Dear father

di alex7153
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Dear father-Capitolo 1

Dear Father

CAPITOLO 1

“Cosa diamine vuol dire che l’auto non è ancora arrivata?! Ho specificato chiaramente che l’auto avrebbe dovuto essere qui già due ore prima del nostro arrivo, e ora mi dite che non c’è?!” 

Un ragazzo moro osservava da dietro i suoi occhiali la scena.

Il manager era alquanto alterato e stava urlando in tedesco contro una donna che lo guardava, incapace di rispondere. Arrivò alle sue spalle un uomo alto e robusto che poggiò le mani sulle spalle della donna, invitandola ad allontanarsi. 

 “Signor Jost ci scusiamo per il disguido ma l’autista che avrebbe dovuto riportare l’auto ieri sera ha avuto un incidente con la stessa.” disse l'uomo in un perfetto tedesco.

Doveva essere il direttore pensò.

Aveva una voce pacata, sembrava che l’ira del manager non lo toccasse poi molto. Probabilmente era abituato a scene come queste. 

I pensieri del moro furono interrotti quando si sentì preso in causa dall’amico. 

“Ah perfetto ci mancava solo questa! Non solo abbiamo dovuto aspettare per tre ore i due mister America ora dobbiamo farcela a piedi fino all'Hotel!” disse in un soffio un ragazzo dai capelli lunghi e piastrati.

“Finalmente qualcuno che riconosce la mia bellezza con un titolo adeguato, anche se è riduttivo dire mister America!” disse beffardo il moro. 

“Tom credo che Georg volesse insultarti non apprezzarti. E poi non è colpa nostra se ci sono state turbolenze durante il viaggio” rispose un ragazzo identico a lui, se non fosse stato per il trucco pesante attorno agli occhi e i vestiti decisamente attillati rispetto a quelli “comodi” del primo. 

“Nooo ma non mi dire! Credevo si fosse preso una cotta per me. Beh se mai dovessero piacermi gli uomini tu saresti il primo a saperlo caro!” finì a malapena la frase quando una ragazza con un vestito blu che lasciava poco all’immaginazione, le passò di fianco.

 Il ragazzo la squadrò dalla testa a i piedi per poi sorriderle sghembo.

 "Devo constatare che esista una sola remota  possibilità che questo accada!" rise il biondino accompagnato da un sorriso del frontman del gruppo, che vide  il fratello ancora intento ad osservare il fondo schiena della ragazza. 

“Bene. Il direttore ci ha chiamato dei taxi per raggiungere l’albergo, la limousine sarà pronta domani mentre per voi…” disse l’uomo porgendo ad ognuno dei ragazzi un mazzo di chiavi “…ha messo a disposizione quattro auto per l’intera durata del soggiorno qui a Milano. Le potrete trovare in albergo.” 

“Devo dire che l’attesa ha ripagato. Spero solo che vadano veloci!” disse il piastrato più a sé stesso che agli altri. 

“L’importante ora è che andiamo noi! Siamo già in ritardo per l’intervista e se non ci sbrighiamo saremo in ritardo anche per lo shooting fotografico delle due!” urlò il manager che ormai era svanito dietro le porte scorrevoli dell'uscita.

 

Si misero in viaggio.

David osservò silenzioso il paesaggio dal finestrino per tutto il tragitto.
Si sentiva strano, quasi impotente come se qualcosa più grande di lui gli stesse per piombare addosso da un momento all'altro.

Non gli piaceva Milano.
Portava con sè troppi ricordi ormai passati. Sebbene una volta potessero essere definiti felici, ora gli lasciavano solo dell'amaro in bocca.
Sì, voleva che quella settimana finisse velocemente.
Chiuse più volte gli occhi stringendoli, come se, con quel gesto, potesse ritrovarsi comodamente seduto sull'aereo di ritorno a casa.
Era ancora tutto lì, gli edifici, gli alberi, le persone.
Era ancora a Milano.

 

***


Scese lentamente dal letto per poi dirigersi verso il bagno.

