You can't hurry love;

di BlackPearl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Break of dawn ***
Capitolo 3: *** 2. Fighting ***
Capitolo 4: *** 3. What if? ***
Capitolo 5: *** 4. Shit ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologue
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Prologo

La mia vita non faceva poi così schifo.
Un ritmo ordinario, degli amici ordinari, ero ordinariamente felice.
Poi, la catastrofe.

I litigi dei miei genitori, la separazione, il divorzio. Io scelsi di stare con papà, con la speranza che un giorno le cose sarebbero tornate come prima.

La vita tornò quasi normale, col ritmo normale, amici normali.

Fino all'arrivo della nuova compagna di papà, Betty, e di suo figlio, Johnny.



«Avrai un fratellastro! Non è bello? Finalmente non sarai figlia unica!»
Fulminai Bianca con lo sguardo e mi stropicciai gli occhi con le mani, esausta. Le nostre chiacchierate infinite sotto le coperte erano un grande rimedio contro l'insonnia.
«Non lo voglio un fratello, tantomeno un fratellastro. Dovresti sapere che nomina di merda che ha! E oltretutto mio padre e Betty non si sposeranno mica... ergo, lui rimane uno sconosciuto che dormirà in camera mia. Maledizione.»
«Puoi dormire qui quando vuoi, lo sai...»
Sbuffai e mi strinsi a lei. «Lo so, lo so.»
Qualche minuto di silenzio e Bianca partì di nuovo alla carica: «Ma perché deve dormire in camera tua? Non avete la camera degli ospiti?»
«Ma che ne so, papà ha detto così. Pare che debbano venire anche altre due sorelle... non ho capito granché. O meglio, non volevo capire. Sabato si vedrà.»





...
Non so nemmeno cosa dire.
E' la prima originale che mi decido a pubblicare, dopo aver infestato Efp di fanfic su attori (si nota ancora qualche residuo nel nome e nel volto del protagonista maschile, vè? :D) e sto morendo di paura.
D'altra parte, se sento questa gran voglia di pubblicare... beh, o adesso o mai più!
Bene. Mi ritiro nelle mie stanze.
Anzi, mi chiudo nell'armadio e mi mangio le mani a morsi.
A presto,
Sara.

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Capitolo 2
*** 1. Break of dawn ***


Prologue
Blend





Break of dawn


«Iz, il tè è pronto!»
«Arrivo!» Trillai, mentre scendevo le scale a velocità supersonica. Papà se ne stava appoggiato alla cucina con un giornale in una mano e una tazza di caffè nell'altra. Gli occhiali da vista pendevano un po' a sinistra, sul suo naso grosso, ma lui sembrava non accorgersene.
«
Per caso l'hai anche zuccherato?» Chiesi, avvicinando la tazza alle labbra.
«Sì, ma attenta, è boll...»
«AAAH!» Trattenni una miriade di imprecazioni decisamente poco ortodosse e mi portai una mano alla bocca. Papà mi porse un bicchiere d'acqua che afferrai piagnucolando.
«Te l'avevo detto.» Doveva avere sempre l'ultima parola, anche quando sua figlia si era appena carbonizzata le papille gustative.
Emisi un suono simile a un grugnito e addentai un muffin.
«Dove stai andando? Non mangi?»
Come voleva che mangiassi, con mezza lingua fuori uso? Guardai l'orologio: era tardissimo!

«No, papà, devo correre... oggi ho la prova d'esame!» Gli schioccai un bacio sulla guancia e agguantai la borsa.
«Aspetta, ti può accompagnare Johnny.»
«Chi?» Mi bloccai sulla porta di casa, che si aprì e rivelò un viso semisconosciuto. L'avevo visto in una foto di qualche anno prima, ma il ragazzo era cresciuto parecchio. Dietro di lui, Betty mi salutò con la mano, mentre cercava di trascinare con sé una valigia enorme.
Dio, non credevo arrivassero così presto.
«Cara entra, entra.» Papà le corse subito incontro scodinzolando. Si baciarono per un nanosecondo e lui cincischiò qualcosa, indicandomi. A vederli così affiatati mi si attorcigliò lo stomaco.
«Johnny, caro, potresti accompagnare Izzie a scuola?» Fece Betty, sbattendo gli occhioni carichi di rimmel.
Johnny mi guardò dall'alto in basso e fece una specie di cenno affermativo. Non si era nemmeno presentato. Che idiota.
«Ma guarda, non fa niente, posso andare benissimo a piedi... arrivo alla fermata dell'autobus, è proprio lì, guar-» Non feci in tempo a finire la frase che il suddetto autobus mi sfrecciò davanti lasciandomi basita col dito puntato di fronte a me.
Johnny fece una risatina stupida e si avviò verso l'auto. «Andiamo va.»

«"Andiamo va" lo dici al tuo cane.» Borbottai tra me, mentre lo seguivo controvoglia.
Salii in auto sbuffando come un treno, già stanca di quella orrenda giornata.
Va bene, forse si comporterà così perché l'ennesimo trasloco è stato traumatico, poi la separazione, un nuovo patrigno... no. No, non aveva giustificazioni. Anch'io stavo per accogliere una matrigna e un intruso nella mia vita e nella mia stanza, e non mi comportavo come se avessi le emorroidi! Ohhh...

Sfregai la lingua che ancora doleva per la scottatura contro il palato, cercando di alleviare la sensazione di indolenzimento.
Se il buongiorno si vede dal mattino...

«Visto che ti sto facendo un piacere potresti anche smetterla di sbuffare.» Sbottò irritato il signorino accanto a me, scuotendo la testa sprezzante.
«Nessuno ti ha obbligato. Ti sto mica puntando una pistola contro la tempia?» Alzai le mani scuotendole a mo' di presa in giro. Poi tornai ad appoggiarmi al sedile, a braccia conserte.
«Che razza di scostumata.» Fu un soffio ma lo sentii ugualmente. Bene, se prima volevo dare una possibilità a te e alla tua stupida madre, ora te la sei giocata completamente.
«Scostumata io? E tu, che non ti sei nemmeno presentato? Piombi in casa mia come se niente fosse, ti lamenti perché mi stai offrendo un semplice passaggio e sono io la scostumata?»

Oggi ho la prova di matematica. Devo restare calma. Mi massaggiai le tempie, prevedendo il grande mal di testa che non mi avrebbe risparmiato se mi fossi alterata ancora.
Johnny non rispose.
«Gira a sinistra alla prossima.» La mia voce quasi rimbombò nell'abitacolo silenzioso. Finalmente arrivammo a destinazione.
Recuperai borsa e giacca e aprii lo sportello dell'auto. Indugiai per un istante soltanto, indecisa se salutare o meno.
Ma ero una scostumata, giusto?
Al diavolo.


Bianca mi accolse con un sorriso, liberando il posto accanto a sé. «Dio santo, ce l'hai fatta. Sei venuta a piedi?»
Magari. «Lasciamo stare.»
Non riuscii a dire nient'altro, perché la professoressa mi zittì e iniziò a distribuire i compiti.
Alla fine della quarta ora avevo consegnato i miei due fogli a quadretti, fitti di numeri e lettere, soddisfatta di me stessa.
Il mal di testa non mi aveva risparmiato alla fine, ma almeno potevo andarmene a casa.
Ignorai il dolore pulsante e salutai Bianca con un bacio.

Feci uno squillo a papà e un minuto dopo lui mi richiamò. «Hai già finito? Oh, d'accordo. Ora ti mando Johnny.»
«No, papà, no! Non...» Guardai il telefonino incredula. Aveva riattaccato.
«Ohhh, Gesù.» Uscii dalla scuola e mi sedetti su uno dei muretti che la circondavano. Mi presi la testa tra le mani, cercando di muovermi il meno possibile per evitare di moltiplicare le ondate di dolore che mi trafiggevano il cranio.
Pensai alla prova, doveva essere andata bene per forza. Le derivate mi piacevano, dopotutto... qualche dubbio sui flessi ma insomma, almeno un tredici avrei dovuto strapparlo.

Il giorno dopo non avevo nessuna interrogazione, constatai con un sospiro di sollievo. Potevo riposarmi e magari farmi la manicure. Un ottimo programma, soprattutto perché avrei evitato i nuovi arrivati...
«Ehi, ragazzina.» Una mano mi si posò sulla spalla, facendomi sussultare dallo spavento.
Mi ci volle qualche secondo per mettere a fuoco il viso di Johnny. Era già arrivato? Quanto tempo era passato?
«Muoviti, devo passare da un mio amico.» Lo guardai incredula e ancora un po' intontita.
«Allora vai e torna a prendermi. Non farmi spostare più del necessario.» Riportai la testa al suo posto, tra le mie mani fredde.
«Non ho benzina da sprecare. Sal abita sulla strada di casa, di certo non faccio il tragitto due volte.»
E va bene. Mi alzo, brutto idiota insensibile e menefreghista.

«Potevi passarci prima di venire qui, no? Fallo funzionare il cervello, non costa niente quello.» Sputai acida, mentre ci dirigevamo in macchina. Il dolore mi aveva sempre fatto un brutto effetto.
«Mi ha chiamato mentre stavo parcheggiando, Einstein. E fatti una camomilla, sei una vipera oggi.» Sbattè lo sportello e io imprecai, il rumore di certo non aiutava. «E forse non solo oggi.» Aggiunse, tra sé.
«Senti, stronzo, vedi di stare un po' zitto che la tua voce mi irrita. Ho mal di testa, lasciami in pace.»
Inspirai lentamente ed espirai altrettanto lentamente, come a voler scacciare la negatività e la voglia di picchiare quell'animale.

