And breathe, just breathe

di Fauxlivia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Whatever Gets You Through Today ***
Capitolo 2: *** And Then You ***
Capitolo 3: *** Turn and turn again ***
Capitolo 4: *** I will try to fix you ***
Capitolo 5: *** Nobody says it was easy ***



Capitolo 1
*** Whatever Gets You Through Today ***


'But I'll find a way,
I'll find another way
Of saying....

All the time we have for life,
Thinking 'bout the lives we had
Together....

Whatever gets you through today'

Le cinque. Fra un’ora e mezza dovrò essere in ospedale e non ho ancora chiuso occhio. Vorrei poter dire che è colpa di Lucy, che non mi lascia dormire perché non può fare a meno di saltarmi addosso, ma sto parlando tra me e me quindi posso essere sincero.

Riposa – russa – tranquilla al mio fianco. Come darle torto?

Probabilmente capita solo a me, di sognare, svegliarmi nel cuore della notte e poi non riuscire più a riaddormentarmi causa macigno irremovibile sullo stomaco. Non ho nemmeno la scusa dell’incubo terribile – ne avrei, da fare – perché il sogno che ho fatto era quasi piacevole.

Stavo con una bionda.

Cosa potrebbe esserci di meglio? Lucy è bionda. Poteva anche essere lei. Nei sogni non sei mai sicuro, tutti i contorni sono sfocati.

Ma, dato che non riesco più a chiudere gli occhi, che guardo fisso il soffitto della mia roulotte – dannato Dr. Strana more, poteva anche ripararlo questo catorcio, prima di lasciarmelo – non posso fare altro che ammettere l’evidenza.

Era Izzie. Io che mi faccio allegramente la donna della mia vita. Che mi ha distrutto, e ricomposto e poi distrutto di nuovo.

Mi sto alzando – devo alzarmi -, sposto le coperte quel tanto che basta per sgattaiolare fuori dal letto, senza svegliare la donna che ancora dorme dall’altra parte del letto. Ma come faccio a cominciare una nuova relazione se sto già pensando ad un’altra? O meglio, se non ho mai smesso di pensare ad un’altra?

Alex, Alex, Alex, ripigliati. Me lo dico allo specchio, nemmeno fossi DeNiro in Taxi Driver, per poco non mi tiro anche uno schiaffone, giusto per togliermi gli ultimi boccoli biondi dalla mente, ancora mi ondeggiano davanti, ne sento quasi il profumo.

E uno schiaffo me lo do. Tieni, dottor Karev, assaggia i primi sintomi di demenza senile precoce.

Esco dal minuscolo bagno in pvc con la faccia rossa e la barba sfatta e i miei occhi incrociano quelli di Lucy. E’ sveglia e dall’aspetto sembra non essersi mai addormentata. Fresca come una rosa, anche senza trucco, riccioli sciolti sulle spalle.

« Se mi dicevi che la tua tecnica di risveglio erano quattro schiaffi ben assestati, ti avrei aiutato volentieri » Sorride, un po’ sorniona, e vorrei davvero risponderle a tono. Apro la bocca per farlo, mi sto quasi lanciando sul letto per farle provare un po’ di Alexander Mattutino, quando suona la sveglia, precisa e crudele.

« In pausa pranzo ti faccio vedere io, saputella » Lei scoppia a ridere, prima di chiudersi alle spalle la porta del bagno, lasciandomi solo davanti al lavello di acciaio. Ottima interpretazione Karev, ottima. Perdo il sorriso, guardo la tazza di latte che mi sono riempito nel frattempo, quasi vomito, la butto nel lavello.

Per quel giorno non le avrei comunque fatto vedere niente.

 


 

« Yang, Grey voi due siete di turno in ambulatorio oggi. Sapete com’è la primavera, temperature gradevoli, amore nell’aria e un sacco di pazzi in bicicletta che decidono di sfidare la dura vita della città. Preparatevi a ricucire ferite, qualche trauma cranico, distorsioni. Adoro la primavera »

Io e Cristina alziamo gli occhi nello stesso momento, verso il soffitto. La Bailey sembra amare tutti i momenti dell’anno, dal Natale al ringraziamento, dall’inverno alla primavera. Forse perché le persone di norma sono stupide tutto l’anno e fanno cose altrettanto stupide 365 giorni su 365 giorni. Mi affianco a lei, mentre le due Gemelline della chirurgia si allontanano insieme, scattando di malavoglia verso il poliambulatorio. 

La guardo dall’alto in basso, con la migliore aria da cucciolo che riesco a sfoderare dal mio repertorio.

« Io sono libero oggi, se ha bisogno di me dottoressa Bailey. Stark si è prenotato la sua fidanzat.. ehm volevo dire, la dottoressa Kepner  » Mi volto, continuando a camminare, lanciando un’occhiata divertita al viso rosso-pomodoro di April - a volte credo mi viene da pensare che finga. Nessuna donna al mondo può essere così pudica -, che vorrebbe dire qualcosa, ma richiude la bocca subito dopo, quando anche Jackson scoppia a ridere. E al suono della sua risata, la Bailey si ferma di colpo, in mezzo al corridoio. 

