St Mary's College

di whatashame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Last days of summer ***
Capitolo 2: *** How I met... ***
Capitolo 3: *** Meet me on the equinox ***
Capitolo 4: *** Saudade ***
Capitolo 5: *** get this party started ***
Capitolo 6: *** Don't stop me now ***



Capitolo 1
*** Last days of summer ***


carla sy mary'sdef




Liam ha 16 anni, un padre nei Conservatori e molti più soldi in tasca di quanti lui e Matt possano spenderne sabato sera. Ashley McKenzie invece è la figlia perfetta della famiglia perfetta e sogna soltanto la nuova baguette di Fendi. Esteban Robledo Ramos mastica poco l'inglese, sua madre è l'ennesima cameriera di casa McKenzie e sente forte la mancanza del padre. Cos'avranno mai in comune con l'occhialuta Charleen, e la tanto chiacchierata SaSh dal passato ambiguo? La quarta B e molti più problemi di quanto appaia.


St Mary's College






prologo


Last Days of Summer








Il/la sottoscritto/a Mary Jane Brown in qualità di padre/madre/tutore di Charleen Mary Shawade, nata a Vancouver BC, il 28/12/19XX, con la presente richiede l'iscrizione del/la proprio/a figlio/a al quarto anno di corso presso il Saint Mary's College e allega in calce la documentazione richiesta ai sensi dell'articolo 231 c.5 del Ministero della Pubblica Istruzione e la copia delle schede di valutazione del/la proprio figlio/a dei precedenti anni accademici.


15 Luglio 20XX firma del genitore o di chi ne fa le veci Mary Jane Brown





Kristine Jacobs sbuffò.

Se soltanto la metà dei voti esorbitanti di questa Charleen fossero stati meritati, Mary Jane Brown poteva dormire sonni tranquilli: a trentaquatranni' anni suonati sua figlia non si sarebbe ritrovata, in un' afosa mattina di settembre, sommersa di stupide scartoffie fino al collo.


Kristine Jacobs sbuffò di nuovo.

Se si fosse applicata anche lei al college in quel momento non avrebbe avuto una pila di pratiche da compilare sulla scrivania, un mal di testa feroce e la camicetta in purissima -finta- seta incollata alla pelle. Forse, in quel momento, avrebbe potuto essere distesa su una bianca spiaggia thailandese a sorseggiare batida de coco da un bicchiere decorato con ombrellini e frutta esotica, mentre un aitante bagnino con uno striminzito costumino rosso la contemplava dal bagnasciuga, passandosi lascivamente la lingua sulle labbra.

Magari.


Kristine Jacobs sbuffò per la terza volta.

Purtroppo di studiare non aveva mai voluto saperne troppo e, disoccupata e tristemente single, si ritrovava a fare la sottopagata e sfruttata segretaria in una scuola esclusiva per ricchi rampolli viziati e snob, fantasticando sugli addominali scolpiti di un bagnino immaginario che nella realtà non avrebbe degnato i suoi 150 centimetri di altezza e la sua quarta abbondante nemmeno di un'occhiata. Non lo avrebbe fatto non solo perchè lei le Bahamas non poteva proprio permettersele, ma soprattutto perché il sole abbacinante dei Caraibi non era, con buona probabilità, tanto forte da accecare il suddetto bagnino californiano, nascondendo ai suoi occhi quei chiletti di troppo di cui l'avevano gentilmente omaggiata i barattoli di nutella, la cellulite sulle cosce e quei rotolini tremolanti che si ritrovava sui fianchi.


Questa volta Kristine sospirò. Con le dita sporche di inchiostro afferrò il timbro della presidenza e scrisse “approvato” sul foglio.




***





In un'aula spoglia, a qualche metro di distanza dalla segreteria, Esteban si stava chiedendo se l'“Ode ad un usignolo” Keats l'avesse scritta nel 1823 o nel 1819.

A giudicare dalla solerzia con cui rispondeva ai quiz la biondina spalmata sul banco di fianco doveva saperlo, e anche gli altri tredici ragazzi chini sui test.


Come faccio a rispondere se non so nemmeno cosa diavolo significa “usignolo”?

Si chiese per l'ennesima volta. Poi, con l'immenso spirito pratico che lo aveva sempre caratterizzato, decise saggiamente di smettere di porre domande insolubili al proprio cervello, momentaneamente muto, e di proseguire la conversazione col cellulare nella sua tasca.

Ringraziò San Jimmy Wales e la Santissima Wikipedia, e decise, giusto per non fare un torto a nessuno, di accendere un cero in onore di Thomas che gli aveva prestato il telefono.


In una scuola tanto-per-bene nessuno aveva pensato a fargli svuotare le tasche prima di entrare in aula.


Se erano così ingenui peggio per loro.




***



Se non bevo il succo, forse potrò mangiare una fetta biscottata con la marmellata. Senza burro. Dovrei farcela con le calorie, o almeno spero...., si augurò Ashley McKenzie.


-Tesoro, confesso di non aver capito bene perchè tu e Susanne dovete andare a scuola questa mattina...- confessò sua madre, mentre la cameriera le riempiva la tazza di “tisana alle erbe andine”.


-A scuola? Il primo di settembre?- chiese suo padre mentre le si sedeva di fronte e allungava una mano a scompigliare i riccioli biondi di Mel.


-PAPIIII- trillò la piccolina di casa aprendosi in un sorriso sdentato.


-Buon giorno principessina- le sorrise l'uomo da sopra il barattolo dei biscotti.


-Mamma, te l'ho già spiegato!- sbuffò la figlia maggiore mentre poggiava nel piatto la fetta biscottata intatta -dobbiamo controllare che la segretaria non combini disastri con le stanze! Ti immagini se per sbaglio finiamo al lato Nord? Lì non c'è mai il sole, ma in compenso arriva benissimo l'odore della mensa non appena ti azzardi ad aprire la finestra! Che schifo! E se poi non ci dovessero mettere di nuovo in camera insieme?- spiegò con un'espressione talmente seria e contrita da riuscire a distrarre la piccola Mel dai suoi cereali.


-Oh, certo- fece solidale la biondissima signora McKenzie con lo stesso viso grave che riservava tutte le domeniche alla predica di Padre John.


-Vuoi un passaggio tesoro?- si offrì suo padre mentre la cameriera gli toglieva la tazza vuota da davanti -vado in azienda tra poco, non mi costa nulla accompagnarti...-


-Non preoccuparti papi- Ashley fece una teatrale pausa ad effetto -viene Susie con la macchina nuova.- e lasciò cadere la frase nel vuoto con studiata nonchalance. Finse di non notare l'occhiata di puro terrore che i coniugi McKenzie si scambiarono da sopra il bricco del latte, e fissò la colazione intatta nel suo piatto.

Se pensavano che la sua amica avesse una guida tanto pericolosa avrebbero potuto benissimo comparle la macchina che aveva chiesto per i sedici anni, visto che aveva preso la patente a maggio!

Quello comunque non era il momento adatto per ricominciare con la storia della mini cooper rosa, visto che Susie sarebbe arrivata in meno di venti minuti e lei doveva ancora decidere quale maglietta abbinare ai sandali Jimmy Chooe nuovi di zecca. Li aveva scovati in una vetrina di Miami quella stessa estate, ma non aveva nient'altro di quella particolare tonalità di azzurro...




***





-Non voglio andarci- dichiarò Charleen appoggiandosi con la schiena allo stipite della porta.

Trenacinque, contò mentalmente Mary Jane, mentre davanti allo specchio passava l'ombretto dorato sull'occhio sinistro.


-Non voglio andarci e non ci andrò- ribadì la figlia, e a sottolineare l'intenzione incrociò le braccia e increspò le labbra in una delle migliori espressioni capricciose del repertorio “figlia-adolescente-ribelle”.

Quel rompiscatole di Cecè avrebbe pagato dollari sonanti per un'espressione del genere sul set, pensò distrattamente la signorina Brown mentre aggiornava il conto.


-SaSh dico sul serio.- rognò Charleen avanzando a grandi falcate fino allo specchio.

Mary Jane alzò la testa e fissò il riflesso della figlia nel vetro. Da dietro le spesse lenti degli occhiali un intenso paio di occhi verdi ricambiò lo sguardo della madre in una supplica muta.


Contò trentasette, sebbene sua figlia non avesse proferito verbo: quello sguardo valeva mille parole.


-Certo che il mondo è davvero un posto triste se persino tua figlia ti chiama col tuo nome d'arte...- brontolò a mezza voce.

Tirò un lungo sospiro.

-Tesoro te l'ho già spiegato- esordì paziente -sai perfettamente che non dipende da me. Tuo padre vuole che frequenti una scuola prestigiosa e importante, e la St. Mary's lo è-.


-Ma SaSh- la interruppe Charleen scuotendo i lunghissimi capelli castani -Edmund vive dall'altra parte dello stato e nemmeno mi conosce! Non può giocare alla famiglia felice con gli altri figli che ha? Perchè diavolo deve romper le palle a me?!?!- strillò.


-Le scatole! Le scatole!- la riprese sua madre che notoriamente parlava come uno scaricatore di porto, ma non le aveva mai permesso di usare un linguaggio scurrile.

-E' tuo padre, e non so da dove abbia tirato fuori questa brillante trovata, ma so benissimo che potrebbe ricorrere ad un giudice per far valere i suoi diritti e non ho intenzione di correre il rischio di perderti- sibilò tagliente -e comunque rompe le palle perchè è un gran rompicoglioni- aggiunse urlando irritata e assolutamente coerente con la storia del linguaggio forbito che rifilava a Charleen da quando aveva iniziato a vagire.


- Ma mamma...- tentò ancora, sfoderando il labbro tremulo e la voce piagnucolosa.

SaSh alzò un sopraccigio. Se sua figlia la chiamava mamma doveva essere davvero disperata.


-E' una schifosissima scuola per figli di papà viziati, ed ha pure il dormitorio!!! E poi noi non siamo cattoliche.-


A Sash veniva da piangere alla sola dea che sua figlia dovesse dormire fuori casa almeno cinque giorni su sette, ma sfoderò storicamente tutto il proprio talento da attrice consumata sorridendole paziente.


-Charlie noi non siamo credenti, ma trovo che confrontarsi con la fede sia una parte fondamentale per la crescita di una persona, indipendentemente da quelle che poi saranno le sue idee sulla religione. Questa è forse una lacuna nella tua educazione...e forse è anche per colpa mia. Avrei preferito che ti confrontassi con tanti punti di vista diversi, ma intanto cogli quest'occasione, fa buon viso a cattivo gioco...-

Quella spiegazione non convinceva troppo Charleen che alzò un sopracciglio scettica mentre SaSh proseguiva:

-In ogni caso non ci sono le suore col cilicio alla St Mary's e nessuno pretenderà di convertirti. Sono tenuti ad accogliere tutti per legge: dovrai soltanto seguire un'ora di religione a settimana.-


-E con quei ricconi viziati come la mettiamo?-


-Non chiamare così i tuoi compagni: innanzitutto nella tua classe ci saranno un paio di borsisti, e poi ricorda che se non sei schifosamente viziata è solo perchè cerco di darti un freno, ma riccona lo sei anche tu.- fece col tono seccato di chi considerava la conversazione conclusa.


-Ci faranno a pezzi. Ti faranno a pezzi- mormorò piano Charleen, mentre lasciava la stanza e SaSh iniziava a passarsi il rossetto sulle labbra.





***





-...e il pranzo è nel frigorifero, basta che lo scaldi al microonde- si raccomandò per la centesima volta sua madre.

- E non prendere la mia macchina mentre non ci sono, non sai ancora guidare bene e...-

-Mamma basta!!!-la frenò William -smettila di rintronarlo e andiamo, il taxi ci aspetta..- aggiunse mentre col pc sottobraccio afferrava la donna per una spalla.


Certe volte adorava suo fratello.


-Ciao Lì, ci vediamo a Natale- lo salutò aprendo la porta.

-Ciao Liam, torno tra qualche ora. Il tempo di arrivare in aeroporto e fare la spesa.-.


Il che con il traffico significava circa tre ore, riflettè Liam, mentre alzava una mano in segno di saluto.

Benissimo.


Appena la porta di casa si chiuse si fiondò su per le scale: -PAPAAAA' ???- chiamò a gran voce -devo andare da Matt, posso prendere la macchina?-. La tua aggiunse mentalmente.

Da sotto le coperte l'assessore dei Conservatori, Andrew Pittwighs, rantolò qualcosa di molto simile ad un assenso.


Sua madre era davvero un'ingenua: perchè avrebbe dovuto prendere la piccola Smart quando suo padre aveva una porche in garage???


Amelia Pittwighs era ancora in taxi, raccomandando al suo primogenito di non passare troppo tempo a lavorare chino sul computer, che il secondo nato di casa Pittwhigs aveva già inserito le chiavi nel quadro.









note


  • -Last Days of Summer è il titolo di un romanzo di Steve Kluger, ma richiama anche una canzone dei Cure “the last day of summer”, “last day of summer” è anche il titolo di un film.

  • -Il cognome Pittwhigs, è la fusione di Pitt (ministro inglese) e Whig, nome di partito “di centro- centro sinistra”. In realtà Pitt pur definendosi un whig indipendente faceva parte dei tory, insomma senza perderci nella storia inglese di cui sono completamente ignorante, con questo nome volevo mettere in evidenza un po' di contraddizioni e non nel carattere di questa famiglia.

  • Il nome Saint Mary's College non si riferisce a nessun college realmente esistente, ma ad una scuola superiore di mia invenzione...cmq cercando sul web esiste un'università in California con questo nome, ma credo che sia un nome piuttosto abusato...






Questa storia mi è venuta in mente dopo aver visto la serie televisiva Rebelde Way di Chris Morena Si tratta di una serie tv argentina mai tradotta in inglese o italiano...personaggi e trama sono ovviamente molto diversi da quelli della serie ma mi è sembrato opportuno specificarlo e aggiungere che ciò che scrivo non ha assolutamente fini di lucro.

In ogni caso ho provato a vedere il regolamento di efp in merito, ma non so perchè non mi compare nulla cliccando su ispirazioni e cliccando sul regolamento mi dice che il link è rotto.




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Capitolo 2
*** How I met... ***


st mary 2





St Mary's College




capitolo 2



How I met...





...that boy




-Hey guarda!!!- bisbiglio Susie rifilando una gomitata nello stomaco di Ashley.


Se voleva la sua piena attenzione quel richiamo non verbale sarebbe stato più che sufficiente a risvegliare un morto, ma, non contenta, la sua migliore amica le arpionò il braccio con gli artigli smaltati.


La camicetta di Chanel...


-L'hai visto che figo??? Stupendo... chi sarà???- trillò l'altra poco partecipe del suo dolore per l'alta sartoria.

Ashley alzò un sopracciglio scettica: Susie aveva la discutibile abitudine di inserire nella categoria “fighi da paura” qualsiasi maschio respirante. A volte la giovane McKenzie era arrivata persino a dubitare che alcuni fra quegli esseri repellenti appartenessero all'homo sapiens sapiens.


-Quello- indicò Susie con l'unghia laccata di rosso.

Glielo aveva spiegato forse trecento volte, che indicare violava una delle sacre leggi del galateo.


-Sì, carino- concesse degnando di un 'occhiata superficiale il ragazzo che usciva dall'aula accanto alla segreteria.


L'aula dei primini, la più vicina alla presidenza. L'aula “sfigata” come dicevano i suoi compagni di scuola...

Ashley da tempo aveva smesso di pronunciare quella parola tanto poco chic, e, per inciso, non inquinava le altrui orecchie nemmeno col termine “figo”.


-Hey aspetta!- disse fermandosi di colpo -Io quello lo conosco!!! E' il figlio di una delle nostre cameriere!-.


-Sul serio? E perchè non me lo hai presentato prima?!?!- cavillò Susanne.


