Queen Victoria's College di adamantina (/viewuser.php?uid=99582)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Beginning ***
Capitolo 2: *** The Lab ***
Capitolo 3: *** The Net ***
Capitolo 4: *** No Limits ***
Capitolo 5: *** The Cure ***
Capitolo 6: *** Threatened ***
Capitolo 7: *** Addiction ***
Capitolo 8: *** Not Human Beings ***
Capitolo 9: *** Understanding ***
Capitolo 10: *** Help ***
Capitolo 11: *** The Plan ***
Capitolo 12: *** Escape ***
Capitolo 13: *** Consequences ***
Capitolo 14: *** The Truth ***
Capitolo 15: *** Pain ***
Capitolo 16: *** Caught ***
Capitolo 17: *** Prisoners ***
Capitolo 18: *** Betrayal ***
Capitolo 19: *** If today was your last day ***
Capitolo 20: *** Poker Face ***
Capitolo 21: *** Left Alone ***
Capitolo 22: *** Change ***
Capitolo 23: *** Goin' on ***
Capitolo 24: *** Epilogue ***
Capitolo 1 *** The Beginning ***
Salve
a tutti!
Alcuni
di voi mi
conosceranno già per la mia ff “Promise”.
Questa
fan fiction si
distacca completamente da quella precedente (che era a tema Harry
Potter).
Stavolta mi cimento con una storia originale.
Spero
che ne esca
fuori qualcosa di buono, perché probabilmente
scoprirò l’andamento della storia
insieme a voi, dato che non ho l’abitudine di programmare un
granché di quello
che scrivo (trama essenziale a parte).
Se
volete ascoltare la
canzone che dato ispirazione a questa storia, quella di cui riporto dei
brani
sotto, è “Superman” dei FIve for
Fighting. Potete trovarla qui : http://www.youtube.com/watch?v=R3hPSAaYmZs&feature=related
Ok,
il mio sproloquio
iniziale finisce qui. Vi lascio al prologo e poi alla storia vera e
propria.
Inutile
dire che ogni
qualsivoglia commento, recensione o critica costruttiva sarà
ben accetto e
riceverà una risposta.
Grazie
per
l’attenzione.
Adamantina
~PROLOGO~
< I wish that I could cry
Fall upon my knees
Find a way to lie
About a home I’ll never see
It may sound absurd…but don’t be naive
Even heroes have the right to bleed
I may be disturbed…but won’t you concede
Even heroes have the right to dream
And it’s not easy to be me.
[…]
I can’t stand to fly
I’m not that naive
Men weren’t meant to ride
With clouds between their knees >
<
Vorrei
poter piangere
Cadere
sulle ginocchia
Trovare
un modo per mentire
Riguardo
ad una casa che non vedrò mai
Potrebbe
suonare assurdo … ma non essere ingenuo
Anche
gli eroi hanno il diritto di sanguinare
Potrei
essere pazzo … ma ammetterai
Anche
gli eroi hanno il diritto di sognare
E
non è facile essere me.
[…]
Non
sopporto di volare
Non
sono così ingenuo
Gli
uomini non sono fatti per vivere
Con
le nuvole sotto alle ginocchia >
[Vanessa]
Mio Dio, dovrei
decisamente farmi le unghie.
Questo
è l’altissimo pensiero filosofico che
attraversa la mia mente mentre mi dirigo verso la mia classe.
I
corridoi del Queen
Victoria’s College sono deserti, probabilmente
perché sono in ritardo.
Di nuovo.
Affretto
il passo e raggiungo la porta dell’aula, la
apro e mi fiondo al mio banco.
-Signorina
Evans, la prego, faccia con comodo-,
commenta l’insegnante, la professoressa Douglas.
-Mi
scusi-, sospiro, estraendo un bloc-notes e una
biro dalla mia borsa a tracolla.
Alzo lo
sguardo mentre la professoressa riprende a
spiegare.
La
classe è davvero enorme, troppo per sei soli
studenti. Normalmente potrebbe contenere una trentina di banchi.
Ma il
termine normalmente
non si può applicare al Queen
Victoria’s College.
Niente
è normale, qui.
I banchi
sono separati l’uno dall’altro per impedirci
di chiacchierare durante le lezioni.
Come se servisse
a
qualcosa.
Lily
Bennett sta facendo silenziosamente ruotare la
sua penna tra le dita con una destrezza da majorette, poco davanti a
me, i
liscissimi capelli rosso scuro ben pettinati che ricadono ordinatamente
sulle
spalle.
Jonathan
Bailey sembra sul punto di crollare
addormentato.
Blake
Gray sta costruendo una sorta di cerbottana
utilizzando una biro e dei pezzi di carta. Ringrazio il cielo di non
essere
sulla sua traiettoria.
Charlotte
Miller, ovviamente,
sta prendendo appunti con diligenza.
Come se ne
avesse
bisogno.
Damien
Knight sta ascoltando la lezione, sembra, ma in
realtà il suo sguardo è perso nel vuoto. Questo
mi fa preoccupare, ma è troppo
lontano perché io possa parlargli. Mi affretto a buttare
giù due righe e a
strappare il mio foglio. Appallottolo il bigliettino, aspetto che miss
Douglas
si volti e glielo lancio. Atterra sul suo banco e io mi congratulo con
me
stessa.
Damien
si riscuote e prende il biglietto.
Ehi, Sibilla. Che hai
visto?
Lo vedo fare una smorfia e rispondere, per poi
lanciare il biglietto.
Stasera pizza, Violet.
Stavolta è il mio turno di fare una smorfia.
Gli
faccio un gestaccio da lontano e vedo che
ridacchia sotto i baffi.
Il
motivo per cui ho chiamato Damien Sibilla –cosa che
odia- è che lui è un chiaroveggente.
Il che
giustifica pienamente il suo essere spesso di
malumore.
Per
quanto la capacità di vedere nel futuro sembri una
cosa fantastica –lo pensavo anch’io quando
l’ho saputo- in realtà è abbastanza
difficile. Damien non ha quasi nessun controllo sul proprio potere e
spesso
deve assistere a scene quali omicidi, incidenti e catastrofi naturali.
Non di
certo una passeggiata.
Riguardo
al soprannome di Violet, Damien si riferisce
al personaggio di un cartone animato che ha la capacità di
scomparire.*
Ebbene
sì, eccomi qua.
Vanessa
Evans, fenomeno da baraccone, la donna
invisibile!
Uno
spasso.
Qualcuno
potrebbe anche in questo caso pensare che
essere invisibili sia pazzescamente utile. Non lo nego, ma quando la
gente sa
del tuo dono tende a diventare estremamente sospettosa nei tuoi
confronti,
pensando che tu spii ogni conversazione privata.
E poi,
se non avessi questo “dono” –non mi piace
questa denominazione- ora sarei in una scuola normale,
a fare una vita normale.
Non
fraintendetemi, mi piace il Queen
Victoria’s, e i ragazzi sono i migliori amici che
io possa
desiderare, ma mi manca il poter essere una qualsiasi diciassettenne
senza
problemi.
-Signorina
Evans, cosa ne pensa?-
Ops.
-Ehm, io
… sono … d’accordo?-
-Meraviglioso!
Riguardo a che cosa?-
Bella domanda.
-A
… quello che stava dicendo prima.-
Qualche
risatina da parte dei miei cari compagni.
-Signorina,
quante volte devo ripeterle che … -
La porta
della classe si spalanca e mi salva la vita.
-Degli
intrusi-, ansima Joseph, l’anziano bidello.
–Dal preside!-
Ci
alziamo tutti contemporaneamente.
-Andate!-,
esclama miss Douglas.
Ci
precipitiamo verso le scale per raggiungere l’ultimo
piano, dove si trova l’ufficio del signor Hermann, il preside
del college.
La porta
è spalancata, due dei nostri professori
stanno lottando ferocemente contro cinque uomini in nero.
Il
preside è con loro, attualmente intento a togliersi
dalla gola le mani di uno degli intrusi.
-Jon,
prendi quello a destra. Lily, quello che sta
lottando con Smith. Ness, quello che sta frugando nei cassetti. Charlie
e Dam,
aiutate miss Lopez. Io vado dal preside.- Blake è un leader
nato, non c’è
niente da discutere. Può essere arrogante, sprezzante,
irritante, ma quando c’è
del pericolo sa mantenere il sangue freddo.
Obbedisco
istintivamente all’ordine.
Mi basta
un istante per scomparire nel nulla. Corro
verso l’uomo che sta spalancando i cassetti della scrivania.
Gli arrivo alle
spalle, prendo un grosso fermacarte in mano e, complice il fatto che
nessuno
possa vedermi, glielo scaravento sulla testa.
L’uomo
cade a terra con un gemito strozzato.
Mi volto.
Un
grande leopardo sta azzannando uno degli uomini,
che urla per il dolore, cercando di recuperare la pistola che gli
è caduta. Lo
raggiungo e la raccolgo, allontanandola dalla sua portata. Il leopardo
ringhia
per ringraziarmi, senza staccare i denti affilati dalla gamba
dell’uomo.
Il
leopardo è Jonathan, in realtà. Il suo potere
è
quello di trasformarsi in qualsiasi animale desideri. È
anche l’unico che
riesce a vedermi quando divento invisibile, perché la mia
invisibilità non è
altro che un cambiamento nel modo di riflettere la luce, una diversa
frequenza:
una che gli umani, a differenza degli animali, non possono percepire.
Lily ha
appena appiccato fuoco a uno degli uomini, e
lo sta controllando perché non si diffonda nella stanza.
Lei
può controllare i quattro elementi.
Il modo
di combattere di Charlotte e Damien è spettacolare.
Lui
prevede ogni mossa, lei è un genio e calcola ogni
traiettoria, conosce ogni nervo del corpo umano e sa come ferire,
paralizzare,
uccidere.
Il loro
avversario è già a terra, agonizzante.
Blake,
che emette potenti lampi di energia, ha mandato
un uomo a sbattere contro il muro. Tutti sono concentrati su quello che
sta
stringendo tra i denti Jonathan, perché sembra
l’ultimo ancora cosciente.
Ma io mi
volto per un istante, e lo vedo.
L’intruso
scagliato da Blake contro il muro allunga
una mano e recupera la pistola.
-No!-,
grido.
Ma il
colpo risuona nell’aria, seguito da un gemito.
Il
preside.
L’uomo
sogghigna.
-Missione
compiuta-, sibila, prima che io, forte della
mia invisibilità, gli tolga l’arma di mano e Blake
lo stenda definitivamente.
Miss
Lopez e il signor Smith, i nostri insegnanti,
sono già a fianco del preside ferito.
-Non
respira, maledizione!-, urla Smith. –Bailey, vai
a chiamare il medico!-
Jonathan,
ancora in forma di leopardo, inizia a
correre, dieci volte più veloce di quanto lo sarebbe in
forma umana.
Due
minuti dopo, il medico della scuola è qui.
Troppo tardi.
-È
morto-, dichiara ufficialmente, cupo.
Tutti
gli insegnanti, anche quelli appena giunti,
tacciono. Io mi ricordo di essere ancora invisibile e ricompaio.
Non
riesco a crederci.
Il
signor Hermann è stato colui che ci ha salvati.
Letteralmente.
Stavamo
distruggendo lentamente le nostre vite prima
che lui ci chiamasse per studiare qui, due anni fa.
-Ragazzi,
andate nella vostra sala e rimaneteci-, dice
il signor Smith, deciso.
Noi non
protestiamo e, muovendoci quasi in sincronia,
torniamo verso il salotto che fa da anticamera ai due dormitori.
Ci
sediamo e restiamo in silenzio a lungo.
-Non
posso crederci-, mormora Charlotte dopo diversi
minuti.
-Avremmo
potuto evitarlo-, dice Blake a denti stretti.
-Abbiamo
fatto tutto ciò che potevamo, Blake-, lo correggo
io.
-Non
è vero-, insiste lui. –A cosa diavolo servono i
nostri poteri se non abbiamo potuto evitare che l’unica
persona che ci ha
aiutati finisse ammazzata?-
-Ci
abbiamo provato-, sussurra Lily.
-Non
abbastanza!-, sbotta Blake. –Avremmo potuto prevederlo!-
E con
questo lancia una frecciatina non troppo sottile
a Damien.
-Sai che non posso controllarlo, Blake-,
replica lui.
Blake
scuote la testa e non insiste oltre.
Il
silenzio torna a regnare sovrano, ricordandoci
incessantemente che forse avremmo potuto
evitarlo.
* si riferisce a
Violet, personaggio del cartone animato della Disney Gli
Incredibili, che può diventare invisibile.
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Capitolo 2 *** The Lab ***
~the
lab~
[Damien]
Siamo tutti
seduti nella mensa, nonostante siano le
nove di mattina e abbiamo già finito di mangiare colazione.
Tutti i nostri
insegnanti sono al loro tavolo, cosa
che non accade praticamente mai, il che mi fa supporre che stia per
succedere qualcosa.
Un volto. Occhi
di ghiaccio, capelli radi, lineamenti duri.
Un flash
inutile, come al solito. Questo potrebbe
tranquillamente significare che incontrerò
quest’uomo oggi, domani o tra
vent’anni. Se significasse qualcosa per me forse avrei
qualche altro indizio,
ma non l’ho mai visto prima.
Queste visioni
sono come un incessante mormorio
all’interno della mia testa, e io devo essere sempre
concentrato per non vedere. Se mi
distraggo, anche per un
solo secondo, o se la visione è particolarmente forte, i
miei pensieri vengono
schiacciati e queste immagini ne prendono il posto.
Lo
odio.
Sospiro e
Vanessa mi lancia un’occhiata indagatrice.
Le faccio un
cenno con la testa e lei si volta.
Un uomo basso,
paffuto, che si inginocchia per terra in un
ristorante di lusso. “Mi vuoi sposare?”, chiede
adorante ad una donna magra e
stupita. “Sì.” Un bacio.
Stupide,
fastidiose, inutili visioni di gente
sconosciuta.
Tento di
concentrarmi sul signor Smith, che si alza in
piedi.
-Ragazzi-, dice,
-Stamattina è arrivato a scuola il
nostro nuovo preside.-
Ecco,
perché non prevedo mai cose utili come questa?
Sono passate tre
settimane dalla morte del preside
Hermann, avrei dovuto immaginarlo.
-Vorrei che
deste un cordiale benvenuto al professor
Ivan Vahel.-
La porta della
mensa si apre ed entra l’uomo che ho
visto un minuto fa. Non quello della proposta di matrimonio, ma quello
con gli
inquietanti occhi chiarissimi.
È
alto, possente, sulla cinquantina, e ci fissa tutti,
uno ad uno.
-Buongiorno-,
dice, e la sua voce è decisa, potente,
una voce di quelle a cui non puoi dire di no … se ci tieni
alla tua vita. Un
leggero accento, forse russo, si distingue se vi si presta attenzione.
Mormoriamo un
saluto sconclusionato.
-Non credo di
aver sentito.-
-Buongiorno,
signore-, ripetiamo tutti insieme, e sono
certo che abbiamo tutti la medesima espressione irritata.
Un bambino perso
in un enorme supermercato. Disperato. Dov’è
la mamma?
Scaccio la
visione dalla mia mente.
-Sono Ivan
Vahel, vostro nuovo preside. Sono stato
nominato dal presidente degli Stati Uniti in persona.- Una pausa
perché
l’informazione ci strappi un “oh” di
sorpresa … che non arriva mai. –Confido
che la nostra collaborazione sia proficua. Ho letto molti fascicoli sul
metodo
di insegnamento qui e vi anticipo che apporterò molte
modifiche. Tenendo conto
delle vostre abilità, abbiamo bisogno di una linea
più rigida e severa.-
Ma certo.
Trattengo uno
sbuffo, a differenza di Blake, che non
riesce a controllarsi.
-Ha qualcosa da
obiettare?-, gli chiede Vahel.
-No, signore-,
replica Blake con innocenza.
-Molto bene.
Voglio vedervi tra un’ora al campo di
addestramento. Sappiate che non sopporto i ritardatari.-
Guardo Vanessa
con un mezzo sogghigno. Non gli andrà a
genio, molto probabilmente.
Vahel esce e noi
andiamo nei dormitori per prepararci.
-Cosa te ne
pare?-, chiede Blake.
-Si
smonterà presto, spero-, dico.
-Nn
ss css
drrt-, bofonchia Jonathan. Si sta lavando i
denti.
-Eh?-
-Non so cosa
dirti.-
-Non
durerà a lungo.-
-Linea dura-,
sbuffa Blake. –Voglio proprio vederlo.-
Usciamo dai
dormitori, ci riuniamo alle ragazze e
usciamo dalla scuola.
Comincia a fare
freddo, e immergo le mani nelle
tasche.
Una lastra di
ghiaccio, dei pattinatori in una cittadina
indaffarata. Una caduta, tante ragazze che ridono e si prendono in giro
a vicenda.
Inutile, di
nuovo.
Dobbiamo
allungare la strada, perché da due settimane
ci sono dei lavori in corso a scuola. Stanno costruendo qualcosa nei
sotterranei.
Un laboratorio
scientifico. Vetro, metallo, provette e strani
marchingegni.
Bah. Questo
potrebbe essere ciò che stanno costruendo,
ma non ci giurerei. Un po’ troppo moderno per la mia scuola.
Raggiungiamo
l’arena, circondata da spalti, dove siamo
soliti eseguire gli allenamenti pratici.
Vahel
è in centro che aspetta. Ci mettiamo in riga di
fronte a lui.
-Voglio sapere i
vostri nomi e il vostro potere-, dice
immediatamente.
-Lily Bennett,
controllo i quattro elementi.-
-Charlotte
Miller, sono un genio.-
-Damien Knight,
chiaroveggente-, dico brevemente,
senza guardare Vahel negli occhi gelidi.
-Jonathan
Bailey, metamorfosi animale.-
-Blake Gray,
lancio scariche energetiche.-
-Vanessa Evans,
invisibilità.-
Ivan Vahel tace
per qualche secondo, riflettendo,
quindi annuisce tra sé.
-Un’ampia
gamma di poteri-, dice. –Molto bene. Voglio
una dimostrazione pratica.-
Facile a dirsi,
per gli altri. Lancio un’occhiata a
Charlotte. Questo è sempre stato il problema che abbiamo in
comune.
Comincia Lily,
facendo scaturire dal palmo della mano
destra una fiamma, e dalla sinistra una piccola cascata
d’acqua.
-Gli altri due
elementi-, esige Vahel.
Lei crea un
lieve vortice d’aria e una spaccatura nel
terreno.
-Fuoco, acqua,
aria, terra-, enumera il preside,
soddisfatto. –Bene.-
Tocca a
Charlotte. La vedo esitare.
-Cosa vuole che
le dica?-, domanda.
-La tavola
periodica degli elementi-, decide il
preside dopo un momento di riflessione.
E Charlotte,
senza esitare, comincia a citare nomi,
numeri e simboli a memoria, snocciolandoli senza problemi, come se li
stesse
leggendo.
-Ok-, la
interrompe Vahel.
È il
mio turno.
-Preveda
qualcosa che mi riguarda-, mi ordina.
Facile
a dirsi.
-Non
è così semplice-, sbuffo. –Non
… riesco a
controllarlo molto bene.-
-Sei qui per
impararlo, giusto?-, taglia corto Vahel.
–Avanti.-
Un fremito di
irritazione mi attraversa, ma cerco di
calmarmi e concentrarmi su di lui. Chiudo gli occhi e visualizzo il suo
volto
severo.
Un laboratorio,
lo stesso di prima. Al suo interno, Vahel,
intento a segnare dei dati su una tabella. Un grido che rompe il
silenzio.
Vahel sembra non sentirlo, o lo ignora completamente.
-L’ho
vista in un laboratorio-, gli riferisco. –Stava
prendendo degli appunti, e poi qualcuno ha gridato, ma lei non
l’ha sentito.-
O non
l’ha voluto sentire, mi dico, ma lo tengo per
me.
-Sì,
capisco.- Vahel sembra soddisfatto.
Jonathan, di
fianco a me, si trasforma prima in un
gatto, poi in un’aquila e infine in uno scorpione.
Per il preside
è sufficiente.
Blake prende la
mira e fa saltare in aria un sasso.
-Posso farlo con
le persone-, dice.
Infine Vanessa
scompare, e Vahel sorride.
-Come ha
precocemente scoperto il signor Knight, sto
facendo costruire un laboratorio scientifico. La mia intenzione, dato
che
nessuno dei vostri insegnanti ci ha mai pensato prima, è
scoprire le cause del
vostro potere e trovare un modo per aiutarvi a potenziarlo o a
plasmarlo
secondo i vostri desideri. In questi giorni vi convocherò
tutti, uno alla
volta, e tornerete settimanalmente. Il primo sarà proprio
lei, signor Knight.
Alle due di pomeriggio si faccia trovare nei sotterranei.-
-Sì,
signore-, dico automaticamente.
Io detesto i
laboratori. Mi ricordano gli studi di
psicologi dove i miei mi mandavano fin da piccolo, quando dicevo di
“sentire le
voci”. Solo quando ho compiuto quattordici anni ho avuto il
buonsenso di
smettere di parlarne.
Torniamo verso
la scuola e ci sorbiamo tutte le altre
lezioni. Non abbiamo molto da dire riguardo a Vahel, per ora: non ha
fatto
nulla di particolare, se non a parole.
Dopo pranzo mi
dirigo verso i sotterranei. Lo ammetto,
sono un po’ nervoso.
La luna brilla
nel cielo e una donna la guarda malinconica
dal davanzale della finestra.
Non
adesso, penso,
strofinandomi la testa con
una mano per spegnere le voci –invano.
Scendo le scale
e mi trovo davanti una porta di
metallo blindata. Decisamente fuori posto in questo college vecchio
stile,
tutto in legno e colori pastello.
Per entrare
c’è bisogno di un codice numerico.
-Bene, andiamo,
signor Knight-, dice Vahel,
arrivandomi alle spalle e facendomi sussultare.
Avrei dovuto prevederlo,
maledizione!
Digita un
codice, troppo rapido perché io possa
distinguere i numeri, e la porta si apre senza un cigolio.
Il laboratorio
è esattamente quello che ho visto nella
mia visione. Ci sono strani strumenti che forse solo Charlotte potrebbe
identificare, e superfici di metallo, divisori di vetro, calcolatrici
…
-Si sieda.-
Mi indica
un’inquietante, alta sedia di metallo che
ricorda quelle che utilizzano per eseguire le condanne a morte. Mi
siedo con
cautela, teso.
-Le presento il
signor Collins, tecnico di questo
laboratorio.-
Un uomo sbuca
fuori da dietro una parete e mi fa un
cenno prima di sparire di nuovo.
-Adesso vorrei
solo che lei lasciasse fluire le
visioni nella sua mente-, dice il preside.
Oh,
no. Questo no.
-Io le
attaccherò degli elettrodi alla testa e
registrerò le sue attività cerebrali.-
Esito, quindi
annuisco. Guardo con ansia il signor
Collins riemergere dal retro con un tubetto di gel che spalma su quelle
che
sembrano tre piccole ventose attaccate a lunghi fili. Me ne appoggia
una sulla
fronte e due sulle tempie.
Accende lo
schermo di un computer.
-Possiamo
cominciare-, dice.
Cerco di
rilassarmi e chiudo gli occhi.
Lentamente,
elimino le barriere mentali che mi
permettono di estraniarmi dalle visioni e lascio che queste fluiscano
liberamente nel mio cervello. Ho paura.
Una spiaggia
deserta, due giovani innamorati che guardano il
tramonto tenendosi per mano.
Una
città affollata, qualcuno di fretta, tremendamente in
ritardo, che rischia il posto di lavoro, e-
Tre bambini,
corrono –
Giornata di neve
–
Voci –
Un grido di
esultanza-
Un pomeriggio di
studio-
Una macchina, e
un’altra che le viene addosso, sempre più
veloce. L’impatto, dolore violento, fuoco …
-No!-, grido, e
torno alla realtà, scacciando dalla
mente quelle immagini cruente e dolorose.
Mi accorgo di
star tremando, e devo stringere i pugni
con violenza per smettere.
Apro gli occhi,
e vedo Vahel di fronte a me.
-Tutto bene?-,
mi chiede sbrigativo.
-Sì-,
mento.
-Cos’ha
visto?-
-Un incidente.-
-Studierò
i risultati-, dice Vahel. –Nel frattempo,
vorrei che provasse a prendere queste pastiglie.-
Mi porge una
confezione di carta bianca, senza nome.
-La aiuteranno a
scacciare le visioni indesiderate,
soprattutto nel sonno.-
Non ci credo.
Sarebbe troppo bello per essere vero.
Non credo di aver mai dormito per una notte intera senza svegliarmi a
causa di
una visione tremenda.
-Ne prenda due
al giorno, alle otto del mattino e di
sera. La prossima settimana mi dirà cosa ha notato.-
-D’accordo.-
Mi allontano,
poco fiducioso, ma, alle otto, prendo
effettivamente una pastiglia.
Sto mangiando
cena, e per poco non mi strozzo con il
cibo.
-Dam? Cosa
succede?-, mi chiede Vanessa, in ansia.
-Niente.-
-Va tutto bene?-
-Benissimo-,
replico.
Le voci sono
svanite.
Sento che ci
sono ancora, da qualche parte, e che, se
volessi, potrei richiamarle.
Ma adesso, per
la prima volta nella mia vita, c’è effettivamente
silenzio nella mia mente.
Non mi sono mai
sentito meglio.
Vorrei
ringraziare tutti coloro che
hanno letto il mio prologo, e in particolare Kuri che l’ha
commentato. Mi ha
fatto molto piacere leggere la tua recensione e spero che continuerai a
seguirmi!
Ho
aggiornato presto perché so che
probabilmente mi sarà difficile farlo da metà
settimana in poi, quindi mi porto
avanti con il lavoro ;)
A
presto,
Adamantina
|
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Capitolo 3 *** The Net ***
~the
net~
[Blake]
Mi sveglio
stamattina senza capire cosa c’è di strano,
anche se sento che qualcosa c’è. Mi guardo intorno
e capisco: Damien dorme
ancora.
Questo
è veramente strano, considerata la sua media di
tre o quattro ore di sonno per notte. Perciò mi sembra il
minimo disturbarlo un
po’.
In fondo sono
quasi le otto e siamo già in ritardo.
Decido per un
metodo semplice: una cuscinata in
faccia.
Lui sussulta, si
alza di scatto e batte la testa
contro il letto a castello.
-Ahi!-
Comincio a
ridere di gusto … questo prima che lui
tenti di soffocarmi con lo stesso cuscino.
-Smettila!-
-Stavo dormendo!-
Continuo a
ridere.
-Avete finito di
amoreggiare, voi due?-, chiede
Jonathan, sbucando fuori dalle coperte e vedendo lo strano spettacolo
di io e
Damien, in pigiama, che ci azzuffiamo sul pavimento.
-Che
c’è, sei geloso, Bailey?-, chiedo, alzandomi in
piedi.
-Non sai quanto.-
Occupo il bagno
per primo, mi faccio una doccia e
scendo a colazione.
Stamattina
avremo due lunghissime, eterne ore di
fisica e poi una di allenamento pratico.
Sto mangiando il
mio secondo toast al burro d’arachidi
quando vedo Damien ingoiare una pastiglia.
-Cos’è?-
-Me
l’ha data Vahel per ridurre le visioni.-
Charlotte
aggrotta le sopracciglia.
-Sei sicuro che
sia una buona idea?-, chiede,
dubbiosa. –È il tuo dono.-
-Tutto quello
che so è che stanotte ho finalmente
dormito … beh, prima che Blake mi svegliasse.-
-È
stato un piacere, amico-, commento.
-Io non mi
fiderei-, prosegue Charlotte.
-Senti, tu non
hai idea di quanto sia piacevole non
sentire voci confuse ventiquattr’ore al giorno e godersi un
po’ di silenzio, ogni
tanto.-
Charlotte coglie
la frecciatina e tace.
Le prime due ore
passano rapidamente solo grazie al
fatto che affino la mira fino a colpire tre volte consecutive Lily con
la mia
cerbottana.
Al che, lei
dà fuoco alle palline di carta sul mio
banco, conquistandosi due ore di punizione.
Adoro
quella ragazza.
Poi, grazie al
cielo, usciamo per la lezione pratica e
ci dirigiamo verso lo stadio.
Il nostro
insegnante, il signor Smith, non è da solo,
però.
Con lui
c’è Vahel, e sembra che stiano discutendo.
-Puo’
lasciarmeli senza problemi, Smith, almeno per
oggi.-
-Questa
è la mia
lezione.-
-Oggi serve a
me.-
Smith, la
persona più imponente e terrorizzante
dell’intero corpo docenti, è costretto ad obbedire
e si allontana con stizza.
Restiamo soli
con Vahel, che porta a tracolla una
grande borsa di pelle nera.
-Ragazzi-,
esordisce questi, -Da oggi cominciamo a
fare sul serio. Voglio che sappiate che non tollererò
nessuna critica né
diserzione durante le mie lezioni, ed esigo obbedienza assoluta da
tutti voi. È
chiaro?-
Borbottiamo un
assenso, subito ripresi dal preside:
-Non ho sentito!-
-Sì,
signore.-
-Bene. Tutti a
sedervi negli spalti, tranne il signor
Bailey.-
Jonathan rimane
nell’arena con Vahel mentre noi
usciamo dalla zona sabbiosa e ci sistemiamo sul primo scalino delle
gradinate.
-Signor Bailey,
ora lei si trasformerà in un qualsiasi
animale di piccole dimensioni. Io le lancerò addosso una
rete e lei dovrà
liberarsene, sfruttando delle trasformazioni o qualunque altra
strategia che
riterrà necessaria.-
Jonathan non
sembra per niente preoccupato. Annuisce
tranquillamente e si trasforma istantaneamente in un gatto tigrato.
Vahel apre la
borsa, ne estrae un paio di guanti e usa
quelli per prendere una rete.
Non è
di corda, ma metallica, di un materiale che non
ho mai visto prima. La lancia sopra al gatto e poi viene verso di noi,
sugli
spalti, togliendosi i guanti.
Sento Charlotte
trattenere il fiato.
Dapprima non
capisco. Sento il miagolio intenso del
gatto, che si trasforma in altri piccoli animali, tra cui una volpe e
un cane.
Poi si rimpicciolisce, e vedo che la rete segue la sua trasformazione
in topo,
diventando più piccola.
Solo quando
Jonathan si trasforma in un grande lupo
capisco cosa sta succedendo.
La rete
metallica è affilata, ogni filo tagliente come
una lama. Il pelo del lupo è striato di sangue, e la cosa si
fa ancora più
evidente quando Jon si trasforma in un grande felino bianco che non so
identificare. La pelle dell’animale è tagliata in
profondità ovunque sia
entrata in contatto con la rete.
Mi alzo di
scatto, sentendo i ringhi e gli uggiolii dell’animale.
-Basta
così!, urla Lily.
-Sedetevi-,
ordina Vahel.
-Lo liberi
subito!-, grida Vanessa.
-State seduti!-
Guardo verso
Jonathan e lo vedo lottare con la rete,
mentre il sangue scende sempre più copioso.
Senza pensarci
due volte attraverso l’arena di corsa e
lo raggiungo.
Il gigantesco
felino bianco si sta rotolando a terra,
dimenando le zampe per liberarsi, ma così facendo ottiene
solo di piantarsi più
a fondo nella carne le lame.
-Jonathan-, lo
chiamo a voce alta, e devo ripeterlo
più volte perché lui mi guardi con gli enormi
occhi neri spaventati.
-Signor Gray,
torni qui immediatamente!-, mi urla
Vahel, ma non lo ascolto.
-Adesso ti
aiuto.-
Lui si muove e
ringhia.
-Stai fermo,
Jon-, lo prego.
-Glielo ripeto,
Gray: stia lontano!-
Sono
terrorizzato da tutto quel sangue e non so
esattamente cosa fare. Cerco l’inizio della rete e lo prendo
in mano,
tagliandomi.
Mi sfugge
un’imprecazione. Allora decido di togliermi
la felpa. La sfilo velocemente e la uso per proteggermi le mani mentre
sollevo
la rete, causando ulteriori uggiolii del felino ferito.
La getto a terra
e mi chino su Jonathan, ancora in
forma animale. Appoggio con cautela una mano sulla pelliccia macchiata
di
rosso.
-Jon? Riesci a
trasformarti?-
Dopo un paio di
secondi lui torna umano.
Le sue ferite
sono ancora più spaventose viste così.
La felpa è stracciata; la schiena, il petto, le gambe, le
mani sono coperte di
profondi tagli sanguinanti. Jonathan si lamenta sottovoce, ancora
cosciente.
Cerco di
respingere la nausea e mi volto verso i
ragazzi.
Vahel sembra
furente. Mi fissa con rabbia enorme.
- Lily
è andata a chiamare il medico-, dice Vanessa,
terrorizzata.
Infatti, dopo
poco più di due minuti, il vecchio
dottore ci raggiunge.
-Oh, mio Dio-,
mormora.
Estrae dalla
valigetta delle boccette, ma prima esita.
-Dobbiamo
portarlo almeno sugli spalti. La sabbia che
c’è qua è pericolosa, causa infezioni,
ma l’infermeria è troppo lontana.-
Lo aiuto a
sollevare Jonathan e raggiungiamo gli
spalti. Lo adagiamo su uno dei larghi scalini di pietra.
-Mi serve
dell’acqua-, dice il signor Hayez, il medico.
Lily prende una
delle ciotole e la riempie in un
secondo.
Hayez vi immerge
un panno bianco e comincia a ripulire
le profonde ferite. Jonathan geme per il dolore.
-Dagli questo-,
mi ordina, porgendomi una pastiglia e
un bicchiere. Lily lo riempie d’acqua e vi faccio sciogliere
il medicinale.
-Jon, bevi-, gli
dico.
Charlotte gli
solleva un po’ la testa e lui,
automaticamente, obbedisce. Dopo qualche minuto perde i sensi, per sua
fortuna.
Il medico
disinfetta tutte le ferite e si fa aiutare a
portare Jonathan in infermeria.
-Signor Gray-,
mi chiama Vahel.
Mi volto, e il
mio primo istinto è quello di
lanciargli un lampo di energia e mandarlo a sbattere contro un muro.
-Lei ha
disobbedito apertamente ad un mio ordine, dopo
che vi avevo diffidato dal farlo. Riceverà una giusta
punizione per questo.-
Stringo gli
occhi, sentendo che sto per ucciderlo sul
serio.
-Venga
giù nel mio laboratorio alle due di oggi
pomeriggio.-
Non rispondo e
seguo gli altri verso l’infermeria.
Jonathan sta
dormendo grazie al sonnifero.
È
disteso su un fianco su un letto dell’infermeria,
gli occhi chiusi. Siamo tutti intorno a lui e ci guardiamo,
condividendo la
stessa rabbia.
Mancano dieci
minuti alle due.
-Devo andare-,
mormoro.
-Fai
attenzione-, mi dice Lily, guardandomi negli
occhi.
In condizioni
normali mi prenderei gioco di lei,
scherzando per la sua preoccupazione, ma adesso non me la sento
affatto.
Annuisco e mi alzo, dirigendomi verso i sotterranei.
Trovo Vahel ad
aspettarmi. Digita rapidamente un
codice e mi precede nel grande laboratorio. È proprio come
Damien l’ha
descritto.
-Non mi piace
che si disobbedisca ai miei ordini,
Gray-, mi dice severo, guardandomi con quegli inquietanti occhi gelidi.
-Stava facendo
male al mio migliore amico-, dico con
decisione.
-Tutto quello
che faccio è per il vostro bene-,
replica Vahel con un tono mellifluo che mi fa rabbrividire.
-Non credo che
arrivare quasi ad uccidere Jonathan si
possa definire un bene per lui.-
-Se lei non
fosse intervenuto e lui fosse riuscito a
liberarsi, ne avrebbe ricavato un grande miglioramento.-
Non rispondo,
certo che direi qualcosa di cui poi
potrei pentirmi.
-Si sieda-, dice
deciso, e chiama il tecnico, il
signor Collins.
Mi siedo dove mi
indica, una sorta di trono metallico
piuttosto spaventoso.
Collins preme un
pulsante e dai braccioli della sedia
escono due anelli che mi intrappolano i polsi. Alle caviglie, lo stesso.
Guardo Vahel con
un’espressione di sfida che spero non
tradisca la paura che provo.
-Bene, Gray-,
dice il preside dolcemente, -Vediamo se
dopo questo trattamento sarà ancora così
sfrontato e spavaldo.-
Per un secondo
sono tentato di chiedergli se sfrontato e
spavaldo siano due termini
attualmente esistenti nel nostro
vocabolario, ma mi trattengo.
Ho paura, lo
ammetto.
Non mi piace
essere impotente di fronte ad un
pericolo, ed essere qua, immobilizzato, davanti a quest’uomo
spaventoso rientra
pienamente nella mia definizione di “pericolo”.
Sto per dire
qualcosa, qualsiasi cosa che non mi
faccia sembrare un completo idiota terrorizzato, quando comincia.
Fa
male.
Credo
che la trama della storia si cominci a formare veramente proprio a
partire da
questo capitolo, il personaggio del preside Vahel verrà
approfondito molto
anche nei prossimi.
Mi
prendo qualche riga per rispondere alla recensione di ulisse999.
Innanzitutto,
grazie per essere stato così generoso. È
veramente importante per me (come
credo per qualsiasi autore) leggere un’opinione tanto
dettagliata riguardo a
ciò che scrivo.
Come
avrai intuito, ho intenzione di approfondire in ogni capitolo un
particolare
personaggio, anche evidenziando in questo modo come affronta il suo
potere e
che rapporto ha con gli altri.
Ti
ringrazio per i complimenti e sarà molto lieta di accogliere
tutto ciò che
avrai da dire sui prossimi capitoli.
Un
ultimo avvertimento: il fatto di aver messo un rating arancione non
è casuale.
A partire da questo capitolo la storia si fa più violenta e
probabilmente
continuerà ad esserlo nei prossimi. Volevo sottolineare in
particolar modo il
completo potere che ha Vahel sulle vite dei ragazzi e come sia per
questo una
sorta di avversario “impossibile da sconfiggere”
per loro.
Grazie
mille per aver letto. Come sempre apprezzo molto una recensione!
A
presto,
Adamantina
|
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Capitolo 4 *** No Limits ***
~No
limits~
[Charlotte]
Sono qui seduta
accanto a Jonathan quando miss Douglas
entra.
I ragazzi
cominciano a parlare tutti insieme nel
tentativo di spiegarle quello che Vahel ha fatto.
Io resto in
silenzio, tanto so che lo spiegheranno
tanto bene quanto lo farei io.
Il mio sguardo
torna nuovamente su Jonathan.
Ringrazio il
cielo –o meglio, il sonnifero- che sia
incosciente, perché quando si sveglierà
probabilmente quelle ferite gli faranno
male.
Divido la mia
attenzione tra lui e miss Douglas –cosa
assolutamente fattibile per il mio cervello super-potenziato.