 L’immagine che le appariva riflessa non le si addiceva, delle goccioline di sudore si erano cristallizzate sulla sua fronte, i suoi occhi erano accerchiati da occhiaie e i capelli neri solitamente mossi erano annodati e aggrovigliati.

 Erano ormai le sei del mattino, la luce del sole che cresceva inondava la stanza di una felicità che non le apparteneva. Aveva dormito ben poco quella notte, disturbata dagli assordanti ricordi che le riecheggiavano nella mente. 

Decise di farsi una doccia per far scivolare via tutti i suoi pensieri, per estraniarsi dal mondo per un tempo infinito. 

Osservò l’orologio che segnava le sette in punto. Era presto. 

“Beh ho tutto il tempo necessario per trovare qualcosa da mettere” si disse aprendo le ante dell’armadio. 

Niente, dopo un’ora di ricerche non trovò nulla che potesse addicersi a un appuntamento come il suo. In fin dei conti cosa avrebbe potuto indossare ad un appuntamento di lavoro che potesse contemporaneamente andare bene per una rimpatriata famigliare? 

Prese il cellulare. “Sono le otto e un quarto, se Claudia dorme ancora credo che le farebbe piacere sentire la mia soave voce al posto del fastidioso allarme di una stupida sveglia! Che dici Akira?” 

Sabrina guardò la cagnolina abbaiare e scodinzolare felice. Prendendo il comportamento della sua piccola amica come un consenso, compose il numero e inoltrò la chiamata. 

“Uhm…” 

“Buon giorno anche a te!” disse immaginando la faccia dell’amica. 

“Bri per quale assurdo motivo mi stai chiamando così presto? Non mi sembra la mia sveglia sia già suonaaah…” un rumoroso sbadiglio interruppe la frase “…hata”. 

“Beh scusa se mi preoccupo per la salute della mi migliore amica!” disse con tono acido mentre si versava del caffè caldo in una tazza. 

“Devo dire che ti sei alzata di buon umore! Prima mi svegli e poi mi rispondi come fossi tu la vittima!”  aspettò una risposta ma dall’altro capo del telefono udì solo silenzio. 

“Bri tutto bene?” 

“Oggi...” aspettò qualche secondo prima di finire la frase. Non ne sarebbe stata del tutto consapevole finché quelle parole non le fossero uscite dalla sua bocca, e questo lo sapeva bene. 

Prese fiato. 

“Te l’avevo detto che oggi avrei dovuto tenere lo shooting dei Tokio Hotel e che quindi avrei rivisto mio padre.” 

Era fatta ormai l’aveva detto. Lo avrebbe rivisto. Avrebbe rivisto lui. Lui che si era ormai scordato di avere una figlia, lui che girava per il mondo troppo preso dal suo lavoro, troppo occupato a gestire la vita di quattro ragazzi piuttosto che chiamare la sola ragazza di cui avrebbe dovuto importargli veramente.

Ma cosa avrebbe dovuto aspettarsi?

David Jost era un uomo d’affari, lo era sempre stato e l’immagine da bravo paparino non gli si addiceva. No, non gli si addiceva per niente. 

“Sabri.. se hai bisogno vengo immediatamente da te. Basta che mi dai dieci munti per vestirmi” 

“Sì ti prego vieni! Non so cosa mettermi ed è da ore che cerco qualcosa da indossare e…” una fragorosa risata la interruppe. 

“ Che cavolo ti prende adesso?” sbottò.

“Scusa è solo che credevo fossi agitata perché avresti dovuto rivedere tuo padre e invece non sai quali vestiti mettere! Vammi a comprare una brioche e prepara il caffè che tra mezzora sono da te!” 

“Grazie!” 

“Prego, ma ricordati che ti devo svegliare una di queste notti!!” disse scherzando l’amica. 

“Sì certo, a dopo Claudia!” 

Si infilò i primi vestiti che le capitarono tra quelli ammucchiati sul letto, mise il guinzaglio ad Akira e uscì.

