L'ultimo istante

di Jack_Alone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jake ***
Capitolo 2: *** Kurt ***



Capitolo 1
*** Jake ***


“AT-TENTI”
Dave alzò di scatto la testa dal cuscino, stava ancora dormendo, ma dopo sei mesi nell’esercito era così abituato alla sveglia all’alba da non farci più caso. Scosse la testa per riprendersi dal torpore dal sonno e le ultime immagini del sogno svanirono appena aprì gli occhi. Già non ricordava più cosa stesse sognando, tutto quello che gli era rimasto era una sensazione di tranquillità, ma anche quella era svanita, come bruciata dalla luce dell’alba. Il Capitano passò in rassegna le brande della compagnia di Dave, tutte impeccabili anche se fino a cinque minuti prima contenevano ognuna un uomo addormentato. Quando passò davanti al ragazzo, a malapena alzò gli occhi per guardarlo in faccia, ma Dave non vi fece caso, in quei sei mesi non si era solo abituato alla sveglia mattutina, ma anche a considerarsi come i suoi superiori lo consideravano: un numero. Era per quello che a ogni soldato venivano fornite le placche di metallo, no? Così che ogni ora di ogni giorno il loro peso ti ricordasse che eri solo un’altra matricola, un numero a sei cifre e basta. Quando entri nell’esercito diventi uguale a tutti gli altri, hai la possibilità di ricominciare da capo e tutti hanno le stesse probabilità di farcela. Ancora oggi, Dave era segretamente convinto che fosse stato questo a spingerlo ad arruolarsi. Il ragazzo si concentrò su quello che il capitano stava dicendo. Avevano una missione importante quel giorno, avrebbero dovuto scortare un convoglio di Medici Senza Frontiere fin nei territori interni, al di là del deserto. La Compagnia si sarebbe divisa su due Tank, Dave e altri quattro commilitoni si sarebbero occupati della retroguardia. Il ragazzo non era preoccupato, non era la prima volta che gli toccava attraversare il deserto e finora era stato fortunato. Era stato colpito solo una volta, il proiettile vagante di un cecchino gli aveva sfiorato la guancia. I medici di campo avevano fatto tutto quello che potevano, ma gli era rimasta una vistosa cicatrice sulla guancia sinistra e ancora oggi, nelle notti più fredde, sentiva la pelle nuova irrigidirsi.
Dave si accorse che il dormitorio si stava lentamente svuotando, evidentemente il capitano aveva finito di dettare le istruzioni. L’operazione non sarebbe iniziata che tra qualche ora, aveva il tempo di rilassarsi. L’esperienza gli aveva insegnato che preoccuparsi troppo portava solo guai, così prima delle operazioni importanti faceva di tutto per distrarsi.
Si trascinò fuori dal dormitorio. Varcata la porta, rimase accecato dalla luce del sole. “Fottuto deserto” pensò “È appena l’alba e già si muore di caldo”. Camminò fino al limitare del piccolo campo di basket, gli altri lo invitarono a unirsi a loro, ma lui rifiutò, preferendo seguire la partita da bordo campo.  Passò circa mezz’ora, durante la quale Dave fece di tutto per interessarsi alla partita, ma il basket non lo aveva mai appassionato, non tanto quanto il football, almeno. Ma non voleva pensare al football, “Non oggi” si disse “non ora”.
“JAKE, quello era un fallo!”
Dave si riscosse dai suoi pensieri sul football e fissò il gruppetto che si era formato all’altra estremità del campo. Qualcuno aveva detto “Jake”? Impossibile, non c’era nessun “Jake” nella compagnia, doveva aver sentito male. Jake… Erano passate cinque settimane da quando… NO! Dave fece di tutto per allontanare la mente dal ricordo di quello che era successo cinque settimane prima, ma il cervello umano è strano, a volte sembra che lavori contro di noi. Più Dave cercava di scacciare il pensiero di Jake, più quello si affacciava prepotente nella sua testa, sopprimendo qualsiasi altra cosa…
 
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“Karofsky!” un sussurro nel buio “Dave!”. Erano passate da un pezzo le nove, orario in cui tutte le luci del campo per reclute dovevano spegnersi. Ma Dave era ancora sveglio, troppo eccitato dagli eventi del giorno. Il suo primo giorno nell’esercito! Si sarebbe finalmente riscattato agli occhi del padre e tutti a casa avrebbero dimenticato “l’incidente”, quando sarebbe ritornato con una medaglia al petto.
“Karofsky”
Il sussurro veniva dalla sua destra, si girò da quella parte e alla luce della luna vide che a chiamarlo era il ragazzo che aveva conosciuto quella mattina, era in fila dietro di lui a mensa. Si era pure presentato, ma Dave aveva già dimenticato il suo nome. Jeff, forse? Qualcosa di simile.
“Che vuoi?” sussurrò di rimando
“Usciamo”
“Cosa? No! Non dovremmo neanche essere svegli. Uscire per andare dove, poi? Siamo in mezzo al nulla, qui”
“No, c’è una piccola città a un paio di miglia verso est, me l’ha detto uno dei ragazzi più grandi. Possiamo sgattaiolare fuori e rientrare prima dell’alba”
“Se ci scoprono ci buttano fuori”
“Non ci vedrà nessuno, stanno dormendo tutti! Dai, il tempo di una birra, per festeggiare. E chissà quanto tempo passerà prima di poterci fare un’altra birra”
Dave era indeciso. Era per situazioni del genere che si era cacciato nei guai a casa, sempre a seguire gli altri, mai quello che gli diceva la testa. Ma Jeff-O-Come-Cavolo-Si-Chiamava aveva ragione, chissà quanto tempo sarebbe passato prima di poter bere una birra.
“Ok, andiamo”
“Bene. Io mi chiamo Jake, comunque”
“Io sono Dave”
“Si, lo so”
Jake si alzò dalla brandina senza far rumore, aspettò che Dave lo imitasse e insieme sgattaiolarono fuori dal dormitorio.
 