-Ragazzi, ho
capito cosa volete dire, ma non c’è
niente che possiamo fare.-
-Come sarebbe a
dire?-, reagisce Lily, furiosa. –Ha
quasi ucciso Jonathan! E voleva impedirci
di aiutarlo! Dovete fare qualcosa!-
-Lily, il
presidente degli Stati Uniti in persona ha
nominato Ivan Vahel, semplicemente perché ha paura
di voi! Teme ciò che potrete diventare un giorno e
ha
approvato ogni singolo metodo che
Vahel userà con voi!-
Lo sapevo
già, ed era piuttosto ovvio, ma Lily e gli
altri riescono a farsi cogliere di sorpresa e spalancano gli occhi, per
poi
cominciare con i “ma” e i “se”.
Del tutto
inutile.
Torno a dedicare
tutta la mia attenzione a Jonathan.
Non vorrei
essere fraintesa: non che non mi interessi
ribellarmi contro quello che Vahel ha fatto, ma so che parlarne ai
professori è
stupido. Vahel non avrebbe fatto nulla se non fosse stato assolutamente
certo
di non ricavarne conseguenze legali.
Ha calcolato
tutto.
Miss Douglas
esce e rimaniamo nuovamente soli.
-Da quanto tempo
è fuori Blake?-, chiede Lily.
-Due ore e
undici minuti-, rispondo automaticamente.
Merito del mio
computer mentale.
-Non va bene-,
sussurra lei. –Dobbiamo fare qualcosa.-
-Andiamo nel
laboratorio a vedere cosa sta
succedendo-, propone Damien.
-È
pericoloso-, commenta Vanessa.
-Non mi importa.
Blake ha salvato Jonathan, tocca a
noi salvare lui. Io vado.-
-E io vengo con
te-, propongo.
Lui mi guarda
critico, ma gli lancio un’occhiata
penetrante.
-Sapresti
manomettere il tastierino numerico
all’ingresso?-, gli chiedo.
Damien si
arrende subito, scuotendo la testa.
-Hai vinto-,
dice, alzandosi. –Ma non facciamoci
vedere.-
-Per chi mi hai
preso?-, scherzo, mentre lo seguo
fuori dall’infermeria.
Siamo appena
usciti quando vediamo Vahel che entra in
un’aula, seguito da Collins, il tecnico.
E se sono
lì, significa che non possono essere nei
sotterranei.
Damien sorride,
pensando la stessa cosa, e ci
affrettiamo a raggiungere il laboratorio.
-Ricordi quante
cifre erano?-, chiedo, osservando il
tastierino.
-Sei-, dice
Damien con certezza. –Ho sentito il
suono.-
-Sei-, ripeto
tra me. Sollevo leggermente il bordo
inferiore della mia felpa grigia oversize per rivelare un piccolo
marsupio
nascosto. Ne tiro fuori un cacciavite.
-Stai
scherzando-, mormora Damien, guardandomi le
spalle.
Sbuffo, e in
meno di cinquanta secondi la porta è
aperta.
-Andiamo-,
borbotto.
La prima cosa
che sento è un grido.
-Blake-, dice
Damien, perdendo tutto il suo senso
dell’umorismo e guardandomi con preoccupazione.
Seguiamo la
direzione del grido e lo vediamo.
Blake
è su una grande sedia metallica, polsi e
caviglie bloccati, e la sua espressione mi sconvolge. È
rosso in viso, sudato,
con i capelli biondi appiccicati al volto, i denti stretti, come a
trattenere
un altro grido.
-Blake! Cosa
succede?-, chiede Damien.
Ma io sono
già un passo avanti … come al solito.
Il mio sguardo
corre al computer acceso. Le frequenze
che rivela mi inquietano, in particolare quella relativa al battito
cardiaco,
decisamente troppo alto.
Blake non riesce
a rispondere, ma ci penso io.
-Quell’apparecchio
gli sta trasmettendo energia
elettrica allo stato puro e ad altissimo voltaggio-, dico.
-Che cosa? Non
dovrebbe essere già morto?-
-Il suo potere
consiste nel creare energia e quindi
può assorbirne di più rispetto ad un normale
essere umano, ma ha un limite, e
ci siamo troppo vicini.-
Un altro grido
si fa strada tra le mascelle serrate di
Blake.
-Non puoi
fermarlo?-, sbotta Damien.
-Potrei, ma
Vahel se ne accorgerà, quando guarderà
questi schemi.-
-Non riesci ad
evitarlo?-
-Dammi un
minuto.-
-Non ce
l’abbiamo!-, esclama Damien, lo sguardo perso
nel vuoto. Ha appena visto qualcosa. –Vahel sarà
qui tra poco. Dobbiamo
uscire.-
-Non possiamo
lasciarlo così!-
-Sta venendo per
interromperlo, Charlie. Andiamo!-
Troppo tardi.
Una serie di sei bip ci annuncia
l’imminente ingresso di Ivan Vahel.
-Qui-, dico a
Dam, spingendolo dentro ad un armadio e
seguendolo subito dopo. Mi chiudo la porta alle spalle.
Appena in tempo.
-Rieccomi qui,
Gray-, dice Vahel.
La sua voce
arriva soffocata attraverso l’anta di
metallo.
Sento premere
dei pulsanti e poi un gemito di Blake.
-Ecco fatto. Per
oggi può bastare. Spero che tu abbia
imparato la lezione.-
Silenzio.
-Avanti, Gray.
Non vuoi che ricominci tutto da capo,
vero?-
Ancora niente.
-Su, coraggio.
Cos’hai imparato oggi?-
Blake non
risponde, e Vahel riaccende l’apparecchio
per un secondo.
Abbastanza per
strappargli un grido.
-Allora?-
-Io …
non le … disobbedirò … più
… signore.-
Devo trattenere
Damien con la forza perché non salti
fuori.
-Benissimo. Hai
visto? Non era così difficile.-
Un clac annuncia
che gli anelli che tenevano fermo Blake si sono riaperti.
-Puoi andare,
Gray.-
Da lì
in poi, sento solo suoni trascinati, soffocati,
tintinnii di cose urtate e tonfi.
Due minuti e
ventisette secondi dopo, siamo soli.
Io e Damien
usciamo dall’armadio e ci precipitiamo
fuori dal laboratorio.
Blake
è crollato sul secondo scalino.
Damien gli
è subito accanto.
-Blake-, lo
chiama sottovoce. –Avanti, amico,
rispondi. Blake … -
-Sì-,
biascica lui.
-Prendimi la
mano, ecco, così … io e Charlotte ti
portiamo in infermeria.-
-No-, ringhia
Blake.
Sussulto.
-Portatemi nel
dormitorio-, insiste.
Damien non lo
contraddice. Mettiamo ognuno un braccio
attorno alle sue spalle e lo accompagniamo fino ai dormitori.
Entriamo in
quelli maschili e adagiamo Blake sul suo
letto.
-Come stai?-,
chiede Damien, preoccupato, sedendoglisi
accanto.
Lui non risponde.
-Damien, vai a
dire agli altri che è qui-, lo esorto.
–Ci penso io a lui.-
Il veggente mi
guarda, non del tutto convinto.
-Avanti, ho una
laurea in medicina. È in buone mani.-
Damien annuisce
e scompare oltre la porta.
Io prendo il
polso di Blake e controllo le pulsazioni.
Il cuore va ancora veloce, ma nella norma. Probabilmente
l’energia elettrica
gli ha fatto contrarre tutti i muscoli, perciò ora si
staranno distendendo di
nuovo. Non dev’essere piacevole.
-Blake, come
va?-, gli chiedo.
-Meglio-,
replica lui.
Comincio a
massaggiargli i muscoli del collo, con
gesti esperti. Non sono passati neanche tre minuti quando Lily entra
come una
furia.
-Cosa gli ha
fatto?-, ruggisce.
Non so
perché, ma mi sembra una buona idea
allontanarmi da Blake. Non si sa mai.
-Gli ha immesso
nel corpo dell’energia elettrica ad
alto voltaggio-, rispondo.
Lei batte le
palpebre, confusa.
-Vieni qui,
continua a massaggiare-, la istruisco.
–Non far contrarre i muscoli.-
Lily impara in
fretta.
-Quel grande
bastardo-, sibila Vanessa. –Quel figlio
di … -
Non credo di
averla mai sentita usare questi termini,
e sì che nessuno ha toccato Damien, il suo pupillo.
-Come sta
Jonathan?-, chiedo.
-Non molto
bene-, replica Lily, senza interrompere il
massaggio. –Le ferite continuano a sanguinare. Il dottore gli
rifarà presto le
fasciature.-
-Blake non ha
voluto andare in infermeria-, dice
Damien.
Blake borbotta
qualcosa riguardo a “non dargli questa
soddisfazione”.
Solite
stupidaggini da maschi.
Siamo
già fin troppi qua dentro. Mi alzo ed esco.
Mi dirigo quasi
inconsciamente verso l’infermeria.
Jonathan
è immobile, pallido.
Il mio cuore si
stringe in una morsa nel vederlo così.
Gli prendo la mano.
-Charlie?-, mi
giunge un borbottio.
Spalanco gli
occhi. Ero convinta che dormisse. Lascio
andare la sua mano, incredibilmente imbarazzata.
-Sì,
sono io-, rispondo.
Ma Jonathan non
aggiunge altro. Brontola qualcosa di
incomprensibile per poi tacere di nuovo.
Deve aver detto
il mio nome nel sonno.
La cosa, devo
ammetterlo, mi rende un po’ felice.
Ma a chi la vado
a raccontare? Mi rende molto felice.
Scosto dal viso
pallido di Jonathan un ciuffo di
capelli ribelli.
-Andrà
tutto bene-, mormoro.
Questa tenerezza
che provo dev’essere assolutamente
colpa della mia latente sindrome della crocerossina.
Non
c’è altra spiegazione logica.
Perché,
deve essercene
una?
Sospiro.
Vorrei poter
fare qualcosa.
È
proprio questo che mi terrorizza di più di Ivan
Vahel. Il suo potere assoluto su di noi. Può fare quello che
vuole delle nostre
vite, giocare a fare il dio e trattarci come giocattoli facili di
spezzare.
E tutto
ciò che noi facciamo per opporci a lui non ha
significato, perché non c’è nessuna
autorità che può fermarlo.
Nessun limite.
Come
sempre, ringrazio tutti coloro che leggono.
In
particolare grazie a Kuri per la recensione.
Nei
prossimi capitoli cercherò di infilare qualche
descrizione fisica, nel frattempo se ti va ti lascio i link delle foto
di come
mi immagino i vari personaggi:
Lily: http://i52.tinypic.com/33tl1sn.jpg
Vanessa:
http://i55.tinypic.com/ff1gdu.jpg
Damien: http://i53.tinypic.com/140llix.jpg
Blake: http://i55.tinypic.com/25zrtzk.jpg
Jonathan: http://i54.tinypic.com/x3vus.jpg
Charlotte:
http://i52.tinypic.com/er05tv.jpg
Vahel: http://i56.tinypic.com/2z8z13s.jpg
I
ragazzi non indossano una vera e propria uniforme, ma
semplicemente delle felpe/maglie/camicie ecc con il logo della scuola.
A
presto!
Adamantina
|
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Capitolo 5 *** The Cure ***
~the
cure~
[Jonathan]
Non appena mi
sveglio, vorrei non averlo fatto.
Il dolore
è ai limiti del sopportabile. Ogni parte del
mio corpo brucia, in particolare la schiena e il petto. Mi sembra di
andare a
fuoco.
Apro gli occhi e
vedo Charlotte seduta accanto a me.
-Charlie-,
mormoro, la gola secca.
Lei sussulta.
-Sei sveglio!
Come stai?-
La parola
“bene” mi esce di bocca automaticamente,
anche se non potrei essere meno sincero.
-Te la sei vista
brutta-, dice, alzandosi per prendere
un bicchiere d’acqua. –Ricordi qualcosa?-
Stringo gli
occhi, cercando di mettere ordine nei miei
pensieri confusi e distinguere i ricordi dai sogni.
-La rete,
naturalmente. E poi Blake … -, rivedo la sua
preoccupazione mentre cerca di liberarmi, e Vahel che lo richiama
… - E Vahel-,
dico a denti stretti, carico d’odio.
Charlotte mi
porge il bicchiere d’acqua. Mi sforzo di
mettermi seduto, ma il mio corpo protesta vigorosamente, strappandomi
un ansito
al distendersi improvviso delle ferite non ancora cicatrizzate.
-Stai fermo-, mi
impone Charlotte.
Non ho la forza
di contraddirla. Mi aiuta con
delicatezza a sollevare la testa per bere.
-Sei un angelo-,
sospiro con gratitudine.
Charlie
arrossisce e questo mi fa sorridere.
-Blake ha avuto
dei problemi?-, chiedo.
Charlotte esita,
rigirandosi il bicchiere vuoto tra le
mani.
-Vahel lo ha
chiamato nel suo laboratorio e gli ha
scaricato nel corpo dell’energia elettrica ad alto voltaggio
per più di due
ore-, dice infine, tutto d’un fiato, come se così
la notizia dovesse essere più
facile da digerire.
Spalanco gli
occhi.
-Che cosa?-,
grido.
-Sta bene-, si
affretta a specificare Charlotte.
-Come
può stare bene se veramente ha … -, non riesco
neanche a dirlo, sconvolto dal fatto che Blake abbia dovuto sopportare
una cosa
del genere per aver aiutato me.
Charlotte, con
calma, mi spiega la correlazione tra il
potere di Blake e l’elettricità, ma la ascolto con
un orecchio solo.
-Come mai i
professori non fanno nulla?-
-Il presidente
ha approvato i metodi di Vahel. Non
possono opporsi.-
Non replico,
pensandoci su. Il silenzio dura a lungo,
quindi Charlotte interviene:
-Dovresti essere
davvero molto grato a Blake. Ti ha
salvato la vita mettendo a rischio la sua.-
-Lo sono.-
La porta si apre
e ne entra il signor Hayez, il
medico.
-Oh,
è sveglio-, dice. –Come si sente?-
Il fatto che
Charlie sia ancora qui mi costringe a
rispondere:
-Bene.-
-Certo-, replica
il medico, per niente convinto.
–Signorina Miller, sarebbe così cortese da rifare
lei le fasciature? So che ha
tante credenziali quanto me.- Le fa l’occhiolino e Charlie
annuisce. –Bene. Gli
dia anche un altro antidolorifico. Io vado a visitare il signor Gray.-
-Signor Hayez-,
lo ferma Charlotte, -Si ricordi di
fare attenzione alla distensione muscolare.-
-Naturalmente, collega.-
Hayez esce
ridacchiando.
-Ok-, esordisce
Charlotte, un po’ impacciata. –Vediamo
… -
Va alla ricerca
di nuove bende mentre io chiudo gli
occhi per un secondo. Sono esausto e il dolore non fa che peggiorare ad
ogni
movimento. Non vedo l’ora di ricevere
quell’antidolorifico … ma non posso certo
dirlo a lei.
Non ho ancora
finito di pensarlo che Charlotte mi
porge un bicchiere d’acqua con una pastiglia. Le sorrido con
gratitudine prima
di ingoiarla.
-Adesso devo
disfare le fasciature-, dice. –Riesci a
sollevarti un po’? Ecco, così. Perfetto.-
Con un
po’ di imbarazzo abbassa coperte e lenzuola e
comincia a togliere le bende. Fisso il mio sguardo su un punto vuoto
nel muro,
determinato a non guardare per non deprimermi.
La mia mente si
perde ad osservare l’ombra di
Charlotte sul pavimento di piastrelle bianche. I lunghissimi capelli
formano
strane onde intorno ad essa.
La sento
prendere un respiro più profondo, ma ancora
non oso guardare.
-È
tanto brutto?-, voglio sapere.
-No, no-, si
affretta a replicare lei. –Voglio dire,
migliorerà … col tempo.-
Adesso ho
veramente paura di guardare.
Ma mi faccio
forza e abbasso gli occhi.
È
ancora peggio di quanto avessi pensato. Il mio petto
è coperto di lunghe ferite violacee, sottili ma numerose,
più o meno
dappertutto. Qualcuna sanguina ancora e tutte hanno un aspetto pessimo.
Al
pensiero che siano anche sulla schiena, sulle gambe, sulle mani, sul
viso mi
viene la nausea. Torno a guardare il muro.
-Jonathan.-
-Sì.-
-Guardami.-
Mi costringo a
portare gli occhi sul suo volto.
-Ascoltami-,
insiste Charlotte. –Miglioreranno. Tra
una sola settimana sembrerà già molto meno
drammatico.-
Annuisco, ma la
mia convinzione è pari a zero.
-Jon-, Charlie
non desiste e mi prende il viso tra le
mani. Mi piace questo contatto. –Ti prometto che
andrà tutto bene. Resteranno poche
cicatrici.-
-Se lo dici tu,
ci credo.-
Ed è
la verità.
Charlotte mi
guarda negli occhi con tanta convinzione
che mi è impossibile non crederle. Non mi ero mai accorto
dei riflessi dorati
dei suoi occhi.
Scuote la testa.
–Non
dovrebbe essere così importante, comunque.-
-Ah, no?-
-È
quello che c’è dentro che conta-, mi ricorda con
un
sorrisetto.
Sbuffo.
-Dicono tutti
così.-
Charlotte inizia
a tamponare le ferite con del
disinfettante. Restiamo in silenzio a lungo, e sono io il primo a
spezzarlo,
quando ormai lei ha finito il lavoro.
-Grazie-, le
dico.
-Per cosa?-
-Per essere qui.-
-È un
piacere.- Arrossisce appena. –Non che sia un
piacere che tu sia qui. Intendo dire che … -
-Charlie-, la
interrompo.
-Sì.-
-Sono convinto
che tu sia un genio, non farmi cambiare
idea.-
Lei ride, e io
faccio una cosa stupida.
Impulsiva e
decisamente fuori luogo.
Ma che posso
farci? È semplicemente successo.
Le prendo il
viso tra le mani e la bacio.
Così,
senza preavviso, improvvisamente.
Anche se so che
non dovrei.
Ma in questo
momento tutto ciò a cui penso è a quanto
è bella, e a quanto mi piace la sua risata, e a quanto
è stata carina con me
oggi.
Lei si
irrigidisce ma poi si lascia andare.
Non ci
allontaniamo l’uno dall’altra per un tempo che
a me sembra molto lungo.
Poi Charlotte si
ritrae, il mio cervello riprende a
funzionare e mi rendo conto di cosa ho fatto. La guardo con un certo
timore
della sua reazione.
Charlotte batte
le palpebre, fa per dire qualcosa ma
si interrompe, mi osserva, quindi si alza e mormora:
-Devo andare.-
Ed esce quasi di
corsa.
Rimasto solo, mi
do dello stupido.
Non avrei dovuto.
Due anni fa,
quando siamo arrivati qua, il vecchio
preside ci aveva messi in guardia dall’instaurare rapporti
più profondi di
un’amicizia.
L’amore
porta litigi, i
litigi portano all’odio, l’odio porta al tradimento.
Io non ero mai
stato particolarmente favorevole a
questo, ma devo ammettere che non ci avevo mai pensato sul serio.
Abbiamo sempre
rispettato questa regola. Cosa
direbbero gli altri se lo sapessero? Capirebbero? Dovrei forse
dimenticare
quello che è successo?
Certo che
sì.
Però
… Dio, Charlotte è così
bella. E simpatica, e intelligente, e stupenda.
Non voglio dover
rinunciare a lei.
Non è
giusto.
Sospiro e cerco
di mettermi comodo, ma
l’antidolorifico non ha ancora fatto effetto se non per
provocarmi una certa
sonnolenza.
Mi addormento, sulle labbra
ancora il sapore di
Charlotte.
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Capitolo 6 *** Threatened ***
~Threatened~
[Lily]
-Dobbiamo
fermarlo.-
-E come?-
-Quando i
professori sapranno cos’ha fatto … -
-Non possono
intervenire!-
-Ma possono parlare
con lui!-
-Non
servirà a niente.-
-Se non a farlo
infuriare.-
Lancio
un’occhiata a Blake. Siamo gli unici che finora
non hanno aperto bocca in questa discussione. Cosa strana,
perché di solito si
sentono soprattutto le nostre voci.
Che urlano
l’una contro l’altra.
Ma ritengo che
tutto questo sia inutile. Parlarne non
serve a nulla.
-Possiamo
smetterla?-, chiedo a denti stretti.
Vanessa, Damien
e Charlotte tacciono, guardandomi
interrogativi. Non è da me reagire così.
-Vado a prendere
una boccata d’aria-, taglio corto,
trattenendomi a fatica dallo sbattere la porta.
-Aspetta, Lily-,
mi blocca Charlotte, correndomi
dietro.
-Cosa
c’è?-
-Devo parlarti.-
-Non
è il momento.-
-Ti prego.
È importante.-
-Dimmi che non
riguarda Vahel.-
-No,
assolutamente.-
Esito.
-Va bene,
allora-, cedo alla fine, -Ma usciamo.-
-Lily,
è successa una cosa strana-, mi confida mentre
usciamo in giardino.
-Sarebbe?-
-Io …
ecco … Jonathan mi ha baciata.-
Spalanco gli
occhi. Ecco, questa è
una notizia.
-Wow.-
-Lily, cosa ne
pensi? Dovrei dimenticare quello che è
successo?-
-E
perché mai?-
-Beh
… sai, per quello che aveva detto il preside
quando … -
-Mio Dio,
Charlotte! Dici sul serio?-
La sua faccia
assume un’espressione confusa che,
grazie al suo cervello geniale, non mi è praticamente mai
capitato di vedere.
Me la godo per
un momento prima di aggiungere:
-Andiamo,
Charlie. Io e Blake siamo stati insieme
almeno una decina di volte!-
Ora la vedo
spalancare quegli enormi occhi castani e
avvicinarsi allo svenimento.
-Cosa
… cosa … -, balbetta. –Tu …
e Blake? Ma siete …
cioè … -
Mi viene da
ridere.
-Charlotte,
tesoro, non siamo un bel niente. È successo,
ecco tutto. Non posso certo ucciderti perché Jonathan ti ha
dato un bacio!
Anche se trovo difficile capire come qualcuno possa voler baciare Jonathan.-
-Questo mi fa
sentire molto meglio. Grazie, Lily.-
-Oh. Di nulla.-
E io che pensavo
di averla offesa. Aspetto che si
allontani per sedermi su una panchina. Fa freddo, ma di tornare dentro
non se
ne parla.
Nella mia testa
sono impresse immagini tremende di
come Blake sia stato torturato per aver cercato di aiutare Jonathan.
Il solo pensiero
che quell’uomo viscido abbia osato
fare una cosa del genere mi fa infuriare.
Decido di
camminare un po’ per calmarmi.
Come se potesse
mai funzionare.
Per oltre una
settimana Vahel ci lascia in pace. Fa
qualche comparsa durante le lezioni, ma niente di più.
Nel frattempo
Blake e Jonathan tornano a lezione, il
secondo con qualche difficoltà.
Il fatto che
Blake si sia ripreso mi rincuora
tantissimo, anche se lo vedo molto più cupo di prima. Non
appena vede Vahel,
poi, abbassa lo sguardo.
Non so come mai,
ma questo stupido dettaglio mi fa
arrabbiare tantissimo. Non so esattamente cosa sia successo: Blake non
ha
voluto dire nulla, e Charlotte e Damien, che erano lì,
nemmeno.
Anche se Damien
si comporta in modo esageratamente
strano. È sempre più teso, nervoso, scatta per un
nonnulla.
È
martedì mattina e stiamo subendo una tremenda
lezione di storia quando Vahel entra.
L’insegnante
interrompe una frase a metà mentre il
preside raggiunge la cattedra per poterci vedere tutti.
-Voglio vedervi
tutti alle due nell’arena-, dice. –Non
tollererò ritardi né defezioni, siete avvisati.-
Detto
ciò, esce senza guardarci indietro.
Riesco a
percepire sulla pelle la tensione che queste
poche parole hanno scatenato nella classe. Hanno paura.
Io no.
È pur
sempre un insegnante, maledizione! Non può
comportarsi da dittatore crudele con noi.
Non
può, mi ripeto con
poca convinzione.
Nessuno, nemmeno
Charlotte, ascolta una sola parola
della lezione, né di quelle successive. A mensa regna il
silenzio e anche
nell’arena, quando la raggiungiamo, alle due in punto. Anzi,
ci arriviamo un
po’ prima, ma Damien sta parlando concitatamente con Vahel.
Vorrei sapere
perché.
Poco dopo ci
schieriamo tutti di fronte a lui.
Mi chiedo se
vorrà fare come l’ultima volta, mettere
alla prova uno di noi. Mi guardo intorno rapidamente.
Blake
è immobile, lo sguardo fisso sulla sabbia.
Jonathan ha i
pugni chiusi e gli occhi stretti.
-La prova di
oggi vi coinvolgerà tutti-, esordisce
Vahel, la sua voce gelida che sovrasta il vento che soffia …
causa del quale
potrebbe essere il mio nervosismo, ma non ne sono certa.
–Combatterete gli uni
contro gli altri.-
Mi rilasso un
po’. Non è la prima volta che lo
facciamo, e naturalmente non è mai successo niente di grave.
-Per
incentivarvi un po’-, prosegue, -Vi informo che
il vincitore dovrà partecipare ad una seduta in laboratorio
simile a quella a
cui ha preso parte il signor Gray. Se vi rifiuterete di partecipare,
dovrete
farlo tutti.-
Oh,
Dio, no.
La
crudeltà implicita di queste parole mi colpisce
all’improvviso, come una secchiata di acqua gelida in faccia.
-Vi lascio soli
per parlarne. Avete cinque minuti.-
Si allontana.
-Dovete lasciar
vincere me-, esordisce Blake, deciso.
-Scordatelo-,
taglio corto io. –L’hai già subito una
volta.-
-Appunto. E sono
sopravvissuto, no?-
-Questo non vuol
dire niente-, afferma Charlotte.
–Vahel non vuole ucciderci … o perlomeno non
può. Non ci sottoporrebbe a niente
di mortale.-
-Abbiamo visto
cosa è capace di fare-, la contraddice
Jonathan.
-Io propongo
almeno di escludere le ragazze-, dice
Damien.
-Puoi
scordartelo-, sbotto.
-Siamo tanto
capaci quanto lo siete voi-, prosegue
Vanessa. -Non è giusto che voi dobbiate sopportare questo
due volte.-
-Ma siete
ragazze!-
Vahel rientra,
impedendoci di continuare a discutere.
-Combatterete
tutti, non è così?-
Silenzio.
-Vi ho fatto una
domanda.-
-Sì,
signore-, rispondiamo in coro, a bassa voce.
È
così evidente quello che vuole fare!
Non avremmo mai
combattuto seriamente in altre
condizioni. Invece ora ognuno di noi lotterà per vincere pur
di risparmiare gli
altri.
La perfidia di
quell’uomo mi lascia senza parole.
-Comincerete a
coppie. Per primi la signorina Evans e
il signor Knight.-
Vanessa e Damien
raggiungono il centro dell’arena
mentre noi ci sistemiamo sugli spalti.
-Potete
cominciare.-
Vanessa,
naturalmente, scompare. Ma Damien si volta e
fissa un punto preciso, come se riuscisse a vederla. Cosa assolutamente
impossibile.
-Ha acquisito un
controllo straordinario-, mormora
Charlie, seduta accanto a me. La guardo interrogativa.
–Damien riesce a vedere
dove si sposterà Ness prima che lei lo faccia. Prima non
sarebbe riuscito a
vederlo di proposito.-
-Devono essere
quelle pastiglie che gli ha dato
Vahel-, replico.
Charlotte
annuisce, ma non mi sembra convinta.
Improvvisamente,
Damien salta addosso a Vanessa. O
almeno credo, perché non posso vederla. Ma vedo che
è a terra, e sotto di lui
c’è qualcuno di invisibile. A meno che non stia
fluttuando nel vuoto.
-Presa-, dice.
Ma Vanessa si
libera, sgusciando via, e … non so cosa
faccia esattamente –non la vedo, maledizione!- ma Damien
sembra confuso e si
guarda intorno.
-Non sta
prendendo decisioni-, mi spiega Charlotte.
–Damien riesce a vedere solo quando Vanessa decide di
spostarsi, ma lei sta
scegliendo dove andare all’ultimissimo momento. Si sta
muovendo casualmente.-
E poi, Damien
cade a terra, spinto da una forza
invisibile. Vanessa ricompare, esattamente sopra di lui, tenendolo
fermo
saldamente.
-Vince la
signorina Evans-, annuncia Vahel. –Tocca
alla signorina Bennett e al signor Bailey.-
Mi alzo e
raggiungo il centro dell’arena. Sento la
tensione nei muscoli e cerco di liberarmi di ogni pensiero.
-Cominciate.-
Jonathan si
trasforma immediatamente in una grande
tigre e mi mostra le lunghe zanne, cominciando ad avvicinarsi. Alzo un
sopracciglio, critica, e allungo una mano. Immediatamente un fortissimo
vento
inizia a spirare, spettinandomi i capelli. La tigre diventa un qualche
enorme
uccello, forse un’aquila, e affronta la corrente con
facilità. Allora accendo
una sola fiammella, che si diffonde nell’aria come un
incendio. Ma Jonathan
scompare … o meglio, diventa qualcosa di tanto piccolo da
essere difficile da
individuare. Una salamandra, realizzo, guardandolo attraversare il
fuoco immune
e ritrasformarsi in tigre. Mi salta addosso e io non trovo soluzione
migliore
che tornare al fuoco. La tigre salta indietro e io, sul palmo una
fiamma
ardente, la raggiungo, facendo per colpirla.
-Vince la
signorina Bennett.-
Ovvio.
Faccio cessare
il fuoco e il vento e allungo una mano
a Jonathan, che si ritrasforma in umano e la afferra per rialzarsi.
È il
turno di Charlotte e Blake. Lui, evidentemente
deciso a non lasciare che tre ragazze arrivino alla finale, le lancia
contro un
lampo energetico tanto forte da mandarla a sbattere contro un muro e
vince in
meno di trenta secondi.
-Vince il signor
Gray. Vi voglio qui alla stessa ora
domani per la finale. Buona giornata.-
Ci congeda
così, rapidamente, e fa per uscire ma
Damien lo ferma e riprende a parlare con lui in tono concitato. Noi
facciamo
per uscire, ma con la coda dell’occhio vedo Vanessa che
scompare. Sono certa
che stia andando a spiare la loro conversazione … e, dato
che la curiosità è
donna, vedrò di chiederle cosa ha scoperto, più
tardi.
Prima di allora,
vista l’espressione decisa di Blake,
sembra che dovrò affrontare un’altra discussione
difficile.
Che meraviglia
… e che
novità.
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Capitolo 7 *** Addiction ***
~addiction~
[Vanessa]
Non
posso farne a meno. Devo andare a
controllare.
Forse
qualcuno lo definirebbe piuttosto origliare
una conversazione privata, ma io non amo questa definizione.
E poi, lo
sanno tutti che al giorno d’oggi la privacy non esiste
più. Il Grande Fratello
è dappertutto, eccetera eccetera.
Scompaio
subito dopo aver varcato la porta e mi avvicino a Damien e Vahel.
Sono
piuttosto sicura che Damien potrebbe scoprire dove sono se solo gli
interessasse. La sua abilità è migliorata
incredibilmente in queste poche
settimane. Non ha più avuto incubi e riesce a prevedere solo
quello che vuole.
È tutto ciò che ha sempre desiderato, e
l’ha ottenuto grazie a quel bastardo di
Vahel. Per questo devo capire cosa
si
stanno dicendo. Mi avvicino con cautela assolutamente inutile
–a meno che uno
dei due non si metta ad osservare le nuove orme che compaiono sulla
sabbia, e
ne dubito.
-La
prego!-, sbotta Damien, facendomi sobbalzare.
Lo
sta pregando?
Sul serio? Che ne è stato di tutti i discorsi
sull’odio che provavamo per lui?
-Non
ancora, signor Knight.-
-La
supplico! Ne ho bisogno!-
Cosa
ne è stato della sua dignità?
-Oh,
andiamo. Potrà resistere un altro giorno!-
-Non
posso! La prego, professore, la imploro … non posso lasciare
che ricominci!-
-Non
… -, comincia Vahel, ma Damien lo interrompe con veemenza:
-Non posso!-, grida.
Vahel
tace per un secondo, quindi si fruga nella tasca della giacca e ne
estrae un
barattolo in plastica pieno di pastiglie. Ne prende una manciata e la
consegna
a Damien.
-Va
bene-, dice.
-Grazie-,
mormora Damien, ingoiandone subito una. Immediatamente il suo volto
teso si
rilassa.
Si
allontana e io lo seguo. Non appena siamo fuori dalla portata visiva di
Vahel,
ricompaio.
Damien
sussulta.
-Cosa
stai facendo?-, chiede.
-Potrei
farti la stessa domanda.-
Lo
vedo arrossire ed esitare.
-Io
… niente.- Mi fissa. –Hai spiato la mia
conversazione, Vanessa?-
-Ero
preoccupata per te-, replico.
-Pensavo
avessi giurato che non l’avresti mai fatto.-
-Cosa
stai combinando con quelle pastiglie, Damien?-
-Niente.-
Accelera
il passo, ma gli sto dietro senza problemi.
-Ne
stai diventando dipendente?-
-No!-,
sbotta. -Finalmente posso controllare il mio dono, Ness! Non vedo
più gente che
muore durante la notte, né incidenti aerei, né
terremoti … -
-È
una droga, non è vero?-, insisto, afferrandogli un braccio
per impedirgli di
andare avanti.
-Non
… non è così.-
-Sì
che lo è!-, urlo, reprimendo a fatica l’istinto di
schiaffeggiarlo. –Non riesci
proprio a capire? Vahel ti sta rendendo suo schiavo grazie a quelle
pillole!-
-Posso
smettere quando voglio.-
Dio,
no.
Non questa frase. Non sarò intelligente come Charlotte, ma
sono abbastanza
informata per sapere che questo è un bruttissimo segno.
Guardo negli occhi il
mio migliore amico e noto che le sue pupille hanno una forma strana.
-Damien-,
sussurro, -Ti prego, smettila. Ti stai facendo del male.-
-Non
posso tornare a com’era prima, Ness-, mormora. –Non
dopo aver visto com’è
vivere senza essere tormentato dagli incubi. Non reggerei.-
-Troveremo
un’altra soluzione.-
Non
voglio mollare e stringo la presa sul suo braccio, senza distogliere lo
sguardo
dal suo.
-Non
ce n’è, Nessie … è
l’unica possibilità.-
Un
nodo mi stringe la gola con tanta forza da rendermi difficile respirare.
Lotto
per non piangere e mi allontano quasi di corsa dal mio amico,
scomparendo a
metà strada.
Invisibile,
sono ora libera di crollare. Mi lascio cadere ai piedi di un albero e
vi
appoggio la schiena, scossa dai singhiozzi.
Com’è
potuto succedere così in fretta?
Come
ho fatto a non accorgermene?
Sono
talmente certa della mia invisibilità che, quando Damien mi
mette una mano
sulla spalla, sussulto per lo stupore. Non mi vede, ma ha previsto che
sarei
andata esattamente lì.
-Non
piangere, Ness. Ti prego.-
-Non
pregarmi!- La mia voce esce più stridula del solito, ma non
me ne curo. –Non
voglio che tu mi preghi come hai pregato quel mostro
di darti ciò che volevi! Tu mi fai schifo!
Vattene!-
Damien
sobbalza come se lo avessi pugnalato. Guarda il vuoto che mi ospita e
annuisce
appena, quindi si allontana in silenzio, senza più voltarsi,
lasciandomi sola
con la mia frustrazione.
Mi
ci vuole più di un’ora per calmarmi e riprendere a
ragionare razionalmente.
Allora
faccio la cosa più logica.
Vado
a cercare Charlotte. Mi dirigo direttamente verso la Sala, ancora
invisibile,
decisa a fare una puntata nel bagno per controllare lo stato dei miei
occhi,
che immagino rossi e gonfi.
Appena
sguscio all’interno, uno spettacolo mi si prospetta davanti.
Lily
e Blake, uno davanti all’altro, che urlano a squarciagola dei
pessimi insulti.
Tutti
gli altri sembrano piuttosto imbarazzati.
-Sei
un maschilista!-
-E
tu sei masochista!-
-Senti
chi parla!-
Intuisco
l’argomento della discussione e so che dovrei entrarci
anch’io, ma non è il
momento. Mi avvicino a Charlotte e
le
mormoro all’orecchio:
-Esci
un attimo?-
Lei
sussulta, quindi sospira:
-Vado
a prendere un po’ d’aria.-
La
seguo fuori e riappaio.
-Cielo,
Ness, sei tremenda! Cosa hai fatto a quegli occhi?-
-Niente.
Senti, Charlie, è successa una cosa grave.-
-Sarebbe?-
-Hai
presente le pastiglie che Vahel dà a Damien?-
-Sì.-
-Credo
che siano una specie di droga. Non riesce a starne senza, anche a costo
di
implorare Vahel per averle, ed è sempre più
strano. Dice che non riuscirebbe
più a sopportare di avere visioni ad ogni ora del giorno e
della notte e io …
non so cosa fare.-
Charlotte
riflette per un secondo.
-Assuefazione-,
mormora. –Questo è un problema.-
-Grazie
per la concessione.-
-Quindi
tu vuoi che smetta di essere dipendente da queste pastiglie ma che non
ricominci
ad avere incubi.- Esita. –Dammi un giorno. Ho bisogno di fare
qualche ricerca,
ma credo di poterti aiutare.-
-Grazie,
Charlie-, mormoro, abbracciandola.
Lei
sorride.
-Sai
che adoro una bella sfida intellettuale.-
-Lieta
di averne trovata una.-
-Dovresti
parlare con Lily e Blake, sai.-
-Non
ci tengo così tanto. Temo di restare gravemente ferita.-
Charlotte
scuote la testa.
-Blake
insiste a volere che Lily lo lasci vincere, domani. Fa tanto il duro ma
in
realtà non vuole che lei si faccia male, e la stessa cosa
vale per lei.-
-Io
farei meglio a restarne fuori.-
-Ma
la cosa riguarda anche te, Ness. Vai.-
Annuisco,
rassegnata, ricompaio e rientro.
-Ah,
eccoti!- Lily mi afferra per un
braccio e, con poca delicatezza, mi trascina davanti a Blake.
–Diglielo, che deve
lasciarmi vincere!-
-No,
dì a lei che deve
lasciar vincere me!-
-E
se combattessimo alla pari?-
Blake
e Lily mi guardano stralunati. Probabilmente si aspettavano che anche
io
reclamassi il mio diritto a subire una tortura insopportabile.
Sorpresa
sorpresa, non ne sono
entusiasta.
-Mi
pareva che avessimo deciso così, all’inizio. E
poi, sapete che nessuno cederà.
È l’unico modo.-
Detto
questo, mi libero dalle grinfie di Lily e mi allontano, lasciandoli
ancora a
discutere.