La sosta da "Sal" fu più lunga del previsto. Sentivo i ragazzi ridere, scherzare e bere. Il rumore delle bottiglie che urtavano tra loro mi rimbombava nella testa e avrei tanto voluto un fucile per abbatterli tutti e quattro, o quanti ne erano. Uno dei ragazzi si avvicinò all'auto e battè due volte la mano sul finestrino, dicendo qualcosa che non capii bene.
Aprii gli occhi e lo guardai implorante. Volevo solo essere lasciata in pace, volevo solo tornarmene a casa e prendere un analgesico.

«Perché non scendi, piccola?» Lo vidi ridere e chiamare un altro membro dei Fantastici Quattro. Quest'ultimo stava per raggiungere l'auto, ma Johnny lo fermò prendendolo per un braccio.
«Lasciatela stare, è la mia nuova sorellastra.» Disse qualcos'altro che non riuscii a capire, suscitando altre risa. Poi bevve un ultimo sorso di birra e salutò il ragazzo seduto accanto a lui, probabilmente il Sal di cui parlava. Tornò in auto e finalmente ripartimmo.
«Scusali... sono degli idioti.» Ah, certo. Scusali. Lui era l'eroe, lui era il cavaliere senza macchia e senza paura. E senza cervello, quello era sicuro.

«Non l'avevo notato, guarda.»
Lui espirò irritato, innestando la marcia. Non parlò più.
Quando spense l'auto, una volta giunti a casa, aprii la portiera e mi alzai di scatto, pronta a chiudermi nella mia stanza e non uscirne mai più.
Arrivati alla porta Johnny suonò il campanello e io fui colta da un lieve capogiro. Sentii di stare per cadere ma non riuscii ad aggrapparmi alla porta. Allungai la mano di riflesso e Johnny la prese, riportandomi in posizione verticale. Lo guardai per un momento e poi ritirai la mano, un attimo prima che Betty aprisse la porta.
«Oh, eccovi! Venite, venite, si mangia.»

Io feci una via diretta per le scale e mi rifugiai in camera, buttandomi a peso morto sul letto. Nascosi la testa sotto il cuscino, pronta ad addormentarmi, se ci fossi riuscita.
Nemmeno due minuti dopo, sentii i passi pesanti di mio padre per il corridoio. Entrò in camera senza bussare.
«Isabel, per l'amor del cielo! È il primo pranzo in famiglia, ma che hai in testa?»
«Un martello pneumatico.» Biascicai, con la testa ancora sepolta sotto il cuscino.
«Ohhh, non ci posso credere!» E se ne andò così com'era venuto.
Tre minuti dopo, toc toc.

«Izzie cara? Johnny mi ha detto che hai mal di testa. Posso farti una camomilla? Non vuoi mangiare qualcosa? Non vuoi...»
«No, grazie.» Faceva già la mammina premurosa. Avevo diciotto anni, mica cinque.
Non che ce l'avessi così tanto con lei, in fin dei conti. Non la conoscevo bene ma mi sembrava una brava persona; che volesse prendere il posto di mia madre però, mai.
«Ma davvero, una camomilla può farti stare meglio...»
«Mmh...» Mi limitai a mugugnare qualcosa invece di risponderle di malo modo. Sospirai sollevata quando sentii la porta chiudersi. E, finalmente, il silenzio.


«Ragazzina.»
Chi?
Cosa? 
Aprii gli occhi lentamente, scollando le palpebre una alla volta. Alzai appena il cuscino e intravidi un paio di jeans e due scarponi neri.
Dio, ma proprio non capivano la frase 'lasciatemi in pace'? Stavo quasi per prendere sonno...
«Che c'è?»
«Risparmiami la tua acidità, mi hanno mandato loro.» Ribadì ancora il suo evidente disinteresse nei miei confronti. Grazie tante.

«Non scendo, se non l'avessero ancora capito.»
Lui non rispose. Passò qualche secondo e sentii una cosa bollente premermi sul braccio.
«Ahia! Ma sei impazzito?!» Mi misi a sedere e scoprii che l'avevano mandato a portarmi la famosa camomilla. Mi massaggiai il braccio scottato guardandolo torva.
«Uh, scotta?» Domandò, con fare ingenuo. Gli tirai un calcio sulla gamba e lui fece finta di versarmi addosso la camomilla.
Sbiancai per un momento, credendo che l'avrebbe fatto davvero.
«Grazie, ora te ne puoi anche andare.» Presi il bicchiere bollente e lo posai sul comodino.
Sarebbe stato l'inizio di una lunga ed estenuante ma soprattutto continua lotta quotidiana? Speravo proprio di no.






Non potete capire quanto sia felice. Grazie dell'accoglienza meravigliosa...
Spero davvero di non deludervi. 
Beh, insomma. Torno nel mio angolino a mangiarmi le unghie!
Un abbraccio,
Sara.

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Capitolo 3
*** 2. Fighting ***


Prologue
Blend





Fighting


Mi svegliai alle otto e mezzo di sera, tutta intontita.
Avevo bevuto la camomilla e mi aveva dato un po' di sollievo, poi ero crollata.
«Almeno il mal di testa è passato.» Commentai ad alta voce, mettendomi a sedere. Allungai una mano per accendere la luce del comodino quando una voce mi fece gelare sul posto.
«Menomale.»
«Oddio, Johnny! Mi hai spaventato a morte!» Gridai col cuore in gola. 
«Come sei sensibile...» Accesi la luce e vidi che era sdraiato sul suo letto col braccio sugli occhi.
«Ma perché devi dormire qui? C'è una stanza vuota, lo sai?»
«Quella stanza non ha la tv.» Disse senza togliere il braccio dal viso. Presi un cuscino e glielo tirai in faccia.
«Te la compri, una tv.» Ricevuta la cuscinata davvero poco delicata, si alzò e mi fronteggiò.
«Esiste la privacy, sai? Forse dove sei cresciuto tu vivevate tutti insieme in una tenda strappata, ma qui no!» Continuai, tagliente.
«Sai quanto me ne sbatto della tua privacy? Io sarò cresciuto in una tenda ma almeno non sono viziato e scostumato come te!»
Quelle poche frasi erano bastate per farmelo detestare con tutta me stessa. Mi sentivo come se mi avessero schiaffeggiata.
Punta nell'orgoglio, me ne andai in bagno sbattendo la porta. Ne uscii qualche minuto più tardi per andare a chiamare Bianca.
«Ti ha detto davvero così?! No, non ci credo!» Fu il suo commento sconvolto quando le raccontai la nostra conversazione di poco prima.
«Credici.» Non sapevo cosa dire. La situazione si spiegava da sola.
«Beh, potreste... convivere pacificamente senza dirvi nulla. Lo fanno anche i fratelli di sangue...» Suggerì lei, cauta.
«Come no. Mio padre mi farà una predica al giorno, se non lo tratto bene.»
«Allora non ti resta che fingere, amica mia.»
Non mi resta che piangere, vorrai dire.

«Ragazzi! A tavola!» La voce squillante di Betty chiamò a raccolta l'allegra famigliola che in breve fu riunita davanti a un piatto di arrosto fumante. Io, ovviamente, finii di fronte a Johnny.
«Izzie, come va la testa? Spero meglio.» Domandò premurosa la madre di quell'essere ignobile. Le sorrisi e mi costrinsi a rispondere.
«Va molto meglio, grazie. Merito anche della camomilla, sicuramente.» Papà mi guardò compiaciuto. Per lui era davvero importante quella donna, e avrebbe fatto di tutto per tenersela stretta, anche sacrificare sua figlia. Beh, sacrificare forse non è il termine appropriato, ma insomma...
«Oh, mi fa piacere. La camomilla funziona sempre anche con me.» Tagliò l'arrosto e mi diede la mia porzione. Mi strinse la spalla affettuosamente e sorrise mormorando un complimento che non sentii, persa nelle mie congetture mentali.
Come aveva fatto quella donna oggettivamente gentile e garbata a partorire quel rifiuto umano? Come?
Forse aveva preso dal padre. Sì, il padre doveva essere un cinghiale.
«Se ne volete ancora ce n'è per tutti.» Aiutai Betty a servire l'insalata. Non mi sembrava giusto starmene con le mani in mano, specialmente perché non avevo intenzione di lavare i piatti.
«A me no.» Disse Johnny quando arrivò il suo turno. Annuii e passai a papà, ma Betty me lo impedì, riprendendo suo figlio.
«Come no? Mangiala, Johnny, è buona e ti fa bene.» Tornai con le pinze di plastica sul piatto di Johnny, che rifiutò ancora, guardandomi storto.
«Ho detto di no, sei sorda?» Disse rivolto a me.
Rimasi a fissarlo, indecisa se sorvolare o infilzargli le pinze nel naso.
Guardai mio padre e Betty, con un'espressione che parlava da sola: Ma lo vedete? No, dico, lo vedete? Poi dite che sono io!
Nessuno e dico nessuno proferì parola per prendere le mie difese. Così servii papà e Betty e mangiai in silenzio. Johnny ticchettava la forchetta sul tavolo, mettendo a dura prova i miei nervi. Infilzavo le foglie di insalata immaginandovi la sua faccia, e le masticavo con altrettanta veemenza.
Poi ripensai alle parole di Bianca.
Io ero una brava ragazza. Avrei fatto la brava ragazza. Niente parolacce, niente risposte acide, niente di niente.
Almeno ci provo. Poi, nel caso, ci sono sempre le pinze per l'insalata.

