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Il cielo era di
un blu profondo sulla città di Seilune. Fra i palazzi bianchi e azzurri si udivano i mille rumori quotidiani che caratterizzavano una
città così grande. Le donne si affrettavano al mercato,
avvolte dai loro abiti variopinti, alcuni bambini giocavano per la
strada, le guardie camminavano disinvolte tra la folla, lungi dall’essere una
minaccia. La città di Seillune era felice.
Nel Palazzo
Reale una ragazza, avvolta da ricche stoffe che ne testimoniavano l’alto
lignaggio, stava firmando una dopo l’altra una lunga serie di documenti, che
prendeva da una alta pila sulla sinistra della sua
scrivania in mogano, intagliata con motivi floreali, e posava in una pila
altrettanto alta sulla destra. La luce che filtrava abbondante dalle ampie finestre
alle sue spalle colorava il legno nuovo e odoroso
della scrivania e della sedia, e si rifrangeva sulle piastrelle di marmo rosa e
bianco e lilla, rimbalzando di volta in volta contro l’alto soffitto a
cassettoni, le pareti tappezzate di stoffa azzurra, le due cassepanche vicino
al muro di destra e la grande libreria sul muro di sinistra, traboccante di
voluminosi testi giuridici e filosofici.
Lei era una
ragazza sui sedici anni, piuttosto minuta, con i capelli neri che vibravano
ogni volta che scuoteva il capo per la stanchezza. Eppure
quello era il suo dovere, perché era la principessa di Seillune.
Non che fosse
un gran fastidio, anzi, lei sapeva che ognuna delle sue firme garantiva un po’
più di giustizia ai suoi sudditi, e ciò la rendeva oltremodo contenta di fare
il proprio dovere.
La voce garbata
del suo ciambellano la fece sobbalzare.
“Vostra Altezza,” cominciò, discreto. “Un vostro suddito chiede di essere
ricevuto.”
Amelia ripose
la penna nel calamaio e si appoggiò allo schienale, stirandosi i muscoli
indolenziti della schiena. Chi poteva mai essere? Era alquanto inusuale che un suddito chiedesse udienza alla Principessa
anziché al Re.
“Sei sicuro che
non voglia essere ricevuto da mio padre?” chiese, ancora stupita.
“Sì, Altezza,” rispose il ciambellano. “Ha fatto esplicitamente il
vostro nome.”
“Fallo entrare
allora,” lo congedò con uno dei suoi solari sorrisi:
se un suo suddito voleva incontrarla non poteva certo deluderlo. Si alzò in
piedi e si rassettò l’abito, portandosi poi davanti alla scrivania per non
avere, nemmeno fisicamente, alcun ostacolo burocratico fra sé e il suo ospite.
La porta si
aprì sul corridoio e ne emerse una figura imponente ma
slanciata, avvolta in un lungo mantello nero. Il volto dai lineamenti virili e
sottili era atteggiato ad un sorriso vivace ed era circondato da lunghi capelli
castani dai vividi riflessi ramati, tenuti raccolti da un fiocco nero in fondo
alla chioma. Gli occhi color nocciola scrutarono la
Principessa allegri e raggianti, mostrando un animo impavido, sebbene
rispettoso delle regole, e un’agnizione che non era corrisposta. Quando entrò
nello studio di Amelia il mantello si scostò
leggermente rivelando una tintinnante armatura blu recante sul petto lo stemma
di Seillune. Sul fianco si scorgeva l’inconfondibile rigonfiamento di una
spada.
Lo sconosciuto
si fermò a pochi passi da lei, che lo scrutava a sua volta, interdetta. Non
l’aveva riconosciuto e si domandò perché un suo
suddito indossasse un’armatura con lo stemma del Regno.
“Salute, popolano,” esordì Amelia, con voce squillante. “Come
può esserti utile la tua Principessa?”
“Salve Amelia,” rispose lui, con un tono inspiegabilmente affettuoso,
sebbene rispettoso della loro distanza sociale. Dal suo modo di camminare, dal
suo sguardo ed ora dalle sue parole risultava che lui
già la conoscesse, ma ancora Amelia non riusciva a capire chi fosse il ragazzo
imponente di fronte a lei. Ai suoi sguardi interrogativi il giovane si stupì.
“Ma come… non mi riconosci, Amelia?” riprese, sbalordito e
vagamente deluso. “O forse dovrei dire ‘Altezza
Reale’?” aggiunse poi, scherzosamente, come per alleggerire la tensione nella
stanza.
In quel momento
gli occhi della Principessa si illuminarono: possibile
che fosse davvero lui?
“Var…Varnion?”
pronunciò esitante, la bocca secca per l’emozione.
“In persona,” annuì il giovane.
Varnion! Non
poteva essere lui! Era così diverso, così… grande! Ma
dopotutto erano passati quasi quattro anni dall’ultima volta che l’aveva visto,
e per tutto quel tempo lui le aveva mandato una quantità enorme di lettere dai
più lontani angoli della penisola dei demoni, sicché lei aveva sempre saputo
cosa stava facendo, con quali persone stava viaggiando, dove si stava
dirigendo. Molte volte in quegli anni aveva fantasticato su come sarebbe stato
se fosse tornato indietro, ma sapeva che Varnion per
sua natura era uno spirito vagabondo. Eppure in quel
momento era lì, di fronte a lei!
Riconoscerlo e
corrergli incontro gettandosi fra le sue braccia fu una cosa sola.
Varnion la
abbracciò sbalordito, piroettando per evitare di essere atterrato dalla potenza
della ragazza.
“VARNION!”
esclamò lei, le lacrime agli occhi per la felicità. “Sono così felice di
vederti, Varnion!”
Lui ridacchiò,
cercando di respirare nel poderoso abbraccio di Amelia.
“Anch’io sono felice di vederti,” riuscì infine a
rispondere. “E’ passato troppo tempo dall’ultima volta che ci siamo incontrati!”
Finalmente la
ragazza poggiò i piedi a terra e allentò la presa sul suo collo, sicché Varnion
riuscì a rimirarla meglio: aveva ancora i grandi occhi blu pieni di gioia di
vivere di una volta, sebbene nel frattempo fossero
successe molte cose. In quegli ultimi anni aveva sentito parlare della sua
amica d’infanzia, diventata una girovaga Paladina della Giustizia insieme ad un gruppo di avventurieri, coinvolti nelle più terribili
calamità, dalla distruzione di Sairaag alla morte dell’Hellmaster ai pericoli
senza nome del mondo esterno.
“Non sei
cambiata,” le disse infine, perdendosi nei suoi occhi.
“Tu invece sì,” rispose, giocosa, Amelia, che non notò l’espressione
rapita nei suoi occhi color nocciola. “Sei diventato altissimo e fortissimo… Ma
dove sei stato?”
“Un po’
ovunque… ti sono arrivate le mie lettere?”
“Sì, ma non
sapevo mai dove mandare le risposte, eri sempre in movimento!”
“Sì, è vero, ho
girato tutta la penisola dei demoni, poi quando la barriera dei demoni è caduta
ho saputo che ti eri recata con tuo padre
nell’Alleanza degli Stati Costieri, così mi ci sono diretto anch’io…”
“Davvero?”
Amelia era sinceramente stupita. “Non me l’hanno mai detto!”
“Volevo passare
a salutarti, ma a quanto pareva eri già partita. Oltretutto
un maremoto aveva colpito la città e non ho potuto non dare una mano per le
ricostruzioni…”
La ragazza
annuì, fiera. Era proprio il comportamento che si aspettava da lui. “Mi
rincresce che tu abbia fatto il viaggio a vuoto,”
riprese contrita, dopo un attimo.
“Al contrario!”
rispose Varnion e rise, al ricordo. “Ho avuto modo di rincontrare i nostri
padri, che mi hanno informato un po’ sugli ultimi avvenimenti. Ho saputo che
hai affrontato molte avventure…” Il suo tono di voce si fece
più basso e preoccupato. “Devi essere stata in grave pericolo.”
“A volte sì,” annuì lei, con un po’ di malinconia nella voce. “Ma non
ho mai dubitato che la Giustizia potesse trionfare, così io e miei compagni ce
la siamo sempre cavata!”
“Ne sono felice,” disse Varnion, sollevato.
“Ma anche tu
devi aver vissuto molte avventure,” riprese Amelia, lo
sguardo illuminato dalla curiosità e dalla gioia. “E chissà quanti pericoli!... Accidenti, ho così tante domande da farti! Quando sei arrivato in città?”
“Da poche ore.”
“Allora dovrai
essere molto stanco! Do subito ordine che ti venga
preparato un appartamento qui a palazzo, così potrai riposarti un po’. Potremo
parlare più tardi.”
Al ragazzo
parve di sentire tutta la fatica di quei mesi di viaggio piombare su di lui in quel momento. Annuì, felice di poter riposare un
po’. “Va benissimo!”
Amelia diede i
suoi ordini al ciambellano e accompagnò Varnion verso l’ala occidentale del palazzo,
tenendolo per un braccio. In quel momento non sembrava la
principessa di un regno come Seillune, ma una ragazzina come tante, entusiasta
di aver ritrovato un amico da lungo tempo assente.
Varnion, da
parte sua, si sentiva estremamente felice di poter
nuovamente camminare fianco a fianco ad Amelia, come tanti anni prima.
Quella sera,
dopo la cena che Philionel aveva organizzato all’uopo, in gioiosa
collaborazione con la figlia, Varnion e Amelia si recarono sull’ampio balcone
ornato di fregi e statue che dava sugli ampi giardini del palazzo reale,
lasciando i loro padri a discutere del possibile motivo del ritorno del
giovane. Egli infatti, nonostante le pressioni di Amelia, aveva insistito per
rivelarlo solo il giorno dopo, a pranzo.
Varnion
indossava una versione più ordinata degli abiti di quando era arrivato a
Seillune, eccezion fatta per l’armatura, lasciata a lucidare e ribattere presso
l’armaiolo di corte. Lei invece vestiva uno splendido abito rosa, tutto ornato
di pizzi bianchi e trine, e volteggiava sul balcone come se tutta quella
stoffa, mossa dal tenue soffio del vento che rinfrescava quella serata estiva,
non le pesasse per niente. Il cielo era sereno ed era possibile contare una ad
una le stelle che formavano le costellazioni nella mente degli astrologi di
corte.
Amelia si
sedette raggiante sul parapetto, facendo ondeggiare le sue trine.
“Coraggio
Varnion,” disse, implorante. “A me puoi dire perché sei tornato…”
Il giovane rise
ma scosse il capo: “No, solo domani, a pranzo, non prima.”
Lei si
imbronciò per un attimo, ma subito scrollò le spalle e invitò l’amico ad
accomodarsi accanto a sé.
“Non credi che
sia poco appropriato?” sorrise lui, rimanendo dov’era. La giovane scosse il
capo, ridendo a sua volta. “Dimentica le formalità, hai molte cose da
raccontarmi.”
A quel punto
Varnion si decise a sedersi accanto alla principessa. La luce della luna si
rifletteva sulla sua pelle candida in mille rivoli lattescenti e il suo vestito
frusciava come l’estate, ricca di grilli.
“Varnion, che
cos’hai?” gli chiese, arrossendo un po’, quando si rese conto che la stava
osservando. Il ragazzo si riscosse, tornando in sé.
“Niente, è solo
che non sono più abituato a cene e serate come questa,” minimizzò con un gesto
vago della mano. “In questi anni il massimo del lusso che mi sono concesso è
stato di pernottare in una locanda di paese. Generalmente, invece, mi trovavo a
dormire all’addiaccio, in qualche radura, a guardare le stelle e immaginare
come sarebbe potuto essere il giorno seguente.”
Amelia lo
ascoltava rapita, le mani poggiate tese sulle ginocchia, gli occhi brillanti
alla luce della luna e dei candelieri della sala da pranzo. Lui fece vagare gli
occhi sulla parete, scolpita secondo complessi canoni estetici, della sala da
pranzo, fino a trovare un varco che dava sul buio parco sottostante, e il suo
sguardo si fece distante, ricordando il passato.
“Ogni giorno mi
svegliavo in un posto nuovo; a volte scorgevo in lontananza l’esile filo di
fumo di una casetta isolata, oppure sentivo il sommesso brusio di un villaggio.
Allora ero contento, perché potevo vedere dei miei simili, scambiare qualche
parola, contrattare per avere il mio vitto e rendermi utile. Ma a volte mi
svegliavo di soprassalto che era ancora notte, in una grande foresta, e sentivo
mille cose bisbigliare e strisciare e frusciare nel buio, e allora desideravo
non essere in quel luogo. Essere di nuovo nel ridente villaggio che mi ero
lasciato alle spalle magari la mattina precedente, e scherzare con i figli
degli artigiani che correvano nelle strade deserte e sonnacchiose. Ma invece
dovevo alzarmi, radunare le mie cose, rannicchiarmi accanto alle ultime braci
del fuoco e attendere l’alba…”
A quei pensieri
le spalle di Varnion ebbero un brivido. Subito Amelia si avvicinò a lui e gli
posò una mano sul braccio. Il contatto della sua piccola mano, resa gelida dalla
tensione del racconto, parve scuoterlo, sicché rivolse di nuovo lo sguardo su
di lei. Vedendo il suo volto preoccupato, Varnion sorrise rassicurante: “Però
devo dire che il più delle volte la mia paura era immotivata. Si trattava di
solito di qualche volpe o di un serpentello. Ma anche se fosse stato un nemico
non avrei dovuto preoccuparmi. Durante tutto questo tempo ho migliorato la mia
abilità di spadaccino, e imparato un po’ di magia bianca e sciamanica. E anche
qualche piccolo trucco di magia nera, anche se non ho mai avuto bisogno di
metterla in pratica. Quindi ero sempre ben preparato ad affrontare i pericoli
che un viaggio come il mio mi avrebbe messo di fronte.”
Amelia tirò un
sospiro di sollievo alle sue parole e gli tolse la mano dal braccio, riponendosela
in grembo. Sotto di loro, nel buio sussurrante di quella notte estiva, il vento
stormì fra le foglie degli alberi del parco, quasi a rispecchiare il racconto
di Varnion. Ma in quel caso, nella grande città di Seillune, nel palazzo reale,
insieme alla sua principessa, il giovane non poteva che sentirsi pieno di una
tranquillità che raramente aveva provato nella sua vita. Amelia stava ora
guardando in cielo, forse immaginandosi le scene descritte dal suo amico. La
luce della luna ne disegnava i contorni con maestria, mettendo in risalto il
contrasto fra la sua pelle bianca e i capelli neri. Le labbra appena dischiuse
sembravano pascersi di un nettare fatto di luce, che scendeva direttamente
dall’astro notturno. Varnion, ancora seduto accanto a lei, non poté fare a meno
di notare che lei era bellissima. In quel momento si rinnovò, come se fosse un
lampo di conoscenza in una notte oscura, il sentimento che tante volte lo aveva
fatto sospirare quando viveva a Seillune, prima di partire. In quel momento,
come quattro anni prima, seppe di essere innamorato di Amelia.
Lo era sempre
stato, fin da quando giocavano ancora, teneramente bambini, nell’ampio parco
del castello reale, ma non glielo aveva mai detto. Già all’epoca sapeva che lui
avrebbe viaggiato molto, e non avrebbe mai permesso ai suoi sentimenti di
legare la vita della sua Amelia alla propria decisione di viaggiare.
“Amelia… Io ti
amo. Promettimi che mi aspetterai.”
Questa frase
non era mai uscita dalla sua bocca. La ragazza, alla sua prima dichiarazione
d’amore, avrebbe di sicuro promesso, entusiasta. Ma avrebbe dovuto vivere
nell’attesa del suo ritorno, sacrificandogli i suoi anni migliori, e questo
Varnion non l’avrebbe mai accettato. Se n’era andato con la morte nel cuore, ma
almeno Amelia avrebbe potuto trovare qualcuno che le stesse sempre vicino.
Ma a quanto
pareva il suo cuore era ancora solitario, nessuno aveva occupato i suoi
pensieri di notte, prima di addormentarsi. Ed ora lui era tornato per restare.
Chissà se ora che era tornato per restare ed occupare il paterno posto di
capitano avrebbe potuto… Ma adesso non era il caso di pensarci…
Riportò lo
sguardo su Amelia, ancora intenta a fantasticare, con lo sguardo rivolto alle
stelle.
“Ho saputo però
che in tutti questi anni anche tu hai avuto molte avventure.”
Lei lo guardò
di nuovo, e gli occhi le si illuminarono.
“Avventure che
tu non immagineresti neppure, mio caro Varnion. All’inizio sono partita
cercando di diffondere la giustizia nel resto del mondo, ma poi ho incontrato
delle persone, di cui avrai sicuramente sentito parlare e insieme siamo finiti
a Sairaag, dove la Copia del famoso Monaco Rosso Rezo ha distrutto la città!”
Varnion annuì,
ricordando le voci che aveva sentito: “I tuoi compagni erano la famosa Lina… Inverse,
vero? Ma non ricordo i nomi degli altri.”
