Happy Birthday, Mr Stradlin!

di Selene Silver
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1981 ***
Capitolo 2: *** 1991 ***
Capitolo 3: *** 2011 ***



Capitolo 1
*** 1981 ***


1981

Jeffrey Isbell odiava i compleanni. In linea di massa, odiava tutte le feste: sì, i regali facevano comodo e per una volta era bello vedere la gente che si sorrideva per strada. Certo, se non si faceva caso all'ipocrisia o non si era troppo occupati a cercare una dose d'insulina.
Il giorno del suo diciannovesimo compleanno si alzò di pessimo umore - be', già il pensiero di dover andare a scuola lo rendeva sofferente - e tentò di sgattaiolare fuori senza intercettare sua nonna. Inutile.
«Jeff!» esclamò, vedendolo già alla porta. «Vieni qui, non mi dai neanche un bacio? Devo tirarti le orecchie; diciannove anni non si compiono mica tutti i giorni!» Gli occhi le brillavano, e lui rimase immobile a sopportare le ben diciannove tirate sforzandosi di non alzare i suoi al cielo. A volte i modi infantili di lei lo seccavano a morte, anche se per il resto Granny era davvero fantastica: era stata lei la prima a mettergli una chitarra in mano e a presentargli i primi musicisti della sua vita.
«Dai, vieni, ti faccio la colazione.»
Jeff allungò lo sguardo verso l'orologio appeso al muro. «Mi dispiace, devo andare a prendere Bill. L'ultima volta che sono arrivato in ritardo mi ha mollato un cazzotto.»
La nonna rise. «Oh, allora corri. Sia mai che il tuo bellissimo faccino sia deturpato da un occhio nero!»
Il ragazzo sorrise ed uscì. A volte sospettava che Granny sapesse molto di più di quanto non dicesse, ma grazie a Dio lo conosceva abbastanza bene ed era abbastanza discreta da non andargli a fare domande indiscrete; sua madre invece era tutto il contrario. Quand'era venuta a Natale da Chicago, dove lavorava e viveva, si era subito insospettita sulla sua amicizia "fin troppo intima" (a sentir lei) con quel bizzarro ragazzo dai capelli rossi come il fuoco. L'aveva tartassato di domande. Jeff era felice che se ne fosse tornata nella sua grande città ed avesse smesso di rompere il cazzo per i suoi voti ai limiti del dramma ed i suoi capelli lunghi "da ribelle".
Il percorso da casa sua a quella di Bill era relativamente breve. La sua vecchia carretta sgasatissima sembrava voler cadere a pezzi da un momento all'altro, come al solito, ma, sempre come al solito, rimase insieme. Non appena svoltò nella via dove c'era la villetta dei Bailey notò subito la chiazza rossa dei capelli dell'amico, e subito si sentì nervoso.
Accidenti. Sarebbe stato un bel cazzo di compleanno, se avesse litigato con lui.
Frenò ed abbassò il finestrino. «Ehilà. Aspetti da molto?»
Il rosso non rispose; aprì la portiera ed entrò senza dire una parola. Jeff ripartì e si fermò al loro solito posto qualche isolato dopo, lontani sia da casa che da scuola.
«Ehm, Bill?» chiese, insicuro.
Alla fine, il ragazzo sbuffò. «Sei un danno, Isbell. Mi hai fatto aspettare un quarto d'ora… ma va be', è il tuo compleanno, non posso litigare con te.»
Jeff sbuffò. «Ti ho già spiegato che per me oggi è un giorno come tutti gli altri.»
Bill gli lanciò un'occhiata irritata. «Okay. Allora nessun regalo e non ti perdono per il ritardo. Preferisci che ti colpisca in faccia o da qualche altra parte?» Gli occhi verdi gli brillavano per il spasso. Lo stava prendendo in giro, e come al solito si divertiva un mondo.
