No choice

di DarkPenn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

CAPITOLO 1

 

Il cielo era di un blu profondo sulla città di Seilune. Fra i palazzi bianchi e azzurri si udivano i mille rumori quotidiani che caratterizzavano una città così grande. Le donne si affrettavano al mercato, avvolte dai loro abiti variopinti, alcuni bambini giocavano per la strada, le guardie camminavano disinvolte tra la folla, lungi dall’essere una minaccia. La città di Seillune era felice.

Nel Palazzo Reale una ragazza, avvolta da ricche stoffe che ne testimoniavano l’alto lignaggio, stava firmando una dopo l’altra una lunga serie di documenti, che prendeva da una alta pila sulla sinistra della sua scrivania in mogano, intagliata con motivi floreali, e posava in una pila altrettanto alta sulla destra. La luce che filtrava abbondante dalle ampie finestre alle sue spalle colorava il legno nuovo e odoroso della scrivania e della sedia, e si rifrangeva sulle piastrelle di marmo rosa e bianco e lilla, rimbalzando di volta in volta contro l’alto soffitto a cassettoni, le pareti tappezzate di stoffa azzurra, le due cassepanche vicino al muro di destra e la grande libreria sul muro di sinistra, traboccante di voluminosi testi giuridici e filosofici.

Lei era una ragazza sui sedici anni, piuttosto minuta, con i capelli neri che vibravano ogni volta che scuoteva il capo per la stanchezza. Eppure quello era il suo dovere, perché era la principessa di Seillune.

Non che fosse un gran fastidio, anzi, lei sapeva che ognuna delle sue firme garantiva un po’ più di giustizia ai suoi sudditi, e ciò la rendeva oltremodo contenta di fare il proprio dovere.

La voce garbata del suo ciambellano la fece sobbalzare.

“Vostra Altezza,” cominciò, discreto. “Un vostro suddito chiede di essere ricevuto.

Amelia ripose la penna nel calamaio e si appoggiò allo schienale, stirandosi i muscoli indolenziti della schiena. Chi poteva mai essere? Era alquanto inusuale che un suddito chiedesse udienza alla Principessa anziché al Re.

“Sei sicuro che non voglia essere ricevuto da mio padre?” chiese, ancora stupita.

“Sì, Altezza,” rispose il ciambellano. “Ha fatto esplicitamente il vostro nome.”

“Fallo entrare allora,” lo congedò con uno dei suoi solari sorrisi: se un suo suddito voleva incontrarla non poteva certo deluderlo. Si alzò in piedi e si rassettò l’abito, portandosi poi davanti alla scrivania per non avere, nemmeno fisicamente, alcun ostacolo burocratico fra sé e il suo ospite.

La porta si aprì sul corridoio e ne emerse una figura imponente ma slanciata, avvolta in un lungo mantello nero. Il volto dai lineamenti virili e sottili era atteggiato ad un sorriso vivace ed era circondato da lunghi capelli castani dai vividi riflessi ramati, tenuti raccolti da un fiocco nero in fondo alla chioma. Gli occhi color nocciola scrutarono la Principessa allegri e raggianti, mostrando un animo impavido, sebbene rispettoso delle regole, e un’agnizione che non era corrisposta. Quando entrò nello studio di Amelia il mantello si scostò leggermente rivelando una tintinnante armatura blu recante sul petto lo stemma di Seillune. Sul fianco si scorgeva l’inconfondibile rigonfiamento di una spada.

Lo sconosciuto si fermò a pochi passi da lei, che lo scrutava a sua volta, interdetta. Non l’aveva riconosciuto e si domandò perché un suo suddito indossasse un’armatura con lo stemma del Regno.

Salute, popolano,” esordì Amelia, con voce squillante. “Come può esserti utile la tua Principessa?”

“Salve Amelia,” rispose lui, con un tono inspiegabilmente affettuoso, sebbene rispettoso della loro distanza sociale. Dal suo modo di camminare, dal suo sguardo ed ora dalle sue parole risultava che lui già la conoscesse, ma ancora Amelia non riusciva a capire chi fosse il ragazzo imponente di fronte a lei. Ai suoi sguardi interrogativi il giovane si stupì.

Ma come… non mi riconosci, Amelia?” riprese, sbalordito e vagamente deluso. “O forse dovrei dire ‘Altezza Reale’?” aggiunse poi, scherzosamente, come per alleggerire la tensione nella stanza.

In quel momento gli occhi della Principessa si illuminarono: possibile che fosse davvero lui?

“Var…Varnion?” pronunciò esitante, la bocca secca per l’emozione.

“In persona,” annuì il giovane.

Varnion! Non poteva essere lui! Era così diverso, così… grande! Ma dopotutto erano passati quasi quattro anni dall’ultima volta che l’aveva visto, e per tutto quel tempo lui le aveva mandato una quantità enorme di lettere dai più lontani angoli della penisola dei demoni, sicché lei aveva sempre saputo cosa stava facendo, con quali persone stava viaggiando, dove si stava dirigendo. Molte volte in quegli anni aveva fantasticato su come sarebbe stato se fosse tornato indietro, ma sapeva che Varnion per sua natura era uno spirito vagabondo. Eppure in quel momento era lì, di fronte a lei!

Riconoscerlo e corrergli incontro gettandosi fra le sue braccia fu una cosa sola.

Varnion la abbracciò sbalordito, piroettando per evitare di essere atterrato dalla potenza della ragazza.

“VARNION!” esclamò lei, le lacrime agli occhi per la felicità. “Sono così felice di vederti, Varnion!”

Lui ridacchiò, cercando di respirare nel poderoso abbraccio di Amelia. “Anch’io sono felice di vederti,” riuscì infine a rispondere. “E’ passato troppo tempo dall’ultima volta che ci siamo incontrati!”

Finalmente la ragazza poggiò i piedi a terra e allentò la presa sul suo collo, sicché Varnion riuscì a rimirarla meglio: aveva ancora i grandi occhi blu pieni di gioia di vivere di una volta, sebbene nel frattempo fossero successe molte cose. In quegli ultimi anni aveva sentito parlare della sua amica d’infanzia, diventata una girovaga Paladina della Giustizia insieme ad un gruppo di avventurieri, coinvolti nelle più terribili calamità, dalla distruzione di Sairaag alla morte dell’Hellmaster ai pericoli senza nome del mondo esterno.

“Non sei cambiata,” le disse infine, perdendosi nei suoi occhi.

“Tu invece sì,” rispose, giocosa, Amelia, che non notò l’espressione rapita nei suoi occhi color nocciola. “Sei diventato altissimo e fortissimo… Ma dove sei stato?”

“Un po’ ovunque… ti sono arrivate le mie lettere?”

“Sì, ma non sapevo mai dove mandare le risposte, eri sempre in movimento!”

“Sì, è vero, ho girato tutta la penisola dei demoni, poi quando la barriera dei demoni è caduta ho saputo che ti eri recata con tuo padre nell’Alleanza degli Stati Costieri, così mi ci sono diretto anch’io…”

“Davvero?” Amelia era sinceramente stupita. “Non me l’hanno mai detto!”

“Volevo passare a salutarti, ma a quanto pareva eri già partita. Oltretutto un maremoto aveva colpito la città e non ho potuto non dare una mano per le ricostruzioni…”

La ragazza annuì, fiera. Era proprio il comportamento che si aspettava da lui. “Mi rincresce che tu abbia fatto il viaggio a vuoto,” riprese contrita, dopo un attimo.

“Al contrario!” rispose Varnion e rise, al ricordo. “Ho avuto modo di rincontrare i nostri padri, che mi hanno informato un po’ sugli ultimi avvenimenti. Ho saputo che hai affrontato molte avventure…” Il suo tono di voce si fece più basso e preoccupato. “Devi essere stata in grave pericolo.”

“A volte sì,” annuì lei, con un po’ di malinconia nella voce. “Ma non ho mai dubitato che la Giustizia potesse trionfare, così io e miei compagni ce la siamo sempre cavata!”

“Ne sono felice,” disse Varnion, sollevato.

“Ma anche tu devi aver vissuto molte avventure,” riprese Amelia, lo sguardo illuminato dalla curiosità e dalla gioia. “E chissà quanti pericoli!... Accidenti, ho così tante domande da farti! Quando sei arrivato in città?”

“Da poche ore.”

“Allora dovrai essere molto stanco! Do subito ordine che ti venga preparato un appartamento qui a palazzo, così potrai riposarti un po’. Potremo parlare più tardi.”

Al ragazzo parve di sentire tutta la fatica di quei mesi di viaggio piombare su di lui in quel momento. Annuì, felice di poter riposare un po’. “Va benissimo!”

Amelia diede i suoi ordini al ciambellano e accompagnò Varnion verso l’ala occidentale del palazzo, tenendolo per un braccio. In quel momento non sembrava la principessa di un regno come Seillune, ma una ragazzina come tante, entusiasta di aver ritrovato un amico da lungo tempo assente.

Varnion, da parte sua, si sentiva estremamente felice di poter nuovamente camminare fianco a fianco ad Amelia, come tanti anni prima.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

CAPITOLO 2

 

Quella sera, dopo la cena che Philionel aveva organizzato all’uopo, in gioiosa collaborazione con la figlia, Varnion e Amelia si recarono sull’ampio balcone ornato di fregi e statue che dava sugli ampi giardini del palazzo reale, lasciando i loro padri a discutere del possibile motivo del ritorno del giovane. Egli infatti, nonostante le pressioni di Amelia, aveva insistito per rivelarlo solo il giorno dopo, a pranzo.

Varnion indossava una versione più ordinata degli abiti di quando era arrivato a Seillune, eccezion fatta per l’armatura, lasciata a lucidare e ribattere presso l’armaiolo di corte. Lei invece vestiva uno splendido abito rosa, tutto ornato di pizzi bianchi e trine, e volteggiava sul balcone come se tutta quella stoffa, mossa dal tenue soffio del vento che rinfrescava quella serata estiva, non le pesasse per niente. Il cielo era sereno ed era possibile contare una ad una le stelle che formavano le costellazioni nella mente degli astrologi di corte.

Amelia si sedette raggiante sul parapetto, facendo ondeggiare le sue trine.

“Coraggio Varnion,” disse, implorante. “A me puoi dire perché sei tornato…”

Il giovane rise ma scosse il capo: “No, solo domani, a pranzo, non prima.”

Lei si imbronciò per un attimo, ma subito scrollò le spalle e invitò l’amico ad accomodarsi accanto a sé.

“Non credi che sia poco appropriato?” sorrise lui, rimanendo dov’era. La giovane scosse il capo, ridendo a sua volta. “Dimentica le formalità, hai molte cose da raccontarmi.”

A quel punto Varnion si decise a sedersi accanto alla principessa. La luce della luna si rifletteva sulla sua pelle candida in mille rivoli lattescenti e il suo vestito frusciava come l’estate, ricca di grilli.

“Varnion, che cos’hai?” gli chiese, arrossendo un po’, quando si rese conto che la stava osservando. Il ragazzo si riscosse, tornando in sé.

“Niente, è solo che non sono più abituato a cene e serate come questa,” minimizzò con un gesto vago della mano. “In questi anni il massimo del lusso che mi sono concesso è stato di pernottare in una locanda di paese. Generalmente, invece, mi trovavo a dormire all’addiaccio, in qualche radura, a guardare le stelle e immaginare come sarebbe potuto essere il giorno seguente.”

Amelia lo ascoltava rapita, le mani poggiate tese sulle ginocchia, gli occhi brillanti alla luce della luna e dei candelieri della sala da pranzo. Lui fece vagare gli occhi sulla parete, scolpita secondo complessi canoni estetici, della sala da pranzo, fino a trovare un varco che dava sul buio parco sottostante, e il suo sguardo si fece distante, ricordando il passato.

“Ogni giorno mi svegliavo in un posto nuovo; a volte scorgevo in lontananza l’esile filo di fumo di una casetta isolata, oppure sentivo il sommesso brusio di un villaggio. Allora ero contento, perché potevo vedere dei miei simili, scambiare qualche parola, contrattare per avere il mio vitto e rendermi utile. Ma a volte mi svegliavo di soprassalto che era ancora notte, in una grande foresta, e sentivo mille cose bisbigliare e strisciare e frusciare nel buio, e allora desideravo non essere in quel luogo. Essere di nuovo nel ridente villaggio che mi ero lasciato alle spalle magari la mattina precedente, e scherzare con i figli degli artigiani che correvano nelle strade deserte e sonnacchiose. Ma invece dovevo alzarmi, radunare le mie cose, rannicchiarmi accanto alle ultime braci del fuoco e attendere l’alba…”

A quei pensieri le spalle di Varnion ebbero un brivido. Subito Amelia si avvicinò a lui e gli posò una mano sul braccio. Il contatto della sua piccola mano, resa gelida dalla tensione del racconto, parve scuoterlo, sicché rivolse di nuovo lo sguardo su di lei. Vedendo il suo volto preoccupato, Varnion sorrise rassicurante: “Però devo dire che il più delle volte la mia paura era immotivata. Si trattava di solito di qualche volpe o di un serpentello. Ma anche se fosse stato un nemico non avrei dovuto preoccuparmi. Durante tutto questo tempo ho migliorato la mia abilità di spadaccino, e imparato un po’ di magia bianca e sciamanica. E anche qualche piccolo trucco di magia nera, anche se non ho mai avuto bisogno di metterla in pratica. Quindi ero sempre ben preparato ad affrontare i pericoli che un viaggio come il mio mi avrebbe messo di fronte.”

Amelia tirò un sospiro di sollievo alle sue parole e gli tolse la mano dal braccio, riponendosela in grembo. Sotto di loro, nel buio sussurrante di quella notte estiva, il vento stormì fra le foglie degli alberi del parco, quasi a rispecchiare il racconto di Varnion. Ma in quel caso, nella grande città di Seillune, nel palazzo reale, insieme alla sua principessa, il giovane non poteva che sentirsi pieno di una tranquillità che raramente aveva provato nella sua vita. Amelia stava ora guardando in cielo, forse immaginandosi le scene descritte dal suo amico. La luce della luna ne disegnava i contorni con maestria, mettendo in risalto il contrasto fra la sua pelle bianca e i capelli neri. Le labbra appena dischiuse sembravano pascersi di un nettare fatto di luce, che scendeva direttamente dall’astro notturno. Varnion, ancora seduto accanto a lei, non poté fare a meno di notare che lei era bellissima. In quel momento si rinnovò, come se fosse un lampo di conoscenza in una notte oscura, il sentimento che tante volte lo aveva fatto sospirare quando viveva a Seillune, prima di partire. In quel momento, come quattro anni prima, seppe di essere innamorato di Amelia.

Lo era sempre stato, fin da quando giocavano ancora, teneramente bambini, nell’ampio parco del castello reale, ma non glielo aveva mai detto. Già all’epoca sapeva che lui avrebbe viaggiato molto, e non avrebbe mai permesso ai suoi sentimenti di legare la vita della sua Amelia alla propria decisione di viaggiare.

“Amelia… Io ti amo. Promettimi che mi aspetterai.”

Questa frase non era mai uscita dalla sua bocca. La ragazza, alla sua prima dichiarazione d’amore, avrebbe di sicuro promesso, entusiasta. Ma avrebbe dovuto vivere nell’attesa del suo ritorno, sacrificandogli i suoi anni migliori, e questo Varnion non l’avrebbe mai accettato. Se n’era andato con la morte nel cuore, ma almeno Amelia avrebbe potuto trovare qualcuno che le stesse sempre vicino.

Ma a quanto pareva il suo cuore era ancora solitario, nessuno aveva occupato i suoi pensieri di notte, prima di addormentarsi. Ed ora lui era tornato per restare. Chissà se ora che era tornato per restare ed occupare il paterno posto di capitano avrebbe potuto… Ma adesso non era il caso di pensarci…

Riportò lo sguardo su Amelia, ancora intenta a fantasticare, con lo sguardo rivolto alle stelle.

“Ho saputo però che in tutti questi anni anche tu hai avuto molte avventure.”

Lei lo guardò di nuovo, e gli occhi le si illuminarono.

“Avventure che tu non immagineresti neppure, mio caro Varnion. All’inizio sono partita cercando di diffondere la giustizia nel resto del mondo, ma poi ho incontrato delle persone, di cui avrai sicuramente sentito parlare e insieme siamo finiti a Sairaag, dove la Copia del famoso Monaco Rosso Rezo ha distrutto la città!”

Varnion annuì, ricordando le voci che aveva sentito: “I tuoi compagni erano la famosa Lina… Inverse, vero? Ma non ricordo i nomi degli altri.”