Lei scosse
vigorosamente la testa, entusiasta: “Sì, sì, Lina Inverse, bravo. E poi c’erano
Gourry Gabriev e…”
Una lieve
contrazione ai lati della bocca turbò la sua espressione gioiosa, ma fu così
rapida che Varnion credette che fosse solo un gioco di luce.
“… e Zelgadiss
Graywords. Poi abbiamo vissuto un oceano di avventure, abbiamo affrontato e
sconfitto ben due Dark Lord… Abbiamo anche conosciuto un mazoku dal carattere
piuttosto strano, tale Xelloss Metallium, e addirittura una draghessa dorata
proveniente dal mondo esterno, la Vestale Maggiore del Re dei Draghi di Fuoco
Philia Ui Copt! Insieme a loro siamo riusciti ad evitare che Dark Star, un Dark
Lord di un altro mondo, distruggesse il nostro universo!”
Mano a mano che
la ragazza parlava, Varnion notava una vaga inquietudine nei suoi occhi, sentimento
che contrastava con l’entusiasmo delle sue parole. Decise di interromperla, nel
caso che il racconto la turbasse, per qualche motivo.
“Ho sentito
numerose storie sul vostro conto, ma la maggior parte di esse erano francamente
incredibili. Si diceva addirittura che questa Lina Inverse avesse ucciso il
Gran Demone Shabranigdu!”
Amelia
s’imbronciò, esagerando comicamente un’espressione offesa: “E’ successo
davvero! Beh… Era solo una parte di Shabranigdu…”
Sorrise
all’espressione incredula di Varnion, consapevole che, se quelle leggende gli
venivano confermate da lei, allora ci avrebbe creduto.
“Io non li
conoscevo ancora all’epoca, ma Lina mi ha raccontato tutto. Il Gran Demone si
era reincarnato niente meno che nel Monaco Rosso Rezo, e lei era riuscita a
sconfiggerlo con l’aiuto di Gourry e Zelgadiss. Infatti Zelgadiss era proprio
il nipote di Rezo, che gli aveva lanciato una terribile maledizione,
tramutandogli il corpo in roccia.”
Varnion era
esterrefatto: allora davvero la famosa Lina Inverse era potente come si diceva!
Ed aveva dei compagni altrettanto formidabili.
“Accidenti, non
potevo crederci! Ma parlami un po’ di loro, che tipi sono queste leggende ambulanti?”
“Lina è una
ragazza straordinaria, sempre piena di risorse, oltre ad essere una maga senza
pari, né qui né nel mondo esterno. Gourry Gabriev invece è un abilissimo
spadaccino, che può in poco tempo sconfiggere una decina di nemici. E Zelgadiss
Graywords è un abile spadaccino E un potente mago, anche se la sua specialità è
la magia sciamanica, non quella nera. In realtà il suo aspetto è inquietante,
avendo il volto incrostato di roccia, e il suo carattere è tutt’altro che
gioviale. Probabilmente se lo incontrassi in una taverna e ci parlassi insieme
ti verrebbe l’istinto di mettergli le mani addosso. Ma in fondo c’è da capirlo.
Ha subito una maledizione che proverebbe chiunque, ed è naturale che si
comporti così. Ma io lo conosco bene, e ti assicuro che sotto il suo aspetto
schivo ed ostile si nasconde un animo generoso e fondamentalmente giusto.”
Ora
l’inquietudine albergava nella mente di Varnion. Come mai Amelia era così
enfatica nella descrizione di questo Zelgadiss Graywords? Che ci fosse qualcosa
fra loro due?
Scese dal
parapetto, atteggiandosi in modo che il chiaroscuro lunare celasse eventuali
espressioni del suo dubbio. Se Amelia si accorse di qualcosa, non lo diede a
vedere.
“Sembrano
davvero dei bravi ragazzi,” azzardò dopo un attimo. “Ti sarai trovata molto bene
con loro.”
“Benissimo,”
annuì lei, enfaticamente. “Anche se a volte Lina è irascibile e a Gourry
bisogna ripetere le cose sempre due volte, sono persone straordinarie. E
Zelgadiss, nonostante tutto, non si fa mai abbattere da nessuna difficoltà, ma,
anzi, è sempre pronto ad aiutarti.”
Il rossore
sulle guance di Amelia non dava adito a dubbi. Cercando di trattenere i battiti
del suo cuore, Varnion si costrinse a sorridere, ammiccante.
“Mi pare di
capire che ci sia qualcos’altro tra di voi, oltre a una semplice amicizia…”
Amelia arrossì
più vistosamente e chinò il capo sorridendo. A sua volta scese dal parapetto e
si voltò, appoggiandovisi, in modo da scrutare l’oscurità dei giardini reali.
Il frinire dei grilli nello spazio vuoto sottostante si sposava con il fruscio
del vento fra le fronde degli alberi.
“E’… difficile
da spiegare,” confessò lei, con un sussurro. “Non ne abbiamo mai parlato.”
Varnion, a poca
distanza da lei, sentì le gambe cedere. Un po’ troppo bruscamente si appoggiò alla
balaustra, dissimulando subito la sua agitazione in un maggior interesse. Di
nuovo la ragazza non si accorse del suo turbamento e continuò a parlare.
“All’inizio fui
spaventata dal suo aspetto poco ortodosso, ma poi ho scoperto la sua lealtà e
il suo buon cuore. E, da parte sua, Zelgadiss sembrava sentirsi meno oppresso
dalla sua maledizione quando era insieme a me. Per questo credo che… sì… c’era
qualcosa in più fra di noi.”
Varnion dovette
sostenere il suo sguardo luminoso senza lasciar trasparire l’angoscia che gli
infestava l’animo.
“Dopo la
distruzione di Dark Star, Zelgadiss mi ha promesso che sarebbe venuto qui a
Seillune, un giorno, e che nel frattempo avrebbe continuato a cercare una cura
per la sua condizione… Ma, Varnion, stai bene?”
Varnion non
stava bene. Era visibilmente impallidito, anche se la sua espressione era
affabile come al solito. Si allontanò dalla balaustra, seguito dallo sguardo
preoccupato di Amelia.
“In effetti
sono molto stanco,” mentì. “Il viaggio è stato lungo ed io ho sopravvalutato la
mia resistenza. Scusami, Amelia, ma credo che andrò a letto.”
Lei annuì, e
fece per prenderlo per un braccio.
“Vuoi che ti
accompagni ai tuoi appartamenti?”
“No, grazie,
non disturbarti.”
“Va bene.
Allora buona notte, Varnion, ci vediamo domani.”
“Buona notte,
Amelia.”
Varnion lasciò
la Principessa di Seillune sul balcone della sala da pranzo, salutando
rapidamente Philionel e suo padre, per poi precipitarsi nei corridoi illuminati
dalle candele del palazzo reale, fino alla sua stanza, dove si spogliò e cadde
subito in un sonno agitato.
L’aurora
spargeva i suoi raggi delicati nel parco del palazzo reale di Seillune,
illuminando le foglie degli alberi e dei cespugli cosparsi di rugiada, dove la
vita microscopica delle aiuole e dei boschetti si risvegliava dal sonno
notturno. L’aria umida di fianco all’antico gazebo di legno bianco di Elemekia
era percorsa dai vibranti richiami degli uccelli, che planavano e picchiavano e
s’impennavano, alla ricerca del pasto mattutino per i loro piccoli cinguettanti
nei nidi. Sulla panca intagliata del gazebo, liberata dal tenue velo di rugiada
che la ricopriva, giaceva, ben ripiegato, un mantello nero, e ai piedi del
sedile, sul pavimento di legno, trattato al fine di tener lontane le tarme,
c’era un’armatura blu con lo stemma di Seillune sul petto.
Amelia
raggiunse il gazebo, frusciando nell’erba corta del prato con la lunga veste
bordata di blu. Posò una mano sull’armatura, riconoscendola come quella di
Varnion. Come mai era già sveglio a quell’ora? E perché si era recato nel
parco?
Uscì dalla
costruzione bianca e rimase ferma, i raggi del sole, già caldi, che le
carezzavano le palpebre. Ripensò all’annuncio misterioso che il suo amico
avrebbe dovuto fare quel giorno e si chiese se fosse il caso di insistere per
sapere di che si trattasse. Concluse che era meglio aspettare ancora qualche
ora, piuttosto che forzarlo. Dopotutto, se si era alzato così presto quella
mattina, probabilmente non voleva essere pressato su un argomento che, Amelia
lo sospettava, sarebbe risultato già di per sé delicato.
Rimase invece
lì, al sole, per qualche attimo. Si ricordò di tanto tempo prima, un’estate
come quella, il profumo dei tulipani in fiore che inebriava l’aria. Lei e
Varnion che giocavano a rincorrersi. Che si erano fermati a riprendere fiato
vicino al fiume che, lontano, verso nord, in quel punto sfiorava il parco
reale. Dal giorno della partenza di Varnion non c’era più stata. Forse il
ragazzo vi si era recato, per ricordare quei giorni ormai lontani.
Al ricordo di quei
giorni venne invasa dal desiderio di ritornare in quel luogo isolato e di rincontrarvi
Varnion, come se il tempo non fosse passato. Sorridendo entusiasta all’idea di
fargli una sorpresa vi si incamminò a passo spedito.
Ed infatti,
Varnion era là.
Il fiume
scorreva placido nel bosco, tagliandovi una radura netta, ornata di erba e
fiori. Sulla sponda settentrionale gli alti alberi parevano protendersi verso
l’acqua, assetati, mentre su quella meridionale il parco digradava in un
declivio erboso, circondato a destra e a sinistra da balze scoscese e franose,
ricoperte di sottobosco. Su un masso accanto alla più bassa sporgenza di
sinistra giaceva la casacca blu con lo stemma di Seillune del giovane, che
stava ritto, immobile, al centro della radura. Aveva una benda nera sugli occhi
e il torace, nudo e sudato, mostrava i muscoli, non eccessivamente vistosi,
tesi, in preparazione di uno scatto. La testa era leggermente reclinata, come
se fosse in ascolto di ciò che gli stava attorno.
Amelia, appena
uscita dal boschetto a sud del fiume, lo vide muoversi lentamente, in circolo,
la spada sollevata in posizione di guardia. Per un attimo il cuore le sobbalzò
nel petto, al pensiero che fosse sotto attacco da nemici invisibili, poi notò
la benda sui suoi occhi e comprese che doveva trattarsi di uno strano
allenamento. Sin da quella distanza si vedeva il sudore sul suo petto e le sue
spalle, per cui una pausa non gli avrebbe fatto altro che bene. La ragazza
mosse un passo sull’erba soffice, in direzione dell’amico.
Il sommesso
fruscio della sua veste, nonostante la distanza, fu sufficientemente rumoroso
da spiccare sul sottofondo di acqua corrente, trilli, balzi, gracidii e
stormire di foglie. Varnion comprese che qualcuno si stava avvicinando.
Puntò in un
attimo la spada in direzione di Amelia, irrigidendo i muscoli, quasi fosse pronto
allo scontro.
“Chi va là!”
sbottò. Uno stormo di uccelli svolò da un albero sulla riva settentrionale del
fiume, pigolando la propria indignazione per quel grido così fuori luogo.
Amelia si bloccò, non aspettandosi un’accoglienza del genere. Il giovane si
tolse la benda con la mano libera, e quando vide chi era la sua visitatrice
abbassò subito la lama.
“Scusami! Ti ho
spaventata?” disse con espressione preoccupata, mentre faceva un passo verso
la ragazza.
Effettivamente
l’aveva spaventata, sì. Ma non eccessivamente. Si scosse e si avvicinò a sua
volta a Varnion, sorridendo.
“No, no,
figurati. Sono venuta a farti una sorpresa, ti disturbo?”
“Non disturbi
mai, Amelia.”
Lei ridacchiò e
si sedette verso un masso vicino al fiume, lo stesso su cui soleva sedersi da
piccola, quando raggiungevano quel luogo e mentre riprendevano il fiato
fantasticavano dei mondi lontani da cui giungeva quell’acqua ridente.
Agli occhi di
Varnion era ancora quella bambina. Piantò la spada in terra, raccolse lo
straccio che si era portato dal palazzo, abbandonato a terra dietro la casacca,
e si asciugò rapidamente il torso.
“Mi stavo
allenando con la spada,” disse, per spezzare l’incanto che gli stava facendo
battere il cuore più velocemente.
“L’avevo capito,”
notò Amelia sorridente.
“Come sapevi
che ero qui?”
“L’ho
immaginato,” sorrise. “Questo è il nostro posto, ho pensato che saresti venuto
qui.”
“Complimenti
per l’intuizione,” sorrise a sua volta, riprendendo fiato.
Amelia indicò
la benda nera che ancora gli pendeva dalla mano.
“Perché eri
bendato?”
Varnion la
sollevò e sorrise, disteso. Parve sentirsi più a suo agio.
“Si tratta di
un allenamento speciale che ho imparato da un popolo boschivo durante i miei
viaggi. Mira ad accrescere la sensibilità dell’udito, in modo da poter
combattere agevolmente anche in assenza di visibilità.”
Amelia lo
guardò con interesse.
“Di che popolo
si trattava?”
“Ne avrai di
certo sentito parlare nelle leggende: erano gli elfi.”
La ragazza
balzò in piedi.
“Gli elfi?!”
sbottò, incredula. “Sapevo che erano estinti da secoli!”
Lui sorrise,
piacevolmente colpito dalla meraviglia suscitata nella sua amica.
“In realtà ne
sono rimasti molto pochi, e anche questi pochi generalmente non si fanno vedere.
Devono giudicare una persona degna di entrare in contatto con loro perché si
mostrino.”
“E tu sei stato
giudicato degno?”
“Ebbene sì.”
Varnion si
sentiva orgoglioso di avere delle storie così belle da raccontare ad Amelia, e
avrebbe voluto che quel momento non finisse mai. Guardò con soddisfazione gli
occhi sgranati della ragazza e proseguì.
“Mi hanno
accolto fra di loro come un amico, arrivando addirittura ad insegnarmi le loro
tecniche di combattimento.”
“Ho sentito
dalle leggende che erano… che sono esseri spirituali. Devi aver visto cose
prodigiose nel loro reame!”
“Sì, sono
esseri spirituali, ma non lo diresti mai dal loro atteggiamento. Sono giocosi e
sempre allegri, ed ogni sera si festeggia con una bevanda magica che
irrobustisce il corpo e tempra lo spirito. E oltre alle tecniche di
combattimento mi hanno insegnato anche alcuni incantesimi di magia sciamanica e
magia bianca, che a loro viene molto più naturale che a noi umani.”
Amelia pendeva
dalle sue labbra e Varnion sentiva l’ebbrezza di lasciarsi trasportare dal
racconto.
“Durante la mia
permanenza in quella foresta ho anche sfidato i giovani guerrieri elfi in
numerosi combattimenti d’allenamento. Quelli anziani, per niente infiacchiti
dalla vecchiaia, erano infatti troppo forti e abili per chiunque laggiù. E fu
durante questi combattimenti che mi attribuirono addirittura un soprannome, per
la mia furbizia e agilità.”
“Un
soprannome?” ripeté Amelia, rimasta a bocca aperta per tutto il racconto del
giovane.
“Sì,” annuì
lui, sorridendo un po’ imbarazzato. “Mi chiamavano Volpe. Volpe del Sottobosco.”
A quelle parole
gli occhi di Amelia brillarono di una luce intenerita e sottilmente minacciosa.
“Volpe del
Sottobosco, eh?” citò, facendo un passo in direzione di Varnion. Questi sapeva
che lei stava architettando uno scherzo, ma la cosa non lo infastidiva. Anzi,
gli provocava un immenso piacere. Quando la ragazza fu a pochi centimetri da
lui, non avendo notato tentennamenti da parte sua, veloce sollevò una mano e
gli scompigliò i capelli, mormorando affettuosamente: “Somigli davvero a una
volpe, Varnion.”
Solo in quel
momento il ragazzo si accorse di quello che stava succedendo. Quella notte,
dopo essersi svegliato da un incubo terribile di cui non ricordava il
contenuto, si era ripromesso di non concedersi più alcun momento di intimità
con Amelia, ormai conscio che c’era qualcuno di importante nella sua vita che
non poteva essere sostituito. Per questo all’alba era andato ad allenarsi in
quel luogo, da solo, riprendendo quell’antica e rustica abitudine appresa nei
lunghi anni di viaggio. Avrebbe voluto evitare di restare solo con lei in modo
che il suo amore non potesse in nessun modo esprimersi, rischiando di farla
soffrire. Ma invece era stata lei ad andare da lui.
“Un tenero
volpacchiotto, tutto da coccolare,” stava dicendo Amelia, portando anche
l’altra mano verso i suoi capelli castani e sbilanciandosi, con l’evidente
intenzione di accarezzarlo e gettargli le braccia al collo, in modo casto, come
avevano fatto decine di volte quando erano bambini.
