I only have eyes for you

di Beverly Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-Test numero uno ***
Capitolo 2: *** Test numero due ***
Capitolo 3: *** Test numero tre ***
Capitolo 4: *** Lavagna ***
Capitolo 5: *** Lento ***
Capitolo 6: *** Terrazzo ***
Capitolo 7: *** Blu polveroso ***
Capitolo 8: *** Scale ***
Capitolo 9: *** Rosario ***
Capitolo 10: *** Esorcismo ***
Capitolo 11: *** Sconfitta ***
Capitolo 12: *** Poltergeist ***
Capitolo 13: *** Epilogo- l'ultimo saluto. ***



Capitolo 1
*** Prologo-Test numero uno ***



- Higurashi, questo è tutto sbagliato, sarà meglio che tu lo ripeta domani.

Kagome osservò mesta il foglio scritto in nero e quasi completamente sottolineato di rosso, sentendosi prossima alle lacrime.
Aveva davvero studiato per quel test!
Almeno, quanto le era stato possibile nelle ultime due settimane.

Sospettava che la rapida lettura dei suoi libri fatta la sera dopo aver camminato tutto il giorno ed aver eventualmente combattuto contro qualche demone non fosse il metodo migliore per memorizzare tutte quelle formule matematiche, ma che scelta aveva?

In più aveva passato gli ultimi quattro giorni a casa (con Inuyasha che le alitava sul collo), studiando giorno e notte con crescente disperazione.

Eppure … Niente, non era riuscita a prendere neppure la sufficienza minima per lasciarsi quella porzione di programma scolastico alle spalle!

Kagome ringraziò il professore, chinando la testa, quando avrebbe preferito lanciargli contro foglio, cattedra e lavagna e guadagnò il suo posto solitario nell’aula vuota, anche ora che il compito di recupero si era concluso.

Questa era tutta colpa di Inuyasha, concluse furente, mentre anche il suo insegnante la abbandonava alla sua disperazione.

Se solo le avesse permesso di tornare a casa prima e avesse avuto il buon gusto di non seguirla fin da subito e lasciarle un po’ di pace per studiare!
Aveva sprecato metà del tempo soltanto per attivare la collana che il mezzo demone portava e schiantarlo a terra quando diventava troppo irritante.
Anche il suo fratellino Sota non era di grande aiuto, visto che adorava ripetere a tono di voce sempre maggiore quanto apprezzasse la presenza di Inuyasha nella sua casa.

… E lei non riusciva mai a studiare!

- Accidenti … - gemette, premendo la fronte contro la superficie del banco.

Non una volta nella sua vita sembrava che tutto potesse scorrere con un minimo di tranquillità.

Stava diventando via via sempre più brava a destreggiarsi nell’insidioso mondo di Inuyasha: la sua precisione con arco e frecce diventava sempre maggiore ed oramai riusciva a localizzare frammenti della Sfera dei Quattro Spiriti a chilometri di distanza; aveva sviluppato anche una certa destrezza nello schivare i colpi dei demoni e trovare i punti più riparati da dove sferrare i suoi attacchi, senza che neppure Inuyasha si dovesse affannare a portarla lontano dal pericolo.

Finalmente!

Però a rimetterci era la vita nel suo tempo, quella che avrebbe dovuto trovarla preparata e che invece la faceva sentire sempre un passo indietro rispetto a tutti quelli che potevano risiedervi in pianta stabile.
I suoi voti in tragico declino ne erano una prova tangibile.

Premette la testa contro il legno con più energia, prima di alzarsi di scatto e rovesciare la sedia sul pavimento; senza preoccuparsi di raccoglierla, afferrò i suoi libri e si lanciò in direzione della biblioteca della scuola.

Non era il caso di tornare a casa: Inuyasha vi si era stabilito con la sua difficilmente ignorabile presenza e di certo non sarebbe riuscita a studiare per il secondo test di recupero, se vi fosse tornata.


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- Questo non lo capirò mai - dichiarò Kagome alla biblioteca deserta, chiudendo a malincuore il libro. Erano almeno quattro ore che studiava senza posa ed era certa che se avesse continuato altri cinque minuti il suo cervello si sarebbe fuso per poi uscire dalle orecchie.

Si era fatto buio ormai ed era stupita che il suo mezzo demone da guardia non si fosse ancora presentato rinfacciandole di essere in ritardo; si sentiva anche piuttosto ferita a riguardo: Inuyasha la inseguiva fino a casa ma poi non andava neppure a prenderla se tardava da scuola? Perché non era preoccupato come al solito che le fosse successo qualcosa?

Incupita, pensando che forse il ragazzo si era stufato di aspettare ed aveva attraversato il pozzo, per rimproverarla aspramente non appena fosse tornata, Kagome raccolse mestamente i libri, ripetendosi quello che si era forzatamente ficcata in testa nelle ultime ore.

Allora, quando aveva solo voglia di tornare a casa e divorare una cena sostanziosa, venne distratta da due voci alte, una maschile e una femminile, che provenivano dal piano superiore.

“Oh, Kagome, non ti impicciare,dai” si rimproverò, mentre tendeva automaticamente l’orecchio per capire cosa dicessero.

Di certo litigavano, decise, e forse piangevano anche.

“ Non ti impicciare” si ripeté, muovendo due passi decisi verso l’uscita della scuola. Dopo nemmeno un metro, aveva già fatto dietro-front per dirigersi speditamente verso le due persone che, ormai, praticamente gridavano.

“Va bene, impicciati” si concesse “che male vuoi che faccia?”

Mentre correva lungo le scale che conducevano al piano superiore, Kagome colse stralci di conversazione che quasi quasi la fecero pentire di essere rimasta: pareva con pochi dubbi il litigio fra due amanti.

- Perché non capisci … finita?

- Non … lasciare!

Kagome si affrettò su per le scale, tentando di capire più parole possibili.

- Non … amo!

- Divento pazzo se …!

- E’ finita!

- Non puoi lasciarmi, maledetta!

Raggiunto il piano superiore, Kagome si bloccò con un sobbalzo. L’ultima frase era stata gridata con una rabbia mostruosa e la voce maschile era rimbombata nel corridoio. D’un tratto, la ragazza desiderò non trovarsi lì ma la curiosità la divorò a tal punto da avvicinarsi ulteriormente.

- Mio Dio!- gemette la voce femminile.

Passi di corsa.

Kagome raggiunse un bivio e sbirciò oltre l’angolo: eccoli!

C’erano una donna che riconobbe vagamente come una delle segretarie dell’ufficio scolastico e nientemeno che il professore che le aveva rifilato l’insufficienza, poche ore prima.
Kagome assottigliò gli occhi nella direzione della coppia, poi li spalancò, sobbalzando una seconda volta.
La donna camminava speditamente a ritroso, tendendo d’occhio il professore, che le puntava contro quella che era inconfondibilmente una pistola.

La mente di Kagome si fece bianca e muta dalla paura.
Aveva affrontato zanne, spade e frecce, artigli velenosi e anche maledizioni di sacerdotesse oscure; non aveva la minima idea di come comportarsi di fronte ad un’arma da fuoco.

Rimase a bocca aperta, senza sapere come agire, quando la donna voltò le spalle all’uomo e corse nella sua direzione.
Il grido “Inuyasha!” si era già fatto strada per metà fuori dalla bocca di Kagome, quando si accorse che il professore si faceva avanti a sua volta.

Senza pensare, ma solo agendo come avrebbe fatto se si fosse trovata nel Sengoku, Kagome sbucò fuori dall’angolo non appena l’uomo l’ebbe superato; l’afferrò alle gambe, facendogli perdere l’equilibro e mandando entrambi a cadere contro il pavimento.

Quasi pianse dal sollievo quando vide la pistola cadere di mano al professore e finire a sua volta a terra.
Da dove era finita, la faccia contro le piastrelle bianche, poteva vedere che la donna si era voltata a guardare alle sue spalle e si era addossata alla parete, poco lontano dalla porta che conduceva al terrazzo della scuola; colse un misto di terrore e dolore sul suo viso striato di lacrime.

Passarono forse dieci secondi, prima che Kagome scattasse di nuovo, nel tentativo di allontanarsi dall’uomo ma questo fu più veloce: la ragazza sentì la sua mano calarle sulla spalla e strillò di sorpresa e spavento.
Poi, l’uomo la tirò indietro e Kagome potè vedere quanta confusione ci fosse in quegli occhi.

- Cos’è successo?- domandò, come a confermare il suo smarrimento.

- Cosa?- ansimò Kagome incredula - stava per sparare alla sua fidanzata!

La studentessa indicò con un ampio gesto del braccio la donna, che si era di nuovo avvicinata.

- No- scosse la testa l’uomo.

Addirittura, la tirò in piedi quasi di peso in un eccesso di galanteria fuori luogo.

- No? - ripeté Kagome - stavate litigando! Le ha puntato una pistola addosso!

- Non stavamo litigando- la contraddisse la donna. La sua voce, che aveva tremato di dolore fino a quel momento, era tornata calma in un tempo minimo.

- Stavamo parlando dei moduli di iscrizione- rincarò l’uomo.

Kagome si guardò intorno disperata.

Chi erano i pazzi, lì? Aveva appena evitato un omicidio! O forse aveva studiato troppo e aveva cominciato ad avere visioni?

- E la pistola?- chiese a mezza voce.

- Non c’è nessuna pistola- affermò la donna.

Kagome si accigliò  e cercò velocemente sul pavimento l’arma, certa che almeno quella avrebbe confermato che non stava dicendo addio alla sua sanità mentale.

Il pavimento era inondato dalle luci delle lampade al neon e completamente sgombro; non c’era una minima zona d’ombra o un luogo dove poter celare qualcosa.

- Mi ricordo di aver cominciato litigare- intervenne il professore - solo che non so il perché.

Kagome distolse lo sguardo dal pavimento e lo puntò sul professore.

Beh, almeno c’era qualcuno che sosteneva la sua versione senza il bisogno di andare alla ricerca di prove.

Perché della pistola che l’uomo aveva puntato contro la segretaria, sul pavimento non vi era traccia.




Note-di-me:

Oh, lo so, lo so.
Se qualcuno si ricorda di me, come minimo sta pensando che ho una bella faccia tosta a postare una fan fiction nuova, considerando che ne ho una in attesa di aggiornamenti da quest'estate!
Mi dispiace per la mia presenza fantasma e per aver recensito così poco le vostre storie... Come molti, anch'io ho passato e sto passando quel fantastico periodo nel quale si hanno tantissime cose da fare e fermarsi è un lusso!^^
Ho messo nella lista delle cose da fare anche "riprendere ad usare EFP civilmente"!XD

Note-sulla-fan-fiction:
Come ho detto, la storia di base è liberamente ispirata (si dice così?) ad una puntata del telefilm "Buffy The Vampire Slayer"(2x19), dalla quale ho preso anche il titolo. Ho adottato e riproposto qui il mistero della pistola che non si trova e dei due che litigano senza motivo ma dialoghi e scene aggiuntive sono inventate di sana pianta anche perchè andavano un minimo adattate!XD

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Capitolo 2
*** Test numero due ***




- Ho capito, ti senti presa in causa perché c’eri ma questi non sono affari tuoi. Studia, piuttosto, fra un paio di giorni dobbiamo tornare.

Kagome scosse la testa a osservò Inuyasha con la coda dell’occhio, prima di concentrarsi nuovamente sui libri.
Si era attardata con il professore e la segretaria il giorno prima e si erano lasciati con una moltitudine di sospetti e la quasi certezza di essere impazziti.

Dopo la confusione iniziale, i due adulti avevano confermato di ricordare entrambi ogni azione che avevano compito, grida, insulti e tentato omicidio compresi.

Detto questo, nessuno dei due pareva in grado di spiegare il perché di quanto successo. A detta loro,  era parsa una reazione del tutto naturale, piangere e strepitare dal nulla.

Quando Kagome era tornata a casa aveva raccontato la sua avventura alla sua famiglia al completo più Inuyasha.

Ovviamente, l’unico ad ostentare disinteresse per l’intera faccenda era proprio Inuyasha, che non chiedeva niente di meglio che il ritorno immediato dall’altra parte del pozzo, senza perdite di tempo a bighellonate per una scuola della quale non capiva l’utilità.

- Non ti incuriosisce neanche un po’, Inuyasha?- volle sapere Kagome, guardando il muro di fronte alla sua scrivania.

- No- rispose Inuyasha all’istante - ho già abbastanza casini da sistemare nel mio, di tempo.

- Beh, ma visto che invece per me è l’epoca giusta potrei interessarmene.

Inuyasha sbuffò, cambiando svogliatamente posizione da dove stava, appollaiato sul letto di Kagome.

- No, non puoi. Abbiamo la Sfera dei Quattro Spiriti da ricostruire.

- Devo anche studiare!
- si infervorò Kagome.

- Allora studia- la freddò il mezzo demone.

Kagome sentì un “A cuccia!” lottare per uscirle dalla bocca e prese fiato, pronta a pronunciare la parole ma Inuyasha scelse proprio quel momento per balzare giù dal letto e guadagnare l’uscita a velocità supersonica.
Kagome sospirò: pareva che avesse affinato il suo fiuto per gli “A cuccia”. Invece di evitare che venissero detti, ora riusciva a scappare prima di venire schiantato faccia a terra. Non era valido.

Eppure … Eppure neanche questo riusciva a distrarla.

Dal giorno prima non pensava ad altro: l’assurdo comportamento di due persone adulte e l’apparizione e sparizione inspiegabile di una pistola.

Inuyasha poteva trovarlo insignificante ma lei lo trovava un ottimo argomento per il quale ossessionarsi.
Le sembrava troppo sovrannaturale, troppo “Sengoku”.
Con il tempo, era arrivata a definire così tutto ciò che nella sua epoca pareva troppo assurdo per essere razionalmente spiegato.

Ricordava di quando aveva avuto a che fare con il fantasma irrequieto di quella ragazzina, Mayu, forse una vita prima; allora il demone Tatarimokke si era mosso nel suo mondo, perfettamente a proprio agio. Prima ancora, c’era stata c’era stata la maschera di carne, che l’aveva inseguita fino quell’edificio in costruzione, costringendo Inuyasha a correre in suo soccorso, sotto gli occhi ammirati di Sota.

Quelli erano stati i pochi, se non unici episodi nei quali la sua vita sovrannaturale nel Sengoku si era fusa con quella ordinaria che conduceva nel suo mondo.

Ma più di questo non c’era stato altro.
Stavolta non pareva che qualche creatura si fosse fatta strada attraverso il Pozzo Mangia Ossa per inseguirla a cinquecento anni di distanza; se non altro, la pistola fantasma la aiutava a giungere a tale conclusione.

Detto questo, Kagome trovava impossibile che i demoni si fossero totalmente estinti nell’arco di cinque secoli: erano troppo potenti e immortali, certo non potevano sparire così.

Chissà, forse si nascondevano fra gli umani, per nulla desiderosi di avere autentici contatti con loro o di attirare l’attenzione. Ma chi poteva dirlo, forse c’era davvero uno spettro o un demone dispettoso nella sua scuola, che costringeva la gente a litigare e forse uccidersi.

Kagome guardò desolata le formule incomprensibili che avrebbe dovuto essere stata in grado di utilizzare per il giorno successivo, chiedendosi quale dei due ragionamenti che si affastellavano nella sua mente fosse il più impossibile da comprendere.

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- Domani passerò il test! - annunciò Kagome alla famiglia, durante la cena.

- Questo è lo spirito giusto, cara- approvò sua madre.

Inuyasha si limitò a fissare imbronciato il suo piatto, come se gli avesse fatto un torto odioso e Kagome fissò lui, scontenta della sua mancanza di collaborazione.

- Poi torniamo, va bene?- domandò dopo una pausa di silenzio.

- Fra un paio di giorni- si arrese la ragazza, concentrandosi nuovamente sul suo piatto.

“Farò del mio meglio e passerò il test” si ripeté mentalmente, rivedendosi davanti le formule che aveva riletto fino alla nausea.

Il giorno dopo, comunque, le parve di non aver studiato abbastanza in ogni caso, perché il foglio del compito in classe le parve solo un agglomerato di segni impossibile da interpretare.

“No, no, no!” si cantilenò, scrivendo di getto quelle che le parevano le soluzioni più sensate sotto gli occhi compassionevoli del professore- lo stesso che ieri era stato potenzialmente posseduto da un demone o simili.

- Hai finito, Higurashi?- domandò questi allo scadere del tempo.

- Sì … Sì!- quasi pianse la ragazza, consegnando l’ennesimo compito fallimentare.

- Kagome … -scosse la testa l’uomo, scorrendo il foglio con lo sguardo.ù

Lei si sentì doppiamente avvilita, dopo essere stata chiamata per nome; il professore provava sincero dispiacere e probabile pietà per lei, povera ragazza dalla testa troppo dura per ficcarci dentro un paio di formule matematiche esatte.

- Fai un altro tentativo domani- la incoraggiò l’uomo- questo compito è già migliore di quello di ieri, vedi.

- Casa mia non è il posto migliore per studiare- pigolò la ragazza, forse in cerca di una scusa per non essere passata.

- Allora resta qui- le fu consigliato caldamente- ma non andare all’ultimo piano.

Kagome scrutò il volto piuttosto giovane del professore; l’ultimo piano, dove ieri lui aveva quasi sparato alla segretaria, era certo l’ultimo posto nel quale si sarebbe recata volentieri dopo il giorno precedente … Forse.

- Io torno a casa- aggiunse l’altro, quasi ridacchiando - meglio non rischiare.

Kagome non trattenne un sorriso all’ultima affermazione; per un adulto doveva essere molto più difficile accettare certi episodi che non avevano una spiegazione e non se la sentì di incolparlo, mentre questi praticamente fuggiva dall’aula.

Con un sospiro rassegnato la ragazza si alzò in piedi, afferrando automaticamente la maniglia della cartella. Si concesse un  paio di fantasie fugaci nelle quali mentre camminava per la sua strada, i misteri della matematica si chiarivano nella sua mente in un atto miracoloso e decise che nonostante non fosse il luogo più adeguato, avrebbe studiato a casa sua.
Non era nei suoi piani assistere ad un episodio analogo a quello che si era svolto davanti ai suoi occhi il giorno prima.
Attraversò i corridoi deserti della scuola verso l’uscita tendendo l’orecchio, giusto per controllare che il professore e la segretaria non stessero riprendendo da dove erano stati interrotti: non udì nulla se non i suoi passi.

“Curiosità morbosa, Kagome” si rimproverò voltandosi verso le scale che conducevano ai piani superiori. Forse il demone risiedeva lì da sempre e qualcosa di recente l’aveva disturbato? Il suo potere spirituale? No, erano anni che lei frequentava la scuola. L’aura semi demoniaca di Inuyasha? Anche in quel caso avrebbe dovuto manifestarsi prima.

Kagome sobbalzò, presa alla sprovvista dal rumore di una macchina che passava davanti all’uscita del cortile poco lontano.

Lo prese come un segno che quello sarebbe stata l’occasione giusta per la sua uscita di scena dal luogo sospetto.

A malincuore, si avviò verso casa, il peso dell’ennesimo test fallito e dalla curiosità per quanto era successo il giorno prima a gravarle addosso.

Inuyasha la stava aspettando, pronto a lamentarsi ed imbronciarsi perché avrebbe dovuto sostenere una nuova verifica che avrebbe ritardato il loro ritorno nel Sengoku.

Il mezzo demone era quanto di più rozzo ed insensibile avesse mai conosciuto, per non comprendere quanto fosse importante nella sua vita ottenere dei successi scolastici.

Kagome iniziò a covare la rabbia ancora prima che Inuyasha avesse avuto la possibilità di lagnarsi e si disse che per guadagnare tempo l’avrebbe schiantato a terra non appena fosse giusta a casa, così per non rischiare. Quella era l’unica cosa che faceva una qualche presa su di lui.

Inoltre, per qualche minuto il suo viso le rimaneva nascosto e lei aveva la possibilità di prendere fiato. E poi lui si lamentava che Kagome abusava del potere del rosario. Come poteva pretendere che fosse coerente se le puntava addosso quegli occhi ambrati grandissimi?

Quasi a sottolineare la domanda, Inuyasha le spuntò davanti proprio in quel momento, le sopracciglia aggrottate di chi sta trascorrendo una pessima giornata.

- Sei in ritardo- accusò senza mezzi termini.

La ragazza mosse un passo indietro, momentaneamente ammutolita. Poi, animata suo malgrado dalla presenza dell’altro, esclamò:

- Mi stavi venendo a prendere!

- Che?

Le sopracciglia di Inuyasha abbandonarono il cipiglio imbronciato per arcuarsi in un’espressione dubbiosa.

- Me ne stavo solo qui fuori. Scema.

Senza parole, Kagome si rese conto di essere arrivata a casa. Totalmente sovrappensiero, aveva salito tutti i gradini che conducevano al tempio senza neanche accorgersene, tanto automatico le veniva il percorso ed ora si trovava a pochi metri dalla porta d’ingresso della sua abitazione.

Inuyasha non stava venendo a prenderla proprio per niente.

Ferita, Kagome alzò sul ragazzo uno sguardo colmo d’ira. Perché non nascondeva quelle stupide orecchie da cane e non andava a recuperarla a scuola per una volta? Quelli che scandivano il tempo che avrebbero impiegato a tornare a casa sarebbero stati gli unici momenti nei quali lei non avrebbe avuto l’incombenza dello studio e lui quella di tenerla al riparo dai demoni. Egoista, rozzo, stupido, musone.