Guarda me, ma si zittiscono tutti, nemmeno fossero entrati in chiesa.

« No Karev. Oggi ti tocca il dottor Sloan. Ho deciso di non lasciarlo da solo con il dottor Avery soltanto per avere un morto in meno sulla coscienza »

Quella che si sta divertendo adesso è lei. Lancio un’occhiata significativa anche al Dottorino, che per spupazzarsi Lexie oggi mi costringerà a lavoro doppio. Con Sloan è sempre così, figurarsi adesso che è perso dietro alla minuscola bambina che Callie ha dato alla luce. Un’altra storia, quella, che ha dell’incredibile.

La Bailey se ne va, seguita dagli altri due che poi si dividono, sparendo in corridoi opposti. E adesso mi tocca andare a cercare il mio carnefice, sperando che abbia qualcosa di più interessante dell’ingrandimento di un paio di tette.

Prendo la cartella giusta, mi appoggio al bancone delle infermiere con il fianco.

La apro, per leggere il nome della paziente di Sloan e la camera in cui l’hanno sistemata. Faccio giusto in tempo a capire che ha 22 anni, più giovane di me, ormai, quando quei boccoli biondi tornano nel mio campo visivo.

Ed è strano, perché non sto dormendo, non adesso, non con tre caffè in meno di due ore.

Sollevo lo sguardo sbattendo le palpebre per far andare via quel colore e mi rendo conto che in parte è provocato dai capelli di Lucy. Mi si è avvicinata e nemmeno me ne ero accorto.  « Ehi. Sei scappato questa mattina, ho finito di lavarmi i denti ed eri già sparito. Tra l'altro, credo di aver finito tutta l'acqua.. che ne dici se stasera ci fermiamo da me? »

Ma la sto ascoltando? Per un istante mi volto verso di lei, anche se le mie orecchie hanno sentito solo fino alla parola 'lavarmi', poi ho perso tutto. La guardo , non tanto per la velata allusione che sta facendo sul fermarsi a casa sua dopo il turno, perchè Lucy è accanto a me, mi parla, ma io continuo a vedere biondo altrove. 

Sto per farmela addosso. Il calore che sento alla vescica non preannuncia niente di buono. « Sì. Certo. Devo andare adesso, scusami ». 

Non la bacio. Scusami Lucy, devo scappare. E scappo, corro, metto il turbo nascondendomi dietro il primo angolo come un bambino.

Sono sveglio, perfettamente sveglio. E se quella oltre l'ingresso, nel parcheggio delle ambulanze, che parla con la dottoressa Robbins, non è Isobel Katherine Stevens - non più 'in' Karev - allora mi aspetta psichiatria.

 

 

 

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Capitolo 2
*** And Then You ***


'How my love it spins me 'round
And how my love it's let me down
And how my thoughts they spin me 'round
And how my thoughts they let me down

And then there's you
Then there's you'

Non ho il cancro. Non ho metastasi al cervello. Non vedo la mia fidanzata morta – perché non è morta – non vedo spiagge bianche e il mare.

Allora perché lei, un’altra volta? Ti avevo chiesto di non tornare, cazzo.

Respiro, prendo fiato, aprendo gli occhi e ritrovandomi a fissare scaffali ricolmi di materiale medico, cateteri – ahia –, lenzuola pulite, bustine di plastica contenenti ogni genere di roba. Nascosto nello sgabuzzino quasi avessi visto un fantasma.

Ma, ripeto, Izzie non è morta, io non sono un bambino e devo affrontare la realtà. Sei un uomo, Karev.

Afferro la maniglia della porta, tirandomela quasi sul naso nel tentativo di uscire dal mio nascondiglio con un pizzico di orgoglio. Eppure non riesco a fare a meno di guardarmi intorno, con un’aria furtiva che mi fa sentire allo stesso tempo incazzato con me stesso e assolutamente patetico.

Vado quasi a sbattere contro Meredith, Bum.

« Alex. Cavolo! » strabuzza gli occhi, si massaggia la spalla finge di tirarmi la cartelletta rimastale nella mano destra direttamente sulla testa « Che c’è, stare con Sloan ti rimbambisce? Non ti avrà mica spedito a comprare pannolini e biberon, vero?»

Non capisco una parola di quello che dice. La guardo, a muso duro, e improvvisamente sono incazzato nero anche con lei.

« Tu lo sapevi? » e non me l’hai detto.

Sono così sicuro che era a conoscenza del ritorno di Izzie che quasi alzo le mani per afferrarla alle spalle, per costringerla a dirmi la verità. Mi trattengo solo all’ultimo, perché Meredith mi guarda senza parlare, con la bocca aperta. E capisco subito che non ha la più pallida idea di quello che le sto dicendo. Così riabbasso le mani e vorrei solo andarmene.

Lasciarla lì. Cercare Sloan e obbligarlo a darmi un bisturi in mano per tagliare, tagliare, tagliare.

Sembro Cristina.

E mentre penso a quanto sembro Cristina Yung, Meredith ha già guardato alle mie spalle. E ha capito. Incrocio il suo sguardo che improvvisamente è comprensivo, preoccupato.