No! Non poteva
accadere! Se lei l’avesse abbracciato, in quel momento, lui non sarebbe più
stato in grado di trattenere il proprio amore! Avrebbe dovuto confessarglielo,
confessarle perché il suo volto si rigava d’improvviso di lacrime di dolore,
perché tutta la sua forza scemava in un colpo, facendogli tremare le gambe,
costringendolo a cadere al suolo, vinto da una forza che si sarebbe fatta
incontrastabile!
Ma le braccia
di Amelia erano ormai troppo vicine. Affondarono nei suoi capelli per poi
scendere al collo e stringerlo, costringendolo a sentire il suo corpo contro il
proprio. Ed allora l’abbracciò a sua volta, affondando il volto nei suoi
capelli, reggendola per evitare che cadesse, mentre lei rideva felice.
L’abbracciò e la strinse a sé, forte, ma non tanto da farle male. Sapeva che
quella era l’ultima volta che l’avrebbe mai abbracciata. Lei rideva, ma lui
restò in silenzio, gli occhi chiusi quasi a non lasciar sparire l’impressione
dei loro corpi uniti. Amelia dovette accorgersi di qualcosa di strano nel suo
abbraccio, perché si irrigidì lievemente. Varnion allora capì che l’incanto era
finito. La lasciò, un tremito nelle mani troppo lieve per essere percepito da
lei, e si costrinse a sorridere, allontanandosi da lei come se il gioco fosse
finito. Sul suo volto di bambina vide che l’espressione di sorpresa dovuta
all’intensità del suo abbraccio veniva sostituita dalla solita gaiezza, e non
pensò più alle proprie sensazioni. Ma sapeva che avrebbe dovuto cambiare
argomento, oppure il gioco sarebbe ricominciato, e lui non sarebbe più stato
capace di provi termine.
“Ad ogni modo,” iniziò. “Mi hai detto che il
tuo amico Zelgadiss Graywords è affetto da una maledizione che ha tramutato il
suo corpo in pietra.”
Fra tutti gli
argomenti che poteva scegliere quello era l’ultimo che avrebbe voluto.
“Come ti
dicevo, fra gli elfi vi sono molti praticanti di magia bianca. Se lui ha un
cuore puro ed è stato maledetto da un incantesimo di magia nera, forse loro
potrebbero aiutarlo.”
La gioia di
Amelia si trasformò in un dubbio malinconico.
“Non conosco i
dettagli, ma non si tratta di una vera e propria maledizione. Vedi, quando era
ancora umano si allenava costantemente in tutte le arti, per diventare sempre
più potente. Un giorno, il Monaco Rosso decise di accontentarlo con un
incantesimo. Lo rese più potente di quanto avrebbe mai potuto diventare, ma in
cambio gli portò via la sua umanità, rendendolo una chimera dal corpo di
pietra.”
Quindi, in fin
dei conti, Zelgadiss se l’era cercata la sua maledizione, pensò Varnion.
“Da quel
giorno,” riprese Amelia, “ha costantemente cercato una cura per la sua
situazione, per recuperare il suo aspetto umano. Anche se il suo cuore era
sempre rimasto buono e generoso.”
“Quindi si è
unito a voi solo perché poteste aiutarlo a cercare una cura,” azzardò Varnion.
“All’inizio era
così, credo,” rispose Amelia, abbassando il tono della voce. “Ma poi si è
affezionato a noi e ci ha aiutato nelle nostre diverse missioni, anche a
rischio della vita. Però dopo la distruzione di Dark Star ha preferito
continuare la sua ricerca…”
Due lacrime
brillarono agli angoli degli occhi della ragazza.
“Gli ho
regalato uno dei miei talismani e lui ha promesso che sarebbe venuto a Seillune…
ma…”
Varnion vide le
lacrime di Amelia, e fu come se nel suo cuore scoppiasse un incendio. Non bastava
che Zelgadiss l’avesse illusa, ma ora la stava anche facendo soffrire!
La rabbia del
giovane dilagò senza più freni. Afferrò la spada e la divelse dal terreno dove
era stata piantata, colpendo con un ampio arco il tronco di un albero morto,
affondando la lama nella corteccia decrepita fino a tagliarlo in due. Quel
movimento improvviso fece sobbalzare Amelia, che lo guardò spaventata
asciugandosi le lacrime.
“Non serve
venire a patti per diventare forti,” mormorò a denti stretti lui.
Amelia,
titubante, fece un passo verso di lui, ma, altrettanto improvvisa come era
comparsa, la collera defluì dai suoi lineamenti, che tornarono cordiali come
sempre. Avrebbe voluto chiedergli cosa intendeva con quelle parole, e perché era
uscito con quel gesto violento, ma preferì non toccare l’argomento. Lui
sorrideva. Lei sorrise a sua volta, scacciando la malinconia di poco prima.
“Comincio ad
aver fame,” disse il ragazzo. “Tutta quest’attività fisica di prima mattina è
sfiancante.”
“Mi trovi d’accordo,”
ammise lei. “Do subito ordine di preparare la colazione.” E si incamminò su per
il declivio.
“Precedimi, io
mi fermo a farmi un bagno qui al fiume.”
Amelia annuì,
sorridendo, e scomparve nella foresta. Varnion attese che anche i flebili
rumori dei suoi passi scomparissero in lontananza. D’un tratto digrignò i
denti, emettendo un sordo ringhio. Con gli occhi ridotti a due fessure, il
volto contratto, sollevò di nuovo la spada e sferrò un poderoso fendente contro
una roccia vicino al fiume. Il metallo elfico vibrò nell’aria la sua nota acuta
e la roccia si spezzò.
Quel giorno il
re aveva convocato i nobili e i dignitari di corte per un grande
banchetto in onore del ritorno di Varnion, durante il quale il ragazzo avrebbe
svelato il motivo del suo improvviso ritorno. Al tavolo principale sedeva il
re, affiancato a destra da sua figlia e a sinistra dal capitano delle guardie,
a sua volta affiancato da Varnion. Malgrado le
insistenze, il giovane mantenne il segreto fino alla fine del pasto. Quando
Amelia si era quasi rassegnata che la promessa fosse solo
uno scherzo, Varnion si alzò in piedi, ridestando l’attenzione di tutti i
presenti.
“Padre,” disse, prendendo il calice con il vino e alzandolo in
direzione di ciascuno dei commensali. “Vostra Maestà, Vostra Altezza. Mi
rincresce di avervi fatto attendere fino ad ora, ma volevo scegliere le parole
adatte per esprimere la mia decisione.”
Seguì un
momento di silenzio carico di aspettative, rotto
infine da Philionel: “Spero che tu l’abbia presa, alla fine, non so se
riusciremo ad attendere un altro giorno!”
Tutti risero a
quell’uscita, ma si vedeva che tutta l’attenzione era per Varnion. Abbassò lo
sguardo.
“In questi
lunghi anni ho viaggiato molto. Ho appreso nuove tecniche di spada e nuove
conoscenze; ho visitato molti popoli e appreso le loro usanze. Sono addirittura
andato nel mondo esterno, due anni fa, sulle tracce della Principessa Amelia.
Ma un giorno giunse il momento in cui pensai di essere
pronto. Pronto a ritornare e prendere il posto che mi spetta.
Padre,” riprese, volgendo gli occhie sorridendo al suo genitore ormai anziano,
sempre più sorpreso. “Sono tornato per restare e prendere il mio legittimo posto accanto a voi, padre, come erede della
carica di capitano delle guardie.”
Un profondo silenzio scese
nella sala gremita di dignitari e da tutto il tavolo d’onore si alzarono
su di lui occhi stupiti e bocche tenute aperte dalla sorpresa. Poi da un punto
imprecisato del salone si alzò un applauso ed un grido di giubilo, subito
ripresi da tutti gli altri invitati, lasciando per ultimi il re e i suoi ospiti.
Varnion scrutò
gli sguardi di Philionel, di suo padre e di Amelia,
che gli trasmettevano l’uno quieto divertimento, l’altro orgoglio e l’ultimo
una strana sensazione, un misto di tenerezza e malinconia. Ma
sapeva di dover nascondere le emozioni che avrebbero tradito il suo vero stato
d’animo, perciò sorrise e rispose all’abbraccio con cui suo padre, mosso fino
alle lacrime dalla rivelazione, lo stava stringendo. Subito dopo aver
confermato le sue parole davanti alle domande incredule dell’anziano capitano
delle guardie, cercò con lo sguardo l’unica cosa che
in realtà voleva vedere in quel momento.
Amelia stava
applaudendo con tanta foga che sembrava tutta concentrata nello sforzo di
fargli sentire il battito delle sue mani. Nei suoi occhi e sulle sue labbra
campeggiava un’espressione di gioia come Varnion non l’aveva mai vista se non
nei lontani ricordi d’infanzia, quando erano ancora liberi e spensierati ed il
più piccolo piacere portava una felicità indescrivibile. Varnion è tornato per
restare con me: questo doveva pensare la Principessa di Seillune. Ma non sapeva
che il cuore di Varnion era in fiamme, perché non poteva stare con il cuore di lei, così lontano, perduto alla ricerca di un cuore
di pietra che forse non sarebbe mai più ritornato. Nonostante la morte che gli
scorreva nelle vene, il giovane sorrise ad Amelia e
provò una grande pace, un calore di quiete che per un brevissimo attimo gli
fece dimenticare la sua sofferenza. Per un momento si sentì solamente felice di
essere in compagnia della ragazza che amava e che ora gli stava sorridendo,
liberandolo dall’angoscia. E per questo le fu
immensamente grato.
Quando il clamore diminuì fino a scemare fu Philionel ad
alzarsi con il calice in mano, sollevandolo verso Varnion, con uno sguardo di
sincera sorpresa.
“Figliolo,” esordì, “questa è veramente una sorpresa, forse la
migliore delle sorprese che potevamo aspettarci di questi tempi! Beh, dato però
che è una sorpresa forse non potevamo aspettarcela…”
Risa compite ma
rilassate risuonarono brevemente nella sala alla battuta di spirito, forse non
ricercata, del re. Questi ridacchiò a sua volta, forse rendendosi conto di aver
detto uno sproposito e bevve un breve sorso di vino prima
di proseguire.
“Ad ogni modo,
permettimi di farti le migliori congratulazioni per la tua scelta, perché così
facendo Seillune ha trovato un ottimo guardiano, il mio vecchio capitano
Shyrien Dartelyon ha ritrovato il suo erede, mia figlia Amelia un amico
d’infanzia ed io qualcun altro da tormentare con le mie iniziative!”
Alle risa
seguirono gli applausi, che sovrastarono il brindisi proposto da Philionel per
Varnion. Il ragazzo dovette sforzarsi a sorridere al
re e a suo padre, ora di nuovo in lacrime, e alla sala gremita di gente. Ma soprattutto dovette sforzarsi di distogliere gli occhi da
Amelia, l’unico motivo di restare che ora gli sembrava avesse importanza. Per
tutto il tempo del discorso di suo padre, la principessa era rimasta attenta
alle sue parole, con ancora il sorriso sulle labbra. Varnion
credette di vedere nella tensione del suo volto la promessa di una maggiore
gioia, una volta che il banchetto ufficiale fosse finito e lei avesse
potuto correre da lui, abbracciarlo, scompigliargli i capelli, ringraziarlo di
essere tornato e di restare con lei, specialmente in un momento come quello, in
cui…
Il flusso di
pensieri del giovane si interruppe bruscamente. Era vero, quello era un momento triste per la giovane
principessa del suo cuore. Ed era triste a causa di un essere che aveva
preferito la ricerca di una cura per la sua condizione all’amore
di lei. Un essere che aveva preferito una via facile e veloce per
ottenere una grande potenza a scapito della sua
umanità. Un essere che non la meritava.
Varnion strinse
un po’ la mascella, soffocando la sua ira, ma nessuno se ne accorse.
E concluse che, se fosse stato necessario, avrebbe compiuto il sacrificio che quell’essere non aveva compiuto. Sarebbe rimasto con lei,
con la sua Amelia, pur se non amato, lacerato dal dolore, ma con lei. Le avrebbe
reso meno tormentose le giornate che passava
struggendosi per una chimera dal cuore di pietra, senza sapere se l’avrebbe mai
più rivista. E se un giorno quel mostro, Zelgadiss
Graywords, si fosse presentato a palazzo, pretendendo il diritto ingiusto di
amare Amelia senza aver fatto nessun sacrificio, lui…
Si sarebbe
forse tirato indietro?
Avrebbe chinato
il capo, traendosi in disparte sapendo che una creatura dal cuore freddo veniva amato di un amore a lui mai concesso?
Esitò prima di
darsi una risposta. Per amore di lei, forse sì. Si sarebbe fatto meno presente,
lasciando lentamente il suo posto al fianco di Amelia
a Zelgadiss, e si sarebbe spento in silenzio, incapace di vivere, e tuttavia
incapace di confessare tutto al suo amore. Lei non si meritava la sofferenza
che quella confessione le avrebbe portato. Lui non
meritava di sparire così dopo una vita di sacrifici. E
Zelgadiss non meritava di essere amato da Amelia.
Era ingiusto.
Nemmeno Varnion
seppe come fece a mascherare l’inferno che ardeva nel suo cuore ferito per il
resto dei festeggiamenti, che durarono più di un’ora. Seppe solo che al
termine, le orecchie ancora ronzanti per il baccano e per la musica, barcollava
lentamente nel corridoio che l’avrebbe portato nei suoi alloggi.
Quando giunse finalmente nel suo appartamento, chiuse velocemente
la porta alle proprie spalle e vi si appoggiò pesantemente contro.
Contrariamente a quanto generalmente ci si aspettava nei confronti
di un appartamento del Palazzo Reale, quello era particolarmente spartano e
sobrio.
Era stato
proprio il giovane ad insistere, allorché era arrivato, di non essere
alloggiato in modo estremamente sfarzoso.
Ormai quel
mondo di decorazioni ricche e barocche, di tappeti, tende e splendidi arazzi,
aveva cessato di appartenergli da tempo.
Annebbiato, il
suo sguardo vagò sul mobilio in legno rigorosamente
nero e lucido, sul letto a baldacchino dalle semplici colonne e il tendaggio
dorato, senza che riuscisse a muovere un passo.
Un nuovo
capogiro lo costrinse a scuotere il capo. Troppi brindisi. Troppi e
inopportuni.
Brindisi…applausi…inchini…congratulazioni…
“Bentornato”
“I miei migliori
auguri…”
“Le Guardie Reali
avranno un avvenire prodigioso…”
… e altre baggianate simili.
…
Non sono abituato a bere così tanto, mi sento strano…
Ma è davvero colpa
del vino?
O forse la colpa è
di un nettare infinitamente più dolce e infinitamente più corrosivo della lava?
Ammesso
che la colpa sia sua. Come non è.
Come se fosse privo di forze, prese a spogliarsi lentamente, con
svogliatezza, del manto lanciandolo con noncuranza contro una poltrona lì di
fianco. Mancandola. Non se ne curò.
Cosa posso fare per te?
Cosa posso fare per me?
Cosa posso fare per
noi?
Siamo davvero
racchiusi in un labirinto senza via d’uscita?
Stancamente,
l’armatura venne abbandonata sul pavimento insieme
alla spada.
Tremule, le
luci delle candele si riflettevano vivide sull’acciaio. Gli occhi del giovane
fissarono quegli iridescenti giochi di luce come incantati, ma in realtà quello
sguardo osservava senza realmente vedere.
Quando ho rimesso piede a
Seillune, ero felice.
Mi chiedevo: “ Avrà
trovato qualcuno che è stato in grado di renderla felice?” “Sarà diventata una
Paladina della Giustizia come quando giocavamo agli eroi da bambini?”
Mi chiedevo tutto
questo e nonostante tutto ero felice.
Avevo viaggiato, avevo
appreso, sono tornato.
Tornato più forte e
più agile,con quelle nuove conoscenze
cha mi avrebbero permesso di proteggerti sempre e per
sempre.
Almenoera questo che pensavo.
Ma posso proteggerti
da te stessa?
E posso proteggere
me stesso da ciò che ti sta dilaniando? E che dilania
me?
Cosa vuoi che faccia
per te?
Cosa devo fare per
ridarti il sorriso?
Vuoi che vada a
cercarlo?
Vuoi che lo riporti
da te?
Vuoi che parli agli
Elfi di quell’infame?
Vuoi che mi prostri
per lui?
Ti renderebbe
felice?
Lo saresti davvero?
Quel mostro ti renderebbe davvero tale?
Già…quel
mostro…qualunque sia il suo difetto fisico non conta
nulla…quella suadeformità è dentro di
se [Citazione e Omaggio da "Il Fantasma dell'Opera" NdA] e contro questo non c’è rimedio.
Ed io?
Ti amo così tanto
da essere disposto ad umiliarmi così?
A cadere nella
polvere, mandando la mia dignità in frantumi?
Si, indubbiamente
la risposta è si.
Mi domando se
questo è essere uomini o in realtà sono solo un debole
che fugge dal dolore di un aperto rifiuto.
E cosa dovrei fare??
Cosa potrei fare??