Charlotte
mi prende da parte la mattina dopo, poco prima di colazione.
-Credo
di aver trovato una soluzione-, annuncia.
-Dimmi.
-Ci
sono alcune tecniche che potresti sperimentare … le ho
trovate nella biblioteca
degli insegnanti.-
-Come
ci sei entrata esattamente?-
-Questo
non è importante.- Charlie sorride appena prima di
proseguire, seria: -Il punto
è che sono tecniche sperimentali, tutte basate su cose tipo
respirazione,
chakra, punti vitali, controllo della mente eccetera.-
-Mi
sembra molto irrealistico, miss
c’è-una-spiegazione-razionale-per-tutto.-
-Lo
so, ma effettivamente potrebbe funzionare. Dopotutto non ho mai trovato
una
spiegazione razionale per i nostri poteri.-
-Charlotte,
potrebbe non basta. Per convincere
Damien a smettere di prendere quelle pillole devo offrirgli
un’alternativa
sicura. Non la accetterà, altrimenti.-
-Non
esiste niente di sicuro al cento per cento, Nessie. Ma ho scoperto la
sostanza
contenuta in quelle pillole, ed è paragonabile ad una droga
vera e propria, e
anche piuttosto forte. Devi farlo smettere.-
-Gli
dirò che l’alternativa è sicura.-
-Ma
non lo è.-
-Mentirò.
Non mi interessa.-
-Vedrà
le tue intenzioni nel futuro, Vanessa. Sii onesta. È la tua
arma migliore.-
Annuisco
distrattamente, indecisa.
-Damien.-
Lui
si volta e vedo che non sa se sia prudente fermarsi.
Stupido.
-Per
favore, devo parlarti.-
Cede
e si avvicina. Dovremmo essere a lezione, ma la professoressa non si
arrabbierà
se tarderemo di cinque minuti. Credo.
-Cosa
vuoi?-
Freddo,
sgarbato. Lo guardo negli occhi e vedo le sue pupille dilatate. Devo
trattenere
un’ondata di nausea.
-Esiste
un altro modo per controllare il tuo potere.-
-Non
è vero.-
Gli
lancio un’occhiataccia.
-Sì,
lo è. Ho fatto delle ricerche.- Preferisco non dirgli che ho
coinvolto
Charlotte. Si infurierebbe. –Ho scoperto che quelle pillole
sono una vera e
propria droga.-
-E
allora?-
Dio,
ti prego, trattienimi e
impediscimi di ucciderlo qui e ora.
-E
allora-, spiego pazientemente, le unghie piantate nei palmi delle mani,
La
droga è pericolosa. Potresti morire, Damien. Il metodo che
ho trovato è
complicato, ma assolutamente sano e indolore.-
-Funziona?-
Ecco
il momento della verità.
-Certo.
Al cento per cento.-
O
meglio, ecco il momento della menzogna.
Lo
vedo aggrottare le sopracciglia.
-Avanti,
Damien-, insisto. –Otterrai lo stesso effetto senza rischiare
di morire, senza
essere sempre così nervoso, senza odiare tutto e tutti
… -
Mi
guarda sorpreso. Come se non l’avessi notato.
Stupido
al quadrato.
-Devo
pensarci-, borbotta. –Siamo in ritardo-, aggiunge, e comincia
ad allontanarsi.
-No!-,
sbotto.
Lo
raggiungo di corsa e lo afferro per un braccio.
-Damien,
ne sei diventato dipendente! Lo capisci?-
-No,
non è così. Posso smettere.-
-E
allora fallo!-
-E
se non volessi?-
-Perché?
Per le visioni? Ti ho detto che c’è un modo per
controllarle. La verità è che tu
non vuoi smettere, Dam.-
Mi
guarda, sentendosi in trappola.
-Vanessa,
io … -
-Ti
prego-, lo interrompo. –Vuoi che mi metta in ginocchio? Lo
farò, te lo giuro.
Farò qualsiasi cosa, ma tu dimmi che ci proverai. Che
proverai a smettere.-
Lui
esita, si passa una mano tra i capelli castani e infine sospira.
-Posso
smettere quando voglio, e te lo dimostrerò-, dice.
-Grazie-,
sussurro, e mi allungo per abbracciarlo.
Lui
ricambia, rigido.
-Ti
voglio bene-, mormoro.
Non
risponde.
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Capitolo 8 *** Not Human Beings ***
~not
human beings~
[Blake]
Quando
arriviamo
all’arena, intorno alle due, sono teso e furioso.
Non
perché tema di
essere battuto –figuriamoci, è di Vanessa e Lily
che stiamo parlando!- quanto
perché nessuna delle due ha voluto darmi la certezza
assoluta che mi avrebbero
lasciato vincere. Vincerò comunque –lo
so-
ma se succedesse qualcosa, qualunque cosa, come potrei sopportare che
una
ragazza subisca quello che ho subito io?
Soprattutto
Lily.
Questo
è il motivo
per cui dovrò assolutamente dare il massimo.
E,
quando Vahel ci
dà il via, è questo che faccio.
Vanessa
scompare,
quindi per il momento devo occuparmi di Lily.
Mi
dispiace doverla
colpire –per quanto sia stata testarda e irragionevole,
è pur sempre la mia Lily-
ma devo farlo.
Per
il suo bene.
Allungo
una mano
per colpirla, ma mi precede. Un incendio si sprigiona improvvisamente
di fronte
a me, facendomi balzare indietro. Il fumo mi acceca; colpire senza
vedere
sarebbe inutile. Poi, un momento prima che io crolli, il fuoco diventa
acqua
gelida.
Attraverso
la
pioggia battente vedo Lily che fissa un punto in cui l’acqua
non cade –un
vuoto: Vanessa. Lily allunga una mano e la terra si apre sotto Vanessa,
facendola cadere in una buca.
È
il momento
giusto: lancio un lampo di energia contro Lily, che viene sbalzata
contro il
muro. Mi avvicino mentre lei si rialza.
Faccio
per sferrare
il colpo definitivo, ma qualcosa mi blocca.
Forse
è la parte
meno razionale di me che mi impedisce di fare qualcosa di
così profondamente sbagliato come
colpire Lily.
Esito
per un
secondo di troppo, e un getto di acqua violento, come da un idrante, mi
scaraventa a terra.
Sento
le parole che
mai avrei voluto –dovuto-
permettere
che fossero pronunciate.
-Vince
la signorina
Bennett.-
-Lily,
non puoi
farlo.-
-Ti
ho battuto.-
-Perché
non volevo
farti del male!-
-Resta
il fatto che
ti ho battuto.-
-Non
voglio che tu
vada.-
-Devo
farlo.-
Trafiggo
Lily –la
mia rovina personale, lo giuro- con un’occhiata omicida.
-Non
lascerò che ti
torca un capello, Bennett-, sibilo.
Siamo
in giardino,
soli, e tra poco più di dieci minuti lei dovrà
andare da Vahel.
-Non
puoi evitarlo,
Blake.- Il suo tono si addolcisce. –So che ti preoccupi per
me, ma se avessi
avuto intenzione di scappare ti avrei lasciato vincere.-
-Ma
… -
-Se
ti opponessi a
Vahel adesso, puoi stare certo che ti punirebbe di nuovo.-
-Non
mi interessa!-
-Interessa
a me.-
Lily mi fissa con occhi fiammeggianti. –Quello che ho fatto,
l’ho fatto per
risparmiare te. Non renderlo inutile.-
Detto
ciò, si
allontana.
Mi
dirigo verso la
biblioteca, un’idea ben chiara in mente.
-Vanessa.-
Lei
si gira.
-Dimmi.-
-Ti
prego, vai da
Lily e stalle vicina. Non ti vedrà, ma almeno non
sarà da sola.-
Vanessa
accetta
immediatamente e io vado nella mia stanza, dove comincio a girare in
tondo,
nervoso, teso e arrabbiato.
Come
ho potuto
permettere che succedesse una cosa del genere a Lily?
La
mia Lily.
Non
che sia
innamorato di lei, niente del genere.
Per
carità.
Non
sono fatto per
certe stupidaggini –e poi, voglio dire, ho
diciott’anni e tutta la vita
davanti.
Lily
è la mia
migliore amica, nonché –periodicamente- la mia
amante.
Ok,
è davvero pessimo chiamarla
così (mi ucciderebbe
se lo sentisse), però … è quello che
è.
Non
è la mia
ragazza, non ufficialmente almeno, ma ogni tanto capita che si comporti
come
tale.
Mi
lascio cadere
sul letto, perfettamente consapevole della mia totale
impossibilità ad agire.
Non c’è niente che io possa fare per impedire a
quel pazzo bastardo di Vahel di
… non riesco neanche a pensare a
quella
parola.
Come
un cane in
gabbia, aspetto con ansia che il mio orologio smetta di muoversi al
ralenty.
Dopo
milioni di
ore, a quanto mi è sembrato, sento una porta sbattere. Il
rumore è quasi nullo,
ma le mie orecchie aspettano un suono del genere da troppo tempo.
Scatto
in piedi e
corro giù.
Sono
tutti lì:
Jonathan, Charlotte, Damien, Vanessa e Lily.
La
raggiungo. È
pallida come uno straccio.
-Cosa
ti ha
fatto?-, chiedo, esaminandola preoccupato.
Lei
scuote la testa
e mi stringe forte.
Mando
via tutti gli
altri con un cenno e la scorto in camera sua..
-Lily-,
ripeto.
–Cosa ti ha fatto?-
Lei
alza lo sguardo
per incontrare il mio.
-Mi
ha tolto i
poteri-, mormora.
-Che
cosa?!-
-Io
… Dio, Blake, è
stato così … -
-Calmati,
Lily-belle-, mormoro. –E
raccontami
tutto.-
Lei
chiude gli
occhi per un secondo, e quando li riapre sembra meno spaventata e
più sicura.
-Mi
ha dato qualcosa. Non so cosa
fosse, me l’ha
iniettato nel braccio.- Mi mostra un minuscolo segno rosso
nell’incavo del
gomito. –Non ho sentito nulla, ma poi … i miei
poteri sono scomparsi. Non
riesco più a fare nulla. Neanche una fiammella, neanche una
goccia d’acqua … -,
la sua voce si affievolisce.
Mi
lascia un senso
crescente di orrore.
-Non
può averlo
fatto-, dico.
Mi
alzo in piedi,
quasi come un automa, ed esco.
-No,
Blake … -
Incontro
Charlotte
e le chiedo di restare con Lily, quindi raggiungo l’ufficio
del preside.
Ivan
Vahel sta
leggendo alcuni documenti.
-Non
può fare una
cosa del genere!-, urlo.
Lui
solleva lo
sguardo.
-Buon
pomeriggio
anche a lei, signor Gray.-
Dio,
adesso lo uccido. Sul
serio.
-Lei
non può
togliere i poteri a Lily! Non ne ha il diritto!-
-Diritto?
Chi ha
mai parlato di diritti, Gray? Voi non
avete diritti. Io ne ho, verso di voi.-
-Noi
siamo persone. Cittadini. Abbiamo
tutti i
diritti che … -
-Oh,
ma questo non
è vero.-
Il
tono di Vahel è
tanto mellifluo da farmi venire la nausea.
-Che
cosa? Non
siamo cittadini?-
-Signor
Gray, per
il governo degli Stati Uniti non siete
persone. Non siete esseri umani.-
-E
cosa saremmo,
allora?-
-Una
minaccia.-
Avrei
dovuto
saperlo.
Avrei
dovuto
capirlo.
Avrei
dovuto
accettarlo quando Charlotte –maledetto quel suo super
cervello- lo aveva sostenuto.
E
invece riesco a farmi sconvolgere.
-E
io-, prosegue
Vahel, come se non avesse notato il mio shock (ma sono
certo che lo ha notato), -Ho il compito di tenervi a bada con
tutti i metodi che riterrò necessari per impedirvi di ledere
alla società.-
-Noi
non siamo una
minaccia. Potremmo aiutare la gente!-
-Potreste, è questo il punto.
Perché, Gray,
potreste anche uccidere, ferire,
rapinare banche. E il presidente non vuole correre questo rischio.-
-Ma
questo è il
nostro ultimo anno di scuola! Tra qualche mese saremo liberi e
… -
Vahel
sorride con
una freddezza incredibile.
-La
vostra
ingenuità è estremamente sorprendente-, dice,
prima di congedarmi con un gesto.
-No-,
mi
intestardisco. –Voglio che ridia i poteri a Lily.-
-Torneranno
presto,
l’effetto di quel farmaco è solo temporaneo. Ora,
se non le dispiace, vorrei
che se ne andasse, Gray.-
Esito,
quindi
obbedisco.
Nel
momento stesso
in cui esco, trovo Damien davanti alla porta. Sguscia dentro
lasciandola
socchiusa. Non mi saluta, sembra che non mi abbia neanche visto.
Nonostante
la
preoccupazione, la stanchezza, il desiderio di raggiungere Lily, la mia
curiosità prende il sopravvento.
-Di
nuovo qui,
Knight?-, chiede Vahel, e distinguo chiaramente il sarcasmo nella sua
voce.
-Potrebbe
… per
favore … darmene ancora?-, domanda di rimando Damien,
esitante.
-E
se ti dicessi di
no?-
-La
prego!-
Sussulto.
Cosa
diavolo sta facendo?
-A
quanto sei
arrivato, cinque, sei al giorno? È un po’ troppo,
non credi?-
-La
supplico,
professore, ne ho bisogno!-
La
supplica mi
stordisce, non riesco a capire cosa stia succedendo. Perché
Damien è caduto
così in basso? Cosa vuole?
-Ho
bisogno di
qualcosa in cambio.-
-Qualsiasi
cosa!-
-Dimmi
… come ha
reagito la signorina Bennett?-
Sono
certo, certo che Damien non
risponderà.
-Piangeva,
e Blake
l’ha consolata, credo.-
Almeno
abbi il buon gusto di mentire!
-Mm.
Va bene. Ecco
a te … per un paio di giorni dovrebbero bastare.-
-Grazie.-
Capisco
che Damien
sta uscendo e mi allontano di corsa, tornando nel nostro salotto.
Lily
è coricata sul
divano e sembra essersi addormentata. Charlotte e Vanessa sono sedute
poco
distante e leggono insieme un libro, Charlie che le spiega qualcosa a
bassa
voce.
Jonathan
è
stravaccato su una poltrona e ascolta della musica.
Non
ho neanche
tempo di sedermi che la porta si riapre e Damien rientra.
La
rabbia che ho
dovuto trattenere per tutto il giorno esplode all’improvviso,
e prima di
rendermene conto gli sto urlando contro.
-Cosa
credevi di
fare?-, lo aggredisco con furia.
-Di
cosa stai
parlando?-
-Cosa
ci facevi da
Vahel?-
-Io
… niente. E
comunque non sono affari tuoi.-
Vanessa,
Jonathan e
Charlotte hanno alzato la testa, e Lily si è svegliata.
-Non sono affari miei?-, sibilo a denti
stretti. –Gli hai detto di Lily! Gli avresti detto qualsiasi
cosa se te
l’avesse chiesta!-
-Smettila
di darmi
contro, Blake. Non sai niente.-
Cerca
di superarmi
per andarsene, ma lo prendo per un braccio e lo fermo.
-Cosa
volevi da
lui?-
-Lasciami
andare!-
-E
tu rispondimi!-
-Non
ho intenzione
di farlo.-
-Ti
rendi conto di
quello che stai facendo? Vahel è il pazzo che ha torturato
Jonathan e me! Ci ha
fatti combattere l’uno contro l’altro! Ha tolto i
poteri a Lily!-
-Ho
dovuto farlo!-
-Perché?!-
-Io
… non posso
dirtelo.-
-Te
lo dico io-, interviene
Vanessa, freddamente, alzandosi. –Ha dovuto implorare Vahel
di dargli quelle
pastiglie che fermano le visioni. Sono una droga e lui ne è
diventato
completamente dipendente.-
Fisso
Vanessa.
-Che
cosa?-
-È
così. Mi aveva
promesso che avrebbe smesso, ma a quanto pare non ci ha neanche
provato.-
-Io
non voglio
smettere, Ness!-
-C’è
un altro modo,
lo sai.-
-Ma
tu mi hai
mentito-, ringhia Damien. –Mi hai detto che avrebbe
funzionato di sicuro, ma
non è così.-
-L’hai
visto nel
futuro?-
-Ho
visto due futuri
possibili. Potrebbe essere inutile!-
-Quella
droga ti
ucciderà, Damien!-
-Io
non posso ricominciare ad avere le
visioni, lo capisci?-
Mi
fa male la
testa. Guardo alternativamente Vanessa e Damien, cercando di capirci
qualcosa.
-Smettetela-,
dico,
e tacciono entrambi. –Damien, non puoi continuare
così.-
-Perché?
A te che
te ne frega, Blake?-
Aspetto
un attimo a
rispondere, incerto su come gli altri reagiranno alla mia idea. Abbasso
la
voce.
-Oggi
Vahel mi ha
fatto capire cosa vuole farne di noi, e io voglio progettare la fuga.-
|
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Capitolo 9 *** Understanding ***
~UNDERSTANDING~
[Damien]
Le
parole mi
aggrediscono da ogni parte con tanta violenza che mi sembra di avere di
nuovo
le visioni.
-Ma
ti rendi conto
di cosa stai facendo?-
-Come
hai potuto
permetterlo?-
-Gli
hai detto di
Lily!-
-Pericoloso
… -
-Potresti
morire!-
-Non
puoi
continuare così!-
-Potrebbe
funzionare se … -
Basta.
Mi
alzo in piedi ed
esco, rincorso dalle parole.
Ho
bisogno di ossigeno.
Ho
bisogno di stare solo.
Ho
bisogno di silenzio.
Vorrei
solo che
potessero capire.
La
verità è che
nessuno c’è mai riuscito e nessuno ci
riuscirà mai.
Non
sanno quanto
sia difficile mantenere un briciolo di sanità mentale quando
la tua testa è
bombardata di immagini sconclusionate ventiquattr’ore al
giorno, e non puoi
dormire per più di una senza svegliarti con gli incubi.
Non
sanno quanto
sia impossibile rinunciare alla
pace
una volta che si è conosciuta.
Non
ne hanno idea.
La
testa mi
martella, comincio a vedere, a livello quasi inconscio, qualche viso,
qualche
paesaggio, a sentire qualche voce.
Apro
il barattolo
che tengo in tasca e ingoio una pastiglia. Ormai non ho neanche
più bisogno
dell’acqua.
E
passa.
È
straordinario,
ancora non riesco a capacitarmi del fatto che posso davvero spegnere le voci nella mia testa. E se
l’interruttore è pericoloso, se somiglia ad un
filo elettrico scoperto che devo
toccare con le mani bagnate, poco male.
-Damien!-
Oh,
no. Lasciatemi almeno dieci minuti.
Alzo
gli occhi,
scocciato dall’interruzione.
-Cosa
vuoi,
Jonathan?-
Lui
mi guarda, un
po’ esitante. È sempre stato un amico
straordinario, di quelli che non
giudicano, che ti accettano, che non si lamentano se li svegli con un
urlo alle
quattro del mattino. Eppure vedo che adesso ha paura
di me.
-Dam
… Vahel ha
portato Vanessa nel laboratorio.-
No.
-No-,
dico anche a
voce alta, perché non ci voglio credere. Semplicemente non voglio.
-Ha
detto che
voleva testare i suoi poteri, o qualcosa del genere.-
-Quando?-
-Meno
di due minuti
fa.-
Faccio
per alzarmi,
ma Jonathan mi raggiunge e mi ferma.
-No,
Damien … se
vai adesso, si infurierà con te e infierirà
ancora di più su di lei.-
Mi
costringo a
ragionare, ma come faccio, se
Vanessa
è lì con lui?
La
mia migliore
amica in assoluto.
L’unica
che mi ha
sempre capito. O … quasi sempre.
-L’unica
cosa che
puoi fare è aspettare.-
Lo
so, e questo è
persino peggio delle visioni.
Torno
su, nella
nostra sala, e faccio l’unica cosa che posso fare: cerco di
leggere il futuro
di Vanessa. Ma sono troppo nervoso, troppo teso, e, nonostante le
pastiglie
abbiano aumentato incredibilmente il mio controllo, tutto
ciò che vedo è
qualche immagine confusa e sfocata di Vanessa.
Rientra
dopo circa
un’ora. Scatto in piedi immediatamente.
È
pallida e trema
come una foglia. La raggiungo in un secondo.
-Ness?
Cos’è
successo?-
Lei
mi guarda
smarrita e tutto quello che riesco a fare è prenderle la
mano e farla sedere su
un divano.
-Vanessa?-
La
guardiamo tutti
con ansia, io in particolare, la mia mano ancora stretta nella sua.
-Potete
andare via,
per favore?-, pigola Vanessa.
Tutti
obbediscono
istantaneamente, ma io mi rifiuto. Non ho intenzione di lasciarla da
sola.
-Cosa
ti ha fatto,
Ness?-
-Mi
ha iniettato
qualcosa-, replica lei, -Voleva togliermi i poteri, credo. Ma
… non ha
funzionato.-
La
guardo senza
sapere come rispondere.
-Faceva
male-,
mormora senza guardarmi.
Potrei
uccidere Vahel in questo momento.
-E
non finiva mai-,
prosegue lei, mentre le lacrime cominciano a scenderle sulle guance.
–E … lui
era così … così … indifferente! Io
urlavo e lui mi … ignorava completamente.-
Non
riesco a
sentire altro. Mi alzo, scuotendo la testa.
-Non
possiamo
continuare così-, mormoro.
Guardo
Vanessa, che
sembra minuscola, rannicchiata sul divano, pallida, tremante e in
lacrime.
-Vado
a chiamare
Charlotte, lei saprà cosa fare-, decido.
-Dam-,
mi ferma.
-Dimmi.-
-Ti
prego, non fare
niente di stupido.-
-Te
lo prometto.-
Vedo
dalla sua
espressione che non si fida più delle mie promesse, ma
lascio correre e vado a
cercare gli altri. Sono tutti radunati nella camera mia, di Blake e
Jonathan.
-Blake,
cosa dicevi
riguardo alla fuga?-
Lui
mi guarda
stancamente.
-Potremmo
organizzarla, ma sapete che ci sono mille e mille protezioni a
difenderla.-
-Ma
abbiamo
Charlotte.-
-Abbiamo
anche i
poteri, ma questa scuola è stata costruita e protetta
appositamente per persone
con talenti come i nostri.-
-Dobbiamo
farlo,
Blake, e presto. Non possiamo lasciare che continui così.-
Lo
sguardo di Blake
si indurisce.
-Ti
rendi conto
che, se ce ne andiamo, tu non potrai più avere le tue
pastiglie?-
Cala
il silenzio.
Dio,
non ci avevo pensato.
-E
in più-,
prosegue impietoso Blake, -Non potremmo permetterci la minima
debolezza. Il che
significa che, se vuoi smettere di prendere quella roba, dovrai farlo
subito, o
ci ritroveremmo con te in crisi d’astinenza dopo quanto, un
giorno? Due?-
Ha
tremendamente
ragione. Fino ad un’ora fa avrei assolutamente votato contro
questa opzione, ma
quello che Vahel ha fatto a Vanessa ha messo tutto in una diversa
prospettiva.
Esito,
ma poi
rispondo con decisione.
-Smetterò
e proverò
il metodo di Charlotte.-
Blake
annuisce.
-Farai
meglio a
cominciare presto.-
Il
suo tono è
gentile, e capisco che il litigio di poco fa è
definitivamente superato.
-Charlotte,
posso
parlarti?-
È
ora di andare a
dormire, ma riesco ancora ad
intercettarla.
-Dimmi.-
-Come
sta Vanessa?-
-Meglio.-
-Bene.-
Faccio una
pausa. –Volevo solo chiederti … quanto ne sai
della disintossicazione.-
Charlotte
respira
profondamente.
-Vieni,
sediamoci
un attimo-, mi invita. –Da quanto tempo prendi quelle
pastiglie?-
Mi
lascio
sprofondare in una delle poltroncine.
-Quattro
o cinque
settimane.-
-Ho
scoperto il
principio attivo contenuto, ed è molto forte. Crea subito
dipendenza. Ma puoi
superarla, se lo vuoi veramente.-
-È
così, e devo
farlo.-
-Non
sarà piacevole-,
mi avverte Charlotte, seria. –E neanche facile. Ma se vuoi
andare via devi
riuscirci.—
-Lo
so.- Esito un
istante prima di aggiungere: -Quanto tempo ci vorrà, secondo
te?-
-Non
lo so di
sicuro, ma … credo che la fase peggiore durerà
due o tre giorni. Poi diventerà
più facile.-
-Due
o tre-,
ripeto, pensando a quello che so sulla disintossicazione.
E
mi fa paura.
-E
quel metodo di
cui mi parlava Vanessa?-
-Potrebbe
funzionare davvero. Consiste essenzialmente nell’entrare in
contatto con i
chakra, e nel riuscire a dominare la mente … sai, olistica e
cose del genere.-
-Ma
certo-,
commento, come se chakra e olistica fossero due termini che conosco
alla
perfezione.
-In
ogni caso,
potrai cominciare già durante la disintossicazione
… potrebbe renderla più sopportabile.-
Annuisco,
poco
convinto.
-Ora
sono stanco-,
taglio corto. –Ne parleremo meglio domani.-
-D’accordo.
Buonanotte.-
-‘Notte.-
Torno
in camera.
Blake e Jonathan dormono già, e il primo russa anche.
Mi
metto il
pigiama, distrattamente.
Penso
a quello che
mi aspetta. Una notte piena di incubi.
Mi
sveglierò di
nuovo nel vedere qualcosa di orribile.
Sentirò
le urla …
proverò lo stesso dolore delle persone coinvolte.
Morirò
anch’io, per
la milionesima volta.
Lancio
un’occhiata
furtiva a Blake e Jonathan, quindi, in silenzio e vergognandomi di me
stesso,
ingoio una pastiglia.
Da
domani,
prometto. Non
posso affrontarlo adesso …
|
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Capitolo 10 *** Help ***
~HELP~
Questo
capitolo è
un po’ particolare, diverso, a me personalmente è
piaciuto molto scriverlo. Ci
terrei ad un commento. Colgo l'occasione per fare a tutti
tanti auguri di buon Natale!
Grazie,
Adamantina
[Vanessa]
Voglio
crederci,
stavolta.
Crederci
veramente.
Nonostante
la mia fiducia
sia già stata tradita.
Nonostante
abbia
ammesso di aver ceduto di nuovo, ieri sera –ma come posso
biasimarlo? Lo ha
sempre detto che la notte è il momento peggiore.
Quando
entriamo in
questa stanza, dove so che passeremo dei momenti orribili, ci scambiamo
uno
sguardo che dice tutto.
Tu
non mi hai mai abbandonata.
Sei
stato amico e fratello, e io ora non posso –non voglio-
abbandonare te.
Ti
sarò accanto e ti proteggerò dal male che ti
opprime.
Lo
supereremo.
Insieme.
Lo
giuro.
[Damien]
Entriamo
insieme e
non so se vorrei ringraziarla o ucciderla.
So
cosa ha fatto
Vahel, so che è dannatamente sbagliato.
Eppure
mi ha
cambiato la vita.
Mi
vergogno anche
solo di pensarlo, ma è così. Nel bene e nel male,
Vahel mi ha fatto vedere
com’è vivere senza essere oppresso dalle visioni.
E,
Dio, è
infinitamente meglio.
Ma
quello che ha
fatto a Vanessa, quello non potrò mai accettarlo.
Perché
Vahel
potrebbe anche avermi salvato la vita, potrebbe essere la persona
migliore del
mondo, ma non posso accettare che
metta un solo dito su di lei.
Perciò,
quando
Vanessa si chiude la porta alle spalle, metà di me si sente
in trappola e
vorrebbe scappare, ma l’altra metà si fida
ciecamente di lei e si affida
completamente nelle sue mani.
Aiutami,
perché da solo non ce la posso fare.
[Vanessa]
Dietro
consiglio di
Charlotte ho ispezionato la stanza per accertarmi che non ci fossero
pastiglie,
ho fatto lo stesso col bagno e anche con le tasche di Damien.
Non
è questione di fiducia
–affatto.
È
solo desiderio di
salvarlo –di aiutarlo a passare tutto questo senza cedere,
perché poi sarebbe
peggio.
La
porta si chiude
a chiave da fuori: né io né lui possiamo uscire
adesso.
Siamo
qui insieme,
con un problema troppo grande da affrontare, ma che fronteggeremo con
la forza
della disperazione.
[Damien]
Non
so quanto tempo
sia passato, ma so di per certo che se avessi una pastiglia la
prenderei ora.
Le
visioni
cominciano ad affacciarsi nella mia mente, come silenziosi, tremendi
spettri
grigi che altro non vogliono che annientarmi
completamente.
Posso
resistere?
Lo
spero.
[Vanessa]
Lo
vedo impallidire
e piantarsi le unghie nei palmi delle mani. Siamo seduti su due
poltrone ai
lati opposti della stanza, ma il mio sguardo non lo lascia neanche per
un
secondo.
So
che
vede di nuovo le cose, e, non essendoci più abituato,
dev’essere ancora peggio.
Ma
non mi avvicino.
Voglio
che ci provi
da solo, finché
può. E se cederà, io
sarò accanto a lui per sorreggerlo –non prima.
[Damien]
Alle
visioni si è
sommato il dolore fisico.
Passo
dieci minuti
in bagno, la nausea che mi scuote da capo a piedi.
Vanessa
non si
avvicina, ma sento che è dietro di me, e so che mi
raggiungerebbe se solo
mormorassi il suo nome.
Ma
suonerebbe come
una richiesta d’aiuto, e io devo almeno provare a farlo da
solo.
Vanessa
non
c’entra, in questo.
La
colpa è mia;
soltanto, esclusivamente mia.
Un
altro conato mi
attraversa.
Maledette
le
pastiglie, maledetto Vahel, maledetto tutto il mondo chiuso fuori da
questo
buco di stanza.
[Vanessa]
Come
se non bastassero
le visioni.
Vorrei
solo stargli
accanto, abbracciarlo e tranquillizzarlo.
Dirgli
di non
arrendersi, che passerà.
Ma
non posso.
E
allora guardo e
aspetto.
[Damien]
Secondi,
minuti,
ore.
Non
so quanto
ancora rallenterà il tempo, scandito da
quell’orologio sulla parete che
ticchetta.
Ogni
tic mi rimbomba in testa come un
grido
nei timpani.
La
testa mi
scoppierà, e la gola andrà a fuoco se non
smetterò di vomitare –perché
devo sopportare tutto questo?
[Vanessa]
Sono
le sette di
sera. Siamo qui dentro da nove ore ormai.
Ventuno
ne sono
passate da quando Damien ha assunto l’ultima dose.
Non
ha ancora
toccato cibo da stamattina, nonostante Lily ci abbia portato pranzo e
cena.
Provo a tentarlo almeno con un pezzo di pane, ma lo rifiuta seccamente,
così
come l’acqua.
Non
ha ancora
ceduto di una virgola: né un gemito, né un
sussurro, né una preghiera.
Ma
peggiora –lo
vedo chiaramente.
Sta
tremando
adesso, devono essere i dolori muscolari di cui mi ha parlato Charlotte.
Con
mani incerte
preparo la siringa che lei mi ha dato, qualcosa per combattere la crisi
d’astinenza, ma mi ha già anticipato che non
è detto che funzioni, dato che il
nostro organismo funziona in modo leggermente diverso da quello delle
persona
normali –ne è testimone il fatto che Damien
è diventato dipendente da quella
droga in poco più di un mese.
Mi
avvicino e gli
prendo il braccio, lui resta immobile, anche quando io, maledicendomi
da sola perché
non riesco a tenere la mano ferma, devo tentare tre volte prima di
riuscire a
trovare la vena. Gli inietto la sostanza e poi torno ad allontanarmi,
guardandolo combattere in silenzio.
Ti
prego, ti prego, resisti.
Ti
supplico, non cedere.
[Damien]
Vorrei
solo farla
finita. Accetterei di tutto: le visioni o anche la morte.
Ma
come faccio, come faccio a
continuare?
Quella
roba che mi ha iniettato Vanessa
sembra
assolutamente inutile.
Fa
male, ogni
muscolo si contrae ad un ritmo suo, in modo che io non abbia un secondo
di
tregua.
È
il mio corpo che
si ribella contro di me, perché l’ho sfruttato e
maltrattato –non ho accettato
il mio cosiddetto dono.
Non
è un dono, ma
una maledizione, e vorrei solo essere normale
–ma già so che non succederà mai.
Un’altra
ondata di
dolore risucchia i miei pensieri in un buco nero.
[Vanessa]
Non
voglio sentire.
Le
urla sono
soffocate tra i denti stretti ma fanno tanto, troppo male.
Vorrei
che finisse,
vorrei che non fosse mai cominciata, vorrei che non avesse mai
cominciato a
prendere quella schifezza, vorrei che ci fosse un altro modo.
Ma
in realtà tutto
quello che vorrei è risparmiargli questo dolore
–il che non è possibile.
Qualcuno
lassù, se esiste, per favore abbia pietà.
[Damien]
Non
riesco a
pensare le visioni sono ovunque
Macchina
che corre troppo veloce-
Caduta
dal balcone-
Motorino
che sbanda per il ghiaccio-
Colpo
di pistola-
Coltello-
Sangue-
Un
gemito, una
preghiera, un grido, una supplica
-Vanessa … -
[Vanessa]
Sono
qui.
Sono
qui e non mi
allontanerò, te lo giuro.
Ti
stringo forte
mormorando parole stupide, inutili, come
“coraggio”, “resisti” e
“passerà”.
Come
se io, al tuo
posto, potessi resistere.
Ti
ammiro,
lo sai? E tu, tu che ti detesti per aver ceduto, per
avermi chiesto aiuto –non capisci che in realtà
stai facendo tutto da solo, e che
in fondo io non sono altro che una parte di te?
Riesci
a sentirmi?
In
quel delirio, in
quel dolore, riesci a percepire che io
sono qui e che no, non ho intenzione di andarmene, nemmeno
se mi tirassero
via a forza?
Riesci
a sentire il
mio affetto, il mio amore, che vanno oltre tutto?
Riesci
a capire che
per me questo non è un peso? Che aiutarti è la
più dolce e dolorosa delle
incombenze?
[Damien]
Sento
tutto
Te
che mormori e
preghi, Vanessa
e
non potrei
esserti più grato
e
grazie
e
scusa
Ma
sento anche gli altri
Attraverso
le voci nella
mia testa ce ne sono altre
fuori
Ma
fuori esiste?
Chiedono
se te ne
vuoi andare
Non
farlo, ti prego
non lasciarmi
…
Fallo,
non ti
meriti di stare qui
[Vanessa]
Che
ne sanno loro?
Che
ne sanno tutti di quello che
proviamo qui dentro?
Andatevene,
sparite, state complicando le cose.
Nessuno
può capire,
come possono osare di chiedermi se
voglio andarmene? Se voglio –Dio, che odio- riposare
un po’?
Come
se potessi
dormire, come se potessi lasciarti solo ora che hai chiesto il mio
aiuto.
Nessuno
mi porterà
via, Damien, te lo giuro.
Sono
qui per te e
ci resterò fino alla fine.
[Damien]
E
il dolore va e
viene, a onde.
A
tratti sono
consapevole di tutto –del mio respiro accelerato, dei muscoli
contratti, della
gola infiammata, dei crampi della fame, della voce e delle mani di
Vanessa- e a
volte perdo coscienza di chi sono e cosa ci faccio qui.
Non
devo cedere, e
vorrei tanto ricordarmi il perché.
[Vanessa]
Damien
cerca le sue
pastiglie. Fruga tra i vestiti, sotto i letti, tra i cuscini, negli
armadi.
Ripetergli
che non
ci sono è inutile.
Mi
chiede dove le
ho nascoste, perché non voglio aiutarlo.
Grida
di rabbia e
frustrazione, e io potrei fare lo stesso.
Un’altra
stilettata
al cuore che devo sopportare stoicamente.
E
aspetto che anche
questa finisca –dopotutto, finisce
sempre
tutto.
[Damien]
Stillicidio
continuo i secondi
Esasperati
Fingo
di non essere
qui in questo schifo di posto
In
questo schifo di
vita
E
tutto ciò che è
reale è Vanessa
E
la sua voce dolce
E
le sue menzogne –dove le tieni?
Dimmelo
[Vanessa]
Trentacinque
ore e
ancora siamo qui.
Non
so se vada
meglio, non voglio illudermi, ma ha smesso di distruggere la stanza per
cercare
le pastiglie, e anche di urlare.
Ancora
non ha
mangiato niente, ma sta guardando esitante la pagnotta sul tavolo.
La
nausea è
incessante nonostante nel suo stomaco non ci sia più nulla,
e ancora trema, ma
io sono qui accanto a lui e lo stringo e lo abbraccio e ripeto il suo
nome
mille e mille volte.
Offrendogli
un’ancora,
un’isola deserta su cui approdare per riposarsi dalla fatica
del naufragio e
della tempesta.
[Damien]
I
miei pensieri
iniziano a tornare.
E
capisco
razionalmente che Vanessa è ancora qui, non si è
allontanata neanche per un
secondo da quando l’ho chiamata. Mi tiene stretto e vorrei
non andarmene più.
Il
mondo là fuori
fa così paura.
Il
mio dolore l’ho
lasciato tutto qua e se uscissi sarei scoperto.
Stai
qui con me ancora un po’, Vanessa.
Quel
tanto che
basta per racimolare ancora un po’ di coraggio.
[Vanessa]
Uno
alla volta ci
facciamo una doccia ed entrambi mangiamo qualcosa. Damien è
pallido, stremato,
e alla fine si addormenta.
Sono
passate
quarantotto ore ed è sera.
Credo
che presto
crollerò anch’io, non dormo da troppo tempo.
So
che quando mi
sveglierò sarà diverso –se in bene o in
male, solo il tempo lo potrà dire.
|
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Capitolo 11 *** The Plan ***
~THE
PLAN~
[Charlotte]
Siamo
tutti nella
nostra sala comune, intenti a non fare nulla in modo da dare
l’impressione di
star facendo qualcosa –una tecnica piuttosto complicata-
quando la porta della
camera dei ragazzi si apre.
Naturalmente,
anche
se stiamo cercando di dare un’impressione diversa, stavamo
solo aspettando
questo. Ci giriamo tutti insieme per vedere Vanessa e Damien che escono.
Hanno
l’aria
parecchio esausta, questo è poco ma sicuro.
La
dottoressa che
c’è in me (non è un modo di dire, ho
pur sempre una laurea) prende il
sopravvento. Afferro la piccola torcia dal tavolo, dove l’ho
previdentemente
lasciata, e li raggiungo.
La
punto
direttamente negli occhi di Damien, che fa una smorfia infastidita.
Osservo il
movimento delle pupille e gli faccio qualche domanda di routine.
