I only have eyes for you di Beverly Rose (/viewuser.php?uid=23815)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-Test numero uno ***
Capitolo 2: *** Test numero due ***
Capitolo 3: *** Test numero tre ***
Capitolo 4: *** Lavagna ***
Capitolo 5: *** Lento ***
Capitolo 6: *** Terrazzo ***
Capitolo 7: *** Blu polveroso ***
Capitolo 8: *** Scale ***
Capitolo 9: *** Rosario ***
Capitolo 10: *** Esorcismo ***
Capitolo 11: *** Sconfitta ***
Capitolo 12: *** Poltergeist ***
Capitolo 13: *** Epilogo- l'ultimo saluto. ***
Capitolo 1 *** Prologo-Test numero uno ***
- Higurashi, questo è
tutto sbagliato, sarà meglio che tu lo ripeta domani.
Kagome osservò mesta il foglio scritto in nero
e quasi completamente sottolineato di rosso, sentendosi prossima alle
lacrime.
Aveva davvero studiato per quel test!
Almeno, quanto le era stato possibile nelle ultime due settimane.
Sospettava che la rapida lettura dei suoi libri fatta la sera dopo aver
camminato tutto il giorno ed aver eventualmente combattuto contro
qualche demone non fosse il metodo migliore per memorizzare tutte
quelle formule matematiche, ma che scelta aveva?
In più aveva passato gli ultimi quattro giorni a casa (con
Inuyasha che le alitava sul collo), studiando giorno e notte con
crescente disperazione.
Eppure … Niente, non era riuscita a prendere neppure la
sufficienza minima per lasciarsi quella porzione di programma
scolastico alle spalle!
Kagome ringraziò il professore, chinando la testa, quando
avrebbe preferito lanciargli contro foglio, cattedra e lavagna e
guadagnò il suo posto solitario nell’aula vuota,
anche ora che il compito di recupero si era concluso.
Questa era tutta colpa di Inuyasha, concluse furente, mentre anche il
suo insegnante la abbandonava alla sua disperazione.
Se solo le avesse permesso di tornare a casa prima e avesse avuto il
buon gusto di non seguirla fin da subito e lasciarle un po’
di pace per studiare!
Aveva sprecato metà del tempo soltanto per attivare la
collana che il mezzo demone portava e schiantarlo a terra quando
diventava troppo irritante.
Anche il suo fratellino Sota non era di grande aiuto, visto che adorava
ripetere a tono di voce sempre maggiore quanto apprezzasse la presenza di
Inuyasha nella sua casa.
… E lei non riusciva mai a studiare!
- Accidenti …
- gemette, premendo la fronte contro la superficie del banco.
Non una volta nella sua vita sembrava che tutto potesse scorrere con un
minimo di tranquillità.
Stava diventando via via sempre più brava a destreggiarsi
nell’insidioso mondo di Inuyasha: la sua precisione con arco
e frecce diventava sempre maggiore ed oramai riusciva a localizzare
frammenti della Sfera dei Quattro Spiriti a chilometri di distanza;
aveva sviluppato anche una certa destrezza nello schivare i colpi dei
demoni e trovare i punti più riparati da dove sferrare i
suoi attacchi, senza che neppure Inuyasha si dovesse affannare a
portarla lontano dal pericolo.
Finalmente!
Però a rimetterci era la vita nel suo tempo, quella che
avrebbe dovuto trovarla preparata e che invece la faceva sentire sempre
un passo indietro rispetto a tutti quelli che potevano risiedervi in
pianta stabile.
I suoi voti in tragico declino ne erano una prova tangibile.
Premette la testa contro il legno con più energia, prima di
alzarsi di scatto e rovesciare la sedia sul pavimento; senza
preoccuparsi di raccoglierla, afferrò i suoi libri e si
lanciò in direzione della biblioteca della scuola.
Non era il caso di tornare a casa: Inuyasha vi si era stabilito con la
sua difficilmente ignorabile presenza e di certo non sarebbe riuscita a
studiare per il secondo test di recupero, se vi fosse tornata.
__________________________________________________________________________________
- Questo non lo
capirò mai - dichiarò Kagome alla
biblioteca deserta, chiudendo a malincuore il libro. Erano almeno
quattro ore che studiava senza posa ed era certa che se avesse
continuato altri cinque minuti il suo cervello si sarebbe fuso per poi
uscire dalle orecchie.
Si era fatto buio ormai ed era stupita che il suo mezzo demone da
guardia non si fosse ancora presentato rinfacciandole di essere in
ritardo; si sentiva anche piuttosto ferita a riguardo: Inuyasha la
inseguiva fino a casa ma poi non andava neppure a prenderla se tardava
da scuola? Perché non era preoccupato come al solito che le
fosse successo qualcosa?
Incupita, pensando che forse il ragazzo si era stufato di aspettare ed
aveva attraversato il pozzo, per rimproverarla aspramente non appena
fosse tornata, Kagome raccolse mestamente i libri, ripetendosi quello
che si era forzatamente ficcata in testa nelle ultime ore.
Allora, quando aveva solo voglia di tornare a casa e divorare una cena
sostanziosa, venne distratta da due voci alte, una maschile e una
femminile, che provenivano dal piano superiore.
“Oh, Kagome,
non ti impicciare,dai” si rimproverò,
mentre tendeva automaticamente l’orecchio per capire cosa
dicessero.
Di certo litigavano, decise, e forse piangevano anche.
“ Non ti
impicciare” si ripeté, muovendo due
passi decisi verso l’uscita della scuola. Dopo nemmeno un
metro, aveva già fatto dietro-front per dirigersi
speditamente verso le due persone che, ormai, praticamente gridavano.
“Va bene,
impicciati” si concesse “che male vuoi che
faccia?”
Mentre correva lungo le scale che conducevano al piano
superiore, Kagome colse stralci di conversazione che quasi quasi la
fecero pentire di essere rimasta: pareva con pochi dubbi il litigio fra
due amanti.
- Perché non
capisci … finita?
- Non
… lasciare!
Kagome si affrettò su per le scale, tentando di
capire più parole possibili.
- Non … amo!
- Divento
pazzo se …!
-
E’ finita!
- Non puoi
lasciarmi, maledetta!
Raggiunto il piano superiore, Kagome si bloccò
con un sobbalzo. L’ultima frase era stata gridata con una
rabbia mostruosa e la voce maschile era rimbombata nel corridoio.
D’un tratto, la ragazza desiderò non trovarsi
lì ma la curiosità la divorò a tal
punto da avvicinarsi ulteriormente.
- Mio Dio!-
gemette la voce femminile.
Passi di corsa.
Kagome raggiunse un bivio e sbirciò oltre
l’angolo: eccoli!
C’erano una donna che riconobbe vagamente come una delle
segretarie dell’ufficio scolastico e nientemeno che il
professore che le aveva rifilato l’insufficienza, poche ore
prima.
Kagome assottigliò gli occhi nella direzione della coppia,
poi li spalancò, sobbalzando una seconda volta.
La donna camminava speditamente a ritroso, tendendo d’occhio
il professore, che le puntava contro quella che era inconfondibilmente
una pistola.
La mente di Kagome si fece bianca e muta dalla paura.
Aveva affrontato zanne, spade e frecce, artigli velenosi e anche
maledizioni di sacerdotesse oscure; non aveva la minima idea di come
comportarsi di fronte ad un’arma da fuoco.
Rimase a bocca aperta, senza sapere come agire, quando la donna
voltò le spalle all’uomo e corse nella sua
direzione.
Il grido “Inuyasha!”
si era già fatto strada per metà fuori dalla
bocca di Kagome, quando si accorse che il professore si faceva avanti a
sua volta.
Senza pensare, ma solo agendo come avrebbe fatto se si fosse trovata
nel Sengoku, Kagome sbucò fuori dall’angolo non
appena l’uomo l’ebbe superato;
l’afferrò alle gambe, facendogli perdere
l’equilibro e mandando entrambi a cadere contro il pavimento.
Quasi pianse dal sollievo quando vide la pistola cadere di mano al
professore e finire a sua volta a terra.
Da dove era finita, la faccia contro le piastrelle bianche, poteva
vedere che la donna si era voltata a guardare alle sue spalle e si era
addossata alla parete, poco lontano dalla porta che conduceva al
terrazzo della scuola; colse un misto di terrore e dolore sul suo viso
striato di lacrime.
Passarono forse dieci secondi, prima che Kagome scattasse di nuovo, nel
tentativo di allontanarsi dall’uomo ma questo fu
più veloce: la ragazza sentì la sua mano calarle
sulla spalla e strillò di sorpresa e spavento.
Poi, l’uomo la tirò indietro e Kagome
potè vedere quanta confusione ci fosse in quegli occhi.
-
Cos’è successo?- domandò,
come a confermare il suo smarrimento.
- Cosa?-
ansimò Kagome incredula - stava per sparare alla sua
fidanzata!
La studentessa indicò con un ampio gesto del
braccio la donna, che si era di nuovo avvicinata.
- No-
scosse la testa l’uomo.
Addirittura, la tirò in piedi quasi di peso in un eccesso di
galanteria fuori luogo.
- No? -
ripeté Kagome - stavate
litigando! Le ha puntato una pistola addosso!
- Non
stavamo litigando- la contraddisse la donna. La sua voce,
che aveva tremato di dolore fino a quel momento, era tornata calma in
un tempo minimo.
- Stavamo parlando dei
moduli di iscrizione- rincarò l’uomo.
Kagome si guardò intorno disperata.
Chi erano i pazzi, lì? Aveva appena evitato un omicidio! O
forse aveva studiato troppo e aveva cominciato ad avere visioni?
- E la pistola?-
chiese a mezza voce.
- Non
c’è nessuna pistola-
affermò la donna.
Kagome si accigliò e cercò velocemente
sul pavimento l’arma, certa che almeno quella avrebbe
confermato che non stava dicendo addio alla sua sanità
mentale.
Il pavimento era inondato dalle luci delle lampade al neon e
completamente sgombro; non c’era una minima zona
d’ombra o un luogo dove poter celare qualcosa.
- Mi ricordo di aver
cominciato litigare- intervenne il professore - solo che non so il perché.
Kagome distolse lo sguardo dal pavimento e lo puntò sul
professore.
Beh, almeno c’era qualcuno che sosteneva la sua versione
senza il bisogno di andare alla ricerca di prove.
Perché della pistola che l’uomo aveva puntato
contro la segretaria, sul pavimento non vi era traccia.
Note-di-me:
Oh, lo so, lo so.
Se
qualcuno si ricorda di me, come minimo sta pensando che ho una bella
faccia tosta a postare una fan fiction nuova, considerando che ne ho
una in attesa di aggiornamenti da quest'estate!
Mi
dispiace per la mia presenza fantasma e per aver recensito
così poco le
vostre storie... Come molti, anch'io ho passato e sto passando quel
fantastico periodo nel quale si hanno tantissime cose da fare e
fermarsi è un lusso!^^
Ho messo nella lista
delle cose da fare anche "riprendere ad usare EFP civilmente"!XD
Note-sulla-fan-fiction:
Come
ho detto, la storia di base è liberamente ispirata (si dice
così?) ad
una puntata del telefilm "Buffy The Vampire Slayer"(2x19), dalla quale
ho preso anche il titolo. Ho adottato e riproposto qui il mistero della
pistola che non si trova e dei due che litigano senza motivo ma
dialoghi e scene aggiuntive sono inventate di sana pianta anche
perchè
andavano un minimo adattate!XD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Test numero due ***
- Ho capito, ti senti
presa in causa perché c’eri ma questi non sono
affari tuoi. Studia, piuttosto, fra un paio di giorni dobbiamo tornare.
Kagome scosse la testa a osservò Inuyasha con la coda
dell’occhio, prima di concentrarsi nuovamente sui libri.
Si era attardata con il professore e la segretaria il giorno prima e si
erano lasciati con una moltitudine di sospetti e la quasi certezza di
essere impazziti.
Dopo la confusione iniziale, i due adulti avevano confermato di
ricordare entrambi ogni azione che avevano compito, grida, insulti e
tentato omicidio compresi.
Detto questo, nessuno dei due pareva in grado di spiegare il
perché di quanto successo. A detta loro, era parsa
una reazione del tutto naturale, piangere e strepitare dal nulla.
Quando Kagome era tornata a casa aveva raccontato la sua avventura alla
sua famiglia al completo più Inuyasha.
Ovviamente, l’unico ad ostentare disinteresse per
l’intera faccenda era proprio Inuyasha, che non chiedeva
niente di meglio che il ritorno immediato dall’altra parte
del pozzo, senza perdite di tempo a bighellonate per una scuola della
quale non capiva l’utilità.
- Non ti incuriosisce
neanche un po’, Inuyasha?- volle sapere Kagome,
guardando il muro di fronte alla sua scrivania.
- No-
rispose Inuyasha all’istante - ho già abbastanza
casini da sistemare nel mio, di tempo.
- Beh, ma
visto che invece per me è l’epoca giusta potrei
interessarmene.
Inuyasha sbuffò, cambiando svogliatamente
posizione da dove stava, appollaiato sul letto di Kagome.
- No, non puoi. Abbiamo
la Sfera dei Quattro Spiriti da ricostruire.
- Devo anche studiare! - si infervorò Kagome.
- Allora studia-
la freddò il mezzo demone.
Kagome sentì un “A
cuccia!” lottare per uscirle dalla bocca e prese
fiato, pronta a pronunciare la parole ma Inuyasha scelse proprio quel
momento per balzare giù dal letto e guadagnare
l’uscita a velocità supersonica.
Kagome sospirò: pareva che avesse affinato il suo fiuto per
gli “A cuccia”. Invece di evitare che venissero
detti, ora riusciva a scappare prima di venire schiantato faccia a
terra. Non era valido.
Eppure … Eppure neanche questo riusciva a distrarla.
Dal giorno prima non pensava ad altro: l’assurdo
comportamento di due persone adulte e l’apparizione e
sparizione inspiegabile di una pistola.
Inuyasha poteva trovarlo insignificante ma lei lo trovava un ottimo
argomento per il quale ossessionarsi.
Le sembrava troppo sovrannaturale, troppo “Sengoku”.
Con il tempo, era arrivata a definire così tutto
ciò che nella sua epoca pareva troppo assurdo per essere
razionalmente spiegato.
Ricordava di quando aveva avuto a che fare con il fantasma irrequieto
di quella ragazzina, Mayu, forse una vita prima; allora il demone
Tatarimokke si era mosso nel suo mondo, perfettamente a proprio agio.
Prima ancora, c’era stata c’era stata la maschera
di carne, che l’aveva inseguita fino quell’edificio
in costruzione, costringendo Inuyasha a correre in suo soccorso, sotto
gli occhi ammirati di Sota.
Quelli erano stati i pochi, se non unici episodi nei quali la sua vita
sovrannaturale nel Sengoku si era fusa con quella ordinaria che
conduceva nel suo mondo.
Ma più di questo non c’era stato altro.
Stavolta non pareva che qualche creatura si fosse fatta strada
attraverso il Pozzo Mangia Ossa per inseguirla a cinquecento anni di
distanza; se non altro, la pistola fantasma la aiutava a giungere a
tale conclusione.
Detto questo, Kagome trovava impossibile che i demoni si fossero
totalmente estinti nell’arco di cinque secoli: erano troppo
potenti e immortali,
certo non potevano sparire così.
Chissà, forse si nascondevano fra gli umani, per nulla
desiderosi di avere autentici contatti con loro o di attirare
l’attenzione. Ma chi poteva dirlo, forse c’era
davvero uno spettro o un demone dispettoso nella sua scuola, che
costringeva la gente a litigare e forse uccidersi.
Kagome guardò desolata le formule incomprensibili che
avrebbe dovuto essere stata in grado di utilizzare per il giorno
successivo, chiedendosi quale dei due ragionamenti che si
affastellavano nella sua mente fosse il più impossibile da
comprendere.
__________________________________________________________________________________
- Domani
passerò il test! - annunciò Kagome
alla famiglia, durante la cena.
- Questo è lo
spirito giusto, cara- approvò sua madre.
Inuyasha si limitò a fissare imbronciato il suo piatto, come
se gli avesse fatto un torto odioso e Kagome fissò lui,
scontenta della sua mancanza di collaborazione.
