Someone Who Makes You Happy

di The Lady Vanished
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** He's Just Not That Into You ***
Capitolo 2: *** The Catcher in the Rye ***
Capitolo 3: *** A Soldier's Daughter Never Cries ***
Capitolo 4: *** Clash of the Titans ***
Capitolo 5: *** Playing the Enemy ***
Capitolo 6: *** Invictus ***
Capitolo 7: *** Nesnesitelná lehkost bytí ***



Capitolo 1
*** He's Just Not That Into You ***


"Ah, sei tu Humphrey!", Blair lo squadra, sbuffando - dovrebbe avvertirlo che i revival grunge non sono esattamente il must del momento. "Serena non c'è, è uscita". Dan esita all'ingresso, tanto lo sapeva che il suo sarebbe stato un tentativo a vuoto. "Fa' nulla...l'aspetto" Blair è molto seccata della cosa - Dan Humphrey almeno due ore seduto sul divano del suo salotto? - ma poi è mossa a compassione. "Vado a prenderti qualcosa da leggere".
Serena. Il filo sottile che li unisce. Quanto durerà ancora? Sono tornate da Parigi da più di un mese e lei deve ancora scegliere: il principe azzurro o l'intellettuale liberal? Aveva avuto tutta l'estate per prendere le distanze dalla situazione e chiarirsi le idee, ma era troppo impegnata a flirtare con Pierre passeggiando tra gli Champs Elises o sfrecciare in vespa con Jean trai vicoli di Montmartre - sempre che si chiamassero così quei tizi - mentre Blair si leccava quelle ferite che ora continuano a bruciare.
"Ecco, fatti una cultura!" gli dice appoggiando, senza troppa grazia, sopra il tavolino del soggiorno, una manciata di libri, tra cui spicca La verità è che non gli piaci abbastanza, di Greg Behrendt e Liz Tuccillo. "Sottile Waldorf. Immagino che questo libro ti stia aiutando molto in questo periodo". Blair avvampa e esce dalla stanza, facendo risuonare rumorosamente i tacchi delle sue Louboutin verde mela e guardandolo con disprezzo. L'ha zittita, ma si sente un po' in colpa. E' vero: stiamo parlando di Queen Bee, la ragazza che aveva cercato in tutti i modi di mettergli i bastoni tra le ruote al liceo e che aveva esiliato sua sorella da Manhattan, ma forse un cuore ce l'ha anche lei ed è stato crudele da parte di Dan infierire così. Dopo la deflorazione di Jenny da parte di Chuck, l'estate passata a non avere sue notizie, lo sparo, lui che decide di tornare a New York con questa Eva... Sì, non è un gran momento per la reginetta dell'Upper East Side e lui vorrebbe tanto rimangiarsi le parole, ma ciò che è fatto, è fatto, basta aspettare che le passi. Aspettando la sua Serena, comincia a leggere il libro che Blair gli ha gentilmente offerto, anche se non è esattamente il suo genere e pensa sia una boiata pazzesca, ma meglio che starsene solo coi propri pensieri: che cosa ci fa lì?
Se sparisce, non gli piaci abbastanza” afferma con convinzione Blair, facendo capolino dalle scale circa un'ora dopo. “Se fa sesso con un'altra, non gli piaci abbastanza” le risponde lui, mordendosi la lingua l'istante successivo. Anche questa volta avrebbe potuto evitare. Inaspettatamente, lei non lo manda al diavolo e si siede con lui sul divano. “Touche”, dice soltanto. Lui la guarda: ha l'aria stanca, di un guerriero che ha perso troppe battaglie, ma lo scintillio nei suoi occhi dimostra che è ancora in grado di alzarsi in piedi. Lei sospira e inizia a parlare: “Spero di subire a breve una lobotomia che mi faccia dimenticare questo momento, ma, ascoltami bene Humphrey, voglio darti un consiglio”.
“Sono tutto a orecchi”
“Lascia perdere Serena”
Dan rotea gli occhi: “Se era questo il tuo prezioso consiglio, potevi anche risparmiartelo”.
“Non fraintendermi Humphrey: una parte di me gode enormemente nel vedere il ragazzo di Brooklyn, che nella vita si è dovuto guadagnare tutto con le sue forze, mandare al diavolo ogni suo sforzo per inseguire la mia migliore amica. Non ho mai visto tanta devozione per una ragazza, ma mi sento davvero di dirtelo: Humphrey, da quanto non dedichi un po' di tempo a te stesso? Da quanto non scrivi più? Ne vale la pena? Serena non sceglierà mai e lo sai pure tu.”
Dan lo sa, l'ha capito dal momento in cui Serena ha rimesso piede a New York. Non ci sono più ostacoli tra di loro, come il figlio con Georgina, che non era suo figlio, o la storia con Vanessa, finita. Eppure Serena continua a tenere lui e Nate sulla corda, è confusa, dice. La verità è che non riesce a stare sola: ha bisogno dell'amore e a New York ci sono ben due ragazzi che per lei scalerebbero le montagne. Ma per quanto, in modo diverso, lei sia legata ad entrambi, per nessuno dei due prova un sentimento del genere. Se fosse matura, li lascerebbe liberi, ma lei a star sola proprio non ci riesce: allora tanto vale tenersi buoni i due cavalieri serventi, almeno finché non troverà l'uomo per cui vale la pena mettersi in gioco. Sperava che il suo fosse solo un presentimento, la vocina di quell'adolescente insicuro che ancora vive dentro di lui e si diverte a gufare. Ma Blair non può sbagliare, tra alti e bassi Serena era la sua migliore amica dai tempi dell'asilo e la conosce meglio di chiunque altro. E nonostante i modi, apprezza il suo gesto, probabilmente la cosa più vera che lei abbia fatto per lui da quando si conoscono. Sorride, con amarezza. “Hai ragione. Grazie, Blair”. E, come da copione, la ragazza assume la sua solita aria accigliata. “Il fatto che io sia stata mossa a compassione e ti abbia dato un consiglio, non ti autorizza a chiamarmi per nome, Humphrey!” lo punzecchia, scostandosi una ciocca dal viso e guradandolo con aria di sfida.
“E il fatto che io ti abbia accidentalmente chiamato per nome non significa che io abbia cambiato la mia opinione su di te. Ora devo andare, comprendo che il tuo momento delle buone azioni sta volgendo al termine e non voglio sfidare troppo le leggi dell'Upper East Side trattenendomi qui. Arrivederci, Waldorf”
Au revoir, Humphrey”
E sorride, mentre lo guarda infilarsi la giacca in tweed e avviarsi verso l'ascensore: le buone azioni scaldano il cuore perfino ad una Waldorf.