-Come
stai?-
-Una
meraviglia.-
Fingo
di non
accorgermi del suo tono sarcastico e proseguo imperterrita:
-La
nausea è
passata?-
-Abbastanza.-
-I
muscoli fanno
ancora male?-
-Un
po’. Hai finito
con l’interrogatorio o vuoi ancora sapere se mi ricordo come
mi chiamo, dove
abito, il mio codice fiscale … ?-
-Ho
finito-, dico,
alzando le mani in segno di resa.
Cala
un silenzio
molto imbarazzante.
Per
quanto
continuiamo a fingere il contrario, abbiamo tutti sentito le urla di
Damien, a
un certo punto, e anche il rumore degli oggetti che scagliava contro le
pareti
per cercare le sue pillole. E, ovviamente, lui ne è
pienamente consapevole.
-Beh?
Avete finito
di fissarmi come se fossi appena arrivato da Marte?-, sibila
infastidito.
Tutti
tornano alle loro
non-occupazioni e qualcuno si allontana. Non posso non notare che
Vanessa non
si allontana da Damien, gli staziona intorno, come una guardia del
corpo. Non
posso biasimarla: ho una certa idea di cosa è successo in
quella stanza, e non
dev’essere stato facile vedere il suo migliore amico soffrire
in quel modo.
-Charlie?
Vieni un
momento.-
Raggiungo
Blake,
che ha appena srotolato sul tavolo la planimetria della scuola che gli
ho
procurato ieri.
-Aiutami.
Non so
dove mettere le mani.-
Afferro
un
pennarello rosso e controllo che non ci sia nessuno di indesiderato
intorno.
Jonathan, Damien, Lily e Vanessa ci raggiungono.
-Allora-,
comincio,
-I sistemi di allarme che proteggono la scuola sono essenzialmente tre.
Uno
consiste nella rete laser che segue le cancellate, l’altro
nel sistema di
telecamere sparse più o meno ovunque, e il terzo nei sensori
sistemati sotto il
terreno.-
-Stai
dicendo che è
impossibile?-
-Lasciami
parlare,
Blake.-
-Scusa.-
-Non
sarà facile-,
riprendo, -Ma ci sono delle cose che possiamo fare. Innanzitutto, posso
intromettermi nel sistema di telecamere e fare in modo che trasmettano
un video
registrato per qualche minuto. Riguardo a laser e sensori,
c’è un solo modo per
spegnerli ed è un pulsante che si trova accanto al cancello
sul retro della
scuola. Dal momento in cui viene premuto abbiamo sessanta secondi per
attraversare il giardino e uscire, o partirà
l’allarme. L’unica persona che può
raggiungere il pulsante è Jonathan, perché puoi
volare e non premerai i sensori
sul terreno. Ciò non toglie che avrai bisogno di una vista a
raggi infrarossi
per vedere i laser, e devo ancora attrezzarmi per quello.-
-Non
c’è bisogno
che tu ti metta a costruire nulla, Charlie. Ci sono diversi animali che
vedono
gli infrarossi, in particolare rettili e pesci.-
Devo
ammettere che,
in quanto ad animali, Jonathan ne sa quanto me … o forse di
più. Non penso
esista una specie in cui non abbia provato a trasformarsi.
-Però
dovrai volare
per non toccare i sensori.-
-Anche
i rapaci
notturni vedono gli infrarossi, quindi qualcosa come un gufo
andrà benissimo.-
Annuisco,
soddisfatta, e tolgo il tappo al pennarello rosso.
-Noi
ci dovremo
trovare tutti qui-, faccio un cerchio nel punto esatto, -Tranne me,
perché io
sarò nel laboratorio di informatica per manomettere le
telecamere. Quando sarò
sul punto di raggiungervi, Jon partirà in forma di gufo,
eviterà i laser e i
sensori e arriverà al cancello. Lì
premerà il pulsante per spegnerli e noi
avremo un minuto per raggiungerlo e uscire prima che scatti
l’allarme. Tutto
chiaro?-
-E
da lì?-, chiede
Blake, critico. –Dove andremo?-
-Ho
pensato anche a
questo. Ricordate la vecchia macchina gialla parcheggiata ai limiti del
bosco?
Se riuscissimo a raggiungerla prima di scappare potremmo rimetterla in
sesto e
rifornirla di benzina.-
-Per
poi andare
dove?-
-Il
preside Herman
aveva un piccolo rifugio in città. Una catapecchia
disabitata, ormai, ma c’è
ancora lo stretto necessario, credo. Dovremo portarci comunque qualcosa
… cibo,
materiale di primo soccorso, qualche ricambio.-
-Io
non sono
d’accordo.-
Ci
voltiamo tutti
verso Lily, che ha parlato per la prima volta.
-Non
pensate che
questa sia una soluzione … troppo definitiva?
Voglio dire, qui abbiamo un tetto sulla testa, cibo,
comodità … non appena
usciremo da qui saremo dei ricercati. Vahel e il presidente ci
considerano una
minaccia per il Paese. Sguinzaglieranno l’FBI, la CIA pur di
trovarci. Siamo in
grado di affrontare una cosa del genere?-
Silenzio
assoluto.
Ci
riflettono tutti
sopra –dico riflettono perché
io ci
ho già pensato. E quindi sono la prima a rispondere.
-Quello
che
dobbiamo chiederci è se ne vale la pena. Potremmo stare qua,
serviti e
riveriti, come tanti schiavi di Vahel: vale la pena di ribellarsi a lui
prima
che il presidente decida che siamo una minaccia troppo grande e ci
faccia
misteriosamente scomparire?-
-Lily-,
prosegue
Jonathan, -Vahel è un pazzo furioso. Tu sai
cosa ha fatto. Ti ha tolto i poteri, anche se solo per
qualche ora, per
dimostrarti che lui era il più
forte.
Hai visto cosa ha fatto a me, a Blake, a Vanessa, a Damien. Non
possiamo
permettere che faccia ciò che vuole delle nostre vite.-
Lei
esita, quindi
annuisce.
Sembra
che il
nostro piano andrà in porto, dopotutto.
La
vita continua
normalmente, ma adesso siamo tutti –o quasi- più
sollevati al pensiero che
questi potrebbero essere i nostri ultimi giorni qui.
Il
Queen Victoria’s College è
stato la mia
casa per tanto tempo, ma ormai non c’è
più nulla che mi leghi a questo posto.
Vahel mi spaventa e tutto ciò che voglio è
andarmene.
Questo
stesso
pomeriggio mi trovo insieme a Vanessa e Damien per provare a fermare le
sue
visioni.
Non
sta andando
molto bene, per ora.
-Ti
ho detto di
liberare la mente.-
-Vuoi
spiegarmi
come faccio, se nella mia mente ci sono le visioni?!-
-Prova
a non
pensarci.-
-Non
ci sto pensando, Charlotte! Sono
semplicemente
lì!-
-Ok.
Ok,
calmiamoci. Chiudi gli occhi.-
Damien
obbedisce,
non prima di avermi lanciato un’ultima occhiata irritata.
-Tieni
la schiena
dritta. Occhi chiusi, mi raccomando … e inspira. Lentamente.
Ora espira … ecco,
così. Ancora. Continua così … lascia
fluire i pensieri e le visioni. Non
pensarci, lascia che scorrano e non darci peso.-
Faccio
il possibile
per mantenere la mia voce delicata e monotona.
-Adesso
prova a
visualizzare nella tua mente una porta. Immaginala in ogni
più piccolo
dettaglio, in modo da saperla riconoscere ovunque. Continua a respirare
piano …
bene. Ora immagina di aprire quella porta. Entri in una stanza vuota.
Immaginala nei minimi particolari, dal pavimento alle pareti, dalle
finestre
alla porta … E continua a respirare … inspira
… espira … lentamente … inspira
…
espira … inspira … espira … bene. E
ora rilassati e fai fluire tutte le tua
visioni. Non provare a fermarle, non pensare a loro, lascia che
scorrano nella
tua testa liberamente. Falle uscire tutte, lascia che fuggano da te
… e
continua a respirare … non prestarvi attenzione, lascia solo
che fluiscano.
Quando saranno uscite, svuota la mente ed esci dalla porta chiudendola
a
chiave. Tutte le visioni sono rinchiuse nella stanza, non possono
assolutamente
uscire a meno che tu non glielo ordini esplicitamente. Continua a
respirare …
inspira … espira. Ora, lentamente, quando ti senti pronto,
prova a riaprire gli
occhi.-
Un
paio di secondi
e Damien li apre, esitando.
-Allora?-,
chiede
Vanessa, tesa.
-Non
lo so-,
mormora lui. –Non sono svanite del tutto … e se
solo penso alla porta,
ricompaiono.-
-Devi
ripeterlo
molte volte, Damien. Quando riuscirai ad averne una padronanza
completa, potrai
escluderle o richiamarle quando vorrai. Non sarà facile, ma
con un esercizio
costante ci riuscirai, ne sono convinta.-
Bussano
alla porta,
è Lily.
-Charlie
… Vahel
vuole vederti nel suo laboratorio.-
Un’improvvisa
paura
mi attanaglia le viscere. Tocca anche a me, dunque.
Annuisco
automaticamente e mi alzo. Non faccio in tempo a percorrere
metà del corridoio
che Jonathan mi raggiunge di corsa.
-Dove
stai
andando?-
-Da
Vahel. Mi ha
mandata a chiamare.-
Lo
vedo sbiancare.
-Charlotte
… -
-Sai
che devo
andare, Jon.-
Lui
annuisce a
denti stretti.
-Andrà
bene-,
mormora.
-Certo.
Ci vediamo
dopo.-
Mi
stringe in un
abbraccio veloce prima di lasciarmi allontanare. Sento il suo sguardo
sulla
schiena e mi sforzo di non voltarmi.
Raggiungo
il
laboratorio e trovo già Vahel ad aspettarmi. Digita il suo
codice e mi precede
all’interno.
-Signorina
Miller,
vorrei solo farle qualche domanda.-
Stringo
gli occhi e
incrocio le braccia, in chiaro atteggiamento difensivo.
-Mi
state
nascondendo qualcosa?-, chiede.
-Se
lo stessimo
facendo, certamente non verrei a dirlo a lei-, replico con uno sbuffo
leggero,
cercando di capire dove vuole andare a parare.
-Signorina
Miller,
ha mai sentito parlare di lobotomia?-
Le
mie mani si
stringono automaticamente a pugno.
-Certo.-
-Vuole
ricordarmi
di cosa si tratta precisamente?-
-Consiste
nella
recisione delle connessioni della corteccia prefrontale, o anche nella
loro
asportazione o distruzione. Era usata nel 1900 per curare malattie
mentali, ma il
suo risultato era quello di ridurre le funzioni cerebrali del paziente,
talvolta riducendolo ad uno stato vegetativo.-
Parlo
rapidamente,
le unghie che si conficcano lentamente nel palmo.
Lo
sa.
Sa
che è la cosa
che più mi terrorizza –glielo leggo in quegli
occhi di ghiaccio che mi
squadrano divertiti: la perdita del mio dono, l’abbassamento
del mio quoziente
intellettivo di oltre 255 punti, la mancanza di contatto con la
realtà.
Pazzia.
Cosa
può esserci di
peggio di questo per un genio?
Assolutamente
nulla:
di questo sono più che convinta.
-Vorrei
solo che
lei ricordasse che sarebbe questo
il
suo destino, se scoprissi che state architettando qualcosa.-
Testa
alta, Charlotte.
Ignoralo,
sii fiera e combattiva.
-Allora,
fortuna
che non stiamo architettando nulla.-
-Già,
che fortuna.
Può andare, signorina Miller.-
-È
stato un
piacere-, rispondo.
Mi
volto ed esco,
lottando per mantenere un’apparenza di calma ed
impassibilità.
Incontro
Jonathan a
metà strada per la mia stanza.
-Cos’è
successo?-,
domanda affannato. –Charlie? Cosa ti ha fatto?-
-Niente.
Solo
minacce a vuoto. Solo … -
Tremo
e non riesco
ad aggiungere altro. Jonathan si avvicina, preoccupato, e io mi rifugio
nelle
sue braccia.
E
se ci scoprisse davvero?
E
se qualcosa andasse storto?
E
se io preferissi non fuggire dal Queen Victoria's College?
|
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Capitolo 12 *** Escape ***
~escape~
[Jonathan]
Il
grande giorno
arriva anche troppo in fretta.
Credo
che potrei
uccidere Damien se non la smette di mormorare tra sé e
sé. Ripete cose assurde
del tipo “porta” e “visioni” da
quasi due ore e mi sta facendo andare fuori di
testa.
Provo
seriamente a
concentrarmi sulla mappa che mi ha dato Charlotte, ma sarebbe
più facile
risolvere un’equazione differenziale. In altre parole,
è completamente inutile
anche solo provarci.
Continuo
a pensare
ad altro, come alla possibilità che io o qualcun altro
restiamo uccisi –insomma,
dettagli del genere.
Non
sono molto
convinto del piano di Charlotte, come si sarà capito
–non perché non mi fidi di
lei, ma perché credo che stiamo sottovalutando Vahel.
Finisco
di
preparare il mio zaino, infilandoci dentro l’ultima felpa e
il mio lettore mp3.
Abbiamo
acqua e
viveri in abbondanza, medicine, vestiti, cellulari.
La
parte che avrò io in
tutto questo è all’incirca la più
importante, perciò riesco già a sentire un
filo di tensione.
Esco
per lasciare
lo zaino a Blake –sarebbe un po’ difficile per un
gufo portarselo dietro- e
vedo Charlotte su una poltroncina, lo sguardo perso nel vuoto.
-Ehi.-
Sobbalza
e si volta
verso di me.
-Oh,
ciao.-
-Tutto
bene?-
-Non
proprio-,
risponde con un sospiro. –Ho paura, Jon.-
-Andrà
tutto bene.-
-E
se così non
fosse? Vahel sospetta già qualcosa. Se dovessimo fallire
… non oso immaginare
cosa ci farebbe.-
-Io
non oso
immaginare cosa ci farà se resteremo qui. L’hai
detto tu stessa: ci farà
sparire misteriosamente non appena inizierà a considerarci
una vera minaccia.-
Charlotte
annuisce
e non aggiunge altro.
Vorrei
dire
qualcosa, prenderle una mano, farle capire che io credo nel suo piano
–ma entra
Blake, seguito da tutti gli altri, e mi interrompe.
-Charlie,
è ora.-
Lei
si strofina gli
occhi e annuisce.
-Ok.
Andiamo.-
Si
alza in piedi e
la vedo trasformarsi magicamente davanti ai miei occhi: da insicura e
spaventata diventa tranquilla e sicura nell’impartire ordini.
-Io
ora andrò
nell’aula informatica-, comincia, decisa.
–Manderò in onda il filmato
preregistrato e vi avviserò. Da quel momento Jon
avrà tre minuti per arrivare
alla cancellata e premere il bottone. Quando
l’avrà fatto avremo un minuto
esatto per uscire prima che l’allarme parta. Ci sono domande?-
-Una
sola. Quante
sono le probabilità di riuscita, una su un milione?-, chiede
ironica Lily, ma
tace ad un’occhiataccia che le lancio.
-Sono
alte, se ti
atterrai al piano stabilito, Lily-, replica gelida Charlotte.
Esce
per andare
nell’aula computer e noi ci avviamo verso il retro.
Andiamo
in là
separati per non dare troppo nell’occhio. In ogni caso, non
incontriamo Vahel,
ma solo un paio di professori che non fanno troppo caso a noi.
Aspettiamo
sotto al
porticato, tesi come corde di violino, senza neanche il coraggio di
guardarci
negli occhi.
E
poi, un cellulare
squilla brevemente. Ho tre minuti a partire da ora.
Mi
trasformo in un
gufo e senza esitare spicco il volo.
Sono
le nove di
sera e la mia vista, da pessima che era, diventa pressoché
perfetta. Vedo ogni
dettaglio come se fosse mezzogiorno, e in più riesco a
percepire le linee
traslucide dei raggi infrarossi.
Batto
le ali con
delicatezza, a ritmo regolare, per evitare di sfiorarle anche solo di
striscio.
L’aria
fredda mi
sferza il muso, ma non vi do peso. Mi avvicino alla cancellata,
cercando di
trovare il pulsante che mi ha indicato Charlie. Eccolo, in cima ad una
colonna
di mattoni che fa parte dello steccato.
Ahi.
È
protetto da una
decina di raggi rossi intrecciati tra loro. L’unico modo per
arrivarci è
rimpicciolirmi, ma così facendo non riuscirei più
a vedere i raggi: gli insetti
non ne hanno la capacità.
Mi
avvicino fino al
limite, quindi divento una formica. I raggi spariscono e il mio campo
visivo si
riduce notevolmente, ma, se i miei calcoli sono corretti, sono troppo
piccolo
per poter essere toccato dagli infrarossi.
Raggiungo
il
pulsante e ci salgo sopra, e così mi si presenta un problema
a cui non avevo
pensato: sono troppo leggero per poterlo premere.
Ma
se mi
ritrasformassi, toccherei gli infrarossi.
Esiste
un animale
piccolissimo e pesante?
A
che altezza si
trovano gli infrarossi sopra di me?
Che
cosa
succederebbe se li toccassi nello stesso momento in cui premo il
bottone?
Quanto
tempo mi
rimane ancora?
Tutte
queste
domande affollano il mio piccolo cervello da formica e prendo una
decisione.
Divento
un gatto, e
in questo modo taglio i raggi infrarossi. Ma sto premendo il pulsante,
quindi
l’allarme suona per un solo istante prima di spegnersi.
L’avranno
sentito?
Non ne ho idea.
Torno
un gufo per
accertarmi che gli infrarossi siano spariti: è
così. Ora gli altri hanno un
minuto per raggiungermi.
Aspetto
dieci,
venti, trenta, quaranta secondi e comincio a preoccuparmi,
finché non vedo Lily
che corre verso di me.
-Jon,
Charlie non è
ancora tornata-, dice a denti stretti, senza fiato.
Sussulto.
Blake,
Vanessa e
Damien arrivano a loro volta e mi guardano.
In
questo esatto momento,
davanti ai miei occhi da gufo riappaiono gli infrarossi e scatta
l’allarme.
Maledizione,
maledizione, maledizione!
Ci
guardiamo, senza
saper cosa fare.
Blake,
come sempre
nei momenti di pericolo, prende il comando. Di solito lo trovo
insopportabile,ma stavolta vorrei solo ringraziarlo.
-Ness,
Lily, Dam,
andate. raggiungete la macchina e poi tornate verso la scuola. Io e Jon
recuperiamo Charlie e saliamo.-
Loro
non obiettano
e corrono verso l’uscita, con Lily che fonde la serratura per
aprire il
cancello.
Torno
umano per un
solo secondo per dire a Blake, attraverso il suono assordante
dell’allarme:
-Vai
con loro! Io
volerò e farò più in fretta.-
-Non
se ne parla-,
taglia corto Blake, e io mi arrendo.
Non
faccio in tempo
a fare un passo che dal porticato esce qualcuno.
È
Vahel, preceduto
dal signor Collins, il tecnico, che tiene stretta Charlotte. Vahel ha
una
pistola in mano e la punta verso di lei.
Mi
trasformo in un
lupo, istintivamente, e scopro le zanne in un minaccioso avvertimento.
-Bene,
bene, bene-,
comincia Vahel, in tono serafico. –Ma guarda
cos’abbiamo qui. Un tentativo di
evasione. Devo farvi i complimenti, è proprio ben
congeniato. Immagino di
dovermi rivolgere a lei, signorina Miller, non è
così?-
Charlie
tenta di
divincolarsi dalla presa ferrea di Collins senza successo.
-E
mi pare di
averla avvertita. Uno scherzetto del genere e sarei stato lieto di
praticare la
mia prima lobotomia.-
La
vedo
impallidire. La conosco, so che ne è terrorizzata.
Un
ringhio mi esce
dalla gola, una minaccia aperta rivolta a Vahel. Lui avrà
pure una pistola, ma
i miei denti sono più affilati dei suoi.
Vahel
si volta
verso me e Blake.
-E
lei, signor
Gray-, gli dice, -Non pensavo che fosse così impaziente di
provare
l’elettroshock per la terza volta.-
Terza?
Io
ero a conoscenza di una volta soltanto.
-Per
non parlare di
lei, Bailey. Credevo che un’esperienza con la mia rete le
fosse stata
sufficiente per … mantenere il controllo.-
Ringhio
di nuovo e
faccio un passo avanti, ma sento la mano di Blake che mi ferma. Vahel
ha pur
sempre una pistola puntata contro Charlotte.
-Ora,
se non volete
che la vostra amica si ritrovi con un proiettile in testa, vi conviene
tornare
dentro con me e richiamare anche i vostri compagni. Sono certo che
… -
Ad
interromperlo è
il rombo di un motore, per la precisione di quello di una macchina non
molto
grande, vecchiotta e gialla che inchioda accanto a noi.
Non
ce lo facciamo
ripetere.
Blake
lancia un
lampo di energia contro Collins, che lascia andare Charlotte. Lei corre
verso
la macchina, mentre Vahel, furioso, inizia ad urlare improperi e a
sparare
colpi all’aria. Sempre in forma di lupo, seguo Blake e
Charlotte verso la
macchina, che si sta allontanando poco alla volta per timore, credo,
che un
proiettile le fori le gomme.
Vedo
Blake che si
sta per arrampicare nell’auto, ma si volta di scatto. Faccio
lo stesso e vedo
che Charlie è caduta.
È
a terra che tenta
di rialzarsi, tremando, mentre Vahel le si avvicina, sparando colpi
casuali.
Sono
molto più veloce
io di Blake, per cui corro verso di lei. Ringhio verso Vahel e aiuto
Charlie a
rialzarsi.
Vorrei
urlarle
“vai!”, ma sono ancora un lupo, perciò
mi limito a spingerla verso l’automobile
con il muso. Lei asseconda la mia spinta, inizia a correre e finalmente
sale in
macchina.
-Vieni,
Jon!-,
mi urla Blake, a
metà strada.
Io
comincio a
correre per raggiungerlo, ma qualcosa mi ferma.
Lo
sento
immediatamente.
Un
dolore bruciante
mi colpisce un fianco. Cado a terra e tutto diventa buio.
L’ultima
cosa che sento
è il sogghigno di Vahel dietro di me.
Poi,
un’altra fitta
di dolore … e il nulla.
Capitolo
un po’ corto, lo so, ma non potevo aggiungere altro ^^
Vi
auguro un buon Capodanno e un bellissimo 2011, io parto domani per
Barcellona e
quindi ci risentiremo dopo il 10 gennaio …
Un
bacio,
Adamantina
|
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Capitolo 13 *** Consequences ***
~consequences~
[Lily]
Le
mie mani sono
strette sul volante, tanto che potrei quasi scommettere di averci
lasciato dei
solchi profondi.
So
che non mi devo
distrarre, devo mantenere una velocità costante e scegliere
le strade meno
frequentate. Nonostante abbia già compiuto diciotto anni,
ancora niente
patente. Ma d’altra parte gli unici due ad averla presa a
sedici anni,
sfruttando le brevi vacanze estive che ci sono concesse per studiare
invece che
per svagarsi, sono Blake e Jonathan. Charlotte sa guidare e io anche,
ma avevo
programmato di dare l’esame di teoria l’estate
prossima. In ogni caso, Blake ha
guidato per oltre quattro ore e abbiamo deciso –ok, ho
deciso- di fargli fare
una pausa. E Jonathan non è certo in condizione di guidare.
Gli
lancio
un’occhiata attraverso lo specchietto retrovisore. Credo che
sia privo di sensi,
non si muove. È ancora in forma di lupo perché
non è abbastanza forte da
trasformarsi, sdraiato con la testa sulle gambe di Charlotte e le zampe
su
quelle di Damien. Vanessa è qui accanto a me insieme a
Blake, perché Charlotte
non era di nessun aiuto qui –continuava a voltarsi indietro e
a dare consigli.
A
quanto pare
Jonathan è stato colpito da due proiettili, uno dei quali
l’ha ferito di
striscio ad un fianco, mentre il secondo è penetrato nel suo
corpo. Charlotte
ha detto di non poter far nulla senza un po’ di spazio e
qualche strumento
adeguato, per non parlare degli scossoni della strada sterrata che
stiamo
percorrendo. Ma di fermarsi non se ne parla: di sicuro Vahel ci sta
seguendo e
ha allertato tutti suoi contatti nelle vicinanze.
Ma
non è questo il
motivo per cui sto rischiando di mandare in frantumi il volante
–è solo perché
tutti stanno dicendo cose tipo “non avremmo dovuto
farlo”, “cosa faremo
adesso”, “e se ci prendono”, argomenti
che io avevo sostenuto fin dal principio
e che erano stati completamente ignorati.
Vorrei
urlare un
fortissimo “io ve lo avevo detto”, ma recupero
tutta la mia forza di volontà e
sto zitta, limitandomi a guidare in silenzio.
-Quanto
manca,
Charlie?-, chiede Vanessa.
Charlotte
distoglie
per un solo secondo l’attenzione da Jonathan.
-In
teoria il
viaggio sarebbe dovuto durare quattro ore, ma dato che stiamo deviando
ne
impiegheremo almeno altre due.-
Vanessa
sospira e
tace.
-Credete
che ci
stiano ancora seguendo?-, domanda Damien.
-Non
ho dubbi-,
replica decisa Charlotte. –Ma forse … servirebbe
un po’ di nebbia. Lily?-
-Non
sono una
stazione meteo, Charlie. Non posso controllare il tempo-, sibilo,
più acida di
quanto vorrei.
-La
nebbia non è
altro che acqua sospesa nell’aria.-
Non
distolgo lo
sguardo dalla strada nel rispondere:
-Potrei
farlo,
probabilmente, ma non farei altro che intralciare noi. Non posso
estendere la
nebbia molto lontano.-
Charlotte
–finalmente- tace.
Il
silenzio torna a
regnare sovrano, angosciante.
Mi
concentro solo
per mantenere l’auto in strada nonostante gli scossoni
violenti causati dallo
sterrato. Prego il cielo che non buchiamo una gomma, perché
sarebbe un disastro
di proporzioni epiche.
-Potresti
far
piovere-, dice Charlotte, e mi giro per un solo secondo per fulminarla
con lo
sguardo.
-Perché?-
-Per
nascondere le
tracce degli pneumatici sulla terra.-
Devo
ammettere che
stavolta l’idea è buona.
Fermo
la macchina
sul ciglio della strada.
-Chi
guida?-,
chiedo. –Non posso fare entrambe le cose.-
-Lascia
fare a me-,
dice Damien.
Prendo
il suo posto
accanto a Jonathan e, mentre l’auto riparte, mi concentro.
L’acqua
comincia a
scendere senza impedimenti, ma il problema adesso è
estenderla a sufficienza.
Chiudo gli occhi. Lo scopo non è creare un temporale
violento, ma una
pioggerellina abbastanza diffusa da cancellare le nostre tracce per
svariati
chilometri.
All’improvviso,
ad
un ennesimo scossone dell’auto, sento un uggiolio, di certo
non umano.
-Jonathan?-,
chiede
Charlotte con ansia. –Sei sveglio?-
Nessuna
replica, ma
giro la testa e vedo che il lupo ha aperto gli occhi.
-Riesci
a
trasformarti?-, insiste lei.
Distolgo
l’attenzione dalla pioggia per un momento per guardarlo
muoversi appena, ma non
succede niente. Un altro salto provoca un nuovo uggiolio.
Vedo
il sangue che
macchia la mano di Charlotte che prova a tastare le ferite causate dai
proiettili, provocandomi un’ondata di nausea.
-Lily,
la pioggia-,
mi ricorda Blake, e solo allora mi rendo conto di averla fatta cessare.
Cerco
di nuovo la concentrazione e l’acqua ricomincia a scendere
dal cielo.
Ammetto
di essermi
spaventata quando Vahel mi ha iniettato quella sostanza. Ho creduto
davvero di
aver perso i miei poteri per sempre. È stato orribile, e non
c’è sensazione più
bella di vedere i quattro elementi rispondere ai miei comandi
silenziosi come
hanno sempre fatto. Su Vanessa quella roba non ha funzionato, e
Charlotte ha,
ovviamente, sviluppato una teoria a riguardo. Il dono di Vanessa
dipende dalla
sua pelle, che può cambiare tonalità fino a
raggiungere colori di uno spettro
invisibile all’occhio umano. Il mio, invece, risiede (sempre
secondo lei) da
qualche parte nel cervello. Non sa i dettagli, nonostante abbia
studiato per
anni su questo dilemma. Perché abbiamo questi poteri? Per il
momento non ne
abbiamo idea. In ogni caso, se funziona davvero come sostiene
Charlotte, ad
essere immuni a quella sostanza sarebbero Vanessa, Blake (il cui corpo
riesce
ad immagazzinare l’energia elettrica presente
nell’ambiente) e Jonathan (perché
la trasformazione dipende da ossa, organi eccetera e non dal cervello).
Io, lei
e Damien invece dobbiamo ringraziare
(termine ambiguo, su cui si potrebbe discutere) i nostri cervelli per
le nostre
capacità.
-Cosa
succede,
Charlie?-, chiede Damien, distraendomi dalle mie divagazioni mentali.
-Non
sono un
veterinario-, replica lei, la voce tremante. –Se solo
riuscisse a trasformarsi
… -
In
risposta,
Jonathan si agita e per un istante la sua figura vibra, ma poi non
riesce a
cambiare forma e resta un lupo. Per lo sforzo emette un gemito
straziante.
Charlotte
scuote la
testa, poi mette una mano sulla testa del lupo.
-Non
posso fare
niente, per ora-, mormora. –Quando ci fermeremo,
proverò a … -
La
sua voce viene sovrastata
all’improvviso da un suono inconfondibile.
Proiettili
contro i vetri dell’auto.
-Giù!-,
urla Blake,
e non posso fare altro che obbedire, ma nel frattempo faccio aumentare
la
pioggia. Non so se ci sia più d’intralcio che
d’aiuto, ma non posso certo
chiedere a Blake.
I
proiettili
fischiano, l’auto accelera decisamente troppo per una vecchia
carretta (ma
Charlotte deve averci fatto qualche modifica), ma l’acqua la
fa slittare. Alzo
la testa per un secondo, proprio mentre l’auto inchioda.
Batto la testa contro
il cruscotto, violentemente, e tutto diventa nero.
-Lily
… Lily, mi
senti?-
Batto
le palpebre
più volte e un volto entra nella mia visuale. Blake.
Sorrido
quasi
istintivamente, senza pensarci.
Poi,
quando
Charlotte prende il posto di Blake e mi spara un led accecante negli
occhi,
seguendo il movimento delle mie pupille, torno sulla terra. Mi alzo di
scatto,
bruscamente, ma un giramento di testa mi riporta giù.
-Cos’è
successo?-,
chiedo. –Dove siamo?-
-Sta
bene-, decreta
Charlie. -Ti ricordi come ti chiami?-
-So
come ti chiami tu, Charlotte
Miller, e ti giuro che se
non spegni quella luce ti farò pentire del giorno in cui ti
sei presentata a
me.-
-Sta
benissimo-,
conferma lei con un mezzo sorriso.
-Qualcuno
mi
risponde? Dove siamo?-, insisto, mettendomi finalmente a sedere. Ho un
po’ male
alla testa, ma è sopportabile.
-A
destinazione,
sani e salvi-, risponde Blake, sedendosi accanto a me.
Mi
guardo intorno.
Ci
troviamo in una
sottospecie di casetta di legno, ma forse definirla casetta
è un complimento. Baracca, bicocca, catapecchia …
ecco,
questi rendono meglio l’idea. È piccola,
soffocante, desolante e vuota. Tutto
quello che c’è deve risalere al Medioevo o
giù di lì.
Va
bene, ho
esagerato –ma non è che scherzi, eh. Un cucinino a
gas, il vecchio divano
semidistrutto sul quale sono seduta, qualche sedia spaiata e un paio di
porte
chiuse adornano il luogo … e questo è tutto.
-Quando
hai detto
catapecchia ho pensato che esagerassi-, dico a Charlie.
Poi
mi rendo conto
di qualcosa di strano.
Blake
è qui accanto
a me, Charlie davanti, Vanessa accanto a lei e c’è
qualcuno che non conosco
alle loro spalle.
Un
ragazzo e una
ragazza, forse sui venti, venticinque anni.
Lui
ha corti
capelli scuri e occhi cupi, è molto alto e, onestamente, mi
inquieta.
Nonostante, ammettiamolo pure, sia piuttosto bello.
Lei
è magra,
formosa, curve al posto giusto, capelli biondi e sguardo altezzoso.
Bella pure
lei, accidenti.
-Chi
sono?-, chiedo,
sospettosa.
-Io
sono
Guinevere-, risponde la ragazza. –Puoi chiamarmi Gwen. Lui
è Matt.-
-Chi
sono?-,
ripeto, voltandomi verso Blake.
-Loro
… occupavano
la casa di Hermann. Sono ex allievi del Queen
Victoria’s. Ci hanno raggiunti e ci hanno portati
qua, salvandoci all’ultimo
secondo dagli scagnozzi di Vahel.-
-Dov’è
Jonathan?-
-È
di là con Damien.-
-Come
sta?-
-Non
molto bene-,
interviene Charlotte, cupamente. –Tutto quello che sono
riuscita a fare è stato
ripulire le due ferite … ma c’è ancora
un proiettile dentro il suo corpo, e non
ho gli strumenti necessari per agire. Senza contare che è
ancora un lupo, e non
so come intervenire.-
Dalla
sua
espressione vedo che è stanca, preoccupata e sconvolta. Non
capita spesso che
Charlie non sappia cosa fare, e questo di solito la manda in paranoia.
Mi
alzo in piedi,
incerta, ma scopro di poterlo fare senza problemi. Ho un bernoccolo
sulla
testa, ma questo è tutto quello che mi rimane
dell’incidente, per fortuna.
-Vado
in bagno-,
annuncio. –Charlie, mi accompagni?-
Lei
annuisce, un po’
stranita.
Non
appena siamo al
sicuro da orecchie indiscrete, domando:
-Chi
sono quei
due?-
-Non
ne ho idea. Ci
hanno aiutati, e dicono di essere stati allievi da noi … ma
non ci hanno detto
altro.-
-Possiamo
fidarci
di loro?-
-Vorrei
che fosse
così, ma non ne sono affatto sicura.-
Sospiro
e usciamo
dal bagno.
Charlotte
apre un’altra
porta e io la seguo. Ci sono una mezza dozzina di letti a castello, ma
il lupo
è sul pavimento –troppo grande per il letto,
suppongo. Damien è accanto a lui.
-Novità?-,
chiede
Charlie, inginocchiandosi sul pavimento.
-Credo
che si stia
svegliando-, risponde Damien, ed esce per lasciarci posto e raggiungere
Vanessa
di là.
Charlotte
posa una
mano tra le orecchie del lupo.
-Jon?
Mi senti?-
Il
lupo emette un
mezzo sbuffo che immagino sia un segno affermativo.
-Jon,
non riesco a
curare quelle ferite se non torni umano-, mormora Charlotte.
Silenzio.
Come già
prima, in macchina, vedo la figura vibrare e poi tornare come prima.
-Jon?
Per favore …
-
Vedo
gli occhi di
Charlotte riempirsi di lacrime.
-Ehi-,
sussurro. –Charlie,
andrà tutto bene.-
-Non
è vero-,
mugola lei. –È tutta colpa mia!-
-Non
dire così.-
-Avrei
dovuto
pensarci! Ho pensato a tutto tranne che alla … alla cosa
più importante! Ho
fatto troppo in fretta … e ho avuto troppa …
troppa fiducia … in me stessa. E
adesso non riesco … a fare nulla! Sono inutile …
ed è solo … -
A
quel punto le sue
parole confuse vengono soffocate dai singhiozzi.
-Non
piangere-, la
prego, abbassandomi e abbracciandola. –Charlie, non
è colpa tua. Non potevi
prevederlo … è stata solo sfortuna. Non sarebbe
cambiato niente se ci avessimo
pensato per un altro mese.-
Lei
scuote la
testa.
-Sono
stata io, e
adesso Jon potrebbe morire!-, reagisce con rabbia, le lacrime che le
solcano il
viso.
La
stringo più
forte, non sapendo che altro fare per consolarla e rassicurarla.
E
poi succede
qualcosa.
Il
lupo trema e all’improvviso
la sua figura si sfoca, lasciando il posto a quella di Jonathan.
Umano.
È
messo male, ora
si capisce ancora di più. La felpa è intrisa di
sangue in corrispondenza del
fianco sinistro e dell’addome, il volto è
pallidissimo e sudato, i pugni
stretti.
-Oh,
Dio, Jon-,
ansima Charlotte, e mi allontana per chinarsi su di lui.
Mi
alzo ed esco,
lasciandoli soli.
Spero
solo che
questo sia un buon segno.
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Capitolo 14 *** The Truth ***
~THE
TRUTH~
[Charlotte]
Quando
ho preso la mia laurea in medicina, ho sentito parlare della
difficoltà di un
dottore o di un chirurgo a curare i propri parenti. Ho sempre creduto
che fosse
una sciocchezza. Pensavo che, se mia madre fosse stata male, mi sarei
fidata di
me stessa più che di altri per curarla. Il ragionamento
tornava, allora. Ma
viverlo sulla propria pelle è diverso dal pensarci in modo
astratto.
Solo
adesso capisco davvero cosa intendevano –vorrei che ci fosse
qualcun altro,
chiunque altro, che potesse fare questo al posto mio. Ho
un’atroce paura di
sbagliare, e sapere che la vita di una delle persone che amo di
più al mondo
dipende da cosa faccio io è un pensiero sconvolgente.
Sono
qui inginocchiata accanto a Jonathan e tutto quello che ho sono le
poche
medicine, bende e garze che erano nella valigetta del pronto soccorso.
So cosa
farei se fossi in una sala operatoria –sterile, attrezzata e
pulita- ma adesso
non so dove mettere le mani.
Con
cautela, aiutata da Vanessa, taglio la felpa per scoprire le due
ferite. Non
oso spostarlo per sfilargliela. Blake e Damien l’hanno messo
sul letto a
castello e poi si sono allontanati.
Prendo
fiato. Non ho mai avuto paura del sangue, ma questo è troppo
anche per me. Se
solo non fosse Jonathan.
Ma
non c’è niente che io possa fare se non provare ad
aiutarlo.
Uso
un panno bagnato per ripulire le due ferite. Sento Jon, semicosciente,
lamentarsi debolmente, ma ho solo un paio di antidolorifici e una
singola dose
di morfina, e mi serviranno più tardi.
Lavo
le mani e le disinfetto prima di cominciare ad indagare sulla
profondità delle
ferite.
Devo
solo dimenticare chi è che
sto
operando.
Dal
mio esame risulta che la prima ferita è solo superficiale,
è stato colpito di
striscio. Ho allargato leggermente il taglio e applicato dei punti di
sutura.