***

Il campanello suonò insistentemente.

"Arrivo un attimo!"  urlò la ragazza dalla sala.

"Bonjour medemoiselle! Sono stata assegnata a una certa Sabrina Jost, è lei?" disse una ragazza minuta e bionda.

"Oh oui mademoiselle! Je suis Sabrina mais vous pouvez m'appeler Bri!" disse sorridente la mora porgendole la mano.

"Non so cosa tu mi abbia detto. In ogni caso sono venuta a farti da stylist mia cara e come ricompensa vorrei la mia brioche!"

"È in cucina insieme al caffè." la bionda seguì l'amica che le versò il caffè e le diede la brioche alla marmellata. Si sedettero in silenzio a sorseggiare la brodaglia nera.

"Allora come stai tesoro?" la bionda la guardò come una madre preoccupata per la propria figlia. Le faceva tenerezza quell'aspetto di Claudia.

Erano completamente diverse. Claudia espansiva e solare e allo stesso tempo protettiva; Sbrina era timida, introversa e orgogliosa, troppo orgogliosa per poter ammettere di soffrire.

"Sto bene. Tanto è inutile preoccuparsi, lui non sa neanche che esisto. Mi creo problemi da sola..." rispose fissando la parete bianca della cucina.

"Beh ma è comunque tuo padre. E anche se lui non sa chi tu sia, non puoi comportarti come se nulla fosse!" la sua amica stava male e lei non sapeva che fare.

Cercava di capirla ma quando era lì per lì a far crollare quel muro, Sabrina ne costruiva uno ancora più alto, ancora più spesso, ancora più indistruttibile.
Non le aveva mai parlato molto del suo passato a Berlino, sapeva solo che sua madre era morta di cancro quando lei aveva solo dodici anni e che si dovette trasferire a Milano dalla nonna materna; sapeva che suo padre era un manager ma niente più, non le aveva raccontato altro.

"Lo so ma non posso nemmeno presentarmi a lui come sua figlia! Comunque andiamo a cercare qualcosa da mettermi addosso." si diresse verso la camera da letto seguita dalla bionda.

Sarebbe stata una lunga giornata.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Dear father-Capitolo 2 CAPITOLO 2


 

Non puoi fidarti di nessuno in questa vita, tesoro. Devi contare solo su te stessa e sulle tue potenzialità

Le riaffiorarono nella mente le parole della madre. Gli occhi iniziarono a pungere ma decise di non darla vinta alle lacrime spostando lo sguardo sull'amica. Aveva mentito anche a lei, l'unica persona che riusciva a capirla con un solo sguardo. La realtà che si era creata attorno menzogna dopo menzogna  era divenuta verità. Aveva deciso di rinchiudere il proprio passato in reparti stagni della sua mente in modo da poter ricominciare senza remore un qualcosa che appartenesse solo a lei e nessuno avrebbe potuto infrangere quel muro, almeno finché non lo avesse permesso lei stessa. 

Guardava la gente passare come manichini uno dopo l'altra.
Uomini in giacca e cravatta che correvano per non tardare a lavoro dopo la pausa pranzo; donne con tacchi vertiginosi piene di buste firmate; bambini con la cartella in spalla che tornavano da scuola.
Erano tutti uguali, ognuno con i propri pensieri, i propri problemi ma pur sempre uguali. 

Li considerava vuoti. Ipocriti. Ma come biasimarli, ognuno a questo mondo portava una maschera;  chi per nascondere un tradimento o chi per nascondere i debiti di gioco alla moglie, chi per dieci minuti e chi, come lei, portava la propria armatura da una vita intera.
Aveva bisogno di sentire lui, la sua voce la avrebbe aiutata a superare  quel macigno troppo pesante per il suo esile corpo, ma il destino aveva voluto che si allontanasse lentamente da lei, quasi impercettibilmente per poi scomparire nel vuoto.

Le persone continuavano a camminare imperterrite, non ascoltando la sua anima urlare. Sorrise.