«Papà, posso parlarti un momento?» Johnny era uscito con degli amici e Betty stava lavando le stoviglie.
Mi avvicinai al divano e mi sedetti accanto a mio padre.
«Papà... perché deve dormire in camera mia? Voglio dire, non hai paura che mi veda nuda o cose del genere? O che provi a violentarmi mentre dormo? No?»
Papà rise e mi guardò come se fossi stupida. «Iz, siete fratello e sorella.»
«Fratellastro e sorellastra. E voi non siete nemmeno sposati. Quello può fare quel che gli pare.» Provai a farlo ragionare.
«Io mi fido di lui.»
Okay, solo io avevo un padre così. Solo io. Dov'erano finiti i genitori apprensivi e opprimenti che non ti lasciavano sola nemmeno col tuo migliore amico?
Erano finiti con l'aver resettato il cervello, dalla modalità "papà" alla modalità "compagno perfetto". In realtà anch'io sapevo che Johnny non avrebbe mai osato toccarmi... ma insomma, non esisteva anche la violenza psicologica? Nessuno pensava alla mia povera psiche?
«C'è qualche problema?» Betty si impicciò subito. E papà ovviamente non riusciva a tenersi un cecio in bocca nemmeno a spararlo.
«Izzie non vuole dormire con Johnny.» Beh, se non altro non aveva detto "Izzie ha paura che Johnny la violenti".
«Oh, ma non preoccuparti! Johnny è tranquillo... non russa nemmeno!» E certo, è suo figlio, non potrebbe mai essere sgarbato!
«Sì, ma...» Provai a protestare.
«Sai, non ha ancora superato del tutto la paura del buio. Non ha mai dormito da solo.»
La notizia mi fece illuminare d'immenso. Johnny aveva paura del buio? Hahahahahahahaha.
«E ha anche paura dei clown.» Rise la madre, in vena di confidenze.
«Allora se mi travestissi da clown e lo attaccassi di notte gli verrebbe un infarto?» Domandai, serafica.
Betty e papà mi guardarono storto. «Stavo scherzando!» Ridacchiai e me ne andai in camera.

Avevo preso sonno. Sì, nonostante avessi dormito più di sette ore la stanchezza non mi aveva abbandonato ed ero riuscita a prendere sonno. L'ultima occhiata alla sveglia impresse nella mia mente i due zeri che segnavano l'inizio del nuovo giorno.
Ma non poteva mica andare tutto liscio.
Stavo sognando di Michael Jackson che mi invitava a ballare. Eravamo al centro della pista, illuminata da una debole luce blu, tutte le ragazze mi guardavano invidiose e lui stava per baciarmi, stava proprio per baciarmi quando la porta del locale sbattè facendo sussultare tutti dallo spavento. Cercai di riacchiappare Michael che si era distratto, ma ecco che un'altra porta si chiuse bruscamente, e un'altra ancora, e una luce forte ci accecò tutti...
«Che ci fai ancora sveglia, ragazzina?»
Mi coprii gli occhi con le mani, tentando di afferrare l'ultimo ricordo di quel sogno meraviglioso. Johnny aveva acceso la luce e stava cercando qualcosa nei mobili della stanza, sbattendo le ante come se niente fosse. Quando gli occhi si abituarono alla luce gialla, ne aprii uno per guardare la sveglia, che segnava l'una meno venti.
«MASEIUNIMBECILLEOCOSA?!» Saltai giù dal letto furiosa come una belva. Lo raggiunsi e gli diedi uno spintone sul petto, facendolo indietreggiare di qualche centimetro.
Lui alzò le mani e provò forse a fare lo stesso, ma lo fermai minacciandolo di urlare. «Non mi toccare, animale!»
Non gli diedi il tempo di rispondere, partii in quarta e se avessi potuto avrei sputato veleno su quella faccia da schiaffi.
«Ma sei proprio un cretino, eh?! Arrivi a l'una di notte, accendi la luce, fai un casino assurdo... ma dove stai, allo zoo? Ti ricordo che non vivi da solo, anche se dovresti, essere inutile e indegno, e per quanto tu possa fregartene degli altri esiste una cosa che si chiama rispetto, e non mi interessa se non sai cosa significa, vorrà dire che lo imparerai, altrimenti col CAVOLO che ci dormi nella mia camera, hai capito 
brutto infame asociale?!»
Terminai il mio sermone e nel deglutire sentii un forte bruciore alla gola: avevo parlato a voce ragionevolmente bassa per non fare troppo rumore ma ci avevo messo la stessa foga con la quale avrei altrimenti urlato.
Avevo il fiatone e la testa che girava. Mi ero alzata di scatto ed ero ancora mezza intontita per il sonno.
Ci guardammo in cagnesco per parecchi minuti. Fortunatamente la camera di papà era dal lato opposto della casa, dovevamo fare proprio un gran chiasso per riuscire a svegliarli.
Fondamentalmente Johnny non aveva dato fastidio a nessuno. Solo a me.
Alzai le sopracciglia per invitarlo a rispondere ma lui si girò e continuò ad aprire gli armadi.
«Mi potresti gentilmente dire che s-»
«Mi potresti gentilmente dire dove cazzo è il mio pigiama in mezzo a questa spazzatura e potresti altrettanto gentilmente stare un po' zitta? Mi fa male la testa, lasciami in pace.» Mi fece il verso, accompagnando il tutto con una smorfia arrogante.
Risi.
Sì, perché non potevo fare altrimenti. Cedetti a una risata isterica e mi affacciai nell'ultimo mobile che lui aveva aperto. Tirai fuori il suo pigiama e chiusi l'anta in fretta, sperando di chiudergli le dita dentro. Purtroppo lui fu più rapido di me.
Gli tirai il pigiama in faccia. «Spazzatura ci chiami la tua di roba, stronzo.» Mi morsi la lingua. Niente parolacce. Niente parolacce.
«Come no. I vestiti di mia nonna sono più alla moda.» Non raccolsi la provocazione e tornai al mio letto.
«Vatti a lavare che puzzi come uno scaricatore di porto.» Simulai un conato di vomito. Lui mi ignorò totalmente e se ne andò in bagno sbattendo la porta.
Non era nemmeno capace di spegnere la luce. Pure la coda aveva, pure la coda!
Strinsi i pugni e mi buttai col viso nel cuscino, per soffocare l'urlo che non riuscii a trattenere.
Lo scrosciare dell'acqua della doccia mi fece calmare un po', e ripresi a respirare a un ritmo lento e regolare. Sperai che almeno, riaddormentandomi, sarei riuscita a continuare il sogno interrotto.
Di sicuro avrei iniziato a praticare la boxe, pensai, se le cose non fossero cambiate. Almeno per sfogarmi, e che cavolo.
«Billie Jean is not my lover... she's just a girl... mh-mh I am the one...» Johnny canticchiava le parole della canzone di Michael, cercando di imitare il suo tono di voce. Non ci arrivi nemmeno lontanamente, ciccio!
Sentii il suono dell'interruttore che veniva spento e un secondo dopo Mister Simpatia fece la sua comparsa in camera.
Accese la luce e io imprecai silenziosamente. «Non ce la fai proprio a non dare fastidio, eh?»
«No.» Rispose semplicemente. Alzai lo sguardo e quasi mi caddero le braccia.
«Tutto quel casino per un pigiama e alla fine dormi in mutande?! Oh, Dio, dammi la pazienza...»
Lui trattenne a stento una risata, guardandosi i boxer e la canottiera bianca, e rimise a posto il pigiama. Almeno quello.
Notai che non si era asciugato i capelli. Li portava piuttosto lunghi, gli sarebbe venuto un raffreddore, come minimo.
«Non ti sembra un po' esagerato andare a dormire mezzo nudo e coi capelli bagnati?»
Lui sbuffò mentre si sistemava sotto le lenzuola. «Ma non ti spegni mai?»
Spalancai la bocca, indignata. Gli volevo fare un favore e risparmiargli un malanno, e lui... ma vai a cogliere, Johnny, vai!
«La luce.» Gracchiai, sospirando. 
Per la prima volta mi ascoltò senza dire nulla. Non che gli costasse chissà che. Aveva allungato il braccio di una decina di centimetri oltre il letto e l'aveva spenta.
«Hai altro da dire? Posso dormire?»
POSSO DORMIRE? Tu mi hai tenuta sveglia fino alle due di notte, o quasi, e mi chiedi se PUOI DORMIRE?
Dio onnipotente, davvero, io non vorrei ucciderlo, ma...
«Dormi. E muori nel sonno, possibilmente.» Borbottai. Poi sorrisi e ripresi a parlare: «Se il buio ti fa troppa paura posso tenerti la mano.» Cercai di trattenere una risata ma degli sbuffi mi tradirono.
Lui mi mandò all'altro paese - non nel modo fine in cui lo facevo io, ovviamente - e si girò dal lato opposto, dandomi la schiena.
«Notte.» Biascicai, ancora ridendo.
Finalmente un po' di pace.