- Inuyasha … - ringhiò - A cuccia!

Soddisfatta del rumore che provocò il corpo del mezzo demone quando andò a cozzare contro il terreno, Kagome lo superò impettita per entrare in casa. Per due minuti la sua testa fu sgombra da test andati male e professori che minacciano di uccidere segretarie.

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- Domani è la mia ultimissima possibilità- avvisò Kagome non appena ebbe preso posto al tavolo della cena.

Sua madre le rivolse uno sguardo amorevole che celava quasi del tutto la sua preoccupazione. Non le aveva mai rimproverato i voti bassi e le lezioni bigiate ma era troppo pretendere che non fosse in pena per la disastrosa situazione scolastica di sua figlia maggiore.

Inuyasha tormentò il riso con le bacchette prima di mangiarlo. Era ancora offeso per essere stato schiantato a terra, a suo parere senza un valido motivo, ma non si arrischiava a farlo presente a Kagome per evitare il bis.

- E quelli che hanno cercato di uccidersi a vicenda?- si informò Sota, la bocca piena di cibo.

- Niente di niente- rispose Kagome, sorvolando sulla scelta del lessico.

- Sono saltati i nervi a tutti e due, credi a me- decretò suo nonno, quasi solennemente.

La ragazza annuì, per nulla desiderosa di avviare quella particolare conversazione. Aveva a fatica tenuto a bada quel pensiero ossessivo mentre stava china sui libri di matematica ma una porzione della sua mente vi era sempre concentrata.

Guardò in tralice Inuyasha, che fissava con insistenza il muro di fronte a lui, come a scoraggiare ogni tentativo di avviare una chiacchierata. Come poteva non essere incuriosito neanche un po’? Si parlava di un tentato omicidio e di qualcuno potenzialmente in pericolo … Era il suo campo, che diamine!

- Spero vada tutto bene - sospirò sconfitta, non riferendosi solo al test.

- Se vai via subito dopo allora non partecipi alla festa per il centenario della scuola, vero?- Sota sputacchiò altro riso sul tavolo per porre quella domanda.

- Cosa?- strepitò sua sorella - quale festa del centenario?

- Quella che organizzeranno alla tua scuola in un paio di settimane - si affrettò a rispondere il ragazzino, intimorito dalla sua reazione.

- Una festa nella mia scuola? Una che non dovrò contribuire ad organizzare? Una alla quale potrò presentarmi e basta?

Dimentica della cena, Kagome balzò in piedi nel tentativo di contenere l’emozione. Ricordava l’unica volta nel suoi quindici anni alla quale aveva partecipato a qualcosa di simile ad una festa, se non contava i tranquilli compleanni delle sue compagne di classe. Si trattava del festival culturale che si era svolto proprio nella sua scuola qualche mese prima e che con i suoi preparativi aveva prosciugato le sue energie; inoltre in quell’occasione c’era stato l’inseguimento di quei ridicoli demoni che si era portata dietro dal Sengoku.

Colpita da quel pensiero, Kagome ricollegò immediatamente quell’episodio quasi comico a quello di due giorni prima. Con un tuffo al cuore, si chiese se non si fosse di nuovo portata appresso nella sua epoca qualcosa di ben più pericoloso dell’ultima volta, senza neanche accorgersene.

Ripercorse mentalmente cosa aveva fatto prima di attraversare il pozzo ma il suo flusso di pensieri fu interrotto da una voce maschile:

- Col cavolo che perdi tempo anche per andare a questa roba, Kagome - stava dicendo Inuyasha, prendendo parola per la prima volta - domani fai questo stupido test e poi torniamo. Abbiamo perso fin troppo tempo a non far nulla.

Inviperita, Kagome abbandonò le sue elucubrazioni per replicare.

- Forse tu non hai fatto nulla mia io ho studiato sodo per giorni.

- E a cosa serve? - la rimbeccò l’altro.

- A farmi promuovere!

- Pensavo che studiassi per passare quei tuoi test!

- Esatto, cretino, e passando i test vengo promossa!

- Allora è inutile- concluse Inuyasha, nascondendo le mani nelle maniche.

- Come sarebbe inutile?

- Non hai passato neanche un test. O no?

Kagome vide rosso.

- E’ colpa tua se non passo! Non mi lasci studiare in pace!

- Ma se ti ho lasciato per conto tuo per giorni!

Allarmata, la ragazza sentì lacrime pungerle gli angoli degli occhi. Silenziosa come un’ombra, sua madre scivolò via dalla stanza; Sota ed il nonno erano fuggiti poco prima.

- Sì, e … E non mi sei neanche venuto a prendere a scuola!- esclamò del tutto incoerentemente.

- Tu non vuoi mai che mi faccia vedere in giro! Vuoi deciderti? Vuoi che ti stia attorno o no?

- Sì! No! Non quando devo studiare!

- Puoi studiare finché vuoi, secondo me. Avresti già superato quella roba se fossi stata capace. Devi essere stupida.

Ecco, ora Inuyasha cominciava decisamente ad essere troppo Inuyasha. Egoista, rozzo, stupido, musone.

Sconfitta, Kagome lasciò che le lacrime di rabbia ed indignazione le scivolassero sul viso. Alla loro vista, il mezzo demone assunse la sua tipica espressione da tonto incapace e si guardò bene dall’aggiungere altro.

Si scambiarono uno sguardo che non aveva nulla a che fare con le parole che si erano detti, uno sguardo slegato da ogni pensiero, che riconosceva solo la presenza dell’altro. Si guardarono.

- A cuccia!- strillò Kagome.

Il tavolino di legno si spaccò di netto a metà quando la faccia del mezzo demone vi si schiantò sopra. Kagome scappò dalla stanza, abbandonandolo fra le assi scheggiate e fece scorrere con violenza la porta per sentire rumore.
Avrebbe potuto singhiozzare fra le braccia di sua madre ma non voleva che Inuyasha avesse la conferma di quanto le sue parole erano importanti per lei.

Si chiuse in camera e trovò un valido sostituto dell’abbraccio materno nel suo cuscino rosa.

Quello … Stupido. Kagome si deluse di non essere mai stata abituata ad utilizzare termini più volgari che avrebbero fornito degli insulti più consistenti. Inuyasha le dava della stupida in continuazione ma mai riferendosi a fatti concreti che testimoniavano quanto in effetti lei fosse stupida. Aveva avuto l’ardire di credere che lui non lo pensasse sul serio quando la chiamava così.

La federa si bagnò di lacrime tiepide.

Erano stati davvero dei giorni pessimi. Era esausta per il troppo studio e non vedeva risultati del proprio impegno. Aveva miseramente fallito due verifiche sullo stesso argomento ed ancora oggi non era certa che un nuovo tentativo avrebbe portato ad un risultato diverso.

E poi c’era quello che era successo, quell’insensata lite fra il professore e la segretaria e quella pistola fantasma. Il pensiero le si era annidato in testa come un tarlo e le impediva di concentrarsi su qualcos’altro, esaurendola.

Era troppo stanca per le notti passate in bianco sui libri e non c’era bisogno che il pianto bruciasse i suoi occhi che già le dolevano per il sonno. Lasciando calare le palpebre in cerca di sollievo, non si accorse che Inuyasha entrava nella stanza.

Lo sentì però quando prese posto a terra, vicino ai piedi del suo letto.

- Eh … - tentò.

Kagome tacque: non aveva intenzione di aiutarlo a cominciare il dialogo.

- Se proprio ci tieni ad andare a questa roba della tua scuola … - esordì.

Di nuovo, Kagome non parlò affatto.

- E poi è fra due settimane. Intanto torniamo e quando è ora puoi andare. Va bene.

- Non mi importa- disse infine lei. Si odiò per come la sua voce suonava tremula.

- Sì, invece, dai, Kagome, perché piangi se no?

- Non sto piangendo!- mentì lei, mettendosi di scatto seduta.

- Sì invece!

- No invece!

- Hai le lacrime sulla faccia!

- Non è vero!

- Sì che è vero!

Kagome sentì che avrebbe potuto continuare quell’infantile scambio di battute per ore. Ogni volta che era Inuyasha ad andare a cercarla dopo un litigio, le si accendeva una tiepida fiammella di conforto nel petto.

- No che non è … - si mordicchiò le labbra - non me la sono presa per quello.

- E allora per cosa?

- E’ perché mi hai dato della stupida.

- Che? Ma io ti do sempre della stupida, stup … Ehm, Kagome.

- Sì ma stavolta sembrava lo pensassi davvero.

Scrutandolo, la ragazza si accorse che non c’erano bronci sul suo viso ma solo una smarrita espressione aperta che faceva sembrare più giovane il suo volto già giovane.

- Chi ti capisce è bravo.
Kagome tolse i resti di acqua e sale dalle sue guance e appoggiò la schiena contro il materasso.

- Sono stanca, Inuyasha- confessò con sincerità.

- Beh, dormi, no?-

- Sì. Ma vorrei dormire nel mio letto per un po’.

- Ma lo stai facendo.

- Per più di una notte di fila!- si spazientì Kagome.

- Vuoi restare qui? Anche dopo il test?

- Un paio di settimane- supplicò Kagome - fino alla festa. Per favore?

La loro lite non poteva neanche dirsi conclusa e lei già le chiedeva se poteva stare a casa ancora un po’, per favore.

Ma forse il battibecco le sarebbe comunque tornato utile.

- Va bene. Due settimane. Ma poi toniamo, eh, niente scuse.

- Niente scuse.

Un silenzio confortevole li avvolse. Era sempre brutto scontarsi con Inuyasha. Lui le diceva sempre quello che pensava senza mezzi termini e la colmava di una rabbia che in nessun modo riusciva a contenere. Anche nell’ira, davanti a lui si sentiva sempre messa a nudo. Chiuse gli occhi, più serena.

Un leggero fruscio ed il sentore di qualcosa di soffice addosso le rivelò che Inuyasha le aveva rimboccato le coperte. Le sue mani fresche le toccarono brevemente il viso, dandole sollievo alla pelle coperta dal sale.

- Hai le guance arrossate.

- E’ colpa tua.

Kagome sentì le sue membra affaticate sprofondare sempre di più nel materasso e si concesse un sospiro soddisfatto.

- Ti perdono per prima, Inuyasha- disse.

- D’accordo.

A rinfrescarle ancora una volta il viso caldo scese la mano di Inuyasha, della quale memorizzò il tocco ruvido ma confortante prima di addormentarsi.











Note-di-me:
Son tornata! Era moltissimo che non pubblicavo una storia, quindi quella del rispondere alle recensioni direttamente a chi le ha scritte è una novità per me... Spero che i miei ringraziamenti ad Adelhait siano giunti a destinazione senza intoppi!XD
Grazie molte a chi ha come minimo cliccato sul titolo della fan fiction, è già molto!XD

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Capitolo 3
*** Test numero tre ***


Non superò il test. Questo fu più o meno tutto quello che c’era da dire. Per Kagome era abbastanza.

Il professore le mostrò il suo foglio, indicandole desolato tutti i suoi errori che aveva commesso nello svolgere gli esercizi, e poi l’aveva infilato in una cartella per documenti che sarebbe finita chissà dove.

Lei sperava dove non sarebbe stata più vista da occhio umano.

Per il terzo giorno di fila, la scena si ripeté identica: l’insegnante le rivolse uno sguardo di pietà malcelata e uscì dalla porta, abbandonandola nell’aula deserta a rimuginare sulle sue disgrazie.

Una volta rimasta sola, Kagome rivolse uno sguardo di puro terrore in direzione del soffitto. Aveva fallito su tutta la linea. E ora che avrebbe fatto? Matematica si andava ora ad aggiungere alla lista sempre più lunga delle materie che avrebbe dovuto recuperare a fine anno. Se così non fosse stato non sarebbe stata ammessa alla classe successiva.

Non sentì la necessità di piangere perché l’aveva soddisfatta appena il giorno prima ma il bruciore della delusione le invase comunque la gola. Si disse che non aveva nulla più da fare lì e che tanto sarebbe valso tornare a casa ma rimase inchiodata al suo posto, la testa rovesciata all’indietro.

Quando si alzò le sue gambe la condussero con naturalezza verso l’ultimo piano dell’edificio. La porta del terrazzo ruotò silenziosa sui cardini quando la spinse per uscirvi.

La sera cominciava appena a calare; l’aria era immobile. Kagome si appoggiò alla ringhiera e si sporse per guardare giù. Non c’era proprio nessuno lì che lei potesse vedere, né alcuna aura demoniaca che solo a lei fosse dato localizzare. Dopo quello che era successo, tutto sembrava essere tornato alla calma piatta che contraddistingueva la sua epoca. Nemmeno il professore e la sua fidanzata sembravano aver risentito più di tanto di quei cinque minuti di pazzia: da dove si trovava, la ragazza li vide uscire a braccetto dalla scuola e camminare insieme nel cortile, diretti verso l’uscita.

Kagome si lasciò scivolare a terra, puntando le ginocchia sul pavimento. Forse sarebbe stato meglio tornare, dopotutto. Sango e Miroku certo si stavano chiedendo che fine avesse fatto, per non parlare di Shippo.

Eppure lei voleva restare; voleva partecipare alla festa del centenario ma non era solo questo che la rendeva restia ad attraversare il Pozzo. Il pensiero della verifica non superata abbandonò la sua mente, sostituita di buon grado dalla sua nuova ossessione favorita, scoprire cosa era successo nella sua scuola. Anche se si era trattato solo di un episodio isolato, Kagome era convinta che quello fosse solo l’inizio, che fosse stato solo il via ad una serie di fatti legati a qualcosa … Qualcosa di irrisolto. Piegò la testa di lato, chiedendosi da dove fosse sbucata quella certezza, della quale comunque non dubitò neppure per un attimo.

- Non dirmelo: non sei passata.

Colta di sorpresa, Kagome sobbalzò e guardò in alto, dove, sulla ringhiera, stava appollaiato Inuyasha, accovacciato per vederla da più vicino.

- Sei venuto a prendermi!

- Sì, non avevo ben capito se volevi o no …

Kagome sorrise con calore alla vista del berretto con la visiera che il mezzo demone si era calcato sulle orecchie e si alzò in piedi.

- Allora? Sei passata?

- No. Lo passerò a fine anno, con le atre mille materie che devo recuperare.

Come ogni giorno seguente ad un loro litigio, Inuyasha le risparmiò commenti antipatici ma si limitò a scrutarla preoccupato, come se avesse temuto di vederla piangere di nuovo. Invece, Kagome si sentiva abbastanza serena: il dolore per la verifica andata male l’aveva torturata per appena pochi minuti perché il mistero della pistola fantasma la appassionava troppo per focalizzare i pensieri su altro. Come quando si portava il libri nel Sengoku ma rinunciava a studiare per discutere sulla possibile localizzazione di Naraku, l’importanza maggiore di un fatto schiacciava la minore di un altro anche in quel caso.

- Sì, sarà così- concordò Inuyasha insicuro.

Lei lasciò scorrere con deliberata lentezza lo sguardo su di lui, soffermandosi sulle gambe forti, le spalle dritte ed in ultimo il viso: aveva di nuovo quella smorfia accigliata che lo invecchiava ma era lo stesso bello.

- Cosa senti?- domandò.

- Che?
- Non senti niente? Odore di demone?

- No, niente. Solo il tuo odore.

Kagome fece una smorfia, delusa, senza cogliere il velatissimo complimento.

- Facciamo un giro dentro.

- Dai, ti sono anche venuto a prendere, adesso ce ne andiamo.

- Un giro veloce!

- Possibile che non riesci a pensare ad altro? Non potevi ossessionarti per la Sfera dei Quattro Spiriti?

- Non serve, per quello ci sei già tu.

Inuyasha balzò contrariato giù dalla ringhiera e seguì Kagome di malavoglia, mente lei lo precedeva di nuovo all’interno dell’edificio. La sera era calata in fretta e le luci al neon erano ora tutte accese: volenti o nolenti, si vedeva tutto, così poterono constatare che nel corridoio non vi era nulla di sospetto.

Da dove si trovava, Kagome udì le note lontane di una canzone dal ritmo lento e malinconico e si domandò quale coppietta stesse sfruttando un’aula per un appuntamento.

- Contenta? Non c’e niente qui- stabilì Inuyasha.

- Aspetta, usciamo dalla porta principale.

- Ma ti porto a casa io! Facciamo prima a partire da qui!

- Che fretta hai, non dobbiamo andare da nessuna parte!- sottolineò Kagome, per ricordargli che le aveva concesso un permesso straordinario di due settimane.

Camminarono silenziosi, il mezzo demone scocciato, la ragazza umana allerta. La musica non aumentò di intensità man mano che si spostavano, tanto che Kagome arrivò a chiedersi da quale aula mai venisse, per quanto era così vaga che il rumore dei loro passi quasi la copriva.

Nessun fatto degno di nota accadde mentre scendevano le scale, né nessuna pistola venne puntata quando attraversarono il cortile. Kagome salì sulle spalle di Inuyasha, delusa, e lanciò un’ultima fuggevole occhiata all’edificio prima che il mezzo demone spiccasse un balzo. Non c’erano macchine né biciclette parcheggiate nell’apposita aria. Nelle tenebre che calavano sempre più fitte, l’edificio si sarebbe detto deserto.

Per far fronte all’aria fresca che le schiaffeggiava il viso, Kagome abbassò la testa, per nasconderla il più possibile contro la veste rossa di Inuyasha; la città scorreva sotto di loro, un semplice agglomerato di striature colorate dai contorni sfocati per la velocità alla quale si spostavano.

- Chissà dove stavano nascosti quelli che ascoltavano la musica- si domandò Kagome a voce alta.

- Musica?

- Sì, quella canzone che si sentiva. Certo che avrebbero potuto almeno scegliere qualcosa di più allegro.

- Io non ho sentito niente.

- Beh, si sentiva molto poco.

Kagome raddrizzò il collo per guardare sospettosa il berretto che il ragazzo indossava: era premuto per bene sulle orecchie ma davvero bastava così poco per limitare il suo finissimo udito demoniaco? Ne dubitava.

- Oh.

Era l’indizio che cercava e lei non aveva saputo riconoscerlo? Non ne era certa.

C’era davvero della musica triste, appena percepibile, che si sentiva nei corridoi della sua scuola.

 C’era, vero?
Vero?






Neanche una recensione! Trist. XD



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Capitolo 4
*** Lavagna ***




Era assurdo quanto riuscisse loro naturale: lei era una quindicenne e quando stava nella sua epoca era del tutto ordinaria. Lui era un mezzo demone con la destrezza emotiva di una teiera. I due dormivano nella stessa stanza, con la porta chiusa, a volte così vicini che per toccarsi avrebbero solo dovuto allungare la mano, e lo facevano come se fosse stato ovvio.

Kagome guardò il soffitto bianco senza modificare la sua posizione, sdraiata supina sul letto e non si mosse neppure quando Inuyasha, seduto vicino alla sua testa, attaccò con le sue ridicole domande.

- Ma cos’è questa cosa del centenario della scuola? Qualcuno che ha cento anni vive nella scuola?

- Ma no, Inuyasha. Festeggiamo il centesimo anno che la scuola esiste.

- Pensavo che la scuola non ti piacesse. Adesso vuoi pure andare ad una festa perché esiste?

- Se c’è una festa va bene.

Il mezzo demone si fermò ad assimilare le informazioni prima di parlare di nuovo.

- Cento anni non è poco. La scuola esiste da così tanto?

- Credo di sì. Le prime vere scuole risalgono a molto prima, sai.

- E fate festa ogni cento anni?

- No, ogni cinquanta
- quella parte Kagome la conosceva- è una fortuna che sia capitata proprio mentre frequento. Non succede a tutti, sai?

- Bah.

Inuyasha si alzò, ponendo bruscamente fine alla conversazione da lui stesso avviata.

- Vado ad avvertire gli altri che starai qui per un po’: saranno preoccupati.

- Ma poi torni?

- Non so, vedremo.

In un turbine di capelli bianchi, saltò dalla finestra e sparì alla vista, lasciandola da sola.

Colta di sorpresa, Kagome non riuscì neanche a salutarlo o a dirgli di rimanere. Inuyasha soffriva la lontananza dalla sua epoca molto più di lei o forse lo dimostrava in maniera più manifesta. A Kagome invece piaceva averlo attorno quando era a casa sua; le piaceva averlo attorno sempre.

Rassegnata a non sapere quando fosse tornato, scese infine a fare colazione con la sua famiglia e si diresse a scuola, senza sapere cosa si sarebbe dovuta aspettare una volta arrivata.

Non si era dilungata con Inuyasha sul discorso della musica che solo lei era riuscita ad udire; il mezzo demone aveva insistito di non aver sentito nulla e lei aveva lasciato perdere, conscia di quanto sarebbe stata inutile una conversazione con lui fossilizzato sulle sue convinzioni.

Camminando totalmente sovrappensiero, fu colta di sorpresa da un’esagitata Eri che, affiancata come sempre da Yuka e Ayumi, le infilò in mano un volantino di carta plastificata.

- Non ti ammalare, d’accordo?- la supplicò, senza perdere tempo a darle il buongiorno.

- Già- rincarò Ayumi -chiuditi in casa per due settimane per non rischiare, piuttosto, ma al centenario non puoi mancare.

- E metti questa!
- concluse Yuka, avvolgendole una sciarpa di lana attorno alla gola.