- Poi torniamo, va bene?-
domandò dopo una pausa di silenzio.
- Fra un paio di giorni-
si arrese la ragazza, concentrandosi nuovamente sul suo piatto.
“Farò
del mio meglio e passerò il test” si
ripeté mentalmente, rivedendosi davanti le formule che aveva
riletto fino alla nausea.
Il giorno dopo, comunque, le parve di non aver studiato abbastanza in
ogni caso, perché il foglio del compito in classe le parve
solo un agglomerato di segni impossibile da interpretare.
“No, no,
no!” si cantilenò, scrivendo di
getto quelle che le parevano le soluzioni più sensate sotto
gli occhi compassionevoli del professore- lo stesso che ieri era stato
potenzialmente posseduto da un demone o simili.
- Hai finito, Higurashi?-
domandò questi allo scadere del tempo.
- Sì
… Sì!- quasi pianse la ragazza,
consegnando l’ennesimo compito fallimentare.
- Kagome … -scosse
la testa l’uomo, scorrendo il foglio con lo
sguardo.ù
Lei si sentì doppiamente avvilita, dopo essere stata
chiamata per nome; il professore provava sincero dispiacere e probabile
pietà per lei, povera ragazza dalla testa troppo dura per
ficcarci dentro un paio di formule matematiche esatte.
- Fai un altro tentativo
domani- la incoraggiò l’uomo- questo compito è
già migliore di quello di ieri, vedi.
- Casa mia
non è il posto migliore per studiare-
pigolò la ragazza, forse in cerca di una scusa per non
essere passata.
- Allora resta qui-
le fu consigliato caldamente- ma
non andare all’ultimo piano.
Kagome scrutò il volto piuttosto giovane del
professore; l’ultimo piano, dove ieri lui aveva quasi sparato
alla segretaria, era certo l’ultimo posto nel quale si
sarebbe recata volentieri dopo il giorno precedente … Forse.
- Io torno a casa-
aggiunse l’altro, quasi ridacchiando - meglio non rischiare.
Kagome non trattenne un sorriso all’ultima
affermazione; per un adulto doveva essere molto più
difficile accettare certi episodi che non avevano una spiegazione e non
se la sentì di incolparlo, mentre questi praticamente
fuggiva dall’aula.
Con un sospiro rassegnato la ragazza si alzò in piedi,
afferrando automaticamente la maniglia della cartella. Si concesse
un paio di fantasie fugaci nelle quali mentre camminava per
la sua strada, i misteri della matematica si chiarivano nella sua mente
in un atto miracoloso e decise che nonostante non fosse il luogo
più adeguato, avrebbe studiato a casa sua.
Non era nei suoi piani assistere ad un episodio analogo a quello che si
era svolto davanti ai suoi occhi il giorno prima.
Attraversò i corridoi deserti della scuola verso
l’uscita tendendo l’orecchio, giusto per
controllare che il professore e la segretaria non stessero riprendendo
da dove erano stati interrotti: non udì nulla se non i suoi
passi.
“Curiosità
morbosa, Kagome” si rimproverò
voltandosi verso le scale che conducevano ai piani superiori. Forse il
demone risiedeva lì da sempre e qualcosa di recente
l’aveva disturbato? Il suo potere spirituale? No, erano anni
che lei frequentava la scuola. L’aura semi demoniaca di
Inuyasha? Anche in quel caso avrebbe dovuto manifestarsi prima.
Kagome sobbalzò, presa alla sprovvista dal rumore di una
macchina che passava davanti all’uscita del cortile poco
lontano.
Lo prese come un segno che quello sarebbe stata l’occasione
giusta per la sua uscita di scena dal luogo sospetto.
A malincuore, si avviò verso casa, il peso
dell’ennesimo test fallito e dalla curiosità per
quanto era successo il giorno prima a gravarle addosso.
Inuyasha la stava aspettando, pronto a lamentarsi ed imbronciarsi
perché avrebbe dovuto sostenere una nuova verifica che
avrebbe ritardato il loro ritorno nel Sengoku.
Il mezzo demone era quanto di più rozzo ed insensibile
avesse mai conosciuto, per non comprendere quanto fosse importante
nella sua vita ottenere dei successi scolastici.
Kagome iniziò a covare la rabbia ancora prima che Inuyasha
avesse avuto la possibilità di lagnarsi e si disse che per
guadagnare tempo l’avrebbe schiantato a terra non appena
fosse giusta a casa, così per non rischiare. Quella era
l’unica cosa che faceva una qualche presa su di lui.
Inoltre, per qualche minuto il suo viso le rimaneva nascosto e lei
aveva la possibilità di prendere fiato. E poi lui si
lamentava che Kagome abusava del potere del rosario. Come poteva
pretendere che fosse coerente se le puntava addosso quegli occhi
ambrati grandissimi?
Quasi a sottolineare la domanda, Inuyasha le spuntò davanti
proprio in quel momento, le sopracciglia aggrottate di chi sta
trascorrendo una pessima giornata.
- Sei in ritardo-
accusò senza mezzi termini.
La ragazza mosse un passo indietro, momentaneamente ammutolita. Poi,
animata suo malgrado dalla presenza dell’altro,
esclamò:
- Mi stavi venendo a
prendere!
- Che?
Le sopracciglia di Inuyasha abbandonarono il cipiglio
imbronciato per arcuarsi in un’espressione dubbiosa.
- Me ne stavo solo qui
fuori. Scema.
Senza parole, Kagome si rese conto di essere arrivata a
casa. Totalmente sovrappensiero, aveva salito tutti i gradini che
conducevano al tempio senza neanche accorgersene, tanto automatico le
veniva il percorso ed ora si trovava a pochi metri dalla porta
d’ingresso della sua abitazione.
Inuyasha non stava venendo a prenderla proprio per niente.
Ferita, Kagome alzò sul ragazzo uno sguardo colmo
d’ira. Perché non nascondeva quelle stupide
orecchie da cane e non andava a recuperarla a scuola per una volta?
Quelli che scandivano il tempo che avrebbero impiegato a tornare a casa
sarebbero stati gli unici momenti nei quali lei non avrebbe avuto
l’incombenza dello studio e lui quella di tenerla al riparo
dai demoni. Egoista, rozzo, stupido, musone.
- Inuyasha …
- ringhiò - A
cuccia!
Soddisfatta del rumore che provocò il corpo del
mezzo demone quando andò a cozzare contro il terreno, Kagome
lo superò impettita per entrare in casa. Per due minuti la
sua testa fu sgombra da test andati male e professori che minacciano di
uccidere segretarie.
__________________________________________________________________________________
- Domani è la
mia ultimissima possibilità- avvisò
Kagome non appena ebbe preso posto al tavolo della cena.
Sua madre le rivolse uno sguardo amorevole che celava quasi del tutto
la sua preoccupazione. Non le aveva mai rimproverato i voti bassi e le
lezioni bigiate ma era troppo pretendere che non fosse in pena per la
disastrosa situazione scolastica di sua figlia maggiore.
Inuyasha tormentò il riso con le bacchette prima di
mangiarlo. Era ancora offeso per essere stato schiantato a terra, a suo
parere senza un valido motivo, ma non si arrischiava a farlo presente a
Kagome per evitare il bis.
- E quelli che hanno
cercato di uccidersi a vicenda?- si informò
Sota, la bocca piena di cibo.
- Niente di niente-
rispose Kagome, sorvolando sulla scelta del lessico.
- Sono saltati i nervi a
tutti e due, credi a me- decretò suo nonno,
quasi solennemente.
La ragazza annuì, per nulla desiderosa di avviare quella
particolare conversazione. Aveva a fatica tenuto a bada quel pensiero
ossessivo mentre stava china sui libri di matematica ma una porzione
della sua mente vi era sempre concentrata.
Guardò in tralice Inuyasha, che fissava con insistenza il
muro di fronte a lui, come a scoraggiare ogni tentativo di avviare una
chiacchierata. Come poteva non essere incuriosito neanche un
po’? Si parlava di un tentato omicidio e di qualcuno
potenzialmente in pericolo … Era il suo campo, che diamine!
- Spero vada tutto bene
- sospirò sconfitta, non riferendosi solo al test.
- Se vai via subito dopo
allora non partecipi alla festa per il centenario della scuola, vero?-
Sota sputacchiò altro riso sul tavolo per porre quella
domanda.
- Cosa?-
strepitò sua sorella -
quale festa del centenario?
- Quella
che organizzeranno alla tua scuola in un paio di settimane
- si affrettò a rispondere il ragazzino, intimorito dalla
sua reazione.
- Una festa nella mia
scuola? Una che non dovrò contribuire ad organizzare? Una
alla quale potrò presentarmi e basta?
Dimentica della cena, Kagome balzò in piedi nel tentativo di
contenere l’emozione. Ricordava l’unica volta nel
suoi quindici anni alla quale aveva partecipato a qualcosa di simile ad
una festa, se non contava i tranquilli compleanni delle sue compagne di
classe. Si trattava del festival culturale che si era svolto proprio
nella sua scuola qualche mese prima e che con i suoi preparativi aveva
prosciugato le sue energie; inoltre in quell’occasione
c’era stato l’inseguimento di quei ridicoli demoni
che si era portata dietro dal Sengoku.
Colpita da quel pensiero, Kagome ricollegò immediatamente
quell’episodio quasi comico a quello di due giorni prima. Con
un tuffo al cuore, si chiese se non si fosse di nuovo portata appresso
nella sua epoca qualcosa di ben più pericoloso
dell’ultima volta, senza neanche accorgersene.
Ripercorse mentalmente cosa aveva fatto prima di attraversare il pozzo
ma il suo flusso di pensieri fu interrotto da una voce maschile:
- Col cavolo che perdi
tempo anche per andare a questa roba, Kagome - stava
dicendo Inuyasha, prendendo parola per la prima volta - domani fai questo stupido test e
poi torniamo. Abbiamo perso fin troppo tempo a non far nulla.
Inviperita, Kagome abbandonò le sue
elucubrazioni per replicare.
- Forse tu non hai fatto nulla mia io ho
studiato sodo per giorni.
- E a cosa
serve? - la rimbeccò l’altro.
- A farmi promuovere!
- Pensavo
che studiassi per passare quei tuoi test!
- Esatto,
cretino, e passando i test vengo promossa!
- Allora
è inutile- concluse Inuyasha, nascondendo le
mani nelle maniche.
- Come sarebbe inutile?
- Non hai
passato neanche un test. O no?
Kagome vide rosso.
- E’ colpa tua
se non passo! Non mi lasci studiare in pace!
- Ma se ti
ho lasciato per conto tuo per giorni!
Allarmata, la ragazza sentì lacrime pungerle
gli angoli degli occhi. Silenziosa come un’ombra, sua madre
scivolò via dalla stanza; Sota ed il nonno erano fuggiti
poco prima.
- Sì, e
… E non mi sei neanche venuto a prendere a scuola!-
esclamò del tutto incoerentemente.
- Tu non vuoi mai che mi
faccia vedere in giro! Vuoi deciderti? Vuoi che ti stia attorno o no?
-
Sì! No! Non quando devo studiare!
- Puoi
studiare finché vuoi, secondo me. Avresti già
superato quella roba se fossi stata capace. Devi essere stupida.
Ecco, ora Inuyasha cominciava decisamente ad essere troppo
Inuyasha. Egoista, rozzo, stupido, musone.
Sconfitta, Kagome lasciò che le lacrime di rabbia ed
indignazione le scivolassero sul viso. Alla loro vista, il mezzo demone
assunse la sua tipica espressione da tonto incapace e si
guardò bene dall’aggiungere altro.
Si scambiarono uno sguardo che non aveva nulla a che fare con le parole
che si erano detti, uno sguardo slegato da ogni pensiero, che
riconosceva solo la presenza dell’altro. Si guardarono.
- A cuccia!-
strillò Kagome.
Il tavolino di legno si spaccò di netto a metà
quando la faccia del mezzo demone vi si schiantò sopra.
Kagome scappò dalla stanza, abbandonandolo fra le assi
scheggiate e fece scorrere con violenza la porta per sentire rumore.
Avrebbe potuto singhiozzare fra le braccia di sua madre ma non voleva
che Inuyasha avesse la conferma di quanto le sue parole erano
importanti per lei.
Si chiuse in camera e trovò un valido sostituto
dell’abbraccio materno nel suo cuscino rosa.
Quello … Stupido. Kagome si deluse di non essere mai stata
abituata ad utilizzare termini più volgari che avrebbero
fornito degli insulti più consistenti. Inuyasha le dava
della stupida in continuazione ma mai riferendosi a fatti concreti che
testimoniavano quanto in effetti lei fosse stupida. Aveva avuto
l’ardire di credere che lui non lo pensasse sul serio quando
la chiamava così.
La federa si bagnò di lacrime tiepide.
Erano stati davvero dei giorni pessimi. Era esausta per il troppo
studio e non vedeva risultati del proprio impegno. Aveva miseramente
fallito due verifiche sullo stesso argomento ed ancora oggi non era
certa che un nuovo tentativo avrebbe portato ad un risultato diverso.
E poi c’era quello che era successo,
quell’insensata lite fra il professore e la segretaria e
quella pistola fantasma. Il pensiero le si era annidato in testa come
un tarlo e le impediva di concentrarsi su qualcos’altro,
esaurendola.
Era troppo stanca per le notti passate in bianco sui libri e non
c’era bisogno che il pianto bruciasse i suoi occhi che
già le dolevano per il sonno. Lasciando calare le palpebre
in cerca di sollievo, non si accorse che Inuyasha entrava nella stanza.
Lo sentì però quando prese posto a terra, vicino
ai piedi del suo letto.
- Eh … -
tentò.
Kagome tacque: non aveva intenzione di aiutarlo a cominciare il dialogo.
- Se proprio ci tieni ad
andare a questa roba della tua scuola … -
esordì.
Di nuovo, Kagome non parlò affatto.
- E poi è fra
due settimane. Intanto torniamo e quando è ora puoi andare.
Va bene.
- Non mi
importa- disse infine lei. Si odiò per come la
sua voce suonava tremula.
- Sì, invece,
dai, Kagome, perché piangi se no?
- Non sto
piangendo!- mentì lei, mettendosi di scatto
seduta.
- Sì invece!
- No invece!
- Hai le
lacrime sulla faccia!
- Non
è vero!
-
Sì che è vero!
Kagome sentì che avrebbe potuto continuare
quell’infantile scambio di battute per ore. Ogni volta che
era Inuyasha ad andare a cercarla dopo un litigio, le si accendeva una
tiepida fiammella di conforto nel petto.
- No che non
è … - si mordicchiò le
labbra - non me la sono presa per quello.
- E allora per cosa?
-
E’ perché mi hai dato della stupida.
- Che? Ma
io ti do sempre della stupida, stup … Ehm, Kagome.
-
Sì ma stavolta sembrava lo pensassi davvero.
Scrutandolo, la ragazza si accorse che non c’erano bronci sul
suo viso ma solo una smarrita espressione aperta che faceva sembrare
più giovane il suo volto già giovane.
- Chi ti capisce
è bravo.
Kagome tolse i resti di acqua e sale dalle sue guance e
appoggiò la schiena contro il materasso.
- Sono stanca, Inuyasha-
confessò con sincerità.
- Beh, dormi, no?-
-
Sì. Ma vorrei dormire nel mio letto per un po’.
- Ma lo
stai facendo.
- Per
più di una notte di fila!- si
spazientì Kagome.
- Vuoi restare qui?
Anche dopo il test?
- Un paio
di settimane- supplicò Kagome - fino alla festa. Per favore?
La loro lite non poteva neanche dirsi conclusa e lei
già le chiedeva se poteva stare a casa ancora un
po’, per
favore.
Ma forse il battibecco
le sarebbe comunque tornato utile.
- Va bene.
Due settimane. Ma poi toniamo, eh, niente scuse.
- Niente
scuse.
Un silenzio confortevole li avvolse. Era sempre brutto
scontarsi con Inuyasha. Lui le diceva sempre quello che pensava senza
mezzi termini e la colmava di una rabbia che in nessun modo riusciva a
contenere. Anche nell’ira, davanti a lui si sentiva sempre
messa a nudo. Chiuse gli occhi, più serena.