Gente felice, gente innamorata, gente annoiata e gente ".. in ritardo!" 

"Come scusa?" chiese perplessa non capendo cosa intendesse dire l'amica.

"Sei in ritardo! E' già l'una e mezza e il tuo gelato si è squagliato!" la rimproverò la bionda.

Fissò la coppa di gelato appoggiata al tavolo. Non si ricordò nemmeno quando l'avesse ordinata. Posò poi lo sguardo sull'orologio.

"Claudia cazzo! Per quale motivo non mi hai avvertita dell'ora?! Devo essere lì tra un quarto d'ora!"

"Non è colpa mia se sei lenta a mangiare e hai problemi di udito. Sono dieci minuti che cerco di risvegliarti dal letargo in cui eri cascata ma con pessimi risultati..." incrociò le braccia al petto e guardò di sbieco l'amica che frugava nella borsa.

"Il tuo lavoro ti prende troppo tempo e gli unici momenti che hai per stare con me li sprechi ad osservare i passanti! Posso capire come ti senti in questi giorni ma non puoi nemmeno invitarmi a pranzo e non emettere alcun suono!" mentre parlava cercava di trovare lo sguardo dell'amica che in tutta risposta la fulminò truce per qualche secondo.

"Hai ragione Claudia" sbuffò "Per farmi perdonare il pranzo lo offro io e ti prometto che passerò l'intera serata con te" tagliò corto.

Perché non capiva cazzo. Perché non poteva mettersi per un solo secondo nella sua testa e comprendere i pensieri aggrovigliati che si portava dietro da anni?
Contare solo su te stessa.
Doveva affrontare quella situazione da sola, sola come era e sarebbe sempre stato.

"Bene carissima" sorrise serafica la ragazza. "Hai appena promesso che stasera verrai con me al compleanno di Martina. La serata inizia alle dieci, fatti trovare al Lotvus per quell'ora!" 

"Co cosa? Io non ho promesso di andare in discoteca a una stupida festa di compleanno, ho promesso di stare con te!" odiava i locali; odiava i compleanni; odiava ancor di più andare al compleanno di una perfetta sconosciuta in un locale sconosciuto e questo la bionda lo sapeva perfettamente. 

"Ma hai detto che avresti passato la serata con me ergo io sono là!" gettò una rapida occhiata nella direzione del cameriere chiamandolo con un gesto.

"Ma non troverai me!" berciò la mora.

"Neanche per un'ora?" chiese con occhi languidi.

"Guarda che non mi fai pena"

"Dai Bri, ti prego! Passa almeno a salutarmi, magari ti bevi qualcosa e se poi decidi che non ti stai divertendo torni a casa..." agli occhi languidi aggiunse un labbro tremulo.

L'amica sbuffò e, roteando gli occhi, si maledì mentalmente per aver scelto quel il banco di fianco alla finestra e non quello di fianco a  Marco Corsini.

"Ti prego ti prego ti prego ti prego..." il suo viso si avvicinava sempre di più a quello dell'amica.

"Ti ho detto che non mi fai pena!"

"Bri Bri Bri Bri Bri...Ti prego ti prego ti prego ti prego..." si era intanto aggrappata al braccio della mora che cercava di liberarsi dalla presa.

"OK! SMETTILA! Va bene ma ti raggiungo dopo."si arrese alle suppliche dell'amica. Aveva già i nervi a fior di pelle quella mattina e una litigata non avrebbe giovato alla lunga giornata che le aspettava.

Lasciò delle banconote sul tavolino, donò un affettuoso bacio all'amica e scappò prima che l'ultima potesse replicare, lasciandola da sola.

***

"Grazie per averci fatto compagnia per un'intera ora!"disse l'intervistatore porgendo la mano a ciascuno.

"Questi erano i Tokio Hotel!" aggiunse una donna seduta a fianco dell'intervistatore.

Le urla delle loro ammiratrici rimbombavano all'interno del camerino messo a loro disposizione. Rilassarono uno dopo l'altro i  muscoli del corpo, lasciandosi cadere sui comodi divanetti.            