Bene. Salve! Come state? Io sono in piena crisi, le vacanze stanno per finire e mi aspetta un mese di torture prima dell'esame. Spero di riuscire ad anticiparmi con la scrittura...
Il capitolo è corto, lo so. I prossimi saranno più lunghi, promesso.
Dunque dunque. Come si vogliono bene, vero? Però hanno già qualcosa in comune, anche se non se ne sono resi conto... lui, il Re del Pop! La storia è ambientata nel duemilanove, anno della sua morte. E' una specie di tributo, a modo mio.
Voi avete fratelli o sorelle che non sopportate?

Un abbraccio,
Sara.

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Capitolo 4
*** 3. What if? ***


Prologue
Blend





What if?


«No, papà, posso prendere l'autobus, davvero.» Ma cosa credeva, che Johnny mi avrebbe fatto da chauffeur a vita?
Che poi, figuriamoci, uno come lui avrebbe potuto fare da chauffeur solo sull'auto dei Flintstones.
«Ma cosa dici, Johnny è più che felice di accompagnarti! Tanto inizi a lavorare alle nove, vero Johnny? La scuola è di strada...» Dovevo avvertire papà di non essere così smielato e paterno con lui. Secondo me Johnny stava sviluppando con mio padre lo stesso tipo di simpatia che provavo io nei suoi confronti. Quindi, prima o poi l'avrebbe ucciso.
Mi passai una mano sugli occhi, stanca di dover iniziare la giornata combattendo con papà e le sue geniali idee. Betty incoraggiò il figlio con uno sguardo eloquente e un sorriso della serie "fallo subito e fallo anche volentieri altrimenti faccio brutta figura" e lui si decise ad alzarsi.
«Certo, Graham, certo.» Pronunciò il nome di papà come se avesse un palo nel culo. E come se quel palo fosse papà.
Mi avviai per prima verso la macchina, lasciando ciondolare la borsa contro le mie gambe. Johnny schiacciò il tasto dell'antifurto, si avvicinò alla sua portiera, assottigliò lo sguardo rivolto a un punto non precisato della carrozzeria e strofinò due volte col dito. Cos'era, un microscopico granello di polvere? L'auto brillava.
Entrò sbuffando nell'abitacolo, probabilmente afflitto dall'idea che la sua impronta digitale giacesse appiccicata alla carrozzeria.
«Cazzo, ho dimenticato le sigarette. Aspetta qui.» Johnny scese dall'auto e si diresse a passo svelto in casa.
«E dove posso mai aspettare, idiota?» Dissi, al sedile vuoto.
Quando uscì da casa sbattendo la porta - come al solito - fece due passi e si fermò per accenderne una, col tipico gesto di coprirla con la mano; poi riprese a camminare con disinvoltura. Prese posto in auto, lanciò il pacchetto sul cruscotto e mise in moto. Odiavo dover fare il grillo parlante, ma la sua non era una guida da definire sicura, e avrebbe almeno potuto mettere la cintura di sicurezza.
«La cintura non sta lì per bellezza, sai?» Certo, di tutti i modi in cui avrei potuto dirglielo... ma cosa potevo farci, le pensavo in un modo e mi uscivano in un altro!
Johnny sbuffò e mi rivolse uno sguardo che parlava da solo, e mi intimava di stare zitta.
«Scusa tanto, Jack.» Mi morsi la lingua dopo aver pronunciato quel nome, ma non avevo resistito.
Avevo scoperto che lavorava come venditore telefonico di inserzioni pubblicitarie, e usava il nome di uno dei protagonisti di Lost, Jack Shephard. L'avrei sfottuto a vita.
Per tutta risposta lui accelerò, esprimendo la sua voglia di avermi fuori dall'auto il più presto possibile.
«Scendi.» Disse, ancora prima di fermarsi nel parcheggio della scuola.
«Non è che possa fare altrimenti, né che voglia.» Risposi a tono.
Un gruppo di ragazze si fermò a guardare la scena, cincischiando. La Volvo C30 rosso fuoco non passava inosservata, né tantomeno il suo proprietario. Johnny era il tipo di ragazzo che piaceva a tutte. Certo, esteriormente non era da buttare, ma il suo carattere l'aveva reso odioso ai miei occhi. E lo conoscevo soltanto da un giorno. Fatevi un po' i conti.
Bianca mi si avvicinò da dietro, attentando alla mia già precaria salute mentale.
«Quello è il tuo fratellastro?» Mi voltai e sospirai amareggiata scoprendo sul suo viso la stessa espressione sognante delle altre ragazze.
«No, ti prego. Bianca, almeno tu salvati.» Non mi serviva un'amica di parte. Specialmente quando la parte non era la mia.
«Ma... ma... l'hai visto?» Sbattè gli occhioni luccicanti con un'espressione ebete.
«Certo che l'ho visto. L'ho visto perfino in mutande, se ti interessa. Il punto è un altro, ricordi?» Cercai di riportare la conversazione sul filo del giorno precedente.
«Sì, giusto.» Annuì, poco convinta. «Che hai detto? L'hai visto in mutande?!» Ecco, ci risiamo.

«Okay. Hai ragione. La bella faccia non compensa il carattere di merda.» Concluse Bianca, dopo aver ascoltato gli aggiornamenti relativi alla notte appena trascorsa.
«Deo Gratias.» Era tornata in sé.
«Però è carino. Cioè, non puoi non ammetterlo.» No, niente, non poteva non pensarci. Beh, da un lato potevo capire.
«E chi l'ha mai negato?» Johnny era bello, fin troppo bello...
«E che ne so, da come lo descrivevi me l'ero immaginato brutto, grasso e peloso, oltre che antipatico.» Mamma mia, un abominio! E chi ci avrebbe mai dormito nella stessa stanza?
«Perché non te l'ho mai descritto fisicamente. Mi soffermo a guardare il carattere, io.» Puntualizzai, fiera della mia razionalità. Mica come le altre, con un neurone in testa e tre miliardi di ormoni scorazzanti.
«E sbagli. Anche l'occhio vuole la sua parte.» Insisteva.
«Purtroppo ho anche un cervello oltre agli occhi. Mi spiace per voi che non ce l'avete.» 
«Io ce l'ho il cervello. Solo che a volte si scollega. È il cavo che è difettoso.»
Alzai gli occhi al cielo con un sorriso. Menomale che c'era lei.
«Non mi uccidere, okay? Però, mi domandavo...» Assunse l'espressione da cucciolo smarrito che funzionava con tutti.
«No.» Risposi, a priori.
«Ma non sai nemmeno cosa voglio dirti!»
«La vita è ingiusta, vero?»
«Dai, fai poco la bastarda. E promettimi che una mattina mi date un passaggio a scuola. Dai, dai, dai.»
Mi portai le mani in viso, scuotendo la testa. «Gesù.»
«Non sento ragioni. O questo o mi fai dormire a casa tua.»
«COSA?! Aspetta, ti aggiusto il cavo.» Le diedi una botta in testa e lei rise.
Ma insomma. Possibile che le persone fossero così superficiali? E possibile che proprio a me dovesse capitare il fratellastro bastardo e rompiballe, antipatico e irritante?
«Oh, oh, c'è Kevin!» Bianca mi infilò un gomito nello sterno per attirare la mia attenzione, e io mi voltai nella direzione in cui stava guardando. Kevin Stultz, in tutta la sua bellezza e magnificenza, fece la sua apparizione in corridoio, camminando come un divo del cinema. Il solito corteo di ammiratrici lo seguiva da vicino, sculettando due passi dopo i suoi migliori amici che non lo mollavano un secondo. Sospirai, quando mi passò accanto. Mi piaceva da tempi immemori. Ecco, lui era l'unico per cui i miei ormoni avessero mai ballato la rumba, ignorando i neuroni che si impiccavano per quanto fosse cerebralmente insignificante. Purtroppo la carne è carne, e insomma, mi faceva sempre un certo effetto.
«Quando passa lui il tuo cavo brucia per autocombustione.» Mi prese in giro Bianca, e a ragione.
Cosa potevo farci, l'ho già detto che la carne è carne?
«Andiamo, dai. Ti ricordo che devi essere interrogata, stamattina.»
«E' il professor Smith. Il nove è assicurato...» Dissi, tranquilla. Edward e io avevamo un rapporto bellissimo. Ci sentivamo qualche volta via e-mail, dove potevo dargli del tu, lontano da occhi indiscreti e malpensanti quali erano quelli dei miei compagni di classe. Non ero sempre andata bene nella sua materia, ma era riuscito a farmela amare dopo diversi tentativi, e da tre anni a quella parte i miei voti spiccavano il volo. Poi, a metà del quinto anno, gli mandai una mail per chiedergli una cosa su un'attività extrascolastica, e così iniziò la nostra "corrispondenza". Nulla di clandestino, di illecito, nessun favoritismo, ma solo tanto rispetto reciproco e voglia di migliorare, da entrambe le parti.
«Perché, a proposito, non metti una buona parola per il mio compito della settimana scorsa? Mi sa che è andato malino... e tu dovevi per forza assentarti, vero? Ciclo di merda.»
Tra queste ed altre congetture e varie disquisizioni sull'apparato genitale femminile, entriamo in classe, pronte ad afffrontare una nuova giornata. 

