St Mary's College di whatashame (/viewuser.php?uid=92521)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Last days of summer ***
Capitolo 2: *** How I met... ***
Capitolo 3: *** Meet me on the equinox ***
Capitolo 4: *** Saudade ***
Capitolo 5: *** get this party started ***
Capitolo 6: *** Don't stop me now ***
Capitolo 1 *** Last days of summer ***
carla sy mary'sdef
Liam
ha 16 anni, un padre nei Conservatori e molti più soldi in
tasca di quanti lui e Matt possano spenderne sabato sera. Ashley
McKenzie invece è la figlia perfetta della famiglia perfetta e
sogna soltanto la nuova baguette di Fendi. Esteban Robledo Ramos
mastica poco l'inglese, sua madre è l'ennesima cameriera di
casa McKenzie e sente forte la mancanza del padre. Cos'avranno mai in
comune con l'occhialuta Charleen, e la tanto chiacchierata SaSh dal
passato ambiguo? La quarta B e molti più problemi di quanto
appaia.
St
Mary's College
prologo
Last Days
of Summer
Il/la
sottoscritto/a Mary Jane
Brown in qualità di padre/madre/tutore di
Charleen Mary Shawade,
nata a Vancouver BC, il
28/12/19XX, con la
presente richiede l'iscrizione del/la proprio/a
figlio/a al quarto
anno di corso presso il Saint Mary's College e allega in calce la
documentazione richiesta ai sensi dell'articolo 231 c.5 del Ministero
della Pubblica Istruzione e la copia delle schede di valutazione
del/la proprio figlio/a dei precedenti anni accademici.
Lì
15 Luglio 20XX
firma del genitore o di chi ne fa le veci
Mary Jane Brown
Kristine Jacobs sbuffò.
Se soltanto la metà
dei voti esorbitanti di questa Charleen fossero stati meritati, Mary
Jane Brown poteva dormire sonni tranquilli: a trentaquatranni' anni
suonati sua figlia non si sarebbe ritrovata, in un' afosa mattina di
settembre, sommersa di stupide scartoffie fino al collo.
Kristine Jacobs sbuffò
di nuovo.
Se si fosse applicata
anche lei al college in quel momento non avrebbe avuto una pila di
pratiche da compilare sulla scrivania, un mal di testa feroce e la
camicetta in purissima -finta- seta incollata alla pelle. Forse, in
quel momento, avrebbe potuto essere distesa su una bianca spiaggia
thailandese a sorseggiare batida de coco da un bicchiere decorato con
ombrellini e frutta esotica, mentre un aitante bagnino con uno
striminzito costumino rosso la contemplava dal bagnasciuga,
passandosi lascivamente la lingua sulle labbra.
Magari.
Kristine Jacobs sbuffò
per la terza volta.
Purtroppo di studiare non
aveva mai voluto saperne troppo e, disoccupata e tristemente single,
si ritrovava a fare la sottopagata e sfruttata segretaria in una
scuola esclusiva per ricchi rampolli viziati e snob, fantasticando
sugli addominali scolpiti di un bagnino immaginario che nella realtà
non avrebbe degnato i suoi 150 centimetri di altezza e la sua quarta
abbondante nemmeno di un'occhiata. Non lo avrebbe fatto non solo
perchè lei le Bahamas non poteva proprio permettersele, ma
soprattutto perché il sole abbacinante dei Caraibi non era,
con buona probabilità, tanto forte da accecare il suddetto
bagnino californiano, nascondendo ai suoi occhi quei chiletti di
troppo di cui l'avevano gentilmente omaggiata i barattoli di nutella,
la cellulite sulle cosce e quei rotolini tremolanti che si ritrovava
sui fianchi.
Questa volta Kristine
sospirò. Con le dita sporche di inchiostro afferrò il
timbro della presidenza e scrisse “approvato” sul foglio.
***
In un'aula spoglia, a
qualche metro di distanza dalla segreteria, Esteban si stava
chiedendo se l'“Ode ad un usignolo” Keats l'avesse scritta nel
1823 o nel 1819.
A giudicare dalla
solerzia con cui rispondeva ai quiz la biondina spalmata sul banco di
fianco doveva saperlo, e anche gli altri tredici ragazzi chini sui
test.
Come faccio a
rispondere se non so nemmeno cosa diavolo significa “usignolo”?
Si
chiese per l'ennesima volta. Poi, con l'immenso spirito pratico che
lo aveva sempre caratterizzato, decise saggiamente di smettere di
porre domande insolubili al proprio cervello, momentaneamente muto, e
di proseguire la conversazione col cellulare nella sua tasca.
Ringraziò
San Jimmy Wales e la Santissima Wikipedia, e decise, giusto per non
fare un torto a nessuno, di accendere un cero in onore di Thomas che
gli aveva prestato il telefono.
In
una scuola tanto-per-bene nessuno aveva pensato a fargli svuotare le
tasche prima di entrare in aula.
Se erano così
ingenui peggio per loro.
***
Se non bevo il succo,
forse potrò mangiare una fetta biscottata con la marmellata.
Senza burro. Dovrei farcela con le calorie, o almeno spero...., si
augurò Ashley McKenzie.
-Tesoro,
confesso di non aver capito bene perchè tu e Susanne dovete
andare a scuola questa mattina...- confessò sua madre, mentre
la cameriera le riempiva la tazza di “tisana alle erbe andine”.
-A
scuola? Il primo di settembre?- chiese suo padre mentre le si sedeva
di fronte e allungava una mano a scompigliare i riccioli biondi di
Mel.
-PAPIIII-
trillò la piccolina di casa aprendosi in un sorriso sdentato.
-Buon
giorno principessina- le sorrise l'uomo da sopra il barattolo dei
biscotti.
-Mamma,
te l'ho già spiegato!- sbuffò la figlia maggiore mentre
poggiava nel piatto la fetta biscottata intatta -dobbiamo controllare
che la segretaria non combini disastri con le stanze! Ti immagini se
per sbaglio finiamo al lato Nord? Lì non c'è mai il
sole, ma in compenso arriva benissimo l'odore della mensa non appena
ti azzardi ad aprire la finestra! Che schifo! E se poi non ci
dovessero mettere di nuovo in camera insieme?- spiegò con
un'espressione talmente seria e contrita da riuscire a distrarre la
piccola Mel dai suoi cereali.
-Oh,
certo- fece solidale la biondissima signora McKenzie con lo stesso
viso grave che riservava tutte le domeniche alla predica di Padre
John.
-Vuoi un passaggio tesoro?- si offrì suo padre mentre la
cameriera gli toglieva la tazza vuota da davanti -vado in azienda tra
poco, non mi costa nulla accompagnarti...-
-Non
preoccuparti papi- Ashley fece una teatrale pausa ad effetto -viene
Susie con la macchina nuova.- e lasciò cadere la frase nel
vuoto con studiata nonchalance. Finse di non notare l'occhiata di
puro terrore che i coniugi McKenzie si scambiarono da sopra il bricco
del latte, e fissò la colazione intatta nel suo piatto.
Se pensavano che la
sua amica avesse una guida tanto pericolosa avrebbero potuto
benissimo comparle la macchina che aveva chiesto per i sedici anni,
visto che aveva preso la patente a maggio!
Quello
comunque non era il momento adatto per ricominciare con la storia
della mini cooper rosa, visto che Susie sarebbe arrivata in meno di
venti minuti e lei doveva ancora decidere quale maglietta abbinare ai
sandali Jimmy Chooe nuovi di zecca. Li aveva scovati in una vetrina
di Miami quella stessa estate, ma non aveva nient'altro di quella
particolare tonalità di azzurro...
***
-Non
voglio andarci- dichiarò Charleen appoggiandosi con la schiena
allo stipite della porta.
Trenacinque,
contò mentalmente Mary Jane, mentre davanti allo specchio
passava l'ombretto dorato sull'occhio sinistro.
-Non
voglio andarci e non ci andrò- ribadì la figlia, e a
sottolineare l'intenzione incrociò le braccia e increspò
le labbra in una delle migliori espressioni capricciose del
repertorio “figlia-adolescente-ribelle”.
Quel
rompiscatole di Cecè avrebbe pagato dollari sonanti per
un'espressione del genere sul set, pensò distrattamente la
signorina Brown mentre aggiornava il conto.
-SaSh
dico sul serio.- rognò Charleen avanzando a grandi falcate
fino allo specchio.
Mary
Jane alzò la testa e fissò il riflesso della figlia nel
vetro. Da dietro le spesse lenti degli occhiali un intenso paio di
occhi verdi ricambiò lo sguardo della madre in una supplica
muta.
Contò
trentasette, sebbene sua figlia non avesse proferito verbo: quello
sguardo valeva mille parole.
-Certo
che il mondo è davvero un posto triste se persino tua figlia
ti chiama col tuo nome d'arte...- brontolò a mezza voce.
Tirò
un lungo sospiro.
-Tesoro
te l'ho già spiegato- esordì paziente -sai
perfettamente che non dipende da me. Tuo padre vuole che frequenti
una scuola prestigiosa e importante, e la St. Mary's lo è-.
-Ma
SaSh- la interruppe Charleen scuotendo i lunghissimi capelli castani
-Edmund vive dall'altra parte dello stato e nemmeno mi conosce! Non
può giocare alla famiglia felice con gli altri figli che ha?
Perchè diavolo deve romper le palle a me?!?!- strillò.
-Le
scatole! Le scatole!- la riprese sua madre che notoriamente parlava
come uno scaricatore di porto, ma non le aveva mai permesso di usare
un linguaggio scurrile.
-E'
tuo padre, e non so da dove abbia tirato fuori questa brillante
trovata, ma so benissimo che potrebbe ricorrere ad un giudice per far
valere i suoi diritti e non ho intenzione di correre il rischio di
perderti- sibilò tagliente -e comunque rompe le palle perchè
è un gran rompicoglioni- aggiunse urlando irritata e
assolutamente coerente con la storia del linguaggio forbito che
rifilava a Charleen da quando aveva iniziato a vagire.
- Ma
mamma...- tentò ancora, sfoderando il labbro tremulo e la
voce piagnucolosa.
SaSh
alzò un sopraccigio. Se sua figlia la chiamava mamma doveva
essere davvero disperata.
-E'
una schifosissima scuola per figli di papà viziati, ed ha pure
il dormitorio!!! E poi noi non siamo cattoliche.-
A
Sash veniva da piangere alla sola dea che sua figlia dovesse dormire
fuori casa almeno cinque giorni su sette, ma sfoderò
storicamente tutto il proprio talento da attrice consumata
sorridendole paziente.
-Charlie
noi non siamo credenti, ma trovo che confrontarsi con la fede sia una
parte fondamentale per la crescita di una persona, indipendentemente
da quelle che poi saranno le sue idee sulla religione. Questa è
forse una lacuna nella tua educazione...e forse è anche per
colpa mia. Avrei preferito che ti confrontassi con tanti punti di
vista diversi, ma intanto cogli quest'occasione, fa buon viso a
cattivo gioco...-
Quella
spiegazione non convinceva troppo Charleen che alzò un
sopracciglio scettica mentre SaSh proseguiva:
-In
ogni caso non ci sono le suore col cilicio alla St Mary's e nessuno
pretenderà di convertirti. Sono tenuti ad accogliere tutti per
legge: dovrai soltanto seguire un'ora di religione a settimana.-
-E
con quei ricconi viziati come la mettiamo?-
-Non
chiamare così i tuoi compagni: innanzitutto nella tua classe
ci saranno un paio di borsisti, e poi ricorda che se non sei
schifosamente viziata è solo perchè cerco di darti un
freno, ma riccona lo sei anche tu.- fece col tono seccato di chi
considerava la conversazione conclusa.
-Ci
faranno a pezzi. Ti faranno a pezzi- mormorò piano
Charleen, mentre lasciava la stanza e SaSh iniziava a passarsi il
rossetto sulle labbra.
***
-...e
il pranzo è nel frigorifero, basta che lo scaldi al microonde-
si raccomandò per la centesima volta sua madre.
-
E non prendere la mia macchina mentre non ci sono, non sai ancora
guidare bene e...-
-Mamma
basta!!!-la frenò William -smettila di rintronarlo e andiamo,
il taxi ci aspetta..- aggiunse mentre col pc sottobraccio afferrava
la donna per una spalla.
Certe volte adorava
suo fratello.
-Ciao
Lì, ci vediamo a Natale- lo salutò aprendo la porta.
-Ciao
Liam, torno tra qualche ora. Il tempo di arrivare in aeroporto e fare
la spesa.-.
Il
che con il traffico significava circa tre ore, riflettè
Liam, mentre alzava una mano in segno di saluto.
Benissimo.
Appena
la porta di casa si chiuse si fiondò su per le scale:
-PAPAAAA' ???- chiamò a gran voce -devo andare da Matt, posso
prendere la macchina?-. La tua aggiunse mentalmente.
Da
sotto le coperte l'assessore dei Conservatori, Andrew Pittwighs,
rantolò qualcosa di molto simile ad un assenso.
Sua madre era davvero
un'ingenua: perchè avrebbe dovuto prendere la piccola Smart
quando suo padre aveva una porche in garage???
Amelia
Pittwighs era ancora in taxi, raccomandando al suo primogenito di non
passare troppo tempo a lavorare chino sul computer, che il secondo
nato di casa Pittwhigs aveva già inserito le chiavi nel
quadro.
note
-
-Last
Days of Summer è il titolo di un romanzo di Steve Kluger, ma
richiama anche una canzone dei Cure “the last day of summer”,
“last day of summer” è anche il titolo di un film.
-
-Il
cognome Pittwhigs, è la fusione di Pitt (ministro inglese) e
Whig, nome di partito “di centro- centro sinistra”. In realtà
Pitt pur definendosi un whig indipendente faceva parte dei tory,
insomma senza perderci nella storia inglese di cui sono
completamente ignorante, con questo nome volevo mettere in evidenza
un po' di contraddizioni e non nel carattere di questa famiglia.
-
Il
nome Saint Mary's College non si riferisce a nessun college
realmente esistente, ma ad una scuola superiore di mia
invenzione...cmq cercando sul web esiste un'università in
California con questo nome, ma credo che sia un nome piuttosto
abusato...
Questa
storia mi è venuta in mente dopo aver visto la serie
televisiva Rebelde Way di Chris Morena Si tratta di una serie tv
argentina mai tradotta in inglese o italiano...personaggi e trama
sono ovviamente molto diversi da quelli della serie ma mi è
sembrato opportuno specificarlo e aggiungere che ciò che
scrivo non ha assolutamente fini di lucro.
In
ogni caso ho provato a vedere il regolamento di efp in merito, ma non
so perchè non mi compare nulla cliccando su ispirazioni e
cliccando sul regolamento mi dice che il link è rotto.
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Capitolo 2 *** How I met... ***
st mary 2
St
Mary's College
capitolo
2
How
I met...
...that
boy
-Hey
guarda!!!- bisbiglio Susie rifilando una gomitata nello stomaco di
Ashley.
Se
voleva la sua piena attenzione quel richiamo non verbale sarebbe
stato più che sufficiente a risvegliare un morto, ma, non
contenta, la sua migliore amica le arpionò il braccio con gli
artigli smaltati.
La
camicetta di Chanel...
-L'hai
visto che figo??? Stupendo... chi sarà???- trillò
l'altra poco partecipe del suo dolore per l'alta sartoria.
Ashley
alzò un sopracciglio scettica: Susie aveva la discutibile
abitudine di inserire nella categoria “fighi da paura” qualsiasi
maschio respirante. A volte la giovane McKenzie era arrivata persino
a dubitare che alcuni fra quegli esseri repellenti appartenessero
all'homo sapiens sapiens.
-Quello-
indicò Susie con l'unghia laccata di rosso.
Glielo
aveva spiegato forse trecento volte, che indicare violava una delle
sacre leggi del
galateo.
-Sì,
carino- concesse degnando di un 'occhiata superficiale il ragazzo che
usciva dall'aula accanto alla segreteria.
L'aula
dei primini, la più vicina alla presidenza. L'aula “sfigata”
come dicevano i suoi compagni di scuola...
Ashley
da tempo aveva smesso di pronunciare quella parola tanto poco chic,
e, per inciso, non inquinava le altrui orecchie nemmeno col termine
“figo”.
-Hey
aspetta!- disse fermandosi di colpo -Io quello lo conosco!!! E' il
figlio di una delle nostre cameriere!-.