Il “bar” si rivelò essere un lungo bancone poggiato su dei cavalletti che serviva unicamente una birra alla spina dal sapore vagamente acido. “Neanche la peggior bettola di Lima è così malridotta” sussurrò Dave a mezza voce, ma Jake non lo udì, o fece finta di non sentirlo. Avanzò spavaldo fino al bancone e ordinò due birre.  Dave ammirò la naturalezza con cui il ragazzo si muoveva, sembrava perfettamente a suo agio in qualsiasi situazione. Dave era sicuro che neanche la critica più feroce avrebbe potuto scalfire quell’atteggiamento. E si ritrovò ad invidiarlo un po’, lui non era mai stato così sicuro, quando andava al liceo riusciva a superare la giornata solo grazie alla giacca della squadra di football. Era come uno scudo che lo proteggeva dal mondo esterno, ma che allo stesso tempo non gli permetteva di essere se stesso. C’erano volte che gli sembrava di soffocare dentro quella giacca, come se gli togliesse il respiro. La conversazione tra i due all’inizio fu stentata, ma la birra fece il suo effetto e mezzo boccale dopo si ritrovarono a raccontarsi a vicenda la storia della propria vita. Dave cominciò a trovare simpatico il ragazzo, erano simili sotto quasi tutti gli aspetti. Jake, in effetti, era nato e cresciuto a Mansfield, non lontano da Lima. Mentre ancora stavano parlando del campionato di football studentesco, furono interrotti dall’annuncio che di lì a momenti si sarebbe esibita sul palco una band locale. Dave guardò l’orologio e avvertì Jake che dovevano avviarsi al campo, altrimenti li avrebbero scoperti. Ma Jake insistette per sentire almeno la prima canzone della band. Così Dave guardò con crescente apprensione la band sistemarsi sul “palco” e attaccare il primo pezzo. Dave lo riconobbe alla prima nota. La prima canzone della band era una cover di Don’t Stop Believin’ dei Journey. Il ragazzo non poté fare a meno di imprecare sotto voce. Si era arruolato nell’esercito, aveva chiesto di essere assegnato ad un campo reclute lontano migliaia di miglia da casa, e ora si ritrovava nel Texas orientale in una bettola di terz’ordine a sentire una stonata band locale che suonava Don’t Stop Believin’!
“Sei sicuro di stare bene? Sei diventato tutto rosso. Non sarai mica uno di quelli che non reggono neanche la birra, vero?”
Dave provò a calmarsi e rispose con un laconico “Sto bene. Andiamo? Rischiamo di fare tardi!”
“Ok ok. Tanto questi qui fanno pure schifo”
 
Sulla via del ritorno, Dave si limitò a seguire passivamente Jake, che alla sola luce delle stelle cercava di individuare il sentiero che li avrebbe portati al limitare del campo reclute. Mentre fissava la schiena del ragazzo, Dave tornò con la testa alla band del bar, e sorrise al pensiero di cosa ne avrebbe pensato il signor Schuester di quella pessima cover. Il signor Schue… Chissà dov’era adesso, e se dirigeva ancora il Glee Club! Prima di partire aveva sentito che lui e la signorina Pillsbury erano tornati assieme. Senza Schue, gli ultimi mesi al McKinley sarebbero stati pessimi per Dave, e il ragazzo sperava che il professore avesse finalmente trovato la felicità, anche se non era sicuro che la Pillsbury fosse adatta per lui. Chissà perché, era convinto che, nonostante tutto, il professore e la sua ex moglie fossero fatti l’uno per l’altra. Non che Dave credesse a queste cose… Non credeva più a niente, ormai. “Non mi fa bene pensare a queste cose” si disse tra sé e sé. Era così distratto da non accorgersi che Jake si era fermato di colpo e andò a sbattere contro il ragazzo. Quando riuscì a recuperare l’equilibrio, capì cosa aveva bloccato Jake di colpo: il campo era tutto un fermento di attività. Avevano scoperto i loro letti vuoti e li stavano cercando: sarebbe stato impossibile per loro sfuggire alla punizione.
 
