I still feel the hope on your road

di Cherry Berry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sorry, did I wake your dreams? ***
Capitolo 2: *** I know it's hurting you, but is killing me ***
Capitolo 3: *** After all this time I'm coming home to you ***
Capitolo 4: *** The only thing I ask of you is to hold her when I'm not around, when I'm much too far away ***
Capitolo 5: *** We're all so weak, no matter how strong ***
Capitolo 6: *** Trashed and scattered again, I'm feeling so low ***
Capitolo 7: *** Everything is payed for tonight while at the party of the dead dancing in their graves ***
Capitolo 8: *** Collage of broken words and stories full of tears ***



Capitolo 1
*** Sorry, did I wake your dreams? ***



1. Sorry, did I wake your dreams?

Disclaimer. Gli Avenged Sevenfold (M. Shadows, Zacky Vengeance, Jimmy "The Rev" Sullivan, Synyster Gates e Johnny Christ) sono persone realmente esistenti. I personaggi originali non sono ovviamente persone realmente esistenti, ma semplice frutto della mia immaginazione (Meg Seward, Peter Whitestone e altri che verranno di seguito). Questa narrazione è frutto della mia (malata) fantasia e non prentede di raccontare fatti realmente accaduti ma semplicemente è pura invenzione. Non conosco personalmente la band (purtroppo, vorrei aggiungere) né tutti i personaggi realmente esistenti che verranno citati. Con questa storia non si hanno fini di lucro ma di puro intrattenimento! Detto ciò, ENJOY :D



Margaret Kelsey aveva sempre avuto una bella voce. Sin da piccola, i suoi genitori la ascoltavano con affetto mentre intonava dolci canzoncine, con quelle sue delicate corde vocali. Così l’avevano iscritta a corsi di canto e affini, per poter sviluppare quella sua inclinazione. E non era nemmeno stato difficile, poiché la piccola Meg amava la musica più di ogni altra cosa al mondo, adorava intonare quelle parole che le servivano per comunicare a tutti quanti il suo stato d’animo.  Con la musica esprimeva tutto ciò che il suo cuore provava, senza dover necessariamente interloquire con qualcuno, semplicemente cantando o suonando il pianoforte.
I tempi del liceo erano stati strani, si era sentita sempre presa in considerazione solo e soltanto quando c’era bisogno di una bella voce, di qualcuno che cantasse o che suonasse qualcosa. E a lei quella situazione in cui veniva sfruttata non piaceva affatto. Era cresciuta nell’assolata Huntington Beach con la musica come unica compagna, unico amore, non ebbe nessun ragazzo serio fino all’ultimo anno di liceo, solo storielle leggere, a cui lei non dava alcun peso. Amava cantare sopra ogni altra cosa, del resto poco le importava. Ai suoi diciotto anni giunse la storia seria, che le prese l’anima. Lui era un ragazzo eccentrico, stravagante, ma anche piuttosto farfallone, infatti in poco tempo si stufò di lei, lasciandola sul ciglio di una strada immaginaria a ricomporre i pezzi del suo cuore spezzato. Fu dopo essersi diplomata che decise cosa avrebbe fatto della sua vita: non le importava degli amori, non le importava avere una casa piena di bambini e voci di persone. Voleva dedicare la sua vita alla musica. Non avrebbe iniziato l’università, voleva cercare fortuna con la sua splendida voce. Molti le avevano detto che avrebbe potuto far carriera. Perché non provare? Aveva iniziato con l’esibirsi in locali, pub e qualsivoglia festa, mettendo in mostra le sue doti canore per un qualsiasi produttore che sarebbe casualmente passato di lì. Aveva cantato per alcuni anni in piccoli locali, riscuotendo un discreto successo che le portava sempre nuovi ingaggi. Le mancava il piccolo salto per spiccare il volo, per gettarsi a capofitto nel mondo che la sua unica e meravigliosa passione le apriva dinanzi.  Eppure non riusciva a trovare chi la aiutasse a compiere quel salto nel vuoto che l’avrebbe condotta verso un mondo luccicante e pieno di sorprese.
Aveva ventun anni quando, finalmente, era arrivato il suo momento. Un dannatissimo discografico l’aveva sentita cantare, ammirando la sua bella voce e dicendole che se avesse voluto essere conosciuta non doveva far altro che andare a letto con lui. La bella Meg non si era certo fatta pregare per dargli un due di picche di quelli epici, dicendogli che se avesse voluto fare la puttana sicuramente avrebbe trovato clienti migliori di lui. E così, a ventiquattro anni, si trovava ancora invischiata in quella rete fatta di piccole parti, soltanto misere esibizioni rispetto a quello che avrebbe voluto, ma mai si era lamentata, poiché era stata la sua scelta, quella, e non avrebbe di certo mollato tutto soltanto perché non riusciva a trovare la fama e il successo che pensava di meritarsi. Se c’era la musica, il resto non le importava.
Con la costanza e l’impegno, però, venne premiata. Un produttore la sentì cantare a una festa, decidendo che quella ragazza doveva far parte della sua casa discografica. Le fu dato un biglietto da visita e la promessa che alla Warner Bros lei avrebbe fatto carriera.

Margaret Kelsey stava dinanzi all’enorme edificio della Warner a Los Angeles, le spalle curve e lo sguardo leggermente preoccupato. Come poteva essere certa che sarebbe davvero riuscita a sfondare? L’uomo che l’aveva ingaggiata ne sembrava sicuro, diceva che la sua voce era troppo bella per rimanere inascoltata, ma lei stentava a crederci. Dopo tutti quegli anni di difficoltà, era davvero incerta sul da farsi. Prese finalmente il coraggio a due mani, entrando nello stabile e dirigendosi verso la reception. Il posto era affollatissimo e pieno zeppo di gente che andava e veniva, lei domandò come potesse incontrare il signor Whitestone, dicendo di avere un appuntamento. Sedicesimo piano, terza porta sulla destra. Ce la poteva fare. Salì sul primo ascensore che trovò, pigiandosi insieme a molte altre persone in quello spazio angusto. Respirò a fondo quando si fermarono sul suo piano e scese, trovandosi dinanzi ad una piccola sala d’attesa che dava su un lungo corridoio. Non sapeva se avrebbe potuto dirigersi direttamente verso l’ufficio indicatole, quindi si accasciò su una sedia, prendendo una stupida rivista di moda e sfogliandola con poca convinzione. Notò una macchinetta del caffè in un angolo della sala, ma decise che non era tempo di caffeina, le avrebbe soltanto teso ulteriormente i nervi, così attese nel completo silenzio asettico del luogo. La moquette bianca e i quadri dai colori delicati alle pareti non facevano altro che rafforzare la sensazione di pace e tranquillità che la stanza infondeva. La ragazza tossicchiò in completa solitudine, mentre aspettava che qualcuno, una qualsiasi persona, venisse a dirle qualcosa, anche solo per rimandarla a casa, che ne sapeva! Non le importava, bastava soltanto che non la lascassero lì fuori da sola a macerare nei suoi dubbi e aspettative che, sapeva, sarebbero state deluse. Perché Margaret non era un’illusa, sapeva di non avere grandi possibilità di riuscita. Quando finalmente una delle porte del corridoio si aprì, fu stupita, se non sconcertata, nel vedere chi era uscito da quella stanza per ingurgitare una dose di caffeina.
James Owen Sullivan stava camminando davanti a lei, non degnandola di uno sguardo, mettendo un piede dietro l’altro sul manto bianco che ricopriva il pavimento e armeggiando con la macchinetta del caffè nell’angolo opposto della stanza. L’uomo tornò poco dopo presso il posto dove sedeva compostamente la ragazza, sorridendo.
«Questa riunione sta durando troppo peri miei gusti.» esclamò rivolgendosi a lei.
Meg lo guardò a bocca aperta. Uno dei suoi idoli le stava rivolgendo la parola come se nulla fosse, come se fossero stati amici di vecchia data e lui avesse soltanto voluto farle presente quanto si stesse annoiando in quella stanza angusta insieme ai suoi compagni e amici. Gli occhi chiarissimi di lui si soffermarono sulla sua scollatura per qualche secondo, per poi tornare velocemente sul suo viso. Si sedette al fianco della donna, mentre ancora lei boccheggiava per l’assurdità della situazione. Non solo aveva avuto la fortuna di capitare nella loro stessa casa discografica, nello stesso giorno in cui avevano una riunione con i produttori. Aveva anche avuto l’immenso, gigantesco culo di incontrare Jimmy, the Rev. La ragazza lo fissò qualche attimo, per poi accorgersi che l’altissimo uomo seduto al suo fianco attendeva un qualche genere di risposta.
«Oh, uhm, mi dispiace. Io sono qui per vedere Peter Whitestone.» affermò senza troppa convinzione. Il batterista sorrise, annuendo con comprensione.
«Penso che ne avrà ancora un poco con noi e poi sarà libero per dare ascolto a questa bella signorina.» ammiccò lui, per poi continuare: «Prima volta che vieni qui, vero?»
Margaret annuì, scostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il ragazzo dai capelli scuri annuì a sua volta, bevendo il caffè.
«Anche noi eravamo piuttosto tesi al primo ingaggio, ma vedrai che andrà benissimo. Peter è un’ottima persona, anche se a volte diventa… Noioso. Comunque io sono Jimmy.», concluse con un sorriso, tendendole la mano. Meg avrebbe voluto ridergli in faccia, dicendo che sapeva benissimo chi fosse, ma si limitò a sorridere e stringere la mano che l’uomo le porgeva.
«Margaret, piacere di conoscerti.»

Margaret Kelsey sedeva con Jimmy “the Rev” Sullivan in una sala d’attesa della Warner Bros Records, a Los Angeles, ridendo sguaiatamente per un aneddoto divertente che il ragazzo le aveva appena narrato. Quando si riprese, guardò l’orologio appeso alla parete. Era ormai passata mezz’ora da quando James era lì con lei, così la ragazza domandò:
«Non dovresti tornare dentro?»
Dopotutto c’era una riunione in corso, che ne poteva sapere lei di cosa accadeva in quello studio.
«Nah, possono anche fare a meno di me.»
Proprio in quel momento la porta della terza stanza sulla destra si spalancò, facendo spuntare il capo spettinato di un irritatissimo Brian Haner Jr. Questi si guardò intorno con aria furiosa e quando finalmente individuò l’amico seduto su una delle sedie di plastica sbraitò:
«Cazzo Jim, il mio cazzo di caffè?»
Il ragazzo ridacchiò, alzandosi e dirigendosi alla macchinetta per prendere un bicchiere di plastica colmo di liquido scuro e bollente e porgerlo al brunetto, che lo fissava con occhio critico.
«Qui abbiamo quasi finito, hai intenzione di tornare dentro oppure resti lì a fare il cascamorto come solo tu sai fare?»
Jimmy rise ancora una volta, scuotendo la testa.
«Sei soltanto geloso perché l’ho trovata prima io.»
L’occhio clinico e analitico di Brian scrutò la ragazza che sedeva con aria intimorita nella sala d’attesa. Jim se le sceglieva bene.
«Bene, allora tieni compagnia alla signorina, tanto non c’è bisogno di te.» concluse chiudendo di scatto la porta. Rev tornò a sedersi al fianco di Margaret, sorridendo.
«Che ti dicevo?»
Passarono altri dieci minuti prima che la porta si spalancasse di nuovo, facendo uscire la band al completo. Il ragazzo al suo fianco si alzò di scatto, mentre M. Shadows, con i soliti occhiali, si dirigeva verso l’ascensore, seguito da un allegro Johnny e uno Zacky che si guardava intorno con aria curiosa e gli occhi verde chiaro così luminosi da far boccheggiare Meg quando incontrarono i suoi. L’aveva visto in fotografia più di una volta ma mai avrebbe pensato che le iridi del ragazzo possedessero un colore così vivido. A chiudere la fila vi era mr. Gates, con calcato in testa un cappello rosso e un sorriso strafottente sulle belle labbra.
«Forza Jim, andiamo.» aveva ordinato il cantante, mentre tutta la band entrava in ascensore. Il batterista si era fermato solo un attimo, per scompigliarle i capelli e augurarle un in bocca al lupo a cui lei rispose sussurrando:
«Crepi, il lupo.»

Margaret Kelsey aveva cambiato nome. Ora Meg Seward sedeva nel terzo ufficio a destra al sedicesimo piano nella sede della Warner Bros, a Los Angeles. Peter Whitestone, come le aveva anticipato Jimmy, era cordiale e disponibile, anche se spesso iniziava discorsi complicati che la povera ragazza seduta davanti a lui non riusciva a seguire, ma annuiva comunque, sorridendo. Sarebbe stata prodotta, le sue canzoni sarebbero state ascoltate in tutto il mondo. Meg Seward sarebbe diventata una cantante famosa. Il nome l’aveva scelto insieme a Mr. Whitestone, che le aveva detto di chiamarlo semplicemente Peter: Meg era l’abbreviazione del suo nome che tutti usavano, mentre Seward era il cognome di uno dei suoi idoli, Jonathan Seward, l’uomo che aveva appena incontrato in corridoio sotto le vesti di Johnny Christ, nato nel suo stesso giorno, il diciotto novembre. Ed esattamente un mese dopo il suo ventiquattresimo compleanno il sogno di Margaret si era finalmente realizzato. Il diciotto dicembre dell’anno 2009, in quell’ufficio della Warner, la donna portava a compimento il suo sogno più grande.
Nove giorni dopo sedeva ancora su quella sedia di finta pelle, alle prese con la creazione del suo primo singolo. Aveva scritto il testo, portandolo a Peter (sì, aveva abbandonato il “Mr.” quando l’uomo l’aveva rimproverata per la millesima volta), che ora lo leggeva con interesse.
«Mi piace!» affermò infine, facendo sorridere la ragazza.
«Ne sono felice, l’avevo scritto tanto tempo fa, aspettando questo momento. L’ho rivisto e corretto.»
L’uomo annuì, rileggendo ancora una volta quella canzone, scritta dalla bella creatura che gli sedeva di fronte. Poteva andare, vedeva già il successo in quegli occhi color caramello. Ce l’avrebbe fatta.
«Perfetto, ora basta solo pensare all’arrangiamento. Domani allo studio di registrazione, così cominciamo a pensare alla melodia.»
Le sorrise, stringendole la mano e congedandola. La donna uscì dalla stanza con un enorme sorriso sulle labbra, a dimostrazione della sua tangibile felicità. Presto avrebbe coronato i suoi sogni di gloria, ma nulla la rendeva più contenta dell’aver, finalmente, raggiunto il suo obbiettivo. Aveva dovuto faticare, non era stata un’ascesa facile e immediata, ma era giunta esattamente dove voleva. E il giorno dopo il suo sogno sarebbe iniziato.



L'angolo della piccola folle:
ovvero l'angolo di quella mongola dell'autrice ;D Salve gente! Okay, vi vorrei spiegare come nasce questa malatissima fic. Ho creato un pg -sì, è Meg- ed ho subito pensato che sarebbe stata adatta ad una storia simile. Perciò eccomi qui. Questa storia è dedicata al grande Rev, batterista fantastico e persona straordinaria. Volevo fargli un piccolo tributo. Questo primo capitolo, come probabilmente anche il secondo -probabilmente un corno, ce l'ho bello che scritto- saranno introduttivi dei fatti che verranno narrati di seguito. Spero che qualcuno possa apprezzare la mia prima sperimentazione in questo fandom, ho deciso di provarci anche io. Un saluto, al prossimo capitolo
Berrs *w*

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Capitolo 2
*** I know it's hurting you, but is killing me ***


Avengedz
2. I know it's hurting you, but it's killing me

 
Doveva trattarsi di un incubo, uno di quelli in cui pensi che il mondo stia per crollarti addosso e quando ti trovi a un passo dalla morte, finalmente, ti svegli. Si morse il labbro, ma nemmeno il dolore riusciva a destarlo da quel terribile scenario che appariva davanti ai suoi occhi. Non poteva essere reale, no, era qualcosa di così tremendo che se fosse stato realtà tutto il mondo gli sarebbe realmente crollato addosso, insieme a un’altra miriade di cose. Fissò il vuoto con aria sconvolta, mentre il telefono tornava a squillare per la centesima volta, quel giorno, ma era come se non lo sentisse. I suoi pensieri scorrevano troppo veloci, senza un filo logico a connetterli e impilarli l’uno dietro l’altro. Si spazientì, alzandosi per rispondere a quella dannata chiamata. Prese il cellulare in mano, rendendosi conto che non era quello a squillare, bensì il citofono. Aprì, senza nemmeno domandare chi fosse, sapeva benissimo chi si era presentato alla sua porta visto che da un paio d’ore a quella parte aveva tagliato i ponti con l’universo al di fuori. Zacky entrò in casa, guardandolo mentre sedeva sul divano, con la testa tra le mani. Brian notò come i suoi occhi fossero contornati da occhiaie scure e il suo colorito apparisse più smorto del solito. Valeva la pena concentrarsi anche sull’aspetto fisico di quell’idiota pur di non pensare, di tenere occupata la mente, lontana da certe riflessioni che l’avrebbero portato sull’orlo di un baratro dal quale non sarebbe mai più riuscito a risalire. L’amico si sedette al suo fianco, fissando con interesse lo stesso punto vuoto su cui lui ormai si stava concentrando da parecchie ore.

«Perché sei qui?»

«Non lo so. Se fossi stato qualche altro minuto in quella cazzo di casa sarei impazzito.»

Poteva capirlo, era seduto in quella posizione ormai da troppo tempo e sembrava che la sua testa volesse esplodere da un momento all’altro.

«Spero tanto di svegliarmi e scoprire che è stato un incubo terribile.»

«Tornare alla solita vita e riprendere a registrare il disco. Sì Zack, lo vorrei tanto anch’io.»

Gli sguardi dei due si incrociarono, quello così chiaro e brillante ma velato di tristezza sotto forma di lacrime ad appannargli la vista, e quello scuro e caldo, in quel momento distante anni luce, probabilmente perso nel ricordare i bei momenti passati col migliore amico che quella notte li aveva abbandonati.

 

*

 

La televisione passava un qualche programma che ormai andava avanti da ore, ma non ci stava prestando troppa attenzione. Stava svaccata sul divano, il volume della tv al minimo e l’mp3 nelle orecchie, un foglio bianco e una penna tra le mani, i capelli scompigliati e lo sguardo leggermente vacuo. Quella mattina era andata allo studio di registrazione, trovandosi davanti la porta sprangata. Dunque si era aggirata per la Warner con aria leggermente scocciata, mentre si domandava perché non ci fosse nessuno, dato che quel giorno doveva lavorare al suo nuovo singolo. Quando però le avevano spiegato la causa, il fatto non la irritava più, anzi era diventato un fattore insignificante. Era tornata a casa, sedendosi sul divano e non alzandosi che per recuperare il lettore musicale e il materiale per scrivere. Fissava la pagina vuota ormai da qualche tempo, in assoluta concentrazione. Doveva cercare quelle maledette parole, metterle tutte in fila, una di seguito all’altra, dare un senso ai suoi pensieri caotici.

Jimmy era morto.

Ecco cos’era quel fastidio che provava in fondo alla gola, quel sapore salato di leggere lacrime che le rigavano le guance. L’aveva visto per la prima e ultima volta una decina di giorni prima. Era stato così gentile con lei da averla colpita subito. Avrebbe voluto incontrarlo di nuovo, ora che lavoravano per la stessa casa discografica non sarebbe stato impossibile come vagare per Huntington sperando in un colpo di fortuna. E invece Rev se ne era andato, lasciandole l’amaro in bocca, ad ascoltare le sue canzoni con la sensazione che tutto, in quel momento, sarebbe potuto accadere. Una vita era brutalmente finita e Meg cercava le parole per esternare il suo dolore, la malinconia che la sua mancanza avrebbe portato. Perché quando sono i migliori ad andarsene ciò che resta è la sensazione che il mondo sia completamente sbagliato.

 

Cry alone, I've gone away
No more nights, no more pain
I've gone alone, took all my strength
But I've made the change,
I won't see you tonight

So far away, I'm gone.
Please don't follow me tonight
And while I'm gone everything will be alright

No more breath inside
Essence left my heart tonight

 

Nelle sue orecchie risuonavano queste parole, mentre cercava di non scoppiare in lacrime e ascoltava il testo con attenzione. Erano davvero dei poeti, un gruppo composto da persone meravigliose. Perché Jimmy li aveva lasciati? A questa domanda non avrebbe avuto risposta.

No, le parole per Jim non volevano nascere, non volevano sfociare dall’inchiostro di quella biro e Meg non capiva perché. Era sempre stata brava a scrivere testi, soprattutto quando aveva appena subito un’emozione forte. Eppure al momento fissava il vuoto con aria contrariata. Per la prima volta in vita sua, Margaret Johanna Kelsey era rimasta senza parole.

Si alzò dal divano, decidendo di uscire a prendere un caffè e schiarirsi le idee. Il cielo su Huntington era grigio e opaco, proprio come al momento si sentiva lei. Si diresse al bar più vicino, sedendosi al bancone e ordinando un cappuccino, poggiando i gomiti al ripiano e fissando il cameriere mentre si dava da fare per accontentarla. La porta del locale si aprì, lasciando entrare due figure a lei ben note. Due mori, uno dagli occhi chiari e uno dalle iridi color cioccolato, che camminavano con passo stanco, andandosi a sedere ad un tavolo ed ordinando due birre. Sembravano entrambi molto stanchi e provati. Meg li fissò per qualche attimo, per poi prendere la sua bevanda e decidere di lasciarli stare nel loro dolore. Non si sentiva in dovere di immischiarsi, quindi versò lo zucchero nella tazza e prese a mescolare lentamente, lanciando di tanto in tanto un’occhiata ai due uomini dall’aria cupa.