-Sul
serio? E perchè non me lo hai presentato prima?!?!- cavillò
Susanne.
-Non
essere sciocca, non è certo un mio amico. Lo avrò visto
sì e no cinque volte in tutto. -
-Ma
secondo te che ci fa qui quel gran pezzo di...-
-Sue!!!-
la interruppe scandalizzata.
-Oh
andiamo, l'hai guardato bene??? Quello lì ha tutto al
posto giusto...-
-Niente
di eccezionale- valutò analiticamente Ashley arricciando il
nasino perfetto.
-Carino-
concesse magnanima dopo un paio di secondi -ma non abbastanza bello
da tentare me.-.
L'amica
aveva smesso di ascoltarla da un pezzo troppo presa ad osservare il
ragazzo che si passava distrattamente una mano sul leggero accenno di
barba che gli ricopriva le guance.
-
Comunque mi sembra di ricordare che dovesse sostenere il test
d'ammissione alla scuola, quello per la borsa di studio vacante...-
disse tentando di richiamare l'attenzione.
-Oh,
quindi magari quest'anno verrà a scuola con noi!!!- trillò
Susanne entusiasta e già su di giri.
-Non
ti esaltare troppo, non credo sia esattamente un secchione: è
stato bocciato, e non parla nemmeno bene la nostra lingua. Non credo
che Mr Fangboner potrebbe mai ammetterlo alla St Mary's....- spiegò
sussiegosa e prosaica.
-Vecchia
cariatide... va beh, presentamelo.- ordinò senza perdersi
d'animo.
-COSAAA???
Ma stai scherzando?? A stento ci rivolgiamo la parola- gridò
la bionda sconvolta al punto di dimenticarsi che urlare in pubblico
non era affatto elegante.
-Dai,
dai, dai...non farti pregare, sù- cantilenò Susie
attaccandosi al suo braccio e attentando di nuovo alla sua preziosa
manica.
-Ti
ho già detto che...-
-Oh-oh,
mi sa che dovrai presentarmelo per forza...- le bisbigliò
nell'orecchio.
Ashley
stava per chiederle ingenuamente cosa le conferisse tanta sicurezza,
ma voltandosi si accorse che il figlio di Catalina le aveva scorte e
si stava avvicinando.
-
Ciao Ashley- la salutò allegro come fossero stati amici di
vecchia data.
-
Oh, ciao...- rispose in automatico.
Calò
un silenzio imbarazzato.
Per
fortuna lui le venne prontamente in soccorso.
-Esteban-
le rammentò.
-Esteban-
ripetè lei a pappagallo sentendosi spaventosamente idiota.
-Beh...questa
è Susanne- fu costretta a presentare l'amica, visto che Susie
praticamente stava iniziando a saltellare sul posto mulinando le
braccia per farsi notare.
-Piacere-
disse lui con un sorriso che metteva in risalto i denti bianchissimi
che spiccavano sulla pelle olivastra.
-Ciao,
piacere mio. Hai fatto il test vero?- lo interrogò senza
prendere fiato fra una parola e l'altra.
E
tanti cari saluti alla mia rispettabilità, ragionò
Ashley sconsolata. Adesso penserà che sono una pettegola.
Grazie tante Susie.
-Era
difficile? Speriamo che ti ammettano...E se ti ammettono che classe
dovrai frequentare?-
Una
volta lasciata a briglia sciolta la proverbiale parlantina di Susanne
Donnely era difficile da tenere a freno.
-Il
quarto anno.-
Ashley
quasi soffocò con la propria saliva.
Quarto,
aveva sentito bene???
-Davvero?!?!?Come
noi...oh, beh,...speriamo tu possa essere nella nostra stessa classe-
dichiarò Susie entusiasta.
Speriamo
proprio di no...si augurò
invece la sua migliore amica.
Susanne
sembrava fin troppo allegra alla prospettiva e si stava dimenando
come un cagnolino che scodinzola davanti ad un bell'osso. Patetico.
Ashely
decise di salvare la sua amica da un'ulteriore umiliazione e
l'afferrò risoluta per un gomito.
-È
stato un piacere incontrarti Esteban, purtroppo noi adesso dobbiamo
andare in segretaria- esclamò sfoderando un sorriso posticcio
-spero di rivederti presto. In bocca al lupo per il test.- disse
falsa come Giuda, mentre trascinava Sue il più lontano
possibile. L'amica, recalcitrante come una bambinetta capricciosa, la
seguì lungo il corridoio, salutando con la mano quel ragazzo
che, Ashley era pronta a giurarlo, si sarebbe messo a ridere di
quella loro magra figura non appena avessero svoltato l'angolo.
A
volte Ashley McKenzie tendeva ad essere un tantino paranoica.
***
...that
girl
Susanne
era una ragazza dall'aspetto piuttosto ordinario, formosa e
cicciottella, con una chiama di riccioli rossi in cima alla testa e
uno spruzzo di lentiggini sulle guance piene. Sembrava simpatica e
affetta da attacchi acuti di logorrea verbale.
Ashley
McKenzie lui l'aveva già vista e beh...era semplicemente
bellissima.
Slanciata
e flessuosa, aveva un viso cesellato e perfetto, boccoli biondi ad
incorniciarle il mento e la fronte, che scendevano morbidi fin quasi
alle spalle, mentre un paio di occhi scuri e profondi risaltavano
sull'incarnato pallido.
Esteban
era un caliente maschio latino, e non potè fare a meno di
notare che la natura, con l'erede della fortuna degli industriali
Mckenzie, era stata piuttosto generosa. Soprattutto in
certi...punti del corpo. Quelli fra la clavicola e la decima costola,
e subito al di sotto della schiena per essere precisi.
Peccato
che Ashley rovinasse tutto esibendo perennemente quell'espressione di
ostentata superiorità ed uno spocchioso cipiglio arrogante.
Le
due ragazze erano appena sparite imboccando un corridoio quando dal
portone d'ingresso fecero la loro rumorosissima entrata altre due
donne.
Sembravano
piuttosto prese in un appassionato alterco ed erano talmente
impegnate a battibeccare che Esteban poté prendersi un momento
per osservarle senza sembrare troppo sfacciato.
A
giudicare dalla somiglianza e dalla familiarità fra le due
doveva trattarsi di madre e figlia.
Ad
una seconda occhiata più attenta erano piuttosto diverse, una
alta e formosa e l'altra piccola e minuta, ma il loro modo di
muoversi e di gesticolare con le mani, ognuna presissima nel perorare
la propria tesi, le rendeva in qualche modo parecchio simili, sebbene
la madre fosse una donna elegante e raffinata, vestita con capi di
haute couture ed avesse un trucco pesante e pastoso (da chiedersi
come riuscisse a tenere la palpebre aperte sfidando la forza di
gravità) e la figlia una buffa creatura acqua e sapone con
jeans, converse scarabocchiate col pennarello e un paio di tremendi
occhiali che le coprivano le sopracciglia e parte degli zigomi
facendola assomigliare alla caricatura di una grossa mosca.
Entrambe
avevano lo stesso colore di capelli, sebbene quelli della figlia
fossero decisamente più lunghi e meno curati, ed un numero
considerevole di braccialetti, pendagli, ninnoli, collanine e anelli
che producevano un tintinnio festoso
ad ogni loro passo e conferivano alle due un vago aspetto da albero
di Natale.
Quando
si avvicinarono, interrompendo per un attimo la querelle per
rivolgergli all'unisono un cortese “buongiorno” e un sorriso
gentile, Esteban notò che la cosa che accomunava di più
quelle donne era un paio di bellissimi occhi verdi di una sfumatura
particolarissima che gli ricordava il mare brulicante di pesci e
coralli del suo paese natio, quando lui e suo padre uscivano a pesca
e venivano sorpresi dalla vento forte.
La
ragazzina sembrava piccola, probabilmente non sarebbe stata in classe
con lui.
Sempre
ammesso che mi ammettano...
Si
rabbuiò al quel pensiero.
Ho
copiato tutte le risposte, mi ammetteranno... disse a se stesso
per rassicurarsi.
Ma
basterà davvero fare il test migliore?
Poteva
non conoscere Byron e l'esatta ubicazione di Memphis, ma di come
funzionava il mondo Esteban si era fatto decisamente un'idea
accurata.
L'agitazione
tornò di nuovo ad invadergli il cervello mentre, ostentando
una calma apparente che non provava affatto, lasciava l'edificio a
grandi passi.
***
...my
headmaster
Charleen
era sempre stata una ragazzina molto seria e responsabile.
Si
applicava nello studio e aveva il naso perennemente affondato fra le
pagine di un libro. Nel tempo libero si dedicava al volontariato,
disegnava nature morte e si arrampicava sugli alberi; non aveva mai
fatto troppi capricci né richiesto particolari attenzioni.
Non
doveva essere semplice per lei cercare, ogni giorno, di riscattarsi
per una macchia di nascita di cui non aveva alcuna colpa.
Tutta
l'immaturità che possedeva, Charleen la usava ad esclusivo
beneficio di suo padre e della moglie: quando l'ultima volta avevano
cercato di portarla in campeggio con la loro famiglia era riuscita a
rendersi talmente odiosa che, nel giro di tre giorni, il povero
Edmund aveva supplicato SaSh di correre a riprendersela al più
presto.
Per
il resto era una figlia perfetta, forse persino un po' troppo.
Nemmeno
quando aveva realizzato, finalmente, per quale motivo sua madre fosse
tanto famosa e il perchè dei risolini alle loro spalle, aveva
dato di matto, anche se SaSh l'aveva sentita piangere rannicchiata
fra le lenzuola del proprio letto. Era in prima media e, per la prima
e unica volta in vita sua, Mary Jane era stata convocata dalla scuola
per il pessimo comportamento della figlia: Charleen era riuscita a
guadagnarsi un giorno di sospensione prendendosi per i capelli con
una compagna di classe. Non era stato difficile per SaSh capire in
difesa di chi si fosse battuta quella ragazzina che al metro e
cinquanta non arrivava nemmeno in punta di piedi e sì e no
pesava quaranta chili.
Un
pezzo dell'innocenza di Charleen era morto quel giorno.
Quella
sera anche Mary Jane aveva pianto a lungo, lasciando che il mascara
si sciogliesse sulle sue guance e le macchiasse la camicetta.
Non
era giusto che fosse sua figlia a pagare per le sciocchezze che lei
aveva fatto da giovane: né per il suo lavoro, né per il
pessimo padre che le aveva scelto. Un uomo sposato, che di figli ne
aveva già due e di lei e sua madre non voleva saperne.
SaSh
però non era donna da lasciarsi abbattere dalla tristezza o
dalla lingua lunga di qualche strega bigotta e, fiera come un
generale in guerra, continuava stoicamente a camminare a testa alta.
La sua Charleen faceva altrettanto o, almeno, riusciva a trovare
sufficiente forza per dare buona mostra di sè.
“Ma
che bisogno ci sarà mai di andarsi a presentare il primo di
settembre?” si chiese Charleen per l'ennesima volta.
Il
preside della St Mary's pretendeva di incontrare ogni nuovo alunno
scortato dalla famiglia. Che poi Charleen, a parte sua madre e zia
Rose, una famiglia non l'avesse affatto era poco rilevante.
“Cazzate
da scuola privata” constatò fra sè. “Dovrò
passare due anni fra queste quattro mura, ne avrà di tempo per
conoscermi questo vecchio cretino.”.
Beh
quattro mura...quella sì che era un'eresia bella e buona.
La
St Mary's non era esattamente “piccola” anche se in totale poteva
vantare appena duecento allievi. Nella sua vecchia scuola erano stati
almeno quattro volte tanto in un edificio grande nemmeno la metà.
Il college sorgeva in uno dei quartieri più belli della città
ed il campus era immerso nel verde.
Arrivando
in macchina aveva visto i campi da tennis ed una piscina all'aperto,
ma sul dépliant che SaSh aveva dimenticato in bagno c'era
scritto che ci fossero anche un campo da calcio in erba, una piscina
al coperto ed un'enorme palestra per pallavolo, basket e quant'altro.
Charleen era praticamente incapace di tenere una palla in mano senza
fare la figura dell'idiota, ma nuotare le era sempre piaciuto
parecchio.
Se
avesse voluto quel giorno avrebbe anche potuto visitare il dormitorio
e dare un'occhiata alle stanze ma, ansiosa com'era di terminare al
più presto quel supplizio, si era limitata ad un'occhiata
superficiale alla facciata della grande costruzione chiara in stile
vittoriano. Sapeva che le camere erano grandi e luminose ed ogni
alunno aveva una scrivania ed una libreria per sè, e
quest'informazione le era più che sufficiente. Aveva anche
dovuto compilare un modulo online dove le era stato chiesto se
preferisse una stanza singola (disponibile pagando un piccolo extra
ovviamente) o una doppia.
Lei
aveva deciso per la doppia sperando la aiutasse a fare più
velocemente amicizia e augurandosi che la sua compagna di stanza non
fosse troppo snob.
Aveva
quasi rimpianto la sua scelta quando cliccando su “doppia” si
era aperto un questionario assolutamente cretino per valutare la
compatibilità con la futura compagna. Aveva cercato di
rispondere, ma aveva rinunciato alla quinta domanda “ti senti
più un ghiro, un cavallo o un gatto?”.
Da
quel momento in poi si era messa a cliccare a caso con il mouse.
Non
troppo snob non lo aveva trovato da nessuna parte.
L'edificio
scolastico invece, era una struttura di gusto più moderno,
bianca e gialla con un grande patio all'ingresso e un parcheggio
immenso -al momento quasi vuoto- sulla destra.
La
costruzione era sobria ma davvero elegante, disegnata con gusto e
senza fronzoli. Sulla facciata crescevano rigogliose piante
rampicanti di edera ben curate e bouganville fiorite. Sopra il
portone d'ingresso era stato dipinto a tinte vivaci il simbolo
dell'istituto, con la vergine orante assisa su un trono di libri,
mentre sulle colonne che incorniciavano l'ingresso era riportato più
volte il motto della scuola in scritte che salivano a spirale,
attorcigliandosi in un delicato intreccio di minuscole lettere per
tutta la loro lunghezza, dalla base al capitello.
“semel
scholar, sempre scholar“
Anche
quella scritta sembrava sancire la sua inesorabile condanna.
Non
era possibile che quel pesante portone in palissando si smuovesse da
solo dai cardini, ma Charleen, appena si fu lasciata l'ingresso alla
spalle, potè giurare di averlo sentito inesorabilmente
chiudersi su di lei per intrappolarla per sempre.
***
Ok,
il suo nuovo preside conosceva sua madre.
E,
a giudicare dalla faccia sconvolta che aveva messo sù, non la
conosceva certo perchè era uno dei fan di “vanto di
passione”. Ma del resto chi, con un po' di sale in zucca, sarebbe
stato fan di una soap di quart'ordine come quella???
Purtroppo,
con un passato come il suo, bisognava che SaSh si accontentasse del
solito ruolo di amante e femme fatele che le appioppavano ogni volta
nei telefilm. Non avrebbe mai vinto l'Oscar, ma la pagavano davvero
troppo profumatamente per mettersi a protestare.
Mr
Fangboner stava ancora boccheggiando quando madre e figlia ultimarono
i saluti e le presentazioni di rito. Si riprese con un po' di sforzo
e balbettò qualcosa circa il “ci tengo a conoscere di
persona i nuovi allievi”.
...e
magari anche a conoscere intimamente
le loro madri, aggiunse per lui Charleen mentalmente.
Sua
madre e quel tizio, che Charleen, in quanto preside, aveva immaginato
decisamente più vecchio, iniziarono la solita tiritera su
“quant'è fornito il nostro laboratorio di chimica” e
“che splendidi voti ha sua figlia”...
Il
preside doveva decisamente abbassare il tiro e ammettere che alla St
Mary's ci tenevano a conoscere solo i genitori e la loro
dichiarazione dei redditi, perchè era chiaro come il sole che
dei figli non gliene importava pressoché niente visto che, da
quando era entrata, quei due non le rivolgeva praticamente la parola.
Charleen
si sentì legittimata ad estraniarsi fra i suoi pensieri.
Cercò
di trovare qualcosa di buono in quella “nuova avventura”,
come l'aveva ribattezzata sua madre, ma a parte il laboratorio di
chimica -nella sua vecchia scuola non avrebbe nemmeno saputo cosa
fosse una provetta se non fosse stato per le figure del libro- ma non
le venne in mente altro.