Spiazzata, Kagome controllò il volantino, che ovviamente pubblicizzava l’evento che si sarebbe tenuto in due settimane, il centenario della loro scuola.

- Perché distribuite volantini?- si informò guardinga- non avevo capito che gli studenti dovessero collaborare, questa volta.

- Infatti ci siamo offerte
- spiegò Ayumi con orgoglio.

- Così forse verremo nominate nel sito della scuola.

- Il sito?

- Il sito internet. Pensa che è stato aggiornato di recente e ci sono tutti i nomi di chi ha collaborato alla prima festa, cinquant’anni fa.

Gli occhi delle sue tre amiche brillavano in maniera sinistra ed alquanto maniacale.

- Pensa, fra altri cinquant’anni, gli organizzatori leggeranno i nostri nomi e trarranno ispirazione da noi!

Kagome si trattenne a stento dallo sbattersi il palmo in fronte; stavano separate davvero da troppo e nei tre giorni che era tornata a casa non aveva avuto tempo per parlare sul serio con loro. Ora si rendeva conto che doveva essere lei quella che infondeva un minimo di buon senso del gruppetto e che da sole, loro tre si davano corda a vicenda per imbarcarsi in imprese dal dubbio risultato.

Osservò il semplice manifesto, quasi interamente occupato da una foto dell’edificio scolastico e dove il nome, la data e l’ora dell’evento erano stati incastrati alla meglio nella parte inferiore del foglio.

- All’impaginazione ci ho pensato io- puntualizzò Eri con orgoglio.

Kagome le rivolse un sorriso stiracchiato, ringraziando di non aver subito criticato la grafica scadente del volantino e lo strinse a sé timorosa. Per sua fortuna, Ayumi parve leggerle nel pensiero perché disse:

- Non ti preoccupare, non ti stiamo chiedendo di aiutarci.

- Sappiamo che sei cagionevole- rincarò Eri.

- Basta che stai riguardata fino alla festa!

Due delle tre amiche la presero affettuosamente a braccetto mentre l’ultima le scortò fino a scuola, camminando un passo davanti a loro.

Kagome stropicciò distrattamente il foglio nella destra, sollevata che non le venisse chiesta una collaborazione e riflettendo vagamente che per il festival culturale, nessuno aveva avuto la premura di sollevarla dagli incarichi organizzativi, nonostante a quanto ne sapevano, la sua condizione di salute non era molto diversa da adesso.

Varcando la soglia dell’aula, Kagome si domandò se per caso, le sue tre amiche non avessero voluto mantenere quanta più (a sentir loro) gloria possibile, tutta per loro.

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Difficile non ossessionarsi.

Il professore stesso sembrava non essere in grado di concentrarsi sulla propria materia, con la festa del centenario così imminente e aveva deciso di sfogarsi sui suoi studenti, propinando loro un corso accelerato su quanto fosse importante celebrare la nascita della loro scuola e quanto loro fossero fortunati a poter partecipare ad un evento che aveva luogo solo una volta ogni cinquant’anni.

Kagome appoggiò la testa sulle braccia incrociate, lasciandosi scorrere addosso le parole dell’uomo. Non comprendeva proprio tutta questa agitazione in vita di una festa scolastica che doveva essere praticamente l’equivalente del ballo di fine anno americano: un agglomerato di corpi vestiti a festa stipati nella palestra o nelle squallide aule con le cartine geografiche appese alle pareti.

Eppure tutti i suoi compagni ascoltavano estasiati: forse nei suoi numerosi giorni di assenza si era persa qualche particolare fondamentale circa questa festa.

- Ora, se saremo fortunati, avremo qualche giornalista che ci intervisterà- stava dicendo il professore- dunque sarà bene mettersi d’accordo perché tutti abbiate qualcosa di sensato da dire. Non che senza il mio aiuto non sappiate dire qualcosa di sensato, ma …

L’uomo li scrutò poco convinto, incerto se avere appena commesso una gaffe o meno e per ridarsi un contegno, raccolse il gessetto che giaceva sulla cattedra.

- Vi darò qualche dritta di base- annunciò - un paio di regole che vanno rispettate per fare bella figura in un’intervista.

Kagome pensò che con quello si era arrivati al limite. Quasi quasi avrebbe preferito assistere ad una regolare lezione.

Il professore attaccò a parlare meccanicamente, scrivendo alla lavagna.

- Ricordate, prima di tutto assecondare-il-giornalista.

Si voltò.

- Anche se avete un’idea totalmente contrastante con la sua, non dovete farglielo capire: è lui che gestisce ciò che scrive, dunque sta a lui decidere se farvi fare la figura dell’idiota o meno …

Ma nessuno lo ascoltava più.

Kagome sbarrò gli occhi meravigliata mentre le sue orecchie si riempivano dei commenti e risolini dei suoi compagni.

- Che c’è?- insorse il professore -che succede?

Kagome arrossì, imbarazzandosi in sua vece.

- Ma …?

L’uomo volse nuovamente lo sguardo in direzione della lavagna e la ragazza vide le sue spalle irrigidirsi di sorpresa e vergogna, prima che si gettasse letteralmente sul cancellino, per togliere la scritta che lui stesso aveva tracciato.

Purtroppo per lui, tutti nell’aula avevano fatto in tempo a leggerla.

Il professore aveva scritto a caratteri cubitali: “Non puoi lasciarmi, maledetta!”

Kagome sentì la memoria pungolarla, alla ricerca di un ricordo che non riusciva a mettere a fuoco, disturbata com’era dalle risate dei suoi compagni.

- Piantatela!- si accalorò l’insegnante, diventando finalmente rosso- ed aprite il libro al capitolo nove!

La stanza si riempì allora del frusciare delle pagine, inframmentizzato dalle risatine che i ragazzi ancora faticavano a trattenere.

“Non puoi lasciarmi, maledetta!”

Quando la lezione si potè dire ufficialmente iniziata, l’attenzione di Kagome di potè dire ufficialmente focalizzata su altro.

Sulla musica triste che le era sembrato di udire il giorno prima aveva qualche dubbio ma era molto più difficile averne di fronte ad un fenomeno simile.

Cos’era appena successo? Un fattore dovuto allo stress poteva far giungere fino a scrivere frasi senza senso? Quando lei era molto stanca riusciva a dire frasi senza senso ma scriverle pareva un affare molto più complicato.

No, c’era qualcosa di più, qui, qualcosa che di certo era collegato alla faccenda della pistola fantasma ed al litigio dei due adulti, pochi giorni prima.

Anche lì, quello che sembrava un episodio ordinario si era poi rivelato qualcosa di inaspettato.
Il litigio fra due amanti
(Perché non capisci … finita?)
Si era evoluto in un quasi omicidio senza senso
(Non … lasciare!)

(Non … amo!)
E nessuno pareva in grado di spiegarne il fattore scatenante.
(- E’ finita!)

(NON PUOI LASCIARMI, MALEDETTA!)
- Oh!

Folgorata dall’illuminazione, Kagome si trattenne a malapena dallo scattare in piedi. Eccola, la sua conferma!

Quella frase aggressiva che era stata scritta alla lavagna era la stessa identica che il professore che le aveva rifilato l’insufficienza in matematica. Non c’erano dubbi, ora lo ricordava alla perfezione. Lui l’aveva urlata, al culmine di una furia senza senso e lei era stata trafitta dal dolore e dalla rabbia che ne erano traspariti. Solo dopo aveva visto la pistola ed era intervenuta.

Eccitata dalla rivelazione, la ragazza si aspettò quasi di veder comparire l’arma ancora una volta, magari impugnata dal quel professore dal cui volto, il rosso dell’imbarazzo defluiva pian piano.

Fu delusa nel constatare che più nulla di insolito stava accadendo. Le risa si erano infine esaurite e tutti gli studenti stavano prestando ascolto alla lezione, chi prendendo appunti, chi sottolineando sul libro.

Kagome scarabocchiò sul margine di un paragrafo, senza neanche provare a stare attenta. Quello che occupava i suoi pensieri era così infinitamente più importante!

Nessuno aveva la capacità di riconoscere il sovrannaturale nella sua epoca, a parte lei.

Se prima aveva avuto qualche dubbio, ora si era dissipato: stava a lei far luce su questo mistero.










Avere il capitolo pronto ma non il tempo materiale per metterlo on line = >________<

Fine(credo) dei capitoli "introduttivi"! Ora, si spera, si entra nel pieno dell'azione!^^ 

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Capitolo 5
*** Lento ***




- Quanto ti manca ancora?

- Ho quasi finito.

L’ultima affermazione di Kagome era una bugia, ma cosa di poteva dire ad un Inuyasha così innaturalmente … Sconsolato? Si concesse di guardarlo, volgendo lo sguardo alle sue spalle, stranamente intenerita e soprattutto grata che nonostante tutto l’avesse accompagnata.

Dal canto suo, Inuyasha tormentò il nodo della bandana che si era legato in testa per nascondere le orecchie e si guardò intorno disorientato per la centesima volta.

Era spuntato dal Pozzo Mangia Ossa da forse un paio di secondi quando Kagome era piombata su di lui. Gli aveva raccontato in fretta e furia quello che le era successo a scuola, mischiando confusamente parole come “Professore”, “Lavagna”, “Cancellino", e ancora una volta “Centenario della scuola”.

 L’unica parola che il mezzo demone aveva compreso era stata “maledetta”, epiteto che non aveva rivolto alla stessa Kagome solo perché si erano riappacificati appena un paio di giorni prima.

Dopodiché, la furia dai capelli bruni l’aveva trascinato per le grigie vie della sua città ed aveva rinchiuso entrambi in uno strano edificio dove le persone entravano con le scarpe ancora calzate. L’interno era stipato di scaffalature in legno ingombre di libri non dissimili da quelli che riempivano lo zaino di Kagome; lei li aveva comunque bellamente ignorati e l’aveva condotto in un’ala diversa dell’edificio, dove su un ripiano erano stati sistemati in fila dei bizzarri schermi luminosi che somigliavano molto a quello che stava nella cucina della casa della ragazza.

Eppure qualcosa di diverso dovevano averlo perché non emettevano suoni ma su di essi scorrevano scritte e figure che pareva fosse Kagome stessa a controllare.

Pigiando su tasti rettangolari e su una scatolina collegata all’apparecchio, la ragazza muoveva testi ed immagini a suo piacimento, sotto lo sguardo incuriosito del mezzo demone.

- Credo che vada bene anche questo- affermò. Pigiò sulla scatolina, traendone un “clic” piuttosto orecchiabile e seguitò nelle sue incomprensibili azioni.

- Ma si può sapere che stai facendo?- si spazientì Inuyasha.

Le si avvicinò e appoggiò le ginocchia a terra, accanto alla sua sedia. La luce proveniente dal rettangolo luminoso l’accecò per un attimo.

- Faccio una ricerca- spiegò Kagome- questo è l’equivalente tecnologico dei miei libri, hai presente?

- Tecno che?

- Guarda.

La ragazza cercò a tentoni la mano dell’altro e la appoggiò su quello che, solo lei dei due lo sapeva, si chiamava mouse.

- Se tu lo fai strisciare sul tappetino- spiegò, appoggiando il proprio palmo sul dorso della mano del mezzo demone e spostando l’apparecchio a scopo dimostrativo- la freccetta lì sullo schermo si muove.

Si fece spazio fra le sue dita immobili per tentare la rotellina.

- Così invece la pagina scende e sale.

Puntò la freccia in alto, per chiudere ed aprire la finestra.

- E così invece clicchi quello che vuoi. Tutto chiaro?

Nella stanza, risuonò un sonoro “clic”. Kagome rimase in silenzio, in attesa di una risposta che non veniva ed intanto il calore della pelle di Inuyasha le dava una sensazione piacevole, di conforto. Impiegò un attimo di troppo per rendersi conto che i suoi polpastrelli stavano scivolando inconsapevolmente sulle nocche ruvide del ragazzo, il cui braccio, sotto il suo, si era irrigidito fino a sembrare di legno.

Voltò la testa e si accorse di averlo attirato troppo vicino: per poco il suo naso non affondò nella frangia argento di lui; aspirò il suo odore, che non riuscì ad identificare ma trovò attraente in maniera quasi pericolosa.

Sotto i suoi occhi, il viso di Inuyasha si colorò fino a diventare paonazzo, come se avesse smesso di respirare.

- E’ tutto … Chiaro?

- Sì- rispose lui in un soffio.

La mano di Kagome si contrasse; la finestra si chiuse di nuovo, ritirandosi sul fondo dello schermo.

- Che … Vuol dire “cliccare”?- domandò il mezzo demone, con una voce mansueta che non suonò affatto come la sua. Abbassò lo sguardo.

Fece scivolare la mano via da dov’era, intrappolata fra la sua ed il mouse e si tirò indietro abbastanza perché Kagome non riuscisse più a respirare il suo odore. Lei lo guardò scostarsi, disorientata e la mancanza del suo tocco le fece scottare la pelle.

- Non importa- dichiarò per riscuotersi- aspetta che metta insieme ancora un paio di informazioni.
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- La definizione è “poltergeist”- disse con voce squillante, sventolando i fogli che aveva stampato in biblioteca.

Lei ed Inuyasha erano usciti di casa presto quella mattina ed ora si trovavano sul terrazzo della scuola, a controllare il frutto della ricerca su internet circa gli stani fatti che erano avvenuti proprio dove erano ora.

- Mai sentito niente del genere. Che sarebbe?

- Significa testualmente “spirito rumoroso”. In termini terra-terra penso che si possa definire come un fantasma non molto contento di essere morto.

- Ah- Inuyasha toccò la ringhiera metallica che correva lungo tutto il perimetro del terrazzo- di questo ho sentito parlare, invece.

Kagome fissò insistentemente i suoi fogli, in cerca di qualcosa da dire, prima che nel silenzio che si estendeva tra loro di formasse il nome di Kikyo.

- Dice che si manifesta con l’apparizione o lo spostamento di oggetti- lesse una riga presa a caso- e resta al massimo qualche mese.

- Non mi sembra che c’entri- obbiettò Inuyasha

- Come no? La pistola è apparsa dal nulla, no?

- Mah.

Kagome scorse le informazioni, sicura. Fra tutto quello che aveva cercato, il poltergeist rispondeva alle descrizioni che la interessavano, più di qualsiasi altra definizione.

Era la manifestazione di uno spirito rimasto bloccato in un limbo, dopo essere morto senza essere riuscito a riordinare le proprie faccende in sospeso, tormentato da quello che non era riuscito a fare e dilaniato dal dolore di non essere in grado di portarlo a termine. Nella gran parte dei casi era morto in circostanze tragiche, molto spesso violente ed il trapasso innaturale gli impediva di abbandonare la propria vita terrena, rimanendoci ancorato con tutta la furia per l’ingiustizia subita.

In genere si trattava di un fantasma adolescente: presentava tutte le caratteristiche tipiche di quell’età: insofferente, arrabbiato ed inviperito dal senso di impotenza. L’unica differenza sostanziale era che era defunto.

- E perché è sbucato dal nulla proprio ora, scusa?

- Beh, quella parte mi manca- si scusò Kagome - dice anche che di solito se la prende con una persona in particolare.

- Vedi che non c’entra niente?

- Ho detto “di solito”, non che è la regola!

Si alzò una brezza tiepida; i capelli di Inuyasha erano così lunghi che sventagliarono in faccia a Kagome che sentì ancora quel suo odore indefinibile e per poco non le cedettero le ginocchia.

-Io vado- comunicò sostenuta - o farò tardi alla prima lezione.

Mentre si avvicinava all’entrata dell’edificio, sentendosi addosso lo sguardo irrequieto di Inuyasha, si strinse afflitta i fogli al petto. Non ci aveva pensato, neppure un po’ a quello che avrebbe scatenato nel mezzo demone la definizione esatta di “poltergeist”. Lo aveva visto nei suoi gesti e nel suo tono di voce ed era impossibile colpevolizzarlo questa volta, perché era stata proprio lei a riportargli alla mente il pensiero di Kikyo. Morta, non molto contenta di essere morta, irrequieta e desiderosa di vendetta; concentrata su una persona in particolare, anche: Inuyasha.

Kagome non avrebbe mai pensato che avrebbe trovato una definizione così accurata della defunta sacerdotessa in rete, su un sito internet.

Lei non era un poltergeist, comunque: era stata riportata in vita, seppure parzialmente e le sue apparizioni annunciavano qualcosa di ben più inquietante del semplice spostamento di oggetti.

Kagome scrutò delusa la sua ricerca, chiedendosi se non fosse il caso di lasciar perdere tutto. Gli indizi che aveva collezionato fino ad allora erano così vaghi ed inconsistenti da apparire solo il frutto di una ricerca morbosa, più che vere prove.

Con la sua bella trovata di andare in biblioteca aveva anche contribuito a rendere nuovamente tesi i rapporti con il mezzo demone, ponendo fra di loro la presenza della fantomatica “ex” di lui, in un luogo (un’epoca) che avrebbe dovuto appartenere totalmente a Kagome.

Prese posto in aula, del tutto scoraggiata e ripose la ricerca nella cartella, prima che qualcuno dei suoi compagni la sbirciasse da sopra la sua spalla.

Non seguì nessuna delle lezioni, non ci provò nemmeno.

A volte, sebbene cercasse di non pensarci mai, la sua mente non poteva fare a meno di concentrarsi sul fatto che lei Inuyasha lo amava.

Il suo amore per lui si era stabilizzato ai margini di ogni suo pensiero, come un placido dato di fatto, una così ovvia parte di lei, che se avesse smesso di provalo dubitava che sarebbe stata ancora la stessa.

Ci pensava proprio allora per quello che aveva visto nei suoi occhi e che l’aveva spinta a scappare da lui: quel guizzo di nostalgia e senso di colpa che non mancava mai quando aveva Kikyo in testa. Per la prima volta, Kagome desiderò non aver preso così a cuore quello che era successo nella sua scuola. Ma non voleva abbandonare le indagini, non voleva farlo.

Anche se il viso di Kikyo si sarebbe fatto spazio a forza nella mente di Inuyasha ogni volta che lei avrebbe detto “poltergeist”, non voleva lasciar perdere.

Fu questo che si ripeté a più riprese durante le lezioni e poi a pranzo, che consumò sola perché il ragazzo, prevedibilmente non si fece vivo.

Se lo disse ancora, quando la campanella segnò la fine della giornata scolastica e la ragazza ebbe la sua conferma di aver fatto la scelta giusta, quando, in coda per uscire dall’aula, riuscì ad udire di nuovo la musica.

Le venne quasi da ridere per il sollievo; le note erano lente e malinconiche e si sentivano appena, nei rari momenti di silenzio fra i passi dei suoi compagni di classe. Rimase indietro e si appoggiò ad un muro, come se fosse stata in attesa di qualcuno, cercando di individuare la fonte della musica.

- Che fai, Kagome, non vieni?- la chiamò Yuka, già diretta speditamente verso l’uscita assieme ad Eri ed Ayumi.

- Ho dimenticato una cosa - fu la sua distratta risposta; diede loro le spalle e si affrettò nella direzione opposta, fronteggiando la folla di studenti che usciva dalle varie aule.

La scuola si svuotò in fretta, considerate le sue dimensioni: nessuno era mai desideroso di rimanerci più del dovuto.

Spinse il pensiero di Inuyasha sul fondo della mente, perché le fosse più difficoltoso rammaricarsi della sua assenza proprio in quel momento cruciale.

Percorse a passo spedito i corridoi, senza tuttavia riuscire a capire da dove la musica provenisse perché si sentiva sempre allo stesso volume ovunque si spostasse; rallentò l’andatura per non farsi confondere dal rumore dei suoi piedi contro il pavimento.

La canzone era come la ricordava: triste in maniera straziante ma anche colma di quell’inclinazione romantica tipica dei testi d’amore. Si fermò ad ascoltarla vinta da una malinconia già sua che quelle note risvegliarono in lei.

“Ho bisogno di te”

La ragazza trasalì e uno strillo le sfuggì dalle labbra suo malgrado. Quella che aveva sentito era una voce, una voce umana, molto più concreta di una triste canzone a volume minimo. Tese l’orecchio, cercando di percepirla una seconda volta ma quella tacque. Girò su se stessa, disorientata. Per caso la musica si era fatta più alta?

“Ho bisogno di te”

Stavolta, Kagome gridò senza ritegno. La frase, seppure sussurrata, era inconfondibile nel suo significato. Non riuscì ad identificare se fosse una voce maschile o femminile ma d’un tratto non le importò più. Capì che non voleva essere lì da sola, con quella musica nelle orecchie, che si era fatta fin troppo distinta, ora.

Girò sui tacchi e scappò di gran carriera ma più avanzava nei corridoi, più le note aumentavano di volume, anzi, proprio ora che desiderava che smettessero, raggiunsero livelli assordanti. Si fermò, senza fiato, le mani sulle ginocchia, solo quando si accorse di essersi diretta nella direzione sbagliata: finalmente era arrivata dove voleva. La musica partiva da lì.

“Ma non sono nemmeno all’ultimo piano” pensò stizzita.

Si diresse a passo felpato verso l’aula dalla porta chiusa da dove la canzone proveniva, prima che il coraggio le venisse meno.

Aprì l’uscio di una spanna e spiò all’interno, il cuore in gola.

Nell’aula stavano in piedi due persone, vide, avvinte in un abbraccio ed intente a ballare un lento, troppo reali e solide per essere fantasmi. Kagome li guardò stranita girare sul posto, chiedendosi se non avesse semplicemente detto addio alla sanità mentale.