Uscire ora da
questa porta, senza armatura, con la camicia semiaperta e i capelli sciolti,
come un folle, correre ai tuoi appartamenti, bussare come un forsennato alla
tua porta, gettarmi in ginocchio e dirti in lacrime “Amelia, io ti amo,
dimentica quell’essere e giurami che sarai mia” ?
A quale scopo?
Per farla soffrire
ancor di più?
Per addossarle il
peso della mia sofferenza oltre a quello che già la divora e a cui non vuole sottrarsi?
No, mai!
MAI!
Vada in pasto ai
lupi la mia dignità, ma che lei non soffra!
…
Maledetto
Zelgadiss, io…
Feroce, un
conato gli assalì la bocca dello stomaco facendogli cedere le gambe.
Con un tonfo
sordo Varnion si accasciò sul pavimento. Fece appena in tempo a trascinarsi
contro il vaso da notte prima di rigettarvi dentrotutto il doloreche aveva in corpo insieme ai troppi calici
di vino e la cena.Quando
alcuni minuti dopo ebbe terminato, si rialzò stancamente aggrappandosi alle
coltri.
Come se quel
gesto gli fosse costato una fatica estrema si lascio
cadere prono sul letto.
Non è giusto…non è giusto…maledizione…perché…?
Solitaria, una
lacrima balenò sul suo volto alla luce della luna che irrompeva dalla finestra
di fronte.
Nel frattempo,
solo un’ora dopo, anche Amelia fece il suo ritorno agli appartamenti Regali
della Reggia.
“Grazie per
avermi accompagnata” sorrise gioiosa alle ancelle che l’avevano scortata fin
lì. “ potete andare a riposarvi.”
“Buonanotte,
Vostra Altezza.”
“Buonanotte”.
Le due giovani si inchinarono profondamente verso la futura Sovrana di
Seillune, per poi proseguire nel lungo corridoio sparendo tra le flebili luci
delle candele.
Quando chiuse la porta, la Principessa di Seillune lasciò
andare un lungo sospiro di sollievo. Finalmente lontana da quel baccano.
Sorrise lievemente quindi si diresse verso il letto. Sembrava felice. Improvvisamente lanciò un piccolo gridolino e si lanciò sul
materasso ridacchiando sommessamente. Per un attimo sembrava essere
tornata la bambina di sempre.
Che bello, che
bello, che bello!
Varnion è
tornato per restare qui! Non se ne andrà più, saremo
di nuovo insieme come facevamo da bambini!
“CHE SOGNO!”
Esclamò ridendo
ora con più forza ricordando i lontani giorni d’infanzia. Chiuse
per un attimo gli occhi e una delle scene che più era cara al suo cuore le
invase la mente come se fosse accaduta solo pochi giorni prima. A
quell’epoca lei aveva sette anni e lui dieci.
Come sempre si
erano rifugiati in quel bosco che era diventato…
…Il nostro posto
segreto…
…dopo che la Principessina era scappata da una noiosa lezione di bon
ton ed aveva recuperato nel tragitto il suo amico intento ad allenarsi con uno
spadino.
E come sempre,
lei aveva deciso di dare prova di quanto fosse valida
come Paladina della Giustizia.
“Amelia, fai
attenzione!”
Me l’hai detto non so quante volte…
Ma lei, non aveva minimamente ascoltato l’avvertimento di
quel bambino dai luminosi occhi nocciola ed il piccolo codino ed intrepida
aveva continuato a sporgersi sul ramo dell’albero dove si eraarrampicata per decantare le Virtù di
Giustizia e Bontà.
“Amelia, non
andare troppo in avanti!”
“Non ti
preoccupare, mio fido assistente, chi combatte per la giustizia è invincibil…EEEEEEEEEEH!!!”
Il ramo si spezzo con un sonoro crack e la Principessina, non si sa
come atterrò sul morbido.
A quel ricordo,
Amelia scoppiò in una nuova risata.
Si, so che non è
giusto…ma eri così buffo con quel bernoccolo in piena
fronte…!
Si rigirò sul
letto continuando a ricordare.
Quando ti vidi con
quel piccolo corno sulla fronte, non potei fare a meno di ridere, scusami!
Quando mi resi conto
che ti eri effettivamente fatto male per attutirmi la caduta, mi sentii veramente
tanto in colpa.
Addirittura
temetti che non avresti più voluto parlarmi.
Allora si che stavo realmente per piangere. Ti eri fatto male per
me ed io ti avevo praticamente riso in faccia.
Invece trattenesti le
lacrime e mi sorridesti per rassicurarmi.
“ Se hai intenzione di stendere così i cattivi, sarai la
Miglior Paladina della Giustizia del Mondo!”
Mi rendesti
felice.
Lentamente il
riso sfrenato lasciò il posto ad una calda sensazione di tenerezza.
Ora che sei di
nuovo qui, tutto potrà essere come allora…
Attendere
le pause dagli addestramenti e dagli impegni di Corte per correre nel nostro
posto segreto, schizzarsi con l’acqua del fiume, arrampicarsi sugli
alberi, giocare a rincorrersi, oppure alla Paladina della Giustizia e il suo
fido aiutante…
Un breve risata sommessa ne scosse di nuovo le spalle.
Sarebbe
meraviglioso…
Abbiamo tante
storie da raccontarci, tante avventure da condividere…
Hai addirittura
conosciuto gli Elfi!
Sono sicura che
vorrebbe conoscere qualcosa di loro anche Zel…
Il sorriso le
morì sulle labbra e il calore di quei teneri ricordi spense improvviso come la
tenue fiammella di una candela.
Senza dire una
parola, Amelia si levò dal letto e si avvicinò alla finestra.
Piano, ne
spalancò le imposte e una brezza leggera le investì il volto.
Inspirò
profondamentee alzò lo sguardo al
cielo. La luna riluceva silenziosa nel firmamento.
Fu una
questione di pochi secondi e quegli occhi blu si riempirono di lacrime sfocando
l’immagine dell’Astro.
Quante notti…
Quante notti
trascorse sotto al cielo sono rimasta a fissare la tua
sagoma seduta in disparte, lontana dal fuoco da campo, dagli altri, da me,contro la luce della Luna?
Il sole al
tramonto disegnava lunghe ed inquietanti ombre tra i massi di pietra rossa del
deserto, mentre un insistente e fastidioso vento caldo sollevava nuvole di
sabbia. Tra le rocce, nonostante le avverse condizioni, una figura solitaria si
muoveva, apparentemente concentrata nello studio di ciò che aveva in mano: una
pergamena e una bussola. Gli occhi blu dell’individuo saettavano dall’una
all’altra, incuranti della sabbia che vorticava tutto attorno. Poi, come se
avesse all’improvviso avesse preso una decisione, ripose gli oggetti in una
tasca del mantello, biancastro come la tunica ed i calzoni e si
incamminò verso una voragine poco più a nord.
Forse questa è la
volta buona.
La volta in cui
riuscirò a tornare umano.
La volta in cui
cesserò di guardare con disprezzo il mio riflesso, immagine vivente della mia
stoltezza.
Dal bordo del
baratro, inaspettatamente, una sottile linea di gradini sbrecciati, ma di sicuro artificiali, affondava nell’oscurità. Zelgadiss si abbassò il bavero e sollevò la mano sinistra,
bisbigliando qualcosa. Subito una piccola sfera di luce apparve sopra il suo
palmo, e si innalzò un po’, illuminando l’ingresso di
quello che sembrava l’entrata ad una costruzione sprofondata nel deserto. La
chimera si guardò attorno, sospettosa, come ormai era solita fare, ma nessun
inseguitore avrebbe potuto nascondersi in quella piatta desolazione, interrotta
solo di tanto in tanto da scarne rocce erose dal
vento. Dopotutto, nessuno avrebbe avuto motivo per seguirla laggiù, ma quella di
guardarsi attorno sospettosa era un’abitudine che
aveva acquisito dopo anni di vagabondaggi, e più di una volta le aveva salvato
la vita.
Senza esitare
ulteriormente, con la sfera di luce che galleggiava poco sopra la sua spalla
sinistra, Zelgadisssi immerse
nell’oscurità.
Mano a mano che
scendeva il fischio tormentoso del vento si attenuava,
come pure la luce del sole morente, ma grazie all’incantesimo Lighting erano visibili i resti di alcune colonne costruite
con una pietra nera che sembrava assorbire la luce anziché rifletterla, oltre a
rientranze nella parete sulla sinistra che sembravano aver ospitato delle
grandi statue un tempo. In fondo alla lunga scalinata – ormai il sole era
tramontato e nessuna luce traspariva dall’alto – c’era un varco monumentale
nella parete rocciosa, circondato da detriti di ogni
genere. Al di sopra del portale, Zelgadiss
riuscì ad intravedere i profili di alte guglie, appena meno oscuri dello sfondo
tenebroso. Accanto alla parete di sinistra dello strapiombo c’era un’antica
statua di pietra sbrecciata, che rappresentava però senza
ombra di dubbio un drago.
Il tempio perduto
di Lanngourt, Re dei Draghi della Terra.
Zelgadiss rimase immobile davanti all’imponente arco,
scrutando alla debole luce del Lighting gli elementi
architettonici più evidenti.
Molti archeologi
venderebbero l’anima per essere qui al mio posto.
Che ironia: peccato
che io sia qui per tutt’altro motivo che una visita
di piacere.
Si tolse il
cappuccio che ancora copriva i suoi capelli di metallo ed avanzò nell’oscurità
dell’arco, i sensi tesi a percepire ogni minima traccia di pericolo.
Entrò in un
vasto ambiente, in cui i suoi passi rimbombavano cupi. Durante i giorni di
gloria di quel tempio era probabilmente il salone principale in cui venivano svolti i rituali dai draghi dorati, ma ora sembrava
solo una grande e vuota caverna. Ad entrambi i lati di Zelgadisssi intravedevano solo vagamente le pareti, mentre di
fronte a lui non c’era traccia di un altare, ma la navata sembrava proseguire
all’infinito.
Secondo le
informazioni che aveva ottenuto, un potente guaritore di nome FarasiaDren si era ritirato anni
prima in quel luogo sacro, a meditare. Era noto per essere un infaticabile
studioso, tanto che si era fatto costruire nelle profondità della cripta del
tempio un laboratorio perfettamente attrezzato, in modo che potesse proseguire
i suoi studi sull’arte della guarigione anche nel suo isolamento completo.
Questo era il vero motivo che aveva spinto Zelgadiss
ad affrontare il deserto ed a scendere in quel luogo.
La sfera di
luce, che già aveva dato segni di cedimento, tremolò e si spense. Subito Zelgadiss mormorò “Lighting” ed
una nuova sfera di luce apparve sulla sua mano sinistra. Ed
all’improvviso si rese conto di non essere solo. Qualcosa si era mosso di
fronte a lui, nell’oscurità, ai limiti della zona illuminata. Un lieve sorriso
sarcastico increspò le labbra della chimera.
Era fintroppo facile.
“Quale onore,
un ospite!” esordì una voce metallica, che sembrava provenire dalla sua destra.
Subito Zelgadiss si voltò per fronteggiare il nuovo
venuto, ma si rese conto di aver fatto un gesto inutile. Come se avessero
ricevuto un ordine silenzioso, una dozzina di corpi si mossero tutto attorno a
lui. Con un cenno liberò il Lighting, che si innalzò nella vasta navata allargando il campo
d’illuminazione e mostrando i volti scavati ed incartapecoriti delle creature
che aveva disturbato. Con una morsa allo stomaco, Zelgadiss
comprese che i suoi peggiori timori si erano realizzati.
Non morti…
“Spero che
perdonerai la mancanza di cortesia dei miei compagni…” La voce si era spostata,
senza che vi fosse un movimento nel cerchio di zombi, ed ora sembrava tagliare
la via di fuga verso l’arco d’entrata. “Però quaggiù non riceviamo molte
visite.”
“Nessun
problema,” rispose Zelgadiss,
giocando allo stesso gioco del suo interlocutore in modo da guadagnare tempo e
farsi un’idea della situazione. Nessuno degli zombi di fronte a lui sembrava
dotato di intelligenza, quindi probabilmente erano
tutti animati dalla magia di un altro essere, il proprietario di quella voce.
Forse uno stregone, oppure…
“Il problema
c’è in realtà, signor spadaccino dai capelli viola –
ora la voce si era spostata nei pressi dell’altare, ancora invisibile – perché,
vedi, non amiamo molto la compagnia di altre creature, a meno che certo non
decidano di unirsi a noi. In caso contrario… Beh, diciamo che ben pochi
decidono di farlo, eppure il nostro numero continua ad aumentare, chissà
perché!”
La sciocca
risatina dell’essere risuonò nel tempio, ed i non morti
presero a muoversi in sintonia, girando in cerchio, e Zelgadiss
notò che ciascuno era dotato di una spada arrugginita.
“Non sono
venuto qui per disturbarvi,” riprese la chimera,
scrutando l’oscurità per cercare il padrone di quegli zombi, “tuttavia credo
che non mi lascerete passare indisturbato, vero?”
“Perspicace,
amico mio.” I mostri si erano fermati, e la voce era di nuovo verso l’uscita. “O forse dovrei dire mio nemico. Ti ho riconosciuto sai, ZelgadissGraywords? Ricordo quel
che avete fatto tu e i tuoi dannati compagni al mio padrone.”
Un’altra copia di Vulgrum?
No, impossibile,
non avrebbe potuto creare tanti non morti.
Pensa, Zel, quale
nemico avrebbe avuto tanto potere?
Che domanda banale: la
risposta non può che essere…
“Ti faremo
pentire di aver distrutto Lord Phibrizio!”
… un Mazoku!
Subito tre
zombi si mossero in avanti con un’agilità inattesa, e Zelgadiss
dovette saltare all’indietro per evitare i loro tre affondi contemporanei. Con
una giravolta estrasse la spada e mozzò il capo ad uno scheletro alle sue
spalle, che stava per trafiggerlo a sua volta. Ma
quello continuò a muovere la spada, strappando la tunica di Zelgadiss
all’altezza del braccio. Se non avesse avuto la sua dura pelle di pietra si sarebbe trovato con una seria ferita.
E’ tutto inutile!
Dovrei farli a
pezzi uno per uno!
E neppure il mio
incantesimo Rah Tilt può funzionare contro di loro!
“ASTRAL VINE!”
urlò, ed una luminescenza sanguigna si sprigionò dalla sua spada, con la quale
recise le braccia e parte dell’ascia di un altro zombi che lo stava attaccando
alle spalle. Questo ondeggiò, apparentemente confuso, e prese a roteare i
moncherini a casaccio. Subito però altri due zombi apparvero alle sue spalle e
caricarono la chimera.
Così non va, posso
solo rallentarli, e sono troppi per farli a pezzi tutti!
Devo trovare il Mazoku!
Schivò un altro
attacco e si trovò alle spalle di un gruppo di scheletri, che subito si
girarono per fronteggiarlo.
“FIRE BALL!”
Una sfera di
fiamme li travolse, distruggendoli ed illuminando l’ambiente più di quanto non
facesse il debole Lighting. Zelgadiss
represse un’imprecazione.
La sala
brulicava di non morti, molti più di quanti non avesse
immaginato. Non visti, gli avevano tagliato la ritirata, sicché ora era circondato.
“Chissà se
anche da morto il tuo corpo resterà di pietra?” Ora la voce metallica aveva
assunto un’intonazione ilare, ma nonostante ciò l’espressione sul volto della
chimera fu di trionfo. Il Mazoku,
parlando mentre il salone era ben illuminato dalle fiamme, aveva tradito la sua
presenza.
“RAY WING!”
gridò e saltò in alto, proprio mentre le picche di tre zombi dall’aria
ammorbata si incrociarono dove si trovava un attimo
prima. Subito una sfera traslucida lo avvolse, facendolo galleggiare a
mezz’aria. Doveva agire in fretta.
Subito si
scagliò verso l’altare sbrecciato su cui un tempo si celebravano
i riti dei devoti a Lanngourt, brandendo la spada
vermiglia a due mani.
“Bel
tentativo!” rise la voce, ed una sfera violacea saettò dalla bocca spalancata
di quello che a prima vista avrebbe potuto essere
scambiato per uno scheletro particolarmente alto, non fosse stato per la
luminosità rossastra che sgorgava maligna dalle sue orbite.
Che stupido.
Ora non ho più
dubbi su quale sia il vero Mazoku.
Il RayWing si dissolse, lasciando
cadere Zelgadiss, che in questo modo schivò
facilmente l’attacco nemico. Due zombi cercarono di attaccarlo non appena mise
piede a terra, ma furono decapitati da un rapido fendente della spada
incantata. Zelgadiss non esitò: per un breve istante
non c’era nessun non morto tra lui ed il Mazoku,
perciò si scagliò in avanti.
Il mostro aveva
ormai capito di non potersi più confondere tra i suoi “compagni”, per cui si drizzò in tutta la sua altezza, in piedi
sull’altare. Sotto il nero mantello che prima lo copriva faceva mostra di sé
una uno scheletro violaceo che sembrava composto di una sostanza cristallina
anziché di osso. Negli occhi brillanti
di luce cremisi si vedeva una folle e famelica gioia.