Valutò
se il fatto che il giovane matusa -età stimata nemmeno
quarant'anni- conoscesse SaSh potesse essere anche solo minimamente
una cosa positiva.
Se
aveva o aveva avuto certe pulsioni, significava che almeno un pochino
umano doveva esserlo....
Ci
pensò in po' meglio...
Occavolo!!!
Il preside della sua scuola si era probabilmente fatto una sega
pensando a sua madre!!!
Non
era decisamente una cosa positiva. A dirla tutta era anche piuttosto
disgustosa.
***
...your
mother
Quando
aveva aperto la porta dell'ufficio ritrovandosi davanti la bellissima
SaSh, che a più di quarant'anni era ancora indiscutibilmente
splendida, altissima e dal decoltè generoso, Mr Fangboner era
rimasto letteralmente basito. Per un attimo gli era sembrato di
essere finito in una delle indecenti fantasie che aveva immaginato da
adolescente.
Poteva
affermare con un certo compiacimento che era riuscito abilmente a
mascherare la propria sorpresa, e ad uscire dall'impasse in maniera
brillante, ma sebbene la sua ospite e la figlia si fossero congedate
da più di trenta minuti, era ancora sconvolto.
Non
è cosa da tutti i giorni incontrare la donna su cui, poco più
che adolescente, hai fantasticato a lungo. Se poi, pensando a quella
stessa donna e alle di lei performances, hai passato ore intere
chiuso in bagno, allora decisamente lo shock di Mr Fangboner era più
che giustificato.
Quella
che ora si faceva chiamare SaSh, ma che all'epoca era stata per lui
semplicemente “Jane”, fino a sedici anni prima era stata un'icona
sexy e il sogno erotico di un'intera generazione.
A
vent'anni Mary Jane Brown aveva debuttato nel mondo del cinema a luci
rosse con notevole successo di pubblico.
A
ventiquattro era rimasta incinta e aveva smesso di calcare le scene
-o almeno un certo tipo di scene- ma i suoi quattro anni di attività
erano davvero stati anni di folgorante e “onorata” carriera.
Non
sarebbe stato decisamente il caso di ammettere nella sua
prestigiosissima e morigeratissima scuola la figlia di una ex
porno-star, ma ,a quindici giorni dall'inizio dell'anno accademico,
respingere un'adesione già confermata avrebbe portato a
conseguenze legali piuttosto spiacevoli.
Non
ci andavano leggeri con la discriminazione verso i minori nel loro
Stato.
Mr
Fangboner era fregato: doveva per forza tenersi quella Charleen in
quarta B, fra i figli degli industriali, dei notai, degli
imprenditori e dei politici più in vista della città
Se
lo avessero scoperto...anzi, non appena lo avrebbero scoperto i
rappresentanti dei genitori avrebbero preteso il suo scalpo.
Urgeva un'idea per rimediare.
Mentre
aspettava l'illuminazione decise di ingannare l'attesa uccidendo
quell'incapace della sua segretaria che non sapeva nemmeno indagare
come si deve.
***
...the
Sycamore tree
-Uno
spritz, col Campari.- .
-Per
me un Negroni-
Sono
appena le dieci del mattino..., pensò il vecchio al banco
del bar.
Lui beveva solo un bicchiere di buon vino ad ogni pasto. Lo dicevano
anche al tg che faceva bene alla salute...
Il
Paese andrà in malora con questi giovani allo sbaraglio, senza
principi e senza ideali...
Quel
vecchio di grande levatura morale, che era sempre stato fedele ai
propri grandi principi e coerente con i propri ideali, non ebbe
nessuna remora a servire alcolici a qualcuno che forse l'età
per bere non l'aveva ancora raggiunta.
Gli
ideali a cui si riferiva dovevano essere quelli del denaro e del
guadagno evidentemente.
-Bella
gnocca comunque- ruggì d'approvazione Matt ripassando il
cellulare all'amico.
-Una
gran rompiscatole però- puntualizzò Liam -mi ha
tormentato per scattare questa foto...-spiegò.
Matt
annuì con un gesto pigro del capo e l'aria di chi
sull'argomento la sapeva lunga.
-Allora?-
chiese curioso.
-Allora
che?- domandò a sua volta il biondo fingendo di non capire.
-
Insomma ti sei dato una svegliata o no?- ululò in preda alla
curiosità.
Liam
non rispose, e quel silenzio stava chiaramente per un no.
-Ma
insomma!!!-sbottò Matt alzandosi teatralmente in piedi -che
cazzo sei una femmina che aspetta il principe azzurro???- sbraitò
esasperato allargando le braccia -Le donne gliela vogliono dare e lui
dice di no!!!- spiegò rivolto al liquido ambrato nel proprio
bicchiere.
Liam
increspò le labbra infastidito, mentre il barista si ritrovò
inconsapevolmente a scuotere la testa
I
giovani d'oggi non avevano più nemmeno un briciolo di
virilità...
-Almeno
ci hai fatto qualcosa?- domandò Mattew tornando a sedersi.
Per
la seconda volta nel giro di qualche minuto, a Liam non servirono
parole per farsi capire; bastò un ghigno.
-Meno
male!!!- soffiò il moro gettandosi sul cocktail nel vano
tentativo di dimenticare quella conversazione ai limiti dell'assurdo.
Il
barista, ancora impegnato ad impicciarsi dei fatti altrui, annuì
vigorosamente a testimoniare il proprio sincero plauso per quelle
parole.
E
meno male sì...
Ai
miei tempi...
L'essere
oggetto del pubblico ludibrio indispettì Liam Pittwighs
ulteriormente.
Che
cazzo, aveva sedici anni e tutto il tempo del mondo! Non era come
Matt, che pur di infilarsi fra le gambe di una donna non avrebbe
esitato a scoparsi un cesso con la parrucca...
E
poi se avesse voluto avrebbe avuto solo l'imbarazzo della scelta!!!
Ok,
forse non proprio l'imbarazzo...ammise, ma la possibilità
sicuramente non gli sarebbe mancata...
L'amico
intanto continuava il suo solitario monologo col ghiaccio di un
bicchiere vuoto.
-Finiscila,
te l'ho già spiegato- berciò -quella era una che andava
con tutti, che schifo...- sputò storcendo la bocca in una
smorfia di disgusto.
-Ma
farti mettere le mani nei pantaloni non ti faceva tanto schifo...-
ironizzò Matt salace.
-MATT!!!-
lo riprese, sentendosi un tantino osservato. Il vecchio barista
fingeva di riempire le zuccheriere, ma lui poteva giurare che non si
stesse perdendo una parola, come gli altri avventori del pub.
Ok,
fine della discussione, pensò
Matt. Poi tirò fuori una banconota e la poggiò sul
bancone.
-Offro
io.- disse.
Era
il suo modo di scusarsi.
Liam
che lo conosceva dalla culla lo sapeva bene.
Uscirono
in silenzio dal locale e si rimisero in macchina senza una parola. Il
biondo cercò il cd dei suoi adorati Queen dietro il sedile e
con Radio Ga Ga a palla mise in moto e si inserì nel
traffico, guidando un po' troppo veloce per le sue capacità.
-Hey,
a proposito...- fece Matt insinuante -lo sai vero che Freddie Mercury
era gay???- ghignò perfido.
Liam
rispose con un'occhiata assassina e rifilò all'amico una pacca
sulla schiena con tutta la forza del
braccio scolpito dallo sport.
Non
era veramente arrabbiato, sapeva che l'amico scherzava ed era
abbastanza sicuro della propria virilità da non sentirsi
troppo toccato dalla battuta.
Gli
dava fastidio però.
Matt
era l'unico a sapere della sua scomoda verginità: a scuola
non ci avrebbe creduto nessuno.
-Beh,
comunque male che và alla fine c'è sempre Claire...-
disse ancora Mattew che evidentemente cercava di farlo arrabbiare.
Claire,
una loro compagna di scuola. Del resto di ragazza “molto allegra”
ce n'è sempre una, in tutte le scuole del mondo. Come c'è
sempre il secchione sfigato e la tipa bellissima e irraggiungibile.
Il
cd non era ancora arrivato a Bohemian Rhapsody quando un gattino
nero, alla faccia di chi non è superstizioso, tagliò
loro la strada.
Fu
solo per evitare la creatura, e non certo per l'alcol che aveva in
corpo o per Matt che lo aveva distratto, che Liam Pittwighs sterzò
bruscamente. Le ruote sbandarono leggermente e l'auto salì sul
marciapiede, travolgendo nella sua corsa fuori controllo sedie e
tavolini, miracolosamente vuoti, di un bar vicino. Una donna
dall'altro lato della strada cacciò un urlo agghiacciato
mentre una delle sedie andava ad infrangere la vetrina del locale in
un tintinnio di vetri rotti e la porche nera dell'assessore
all'urbanistica procedeva ancora per qualche metro, andando infine a
schiantarsi dritta contro il tronco di un platano qualche metro più
avanti sollevando una nuvola di polvere. Uno stridio di freni e un
rumore sinistro di lamiere accartocciate riempirono il silenzio di
quella mattinata di un'estate ormai agli sgoccioli.
note
-
il titolo
è un palese riferimento alla serie televisiva statunitense
“How I met your mother”.
-
specifico
che la mia storia non è ambientata né negli USA
né da nessun'altra parte
-
giuro che
per accedere ai dormitori di alcuni campus universitari bisogna
compilare un test con alcune domande davvero bizzarre (ad esempio:
odi i fumatori o sei una ciminiera -io non fumo ma non per questo
voglio sparare ad ogni fumatore del pianeta-, che rapporto hai con
l'alcol, “sei un'allodola o un gufo”, scegli un colore fra
questi etc...)
-
ok...il
latino per me è un lontano ricordo, e l'ho rimosso non appena
ho messo piede fuori dal liceo (e dire che ero pure una secchiona)
inoltre sono sprovvista al momento di un vocabolario e google non ne
fornisce nessuno adeguato. Vi prego se ho sbagliato ditemelo!!!
-
Ho scelto
il Platano perchè ho da poco visto il film “Flipped”
di cui una buona parte della
trama ruota attorno ad un Sycamore tree. Se vi capita l'occasione
vedetelo è molto carino anche se non credo sia mai stato
tradotto in italiano.
|
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Capitolo 3 *** Meet me on the equinox ***
mary 3
St
Mary's College
capitolo 3
Meet
me on the equinox
(meet
me halfway)
Agatha Straighton
sbuffava come un mantice: i problemi in cui si ficcava il preside
Fangboner non erano affar suo. Lei veniva pagata profumatamente per
insegnare matematica e fisica e non era il tipo di persona da
considerare degno d'attenzione qualsiasi cosa esulasse dai numeri e
dalle formule. Fangboner poi non le era mai piaciuto: cercava sempre
di impedire la bocciatura dei rampolli delle famiglie più
danarose, e Agatha non era donna disposta a scendere a compromessi.
Il terrore che seminava in classe se lo era ben meritato e ne era
segretamente compiaciuta.
Anisley Rodriguez, la
prof. di Spagnolo, girava la testa a destra e a sinistra, come se fra
il preside e la collega si stesse disputando un incontro di tennis.
Fangboner aveva ammesso
alla St Mary's una nuova allieva che, per un motivo che non aveva
specificato, gli avrebbe procurato parecchie grane con i
rappresentanti dei genitori. Per salvarsi dalle loro ire pretendeva
dal corpo docente una trovata brillante, ed Anisley si era guardata
bene dal comunicargli che l'unica idea che al momento le venisse in
mente era provare con un “abracadabra” o scomodare
Qualcuno parecchio in alto, dato che quella era una scuola cattolica.
Quell'anima candida di
Clearwood, che invece di studiare lettere avrebbe fatto meglio a
ritirarsi in seminario, si stava scervellando da più di
mezz'ora, camminando avanti e indietro, dalla finestra alla porta
della presidenza, cercando una buona idea fra le mattonelle in cotto.
-Ce l'ho- trillò
Kristine Jacobs alzando il collo da una pila di documenti.
Era un miracolo che
Fangboner da quel collo taurino non le avesse ancora strappato via la
testa a morsi.
- Istiben Rileno Ramos-
-Esteban Relano Ramos- la
corresse Anisley con una perfetta pronuncia spagnola.
- Quello che è!-
la zittì il preside -Continua- aggiunse rivolto alla
segretaria.
-Sentite qua: un
punteggio quasi perfetto al test d'ingresso, una famiglia numerosa e
disastrata e un passato tristissimo alle spalle. E' semplicemente
perfetto!- squittì felice, pregustandosi già la
salvezza da morte certa.
-E' stato bocciato una
volta, ma lui ha scritto che non sapeva ancora parlare la nostra
lingua quando si sono trasferiti, e la madre lavora per i McKenzie,
una delle famiglie più rispettabili della città nonché
una di quelle che fa più donazioni alla scuola!- rivelò
con fare cospiratorio.
-Benissimo- ruggì
il preside – se dovesse venire fuori la storia della Shawade
diremo che l'abbiamo presa perchè il perdono e la possibilità
di redimersi non si nega a nessuno e altre sciocchezze del genere-
tacitò le proteste di Don Jeremy, il prof. di religione (a cui
stava per venire con colpo apoplettico e che era sul punto di urlare
all'eresia) con un gesto stizzito e continuò -e poi
propineremo loro la triste storia di questo ragazzo e della sua
famiglia- afferrò il foglio da sotto il naso della segretaria
e lesse :- il padre li ha abbandonati dopo che la mafia locale ha
messo fuoco al suo negozio, e poi ha anche una sorellina malata!!! I
rappresentanti mi faranno Santo subito.-
- Veramente c'è
scritto che la sorella è celiaca...non mi sembra che
l'allergia al glutine sia una malattia grave.- puntualizzò la
segretaria.
-Quisquilie- la rimbeccò
-loro non lo sanno e non uscirà da questa stanza. Signori- li
congedò- ci vediamo il quindici per la cerimonia di apertura.
Arrivederci-.
Mentre il corpo dicente,
mobilitato al gran completo, si ritirava dalla stanza Fangboner
esultò.
Ho avuto
un'idea geniale. Come sempre.
***
Charleen Shawade quella
mattina si era svegliata insolitamente presto, visto e considerato
che quelli erano gli ultimi giorni di vacanza.
Aveva aperto gli occhi
verso le nove e non c'era stato verso di tornare a dormire.
La verità era che
si sentiva inquieta, ma anche elettrizzata dalle novità che
l'avrebbero travolta fra meno di due settimane.
Avrebbe lasciato la
vecchia scuola e i pochi amici che si era fatta in quegli anni, e
avrebbe persino iniziato a vivere lontana da SaSh. Era sicura che sua
madre le sarebbe mancata molto visto che, nonostante i numerosi
impegni e la carriera da attrice trascinassero Mary Jane da un lato
all'altro del Paese, non erano mai state lontane per più di un
paio di giorni.
Sebbene quei pensieri la
intristissero e Charleen avesse fatto il diavolo a quattro pur di non
dover traslocare, era segretamente sollevata -ed anche un pochino
felice- all'idea di avere una chance di ricominciare tutto da capo in
una nuova scuola, dove nessuno l'avrebbe giudicata senza conoscerla,
dove non avrebbe dovuto darsi da fare per riscattare la reputazione
di sua madre, dove non sarebbe più stata l'alunna modello che
piaceva tanto ai professori e la secchiona che gli altri studenti
evitavano con tanta cura...
Forse
stava esagerando. Dopotutto non era mai stata popolare, era vero, ma
nemmeno invisibile o troppo vittima del bullismo dei compagni;
studiare le dava soddisfazione sebbene non le piacesse poi
tanto -come ad ogni normale adolescente- e probabilmente si sarebbe
data da fare indipendentemente dai trascorsi di sua madre.
E poi, per fortuna, il
mondo non è popolato esclusivamente da cretini...
Magari nella nuova scuola
si sarebbe fatta tanti amici e chissà... persino un fidanzato.
Sogna Charleen,
sogna...
Quanto ci avrebbero messo
i suoi nuovi compagni a riconoscere SaSh e a fare una bella ricerca
su google? Più o meno mezzo minuto.
Da quel momento in poi
sarebbero ricominciati quegli stupidi dispetti che la perseguitavano
dalle scuole medie. Scritte ignominiose sul banco e il numero di
telefono di casa loro a caratteri cubitali nel bagno dei maschi,
epiteti oltraggiosi per SaSh e commenti irripetibili su di lei. Fra i
tanti “troia come sua madre” era uno dei più
lusinghieri. Le cose poi sarebbero peggiorate con poster di Mary Jane
-giovane e seminuda- appesi un po' ovunque fra gli avvisi in bacheca
e le battutine acide alle sue spalle.