Silenzio. Troppo silenzio.

Appena se ne accorse aprì gli occhi stanchi e osservò la stanza. Di fronte a lui sedevano il bassista e il fratello, spostò lo sguardo verso la luce del mini bar e vide la figura del batterista portarsi una bottiglietta d'acqua fredda alla bocca. Come cavolo fa ad avere tutta quella sete se non ha spiaccicato parola per tutto il tempo? pensò fra sé il moro.

Si alzò lentamente, appoggiandosi al tavolo che gli stava di fianco quasi per paura di crollare sfinito, raggiunse il compagno e prese una lattina di coca frasca.       
Sì, ci voleva proprio.

Rivolse nuovamente lo sguardo verso il fratello che stava cadendo nelle braccia di Morfeo, accompagnato dalle note di qualche assordante rapper.
C'erano tutti eppure il vocalist aveva la sensazione che mancasse qualcuno ma decise di non lamentarsi troppo.

"Io ho fame"

"Abbiamo tutti fame Bill" rispose stancamente il batterista.

"E mi sto annoiando" aggiunse.

"Bill perché devi sempre parlare? Hai paura che il silenzio possa rimbombare nella tua testa vuota?" scherzò l'amico.

"Ah ah ah" rise ironico il moro "la tua banalità nelle risposte mi stupisce ogni giorno di più Hagen." prese a dire il moro che iniziò a percorrere la stanza  avanti e indietro.

"Comunque ripeto: non dovremmo andare a mangiare? io ho fame!"

"Accontentati della coca per adesso. Dobbiamo prima andare a fare le prove per i vestiti dello shooting di oggi pomeriggio poi passare in albergo e, se c 'è tempo, DOPO potremo andare a mangiare" rispose atona una voce dietro alle sue spalle.

David! Ecco perché sembrava tutto così calmo prima.

"Cosa vuol dire se c 'è tempo?!" sobbalzò il cantante.

"Che se muovete i vostri reali culi potremmo avere l'onore di mangiare qualcosa di veloce prima di andare sul set!" rispose ironico l'uomo, il cui sguardo era perso nel vuoto.

Si dedicarono a un innocuo silenzio finché il bassista  non riprese a parlare " Come ti è sembrata l'intervista?"

"Direi monotona e ripetitiva come tutte le altre del resto" rispose monocorde.

A quelle parole i ragazzi si guardarono interrogativi negli occhi. Com'era possibile che non avesse trovato qualcosa che non andasse? Com'era possibile che non li avesse rimproverati? Per quale assurdo motivo non li aveva spronati al meglio? Solitamente rompeva sul fatto che Bill parlasse troppo, che Gustav rispondesse solo se interpellato e incoraggiato dagli amici e così via. Niente, non aveva ripetuto quella cantilena che ormai i ragazzi avevano imparato a memoria.

L'unico che sembrò non preoccuparsene era il chitarrista, ancora intento ad ascoltare il suo IPod, i muscoli del viso più rilassati e gli occhi chiusi.

Si deve essere addormentato pensò il fratello.

"Svegliate quel nullafacente di Tom e fatevi trovare all'ingresso tra cinque minuti! L'autista ci sta già aspettando!" la voce dell'uomo era lontana ma arrivò subito alle orecchie dei tre ragazzi, che cercarono di svegliare il compagno.

"Tom cazzo svegliati! David sembra più incazzato del solito oggi! 

Di tutta risposta il ragazzo si stese del tutto sul divanetto mugugnando qualcosa. "Tom per favore! Alzati!" disse Gustav prendendolo per una gamba, ma ogni tentativo sembrava vano.

"Fratellino, non mi lasci altra scelta"  disse sicuro rubando la bottiglietta dalle mani dell'amico e versandone il contenuto sulla schiena del fratello, che si alzò repentinamente rincorrendolo per il corridoi. "Ti ammazzo Bill!"

***

Camminava calma per le vie del centro. 