Al suono dell'ultima campanella tirai un sospiro di sollievo. Salutai Bianca, promettendole che sarei passata a prenderla con Johnny, un giorno o l'altro.
«Fai la brava. E se ti tratta male digli che se la dovrà vedere con me.» Gonfiò il petto e alzò la testa, spavalda.
Le diedi una spinta sul braccio. «Seh, lo so io come gliela fai vedere...»
«I tuoi doppi sensi sono unici.»
«Ciao, Bianca.»
«Ciao, Bernie.»
Mi incamminai come un altro centinaio di ragazzi sulla fermata dell'autobus, pronta ad affrontare i soliti venticinque minuti di solitudine, in attesa della linea delle due e un quarto.
Ma papà mi voleva male, molto male.
Due colpi di clacson attirarono la mia attenzione. Mi ci volle qualche secondo per realizzare che una Volvo si era accostata una decina di metri dopo la fermata e l'aveva fatto per me.
«Perfetto, ci manca solo che me lo fanno portare anche a scuola e stiamo a posto.» Commentai tra me e me, scuotendo la testa. L'abitudine di parlare da sola risaliva a... beh, praticamente sempre. Salii in macchina e ripartimmo a tutta velocità. Misi la cintura e mi aggrappai al sedile.
«Vai di fretta?» Gli chiesi, un po' terrorizzata dalla lancetta del contachilometri che impennava vistosamente.
«Ho fame.»
Il solito buzzurro cavernicolo. Donne, cibo, birra. Donne, cibo, birra. Monotono e inevitabile come il ciclo dell'acqua.
Ma almeno il ciclo dell'acqua serve a qualcosa; lui che senso aveva sulla faccia della terra? Quelli erano i veri misteri della vita, altro che alieni e dinosauri.

***

Johnny divenne davvero il mio chauffeur. Non fu più necessario che mio padre o sua madre gli chiedessero di accompagnarmi. Avevamo più o meno gli stessi orari - o al massimo io aspettavo lui quando dopo le nottate di sesso, droga e rock 'n roll si svegliava più tardi - e uscivamo insieme.
A vedermi tutti i giorni con Johnny, le ragazze si fecero un'idea sbagliata di noi. Ovviamente, se c'è da scegliere tra due ipotesi, si sceglie sempre quella peggiore. Dovetti spiegare alle più insistenti che era semplicemente mio fratello e in breve la voce che non ero la ragazza di Johnny si diffuse di classe in classe, così iniziai improvvisamente a piacere a tutte le ochette della scuola che mi chiedevano di lui in continuazione. Come se non bastasse l'averlo accanto tutti i giorni. Nell'unico posto in cui non dovevo convivere con le sue maniere da rinoceronte ero costretta anche a parlare di lui.
La cosa peggiore era che quelle deficienti senza un briciolo di cervello si appostavano nel parcheggio per vederlo, quando mi accompagnava. A volte gli chiedevano di restare un po' e lui non se lo faceva dire due volte.
«Puah.» Commentai, un giorno, prima di scendere dall'auto, mentre lui esibiva la posa da strafigo col gomito appoggiato allo sportello.
«Vattene, mi rovini la piazza.» Disse a denti stretti, senza smettere di sorridere alle ragazze.
«È il contrario, semmai, orco.»
Lui era troppo preso dalle cheerleader che gli si erano avvicinate in gruppo per rispondere. Me ne andai sbattendo la portiera. Prima o poi se ne dovrà cadere.
Mentre meditavo sulla grande figura di merda che prima o poi gli avrei fatto fare con quelle ragazze, Bianca mi raggiunse dalla panchina su cui stava aspettando e ci dirigemmo insieme in classe.
«Vi aspettavo, stamattina.» Incalzò, cauta.
«Domani.» Replicai, automaticamente.
«Sono due settimane che dici 'domani'.» In effetti. È che non sapevo davvero come chiederlo a Johnny! Già quello mi odiava a morte, poi io infierivo chiedendogli di dare un passaggio a una mia amica... avrebbe inventato un pulsante per l'espulsione del sedile del passeggero e mi avrebbe spedito su Marte. Come minimo.
«Okay. Allora, domai
«Izzieee...» Piagnucolò, come una bambina di tre anni. Datemi uno spigolo. Uno spigolo, non chiedo altro.
«Ma scusa, hai tuo padre così carino e così gentile, perché vuoi rovinarti la giornata con Fred Flintstone?»
«Perché voglio vedere come si comporta, cosa fate, di cosa parlate...»
«Non facciamo niente, si comporta come l'uomo di Neanderthal e se per parlare intendi insultarci, allora sì, qualcosa da dire ce l'abbiamo...»
«Posso difenderti!» Provò ad arrampicarsi sugli specchi, ma ai miei occhi era già scivolata a terra da un bel po'.
«Non puoi difendermi se lui mi scuoierà viva solo per aver lontanamente pensato che mi avrebbe fatto un favore, capisci?»
«Dai, non ci credo che ti vuole così male. Secondo me ti impressioni.»
«Sì, hai ragione. Oh mio Dio, un asino che vola!» Indicai il cielo con espressione ebete e lei rise. Riuscii a deviare la conversazione parlando del compito d'inglese che avremmo affrontato quel giorno. Non avevo mai amato la scuola quanto in quel periodo.
Beh, insomma. Almeno così credevo.
Johnny divenne la mia croce, in tutti i sensi. A causa sua ero diventata semi-popolare, sicuramente più di quanto non fossi prima; soprattutto dopo la rissa di quel sabato mattina, che forse cambiò un po' le cose.

«Johnny sta spopolando.» Ormai la scuola era una tappa fissa, per lui. Scendevamo prima apposta, così che lui potesse restare qualche minuto in più a flirtare con qualunque ragazza gli capitasse a tiro. La cosa non andava a genio a chi, dall'altro lato, aveva sempre considerato la scuola come il proprio territorio personale di caccia. Kevin, per l'appunto. Quasi quasi ci aveva pure pisciato intorno, si può dire. Quel bellissimo cerebroleso - purtroppo ne esistono - mi si avvicinò tutto d'un tratto, lasciando per un momento gli amici e il codazzo papale. 
«Di' a tuo fratello che stesse alla larga da questo posto. Se vuole qualche ragazza adatta a lui la può trovare nel bordello in fondo alla strada.»
Mancava poco perché la mia mascella rotolasse a terra con un tonfo. «Se ti senti minacciato parla con lui, non sono mica la sua segretaria.» Cercai di rispondere gentilmente, per quanto l'orgoglio me lo permettesse.
«Non fare la scorbutica, lo so che mi muori dietro dal primo anno.» Tipico.
«Sì, fino a quando non ho scoperto che hai un quoziente intellettivo pari a quello di una sedia a sdraio chiusa.»
«Beh, sicuramente non arriverò mai al livello del tuo caro fratellino.» Alzò la voce per farsi sentire dal diretto interessato.
«Ci puoi scommettere, stronzo!» Urlai in risposta.
Quando lui provò a strattonarmi mi sentii quasi prendere di peso ed essere messa da parte.
«Che cazzo vuoi, Big Foot?» La voce di Johnny arrivò forte e chiara alle mie orecchie, così come il rumore della ghiaia sotto le scarpe dei due che si spintonavano a vicenda.
«Porta il tuo amichetto a fare un giro altrove, qui non ce n'è per tutti e due.»
«Hai ragione, ormai ce n'è solo per me.» Rise beffardo Johnny.
«Vai a lavorare, frocetto, queste sono le mie donne.»
«Se non te le sai tenere non è colpa mia.» Il pugno colse tutti di sorpresa. Kevin non era mai stato coinvolto in una rissa, né si diceva fosse un tipo violento. Per Johnny invece era il contrario.
E se ne accorsero tutti.
«Oddiosanto, oddiosanto...» Dopo il pugno di Kevin e il gancio destro nello stomaco di Johnny, mi buttai in mezzo a loro, e improvvisamente tutti sembrarono rinsavire. Gli amici di Kevin lo afferrarono per le spalle e lo trascinarono in cortile. Io presi Johnny in disparte e gli controllai il viso. Aveva un graffio accanto al naso e il labbro gonfio.
«Ma con chi te la fai, ragazzina?» Chiese mentre stendeva la mano indolenzita e arrossata.  
«Stai zitto e seguimi.» Stavo facendo una cosa azzardatissima e per cui mi avrebbero potuto richiamare, ma decisi di farla ugualmente. Facemmo il giro dell'edificio e feci entrare Johnny dall'ingresso secondario che portava direttamente in palestra.
«Se mi vuoi uccidere almeno fallo in un posto decente...» Mormorò osservando le pareti grigie e invecchiate.
«Aspetta qui, vado a prendere il necessario.» Entrai nel bagno delle ragazze e presi la valigetta del pronto soccorso, che tenevamo stipata lì per ogni evenienza. Quando tornai lo vidi seduto sul banco che i ragazzi utilizzavano a mo' di porta da calcio, che dondolava una gamba avanti e indietro.
«Hai intenzione di affogarmi con una garza sterile?» Domandò con un sorriso. Il primo, vero sorriso che mi avesse mai rivolto.
«Taci, zotico.» Presi il ghiaccio spray e glielo spruzzai sul labbro. Lui emise un gemito e si allontanò di qualche centimetro.
Misi dell'acqua ossigenata sul taglietto accanto al naso e sulla mano. «Il cerotto non te lo metto. L'aria è il miglior cicatrizzante.» L'avevo letto da qualche parte e mi era rimasto impresso. Lui mi lasciava fare. Se ne stava con le mani posate sulle ginocchia, un accenno di sorriso che gli increspava le labbra e gli occhi fissi nei miei.
«Per poco quel gorilla non mi rovinava il naso.» Berciò, fingendosi imbronciato.
In effetti... Johnny aveva un naso che era tutto un programma. Perfettamente dritto, perfettamente squadrato, perfettamente adatto al suo viso. 
«Non sia mai, avrebbe potuto mettere fine alla tua carriera di Don Giovanni.» Replicai con tono vagamente canzonatorio. Per una volta stavamo battibeccando allegramente, con leggerezza, in quel modo che mi piaceva tanto.
«Non esageriamo. Ho il naso più bello del mondo ma è solo una delle innumerevoli doti che possiedo.» Disse, puntando il suddetto naso per aria, in una smorfia altezzosa. Simulai un pernacchio con le labbra, e richiusi la valigetta del pronto soccorso.
«E la dote più grande che hai è sicuramente la modestia, vero?» Lui si limitò a sorridere, e scese dal banco. Il suono della campanella ruppe quella specie di incantesimo che si era creato; suggerii a Johnny di sgattaiolare via il più velocemente possibile e per un momento restammo a guardarci esitanti.    
«Stai lontana da quel vichingo...» Ero sveglia? Johnny mi aveva fatto una raccomandazione per il mio bene? L'aver preso le sue difese con Kevin aveva portato i suoi buoni frutti! «...non voglio sentire le tue lagne, se poi ti fa del male.» Va bene, come non detto.
Se ne andò senza aspettare la mia risposta, con un sorrisetto stampato in faccia.

