You can't hurry love; di BlackPearl (/viewuser.php?uid=17189)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Break of dawn ***
Capitolo 3: *** 2. Fighting ***
Capitolo 4: *** 3. What if? ***
Capitolo 5: *** 4. Shit ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologue
La mia vita non faceva
poi così schifo.
Un ritmo ordinario,
degli amici ordinari, ero ordinariamente felice.
Poi, la catastrofe.
I litigi dei miei genitori,
la separazione, il divorzio. Io scelsi di stare con papà,
con la speranza che un giorno le cose sarebbero tornate come prima.
La vita tornò quasi normale, col ritmo normale, amici
normali.
Fino all'arrivo della nuova compagna di papà, Betty, e di
suo figlio, Johnny.
«Avrai un
fratellastro! Non è bello? Finalmente non sarai figlia
unica!»
Fulminai
Bianca
con lo sguardo e mi stropicciai gli occhi con le mani, esausta. Le
nostre chiacchierate infinite sotto le coperte erano un grande rimedio contro
l'insonnia.
«Non
lo
voglio un fratello, tantomeno un fratellastro. Dovresti sapere che
nomina di merda che ha! E oltretutto mio padre e Betty non si
sposeranno mica... ergo, lui rimane uno sconosciuto che
dormirà in
camera
mia. Maledizione.»
«Puoi
dormire qui quando vuoi, lo sai...»
Sbuffai
e mi strinsi a lei. «Lo so, lo so.»
Qualche
minuto di
silenzio e Bianca partì di nuovo alla carica: «Ma
perché deve dormire in camera tua? Non avete la camera
degli ospiti?»
«Ma
che ne so, papà ha detto così. Pare che debbano
venire anche
altre due sorelle... non ho capito granché. O meglio, non
volevo
capire. Sabato si vedrà.»
...
Non so nemmeno cosa dire.
E' la prima originale che
mi decido a pubblicare, dopo aver infestato Efp di fanfic su attori (si
nota ancora qualche residuo nel nome e nel volto del protagonista
maschile, vè? :D) e sto morendo di paura.
D'altra parte, se sento
questa gran voglia di pubblicare... beh, o adesso o mai più!
Bene. Mi ritiro nelle mie
stanze.
Anzi, mi chiudo
nell'armadio e mi mangio le mani a morsi.
A presto,
Sara.
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Capitolo 2 *** 1. Break of dawn ***
Prologue
«Iz, il tè
è pronto!»
«Arrivo!»
Trillai, mentre scendevo le scale a velocità supersonica.
Papà se ne stava appoggiato alla cucina con un giornale in
una
mano e una tazza di caffè nell'altra. Gli occhiali da vista
pendevano un po' a sinistra, sul suo naso grosso, ma lui sembrava non
accorgersene.
«Per caso
l'hai anche zuccherato?» Chiesi, avvicinando la tazza alle
labbra.
«Sì, ma
attenta, è boll...»
«AAAH!»
Trattenni una miriade di imprecazioni decisamente poco ortodosse e mi
portai una mano alla bocca. Papà mi porse un bicchiere
d'acqua
che afferrai piagnucolando.
«Te
l'avevo detto.» Doveva avere sempre l'ultima parola, anche
quando
sua figlia si era appena carbonizzata le papille gustative.
Emisi un suono simile a un grugnito e addentai un muffin.
«Dove stai andando? Non
mangi?»
Come voleva che mangiassi, con mezza lingua fuori uso? Guardai
l'orologio: era tardissimo!
«No,
papà, devo correre... oggi ho la prova d'esame!»
Gli
schioccai un bacio sulla guancia e agguantai la borsa.
«Aspetta,
ti può accompagnare Johnny.»
«Chi?»
Mi
bloccai sulla porta di casa, che si aprì e rivelò
un viso
semisconosciuto. L'avevo visto in una foto di qualche anno prima, ma il
ragazzo era cresciuto parecchio. Dietro di lui, Betty mi
salutò con la mano, mentre
cercava di trascinare con sé una valigia enorme.
Dio,
non credevo arrivassero così presto.
«Cara
entra,
entra.» Papà le corse subito incontro
scodinzolando. Si
baciarono per un nanosecondo e lui cincischiò qualcosa,
indicandomi. A vederli così affiatati mi si
attorcigliò
lo stomaco.
«Johnny,
caro, potresti accompagnare Izzie a scuola?» Fece Betty,
sbattendo gli occhioni carichi di rimmel.
Johnny
mi guardò dall'alto in basso e fece una specie di cenno
affermativo. Non si era nemmeno presentato. Che idiota.
«Ma
guarda,
non fa niente, posso andare benissimo a piedi... arrivo alla fermata
dell'autobus, è proprio lì, guar-» Non
feci in tempo a
finire la frase che il suddetto autobus mi sfrecciò davanti
lasciandomi basita col dito puntato di fronte a me.
Johnny
fece una risatina stupida e si avviò verso l'auto.
«Andiamo va.»
«"Andiamo va" lo dici
al tuo cane.» Borbottai tra me, mentre lo seguivo controvoglia.
Salii in auto
sbuffando come un treno, già stanca di quella orrenda
giornata.
Va bene, forse si
comporterà così perché l'ennesimo
trasloco è stato traumatico, poi la separazione, un nuovo
patrigno... no. No, non aveva giustificazioni. Anch'io
stavo per accogliere una matrigna e un intruso nella mia vita e nella
mia stanza, e non mi comportavo come se avessi le emorroidi! Ohhh...
Sfregai la lingua
che ancora doleva per la scottatura contro il palato, cercando di
alleviare la sensazione di indolenzimento.
Se il buongiorno si vede dal
mattino...
«Visto che
ti
sto facendo un piacere potresti anche smetterla di sbuffare.»
Sbottò irritato il signorino accanto a me, scuotendo la
testa sprezzante.
«Nessuno
ti ha obbligato. Ti sto mica puntando una pistola
contro la tempia?» Alzai le mani scuotendole a mo' di presa
in giro.
Poi tornai ad appoggiarmi al sedile, a braccia conserte.
«Che
razza di scostumata.» Fu un soffio ma lo sentii ugualmente. Bene, se prima volevo dare una
possibilità a te e alla tua stupida madre, ora te la sei
giocata completamente.
«Scostumata
io? E tu, che non ti sei nemmeno presentato? Piombi in
casa mia come se niente fosse, ti lamenti perché mi stai
offrendo un semplice passaggio e sono io la scostumata?»
Oggi ho la prova di
matematica. Devo restare calma. Mi massaggiai le tempie,
prevedendo il grande mal di testa che non mi avrebbe risparmiato se mi
fossi alterata ancora.
Johnny
non rispose.
«Gira
a sinistra alla prossima.» La mia voce quasi
rimbombò nell'abitacolo silenzioso. Finalmente arrivammo a
destinazione.
Recuperai
borsa e giacca e aprii lo sportello dell'auto. Indugiai per un istante
soltanto, indecisa se salutare o meno.
Ma
ero una scostumata, giusto?
Al
diavolo.
Bianca mi accolse con un sorriso, liberando il posto accanto a
sé. «Dio santo, ce l'hai fatta. Sei venuta a
piedi?»
Magari.
«Lasciamo stare.»
Non
riuscii a dire nient'altro, perché la professoressa mi
zittì e iniziò a distribuire i compiti.
Alla
fine della quarta ora avevo consegnato i miei due fogli a quadretti,
fitti di numeri e lettere, soddisfatta di me stessa.
Il
mal di testa non mi aveva risparmiato alla fine, ma almeno potevo
andarmene a casa.
Ignorai
il dolore pulsante e salutai Bianca con un bacio.
Feci uno squillo a papà e un minuto dopo lui mi
richiamò.
«Hai già finito? Oh, d'accordo. Ora ti mando
Johnny.»
«No,
papà, no! Non...» Guardai il telefonino incredula.
Aveva riattaccato.
«Ohhh,
Gesù.» Uscii dalla scuola e mi sedetti su
uno
dei muretti che la circondavano. Mi presi la testa tra le mani,
cercando di muovermi il meno possibile per evitare di moltiplicare le
ondate di dolore che mi trafiggevano il cranio.
Pensai alla prova, doveva essere andata bene per forza. Le derivate mi
piacevano, dopotutto... qualche dubbio sui flessi ma insomma, almeno un
tredici avrei dovuto strapparlo.
Il giorno dopo non avevo nessuna interrogazione, constatai
con un sospiro di sollievo. Potevo riposarmi e magari farmi la
manicure. Un ottimo programma, soprattutto perché avrei
evitato i nuovi arrivati...
«Ehi, ragazzina.» Una mano mi si posò
sulla spalla, facendomi sussultare dallo spavento.
Mi
ci volle qualche secondo per mettere a fuoco il viso di Johnny. Era
già arrivato? Quanto tempo era passato?
«Muoviti,
devo passare da un mio amico.» Lo guardai incredula e ancora
un po' intontita.
«Allora
vai e torna a prendermi. Non farmi spostare più del
necessario.» Riportai la testa al suo posto, tra le mie mani
fredde.
«Non
ho benzina da sprecare. Sal abita sulla strada di casa, di certo non
faccio il tragitto due volte.»
E va bene. Mi alzo, brutto
idiota insensibile e menefreghista.
«Potevi passarci prima di venire qui, no? Fallo funzionare il
cervello, non costa niente quello.» Sputai acida, mentre ci
dirigevamo in macchina. Il dolore mi aveva sempre fatto un brutto
effetto.
«Mi
ha chiamato mentre stavo parcheggiando, Einstein. E fatti una
camomilla, sei una vipera oggi.» Sbattè lo
sportello e io
imprecai, il rumore di certo non aiutava. «E forse non solo
oggi.» Aggiunse, tra sé.