-Non essere sciocca, non è certo un mio amico. Lo avrò visto sì e no cinque volte in tutto. -


-Ma secondo te che ci fa qui quel gran pezzo di...-


-Sue!!!- la interruppe scandalizzata.


-Oh andiamo, l'hai guardato bene??? Quello lì ha tutto al posto giusto...-


-Niente di eccezionale- valutò analiticamente Ashley arricciando il nasino perfetto.

-Carino- concesse magnanima dopo un paio di secondi -ma non abbastanza bello da tentare me.-.


L'amica aveva smesso di ascoltarla da un pezzo troppo presa ad osservare il ragazzo che si passava distrattamente una mano sul leggero accenno di barba che gli ricopriva le guance.


- Comunque mi sembra di ricordare che dovesse sostenere il test d'ammissione alla scuola, quello per la borsa di studio vacante...- disse tentando di richiamare l'attenzione.


-Oh, quindi magari quest'anno verrà a scuola con noi!!!- trillò Susanne entusiasta e già su di giri.


-Non ti esaltare troppo, non credo sia esattamente un secchione: è stato bocciato, e non parla nemmeno bene la nostra lingua. Non credo che Mr Fangboner potrebbe mai ammetterlo alla St Mary's....- spiegò sussiegosa e prosaica.


-Vecchia cariatide... va beh, presentamelo.- ordinò senza perdersi d'animo.


-COSAAA??? Ma stai scherzando?? A stento ci rivolgiamo la parola- gridò la bionda sconvolta al punto di dimenticarsi che urlare in pubblico non era affatto elegante.


-Dai, dai, dai...non farti pregare, sù- cantilenò Susie attaccandosi al suo braccio e attentando di nuovo alla sua preziosa manica.


-Ti ho già detto che...-

-Oh-oh, mi sa che dovrai presentarmelo per forza...- le bisbigliò nell'orecchio.

Ashley stava per chiederle ingenuamente cosa le conferisse tanta sicurezza, ma voltandosi si accorse che il figlio di Catalina le aveva scorte e si stava avvicinando.



- Ciao Ashley- la salutò allegro come fossero stati amici di vecchia data.


- Oh, ciao...- rispose in automatico.


Calò un silenzio imbarazzato.

Per fortuna lui le venne prontamente in soccorso.


-Esteban- le rammentò.

-Esteban- ripetè lei a pappagallo sentendosi spaventosamente idiota.


-Beh...questa è Susanne- fu costretta a presentare l'amica, visto che Susie praticamente stava iniziando a saltellare sul posto mulinando le braccia per farsi notare.


-Piacere- disse lui con un sorriso che metteva in risalto i denti bianchissimi che spiccavano sulla pelle olivastra.


-Ciao, piacere mio. Hai fatto il test vero?- lo interrogò senza prendere fiato fra una parola e l'altra.


E tanti cari saluti alla mia rispettabilità, ragionò Ashley sconsolata. Adesso penserà che sono una pettegola. Grazie tante Susie.


-Era difficile? Speriamo che ti ammettano...E se ti ammettono che classe dovrai frequentare?-

Una volta lasciata a briglia sciolta la proverbiale parlantina di Susanne Donnely era difficile da tenere a freno.


-Il quarto anno.-


Ashley quasi soffocò con la propria saliva.

Quarto, aveva sentito bene???


-Davvero?!?!?Come noi...oh, beh,...speriamo tu possa essere nella nostra stessa classe- dichiarò Susie entusiasta.


Speriamo proprio di no...si augurò invece la sua migliore amica.


Susanne sembrava fin troppo allegra alla prospettiva e si stava dimenando come un cagnolino che scodinzola davanti ad un bell'osso. Patetico.


Ashely decise di salvare la sua amica da un'ulteriore umiliazione e l'afferrò risoluta per un gomito.


-È stato un piacere incontrarti Esteban, purtroppo noi adesso dobbiamo andare in segretaria- esclamò sfoderando un sorriso posticcio -spero di rivederti presto. In bocca al lupo per il test.- disse falsa come Giuda, mentre trascinava Sue il più lontano possibile. L'amica, recalcitrante come una bambinetta capricciosa, la seguì lungo il corridoio, salutando con la mano quel ragazzo che, Ashley era pronta a giurarlo, si sarebbe messo a ridere di quella loro magra figura non appena avessero svoltato l'angolo.


A volte Ashley McKenzie tendeva ad essere un tantino paranoica.



***



...that girl



Susanne era una ragazza dall'aspetto piuttosto ordinario, formosa e cicciottella, con una chiama di riccioli rossi in cima alla testa e uno spruzzo di lentiggini sulle guance piene. Sembrava simpatica e affetta da attacchi acuti di logorrea verbale.

Ashley McKenzie lui l'aveva già vista e beh...era semplicemente bellissima.

Slanciata e flessuosa, aveva un viso cesellato e perfetto, boccoli biondi ad incorniciarle il mento e la fronte, che scendevano morbidi fin quasi alle spalle, mentre un paio di occhi scuri e profondi risaltavano sull'incarnato pallido.


Esteban era un caliente maschio latino, e non potè fare a meno di notare che la natura, con l'erede della fortuna degli industriali Mckenzie, era stata piuttosto generosa. Soprattutto in certi...punti del corpo. Quelli fra la clavicola e la decima costola, e subito al di sotto della schiena per essere precisi.

Peccato che Ashley rovinasse tutto esibendo perennemente quell'espressione di ostentata superiorità ed uno spocchioso cipiglio arrogante.


Le due ragazze erano appena sparite imboccando un corridoio quando dal portone d'ingresso fecero la loro rumorosissima entrata altre due donne.

Sembravano piuttosto prese in un appassionato alterco ed erano talmente impegnate a battibeccare che Esteban poté prendersi un momento per osservarle senza sembrare troppo sfacciato.


A giudicare dalla somiglianza e dalla familiarità fra le due doveva trattarsi di madre e figlia.

Ad una seconda occhiata più attenta erano piuttosto diverse, una alta e formosa e l'altra piccola e minuta, ma il loro modo di muoversi e di gesticolare con le mani, ognuna presissima nel perorare la propria tesi, le rendeva in qualche modo parecchio simili, sebbene la madre fosse una donna elegante e raffinata, vestita con capi di haute couture ed avesse un trucco pesante e pastoso (da chiedersi come riuscisse a tenere la palpebre aperte sfidando la forza di gravità) e la figlia una buffa creatura acqua e sapone con jeans, converse scarabocchiate col pennarello e un paio di tremendi occhiali che le coprivano le sopracciglia e parte degli zigomi facendola assomigliare alla caricatura di una grossa mosca.

Entrambe avevano lo stesso colore di capelli, sebbene quelli della figlia fossero decisamente più lunghi e meno curati, ed un numero considerevole di braccialetti, pendagli, ninnoli, collanine e anelli che producevano un tintinnio festoso ad ogni loro passo e conferivano alle due un vago aspetto da albero di Natale.


Quando si avvicinarono, interrompendo per un attimo la querelle per rivolgergli all'unisono un cortese “buongiorno” e un sorriso gentile, Esteban notò che la cosa che accomunava di più quelle donne era un paio di bellissimi occhi verdi di una sfumatura particolarissima che gli ricordava il mare brulicante di pesci e coralli del suo paese natio, quando lui e suo padre uscivano a pesca e venivano sorpresi dalla vento forte.



La ragazzina sembrava piccola, probabilmente non sarebbe stata in classe con lui.


Sempre ammesso che mi ammettano...


Si rabbuiò al quel pensiero.


Ho copiato tutte le risposte, mi ammetteranno... disse a se stesso per rassicurarsi.


Ma basterà davvero fare il test migliore?


Poteva non conoscere Byron e l'esatta ubicazione di Memphis, ma di come funzionava il mondo Esteban si era fatto decisamente un'idea accurata.


L'agitazione tornò di nuovo ad invadergli il cervello mentre, ostentando una calma apparente che non provava affatto, lasciava l'edificio a grandi passi.



***



...my headmaster




Charleen era sempre stata una ragazzina molto seria e responsabile.

Si applicava nello studio e aveva il naso perennemente affondato fra le pagine di un libro. Nel tempo libero si dedicava al volontariato, disegnava nature morte e si arrampicava sugli alberi; non aveva mai fatto troppi capricci né richiesto particolari attenzioni.


Non doveva essere semplice per lei cercare, ogni giorno, di riscattarsi per una macchia di nascita di cui non aveva alcuna colpa.


Tutta l'immaturità che possedeva, Charleen la usava ad esclusivo beneficio di suo padre e della moglie: quando l'ultima volta avevano cercato di portarla in campeggio con la loro famiglia era riuscita a rendersi talmente odiosa che, nel giro di tre giorni, il povero Edmund aveva supplicato SaSh di correre a riprendersela al più presto.


Per il resto era una figlia perfetta, forse persino un po' troppo.


Nemmeno quando aveva realizzato, finalmente, per quale motivo sua madre fosse tanto famosa e il perchè dei risolini alle loro spalle, aveva dato di matto, anche se SaSh l'aveva sentita piangere rannicchiata fra le lenzuola del proprio letto. Era in prima media e, per la prima e unica volta in vita sua, Mary Jane era stata convocata dalla scuola per il pessimo comportamento della figlia: Charleen era riuscita a guadagnarsi un giorno di sospensione prendendosi per i capelli con una compagna di classe. Non era stato difficile per SaSh capire in difesa di chi si fosse battuta quella ragazzina che al metro e cinquanta non arrivava nemmeno in punta di piedi e sì e no pesava quaranta chili.


Un pezzo dell'innocenza di Charleen era morto quel giorno.


Quella sera anche Mary Jane aveva pianto a lungo, lasciando che il mascara si sciogliesse sulle sue guance e le macchiasse la camicetta.

Non era giusto che fosse sua figlia a pagare per le sciocchezze che lei aveva fatto da giovane: né per il suo lavoro, né per il pessimo padre che le aveva scelto. Un uomo sposato, che di figli ne aveva già due e di lei e sua madre non voleva saperne.


SaSh però non era donna da lasciarsi abbattere dalla tristezza o dalla lingua lunga di qualche strega bigotta e, fiera come un generale in guerra, continuava stoicamente a camminare a testa alta. La sua Charleen faceva altrettanto o, almeno, riusciva a trovare sufficiente forza per dare buona mostra di sè.



Ma che bisogno ci sarà mai di andarsi a presentare il primo di settembre?” si chiese Charleen per l'ennesima volta.

Il preside della St Mary's pretendeva di incontrare ogni nuovo alunno scortato dalla famiglia. Che poi Charleen, a parte sua madre e zia Rose, una famiglia non l'avesse affatto era poco rilevante.


Cazzate da scuola privata” constatò fra sè. “Dovrò passare due anni fra queste quattro mura, ne avrà di tempo per conoscermi questo vecchio cretino.”.


Beh quattro mura...quella sì che era un'eresia bella e buona.


La St Mary's non era esattamente “piccola” anche se in totale poteva vantare appena duecento allievi. Nella sua vecchia scuola erano stati almeno quattro volte tanto in un edificio grande nemmeno la metà. Il college sorgeva in uno dei quartieri più belli della città ed il campus era immerso nel verde.

Arrivando in macchina aveva visto i campi da tennis ed una piscina all'aperto, ma sul dépliant che SaSh aveva dimenticato in bagno c'era scritto che ci fossero anche un campo da calcio in erba, una piscina al coperto ed un'enorme palestra per pallavolo, basket e quant'altro. Charleen era praticamente incapace di tenere una palla in mano senza fare la figura dell'idiota, ma nuotare le era sempre piaciuto parecchio.

Se avesse voluto quel giorno avrebbe anche potuto visitare il dormitorio e dare un'occhiata alle stanze ma, ansiosa com'era di terminare al più presto quel supplizio, si era limitata ad un'occhiata superficiale alla facciata della grande costruzione chiara in stile vittoriano. Sapeva che le camere erano grandi e luminose ed ogni alunno aveva una scrivania ed una libreria per sè, e quest'informazione le era più che sufficiente. Aveva anche dovuto compilare un modulo online dove le era stato chiesto se preferisse una stanza singola (disponibile pagando un piccolo extra ovviamente) o una doppia.

Lei aveva deciso per la doppia sperando la aiutasse a fare più velocemente amicizia e augurandosi che la sua compagna di stanza non fosse troppo snob.

Aveva quasi rimpianto la sua scelta quando cliccando su “doppia” si era aperto un questionario assolutamente cretino per valutare la compatibilità con la futura compagna. Aveva cercato di rispondere, ma aveva rinunciato alla quinta domanda “ti senti più un ghiro, un cavallo o un gatto?”.


Da quel momento in poi si era messa a cliccare a caso con il mouse.

Non troppo snob non lo aveva trovato da nessuna parte.




L'edificio scolastico invece, era una struttura di gusto più moderno, bianca e gialla con un grande patio all'ingresso e un parcheggio immenso -al momento quasi vuoto- sulla destra.


La costruzione era sobria ma davvero elegante, disegnata con gusto e senza fronzoli. Sulla facciata crescevano rigogliose piante rampicanti di edera ben curate e bouganville fiorite. Sopra il portone d'ingresso era stato dipinto a tinte vivaci il simbolo dell'istituto, con la vergine orante assisa su un trono di libri, mentre sulle colonne che incorniciavano l'ingresso era riportato più volte il motto della scuola in scritte che salivano a spirale, attorcigliandosi in un delicato intreccio di minuscole lettere per tutta la loro lunghezza, dalla base al capitello.



semel scholar, sempre scholar“



Anche quella scritta sembrava sancire la sua inesorabile condanna.


Non era possibile che quel pesante portone in palissando si smuovesse da solo dai cardini, ma Charleen, appena si fu lasciata l'ingresso alla spalle, potè giurare di averlo sentito inesorabilmente chiudersi su di lei per intrappolarla per sempre.



***




Ok, il suo nuovo preside conosceva sua madre.


E, a giudicare dalla faccia sconvolta che aveva messo sù, non la conosceva certo perchè era uno dei fan di “vanto di passione”. Ma del resto chi, con un po' di sale in zucca, sarebbe stato fan di una soap di quart'ordine come quella???


Purtroppo, con un passato come il suo, bisognava che SaSh si accontentasse del solito ruolo di amante e femme fatele che le appioppavano ogni volta nei telefilm. Non avrebbe mai vinto l'Oscar, ma la pagavano davvero troppo profumatamente per mettersi a protestare.


Mr Fangboner stava ancora boccheggiando quando madre e figlia ultimarono i saluti e le presentazioni di rito. Si riprese con un po' di sforzo e balbettò qualcosa circa il “ci tengo a conoscere di persona i nuovi allievi”.


...e magari anche a conoscere intimamente le loro madri, aggiunse per lui Charleen mentalmente.


Sua madre e quel tizio, che Charleen, in quanto preside, aveva immaginato decisamente più vecchio, iniziarono la solita tiritera su “quant'è fornito il nostro laboratorio di chimica” e “che splendidi voti ha sua figlia”...


Il preside doveva decisamente abbassare il tiro e ammettere che alla St Mary's ci tenevano a conoscere solo i genitori e la loro dichiarazione dei redditi, perchè era chiaro come il sole che dei figli non gliene importava pressoché niente visto che, da quando era entrata, quei due non le rivolgeva praticamente la parola.


Charleen si sentì legittimata ad estraniarsi fra i suoi pensieri.


Cercò di trovare qualcosa di buono in quella “nuova avventura”, come l'aveva ribattezzata sua madre, ma a parte il laboratorio di chimica -nella sua vecchia scuola non avrebbe nemmeno saputo cosa fosse una provetta se non fosse stato per le figure del libro- ma non le venne in mente altro.


Valutò se il fatto che il giovane matusa -età stimata nemmeno quarant'anni- conoscesse SaSh potesse essere anche solo minimamente una cosa positiva.