Da dove si trovava poteva vedere la schiena del ragazzo, avvolta nella divisa scolastica, che a quella luce appariva di un azzurro sbiadito piuttosto che nero brillante. Sulla sua spalla era appoggiata la testa della sua fidanzata, una cascata di capelli mori acconciati in una pettinatura piuttosto arretrata.

La coppia si mosse ancora e la ragazza entrò meglio nel suo campo visivo, abbastanza dal farle capire che non era così giovane quanto il ragazzo e che non indossava l’uniforme. Guardò il tallieur rosa ed antiquato che portava e si chiese se non stesse assistendo all’incontro clandestino fra uno studente ed un’insegnante.

Si disse che poteva dileguarsi senza dare nell’occhio e fu allora che il ragazzo si girò, con sicurezza, dritto verso di lei e Kagome lo vide in faccia.

Nessun demone che aveva incontrato aveva un viso simile. Niente zanne in vista, niente marchi colorati sulle guance, nessuna fattezza da animale o da insetto.

Quella faccia era marrone, totalmente marcita e cadente, come se si stesse decomponendo davanti ai suoi occhi.

La pelle cedeva da ogni lato, sui denti ingialliti, sulle orbite cave che le stavano puntando addosso.

Kagome strillò e strillò di nuovo quando un paio di mani la afferrarono, tirandola via dalla porta. Serrò gli occhi terrificata ma le ci volle poco per riconoscere il tocco brusco ed allo stesso tempo premuroso sulle sue spalle.

Quando alzò le palpebre fu Inuyasha che si trovò davanti.

- Cos’hai da strillare, dannazione? - sbottò.

Kagome cercò la propria voce, da qualche parte nell’abisso della sua paura ma riuscì solo ad indicare la porta semiaperta dell’aula

- Cosa? Là dentro? Il polter … Fantasma?

Kagome annuì e si aggrappò con le mani alla casacca rossa del ragazzo, stordita dal sollievo di averlo lì.

Le sua mani artigliate premettero sulla sua schiena, attirandola più vicino e poi la liberarono.

 Lo guardò sfoderare Tessaiga e dirigersi senza esitazione dove lei gli aveva indicato. Mosse qualche passo in avanti per guardare.

Inuyasha spalancò la porta con una spallata, la spada sguainata davanti a lui ed entrò a passo sicuro, nella stanza d’un tratto silenziosa ed irrimediabilmente vuota.

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Capitolo 6
*** Terrazzo ***


Quando Inuyasha aveva confermato che sì, anche lui aveva sentito la musica, Kagome si era sentita sollevata.

Una volta scoperto che il poltergeist si era spostato dalla stanza, filtrando inconsistente attraverso le pareti massicce, i due ragazzi avevano smesso presto di cercarlo per il resto dell’edificio. Il mezzo demone si era caricato Kagome sulle spalle e l’aveva condotta a casa in fretta, senza risparmiarsi di commentare sulla sua carnagione, d’un tratto di un pallore spettrale.

Ora, dopo aver cenato, i due se ne stavano nella camera di Kagome, con la porta chiusa, lei a pancia in giù sul letto, lui seduto sul pavimento, la testa vicino al cuscino.

Avevano ripercorso gli avvenimenti mille volte da mille angolazioni diverse, finalmente entrambi coinvolti in egual misura, ma senza trarne nulla di utile.

- Sul tuo magico marchingegno non dicevano niente sull’aspetto che dovrebbe avere quest’affare?- domandò Inuyasha, tenendo il mento appoggiato sul materasso.

- Non mi pare- fu la risposta- ma forse non ho controllato bene. Non vorrei dover tornare in biblioteca.

- Oh, no. Io là non ci metto piede un’altra volta: è una noia.

- E’ per una buona causa, però!

- Vedremo.

Kagome si voltò sul lato; dopo qualche ora aveva raggiunto quella fase nella quale la vicinanza di Inuyasha aveva smesso di aumentarle il battuto cardiaco, per infonderle una calma rassicurante.

Si concentrò sul suo viso serio ma più sereno dei giorni precedenti e lasciò che il suo respiro così vicino le scompigliasse lievemente la frangia.

Lui appoggiò la guancia sul letto, offrendole una visuale della sua testa argentata e sbuffò; sembrava quasi stanco.

- Non posso perderti di vista un attimo- disse con una certa calma - dovrei tenerti d’occhio anche mentre sei a scuola.

Kagome decise di ignorare la velata accusa.

- Questo non puoi farlo però.

- Beh, vedremo.

- Grazie di preoccuparti per me.

- Bah.

Kagome si girò supina; nel silenzio che si dilatò nella stanza, sincronizzò il proprio respiro a quello dell’altro e non per la prima volta desiderò di potersi tenere Inuyasha lì con lei e di non attraversare il Pozzo Mangia ossa mai più.

C’erano dei rari momenti, come quello, nei quali la complicità che condividevano era così profonda che sentiva che non si sarebbe mai più spostata da dov’era pur di non perderla. Non le servivano meravigliosi luoghi, grandi avventure, conoscenze nuove. Solo lei ed Inuyasha, nella penombra nella sua stanza, connessi ed insieme, attraverso le linee invisibili che collegavano i loro corpi separati.

E poi, subito dopo, si rendeva conto di avere responsabilità, nella sua epoca e nell’epoca del mezzo demone, così come le aveva anche lui e che ritirarsi per sempre non potevano.

Come con il poltergeist.

Chi altri se non loro poteva far luce su questo mistero che si faceva ogni ora più torbido?

Kagome si sollevò sulle braccia per spiare il volto di Inuyasha, che sonnecchiava placidamente a pochi centimetri dal suo cuscino. Si arrotolò qualche capello argento attorno alle dita e se lo portò sotto il naso, cercando e trovando quell’odore che tanto la affascinava.

I suoi sogni furono popolati da volti in decomposizione, tallieur rosa e fuori moda, fili argentati e musica tristissima, che la fecero agitare penosamente fino al mattino.

Quando aprì gli occhi il sole invadeva la stanza ed Inuyasha era già in piedi e le parlava.

- Meglio muoversi, tua madre ti chiama da un sacco. Mi sa che sei in ritardo.

- Ma perché non mi hai svegliato prima?!

Si fondò dal letto, frenetica, spingendolo via dalla sua traiettoria con foga. Perché le uniche volte che Inuyasha non la disturbava era quando sarebbe stato meglio se l’avesse fatto?

Avere un mezzo demone che ti porta a scuola quasi in volo fu decisamente un vantaggio quella mattina. Kagome incitò Inuyasha ad andare più veloce ad ogni nuovo salto, stringendolo all’altezza delle spalle con energia sempre maggiore.

Inuyasha si piegò in avanti e lasciò che il vento scorresse addosso ad entrambi senza rallentarli.

Kagome arrivò in aula in perfetto orario, i capelli scompigliati per tutta l’aria che ci era passata in mezzo e lo stomaco sottosopra per tutti quei balzi.

Prendendo posto al suo banco, non potè reprimere un brivido timoroso al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere di nuovo quel giorno, nella sua scuola infestata.

__________________________________________________________________________________

Voleva aspettare che Inuyasha venisse a prenderla.

Voleva aspettare perché desiderava tornare con lui, così come con lui era arrivata e perché mentre attendeva avrebbe potuto esplorare nuovamente i corridoi dell’edificio scolastico, forte del fatto che ora non c’era nessuna musica ad invaderli.

Cercò sistematicamente partendo dal piano terra, camminando in ogni angolo dell’aula nella quale, appena un giorno prima, il poltergeist aveva dato spettacolo di sé e del suo viso morto e salì lentamente le scale che conducevano ai livelli superiori.

Non era spaventata, non esattamente, ma all’erta abbastanza perché ad ogni angolo che girava, lo stomaco le si torcesse dolorosamente, anticipando una terrificante visione che non tardava a manifestarsi.

Ripercorse mentalmente le informazioni raccolte fino ad allora, mettendole in ordine di scoperta.

A quanto ne sapeva, il poltergeist aveva la facoltà di far apparire gli oggetti dal nulla; era in grado di possedere le persone ma non di far scordare loro i momenti nei quali non avevano avuto il controllo delle loro azioni; poteva far aleggiare una musica a volume variabile che, per lo meno sacerdotesse e mezzi demoni erano in grado di udire; aveva un aspetto raccapricciante, da morto quale era.

Kagome annuì, soddisfatta del proprio riassunto e percorse le scale con rinnovata lena, fino a quando non le sentì, di nuovo.

Si fermò, il cuore in gola, la mano serrata convulsamente sul mancorrente ed alzò la testa verso il soffitto, come se questo l’avrebbe aiutata a sentire meglio anche la musica malinconica era tornata.

La scuola era silenziosa come una tomba, ora che il suono dei passi della ragazza si erano fermati.

Silenziosa, se non si contavano le due voci, una di uomo e una di donna, che litigavano furiosamente, all’ultimo piano.

Kagome fu colta da un attacco isterico che la spinse a ridere suo malgrado, quando udì nuovamente la fantomatica frase:

- Non puoi lasciarmi, maledetta!

Il palmo della sua mano, sopra il ferro del mancorrente, iniziò a sudare.

- Mio Dio … Mio Dio!

- Fermati! Non farmelo fare!

Passi. Qualcuno che correva e qualcun altro che lo inseguiva da vicino.

Kagome fece stridere i denti fra di loro, desiderando disperatamente muoversi, correre, prestare aiuto, ma allo stesso tempo paralizzata lì dov’era, una gamba dritta su uno scalino, l’altra piegata su quello superiore.

Avrebbe trovato una pistola carica lassù ed un poltergeist con la faccia decomposta, il ghigno di un teschio ed occhi senza pupille.

Da dov’era sentì le voci allontanarsi e il cigolio di una porta, quella che conduceva al terrazzo, ruotare sui cardini, aprirsi e richiudersi, serrando fuori ogni altra fonte di rumore

Quello la riscosse.

- Oh, cavoli- mugugnò.

Percorse le scale che le rimanevano due gradini alla volta; il corridoio lo fece di volata, rischiando di scivolare più volte e sbattendo pesantemente contro la porta del terrazzo, quando vi giunse davanti.

Prima che il coraggio le mancasse ancora una volta, tentò la maniglia e sbirciò all’esterno.

Riconobbe vagamente il ragazzo che vide di schiena come uno studente del suo stesso anno, appartenente ad una sezione diversa dalla sua.

Ed eccola lì la pistola, un vecchio modello che, data la sua scarsa conoscenza in materia, non seppe riconoscere. Il ragazzo la impugnava con mano tremante e la puntava contro la donna, che aveva le dita serrate attorno alla ringhiera alle sue spalle ed il volto rigato da lacrime.

Kagome spalancò gli occhi. La conosceva: era la sua professoressa di storia. Aprì di più la porta e si spinse fuori lentamente.

- Cerchiamo di calmarci- supplicò l’insegnante, la voce spezzata da un’emozione che non era solo paura.

Kagome la guardò in faccia e vide che non aveva occhi che per il ragazzo che la minacciava e che non l’aveva neppure vista: un vantaggio, forse.

- Dammi la pistola- chiese ancora.

- No!- strepitò l’altro, vinto dallo stesso identico turbamento - non trattarmi come uno stupido!

Un colpo. Neppure troppo forte.

Kagome trattenne il fiato e le mani le salirono alla bocca, in automatico.

La donna si portò le mani al petto ed il suo viso si adombrò di dolore, di struggimento. I suoi occhi che si andavano spegnendo, non abbandonarono nemmeno per un secondo quelli del giovane.

Poi, con un movimento fluido, addirittura aggraziato, cadde, con un tuffo preciso all’indietro.

Il suo corpo mulinò oltre la ringhiera del terrazzo e scomparve.







TAN TAN TAN TAAAAAAAAN!
Oh, andiamo, dite che mi amate!XD
Il prossimo capitolo avrà un po' più Inuyasha/Kagome di questo, lo so fin da ora, perchè sto facendo gli scongiuri sperando che non venga smielato! Baci, baci. XD

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Capitolo 7
*** Blu polveroso ***




Inuyasha si tormentò la frangia che gli oscurava la vista, così tanto irrequieto come gli era successo poche volte.

Kagome stava tutta avvolta in una coperta rosa, rannicchiata sul suo letto altrettanto rosa, una tazza di the fumante fra le mani.

Lui era appollaiato sul davanzale della finestra ed un po’ in disparte per non invadere l’intima bolla di spazio che lei e sua madre occupavano insieme.

Kagome aveva lo sguardo spento, esausto e la pelle bianca, coperta da un sottilissimo velo di sudore; sua madre le cingeva le spalle con un braccio, in una stretta amorevole, accennando appena un movimento, come a volerla cullare.

Lei sei ne stava immobile e remissiva, come se avesse perduto ogni desiderio di muoversi autonomamente.

Il mezzo demone si tirò talmente la frangia che alcuni capelli gli rimasero tra le dita.

Aveva girellato svogliatamente per la grigia e squadrata città di Kagome quello stesso pomeriggio e quando si era stufato era passato a prenderla.

Quando era arrivato, l’edificio era circondato da quelle scatole veloci che aveva imparato chiamarsi “automobili”; quelle però erano particolari perché erano dotate di un solido luminescente che mandava bagliori lampeggianti tutt’attorno, sulla cima.

Si era avvicinato senza far rumore ed un umano vestito in blu l’aveva fermato.

- Non puoi passare, ragazzo, c’è stato un omicidio.

Inuyasha gli aveva quasi ringhiato addosso ma si era trattenuto, perché quello che aveva visto l’aveva distratto: Kagome se ne stava in piedi lì, circondata da altri uomini vestiti con la stessa divisa di quello che l’aveva trattenuto.

Il suo viso aveva perso ogni colore ed i suoi lineamenti erano un’unica linea serrata di paura. I suoi occhi erano talmente spalancati da risultare enormi, innaturali e dentro, il mezzo demone riconobbe un brillio sconvolto, come una richiesta d’aiuto rivolta a lui ed a lui solamente.

- Kagome!- l’aveva chiamata.

Lei si era girata e le sue iridi castane si erano inumidite di lacrime.

- Fammi passare- aveva intimato lui, scostando l’uomo con malagrazia; lui aveva debolmente protestato ma le sue lamentele si erano esaurite, quando aveva visto la testimone dell’omicidio gettarsi fra le braccia di quel bizzarro ragazzo col berretto.

Inuyasha aveva vinto l’imbarazzo e quando Kagome l’aveva abbracciato, tremando come una foglia ma senza lasciar cadere le lacrime che si erano raccolte agli angoli dei suoi occhi, l’aveva tenuta così, con il viso premuto contro la sua casacca e le mani strette al suo colletto.

Oltre la sua testa castana aveva notato solo allora un altro ragazzo, sconvolto almeno quanto lei, l’unico con l’uniforme nera in un mare di divise blu.

- Ti ha fatto qualcosa, Kagome?- sibilò, sentendo la rabbia montare all’istante.

- No, lui no- rispose Kagome. Lui abbassò lo sguardo, cercando invano il suo, allarmato da quella voce flebile.

Quello che entrambi gli studenti avevano raccontato con fatica più tardi era suonato bizzarro alle sue orecchie quanto a quelle degli uomini in blu.

Loro avevano cercato di portare la ragazzina da un’altra parte, un posto che non aveva capito, per “interrogarla”. Lui aveva detto indignato che solo i professori potevano interrogare Kagome, perché almeno questo l’aveva capito e che loro professori non lo sembravano affatto.

Aveva lasciato di buon grado l’altro ragazzo alla loro mercé e si era portato via Kagome, che aveva borbottato un “grazie” con voce sempre più esausta e si era lasciata sollevare fra le braccia del mezzo demone per farsi condurre lontano dalla scuola dove quel giorno aveva visto morire una persona.

Era stata sua madre a chiedergli di posizionarla direttamente sul letto ed a coprirla con la coperta e a prepararle il the.

Ora che la sera fresca avanzava sempre di più verso una fredda notte, Kagome sollevò infine la testa dalla spalla di sua madre e sorbì con lentezza il liquido caldo.

- Ora sto meglio- le assicurò- vai pure a letto.

- Sei sicura, cara?- si preoccupò la donna - posso restare finché vuoi, lo sai -la sua mano gentile riavviò i capelli bruni della figlia.

- No, no. Ora sto meglio - ripeté lei.

Sua madre lasciò a malincuore la stanza, non senza lanciare al mezzo demone uno sguardo afflitto che lui non riuscì ad interpretare.

Intimidito, abbandonò la sua postazione per prendere posto ai piedi del letto di Kagome; la guardò, sentendosi bruciare dal senso di colpa.

- Kagome, dovevo arrivare prima … - cominciò.

- No, non è colpa tua - troncò subito il discorso lei.

- Sì, invece!

- No, invece.

L’infantile contraddirsi a vicenda l’avrebbe reso schiumante di rabbia, in diverse circostanze; ora invece lo faceva solo sentire più colpevole.

- Lui si ricordava tutto - raccontò la ragazza di sorpresa.

- Chi?

- L’altro ragazzo, quello che … Ha … Sparato. Si chiama Eizo. E’ stato come l’altra volta.

- Con il professore e la … Segretaria? - Inuyasha tentò, non sicuro che fosse il termine corretto.

- Sì. Lei non era neppure la sua insegnante: non la conosceva. Ad un certo punto ha sentito come se fosse stato ovvio litigare con lei. E della pistola non c’è ancora traccia.

- E’ stato posseduto.

-Sì.

Sotto gli occhi di Inuyasha, Kagome si ripiegò su se stessa, angosciata. La guardò appoggiare la tazza ancora piena per metà sul tavolino, perché le mani le tremavano troppo ed altrimenti il liquido sarebbe presto straboccato oltre i bordi.

Incerto su cosa fare, Inuyasha aprì le braccia verso di lei e poi le richiuse.

Stavolta le lacrime caddero davvero, percorsero una scia di sale sulle sue guance bianche e poi caddero come pioggia giù dal suo mento.

Aveva sperato di riuscire a trattenersi dal frignare!

Ma era stato tutto così violento nella sua immediatezza che le era sembrato che anche una parte di lei fosse precipitata giù dal balcone, assieme con la donna che aveva ricevuto quel mortale colpo di pistola.

Era rimasta lì, muta ed immobile ad assistere alla scena e non aveva fatto niente.

Mesi e mesi di lotta contro i demoni, di localizzazione di frammenti della Sfera dei Quattro Spiriti, a destreggiarsi fra nemici e pericoli sempre maggiori per cosa?

Non era neanche riuscita a fra fronte ad un ragazzino che puntava un’arma nella direzione diametralmente opposta alla sua.

- Non sono riuscita a fare niente- gemette, i palmi premuti sugli occhi bagnati.

Una sensazione di calore la avvolse quando si rese conto che c’era Inuyasha a stringerla, serrando le sue braccia attorno alla sua figura rannicchiata; per qualche motivo questo  la incoraggiò a singhiozzare più forte.

Il mento di Inuyasha creò un peso rassicurante sulla sua testa, formò un blocco che prese i suoi pensieri turbinanti e li fermò lì dove, una volta sfogata, avrebbe potuto riprenderli e rimetterli insieme, in ordine.

Le braccia di lui, incrociate sulla sua schiena la spinsero più vicina; Kagome alzò le sue e gli cinse il collo. Trovò lo spazio perfetto dove celare il proprio viso, ora rosso per il pianto, nell’incavo tiepido del suo collo.

Inuyasha non la cullò avanti indietro, non le accarezzò i capelli, non le sussurrò parole di conforto.

Rimase solo lì a farle sentire la sua presenza mentre lei piangeva e, a poco a poco, si calmava e tornava silenziosa.

Una volta placata l’urgenza, Kagome chiuse gli occhi, sentendo che un peso simile ad un blocco di ghiaccio nello stomaco, si era sollevato, era scivolato via assieme alle lacrime, lasciando solo una lucida consapevolezza.

Quella era la sua epoca.

Quella era la sua scuola.

- Inuyasha, noi a questo poltergeist non dobbiamo farla passare liscia.

__________________________________________________________________________________


Inuyasha doveva essersi spostato durante la notte.

Ancora adesso, Kagome avvertiva il ricordo del suo contatto sulla pelle e dovette costringersi a non rimanere incantata a rimuginarci sopra.

Quando si era svegliata, si era trovata nella quasi stessa identica posa che aveva mantenuto per tutta la serata precedente; la coperta la avvolgeva completamente, neanche fosse stata un baco da seta e nel sonno era scivolata con la schiena contro il muro alle sue spalle per poi giacervi scompostamente con la testa che pendeva da una parte.

Il mezzo demone si era discretamente ritirato dall’abbraccio che li avvinceva e quando si era svegliata l’aveva trovato addormentato accanto alla finestra.

Accanto ad una finestra ci stava pure ora, anche se era quella dell’aula di informatica e lui era sveglio.

Kagome fece guizzare lo sguardo dallo schermo del computer alla sua schiena alternativamente e cercò nel ticchettio costante delle sue dita sulla tastiera una distrazione che non arrivava.

Rimanere al passo si stava rivelando difficile ed a lei sembrava di non riuscirci, davvero. Non quando con Inuyasha i rapporti rimanevano civili per più di qualche giorno; non quando circondargli il collo con le mani le appariva la più naturale nelle azioni.