Isbell roteò gli occhi. «Sei proprio uno stronzo.»
Il rosso rise, perfido. «Grazie. Allora buon compleanno, Jeff!» Gli si avvicinò e gli diede un bacio a schiocco sulle labbra, senza neanche toccarlo.
Il moro gli lanciò un'occhiataccia. «E questo me lo chiami regalo? Accidenti, Bailey! Credevo che avessi un po' più considerazione di me, dopo avermi scassato le palle tutto il mese con la tiritera di "cosa vuoi per i diciannove?"»
«E tu mi hai risposto di volere me» rise Bill.
Jeff arrossì, ma incrociò le braccia, caparbio. «Sì, e allora?»
Il rosso si allungò per accarezzargli il viso; aveva perso ogni malizia, ed ora nei suoi occhi verdi splendeva solo una grande dolcezza. «Allora sarei molto felice di regalarmi a te, per il tuo compleanno.» Gli allacciò le braccia dietro la nuca e questa volta gli diede un bacio di quelli veri e mozzafiato, con tanto di lingua e mani che s'infilavano dappertutto. I respiri di entrambi s'ingrossarono quando le dita di Bill iniziarono a tormentare l'elastico dei boxer dell'altro. Quando ormai le erezioni di entrambi erano diventate evidenti, il rosso si staccò con un sospiro.
Indicò l'orologio sul cruscotto. «Credo che almeno il giorno del tuo compleanno dovresti evitare di beccarti una nota di demerito per ritardo.»
Jeff mise il broncio. «Uffa, Bill. Non frega un cazzo della scuola né a te né a me, perciò dimmi la verità. Ti diverti a lasciarmi in sospeso, vero?»
Negli occhi verdi di Bailey si riaccese la malizia. «Lo ammetto. Stasera farò tutto quello che vorrai e per di più tu sarai davvero insaziabile, dopo l'astinenza, per cui… Parti, Jeff.»
Con un improperio davvero impudico rivolto alla madre del rosso, che non si scompose minimamente, Isbell ripartì. In capo a dieci minuti erano davanti alla scuola, appena in tempo per la campana.
«Ah, Jeff…» lo fermò Bill, prima che uscisse. «Tu continuavi a non rispondere se non con la tua libido, perciò ho dovuto ingegnarmi da me per farti un regalo. Spero ti piaccia.» Sembrava quasi timido mentre, pronunciando quelle parole, estraeva dalla tasca un pacchetto stropicciato. Il moro rimaneva sempre affascinato dai suoi cambiamenti d'umore: prima malizioso, poi dolce, e poi timido. Era uno dei motivi per cui sospettava di essersi innamorato di lui.
Prese ciò che il rosso gli porgeva e lo scartò. Gli occhi gli si fecero lucidi di risate quando vide cosa conteneva il piccolo involucro di carta da pacchi: era un plettro a forma di cazzo. «Sei proprio un imbecille, lo sai?»
Bill rise. «Se non altro penserai a me tutte le volte che suonerai.»
«Penso già a te tutte le volte che suono, Bailey.»
Il rosso lo guardò con la punta della lingua che gli sfiorava l'angolo delle labbra. Jeff si chiese se si rendesse conto di quanto fosse sensuale quel gesto: conoscendolo, probabilmente sì. Bailey gli fece scorrere un dito sul petto, seguendo i bottoni della camicia vecchia e lisa, finché non arrivò alla cintura. Il moro trattenne il fiato.
Bill tolse di scatto il dito e si mise a ridere. «Allora ci penserai ancor meglio!» esclamò, scendendo dalla macchina.
Jeff lo seguì, borbottando un: «Brutto stronzo.»
«Grazie, lo so!» ribatté Bill, avviandosi verso le porte mentre suonava la campanella.