Lei scosse vigorosamente la testa, entusiasta: “Sì, sì, Lina Inverse, bravo. E poi c’erano Gourry Gabriev e…”

Una lieve contrazione ai lati della bocca turbò la sua espressione gioiosa, ma fu così rapida che Varnion credette che fosse solo un gioco di luce.

“… e Zelgadiss Graywords. Poi abbiamo vissuto un oceano di avventure, abbiamo affrontato e sconfitto ben due Dark Lord… Abbiamo anche conosciuto un mazoku dal carattere piuttosto strano, tale Xelloss Metallium, e addirittura una draghessa dorata proveniente dal mondo esterno, la Vestale Maggiore del Re dei Draghi di Fuoco Philia Ui Copt! Insieme a loro siamo riusciti ad evitare che Dark Star, un Dark Lord di un altro mondo, distruggesse il nostro universo!”

Mano a mano che la ragazza parlava, Varnion notava una vaga inquietudine nei suoi occhi, sentimento che contrastava con l’entusiasmo delle sue parole. Decise di interromperla, nel caso che il racconto la turbasse, per qualche motivo.

“Ho sentito numerose storie sul vostro conto, ma la maggior parte di esse erano francamente incredibili. Si diceva addirittura che questa Lina Inverse avesse ucciso il Gran Demone Shabranigdu!”

Amelia s’imbronciò, esagerando comicamente un’espressione offesa: “E’ successo davvero! Beh… Era solo una parte di Shabranigdu…”

Sorrise all’espressione incredula di Varnion, consapevole che, se quelle leggende gli venivano confermate da lei, allora ci avrebbe creduto.

“Io non li conoscevo ancora all’epoca, ma Lina mi ha raccontato tutto. Il Gran Demone si era reincarnato niente meno che nel Monaco Rosso Rezo, e lei era riuscita a sconfiggerlo con l’aiuto di Gourry e Zelgadiss. Infatti Zelgadiss era proprio il nipote di Rezo, che gli aveva lanciato una terribile maledizione, tramutandogli il corpo in roccia.”

Varnion era esterrefatto: allora davvero la famosa Lina Inverse era potente come si diceva! Ed aveva dei compagni altrettanto formidabili.

“Accidenti, non potevo crederci! Ma parlami un po’ di loro, che tipi sono queste leggende ambulanti?”

“Lina è una ragazza straordinaria, sempre piena di risorse, oltre ad essere una maga senza pari, né qui né nel mondo esterno. Gourry Gabriev invece è un abilissimo spadaccino, che può in poco tempo sconfiggere una decina di nemici. E Zelgadiss Graywords è un abile spadaccino E un potente mago, anche se la sua specialità è la magia sciamanica, non quella nera. In realtà il suo aspetto è inquietante, avendo il volto incrostato di roccia, e il suo carattere è tutt’altro che gioviale. Probabilmente se lo incontrassi in una taverna e ci parlassi insieme ti verrebbe l’istinto di mettergli le mani addosso. Ma in fondo c’è da capirlo. Ha subito una maledizione che proverebbe chiunque, ed è naturale che si comporti così. Ma io lo conosco bene, e ti assicuro che sotto il suo aspetto schivo ed ostile si nasconde un animo generoso e fondamentalmente giusto.”

Ora l’inquietudine albergava nella mente di Varnion. Come mai Amelia era così enfatica nella descrizione di questo Zelgadiss Graywords? Che ci fosse qualcosa fra loro due?

Scese dal parapetto, atteggiandosi in modo che il chiaroscuro lunare celasse eventuali espressioni del suo dubbio. Se Amelia si accorse di qualcosa, non lo diede a vedere.

“Sembrano davvero dei bravi ragazzi,” azzardò dopo un attimo. “Ti sarai trovata molto bene con loro.”

“Benissimo,” annuì lei, enfaticamente. “Anche se a volte Lina è irascibile e a Gourry bisogna ripetere le cose sempre due volte, sono persone straordinarie. E Zelgadiss, nonostante tutto, non si fa mai abbattere da nessuna difficoltà, ma, anzi, è sempre pronto ad aiutarti.”

Il rossore sulle guance di Amelia non dava adito a dubbi. Cercando di trattenere i battiti del suo cuore, Varnion si costrinse a sorridere, ammiccante.

“Mi pare di capire che ci sia qualcos’altro tra di voi, oltre a una semplice amicizia…”

Amelia arrossì più vistosamente e chinò il capo sorridendo. A sua volta scese dal parapetto e si voltò, appoggiandovisi, in modo da scrutare l’oscurità dei giardini reali. Il frinire dei grilli nello spazio vuoto sottostante si sposava con il fruscio del vento fra le fronde degli alberi.

“E’… difficile da spiegare,” confessò lei, con un sussurro. “Non ne abbiamo mai parlato.”

Varnion, a poca distanza da lei, sentì le gambe cedere. Un po’ troppo bruscamente si appoggiò alla balaustra, dissimulando subito la sua agitazione in un maggior interesse. Di nuovo la ragazza non si accorse del suo turbamento e continuò a parlare.

“All’inizio fui spaventata dal suo aspetto poco ortodosso, ma poi ho scoperto la sua lealtà e il suo buon cuore. E, da parte sua, Zelgadiss sembrava sentirsi meno oppresso dalla sua maledizione quando era insieme a me. Per questo credo che… sì… c’era qualcosa in più fra di noi.”

Varnion dovette sostenere il suo sguardo luminoso senza lasciar trasparire l’angoscia che gli infestava l’animo.

“Dopo la distruzione di Dark Star, Zelgadiss mi ha promesso che sarebbe venuto qui a Seillune, un giorno, e che nel frattempo avrebbe continuato a cercare una cura per la sua condizione… Ma, Varnion, stai bene?”

Varnion non stava bene. Era visibilmente impallidito, anche se la sua espressione era affabile come al solito. Si allontanò dalla balaustra, seguito dallo sguardo preoccupato di Amelia.

“In effetti sono molto stanco,” mentì. “Il viaggio è stato lungo ed io ho sopravvalutato la mia resistenza. Scusami, Amelia, ma credo che andrò a letto.”

Lei annuì, e fece per prenderlo per un braccio.

“Vuoi che ti accompagni ai tuoi appartamenti?”

“No, grazie, non disturbarti.”

“Va bene. Allora buona notte, Varnion, ci vediamo domani.”

“Buona notte, Amelia.”

Varnion lasciò la Principessa di Seillune sul balcone della sala da pranzo, salutando rapidamente Philionel e suo padre, per poi precipitarsi nei corridoi illuminati dalle candele del palazzo reale, fino alla sua stanza, dove si spogliò e cadde subito in un sonno agitato.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

 

L’aurora spargeva i suoi raggi delicati nel parco del palazzo reale di Seillune, illuminando le foglie degli alberi e dei cespugli cosparsi di rugiada, dove la vita microscopica delle aiuole e dei boschetti si risvegliava dal sonno notturno. L’aria umida di fianco all’antico gazebo di legno bianco di Elemekia era percorsa dai vibranti richiami degli uccelli, che planavano e picchiavano e s’impennavano, alla ricerca del pasto mattutino per i loro piccoli cinguettanti nei nidi. Sulla panca intagliata del gazebo, liberata dal tenue velo di rugiada che la ricopriva, giaceva, ben ripiegato, un mantello nero, e ai piedi del sedile, sul pavimento di legno, trattato al fine di tener lontane le tarme, c’era un’armatura blu con lo stemma di Seillune sul petto.

Amelia raggiunse il gazebo, frusciando nell’erba corta del prato con la lunga veste bordata di blu. Posò una mano sull’armatura, riconoscendola come quella di Varnion. Come mai era già sveglio a quell’ora? E perché si era recato nel parco?

Uscì dalla costruzione bianca e rimase ferma, i raggi del sole, già caldi, che le carezzavano le palpebre. Ripensò all’annuncio misterioso che il suo amico avrebbe dovuto fare quel giorno e si chiese se fosse il caso di insistere per sapere di che si trattasse. Concluse che era meglio aspettare ancora qualche ora, piuttosto che forzarlo. Dopotutto, se si era alzato così presto quella mattina, probabilmente non voleva essere pressato su un argomento che, Amelia lo sospettava, sarebbe risultato già di per sé delicato.

Rimase invece lì, al sole, per qualche attimo. Si ricordò di tanto tempo prima, un’estate come quella, il profumo dei tulipani in fiore che inebriava l’aria. Lei e Varnion che giocavano a rincorrersi. Che si erano fermati a riprendere fiato vicino al fiume che, lontano, verso nord, in quel punto sfiorava il parco reale. Dal giorno della partenza di Varnion non c’era più stata. Forse il ragazzo vi si era recato, per ricordare quei giorni ormai lontani.

Al ricordo di quei giorni venne invasa dal desiderio di ritornare in quel luogo isolato e di rincontrarvi Varnion, come se il tempo non fosse passato. Sorridendo entusiasta all’idea di fargli una sorpresa vi si incamminò a passo spedito.

Ed infatti, Varnion era là.

Il fiume scorreva placido nel bosco, tagliandovi una radura netta, ornata di erba e fiori. Sulla sponda settentrionale gli alti alberi parevano protendersi verso l’acqua, assetati, mentre su quella meridionale il parco digradava in un declivio erboso, circondato a destra e a sinistra da balze scoscese e franose, ricoperte di sottobosco. Su un masso accanto alla più bassa sporgenza di sinistra giaceva la casacca blu con lo stemma di Seillune del giovane, che stava ritto, immobile, al centro della radura. Aveva una benda nera sugli occhi e il torace, nudo e sudato, mostrava i muscoli, non eccessivamente vistosi, tesi, in preparazione di uno scatto. La testa era leggermente reclinata, come se fosse in ascolto di ciò che gli stava attorno.

Amelia, appena uscita dal boschetto a sud del fiume, lo vide muoversi lentamente, in circolo, la spada sollevata in posizione di guardia. Per un attimo il cuore le sobbalzò nel petto, al pensiero che fosse sotto attacco da nemici invisibili, poi notò la benda sui suoi occhi e comprese che doveva trattarsi di uno strano allenamento. Sin da quella distanza si vedeva il sudore sul suo petto e le sue spalle, per cui una pausa non gli avrebbe fatto altro che bene. La ragazza mosse un passo sull’erba soffice, in direzione dell’amico.

Il sommesso fruscio della sua veste, nonostante la distanza, fu sufficientemente rumoroso da spiccare sul sottofondo di acqua corrente, trilli, balzi, gracidii e stormire di foglie. Varnion comprese che qualcuno si stava avvicinando.

Puntò in un attimo la spada in direzione di Amelia, irrigidendo i muscoli, quasi fosse pronto allo scontro.

“Chi va là!” sbottò. Uno stormo di uccelli svolò da un albero sulla riva settentrionale del fiume, pigolando la propria indignazione per quel grido così fuori luogo. Amelia si bloccò, non aspettandosi un’accoglienza del genere. Il giovane si tolse la benda con la mano libera, e quando vide chi era la sua visitatrice abbassò subito la lama.

“Scusami! Ti ho spaventata?” disse con espressione preoccupata, mentre faceva un passo verso la ragazza.

Effettivamente l’aveva spaventata, sì. Ma non eccessivamente. Si scosse e si avvicinò a sua volta a Varnion, sorridendo.

“No, no, figurati. Sono venuta a farti una sorpresa, ti disturbo?”

“Non disturbi mai, Amelia.”

Lei ridacchiò e si sedette verso un masso vicino al fiume, lo stesso su cui soleva sedersi da piccola, quando raggiungevano quel luogo e mentre riprendevano il fiato fantasticavano dei mondi lontani da cui giungeva quell’acqua ridente.

Agli occhi di Varnion era ancora quella bambina. Piantò la spada in terra, raccolse lo straccio che si era portato dal palazzo, abbandonato a terra dietro la casacca, e si asciugò rapidamente il torso.

“Mi stavo allenando con la spada,” disse, per spezzare l’incanto che gli stava facendo battere il cuore più velocemente.

“L’avevo capito,” notò Amelia sorridente.

“Come sapevi che ero qui?”

“L’ho immaginato,” sorrise. “Questo è il nostro posto, ho pensato che saresti venuto qui.”

“Complimenti per l’intuizione,” sorrise a sua volta, riprendendo fiato.

Amelia indicò la benda nera che ancora gli pendeva dalla mano.

“Perché eri bendato?”

Varnion la sollevò e sorrise, disteso. Parve sentirsi più a suo agio.

“Si tratta di un allenamento speciale che ho imparato da un popolo boschivo durante i miei viaggi. Mira ad accrescere la sensibilità dell’udito, in modo da poter combattere agevolmente anche in assenza di visibilità.”

Amelia lo guardò con interesse.

“Di che popolo si trattava?”

“Ne avrai di certo sentito parlare nelle leggende: erano gli elfi.”

La ragazza balzò in piedi.

“Gli elfi?!” sbottò, incredula. “Sapevo che erano estinti da secoli!”

Lui sorrise, piacevolmente colpito dalla meraviglia suscitata nella sua amica.

“In realtà ne sono rimasti molto pochi, e anche questi pochi generalmente non si fanno vedere. Devono giudicare una persona degna di entrare in contatto con loro perché si mostrino.”

“E tu sei stato giudicato degno?”

“Ebbene sì.”

Varnion si sentiva orgoglioso di avere delle storie così belle da raccontare ad Amelia, e avrebbe voluto che quel momento non finisse mai. Guardò con soddisfazione gli occhi sgranati della ragazza e proseguì.

“Mi hanno accolto fra di loro come un amico, arrivando addirittura ad insegnarmi le loro tecniche di combattimento.”

“Ho sentito dalle leggende che erano… che sono esseri spirituali. Devi aver visto cose prodigiose nel loro reame!”

“Sì, sono esseri spirituali, ma non lo diresti mai dal loro atteggiamento. Sono giocosi e sempre allegri, ed ogni sera si festeggia con una bevanda magica che irrobustisce il corpo e tempra lo spirito. E oltre alle tecniche di combattimento mi hanno insegnato anche alcuni incantesimi di magia sciamanica e magia bianca, che a loro viene molto più naturale che a noi umani.”

Amelia pendeva dalle sue labbra e Varnion sentiva l’ebbrezza di lasciarsi trasportare dal racconto.

“Durante la mia permanenza in quella foresta ho anche sfidato i giovani guerrieri elfi in numerosi combattimenti d’allenamento. Quelli anziani, per niente infiacchiti dalla vecchiaia, erano infatti troppo forti e abili per chiunque laggiù. E fu durante questi combattimenti che mi attribuirono addirittura un soprannome, per la mia furbizia e agilità.”

“Un soprannome?” ripeté Amelia, rimasta a bocca aperta per tutto il racconto del giovane.

“Sì,” annuì lui, sorridendo un po’ imbarazzato. “Mi chiamavano Volpe. Volpe del Sottobosco.”

A quelle parole gli occhi di Amelia brillarono di una luce intenerita e sottilmente minacciosa.

“Volpe del Sottobosco, eh?” citò, facendo un passo in direzione di Varnion. Questi sapeva che lei stava architettando uno scherzo, ma la cosa non lo infastidiva. Anzi, gli provocava un immenso piacere. Quando la ragazza fu a pochi centimetri da lui, non avendo notato tentennamenti da parte sua, veloce sollevò una mano e gli scompigliò i capelli, mormorando affettuosamente: “Somigli davvero a una volpe, Varnion.”

Solo in quel momento il ragazzo si accorse di quello che stava succedendo. Quella notte, dopo essersi svegliato da un incubo terribile di cui non ricordava il contenuto, si era ripromesso di non concedersi più alcun momento di intimità con Amelia, ormai conscio che c’era qualcuno di importante nella sua vita che non poteva essere sostituito. Per questo all’alba era andato ad allenarsi in quel luogo, da solo, riprendendo quell’antica e rustica abitudine appresa nei lunghi anni di viaggio. Avrebbe voluto evitare di restare solo con lei in modo che il suo amore non potesse in nessun modo esprimersi, rischiando di farla soffrire. Ma invece era stata lei ad andare da lui.

“Un tenero volpacchiotto, tutto da coccolare,” stava dicendo Amelia, portando anche l’altra mano verso i suoi capelli castani e sbilanciandosi, con l’evidente intenzione di accarezzarlo e gettargli le braccia al collo, in modo casto, come avevano fatto decine di volte quando erano bambini.

No! Non poteva accadere! Se lei l’avesse abbracciato, in quel momento, lui non sarebbe più stato in grado di trattenere il proprio amore! Avrebbe dovuto confessarglielo, confessarle perché il suo volto si rigava d’improvviso di lacrime di dolore, perché tutta la sua forza scemava in un colpo, facendogli tremare le gambe, costringendolo a cadere al suolo, vinto da una forza che si sarebbe fatta incontrastabile!