Due anni dopo quella notte era diventata una sorta di leggenda al campo, e a Jake e Dave veniva spesso chiesto di raccontarla. Dave in genere rifiutava, non gli piaceva mettersi al centro delle attenzioni, ma l’altro non perdeva occasione per raccontare la loro avventura, e ogni volta aggiungeva particolari così lontani dalla verità, che Dave stesso a stento si riconosceva come uno dei protagonisti.  Era l’ultima sera al campo, la mattina successiva le reclute sarebbero state mandate chi in Afghanistan, chi in Iraq, altri, i più fortunati, sarebbero rimasti a casa a svolgere lavori d’ufficio. Dave e Jake erano stati assegnati a compagnie diverse, il primo sarebbe andato in pieno deserto (cosa che lo terrorizzava un pò), mentre l’altro sarebbe andato a Baghdad (e questo faceva preoccupare Dave ancora di più).  Karofsky non riusciva a dormire, fissava il tetto sopra la sua testa e la mente vagava in posti strani, luoghi lontani nel tempo, su cui incombeva lo spettro di un paio di occhi azzurri, impossibili da dimenticare.
“Dave!”
“Non di nuovo, Jake”
“Cosa vuoi che ci facciano? Domani ce ne andiamo… E chissà quando ci rivedremo. SE ci rivedremo”
“Non dirlo neanche per scherzo”
“Allora andiamo”
“Sono un pazzo a darti ancora retta”
Jake non rispose, ma Dave percepì il suo sorriso attraverso il buio del dormitorio. Si alzarono dalle brande e sgattaiolarono via, esattamente come due anni prima. Non si diressero verso la stessa bettola di allora, nel corso degli anni avevano scoperto che nell’area del campo reclute c’erano molti bar nascosti, che la notte accoglievano i cadetti alla ricerca di conforto nell’alcol, dopo tutte le fatiche della giornata. Si diressero verso il loro preferito, arrivarono presto, il bar era ancora semi-vuoto, così scelsero il loro tavolo preferito e si fecero portare due “bionde”. Non parlarono molto durante la serata, qualsiasi tentativo di conversazione li trascinava inesorabilmente verso la partenza dell’indomani, e nessuno dei due voleva parlarne. Uscirono prima che il bar cominciasse a riempirsi, ma appena usciti Jake si girò verso Dave
“Ti va di andare fino in cima alla collina?”
“Si, ok. È ancora presto”
I due si avviarono verso la collina, seguendo un sentiero confuso, visto che in quella stagione erano pochi quelli che si avventuravano fin lassù. Arrivati in cima, ansanti e leggermente accaldati per la scalata, si sedettero ai piedi di un grande masso. Dave alzò la testa e cominciò ad osservare le stelle. Le luci della città e del campo non arrivavano fin lassù e poteva godere della vista di tutta la Via Lattea. Aveva sempre amato le stelle, da piccolo sognava di fare l’astronomo e passava tutte le notti d’estate con l’occhio incollato al telescopio, osservando le fasi lunari, Venere oppure cercando di beccare Sirio pochi minuti prima dell’alba. Ma le cose non erano andate nel verso giusto. Lui era qui adesso, e l’indomani sarebbe andato in un posto che, onestamente, avrebbe avuto difficoltà ad individuare su un mappamondo.  Il ragazzo cominciò a rabbuiarsi e per scacciare questi pensieri dalla mente abbassò gli occhi e si accorse che Jake lo stava fissando.
“Pensi a casa, Karofsky?”
“Più o meno”
“Non mi hai mai detto cosa ti ha spinto ad arruolarti. Non sembri il tipo che sogna di fare il militare fin da piccolo”
“No, infatti. Diciamo che non ho avuto scelta” si limitò a rispondere Dave. Era già abbastanza triste senza rivangare quella storia.
“Sai, non ho mai capito niente di astronomia” disse Jake guardando verso le stelle. Dave gli fu grato per aver cambiato argomento, alzò la testa anche lui e cominciò ad indicare le costellazioni dicendo il loro nome.
“Vedi quelle cinque stelle disposte a forma di W? Quella è Cassiopea. La più luminosa di quelle cinque stelle è Gamma Cas, è la stella binaria a raggi X più brillante del cielo, e anche l’unica stella binaria visibile ad occhio nudo”
“Non ho capito la metà di quello che hai detto”
“Scusa, quando comincio a parlare delle stelle non mi ferma nessuno”
“Perché ti scusi? E poi sembrava interessante. È la prima volta in due anni che ti sento parlare appassionatamente di qualcosa!”
Dave abbassò gli occhi imbarazzato. Non gli piaceva aprirsi, aveva paura di sembrare un nerd un po’ scemo, che si emoziona a parlare di astronomia.
I due rimasero in silenzio per un po’, Jake continuava a fissare le stelle, Dave giocherellava con un filo d’erba ai piedi del masso su cui erano appoggiati. Fu Jake a rompere il silenzio: “Dave, posso chiederti una cosa?”
“Spara”
“Tu non hai paura?”
Dave alzò gli occhi e vide il cielo stellato riflettersi sugli occhi bagnati di Jake. Restò paralizzato, non sapeva che fare, non pensava che Jake fosse il tipo che si spaventa. Decise di essere sincero: “Si, certo che ho paura. Pensa sia normale”
Jake si girò a guardarlo
“Sai, io non ho paura di morire. Non so se credo nell’inferno o nel paradiso e sinceramente non me ne frega niente. Non ho neanche paura di soffrire. Ho paura di pentirmi”
“Pentirti di cosa?”
Jake rimase alcuni secondi in silenzio, e Dave era convinto che ormai non gli avrebbe più risposto, ma poi continuò: “Sai cosa dicono della morte? Che prima di morire vedi tutta la tua vita passarti davanti gli occhi?”
“Si”
“Cazzate. Sono solo cazzate. Non vedi affatto tutta la tua vita. Che senso avrebbe? Stai morendo, cazzo, sei già abbastanza depresso. Vedi una cosa sola: la… persona… che hai amato. Quella a cui non hai mai confessato il tuo amore, perché non sapevi… Non pensavi…” Jake si asciugò le lacrime che avevano cominciato a scorrere sulle sue guance. Dave lo fissò a bocca aperta, non aveva mai visto Jake comportarsi così. Fece un timido tentativo per consolarlo, consapevole che qualsiasi cosa potesse dire non era neanche lontanamente sufficiente a calmarlo. Così si limitò a poggiare la mano sulla sua spalla e a dire “Spero davvero che sia come dici tu” e sorrise verso Jake. Inaspettatamente, il ragazzo si avvicinò a Dave e poggiò la sua testa sulla spalla di lui. Dave rimase, se possibile, ancora più paralizzato. Il suo cuore cominciò a battere a mille.
“Oh, wow… Stai bene? Sembra che stai avendo un infarto!” Jake alzò la testa dalla sua spalla e lo fissò negli occhi.
“Io… Uhm…” Dave non riusciva a pensare coerentemente. Erano sempre stati così azzurri gli occhi di Jake? Non l’aveva mai notato. Forse era la luce della luna. Jake continuava ad avvicinarsi a Dave, che continuava a fissare quegli occhi, come se tutto l’universo avesse cessato di esistere e si fosse riversato dentro quelle iridi.  Jake ormai era così vicino che Dave poteva contare ogni singola imperfezione e ogni singola pagliuzza d’oro nell’azzurro degli occhi di lui. Infine, le loro labbra si sfiorarono. A Dave sembrò quasi che il suo cuore stesse per scoppiargli fuori dal petto, aveva paura che lui sentisse quel battito forsennato e si fermasse. Dopo pochi secondi Jake si allontanò e lo guardò. Dave si limitò a fissarlo, continuava a perdersi nei suoi occhi, e sulle labbra sentiva il sapore caldo delle labbra di lui.
“Scusa, io pensavo…” Jake fece per alzarsi, ma Dave lo trattenne. Con il pollice asciugò la guancia ancora bagnata di lacrime di Jake e poi lo spinse verso di sé. Il bacio questa volta fu più lungo, Dave quasi perse il senso del tempo, era come se tutti i suoi sensi si fossero annullati, tutto quello che riusciva a percepire erano le sue labbra, premute contro le sue, e il suo cuore, che sentiva battere, forte quasi quanto il suo, attraverso la maglietta. Quando si staccarono, sembrava essere passata un’eternità, eppure Dave pensava fosse durato troppo poco, per anni aveva nascosto tutti i suoi sentimenti e adesso, in una notte, con un bacio, stava venendo tutto fuori. Si sentiva come un condannato all’ergastolo graziato, che dopo anni in una cella buia, esce e respira, respira l’aria di libertà. I due ragazzi si guardarono e di nuovo, entrambi, si persero ognuno negli occhi dell’altro. Le loro labbra si toccarono una terza volta e un’altra eternità passò dentro di loro.
 