 

*

 

Era stata una buona idea uscire a bere qualcosa? Brian non lo sapeva. Poteva soltanto affermare che se fosse rimasto qualche altro attimo seduto sul divano del suo salotto oppure se avesse messo piede in qualche locale ben noto, probabilmente avrebbe tentato il suicidio. Non tanto per dire, l’avrebbe fatto davvero. Gli avevano strappato una delle sue ragioni di vita, il suo migliore amico, colui con il quale era cresciuto, si era ubriacato, aveva fumato, fatto risse e soprattutto, colui con il quale aveva amato la musica. Era quello che univa tutti loro, la passione per la musica, ciò che li aveva resi quasi fratelli, li aveva fatti diventare parte di una grande famiglia.

Zacky fissò l’amico, decidendo di ordinare due birre. Forse sarebbe stato meglio ordinare qualcosa di caldo, ma al momento un po’ di alcol non gli avrebbe sicuramente fatto male. Non riusciva a parlare, qualsiasi cosa provasse a dire si sentiva come se si stesse arrampicando senza alcuna protezione, come se mettendo un piede in fallo sarebbe presto scivolato di sotto.

«Non penso di essere completamente me stesso, preferisco non bere.», aveva asserito l’amico fissandolo con uno sguardo che significava: meglio se non bevi neppure tu. Zachary aveva annuito, dicendo al cameriere di portar loro due caffè.  Gates fu d’accordo, per poi restare in silenzio quando l’uomo si fu allontanato dal loro tavolo. Perché si trovavano lì? Ah, sì, stavano cercando di metabolizzare la morte di Jimmy. Pensarlo e dirlo non lo rendeva più reale, purtroppo lo era già. Fottutamente reale, così reale da stringergli la bocca dello stomaco. Forse non sarebbe riuscito a buttar giù nemmeno il caffè.

Gli occhi scuri di Brian vagavano per il locale, stava analizzando ogni cliente nel dettaglio per non doversi fermare a riflettere. Gli bastava essere rimasto chiuso in casa tutto il giorno, avendo cacciato Michelle, dicendole che necessitava di restare da solo. Aveva una donna magnifica al suo fianco, se ne era andata senza dire nulla, dandogli un bacio affettuoso tra le lacrime e andando a consolare la gemella, che a casa Sanders era in pessime condizioni. Non sapeva come stessero Matt e Johnny, sicuramente non bene, ma al momento era troppo scosso per raggiungerli. Se Baker non fosse andato a tirarlo fuori da casa sua, probabilmente sarebbe stato ancora a crogiolarsi nella disperazione fissando un punto vuoto. Con quale forza di volontà Zack l’avesse fatto, però, non lo sapeva nemmeno lui stesso. Continuò ad osservare la clientela, quando il suo sguardo fu attirato da una bella donna che sedeva composta al bancone, corti capelli castano ramato, un bel fisico e l’aria di chi… Bè, è appena andato a un funerale. Gates rabbrividì anche solo pensando alla parola, cercando di concentrarsi sulla figura che gli risultava familiare. Dove poteva aver visto quella ragazza? Sicuramente non era una groupie, o li avrebbe assaliti non appena avessero messo piede nel locale. Lavorava per loro? Ma li avrebbe salutati. Dunque, chi diavolo era? Quando lei si voltò verso di lui, incrociando il suo sguardo color caramello, il ragazzo ricordò. L’aveva vista qualche giorno prima alla Warner Records, ecco. Stava chiacchierando con Jim, mentre aspettavano che finisse la riunione sulle tracce dell’album che stavano iniziando a registrare.

Zack fissò l’amico mentre questi, a sua volta, osservava una bella donna che sorseggiava placidamente un cappuccino. Si domandò perché gli sembrasse di averla già vista. Come se gli avesse letto nel pensiero, Brian affermò:

«Quella tizia qualche giorno fa era alla casa discografica. Quando abbiamo fatto la riunione. Stava parlando con Jimmy.»

Zacky la osservò un attimo, per poi fissare l’amico.

«Jimmy non sbaglia mai.»

Brian tese le labbra in quello che doveva apparire un sorriso, un po’ troppo forzato per sembrare reale.

«Già, Jimmy non sbaglia mai.»


***


L'angolo della piccola folle:
Coff coff, eccomi col secondo capitolo. Come aveva intuito Josie 182, che ringrazio per la recensione, le date corrispondo alla realtà. Questo è il secondo capitolo introduttivo, quello che mi ha distrutto il cuore mentre lo scrivevo, ma che era doveroso ai fini della storia. Non ho ancora terminato di scrivere il terzo capitolo, ma essendo quasi alla fine ho pensato bene di pubblicare questo. Eeeeh, vi prometto che i prossimi saranno più lunghetti. Grazie ad Amor vincit omnia per l'altra recensione, sepro tanto che questo capitolo ti piaccia. Ringrazio anche chi ha messo la storia tra le preferite, le seguite ecc, e grazie anche a chi solo ha perso un po' del suo tempo per leggere. Un bacio, al prossimo capitolo.
Berrs

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Capitolo 3
*** After all this time I'm coming home to you ***


Avengedz
3. After all this time I'm coming home to you


Erano passati due anni ormai dalla dipartita di Rev. Gli Avenged Sevenfold avevano appena terminato il loro tour mondiale e Meg Seward aveva da poco messo in commercio il suo primo album, creato con altre tre fantastiche musiciste. Avevano formato una band pochi mesi dopo l’entrata di Margaret alla casa discografica, decidendo di chiamarsi “Waking the fallen” in onore della loro band preferita. Il loro primo cd stava riscuotendo un discreto successo, nonostante fosse in vendita soltanto da poche settimane. Le ragazze erano euforiche e al momento si stavano godendo un paio di settimane di vacanza lontane da studi di registrazione e riunioni.

Quella sera Margaret era stata invitata ad un party, insieme a Layla e Noelle, rispettivamente chitarrista e bassista della sua band. La festa era stata indetta dalla Warner Records per celebrare il ritorno a casa degli Avenged, dopo un tour andato a gonfie vele e prima di un anniversario che si preannunciava tristemente al termine di dicembre. La ragazza indossava una canotta rossa e degli shorts neri, nulla d’impegnativo e troppo formale. Los Angeles, frenetica e afosa anche al termine di settembre, le scorreva al fianco mentre guidava verso il locale dove avrebbero festeggiato. Parcheggiò in mezzo a mille altri mezzi. O i Sevenfold erano davvero amati, oppure molti erano stati attratti lì solo per la promessa di alcol gratuito. La donna entrò nello stabile, accorgendosi che il suo proposito di trovare immediatamente le amiche e unirsi a loro sarebbe stato pressoché irrealizzabile, vista la moltitudine di persone che era presente all’interno. Sbuffò, decidendo di dirigersi sgomitando verso il bar. Fu però intercettata da un untuoso produttore che le domandò come stesse andando la vendita dell’album, dicendole che se avesse voluto le avrebbe volentieri dato una mano. Meg sapeva che tipo di mano avrebbe voluto darle, ma gli sorrise comunque, annuendo e guardandosi intorno con aria sperduta alla ricerca di qualcuno che potesse trarla fuori da quell’impiccio. Purtroppo non riuscì a individuare nessun volto amico in zona, così si costrinse a fissare un punto vuoto, fingendo di ascoltare il borioso interlocutore. Quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla si voltò di scatto con aria scocciata, cambiando subito espressione quando il suo sguardo incontrò quello chiarissimo e limpido di un personaggio a lei ben noto.

«Perdonami Charlie, te la porto via per un po’.» esclamò il moretto sorridendo all’uomo che la stava tediando ormai da parecchi minuti. Meg si fece portar via molto volentieri da Zachary, che la condusse al bar, offrendole una birra e continuando a sorridere amabilmente, facendo risaltare gli splendidi piercing che portava sul labbro inferiore.

«Scusa se ti ho trascinata via così ma mi sembravi in difficoltà. Charles è un vecchio porco.»

Margaret ridacchiò, annuendo e bevendo un sorso fresco e rigenerante di birra.

«Grazie mille, sei la mia salvezza.»

«Sempre disponibile.» esclamò lui, per poi continuare: «Tu devi essere Meg Seward, la cantante dei Waking the fallen.»

Un enorme sorriso sbocciò sulle labbra della donna, mentre annuiva con convinzione.

«In effetti al tuo cospetto mi sento un po’ una plagiatrice… Voglio dire, era il vostro album..»

Zack la fissava con aria critica, senza ascoltare quello che effettivamente le sue belle labbra stavano pronunciando.

«Io ti ho già vista parecchio tempo fa. Prima che diventassi famosa.»

«Ma io non sono fam…» tentò di protestare, venendo interrotta dal ragazzo.

«Ti ho incontrata qualche giorno prima che Jimmy ci lasciasse. Agli studi.»

La schiena della ragazza fu percorsa da un brivido. Ricordava quel giorno come se fosse stato ieri. La gentilezza di Jimmy, il suo averle rivolto la parola senza motivo, rendendola partecipe di avvenimenti che potevano apparire del tutto insignificanti se visti da occhio esterno, ma che l’avevano resa felice, fatta sentire parte di quel qualcosa che aveva sognato per tanti anni, mentre ascoltava le loro canzoni vagando per Huntington Beach con la speranza di incontrare uno di loro, per puro caso. Sorrise a Zacky, annuendo ancora una volta.

«Sì, esatto, ci siamo incontrati alla Warner un paio di anni fa.»

Zacky guardò quegli occhi di quella tonalità così strana, castani li aveva definiti quando li aveva incrociati per la prima volta. Doveva cambiare la sua definizione, visto che quel colore così particolare non poteva essere definito semplicemente marrone. Un cerchio grigio scuro stava all’esterno, mentre poi sfumava e si trasformava in un colore caldo, caramello bruciato, sempre più scuro man mano che si avvicinava alla pupilla. Era una ragazza molto bella nel complesso, e quelle due iridi così particolari la rendevano ancora più affascinante.

«Allora, come è andato il tour?» domandò la donna rivolgendosi al bel ragazzo che sorseggiava una Heineken davanti a lei.

«È stato fantastico. Cazzo se è stato fantastico!»

I suoi occhi luccicavano colmi di allegria. Meg ridacchiò osservandolo. Era davvero adorabile con quell’espressione estatica sul viso.

«Vengeance, ma ti sembra il caso di tenerti una così bella donna tutta per te? Pensavo che gli amici condividessero!»

Il piccolo Johnny si avvicinò a loro due, presentandosi a Margaret, che fu davvero felice di stringere quella mano che il ragazzo le tendeva. Lui le sorrise, annuendo quando sentì il suo nome.

«Waking the fallen. Ti conosco, mi hai rubato il cognome!» disse ridendo. Meg arrossì leggermente, ma capì che Johnny stava scherzando.

«Sono proprio io!» rise, quando vide una vistosa chioma verde attraversare la sala. Si scusò con i due ragazzi, dicendo che aveva appena visto una sua amica e sarebbe stato meglio se l’avesse intercettata. Zack le fece segno di andare, e lei si avviò nella direzione in cui le sembrava di aver visto dirigersi Noelle e la sua inconfondibile capigliatura. Stava camminando guardandosi intorno con la birra ancora mezza piena in mano quando urtò qualcosa, rovesciando il contenuto della bottiglia che si portava appresso.

«Ma porca troia.»

Eh, la finezza di Synyster Gates era decisamente inconfondibile. Meg si voltò con espressione dispiaciuta, scusandosi per l’accaduto.

«Oh cazzo scusami! Stavo camminando con la testa altrove e non ho fatto caso a…»

«Sì sì okay, non mi importa.»

Uh, che acidità.

«Posso aiutarti a smacchiarla.», asserì fissando la maglia del ragazzo, impregnata di birra. Lui le rivolse un’occhiata scocciata, scuotendo la testa.

«No, grazie. La terrò zuppa di Heineken per tutta la serata.»

«Seriamente, mi dispiace.»

Il ragazzo la guardò qualche attimo. Il suo tono di voce si era abbassato di qualche ottava, diventando più triste e con un tono di scuse così remissivo da lasciare l’uomo senza parole. Si passò una mano tra i corti capelli neri, pieni di gel, scuotendo dolcemente la testa.

«Scusa, me la sono presa per nulla. Sono un po’ nervoso stasera.»

Margaret annuì, comprensiva.

«Penso di poter rimediare alla macchia, comunque.»

Syn la fissò, per poi prenderla per mano e trascinarla in bagno.

 

«Se qualcuno entrasse adesso, chissà cosa penserebbe.»

Meg gli dedicò un’occhiataccia, rimettendosi al lavoro.

«Sto lavorando per te, quindi non rompere.», asserì, restando in ginocchio sul pavimento del bagno mentre Gates la fissava dall’alto con un sorriso divertito.

«Oh, ecco fatto.»

Syn guardò la sua maglietta, accorgendosi che era più pulita di quando l’aveva indossata.

«Se me l’avessi fatta togliere ci avresti messo anche di meno.» celiò tendendo le labbra in quel suo sorrisetto tipico.

«Siccome non ci tengo a vedere la tua trippa, ho preferito fare così.»

Lo sguardo di Brian scese sul suo stomaco, mentre rispondeva a tono:

«Ehi, non sono grasso, io! È da parecchio tempo che vado in palestra, ho di quegli addominali…»

«Lardominali, vorrai dire.»

La osservò con sguardo sconvolto.

«Come sei cattiva!»

Margaret rise, scuotendo dolcemente la testa.

«Dai sto scherzando! La bellezza di Synyster Gates è irraggiungibile!»

Ecco riaffiorare quel suo sorriso stronzo e malizioso.

«Tutte cadono ai piedi del grande Gates.»

«Basta che ci credi.»

Mentre battibeccavano erano usciti dalla stanza, dirigendosi al bancone dove venivano serviti gli alcolici.

«Dai, ti offro una birra.» affermò la ragazza, facendosi dare due bottiglie dal barista.

«Tanto non le paghi tu.»

La donna rise di nuovo, prendendo le due Heineken e porgendone una al ragazzo dai capelli scuri. Aveva cercato di non farci troppo caso, soprattutto in bagno, a così poca distanza da quel corpo, ma ora che stavano in silenzio, sorseggiando quella bevanda, non poteva non soffermarsi sulla bellezza di Brian. Tutti quanti in quella band erano affascinanti, perfino quel tappo di Johnny. Margaret osservò l’uomo che le stava dinanzi, decidendo che il suo aspetto era decisamente attraente, non c’era che dire. Rimase qualche attimo ad osservarlo in silenzio, quei capelli scuri, le braccia muscolose e tatuate, le spalle ampie e il viso ben modellato, quando incrociò le sue iridi color cioccolato. Distolse velocemente lo sguardo, mentre Brian le donava un altro sorrisetto strafottente.

«Ma come? Mi dici che vai da un’amica e ti ritrovo con Gates? Hai per caso cambiato sesso, Syn?»

Meg si voltò in direzione della voce, incrociando gli splendidi occhi di Zachary.

«Rassegnati ZeeVee, io sono molto più uomo e più attraente di te.»

L’amico ridacchiò, scuotendo la testa con aria contrariata.

«Meg, perché hai scelto quest’essere inutile invece che il perfetto sottoscritto?»

La donna non poté fare a meno di scoppiare a ridere ancora una volta. La lasciava basita come, anche conoscendola appena, i due ragazzi fossero così in confidenza con lei. Scherzavano, la prendevano in giro come fossero stati amici da sempre. Era un tipico modo di fare americano, californiano in particolare, anche lei spesso era come si usa dire “friendly”, ma si stupiva nel vedere quei ragazzoni muscolosi e tatuati, dall’aria pericolosa e metallara fino al midollo, giocare e ridere come due bambinoni. Ancora non riusciva a credere di essere realmente riuscita a coronare il suo sogno e a conoscere i suoi adorati Avenged Sevenfold. Zacky e Syn stavano ancora discutendo quando una donna dai corti capelli neri comparve al fianco di Meg, abbracciandola da dietro.

«Ti ho trovata finalmente!»

«Layla! Ho provato a cercarti, ma…»

«Era troppo occupata a flirtare con me.» concluse Zack al posto suo.

«Ma non è vero!» protestò lei, ridendo.

«Infatti, Zee, prima è stata in bagno con me.» annunciò Synyster con aria fiera.

Le espressioni scioccate di Layla e Zacky fecero ridere colui che aveva appena parlato.

«Per smacchiargli la maglia che gli avevo sporcato con la birra, non fate pensieri sconci!»

Zachary scosse la testa, sospirando con aria triste e sconfitta.

«Pensavo di essere l’unico uomo per te… Io ti amavo!» piagnucolò, gettandosi in ginocchio per terra.

«E io pensavo che saresti stata mia per sempre!» strepitò la chitarrista fingendo di scoppiare in lacrime al fianco di Zack, sul pavimento. Meg li osservò qualche attimo ridendo, per poi chinarsi e aiutare l’amica dai corti capelli neri a rimettersi in piedi.

«Ma ragazzi, voi festeggiati non dovreste essere in giro a intrattenere la gente e sorridere in maniera provocante ai vostri ammiratori?» chiese poi ai due musicisti, impegnati a prendersi allegramente a spallate. Zacky le dedicò un sorriso ammiccante.

«Infatti stiamo intrattenendo e sorridendo in maniera provocante.»

Margaret sbuffò, scuotendo la testa. Si avvicinò al bancone del bar e ordinò un’altra birra.

«Direi che è tempo di festeggiare il vostro ritorno a casa.»

 

*

Qualche ora dopo Meg sedeva in macchina con la testa tra le mani, sul sedile posteriore, con il tettuccio abbassato e l’aria fresca che le carezzava dolcemente la pelle dandole un po’ di sollievo. Come aveva potuto bere così tanto sapendo che sarebbe dovuta tornare a casa in macchina? Ah, era davvero un’idiota, avrebbe dovuto dormire lì finché la testa non avesse smesso di girare. Layla era sparita a metà serata con un ragazzo niente male, un cantante emergente che l’aveva portata via mentre si stavano scolando la milionesima vodka. Meg era rimasta un po’ con i due chitarristi dei suoi sogni, ridendo e scherzando, per poi vederli andare via quando le loro donne erano arrivate a reclamarli. La serata era stata veramente divertente, aveva conosciuto parecchia gente interessante e non si era sicuramente annoiata. Però aveva decisamente esagerato, non avrebbe dovuto bere tutti quei drink, anche se erano gratis e spesso le venivano offerti con nonchalance. La testa le pulsava e tutto intorno a lei girava leggermente. Si stese sul sedile, abbassando la capotte e infilandosi le cuffie dell’mp3 nelle orecchie. Avrebbe dormito un po’ lì, finché almeno il mondo avesse smesso di muoversi dandole il capogiro. Le note di Bat Country le risuonarono nelle orecchie, mentre pian piano cominciava ad assopirsi.

 

*

 

Dovevano essere circa le cinque, quando mise piede fuori dal locale nell’aria fredda del mattino. Gena se n’era andata forse un’ora prima, decidendo che era troppo stanca e senza un bel sonno ristoratore non ce l’avrebbe fatta ad andare al lavoro quel pomeriggio. Lui l’aveva congedata con un sorriso, dicendole di non aspettarlo sveglia. Non l’avrebbe fatto comunque, ma tant’è, si preoccupava per la sua ragazza, anche se era completamente ubriaco. Si mise a camminare nel parcheggio pieno di automobili, per schiarirsi un po’ le idee. Shadows e Valary erano seduti in un angolo appartato a scambiarsi opinioni, Gates e l’altra DiBenedetto si stavano scolando mezzo bar, mentre Johnny e Lacey ballavano come degli scalmanati. Arin, il nuovo arrivato, era bombardato di domande, tutti volevano un’opinione da lui e il suo animo dolce non gli permetteva di scacciare in malo modo i seccatori. Per quanto riguardava il signor Vengeance se l’era spassata fino a quel momento, quando l’alcol in circolo era diventato un tantino troppo e un leggero malessere l’aveva colto, costringendolo a lasciare il luogo del divertimento. Barcollò in mezzo alle auto, finché inciampò nei suoi stessi piedi, finendo per ritrovarsi lungo disteso sul cofano di una macchina di lusso. Il cui antifurto, neanche a dirlo, prese a suonare in maniera allarmante. Fortuna che all’interno c’era troppo chiasso perché qualcuno potesse sentirlo. Sentì però una voce confusa alle sue spalle, così si voltò, trovandosi davanti la chioma rossa di Margaret Seward.

«Ah, sei tu!»

Lei lo guardò stupita, mentre dava un’occhiata intorno per vedere cosa avesse provocato il suono di quell’antifurto che l’aveva ridestata dai suoi sogni. Erano già le cinque, caspita. Aveva dormito due ore e la sua epica sbronza se n’era andata, lasciandola con un mal di testa lancinante, acuito dal suono acuto che l’aveva svegliata poco prima.

«Cosa vuol dire che ‘sono io’?»