Xelloss si vergognerebbe
di te.
Sei fin troppo
rozzo per la media dei Mazoku che ho incontrato
finora.
Ed anche troppo
stupido.
Con un grido Zelgadiss scagliò la spada, resa magica dal suo AstralVine, contro il nemico,
che però la deviò con una barriera traslucida apparsa all’improvviso, ridendo
sguaiatamente.
“Ti facevo più astuto, chimera!” gridò trionfante, mentre l’altro
proseguiva la sua corsa. “Ora sei disarmato e sei completamente in mia…”
“Ed io ti
facevo più astuto,” lo interruppe Zelgadiss,
che intanto era arrivato alla base dell’altare, anch’egli con espressione
trionfale, la mano destra aperta e rivolta verso il Mazoku.
“RAH TILT!”
Un fiotto di accecante luce bianca eruppe dal suo palmo ed investì il
mostro. L’ossatura del teschio si contrasse in modo innaturale, esprimendo sorpresa ed orrore, mentre lui veniva spazzato via dalla
potenza dell’incantesimo. In un attimo la luce svanì e sull’altare non rimase
nulla. Tutto attorno, nell’oscurità che nuovamente si era addensata, risuonò il
fragore di corpi esanimi che cadevano sulla nuda pietra ed armi
abbandonate.
Con misurata
calma, nel buio, Zelgadiss mormorò “Lighting” e sulla sua mano apparve una nuova sfera di luce,
che si innalzò ad illuminare la sala nuovamente
immersa nel silenzio.
Fino alla ormai
distante entrata la pavimentazione era disseminata di cadaveri, tutti caduti
nel momento in cui era sparito l’incantesimo che dava
loro forza. Respirando piano per non subire gli effetti del fetore che si
andava diffondendo, Zelgadiss scostò un braccio che
si era distaccato dal suo proprietario e recuperò la spada, rinfoderandola
subito.
Me la sono cavata,
in fondo.
Non è stato neppure troppo difficile, vista la scarsa
intelligenza di quel Mazoku.
Phibrizio ci avrebbe dato
molti meno problemi se ci fosse davvero stato uno come
lui a servirlo invece di Xelloss.
Rasserenato da
quei pensieri cercò tra i cadaveri dietro l’altare l’entrata
alla cripta, dove avrebbe dovuto trovarsi il laboratorio di FarasiaDren. Vista la compagnia, dubitava che fosse ancora
vivo, ma probabilmente avrebbe comunque trovato
qualcosa, fosse anche solo un indizio su come la sua maledizione potesse essere
eliminata.
Se qui con me ci
fosse stato ancora il vecchio gruppo me la sarei
cavata molto prima, però.
Magari Xelloss si sarebbe dileguato come suo solito, e forse Philia avrebbe inveito contro i non morti
per aver sconsacrato un luogo di culto della sua razza, però comunque non ci
sarebbero stati troppi problemi.
Mentre io e Gourrycombattevamo all’arma bianca, Lina avrebbe probabilmente
raso al suolo tutto.
E per sistemare
tutti quei non morti senza arrabattarsi a cercare il loro padrone, sarebbe
bastato il MegiddoFlaredi Amelia…
I suoi passi
rallentarono, mentre scendeva le scale ingombre di detriti con l’unica
compagnia di un Lighting.
A dire il vero,
tutto questo lungo viaggio sarebbe stato più semplice con Amelia.
E non solo per i
suoi incantesimi di magia bianca.
Ora gli occhi
della chimera, che scrutavano gli anfratti nelle pareti del sotterraneo alla
ricerca di un passaggio si erano fatti più velati,
meno attenti.
Ogni volta che
guardo il suo talismano è sempre la stessa storia…
Mi ritornano in
mente i vecchi tempi, sempre insieme ad affrontare qualsiasi
pericolo.
E con lei qualunque
pericolo sembrava meno grave.
I suoi passi si
bloccarono all’improvviso e si rese conto di aver appena superato un bivio.
Sorridendo mesto tornò sui suoi passi.
Ed anche ora, come
sempre, pensare a quei giorni mi rende disattento.
Ma mi dà anche una
strana sensazione, un sordo senso di malinconica felicità, in fondo al cuore.
Proprio dietro alla
mia ossessione per una cura.
Sì, un’ossessione.
Perché se non avessi
voluto cercare una cura ad ogni costo non ci saremmo mai separati.
Non sarei in un
oscuro sotterraneo, circondato da cadaveri, pensando con nostalgia a lei.
Chissà cosa starà
facendo ora…
Infine la
chimera era giunta in una camera. Dal basso soffitto di pietra pendevano
informi numerose ragnatele, rese pesanti dal tempo e tutto attorno c’erano
resti che indicavano come quella stanza un tempo fosse stata
abitata.
Un vecchio
letto tarlato, le cui coperte non avevano più nessun colore riconoscibile,
stava di fronte all’entrata. Sulla destra c’era un grande armadio vuoto dalle
ante spalancate, le cui desolate decorazioni richiamavano una ricchezza ormai sbiadita.
Varie cassepanche ed un piccolo scrittoio completavano l’arredamento spartano
di quella stanza, sicuramente l’ultimo rifugio di FarasiaDren. Nell’angolo più lontano dall’entrata c’era una
porticina di legno annerito, chiusa. Oltre quella
avrebbe dovuto esserci il laboratorio del famoso guaritore. Tuttavia, Zelgadiss non si mosse, ma lasciò vagare lo sguardo nella
stanza, perso nei propri pensieri.
Chissà cosa
penserebbe di me adesso, vedendomi qui.
Mi aiuterebbe nella
mia ricerca, senza dubbio.
Lei aiuta sempre
tutti.
E non perde mai la
fiducia.
Quando io stesso
disprezzavo la mia immagine riflessa, lei è andata oltre questa crosta di
pietra, guardando nel mio cuore e vedendovi un essere umano che io stesso
disperavo di trovare.
E mi voleva bene.
E nonostante la mia
indole brusca e scostante, anche io le volevo bene.
Aspettavo la sera
per stare con lei accanto al fuoco, senza preoccuparmi di null’altro, lasciando
mostri e demoni e minacce e calamità al di fuori del calore di
quel focolare.
Al
di là dei suoi occhi caldi.
Fece un passo
distratto verso la porta in fondo alla camera.
Mi piaceva stare con lei, non era come con Lina o gli altri.
Quando sorrideva anch’io
provavo l’impulso a sorridere, anche se poi raramente vi cedevo.
Quando s’infervorava
parlando di giustizia anch’io la stavo ad ascoltare, nonostante non fosse uno
dei miei argomenti di conversazione preferiti.
Mi domando se se ne
sia mai accorta.
Senza più il
precedente buonumore Zelgadiss tentò la maniglia: era
bloccata. Vi aprì sopra il palmo della mano e sussurrò qualcosa. Con un sonoro crac, la porta cedette e si aprì
cigolando verso l’interno.
Mi domando se quel
talismano portafortuna non sia qualcosa in più del segno della sua amicizia per
me.
Ed io cosa le ho dato
in cambio?
Forse le ho salvato la vita un paio di volte, ma quello avrebbe potuto
farlo chiunque altro, anche Xelloss, se si fosse
messo d’impegno.
Ma a lei, di mio, cosa è rimasto?
Forse il ricordo di
un amico che l’ha abbandonata per proseguire una ricerca ossessiva, quando
forse la cosa più importante per riguadagnare la sua umanità la stava perdendo?
Mi chiedo se abbia
mai realmente saputo che per me lei era più di una compagna di viaggio.
Al centro della
stanza ancora più piccola al di là della porta c’era
un cadavere mummificato. Forse era stato attaccato anni prima
mentre stava facendo un esperimento, o chissà cos’altro. Tutto attorno c’erano
numerose apparecchiature alchemiche in notevole stato di abbandono.
Molte erano in frantumi. Sul fondo di altre era rimasto il residuo polveroso di
pozioni evaporate da tempo. Sull’ampia scrivania c’era
un libro aperto, ma fatto a pezzi come da una mano rabbiosa. Quasi sicuramente
un certo Mazoku, indignato che venisse
praticata magia bianca nel suo nuovo dominio.
Zelgadiss si guardò ancora attorno, poi
scosse la testa. Qualunque cosa avesse potuto
trovare per aiutarlo era stata distrutta.
E così anche questo
è un buco nell’acqua.
Mesi di ricerca
buttati al vento.
Un’occasione persa
per tornare umano.
Amelia…
Se solo ci fossi tu
qui a consolarmi mi sentirei meno perduto.
Perché, almeno per te, io
sarei già abbastanza umano.
Senza degnare
più di uno sguardo il cadavere ai suoi piedi, girò le spalle al laboratorio di FarasiaDren e tornò rapidamente
nella parte principale del sotterraneo. Non voleva stare lì un minuto di più.
Il Lighting tremolò e si spense, e lui ne riaccese un altro.
Che stupido.
Io,
con la mia pelle di pietra ed i miei capelli di metallo.
Lei, con il suo
sorriso celestiale e le sue soffici mani.
Perché non ho dato
ascolto al mio cuore che seppur di pietra mi parlava?!
Mi gridava di
smetterla!!
Mi gridava di stare
con lei, non importava se avrei potuto offrirle solo un petto grigio da
accarezzare!
Labbra spigolose da
baciare…
Era questo quello che voleva, ed io sono stato tanto stolto da non
capirlo.
Tanto stolto da non
capire che tornare ad essere umano era meno importante se con me non c’era lei…
Fingendo di cercare
una cura che mi avesse permesso di tornare umano per
lei, quando invece ero mosso da mero egoismo.
Ed orgoglio.
Stupido orgoglio,
che a tutti i costi mi ha spinto a cercare, cercare,
cercare…
Per espiare i
peccati che mi avevano reso quello che sono.
Quando il solo fatto di
conoscerti mi aveva fatto tornare umano.
Eri tu la mia cura.
Ed io ti ho perduta.
Mentre saliva la scalinata di pietra fino al salone ingombro
di cadaveri, e poi fuori, in quella notte buia, Zelgadiss
non si rese conto di un sottile filo di polvere di pietra che usciva dai suoi
occhi e si perdeva nell’aria.
Il terrazzo del
ristorante “Al Cacciatore” della città di Luumania a quell’ora del pomeriggio era
tranquillo: la maggior parte degli avventori era già tornata al lavoro.
Rimanevano solo alcuni personaggi dall’aria benestante, che chiacchieravano
in un angolo ombreggiato, e due viaggiatori arrivati da poco.
Il più grosso
tra gli avventori, che dall’abbigliamento si sarebbe detto un mercante di Elemekia, squadrò con aria di
superiorità questi ultimi, un alto guerriero biondo in armatura ed una ragazzina
dai folti capelli rossi, molto più bassa del suo compagno. Avevano preso posto poco prima ed ordinato qualcosa che lui non era
riuscito a comprendere. Sembravano discutere animatamente. Annoiato, il
mercante decise di tornare ad occuparsi di affari con
i suoi colleghi.
“Lina,” disse il guerriero biondo dubbioso, guardando il menù,
“sei sicura che qui si mangia bene?”
“Scusa, per chi
mi hai presa, Gourry?” ribatté l’altra, sorridendo
sicura. “Abbiamo girato la penisola dei demoni in lungo e in largo, seguendo il
mio fiuto per le occasioni migliori, è ovvio che qui si mangia bene. E poi questa è casa mia, non devi preoccuparti!”
“E’ proprio per
questo che mi preoccupo, invece…” mormorò a denti stretti l’altro. Mentre Lina stava per intimargli di ripetere quello che
aveva detto a voce alta arrivò il cameriere, un giovanotto più o meno dell’età
della ragazza, a salvare la situazione.
“Avete già
deciso, signori?” chiese con affettata cortesia.
“Sì, certo,” mentì Gourry, deciso a
distogliere l’attenzione dell’amica dal discorso precedente. “Io prendo un…
ehm…”
S’interruppe:
tra i nomi dei piatti elencati non c’era nulla che riconoscesse come
commestibile. Dopo alcuni minuti si intromise Lina.
“Cominciamo con
uno Scagliopodo in due, già squamato, grazie. Ed un
contorno di patate bollite, se possibile.”
Il cameriere
annuì sorridendo e se ne andò, mentre Gourry sembrava ipnotizzato dalle lettere che sul menù
formavano le parole “Scagliopodo al sangue, porzione
doppia”.
“Sei sicura…”
“Oh, Gourry, te l’ho già detto!” lo interruppe lei stizzita. “Siamo
a casa mia, e quello è uno dei miei piatti preferiti. Ti piacerà,
vedrai.”
“No, intendevo
un’altra cosa. Sei sicura che basterà per tutti e due?
Di solito prendiamo due porzioni doppie a testa, ed ora ho un po’ più fame del
solito…”
“Stiamo
parlando di Zefilia, testa di medusa! Qui le porzioni
doppie sono davvero porzioni doppie!”
E la ragazza sbottò a ridere, ma il suo amico non
sembrava ancora convinto.
Poco dopo
arrivò il piatto che avevano ordinato. Anche se sarebbe stato
un azzardo definirlo “un piatto”.
Tre camerieri
avanzarono sull’assolato terrazzo portando a fatica un grande
vassoio su cui era coricata una creatura che sembrava un rinoceronte con le
zanne. Quando la posarono sul tavolo di Lina e Gourry si fermarono per un attimo a riposare prima di
augurare un educato “buon appetito” ed andarsene. Gourry
rimase a guardare il grosso animale attonito.
“Beh, che c’è?”
chiese Lina, che già aveva in mano forchetta e coltello e divorava con gli
occhi l’indifeso ventre della bestia.
“Questo sarebbe
uno Squaglio…?”
“Scagliopodo.”
“…E’ un animale
di Zefilia?”
“Certo, qui si
fa cucina tradizionale!”
Il biondo
continuò a scrutare lo Scagliopodo. Non aveva mai
visto nulla del genere. Infine si riscosse e scrollò le spalle, rileggendo
l’ordinazione sul menù. “Beh, quanto meno qui ci sono
davvero due porzio…AAARRGH!!”
Il gruppetto di
mercanti sobbalzò a quel grido, ma guardando verso la coppia ne compresero bene
il motivo: il loro “pranzo” si era appena alzato e aveva addentato il menù di Gourry. Questi si alzò di scatto.
“Così mi sembra
troppo al sangue!”
Estrasse la
spada e la abbatté sul capo corazzato della bestia, ma con un sonoro clangore
la lama andò in frantumi, mentre lo Scagliopodo
muggiva come a schernirlo. Gourry rimase a bocca
aperta fissando attonito l’elsa che gli era rimasta in mano, e si accorse a
mala pena che l’animale si stava preparando a caricarlo da sopra il tavolo.
“Gourry, togliti da lì!” lo avvertì Lina gridando, e il
guerriero non se lo fece ripetere due volte. Dopotutto, senza spada non poteva
fare granché. Incalzato dai muggiti, scappò a gambe levate verso la porta del
ristorante.
“FIREBALL!”
Con un rombo
tanto assordante da costringere Gourry a coprirsi le
orecchie, una sfera di luce esplose dalle mani di Lina e si schiantò contro il
fianco indifeso dello Scagliopodo, distruggendo vari
tavoli, sedie e una parte della balaustra. Quando il
guerriero si arrischiò a voltarsi vide Lina in piedi, trionfante, di nuovo con
coltello e forchetta in mano, davanti al mostro riverso sul pavimento,
dall’aria chiaramente ben cotta. Un caloroso applauso veniva dalla folla di
camerieri sorridenti appena uscita dalle cucine, apparentemente incuranti della
devastazione del terrazzo. Quando Lina si fu inchinata ai suoi ammiratori,
questi portarono altre due sedie ed un tavolo, e vi caricarono sopra lo Scagliopodo, ora decisamente
morto. Con un altro inchino la ragazza si sedette ed invitò uno sconcertato Gourry ad accomodarsi davanti a lei.
“Perché quella
faccia?” gli chiese, come se abbattere a forza di incantesimi
un rinoceronte servito vivo in un ristorante fosse la cosa più naturale del
mondo. “E’ così che si mangia a casa mia!”
La forchetta
con un pezzo di pollo cadde dalle mani del mercante di Elemekia, coperto della polvere sollevata dallo spostamento
d’aria, troppo stupito anche solo per accorgersene. Il rumore attirò
l’attenzione della maga, che gli sorrise raggiante:
“Prima volta a Zefilia, eh?”
“Finalmente un
pranzo come si deve!” sbottò Lina spingendosi contro la sedia e abbandonando le
posate nello scheletro ripulito dello Scagliopodo.
“Già, hai
ragione,” rispose Gourry con
aria soddisfatta, finendo di addentare il poco di carne rimasta su un osso. Strane
abitudini culinarie quelle di Zefilia, ma comunque ottime.
“Ti è piaciuto,
vero? Avevo ragione o no?” gli chiese con un sorriso l’amica, accarezzandosi il
ventre.
“Sì, molto
buono,” approvò lui. Nonostante
il primo impatto scoraggiante, soprattutto per la sua spada, il pranzo si era
rivelato molto gustoso.