Ma le braccia di Amelia erano ormai troppo vicine. Affondarono nei suoi capelli per poi scendere al collo e stringerlo, costringendolo a sentire il suo corpo contro il proprio. Ed allora l’abbracciò a sua volta, affondando il volto nei suoi capelli, reggendola per evitare che cadesse, mentre lei rideva felice. L’abbracciò e la strinse a sé, forte, ma non tanto da farle male. Sapeva che quella era l’ultima volta che l’avrebbe mai abbracciata. Lei rideva, ma lui restò in silenzio, gli occhi chiusi quasi a non lasciar sparire l’impressione dei loro corpi uniti. Amelia dovette accorgersi di qualcosa di strano nel suo abbraccio, perché si irrigidì lievemente. Varnion allora capì che l’incanto era finito. La lasciò, un tremito nelle mani troppo lieve per essere percepito da lei, e si costrinse a sorridere, allontanandosi da lei come se il gioco fosse finito. Sul suo volto di bambina vide che l’espressione di sorpresa dovuta all’intensità del suo abbraccio veniva sostituita dalla solita gaiezza, e non pensò più alle proprie sensazioni. Ma sapeva che avrebbe dovuto cambiare argomento, oppure il gioco sarebbe ricominciato, e lui non sarebbe più stato capace di provi termine.

 “Ad ogni modo,” iniziò. “Mi hai detto che il tuo amico Zelgadiss Graywords è affetto da una maledizione che ha tramutato il suo corpo in pietra.”

Fra tutti gli argomenti che poteva scegliere quello era l’ultimo che avrebbe voluto.

“Come ti dicevo, fra gli elfi vi sono molti praticanti di magia bianca. Se lui ha un cuore puro ed è stato maledetto da un incantesimo di magia nera, forse loro potrebbero aiutarlo.”

La gioia di Amelia si trasformò in un dubbio malinconico.

“Non conosco i dettagli, ma non si tratta di una vera e propria maledizione. Vedi, quando era ancora umano si allenava costantemente in tutte le arti, per diventare sempre più potente. Un giorno, il Monaco Rosso decise di accontentarlo con un incantesimo. Lo rese più potente di quanto avrebbe mai potuto diventare, ma in cambio gli portò via la sua umanità, rendendolo una chimera dal corpo di pietra.”

Quindi, in fin dei conti, Zelgadiss se l’era cercata la sua maledizione, pensò Varnion.

“Da quel giorno,” riprese Amelia, “ha costantemente cercato una cura per la sua situazione, per recuperare il suo aspetto umano. Anche se il suo cuore era sempre rimasto buono e generoso.”

“Quindi si è unito a voi solo perché poteste aiutarlo a cercare una cura,” azzardò Varnion.

“All’inizio era così, credo,” rispose Amelia, abbassando il tono della voce. “Ma poi si è affezionato a noi e ci ha aiutato nelle nostre diverse missioni, anche a rischio della vita. Però dopo la distruzione di Dark Star ha preferito continuare la sua ricerca…”

Due lacrime brillarono agli angoli degli occhi della ragazza.

“Gli ho regalato uno dei miei talismani e lui ha promesso che sarebbe venuto a Seillune… ma…”

Varnion vide le lacrime di Amelia, e fu come se nel suo cuore scoppiasse un incendio. Non bastava che Zelgadiss l’avesse illusa, ma ora la stava anche facendo soffrire!

La rabbia del giovane dilagò senza più freni. Afferrò la spada e la divelse dal terreno dove era stata piantata, colpendo con un ampio arco il tronco di un albero morto, affondando la lama nella corteccia decrepita fino a tagliarlo in due. Quel movimento improvviso fece sobbalzare Amelia, che lo guardò spaventata asciugandosi le lacrime.

“Non serve venire a patti per diventare forti,” mormorò a denti stretti lui.

Amelia, titubante, fece un passo verso di lui, ma, altrettanto improvvisa come era comparsa, la collera defluì dai suoi lineamenti, che tornarono cordiali come sempre. Avrebbe voluto chiedergli cosa intendeva con quelle parole, e perché era uscito con quel gesto violento, ma preferì non toccare l’argomento. Lui sorrideva. Lei sorrise a sua volta, scacciando la malinconia di poco prima.

“Comincio ad aver fame,” disse il ragazzo. “Tutta quest’attività fisica di prima mattina è sfiancante.”

“Mi trovi d’accordo,” ammise lei. “Do subito ordine di preparare la colazione.” E si incamminò su per il declivio.

“Precedimi, io mi fermo a farmi un bagno qui al fiume.”

Amelia annuì, sorridendo, e scomparve nella foresta. Varnion attese che anche i flebili rumori dei suoi passi scomparissero in lontananza. D’un tratto digrignò i denti, emettendo un sordo ringhio. Con gli occhi ridotti a due fessure, il volto contratto, sollevò di nuovo la spada e sferrò un poderoso fendente contro una roccia vicino al fiume. Il metallo elfico vibrò nell’aria la sua nota acuta e la roccia si spezzò.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

CAPITOLO 4

 

Quel giorno il re aveva convocato i nobili e i dignitari di corte per un grande banchetto in onore del ritorno di Varnion, durante il quale il ragazzo avrebbe svelato il motivo del suo improvviso ritorno. Al tavolo principale sedeva il re, affiancato a destra da sua figlia e a sinistra dal capitano delle guardie, a sua volta affiancato da Varnion. Malgrado le insistenze, il giovane mantenne il segreto fino alla fine del pasto. Quando Amelia si era quasi rassegnata che la promessa fosse solo uno scherzo, Varnion si alzò in piedi, ridestando l’attenzione di tutti i presenti.

“Padre,” disse, prendendo il calice con il vino e alzandolo in direzione di ciascuno dei commensali. “Vostra Maestà, Vostra Altezza. Mi rincresce di avervi fatto attendere fino ad ora, ma volevo scegliere le parole adatte per esprimere la mia decisione.

Seguì un momento di silenzio carico di aspettative, rotto infine da Philionel: “Spero che tu l’abbia presa, alla fine, non so se riusciremo ad attendere un altro giorno!”

Tutti risero a quell’uscita, ma si vedeva che tutta l’attenzione era per Varnion. Abbassò lo sguardo.

“In questi lunghi anni ho viaggiato molto. Ho appreso nuove tecniche di spada e nuove conoscenze; ho visitato molti popoli e appreso le loro usanze. Sono addirittura andato nel mondo esterno, due anni fa, sulle tracce della Principessa Amelia. Ma un giorno giunse il momento in cui pensai di essere pronto. Pronto a ritornare e prendere il posto che mi spetta. Padre,” riprese, volgendo gli occhi  e sorridendo al suo genitore ormai anziano, sempre più sorpreso. “Sono tornato per restare e prendere il mio legittimo posto accanto a voi, padre, come erede della carica di capitano delle guardie.”

 Un profondo silenzio scese nella sala gremita di dignitari e da tutto il tavolo d’onore si alzarono su di lui occhi stupiti e bocche tenute aperte dalla sorpresa. Poi da un punto imprecisato del salone si alzò un applauso ed un grido di giubilo, subito ripresi da tutti gli altri invitati, lasciando per ultimi il re e i suoi ospiti.

Varnion scrutò gli sguardi di Philionel, di suo padre e di Amelia, che gli trasmettevano l’uno quieto divertimento, l’altro orgoglio e l’ultimo una strana sensazione, un misto di tenerezza e malinconia. Ma sapeva di dover nascondere le emozioni che avrebbero tradito il suo vero stato d’animo, perciò sorrise e rispose all’abbraccio con cui suo padre, mosso fino alle lacrime dalla rivelazione, lo stava stringendo. Subito dopo aver confermato le sue parole davanti alle domande incredule dell’anziano capitano delle guardie, cercò con lo sguardo l’unica cosa che in realtà voleva vedere in quel momento.

Amelia stava applaudendo con tanta foga che sembrava tutta concentrata nello sforzo di fargli sentire il battito delle sue mani. Nei suoi occhi e sulle sue labbra campeggiava un’espressione di gioia come Varnion non l’aveva mai vista se non nei lontani ricordi d’infanzia, quando erano ancora liberi e spensierati ed il più piccolo piacere portava una felicità indescrivibile. Varnion è tornato per restare con me: questo doveva pensare la Principessa di Seillune. Ma non sapeva che il cuore di Varnion era in fiamme, perché non poteva stare con il cuore di lei, così lontano, perduto alla ricerca di un cuore di pietra che forse non sarebbe mai più ritornato. Nonostante la morte che gli scorreva nelle vene, il giovane sorrise ad Amelia e provò una grande pace, un calore di quiete che per un brevissimo attimo gli fece dimenticare la sua sofferenza. Per un momento si sentì solamente felice di essere in compagnia della ragazza che amava e che ora gli stava sorridendo, liberandolo dall’angoscia. E per questo le fu immensamente grato.

Quando il clamore diminuì fino a scemare fu Philionel ad alzarsi con il calice in mano, sollevandolo verso Varnion, con uno sguardo di sincera sorpresa.

“Figliolo,” esordì, “questa è veramente una sorpresa, forse la migliore delle sorprese che potevamo aspettarci di questi tempi! Beh, dato però che è una sorpresa forse non potevamo aspettarcela…”

Risa compite ma rilassate risuonarono brevemente nella sala alla battuta di spirito, forse non ricercata, del re. Questi ridacchiò a sua volta, forse rendendosi conto di aver detto uno sproposito e bevve un breve sorso di vino prima di proseguire.

“Ad ogni modo, permettimi di farti le migliori congratulazioni per la tua scelta, perché così facendo Seillune ha trovato un ottimo guardiano, il mio vecchio capitano Shyrien Dartelyon ha ritrovato il suo erede, mia figlia Amelia un amico d’infanzia ed io qualcun altro da tormentare con le mie iniziative!”

Alle risa seguirono gli applausi, che sovrastarono il brindisi proposto da Philionel per Varnion. Il ragazzo dovette sforzarsi a sorridere al re e a suo padre, ora di nuovo in lacrime, e alla sala gremita di gente. Ma soprattutto dovette sforzarsi di distogliere gli occhi da Amelia, l’unico motivo di restare che ora gli sembrava avesse importanza. Per tutto il tempo del discorso di suo padre, la principessa era rimasta attenta alle sue parole, con ancora il sorriso sulle labbra. Varnion credette di vedere nella tensione del suo volto la promessa di una maggiore gioia, una volta che il banchetto ufficiale fosse finito e lei avesse potuto correre da lui, abbracciarlo, scompigliargli i capelli, ringraziarlo di essere tornato e di restare con lei, specialmente in un momento come quello, in cui…

Il flusso di pensieri del giovane si interruppe bruscamente. Era vero, quello era un momento triste per la giovane principessa del suo cuore. Ed era triste a causa di un essere che aveva preferito la ricerca di una cura per la sua condizione all’amore di lei. Un essere che aveva preferito una via facile e veloce per ottenere una grande potenza a scapito della sua umanità. Un essere che non la meritava.

Varnion strinse un po’ la mascella, soffocando la sua ira, ma nessuno se ne accorse. E concluse che, se fosse stato necessario, avrebbe compiuto il sacrificio che quell’essere non aveva compiuto. Sarebbe rimasto con lei, con la sua Amelia, pur se non amato, lacerato dal dolore, ma con lei. Le avrebbe reso meno tormentose le giornate che passava struggendosi per una chimera dal cuore di pietra, senza sapere se l’avrebbe mai più rivista. E se un giorno quel mostro, Zelgadiss Graywords, si fosse presentato a palazzo, pretendendo il diritto ingiusto di amare Amelia senza aver fatto nessun sacrificio, lui…

Si sarebbe forse tirato indietro?

Avrebbe chinato il capo, traendosi in disparte sapendo che una creatura dal cuore freddo veniva amato di un amore a lui mai concesso?

Esitò prima di darsi una risposta. Per amore di lei, forse sì. Si sarebbe fatto meno presente, lasciando lentamente il suo posto al fianco di Amelia a Zelgadiss, e si sarebbe spento in silenzio, incapace di vivere, e tuttavia incapace di confessare tutto al suo amore. Lei non si meritava la sofferenza che quella confessione le avrebbe portato. Lui non meritava di sparire così dopo una vita di sacrifici. E Zelgadiss non meritava di essere amato da Amelia.

Era ingiusto.

Nemmeno Varnion seppe come fece a mascherare l’inferno che ardeva nel suo cuore ferito per il resto dei festeggiamenti, che durarono più di un’ora. Seppe solo che al termine, le orecchie ancora ronzanti per il baccano e per la musica, barcollava lentamente nel corridoio che l’avrebbe portato nei suoi alloggi.

Quando giunse finalmente nel suo appartamento, chiuse velocemente la porta alle proprie spalle e vi si appoggiò pesantemente contro.

Contrariamente a quanto generalmente ci si aspettava nei confronti di un appartamento del Palazzo Reale, quello era particolarmente spartano e sobrio.

Era stato proprio il giovane ad insistere, allorché era arrivato, di non essere alloggiato in modo estremamente sfarzoso.

Ormai quel mondo di decorazioni ricche e barocche, di tappeti, tende e splendidi arazzi, aveva cessato di appartenergli da tempo.

Annebbiato, il suo sguardo vagò sul mobilio in legno rigorosamente nero e lucido, sul letto a baldacchino dalle semplici colonne e il tendaggio dorato, senza che riuscisse a muovere un passo.

Un nuovo capogiro lo costrinse a scuotere il capo. Troppi brindisi. Troppi e inopportuni.

 

Brindisi…applausi…inchini…congratulazioni…

“Bentornato”

“I miei migliori auguri…”

“Le Guardie Reali avranno un avvenire prodigioso…”

e altre baggianate simili.

Non sono abituato a bere così tanto, mi sento strano…

Ma è davvero colpa del vino?

O forse la colpa è di un nettare infinitamente più dolce e infinitamente più corrosivo della lava?

Ammesso che la colpa sia sua. Come non è.

 

Come se fosse privo di forze, prese a spogliarsi lentamente, con svogliatezza, del manto lanciandolo con noncuranza contro una poltrona lì di fianco. Mancandola. Non se ne curò.

 

Cosa posso fare per te?

Cosa posso fare per me?

Cosa posso fare per noi?

Siamo davvero racchiusi in un labirinto senza via d’uscita?

 

Stancamente, l’armatura venne abbandonata sul pavimento insieme alla spada.

Tremule, le luci delle candele si riflettevano vivide sull’acciaio. Gli occhi del giovane fissarono quegli iridescenti giochi di luce come incantati, ma in realtà quello sguardo osservava senza realmente vedere.

 

Quando ho rimesso piede a Seillune, ero felice.

Mi chiedevo: “ Avrà trovato qualcuno che è stato in grado di renderla felice?” “Sarà diventata una Paladina della Giustizia come quando giocavamo agli eroi da bambini?”

Mi chiedevo tutto questo e nonostante tutto ero felice.

Avevo viaggiato, avevo appreso, sono tornato.

Tornato più forte e più agile,  con quelle nuove conoscenze cha mi avrebbero permesso di proteggerti sempre e per sempre.

Almeno  era questo che pensavo.

Ma posso proteggerti da te stessa?

E posso proteggere me stesso da ciò che ti sta dilaniando? E che dilania me?

Cosa vuoi che faccia per te?

Cosa devo fare per ridarti il sorriso?

Vuoi che vada a cercarlo?

Vuoi che lo riporti da te?

Vuoi che parli agli Elfi di quell’infame?

Vuoi che mi prostri per lui?

Ti renderebbe felice?

Lo saresti davvero? Quel mostro ti renderebbe davvero tale?

Già…quel mostro…qualunque sia il suo difetto fisico non conta nulla…quella sua  deformità è dentro di se [Citazione e Omaggio da "Il Fantasma dell'Opera" NdA] e contro questo non c’è rimedio.

Ed io?

Ti amo così tanto da essere disposto ad umiliarmi così?

A cadere nella polvere, mandando la mia dignità in frantumi?

Si, indubbiamente la risposta è si.

Mi domando se questo è essere uomini o in realtà sono solo un debole che fugge dal dolore di un aperto rifiuto.

E cosa dovrei fare??

Cosa potrei fare??

Uscire ora da questa porta, senza armatura, con la camicia semiaperta e i capelli sciolti, come un folle, correre ai tuoi appartamenti, bussare come un forsennato alla tua porta, gettarmi in ginocchio e dirti in lacrime “Amelia, io ti amo, dimentica quell’essere e giurami che sarai mia” ?

A quale scopo?