« Mi dispiace Alex, davvero, non me l’aveva detto »

Ma come ha capito che? Ah ecco. E’ dietro di me.

La classica figuraccia che fai in classe, quando parli male della professoressa e lei ti sbuca alle spalle. I tuoi amici si zittiscono e tu continui a parlare, come se nulla fosse. Una scena da film.

Mi volto, ma solo perché è un istinto irrefrenabile. Se usassi un po’ di logica, tirerei dritto per il corridoio e girerei l’angolo, sparendo all’istante.

Ma era così maledettamente bella l’ultima volta che l’ho vista?

Ha lasciato crescere i capelli, le scendono oltre le spalle, come quel primo giorno.

Biondi.

Mi guarda con quegli occhi. Occhi che non vedevo più da un anno ormai.

E la cosa peggiore, è che sorride.

Mi guarda e sorride. Improvvisamente mi sembra di tornare indietro, catapultato ad un giorno qualsiasi in cui io e lei eravamo felici. Amici, soltanto, ma felici.

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“ Grazie ancora Alex, non posso credere che tu mi abbia permesso di aiutarti! Alex è forte lo sai vero? Sì! Alex è il più forte!”

“Alex lo sa questo.. anche Izzie non è male..”

“Ah Izzie va alla grande! Izzie ormai è tornata in gioco”

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E poi scaccio l’immagine dalla mente. Perché immaginarmi mentre la bacio mi fa provare un dolore sordo al lato sinistro del petto – mi verrà un infarto? – e allo stesso tempo un colpevole calore al basso ventre.

Comunque, sembra di essere tornati là, a quando la baciavo e la guardavo con tutta la disperazione possibile e immaginabile. Ho il terrore di guardarla allo stesso modo, adesso.

« Ciao ragazzi.. » è tutto normale. Solare, bella, senza traccia di imbarazzo nella voce. Meredith mi passa accanto, mi sfiora solo leggermente il braccio con la punta delle dita – ‘So che è difficile’, è come se me lo dicesse – poi va ad abbracciare quella che ancora considera sua amica.

La mia amica. La mia ragazza, mia moglie, la donna che amo tanto da arrivare ad odiarla.

Non rispondo al suo saluto, anche se il tentativo di tirarmi dentro non era poi così male. Indosso la mia migliore maschera da stronzo – o da uomo delle caverne, come mi ha detto Lucy – sollevando il mento. Riesco persino a sfoderare un sorriso che non ha niente di invitante.

« Ti avevo detto di non tornare.. » perfetto, mi sono dimenticato di curare anche la voce, oltre che la facciata esterna.

Sbaglio in modo grossolano, tanto che la mia frase sembra quasi una supplica.

« Bè io vi lascio soli.. devo.. devo tornare dal mio.. il mio paziente » Brava Meredith, lasciami solo a crogiolarmi. Non potevo semplicemente stare zitto e andare a fare il mio dovere?

Devo richiamare tutte le mie forze per non indietreggiare quando Izzie fa qualche passo verso di me, avvicinandosi abbastanza per potermi parlare a bassa voce. Ha sempre lo stesso profumo.

Certe cose non cambiano mai.

« Mi ricordo, che me l’avevi detto, ma io… Alex.. c’è una cosa.. » e distoglie lo sguardo.

A-ah! Allora non sono l’unico che finge in questo ospedale.

Sono lì lì per allungare una mano e accarezzarle i capelli, perché per un istante mi dimentico il male che mi ha fatto quando mi ha abbandonato e anche il dolore che le ho causato io quando ho rifiutato il suo ritorno.

Solo l’arrivo di Lucy mi impedisce di spezzare quel poco di orgoglio che mi rimane. E riabbasso la mano repentinamente, ritrovando la maschera.

« Sai cosa ti dico? » alzo il mento e in questo momento sono di nuovo io, Alex – un ragazzino che parla troppo, merda - « Non me ne frega niente del perché sei tornata. La vita continua, Izzie. »

Lo dico, anche se non lo penso, e afferro il braccio di Lucy che mi si è fermata accanto, prima che una delle due possa dire qualcosa.

Non voglio dover guardare negli occhi la donna della mia vita – sono ancora qui che me lo ripeto – mentre le spezzo il cuore per la seconda volta di seguito e non voglio dover rispondere alla fatidica domanda della mia nuova ragazza. Perché Lucy non sa chi sia, Izzie. Sa solo che ero sposato con una specializzanda dell’ospedale, punto.

Eppure, mentre mi volto, con una punta di fastidio, riesco a vedere l’espressione della mia ex-moglie, ex-amica, ex-amante, che non è cambiata di una virgola. Ma come, non ha sentito quello che le ho detto? Non mi ha visto, prendere Lucy per un braccio e circondarle le spalle con il mio?

« La vita continua, Karev »

Mi dice solo questo, mentre già le do le spalle, mentre trascino via la donna che dovrebbe sostituirla – impossibile? – rabbrividendo quel tanto che basta per far intuire la mia agitazione anche a chi mi sta intorno.

La vita continua, Karev.