Lo studio fotografico era a pochi passi dal ristorante, decise quindi di concedersi una sigaretta. L'odore acre della nicotina la inondò facendole fare una smorfia.

Non le piaceva quel sapore amaro che lasciava in bocca ma come ogni fumatore, non ne riusciva a fare a meno. Diceva che la calmava, che le faceva passare lo stress. 
Cazzate, sono tutte cazzate. Lo stress lo puoi eliminare anche solo ascoltando della musica.

Aspirò un'altra boccata, poi un'altra mentre i ricordi si facevano più vividi nella sua memoria.

"Ti sembra ti stia chiedendo troppo?" urlò una ragazza dai capelli rossi.

"Sì mi stai chiedendo troppo! Non mi lasci respirare nemmeno un secondo, cerchi di controllare ogni singolo minuto della mia vita!" le sbraitò contro un ragazzo.

"Scusa se mi permetto di chiederti a che ora torni a casa, scusa se voglio sapere dove sei stato, scusa se mi preoccupo di non lasciare nostra figlia da sola!"le urla iniziarono ad essere accompagnate da un pianto isterico.

"Per ogni singola cosa devi sempre mettere in mezzo tua figlia! Esisto anch'io sai, anch'io ho le mie esigenze!"

"Le tue esigenze?! Ma ti rendi conto di quello che dici?" 

"Sì me ne rendo conto e mi rendo anche conto che non ho più una vita!"

"Ma è tua figlia! Quando ti dissi di essere incinta, tu decidesti di essere un padre per lei, non puoi tirarti indietro alla prima difficoltà!" disse a denti stretti la ragazza.

"Ho ventun'anni. Non voglio tornare a casa dopo una giornata di lavoro per badare a una mocciosa, voglio uscire, stare con gli amici. Ti chiedo solo di poter staccare la spina per qualche ora il sabato sera e tu, di tutta risposta mi vieni contro!" 

"Ma hai delle responsabilità ora, non puoi fare quel cazzo che ti pare!"

Aprì gli occhi. Le porte dell'edificio le si paravano di fronte.
Portò la mano libera nella tasca dei jeans neri prendendo il cellulare. Lo fissò per qualche secondo, come se dovesse trovare il coraggio di comporre quel numero che ormai le sue dita conoscevano a memoria.
 "Pronto?" udì una voce femminile dall'altro capo del telefono e il sangue si raggelò nelle vene.
"Pronto? Chi parla?"
Nessuna risposta.
"Chi ti ha dato il permesso di rispondere, Karol?!" la voce che tanto desiderava sentire le sembrò estranea.
"Chi è?"
Silenzio, solo affanni e singhiozzi.
"Bri sei tu?" domandò con voce rassicurante.
E chi altri potrebbe essere, idiota. E poi da quando mi chiami Bri? Ero
"Bri, ti prego, rispondimi!"
"Ciao..." si sforzò a dire mentre le gambe cominciarono a tremare.
"Ehi, è successo qualcosa? Stai bene?"
No che non sto bene stronzo, mi hai lasciato senza un motivo dopo tre anni di storia. Come cazzo dovrei sentirmi?!
"Certo che sto bene. Tu invece?"
"Tiro avanti" sospirò il ragazzo.
Sospiri, tu sospiri e io cosa dovrei fare allora? Buttarmi da un grattacielo?
"Beh sembra che una certa Karol ti stia aiutando" cercò di essere il più cordiale possibile ma la sua natura acida non glielo permise.
Altro sospiro.
Ma la pianti di sospirare? Sembra quasi tu soffra d'asma.
"In ogni caso ora ti lascio, devo andare a lavorare. Cia.."
"Perché mi hai chiamato?"
Perché mi manchi, perché ho bisogno di te, perché sei parte di me ormai!
"Volevo solo sapere come stavi, sai.." questa volta fu lei a sospirare cercando di ingoiare il groppo che le si era formato in gola "sai è da quando te ne sei andato che non ti sentivo..."
"Si sto bene Bri, non ti preoccupare." rispose freddo.
"Bene" non gliela avrebbe data vinta, non sarebbe stata lei ad insultarlo per come l'aveva lasciata. Il vuoto che sentiva dentro non sarebbe ancora venuto allo scoperto almeno fin quando lui non le avesse dato delle spiegazioni razionali senza che lei chiedesse nulla.
"Ciao. Ci si sente allora"
"Ciao Bri"quelle parole furono seguite da un paio di tu tu tu e poi il nulla, solo lei davanti a quelle gigantesche porte bianche.