Se aveva o aveva avuto certe pulsioni, significava che almeno un pochino umano doveva esserlo....


Ci pensò in po' meglio...


Occavolo!!! Il preside della sua scuola si era probabilmente fatto una sega pensando a sua madre!!!


Non era decisamente una cosa positiva. A dirla tutta era anche piuttosto disgustosa.




***



...your mother




Quando aveva aperto la porta dell'ufficio ritrovandosi davanti la bellissima SaSh, che a più di quarant'anni era ancora indiscutibilmente splendida, altissima e dal decoltè generoso, Mr Fangboner era rimasto letteralmente basito. Per un attimo gli era sembrato di essere finito in una delle indecenti fantasie che aveva immaginato da adolescente.

Poteva affermare con un certo compiacimento che era riuscito abilmente a mascherare la propria sorpresa, e ad uscire dall'impasse in maniera brillante, ma sebbene la sua ospite e la figlia si fossero congedate da più di trenta minuti, era ancora sconvolto.


Non è cosa da tutti i giorni incontrare la donna su cui, poco più che adolescente, hai fantasticato a lungo. Se poi, pensando a quella stessa donna e alle di lei performances, hai passato ore intere chiuso in bagno, allora decisamente lo shock di Mr Fangboner era più che giustificato.


Quella che ora si faceva chiamare SaSh, ma che all'epoca era stata per lui semplicemente “Jane”, fino a sedici anni prima era stata un'icona sexy e il sogno erotico di un'intera generazione.


A vent'anni Mary Jane Brown aveva debuttato nel mondo del cinema a luci rosse con notevole successo di pubblico.

A ventiquattro era rimasta incinta e aveva smesso di calcare le scene -o almeno un certo tipo di scene- ma i suoi quattro anni di attività erano davvero stati anni di folgorante e “onorata” carriera.



Non sarebbe stato decisamente il caso di ammettere nella sua prestigiosissima e morigeratissima scuola la figlia di una ex porno-star, ma ,a quindici giorni dall'inizio dell'anno accademico, respingere un'adesione già confermata avrebbe portato a conseguenze legali piuttosto spiacevoli.


Non ci andavano leggeri con la discriminazione verso i minori nel loro Stato.


Mr Fangboner era fregato: doveva per forza tenersi quella Charleen in quarta B, fra i figli degli industriali, dei notai, degli imprenditori e dei politici più in vista della città


Se lo avessero scoperto...anzi, non appena lo avrebbero scoperto i rappresentanti dei genitori avrebbero preteso il suo scalpo. Urgeva un'idea per rimediare.


Mentre aspettava l'illuminazione decise di ingannare l'attesa uccidendo quell'incapace della sua segretaria che non sapeva nemmeno indagare come si deve.




***



...the Sycamore tree




-Uno spritz, col Campari.- .

-Per me un Negroni-


Sono appena le dieci del mattino..., pensò il vecchio al banco del bar.


Lui beveva solo un bicchiere di buon vino ad ogni pasto. Lo dicevano anche al tg che faceva bene alla salute...


Il Paese andrà in malora con questi giovani allo sbaraglio, senza principi e senza ideali...


Quel vecchio di grande levatura morale, che era sempre stato fedele ai propri grandi principi e coerente con i propri ideali, non ebbe nessuna remora a servire alcolici a qualcuno che forse l'età per bere non l'aveva ancora raggiunta.


Gli ideali a cui si riferiva dovevano essere quelli del denaro e del guadagno evidentemente.



-Bella gnocca comunque- ruggì d'approvazione Matt ripassando il cellulare all'amico.


-Una gran rompiscatole però- puntualizzò Liam -mi ha tormentato per scattare questa foto...-spiegò.


Matt annuì con un gesto pigro del capo e l'aria di chi sull'argomento la sapeva lunga.

-Allora?- chiese curioso.

-Allora che?- domandò a sua volta il biondo fingendo di non capire.


- Insomma ti sei dato una svegliata o no?- ululò in preda alla curiosità.


Liam non rispose, e quel silenzio stava chiaramente per un no.


-Ma insomma!!!-sbottò Matt alzandosi teatralmente in piedi -che cazzo sei una femmina che aspetta il principe azzurro???- sbraitò esasperato allargando le braccia -Le donne gliela vogliono dare e lui dice di no!!!- spiegò rivolto al liquido ambrato nel proprio bicchiere.


Liam increspò le labbra infastidito, mentre il barista si ritrovò inconsapevolmente a scuotere la testa



I giovani d'oggi non avevano più nemmeno un briciolo di virilità...


-Almeno ci hai fatto qualcosa?- domandò Mattew tornando a sedersi.


Per la seconda volta nel giro di qualche minuto, a Liam non servirono parole per farsi capire; bastò un ghigno.


-Meno male!!!- soffiò il moro gettandosi sul cocktail nel vano tentativo di dimenticare quella conversazione ai limiti dell'assurdo.

Il barista, ancora impegnato ad impicciarsi dei fatti altrui, annuì vigorosamente a testimoniare il proprio sincero plauso per quelle parole.


E meno male sì...

Ai miei tempi...



L'essere oggetto del pubblico ludibrio indispettì Liam Pittwighs ulteriormente.


Che cazzo, aveva sedici anni e tutto il tempo del mondo! Non era come Matt, che pur di infilarsi fra le gambe di una donna non avrebbe esitato a scoparsi un cesso con la parrucca...

E poi se avesse voluto avrebbe avuto solo l'imbarazzo della scelta!!!


Ok, forse non proprio l'imbarazzo...ammise, ma la possibilità sicuramente non gli sarebbe mancata...


L'amico intanto continuava il suo solitario monologo col ghiaccio di un bicchiere vuoto.


-Finiscila, te l'ho già spiegato- berciò -quella era una che andava con tutti, che schifo...- sputò storcendo la bocca in una smorfia di disgusto.


-Ma farti mettere le mani nei pantaloni non ti faceva tanto schifo...- ironizzò Matt salace.


-MATT!!!- lo riprese, sentendosi un tantino osservato. Il vecchio barista fingeva di riempire le zuccheriere, ma lui poteva giurare che non si stesse perdendo una parola, come gli altri avventori del pub.


Ok, fine della discussione, pensò Matt. Poi tirò fuori una banconota e la poggiò sul bancone.


-Offro io.- disse.

Era il suo modo di scusarsi.


Liam che lo conosceva dalla culla lo sapeva bene.




Uscirono in silenzio dal locale e si rimisero in macchina senza una parola. Il biondo cercò il cd dei suoi adorati Queen dietro il sedile e con Radio Ga Ga a palla mise in moto e si inserì nel traffico, guidando un po' troppo veloce per le sue capacità.


-Hey, a proposito...- fece Matt insinuante -lo sai vero che Freddie Mercury era gay???- ghignò perfido.

Liam rispose con un'occhiata assassina e rifilò all'amico una pacca sulla schiena con tutta la forza del braccio scolpito dallo sport.


Non era veramente arrabbiato, sapeva che l'amico scherzava ed era abbastanza sicuro della propria virilità da non sentirsi troppo toccato dalla battuta.


Gli dava fastidio però.

Matt era l'unico a sapere della sua scomoda verginità: a scuola non ci avrebbe creduto nessuno.


-Beh, comunque male che và alla fine c'è sempre Claire...- disse ancora Mattew che evidentemente cercava di farlo arrabbiare.


Claire, una loro compagna di scuola. Del resto di ragazza “molto allegra” ce n'è sempre una, in tutte le scuole del mondo. Come c'è sempre il secchione sfigato e la tipa bellissima e irraggiungibile.



Il cd non era ancora arrivato a Bohemian Rhapsody quando un gattino nero, alla faccia di chi non è superstizioso, tagliò loro la strada.

Fu solo per evitare la creatura, e non certo per l'alcol che aveva in corpo o per Matt che lo aveva distratto, che Liam Pittwighs sterzò bruscamente. Le ruote sbandarono leggermente e l'auto salì sul marciapiede, travolgendo nella sua corsa fuori controllo sedie e tavolini, miracolosamente vuoti, di un bar vicino. Una donna dall'altro lato della strada cacciò un urlo agghiacciato mentre una delle sedie andava ad infrangere la vetrina del locale in un tintinnio di vetri rotti e la porche nera dell'assessore all'urbanistica procedeva ancora per qualche metro, andando infine a schiantarsi dritta contro il tronco di un platano qualche metro più avanti sollevando una nuvola di polvere. Uno stridio di freni e un rumore sinistro di lamiere accartocciate riempirono il silenzio di quella mattinata di un'estate ormai agli sgoccioli.











note

  • il titolo è un palese riferimento alla serie televisiva statunitense “How I met your mother”.

  • specifico che la mia storia non è ambientata né negli USA né da nessun'altra parte

  • giuro che per accedere ai dormitori di alcuni campus universitari bisogna compilare un test con alcune domande davvero bizzarre (ad esempio: odi i fumatori o sei una ciminiera -io non fumo ma non per questo voglio sparare ad ogni fumatore del pianeta-, che rapporto hai con l'alcol, “sei un'allodola o un gufo”, scegli un colore fra questi etc...)

  • ok...il latino per me è un lontano ricordo, e l'ho rimosso non appena ho messo piede fuori dal liceo (e dire che ero pure una secchiona) inoltre sono sprovvista al momento di un vocabolario e google non ne fornisce nessuno adeguato. Vi prego se ho sbagliato ditemelo!!!

  • Ho scelto il Platano perchè ho da poco visto il film “Flipped” di cui una buona parte della trama ruota attorno ad un Sycamore tree. Se vi capita l'occasione vedetelo è molto carino anche se non credo sia mai stato tradotto in italiano.




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Capitolo 3
*** Meet me on the equinox ***


mary 3








St Mary's College





capitolo 3


Meet me on the equinox

(meet me halfway)






Agatha Straighton sbuffava come un mantice: i problemi in cui si ficcava il preside Fangboner non erano affar suo. Lei veniva pagata profumatamente per insegnare matematica e fisica e non era il tipo di persona da considerare degno d'attenzione qualsiasi cosa esulasse dai numeri e dalle formule. Fangboner poi non le era mai piaciuto: cercava sempre di impedire la bocciatura dei rampolli delle famiglie più danarose, e Agatha non era donna disposta a scendere a compromessi. Il terrore che seminava in classe se lo era ben meritato e ne era segretamente compiaciuta.


Anisley Rodriguez, la prof. di Spagnolo, girava la testa a destra e a sinistra, come se fra il preside e la collega si stesse disputando un incontro di tennis.

Fangboner aveva ammesso alla St Mary's una nuova allieva che, per un motivo che non aveva specificato, gli avrebbe procurato parecchie grane con i rappresentanti dei genitori. Per salvarsi dalle loro ire pretendeva dal corpo docente una trovata brillante, ed Anisley si era guardata bene dal comunicargli che l'unica idea che al momento le venisse in mente era provare con un “abracadabra” o scomodare Qualcuno parecchio in alto, dato che quella era una scuola cattolica.


Quell'anima candida di Clearwood, che invece di studiare lettere avrebbe fatto meglio a ritirarsi in seminario, si stava scervellando da più di mezz'ora, camminando avanti e indietro, dalla finestra alla porta della presidenza, cercando una buona idea fra le mattonelle in cotto.


-Ce l'ho- trillò Kristine Jacobs alzando il collo da una pila di documenti.

Era un miracolo che Fangboner da quel collo taurino non le avesse ancora strappato via la testa a morsi.

- Istiben Rileno Ramos-

-Esteban Relano Ramos- la corresse Anisley con una perfetta pronuncia spagnola.

- Quello che è!- la zittì il preside -Continua- aggiunse rivolto alla segretaria.


-Sentite qua: un punteggio quasi perfetto al test d'ingresso, una famiglia numerosa e disastrata e un passato tristissimo alle spalle. E' semplicemente perfetto!- squittì felice, pregustandosi già la salvezza da morte certa.

-E' stato bocciato una volta, ma lui ha scritto che non sapeva ancora parlare la nostra lingua quando si sono trasferiti, e la madre lavora per i McKenzie, una delle famiglie più rispettabili della città nonché una di quelle che fa più donazioni alla scuola!- rivelò con fare cospiratorio.


-Benissimo- ruggì il preside – se dovesse venire fuori la storia della Shawade diremo che l'abbiamo presa perchè il perdono e la possibilità di redimersi non si nega a nessuno e altre sciocchezze del genere- tacitò le proteste di Don Jeremy, il prof. di religione (a cui stava per venire con colpo apoplettico e che era sul punto di urlare all'eresia) con un gesto stizzito e continuò -e poi propineremo loro la triste storia di questo ragazzo e della sua famiglia- afferrò il foglio da sotto il naso della segretaria e lesse :- il padre li ha abbandonati dopo che la mafia locale ha messo fuoco al suo negozio, e poi ha anche una sorellina malata!!! I rappresentanti mi faranno Santo subito.-


- Veramente c'è scritto che la sorella è celiaca...non mi sembra che l'allergia al glutine sia una malattia grave.- puntualizzò la segretaria.


-Quisquilie- la rimbeccò -loro non lo sanno e non uscirà da questa stanza. Signori- li congedò- ci vediamo il quindici per la cerimonia di apertura. Arrivederci-.


Mentre il corpo dicente, mobilitato al gran completo, si ritirava dalla stanza Fangboner esultò.


Ho avuto un'idea geniale. Come sempre.




***




Charleen Shawade quella mattina si era svegliata insolitamente presto, visto e considerato che quelli erano gli ultimi giorni di vacanza.

Aveva aperto gli occhi verso le nove e non c'era stato verso di tornare a dormire.

La verità era che si sentiva inquieta, ma anche elettrizzata dalle novità che l'avrebbero travolta fra meno di due settimane.

Avrebbe lasciato la vecchia scuola e i pochi amici che si era fatta in quegli anni, e avrebbe persino iniziato a vivere lontana da SaSh. Era sicura che sua madre le sarebbe mancata molto visto che, nonostante i numerosi impegni e la carriera da attrice trascinassero Mary Jane da un lato all'altro del Paese, non erano mai state lontane per più di un paio di giorni.

Sebbene quei pensieri la intristissero e Charleen avesse fatto il diavolo a quattro pur di non dover traslocare, era segretamente sollevata -ed anche un pochino felice- all'idea di avere una chance di ricominciare tutto da capo in una nuova scuola, dove nessuno l'avrebbe giudicata senza conoscerla, dove non avrebbe dovuto darsi da fare per riscattare la reputazione di sua madre, dove non sarebbe più stata l'alunna modello che piaceva tanto ai professori e la secchiona che gli altri studenti evitavano con tanta cura...


Forse stava esagerando. Dopotutto non era mai stata popolare, era vero, ma nemmeno invisibile o troppo vittima del bullismo dei compagni; studiare le dava soddisfazione sebbene non le piacesse poi tanto -come ad ogni normale adolescente- e probabilmente si sarebbe data da fare indipendentemente dai trascorsi di sua madre.


E poi, per fortuna, il mondo non è popolato esclusivamente da cretini...


Magari nella nuova scuola si sarebbe fatta tanti amici e chissà... persino un fidanzato.


Sogna Charleen, sogna...


Quanto ci avrebbero messo i suoi nuovi compagni a riconoscere SaSh e a fare una bella ricerca su google? Più o meno mezzo minuto.


Da quel momento in poi sarebbero ricominciati quegli stupidi dispetti che la perseguitavano dalle scuole medie. Scritte ignominiose sul banco e il numero di telefono di casa loro a caratteri cubitali nel bagno dei maschi, epiteti oltraggiosi per SaSh e commenti irripetibili su di lei. Fra i tanti “troia come sua madre” era uno dei più lusinghieri. Le cose poi sarebbero peggiorate con poster di Mary Jane -giovane e seminuda- appesi un po' ovunque fra gli avvisi in bacheca e le battutine acide alle sue spalle.