NOTA DELL'AUTRICE:
Il titolo della ff è tratto da una frase che Dan dice a Blair - "You deserve to be with someone who makes you happy" - nella 3x18, The Unblairable Lightness of Being.
I titoli dei capitoli sono titoli di libri/film, che in qualche modo si ricollegano alla storia narrata. In questo caso si tratta di La verità è che non gli piaci abbastanza (Orginale:He's Just Not That Into You), di Greg Behrendt e Liz Tuccillo, da cui è stato tratto l'omonimo film, nel 2008. Da tale libro vengono appunto le citazioni “Se sparisce, non gli piaci abbastanza” e “Se fa sesso con un'altra, non gli piaci abbastanza”, che si scambiano Blair e Dan.

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Capitolo 2
*** The Catcher in the Rye ***


Dan esce da casa Waldorf sentendosi più leggero di almeno dieci chili: aveva bisogno di sentirsi dire quelle parole, per trovare la forza per sbarrare quella strada a senso unico che era diventato il suo rapporto con Serena. E nessuno, nemmeno Rufus, era riuscito ad essere così diretto, così sincero con lui. Se non fosse stata Blair Waldorf a proferir verbo, direbbe che si tratterebbe senz’altro di un consiglio da amica. Mentre si lascia alle spalle l’Upper East Side, si chiede cosa potrebbe aver spinto la ragazza a dirgli quelle parole: forse si tratta solo di umana pietà, sentimento che a quanto pare anche Blair può provare in qualche giorno dell'anno, ma francamente a Dan non importa. Quel pomeriggio non ha voglia di tornare al loft, così inizia a camminare, godendosi il sapore della sua città: il caos, i taxi, i negozi, una mamma con la carrozzina, le luci, i liceali a zonzo, un chiosco di hot dog, un uomo d'affari che parla al cellulare, un clochard all'angolo della strada, il Central Park, una coppia di adolescenti per mano al calar del sole. Quando proprio non ce la fa più, compra panino e bibita in un chiosco e crolla sulla riva del laghetto delle anatre. Sbriciola un pezzo del suo panino per dar loro da mangiare, chiedendosi dove vanno le anatre di Central Park quando d’inverno il lago ghiaccia, come faceva il giovane Holden. Aveva letto e riletto quel libro milioni di volte durante la sua adolescenza e solo crescendo era riuscito a darci un senso. Illuminato dalla luce di un lampione, Dan estrae penna e taccuino e inizia a scrivere come non fa da mesi.

NOTA DELL'AUTRICE:
Il titolo di questo capilo riprende il titolo originale del libro Il giovane Holden, di J.D. Salinger, 1951. La domanda, se volete sciocca, che si pone Dan quando arriva davanti al laghetto, è una delle domande ricorrenti del protagonista della storia, Holden Caulfield.
Spero che mi facciate sapere le vostre impressioni sulla storia: è la prima che scrivo, le critiche possono aiutarmi a migliorare per i prossimi capitoli =)
Buona Pasqua!

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Capitolo 3
*** A Soldier's Daughter Never Cries ***