Fin da piccola Charleen
aveva dovuto sopportare i pregiudizi delle beghine verso SaSh, e
qualcuno anche verso quel fedifrago di suo padre, che aveva tradito
la moglie per poi trovarsi incastrato e con una figlia tra i piedi. A
loro aveva sempre risposto con un'educata indifferenza e un malcelato
disprezzo, e per chi superava il limite ci pensava la cicatrice di
Patty Robson, che spiccava ancora ben visibile sul suo mento, a
rimetterlo al suo posto.
C'erano
stati anche gli apprezzamenti maligni dei maschi a darle il
tomento e a rovinarle la vita: degli stupidi -e crudeli- adolescenti
in calore avevano scaricato via web i video di SaSh -dei video che
Charleen avrebbe voluto non vedere mai in tutta la sua vita- e li
avevano messi sotto gli occhi dell'intera classe.
Nel giro di una settimana
a Manuel Smith era stato sequestrato il cellulare, dato che qualcuno
aveva fatto notare che il regolamento dell'istituto per l'uso del
telefonino ne prevedeva la confisca immediata, mentre Jason Morgan
aveva dovuto formattare il computer dopo che si era riempito di virus
per un'email anonima.
Charleen doveva ancora
ringraziare adeguatamente Kelly per quella storia.
Un'altra categoria di
commenti che avevano bersagliato Charleen erano venuti invece dalle
ragazze. Dopo aver osservato schizzinose l'ennesima stampa osé
di SaSh, le perfide erano solite guardarla con occhio critico e ,
maligne, constatavano che lei e sua madre, almeno esteticamente, non
avevano proprio nulla in comune. A volte aggiungevano che era
proprio per la totale mancanza di una minima parvenza di bellezza che
Charleen dovesse studiare così tanto: se fosse stata almeno
passabile avrebbe potuto imparare a casa come guadagnare con poca
fatica, senza alcun bisogno di un titolo di studio.
Anche nella nuova scuola
si sarebbe svolto lo stesso copione, ne era sicura.
Anzi, forse in una scuola
cattolica sarebbe stato persino peggio!!!
“Non commettere atti
impuri” era una massima che conoscevano tutti, il perdono invece
era qualcosa che tendevano spesso a dimenticare.
Una soluzione a tutte
quelle paturnie sarebbe stata chiedere a SaSh di non mettere piede a
scuola, ma Charleen si vergognava anche di aver preso in
considerazione quella possibilità: non poteva nascondere sua
madre, l'amava troppo e sapeva che quel gesto l'avrebbe ferita.
Non si poteva negare
che in quel modo però nessuno avrebbe potuto risalire a lei
dato che avevano un cognome diverso...
Scacciò quel
pensiero molesto: non l'avrebbe fatto.
Non approvava le scelte e
il passato di sua madre, poiché in quello strano contesto in
cui era cresciuta Charleen era venuta fuori con una moralità
piuttosto bizzarra ma estremamente rigida e severa, ma non poteva
vergognarsi di lei.
Vedeva da sola quanto
Mary Jane dovesse faticare tutti i giorni per riabilitarsi-con scarse
possibilità di successo- ed era abbastanza matura da sapere
che il passato non si poteva cancellare in nessun modo.
Charleen conosceva bene
il dolore e l'umiliazione per l'altrui disprezzo e si guardava bene
dall'infliggerli a sua volta.
***
In uno dei quartieri più
periferici della città, Esteban, ancora davanti alla cassetta
della posta, apriva una busta sigillata e ne tirava fuori un foglio
di carta pregiata vergato da caratteri eleganti.
Col sorriso sulle labbra
tirò fuori un vecchio cellulare dai tasti consumati e chiamò
il vecchio proprietario del telefono, suo attuale datore di lavoro.
- Fammi le
congratulazioni!!!- urlò nella cornetta, mentre sua madre e le
sorelle si affacciavano sulla tromba delle scale, richiamate da quel
grido di giubilo.
***
mitt:
Charleen M. S.
“Qst
sera nn posso venire, faccio il trasloco :-(
Ci
ved dmn. Almeno fino a qnd nn
mi
trasferisco cercherò di venire sempre :-p
Ciao,
saluta Phil”
Louise rimise il
cellulare nella tasca del grembiule bianco e scoccò
un'occhiata al vecchio Phil che beveva da una ciotola col suo nome.
-Ti saluta Mary- disse
gettandogli un osso.
Il pastore tedesco
sollevò la testa di scatto e lo afferrò al volo.
Anche lui avrebbe sentito
la mancanza della piccola Charleen Mary Shawade, pensò
distrattamente Louise.
La conoscevano da quando
era bambina e Phil appena un cucciolo.
I genitori la mandavano a
studiare in un lager per ricconi dall'altro lato della città,
con i giorni d'uscita centellinati e il coprifuoco. Adesso come
avrebbero sbrigato tutto il lavoro alla mensa?
I volontari erano sempre
troppo pochi e c'era tanto da fare.
Le tornò in mente
la proposta di quel vecchio amico di suo zio, quel giudice con gli
occhiali e la pelata.
Con una mezza idea su chi
avrebbe potuto sbrigare il lavoro compose il numero sul display.
Un paio di braccia in
più facevano sempre comodo, anche se erano quelle di un
minorenne scapestrato e diverso ogni tot. di tempo.
***
Andrew Pittwighs era
arrabbiatissimo.
Purtroppo per lui, in
pubblico non poteva permettersi il lusso di dare in escandescenze. Si
limitò a trascinare Liam fuori dal tribunale per un braccio,
infischiandosene delle sue proteste -era ancora piuttosto dolorante-
e dei rimbrotti della moglie.
Lavinia Hardcraft e
consorte non avevano il suo stesso problema e per questo urlavano un
po' tutto il repertorio degli insulti umanamente conosciuti verso
Matt, che invece veniva trascinato per un orecchio visto che
momentaneamente era ingessato dal metacarpo in sù.
Andrew non capiva perchè
gli Hardcraft, amici di vecchia data e sostenitori della sua campagna
elettorale, fossero così arrabbiati. Matt e suo figlio erano
due irresponsabili, ma non era stato Mattew a mettersi alla guida
col tasso alcolico superiore al limite di legge e non avrebbe subito
nessuna conseguenza!
I suoi lo avevano portato
al processo solo perchè il figlio aveva insistito tanto per
stare vicino all'amico.
Amicizia, lealtà...
o un altro qualsiasi degli insulsi ideali da giovani sognatori che
Andrew non ricordava più, ma era abbastanza sicuro di aver
nutrito anche lui tanto tempo prima.
Mentre apriva la portiera
dell'auto presa a noleggio -la sua era ridotta ad un ammasso informe
di lamiera- poteva ancora sentire Arthur e Lavinia strillare
“idiota”, “potevate uccidere qualcuno”e “se
vi foste ammazzati?!?”.
Più o meno le
stesse cose che sua moglie aveva sbraitato in ospedale, per tutto il
tempo che c'era voluto per fare le lastre, la tac e parlare col
primario.
Andrew non la capiva
proprio la rabbia di quei tre: lo sapevano tutti che bastava
pochissimo alcol perchè quelle macchinette infernali
segnalassero un abuso. Liam e Matt non erano stati davvero in
pericolo e comunque in quel momento, a parte qualche ammaccatura,
scoppiavano di salute. Perchè sfasciarsi la testa con i se
e con i forse?
Quella che era
irrimediabilmente compromessa era la sua rielezione: se si fosse
venuto a sapere dell'incidente, quelli dell'opposizione avrebbero
stappato champagne!!!
In quel momento però,
quello che rodeva di più ad Andew era stato quel ciccione
calvo assiso, come un sovrano incoronato, sotto la scritta “la
legge è uguale per tutti”. Trincerandosi dietro un
martelletto di legno, il giudice se ne era fregato bellamente della
posizione dell'assessore Pittwighs e dei tentativi del suo avvocato
di risolvere pacificamente la cosa con una sanzione pecuniaria!
Invece di insabbiare la cosa il prima possibile,
quel...quel...grassone aveva condannato lui ad una
multa salata, e suo figlio a dieci giorni di lavori
socialmente utili!
Fantastico, il modo
migliore perchè un Pittwighs passasse inosservato.
***
Lo guardavano male tutti,
dall'alto in basso e con la puzza sotto il naso.
Quei supponenti
perfettini, che si forgiavano del titolo di volontari,
pensavano di essere cavalieri senza macchia e dalla scintillante
armatura, persone generose e caritatevoli a prestare servizio in una
mensa per i poveri!
Notizia dell'ultima ora:
non lo erano affatto. Non con lui almeno.
-Insomma avete capito
tutti?- tuonò risoluta il donnone che rispondeva al nome di
Louise -Liam starà con noi dieci giorni per la sua punizione.
Gli ho spiegato cosa fare, ma voi cercate di aiutarlo se serve.-
concluse col tono di chi non ammetteva repliche.
Poi iniziò ad
impartire comandi a destra e a manca come un generale in guerra e
alla fine ordinò: -Aprite le porte!!!-.
Da quel momento si
scatenò il delirio.
§§§
La mensa era un locale
squallido, ma grande e pulito. Louise, che stava dietro ai fornelli,
ci teneva molto all'igiene e gli aveva ficcato in testa una cuffietta
bianca e un grembiulone macchiato di sugo attorno alla vita.
Se non altro -per la
gioia di suo padre- con quell'infamante mise non lo avrebbero
riconosciuto facilmente. Del resto chi mai avrebbe potuto pensare di
trovare il figlio dell'assessore all'urbanistica in un posto del
genere?
Di sicuro nessuno fra i
barboni pidocchiosi sospettava che lui fosse un Pittwighs e non
doveva crederlo nemmeno l'ubriaco puzzolente che aveva vomitato in
bagno.
Era toccato a lui
pulire...
Per fortuna un manico di
scopa con l'acne e il naso lungo -Timoty gli sembrava- era rimasto
talmente indignato dalla sua incapacità che gli aveva dato una
mano. Peccato lo avesse fatto con un cipiglio di tale superiorità
che Liam si era ben guardato dal ringraziarlo.
Non era certo colpa
sua se non aveva mai preso in mano il bastone dello straccio!
I “poveri” generici e
impersonali di cui Liam aveva sentito tanto parlare sui giornali e
alla tv, erano decisamente diversi da quelli che aveva davanti. Era
stato bello e anche un pochino appagante comprare le cartoline
dell'unicef a Natale, e anche regalare i suoi vestiti smessi alle
suorine che erano passate a chiederne a casa loro.
Era un po' diverso
sentirsi nobili e altruisti con un pentolone in mano e costretti a
servire centinaia di coperti a quei pezzenti avventori che, invece di
ringraziarlo, erano freddi e ostili!
Qualcuno, mentre riempiva
i piatti di zuppa, aveva addirittura girato il viso per non guardarlo
in faccia, mentre il “vù cumprà” gli aveva
domandato almeno venti volte se quella nel suo piatto fosse carne di
maiale.
Aveva risposto di no,
sebbene non ne avesse la minima idea.
Cos'è, adesso
facevano pure gli schizzinosi?
Dopo due ore di lavoro
frenetico, Liam era stremato e coi nervi a pezzi: i volontari non gli
avevano rivolto la parola se non per dargli ordini, Louise aveva
dimenticato che la schiavitù era stata abolita nel 1865 e una
donna sporca gli aveva fatto lavare un contenitore unto e appiccicoso
per potersi riportare a casa un po' di avanzi.
Quando l'ennesima persona
seduta su una delle panche di legno, alla sua cortese domanda “
vuole fare il bis?”, voltò la faccia dandogli le spalle,
Liam sentì che sarebbe esploso.
Non si era aspettato che
qualcuno gli si gettasse ai piedi per ringraziarlo, ma quelli mica lo
sapevano che lui era un “volontario coatto”, quindi che
bisogno c'era di essere tanto maleducati?!?!
Per loro era un
volontario e basta, non avrebbero dovuto mostrarsi riconoscenti e
grati, magari dirgli grazie o almeno rivolgergli la parola?
Stava già per
aprire la bocca e lasciare uscire qualche insulto irripetibile,
quando una voce dolce alle sue spalle bisbigliò piano al suo
orecchio:
-Non lo fa per
offenderti. Si vergogna.-.
Si girò e vide una
ragazzina dai profondi occhi verdi sorridergli.
Un angelo.
-Sei nuovo?- gli chiese
mostrando una fila di denti bianchi. Lui annuì con la testa.
-Liam- si presentò.
La fanciulla di fronte a
lui era piccola e minuta, con lunghissimi capelli castani e il nasino
all'insù. Piuttosto carina, se non fosse stato per quegli
occhiali enormi e lo sguardo imbambolato.
Era vestita in modo
bizzarro, considerò con un'occhiata, ma non era certamente una
degli indigenti e dei postulanti della mensa. Prima però, fra
i volontari, non l'aveva vista e le mancava l'orrenda cuffietta.
-E' sempre difficile in
primo giorno, poi ti abitui.- cercò timidamente di consolarlo,
dimenticando di presentarsi a sua volta.
Abituarmi a questo?
Per fortuna in dieci giorni non ne avrò il tempo, ragionò
Liam.
Si rese conto che lei
doveva averlo scambiato per un nuovo volontario ma non si prese la
briga di correggere le supposizioni errate dell'unica persona gentile
con lui dal giorno dell'incidente. Si lasciò trascinare dal
piccolo angelo in un angoletto un pò appartato dal grande
stanzone.
-Non devi prendertela se
si girano dall'altra parte e se nascondono il viso appena ti
avvicini: non ti conoscono e non si fidano. Alcuni si vergognano di
essere costretti a venire qui, di dipendere dalla carità delle
altre persone. Si sentono feriti nell'orgoglio e non vogliono farsi
riconoscere.- spiegò impacciata- Alcuni poi sono arrabbiati
perchè con loro la vita è stata ingiusta e magari ce
l'hanno anche un po' con noi che ci atteggiamo a paladini della
giustizia ma non sappiamo nulla della loro sofferenza. Farai bene a
non aspettarti una pioggia di grazie anche se qualcuno ti sarà
grato, ma in maniera più discreta-.
Come se me ne
importasse qualcosa, specificò Liam mentalmente.
-Tu comunque...beh- disse
la ragazzina arrossendo appena- ...ecco- tentennò ancora –
se accetti un consiglio non dovresti andare in giro con quello- disse
alludendo al prezioso orologio al suo polso- per tanti motivi...ah-
aggiunse per cambiare rapidamente argomento, vergognandosi per
essersi permessa tanta confidenza con uno sconosciuto -ricordati che
i mussulmani non mangiano la carne di maiale!!!-.
-Comunque, se vuoi fare
due chiacchiere, sappi che alcuni senzatetto sono piuttosto
divertenti, specie quando non sono brilli! Potrebbero diventare
violenti...- s'incupì per un attimo per poi voltarsi verso uno
dei tavoli più vicini.
-Quello per esempio-
disse accennando ad un omino rubicondo con la barba lunga – si fa
chiamare Pancho , ma non credo sia il suo vero nome. Viene dalla
Russia e sa un sacco di barzellette!!! E poi è stato in un
mucchio di posti... Quello che gli siede vicino era un professore di
economia all'università e quando è sobrio ha davvero
molto da insegnare. Elias invece suona magnificamente il violino e
credo abbia una famiglia da qualche parte.- e mentre parlava indicò
lo strumento ai piedi di un uomo col cappello.- I clochard si
lasciano conoscere un po' più facilmente degli altri perchè
di solito non si vergognano di essere qui. Credo che per qualcuno che
ha perso tutto o per quei vecchietti che hanno lavorato tutta la vita
ma che con la pensione non arrivano a fine mese sia più
difficile accettare la compassione e l'aiuto altrui.-.
Quella ragazzina
sembrava timida, ma appena le si dava corda non la smetteva più
di parlare.
-A volte qualcuno fra i
più giovani da anche una mano in cambio di qualche spicciolo,
ma prima di prendere iniziative è meglio chiedere a Louise.
Lei è in gamba e sa sempre chi potrebbe spendere tutti i soldi
in alcolici.-
Louise? La negriera?
L'angelo gli aveva appena detto che poteva pagare un pidocchioso
barbone per farlo pulire al suo posto e uccideva la sua euforia
nominando il suo carceriere?
