Dear father-Capitolo 2
CAPITOLO 2
Non
puoi fidarti di nessuno in
questa vita, tesoro. Devi contare solo su te stessa e sulle tue
potenzialità.
Le
riaffiorarono nella mente le
parole della madre. Gli occhi iniziarono a pungere ma decise di non
darla vinta alle lacrime spostando lo sguardo sull'amica. Aveva mentito
anche a lei, l'unica persona che riusciva a capirla con un solo
sguardo. La realtà che si era creata attorno menzogna dopo
menzogna era divenuta verità. Aveva deciso di
rinchiudere
il proprio passato in reparti stagni della sua mente in modo da poter
ricominciare senza remore un qualcosa che appartenesse solo a lei e
nessuno avrebbe potuto infrangere quel muro, almeno finché
non
lo avesse permesso lei stessa.
Guardava
la
gente passare come manichini uno dopo l'altra.
Uomini in giacca e
cravatta che correvano per non tardare a lavoro dopo la pausa
pranzo; donne con tacchi vertiginosi piene di buste firmate;
bambini con la cartella in spalla che tornavano da scuola.
Erano tutti uguali, ognuno con i propri pensieri, i propri problemi ma
pur sempre uguali.
Li
considerava
vuoti. Ipocriti. Ma come biasimarli, ognuno a questo mondo portava una
maschera; chi per
nascondere un tradimento o chi per nascondere i debiti di gioco alla
moglie, chi per dieci
minuti e chi,
come lei, portava la propria armatura da una vita intera.
Aveva bisogno di sentire lui, la sua voce la avrebbe aiutata a superare
quel macigno troppo pesante per il suo esile corpo, ma il
destino aveva voluto che si allontanasse lentamente da lei, quasi
impercettibilmente per poi scomparire nel vuoto.
Le
persone continuavano a camminare imperterrite, non ascoltando la sua
anima urlare. Sorrise.
Gente
felice, gente innamorata, gente annoiata e gente ".. in
ritardo!"
"Come
scusa?" chiese perplessa non capendo cosa intendesse dire l'amica.
"Sei
in
ritardo! E' già l'una e mezza e il tuo gelato si
è squagliato!" la rimproverò la bionda.
Fissò
la coppa di gelato appoggiata al tavolo. Non si
ricordò
nemmeno quando l'avesse ordinata. Posò poi lo sguardo
sull'orologio.
"Claudia
cazzo! Per quale motivo non mi hai avvertita dell'ora?! Devo
essere
lì tra un quarto d'ora!"
"Non
è colpa mia se sei lenta a mangiare e hai problemi di udito.
Sono dieci minuti che cerco di risvegliarti dal letargo in cui eri
cascata ma con pessimi risultati..." incrociò le braccia al
petto e guardò di sbieco l'amica che frugava nella borsa.
"Il
tuo
lavoro ti prende troppo tempo e gli unici momenti che hai per stare con
me li sprechi ad osservare i passanti! Posso capire come ti senti in
questi giorni ma non puoi nemmeno invitarmi a pranzo e non emettere
alcun suono!" mentre parlava cercava
di trovare lo sguardo dell'amica che in tutta risposta la
fulminò truce per qualche secondo.
"Hai
ragione
Claudia" sbuffò "Per farmi perdonare il pranzo lo offro io e
ti
prometto che passerò l'intera serata con te"
tagliò corto.
Perché
non capiva cazzo. Perché non poteva mettersi per un solo
secondo nella sua testa e comprendere i pensieri aggrovigliati che si
portava dietro da anni?
Contare solo su te
stessa.
Doveva affrontare quella situazione da sola, sola come era e sarebbe
sempre
stato.
"Bene
carissima" sorrise serafica la ragazza. "Hai appena promesso che
stasera verrai
con me al compleanno di Martina. La serata inizia alle dieci, fatti
trovare al Lotvus per quell'ora!"
"Co
cosa? Io
non ho promesso di andare in discoteca a una stupida festa di
compleanno, ho promesso di stare con te!" odiava i locali; odiava i
compleanni; odiava ancor di più andare al compleanno di una
perfetta sconosciuta in un locale sconosciuto e questo la bionda lo
sapeva perfettamente.
"Ma
hai
detto che avresti passato la serata con me ergo io sono là!"
gettò una rapida occhiata nella direzione del cameriere
chiamandolo con un gesto.
"Ma
non troverai me!" berciò la mora.
"Neanche
per un'ora?" chiese con occhi languidi.