Lui e Nate avevano appuntamento per le tre davanti alla Columbia University. Devono solo trovarsi per fare due tiri a basket, preferiscono ancora evitare gli incontri troppo intimi: dopo tutto il casino con Serena, la loro amicizia va avanti non senza molti silenzi e imbarazzi, anche se da qualche settimana hanno smesso di stare sul chi vive. Serena, infatti, sembra intendersela alla grande con un suo prof, tale Colin, e la tesi di Blair si rivela più che mai fondata: quasi quasi si aspetta vedersela sbucare trionfante da un angolo “Come volevasi dimostrare, Humphrey!”. Ma, fortunatamente, è dalla loro ultima conversazione che non si incontrano. Il suo consiglio è stato un toccasana, ha spronato Dan a dire basta, una volta per tutte. Non è stato facile, ma inizia a comprendere che il suo era solo l’aggrapparsi al ricordo di un qualcosa da tempo svanito: la foto che li ritraeva baciarsi al ballo delle debuttanti parlava di un’altra era, di due adolescenti che se n’erano andati, per lasciar spazio a quella bozza di adulti erano diventati. In ogni modo, sono le tre e dieci e di Nate nemmeno l’ombra. Fa nulla, Dan si siede su una panchina in compagnia di un libro. Il tiepido sole di novembre filtra tra i rami e fa risplendere il manto di foglie rosse per terra. Il cielo è limpido, senza nubi: le ultime belle giornate, prima che inizino le piogge e il gelo dell’autunno-inverno newyorchese. Di fronte a questo spettacolo, Dan si distrae e non riesce a leggere oltre. Si concentra così sul paesaggio umano, così diverso da quello dell’NYU: gli sembra di fare un tuffo indietro nel tempo, ai tempi del St Jude e della Costance. Si respira un clima da alta società, che gli suscita il giusto disprezzo, ma gli mette anche un po’ di nostalgia. Vede uscire un paio di ragazze che potrebbero essere benissimo le nuove tirapiedi di Blair: tacco alto e calza colorata, gonna corta e cappottino bon-ton, occhiale da sole e borse griffata. Le seguono due tizi dall’aria annoiata e dal look studiatamente trasandato, come a voler mascherare il loro essere figli di un azionista di maggioranza di una società o di un qualche principe del foro. E poi vede Blair. Esce da sola, un bel po’ di tempo dopo gli altri. Sembra indaffarata: con la mano sinistra regge dei libri che sembrano essere d’arte, con la sinistra pigia sull’orecchio il suo Blackberry, mentre parla con un misterioso interlocutore. Poco dopo riattacca, sembra scossa. E Dan comprende con chi stava parlando, perché certe ferite bruciano ancora a distanza di mesi e lui sente di capirla. Inaspettatamente, vede le lacrime rigarle il volto: il trucco inizia a colare, le labbra si seccano, tra la cascata di boccoli spunta il volto di una bimba che impara a confrontarsi col dolore. E’ un pianto silenzioso e malinconico, sincero, senza melodrammi. Vorrebbe alzarsi, porgerle un fazzoletto e una spalla su cui piangere, in fondo si sente in debito con lei. Come un flash, gli passano per la mente le immagini della prima volta in cui lei abbassò la guardia con lui, tre anni, fa, quando sua madre aveva preferito a lei Serena per il servizio fotografico. Ricorda la delusione di Blair, i suoi grandi occhi nocciola pieni di amarezza, del dolore per il fatto di non essere mai abbastanza per sua madre, della frustrazione per l’eterna sfida con la sua migliore amica, che la vedeva sempre un passo indietro. In quel momento, Dan aveva per la prima volta colto l’umanità di quella ragazza, sempre così imperturbabile, perfida e calcolatrice. E non aveva faticato molto a mettersi a nudo con lei, per farle capire che erano tutti e due nella stessa barca, in balia delle loro folli madri. Certo, a Blair non ci erano volute nemmeno ventiquattro ore per tornare a essere con lui la stronza di sempre, tutta frecciatine e complotti. Ma a lui piaceva pensare - a fasi alterne - che la vera Blair Waldorf fosse quella conosciuta in quella domenica lontana: una giovane donna alla disperata ricerca di sé e cresciuta con un complesso d’inferiorità pazzesco, che maschera tutto ciò con la sua smania di ferire, macchinare e controllare tutto ciò che la circonda, dal suo peso al suo futuro. Dan pensa a tutte queste cose, mentre la guarda asciugarsi gli occhi col dorso della mano. Ma nonostante la forte empatia che sente in quel momento, rimane esattamente fermo lì dov’è e ricomincia a leggere il suo libro. Lei non potrebbe sopportare il fatto di farsi vedere da qualcuno in quello stato - lei è una Waldorf e la figlia di Eleanor Waldorf non piange mai. Men che meno davanti a Dan Humphrey, in tuta e scarpe da ginnastica per giunta! E lui sente che per questa volta è giusto fare così. Quando alza gli occhi dal libro, Blair non c’è più. E quando Nate arriva, trafelato, blaterando scuse, si ricorda del motivo per cui è lì. Da ragazzo educato qual è, Dan gli risponde che fa nulla, non importa (davvero non gli importa). Chiacchierano del più e del meno, giocano, guardano le ragazze che passano, ma la testa di Dan è altrove, il pensiero vola a quelle guance rigate dalle lacrime. Ma, si dice, si tratta solo di compassione e immedesimazione, nulla di più.
 
NOTA DELL’AUTRICE:
A Soldier's Daughter Never Cries (in Italiano, La figlia di un soldato non piange mai), è un film di James Ivory del 1998, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Kayle Jones, figlia dello scrittore James Jones. Il titolo del romanzo e dunque del film è preso da una frase che il padre le ripeteva quando era piccola e piangeva.

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Capitolo 4
*** Clash of the Titans ***