Non quando, arrivata a scuola, si accorgeva che una striscia di plastica gialla delimitava la zona di cortile sulla quale la professoressa era precipitata e l’intero ultimo piano dell’edificio, vietando il passaggio.

L’anno scolastico non poteva essere interrotto, almeno così lesse nell’articolo che scovò in rete. Dove l’omicidio si era consumato e la morte era effettivamente avvenuta, era stata posta una barriera, proprio come quelle che aveva visto nei film polizieschi, quando ancora aveva tempo sufficiente per sedersi in cucina con la sua famiglia a guardare la televisione.

Eizo, il ragazzo che aveva sparato, era stato accennato appena, senza che il suo nome proprio venisse menzionato, perché minorenne. Kagome non sapeva che fine avesse potuto fare ma tremava per la terribile ingiustizia che il suo compagno aveva subito: costretto da una presenza immateriale a commettere un atto mostruoso per il quale avrebbe pagato le conseguenze per una vita intera.

- Perché non siamo venuti qui anche la prima volta che hai fatto … Ricerca?

Ci pensò Inuyasha a riscuoterla dai suoi pensieri e a farla accorgere che era rimasta concentrata sulla sua schiena fasciata di rosso per almeno cinque minuti; lui, rivolto verso la finestra aperta, fortunatamente non se ne era accorto.

- Bisogna chiedere il permesso al responsabile dell’aula per usufruirne dopo l’orario delle lezioni- spiegò Kagome, leggendo pari pari dal foglio del regolamento appeso accanto alla porta.

- Non potevi farlo la prima volta?

- Gli studenti- fece presente la ragazza -rifuggono ogni contatto non strettamente necessario con i professori per partito preso- quella regola non aveva bisogno di leggerla.

- Allora perché non siamo tornati nel posto dell’ultima volta?

- Perché, Inuyasha- rispose Kagome spazientita- questo posto è il centro di tutto. Più stiamo qui più abbiamo possibilità di indagare sul campo.

Inuyasha mugugnò qualcosa di inarticolato e lasciò cadere il discorso; Kagome si esprimeva in maniera bizzarra da quella mattina, farcendo le proprie frasi innaturalmente articolate di termini che comprendeva a stento. “Informatica”, “Zona del crimine”, Quotidiano on line” erano tutte espressioni alle quali aveva annuito senza realmente capirle.

Si voltò per guardarla: nel riverbero di luce che lo strano schermo emetteva, il suo viso aveva assunto un colore livido ma i suoi occhi erano concentrati e vivissimi. Il lamento sulla sua noia crescente gli morì in gola.


- Niente di nuovo allora?

Lei sospirò, sconfitta.

- Niente di diverso dall’ultima volta. Sono bloccati in una zona di passaggio fra i due mondi, sono legati alle persone più che ai luoghi, sono risentiti e spostano oggetti.

Non voluta, l’immagine del poltergeist le riaffiorò nella memoria, facendola rabbrividire.

Il suo volto guasto e putrescente le era apparso minaccioso ma solo ora ne riconosceva la cattiveria. Solo ora che aveva visto fin dove poteva spingersi, fino ad uccidere, capiva che era maligno e che andava fermato.

Ma non sapeva come.

Non sapeva cosa voleva.

Non sapeva chi era.

Sobbalzò, colta di sorpresa, quando udì delle voci femminili e l’inconfondibile rumore di passi affrettati, nel corridoio di quel piano. Un minimo di attenzione in più le permise di riconoscere tutte e tre le proprietarie di quelle voci e tanto basto per ghiacciarle il sangue nelle vene.

Eri, Ayumi e Yuka si stavano con ogni probabilità dirigendo proprio in quell’aula dove lei era sola con Inuyasha, il cui sgargiante accostamento capelli, occhi, vestito strideva con l’ambiente quanto una macchia di inchiostro su un foglio immacolato.

-Presto esci di qui!- ordinò allarmata.

- Cosa?- sbottò lui, preso in contropiede.

Kagome scattò in piedi, rovesciando la sedia nella foga e corse a spingerlo verso la finestra.

- Vattene!- intimò- stanno arrivando delle mie amiche!

Inuyasha montò con riluttanza sul davanzale.

- E allora?- interloquì scorbutico.

- A cuccia!

Fu con inequivocabile sollievo che Kagome vide il rosario attorno al collo del ragazzo illuminarsi per poi trascinarlo inesorabilmente verso il basso, oltre la cornice della finestra e giù lungo il fianco dell’edificio.

Riuscì in tutta calma a ritornare dov’era, riportare la sedia sulle sue quattro gambe ed a riprendervi placidamente posto, prima che il trio di compagne facesse il suo ingresso nell’aula di informatica.

- Kagome!- squittì Yuka quando si accorse della sua presenza.

- Ciao, ragazze- salutò lei pacata.

- Ciao! Cosa fai qui?

- Volevo vedere … Mi interessava … - Kagome accennò allo schermo del computer che mostrava ancora l’articolo che aveva letto fino a poco prima.

Le tre amiche si strinsero attorno a lei, annuendo in contemporanea, comprensive.

- Abbiamo sentito che sei stata tu ad assistere- raccontò Ayumi pacata - non dev’essere stato facile.

Kagome annuì senza parlare; il pensiero dell’omicidio le aveva occupato stabilmente una porzione della mente, da quando vi aveva assistito e cercava di pensarvi il meno possibile. Quello stava lì, insistente, a ricordarle che aveva visto morire una persona. Si morse il labbro.

Eri si chinò su di lei e chiuse la finestra con l’articolo.

- Basta pensarci, ora- disse, come se avesse saputo esattamente cosa stesse passando per la testa dell’amica.

- Giusto! - incoraggiò Ayumi.

Yuka rimase silenziosa per un istante, poi propose:

- Vuoi vedere dove parlano di noi nel sito della scuola, invece?

Kagome sorrise, grata che si stessero adoperando per distrarla dalle sue elucubrazioni più cupe. Permise a Yuka di prendere il controllo di mouse e tastiera ed osservò con certo interesse il sito ufficiale del loro istituto, dove un link apposito, denominato “eventi” conduceva proprio ad una pagina dedicata all’imminente celebrazione del centenario.

- Siamo venute a stampare altri volantini- spiegò Eri - sono andati a ruba-

- Eccoci!

Kagome cercò come minimo una fotografia che ritraesse le sue tre amiche ma vide solo i loro nomi, schiacciati fra altri nomi sotto la voce “elenco dei collaboratori volontari”. Stiracchiò le labbra in un sorriso che sperò apparisse entusiasta.

- Ora, Kagome- precisò Yuka con fare ammonitorio -presto ci sarà anche la nostra immagine, Ora è così perché il sito è ancora in fase di costruzione.

- Sì- rincarò Ayumi - hanno preferito andare in ordine cronologico e sistemare prima le parti che riguardano la storia. La sezione che riguarda la festa del primo cinquantesimo è già a posto. Che gliene importerà, poi?- aggiunse - quelli che allora hanno partecipato neanche sapranno usare un computer!

- Esatto- concordò Eri -guarda qui!

Un paio di clic le portarono su un’altra pagina, decisamente meglio organizzata, dove in effetti comparivano molte più immagini che scritte.

Kagome riconobbe l’edificio nel quale si trovavano, quasi immutato e molte foto degli studenti ed insegnanti che avevano allora frequentato ed insegnato nella loro scuola.

- Fortuna che nel frattempo hanno cambiato le divise scolastiche. Guarda che razza di colore.

Kagome sentì le parole di Ayumi ma non le commentò. Era troppo impegnata a sovrapporre alle nitide immagini che aveva davanti agli occhi con quella che aveva visto pochi giorni prima.

Del poltergeist ricordava alla perfezione la faccia marcita ma anche il suo abbigliamento le era rimasto impresso.

Allora aveva pensato che quel blu polveroso fosse stato un effetto della luce ma non era così.

Quella era la regolare uniforme scolastica degli studenti di cinquant’anni prima.

Kagome lesse stralunata gli elenchi di tutte le classi che erano passate per quell’istituto, divise per annate e sezioni e provviste ognuna della propria foto e strinse i denti per non dar voce alla propria emozione: aveva capito.


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Capitolo 8
*** Scale ***


- E’ il quinto panino, ormai.

- Quasi non mastica.

- Credete che abbia di nuovo litigato con il suo ragazzo?

- Senza dubbio.

Kagome finse di non udire la conversazione sussurrata che stava avvenendo al suo stesso tavolo di fast food ed attaccò il sesto panino con ferocia, facendolo sparire in bocca praticamente tutto intero.

Yuka, Eri ed Ayumi esaminarono la sua voracità improvvisa e l' atteggiamento burrascoso che aveva mantenuto da quando aveva messo piede in aula, quella stessa mattina.
Solo il giorno prima era parsa così euforica, quando si erano salutate dopo aver passato il pomeriggio a giocare con i computer della scuola e le tre amiche sapevano che c’era solo una persona in grado di farle cambiare umore così repentinamente: il suo immaturo, insensibile, egoista fidanzato.

- Forse ha fatto un’altra puntata con la sua ex ragazza- ipotizzò Eri preoccupata.

Kagome stritolò il panino fra le mani, tanto che delle briciole caddero fuori dall' involucro di carta.

Quella mattina a scuola ci era andata da sola, a piedi ed aveva pure rischiato di arrivare in ritardo.

Inuyasha non si era fatto vedere al suo risveglio così come non c’era quando era andata a letto.

La sera prima avevano litigato.

Kagome era tornata a casa frenetica ed emozionata, impaziente di raccontare al mezzo demone quanto era riuscita a scoprire.

Lui la aspettava in camera, appollaiato sul davanzale e per tutta la durata del racconto non aveva distolto lo sguardo dalle tegole del tetto che si vedevano fuori dalla finestra e quando Kagome aveva concluso non si era sprecato a commentare, neppure con un cenno.

- Hai capito, Inuyasha? Tutto torna, il poltergeist si è manifestato ora perché riconosce un periodo analogo a quello nel quale si è verificata la sua morte!

- Ah!- aveva sbuffato lui, alla fine - ma piantala di parlare così!

- Così come?- Kagome si era fatta talmente coinvolgere nei racconti di fantasmi che aveva letto in quegli ultimi giorni da non accorgersi di parlare come uno di loro.

- Come se cercassi di non farti capire da me! Guarda che non sono così idiota, sai?

Kagome era crollata sul letto, presa alla sprovvista da tutta quella aggressività improvvisa.

- Che ti succede? E’ capitato qualcosa?

Inuyasha era sceso dal davanzale ed era avanzato a grandi passi nella stanza, indicando il proprio volto con il dito artigliato.

Lì, sul naso e sulla fronte,  Kagome aveva scorto un vago alone rossastro, una lieve ammaccatura che già stava scomparendo e d’un tratto aveva compreso.

- Sei offeso perché ho attivato il rosario!

La faccia di Inuyasha era diventata rossa ed aveva nascosto i segni di dove aveva picchiato contro l’asfalto precipitando dalla finestra della scuola.

- Non puoi usarlo come un giocattolo, Kagome, non è stato creato per quello- aveva accusato e la ragazza si era sentita terribilmente ferita perché aveva riconosciuto della verità nelle sue parole.

- Non lo faccio! E’ che stavano arrivando delle mie amiche!

- Avevo le orecchie nascoste. Ti vergogni di me?

Kagome non aveva risposto subito perché l’assurdità di quell’affermazione l’aveva ammutolita. Non solo, ma si era resa conto che vista da occhi esterni poteva davvero sembrare che Inuyasha ci avesse visto giusto.

Non era così: Kagome cercava di tenere Inuyasha separato il più possibile dalle persone che conosceva nella sua epoca perché aveva un disperato bisogno di porre dei paletti che distinguessero le sue due vite.

Metterle a contatto così tanto da confonderle era più di quanto riuscisse a reggere.

Le idee si erano affastellate l’una sull’altra nella sua mente abbastanza a lungo perché il mezzo demone interpretasse in maniera errata il suo silenzio e dicesse:

- Bene, io vado. Muoviti a risolvere le tue cavolate, che abbiamo ancora del lavoro da fare.

Quello mutò la sua mortificazione in furia.

- Cavolate? Hai ascoltato almeno una parola di quello che ho detto?- si era infervorata alzandosi in piedi.

- No e non me ne importa niente!- aveva risposto a tono l’altro.

- E’ chiaro che non te ne importa niente! Non te ne importa mai niente!

La voce della ragazza si era alzata cosi tanto che le orecchie di Inuyasha si erano piegate su loro stesse per proteggersi dal suono; poi il suo volto si era fatto scuro per l’ira e lui se n’era andato via.
Era balzato fuori dalla finestra prima che Kagome avesse potuto anche solo pronunciare l’ennesimo “A cuccia!” e quando lei si era affacciata, non l’aveva più visto da nessuna parte.

Era stato rapido nell’andarsene, saltare giù dal pozzo e tornare nella sua epoca, dimostrando proprio quello che Kagome aveva detto: che non gliene importava niente.

Da qui tutta la sua ira e l’appetito nervoso.

- Kagome- disse timidamente Eri - è tutto a posto?

- Cosa?- aveva sbottato lei con la bocca piena - ma certo!

Le tre amiche si lanciarono sguardi eloquenti prima di scuotere la testa in contemporanea.

- Non andiamo a stampare altri volantini- avvisò Ayumi - ieri ci siamo distratte e non l’abbiamo fatto, alla fine.

- E’ vero - confermò Yuka - però ci siamo divertite, vero?

Guardò speranzosa Kagome che guardava minacciosa gli incarti vuoti dei panini con tanta intensità che fu stupita che non prendessero fuoco.

- Posso venire anch’io?- domandò senza alzare la testa.

- Ma certo!- si affrettò a replicare Eri, quasi intimorita.

Kagome rivolse loro un sorrido rigido, un brillio quasi maniacale negli occhi: lasciò sul tavolo i soldi del conto e raccolse con il dito le briciole che erano rimaste sul vassoio.

Il trio di compagne di classe si affrettò a seguirla fuori dal fast food dal quale Kagome stava uscendo a passo spedito, guidata dalla rabbia, la mortificazione ed il disperato bisogno di distrarsi con un lavoro che la mantenesse impegnata.

Yuka, Ayumi ed Eri ancora bisbigliavano ma le ignorò mentre le precedeva sulla strada che conduceva di nuovo a scuola: quella mattina era troppo nervosa e non si era ricordata di chiedere al responsabile dell’aula di informatica di lasciarle le chiavi: che l’avessero fatto le sue compagne capitava a fagiolo.

Prese lei l’iniziativa di accendere più di un computer senza che le venisse chiesto e raccontò qualche scusa sui problemi di connessione quando ne scelse uno lontano da quello che avrebbero usato le altre.

Accedette al sito della scuola e sprofondò nel più nero dei silenzi, a tal punto da dimenticare di non essere sola.

- Inuyasha, sei solo uno stupido- borbottò.

__________________________________________________________________________________

Eri sbirciò Kagome da sopra lo schermo: si era accaparrata l’unico altro computer oltre il loro collegato alla stampante, che ora sputava fogli senza posa, e si disse che non era da egoisti essere scocciata.

Lei, Ayumi e Yuka avevano firmato il registro per accedere all’aula ma, anche se dovevano fare rifornimento di volantini, non avevano certo previsto di sfruttare la stampante così tanto.

Chissà cosa avrebbe detto il responsabile dopo aver constatato lo stato delle cartucce di colore, che ora dovevano essere di gran lunga diminuite ed in entrambe le stampanti.

Però forse ne valeva la pena: Kagome appariva più serena di poche ore prima, quando aveva pigiato sui tasti con rabbia, manco le avessero fatto un torto mostruoso.

- Se sta stampando i 1001 consigli su come mandare a quel paese il proprio fidanzato traditore, ha tutto il mio appoggio - le sussurrò Yuka all’orecchio.

- Esistono davvero consigli del genere?

- Su internet trovi di tutto. A volte vorrei avere un computer anche a casa.

Ayumi sospirò, guardando la schiena di Kagome con le sopracciglia arcuate ma l’amica non si girò verso di loro, piuttosto, raggruppò i nuovi fogli e li infilò nella cartella voltati dal lato bianco, come se non avesse voluto che fossero letti.

- Io vado in bagno!- trillò Yuka di sorpresa, facendole sobbalzare tutte e tre.

Kagome si voltò finalmente dalla loro parte, un’espressione indecifrabile in volto, ma la fronte finalmente spianata e non più contratta dalla tensione e dall’arrabbiatura.

- Ayumi, accompagnami- ordinò poi Yuka, afferrando l’altra per il braccio e praticamente costringendola a seguirla fuori dall’aula.

Rimaste sole, Kagome ed Eri si sorrisero distrattamente. Eri occhieggiò la cartella dove Kagome aveva fatto sparire i fogli. Dal canto suo, Kagome attraversò l’aula per sedersi accanto all’amica e buttò un occhio in direzione del loro lavoro.

- Oh! - commentò - avete fatto dei volantini nuovi!

- Sì- confermò Eri con orgoglio - stavolta ci ha pensato Ayumi. Progettiamo di finire questi e poi di farne fare uno anche a Yuka, così il lavoro è diviso in parti proprio uguali.

Kagome notò che sia la grafica che l’impaginazione del volantino erano migliori questa volta, anche se nulla di eclatante. I volantini che erano stati distribuiti cinquant’anni prima, quelli sì che erano ben fatti: aveva controllato lei stessa e per buona misura ne aveva stampato una copia, assieme a tutte le preziosissime informazioni che era riuscita ad accumulare, ora che sapeva dove andare a cercare.

Mentre si concentrava sulla ricerca, Kagome era giunta alla conclusione che non le serviva Inuyasha per venire a capo della faccenda, anzi, che il mezzo demone l’avrebbe solo rallentata.

Era così musone, irascibile e poco collaborativo. Chi avrebbe voluto averlo come compagno di squadra, dal momento che sapeva solo tagliare in due i demoni e che qui di demoni non ce n’erano? Contro un fantasma triste e bisognoso di comprensione non sarebbe stato in grado di cavare un ragno dal buco.

“Ho bisogno di te”

- Come?- Kagome guardò Eri, che le restituì lo sguardo interrogativo.

- Non ho detto niente- disse.

Kagome le sorrise, incerta e tese furtivamente l’orecchio. E infatti, di nuovo:

“Ho bisogno di te”

Ma non era di lei che aveva bisogno o forse sì? Aveva capito molto sul poltergeist in quel pomeriggio di studio intensivo ma alcuni punti rimanevano oscuri.

Salvo una cosa: se non veniva fermato in tempo, il fantasma conduceva tutte le persone che possedeva alla morte.

Kagome si strinse le mani al petto. Lei era lì con Eri e salvo loro, nell’intero edificio c’erano solo altre due persone.

Ayumi e Yuka.

- Oh … No! - strillò.

Balzò dalla sedia, lasciandosi alle spalle una sbalordita Eri e corse fuori a perdifiato, il capelli che le volavano sulla schiena, diretta con sicurezza disarmante verso l’ultimo piano. Scivolò due volte e fu costretta ad appoggiarsi alle pareti per non rovinare a terra.
Alla terza rampa di scale che percorse, si ritrovò piegata in due dal dolore alla milza, come se qualcuno le avesse piantato un coltello fra le costole.

E intanto, la musica iniziava a sentire.

“Ho bisogno di te”

“Ho bisogno di te”

- Taci! - strepitò Kagome fuori di sé, costringendosi a ricominciare la sua corsa.

- Ho bisogno di te!

Kagome inciampò e questa volta cadde sul serio schermandosi il viso con le braccia quando catapultò sui gradini a faccia in avanti.

Quella che aveva udito non era più la voce immateriale ed evanescente del poltergeist che cercava di manifestarsi, bensì quella di Ayumi, tremante di rabbia e dolore.

- Tu hai bisogno di lasciarmi andare- rispose la voce altrettanto sconvolta di Yuka.

Kagome si alzò in piedi, le braccia doloranti dove avevano sbattuto contro il pavimento.

- Vuoi dirmi che non mi ami più? Dillo!

- Perché non capisci che è finita?

- Non mi puoi lasciare!

- Vuoi sentirtelo dire? Non ti amo!

- Divento pazzo se non ti vedo!

- E’ finita!

- NON PUOI LASCIARMI, MALEDETTA!

Eccola: Kagome sentì la frase e seppe di essere in ritardo. Traeva lenti respiri dolorosi ed il fiato le usciva a sbuffi. L’aria le mitragliava le pareti dei polmoni senza riempirli a dovere. Arrancò esausta e la vista le si offuscò per le lacrime.

- Mio Dio!

Quando giunse finalmente all’ultimo piano, le sue due amiche si erano già spostate fuori, sul terrazzo, ignorando le strisce gialle che delimitavano il luogo come zona del crimine.

Mentre si affrettava a seguirle, vide già senza doversene accertare, Ayumi che puntava la pistola contro Yuka, esitava, urlava e poi, per errore, faceva fuoco, colpendo l’altra in pieno petto e mandandola a precipitare nel vuoto, oltre la ringhiera del terrazzo.

Spalancò la porta che conduceva all’esterno e corse alla cieca, senza neppure guardare dove stava andando.

- No! - gridò Ayumi proprio in quel momento - non trattarmi come uno stupido!

Kagome si gettò sull’amica, atterrita, speranzosa e la abbrancò all’altezza delle gambe.

La canna della pistola cambiò traiettoria, puntandosi innocua verso il cielo ma era tardi: il colpo di pistola era esploso e Kagome ne conservò nella memoria il secco rumore rimbombante che significava una cosa sola.