Due ore dopo i ragazzi si alzarono dal prato e, tenendosi per mano, senza scambiarsi una parola, tornarono al campo. Riuscirono a tornare al dormitorio senza problemi. Prima di coricarsi, Dave si girò verso Jake: il ragazzo era seduto sul letto, volgendo la schiena verso Dave. Stava ancora piangendo e Dave non sapeva che fare, si sentiva impotente. Fece per avvicinarsi a Jake, ma a metà strada rinunciò. Tornò alla sua branda, si coricò e, prima di addormentarsi, si girò verso la branda di Jake. Nel buio del dormitorio vide il profilo del suo naso, la sua fronte… E le sue labbra. Quella fu l’ultima volta che lo vide.

 



La divisione in capitoli in questa storia non ha molto senso, me ne accorgo rileggendola. In realtà, è stata scritta per essere letta senza interruzione. Quando ho caricato questo prima parte non sapevo se l'avrei mai finita, ora che ho caricato la seconda e ultima parte, capisco che è un tutt'uno. Spero mi scuserete, ma sto ancora imparando.

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Capitolo 2
*** Kurt ***


“Dave, è arrivata la posta da casa”
Dave si riscosse dal torpore pomeridiano. Cinque mesi nel deserto e ancora non riusciva ad abituarsi al caldo. La posta arrivava una volta a settimana, quando erano fortunati. Ma lui non aveva mai ricevuto niente. I rapporti con la sua famiglia erano complicati, a dir poco. L’ultimo ricordo che aveva di suo padre erano i suoi occhi pieni di delusione. E sua madre che, appoggiata alla spalla del padre, piangeva e sembrava non potersi fermare. In ogni caso, si alzò dall’amaca su cui stava riposando e si avviò verso la jeep appena arrivata, giusto per fare qualcosa. Ma, arrivato nei pressi della jeep, lo colpì una sensazione strana. Più si avvicinava e più sentiva nello stomaco il desiderio di voltarsi e scappare, scappare verso il deserto e non voltarsi indietro. Non capiva cosa gli stava accadendo, cominciò a sudare freddo. Pensò di stare per avere un colpo di caldo, così fece per girarsi e tornare nel fresco del dormitorio, quando uno dei suoi commilitoni lo chiamò: “Dave, c’è una lettera per te”
Dave si girò lentamente: non voleva quella lettera. Qualsiasi cosa ci fosse scritto, lui non voleva leggerla, non voleva neanche tenerla in mano. Ma il commilitone gliela cacciò in mano, guardandolo di sbieco per il suo comportamento strano. Con mani tremanti, aprì la busta e tirò fuori un unico foglio, scritto da un solo lato. Erano poche righe:
 
Caro Dave,
So che non mi conosci. Sono il fratello di Jake. Circa cinque mesi fa ho ricevuto una lettera di mio fratello in cui mi pregava, nel caso gli fosse successo qualcosa, di scriverti e dartene notizia. Due settimane fa abbiamo ricevuto la notizia della morte di Jake, colpito a morte da un cecchino. Mi dispiace.
Matt
 