-Ah, li vedi quei due?-
disse illuminandosi la sua interlocutrice -Sono Helen e Curt. Stanno
insieme e si sono conosciuti qui!- raccontò orgogliosa come se
lei fosse un piccolo Cupido e la mensa un locale alla moda e non, al
massimo, una squallida casa d'appuntamenti.
-Mary che ci fai qui?-
Louise, che l'aveva sempre chiamata col suo secondo nome, la fissava
sorpresa da dietro una pila di stoviglie.
-Ho finito prima del
previsto!- Ti do una mano con i piatti-disse rivolta alla donna. Poi
la ragazza salutò Liam con un cenno e sparì nelle
cucine.
§§§
Dopo l'incontro con
quella ragazza, la sua giornata era decisamente migliorata, pensò
Liam mentre, a piedi, lasciava la mensa.
Mary era carina, non
bellissima, ma decisamente graziosa e aveva degli occhi stupendi.
E poi era stata
davvero gentile.
Era
anche piuttosto sveglia, riflettè.
Quando due beoni si erano
messi e litigare era riuscita a separarli senza alzare un dito,
mandandoli al tappeto con un'arringa brillante.
Per un attimo Liam aveva
temuto che con la sua ridicola statura, Mary, che era arrivata di
corsa richiamata degli urli, volesse pararsi in mezzo ai due
litiganti. Invece si era messa a sbraitare qualcosa in spagnolo coi
le mani sui fianchi e la faccia scura.
Era ancora perso fra quei
pensieri e fra le riflessioni che le poche frasi scambiate con
quell'insolita tipa avevano risvegliato in lui, quando un uomo, che
non riuscì a vedere in faccia per il buio, sbucò da un
angolo sbarrandogli la strada.
Dal nulla si
materializzarono altre due figure minacciose che lo circondarono. Una
lo afferrò da dietro tappandogli la bocca mentre gli altri due
assalitori cercavano di bloccargli gambe e braccia.
Liam era forte, alto e
muscoloso per la sua età, ma aveva solo sedici anni ed era
ancora ammaccato e dolorante per l'incidente.
Potè solo avere la
soddisfazione di rifilare qualche pugno ben piazzato e sentire il
più grosso lamentarsi per il dolore, prima di ricevere un
calcio in pieno stomaco e rotolare sull'asfalto.
Gli rubarono il
portafoglio, il cellulare e l'orologio al suo polso.
Un magro bottino a suo
parere, ma evidentemente non tutti dovevano pensarla come lui.
Alcuni dei motivi a cui
alludeva Mary quella sera li aveva appena capiti a sue spese, gli
altri l'avrebbe pregata di dirglieli il giorno dopo.
***
In quello stesso momento
la cameretta di Ashley McKenzie era vuota ed una rivista di moda
dalle pagine satinate era aperta sul letto. Un taglierino giaceva sul
pavimento ricoperto da ritagli delle passerelle parigine più
prestigiose. L'artefice di quel disordine era in bagno e vomitava la
cena nel water.
***
note
-
-Agli
equinozi il sole sorge precisamente ad est e tramonta precisamente
ad ovest, ovunque.
La lunghezza del giorno eguaglia la lunghezza
della notte.
-
-Il
titolo del cap. è una canzone dei Death Cab for Cutie
-
che
sia ben chiaro: Charleen non è perfetta, soffre molto per
essere vittima dell'altrui pregiudizio, ma è piena di
pregiudizi anche lei, e questo SaSh lo sa bene.
-
Non
esiste una data precisa per l'abolizione della schiavitù
poiché ogni Stato l'ha abolita in un anno diverso
(addirittura l'ultimo stato, la Mauritania, l'ha abolita nel 1980).
Nel 1948 è stata dichiarata illegale dalle Nazioni Unite , ma
Liam, da bravo materialista e figlio di un politico altrettanto
materialista, con questa data indica quando la schiavitù è
ufficialmente finita negli Stati Uniti al termine della Guerra di
secessione. Probabilmente Liam la storia la vede dalla parte dei più
ricchi...
-
-
attenzione Ashley non è anoressica o bulimica. O
almeno non lo è ancora... la sua è piuttosto una
situazione a rischio. Comunque questo argomento sarà
affrontato e ripreso con dovizia di particolari più in là,
ma sin da ora possiamo riconoscere alcuni dei tratti distintivi
della personalità di un soggetto anoressico: la tendenza ad
autoimporsi una rigida disciplina e ad imporla agli altri, la
ricerca della perfezione, e poi, ovviamente, il controllo maniacale
per la dieta. Cercate di entrare nell'ottica che il soggetto affetto
da questo disturbo non è un soggetto dalla personalità
fragile come quello bulimico, che si lascia in un certo senso
“sopraffare” dalle richieste del corpo per il cibo e poi dal
senso di colpa per aver mangiato troppo. L'anoressico, e più
spesso l'anoressica, è molto spesso una ragazza dalla “forte”
personalità- contrariamente da quel che dipingono tv e
telefilm- con una grande forza di volontà con il desiderio
forte per il controllo, un controllo esasperato fino al punto da
voler predominare con la testa sul corpo. Ovviamente questo non vuol
dire che il soggetto anoressico non abbia le sue debolezze e
fragilità, assolutamente,o che non siano vere tutte quelle
cose che sappiamo tutti...cmq questa è una storia leggera,
senza la pretesa di sviscera questi temi o insegnare qualcosa, sia
ben chiaro.
|
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Capitolo 4 *** Saudade ***
mary 4
Attenzione:
vi ricordo che il nome completo di Charleen è Charleen Mary
Shawade, ma mentre tutti la conoscono come Charleen o Charlie,
alla mensa Loiuse la chiama Mary e Liam è convinto che questo sia il
suo nome. Buona Lettura.... :-p
St
Mary's College
capitolo
4
Saudade
Da
quando suo padre li aveva abbandonati -”avevano divorziato”,
ripeteva sua madre- la vita per Esteban era stata un inferno.
Aveva
quattordici anni e la sua non era mai stata una famiglia ricca, ma a
Maiquetia era stato discretamente felice - per quanto possa
ragionevolmente esserlo nella vita una qualsiasi persona - e non gli
era mancato mai nulla.
Era
proprio dal divorzio che erano iniziati i problemi: avevano cambiato
casa due volte in un anno, spostandosi alla periferia di Caracas, e
sua sorella aveva smesso di andare all'università per trovare
lavoro, mentre sua madre, in lacrime, la scongiurava di ripensarci,
rassicurandoli tutti che presto le cose sarebbero migliorate.
Le
cose però non erano migliorate affatto e mentre la signora Ramos
-non più Robledo- si arrabattava tra mille lavori che le
prosciugavano le forze e le energie, Rodrigo, suo fratello maggiore,
aveva annunciato le proprie nozze e si era sposato nel giro di un
paio di mesi.
Esteban
non si era mai sentito più solo e più tradito.
Sua
madre e Fernanda erano sempre a lavoro, suo fratello aveva una nuova
casa ed una nuova famiglia e suo padre...beh, suo padre era lui
stesso a non volerlo vedere. Possibilmente mai più per tutta la
vita.
Esteban
ed Eva si erano ritrovati spesso da soli in casa, e mentre la
piccolina delle famiglia continuava a studiare e a fare i compiti,
lui si era messo a saltare la scuola e ad andarsene a zonzo senza
meta per interi pomeriggi.
Poi
un giorno sua madre era crollata e l'avevano portata in ospedale. Si
era strapazzata troppo, aveva detto il medico.
Si
era sentito un verme: mentre tutta la sua famiglia si dava da fare e
cercava di guardare avanti, lui si era intestardito nel suo dolore e,
rancoroso, aveva continuato a sbattere i piedi come un bambino che
rifiutava la realtà facendo preoccupare tutti.
Dal
giorno del ricovero, Esteban aveva cercato, con tutta la buona
volontà possibile, di reagire e aveva disperatamente tentato di non
farsi bocciare. A scuola non era mai andato troppo male, sebbene non
fosse una cima, ma quell'anno aveva accumulato moltissime assenze e
riuscire a recuperare era stata un'impresa quasi impossibile. Tutti i
suoi sforzi dell'ultima ora lo avevano salvato, ma l'anno dopo le
lacune accumulate, insieme alle difficoltà di una lingua
sconosciuta, lo avevano condannato inesorabilmente alla bocciatura.
Non
avrebbe mai dimenticato sua madre che davanti ai quadri si asciugava
le lacrime, mentre quella stessa sera sua sorella lo aveva rincorso
attorno al tavolo della cucina, brandendo in una mano il cucchiaio di
legno sporco di sugo.
Non
avrebbe mai dimenticato nemmeno la cena di due anni prima, c'erano
anche suo fratello e la moglie, e sua madre aveva dato la notizia:
nel giro di qualche mese si sarebbero trasferiti tutti in un altro
paese poiché una lontana parente (che Esteban non aveva mai sentito
nominare ma con cui Catalina intratteneva una fitta corrispondenza)
le aveva trovato un posto da cameriera davvero ben pagato. Rodrigo
ormai aveva una nuova famiglia ma lui, Eva e Fernanda non potevano
essere più pronti a partire. A dimenticare.
Non
gli era dispiaciuto lasciarsi tutto alle spalle, anche se a volte gli
mancavano i luoghi dove era cresciuto e i nonni, mentre una lingua
aspra, sferzante e sconosciuta gli feriva le orecchie. Qualche volta
gli mancava anche suo padre, ma non lo avrebbe mai ammesso. E del
resto non ne era del tutto sicuro.
Dopo
il trasloco lui ed Eva avevano ripreso a frequentare la scuola e si
erano impegnati tanto, imparando la nuova lingua in pochi mesi e
studiando come disperati. Purtroppo non sempre l'impegno ripaga, e
nella vita serve anche una buona dose di fortuna, sufficiente almeno
ad evitare insegnanti zelanti e ottusi. Evidentemente Esteban doveva
aver esaurito tutta la scorta di “culo” disponibile col
miracoloso salvataggio dell'anno precedente, e nella nuova scuola si
era ritrovato per la seconda volta a studiare il piano cartesiano e
ad approfondire di nuovo Keats e Byron, vittima di una professoressa
di letteratura troppo puntigliosa per qualcuno che nella sua materia
era, a tutti gli effetti, un principiante.
Adesso
era uno studente discreto, disilluso ma con una media ragionevolmente
soddisfacente, e aveva imparato a sue spese quanto a volte solo un
numero valga qualcosa.
Però
era dannatamente stanco. Stanco di dover lottare e di sentirsi un
relitto trascinato dalla corrente, alla deriva.
Voleva
di più.
Lo
aveva capito quando aveva visto il luccicante scintillio della villa
dove prestava servizio sua madre la prima volta che l'aveva
accompagnata al lavoro.
Gli
altri domestici gli avevano raccontato che la figlia del padrone, una
ragazza bellissima con gli occhi scuri e boccoli di miele,
frequentava una scuola prestigiosa, una scuola per ricchi, di quelle
che preparano la gene che conta.
Ci
sarebbe andato anche lui in quella maledetta St. Mary's, a qualsiasi
costo.
Con
la mente ancora persa fra quei ricordi, Esteban finì di
impacchettare le poche cose che avrebbe portato con se nella nuova
scuola. Chiuse il cartone col nastro adesivo e si chiese, speranzoso,
se l'istruzione e l'impegno fossero sufficienti nella vita per
diventare qualcuno. Poi, solo per un attimo, si interrogò su cosa
esattamente volesse dire per lui essere qualcuno.
***
In
quegli ultimi giorni di - meritata - vacanza, Liam Pittwighs temette
seriamente di perdere la voce per scarso utilizzo. Le ore di lavoro
socialmente utile a cui era stato condannato per “guida in stato di
ebbrezza” le trascorreva quasi tutte senza aprir bocca. Iniziava
seriamente a credere che avrebbe potuto disimparare a parlare e si
chiese più volte come fosse possibile sentirsi così solo quando tra
volontari, giovani del servizio civile, barboni e indigenti
assortiti, fosse costantemente circondato da almeno cento persone.
Matt
latitava ed aveva a malapena trovato il tempo di mandargli un
messaggio su facebook per avvertirlo di essere stato messo a sua
volta in punizione dai genitori e di essere stato privato di computer
e cellulare. Come avesse fatto a collegarsi a facebook Liam proprio
non lo sapeva, ma conosceva l'amico abbastanza da immaginarne le sue
infinite risorse quando si ficcava in testa di fare qualcosa. Che non
fosse qualcosa di buono, ovviamente.
Con
l'eccezione di un vecchio cane zoppo e di Mary, alla mensa tutti si
comportavano come fosse stato perfettamente trasparente.
Liam
si presentava da Louise verso le otto del mattino, quando la donna
apriva, e restava lì fino alle dieci di sera quando i pavimenti
erano lustri e le stoviglie impilate in bell'ordine. Mary si faceva
vedere alternativamente a pranzo o a cena ed evidentemente nessuno
aveva pensato ad informarla che il “ragazzo nuovo” fosse il
figlio dell'assessore Pittwighs, nonché un “pessimo soggetto”
condannato a scontare lì la sua condanna, visto che lei continuava a
cercarlo con un sorriso radioso sulle labbra.
Mary
con il passare dei giorni non gli sembrava più bella come gli era
parsa la prima volta che l'aveva vista, ma in compenso era
insolitamente affascinato dalla sua incredibile personalità.
Non
era sicuro che quell'attrazione, per lui del tutto nuova e
sconosciuta, fosse esattamente quella di un uomo per una donna e non
soltanto un'insana e morbosa curiosità per un qualcuno di totalmente
alieno al suo modo. Continuava comunque a pensare che quella piccola
creatura occhialuta fosse piuttosto graziosa e avrebbe potuto
facilmente passare da graziosa a molto carina nel suo indice di
gradimento se solo si fosse liberata degli occhiali e della retina
per capelli, e se si fosse vestita un po' meglio. O anche soltanto se
si fosse svestita un po'...
Anche
lui però, che di solito poteva vantare un discreto successo con
l'altro sesso, col grembiule a righe e gli abiti smessi che sua madre
lo aveva costretto ad indossare dopo lo spiacevole agguato del primo
giorno, non faceva una gran bella figura: il suo sex appeal poteva
contare al momento unicamente sugli occhi azzurri e la bocca carnosa,
visto che i capelli biondi e mossi, fra cui le ragazze amavano tanto
passare le dita, erano nascosti da un ridicolo berretto igienico
bianco almeno dieci ore su ventiquattro.
Con
Mary si era ritrovato a parlare di tutto e di niente, nei momenti di
pausa o mentre servivano i coperti o asciugavano i piatti.
La
ragazza alternava momenti di silenzio a conversazioni esplosive e
sconclusionate. Saltava di pali in frasca non riuscendo a concludere
un discorso, e sembrava appena scappata dal mondo delle favole o da
un cartone animato, con quel suo modo insolito di parlare e di
muoversi. Mary non camminava, scivolava sul pavimento in punta di
piedi, come se non avesse peso alcuno, sorrideva moltissimo anche
quando non ce n'era alcun bisogno e riusciva ad infervorarsi anche
sul più infimo dei discorsi. Liam doveva ammettere di averla
osservata a lungo, ma in effetti non aveva poi molto da fare...
O
meglio da fare ne aveva eccome, ma lavare i tavoli e passare lo
straccio non riuscivano a tenergli impegnata la mente. Quindi si era
dato allo spionaggio, scoprendosi sempre più avido della presenza
di quel folletto ricoperto di braccialettini colorati e curioso di
conoscerla. Smaniava dalla voglia di chiacchierare con lei e non
sapeva se fosse perché era la prima volta che si ritrovava a parlare
tanto con una ragazza o perché la sua interlocutrice fosse proprio
quella ragazza. Era piacevolmente sorpreso e compiaciuto di
vedere che anche Mary sembrava ricambiare l'interesse e si divertisse
a parlare con lui e poi, col passare dei giorni i turni della ragazza
diventavano inspiegabilmente più lunghi e lei si tratteneva alla
mensa sempre un po' più di tempo ogni giorno.
Non
aveva mai pensato di poter passare del tempo con una ragazza in quel
modo. E nemmeno con un altro essere umano. Con Matt parlava
moltissimo, ma a volte il loro era solo un esercizio di gola fatto di
parole vuote...
Lui
e Mary invece riuscivano a chiacchierare delle cose più futili e
sciocche o di quelle più serie e importanti senza annoiarsi o
sentirsi in imbarazzo. La cosa più strana era che si era trovato
bene con lei persino in silenzio, quando erano entrambi troppo
stanchi persino per aprire bocca.