Per farla soffrire ancor di più?

Per addossarle il peso della mia sofferenza oltre a quello che già la divora e a cui non vuole sottrarsi?

No, mai!

MAI!

Vada in pasto ai lupi la mia dignità, ma che lei non soffra!

Maledetto Zelgadiss, io…

 

Feroce, un conato gli assalì la bocca dello stomaco facendogli cedere le gambe.

Con un tonfo sordo Varnion si accasciò sul pavimento. Fece appena in tempo a trascinarsi contro il vaso da notte prima di rigettarvi dentro  tutto il dolore  che aveva in corpo insieme ai troppi calici di vino e la cena.  Quando alcuni minuti dopo ebbe terminato, si rialzò stancamente aggrappandosi alle coltri.

Come se quel gesto gli fosse costato una fatica estrema si lascio cadere prono sul letto.

 

Non è giusto…non è giusto…maledizione…perché…?

 

Solitaria, una lacrima balenò sul suo volto alla luce della luna che irrompeva dalla finestra di fronte.

 

 

Nel frattempo, solo un’ora dopo, anche Amelia fece il suo ritorno agli appartamenti Regali della Reggia.

“Grazie per avermi accompagnata” sorrise gioiosa alle ancelle che l’avevano scortata fin lì. “ potete andare a riposarvi.

“Buonanotte, Vostra Altezza.”

“Buonanotte”.

Le due giovani si inchinarono profondamente verso la futura Sovrana di Seillune, per poi proseguire nel lungo corridoio sparendo tra le flebili luci delle candele.

Quando chiuse la porta, la Principessa di Seillune lasciò andare un lungo sospiro di sollievo. Finalmente lontana da quel baccano. Sorrise lievemente quindi si diresse verso il letto. Sembrava felice. Improvvisamente lanciò un piccolo gridolino e si lanciò sul materasso ridacchiando sommessamente. Per un attimo sembrava essere tornata la bambina di sempre.

 

Che bello, che bello, che bello!

Varnion è tornato per restare qui! Non se ne andrà più, saremo di nuovo insieme come facevamo da bambini!

 

CHE SOGNO!”

Esclamò ridendo ora con più forza ricordando i lontani giorni d’infanzia. Chiuse per un attimo gli occhi e una delle scene che più era cara al suo cuore le invase la mente come se fosse accaduta solo pochi giorni prima. A quell’epoca lei aveva sette anni e lui dieci.

Come sempre si erano rifugiati in quel bosco che era diventato…

 

…Il nostro posto segreto…

 

…dopo che la Principessina era scappata da una noiosa lezione di bon ton ed aveva recuperato nel tragitto il suo amico intento ad allenarsi con uno spadino.

E come sempre, lei aveva deciso di dare prova di quanto fosse valida come Paladina della Giustizia.

 

“Amelia, fai attenzione!”

Me l’hai detto non so quante volte…

 

Ma lei, non aveva minimamente ascoltato l’avvertimento di quel bambino dai luminosi occhi nocciola ed il piccolo codino ed intrepida aveva continuato a sporgersi sul ramo dell’albero dove si era  arrampicata per decantare le Virtù di Giustizia e Bontà.

“Amelia, non andare troppo in avanti!”

“Non ti preoccupare, mio fido assistente, chi combatte per la giustizia è invincibil…EEEEEEEEEEH!!!

Il ramo si spezzo con un sonoro crack e la Principessina, non si sa come atterrò sul morbido.

A quel ricordo, Amelia scoppiò in una nuova risata.

 

Si, so che non è giusto…ma eri così buffo con quel bernoccolo in piena fronte…!

 

Si rigirò sul letto continuando a ricordare.

 

Quando ti vidi con quel piccolo corno sulla fronte, non potei fare a meno di ridere, scusami!

Quando mi resi conto che ti eri effettivamente fatto male per attutirmi la caduta, mi sentii veramente tanto in colpa.

Addirittura temetti che non avresti più voluto parlarmi.

Allora si che stavo realmente per piangere. Ti eri fatto male per me ed io ti avevo praticamente riso in faccia.

Invece trattenesti le lacrime e mi sorridesti per rassicurarmi.

Se hai intenzione di stendere così i cattivi, sarai la Miglior Paladina della Giustizia del Mondo!”

Mi rendesti felice.

 

Lentamente il riso sfrenato lasciò il posto ad una calda sensazione di tenerezza.

 

Ora che sei di nuovo qui, tutto potrà essere come allora…

Attendere le pause dagli addestramenti e dagli impegni di Corte per correre nel nostro posto segreto, schizzarsi con l’acqua del fiume, arrampicarsi sugli alberi, giocare a rincorrersi, oppure alla Paladina della Giustizia e il suo fido aiutante…

 

Un breve risata sommessa ne scosse di nuovo le spalle.

 

Sarebbe meraviglioso…

Abbiamo tante storie da raccontarci, tante avventure da condividere…

Hai addirittura conosciuto gli Elfi!

Sono sicura che vorrebbe conoscere qualcosa di loro anche Zel…

 

Il sorriso le morì sulle labbra e il calore di quei teneri ricordi spense improvviso come la tenue fiammella di una candela.

Senza dire una parola, Amelia si levò dal letto e si avvicinò alla finestra.

Piano, ne spalancò le imposte e una brezza leggera le investì il volto.

Inspirò profondamente  e alzò lo sguardo al cielo. La luna riluceva silenziosa nel firmamento.

Fu una questione di pochi secondi e quegli occhi blu si riempirono di lacrime sfocando l’immagine dell’Astro.

 

Quante notti…

Quante notti trascorse sotto al cielo sono rimasta a fissare la tua sagoma seduta in disparte, lontana dal fuoco da campo, dagli altri, da me,  contro la luce della Luna?

Ed ora?

Dove sei?

Dove sei adesso, Zelgadiss?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

CAPITOLO 5

 

Il sole al tramonto disegnava lunghe ed inquietanti ombre tra i massi di pietra rossa del deserto, mentre un insistente e fastidioso vento caldo sollevava nuvole di sabbia. Tra le rocce, nonostante le avverse condizioni, una figura solitaria si muoveva, apparentemente concentrata nello studio di ciò che aveva in mano: una pergamena e una bussola. Gli occhi blu dell’individuo saettavano dall’una all’altra, incuranti della sabbia che vorticava tutto attorno. Poi, come se avesse all’improvviso avesse preso una decisione, ripose gli oggetti in una tasca del mantello, biancastro come la tunica ed i calzoni e si incamminò verso una voragine poco più a nord.

 

Forse questa è la volta buona.

La volta in cui riuscirò a tornare umano.

La volta in cui cesserò di guardare con disprezzo il mio riflesso, immagine vivente della mia stoltezza.

 

Dal bordo del baratro, inaspettatamente, una sottile linea di gradini sbrecciati, ma di sicuro artificiali, affondava nell’oscurità. Zelgadiss si abbassò il bavero e sollevò la mano sinistra, bisbigliando qualcosa. Subito una piccola sfera di luce apparve sopra il suo palmo, e si innalzò un po’, illuminando l’ingresso di quello che sembrava l’entrata ad una costruzione sprofondata nel deserto. La chimera si guardò attorno, sospettosa, come ormai era solita fare, ma nessun inseguitore avrebbe potuto nascondersi in quella piatta desolazione, interrotta solo di tanto in tanto da scarne rocce erose dal vento. Dopotutto, nessuno avrebbe avuto motivo per seguirla laggiù, ma quella di guardarsi attorno sospettosa era un’abitudine che aveva acquisito dopo anni di vagabondaggi, e più di una volta le aveva salvato la vita.

Senza esitare ulteriormente, con la sfera di luce che galleggiava poco sopra la sua spalla sinistra, Zelgadiss si immerse nell’oscurità.

Mano a mano che scendeva il fischio tormentoso del vento si attenuava, come pure la luce del sole morente, ma grazie all’incantesimo Lighting erano visibili i resti di alcune colonne costruite con una pietra nera che sembrava assorbire la luce anziché rifletterla, oltre a rientranze nella parete sulla sinistra che sembravano aver ospitato delle grandi statue un tempo. In fondo alla lunga scalinata – ormai il sole era tramontato e nessuna luce traspariva dall’alto – c’era un varco monumentale nella parete rocciosa, circondato da detriti di ogni genere. Al di sopra del portale, Zelgadiss riuscì ad intravedere i profili di alte guglie, appena meno oscuri dello sfondo tenebroso. Accanto alla parete di sinistra dello strapiombo c’era un’antica statua di pietra sbrecciata, che rappresentava però senza ombra di dubbio un drago.

 

Il tempio perduto di Lanngourt, Re dei Draghi della Terra.

 

Zelgadiss rimase immobile davanti all’imponente arco, scrutando alla debole luce del Lighting gli elementi architettonici più evidenti.

 

Molti archeologi venderebbero l’anima per essere qui al mio posto.

Che ironia: peccato che io sia qui per tutt’altro motivo che una visita di piacere.

 

Si tolse il cappuccio che ancora copriva i suoi capelli di metallo ed avanzò nell’oscurità dell’arco, i sensi tesi a percepire ogni minima traccia di pericolo.

Entrò in un vasto ambiente, in cui i suoi passi rimbombavano cupi. Durante i giorni di gloria di quel tempio era probabilmente il salone principale in cui venivano svolti i rituali dai draghi dorati, ma ora sembrava solo una grande e vuota caverna. Ad entrambi i lati di Zelgadiss si intravedevano solo vagamente le pareti, mentre di fronte a lui non c’era traccia di un altare, ma la navata sembrava proseguire all’infinito.

Secondo le informazioni che aveva ottenuto, un potente guaritore di nome Farasia Dren si era ritirato anni prima in quel luogo sacro, a meditare. Era noto per essere un infaticabile studioso, tanto che si era fatto costruire nelle profondità della cripta del tempio un laboratorio perfettamente attrezzato, in modo che potesse proseguire i suoi studi sull’arte della guarigione anche nel suo isolamento completo. Questo era il vero motivo che aveva spinto Zelgadiss ad affrontare il deserto ed a scendere in quel luogo.

La sfera di luce, che già aveva dato segni di cedimento, tremolò e si spense. Subito Zelgadiss mormorò “Lighting” ed una nuova sfera di luce apparve sulla sua mano sinistra. Ed all’improvviso si rese conto di non essere solo. Qualcosa si era mosso di fronte a lui, nell’oscurità, ai limiti della zona illuminata. Un lieve sorriso sarcastico increspò le labbra della chimera.

 

Era fin  troppo facile.

 

“Quale onore, un ospite!” esordì una voce metallica, che sembrava provenire dalla sua destra. Subito Zelgadiss si voltò per fronteggiare il nuovo venuto, ma si rese conto di aver fatto un gesto inutile. Come se avessero ricevuto un ordine silenzioso, una dozzina di corpi si mossero tutto attorno a lui. Con un cenno liberò il Lighting, che si innalzò nella vasta navata allargando il campo d’illuminazione e mostrando i volti scavati ed incartapecoriti delle creature che aveva disturbato. Con una morsa allo stomaco, Zelgadiss comprese che i suoi peggiori timori si erano realizzati.

 

Non morti…

 

“Spero che perdonerai la mancanza di cortesia dei miei compagni…” La voce si era spostata, senza che vi fosse un movimento nel cerchio di zombi, ed ora sembrava tagliare la via di fuga verso l’arco d’entrata. “Però quaggiù non riceviamo molte visite.

“Nessun problema,” rispose Zelgadiss, giocando allo stesso gioco del suo interlocutore in modo da guadagnare tempo e farsi un’idea della situazione. Nessuno degli zombi di fronte a lui sembrava dotato di intelligenza, quindi probabilmente erano tutti animati dalla magia di un altro essere, il proprietario di quella voce. Forse uno stregone, oppure…

“Il problema c’è in realtà, signor spadaccino dai capelli viola – ora la voce si era spostata nei pressi dell’altare, ancora invisibile – perché, vedi, non amiamo molto la compagnia di altre creature, a meno che certo non decidano di unirsi a noi. In caso contrario… Beh, diciamo che ben pochi decidono di farlo, eppure il nostro numero continua ad aumentare, chissà perché!”

La sciocca risatina dell’essere risuonò nel tempio, ed i non morti presero a muoversi in sintonia, girando in cerchio, e Zelgadiss notò che ciascuno era dotato di una spada arrugginita.

“Non sono venuto qui per disturbarvi,” riprese la chimera, scrutando l’oscurità per cercare il padrone di quegli zombi, “tuttavia credo che non mi lascerete passare indisturbato, vero?”

“Perspicace, amico mio.” I mostri si erano fermati, e la voce era di nuovo verso l’uscita. “O forse dovrei dire mio nemico. Ti ho riconosciuto sai, Zelgadiss Graywords? Ricordo quel che avete fatto tu e i tuoi dannati compagni al mio padrone.

 

Un’altra copia di Vulgrum?

No, impossibile, non avrebbe potuto creare tanti non morti.

Pensa, Zel, quale nemico avrebbe avuto tanto potere?

Che domanda banale: la risposta non può che essere…

 

“Ti faremo pentire di aver distrutto Lord Phibrizio!”

 

… un Mazoku!

 

Subito tre zombi si mossero in avanti con un’agilità inattesa, e Zelgadiss dovette saltare all’indietro per evitare i loro tre affondi contemporanei. Con una giravolta estrasse la spada e mozzò il capo ad uno scheletro alle sue spalle, che stava per trafiggerlo a sua volta. Ma quello continuò a muovere la spada, strappando la tunica di Zelgadiss all’altezza del braccio. Se non avesse avuto la sua dura pelle di pietra si sarebbe trovato con una seria ferita.

 

E’ tutto inutile!

Dovrei farli a pezzi uno per uno!

E neppure il mio incantesimo Rah Tilt può funzionare contro di loro!

 

“ASTRAL VINE!” urlò, ed una luminescenza sanguigna si sprigionò dalla sua spada, con la quale recise le braccia e parte dell’ascia di un altro zombi che lo stava attaccando alle spalle. Questo ondeggiò, apparentemente confuso, e prese a roteare i moncherini a casaccio. Subito però altri due zombi apparvero alle sue spalle e caricarono la chimera.

 

Così non va, posso solo rallentarli, e sono troppi per farli a pezzi tutti!

Devo trovare il Mazoku!

 

Schivò un altro attacco e si trovò alle spalle di un gruppo di scheletri, che subito si girarono per fronteggiarlo.

“FIRE BALL!”

Una sfera di fiamme li travolse, distruggendoli ed illuminando l’ambiente più di quanto non facesse il debole Lighting. Zelgadiss represse un’imprecazione.

La sala brulicava di non morti, molti più di quanti non avesse immaginato. Non visti, gli avevano tagliato la ritirata, sicché ora era circondato.

“Chissà se anche da morto il tuo corpo resterà di pietra?” Ora la voce metallica aveva assunto un’intonazione ilare, ma nonostante ciò l’espressione sul volto della chimera fu di trionfo. Il Mazoku, parlando mentre il salone era ben illuminato dalle fiamme, aveva tradito la sua presenza.

“RAY WING!” gridò e saltò in alto, proprio mentre le picche di tre zombi dall’aria ammorbata si incrociarono dove si trovava un attimo prima. Subito una sfera traslucida lo avvolse, facendolo galleggiare a mezz’aria. Doveva agire in fretta.

Subito si scagliò verso l’altare sbrecciato su cui un tempo si celebravano i riti dei devoti a Lanngourt, brandendo la spada vermiglia a due mani.

“Bel tentativo!” rise la voce, ed una sfera violacea saettò dalla bocca spalancata di quello che a prima vista avrebbe potuto essere scambiato per uno scheletro particolarmente alto, non fosse stato per la luminosità rossastra che sgorgava maligna dalle sue orbite.

 

Che stupido.

Ora non ho più dubbi su quale sia il vero Mazoku.

 

Il Ray Wing si dissolse, lasciando cadere Zelgadiss, che in questo modo schivò facilmente l’attacco nemico. Due zombi cercarono di attaccarlo non appena mise piede a terra, ma furono decapitati da un rapido fendente della spada incantata. Zelgadiss non esitò: per un breve istante non c’era nessun non morto tra lui ed il Mazoku, perciò si scagliò in avanti.

Il mostro aveva ormai capito di non potersi più confondere tra i suoi “compagni”, per cui si drizzò in tutta la sua altezza, in piedi sull’altare. Sotto il nero mantello che prima lo copriva faceva mostra di sé una uno scheletro violaceo che sembrava composto di una sostanza cristallina anziché di osso. Negli occhi brillanti di luce cremisi si vedeva una folle e famelica gioia.

 

Xelloss si vergognerebbe di te.