Per l'esame di storia contemporanea, Blair deve scrivere un saggio su Mandela e la cosa non la entusiasma molto. Ok, gran personaggio, ma si sente in trappola: il prof è il tipico liberal che si aspetta un fiume di miele su personaggi del genere. E lei non è tipa da fiumi di miele, ma non le sembra un buon motivo per cannare un esame: dovrà piegarsi, una volta tanto. Aveva pensato di commissionare il saggio a una delle sue nuove tirapiedi. Peccato che l'ultima volta una tesina sull'arte di Millet era diventata una monografia sull'arte dell'anno mille e per correre ai ripari il suo sonno di bellezza si era trasformato in una notte di intenso lavoro al PC, con Dorota che con un braccio cullava una nottambula Anastasia e con l'altro le serviva caffè. Ecco, un saggio così l'avrebbe fatto scrivere a Vanessa Abrams, magari puntandole una pistola alla tempia. Ma sospetta fortemente che quell'ipocrita radical chic preferirebbe farsi sparare tra i suoi stopposi capelli corvini, piuttosto che fare un favore a lei. Così, ecco Blair che girovaga per una videoteca in centro, la terza, nello stesso pomeriggio, in cerca di quel documentario che le ha consigliato il prof. Mentre passa davanti allo scaffale dei grandi classici, pensa a quanto sarebbe meglio passare la sua serata distesa a letto, avvolta nel suo piumone, guardandosi per l'ennesima volta Sabrina e ripetendone a memoria tutte le battute, altro che documentario! Con la morte nel cuore, si dirige alla sezione documentari (magari se fa veloce le rimane anche il tempo per il film di Audrey). Strizza gli occhi cercandolo tra gli scaffali: Che Guevara, Dalai Lama,... la M dev'essere più avanti. Si sposta un po' più a destra: Hitler, Lenin...ed eccolo lì, Mandela, una sola copia. Fa per afferrarlo, ma una mano la precede. “Avvoltoio”, pensa fra sé e sé. Si volta per vedere a chi appartiene mano più veloce dell'UES e -oh no!- s'imbatte in un beffardo Dan Humphrey. “Molla l'osso Humphrey!”
“Buona giornata anche a te! Scusa, non avevo visto che eri tu – ed è sincero mentre lo dice – ma non mollo la preda. E' la legge della natura, Waldorf: chi prima arriva, meglio alloggia.”
“L'ho visto prima io, Humphrey. Dammelo subito.”
“Ma io sono stato più veloce.”
“A Brooklyn non insegnano le buone maniere, a quanto pare. Mai sentito parlare di prima le signore?”
“Hai detto bene: le signore, non le perfide ragazzine viziate”
“Humphrey, se non mi dai quel DVD...”
“Cosa fai, mi sguinzagli contro Dorota?”
“Caro il mio Ragazzo Solitario, posso capire che la tua vita, ora che Serena se la spassa col suo bel prof e che Nate ha testa solo per il Capitano, sia così vuota da costringerti a trascorrere il tuo venerdì sera guardando un documentario. Si dà il caso che invece a me quel DVD davvero serva: devo scrivere un saggio su Mandela”
“Mi spiace spezzare i tuoi sogni di gloria e le tue fantasie: anche a me quel DVD serve per l'università, ci è stato consigliato per prepararci al seminario sull'apartheid della prossima settimana”
Paf! E' riuscito di nuovo a zittirla. In effetti, la ragazza non ha a disposizione argomenti con cui controbattere, salvo iniziare la sua invettiva contro Brooklyn, i provincialotti che vi abitano e quella specie di università che è l'NYU. Dan si aspettava che lei partisse in una profluvio di insulti, già se la vedeva: la testa alta e la schiena ritta per cercare di innalzarsi il più possibile, più di quanto le concedessero le sue Manolo, gli occhi vispi e le labbra rosse, il naso che si arriccia, a formare quell'espressione caparbia che intimidisce chiunque abbia a che fare con lei la prima volta. Invece Blair se ne sta zitta, mordicchiandosi il labbro e tormentando una ciocca di capelli: la ragazza non è in vena di battaglie oggi, sembra che Dan stia riuscendo a spuntarla in questo scontro tra titani. O che sia solo una tattica? A lui non interessa: alla fine si tratta di una questione di secondi, non merita quel DVD più di quanto non lo meriti Blair, crede sarebbe il caso di trovare un compromesso che accontenti entrambi. In realtà l'ha pensato fin dall'inizio, ma voleva stuzzicarla un po', in fondo l'han sempre divertito i loro botta e risposta. “Senti Blair, cerchiamo di trovare una soluzione: tu compri il DVD e te lo tieni, ma io metto la casa e ce lo guardiamo insieme. Abbiamo fatto la derattizzazione ieri e i servizi sanitari ci hanno detto che il loft è agibile. – capirà che sta scherzando? - Sono le sei, se ce la giochiamo bene, per le nove abbiamo finito e possiamo fare quello che vogliamo del nostro venerdì sera.”
“Io in quella specie di casa? A Brooklyn? Scordatelo!”
“D'accordo. L'hai voluto tu...” Le dà le spalle e fa per andarsene “In bocca al lupo per il tuo saggio!”
“ASPETTA!” lo ferma lei. Non può permettersi di fallire l'esame. “Per questa volta hai vinto tu”
“Mi piace avere il coltello dalla parte del manico”
“Non ti ci abituare, Humphrey.”
Le porge il DVD. “E ora chi mi dice che non scapperai col bottino?”
“Nessuno, puoi solo fidarti” gli risponde, sorridendo. E, anche avendone la possibilità, non scapperebbe. Dan avrebbe potuto benissimo fregarsene e invece si sta comportando da signore, non le va di fare l'arpia. E poi le fa piacere passare due ore in compagnia di qualcuno che non sia Dorota o la monotematica Serena, con i suoi Colin di qua, Colin di là... Sì, ha decisamente bisogno di cambiare aria, anche se avrebbe preferito non doversi recare necessariamente a Brooklyn. Con Dan Humphrey poi. Mmhh. Magari se gioca bene le sue carte, il saggio potrebbe scriverglielo lui.

NOTA DELL'AUTRICE:
L'incontro di tra Dan e Blair è paragonato ad uno scontro tra titani. Clash of the Titans, appunto. Due film portano questo titolo: il primo di Desmond Davis (1981), il secondo, che ne è il rifacimento, di Louis Leterrier (2010). Sono ispirati al mito di Perseo, figlio mortale di Zeus.