«Potresti almeno ringraziarmi, eh!» Gridai, irritata. Quel ragazzo aveva la capacità di cambiare e farmi cambiare umore a una velocità spaventosa.
«Ti ho salvato la vita, dovresti ringraziarmi tu.» Rispose tranquillo lui.
«Cosa? Come? Ci dev'essere qualche interferenza, non ho sentito bene.» Lui rise e aprì la porta, pronto ad andarsene.
«Grazie, ragazzina.»






Lo so, non aggiorno dai secoli dei secoli (amen).
Purtroppo sono stata presa dalla scuola, l'esame, e tutto il resto. E' andato tutto bene, ho preso il mio 100 (permettetemi di vantarmi un pochino) e ho chiuso questo capitolo. Ora mi aspetta la vita vera!
Comunque, direte voi, la scuola è finita da un pezzo. E' vero, putroppo l'ispirazione è una brutta stronza, mi passa a trovare molto raramente e insomma... l'importante è essere tornata, no?
Spero di tornare a pubblicare in modo più regolare.
Ah, dunque. Avrei creato un gruppo su Facebook, Daydreamer, what are you dreaming of?, per tenermi in contatto con voi, per gli spoiler, per quando sparisco e non pubblico per mesi (così potrete insultarmi XD), e tutte le novità sulle storie che ho in mente, originali e non (ecco che l'esercito di fan dello zio Joh mi investe con un boato).
Il gruppo è chiuso, basta chiedere l'iscrizione e presentarvi col nick di Efp appena dentro.
Insomma, quasi tutte dovreste avere Facebook, no? Chi non ce l'ha alzi la mano, così magari troviamo un altro modo.
Ah.
GRAZIE. Le vostre recensioni (18, ora piango *__*) mi hanno dato una carica pazzesca.

Un abbraccione,
Sara.

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Capitolo 5
*** 4. Shit ***


Prologue
Blend





Shit


A casa, quello stesso sabato


«Cara, cosa fai stasera? Stai ancora studiando?» Pigolò Betty affacciandosi nella mia camera.
«No, ho finito. Credo che andrò a fare una doccia e poi... magari vado a dormire, sono un po' stanca.» Che cosa pietosa. A letto alle nove del sabato sera. Mi facevo pena da sola. Purtroppo quella sera Bianca aveva una cena in famiglia e non poteva muoversi da casa.
«Oh, capisco.» Betty si ritirò con un sorriso di circostanza. Beh, mica poteva lamentarsi? Tutti sognano una figlia educata e docile, una di quelle che non si ritira alle due di notte ubriaca come una spugna. No?
Mi alzai dalla scrivania e aprii l'armadio, cercando una tuta da mettere. No, forse avrei messo il pigiama, visto che il mio cavaliere quella sera sarebbe stato il letto.
«Vabbè, vedo dopo.» Presi solo le pantofole e mi diressi in bagno. Aprii l'acqua della doccia e preparai l'asciugamano.
«Mh-mh-mh-mh..» Canticchiavo un motivetto a bocca chiusa, e a tempo di musica mi sfilavo i vestiti. La maglia e i jeans finirono sulla lavatrice e controllai la temperatura dell'acqua con le dita prima di togliere anche la biancheria.
Magari un altro paio di secondini per riscaldarsi ancora un po'...
«Oh, sei qui.» La voce di Johnny per poco non mi fece cadere nella vasca dallo spavento. Un brivido ghiacciato mi percorse la colonna vertebrale da cima a fondo, facendomi rizzare ogni pelo del corpo.
«Esci subito!» Strillai, agitando le mani.
«Perché?» Ribatté lui, facendo l'esatto opposto: entrò e chiuse la porta a chiave. Io dimenticavo sempre di farlo, ero abituata a essere l'unica a usare quel bagno, perciò bastava chiudere la porta per avere la mia privacy.
«Perché ci sono io in bagno, forse? Mi vedi o oltre che scemo sei pure cieco?»
«Ti vedo, ti vedo...» Mormorò, facendo scorrere lo sguardo sul mio corpo, cosa che mi provocò un'altra serie di brividi. Nessun ragazzo mi aveva mai vista nuda, o perlomeno svestita.
«Ma... ma... ti sembra normale? Sto per spogliarmi, tu devi uscire immediatamente!» Non sapevo cos'altro dire. Lui mi ignorò totalmente, si avvicinò al lavandino e si specchiò. La sua espressione compiaciuta quasi mi fece pensare che si sarebbe fatto i complimenti da solo per lo splendido viso. Quando ebbe finito l'esame di ogni poro, incrociò il mio sguardo sbigottito dal vetro. Stavo ancora aspettando una risposta.
«Ti ho vista con quel pigiama orrendo, sai quanto mi cambia vederti nuda...»
Dovevo essere stata una serial killer nella vita precedente per essermi meritata un fratellastro del genere.
Decisi di fare ugualmente la doccia, tanto prima o poi se ne sarebbe andato, no? «Fai un favore all'umanità: sparati!»
Spostai la tenda sottile e colorata e la richiusi alle mie spalle. Tolsi la biancheria con una lentezza degna di una tartaruga in fin di vita e la appesi al gancetto che reggeva un porta oggetti
. Aprimmo e chiudemmo contemporaneamente l'acqua: io quella della doccia e Johnny quella del lavandino. Mentre mi insaponavo, indecisa se farlo lentamente o meno, tesi le orecchie, cercando di capire cosa diamine stesse facendo. Alla fine glielo chiesi.
«Sto aspettando che tu finisca per aprire la tenda e vederti tutta nuda e bagnata. Poi deciderò se abusare di te o meno.
» Lo disse con un tono così serio che rischiai di affogarmi con l'acqua che mi scorreva sul viso. Allargai la tenda e cacciai la testa fuori. Stavo per domandargli di ripetere quando vidi che stava ridendo.
«Credi davvero che possa farlo?» Mi prese in giro.
«No, perché non saresti così... così... cattivo.» Balbettai, incerta.
Lui smise di passarsi la lametta sul viso e mi corresse:
«Sbagliato. Perché mi attizzi come un rapanello pallido.»
Schiusi appena le labbra dalla sorpresa, poi strinsi gli occhi.
«E tu come un iguana del Malawi!» Risposi, con una smorfia disgustata. Ci guardammo in cagnesco per l'ultima volta e io ripresi a docciarmi, lavando via tutto il bagnoschiuma alla vaniglia.
«Mi passi l'asciugamano?» Gli dissi una volta ripulita per bene. «È sul mobile accanto a te.»
Sentii i suoi passi sul pavimento e vidi l'ombra che si avvicinava alla tenda.
«Allunga la mano e non ti azzardare ad aprire la tenda.»
«Non ci tengo, te l'ho detto.» Aprii la tenda quel poco che bastava per prendere l'asciugamano e tirarlo dentro la doccia.
«Sì, come no.» Replicai, e lui non disse nulla. L'ombra restò davanti alla doccia per qualche istante, poi tornò davanti allo specchio. Fanatico narcisista.
Mi avvolsi nella spugna bianca e uscii, bagnando appena il pavimento di mattonelle azzurre. Misi il piede sul tappeto e asciugai le gocce d'acqua.
«Stasera esci con me.» La buttò lì così, come se avesse detto che di lì a poco avrebbe piovuto. Alzai lo sguardo e incrociai il suo per un attimo, poi lui tornò ad aggiustarsi i capelli.
«È un ordine? Una minaccia? Un suggerimento?»
Strinsi l'asciugamano all'altezza del seno e mi avvicinai a lui. Johnny si bagnò la punta dell'indice con l'acqua e si portò un capello ribelle dietro l'orecchio. Li aveva tirati indietro, fatto la barba in modo impeccabile, e beh... l'occhio, che vuole sempre la sua parte, era parecchio soddisfatto. Perfino il mio, che lo odiava a morte.
«Me l'ha chiesto tuo padre, visto che non esci mai...» Spiegò lui, voltandosi a guardarmi. Io aggrottai la fronte, incredula.
«E si fida a mandarmi con te? Con TE?» Non c'era bisogno di aggiungere altro, quel "te" spiegava tutto.
«Solo tu non ti fidi di me, ragazzina.» Disse, sfiorandomi il mento con due dita. Quel contatto delicato durò un nanosecondo, dopodiché lui girò sui tacchi e uscì dal bagno, lasciandomi lì impalata come un baobab.