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Capitolo 3
*** Turn and turn again ***


' So "turn and turn again"
We are calling in all the ships
Every traveller please come home
And tell us all that you have seen
Break every lock to every door
Return every gun to every draw
So we can turn, and turn again '



« Fermati, Karev, vieni qui »

Stavo già andando nella direzione opposta con passo pesante, quella camminata per la quale mi si riconosce a chilometri di distanza. Perché ho appena fatto una cazzata. Perché non so stare zitto, non riesco a tenermi tutto dentro. L’ho detto, una volta, a George: io non funziono bene sotto pressione. Mi fermo, porto le mani ai fianchi stringendo i pugni, mi volto. Con rabbia. Il camice aperto mi svolazza alle spalle come un mantello. Sloan mi si avvicina di qualche passo, sembra volermi sovrastare. Ci riesce.

« Quante volte dobbiamo ricordare a voi specializzandi che con i pazienti bisogna usare un po’ di tatto, dottor Karev? Quella donna è spaventata, anche se sarà un intervento di routine e tu non hai il diritto di giudicarla. Si può sapere che ti è preso? »

Mi prende che sto scoppiando. Abbasso lo sguardo, poi lo rialzo, non so nemmeno se guardarlo negli occhi. Questa si chiama vigliaccheria.

Sono un esperto in vigliaccheria, da sempre. Strofino gli occhi con una mano, mentre i segni delle unghie che mi sono lasciato sul palmo stringendo i pugni pian piano spariscono. E sputo il rospo, dico tutto. Non vale la pena tenermelo dentro e rischiare di fare altre cazzate.

« La dottoressa… la dottoressa Stevens è in ospedale. E’ in ospedale e non so perché. E’ in ospedale e ogni due secondi mi guardo dietro le spalle per timore di ritrovarmela davanti all’improvviso »

Mi aspetto una ramanzina. Sono pronto. Anzi, la vorrei, perché è quello che mi merito, qualcuno che mi dia dell’idiota per la paura immotivata che provo.
Invece Sloan sembra quasi in imbarazzo. Imbarazzo per se stesso, non per me.
« E’ troppo, pensare di averla intorno, vero? » annuisce, senza guardarmi e in quel momento capisco che sta pensando a Lexie.

La sua è un’altra situazione sgradevole che mi è già toccato sopportare. Amare una donna e doverla vedere ogni tanto giorno mano nella mano con un altro. Non rispondo alla sua domanda, non ce n’è bisogno. Ma rialzo le spalle, mio malgrado risollevato. C’è qualcuno che soffre, esattamente come soffro io. Nessuno si salva dall’inferno dell’amore, signori.

« Senta mi dispiace per la paziente. Andrò a scusarmi prima dell’intervento » E’ il mio lavoro. E’ il mio dovere, cazzo. Non posso impazzire soltanto per averla vista una volta. Giro i tacchi prima che Sloan possa aggiungere qualcosa, infilando le mani nelle tasche del camice, raggiungendo le scale che portano al primo piano.
Scendo, saltando i gradini a due a due, passando quasi di corsa di fronte al tabellone degli interventi, che non guardo nemmeno.

« Karev! Karev fermati » perché tutti vogliono fermarmi? Perché tutti oggi vogliono parlare con me?

Fermo il mio passo accelerato, ma il cuore non vuole saperne di rallentare. Scarica di adrenalina. E’ la Bailey che mi richiama all’ordine, con sguardo torvo. La giornata non sembra andare bene nemmeno a lei.

« Dottor Karev.. so che oggi sarei impegnato con il dottor Sloan per l’intervento sulla signore Robins, ma ho bisogno che tu mi faccia un favore » la sua espressione cambia, sembra quasi di scuse. Congiunge i palmi delle mani, quasi stesse per mettersi a pregare. Io non capisco, così sto zitto, aspettando che dica qualcosa. Che si decida.

« Devi fare una visita preliminare ad una ragazza, quindici anni. Ha in programma per domani pomeriggio un trapianto di midollo osseo, il secondo negli ultimi quattro anni, per la leucemia. Occupati di lei »

Fa una pausa, come se non sapesse andare avanti. A me non sembra una tragedia, ormai sono abituato alle adolescenti malate che si affezionano ai dottori bellocci. Non riesco a capire perché me lo stia chiedendo quasi con un favore.

«Karev, ascoltami. Se ci fosse qualcun altro libero, di cui mi fido, non ti avrei dato questo compito. Immagino che possa essere difficile per te, ma sono anche sicura che ti comporterai al meglio. Adesso va, su, sparisci » Inarco le sopracciglia, non posso farne a meno. Lei mi congeda con un gesto della mano, voltandosi verso il tabellone degli interventi. Lo sta aggiornando, scrivendo il nome della ragazzina di cui dovrei occuparmi io. Hanna Klein, 15 anni, trapianto di midollo osseo.
 


 Sono le sei del pomeriggio. E’ tutto il giorno che corro da una parte all’altra di questo ospedale. Ho bevuto cinque caffè e ancora l’elettricità che ho nel corpo non mi basta.