Un leggero fruscio ed il sentore di qualcosa di soffice addosso le
rivelò che Inuyasha le aveva rimboccato le coperte. Le sue
mani fresche le toccarono brevemente il viso, dandole sollievo alla
pelle coperta dal sale.
- Hai le guance
arrossate.
-
E’ colpa tua.
Kagome sentì le sue membra affaticate
sprofondare sempre di più nel materasso e si concesse un
sospiro soddisfatto.
- Ti perdono per prima,
Inuyasha- disse.
- D’accordo.
A rinfrescarle ancora una volta il viso caldo scese la mano di
Inuyasha, della quale memorizzò il tocco ruvido ma
confortante prima di addormentarsi.
Note-di-me:
Son tornata! Era moltissimo che non pubblicavo una storia, quindi
quella del rispondere alle recensioni direttamente a chi le ha scritte
è una novità per me... Spero che i miei
ringraziamenti ad Adelhait siano giunti a destinazione senza intoppi!XD
Grazie molte a chi ha come minimo cliccato sul titolo della fan
fiction, è già molto!XD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Test numero tre ***
Non superò il test. Questo fu più o
meno tutto quello che c’era da dire. Per Kagome era
abbastanza.
Il professore le mostrò il suo foglio, indicandole desolato
tutti i suoi errori che aveva commesso nello svolgere gli esercizi, e
poi l’aveva infilato in una cartella per documenti che
sarebbe finita chissà dove.
Lei sperava dove non sarebbe stata più vista da occhio umano.
Per il terzo giorno di fila, la scena si ripeté identica:
l’insegnante le rivolse uno sguardo di pietà
malcelata e uscì dalla porta, abbandonandola
nell’aula deserta a rimuginare sulle sue disgrazie.
Una volta rimasta sola, Kagome rivolse uno sguardo di puro terrore in
direzione del soffitto. Aveva fallito su tutta la linea. E ora che
avrebbe fatto? Matematica si andava ora ad aggiungere alla lista sempre
più lunga delle materie che avrebbe dovuto recuperare a fine
anno. Se così non fosse stato non sarebbe stata ammessa alla
classe successiva.
Non sentì la necessità di piangere
perché l’aveva soddisfatta appena il giorno prima
ma il bruciore della delusione le invase comunque la gola. Si disse che
non aveva nulla più da fare lì e che tanto
sarebbe valso tornare a casa ma rimase inchiodata al suo posto, la
testa rovesciata all’indietro.
Quando si alzò le sue gambe la condussero con naturalezza
verso l’ultimo piano dell’edificio. La porta del
terrazzo ruotò silenziosa sui cardini quando la spinse per
uscirvi.
La sera cominciava appena a calare; l’aria era immobile.
Kagome si appoggiò alla ringhiera e si sporse per guardare
giù. Non c’era proprio nessuno lì che
lei potesse vedere, né alcuna aura demoniaca che solo a lei
fosse dato localizzare. Dopo quello che era successo, tutto sembrava
essere tornato alla calma piatta che contraddistingueva la sua epoca.
Nemmeno il professore e la sua fidanzata sembravano aver risentito
più di tanto di quei cinque minuti di pazzia: da dove si
trovava, la ragazza li vide uscire a braccetto dalla scuola e camminare
insieme nel cortile, diretti verso l’uscita.
Kagome si lasciò scivolare a terra, puntando le ginocchia
sul pavimento. Forse sarebbe stato meglio tornare, dopotutto. Sango e
Miroku certo si stavano chiedendo che fine avesse fatto, per non
parlare di Shippo.
Eppure lei voleva restare; voleva partecipare alla festa del centenario
ma non era solo questo che la rendeva restia ad attraversare il Pozzo.
Il pensiero della verifica non superata abbandonò la sua
mente, sostituita di buon grado dalla sua nuova ossessione favorita,
scoprire cosa era successo nella sua scuola. Anche se si era trattato
solo di un episodio isolato, Kagome era convinta che quello fosse solo
l’inizio, che fosse stato solo il via ad una serie di fatti
legati a qualcosa … Qualcosa di irrisolto.
Piegò la testa di lato, chiedendosi da dove fosse sbucata
quella certezza, della quale comunque non dubitò neppure per
un attimo.
- Non dirmelo: non sei
passata.
Colta di sorpresa, Kagome sobbalzò e
guardò in alto, dove, sulla ringhiera, stava appollaiato
Inuyasha, accovacciato per vederla da più vicino.
- Sei venuto a prendermi!
-
Sì, non avevo ben capito se volevi o no …
Kagome sorrise con calore alla vista del berretto con la
visiera che il mezzo demone si era calcato sulle orecchie e si
alzò in piedi.
- Allora? Sei passata?
- No. Lo
passerò a fine anno, con le atre mille materie che devo
recuperare.
Come ogni giorno seguente ad un loro litigio, Inuyasha le
risparmiò commenti antipatici ma si limitò a
scrutarla preoccupato, come se avesse temuto di vederla piangere di
nuovo. Invece, Kagome si sentiva abbastanza serena: il dolore per la
verifica andata male l’aveva torturata per appena pochi
minuti perché il mistero della pistola fantasma la
appassionava troppo per focalizzare i pensieri su altro. Come quando si
portava il libri nel Sengoku ma rinunciava a studiare per discutere
sulla possibile localizzazione di Naraku, l’importanza
maggiore di un fatto schiacciava la minore di un altro anche in quel
caso.
- Sì,
sarà così- concordò
Inuyasha insicuro.
Lei lasciò scorrere con deliberata lentezza lo sguardo su di
lui, soffermandosi sulle gambe forti, le spalle dritte ed in ultimo il
viso: aveva di nuovo quella smorfia accigliata che lo invecchiava ma
era lo stesso bello.
- Cosa senti?-
domandò.
- Che?
- Non senti niente?
Odore di demone?
- No,
niente. Solo il tuo odore.
Kagome fece una smorfia, delusa, senza cogliere il
velatissimo complimento.
- Facciamo un giro
dentro.
- Dai, ti
sono anche venuto a prendere, adesso ce ne andiamo.
- Un giro
veloce!
- Possibile
che non riesci a pensare ad altro? Non potevi ossessionarti per la
Sfera dei Quattro Spiriti?
- Non
serve, per quello ci sei già tu.
Inuyasha balzò contrariato giù dalla
ringhiera e seguì Kagome di malavoglia, mente lei lo
precedeva di nuovo all’interno dell’edificio. La
sera era calata in fretta e le luci al neon erano ora tutte accese:
volenti o nolenti, si vedeva tutto, così poterono constatare
che nel corridoio non vi era nulla di sospetto.
Da dove si trovava, Kagome udì le note lontane di una
canzone dal ritmo lento e malinconico e si domandò quale
coppietta stesse sfruttando un’aula per un appuntamento.
- Contenta? Non
c’e niente qui- stabilì Inuyasha.
- Aspetta, usciamo dalla porta principale.
- Ma ti porto a casa io!
Facciamo prima a partire da qui!
- Che
fretta hai, non dobbiamo andare da nessuna parte!-
sottolineò Kagome, per ricordargli che le aveva concesso un
permesso straordinario di due settimane.
Camminarono silenziosi, il mezzo demone scocciato, la ragazza umana
allerta. La musica non aumentò di intensità man
mano che si spostavano, tanto che Kagome arrivò a chiedersi
da quale aula mai venisse, per quanto era così vaga che il
rumore dei loro passi quasi la copriva.
Nessun fatto degno di nota accadde mentre scendevano le scale,
né nessuna pistola venne puntata quando attraversarono il
cortile. Kagome salì sulle spalle di Inuyasha, delusa, e
lanciò un’ultima fuggevole occhiata
all’edificio prima che il mezzo demone spiccasse un balzo.
Non c’erano macchine né biciclette parcheggiate
nell’apposita aria. Nelle tenebre che calavano sempre
più fitte, l’edificio si sarebbe detto deserto.
Per far fronte all’aria fresca che le schiaffeggiava il viso,
Kagome abbassò la testa, per nasconderla il più
possibile contro la veste rossa di Inuyasha; la città
scorreva sotto di loro, un semplice agglomerato di striature colorate
dai contorni sfocati per la velocità alla quale si
spostavano.
- Chissà dove
stavano nascosti quelli che ascoltavano la musica- si
domandò Kagome a voce alta.
- Musica?
-
Sì, quella canzone che si sentiva. Certo che avrebbero
potuto almeno scegliere qualcosa di più allegro.
- Io non ho
sentito niente.
- Beh, si
sentiva molto poco.
Kagome raddrizzò il collo per guardare
sospettosa il berretto che il ragazzo indossava: era premuto per bene
sulle orecchie ma davvero bastava così poco per limitare il
suo finissimo udito demoniaco? Ne dubitava.
- Oh.
Era l’indizio che cercava e lei non aveva saputo
riconoscerlo? Non ne era certa.
C’era davvero della musica triste, appena percepibile, che si
sentiva nei corridoi della sua scuola.
C’era, vero?
Vero?
Neanche una recensione! Trist. XD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Lavagna ***
Era assurdo quanto riuscisse loro naturale: lei era una quindicenne e
quando stava nella sua epoca era del tutto ordinaria. Lui era un mezzo
demone con la destrezza emotiva di una teiera. I due dormivano nella
stessa stanza, con la porta chiusa, a volte così vicini che
per toccarsi avrebbero solo dovuto allungare la mano, e lo facevano
come se fosse stato ovvio.
Kagome guardò il soffitto bianco senza modificare la sua
posizione, sdraiata supina sul letto e non si mosse neppure quando
Inuyasha, seduto vicino alla sua testa, attaccò con le sue
ridicole domande.
- Ma
cos’è questa cosa del centenario della scuola?
Qualcuno che ha cento anni vive nella scuola?
- Ma no,
Inuyasha. Festeggiamo il centesimo anno che la scuola esiste.
- Pensavo
che la scuola non ti piacesse. Adesso vuoi pure andare ad una festa
perché esiste?
- Se
c’è una festa va bene.
Il mezzo demone si fermò ad assimilare le
informazioni prima di parlare di nuovo.
- Cento anni non
è poco. La scuola esiste da così tanto?
- Credo di
sì. Le prime vere scuole risalgono a molto prima, sai.
- E fate
festa ogni cento anni?
- No, ogni cinquanta- quella parte Kagome la conosceva- è una fortuna che
sia capitata proprio mentre frequento. Non succede a tutti, sai?
- Bah.
Inuyasha si alzò, ponendo bruscamente fine alla
conversazione da lui stesso avviata.
- Vado ad avvertire gli
altri che starai qui per un po’: saranno preoccupati.
- Ma poi
torni?
- Non so,
vedremo.
In un turbine di capelli bianchi, saltò dalla
finestra e sparì alla vista, lasciandola da sola.
Colta di sorpresa, Kagome non riuscì neanche a salutarlo o a
dirgli di rimanere. Inuyasha soffriva la lontananza dalla sua epoca
molto più di lei o forse lo dimostrava in maniera
più manifesta. A Kagome invece piaceva averlo attorno quando
era a casa sua; le piaceva averlo attorno sempre.
Rassegnata a non sapere quando fosse tornato, scese infine a fare
colazione con la sua famiglia e si diresse a scuola, senza sapere cosa
si sarebbe dovuta aspettare una volta arrivata.
Non si era dilungata con Inuyasha sul discorso della musica che solo
lei era riuscita ad udire; il mezzo demone aveva insistito di non aver
sentito nulla e lei aveva lasciato perdere, conscia di quanto sarebbe
stata inutile una conversazione con lui fossilizzato sulle sue
convinzioni.
Camminando totalmente sovrappensiero, fu colta di sorpresa da
un’esagitata Eri che, affiancata come sempre da Yuka e Ayumi,
le infilò in mano un volantino di carta plastificata.
- Non ti ammalare,
d’accordo?- la supplicò, senza
perdere tempo a darle il buongiorno.
- Già-
rincarò Ayumi -chiuditi
in casa per due settimane per non rischiare, piuttosto, ma al
centenario non puoi mancare.
- E metti questa!- concluse Yuka, avvolgendole una sciarpa
di lana attorno alla gola.
Spiazzata, Kagome controllò il volantino, che ovviamente
pubblicizzava l’evento che si sarebbe tenuto in due
settimane, il centenario della loro scuola.
- Perché
distribuite volantini?- si informò guardinga- non avevo capito che gli
studenti dovessero collaborare, questa volta.
- Infatti ci siamo offerte- spiegò Ayumi con
orgoglio.
- Così forse
verremo nominate nel sito della scuola.
- Il sito?
- Il sito
internet. Pensa che
è stato aggiornato di recente e ci sono tutti i nomi di chi
ha collaborato alla prima festa, cinquant’anni fa.
Gli occhi delle sue tre amiche brillavano in maniera
sinistra ed alquanto maniacale.
- Pensa, fra altri
cinquant’anni, gli organizzatori leggeranno i nostri nomi e
trarranno ispirazione da noi!
Kagome si trattenne a stento dallo sbattersi il palmo in
fronte; stavano separate davvero da troppo e nei tre giorni che era
tornata a casa non aveva avuto tempo per parlare sul serio con loro.
Ora si rendeva conto che doveva essere lei quella che infondeva un
minimo di buon senso del gruppetto e che da sole, loro tre si davano
corda a vicenda per imbarcarsi in imprese dal dubbio risultato.
Osservò il semplice manifesto, quasi interamente occupato da
una foto dell’edificio scolastico e dove il nome, la data e
l’ora dell’evento erano stati incastrati alla
meglio nella parte inferiore del foglio.
-
All’impaginazione ci ho pensato io-
puntualizzò Eri con orgoglio.
Kagome le rivolse un sorriso stiracchiato, ringraziando di non aver
subito criticato la grafica scadente del volantino e lo strinse a
sé timorosa. Per sua fortuna, Ayumi parve leggerle nel
pensiero perché disse:
- Non ti preoccupare,
non ti stiamo chiedendo di aiutarci.
- Sappiamo
che sei cagionevole- rincarò Eri.
- Basta che stai
riguardata fino alla festa!
Due delle tre amiche la presero affettuosamente a
braccetto mentre l’ultima le scortò fino a scuola,
camminando un passo davanti a loro.
Kagome stropicciò distrattamente il foglio nella destra,
sollevata che non le venisse chiesta una collaborazione e riflettendo
vagamente che per il festival culturale, nessuno aveva avuto la premura
di sollevarla dagli incarichi organizzativi, nonostante a quanto ne
sapevano, la sua condizione di salute non era molto diversa da adesso.
Varcando la soglia dell’aula, Kagome si domandò se
per caso, le sue tre amiche non avessero voluto mantenere quanta
più (a sentir loro) gloria possibile, tutta per loro.
__________________________________________________________________________________
Difficile non ossessionarsi.
Il professore stesso sembrava non essere in grado di concentrarsi sulla
propria materia, con la festa del centenario così imminente
e aveva deciso di sfogarsi sui suoi studenti, propinando loro un corso
accelerato su quanto fosse importante celebrare la nascita della loro
scuola e quanto loro fossero fortunati a poter partecipare ad un evento
che aveva luogo solo una volta ogni cinquant’anni.
Kagome appoggiò la testa sulle braccia incrociate,
lasciandosi scorrere addosso le parole dell’uomo. Non
comprendeva proprio tutta questa agitazione in vita di una festa
scolastica che doveva essere praticamente l’equivalente del
ballo di fine anno americano: un agglomerato di corpi vestiti a festa
stipati nella palestra o nelle squallide aule con le cartine
geografiche appese alle pareti.
Eppure tutti i suoi compagni ascoltavano estasiati: forse nei suoi
numerosi giorni di assenza si era persa qualche particolare
fondamentale circa questa festa.
- Ora, se saremo
fortunati, avremo qualche giornalista che ci intervisterà-
stava dicendo il professore- dunque
sarà bene mettersi d’accordo perché
tutti abbiate qualcosa di sensato da dire. Non che senza il mio aiuto
non sappiate dire qualcosa di sensato, ma …
L’uomo li scrutò poco convinto,
incerto se avere appena commesso una gaffe o meno e per ridarsi un
contegno, raccolse il gessetto che giaceva sulla cattedra.