Zacky mugugnò qualcosa in risposta, che lei non capì, per poi lasciarsi cadere sul terreno a gambe incrociate, tenendosi la testa. La ragazza si accovacciò al suo fianco, scuotendolo dolcemente e domandogli se andasse tutto bene.

«Mmh, sì, solo un po’ troppa birra.» biascicò lui, alzando il viso a guardarla negli occhi. Ogni volta che Meg incrociava quelle iridi era costretta a trattenere il respiro. Erano di un colore così vivido da stupirla fortemente. Un verde acqua intensissimo, che le faceva sussultare il cuore. La prese per la vita e la trascinò a sedere sull’asfalto al suo fianco.

«Meggy.»

Odiava quando la chiamavano Meggy, ma sorvolò, affermando:

«Dimmi Zack.»

«Sono ubriaco.»

«Sì, questo l’ho notato.»

«Sono ubriaco e seduto in un parcheggio con una donna che conosco appena. Devo davvero essere ubriaco.»

La ragazza trattenne le risate, soffocandole con un colpo di tosse piuttosto potente.

«Sì, devi esserlo.»

«Era tanto che non mi sbronzavo così. Da quando Jimmy se n’è andato non penso di aver mai bevuto per festeggiare. Era la disperazione a guidarmi.»

Meg poteva benissimo immaginare i mesi terribili passati dai ragazzi. No, non lo voleva immaginare in realtà. Se lei si era sentita triste e sconfitta, avendo solo incontrato Rev, non poteva nemmeno riuscire a concepire come i suoi amici, che lo conoscevano da sempre e l’avevano visto crescere, potessero ancora sorridere. Forse però era proprio il fatto di averlo conosciuto da sempre che dava loro la forza di andare avanti, di sorridere e pensare che in fondo James non avrebbe voluto vedere i suoi amici depressi.  Don’t cry while I’m away, everything will be alright. Zacky sorrise dolcemente, probabilmente perso in qualche ricordo.

«Abbiamo deciso di tornare a vivere per lui, di continuare a fare musica perché è ciò che vorrebbe.»

Anche la donna sorrise, nonostante sentisse un leggero groppo in gola.

«Sì, lo credo anch’io.»

Il ragazzo si voltò verso di lei, scuotendo la testa e passandosi una mano tra i corti capelli neri.

«E adesso oltre ad essere ubriaco sono anche deprimente! Dai Zack, sai fare di meglio di così per conquistare una donna!»

Meg rise di gusto, domandandosi perché si sentisse così felice e fortunata nel sedere in un parcheggio al fianco di Zacky Vengeance. Dopotutto l’asfalto era scomodo e cominciava ad esserci freddo, per una ragazza vestita soltanto da dei pantaloncini e una canotta. Un brivido le corse sulla schiena quando una folata di vento particolarmente fredda la investì. Anche l’uomo al suo fianco si strinse nelle spalle, per poi affermare:

«Qui fuori comincia a fare freddino. Torni dentro con un povero ubriaco?»

Margaret scosse la testa. Era meglio per lei andarsene a casa a riposare. Il mal di testa cominciava a martellare fortemente ed era già tardissimo.

«No, Zack, è tardi e nemmeno io sono troppo sobria. È meglio se per oggi mi fermo qui.»

Il ragazzo la guardò alzando un sopracciglio con aria scettica.

«Si vede che non hai mai fatto una serata alla ‘Sevenfold’. Ah, vedrò di organizzartene una.»

Non sapeva di cosa stesse parlando ma annuì comunque, alzandosi in piedi e cercando di aiutare Zacky a fare lo stesso. Lo salutò con una spinta verso la porta del locale e l’augurio di divertirsi ancora un po’.





L'angolo della piccola folle:
Eccomi qui con il terzo capitolo, gnam gnam. Qui inizia la storia vera e propria. Sinceramente non ho molto da dire al riguardo, sembrerà strano che Zacky e Syn diano così tanta confidenza a un'estranea, ma mi piaceva l'idea che la coinvolgessero anche senza conoscerla. Matt e Johnny saranno più presenti dal prossimo capitolo e faranno la loro comparsa anche le donne della compagnia. Un piccolo appunto su Layla: mi dispiace averla introdotta così, ma sarà anche lei un personaggio importante, è la migliore amica della nostra adorata protagonista. <3

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Capitolo 4
*** The only thing I ask of you is to hold her when I'm not around, when I'm much too far away ***


Avengedz
4. The only thing I ask of you is to hold her when I'm not around, when I'm much too far away



Meg dormiva. E dormiva anche bene, stava facendo un bel sogno e per nulla al mondo avrebbe voluto essere svegliata dalla suoneria del suo cellulare. Fortuna che era una delle canzoni del suo album, e non una di quelle preregistrate che la mattina ti mettono di malumore. Arrancò tastoni sul comodino, cercando l’apparecchio senza aprire gli occhi. Si ricordò di averlo lasciato nella tasca dei jeans la sera prima, dunque dovette sgusciar fuori dalle calde coperte e aprire le palpebre al mondo. Nella semi oscurità in cui era immersa la camera riuscì finalmente a prendere il telefono, osservando con interesse il numero sconosciuto che era apparso sul display luminoso.

«P-pronto?» chiese con voce assonnata, sbadigliando sulla prima lettera.

«Non dirmi che ti ho svegliata!»

«Sì, ma chi cazzo è?»

La mattina, appena sveglia, poteva essere leggermente irritabile. Soprattutto se la si interrompeva sul più bello delle sue fantasie notturne.

«Non mi riconosci?»

«Senti, sono troppo addormentata per questi giochetti, buona notte.» disse troncando la comunicazione di netto. Tornò a letto, portandosi però il cellulare in modo da non dover più lasciare quel nido caldo se lo scortese sconosciuto le avesse telefonato di nuovo. E, come non detto, l’apparecchio prese a squillare nuovamente.

«Pronto, dannazione.»

«Oh, Zack deve davvero averti fatta arrabbiare. Buongiorno principessa, ben svegliata.»

No, Margaret non riconobbe nemmeno questa seconda voce.

«Ma stamattina ce l’avete con me?»

All’altro capo della linea l’interlocutore rise, per poi esclamare:

«Sono Brian. Brian Haner, hai presente? Tipo sono tutto tatuato, mi faccio chiamare Synyster Gates e suono in una band formata da teste di cazzo? Come Zachary Baker, alias Zacky Vengeance, che ti ha chiamato prima.»

La ragazza non rispose, tanto che Brian credette che avesse già riattaccato.

«Uhm, pronto? Ci sei ancora Meg?» domandò con titubanza.

«Sì, sono qui.» sospirò la donna. «Ma voglio dire, vi sembra normale svegliarmi alle nove di sabato mattina? E di’ a Zack che è un deficiente. Secondo lui avrei dovuto indovinare chi era? Voi rockstar siete troppo strane per i miei gusti.»

Sentì la risata all’altro capo del telefono e poi le parole che seguirono:

«Hai ragione, ma questo povero idiota ha insistito per telefonarti subito. Voleva invitarti a cena, per un qualche strano motivo riguardante il ‘Sevenfoldizzarti’. Non so cosa intenda.»

Lei l’aveva intuito, ma fece un altro sospiro, scuotendo la testa.

«Digli che poteva anche chiamarmi nel pomeriggio.»

«Pensavo che poi avresti fatto altri programmi ed io volevo prenotarti per la serata.» spiegò la prima voce, quella che l’aveva malamente destata pochi minuti prima.

«In effetti avrei già da fare stasera.»

«Oh.»

Margaret percepì la delusione nella voce del chitarrista, così ridacchiò e disse:

«Scherzavo Zacky, scherzavo.»

«Non sei affatto simpatica. Ti passo a prendere alle otto. Vedi di essere puntuale.», e così concluse la comunicazione. Meg era piuttosto incerta, soprattutto perché si domandava come gli Avenged Sevenfold avessero avuto il suo numero di telefono e come avrebbero potuto passarla a prendere quella sera se nemmeno sapevano dove abitava. Con questi dubbi poggiò la testa sul cuscino e tornò al suo sogno che era stato interrotto sul più bello, quando la sua bocca stava per baciare quella dell’uomo dei suoi sogni, che portava due piercing sul labbro inferiore.

 

*

 

Quando, alle otto e qualche minuto il campanello squillò, Meg aveva appena finito di indossare le scarpe. Non sapendo dove sarebbe andata aveva messo abiti in stile casual, un paio di jeans scuri, una camicia color petrolio e un giacchettino di pelle. Nonostante fosse oramai ottobre, in Orange County le temperature erano ancora gradevoli. Andò ad aprire prendendo borsa e chiavi di casa. Uno Zachary sorridente le apparve dinanzi e le porse una bottiglia di birra.

«Solitamente si regalano dei fiori, comunque apprezzo il pensiero.» disse la rossa prendendo il contenitore dalle mani di Zacky, che rise e annuì.

«Hai ragione, ma mi sembrava più adatto visto quello che ci accingiamo a fare.»

Margaret decise di non fare domande, pensando che sarebbe stato del tutto inutile, così esclamò soltanto:

«A proposito, vado bene vestita così per la serata?»

«Vedrai che già tra un’ora il vestiario sarà l’ultima delle tue preoccupazioni.» affermò con convinzione il ragazzo, che attese la chiusura della porta di casa per condurre Meg alla sua auto. Le porse un apribottiglie, dicendo:

«Mentre ti porto a destinazione usufruisci pure del mio regalo.»

La donna stappò la birra, cominciando a sorseggiarla in silenzio. Intanto Zack, con un paio di occhiali da sole calati sul viso, guidava nel traffico cittadino di Huntington Beach, percorrendo strade che a Meg non apparivano granché familiari. Il paesaggio scorreva veloce al di fuori del finestrino, gli occhi della donna si soffermavano sulle aiuole e i casolari che si susseguivano, le auto che passavano al loro fianco, il mare che in lontananza riluceva grazie agli ultimi raggi di sole della giornata. I suoi capelli rossi venivano illuminati a tratti dalla luce del sole e lo sguardo del suo compagno di viaggio era attratto da quella chioma che riluceva di riflessi color rame. Nel silenzio dell’abitacolo Margaret terminò la birra, continuando a tenere in mano il contenitore vuoto e osservando il traffico che pian piano cominciava a diminuire. Quando si trovarono leggermente fuori città Zack premette il piede sull’acceleratore, mentre la donna continuava a domandarsi dove diavolo si stessero dirigendo. Quando, con una brusca manovra, la vettura imboccò un vialetto di ghiaia e si fermò, il chitarrista scese e andò ad aprirle la portiera. A quel punto la sua curiosità aveva raggiunto livelli inimmaginabili, così finalmente domandò:

«Dove siamo?»

«Benvenuta a casa Sanders!»

Una voce femminile la fece voltare verso l’entrata della villetta davanti alla quale si erano fermati. La DiBenedetto stava in piedi con le braccia incrociate al petto e un bel sorriso sul volto.

«Tu devi essere Margaret!» esclamò stringendole la mano quando arrivò sulla soglia. Meg non si stupì della sua stretta forte e vigorosa. Essendo cresciuta con quei ragazzacci anche lei era ‘una dura’, glielo si leggeva nello sguardo. Era una donna forte, temprata dalle mille sfide che la vita le aveva proposto, e che Valary aveva sempre superato a testa alta. Non ultima, la morte di uno dei suoi migliori amici. La rossa sorrise a sua volta, affermando:

«Piacere! Chiamami pure Meg, nessuno ormai mi chiama con il nome intero, tranne i miei genitori.»

«Okay Meg, tu chiamami Val.», disse la bionda, dando per scontato che la ragazza conoscesse già il suo nome. Le due, seguite dal chitarrista, entrarono in casa. Meg rimase strabiliata nel vedere quanto meravigliosa fosse l’abitazione dei Sanders, nello scoprire le mille stanze al seguito della sua guida, una ragazza più bassa di lei ma con una falcata così sicura e veloce che era difficile starle dietro, soprattutto perché, come fosse in un museo, Meg si perdeva nell’osservare ogni minimo dettaglio che potesse minimamente attirare la sua attenzione. Quando finalmente il giro panoramico le ricondusse in salotto, da dove avevano cominciato, la rossa sorrideva in maniera ebete, sconvolta da tanta storia che quel posto racchiudeva. La vita della sua band preferita.

«Avete davvero una casa stupenda.» annunciò appena si fu ripresa dalla leggera aritmia che l’aveva colta nel vedere tutti i cimeli raccolti tra quelle mura.

«Grazie! Lo dici come arredatrice o come fan?»

Meg rise, con un leggero imbarazzo addosso. Zacky era sparito, e adesso le due donne si trovavano da sole. Nonostante fosse decisamente più alta della DiBenedetto-Sanders, si sentiva a disagio nell’incontrare i suoi occhi color nocciola.

«Come entrambe.»

Valary non aveva mai amato tutti quei fan che cercavano di intromettersi nelle loro vite, soprattutto dopo la morte di Jimmy. Erano stati invasivi e fastidiosi, e lei non riusciva a sopportarli, spesso li avrebbe presi a pugni con rabbia, se soltanto avesse potuto. Le dispiaceva, ma nonostante Zack cercasse di sostenere il contrario, quella Meg non era altro che un’altra fan, decisamente inebriata dal successo, che pensava di poter entrare nelle loro vite con facilità. Bè, si sbagliava. Non aveva fatto i conti con lei, ancora.

Il silenzio che si protese nella stanza venne interrotto da una voce squillante che fece voltare entrambe verso la porta della cucina. Una chioma color rame ne fece capolino, insieme ad un sorriso allegro e spensierato.

«Uh, è arrivata l’ospite d’onore!»

Leana mise piede nel soggiorno e subito l’atmosfera cambiò, l’aria di tempesta che imperversava nell’ambiente sparì, lasciando il posto a un rilassamento generale. La ragazza si avvicinò a Meg, presentandosi. Margaret era decisamente stupita. Non pensava che in quella casa avrebbe potuto incontrare la fidanzata di Rev. Si aspettava che stesse ancora subendo il colpo, che sicuramente non era stato facile da sopportare, invece Leana indossava un bel sorriso, accogliente, caldo e pieno di affetto. Sentiva come una sorta di calore pervadere l’aria intorno a lei, un fascio di luce luminosa che la faceva risplendere.

«Vieni in cucina, ti presento le altre!»

Meg venne trascinata da quel piccolo ciclone verso la cucina, in cui ancora non aveva messo piede. Qui vi trovò una donna alta quanto lei, abbronzata e bionda che si presentò come Gena, la donna di Zacky, e un’altra, più bassa, con i capelli castani e un viso dai lineamenti morbidi, Lacey, la ragazza di Johnny. La rossa fu ben contenta di stringere le mani ad entrambe, presentandosi con un sorriso amabile.

«Stavamo cucinando il pranzo. Ora visto che tu sei l’ospite non c’è bisogno di darci una mano, e visto che Leana è un disastro in cucina potete andarvi a rilassare sul divano in salotto.» asserì Valary, indicando la porta. Meg provò a protestare dicendo che avrebbe volentieri aiutato, ma lei fu irremovibile. Così si ritrovò seduta sul divano di pelle nera insieme a Leana, che l’aveva tartassata di domande a suo riguardo fino a quel momento.  Lei aveva sempre risposto con un sorriso, ricambiando quello che le rivolgeva la bella donna seduta al suo fianco. Non seppe bene come ma presto il discorso verté su un argomento poco consono alla situazione: Jimmy. Leana le domandò come avesse incontrato per la prima volta la band, e lei aveva raccontato cos’era accaduto agli studi un paio di anni prima. Gli occhi della ragazza si rattristarono, mentre continuava comunque a sorridere.

«Proprio da Jim. Lui adorava coinvolgere le persone, anche gli sconosciuti, basta che gli stessero simpatici al primo impatto.»

Nonostante tentasse di mantenere un’espressione allegra, Meg intravedeva le lacrime agli angoli dei suoi occhi. Cercò di frenarle tamponandole con il palmo della mano, ma presto cominciarono a scorrere dolcemente lungo le sue guance, tirate ancora in un delicato sorriso.

«Scusami, non volevo mettermi a piangere.» mormorò cercando di trattenere i singhiozzi.

«No, non preoccuparti.» affermò la rossa, porgendole un fazzolettino di carta estratto dalla borsa.

Leana ringraziò e si asciugò gli occhi.

«Sono passati due anni, quasi. E io rivedo quel giorno come fosse ieri. Provo a non pensarci, cerco di portare alla mente solo i bei ricordi. Ma poi c’è quella telefonata, quella che ha interrotto la mia vita.»

Ormai piangeva a dirotto, e la giovane cantante non sapeva esattamente cosa fare. Così abbracciò la ragazza dai capelli castani che in quel momento si strinse a lei, cercando disperatamente un appiglio per non perdersi nella tristezza che la colpiva ogni volta che pensava al modo in cui Jimmy l’aveva lasciata. Meg sentiva dal canto suo un groppo in gola, che le ostruiva le vie respiratorie, mentre cercava di non unirsi al pianto della donna che stringeva tra le sue braccia.

 

Quando Valary mise piede fuori dalla cucina si sarebbe aspettata di tutto tranne quello spettacolo. Le due ragazze abbracciate, sul divano, che piangevano silenziosamente. Non c’era nemmeno da chiedere quale fosse il motivo, lei l’aveva già capito nel vedere il trucco sbavato di Leana. Nonostante fino a poco prima avesse voluto cacciare via quella donna, Margaret, si rese conto che forse non era soltanto una di quelle fan, di quelle oche che avrebbero fatto di tutto per portarsi a letto uno dei componenti della band. Quelle lacrime che solcavano le sue guance erano dedicate a Rev, senza dubbio. Ed erano tanti i fan che piangevano per lui. Quelli erano i veri fan, quelli che sapevano quanto male aveva procurato loro la morte del batterista, quelli che li avevano sostenuti, incitandoli ad andare avanti, a continuare a lottare perché era quello che Jimmy avrebbe voluto. Val ebbe un tuffo al cuore, vedendo quelle due donne che si sostenevano a vicenda. Si fece avanti e strinse entrambe in un abbraccio. Non sapeva perché l’aveva fatto, ma sentiva la necessità di unirsi a quel momento di dolore e difficoltà. Gli occhi di Meg e Leana si voltarono verso di lei, ed entrambe sorrisero. Erano due sorrisi molto diversi, quello così conosciuto per lei di una delle sue migliori amiche, e quello nuovo, appena scoperto, della rossa. Eppure entrambi volevano comunicarle qualcosa di meraviglioso, in quell’abbraccio che avevano aperto anche a lei: che c’era ancora qualcosa di buono a quel mondo, nonostante le difficoltà. C’era l’affetto che legava delle sconosciute, che presto sarebbero diventate amiche, perché gli spirti affini si riconoscono sempre nei momenti di maggiore debolezza, e loro in quel momento stavano aprendo i propri cuori l’una all’altra, cercando quella connessione che aveva fatto scaturire le lacrime di Meg, per scoprire cosa sarebbe accaduto una volta che i sorrisi sarebbero sbocciati nuovamente sui loro volti e la tristezza avrebbe lasciato il posto alla consapevolezza che Jimmy era lassù a guardarle e a sorridere a sua volta.

 

*

 

Zachary James Baker raramente sbagliava previsioni. Aveva predetto il loro successo, predetto il fidanzamento e poi il matrimonio delle sorelle DiBenedetto con i suoi amici, predetto che Gena sarebbe diventata la sua donna, e quella sera aveva predetto che avrebbero fatto una festa da sballo. Avevano appena finito di cenare e lui si trovava fuori, nella veranda di casa Sanders, a fumare una sigaretta. Esattamente come si era immaginato tutti avevano accolto Meg a braccia aperte, prima Leana, poi Val. E ben presto anche Lacey aveva capito che quella ragazza meritava davvero un po’ della loro fiducia, così si era unita al battibecco che le tre avevano iniziato poco prima riguardo lui non sapeva bene quale attore. Johnny non aveva faticato molto nel ritrovarsi vittima delle battute della rossa, che appena ebbe preso un po’ di confidenza, cominciò a torturarlo con il supporto della sua fidanzata. Gates già l’aveva parzialmente conosciuta e non si era dato riserve nel tormentarla con battute a sfondo sessuale riguardanti il colore dei suoi capelli. In fondo tutti sanno che le rosse sono… un po’ porche. E Meg non aveva fatto nulla per smantellare quella teoria, anzi, rispondeva a tono con un sorriso sulle labbra. Matt l’aveva intrattenuta per una buona mezz’ora su discorsi riguardanti il canto, le note, la voce. Proprio per quello Zacky si era rifugiato all’esterno, visto il tedio che cominciava a coglierlo. L’unica che non aveva manifestato particolare interesse per la nuova arrivata era Gena, ma Zack sapeva che la sua donna impiegava parecchio tempo per inquadrare le persone e quindi fidarsi di esse. Non che si fosse comportata in maniera ostile, però non aveva nemmeno partecipato ai discorsi delle sue amiche, limitandosi a qualche risposta, correlata a un falsissimo sorriso, quando le veniva domandato qualcosa. Poteva ritenersi soddisfatto nel dire che Margaret aveva superato l’esame di tutti, o quasi. Bisognava anche ricordarsi che quella sera mancava all’appello l’altra DiBenedetto, e che lei non era certo socievole come la sorella. Zacky gettò il mozzicone nel posacenere e rimase seduto sul patio qualche altro minuto, riflettendo. Aveva scelto di presentare Meg a tutti quanti perché c’era bisogno di una ventata d’aria fresca nella famiglia. Anche se non la conosceva bene, anzi, non la conosceva affatto, avendo passato soltanto una serata con lei prima di allora, aveva comunque deciso che quella donna dal sorriso contagioso sarebbe stata la loro ventata d’aria fresca. Zachary James Baker non aveva mai sbagliato una previsione in vita sua, ma c’è sempre una prima volta.