Meredith e Christina si sono sedute al mio tavolo, durante la pausa pranzo, circondandomi come uccellino attorno ad un nido. Come se avessi bisogno di essere protetto.. forse è così
" Come stai, Alex? Sei riuscito a parlare con Izzie? "
Quando Meredith fa quella faccia, non la sopporto. Mi guarda come se avessi cinque anni e fossi appena caduto dalla mia biciclettina. Ho scosso la testa, alzato gli occhi al cielo, finendo di masticare un terribile panino al prosciutto, con una foglia di insalata che mi esce di traverso dalle labbra.
Parlo a bocca piena, giusto per far capire a tutte e due che sono nella mia fase di menefreghismo assoluto.
" Ma piantala. Io sto da Dio, non vedi? E non ho alcun bisogno di parlare con Izzie. Questo è quanto.. devo andare "
Non ho nemmeno portato via il mio vassoio. Se vogliono aiutarmi davvero, lo faranno loro per me.


Comunque, sono le sei del pomeriggio. L’intervento sulla signora Robins è terminato, sono persino riuscito a scusarmi con lei, prima di addormentarla. Sloan mi è sembrato soddisfatto. Ho preso la cartella di Hanna, dieci minuti fa, è da lei che sto andando. Salgo le scale – non riuscirò mai più a riprendere un ascensore – raggiungendo la stanza 29b, dove hanno sistemato la ragazzina. C i sono i suoi genitori con lei, una coppia giovane e in apprensione. Non ci si abitua mai alle malattie dei figli, anche se devi conviverci tutta la vita

« Signori Klein? Sono il dottor Karev, mi occuperò io di Hanna prima del trapianto. Dovremmo fare solo qualche analisi del sangue e poco altro, d’accordo?  »

Mi rivolgo più alla ragazza, che a loro. E’ distesa sul letto, la testa appoggiata al cuscino. Porta i capelli tagliati cortissimi, alla maschiaccio, scuri quasi quanto i suoi occhi. Che sono grandi ed espressivi, come quelli di un daino nella foresta. Lei mi sorride, annuisce, si sistema meglio i cuscini dietro la schiena, aiutata dal padre. Apro la cartella, scorrendo lungo il foglio di ricovero, inarcando un sopracciglio. Manca qualcosa

« Signori Klein, avete già un donatore compatibile? Nella cartella di Hanna non risulta, ma possiamo fare degli esami anche a voi per controllare, se ancora non sapete il vostro grado di compatibilità.. »

Vorrei andare avanti, continuare a spiegare loro la procedura, anche se questo iter l’hanno già subito quattro anni fa. Anche questo mi sembra strano, che non abbiano un donatore dichiarato. La Bailey non dimentica mai di scriver qualcosa sulle cartelle dei pazienti, possibile che abbia cominciato proprio dal mio caso? Apro la bocca nuovamente, ma devo richiuderla quando si apre la porta del bagno all’interno della stanza. Questo vuol dire farlo apposta, volermi del male.

Izzie è dappertutto, è sempre dove sono io. Vorrà dire qualcosa?

« Alex! » sembra sorpresa. Forse è stata lei a chiedere alla Bailey di trovare qualcuno, chiunque tranne me. Non si aspettava che arrivassi proprio io. Ma poi mi sorride, avvicinandosi al letto, sistemandosi in piedi al fianco dei genitori della ragazzina. Quest’ultima le sfiora addirittura il braccio con una mano, placidamente, come se fosse un gesto naturale.


« Il dottor Karev è un ottimo medico Hanna, vedrai che ti divertirai con lui. Non sembra, ma sa essere anche simpatico, di tanto in tanto » abbandona il letto, lasciando spazio ai signori Klein, avvicinandosi a me di qualche passo. Devo trattenermi, di nuovo, per non indietreggiare – fuggire –, o per non avanzare – baciarla – . In entrambi i casi farei la figura dell’idiota

« E’ un tuo vecchio caso? » le chiedo, abbassando la voce, rivolgendole per la prima volta in questa giornata assurda un tono di voce che non sia di accusa o di condanna.

Il fatto è che sono confuso, estremamente confuso. Lei scuote la testa – capelli biondi che si muovono davanti ai miei occhi e mi ricordano un sogno fatto troppo recentemente – poi piega la testa in direzione di Hanna, rimanendo con il corpo vicino al mio. Sfiorandomi, quasi.

« E’ Hanna, mia figlia. Sono io la donatrice.  »

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Capitolo 4
*** I will try to fix you ***



‘Tears streaming down your face
I promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face and I.. ‘

 

 

 

La Bailey mi ha fregato.
Sono bloccato, sono fottuto. Sono bloccato. In una stanza così piccola che non mi permette nemmeno di
mettermi in un angolo a braccia conserte, con lo sguardo da duro.

 Non mi è concesso nemmeno questo.

 Izzie mi guarda con la testa reclinata da una parte, una cuffietta di plastica azzurra che le nasconde i capelli biondi dalla mia vista. Per fortuna,
niente boccoli, nessun tentativo patetico di toccarli. Ma anche per sfortuna: senza i capelli biondi ad incorniciarlo, il suo viso è
tutto occhi e quegli occhi guardano me.

 Cazzo. Sono bloccato, sono fottuto.

 Respiro, sollevo il mento, la maschera ancora funziona, sono sempre io, sono il dottor Karev. E Isobel Stevens al momento è
una mia paziente. Devo farcela, punto.