Dave sentì il mondo crollargli sotto i piedi. Alzò gli occhi dalla lettera, ma non riconobbe niente attorno a sé. Tutto gli sembrava confuso, sfuocato, e capì che erano lacrime quelle che sentiva scorrere sulle guance. Tornò a guadare la lettera, ma non capiva quello che c’era scritto. Jake? Morto? No… Non aveva nessun senso. Era impossibile. Non poteva morire. Non Jake. Il suo cuore cominciò a battere sempre più velocemente, il suo respiro si faceva sempre più corto. Tutto cominciò a girare, sentiva perdere ogni appiglio con il mondo stabile, gli sembrava che non ci fosse più nord, sud, né sole o luna. Solo lui e quella lettera che stringeva nel pugno. Appoggiò le mani sulle ginocchia e cercò di riprendersi, cercò di calmarsi. Forse avevano sbagliato. Dovevano aver sbagliato. Non poteva essere Jake, il Suo Jake non poteva essere morto. Non riusciva ad immaginarselo freddo e inerte in una bara di legno avvolta dalla bandiera. Non era così che doveva finire. Non era così che doveva andare. Jake era buono. Era lui, Dave, che doveva morire, colpito da un cecchino senza nome, lasciato a marcire sotto la sabbia di un anonimo deserto. “Dovrei esserci io in quella bara” pensò. “Sono io quello che ha incasinato tutto, sono io quello che è dovuto scappare da casa per…” Come un treno in piena corsa, il ricordò degli ultimi giorni a casa entrò nel suo cervello ormai senza più difese. Dave non aveva la forza per lottare contro l’ennesima malignità della sua testa, così decise di assecondarla. Si abbandonò al suo dolore, si circondò di esso e, infine, ritornò a tre anni prima. La morte di Jake gli aveva ricordato un’altra morte, che aveva sepolto nel profondo. In quei pochi attimi, al limitare del campo, la rivisse tutta. Ogni singolo istante di quella morte, così diversa, eppure così uguale a quella di Jake, si affacciò prepotente nella sua testa.
 
 
Dopo tre anni, ricordava ancora il giorno esatto in cui Kurt era ritornato al McKinley. Subito dopo le vacanze di primavera, capì che c’era qualcosa di strano quando, salendo le scale che portavano all’ingresso della scuola, vide i tizi del Glee Club parlare concitamente vicino l’armadietto che era stato di Kurt. Si avvicinò con discrezione, ma quando era ancora troppo lontano per sentire cosa dicevano, Finn e Sam si staccarono dal gruppo e gli si fecero incontro. Appena i due si erano avvicinati, aveva potuto vedere che erano tutti intenti a salutare Kurt. Dave rimase pietrificato, in mezzo al corridoio. Dopo mesi, si ritrovò a fissare, ancora una volta, quel collo perfetto e bianco come marmo. Ma le cazzate che uscivano a ripetizione dalla bocca di quell’Hudson lo facevano distrarre. Dave lo guardò con uno sguardo che esprimeva tutto il suo disprezzo. Disprezzava il comportamento ipocrita di Finn, lo stesso che, prima che Kurt entrasse nella squadra di football, si univa a tutti gli altri nel prenderlo in giro. Fissò Sam e non poté fare a meno di compiangere quel povero sfigato. Si sfoggiava a grand’uomo che si mette in prima linea per proteggere i suoi amici, ma tutti, Dave compreso, sapevano che quello era solo una farsa, una pessima interpretazione di chissà quale stereotipo maschile del profondo sud. “Tutto quello che vuoi è infilarti nelle mutande della Fabray, coglione idiota” pensò con rabbia Dave. Ma si limitò a fissare in cagnesco quei due ipocriti, senza dire niente. Non aveva nessuna intenzione di prendere parte a quella patetica messa in scena di testosterone. Gli sembrava di essere in uno di quei documentari su National Geographic Channel, quello dove si vedevano i maschi di scimpanzé lottare tra di loro per guadagnarsi il favore della femmina del gruppo. Lui era solo un pretesto per quei due scimmioni ignoranti per dare sfoggio di muscoli e scarsa iniziativa personale, visto che Dave sospettava ci fossero le ragazze dietro quell’attacco. E infatti, guardando il gruppetto ancora fermo presso l’armadietto di Kurt, vide che anche la Berry lo guardava in cagnesco. Lei si che aveva le palle, non come quei due bamboccioni che gli stavano davanti. Aspettò che anche Sam finisse il suo discorso, senza minimamente prestargli ascolto. Quando si accorse che nessuno aveva più niente da dirgli, si limitò a scrollare le spalle e continuò a camminare fino al suo armadietto.
 