- Oh, no. No - gemette.

- Ma che succede?- chiese Ayumi, alzando su di lei uno sguardo totalmente smarrito.

Kagome non trovò il fiato per rispondere. Si nascose il viso tra le mani e lasciò che le lacrime che si erano accumulate agli angoli dei suoi occhi cadessero, inzuppandole il viso, strappandole dal petto ancora senza fiato, singhiozzi disperati.

- Già, che succede? Vorrei saperlo anch’io.

Silenzio. La ragazza non ebbe il coraggio di accettare quanto aveva appena udito. L'aveva immaginato?

Alzò uno sguardo timoroso e quello si puntò da sola su Yuka, illesa, dieci metri più in là di dove ricordava che fosse.

A stringerla per il retro del colletto, in equilibrio sulla ringhiera del terrazzo, c’era Inuyasha.

Inuyasha.

Inuyasha era tornato da lei ed era venuto a prenderla a scuola, seguendo la scia di quell’odore che tanto gli piaceva.

Inuyasha era arrivato per fare pace.

Inuyasha aveva salvato la vita di Yuka, tirandola via dalla traiettoria del proiettile e trasportandola al sicuro.

Kagome abbassò le mani dal proprio volto e le strinse in grembo.

Spavento,  paura, angoscia, sorpresa, sollievo.

Avrebbe potuto provare una sola o forse tutte queste sensazioni ma non fu così.

Kagome, a terra accanto alla sua compagna di classe, sulla terrazza della scuola, dopo aver quasi visto morire una sua amica, guardò negli occhi gialli di Inuyasha e provò amore.



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Capitolo 9
*** Rosario ***



Il ghiaccio sulle braccia arrossate fu un sollievo. Sua madre ne aveva riempito la borsa ed Inuyasha si era preso la premura di poggiargliela sulla pelle sbucciata, finché Kagome non aveva confermato che il bruciore era diminuito.

La borsa del ghiaccio ora giaceva sul davanzale della finestra aperta.

La brezza fresca e leggera gonfiava a tratti la tenda violetta e le voci dei due ragazzi erano poco più di un mormorio che il fruscio della stoffa mascherava quasi del tutto.

- Lui si chiama- si chiamava- Niito Imai. Frequentava l’ultimo anno.

Inuyasha si accomodò meglio contro la parete ed il materasso cigolo lievemente al suo spostamento. I fogli sparpagliati coprivano il pavimento conferendo alla camera di Kagome un aspetto  caotico di chi non riesce ad organizzare coerentemente gli spazi.

Tutti quei colori sulla carta erano … Affascinanti.

- Quella che ha ucciso- proseguì la ragazza- era la sua insegnante. Fumie Mori.

Kagome piegò la testa di lato fissando nella memoria ogni minimo particolare dei volti che aveva trovato su un vecchio articolo on line e successivamente stampato.

Fumie era una bella donna sui trentacinque anni, dagli occhi colmi di calore, un viso dolce come il miele ed una cascata di capelli corvini, acconciati come andava di moda all’epoca.

Il ragazzo, Niito, era uno studente dell’ultimo anno dall’aspetto ordinario come quello che avrebbe  potuto avere Hojo o uno qualsiasi dei suoi compagni di scuola, i capelli scuri tagliati corti ed il primo bottone della divisa blu sbottonato.

Il viso che Niito mostrava ora era molto diverso.

- E si sa cos’è successo?- domandò Inuyasha a voce bassa.

- Erano amanti- spiegò Kagome - per un po’ hanno mandato avanti una relazione clandestina che poi lei ha cercato di troncare. Lui non è riuscito ad accettarlo e all’ultima discussione che hanno avuto si è portato una pistola. E’ successo come abbiamo visto: l’ha inseguita fino al terrazzo e poi ha fatto fuoco, per sbaglio.

La ragazza interruppe il proprio racconto, l’artiglio della pena a pungolarle lo stomaco: Niito era stato avventato, forse pazzo, ma lei si chiese prima di tutto cosa avesse provato ad uccidere per errore la persona che amava.

Quando i capelli di Inuyasha, che si era sporto oltre la sua spalla per vedere meglio, le piovvero davanti al viso, li toccò con affetto, grata che lui fosse lì, concreto e presente e soprattutto vivo.

- E poi?

- Poi … - cercò di riordinare le idee - quando si è reso conto di quello che aveva fatto è sceso nell’aula che per la festa del cinquantesimo era stata adibita a sala da ballo, ha fatto partire il disco della loro canzone e si è sparato.

Inuyasha rimase in silenzio ad assimilare le informazioni.

Ormai aveva imparato il significato di tutte quelle parole dell’epoca di Kagome, come “pistola” e “sparato”  ma ancora lo spiazzava quanta violenza fosse racchiusa in quei termini e quanto fosse alla portata di tutti. In quel posto non dovevi essere in grado di brandire una spada per uccidere: ti bastava muovere un singolo dito.

- E nessuno l’ha fermato?

- Cosa? No, non è successo durante la festa ma qualche giorno prima: la scuola era deserta.

- Un po’ come ieri.

- Già.

Kagome lasciò scivolare il foglio dalle dita e quello si unì agli altri che ingombravano i pavimento.

Il giorno prima, dopo la frenesia del tentativo di salvataggio di Yuka ed Ayumi, si era concluso con bizzarra lentezza, scandito soprattutto da visi smarriti ed occhiate interrogative.

Kagome avrebbe tanto voluto scappare senza fornire informazioni ma doveva alle sue amiche qualche risposta, nei limiti di quello che le era concesso svelare.

Entrambe le ragazze, come chi era stato posseduto prima di loro, ricordavano la serie di azioni apparentemente insensate che avevano compiuto, compresa la pistola che Ayumi si era ritrovata dal nulla fra le dita.

Kagome aveva fatto la finta tonta, fingendo, seppur sentendosi in colpa per la bugia, di saperne quanto loro. Inuyasha, dal canto suo aveva raccontato, con il suo solito fare scontroso, di essersi sempre trovato sulla terrazza e di aver scostato la ragazza dalla traiettoria del proiettile per puro istinto.

Schermandosi burberamente dai ringraziamenti, il mezzo demone aveva scoraggiato ogni tentativo di conversazione; aveva guardato di sottecchi Kagome ed aveva fatto per andarsene, passando per l’interno dell’edificio.

Era stato allora che Kagome aveva colto al volo l’opportunità di riappacificarsi con lui.

- Inuyasha, aspetta! - aveva chiamato, lasciando a bocca aperta le sue amiche che avevano assunto, data la loro iniziale mancanza di contatti, che i due non si conoscessero.

- Ragazze- aveva suggerito lei, prima di andarsene - vi consiglio di andare a prendere Eri e di tornare a casa. Questo - osò - è successo anche a Eizo, quando … Ha sparato alla nostra professoressa.

Lasciandosi indietro un silenzio attonito ed allarmato, Kagome era corsa via, da Inuyasha che l’aveva attesa con la schiena appoggiata allo stipite della porta e l’espressione malmostosa.

- Non ti posso lasciare sola un attimo- aveva detto, non per la prima volta.

- No- Kagome si era girata, trovando Yuka ed Ayumi che la fissavano con espressione indecifrabile; allora si era avvicinata di più al ragazzo e aveva fatto scivolare il proprio braccio sotto al suo - ma io sono contenta. E non è vero che mi vergogno di te, Inuyasha.

Lui era arrossito lievemente, conscio che la ragazza stava dimostrando affetto nei suoi confronti proprio davanti a quelle amiche dalle quali il giorno prima aveva cercato di nasconderlo.

- Non posso credere che tu stia saltando scuola!- esclamò poi il mezzo demone, riportandola al presente.

- Mamma ha detto che posso. E poi non me la sento di andare di nuovo là con il rischio di incontrare Niito di nuovo senza sapere come fermarlo.

- Che ne sai che è lui? Non può essere la donna, invece?

- Può essere ma io non credo. Lo spirito è troppo arrabbiato ed irrazionale per essere un fantasma adulto. Inoltre il poltergeist medio è quasi sempre un adolescente.

Inuyasha annuì ma Kagome non riuscì a capire se l’aveva convinto o meno.

- Così la prossima volta dobbiamo affrontarlo, sempre se scopriamo come si fa.

- Oh, un modo lo troveremo, fidati.

- Che ne sai?

Kagome sorrise; la tenda viola svolazzò di nuovo, mossa da una folata di vento.

- Perché cambiare un metodo che si è rivelato vincente? Torniamo in biblioteca!

__________________________________________________________________________________

- Non potevi aspettare domani e usare i puter della scuola?

- COMputer, Inuyasha. E comunque te l’ho detto, non voglio tornare a scuola.

- Hai paura di questo ridicolo fantasma? Sei senza spina dorsale.

Kagome reputò che evitare di rispondere fosse la scelta migliore. Inuyasha si era imbronciato di nuovo ed a tempo di record, con ogni probabilità perché non amava la biblioteca.

- Guarda- chiamò, nel tentativo di farlo sentire più partecipe.

Il mezzo demone appoggiò una mano al tavolo accanto alla tastiera ed avvicinò la testa alla sua per guardare lo schermo; Kagome fece di tutto per non irrigidirsi per quella vicinanza ma le guance le si colorarono di rosso. Si diede dell’idiota.

- Esorcismo- lesse Inuyasha - lo so cos’è.

- Cerimonia compiuta con preghiere e con particolari gesti ed oggetti per liberare dagli spiriti maligni- completò Kagome, riportando ad alta voce quanto era scritto sull’articolo che aveva trovato.


- Vuoi cacciare il fantasma così?- si stupì il ragazzo - credi davvero di essere capace?

- Ehi, grazie per la fiducia!- insorse lei, punta sul vivo- e comunque sì. Però mi devi dare una mano.

Inuyasha raddrizzò la schiena e si stiracchiò. Kagome lo imitò e gli calcò per bene il berretto sul capo.

- Io non ho poteri spirituali. Come faccio ad aiutarti?

- Non servono poteri spirituali, basta che tu ti metta dove dico io, con l’oggetto che dico io, nel posto che dico io e faccia quello che dico io!

Inuyasha aggrottò le sopracciglia con fare che a Kagome parve quasi disgustato.

- Faccio il tuo cane, in pratica.

- Esatt … No, che hai capito?

Kagome si portò le mani alla bocca, conscia di essersi lasciata sfuggire una singola parola di troppo. Eccola, di nuovo. Aveva appena fatto pace con Inuyasha ma tutto suggeriva che presto ci sarebbe stata una nuova discussione.

- Nulla di nuovo- sbuffò Inuyasha- Ti porto a spalle, ti riparo dai colpi rivolti a te e ora eseguo pari pari tutto quello che mi ordini. Pena l’attivazione di questa schifezza.

Il ragazzo tormentò con disprezzo i grani del rosario, tirandoli fino sopra la testa dove si accesero di bianco, impedendogli di sfilarlo.

- Oh, Inuyasha, non prenderla così- tentò Kagome- stavo solo scherzando … Ti ho chiesto una mano!

Il mezzo demone non abbandonò il suo umore burrascoso che si era presentato di sorpresa, né smise di stringere fra le dita le perle nere della sua collana o, forse, del suo collare. La ragazza le osservò affascinata catturare la luce bassa della biblioteca e mandare vaghi bagliori tondi sul viso di chi l’indossava.

- Cosa c’è che non va? E’ ancora per ieri? Ti chiedo scusa, va bene?

I grani tintinnarono quando Inuyasha finalmente smise di tormentarli e lasciò che tornassero al loro posto. Kikyo aveva posto su di loro l’incantesimo ma era stata Kaede a costringerli attorno al suo collo, mentre Kagome era l’unica con il potere di attivarli. Con quale reale diritto?

Protezione?

No. Kagome si era servita di quel mezzo per vendicarsi di ragioni personali, forte del fatto che era l’unico attacco al quale il mezzo demone non poteva opporsi.

- Allora, cosa diamine dovremmo fare?- incalzò Inuyasha, cambiando repentinamente argomento.

- Oh!- la ragazza rimase per un attimo ammutolita, colta alla sprovvista, ma si affrettò ad incoraggiare la nuova piega della conversazione.

- Dobbiamo procurarci delle candele, cinque e metterle in modo da formare un pentacolo.

- Dove?

- A scuola, no?- Kagome scosse la testa, cercando di schiarirsi le idee. I suoi dubbi circa il rosario di Inuyasha le impedivano di concentrarsi su quello che stava dicendo- Poi io e te ci mettiamo nei due punti dove lo spirito ama manifestarsi, il terrazzo e l’aula dove l’ho visto la prima volta, dove si è sparato e pronunciamo la nostra formula.

- Io vado sul terrazzo- si offrì Inuyasha- tutto qui?

- Tutto qui- confermò Kagome.

Chiuse la pagina, cliccando la casella rossa in alto a destra e si stropicciò gli occhi affaticati. Non aveva capito come e neanche se la conversazione con Inuyasha circa il suo abusare del potere del rosario si era risolta, ma lei si disse che qualcosa poteva fare in merito.

- Ed il fantasma che fine fa?

- Non lo so. Raggiunge l’aldilà?- fece, sovrappensiero.

Poteva evitare di pronunciare tutti quegli “A cuccia!”, quelli a casaccio, quelli per ripicca e quelli a ripetizione. Un po’ le scocciava perché a volte riteneva davvero che quel tonto se le andasse a cercare ma così si sarebbe sentita meno infantile e vendicativa e più adulta.

- Kagome, che cretina, non puoi guardare?- domandò Inuyasha con aria di disapprovazione.

- Guardare cosa?

-. Dove finirà il fantasma! Secondo me è tutta una pagliacciata, non servirà a niente.

- Ma no, sono sicura che funzionerà: è un sito attendibile.

- Non so di che parli. Per me è una cretinata. Riuscirai solo a rischiare il collo.

- Piantala, Inuyasha, ti ho detto che funzionerà.

- E io dovrò salvarti come al solito.

- A cuccia!






Nota: mi piace pensare a questo capitolo come ad uno "di transizione" se così si può dire, perchè non mi va molto a genio appiccicare tutti gli avvenimenti uno dietro l'altro senza un minimo di respiro. Spero non sia risultato noioso e di non essere finita OOC.
Nel prossimo capitolo, come anticipato, Esorcismo! ... E una piccola svolta fra questi due rimbambiti qui!XD



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Capitolo 10
*** Esorcismo ***



L’atmosfera era così pesante, l’aria così densa … Non si riusciva a respirare, eppure erano all’aperto.

Kagome guardò in tralice Inuyasha, vergognandosi come una ladra per quell’ “A cuccia!” che gli aveva rifilato, giusto due secondi dopo essersi mentalmente ripromessa di limitarsi.

L’unica nota positiva era appunto che Kagome non aveva parlato ad alta voce di tale intenzione, altrimenti lo sguardo che il mezzo demone le aveva lanciato dal pavimento della biblioteca sarebbe stato dieci volte più accusatorio.

- Eh … Scusa, Inuyasha- tentò.

Per tutta risposta, lui alzò il mento e sbuffò senza rispondere.

Mantenne il cipiglio offeso per tutta la strada del ritorno e non si degnò di salutare nessuno quando entrò in casa ma fulminò tutto ciò che gli capitò sotto gli occhi, da Sota al gatto Buyo alla tenda viola della camera di Kagome.

- Hai in mente di restare arrabbiato per sempre?- insistette la ragazza, chiudendo la porta della sua stanza - ti ho già chiesto scusa!

- Sì, sì- concesse Inuyasha, appollaiandosi sul davanzale; Kagome incrociò le braccia e lo studiò, senza sapere cosa fare per togliere quel broncio dal viso del ragazzo.

Sì avvicinò.

- Ehi? Non sei neanche un po’ emozionato? Stasera tentiamo un esorcismo!

- Non è proprio il mio genere- la smontò.

- Beh, non hai mai provato- borbottò Kagome desolata.

Lo guardò e come sempre il suo cuore aumentò i battiti. Era vero, lo preferiva senza quell’espressione corrucciata in viso, ma lo trovava comunque bello. Bello perché era bello. Bello perché lo amava.

Perché si fidava.

- Ehi, Inuyasha- chiamò, afferrandolo per le spalle e costringendolo a guardarla.

Arrossì quando lui le puntò contro quelle colate d’ambra che erano i suoi occhi ma sostenne il suo sguardo.

- Scusa- ripeté -quel rosario è un oggetto di potere. Ho sbagliato ad usarlo per ripicca personale, non avrei dovuto. Kaede te l’ha messo per proteggermi da te, ma … Sei tu quello che mi protegge, adesso. Quindi non ti serve più.

In un gesto secco e deciso, Kagome strinse le mani attorno ai grani del rosario di Inuyasha, sentendolo pulsare della magia della quale la sacerdotessa Kikyo li aveva investiti, e, forte del potere identico al suo, glielo sfilò dalla testa, liberandolo.

Il silenzio che seguì fu uno dei più fragorosi che entrambi ebbero mai sentito.

Kagome lasciò scivolare il rosario sul pavimento, dove cadde con un tonfo insignificante.

Inuyasha la guardò sbigottito, con occhi spalancati e si toccò il collo libero.

- Kagome …

- Ora possiamo passare oltre, per favore?

Kagome fece per raddrizzarsi ma Inuyasha la trattenne, prendendola per il polso con delicatezza inaspettata. Lei rimase chinata vicino al suo viso, respirando il suo odore che sapeva riconoscere ed amare.

Lo guardò chiudere gli occhi ed appoggiare la fronte contro la sua. Tremò.

- Grazie- le disse.

Kagome non aveva mai udito nessuna parola pronunciata con tanta disarmante sincerità.

- Prego.

Lasciò che le palpebre le calassero sugli occhi e rimase a sentire il proprio respiro stabilizzarsi nuovamente, la mano di Inuyasha sulla pelle ed i suoi capelli freschi sul viso.

Sospirò. Con un po’ di fatica, avevano fatto pace.

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- Smettila di toccarti il collo: ti si arrosserà la pelle!

- Questo succede solo a voi umani!

Kagome alzò gli occhi al cielo e ricontrollò il materiale che aveva raccolto ed infilato in un sacchetto di plastica della spesa, assai poco consono per ciò che conteneva.

Le candele nere erano cinque, gli accendini solo due, così come i fogli con la formula da recitare. A stridere con gli oggetti mistici c’erano due piantine della scuola ed  un antiquato orologio da taschino che Kagome aveva scovato in casa e che aveva sincronizzato con il suo, indossato solo per quell’occasione.

Al momento opportuno l’avrebbe dato ad Inuyasha perché potesse controllare l’ora esatta nella quale accendere la candela e pronunciare la formula che avrebbe scacciato l’inquieto spirito di Niito via da quel luogo.

- Comunque a me sembra troppo semplice - obiettò il mezzo demone -due parole ed il poltergeist se ne va? Ma andiamo!

- Non sono semplici parole. Sono potenti. Come le mie frecce: dentro c’è tutto il mio potere.

- Sarà.

Le ombre si allungavano man mano che il sole spariva all’orizzonte: sembrava frettoloso di lasciare quel lato della Terra al buio; l’edificio della scuola si colorò di un rosso che a Kagome fece pensare al sangue, prima di piombare nell’oscurità.

- Bene, direi che ci siamo- esordì, cercando invano di assumere un atteggiamento efficiente.

Aveva i brividi ed i peli ritti sulle braccia; aveva letto che non era insolito che il poltergeist si ribellasse all’esorcismo, rifiutandosi di abbandonare il luogo della propria morte. La formula, come minimo, sarebbe stato solo l’inizio.

Estrasse le candele e ne porse due ad Inuyasha tenendone tre per sé. Caricò poi le mani del mezzo demone di un accendino, una piantina e del vecchio orologio.

- Tutto chiaro?- si sincerò- aspetti che la lancetta corta sia sul dieci e quella lunga sul dodici. Domande?

- Sì- fece lui- perché siamo venuti qui così presto? La lancetta corta è solo sull’otto!

- Perché ci dobbiamo preparare. E adesso vai!

Lo spinse lontano, prima che l’istinto l’obbligasse a stringerlo a sé. Lo guardò allontanarsi, voltandosi di quando in quando a controllarla e lesse nei suoi occhi la certezza matematica che si sarebbe trovata nei guai nell’istante stesso in cui sarebbe sparita dalla sua vista.

Quando il mezzo demone girò l’angolo, la paura la assalì inesorabilmente ma cercò di controllarla, studiando la piantina. Aveva segnato i punti esatti dell’edificio nei quali avrebbero dovuto posizionare le candele per formare il pentacolo: tre nel piano dove Niito era morto, due in quello dove aveva sparato a Fumie.

Inuyasha aveva ribadito che si sarebbe occupato lui del piano del terrazzo perché anche se fosse finito di sotto, il massimo che avrebbe rischiato sarebbe stata qualche ammaccatura; con spavalderia le aveva anche assicurato che non sarebbe bastato neppure un colpo di pistola a metterlo in difficoltà ma su questo, Kagome aveva qualche riserva.

Man mano che camminava nella scuola deserta, accese tutte le luci ma la vista dei corridoi desolati non aiutò i suoi nervi più di tanto.

Posizionò la prima candela nell’aula di informatica, ben lontano da tutto ciò che potesse essere infiammabile; si prese tutto il tempo necessario per assicurarsi che non sarebbe caduta a terra e che la fiamma non si sarebbe spenta.

