai fatto. Sentì una bocca sfiorarle l'orecchio e dei capelli che incontravano i propri: lo scrittore aveva lasciato il bicchiere e le mani ora si trovavano, come alcune ore prima, sui suoi fianchi. Tentava di sfruttare al meglio quello che sarebbe stato molto probabilmente il loro ultimo incontro o l'ultima occasione di poterle stare così vicino. Non gli importava nulla del suo semi-ragazzo, né di una possibile protesta da parte sua; era un piccolo premio di consolazione. Ma lei non si oppose.
«Mi manchi» sussurrò Peter. Si sentiva debole, indifeso, un ragazzo alle prime cotte. L'amore in quel frangente lo aveva afferrato, scaraventato giù dal ponte di una nave ed era ora costretto a nuotare verso un'isola immaginaria.
«Non posso» e nella sua voce non c'era nulla di debole o indifeso. Nonostante volesse abbandonare tutto, lavoro e fidanzato, non lo avrebbe fatto per l'amore nei confronti di un altro uomo... l'avrebbe fatto per liberarsi di un peso opprimente. Si mosse da quella posizione quando divenne imbarazzante e si andò a sedere sul divano aspettando che l'uomo la raggiungesse, cosa che non accadde. Per tutta la durata della conversazione lui rimase immobile, le mani in tasca e lo sguardo vacuo. Era in dubbio perfino il fatto che stesse ascoltando o meno.
«Sai perché non posso?» Iniziò lei.
«No, Meredith, perché non puoi?» Perdeva spesso la pazienza facendosi cogliere da attacchi d'ira ma in quel momento aveva davvero voglia di urlare "Bene, non puoi? Allora cosa diavolo ci stai facendo qui? Ti diverti a uccidermi?"
«Non posso perché...» Perché non poteva? Perché i suoi genitori avevano delle aspettative, perché aveva fatto una promessa a un uomo, perché aveva organizzato già la sua vita, perché il suo lavoro la attendeva, perché doveva salvare vite non distruggerle. Ma più importante... «perché non ti amo.»
La verità nuda e cruda. La voleva così lui, gli piaceva, allora perché si sentì trafiggere da una decina di pugnali in una volta? «Non mi ami. Beh, è una ragione, sì. Quindi ami... lui... William?» Già che c'era, tanto valeva saperle certe cose.
«Sì, amo William. Noi.. ci sposeremo il prossimo mese.»
«Auguri.» Le mani strette in pugni, le nocche che divenivano bianche, la mascella che si contraeva erano l'unico segno di cosa sentiva realmente. Si sarebbero sposati il prossimo mese, eppure lui non la vedeva da quanto? Due settimane? Giorno più giorno meno. Il che significava che la proposta era avvenuta appena tornati in città. Lei aveva rivelato al dottore cos'era successo? Per questo non voleva tardare le nozze? Per paura che qualcun altro la rubasse? «Quindi perché sei venuta qui? Oggi mi hai comunicato piuttosto chiaramente che non avevi nulla da dirmi.» Aveva paura di cos'altro sarebbe potuto uscire fuori da quella conversazione, ma contava sul fatto che sarebbe riuscito vivo da quella stanza, anche se solo fisicamente.
«C'è una cosa di cui devo parlarti, in verità. Non volevo dirtelo all'ospedale, mi sembrava il posto meno adatto a questo tipo di annuncio.» Cercava di temporeggiare in tutti i modi, però non poteva tardare ancora. Il cartoncino nelle sue mani affusolate iniziava a sgretolarsi e ben presto si ritrovò a giocherellare solo con striscioline di quello che inizialmente era un rettangolo completo. Aveva giocato a fare dio e aveva fallito.
«Parla.» Tagliò corto lui.
«Sono incinta.» Alzarono gli occhi contemporaneamente, uno dalle luci indistinguibili di una città che non conosceva, l'altra dalle mani da cui erano appena cadute le briciole di ciò che aveva ricevuto. Il primo aveva intuito tutto, sapeva che sarebbe stato un padre orribile ma aveva voglia di urlare "Ci sono, sono qui! Scegli me!", la seconda aveva paura che ciò che avrebbe detto tra pochi secondi avrebbe potuto scatenare lo scrittore introverso che era in lui. «Voglio tenerlo e William pensa che sia suo figlio, quindi ti prego di-»
«Quindi gli lascerai crescere un bambino che non è suo? Che non ha concepito lui? GLI LASCERAI CRESCERE MIO FIGLIO? SEI VENUTA QUI PER DIRMI CHE, NONOSTANTE NON MI AMI E NONOSTANTE QUELLO CHE ABBIAMO AVUTO, TU LASCERAI VIVERE MIO FIGLIO, IL FIGLIO DI UN ADULTERIO?» Era scoppiato. Si era voltato completamente verso di lei e agitava le braccia, gridava più che poteva.
«Quello che abbiamo avuto? Sai cos'abbiamo avuto? Nulla! Ci siamo incontrati in un bar, tu mi hai seguito e siamo finiti a letto insieme per due volte. E' tutto lì. Nessun significato nascosto, nessun amore a prima vista.» Era calmissima e sembrava indifferente alle sue grida, come se ci fosse abituata. Era stata abituata fin da piccola ai suoi genitori che litigavano, poi a suo padre che le urlava contro dopo la morte della madre, a William che durante i suoi attacchi era capace di distruggere la camera da letto.
«NON PARLARMI IN QUESTO MODO, CERCANDO DI CALMARMI COME SE FOSSI UN BAMBINO.» Aveva il fiato corto e si fermò un secondo a guardarla negli occhi mentre Meredith si avvicinava e poggiava le mani sulle sue guance calde e arrossate.
«Ma tu sei un bambino. Lo sei e dovresti saperlo. Tu non mi hai mai amata. Era un momento difficile per te, lo capisco, avevi bisogno di qualcuno a cui aggrapparti ma quel qualcuno non sono io, non posso esserlo. Non sono un giocattolo. Dal momento in cui mi avrai, non mi vorrai più, ma io non sono un giocattolo ed è ora che iniziate a capirlo.»