«Senti,
stronzo, vedi di stare un po' zitto che la tua voce mi irrita. Ho mal
di testa, lasciami in pace.»
Inspirai
lentamente ed espirai altrettanto lentamente, come a voler
scacciare la negatività e la voglia di picchiare
quell'animale.
La sosta da "Sal"
fu più lunga del previsto. Sentivo i ragazzi
ridere, scherzare e bere. Il rumore delle bottiglie che
urtavano tra loro mi rimbombava nella testa e avrei tanto voluto un
fucile per abbatterli tutti e quattro, o quanti ne erano. Uno dei
ragazzi si
avvicinò all'auto e battè due volte la mano sul
finestrino, dicendo qualcosa che non capii bene.
Aprii
gli occhi e
lo guardai implorante. Volevo solo essere lasciata in pace, volevo solo
tornarmene a casa e prendere un analgesico.
«Perché non scendi, piccola?» Lo vidi
ridere e chiamare
un altro membro dei Fantastici
Quattro. Quest'ultimo stava per
raggiungere l'auto, ma Johnny lo fermò prendendolo per un
braccio.
«Lasciatela
stare, è la mia nuova sorellastra.» Disse
qualcos'altro che non riuscii a capire, suscitando altre risa. Poi
bevve un ultimo sorso di birra
e salutò il ragazzo seduto accanto a lui, probabilmente il
Sal
di cui parlava. Tornò in auto e finalmente ripartimmo.
«Scusali...
sono degli idioti.» Ah, certo. Scusali. Lui era l'eroe,
lui era il cavaliere senza macchia e senza paura. E senza cervello,
quello era sicuro.
«Non l'avevo notato, guarda.»
Lui
espirò irritato, innestando la marcia. Non parlò
più.
Quando
spense l'auto, una volta giunti a casa, aprii la portiera e mi alzai di
scatto,
pronta a chiudermi nella mia stanza e non uscirne mai più.
Arrivati
alla porta Johnny suonò il campanello e io fui colta da
un lieve capogiro. Sentii di stare per cadere ma non riuscii ad
aggrapparmi alla porta. Allungai la mano di riflesso e Johnny la prese,
riportandomi in posizione verticale. Lo guardai per un momento e poi
ritirai la mano, un attimo prima che Betty aprisse la porta.
«Oh,
eccovi! Venite, venite, si mangia.»
Io feci una via diretta per le scale e mi rifugiai in camera,
buttandomi a peso morto sul letto. Nascosi la testa sotto il cuscino,
pronta ad addormentarmi, se ci fossi riuscita.
Nemmeno
due minuti dopo, sentii i passi pesanti di mio padre per il corridoio.
Entrò in camera senza bussare.
«Isabel,
per l'amor del cielo! È il primo pranzo in famiglia, ma che
hai in testa?»
«Un
martello pneumatico.» Biascicai, con la testa ancora sepolta
sotto il cuscino.
«Ohhh,
non ci posso credere!» E se ne andò
così com'era venuto.
Tre
minuti dopo, toc toc.
«Izzie
cara? Johnny mi ha detto che hai mal di testa. Posso farti una
camomilla? Non vuoi mangiare qualcosa? Non vuoi...»
«No,
grazie.» Faceva già la mammina premurosa. Avevo diciotto anni,
mica cinque.
Non
che ce l'avessi così tanto con lei, in fin dei conti. Non la
conoscevo bene ma mi sembrava una brava persona; che volesse prendere
il posto di mia madre però, mai.
«Ma
davvero, una camomilla può farti stare meglio...»
«Mmh...»
Mi
limitai a mugugnare qualcosa invece di risponderle di malo modo.
Sospirai sollevata quando sentii la porta chiudersi. E, finalmente, il
silenzio.
«Ragazzina.»
Chi?
Cosa?
Aprii
gli occhi
lentamente, scollando le palpebre una alla volta. Alzai appena il
cuscino e intravidi un paio di jeans e due scarponi neri.
Dio,
ma proprio non capivano la frase 'lasciatemi in pace'? Stavo quasi per
prendere sonno...
«Che
c'è?»
«Risparmiami
la tua acidità, mi hanno mandato loro.»
Ribadì
ancora il suo evidente disinteresse nei miei confronti. Grazie tante.
«Non scendo,
se non l'avessero ancora capito.»
Lui
non rispose. Passò qualche secondo e sentii una cosa
bollente premermi sul braccio.
«Ahia!
Ma sei
impazzito?!» Mi misi a sedere e scoprii che l'avevano mandato
a
portarmi la famosa camomilla. Mi massaggiai il braccio scottato
guardandolo
torva.
«Uh,
scotta?»
Domandò, con fare ingenuo. Gli tirai un calcio sulla gamba e
lui
fece finta di versarmi addosso la camomilla.
Sbiancai
per un momento, credendo che l'avrebbe fatto davvero.
«Grazie,
ora te ne puoi anche andare.» Presi il bicchiere bollente e
lo posai sul comodino.
Sarebbe stato l'inizio di una lunga ed estenuante ma soprattutto continua lotta
quotidiana? Speravo proprio di no.
Non potete
capire quanto sia felice. Grazie dell'accoglienza meravigliosa...
Spero davvero di non
deludervi.
Beh, insomma. Torno nel
mio angolino a mangiarmi le unghie!
Un abbraccio,
Sara.
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Capitolo 3 *** 2. Fighting ***
Prologue
Mi svegliai alle otto e mezzo di sera, tutta intontita.
Avevo
bevuto la camomilla e mi aveva dato un po' di sollievo, poi ero
crollata.
«Almeno
il
mal di testa è passato.» Commentai ad alta voce,
mettendomi a
sedere. Allungai una mano per accendere la luce del comodino quando una
voce mi fece gelare sul posto.
«Menomale.»
«Oddio,
Johnny! Mi hai spaventato a morte!» Gridai col cuore in
gola.
«Come
sei sensibile...» Accesi la luce e vidi che era sdraiato sul
suo letto col braccio sugli occhi.
«Ma
perché devi dormire qui? C'è una stanza vuota, lo
sai?»
«Quella
stanza non ha la tv.» Disse senza togliere il braccio dal
viso. Presi un cuscino e glielo tirai in faccia.
«Te
la
compri, una tv.» Ricevuta la cuscinata davvero poco delicata,
si
alzò e mi fronteggiò.
«Esiste
la privacy, sai? Forse
dove sei cresciuto tu vivevate tutti insieme in una tenda strappata, ma
qui no!» Continuai, tagliente.
«Sai
quanto
me ne sbatto della tua privacy? Io sarò cresciuto in una
tenda
ma almeno non sono viziato e scostumato come te!»
Quelle
poche frasi erano bastate per farmelo detestare con tutta me stessa. Mi
sentivo come se mi avessero schiaffeggiata.
Punta
nell'orgoglio, me ne andai in bagno sbattendo la porta. Ne uscii qualche
minuto più tardi per andare a chiamare Bianca.
«Ti
ha detto davvero così?! No, non ci credo!» Fu il
suo commento
sconvolto quando le raccontai la nostra conversazione di poco prima.
«Credici.»
Non sapevo cosa dire. La situazione si spiegava da sola.
«Beh,
potreste... convivere pacificamente senza dirvi nulla. Lo fanno anche i
fratelli di sangue...» Suggerì lei, cauta.
«Come
no. Mio padre mi farà una predica al giorno, se non lo
tratto bene.»
«Allora
non ti resta che fingere, amica mia.»
Non mi resta che piangere,
vorrai dire.
«Ragazzi!
A tavola!» La voce squillante di Betty
chiamò a raccolta l'allegra famigliola che in breve fu
riunita
davanti a un piatto di arrosto fumante. Io, ovviamente, finii
di fronte a Johnny.
«Izzie,
come va la testa? Spero meglio.» Domandò premurosa
la madre di quell'essere ignobile. Le sorrisi e mi costrinsi a
rispondere.
«Va
molto meglio, grazie. Merito anche della camomilla,
sicuramente.» Papà mi guardò
compiaciuto. Per lui era davvero importante quella donna, e avrebbe
fatto di tutto per tenersela stretta, anche sacrificare sua figlia.
Beh, sacrificare forse non è il termine appropriato, ma
insomma...
«Oh,
mi fa piacere. La camomilla funziona sempre anche con me.»
Tagliò l'arrosto e mi diede la mia porzione. Mi strinse la
spalla affettuosamente e sorrise mormorando un complimento che non
sentii, persa nelle mie congetture mentali.
Come
aveva fatto quella donna oggettivamente gentile e garbata a partorire
quel rifiuto umano? Come?
Forse
aveva preso dal padre. Sì, il padre doveva essere un
cinghiale.
«Se
ne volete ancora ce n'è per tutti.» Aiutai Betty a
servire l'insalata. Non mi sembrava giusto starmene con le mani in
mano, specialmente perché non avevo intenzione di lavare i
piatti.
«A
me
no.» Disse Johnny quando arrivò il suo turno.
Annuii e
passai a papà, ma Betty me lo impedì, riprendendo
suo
figlio.
«Come
no? Mangiala, Johnny, è buona e ti fa bene.»
Tornai
con le pinze di plastica sul piatto di Johnny, che rifiutò
ancora, guardandomi storto.
«Ho
detto di no, sei sorda?» Disse rivolto a me.
Rimasi
a fissarlo, indecisa se sorvolare o infilzargli le pinze nel naso.
Guardai
mio padre e Betty, con un'espressione che parlava da sola: Ma lo vedete? No, dico, lo
vedete? Poi dite che sono io!
Nessuno
e dico nessuno
proferì parola per prendere le mie difese. Così
servii
papà e Betty e mangiai in silenzio. Johnny ticchettava la
forchetta sul tavolo, mettendo a dura prova i miei nervi. Infilzavo le
foglie di insalata immaginandovi la sua faccia, e le masticavo con
altrettanta veemenza.