Ripiegò dunque in quattro il foglio con la formula e lo passò meticolosamente nel fumo che il fuoco della candela provocava e ne bruciò il primo angolo.

Silenzio.

Kagome si alzò, le dita nere di cenere il foglio ed uscì di gran carriera. La musica stava cominciando: Niito li aveva sentiti.

Inuyasha si rimboccò le maniche e sedette nel centro del corridoio; sapeva che una qualche diavoleria di quell'epoca gli avrebbe permesso di attivare una luce artificiale ma non sapeva quale così rimase al buio.

Sfregò la rotellina dell’accendino come Kagome gli aveva insegnato ed accese la candela nera, lì, nella lunga via costellata da porte di aule.

Si sentì ridicolo a far ondeggiare il suo foglietto appena sopra la fiammella e ad incendiarne un singolo angolo ma così erano le istruzioni di Kagome e non aveva motivo per dubitarne.

Drizzò le orecchie e riuscì ad udire le vaghissime note di una canzone che riconobbe; toccò l’impugnatura di Tessaiga, chiedendosi iroso se non sarebbe semplicemente passata attraverso al fantasma senza sfiorarlo. Si alzò: il tempo volava e lui doveva ancora accendere una candela.

Kagome entrò circospetta nell’aula dove aveva visto Niito per la prima volta: era vuota ma la musica la invadeva in soffuse note malinconiche. Aveva lasciato la seconda candela ai piedi delle scale e quella che stringeva tra le mani era l’ultima. Il foglietto era bruciato su due angoli e presto sarebbe stato cenere.  Controllò l’orologio e si accorse che mancava ancora una mezz’ora abbondante all’ora prestabilita.

La luce si spense.

- Ah!

Kagome indietreggiò suo malgrado, andò a cozzare contro i banchi alle sue spalle e ne rovesciò due. Recuperò l’equilibrio all’ultimo e candela, accendino e foglio le sfuggirono di mano.

- Cavoli!

Si mise carponi, alla ricerca di quanto perduto, cercando in tutti i modi di ignorare la musica che invadeva la stanza, bassa ma inesorabile.

Recuperò per primo l’accendino e alla tenue luce della sua fiammella trovò la candela nera ed il foglio con la formula.

“Ho bisogno di te”

- No, non di me- corresse la voce - di Fumie.

Ma la pelle le si era accapponata e le ginocchia presero a tremarle.

Controllò l’orologio. Era già ora. Come funzionava il tempo all’interno di un edificio infestato?

- Beh, Inuyasha, spero che tu sia pronto- disse ad alta voce.

Ed accese la candela.

Rampe di scale più sopra, il mezzo demone contemplò la città sprofondata nella notte, edifici rettangolari illuminati da spicchi altrettanto rettangolari al loro interno.

Il vento sul terrazzo soffiava forte e per ottenere la fiamma, dovette sfregare la rotella più volte; la candela si accese a stento e fu costretto a proteggerla con una mano per non farla spegnere.

Controllò le lancette sul quadrante rotondo: ora.

Anche senza vederla, immaginò Kagome intenta quanto lui a leggere per l’ultima volta la frase e bruciare contemporaneamente la carta dove era stata scritta.

- Con queste parole io ti caccio/dal mondo dei vivi che più non ti appartiene/con il fuoco il pentacolo traccio/e ti libero dalle trame terrene.

Inuyasha aprì le mani e la carta bruciata volò via nella notte; la luce della candela resistette. Tese l’orecchio e non udì più musica. Si concesse un sospiro.

Poi, nelle sue orecchie impreparate esplose un colpo secco, la stessa esplosione che aveva provocato la strana arma nelle mani dell'amica di Kagome. La candela si spense in uno sbuffo di vento. La guardò rovesciarsi e cadere verso il pavimento del terrazzo. Si girò.

Non era più solo, lì.

Mentre la musica si alzava di nuovo, vide una figura con la schiena contro la ringhiera, i lunghi capelli neri a celarle il volto.

- Tu! Te ne vuoi andare e piantarla di rompere?

Estrasse Tessaiga e gliela puntò contro e fu forse questo che la spinse ad alzare il volto ed a guardarlo.

Come aveva detto Kagome, c’erano orbite vuote al posto degli occhi, pelle incancrenita ed un volto inequivocabilmente morto a guardarlo. Ma anche così lo riconobbe: non era un ragazzo. Era una donna.

Fumie Mori digrignò i denti, alzò le mani macilente per mostrargli il sangue rosso cupo che le sgorgava dalla ferita al petto e poi con un preciso saltò all’indietro, precipitò nel vuoto.

Inuyasha rimase immobile per un singolo attimo.

- Kagome- disse poi e si precipitò verso la porta del terrazzo.

Kagome si scottò le dita nella foga di bruciare la formula ed attese la bellezza di due secondi prima che il poltergeist arrivasse.

Poi questi si manifestò, rovesciando il banco dove si era seduta e facendola rovinare a terra.

- No!- gemette, ma la candela che stringeva fra le mani si spense miseramente.

Si alzò in piedi.

“Ho bisogno di te”

Kagome mollò la candela e si coprì le orecchie con le mani; la voce, la musica, le impedivano di sentire persino i propri pensieri.

Cercò di uscire dall’aula ma ad uno ad uno i banchi si rovesciarono davanti alle sue gambe, rendendo insidioso il percorso; scavalcò le strutture di legno una dopo l’altra e fu quando ormai era arrivata quasi alla porta, che i vetri delle finestre si frantumarono, esplodendo in mille pezzi all’interno della stanza.

Kagome strillò, scivolando oltre la porta e corse di gran carriera lungo il corridoio.

- Inuyasha!- chiamò e lo vide, vicino alle scale ad aspettarla.

- Qui è andato tutto storto! Andiamo!

Si aspettava un commento derisorio, magari un insulto ma non il silenzio che ottenne.

- Inuyasha …?

Il mezzo demone si mosse verso di lei, entrando nel cono di luce che filtrava da una finestra e tanto bastò a rivelarle che quello non era Inuyasha.

Kagome riconobbe il volto marcio, i denti ingialliti visibili attraverso i brandelli di pelle in decomposizione e le orbite cave di Niito.

Mosse un passo indietro ma non fu abbastanza veloce: il poltergeist le fu addosso in un attimo e lei ne fiutò l’alito putrido quando la afferrò per le braccia, scuotendola con quelle mani guaste dalle unghie annerite.

- Vattene!- ordinò, con voce roca, piena di terra.

Kagome lo guardò con occhi sbarrati, troppo orripilata per reagire. Poi altre due mani la afferrarono, stavolta da dietro e lei si lasciò tirare via da Niito da quello che sapeva essere Inuyasha.

- Sarà meglio andare- borbottò lui cupo e senza tanti complimenti se la caricò sulle spalle, allontanandosi dalla figura del poltergeist che andava dissolvendosi.

- E’ andato tutto storto- affermò Kagome per la seconda volta, con voce piana. Un pensiero più complesso non lo seppe formulare.

- Magari fosse l’unico problema.

- Eh?

Kagome alzò la testa dalla spalla di Inuyasha e si rese conto che il ragazzo la stava traendo in salvo da ben altro che da un fantasma iracondo. C’era qualcosa che li inseguiva.

Mosche, centinaia, migliaia di mosche.

Kagome le guardò allucinata ronzare sempre più vicino, sempre, sempre più vicino, con il loro disgustoso frullare di ali, fino a che Inuyasha non balzò fuori dall’edificio.

Allora, la ragazza fu depositata a terra e potè continuare ad osservare, senza parole, quando stava succedendo: le mosche, insetti favoriti dei corpi in decomposizione, avevano invaso la scuola ed il cortile ed ora volavano in un denso sciame compatto attorno alla struttura, senza lasciare la possibilità di tornarvi dentro.

Migliaia di migliaia di mosche. Kagome rabbrividì per lo schifo.

- Comunque io l’avevo detto che non avrebbe funzionato- tenne presente Inuyasha.

Kagome si trovò ad annuire. Cos’altro poteva fare?

Il poltergeist li aveva chiusi fuori.















Non so cosa pensare di questo capitolo. O_____O Non mi sento abbastanza obiettiva ultimamente!
Ci tengo però a scrivere una riga sulla formula che hanno pronunciato Inuyasha e Kagome: non è presa dalla puntata di Buffy, l'ho inventata di sana pianta... Gli sceneggiatori di Buffy non avrebbero mai scritto niente di così pessimo!XD Chiedo venia, ma non sono proprio portata per questo genere di cose, due frasi in rima sono già troppo per me!^^'''
P.S. Salvo imprevisti, mancano solo tre capitoli alla fine. Qualcun altro è emozionato?XD XD
























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Capitolo 11
*** Sconfitta ***



Inuyasha ammortizzò il colpo piegando le ginocchia e prese lo slancio per il salto successivo; Kagome affondò le dita nelle sue spalle con più energia e guardò Tokyo sfrecciare luminosa sotto di loro.

- Non farai molti test con la scuola conciata così- puntualizzò il mezzo demone- potremmo anche tornare nella mia epoca e lasciar perdere.

- Dopo tutta la confusione che abbiamo provocato? Dobbiamo rimettere tutto in ordine!

- Abbiamo?- Inuyasha atterrò leggero davanti alla porta di casa della ragazza e la lasciò scendere dalla sua schiena - è stata una tua idea!

Kagome strinse le labbra, chiedendosi quando l’altro si sarebbe deciso a smetterla di recriminare.

- Comunque dobbiamo rimettere tutto in ordine - ripeté spalancando la porta.

Inuyasha la seguì oltre la soglia, piombando in un silenzio malmostoso.

La casa era silenziosa, tutte le luci spente. Kagome afferrò un lembo della manica di Inuyasha e si fece guidare dalla sua vista più acuta attraverso le tenebre che colmavano la sua abitazione; accese la luce nella sua camera con sollievo e fu momentaneamente abbagliata dal chiarore improvviso.

Inuyasha piombò senza indugi sul suo materasso ed incrociò le mani dietro alla testa; troppo stanca per intimargli di togliersi dal suo posto, Kagome sedette  accanto a lui, addossandosi al muro più che poteva perché nessuna parte dei loro corpi entrasse in contatto.

- Comunque qualcosa di nuovo l’abbiamo scoperto- esordì.

Inuyasha aveva chiuso gli occhi ma annuì.

Era vero: il mezzo demone glielo aveva comunicato mentre si allontanavano in fretta e furia dalla scuola infestata dalle mosche.

Kagome si era sbagliata: non c’era solo Niito ma anche Fumie era bloccata nel limbo.

-E’ Niito che la trattiene - raccontò Kagome - il suo dolore è talmente forte che ha impedito anche a lei di lasciare la scuola.

- Questo tizio è una persecuzione. Ci credo che lei volesse piantarlo.

- Era solo innamorato.

- Beh, l’amore è una persecuzione, allora.

Kagome colse il tono definitivo dell’ultima frase e non trattenne un sospiro. Le sarebbe piaciuto pensare che Inuyasha avesse fatto quelle considerazioni sull’amore per sentito dire. La colpiva sempre rimuginare sul fatto che anche lui era stato innamorato. Non di lei.

Scivolò sul materasso e si mosse fino a quando la sua testa non si appoggiò alla spalla di Inuyasha. Solo allora, incoraggiata dall’immobilità dell’altro, si concesse di chiudere gli occhi.

- Se erano amanti- cercò di difendere Niito - allora anche lei doveva provare qualcosa per lui. Non sappiamo perché lei abbia voluto rompere.

- Anche da morto la tormenta- commentò Inuyasha con più veleno di quanto si sarebbe aspettata.

- E’ solo disperato. Non può andarsene se non ha quello che vuole e quello che vuole deve essere strettamente legato a Fumie. Ma cosa sia di preciso …

- Non è ovvio cosa vuole?- sbuffò lui.

Sotto il suo orecchio, il cuore di Inuyasha prese a palpitare freneticamente. Kagome spostò la testa per premervi il palmo, meravigliata.

- Vuole essere perdonato- rivelò il ragazzo.

- Sì!- affermò lei - Sì, può essere! Ma …

Kagome spostò la mano e, forse prendendosi troppa libertà, circondò il torace di Inuyasha con il braccio, finché la sua mano non fu adagiata contro le sue costole, dal lato opposto di dove era sdraiata.

Il mezzo demone non compì alcun gesto per scrollarsela di dosso ma neppure incoraggiò le sue azioni; rimase semplicemente immobile salvo per i denti, che Kagome vedeva contrarsi sotto le sue guance.

Desiderò toccare quella pelle chiara, per vedere se il contatto con le sue dita avrebbe potuto calmare quell’irrequietudine ma il coraggio le mancò quando la sua mano fu a pochi centimetri dal viso di Inuyasha. La ritirò.

- Ma quando Niito possiede le persone, le costringe a rivivere quello che ha fatto lui, senza cambiare nulla. E’ destinato ad uccidere Fumie in eterno … Così il perdono impossibile.

- Bene- dichiarò Inuyasha con inaspettata cattiveria - perché non se lo merita.

Kagome ascoltò il livore nelle parole e sobbalzò quando il mezzo demone si tirò in piedi, scostandosi infine dal suo abbraccio.

Camminò fino al centro della stanza ed osservò la ragazza con occhi di fuoco, colmi di inequivocabile disprezzo; lei si sentì raggelata da quello sguardo così inaspettatamente severo e dall’improvvisa mancanza del calore del corpo di Inuyasha contro il proprio.

- Quel Niito - sillabò lui, quasi con disgusto - Ha distrutto la donna che amava. Non è qualcosa che si può perdonare. Non importa se lui ora sa di essere stato un idiota ed uno stupido ed un egoista. Questo è qualcosa con la quale dovrà vivere. Punto.

Kagome tacque ma non perché non sapeva cosa dire.

Avrebbe potuto comunicare ad Inuyasha cosa aveva sentito quando l’aveva udito condannare Niito: l’aveva chiaramente riconosciuto mentre parlava di se stesso.

Di nuovo, il nome di Kikyo si faceva spazio fra di loro, consistente come una presenza autentica che aumentava lo spazio tra loro, facendo sembrare i due capi della stanza che occupavano lontani migliaia di chilometri.

Inuyasha ricordava di come l’aver creduto che Kikyo non l’amasse l’avesse accecato di dolore a tal punto da spingerlo ad attaccare il villaggio e rubare la Sfera dei Quattro spiriti.

E dopo, come Niito e Fumie, anche Inuyasha e Kikyo erano morti … Per un po’.

Poi erano tornati, entrambi, seppure in forma diversa, integri nel corpo ma eternamente feriti nell’animo.

Il senso di colpa divorava Inuyasha ogni nuovo giorno ed una parte di lui, Kagome ne era certa, desiderava quel dolore, perché era tutto ciò che rimaneva della prima volta che aveva ricevuto amore.

Come non riconoscersi in Niito? Come perdonare la cieca furia per un amore non corrisposto, se lui l’aveva provata identica e l’aveva condotto ad una quasi identica fine?

- Non ci può vivere, Inuyasha - disse Kagome lentamente - è morto.

Le parve quasi di sentire i denti dell’altro stridere quando li digrignò per l’ennesima volta; senza una parola, il ragazzo nascose le mani nelle ampie maniche rosse ed uscì con malagrazia dalla porta, lasciandola da sola.

Kagome non ebbe la forza di chiamarlo indietro, anche se per un secondo, l’ormai inutile “A cuccia!” aveva premuto per uscirle dalle labbra.

Si rannicchiò sul letto, dove Inuyasha era stato straiato poco prima e cercò, senza trovarlo, il suo odore buono.

L’Inuyasha invaso dal dolore sembrava sempre troppo. Troppo divorato, troppo fuori dalla sua portata, troppo adulto, perché quello era dolore di un uomo e non di un ragazzo.

Kagome strinse il cuscino fra le braccia.

E Niito, anche lui, restava irrequieto e lei non sapeva come calmarlo.
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Inuyasha lasciò scorrere dietro di sé la porta della cucina e sedette solo, sul lato più lungo del tavolo.

Voleva tornarsene nella sua epoca e questo era quanto.

Non intendeva avere più nulla a che fare con quegli stupidi fantasmi, o come diavolo si chiamavano e con le loro ridicole vicende amorose.

Kagome, con i suoi tentativi di prendere in mano le redini della situazione, aveva solo finito con il peggiorare i fatti, tanto che ora il signor ti ammazzo perché non posso averti Niito, aveva trasformato la scuola in un nido di mosche che certo il giorno successivo non sarebbe passato inosservato agli occhi degli altri umani.

Allungò le braccia sulla superficie del tavolo e colpì con il gomito un foglietto ripiegato.

Bastò un secondo per riconoscerlo dopo averlo raccolto: era uno di quegli stupidi affari dei quali non aveva ancora capito il nome, che volevano invitare la gente a celebrare il centesimo anno che la scuola esisteva: che gigantesca idiozia.

Accartocciò il foglio, traendo piacere nell’udire la lacerazione della carta, per non dover più vedere il disegno di quella stupida costruzione a forma di cubo, che certo procurava più guai di quanti non ne valesse.

“Ho bisogno di te”

Le orecchie del mezzo demone guizzarono in direzione della voce che aveva sentito; anche qui? Si alzò.

- Piantala o ti faccio fuori. Di nuovo. Vattene da qui!

Non aveva idea che il fantasma potesse allontanarsi dal luogo dove era morto né tantomeno che potesse inseguirli. Cercava lui o forse Kagome?

Si precipitò fuori dalla stanza e si fiondò su per i gradini, diretto nella camera della ragazza.

“Ho bisogno di te”

Si fermò. Le dita gli si contrassero contro il mancorrente poi scivolarono giù, quando il braccio piombò lungo il suo fianco, come se fosse diventato di piombo.

Inuyasha girò su se stesso e percorse le scale in senso opposto, dirigendosi con sicurezza verso l’uscita; non degnò la casa di una sola ultima occhiata, prima di lasciarla e sparire nell’onda di buio che l’attendeva all’esterno.

La testa di Kagome spuntò fra la porta e lo stipite della sua camera forse una manciata di secondi più tardi.

- Inuyasha?

Scese le scale alla cieca e premette l’interruttore di un lampadario solo quando fu giunta al pianterreno. La casa era muta, sprofondata in un’atmosfera che aveva dell’innaturale ed il mezzo demone non si scorgeva da nessuna parte.

Kagome sedette al tavolo della cucina, senza sapere che era lo stesso lato che aveva preferito Inuyasha pochissimo tempo prima; raccolse mestamente il foglio accartocciato del volantino che le aveva dato Eri quella che pareva una vita fa.

- Inuyasha? - tentò ancora, senza aspettarsi una risposta.

Era tornato alla scuola? A che scopo? Kagome lo immaginò sfoderare Tessaiga e sfruttare la Cicatrice del Vento per aprirsi un passaggio in quella barriera di mosche; con ogni probabilità, la potenza dell’attacco avrebbe raso al suolo l’edificio intero.

Beh, non avrebbe più dovuto preoccuparsi dei compiti in classe; Niito poi, non sarebbe certo riuscito ad infestare un cumulo di detriti.

Kagome scosse la testa: se Inuyasha si era messo in testa di compiere una delle sue solite azioni avventate, era suo preciso compito fermarlo.

Al pari del mezzo demone abbandonò il rifugio sicuro della sua casa per precipitarsi all’esterno, nel cuore della notte. L’alba era ancora lontana.

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La ragazza rabbrividì per il disgusto. Il ronzio delle mosche le riempì le orecchie, insistente e sgraziato, provocandole un vago senso di nausea. Volavano formando un muro grigio e compatto di insetti dalle ali che sfregavano e le zampette che si agitavano frenetiche.

Le venne voglia di fare dietro-front e tornarsene da dove era venuta ma si costrinse ad ispezionare la zona immediatamente prossima allo sciame, senza peraltro trovare ciò che cercava.

Inuyasha non c’era.

Con un tuffo al cuore si domandò se non fosse semplicemente tornato nella sua epoca, abbandonandola lì alle prese con una scuola inaccessibile e due anime inquiete.

L’indignazione la soffocò per pochi secondi, finché non capì.

“Ho bisogno di te”

- Oh, lo so.

Così come Inuyasha si era riconosciuto in Niito, anche il poltergeist si era riconosciuto nel mezzo demone; così l’aveva chiamato. L’aveva scelto.

Niito si era preso il corpo di Inuyasha per interpretare ancora la sua ultima sera di vita e l’aveva fatto attraversare la barriera di mosche per farlo entrare nella scuola che intrappolava la sua anima.

Kagome osservò sgomenta i muri grigi, le finestre chiuse, consapevole di non essersi mai trovata davanti nulla di altrettanto inaccessibile.

Se non altro, rifletté, il posto era deserto. Non c’era nessuno che avrebbe potuto interpretare il ruolo di Fumie.

Dunque … Erano tutti al sicuro. Ma la storia rimaneva incompleta. Come avrebbe potuto Inuyasha liberarsi della possessione di Niito, che liberava le sue vittime solo dopo aver fatto fuoco?

“Ho bisogno di te”

Il viso di Kagome perse ogni espressione, mentre le sue sopracciglia si spianavano e la sua bocca abbandonava la linea tesa. Mosse qualche passo incerto in avanti, in direzione dell’entrata principale e, quando le mosche aprirono un corridoio sgombro per farla passare, accelerò l’andatura.

Dietro la ragazza, gli insetti si richiusero compatti, tornando ad impedire il passaggio.