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Capitolo 5
*** Playing the Enemy ***


Escono dal negozio che fuori fa buio, la via illuminata dalle prime luci di Natale - a metà novembre – e dalle vetrine dei negozi più costosi di Manhattan, le macchine che sfrecciano tra una corsia e l’altra insieme ai taxi gialli. Allacciandosi i bottoni del suo montgomery verde bosco, Dan fa per avviarsi verso la fermata della metro. “Sei folle, Humphrey? Io là sotto non ci metto piede!”. Il ragazzo si ferma, fissandola con un’espressione tra il seccato e il divertito: si era dimenticato della leggera forma di avversione di Blair per la metropolita. Decide che non è il caso di tirare la corda, già si sta chiedendo per quale strana congiunzione astrale Queen Bee abbia accettato di metter piede nel suo loft… No, farle pure prendere la metro sarebbe decisamente troppo. “Scherzavo, chiamo un taxi”.
“Lascia stare, faccio io. Se aspetto che tu riesca a fermare un taxi…”.
In effetti non aveva tutti i torti. La osserva, mentre si mette all’opera. Difficile per un tassista non notarla, con quel cappottino rosso e quella testa di boccoli che ricadono morbidi sulla sciarpa in cachemire, mentre agita il braccio destro con sicurezza. In fondo, considera, da abitante dell’UES qual è, avrà imparato a fermare taxi ancor prima che a camminare. E quando il primo taxi si ferma e salgono, sorride nel sentire il tono disgustato di lei mentre scandisce la parola Brooklyn al tassista, neanche stessero andando nelle favelas. Dan glielo fa presente e lei sbuffa sonoramente, alzando gli occhi al cielo, e dando nuovamente inizio al loro gioco di frecciatine e risposte piccate. Intanto il taxi arranca nel traffico dell’ora di punta e lui non può fare a meno di farle notare che con la metro sarebbero arrivati a destinazione da un pezzo.
Sono già quasi le sette quando mettono piede nel loft, con Blair che scruta l’ambiente, quasi fosse un insoddisfatto possibile acquirente e lui un agente immobiliare che non sa che pesci pigliare. “Se non altro è pulito”. Di più non avrebbe potuto pretendere. Dan cerca di essere un buon padrone di casa: l’aiuta a sfilarsi sciarpa e cappotto (Humphrey, non pensare nemmeno di appenderlo nel guardaroba che poi prende l’ odore di chiuso!), la fa accomodare sul divano azzurro (Mio Dio, ho capito essere amanti del vintage, Humphrey, ma questo è davvero troppo) e le offre qualcosa da bere (Coca cola? Sei pazzo? Troppi zuccheri. Succo? Ti pare che siamo ad una festa delle elementari? Un caffè? Vuoi farmi stare in piedi tutta la notte?! ... Senti, ce l’avete l’acqua potabile qui?). Un po’ le risponde a tono, un po’ semplicemente sorride, stando zitto. Si accomoda goffamente sul divano, cercando di capire qual è la giusta distanza da frapporre tra loro, non sa bene come comportarsi, è il contesto più intimo in cui si siano mai incontrati e la cosa un po’ lo spaventa e un po’ lo affascina. Poi inizia il documentario, la sua mente e il suo sguardo si concentrano sullo schermo. Blair non ricorda molto dell’apartheid, anche se non è affatto una persona ignorante. Lui ogni tanto le rinfresca la memoria, con date e avvenimenti, discorsi di politici di cui il ricordo si è perso nei tempi. Ecco cosa faceva mentre non era invitato alle feste, pensa lei. Ma mentre lui le spiega, pende dalle sua labbra, se non altro è un ragazzo di cultura e questo non è un fatto da disprezzare. Ogni tanto stoppano, commentano gli eventi e lei ha sempre qualcosa di intelligente e puntuale da dire, opinioni ben argomentate e non banali. Capita anche che il discorso cada sugli scenari attuali e lui si stupisce nello scoprire che Blair legge il giornale più o meno ogni mattina, accompagnandolo con un caffé di Starbucks. E’ uno scambio di opinioni vivace e mai sterile: lui, democratico nel cuore, e lei, nostalgica delle antiche monarchie. Quando sullo schermo scorrono i titoli di coda e i ringraziamenti, l’orologio segna le dieci: la serata ormai è andata. Vista la qualità della loro vita sociale dell’ultimo periodo, nessuno dei due aveva in realtà altri programmi, ma si impegnano a fingere che non sia così. “Persa per persa, almeno ordiniamo qualcosa da mangiare” propone lui. Blair fa un po’ di rimostranze: la pizza ha troppi carboidrati, il cibo cinese troppo olio, il sushi l’ha mangiato ieri sera… Infine optano per non ordinare nulla: Dan si mette all’opera per preparare una caprese con la mozzarella di bufala, la convince a mangiarla facendo leva sul fatto che il latte di bufale è meno grasso. Mentre lo osserva tagliare i pomodori, Blair cerca di ricordare quando è stata l’ultima volta in cui qualcuno, diverso da Dorota o da qualche altro domestico, si sia messo ai fornelli per lei, anche per un piatto semplice, come degli spaghetti o un’insalata. Ma non le viene in mente nulla.
 
NOTA DELL’AUTRICE:
Playing the Enemy (tradotto in Italia come Ama il tuo nemico), è un libro di John Carlin del 2008, che racconta la storia di come Mandela abbia utilizzato il rugby per unire una nazione. Da esso è stato tratto il film Invictus (2009).