Era tornato pieno di malizia, un ragazzo di strada perfettamente virile. Mentre lo seguiva per i corridoi, quasi ipnotizzato dai suoi fianchi stretti, Isbell non poté impedirsi di pensare che si era fottutamente innamorato.

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Capitolo 2
*** 1991 ***


1991

C'era qualcosa di fottutamente sbagliato in tutta quella storia. E se lo diceva lui, era vero.
Che cazzo ti sta succedendo, Axl? Lui non poteva percepire i suoi pensieri, e non si girò a guardarlo. Continuò ad ordinare l'ennesima bottiglia di Jack, mentre il fumo, l'alcol e le groupies praticamente lo soffocavano.
Izzy si alzò dal divanetto del pub e sgattaiolò via; solo Duff lo notò, ed i suoi occhi - nocciola, per una volta: aveva rinunciato alle lenti a contatto, quella notte - lo seguirono finché non lo videro sparire nella mischia.
Una volta nel parcheggio, il moro riprese a respirare. Certo, l'aria attorno al Roxy non era proprio quella che si poteva dire pulita, ma di sicuro lo era più che all'interno. Un paio di ragazze lo guardarono e parlottarono fra di loro, forse decidendo se andare a parlargli, ma lui voltò le spalle, sperando che capissero il messaggio: bottega chiusa, per stasera. Andate tutti a cagare.
Era ormai il 7 aprile. Quella sera avrebbero tenuto un concerto; e poi sarebbe stato il suo compleanno. Negli anni, l'odio di Jeff per le feste non era svanito, semmai era aumentato. I ventotto li aveva festeggiati con la felicità chimica dell'eroina nelle vene, i ventisette in coma etilico. I ventisei erano stati bellissimi, ma in quel momento gli faceva male ripensarci; rivedere il buio ed il viso dei ragazzo dai lunghi capelli rossi illuminato dal basso dalla candela, il suo sorriso grande ed aperto, gli occhi brillanti. Da quanto tempo non gli vedeva quell'espressione in viso? Da quanto tempo non stavano più insieme come un tempo? Da quanto tempo non vedeva Bill?
Si accese una sigaretta e prese nervosamente il primo tiro. Gli pareva che stesse andando tutto in pezzi. Ormai Axl stava distruggendo la band, ed il povero William si faceva vivo troppo raramente per rimettere le cose a posto.
Lanciò via la Camel e vide la punta di brace volteggiare nella notte, come l'occhio di un vorace demone sorto apposta dall'inferno per tormentarlo. Piantala di pensare stronzate, Isbell. Ma era vero, era fin troppo vero. Scosse la testa, ficcò le mani in tasca e si avviò per tornare a piedi in albergo. Era lontano, non aveva la scorta ed il manager aveva proibito a tutti loro di andarsene a bighellonare senza qualcuno della sicurezza. Ma lui era stanco di quella storia, incazzato con Axl e gli mancava Bill. Se ne sbatteva del manager, insomma.

Era il suo compleanno e nessuno se l'era ricordato. Meglio così. Steve e Slash erano così fatti che dubitava ricordassero il loro stesso nome. Duff si era imboscato da qualche parte con la sua fiamma del momento, una certa Maeve White. E…
Lui non se l'era ricordato. Izzy si strinse nelle spalle; un gesto che poteva voler dire noncuranza, ma anche "mi hanno piantato un coltello nelle scapole". Era da quando erano ragazzi che lo supplicava di non fargli gli auguri né di regalargli niente; e da ormai tre anni - tre anni oggi - sembrava che avesse recepito il messaggio.
Si caricò la chitarra sulle spalle e si nascose fra i rodies quando un nutrito gruppo di groupies corse strillando verso i camerini. Be', di sicuro Steve e Slash e Axl non se ne sarebbero lamentati… anche se in effetti non vedeva il cantante dalla fine del concerto. Era semplicemente sparito dietro le quinte, con quei suoi pantaloni di pelle viola attillatissimi, che non lasciavano quasi niente all'immaginazione, luccicanti nei riflettori.
Meglio così. Non avrebbe sopportato guardarlo in faccia, vedere Axl, ricordare Bill e sorridere, dicendo "gran spettacolo!" e poi farsi una groupie qualsiasi. Non poteva sopportarlo. Gli sembrava che negli ultimi mesi i suoi pensieri si fossero ridotti a quelle tre parole. Aspettò che anche l'ultima fan fosse passata e poi si avviò, una sigaretta fra le labbra, occhiali da sole a celare gli occhi e cappello calcato in testa, verso la limousine che l'avrebbe riportato al sicuro nella sua camera d'albergo.