Si
trovava a suo agio con quella tipa forse perché sapeva che lei non
lo conosceva, anzi non conosceva Liam Pittwighs, e che non si
sarebbero mai più rivisti dopo quei dieci giorni.
A
volte si era trovato a pensare che non vedere più Mary gli sarebbe
quasi dispiaciuto. Quasi.
***
Susanne
Lorelei Donnelly rischiava seriamente di venir detronizzata dalla
carica di “migliore amica” di Ashley McKenzie.
Dal
primo Settembre a quella parte si era installata in pianta stabile a
casa della ragazza con la scusa di copiare i compiti delle vacanze di
Ashley, ed era riuscita persino a farsi ospitare per un paio di
notti. Aveva addirittura trovato il barbaro coraggio di lamentarsi
perché il vitto, a suo parere, era scarso.
La
sua -ormai quasi ex- migliore amica l'aveva guardata sgranando gli
occhi e pensando che era decisamente una fortuna che i McKenzie
fossero miliardari, altrimenti quel pozzo senza fondo di Susie li
avrebbe mandati sul lastrico con l'aspirapolvere che si ritrovava al
posto della bocca. Il solo guardarla ingozzarsi aveva chiuso
ulteriormente lo stomaco di Ashley, che già di suo non aveva mai un
grande appetito.
Dopo
quattro giorni di inutili appostamenti e ricognizioni in tutta la
casa per scovare Catalina ed estorcerle - con l'aria più falsamente
innocente del suo repertorio - informazioni sul figlio, Ashley
cominciava ad essere davvero stanca di giocare all'agente segreto:
con tutte quelle spedizioni punitive e i pedinamenti si sentiva molto
007 , e pensare che lei non avrebbe accettato di fingersi nemmeno una
Bond girl! Nutriva troppe perplessità sullo stato della manicure e
della messa in piega di donne che si agitavano in quel modo, per non
parlare dell'indecenza di quei ridicoli pezzetti di stoffa che a
stento arrivavano a coprire loro il sedere...
Non
sopportava inoltre che Susie trasgredisse le regole dell'amor cortese
e del corteggiamento cavalleresco e spendesse tutte quelle energie ad
inseguire un uomo. Se almeno tutto quell'agitarsi fosse servito a
farle rispettare la dieta o a bruciare calorie, avrebbe anche potuto
soprassedere, ma le pene d'amore dirottavano la sua rossa verso chili
di gelato e dolci alla nutella.
Di
fronte a tutte le sue rimostranze sull'etichetta delle strategie di
conquista, Susanne si limitava a scrollare le spalle e a ribattere
che per migliore amica non aveva una persona ma il decalogo del buon
costume e una lista infinita di regole e precetti. Intimandole di
essere meno rigida e inflessibile, Susie le ordinava per l'ennesima
volta di andare a procacciare informazioni su Esteban Relano Ramos
dalle cameriere.
La
maggior parte delle volte, per non sentirla più, Ashley dalle
cameriere ci andava davvero, ma si limitava a chiedere di servirle
del succo di frutta -senza zucchero aggiunto- o dell'acqua minerale.
Poi tornava nelle retrovie dicendo che Catalina era irreperibile e
che il resto del personale di servizio conosceva Esteban solo di
vista.
Le
dispiaceva molto dire bugie, ma se avesse fatto troppe domande
qualcuno avrebbe pensato che quella interessata ad Esteban fosse
lei!!! E Ashley preferiva evitare accuratamente il diffondersi di una
simile falsità.
Il
neonato amore di Susie era ormai destinato a seccarsi molto presto
sotto il sole cocente di mezzogiorno per la mancanza d'informazioni,
quando gli sforzi della fanciulla vennero ricompensati dalla visione
del tanto sospirato e bramato Esteban che, come nei più consueti
cliché da pubblicità coca-cola, in pantaloncini e maglietta
attillata, lavava una delle automobili dei McKenzie, sotto la
supervisione di Igor, l'autista di famiglia.
Esteban
reggeva la pompa in una mano e scuoteva la testa per scrollare via
l'acqua dai capelli, la maglietta umida gli si era incollata alla
pelle e persino Ashley rimase impressionata da cotanta visione.
Quel
ragazzo era davvero sexy in quel momento, con quell'aspetto selvaggio
e indomabile di chi ha vissuto sempre libero e all'aria aperta,
abituato a fregarsene del protocollo e dell'etichetta.
Non
era bello nemmeno la metà di Liam o Matt, i ragazzi più carini del
loro anno, ma con la pelle scura e un accenno di barba, era
decisamente uno spettacolo affascinante per gli occhi.
Sembrava
più grande dei suoi diciassette anni. Non era più un ragazzo:
Esteban era un uomo.
“Possibile
abbia solo un anno più di me?”si chiese la biondissima McKenzie.
Susie
era troppo occupata ad asciugarsi la bava che le colava dalle labbra
per proferire verbo, ma quando finalmente il suo cuore si riprese da
quella visione da infarto mormorò:
-Ma
allora era vero quello che diceva Ines! ogni tanto accetta davvero
qualche lavoretto alla villa!.-.
Probabilmente
a casa sua dovevano avere davvero bisogno di soldi, dedusse Ashley,
ma non trovò sorprendente nulla da replicare mentre seguiva Susie
che marciava spedita verso il ragazzo.
***
Erano
le cinque del pomeriggio e Charleen Shawade e Liam Pittwighs avevano
appena finito di riordinare dopo il pranzo e si godevano il sole
tiepido degli ultimi giorni d'estate, prima di ricominciare a
lavorare per la cena.
Quel
giorno Charleen aveva deciso di restare più a lungo visto che c'era
da fare più del solito in previsione della festa di sabato per i
vent'anni dall'inaugurazione della mensa.
Forse
quel giorno era rimasta più a lungo anche per il ragazzo nuovo.
Nel
giro di una settimana si sarebbe trasferita dall'altro lato della
città e da qual momento in poi in quel posto, che sentiva un po'
casa sua, non avrebbe più messo piede, se non per uno sporadico
salutino a Louise e due coccole a Phil.
Le
dispiaceva davvero moltissimo lasciare i volontari e le dispiaceva
ancora di più da quando finalmente conosceva qualcuno di veramente
interessante in quella mensa doveva aveva passato i pomeriggi
dall'età di undici anni.
Ma
del resto anche Liam sarebbe tornato a scuola e probabilmente non
avrebbe avuto in ogni caso tutto quel tempo per stare con lei.
-
Sei sulla stessa pagina da dieci minuti - notò ad alta voce il
ragazzo alle sue spalle. Era appoggiato pigramente alla parete, con
una sigaretta fra le labbra e le mani in tasca. Si era tolto la
cuffietta e i capelli gli ricadevano disordinati sulla fronte.
E'
bello, pensò Charleen.
Si
chiese come mai non lo avesse notato prima, ma del resto non era mai
stata una persona che facesse troppo caso all'aspetto. Le erano
sempre piaciuti tipi bruttissimi; era molto più spesso attratta da
una risata contagiosa, da una prontezza di spirito fuori dal comune o
dall'intensità di uno sguardo che da un bel viso. Una volta si era
presa una sbandata pazzesca per un ragazzo sfigurato dall'acne e
un'altra volta per un tipo con l'apparecchio.
Ovviamente
non si era mai potuta permettere il lusso di raccontare a qualcuno le
sue paturnie sentimentali, e lasciava che il suo interesse morisse da
solo, spegnendosi nell'oblio del non detto. Essere la figlia di SaSh
non era fardello facile da portarsi appresso.
Se
fosse stata troppo espansiva con i ragazzi, Charleen si sarebbe
guadagnata il biasimo altrui molto più facilmente delle coetanee, e
non tutti i ragazzi avrebbero potuto sopportare di avere una
fidanzatina universalmente ritenuta poco seria e tollerare il fuoco
di fila dei compagni e le prese in giro a cui una “fidanzata” del
genere li avrebbe condannati. O forse si sbagliava di grosso, ma non
aveva intenzione di rischiare, di farsi ferire.
Charleen
non sapeva se Liam le piacesse o le potesse piacere, ma per la prima
volta in tutta la sua vita, per un istante, si era sentita attratta
da una persona per il suo aspetto, o meglio da un ragazzo in quanto
tale, semplicemente per il suo essere un uomo.
Avvampò
per l'imbarazzo di quei pensieri molesti e inopportuni e distolse in
fretta lo sguardo posandolo sul giornale che stringeva fra le mani.
Il
suo rossore doveva essere del tutto fuori luogo visto che Liam inarcò
un sopracciglio perplesso.
-Cosa
leggi?- le chiese curioso, gettando a terra il mozzicone della
sigaretta e lasciandosi cadere al suo fianco sulla panchina.
“Allarme
nucleare” titolava la prima pagina.
Il
giorno prima avevano battibeccato per un'ora visto che lei era per il
totale smantellamento delle centrali e la demonizzazione dell'uranio
e lui invece la pensava in tutt'altro modo.
Voltò
diplomaticamente la pagina e lesse a caso il primo titolo che le
passò sotto gli occhi.
-“Alla
fine della guerra tra i vinti faceva la fame la povera gente, tra i
vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente” - scandì ad
alta voce.
L'articolo
si apriva con la citazione di Brecht, prima di tirare fuori i soliti
e abusati numeri di morti, feriti, dispersi che a furia di venire
ripetuti facevano dimenticare di star parlando di persone e non di
statistiche e dati.
Charleen
sospettò che anche su quell'argomento lei e Liam avessero delle idee
parecchio diverse e si preparò mentalmente un'arringa brillante per
convertirlo - o almeno per provare a convertirlo - alla causa
pacifista.
Era
bello litigare con lui.
Ed
era ancora più bello che Liam e Charleen, due persone
diametralmente opposte, incontrandosi nello stesso luogo, per i
motivi più diversi, si trovassero inspiegabilmente ad andare
d'accordo.
Entrambi
finalmente liberi, per una volta, da tutte le loro maschere, o forse
entrambi impegnati a costruire maschere nuove e un'immagine di sé
migliore di quanto fosse in realtà.
Ma
anche questo era bello, solo che Charleen non poteva saperlo.
note:
-
Maiquetia
è una città realmente esistente. Si affaccia sul Mar dei Caraibi,
è vicinissima a Caracas e qui si trova l'aeroporto internazionale.
-
Saudade
è un termine che deriva dalla cultura
portoghese
e
poi brasiliana,
che indica una forma di malinconia,
un sentimento affine alla nostalgia.
Etimologicamente,
deriva dal latino
solitùdo,
solitudinis, solitudine, isolamento e salutare,salutatione, saluto.
In
alcune accezioni la saudade
è
una specie di ricordo nostalgico, affettivo di un bene speciale che
è assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o di
possederlo. In molti casi una dimensione quasi mistica, come
accettazione del passato e fede nel futuro.
|
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Capitolo 5 *** get this party started ***
st mary 5
St
Mary's College
capitolo
5
Get
this party started
Gli ultimi giorni
d'estate Ashley li aveva passati con la piccola Melanie.
Anche se quando
pasticciava coi suoi rossetti sui muri di casa l'avrebbe volentieri
strozzata, la primogenita dei McKenzie adorava sua sorella e voleva
approfittare di quegli ultimi giorni a casa per viziarla un po'.
L'aveva quindi portata al mare e a giocare da un'amichetta
dell'asilo, e si era persino sorbita due interminabili ore di cartone
animato al cinema.
Susie era sparita dalla
circolazione poiché i genitori l'avevano trascinata alla villa al
lago, e non aveva nemmeno fatto in tempo a sentirne la mancanza che
l'amica le aveva già inviato almeno tre email per informarla dei
risultati del suo appuntamento galante.
Esteban aveva invitato
Sue, Ashley e persino la
piccola Mel a prendere un gelato, ed
era divertentissimo scoprire che preferiva cocco e
stracciatella, almeno quanto
l'allegra costatazione che Susanne, troppo concentrata sui
propri deliri e paturnie amorose, si era dimenticata addirittura il
“come stai?” di rito, compensando con venti pagine su quanto
Esteban fosse stato gentile e di come i suoi addominali trasparissero
da sotto la maglietta.
Chissà come l'aveva
presa lui quando invece di ritrovarsi tre ragazze davanti se ne era
presentata una sola …
Probabilmente la Strega
aveva tralasciato di raccontargli, tra un tentativo di seduzione e
l'altro, che avesse addirittura fatto piangere Mel quando aveva loro
gentilmente intimato di restarsene a casa!
Anche la sua sorellina
infatti era caduta vittima del fascino di Esteban, che la chiamava
“mia piccola Lady” e non la trattava come una mocciosetta di
cinque anni, e quando Susie aveva provato a convincerla ad
accontentarsi di un gelato confezionato - direttamente prelevato dal
freezer di casa loro - al posto di quello artigianale del
centro, dove avevano gli smarties le coppette con topolino, Mel era
scoppiata in lacrime. Ovviamente Susie non si era lasciata commuovere
e all'appuntamento era andata da sola, mentre Ashley aveva il suo bel
da fare coi peluches di
Winnie-pooh.
Forse Esteban era stato
contento di quella romantica trovata, pensò acida: avrebbe
speso meno comprando un gelato solo...ma probabilmente ci aveva messo
poco a ricredersi appena scoperte le abitudini fagocitarie di
Susanne, augurandosi che si fosse presentata lei al suo
posto...Ashley il gelato non lo avrebbe mangiato proprio!!!
Si alzò dal divano, dove
aveva passato le ultime due ore, e spense la TV, proprio mentre Blair
sorprendeva Chuck a letto con Rebecca. Quel pomeriggio nemmeno la
milionesima replica della sua serie preferita riusciva ad
interessarle...
Marciò dritta filata in
camera di Melanie per proporle una visitina da “Armani under 10”.
Forse lo shopping non
rendeva felici, ma di sicuro sortiva un effetto calmante sui suoi
nervi.
***
Esteban saliva i gradini
a due a due, canticchiando fra sé un vecchio successo tirato fuori
da chissà dove. Era insolitamente allegro per qualcuno
coercitivamente spedito a fare la spesa - giusto per sottolineare che
nemmeno in vacanza il lusso di poltrire, così come come ogni altro
possibile e superfluo lusso, gli fosse concesso - e trascinava due
sporte rigonfie.
Susie era simpatica,
ma iniziava a sospettare che quello che volesse da lui non fosse
esattamente amicizia. Doveva stare attento a non darle false
speranze, visto che non era interessato...
Pensava distrattamente a
lei, ad Ashley, alla nuova scuola e anche ad un migliaio di altre
cose... tranne a quel che stava facendo e dovette armeggiare a lungo
con la serratura prima di beccare la chiave giusta nel mazzo.
Era felice Esteban,
felice come non ricordava di essere da lungo tempo. Finalmente le
cose iniziavano a girare nel verso giusto.
Entrò
in casa e ad accoglierlo trovò solo una lettera sul tavolo, molto
diversa da quella elegante e filigranata di qualche giorno prima.
Lasciò
cadere le buste del supermercato a terra e l'afferrò con mani
tremanti ma decise; fissò a lungo il mittente, con lo sguardo
vacuo e gli occhi spenti.
Poi, senza neppure
aprirla, la stracciò in mille pezzi e lasciò un cimitero di resti
di carta sulla tovaglia, a monito di tutto il suo rancore e il suo
disprezzo.
***
Com'erano arrivati a
parlare d'amore?
Ricordava per sommi capi
di avergli raccontato qualcosa sui libri che aveva amato di più e
che lui aveva fatto altrettanto, rivelando quanto fossero discordati
le loro opinioni persino in materia di classici e letture, poi Liam
aveva detto che amava molto il basket e che faceva parte della
squadra della sua scuola, mentre lei aveva cincischiato qualcosa
sulla sua sviscerata passione per la matematica e la scienza,
facendolo scoppiare a ridere per tutto il genuino entusiasmo che ci
aveva messo nello spiegargli il
paradosso dei gemelli di Einstein. Lei invece lo aveva preso
in giro quando il ragazzo aveva confessato che da piccolo piangeva
davanti a Pinocchio e poi si erano messi a parlare dei rispettivi
compagni di classe e lui aveva fatto una battutina - assai poco
gentile ma sincera - sui tartagliamenti di Alice, la figlia della
prof. di storia, e Charleen aveva ammesso di aver avuto una cotta
stratosferica per un bambino balbuziente ai tempi della seconda
elementare.