Poi
ripensai alle parole di Bianca.
Io
ero una brava ragazza. Avrei fatto la brava ragazza. Niente parolacce,
niente risposte acide, niente di niente.
Almeno ci provo. Poi, nel caso,
ci sono sempre le pinze per l'insalata.
«Papà,
posso parlarti un momento?» Johnny era uscito con degli amici
e Betty stava lavando le stoviglie.
Mi
avvicinai al divano e mi sedetti accanto a mio padre.
«Papà...
perché deve dormire in camera mia? Voglio dire, non hai
paura
che mi veda nuda o cose del genere? O che provi a violentarmi mentre
dormo? No?»
Papà
rise e mi guardò come se fossi stupida. «Iz, siete
fratello e sorella.»
«Fratellastro
e sorellastra.
E voi non siete nemmeno sposati. Quello può fare
quel che gli pare.» Provai a farlo ragionare.
«Io
mi fido di lui.»
Okay,
solo io
avevo un padre così. Solo io. Dov'erano finiti i genitori
apprensivi e opprimenti che non ti lasciavano sola nemmeno col tuo
migliore amico?
Erano finiti con l'aver resettato il cervello, dalla
modalità "papà" alla modalità
"compagno perfetto". In realtà anch'io sapevo che Johnny non
avrebbe mai osato toccarmi... ma insomma, non esisteva anche la
violenza psicologica? Nessuno pensava alla mia povera psiche?
«C'è
qualche problema?» Betty si impicciò subito. E
papà
ovviamente non riusciva a tenersi un cecio in bocca nemmeno a spararlo.
«Izzie
non vuole dormire con Johnny.» Beh, se non altro non aveva
detto "Izzie ha
paura che Johnny la violenti".
«Oh,
ma non preoccuparti! Johnny è tranquillo... non russa
nemmeno!» E
certo, è suo figlio, non potrebbe mai essere sgarbato!
«Sì,
ma...» Provai a protestare.
«Sai,
non ha ancora superato del tutto la paura del buio. Non ha mai dormito
da solo.»
La
notizia mi fece illuminare d'immenso. Johnny aveva paura del buio?
Hahahahahahahaha.
«E
ha anche paura dei clown.» Rise la madre, in vena di
confidenze.
«Allora
se mi travestissi da clown e lo attaccassi di notte gli verrebbe un
infarto?» Domandai, serafica.
Betty
e papà mi guardarono storto. «Stavo
scherzando!» Ridacchiai e me ne andai in camera.
Avevo preso sonno. Sì, nonostante avessi dormito
più di
sette ore la stanchezza non mi aveva abbandonato ed ero riuscita a
prendere sonno. L'ultima occhiata alla sveglia impresse nella mia mente
i due zeri che segnavano l'inizio del nuovo giorno.
Ma non poteva mica andare tutto liscio.
Stavo sognando di Michael Jackson che mi invitava a ballare. Eravamo al
centro della pista, illuminata da una debole luce blu, tutte
le ragazze mi guardavano invidiose e lui stava per baciarmi, stava
proprio per baciarmi quando la porta del locale sbattè
facendo
sussultare tutti dallo spavento. Cercai di riacchiappare Michael che
si era distratto, ma ecco che un'altra porta si chiuse bruscamente, e
un'altra ancora, e una luce forte ci accecò tutti...
«Che ci fai ancora sveglia, ragazzina?»
Mi coprii gli occhi con le mani, tentando di afferrare l'ultimo ricordo
di quel sogno meraviglioso. Johnny aveva acceso la luce e stava
cercando qualcosa nei mobili della stanza, sbattendo le ante come se
niente fosse. Quando gli occhi si abituarono alla luce gialla, ne aprii
uno per guardare la sveglia, che segnava l'una meno venti.
«MASEIUNIMBECILLEOCOSA?!» Saltai giù dal
letto
furiosa come una belva. Lo raggiunsi e gli diedi uno spintone sul
petto, facendolo indietreggiare di qualche centimetro.
Lui alzò le mani e provò forse a fare lo stesso,
ma lo fermai
minacciandolo di urlare. «Non mi toccare, animale!»
Non gli diedi il tempo di rispondere, partii in quarta e se avessi
potuto avrei sputato veleno su quella faccia da schiaffi.
«Ma sei proprio un cretino, eh?! Arrivi a l'una di notte,
accendi
la luce, fai un casino assurdo... ma dove stai, allo zoo? Ti ricordo
che non vivi da solo, anche se dovresti, essere inutile e indegno, e
per quanto tu possa fregartene degli altri esiste una cosa che si
chiama rispetto, e non mi interessa se non sai cosa significa,
vorrà dire che lo imparerai, altrimenti col CAVOLO che ci
dormi
nella mia camera, hai capito brutto infame asociale?!»
Terminai il mio sermone e nel deglutire sentii un forte bruciore alla
gola: avevo parlato a voce ragionevolmente bassa per non fare troppo
rumore ma ci avevo messo la stessa foga con la quale avrei altrimenti
urlato.
Avevo il fiatone e la testa che girava. Mi ero alzata di scatto ed ero
ancora mezza intontita per il sonno.
Ci guardammo in cagnesco per parecchi minuti. Fortunatamente la camera
di papà era dal lato opposto della casa, dovevamo fare
proprio
un gran chiasso per riuscire a svegliarli.
Fondamentalmente Johnny non aveva dato fastidio a nessuno. Solo a me.
Alzai le sopracciglia per invitarlo a rispondere ma lui si
girò e continuò ad aprire gli armadi.
«Mi potresti gentilmente dire che s-»
«Mi potresti gentilmente dire dove cazzo è il mio
pigiama
in mezzo a questa spazzatura e potresti altrettanto gentilmente stare
un po' zitta? Mi fa
male la testa, lasciami in pace.» Mi fece il
verso, accompagnando il tutto con una smorfia arrogante.
Risi.
Sì, perché non potevo fare altrimenti. Cedetti a
una
risata isterica e mi affacciai nell'ultimo mobile che lui aveva aperto.
Tirai fuori il suo pigiama e chiusi l'anta in fretta, sperando di
chiudergli le dita dentro. Purtroppo lui fu più rapido di me.
Gli tirai il pigiama in faccia. «Spazzatura ci chiami la tua di roba,
stronzo.» Mi morsi la lingua. Niente parolacce. Niente
parolacce.
«Come no. I vestiti di mia nonna sono più alla
moda.» Non raccolsi la provocazione e tornai al mio letto.
«Vatti a lavare che puzzi come uno scaricatore di
porto.»
Simulai un conato di vomito. Lui mi ignorò totalmente e se
ne
andò in bagno sbattendo la porta.
Non era nemmeno capace di spegnere la luce. Pure la
coda aveva, pure la coda!
Strinsi i pugni e mi buttai col viso nel cuscino, per soffocare l'urlo
che non riuscii a trattenere.
Lo scrosciare dell'acqua della doccia mi fece calmare un po', e ripresi
a respirare a un ritmo lento e regolare. Sperai che almeno,
riaddormentandomi, sarei riuscita a continuare il sogno interrotto.
Di sicuro avrei iniziato a praticare la boxe, pensai, se le cose non
fossero cambiate. Almeno per sfogarmi, e che cavolo.
«Billie Jean
is not my lover... she's just a girl... mh-mh I am the one...»
Johnny canticchiava le parole della canzone di Michael, cercando di
imitare il suo tono di voce. Non
ci arrivi nemmeno lontanamente, ciccio!
Sentii il suono dell'interruttore che veniva spento e un secondo dopo
Mister Simpatia fece la sua comparsa in camera.
Accese la luce e io imprecai silenziosamente. «Non ce la fai
proprio a non dare fastidio, eh?»
«No.» Rispose semplicemente. Alzai lo sguardo e
quasi mi caddero le braccia.
«Tutto quel casino per un pigiama e alla fine dormi in
mutande?! Oh, Dio, dammi la pazienza...»
Lui trattenne a stento una risata, guardandosi i boxer e la canottiera
bianca, e rimise a posto il pigiama. Almeno quello.
Notai che non si era asciugato i capelli. Li portava piuttosto lunghi,
gli sarebbe venuto un raffreddore, come minimo.
«Non ti sembra un po' esagerato andare a dormire mezzo nudo e
coi capelli bagnati?»
Lui sbuffò mentre si sistemava sotto le lenzuola.
«Ma non ti spegni mai?»
Spalancai la bocca, indignata. Gli volevo fare un favore e
risparmiargli un malanno, e lui... ma
vai a cogliere, Johnny, vai!
«La luce.» Gracchiai, sospirando.
Per la prima volta mi ascoltò senza dire nulla. Non che gli
costasse chissà che. Aveva allungato il braccio di una
decina di
centimetri oltre il letto e l'aveva spenta.
«Hai altro da dire? Posso dormire?»
POSSO DORMIRE? Tu mi hai
tenuta sveglia fino alle due di notte, o quasi, e mi chiedi se PUOI
DORMIRE?
Dio onnipotente,
davvero, io non vorrei ucciderlo, ma...
«Dormi. E muori nel sonno, possibilmente.»
Borbottai. Poi
sorrisi e ripresi a parlare: «Se il buio ti fa troppa paura
posso
tenerti la mano.» Cercai di trattenere una risata ma degli
sbuffi
mi tradirono.
Lui mi mandò all'altro paese - non nel modo fine in cui lo
facevo io, ovviamente - e si girò dal lato opposto, dandomi
la
schiena.
«Notte.» Biascicai, ancora ridendo.
Finalmente un po' di pace.
Bene. Salve!
Come state? Io sono in piena crisi, le vacanze stanno per finire e mi
aspetta un mese di torture prima dell'esame. Spero di riuscire ad
anticiparmi con la scrittura...