Fin da piccola Charleen aveva dovuto sopportare i pregiudizi delle beghine verso SaSh, e qualcuno anche verso quel fedifrago di suo padre, che aveva tradito la moglie per poi trovarsi incastrato e con una figlia tra i piedi. A loro aveva sempre risposto con un'educata indifferenza e un malcelato disprezzo, e per chi superava il limite ci pensava la cicatrice di Patty Robson, che spiccava ancora ben visibile sul suo mento, a rimetterlo al suo posto.


C'erano stati anche gli apprezzamenti maligni dei maschi a darle il tomento e a rovinarle la vita: degli stupidi -e crudeli- adolescenti in calore avevano scaricato via web i video di SaSh -dei video che Charleen avrebbe voluto non vedere mai in tutta la sua vita- e li avevano messi sotto gli occhi dell'intera classe.

Nel giro di una settimana a Manuel Smith era stato sequestrato il cellulare, dato che qualcuno aveva fatto notare che il regolamento dell'istituto per l'uso del telefonino ne prevedeva la confisca immediata, mentre Jason Morgan aveva dovuto formattare il computer dopo che si era riempito di virus per un'email anonima.


Charleen doveva ancora ringraziare adeguatamente Kelly per quella storia.


Un'altra categoria di commenti che avevano bersagliato Charleen erano venuti invece dalle ragazze. Dopo aver osservato schizzinose l'ennesima stampa osé di SaSh, le perfide erano solite guardarla con occhio critico e , maligne, constatavano che lei e sua madre, almeno esteticamente, non avevano proprio nulla in comune. A volte aggiungevano che era proprio per la totale mancanza di una minima parvenza di bellezza che Charleen dovesse studiare così tanto: se fosse stata almeno passabile avrebbe potuto imparare a casa come guadagnare con poca fatica, senza alcun bisogno di un titolo di studio.


Anche nella nuova scuola si sarebbe svolto lo stesso copione, ne era sicura.

Anzi, forse in una scuola cattolica sarebbe stato persino peggio!!!


“Non commettere atti impuri” era una massima che conoscevano tutti, il perdono invece era qualcosa che tendevano spesso a dimenticare.



Una soluzione a tutte quelle paturnie sarebbe stata chiedere a SaSh di non mettere piede a scuola, ma Charleen si vergognava anche di aver preso in considerazione quella possibilità: non poteva nascondere sua madre, l'amava troppo e sapeva che quel gesto l'avrebbe ferita.


Non si poteva negare che in quel modo però nessuno avrebbe potuto risalire a lei dato che avevano un cognome diverso...


Scacciò quel pensiero molesto: non l'avrebbe fatto.

Non approvava le scelte e il passato di sua madre, poiché in quello strano contesto in cui era cresciuta Charleen era venuta fuori con una moralità piuttosto bizzarra ma estremamente rigida e severa, ma non poteva vergognarsi di lei.

Vedeva da sola quanto Mary Jane dovesse faticare tutti i giorni per riabilitarsi-con scarse possibilità di successo- ed era abbastanza matura da sapere che il passato non si poteva cancellare in nessun modo.


Charleen conosceva bene il dolore e l'umiliazione per l'altrui disprezzo e si guardava bene dall'infliggerli a sua volta.






***




In uno dei quartieri più periferici della città, Esteban, ancora davanti alla cassetta della posta, apriva una busta sigillata e ne tirava fuori un foglio di carta pregiata vergato da caratteri eleganti.

Col sorriso sulle labbra tirò fuori un vecchio cellulare dai tasti consumati e chiamò il vecchio proprietario del telefono, suo attuale datore di lavoro.

- Fammi le congratulazioni!!!- urlò nella cornetta, mentre sua madre e le sorelle si affacciavano sulla tromba delle scale, richiamate da quel grido di giubilo.




***


mitt: Charleen M. S.


Qst sera nn posso venire, faccio il trasloco :-(

Ci ved dmn. Almeno fino a qnd nn

mi trasferisco cercherò di venire sempre :-p

Ciao, saluta Phil”




Louise rimise il cellulare nella tasca del grembiule bianco e scoccò un'occhiata al vecchio Phil che beveva da una ciotola col suo nome.

-Ti saluta Mary- disse gettandogli un osso.

Il pastore tedesco sollevò la testa di scatto e lo afferrò al volo.


Anche lui avrebbe sentito la mancanza della piccola Charleen Mary Shawade, pensò distrattamente Louise.

La conoscevano da quando era bambina e Phil appena un cucciolo.


I genitori la mandavano a studiare in un lager per ricconi dall'altro lato della città, con i giorni d'uscita centellinati e il coprifuoco. Adesso come avrebbero sbrigato tutto il lavoro alla mensa?

I volontari erano sempre troppo pochi e c'era tanto da fare.


Le tornò in mente la proposta di quel vecchio amico di suo zio, quel giudice con gli occhiali e la pelata.

Con una mezza idea su chi avrebbe potuto sbrigare il lavoro compose il numero sul display.


Un paio di braccia in più facevano sempre comodo, anche se erano quelle di un minorenne scapestrato e diverso ogni tot. di tempo.




***




Andrew Pittwighs era arrabbiatissimo.


Purtroppo per lui, in pubblico non poteva permettersi il lusso di dare in escandescenze. Si limitò a trascinare Liam fuori dal tribunale per un braccio, infischiandosene delle sue proteste -era ancora piuttosto dolorante- e dei rimbrotti della moglie.


Lavinia Hardcraft e consorte non avevano il suo stesso problema e per questo urlavano un po' tutto il repertorio degli insulti umanamente conosciuti verso Matt, che invece veniva trascinato per un orecchio visto che momentaneamente era ingessato dal metacarpo in sù.


Andrew non capiva perchè gli Hardcraft, amici di vecchia data e sostenitori della sua campagna elettorale, fossero così arrabbiati. Matt e suo figlio erano due irresponsabili, ma non era stato Mattew a mettersi alla guida col tasso alcolico superiore al limite di legge e non avrebbe subito nessuna conseguenza!

I suoi lo avevano portato al processo solo perchè il figlio aveva insistito tanto per stare vicino all'amico.

Amicizia, lealtà... o un altro qualsiasi degli insulsi ideali da giovani sognatori che Andrew non ricordava più, ma era abbastanza sicuro di aver nutrito anche lui tanto tempo prima.


Mentre apriva la portiera dell'auto presa a noleggio -la sua era ridotta ad un ammasso informe di lamiera- poteva ancora sentire Arthur e Lavinia strillare “idiota”, “potevate uccidere qualcuno”e “se vi foste ammazzati?!?”.

Più o meno le stesse cose che sua moglie aveva sbraitato in ospedale, per tutto il tempo che c'era voluto per fare le lastre, la tac e parlare col primario.


Andrew non la capiva proprio la rabbia di quei tre: lo sapevano tutti che bastava pochissimo alcol perchè quelle macchinette infernali segnalassero un abuso. Liam e Matt non erano stati davvero in pericolo e comunque in quel momento, a parte qualche ammaccatura, scoppiavano di salute. Perchè sfasciarsi la testa con i se e con i forse?

Quella che era irrimediabilmente compromessa era la sua rielezione: se si fosse venuto a sapere dell'incidente, quelli dell'opposizione avrebbero stappato champagne!!!


In quel momento però, quello che rodeva di più ad Andew era stato quel ciccione calvo assiso, come un sovrano incoronato, sotto la scritta “la legge è uguale per tutti”. Trincerandosi dietro un martelletto di legno, il giudice se ne era fregato bellamente della posizione dell'assessore Pittwighs e dei tentativi del suo avvocato di risolvere pacificamente la cosa con una sanzione pecuniaria! Invece di insabbiare la cosa il prima possibile, quel...quel...grassone aveva condannato lui ad una multa salata, e suo figlio a dieci giorni di lavori socialmente utili!


Fantastico, il modo migliore perchè un Pittwighs passasse inosservato.




***




Lo guardavano male tutti, dall'alto in basso e con la puzza sotto il naso.


Quei supponenti perfettini, che si forgiavano del titolo di volontari, pensavano di essere cavalieri senza macchia e dalla scintillante armatura, persone generose e caritatevoli a prestare servizio in una mensa per i poveri!


Notizia dell'ultima ora: non lo erano affatto. Non con lui almeno.



-Insomma avete capito tutti?- tuonò risoluta il donnone che rispondeva al nome di Louise -Liam starà con noi dieci giorni per la sua punizione. Gli ho spiegato cosa fare, ma voi cercate di aiutarlo se serve.- concluse col tono di chi non ammetteva repliche.

Poi iniziò ad impartire comandi a destra e a manca come un generale in guerra e alla fine ordinò: -Aprite le porte!!!-.


Da quel momento si scatenò il delirio.



§§§



La mensa era un locale squallido, ma grande e pulito. Louise, che stava dietro ai fornelli, ci teneva molto all'igiene e gli aveva ficcato in testa una cuffietta bianca e un grembiulone macchiato di sugo attorno alla vita.

Se non altro -per la gioia di suo padre- con quell'infamante mise non lo avrebbero riconosciuto facilmente. Del resto chi mai avrebbe potuto pensare di trovare il figlio dell'assessore all'urbanistica in un posto del genere?

Di sicuro nessuno fra i barboni pidocchiosi sospettava che lui fosse un Pittwighs e non doveva crederlo nemmeno l'ubriaco puzzolente che aveva vomitato in bagno.


Era toccato a lui pulire...

Per fortuna un manico di scopa con l'acne e il naso lungo -Timoty gli sembrava- era rimasto talmente indignato dalla sua incapacità che gli aveva dato una mano. Peccato lo avesse fatto con un cipiglio di tale superiorità che Liam si era ben guardato dal ringraziarlo.

Non era certo colpa sua se non aveva mai preso in mano il bastone dello straccio!


I “poveri” generici e impersonali di cui Liam aveva sentito tanto parlare sui giornali e alla tv, erano decisamente diversi da quelli che aveva davanti. Era stato bello e anche un pochino appagante comprare le cartoline dell'unicef a Natale, e anche regalare i suoi vestiti smessi alle suorine che erano passate a chiederne a casa loro.

Era un po' diverso sentirsi nobili e altruisti con un pentolone in mano e costretti a servire centinaia di coperti a quei pezzenti avventori che, invece di ringraziarlo, erano freddi e ostili!

Qualcuno, mentre riempiva i piatti di zuppa, aveva addirittura girato il viso per non guardarlo in faccia, mentre il “vù cumprà” gli aveva domandato almeno venti volte se quella nel suo piatto fosse carne di maiale.

Aveva risposto di no, sebbene non ne avesse la minima idea.


Cos'è, adesso facevano pure gli schizzinosi?



Dopo due ore di lavoro frenetico, Liam era stremato e coi nervi a pezzi: i volontari non gli avevano rivolto la parola se non per dargli ordini, Louise aveva dimenticato che la schiavitù era stata abolita nel 1865 e una donna sporca gli aveva fatto lavare un contenitore unto e appiccicoso per potersi riportare a casa un po' di avanzi.


Quando l'ennesima persona seduta su una delle panche di legno, alla sua cortese domanda “ vuole fare il bis?”, voltò la faccia dandogli le spalle, Liam sentì che sarebbe esploso.


Non si era aspettato che qualcuno gli si gettasse ai piedi per ringraziarlo, ma quelli mica lo sapevano che lui era un “volontario coatto”, quindi che bisogno c'era di essere tanto maleducati?!?!

Per loro era un volontario e basta, non avrebbero dovuto mostrarsi riconoscenti e grati, magari dirgli grazie o almeno rivolgergli la parola?


Stava già per aprire la bocca e lasciare uscire qualche insulto irripetibile, quando una voce dolce alle sue spalle bisbigliò piano al suo orecchio:

-Non lo fa per offenderti. Si vergogna.-.


Si girò e vide una ragazzina dai profondi occhi verdi sorridergli.

Un angelo.


-Sei nuovo?- gli chiese mostrando una fila di denti bianchi. Lui annuì con la testa.

-Liam- si presentò.


La fanciulla di fronte a lui era piccola e minuta, con lunghissimi capelli castani e il nasino all'insù. Piuttosto carina, se non fosse stato per quegli occhiali enormi e lo sguardo imbambolato.


Era vestita in modo bizzarro, considerò con un'occhiata, ma non era certamente una degli indigenti e dei postulanti della mensa. Prima però, fra i volontari, non l'aveva vista e le mancava l'orrenda cuffietta.


-E' sempre difficile in primo giorno, poi ti abitui.- cercò timidamente di consolarlo, dimenticando di presentarsi a sua volta.


Abituarmi a questo? Per fortuna in dieci giorni non ne avrò il tempo, ragionò Liam.


Si rese conto che lei doveva averlo scambiato per un nuovo volontario ma non si prese la briga di correggere le supposizioni errate dell'unica persona gentile con lui dal giorno dell'incidente. Si lasciò trascinare dal piccolo angelo in un angoletto un pò appartato dal grande stanzone.


-Non devi prendertela se si girano dall'altra parte e se nascondono il viso appena ti avvicini: non ti conoscono e non si fidano. Alcuni si vergognano di essere costretti a venire qui, di dipendere dalla carità delle altre persone. Si sentono feriti nell'orgoglio e non vogliono farsi riconoscere.- spiegò impacciata- Alcuni poi sono arrabbiati perchè con loro la vita è stata ingiusta e magari ce l'hanno anche un po' con noi che ci atteggiamo a paladini della giustizia ma non sappiamo nulla della loro sofferenza. Farai bene a non aspettarti una pioggia di grazie anche se qualcuno ti sarà grato, ma in maniera più discreta-.


Come se me ne importasse qualcosa, specificò Liam mentalmente.


-Tu comunque...beh- disse la ragazzina arrossendo appena- ...ecco- tentennò ancora – se accetti un consiglio non dovresti andare in giro con quello- disse alludendo al prezioso orologio al suo polso- per tanti motivi...ah- aggiunse per cambiare rapidamente argomento, vergognandosi per essersi permessa tanta confidenza con uno sconosciuto -ricordati che i mussulmani non mangiano la carne di maiale!!!-.


-Comunque, se vuoi fare due chiacchiere, sappi che alcuni senzatetto sono piuttosto divertenti, specie quando non sono brilli! Potrebbero diventare violenti...- s'incupì per un attimo per poi voltarsi verso uno dei tavoli più vicini.

-Quello per esempio- disse accennando ad un omino rubicondo con la barba lunga – si fa chiamare Pancho , ma non credo sia il suo vero nome. Viene dalla Russia e sa un sacco di barzellette!!! E poi è stato in un mucchio di posti... Quello che gli siede vicino era un professore di economia all'università e quando è sobrio ha davvero molto da insegnare. Elias invece suona magnificamente il violino e credo abbia una famiglia da qualche parte.- e mentre parlava indicò lo strumento ai piedi di un uomo col cappello.- I clochard si lasciano conoscere un po' più facilmente degli altri perchè di solito non si vergognano di essere qui. Credo che per qualcuno che ha perso tutto o per quei vecchietti che hanno lavorato tutta la vita ma che con la pensione non arrivano a fine mese sia più difficile accettare la compassione e l'aiuto altrui.-.


Quella ragazzina sembrava timida, ma appena le si dava corda non la smetteva più di parlare.



-A volte qualcuno fra i più giovani da anche una mano in cambio di qualche spicciolo, ma prima di prendere iniziative è meglio chiedere a Louise. Lei è in gamba e sa sempre chi potrebbe spendere tutti i soldi in alcolici.-


Louise? La negriera? L'angelo gli aveva appena detto che poteva pagare un pidocchioso barbone per farlo pulire al suo posto e uccideva la sua euforia nominando il suo carceriere?