- Vi darò
qualche dritta di base- annunciò - un paio di regole che vanno
rispettate per fare bella figura in un’intervista.
Kagome pensò che con quello si era arrivati al
limite. Quasi quasi avrebbe preferito assistere ad una regolare lezione.
Il professore attaccò a parlare meccanicamente, scrivendo
alla lavagna.
- Ricordate, prima di
tutto assecondare-il-giornalista.
Si voltò.
- Anche se avete
un’idea totalmente contrastante con la sua, non dovete
farglielo capire: è lui che gestisce ciò che
scrive, dunque sta a lui decidere se farvi fare la figura
dell’idiota o meno …
Ma nessuno lo ascoltava più.
Kagome sbarrò gli occhi meravigliata mentre le sue orecchie
si riempivano dei commenti e risolini dei suoi compagni.
- Che
c’è?- insorse il professore -che succede?
Kagome arrossì, imbarazzandosi in sua vece.
- Ma …?
L’uomo volse nuovamente lo sguardo in direzione della lavagna
e la ragazza vide le sue spalle irrigidirsi di sorpresa e vergogna,
prima che si gettasse letteralmente sul cancellino, per togliere la
scritta che lui stesso aveva tracciato.
Purtroppo per lui, tutti nell’aula avevano fatto in tempo a
leggerla.
Il professore aveva scritto a caratteri cubitali: “Non puoi lasciarmi,
maledetta!”
Kagome sentì la memoria pungolarla, alla ricerca di un
ricordo che non riusciva a mettere a fuoco, disturbata
com’era dalle risate dei suoi compagni.
- Piantatela!-
si accalorò l’insegnante, diventando finalmente
rosso- ed aprite il
libro al capitolo nove!
La stanza si riempì allora del frusciare delle
pagine, inframmentizzato dalle risatine che i ragazzi ancora faticavano
a trattenere.
“Non puoi
lasciarmi, maledetta!”
Quando la lezione si potè dire ufficialmente
iniziata, l’attenzione di Kagome di potè dire
ufficialmente focalizzata su altro.
Sulla musica triste che le era sembrato di udire il giorno prima aveva
qualche dubbio ma era molto più difficile averne di fronte
ad un fenomeno simile.
Cos’era appena successo? Un fattore dovuto allo stress poteva
far giungere fino a scrivere frasi senza senso? Quando lei era molto
stanca riusciva a dire
frasi senza senso ma scriverle pareva un affare molto più
complicato.
No, c’era qualcosa di più, qui, qualcosa che di
certo era collegato alla faccenda della pistola fantasma ed al litigio
dei due adulti, pochi giorni prima.
Anche lì, quello che sembrava un episodio ordinario si era
poi rivelato qualcosa di inaspettato.
Il litigio fra due amanti
(Perché non capisci
… finita?)
Si era evoluto in un quasi omicidio senza senso
(Non … lasciare!)
(Non
… amo!)
E nessuno pareva in grado di spiegarne il fattore scatenante.
(- E’ finita!)
(NON PUOI
LASCIARMI, MALEDETTA!)
- Oh!
Folgorata dall’illuminazione, Kagome si
trattenne a malapena dallo scattare in piedi. Eccola, la sua conferma!
Quella frase aggressiva che era stata scritta alla lavagna era la
stessa identica che il professore che le aveva rifilato
l’insufficienza in matematica. Non c’erano dubbi,
ora lo ricordava alla perfezione. Lui l’aveva urlata, al
culmine di una furia senza senso e lei era stata trafitta dal dolore e
dalla rabbia che ne erano traspariti. Solo dopo aveva visto la pistola
ed era intervenuta.
Eccitata dalla rivelazione, la ragazza si aspettò quasi di
veder comparire l’arma ancora una volta, magari impugnata dal
quel professore dal cui volto, il rosso dell’imbarazzo
defluiva pian piano.
Fu delusa nel constatare che più nulla di insolito stava
accadendo. Le risa si erano infine esaurite e tutti gli studenti
stavano prestando ascolto alla lezione, chi prendendo appunti, chi
sottolineando sul libro.
Kagome scarabocchiò sul margine di un paragrafo, senza
neanche provare a stare attenta. Quello che occupava i suoi pensieri
era così infinitamente più importante!
Nessuno aveva la capacità di riconoscere il sovrannaturale
nella sua epoca, a parte lei.
Se prima aveva avuto qualche dubbio, ora si era dissipato: stava a lei
far luce su questo mistero.
Avere il capitolo pronto ma non il tempo materiale per metterlo on line
= >________<
Fine(credo) dei capitoli "introduttivi"! Ora, si spera, si entra nel
pieno dell'azione!^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Lento ***
- Quanto ti manca ancora?
-
Ho quasi finito.
L’ultima affermazione di Kagome era una bugia,
ma cosa di poteva dire ad un Inuyasha così innaturalmente
… Sconsolato? Si concesse di guardarlo, volgendo lo sguardo
alle sue spalle, stranamente intenerita e soprattutto grata che
nonostante tutto l’avesse accompagnata.
Dal canto suo, Inuyasha tormentò il nodo della bandana che
si era legato in testa per nascondere le orecchie e si
guardò intorno disorientato per la centesima volta.
Era spuntato dal Pozzo Mangia Ossa da forse un paio di secondi quando
Kagome era piombata su di lui. Gli aveva raccontato in fretta e furia
quello che le era successo a scuola, mischiando confusamente parole
come “Professore”,
“Lavagna”,
“Cancellino", e ancora una volta “Centenario della
scuola”.
L’unica parola che il mezzo demone aveva compreso
era stata “maledetta”,
epiteto che non aveva rivolto alla stessa Kagome solo perché
si erano riappacificati appena un paio di giorni prima.
Dopodiché, la furia dai capelli bruni l’aveva
trascinato per le grigie vie della sua città ed aveva
rinchiuso entrambi in uno strano edificio dove le persone entravano con
le scarpe ancora calzate. L’interno era stipato di
scaffalature in legno ingombre di libri non dissimili da quelli che
riempivano lo zaino di Kagome; lei li aveva comunque bellamente
ignorati e l’aveva condotto in un’ala diversa
dell’edificio, dove su un ripiano erano stati sistemati in
fila dei bizzarri schermi luminosi che somigliavano molto a quello che
stava nella cucina della casa della ragazza.
Eppure qualcosa di diverso dovevano averlo perché non
emettevano suoni ma su di essi scorrevano scritte e figure che pareva
fosse Kagome stessa a controllare.
Pigiando su tasti rettangolari e su una scatolina collegata
all’apparecchio, la ragazza muoveva testi ed immagini a suo
piacimento, sotto lo sguardo incuriosito del mezzo demone.
- Credo che vada bene
anche questo- affermò. Pigiò sulla
scatolina, traendone un “clic” piuttosto
orecchiabile e seguitò nelle sue incomprensibili azioni.
- Ma si può
sapere che stai facendo?- si spazientì
Inuyasha.
Le si avvicinò e appoggiò le ginocchia a terra,
accanto alla sua sedia. La luce proveniente dal rettangolo luminoso
l’accecò per un attimo.
- Faccio una ricerca-
spiegò Kagome- questo
è l’equivalente tecnologico dei miei libri, hai
presente?
- Tecno che?
- Guarda.
La ragazza cercò a tentoni la mano
dell’altro e la appoggiò su quello che, solo lei
dei due lo sapeva, si chiamava mouse.
- Se tu lo fai
strisciare sul tappetino- spiegò, appoggiando
il proprio palmo sul dorso della mano del mezzo demone e spostando
l’apparecchio a scopo dimostrativo- la freccetta lì
sullo schermo si muove.
Si fece spazio fra le sue dita immobili per tentare la
rotellina.
- Così invece
la pagina scende e sale.
Puntò la freccia in alto, per chiudere ed
aprire la finestra.
- E così
invece clicchi quello che vuoi. Tutto chiaro?
Nella stanza, risuonò un sonoro “clic”.
Kagome rimase in silenzio, in attesa di una risposta che non veniva ed
intanto il calore della pelle di Inuyasha le dava una sensazione
piacevole, di conforto. Impiegò un attimo di troppo per
rendersi conto che i suoi polpastrelli stavano scivolando
inconsapevolmente sulle nocche ruvide del ragazzo, il cui braccio,
sotto il suo, si era irrigidito fino a sembrare di legno.
Voltò la testa e si accorse di averlo attirato troppo
vicino: per poco il suo naso non affondò nella frangia
argento di lui; aspirò il suo odore, che non
riuscì ad identificare ma trovò attraente in
maniera quasi pericolosa.
Sotto i suoi occhi, il viso di Inuyasha si colorò fino a
diventare paonazzo, come se avesse smesso di respirare.
- E’ tutto
… Chiaro?
-
Sì- rispose lui in un soffio.
La mano di Kagome si contrasse; la finestra si chiuse di nuovo,
ritirandosi sul fondo dello schermo.
- Che … Vuol
dire “cliccare”?- domandò
il mezzo demone, con una voce mansueta che non suonò affatto
come la sua. Abbassò lo sguardo.
Fece scivolare la mano via da dov’era, intrappolata fra la
sua ed il mouse e si tirò indietro abbastanza
perché Kagome non riuscisse più a respirare il
suo odore. Lei lo guardò scostarsi, disorientata e la
mancanza del suo tocco le fece scottare la pelle.
- Non importa-
dichiarò per riscuotersi- aspetta che metta insieme ancora
un paio di informazioni.
__________________________________________________________________________________
- La definizione
è “poltergeist”- disse con
voce squillante, sventolando i fogli che aveva stampato in biblioteca.
Lei ed Inuyasha erano usciti di casa presto quella mattina ed ora si
trovavano sul terrazzo della scuola, a controllare il frutto della
ricerca su internet circa gli stani fatti che erano avvenuti proprio
dove erano ora.
- Mai sentito niente del
genere. Che sarebbe?
- Significa
testualmente “spirito rumoroso”. In termini
terra-terra penso che si possa definire come un fantasma non molto
contento di essere morto.
- Ah-
Inuyasha toccò la ringhiera metallica che correva lungo
tutto il perimetro del terrazzo- di questo ho sentito parlare, invece.
Kagome fissò insistentemente i suoi fogli, in cerca di
qualcosa da dire, prima che nel silenzio che si estendeva tra loro di
formasse il nome di Kikyo.
- Dice che si manifesta
con l’apparizione o lo spostamento di oggetti- lesse una riga
presa a caso- e resta al massimo qualche mese.
- Non mi
sembra che c’entri- obbiettò Inuyasha
- Come no? La pistola
è apparsa dal nulla, no?
- Mah.
Kagome scorse le informazioni, sicura. Fra tutto quello
che aveva cercato, il poltergeist rispondeva alle descrizioni che la
interessavano, più di qualsiasi altra definizione.
Era la manifestazione di uno spirito rimasto bloccato in un limbo, dopo
essere morto senza essere riuscito a riordinare le proprie faccende in
sospeso, tormentato da quello che non era riuscito a fare e dilaniato
dal dolore di non essere in grado di portarlo a termine. Nella gran
parte dei casi era morto in circostanze tragiche, molto spesso violente
ed il trapasso innaturale gli impediva di abbandonare la propria vita
terrena, rimanendoci ancorato con tutta la furia per
l’ingiustizia subita.
In genere si trattava di un fantasma adolescente: presentava tutte le
caratteristiche tipiche di quell’età:
insofferente, arrabbiato ed inviperito dal senso di impotenza.
L’unica differenza sostanziale era che era defunto.
- E perché
è sbucato dal nulla proprio ora, scusa?
- Beh, quella parte mi
manca- si scusò Kagome - dice anche che di solito se la
prende con una persona in particolare.
- Vedi che
non c’entra niente?
- Ho detto
“di solito”, non che è la regola!
Si alzò una brezza tiepida; i capelli di
Inuyasha erano così lunghi che sventagliarono in faccia a
Kagome che sentì ancora quel suo odore indefinibile e per
poco non le cedettero le ginocchia.
-Io vado- comunicò
sostenuta - o
farò tardi alla prima lezione.
Mentre si avvicinava all’entrata dell’edificio,
sentendosi addosso lo sguardo irrequieto di Inuyasha, si strinse
afflitta i fogli al petto. Non ci aveva pensato, neppure un
po’ a quello che avrebbe scatenato nel mezzo demone la
definizione esatta di “poltergeist”.
Lo aveva visto nei suoi gesti e nel suo tono di voce ed era impossibile
colpevolizzarlo questa volta, perché era stata proprio lei a
riportargli alla mente il pensiero di Kikyo. Morta, non molto contenta
di essere morta, irrequieta e desiderosa di vendetta; concentrata su
una persona in particolare, anche: Inuyasha.
Kagome non avrebbe mai pensato che avrebbe trovato una definizione
così accurata della defunta sacerdotessa in rete, su un sito
internet.
Lei non era un poltergeist, comunque: era stata riportata in vita,
seppure parzialmente e le sue apparizioni annunciavano qualcosa di ben
più inquietante del semplice spostamento di oggetti.
Kagome scrutò delusa la sua ricerca, chiedendosi se non
fosse il caso di lasciar perdere tutto. Gli indizi che aveva
collezionato fino ad allora erano così vaghi ed
inconsistenti da apparire solo il frutto di una ricerca morbosa,
più che vere prove.
Con la sua bella trovata di andare in biblioteca aveva anche
contribuito a rendere nuovamente tesi i rapporti con il mezzo demone,
ponendo fra di loro la presenza della fantomatica
“ex” di lui, in un luogo (un’epoca) che
avrebbe dovuto appartenere totalmente a Kagome.
Prese posto in aula, del tutto scoraggiata e ripose la ricerca nella
cartella, prima che qualcuno dei suoi compagni la sbirciasse da sopra
la sua spalla.
Non seguì nessuna delle lezioni, non ci provò
nemmeno.
A volte, sebbene cercasse di non pensarci mai, la sua mente non poteva
fare a meno di concentrarsi sul fatto che lei Inuyasha lo amava.
Il suo amore per lui si era stabilizzato ai margini di ogni suo
pensiero, come un placido dato di fatto, una così ovvia
parte di lei, che se avesse smesso di provalo dubitava che sarebbe
stata ancora la stessa.
Ci pensava proprio allora per quello che aveva visto nei suoi occhi e
che l’aveva spinta a scappare da lui: quel guizzo di
nostalgia e senso di colpa che non mancava mai quando aveva Kikyo in
testa. Per la prima volta, Kagome desiderò non aver preso
così a cuore quello che era successo nella sua scuola. Ma
non voleva abbandonare le indagini, non voleva farlo.
Anche se il viso di Kikyo si sarebbe fatto spazio a forza nella mente
di Inuyasha ogni volta che lei avrebbe detto
“poltergeist”, non voleva lasciar perdere.
Fu questo che si ripeté a più riprese durante le
lezioni e poi a pranzo, che consumò sola perché
il ragazzo, prevedibilmente non si fece vivo.
Se lo disse ancora, quando la campanella segnò la fine della
giornata scolastica e la ragazza ebbe la sua conferma di aver fatto la
scelta giusta, quando, in coda per uscire dall’aula,
riuscì ad udire di nuovo la musica.
Le venne quasi da ridere per il sollievo; le note erano lente e
malinconiche e si sentivano appena, nei rari momenti di silenzio fra i
passi dei suoi compagni di classe. Rimase indietro e si
appoggiò ad un muro, come se fosse stata in attesa di
qualcuno, cercando di individuare la fonte della musica.
- Che fai, Kagome, non
vieni?- la chiamò Yuka, già diretta
speditamente verso l’uscita assieme ad Eri ed Ayumi.
- Ho dimenticato una cosa
- fu la sua distratta risposta; diede loro le spalle e si
affrettò nella direzione opposta, fronteggiando la folla di
studenti che usciva dalle varie aule.
La scuola si svuotò in fretta, considerate le sue
dimensioni: nessuno era mai desideroso di rimanerci più del
dovuto.
Spinse il pensiero di Inuyasha sul fondo della mente, perché
le fosse più difficoltoso rammaricarsi della sua assenza
proprio in quel momento cruciale.
