Fairytale.

di WarpedParaPride
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'll rise - Mi rialzerò. ***
Capitolo 2: *** Mancavano pochi metri. ***
Capitolo 3: *** Non riuscivano ad uscire. ***
Capitolo 4: *** Telefonate. ***
Capitolo 5: *** Cuore contro cervello. ***
Capitolo 6: *** I'll be alright. ***



Capitolo 1
*** I'll rise - Mi rialzerò. ***


Ogni volta che sentivo quel nome mi veniva una fitta al cuore, al suono della chitarra associavo la sua voce. E se pioveva, Dio, era ancora peggio! Ogni goccia che cadeva mi faceva compagnia nel mio dolore, ogni goccia, scandiva una mia lacrima. E il pensiero, era fisso su di lui mentre guardavo le foglie sollevarsi per il vento gelido che le faceva volteggiare intorno.
Non avevo mai visto nulla del genere e il fatto che stesse capitando prioprio a me, mi rendeva impossibile analizzare il problema oggettivamente. Avevo una fottuta paura che mi bloccava davanti alla finestra. Quella finestra, quella da cui l'avevo visto uscire dalla mia vita, quando mi aveva detto che se ne sarebbe andato. Avrei voluto tornare indietro, prenderlo a calci davanti alla porta, dirgli che poteva andarsene tranquillamente, che non mi importava. Volevo dirgli che potevo fare a meno di lui, che quello era il mio posto, con o senza la sua presenza e che non sarebbe cambiato nulla se fosse andato via. Avrei voluto dirgli un sacco di cose, ma non ce l'avrei mai fatta a trattenere le lacrime.
I cambiamenti mi avevano sempre spaventata e questo, era il più grosso a cui avessi mai assistito in tutta la mia vita e di gran lunga il peggiore, quello che faceva più male.
Che ne sarebbe stato di me adesso? Il mio fragile castello era appena caduto in pezzi e non avevo neanche provato a tenerlo in piedi.
Tutto quello che volevo, era solo prendermi del tempo, staccare la spina e affogare nei miei pensieri, nei miei ricordi. Volevo indietro il mio tempo, quello che avevo sprecato per rincorrere i miei stupidi sogni, le mie false illusioni.
Avrei dovuto strappare, molto tempo prima, le ali a quella stupida farfalla, farla morire lentamente e prendere il dolore a piccole dosi. Invece era arrivato tutto insieme, come una doccia fredda, come lo strappo di un cerotto. Chi se lo sarebbe mai immaginato? Il male era dietro di me, pronto a sommergermi, tutto in un colpo.
Mi ero convinta di aver fatto uscire tutto quell'amore, ma invece, era ancora ben nascosto dentro di me e sembrava farmi scoppiare dall'interno.
 E' questo quello che ottieni quando ti arrendi e lasci vincere il tuo cuore. 

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Capitolo 2
*** Mancavano pochi metri. ***


E anche quella sera stavo per salire sul palco.
Ero agitata, ma sapevo cavarsela bene in quelle situazioni. Se non fosse stato che la mia testa era altrove.
Erano più di due mesi che ci trovavamo lontano da casa, e al mio cuore questo non piaceva. Voleva dire niente mamma, niente papà, niente amici, niente sorelline, niente Chad. La mancanza è una delle sensazioni peggiori che si possono provare e io lo sapevo bene, oh se lo sappevo bene! Erano passati già due lunghissimi mesi da quando se n'erano andati, eppure continuavo a vederli nelle loro cuccette del tourbus, quando mi giravo di scatto, continuavo a sgattaiolare fuori dal letto in cerca di Zac, ogni volta che facevo un brutto sogno, continuavo ad avrere bisogno della sua presenza, per tutte le stronzate che dicevamo, per vedere quel vecchio sorriso sulla bocca di Taylor, per sentire la sua risata.
E anche se non lo volevo ammettere avevo bisogno pure di Josh, degli scherzi che organizzava per svegliare Jeremy, della sua voce calda, delle sue mani prima di un concerto. Ma, invece, adesso, stavo stringendo solo due, dei quattro ragazzi.
Pochi passi prima di salire sul palco.
Ci guardammoo e ci facemmo forza l'uno con l'altro.
L'esplosione che ci fu appena i nostri piedi furono sul palco, sulla nostra terra promessa, fu indescrivibile. Ogni show era come il primo. Le mani sudate, la voce tremante, le farfalle allo stomaco.
Cinque minuti. Bastarono cinque minuti perchè mi sentissi a casa, perchè capissi che era proprio li che dovevo essere e non in qualsiasi altro posto, non su quella dannata macchina, che mi portava verso Franklin, a cercare chi se n'era voluto andare. Bastarono cinque minuti perchè capissi che era tutta una grande stronzata.
Il cuore si fece più leggero e la voce spingeva per uscire. Il cuore voleva cantare al posto della bocca.
Non mi ero mai sentita così, non avevo mai voluto così tanto essere sul palco prima d'allora. Non avevo mai capito così chiaramente qualcosa, prima d'allora. Era li che dovevo stare, era li che sarei stata, era li che sarei cresciuta e che avrei fatto la scelta giusta. Era li che sarei diventata donna, li, sarei andata avanti, senza più guardarmi indietro.