La
seconda è un altro paio di maniche. Il proiettile
è penetrato nel corpo e si è
fermato nel fegato. C’era una leggera emorragia interna, ma
sono riuscita a
fermarla e ad estrarre il proiettile. I danni tutto sommato potevano
essere peggiori,
ma temo che la ferita si infetti.
Nonostante
la morfina, Jonathan deve aver sofferto parecchio, ma non è
mai stato
abbastanza lucido da lamentarsi.
Ho
bendato la ferita, e adesso non resta altro da fare se non sperare in
bene.
Raggiungo
gli altri di là, gli occhi arrossati. Ho bisogno di riposare.
-Charlie,
come sta?-
-Non
lo so-, rispondo stancamente. –Ho fatto tutto quello che
potevo. Adesso
possiamo solo aspettare.-
-Volevo
che ci fossi anche tu, quindi finora non ho detto nulla-, interviene
Blake,
serio. –Ma voi due ci direte chi siete e cosa ci fate qui?-
Matt
e Gwen si guardano, ed è lei la prima a prendere la parola.
-Frequentavamo
il Queen Victoria’s College sette anni fa. Eravamo in
quattro. Il preside, il
signor Hermann, è sempre stato gentile con noi e gliene
eravamo grati. Ma poi
abbiamo scoperto delle cose.
Abbiamo
iniziato ad avere sospetti quando Matt ha chiesto il permesso di
tornare a casa
per il funerale di un suo parente e gli è stato negato. Non
ci hanno mai
concesso di andare in città, neanche quando abbiamo compiuto
diciotto anni e
siamo stati legalmente maggiorenni. Sembrava che volessero tenerci rinchiusi.
-Poi,
un giorno, abbiamo trovato questo gruppo di lettere … le
aveva mandate il
presidente degli Stati Uniti al preside. In sostanza, il presidente
diceva che
alcuni scienziati dell’Area 51 erano interessati ad un nostro
compagno, Lawrence,
che era telepatico. Hermann gli ha risposto chiedendogli di aspettare
ancora qualche
tempo, e gli ha scritto che temeva che noi progettassimo la fuga a
causa delle
proteste per essere stati chiusi nella scuola. Al che, il presidente ha
risposto
che, se i suoi sospetti fossero stati fondati, sarebbe stato un
disastro. Gli
ha chiesto di ucciderci.-
Sgrano
gli occhi, incredula.
-Non
è possibile-, dichiara Vanessa. –Il preside
Hermann non avrebbe mai potuto … -
-Ha
accettato-, dice bruscamente Matt. –Per questo abbiamo deciso
di organizzare la
fuga. Siamo scappati, ma i nostri compagni, Lawrence e Jennifer, sono
rimasti
uccisi.-
-Oh,
cielo-, mormora qualcuno. Credo sia Lily.
-Ci
siamo rifugiati qui, l’unico posto in cui Hermann non ci ha
cercati. Come
poteva immaginare che fossimo scappati in
casa sua? Ma d’altra parte non viene qui da anni.-
-Abbiamo
aspettato a lungo-, prosegue Gwen. –Abbiamo cercato appoggi,
ma era difficile.
Il presidente ci voleva morti, pensava che fossimo un pericolo per la
società.
Alla fine abbiamo trovato un alleato, un pazzo antirepubblicano che
abbiamo
assoldato. Sapevamo già che il Queen Victoria’s
aveva riaperto, dopo un anno di
pausa, e immaginavamo quale sarebbe stata la sorte degli studenti.
Volevamo
liberarvi. Gli uomini che abbiamo mandato hanno ucciso Hermann, ma voi
siete
stati così stupidi da
farli fuori!
Loro vi avrebbero spiegato la situazione e vi avrebbero portati via da
lì. Ma
così il presidente è stato costretto a mandare
qualcuno di ancora peggiore.-
Il
mio cervello sta elaborando a velocità supersonica tutte le
informazioni, e mi
fa dedurre una cosa che mi lascia senza fiato.
-E
chi meglio-, mormoro, incredula, -di Ivan Vahel, l’uomo che
avevate assoldato
per far uccidere Hermann? In questo modo il presidente avrebbe fatto
fuori un
pericoloso nemico, dandogli una posizione di potere e portandolo dalla
propria
parte.-
-Esatto-,
conferma Matt, cupo.
-Aspetta-,
interviene Damien, le mani nei capelli. –Vahel ha fatto
uccidere Hermann e poi
ha preso il suo posto?-
-Proprio
così.-
-C’è
una cosa che non capisco, però-, dico, cercando di riempire
la lacuna vistosa
nel mio nuovo schema mentale. –Perché volevate
liberarci? Avreste potuto
fuggire. Dopo sette anni la sorveglianza si sarà allentata
… potevate andarvene
in Europa, che so, e dimenticarvi di tutto. Perché liberare
noi?-
-Perché
vogliamo destituire il presidente degli Stati Uniti-, replica
tranquillamente
Matt.
Come
se fosse la cosa più normale del mondo.
O
sei dalla sua parte, o non lo sei. E come puoi esserlo, se considera
tutta la
tua specie una minaccia per la sopravvivenza del suo Paese?
Capisco
tutto talmente bene che rimango senza parole per qualche minuto.
-Andiamo
a vedere come sta Jonathan-, dico all’improvviso, e faccio un
cenno agli altri.
Matt
e Gwen capiscono che vogliamo parlare da soli e non si oppongono.
Ci
chiudiamo nella camera da letto.
-Non
ci posso credere-, sussurra Damien. –Una congiura per
destituire il presidente?
Ma sono completamente fuori di testa?-
-La
cosa spaventosa-, replico, tetra, -è che potremmo benissimo
riuscirci.-
Tutti
spalancano gli occhi.
-Stai
scherzando, vero, Charlotte?-, chiede Blake.
-Affatto.
Blake, possiamo diventare invisibili, predire il futuro, trasformarci
in
animali, controllare tutti gli elementi, far saltare in aria le cose e
decifrare ogni codice nonché scassinare ogni serratura. E
ancora non sappiamo
cosa siano in grado di fare Matt e Gwen. Se volessimo tentare un colpo
di Stato
avremmo il novanta per cento di probabilità di riuscirci
senza grossi
problemi.-
-Ma
tu non vuoi farlo, giusto?-, insiste Blake.
-Ovviamente
no, non sono un’anarchica, ma non è questo il
punto! Non capisci quanto è ovvio
che il presidente abbia paura di noi? Che tutta la società
ne avrebbe, se
sapesse cosa siamo?-
-Sì,
ma ciò non toglie che noi non
vogliamo
detronizzare il presidente.-
-No,
certo. Ma credi che quei due ci lasceranno altra scelta?-
-Siamo
il triplo di loro, possiamo andarcene senza … -
-Non
con Jonathan in queste condizioni. Per almeno una settimana non
potrà neanche
andare più lontano che al bagno, e anche dopo non possiamo
pensare di fare una
fuga come quella al Queen Victoria’s.-
-Non
possono costringerci, Charlie!-
Scrollo
le spalle.
-Non
voglio insistere, Blake, sono esausta. Vedremo come reagiranno quando
gli
diremo che per noi non se ne fa nulla.-
Lui
scuote la testa.
-Abbiamo
tutti bisogno di riposare e riflettere. Non decideremo nulla fino a
domani, d’accordo?-
Acconsentiamo
tutti.
Io
mi lascio cadere su un letto e non riesco affatto a riflettere. Dopo
meno di un
minuto sono già addormentata.
Quando
riapro gli occhi mi sento molto meglio. Sono decisamente più
riposata, e
infatti il mio orologio mi segnala che ho dormito quasi undici ore. Mi
alzo e
vedo che gli altri sono già in piedi. Dopo essermi lavata e
cambiata, mi
ricordo improvvisamente di Jonathan e lo raggiungo.
Credo
sia sveglio, ma non risponde quando lo chiamo. Gli metto una mano sulla
fronte:
è caldo, deve avere la febbre.
Disfo
la fasciatura sull’addome per scoprire la ferita e quello che
vedo non mi piace
affatto. È gonfia, rossa e bagnata di un liquido biancastro.
Non
riesco a trattenere un’imprecazione a mezza voce. Blake,
l’unico nella stanza
oltre a me, mi sente e mi raggiunge.
-Cosa
… ah. Non ha un bell’aspetto.-
-No,
infatti. Si è infettata.-
-Ed
è … una cosa negativa?-
Mi
viene voglia di chiudere la bocca a Blake con un tappo, ma non ne ho a
disposizione, purtroppo.
-Sì,
Blake, è una cosa molto
negativa.-
-Puoi
fare qualcosa?-
-No,
non senza gli strumenti adeguati.-
-Cosa
rischia?-
Mi
siedo sul letto accanto.
-Rischia
di morire-, mormoro.
Blake
respira profondamente.
-Charlotte,
devi fare qualcosa. Sei la sua unica
possibilità.-
I
miei occhi si riempiono di lacrime di rabbia senza alcun preavviso, e
mi trovo
in piedi, furiosa.
-Non
so cosa fare!-, urlo. –Forse dovresti prendere in
considerazione il fatto che
io non sia perfetta e non abbia
sempre una soluzione per tutto! So
che mi date già la colpa di tutto quello che è
successo finora, compreso
questo, ma forse, Blake, non sono l’unica su cui scaricare
tutte le
responsabilità! Non posso sempre pensare a tutto io!-
Detto
questo, mi allontano, scansandolo con poca delicatezza, e mi chiudo in
bagno,
non prima di aver visto altre tre facce che mi fissano sconvolte.
Cerco
di calmarmi.
So
che Blake non ha colpa. Sono io quella con la laurea in medicina, qua,
ed è naturale
che gli altri si aspettino che sia io ad aiutare Jonathan. Ma le
responsabilità
sono enormi, e il prezzo da pagare se dovessi sbagliare è
troppo, troppo alto perché
io lo possa accettare.
-Charlie?-
Alzo
gli occhi per vedere Lily e Vanessa.
-Andate
via-, dico, con un tono tanto infantile che mi faccio venire da sola la
nausea.
-Charlie,
ci dispiace-, dice Vanessa. –Non avremmo dovuto metterti
così tanto sotto
pressione. Sappiamo che non dipende da te se Jonathan sta male e non si
può
fare nulla. E soprattutto sappiamo che non
è colpa tua. Nessuno di noi pensa che lo sia,
tesoro.-
-Nessuno
tranne me-, mugolo.
-Damien
guidava l’auto-, dice Lily con voce ferma. –E mi ha
detto che vorrebbe aver
fatto più in fretta a raggiungervi. Blake dice che avrebbe
dovuto lasciare che
salisse Jon in macchina prima di lui. Io avrei potuto fare un buco
nella terra,
o dare fuoco a Vahel, ma non l’ho fatto. Vanessa avrebbe
potuto colpirlo da
invisibile. Tutti noi ci sentiamo in colpa, Charlie, e nessuno
pensa che sia stata tu. Ma abbiamo bisogno di te, Jonathan
ha bisogno di te. Blake ha detto che sei la sua unica
possibilità perché nessuno
di noi sarebbe riuscito a fare la metà di tutto quello che
hai fatto per Jon
ieri, cucire le ferite, togliere il proiettile eccetera. E qualsiasi
cosa
succeda, noi sapremo che hai fatto tutto quello che potevi per
salvarlo.-
-Questo
se uscirai dal bagno e tornerai di là-, puntualizza Vanessa.
Prendo
fiato e annuisco.
-Avete
ragione, naturalmente-, ammetto. Mi sciacquo la faccia e ritrovo la
calma.
Torniamo
di là insieme.
-Blake
… scusa se ti ho urlato contro.-
-Scusa
se ti ho messa sotto pressione, replica lui, e sorride.
Annuisco
e torno a guardare Jonathan.
-Allora-,
dico con calma, -Non posso guarire questa infezione se non con
strumenti adatti
e in condizioni sterili, e qui non ho nessuno dei due. Ho bisogno di
pensare.-
Nessuno
obietta.
Resto
in silenzio a lungo, rispolverando le mie conoscenze di medicina. So
esattamente
come mi comporterei con una ferita così profonda e infetta
in un ospedale, ma
adesso le condizioni sono tremende.
Questo
potrebbe essere paragonato ad un intervento che eseguivano i medici nel
Medioevo europeo, in pessime condizioni igieniche, con
nient’altro, come
ausilio, che erbe, cataplasmi e –
-Oh.-
La
soluzione mi si presenta davanti con tanta evidenza che mi stupisco di
non
averci pensato prima.
Ma,
altrettanto in fretta, il mio entusiasmo precipita.
Non
posso fare una cosa del genere.
-Charlotte?-
-Ho
un’idea-, mormoro. –Ma non mi piace per nulla.-
-Di
cosa si tratta?-, chiede Vanessa.
Mi
passo una mano sul viso, scuotendo la testa.
-Hai
mai sentito parlare di cauterizzazione?-
Vanessa,
Lily e Blake scuotono la testa. Matt e Gwen, al fondo della stanza,
restano
indifferenti.
Damien,
invece, sussulta.
-Oh,
cielo-, mormora.
-Sai
cos’è?-, gli chiedo.
Lui
si morde un labbro.
-Ho
appena avuto una visione. Non … non sembrava affatto una
bella cosa.-
-Non
lo è.-
-Potreste
spiegare?-, interviene Lily.
La
voce fa fatica ad uscirmi di bocca, quasi mi stessero tirando fuori a
forza
parole che non voglio pronunciare.
-Era
un rimedio molto usato nel Medioevo, in Europa. Consiste
nell’applicare-,
deglutisco, -una lama incandescente su una ferita per fermare
l’emorragia e
richiuderla.-
Il
silenzio è totale e viene rotto solo dopo diversi secondi.
-Non
c’è nessun altro modo?-
La
voce di Lily è appena udibile.
Scuoto
la testa, nauseata.
-È
la sua unica speranza. Se non facciamo niente, non
sopravvivrà altri due
giorni. Però … è doloroso, e non ho
nient’altro che uno stupido antidolorifico
e un po’ di antibiotico.-
-Dobbiamo
farlo-, decide Blake.
Annuisco,
e la mia testa gira.
-D’accordo-,
mormoro.
Ed
è la decisione più difficile della mia vita.
|
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Capitolo 15 *** Pain ***
~PAIN~
[Jonathan]
È
tutto così
confuso.
Quando
provo ad
aprire gli occhi vedo delle facce, perlopiù quella di
Charlotte, e poi torno
nel buio dell’incoscienza.
Il
che è una
benedizione, perché, nei pochi momenti in cui sono
cosciente, il dolore è
lancinante.
Ma
poi l’effetto
della morfina svanisce, e nessuno ha più pastiglie da darmi,
nemmeno sonniferi,
e allora sono costretto a sentire tutto.
Sento
delle parole
confuse, forse dirette a me, e mi sforzo al massimo per concentrarmi
sui volti
e sulle voci.
-Jonathan
… ? Jon,
riesci a sentirmi?-
Non
posso
rispondere, ma biascico un assenso.
-Sei
sicura di
volerlo fare, Charlie?-, chiede qualcuno, non saprei dire chi.
-Devo.
Ho bisogno
di una fiamma, Lily, e bella calda.-
Il
mio sguardo si
sta schiarendo leggermente, anche se continuo a vedere sfocato. Mi
sento
bruciare, credo di avere la febbre.
Vedo
una figura
bionda –Charlotte, credo- che si china su di me.
-Ascoltami,
Jon-,
mi dice dolcemente, -Adesso devo fare una cosa che … non
sarà molto piacevole.
Ma è l’unico modo. –
Stringo
gli occhi e
la scruto, cercando di capire cosa vuole dire con tutte quelle parole
confuse
messe in fila …
Ma
ci arrivo solo
quando vedo che Damien sta tenendo qualcosa
–sembra un coltello, o un pugnale, ma non è
possibile, giusto?- sulla fiamma
che Lily ha sul palmo della mano.
Il
mio sguardo si
illumina in un lampo di comprensione, subito seguito da uno di terrore.
-No-,
riesco ad
ansimare in qualche modo, senza nemmeno essere certo di averlo detto
veramente
ad alta voce.
-Dovrò
riaprire la
ferita per farla spurgare e poi cauterizzarla, e … Dio, Jon,
mi dispiace, ma
non ho più nemmeno un antidolorifico.-
La
mia mente si
rifiuta di accettare quello che Charlotte mi sta dicendo.
Non
può volerlo
fare veramente … è roba da Medioevo!
-No-,
ripeto,
ringraziando che sia una sillaba sola perché non potrei
reggere di più, e il
mio tono è quasi implorante.
-Dobbiamo
farlo-, dice
per l’ennesima volta Charlie, disperata.
Sii
uomo, Jonathan. Mostra il tuo coraggio, se ne hai.
Mi
sembra di
sentire la voce di mio padre, ma questo è impossibile,
quindi non mi ci
concentro troppo.
O
questo, o la morte.
Più
convincente di
così.
Mi
arrendo e chiudo
gli occhi, facendo un minimo cenno di assenso.
Meglio
che faccia
in fretta, prima che io me ne penta.
Charlotte
sembra
pensare la stessa cosa, perché sento la lama gelida di un
coltellino sulla
ferita gonfia e dolorante. Stringo i denti mentre la sento riaprirsi.
Vorrei
urlare ma mi
conficco i denti nel labbro inferiore e taccio.
Non
dura molto,
questo, per fortuna, e dopo mi sento quasi meglio. La ferita si
è sgonfiata,
anche se ora sanguina di nuovo.
-Tienilo
fermo,
adesso, Blake.-
Sento
le mani forti
di Blake che mi afferrano e il mio stomaco si contrae per il
nervosismo. Vorrei
che non fosse tutto così strano e confuso per potermi
opporre. Non dovrei
accettare una cosa del genere … non dovrei davvero
…
Charlie
mi avvicina
un asciugamano alla bocca.
-Stringilo
coi
denti-, mi suggerisce.
Obbedisco
d’istinto.
-Ok,
credo che sia
pronto-, mormora Charlotte. La sua voce mi rivela che è
almeno tanto spaventata
quanto lo sono io.
Sento
una mano che
prende la mia, dev’essere Vanessa perché Charlie
sta lavorando e Lily tenendo
acceso il fuoco.
Vedo
ancora la lama
incandescente che si avvicina e poi chiudo gli occhi.
Il
dolore mi
colpisce come … non so descriverlo.
Si
propaga in tutto
il corpo in una frazione di secondo.
Inarco
la schiena,
tenuto fermo dalla presa solida di Blake, e mi esce un grido soffocato
dall’asciugamano. I miei occhi si riempiono di lacrime e li
serro per impedire
loro di uscire.
Mi
sembra che
mille, diecimila proiettili mi abbiano colpito contemporaneamente. Le
vertigini
mi soffocano e un’ondata di nausea mi scuote.
Il
dolore
all’addome è insopportabile. Spalanco gli occhi e
riesco a vedere Charlotte togliere
il coltello dalla ferita, e le lacrime sul suo viso –e poi,
il buio mi
soccorre, pietoso.
-Jonathan,
mi
senti? Svegliati. Jon?-
Apro
gli occhi,
riprendendo lentamente coscienza di esistere. Il dolore è
ancora abbastanza
forte da costringermi a piantarmi le unghie nei palmi delle mani per
non
gemere.
Charlotte
mi sta
guardando, preoccupata.
-Devi
bere qualcosa,
o ti disidraterai-, dice. Non mi chiede come sto e questo mi fa
piacere: non
voglio mentire né tantomeno dire la verità.
Mi
aiuta a sollevare
la testa e bevo quello che mi dà. Credo sia vino, o qualcosa
del genere, e il
gusto forte mi fa venire la nausea, ma mi sforzo di buttarlo
giù tutto.
-Hai
voglia di
mangiare qualcosa?-
Scuoto
appena la
testa. Ho la sensazione che vomiterei tutto subito. Charlie non insiste
e si
china per togliere le bende e scoprire la ferita.
-Bene-,
dice,
sollevata.
Provo
ad alzarmi un
po’ per guardare, ma una fitta di dolore mi fa cambiare idea
in fretta.
-Non
sanguina, non
è infetta ed ha un aspetto migliore-, annuncia.
–Presto il dolore inizierà a
diminuire.-
Annuisco
semplicemente, stanco.
-Jon
… -, mormora
dopo qualche secondo di silenzio. –Mi dispiace. So che
dev’essere stato
terribile … non avrei mai pensato di dover arrivare a farti
una cosa del
genere. Ma era l’unico modo, capisci? Volevo sapere di aver
fatto il possibile
per salvarti.-
-Lo
so-, rispondo,
la voce più fioca di quello che vorrei. –Grazie,
Charlie.-
-Come
fai a
ringraziarmi? Non riesco neanche ad immaginare quanto … -
-Mi
hai … salvato
la vita-, la interrompo. –Non potrò mai
… ringraziarti abbastanza.-
Charlotte
sorride
appena e si abbassa per baciarmi.
-Forse-,
dico dopo
qualche secondo, -Dovrei farmi sparare più spesso.-
-Stupido-,
mi
rimbrotta lei. –Riposati, adesso.-
Si
allontana e io
mi concedo un sorriso stanco prima di addormentarmi.
Tutto
è più chiaro
quando apro gli occhi di nuovo.
Sento
dei rumori
piuttosto violenti –tonfi e vetri rotti- ma cerco di
concentrarmi innanzitutto
su di me.
Sto
meglio. Certo,
l’addome mi manda ancora delle fitte lancinanti, ma il dolore
è ristretto alla
ferita e il mio cervello riesce ad elaborare pensieri lucidi.
La
porta si
spalanca mentre i rumori strani cessano, e Lily entra dentro come una
furia.
-Cosa
diavolo ti è
saltato in mente?-, ruggisce con un tono che mi fa accapponare la
pelle. Sono
lieto di non essere io l’oggetto del suo disappunto.
-Ma
non hai
capito?-, replica Blake, altrettanto arrabbiato. –Quei due
bastardi non ci
hanno lasciato alternativa!-
-Questo
non
significa che tu debba saltargli addosso!-
Blake
fa due passi
dentro la stanza.
-Che
succede?-,
domando a mezza voce.
Blake
e Lily si
girano di scatto. Probabilmente si erano dimenticati della mia
esistenza.
-Hanno
messo del
Propofol nell’acqua-, sibila Charlotte. –Quei due
… -, e aggiunge una parola
che si addice poco ad una ragazza.
-Che
sarebbe … ?-
-Un
anestetico. Lo
stesso che Vahel ha somministrato a Lily.-
-Quello
che toglie
i poteri?!-
-Esatto.-
-Ma
… tu avevi
detto che … -
Charlotte
fa un
gesto con la mano e taccio.
-Adesso
nessuno di noi può usare
i poteri-, dice
a voce alta.
Quando
Vanessa e
Damien entrano dietro di lei e chiudono la porta, Charlie abbassa la
voce.
-Loro
non sanno che
alcuni di noi sono immuni al Propofol. I loro poteri sicuramente
risiedono nel
cervello, e magari anche quelli dei loro vecchi compagni …
probabilmente non
hanno idea che Blake, Jon e Vanessa non hanno perso i poteri.-
-Questo
può giocare
a nostro favore-, dice Blake, pensieroso.
-Ma
cosa
vogliono?-, chiedo, stanco di non capire cosa stia succedendo.
-Attaccare
il
presidente.-
Il
mio sguardo
confuso dev’essere piuttosto evidente, perché
Charlie si affretta a riassumermi
tutto quello che mi sono perso.
Alla
fine ho gli
occhi spalancati.
-Insomma,
tra due
giorni il presidente sarà qui per commemorare una strage di
civili durante la
Seconda Guerra Mondiale. Vogliono ucciderlo.-
-E
vogliono che noi
li aiutiamo.-
-Ma
è assurdo-,
protesto debolmente.
-Dobbiamo
andarcene-, aggiunge Blake.
-Te
l’ho già detto,
Blake: Jon non può muoversi.-
-Potrebbe
trasformarsi-,
propone Damien. –In qualcosa di piccolo che possiamo portare
con noi.-
-Sì,
ma ciò non
toglie che sarà difficile.-
-Però
possiamo
provarci.-
-Dam,
praticamente
soltanto Blake e Vanessa possono usare i loro poteri. E, diciamocelo,
sarà
inutile … Non possiamo … -
Ma
Charlotte, gli
occhi vuoti per un istante, interrompe il discorso di Lily.
-Lo
faranno lo
stesso-, dice.
-Che
cosa?-
-Ci
proveranno lo
stesso-, mormora Charlie. –Non avranno più
un’occasione come questa, per cui
tenteranno comunque.-
-Non
ci
riusciranno, da soli. O lo avrebbero già fatto prima.-
-Noi
avremmo reso
tutto più facile, ma hanno avuto fortuna …
è stata solo una coincidenza il
fatto che questa occasione si sia presentata quando c’eravamo
noi.-
-Credi
che abbiano
una possibilità di riuscirci, da soli?-
Charlotte
esita.
-Ho
paura di sì.-
-E
questo cosa
vorrebbe dire?-
-Che
dobbiamo
impedirglielo-, replica Blake.
Cala
il silenzio.
-Ma
in questo
modo-, interviene Lily dopo lunghi secondi, -Il nostro piano di fuga
… -
-Forse
questa è la
nostra occasione. Forse possiamo dimostrare che non siamo dei mostri-,
dice
Blake.
-Non
credo che sia
una buona idea-, sospira Lily.
-Abbiamo
la
possibilità di salvare il presidente. Se non lo
facessimo,non pensi che avrebbe
ragione lui nel dire che, dopotutto, i nostri poteri non sono utili ma
… -
Lily
risponde a
tono e quei due ricominciano ad urlarsi contro.
Io
chiudo gli
occhi. Il dolore torna al centro della mia mente, e mi lascio scivolare
nuovamente nel sonno.
Voci,
opinioni e
pensieri spariscono, lasciandomi beatamente vuoto.
A
svegliarmi è
ancora Charlotte.
La
stanza è buia,
devono essere passate diverse ore.
-Jon,
ti va di
mangiare qualcosa?-, mi chiede.
Non
appena ci
penso, sento i morsi della fame attanagliarmi lo stomaco.
Annuisco
e, dopo avermi
aiutato a mettermi seduto, Charlie mi dà un piatto di qualcosa –ho talmente fame che
non tento neanche di capire che tipo
di cosa sia.
-Allora,
avete
deciso qualcosa?-, chiedo.
-Più
o meno.
Abbiamo deciso che resteremo qui e impediremo a Matt e Gwen di portare
a
termine il loro piano. Ma Lily non è d’accordo.-
-Siamo
senza
poteri?-
-Io,
Lily e Damien
sì. Matt e Gwen sono preoccupati. Dicono che i nostri poteri
potrebbero non
tornare in tempo per la cerimonia, e li ho sentiti litigare a questo
proposito.
Lei diceva che non avrebbero mai dovuto darci il Propofol, e lui che
altrimenti
saremo già fuggiti.- Alzò le spalle.
–In ogni caso, stiamo cercando di
organizzare un piano. Ma … quella roba
mi
ha abbassato il QI di almeno cento punti, credo. Non riesco a
concentrarmi, mi
sembra tutto così dannatamente confuso
… -
-Non
devi pensare
che sia tutta una tua responsabilità, Charlie.-
-Lo
so, ma in ogni
caso dobbiamo tirare fuori un’idea, in qualche modo.-
-Non
sarà
sufficiente rifiutarci di fare ciò che ci viene chiesto,
magari … all’ultimo
minuto?-
-Non
sarà affatto
così facile. Credo che prenderanno delle precauzioni per
assicurarsi che
eseguiamo gli ordini, ma … non riesco a pensare
alle possibilità. È così
frustrante!-
-Andrà
tutto bene.
Ce la caveremo.-
Charlie
annuisce,
ma è triste e combattuta, e lo vedo.
Vorrei
poter fare
qualcosa.
Mi
muovo per
abbracciarla, confortarla, qualsiasi cosa –ma una fitta di
dolore violento e
inaspettato mi colpisce l’addome.
Con
un gemito
ricado sui cuscini.
Dannazione.
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Capitolo 16 *** Caught ***
~caught~
[Blake]
Il
tempo corre sempre quando si vorrebbe
che rallentasse, e questa non è un’eccezione.
Il
giorno che Gwen e Matt stavano
aspettando da anni è arrivato, e, guarda caso, è
lo stesso giorno che noi
avremmo desiderato non arrivasse mai.
I
nostri poteri sono tornati.
Da
ore sentiamo i rombi dei motori di
decine di automobili con chissà quanti agenti che
controllano che il luogo sia
sicuro.
E,
alla fine, è arrivato anche lui.
Il
Presidente.
Matt
e Gwen ci hanno spinti fuori, fino
alla piazza gremita di gente, e ci hanno fatti arrivare in prima fila,
subito
dietro le transenne, esattamente di fronte al palco sul quale il
Presidente sta
per tenere il suo discorso.
Mi
guardo intorno.
Vanessa
è nervosa, le dita strette sulla
transenna, l’ansia che traspare da ogni poro.
Damien
sembra avere la testa altrove, forse
sta guardando qualcosa, o cercando
di
non farlo.
Lily
ha un’espressione seria e decisa,
combattiva.
Charlotte
pare concentrata al massimo: quel
medicinale ha abbassato il suo QI temporaneamente e lei sta cercando di
combatterlo per capire ogni aspetto della situazione.
Jonathan
è estremamente pallido, appoggiato
alla transenna, e ogni tanto porta le mani alla ferita tentando di non
darlo a
vedere.
Gwen
e Matt si tengono per mano, gli occhi
esaltati fissi sul Presidente.
Ci
hanno spiegato esattamente cosa fare,
quando farlo e, soprattutto, cosa succederebbe se non lo facessimo.
D’altra
parte, dopo la discussione
dell’altro giorno abbiamo preso la nostra decisione
definitiva al riguardo.
Perciò
lancio un’occhiata a Vanessa, che
annuisce impercettibilmente. Nel momento stesso in cui il presidente
sale sul
palco, e tutti gli occhi sono puntati su di lui, lei scompare.
Questo
rientra nel piano di Matt e Gwen,
che si guardano soddisfatti.
Ieri
abbiamo avuto anche il piacere di
scoprire i loro poteri.
Gwen
riesce a creare scudi difensivi,
mentre Matt materializza per breve tempo degli oggetti.
-Signori
e signore-, esordisce il
presidente, -È un onore e un onere essere qui oggi. Un onere
perché ciò che
ricordiamo è un avvenimento tragico, che condusse molti
cittadini americani ad
una morte orribile. Ma è anche un onore perché
tutti noi sappiamo che è stato
grazie a queste vittime, questi eroi,
che la nostra patria è diventata ciò che
è oggi. Un Paese forte, libero e
giusto.-
Applausi.
All’improvviso,
vedo la transenna spostarsi
leggermente. Da sola, all’apparenza.
Questo
fa sì che io riceva un colpo sulla
spalla da Matt, il segnale che devo agire.
So
che sto per fare una cosa che mi
procurerà dei guai. Ne sono perfettamente consapevole,ma
spero che quello che
verrà dopo annullerà questa azione.
-È
grazie a queste migliaia di uomini se
noi siamo qui oggi, consapevoli di essere una vera nazione.
Questi eroi erano figli, fratelli, padri di famiglia, e il
loro sacrificio non è stato dimenticato. Il rosso della
nostra bandiera è tinto
del sangue che hanno versato per la patria.-
Stringo
i denti e faccio mezzo passo in
avanti. Allungo le braccia e punto i palmi delle mani contro due
guardie, una
per lato.
E
le colpisco.
La
gente impiega un paio di secondi per
capire –abbastanza perché io getti a terra altri
due agenti.
Poi,
il disastro comincia.
La
gente urla e indietreggia. Gwen si
affianca a me ed erige uno scudo per proteggermi dai proiettili che
iniziano a
venire sparati. Abbatto gli agenti uno ad uno, finché non
rimangono che le
guardie del corpo del presidente.
Con
la coda dell’occhio vedo Matt che
materializza una pistola e si avvicina a loro.
Gwen
mi toglie lo scudo e segue Matt. Le
urla della gente mi arrivano ovattate alle orecchie.
Lily,
seguendo il loro piano, erige un muro
di fuoco per tenere i civili lontani.
Matt
raggiunge le quattro guardie rimaste,
che iniziano a sparargli contro –ma i loro proiettili
rimbalzano sullo scudo
invisibile. Giunge indisturbato fino alle due di fronte al presidente.
Mi
fa un cenno e io mi costringo a colpirle
entrambe. Le due rimanenti le seguono a breve.
-Molto
bene. Siamo rimasti solo noi, eh?-,
dice con arroganza Matt al presidente.
Questi,
pur spaventato, mantiene la testa
alta e non replica.
Allora
Matt solleva la pistola e gliela
punta alla fronte.
Gwen
è concentrata sul suo scudo.
Non
posso colpire nessuno dei due, dato che
sono protetti, ma Charlotte mi aveva preparato a questa evenienza.
Faccio
un cenno a Jonathan.
Abbiamo
discusso a lungo se fosse il caso
di farlo intervenire, ma non abbiamo trovato altre soluzioni.
Si
trasforma in qualcosa di molto piccolo:
non riesco più a vederlo.
E
succede tutto in un attimo.
Matt
preme il grilletto.
Gwen
abbassa lo scudo per permettere al
proiettile di uscire.
Vanessa,
invisibile, afferra il presidente
e lo butta a terra.
Jonathan
si trasforma in una tigre e
azzanna la caviglia di Gwen, che finisce a terra con un grido di dolore.
Io
approfitto della sua distrazione per
colpire Matt, che però evita il mio colpo e comincia a
sparare.
Non
trovo soluzione migliore che ripararmi
al lato del palco, abbassandomi. Sento i proiettili conficcarsi nel
legno.
Avvertendo
una pausa –probabilmente Matt
sta ricaricando l’arma, o materializzandone una nuova- mi
sporgo appena per
lanciare un raggio di energia.
Inutilmente:
è sparito.
Mi
guardo intorno.
Lily
sta spegnendo il muro di fuoco: ormai
la gente è fuggita, e i poliziotti non sono ancora arrivati.
-Attento
a destra, Blake!-, mi urla
all’improvviso Damien.
Mi
volto di scatto, ma non vedo nessuno.
Per un paio di secondi.
Poi
Matt sbuca fuori da una colonna e punta
la pistola.
Siamo
uno di fronte all’altro: non c’è modo
per ripararmi. Indietreggio e vedo la sua risata maligna.
-È
inutile!-, urla, premendo il grilletto.
Nello
stesso momento, sento qualcosa che mi
fa perdere l’equilibrio e mi getta a terra.
È
Jonathan.
Matt
riprende a sparare, furioso, ma lui
diventa di nuovo minuscolo e Matt lo perde di vista.
Nel
frattempo, aggiro il palco e mi rifugio
dall’altra parte, il cuore che batte a mille. Lily
è accanto al presidente,
decisa a difenderlo da Matt, e Vanessa e Charlotte stanno tenendo a
bada Gwen.
Un
urlo di dolore attraversa la piazza, e
spero con tutto il cuore che sia Matt. Mi allungo appena per vedere la
scena,
cauto.
Jonathan,
nuovamente come tigre, sovrasta
Matt, a terra supino.
Mi
sento incredibilmente sollevato, ma non
dura a lungo.
-Dì
al tuo amico di allontanarsi, Blake.-
Un
brivido gelido mi attraversa mentre
sento il clic della sicura di una
pistola che viene tolta, e la canna che si appoggia sulla mia nuca. Ma
non è
questo a togliermi il fiato, bensì la voce.
Una
voce fredda, decisa, che riconosco
immediatamente.
Ivan
Vahel.
Mi
alzo con cautela, senza voltarmi.
-Jon-,
chiamo a voce alta.
La
tigre si gira verso di me e si
irrigidisce nel vedere la scena. Un ringhio basso esce dalle lunghe
zanne
scoperte.
Una
decina di agenti armati entrano nella
piazza.
-Mani
in alto, tutti quanti-, intima Vahel,
nella voce un tono soddisfatto.
Siamo
tutti sotto tiro.
Lily,
Charlotte, Vanessa e Damien alzano le
mani lentamente, e Jonathan, dopo essere tornato umano, fa lo stesso.
Mi
costringo ad imitarli.
Un
agente prende il posto di Vahel dietro
di me, la pistola puntata, e lui raggiunge il presidente accanto a Lily.
Con
una mano lo aiuta ad alzarsi.
-Signore,
li abbiamo finalmente catturati.
Sono desolato che lei abbia dovuto rischiare così tanto.-
-Erano
sotto il suo controllo, Vahel.
Pensavo che li teneste sotto controllo.-
-La
situazione ci è sfuggita di mano.-
-Fate
sì che non ricapiti.-
-Non
succederà.-
-Ora
che ci penso, ormai sono qui. Sarebbe
un peccato rinchiuderli di nuovo, non crede?-
Vahel
non replica.
-Li
porteremo all’Area 51-, decide il
presidente.
Sussulto
istintivamente.
Maledizione.
Ecco
che si avvera quello che avevamo
sempre temuto.
Verremo
studiati come interessanti
esperimenti scientifici, esaminati e messi alla prova per testare le
nostre
capacità e magari scoprire l’origine dei nostri
poteri. E alla fine, se verrà
ritenuto opportuno, saremo discretamente eliminati in quanto
“potenziale
minaccia”. Nemmeno più tanto
“potenziale”, a dire il vero, dopo ciò
che è
successo oggi.
Certo,
potremmo raccontare che Matt e Gwen
ci hanno costretti ad attaccare e noi abbiamo sventato il loro piano.
Ma chi ci
crederebbe? Il presidente, alla cui vita abbiamo attentato? O Vahel,
sotto il
naso del quale siamo scappati? O magari quegli scienziati interessati
solamente
ai nostri geni e a non farci scappare dalle loro avide grinfie?
Come
no.
-Per
nostra fortuna-, sta dicendo Vahel
quando ricomincio ad ascoltare, -Ho trovato una sostanza che
è più efficace del
Propofol per arginare temporaneamente i poteri.-
Con
un cenno, fa portare da un agente una
valigetta. La apre e ne estrae una fiala colma di un liquido biancastro.
-Pentothal-,
dice. –Contrariamente
all’opinione comune, non è un siero
della
verità, ma un anestetico utilizzato qualche anno
fa, prima della diffusione
del Propofol. Certo, è più pesante, e ha maggior
effetti collaterali, ma il
risultato è migliore. Agisce su tutti
i
poteri.-
Prende
una siringa, la riempie di liquido e
mi si avvicina. Rapidamente, mi inietta in vena tutta la siringa. Per
qualche
minuto, mentre Vahel si dirige verso gli altri, non sento
nient’altro che il
leggero fastidio dovuto all’iniezione. Ma ben presto gli effetti collaterali iniziano a farsi
sentire. Una nausea violenta
mi assale, unita ad un forte senso di stordimento che fa sì
che non mi opponga
minimamente quando vengo trascinato verso un furgoncino blindato.
Faccio appena
caso alle parole di Vahel.
-Quei
due ci hanno dato fin troppi
problemi. Non ne valgono la pena, mi creda, signor presidente. Sono
stati loro
ad organizzare il tutto.-
Quindi
lo
sa.