Sei fin troppo rozzo per la media dei Mazoku che ho incontrato finora.

Ed anche troppo stupido.

 

Con un grido Zelgadiss scagliò la spada, resa magica dal suo Astral Vine, contro il nemico, che però la deviò con una barriera traslucida apparsa all’improvviso, ridendo sguaiatamente.

“Ti facevo più astuto, chimera!” gridò trionfante, mentre l’altro proseguiva la sua corsa. “Ora sei disarmato e sei completamente in mia…”

“Ed io ti facevo più astuto,” lo interruppe Zelgadiss, che intanto era arrivato alla base dell’altare, anch’egli con espressione trionfale, la mano destra aperta e rivolta verso il Mazoku. “RAH TILT!”

Un fiotto di accecante luce bianca eruppe dal suo palmo ed investì il mostro. L’ossatura del teschio si contrasse in modo innaturale, esprimendo sorpresa ed orrore, mentre lui veniva spazzato via dalla potenza dell’incantesimo. In un attimo la luce svanì e sull’altare non rimase nulla. Tutto attorno, nell’oscurità che nuovamente si era addensata, risuonò il fragore di corpi esanimi che cadevano sulla nuda pietra ed armi abbandonate.

Con misurata calma, nel buio, Zelgadiss mormorò “Lighting” e sulla sua mano apparve una nuova sfera di luce, che si innalzò ad illuminare la sala nuovamente immersa nel silenzio.

Fino alla ormai distante entrata la pavimentazione era disseminata di cadaveri, tutti caduti nel momento in cui era sparito l’incantesimo che dava loro forza. Respirando piano per non subire gli effetti del fetore che si andava diffondendo, Zelgadiss scostò un braccio che si era distaccato dal suo proprietario e recuperò la spada, rinfoderandola subito.

 

Me la sono cavata, in fondo.

Non è stato neppure troppo difficile, vista la scarsa intelligenza di quel Mazoku.

Phibrizio ci avrebbe dato molti meno problemi se ci fosse davvero stato uno come lui a servirlo invece di Xelloss.

 

Rasserenato da quei pensieri cercò tra i cadaveri dietro l’altare l’entrata alla cripta, dove avrebbe dovuto trovarsi il laboratorio di Farasia Dren. Vista la compagnia, dubitava che fosse ancora vivo, ma probabilmente avrebbe comunque trovato qualcosa, fosse anche solo un indizio su come la sua maledizione potesse essere eliminata.

 

Se qui con me ci fosse stato ancora il vecchio gruppo me la sarei cavata molto prima, però.

Magari Xelloss si sarebbe dileguato come suo solito, e forse Philia avrebbe inveito contro i non morti per aver sconsacrato un luogo di culto della sua razza, però comunque non ci sarebbero stati troppi problemi.

 Mentre io e Gourry combattevamo all’arma bianca, Lina avrebbe probabilmente raso al suolo tutto.

E per sistemare tutti quei non morti senza arrabattarsi a cercare il loro padrone, sarebbe bastato il Megiddo Flare di Amelia…

 

I suoi passi rallentarono, mentre scendeva le scale ingombre di detriti con l’unica compagnia di un Lighting.

 

A dire il vero, tutto questo lungo viaggio sarebbe stato più semplice con Amelia.

E non solo per i suoi incantesimi di magia bianca.

 

Ora gli occhi della chimera, che scrutavano gli anfratti nelle pareti del sotterraneo alla ricerca di un passaggio si erano fatti più velati, meno attenti.

 

Ogni volta che guardo il suo talismano è sempre la stessa storia…

Mi ritornano in mente i vecchi tempi, sempre insieme ad affrontare qualsiasi pericolo.

E con lei qualunque pericolo sembrava meno grave.

 

I suoi passi si bloccarono all’improvviso e si rese conto di aver appena superato un bivio. Sorridendo mesto tornò sui suoi passi.

 

Ed anche ora, come sempre, pensare a quei giorni mi rende disattento.

Ma mi dà anche una strana sensazione, un sordo senso di malinconica felicità, in fondo al cuore.

Proprio dietro alla mia ossessione per una cura.

Sì, un’ossessione.

Perché se non avessi voluto cercare una cura ad ogni costo non ci saremmo mai separati.

Non sarei in un oscuro sotterraneo, circondato da cadaveri, pensando con nostalgia a lei.

Chissà cosa starà facendo ora…

 

Infine la chimera era giunta in una camera. Dal basso soffitto di pietra pendevano informi numerose ragnatele, rese pesanti dal tempo e tutto attorno c’erano resti che indicavano come quella stanza un tempo fosse stata abitata.

Un vecchio letto tarlato, le cui coperte non avevano più nessun colore riconoscibile, stava di fronte all’entrata. Sulla destra c’era un grande armadio vuoto dalle ante spalancate, le cui desolate decorazioni richiamavano una ricchezza ormai sbiadita. Varie cassepanche ed un piccolo scrittoio completavano l’arredamento spartano di quella stanza, sicuramente l’ultimo rifugio di Farasia Dren. Nell’angolo più lontano dall’entrata c’era una porticina di legno annerito, chiusa. Oltre quella avrebbe dovuto esserci il laboratorio del famoso guaritore. Tuttavia, Zelgadiss non si mosse, ma lasciò vagare lo sguardo nella stanza, perso nei propri pensieri.

 

Chissà cosa penserebbe di me adesso, vedendomi qui.

Mi aiuterebbe nella mia ricerca, senza dubbio.

Lei aiuta sempre tutti.

E non perde mai la fiducia.

Quando io stesso disprezzavo la mia immagine riflessa, lei è andata oltre questa crosta di pietra, guardando nel mio cuore e vedendovi un essere umano che io stesso disperavo di trovare.

E mi voleva bene.

E nonostante la mia indole brusca e scostante, anche io le volevo bene.

Aspettavo la sera per stare con lei accanto al fuoco, senza preoccuparmi di null’altro, lasciando mostri e demoni e minacce e calamità al di fuori del calore di quel focolare.

Al di là dei suoi occhi caldi.

 

Fece un passo distratto verso la porta in fondo alla camera.

 

Mi piaceva stare con lei, non era come con Lina o gli altri.

Quando sorrideva anch’io provavo l’impulso a sorridere, anche se poi raramente vi cedevo.

Quando s’infervorava parlando di giustizia anch’io la stavo ad ascoltare, nonostante non fosse uno dei miei argomenti di conversazione preferiti.

Mi domando se se ne sia mai accorta.

 

Senza più il precedente buonumore Zelgadiss tentò la maniglia: era bloccata. Vi aprì sopra il palmo della mano e sussurrò qualcosa. Con un sonoro crac, la porta cedette e si aprì cigolando verso l’interno.

 

Mi domando se quel talismano portafortuna non sia qualcosa in più del segno della sua amicizia per me.

Ed io cosa le ho dato in cambio?

Forse le ho salvato la vita un paio di volte, ma quello avrebbe potuto farlo chiunque altro, anche Xelloss, se si fosse messo d’impegno.

Ma a lei, di mio, cosa è rimasto?

Forse il ricordo di un amico che l’ha abbandonata per proseguire una ricerca ossessiva, quando forse la cosa più importante per riguadagnare la sua umanità la stava perdendo?

Mi chiedo se abbia mai realmente saputo che per me lei era più di una compagna di viaggio.

 

Al centro della stanza ancora più piccola al di là della porta c’era un cadavere mummificato. Forse era stato attaccato anni prima mentre stava facendo un esperimento, o chissà cos’altro. Tutto attorno c’erano numerose apparecchiature alchemiche in notevole stato di abbandono. Molte erano in frantumi. Sul fondo di altre era rimasto il residuo polveroso di pozioni evaporate da tempo. Sull’ampia scrivania c’era un libro aperto, ma fatto a pezzi come da una mano rabbiosa. Quasi sicuramente un certo Mazoku, indignato che venisse praticata magia bianca nel suo nuovo dominio.

Zelgadiss si guardò ancora attorno, poi scosse la testa. Qualunque cosa avesse potuto trovare per aiutarlo era stata distrutta.

 

E così anche questo è un buco nell’acqua.

Mesi di ricerca buttati al vento.

Un’occasione persa per tornare umano.

Amelia…

Se solo ci fossi tu qui a consolarmi mi sentirei meno perduto.

Perché, almeno per te, io sarei già abbastanza umano.

 

Senza degnare più di uno sguardo il cadavere ai suoi piedi, girò le spalle al laboratorio di Farasia Dren e tornò rapidamente nella parte principale del sotterraneo. Non voleva stare lì un minuto di più.

Il Lighting tremolò e si spense, e lui ne riaccese un altro.

 

Che stupido.

Io, con la mia pelle di pietra ed i miei capelli di metallo.

Lei, con il suo sorriso celestiale e le sue soffici mani.

Perché non ho dato ascolto al mio cuore che seppur di pietra mi parlava?!

Mi gridava di smetterla!!

Mi gridava di stare con lei, non importava se avrei potuto offrirle solo un petto grigio da accarezzare!

Labbra spigolose da baciare…

Era questo quello che voleva, ed io sono stato tanto stolto da non capirlo.

Tanto stolto da non capire che tornare ad essere umano era meno importante se con me non c’era lei…

Fingendo di cercare una cura che mi avesse permesso di tornare umano per lei, quando invece ero mosso da mero egoismo.

Ed orgoglio.

Stupido orgoglio, che a tutti i costi mi ha spinto a cercare, cercare, cercare…

Per espiare i peccati che mi avevano reso quello che sono.

Quando il solo fatto di conoscerti mi aveva fatto tornare umano.

Eri tu la mia cura.

Ed io ti ho perduta.

 

Mentre saliva la scalinata di pietra fino al salone ingombro di cadaveri, e poi fuori, in quella notte buia, Zelgadiss non si rese conto di un sottile filo di polvere di pietra che usciva dai suoi occhi e si perdeva nell’aria.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6

CAPITOLO 6

 

Il terrazzo del ristorante “Al Cacciatore” della città di Luumania a quell’ora del pomeriggio era tranquillo: la maggior parte degli avventori era già tornata al lavoro. Rimanevano solo alcuni personaggi dall’aria benestante, che chiacchieravano in un angolo ombreggiato, e due viaggiatori arrivati da poco.

Il più grosso tra gli avventori, che dall’abbigliamento si sarebbe detto un mercante di Elemekia, squadrò con aria di superiorità questi ultimi, un alto guerriero biondo in armatura ed una ragazzina dai folti capelli rossi, molto più bassa del suo compagno. Avevano preso posto poco prima ed ordinato qualcosa che lui non era riuscito a comprendere. Sembravano discutere animatamente. Annoiato, il mercante decise di tornare ad occuparsi di affari con i suoi colleghi.

“Lina,” disse il guerriero biondo dubbioso, guardando il menù, “sei sicura che qui si mangia bene?”

“Scusa, per chi mi hai presa, Gourry?” ribatté l’altra, sorridendo sicura. “Abbiamo girato la penisola dei demoni in lungo e in largo, seguendo il mio fiuto per le occasioni migliori, è ovvio che qui si mangia bene. E poi questa è casa mia, non devi preoccuparti!”

“E’ proprio per questo che mi preoccupo, invece…” mormorò a denti stretti l’altro. Mentre Lina stava per intimargli di ripetere quello che aveva detto a voce alta arrivò il cameriere, un giovanotto più o meno dell’età della ragazza, a salvare la situazione.

“Avete già deciso, signori?” chiese con affettata cortesia.

“Sì, certo,” mentì Gourry, deciso a distogliere l’attenzione dell’amica dal discorso precedente. “Io prendo un… ehm…”

S’interruppe: tra i nomi dei piatti elencati non c’era nulla che riconoscesse come commestibile. Dopo alcuni minuti si intromise Lina.

“Cominciamo con uno Scagliopodo in due, già squamato, grazie. Ed un contorno di patate bollite, se possibile.

Il cameriere annuì sorridendo e se ne andò, mentre Gourry sembrava ipnotizzato dalle lettere che sul menù formavano le parole “Scagliopodo al sangue, porzione doppia”.

“Sei sicura…”

“Oh, Gourry, te l’ho già detto!” lo interruppe lei stizzita. “Siamo a casa mia, e quello è uno dei miei piatti preferiti. Ti piacerà, vedrai.”

“No, intendevo un’altra cosa. Sei sicura che basterà per tutti e due? Di solito prendiamo due porzioni doppie a testa, ed ora ho un po’ più fame del solito…”

“Stiamo parlando di Zefilia, testa di medusa! Qui le porzioni doppie sono davvero porzioni doppie!” E la ragazza sbottò a ridere, ma il suo amico non sembrava ancora convinto.

Poco dopo arrivò il piatto che avevano ordinato. Anche se sarebbe stato un azzardo definirlo “un piatto”.

Tre camerieri avanzarono sull’assolato terrazzo portando a fatica un grande vassoio su cui era coricata una creatura che sembrava un rinoceronte con le zanne. Quando la posarono sul tavolo di Lina e Gourry si fermarono per un attimo a riposare prima di augurare un educato “buon appetito” ed andarsene. Gourry rimase a guardare il grosso animale attonito.

“Beh, che c’è?” chiese Lina, che già aveva in mano forchetta e coltello e divorava con gli occhi l’indifeso ventre della bestia.

“Questo sarebbe uno Squaglio…?”

Scagliopodo.”

“…E’ un animale di Zefilia?”

“Certo, qui si fa cucina tradizionale!”

Il biondo continuò a scrutare lo Scagliopodo. Non aveva mai visto nulla del genere. Infine si riscosse e scrollò le spalle, rileggendo l’ordinazione sul menù. “Beh, quanto meno qui ci sono davvero due porzio…AAARRGH!!”

Il gruppetto di mercanti sobbalzò a quel grido, ma guardando verso la coppia ne compresero bene il motivo: il loro “pranzo” si era appena alzato e aveva addentato il menù di Gourry. Questi si alzò di scatto.

“Così mi sembra troppo al sangue!”

Estrasse la spada e la abbatté sul capo corazzato della bestia, ma con un sonoro clangore la lama andò in frantumi, mentre lo Scagliopodo muggiva come a schernirlo. Gourry rimase a bocca aperta fissando attonito l’elsa che gli era rimasta in mano, e si accorse a mala pena che l’animale si stava preparando a caricarlo da sopra il tavolo.

Gourry, togliti da lì!” lo avvertì Lina gridando, e il guerriero non se lo fece ripetere due volte. Dopotutto, senza spada non poteva fare granché. Incalzato dai muggiti, scappò a gambe levate verso la porta del ristorante.

“FIREBALL!”

Con un rombo tanto assordante da costringere Gourry a coprirsi le orecchie, una sfera di luce esplose dalle mani di Lina e si schiantò contro il fianco indifeso dello Scagliopodo, distruggendo vari tavoli, sedie e una parte della balaustra. Quando il guerriero si arrischiò a voltarsi vide Lina in piedi, trionfante, di nuovo con coltello e forchetta in mano, davanti al mostro riverso sul pavimento, dall’aria chiaramente ben cotta. Un caloroso applauso veniva dalla folla di camerieri sorridenti appena uscita dalle cucine, apparentemente incuranti della devastazione del terrazzo. Quando Lina si fu inchinata ai suoi ammiratori, questi portarono altre due sedie ed un tavolo, e vi caricarono sopra lo Scagliopodo, ora decisamente morto. Con un altro inchino la ragazza si sedette ed invitò uno sconcertato Gourry ad accomodarsi davanti a lei.

“Perché quella faccia?” gli chiese, come se abbattere a forza di incantesimi un rinoceronte servito vivo in un ristorante fosse la cosa più naturale del mondo. “E’ così che si mangia a casa mia!”

La forchetta con un pezzo di pollo cadde dalle mani del mercante di Elemekia, coperto della polvere sollevata dallo spostamento d’aria, troppo stupito anche solo per accorgersene. Il rumore attirò l’attenzione della maga, che gli sorrise raggiante: “Prima volta a Zefilia, eh?”

 

“Finalmente un pranzo come si deve!” sbottò Lina spingendosi contro la sedia e abbandonando le posate nello scheletro ripulito dello Scagliopodo.

“Già, hai ragione,” rispose Gourry con aria soddisfatta, finendo di addentare il poco di carne rimasta su un osso. Strane abitudini culinarie quelle di Zefilia, ma comunque ottime.

“Ti è piaciuto, vero? Avevo ragione o no?” gli chiese con un sorriso l’amica, accarezzandosi il ventre.

“Sì, molto buono,” approvò lui. Nonostante il primo impatto scoraggiante, soprattutto per la sua spada, il pranzo si era rivelato molto gustoso.