Percorse a passo spedito i corridoi, senza tuttavia riuscire a capire
da dove la musica provenisse perché si sentiva sempre allo
stesso volume ovunque si spostasse; rallentò
l’andatura per non farsi confondere dal rumore dei suoi piedi
contro il pavimento.
La canzone era come la ricordava: triste in maniera straziante ma anche
colma di quell’inclinazione romantica tipica dei testi
d’amore. Si fermò ad ascoltarla vinta da una
malinconia già sua che quelle note risvegliarono in lei.
“Ho bisogno di
te”
La ragazza trasalì e uno strillo le
sfuggì dalle labbra suo malgrado. Quella che aveva sentito
era una voce, una voce umana, molto più concreta di una
triste canzone a volume minimo. Tese l’orecchio, cercando di
percepirla una seconda volta ma quella tacque. Girò su se
stessa, disorientata. Per caso la musica si era fatta più
alta?
“Ho bisogno di
te”
Stavolta, Kagome gridò senza ritegno. La frase,
seppure sussurrata, era inconfondibile nel suo significato. Non
riuscì ad identificare se fosse una voce maschile o
femminile ma d’un tratto non le importò
più. Capì che non voleva essere lì da
sola, con quella musica nelle orecchie, che si era fatta fin troppo
distinta, ora.
Girò sui tacchi e scappò di gran carriera ma
più avanzava nei corridoi, più le note
aumentavano di volume, anzi, proprio ora che desiderava che
smettessero, raggiunsero livelli assordanti. Si fermò, senza
fiato, le mani sulle ginocchia, solo quando si accorse di essersi
diretta nella direzione sbagliata: finalmente era arrivata dove voleva.
La musica partiva da lì.
“Ma non sono
nemmeno all’ultimo piano”
pensò stizzita.
Si diresse a passo felpato verso l’aula dalla porta chiusa da
dove la canzone proveniva, prima che il coraggio le venisse meno.
Aprì l’uscio di una spanna e spiò
all’interno, il cuore in gola.
Nell’aula stavano in piedi due persone, vide, avvinte in un
abbraccio ed intente a ballare un lento, troppo reali e solide per
essere fantasmi. Kagome li guardò stranita girare sul posto,
chiedendosi se non avesse semplicemente detto addio alla
sanità mentale.
Da dove si trovava poteva vedere la schiena del ragazzo, avvolta nella
divisa scolastica, che a quella luce appariva di un azzurro sbiadito
piuttosto che nero brillante. Sulla sua spalla era appoggiata la testa
della sua fidanzata, una cascata di capelli mori acconciati in una
pettinatura piuttosto arretrata.
La coppia si mosse ancora e la ragazza entrò meglio nel suo
campo visivo, abbastanza dal farle capire che non era così
giovane quanto il ragazzo e che non indossava l’uniforme.
Guardò il tallieur rosa ed antiquato che portava e si chiese
se non stesse assistendo all’incontro clandestino fra uno
studente ed un’insegnante.
Si disse che poteva dileguarsi senza dare nell’occhio e fu
allora che il ragazzo si girò, con sicurezza, dritto verso
di lei e Kagome lo vide in faccia.
Nessun demone che aveva incontrato aveva un viso simile. Niente zanne
in vista, niente marchi colorati sulle guance, nessuna fattezza da
animale o da insetto.
Quella faccia era marrone, totalmente marcita e cadente, come se si
stesse decomponendo davanti ai suoi occhi.
La pelle cedeva da ogni lato, sui denti ingialliti, sulle orbite cave
che le stavano puntando addosso.
Kagome strillò e strillò di nuovo quando un paio
di mani la afferrarono, tirandola via dalla porta. Serrò gli
occhi terrificata ma le ci volle poco per riconoscere il tocco brusco
ed allo stesso tempo premuroso sulle sue spalle.
Quando alzò le palpebre fu Inuyasha che si trovò
davanti.
- Cos’hai da
strillare, dannazione? - sbottò.
Kagome cercò la propria voce, da qualche parte
nell’abisso della sua paura ma riuscì solo ad
indicare la porta semiaperta dell’aula
- Cosa? Là
dentro? Il polter … Fantasma?
Kagome annuì e si aggrappò con le
mani alla casacca rossa del ragazzo, stordita dal sollievo di averlo
lì.
Le sua mani artigliate premettero sulla sua schiena, attirandola
più vicino e poi la liberarono.
Lo guardò sfoderare Tessaiga e dirigersi senza
esitazione dove lei gli aveva indicato. Mosse qualche passo in avanti
per guardare.
Inuyasha spalancò la porta con una spallata, la spada
sguainata davanti a lui ed entrò a passo sicuro, nella
stanza d’un tratto silenziosa ed irrimediabilmente vuota.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Terrazzo ***
Quando Inuyasha aveva confermato che sì, anche
lui aveva sentito la musica, Kagome si era sentita sollevata.
Una volta scoperto che il poltergeist si era spostato dalla stanza,
filtrando inconsistente attraverso le pareti massicce, i due ragazzi
avevano smesso presto di cercarlo per il resto dell’edificio.
Il mezzo demone si era caricato Kagome sulle spalle e l’aveva
condotta a casa in fretta, senza risparmiarsi di commentare sulla sua
carnagione, d’un tratto di un pallore spettrale.
Ora, dopo aver cenato, i due se ne stavano nella camera di Kagome, con
la porta chiusa, lei a pancia in giù sul letto, lui seduto
sul pavimento, la testa vicino al cuscino.
Avevano ripercorso gli avvenimenti mille volte da mille angolazioni
diverse, finalmente entrambi coinvolti in egual misura, ma senza trarne
nulla di utile.
- Sul tuo magico
marchingegno non dicevano niente sull’aspetto che dovrebbe
avere quest’affare?- domandò
Inuyasha, tenendo il mento appoggiato sul materasso.
- Non mi pare-
fu la risposta- ma
forse non ho controllato bene. Non vorrei dover tornare in biblioteca.
- Oh, no. Io
là non ci metto piede un’altra volta: è
una noia.
- E’ per una
buona causa, però!
- Vedremo.
Kagome si voltò sul lato; dopo qualche ora aveva raggiunto
quella fase nella quale la vicinanza di Inuyasha aveva smesso di
aumentarle il battuto cardiaco, per infonderle una calma rassicurante.
Si concentrò sul suo viso serio ma più sereno dei
giorni precedenti e lasciò che il suo respiro
così vicino le scompigliasse lievemente la frangia.
Lui appoggiò la guancia sul letto, offrendole una visuale
della sua testa argentata e sbuffò; sembrava quasi stanco.
- Non posso perderti di
vista un attimo- disse con una certa calma - dovrei tenerti
d’occhio anche mentre sei a scuola.
Kagome decise di ignorare la velata accusa.
- Questo non puoi farlo
però.
- Beh, vedremo.
- Grazie di preoccuparti
per me.
- Bah.
Kagome si girò supina; nel silenzio che si dilatò
nella stanza, sincronizzò il proprio respiro a quello
dell’altro e non per la prima volta desiderò di
potersi tenere Inuyasha lì con lei e di non attraversare il
Pozzo Mangia ossa mai più.
C’erano dei rari momenti, come quello, nei quali la
complicità che condividevano era così profonda
che sentiva che non si sarebbe mai più spostata da
dov’era pur di non perderla. Non le servivano meravigliosi
luoghi, grandi avventure, conoscenze nuove. Solo lei ed Inuyasha, nella
penombra nella sua stanza, connessi ed insieme, attraverso le linee
invisibili che collegavano i loro corpi separati.
E poi, subito dopo, si rendeva conto di avere
responsabilità, nella sua epoca e nell’epoca del
mezzo demone, così come le aveva anche lui e che ritirarsi
per sempre non potevano.
Come con il poltergeist.
Chi altri se non loro poteva far luce su questo mistero che si faceva
ogni ora più torbido?
Kagome si sollevò sulle braccia per spiare il volto di
Inuyasha, che sonnecchiava placidamente a pochi centimetri dal suo
cuscino. Si arrotolò qualche capello argento attorno alle
dita e se lo portò sotto il naso, cercando e trovando
quell’odore che tanto la affascinava.
I suoi sogni furono popolati da volti in decomposizione, tallieur rosa
e fuori moda, fili argentati e musica tristissima, che la fecero
agitare penosamente fino al mattino.
Quando aprì gli occhi il sole invadeva la stanza ed Inuyasha
era già in piedi e le parlava.
- Meglio muoversi, tua
madre ti chiama da un sacco. Mi sa che sei in ritardo.
- Ma perché
non mi hai svegliato prima?!
Si fondò dal letto, frenetica, spingendolo via dalla sua
traiettoria con foga. Perché le uniche volte che Inuyasha
non la disturbava era quando sarebbe stato meglio se l’avesse
fatto?
Avere un mezzo demone che ti porta a scuola quasi in volo fu
decisamente un vantaggio quella mattina. Kagome incitò
Inuyasha ad andare più veloce ad ogni nuovo salto,
stringendolo all’altezza delle spalle con energia sempre
maggiore.
Inuyasha si piegò in avanti e lasciò che il vento
scorresse addosso ad entrambi senza rallentarli.
Kagome arrivò in aula in perfetto orario, i capelli
scompigliati per tutta l’aria che ci era passata in mezzo e
lo stomaco sottosopra per tutti quei balzi.
Prendendo posto al suo banco, non potè reprimere un brivido
timoroso al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere di nuovo quel
giorno, nella sua scuola infestata.
__________________________________________________________________________________
Voleva aspettare che Inuyasha venisse a prenderla.
Voleva aspettare perché desiderava tornare con lui,
così come con lui era arrivata e perché mentre
attendeva avrebbe potuto esplorare nuovamente i corridoi
dell’edificio scolastico, forte del fatto che ora non
c’era nessuna musica ad invaderli.
Cercò sistematicamente partendo dal piano terra, camminando
in ogni angolo dell’aula nella quale, appena un giorno prima,
il poltergeist aveva dato spettacolo di sé e del suo viso
morto e salì lentamente le scale che conducevano ai livelli
superiori.
Non era spaventata, non esattamente, ma all’erta abbastanza
perché ad ogni angolo che girava, lo stomaco le si torcesse
dolorosamente, anticipando una terrificante visione che non tardava a
manifestarsi.
Ripercorse mentalmente le informazioni raccolte fino ad allora,
mettendole in ordine di scoperta.
A quanto ne sapeva, il poltergeist aveva la facoltà di far
apparire gli oggetti dal nulla; era in grado di possedere le persone ma
non di far scordare loro i momenti nei quali non avevano avuto il
controllo delle loro azioni; poteva far aleggiare una musica a volume
variabile che, per lo meno sacerdotesse e mezzi demoni erano in grado
di udire; aveva un aspetto raccapricciante, da morto quale era.
Kagome annuì, soddisfatta del proprio riassunto e percorse
le scale con rinnovata lena, fino a quando non le sentì, di
nuovo.
Si fermò, il cuore in gola, la mano serrata convulsamente
sul mancorrente ed alzò la testa verso il soffitto, come se
questo l’avrebbe aiutata a sentire meglio anche la musica
malinconica era tornata.
La scuola era silenziosa come una tomba, ora che il suono dei passi
della ragazza si erano fermati.
Silenziosa, se non si contavano le due voci, una di uomo e una di
donna, che litigavano furiosamente, all’ultimo piano.
Kagome fu colta da un attacco isterico che la spinse a ridere suo
malgrado, quando udì nuovamente la fantomatica frase:
- Non puoi lasciarmi,
maledetta!
Il palmo della sua mano, sopra il ferro del mancorrente,
iniziò a sudare.
- Mio Dio …
Mio Dio!
- Fermati! Non farmelo
fare!
Passi. Qualcuno che correva e qualcun altro che lo inseguiva da vicino.
Kagome fece stridere i denti fra di loro, desiderando disperatamente
muoversi, correre, prestare aiuto, ma allo stesso tempo paralizzata
lì dov’era, una gamba dritta su uno scalino,
l’altra piegata su quello superiore.
Avrebbe trovato una pistola carica lassù ed un poltergeist
con la faccia decomposta, il ghigno di un teschio ed occhi senza
pupille.
Da dov’era sentì le voci allontanarsi e il cigolio
di una porta, quella che conduceva al terrazzo, ruotare sui cardini,
aprirsi e richiudersi, serrando fuori ogni altra fonte di rumore
Quello la riscosse.
- Oh, cavoli-
mugugnò.
Percorse le scale che le rimanevano due gradini alla volta; il
corridoio lo fece di volata, rischiando di scivolare più
volte e sbattendo pesantemente contro la porta del terrazzo, quando vi
giunse davanti.
Prima che il coraggio le mancasse ancora una volta, tentò la
maniglia e sbirciò all’esterno.
Riconobbe vagamente il ragazzo che vide di schiena come uno studente
del suo stesso anno, appartenente ad una sezione diversa dalla sua.
Ed eccola lì la pistola, un vecchio modello che, data la sua
scarsa conoscenza in materia, non seppe riconoscere. Il ragazzo la
impugnava con mano tremante e la puntava contro la donna, che aveva le
dita serrate attorno alla ringhiera alle sue spalle ed il volto rigato
da lacrime.
Kagome spalancò gli occhi. La conosceva: era la sua
professoressa di storia. Aprì di più la porta e
si spinse fuori lentamente.
- Cerchiamo di calmarci-
supplicò l’insegnante, la voce spezzata da
un’emozione che non era solo paura.
Kagome la guardò in faccia e vide che non aveva occhi che
per il ragazzo che la minacciava e che non l’aveva neppure
vista: un vantaggio, forse.
- Dammi la pistola-
chiese ancora.
- No!-
strepitò l’altro, vinto dallo stesso identico
turbamento - non
trattarmi come uno stupido!
Un colpo. Neppure troppo forte.
Kagome trattenne il fiato e le mani le salirono alla bocca, in
automatico.
La donna si portò le mani al petto ed il suo viso si
adombrò di dolore, di struggimento. I suoi occhi che si
andavano spegnendo, non abbandonarono nemmeno per un secondo quelli del
giovane.
Poi, con un movimento fluido, addirittura aggraziato, cadde, con un
tuffo preciso all’indietro.
Il suo corpo mulinò oltre la ringhiera del terrazzo e
scomparve.
TAN TAN TAN TAAAAAAAAN!
Oh, andiamo, dite che mi amate!XD
Il prossimo capitolo avrà un po' più
Inuyasha/Kagome di questo, lo so fin da ora, perchè sto
facendo gli scongiuri sperando che non venga smielato! Baci, baci. XD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Blu polveroso ***
Inuyasha si tormentò la frangia che gli oscurava la vista,
così tanto irrequieto come gli era successo poche volte.
Kagome stava tutta avvolta in una coperta rosa, rannicchiata sul suo
letto altrettanto rosa, una tazza di the fumante fra le mani.
Lui era appollaiato sul davanzale della finestra ed un po’ in
disparte per non invadere l’intima bolla di spazio che lei e
sua madre occupavano insieme.
Kagome aveva lo sguardo spento, esausto e la pelle bianca, coperta da
un sottilissimo velo di sudore; sua madre le cingeva le spalle con un
braccio, in una stretta amorevole, accennando appena un movimento, come
a volerla cullare.
Lei sei ne stava immobile e remissiva, come se avesse perduto ogni
desiderio di muoversi autonomamente.
Il mezzo demone si tirò talmente la frangia che alcuni
capelli gli rimasero tra le dita.
Aveva girellato svogliatamente per la grigia e squadrata
città di Kagome quello stesso pomeriggio e quando si era
stufato era passato a prenderla.
Quando era arrivato, l’edificio era circondato da quelle
scatole veloci che aveva imparato chiamarsi
“automobili”; quelle però erano
particolari perché erano dotate di un solido luminescente
che mandava bagliori lampeggianti tutt’attorno, sulla cima.
Si era avvicinato senza far rumore ed un umano vestito in blu
l’aveva fermato.
- Non puoi passare,
ragazzo, c’è stato un omicidio.
Inuyasha gli aveva quasi ringhiato addosso ma si era trattenuto,
perché quello che aveva visto l’aveva distratto:
Kagome se ne stava in piedi lì, circondata da altri uomini
vestiti con la stessa divisa di quello che l’aveva trattenuto.