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Capitolo 3
*** Non riuscivano ad uscire. ***


Ero seduta sul divano con un foglio, una penna e la mia chitarra quasi nuova.
Stavo cercando di suonare qualche nota, senza stonarla. Avevo voglia di scrivere qualcosa, di comporre una canzone, ma le parole non uscivano e la musica, nemmeno.
Il silenzio pesava tra le pareti di quella stanza, interrotto ad intermittenza da qualche DO troppo vibrato.
Non sapevo perchè mi fossi ostinata ad usare la chitarra, non la sapevo suonare, non avevo lasciato che, chi voleva insegnarmi a farlo, me lo insegnasse. E in quel momento ne ero felice, avevo un suo segno in meno, da portare addosso.
Una lacrima mi rigò quel piccolo viso tra i capelli rosso fuoco. Jeremy mi stava a guardare dall'altra parte del divano e, Dio, avrebbe voluto prendere a pugni le pareti. Non riusciva ad accetttare di non poter fare niente per me.
Avrebbe voluto sfogare la sua rabbia su quella che era la causa principale, il male che si era aggrappato a me e a Taylor. Sapeva che non sarebbe stata una mossa matura, ma affondare il suo pugno destro nella guancia di quell'ipocrita, l'avrebbe fatto sentire meglio. Lui lo sapeva, lui era così.
Il gesto che vide fare a Taylor poi, gli fece ribollire ancor di più il sangue nelle vene.
L'alto ragazzo dal cappello rosso era accovacciato accanto a me, la piccola donna che stringeva con troppa forza quella chitarra con quella stupida dedica su un lato che recitava: "Would you go all the way?". Si aggrappò a me e mi tirò delicatamente verso di lui coprendomi con le sue braccia.
Dovevamo sembrargli due bambini, così piccoli, stanchi di combattere, di essere forti.
Si schiarì la voce, interrompendo quell'assurdo silenzio.
Prese la chitarra e si alzò lentamente. Andando verso il bancone della cucina, esitò un attimo guardando ancora verso di noi, le due persone che si era scelto come famiglia, quelle che amava con tutto il cuore. Ci fissò, e poi, con tutta la forza che aveva, scaraventò quella stupida chitarra contro il marmo freddo.
Il corpo si sfasciò al contatto con la pietra e i pezzi di legno scoppiarono dappertutto, producendo un rumore straziante.
Dovemmo ripararci per non essere colpiti dalle schegge.
Tutti i pezzi ricaddero a terra, sul pavimento gelido dell'inverno inoltrato.
Quando tornò il silenzio, ci guardammo negli occhi e scoppiammo in una risata nervosa, ma sincera, calda, come non ne avevamo da tempo.
Sembrava a tutti e tre così infantile, prendersela con i ricordi per dimenticare il ricordato. Ma era servito.
Qualcosa dentro si era sbloccato, gli ingranaggi avevano ricominciato a girare nel verso giusto, quello di sempre. E le idee divennero dieci, cento, un miliardo.
Mentre Jeremy si infilava il suo cappotto, io e Taylor eravamo già distesi sul tappeto, contornati da fogli, matite e da una nuova chitarra, di un marroncino chiaro, caldo e senza dediche.
Iniziammo a scrivere, parole che dettava il cuore, parole di ribellione, non più rassegnazione, parole che finalmente avevano trovato la strada per uscire. E mentre Jeremy stava attraversando la porta per andarsene, ci sentì cantare.