“Che pace!” gridò Lina, senza timore di disturbare nessuno dato che quando avevano cominciato a mangiare i mercanti che stavano chiacchierando all’angolo erano impalliditi e se n’erano andati di corsa. “Non mi sembra vero di poter coronare il mio sogno.

“Il tuo sogno? Ah, ho capito, ritornare a casa, nelle tue terre, mangiando i tuoi Scagliopodi…” azzardò Gourry con sguardo sognante. Se non fosse stato pieno ne avrebbe volentieri mangiato un altro.

“Ma che hai capito, testa di medusa!” rispose sgarbatamente Lina, ma l’altro più che infastidito assunse la sua abituale espressione attonita. “E’ tutta la vita che sogno di assaggiare tutte le specialità della Penisola dei Demoni, ed ora mi manca solo la zuppa di frutti di mare di Elemekia! Ed ora che la barriera è caduta posso scatenarmi anche nelle nuove terre! Non è magnifico, Gourry?”

“Ti ricordo che il piatto Dra-Dra non era quello che ti aspettavi,” fece notare Gourry, senza malizia, ma Lina impallidì.

“Oh, beh, quello… Dai, avendo come amica una draghessa come Philia non mi sembrava carino… E poi parlare con una persona sapendo che stai mangiando un suo simile… bleah. Ma non mangiano mica solo draghi laggiù, no?!”

Gourry aveva faticato a seguire il discorso di Lina, intento com’era a togliersi un pezzo di carne dai denti con la forchetta. “Scusa, come hai detto?”

Lina perse ogni speranza di intavolare un discorso culinario con l’amico. “Lascia stare…” fece un grande sorriso sornione, “piuttosto, paghi tu, vero?”

“Cosa?!” Gourry saltò in piedi, facendo cadere lo zampone dello Scagliopodo che stava accuratamente ripulendo di ogni parte commestibile. “Ma non li avevi tu i nostri soldi?”

Ora fu il turno di Lina di saltare in piedi, sbattendo le mani sul tavolo. “Mi avevi dato tutti i soldi?! Ma… io credevo ne avessi tenuti un po’ tu!”

“Lina… cos’hai fatto ai nostri risparmi…?”

“Ehm…” La ragazza allungò le mani con un sorriso disarmante. “Ti piacciono i miei nuovi guanti in pelle di Uran? Mi potenziano le magie, sai?... Ehm… Sì, così posso fare il Lighting in cinque colori diversi…”

“LINA?? HAI SPESO I NOSTRI RISPARMI PER QUESTA ROBA??”

Dai, non essere permaloso, in fondo i soldi si possono sempre riguadagnare!”

Lina era leggermente inquieta, forse perché Gourry stava stringendo spasmodicamente in una mano la forchetta e nell’altra un osso ed aveva un’aria più truce di quando combatteva.

“Lina, li ho guadagnati spaccandomi la schiena per un mese come scaricatore di porto! Ed ora come facciamo a pagare questo Squagliocodo?!”

D’un tratto Lina parve comprendere e si rilassò, tornando a sedere comoda: “Ah, è solo per quello che ti preoccupi? Ho già la soluzione.”

Prese un piattino che conteneva delle salviette profumate per pulirsi le mani, lo svuotò e se lo posò davanti. Gourry intanto continuava a fissarla truce.

“Calmati, dai, ti ho detto che ho la soluzione. Mettiti seduto, che così mi deconcentri. E comunque si chiama Scagliopodo.”

Il guerriero si sedette con esasperante lentezza, sempre tenendo gli occhi fissi in quelli di lei. Ma Lina non ci badò. Dopo un attimo di raccoglimento allargò una mano sul piattino e sussurrò: “Irusion Gold.

Subito una cascata di monete d’oro scintillanti caddero dal palmo di lei nel piattino sottostante, davanti all’espressione sconcertata di Gourry, che non riuscì a dire nulla finché il getto non terminò.

“Li… ma… come…”

Ssh, non devo farmi notare,” bisbigliò Lina, contando le monete che aveva creato. “L’ho inventato poco tempo fa, utile, no?”

Gourry ancora non riusciva a capacitarsene: “Tu… puoi creare l’oro… e mi hai fatto sgobbare per un mese?”

“… Forse hai frainteso. Quest’oro è illusorio, in due ore scompare! Ci servirà giusto per uscire da questo ristorante e scappare il più lontano possibile.

Gourry richiuse la bocca, ammirato. In silenzio prese una moneta d’oro e la saggiò: aveva effettivamente il peso e la consistenza dell’oro. Ad un tratto sollevò lo sguardo sull’amica, serissimo: “Lina, io ti amo.

Alla ragazza caddero un paio di monete, mentre voltava uno sguardo esterrefatto verso Gourry, diventando rossa come i suoi capelli: “Gouco… io…”

Il guerriero non parve notare il suo turbamento: “Se non fosse per te, ora dovrei lavorare in cucina a togliere le squame di Squaglioso dal retrobottega.

Rapidamente Lina ficcò le monete in un borsello, chiudendolo con rabbia soffocata: “Bene, andiamo allora.

“Ehm, Lina?” Gourry era ancora seduto al tavolo, scrutando attentamente una moneta d’oro.

Che c’è?” chiese lei bruscamente.

Gourry si alzò, incurante dell’aria scontrosa dell’amica, e le mostrò la moneta da vicino, indicando un particolare. In piccolo, accanto alle immagini coniate su qualunque moneta d’oro, c’era un dettagliatissimo ritratto di Lina stessa con un sorriso beffardo.

“E’ normale questo?” chiese Gourry, preoccupato.

Subito la vera Lina sentì defluire la collera che l’aveva pervasa un attimo prima e sorrise imbarazzata: “Ehm… Devo ancora perfezionarlo un po’.”

 

Dopo aver pagato alla cassa per lo Scagliopodo e per i danni al ristorante, i due si allontanarono in fretta, dileguandosi tra i vicoli della città.

“Sembra che non si siano accorti di nulla,” disse Gourry quando ebbero lasciato un’adeguata quantità di terreno tra loro e il ristorante, “E’ molto utile quell’incantesimo, sai?”

Lina annuì, raggiante: “Modestamente l’ho ideato proprio per momenti come questi. Allora, non pensi più che questi guanti di Uran siano stati un acquisto stupido, vero?”

“Mai pensato.”

Lina rise, e fece cenno ad un sorpreso Gourry di lasciar correre. Si era già dimenticato di come la stava per aggredire quando aveva saputo che aveva speso tutti i loro soldi.

Continuarono a ridacchiare rievocando le loro recenti avventure mangerecce, e nel frattempo guardavano interessati le vetrine dei negozi.

“Lina,” riprese Gourry mentre stavano contando le perline di una collana finta ad una bancarella. “Sei nata in questa città?”

Lina scosse il capo, mentre provava un anello con un opale nero ignorando le lodi che ne faceva il ciarlatano che cercava di venderlo: “No, io vengo dalla regione agricola, un po’ lontano da qui in effetti.”

Però avevo sentito che tua sorella lavorava in un ristorante. Si trova in questa città?”

Le parole di Gourry ebbero l’effetto di raggelare la ragazza. Si tolse convulsamente l’anello e lo posò nuovamente sulla bancarella. Il venditore fece per protestare ma si zittì quando vide l’espressione di sgomento sul volto di Lina.

“Ehi… che ho detto?” chiese Gourry stupito.

“Niente,” bofonchiò la ragazza e si avviò rapidamente lungo la via. Gourry la seguì affrettando il passo (e dimenticandosi di posare la collanina sulla bancarella). Di tanto in tanto Lina sobbalzava e si guardava furtiva attorno.

“Hai sentito qualche presenza maligna?” chiese Gourry serio, la destra a cercare una spada che ormai non c’era più. “Un Mazoku?” azzardò di fronte al silenzio dell’amica. “Di nuovo Xelloss per caso?”

“No, è solo che…” Lina rallentò il passo e si drizzò in punta di piedi per bisbigliare all’orecchio di Gourry. “Io e mia sorella non andiamo molto d’accordo.”

“Oh, e perché?” chiese lui ad alta voce, facendo sobbalzare la maga che tornò a guardarsi attorno spaventata. Poi gli fece cenno di abbassare il volume e continuò.

“Diciamo che… le ho fatto un torto in passato, e non me l’ha mai perdonato.

“Accidenti, dev’essere stato qualcosa di gravissimo,” fece Gourry, che finalmente aveva capito di non gridare.

“Per lei, sì.”

“Ad ogni modo… il ristorante in cui lavora si trova in questa città?”

“No, è vicino al nostro villaggio natale, in campagna.

“Ah…” di nuovo Gourry assunse un’espressione interrogativa. “E allora perché parliamo così sottovoce?”

Perché parlare di lei mi mette in agitazione, testa di medusa!” sbottò Lina, tirandogli uno scappellotto sulla nuca tanto forte da farlo cadere al suolo.

“Ehi, scusa, non sapevo,” riprese il guerriero rialzandosi, senza aver subito danni apparenti. “Ora calmati però, eh?”

Continuarono a girare per la città per oltre mezz’ora prima che Lina si calmasse abbastanza. Sospirando per lo scampato pericolo, Gourry disse: “Sai, per un attimo prima ho pensato che avessi percepito Xelloss, di solito quando arriva porta solo guai.

“Già,” rise Lina. “E’ quel che si potrebbe definire un corvo del malaugurio.

Gourry si schiarì la voce e si erse in tutta la sua altezza. “E’ un modo di porre le cose,” disse imitando una delle frasi preferite del Mazoku per tirarsi fuori dai guai.

Quando Lina ebbe finito di asciugarsi le lacrime provocate dalle risate poté continuare: “Chissà come se la sta passando…”

Gourry colse l’occasione per un’altra imitazione di Xelloss. Sollevò un indice, chiuse un occhio e disse: “Questo è un… ehm… com’è che diceva?”

Il sorriso esilarato di Lina lasciò il posto ad un’espressione avvilita. “Segreto. Questo è un segreto. Ad ogni modo, conoscendolo se la starà passando benissimo. Stiamo parlando di Xelloss, se ci sono guai lui si dilegua!”

 

Dannato rompiscatole, piuttosto che aiutarci scappava sempre!

Lo perdono solo per il fatto che un paio di volte ci ha aiutato a salvare il mondo.

Beh…

Direi che abbia fatto abbastanza, per essere un Mazoku.

 

E Philia?” chiese di nuovo Gourry, interrompendo i pensieri di Lina. “Mi pare che abbia messo su un negozio di ceramiche, da qualche parte oltre la barriera.

“Non era un’armeria specializzata in mazze chiodate?”

“Beh, magari mi sbaglio. Ad ogni modo non sarebbe male fare un salto da lei quando andremo ad assaggiare le specialità culinarie della sua città, vero?”

“Adesso che mi ci fai pensare non sarebbe davvero una brutta idea. Anzi, sarebbe bello riunire ancora una volta tutto il vecchio gruppo, anche senza un mostro terribile che minacci il nostro mondo!”

Gourry annuì, entusiasta, accorgendosi solo in quel momento di avere ancora in mano la collanina della bancarella.

 

Non sembra vero che sia passato così poco tempo.

Nemmeno un anno fa sconfiggevamo Dark Star, ed ora ci chiediamo che fine hanno fatto gli altri come se fossimo andati in pensione.

In effetti con tutto quel che ci è capitato ce la meriteremo, una bella pensione da eroi.

Ma sì, anche Xelloss, in fondo lui si è fatto quasi uccidere da Garv.

Che nostalgia…

Mi manca l’azione di quei tempi, anche se erano tempi difficili.

Non lancio un Dragon Slave da quattro mesi.

 

Distrattamente Lina si guardò le mani, mentre Gourry cercava con gli occhi la bancarella di poco prima.

 

Chissà se questi guanti di Uran potenziano anche il Dragon Slave?

Non sarebbe male avere un Dragon Slave di un altro colore.

Magari blu cielo.

O Giallo canarino.

Oppure grigio Zelgadiss

 

Gourry,” Lina interruppe la vana ricerca dell’amico. “Hai per caso sentito qualche voce su Zel?”

“Veramente no,” rispose lui, visibilmente dispiaciuto di aver rubato quella collana. “So solo che si era addentrato da qualche parte nel deserto per continuare a cercare la sua cura, ma nulla di più preciso.”

“Ho capito. Quindi non si è fermato a Seillune.”

“No, di certo. E’ un’anima libera Zel, non ce lo vedo a fare il mantenuto al palazzo reale di Amelia!”

Lina ridacchiò, nascondendo una fitta di malinconia.

 

Amelia e Zelgadiss.

Quella sì che era una bella coppia.

Peccato che lui volesse a tutti i costi tornare umano, così ha lasciato che lei restasse a Seillune da sola.

Amelia però l’ha presa bene.

Quasi non si sarebbe detto che stava lasciando la persona che amava.

Perché era evidente che lo amava, se ne sarebbe accorto pure un cieco.

Beh, forse un cieco no, e nemmeno Zelgadiss.

Troppo preso a commiserarsi per accorgersi che a qualcuno andava bene così com’era…

Chissà se davvero Amelia l’aveva presa bene o stava solo fingendo?

 

Si riscosse dai suoi pensieri, e vide che Gourry era sinceramente dispiaciuto di aver compiuto un furto, anche se solamente per disattenzione. Sorrise.

 

Sei sempre il solito, Gourry.

Sempre pronto a far danni per sbaglio.

Però a volte anche senza accorgertene qualcosa di buono lo fai.

Come quando invocai il Giga Slave

 

A quel pensiero arrossì bruscamente, e si diede da fare per coprirsi il volto. D’un tratto Gourry la chiamò, apparentemente ignaro di tutto.

“Lina, potresti rifare quel trucchetto con i soldi?”

Cosa?” Lina si voltò cercando di apparire naturale, pronta a giustificare il rossore come reazione all’aria fredda, ma non ce ne fu bisogno.

IrIruscoIrullo…”

“Ah! Sì, ho capito. Metti le mani a coppa.”

Gourry eseguì, e Lina distese la destra sopra le sue.

Irusion Gold,” mormorò, ed un fiotto di monete d’oro uscì tintinnando dal suo palmo. Quando ebbe finito, Gourry la ringraziò di cuore.

“Prego, ma a cosa ti serve?”

Con la mano libera, che ancora reggeva la collana, indicò la vetrina di un’armeria dietro di lui. “Mi compro una spada nuova,” disse raggiante.

“Scusa, ma ti fai tanti problemi per aver trafugato una collanina e poi praticamente rubi una spada?”

Gourry parve riflettere un momento, poi scrollò le spalle. “Uno che lavora ad una bancarella in mezzo alla strada ha sicuramente più bisogno di soldi veri rispetto ad un ricco armaiolo. Ad ogni modo, visto che ormai l’ho presa…”

Le porse il maltolto, insistendo finché lei, sorpresa, non lo prese.

“Tienila pure, scommetto che ti sta bene. Se un giorno passeremo di qui darò al venditore quel che gli spetta. Aspettami qui, torno subito!”

Mentre Gourry entrava, di nuovo di buon umore, nell’armeria, Lina restò a guardare la collana che le pendeva dalle dita. Un paio di perle erano rotte ed il filo che le univa era logorato in più punti. Ciononostante, le sembrava molto bella. Sorridendo se la mise al collo, ed aspettò che l’amico uscisse con il suo nuovo acquisto.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

CAPITOLO  7

 

Quella mattina il sole splendeva luminoso e ridente nella tranquilla cittadina. Il cielo era di un limpido colore ceruleo, spezzato qui e là da rade nuvole bianche e vaporose come fiocchi di cotone. La luce dell’alba era sorta da poco più di un’ora rischiarando i tetti delle case e dalla strada già iniziava a levarsi un ancor tenue chiacchiericcio di persone.

Con aria ancora assonnata, ma sorridente, Philia discese la scala interna del suo negozio di ceramiche e giunse al pianoterra adibito alla vendita. Con movimenti misurati, infilò la chiave nella serratura della porta vetrata e girò il cartellino sostituendo la scritta ‘chiuso’ con quella ‘aperto’ per poi uscire all’esterno e respirare la salubre aria mattutina ancora pregna del profumo di rugiada .

Dalla strada, i vicini la salutarono con cordialità.

 

La cittadina non era grande ed era abitata da brave persone, tutte gentili e di buon cuore, sempre disponibili in caso di necessità. Anche discrete, a volte, nonostante le eccezioni.

Infatti per un certo periodo era corsa la voce tra le classiche donne a caccia di pettegolezzi che l’ex Vestale del Re dei Draghi di Fuoco fosse una ragazza madre che aveva messo su quell’attività per mantenere suo figlio, il piccolo Valgarv.