Il suo viso aveva perso ogni colore ed i suoi lineamenti erano
un’unica linea serrata di paura. I suoi occhi erano talmente
spalancati da risultare enormi, innaturali e dentro, il mezzo demone
riconobbe un brillio sconvolto, come una richiesta d’aiuto
rivolta a lui ed a lui solamente.
- Kagome!-
l’aveva chiamata.
Lei si era girata e le sue iridi castane si erano inumidite di lacrime.
- Fammi passare-
aveva intimato lui, scostando l’uomo con malagrazia; lui
aveva debolmente protestato ma le sue lamentele si erano esaurite,
quando aveva visto la testimone dell’omicidio gettarsi fra le
braccia di quel bizzarro ragazzo col berretto.
Inuyasha aveva vinto l’imbarazzo e quando Kagome
l’aveva abbracciato, tremando come una foglia ma senza
lasciar cadere le lacrime che si erano raccolte agli angoli dei suoi
occhi, l’aveva tenuta così, con il viso premuto
contro la sua casacca e le mani strette al suo colletto.
Oltre la sua testa castana aveva notato solo allora un altro ragazzo,
sconvolto almeno quanto lei, l’unico con l’uniforme
nera in un mare di divise blu.
- Ti ha fatto qualcosa,
Kagome?- sibilò, sentendo la rabbia montare
all’istante.
- No, lui no-
rispose Kagome. Lui abbassò lo sguardo, cercando invano il
suo, allarmato da quella voce flebile.
Quello che entrambi gli studenti avevano raccontato con fatica
più tardi era suonato bizzarro alle sue orecchie quanto a
quelle degli uomini in blu.
Loro avevano cercato di portare la ragazzina da un’altra
parte, un posto che non aveva capito, per
“interrogarla”. Lui aveva detto indignato che solo
i professori potevano interrogare Kagome, perché almeno
questo l’aveva capito e che loro professori non lo sembravano
affatto.
Aveva lasciato di buon grado l’altro ragazzo alla loro
mercé e si era portato via Kagome, che aveva borbottato un “grazie” con
voce sempre più esausta e si era lasciata sollevare fra le
braccia del mezzo demone per farsi condurre lontano dalla scuola dove
quel giorno aveva visto morire una persona.
Era stata sua madre a chiedergli di posizionarla direttamente sul letto
ed a coprirla con la coperta e a prepararle il the.
Ora che la sera fresca avanzava sempre di più verso una
fredda notte, Kagome sollevò infine la testa dalla spalla di
sua madre e sorbì con lentezza il liquido caldo.
- Ora sto meglio-
le assicurò- vai
pure a letto.
- Sei sicura, cara?-
si preoccupò la donna -
posso restare finché vuoi, lo sai -la sua mano
gentile riavviò i capelli bruni della figlia.
- No, no. Ora sto meglio
- ripeté lei.
Sua madre lasciò a malincuore la stanza, non senza lanciare
al mezzo demone uno sguardo afflitto che lui non riuscì ad
interpretare.
Intimidito, abbandonò la sua postazione per prendere posto
ai piedi del letto di Kagome; la guardò, sentendosi bruciare
dal senso di colpa.
- Kagome, dovevo
arrivare prima … - cominciò.
- No, non è
colpa tua - troncò subito il discorso lei.
- Sì, invece!
- No, invece.
L’infantile contraddirsi a vicenda l’avrebbe reso
schiumante di rabbia, in diverse circostanze; ora invece lo faceva solo
sentire più colpevole.
- Lui si ricordava tutto
- raccontò la ragazza di sorpresa.
- Chi?
- L’altro
ragazzo, quello che … Ha … Sparato. Si chiama
Eizo. E’ stato come l’altra volta.
- Con il professore e la
… Segretaria? - Inuyasha tentò, non
sicuro che fosse il termine corretto.
- Sì. Lei non
era neppure la sua insegnante: non la conosceva. Ad un certo punto ha
sentito come se fosse stato ovvio litigare con lei. E della pistola non
c’è ancora traccia.
- E’ stato
posseduto.
-Sì.
Sotto gli occhi di Inuyasha, Kagome si ripiegò su se stessa,
angosciata. La guardò appoggiare la tazza ancora piena per
metà sul tavolino, perché le mani le tremavano
troppo ed altrimenti il liquido sarebbe presto straboccato oltre i
bordi.
Incerto su cosa fare, Inuyasha aprì le braccia verso di lei
e poi le richiuse.
Stavolta le lacrime caddero davvero, percorsero una scia di sale sulle
sue guance bianche e poi caddero come pioggia giù dal suo
mento.
Aveva sperato di riuscire a trattenersi dal frignare!
Ma era stato tutto così violento nella sua immediatezza che
le era sembrato che anche una parte di lei fosse precipitata
giù dal balcone, assieme con la donna che aveva ricevuto
quel mortale colpo di pistola.
Era rimasta lì, muta ed immobile ad assistere alla scena e
non aveva fatto niente.
Mesi e mesi di lotta contro i demoni, di localizzazione di frammenti
della Sfera dei Quattro Spiriti, a destreggiarsi fra nemici e pericoli
sempre maggiori per cosa?
Non era neanche riuscita a fra fronte ad un ragazzino che puntava
un’arma nella direzione diametralmente opposta alla sua.
- Non sono riuscita a
fare niente- gemette, i palmi premuti sugli occhi bagnati.
Una sensazione di calore la avvolse quando si rese conto che
c’era Inuyasha a stringerla, serrando le sue braccia attorno
alla sua figura rannicchiata; per qualche motivo questo la
incoraggiò a singhiozzare più forte.
Il mento di Inuyasha creò un peso rassicurante sulla sua
testa, formò un blocco che prese i suoi pensieri turbinanti
e li fermò lì dove, una volta sfogata, avrebbe
potuto riprenderli e rimetterli insieme, in ordine.
Le braccia di lui, incrociate sulla sua schiena la spinsero
più vicina; Kagome alzò le sue e gli cinse il
collo. Trovò lo spazio perfetto dove celare il proprio viso,
ora rosso per il pianto, nell’incavo tiepido del suo collo.
Inuyasha non la cullò avanti indietro, non le
accarezzò i capelli, non le sussurrò parole di
conforto.
Rimase solo lì a farle sentire la sua presenza mentre lei
piangeva e, a poco a poco, si calmava e tornava silenziosa.
Una volta placata l’urgenza, Kagome chiuse gli occhi,
sentendo che un peso simile ad un blocco di ghiaccio nello stomaco, si
era sollevato, era scivolato via assieme alle lacrime, lasciando solo
una lucida consapevolezza.
Quella era la sua
epoca.
Quella era la sua
scuola.
- Inuyasha, noi a questo
poltergeist non dobbiamo farla passare liscia.
__________________________________________________________________________________
Inuyasha doveva essersi spostato durante la notte.
Ancora adesso, Kagome avvertiva il ricordo del suo contatto sulla pelle
e dovette costringersi a non rimanere incantata a rimuginarci sopra.
Quando si era svegliata, si era trovata nella quasi stessa identica
posa che aveva mantenuto per tutta la serata precedente; la coperta la
avvolgeva completamente, neanche fosse stata un baco da seta e nel
sonno era scivolata con la schiena contro il muro alle sue spalle per
poi giacervi scompostamente con la testa che pendeva da una parte.
Il mezzo demone si era discretamente ritirato dall’abbraccio
che li avvinceva e quando si era svegliata l’aveva trovato
addormentato accanto alla finestra.
Accanto ad una finestra ci stava pure ora, anche se era quella
dell’aula di informatica e lui era sveglio.
Kagome fece guizzare lo sguardo dallo schermo del computer alla sua
schiena alternativamente e cercò nel ticchettio costante
delle sue dita sulla tastiera una distrazione che non arrivava.
Rimanere al passo si stava rivelando difficile ed a lei sembrava di non
riuscirci, davvero. Non quando con Inuyasha i rapporti rimanevano
civili per più di qualche giorno; non quando circondargli il
collo con le mani le appariva la più naturale nelle azioni.
Non quando, arrivata a scuola, si accorgeva che una striscia di
plastica gialla delimitava la zona di cortile sulla quale la
professoressa era precipitata e l’intero ultimo piano
dell’edificio, vietando il passaggio.
L’anno scolastico non poteva essere interrotto, almeno
così lesse nell’articolo che scovò in
rete. Dove l’omicidio si era consumato e la morte era
effettivamente avvenuta, era stata posta una barriera, proprio come
quelle che aveva visto nei film polizieschi, quando ancora aveva tempo
sufficiente per sedersi in cucina con la sua famiglia a guardare la
televisione.
Eizo, il ragazzo che aveva sparato, era stato accennato appena, senza
che il suo nome proprio venisse menzionato, perché
minorenne. Kagome non sapeva che fine avesse potuto fare ma tremava per
la terribile ingiustizia che il suo compagno aveva subito: costretto da
una presenza immateriale a commettere un atto mostruoso per il quale
avrebbe pagato le conseguenze per una vita intera.
- Perché non
siamo venuti qui anche la prima volta che hai fatto …
Ricerca?
Ci pensò Inuyasha a riscuoterla dai suoi pensieri e a farla
accorgere che era rimasta concentrata sulla sua schiena fasciata di
rosso per almeno cinque minuti; lui, rivolto verso la finestra aperta,
fortunatamente non se ne era accorto.
- Bisogna chiedere il
permesso al responsabile dell’aula per usufruirne dopo
l’orario delle lezioni- spiegò
Kagome, leggendo pari pari dal foglio del regolamento appeso accanto
alla porta.
- Non potevi farlo la
prima volta?
- Gli studenti-
fece presente la ragazza -rifuggono
ogni contatto non strettamente necessario con i professori per partito
preso- quella regola non aveva bisogno di leggerla.
- Allora
perché non siamo tornati nel posto dell’ultima
volta?
- Perché,
Inuyasha- rispose Kagome spazientita- questo posto è il
centro di tutto. Più stiamo qui più abbiamo
possibilità di indagare sul campo.
Inuyasha mugugnò qualcosa di inarticolato e
lasciò cadere il discorso; Kagome si esprimeva in maniera
bizzarra da quella mattina, farcendo le proprie frasi innaturalmente
articolate di termini che comprendeva a stento. “Informatica”,
“Zona del crimine”, Quotidiano on line”
erano tutte espressioni alle quali aveva annuito senza realmente
capirle.
Si voltò per guardarla: nel riverbero di luce che lo strano
schermo emetteva, il suo viso aveva assunto un colore livido ma i suoi
occhi erano concentrati e vivissimi. Il lamento sulla sua noia
crescente gli morì in gola.
- Niente di nuovo allora?
Lei sospirò, sconfitta.
- Niente di diverso
dall’ultima volta. Sono bloccati in una zona di passaggio fra
i due mondi, sono legati alle persone più che ai luoghi,
sono risentiti e spostano oggetti.
Non voluta, l’immagine del poltergeist le
riaffiorò nella memoria, facendola rabbrividire.
Il suo volto guasto e putrescente le era apparso minaccioso ma solo ora
ne riconosceva la cattiveria. Solo ora che aveva visto fin dove poteva
spingersi, fino ad uccidere, capiva che era maligno e che andava
fermato.
Ma non sapeva come.
Non sapeva cosa voleva.
Non sapeva chi
era.
Sobbalzò, colta di sorpresa, quando udì delle
voci femminili e l’inconfondibile rumore di passi affrettati,
nel corridoio di quel piano. Un minimo di attenzione in più
le permise di riconoscere tutte e tre le proprietarie di quelle voci e
tanto basto per ghiacciarle il sangue nelle vene.
Eri, Ayumi e Yuka si stavano con ogni probabilità dirigendo
proprio in quell’aula dove lei era sola con Inuyasha, il cui
sgargiante accostamento capelli, occhi, vestito strideva con
l’ambiente quanto una macchia di inchiostro su un foglio
immacolato.
-Presto esci di qui!-
ordinò allarmata.
- Cosa?-
sbottò lui, preso in contropiede.
Kagome scattò in piedi, rovesciando la sedia nella foga e
corse a spingerlo verso la finestra.
- Vattene!-
intimò- stanno
arrivando delle mie amiche!
Inuyasha montò con riluttanza sul davanzale.
- E allora?-
interloquì scorbutico.
- A cuccia!
Fu con inequivocabile sollievo che Kagome vide il rosario attorno al
collo del ragazzo illuminarsi per poi trascinarlo inesorabilmente verso
il basso, oltre la cornice della finestra e giù lungo il
fianco dell’edificio.
Riuscì in tutta calma a ritornare dov’era,
riportare la sedia sulle sue quattro gambe ed a riprendervi
placidamente posto, prima che il trio di compagne facesse il suo
ingresso nell’aula di informatica.
- Kagome!-
squittì Yuka quando si accorse della sua presenza.
- Ciao, ragazze-
salutò lei pacata.
- Ciao! Cosa fai qui?
- Volevo vedere
… Mi interessava … - Kagome
accennò allo schermo del computer che mostrava ancora
l’articolo che aveva letto fino a poco prima.
Le tre amiche si strinsero attorno a lei, annuendo in contemporanea,
comprensive.
- Abbiamo sentito che
sei stata tu ad assistere- raccontò Ayumi
pacata - non
dev’essere stato facile.
Kagome annuì senza parlare; il pensiero
dell’omicidio le aveva occupato stabilmente una porzione
della mente, da quando vi aveva assistito e cercava di pensarvi il meno
possibile. Quello stava lì, insistente, a ricordarle che
aveva visto morire una persona. Si morse il labbro.
Eri si chinò su di lei e chiuse la finestra con
l’articolo.
- Basta pensarci, ora-
disse, come se avesse saputo esattamente cosa stesse passando per la
testa dell’amica.
- Giusto! -
incoraggiò Ayumi.
Yuka rimase silenziosa per un istante, poi propose:
- Vuoi vedere dove
parlano di noi nel sito della scuola, invece?
Kagome sorrise, grata che si stessero adoperando per distrarla dalle
sue elucubrazioni più cupe. Permise a Yuka di prendere il
controllo di mouse e tastiera ed osservò con certo interesse
il sito ufficiale del loro istituto, dove un link apposito, denominato
“eventi” conduceva proprio ad una pagina dedicata
all’imminente celebrazione del centenario.
- Siamo venute a
stampare altri volantini- spiegò Eri - sono andati a ruba-
- Eccoci!
Kagome cercò come minimo una fotografia che ritraesse le sue
tre amiche ma vide solo i loro nomi, schiacciati fra altri nomi sotto
la voce “elenco dei collaboratori volontari”.
Stiracchiò le labbra in un sorriso che sperò
apparisse entusiasta.
- Ora, Kagome-
precisò Yuka con fare ammonitorio -presto ci sarà anche
la nostra immagine, Ora è così perché
il sito è ancora in fase di costruzione.
- Sì-
rincarò Ayumi -
hanno preferito andare in ordine cronologico e sistemare prima le parti
che riguardano la storia. La sezione che riguarda la festa del primo
cinquantesimo è già a posto. Che gliene
importerà, poi?- aggiunse - quelli che allora hanno
partecipato neanche sapranno usare un computer!
- Esatto-
concordò Eri -guarda
qui!
Un paio di clic le portarono su un’altra pagina, decisamente
meglio organizzata, dove in effetti comparivano molte più
immagini che scritte.
Kagome riconobbe l’edificio nel quale si trovavano, quasi
immutato e molte foto degli studenti ed insegnanti che avevano allora
frequentato ed insegnato nella loro scuola.
- Fortuna che nel
frattempo hanno cambiato le divise scolastiche. Guarda che razza di
colore.
Kagome sentì le parole di Ayumi ma non le
commentò. Era troppo impegnata a sovrapporre alle nitide
immagini che aveva davanti agli occhi con quella che aveva visto pochi
giorni prima.
Del poltergeist ricordava alla perfezione la faccia marcita ma anche il
suo abbigliamento le era rimasto impresso.
Allora aveva pensato che quel blu polveroso fosse stato un effetto
della luce ma non era così.
Quella era la regolare uniforme scolastica degli studenti di
cinquant’anni prima.