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Capitolo 6
*** Invictus ***


Cenano sul bancone della cucina, uno accanto all’altra, accompagnando il tutto con del vino rosso perché “se devo cenare con te, Humphrey,  preferisco non farlo da sobria”. Durante la cena, il loro scambio di opinioni continua: parlano di Mandela, dell’apartheid, dei corsi che stanno seguendo, dei film che vorrebbero vedere. Blair sente che sta vivendo qualcosa di surreale: vedere un documentario seduta sul divano con Dan Humhrey, cenare e conversare con lui, il tutto nel suo loft a Brooklyn. Forse è solo inebetita dai troppi bicchieri di rosso, ma tutto ciò le dispiace meno di quanto avrebbe potuto immaginare. Il discorso cade poi sulle loro vite: Dan e Serena prima, Chuck e Blair poi.
“E tu, Blair, come stai?” chiede preoccupato lui, anche se non le dirà mai di averla vista piangere appena la settimana scorsa. Blair vorrebbe mentire, ma, sarà il vino o sarà lo spirito di sopravvivenza, sente che non ce la fa più e, con gli occhi bassi, si decide a vuotare il sacco:
“Onestamente? Non so più chi sono, dove sto andando. Quando ho incontrato Chuck, a Parigi, ho capito che, se volevo sistemare i cocci della mia vita, dovevo ripartire da me, senza di lui. Dovevo capire chi ero diventata, cosa volevo e se ero in grado di mettere una pietra sopra a tutto ciò che è successo. E ci sto provando, un po’ alla volta. Ed è così difficile, un giorno mi dico che sto bene, ma mi basta vederlo in giro con quella sciacquetta, per stare ancora male e chiedermi perché perché perchè non sono arrivata all’Empire prima delle sette. Lo vedo felice e realizzato, perché giorno dopo giorno sta diventando l’uomo di affari che ha sempre voluto essere. E io, invece, mi sento sempre ferma allo stesso punto, qui, a chiedermi chi sono e che posto voglio occupare nel mondo. Mi tengo impegnata, è vero, ma in nulla riesco a mettere tutta l’anima. Credevo che alla Columbia le cose sarebbero state più semplici, ma ciò che ho ricavato andando lì è stato solo un nuovo gruppetto di tirapiedi, come quello che avevo alla Costance. Con la differenza che, se lì eccellevo, qui invece galleggio. Mi illudevo di essere la più in gamba, in realtà sono solo una tra le tante. Sai, quando mi confrontavo con Serena, tra me e me pensavo Ok lei sarà la più bella, ma quando saremo adulte, mentre lei sarà solo la bellissima moglie di un uomo ricco, io sarò qualcuno, salirò in alto, solo con le mie forze, come mia madre. Ora rido di questi miei pensieri. Da quando è finita con Chuck ho perso la bussola e non riesco a ritrovare la strada: dove pretendo di arrivare? Tutto ciò mi fa sentire patetica. E mi sento ancora più patetica pensando che sto raccontando tutto ciò a Dan Humhrey.” E butta giù gli ultimi sorsi di vino tutto d’un fiato, quasi fosse una medicina per il dolore e per la vergogna di quella singolare confessione, che ha colto Dan impreparato. Sospira: vuole riordinare le idee prima di risponderle, perchè Blair è già angosciata, non merita un'accozzaglia di frasi fatte, giusto per tirarle su il morale. Non è stupida. Dopo un attimo di esitazione, Dan comincia a parlare:
“Sai, Blair, a volte può capitare di non sapere cosa vogliamo, dove stiamo andando, chi desideriamo diventare. Ma non devi per questo dimenticare chi sei. E tu sei Blair Waldorf. La ragazza che da sola riusciva a comandare una scuola intera, passare da una festa all'altra e meritare di essere ammessa a Yale, anche se poi non andata così. Sei la ragazza che è riuscita a incastrare Georgina Sparks e a far scappare Jenny. Sei la ragazza che è stata capace di essere la migliore amica di Serena, nel bene o nel male. Che ha fatto dire a Chuck Bass Ti amo. Devi ricordartelo ogni giorno. E anche se ora non sai quale sia la tua strada, l'importante è che non ti arrenda e che continui  a cercarla. Quanto a Chuck, scusa, ma sai cosa penso di lui: secondo me meriti di meglio, qualcuno che ti renda felice. Tuttavia, se davvero siete fatti per stare insieme, lui tornerà e tu troverai la forza di perdonarlo. Ma prima di tutto, devi lavorare su te stessa, capire cosa vuoi. E non far dimenticare al mondo che tu sei Blair Waldorf.”
“Grazie Humphrey.” mormora, guardandolo negli occhi e sorridendo. “E, se posso ricambiare con un consiglio, eviterei di mettere quel cardigan.”
“Con questa camicia, intendi?”
“No. Eviterei di mettere quel cardigan, punto.” Dan scuote la testa, ridendo. Quando ride, gli si formano due fossette ai lati delle labbra e Blair non può fare a meno di notarlo.
“Hai mai visto Invictus?”
“Che c'entra quel film adesso? D'accordo che non so cosa voglio per il mio futuro, ma non credo proprio che riuscirai a farmi diventare un'attivista.”
“Non l'ho mai pensato. Già mi chiedo come sia possibile che tu abbia accettato di cenare con me, a Brooklyn, sta sera...non è che forse hai una gemella buona? Ad ogni modo, questa conversazione me la fatto venire in mente. Non storcere il naso e non alzare gli occhi al cielo. – la ammonisce subito – Certo, si tratta di un film commerciale e quel che vuoi, ma secondo me merita. L'ho trovato bello.”
“Non so quanto fidarmi del bello di Dan Humphrey, considerando con chi stavi fino a poco tempo fa.”
“Io ti ribadisco il mio consiglio. Guardalo. Poi fammi sapere che ne pensi. Dieci dollari che ti piacerà.”
“Mhhh. Comunque sia, Humhrey, si è fatto tardi. Forse è meglio che vada.” dice, alzandosi in piedi.
“Già, ti conviene sbrigarti, prima che questo loft si ritrasformi in una zucca e io in un topolino.”
Blair ride. Si era impegnata ad odiarlo a tal punto, da non rendersi conto di quanto potesse essere stimolante e divertente la sua conversazione. Per essere Dan Humhrey, beninteso.
“Ti chiamo un taxi.”
“Ecco...fatto” aggiunge, dopo essersi assentato qualche secondo per telefonare.
“Grazie. E grazie per la cena e beh…per tutto” sussurra, imbarazzata.
“Grazie a te per la compagnia. E ricordati dei dieci dollari.” la provoca lui, mentre la guarda infilarsi quel cappotto del colore delle sue labbra.
“Certo, verrò presto a riscuotere! Arrivederci Humphrey!”
“Ciao Blair.”
La porta del loft si chiude. Mentre sposta piatti e bicchieri dal bancone della cucina per lavarli, Ragazzo Solitario non può fare a meno di ripensare a quella singolare serata.
 