Dall'aeroporto andò direttamente all'ospedale in taxi. Chiese le informazioni, salì al piano di chirurgia e si fermò appena raggiunta la stanza. Quell'ambiente gli ricordava ciò che era accaduto la sera prima e, anche se sarebbe stata difficile, avrebbe superato anche quel periodo della sua vita.
«Ti sei deciso, allora.» Mormorò Mary arrivandogli alle spalle con due tazze di caffè. «Vieni, tuo padre ti aspetta.»
La madre aprì la porta della stanza con un sorriso davvero poco consono all'ambiente che li circondava e salutò con un cenno della testa Matthew prima di porgergli il caffè. L'amico si alzò dalla sedia su cui si era appolaiato per far compagnia alla signora Widmore, compagna di gossip; gli diede una pacca sulla spalla e uscì dalla stanza per lasciare alla famiglia un po' di tempo. Isabella era addormentata in un angolo e Peter non aveva idea di cosa ci facesse lì visti i rapporti che aveva con Mary, poi ricordò. Evitò di fare commenti e osservò l'uomo allungato sotto le coperte.
Charles Widmore giaceva moribondo nel letto ospedaliero, due tubetti per l'ossigeno uscivano dalle narici e veniva nutrito e idratato tramite una flebo perennemente attaccata al braccio, mentre una borsa di plastica per le urine era collegata al catetere e rimaneva attaccata al lato del letto.
Nessuno aveva saputo della malattia di Charles, oltre Charles stesso, fin quando era diventata talmente grave da non potere essere controllata con visite mensili in quell'ambiente troppo bianco e sterile.
Peter non poteva fingersi incredibilmente dispiaciuto per il padre dopo ciò che aveva fatto in tutti quegli anni, ma aveva anche lui bisogno di risposte. Si sedette sulla sedia prima occupata dal suo migliore amico, afferrò la mano del padre che si voltò e sorrise. «Peter...» sussurrò semplicemente. E il cuore smise di battere.