Kagome lesse stralunata gli elenchi di tutte le classi che erano
passate per quell’istituto, divise per annate e sezioni e
provviste ognuna della propria foto e strinse i denti per non dar voce
alla propria emozione: aveva capito.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Scale ***
-
E’ il quinto panino, ormai.
- Quasi non mastica.
- Credete che abbia di
nuovo litigato con il suo ragazzo?
- Senza dubbio.
Kagome finse di non udire la conversazione sussurrata che stava
avvenendo al suo stesso tavolo di fast food ed attaccò il
sesto panino con ferocia, facendolo sparire in bocca praticamente tutto
intero.
Yuka, Eri ed Ayumi esaminarono la sua voracità improvvisa e
l' atteggiamento burrascoso che aveva mantenuto da quando aveva messo
piede in aula, quella stessa mattina.
Solo il giorno prima era parsa così euforica, quando si
erano salutate dopo aver passato il pomeriggio a giocare con i computer
della scuola e le tre amiche sapevano che c’era solo una
persona in grado di farle cambiare umore così
repentinamente: il suo immaturo, insensibile, egoista fidanzato.
- Forse ha fatto
un’altra puntata con la sua ex ragazza-
ipotizzò Eri preoccupata.
Kagome stritolò il panino fra le mani, tanto che delle
briciole caddero fuori dall' involucro di carta.
Quella mattina a scuola ci era andata da sola, a piedi ed aveva pure
rischiato di arrivare in ritardo.
Inuyasha non si era fatto vedere al suo risveglio così come
non c’era quando era andata a letto.
La sera prima avevano litigato.
Kagome era tornata a casa frenetica ed emozionata, impaziente di
raccontare al mezzo demone quanto era riuscita a scoprire.
Lui la aspettava in camera, appollaiato sul davanzale e per tutta la
durata del racconto non aveva distolto lo sguardo dalle tegole del
tetto che si vedevano fuori dalla finestra e quando Kagome aveva
concluso non si era sprecato a commentare, neppure con un cenno.
- Hai capito, Inuyasha?
Tutto torna, il poltergeist si è manifestato ora
perché riconosce un periodo analogo a quello nel quale si
è verificata la sua morte!
- Ah!-
aveva sbuffato lui, alla fine - ma
piantala di parlare così!
- Così come?-
Kagome si era fatta talmente coinvolgere nei racconti di fantasmi che
aveva letto in quegli ultimi giorni da non accorgersi di parlare come
uno di loro.
- Come se cercassi di
non farti capire da me! Guarda che non sono così idiota, sai?
Kagome era crollata sul letto, presa alla sprovvista da tutta quella
aggressività improvvisa.
- Che ti succede?
E’ capitato qualcosa?
Inuyasha era sceso dal davanzale ed era avanzato a grandi passi nella
stanza, indicando il proprio volto con il dito artigliato.
Lì, sul naso e sulla fronte, Kagome aveva scorto
un vago alone rossastro, una lieve ammaccatura che già stava
scomparendo e d’un tratto aveva compreso.
- Sei offeso
perché ho attivato il rosario!
La faccia di Inuyasha era diventata rossa ed aveva nascosto i segni di
dove aveva picchiato contro l’asfalto precipitando dalla
finestra della scuola.
- Non puoi usarlo come
un giocattolo, Kagome, non è stato creato per quello-
aveva accusato e la ragazza si era sentita terribilmente ferita
perché aveva riconosciuto della verità nelle sue
parole.
- Non lo faccio!
E’ che stavano arrivando delle mie amiche!
- Avevo le orecchie
nascoste. Ti vergogni di me?
Kagome non aveva risposto subito perché
l’assurdità di quell’affermazione
l’aveva ammutolita. Non solo, ma si era resa conto che vista
da occhi esterni poteva davvero sembrare che Inuyasha ci avesse visto
giusto.
Non era così: Kagome cercava di tenere Inuyasha separato il
più possibile dalle persone che conosceva nella sua epoca
perché aveva un disperato bisogno di porre dei paletti che
distinguessero le sue due vite.
Metterle a contatto così tanto da confonderle era
più di quanto riuscisse a reggere.
Le idee si erano affastellate l’una sull’altra
nella sua mente abbastanza a lungo perché il mezzo demone
interpretasse in maniera errata il suo silenzio e dicesse:
- Bene, io vado. Muoviti
a risolvere le tue cavolate, che abbiamo ancora del lavoro da fare.
Quello mutò la sua mortificazione in furia.
- Cavolate? Hai
ascoltato almeno una parola di quello che ho detto?- si
era infervorata alzandosi in piedi.
- No e non me ne importa
niente!- aveva risposto a tono l’altro.
- E’ chiaro
che non te ne importa niente! Non te ne importa mai niente!
La voce della ragazza si era alzata cosi tanto che le orecchie di
Inuyasha si erano piegate su loro stesse per proteggersi dal suono; poi
il suo volto si era fatto scuro per l’ira e lui se
n’era andato via.
Era balzato fuori dalla finestra prima che Kagome avesse potuto anche
solo pronunciare l’ennesimo “A cuccia!”
e quando lei si era affacciata, non l’aveva più
visto da nessuna parte.
Era stato rapido nell’andarsene, saltare giù dal
pozzo e tornare nella sua epoca, dimostrando proprio quello che Kagome
aveva detto: che non gliene importava niente.
Da qui tutta la sua ira e l’appetito nervoso.
- Kagome-
disse timidamente Eri - è
tutto a posto?
- Cosa?-
aveva sbottato lei con la bocca piena - ma certo!
Le tre amiche si lanciarono sguardi eloquenti prima di scuotere la
testa in contemporanea.
- Non andiamo a stampare
altri volantini- avvisò Ayumi - ieri ci siamo distratte e non
l’abbiamo fatto, alla fine.
- E’ vero
- confermò Yuka - però
ci siamo divertite, vero?
Guardò speranzosa Kagome che guardava minacciosa gli incarti
vuoti dei panini con tanta intensità che fu stupita che non
prendessero fuoco.
- Posso venire
anch’io?- domandò senza alzare la
testa.
- Ma certo!-
si affrettò a replicare Eri, quasi intimorita.
Kagome rivolse loro un sorrido rigido, un brillio quasi maniacale negli
occhi: lasciò sul tavolo i soldi del conto e raccolse con il
dito le briciole che erano rimaste sul vassoio.
Il trio di compagne di classe si affrettò a seguirla fuori
dal fast food dal quale Kagome stava uscendo a passo spedito, guidata
dalla rabbia, la mortificazione ed il disperato bisogno di distrarsi
con un lavoro che la mantenesse impegnata.
Yuka, Ayumi ed Eri ancora bisbigliavano ma le ignorò mentre
le precedeva sulla strada che conduceva di nuovo a scuola: quella
mattina era troppo nervosa e non si era ricordata di chiedere al
responsabile dell’aula di informatica di lasciarle le chiavi:
che l’avessero fatto le sue compagne capitava a fagiolo.
Prese lei l’iniziativa di accendere più di un
computer senza che le venisse chiesto e raccontò qualche
scusa sui problemi di connessione quando ne scelse uno lontano da
quello che avrebbero usato le altre.
Accedette al sito della scuola e sprofondò nel
più nero dei silenzi, a tal punto da dimenticare di non
essere sola.
- Inuyasha, sei solo uno
stupido- borbottò.
__________________________________________________________________________________
Eri sbirciò Kagome da sopra lo schermo: si era accaparrata
l’unico altro computer oltre il loro collegato alla
stampante, che ora sputava fogli senza posa, e si disse che non era da
egoisti essere scocciata.
Lei, Ayumi e Yuka avevano firmato il registro per accedere
all’aula ma, anche se dovevano fare rifornimento di
volantini, non avevano certo previsto di sfruttare la stampante
così tanto.
Chissà cosa avrebbe detto il responsabile dopo aver
constatato lo stato delle cartucce di colore, che ora dovevano essere
di gran lunga diminuite ed in entrambe le stampanti.
Però forse ne valeva la pena: Kagome appariva più
serena di poche ore prima, quando aveva pigiato sui tasti con rabbia,
manco le avessero fatto un torto mostruoso.
- Se sta stampando i
1001 consigli su come mandare a quel paese il proprio fidanzato
traditore, ha tutto il mio appoggio - le
sussurrò Yuka all’orecchio.
- Esistono davvero
consigli del genere?
- Su internet trovi di
tutto. A volte vorrei avere un computer anche a casa.
Ayumi sospirò, guardando la schiena di Kagome con le
sopracciglia arcuate ma l’amica non si girò verso
di loro, piuttosto, raggruppò i nuovi fogli e li
infilò nella cartella voltati dal lato bianco, come se non
avesse voluto che fossero letti.
- Io vado in bagno!-
trillò Yuka di sorpresa, facendole sobbalzare tutte e tre.
Kagome si voltò finalmente dalla loro parte,
un’espressione indecifrabile in volto, ma la fronte
finalmente spianata e non più contratta dalla tensione e
dall’arrabbiatura.
- Ayumi, accompagnami-
ordinò poi Yuka, afferrando l’altra per il braccio
e praticamente costringendola a seguirla fuori dall’aula.
Rimaste sole, Kagome ed Eri si sorrisero distrattamente. Eri
occhieggiò la cartella dove Kagome aveva fatto sparire i
fogli. Dal canto suo, Kagome attraversò l’aula per
sedersi accanto all’amica e buttò un occhio in
direzione del loro lavoro.
- Oh! -
commentò -
avete fatto dei volantini nuovi!
- Sì-
confermò Eri con orgoglio - stavolta ci ha pensato Ayumi.
Progettiamo di finire questi e poi di farne fare uno anche a Yuka,
così il lavoro è diviso in parti proprio uguali.
Kagome notò che sia la grafica che l’impaginazione
del volantino erano migliori questa volta, anche se nulla di eclatante.
I volantini che erano stati distribuiti cinquant’anni prima,
quelli sì che erano ben fatti: aveva controllato lei stessa
e per buona misura ne aveva stampato una copia, assieme a tutte le
preziosissime informazioni che era riuscita ad accumulare, ora che
sapeva dove andare a cercare.
Mentre si concentrava sulla ricerca, Kagome era giunta alla conclusione
che non le serviva Inuyasha per venire a capo della faccenda, anzi, che
il mezzo demone l’avrebbe solo rallentata.
Era così musone, irascibile e poco collaborativo. Chi
avrebbe voluto averlo come compagno di squadra, dal momento che sapeva
solo tagliare in due i demoni e che qui di demoni non ce
n’erano? Contro un fantasma triste e bisognoso di
comprensione non sarebbe stato in grado di cavare un ragno dal buco.
“Ho bisogno di
te”
- Come?-
Kagome guardò Eri, che le restituì lo sguardo
interrogativo.
- Non ho detto niente-
disse.
Kagome le sorrise, incerta e tese furtivamente l’orecchio. E
infatti, di nuovo:
“Ho bisogno di
te”
Ma non era di lei che
aveva bisogno o forse sì? Aveva capito molto sul poltergeist
in quel pomeriggio di studio intensivo ma alcuni punti rimanevano
oscuri.
Salvo una cosa: se non veniva fermato in tempo, il fantasma conduceva
tutte le persone che possedeva alla morte.
Kagome si strinse le mani al petto. Lei era lì con Eri e
salvo loro, nell’intero edificio c’erano solo altre
due persone.
Ayumi e Yuka.
- Oh … No!
- strillò.
Balzò dalla sedia, lasciandosi alle spalle una sbalordita
Eri e corse fuori a perdifiato, il capelli che le volavano sulla
schiena, diretta con sicurezza disarmante verso l’ultimo
piano. Scivolò due volte e fu costretta ad appoggiarsi alle
pareti per non rovinare a terra.
Alla terza rampa di scale che percorse, si ritrovò piegata
in due dal dolore alla milza, come se qualcuno le avesse piantato un
coltello fra le costole.
E intanto, la musica iniziava a sentire.
“Ho bisogno di
te”
“Ho bisogno di
te”
- Taci! -
strepitò Kagome fuori di sé, costringendosi a
ricominciare la sua corsa.
- Ho bisogno di te!
Kagome inciampò e questa volta cadde sul serio schermandosi
il viso con le braccia quando catapultò sui gradini a faccia
in avanti.
Quella che aveva udito non era più la voce immateriale ed
evanescente del poltergeist che cercava di manifestarsi,
bensì quella di Ayumi, tremante di rabbia e dolore.
- Tu hai bisogno di
lasciarmi andare- rispose la voce altrettanto sconvolta di
Yuka.
Kagome si alzò in piedi, le braccia doloranti dove avevano
sbattuto contro il pavimento.
- Vuoi dirmi che non mi
ami più? Dillo!
- Perché non
capisci che è finita?
- Non mi puoi lasciare!
- Vuoi sentirtelo dire?
Non ti amo!
- Divento pazzo se non
ti vedo!
- E’ finita!
- NON PUOI LASCIARMI,
MALEDETTA!
Eccola: Kagome sentì la frase e seppe di essere in ritardo.
Traeva lenti respiri dolorosi ed il fiato le usciva a sbuffi.
L’aria le mitragliava le pareti dei polmoni senza riempirli a
dovere. Arrancò esausta e la vista le si offuscò
per le lacrime.
- Mio Dio!
Quando giunse finalmente all’ultimo piano, le sue due amiche
si erano già spostate fuori, sul terrazzo, ignorando le
strisce gialle che delimitavano il luogo come zona del crimine.
Mentre si affrettava a seguirle, vide già senza doversene
accertare, Ayumi che puntava la pistola contro Yuka, esitava, urlava e
poi, per errore, faceva fuoco, colpendo l’altra in pieno
petto e mandandola a precipitare nel vuoto, oltre la ringhiera del
terrazzo.
Spalancò la porta che conduceva all’esterno e
corse alla cieca, senza neppure guardare dove stava andando.
- No! -
gridò Ayumi proprio in quel momento - non trattarmi come uno stupido!
Kagome si gettò sull’amica, atterrita, speranzosa
e la abbrancò all’altezza delle gambe.
La canna della pistola cambiò traiettoria, puntandosi
innocua verso il cielo ma era tardi: il colpo di pistola era esploso e
Kagome ne conservò nella memoria il secco rumore rimbombante
che significava una cosa sola.
- Oh, no. No
- gemette.
- Ma che succede?-
chiese Ayumi, alzando su di lei uno sguardo totalmente smarrito.
Kagome non trovò il fiato per rispondere. Si nascose il viso
tra le mani e lasciò che le lacrime che si erano accumulate
agli angoli dei suoi occhi cadessero, inzuppandole il viso,
strappandole dal petto ancora senza fiato, singhiozzi disperati.
- Già, che
succede? Vorrei saperlo anch’io.
Silenzio. La ragazza non ebbe il coraggio di accettare
quanto aveva appena udito. L'aveva immaginato?
Alzò uno sguardo timoroso e quello si puntò da
sola su Yuka, illesa, dieci metri più in là di
dove ricordava che fosse.
A stringerla per il retro del colletto, in equilibrio sulla ringhiera
del terrazzo, c’era Inuyasha.
Inuyasha.
Inuyasha era tornato da lei ed era venuto a prenderla a scuola,
seguendo la scia di quell’odore che tanto gli piaceva.
Inuyasha era arrivato per fare pace.
Inuyasha aveva salvato la vita di Yuka, tirandola via dalla traiettoria
del proiettile e trasportandola al sicuro.
Kagome abbassò le mani dal proprio volto e le strinse in
grembo.
Spavento, paura, angoscia, sorpresa, sollievo.
Avrebbe potuto provare una sola o forse tutte queste sensazioni ma non
fu così.
Kagome, a terra accanto alla sua compagna di classe, sulla terrazza
della scuola, dopo aver quasi visto morire una sua amica,
guardò negli occhi gialli di Inuyasha e provò
amore.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Rosario ***
Il ghiaccio sulle braccia arrossate fu un sollievo. Sua madre ne aveva
riempito la borsa ed Inuyasha si era preso la premura di poggiargliela
sulla pelle sbucciata, finché Kagome non aveva confermato
che il bruciore era diminuito.
La borsa del ghiaccio ora giaceva sul davanzale della finestra aperta.