Adesso si stavano
addentrando nella palude infida e limacciosa delle relazioni amorose.
-Qualche storia, ma mai
niente di serio. Non sono molto fortunato...- ironizzò Liam senza
scendere nei dettagli.
Anche se era evidente che
si aspettasse un commento da parte di Mary ed un accenno alle sue
relazioni passate o presenti per ricambiarlo della confidenza,
Charleen si limitò ad un sintetico -Non sono fidanzata -.
Del resto era la pura
verità e lei a quella conversazione non aveva davvero nulla da
aggiungere: la fama di SaSh bastava da sola ad allontanare dalla sua
vita qualsiasi accenno di romanticismo o una qualsiasi altra forma di
relazione con esponenti dell'altro sesso che andasse oltre
un'amicizia superficiale.
A volte Charleen era
addirittura arrivata a pensare che per certi versi, la tanto
criticata moralità di SaSh le avesse fatto un favore: se non altro
poteva attribuire a quella la totale mancanza di attenzioni maschili,
scacciando via i fantasmi spiacevoli del dubbio di non essere lei
abbastanza. Abbastanza attraente, abbastanza bella, abbastanza
simpatica.
Un assordante silenzio
piombò su di loro, mentre le orecchie di entrambi assorbivano le sue
ultime parole, sospese nel silenzio profanato solo dal sibilo delle
bombolette spray.
Stavano scrivendo
“happy birthday” su un vecchio lenzuolo, dove Charleen
aveva disegnato una torta con 20 candeline: il giorno dopo sarebbe
stato sabato 13 Settembre e alla mensa si preparavano da settimane ad
una festa in grande stile per il compleanno del centro. Louise non
stava più nella pelle ed aveva addirittura attrezzato un letto in
una delle stanze del piano di sopra (che di solito fungevano da
ripostiglio) visto che ormai praticamente dormiva nella mensa per
tutto il lavoro che c'era da fare fra bibite, rinfresco e grandi
pulizie.
I volontari erano
indaffaratissimi e alcuni dei clochards si erano offerti per dare una
mano. Elias avrebbe suonato qualcosa per rallegrare la serata mentre
Ronnie aveva fatto i calcoli delle spese e dato qualche dritta su
come risparmiare -vista la sua esperienza in materia- sulle bevande
alcoliche, opportunamente annacquate da due zelantissime cuoche del
servizio civile. Alì, il venditore ambulante, di alcol non capiva
nulla e non poteva berne, ma in compenso aveva preparato delle
specialità del suo paese da servire al rinfresco. Charleen e Liam ne
avevano trafugato di straforo una parte, ma dopo aver assaggiato un
paio di involtini colorati erano piuttosto scettici che quel
miscuglio di cacao e paprica fosse commestibile. Anche il ragazzo
alla fine si era fatto trascinare da quel clima di festa e
dall'euforia dilagante, specie osservando i sorrisi che Mary regalava
a destra e a manca, e aveva portato metà della sua collezione di cd.
Antony, uno dei volontari più anziani, si era proposto come DJ, ma
visto che aveva almeno 70 anni, Liam e Charleen gli avevano dato
qualche dritta per non ritrovarsi a ballare il tuca tuca per
tutta la serata e lui aveva promesso, prendendoli in giro, che dopo
l'alligalli e il ballo del qua qua, ci sarebbe stato
posto anche per Pink Floyd, Ramones e Led Zeppelin, visto che dopo il
liscio sarebbero stati tutti KO e troppo stanchi per ballare
ancora.
Qualcuno aveva portato
dei dolci fatti in casa, qualcun'altro aveva regalato succhi di
frutta, bicchieri e piattini di plastica e qualcun'altro ancora aveva
portato una bombola di elio per gonfiare i palloncini e un paio di
volontari facevano gli stupidi respirandolo e divertendosi a parlare
con la voce da paperino.
Charleen li guardò
scuotendo la testa. A volte gli adulti erano dei tali bambini...
-Hey lagazzi – li
chiamò la vocetta acuta di Hiroko, che veniva dal Giappone e non era
mai riuscita a pronunciare la “r” -Potete appendele voi lo
stliscione fuoli? Va messo fla i pali dei due lampioni.-.
I due annuirono, felici
di avere una scusa per smettere di starsene in quel silenzio
imbarazzato.
Charleen arrotolò il
lenzuolo controllando che la vernice fosse asciutta, e Liam prese del
cordino ammucchiato in un angolo.
***
Era ufficiale: Susanne
Donnely odiava la villa sul lago. L'estate si moriva di caldo e
pullulava di zanzare!
Susanne era l'unica
figlia dei proprietari di una catena di pasticcerie con alle spalle
secoli di tradizione dolciaria, ma in quel momento avrebbe dato metà
del patrimonio di famiglia per una granita o un semplicissimo
ghiacciolo al limone....o per un briciolo del fascino di Ashley
McKenzie.
Lei ed Ashley erano
amiche dalla terza elementare, anche se la bellissima McKenzie era un
po' troppo rigida e formale, tenacemente abbarbicata sulle proprie
posizioni e anche un pelino prepotente. Ma era comunque una bella
persona ed un'ottima amica, e per questo Susie le era davvero
affezionata.
A otto anni era stato
semplice andare d'accordo, ma con il tempo essere “l'amica
grassottella ed insignificante” di Ashley McKenzie, iniziava a
diventare un peso: viveva costantemente nella sua ombra e brillare di
luce riflessa non le bastava più.
La sua migliore amica era
una delle ragazze più belle e popolari della scuola, corteggiata da
tutti ed invidiata dalle allieve più grandi, una ballerina classica
eccellente e collezionava il massimo dei voti in letteratura e
storia.
Come se tanta sfacciata
bellezza e perfezione non fossero stati abbastanza irritanti per chi
ne era pressoché privo, quello che a Susie faceva davvero rabbia era
il pensare, alle volte, di essere un'amica davvero troppo comoda
per “Sua Maestà Ashley”.
Sua
Signoria infatti pretendeva di controllarle la vita, di
scegliere al suo posto cosa fare, cosa dire, i vestiti, la musica,
quale ragazzo frequentare e quante calorie potesse permettersi in un
giorno, e lei le aveva sempre permesso di farlo, senza protestare.
Le voleva bene, davvero,
e sapeva che Ashley lo faceva per il suo bene - qualunque cosa
intendesse con questa parola - ma a volte era esasperante!
Con la storia di Esteban
poi si stava raggiungendo il limite: per qualche strano e miracoloso
motivo quel ragazzo, contrariamente al resto dell'universo maschile,
non sembrava interessato alla sua amica, ma Sua Altezza Reale aveva
decretato che Esteban non le piaceva e cercava di metterle i bastoni
fra le ruote in tutti i modi possibili.
Aveva forse paura che
qualcuno potesse trovarla attraente e preferirla alla sua amica
prepotente e dispotica?
Questa volta Susie era
determinata. Voleva Esteban e se lo sarebbe preso.
***
- “Ragazzi potete
appendere voi lo stliscione”?!?!- Liam scimmiottò Hiroko
con la voce in falsetto -La fa facile lei- brontolò accigliandosi.
Si passò una mano sulla fronte madida di sudore e gettò un'occhiata
a Mary che teneva il lenzuolo fra le braccia.
I pali dei lampioni
all'ingresso erano lisci e senza sporgenze; non c'era verso di
tenere su lo striscione ed era da più di mezz'ora che s'ingegnavano
cercando di trovare un modo per farlo stare fermo e possibilmente
anche dritto.
Charleen ricambiò a sua
volta l'occhiata, forse con una punta di fastidio per quel modo
sprezzante di prendere in giro le persone, ma decise
inconsapevolmente di ignorare la sua coscienza e tornò a fissare i
due pali.
Erano levigati e sottili
e anche se avessero fissato le corde al meglio, con tutta probabilità
il giorno seguente avrebbero trovato un mucchietto di stoffa a terra,
visto che il peso dello striscione trascinava giù i loro nodi. I due
lampioni però avevano in alto una specie di sporgenza, una sorta di
sportellino che probabilmente serviva ai tecnici per la manutenzione.
Se avessero fissato le corde in quel punto, probabilmente avrebbero
retto più a lungo.
Il problema era che al
momento non avevano una scala a disposizione.
Forse Charleen avrebbe
potuto chiedere a SaSh di procurargliene una o tornare a casa a
prenderla, ma non voleva assolutamente correre il rischio che Liam e
sua madre si conoscessero, per questo si limitò a puntare il dito
verso la sporgenza e ad indicarla a Liam.
Il ragazzo valutò se in
piedi su una sedia avrebbe potuto arrivarci, ma gli mancavano almeno
una decina di centimetri.
- Dovresti salirmi sulle
spalle e legarlo tu - disse a Mary, mentre appoggiava una sedia
contro la base del palo.
- Potei cadere e farmi
parecchio male - chiosò Charleen non proprio entusiasta all'idea di
salire sulla schiena di qualcuno in equilibrio precario su una sedia,
ma gli si avvicinò comunque fiduciosa con un angolo del lenzuolo
stretto fra le dita.
Liam si accovacciò a
terra lasciando che la ragazza appoggiasse le mani sulle sue spalle e
poi gli passasse le gambe attorno al collo, poi le appoggiò le mani
sulle cosce perché non cadesse mentre si tirava in piedi. Quel
giorno Mary aveva messo dei pantaloni al ginocchio per lavorare
comoda e Liam le sfiorò con le dita la pelle calda e morbida delle
gambe.
Forse lui era abituato ad
una vicinanza simile con una ragazza, ma Charleen, che al massimo era
arrivata a sedersi accanto ad un compagno di banco, sentì che le sue
mani le bruciavano sulla carne delicata e si sentì avvampare. Era
una vera fortuna che in quella posizione lui non potesse vederla in
faccia.
Ma anche il ragazzo sotto
di lei non era a suo agio, e avvertì distintamente il suo
irrigidirsi al contatto.
Liam la tenne sulle
spalle per diversi minuti mentre la ragazza sistemava con mani
insolitamente maldestre il lenzuolo e lo fissava prima su un lampione
e poi su un altro. Quando finalmente Mary scese e si allontanò di
qualche passo, Liam ringraziò mentalmente tutti i santi del
calendario, e anche qualcuno di sua invenzione.
Finalmente quel supplizio
era finito: non si era mai sentito tanto a disagio ed imbarazzato in
tutta la sua vita.
***
Ahmed Hossain si fissò
nello specchio. Era un ragazzo nerboruto e nient'affatto bello.
I primini dicevano che
era un prepotente, ma nessuno aveva mai trovato abbastanza coraggio
per dirglielo in faccia e dall'alto del suo metro e novanta, bastava
che li guardasse male per farli fuggire a gambe levate.
Le ragazze non lo
veneravano come facevano con Matt e Liam, ma un paio di ragazzine
degli anni inferiori erano state ben contente delle avances di un
Hossain, una famiglia molto in vista nella city.
Anche se molti
continuavano ad additare suo padre e i suoi modi grezzi come quelli
di un parvenu e ad escluderlo dai salotti dell'élite cittadina,
quegli stessi spocchiosi aristocratici erano i primi a rivolgersi a
lui e al suo denaro con lusinghe e salamelecchi non appena i loro
affari lo richiedevano.
Quando Monsur a soli 19
anni era emigrato dal Bangladesh, fra le recriminazioni del padre e
le lacrime delle sue 4 mogli, in tasca aveva appena qualche taka e il
passaporto.
Appena trasferitosi aveva
fatto il lavapiatti e il cameriere, poi il cuoco e un po' di tempo
dopo aveva aperto un chioschetto di kebab. In breve tempo, e con gli
agganci giusti, aveva raccolto abbastanza denaro per aprire un locale
in centro e farne un ristorante etnico da gambero rosso. Le cose gli
erano andate sempre meglio e grazie alla sua scaltrezza, al fiuto per
gli affari e, perché no, grazie anche ad una certa mancanza di
scrupoli, si era ritrovato con un piccolo impero fra le mani ed una
moglie bengalese come sarebbe tanto piaciuta ai suoi.
Il nonno di Ahmed invece
viveva ancora in una baracca e non aveva voluto accettare nemmeno un
centesimo dal figlio. Non era mai stato a trovarli, troppo spaventato
dalla prospettiva che la corruzione dell'Occidente avrebbe potuto
contagiarlo, e probabilmente era meglio per tutti che non sospettasse
mai che suo nipote non avesse mai aperto il Corano.
-Quindi è ancora in
vacanza coi suoi?- chiese con finta noncuranza. -No no, Matt: ero
solo curioso di sapere che fine avesse fatto, visto che non risponde
al cellulare... - non che tu invece ti sia reso esattamente
rintracciabile, aggiunse mentalmente. -Ok, dai... ci sentiamo poi
per i dettagli, comunque la maggior parte della spesa è fatta. Ti
richiamo, ciao.- salutò buttando buttando giù il telefono.
Matt mi ha mentito,
pensò tristemente. Suo padre gli aveva detto di aver incontrato
l'assessore Pittwighs e signora proprio quella mattina...quindi di
certo Liam non poteva essere in vacanza con loro.
Lo irritava a morte che
quei due, nonostante gli anni di amicizia continuassero ad
escluderlo.
Capitolo
un po' di passaggio...nel prossimo ne vedremo delle belle.
Il
titolo è una canzone di Pink.
-
i
nomi dei personaggi del telefilm sono messi a caso, ma ovviamente
c'è un richiamo a “Gossip Girl” (però non avendolo mai visto
ho inventato di sana pianta la trama!!! E anche Rebecca...non credo
ce ne sia una...).
-
La
taka è la moneta del Bangladesh.
|
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Capitolo 6 *** Don't stop me now ***
xx
St
Mary's College
capitolo
6
Don't
stop me now
Le
luci basse e lo stereo che suonava le note di un vecchio successo
anni '60, un ritmo orecchiabile e già sentito. Persino troppe volte.
Alcuni
invitati ballavano timidamente al centro della grossa stanza che di
solito fungeva da refettorio, mentre una coppia più temeraria delle
altre si esibiva nell'imitazione malriuscita di Fred e Ginger,
travolgendo i vicini nei propri incauti volteggi. Gli altri si
radunavano in piccoli manipoli e gruppetti ciarlieri, e all'esterno
Phil correva libero, rischiando di far inciampare qualche vecchietto.
I
volontari avevano portato via le panche basse e spostato i tavoli
contro le pareti facendo spazio nel mezzo, mentre sulle tovaglie
colorate tartine variopinte e cocktail fruttati venivano presi
d'assalto.
Loiuse
si godeva i complimenti per tutti quegli anni di sacrifici e le sue
guance erano di un delizioso color ciliegia, Tim e Alec cercavano di
scucire a potenziali finanziatori promesse di donazioni e Alì stava
come un falco a controllare che tutti assaggiassero le delizie che
aveva preparato con le sue mani.
Liam,
pigramente appoggiate con le spalle contro il muro, si godeva in
prima fila lo spettacolo dei degustatori che fuggivano a gambe
levate verso il bagno dopo un incontro ravvicinato con la sua torta
killer rafano & datteri. Un accostamento micidiale.
Per
quell'occasione aveva avuto il permesso di indossare quel che più
gli piaceva e quello, insieme al fatto che il 13 settembre fosse
l'ultimo giorno di condanna, era decisamente un evento da
festeggiare. Aveva quindi optato per un paio di jeans - che di
economico non avevano nemmeno la cerniera lampo - e una camicia
bianca, che risaltavano le spalle ed il fisico magro ma atletico.
Peccato che in quella folla di sconosciuti non riuscisse a scovare
Mary da nessuna parte.
***
-
Ti prego, ti prego, ti prego – scongiurò di nuovo Charleen – Non
truccarmi come un semaforo vestito a festa! – implorò sua madre,
che per la terza volta cercava di avvicinarsi con l'applicatore del
mascara.
-Ho
capito Charlie, ora però sta ferma!- le intimò SaSh mezzo
esasperata e mezzo divertita.
Aveva
finito le riprese un po' più tardi del solito e quando era tornata a
casa l'aveva trovata sottosopra, sconquassata dall'uragano Katrina.
Parecchi
vestiti erano stati tolti dal suo armadio e da quello della figlia e
stavano ammonticchiati sui letti o pendevano dalla balaustra delle
scale. Scarpe di vari modelli e colori erano state tirate fuori dalle
scatole e lasciate sul pavimento, mentre un cimitero di forcine,
fermagli per capelli e bigiotteria assortita giaceva sul ripiano del
bagno, travolto dalla furia degli elementi. Charleen invece era
davanti allo specchio e cercava di darsi fuoco ai capelli, a
giudicare da quanto accanimento metteva nel ripassare la piastra per
capelli più volte sulla stessa ciocca.