-Ah, li vedi quei due?- disse illuminandosi la sua interlocutrice -Sono Helen e Curt. Stanno insieme e si sono conosciuti qui!- raccontò orgogliosa come se lei fosse un piccolo Cupido e la mensa un locale alla moda e non, al massimo, una squallida casa d'appuntamenti.


-Mary che ci fai qui?- Louise, che l'aveva sempre chiamata col suo secondo nome, la fissava sorpresa da dietro una pila di stoviglie.

-Ho finito prima del previsto!- Ti do una mano con i piatti-disse rivolta alla donna. Poi la ragazza salutò Liam con un cenno e sparì nelle cucine.




§§§




Dopo l'incontro con quella ragazza, la sua giornata era decisamente migliorata, pensò Liam mentre, a piedi, lasciava la mensa.


Mary era carina, non bellissima, ma decisamente graziosa e aveva degli occhi stupendi.

E poi era stata davvero gentile.


Era anche piuttosto sveglia, riflettè.

Quando due beoni si erano messi e litigare era riuscita a separarli senza alzare un dito, mandandoli al tappeto con un'arringa brillante.

Per un attimo Liam aveva temuto che con la sua ridicola statura, Mary, che era arrivata di corsa richiamata degli urli, volesse pararsi in mezzo ai due litiganti. Invece si era messa a sbraitare qualcosa in spagnolo coi le mani sui fianchi e la faccia scura.



Era ancora perso fra quei pensieri e fra le riflessioni che le poche frasi scambiate con quell'insolita tipa avevano risvegliato in lui, quando un uomo, che non riuscì a vedere in faccia per il buio, sbucò da un angolo sbarrandogli la strada.

Dal nulla si materializzarono altre due figure minacciose che lo circondarono. Una lo afferrò da dietro tappandogli la bocca mentre gli altri due assalitori cercavano di bloccargli gambe e braccia.


Liam era forte, alto e muscoloso per la sua età, ma aveva solo sedici anni ed era ancora ammaccato e dolorante per l'incidente.


Potè solo avere la soddisfazione di rifilare qualche pugno ben piazzato e sentire il più grosso lamentarsi per il dolore, prima di ricevere un calcio in pieno stomaco e rotolare sull'asfalto.


Gli rubarono il portafoglio, il cellulare e l'orologio al suo polso.

Un magro bottino a suo parere, ma evidentemente non tutti dovevano pensarla come lui.




Alcuni dei motivi a cui alludeva Mary quella sera li aveva appena capiti a sue spese, gli altri l'avrebbe pregata di dirglieli il giorno dopo.






***




In quello stesso momento la cameretta di Ashley McKenzie era vuota ed una rivista di moda dalle pagine satinate era aperta sul letto. Un taglierino giaceva sul pavimento ricoperto da ritagli delle passerelle parigine più prestigiose. L'artefice di quel disordine era in bagno e vomitava la cena nel water.




***






note

  1. -Agli equinozi il sole sorge precisamente ad est e tramonta precisamente ad ovest, ovunque.
    La lunghezza del giorno eguaglia la lunghezza della notte.

  2. -Il titolo del cap. è una canzone dei Death Cab for Cutie


  1. che sia ben chiaro: Charleen non è perfetta, soffre molto per essere vittima dell'altrui pregiudizio, ma è piena di pregiudizi anche lei, e questo SaSh lo sa bene.

  2. Non esiste una data precisa per l'abolizione della schiavitù poiché ogni Stato l'ha abolita in un anno diverso (addirittura l'ultimo stato, la Mauritania, l'ha abolita nel 1980). Nel 1948 è stata dichiarata illegale dalle Nazioni Unite , ma Liam, da bravo materialista e figlio di un politico altrettanto materialista, con questa data indica quando la schiavitù è ufficialmente finita negli Stati Uniti al termine della Guerra di secessione. Probabilmente Liam la storia la vede dalla parte dei più ricchi...


  1. - attenzione Ashley non è anoressica o bulimica. O almeno non lo è ancora... la sua è piuttosto una situazione a rischio. Comunque questo argomento sarà affrontato e ripreso con dovizia di particolari più in là, ma sin da ora possiamo riconoscere alcuni dei tratti distintivi della personalità di un soggetto anoressico: la tendenza ad autoimporsi una rigida disciplina e ad imporla agli altri, la ricerca della perfezione, e poi, ovviamente, il controllo maniacale per la dieta. Cercate di entrare nell'ottica che il soggetto affetto da questo disturbo non è un soggetto dalla personalità fragile come quello bulimico, che si lascia in un certo senso “sopraffare” dalle richieste del corpo per il cibo e poi dal senso di colpa per aver mangiato troppo. L'anoressico, e più spesso l'anoressica, è molto spesso una ragazza dalla “forte” personalità- contrariamente da quel che dipingono tv e telefilm- con una grande forza di volontà con il desiderio forte per il controllo, un controllo esasperato fino al punto da voler predominare con la testa sul corpo. Ovviamente questo non vuol dire che il soggetto anoressico non abbia le sue debolezze e fragilità, assolutamente,o che non siano vere tutte quelle cose che sappiamo tutti...cmq questa è una storia leggera, senza la pretesa di sviscera questi temi o insegnare qualcosa, sia ben chiaro.

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Capitolo 4
*** Saudade ***


mary 4

Attenzione: vi ricordo che il nome completo di Charleen è Charleen Mary Shawade, ma mentre tutti la conoscono come Charleen o Charlie, alla mensa Loiuse la chiama Mary e Liam è convinto che questo sia il suo nome. Buona Lettura.... :-p





St Mary's College




capitolo 4




Saudade




Da quando suo padre li aveva abbandonati -”avevano divorziato”, ripeteva sua madre- la vita per Esteban era stata un inferno.

Aveva quattordici anni e la sua non era mai stata una famiglia ricca, ma a Maiquetia era stato discretamente felice - per quanto possa ragionevolmente esserlo nella vita una qualsiasi persona - e non gli era mancato mai nulla.

Era proprio dal divorzio che erano iniziati i problemi: avevano cambiato casa due volte in un anno, spostandosi alla periferia di Caracas, e sua sorella aveva smesso di andare all'università per trovare lavoro, mentre sua madre, in lacrime, la scongiurava di ripensarci, rassicurandoli tutti che presto le cose sarebbero migliorate.


Le cose però non erano migliorate affatto e mentre la signora Ramos -non più Robledo- si arrabattava tra mille lavori che le prosciugavano le forze e le energie, Rodrigo, suo fratello maggiore, aveva annunciato le proprie nozze e si era sposato nel giro di un paio di mesi.


Esteban non si era mai sentito più solo e più tradito.


Sua madre e Fernanda erano sempre a lavoro, suo fratello aveva una nuova casa ed una nuova famiglia e suo padre...beh, suo padre era lui stesso a non volerlo vedere. Possibilmente mai più per tutta la vita.

Esteban ed Eva si erano ritrovati spesso da soli in casa, e mentre la piccolina delle famiglia continuava a studiare e a fare i compiti, lui si era messo a saltare la scuola e ad andarsene a zonzo senza meta per interi pomeriggi.

Poi un giorno sua madre era crollata e l'avevano portata in ospedale. Si era strapazzata troppo, aveva detto il medico.

Si era sentito un verme: mentre tutta la sua famiglia si dava da fare e cercava di guardare avanti, lui si era intestardito nel suo dolore e, rancoroso, aveva continuato a sbattere i piedi come un bambino che rifiutava la realtà facendo preoccupare tutti.

Dal giorno del ricovero, Esteban aveva cercato, con tutta la buona volontà possibile, di reagire e aveva disperatamente tentato di non farsi bocciare. A scuola non era mai andato troppo male, sebbene non fosse una cima, ma quell'anno aveva accumulato moltissime assenze e riuscire a recuperare era stata un'impresa quasi impossibile. Tutti i suoi sforzi dell'ultima ora lo avevano salvato, ma l'anno dopo le lacune accumulate, insieme alle difficoltà di una lingua sconosciuta, lo avevano condannato inesorabilmente alla bocciatura.

Non avrebbe mai dimenticato sua madre che davanti ai quadri si asciugava le lacrime, mentre quella stessa sera sua sorella lo aveva rincorso attorno al tavolo della cucina, brandendo in una mano il cucchiaio di legno sporco di sugo.

Non avrebbe mai dimenticato nemmeno la cena di due anni prima, c'erano anche suo fratello e la moglie, e sua madre aveva dato la notizia: nel giro di qualche mese si sarebbero trasferiti tutti in un altro paese poiché una lontana parente (che Esteban non aveva mai sentito nominare ma con cui Catalina intratteneva una fitta corrispondenza) le aveva trovato un posto da cameriera davvero ben pagato. Rodrigo ormai aveva una nuova famiglia ma lui, Eva e Fernanda non potevano essere più pronti a partire. A dimenticare.


Non gli era dispiaciuto lasciarsi tutto alle spalle, anche se a volte gli mancavano i luoghi dove era cresciuto e i nonni, mentre una lingua aspra, sferzante e sconosciuta gli feriva le orecchie. Qualche volta gli mancava anche suo padre, ma non lo avrebbe mai ammesso. E del resto non ne era del tutto sicuro.


Dopo il trasloco lui ed Eva avevano ripreso a frequentare la scuola e si erano impegnati tanto, imparando la nuova lingua in pochi mesi e studiando come disperati. Purtroppo non sempre l'impegno ripaga, e nella vita serve anche una buona dose di fortuna, sufficiente almeno ad evitare insegnanti zelanti e ottusi. Evidentemente Esteban doveva aver esaurito tutta la scorta di “culo” disponibile col miracoloso salvataggio dell'anno precedente, e nella nuova scuola si era ritrovato per la seconda volta a studiare il piano cartesiano e ad approfondire di nuovo Keats e Byron, vittima di una professoressa di letteratura troppo puntigliosa per qualcuno che nella sua materia era, a tutti gli effetti, un principiante.


Adesso era uno studente discreto, disilluso ma con una media ragionevolmente soddisfacente, e aveva imparato a sue spese quanto a volte solo un numero valga qualcosa.

Però era dannatamente stanco. Stanco di dover lottare e di sentirsi un relitto trascinato dalla corrente, alla deriva.

Voleva di più.

Lo aveva capito quando aveva visto il luccicante scintillio della villa dove prestava servizio sua madre la prima volta che l'aveva accompagnata al lavoro.

Gli altri domestici gli avevano raccontato che la figlia del padrone, una ragazza bellissima con gli occhi scuri e boccoli di miele, frequentava una scuola prestigiosa, una scuola per ricchi, di quelle che preparano la gene che conta.


Ci sarebbe andato anche lui in quella maledetta St. Mary's, a qualsiasi costo.



Con la mente ancora persa fra quei ricordi, Esteban finì di impacchettare le poche cose che avrebbe portato con se nella nuova scuola. Chiuse il cartone col nastro adesivo e si chiese, speranzoso, se l'istruzione e l'impegno fossero sufficienti nella vita per diventare qualcuno. Poi, solo per un attimo, si interrogò su cosa esattamente volesse dire per lui essere qualcuno.



***




In quegli ultimi giorni di - meritata - vacanza, Liam Pittwighs temette seriamente di perdere la voce per scarso utilizzo. Le ore di lavoro socialmente utile a cui era stato condannato per “guida in stato di ebbrezza” le trascorreva quasi tutte senza aprir bocca. Iniziava seriamente a credere che avrebbe potuto disimparare a parlare e si chiese più volte come fosse possibile sentirsi così solo quando tra volontari, giovani del servizio civile, barboni e indigenti assortiti, fosse costantemente circondato da almeno cento persone.

Matt latitava ed aveva a malapena trovato il tempo di mandargli un messaggio su facebook per avvertirlo di essere stato messo a sua volta in punizione dai genitori e di essere stato privato di computer e cellulare. Come avesse fatto a collegarsi a facebook Liam proprio non lo sapeva, ma conosceva l'amico abbastanza da immaginarne le sue infinite risorse quando si ficcava in testa di fare qualcosa. Che non fosse qualcosa di buono, ovviamente.

Con l'eccezione di un vecchio cane zoppo e di Mary, alla mensa tutti si comportavano come fosse stato perfettamente trasparente.

Liam si presentava da Louise verso le otto del mattino, quando la donna apriva, e restava lì fino alle dieci di sera quando i pavimenti erano lustri e le stoviglie impilate in bell'ordine. Mary si faceva vedere alternativamente a pranzo o a cena ed evidentemente nessuno aveva pensato ad informarla che il “ragazzo nuovo” fosse il figlio dell'assessore Pittwighs, nonché un “pessimo soggetto” condannato a scontare lì la sua condanna, visto che lei continuava a cercarlo con un sorriso radioso sulle labbra.


Mary con il passare dei giorni non gli sembrava più bella come gli era parsa la prima volta che l'aveva vista, ma in compenso era insolitamente affascinato dalla sua incredibile personalità.

Non era sicuro che quell'attrazione, per lui del tutto nuova e sconosciuta, fosse esattamente quella di un uomo per una donna e non soltanto un'insana e morbosa curiosità per un qualcuno di totalmente alieno al suo modo. Continuava comunque a pensare che quella piccola creatura occhialuta fosse piuttosto graziosa e avrebbe potuto facilmente passare da graziosa a molto carina nel suo indice di gradimento se solo si fosse liberata degli occhiali e della retina per capelli, e se si fosse vestita un po' meglio. O anche soltanto se si fosse svestita un po'...

Anche lui però, che di solito poteva vantare un discreto successo con l'altro sesso, col grembiule a righe e gli abiti smessi che sua madre lo aveva costretto ad indossare dopo lo spiacevole agguato del primo giorno, non faceva una gran bella figura: il suo sex appeal poteva contare al momento unicamente sugli occhi azzurri e la bocca carnosa, visto che i capelli biondi e mossi, fra cui le ragazze amavano tanto passare le dita, erano nascosti da un ridicolo berretto igienico bianco almeno dieci ore su ventiquattro.


Con Mary si era ritrovato a parlare di tutto e di niente, nei momenti di pausa o mentre servivano i coperti o asciugavano i piatti.

La ragazza alternava momenti di silenzio a conversazioni esplosive e sconclusionate. Saltava di pali in frasca non riuscendo a concludere un discorso, e sembrava appena scappata dal mondo delle favole o da un cartone animato, con quel suo modo insolito di parlare e di muoversi. Mary non camminava, scivolava sul pavimento in punta di piedi, come se non avesse peso alcuno, sorrideva moltissimo anche quando non ce n'era alcun bisogno e riusciva ad infervorarsi anche sul più infimo dei discorsi. Liam doveva ammettere di averla osservata a lungo, ma in effetti non aveva poi molto da fare...

O meglio da fare ne aveva eccome, ma lavare i tavoli e passare lo straccio non riuscivano a tenergli impegnata la mente. Quindi si era dato allo spionaggio, scoprendosi sempre più avido della presenza di quel folletto ricoperto di braccialettini colorati e curioso di conoscerla. Smaniava dalla voglia di chiacchierare con lei e non sapeva se fosse perché era la prima volta che si ritrovava a parlare tanto con una ragazza o perché la sua interlocutrice fosse proprio quella ragazza. Era piacevolmente sorpreso e compiaciuto di vedere che anche Mary sembrava ricambiare l'interesse e si divertisse a parlare con lui e poi, col passare dei giorni i turni della ragazza diventavano inspiegabilmente più lunghi e lei si tratteneva alla mensa sempre un po' più di tempo ogni giorno.


Non aveva mai pensato di poter passare del tempo con una ragazza in quel modo. E nemmeno con un altro essere umano. Con Matt parlava moltissimo, ma a volte il loro era solo un esercizio di gola fatto di parole vuote...

Lui e Mary invece riuscivano a chiacchierare delle cose più futili e sciocche o di quelle più serie e importanti senza annoiarsi o sentirsi in imbarazzo. La cosa più strana era che si era trovato bene con lei persino in silenzio, quando erano entrambi troppo stanchi persino per aprire bocca.