Cosa che non era né del tutto vera né del tutto falsa.

Ma non aveva nulla per smentire tali voci.

 

D’altronde, come spiegare che questo cucciolo era  in realtà colui che aveva tentato di distruggere il mondo, rinato per vivere finalmente un’esistenza senz’astio e senza rancore?

Per mia volontà, ho deciso di prendermi cura di lui, per rimediare alla sofferenza arrecatagli dai miei antenati.

Per regalargli quella serenità che non aveva mai avuto.

Per me, è come se fosse davvero mio figlio, e farei di tutto per assicurargli una vita felice.

 

Sorridendo con soddisfazione, Philia tornò nel negozio, adoperandosi per arieggiare la stanza e permettere alla luce del sole di illuminare il pianterreno.

 

E con Valgarv qui, questo è il mio sogno.

Il negozio di ceramiche “Tè e mazze ferrate” di Philia Ui Copt.

Camminare tra le scansie coperte di tazzine, tazze, teiere, vasi e zuccheriere mi fa sentire realizzata, molto più che officiare i vecchi riti.

Questo è il mio posto.

Oltretutto…

 

Prese in mano una teiera dalle splendide decorazioni, appoggiata sul bancone perché ancora non le aveva trovato posto, e sorrise.

 

… gli affari vanno bene!

Questa è il mio ultimo acquisto, una teiera elfica di Mipross di tre secoli fa.

Un acquisto eccezionale, e sono sicura che andrà a ruba.

 

Dopo aver trovato un posto alla teiera su un tavolino in bella vista fin dall’entrata, uscì di nuovo. Quella era proprio una giornata splendida.

Una sua vicina, con in mano il cesto della spesa già ricolmo di primizie fresche di orto, passò davanti al negozio e si fermò dinanzi a lei che sostava sulla soglia.

“Buongiorno, Philia, sempre mattiniera, eh? ”

“Già,  come dice il proverbio , il mattino ha l’oro in bocca.” Sorrise la ragazza-drago nel volgere uno sguardo radioso al cielo terso.

“Come sta il piccolo Valgarv?”

“Sta ancora dormendo. Ieri ai giardini ha giocato così tanto che la sera si è addormentato come un ghiro subito dopo mangiato.

La donna ridacchiò alle parole della giovane.

Anche la mia Nayla era così stanca… quasi non si reggeva in piedi. Ma sono molto contenta che i  nostri bambini vadano tanto d’accordo.

Philia distolse lo sguardo dalla volta celeste e lo riportò sorridendo maggiormente sulla sua interlocutrice.

“Lo sono anch’io. La piccola Nayla è davvero un amore.”

“Anche Valgarv lo è e poi non litigano mai.

“È vero, sono decisamente adorabili!”

“Ora devo andare a sbrigare alcune commissioni, ma, visto che oggi che è fine settimana è aperto solo per mezza giornata, tornerò tra qualche ora a vedere se ci sono novità in arrivo!”

 “A proposito, dimenticavo: entro il prossimo fine settimana dovrebbero consegnarmi alcuni pezzi di ottima fattura straniera!”

“Meraviglioso! Allora passerò direttamente quando li porteranno così sarò la prima ad acquistarne uno! Dunque  io e Nayla possiamo aspettarvi come al solito oggi pomeriggio sul tardi ai giardini?”

“Sicuro! Non mancheremo!”

“Allora a presto.”

La donna sorrise e si allontanò con passo celere lungo la strada principale.

In quello stesso istante, puntuali come ogni mattina, Gurabos e Jirass si palesarono dal vicolo di fronte con andatura comicamente baldanzosa. Philia sorrise loro divertita ed intrecciò le mani sul grembo.

“Buongiorno, ragazzi, ben arrivati. Non trovate che sia una splendida mattinata?”

L’essere con sembianze rettiloidi si fermò davanti a lei e si mise sull’attenti. “Buongiorno capo!”

Nello stesso momento, la volpe, con l’unico occhio che le stava, lucido e scintillante, si fiondò a prenderle le mani.

“Ora che ti vedo, radiosa come il sole e splendida come l’alba, lo è ancora di più… tesoro mio!”

In una frazione di secondo, la mazza chiodata della ragazza-drago, la cui immagine faceva bella mostra di se sull’insegna del negozio, si abbatté impietosa sul capo di Jirass regalandogli così la prima mazzata della giornata.

“Quante volte  ti ho detto che non devi chiamarmi tesoro??”

La volpe si contorse al suolo stringendo il capo tra le mani e lamentandosi con voce querula.

Ahiiiii  cheee maaaaleeee…”

Placati gli animi, il trio entrò in negozio, mentre fuori le strade iniziavano gradualmente a riempirsi e il quotidiano sottofondo di voci e rumori andava levandosi sempre più alto.

Senza perdere un solo istante, Philia, già dimentica dell’abituale, piccolo, incidente mattutino, diede le prime disposizioni ai suoi fedeli aiutanti affidando loro i soliti compiti.

Gurabos trasportò diligentemente dalla cantina , il cui accesso era dato da una botola dietro il bancone, dei nuovi pezzi da esporre, rischiando più volte di farli cadere ed incorrere nella furia del suo ‘capo’ come era solito chiamarla. Jirass invece fu impegnato per tutta la mattinata, con grande sollievo della ragazza,  a recapitare gli acquisti ai clienti.

Quanto a lei, per quella giornata lavorativa, poteva ritenersi soddisfatta.

Aveva tenuto il conto degli incassi, fatto l’inventario delle merci in cantina, servito i clienti e persino rassettato. Oltre ad aver preparato da mangiare per Valgarv che ora giocava tranquillo, seduto ai piedi del bancone, con una palla.

La volpe rientro giusto pochi minuti prima della chiusura.

Trafelato, Jirass spalancò la porta d’ingresso e si appoggiò pesantemente allo stipite, la lingua penzoloni, nel tentativo di riprendere fiato.

“ Tutto consegnato nei tempi…” Ansimò tergendosi la fronte i cui peli erano arruffati per il sudore.

“Grazie, Jirass.  Per oggi abbiamo finito, potete  andare. Buon fine settimana, divertitevi e

riposate.”

La giovane sorrise loro dolcemente socchiudendo gli occhi azzurri e inclinando il capo su una spalla. Nuovamente, Jirass si gettò ai suoi piedi mentre un torrente di lacrime  sgorgava copioso dai suoi occhi.

“Due giorni senza di te, saranno un’eternità! Il mio cuoricino piangerà di dolore! Ma io sarò forte, sopporterò lo strazio…”

“E piantala!” Intervenne Gurabos issando il collega, persistente nella sua struggente dichiarazione, in spalla, giusto in tempo prima che Philia, la cui vena sulla tempia già pulsava d’un ira che prometteva una mazzolata grandiosa, perdesse le staffe.

“Bene, noi andiamo. A presto capo. Ciao Valgarv!”

“Ciao Valgarv. A presto, Tesoooorooooooooo!! “

Dopo le ultime parole di Jirass, Gurabos si defilò velocemente scomparendo tra i caldi raggi del pomeriggio che arroventavano la strada, deserta a quell’ora, lasciando dietro di se solo una densa scia polverosa.

La ragazza chiuse a chiave la porta e rigirò il cartellino, al limite della  sopportazione.

Quel Jirass, anche se è un caro ragazzo, a volte è davvero insopportabile!” Ringhiò sbuffando fumo dalle narici, i pugni in una morsa.

“Non credi anche tu, piccolo?” Chiese, già più calma, volgendo lo sguardo al cucciolo che aveva iniziato a gattonare dietro al bancone inseguendo la palla.

A quella vista recuperò del tutto la serenità e sorrise quieta.

 

Sì, ora sono davvero felice.

E visto che anche Valgarv lo sembra, lo sono doppiamente.

 

Inspirò profondamente e si volse a guardare l’ambiente del suo negozio.

Era semplice, senza pretese e senza decorazioni barocche, ma le sembrava estremamente accogliente.

Tutte le pareti erano occupate da espositori ricolmi di oggetti di fattura squisita che riflettevano i cocenti raggi meriggi dell’estate, penetranti dalla vetrina, sui muri e sul parquet.

La sua lunga veste bianca e rosa ondeggiò appena mentre si avvicinava con piccoli passi ad uno dei grossi scaffali sul lato destro della parete. Con estrema cautela prese tra le mani un vaso di porcellana bianca finemente decorato da un motivo floreale di viti e tralicci ed iniziò delicatamente a lucidarlo con un panno in velluto ed uno sguardo estatico.

“ Non c’è proprio nulla da fare, sono letteralmente innamorata di questo pezzo…quasi quasi ho deciso, lo tengo per me! ”

“Oh, di certo farebbe una gran bella figura nel tuo salotto buono.

Al suono di quella voce melliflua Philia sobbalzò tanto da far quasi cadere il vaso che aveva tra le mani. La sua coda schizzò fuori da sotto la gonna, mentre lei si girava lentamente verso l’intruso. Ma già sapeva di chi si trattava.

“NAMAGOMI!!”

Valgarv, da dietro al bancone, sentì l’urlo e gattonò incuriosito fino all’angolo, per sbirciare il motivo di tanta agitazione.

Al centro del negozio si era appena materializzato un uomo dal bizzarro abbigliamento, con un caschetto viola ed un bastone come sostegno, che stava sorridendo con aria estremamente cordiale.

“Sì, anch’io sono felice di rivederti,” rispose l’uomo al grido della draghessa, allargando ancora di più il suo sorriso.

“Felice di rivedermi?” ripeté Philia, decisamente nervosa. Con mani tremanti posò il vaso ed il panno su un ripiano, fra una zuccheriera ed un piattino per biscotti. “Ti materializzi nel mio negozio, mi spaventi, rischi di farmi rompere il mio pezzo preferito e dici di essere felice di rivedermi?”

L’altro si fece pensieroso, alternando il peso da un piede all’altro, poi sembrò giungere ad una conclusione: “Sì, è andata proprio così.

Xelloss…” mormorò Philia e la sua voce sembrava il tuono lontano di una tremenda tempesta. Solo un gemito preoccupato proveniente da dietro di lei le impedì di estrarre la sua mazza chiodata. Si voltò di scatto e vide Valgarv che la guardava con gli occhi spalancati.

Valgarv, ti sei spaventato?” chiese lei, premurosa, subito dimenticando l’inopportuno visitatore. “Quel signore cattivo ti ha fatto paura?”

Xelloss si limitò ad inarcare un sopracciglio a quell’uscita, ma non disse nulla. Philia prese subito in braccio Valgarv, rassicurandolo a coccole e sorrise.

“Lo porto un attimo di là, poi facciamo i conti,” disse rivolta a Xelloss, e la sua voce tradiva una minaccia che il volto non mostrava. Il Mazoku si limitò ad annuire divertito.

 

Però, Valgarv in tutto questo tempo è cresciuto.

Sono proprio un bel quadretto familiare quei due.

Quasi mi dispiace essere piombato qui così all’improvviso.

Quasi.

 

Dannato Namagomi!!

Come si permette di entrare nel mio negozio senza nemmeno usare la porta?!

E spaventare Valgarv?!

Ma ora lo sistemo…

E spero proprio che non porti altri guai con sé.

 

Dopo un secondo, portato Valgarv nella sua cameretta, Philia tornò nel negozio. Xelloss si era comodamente seduto su una delle poltrone usate solo come arredamento, e stava sorseggiando tè da una tazzina fatta apparire all’occorrenza.

Xelloss, stai usando il mio negozio come un salotto, te ne rendi conto?” disse lei a denti stretti, trattenendo la furia. Solo allora lui parve accorgersi che era tornata.

“Oh, scusami, però devi ammettere che questo arredamento invoglia proprio al relax.”

“Ti spiacerebbe alzarti?”

“Ma certo, non sono poi così rozzo da restare seduto quando una signora rimane in piedi.

Philia non ebbe reazioni a quella provocazione, e rimase a guardare mentre l’altro si alzava e faceva sparire la tazzina che aveva evocato.

“Dove sei stato?” chiese bruscamente, sperando di prenderlo in contropiede.

“Da mia madre,” rispose lui con semplicità, come se non ci fosse nulla di strano nell’avere come madre uno dei cinque demoni maggiori creati da Shabranigdu in persona, Zelas Metallium.

Un lampo di inquietudine attraversò la mente di Philia: “E cosa ti ha detto?”

“Mi ha chiesto di ucciderti.” La risposta di Xelloss era di una semplicità disarmante.

“Di nuovo?” chiese ancora Philia, apparentemente non toccata dal fatto che Zelas Metallium la voleva morta. “E tu cosa le hai risposto?”

Che ci avrei pensato su.”

Ma perché mi vuole morta?!” sbottò lei esasperata, battendo per terra un piede. “Che le ho fatto di male?”

Xelloss fece sparire il suo bastone ed incrociò le braccia, sornione: “Dopotutto appartieni alla razza nemica giurata dei Mazoku…”

D’un tratto scomparve e riapparve in un istante subito davanti a lei, gli occhi d’ametista socchiusi fissi nei suoi.

“E poi le hai portato via il suo unico figlio e fidato servitore.

E senza darle il tempo di reagire la abbracciò e la baciò con trasporto.

Philia, sorpresa, rimase un attimo incapace di reagire, ma poi lo scostò con forza. Però sorrideva.

Sei un incorreggibile, lo sai?”

“E’ un modo di vedere le cose, sì. Però ho ottenuto il mio scopo, ora non sei più arrabbiata con me.

La draghessa avrebbe dovuto infuriarsi ancora di più, ma sentì di non riuscirci. Si limitò a sorridere con aria di rimprovero e tornò ad affaccendarsi nel negozio.

 

Stupido Mazoku.

Oppure dovrei dire stupida a me stessa, che mi sono innamorata di lui, due mesi fa?

No, nessuno di noi due è stupido.

Solo, siamo entrambi restii a sottometterci alle regole.

 

“Senti, Xelloss,” chiese Philia dopo un po’, mentre lui aveva iniziato ad aiutarla a contare le entrate della giornata. “Per quanto resterai questa volta?”

“Per un po’,” fece l’altro con un’alzata di spalle. “Più dell’altra volta, comunque.”

Ma non è pericoloso?” Ora nella voce della draghessa si percepiva una genuina preoccupazione. “Voglio dire, Zelas potrebbe non essere d’accordo che tu passi tutto questo tempo con una draghessa.

“Mi sono guadagnato un po’ di vacanza, con i miei ultimi servigi, non preoccuparti. Lady Zelas mi ha dato del tempo libero come premio, quindi non sto facendo nulla di illegale.”

“Servigi? Che tipo di servigi?” Ora gli occhi di Philia erano ridotti ad una fessura. Xelloss lo notò e sorrise, sollevando un dito.

“Questo è un segreto,” disse, poi, vedendo che la ragazza si preparava ad estrarre la sua mazza, si affrettò a precisare, “comunque nulla che potrebbe farti arrabbiare.”

Philia continuò a squadrarlo per un po’, poi lasciò cadere l’orlo della gonna e tornò al lavoro.

 

Se mi dice così, mi fido.

Ha imparato a sue spese che non è il caso di ingannarmi.

 

Dal piano superiore arrivò un pianto sordo. Philia smise subito di armeggiare con le monete d’oro e rimase in ascolto, poi guardò Xelloss dispiaciuta.

“E’ Valgarv, credo che abbia fame. Faccio in un attimo.”

Xelloss le mise una mano sulla spalla, trattenendola. “Lascia, faccio io. Beve ancora il latte, vero?”

“Sì, ma…”

Dove tieni il biberon?”

“Nella credenza della cucina,Philia era ancora stupita, ed indicava vagamente le scale. “Terza porta…”

“… a sinistra, ricordo bene?” la interruppe Xelloss. La ragazza annuì.

“Allora vado e torno, d’accordo? Aspettami qui.” E si volatilizzò. Nel giro di un minuto si sentì la sua voce risuonare attutita dal piano di sopra, mentre il pianto di Valgarv si calmava fino a sparire.

Philia, dal canto suo, rimase alla cassa ad aspettare, ancora sorpresa. Poi un lieve sorriso intenerito le si dipinse sulle labbra.

 

Lui non era mai andato a dare da mangiare a Valgarv, prima d’ora.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8

CAPITOLO  8

 

Alcuni mesi dopo ci fu aria di festa a Seillune. La gioia che aveva rallegrato i cuori della famiglia reale si era diffusa all’intera popolazione, per cui alla notizia che il giovane Varnion Dartelyon avrebbe preso il posto del vecchio padre a Capitano delle Guardie, i cittadini si unirono spontaneamente ai festeggiamenti.