Il capitolo è corto, lo so. I prossimi saranno
più lunghi, promesso.
Dunque dunque. Come si vogliono
bene, vero? Però hanno già qualcosa in comune,
anche se non se ne sono resi conto... lui, il Re del Pop! La storia
è ambientata nel duemilanove, anno della sua morte. E' una
specie di tributo, a modo mio.
Voi avete fratelli o sorelle che non sopportate?
Un abbraccio,
Sara.
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Capitolo 4 *** 3. What if? ***
Prologue
«No, papà, posso prendere l'autobus,
davvero.» Ma
cosa credeva, che Johnny mi avrebbe fatto da chauffeur a vita?
Che poi, figuriamoci,
uno come lui avrebbe potuto fare da chauffeur solo sull'auto dei
Flintstones.
«Ma cosa
dici, Johnny è più che felice di
accompagnarti! Tanto inizi a lavorare alle nove, vero Johnny? La scuola
è di strada...» Dovevo avvertire papà
di non essere
così smielato e paterno
con lui. Secondo me Johnny stava sviluppando con mio padre lo stesso
tipo di simpatia che provavo io nei suoi confronti. Quindi, prima o poi
l'avrebbe ucciso.
Mi passai una mano
sugli occhi, stanca di dover iniziare la giornata
combattendo con papà e le sue geniali idee. Betty
incoraggiò il figlio con uno sguardo eloquente e un sorriso
della serie "fallo subito e fallo anche volentieri altrimenti faccio
brutta figura" e lui si decise ad
alzarsi.
«Certo,
Graham, certo.» Pronunciò il nome di
papà come se avesse un palo nel culo. E come se quel palo
fosse
papà.
Mi avviai per prima
verso la macchina, lasciando ciondolare la borsa
contro le mie gambe. Johnny schiacciò il tasto
dell'antifurto,
si avvicinò alla sua portiera, assottigliò lo
sguardo
rivolto a un punto non precisato della carrozzeria e
strofinò
due volte col dito. Cos'era, un microscopico granello di polvere?
L'auto brillava.
Entrò
sbuffando nell'abitacolo, probabilmente afflitto dall'idea
che la sua impronta digitale giacesse appiccicata alla carrozzeria.
«Cazzo, ho
dimenticato le sigarette. Aspetta qui.» Johnny scese
dall'auto e si diresse a passo svelto in casa.
«E dove
posso mai aspettare, idiota?» Dissi, al sedile vuoto.
Quando uscì
da casa sbattendo la porta - come al solito - fece due
passi
e si fermò per accenderne una, col tipico gesto di coprirla
con
la mano; poi riprese a camminare con disinvoltura. Prese posto in auto,
lanciò il pacchetto sul cruscotto e mise in moto. Odiavo
dover fare il
grillo parlante, ma la sua non era una guida da definire sicura, e avrebbe
almeno potuto mettere la cintura di sicurezza.
«La cintura
non sta lì per bellezza, sai?» Certo, di
tutti i modi in cui avrei potuto dirglielo... ma cosa potevo farci, le
pensavo
in un modo e mi uscivano in un altro!
Johnny
sbuffò e mi rivolse uno sguardo che parlava da solo, e mi
intimava di stare zitta.
«Scusa
tanto, Jack.»
Mi morsi la lingua dopo aver pronunciato quel nome, ma non avevo
resistito.
Avevo scoperto che
lavorava come venditore telefonico di inserzioni pubblicitarie, e usava
il nome di uno dei protagonisti di Lost,
Jack Shephard. L'avrei sfottuto a vita.
Per tutta risposta lui
accelerò, esprimendo la sua voglia di avermi fuori dall'auto
il più presto possibile.
«Scendi.»
Disse, ancora prima di fermarsi nel parcheggio della scuola.
«Non
è che possa fare altrimenti, né che
voglia.» Risposi a tono.
Un gruppo di ragazze
si fermò a guardare la scena, cincischiando. La Volvo C30
rosso fuoco non passava inosservata, né tantomeno il suo
proprietario. Johnny era il tipo di ragazzo che piaceva a tutte. Certo,
esteriormente non era da buttare, ma il suo carattere l'aveva reso
odioso ai miei occhi. E lo conoscevo soltanto da un giorno. Fatevi un
po' i conti.
Bianca mi si
avvicinò da dietro, attentando alla mia già
precaria salute mentale.
«Quello è
il tuo
fratellastro?» Mi voltai e sospirai amareggiata scoprendo sul
suo
viso la stessa espressione sognante delle altre ragazze.
«No, ti
prego. Bianca, almeno tu salvati.» Non mi serviva
un'amica di parte. Specialmente quando la parte non era la mia.
«Ma... ma...
l'hai visto?» Sbattè gli occhioni luccicanti con
un'espressione ebete.
«Certo che
l'ho visto. L'ho visto perfino in mutande, se ti
interessa. Il punto è un altro, ricordi?» Cercai
di
riportare la conversazione sul filo del giorno precedente.
«Sì,
giusto.» Annuì, poco convinta. «Che hai
detto? L'hai visto in mutande?!» Ecco, ci risiamo.
«Okay. Hai
ragione. La bella faccia non compensa il carattere di
merda.» Concluse Bianca, dopo aver ascoltato gli
aggiornamenti
relativi alla notte appena trascorsa.
«Deo
Gratias.» Era tornata in sé.
«Però
è carino. Cioè, non puoi non
ammetterlo.» No, niente, non poteva non pensarci. Beh, da un
lato
potevo capire.
«E chi l'ha
mai negato?» Johnny era bello, fin troppo bello...
«E che ne
so, da come lo descrivevi me l'ero immaginato brutto,
grasso e peloso, oltre che antipatico.» Mamma mia, un
abominio! E
chi ci avrebbe mai dormito nella stessa stanza?
«Perché
non te l'ho mai descritto fisicamente. Mi soffermo
a guardare il carattere, io.» Puntualizzai, fiera della mia
razionalità. Mica come le altre, con un neurone in testa e
tre
miliardi di ormoni scorazzanti.
«E sbagli.
Anche l'occhio vuole la sua parte.» Insisteva.
«Purtroppo
ho anche un cervello oltre agli occhi. Mi spiace per voi che non ce
l'avete.»
«Io ce l'ho il
cervello. Solo che a volte si scollega. È il cavo che
è difettoso.»
Alzai gli occhi al
cielo con un sorriso. Menomale che c'era lei.
«Non mi uccidere, okay?
Però, mi domandavo...» Assunse l'espressione da
cucciolo smarrito che funzionava con tutti.
«No.»
Risposi, a priori.
«Ma non sai nemmeno
cosa voglio dirti!»
«La vita è
ingiusta, vero?»
«Dai, fai poco la
bastarda. E promettimi che una mattina mi date un passaggio a scuola.
Dai, dai, dai.»
Mi portai le mani in
viso, scuotendo la testa.
«Gesù.»
«Non sento ragioni. O
questo o mi fai dormire a casa tua.»
«COSA?! Aspetta, ti
aggiusto il cavo.» Le diedi una botta in testa e lei rise.
Ma insomma. Possibile
che le persone fossero così superficiali?
E possibile che proprio a me dovesse capitare il fratellastro bastardo
e rompiballe, antipatico e irritante?
«Oh, oh, c'è Kevin!»
Bianca mi infilò un gomito nello sterno per attirare la mia
attenzione, e io mi voltai nella direzione in cui stava guardando.
Kevin Stultz, in tutta la sua bellezza e magnificenza, fece la sua
apparizione in corridoio, camminando come un divo del cinema. Il solito
corteo di ammiratrici lo seguiva da vicino, sculettando due passi dopo
i suoi migliori amici che non lo mollavano un secondo. Sospirai, quando
mi passò accanto. Mi piaceva da tempi immemori.
Ecco, lui era l'unico per cui i miei ormoni avessero mai ballato la
rumba, ignorando i neuroni che si impiccavano per quanto fosse
cerebralmente insignificante. Purtroppo la carne è carne, e
insomma, mi faceva sempre un certo effetto.
«Quando passa lui il
tuo cavo brucia per autocombustione.» Mi prese in giro
Bianca, e a ragione.
Cosa potevo farci,
l'ho già detto che la carne è carne?
«Andiamo, dai. Ti
ricordo che devi essere interrogata, stamattina.»
«E'
il professor Smith. Il nove è assicurato...»
Dissi, tranquilla. Edward
e io avevamo un rapporto bellissimo. Ci sentivamo qualche volta via
e-mail, dove potevo dargli del tu, lontano da occhi indiscreti e
malpensanti quali erano quelli dei miei compagni di classe. Non ero
sempre andata bene nella sua materia, ma era riuscito a farmela amare
dopo diversi tentativi, e da tre anni a quella parte i miei voti
spiccavano il volo. Poi, a metà del quinto anno, gli mandai
una mail
per chiedergli una cosa su un'attività extrascolastica, e
così iniziò
la nostra "corrispondenza". Nulla di clandestino, di illecito, nessun
favoritismo, ma solo tanto rispetto reciproco e voglia di migliorare,
da entrambe le parti.
«Perché,
a proposito, non metti una buona parola per il mio compito della
settimana scorsa? Mi sa che è andato malino... e tu dovevi
per forza
assentarti, vero? Ciclo di merda.»
Tra queste ed altre
congetture e
varie disquisizioni sull'apparato genitale femminile, entriamo in
classe, pronte ad afffrontare una nuova giornata.
Al
suono dell'ultima campanella tirai un sospiro di sollievo. Salutai
Bianca, promettendole che sarei passata a prenderla con Johnny, un
giorno o l'altro.
«Fai
la brava. E se ti tratta male digli che se la dovrà vedere
con
me.» Gonfiò il petto e alzò la testa,
spavalda.