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Capitolo 4
*** Telefonate. ***


Erano le quattro del mattino.
Non ci poteva credere, erano le quattro del mattino!
In fianco a lei, Chad, si rigirava nel dormiveglia, disturbato dal suoo penetrante del telefono.
Scaraventò la mano sul comodino, agitandola a destra e sinistra, cercando la fonte di quell'orribile rumore.
Nel farlo, rovesciò la sveglia, che si gettò a capofitto a terra, con un rumore sordo.
Si girò di scatto per guardare Chad. Stava ancora dormendo, beato.
Appena riuscì a trovare il telefono, le uscì dalla bocca un frenetico:
"che succede?"
Lo sguardo agitato, rimbalzava sulle pareti della camera, in cerca di una qualsiasi fonte di luce.
Dall'altra parte della cornetta si sentì solo un flebile:
"hey Hay..oh bè, certo...bel modo di cominciare una chiamata...alle quattro del mattino, per di più..."
Ci vollero due secondi perchè quella voce le penetrasse nel cuore, passando dalle orecchie.
Un brivido le percorse la spina dorsale e la fece scattare in piediin fianco al letto. Uscì dalla stanza con il cellulare appiccicato all'orecchio, cercando a tastoni la porta. Sbattendo ovunque, riuscì a raggiungere il divano.
Si accoccolò vicino al bracciolo senza staccarsi nemmeno un attimo dall'apparecchio.
Dall'altra parte si sentiva un bisbiglio appena percettibile di parole che non riuscivano ad uscire:
"io..".
Staccò il telefono dall'orecchio e premette il tasto rosso con tutta la forza che aveva. Lo lanciò sul divano accanto e trovato il telecomando, accese la tv, tolse tutto il volume e rimase fino al mattino li, con lo sguardo fisso sullo schermo, a guardare quella spugna gialla che le piaceva tanto.
Le settimane passavano. Ogni sera, alle 4, c'era quell'appuntamento e ogni volta, alle scuse, la telefonata si interrompeva. 

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Capitolo 5
*** Cuore contro cervello. ***