L'angolo della piccola folle:
Capitolo nuovo! YEAH! *non gliene frega niente a nessuno ma non importa* Salve a tutti, bellissimi che avete letto e recensito, messo la storia nelle preferite/seguite/ecc. Eccomi qui di nuovo, con un capitolo un po' strano. In parte serio, in parte no. Che dire, spero soltanto vi piaccia. Vi dico che non ho nulla contro le donne dei nostri amati, ma purtroppo ci devono essere gli stronzi in ogni storia, e... Sì, saranno proprio Gena e Michelle le stronze in questione. Le adoro entrambe in realtà, ma tutto ciò è funzionale alla trama, quindi chiedo venia. Alla prossima!
P.S. Scusate, l'html oggi mi è nemico -___-

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Capitolo 5
*** We're all so weak, no matter how strong ***


Avengedz
5. We're all so weak, no matter how strong

Meg sbadigliò. La prima cosa che faceva, la mattina appena sveglia, era sbadigliare. Quindi ripeté quel rito, aprendo gli occhi. Si trovava nel suo letto, sotto le sue coperte calde. Non ricordava come ci fosse arrivata, ma un forte mal di testa le stava annunciando che la notte prima aveva decisamente esagerato. Si ricordava quasi ogni particolare della serata, dal pianto con Leana alle varie battute e scherzi con Syn, eppure da un certo momento in poi c’era una fitta nebbia a celarle cosa avesse combinato nelle ore precedenti. Si ricordava che a un certo punto Zee era entrato dalla veranda ed aveva iniziato a dire che quella serata così non andava bene, prendendo i joystick con i quali si stavano sfidando a Call of Duty e dando a tutti una birra. E così era iniziata la sua ‘Sevenfoldizzazione’. Ecco, dalla sesta birra, il quarto bicchiere di Jack Daniels e la seconda bottiglia di vodka non ricordava più nulla. Magici poteri dell’alcol. Quando sentì aroma di caffè nell’aria si drizzò a sedere. Chi c’era in casa sua?

«Oh, buongiorno principessa. Come stai?»

In cucina, nella sua cucina, Brian Haner le stava preparando la colazione. Meg si bloccò sulla soglia. L’aveva chiamata principessa? Si stropicciò gli occhi, strizzandoli. Doveva star ancora sognando, ed era anche un bel sogno, visto che il ragazzo le stava porgendo una tazzina di caffè e un’aspirina con un bel sorriso stampato in volto. Ingurgitò entrambi sotto gli occhi esterrefatti del chitarrista, ustionandosi la lingua, la gola e probabilmente anche l’esofago. Boccheggiò, rendendosi finalmente conto che quella era la realtà, che il caffè era bollente e la sua gola era in fiamme. Syn ebbe la prontezza di riflessi di porgerle un bicchiere d’acqua gelata, così che la ragazza riuscì finalmente a respirare in maniera normale.

«Ma sei pazza?» rise il ragazzo, fissandola con sguardo divertito.

«Pensavo fosse un sogno… Cosa ci fai in casa mia?»

 

Poche ore prima

«Non preoccuparti, dato che non c’è Mich l’accompagno a casa io.»

Alcol. Tanto, tanto alcol in circolo da parecchie ore in casa Sanders. Meg era accucciata sul pavimento, addormentata, accoccolata contro Leana, che a sua volta poggiava su Val, tutte mezze nude dopo aver improvvisato uno striptease ed essere state bloccate da Matt, con disappunto di Zacky e Syn. In casa erano rimasti soltanto loro, Gena se n’era andata parecchio tempo prima, visto che la mattina doveva lavorare. Lacey e Johnny erano spariti a metà serata, Zee si era addormentato sul divano e in quel momento un po’ di saliva gli colava dall’angolo della bocca. Matt era davanti alla tv, intrapreso in una qualche missione di Call of Duty.

«Davvero Gates? Guarda che può anche dormire qui.» asserì il suo cantante mentre sterminava eserciti nemici.

«Meglio di no. Dai porto a casa anche ZeeVee. Leana penso possa restare dov’è.»

Matt annuì, premendo i tasti del joystick con frenesia.

«Va bene allora. Ti do una mano a caricarli in macchina. Sicuro di riuscire a guidare? E tra l’altro, sai dove abita Meg?»

Syn si guardò intorno, per poi dirigersi verso il chitarrista addormentato sul divano e sfilargli con grazia un foglietto dalla tasca.

«Ecco. ZeeVee non se lo ricordava e se l’è scritto. E poi certo che riesco a guidare, ho già smaltito tutto. Per chi mi hai preso?»

L’interlocutore rise e non rispose, caricandosi Zachary in spalla e aprendo la porta di casa.

 

«Quindi mi hai portata qui tu?» domandò Meg addentando una fetta di toast con la nutella.

«Esatto. Eh, ah, visto che non sapevo dove Zee avesse messo le sue chiavi di casa l’ho poggiato comodamente sul tuo divano.»

«Pensavo voi aveste le chiavi di casa l’uno dell’altro.» affermò la rossa, sorseggiando un succo di frutta freddo per riprendersi dall’ustione che il caffè le aveva causato.

«Non da quando Gena ha fatto cambiare la serratura perché entravamo sempre nei momenti peggiori.» asserì il ragazzo, scuotendo la testa con aria contrariata. Meg rise, finendo la sua colazione ed alzandosi in piedi, per poi esclamare:

«Io vado a fare una doccia. Mi sento tutta appiccicosa come se invece di bere alcol ci avessi rotolato in mezzo.»

Il ragazzo la guardò con un sorriso divertito, scuotendo la testa ricoperta da capelli scuri.
«Vai, vai. Intanto sveglio Zacky e vedo se ha bisogno di qualcosa.»
La rossa si diresse verso il bagno, aprendo l’acqua del box doccia e aspettando che diventasse abbastanza calda da potervi entrare. Amava farsi lunghe docce calde, finché ogni specchio o vetro della stanza non si appannava a causa della condensa, lei non ci pensava minimamente ad uscire da sotto il getto d’acqua. Si sfilò i vestiti e li lasciò in un angolo della stanza, per poi finalmente sciogliersi in mezzo all’acqua bollente che le schizzava il corpo abbronzato. Si stava insaponando quando sentì la porta del bagno aprirsi. Si era dimenticata di chiudere a chiave, vivendo in casa da sola non c’erano mai problemi che qualcuno entrasse e la vedesse nuda.
«Ma cos’è tutto sto vapore…»

La voce confusa e addormentata di Zacky le giunse alle orecchie, mentre lei ringraziava il cielo del fatto che tra loro si frapponesse una spessa parete trasparente appannata causa temperature elevatissime.
«Zachary James Baker esci immediatamente da questa stanza! C’è il bagno di servizio vicino la cucina!»

Il ragazzo parve interdetto nel sentire una voce che gli parlava da tutta l’umidità che permeava la stanza, ma uscì senza farsi troppe domande, chiudendosi la porta alle spalle. Meg tirò un sospiro di sollievo. Fortuna che era davvero addormentato, altrimenti si sarebbe messo a guardarsi in giro allegramente, senza dubbio.
«Sia ringraziato il cielo per averci donato i postumi.»

Quando finalmente Meg rimise piede in cucina, Zack era accasciato sul tavolo, mentre Brian sedeva in maniera più composta e pareva stesse parlando al telefono. La donna si accomodò tra i due, scompigliando dolcemente i capelli a Zack che alzò la testa dal ripiano con uno sguardo confuso e disperato.
«Ciao.» soffiò e tornò ad accasciarsi sul tavolo. Meg rise, restando poi a fissare Syn che parlava al telefono. Quando si accorse di essere osservato si alzò con calma e andò a continuare la conversazione in un’altra stanza.
«Stava parlando con Michelle che doveva tornare oggi da New York.» Lo sguardo della ragazza, che aveva seguito Brian allontanarsi, venne spostato sul moro che aveva alzato nuovamente il capo a guardarla con quei suoi occhi chiari e brillanti, che la facevano rabbrividire ogni volta che li poggiava su di lei.
«E invece?»

«E invece a quanto pare si fermerà lì per un’altra settimana.»

Meg non chiese null’altro, non le interessava impicciarsi nelle loro vite più di quanto già stesse facendo.

«Come stai Zacky caro? Ti vedo molto sveglio.» scherzò la ragazza, mentre l’interpellato le faceva un gestaccio a farle capire in quali condizioni versasse.

«Pensavo che sarei dovuta essere io a strisciare stamattina, non tu!»
«Capita a tutti di esagerare un po’, ogni tanto, no?» disse lui, scuotendo la testa e subito fermandosi perché si rese conto che quel movimento gli causava forti emicranie.
«Una doccia e passa tutto.» consigliò Meg, mentre la voce di Brian nell’altra stanza giungeva più forte.

«Lo spero. Prima però devo farmi portare a casa da Gates, che pare avercene ancora per un po’ con quella telefonata. Sto iniziando ad odiare Mich.»
Ci fu un attimo di silenzio interrotto soltanto dalle parole del chitarrista che nell’altra stanza litigava con la sua donna, finché Zacky parlò nuovamente.

«E scusa per l’invasione in bagno prima, ero troppo rincoglionito anche solo per rendermi conto di dove mi trovavo.»

La rossa rise, scuotendo con tranquillità la testa e dicendo che non c’erano problemi. In quel momento Brian fece la sua ricomparsa nella stanza, con un’espressione terrea sul viso e le sopracciglia aggrottate.
«Vengeance, tempo di andare.» affermò fissando i due ragazzi che chiacchieravano amabilmente.

«Uh, okay. Grazie per l’ospitalità Megghie.» sorrise il moretto, passando una mano a scompigliarle i capelli e dirigendosi verso la porta con l’amico che si osservava intorno con espressione funerea. La donna li accompagnò alla porta, affermando:
«Sono io che devo ringraziare voi per la serata e grazie Brian per avermi accompagnata a casa.»

Dopo che Syn ebbe mugugnato qualcosa che suonava come un “non c’è di che” i due si chiusero la porta alle spalle, lasciando Margaret sola, infine. Si sedette sul divano accendendo la televisione e facendo distrattamente zapping. Sentì in lontananza il suo cellulare squillare, così scattò in piedi e si mise a cercarlo, riuscendo a recuperarlo nella borsa solo quando oramai aveva smesso di squillare. Vide il nome di Layla apparire sul display luminoso, così richiamò l’amica.
«Meg ma quanto ci metti a rispondere al telefono?» La voce irritata dell’amica la fece sorridere.

«Dimmi Lay, che c’è?»

«Volevo invitarti a pranzo fuori! Così parliamo un po’ del prossimo album.»
L’idea le piaceva, così si misero d’accordo sul dove incontrarsi. Avrebbero passato un bel pomeriggio, come sempre quando si trattava di Lay, sapeva come farla divertire.

 

*

 

Zachary era steso sul suo letto, a pancia in su, con gli occhi chiusi e il respiro regolare. Poteva apparire addormentato, ma in realtà dentro quella sua testolina fervevano mille pensieri, molti dei quali senza capo né coda. Brian l’aveva riaccompagnato a casa e l’aveva abbandonato lì, senza spiegargli cosa non andasse con Michelle, il perché avessero litigato. Nulla. L’aveva salutato in malo modo ed era sgommato via. Zack era entrato in casa, certo di non trovare Gena perché ancora al lavoro, e si era gettato sul letto vestito. In quel momento cercava la forza di andarsi a fare una doccia. Non avrebbe pranzato, ancora aveva una leggera nausea a perseguitarlo, però era certo che dopo una doccia, come aveva detto Megghie, si sarebbe sentito meglio. Si mise a sedere, decidendo di chiamare Matt prima di andarsi a lavare. Voleva a tutti costi scoprire cosa non andasse tra Mich e Brian.

«Pronto? Zack? Perché chiami a quest’ora?» La voce nasale del suo cantante preferito rispose al telefono in maniera piuttosto scocciata.

«Dormivi?» chiese il chitarrista sconvolto.

«No, ma pensavo lo facessi tu visto com’eri ridotto ieri sera.» rise Matt all’altro capo della linea.

«Spiritoso. Val come sta?»

«Si sta riprendendo. È ancora un po’ rimbambita.»

Sentì la voce della donna urlare qualche protesta in sottofondo ma non riuscì bene a distinguere le parole, così lasciò perdere.

«Ti spiace passarmela?» chiese il moretto con voce timida.

«Val, Zee ti vuole al telefono.»

Qualche secondo di silenzio e la voce della donna sostituì quella del marito, molto più delicata e allegra.

«Ehi Zacky, dimmi tutto.»

Zack si domandò perché per una volta buona non si stesse facendo i fatti propri, ma la curiosità lo attanagliava dalla litigata di quella mattina in casa di Meg.

«Sai perché Michelle è rimasta a New York?»

«Mich è rimasta a New York?! Ma se ieri sera mi ha chiamato dicendo che di lì a poco sarebbe salita sull’aereo per Los Angeles!» La voce della ragazza si era alzata di qualche ottava, in preda al panico per la sorte della gemella.

«Ah, non lo so allora. Stamattina sembrava che fosse rimasta a New York dalla litigata telefonica che ha fatto con Brian.»

Il silenzio dall’altro capo del telefono non fece presagire nulla di buono al chitarrista, che quasi si pentì di aver fatto quella chiamata.

«Adesso provo a sentirla. Ci sentiamo dopo Zee.» E con voce nervosa troncò la comunicazione.
Zacky si sentì un’emerita merda, così filò sotto la doccia, cercando di lavar via i pensieri che gli percorrevano la mente.

 

*

 

Brian era incazzato nero. Dopo aver accompagnato ZeeVee a casa sua, era andato a pranzare in un fast food e aveva continuato a girare senza una meta per le vie di Huntington a tutta velocità, ignorando semafori e autovelox che l’avrebbero rallentato nella sua folle corsa senza meta. Nel nervosismo che l’aveva colto si ritrovò a guidare fino a Los Angeles senza quasi rendersene conto. Michelle si era comportata da vera stronza quel giorno. Sapevano benissimo entrambi che, nonostante si fossero voluti sposare, il loro rapporto non era certo quello idilliaco che regnava in casa Sanders, dove Matt e Valary erano così in armonia da litigare soltanto in momenti di reale crisi. Dagli Haner invece la situazione era completamente diversa, Michelle perdeva la pazienza per un sacco di motivi stupidi, facendo innervosire ulteriormente Brian. Andava a finire che non si parlassero per giorni e giorni, che uno dei due scappasse di casa e andasse a dormire da qualche altro amico finché le acque si calmavano quel poco che premetteva loro di convivere. Nonostante tutto Brian credeva di amarla veramente, quindi le perdonava qualsiasi cosa, anche quelle scappatelle occasionali che in un matrimonio solido non dovrebbero avvenire. Lui dal suo canto cercava di essere il più fedele possibile alla sua donna, anche se ammetteva di non essere sempre riuscito a esserlo. Quel giorno però sua moglie aveva davvero oltrepassato ogni confine. Era partita quasi due settimane prima, dicendogli che aveva da fare alcune commissioni importanti a New York e che una sua amica voleva vederla, e lui non si era fatto problemi nel dirle di partire senza preoccupazioni. Lei gli aveva sorriso e l’aveva baciato con dolcezza, come non faceva da un sacco di tempo. E come un idiota lui aveva sperato che, quando sarebbe tornata, avrebbero potuto riappacificarsi. Ci aveva creduto davvero. Quella mattina lei l’aveva chiamato, dicendo che invece di prendere l’aereo aveva deciso di fermarsi qualche altro giorno a New York. No, non si sarebbe dovuto arrabbiare. Non se durante la conversazione non avesse sentito una voce maschile dire qualcosa a Michelle e lei rispondere con un risolino a bassa voce. Brian non ci aveva più visto e aveva cominciato a sbraitare, chiedendole dove fosse realmente. Era sicuro che lei avesse preso quell’aereo e ora si trovasse a Los Angeles, con un qualche amante. Stava impazzendo di gelosia. Non era possibile che la donna che gli aveva giurato eterno amore andasse a letto con un sacco di uomini tranne lui. Si sentiva usato, era un titolo da sfoggiare, l’essere sposata con una rockstar. All’inizio del loro rapporto però non era così. Michelle lo amava davvero e lui ricambiava. Era per quello che dopo la morte di Jimmy l’aveva voluta sposare: si sentiva a pezzi e desiderava poter contare su qualcuno, poter avere una colonna sicura su cui poggiarsi. Quella colonna però si era rivelata essere fatta di sabbia, ed era crollata inesorabilmente.

Brian era giunto a Los Angeles, era entrato nel suo negozio di dischi preferito, aveva comprato “The final frontier”, l’ultimo album degli Iron Maiden e altri due cd ed era tornato ad Huntington ascoltando Starblind e cercando di non pensare alla sua donna tra le braccia di un altro. Senza accorgersene aveva guidato fino a casa di Margaret. Perché si trovava lì? Probabilmente il suo cervello l’aveva trascinato fino a quel luogo per la semplice ragione che Meg l’avrebbe ascoltato senza giudicare, qualsiasi cosa le avesse detto. Da Matt non poteva andare, ci sarebbe stata Val e nonostante l’amicizia profonda che lo legava a quella ragazza, non avrebbe sopportato la vista della donna che tanto male gli stava causando. Zacky sarebbe stato una soluzione, ma sapeva che in quel momento, a quell’ora del tardo pomeriggio, probabilmente era con Gena e non voleva disturbare il loro tempo insieme, come non voleva farlo con Johnny e Lacey. Arin l’avrebbe forse anche ascoltato volentieri, ma voleva un parere imparziale riguardo la situazione. Parcheggiò davanti alla villetta di Meg, suonando il campanello con pressante insistenza. Non ricevendo alcuna risposta si spazientì e diede un calcio all’uscio, sobbalzando quando una voce alle sue spalle disse:

«Guarda che servono le chiavi per aprirla.»

Meg sorridente e con i capelli rossi tutti disordinati gli passò innanzi, facendo scattare la serratura ed invitando con un gesto il chitarrista a entrare. Lo fece accomodare in salotto, portandogli poi una birra estratta dal frigo e sedendosi al suo fianco.

«Non pensavo di rivederti così presto tra queste mura. Qual buon vento ti porta qui?»

L’uomo la fissò con sguardo scettico, senza proferir parola e iniziando a sorseggiare la bevanda che lei gentilmente gli aveva offerto.

«Vento di tempesta a quanto pare!» esclamò la ragazza, sistemandosi meglio sui cuscini e fissando Brian con interesse.
«Sei qui per un motivo preciso oppure volevi soltanto sfondare la porta di casa mia?»

Lui in risposta le tese un cd, che la rossa prese e osservò con sorpresa.

«Sei qui per regalarmi una copia di ‘Diamond In The Rough? ‘» domandò con aria confusa.

«La mia è un’offerta di pace. Pensa che l’ho anche pagato.» ridacchiò il ragazzo, dicendole poi di farlo partire. Meg lo inserì nel lettore e Demons cominciò a tuonare per tutta la stanza. Abbassò il volume per poter parlare con un tono di voce normale e si rivolse nuovamente al ragazzo.

«Quindi perché sei qui in definitiva?»

«Avevo bisogno di parlare con qualcuno ma al momento la voglia di parlare mi è passata.»

Meg gli dedicò un’occhiata sbalordita, per poi andare a prendere altre due birre dal frigo e accendere la tv. C’era Scrubs in quel momento e per nulla al mondo avrebbe cambiato canale, così si accoccolò meglio nella sua postazione sul divano, allungando le gambe sul tavolino da caffè e sorseggiando quella birra ghiacciata. Syn decise che anche lui avrebbe fatto la stessa cosa, sistemandosi nella stessa posizione della ragazza al suo fianco e seguendo il programma televisivo. Dopo qualche minuto in cui entrambi erano concentrati sulla televisione, Nothing Else Matters dei Metallica risuonò nella stanza, facendo sobbalzare Brian che estrasse il BlackBerry. Dopo aver letto il nome sul display chiuse la chiamata e rimise il cellulare in tasca, con sguardo furioso.

«Problemi di donne?» azzardò Meg. Voleva cavargli fuori una qualche parola riguardo il suo umore nero. Lui la fissò e poi decise di parlare.

«Michelle mi tradisce.» disse infatti lui con convinzione. Meg sul momento non seppe cosa dire, prese semplicemente il telecomando e spense la tv, aspettando che dicesse qualcos’altro. Quando vide che non era intenzionato a proferire parola fissò quegli occhi color cioccolato che tanto le piacevano e domandò:

«Ne sei sicuro?»
«Non posso non esserlo. Ogni tanto qualche scappatella l’ho fatta anche io, ma stavolta sembra una cosa seria.»

La ragazza stette in silenzio, aspettando il fiume di parole che sapeva Brian si stava tenendo dentro da troppo tempo. Eppure tardava ad arrivare, così nuovamente incrociò i suoi occhi castani, che erano carichi di una tristezza estrema, così pura da farle dolere il petto nel guardarli.