"Guarda
che non mi fai pena"
"Dai
Bri, ti prego! Passa almeno a salutarmi, magari ti bevi qualcosa e se
poi decidi che non ti stai divertendo torni a casa..." agli occhi
languidi aggiunse un labbro tremulo.
L'amica
sbuffò e, roteando gli occhi, si maledì
mentalmente per aver scelto quel il banco di fianco alla finestra e non
quello di fianco a Marco Corsini.
"Ti
prego ti prego ti prego ti prego..." il suo viso si
avvicinava sempre di più a quello dell'amica.
"Ti
ho detto che non mi fai pena!"
"Bri
Bri Bri Bri Bri...Ti prego ti prego ti
prego ti prego..." si era intanto aggrappata al braccio della
mora che cercava di liberarsi dalla presa.
"OK!
SMETTILA! Va bene ma ti raggiungo dopo."si arrese alle
suppliche dell'amica. Aveva già i nervi a fior di pelle
quella mattina e una litigata non avrebbe giovato alla lunga giornata
che le aspettava.
Lasciò
delle banconote sul tavolino, donò un affettuoso bacio
all'amica
e scappò prima che l'ultima potesse replicare, lasciandola
da
sola.
***
"Grazie
per averci fatto compagnia per un'intera ora!"disse l'intervistatore
porgendo la mano a ciascuno.
"Questi erano i Tokio Hotel!" aggiunse una donna seduta a fianco
dell'intervistatore.
Le
urla
delle loro ammiratrici rimbombavano all'interno del camerino messo a
loro disposizione. Rilassarono uno dopo l'altro i muscoli del
corpo, lasciandosi cadere sui comodi divanetti.
Silenzio.
Troppo silenzio.
Appena
se ne
accorse aprì gli occhi stanchi e osservò la
stanza. Di
fronte a lui sedevano il bassista e il fratello, spostò lo
sguardo verso la luce del mini bar e vide la figura del batterista
portarsi una bottiglietta d'acqua fredda alla bocca. Come cavolo fa ad avere tutta
quella sete se non ha spiaccicato parola per tutto il tempo? pensò
fra sé il moro.
Si
alzò lentamente, appoggiandosi al tavolo che gli stava di
fianco
quasi per paura di crollare sfinito, raggiunse il compagno e prese una
lattina di coca frasca.
Sì, ci voleva proprio.
Rivolse nuovamente lo sguardo verso il fratello che stava cadendo nelle
braccia di Morfeo, accompagnato dalle note di qualche assordante rapper.
C'erano
tutti eppure il vocalist aveva la sensazione che mancasse qualcuno ma
decise di non lamentarsi troppo.
"Io
ho fame"
"Abbiamo
tutti fame Bill" rispose stancamente il batterista.
"E
mi sto annoiando" aggiunse.
"Bill
perché devi sempre parlare? Hai paura che il silenzio possa
rimbombare nella tua testa vuota?" scherzò l'amico.
"Ah
ah ah" rise ironico il moro "la tua banalità nelle risposte
mi stupisce ogni giorno di più Hagen." prese a dire il moro
che iniziò a percorrere la stanza avanti e
indietro.
"Comunque
ripeto: non dovremmo andare a mangiare? io ho fame!"
"Accontentati
della coca per adesso. Dobbiamo prima andare a fare le prove per i
vestiti dello shooting di oggi pomeriggio poi passare in albergo e, se
c 'è tempo, DOPO potremo andare a mangiare" rispose atona
una voce dietro alle sue spalle.
David! Ecco perché
sembrava tutto così calmo prima.
"Cosa vuol dire se c 'è tempo?!"
sobbalzò il cantante.
"Che
se muovete i vostri reali culi potremmo
avere l'onore di mangiare qualcosa di veloce prima di andare sul set!"
rispose ironico l'uomo, il cui sguardo era perso nel vuoto.
Si
dedicarono a un innocuo silenzio finché il bassista
non
riprese a parlare " Come ti è sembrata l'intervista?"
"Direi
monotona e ripetitiva come tutte le altre del resto" rispose monocorde.
A
quelle
parole i ragazzi si guardarono interrogativi negli occhi. Com'era
possibile che non avesse trovato qualcosa che non andasse? Com'era
possibile che non li avesse rimproverati? Per quale assurdo motivo non
li aveva spronati al meglio? Solitamente rompeva sul fatto che Bill
parlasse troppo, che Gustav rispondesse solo se interpellato e
incoraggiato dagli amici e così via. Niente, non aveva
ripetuto quella cantilena che ormai i ragazzi avevano imparato a
memoria.
L'unico
che sembrò non preoccuparsene era il chitarrista, ancora
intento ad ascoltare il suo IPod, i muscoli del viso più
rilassati e gli occhi chiusi.