Ogni tanto la vedeva, vedeva quella macchina parcheggiata in fondo all'isolato, che non aveva il coraggio di fare solo un metro in più.
Poi un giorno, dalla finestra, la vide più vicina, dall'altro lato della strada.
Mentre preparava la colazione a Chad, fissava i pancake come se avesse voluto che non si cuocessero mai. Sfoggiò il suo sorriso migliore tra le occhiaie e portò in tavola il cibo. Appena finito, risistemò con molta calma le stovigli, mentre, con scarse argomentazioni, cercava in tutti i modi di dissuadere Chad dall'andare a provare con i ragazzi.
Ma la data d'inizio del tour era sempre più vicina, non poteva restare.
Lo accompagnò, a malincuore, all'uscita e lo baciò lentamente prima che se ne andasse.
Quando la sua macchina fu lontana, chiuse in fretta la porta e si diresse verso il salotto.
Fece un balzo all'indietro quando vide Josh seduto proprio sul divano che di notte le teneva compagnia.
"Che ci fai tu qui? Da dove sei entrato?"
Il suo tono così secco, ostile, le sembrava quasi irreale.
"Io.." .
Il silenzio he ci fu poi, le fece irrigidire tutti i nervi.
"Che c'è, sai dire solo questo da due mesi a questa parte? Io, io, io, io, io.. Non sai dire altro? Un cane ti ha mangiato la lingua? O forse è stato il gatto di Jenna, o magari è stata proprio lei? Che c'è, ti scrive i discorsi, le parole che puoi e non puoi usare e l'unica che ti è rimasta è 'io'? Dì qualcosa! Non esisti solo tu a questo mondo!".
Per tutta la durata dello sfogo, il ragazzo era rimasto impassibile, seduto su quel divano rosso.
"Dio, Hay! Non esisto solo io, esisti solo tu, per me! Fanculo Jenna, fanculo il gatto, fanculo tutto! Ti amo Hayley!".
Rimase di sasso, immobile, dritta in piedi nel centro esatto della stanza. La stessa stanza che iniziò a girarle attorno.
A tastoni raggiunse il divano e vi si accasciò sopra, il più lontano possibile da Josh.
Tutto quello che aveva sempre nascosto a se stessa, le era appena scoppiato nel cuore, come un petardo il 4 luglio.
Le orecchie le fischiavano e ogni singola parola del discorso di Josh, rimbalzava impazzita tra le pareti della sua testa.
"No, Josh io..".
"Sembra contagioso!", la interruppe, sfoggiando uno dei suoi rari ma idilliaci sorrrisi.
La risata  isterica che seguì, calò di un pò la tensione.
"Guardami negli occhi..", le disse.
"Josh..".
" Guardami negli occhi!"
La ragazza alzò lo sguardo e fissò gli occhi marroni di quella persona che aveva davanti e che non sapeva più definire.
"Dillo Hay, che aspetti? Dillo!"
Fece un lungo sospiro prima di parlare.
"Si Josh, ti amo. Lo sai, lo abbiamo sempre saputo. E' per questo che ci siamo allontanati, per questo abbiamo deciso di farlo. Per che altro se no? Tu sei sposato, io ho Chad.. Dio, sai tutto quello che c'era, tutto l'amore, il dolore ogni volta che finiva uno show, dovevamo..noi.."
"Shhhh, io non sono venuto qui per sentire questo! Sono qui per.. Non so perchè sono qui! Ma hey, mi mancavi, Rossa! Mi mancava tutto. Il tuo profumo nella stanza, la tua voce così calda, i tuoi occhi così  belli.."
E così dicendo si avvicinava sempre di più, scivolando sul divano. Hayley cercava di ritirarsi, non sapeva cosa fare, il duello era ancora in corso tra cuore e cervello.
I loro due visi erano ormai a pochi millimetridi distanza, e la guerra non era ancora terminata.
Hayley chiuse gli occhi, decisa a lasciarsi andare. Un bacio caldo le venne stampato in fronte, il più dolce che aveva mai ricevuto.
Un sorriso sincero le illuminò tutto il viso e con uno scatto cominciò a fargli il solletico.
Si contorsero sul divano per quasi un'ora, ridendo, scherzando e stuzzicandosi, fino a che non caddero stremati sul tappeto, a pancia in sù.
"Promettimi che.. non ti dimenticare di me!" Le sussurrò in un orecchio.
"E come potrei?"
Dopo qualche secondo, ricominciarono a stuzzicarsi e ridere fino al mal di pancia.
Si sedettero sul divano e rimasero li, abbracciati l'uno all'altra, con la sola compagnia di quella spugna gialla che saltellava in tv, riempiendo il silenzio al posto loro. 

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Capitolo 6
*** I'll be alright. ***