Le diedi una spinta sul braccio. «Seh, lo so io come gliela
fai vedere...»
«I tuoi doppi sensi
sono unici.»
«Ciao,
Bianca.»
«Ciao,
Bernie.»
Mi incamminai come un
altro centinaio di ragazzi sulla fermata
dell'autobus, pronta ad affrontare i soliti venticinque minuti di
solitudine, in attesa della linea delle due e un quarto.
Ma papà mi
voleva male, molto male.
Due
colpi di clacson attirarono la mia attenzione. Mi ci volle qualche
secondo per realizzare che una Volvo si era accostata una decina di
metri
dopo la fermata e l'aveva fatto per me.
«Perfetto,
ci manca solo che me lo fanno portare anche a scuola e stiamo a
posto.» Commentai tra me e me, scuotendo la testa.
L'abitudine di
parlare da sola risaliva a... beh, praticamente sempre. Salii in
macchina e ripartimmo a tutta velocità. Misi la cintura e mi
aggrappai
al sedile.
«Vai di
fretta?» Gli chiesi, un po' terrorizzata dalla lancetta del
contachilometri che impennava vistosamente.
«Ho fame.»
Il solito buzzurro
cavernicolo. Donne, cibo, birra. Donne, cibo, birra. Monotono e
inevitabile come il ciclo dell'acqua.
Ma almeno il ciclo
dell'acqua serve a qualcosa; lui che senso aveva
sulla faccia della terra? Quelli erano i veri misteri della vita, altro
che alieni e dinosauri.
***
Johnny divenne
davvero il mio chauffeur. Non fu più necessario che mio
padre o
sua madre gli chiedessero di accompagnarmi. Avevamo più o
meno
gli stessi orari - o al massimo io aspettavo lui quando dopo le nottate
di sesso, droga e rock
'n roll si svegliava più tardi - e uscivamo
insieme.
A vedermi tutti i
giorni con Johnny, le ragazze si fecero un'idea
sbagliata di noi. Ovviamente, se c'è da scegliere tra due
ipotesi, si sceglie sempre quella peggiore. Dovetti spiegare alle
più insistenti che era semplicemente mio fratello e in
breve la voce che non ero la ragazza di Johnny si diffuse di classe in
classe, così iniziai improvvisamente a piacere a tutte le
ochette della scuola che mi chiedevano di lui in continuazione. Come
se non bastasse l'averlo accanto tutti i giorni. Nell'unico posto in
cui non dovevo convivere con le sue maniere da rinoceronte ero
costretta anche a parlare di lui.
La cosa peggiore era
che quelle deficienti senza un briciolo di cervello si appostavano nel
parcheggio per
vederlo, quando mi accompagnava. A volte gli chiedevano di restare
un po' e lui non se lo faceva dire due volte.
«Puah.»
Commentai, un giorno, prima di scendere dall'auto,
mentre lui esibiva la posa da strafigo col gomito appoggiato allo
sportello.
«Vattene, mi
rovini la piazza.» Disse a denti stretti, senza smettere di
sorridere alle ragazze.
«È
il contrario, semmai, orco.»
Lui era troppo preso
dalle cheerleader che gli si erano avvicinate in gruppo per rispondere.
Me ne andai sbattendo la portiera. Prima
o poi se ne dovrà cadere.
Mentre meditavo sulla
grande figura di merda che prima o poi gli avrei fatto fare
con quelle ragazze, Bianca mi raggiunse dalla panchina su
cui stava aspettando e ci dirigemmo insieme in classe.
«Vi aspettavo,
stamattina.» Incalzò, cauta.
«Domani.»
Replicai, automaticamente.
«Sono
due settimane che dici 'domani'.» In
effetti. È che non sapevo
davvero come chiederlo a Johnny! Già quello mi odiava a
morte, poi io
infierivo chiedendogli di dare un passaggio a una mia amica... avrebbe
inventato un pulsante per l'espulsione del sedile del passeggero e mi
avrebbe spedito su Marte. Come minimo.
«Okay. Allora, domai.»
«Izzieee...»
Piagnucolò, come una bambina di tre anni. Datemi uno spigolo. Uno spigolo,
non chiedo altro.
«Ma
scusa, hai tuo padre così carino e così gentile,
perché vuoi rovinarti la giornata con Fred
Flintstone?»
«Perché
voglio vedere come si comporta, cosa fate, di cosa parlate...»
«Non facciamo niente,
si comporta come l'uomo di Neanderthal e se per parlare
intendi insultarci, allora sì, qualcosa da dire ce
l'abbiamo...»
«Posso difenderti!»
Provò ad arrampicarsi sugli specchi, ma ai miei occhi era
già scivolata a terra da un bel po'.
«Non puoi difendermi se
lui mi scuoierà viva solo per aver lontanamente pensato che mi
avrebbe fatto un favore, capisci?»
«Dai, non ci credo che
ti vuole così male. Secondo me ti impressioni.»
«Sì,
hai ragione. Oh mio Dio, un asino che vola!» Indicai il cielo
con
espressione ebete e lei rise. Riuscii a deviare la conversazione
parlando del compito d'inglese che avremmo affrontato quel giorno. Non
avevo mai amato la scuola quanto in quel periodo.
Beh, insomma. Almeno
così credevo.
Johnny divenne la mia
croce, in tutti i sensi. A causa sua ero
diventata semi-popolare, sicuramente più di quanto non fossi
prima;
soprattutto dopo la rissa di quel sabato mattina, che forse
cambiò un po' le cose.
«Johnny
sta spopolando.» Ormai la scuola era una tappa fissa, per
lui.
Scendevamo prima apposta, così che lui potesse restare
qualche
minuto in più a flirtare con qualunque ragazza gli capitasse
a
tiro. La cosa non andava a
genio a chi, dall'altro lato, aveva sempre
considerato la scuola come il proprio territorio personale di caccia.
Kevin, per l'appunto. Quasi quasi ci aveva pure pisciato intorno, si
può dire. Quel bellissimo cerebroleso - purtroppo ne
esistono - mi si avvicinò tutto d'un tratto, lasciando per
un
momento gli amici e il codazzo papale.
«Di' a tuo fratello che
stesse alla
larga da questo posto. Se vuole qualche ragazza adatta a lui la
può
trovare nel bordello in fondo alla strada.»
Mancava poco
perché la mia mascella rotolasse a terra con un tonfo. «Se ti senti minacciato
parla con lui, non sono mica la sua segretaria.» Cercai di
rispondere gentilmente, per quanto l'orgoglio me lo permettesse.
«Non fare la
scorbutica, lo so che mi muori
dietro dal primo anno.» Tipico.
«Sì, fino a
quando non ho scoperto che hai un quoziente intellettivo pari a quello
di una sedia a sdraio chiusa.»
«Beh,
sicuramente non arriverò mai al livello del tuo caro
fratellino.» Alzò la voce per farsi sentire dal
diretto
interessato.
«Ci puoi scommettere,
stronzo!» Urlai in risposta.
Quando lui
provò a strattonarmi mi sentii quasi prendere di peso ed
essere messa da parte.
«Che
cazzo vuoi, Big Foot?» La voce di Johnny arrivò
forte e
chiara alle mie orecchie, così come il rumore della ghiaia
sotto
le scarpe dei due che si spintonavano a vicenda.
«Porta il tuo amichetto a fare un
giro altrove, qui non ce n'è per tutti e due.»
«Hai ragione, ormai ce
n'è solo per me.» Rise beffardo Johnny.
«Vai a lavorare,
frocetto, queste sono le mie
donne.»
«Se
non te le sai tenere non è colpa mia.» Il pugno
colse tutti di
sorpresa. Kevin non era mai stato coinvolto in una rissa,
né si diceva fosse un tipo violento. Per Johnny invece era
il
contrario.
E se ne accorsero
tutti.
«Oddiosanto, oddiosanto...»
Dopo il pugno di Kevin e il gancio destro nello stomaco di
Johnny, mi buttai in mezzo a loro, e improvvisamente tutti sembrarono
rinsavire. Gli amici di Kevin lo afferrarono per le spalle e lo
trascinarono in cortile. Io presi Johnny in disparte e gli controllai
il viso. Aveva un graffio accanto al naso e il labbro gonfio.
«Ma con chi te la fai,
ragazzina?» Chiese mentre stendeva la mano indolenzita e
arrossata.
«Stai
zitto e seguimi.» Stavo facendo una cosa azzardatissima e per
cui mi avrebbero potuto richiamare, ma decisi di farla ugualmente.
Facemmo il giro dell'edificio e feci entrare Johnny dall'ingresso
secondario che portava direttamente in palestra.
«Se mi vuoi uccidere
almeno fallo in un posto decente...» Mormorò
osservando le pareti grigie e invecchiate.
«Aspetta
qui, vado a prendere il necessario.» Entrai nel bagno delle
ragazze e presi la valigetta del pronto soccorso, che tenevamo stipata
lì per ogni evenienza. Quando tornai lo vidi seduto sul
banco che i ragazzi utilizzavano a mo'
di porta da calcio, che dondolava una gamba avanti e indietro.
«Hai
intenzione di affogarmi con una garza sterile?»
Domandò
con un sorriso. Il primo, vero sorriso che mi avesse mai rivolto.
«Taci,
zotico.» Presi il ghiaccio spray e glielo spruzzai sul
labbro.
Lui emise un gemito e si allontanò di qualche centimetro.
Misi dell'acqua
ossigenata sul taglietto accanto al naso e sulla mano.
«Il
cerotto non te lo metto. L'aria è il miglior
cicatrizzante.» L'avevo letto da qualche parte e mi era
rimasto
impresso. Lui
mi lasciava fare. Se ne stava con le mani posate sulle ginocchia, un
accenno di sorriso che gli increspava le labbra e gli occhi fissi nei
miei.