Si deve essere
addormentato pensò il fratello.
"Svegliate
quel nullafacente di Tom e fatevi trovare all'ingresso tra cinque
minuti! L'autista ci sta già aspettando!" la voce dell'uomo
era lontana ma
arrivò subito alle orecchie dei tre ragazzi, che cercarono
di svegliare il compagno.
"Tom
cazzo svegliati! David sembra più incazzato del solito
oggi!
Di
tutta risposta il ragazzo si stese del tutto sul divanetto mugugnando
qualcosa. "Tom per favore! Alzati!" disse Gustav prendendolo per una
gamba, ma ogni tentativo sembrava vano.
"Fratellino, non mi lasci altra scelta" disse sicuro rubando
la bottiglietta dalle mani dell'amico e versandone il contenuto sulla
schiena del fratello, che si alzò
repentinamente rincorrendolo per il corridoi. "Ti ammazzo
Bill!"
***
Camminava
calma per le vie del centro.
Lo
studio fotografico era a pochi passi dal ristorante, decise quindi di
concedersi una sigaretta. L'odore acre della nicotina la
inondò
facendole fare una smorfia.
Non
le piaceva quel sapore amaro che lasciava in bocca ma come ogni
fumatore, non ne riusciva a fare a meno. Diceva che la calmava, che le
faceva passare lo stress.
Cazzate, sono tutte
cazzate. Lo stress lo puoi eliminare anche solo ascoltando della musica.
Aspirò
un'altra boccata, poi un'altra mentre i ricordi si facevano
più vividi nella sua memoria.
"Ti sembra ti stia chiedendo
troppo?" urlò una ragazza dai capelli rossi.
"Sì
mi stai chiedendo troppo! Non mi lasci respirare nemmeno un secondo,
cerchi di controllare ogni singolo minuto della mia vita!" le
sbraitò contro un ragazzo.
"Scusa
se mi permetto di chiederti a che ora torni a casa, scusa se voglio
sapere dove sei stato, scusa se mi preoccupo di non lasciare nostra
figlia da sola!"le urla iniziarono ad essere accompagnate da un pianto
isterico.
"Per ogni singola cosa devi
sempre mettere in mezzo tua figlia! Esisto anch'io sai, anch'io ho le
mie esigenze!"
"Le tue esigenze?! Ma ti rendi
conto di quello che dici?"
"Sì
me ne rendo conto e mi rendo anche conto che non ho più una
vita!"
"Ma
è tua figlia! Quando ti dissi di essere incinta, tu
decidesti di
essere un padre per lei, non puoi tirarti indietro alla prima
difficoltà!" disse a denti stretti la ragazza.
"Ho
ventun'anni. Non voglio tornare a casa dopo una giornata di lavoro per
badare a
una mocciosa, voglio uscire, stare con gli amici. Ti chiedo solo di
poter staccare la spina per qualche ora il sabato sera e tu, di tutta
risposta mi vieni contro!"
"Ma hai delle
responsabilità ora, non puoi fare quel cazzo che ti pare!"
Aprì
gli occhi. Le porte dell'edificio le si paravano di fronte.
Portò la mano libera nella tasca dei jeans neri prendendo il
cellulare. Lo fissò per qualche secondo, come se dovesse
trovare il coraggio di comporre quel numero che ormai le sue dita
conoscevano a memoria.
"Pronto?" udì una voce femminile dall'altro capo
del telefono e il sangue si raggelò nelle vene.
"Pronto? Chi parla?"
Nessuna risposta.
"Chi ti ha dato il permesso di rispondere, Karol?!" la voce che tanto
desiderava sentire le sembrò estranea.
"Chi è?"
Silenzio, solo affanni e singhiozzi.
"Bri sei tu?" domandò con voce rassicurante.
E chi altri potrebbe
essere, idiota. E poi da quando mi chiami Bri? Ero
"Bri, ti prego, rispondimi!"
"Ciao..." si sforzò a dire mentre le gambe cominciarono a
tremare.
"Ehi, è successo qualcosa? Stai bene?"
No che non sto bene
stronzo, mi hai lasciato senza un motivo dopo tre anni di storia. Come
cazzo dovrei sentirmi?!
"Certo che sto bene. Tu invece?"
"Tiro avanti" sospirò il ragazzo.
Sospiri, tu sospiri e io
cosa dovrei fare allora? Buttarmi da un grattacielo?
"Beh sembra che una certa Karol ti stia aiutando" cercò di
essere il più cordiale possibile ma la sua natura acida non
glielo permise.