Si trovava a suo agio con quella tipa forse perché sapeva che lei non lo conosceva, anzi non conosceva Liam Pittwighs, e che non si sarebbero mai più rivisti dopo quei dieci giorni.


A volte si era trovato a pensare che non vedere più Mary gli sarebbe quasi dispiaciuto. Quasi.




***




Susanne Lorelei Donnelly rischiava seriamente di venir detronizzata dalla carica di “migliore amica” di Ashley McKenzie.

Dal primo Settembre a quella parte si era installata in pianta stabile a casa della ragazza con la scusa di copiare i compiti delle vacanze di Ashley, ed era riuscita persino a farsi ospitare per un paio di notti. Aveva addirittura trovato il barbaro coraggio di lamentarsi perché il vitto, a suo parere, era scarso.

La sua -ormai quasi ex- migliore amica l'aveva guardata sgranando gli occhi e pensando che era decisamente una fortuna che i McKenzie fossero miliardari, altrimenti quel pozzo senza fondo di Susie li avrebbe mandati sul lastrico con l'aspirapolvere che si ritrovava al posto della bocca. Il solo guardarla ingozzarsi aveva chiuso ulteriormente lo stomaco di Ashley, che già di suo non aveva mai un grande appetito.


Dopo quattro giorni di inutili appostamenti e ricognizioni in tutta la casa per scovare Catalina ed estorcerle - con l'aria più falsamente innocente del suo repertorio - informazioni sul figlio, Ashley cominciava ad essere davvero stanca di giocare all'agente segreto: con tutte quelle spedizioni punitive e i pedinamenti si sentiva molto 007 , e pensare che lei non avrebbe accettato di fingersi nemmeno una Bond girl! Nutriva troppe perplessità sullo stato della manicure e della messa in piega di donne che si agitavano in quel modo, per non parlare dell'indecenza di quei ridicoli pezzetti di stoffa che a stento arrivavano a coprire loro il sedere...

Non sopportava inoltre che Susie trasgredisse le regole dell'amor cortese e del corteggiamento cavalleresco e spendesse tutte quelle energie ad inseguire un uomo. Se almeno tutto quell'agitarsi fosse servito a farle rispettare la dieta o a bruciare calorie, avrebbe anche potuto soprassedere, ma le pene d'amore dirottavano la sua rossa verso chili di gelato e dolci alla nutella.

Di fronte a tutte le sue rimostranze sull'etichetta delle strategie di conquista, Susanne si limitava a scrollare le spalle e a ribattere che per migliore amica non aveva una persona ma il decalogo del buon costume e una lista infinita di regole e precetti. Intimandole di essere meno rigida e inflessibile, Susie le ordinava per l'ennesima volta di andare a procacciare informazioni su Esteban Relano Ramos dalle cameriere.


La maggior parte delle volte, per non sentirla più, Ashley dalle cameriere ci andava davvero, ma si limitava a chiedere di servirle del succo di frutta -senza zucchero aggiunto- o dell'acqua minerale. Poi tornava nelle retrovie dicendo che Catalina era irreperibile e che il resto del personale di servizio conosceva Esteban solo di vista.

Le dispiaceva molto dire bugie, ma se avesse fatto troppe domande qualcuno avrebbe pensato che quella interessata ad Esteban fosse lei!!! E Ashley preferiva evitare accuratamente il diffondersi di una simile falsità.


Il neonato amore di Susie era ormai destinato a seccarsi molto presto sotto il sole cocente di mezzogiorno per la mancanza d'informazioni, quando gli sforzi della fanciulla vennero ricompensati dalla visione del tanto sospirato e bramato Esteban che, come nei più consueti cliché da pubblicità coca-cola, in pantaloncini e maglietta attillata, lavava una delle automobili dei McKenzie, sotto la supervisione di Igor, l'autista di famiglia.

Esteban reggeva la pompa in una mano e scuoteva la testa per scrollare via l'acqua dai capelli, la maglietta umida gli si era incollata alla pelle e persino Ashley rimase impressionata da cotanta visione.

Quel ragazzo era davvero sexy in quel momento, con quell'aspetto selvaggio e indomabile di chi ha vissuto sempre libero e all'aria aperta, abituato a fregarsene del protocollo e dell'etichetta.

Non era bello nemmeno la metà di Liam o Matt, i ragazzi più carini del loro anno, ma con la pelle scura e un accenno di barba, era decisamente uno spettacolo affascinante per gli occhi.

Sembrava più grande dei suoi diciassette anni. Non era più un ragazzo: Esteban era un uomo.

“Possibile abbia solo un anno più di me?”si chiese la biondissima McKenzie.

Susie era troppo occupata ad asciugarsi la bava che le colava dalle labbra per proferire verbo, ma quando finalmente il suo cuore si riprese da quella visione da infarto mormorò:

-Ma allora era vero quello che diceva Ines! ogni tanto accetta davvero qualche lavoretto alla villa!.-.

Probabilmente a casa sua dovevano avere davvero bisogno di soldi, dedusse Ashley, ma non trovò sorprendente nulla da replicare mentre seguiva Susie che marciava spedita verso il ragazzo.





***




Erano le cinque del pomeriggio e Charleen Shawade e Liam Pittwighs avevano appena finito di riordinare dopo il pranzo e si godevano il sole tiepido degli ultimi giorni d'estate, prima di ricominciare a lavorare per la cena.

Quel giorno Charleen aveva deciso di restare più a lungo visto che c'era da fare più del solito in previsione della festa di sabato per i vent'anni dall'inaugurazione della mensa.


Forse quel giorno era rimasta più a lungo anche per il ragazzo nuovo.


Nel giro di una settimana si sarebbe trasferita dall'altro lato della città e da qual momento in poi in quel posto, che sentiva un po' casa sua, non avrebbe più messo piede, se non per uno sporadico salutino a Louise e due coccole a Phil.

Le dispiaceva davvero moltissimo lasciare i volontari e le dispiaceva ancora di più da quando finalmente conosceva qualcuno di veramente interessante in quella mensa doveva aveva passato i pomeriggi dall'età di undici anni.

Ma del resto anche Liam sarebbe tornato a scuola e probabilmente non avrebbe avuto in ogni caso tutto quel tempo per stare con lei.


- Sei sulla stessa pagina da dieci minuti - notò ad alta voce il ragazzo alle sue spalle. Era appoggiato pigramente alla parete, con una sigaretta fra le labbra e le mani in tasca. Si era tolto la cuffietta e i capelli gli ricadevano disordinati sulla fronte.


E' bello, pensò Charleen.

Si chiese come mai non lo avesse notato prima, ma del resto non era mai stata una persona che facesse troppo caso all'aspetto. Le erano sempre piaciuti tipi bruttissimi; era molto più spesso attratta da una risata contagiosa, da una prontezza di spirito fuori dal comune o dall'intensità di uno sguardo che da un bel viso. Una volta si era presa una sbandata pazzesca per un ragazzo sfigurato dall'acne e un'altra volta per un tipo con l'apparecchio.

Ovviamente non si era mai potuta permettere il lusso di raccontare a qualcuno le sue paturnie sentimentali, e lasciava che il suo interesse morisse da solo, spegnendosi nell'oblio del non detto. Essere la figlia di SaSh non era fardello facile da portarsi appresso.

Se fosse stata troppo espansiva con i ragazzi, Charleen si sarebbe guadagnata il biasimo altrui molto più facilmente delle coetanee, e non tutti i ragazzi avrebbero potuto sopportare di avere una fidanzatina universalmente ritenuta poco seria e tollerare il fuoco di fila dei compagni e le prese in giro a cui una “fidanzata” del genere li avrebbe condannati. O forse si sbagliava di grosso, ma non aveva intenzione di rischiare, di farsi ferire.


Charleen non sapeva se Liam le piacesse o le potesse piacere, ma per la prima volta in tutta la sua vita, per un istante, si era sentita attratta da una persona per il suo aspetto, o meglio da un ragazzo in quanto tale, semplicemente per il suo essere un uomo.

Avvampò per l'imbarazzo di quei pensieri molesti e inopportuni e distolse in fretta lo sguardo posandolo sul giornale che stringeva fra le mani.

Il suo rossore doveva essere del tutto fuori luogo visto che Liam inarcò un sopracciglio perplesso.


-Cosa leggi?- le chiese curioso, gettando a terra il mozzicone della sigaretta e lasciandosi cadere al suo fianco sulla panchina.


“Allarme nucleare” titolava la prima pagina.

Il giorno prima avevano battibeccato per un'ora visto che lei era per il totale smantellamento delle centrali e la demonizzazione dell'uranio e lui invece la pensava in tutt'altro modo.

Voltò diplomaticamente la pagina e lesse a caso il primo titolo che le passò sotto gli occhi.

-“Alla fine della guerra tra i vinti faceva la fame la povera gente, tra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente” - scandì ad alta voce.

L'articolo si apriva con la citazione di Brecht, prima di tirare fuori i soliti e abusati numeri di morti, feriti, dispersi che a furia di venire ripetuti facevano dimenticare di star parlando di persone e non di statistiche e dati.


Charleen sospettò che anche su quell'argomento lei e Liam avessero delle idee parecchio diverse e si preparò mentalmente un'arringa brillante per convertirlo - o almeno per provare a convertirlo - alla causa pacifista.


Era bello litigare con lui.



Ed era ancora più bello che Liam e Charleen, due persone diametralmente opposte, incontrandosi nello stesso luogo, per i motivi più diversi, si trovassero inspiegabilmente ad andare d'accordo.


Entrambi finalmente liberi, per una volta, da tutte le loro maschere, o forse entrambi impegnati a costruire maschere nuove e un'immagine di sé migliore di quanto fosse in realtà.


Ma anche questo era bello, solo che Charleen non poteva saperlo.





note:

  1. Maiquetia è una città realmente esistente. Si affaccia sul Mar dei Caraibi, è vicinissima a Caracas e qui si trova l'aeroporto internazionale.

  2. Saudade è un termine che deriva dalla cultura portoghese e poi brasiliana, che indica una forma di malinconia, un sentimento affine alla nostalgia. Etimologicamente, deriva dal latino solitùdo, solitudinis, solitudine, isolamento e salutare,salutatione, saluto. In alcune accezioni la saudade è una specie di ricordo nostalgico, affettivo di un bene speciale che è assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o di possederlo. In molti casi una dimensione quasi mistica, come accettazione del passato e fede nel futuro.

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Capitolo 5
*** get this party started ***


st mary 5





St Mary's College


capitolo 5



Get this party started







Gli ultimi giorni d'estate Ashley li aveva passati con la piccola Melanie.

Anche se quando pasticciava coi suoi rossetti sui muri di casa l'avrebbe volentieri strozzata, la primogenita dei McKenzie adorava sua sorella e voleva approfittare di quegli ultimi giorni a casa per viziarla un po'. L'aveva quindi portata al mare e a giocare da un'amichetta dell'asilo, e si era persino sorbita due interminabili ore di cartone animato al cinema.

Susie era sparita dalla circolazione poiché i genitori l'avevano trascinata alla villa al lago, e non aveva nemmeno fatto in tempo a sentirne la mancanza che l'amica le aveva già inviato almeno tre email per informarla dei risultati del suo appuntamento galante.

Esteban aveva invitato Sue, Ashley e persino la piccola Mel a prendere un gelato, ed era divertentissimo scoprire che preferiva cocco e stracciatella, almeno quanto l'allegra costatazione che Susanne, troppo concentrata sui propri deliri e paturnie amorose, si era dimenticata addirittura il “come stai?” di rito, compensando con venti pagine su quanto Esteban fosse stato gentile e di come i suoi addominali trasparissero da sotto la maglietta.


Chissà come l'aveva presa lui quando invece di ritrovarsi tre ragazze davanti se ne era presentata una sola …


Probabilmente la Strega aveva tralasciato di raccontargli, tra un tentativo di seduzione e l'altro, che avesse addirittura fatto piangere Mel quando aveva loro gentilmente intimato di restarsene a casa!

Anche la sua sorellina infatti era caduta vittima del fascino di Esteban, che la chiamava “mia piccola Lady” e non la trattava come una mocciosetta di cinque anni, e quando Susie aveva provato a convincerla ad accontentarsi di un gelato confezionato - direttamente prelevato dal freezer di casa loro - al posto di quello artigianale del centro, dove avevano gli smarties le coppette con topolino, Mel era scoppiata in lacrime. Ovviamente Susie non si era lasciata commuovere e all'appuntamento era andata da sola, mentre Ashley aveva il suo bel da fare coi peluches di Winnie-pooh.


Forse Esteban era stato contento di quella romantica trovata, pensò acida: avrebbe speso meno comprando un gelato solo...ma probabilmente ci aveva messo poco a ricredersi appena scoperte le abitudini fagocitarie di Susanne, augurandosi che si fosse presentata lei al suo posto...Ashley il gelato non lo avrebbe mangiato proprio!!!


Si alzò dal divano, dove aveva passato le ultime due ore, e spense la TV, proprio mentre Blair sorprendeva Chuck a letto con Rebecca. Quel pomeriggio nemmeno la milionesima replica della sua serie preferita riusciva ad interessarle...

Marciò dritta filata in camera di Melanie per proporle una visitina da “Armani under 10”.


Forse lo shopping non rendeva felici, ma di sicuro sortiva un effetto calmante sui suoi nervi.




***





Esteban saliva i gradini a due a due, canticchiando fra sé un vecchio successo tirato fuori da chissà dove. Era insolitamente allegro per qualcuno coercitivamente spedito a fare la spesa - giusto per sottolineare che nemmeno in vacanza il lusso di poltrire, così come come ogni altro possibile e superfluo lusso, gli fosse concesso - e trascinava due sporte rigonfie.


Susie era simpatica, ma iniziava a sospettare che quello che volesse da lui non fosse esattamente amicizia. Doveva stare attento a non darle false speranze, visto che non era interessato...


Pensava distrattamente a lei, ad Ashley, alla nuova scuola e anche ad un migliaio di altre cose... tranne a quel che stava facendo e dovette armeggiare a lungo con la serratura prima di beccare la chiave giusta nel mazzo.


Era felice Esteban, felice come non ricordava di essere da lungo tempo. Finalmente le cose iniziavano a girare nel verso giusto.


Entrò in casa e ad accoglierlo trovò solo una lettera sul tavolo, molto diversa da quella elegante e filigranata di qualche giorno prima.

Lasciò cadere le buste del supermercato a terra e l'afferrò con mani tremanti ma decise; fissò a lungo il mittente, con lo sguardo vacuo e gli occhi spenti.

Poi, senza neppure aprirla, la stracciò in mille pezzi e lasciò un cimitero di resti di carta sulla tovaglia, a monito di tutto il suo rancore e il suo disprezzo.




***




Com'erano arrivati a parlare d'amore?

Ricordava per sommi capi di avergli raccontato qualcosa sui libri che aveva amato di più e che lui aveva fatto altrettanto, rivelando quanto fossero discordati le loro opinioni persino in materia di classici e letture, poi Liam aveva detto che amava molto il basket e che faceva parte della squadra della sua scuola, mentre lei aveva cincischiato qualcosa sulla sua sviscerata passione per la matematica e la scienza, facendolo scoppiare a ridere per tutto il genuino entusiasmo che ci aveva messo nello spiegargli il paradosso dei gemelli di Einstein. Lei invece lo aveva preso in giro quando il ragazzo aveva confessato che da piccolo piangeva davanti a Pinocchio e poi si erano messi a parlare dei rispettivi compagni di classe e lui aveva fatto una battutina - assai poco gentile ma sincera - sui tartagliamenti di Alice, la figlia della prof. di storia, e Charleen aveva ammesso di aver avuto una cotta stratosferica per un bambino balbuziente ai tempi della seconda elementare.