«Sì, e ora cosa cavolo mi metto?» Pensai a voce alta, mentre tornavo in camera. La risposta era sul mio letto: leggings color argento e miniabito nero con maniche a pipistrello. Oddiosanto, da dov'era sbucata fuori quella roba? Ai piedi del letto, c'erano dei sandali neri col tacco alto che avevo indossato una sola volta in vita mia.
«No, no, ma che roba è questa?» Dissi alzando i leggings. Odiavo lo stile anni ottanta.
«Preferivi quelli rosa shocking?» Il solito impiccione, la solita presenza inquietante che aleggiava nella casa. Sembrava un fantasma. Un fantasma che vedevo solo io.
«No, preferivo dei jeans normalissimi e anonimi.» Johnny mi scoccò un'occhiata seccata e prese il suo giubbotto di pelle dall'armadio. «Guarda che io sono quasi pronto, muoviti.»
Sbuffai e infilai velocemente il mini abito e quei leggings alla C-3PO. Impiegai circa diciotto ore per mettere i sandali, tanto ero nervosa, e diedi due colpi di spazzola ai capelli, che fermai con una forcina su un lato. Non mi guardai nemmeno allo specchio. Feci la mia comparsa in salotto e tutti si voltarono al ticchettio delle mie scarpe sulle scale.
«Wow, tesoro, sei uno schianto!» Esclamò Betty estasiata. «Sapevo che ti sarebbero andati a meraviglia!»
Certo, era lei l'artefice di quel disastro. Mi sentivo nuda, dalla vita in giù. Papà mi guardò compiaciuto e mi affidò senza problemi a Johnny, che non aveva ancora proferito parola. Ero sempre più sconvolta dal comportamento poco paterno di mio padre. Non era mai stato eccessivamente protettivo, certo, ma si fidava troppo e troppo in fretta di Johnny. Betty gli aveva fatto il lavaggio del cervello? Tutto pur di non contrariarla, vero?
«Non tornate troppo presto!» Si raccomandò inutilmente lei, salutandoci con la mano.
Vivevo in una famiglia di pazzi.

«Dove andiamo?» Domandai, una volta in auto con Johnny.
«A una festa
«Come mai hai deciso di portarmi con te?»
«Potevo oppormi?» Mi guardò per un secondo e poi tornò alla strada. «Non aspettarti che badi a te, ovviamente.» Disse, col sopracciglio alzato. Io non risposi. Cosa potevo mai dire? "Ah no? Perché sai, la verità è che non conosco nessuno e non sono per niente abituata al tuo genere di festini!"
Mi limitai a scuotere la testa e a pregare che quella serata passasse in fretta.
Alle dieci meno venti eravamo sotto la casa di un tale Joe.
«Ehi Joh! Grandissima testa di cazzo, dov'eri finito? Temevo non arrivassi più!» Sal, il suo migliore amico col nome da salsa messicana gli si avvicinò e si salutarono con due pacche sulle spalle.
«Ciao anche a te, bellezza.» Mi prese la mano e vi depositò un bacio umido, che mi fece rabbrividire ma non nel senso buono della parola.
«Ehi, aspetta, ma tu sei sua sorella? La stronza coi mal di testa?» Esclamò, dopo avermi osservata bene.
Guardai Johnny accigliata. Ah, era così che mi definiva? Ma bravo!
«Sì, sono io. E se non ti levi dalle palle la stronza la faccio per davvero.» Gli passai avanti e mi diressi in casa, dove la musica assordante rimbombava sulle pareti. Camminavo distrattamente facendomi spazio tra la gente quando mi sentii afferrare per il polso. Johnny mi tirò a sé poco delicatamente. «Non salire di sopra e non rispondere a chi ti dovesse fare qualche proposta strana, e soprattutto...»
«...non fare la stronza? È questo che volevi dirmi? Beh, mi dispiace, purtroppo ce l'ho scritto nel DNA, così come la predisposizione per i mal di testa e l'odio viscerale per i bastardi come te!» Strattonai il braccio e mi girai dal lato opposto.  «Vaffanculo, Iz!»
Ce ne andammo ognuno per la sua strada. Un tizio con un vassoio mi mise davanti un bicchiere contenente un liquido colorato. L'odore pungente mi fece arricciare il naso ma lo provai, per ripicca - quale ripicca? -, e lo scolai tutto in un sorso, tossendo subito dopo. Mi pulii la bocca col dorso della mano e cercai un angolino tranquillo. Fui fortemente tentata di salire di sopra, dove tutto sembrava calmo e silenzioso, ma le parole di Johnny mi rimbombavano nella testa e decisi di lasciar perdere.
Ovunque mi girassi, coppiette mal assortite si baciavano volgarmente, le loro mani scorrevano lascive sui reciproci corpi, riempiendo le stanze di gemiti strozzati e nomi strascicati dai loro stessi sospiri.
«
Oh, oh, oh. Guardate chi c'è... la sorellina di Casanova.» Mi sentii afferrare per la spalla e fui costretta a voltarmi. Riconobbi il proprietario di quella voce e desiderai un altro bicchiere di quella robaccia azzurrina.
«Oh, oh, oh. Big Foot.» Il soprannome che gli aveva dato Johnny mi piaceva. Nonostante la notevole differenza d'aspetto con la creatura leggendaria, i modi barbari da scimmione e il neurone solitario li rendevano pressoché identici.
«Come mai ti ha lasciata sola? Non ha paura che qualcuno abusi di te?» Poi rise sguaiatamente. «No, certo che no! Quello se ne fotte altamente di te! L'ho visto slinguazzare con una stangona nella stanza accanto... povera piccola Martins.» Provò a consolarmi con una pacca sulla spalla che schivai prontamente.
«Non è per te questo ambiente, angioletto... tu non saresti capace nemmeno di bere un bicchiere di birra.» Rise, insieme ai suoi amici. Il tizio coi cocktail passò di nuovo. Lo fermai bruscamente e presi un bicchiere.
«Alla tua salute, imbecille.» Dissi e ne bevvi velocemente il contenuto. La gola bruciava da morire ma non tossii.
Kevin e i ragazzi sorrisero e forse mi videro sotto una luce diversa. Non diedi loro il tempo di replicare. Col bicchiere in mano, mi avviai nella stanza adiacente.
I Take That cantavano una canzone a me familiare e attorno a me qualcuno cercava di ballare in modo convincente, per far colpo sugli altri. In un angolo, notai la chioma scura di Johnny che, come aveva detto Kevin, stava baciando una bionda dalle gambe chilometriche. Si può dire che non fossi molto lucida.
Mandai giù un altro bicchiere, stavolta di un liquido ambrato, e mi diressi a passo spedito e un po' traballante verso Johnny. Risi da sola pensando a ciò che avrei detto.
«Ehi, Joh!» Gli arrivai alle spalle e richiamai la sua attenzione con una spintarella sul braccio. Lui mi ignorò sulle prime, poi al mio secondo tentativo si staccò dalla Barbie e mi fulminò. Non gli diedi il tempo di parlare. «Oh, non trovo dei bicchieri puliti, mica su questo c'hai bevuto tu? Non voglio beccarmi la tua mononucleosi senza aver neanche baciato qualcuno!» Risi e ottenni l'effetto desiderato. Barbie "disco" guardò Johnny scioccata e disgustata. Si portò una mano alle labbra e poi gli stampò cinque dita sulla guancia. «Stronzo! Mi fai schifo!» E se ne andò via correndo.
Quasi non riconobbi la risata idiota che emisi, vedendola fuggire. Con la testa che mi girava appena, mi buttai al centro della stanza, in mezzo a due ragazzi che ballavano, e iniziai a muovermi anch'io. Chiusi gli occhi e seguii la musica, volteggiando col sorriso sulle labbra.
«Woo-ho, guarda questa!» Sentii distrattamente qualche fischio e altri ragazzi mi si accalcarono addosso, rendendo l'aria più calda e pesante di quanto non fosse già. Qualcuno fece una battuta e io mi unii alle risate generali, anche se non c'era molto da ridere. Poi mi sentii strattonare, sballottare a destra e a sinistra e infine fui investita da un'aria gelida che mi fece rabbrividire più volte.
«Ma cosa cazzo credi di fare?!» La voce di Johnny giunse attutita alle mie orecchie, nelle quali rimbombava ancora la musica martellante della festa. Intorno a noi c'era silenzio, o perlomeno meno confusione. Guardai Johnny cercando di metterlo a fuoco. Dio, non mi ero mai sentita così intontita.
«Mi rispondi?!» Mi scosse il braccio, rendendo ancora più precario il mio equilibrio. «Ma sei ubriaca?» Mormorò, quasi parlando tra sé. Io cominciai a ridere.
«No, non sono ubriaca!» Risi ancora e provai a tornare dentro. Inciampai in un filo d'erba - sempre sostenendo di non essere ubriaca - e mi preparai all'impatto col suolo con un ululato.
Johnny mi prese al volo e mi portò su una panchina poco distante.
«Perché non torni alla festa? Tanto lo sappiamo che non te ne frega niente se muoio...» Biascicai, mentre lui mi faceva stendere. Si abbassò sui talloni per arrivare all'altezza della mia testa e serrò le labbra. «Stasera sei la mia palla al piede e non posso lasciarti morire, per quanto suoni bene l'idea.» Feci una smorfia offesa e lui continuò. «E visto che hai avuto la geniale idea di sparare stronzate sul mio conto non ho nemmeno una ragazza da cui tornare, stupida ragazzina ubriaca.»
«Stai dicendo che ti ho rovinato la serata?» Ripresi a ridere.
Lui non ebbe il tempo di rispondere. E io non ebbi il tempo di avvertirlo. Ebbi solo la decenza di salvare il mini abito e la panchina. Quindi vomitai sulle scarpe di Johnny.
Dopo una serie di imprecazioni snocciolate a voce estremamente alta, Johnny mi tirò indietro i capelli - anzi, sarebbe il caso di dire che mi tirò i capelli e basta - e aspettò che finissi di vomitare anche l'anima.
Chiese a una coppia di passanti dei fazzoletti e mi aiutò a pulirmi la bocca. Mi stesi di nuovo e mi massaggiai il cuoio capelluto.
«Mi hai fatto male...» Mi lamentai, con gli occhi chiusi e una smorfia disgustata dipinta sul viso.
«Se non abitassi a casa tua ti avrei lasciata qui da un pezzo, ne sei consapevole?» Sbraitò mentre si puliva le scarpe come meglio poteva.
«Che donna fortunata che sono.»
«Ti ucciderò appena torni sobria, ragazzina
«Smettila di chiamarmi così!»
Provai a sedermi e mi spostai per non appoggiare i piedi nel vomito. Johnny buttò l'ennesimo fazzoletto sulla panchina. Estrasse l'ultimo dal pacchetto e provò a ripulirsi ancora gli scarponi.
«Dovrei farteli lavare con la lingua.» Borbottò, senza guardarmi.
«Dovresti, sì.» Annuii, prendendolo in giro.
«Mi vendicherò in un altro modo, non preoccuparti.» E invece mi preoccupai, vedendo la sua espressione seria.
«Andiamo a casa.» Sbuffò. Mi alzai barcollante e lui mi passò un braccio sotto l'ascella per sostenermi. Mi depositò in auto e tornò dentro a salutare gli amici.
«Gesù, quanto puzzi!» Sal e gli altri lo accompagnarono alla macchina. Johnny gli tirò un pugno sul braccio e rise.
«Buona fortuna! Ciao, zuccherino!» Mi salutò con la mano e io lo ignorai.
«Non credo che mamma e Graham siano ancora svegli, ma se lo fossero non fermarti a parlare e fila direttamente in bagno. Se scoprono che sei ubriaca daranno la colpa a me.» Mi impose lui, mentre metteva in moto.
«Ma la colpa è tua.» Replicai, stizzita.
«Come scusa?»
«Se non mi avessi lasciata sola e se tu e i tuoi amici non foste così insopportabilmente stronzi ed egoisti, non sarei ubriaca. E comunque non sono ubriaca.» Incrociai le braccia al petto come una bambina di tre anni.
«Pensa a mamma. Pensa a mamma. Pensa a mamma.» Ripeté Johnny per calmarsi. Serrò le dita attorno al volante, fino a far sbiancare le nocche. Forse, in tempi non sospetti, sarei risultata vagamente irritante persino a me stessa. Lui non era da meno, però. Non potevo assumermi tutta la colpa, cavolo.
«Sì, bravo, pensa a mammina...» Alzai gli occhi al cielo, pregando di arrivare in fretta.
Una volta a casa, feci come mi aveva detto, più che altro per evitare questioni varie. Papà e Betty si chiusero finalmente in camera e io potei girare tranquillamente per casa. Mangiai qualcosa e presi un'aspirina, dopodiché andai a farmi una doccia veloce.
In bagno c'era Johnny.