Altro sospiro.
Ma la pianti di
sospirare? Sembra quasi tu soffra d'asma.
"In ogni caso ora ti lascio, devo andare a lavorare. Cia.."
"Perché mi hai chiamato?"
Perché mi
manchi, perché ho bisogno di te, perché sei parte
di me ormai!
"Volevo solo sapere come stavi, sai.." questa volta fu lei
a sospirare cercando di ingoiare il groppo che le si era formato in
gola "sai è da quando te ne sei andato che non ti
sentivo..."
"Si sto bene Bri, non ti preoccupare." rispose freddo.
"Bene" non gliela avrebbe data vinta, non sarebbe stata lei ad
insultarlo per come l'aveva lasciata. Il vuoto che sentiva dentro non
sarebbe ancora venuto allo scoperto almeno fin quando lui non le avesse
dato delle spiegazioni razionali senza che lei chiedesse nulla.
"Ciao. Ci si sente allora"
"Ciao Bri"quelle parole furono seguite da un paio di tu tu tu e poi il
nulla, solo lei davanti a quelle gigantesche porte bianche.
Buttò la sigaretta consumata dal vento e fece qualche passo
in avanti.
Scappa. Se sorpassi quella porta
lo vedrai e i ricordi diverranno reali. Scappa.
Mentre
quelle parole riecheggiavano nella sua mente, le gambe andarono avanti
per inerzia. Le porte si aprirono e in un attimo si trovò
nella
hall.
Prigione. Una stupidissima
prigione, dalla quale ti sei auto rinchiusa per le prossime tre ore.
Si fece coraggio e
chiese al custode quale fosse lo studio assegnatole per il servizio.
"Terzo
piano, l'ascensore di destra." rispose svogliato, probabilmente
perché interrotto dal suo cruciverba.
"Grazie"
Le
porte si aprirono mostrando un enorme spazio bianco. Si
guardò
un po' in giro notando che erano già tutti arrivati.
Posò
lo sguardo sui nomi delle porte.
Esigono pure i nomi per
uno stupido set che durerà tre orette.
Notò la scritta STUFF sull'ultima porta a destra.
Aprì piano la porta e ci sbirciò dentro, era
vuota. Decise quindi di sistemarsi dentro e
posare
tutte le sue attrezzature. Si
guardò allo specchio arrotolandosi le punte dei capelli per
dargli più forma, quando una voce la fece trasalire.
"Signorina
Meyer, giusto?" disse con accento forzato.
"Sì
sono io, ma può parlare tranquillamente in tedesco. Sono di
Berlino."
"Bene
i ragazzi sono a truccarsi. Inizi ad andare nella stanza a fianco, il
manager della band vorrebbe definire con lei alcuni scatti" si
sbrigò la ragazza.
"Grazie"
sorrise.
Ok.
La chiave della prigione è stata gettata nei
meandri
più bui degli abissi e tu non hai più via di
scampo.
Si
sistemò le grinze della camicetta bianca, scostò
dietro le orecchie un ciuffo ribelle che le continuava a cadere sugli
occhi e si diede una sistemata al trucco leggero.
"Meyer
sei messa male! Ti stai truccando per vedere tuo padre..."
mormorò a bassa voce.
Percorse
lo stretto corridoio.
Iniziò
a torturarsi le mani.
Riusciva
a percepire solo il suo respiro affannato e il
suo cuore perdere un battito ogni passo che l'avvicinava alla porta.
La
mano prese a tremare, con un gesto meccanico la posò sulla
maniglia e dopo qualche secondo che le sembrò
interminabile riuscì ad aprirla.
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L'altra volta non sono riuscita a scrivere
niente riguardo me o alla storia,
quindi ne approfitto ora!
Mi chiamo Alessandra,
anche se molti mi chiamano Alex o Bibi (non chiedetemi il
perché..),
solitamente scrivo poesie ma ho pensato di cimentarmi in qualcosa di
nuovo!
Il racconto in questione mi è
venuto in mente mentre ascoltavo Dear Father dei Sum41 e
cercavo
alcune cose sul gruppo tedesco, incappando involontariamente in un blog
dedicato a David Jost.
E' già stata conclusa e cercherò di postare ogni
due settimane=)
Ho introdotto un nuovo personaggio, molto enigmatico a dire il vero,
che avrà un ruolo importante nella storia.
Per quanto riguarda il nostro David,
imparerete a vederlo attraverso i miei occhi a partire dal prossimo
capitolo!
Ringrazio chi mi ha già
lasciato la sua opinione e beh,
ogni commento è ben accetto soprattutto se critici! A presto
Alex
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