“Che pace!”
gridò Lina, senza timore di disturbare nessuno dato
che quando avevano cominciato a mangiare i mercanti che stavano chiacchierando
all’angolo erano impalliditi e se n’erano andati di corsa. “Non mi sembra vero
di poter coronare il mio sogno.”
“Il tuo sogno?
Ah, ho capito, ritornare a casa, nelle tue terre, mangiando i
tuoi Scagliopodi…” azzardòGourry
con sguardo sognante. Se non fosse stato pieno ne
avrebbe volentieri mangiato un altro.
“Ma che hai
capito, testa di medusa!” rispose sgarbatamente Lina, ma l’altro più che
infastidito assunse la sua abituale espressione
attonita. “E’ tutta la vita che sogno di assaggiare tutte le specialità della
Penisola dei Demoni, ed ora mi manca solo la zuppa di
frutti di mare di Elemekia! Ed
ora che la barriera è caduta posso scatenarmi anche nelle nuove terre! Non è
magnifico, Gourry?”
“Ti ricordo che
il piatto Dra-Dra non era quello che ti aspettavi,” fece notare Gourry, senza
malizia, ma Lina impallidì.
“Oh, beh,
quello… Dai, avendo come amica una draghessa come Philia non mi sembrava carino… E poi parlare con una
persona sapendo che stai mangiando un suo simile… bleah.
Ma non mangiano mica solo draghi laggiù, no?!”
Gourry aveva faticato a seguire il discorso di Lina,
intento com’era a togliersi un pezzo di carne dai denti con la forchetta.
“Scusa, come hai detto?”
Lina perse ogni
speranza di intavolare un discorso culinario con l’amico. “Lascia stare…” fece
un grande sorriso sornione, “piuttosto, paghi tu,
vero?”
“Cosa?!” Gourry saltò in piedi, facendo cadere lo zampone dello Scagliopodo che stava accuratamente ripulendo di ogni parte commestibile. “Ma non
li avevi tu i nostri soldi?”
Ora fu il turno
di Lina di saltare in piedi, sbattendo le mani sul tavolo. “Mi avevi dato tutti
i soldi?! Ma… io credevo ne avessi tenuti un po’ tu!”
“Lina… cos’hai fatto ai nostri risparmi…?”
“Ehm…” La
ragazza allungò le mani con un sorriso disarmante. “Ti piacciono i miei nuovi
guanti in pelle di Uran? Mi
potenziano le magie, sai?... Ehm… Sì, così posso fare
il Lighting in cinque colori diversi…”
“LINA?? HAI
SPESO I NOSTRI RISPARMI PER QUESTA ROBA??”
“Dai, non essere permaloso, in fondo i soldi si possono
sempre riguadagnare!”
Lina era
leggermente inquieta, forse perché Gourry stava
stringendo spasmodicamente in una mano la forchetta e nell’altra un osso ed
aveva un’aria più truce di quando combatteva.
“Lina, li ho
guadagnati spaccandomi la schiena per un mese come scaricatore di porto! Ed ora come facciamo a pagare questo Squagliocodo?!”
D’un tratto Lina parve comprendere e si rilassò, tornando a
sedere comoda: “Ah, è solo per quello che ti preoccupi? Ho già la soluzione.”
Prese un
piattino che conteneva delle salviette profumate per pulirsi le mani, lo svuotò
e se lo posò davanti. Gourry intanto continuava a
fissarla truce.
“Calmati, dai,
ti ho detto che ho la soluzione. Mettiti seduto, che così mi deconcentri.
E comunque si chiama Scagliopodo.”
Il guerriero si
sedette con esasperante lentezza, sempre tenendo gli occhi fissi in quelli di
lei. Ma Lina non ci badò. Dopo un attimo di raccoglimento
allargò una mano sul piattino e sussurrò: “Irusion
Gold.”
Subito una
cascata di monete d’oro scintillanti caddero dal palmo
di lei nel piattino sottostante, davanti all’espressione sconcertata di Gourry, che non riuscì a dire nulla finché il getto non
terminò.
“Li… ma… come…”
“Ssh, non devo farmi notare,”
bisbigliò Lina, contando le monete che aveva creato. “L’ho
inventato poco tempo fa, utile, no?”
Gourry ancora non riusciva a capacitarsene: “Tu… puoi
creare l’oro… e mi hai fatto sgobbare per un mese?”
“… Forse hai
frainteso. Quest’oro è illusorio,
in due ore scompare! Ci servirà giusto per uscire da questo ristorante e
scappare il più lontano possibile.”
Gourry richiuse la bocca, ammirato. In silenzio prese una
moneta d’oro e la saggiò: aveva effettivamente il peso e la consistenza
dell’oro. Ad un tratto sollevò lo sguardo sull’amica, serissimo: “Lina, io ti
amo.”
Alla ragazza
caddero un paio di monete, mentre voltava uno sguardo esterrefatto verso Gourry, diventando rossa come i suoi capelli: “Gou… co… io…”
Il guerriero
non parve notare il suo turbamento: “Se non fosse per te, ora dovrei lavorare
in cucina a togliere le squame di Squaglioso dal
retrobottega.”
Rapidamente
Lina ficcò le monete in un borsello, chiudendolo con rabbia soffocata: “Bene, andiamo
allora.”
“Ehm, Lina?” Gourry era ancora seduto al tavolo, scrutando attentamente
una moneta d’oro.
“Che c’è?” chiese lei bruscamente.
Gourry si alzò, incurante dell’aria scontrosa dell’amica, e
le mostrò la moneta da vicino, indicando un particolare. In piccolo, accanto
alle immagini coniate su qualunque moneta d’oro, c’era un dettagliatissimo
ritratto di Lina stessa con un sorriso beffardo.
“E’ normale
questo?” chiese Gourry, preoccupato.
Subito la vera Lina sentì defluire la collera che l’aveva pervasa
un attimo prima e sorrise imbarazzata: “Ehm… Devo ancora perfezionarlo un po’.”
Dopo aver
pagato alla cassa per lo Scagliopodo e per i danni al
ristorante, i due si allontanarono in fretta, dileguandosi tra i vicoli della
città.
“Sembra che non
si siano accorti di nulla,” disse Gourry
quando ebbero lasciato un’adeguata quantità di terreno tra loro e il
ristorante, “E’ molto utile quell’incantesimo, sai?”
Lina annuì,
raggiante: “Modestamente l’ho ideato proprio per momenti come questi. Allora,
non pensi più che questi guanti di Uran
siano stati un acquisto stupido, vero?”
“Mai pensato.”
Lina rise, e
fece cenno ad un sorpreso Gourry di lasciar correre.
Si era già dimenticato di come la stava per aggredire quando aveva saputo che
aveva speso tutti i loro soldi.
Continuarono a
ridacchiare rievocando le loro recenti avventure mangerecce, e nel frattempo
guardavano interessati le vetrine dei negozi.
“Lina,” riprese Gourry mentre stavano
contando le perline di una collana finta ad una bancarella. “Sei nata in questa
città?”
Lina scosse il capo, mentre provava un anello con un opale
nero ignorando le lodi che ne faceva il ciarlatano che cercava di venderlo:
“No, io vengo dalla regione agricola, un po’ lontano da qui in effetti.”
“Però avevo sentito che tua sorella lavorava in un
ristorante. Si trova in questa città?”
Le parole di Gourry ebbero l’effetto di raggelare la ragazza. Si tolse convulsamente l’anello e lo posò nuovamente sulla
bancarella. Il venditore fece per protestare ma si zittì quando vide
l’espressione di sgomento sul volto di Lina.
“Ehi… che ho
detto?” chiese Gourry stupito.
“Niente,” bofonchiò la ragazza e si avviò rapidamente lungo la via.
Gourry la seguì affrettando il passo (e
dimenticandosi di posare la collanina sulla bancarella). Di tanto in tanto Lina
sobbalzava e si guardava furtiva attorno.
“Hai sentito
qualche presenza maligna?” chiese Gourry serio, la
destra a cercare una spada che ormai non c’era più. “Un Mazoku?”
azzardò di fronte al silenzio dell’amica. “Di nuovo Xelloss
per caso?”
“No, è solo
che…” Lina rallentò il passo e si drizzò in punta di piedi per bisbigliare
all’orecchio di Gourry. “Io e mia sorella non andiamo molto d’accordo.”
“Oh, e perché?”
chiese lui ad alta voce, facendo sobbalzare la maga che tornò a guardarsi
attorno spaventata. Poi gli fece cenno di abbassare il volume e continuò.
“Diciamo che…
le ho fatto un torto in passato, e non me l’ha mai perdonato.”
“Accidenti, dev’essere stato qualcosa di gravissimo,”
fece Gourry, che finalmente aveva capito di non
gridare.
“Per lei, sì.”
“Ad ogni modo…
il ristorante in cui lavora si trova in questa città?”
“No, è vicino
al nostro villaggio natale, in campagna.”
“Ah…” di nuovo Gourry assunse un’espressione interrogativa. “E allora perché parliamo così sottovoce?”
“Perché parlare di lei mi mette in agitazione, testa di
medusa!” sbottò Lina, tirandogli uno scappellotto sulla nuca tanto forte da
farlo cadere al suolo.
“Ehi, scusa,
non sapevo,” riprese il guerriero rialzandosi, senza
aver subito danni apparenti. “Ora calmati però, eh?”
Continuarono a
girare per la città per oltre mezz’ora prima che Lina si calmasse abbastanza.
Sospirando per lo scampato pericolo, Gourry disse:
“Sai, per un attimo prima ho pensato che avessi percepito Xelloss,
di solito quando arriva porta solo guai.”
“Già,” rise Lina. “E’ quel che si potrebbe definire un corvo del
malaugurio.”
Gourry si schiarì la voce e si erse in tutta la sua
altezza. “E’ un modo di porre le cose,” disse imitando
una delle frasi preferite del Mazoku per tirarsi
fuori dai guai.
Quando Lina
ebbe finito di asciugarsi le lacrime provocate dalle risate
poté continuare: “Chissà come se la sta passando…”
Gourry colse l’occasione per un’altra imitazione di Xelloss. Sollevò un indice, chiuse un occhio e disse:
“Questo è un… ehm… com’è che diceva?”
Il sorriso
esilarato di Lina lasciò il posto ad un’espressione avvilita. “Segreto. Questo
è un segreto. Ad ogni modo, conoscendolo se la starà passando benissimo. Stiamo
parlando di Xelloss, se ci sono guai lui si dilegua!”
Dannato
rompiscatole, piuttosto che aiutarci scappava sempre!
Lo perdono solo per il fatto che un paio di volte ci ha aiutato a salvare il
mondo.
Beh…
Direi che abbia fatto abbastanza, per essere un Mazoku.
“EPhilia?” chiese di nuovo Gourry, interrompendo i pensieri di Lina. “Mi pare che
abbia messo su un negozio di ceramiche, da qualche parte oltre la barriera.”
“Non era
un’armeria specializzata in mazze chiodate?”
“Beh, magari mi
sbaglio. Ad ogni modo non sarebbe male fare un salto da lei quando andremo ad assaggiare le specialità culinarie della sua
città, vero?”
“Adesso che mi
ci fai pensare non sarebbe davvero una brutta idea. Anzi, sarebbe bello riunire
ancora una volta tutto il vecchio gruppo, anche senza
un mostro terribile che minacci il nostro mondo!”
Gourry annuì, entusiasta, accorgendosi solo in quel momento
di avere ancora in mano la collanina della bancarella.
Non sembra vero che
sia passato così poco tempo.
Nemmeno un anno fa
sconfiggevamo Dark Star, ed ora ci chiediamo che fine hanno
fatto gli altri come se fossimo andati in pensione.
In
effetti con tutto quel che ci è capitato ce la meriteremo, una bella
pensione da eroi.
Ma sì, anche Xelloss, in fondo lui si è fatto quasi uccidere da Garv.
Che nostalgia…
Mi manca l’azione di
quei tempi, anche se erano tempi difficili.
Non lancio un Dragon Slave da quattro mesi.
Distrattamente
Lina si guardò le mani, mentre Gourry cercava con gli
occhi la bancarella di poco prima.
Chissà se questi
guanti di Uran potenziano
anche il Dragon Slave?
Non sarebbe male
avere un Dragon Slave di un altro colore.
Magari blu cielo.
O Giallo canarino.
Oppure grigio Zelgadiss…
“Gourry,” Lina interruppe la vana
ricerca dell’amico. “Hai per caso sentito qualche voce su Zel?”
“Veramente no,” rispose lui, visibilmente dispiaciuto di aver rubato quella
collana. “So solo che si era addentrato da qualche
parte nel deserto per continuare a cercare la sua cura, ma nulla di più
preciso.”
“Ho capito. Quindi non si è fermato a Seillune.”
“No, di certo.
E’ un’anima libera Zel, non ce lo
vedo a fare il mantenuto al palazzo reale di Amelia!”
Lina ridacchiò,
nascondendo una fitta di malinconia.
Amelia e Zelgadiss.
Quella sì che era
una bella coppia.
Peccato che lui volesse a tutti i costi tornare umano, così ha lasciato che
lei restasse a Seillune da sola.
Amelia però l’ha presa bene.
Quasi non si sarebbe
detto che stava lasciando la persona che amava.
Perché era evidente che lo
amava, se ne sarebbe accorto pure un cieco.
Beh, forse un cieco
no, e nemmeno Zelgadiss.
Troppo preso a
commiserarsi per accorgersi che a qualcuno andava bene così com’era…
Chissà se davvero
Amelia l’aveva presa bene o stava solo fingendo?
Si riscosse dai
suoi pensieri, e vide che Gourry era sinceramente
dispiaciuto di aver compiuto un furto, anche se solamente per disattenzione.
Sorrise.
Sei sempre il
solito, Gourry.
Sempre pronto a far
danni per sbaglio.
Però a volte anche
senza accorgertene qualcosa di buono lo fai.
Come quando invocai il Giga Slave…
A quel pensiero
arrossì bruscamente, e si diede da fare per coprirsi il volto. D’un tratto Gourry la chiamò,
apparentemente ignaro di tutto.
“Lina, potresti
rifare quel trucchetto con i soldi?”
“Cosa?” Lina si voltò cercando di apparire naturale, pronta a
giustificare il rossore come reazione all’aria fredda, ma non ce ne fu bisogno.
“Ir… Irusco… Irullo…”
“Ah! Sì, ho
capito. Metti le mani a coppa.”
Gourry eseguì, e Lina distese la destra sopra le sue.
“Irusion Gold,” mormorò, ed un
fiotto di monete d’oro uscì tintinnando dal suo palmo. Quando
ebbe finito, Gourry la ringraziò di cuore.
“Prego, ma a
cosa ti serve?”
Con la mano
libera, che ancora reggeva la collana, indicò la vetrina di un’armeria dietro
di lui. “Mi compro una spada nuova,” disse raggiante.
“Scusa, ma ti
fai tanti problemi per aver trafugato una collanina e poi praticamente
rubi una spada?”
Gourryparve riflettere un momento, poi
scrollò le spalle. “Uno che lavora ad una bancarella in mezzo alla strada ha sicuramente più bisogno di soldi veri rispetto ad
un ricco armaiolo. Ad ogni modo, visto che ormai l’ho
presa…”
Le porse il maltolto, insistendo finché lei, sorpresa, non lo prese.
“Tienila pure,
scommetto che ti sta bene. Se un giorno passeremo di
qui darò al venditore quel che gli spetta. Aspettami qui, torno subito!”
MentreGourry entrava, di nuovo di
buon umore, nell’armeria, Lina restò a guardare la collana che le pendeva dalle
dita. Un paio di perle erano rotte ed il filo che le
univa era logorato in più punti. Ciononostante, le sembrava molto bella.
Sorridendo se la mise al collo, ed aspettò che l’amico uscisse con il suo nuovo
acquisto.
Quella mattina
il sole splendeva luminoso e ridente nella tranquilla cittadina. Il cielo era
di un limpido colore ceruleo, spezzato qui e là da rade nuvole bianche e
vaporose come fiocchi di cotone. La luce dell’alba era
sorta da poco più di un’ora rischiarando i tetti delle case e dalla strada già
iniziava a levarsi un ancor tenue chiacchiericcio di persone.
Con aria ancora
assonnata, ma sorridente, Philia discese la scala
interna del suo negozio di ceramiche e giunse al pianoterra adibito alla
vendita. Con movimenti misurati, infilò la chiave nella serratura della porta
vetrata e girò il cartellino sostituendo la scritta ‘chiuso’
con quella ‘aperto’ per poi uscire all’esterno e
respirare la salubre aria mattutina ancora pregna del profumo di rugiada .
Dalla strada, i
vicini la salutarono con cordialità.
La cittadina
non era grande ed era abitata da brave persone, tutte gentili e di buon cuore,
sempre disponibili in caso di necessità. Anche
discrete, a volte, nonostante le eccezioni.