«
Visto che ti ostini a dormire da me potremmo trasformare la camera degli ospiti in un bagno. Così non rompi più le palle.»
Lui chiuse l'acqua della doccia e rispose a tono.
«Sei tu che hai invaso la mia privacy adesso, Miss Intimità
Osservai la sua ombra dalla tenda e pensai che si vedeva quasi tutto. Non dovevo fare più la doccia davanti a lui, nel modo più assoluto!
«Sì, ma potevi anche far usare il bagno prima a me, visto che sono ubriaca!» Replicai, con lo spazzolino da denti in bocca.
«Ma tu non sei ubriaca.» Ecco, usava anche le mie parole contro di me! Che bastardo.
Sputai nel lavandino e bevvi altra acqua, per sciacquare bene. Chiudemmo l'acqua insieme.
Quel decerebrato non mi avvertì che stava per uscire. Era proprio un vichingo senza un briciolo di pudore!
Mi voltai e per poco non sputai per terra. «Mo soi sc-» Provai a dire, con l'acqua in bocca. Mi zittii o avrei vomitato di nuovo. Aspettai qualche secondo e lui parlò. «Puoi girarti, mi sono coperto.»
Tornai sul lavandino e sputai tutto. Mi pulii la bocca, finalmente fresca, e mi voltai verso di lui.
«MA SEI SCEMO?!» Ripetei, stavolta senza liquidi a intralciarmi la parola.
Johnny non si era coperto. Si stava semplicemente asciugando le cosce e l'asciugamano per grazia divina gli copriva a malapena anche il resto. Bastava scendere un po' più giù e quel lembo di spugna avrebbe mostrato tutto ciò che non volevo vedere.
«Esci fuori.» Lo spinsi via, seminudo e buono, verso la porta. «Esci subito fuori!»
Non so come ebbi la meglio sulla sua ovviamente superiore forza e riuscii a chiudere la porta a chiave. Mi fermai al centro del bagno con gli occhi sgranati, le guance in fiamme e il cuore che batteva furioso nel petto.
Va bene, dimentichiamo l'accaduto.
Mi spogliai in santa pace, feci la doccia e quando uscii avvolta dalla nube di vapore mi ricordai che non avevo preso il pigiama. Né tantomeno la biancheria di ricambio. Mi accasciai sul bordo della vasca, esausta. Volevo solo dormire e svegliarmi l'indomani senza quell'idiota vicino.
«E va bene.» Mi feci coraggio e, dopo essermi avvolta nell'asciugamano più grande del mondo, andai in camera per prendere il pigiama. Lui era ancora mezzo nudo, e non perse l'occasione per starsene un po' zitto.
«Oh, no, ti si vedono i piedi!» Commentò divertito la mia mise. «Potevi prendere un burqua, ti avrebbe coperta meno.»
«Invece di infilarli, potresti gentilmente affogarti con quei pantaloni?»
«Mamma mia, come sei acida...»
«Un altro aggettivo per la tua lunga lista.» Constatai, lievemente amareggiata. Non mi piaceva il fatto che si facesse un'idea così brutta di me, eppure non riuscivo a trattenere la lingua dal parlare in quel modo. Mi dava troppo fastidio, e di sicuro lui non faceva del suo meglio per evitare di provocarmi. Quando mi fui vestita mi infilai sotto le coperte, sospirando.
«Domani mattina non fare lo zulù come al solito. Se mi svegli ti castro!» Lo minacciai, memore del risveglio brusco e indesiderato della domenica precedente dovuto ai suoi modi da elefante.
«Dopo la serata che mi hai fatto passare è il minimo che possa fare.»
«È questa la tua grande vendetta?»
Lui rise, beffardo. 
«Per chi mi hai preso?» Ero talmente impegnata a preoccuparmi e a interpretare quella frase che non risposi.
Si sarebbe davvero vendicato? Pensai alla gravità della situazione.
Sì, avevo praticamente preso una pala, l'avevo infilata nella merda e gliel'avevo tirata addosso.
Con la quantità ridicola di neuroni presenti in quella casa, la notizia si era probabilmente sparsa a macchia d'olio, e il livello di merda era aumentato.
Con Kevin presente in quella casa, il livello di merda era salito alle stelle.
Con le scarpe sporche del mio vomito con cui era entrato in quella casa, il
merdometro
era scoppiato.
Insomma, a giudicare dalla situazione, era più che ragionevole aspettarsi una vendetta con gli interessi.
E a giudicare dal modo in cui continuavo a trattarlo, avrei dovuto iniziare a scavarmi la fossa da sola.
 






Bene, salve! Rieccomi dopo tanto tempo. Sì, lo so. 
Non ho molte scuse stavolta. Ho tanto tempo ma poca ispirazione, che si concentra su altro (come, per esempio, il gruppo e la storia sul vero Johnny che sto scrivendo insieme ad altre dieci ragazze. L'avevo detto io che questo gruppo sarebbe servito a qualcosa!)
Insomma, comunque sono tornata. Sono senza linea - bastardi non identificati hanno rubato chilometri e chilometri di cavi del telefono - ma sto usando quei pochi mb che mi dà la Tim per aggiornare questa storia.
Spero vi piaccia questo capitolo, perché è ufficialmente iniziata la guerra.
Fatemi sapere cosa ne pensate (18 recensioni erano troppo belle per essere vere, vero? ._.)

Un abbraccione,
Sara.

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