Adesso si stavano addentrando nella palude infida e limacciosa delle relazioni amorose.


-Qualche storia, ma mai niente di serio. Non sono molto fortunato...- ironizzò Liam senza scendere nei dettagli.

Anche se era evidente che si aspettasse un commento da parte di Mary ed un accenno alle sue relazioni passate o presenti per ricambiarlo della confidenza, Charleen si limitò ad un sintetico -Non sono fidanzata -.

Del resto era la pura verità e lei a quella conversazione non aveva davvero nulla da aggiungere: la fama di SaSh bastava da sola ad allontanare dalla sua vita qualsiasi accenno di romanticismo o una qualsiasi altra forma di relazione con esponenti dell'altro sesso che andasse oltre un'amicizia superficiale.


A volte Charleen era addirittura arrivata a pensare che per certi versi, la tanto criticata moralità di SaSh le avesse fatto un favore: se non altro poteva attribuire a quella la totale mancanza di attenzioni maschili, scacciando via i fantasmi spiacevoli del dubbio di non essere lei abbastanza. Abbastanza attraente, abbastanza bella, abbastanza simpatica.


Un assordante silenzio piombò su di loro, mentre le orecchie di entrambi assorbivano le sue ultime parole, sospese nel silenzio profanato solo dal sibilo delle bombolette spray.

Stavano scrivendo “happy birthday” su un vecchio lenzuolo, dove Charleen aveva disegnato una torta con 20 candeline: il giorno dopo sarebbe stato sabato 13 Settembre e alla mensa si preparavano da settimane ad una festa in grande stile per il compleanno del centro. Louise non stava più nella pelle ed aveva addirittura attrezzato un letto in una delle stanze del piano di sopra (che di solito fungevano da ripostiglio) visto che ormai praticamente dormiva nella mensa per tutto il lavoro che c'era da fare fra bibite, rinfresco e grandi pulizie.


I volontari erano indaffaratissimi e alcuni dei clochards si erano offerti per dare una mano. Elias avrebbe suonato qualcosa per rallegrare la serata mentre Ronnie aveva fatto i calcoli delle spese e dato qualche dritta su come risparmiare -vista la sua esperienza in materia- sulle bevande alcoliche, opportunamente annacquate da due zelantissime cuoche del servizio civile. Alì, il venditore ambulante, di alcol non capiva nulla e non poteva berne, ma in compenso aveva preparato delle specialità del suo paese da servire al rinfresco. Charleen e Liam ne avevano trafugato di straforo una parte, ma dopo aver assaggiato un paio di involtini colorati erano piuttosto scettici che quel miscuglio di cacao e paprica fosse commestibile. Anche il ragazzo alla fine si era fatto trascinare da quel clima di festa e dall'euforia dilagante, specie osservando i sorrisi che Mary regalava a destra e a manca, e aveva portato metà della sua collezione di cd. Antony, uno dei volontari più anziani, si era proposto come DJ, ma visto che aveva almeno 70 anni, Liam e Charleen gli avevano dato qualche dritta per non ritrovarsi a ballare il tuca tuca per tutta la serata e lui aveva promesso, prendendoli in giro, che dopo l'alligalli e il ballo del qua qua, ci sarebbe stato posto anche per Pink Floyd, Ramones e Led Zeppelin, visto che dopo il liscio sarebbero stati tutti KO e troppo stanchi per ballare ancora.

Qualcuno aveva portato dei dolci fatti in casa, qualcun'altro aveva regalato succhi di frutta, bicchieri e piattini di plastica e qualcun'altro ancora aveva portato una bombola di elio per gonfiare i palloncini e un paio di volontari facevano gli stupidi respirandolo e divertendosi a parlare con la voce da paperino.


Charleen li guardò scuotendo la testa. A volte gli adulti erano dei tali bambini...


-Hey lagazzi – li chiamò la vocetta acuta di Hiroko, che veniva dal Giappone e non era mai riuscita a pronunciare la “r” -Potete appendele voi lo stliscione fuoli? Va messo fla i pali dei due lampioni.-.


I due annuirono, felici di avere una scusa per smettere di starsene in quel silenzio imbarazzato.

Charleen arrotolò il lenzuolo controllando che la vernice fosse asciutta, e Liam prese del cordino ammucchiato in un angolo.




***



Era ufficiale: Susanne Donnely odiava la villa sul lago. L'estate si moriva di caldo e pullulava di zanzare!


Susanne era l'unica figlia dei proprietari di una catena di pasticcerie con alle spalle secoli di tradizione dolciaria, ma in quel momento avrebbe dato metà del patrimonio di famiglia per una granita o un semplicissimo ghiacciolo al limone....o per un briciolo del fascino di Ashley McKenzie.


Lei ed Ashley erano amiche dalla terza elementare, anche se la bellissima McKenzie era un po' troppo rigida e formale, tenacemente abbarbicata sulle proprie posizioni e anche un pelino prepotente. Ma era comunque una bella persona ed un'ottima amica, e per questo Susie le era davvero affezionata.

A otto anni era stato semplice andare d'accordo, ma con il tempo essere “l'amica grassottella ed insignificante” di Ashley McKenzie, iniziava a diventare un peso: viveva costantemente nella sua ombra e brillare di luce riflessa non le bastava più.

La sua migliore amica era una delle ragazze più belle e popolari della scuola, corteggiata da tutti ed invidiata dalle allieve più grandi, una ballerina classica eccellente e collezionava il massimo dei voti in letteratura e storia.

Come se tanta sfacciata bellezza e perfezione non fossero stati abbastanza irritanti per chi ne era pressoché privo, quello che a Susie faceva davvero rabbia era il pensare, alle volte, di essere un'amica davvero troppo comoda per “Sua Maestà Ashley”.

Sua Signoria infatti pretendeva di controllarle la vita, di scegliere al suo posto cosa fare, cosa dire, i vestiti, la musica, quale ragazzo frequentare e quante calorie potesse permettersi in un giorno, e lei le aveva sempre permesso di farlo, senza protestare.

Le voleva bene, davvero, e sapeva che Ashley lo faceva per il suo bene - qualunque cosa intendesse con questa parola - ma a volte era esasperante!

Con la storia di Esteban poi si stava raggiungendo il limite: per qualche strano e miracoloso motivo quel ragazzo, contrariamente al resto dell'universo maschile, non sembrava interessato alla sua amica, ma Sua Altezza Reale aveva decretato che Esteban non le piaceva e cercava di metterle i bastoni fra le ruote in tutti i modi possibili.

Aveva forse paura che qualcuno potesse trovarla attraente e preferirla alla sua amica prepotente e dispotica?

Questa volta Susie era determinata. Voleva Esteban e se lo sarebbe preso.




***



- “Ragazzi potete appendere voi lo stliscione”?!?!- Liam scimmiottò Hiroko con la voce in falsetto -La fa facile lei- brontolò accigliandosi. Si passò una mano sulla fronte madida di sudore e gettò un'occhiata a Mary che teneva il lenzuolo fra le braccia.


I pali dei lampioni all'ingresso erano lisci e senza sporgenze; non c'era verso di tenere su lo striscione ed era da più di mezz'ora che s'ingegnavano cercando di trovare un modo per farlo stare fermo e possibilmente anche dritto.

Charleen ricambiò a sua volta l'occhiata, forse con una punta di fastidio per quel modo sprezzante di prendere in giro le persone, ma decise inconsapevolmente di ignorare la sua coscienza e tornò a fissare i due pali.

Erano levigati e sottili e anche se avessero fissato le corde al meglio, con tutta probabilità il giorno seguente avrebbero trovato un mucchietto di stoffa a terra, visto che il peso dello striscione trascinava giù i loro nodi. I due lampioni però avevano in alto una specie di sporgenza, una sorta di sportellino che probabilmente serviva ai tecnici per la manutenzione. Se avessero fissato le corde in quel punto, probabilmente avrebbero retto più a lungo.

Il problema era che al momento non avevano una scala a disposizione.


Forse Charleen avrebbe potuto chiedere a SaSh di procurargliene una o tornare a casa a prenderla, ma non voleva assolutamente correre il rischio che Liam e sua madre si conoscessero, per questo si limitò a puntare il dito verso la sporgenza e ad indicarla a Liam.

Il ragazzo valutò se in piedi su una sedia avrebbe potuto arrivarci, ma gli mancavano almeno una decina di centimetri.

- Dovresti salirmi sulle spalle e legarlo tu - disse a Mary, mentre appoggiava una sedia contro la base del palo.


- Potei cadere e farmi parecchio male - chiosò Charleen non proprio entusiasta all'idea di salire sulla schiena di qualcuno in equilibrio precario su una sedia, ma gli si avvicinò comunque fiduciosa con un angolo del lenzuolo stretto fra le dita.

Liam si accovacciò a terra lasciando che la ragazza appoggiasse le mani sulle sue spalle e poi gli passasse le gambe attorno al collo, poi le appoggiò le mani sulle cosce perché non cadesse mentre si tirava in piedi. Quel giorno Mary aveva messo dei pantaloni al ginocchio per lavorare comoda e Liam le sfiorò con le dita la pelle calda e morbida delle gambe.

Forse lui era abituato ad una vicinanza simile con una ragazza, ma Charleen, che al massimo era arrivata a sedersi accanto ad un compagno di banco, sentì che le sue mani le bruciavano sulla carne delicata e si sentì avvampare. Era una vera fortuna che in quella posizione lui non potesse vederla in faccia.

Ma anche il ragazzo sotto di lei non era a suo agio, e avvertì distintamente il suo irrigidirsi al contatto.

Liam la tenne sulle spalle per diversi minuti mentre la ragazza sistemava con mani insolitamente maldestre il lenzuolo e lo fissava prima su un lampione e poi su un altro. Quando finalmente Mary scese e si allontanò di qualche passo, Liam ringraziò mentalmente tutti i santi del calendario, e anche qualcuno di sua invenzione.

Finalmente quel supplizio era finito: non si era mai sentito tanto a disagio ed imbarazzato in tutta la sua vita.




***




Ahmed Hossain si fissò nello specchio. Era un ragazzo nerboruto e nient'affatto bello.

I primini dicevano che era un prepotente, ma nessuno aveva mai trovato abbastanza coraggio per dirglielo in faccia e dall'alto del suo metro e novanta, bastava che li guardasse male per farli fuggire a gambe levate.

Le ragazze non lo veneravano come facevano con Matt e Liam, ma un paio di ragazzine degli anni inferiori erano state ben contente delle avances di un Hossain, una famiglia molto in vista nella city.


Anche se molti continuavano ad additare suo padre e i suoi modi grezzi come quelli di un parvenu e ad escluderlo dai salotti dell'élite cittadina, quegli stessi spocchiosi aristocratici erano i primi a rivolgersi a lui e al suo denaro con lusinghe e salamelecchi non appena i loro affari lo richiedevano.

Quando Monsur a soli 19 anni era emigrato dal Bangladesh, fra le recriminazioni del padre e le lacrime delle sue 4 mogli, in tasca aveva appena qualche taka e il passaporto.

Appena trasferitosi aveva fatto il lavapiatti e il cameriere, poi il cuoco e un po' di tempo dopo aveva aperto un chioschetto di kebab. In breve tempo, e con gli agganci giusti, aveva raccolto abbastanza denaro per aprire un locale in centro e farne un ristorante etnico da gambero rosso. Le cose gli erano andate sempre meglio e grazie alla sua scaltrezza, al fiuto per gli affari e, perché no, grazie anche ad una certa mancanza di scrupoli, si era ritrovato con un piccolo impero fra le mani ed una moglie bengalese come sarebbe tanto piaciuta ai suoi.


Il nonno di Ahmed invece viveva ancora in una baracca e non aveva voluto accettare nemmeno un centesimo dal figlio. Non era mai stato a trovarli, troppo spaventato dalla prospettiva che la corruzione dell'Occidente avrebbe potuto contagiarlo, e probabilmente era meglio per tutti che non sospettasse mai che suo nipote non avesse mai aperto il Corano.


-Quindi è ancora in vacanza coi suoi?- chiese con finta noncuranza. -No no, Matt: ero solo curioso di sapere che fine avesse fatto, visto che non risponde al cellulare... - non che tu invece ti sia reso esattamente rintracciabile, aggiunse mentalmente. -Ok, dai... ci sentiamo poi per i dettagli, comunque la maggior parte della spesa è fatta. Ti richiamo, ciao.- salutò buttando buttando giù il telefono.


Matt mi ha mentito, pensò tristemente. Suo padre gli aveva detto di aver incontrato l'assessore Pittwighs e signora proprio quella mattina...quindi di certo Liam non poteva essere in vacanza con loro.

Lo irritava a morte che quei due, nonostante gli anni di amicizia continuassero ad escluderlo.





Capitolo un po' di passaggio...nel prossimo ne vedremo delle belle.

Il titolo è una canzone di Pink.


  1. i nomi dei personaggi del telefilm sono messi a caso, ma ovviamente c'è un richiamo a “Gossip Girl” (però non avendolo mai visto ho inventato di sana pianta la trama!!! E anche Rebecca...non credo ce ne sia una...).

  2. La taka è la moneta del Bangladesh.


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Capitolo 6
*** Don't stop me now ***


xx




St Mary's College



capitolo 6



Don't stop me now






Le luci basse e lo stereo che suonava le note di un vecchio successo anni '60, un ritmo orecchiabile e già sentito. Persino troppe volte.

Alcuni invitati ballavano timidamente al centro della grossa stanza che di solito fungeva da refettorio, mentre una coppia più temeraria delle altre si esibiva nell'imitazione malriuscita di Fred e Ginger, travolgendo i vicini nei propri incauti volteggi. Gli altri si radunavano in piccoli manipoli e gruppetti ciarlieri, e all'esterno Phil correva libero, rischiando di far inciampare qualche vecchietto.

I volontari avevano portato via le panche basse e spostato i tavoli contro le pareti facendo spazio nel mezzo, mentre sulle tovaglie colorate tartine variopinte e cocktail fruttati venivano presi d'assalto.

Loiuse si godeva i complimenti per tutti quegli anni di sacrifici e le sue guance erano di un delizioso color ciliegia, Tim e Alec cercavano di scucire a potenziali finanziatori promesse di donazioni e Alì stava come un falco a controllare che tutti assaggiassero le delizie che aveva preparato con le sue mani.

Liam, pigramente appoggiate con le spalle contro il muro, si godeva in prima fila lo spettacolo dei degustatori che fuggivano a gambe levate verso il bagno dopo un incontro ravvicinato con la sua torta killer rafano & datteri. Un accostamento micidiale.

Per quell'occasione aveva avuto il permesso di indossare quel che più gli piaceva e quello, insieme al fatto che il 13 settembre fosse l'ultimo giorno di condanna, era decisamente un evento da festeggiare. Aveva quindi optato per un paio di jeans - che di economico non avevano nemmeno la cerniera lampo - e una camicia bianca, che risaltavano le spalle ed il fisico magro ma atletico. Peccato che in quella folla di sconosciuti non riuscisse a scovare Mary da nessuna parte.





***




- Ti prego, ti prego, ti prego – scongiurò di nuovo Charleen – Non truccarmi come un semaforo vestito a festa! – implorò sua madre, che per la terza volta cercava di avvicinarsi con l'applicatore del mascara.

-Ho capito Charlie, ora però sta ferma!- le intimò SaSh mezzo esasperata e mezzo divertita.

Aveva finito le riprese un po' più tardi del solito e quando era tornata a casa l'aveva trovata sottosopra, sconquassata dall'uragano Katrina.

Parecchi vestiti erano stati tolti dal suo armadio e da quello della figlia e stavano ammonticchiati sui letti o pendevano dalla balaustra delle scale. Scarpe di vari modelli e colori erano state tirate fuori dalle scatole e lasciate sul pavimento, mentre un cimitero di forcine, fermagli per capelli e bigiotteria assortita giaceva sul ripiano del bagno, travolto dalla furia degli elementi. Charleen invece era davanti allo specchio e cercava di darsi fuoco ai capelli, a giudicare da quanto accanimento metteva nel ripassare la piastra per capelli più volte sulla stessa ciocca.