Infatti per un certo periodo era corsa la voce tra le
classiche donne a caccia di pettegolezzi che l’ex Vestale del Re dei Draghi di
Fuoco fosse una ragazza madre che aveva messo su quell’attività
per mantenere suo figlio, il piccolo Valgarv.
Cosa che non
era né del tutto vera né del tutto falsa.
Ma non aveva nulla per smentire tali voci.
D’altronde, come
spiegare che questo cucciolo erain
realtà colui che aveva tentato di distruggere il
mondo, rinato per vivere finalmente un’esistenza senz’astio e senza rancore?
Per mia volontà,
ho deciso di prendermi cura di lui, per rimediare alla sofferenza arrecatagli
dai miei antenati.
Per regalargli
quella serenità che non aveva mai avuto.
Per me, è come
se fosse davvero mio figlio, e farei di tutto per
assicurargli una vita felice.
Sorridendo con
soddisfazione, Philia tornò nel negozio, adoperandosi
per arieggiare la stanza e permettere alla luce del sole di illuminare il
pianterreno.
E con Valgarv qui, questo è il mio sogno.
Il
negozio di ceramiche “Tè e mazze ferrate” di PhiliaUiCopt.
Camminare tra le
scansie coperte di tazzine, tazze, teiere, vasi e zuccheriere mi fa sentire
realizzata, molto più che officiare i vecchi riti.
Questo è il mio
posto.
Oltretutto…
Prese in mano
una teiera dalle splendide decorazioni, appoggiata sul bancone perché ancora
non le aveva trovato posto, e sorrise.
… gli affari
vanno bene!
Questa è il mio
ultimo acquisto, una teiera elfica di Mipross di tre secoli fa.
Un acquisto
eccezionale, e sono sicura che andrà a ruba.
Dopo aver
trovato un posto alla teiera su un tavolino in bella vista fin dall’entrata,
uscì di nuovo. Quella era proprio una giornata
splendida.
Una sua vicina,
con in mano il cesto della spesa già ricolmo di
primizie fresche di orto, passò davanti al negozio e si fermò dinanzi a lei che
sostava sulla soglia.
“Buongiorno, Philia, sempre mattiniera, eh? ”
“Già,come dice il proverbio ,
il mattino ha l’oro in bocca.” Sorrise la ragazza-drago nel volgere uno sguardo
radioso al cielo terso.
“Come sta il
piccolo Valgarv?”
“Sta ancora
dormendo. Ieri ai giardini ha giocato così tanto che la sera si è addormentato
come un ghiro subito dopo mangiato.”
La donna
ridacchiò alle parole della giovane.
“Anche la mia Nayla era così
stanca… quasi non si reggeva in piedi. Ma sono molto contenta che inostri bambini vadano tanto d’accordo.”
Philia distolse lo sguardo dalla volta celeste e lo riportò
sorridendo maggiormente sulla sua interlocutrice.
“Lo sono
anch’io. La piccola Nayla è davvero un amore.”
“Anche Valgarv lo è e poi non litigano mai.”
“È vero, sono decisamente adorabili!”
“Ora devo
andare a sbrigare alcune commissioni, ma, visto che oggi che è fine settimana è
aperto solo per mezza giornata, tornerò tra qualche ora a vedere se ci sono
novità in arrivo!”
“A proposito, dimenticavo: entro il prossimo
fine settimana dovrebbero consegnarmi alcuni pezzi di ottima
fattura straniera!”
“Meraviglioso!
Allora passerò direttamente quando li porteranno così sarò la prima ad
acquistarne uno! Dunqueio e Naylapossiamo aspettarvi come al
solito oggi pomeriggio sul tardi ai giardini?”
“Sicuro! Non mancheremo!”
“Allora a
presto.”
La donna sorrise e si allontanò con passo celere lungo la
strada principale.
In quello stesso istante, puntuali come ogni mattina, Gurabos e Jirass si palesarono
dal vicolo di fronte con andatura comicamente baldanzosa. Philia
sorrise loro divertita ed intrecciò le mani sul grembo.
“Buongiorno,
ragazzi, ben arrivati. Non trovate che sia una
splendida mattinata?”
L’essere con
sembianze rettiloidi si fermò davanti a lei e si mise
sull’attenti. “Buongiorno capo!”
Nello stesso momento, la volpe, con l’unico occhio che le stava,
lucido e scintillante, si fiondò a prenderle le mani.
“Ora che ti
vedo, radiosa come il sole e splendida come l’alba, lo
è ancora di più… tesoro mio!”
In una frazione
di secondo, la mazza chiodata della ragazza-drago, la cui immagine faceva bella
mostra di se sull’insegna del negozio, si abbatté impietosa sul capo di Jirass regalandogli così la prima mazzata della giornata.
“Quante
volteti ho detto che non devi chiamarmi
tesoro??”
La volpe si
contorse al suolo stringendo il capo tra le mani e lamentandosi con voce
querula.
“ Ahiiiiicheeemaaaaleeee…”
Placati gli
animi, il trio entrò in negozio, mentre fuori le strade iniziavano gradualmente
a riempirsi e il quotidiano sottofondo di voci e rumori andava
levandosi sempre più alto.
Senza perdere
un solo istante, Philia, già dimentica dell’abituale,
piccolo, incidente mattutino, diede le prime disposizioni ai suoi fedeli
aiutanti affidando loro i soliti compiti.
Gurabos trasportò diligentemente dalla cantina , il cui accesso era dato da una botola dietro il bancone,
dei nuovi pezzi da esporre, rischiando più volte di farli cadere ed incorrere
nella furia del suo ‘capo’ come era solito chiamarla.
Jirass invece fu impegnato per tutta la mattinata,
con grande sollievo della ragazza,a recapitare gli acquisti ai clienti.
Quanto a lei,
per quella giornata lavorativa, poteva ritenersi soddisfatta.
Aveva tenuto il
conto degli incassi, fatto l’inventario delle merci in cantina, servito i
clienti e persino rassettato. Oltre ad aver preparato da
mangiare per Valgarv che ora giocava tranquillo,
seduto ai piedi del bancone, con una palla.
La volpe rientro giusto pochi minuti prima della chiusura.
Trafelato, Jirass spalancò la porta d’ingresso e si appoggiò
pesantemente allo stipite, la lingua penzoloni, nel tentativo di riprendere
fiato.
“ Tutto
consegnato nei tempi…” Ansimò tergendosi la fronte i cui peli
erano arruffati per il sudore.
“Grazie, Jirass.Per oggi abbiamo finito, poteteandare. Buon fine settimana, divertitevi e
riposate.”
La giovane sorrise loro dolcemente socchiudendo gli occhi
azzurri e inclinando il capo su una spalla. Nuovamente, Jirass
si gettò ai suoi piedi mentre un torrente di lacrimesgorgava copioso dai suoi occhi.
“Due giorni
senza di te, saranno un’eternità! Il mio cuoricino piangerà di dolore! Ma io sarò forte, sopporterò lo strazio…”
“E piantala!” Intervenne Gurabos
issando il collega, persistente nella sua struggente dichiarazione, in spalla,
giusto in tempo prima che Philia, la cui vena sulla
tempia già pulsava d’un ira che prometteva una mazzolata grandiosa, perdesse le
staffe.
“Bene, noi
andiamo. A presto capo. Ciao Valgarv!”
“Ciao Valgarv. A presto, Tesoooorooooooooo!!
“
Dopo le ultime
parole di Jirass, Gurabos
si defilò velocemente scomparendo tra i caldi raggi del pomeriggio che
arroventavano la strada, deserta a quell’ora,
lasciando dietro di se solo una densa scia polverosa.
La ragazza
chiuse a chiave la porta e rigirò il cartellino, al limite
dellasopportazione.
“QuelJirass, anche se è un caro
ragazzo, a volte è davvero insopportabile!” Ringhiò sbuffando fumo dalle
narici, i pugni in una morsa.
“Non credi
anche tu, piccolo?” Chiese, già più calma, volgendo lo sguardo al cucciolo che
aveva iniziato a gattonare dietro al bancone inseguendo la palla.
A quella vista
recuperò del tutto la serenità e sorrise quieta.
Sì, ora sono
davvero felice.
E visto che anche Valgarv lo sembra,
lo sono doppiamente.
Inspirò
profondamente e si volse a guardare l’ambiente del suo negozio.
Era semplice,
senza pretese e senza decorazioni barocche, ma le sembrava estremamente
accogliente.
Tutte le pareti
erano occupate da espositori ricolmi di oggetti di
fattura squisita che riflettevano i cocenti raggi meriggi dell’estate,
penetranti dalla vetrina, sui muri e sul parquet.
La sua lunga
veste bianca e rosa ondeggiò appena mentre si
avvicinava con piccoli passi ad uno dei grossi scaffali sul lato destro della
parete. Con estrema cautela prese tra le mani un vaso di porcellana bianca
finemente decorato da un motivo floreale di viti e tralicci ed iniziò
delicatamente a lucidarlo con un panno in velluto ed uno sguardo estatico.
“ Non c’è
proprio nulla da fare, sono letteralmente innamorata di questo pezzo…quasi quasi ho deciso, lo tengo per me! ”
“Oh, di certo
farebbe una gran bella figura nel tuo salotto buono.”
Al suono di
quella voce melliflua Philia sobbalzò tanto da far
quasi cadere il vaso che aveva tra le mani. La sua coda schizzò fuori da sotto la gonna, mentre lei si girava lentamente
verso l’intruso. Ma già sapeva di chi si trattava.
“NAMAGOMI!!”
Valgarv, da dietro al bancone, sentì l’urlo e gattonò
incuriosito fino all’angolo, per sbirciare il motivo di tanta agitazione.
Al centro del
negozio si era appena materializzato un uomo dal bizzarro abbigliamento, con un
caschetto viola ed un bastone come sostegno, che
stava sorridendo con aria estremamente cordiale.
“Sì, anch’io
sono felice di rivederti,” rispose l’uomo al grido
della draghessa, allargando ancora di più il suo
sorriso.
“Felice di
rivedermi?” ripeté Philia, decisamente
nervosa. Con mani tremanti posò il vaso ed il panno su un ripiano, fra una
zuccheriera ed un piattino per biscotti. “Ti materializzi nel mio negozio, mi
spaventi, rischi di farmi rompere il mio pezzo preferito e dici di essere felice di rivedermi?”
L’altro si fece
pensieroso, alternando il peso da un piede all’altro, poi sembrò giungere ad
una conclusione: “Sì, è andata proprio così.”
“Xelloss…” mormorò Philia e la sua
voce sembrava il tuono lontano di una tremenda tempesta. Solo un gemito
preoccupato proveniente da dietro di lei le impedì di estrarre la sua mazza
chiodata. Si voltò di scatto e vide Valgarv che la
guardava con gli occhi spalancati.
“Valgarv, ti sei spaventato?” chiese lei, premurosa, subito
dimenticando l’inopportuno visitatore. “Quel signore cattivo ti ha fatto
paura?”
Xelloss si limitò ad inarcare un sopracciglio a quell’uscita, ma non disse nulla. Philia
prese subito in braccio Valgarv, rassicurandolo a coccole
e sorrise.
“Lo porto un
attimo di là, poi facciamo i conti,” disse rivolta a Xelloss, e la sua voce tradiva una minaccia che il volto
non mostrava. Il Mazoku si limitò ad annuire
divertito.
Però, Valgarv in tutto questo tempo è cresciuto.
Sono proprio un
bel quadretto familiare quei due.
Quasi mi
dispiace essere piombato qui così all’improvviso.
Quasi.
Dannato Namagomi!!
Come si permette
di entrare nel mio negozio senza nemmeno usare la porta?!
E spaventare Valgarv?!
Ma ora lo sistemo…
E spero proprio
che non porti altri guai con sé.
Dopo un
secondo, portato Valgarv nella sua cameretta, Philia tornò nel negozio. Xelloss
si era comodamente seduto su una delle poltrone usate solo come arredamento, e
stava sorseggiando tè da una tazzina fatta apparire all’occorrenza.
“Xelloss, stai usando il mio negozio come un salotto, te ne
rendi conto?” disse lei a denti stretti, trattenendo la furia. Solo allora lui
parve accorgersi che era tornata.
“Oh, scusami,
però devi ammettere che questo arredamento invoglia proprio
al relax.”
“Ti spiacerebbe
alzarti?”
“Ma certo, non
sono poi così rozzo da restare seduto quando una signora rimane in piedi.”
Philia non ebbe reazioni a quella provocazione, e rimase a
guardare mentre l’altro si alzava e faceva sparire la tazzina che aveva
evocato.
“Dove sei
stato?” chiese bruscamente, sperando di prenderlo in contropiede.
“Da mia madre,” rispose lui con semplicità, come se non ci fosse nulla di
strano nell’avere come madre uno dei cinque demoni maggiori creati da Shabranigdu in persona, ZelasMetallium.
Un lampo di inquietudine attraversò la mente di Philia:
“E cosa ti ha detto?”
“Mi ha chiesto
di ucciderti.” La risposta di Xelloss era di una
semplicità disarmante.
“Di nuovo?”
chiese ancora Philia, apparentemente non toccata dal
fatto che ZelasMetallium
la voleva morta. “E tu cosa le hai risposto?”
“Che ci avrei pensato su.”
“Ma perché mi vuole morta?!” sbottò lei esasperata, battendo
per terra un piede. “Che le ho fatto di male?”
Xelloss fece sparire il suo bastone ed incrociò le braccia,
sornione: “Dopotutto appartieni alla razza nemica giurata dei Mazoku…”
D’un tratto scomparve e riapparve in un istante subito
davanti a lei, gli occhi d’ametista socchiusi fissi nei suoi.
“E poi le hai
portato via il suo unico figlio e fidato servitore.”
E senza darle il tempo di reagire la abbracciò e la baciò
con trasporto.
Philia, sorpresa, rimase un attimo incapace di reagire, ma
poi lo scostò con forza. Però sorrideva.
“Sei un incorreggibile, lo sai?”
“E’ un modo di
vedere le cose, sì. Però ho ottenuto il mio scopo, ora non sei più arrabbiata
con me.”
La draghessa avrebbe dovuto infuriarsi ancora di più, ma sentì di non riuscirci. Si limitò a sorridere con aria di
rimprovero e tornò ad affaccendarsi nel negozio.
Stupido Mazoku.
Oppure dovrei dire
stupida a me stessa, che mi sono innamorata di lui, due mesi fa?
No, nessuno di
noi due è stupido.
Solo, siamo
entrambi restii a sottometterci alle regole.
“Senti, Xelloss,” chiese Philia dopo un po’, mentre lui aveva iniziato ad aiutarla a
contare le entrate della giornata. “Per quanto resterai questa volta?”
“Per un po’,” fece l’altro con un’alzata di spalle. “Più dell’altra
volta, comunque.”
“Ma non è pericoloso?” Ora nella voce della draghessa si percepiva una genuina preoccupazione. “Voglio
dire, Zelas potrebbe non essere d’accordo che tu
passi tutto questo tempo con una draghessa.”
“Mi sono
guadagnato un po’ di vacanza, con i miei ultimi servigi, non preoccuparti. Lady
Zelas mi ha dato del tempo libero come premio, quindi
non sto facendo nulla di illegale.”
“Servigi? Che tipo di servigi?” Ora gli occhi di Philia
erano ridotti ad una fessura. Xelloss lo notò
e sorrise, sollevando un dito.
“Questo è un
segreto,” disse, poi, vedendo che la ragazza si
preparava ad estrarre la sua mazza, si affrettò a precisare, “comunque nulla
che potrebbe farti arrabbiare.”
Philia continuò a squadrarlo per un po’, poi lasciò cadere
l’orlo della gonna e tornò al lavoro.
Se mi dice così,
mi fido.
Ha imparato a
sue spese che non è il caso di ingannarmi.
Dal piano
superiore arrivò un pianto sordo. Philia smise subito
di armeggiare con le monete d’oro e rimase in ascolto, poi guardò Xelloss dispiaciuta.
“E’ Valgarv, credo che abbia fame.
Faccio in un attimo.”
Xelloss le mise una mano sulla spalla, trattenendola. “Lascia, faccio io. Beve ancora il latte, vero?”
“Sì, ma…”
“Dove tieni il biberon?”
“Nella credenza
della cucina,” Philia era
ancora stupita, ed indicava vagamente le scale. “Terza porta…”
“… a sinistra,
ricordo bene?” la interruppe Xelloss. La ragazza
annuì.
“Allora vado e
torno, d’accordo? Aspettami qui.” E si volatilizzò.
Nel giro di un minuto si sentì la sua voce risuonare attutita dal piano di
sopra, mentre il pianto di Valgarv si calmava fino a
sparire.
Philia, dal canto suo, rimase alla cassa ad aspettare,
ancora sorpresa. Poi un lieve sorriso intenerito le si
dipinse sulle labbra.
Lui non era mai
andato a dare da mangiare a Valgarv, prima d’ora.
Alcuni mesi
dopo ci fu aria di festa a Seillune. La gioia che
aveva rallegrato i cuori della famiglia reale si era
diffusa all’intera popolazione, per cui alla notizia che il giovane VarnionDartelyon avrebbe preso il
posto del vecchio padre a Capitano delle Guardie, i cittadini si unirono
spontaneamente ai festeggiamenti.