«Per poco quel gorilla
non mi rovinava il naso.» Berciò, fingendosi
imbronciato.
In
effetti... Johnny aveva un naso che era tutto un programma.
Perfettamente
dritto, perfettamente squadrato, perfettamente adatto al suo
viso.
«Non sia
mai, avrebbe potuto mettere fine alla tua
carriera di Don Giovanni.»
Replicai con tono vagamente canzonatorio. Per una volta stavamo
battibeccando allegramente, con leggerezza, in quel modo che mi piaceva
tanto.
«Non
esageriamo. Ho il naso più bello del mondo ma è
solo una
delle innumerevoli doti che possiedo.» Disse, puntando il
suddetto naso per aria, in una smorfia altezzosa. Simulai un pernacchio
con le labbra, e richiusi la valigetta del pronto soccorso.
«E
la dote più grande che hai è sicuramente la
modestia,
vero?» Lui si limitò a sorridere, e scese dal
banco. Il
suono della campanella ruppe quella specie di incantesimo che si era
creato; suggerii a Johnny di sgattaiolare via il più
velocemente
possibile e per un momento restammo a guardarci esitanti.
«Stai lontana da quel
vichingo...» Ero sveglia? Johnny mi aveva fatto una
raccomandazione per il mio bene? L'aver preso le sue difese con Kevin
aveva portato i suoi buoni frutti! «...non voglio sentire
le tue lagne, se poi ti fa del male.» Va bene, come non detto.
Se ne andò senza aspettare la mia risposta, con un
sorrisetto stampato in faccia.
«Potresti
almeno ringraziarmi, eh!» Gridai, irritata. Quel ragazzo
aveva la
capacità di cambiare e farmi cambiare umore a una
velocità
spaventosa.
«Ti ho salvato la vita,
dovresti ringraziarmi tu.» Rispose tranquillo lui.
«Cosa?
Come? Ci dev'essere qualche interferenza, non ho sentito
bene.»
Lui rise e aprì la porta, pronto ad andarsene.
«Grazie,
ragazzina.»
Lo so, non
aggiorno dai secoli dei secoli (amen).
Purtroppo sono stata presa dalla scuola, l'esame, e tutto il resto. E'
andato tutto bene, ho preso il mio 100 (permettetemi di vantarmi un
pochino) e ho chiuso questo capitolo. Ora mi aspetta la vita vera!
Comunque, direte voi, la scuola è finita da un pezzo. E'
vero, putroppo l'ispirazione è una brutta stronza, mi passa
a trovare molto raramente e insomma... l'importante è essere
tornata, no?
Spero di tornare a pubblicare in modo più regolare.
Ah, dunque. Avrei creato un gruppo su Facebook, Daydreamer, what are you dreaming of?,
per tenermi in contatto con voi, per gli spoiler, per quando sparisco e
non pubblico per mesi (così potrete insultarmi XD), e tutte
le novità sulle storie che ho in mente, originali e non
(ecco che l'esercito di fan dello zio Joh mi investe con un boato).
Il gruppo è chiuso, basta chiedere l'iscrizione e
presentarvi col nick di Efp appena dentro.
Insomma, quasi tutte dovreste avere Facebook, no? Chi non ce l'ha alzi
la mano, così magari troviamo un altro modo.
Ah.
GRAZIE. Le vostre recensioni (18, ora piango *__*) mi hanno dato una
carica pazzesca.
Un abbraccione,
Sara.
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Capitolo 5 *** 4. Shit ***
Prologue
A casa, quello stesso sabato
«Cara, cosa fai
stasera? Stai ancora studiando?» Pigolò Betty
affacciandosi nella mia camera.
«No,
ho finito. Credo che andrò a fare una doccia e poi... magari
vado
a dormire, sono un po' stanca.» Che cosa pietosa. A letto
alle
nove del sabato sera. Mi facevo pena da sola. Purtroppo quella sera
Bianca aveva una cena in famiglia e non poteva muoversi da casa.
«Oh,
capisco.» Betty si ritirò con un sorriso di
circostanza.
Beh, mica poteva lamentarsi? Tutti sognano una figlia educata e docile,
una di quelle che non si ritira alle due di notte ubriaca come una
spugna. No?
Mi alzai dalla scrivania e aprii l'armadio, cercando una tuta da
mettere. No, forse avrei messo il pigiama, visto che il mio cavaliere
quella sera sarebbe stato il letto.
«Vabbè,
vedo dopo.» Presi solo le pantofole e mi diressi in bagno.
Aprii
l'acqua della doccia e preparai l'asciugamano.
«Mh-mh-mh-mh..»
Canticchiavo un motivetto a bocca chiusa, e a tempo di musica mi
sfilavo i vestiti. La maglia e i jeans finirono sulla lavatrice e
controllai la temperatura dell'acqua con le dita prima di togliere
anche la biancheria.
Magari un altro paio di
secondini per riscaldarsi ancora un po'...
«Oh, sei qui.»
La voce di Johnny per poco non mi fece cadere nella vasca dallo
spavento.
Un brivido ghiacciato mi percorse la colonna vertebrale da cima a
fondo, facendomi rizzare ogni pelo del corpo.
«Esci
subito!» Strillai, agitando le mani.
«Perché?»
Ribatté lui, facendo l'esatto opposto: entrò e
chiuse la
porta a chiave. Io dimenticavo sempre di farlo, ero abituata a essere
l'unica a usare quel bagno, perciò bastava chiudere la porta
per
avere la mia privacy.
«Perché ci
sono io in bagno, forse? Mi vedi o oltre che scemo sei pure
cieco?»
«Ti
vedo, ti vedo...» Mormorò, facendo scorrere lo
sguardo sul
mio corpo, cosa che mi provocò un'altra serie di brividi.
Nessun
ragazzo mi aveva mai vista nuda, o perlomeno svestita.
«Ma...
ma... ti sembra normale? Sto per spogliarmi, tu devi uscire
immediatamente!» Non sapevo cos'altro dire. Lui mi
ignorò
totalmente, si avvicinò al
lavandino e si specchiò. La sua espressione compiaciuta
quasi mi
fece pensare che si sarebbe fatto i complimenti da solo per lo
splendido viso. Quando ebbe finito l'esame di ogni poro,
incrociò il
mio sguardo sbigottito dal vetro. Stavo ancora aspettando una risposta.
«Ti ho vista con quel
pigiama orrendo, sai quanto mi cambia vederti nuda...»
Dovevo essere stata una serial killer nella vita precedente per essermi
meritata un fratellastro del genere. Decisi
di fare ugualmente la doccia, tanto prima o poi se ne sarebbe andato,
no? «Fai un favore all'umanità: sparati!»
Spostai la tenda sottile e colorata e la richiusi alle mie spalle.
Tolsi la biancheria con una lentezza degna di una tartaruga in fin di
vita e la appesi al gancetto che reggeva un porta oggetti. Aprimmo e chiudemmo
contemporaneamente l'acqua: io quella della doccia
e Johnny quella del lavandino. Mentre mi insaponavo, indecisa se farlo
lentamente o meno, tesi le orecchie, cercando di capire cosa diamine
stesse facendo. Alla fine glielo
chiesi.
«Sto aspettando che tu finisca per aprire la tenda e vederti
tutta nuda e bagnata. Poi deciderò se abusare di te o meno.»
Lo disse con un tono così serio che rischiai di affogarmi
con l'acqua
che mi scorreva sul viso. Allargai la tenda e cacciai la testa fuori. Stavo per domandargli
di ripetere quando vidi che stava ridendo.
«Credi davvero che
possa farlo?» Mi prese in giro.
«No, perché
non saresti così... così... cattivo.»
Balbettai, incerta.
Lui smise di passarsi la lametta sul viso e mi corresse: «Sbagliato.
Perché mi attizzi come un rapanello pallido.»
Schiusi appena le labbra dalla sorpresa, poi strinsi gli occhi. «E
tu come un iguana del Malawi!» Risposi, con una smorfia
disgustata. Ci guardammo in cagnesco per l'ultima volta e io ripresi a
docciarmi, lavando via tutto il bagnoschiuma alla vaniglia.
«Mi passi
l'asciugamano?» Gli dissi una volta ripulita per bene. «È sul
mobile accanto a te.»
Sentii i suoi passi sul pavimento e vidi l'ombra che si avvicinava alla
tenda.
«Allunga la mano e non
ti azzardare ad aprire la tenda.»
«Non ci tengo, te l'ho
detto.» Aprii la tenda quel poco che bastava per prendere
l'asciugamano e tirarlo dentro la doccia.
«Sì,
come no.» Replicai, e lui non disse nulla. L'ombra
restò
davanti alla doccia per qualche istante, poi tornò davanti
allo
specchio. Fanatico
narcisista.
Mi avvolsi nella spugna bianca e uscii, bagnando appena il pavimento di
mattonelle azzurre. Misi il piede sul tappeto e asciugai le gocce
d'acqua.
«Stasera
esci con me.» La buttò lì
così, come se
avesse detto che di lì a poco avrebbe piovuto. Alzai lo
sguardo
e incrociai il suo per un attimo, poi lui tornò ad
aggiustarsi i
capelli.
«È un
ordine? Una minaccia? Un suggerimento?»
Strinsi l'asciugamano all'altezza del seno e mi avvicinai a lui. Johnny
si bagnò la punta dell'indice con l'acqua e si
portò un
capello ribelle dietro l'orecchio. Li aveva tirati indietro, fatto la
barba in modo impeccabile, e beh... l'occhio, che vuole sempre la sua
parte, era parecchio soddisfatto. Perfino il mio, che lo odiava a morte.
«Me
l'ha chiesto tuo padre, visto che non esci mai...»