Se qualcuno fosse passato in quel momento, avrebbe la porta a vetri della scuola spalancarsi senza ausilio per lasciar entrare una ragazzina dai capelli lunghi.

Se poi l’avesse riconosciuta, di certo l’avrebbe chiamata per nome.

“Kagome!”

Ma lei non avrebbe risposto.

In sostanza, Kagome non era più lì.













Ooooooh, my God! Non che questo capitolo mi convinca più di quello precedernte... Però volevo aggiornare, anche perchè non so quando potrò farlo ancora.
Gli esami di maturità mi hanno presa e fatta loro in parole povere ed ora conduco una vita da eremita (barba lunga e via discorrendo). Quindi spero che questo capitolo sia abbastanza decente da convincervi a leggere anche il prossimo la cui stesura è in data da definirsi!XD
Spero che si sia capito che mo anche Kagome è allegramente posseduta, io che lo scrivo lo so ma magari non l'ho reso così bene come penso. O_____O



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Capitolo 12
*** Poltergeist ***



Niito esaminò il proprio corpo con piacere distaccato. Era minuto, non molto alto, grazioso. Le sue mani erano piccole e dalle unghie tagliate al filo del polpastrello e quando le affondò tra i capelli, scoprì una chioma lunga nero inchiostro.

Era una donna, molto giovane.

Camminò con sicurezza, leggero, lungo quelle scale che tanto conosceva, che mille altre volte aveva percorso, da vivo, e mille altre, da morto.

Lo stomaco della ragazza -il suo- si contrasse, di paura e di eccitazione, di amore e di rassegnazione.

Ed eccola lì, Fumie, ad aspettarlo, all’ultimo piano della scuola che era la loro tomba.

Lei aveva trovato il corpo di un uomo, scattante, dagli arti lunghi ed una zazzera di capelli già bianchi.

Gli dava le spalle, la schiena rigida per l’attesa e Niito si accorse delle lacrime che gli appannavano la vista, già pronte a scendere, in anticipazione.

Ed eccola, la sua tortura, sempre uguale, sempre ugualmente straziante, che lo attendeva assieme alla donna che amava. La sua punizione eterna, il suo bruciante pentimento che gli faceva vivere ancora e ancora -e ancora e ancora- il giorno della loro morte.

Aprì la bocca della ragazza e cominciò la recita.

- Non puoi pensare che sparirò così, solo perché dici che è finita.

Fumie girò la testa del ragazzo e Niito riconobbe l’espressione dolcissima ed affranta della donna che amava in quei bizzarri occhi gialli.

- Vorrei solo avere una vita normale e soprattutto vorrei che l’avessi tu. Io non potrei dartela mai.

Il vecchio furore si fece spazio nella mente di Niito, annebbiandogli i sensi.

- Non me ne importa niente di avere una vita normale!- la voce sottile della ragazza si ruppe per il pianto - penso a te ogni secondo!

Una mano, calda, dal palmo ampio, sconosciuta ma che conservava tutto il meraviglioso tocco di Fumie, scese ad accarezzargli la guancia.

- Lo so- ammise- ma è per questo che dobbiamo chiuderla qui.

Fumie si voltò in un fruscio di abiti rosso fuoco e fece per allontanarsi da lui ma Niito la chiamò indietro.

- Fermati, ti supplico! Ho bisogno di te!

- Tu hai bisogno di lasciarmi andare!- replicò l’insegnante con voce più ferma ma non lo guardava ed aveva volto insistentemente voltato dall’altra parte.

La rincorse e l’afferrò per un braccio costringendola a voltarsi: come aveva immaginato, c’erano lacrime anche nei suoi occhi.

- Tu hai bisogno di lasciarmi andare!- ripeté, perdendo il controllo all’improvviso.

- Vuoi dirmi che non mi ami più?- la sfidò -dillo!

- Perché non capisci che è finita?

- Non mi puoi lasciare!

- Vuoi sentirtelo dire?Ti farà stare meglio? Non ti amo. Non ti amo più!

Eccola: la conversazione che diventava frenetica, la sua rabbia che scalpitava pulsandogli nelle tempie e la sua stretta sempre più serrata sul braccio di Fumie.

- Divento pazzo se non ti vedo!

- E’ finita!

Il braccio coperto dalla stoffa rossa sfuggì dalle dita femminili di Niito. Vide il ragazzo che era Fumie girarsi nuovamente e cercare di scappare da lui, il passo incerto di chi sta resistendo ad un dolore troppo acuto per essere sopportato.

Come il suo: quella pistola, a suo tempo l’aveva estratta dalla tasca della sua divisa blu polveroso; ora si materializzava automaticamente nella sua mano destra. La alzò, il dito già pronto sul grilletto, la canna già puntata verso la figura cremisi che si allontanava.

- NON PUOI LASCIARMI, MALEDETTA!

Fumie rivolse il viso verso di lui, quasi contro la sua volontà. Fu allora che si accorse della pistola.

- Mio Dio!

La guardò scappare, scappare davvero, percorrere il corridoio di corsa per fuggire da lui ma non la lasciò andare. Neanche per un secondo avrebbe voluto vederla uscire dal suo campo visivo, così la inseguì, il peso dell’arma a rendere leggermente sbilanciato il suo incedere.

Vide la sagoma rossa sparire oltre la porta del terrazzo, come sempre e tuffarsi nelle tenebre che si addensavano all’esterno; in un attimo le fu dietro.

- Fermati!- intimò -non farmelo fare!

Fumie sollevò gli avambracci in avanti mentre per l’ennesima volta si voltava a guardalo, un gesto che quasi indicava il suo desiderio di stringerlo fra le braccia. Ma la sua schiena era premuta contro la ringhiera del terrazzo e c’era inequivocabile paura nei suoi occhi.

- Non puoi decidere che non mi ami più da un giorno all’altro!- esclamò furioso.

- Cerchiamo di calmarci- supplicò Fumie, le mani dalle unghie appuntite, scosse dai tremiti.

Niito scosse la testa e strinse convulsamente la pistola, tanto da perdere la sensibilità nelle dita.

- Dammi la pistola- chiese la donna in un vano tentativo di controllare la voce.

- No! - Niito gridò al culmine dell’ira - non trattarmi come uno stupido!

E poi l’esplosione. Non seppe dire come, forse il dito sul grilletto si contrasse involontariamente ma il proiettile schizzò fuori e nel giro di un battito di ciglia andò a segno, colpendo Fumie in pieno petto.

Niito abbassò l’arma immediatamente; aveva lanciato un grido ed ora ne lanciò un latro, più disperato, più consapevole.

Guardò Fumie negli occhi gialli dei ragazzo e lei le restituì uno sguardo straziato e bagnato di lacrime.

- Niito ...

Niito tacque e rimase immobile a guardare la donna che amava precipitare giù dal terrazzo e sparire dalla sua vista.

__________________________________________________________________________________

L’impugnatura della pistola era gelida ma era l’unica sensazione che era in grado di percepire.

Il resto era dolore sordo. Gli sembrava che il proiettile avesse colpito lui, ovunque, gli avesse trapassato le carni senza lasciare nulla di intatto. Il rumore dei suoi passi era come amplificato e gli giungeva alle orecchie come il fruscio di un vento gelido che gli tormentava le ferite.

Niito strascicò i piedi lungo tutto il percorso di discesa, lasciando che le lacrime inzuppassero il volto della ragazza che aveva scelto. Si appoggiò con la piccola mano al muro nel tentativo di non crollare di lato, di non soccombere al dolore, ancora.

Ma c’era poco da fare: lui era dolore.

Aveva ucciso chi amava di più; i suoi nervi avevano ceduto e ora lui era solo, morto ed il corpo che aveva preso in prestito non poteva aiutarlo a cambiare le cose: poteva solo fargli rivivere la scena del suo mortale peccato e ricordargli che era colpevole.

Il perdono non era contemplato. Fumie non era più lì, di nuovo. Era scivolata via dal corpo del ragazzo una volta che questi era morto ed era bloccata quanto lui.

Come poteva perdonarlo? Neppure lui poteva perdonare se stesso.

Ricordava quell’aula; allora aveva attivato il giradischi e la loro canzone gli aveva invaso le orecchie, annullando ogni altra cosa, quando si era sparato.

Ora non gli serviva un giradischi: era un poltergeist.

La musica partì da sola non appena mise piede nell’aula dove era morto.

Nel vetro nero della finestra vide per la prima volta la ragazza che si era preso, ma con il volto sconvolto e gli occhi arrossati per le lacrime non la trovò affatto attraente, anzi la sua vista lo portò a muoversi più in fretta: distolse lo sguardo dall’immagine e lasciò scorrere le ultime lacrime di quel corpo.

La musica aumentò di intensità tanto da coprire i suoi stessi singhiozzi ed il tremore del suo polso quando lo alzò.

Premette la canna della pistola contro la tempia e spinse con violenza, una minima anticipazione del dolore che sarebbe venuto dopo; il dito sul grilletto si contrasse.

- Fermati!

Niito sobbalzò. Strillò, liberando la voce acuta della ragazza.

C’era una mano, grande e ruvida sulla sua, che stava abbassando l’arma per lui, allontanandola dalla sua tempia.

Si voltò di scatto, per vedere chi fosse e si trovò dritto fra le braccia di Fumie.

Così vicino, così vicino.

- Fumie!- fiatò- ma io … Ti ho uccisa!

Sentiva il suo respiro! Era quel soffio meraviglioso e tiepido che gli riscaldava il viso. Pianse ancora.

- E' stato un incidente: non è stata colpa tua - disse lei, con calore. Niente risentimento. Niente odio.

- Si che lo è stata, come puoi dire …

Quella mano gli toccò la bocca per bloccare le accuse che voleva auto infliggersi.

- Scusami, ti prego - supplicò dietro le sue dita.

- Sono io che ti devo chiedere scusa - affermò lei, lasciandolo senza parole - ti ho fatto credere che non ti amavo più: ho mentito.

Niito singhiozzò, come aveva singhiozzato molte altre volte, troppe, prima, ma non per dolore.

- Ti ho amato fino all’ultimo respiro- confessò Fumie contro la sua fronte.

Poi il calore della sua donna lo avvolse, sanando la sua ferita, sollevandolo dal suo senso di colpa. Completandolo.

Niito chiuse gli occhi e si sporse a far combaciare la sua bocca con quella di Fumie e dentro quel bacio gli parve di poter respirare di nuovo, come se fosse tornato ad essere un semplice ragazzo che amava.

Aveva ottenuto il perdono ed aveva Fumie, come Fumie aveva lui: niente li incatenava più a quel luogo, così andarono.

Via.

Inuyasha e Kagome invece rimasero, lì dove erano stati lasciati, i corpi che si sfioravano, le mani che si cercavano.

E le bocche unite in un bacio che adesso era unicamente loro.









I'm back!
Dai, fatemi contenta, ditemi che non vi aspettavate che fosse stata Fumie a prendere Inuyasha e Niito Kagome!XD
Ok, d'accordo. Così almeno i fantasmi hanno risolto, ora mancano solo Inuyasha e Kagome.
Il prossimo capitolo, salvo ripensamenti dell'ultimo minuto, sarà quello conclusivo!
Stay tuned!^___________^

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Capitolo 13
*** Epilogo- l'ultimo saluto. ***




C’era un buco nella casacca rossa di Inuyasha. Se vi accostava l’occhio, poteva guardarci attraverso.

Kagome spiò il mezzo demone accucciato vicino alla finestra ed il suo sguardo fu inevitabilmente attirato dal livido violaceo che spiccava sul suo petto nudo, simile ad un colpo inferto da un pugno di ferro.

Quello stesso petto era stato trapassato prima di allora dalla mano di un demone, che per inciso era il fratellastro di Inuyasha stesso.
Ancora, era stato colpito da frecce, maledizioni, scariche di energie, spade.
… E questa volta da un proiettile.

- Piantala di tormentarlo, Kagome- la riprese lui - si riparerà da solo. Uno dei vantaggi della veste del Topo di Fuoco.

La ragazza posò l’indumento vermiglio sulla sedia e si sfiorò dubbiosa la bocca; il sapore di Inuyasha vi era rimasto come incastrato dalla sera prima, tanto che era un impresa evitare di passarsi la lingua sulle labbra per gustarlo di nuovo.

Era stato così … Bello.

Era forse banale definirlo così?

Era stata paralizzata dal panico, questo era indubbio, quando Niito si era impossessato del suo corpo; era stata costretta ad impugnare l’arma da fuoco e puntarla contro il ragazzo che amava.

Era stata bruciata dallo stesso patimento di Niito, quando l’aveva visto precipitare dal terrazzo.

Era stata invasa dallo stesso amore quando lui (lei? Ormai faticava a distinguerli) le aveva impedito di porre fine anche alla sua vita.

Certo, la voce che l’aveva avvolta e riscaldata era quella di Inuyasha però era sempre stata Fumie a parlare.

Quando i due amanti, finalmente liberi, avevano lasciato la scuola, sgombrandola dall’invasione di mosche e da tutta la disperazione che li aveva angustiati per cinquant’anni, il mezzo demone aveva spalancato su di lei gli occhi gialli e l’aveva stretta più forte.

Poi l’aveva lasciata, assumendo un delicato colorito violaceo e da allora sembrava quanto mai desideroso di non sollevare mai più l’argomento che interessava il bacio che si erano scambiati.

Perché quello era successo: avevano continuato a baciarsi una volta liberi e nemmeno lui avrebbe potuto avere così tanta faccia tosta da negarlo.

Quando Inuyasha era tornato in possesso del proprio corpo Kagome l’aveva chiaramente sentito, perché lui era troppo vicino per non accorgersene, abbandonare lo stile tenero e delicato di Fumie e premere nella sua bocca un bacio affamato.

Lei a sua volta aveva schiuso di più le labbra per lasciarlo passare ed intanto le sue mani erano tizzoni roventi sui suoi fianchi.

- Non ci voglio più andare al centenario della scuola - le uscì detto.

- Davvero? - si entusiasmò Inuyasha - allora possiamo tornare!

La ragazza afferrò la casacca vermiglia e gliela gettò sulla testa senza troppi complimenti.

- Ehi!

- Voglio andare in un posto prima. Vieni?

- Ho scelta?

Il mezzo demone si alzò, nascondendo infine il livido alla vista; aveva pensato che una volta libero dal rosario, sarebbe stato tutto diverso ma in definitiva non era cambiato nulla.
Non era in quei grani che portava al collo, il suo legame con Kagome, ma da un’altra parte.

Piegò le ginocchia perché lei potesse salire sulla sua schiena con maggiore facilità e balzò dalla finestra.

__________________________________________________________________________________

Fumie e Niito erano stati sepolti distanti e per andare a visitare entrambi avevano dovuto camminare per minuti interi; Kagome aveva guardato le loro foto in bianco e nero, letto le dediche sulle lapidi e le loro date, quella diversa di nascita e quella identica di morte.

- I demoni non seppelliscono i loro morti - raccontò Inuyasha, scrutando il cimitero con diffidenza - a volte mi sento più orientato verso il loro pensiero: questa abitudine ha un che di morboso.

- Io invece trovo rassicurante avere un posto dove poter far visita a chi se ne è andato.

- Loro non ci sono, qui- fece lui.

- No, è vero. Li abbiamo visti.

“Sono insieme” avrebbe voluto aggiungere ma l’ultima frase le rimase incastrata in gola.

Distolse lo sguardo dalla foto di Fumie Mori per fissarlo su quel mezzo demone che le era rimasto accanto ancora una volta e la mano le salì automaticamente alle labbra.

Avrebbe voluto provare ancora una volta, anche solo una. Se non la bocca una guancia o la tempia, il collo, quel livido terribile che gli aveva provocato.

Rimase rapita a guardare il profilo di Inuyasha, mentre si faceva rosso, dando prova di essere consapevole che lo stava osservando.

- Loro due … - cominciò senza voltarsi - hanno scelto me. E te.

- Hanno scelto noi - concluse Kagome.

- Ancora non capisco come abbia potuto perdonarlo.

- E’ così importante? L’ha fatto.

Inuyasha volse infine il viso verso di lei.

- Credo … Io li potevo capire, è successo anche a me. Ma a te

Kagome sorrise. Era così tipico di lui convincersi che nessuno fosse in grado di comprenderlo. Il risultato di un’intera vita passata da solo l’aveva portato a credere che nessuno avrebbe potuto mai interessarsi ad analizzare un suo stato d’animo.

- Credevi che io non potessi immedesimarmi? Avevo capito il loro dolore ed avevo capito anche il tuo.

Inuyasha distolse lo sguardo, vinto dall’imbarazzo e dal disagio. Fu costretto a guardare di nuovo Kagome negli occhi quando questa le passò una mano sotto il mento per alzargli il viso; sentì le sue dita tremare.

- Lo so che tu hai … - lei esitò - hai pensato a Kikyo.

Il mezzo demone non rispose. Troppo era il biasimo che era costretto ad affrontare ogni volta che i suoi pensieri erano rivolti alla sacerdotessa morta. Kagome lo fulminava sempre con lo sguardo. I loro amici, non interpellati, si schieravano invarabilmente dalla parte della ragazza. Tacque ma non sembrava che Kagome avesse finito.

- E’ giusto che tu pensi a lei: sarebbe strano il contrario. Mi ferisce ma non voglio togliertelo. Anche lei contribuisce a fare di te ciò che sei.

La mano di Inuyasha si chiuse attorno alla mano che Kagome aveva appoggiato al suo viso.

- Perché mi dici questo?

Lei la risposta l’aveva: perché voglio che tu stia bene, perché desidero la tua felicità, perché ti amo.

Ma era semplicemente troppo e non riuscì a dirlo; si morse invece le labbra e restò in silenzio.

Trattenne il respiro e si alzò in punta di piedi quando si accorse che Inuyasha si chinava su di lei e sperimentò per pochi secondi di nuovo le sue labbra sulle proprie: sì, non si era sbagliata, erano secche e screpolate e le regalarono la più indescrivibilmente bella sensazione che ebbe mai sperimentato.

Bastò quello e le sue ginocchia presero a tremare; bastò quello e il suo stomaco le si strinse in un bollore tumultuoso. Le sue dita si contrassero, stringendo forte mano e mento di Inuyasha.

Aprì gli occhi su quelli del mezzo demone e li trovò inaspettatamente sereni, anche se la sua mano libera era scesa sulla sua schiena e si era ancorata nervosamente al tessuto della sua maglietta.

- Ora torniamo al lavoro o vuoi cimentarti in qualche altra impresa perditempo?- si informò il ragazzo, fiatando contro la sua pelle.

-Torniamo al lavoro- concesse lei. Sorrise.

Rivolsero un ultimo sguardo a Fumie che guardava serena il mondo per sempre da quella fotografia e forse anche da altrove.

- Comunque il mio aiuto è stato determinante- ci tenne a sottolineare Inuyasha, mentre uscivano fianco a fianco dal cimitero.

- Certo, certo.

Kagome cercò la sua mano e si accostò di più a lui; le dita più grandi avvolsero le sue ed il loro passo si accordò automaticamente.

Domani, lo sapeva, ci sarebbero stato nuovi motivi per litigare ed imbronciarsi: Inuyasha avrebbe sottratto a Shippo la sua razione della cena, le avrebbe dato della stupida per non essersi messa al riparo dal pericolo; lei sarebbe scattata, permalosa, avrebbe alzato la voce fino a coprire la sua e si sarebbe allontanata impettita.

Poi avrebbero fatto pace.

Poi avrebbero litigato ancora.

Erano loro, così, da più di quanto ormai potesse ricordare.

Così, pieno di incomprensioni da ragazzini ed amore da adulti, era il loro stare insieme.

- Inuyasha …

Non avevano neppure ancora varcato il cancello del cimitero ma la ragazza si disse che non avrebbe aspettato un minuto di più: si voltò nuovamente verso il mezzo demone e gli afferrò il viso, facendo sparire le dita nelle guance già bollenti d’imbarazzo.

Se domani dovevano litigare, oggi voleva il suo bacio.

Eccolo: voleva il suo sapore sulla lingua e il suo respiro addosso e le sue mani sulla schiena e quella sensazione di sperimentare un’emozione troppo estesa perché il suo corpo potesse contenerla intera.

Separarono le labbra e si abbracciarono in silenzio.

- E adesso possiamo andare?- si spazientì il mezzo demone.

Kagome gli sorrise.

- Sì.


Ora sì.






Eh, mi hanno detto che ci ho messo un secondo ad aggiornare! Solo pochi... Mesi!XD
Chiedo perdono a chi voleva leggere il finale ma questo ultimo capitolo è stato un parto, non riuscivo proprio a cavarci nulla di decente! =_____="
Questo è il miglior risultato che ho ottenuto. Non oso toccarlo ancora per timore di far danni!

Ora vorrei ringraziare chi ha recensito il capitolo precedente!
Nella fattispecie (parola intelligente):

Pluto90

alicettameggy

kaggi18

CarzyV

serin88

shiroganegirl

capinera

Grazie di cuore per le recensioni bellissime che avete scritto :)

P.S. Scrivendo questo capitolo ho avuto diecimila dubbi sul vero nome della veste di Inuyasha. Ho visto poco le puntate in italiano ma mi sembra di ricordare che la chiamino la Veste del Cane di Fuoco. Invece sia negli episodi che (mi pare) nel manga in inglese lo chiamano Fire Rat (ratto di fuoco). In giapponese, anche mi pareva fosse sempre il Topo di Fuoco.... Chi lo sa? E' cane o topo?  Così in caso correggo! :)


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