Il
suono distinto di colpi di pistola si
sovrappone alle urla di Matt e Gwen.
Questo,
unito all’effetto del Pentothal, mi
costringe a chinarmi e a vomitare. E non sono l’unico.
Impietosi,
gli agenti ci strattonano fino
al cellulare e lo chiudono.
Partiamo
subito.
Sento
che la mia vita precedente, e la mia
libertà, la mia felicità, sono rimaste chiuse
fuori da quelle porte, e
potrebbero non trovare più il modo di rientrare.
|
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Capitolo 17 *** Prisoners ***
~prisoners~
*premetto
che questo è un capitolo puramente di passaggio,
perciò non succede nulla di
particolarmente essenziale, ma era necessario per introdurre i
prossimi.*
[Damien]
Faccio
fatica a tenere gli occhi aperti.
Siamo
nel blindato da poco più di venti
minuti e già mi manca l’aria.
Non
che gli altri siano messi meglio.
Sembra
che questa sostanza che ci hanno
iniettato non annulli i nostri poteri, ma li renda incontrollabili.
Le
visioni mi bombardano la mente ininterrottamente,
in un modo che non ho mai sperimentato prima se non durante la
disintossicazione.
Vanessa,
accanto a me, mi stringe la mano.
Continua a sparire e ricomparire, pallida e nervosa.
Le
mani di Blake sembrano andate in corto
circuito: emettono sfrigolii e lampi.
Non
parliamo poi di Lily, che ha scatenato
senza volerlo un vento forte che ci ha quasi fatti finire fuori strada,
e i cui
capelli adesso prendono fuoco ogni due o tre minuti.
Jonathan
cambia forma rapidamente, passando
da umano a topo, a tigre, a cane e di nuovo a umano, completamente
passivo.
Charlie
ha le mani premute sulla testa, gli
occhi stretti, dilaniata da attacchi improvvisi di emicrania acuta.
Io
continuo a vedere immagini
sconclusionate, ma riguardano un solo soggetto.
L’Area
51.
Flash
di volti, macchine, fili, computer mi
sfrecciano nella mente, incontrollabili.
Il
mio cervello sembra essere andato in
sovraccarico. Non appena posso, mi lascio cogliere da un sonno teso e
altalenante, ma che almeno mi concede temporaneo sollievo.
Mi
risveglio quando ci fermiamo. Mi muovo
lentamente, cauto, ma gli effetti del farmaco sembrano svaniti.
Provo ad
indagare nella mia mente, ma non c’è quasi traccia
delle visioni, se non
qualcuna, fugace e sfuggente.
Gli
effetti collaterali sono finiti,
quindi, ma l’azione del Pentothal è appena
cominciata.
Ci
fanno scendere in un garage scuro che
sembra più che altro un hangar, e da lì ci
guidano attraverso lunghi corridoi
sotterranei fino ad una porta metallica identica alle altre.
Ci
fanno entrare tutti.
-Resterete
qui fino a che i vostri poteri
non torneranno-, veniamo informati.
La
porta si chiude con uno scatto e
restiamo soli.
Le
pareti della stanza sono di metallo
chiaro. Non ci sono finestre e la porta è perfettamente
mimetizzata con la
parete. L’unica luce proviene da un neon sul soffitto.
Quattro
telecamere ci osservano dai quattro
angoli del soffitto.
Il
silenzio è assordante: non solo intorno
a me, ma anche nella mia testa. Era da un po’ che non lo
provavo, o almeno non
così totale e completo: il metodo olistico di Charlotte
isolava le visioni,
certo, ma rimanevano sempre alla mia portata, e bastava pensarci per
farle
tornare. In quanto al Propofol, più che eliminarle mi
impediva di afferrarle:
c’erano sempre, ma erano sfocate, non dettagliate,
incomprensibili. Solo le
pastiglie di Vahel avevano ricreato questa situazione di calma assoluta
…
tranne che per il fatto che adesso sono del tutto irraggiungibili.
Vorrei poter
dire che è spiacevole, ma è l’esatto
contrario.
-Allora-,
esordisce Blake, sfregandosi le
mani sulla fronte aggrottata.
Lo
guardiamo senza proferire una parola, e
mi accorgo di come continuiamo inconsciamente a considerarlo il nostro
leader.
È sempre stato così.
-Siamo
finiti in una situazione
disastrosa-, riepiloga Blake, come se ce ne fosse bisogno.
Silenzio.
-È
tutto qui quello che sai dire, Blake?-,
interviene Lily, acida. –“Siamo
finiti in
una situazione disastrosa”?-
-Cosa
vorresti che dicessi?-
-Non
lo so, ad esempio “avevi ragione,
scappare era un’idea stupida”, oppure
“vorrei che ti avessimo dato retta,
Lily”!-
-E
cambierebbe qualcosa?-, sbuffa Blake in
tono gelido.
-No,
ma mi darebbe soddisfazione.-
Il
silenzio cade di nuovo, pesante. Alla
fine Blake sospira.
-Charlotte?-,
chiede, quasi implorante.
Lei,
seduta sul pavimento di metallo,
scuote la testa.
-Se
solo riuscissi a pensare-, mormora.
–Ma ho la mente completamente
vuota.-
-D’accordo.
L’importante è restare calmi.
Dobbiamo capire cosa vogliono da noi.-
-Non
è così difficile-, intervengo.
–Vogliono studiarci, capire l’origine dei nostri
poteri, come estenderli, come
arginarli, come toglierceli … o come sfruttarli a loro
vantaggio.-
-E
possono farlo senza il nostro consenso?-
Ci
voltiamo verso Charlie, che sembra
faticare molto solo per rispondere con un semplice:
-Probabilmente.-
-Beh,
in questo caso … dovremmo organizzare
un piano.-
La
risata tetra di Lily riecheggia nella
stanza.
-Sarebbe
già il terzo. Vuoi ricordarmi
quanti hanno funzionato?-
-Hai
un’idea migliore, Lily? Perché se è
così, giuro che potrai continuare a criticare questa
finché vorrai.-
Ma
Lily si limita ad alzare le spalle.
-D’accordo.
Charlotte, hai qualche idea?-
Lei
stringe gli occhi.
-L’hai
preso anche tu, il Pentothal, o mi
sbaglio? Il mio potere funziona tanto quanto il tuo, Blake, quindi
smettila di
fare riferimento a me!-
-Non
è il caso di prendersela, Charlie.-
-Invece
me la prendo finché voglio,
maledizione! Non posso sempre essere io a tirarvi fuori dai guai!-
Il
commento, acido, mi sfugge di bocca
prima che io possa pensarci razionalmente:
-Veramente
il più delle volte hai solo
peggiorato la situazione.-
-Vaffanculo,
Damien-, ringhia Charlotte.
La
piccola, delicata, dolce Charlotte.
Credo
che questa sia la prima imprecazione
che sento uscire dalla sua bocca, ed è dedicata a me. Dovrei
sentirmi onorato,
ma riesco solo a reagire male.
-Dopo
di te, stronza.-
-Damien!-,
sbotta Vanessa, mollandomi una
gomitata nelle costole.
-E
tu fatti gli affari tuoi, Ness. Nessuno
ti ha chiesto di intervenire.-
-Forse
è il caso che tu ti dia una calmata,
Dam-, dice Jonathan, serio.
Mi
scaglio a parole contro Jon, e un grande
casino si diffonde rapidamente nella stanza.
-Adesso
basta!-, urla Blake, talmente
feroce da farci tacere tutti. –Avete finito? Bene,
perché ci stiamo comportando
da ragazzini.-
-Tira
fuori tu un’idea, allora, Blake!-
-Abbiamo
tutti le stesse responsabilità,
Lily, e anche lo stesso obiettivo. Litigare non ci aiuterà
in alcun modo.
Voglio che ognuno pensi a cosa fare per conto suo, e dopo, quando ci
saremo
calmati, ne discuteremo insieme come persone
civili. Se già credono che siamo dei mostri,
questo spettacolo non farà
certo cambiare loro idea. Ci sono obiezioni?- Nessuna risposta.
–Bene. Adesso
pensate. In silenzio.-
Lily
gli fa il verso (“in silenzio!”), ma
solo muovendo le labbra: nemmeno lei osa obiettare.
Perché
sappiamo che ha ragione.
E
allora chiudo la bocca e metto in moto il
cervello.
Prima
che riusciamo a confrontarci, però,
la porta si apre e veniamo fatti uscire. Un uomo alto e magro, con
corti
capelli scuri, ci guida in un ennesimo corridoio. Indossa un camice
bianco con
un tesserino di riconoscimento, e questo mi permette di scoprire che il
suo
nome è David Ritch.
-Io
sono il professor Ritch, direttore
della sezione Mutanti dell’Area 51-, si presenta, la voce
fredda e dura.
Mutanti?
Cos’è,
siamo finiti in un film di X-Men?
Mi
sfugge un mezzo sbuffo e mi guadagno un’occhiataccia da parte
del professore.
-Il
nostro scopo è individuare le origini e
le potenzialità dei vostri poteri. Non abbiamo dunque
intenzione di farvi alcun
male, se collaborerete.-
L’ultima
specificazione non mi stupisce ma
mi inquieta. Ritch mi ricorda Vahel in molti sensi.
-L’azione
del Pentothal durerà
probabilmente ancora qualche ora. Non lo sappiamo di certo
perché non abbiamo
mai avuto la possibilità di testarlo su mutanti, ovviamente,
ma … -
-Mutanti?-,
dico, esprimendo a voce alta il pensiero di tutti.
-Esatto,
mutanti. Questa è il nome che
usiamo per definirvi. Ne avete di migliori, forse?-
Restiamo
zitti, anche se “supereroi” non
guasterebbe e vorrei farglielo notare. Insomma, d’altra parte
sembra già di
trovarsi in un pessimo fumetto, cosa potrebbe mai cambiare?
-Durante
il periodo in cui resterete qui,
verrete ospitati in sei camere separate. Sono state costruite
appositamente,
adattate al vostro potere. Quella della signorina Evans, ad esempio,
è dotata
di un sensore di calore e di movimento che rileva la sua posizione
anche se è
invisibile.
Quella
del signor Grey è fatta interamente
di plastica, un materiale isolante, immune alle scariche elettriche.
Quella
del signor Bailey non è dotata di
alcun tipo di apertura che permetta a qualunque animale, anche il
più piccolo,
di uscire: l’aria è immessa attraverso fori
minuscoli che si aprono solo ad
intervalli irregolari e per pochi millesimi di secondo. In
più, è
antisfondamento, in acciaio –nemmeno un elefante potrebbe
uscire.
Quella
della signorina Bennett è in un
materiale isolante termico, immune al caldo e al freddo, e situata su
uno
strato di acciaio che rende impossibile l’uscita tramite
scavi nella terra.
Quella
della signorina Miller non ha
serratura, né codici di accesso, ma si apre solo tramite
scansione della retina
di una guardia –ogni giorno una diversa, ovviamente, con
ritmo casuale.
E
quella del signor Knight viene aperta
solo ad intervalli casuali e decisi all’ultimissimo secondo,
per impedire ogni
previsione.-
Restiamo
in silenzio per qualche secondo,
assimilando le informazioni. Riesco a vedere il volto teso di
Charlotte, che
tenta di immagazzinare tutto e di elaborare un piano, una teoria,
qualunque
cosa, senza riuscire a superare le barriere che il Pentothal le ha
posto nel
cervello.
-Perché
invece di dire stanze non dice celle?-,
commenta sarcastico Blake, ma
il professor Ritch non dà peso alla sua domanda.
Fa
cenno alle guardie di scortarci nelle
varie celle. La mia è quasi banale, se penso a quanto devono
essere sofisticate
quelle degli altri. Una semplice camera, d’acciaio come tutto
il resto in
questo posto, con una porta che si apre semplicemente con una chiave.
Hanno
pensato a tutto –se si fosse aperta a combinazione avrei
potuto in qualche modo
prevederla, forse. Comunque, l’arredamento consiste in un
normalissimo letto,
una piccola cassettiera e una porta che immagino conduca al bagno.
Delizioso.
Mi
siedo sul letto e mi premo le mani sulla
testa. Sento che le visioni ricominciano ad affiorare, e non
è per niente
piacevole.
Respiro
profondamente più volte.
Visualizza
la tua porta … la porta … chiudila ermeticamente
… non possono uscire, ora …
non possono ferirti …
Le
parole di Charlotte mi rimbalzano nella
mente, ma ben presto mi irrito e scatto in piedi, nervoso.
Ho
bisogno di … non so neanche io che cosa.
Di un abbraccio, forse. Dopo la disintossicazione –sembrano
passati anni-
Vanessa è distante. O magari sono io ad essermi allontanato.
Ho avuto paura di
aver rivelato troppo, in quelle ore allucinanti: tutta la mia
debolezza, la mia
fragilità, la mia netta inferiorità nella guerra
eterna che si combatte da
sempre nella mia mente. Avevo bisogno di tornare presente a me stesso,
di
ricostruire la mia identità, di imparare a gestire la mia
maledizione.
Ma
adesso mi rendo conto di quanto sia
stato inutile.
Vanessa
è una parte essenziale di me: per
riacquistare la consapevolezza di chi sono ho bisogno di lei.
Che
adesso è così lontana.
Come
tutte le persone a cui tengo.
Mia
madre, mio padre, mia sorella, Arthur,
Vanessa, i miei compagni.
Irraggiungibili.
Buffo.
Arthur, da quanto non ci penso!
E
non ha senso farlo ora.
Sospiro
e mi corico, tentando di
rilassarmi.
Visualizza
la porta.
Ignora
le visioni.
Non
possono toccarti, ti scorrono solo accanto.
Chiudile
nella stanza.
Impedisci
loro di uscire.
Dimenticale,
e loro dimenticheranno te.
La
meditazione diventa sonno senza che io
me ne accorga, e finalmente dormo.
|
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Capitolo 18 *** Betrayal ***
~betrayal~
[Vanessa]
Sono
seduta di fronte al professor Ritch in
un laboratorio freddo, asettico, che mi ricorda in modo inquietante
quello di
Vahel al Queen Victoria’s. Il desiderio di sparire per
sfuggire al suo sguardo
penetrante è forte, ma so che sarebbe infantile e,
soprattutto, inutile. Ci
sono sensori di calore che percepirebbero la presenza.
Il
professore tamburella le dita sulla
scrivania d’acciaio.
-Allora,
Vanessa-, esordisce.
Tento
di produrre un’espressione decisa, ma
temo che il risultato non sia affatto convincente.
-Ci
sono un paio di cose che vorrei
sapere.-
Socchiudo
gli occhi. Non mi fido e ho
paura.
-Da
dove vengono i tuoi poteri?-
-Non
lo so. –
-Quando
sei diventata invisibile per la
prima volta?-
-Non
ricordo. Da bambina.-
-Come
funziona il meccanismo
dell’invisibilità?-
-Non
lo so.-
-Cosa
fai quando vuoi scomparire?-
-Niente.
Ci penso e succede, tutto qui.-
La
sfilza di domande martellanti mi
confonde e mi mette ancor più sulla difensiva, soprattutto
considerato il fatto
che il professor Ritch non sembra credermi.
-Cos’è
successo tre anni fa?-
L’ultima
domanda mi coglie alla sprovvista.
Spalanco gli occhi e li punto sul professore.
-Di
cosa sta parlando?-
-Del
vostro ex compagno di scuola, Arthur
Mackenzie.-
Oh.
Il
sangue mi si gela nelle vene. Da tanto
tempo non sentivo pronunciare quel nome, e adesso mi provoca un brivido.
-Io
non … cosa vuole sapere?-
-È
scappato, giusto?-
Stringo
le mani tra di loro con forza.
-Non
mi pare sia un segreto.-
-Non
lo è. Ma dov’è andato?-
-Non
ne ho idea-, rispondo.
Troppo
velocemente, lo so.
E
infatti vedo una luce diversa, famelica,
brillare nello sguardo dell’uomo.
-Dove
si trova, Vanessa?-
Il
mio cuore accelera.
Perché
questo? Perché ora?
[Blake]
Il
professore mi guarda in silenzio, e io
ricambio lo sguardo. I miei poteri sono tornati da poco, riesco a
sentire
l’energia elettrica presente nella stanza e so che potrei
sfruttarla per farlo
saltare in aria. Ma sono certo che abbia mille protezioni.
Inizia
a farmi domande tranquille, alla
maggior parte delle quali non so rispondere, riguardo
all’origine dei miei
poteri e cose del genere. No, non sono stato morso da un ragno
radioattivo,
professore: la cosa la turba?
La
mia soglia dell’attenzione però riceve
una brusca scrollata nell’udire un nome.
-Cos’è
successo ad Arthur Mackenzie?-
Mi
irrigidisco, e nella mia mente lampeggia
un segnale di allarme.
Territorio
proibito.
-È
scappato-, dico soltanto.
Tanto
già lo sa, o non lo nominerebbe.
-Qual
era il suo potere, Blake?-
Sono
sicuro che sappia anche questo, per la
stessa ragione di prima.
-Lui
… ne aveva più di uno.- Ritch aspetta
in silenzio, squadrandomi. –Poteva teletrasportarsi, e
passare attraverso i
muri … ed era invulnerabile.-
Ritch
sorride senza alcuna traccia di
stupore.
-E
come mai è scappato?-
Alzo
le spalle.
-Come
ha fatto?-
Silenzio.
-Dov’è
andato?-
Non
rispondo. Non devo parlare, ho fatto un
giuramento.
Sono
passati tanti anni, ma questo non
cambia nulla.
Ritch
si alza in piedi e attraversa il
laboratorio, per poi farmi cenno di seguirlo. Obbedisco, esitante.
-Guarda
questa, Blake. La riconosci?-
Mi
mordo il labbro con forza. Davanti a me
c’è una sedia metallica simile a quella del
laboratorio di Vahel a scuola.
-Direi
di sì, la riconosci benissimo. Ho
delle domande, Blake, ed esigo delle risposte … in un modo o
nell’altro.-
[Lily]
Le
domande sono inutili, stupide, e
rispondo “non so” a tutte quelle a cui questa
risposta può essere applicata.
Sono
stanca, preoccupata, nervosa,
arrabbiata.
Continuo
a giocherellare in automatico con
una fiammella, passandola da una mano all’altra senza sosta.
Basta.
Mi
sento soffocare qui dentro, l’aria
sembra rarefatta. Ma ho timore a provocare un soffio di vento, con
tutte le
precauzioni che ha preso Ritch.
-Cosa
mi sai dire di Arthur Mackenzie,
Lily?-
No.
Sussulto.
-Cosa?-,
dico, istupidita.
-Arthur
Mackenzie, il vostro ex compagno
che è scappato tre anni fa dalla scuola.-
-Niente-,
ringhio, e mi alzo in piedi.
-Ehi,
ferma. Dove stai andando?-
-Via
da qui.-
-Avanti,
Lily, sai bene che le guardie ti
riporterebbero qui in un secondo. Risparmiamoci questa scenetta
spiacevole, per
favore. Voglio solo sapere cos’è successo.-
-L’ha
detto lei, è scappato. Questo è
tutto.-
-Perché?-
-Non
lo so. La scuola, i professori, i
compagni, non ne ho idea.-
-Dov’è
andato?-
La
mia mente è completamente sottosopra.
Avevo inconsciamente rimosso il ricordo di Arthur dalla mia mente per
rendere
tutto più facile.
-Non
lo so.-
-Stai
mentendo.-
-Non
è vero.-
-Avanti,
Lily. È solo un’informazione. Cosa
ti costa?-
-Non
lo so. Non ho altro da dire.-
-Io
non la penso così.-
Mi
sento fremere dall’irritazione. Spengo
la fiammella che ho in mano per evitare di provocare un incendio per
sbaglio
–non gioverebbe a nessuno, tantomeno a me.
Non
posso parlare. Lo vorrei? Forse. Ma ho
giurato che sarei stata zitta, e i giuramenti vanno rispettati.
-Pensi
quello che vuole, non so nulla.-
-Coraggio
… -
Per
quanto ancora andrà avanti così?
[Damien]
Le
visioni sono tornate, e sto cercando di
concentrarmi al massimo per arginarle dietro alla porta, ma non
è facile perché
sto combattendo contemporaneamente su due fronti.
Da
una parte loro, dall’altra le domande
tartassanti del professor Ritch.
Su
un argomento estremamente scottante, per
di più.
-Non
so nulla-, ribadisco, guardandolo
storto.
È
una combinazione inquietante che io abbia
pensato ad Arthur solo ieri dopo anni di forzata dimenticanza.
La
sua fuga non era stata uno shock per
tutti. Noi sapevamo del suo piano, naturalmente, e delle sue
motivazioni.
Arthur, più di noi, era uno spirito libero. Non sopportava
essere messo in
gabbia: aveva odiato la scuola sin da quando vi era entrato,
controvoglia, per
volere dei suoi. Il preside Hermann sapeva benissimo che lui era il
più dotato
tra di noi, e per questo lo controllava maggiormente, sperando di
impedirgli di
fare cose stupide. Ma ha ottenuto l’effetto opposto.
Dopo
una serie di stupide circostanze è
scappato, eludendo semplicemente ogni cancello e ogni allarme. Il fatto
che
Ritch chieda come abbia fatto a scappare è stupido, per il
semplice fatto che
lui poteva teletrasportarsi. L’avrebbe certamente fatto
prima, se a trattenerlo
non fosse stato qualcosa.
Era
il mio migliore amico.
Voglio
bene a Blake, e Jonathan è
fantastico, ma Arthur era uno spirito affine –desideroso di
libertà, e
costretto a sottostare a limiti che non voleva. Era l’unico
che capiva il mio
senso di soffocamento dovuto alle visioni che mi bombardavano
ininterrottamente
il cervello.
Sono
tre anni che non lo vedo.
-Dov’è
andato, Damien?-
Come
se non lo sapessi. Mi aveva descritto il
suo piano di viaggio nei minimi particolari, incluso il nome fittizio
dietro il
quale si sarebbe nascosto.
-Non
lo so.-
-Menti.-
Non
posso parlare, anche se il dolore
causato dal suo abbandono torna forte e violento come allora solo a
pensarci.
Non
posso parlare, anche se lo odio per
avermi lasciato prigioniero per
cercare la sua strada.
[Charlotte]
-Te
lo ricordi, Charlotte?-
Certo
che me lo ricordo, dannazione.
Ora
le mie facoltà intellettive sono
tornate, ma il desiderio di imprecare non è ancora svanito.
Potrebbe essere un
effetto collaterale del Pentothal, o solo rabbia repressa.
Perché
quel nome mi dice tanto.
Arthur
Mackenzie, lo studente più dotato
che il Queen Victoria’s abbia mai avuto.
Al
diavolo.
Lo
ricordo fin troppo bene, con quegli
occhi dolci da bravo ragazzo.
Io
l’ho sempre mal sopportato, per non dire
detestato a morte.
Era
il migliore amico di Damien, e poi c’è
stata tutta quella storia di Lily e Vanessa … ma comunque
odiavo la sua
arroganza, presunzione, superbia.
E
la sua totale indifferenza nei miei confronti.
Poi,
quel piano così stupido
che però è naturalmente riuscito.
Cioè, non si può nemmeno
chiamare piano teletrasportarsi
lontano.
Ma
lui, il nostro golden boy, non
poteva non riuscirci.
Sono
quasi tentata di parlare.
-Non
lo so.-
Invece
non lo faccio. Potrà essere odioso,
ma so cosa succederebbe se lo prendessero.
-Charlotte,
cara … -, il tono di Ritch è
mellifluo, e ritengo opportuno frenarlo immediatamente.
-Primo:
non mi chiami cara. Secondo: se
vuole rivolgersi a me, pretendo rispetto. Sono
pronta a scommettere che ho più lauree di lei. Terzo: se le
dico che non lo so,
è questo che intendo.-
Mi
fissa, forse cercando di capire se sto
scherzando. Poi si alza e mi si avvicina. Mi alzo d’istinto,
facendo un passo
indietro, ma lui è più rapido. Mi afferra un
braccio e me lo torce dietro la
schiena.
Ansimo
per il dolore.
-Ragazzina-,
dice, gelido, -Forse non hai
ancora capito con chi hai a che fare.-
[Jonathan]
Mentre
il professore mi assilla con domande
su Arthur, cerco di respirare profondamente. Il dolore
all’addome non ha ancora
smesso di torturarmi: ogni volta che mi piego la ferita mi lancia delle
fitte
terribili. Non si è più riaperta né
infettata, per fortuna: non credo che avrei
retto due volte l’operazione che ha fatto Charlie. Ci
appoggio una mano e premo
leggermente, tentando di contrastare il male.
Poi
alzo lo sguardo e incontro quello di
Ritch.
-Non
so nulla-, sibilo a denti stretti.
-Sono
pronto a scommettere di sì, invece.-
Non
mi interessa. Arthur mi è sempre stato
piuttosto indifferente. Era amico soprattutto di Damien, Lily e
Vanessa: con me
i rapporti sono sempre stati abbastanza freddi –anche se non
al livello di
quelli con Charlotte, che detestava proprio.
Però
ho giurato. Beh, ci sono stato più o
meno costretto, diciamo –ci ha rivelato cosa avrebbe fatto,
ci ha chiesto di
coprirlo per il maggior tempo possibile e ci ha fatto giurare che non
avremmo
mai detto a nessuno la sua destinazione finale. Tra l’altro,
potrebbe essersene
andato da tempo: in tre anni possono succedere molte cose.
-Le
ripeto che non lo so.-
Sospiro
mentre Ritch continua, pressante.
Potrei
parlare soltanto per fargli chiudere
la bocca.
[Blake]
Ritch
ci somministra di nuovo il Pentothal,
poi, dopo i primi minuti di dolorosi effetti collaterali, ci riunisce
tutti
nella stessa stanza.
-Bene,
ragazzi-, esordisce con un mezzo
sorriso. –Sarete lieti di sapere che ho finalmente scoperto dove è fuggito Arthur
Mackenzie. E
questo-, prosegue osservandoci ad uno ad uno, -Grazie ad uno di voi.-
Gli
occhi spalancati, mi giro verso gli
altri.
Vedo
solo espressioni stupefatte come la
mia.
Qualcuno
ha tradito il giuramento.
|
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Capitolo 19 *** If today was your last day ***
~IF TODAY WAS YOUR
LAST DAY~
[Vanessa]
Chiusa
nella mia cella ad alta tecnologia,
tutto ciò che riesco a fare è camminare in tondo.
Qualcuno
ha parlato, e vorrei dannatamente
scoprire chi.
Jonathan?
Non ne avrebbe avuto il minimo
interesse.
Charlotte?
Lei odiava Arthur, ma non la credo
capace di una cosa simile.
Lily?
Certo, avrebbe avuto le sue ragioni,
ma non penso che arriverebbe a questo punto.
Blake?
Con il suo senso dell’onore … no,
non avrebbe potuto.
Damien?
Beh, le ragioni ce le avrebbe,
questo è poco ma sicuro. Però …
diamine, è il mio migliore amico, non voglio
crederlo capace di tradire Arthur.
Maledizione.
Perché
questa storia sta tornando a galla
proprio ora? In questo momento così critico?
Arthur.
Solo
pensare al suo nome mi fa ribollire di
rabbia.
Mi
tornano in mente la sua arroganza,
l’egocentrismo, il sarcasmo, la sicurezza di sé
che lo rendevano insopportabile
agli occhi di Charlotte … e tremendamente affascinante
ai miei.
È
stato un bastardo.
Non
posso dire altrimenti.
Lui
stava con Lily.
Era
una storia piuttosto seria, che andava
avanti da diversi mesi, ma lui continuava a fare il cascamorto con
… beh, con
me. Stavo per dire con tutte, ma in realtà non si filava
Charlie, e io rimanevo
l’ultima opzione disponibile.
E
quella sera maledetta ho fatto un errore:
ho bevuto un bicchiere di troppo ed è successo quello che
non sarebbe dovuto
succedere.
Lily
non ha visto nulla, ma Blake, che
teneva troppo a lei, è andato a spifferarle tutto.
Arthur
non si è fatto problemi. Ha lasciato
Lily ed è venuto da me.
E
io, stupida, innamorata cotta, ci sono
caduta in pieno.
Damien
mi aveva avvertito. Lui e Arthur
erano migliori amici, ma proprio per questo aveva sentito il bisogno di
proteggermi. Mi aveva spiegato che Art non era fatto per i legami
profondi, che
mi avrebbe ferita.
Io
l’ho ignorato, e ho preferito mandare in
pezzi la mia amicizia con lui, ma anche con Lily (per ovvie ragioni),
con Blake
(che era dalla parte di Lily) e con Charlotte (che odiava Art).
Jonathan è
stato l’unico a continuare a rivolgermi la parola, in quel
periodo e in quello
immediatamente successivo.
Perché
la tanto premeditata fuga di Art si
è svolta un paio di mesi dopo questo episodio.
Una
sera è entrato nella sala comune e ci
ha avvisati che se ne sarebbe andato di lì a poco. Ci ha
raccontato i suoi piani
e ci ha obbligati a giurare che non lo avremmo tradito.
Tutti
abbiamo cercato di dissuaderlo
(tranne Charlotte, che si è sottoposta ben volentieri al
giuramento pur di
vederlo sparire), ma è stato irremovibile.
Niente
è riuscito a trattenerlo: né l’amicizia
con Damien, né il neonato rapporto con me, né
quello ormai distrutto con Lily.
E
così, da un giorno all’altro, mi sono
trovata sola. Ho impiegato mesi per ricucire la mia relazione con gli
altri, e
anni per quella con Lily.
Tutto
quello che mi è rimasto di quei due
mesi sono stati rimpianti, freddezza, menzogne e senso di abbandono.
Eppure
non ho parlato.
Chi
può averlo fatto? Chi?
La
domanda mi rimbomba insistentemente nel
cervello, impedendomi di pensare a qualunque altra cosa.
I
giorni corrono veloci, scanditi da
sessioni in laboratorio, esami del sangue e del DNA, interrogatori
serrati ma
soprattutto lunghe, eterne ore di attesa in cella.
È
snervante.
Non
c’è niente da fare in questi casi, se
non pensare … e io vorrei solo non doverlo fare.
Poi,
finalmente (per così dire) ci vengono
a prendere.
Ci
somministrano nuovamente il Pentothal,
come fanno quando devono riunirci tutti insieme, e veniamo fatti
accomodare in
una stanza diversa dal solito –una sorta di salottino. Dubito
fortemente che ci
offriranno il tè, però.
Il
professor Ritch ci ordina di sederci
sulle sedie rivestite di velluto rosso (perché tutta questa
eleganza proprio
ora?) e poi prende la parola.
-Grazie
a voi abbiamo finalmente
individuato Arthur Mackenzie. Sappiamo dove si trova, conosciamo il suo
pseudonimo, ma perderlo di vista è troppo facile. Se dovesse
solo sospettare di
noi si teletrasporterebbe e perderemmo le sue tracce per sempre.- Fa
una pausa
studiata, osservandoci. –Voglio che decidiate uno tra di voi
che verrà scortato
fino alla residenza di Mackenzie e gli somministrerà il
Pentothal di nascosto.
Badate, non sarà facile: è estremamente
diffidente. Per questo ho bisogno della
persona di cui si fida maggiormente. Gli altri resteranno qui, e se,
disgraziatamente, Mackenzie riuscisse a fuggire, li uccideremo tutti.
Abbiamo
raccolto tutte le informazioni necessarie, ormai, e non ci servite
più. Adesso
avete qualche minuto per decidere.-
Si
allontana, lasciandoci soli.
Guardo
gli altri. Non li vedo da giorni, e
il solo pensiero che uno di loro ci abbia traditi mi ha venire la
nausea.
-Allora-,
esordisce Blake, teso. –La persona
di cui Arthur si fida di più.-
-È
Damien-, dice senza esitare Charlotte.
-È
vero-, conferma Jonathan.
-Ma
io … -, comincia debolmente Damien.
-Damien,
ascolta, nessuno ti costringe-,
dice con decisione Blake, -Ma … -
-Ma
le vostre vite dipendono da me-,
completa lui con amarezza.
-Se
preferisci può andarci uno di noi, ma
sai benissimo che sei l’unico con cui Arthur sarebbe disposto
a parlare.-
Damien
si vede costretto ad assentire. È la
verità. Arthur si volatilizzerebbe nel vedere chiunque altro.
-Però,
Blake … ti rendi conto che sto
andando la per farlo prigioniero,
vero?-
-Certo
che me ne rendo conto, ma è l’unico
modo per salvarci la vita. E poi non gli sarà fatto alcun
male, lo sai. Noi non
siamo stati toccati, dopotutto.-
Damien
deve dirsi d’accordo.
Ora
che la decisione è presa, sento un nodo
stringermi la gola.
Damien,
il mio Damien, partirà
tra poco e potrei anche non rivederlo più.
-Non
farlo-, mugolo, quasi
involontariamente.
Lui
si volta verso di me.
-Devo.-
-No-,
ansimo. –Ti prego.-
Blake
fa un cenno deciso agli altri e si
allontanano, tornando da Ritch nella sala attigua, lasciando soli me e
Damien.
Lo
guardo, il cuore che batte all’impazzata.
-Vanessa-,
mi dice con dolcezza, -Devi
capirlo … neanche io ci vorrei andare, questo lo sai, vero?-
Annuisco
semplicemente.
-Ma
potrei non vederti mai più. Se Arthur
scappasse … se succedesse qualsiasi cosa … loro
ci ucciderebbero. Non saremmo
mai più insieme.-
-Ma
l’unico modo per salvarci è fare questa
cosa, Ness. Fidati di me. Farò quello che devo, e
andrà tutto bene.-
-Lui
è scappato-, dico con asprezza. –Ti ha
mollato al Queen Victoria’s senza preavviso. Non è
affatto scontato che accetti
di farsi una chiacchierata con te, come ai vecchi tempi.-
-Ma
ho più possibilità io di chiunque
altro.-
-Sì,
però … non voglio che mi lasci sola,
Dam.-
Lui
mi abbraccia forte.
Il
contatto con la sua pelle mi fa tremare.
Il solo pensiero che questa potrebbe essere l’ultima volta
… c’è ancora così
tanto da dire, così tanto da fare.
Tanti
sentimenti inespressi.
Lo
guardo negli occhi, azzurri come il
mare, e vorrei solo potermici immergere e farmi tenere stretta,
sentirmi
ripetere che andrà tutto bene.
Ma
non posso.
Questa
potrebbe essere la mia ultima
possibilità.
«If today was your last day, and
tomorrow was too
late, could you say goodbye to yesterday? Would you live each moment
like your
last, leave old pictures in the past? Would you find that one you're
dreamin'
of? Swear up and down to God above that you finally fall in love
… » (*)
Questi
versi mi tornano prepotenti alla
mente, profetici, e, gli occhi ancora allacciati a quelli di Damien,
prendo la
decisione più difficile della mia vita.
Mi
sollevo appena sulle punte dei piedi e
poso le labbra sulle sue in un bacio dolce e delicato.
Vorrei
che durasse per sempre, ma non è
così. Ben presto Damien fa un passo indietro, gli occhi
sgranati.
-Cosa
… Vanessa, cos’hai fatto?-
Stringo
gli occhi, offesa.
-Ti
ho baciato-, rispondo con tranquillità.
In
realtà non sono affatto calma. Ho il
terrore di essere respinta. Ti prego, ti
prego, non farlo.
-Ma
… tu sei la mia migliore amica!-
Quanto
sei stupido,
penso con angoscia.
-Sei
un idiota, Damien-, sussurro,
stringendo le mani a pugno. –Come hai fatto a non
accorgertene mai? Io sono … -
-Non
dirlo-, mi interrompe febbrilmente
lui, ma continuo imperterrita. Ora che ho cominciato, niente mi
può più
fermare.
-Io
sono innamorata di te. Lo sono da anni,
ma tu non sei mai, mai riuscito a capire nulla!-
Damien
apre la bocca, come per rispondere,
ma poi si blocca.
-Io
… -, riesce solo a balbettare.
Aspetto.
Ormai mi sono buttata, anche se
sapevo che questa reazione scioccata avrebbe potuto esserci
–ma speravo più in
un romantico “Ti amo anch’io, Vanessa”.
-Vanessa
… Ness. Tesoro-, dice, riacquistata
una parvenza di calma.
Tesoro?
Capisco
tutto ancor prima che parli,
soltanto per quella parola stupida. Tesoro?
Ma quando mai.
-Io
tengo moltissimo a te, e darei la vita
per la tua, ma … ti voglio bene come ad un’amica,
capisci? Una sorella. Io sono
… sono innamorato di un’altra persona.-
Ah.
Stilettata
al cuore, violenta e
dannatamente inaspettata. Tutto, ma “l’altra
persona” no.
Il
mio cuore si spezza con un crack secco
e fatico a respirare. I miei
occhi si velano di lacrime. Damien fa per avvicinarsi e abbracciarmi,
ma
indietreggio bruscamente, tenendolo lontano.
-Chi?-,
riesco a mugolare, prima che le
lacrime mi impediscano di parlare ancora.
Forse
dovrei essere più matura. Sorridere e
allontanarmi con dignità, accettando con nonchalance il
rifiuto e non
impicciarmi. Ma come faccio? Ho appena trovato il coraggio di rivelare
al mio
migliore amico di amarlo e lui mi ha detto di amare qualcun altro. Come
posso
non chiedermi chi è? Non desiderare di ucciderla?
Scommetto
che è Charlotte. Ma lei sta con
Jonathan … certo, questo non impedirebbe a Damien di essere
innamorato di lei.
Con i suoi capelli biondissimi e il suo super-cervello …
O
forse è Lily. Lily è bella, spigliata,
allegra, decisa, forte –tutto ciò che io non
sarò mai.
Damien
è immobile, pallido e zitto.
-Avanti-,
dico in tono appena più gentile,
asciugandomi il viso con la manica della felpa. –Almeno
questo me lo devi. Chi
è? Lily? Charlotte? Qualcun’altra?-
Lo
vedo respirare profondamente.
-Ness,
mi devi giurare che non uscirà da
questa stanza.-
Hai
già preso il mio cuore, come puoi prentendere altro da me?
-Certo.-
Lo
vedo torcersi le mani con ansia.
-Sei
sicura?-
-Te
lo giuro, Damien.-
Avanti.
Cosa
potrà mai essere di così tremendo? Lei
è già fidanzata? Non giustificherebbe
tutta questa angoscia che vedo riflessa nei suoi occhi.
-È
… difficile da spiegare.-
-Coraggio.
Dimmi il suo nome, non lo
rivelerò ad anima viva.-
Chiude
gli occhi e mormora qualcosa a mezza
voce, tanto che non sono sicura di aver capito bene.
-Che
cosa?-
Lui
alza lo sguardo e lo ripete a voce
appena più alta.