Izzy aprì la porta facendo attenzione a non far sbattere per nulla al mondo la chitarra. Se la richiuse alle spalle e prima di tutto la posò contro il muro senza neanche accendere la luce. Fu allora che, dalla zona in ombra dove gli pareva ci fosse la poltrona, una voce bassa e morbida iniziò a cantare.
«Happy birthday to you…» Jeff sentì il cuore balzargli in petto.
«Happy birthday to you…» La lampada sul comodino si accese. Seduto sulla chezlong, con le gambe fasciate di pelle accavallate ed i capelli rossi liberi sulle spalle, stava un giovane uomo che lui conosceva bene. «Happy birthday dear Jeffrey… Happy birthday to you.»
Aveva ancora una leggera traccia di sudore sul viso, il trucco leggero sciolto attorno agli occhi brillanti, quel sorriso sulle labbra. «Axl, che…?» mormorò.
Lui scosse la testa. «Stasera sono Bill. E tu sei Jeff. Come ai vecchi tempi. Tanti auguri, Isbell.»
Il moro si guardò attorno. L'atmosfera era dolce ed intima. «Come diavolo hai fatto ad entrare qua dentro?»
«Ho corrotto Karen» rispose lui, con un sorriso smagliante.
«E chi è Karen?»
«La portinaia, che domande.» Bill lo osservò ed improvvisamente i suoi occhi si fecero tristi. «Perché sei così teso, Jeff? Volevo farti una sorpresa per il tuo compleanno.»
Lui spostò il peso da un piede all'altro. «Pensavo che Axl Rose…»
«Quella troietta stasera non c'è. Ci sono solo io, Bill Bailey, il tuo migliore amico.»
Jeff alzò le sopracciglia. «E quando mai Bill Bailey è stato solo mio amico?»
«Be'… diciamo che non ero sicuro che volessi ancora qualcosa di più, dopo tutto questo tempo.» Il rosso era quasi timido, mentre parlava.
Il chitarrista sentì una scossa dentro. Era lui. Era davvero Bill. Gli andò vicino, rimanendo in piedi. Si chinò sul suo viso e lo prese fra le mani, accarezzandogli gli zigomi. Sì, quello era proprio William, il suo Will. «Non importa quanto tempo può passare. Io voglio sempre te.»
Negli occhi del cantante si accese una scintilla. «Allora dimostramelo, Isbell, perché mi sei mancato molto più di quanto tu non possa immaginare.» Gli afferrò la nuca e lo baciò con la lingua, con ferocia. Jeff chiuse gli occhi e respirò il suo odore, coca e Jack e sudore ed eccitazione da palcoscenico. Gli cadde sopra e finirono lunghi distesi sulla chezlong, con le mani che s'infilavano dappertutto ed i respiri affannosi e quella fame terribile che non veniva appagata da troppo tempo. Sì, avevano scopato in quei tre anni, ma per meglio dirlo erano stati Axl e Izzy, non Bill e Jeff.
Il moro gli strappò la maglietta di dosso e gli leccò il petto, soffermandosi sul pearcing al capezzolo sinistro e giocherellandoci con la lingua. L'altro gemette e gl'infilò le mani nei pantaloni, rompendogli la zip dei jeans con un colpo secco. Scalciarono le scarpe e si ritrovarono a cadere per terra con un tonfo che li fece fermare per ridere.
Si fissarono con occhi brillanti ed un gran sorriso. «Mi sei mancato, Bill» mormorò il moro, baciandolo piano.
«Mi sei mancato, Jeff» disse di rimando Bailey, accarezzandogli i capelli. Poi sorrise, diabolico. «E se permetti, vorrei proprio rifarmi.»
«Oh, non so, magari non ne ho voglia» ribatté lui, pensieroso. Poi lo rovesciò sotto di sé e gli morse il collo. Bill lanciò una specie di grido misto ad un ansito, mentre le mani dell'altro si muovevano pesantemente sul suo corpo fino ad arrivare alla cintura sui pantaloni. Gliela tolse con un movimento brusco ed allo stesso modo gli liberò le gambe. Come una vera rockstar, Bill sotto non portava nemmeno una pudica foglia di fico.
Jeff glielo baciò lentamente, percorrendolo in tutta la lunghezza con la lingua, mentre Bill ansimava… per poi lasciarlo perdere di colpo e tornare ad occuparsi dei suoi capezzoli.
Il rosso emise un grugnito frustrato. «Non ti ricordavo così stronzo.»
«Axl mi ha fatto diventare stronzo.»
«Per quanto lo odi, devo ammettere che ha fatta un ottimo lavoro.»
Bill lo rovesciò di nuovo sotto di sé e lo spogliò con mani frenetiche, finché non si ritrovarono nudi ed abbracciati sul tappeto di una camera d'albergo.
Il rosso gli avvolse una gamba intorno alla vita e gli fece un succhiotto sul collo. Poi scese verso il basso e glielo prese in bocca, con un piccolo gemito. Fece dei cerchi intorno al glande con la lingua e succhiò finché lo sperma non gl'inondò la bocca. Solo allora lo lasciò e risalì verso l'alto, fino a baciarlo sulle labbra.
Jeff gl'infilò una mano fra i capelli e gli accarezzò la schiena, con dolcezza. Una luce malefica gli balenò negli occhi, quando si staccò da lui e lo rovesciò prono, stendendosi sulla sua schiena. Gli baciò la nuca, mentre il suo pene gli scivolava fra i glutei. Bill lanciò un gemito di pura aspettativa. Solo a quel punto Jeff lo penetrò, con forza.