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(Sì, lo so, non ho scuse e merito di morire come Charles Widmore. Facciamo una cosa, evitate e godetevi il capitolo. E se non vi piace il capitolo... okay, in quel caso potete uccidermi. Btw, questo è l'ultimo.
Presto, e sottolineo PRESTO, pubblicherò un breve epilogo, ma sarà BREVE. Inizialmente Peter doveva morire in un incidente mentre andava da Meredith, quindi dovrei essere ringraziata.
Grilli
Comunque, i ringraziamenti li rimando alla prossima volta. Anzi, no. Grazie a tutti quelli che hanno letto e stanno leggendo questa storia, a quelli che mi hanno seguita dall'inizio e ai nuovi arrivati. Grazie per avermi letto♥ )

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Capitolo 10
*** Epilogue ***


Epilogo

La Jane Austen di "Becoming Jane" alla domanda «Tutti i tuoi romanzi avranno un lieto fine?» ha risposto:«I miei protagonisti avranno, dopo alcune sventure, ciò che desiderano». Peter, dopo la morte di suo padre, rifletteva spesso su questa frase. Non era un uomo religioso, eppure si era sempre sentito in balia di un oceano, perennemente insicuro e sull'orlo di cadere a terra e rotolare; oppure, per adattarsi di più al suo "lavoro", spesso pensava che qualcuno stesse scrivendo la sua storia. Ma se davvero era così, allora lo scrittore in questione era estremamente sadico e, senza alcuna ombra di dubbio, non era Jane Austen.

Nel frattempo Meredith, a Seattle, invecchiava con felicità ma con una leggera ombra sul cuore, una parte oscura che non riusciva più a raggiungere: l'amore per un uomo. William dopo il matrimonio era divenuto sempre più paranoico e lei, per paura di divenire l'ennesima donna maltrattata dal marito, scappò con Peter, il piccolo, e andò a vivere in un appartamento in centro pagato con gli alimenti che solo un ricco e famoso dottore poteva dare. Quel nome... Non avrebbe mai odiato suo figlio, non ci sarebbe riuscita, ma qualcosa dentro di sé le aveva detto di chiamarlo così. Quell'uomo aveva cambiato la sua vita, e a lei piaceva pensare che lo avesse fatto in bene.

Olivia continuò a nascondere bottiglie di alcool fin a quando una sera, Matthew, tornando a casa e trovandola a bere un bicchiere di vino per rilassarsi, tirò fuori le bottiglie dal nascondiglio segreto e le mise su una mensola in cucina, quindi le diede un bacio sulla fronte e si andò a fare una doccia. Rimasta un attimo sorpresa da quell'atto, sul momento non pensò affatto che avrebbe passato il resto della vita insieme a lui.


Molti potranno pensare che questo è stato il periodo più importante della vita di un uomo, ma non è così. Non ci sono momenti più importanti. Certo, ha perso due donne che credeva di amare, ha perso un padre e la madre non sarà più la stessa, ma ci sono anche altre cose che formano la vita di una persona: il primo giorno di scuola, la fine del liceo, le amizie, la morte di un parente stretto, il primo lavoro, l'orgoglio di riuscire a mantenere una famiglia, magari dei figli, trovare la persona giusta con cui trascorrere il resto della tua vita... Ebbene, Peter aveva avuto abbastanza esperienze.
L'unica cosa che rimpianse era che non riuscì mai a capire di cosa volesse vendicarsi suo padre.


______________________


(Mi hanno rimproverata per il finale insoddisfacente e non credo di aver migliorato in qualche modo la situazione. Purtroppo non sono geneticamente predisposta a scrivere un lieto fine, per cui vi dovrete accontentare in qualche modo, ma sappiate che mi dispiace per qualsiasi aspettativa delusa riguardo a questo epilogo. Avevo in mente altro, ma sembrava estremamente poco. Cooomunque, ecco qui. E' questa ed è finita. In alcuni punti è stato come partorire (vedere i ritardi di 1-2 mesi), ma sono felice di non averla distrutta completamente nel tempo facendola diventare una storia d'amore, perché non lo è.
Ringrazio tutti i lettori silenziosi. Ringrazio tutti i lettori. Vi ringrazio ♥)

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