-È
Arthur.-
(*) Versi della canzone “If today was
your last day”
dei Nickelback. Ecco la traduzione:
«Se
oggi fosse il tuo ultimo giorno, e domani fosse troppo tardi, potresti
dire
addio a ieri? Vivresti ogni momento come se fosse l’ultimo,
lasceresti le
vecchie fotografie nel passato? Troveresti la persona dei tuoi sogni?
Giura e
spergiura a Dio lassù che finalmente ti innamoreresti
… »
E
mini angolino dell’autrice (ma proprio mini, eh):
muhahahahah!
colpo di scena XD
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Capitolo 20 *** Poker Face ***
~POKER
FACE~
[Damien]
Il
blindato sembra molto più spazioso
adesso. Sono seduto da solo e mi torco le mani, in preda
all’ansia. Non mi
hanno dato il Pentothal, ma d’altra parte a che sarebbe
servito? Sono del tutto
impotente, tanto più con cinque vite che dipendono da me.
L’ansia
mi fa battere il cuore a mille.
In
meno di ventiquattr’ore ho fatto due
cose che non avrei mai pensato di fare: primo, accettare di andare a
trovare
Arthur; secondo, rivelare a Vanessa … beh, la
verità.
Non
mi ha fatto domande, per fortuna: non
avrei potuto reggere. Fatico ancora ad ammetterlo a me stesso, dirlo ad
alta
voce è stato tremendamente strano.
Ho
paura a pensarci, ho paura a pensare a qualunque
cosa, prima tra tutte quella
che sto per fare.
Quando
ci fermiamo, dopo un numero imprecisato
di ore di viaggio, Ritch, seduto accanto all’autista, si gira
verso di me.
-Tra
meno di un’ora saremo a destinazione-,
annuncia. –Il tuo amichetto, come ovviamente sai,
è a Las Vegas.-
Certo
che lo so.
Mentre
Ritch mi consegna degli abiti più o
meno puliti e adeguati da mettere, non riesco ad impedirmi di pensare, anche se lo vorrei.
Il
piano
di Arthur è tutto nella mia mente: breve,
semplice, conciso. A Las Vegas si
sarebbe costruito una vita. Le sue abilità di teletrasporto
erano incredibili
–tali che, volendo, avrebbe potuto raggiungere
l’altro capo del mondo (o di un
tavolo da gioco, magari) e ricomparire senza che nessuno di accorgesse
di
nulla. Il preside Hermann non ha mai neanche scoperto tutte
le abilità di Arthur. Sembrava in grado di leggere
nel
pensiero, ma solo di rado. Qualche volta aveva delle visioni del futuro
–niente
a che vedere con le mie: dettagliate, utili e precise.
Talvolta
mi sono chiesto se ci fosse
qualcosa che Arthur non sapesse fare. Ancora non ho trovato una
risposta.
Las
Vegas, stavo dicendo: leggere nel
pensiero dell’avversario o teletrasportarsi in un milionesimo
di secondo alle
sue spalle per vedergli le carte erano indubbiamente ottimi metodi per
sbancare
il botteghino. In quanto alla sua allora minore età, disse
che avrebbe trovato
il modo di aggirare l’ostacolo, e non l’ho mai
messo in dubbio. Aveva –ha-
infinite risorse.
E
io non riesco a fare altro che lodarlo come un ammiratore adorante.
Mi
disgusto da solo.
Vengo
scaricato da Ritch di fronte ad un
casinò. Sono le undici di sera, ormai, e sono esausto
–ma basta il pensiero di
cosa mi aspetta per svegliarmi.
-Hai
quarantotto ore, Knight. Non
sprecarle.-
Gli
ordini sono di usare il cellulare che
mi è stato fornito per contattarli quando –se-
avrò portato a termine la missione.
Arthur
ti ha abbandonato,
mi ricordo, tanto per mantenere viva la
mia determinazione. Eppure non riesco a far sparire il pensiero che sto
per
tradirlo.
All’ingresso
del Red Carpet Casinò devo
mostrare la mia carta di identità per certificare la mia
maggiore età. Quindi,
con un respiro profondo, entro.
L’atmosfera
è confusa. Una musica
indistinta riecheggia nella sala, e il rosso che campeggia ovunque mi
fa male
agli occhi.
I
tavoli da gioco sono affollati. La gente
parla a voce alta per contrastare la musica e ride sguaiatamente
bevendo
alcolici.
Mi
sento a disagio ma sono più che mai
consapevole dell’importanza della credibilità
della finzione da questo momento
in poi. Perciò faccio un respiro profondo, afferro un calice
di un qualche
drink superalcolico che una ragazza altissima e poco vestita serve da
un
vassoio d’argento, ne bevo un sorso e proseguo. Compro delle
fiches con i soldi
elargiti da Ritch, teso.
Non
lo individuo subito. Giro a vuoto tra i
tavoli per qualche minuto, osservando i giocatori. E poi lo vedo.
È
come un fulmine. Il mio cuore smette di
battere per un istante e poi accelera improvvisamente.
È
cambiato. È più alto, muscoloso, con i
capelli più lunghi.
La
partita di poker è appena finita e colgo
l’occasione: prendo il posto di uno dei giocatori che si
è appena alzato. Sono
esattamente di fronte a lui.
Alza
lo sguardo. Vedo i suoi occhi aprirsi
e fissarsi su di me, squadrarmi e poi distendersi in un sorriso. Quelli
non
sono affatto cambiati. Scuri, profondi, decisi, con quella sfumatura di
arroganza e superiorità che l’hanno sempre
contraddistinto.
-Damien-,
dice, -Quanto tempo.-
La
sua voce mi stringe lo stomaco. Faccio
il possibile per suonare quasi indifferente.
-È
bello rivederti, Arthur.-
Prima
che possa dire qualsiasi altra cosa,
un uomo e una donna si siedono ai restanti lati del tavolo e la partita
comincia.
Sento
lo sguardo di Arthur indugiare su di
me ancora per un istante prima che lo distolga e rivolga la sua
attenzione alle
carte che un mazziere sta distribuendo.
Nonostante
il mio cuore sia del tutto
perso, e miei occhi non facciano altro che guizzare verso di lui, la
mia mente
razionale mi ricorda ciò che devo fare.
L’unico
modo per attirare la sua attenzione
è vincere.
Questa
è l’unica certezza che ho: per
conquistare il suo tempo e la sua fiducia devo prima di tutto
dimostrargli di
poterlo battere.
Non
è facile.
Non
ho una grande esperienza in fatto di
poker. Non l’ho mai amato particolarmente. Cominciamo a
giocare, ma è una partita
persa in partenza. Osservo ogni sua singola mossa –gli
sguardi impassibili, la
mano che si allunga per afferrare il drink, il ciuffo di capelli
ribelle che
deve scostare dal viso – ma non riesco nemmeno a percepire il
suo movimento.
Eppure lo fa, ne sono assolutamente certo: so
che si teletrasporta alle mie spalle e a quelle degli altri
per vedere le
carte e poi torna a sedersi in un intervallo di tempo infinitesimale.
E, per di
più, per quel che ne so, potrebbe aver affinato la tecnica
di telepatia.
Il
suo atteggiamento è sempre lo stesso.
Arrogante, irriverente, con poche, fredde, concise battute che
sanciscono ogni
singola vittoria.
Cerco
di trovare una strategia. Mi impegno
al massimo per prevedere le sue mosse, ma questo non mi è di
grande aiuto. Lui
conserva comunque un vantaggio che non posso recuperare.
E
poi, l’illuminazione.
Lui
vede le carte, certo, se le vedo io.
E
se io non le vedessi?
Guardando
Arthur negli occhi, mi butto. Giocata kamikaze,
per così dire. Punto
tutto quello che ho senza guardare le mie stesse carte. Lui mi osserva
attentamente, studiandomi, quindi decide di stare al gioco.
È la partita
decisiva. Gli altri due giocatori si ritirano, restiamo io e lui.
Arthur
studia le proprie carte; io lascio
le mie sul tavolo, tenendoci sopra una mano.
Ho
il cuore in gola nel momento in cui
dobbiamo scoprirle. Giochiamo al Texas
Hold’em, con cinque carte: comincia Arthur ha
scoprire una delle sue. Donna
di Quadri.
Io
sollevo una delle mie, ovviamente senza
avere idea di cosa si tratti. Tre di picche.
Arthur
sorride mostrandomi le seguenti, con
la stessa, monotona eppure angosciante sequenza –una io, una
lui, senza che io
sappia cosa sto facendo.
Alla
fine, risulta che Arthur abbia una
Donna di Quadri, una di Picche, una di Fiori e un cinque di Cuori.
Io
ho un due, un cinque, un tre e un
quattro di Picche.
Con
una carta in mano a testa, ci studiamo.
È
Art il primo a mostrarmela, con un ghigno
di soddisfazione.
Donna
di Cuori.
-Poker-,
dice tranquillamente, osservandomi
con un’espressione compiaciuta che nessuna faccia da poker
potrebbe mai
mascherare.
So
già di aver perso, ma giro lo stesso la
mia carta.
Asso
di picche.
Non
ci credo.
Se
Arthur avesse visto le mie carte,
avrebbe lasciato subito: invece la sua arroganza l’ha portato
ad un passo falso.
C’era
una possibilità su mille che
succedesse, ma ecco qua.
-Scala
Colore-, ribatto, con una
nonchalance che stupisce persino me. –Credo di aver vinto.-
E
mi approprio di tutte le fiches sul
piatto. Come se mi interessassero.
Dopo
un istante di sbigottimento, Arthur
sorride e si alza in piedi.
-Posso
offrirti un drink?-, mi propone.
-Con
piacere-, rispondo, il cuore in gola,
tentando di apparire rilassato.
-Non
qua-, dice con decisione. –Vieni a
casa mia.-
Non
posso fare altro che annuire e seguirlo
mentre esce dal casinò e chiama un taxi. Restiamo in
silenzio per tutta la
durata del viaggio, poi il taxi accosta davanti ad una cancellata.
La
casa di Arthur non è enorme, né
vergognosamente lussuosa. È una normale villetta in
periferia, anche se, considerato
che siamo a Las Vegas, deve averla pagata un occhio della testa.
Percorriamo il
breve vialetto d’ingresso, quindi entriamo.
Anche
l’interno è sobrio. Un piccolo
ingresso, un salotto e una cucina sono le stanze che vedo per il
momento. Mi fa
sedere al tavolo rotondo e mi raggiunge poco dopo con due Martini,
accomodandosi
di fronte a me.
-Bene,
bene, bene-, esordisce. –Cosa
diamine ci fai qui, Damien Knight? Non dovresti essere a scuola?-
Faccio
un mezzo sorriso, sorseggiando
sapientemente il Martini.
-Dovrei-,
concedo. –Ma ho seguito il tuo
esempio. Me ne sono andato.-
Arthur
non mostra la minima sorpresa.
-Sapevo
che l’avresti fatto, prima o poi-,
dice con una certa soddisfazione nella voce. –Certo, ci hai
messo un po’ …
quanto tempo è passato?-
-Tre
anni-, ammetto. –Ma le cose sono
andate piuttosto bene fino a qualche mese fa.-
-Perché?
Cos’è successo?-
Non
so quanto Arthur effettivamente sappia
degli avvenimenti al Queen Victoria’s College, ma preferisco
non rischiare e
dire la verità. La maggior parte, almeno.
-Il
preside Hermann è stato assassinato-,
spiego, e non sono stupito nel vederlo del tutto a suo agio.
Probabilmente lo
sapeva già, in qualche modo. –È stato
sostituito da Ivan Vahel. È un pazzo, un
antirepubblicano che il presidente ha dovuto tenere a bada, a costo di
regalargli la gestione del Queen Victoria’s. Ha torturato
Blake, Jonathan e
Vanessa, minacciato Charlotte e tolto temporaneamente i poteri a Lily.-
-E
a te?-
Già,
e a me?
Lo
guardo di soppiatto, quasi timoroso del
suo giudizio, mentre rispondo con sincerità:
-Mi
ha fatto prendere delle pastiglie che
rendevano le visioni completamente controllabili. Era una bella
sensazione,
finché non mi sono reso conto che ne ero diventato
dipendente. Era una droga
piuttosto potente, e ho dovuto disintossicarmene prima di poter
scappare.-
-E
poi ve ne siete andati?-
-No.
Solo io l’ho fatto.-
-Ah.-
Inclina
lievemente la testa e annuisce.
-Com’è
la vita qua fuori? La libertà?-
Mentre
parla, svuoto il bicchiere, bevendo
tutto il drink in un sorso. La testa mi gira: non sono abituato
all’alcool. Ma
adesso mi serve. Il bicchiere di Arthur è ancora pieno.
-È
splendido-, ammetto. –Avrei dovuto
seguirti allora, Art.-
Ma
tu non me l’avresti permesso. Non mi avresti voluto.
Lui
sorride e si alza per andare a prendere
ancora del liquore.
-Sì,
avresti dovuto. Ma ormai è troppo
tardi per quello, e in ogni caso ce l’hai fatta, no? Come ci
sei riuscito,
senza teletrasporto?-
Devo
cogliere l’occasione.
Svelto,
più in fretta e in silenzio che
posso, estraggo dalla tasca della giacca una delle fialette di
Pentothal che mi
ha dato Ritch. La stappo e ne verso l’intero contenuto nel
bicchiere ancora
colmo di Arthur, raccontandogli intanto una storia più o
meno credibile senza
prestarvi molta attenzione.
Non
vorrei farlo. Vorrei parlare con lui e
ricucire un rapporto che ormai so essere perso da tempo. Eppure sono
costretto
a tradirlo.
Il
mio migliore amico.
La
persona che amo.
Ripongo
la fialetta nella tasca e mi
risistemo appena in tempo perché Arthur torni e mi riempia
nuovamente il
bicchiere di Martini.
Sorride
alla conclusione del mio racconto.
-Propongo
un brindisi-, dice, e non potrei
essere più sollevato.
-A
cosa brindiamo?-, domando, alzando il
calice.
-Alla
libertà-, replica fermamente Arthur,
sollevando il bicchiere.
-Alla
libertà-, ripeto, facendolo
tintinnare contro il suo.
Lo
guardo di sottecchi e lo vedo portarsi
il bicchiere alle labbra.
-Quanto
stupido credi che io sia, Damien?-,
mi domanda, e improvvisamente è dietro di me, premendomi un
coltello da cucina
contro la gola, prima ancora che il bicchiere, che ha lasciato andare,
cada a terra
e si infranga in mille pezzi.
Sento
il sangue defluirmi dal viso.
-Non
so di cosa stai parlando-, mento, come
ultima, inutile difesa.
-Ah,
no?-
Sento
la sua mano libera allungarsi per
frugare nella tasca della mia giacca. Ne estrae una delle restanti
provette di
Pentothal.
La
lama gelida sul mio collo è in qualche modo
meno inquietante del suo tono di voce, assolutamente calmo, mentre
solleva la
fiala e se la porta davanti agli occhi.
-Area
51-, legge. –Ma che bella sorpresa.-
Poi
qualcosa di duro mi colpisce alla
testa, e tutto diventa buio.
|
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Capitolo 21 *** Left Alone ***
~left
alone~
[Lily]
Probabilmente
dovrei dire che sto
aspettando con ansia il momento in cui Damien tornerà e
saremo tutti salvi, potremo
tornarcene a casa e vivere felici e contenti per
l’eternità, eccetera.
Ma
le verità sono essenzialmente due:
primo, sono convinta che Damien non riuscirà ad ingannare
Arthur; secondo, io a
casa non ci voglio tornare.
Insomma,
sono tutti tremendamente in
angoscia, dicendo che Damien è la nostra unica speranza, e
disquisendo delle
sue (peraltro esigue) probabilità di riuscita. Certo, anche
io vorrei che
tornasse, ma per il semplice fatto che non voglio morire, dannazione.
Sono
troppo giovane.
Se
ci costringessero a restare qua per un
altro po’ … devo ammettere che non mi opporrei.
Se
esprimessi questa opinione a voce alta,
probabilmente mi prenderebbero tutti per matta. L’Area 51
è sempre stato il
nostro più grande spauracchio, il terrore di diventare
esperimenti scientifici
la nostra peggiore paura: ma io mi chiedo se sia poi così
male.
Io
credo nella teoria evoluzionistica e ho
sempre sostenuto la superiorità della scienza sulla
religione: come posso
scagliarmi contro la ricerca scientifica? Se questi scienziati
trovassero il
modo di isolare le cellule che determinano il nostro potere, che ci
sarebbe di
male? Si potrebbero creare agenti di polizia ben addestrati con poteri
come i
nostri.
Magari
potremmo pure avere la possibilità
di decidere di farci togliere i poteri (non che io lo farei).
Finché
non viene fatto alcun male a noi
direttamente, non vedo come questo potrebbe danneggiarci.
E
poi, ripeto, a casa io non voglio
tornare.
Perché
dovrei?
Ho
nascosto, ignorato il mio potere per
anni, sentendomi diversa, umiliata, esiliata. I miei genitori mi hanno
chiamata
“mostro”, i miei amici si sono dileguati non appena
tentavo di essere sincera con
loro riguardo alle mie capacità. Perché dovrei
tornare in Virginia? Come potrei
farlo, dopo aver sperimentato la bellezza di poter essere se stessi
ventiquattr’ore al giorno senza mai essere giudicati?
Eppure,
dentro di me so benissimo che non
mi capiterà mai più nella vita
un’esperienza come quella del Queen Victoria’s
College. Ovunque io decida di andare, dovrò tenere segreto
il mio potere.
Ed
è questo che odio.
Ma
non per questo potrei mai rinunciare ad
esso.
Sono
io, e sono speciale, diversa. Non potrei
mai tornare a confondermi con la
massa, non realmente. E questo spiega la mia reazione esagerata quando
pensavo
di aver perso il mio potere per sempre.
Seduta
sul letto nella mia cella, rovescio
la testa all’indietro, esausta.
Ed
è allora che sento le voci.
-Gli
ordini sono questi, professore.-
-Può
scordarselo. Non abbiamo ancora finito
con loro.-
Sono
voci distanti e fatico a riconoscerne
una; l’altra è quella di Davies,
l’assistente di Ritch e secondo in comando
all’Area 51.
-Avete
avuto tempo a sufficienza.-
-Non
ci è bastato! Ci sono ancora numerosi
test che dobbiamo eseguire.-
-Beh,
avete ventiquattr’ore di tempo.-
-Non
sono tutti qui.-
Dopo
una breve pausa, l’altra voce si
abbassa, tanto che mi risulta difficile sentire.
-Cosa
intende dire?-
Paradossalmente,
è proprio ora che non sento
bene che riesco a riconoscere la voce. È il tono gelido che
la pervade a
illuminarmi.
Ivan
Vahel.
-Il
signor Knight non è nella struttura.-
-Dove
si trova?-
-Questo,
signore, è considerabile segreto
di Stato a tutti gli effetti.-
-Mi
ascolti, razza di idiota-, ringhia
Vahel, alzando la voce ma mantenendola spaventosamente calma, -Il
presidente
degli Stati Uniti in persona mi ha mandato qui. Lei conosce benissimo
la mia
vicinanza con lui, no? O preferisce farsi confermare questo ordine dal
presidente il persona?-
Sento
un fruscio e poi un leggero suono
metallico, seguito da alcuni bip
lievi. Vahel ha tirato fuori un telefono cellulare e sta digitando un
numero.
-Cecilia,
è Vahel che parla. Il presidente
è libero per una brevissima telefonata?-
-No,
no, no, fermo!-, sbotta Davies.
–D’accordo, le credo. Non c’è
bisogno di scomodare il presidente.-
La
voce di Vahel assume un tono ironico nel
chiudere la telefonata:
-Oh,
grazie, Cecilia, ma non mi serve più.
Non era così urgente, dopotutto.- Quindi si rivolge
nuovamente a Davies. –Ora
voglio sapere dove si trova il signor Knight.-
-È
… a Las Vegas.-
-Las Vegas?!-
-In
missione-, si sente in dovere di
ribadire Davies. Buffo: l’ho sempre trovato autorevole, ma
davanti a Vahel
sembra un agnellino impaurito. Come chiunque, del resto.
-D’accordo-,
taglia corto Vahel, -Comunque
sia, voglio che domani a quest’ora questi cinque siano pronti
per partire.-
-E
Knight?-
-Ci
penserò io.-
-D’accordo.-
Davies
cede e il mio cuore fa lo stesso. Ma
è pazzo? Come
può lasciarci di nuovo
nelle mani di Vahel?
Cosa
vuole fare Vahel con noi?
Dove
ci vuole portare?
Torneremo
al Queen Victoria’s College?
Oppure
si limiterà a farci fuori tutti?
Quest’ultima
ipotesi si fa strada nella mia
mente come uno stillicidio continuo ed esasperante. Non riesco a
smettere di
pensarci. E se il presidente, ora che sanno dove si trova Arthur,
avesse dato
l’ordine di ucciderci? È plausibile.
Probabilmente
Ritch e Davies volevano
continuare con i loro esperimenti, ma il presidente non voleva che
continuassero
a rimandare.
Così
ha chiamato Vahel.
Funziona
alla perfezione, in effetti.
E,
maledizione, non riesco a pensare ad
altro per tutta la notte.
Veniamo
di nuovo portati in un furgone
blindato. Blake, Jonathan, Charlotte e Vanessa sembrano sconvolti nel
vedere
Vahel, e, non appena il rombo del motore si fa rumoroso, racconto loro
sottovoce tutto ciò che ho sentito e la mia ipotesi al
riguardo.
Non
appena ho finito di parlare, mi volto
verso Charlie.
Siamo
di nuovo sotto l’effetto del
Pentothal, perciò non oso farle domande. Non vorrei che
reagisse come l’ultima
volta: per quel che ne so, lei e Damien non si sono ancora rivolti la
parola da
allora. Beh, è anche vero che non ne hanno avuto
l’occasione.
-È
possibile-, si limita a commentare.
–Direi addirittura probabile.-
-Possiamo
fare qualcosa?-, indaga Blake.
Silenzio.
La
verità è che senza i nostri poteri non
siamo altro che diciottenni spaventati e impotenti, del tutto incapaci
di
uscire da un furgone blindato o di evitare un assassinio.
Poi,
all’improvviso, Charlie mi dà una
gomitata. Sobbalzo e la guardo con espressione interrogativa.
Lei,
senza aprire bocca, coperta dalle
chiacchiere di Jonathan e Blake, mi allunga una pastiglia bianca. La
prendo in
mano e aggrotto le sopracciglia, senza capire.
Allora
lei, spazientita, abbassa la voce e
mi sussurra all’orecchio:
-L’ho
rubata nel laboratorio di Ritch.
Annulla gli effetti del Pentothal, ma impiega qualche ora ad agire.
Prendila
ora.-
Spalanco
gli occhi, stupefatta, e obbedisco
d’istinto, ingoiando a fatica il medicinale.
Osservo
Charlotte fare lo stesso e porgere
una pastiglia ciascuno anche agli altri.
Quella
ragazza è un genio, e non è un
semplice dato di fatto.
Le
ore trascorrono, e sento il potere
tornare gradualmente.
Poi,
nel pomeriggio, il furgone accosta al
lato della strada. Vahel si gira verso di noi.
-Beh,
è bello rivedervi.-
Nessuno
di noi risponde: siamo troppo
impegnati a prepararci a difenderci.
-Capisco
i motivi del vostro astio. Ma, se
ci pensate bene, siete stati voi stessi la causa di tutto questo. Se
non foste
fuggiti … -
-Siamo
scappati per colpa sua! Per quello
che ci faceva lei!-, sbotta Blake.
-D’accordo,
ve lo concedo. Ma voi e io
vogliamo la stessa cosa.-
-E
sarebbe?-
-La
libertà.-
Il
silenzio dura solo pochi secondi, poi
Vahel riprende:
-Immagino
che Guinevere e Matthew vi
abbiano raccontato la mia storia. Io non sono mai stato un uomo del
presidente,
né mai lo sarò.-
-E
questo cosa dovrebbe significare?-,
domanda Charlotte, acida.
-Il
presidente mi ha ordinato di uccidervi,
sapete? E io non lo voglio più di quanto lo vogliate voi.-
-Perché?-,
sibila Charlotte.
-Perché
siete la mia unica arma per
arrivare a lui e ucciderlo.-
Ho
già visto brillare nei suoi occhi questa
stessa luce fanatica: è successo quando mi ha tolto i
poteri, ma anche quando
ha costretto me e Blake a combattere e ha torturato Jonathan.
Nonché in diverse
altre occasioni.
Vahel
non è cambiato. Ricordo che Gwen, o
forse Matt, l’avevano definito “un pazzo
antirepubblicano”. Non avevano torto.
-Cosa
vuole da noi?-, chiedo, come se non
fosse abbastanza chiaro.
-Che
mi aiutiate a farlo.-
-Non
lo faremo-, dice con decisione Blake,
parlando a nome di tutti.
-Perché
mai? Lui vi vuole morti.-
-Noi
non siamo come lui. Non siamo una
minaccia per la società. Se uccidessimo il presidente,
sarebbe questo che la
gente vedrebbe in noi-, spiega lentamente Charlotte.
-E
cambierebbe molto?-, la provoca Vahel.
–Vi hanno chiamati mostri.
Siete
stati rifiutati da tutti tranne che da me.
Io vi ho protetti.-
-Lei
ci ha torturati!-, sbotta Blake.
-Vi
ho protetti dalla società! Vi ho
insegnato il controllo, la disciplina … e voi ve ne siete
andati!-
-Lei
è pazzo-, ansima Blake.
-No,
voi
lo siete! Perché non riuscite a capire,
a vedere che l’unico modo
per non
essere sopraffatti dalla gente è ucciderla!-
Ancora
seduta, mi sento tesa e pronta allo
scontro.
-E
ora-, prosegue Vahel, gli occhi che
continuano a splendere di ardore omicida, -Tutto ciò che mi
manca è Arthur
Mackenzie.-
-Quindi
non era il presidente a volerlo-,
mormora Charlotte.
-E
nemmeno Ritch-, aggiunge Vanessa.
-Naturalmente
no. Ho detto a Ritch che era
un ordine del presidente, e lui, quel coniglio,
quel vigliacco, non ha certo avuto
il
fegato di cercare una conferma! Ha eseguito i miei
ordini. E voi me lo avete consegnato su un piatto
d’argento.-
-Damien
non riuscirà a … -
-Ma
io non ho mai avuto bisogno di Damien-,
taglia corto Vahel. –Mi basta sapere che si trova nella sua
lussuosa, splendida
residenza nel Downtown di Las Vegas. Fidatevi, ho le mie armi. Spero
solo che
il vostro amico non lo faccia scappare prima che arrivi io.-
-Perché
fa tutto questo?-, chiede
Charlotte. –Perché ce l’ha tanto col
presidente?-
-Perché?
Perché io ero come voi!
E quel bastardo mi ha tolto tutto! Ero telepatico
e telecinetico, sapete? Ma quando il presidente l’ha
scoperto, mi ha rinchiuso
nell’Area 51 per sei mesi e lì ha lasciato li
scienziati a giocare con me
finché il mio potere non è scomparso a forza di
elettroshock, droghe pesanti e
manipolazioni genetiche!-
Un
orrore profondo mi stringe lo stomaco.
-Se
non avete ricevuto lo stesso
trattamento, è solo perché io
ho
interceduto per voi, dicendo di aver bisogno di Arthur! Ho dovuto fingere per anni di essere lieto di
quello che mi avevano fatto … libero da un peso …
soltanto per poter arrivare a
voi e addestrarvi adeguatamente in
vista della vostra missione: ammazzare
l’uomo che mi ha reso uguale a tutti gli altri!-
Vorrei
solo scappare, correre il più
lontano possibile da questa verità scomoda e dolorosa.
Perché, sebbene la mia
mente si opponga razionalmente a queste idee malsane, il mio cuore riesce a capirlo alla perfezione. E
invece rimango immobile, incollata al sedile del furgone, proprio come
tutti
gli altri.
-Allora?-,
conclude bruscamente Vahel. –Mi
aiuterete? O lascerete che il presidente faccia a voi quello che ha
già fatto a
me?-
Dopo,
succede tutto molto in fretta. Blake,
colpito nel suo senso morale, alza una mano che Vahel crede innocua e
lo
colpisce con un lampo di energia. È breve e quasi banale il
modo in cui si
accascia sul volante privo di sensi.
Blake
apre con una scarica elettrica
violenta le porte blindate del furgone e ci lascia uscire.
-Andiamo-,
dice piano. Finge che il
racconto di Vahel non l’abbia sconvolto, non abbia intaccato
le sue
convinzioni, ma so che non è così.
–Dobbiamo trovare Arthur e Damien.-
Annuisco
meccanicamente.
-Da
dove cominciamo?-, chiedo.
Tutto
quello che voglio è gettarmi a
capofitto nell’azione per non poter pensare.
Blake
mi guarda con un’espressione strana.
-Tu
no, Lily-, dice.
-Perché
mai?-
-Perché
sei stata tu a rivelare a Ritch
dove si trovava Arthur, non è vero?-
Il
mio silenzio è una risposta sufficiente.
Io
lo odio. Mi
ha tradita con Vanessa. Mi ha abbandonata, trattata
come uno straccio. Mi ha mentito.
Perché
avrei
dovuto tener fede ad un giuramento?
Io
lo volevo vedere prigioniero.
Lui,
uno spirito libero e ribelle,
rinchiuso nei sotterranei dell’Area 51, costretto a
sopportare interrogatori,
esami e test.
Perché
noi sì e lui no?
-Sì-,
confermo dopo qualche istante di
silenzio. Mi guardano tutti con espressioni cupe e accusatorie.
–Non me ne
pento. Ho fatto quello che ritenevo giusto.-
-L’hai
tradito.-
-Come
lui ha tradito me. So che la pensiamo
diversamente, ma avremo tempo per discuterne. Non mi interessa di
Arthur, ma
voglio trovare Damien. Ritch sarà ancora sulle sue tracce.-
-Lily,
tu non vieni con noi-, dice
chiaramente Blake.
So
che gli costa fatica dirlo. Lo vedo dal
suo sguardo.
Pensavo
che ci tenesse a me.
Sembrava
che fosse così. Era dolce,
protettivo, spiritoso. Non il mio fidanzato, ma quasi. Per un istante,
un
brevissimo istante, rimpiango quel momento. Ma poi non mi lascio
distrarre.
-Voi
siete d’accordo?-, chiedo, guardando
tutti gli altri negli occhi. –Jonathan? Vanessa? Charlotte?-
Loro,
uno alla volta, annuiscono in
silenzio.
-Bene-,
mormoro, indietreggiando
istintivamente. –Bene. Non avete nemmeno provato a cercare di
capire le mie
ragioni, vero? No, ovviamente. Tradire è sbagliato, la
vendetta è sbagliata,
uccidere il presidente sarebbe sbagliato. Forse … forse
avete bisogno di
imparare a mettervi in discussione. Di capire che non tutto
è o bianco o nero,
di non erigervi a giudici. E di scoprire il vero significato della
parola amicizia.-
Detto
questo, mi volto e mi allontano.
Prima
camminando con dignità, poi
accelerando e infine correndo, mentre le nuvole si addensano e la
pioggia che
faccio iniziare a scendere nasconde le mie lacrime.
Se
mi voltassi, so che li vedrei tutti lì.
Blake,
Jonathan, Vanessa e Charlotte, in
piedi sul ciglio della strada, bagnati, che mi guardano andare via
senza
rimpianti.
Me
la pagherete per avermi lasciata sola.
Ed
è l’unica certezza che mi rimane.
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Capitolo 22 *** Change ***
~CHANGE~
[Damien]
A
svegliarmi è un dolore fastidioso alle
spalle.
Apro
gli occhi, confuso, cercando di capire
dove mi trovo. Il luogo non mi è famigliare. Sembrerebbe una
cantina buia e
umida.
Ben
presto capisco a cosa è dovuto il
dolore alle spalle: le mie braccia sono tirate verso l’alto,
con i polsi chiusi,
dietro la mia schiena, in un anello di ferro saldato al muro. Essendo
inginocchiato a terra, le braccia mi fanno tremendamente male,
perciò cerco di
alzarmi sulle gambe malferme.
Appena
il tempo di prendere fiato, e Arthur
mi compare davanti.
-Bene,
sei sveglio-, dice freddamente.
-Cosa
vuoi da me?-, chiedo.
-Sapere
cosa ci fai qui.-
Lo
osservo con gli occhi stretti. Per
quanto in questo momento lo odi, è sempre maledettamente bello.
-Non
posso dirtelo.-
Arthur
scompare per un istante e poi torna,
in mano una siringa con un liquido che riconosco. L’ha preso
a me.
-Sono
curioso di sapere che cos’è questo.-
-È
Pentothal-, rispondo. Almeno questo non
è un segreto di Stato. –Annulla temporaneamente i
poteri.-
-Ma
davvero?-
Arthur
si avvicina pericolosamente e io
indietreggio di mezzo passo prima che il male alle braccia mi impedisca
di
proseguire. Probabilmente crede che sia qualcos’altro, magari
un veleno con cui
progettavo di ucciderlo. Mi crede davvero capace di una cosa del genere?
Mi
afferra il braccio e lo punge con la
siringa.
Gli
ormai noti effetti collaterali del
Pentothal si fanno sentire subito. La nausea mi stringe lo stomaco, e
mi piego
in due, scosso dai conati. Riesco miracolosamente a mantenere un minimo
di
dignità e non vomitare.
Arthur
mi osserva in silenzio finché non mi
raddrizzo, tremante.
-Allora,
dimmi cosa ci facevi all’Area 51-,
mi ordina.
Non
rispondo, il battito accelerato.
-Coraggio,
Damien. Devo veramente passare
alle maniere forti?-
Alzo
lo sguardo per incontrare il suo. So
che lo farebbe.
-Non
posso dirti nulla.-
Arthur
scompare e ricompare di nuovo,
stavolta impugnando un coltello.
-Non
esiterò a mettere in atto le mie
minacce, Damien.-
Scuoto
ancora la testa, determinato a non
parlare. Le vite di tutti dipendono dal successo di questa missione.
Certo,
ormai ho rinunciato ad una soluzione pacifica, ma posso ancora
escogitare
qualcosa. Devo farlo.
Arthur
fa un altro passo verso di me e
passa lentamente il piatto della lama sul mio collo. Rabbrividisco per
il
contatto gelido, ma non apro bocca.
Il
coltello si sposta fino ai muscoli tesi
delle mie braccia, e improvvisamente affonda nella carne.
Soffoco
un grido di sorpresa e dolore.
-Sei
ancora sicuro di non volermi dire
nulla?-
Non
parlo. Qualunque dubbio potessi avere
riguardo alle intenzioni di Arthur, ora è sicuramente
svanito. Non avrà remore
a torturarmi per ottenere quello che vuole.
Porta
il coltello poco sotto la mia gola e
di nuovo mi incide la pelle in profondità.
-Perché
sei venuto, Damien?-, insiste.
In
breve perdo il senso del tempo.
Il
dolore esplode acuto sempre più
frequentemente, e la nausea mi coglie ogniqualvolta guardo il sangue
colare
dalle ferite aperte.
Poi,
ad un certo punto, si interrompe.
Impiego
qualche minuto a capirlo, e allora
alzo gli occhi.
Arthur
mi sta guardando con gli occhi
stretti.
-Hai
finito?-, chiedo acido, e la voce mi
esce più roca e debole di quello che vorrei.
-Sai
perché non me ne sono mai andato da
qui, pur sapendo che voi conoscevate la mia destinazione?-, chiede
inaspettatamente.
Me
lo sono chiesto, in effetti. Ma perché
tirarlo in ballo ora?
Scuoto
la testa.
-Perché
volevo che mi trovaste-, dice
tranquillamente. In risposta al mio sguardo interrogativo, continua:
-Quando me
ne sono andato, avrei voluto che veniste con me, ma sapevo che tutti
insieme
non saremmo mai riusciti a scappare. Il rischio di essere trovati era
troppo
grande, e io volevo la libertà più di ogni altra
cosa al mondo. E poi, non
sareste stati d’accordo.- Si passa una mano tra i capelli,
sospirando. –Ma ero
certo che nel giro di qualche anno sareste riusciti a capire
che vi tenevano prigionieri e avreste inventato qualcosa.
Per quanto odiassi Charlotte, sapevo che avrebbe tirato fuori
un’idea. E per
allora, io sarei stato qui ad aspettarvi, e avremmo potuto realmente sfruttare i nostri poteri.
Salvare le persone, aiutarle,
e non più limitarci a nasconderci come conigli spauriti.-
Batto
le palpebre, cercando di dare un
senso a queste parole che avrei tanto voluto sentirmi dire tre anni fa.
-Ho
dovuto aspettare a lungo, sempre sul
filo del rasoio, temendo che uno di voi rivelasse a Hermann
dov’ero andato. Ma
non sono mai scappato, Damien. Volevo che, quando ve ne foste andati,
sapeste
di potermi trovare qui a Las Vegas. E invece, quando finalmente ti vedo
ricomparire, scopro che stai tentando di portarmi all’Area
51. Di farmi
prigioniero. Perché, mi chiedo?-
-Pensavamo
che … ci avessi abbandonati.-
-Beh,
avreste dovuto verificarlo-, sibila.
-Quando
siamo scappati, Jonathan era
ferito. Vahel gli aveva sparato. Avevamo bisogno di un riparo vicino.-
-Ma
poi ne siete usciti!-
-Certo.
In un furgone blindato,
prigionieri, diretti all’Area 51.-
Sto
rivelando troppo, lo so, ma mi preme
far capire ad Arthur che siamo noi le vittime della situazione, non
certo lui.
-E
allora perché ti hanno mandato qua?-,
insiste.
-Non
posso rispondere.-
Gli
occhi accesi di rabbia, Arthur traccia
una lunga linea col coltello che attraversa il mio petto. Mi mordo le
labbra
per non urlare e sento in bocca il sapore metallico del sangue.
-Dimmelo!-
-Non
… non posso.-
-Pensavo
che fossi mio amico.-
Una
risatina cupa mi esce involontariamente
di bocca.
-Pensavo
che … gli amici non si
torturassero tra di loro, sai.-
Fatico
a parlare. Il dolore aumenta se solo
mi ci concentro troppo.
Arthur
sorride.
-Non
c’è un che di eccitante in questa
situazione?-, domanda provocante, e non riesco a capire quanto sia
serio.
Il
mio cervello ha naturalmente già
risposto sì alla sua domanda, ma non lascio trasparire
alcuna emozione.
-C’è
un che di macabro, per quanto mi
riguarda-, replico aspramente.
-Beh,
questo è certo. Avanti, Dam, dimmelo.
Perché stai dalla loro parte? Non vogliono altro che
studiarti come un fenomeno
da baraccone e poi sbarazzarsi di te. Tu vali molto di più.-
La
sua voce si abbassa e lui si avvicina
pericolosamente.
La
mia mente è vicina a chiudere definitivamente
i battenti e rivelargli tutto quello che vuole sentire.
Mi
guarda negli occhi.
Quegli
occhi … quante volte li ho sognati.
Chiudo
i miei.
-Non
posso!-, ripeto, angosciato.