«Speravo che le cose tra noi si potessero sistemare, ma evidentemente mi sbagliavo.»

Non si aspettava di incontrare fragilità nel parlare con Brian. Le pareva un uomo tutto d’un pezzo, uno di quelli che non si piegano nemmeno sotto il peso di mille difficoltà. Invece evidentemente si sbagliava, Michelle gli aveva strappato il cuore dal petto e l’aveva dato in pasto alla sua libidine, al suo volersi allontanare da quell’uomo, che però ancora l’amava, nonostante tutto. Meg non seppe far altro che abbracciare Brian per esprimergli un po’ di supporto, per donargli un po’ di forza. Il ragazzo parve interdetto da quel gesto e per qualche attimo lasciò che i capelli rossi di Meg gli solleticassero il viso e le sue braccia gli stringessero il collo. Poi ricambiò l’abbraccio, posando le sue mani sulla schiena della ragazza e avvicinandola ancora di più al suo corpo. Brian aveva sofferto troppo negli ultimi tempi. Jimmy l’aveva lasciato senza spiegazioni. Jimmy l’aveva abbandonato e lui non aveva nemmeno più lacrime da versare né inutili preghiere da fare a un Dio in cui nemmeno credeva, gli restava soltanto la musica e l’amore della sua vita. Ma quando una di queste due certezze gli stava scivolando via dalle dita, si sentiva come un naufrago alla deriva, portato via dalle onde. Stringere Meg tra le sue braccia gli dava la sensazione di essere reale, non soltanto il protagonista di un sogno fumoso fatto di fama e successo. Meg invece sentiva di abbracciare un masso nello stringere quella montagna di muscoli tra le sue braccia sottili e abbronzate. Eppure il suo odore caldo e penetrante, di nicotina e non sapeva cos’altro, le davano la sensazione di essere a casa, di avere un posto a cui appartenere. Brian si sottrasse leggermente all’abbraccio e Meg poté nuovamente incrociare le iridi del ragazzo. Rimasero occhi negli occhi per qualche minuto ancora, finché Brian non avvicinò il viso a quello di Meg. Le sue labbra si adagiarono su quelle della ragazza, con dolcezza, aderendovi perfettamente. La sua lingua fece una leggera pressione, in modo da farle aprire la bocca. Meg lasciò che si insinuasse in lei, che la esplorasse con una dolcezza estrema, calda e appagante e ricambiò il bacio, d’istinto, senza pensare alle conseguenze. Seguì ogni movimento del ragazzo che la teneva stretta a sé, lasciandosi sciogliere da quel bacio caldo e passionale, che le faceva contorcere le viscere. Le loro bocche si separarono solo quando fu necessario ed indispensabile reclamare ossigeno, ma poco dopo le loro lingue ripresero quella danza libidinosa, mentre una Meg un po’ più coerente si domandava se fosse giusto fare una cosa del genere, se anche lui non stesse semplicemente attuando una ripicca nei confronti della moglie, tradendola come lei aveva fatto. Ancora una volta dovettero prendere fiato, e in quell’attimo di lontananza i loro sguardi si incrociarono. Entrambi scuri, entrambi caldi e passionali, carichi di un’attrattiva proibita. Il chitarrista cercò ancora una volta di poggiare le labbra sulle sue ma stavolta Meg lo bloccò, in un attimo di lucidità.

«Non si combatte il fuoco con il fuoco.»

Il ragazzo si bloccò, fissandola per qualche istante. Capiva cosa intendeva, ma quel bacio era stata la cosa migliore che gli era capitata in varie settimane. Mich non lo baciava così ormai da secoli, la passione iniziale con lei era bruciata in fretta.  Si rendeva conto però che Meg aveva ragione, e che lui non aveva il diritto di invischiarla nei suoi affari privati e nei suoi sbalzi d’umore.

«Scusami.» mormorò, togliendole le mani dai fianchi e allontanandosi un poco.

Lei sorrise, anche se c’era del risentimento in quel sorriso.

«Vai da lei e chiarite le cose.»

Syn la guardò un attimo, annuendo e alzandosi in piedi. Le diede un bacio sulla guancia e la ringraziò. Lei gli tese il cd che lui le aveva portato, ma non lo rivolle indietro. Così, appena la porta si fu chiusa e il rumore del motore fu lontano, Meg rimise il cd. Demons ripartì e lei stette lì, seduta, ascoltando in silenzio e riflettendo.

 

I tried running away from me
Convince me that I've grown, but I can't
Change so unnaturally, demons they follow me
I quit running away from me
Convinced that I have grown, but found out
All my reasons for insanity, all a part of me.




L'angolo dell'autrice:
L'autrice stavolta non ha troppo da dire. Ringrazio soltanto tanto tanto chi ha recensito, preferito, seguito... E anche solo letto, perché mi sento importante anche soltanto se leggete le mie fatiche. Questo capitolo mi ha preso un po' più tempo del solito perché ho dovuto pensare intensamente a come volevo sviluppare la storia. Penso di aver in mente una trama non ancora ben definita ma qualcosa riuscirò a tirare fuori dalle mille idee che mi perseguitano. Ancora grazie ♥


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Capitolo 6
*** Trashed and scattered again, I'm feeling so low ***


Avengedz
6. Trashed and scatterd again, I'm feeling so low



Un paio di occhi scuri si guardavano intorno con aria curiosa, mentre delle dita affusolate pizzicavano dolcemente le corde della chitarra elettrica color verde mela, dando voce a una melodia travolgente ma allo stesso tempo dolce, che pervadeva l’aria. Una chioma di capelli neri e corti si muoveva a tempo con il suono, ondeggiando dolcemente, mentre lo sguardo di Layla si fissava in quello dell’amica dall’altra parte del vetro. Meg sedeva al di là della parete trasparente con un sorriso dispiegato sul viso, mentre la sua chitarrista registrava l’assolo del loro nuovo singolo. Mentre ascoltava la bravura della sua band-mate, ticchettava nervosamente con una biro sullo schermo del computer, cercando le parole che avrebbero dovuto accompagnare quei suoni. Era già da una settimana che avevano iniziato a registrare, la batteria era stata registrata tutta il lunedì precedente e il basso era seguito un paio di giorni dopo. Da venerdì Layla provava la chitarra, e quel mercoledì erano giunte all’assolo, mentre ancora la cantante faticava a trovare le parole. Sapeva che il testo non sarebbe dovuto essere allegro e spensierato, dato che la musica aveva un che di nostalgico e forse anche un po’ triste. Si domandò dove avesse lasciato l’ispirazione, sbuffando leggermente e continuando ad osservare lo schermo luminoso che riportava un paio di frasi sconnesse appuntate in disordine. Era così concentrata che il segnale acustico emesso dal suo cellulare per avvisarla di un messaggio ricevuto la fece strillare per la sorpresa. Osservò l’apparecchio con astio, controllando il mittente e accorgendosi che si trattava di un numero non salvato in rubrica.

Da: No number    A: Meg
Ehi Meg. So che probabilmente avrei dovuto farmi sentire prima, comunque volevo chiederti scusa per quello che è successo e ringraziarti. Finalmente ho fatto pace con Mich. Spero che avremo occasione di parlare a voce. Ho avuto il tuo numero da Vee.

 
La ragazza non dovette rileggere il testo per capire chi l’avesse scritto. Non sapeva se sentirsi felice del fatto che finalmente la pace fosse tornata in casa Haner oppure arrabbiata per essere stata, in un certo senso, usata. Decise di lasciare la risposta in sospeso e tornò a concentrarsi sul portatile aperto sulle sue gambe.
Ancora una volta nel giro di pochi minuti fu distratta dall’arrivo di un sms.

 
Da: Zacky V   A: Megghie
Posso sapere perché il tuo numero serviva a Gates? Traditrice!

Da: Megghie   A: Zacky V
Domanda a lui. Che traditrice e traditrice.

Da: Zacky V   A: Megghie
Non vuole parlare. Dove sei?

Da: Megghie   A: Zacky V
In studio, LA.

Da: Zacky V   A: Megghie
Ti passo a prendere alle 13, puntuale, ti porto fuori a pranzo. Non accetto un rifiuto. A dopo.

 
Meg rilesse l’ultimo messaggio un paio di volte per essere sicura di aver capito bene. Layla uscì dalla stanza insonorizzata, avvicinandosi all’amica e abbracciandola da dietro.
«Domani gli ultimi ritocchi e l’assolo dovrebbe andare.» le disse stampandole un bacio sulla guancia. «Il testo come procede?»
«Non procede. Le mie idee sono tutte scontatissime oggi. Dov’è Nel?» domandò accorgendosi solo in quel momento che la bassista, seduta di fianco a lei fino a poco tempo prima, era sparita.
«Sarà andata a mangiare qualcosa, lo sai com’è fatta. Facciamo pausa anche noi?»
«Tra un quarto d’ora passa Zacky Vengeance a prendermi, mi porta a pranzo fuori.»
Layla sorrise dolcemente, scompigliandole i capelli rossi e scoccandole un altro bacio sulla guancia.
«Andrò a cercare Nel, allora. Non è cosa da tutti i giorni che un chitarrista ultra figo ti inviti fuori a pranzo.» concluse facendole un occhiolino e uscendo dalla stanza, lasciando la sua adorata chitarra in un angolo. Meg si piazzò fuori dall’edificio con una sigaretta tra le labbra mentre attendeva che Zee la passasse a prendere. Non fumava spesso, ma quando il nervosismo la coglieva adorava sentire la nicotina scorrerle nelle vene. Attese con pazienza che il macchinone nero di Zack le apparisse dinanzi ma il chitarrista si presentò con una decappottabile rosso fuoco che fece illuminare gli occhi della cantante.
«Che figata!» esclamò salendoci a bordo.
«Ciao anche a te.» rispose il ragazzo ridendo e partendo. Durante il viaggio rimasero in silenzio. Non avevano molto da dirsi, o almeno così pensava Meg, mentre il suo interlocutore silenzioso stava rimuginando su quanto volesse domandare alla ragazza che sedeva al suo fianco, coi capelli rossicci di media lunghezza sciolti sulle spalle e lo sguardo perso nel vuoto oltre il parabrezza. Los Angeles è una città frenetica e piena di turisti, Zacky sapeva che ovunque fossero andati avrebbero trovato gente che probabilmente l’avrebbe riconosciuto, rendendo impossibile loro parlare con tranquillità. Quindi gli era parso adatto guidare verso sud, non fino ad Huntington, dove allo stesso  modo sarebbe stato importunato. Fermò l’auto davanti a un fast food presso Seal Beach, una cittadina a venti minuti dal loro punto di partenza. Quando parcheggiò Meg gli dedicò un’occhiata leggermente stupita, ma smontò dall’automobile senza dire nulla e dirigendosi verso il locale, con al seguito Zack. Ordinarono due cheeseburger e delle patatine, sedendosi poi ad un tavolo all’interno. Novembre era alle porte e le temperature, nonostante fossero ancora decisamente calde, non permettevano di pranzare all’esterno in una giornata poco assolata come quella.
«C’è qualcosa che devi raccontarmi?» domandò di punto in bianco il chitarrista togliendosi gli occhiali da sole e piantandole gli occhi addosso con aria indagatrice. Meg evitò di guardarlo in viso e sorseggiò la sua coca cola in silenzio, scuotendo poi dolcemente la testa a comunicargli che no, non aveva nulla da dirgli.
«Megghie, guardami in faccia.»
La rossa alzò timidamente lo sguardo ed incontrando quello chiarissimo e leggermente alterato del ragazzo sbuffò con forza.
«Se lui non ti ha voluto dire niente ci sarà un motivo, no? Sei un curiosone.»
Zacky la fissò in silenzio, prendendo il suo panino e addentandolo con ferocia, senza più degnarla di un’occhiata. Così anche Meg, con aria terrea, si mise a sgranocchiare le patatine fritte. Dopo parecchi minuti di silenzio in cui entrambi consumarono il loro pranzo, finalmente il ragazzo parlò di nuovo.
«Non sono curioso, semplicemente mi preoccupo. Ah, ha fatto pace con Michelle.»
«Lo so, è quello che mi ha scritto.»
«Solo quello? Ti ha scritto soltanto per comunicarti che aveva fatto pace con sua moglie?»
«E per chiedermi scusa.»
Lo sguardo di Zacky indagò ancora una volta sul viso di Meg. In effetti aveva ragione lei, era sì un po’ preoccupato ma la motivazione maggiore per la quale stava facendole quell’interrogatorio era la sua sfrenata curiosità. Finì il suo panino, lanciandosi sulle patatine.
«E per quale motivazione ti ha fatto le sue scuse?»
«Niente di grave.»
«Meg, per favore.»
Lo sguardo implorante di Zacky la stava facendo sciogliere, quelle iridi così chiare e cariche di sentimenti non le davano mai scampo e si sentiva un’emerita idiota per star cadendo nella sua trappola. Si domandava, dentro di sé, se raccontare quello che era successo a Zack fosse del tutto sbagliato o meno. Sapeva che avrebbe disapprovato, in fondo era il suo migliore amico ed era sposato, lei non aveva nessun diritto di intromettersi nella sua vita, così come in quella del ragazzo che le sedeva di fronte. Per un attimo ebbe l’impulso di alzarsi e andare a chiamare un taxi, per tornare a Los Angeles. Cosa ci faceva lei lì con Zacky Vengeance? Non aveva alcun senso. Si conoscevano da poco, lui era una rock star. Perché stavano pranzando insieme? Forse il ragazzo immaginò su cosa vertevano i pensieri della sua interlocutrice, perché intervenne proprio al momento giusto dicendo:
«Non andrai da nessuna parte, prima rispondi alla mia domanda. E non ti preoccupare del fatto che io sono un super fighissimo chitarrista di una band famosa. Sono pur sempre una persona.»
Meg rise, quel ragazzo era davvero incredibile, stava cominciando a pensare che forse si sarebbe davvero affezionata a lui come amico. Però intanto doveva eludere la sua domanda.
«Zacky davvero. Non…»
«Megghie.»
Soltanto quel nomignolo stupido e la sua determinazione era crollata incrociando ancora una volta i suoi occhi.
«Okay, basta. Sei un gran rompiscatole, lo sai?»
Il ragazzo sorrise, finendo la sua bibita e attendendo che Meg iniziasse a spiegargli che diavolo era accaduto tra lei e Brian.
«Il giorno in cui hai dormito sul mio divano, in cui lui ha litigato con Michelle… Ecco nel pomeriggio di quella giornata si è presentato a casa mia con un’espressione distrutta e un cd tutto per me. L’ho invitato ad entrare, aspettando che mi dicesse cosa non andasse, mi ha raccontato che sua moglie l’aveva tradito. Non sapevo come consolarlo, l’ho abbracciato, era disperato. E ci siamo baciati.»
Mentre parlava rivolgeva lo sguardo al tavolo, dove si trovavano i resti del loro pranzo. Il silenzio riempì lo spazio tra loro, mentre Meg cercava il coraggio di guardarlo in faccia e Zacky la fissava stupito. Aveva fatto tutte quelle storie per un semplice bacio?
«Bè non è di certo un fatto irrimediabile. È un bacio, non te lo sei mica portato a letto. Mi hai fatto preoccupare per nulla.»
La voce calda di Zacky le diede finalmente la forza di incontrare i suoi occhi che le sorridevano con aria divertita.
«Non cambia il fatto che abbia baciato un uomo sposato.» mugugnò lei, scuotendo la testa e domandandosi perché non riusciva a prenderla come Zacky, con leggerezza. Forse era troppo buona. Forse troppo legata al rispetto dei confini e delle leggi, non era mai stata il tipo da essere l’amante di qualcuno, le sembrava stupido doversi accontentare di essere la seconda scelta di un uomo. Era inutile e soprattutto per nulla gratificante, si sentiva uno schifo al pensiero di essere stata per qualche minuto il rimpiazzo dell’amore di una vita di Brian. Ecco, era questo il problema principale. Non tanto il bacio in sé e quindi il tradimento che si poteva dire ne fosse scaturito, bensì il fatto di essere stata uno strumento per Syn.
«Un bacio non è nulla.»
«Se non un apostrofo rosa tra le parole “ti amo”.» citò Meg, scuotendo ancora una volta la testa come a rimproverare a se stessa.
«Sicuramente la colpa non è tutta tua. Anche Brian ha la sua buona dose di colpevolezza, e sono certa che non l’avrebbe fatto se non fosse stato alterato per il tradimento di Mich e tutti i conseguenti litigi. Quindi perdona te stessa.»
Lo sguardo scuro della rossa indagò sul locale circostante, evitando accuratamente di posarsi in quello di Zacky.
«Ci proverò.» concluse infine, osservando il tatuaggio con la scritta “forever” sul collo del ragazzo davanti a lei. Non ci avrebbe pensato e avrebbe risposto in maniera spensierata al messaggio di Brian, ecco tutto. E poi sarebbe andata avanti con la sua vita.

 
*

 
Ancora una volta si ritrovò a domandarsi perché avesse accettato l’invito ad andare a quella cena. Era un’infiltrata nella famiglia Sevenfold, eppure Zacky le era apparso talmente felice di organizzare quella serata che non era stata in grado di dirgli di no. Adesso, davanti allo specchio, si pentiva fortemente di non aver rifiutato quell’invito entusiasta che il chitarrista le aveva rivolto. Avrebbe incontrato Michelle quella sera. Come avrebbe anche solo potuto guardarla in faccia? Si sentiva più colpevole di quanto avesse dovuto, visto che era lei la donna che aveva tradito il suo uomo, e Meg non aveva fatto altro che dargli una spalla su cui piangere. Fece un respiro profondo, indossando i jeans aderenti e fissando il suo riflesso dall’aria sconsolata. Il suo cellulare prese a squillare, il numero di Layla apparve sul display e la ragazza rispose in fretta.
“Hey bellezza.”
“Ciao! Scusa se ti disturbo, so che ti starai preparando, ma volevo avvisarti che domani mattina ci aspettano in studio alle 10.”
“Perfetto.”
Un attimo di silenzio durante il quale entrambe ascoltarono il respiro dell’amica dall’altro capo della linea, finché Lay non parlò.
“Tutto bene?”
“No, sono terrorizzata all’idea di incontrare Michelle DiBenedetto.”
“Dai, non sei stata tu a dirmi che Valary era una ragazza simpaticcissima?”
“Sì, ma non so come possa essere la sua gemella, e in più ho baciato suo marito.”
“Non ci pensare, vedrai che andrà tutto bene. Adesso ti lascio andare a finire di prepararti. Ti adoro tesoro, spaccali tutti.”
“Ci proverò. Ciao Lay, a domani.”

 
Appena ebbe finito di prepararsi salì in macchina e si diresse verso casa Sanders. Non aveva voluto che Zack la passasse a prendere, pensava di riuscire a ricordarsi dove si trovasse la villetta dove la sua condanna a morte sarebbe stata eseguita entro breve tempo. La sua auto sportiva la portò in fretta alla destinazione prefissata. Suonò il campanello e la porta le venne aperta da una Lacey sorridente che le fece cenno di entrare.
«Hey Meg!» esclamò abbracciandola e conducendola poi in cucina, dov’erano riunite tutte le donne della compagnia, meno Leana. Ed ecco, di fianco alla gemella, la tanto temuta Michelle. Stava lì in piedi con le braccia incrociate, i capelli lunghi e scuri, mossi, e gli stessi occhi color nocciola della sorella, che intanto si era avvicinata per salutarla e poi presentarla a Michelle.
«Piacere di conoscerti, ho tanto sentito parlare di te.» affermò quest’ultima stringendole la mano. Non sapeva se prendere quella frase come una provocazione o altro, quindi sorrise dolcemente e ricambiò la stretta esclamando con aria felice:
«Il piacere è tutto mio!»
Vide un sentimento strano passare nello sguardo della donna che le stava davanti ma lo ignorò, convincendosi del fatto che fosse stata la sua immaginazione a mostrarle cose che non c’erano. Spostò il suo sguardo in un altro punto della stanza, dove Gena stava seduta su una sedia e le fece un cenno di saluto con una mano, accompagnato da un sorriso leggermente tirato. Meg ricambiò il gesto e si lasciò trascinare in salotto da Val che le diceva cosa avevano ordinato per cena (cibo messicano) e la informava che entro qualche giorno l’avrebbe trascinata in giro per Los Angeles a fare shopping, perché voleva comprare non sapeva bene cosa e aveva bisogno di consigli. Meg le sorrise e annuì, salutando con calore i ragazzi in salotto che giocavano alla play station attendendo l’ora di cena. Matt e Johnny si stavano sfidando a Call of Duty e lei si sedette al fianco del cantante per fargli il tifo, mentre Johnny la guardava con rabbia a causa delle sue uscite del tipo: “massacra il nano” oppure “forza Matt, schiaccia quello gnomo”, con conseguenti risate del cantante che seguiva i consigli della ragazza, dando del filo da torcere al povero bassista. Dopo parecchi minuti di lotta feroce la porta d’ingresso si aprì, facendo entrare Zacky e Brian, carichi di scatolette e cibi vari. Valary aiuto i ragazzi a mettere tutto sulla tavola e invitò tutti quanti ad accomodarsi per dare inizio alla cena.