Spiegò
lui, voltandosi a guardarmi. Io aggrottai la fronte, incredula.
«E si fida a mandarmi
con te? Con TE?» Non c'era bisogno di aggiungere altro, quel "te"
spiegava tutto.
«Solo
tu non ti fidi di me, ragazzina.» Disse, sfiorandomi il mento
con
due dita. Quel contatto delicato durò un nanosecondo,
dopodiché lui girò sui tacchi e uscì
dal bagno,
lasciandomi lì impalata come un baobab.
«Sì,
e ora cosa cavolo mi metto?» Pensai a voce alta, mentre
tornavo
in camera. La risposta era sul mio letto: leggings color argento e
miniabito nero con maniche a pipistrello. Oddiosanto, da dov'era
sbucata fuori quella roba? Ai piedi del letto, c'erano dei sandali neri
col tacco alto che avevo indossato una sola volta in vita mia.
«No, no, ma che roba
è questa?» Dissi alzando i leggings. Odiavo lo
stile anni ottanta.
«Preferivi
quelli rosa shocking?» Il solito impiccione, la solita
presenza
inquietante che aleggiava nella casa. Sembrava un fantasma. Un fantasma
che vedevo solo io.
«No,
preferivo dei jeans normalissimi e anonimi.» Johnny mi
scoccò un'occhiata seccata e prese il suo giubbotto di pelle
dall'armadio.
«Guarda che io sono
quasi pronto, muoviti.»
Sbuffai e infilai velocemente il mini abito e quei leggings alla C-3PO.
Impiegai circa diciotto ore per mettere i sandali, tanto ero nervosa, e
diedi due colpi di spazzola ai capelli, che fermai con una forcina su
un lato. Non mi guardai nemmeno allo specchio. Feci la mia comparsa in
salotto e
tutti si voltarono al ticchettio delle mie scarpe sulle scale.
«Wow, tesoro, sei uno
schianto!» Esclamò Betty estasiata.
«Sapevo che ti
sarebbero andati a meraviglia!»
Certo, era lei l'artefice di quel disastro. Mi sentivo nuda, dalla vita
in giù. Papà mi guardò compiaciuto e
mi
affidò senza problemi a Johnny, che non aveva ancora
proferito
parola. Ero sempre più sconvolta dal comportamento poco
paterno
di mio padre. Non era mai stato eccessivamente protettivo, certo, ma si
fidava troppo e troppo in fretta di Johnny. Betty gli aveva fatto il
lavaggio del cervello? Tutto pur di non contrariarla, vero?
«Non tornate troppo
presto!» Si raccomandò inutilmente lei,
salutandoci con la mano.
Vivevo in una famiglia di pazzi.
«Dove
andiamo?» Domandai, una volta in auto con Johnny.
«A una festa.»
«Come mai hai deciso di
portarmi con te?»
«Potevo
oppormi?» Mi guardò per un secondo e poi
tornò alla strada.
«Non aspettarti che
badi a te, ovviamente.» Disse, col sopracciglio alzato. Io
non risposi. Cosa potevo mai dire? "Ah
no? Perché sai, la verità è che non
conosco
nessuno e non sono per niente abituata al tuo genere di festini!"
Mi limitai a
scuotere la testa e a pregare che quella serata passasse in fretta.
Alle dieci
meno venti eravamo sotto la casa di un tale Joe.
«Ehi
Joh! Grandissima testa di cazzo, dov'eri finito? Temevo non arrivassi
più!» Sal, il suo migliore amico col nome da salsa
messicana gli si avvicinò e si salutarono con due pacche
sulle
spalle.
«Ciao
anche a te, bellezza.» Mi prese la mano e vi
depositò un
bacio umido, che mi fece rabbrividire ma non nel senso buono della
parola.
«Ehi, aspetta, ma tu
sei sua sorella? La stronza coi mal di testa?»
Esclamò, dopo avermi osservata bene.
Guardai Johnny accigliata. Ah, era così che mi definiva? Ma
bravo!
«Sì,
sono io. E se non ti levi dalle palle la stronza la faccio per
davvero.» Gli passai avanti e mi diressi in casa, dove la
musica
assordante rimbombava sulle pareti. Camminavo distrattamente facendomi
spazio tra la gente quando mi sentii
afferrare per il polso. Johnny mi tirò a sé poco
delicatamente.
«Non salire di sopra e
non rispondere a chi ti dovesse fare qualche proposta strana, e
soprattutto...»
«...non
fare la stronza? È questo che volevi dirmi? Beh, mi
dispiace,
purtroppo ce l'ho scritto nel DNA, così come la
predisposizione
per i mal di testa e l'odio viscerale per i bastardi come
te!»
Strattonai il braccio e mi girai dal lato opposto.
«Vaffanculo, Iz!»
Ce ne andammo ognuno per la sua strada. Un tizio con un vassoio mi mise
davanti un bicchiere contenente un liquido colorato. L'odore pungente
mi fece arricciare il naso ma lo provai, per ripicca - quale ripicca?
-, e lo scolai tutto
in un sorso, tossendo subito dopo. Mi pulii la bocca col dorso della
mano e cercai un angolino tranquillo.
Fui fortemente tentata di salire di sopra, dove tutto sembrava calmo e
silenzioso, ma le parole di Johnny mi rimbombavano nella testa e decisi
di lasciar perdere. Ovunque
mi girassi, coppiette mal assortite si baciavano volgarmente, le loro
mani scorrevano lascive sui reciproci corpi, riempiendo le stanze di
gemiti strozzati e nomi strascicati dai loro stessi sospiri.
«Oh,
oh, oh. Guardate chi c'è... la sorellina di
Casanova.» Mi
sentii afferrare per la spalla e fui costretta a voltarmi. Riconobbi il
proprietario di quella voce e desiderai un altro bicchiere di quella
robaccia azzurrina.
«Oh,
oh, oh. Big Foot.» Il soprannome che gli aveva dato Johnny mi
piaceva. Nonostante la notevole differenza d'aspetto con la creatura
leggendaria, i modi barbari da scimmione e il neurone solitario li
rendevano pressoché identici.
«Come mai ti ha
lasciata sola? Non ha paura che qualcuno abusi di te?» Poi
rise sguaiatamente.
«No,
certo che no! Quello se ne fotte altamente di te! L'ho visto
slinguazzare con una stangona nella stanza accanto... povera piccola
Martins.» Provò a consolarmi con una pacca sulla
spalla che
schivai prontamente.
«Non
è per te questo ambiente, angioletto... tu non saresti
capace
nemmeno di bere un bicchiere di birra.» Rise, insieme ai suoi
amici. Il tizio coi cocktail passò di nuovo. Lo fermai
bruscamente e presi un bicchiere.
«Alla tua salute,
imbecille.» Dissi e ne bevvi velocemente il contenuto. La
gola bruciava da morire ma non tossii.
Kevin e i ragazzi sorrisero e forse mi videro sotto una luce diversa.
Non diedi loro il tempo di replicare. Col bicchiere in mano, mi avviai
nella stanza adiacente.
I Take That cantavano una canzone a me familiare e attorno a me
qualcuno cercava di ballare in modo convincente, per far colpo sugli
altri. In un angolo, notai la chioma scura di Johnny che, come aveva
detto Kevin, stava baciando una bionda dalle gambe chilometriche. Si
può dire che non fossi molto lucida.
Mandai giù un altro bicchiere, stavolta di un liquido
ambrato, e mi diressi a passo spedito e un po' traballante verso
Johnny. Risi da sola pensando a ciò che avrei
detto.
«Ehi, Joh!»
Gli arrivai alle spalle e richiamai la sua attenzione con una
spintarella sul braccio. Lui mi
ignorò sulle prime, poi al mio secondo tentativo si
staccò dalla Barbie e mi fulminò. Non
gli diedi il tempo di parlare.
«Oh, non trovo dei bicchieri puliti, mica su questo c'hai
bevuto
tu? Non voglio beccarmi la tua mononucleosi
senza aver neanche baciato
qualcuno!» Risi e
ottenni l'effetto desiderato. Barbie "disco" guardò
Johnny scioccata e disgustata. Si portò una mano
alle labbra e poi gli stampò cinque dita sulla guancia. «Stronzo! Mi fai
schifo!» E se ne andò via correndo.
Quasi non riconobbi la risata idiota che emisi, vedendola fuggire. Con
la testa che mi girava appena, mi buttai al centro della stanza, in
mezzo a due ragazzi che ballavano, e iniziai a muovermi anch'io. Chiusi
gli occhi e seguii la musica, volteggiando col sorriso sulle labbra.
«Woo-ho,
guarda questa!» Sentii distrattamente qualche fischio e altri
ragazzi mi si accalcarono addosso, rendendo l'aria più calda
e
pesante di quanto non fosse già. Qualcuno fece una battuta e
io
mi unii alle risate generali, anche se non c'era molto da ridere. Poi
mi sentii strattonare, sballottare a destra e a sinistra e infine fui
investita da un'aria gelida che mi fece rabbrividire più
volte.
«Ma
cosa cazzo credi di fare?!» La voce di Johnny giunse attutita
alle
mie orecchie, nelle quali rimbombava ancora la musica martellante della
festa. Intorno a noi c'era silenzio, o perlomeno meno confusione.
Guardai Johnny cercando di metterlo a fuoco. Dio, non mi ero mai
sentita così intontita.
«Mi
rispondi?!» Mi scosse il braccio, rendendo ancora
più precario il mio equilibrio. «Ma sei
ubriaca?» Mormorò, quasi parlando tra
sé. Io cominciai a ridere.
«No,
non sono ubriaca!» Risi ancora e provai a tornare dentro.
Inciampai in un filo d'erba - sempre sostenendo di non essere ubriaca -
e mi preparai all'impatto col suolo con un ululato.