-Perché
no?-
-Perché
gli altri morirebbero!-, sbotto.
E
poi mi rendo conto di aver reso vani
tutti i miei sforzi precedenti. Non so se a darmi il colpo di grazia
siano
stati il dolore, la stanchezza, la paura o la sua vicinanza. In ogni
caso, non
si torna indietro.
-Ah.-
Arthur
indietreggia appena.
-Hanno
minacciato di morte i ragazzi se tu
non mi avessi portato da loro?-
Annuisco.
Ormai che senso avrebbe negare?
-Capisco-,
mormora.
Spalanco
gli occhi.
-Sul
serio?-, indago.
-Certo.-
-E
verrai con me?-
Lui
esita. Si morde il labbro e io mi
incanto per un istante a guardarlo, prima di ricordarmi cosa sta
succedendo.
-Ti
racconterò tutto-, prometto. –Ogni
singola cosa che ci è successa in questi anni. Ti
dirò di Hermann, di Vahel, di
Matt e Gwen, dell’Area 51. Non ci hanno toccati
lì, Art, te lo giuro. Ci hanno
interrogati, e hanno fatto qualche test, esami del sangue e
così via. Ma non è
mai stato doloroso, né invasivo. E … sai, credo
che ci avrebbero rilasciati
dopo poco tempo, se non avessero avuto bisogno anche di te. Ma volevano
che ti
trovassimo.-
-Perché?-
-Non
lo so. Immagino che abbiano voluto
estendere a te le loro ricerche.-
È
una menzogna bella e buona, lo so. Ci
hanno interrogati per ore, costringendoci a rivelare la sua ubicazione,
e non
può essere stato per un motivo così futile. Ma
questo Arthur non deve saperlo.
-Non
lo so, Damien. Consegnarmi a loro non
è esattamente al primo posto nella mia lista delle cose da
fare.-
-Mi
hanno giurato che uccideranno Jonathan,
Vanessa, Blake e Lily se non tornerò da loro entro
quarantott’ore, Art. So che
lo farebbero senza problemi. Ormai le loro indagini sono terminate.-
Lo
vedo incerto.
-Io
… -, comincia, per poi interrompersi.
-Art-,
proseguo allora, consapevole
dell’importanza vitale di questo momento, -Non ti faranno del
male. Ti
lasceranno andare entro breve e poi sarai libero. Nessuno che ti segue,
nessun
timore … e potremo essere di nuovo insieme. Noi e gli altri.
Seguire il tuo
progetto. Aiutare la gente, e non nasconderci più. Ma se
scapperai … questo non
succederà mai, e loro resteranno sulle tue tracce.- Faccio
una pausa ad
effetto. –La decisione spetta a te.-
Arthur
rimane a lungo in silenzio, quindi
mi si avvicina fino a che il suo volto si trova a pochi centimetri dal
mio. Il
mio cuore accelera.
-Mi
giuri che stai dicendo la verità,
Damien?-, mi chiede, gli occhi inchiodati nei miei.
Come
posso mentirgli? Ma se gli rivelassi
le mie ipotesi su cosa l’Area 51 vuole da lui perderei il suo
appoggio.
-Te
lo giuro, Arthur-, dico, la voce ferma,
ricambiando il suo sguardo senza esitazioni.
-Bene,
allora-, mormora, senza muoversi,
guardandomi. –Puoi anche prendermi prigioniero, se vuoi.-
Sentire
queste parole, e guardarlo negli
occhi dopo tanto tempo, insieme a tutte le inspiegabili, violente
emozioni che
provo: ecco le cause logiche di quello che faccio dopo.
Ancora
legato per le braccia, mi allungo
verso di lui e poso le mie labbra sulle sue.
Lo
sento irrigidirsi e capisco che sta per
allontanarsi. Il mio cuore si ferma per un istante … ma poi
Arthur cede e
ricambia il bacio.
Non
c’è modo di descriverlo. Potrei usare mille
parole, ma non sarebbero ancora sufficienti per esprimere la gioia, lo
sconcerto, l’emozione, la paura, il desiderio.
Dura
pochi secondi. Poi Arthur fa un passo
indietro, guardandomi con un’espressione sconcertata che in
un’altra occasione
forse troverei esilarante. Apre la bocca e fa per dire qualcosa, ma in
quell’esatto istante la porta della cantina si spalanca,
sbattendo contro il
muro. Arthur si volta di scatto e, meno di un secondo dopo, cade a
terra privo
di sensi.
Stupefatto,
alzo gli occhi e incontro
quelli determinati di Blake, che tiene in mano una pistola.
-Cosa
… -, ansimo. –Cos’hai fatto?-
-Non
l’ho ucciso-, taglia corto Blake. –Il
proiettile era un ago intriso di Pentothal con una goccia di sonnifero.
Quello
che voleva usare Vahel con lui.-
-Vahel?-,
chiedo, confuso, domandandomi
cosa c’entri adesso.
-Oh,
mio Dio, Damien-, geme Vanessa,
sorpassando Blake e raggiungendomi. –Cosa ti ha fatto?-
Sto
già per rispondere “niente” quando
seguo il suo sguardo e vedo i numerosi tagli che Arthur mi ha inflitto.
Faccio
una smorfia.
-Sto
bene-, rispondo. Poi noto un’assente.
–Dov’è Lily?-
Vanessa
esita, poi finge di non aver
sentito la domanda.
-Blake,
vieni a darmi una mano-, lo chiama,
e lui usa una scarica di energia per spezzare l’anello di
metallo che blocca le
mie braccia.
Non
appena sono libero, mi massaggio i
polsi doloranti.
Charlotte
mi raggiunge ed esamina le ferite
con sguardo critico.
-Queste
potrebbero infettarsi-, dice. –Devi
disinfettarle.-
-Dove
andiamo?-, chiede Jonathan.
-Non
lo so. Dov’è Ritch, Damien?-
Mi
strofino la fronte, faticando ancora a
connettere i miei pensieri.
-Mi
ha detto di chiamarlo con questo
cellulare-, rispondo dopo qualche secondo, estraendolo dalla tasca dei
jeans.
-Dobbiamo
impedirgli di trovarci.-
-Cosa
facciamo?-
-Ce
ne andiamo via.-
-Dove?-
-Non
lo so. Qualcuno di voi ha dei soldi?-
-Neanche
un centesimo.-
-Un
modo per andarsene?-
-Ce
l’ho io-, dice una voce sicura.
Abbasso
gli occhi su Arthur, che si sta
lentamente mettendo a sedere.
Blake
solleva nuovamente la pistola,
puntandogliela contro.
-Non
muoverti, Mackenzie-, dice con
decisione.
-Mi
stai minacciando, Blake?-
Vedo
Arthur rimanere immobile per un
momento e quindi corrugare la fronte, confuso.
-Era
Pentothal, Arthur. Non puoi andare da
nessuna parte. Non trovi che sia una pessima sensazione?-
L’allusione
maligna di Blake mi fa storcere
il naso.
-Lascia
perdere, Blake-, dico. –Non devi
preoccuparti. È … -
Mentre
mi chino accanto ad Arthur, la mia
testa inizia a girare vorticosamente. Devo aver perso più
sangue di quanto
pensassi.
Cerco
di aggrapparmi alla mia mente, ma
tutto svanisce nuovamente nel buio.
Mi
risveglio in una stanza sconosciuta. Il
soffitto e le pareti sono bianchi e un flebile ma continuo bip fa da sfondo sonoro.
Giro
la testa. Seduto accanto al letto c’è
Arthur, che mi osserva pensieroso.
-Oh-,
mormora. –Sei sveglio. Come stai?-
Ci
penso per un momento.
-Bene,
credo-, rispondo. –Gli altri?-
-Sono
in giro.-
-Dove
siamo?-
-All’ospedale
di Jacksonville.-
Socchiudo
gli occhi, confuso. Per quel che
ne so, Jacksonville si trova dalla parte opposta degli Stati Uniti
rispetto a
Las Vegas.
-Jacksonville?
Come ci siamo arrivati?-
-Teletrasporto.-
-Non
pensavo potessi portare altri con te.-
Lui
si stringe nelle spalle.
Quando
cade di nuovo il silenzio, mi
ricordo improvvisamente del bacio. Arrossisco d’istinto.
-Senti,
Art-, comincio, imbarazzato.
–Riguardo a … a quello che è successo
… -
-Sì?-
Cerco
di incontrare il suo sguardo, ma è
sfuggente, e io non so cosa aggiungere.
-Mi
dispiace-, mi limito a bofonchiare alla
fine.
Finalmente
riesco a catturare la sua
attenzione. Mi guarda storto.
-Non
devi dispiacerti-, sbuffa. –Insomma,
ti ho provocato, è evidente.-
Vorrei
dire che non è andata esattamente
così, ma preferisco lasciarglielo credere.
-Quindi
… vuoi fingere che non sia successo
nulla?-
Arthur
esita.
-Non
lo so. E tu?-
-Non
lo so.-
Silenzio.
Passano
diversi secondi, poi è lui a
parlare di nuovo.
-Non
ci ho mai pensato, sai. Mi hai … colto
di sorpresa. E non so … non so come fare a capire se
… -
Mi
fa tenerezza vederlo così in difficoltà.
-Non
ho intenzione di forzarti in nessun
modo, Art. Prenditi il tempo che ti serve.-
-Non
è di tempo che ho
bisogno-, replica, guardandomi di sottecchi.
-E
di cosa, allora?-
-Di
coraggio.-
Mi
sforzo di mettermi a sedere.
-Se
può servirti-, dico, -Sappi che io
desideravo farlo da molto, molto tempo.-
Alza
gli occhi.
-Davvero?-
-Certo.
Perché credi che ci sia rimasto
così male quando te ne sei andato senza di me?-
Arthur
si passa le mani tra i capelli.
-È
così dannatamente complicato.
Pensavo … pensavo di essere … insomma, che mi
piacessero … -
-Ho
capito.-
-E
poi, arrivi tu, con quel maledetto
sorriso e quelle belle parole, e mi baci, e fai crollare tutte le mie
certezze!-
Sorrido
appena.
-Colpevole-,
mormoro.
-Forse-,
sospira, -Dovrei andarmene per un
po’. Lontano da te.-
-Se
pensi che sia la cosa giusta da fare …
-, dico, dubbioso.
-Lo
è-, replica con sicurezza.
Mi
incupisco immediatamente, ma Arthur
sorride.
-Io
però non ho mai detto di voler fare la
cosa giusta-, mi ricorda, e mi bacia.
È
in questo momento che capisco che è
davvero lui tutto ciò che desidero e che
desidererò da oggi in poi.
E,
anche se so che dire “per sempre” è
inutile e infantile, lo penso e segretamente me lo incido nel cuore,
proprio accanto
al suo nome.
***
Bene,
questo capitolo è venuto un po’ più
lungo del previsto, ma non avevo calcolato
la seconda parte, che però doveva per forza essere dal punto
di vista di
Damien.
Volevo
solo dire (a titolo di cronaca) che doveva andare in modo completamente
diverso! Fino a ieri ero convinta che Arthur non avrebbe accettato la
relazione
con Damien, ma i miei personaggi si muovono letteralmente per conto
proprio, e
così ho cambiato idea.
In
ogni caso, ho scritto la prima parte del capitolo ispirata dalla
canzone “La libertà
di volare” dei Nomadi.
Al
prossimo capitolo (uno degli ultimi), e grazie a chi continua a
recensire.
|
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Capitolo 23 *** Goin' on ***
~GOIN’
ON~
[Blake]
Alla
fine mi chiudo in bagno. Sembrerà
assurdo, ma è l’unico posto dove posso stare solo
per un po’. Prima, mi
ronzavano tutti intorno, temendo una mia reazione improvvisa ed
esplosiva.
Ma
non ho intenzione di fare nulla di
avventato.
D’accordo,
Lily se n’è andata. O meglio,
l’abbiamo mandata via noi. E allora?
Non
vuol dire nulla. Se lo meritava, e
questo è tutto.
…
Certo,
come no.
Vorrei
disperatamente che fosse così.
Vorrei che quelli che lei ha chiamato “principi
morali” fossero veramente saldi
e immutabili, tanto da non farmi neanche passare per
l’anticamera del cervello
che potrei aver sbagliato. Che
forse
lei aveva ragione.
Ma
non posso concentrarmi su questo.
È
un momento cruciale per noi.
Siamo
finalmente liberi, ma ci sono così
tante cose a cui pensare: Vahel e Ritch in giro a cercarci, Arthur che
sembra
essere passato dalla parte dei buoni … sempre che una
“parte dei buoni” esista
davvero, e non ne sono più sicuro.
Se
mi fermassi a riflettere su Lily, non
avrei la forza di lottare per andare avanti.
La
domanda più grande che mi aleggia nella
mente –ok, la seconda più grande- è: cosa
faremo adesso?
Dove
andremo?
Sospiro
ed esco dal bagno, stizzito. Non
posso decidere nulla da solo. Ho bisogno di parole, di rumore, di
chiacchiere
inutili. Di Charlotte che pensi al posto mio.
Trovo
Jonathan, Charlotte e Vanessa in
corridoio. Charlie è accoccolata contro Jonathan, stretta a
lui, in silenzio.
Vanessa è seduta poco lontano, lo sguardo perso nel vuoto.
Credo sia successo
qualcosa tra lei e Damien, ma non sono ancora riuscito a capire cosa.
Mi
avvicino, ma non appena sono accanto a
loro mi passa la voglia di parlare. Sto diventando lunatico come una
ragazza.
-Vado
a trovare Damien-, dico.
Percorro
il corridoio e apro la porta senza
bussare, automaticamente.
La
scena che mi si presenta davanti è
sconcertante.
Arthur
è seduto sul letto accanto a Damien,
è chino su di lui e lo sta baciando.
Spalanco
gli occhi, incredulo, mentre
Arthur si allontana appena. Damien mi guarda, rosso in viso,
imbarazzato.
Probabilmente meno di quanto lo sono io, però.
-Ehm
… Blake! Cosa … ?-, balbetta.
-Io
… niente. Scusate.-
Maledicendomi
per la mia goffaggine, chiudo
la porta e torno dagli altri.
-Credo
di aver appena visto Arthur e Damien
che si baciavano-, mormoro, ancora sotto shock.
Le
loro reazioni non sono quelle che mi
sarei aspettata. Vanessa non dice nulla, Jonathan mi guarda
interrogativo e
Charlotte si stringe nelle spalle, borbottando qualcosa come
“l’ho sempre
sospettato”.
Sentendomi
un idiota, mi siedo e taccio,
pensando a Lily.
Un
paio d’ore dopo siamo tutti riuniti
nella camera di Damien.
-Bene-,
dice Charlotte, guardandomi. –Che
cosa facciamo?-
-Questa
è davvero un’ottima domanda-,
replico, scuotendo la testa per schiarirmi i pensieri.
-Io
voglio tornare a casa-, dice Jonathan
senza preavviso. –Non vedo la mia famiglia da una vita. Mi
mancano. Mia sorella
e mio fratello … i miei genitori, i miei amici. Vorrei
tornare da loro.-
-Immagino
che si potrebbe fare-, rispondo.
–Se ci organizziamo bene, forse … -
Mi
interrompo quando Jon mi guarda con aria
dispiaciuta.
-Ecco
… Blake, intendevo io.
Da solo.-
Sento
Charlotte fare un respiro profondo.
-Io
sono stata accettata ad Harvard, a
Yale, a Stanford e alla Columbia-, dice, la voce non proprio ferma.
–Ci sono
ancora tante materie in cui vorrei una laurea. Credo che mi
concentrerò su
quello.-
-Io
voglio vivere da qualche parte con
calma … trovarmi un lavoro, magari, o andare al college, non
lo so-, dice
Damien.
-Io
non ho progetti-, replica con naturalezza
Arthur, lanciandogli un’occhiata. –Credo che ti
seguirò, se non ti dispiace.-
-Naturalmente
no.-
Cala
il silenzio. Non era questo che
progettavo quando mi chiedevo cosa avremmo fatto. Qualunque cosa
avessimo
deciso, ero sicuro che saremmo rimasti tutti insieme. Come sempre.
Non
avevo pensato che ognuno sarebbe andato
via per conto proprio. Non rientrava affatto nei miei piani. Per questo
non ho
pensato a nulla. E l’idea improvvisa di essere solo, con
tutto il mondo davanti
e infinite possibilità, mi fa girare la testa. Non
necessariamente in senso
positivo.
La
riunione finisce in fretta.
Sembra
che, adesso che ci vogliamo
dividere, non abbiamo più argomenti comuni di cui parlare.
Non siamo più una
squadra.
Esco
sul balcone dell’ospedale, guardando
la strada poco trafficata al di sotto.
Ho
terribilmente paura.
Paura
di scegliere, paura di sbagliare.
Paura
di restare solo.
La
porta-finestra si apre e Vanessa mi
raggiunge.
-Non
hai detto nulla-, mi fa notare, e
sento nella sua voce un tono malinconico che non conoscevo.
-Neanche
tu.-
-Perché
non so cosa fare. Di tornare a casa
non se ne parla: mi ci hanno cacciata via a forza. In quanto allo
studio, non
c’è niente di particolare che mi interessi. E
lavorare … che possibilità ho,
senza nemmeno la licenza superiore? Dovrei andare a farmela dare da
Vahel?-
Sorride senza traccia di ilarità. –Non ci ho mai
pensato, Blake. O meglio …
tutte le volte che ci ho pensato, dividevo il mio futuro con Damien.-
Ah,
ecco il problema. Damien.
-Pensavo
foste solo amici.-
Mi
guarda storto, probabilmente chiedendosi
come fanno i maschi ad essere così tardi.
-Per
lui è così-, taglia corto.
-Beh,
potresti sempre andare a rapinare
banche, signorina invisibile.-
-Ottimo
piano. Se vuoi venire anche tu, mi
farai risparmiare sui candelotti di dinamite.-
Ci
guardiamo con serietà per un momento
prima di scoppiare a ridere. La battuta non è poi
così divertente, ma è passato
troppo tempo dall’ultima volta che abbiamo potuto ridere
davvero, di cuore, e
così arriviamo alle lacrime, per una volta non di tristezza
ma di gioia.
Poi
torniamo seri, a fatica.
-E
tu?-, mi chiede con un sorriso. –Quali
sono i tuoi progetti?-
-Non
ne ho idea. A casa non posso tornare.
Ho sempre odiato studiare, e in quanto al lavoro … non lo
so, non ho mai pensato
a cosa mi piacerebbe. Forse mi basterà rifletterci su per un
po’ … l’idea di
trovarmi solo, senza tutti voi, mi ha lasciato spiazzato. Tutto qui.-
È
un “tutto qui” piuttosto rilevante, ma
Vanessa ci passa sopra.
-Credo
che andrò in California, sai?-, dice
all’improvviso, gli occhi luminosi che
osservano il panorama desolato come se vedessero l’intero
universo a loro
disposizione. –Dopotutto non ho bisogno di un ragazzo per
andare avanti. E ho
sempre desiderato visitare San Francisco. Potrei prendermi del tempo
per me.
Spiare di nascosto i surfisti, cose così.-
Sorrido.
-Abbiamo
diciotto anni e tutta la vita davanti-, dico, malinconico, invidiando
la sua
determinazione, che però credo sia solo di facciata, -Ma ho
la sensazione che
la mia si sia appena conclusa.-
-È
stata una parte importante della nostra vita, Blake-, mi corregge
Vanessa,
ammirando il tramonto, -Ma dobbiamo voltare pagina. Ci sono
così tante cose da
fare, posti da vedere. Riusciremo anche noi a trovare la nostra strada,
vedrai.-
-Lo
spero proprio.-
Ci
sono tante cose che avrei voluto fare ma non ne ho mai avuto la
possibilità.
Vedere le piramidi, fare bungee-jumping, camminare sulla Muraglia
Cinese,
lavorare su una spiaggia assolata, fare un safari in Africa. Non ho
molti soldi
al momento, se non qualche centinaio di dollari nel mio conto in banca,
ma
potrei sempre cominciare.
Il
sole sparisce dietro l’orizzonte e un crepuscolo ancora
chiaro preannuncia una
nuova notte.
-Grazie
per la chiacchierata, Ness-, dico.
Lei
sorride sinceramente.
Per
un istante immagino cosa succederebbe se mi avvicinassi, le carezzassi
il volto
con dolcezza e la baciassi.
Ma
poi scaccio via il pensiero.
Questo
non è il momento di legarsi al passato.
Questo
è il momento di guardare in avanti.
Senza
rimpianti.
Senza
la squadra.
Senza
Lily.
Esco
dall’ospedale e raggiungo la più vicina cabina
telefonica. Inserisco i pochi
spiccioli che ho in tasca nella fessura e consulto l’elenco
telefonico.
-Salve.
Vorrei prenotare un volo per Il Cairo. Sì, domani sarebbe
perfetto. Il mio
numero di carta di credito è … sì,
esatto. La ringrazio.-
Da
qualche parte bisogna pur cominciare.
E
le piramidi sono un ottimo punto di inizio. Non so ancora cosa
farò quando sarò
lì. Forse cercherò un lavoro, o magari
farò l’autostop fino in Sudafrica e
andrò ad aiutare qualcuno a costruire scuole, oppure
cambierò idea e deciderò
di tornare in America.
Magari
tra qualche tempo andrò a cercare Lily e le dirò
che ho sbagliato.
Ma
questo è il momento dei cambiamenti, e ho appena fatto il
primo passo.
Tutti
quelli che verranno dopo saranno in qualche modo più facili:
dicono che la vita
funziona così. Se è vero, ho ancora tanto tempo
per capirlo.
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Capitolo 24 *** Epilogue ***
~EPILOGUE~
Dedicato
a Priscilla, perché ha
continuato a leggere nonostante l’abbia scioccata con la mia
coppia
Arthur/Damien fino a farla dubitare della mia sanità mentale
(XD).
Dedicato
a dreaminOn_felix, perché è
stato il mio recensore più fedele e più critico,
dandomi la possibilità di
migliorare sempre di più ad ogni capitolo e la voglia di
continuare a scrivere.
Dedicato
a Yellow Daffodil, perché le
sue recensioni serene e positive mi hanno sempre fatto sorridere.
Dedicato
a Kuri, la prima a recensire
Queen Victoria’s College.
Dedicato
a giorgina_cullen97, perché
si è appassionata alla storia anche quando io stessa ne
stavo perdendo il filo.
Ma
soprattutto, dedicato a Charlotte,
Blake, Lily, Damien, Vanessa, Jonathan e Arthur, perché si
sono mossi di vita
propria e mi hanno permesso di trascrivere fedelmente quello che
facevano, e
anche per avermi regalato tante emozioni e aver rinnovato la mia
passione per
la scrittura.
Grazie.
adamantina
[Blake]
Seduto
all’ombra delle piramidi, sorrido ad
una bambina che le indica con stupore.
Sono
qui da pochi giorni e già mi sono
innamorato di questo posto.
Il
mio sguardo si perde continuamente lungo
l’immensa distesa di sabbia e le piramidi maestose e mi sento
incredibilmente piccolo di fronte
ad uno spettacolo così
straordinario.
Ancora
con il sorriso sulle labbra, mi
volto e sussulto.
Di
fronte a me c’è una figura conosciuta,
con capelli rosso fuoco e occhi che mi squadrano intensamente.
Scatto
in piedi d’istinto.
-Lily-,
ansimo, incredulo. –Come … cosa ci
fai qui?-
Lei
sorride.
-È
bello rivederti, Blake.-
-Sì,
anche … anche per me, certo.-
-Non
ne sembri così convinto-, dice con un
sorriso che non ha nulla di allegro.
E
ha perfettamente ragione, perché a
mettermi a disagio è una scintilla indefinibile nel suo
sguardo, qualcosa di
sconosciuto e inquietante.
-Ero
preoccupato per te-, replico, cauto.
-Non
mi pareva. Sembra che tu te la stia
proprio godendo, qui in Egitto.-
-Avanti,
Lily. Non avrei saputo dove
cercarti!-
-Beh,
sono andata nell’unico posto che mi è
venuto in mente.-
-Ovvero?-
-Sono
tornata da Vahel.-
Raggelo.
-Che
cosa?-
-Gli
ho offerto il mio aiuto per completare
la sua cosiddetta … missione.-
-Sei
impazzita? Vuoi aiutarlo ad uccidere
il presidente degli Stati Uniti?-
-Perché
no? Dopotutto, lui ha provato ad
uccidere noi.-
-Lily,
io non capisco … -
-Sai,
Blake, in realtà ho fatto un ottimo
affare-, dice con un sorriso tranquillo. –Ti sei chiesto a
cosa servissero
tutti i test che ci hanno fatto all’Area 51? Ecco, hanno
isolato con successo i
geni portatori del nostro superpotere.-
-Continuo
a non capire.-
-Non
mi stupisce. Dopotutto, non sei tu che
hai ricevuto l’intelligenza di Charlotte.-
Il
suo tono pacato ed esaltato al tempo
stesso mi chiude la gola.
-Che
cosa?-, ripeto.
-E
non hai ricevuto neanche la capacità di
prevedere il futuro, quella di trasformarti in animale, di diventare
invisibile
e … beh, immagino che tu conosca l’ultima, no?-
E,
improvvisamente, mi lancia contro una
scarica di energia ad altissimo voltaggio che mi fa sollevare in aria e
ricadere nella sabbia parecchi metri più lontano. Mi rialzo
a fatica, sputando
sabbia.
-Lily,
che cos’hai fatto?-
-Ho
trovato il modo migliore per avere la
mia vendetta-, dice lei con una risata gelida. –Mi avete
abbandonata dopo che
ho cercato di salvarvi dalle torture di Ritch all’Area 51, al
modesto prezzo
della libertà di chi aveva tradito me! Ma voi
l’avete interpretato come alto
tradimento, no?-
Mi
raggiunge, gli occhi che brillano di
rabbia.
-Aiuterò
Vahel a liberarsi del presidente-,
annuncia. –Così tutti sapranno quanto siamo
potenti noi … “mutanti”, ci hanno
chiamati così, giusto? E non abbiamo più bisogno
di voi, ovviamente, perché
tutti i vostri poteri sono stati perfettamente duplicati.- Ride.
–Ora manca
soltanto quello di Arthur e saremo al completo.-
-Anche
Vahel?-, ansimo.
-No,
i poteri non hanno attecchito in lui.
Il presidente ha giocato troppo a lungo con il suo DNA, privandolo per
sempre
della possibilità di riavere i poteri. E l’avrebbe
fatto anche con noi, Blake,
non riesci a capirlo?-
Scuoto
la testa.
-Lily
… -, mormoro. –Non devi farlo per
forza.-
Lei
non sorride più.
-Sì
che devo, Blake-, ringhia. –Ormai ho
deciso da che parte stare. E puoi esserne certo: non
è la tua.-
Detto
questo, diventa invisibile, o meglio
un animale minuscolo, visto che non vedo impronte comparire sulla
sabbia.
Sono
troppo scioccato per fare qualunque
cosa, finché un’idea mi balza in mente.
Devo
avvertire Arthur.
[Damien]
Sono
sul divano del mio nuovo appartamento,
la televisione accesa su un vecchio film western di cui non potrebbe
importarmi
di meno.
Tutta
la mia attenzione è rivolta al
ragazzo che sta entrando in sala con due bicchieri in mano. Mi si siede
accanto
e me ne porge uno.
-Propongo
un brindisi-, sorride.
-A
cosa brindiamo?-
-Alla
nostra nuova vita?-
-Alla
nostra nuova vita-, concordo, e
facciamo tintinnare i bicchieri l’uno contro
l’altro. Siamo arrivati ieri e io
non mi sono ancora deciso ad accendere il telefono. Non voglio che
niente e nessuno rovini questo
nuovo inizio.
Dopo
aver finito i cocktail iniziamo a
fingere di guardare quel film assurdo, ma non dura a lungo. Ben presto
Arthur
si china su di me per baciarmi.
Di
certo non mi lamento, anzi.
Almeno
non finché la porta di casa si
spalanca con un tonfo.
Ci
giriamo entrambi in tempo per vedere
Lily che entra in casa nostra.
-Siete
deliziosi-, dice. –Avrei dovuto
aspettarmelo. Vanessa deve proprio essere stata una delusione per te,
Arthur.-
Arthur
si alza, guardandola interrogativo.
-Cosa
ci fai qui, Lily?-
-Per
farla breve, ho bisogno di te.-
-Per
cosa?-
-Insomma,
più che di te, ho bisogno di un
campione del sangue, per essere precisi.-
-Come
hai fatto a trovarci?-, mi
intrometto.
-New
York-, replica. –Banale e scontato
persino per voi. Ho controllato i nuovi affitti, ragazzi. O dovrei dire
ragazze? Ditemi cosa preferite,
perché …
-
Arthur
scompare e ricompare un istante dopo
addosso a Lily, tenendola saldamente per un braccio.
-Cosa
vuoi?-
-Te
l’ho già detto-, replica lei. –Un
po’
del tuo sangue, femminuccia.-
Ed
estrae una pistola che mi ricorda quella
di Vahel, caricata con Pentothal.
Arthur
scompare immediatamente per poi
raggiungermi, mi afferra per un braccio e ci teletrasporta entrambi
lontano.
[Lily]
Vahel
mi ucciderà.
Beh,
non letteralmente –sono di gran lunga
troppo potente perché un po’ di Pentothal mi metta
al tappeto, e sono anche la
sua unica speranza di uccidere il presidente- ma si
arrabbierà un sacco.
Non
ho seguito nessuno dei suoi consigli …
o meglio ordini.
Mi
aveva detto di limitarmi a trovare
Arthur, così che nessun altro scoprisse cosa mi era
successo, ma non ho
resistito alla tentazione di farmi vedere da Blake in questa nuova
forma, più
potente e vendicativa che mai.
E
poi mi aveva ordinato di sparare immediatamente
ad Arthur con i proiettili intrisi di Pentothal, cosa che non ho fatto.
Ma la
mia motivazione è valida: non appena l’ho visto
baciare Damien (baciare Damien, per
l’amor di Dio!) mi
sono venute in mente un migliaio di battutine sui gay che avrei voluto
sfoggiare.
Ora
capisco che le sue indicazioni avevano
un senso: adesso Arthur è fuggito con Damien e ritrovarlo
sarà un’impresa
impossibile, e per di più ben presto tutti gli altri
sapranno dei miei poteri e
l’effetto sorpresa verrà meno.
Immagino
che Vahel dovrà rassegnarsi a fare
a meno dei poteri di Arthur, anche se il teletrasporto,
l’invulnerabilità e la
lettura del pensiero avrebbero potuto farci comodo. E dovrà
sbrigarsi a
pianificare l’assassinio del presidente, perché,
se conosco Blake, organizzerà
una difesa in quattro e quattr’otto, e tutti gli altri lo
seguiranno ciecamente.
Nonostante l’uomo in questione ci volesse morti.
Maledizione.
[Charlotte]
Stringo
la mia borsa con un filo d’ansia
mentre entro nel campus.
Harvard.
Sogno
di studiare qui dal giorno in cui ho
compiuto due anni. Certo, ciò non toglie che il mio
quoziente intellettivo sia
probabilmente superiore a quello degli insegnanti, ma non importa. Ci
sono
ancora tante cose da imparare, e migliaia di possibilità per
il futuro.
Comincerò
da qui: giurisprudenza.
Poi,
forse, passerò a Yale per legge, e a
Stanford per economia, e alla Columbia per giornalismo. Ma
c’è ancora tempo. Ho
una vita intera davanti.
Ho
preso una stanza qui nel campus, e tra
breve conoscerò le mie compagne. Vivrò come una
ragazza normale, finalmente, con
tanto di amiche, serate in discoteca,
confraternite universitarie, sbronze, ragazzi.
Ragazzi
…
forse quelli no.
Mi
manca Jonathan, non posso negarlo.
Certo,
mi manca tutta la mia vecchia vita
al Queen Victoria’s, ma Jonathan ne era la parte
più importante. È vero quello
che dicono: che capisci ciò che hai solo quando lo perdi.
Avrei potuto
continuare a stare con lui, se lo avessi voluto, rinunciando
all’università; o
lui avrebbe potuto rinunciare a tornare alle origini, dalla sua
famiglia.
Ma
in realtà non è mai stata nemmeno
un’opzione.
Mi
manca come l’ossigeno, ma ho tanti anni
di adolescenza da recuperare.
Forse
un giorno ci ritroveremo, più maturi
e pronti per questa cosa che è più grande di noi,
senza ulteriori impedimenti.
Ma
non oggi: oggi è il momento di Harvard,
del divertimento spensierato e dei pomeriggi di studio.
E
io sono pronta ad immergermici
completamente.
Il
mio telefono squilla nel momento stesso
in cui entro nel campus.
-Sono
Charlotte-, dico in automatico.
-Charlie,
sono Blake. Ascolta, è successa
una cosa … -
E
prima ancora che cominci a spiegare, ho
già capito che il mio momento di pace non
comincerà mai. Mi mordo un labbro.
-Blake,
ho capito-, sospiro, interrompendo
la marea di parole insensate su Lily e Vahel. –Ma,
onestamente, non capisco
cosa tu voglia da me. Il presidente ci ucciderebbe se ci avvicinassimo
per
dirgli che Vahel lo vuole morto. A chi pensi che crederebbe, a noi o a
lui?
Insomma, crede che abbiamo già cercato di ucciderlo una
volta.-
Blake
riprende a parlare rapidamente, ma
non glielo lascio fare a lungo.
-Lascia
perdere, Blake. Non voglio più
averci nulla a che fare.-
E,
chiusa la telefonata, spengo il cellulare
ed entro ad Harvard.
[Jonathan]
Mi
avvicino con cautela al vialetto
d’ingresso, timoroso.
In
un attimo d’ansia, decido di
trasformarmi e divento un’ape. Silenzioso, lasciandomi dietro
solo un sordo
ronzio, raggiungo la finestra della sala da pranzo, librandomi di
fronte ad
essa.
Vedo
per prima mia madre. Sta entrando in
sala con una grande pentola tra le mani, coperte dai soliti, vecchi
guanti da
cucina, e urla qualcosa –probabilmente sta chiamando tutti a
tavola.
Mio
padre arriva subito. Le sorride,
mettendo sul tavolo il sottopentola di plastica, e si siede a
capotavola.
Meredith
entra trotterellando, un grande
sorriso sulle labbra, i capelli racchiusi in due codini. La guardo con
un
groppo in gola: me la ricordavo a malapena capace di camminare.
E
per ultimo, ecco Jack. Spalanco i miei
piccoli occhi da ape, incredulo. L’ultima volta che
l’ho visto, mesi fa,
frequentava il secondo anno di liceo ed era pressoché uguale
a sempre. Adesso
si è fatto crescere i capelli e ha un ciuffo che gli ricade
sugli occhi;
indossa pantaloni strappati e una maglietta nera; al collo tiene un
paio di
cuffie per la musica. Da quando si è trasformato in un
adolescente?
Li
vedo sedersi tutti, chiacchierando,
lasciando il mio posto, alla destra di papà, vuoto. Si
prendono per mano e
recitano la preghiera di ringraziamento come sempre, quindi cominciano
a
mangiare.
Vederli
ridere, parlare e bisticciare mi fa
sentire di troppo. Sono stato lontano per così tanto tempo
che mi sembra di non
appartenere più a questo posto. Penso a Charlotte per un
momento: con lei non
mi sentirei a disagio. Però scaccio subito il pensiero: non
è questo il momento
per i ripensamenti.
Mi
allontano dalla finestra e torno umano
nello stesso momento in cui mi arriva un messaggio sul cellulare. Lo
leggo e
sospiro.
Blake.
Rispondo
in fretta, poche parole decise.
“Lascia
perdere. Non possiamo farci nulla.
Goditi l’Egitto.”
Un
respiro profondo, un sorriso convinto e
suono il campanello.
Questa
è la mia famiglia, ed è questo il
mio posto.
[Vanessa]
Sono
sulla spiaggia a prendere il sole
quando mi arriva la telefonata di Blake.
-Non
è passata ancora una settimana,
Blake-, dico irritata nel rispondere. –Pensavo volessimo
staccare un po’.-
Lui
comincia a blaterare di Lily, Vahel, superpoteri
e chissà che altro. Socchiudo gli occhi, ammirando un
delizioso surfista biondo
che mi fa un cenno dal bagnasciuga. Sorrido e chiudo brevemente la
telefonata:
-Senti,
Blake, onestamente non mi
interessa. Non riusciranno a toccare il presidente. Sono su una
spiaggia della
California, ho trovato un lavoro come cameriera e sto benissimo. Mi sto
godendo
la mia vita, finalmente, e non c’è niente che tu
possa dire per farmi andare
via da qui.-
Chiudo
il cellulare e lo spengo, gettandolo
nella mia borsa. Quindi mi tolgo gli occhiali da sole e raggiungo il
mare
cristallino, tuffandomi nell’acqua fresca e dimenticando
tutto il resto.
[Blake]
Non
voglio crederci.
Damien
mi ha appena detto che lui ed Arthur
si sono trasferiti, ma non mi dirà dove, e sono certi che
lì Lily non li
troverà. E se anche lo facesse e si prendesse i poteri di
Arthur, beh, che
problema potrebbe mai essere? Non farebbe molta differenza.
Charlotte,
Vanessa e Jonathan hanno reagito
allo stesso modo.
Non
è un problema mio.
La
mia parte razionale li capisce alla
perfezione: dopotutto, non è neanche un mio
problema. Eppure … mi chiedo come possano
convivere con l’idea che una
persona potrebbe morire perché loro si sono rifiutati di
intervenire, troppo
occupati a prendere il sole, studiare,
divertirsi o chissà quali altre occupazioni
importanti.
Io
non posso.
Sento
che è colpa mia se Lily ha preso
questa decisione assurda. È di me che
si vuole vendicare, soprattutto. Ero io che
avrei dovuto capirla, difenderla, proteggerla.
Chiudo
gli occhi per un istante, quindi mi
decido.
A
loro potrà non importare nulla, ma a me
sì.
Fermerò
Lily anche da solo, costi quel che costi.
***
Ecco
qui … mi sento un
po’ triste nel pubblicare questo epilogo, perché
Queen Victoria’s College ha
richiesto tanto impegno, tanta fantasia e tanta determinazione, ma mi
ha dato
in cambio tantissime emozioni.
Volevo
ringraziare tutti
coloro che hanno letto questa storia, i 5 che l’hanno
inserita tra le preferite
e i 7 tra le seguite, nonché tutti gli autori delle 39
recensioni.
Credo
che per il momento
mi prenderò una pausa, ma più in là
potrei decidere di scrivere qualche one-shot
legata ai personaggi, o anche un vero e proprio seguito. Ho lasciato il
finale
aperto proprio per questo, anche perché mi conosco e so che,
quando rileggerò
la storia dall’inizio alla fine, mi verrà una
voglia matta di continuarla XD
Quindi,
ancora grazie se
siete arrivati a leggere fin qui, e buona Pasqua a tutti!
adamantina
|
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