 
*

 
Michelle stava tranquillamente seduta sul divano, con la testa poggiata sulla spalla del suo uomo e un sorriso divertito sulle labbra causato da un racconto di Johnny riguardo non sapeva bene quale episodio del loro primo tour, quando Jimmy era quasi finito in prigione per aver cercato di uccidere un piccione. Si guardò intorno, incrociando lo sguardo scuro della nuova arrivata, quella Margaret di cui tanto le aveva parlato la sua gemella, che tanto aveva infiammato gli animi di Lacey e Leana, così come di Zacky. Quella Meg che pareva sempre sorridere al mondo con quelle belle labbra sottili e dolci, e quei capelli disordinati che le cadevano sulle spalle. Lei invece non aveva trovato nulla di particolare in quella ragazzina, le era parsa fredda e quasi distaccata, sia con lei che con suo marito. Che le avessero detto del loro recente litigio e quindi non sapesse come comportarsi? Non lo sapeva e non le interessava, anche perché a quanto pareva c’era già qualcun altro non troppo felice di quella compagnia, la ragazza dai capelli corti e biondissimi che le sedeva di fronte, con le gambe accavallate e un sorriso strafottente in direzione del bassista a cui aveva rivolto una battutina sarcastica proprio in quel momento. Allo stesso modo in cui lei non pareva entusiasta della rossa non lo sembrava Gena, che la guardava sempre con un’espressione di cortese disinteresse. Meg domandò dove fosse il bagno, Val le indicò la strada e per qualche minuto le battute e gli scherzi continuarono, finché Matt decise che era il tempo di un’altra partita alla play. Brian si tirò fuori, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la veranda, mentre Mich lo osservava allontanarsi con un bel sorriso stampato sulle labbra. Amava quell’uomo, era tutta la sua vita. Era stata una stupida nel tradirlo, non avrebbe dovuto farlo, lei lo adorava più di ogni altra cosa. Sentire la sua voce quasi rotta dal pianto che la chiamava al telefono per implorarla di smetterla e di tornare da lui le aveva frantumato il cuore, così si era precipitata ad Huntington, chiedendo scusa in ginocchio al suo uomo, implorandolo di perdonarla, di capire che era stressata, che dopo la morte di Jim lui l’aveva sempre più abbandonata per rinchiudersi nel suo dolore e lei si era sentita inutile, senza possibilità di consolarlo, così aveva cominciato ad allontanarsi e a cercare rifugio altrove. Rifugio per il suo dolore, che era quasi forte come quello di Brian, visto che conosceva Jimmy da quasi una vita, era stato uno dei suoi migliori amici, l’aveva amato anch’ella. E poi si erano sposati. Così, da un giorno all’altro, Bri le aveva fatto la proposta e dopo qualche mese dalla morte del loro migliore amico si erano decisi a giurarsi eterno amore. Michelle però non sentiva quell’amore. Sentiva che il suo uomo non l’amava, anche se in realtà non era così. Dunque si era allontanata, lasciandolo solo nel suo dolore, scappando da se stessa più che da lui, scappando dalla realtà e rifugiandosi tra le braccia di un altro uomo, che le pareva più adatto a consolarla. Si era sbagliata, terribilmente, ed era infatti presto tornata sui suoi passi domandando perdono e chiedendo di poter restare con Brian per sempre. Adesso i litigi tra loro erano diminuiti, lei si sentiva protetta e coccolata e non voleva più evadere da una realtà troppo difficoltosa per essere accettata.

 
Brian non si era diretto sulla veranda a fumare una sigaretta. Voleva parlare con Meg e chiarire una volta per tutte l’incidente di pochi giorni prima. Si fermò di fianco la porta del bagno al primo, appoggiandosi al muro e attendendo che la ragazza uscisse di lì. Quando la sua chioma rossa fece capolino dall’uscio lui le fece segno di fare silenzio e la portò verso il porticato, in modo che potessero parlare senza alcuna interruzione né intrusione da parte di nessuno. Si sedettero su una panchina, silenziosi, mentre  Brian si accendeva una sigaretta e ne offriva una a lei, che rifiutava gentilmente l’invito.
«Mi fa piacere che tu abbia risposto al messaggio, pensavo mi avresti evitato.»
Meg sorrise, perché era quello che avrebbe voluto fare finché non aveva discusso con Zacky e aveva capito che non era un comportamento maturo, il suo.
«Sì, sai… Te l’ho detto, non importa. Cioè, immagino che importi, ma…»
«Meg, stai tranquilla.» mormorò abbracciandola. Sentiva di aver rotto qualcosa in quella ragazza, di aver spezzato una specie di equilibrio che viveva dentro di lei. Aveva fatto crack ed era andato in pezzi. Lo vedeva in quello sguardo grigio-marrone che solitamente era sempre caldo e dolce, mentre in quel momento era triste e freddo, poco luminoso.
«Ero disperato e tu mi hai consolato. È stato solo un bacio, non preoccuparti.»
Forse se non avesse detto la parola bacio ad alta voce non sarebbe scaturito il putiferio che nacque di lì a poco, quando la curiosa Michelle, con un bicchiere di birra in mano, si era diretta verso la veranda per stare con Brian, trovandolo con quella ragazza. Aveva ascoltato la loro chiacchierata e alla parola bacio il fragile contenitore di vetro le era scivolato dalle mani, facendolo precipitare sul pavimento con un gran fracasso, che fece scattare in piedi i due giovani e voltarli verso la porta, dove trovarono una Michelle dallo sguardo confuso e adirato, che girò sui suoi tacchi e tornò dentro casa. Suo marito la inseguì, implorandola di fermarsi, mentre Meg rientrò in casa, dirigendosi in salotto, verso gli altri, riuniti e ignari di tutto. Si sedette sul divano, con sguardo vitreo, mentre sentiva le voci di Brian e la sua compagna nell’altra stanza, che litigavano. D’un tratto tutti si fermarono, Zacky e Matt smisero di giocare e Lacey e Val di chiacchierare, quando sentirono un grande tonfo. Michelle aveva lanciato un vaso della sorella contro il muro davanti al quale stava il compagno. Si lanciò in salotto inveendo contro di lui.
«Tu parli di tradimenti e poi sei il primo che se ne va con la sciacquetta di turno! E tu.» disse ringhiando in direzione di Meg. «Brutta puttanella da quattro soldi, tu! Come ti sei permessa?!» Si avvicinò alla ragazza, mentre lei la osservava confusa, e le diede un sonoro schiaffo che fece ammutolire tutti quanti, mentre lei, sconvolta, si massaggiava la guancia e si domandava cosa mai avesse fatto di male per aver accumulato tutto quel karma negativo. Il silenzio imperversò nella stanza, mentre le lacrime spuntarono agli angoli degli occhi della ragazza, lacrime di rabbia, represse per orgoglio e per il fatto che non voleva prendersela con quella stronza. Sarebbe stata in silenzio. L’attenzione di tutti era concentrata sulle due, Michelle che ancora le urlava contro e lei silenziosa e distaccata, che si massaggiava la guancia colpita come in stato di trance. Valary non sapeva cosa fare, sapeva che la sorella stava esagerando, ma non poteva andarle contro, idem Matt, e la stessa cosa pensavano Johnny e Lacey. Brian era ancora troppo sconvolto per poter parlare e Zacky non se la sentiva di difendere l’ultima arrivata attaccando l’amica di sempre. Fu una persona del tutto inaspettata a prendere posizione e frapporsi tra la gemella adirata e la povera Meg che si sentiva fuori luogo come non mai.
«Sei una stronza.» sibilò Gena, i corti capelli scompigliati e il viso abbronzato contratto in una smorfia arrabbiata. «Sei una stronza ed anche un’ipocrita, Mich. Come puoi attaccare Meg quando lei ha semplicemente baciato il tuo uomo, mentre tu, tu mia cara, sei andata a letto con mezza Los Angeles e sei tornata a chiedere perdono in ginocchio quando Brian ti ha minacciato di chiedere il divorzio?»
La cattiveria nella sua voce fece sobbalzare tutti, tra i quali Meg, che fissava la schiena di quella donna con espressione confusa ma leggermente vittoriosa. Non pensava che Gena potesse mai difendere lei, la nuova arrivata. Pensava che la odiasse. Invece non pareva essere così, al momento la stava difendendo a spada tratta e continuava a litigare con quell’isterica di Michelle, che ora era scoppiata a piangere ed era uscita dalla stanza, furiosa e sconfitta, perché sapeva di aver sbagliato e di non poter parlare in quanto lei non si era limitata a baciare un ragazzo, no, aveva fatto sesso con una miriade di uomini in quei mesi, e Brian ne era a conoscenza. Come poteva essere così ipocrita? Si era sentita tradita, sì, ma doveva rendersi conto che quello era nulla rispetto a quello che lei aveva fatto passare al suo uomo, che però l’aveva perdonata senza troppi problemi. Era stata davvero cafona e indisponente, ma vederli abbracciati sulla panchina, a parlare di baci rubati, l’aveva fatta impazzire di gelosia. Aveva sbagliato e se ne rendeva conto, ma non avrebbe chiesto scusa a quella stronza. Lei se lo meritava, Brian no. Capiva perfettamente, adesso, come si era sentito lui, e si pentiva fortemente di tutto quello che aveva fatto. Ma Meg non avrebbe ricevuto le sue scuse per nulla al mondo. Lei era troppo orgogliosa per riconoscere che aveva esagerato anche con quella ragazza dai capelli rossi. Avrebbe chiesto perdono a Gena per averle urlato contro, e nulla più. Lo schiaffo quell’emerita troia se lo meritava, eccome.

 
*


Meg camminava tranquilla per le vie di LA, con mille sacchetti tra le mani e due ragazze bionde al suo fianco, una più bassa e l’altra della sua stessa altezza. Scherzavano e sorridevano in allegria, mentre passeggiavano per la via piena di negozi di abiti e scarpe, ideale per fare shopping sfrenato, proprio come Valary desiderava. Gena, dopo la sua performance di qualche sera prima, si era decisa a dimostrare la sua simpatia per Meg e le aveva spiegato il perché della sua iniziale indifferenza: odiava conoscere persone nuove. Non era socievole, per nulla. Eppure non aveva avuto remore nel difenderla dalla cattiveria di Michelle, perché in quei pochi incontri che avevano avuto aveva compreso che quella ragazza era dolce e simpatica proprio come appariva, e che sarebbero potute divenire amiche. Ora camminavano a braccetto, con un bel sorriso stampato sulle labbra e un tacito accordo per il quale avevano deciso di conoscersi e provare ad avvicinarsi un poco. Il giorno prima, anzi la sera prima, Meg e Zacky avevano passato la serata a guardare un horror, mentre Gena, accoccolata vicino al suo ragazzo, si era addormentata subito dopo i titoli iniziali, lasciandoli a chiacchierare e ridere per l’assurdità di quel film. Era stata una bella serata, si era sentita coccolata e protetta da quei due piccioncini, che aveva abbandonato alla fine del film per poterli lasciare in intimità. Avevano assicurato entrambi che la sua presenza non arrecava nessun disturbo ma non si sentiva in vena di rompere le scatole più di quanto non stesse già facendo, così se n’era andata lasciando loro il giusto spazio. In quel momento c’era Val che la trascinava da un lato all’altro della via, mostrandole questo o quel vestito, dicendole che il suo compleanno (così come quello di Johnny) era vicino, quindi necessitava di un bell’abito da sfoggiare per la grande festa che avrebbero sicuramente organizzato per quella occasione. In quel momento, circondata dall’allegria di Val e la gentilezza di Gena che le proponeva strani festeggiamenti, si sentiva parte di una famiglia, come se quelle ragazze le donassero qualcosa a cui appartenere. Ed era una gran bella sensazione.





L'angolo di Berrs:
Bla bla bla. Questo capitolo mi piace. So che avevo detto che Gena sarebbe stata una cattiva, ma adoro troppo quella ragazza per farle fare la parte della stronza, non se lo merita, quindi le ho ritagliato un ruolo da brava ragazza. In realtà mi piace anche Mich, però qualche stronzo deve pur esserci. Ho già il finale in mente, non ci crederete ma è così, e ho anche una one-shot da scrivere, per un'idea malsana che mi è venuta in mente! *-* Mi metterò all'opera. Questa fic durerà tanti altri capitoli, credo, però penso che scriverò già il finale in modo da non dimenticarlo. Ringrazio chi legge e recensisce, mi rendete tanto felice, e spero che questo capitolo dopo una luuunga attesa vi soddisfi. Avevo perso l'ispirazione, ma a quanto pare l'ho ritrovata, evviva :D Un bacione, fatemi sapere cosa ne pensate ♥

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Capitolo 7
*** Everything is payed for tonight while at the party of the dead dancing in their graves ***


Avengedz
7. Everything is payed for tonight while at the party of the dead dancing in their graves

Nelle ultime settimane non aveva messo piede a casa che per pochi minuti, a volte non ci passava nemmeno la notte, era troppo presa dalla creazione del nuovo album e a malapena aveva il tempo per mangiare un boccone a pranzo oppure per chiamare i suoi genitori la sera, per far sapere loro che tutto andava bene e non c’era nulla di cui preoccuparsi. Quel giorno sedeva dinanzi allo schermo del portatile con aria affranta, scorrendo un documento di testo in un continuo su e giù che non la portava a concludere nulla e cominciava a innervosire persino se stessa. Chiuse di scatto il computer, alzandosi in piedi e cominciando a passeggiare per la stanza, con aria nervosa, in un continuo andirivieni insensato e nevrotico.
«Meg, che fai?»
Layla sbucò dalla camera adiacente, donando all’amica uno sguardo curioso e un po’ preoccupato. Non era raro vedere quell’espressione accigliata sul viso della rossa, ma Layla odiava vederla in quello stato e le diceva sempre di rilassarsi.
«Tra un’ora devo essere in ufficio da Peter e ancora non ho finito di scrivere il testo. Non va bene.»
Mentre parlava continuava il suo movimento circolare lungo tutte le pareti della stanza, finché Layla non le si parò davanti per bloccarla, mettendole le mani sulle spalle e sorridendo dolcemente.
«Fai un respiro profondo e calmati Meg.»
La ragazza seguì il suo consiglio, fermandosi e sospirando con forza. Doveva davvero calmarsi, non v’era necessità di essere così agitata. Si risedette dinanzi allo schermo, portando con sé anche la sua chitarrista e chiedendole un parere riguardo ciò che aveva scritto. L’amica imbracciò una delle chitarre sparse per lo studio e accennò gli accordi della canzone, invitandola a cantare il testo per vedere se poteva andare. La voce di Margaret, graffiante e dolce allo stesso tempo, riempì la sala, insieme alle note della chitarra. Le parole mancanti finalmente nacquero dalle labbra della cantante, che sorrise all’amica, terminando l’esibizione e mettendosi sulla tastiera per trascrivere il tutto.
«Visto che non c’era alcun bisogno di essere così corrucciata?» affermò Layla, scoccando un bacio affettuoso sulla tempia dell’amica e dirigendosi verso il mixer, dove ancora stavano apportando gli ultimi ritocchi alla prima canzone dell’album, mentre la seconda e la terza erano ancora in fase di scrittura. Dopo aver terminato il suo lavoro si diresse, salutando il resto della band, verso gli studi della Warner, dove avrebbe dovuto incontrarsi con il loro produttore. Non era raro in quei giorni vederla girare per i corridoi della struttura, alla ricerca di Peter, che spesso era impegnato con altre band e si dimenticava di avere un appuntamento con lei. Quel giorno, come ormai da una settimana, Katy, la segretaria, le comunicò che mister White non si trovava nel suo ufficio.  Meg sbuffò, fissando la bionda dietro la scrivania che le fece spallucce. Purtroppo lei non poteva farci niente se il suo principale non rispettava gli appuntamenti. Impaziente, la rossa scese al pianterreno e maledisse quell’uomo che era stato la sua salvezza, un paio di anni prima. Alla reception chiese a uno dei bodyguard, un certo Mike che una volta l’aveva aiutata quando si era persa nei mille corridoi della casa discografica, se avesse visto passare Peter e quello le disse che era con una band in una sala adibita alle prove per le band emergenti, che una volta approvato l’ep, si presentavano per un provino live. Bisognava anche avere la stoffa, per fare musica. La ragazza con espressione torva e passo deciso si scaraventò oltre la porta a vetri che ospitava un buon assortimento di strumenti musicali, per ogni evenienza.
«Peter, che diamine!»
Si bloccò di scatto, fissando il gruppo che stava provando e si era interrotto al suo urlo contro l’uomo di mezza età che in giacca e cravatta si era voltato con aria alterata verso la nuova venuta.
«Oh diavolo, Margaret! Mi ero dimenticato di te!»
“Strano” avrebbe voluto sibilare la rossa, ma stette zitta e diede un’occhiataccia al moretto che, con la chitarra in mano, stava ridendo delle sue disgrazie.
«Non c’è niente da ridere.» lo rimbeccò. Quello le fece una linguaccia, mentre Peter si scusava e diceva che sarebbe tornato da loro entro dieci minuti. Prese Meg per un braccio e la trascinò fuori dalla sala.
«Signorina, avresti almeno potuto bussare.» la rimproverò con espressione torva il suo produttore, e lei iniziò ad avvolgersi qualche ciuffo rosso tra le dita, con aria assolutamente colpevole.
«Scusami, è che..»
La tranquillizzò dandole una leggera pacca sulla testa, e poi tendendo le mani per farsi consegnare il testo della sua ultima canzone. Lei estrasse un foglio stropicciato dall’enorme borsa di cuoio che si trascinava dietro e lo depose tra le dita di Peter, che le sorrise.
«Passa domani, ci do un’occhiata stasera.»
Lei annuì, girando sui propri tacchi e finalmente fuggendo da quell’enorme costruzione che per qualche mese, fino alla fine dell’album e al suo rilascio, sarebbe stato uno dei suoi incubi peggiori. Salì in auto, mentre un brivido freddo le scendeva lungo la spina dorsale. Dicembre, eccolo alle porte, veloce e freddo. Entro un paio di settimane sarebbe arrivato. Neanche lei riusciva bene a spiegarsi come potesse girovagare ancora in maniche corte, infatti in quel momento, salendo sulla propria auto, accese il riscaldamento al massimo, stringendosi tra le sue stesse braccia. Il solito sole californiano era nascosto sotto una pesante coltre di nubi, così cariche di pioggia da farle temere che il diluvio in breve avrebbe potuto abbattersi su di loro. Erano pochi i giorni, anche d’inverno inoltrato, in cui c’erano temperature così basse. Aveva scelto la giornata sbagliata per le mezze maniche, evidentemente. Allacciò la cintura e in quel mentre il suo cellulare emise un sonoro bip metallico, facendola imprecare e fu costretta a slacciare la cintura per recuperare l’apparecchio all’interno dell’enorme bagaglio che si portava appresso. Leggendo il mittente del messaggio un sorrisino le piegò le labbra, mentre lo apriva.

Da: Zacky V  A: Megghie
Con quale irruenza! Datti una calmata pivella, il tuo album può aspettare. Noi siamo la priorità. E siamo anche più belli.

Meg scosse la testa, lanciando il telefonino sul sedile posteriore e mettendo in moto. Fu sconcertata nel constatare quanti messaggi, nel tragitto che fece per arrivare a casa, le arrivarono. Era quasi certa che il mittente fosse sempre lo stesso, e quando controllò il side kick vide che aveva perfettamente ragione: Zacky le aveva scritto la bellezza di dieci sms, del tutto inutili e insensati, coronati dall’ultima perla di saggezza:

Da: Zacky V  A: Megghie
Voglio tatuarmi “I’M TOO COOL” sullo stomaco.

La ragazza era in preda alle risate incontrollabili mentre apriva la porta di casa e si infilava nella sua calda e accogliente cucina, aprendo il frigorifero per estrarre il cartone del latte e versarsene una tazza, che bevve tutto d’un fiato. Un altro messaggio fu annunciato dal solito rumore.

Da: Zacky V  A: Megghie
Capisco perché non rispondi, non puoi stare ai miei livelli.
P.S. Stasera Doctor Who a casa tua?
Da: Megghie  A: Zacky V
Io non mi abbasso ai tuoi livelli, per questo non rispondo. Ti aspetto alle 9, porta i pop corn che l’altra volta li hai finiti tutti.