 « So che ti stai sforzando, te lo leggo in faccia. Sei stato gentile a volerti occupare comunque di Hanna. »

 e ancora mi guarda. Come un cerbiatto. Ma non altrettanto spaurita, non altrettanto indifesa. E’ questo che mi fa paura, tra i due,
quello che vorrebbe scappare sono io. Vigliacco.

 Distolgo lo guardo, mi concentro sull’ago da 20 centimetri che il dottor Leroy sta sistemando su una siringa da 100 millilitri, e che tra
qualche istante entrerà nella colonna vertebrale di Izzie, aspirando midollo osseo. A dir la verità è un pensiero che mi mette i brividi,
ma è più facile che sostenere il suo sguardo.

 « Non mi hai mai detto di avere una figlia. » mi faccio pena da solo, perché nuovamente mi ritrovo ad accusarla di qualcosa.

 Perché con lei non riesco a tirare fuori le palle?
Come al primo anno.
Ma chi prendo in giro? Al primo anno facevo lo stronzo solo per conquistarla. Ero già perso e nemmeno lo sapevo.

 « Hanna ha una famiglia, che non sono io. Non lo sono mai stata » accenna un sorriso, mentre allunga una mano verso di me.
L’appoggia sulla mia spalla e non riesco a fare a meno di irrigidirmi. Izzie sembra non accorgersene nemmeno. Si siede sul lettino
d’acciaio, le punte dei piedi nudi che a malapena raggiungono il pavimento

« Lo sapeva solo George. C’era lui, quattro anni fa, in questa stanza »

 Mi lascia andare e si sdraia, a pancia in giù.

George O’Malley.
Con quanti uomini mi sono dovuto confrontare, in questi anni?

Danny Duquette.
Ma alla fine lei aveva scelto me. Bella scelta.

 
Leroy si alza e si avvicina al lettino. Non riesco a fare a meno di seguire il movimento della siringa, di quell’ago enorme che fa paura solo
quando non sei tu, ad impugnarlo.
Izzie chiude gli occhi, appoggia il mento alle braccia. Sa già cosa si prova, a farsi bucare la pelle e poi la colonna vertebrale.

 
Vorrei dire qualcosa, ma sto zitto.
Vorrei consolarla, ma sto zitto.
Vorrei dirle che la perdono, che è tutto dimenticato, che vorrei solo baciarla. Ma sto zitto. 

«Faccia un bel respiro adesso. Cerchi di rimanere immobile. »

 Rimango immobile di fronte al lettino, almeno finché lei non mi afferra violentemente la mano, un attimo prima che l’ago da venti
cominci a bucarle la pelle.

 Non riesco a tirarmi indietro, mi lascio stringere. Il mio corpo funziona da solo, si muove da solo. Il mio corpo ha bisogno di lei e agisce
contro la mia volontà.

 Mi ritrovo con le ginocchia piegate, la testa all’altezza della sua. Fronte contro fronte.
Sento il calore, sento il dolore. Chiudo gli occhi perché guardare l’espressione di Izzie in questo momento mi fa venire voglia di urlare.

 
Sono bloccato, sono fottuto.


_______________________________________________________________________________________

 

«Non pensavo che Alex fosse così, con i pazienti » sta parlando alla Torres, ma non la guarda negli occhi.

 Lo sguardo di Lucy è diretto altrove, verso una finestrella trasparente posta proprio al centro della porta contro cui si è appoggiata.
Sta sbirciando dentro, anche se non dovrebbe.

 Osserva Alex che stringe la mani alla paziente distesa sul lettino e le scappa da sorridere. Meredith aveva ragione, dopo tutto, Alexander
Karev è una brava persona. Un uomo che non ci si dovrebbe lasciare scappare.

 Callie termina di firmare alcune cartelle, poi le richiude appoggiandole al bancone, voltandosi verso Lucy, la testa reclinata da un lato, il
sopracciglio destro sollevato. Così come? Karev non è uno famoso per avere rapporti idilliaci con i pazienti. Si avvicina alla bionda,
allungando il collo verso la finestrella.

Ah, ma certo.

Si gratta la fronte, scuote la testa con un sorrisetto divertito.

« Quella. Quella non è una paziente qualsiasi, è Izzie Stevens. Alex non si comporterebbe così con nessun altro » ed è la pura verità.

Smette di ridacchiare quando si accorge che la dottoressa Field non ha capito.
O almeno, dalla sua espressione dubbiosa sembrerebbe non aver collegato il nome.

 « Isobel Stevens. La moglie di Alex! Cioè, la ex-moglie per essere precisi. Che storia, la loro, un gran casino. Sai, quelle cose complicate da film
anni cinquanta, un po’ come Via col Vento..  »

 Parla. Parla troppo e se ne accorge troppo tardi. Perché Lucy non sorride più, si limita a fissare dentro la finestrella trasparente. Fissa l’ex-moglie
del suo ragazzo e il suddetto che le stringe le mani e la conforta, fronte contro fronte. Un po’ troppo, anche per i suoi gusti.