Shyrien Dartelyon aveva dato l’annuncio a sorpresa durante un banchetto: dopo la sua lunga ed onorata carriera dichiarò di volersi ritirare a vita privata, designando come successore il proprio figlio Varnion. La notizia colse tutti di sorpresa, perché il vecchio Shyrien era ancora nel pieno delle sue forze, ma forse c’era da aspettarselo: era già da qualche anno che temeva di non poter più servire il Re al pieno delle sue capacità, ma non c’era nessuno tra i nobili ed i soldati che fosse pronto a suo avviso a succedergli in carica. Questo fino al ritorno di Varnion.

Ma… Io non ho frequentato l’accademia militare, non sono mai diventato ufficiale!” aveva protestato il giovane, ancora sbalordito dalla proposta del padre, ma era stato zittito da una serie di vigorose pacche sulle spalle da parte di questi.

“Figliolo,” aveva spiegato, in modo che tutti al banchetto ascoltassero, “tu hai più esperienza di quanta se ne può guadagnare in dieci anni di studio! E poi ti conosco bene, sei l’unica persona al mondo a cui affiderei la vita del nostro Re Philionel e della Principessa Amelia. E inoltre…” aveva concluso, accarezzandosi la folta barba grigia con aria sognante. “E’ da tempo che desidero dedicarmi alla coltivazione dell’uva nella tenuta della nostra famiglia.”

Di fronte a tali motivazioni Varnion non aveva potuto fare altro che accettare, ancora un po’ spiazzato. Ed in effetti avrebbe comunque accettato, solo non si aspettava che il padre decidesse di ritirarsi così presto. I suoi doveri come Capitano delle Guardie sarebbero stati molto onerosi, però la cosa non gli avrebbe pesato: al termine del banchetto la ragazza lo aveva preso sottobraccio, allontanandolo dai nobili che si attardavano a salutare Philionel, e gli aveva confidato di essere estremamente felice di questa sua nomina. E se lei era felice lo era anche lui, non importava a quali sacrifici sarebbe andato incontro.

“D’ora in poi avrò molti doveri,” le aveva spiegato, “ma troverò sempre un po’ di tempo da passare con te. Per essere la tua Volpe del Sottobosco.”

Aveva concluso con un sorriso, che si era specchiato in quello di Amelia, tuttavia ciò serviva solo a mascherare la malinconia atroce che provava nel cuore: ora aveva l’incarico ufficiale di proteggerla, le avrebbe potuto stare vicino. Ma non avrebbe mai potuto stare tanto vicino al suo cuore quanto una chimera lontana, che la faceva soffrire…

 

La cerimonia pubblica fu commovente. In alta uniforme, Varnion raggiunse il Re e suo padre nel tempio di Cepheid, tra due ali di folla. Amelia lo guardava con le lacrime agli occhi dalla commozione dal fianco di Philionel, e lui le sorrise. Pronunciate le frasi di rito, Shyrien si tolse il mantello della guardia e lo pose sulle spalle del figlio, fissandolo con la spilla d’argento che aveva orgogliosamente portato per anni. Poi il Re gli mise una mano sulla spalla destra e gli fece l’occhiolino. Quel gesto tutt’altro che cerimonioso lo rilassò un po’, e poté rispondere con un lieve cenno del capo.

“Di fronte a Cepheid e al popolo di Seillune ti nomino Capitano delle Guardie Reali, Varnion Dartelyon. Che la tua carriera possa essere lunga e piena di soddisfazione come quella di tuo padre.

A quelle parole Shyrien scoppiò a piangere ed abbracciò il figlio, rischiando quasi di stritolarlo. Con un sorriso, Varnion rispose all’abbraccio. Un sonoro applauso riempì il tempio, insieme alle grida di giubilo del popolo. Una volta sciolto dall’abbraccio del padre, il ragazzo ricevette l’altrettanto poderosa stretta di mano del Re. Quando anche quell’atto cerimoniale fu compiuto, Amelia non resse e gli gettò le braccia al collo, incespicando nel lungo abito rosa pallido. Varnion si irrigidì lievemente al contatto, ma poi rispose con trasporto, nascondendo bene il dolore che provava. Era giusto che Amelia fosse felice. Almeno per un momento.

Il banchetto che seguì si protrasse fino alla mattina, ed a metà serata il festeggiato sgattaiolò via. Non riusciva più a tenere sotto controllo la rabbia e la frustrazione di non poter dichiarare di fronte a tutti di amare la Principessa perché, se anche il Re e tutti gli altri avrebbero potuto esserne contenti, lei ne sarebbe stata distrutta. Evitando i servi che si avvicinavano per congratularsi tornò nei suoi appartamenti, si tolse il mantello da Capitano delle Guardie ed estrasse la spada. Esercitarsi fino allo stremo delle forze era il modo migliore che conosceva per rilassare il corpo e l’anima. Si rimise il mantello nero con cui era arrivato a Seillune ed uscì in fretta dalla stanza.

 

Non molto tempo più tardi, anche Amelia se ne andò, adducendo come scusa al premuroso padre il sonno. Ma in realtà non aveva sonno. L’assenza di Varnion (spossato, pensava lei, dal pomposo cerimoniale di corte cui non era abituato) aveva permesso alla sua inquietudine di tornare a farsi sentire. E quell’inquietudine aveva un nome ed un volto…

 

Zelgadiss

 

Si recò nei suoi appartamenti, sperando che la solitudine ed una buona dormita le restituissero l’abituale buonumore, ma non servì a nulla. Dopo un’ora insonne si rialzò dal letto. L’inquietudine si era trasformata in tristezza. Sì recò alla finestra, sperando che un po’ d’aria le schiarisse le idee. Aprì le imposte ed espose il volto alla gelida brezza che ne filtrò. Ma non servì a nulla.

 

Guardo il cielo, le stelle, la luna…e mi domando:dove sei?’

Avevi detto che avresti pensato sulla possibilità di venire a Seillune con me…non lo hai mai fatto.

Dicevi che saresti tornato…e invece sono già trascorsi due anni.

Due anni…senza ricevere tue notizie…due anni senza sapere nulla di te…come  se non fossi mai esistito…come se io non esistessi per te…

 

Due lacrime scivolarono silenziose sulle gote appena arrossate di  freddo e  tristezza della Principessa di Seillune.

La finestra del suo appartamento, nonostante il gelo tagliente di quella desolata notte invernale, era spalancata ed un vento leggero e ghiacciato ne faceva appena ondeggiare le tende e il regale abito rosato che indossava facendola rabbrividire. Ma non le importava.

 

Dove sei adesso, Zel?

 

Altre stille corsero in rapida successione accompagnate da tremiti e singulti che ne scuotevano le spalle esili.

Un colpo.

Un altro.

Sobbalzò.

Rapida si volse verso la porta alle sue spalle tergendo via le lacrime.

 

“C…chi è?”

Varnion Dartelyon, Vostra Maestà. Vi chiedo umilmente perdono per l’ora tarda. Chiedo di essere ricevuto per potervi augurare una lieta nottata.

 

Amelia Will Tesla Seillune sorrise lievemente mentre si avvicinava a rapidi passi ad aprire la porta.

Quando il battente fu del tutto spalancato, lui era lì. Avvolto nel suo manto nero su cui spiccavano scaglie di brina. Doveva essere rientrato da poco.

Gli sorrise stanca, ma felice di vederlo.

“Ciao, Varnion.”

Il giovane si inginocchiò di fronte alla propria Sovrana.

“Spero di non avervi disturbata, Altezza. Proferì a bassa voce senza levare lo sguardo su di lei, come la più rigida etichetta imponeva.

Amelia accennò ad una risata un po’ forzata.

“Non c’è bisogno di queste formalità, Var, lo sai. Su, non stare lì in ginocchio, alzati. Vieni, entra.”

Varnion si levò in pedi. La superava di un bel po’ di centimetri, così che lei gli arrivava  appena poco più sopra del petto.

“Ad una Principessa bisogna rendere omaggio in modo adeguato…” Disse mentre le rivolgeva un sorriso quieto e pacato, seguendola nell’anticamera degli Appartamenti Regali.

La luce delle candele, agitata dal vento, tremolava proiettando le ombre dagli instabili contorni delle  due figure sulle pareti.

Anche se la Principessa e lo Spadaccino vagabondo giocavano insieme da bambini?” Chiese lei chiudendo la porta.

“Ma la Corte, ed in particolar modo gli Appartamenti Regali, non sono i Giardini o le Scuderie della Reggia... Amelia… Abbiamo i nostri ruoli, lo sai … tu quello di Erede al Trono ed io…quello di Spadaccino vagabondo figlio del Capitano delle Guardie Reali che finalmente si è deciso a prendere il suo posto…”

A quelle parole, il volto della Principessa s’incupì nuovamente, perdendo quel barlume di distrazione che il suo amico sembrava averle donato.

 

Ognuno ha i suoi ruoli…se io non avessi avuto questa corona…se non avessi dovuto essere qui… se…

 

Lo Spadaccino venne investito da una folata di vento più violenta delle altre e non si avvide di Amelia che si appoggiava pesantemente alla parete accanto ad un sofà.

Ma tu guarda! La finestra spalancata in una notte come questa! Vuoi prenderti un malanno?!” Esclamò  andando ad accostare rapidamente i battenti.

“Non cambierai proprio mai vero, piccola…Amelia…?”

Si era voltato e tutta la sua serenità si era annullata nel luccichio che nella penombra aveva scorto sul volto di lei rivolto al suolo.

“Amelia! Amelia, cos’hai?”

Senza perdere tempo, le era corso accanto prendendola per le braccia, scuotendola con leggerezza, ma decisione, cercando uno sguardo che ella non concedeva.

“Amelia! Che succede??”

“Niente…sto...bene…”

Di nuovo quel fiume di luce dagli occhi.

Di nuovo quella voce dolce e minuta che tremava.

“Amelia, non mentire!”

Sto bene ti ho detto!”

Uno scatto nella voce.

Poi i singhiozzi.

Violenti.

Incessanti.

Varnion sentì un’ira cieca e sorda montargli dentro.

Non visto digrignò i denti senza lasciare la presa.

 

Per lui!

Ancora per lui!!

E’ per lui che sta piangendo!

Maledetto!

Maledetta Chimera, ma chi sei?!

Chi sei??

CHI DIAVOLO SEI??

 Chi sei per farla soffrire così??

Lei ti ha descritto a me con gli occhi dell’Amore... troppo ingenua… troppo pura… troppo fragile… maledetto!

Lei non sa come sei realmente fatto!

Cieco sin da giovane! Come e peggio di tuo nonno!

Volevi il potere, volevi la forza, ed hai perso la tua umanità!

Ed ora hai fatto lo stesso errore!

Volevi una cura, ed hai rinunciato all’amore!

Al SUO amore!

PAZZO!

Ed a causa tua l’ho perso anch’io!

Perché lei non mi amerà mai!

Perché lei non ti dimenticherà mai!

Non ho taciuto per tutti questi anni solo perché tu me la portassi via per sempre!

Non ho taciuto perché lei soffrisse!

Non ho taciuto perché tu, col tuo sporco egoismo, le infliggessi questo immeritatissimo dolore!

Ho taciuto per non legare la sua esistenza al mio vagabondare!

Ho taciuto per consentirle di amare un uomo che potesse esserle vicino sempre così come io non avrei mai potuto fare finché avrei viaggiato per apprendere!

Ho taciuto tutto questo ed ho continuato ad amarla da lontano, scrivendole da ogni luogo che toccavo, anche il più remoto!

Ed ora che ero  tornato per restare…anche a costo di saperla felice con un altro, anche continuando ad amarla in silenzio…solo per poterla vedere tranquilla e serena…

MALEDETTO!!

Non ti perdonerò mai per ciò che le stai facendo!

MAI!

Va’ pure per il mondo!

Cerca la tua stramaledettissima cura e crepa!

Se solo lei non ti amasse in questa maniera…se solo lei ci riuscisse…verrei a cercarti in ogni angolo del globo e ti ucciderei con le mie stesse mani!

Come un verme!

Ma io non sono come te.

Ora che sono qui, non l’abbandono.

Dovesse costarmi la vita, farò di tutto per ridarle il sorriso che tu le hai strappato!

A qualsiasi costo.

Perché io non sono come te.

Perché non posso sopportare le sue lacrime.

Perché non ho mai potuto sopportarle.

Fin da bambini.

Perché amavo vedere il suo sorriso.

Perché amo ascoltare la sua risata.

Perché l’ho sempre amata.

Perché la amo.

 

Il giovane inspirò profondamente mentre la rabbia lasciava posto ad una tristezza abissale.

 

La tua sofferenza è la mia sofferenza, Amelia…

In questo siamo uniti…e nessuno potrà dividerci…

Ma quanto fanno male le tue lacrime, Amore mio…

 

Lentamente portò una mano sotto al suo mento e lo alzò piano verso di lui.

Amelia, seppure non avesse voluto, non ebbe la forza di opporre resistenza ed i suoi occhi blu andarono ad incastonarsi in quelli lucidi color nocciola di lui.

Di fronte a  quei pozzi d’oceano, l’anima dello Spadaccino andò in frantumi.

Senza riuscire ad aggiungere altro, l’attirò a se stringendola forte tra le braccia, poggiando le sue labbra sulla fronte  di lei in una serie di baci delicati e struggenti.

“Non piangere per lui…ti supplico…Non lo sopporto…non riesco a sopportarlo! Perdonami…” Sussurrò con voce rotta e tremante. D’impotenza, di rabbia, di disperazione feroce, d’amore indiscusso.

La Principessa sgranò gli occhi.

Il velo era caduto.

Varnion…”  attonita si scostò piano e lo guardò in volto. Quel volto che per lei era sempre stato quello di un fratello. Gentile, premuroso, discreto…

Che stupida…non aveva capito…non aveva capito ed ora era troppo tardi.

E lo sapevano entrambi.

Avrebbe voluto dire tante cose in quel momento, di fronte ai suoi occhi così caldi…che l’avevano sempre avvolta in silenzio come la più calda delle coperte… non ci riuscì.

“VARNION!”

Gridando il suo nome tra le lacrime e i singulti  si gettò contro di lui serrando le mani dietro la sua schiena, il volto affondato nelle pieghe del manto drappeggiato sull’armatura, alla disperata ricerca di un conforto in tutto quel dolore.

Per lei, per lui. Per lei prigioniera di quell’amore. Per lui che non meritava questo e che, nonostante tutto, la stringeva al petto e le baciava la fronte sfiorando le sue ciocche corvine, riscaldandola col suo calore, il volto solcato da una singola lacrima.

Varnion! Varnion!”

Il suo nome invocato nella disperazione…

 

Non è questo che vorrei…

 

Le braccia di lui che la serrarono di più.

 

Non è colpa tua…lo so

 

Le mani di lei che corsero tra i capelli castani di lui, di cui le tenui luci dei candelabri mettevano in risalto i riflessi ramati. Il nastro nero che li legava all’estremità che cadeva senza peso al suolo.

 

Nessuno di noi due ha avuto scelta…

 

La Principessa lo guardò negli occhi attraverso il fosco velo di lacrime che strabordavano dai propri.

“PERDONAMI!”

Chiuse gli occhi.

Un unico scatto.

Si alzò in punta di piedi.

Le sue labbra toccarono quelle di lui.

Un bacio disperato.

Ricaddero all’indietro sprofondando sul sofà.

L’ una sulle ginocchia dell’altro.

Varnion chiuse a sua volta gli occhi ricambiando quel bacio che sapeva di lacrime, ascoltando i singhiozzi di lei tra le sue labbra.

 

No…non era questo che volevo…

 

Il manto venne aperto e lasciato cadere.

 

ma se ciò servirà ad alleviare le tue pene…

 

Il giovane fece scivolare timidamente, esitante, le mani dietro l’apertura del vestito di lei.

 

anche solo per qualche ora…

 

I loro baci divennero più roventi ed esasperati. I ganci che trattenevano la sua armatura e la sua spada cedevano l’uno dopo l’altro con un secco clangore metallico.

 

se questo è il costo per rivedere il tuo sorriso…

 

Lentamente le mani forti e calde di lui si insinuarono nell’apertura accarezzando piano la schiena sino a risalire sulle spalle per abbassarne le stoffe. La propria camicia scivolò via.

Un fiotto di lacrime gli inumidì gli occhi e scorse via.

 

se poi i sensi di colpa non ti assaliranno…

 

Fruscio di stoffe cadute.

 

se poi i sensi di colpa non ci assaliranno…

 

Labbra che cercavano labbra senza sosta. Bruciante, reciproco, bisogno.

Due corpi che si reclinarono.

 

…allora fa di me ciò che vuoi.

 

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