Per Meg era ricorrente domandarsi cosa portasse Zack a darle tutta quella confidenza. Dopotutto la conosceva a malapena da un paio di mesi, aveva disseminato quasi subito zizzania nella famiglia Sevenfold e per un paio di settimane si era sentita davvero di troppo. Soprattutto doveva ringraziare le occhiate cariche d’odio che la gemella bruna le lanciava ogni volta che la vedeva gironzolare nei pressi del gruppo. Ad alleviare quella sensazione di pericolo che sentiva in fondo alla gola erano stati Zacky stesso, per primo, e poi la sua donna, Gena, che le era stata parecchio vicina nell’ultimo periodo. Pian piano cominciavano a conoscersi e la rossa apprezzava la delicata presenza di quella ragazza al suo fianco. Era meno esuberante di Layla e Valary, più controllata e posata, eppure Meg cominciava ad intravedere un suo lato più aggressivo e deciso, che appariva solo in rare occasioni ma rendeva il suo sguardo chiaro ancora più bello del solito. In quei momenti capiva perché Zacky si fosse innamorato di lei, perché la osservasse di sottecchi con sguardo assorto quando era convinto che lei non lo vedesse. Era semplicemente una ragazza speciale, con quei corti capelli biondi ad incorniciarle il viso dai lineamenti delicati e a contornare gli occhi chiarissimi, messi in evidenza dalle lunghe ciglia. Era bella, ma non in maniera volgare o ostentata. La sua semplicità, chiarezza, armonia che mostrava nei movimenti, la rendevano un esemplare unico, a cui Meg guardava con adorazione. Camminare al suo fianco, per le strade, le metteva una certa soggezione, non per quanto riguardasse l’altezza, visto che erano circa allo stesso piano, ma piuttosto perché si accorgeva della differenza che intercorreva tra il suo tipo di bellezza e quello che caratterizzava la bionda. Lei era il tipo di ragazza per cui gli uomini voltavano la testa per strada, squadrandole il fondoschiena o fischiandole alle spalle, mentre Gena, nonostante attirasse lo sguardo, era quel tipo di donna per cui i ragazzi restavano a bocca aperta nell’osservarla, sognando di averla al proprio fianco, di poterla ammirare e amare ogni giorno, perché era quello che si meritava una ragazza del genere. Non era una questione d’invidia, perché comunque Meg sapeva di non poter raggiungere Gena, ma spesso si ritrovava a fissarla senza un’apparente motivo, rendendosi conto di apparire alquanto molesta, così distoglieva subito lo sguardo per volgerlo altrove. Era facile passare del tempo con lei, era di compagnia, divertente, ma sapeva anche discutere di argomenti seri e parecchio personali senza mai lasciarsi intimorire, con un’espressione accigliata e una piccola ruga tra le sopracciglia, che Meg aveva imparato a riconoscere quando la vedeva comparire sulla sua fronte. Di certo sarebbe stata un’ottima amica, appena avrebbero imparato a conoscersi per davvero, una di quelle che durano tutta la vita, a cui non diresti mai di no in un momento di difficoltà e che a loro volta farebbero di tutto per te. Bastava guardarla negli occhi per capire che genere di persona fosse, e non ci voleva molto a capire che non era soltanto bella fuori. Quando si trattava di capire le persone, Margaret Kelsey faceva schifo. E non perché non ci mettesse impegno, semplicemente era troppo complicato, per lei, leggere l’animo umano. Poteva pensare che tu fossi arrabbiato con lei quando in realtà le stavi semplicemente prestando meno attenzione del solito. Era fatta così e purtroppo, per quanto si applicasse, non ci riusciva proprio. Ma anche per un’impedita come lei non era difficile leggere negli occhi di Gena tutta quella gentilezza che la caratterizzava, quando stavano insieme. Spesso la vedeva irrigidirsi, come allontanarsi, ma sapeva che il tutto era dovuto alla sua diffidenza verso gli estranei. Sarebbe stato difficile conquistare la sua fiducia a poco a poco, però Meg era certa che ne sarebbe valsa la pena.

*

Ventisei anni non erano tanti. Eppure erano sempre troppi in più di venti e troppo pochi meno di trenta, per Meg, che quella mattina si era svegliata con la sensazione di portare sulle spalle tutto il peso del mondo, racchiuso in un semplice anno che ancora una volta si andava ad aggiungere al numero di quelli che già poteva annoverare alle sue spalle. Non che fosse terrorizzata dal tempo che passava, semplicemente non ce la faceva, non riusciva a pensare al fatto che fosse passato un altro anno, che avrebbe dovuto trovarla più matura, più sicura di sé. Invece l’ennesimo compleanno la trovava la stessa di sempre, con la stessa incertezza degli inizi. Non sapeva ancora nulla del suo futuro, avrebbe potuto far carriera o fallire da lì a qualche giorno, cadere dal fragile piedistallo di vetro sul quale era in equilibrio per un cattivo scherzo del destino, precipitando in un baratro nero dal quale le sarebbe stato impossibile risalire. Si guardò nello specchio del bagno, cercando nel suo riflesso speculare qualche segno visibile dello scorrere del tempo, una piccola ruga, non trovando nulla, se non i soliti capelli rossicci, dalla colorazione troppo intensa per apparire naturale, ma che in realtà lo era, gli occhi dalla sfumatura di castano tendente al grigio verso l’esterno dell’iride e quella piccola fossetta sulla guancia sinistra, del tutto anormale e asimmetrica, capitata lì forse per caso. Il campanello suonò, e lei fece uno scatto, trattenendosi dall’urlare per la sorpresa. Stava diventando per caso isterica?  Si passò una mano tra i capelli, fissando ancora una volta quel riflesso che tanto aveva da comunicarle, quanto allo stesso tempo non aveva nulla da dirle se non tutto ciò che già sapeva. Aprì l’uscio e si trovò dinanzi Layla, con un grosso pacco incartato di rosso e un bel sorriso, che fece venir voglia di aprirsi in un sorriso a sua volta, facendola accomodare in salotto, sul divano ampio e comodo. L’amica le tese il pacco, senza dire una parola. Meg la guardò scettica, per poi accogliere tra le sue mani quell’involucro piuttosto ingombrante. Aveva temuto, fino a qualche giorno prima, che l’amica volesse comprarle un’altra chitarra, ma ora nel vedere quell’incarto capiva che non era così. Fissò ancora un attimo l’oggetto impacchettato, per poi decidersi ad eliminare di mezzo il pacchetto. Aprendolo si ritrovò dinanzi a un cavalletto in legno, una tela bianca e una tavolozza, con dei colori acrilici in una scatola apposita. Fissò qualche attimo la tela immacolata, per poi lasciare andare il suo meraviglioso regalo e saltare addosso alla sua migliore amica.
«Sei un angelo!» le disse, abbracciandola fino a farla soffocare.
«Buon compleanno, Meg!»
Ecco perché l’adorava, perché Lay era la persona su cui confidava sempre, in qualsiasi occasione, per qualsiasi cosa. Lei la capiva, come nessun’altro era in grado di fare. Tra loro c’era un collegamento intenso, incancellabile, forte e indelebile, che stava lì a ricordarle come un’amicizia nata per caso potesse diventare ciò che di più bello, di sicuro e incrollabile aveva nella vita. Era come avere una roccia salda a cui aggrapparsi in caso di pericolo, come la corda che ti sorregge durante una scalata, pericolosa e difficile, ma essa c’è sempre per salvarti la pelle, sia che sia tu a lasciarti andare o siano gli eventi a farti precipitare. Rimasero abbracciate per un po’, mentre si rendeva conto di come fosse bello starle vicino, facile e immediato come respirare. Guardando in quegli occhi scuri capiva cosa significasse la vera amicizia, e ciò la rendeva felice più d’ogni altra cosa. Avere Layla al suo fianco le donava una gioia che nient’altro le dava, tranne forse cantare, comporre e poche altre cose.
«Stasera grande festa, quindi?»
Le parole della mora la riportarono alla realtà e si batté il palmo della mano sulla fronte, inveendo contro se stessa.
«Devo mandare un sms a Christ per fargli gli auguri!» esclamò, recuperando il cellulare dalla camera da letto e scrivendo un messaggino veloce all’altro festeggiato del giorno, che avrebbe incontrato la sera stessa a casa Baker per una festa coi fiocchi. Zacky infatti si era fatto prestare la villetta dei suoi, sulla spiaggia, appositamente per quell’occasione e lo stesso chitarrista l’aveva minacciata di morte se fosse mancata all’appuntamento con l’alcol.
«Mi sa che ci tocca!» disse poi con un sorriso divertito in direzione dell’amica. Zack non avrebbe perdonato la loro assenza all’evento stratosferico che si stava impegnando di organizzare. Suonarono nuovamente alla porta e la festeggiata aprì con un sorriso, trovandosi dinanzi la chioma verde brillante della sua bassista, seminascosta da un pacco un più voluminoso di quello che le aveva portato la sua chitarrista qualche minuto prima.
«Auguri Meg!» squittì, depositandole il nuovo regalo tra le braccia. Noelle entrò senza farsi troppi problemi, salutando allegra l’altra componente della band e dandole un abbraccio. La rossa si sedette sulla sua poltrona preferita per togliere di mezzo la carta blu costellata di stelline argentate che avvolgevano il secondo dono della giornata.
«Cazzo Nel. Tu sei pazza.»
«Sì, ma è sia da parte mia che di Alex.» rispose tranquilla l’amica, sorridendole, mentre lei con espressione ebete fissava la custodia del violino elettrico che le due bandmate le avevano regalato.
«Allora voi siete pazze, completamente!» rise, abbracciandola per ringraziarla di quel meraviglioso presente, che mai si sarebbe attesa di ricevere ma che già da parecchio tempo desiderava quasi allo stremo. Lo tolse dalla custodia, fissandolo con amore, come se fosse un bambino appena nato da trattare con la massima cura. Era a forma di S, rosso, decisamente nel suo stile, se n’era innamorata la prima volta che l’aveva visto nell’esposizione del loro negozio di musica preferito, e Nel conoscendola aveva subito capito quanto l’avesse intrigata quello strumento che ora pizzicava dolcemente, con l’espressione più felice ed estatica dell’universo.
«Siete i miei angeli personali.» esclamò accogliendo le due amiche in un unico abbraccio. Le altre risero, mentre si stringevano in quello scambio di effusioni non raro per quanto le riguardava. Non era strano che Meg elargisse baci e abbracci alle persone cui era affezionata, era tipico del suo carattere e ormai sia Noelle che Layla ci si erano abituate.
«Forse è il caso di andare a pranzo fuori, no? Per festeggiare con un bel panino direttamente dal fast food!» fu l’insana proposta di Nel, che con la sua vistosa chioma verde si era alzata in piedi, trascinandosi dietro le altre due.
«Okay, okay, andiamo!» rise Meg per poi prendere le chiavi di casa e farsi trascinare fuori dalla bassista scalmanata.

*

Non si aspettava certo nulla di fastoso e troppo elegante, era vestita come al solito, indossava semplicemente un paio di pantaloni neri aderenti, una camicetta e un gilet di jeans, nulla di particolarmente impegnativo, visto la serata che si aspettava di trovare. Invece quando entrò in casa Baker ebbe un leggero tuffo al cuore nel vedere le donne che costellavano la sala da pranzo adibita a sala da ballo, tutte abbigliate a festa. I ragazzi erano vestiti in maniera sobria e qua e là c’era qualche maglietta di band musicali, ma la maggior parte indossava camicie e cose simili. Diede un’occhiata intorno per riconoscere qualche viso noto, ma non vide proprio nessuno che le risultasse familiare. Dove diavolo era capitata? Abbassò lo sguardo al pavimento, pensando di fare dietro front e darsela a gambe levate. Intorno non vedeva nessuno dei ragazzi, né Valary, né Gena. Che avesse sbagliato indirizzo, forse? Fece per uscire dalla porta quando sentì una voce nota urlare il suo nome. Voltandosi vide Matt, a braccetto di una splendida Val, e camminavano nella sua direzione.
«Siete stupendi.» disse Meg fissando l’abitino della gemella, corto e blu, abbinato a delle decolté di un colore più scuro, tendente al nero. Era stupenda, così come lo era suo marito con una camicia bianca arrotolata fino ai gomiti e un cappellino calcato in testa, mancavano soltanto i suoi soliti occhiali da sole. Forse Val gli aveva vietato di inforcarli, visto il calibro dell’evento, e l’unica scema che era vestita come fosse una giornata qualunque era lei. Le venne l’impulsivo desiderio di sprofondare, finire sottoterra visto l’enorme imbarazzo che provava in quel momento.
«Auguri!» esclamarono i due sposini, abbracciandola uno alla volta. Di lì a poco venne travolta da un ciclone che per poco non la fece cadere per terra. Un Johnny a dir poco ubriaco le si era scagliato addosso per stringerla e augurarle un buon compleanno con la cadenza più strascicata del mondo, come se facesse fatica a tirare fuori ogni singola parola e gliele stessero cavando di bocca con le pinze. Lei ricambiò gli auguri, per poi strisciare via dall’abbraccio odoroso di alcol che il ragazzo stava cercando di prolungare accasciandosi addosso a lei. Decise che gli avrebbe dato in seguito il suo regalo, quando e se fosse stato leggermente più cosciente della sua persona. D’un tratto percepì uno sguardo fisso sulla sua nuca e si voltò, trovandosi dinanzi ai meravigliosi occhi di Zackary James Baker in tutto il suo splendore, camicia bianca, panciotto nero, papillon rosso e jeans scuri. La fissò con aria contrariata qualche attimo e lei arrossì vistosamente, per poi essere trascinata via dal moretto senza che le dicesse una parola.
«Posso sapere dove mi stai portando?» gracchiò, inciampando nei suoi stessi piedi, mentre con elevata irruenza Zacky la sospinse verso una porta aperta e gliela chiuse alle spalle. All’interno vi era una camera da letto, gigantesca, probabilmente quella dei genitori del ragazzo, e seduta davanti a un’immensa specchiera c’era Gena, con le caviglie e le braccia incrociate al petto, un abito verde, legato dietro al collo, con mille strati di gonne svolazzanti le fasciava il corpo, mentre teneva in mano un pettine e le sorrideva amabilmente.
«Scusalo, Zack è proprio uno scemo.» disse con un’espressione dolcissima sul viso, che le appariva in volto solo e soltanto quando parlava del suo ragazzo e, a volte, del suo lavoro.
«Buon ventiseiesimo compleanno Meg.» affermò poi, stringendola appena e baciandole una guancia.
«Grazie.» mormorò, mentre la ragazza la faceva accomodare sul letto a due piazze e apriva una cabina armadio dalle dimensioni spropositate.
«Volevo farti un regalo che fosse qualcosa di utile e non conoscendo ancora bene i tuoi gusti ho pensato che forse la mia esperienza lavorativa sarebbe stata piuttosto utile.»
Le pose davanti alcuni vestiti, forse alcuni un po’ troppo osé per i suoi gusti, ma tutti di meravigliosa fattura.
«Cosa devo fare?» chiese la rossa, con una nota di incertezza nella voce. L’altra rise, dicendole di scegliere uno di quei vestiti per la serata. Fece un’altra espressione spaesata, per poi decidere di cominciare a provarsene un paio. Se quello era il suo regalo di compleanno tanto valeva goderselo.
Dopo una mezz’ora di prove varie indossava un abito rosso, semplice ed elegante, un tubino che chissà come si adattava perfettamente alle sue forme. Era seduta sul letto mentre Gena, con delicatezza, le accomodava i capelli rossi in un’acconciatura semplice, con alcune ciocche che le scivolavano ai lati del viso, dopo averla truccata, con un velo di mascara e eye-liner. Secondo lei non c’era bisogno di nient’altro. Le aveva fatto poi infilare un paio di francesine col tacco nere, semplici e al contempo eleganti e finalmente erano uscite dalla stanza, per gettarsi a capofitto nella festa. Intanto le cose erano leggermente degenerate, probabilmente a causa dell’alcol che veniva servito abbondantemente nella sala dove la maggior parte degli invitati era riunita. C’erano un paio di ragazze che, tolti i tacchi, ballavano sui tavoli, e con loro c’era Johnny in tutta la sua ubriachezza, che si dimenava come un indemoniato, sembrava giusto posseduto da una qualche strana entità che lo portava a muoversi come un pazzo.  Meg rise a quella vista, mentre invece un bicchiere veniva fatto precipitare dal cubo improvvisato. Una voce la fece voltare e si ritrovò dinanzi a Brian Haner Jr in tutto il suo splendore, con i pantaloni neri, una camicia blu notte e un bel sorriso sincero sulle labbra. Per qualche attimo Meg nuotò nei suoi occhi intensissimi, in quel caldo mare di cioccolato fuso. Gli sorrise a sua volta, mentre lui l’abbracciava augurandole un buon compleanno. Della sua dolce metà non c’era traccia e ciò rendeva il cuore della rossa decisamente più leggero. Le fece fare una giravolta su se stessa, osservando l’abito che aveva indosso, per poi non lasciarle la mano e trascinarla in mezzo alla gente che si dimenava a ritmo di musica, nel centro del salotto di casa Baker. Si lasciò portare da quelle mani grandi e calde, che le avvolsero la vita dolcemente. Poteva apparire strano ma Brian se la cavava egregiamente in quanto ballo e lei non aspettava altro che lasciarsi condurre in qualche danza concitata, anche se probabilmente di lì a poco i piedi le avrebbero fatto male per via dei tacchi alti. Era persa nella melodia e negli occhi scuri del ragazzo di fronte a lei, così non si accorse subito di come la gente intorno a loro aveva fatto spazio. La musica era improvvisamente cambiata, la voce graffiante di Matt aveva iniziato a intonare un coro di buon compleanno, seguito da tutta la sala. Brian la lasciò andare, mentre Johnny arrivò al suo fianco, un po’ meno ubriaco ma sempre molto allegro. Le luci nella sala si abbassarono e una torta gigantesca venne portata da Zack e Arin, che sorridevano allegri ai due festeggiati. Sulla glassa si potevano contare cinquantatré candeline, la somma delle loro età.
«Dobbiamo spegnerle tutte?» rise Meg, guardando Johnny prendere aria nei polmoni. Zack sorrise e annuì, poggiando poi lo statuario dolce sul pavimento. La rossa si affiancò allo gnomo, che già aveva iniziato a soffiare. Riuscirono a spegnere quel tripudio di fiammelle in una decina di minuti, dovendosi ogni tanto fermare per prendere fiato, ridendo ripetutamente per le facce buffe che facevano mentre si sforzavano di estrarre più aria possibile dai polmoni. Quando finalmente Meg spense con due dita anche l’ultima candela, la torta venne riportata in cucina, dove venne tagliata una fetta per tutti i presenti. Soltanto Meg e Johnny ricevettero subito la loro porzione, presa con le loro stesse mani. La ragazza ne aveva afferrato un pezzetto, infilandolo in bocca a Johnny con la forza, e lo stesso aveva fatto lui poco dopo, impiastricciandole tutto il viso di panna montata e pezzetti di bignè. Gena non ne fu proprio contenta visto che la festeggiata sarebbe dovuta essere impeccabile, Meg però le fece passare la voglia di rimproverarli quando le passò un braccio intorno alle spalle e strisciò la sua guancia imbrattata contro quella della biondina, che si ritrovò a sua volta appiccicosa a causa del dolce. A primo acchito avrebbe voluto mettersi a urlare, decidendo poi di lasciar perdere, visto che tanto prendersela con Meg era una battaglia persa: avrebbe trovato il modo per ribaltare il discorso e farla scoppiare a ridere dimenticando il motivo per cui era alterata. Sorrise poi e si passò una mano sulla faccia, leccando via la buonissima glassa, scoppiando a ridere nel vedere l’espressione esterrefatta dell’amica e del suo ragazzo, che frattanto era tornato dalla cucina con un’invitante fetta di dolce tra le mani.
«Perché mi guardate così?» aveva cinguettato, per poi rubare il piatto a Zacky e allontanarsi in mezzo alla folla.
«La stai trasformando in un mostro!» esclamò il moretto nel vedere la sua donna ancheggiar via sui tacchi alti. Meg gli aveva scoccato un’occhiata in tralice, per poi dargli un “affettuoso” pugno nello stomaco che lo aveva fatto piegare in due.
«In realtà ti piace la versione di lei più spigliata, dì la verità!» rispose la rossa con un ghigno soddisfatto. Zacky fu costretto a sbuffare e spostare lo sguardo, guardando altrove con aria di ostentata indifferenza. Nonostante non volesse ammetterlo Megghie aveva perfettamente ragione, lui letteralmente andava in visibilio per la parte un po’ più sbarazzina di Gena e stranamente quella parte di lei emergeva più spesso quand’era in compagnia di quella schizzata della rossa, che in quel momento lo stava punzecchiando con un dito per fargli volgere lo sguardo nella sua direzione.
«Piantala, piattola.» asserì, bloccandole il polso con cui continuava ad infastidirlo. Meg aveva riso e Zacky l’aveva attirata in un abbraccio che per lui era il suo modo di augurarle un buon compleanno. Erano stati un poco stretti l’una all’altro, con i pensieri rivolti chissà dove.
«E adesso andiamo a bere per festeggiare!» ululò il ragazzo prendendola per il braccio e trascinandola verso la cucina, dove Lacey tratteneva Johnny dal bere ancora e rideva della sua cadenza strascicata.
«Meeeeg.» aveva mormorato scorgendola a braccetto con Zack. «Beviamo una volta i…insieme!» aveva concluso, prendendo due bicchierini di tequila e dandone uno in mano alla donna, che in preda alla risa, aveva fatto tintinnare il bicchiere contro quello di Johnny e buttando giù in un solo sorso il liquido trasparente, che le aveva bruciato la gola e le papille gustative.
«Cheers.» aveva sussurrato Zacky, dandole un bacio sulla fronte e dileguandosi in fretta e furia. Ora erano solo lei, Johnny e l’alcol. Potevano cominciare a festeggiare.