 «Ma Alex te l’ha detto, vero? Cioè… che lavorava qui e tutto quello che è successo e.. mh.. devo.. devo andare adesso, ok?. »

 

(sono fottuto)

 

 

 

Lights will guide you home
and ignite your bones
And I will try to fix you

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Capitolo 5
*** Nobody says it was easy ***


‘ Come up to meet you, tell you I’m sorry,
You don’t know how lovely you are… ‘

 

 

 « Alex! Alex! »
Lei mi chiama e non mi fermo.
« Alex!  »

Prendo la prima boccata di aria fresca della giornata, uscendo dall’ingresso principale dell’ospedale. Ho finito il mio turno, ho finito 
la mia giornata del cavolo, sono libero.

Casa mia – si fa per dire – è a venti metri da me, ma quella voce mi impedisce di andare avanti. E poi, anche volendo ignorarla, ormai
Lucy mi ha raggiunto, correndomi dietro, accanto, mi ostruisce il passaggio.

La guardo « Alex! Sei diventato sordo? Sono dieci minuti che ti chiamo!  »
La guardo e non rispondo. Il mezzo sorriso che aveva sulle labbra fino ad un istante fa scompare.
La guardo « Ti ho sentito. Sono solo stanco. Davvero stanco Lucy, non vedo l’ora di addormentarmi. »

Sono le dieci di sera e lei capisce che non è per l’ora tarda che sono stanco
E io capisco che lei capisce. Che sa, in qualche modo.

« Potevi dirmelo.. che sarebbe venuta. O potevi almeno presentarmela, non credi? » lei cerca di mantenere un tono di voce normale, 
quasi allegro, ma non è abituata. Non è capace. In realtà la sua domanda esprime solamente frustrazione e anche un briciolo di gelosia.

Se la situazione fosse diversa, scoppierei a ridere.
Se la situazione fosse diversa, ne sarei persino lusingato.

Ma questa sera no. Sono stanco, provato, non riesco nemmeno a tenere le ginocchia dritte.

« Lucy. » respiro. Respira, Alex. «Non avevo la più pallida idea che Izzie fosse in ospedale. È venuta per sua figlia, tutto qui. Non per me, 
non per restare!
» alzo la voce, di un tono, spazientito. Lei fa un passo indietro e ancora una volta capisco di avere toppato.

« Ok.. ok. » mi dice solo questo, mentre si passa una mano fra i capelli biondi e abbassa lo sguardo. Devo avere una faccia che fa paura. 
Io stesso, mi faccio paura.

Lascio andare i muscoli, cerco di rilassarli, sento la punta delle dita che sfiorano la pelle del viso, premo sulle palpebre, poi torno a 
guardarla. Devo essere sincero, ma delicato. Ne ho abbastanza, di ferire le persone.

« Lucy, ascolta… te l’avrei detto, se l’avessi saputo. E non te l’ho presentata perché mi ha colto alla sprovvista. E non la vedevo da più di 
un anno, insomma, è stata una brutta giornata. Ma è finita. Domani sarà tutto risolto, ok?
 »

Allungo la mano destra verso di lei, accarezzandole il viso.
Lucy torna a sorridere e io mi sento sempre più verme.
Perché so che le sto dando il contentino, la sto solo tranquillizzando, niente più.  « Devo dormire, adesso. Ci vediamo qui domani, 
vedrai che sarò come nuovo
» ma non ci credo nemmeno io.

 
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« Ti dico una cosa, adoro le tue tette. »
« Ma che cos’hai che non va? Perché devi essere… ma che cos’hai in quella testa! »
« Adoro le tue tette. E vorrei avercele intorno spesso e volentieri. Ma non sarebbe la fine del mondo se non le avessi più.. perché in realtà,
è te che voglio
. »

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02:55 am

 
Brucia. Mi brucia la faccia. Spalanco gli occhi e sono in una roulotte.
Ma un secondo fa, un secondo fa ero seduto su una panca. Ero dentro uno spogliatoio. Izzie mi ha appena tirato un ceffone perché le 
ho detto che adoro le sue tette.

E, per Dio, adoro le sue tette.

Ma non è il bruciore dello schiaffo che mi sveglia.
E’ il fuoco di un bacio. Un altro, l’ennesimo.

Sollevo la testa dal cuscino e mi rendo conto di essere sudato fradicio. Guardo la sveglia, è troppo presto per starsene con le mani 
in mano, Alex, ma troppo tardi per tornare a dormire.

Rivorrei quel bacio, solo questo.
Rivorrei quel bacio e poi quello da Joe. Il nostro primo bacio.
Rivorrei il bacio che le ho dato quando ero spaventata e preoccupata per Meredith, con la bomba.
Rivorrei il bacio che le ho dato mentre piangevo disperato.

Alzati.
Alzati.

Mi alzo dal letto con un balzo, sento i piedi nudi diventare subito freddi. Mi spoglio, sentendomi subito meglio, l’acqua della doccia 
è fredda ma va bene così.

Lucy ha finito tutta l’acqua calda ma va bene così. Le gocce che mi cadono sulla pelle tolgono il sudore e la stanchezza e il fuoco. 
Mi risvegliano. Sono lucido. Così lucido che decido di fare una pazzia.