ShyrienDartelyon aveva dato
l’annuncio a sorpresa durante un banchetto: dopo la sua lunga ed onorata
carriera dichiarò di volersi ritirare a vita privata, designando come successore
il proprio figlioVarnion.
La notizia colse tutti di sorpresa, perché il vecchio Shyrien
era ancora nel pieno delle sue forze, ma forse c’era da aspettarselo: era già
da qualche anno che temeva di non poter più servire il Re al pieno delle sue
capacità, ma non c’era nessuno tra i nobili ed i soldati che fosse
pronto a suo avviso a succedergli in carica. Questo fino al ritorno di Varnion.
“Ma… Io non ho frequentato l’accademia militare, non sono mai
diventato ufficiale!” aveva protestato il giovane, ancora sbalordito dalla
proposta del padre, ma era stato zittito da una serie di vigorose pacche sulle
spalle da parte di questi.
“Figliolo,” aveva spiegato, in modo che tutti al banchetto
ascoltassero, “tu hai più esperienza di quanta se ne può guadagnare in dieci
anni di studio! E poi ti conosco bene, sei l’unica
persona al mondo a cui affiderei la vita del nostro Re Philionel
e della Principessa Amelia. E inoltre…” aveva concluso,
accarezzandosi la folta barba grigia con aria sognante. “E’ da
tempo che desidero dedicarmi alla coltivazione dell’uva nella tenuta
della nostra famiglia.”
Di fronte a
tali motivazioni Varnion non aveva potuto fare altro
che accettare, ancora un po’ spiazzato. Ed in effetti
avrebbe comunque accettato, solo non si aspettava che il padre decidesse di
ritirarsi così presto. I suoi doveri come Capitano delle Guardie sarebbero
stati molto onerosi, però la cosa non gli avrebbe pesato: al termine del
banchetto la ragazza lo aveva preso sottobraccio, allontanandolo dai nobili che
si attardavano a salutare Philionel, e gli aveva
confidato di essere estremamente felice di questa sua
nomina. E se lei era felice lo era anche lui, non
importava a quali sacrifici sarebbe andato incontro.
“D’ora in poi
avrò molti doveri,” le aveva spiegato, “ma troverò
sempre un po’ di tempo da passare con te. Per essere la tua Volpe del
Sottobosco.”
Aveva concluso con un sorriso, che si era specchiato in quello di
Amelia, tuttavia ciò serviva solo a mascherare la malinconia atroce che provava
nel cuore: ora aveva l’incarico ufficiale di proteggerla, le avrebbe potuto
stare vicino. Ma non avrebbe mai potuto stare tanto
vicino al suo cuore quanto una chimera lontana, che la faceva soffrire…
La cerimonia
pubblica fu commovente. In alta uniforme, Varnion
raggiunse il Re e suo padre nel tempio di Cepheid,
tra due ali di folla. Amelia lo guardava con le lacrime agli occhi dalla
commozione dal fianco di Philionel, e lui le sorrise.
Pronunciate le frasi di rito, Shyrien si tolse il mantello della guardia e lo pose sulle spalle del
figlio, fissandolo con la spilla d’argento che aveva orgogliosamente portato
per anni. Poi il Re gli mise una mano sulla spalla destra e gli fece
l’occhiolino. Quel gesto tutt’altro che cerimonioso
lo rilassò un po’, e poté rispondere con un lieve cenno del capo.
“Di fronte a Cepheid e al popolo di Seillune
ti nomino Capitano delle Guardie Reali, VarnionDartelyon. Che la tua carriera possa essere lunga e piena
di soddisfazione come quella di tuo padre.”
A quelle parole
Shyrien scoppiò a piangere ed abbracciò il figlio,
rischiando quasi di stritolarlo. Con un sorriso, Varnion
rispose all’abbraccio. Un sonoro applauso riempì il tempio, insieme alle grida
di giubilo del popolo. Una volta sciolto
dall’abbraccio del padre, il ragazzo ricevette l’altrettanto poderosa stretta
di mano del Re. Quando anche quell’atto cerimoniale
fu compiuto, Amelia non resse e gli gettò le braccia
al collo, incespicando nel lungo abito rosa pallido. Varnionsi irrigidì lievemente al contatto, ma poi rispose con
trasporto, nascondendo bene il dolore che provava. Era giusto che Amelia fosse
felice. Almeno per un momento.
Il banchetto
che seguì si protrasse fino alla mattina, ed a metà
serata il festeggiato sgattaiolò via. Non riusciva più a tenere sotto controllo
la rabbia e la frustrazione di non poter dichiarare di fronte a tutti di amare
la Principessa perché, se anche il Re e tutti gli altri avrebbero potuto
esserne contenti, lei ne sarebbe stata distrutta. Evitando i servi che si
avvicinavano per congratularsi tornò nei suoi appartamenti, si tolse il
mantello da Capitano delle Guardie ed estrasse la spada. Esercitarsi fino allo
stremo delle forze era il modo migliore che conosceva per rilassare il corpo e
l’anima. Si rimise il mantello nero con cui era arrivato a Seillune
ed uscì in fretta dalla stanza.
Non molto tempo
più tardi, anche Amelia se ne andò, adducendo come
scusa al premuroso padre il sonno. Ma in realtà non
aveva sonno. L’assenza di Varnion (spossato, pensava
lei, dal pomposo cerimoniale di corte cui non era abituato) aveva permesso alla
sua inquietudine di tornare a farsi sentire. Equell’inquietudine aveva un nome ed un volto…
Zelgadiss…
Si recò nei
suoi appartamenti, sperando che la solitudine ed una buona dormita le restituissero l’abituale buonumore, ma non servì a nulla.
Dopo un’ora insonne si rialzò dal letto. L’inquietudine si era trasformata in
tristezza. Sì recò alla finestra, sperando che un po’ d’aria le schiarisse le
idee. Aprì le imposte ed espose il volto alla gelida brezza che ne filtrò. Ma non servì a nulla.
Guardo il cielo, le stelle, la luna…e mi
domando: ‘dove sei?’
Avevi detto che avresti pensato sulla
possibilità di venire a Seillune con me…non lo hai mai fatto.
Dicevi che saresti tornato…e invece sono
già trascorsi due anni.
Due anni…senza ricevere tue notizie…due
anni senza sapere nulla di te…comese
non fossi mai esistito…come se io non esistessi per te…
Due lacrime scivolarono silenziose
sulle gote appena arrossate difreddo
etristezza della Principessa di Seillune.
La finestra del suo appartamento,
nonostante il gelo tagliente di quella desolata notte invernale, era spalancata
ed un vento leggero e ghiacciato ne faceva appena ondeggiare le tende e il
regale abito rosato che indossava facendola rabbrividire. Ma
non le importava.
Dove sei adesso, Zel?
Altre stille corsero in rapida successione accompagnate da tremiti e singulti che
ne scuotevano le spalle esili.
Un colpo.
Un altro.
Sobbalzò.
Rapida si volse verso la porta
alle sue spalle tergendo via le lacrime.
“C…chi è?”
“VarnionDartelyon, Vostra Maestà. Vi chiedo umilmente perdono
per l’ora tarda. Chiedo di essere ricevuto per potervi augurare una lieta
nottata.”
Amelia WillTeslaSeillune sorrise
lievemente mentre si avvicinava a rapidi passi ad aprire la porta.
Quando il
battente fu del tutto spalancato, lui era lì. Avvolto nel suo
manto nero su cui spiccavano scaglie di brina. Doveva essere rientrato
da poco.
Gli sorrise
stanca, ma felice di vederlo.
“Ciao, Varnion.”
Il giovane si inginocchiò
di fronte alla propria Sovrana.
“Spero di non avervi disturbata,
Altezza.” Proferì a bassa voce senza levare lo sguardo
su di lei, come la più rigida etichetta imponeva.
Amelia accennò ad una risata un
po’ forzata.
“Non c’è bisogno
di queste formalità, Var, lo sai. Su, non stare lì in ginocchio, alzati.
Vieni, entra.”
Varnion
si levò in pedi. La superava di un bel po’ di centimetri, così che lei gli
arrivavaappena poco più sopra del
petto.
“Ad una Principessa bisogna
rendere omaggio in modo adeguato…” Disse mentre le rivolgeva un sorriso quieto
e pacato, seguendola nell’anticamera degli
Appartamenti Regali.
La luce delle candele, agitata dal
vento, tremolava proiettando le ombre dagli instabili contorni delledue figure sulle pareti.
“Anche se
la Principessa e lo Spadaccino vagabondo giocavano insieme da bambini?” Chiese
lei chiudendo la porta.
“Ma la Corte, ed in particolar
modo gli Appartamenti Regali, non sono i Giardini o le Scuderie della Reggia...
Amelia… Abbiamo i nostri ruoli, lo sai … tu quello di
Erede al Trono ed io…quello di Spadaccino vagabondo figlio del Capitano delle
Guardie Reali che finalmente si è deciso a prendere il suo posto…”
A quelle parole, il volto della
Principessa s’incupì nuovamente, perdendo quel barlume di distrazione che il
suo amico sembrava averle donato.
Ognuno ha i suoi ruoli…se io non avessi avuto questa corona…se non avessi dovuto essere qui…
se…
Lo Spadaccino venne
investito da una folata di vento più violenta delle altre e non si avvide di
Amelia che si appoggiava pesantemente alla parete accanto ad un sofà.
“Ma tu
guarda! La finestra spalancata in una notte come questa! Vuoi
prenderti un malanno?!” Esclamòandando ad accostare rapidamente i battenti.
“Non cambierai proprio mai vero, piccola…Amelia…?”
Si era voltato e tutta la sua
serenità si era annullata nel luccichio che nella penombra aveva scorto sul volto di lei rivolto al suolo.
“Amelia! Amelia, cos’hai?”
Senza perdere tempo, le era corso accanto prendendola per le braccia, scuotendola
con leggerezza, ma decisione, cercando uno sguardo che ella non concedeva.
“Amelia! Che
succede??”
“Niente…sto...bene…”
Di nuovo quel fiume di luce dagli
occhi.
Di nuovo quella
voce dolce e minuta che tremava.
“Amelia, non mentire!”
“Sto bene ti ho
detto!”
Uno scatto nella voce.
Poi i singhiozzi.
Violenti.
Incessanti.
Varnion
sentì un’ira cieca e sorda montargli dentro.
Non visto digrignò i denti senza
lasciare la presa.
Per lui!
Ancora per lui!!
E’ per lui che sta piangendo!
Maledetto!
Maledetta Chimera, ma chi sei?!
Chi sei??
CHI DIAVOLO SEI??
Chi sei per farla soffrire così??
Lei ti ha descritto a me con gli occhi
dell’Amore... troppo ingenua… troppo pura… troppo fragile… maledetto!
Lei non sa come sei realmente fatto!
Cieco sin da giovane! Come e
peggio di tuo nonno!
Volevi il potere, volevi la forza, ed hai
perso la tua umanità!
Ed ora hai fatto lo
stesso errore!
Volevi una cura, ed hai rinunciato all’amore!
Al SUO amore!
PAZZO!
Ed a causa tua l’ho
perso anch’io!
Perché lei non mi amerà
mai!
Perché lei non ti
dimenticherà mai!
Non ho taciuto per tutti questi anni solo
perché tu me la portassi via per sempre!
Non ho taciuto perché lei soffrisse!
Non ho taciuto perché tu, col tuo sporco
egoismo, le infliggessi questo immeritatissimo dolore!
Ho taciuto per non legare la sua esistenza al
mio vagabondare!
Ho taciuto per consentirle di amare un uomo
che potesse esserle vicino sempre così come io non
avrei mai potuto fare finché avrei viaggiato per apprendere!
Ho taciuto tutto questo ed ho continuato ad
amarla da lontano, scrivendole da ogni luogo che toccavo, anche il più remoto!
Ed ora che erotornato per restare…anche a costo di saperla
felice con un altro, anche continuando ad amarla in silenzio…solo per poterla
vedere tranquilla e serena…
MALEDETTO!!
Non ti perdonerò mai per ciò che le stai facendo!
MAI!
Va’ pure per il mondo!
Cerca la tua stramaledettissima cura e crepa!
Se solo lei non ti
amasse in questa maniera…se solo lei ci riuscisse…verrei a cercarti in ogni
angolo del globo e ti ucciderei con le mie stesse mani!
Come un verme!
Ma io non sono come
te.
Ora che sono qui, non l’abbandono.
Dovesse costarmi la vita, farò di tutto per
ridarle il sorriso che tu le hai strappato!
A qualsiasi costo.
Perché io non sono come
te.
Perché non posso
sopportare le sue lacrime.
Perché non ho mai potuto
sopportarle.
Fin da bambini.
Perché amavo vedere il
suo sorriso.
Perché amo ascoltare la
sua risata.
Perché l’ho sempre amata.
Perché la amo.
Il giovane inspirò profondamente
mentre la rabbia lasciava posto ad una tristezza abissale.
La tua sofferenza è la mia sofferenza, Amelia…
In questo siamo uniti…e nessuno potrà
dividerci…
Ma quanto fanno male
le tue lacrime, Amore mio…
Lentamente portò una mano sotto al suo mento e lo alzò piano verso di lui.
Amelia, seppure non avesse voluto,
non ebbe la forza di opporre resistenza ed i suoi occhi blu andarono ad
incastonarsi in quelli lucidi color nocciola di lui.
Di fronte aquei pozzi d’oceano, l’anima dello Spadaccino
andò in frantumi.
Senza riuscire ad aggiungere
altro, l’attirò a se stringendola forte tra le braccia, poggiando le sue labbra
sulla frontedi lei
in una serie di baci delicati e struggenti.
“Non piangere per lui…ti supplico…Non lo sopporto…non riesco a sopportarlo! Perdonami…” Sussurrò con voce rotta e tremante. D’impotenza,
di rabbia, di disperazione feroce, d’amore indiscusso.
La Principessa sgranò gli occhi.
Il velo era caduto.
“Varnion…”attonita si scostò piano e lo guardò in
volto. Quel volto che per lei era sempre stato quello di un
fratello. Gentile, premuroso, discreto…
Che
stupida…non aveva capito…non aveva capito ed ora era troppo tardi.
E lo
sapevano entrambi.
Avrebbe voluto dire tante cose in
quel momento, di fronte ai suoi occhi così caldi…che l’avevano sempre avvolta
in silenzio come la più calda delle coperte… non ci riuscì.
“VARNION!”
Gridando il suo nome tra le
lacrime e i singultisi gettò contro di lui serrando le mani dietro la sua schiena,
il volto affondato nelle pieghe del manto drappeggiato sull’armatura, alla
disperata ricerca di un conforto in tutto quel dolore.
Per lei, per lui. Per lei
prigioniera di quell’amore. Per lui che non meritava
questo e che, nonostante tutto, la stringeva al petto e le baciava la fronte
sfiorando le sue ciocche corvine, riscaldandola col suo calore, il volto
solcato da una singola lacrima.
“Varnion!
Varnion!”
Il suo nome invocato nella
disperazione…
Non è questo che vorrei…
Le braccia di
lui che la serrarono di più.
Non è colpa tua…lo so…
Le mani di lei
che corsero tra i capelli castani di lui, di cui le tenui luci dei candelabri
mettevano in risalto i riflessi ramati. Il nastro nero che li legava
all’estremità che cadeva senza peso al suolo.
Nessuno di noi due ha avuto scelta…
La Principessa lo guardò negli
occhi attraverso il fosco velo di lacrime che strabordavano
dai propri.
“PERDONAMI!”
Chiuse gli occhi.
Un unico scatto.
Si alzò in punta di piedi.
Le sue labbra toccarono quelle di
lui.
Un bacio disperato.
Ricaddero all’indietro
sprofondando sul sofà.
L’ una sulle ginocchia dell’altro.
Varnion
chiuse a sua volta gli occhi ricambiando quel bacio che sapeva di lacrime,
ascoltando i singhiozzi di lei tra le sue labbra.
No…non era questo che volevo…
Il manto venne
aperto e lasciato cadere.
…ma se ciò servirà ad alleviare le tue pene…
Il giovane fece scivolare
timidamente, esitante, le mani dietro l’apertura del vestito
di lei.
…anche solo per
qualche ora…
I loro baci divennero più roventi
ed esasperati. I ganci che trattenevano la sua armatura e la sua spada cedevano l’uno dopo l’altro con un secco clangore metallico.
…se questo è il costo
per rivedere il tuo sorriso…
Lentamente le mani forti e calde
di lui si insinuarono nell’apertura accarezzando piano
la schiena sino a risalire sulle spalle per abbassarne le stoffe. La propria
camicia scivolò via.
Un fiotto di lacrime gli inumidì
gli occhi e scorse via.
…se poi i sensi di
colpa non ti assaliranno…
Fruscio di stoffe cadute.
…se poi i sensi di
colpa non ci assaliranno…
Labbra che
cercavano labbra senza sosta. Bruciante, reciproco, bisogno.