A giudicare dal numero di fazzolettini sparsi sul pavimento e dall'occhio destro con ben due centimetri di nero sulla palpebra, sua figlia aveva tentato anche di truccarsi - e di struccarsi - senza troppi risultati.


SaSh le tolse il ferro caldo dalle mani - per evitare che a quindici anni restasse precocemente calva - e facendole notare che i capelli erano già sufficientemente lisci, andò a ripescare qualche salvietta struccante e la trousse con i colori più tenui che avesse.


Esaminò con occhio critico il vestito un po' retrò che Charleen aveva scelto e i saldali bassi ai suoi piedi, e dopo averle dato la sua approvazione si premurò di andarle a nascondere gli occhiali in fondo ad un cassetto: sua figlia era cieca come una talpa, ma in casa avevano una nutrita collezione di lenti a contatto ancora sigillate. Finalmente era giunto il momento di usarle.

Dopo averle prestato una delle sue collane, SaSh si era offerta di truccarla un po'. Difficilmente riusciva a rendersi utile ad una divoratrice di libri con la passione per i Grandi Problemi del Mondo, considerò, ma almeno quello poteva farlo.


Nonostante avesse fatto tutte quelle storie per un po' di ombretto ed un tratto di matita nera, Charleen stava davvero benissimo. L'abitino era un po' vuoto sul davanti (SaSh si appuntò mentalmente di regalarle un push-up alla prima occasione) ma per il resto era molto graziosa, non troppo elegante ma decisamente carina.


L'accompagnò fino alla mensa a piedi ed estorcendole la promessa di non fare la strada di ritorno da sola, la salutò senza preoccuparsi di darle un orario per il coprifuoco. SaSh non era mai stata molto incline alle regole e cercava di imporne il meno possibile, anche perché Charleen se ne imponeva abbastanza da sola; sua figlia poi, le poche volte che usciva di sera, rincasava sempre prestissimo e per qualsiasi problema le mandava un messaggio sul cellulare. Sospirò tirando fuori le chiavi dalla borsa: a volte la genetica aveva un bizzarro senso dell'umorismo.




Col cuore in gola ed un'inspiegabile ansia, Charleen si presentò alla festa ormai iniziata da un pezzo.

Liam, elegante e bellissimo nella sua camicia leggera, stava appoggiato contro la parete, con un bicchiere stretto in una mano e l'altra abbandonata mollemente su un fianco. Avvicinandosi notò che si guardava freneticamente intorno.


Cercherà me? Si chiese lusingata da quel pensiero.


Poi finalmente lui la vide, dall'altro lato della sala e sopra la calca dei ballerini. Le scoccò un'occhiata ammirata e le rivolse il sorriso più bello che avesse mai visto.




***



- Posso entrare? - chiese sua madre bussando alla porta.


Poteva davvero vietarglielo?, si chiese Esteban considerando che quello dove lui ed Eva dormivano in realtà era il salotto di casa e loro due si limitavano ad aprirvi due lettini pieghevoli la sera e a farli sparire nel ripostiglio la mattina dopo.


- No, non puoi. - sibilò alla porta chiusa.


Catalina, pallida e con le occhiaie, entrò comunque.

Sua madre lavorava come un mulo e, anche se il trasferimento aveva portato notevoli miglioramenti alle loro vite, avevano una casa minuscola con solo due stanze per dormire ed un bagno da dividere in quattro. Le scale del palazzo puzzavano di piscio di gatto ma l'appartamento che avevano preso in affitto, per quanto semplice e spoglio, era arredata con grazia ed il frigo rigurgitava di cose buone. Fernanda si era iscritta di nuovo all'università e le avevano addirittura riconosciuto qualche esame. Certo, prima studiava per diventare medico mentre adesso non poteva aspirare a niente di più di un onesto lavoro da infermiera, ma era comunque meglio che arrabattarsi fra mille lavoretti saltuari per tutta la vita.

Guardò sua madre che si accomodava sulla poltrona di fronte a lui e si chiese se sarebbero sempre stati destinati ad accontentarsi degli avanzi che la vita offriva, o se quelli come loro avrebbero mai potuto permettersi il lusso di sognare.


- Esteban - esordì sua madre con voce bassa e stanca.

- NON. DIFENDERLO!!! - sbraitò lui interrompendola e gridandole addosso.

- Non lo stavo...- provò a ribattere ragionevole la donna.

- Oh sì che lo stavi facendo. Lo fai sempre! - la rimbeccò lui.

La madre lo fissò con un cipiglio severo, esausta ma perfettamente controllata.

- Ok, scusa. Parla - soffiò il ragazzo mentre sentiva quel vortice di rabbia repressa che lo aveva tenuto in piedi abbandonarlo come una vela a cui manca improvvisamente il vento.


- Non ti dirò che non sono arrabbiata con tuo padre. Sarebbe una bugia. Però non ti dirò nemmeno che se abbiamo divorziato tre anni fa è stato solo per colpa sua. - dichiarò passandosi una mano fra i capelli - Ognuno di noi due aveva le sue colpa e le sue responsabilità, ma sei grande e sono sicura che questa cose le capisci benissimo da solo. Quello che volevo chiederti è perché hai strappato la lettera. Volevo farlo ieri ma stavi già dormendo quando sono tornata o oggi... beh, non volevo farlo davanti ad Eva. -

Esteban la fissò scettico, chiedendosi se davvero sua madre non capisse un motivo tanto palese.

- No aspetta, non volevo dire che non capisco perché lo hai fatto. - disse leggendogli sul viso quello che aveva dentro - Quello che volevo sapere è perché non riesci ad accettare che le tue sorelle potrebbero non essere d'accordo con la tua scelta -.

- Perché quel vigliacco dici ha abbandonati tutti. Ci ha traditi... -


Catalina sospirò forte, cercando da qualche parte dentro di sé la forza per ribattere, per fare la cosa giusta, per non lasciare che fosse quel groviglio di emozioni disordinate che le stringeva lo stomaco ogni volta che nominavano il suo ex-marito a parlare al suo posto. Non ci riuscì.

Si alzò dalla poltrona e in pochi passi guadagnò la porta. Prima di varcala parlò di nuovo, con voce bassa ma ferma, rivolgendogli le spalle.

- Non ti ho mai detto cosa fare Esteban, anche se sai benissimo che penso dovresti dare a tuo padre almeno la possibilità di scusarsi. Una cosa te la chiedo però: devi lasciare ad Eva la possibilità di scegliere da sola, come io sto facendo con te. Fer è grande e decide con la sua testa, ma Eva ha solo dodici anni e prende come oro colato tutto quello che esce dalla tua bocca. -

- Ma non è vero! - sua madre l'aveva decisamente sparata grossa - Se non fa altro che darmi dell'imbecille... -

- E' una cosa bellissima – proseguì sua madre senza mostrare di aver ascoltato una parola - Ma essere oggetto di una fiducia del genere, incondizionata e totale, richiede tanta responsabilità. - dichiarò mentre lasciava il figlio a riflettere da solo.




***




Era sorprendente quanto, con un aspetto ridicolo e lo sguardo sprezzante dei volontari della mensa puntati addosso, Liam si fosse trovato perfettamente a suo agio a chiacchierare con Mary. Adesso, nella penombra di luci smorzate e nessuno che lo stesse guardando, Liam era a corto di parole e aveva la gola secca.

Charleen sorrideva imbarazzata, attorcigliandosi nervosamente una ciocca di capelli fra le dita.

Se ne stavano impalati a bordo pista, accanto ad un tavolo con le bevande. Tanto per fare qualcosa ed interrompere quell'imbarazzante silenzio, Liam versò un cocktail rosato in un bicchiere di plastica e l'offrì a Mary. La ragazza tese la mano e mentre si avvicinava per prenderlo, Liam sentì i suoi lunghissimi capelli sfiorargli il braccio ed il profumo delicato di Mary che gli invadeva le narici. Acutamente consapevole di quell'intima vicinanza, Charleen afferrò il bicchiere fra le dita, e le loro mani si sfiorarono per un secondo.

Una scossa elettrica la percorse tutta, dalle loro mani unite fino al cervello, mentre un brivido le saliva lungo la schiena facendola staccare di colpo.

Si sentiva strana, donna e bambina e ribelle ed emozionata come mai prima di quel momento. Portò il liquido alle labbra e lasciò che il sapore fruttato e fresco degli ultimi giorni d'estate le scendesse lungo la gola, e poi più in basso ancora.

La bevanda era ghiacciata sulla lingua e quel freddo inaspettato, unito a quello della brusca separazione, restituì ad entrambi un po' di lucidità.


- Vuoi ballare? - chiese Liam, un sussurro caldo contro il suo orecchio.

- Come scusa? Non ho capito!- gli urlò Charleen che con la musica ad alto volume non aveva afferrato bene.


Fantastico, doveva anche ripeterlo... come se dirlo una volta non fosse stato sufficientemente imbarazzante.


- Vuoi ballare? - domandò con voce più ferma.

Questa volta lei doveva averlo sentito, visto che arrossì e distolse lo sguardo.


Bella figura. Per la prima volta in vita sua un ragazzo la invitava a ballare e lei gli chiedeva di ripetere, come una perfetta deficiente.


- Non so ballare – rispose piano. Ed era vero.

- Oh... – fece lui.

Oh..., ma che razza di risposta è? Liam sei un cretino, si rimproverò da solo.


- Allora ti va di fare un giro? - propose di nuovo.


La ragazza annuì sollevata, lo sguardo puntato sul bicchiere vuoto che artigliava ancora fra le dita. Probabilmente era più in imbarazzo di lui. Quella sua timidezza ingenua, la ritrosia candida di un uccellino selvatico, lo fece sorridere e gli trasmise uno strano senso di calore. Con rinnovata sicurezza, pensando distrattamente che di solito ne sfoggiava persino troppa mentre adesso sentiva le gambe di gelatina, Liam la precedette di un paio di passi e poi si voltò per controllare che lo stesse seguendo.

Charleen cercò di stargli dietro, ma i ballerini erano aumentati ed era difficile farsi largo tra la calca. Vide Liam fermarsi per aspettarla e poi sentì la sua mano grande e calda posarsi delicatamente alla base della sua schiena per guidala fra la folla, attento che nessuno potesse urtarla o farle male.


La mano era immobile sulla sua schiena, abbandonata in un gesto semplice e privo di sottintesi e ambiguità. Giaceva inerte, eppure era viva attraverso i vestiti, sulla sua pelle.


Liam aprì una porta a caso e si ritrovarono lungo il corridoio che portava alle scale. Qui la musica arrivava molto più bassa, tagliata fuori dalla porta chiusa alle loro spalle. C'erano diverse persone che come loro avevano preferito rifugiarsi in un posto più tranquillo; ospiti sconosciuti ad entrambi, finanziatori del centro, rappresentanti di quartiere ed eleganti damine di carità. Un vecchio signore coi baffi fumava appoggiato al muro ed una ragazza rideva divertita, le guance accese dal vino.

Liam continuò a camminare senza mollare Charleen nemmeno per un attimo, trascinandola lontano dalla festa, dalla folla e per un attimo da quella che era la loro realtà. La ragazza lo seguì tenendo gli occhi bassi, fiduciosa.

Arrivarono fino alla tromba delle scale e lì si fermarono ansanti.

Non si guardavano negli occhi, ma Liam non aveva ancora ritirato la sua mano.


Poi Charleen, stupendosi per prima di tanta audacia, allungò le dita per accarezzargli la mascella coi polpastrelli. Liam si girò di scatto, gli occhi nei suoi, e sembravano bruciare. Lei gli si fece ancora più vicina e si sollevò sulle punte.

L'espressione sul viso del ragazzo si incrinò, e dietro l'azzurri puro dei laghi di montagna si aprirono labirinti di specchi, scale e sottopassaggi. Ma quando la baciò era troppo buio e non si vedeva bene.


Al chiarore opalescente delle lampade al neon, a Charleen sembrò soltanto che quegli occhi bellissimi riflettessero i suoi come specchi.




***




Ashley McKenzie, una maschera di bellezza sul viso e due fette di cetriolo sugli occhi, dormiva. Il suo sonno di bellezza richiedeva almeno nove ore, se non voleva ritrovarsi il giorno dopo con due spiacevoli borse sotto gli occhi.

Ai piedi del suo letto tre valigie di Alviero Martini erano state appena chiuse degli sforzi congiunti di un paio di cameriere. Per far entrare tutto, una delle due ci si era dovuta addirittura sedere sopra, incurante dei danni che avrebbe potuto causare alle Tod's. Tutt'intorno una mezza dozzina di scatole rigurgitavano di vestiti e suppellettili varie. C'erano persino una cappelliera e un portagioie formato baule.

Il signore e la signora McKenzie, che come ogni sera erano passati a dare la buonanotte alle figlie, cercarono di non soffocare dalle risate: Ashley, prima di salire a preparare i bagagli per la scuola, aveva dichiarato solenne: - Porterò solo il nècessaire -.




***




- Non credo che tornerò spesso qui appena inizierà la scuola... - aveva mormorato Charleen nel buio, ancora sdraiata sotto le lenzuola. Voleva spiegargli che non poteva, voleva dirgli tante cose.

Forse avrebbero potuto vedersi ancora...

Accarezzò quell'idea per un istante prima di lasciarla andare via, lontano.


- Nemmeno io. - la risposta di Liam, apatica e fredda, la gelò, ricacciando indietro tutte le parole che non era riuscita a pronunciare.

Rimase ad ascoltare il silenzio il ritmo irregolare del suo respiro, sperando che parlasse ancora, la gola gonfia di frasi non dette ed una morsa dolorosa all'altezza del petto. Cercò di non dare a vedere che quella frase secca e il suo mutismo l'avevano ferita e lui non se ne accorse: tanti anni di umiliazioni e risatine crudeli erano stati insegnanti efficaci, che l'avevano resa un'attrice migliore persino di sua madre.

Si mosse appena, contro il corpo caldo del ragazzo disteso al suo fianco.

Charleen quella notte non aveva cercato una relazione e nemmeno l'amore. Era la prima ad ammettere, almeno con se stessa, che si era lasciata andare proprio perché, in fondo, non credeva che si sarebbero rivisti se non sporadicamente. Due perfetti sconosciuti in una città di milioni di abitanti, troppo imbarazzati persino per scambiarsi qualcosa di più di un saluto di cortesia. Ed era meglio così, perché uccidere il ricordo con lo squallore della realtà del giorno dopo?

Aveva avuto ciò che voleva. Questo era quello che diceva il suo cervello, ma allora perchè quel rifiuto secco faceva male come un ago sulla pelle?


Sdraiato accanto a lei, vicino e lontanissimo, Liam Pittwighs, ancora un po' spossato da tutte quelle emozioni e dal movimento, decideva di custodire per sé quel groviglio di sentimenti, di ansia e di paura che quella notte gli avevano aggrovigliato lo stomaco, i lombi e il cervello. A Matt avrebbe detto al massimo che poteva smetterla di prenderlo in giro, ma quello che era successo era troppo personale, troppo intimo per dividerlo con qualcun'altro. Non pensò che chiudendosi a riccio stava impedendo a se stesso di condividerlo persino con la ragazza che teneva stretta fra le braccia.


Felice e mezzo nudo scivolò fra le accoglienti spire del sonno, mentre Charleen, in silenzio, si alzava, raccattava i propri vestiti e lasciava la stanza, fredda e rigida, armata di nuovo della corazza che la proteggeva da tutta una vita.




***






note:

Il titolo del capitolo è, ovviamente, il famosissimo successo dei Queen.


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