Alcune ore dopo si trovarono nel letto del moro, dopo svariati round di sesso sfrenato. I loro respiri si erano calmati da poco e stavano entrambi per sprofondare nel sonno. Erano abbracciati. Per la prima volta da molto tempo, Jeff si sentiva bene con sé stesso, e sicuro che sarebbe andato tutto a posto.
Bill era ancora con lui, anche se sapeva che, quando fosse uscito da quella stanza, sarebbe tornato ad essere Axl. Per adesso non riusciva a preoccuparsene. Lo baciò sulle labbra e sentì il sapore del rosso mescolato al suo. «Bill…»
«Mmh?»
Jeff esitò un attimo, poi scosse la testa. «No, niente.»
Bill sorrise. «Anch'io ti amo.»
Il moro s'irrigidì. «Come?»
«Ti amo. Io. Axl. Non importa. Ti amo.»
Lo strinse forte. «Sì, anch'io.»
Il rosso annuì ed un attimo dopo sprofondò nel sonno. 



Scritta sotto gli occhi delle mie zie cattolicissime-antiabortiste-antigay, 'cause they must to open their eyes, oh yes!
Maeve White. Ti dice niente, WhoKilledBambi?? *_* Sì, mi ringrazierai poi.
Purtroppo la terza dovrà aspettare domani, il chip genitoriale suggerisce a mia madre di mandarmi a letto perché è tardi -.-
Buonanotte! *-*

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Capitolo 3
*** 2011 ***


2011

«Un altro anno, Jeff!» Isbell faticò a non sbuffare. D'altro canto, fra il telefono incastrato fra spalla e orecchio, il pacco di pasta e la pentola in una mano e l'altra che frugava nel frigo, non avrebbe davvero potuto fare nient'altro.

«Grazie, Saul. Ma non dirlo troppo ad alta voce.»

Il chitarrista, dall'altra parte della cornetta, fece la sua tipica risata fragorosa. «Cos'è, ti vergogni di ammettere la tua vecchiezza? Su, i quarantanove non sono poi così male. Ci sono sempre i cinquanta per deprimersi… fra un anno.»

«Non fare così lo spiritoso, a te non manca molto. Fra l'altro, sei stato tu stesso a dirmi di sentirti più vecchio, da quando è nato Cash.»

«No, io ho detto di sentirmi maturo. È diverso.»

«A proposito, come sta la famigliola?»

«Oh, tutto a posto. Ci hanno raggiunti per la data a New York, è fantastico. Se solo London e Marie smettessero di tirarsi i capelli sarebbe ancora meglio.»

Jeff rise, estraendo difficoltosamente un barattolo di salsa di pomodoro dal frigo. Richiuse lo sportello con un piede e cercò un punto libero dove appoggiare tutta la roba che aveva in mano; purtroppo però aveva già occupato tutto il bancone. Una cosa non sarebbe mai cambiata: non sarebbe mai stato un bravo cuoco né una persona ordinata. «E fra Susan e Duff come va?»

Slash sbuffò. «Per adesso è tutto rose e fiori. Entro domani lei inizierà a tirargli le scarpe. Matt dice che lo tireranno scemo.»

«Immagino che dopo il concerto di Justin Bieber i Velvet Revolver siano uno strazio per le figlie di Duff.»