*

Yo people:
Ecco finalmente questo faticato 7° capitolo. Ci ho impiegato parecchie energie quindi spero vivamente che possa piacervi. Non penso di aver molto da dire al riguardo, ovviamente la festa non finisce qua! Penso infatti di continuare per almeno un altro capitolo. Grazie a chi ha recensito e chi legge, continuo a fare questa schifezza grazie a voi.
Devo ringraziare Keiko per avermi dato la forza di finire questo capitolo, nonostante la mia determinazione a scrivere fosse sotto i tacchi, grazie al suo messaggio ho ben pensato di sfornare questo obrobrio.Non credevo di arrivare a scrivere 7 capitoli, sono tantissimi. Grazie anche a Res, che nonostante tutto mi incoraggia ancora (scusa l'estremo ritardo)♥


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Capitolo 8
*** Collage of broken words and stories full of tears ***


8. Collage of broken words and stories full of tears

 

"Che cos'è l'uomo nella natura?
 Un nulla in confronto con l'infinito,
un tutto in confronto al nulla,
qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto."

 
Non aveva mai avuto problemi a reggere l’alcol, anzi nell’ultimo anno aveva iniziato a faticare per riuscire a portarsi sulla soglia dell’ubriachezza. Doveva bere parecchio per riuscire a passare da “allegra” a “completamente ubriaca”, ma quella sera era per lei l’occasione ideale per darsi alla pazza gioia. Era o non era il suo ventiseiesimo compleanno? Bevve, bevve e bevve ancora in compagnia del piccolo bassista, abbandonato dalla fidanzata che gli disse di fare un po’ come preferiva, e aggiunse ridendo che di vomito lei non voleva più pulirne. Meg non poteva far altro che trangugiare bicchieri colmi di liquidi più o meno particolari, scolandoli come se vuotarli fosse la sua unica ragione di vita. Non sapeva perché si sentiva così attratta dalla possibilità di stramazzare a terra in preda all’effetto alcolico, né di passare la giornata seguente con un mal di testa epocale, eppure continuava a riempirsi di tutte quelle sostanze nocive per i suoi neuroni e per il suo fegato. Fu quando cominciò a girarle la testa che decise di prendersi una pausa. Lasciò la cucina alle sue spalle, optando di uscire un attimo all’aria aperta, nel giardinetto della villa, che al suo arrivo aveva degnato di un misero sguardo. Uscendo all’esterno, malferma sulle gambe, si rese conto di essere circondata da mille coppiette, che per un attimo le fecero venir voglia di rigettare tutto ciò che aveva ingerito fino a un momento prima. Un brivido le salì lungo la spina dorsale, si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga e, visto un cancello al limitare del vialetto, sul lato destro dell’abitazione, lo imboccò, sbucando direttamente su una piccola spiaggia spoglia. La spiaggetta era sicuramente privata, e ultimamente, in quella stagione, non era di certo frequentata. L’alcol le dava alla testa, così si lasciò cadere sulla sabbia bianca, sospirando con forza. Aveva perso di vista tutti i componenti della band, ma poco le importava. Guardò le onde infrangersi sul bagnasciuga a qualche metro da lei, portando la fresca spuma marina a sfiorarle il viso con una delicatezza che le lasciò soltanto una lacrima salata su una guancia. Non seppe bene il perché, ma ben presto si ritrovò a singhiozzare, piegata in due, col capo poggiato sulle ginocchia e le mani affondate nella sabbia gelida. Chiuse gli occhi e lasciò che il rumore dell’oceano le entrasse dentro, prendendo respiri profondi e controllati per recuperare la calma. Non capiva con precisione perché si fosse messa a piangere, una commistione indecifrabile di pensieri , ansie e paure le opprimeva il petto in quel momento e non riusciva a far altro che restare accucciata sulla battigia, domandandosi perché proprio quella sera si sentisse sovrastata dal mondo intero. Forse era stato l’alcol a schiacciarla con la sua potenza, la sua mente non era ancora abbastanza lucida per poterlo capire. Alzò lo sguardo verso il luminoso cielo di novembre e si sentì oppressa dalla lucentezza delle stelle che brillavano sopra il suo capo con un’intensità tale da costringerla a chiudere gli occhi e strizzarli un paio di volte per permettere alle ultime lacrime di scivolare lungo la curva degli zigomi. Era soltanto un granellino insignificante nei confronti della maestosità dell’universo, la sua assenza sarebbe stata paragonabile, in quanto a necessità, a quella di un moscerino, per il resto del creato. Eppure sapeva, in cuor suo, che esistevano a quel mondo, persone per cui la sua esistenza era importante, ma in quel momento non riusciva a scacciare quella sensazione di inutilità che la permeava. Rivolse nuovamente gli occhi scuri verso la volta celeste, e le venne naturale domandarsi se ci fosse qualcuno, lassù, ad osservarla. Magari in quel momento Jimmy rideva delle sue condizioni pietose, con quel sorriso meraviglioso con cui le si era presentato tempo addietro. In realtà Meg non aveva mai creduto nella vita dopo la morte, ma provare a scorgere un barlume di speranza, in quel momento, era ciò di cui aveva bisogno.
«Remembering your life, ‘cause we wish to you were here…» canticchiò a bassa voce, fissando la stella polare, che dolcemente le indicava il nord, ammiccando verso la terra.
«Ehi.» La voce la fece voltare di scatto, sobbalzando e osservando il nuovo venuto che, in evidente imbarazzo, teneva i pollici nelle tasche dei pantaloni scuri, guardandola con un misto di senso di colpa, timidezza e simpatia sul viso.
«Non volevo disturbarti.»
«Ehm, no, fa nulla, non c’è alcun problema.»
Il ragazzo si sedette di fianco a lei, sulla sabbia chiara e fresca. Aveva corti capelli biondi, con un leggero ciuffo sul davanti, indossava una camicia bianca con una cravatta allentata e non riuscì a scorgere, nella penombra, di che colore fossero le sue iridi.
«Piacere, sono Robert.»
Le tese la mano, sfoderando un abbagliante sorriso contornato da fossette.
«Io Meg.» rispose la rossa, stringendogli la mano.
«Hai una voce meravigliosa, lo sai?» affermò lui, continuando a sorriderle in quella maniera sincera e cordiale che la portava a ricambiare apertamente, ringraziandolo per il complimento.
«Mh, comunque io lavoro in casa discografica, faccio il tour manager.»
Meg lo fissò interdetta per qualche secondo.
«D-davvero?» domandò con ingenuità la ragazza, piantando i suoi occhi in quelli del nuovo venuto.
«Già. Tu sei la cantante dei Waking the fallen, giusto?»
Annuì, facendosi cadere un ciuffo di capelli sulla fronte, che poi scacciò con un gesto repentino del capo.
«Sono proprio io.»
«Pensavo di propormi come vostro tour manager. Che ne penseresti?»
La ragazza diede uno sguardo in tralice all’uomo che le sedeva di fianco. Sembrava così giovane… Come poteva fare un lavoro del genere, in cui serviva, comunque, una qualche esperienza? Rimase silenziosa per qualche istante, ascoltando il rumore ritmico delle onde che si infrangevano a pochi passi da loro.
«Dovrei parlarne con le mie band mate, ma penso che non avranno niente da obiettare, anzi.»
Annuì in sua direzione, così Robert si allargò in un altro stupendo sorriso, per poi chiederle:
«Quindi oggi è il tuo compleanno? Auguri!»
Lei ridacchiò, per poi ringraziare e stendersi completamente sulla sabbia fredda, allungando lo sguardo verso i miliardi di costellazioni che dominavano l’aria sopra il suo viso. Robert si stese al suo fianco, rilassandosi e sospirando impercettibilmente. Quella Meg aveva il suo fascino, doveva ammetterlo almeno a se stesso. Si voltò, per osservare il viso abbronzato e gli occhi chiusi, a poca distanza dai suoi, rimanendo colpito dal naso perfetto e il piccolo neo sotto lo zigomo destro che era quasi invisibile, se non visto da vicino. Chiuse a sua volta gli occhi, lasciandosi cullare dal fragore dell’oceano che a poca distanza urtava la scogliera rocciosa, limite naturale per quel piccolo paradiso sabbioso.
 

*

 
«Meg, ehi Meg!»
La rossa spalancò gli occhi al suono di una voce vicino al suo orecchio destro e all’odore di alcol e nicotina che le arrivò forte alle narici. Ci mise qualche secondo prima di capire dove fosse; le vennero in mente alcuni sprazzi della serata, una spiaggetta, quella dove ancora si trovava, e un volto sconosciuto che ora non era più al suo fianco, sostituito dal sorriso amichevole di Synyster Gates, il dio della chitarra. Okay, doveva essere ancora ubriaca evidentemente per formulare un pensiero simile. Lasciò che il ragazzo l’aiutasse a mettersi seduta, per poi accasciarsi scompostamente al suo fianco, sulla sabbia chiara.
«Che ci fai qui tutta sola? Stanno cercando disperatamente la festeggiata più bella, sai, Jhonny lascia un po’ a desiderare…»
Meg lasciò che lo sproloquio continuasse ancora qualche attimo, prima di interromperlo:
«Che ore sono?»
«Circa le quattro del mattino.»
La ragazza sospirò, fissandosi la punta delle scarpe col tacco. Come aveva fatto ad arrivare fin lì con quelle ai piedi? Misteri dell’alcol a cui non avrebbe saputo dare risposta. Alzò lo sguardo per posarlo sul bel viso di Brian, che a sua volta osservava con occhi vacui il mare che stava loro dinnanzi, un’espressione priva di qualsivoglia emozione dipinta in faccia. Il silenzio tra i due si fece spesso e persistente, finché il moretto non lo spezzò con un sospiro rumoroso.
«Michelle non c’è stasera. Aveva una serata di beneficienza a Los Angeles.» sussurrò tra le labbra, in maniera talmente impercettibile che l’interlocutrice fece fatica a sentirlo. Lei si voltò nella sua direzione, incitandolo a continuare con un cenno.
«Dice di avere sempre più lavoro, ma credo che ormai abbia un amante a cui non riesce a rinunciare nemmeno per amore del nostro matrimonio.» asserì alzando appena il tono, soffiando le parole con una tale indifferenza che appariva stesse parlando della moglie di qualcun altro che al momento se la spassava in barba ai vincoli matrimoniali. Meg rimase zitta, non sapendo bene con che parole consolare l’uomo che, affranto, aveva ripreso ad osservare il vuoto.
«Non c’è bisogno che tu dica nulla.» la tranquillizzò lui, stendendosi poi sul terreno e poggiando il capo in grembo a Meg, che senza neppure accorgersene, con un gesto quasi meccanico, prese ad accarezzargli i corti capelli scuri. Brian si rilassò sotto quel tocco delicato e presto chiuse gli occhi, assaporando il dolce contatto che gli stava offrendo. In quella posizione passarono parecchi minuti, prima che uno Zacky estremamente preoccupato li trovasse, strepitando contro quella sciocca di Megghie che l’aveva fatto preoccupare inutilmente e contro quel deficiente del suo “alla faccia del migliore amico!” che non si era degnato di comunicargli che l’aveva trovata. Inveì contro entrambi finché non furono all’interno di villa Baker e solo allora si calmò, sotto lo sguardo di rimprovero che Gena gli dedicò, asserendo di non fare la mammina isterica. Meg la ringraziò con un’occhiata e lei le fece l’occhiolino, sorridendole con aria complice.
«Però non sparire più così.» la redarguì dopo qualche minuto, quando Zack ormai era tornato a dedicarsi all’alcol.
Così preso si ritrovò nuovamente immersa nel vivo della festa, circondata da tutti quegli illustri sconosciuti che spesso e volentieri la fermavano per augurarle un buon compleanno, a volte anche abbracciandola e scoccandole violenti baci sulle guance. Ad un certo punto si ritrovò a incrociare degli occhi noti, appartenenti a una piccola ragazza dall’espressione dolce e simpatica.
«Leana!»
«Ciao Meg. Auguri!» la salutò con un abbraccio fugace.
«Sono qui solo di passaggio.» si giustificò la donna, aggiungendo poi che desiderava fare gli auguri anche a Johnny. Nonostante tentasse di sorridere forzatamente Meg si accorse che qualcosa non andava, sembrava avesse appena smesso di piangere, aveva gli occhi rossi e puntati verso il pavimento, con fare remissivo. Osservò con attenzione il suo sguardo febbrile vorticare intorno alla sala, per poi domandare gentilmente, ma senza troppi giri di parole:
«Che succede Leana?»
«Nulla, cosa pensi…» ma la sua voce si incrinò prima che riuscisse a terminare la frase.
«Leana…» mormorò la rossa, guardando esterrefatta gli occhi della donna riempirsi di lacrime.
«I-io… Non ce la facevo più. Non possono farmene una colpa se voglio provare a ricominciare, a ricomporre i pezzi della mia vita. Amavo James, con tutta me stessa, anzi lo amo ancora e non smetterò mai di farlo. E proprio per questo devo  andare oltre, devo andare avanti e continuare a vivere per entrambi. Ma loro… Brian, Matt, Val e persino Gena! Nessuno capisce. Anche Lacey comincia ad odiarmi. Zacky, lui sembra capire, ma figurati se si permette di opporsi a tutti! Scusa Meg, vado a fare gli auguri a Johnny e poi sarò definitivamente fuori dalle loro vite. E ti prego, sii cauta. Non lasciare che gli Avenged Sevenfold occupino tutta la tua esistenza, è doloroso perderli tutti da un giorno all’altro. Mi dispiace non poterti conoscere meglio, sembri proprio una brava ragazza, e sono certa che tu lo sia davvero. Abbi cura di tutti loro. Sono sicura che anche Jimmy lo vorrebbe.»
E con queste parole, senza dare a Meg il temo di ribattere, si voltò e si allontanò in mezzo alla folla, una macchia scura su uno sfondo multicolore.  La rossa fissò per qualche attimo, sconvolta, il punto in cui la ragazza era appena sparita, senza comprendere davvero con precisione quello che le era stato detto. Si riprese dallo stupore dopo interminabili secondi, per poi schizzare all’inseguimento dell’altra donna, che però non aveva lasciato traccia di sé, né all’interno né all’esterno dell’edificio. Rientrando incrociò Zacky alle prese con un’ospite un po’ invadente, che tentava di infilargli la lingua in gola, mentre lui opponeva la resistenza debita a un ubriaco, cioè quasi nulla. Meg si avvicinò ai due, esclamando rivolta alla bionda ossigenata che stava spalmata a cavalcioni del chitarrista:
«Ehi tu, è fidanzato, levati di torno.»
«Sei per caso tu la sua donna?» ribatté quella con una nota canzonatoria nella voce.
«No, ma non lo sei nemmeno tu.» ringhiò la cantante in risposta, prendendo Zachary per un braccio e trascinandolo via. Lo portò a sedersi su uno dei tanti divani predisposti lungo le pareti del salotto, mentre lui la ringraziava per il salvataggio provvidenziale.
«Ringrazia il cielo che non ti abbia visto la cara Gena.»
Zacky ridacchiò, per poi passare un braccio intorno alle spalle sottili della sua Megghie e chiederle se la festa fosse di suo gradimento. Meg annuì appena, lasciando che l’amico le sistemasse una ciocca ribelle che le si era drizzata sulla fronte.
«Ho visto Leana.» buttò lì a bruciapelo, celando lo sguardo a quello acquamarina che sicuramente l’avrebbe inchiodata lì dove si trovava.
«Ah, l’hai incontrata?» chiese lui con cadenza indifferente.
«Già. Cosa diavolo è successo?» domandò, innervosita dalla piattezza della voce di Zack. Come poteva comportarsi così gelidamente nei confronti dell’anima gemella del suo migliore amico? Le sembrava impossibile una cosa simile, e Leana stessa le aveva detto che Zacky era forse l’unico ad averla capita.
«Nulla, cose di famiglia.» fu l’acida risposta che ricevette dal ragazzo, che aveva ancora un braccio intorno alle spalle dell’amica. E in quel momento quella posizione le sembrava decisamente irritante. Si era dimenticata che loro avevano una famiglia di cui lei non faceva parte, in alcun modo, se non in sporadiche comparsate per la gioia che Zachary provava nell’avere un giochino nuovo tra le mani. Affari di famiglia, che dunque non la riguardavano. Scacciò il contatto affettuoso e si alzò in piedi, giustificando il suo impeto con una necessità impellente di andare in bagno. Non sarebbe riuscita a resistere un minuto di più in quella casa, voleva semplicemente tornare nella sua, nel suo letto, rannicchiandosi su se stessa per riflettere su quell’anno eccessivo che pesava sulle sue esili spalle.
 

*

 
La luce del mattino inondava prepotentemente la stanza. La sera prima doveva essersi dimenticata di chiudere le imposte e ora rimpiangeva quella scelta di svogliatezza. Si voltò nel letto, rotolando verso la finestra. Convinta di riuscire a giungere ad essa senza doversi alzare, si allungò ancora una volta verso le tende, finendo sul pavimento con un tonfo sonoro. Lamentandosi per il dolore e finalmente mettendosi in piedi, si accorse di non essere nel suo letto, bensì sul divano. Doveva essersi addormentata lì la sera prima, dinanzi la TV. Perché, però, al momento era spenta? Si passò una mano tra i capelli scarmigliati, per poi sbadigliare e dirigersi verso la sua stanza, per poter dormire un po’ nel suo letto comodo. Nella penombra in cui si trovava la stanza si diresse verso la branda, infilandosi sotto le coperte. Alzando però il lenzuolo incontrò un corpo che le ostruiva il passaggio. Diede una ginocchiata contro la figura accovacciata, che si lamentò e poi si volse dall’altra parte.
«Zack, che cazzo ci fai nel mio letto?» mugugnò la rossa, dando un altro spintone al ragazzo in modo da sospingerlo nell’altra metà del letto, e stendendosi al suo fianco.
«Mmh…» miagolò l’altro, abbracciandola stretta a sé, tanto da non farla respirare.
Evidentemente si era addormentata sul divano mentre guardavano insieme Star Wars, e lui (“quest’infame!” aveva pensato Meg trovandolo nel suo letto), l’aveva abbandonata lì, e si era sistemato comodamente.
«Sei un brutto pigrone.» aveva mormorato lei contro la sua spalla, mentre l’altro già russava nuovamente e di lì a poco anche lei si riassopì.
In realtà le ci era voluto poco per farsi passare lo scazzo, e perdonarlo come subitanea conseguenza. Le era bastato che Zack la seguisse a casa la sera del suo compleanno, dopo che lei, oltraggiata dal suo comportamento (o meglio, dalle sue parole, le ripeteva costantemente una vocina dentro il cranio), se n’era scappata da villa Baker. L’aveva trovata seduta sugli scalini di casa, mentre desiderava sbattere la testa contro un muro per essersi dimenticata i suoi vestiti e le chiavi nella stanza in cui li aveva appoggiati per usufruire del regalo di Gena. Ed ecco che un bel cavaliere in Spider rossa era comparso all’orizzonte, facendole tintinnare dinanzi agli occhi la chiave che tanto bramava. Lei l’aveva squadrato con aria alterata e gli aveva porto un palmo aperto per farsela ridare. Lui l’aveva scavalcata per aprire la porta ed invitarla a entrare (come se avesse bisogno di un invito per entrare in casa sua!) e farla accomodare sul divano. Le aveva poi raccontato ciò che aveva portato Leana in quella disperazione nera in cui l’aveva vista lei. La donna aveva deciso di lasciarsi alle spalle la California, per andare a convivere con uno dei suoi migliori amici, in Europa, in Spagna per la precisione. E questa comunicazione aveva scatenato l’ira di Brian, Matt, Valary. Non erano riusciti a vedere in quegli occhi colmi di pianto il rimorso per l’abbandono della sua casa, della sua famiglia. Abbandono necessario per potere continuare a vivere, perché secondo Zack, quella che conduceva lì non era più vita. Era intrappolata nel rimpianto e nella perdita e da sola non sarebbe riuscita a farcela. I suoi amici l’avevano etichettata come ‘egoista’. Zacky avrebbe voluto abbracciarla, come in quel momento stava facendo con Meg in quel momento, per dirle poi che lui la capiva. Non poteva però tradire tutta la sua famiglia a quel modo, come già le aveva detto Leana. Meg non comprendeva bene i meccanismi che animavano quei ragazzi, le loro vite erano troppo intrecciate nell’intimo, perché lei riuscisse a scioglierne i lacci e capirne i nodi fondamentali. Era una partita persa in partenza, dunque si accontentava di avere un amico al suo fianco che la riempiva di attenzioni affettuose, e con cui poteva guardare i migliori telefilm o saghe un po’ “da nerd” come amava definirle Layla quando la trovava in casa con gli occhiali da vista sul naso e un pacco di pop corn in mano. Del resto, poco le importava.
 

"Like beautiful stories, the greatest chapters flew right by.
There comes a day when we all find out for ourselves,
that once we have the words to say, there's no one left to tell…"

 

Prima citazione: B. Pascal, Pensieri
Seconda cit: A7X, 4AM

COFF:
Salve a tutti quanti, vi siete dimenticati di me? Ovviamente sì, perché sono una brutta persona e non aggiorno questa fic da un secolo. La cosa buffa (?) è che ho questo capitolo scritto su carta da febbraio, e non ho avuto nemmeno un secondo libero per trascrivere. Chiedo immensamente scusa a tutti coloro (nessuno *coff*) che leggevano regolarmente questa storia, spero che possiate perdonarmi. Detto questo, mi dileguo. E' ovvio che il prossimo aggiornamento avverrà in tempi più brevi, ho già mezzo capitolo pronto. Vi lascio, grazie a chi legge, recensisce, segue, ricorda e preferisce. Mi fate tutti felice :)

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