Johnny mi prese al volo e mi portò su una panchina poco
distante.
«Perché non
torni alla festa? Tanto lo sappiamo che non te ne frega niente se
muoio...» Biascicai, mentre lui
mi faceva stendere. Si
abbassò sui talloni per arrivare all'altezza della mia testa
e
serrò le labbra. «Stasera sei la mia palla al
piede e non
posso lasciarti morire, per quanto suoni bene l'idea.» Feci una
smorfia offesa e lui continuò.
«E
visto che hai avuto la geniale idea di sparare stronzate sul mio conto
non ho nemmeno una ragazza da cui tornare, stupida ragazzina
ubriaca.»
«Stai dicendo che ti ho
rovinato la serata?» Ripresi a ridere.
Lui non ebbe il tempo di rispondere. E io non ebbi il tempo di
avvertirlo. Ebbi solo la decenza di salvare il mini abito e la
panchina. Quindi vomitai sulle scarpe di Johnny.
Dopo una serie di imprecazioni snocciolate a voce estremamente alta,
Johnny mi tirò indietro i capelli - anzi, sarebbe il caso di
dire che mi tirò i capelli e basta - e aspettò
che
finissi di vomitare anche l'anima.
Chiese a una coppia di passanti dei fazzoletti e mi aiutò a
pulirmi la bocca. Mi stesi di nuovo e mi massaggiai il cuoio capelluto.
«Mi hai fatto
male...» Mi lamentai, con gli occhi chiusi e una smorfia
disgustata dipinta sul viso.
«Se
non abitassi a casa tua ti avrei lasciata qui da un pezzo, ne sei
consapevole?» Sbraitò mentre si puliva le scarpe
come meglio poteva.
«Che donna fortunata
che sono.»
«Ti ucciderò
appena torni sobria, ragazzina.»
«Smettila di chiamarmi
così!»
Provai a sedermi e mi spostai per non appoggiare i piedi nel vomito.
Johnny buttò l'ennesimo fazzoletto sulla panchina. Estrasse
l'ultimo dal pacchetto e provò a ripulirsi ancora gli
scarponi.
«Dovrei farteli lavare
con la lingua.» Borbottò, senza guardarmi.
«Dovresti,
sì.» Annuii, prendendolo in giro.
«Mi
vendicherò in un altro modo, non preoccuparti.» E
invece mi preoccupai, vedendo la sua espressione seria.
«Andiamo a
casa.»
Sbuffò. Mi alzai barcollante e lui mi passò un
braccio
sotto l'ascella per sostenermi. Mi depositò in auto e
tornò dentro a salutare gli amici.
«Gesù,
quanto puzzi!» Sal e gli altri lo accompagnarono alla
macchina.
Johnny gli tirò un pugno sul braccio e rise.
«Buona fortuna! Ciao,
zuccherino!» Mi salutò con la mano e io lo
ignorai.
«Non
credo che mamma e Graham siano ancora svegli, ma se lo fossero non
fermarti a parlare e fila direttamente in bagno. Se scoprono che sei
ubriaca daranno la colpa a me.» Mi impose lui, mentre metteva
in
moto.
«Ma la colpa è tua.»
Replicai, stizzita.
«Come scusa?»
«Se
non mi avessi lasciata sola e se tu e i tuoi amici non foste
così insopportabilmente stronzi ed egoisti, non sarei
ubriaca. E
comunque non
sono
ubriaca.» Incrociai le braccia al petto come una bambina di
tre anni.
«Pensa
a mamma. Pensa a mamma. Pensa a mamma.» Ripeté
Johnny per
calmarsi. Serrò le dita attorno al volante, fino a far
sbiancare
le nocche. Forse, in tempi non sospetti, sarei risultata vagamente
irritante
persino a me stessa. Lui non era da meno, però. Non potevo
assumermi tutta la colpa, cavolo.
«Sì, bravo,
pensa a mammina...» Alzai gli occhi al cielo, pregando di
arrivare in fretta.
Una volta a casa, feci come mi aveva detto, più che altro
per
evitare questioni varie. Papà e Betty si chiusero finalmente
in
camera e io potei girare tranquillamente per casa. Mangiai qualcosa e
presi un'aspirina, dopodiché andai a farmi una doccia
veloce.
In bagno c'era Johnny.
«Visto
che ti ostini a dormire da me potremmo trasformare la camera degli
ospiti in un bagno. Così non rompi più le
palle.»
Lui chiuse l'acqua della doccia e rispose a tono.
«Sei tu che hai invaso
la mia privacy adesso, Miss
Intimità!»
Osservai la sua ombra dalla tenda e pensai che si vedeva quasi tutto.
Non dovevo fare più la doccia davanti a lui, nel modo
più assoluto!
«Sì,
ma potevi anche far usare il bagno prima a me, visto che sono
ubriaca!» Replicai, con lo spazzolino da denti in bocca.
«Ma tu non sei
ubriaca.» Ecco, usava anche le mie parole contro di me! Che
bastardo.
Sputai nel lavandino e bevvi altra acqua, per sciacquare bene.
Chiudemmo l'acqua insieme.
Quel decerebrato non mi avvertì che stava per uscire. Era
proprio un vichingo senza un briciolo di pudore!
Mi voltai e per poco
non sputai per terra.
«Mo soi sc-»
Provai a dire, con l'acqua in bocca. Mi zittii o avrei vomitato di
nuovo. Aspettai qualche
secondo e lui parlò. «Puoi girarti, mi sono
coperto.»
Tornai sul lavandino e sputai tutto. Mi pulii la bocca, finalmente
fresca, e mi voltai verso di lui.
«MA
SEI SCEMO?!» Ripetei, stavolta senza liquidi a intralciarmi
la parola.
Johnny non si era coperto. Si stava semplicemente asciugando le cosce e
l'asciugamano per grazia divina gli copriva a malapena anche il resto.
Bastava
scendere un po' più giù e quel lembo di spugna
avrebbe
mostrato tutto ciò che non
volevo vedere.
«Esci fuori.»
Lo spinsi via, seminudo e buono, verso la porta. «Esci subito
fuori!»
Non so come ebbi la meglio sulla sua ovviamente superiore forza e
riuscii a chiudere la porta a chiave. Mi fermai al centro del bagno con
gli occhi sgranati, le guance in fiamme e il cuore che batteva furioso
nel petto.
Va bene, dimentichiamo
l'accaduto.
Mi spogliai in santa pace, feci la doccia e quando uscii avvolta dalla
nube di vapore mi ricordai che non avevo preso il pigiama.
Né
tantomeno la biancheria di ricambio. Mi accasciai sul bordo della
vasca, esausta. Volevo solo dormire e svegliarmi l'indomani senza
quell'idiota vicino.
«E
va bene.» Mi feci coraggio e, dopo essermi avvolta
nell'asciugamano più grande del mondo, andai in camera per
prendere il pigiama. Lui era ancora mezzo nudo, e non perse l'occasione
per starsene un po' zitto.
«Oh, no, ti si vedono i
piedi!» Commentò divertito la mia mise. «Potevi prendere un
burqua, ti avrebbe coperta meno.»
«Invece di infilarli,
potresti gentilmente affogarti con quei pantaloni?»
«Mamma mia, come sei
acida...»
«Un
altro aggettivo per la tua lunga lista.» Constatai,
lievemente
amareggiata. Non mi piaceva il fatto che si facesse un'idea
così
brutta di me, eppure non riuscivo a trattenere la lingua dal parlare in
quel modo. Mi dava troppo fastidio, e di sicuro lui non faceva del suo
meglio per evitare di provocarmi. Quando mi fui vestita mi infilai
sotto le coperte, sospirando.
«Domani
mattina non fare lo zulù come al solito. Se mi svegli ti
castro!» Lo minacciai, memore del risveglio brusco e
indesiderato
della domenica precedente dovuto ai suoi modi da elefante.
«Dopo la
serata che mi hai fatto passare è il minimo che possa fare.»
«È questa la
tua grande vendetta?»
Lui rise, beffardo. «Per chi mi hai
preso?» Ero talmente impegnata a preoccuparmi e
a interpretare quella frase che non risposi.
Si sarebbe davvero vendicato? Pensai alla gravità della
situazione.
Sì, avevo praticamente preso una pala, l'avevo infilata
nella merda e gliel'avevo tirata addosso.
Con la quantità ridicola di neuroni presenti in quella casa,
la
notizia si era probabilmente sparsa a macchia d'olio, e il livello di
merda era aumentato.
Con Kevin presente in quella casa, il livello di merda era salito alle
stelle.
Con le scarpe sporche del mio
vomito con cui era entrato in quella casa, il merdometro
era scoppiato.
Insomma, a giudicare dalla situazione, era più che
ragionevole aspettarsi una vendetta con gli interessi.
E a giudicare dal modo in cui continuavo a trattarlo, avrei dovuto
iniziare a scavarmi la fossa da sola.
Bene, salve!
Rieccomi dopo tanto tempo. Sì, lo so.
Non ho molte scuse stavolta. Ho tanto tempo ma poca ispirazione, che si
concentra su altro (come, per esempio, il gruppo
e la storia
sul vero Johnny che sto scrivendo insieme ad altre dieci ragazze.
L'avevo detto io che questo gruppo sarebbe servito a qualcosa!)
Insomma, comunque sono tornata. Sono senza linea - bastardi non
identificati hanno rubato chilometri e chilometri di cavi del telefono
- ma sto usando quei pochi mb che mi dà la Tim per
aggiornare questa storia.
Spero vi piaccia questo capitolo, perché è
ufficialmente iniziata la guerra.
Fatemi sapere cosa ne pensate (18 recensioni erano troppo belle per
essere vere, vero? ._.)
Un abbraccione,
Sara.
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