Blair nel frattempo rientra a casa. Si prepara per andare a dormire, ma non ha sonno. Così si infila nel suo piumone rosa antico, sistemandosi il notebook sulle ginocchia. Apre il browser e dopo il passaggio di rito su Gossip Girl, si ritrova a digitare le parole Invictus Streaming nel motore di ricerca, in fondo Humphrey l'ha incuriosita. Mal che vada ci guadagnerà dieci dollari. Inaspettatamente, il film non si rivela poi tanto male, la storia è coinvolgente, anche se un po' troppo volemose bene, per i suoi gusti, e Matt Damon è grosso come un vitello. Ma quando il capitano François Pienaar visita la minuscola cella in cui Mandela aveva scontato i suoi 27 anni di carcere, con la voce di Freeman  in sottofondo che recita la poesia di Henley, sente le lacrime pungerle gli occhi e comprende perchè Dan aveva consigliato questo film proprio a lei.

Non importa quanto angusta sia la porta,
quanto impietosa la sentenza.
Sono il padrone del mio destino;
il capitano della mia anima.
 
 
E, asciugandosi gli occhi, Blair realizza che è ufficialmente in debito con Dan Humphrey di dieci dollari.
 
NOTA DELL’AUTRICE:
Invictus è una poesia scritta dal poeta inglese William Ernest Henley (1849-1903). Il titolo proviene dal latino e significa "invitto", ossia "mai sconfitto".Fu composta nel 1875 e pubblicata per la prima volta nel 1888 nel suo Book of Verses ("Libro di Versi"). La poesia è citata nel film del 2009 Invictus - L'invincibile di Clint Eastwood, a cui dà il titolo. Viene infatti usata da Nelson Mandela prima per alleviare gli anni della sua prigionia durante l'apartheid e poi per incoraggiare il capitano della squadra sudafricana di rugby François Pienaar.
Scusate la lentezza con cui sto pubblicando, ma, purtroppo, concluse le vacanze di Pasqua, sono ripresi i miei vari impegni, universitari e non! Spero apprezziate questo nuovo capitolo, aspetto di raccogliere le vostre opinioni!
A presto! =)

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Capitolo 7
*** Nesnesitelná lehkost bytí ***


La mattina dopo, Blair prova una sensazione di leggerezza nel risvegliarsi: si sente fresca, riposata, pervasa da un’insolita allegria. Non pensando, una volta tanto, a grassi e calorie, gusta il cornetto caldo e il caffé portatigli da Dorata, ancora avvolta nel suo piumone, e realizza che la sua confessione, unita al film e al piantino finale, ha avuto in lei un effetto catartico. Certo, non è che d’ora in poi si sveglierà ogni mattina cantando, ma oggi si sente serena, come non le capitava da tempo. Ed è pur sempre un inizio. Lancia uno sguardo al pc, dovrebbe iniziare a scrivere il suo saggio. Ma di stare ferma sulla scrivania oggi non se ne parla: una strada euforia la pervade e la costringere a andare su e giù per la casa come un’anima in pena, ripensando alla serata trascorsa. E a Dan, anche se non è proprio quello che si dice un amico. Un amico è una persona con cui condividi valori, ricordi, momenti. Per un amico provi simpatia a pelle, affetto, stima. Serena è un’amica. Nate è un amico. Chuck, a suo modo, era stato un amico. Dan invece era sempre stato su un altro pianeta e non era mai esistita una gran simpatia reciproca. Anzi, erano stati cane e gatto per tutti gli ultimi tre anni. Però non si sente neanche di definirlo un nemico. Un nemico è una persona che detesti, che non merita il tuo rispetto. Un nemico è colui che vive per metterti i bastoni fra le ruote, ti tende trappole, gode nel vederti cadere. Gente come Jack Bass, Georgina e infine la Piccola J, che le aveva portato via tutto. Dan non è nemmeno quello. Per lui aveva provato sempre una sorta di indifferenza, mista a fastidio. Riconosceva che era in gamba, ma aveva una scala di valori completamente sfasata rispetto alla sua. Era e sarebbe sempre rimasto un provincialotto di Brooklin, non importa se ora la sua matrigna era Lily Rodhes-Vanederwoodsen-Bass. Però aveva dimostrato in diverse occasioni, e ieri sera gliene aveva dato la riprova, una capacità più unica che rara: sapeva trovare le parole giuste per farla sorridere e darle forza. Ecco, Humphrey è… un paroliere. Nulla di più e nulla di meno. Tuttavia, forte di quell’attacco di frenesia, sente di voler far qualcosa per lui, di ricambiare, a modo suo, quanto lui è riuscito a trasmetterle con le sue parole prima e col film poi. E sa pure di cosa andare in cerca…se solo si ricordasse dove l’ha messo! Ma non si perde d’animo e comincia la sua esplorazione tra scaffali e bauli, da sola, senza l’aiuto di Dorota, a cui tra l’altro concede una mezza giornata di libertà. Se Miss Blair ritiene di potersi arrangiare nella sua ricerca, Dorata sarà ben contenta di poter dedicare un po’ più di tempo alla sua famiglia! Per qualsiasi cosa, mi chiami.
Dopo un’ora trascorsa a mettere a ferro e fuoco la casa, Blair è quasi tentata di gettare la spugna: probabilmente l’ha perso. O forse l’ha lasciato a Parigi…Parigi! L’aveva con lei nel suo bagaglio a mano, durante il viaggio di ritorno… Vuoi vedere che Dorata l’ha confuso tra le varie guide dei musei? L’intuizione di Blair è giusta, il libro che cerca è lì, tra quelli di Cirus, tra la guida del museo D’Orsay e quella del Louvre. Lo estrae e con delicatezza inizia a sfogliarlo, mentre vola via una nuvola della poca polvere che si era accumulata in quei due mesi. La prima pagina, la bella grafia di suo padre, disegnava una data orami persa nel tempo.