Buttò la sigaretta consumata dal vento e fece qualche passo in avanti.

Scappa. Se sorpassi quella porta lo vedrai e i ricordi diverranno reali. Scappa.

Mentre quelle parole riecheggiavano nella sua mente, le gambe andarono avanti per inerzia. Le porte si aprirono e in un attimo si trovò nella hall.

Prigione. Una stupidissima prigione, dalla quale ti sei auto rinchiusa per le prossime tre ore.

Si fece coraggio e chiese al custode quale fosse lo studio assegnatole per il servizio.

"Terzo piano, l'ascensore di destra." rispose svogliato, probabilmente perché interrotto dal suo cruciverba.

"Grazie"


Le porte si aprirono mostrando un enorme spazio bianco. Si guardò un po' in giro notando che erano già tutti arrivati.

Posò lo sguardo sui nomi delle porte.
Esigono pure i nomi per uno stupido set che durerà tre orette.
Notò la scritta STUFF sull'ultima porta a destra. Aprì piano la porta e ci sbirciò dentro, era vuota. Decise quindi di sistemarsi dentro
e posare tutte le sue attrezzature. Si guardò allo specchio arrotolandosi le punte dei capelli per dargli più forma, quando una voce la fece trasalire.

"Signorina Meyer, giusto?" disse con accento forzato.

"Sì sono io, ma può parlare tranquillamente in tedesco. Sono di Berlino."

"Bene i ragazzi sono a truccarsi. Inizi ad andare nella stanza a fianco, il manager della band vorrebbe definire con lei alcuni scatti" si sbrigò la ragazza.

"Grazie" sorrise.

Ok. La chiave della prigione è stata gettata nei meandri più bui degli abissi e tu non hai più via di scampo. 

Si sistemò le grinze della camicetta bianca, scostò dietro le orecchie un ciuffo ribelle che le continuava a cadere sugli occhi e si diede una sistemata al trucco leggero.

"Meyer sei messa male! Ti stai truccando per vedere tuo padre..." mormorò a bassa voce.

Percorse lo stretto corridoio. 

Iniziò a torturarsi le mani.

Riusciva a percepire solo il suo respiro affannato e il suo cuore perdere un battito ogni passo che l'avvicinava alla porta.

La mano prese a tremare, con un gesto meccanico la posò sulla maniglia e dopo qualche secondo che le sembrò interminabile riuscì ad aprirla.

_____________

L'altra volta non sono riuscita a scrivere niente riguardo me o alla storia,
quindi ne approfitto ora!


Mi chiamo Alessandra,
anche se molti mi chiamano Alex o Bibi (non chiedetemi il perché..),
solitamente scrivo poesie ma ho pensato di cimentarmi in qualcosa di nuovo!

Il racconto in questione mi è venuto in mente mentre ascoltavo Dear Father dei Sum41 e cercavo 
alcune cose sul gruppo tedesco, incappando involontariamente in un blog dedicato a David Jost.
E' già stata conclusa e cercherò di postare ogni due settimane=)

Ho introdotto un nuovo personaggio, molto enigmatico a dire il vero,
che avrà un ruolo importante nella storia.
Per quanto riguarda il nostro David, 
imparerete a vederlo attraverso i miei occhi a partire dal prossimo capitolo!

Ringrazio chi mi ha già lasciato la sua opinione e beh,
ogni commento è ben accetto soprattutto se critici! A presto

Alex

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