Era ormai quasi un anno che regnava il silenzio, quello che era stato interrotto dalle loro risate. Non più una parola, non più un gesto, non più un incontro, dopo quello. Fino a quella sera. 
Ma tutto stava per cambiare. 
Dopo che si concluse la chiamata, rimisi il telefono al suo posto. Non sapevo cosa provare. Non sapevo cosa provavo. 
Tutto quello che facevo era restare immobile, fissando il muro. 
Non era forse quello che volevo? Non era quello che avevo desiderato per mesi? Evidentemente no.
Me ne rimasi li, imbambolata, fino a che non sentii la macchina di Dakotah risalire il vialetto. 
Erano già le 7!
Per quanto ero rimasta li? 
Corsi in bagno il più velocemente possibile, aprii la doccia e cominciai a spogliarmi. 
Dakotah suonò il campanello. Mi infilai in fretta l'accappatoio e raccolsi alla meno peggio i capelli in una coda, mentre correvo verso la porta. 
Quando l'aprii l'espressione della mia amoca era attonita.
"Ma sei ancora così? Non ci posso credere! Sono già le 7 Hayls! Che hai fatto fono ad adesso?..."
La interruppi a metà interrogatorio.
"Scusami, ho avuto un imprevisto! Mi dispiace..ci metto due minuti, giuro! Intanto tu sceglimi i vestiti!"
Finii di parlare mentre ero già insaponata, sotto la doccia. Sentii Dak sbuffare, andando verso la mia camera. Mi asciugai velocemente, andai da lei e guardai i vestiti sul letto con sguardo rassegnato.
"Dak.." sospirai "quando ti arrenderai?" 
Aveva preparato una gonnellina e una camicia eleganti, abbinate ad un paio di scarpe tacco 12 che non avevo mai visto prima.
"Eddai Hayls, fallo per me! Una sera, solo noi..vedrai che ci divertiremo!"
Disse sfoggiando un sorriso che le copriva tutta la faccia. 
"Non ho nessun dubbio che ci divertiremo, ma ti prego..starei meglio con questi!" 
Cercai nell'armadio e ne estrassi un paio di jeans strettissimi. Guardai Dak sorridendo mentre sbuffava. 
"E poi quelle scarpe..da dove arrivano?.."
Mi interruppe prima che riuscissi a finire, dicendo:
"AH no! Almeno quelle! Le ho comprate apposta per te, per questa sera e..."
Non finì la frase. Mentre cercavo di chiudere i jeans, la guardai con sguardo interrogativo.
"Hai..hai ricevuto anche tu quella telefonata, vero?"
Mi chiese mentre si fissava i palmi delle mani, tesi. 
"Oh, si, quella..bè io..si l'ho ricevuta! E credo che ci andrò." 
Appena le parole mi uscirono dalla bocca, ebbe un sussulto e fece correre lo sguardo su di me, a occhi sgranati.
"Tu cosa?" 
"Io credo di andarci, anzi, ne sono sicura! O quasi.."
Risposi con un tono più deciso. O quasi..
"Hayls ma, hai idea..cioè, sai chi ci sarà? Sai qunti saranno? Saranno dappertutto!"
Disse con vocina stridula e con tono agitato.
"D, tranquilla! Non andrò ad un party di alieni!"
Il mio tono scherzoso la fece scattare come una molla.
"Certo che no! Non saranno alieni, non saranno vampiri, saranno qualcosa di ancora peggiore! Saranno gli amici che ti hanno abbandonata, che ti hanno fatta soffrire, che non riconoscerai! Saranno degli estranei che ti faranno del male, con ogni gesto, ogni parola che faranno o diranno, per tutta la sera!"
La guardai con sguardo perso e mi accasciai sul letto. Come al solito aveva ragione! Dak mi chiese scusa per il tono che aveva usato, ma era già troppo tardi. Appena aveva pronunciato quelle parole,  i pensieri che si erano interrotti con il suono delle ruote che schiacciavano i sassi nel vialetto, avevano ripreso a corrermi liberi nella mente, senza nessun freno. 
Non so quanto rimasi in quella posizione, mentre Dakotah mi accarezzava i capelli, di un colore troppo acceso per quella cosa indifesa che ero diventata. 
Qundo mi ripresi, l'unica cosa che riuscii a dire fu:
"Io ci voglio andare, non m'importa quanto farà male, voglio vedere cos'è cambiato e cos'è rimasto. Mi mancano.."
Lo sguardo della mia amica si fece più deciso. 
"Ti accompagneremo noi. Io, Tay e Jer. E verrà anche Chad! Non ti lasceremo da sola, staremo con te. Potrai fare tutto ciò che vorrai! Persino indossare quell'orribile maglione, di nuovo!"
Disse, indicando il deforme pezzo di cotone, raggomitolato sul fondo dell'armadio, che avevo usato al matrimonio di Josh.
Scoppiammo entrambe in una risata fragorosa che riempì il silenzio assordante della mia casa. 
"In fondo è il party di fidanzamento di Zac ed Emily, mica un funerale!" 
Dissi sorridendo, mentre la pancia brontolava rumorosamente. Finii di prepararmi. 
Erano già le 9!

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