Un paio di giorni dopo, Dave era nello spogliatoio. La stagione del football era finita, ma lui sentiva ancora il bisogno di allenarsi un paio di volte la settimana. Si stava rivestendo quando, girandosi verso la porta, vide Kurt che lo fissava.
“Che vuoi, Hummel?” Dave si girò dall’altra parte, non voleva che vedesse quanto era sconvolto dalla sua presenza nello spogliatoio
“Dobbiamo parlare”
“Non abbiamo niente di cui parlare”
“Non è vero. Tu mi hai baciato, Dave”
“ZITTO!” Dave si guardò attorno per assicurarsi che lo spogliatoio fosse vuoto. “Ne abbiamo già parlato, quando sei venuto a cercarmi con il tuo fidanzatino, sei stato tu a baciarmi. Ora smettila di fissarmi”
Kurt si avvicinò a Dave e lo fece girare
“No, Dave, sei stato tu a baciarmi, e devi smetterla di nasconderti. Non vuoi dirlo agli altri? Va bene, so cosa significa fare coming out in questa scuola e se non sei pronto credo che tu debba aspettare. Ma devi ammetterlo a te stesso e, soprattutto, devi dirmelo in faccia. Me lo devi!”
“Cosa dovrei dirti? Smettila di farmi perdere tempo” Dave spinse da parte Kurt per passare, ma il ragazzo lo trattenne.
“Non vai da nessuna parte” Dave provò a divincolarsi dalla stretta di Kurt, ma il ragazzo lo teneva troppo stretto.
“Hummel, MOLLAMI!” Kurt lo lasciò andare
“Cosa vuoi che ti dica, uh? Vuoi che ti dica che sono gay? Eh si, lo dico a te, e poi magari lo dico a tutta la scuola, giusto? E tutto andrà bene, nessuno mi dirà niente, vero? Sei un illuso, Kurt. Pensi che il mondo sia giusto, ma non è così. Il liceo è una giungla, e sono tutti lì appostati che aspettano un tuo passo falso, pronti a sbranarti senza pietà”
“Io un illuso? Ma sei scemo? Lo sai benissimo cosa ho passato a scuola, e lo sai perché sei stato tu a farmi scappare! Io, almeno, ho il coraggio di essere me stesso. Tu invece? Sei un represso. Rimarrai sempre un represso e ti ritroverai a quarant’anni, pelato e grasso, con una moglie che non ami, sposato solo per apparenza, perché così vuole la società. E due volte a settimana dirai a tua moglie che devi fare tardi in ufficio, quando in realtà ti caricherai in macchina un ragazzino che ha bisogno di soldi, lo porterai in un motel e per un paio d’ore smetterai di essere un represso”
Dave si avvicinò a Kurt con i pugni in aria, il ragazzo arretrò fino a sbattere con la schiena alla fila di armadietti. Dave adesso era vicino, così vicino che poteva sentire il profumo di Kurt. Era fresco e pulito. Questo gli schiarì la mente. Abbassò i pugni e mise una mano sul petto di Kurt, che trattenne il respiro, paralizzato dalla paura. Dave sentì il suo cuore battere forte come quello di un pettirosso. Non voleva questo, non voleva spaventarlo. Perché non riusciva a farsi capire? Perché era così difficile? Respirò ancora una volta il profumo di Kurt. Adesso percepiva anche l’odore della sua paura mischiato al profumo. Si avvicinò sempre di più e quando ormai stava per baciarlo, si accorse che Kurt non era più spaventato. Aveva chiuso gli occhi, e sembrava desiderarlo tanto quando lui lo desiderava. Quando si baciarono, Dave sentì Kurt reagire con tutto il corpo, lo tirò a sé e continuò a baciarlo, come se da quel bacio dipendesse tutta la sua vita. Ma subito dopo Kurt lo allontanò. Dave fissò il volto accaldato del ragazzo e rise del suo rossore, che partiva dalla base del collo per coprirgli tutta la faccia. Provò ad attirarlo ancora una volta verso di sé, ma Kurt lo respinse un’altra volta.
“Non è così che funziona, Dave. Non puoi baciarmi ogni volta che siamo soli e poi aspettarti che io faccia finta di niente. Se vuoi stare con me, allora devi stare SEMPRE con me. Smettila di nasconderti”
“Non ci sperare, Hummel” Dave raccolse la sua roba ed uscì dallo spogliatoio. Kurt lo seguì poco dopo. Nessuno dei due si accorse che Azimio li aveva osservati per tutto il tempo, nascosto dietro una fila di armadietti.
 