Natale 2005.
Non certo la necessità, bensì il caso è pieno di magia.”
Buon Natale Orsacchiotta,
Papà
 
La mente vola a quel Natale, a una vita lontana. Rivede le tavole imbandite e la festa dagli Archibald alla vigilia. Mamma e papà ancora insieme, sorridevano mentre per mano varcavano la soglia del salone. Lei e Nate che ballavano, lui che la baciava sotto il vischio. Serena, con un ragazzo di cui ora nessuno ricorda più il nome, splendida come sempre. Chuck, decisamente troppo alticcio, intento a provarci con una cugina di Nate, troppo sobria per lasciarsi abbordare a lui. E poi c’erano Bart, Lily, il Capitano… Un’altra era. Suo padre ogni Natale amava regalarle un libro, ci teneva che Blair potesse apprezzare le stesse storie che avevano fatto emozionare lui a suo tempo. Quell’anno era toccato all’Insostenibile Leggerezza dell’Essere di Kundera. Apparentemente, Harold con quel regalo aveva toppato in pieno: Blair provò più volte ad iniziare a leggerlo, ma ogni volta lo trovava decisamente…insostenibile. Ben presto il libro finì tra gli scaffali di casa Waldorf, dimenticato da tutti. E da lì rispuntò nell’estate di qualche anno dopo, quando per la prima volta si ritrovò a leccarsi le ferite lasciatele da Chuck, che l’aveva piantata in asso quando avrebbero dovuto partire insieme per la Toscana, e le sue vacanze italiane si erano trasformate nella tipica villeggiatura agli Hamptons del buon Upper-east Sider, tanta crema solare, champagne e una borsa colma di libri. E fu così che, in qualche modo, quel romanzo dimenticato da tutti arrivò nella sua casa delle vacanze. Forse perché la leggerezza di Tomáš, che pur amando Tereza non riesce a rinunciare alle altre donne, le ricordava quella del giovane Bass, durante un pomeriggio di pioggia, mentre Serena dormiva, lo lesse tutto d’un fiato. E ne comprese la magia, anzi ne fu letteralmente stregata, tanto che quel libro la accompagnò nei due anni successivi: ogni tanto rileggeva i suoi passi preferiti, immergendosi in quella primavera di Praga che a New York sembrava così lontana. Se l’era portato persino a Parigi, e le aveva fatto compagnia in uno dei suoi pomeriggi solitari tra i caffé della capitale. Mentre rileggeva la storia di Franz e Sabina, si era ritrovata a pensare che assomigliavano molto alla sua amica e a quel ragazzo di Brooklin. Lei, spirito libero, bellissima e sfuggente. Lui, innamorato al punto da esserci sempre per lei, fedele e devoto al ricordo del loro amore, un po’ come Franz, cullato dall’invisibile presenza di quella che era stata la sua amante. Fino alla morte. Così Blair afferra penna e post-it e scrive:
 
Humphrey, rilancio la sfida.
Forse l’avrai già letto, ma vale la pena tentare.
Se vinco, non ti devo più nulla.
Au revoir
Blair
 
Attacca il post-it sulla copertina, sfoglia le pagine e posiziona un segnalibro poco dopo la metà. Dopodichè infila il libro in una pesante busta, vi scrive l’indirizzo di Dan e vi attacca un francobollo. Indossa stivali, cappotto e occhiali da sole ed esce. Non importa se è praticamente in vestaglia. Cammina per le vie dell’UES, sentendo la pesantezza di quegli ultimi mesi che le scivola via di dosso. Imbuca la busta nella prima cassetta e decide di proseguire nella sua passeggiata, in fondo non manca molto a Central Park. Mentre dà da mangiare alle anatre, ripensa alla pagina in cui ha messo il segnalibro e a quelle righe, sottolineate a matita sotto il sole di Parigi.
 
Allora, si accorse di colpo di non essere infelice. La presenza fisica di Sabina era molto meno importante di quanto immaginasse. Importante era l'impronta dorata, l'impronta magica che lei aveva lasciato nella sua vita e della quale nessuno poteva privarlo.
 
Sorride, sentendo che ora sono pari. Mai darla vinta ad un Humphrey.
 
NOTA DELL’AUTRICE:
L’insostenibile leggerezza dell’essere (in ceco: Nesnesitelná lehkost bytí, 1984) è un romanzo di Milan Kundera, da cui è tratto l’omonimo film americano del 1988. Ambientato nel ’68, durante la cosiddetta Primavera di Praga, si focalizza sulla storia di quattro personaggi: Tomáš, Tereza, Sabina e Franz.
Scusate per la mia prolungata assenza, purtroppo è stata una primavera-estate molto intensa e non ho avuto modo di coltivare la mia ispirazione…rimettersi a scrivere questo capitolo è stato un vero parto! Spero di trovare del tempo da dedicare a questa storia, a cui sono molto affezionata, e di procedere con più facilità…=)
Xoxo

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