«Ah! Io non permetterò mai che i miei ragazzi inquinino casa mia con quella roba. Per il compleanno di London gli ho regalato il primo CD degli Iron Maiden.»

Jeff alzò gli occhi al cielo, trovando finalmente un posticino dove appoggiare la pasta e la salsa. «Sai, credo sia un po' piccolo per cose come 666.»

«Naah, prima o poi amerà la vecchia musica  e mi dirà grazie perché non gli ho lasciato comprare il CD dei Nickleback.»

«Oppure ti odierà a morte.» Riempì la pentola d'acqua e la sbatté sul fornello acceso, tentando di non scottarsi le dita.

«Cosa vuoi saperne, Isbell?» ribatté Saul, ma rideva. «Piuttosto, come passerai i tuoi quarantanove? Solo soletto con una chitarra e del gelato?»

Jeff fece un sorrisetto. «Direi di no. Viene a trovarmi Bill.»

«Ah-ah, cenetta romantica a lume di candela?»

«Seguita da una gran scopata» assicurò: dall'altro capo della cornetta Slash pensava che lui scherzasse, ma era un povero illuso. Lui era serissimo.

«Va be', senti, è tornata Perla, devo andare.»

«Oh, immagino che tu sia dispiaciutissimo di lasciarmi alla mia solitudine.»

«Io stanotte non la passerò in bianco, Isbell.»

«Neanch'io, te l'ho detto. Divertiti e salutami i ragazzi.»

«Certo. E buon compleanno!» Jeff scosse la testa, posando il cordless sul caricatore ed andando a pesare la pasta. Probabilmente sarebbe venuta fuori solo colla, ma valeva la pena fare lo sforzo di far vedere ai vicini che era solo una cena innocente fra vecchi amici. See, come no.

 

Mezz'ora dopo, la pasta era un grumo immangiabile ed innaffiato di salsa di pomodoro, e faceva davvero schifo a vedersi. Jeff lo buttò nella spazzatura: be', col casino che c'era in cucina Bill non avrebbe potuto dire che lui non ci avesse provato. Il campanello suonò e lui sentì un fremito di aspettativa: non si vedevano da un po', Bill era stato in giro. Ma era tornato per il suo compleanno; un deterrente per smettere di odiare le feste, probabilmente.

Jeff andò ad aprire e lo sentì già da dietro la porta: stava canticchiando la sua versione di Since I don't have you.

Alzò gli occhi al cielo. «Sei davvero patetico, lo sai?» Aprì la porta e se lo ritrovò davanti: treccine rosse, camicia da cowboy e mani dietro la schiena, come il bravo studente che non era mai stato. Quella posa innocente lo insospettì.

Bill sorrise. «Be', è vero. Comunque è un bruttissimo modo per accogliermi, ultraquarantenne che non sei altro.»

«Devo ricordarti che siamo coetanei? E cosa mi stai nascondendo, lì dietro? Ti avviso: non faccio entrare in casa mia molotov o che so io.»

«Non sono mai stato tipo da molotov» ribatté il rosso, fingendosi offeso.

«Certo che no… tu sei più tipo da "ti spacco la testa con l'asta da microfono perché devo fare il figo roteandola in giro"»

«E dai, è passato un sacco di tempo e non ti ho neanche sfiorato, quella volta.»

Jeff rabbrividì al ricordo di quanto ci fosse andato vicino. «Bah, va bene. Entra, ormai abbiamo fatto capire a tutti che passeremo solo una serata da vecchi amici.»

«Che idioti.»

«Puoi dirlo forte. Vieni.»

Non appena mise piede in casa, Bill annusò teatralmente l'aria. «Non dirmi che hai provato a cucinare, Jeff?»

«Dovevo far scena, no?»

«Non dirmelo, la pasta è diventata colla.»

Il moro incrociò le braccia e si finse offeso. «E se negli ultimi anni io avessi imparato a cucinare?»

Bill si voltò verso di lui con le sopracciglia inarcate.

«D'accordo, hai ragione. Ho buttato tutto.»

Sul viso del rosso baluginò un sorrisetto perfido. «Be', tanto non ho la minima intenzione di mangiare… cibo. Portami in camera da letto, così ti do il tuo regalo.»