 
“Ehi, Karofsky!”
Dave stava tornando a casa a piedi. Stava ancora pensando al bacio con Kurt ed era distratto, così non sentì Azimio la prima volta.
“Karofsky, parlo con te!”
“Da quand’è che mi chiami per cognome?”
“E tu da quand’è che sei finocchio?”
Dave impallidì
“Rispondi. Da quand’è che ti piace succhiare cazzi, eh?”
“Non… Non so di cosa stai parlando”
“Non dire cazzate. Vi ho visti, tu e quell’altro frocetto di Hummel nello spogliatoio. Quindi quando ci cambiavamo, quando eravamo nelle docce, tu eri lì che ci fissavi il pacco, giusto?”
“Azimio, non è come pensi tu”
“Ah no?! E com’è allora, spiegami. Perché io ti ho visto infilargli la lingua in gola. Spiegami dov’è che sbaglio”
“Smettila di urlare”
“Perché, se no che fai? Ti metti a piangere?” Azimio spinse Dave contro il muro.
“Non spingermi. Non ti ho fatto niente. Senti, è stato un errore. Tu non dirlo a nessuno, ok?”
“Non mi hai fatto niente? Si che mi hai fatto qualcosa. Sei un frocio, ecco cos ami hai fatto”
“Smettila di spingermi” Dave sentì crescere dentro di sé la rabbia che aveva represso in tutti questi anni, tutta la pressione che aveva dovuto subire dal mondo finto e plastico di Lima. Tutti i sentimenti che aveva nascosto, le occhiate che si era costretto ad evitare. Condensò tutto questo nel pugno destro, e scaricò tutto sulla mascella di Azimio. Questo, all’inizio sorpreso per la reazione inaspettata, lo fissò inebetito, per poi rispondere con altrettante forza. Dave sentì arrivare il colpo. All’inizio non gli fece male, ma era sicuro che il giorno dopo si sarebbe ritrovato con un occhio nero. Si buttò su Azimio e cominciò a tempestarlo di pugni. Colpiva ogni centimetro libero che riusciva a trovare, non gli dava tregua. Nella sua testa, non stava colpendo una persona, stava colpendo tutto un mondo: il suo. Tutta la sua vita era una finzione, fin da quando era piccolo tutti gli avevano detto che doveva comportarsi in un certo modo. E lui era stanco, era stanco di fare contenti gli altri. Era stanco di vivere per gli altri. Continuò a colpire Azimio fino a quando questi non si accasciò a terra, privo di sensi. La sua testa gli diceva di fermarsi, che era sufficiente, ma lui era completamente preso dalla rabbia, una furia cieca che lo costringeva ad andare avanti e colpirlo, colpirlo… Fino a quando non si sentì afferrare per le spalle. Si girò e vide che un poliziotto lo stava trattenendo. Qualcuno aveva chiamato la polizia. Dave gli fu grato, non sarebbe riuscito a fermarsi, altrimenti. Chinò la testa e vide cosa aveva fatto. Azimio giaceva in una pozza di sangue. C’era sangue dappertutto, gli schizzi coprivano anche il muro accanto a loro. Dave si guardò le mani e vide che erano completamente ricoperte di sangue, di cui solo una piccolissima parte era suo. Ritornò a fissare Azimio, sconvolto per quello che aveva fatto. Vide che un altro poliziotto era chino accanto a lui e cercava il polso, ma dalla sua espressione sembrava non stesse andando molto bene. Il poliziotto chino su Azimio disse “Portalo in centrale, quello lì”. Dave si senti spingere in macchina, ancora troppo sconvolto per opporre resistenza o provare a spiegare.
 
Azimio restò in coma per due settimane, durante le quali Dave visse segregato nel suo personale inferno. I rapporti con suo padre non erano mai stati idilliaci, erano troppo diversi tra di loro, e Dave sospettava che il padre pensasse che lui fosse stupido. Ma quello che Dave aveva fatto cancellò completamente qualsiasi possibilità che i due legassero. Il padre si comportava come se Dave neanche esistesse. A tavola, Dave si sentiva un fantasma. Alla fine, cominciò a disertare i pasti con i genitori e a mangiare in camera quello che gli portava la madre, che non faceva nulla per aiutarlo. Dopo due settimane di quella non-vita, Dave sentì suo padre entrare in camera sua. Alzò lo sguardo dal libro e vide che la sua faccia era sconvolta dalla rabbia.
“Il tuo amico è morto stanotte. La polizia è venuta a prenderti per portarti via. Perfavore, non fare storie”
Dave all’inizio non capì. La polizia? Prendere lui? Per portarlo dove?
“Non capisco…”
“La cosa non mi stupisce. Scendi e segui i due poliziotti. Non fare storie, non dire niente fino a quando non arriva il nostro avvocato. Ora sbrigati, non voglio che i vicini vedano mio figlio scortato fuori casa da due poliziotti” Detto questo si voltò e uscì dalla camera. Dave non riusciva a pensare. Meccanicamente, seguì suo padre giù dalle scale e all’entrata trovò i due poliziotti che lo stavano aspettando. Si lasciò prendere in custodia senza fare resistenza, si sentiva svuotato. Provò a guardare suo padre, ma questi gli volgeva la schiena. Sua madre non si vedeva da nessuna parte. Così segui i poliziotti fuori casa, salì in macchina e, inconsciamente, disse addio alla sua vecchia vita. Niente avrebbe potuto restituirgliela.
 
Durante il processo, l’avvocato di Dave cercò di convincere la giuria che Dave era stato provocato, che Azimio l’aveva discriminato per la sua omosessualità (cosa che non facilitò neanche un pò i rapporti tra lui e il padre). Dave una volta sola vide Kurt in aula, sedeva nell’ultima fila e quando Dave lo salutò, sembrò spaventarsi. Non andò mai a trovarlo. La giuria sembrò colpita dalla sua testimonianza, e decise di condannarlo a soli sei mesi di prigione minorile. La madre di Azimio scoppiò a piangere quando il giudice lesse la sentenza e Dave non poté fare a meno di desiderare di poter dare la sua vita in cambio di quella di Azimio. Era convinto che il mondo ne avrebbe guadagnato. Almeno, lui non avrebbe dovuto sopportare le occhiate che gli lanciava suo padre. Finiti i sei mesi in prigione, i peggiori sei mesi della sua vita, durante i quali era andato due volte vicino al suicidio, tornò a casa. Ma per come andavano le cose lì, sarebbe potuto tornare in prigione e niente sarebbe cambiato. Suo padre continuava ad ignorarlo e quando era costretto a parlare con lui, lo faceva con uno sguardo di disgusto misto a delusione che uccideva Dave e sua madre, succube, sembrava non vedere cosa stava accadendo sotto i suoi occhi e dal suo alito Dave sospettava che avesse ripreso a bere. Così un giorno, circa due settimane dopo essere tornato a casa, decise di arruolarsi e scappare il più lontano possibile da quell’inferno. Il giorno prima di partire andò all’officina degli Hummel. Sapeva che non vi avrebbe trovato Kurt, aveva sentito che dopo il liceo era andato a New York insieme alla Berry. Ma non era con Kurt che voleva parlare.
“Finn”
“Dave…” Finn lo squadrò da capo a piedi, con uno sguardo glaciale, simile a quello del padre. “Non sapevo fossi uscito da…”
“Già. È successo solo due settimane fa”
“Kurt non c’è. E sinceramente non credo sia il caso tu lo veda. Mi ha raccontato tutto”
“Non voglio parlare con Kurt. È con te che voglio parlare”
“Con me? E di cosa?”
“Ho bisogno di un favore. La prossima volta che vedi Kurt, potresti dirgli che sono pentito per quello che ho fatto. E che mi dispiace veramente tanto per quello che è successo l’anno scorso?”
Finn continuò a fissarlo gelido, senza rispondere.
“Per favore, Finn. Domani parto, mi sono arruolato, e non so se e quando tornerò qui.”
“Va bene”
“Mi dai la tua parola?”
Finn sembrò non volergli rispondere, poi, vedendo quanto era sconvolto Dave, acconsentì a dare la sua parola.
“Grazie” disse Dave prima di uscire.
Finn lo guardò allontanarsi lungo la via a piedi. Aveva la strana impressione che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto Dave Karofsky.
 