A
giudicare dal numero di fazzolettini sparsi sul pavimento e
dall'occhio destro con ben due centimetri di nero sulla palpebra, sua
figlia aveva tentato anche di truccarsi - e di struccarsi - senza
troppi risultati.
SaSh
le tolse il ferro caldo dalle mani - per evitare che a quindici anni
restasse precocemente calva - e facendole notare che i capelli erano
già sufficientemente lisci, andò a ripescare qualche salvietta
struccante e la trousse con i colori più tenui che avesse.
Esaminò
con occhio critico il vestito un po' retrò che Charleen aveva scelto
e i saldali bassi ai suoi piedi, e dopo averle dato la sua
approvazione si premurò di andarle a nascondere gli occhiali in
fondo ad un cassetto: sua figlia era cieca come una talpa, ma in casa
avevano una nutrita collezione di lenti a contatto ancora sigillate.
Finalmente era giunto il momento di usarle.
Dopo
averle prestato una delle sue collane, SaSh si era offerta di
truccarla un po'. Difficilmente riusciva a rendersi utile ad una
divoratrice di libri con la passione per i Grandi Problemi del Mondo,
considerò, ma almeno quello poteva farlo.
Nonostante
avesse fatto tutte quelle storie per un po' di ombretto ed un tratto
di matita nera, Charleen stava davvero benissimo. L'abitino era un
po' vuoto sul davanti (SaSh si appuntò mentalmente di regalarle un
push-up alla prima occasione) ma per il resto era molto graziosa,
non troppo elegante ma decisamente carina.
L'accompagnò
fino alla mensa a piedi ed estorcendole la promessa di non fare la
strada di ritorno da sola, la salutò senza preoccuparsi di darle un
orario per il coprifuoco. SaSh non era mai stata molto incline alle
regole e cercava di imporne il meno possibile, anche perché Charleen
se ne imponeva abbastanza da sola; sua figlia poi, le poche volte che
usciva di sera, rincasava sempre prestissimo e per qualsiasi problema
le mandava un messaggio sul cellulare. Sospirò tirando fuori le
chiavi dalla borsa: a volte la genetica aveva un bizzarro senso
dell'umorismo.
Col
cuore in gola ed un'inspiegabile ansia, Charleen si presentò alla
festa ormai iniziata da un pezzo.
Liam,
elegante e bellissimo nella sua camicia leggera, stava appoggiato
contro la parete, con un bicchiere stretto in una mano e l'altra
abbandonata mollemente su un fianco. Avvicinandosi notò che si
guardava freneticamente intorno.
Cercherà
me? Si chiese lusingata da quel pensiero.
Poi
finalmente lui la vide, dall'altro lato della sala e sopra la calca
dei ballerini. Le scoccò un'occhiata ammirata e le rivolse il
sorriso più bello che avesse mai visto.
***
-
Posso entrare? - chiese sua madre bussando alla porta.
Poteva
davvero vietarglielo?, si chiese Esteban considerando che quello
dove lui ed Eva dormivano in realtà era il salotto di casa e loro
due si limitavano ad aprirvi due lettini pieghevoli la sera e a farli
sparire nel ripostiglio la mattina dopo.
-
No, non puoi. - sibilò alla porta chiusa.
Catalina,
pallida e con le occhiaie, entrò comunque.
Sua
madre lavorava come un mulo e, anche se il trasferimento aveva
portato notevoli miglioramenti alle loro vite, avevano una casa
minuscola con solo due stanze per dormire ed un bagno da dividere in
quattro. Le scale del palazzo puzzavano di piscio di gatto ma
l'appartamento che avevano preso in affitto, per quanto semplice e
spoglio, era arredata con grazia ed il frigo rigurgitava di cose
buone. Fernanda si era iscritta di nuovo all'università e le avevano
addirittura riconosciuto qualche esame. Certo, prima studiava per
diventare medico mentre adesso non poteva aspirare a niente di più
di un onesto lavoro da infermiera, ma era comunque meglio che
arrabattarsi fra mille lavoretti saltuari per tutta la vita.
Guardò
sua madre che si accomodava sulla poltrona di fronte a lui e si
chiese se sarebbero sempre stati destinati ad accontentarsi degli
avanzi che la vita offriva, o se quelli come loro avrebbero mai
potuto permettersi il lusso di sognare.
-
Esteban - esordì sua madre con voce bassa e stanca.
-
NON. DIFENDERLO!!! - sbraitò lui interrompendola e gridandole
addosso.
-
Non lo stavo...- provò a ribattere ragionevole la donna.
-
Oh sì che lo stavi facendo. Lo fai sempre! - la rimbeccò lui.
La
madre lo fissò con un cipiglio severo, esausta ma perfettamente
controllata.
-
Ok, scusa. Parla - soffiò il ragazzo mentre sentiva quel vortice di
rabbia repressa che lo aveva tenuto in piedi abbandonarlo come una
vela a cui manca improvvisamente il vento.
-
Non ti dirò che non sono arrabbiata con tuo padre. Sarebbe una
bugia. Però non ti dirò nemmeno che se abbiamo divorziato tre anni
fa è stato solo per colpa sua. - dichiarò passandosi una mano fra i
capelli - Ognuno di noi due aveva le sue colpa e le sue
responsabilità, ma sei grande e sono sicura che questa cose le
capisci benissimo da solo. Quello che volevo chiederti è perché hai
strappato la lettera. Volevo farlo ieri ma stavi già dormendo quando
sono tornata o oggi... beh, non volevo farlo davanti ad Eva. -
Esteban
la fissò scettico, chiedendosi se davvero sua madre non capisse un
motivo tanto palese.
-
No aspetta, non volevo dire che non capisco perché lo hai fatto. -
disse leggendogli sul viso quello che aveva dentro - Quello che
volevo sapere è perché non riesci ad accettare che le tue sorelle
potrebbero non essere d'accordo con la tua scelta -.
-
Perché quel vigliacco dici ha abbandonati tutti. Ci ha traditi...
-
Catalina
sospirò forte, cercando da qualche parte dentro di sé la forza per
ribattere, per fare la cosa giusta, per non lasciare che fosse quel
groviglio di emozioni disordinate che le stringeva lo stomaco ogni
volta che nominavano il suo ex-marito a parlare al suo posto. Non ci
riuscì.
Si
alzò dalla poltrona e in pochi passi guadagnò la porta. Prima di
varcala parlò di nuovo, con voce bassa ma ferma, rivolgendogli le
spalle.
-
Non ti ho mai detto cosa fare Esteban, anche se sai benissimo che
penso dovresti dare a tuo padre almeno la possibilità di scusarsi.
Una cosa te la chiedo però: devi lasciare ad Eva la possibilità di
scegliere da sola, come io sto facendo con te. Fer è grande e decide
con la sua testa, ma Eva ha solo dodici anni e prende come oro colato
tutto quello che esce dalla tua bocca. -
-
Ma non è vero! - sua madre l'aveva decisamente sparata grossa - Se
non fa altro che darmi dell'imbecille... -
-
E' una cosa bellissima – proseguì sua madre senza mostrare di aver
ascoltato una parola - Ma essere oggetto di una fiducia del genere,
incondizionata e totale, richiede tanta responsabilità. - dichiarò
mentre lasciava il figlio a riflettere da solo.
***
Era
sorprendente quanto, con un aspetto ridicolo e lo sguardo sprezzante
dei volontari della mensa puntati addosso, Liam si fosse trovato
perfettamente a suo agio a chiacchierare con Mary. Adesso, nella
penombra di luci smorzate e nessuno che lo stesse guardando, Liam era
a corto di parole e aveva la gola secca.
Charleen
sorrideva imbarazzata, attorcigliandosi nervosamente una ciocca di
capelli fra le dita.
Se
ne stavano impalati a bordo pista, accanto ad un tavolo con le
bevande. Tanto per fare qualcosa ed interrompere quell'imbarazzante
silenzio, Liam versò un cocktail rosato in un bicchiere di plastica
e l'offrì a Mary. La ragazza tese la mano e mentre si avvicinava per
prenderlo, Liam sentì i suoi lunghissimi capelli sfiorargli il
braccio ed il profumo delicato di Mary che gli invadeva le narici.
Acutamente consapevole di quell'intima vicinanza, Charleen afferrò
il bicchiere fra le dita, e le loro mani si sfiorarono per un
secondo.
Una
scossa elettrica la percorse tutta, dalle loro mani unite fino al
cervello, mentre un brivido le saliva lungo la schiena facendola
staccare di colpo.
Si
sentiva strana, donna e bambina e ribelle ed emozionata come mai
prima di quel momento. Portò il liquido alle labbra e lasciò che il
sapore fruttato e fresco degli ultimi giorni d'estate le scendesse
lungo la gola, e poi più in basso ancora.
La
bevanda era ghiacciata sulla lingua e quel freddo inaspettato, unito
a quello della brusca separazione, restituì ad entrambi un po' di
lucidità.
-
Vuoi ballare? - chiese Liam, un sussurro caldo contro il suo
orecchio.
-
Come scusa? Non ho capito!- gli urlò Charleen che con la musica ad
alto volume non aveva afferrato bene.
Fantastico,
doveva anche ripeterlo... come se dirlo una volta non fosse stato
sufficientemente imbarazzante.
-
Vuoi ballare? - domandò con voce più ferma.
Questa
volta lei doveva averlo sentito, visto che arrossì e distolse lo
sguardo.
Bella
figura. Per la prima volta in vita sua un ragazzo la invitava a
ballare e lei gli chiedeva di ripetere, come una perfetta deficiente.
-
Non so ballare – rispose piano. Ed era vero.
-
Oh... – fece lui.
Oh...,
ma che razza di risposta è? Liam sei un cretino, si rimproverò
da solo.
-
Allora ti va di fare un giro? - propose di nuovo.
La
ragazza annuì sollevata, lo sguardo puntato sul bicchiere vuoto che
artigliava ancora fra le dita. Probabilmente era più in imbarazzo di
lui. Quella sua timidezza ingenua, la ritrosia candida di un
uccellino selvatico, lo fece sorridere e gli trasmise uno strano
senso di calore. Con rinnovata sicurezza, pensando distrattamente che
di solito ne sfoggiava persino troppa mentre adesso sentiva le gambe
di gelatina, Liam la precedette di un paio di passi e poi si voltò
per controllare che lo stesse seguendo.
Charleen
cercò di stargli dietro, ma i ballerini erano aumentati ed era
difficile farsi largo tra la calca. Vide Liam fermarsi per aspettarla
e poi sentì la sua mano grande e calda posarsi delicatamente alla
base della sua schiena per guidala fra la folla, attento che nessuno
potesse urtarla o farle male.
La
mano era immobile sulla sua schiena, abbandonata in un gesto semplice
e privo di sottintesi e ambiguità. Giaceva inerte, eppure era viva
attraverso i vestiti, sulla sua pelle.
Liam
aprì una porta a caso e si ritrovarono lungo il corridoio che
portava alle scale. Qui la musica arrivava molto più bassa, tagliata
fuori dalla porta chiusa alle loro spalle. C'erano diverse persone
che come loro avevano preferito rifugiarsi in un posto più
tranquillo; ospiti sconosciuti ad entrambi, finanziatori del centro,
rappresentanti di quartiere ed eleganti damine di carità. Un vecchio
signore coi baffi fumava appoggiato al muro ed una ragazza rideva
divertita, le guance accese dal vino.
Liam
continuò a camminare senza mollare Charleen nemmeno per un attimo,
trascinandola lontano dalla festa, dalla folla e per un attimo da
quella che era la loro realtà. La ragazza lo seguì tenendo gli
occhi bassi, fiduciosa.
Arrivarono
fino alla tromba delle scale e lì si fermarono ansanti.
Non
si guardavano negli occhi, ma Liam non aveva ancora ritirato la sua
mano.
Poi
Charleen, stupendosi per prima di tanta audacia, allungò le dita per
accarezzargli la mascella coi polpastrelli. Liam si girò di scatto,
gli occhi nei suoi, e sembravano bruciare. Lei gli si fece ancora più
vicina e si sollevò sulle punte.
L'espressione
sul viso del ragazzo si incrinò, e dietro l'azzurri puro dei laghi
di montagna si aprirono labirinti di specchi, scale e sottopassaggi.
Ma quando la baciò era troppo buio e non si vedeva bene.
Al
chiarore opalescente delle lampade al neon, a Charleen sembrò
soltanto che quegli occhi bellissimi riflettessero i suoi come
specchi.
***
Ashley
McKenzie, una maschera di bellezza sul viso e due fette di cetriolo
sugli occhi, dormiva. Il suo sonno di bellezza richiedeva almeno nove
ore, se non voleva ritrovarsi il giorno dopo con due spiacevoli borse
sotto gli occhi.
Ai
piedi del suo letto tre valigie di Alviero Martini erano state appena
chiuse degli sforzi congiunti di un paio di cameriere. Per far
entrare tutto, una delle due ci si era dovuta addirittura sedere
sopra, incurante dei danni che avrebbe potuto causare alle Tod's.
Tutt'intorno una mezza dozzina di scatole rigurgitavano di vestiti e
suppellettili varie. C'erano persino una cappelliera e un portagioie
formato baule.
Il
signore e la signora McKenzie, che come ogni sera erano passati a
dare la buonanotte alle figlie, cercarono di non soffocare dalle
risate: Ashley, prima di salire a preparare i bagagli per la scuola,
aveva dichiarato solenne: - Porterò solo il nècessaire -.
***
-
Non credo che tornerò spesso qui appena inizierà la scuola... -
aveva mormorato Charleen nel buio, ancora sdraiata sotto le lenzuola.
Voleva spiegargli che non poteva, voleva dirgli tante cose.
Forse
avrebbero potuto vedersi ancora...
Accarezzò
quell'idea per un istante prima di lasciarla andare via, lontano.
-
Nemmeno io. - la risposta di Liam, apatica e fredda, la gelò,
ricacciando indietro tutte le parole che non era riuscita a
pronunciare.
Rimase
ad ascoltare il silenzio il ritmo irregolare del suo respiro,
sperando che parlasse ancora, la gola gonfia di frasi non dette ed
una morsa dolorosa all'altezza del petto. Cercò di non dare a vedere
che quella frase secca e il suo mutismo l'avevano ferita e lui non se
ne accorse: tanti anni di umiliazioni e risatine crudeli erano stati
insegnanti efficaci, che l'avevano resa un'attrice migliore persino
di sua madre.
Si
mosse appena, contro il corpo caldo del ragazzo disteso al suo
fianco.
Charleen
quella notte non aveva cercato una relazione e nemmeno l'amore. Era
la prima ad ammettere, almeno con se stessa, che si era lasciata
andare proprio perché, in fondo, non credeva che si sarebbero
rivisti se non sporadicamente. Due perfetti sconosciuti in una città
di milioni di abitanti, troppo imbarazzati persino per scambiarsi
qualcosa di più di un saluto di cortesia. Ed era meglio così,
perché uccidere il ricordo con lo squallore della realtà del giorno
dopo?
Aveva
avuto ciò che voleva. Questo era quello che diceva il suo cervello,
ma allora perchè quel rifiuto secco faceva male come un ago sulla
pelle?
Sdraiato
accanto a lei, vicino e lontanissimo, Liam Pittwighs, ancora un po'
spossato da tutte quelle emozioni e dal movimento, decideva di
custodire per sé quel groviglio di sentimenti, di ansia e di paura
che quella notte gli avevano aggrovigliato lo stomaco, i lombi e il
cervello. A Matt avrebbe detto al massimo che poteva smetterla di
prenderlo in giro, ma quello che era successo era troppo personale,
troppo intimo per dividerlo con qualcun'altro. Non pensò che
chiudendosi a riccio stava impedendo a se stesso di condividerlo
persino con la ragazza che teneva stretta fra le braccia.
Felice
e mezzo nudo scivolò fra le accoglienti spire del sonno, mentre
Charleen, in silenzio, si alzava, raccattava i propri vestiti e
lasciava la stanza, fredda e rigida, armata di nuovo della corazza
che la proteggeva da tutta una vita.
***
note:
Il
titolo del capitolo è, ovviamente, il famosissimo successo dei
Queen.
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