Jeff rise. «È una proposta indecente? Non pensavo fossi così disperato da farmela.» Gli si avvicinò e lo baciò. Bill gli si premette contro, ma senza togliere le mani dietro la schiena. 

Quando si staccò gli occhi gli brillavano. «Ma insomma, Isbell, che vai a pensare? Io intendevo il regalo che ho in mano, non quello che ho nei pantaloni! Sei un pervertito!»

«Ah, io sarei il pervertito? Sei tu che parli sempre per doppisensi e mi confondi!»

Lo lasciò andare e lo guidò verso la camera da letto scuotendo la testa. Dentro c'era un gran caos di vestiti e sigarette, le lenzuola erano stropicciate e la sua semiacustica bianca se ne stava lì in mezzo, vissuta ma ben curata, con le corde cambiate di fresco. «Rimarrà sempre il tuo più grande amore, vero?» domandò Bill, improvvisamente serio.

Jeff scosse la testa. «Il secondo.»

«Sei troppo gentile.»

«No. Dico sul serio.»

Sul viso del rosso ricomparve un sorriso. «Okay, allora sposta il tuo secondo grande amore dal letto e poi chiudi gli occhi.»

Jeff scosse la testa, ma obbedì. Quando Bill si faceva prendere dalle sue "trovate geniali" era meglio non fare domande. Posò la chitarra sul suo cavalletto e si mise le mani davanti agli occhi.

«Non sbirciare!» urlò allegramente il rosso. L'altro sbuffò e fece quanto gli era stato detto, mentre lo sentiva affaccendarsi per la stanza canticchiando quelli che gli sembravano proprio i Bon Jovi. «Santo Dio, hai dimenticato di farti la dose d'insulina? Cos'è tutta 'sta melensaggine?»

«Oh, vedrai… Ne riparleremo domani mattina, quando sarai perfettamente appagato e non riuscirai a toglierti dalla faccia quel sorrisetto idiota che ti viene sempre dopo che stiamo insieme.»

«Sai che viene anche a te, sì?»

«Ma io rimango un gran figo comunque» ribatté Bill, disinvolto. Jeff non riuscì a trattenere una risata.

Dopo un paio di minuti, lo sentì battere le mani. «Okay, finito. Apri pure gli occhi.»

Il moro si tolse le mani dagli occhi e si guardò attorno. Subito gli scappò da ridere. Bill aveva tolto il lenzuolo ed aveva sparso petali di rosa rossi su tutto il letto. «I want to lay you down on a bed of roses…» canticchiò ora, guardandolo con la testa inclinata di lato ed un sorriso furbo sul viso. «Stavo pensando a cos'avrei potuto regalarti mentre ero in macchina e dalla radio è partita questa canzone… L'ho preso per un segno. Cioè, la prima idea era di farti un piccolo letto di tanti me, ma in effetti mi sarei ingelosito.»

«E poi di tipi contorti come te ne basta uno per una vita intera» ribatté Jeff, con la voce soffocata. Lo guardò e fece un gran sorriso. «Anch'io voglio layarti down

«E allora perché diavolo stiamo qui a parlarne?!» esclamò Bill, spalancando gli occhi. Gli si avvicinò e lo spinse sul materasso. «Onoriamo i cari vecchi Jovi come si deve, Jeff!»

«Direi proprio di sì.» Sorrise quando Bill gli cadde addosso e lo strinse fra le braccia, rovesciandolo sotto di sé. Si sentiva ancora in testa quella canzone smelensatissima….

I want to lay you down on a bed of roses

For tonight I sleep on a bed on nails 

I want to be just as close as the Holy Ghost is 

And lay you down on bed of roses...



Okay, conclusa. Smetto perciò di usurpare il computer di WhoKilledBambi postandola e spero che vi piaccia. Sì, lo so, la seconda è più piccante e non ho scritto proprio tutto ciò che volevo mettere in questa... approfondirò più in là. Mi spiace solo non aver potuto postare questa in tempo per il compleanno del mio IzzyBell, ma pazienza, in fondo è un ritardo di poche ore.
Sì, lo so che i Bon Jovi fanno venire il diabete, almeno a me. Ed il "layare down" è una citazione da Kill ed emmaTyler, grazie per il prestito ;)

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