 
“Karofsky, concentrati!”
Dave cercò di mettere a fuoco dove si trovava: era sul Tank della retroguardia, durante l’operazione di scorta a Medici Senza Frontiere. Erano passate cinque settimane da quando aveva ricevuto la lettere del fratello di Jake, ma non riusciva a superarlo. Si costrinse a pensare al presente: doveva concentrarsi se voleva uscirne vivo. Fissò lo sguardo fuori dal finestrino blindato: deserto. Sabbia ovunque, a volte pensava di essere su Tatooine, non sulla Terra. Odiava il deserto. Mentre era concentrato a fissare l’orizzonte discontinuo, con la coda dell’occhio vide qualcosa avanzare verso il Tank. Si girò per avvertire gli altri, ma non fece in tempo. Prima di aprire la bocca sentì il mondo ribaltarsi. Cercò di tenersi a qualcosa, ma non trovò niente a cui aggrapparsi. Sentì la forza centrifuga scaraventarlo contro il parabrezza. Fu scaraventato fuori, atterrò sulla schiena e perse conoscenza per qualche secondo. Quando riuscì a pensare coerentemente, capì che li stavano attaccando. Provò ad alzarsi, ma non ci riuscì. Guardò verso il basso e vide un enorme pezzo di vetro uscirgli dalla coscia. In un attimo il dolore lo raggiunse e provò l’impulso di strapparlo via, ma sapeva che rischiava di peggiorare le cose. Guardò verso la strada e vide che il suo tank era saltato in aria, probabilmente erano tutti morti. Gli uomini del secondo Tank erano riusciti a disperdere gli assalitori e si stavano avvicinando a lui. Dave cercò di resistere, ma non riusciva a sopportare il dolore. Cadde di nuovo in uno stato di semi-incoscienza, da cui si risvegliò appena lo raggiunse l’ufficiale medico. Cercò di cogliere le parole che si scambiavano i soldati tra di loro, ma tutto quello che riuscì a capire è che erano preoccupati. La ferita era troppo profonda, lo sapeva, e aveva probabilmente intaccato l’arteria. Erano esattamente a metà strada, troppo lontani da qualsiasi centro medico per trasportarlo abbastanza in fretta. Dovevano cavarsela con quello che avevano e Dave sapeva che non era abbastanza. Chiuse gli occhi e sorrise dentro di sé. Alla fine, stava ottenendo quello che aveva sempre voluto: stava morendo, lontano da tutti e da tutto ciò che gli era stato più caro al mondo. Mentre gli altri cercavano di svegliarlo, lui si allontanava sempre di più, troppo stanco per lottare ancora, sicuro che non ne valesse più la pena. In un barlume di coscienza, pensò “Jake aveva ragione”, perché non stava vedendo tutta la sua vita, quello schifo… No, era lui che vedeva.
La ragione di tutto. Il suo collo bianco, la sua mascella dolce, le sue labbra piene e calde. Per un attimo, si convinse di sentire anche il suo profumo, lo stesso di quel giorno nello spogliatoio. Infine, subito prima di chiudere gli occhi un’ultima volta, vide i suoi occhi, così azzurri da far impallidire il cielo. Il medico gli sentì sussurrare una sola parola
“Kurt…”



Così si conclude il mio primo tentativo di Fan Fiction. È stata una faticaccia scriverla, perché ho dovuto attingere a molti fatti personali. Se nel 90% delle frasi sostituite "Io" a "Dave" ottenete la storia della mia vita. Ripeto: non sono affatto un esperto di vita militare, per cui mi dispiace se ho fatto degli errori. Se siete come me e vi piace ascoltare la musica mentre leggete, questa è la playlist che stavo ascoltando mentre scrivevo:
Better - Regina Spektor
Born This Way - Lady Gaga
Break My Heart  - Sara Ramirez
Breathe - Anna Nalick
Chasing Cars - Snow Patrol
Darlin' - Avril Lavigne
Don't You Remember - Adele
From Yesterday - 30 Second To Mars
Happy Ending - Mika
Off I Go - Greg Lasswell
Raise Your Glass - P!nk
Rolling In The Deep - Adele
Send Me On My Wat - Rusted Root
Someone Like You - Adele
Stand By Me - John Lennon
Sweet Disposition - The Temper Trap
Sweet Dreams - Emily Browning
The Story - Sara Ramirez
What The Hell - Avril Lavigne

Grazie per aver letto la mia storia,
Ugo


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