03:45 am

Possibile che non ci sia nessuno? Non un’anima.
Non mi capita spesso di camminare per Seattle alle quattro di notte. Mancano solo un paio d’ore, poi spunterà il sole.
Sto per fare la figura del fesso.
Cammino, sento le foglie che scricchiolano sotto i piedi, tengo le mani in tasca. Ho le unghie conficcate nei palmi, ma il dolore non mi 
aiuta a fermarmi.
Perché non voglio fermarmi, voglio continuare a camminare. 

Il dondolo di legno è immobile. Non mi ci sono mai seduto, chissà poi perché. Lo sfioro con la punta delle dita, cigola. Faccio un salto all’indietro, 
quasi mi avesse morso il gatto.

Cazzo Alex, calmati.

Sto per fare la figura del fesso. Sono le quattro di notte e sono qui, come un vagabondo o un guardone o un ladro, su un vialetto, vicino ad 
un dondolo di legno.

Se non fosse così tardi, forse mi sentirei meno in imbarazzo, perché questa dopotutto è stata anche casa mia. Ma mi rendo conto di 
sembrare un pazzo e forse lo sono. Basta pensare, è ora di agire o tutto il coraggio e la lucidità andranno a farsi friggere e sarò costretto a 
tornare indietro. Tornare alla mia cavolo di roulotte, solo, con un peso sullo stomaco. Come un macigno.

Allungo una mano, tirandola fuori dalla tasca del giubbino. Diventa subito fredda, anche se la temperatura non è male. Mi tolgo il pensiero 
e lo faccio, schiaccio il campanello.
Nel silenzio, fa un rumore quasi infernale. Come una campana che suona i suoi ultimi rintocchi.

I MIEI ultimi rintocchi, per così dire.

Sto per suonare di nuovo, senza lasciare quasi il tempo al suono di terminare, quando si accende una luce, all’interno della casa. E’ 
quella del salotto, passi sulle scale di legno.
Mi avvicino alla porta, guardo dentro.

Chissà che faccia ho.
Chissà se sembro disperato.
Chissà se si vede il fuoco, che mi sta bruciando dentro.

« Alex? » Meredith mi guarda oltre il vetro della porta, una mano sulla guancia, l’altra nei capelli arruffati. Indossa solo una canottiera verde 
pistacchio e un paio di boxer neri da uomo – l’idea che Stranamore sia nudo in questo momento mi mette i brividi – ma quasi non ci faccio caso.

Non riuscirei a guardare un paio di tette – un altro paio di tette, che non sia il suo – nemmeno se me le mettessero sotto il naso. 

Apre la porta, guardandosi intorno, strofinandosi gli occhi con la mano libera, quasi volesse accertarsi di essere sveglia « Alex, che ci fai qui? » 
me lo chiede, ma le leggo in faccia che conosce già la risposta.

Non ho nemmeno bisogno di parlare. Ci fissiamo, giusto qualche istante, io fuori e lei dentro, come se questa porta, quella che ho davanti, 
fosse una linea di confine. E lo è.

Posso ancora ritirarmi, tornare indietro.
Potrei far tornare tutto come prima.

E invece no. Entro. Faccio un passo, poi un altro, poi mi fermo.

«Credi che dovrei andarmene? Cazzo sto sbagliando tutto..  » mi prendo la faccia tra le mani, con scarsa delicatezza. Sento i palmi sulle 
guance e vorrei riempirmi di schiaffi. O almeno che lo facesse lei, ma Meredith non fa una piega. Scuote la testa, poi fa un mezzo sorriso. 
Uno dei suoi.

Il sorriso di una che ti conosce. Di una che è stata cupa e torbida, proprio come te. Una che capisce perfettamente, come si può stare di 
merda, a volte.

 « Aspetta qui.. provo a svegliarla  » e sparisce, su per le scale.

Quando arriva al piano di sopra sento i suoi passi arrivare fino in fondo al corridoio, poi si fermano.

E’ nella nostra stanza. La nostra stanza.
Guardo all’insù, ma non sento quasi niente. Solo un brusio sommesso, la voce di Meredith fievole, lontanissima. Sembra che il suono 
del campanello abbia svegliato solo lei.

« Oh Meredith! Ma insomma… ma hai visto che ore sono? Ero appena riuscita ad addormentarmi, non è possibile! Che succede adesso?  » non 
ti arrabbiare Iz. Non riesco a fare a meno di sorridere, nel sentire la sua voce. Non fa niente per tenerla bassa, quasi non si fosse resa 
conto che in casa c’è anche Derek. Che dorme, almeno per ora.

« Izzie.. c’è Alex, di sotto »

Silenzio.
Silenzio.
Un tonfo.
Silenzio.

Rumore di piedi nudi sul pavimento, si muovono frenetici. Poi sembrano calmarsi ed è il momento in cui vedo Isobel spuntare sulle scale. 
Scende i gradini tentando di mantenere un’andatura controllata e questo mi spinge a sorridere maggiormente.

Piego la testa verso il basso, in modo che lei non possa vedermi.
Faccio sparire il sorriso, tornando a guardarla.

 
You don’t know how lovely you are…

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