La brezza fresca e leggera gonfiava a tratti la tenda violetta e le
voci dei due ragazzi erano poco più di un mormorio che il
fruscio della stoffa mascherava quasi del tutto.
- Lui si chiama- si
chiamava- Niito Imai. Frequentava l’ultimo anno.
Inuyasha si accomodò meglio contro la parete ed il materasso
cigolo lievemente al suo spostamento. I fogli sparpagliati coprivano il
pavimento conferendo alla camera di Kagome un aspetto caotico
di chi non riesce ad organizzare coerentemente gli spazi.
Tutti quei colori sulla carta erano … Affascinanti.
- Quella che ha ucciso-
proseguì la ragazza- era
la sua insegnante. Fumie Mori.
Kagome piegò la testa di lato fissando nella memoria ogni
minimo particolare dei volti che aveva trovato su un vecchio articolo
on line e successivamente stampato.
Fumie era una bella donna sui trentacinque anni, dagli occhi colmi di
calore, un viso dolce come il miele ed una cascata di capelli corvini,
acconciati come andava di moda all’epoca.
Il ragazzo, Niito, era uno studente dell’ultimo anno
dall’aspetto ordinario come quello che avrebbe
potuto avere Hojo o uno qualsiasi dei suoi compagni di scuola, i
capelli scuri tagliati corti ed il primo bottone della divisa blu
sbottonato.
Il viso che Niito mostrava ora era molto diverso.
- E si sa
cos’è successo?- domandò
Inuyasha a voce bassa.
- Erano amanti-
spiegò Kagome -
per un po’ hanno mandato avanti una relazione clandestina che
poi lei ha cercato di troncare. Lui non è riuscito ad
accettarlo e all’ultima discussione che hanno avuto si
è portato una pistola. E’ successo come abbiamo
visto: l’ha inseguita fino al terrazzo e poi ha fatto fuoco,
per sbaglio.
La ragazza interruppe il proprio racconto, l’artiglio della
pena a pungolarle lo stomaco: Niito era stato avventato, forse pazzo,
ma lei si chiese prima di tutto cosa avesse provato ad uccidere per
errore la persona che amava.
Quando i capelli di Inuyasha, che si era sporto oltre la sua spalla per
vedere meglio, le piovvero davanti al viso, li toccò con
affetto, grata che lui fosse lì, concreto e presente e
soprattutto vivo.
- E poi?
- Poi … -
cercò di riordinare le idee - quando si è reso
conto di quello che aveva fatto è sceso nell’aula
che per la festa del cinquantesimo era stata adibita a sala da ballo,
ha fatto partire il disco della loro canzone e si è sparato.
Inuyasha rimase in silenzio ad assimilare le informazioni.
Ormai aveva imparato il significato di tutte quelle parole
dell’epoca di Kagome, come
“pistola” e “sparato”
ma ancora lo spiazzava quanta violenza fosse racchiusa in quei termini
e quanto fosse alla portata di tutti. In quel posto non dovevi essere
in grado di brandire una spada per uccidere: ti bastava muovere un
singolo dito.
- E nessuno
l’ha fermato?
- Cosa? No, non
è successo durante la festa ma qualche giorno prima: la
scuola era deserta.
- Un po’ come
ieri.
- Già.
Kagome lasciò scivolare il foglio dalle dita e quello si
unì agli altri che ingombravano i pavimento.
Il giorno prima, dopo la frenesia del tentativo di salvataggio di Yuka
ed Ayumi, si era concluso con bizzarra lentezza, scandito soprattutto
da visi smarriti ed occhiate interrogative.
Kagome avrebbe tanto voluto scappare senza fornire informazioni ma
doveva alle sue amiche qualche risposta, nei limiti di quello che le
era concesso svelare.
Entrambe le ragazze, come chi era stato posseduto prima di loro,
ricordavano la serie di azioni apparentemente insensate che avevano
compiuto, compresa la pistola che Ayumi si era ritrovata dal nulla fra
le dita.
Kagome aveva fatto la finta tonta, fingendo, seppur sentendosi in colpa
per la bugia, di saperne quanto loro. Inuyasha, dal canto suo aveva
raccontato, con il suo solito fare scontroso, di essersi sempre trovato
sulla terrazza e di aver scostato la ragazza dalla traiettoria del
proiettile per puro istinto.
Schermandosi burberamente dai ringraziamenti, il mezzo demone aveva
scoraggiato ogni tentativo di conversazione; aveva guardato di
sottecchi Kagome ed aveva fatto per andarsene, passando per
l’interno dell’edificio.
Era stato allora che Kagome aveva colto al volo
l’opportunità di riappacificarsi con lui.
- Inuyasha, aspetta! -
aveva chiamato, lasciando a bocca aperta le sue amiche che avevano
assunto, data la loro iniziale mancanza di contatti, che i due non si
conoscessero.
- Ragazze-
aveva suggerito lei, prima di andarsene - vi consiglio di andare a
prendere Eri e di tornare a casa. Questo - osò
- è successo
anche a Eizo, quando … Ha sparato alla nostra professoressa.
Lasciandosi indietro un silenzio attonito ed allarmato, Kagome era
corsa via, da Inuyasha che l’aveva attesa con la schiena
appoggiata allo stipite della porta e l’espressione
malmostosa.
- Non ti posso lasciare
sola un attimo- aveva detto, non per la prima volta.
- No-
Kagome si era girata, trovando Yuka ed Ayumi che la fissavano con
espressione indecifrabile; allora si era avvicinata di più
al ragazzo e aveva fatto scivolare il proprio braccio sotto al suo - ma io sono contenta. E non
è vero che mi vergogno di te, Inuyasha.
Lui era arrossito lievemente, conscio che la ragazza stava dimostrando
affetto nei suoi confronti proprio davanti a quelle amiche dalle quali
il giorno prima aveva cercato di nasconderlo.
- Non posso credere che
tu stia saltando scuola!- esclamò poi il mezzo
demone, riportandola al presente.
- Mamma ha detto che
posso. E poi non me la sento di andare di nuovo là con il
rischio di incontrare Niito di nuovo senza sapere come fermarlo.
- Che ne sai che
è lui? Non può essere la donna, invece?
- Può essere
ma io non credo. Lo spirito è troppo arrabbiato ed
irrazionale per essere un fantasma adulto. Inoltre il poltergeist medio
è quasi sempre un adolescente.
Inuyasha annuì ma Kagome non riuscì a capire se
l’aveva convinto o meno.
- Così la
prossima volta dobbiamo affrontarlo, sempre se scopriamo come si fa.
- Oh, un modo lo
troveremo, fidati.
- Che ne sai?
Kagome sorrise; la tenda viola svolazzò di nuovo, mossa da
una folata di vento.
- Perché
cambiare un metodo che si è rivelato vincente? Torniamo in
biblioteca!
__________________________________________________________________________________
- Non potevi aspettare
domani e usare i puter della scuola?
- COMputer, Inuyasha. E
comunque te l’ho detto, non voglio tornare a scuola.
- Hai paura di questo
ridicolo fantasma? Sei senza spina dorsale.
Kagome reputò che evitare di rispondere fosse la scelta
migliore. Inuyasha si era imbronciato di nuovo ed a tempo di record,
con ogni probabilità perché non amava la
biblioteca.
- Guarda-
chiamò, nel tentativo di farlo sentire più
partecipe.
Il mezzo demone appoggiò una mano al tavolo accanto alla
tastiera ed avvicinò la testa alla sua per guardare lo
schermo; Kagome fece di tutto per non irrigidirsi per quella vicinanza
ma le guance le si colorarono di rosso. Si diede dell’idiota.
- Esorcismo-
lesse Inuyasha - lo so
cos’è.
- Cerimonia compiuta con
preghiere e con particolari gesti ed oggetti per liberare dagli spiriti
maligni- completò Kagome, riportando ad alta
voce quanto era scritto sull’articolo che aveva trovato.
- Vuoi cacciare il
fantasma così?- si stupì il ragazzo
- credi davvero di
essere capace?
- Ehi, grazie per la
fiducia!- insorse lei, punta sul vivo- e comunque sì.
Però mi devi dare una mano.
Inuyasha raddrizzò la schiena e si stiracchiò.
Kagome lo imitò e gli calcò per bene il berretto
sul capo.
- Io non ho poteri
spirituali. Come faccio ad aiutarti?
- Non servono poteri
spirituali, basta che tu ti metta dove dico io, con l’oggetto
che dico io, nel posto che dico io e faccia quello che dico io!
Inuyasha aggrottò le sopracciglia con fare che a Kagome
parve quasi disgustato.
- Faccio il tuo cane, in
pratica.
- Esatt … No,
che hai capito?
Kagome si portò le mani alla bocca, conscia di essersi
lasciata sfuggire una singola parola di troppo. Eccola, di nuovo. Aveva
appena fatto pace con Inuyasha ma tutto suggeriva che presto ci sarebbe
stata una nuova discussione.
- Nulla di nuovo-
sbuffò Inuyasha- Ti
porto a spalle, ti riparo dai colpi rivolti a te e ora eseguo pari pari
tutto quello che mi ordini. Pena l’attivazione di questa
schifezza.
Il ragazzo tormentò con disprezzo i grani del rosario,
tirandoli fino sopra la testa dove si accesero di bianco, impedendogli
di sfilarlo.
- Oh, Inuyasha, non
prenderla così- tentò Kagome- stavo solo scherzando
… Ti ho chiesto una mano!
Il mezzo demone non abbandonò il suo umore burrascoso che si
era presentato di sorpresa, né smise di stringere fra le
dita le perle nere della sua collana o, forse, del suo collare. La
ragazza le osservò affascinata catturare la luce bassa della
biblioteca e mandare vaghi bagliori tondi sul viso di chi
l’indossava.
- Cosa
c’è che non va? E’ ancora per ieri? Ti
chiedo scusa, va bene?
I grani tintinnarono quando Inuyasha finalmente smise di tormentarli e
lasciò che tornassero al loro posto. Kikyo aveva posto su di
loro l’incantesimo ma era stata Kaede a costringerli attorno
al suo collo, mentre Kagome era l’unica con il potere di
attivarli. Con quale reale diritto?
Protezione?
No. Kagome si era servita di quel mezzo per vendicarsi di ragioni
personali, forte del fatto che era l’unico attacco al quale
il mezzo demone non poteva opporsi.
- Allora, cosa diamine
dovremmo fare?- incalzò Inuyasha, cambiando
repentinamente argomento.
- Oh!- la
ragazza rimase per un attimo ammutolita, colta alla sprovvista, ma si
affrettò ad incoraggiare la nuova piega della conversazione.
- Dobbiamo procurarci
delle candele, cinque e metterle in modo da formare un pentacolo.
- Dove?
- A scuola, no?-
Kagome scosse la testa, cercando di schiarirsi le idee. I suoi dubbi
circa il rosario di Inuyasha le impedivano di concentrarsi su quello
che stava dicendo- Poi
io e te ci mettiamo nei due punti dove lo spirito ama manifestarsi, il
terrazzo e l’aula dove l’ho visto la prima volta,
dove si è sparato e pronunciamo la nostra formula.
- Io vado sul terrazzo-
si offrì Inuyasha-
tutto qui?
- Tutto qui-
confermò Kagome.
Chiuse la pagina, cliccando la casella rossa in alto a destra e si
stropicciò gli occhi affaticati. Non aveva capito come e
neanche se
la conversazione con Inuyasha circa il suo abusare del potere del
rosario si era risolta, ma lei si disse che qualcosa poteva fare in
merito.
- Ed il fantasma che
fine fa?
- Non lo so. Raggiunge
l’aldilà?- fece, sovrappensiero.
Poteva evitare di pronunciare tutti quegli “A cuccia!”,
quelli a casaccio, quelli per ripicca e quelli a ripetizione. Un
po’ le scocciava perché a volte riteneva davvero
che quel tonto se le andasse a cercare ma così si sarebbe
sentita meno infantile e vendicativa e più adulta.
- Kagome, che cretina,
non puoi guardare?- domandò Inuyasha con aria
di disapprovazione.
- Guardare cosa?
-. Dove
finirà il fantasma! Secondo me è tutta una
pagliacciata, non servirà a niente.
- Ma no, sono sicura che
funzionerà: è un sito attendibile.
- Non so di che parli.
Per me è una cretinata. Riuscirai solo a rischiare il collo.
- Piantala, Inuyasha, ti
ho detto che funzionerà.
- E io dovrò
salvarti come al solito.
-
A cuccia!
Nota:
mi piace pensare a questo capitolo come ad uno "di transizione" se
così si può dire, perchè non mi va
molto a genio appiccicare tutti gli avvenimenti uno dietro l'altro
senza un minimo di respiro. Spero non sia risultato noioso e di non
essere finita OOC.
Nel prossimo
capitolo, come anticipato, Esorcismo! ... E una piccola svolta fra
questi due rimbambiti qui!XD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Esorcismo ***
L’atmosfera era così pesante, l’aria
così densa … Non si riusciva a respirare, eppure
erano all’aperto.
Kagome guardò in tralice Inuyasha, vergognandosi come una
ladra per quell’ “A
cuccia!” che gli aveva rifilato, giusto due
secondi dopo essersi mentalmente ripromessa di limitarsi.
L’unica nota positiva era appunto che Kagome non aveva
parlato ad alta voce di tale intenzione, altrimenti lo sguardo che il
mezzo demone le aveva lanciato dal pavimento della biblioteca sarebbe
stato dieci volte più accusatorio.
- Eh … Scusa,
Inuyasha- tentò.
Per tutta risposta, lui alzò il mento e sbuffò
senza rispondere.
Mantenne il cipiglio offeso per tutta la strada del ritorno e non si
degnò di salutare nessuno quando entrò in casa ma
fulminò tutto ciò che gli capitò sotto
gli occhi, da Sota al gatto Buyo alla tenda viola della camera di
Kagome.
- Hai in mente di
restare arrabbiato per sempre?- insistette la ragazza,
chiudendo la porta della sua stanza - ti ho già chiesto
scusa!
- Sì,
sì- concesse Inuyasha, appollaiandosi sul
davanzale; Kagome incrociò le braccia e lo
studiò, senza sapere cosa fare per togliere quel broncio dal
viso del ragazzo.
Sì avvicinò.
- Ehi? Non sei neanche
un po’ emozionato? Stasera tentiamo un esorcismo!
- Non è
proprio il mio genere- la smontò.
- Beh, non hai mai
provato- borbottò Kagome desolata.
Lo guardò e come sempre il suo cuore aumentò i
battiti. Era vero, lo preferiva senza quell’espressione
corrucciata in viso, ma lo trovava comunque bello. Bello
perché era bello. Bello perché lo amava.
Perché si fidava.
- Ehi, Inuyasha-
chiamò, afferrandolo per le spalle e costringendolo a
guardarla.
Arrossì quando lui le puntò contro quelle colate
d’ambra che erano i suoi occhi ma sostenne il suo sguardo.
- Scusa-
ripeté -quel
rosario è un oggetto di potere. Ho sbagliato ad usarlo per
ripicca personale, non avrei dovuto. Kaede te l’ha messo per
proteggermi da te, ma … Sei tu quello che mi protegge,
adesso. Quindi non ti serve più.
In un gesto secco e deciso, Kagome strinse le mani attorno ai grani del
rosario di Inuyasha, sentendolo pulsare della magia della quale la
sacerdotessa Kikyo li aveva investiti, e, forte del potere identico al
suo, glielo sfilò dalla testa, liberandolo.
Il silenzio che seguì fu uno dei più fragorosi
che entrambi ebbero mai sentito.
Kagome lasciò scivolare il rosario sul pavimento, dove cadde
con un tonfo insignificante.
Inuyasha la guardò sbigottito, con occhi spalancati e si
toccò il collo libero.
- Kagome …
- Ora possiamo passare
oltre, per favore?
Kagome fece per raddrizzarsi ma Inuyasha la trattenne, prendendola per
il polso con delicatezza inaspettata. Lei rimase chinata vicino al suo
viso, respirando il suo odore che sapeva riconoscere ed amare.
Lo guardò chiudere gli occhi ed appoggiare la fronte contro
la sua. Tremò.
- Grazie-
le disse.
Kagome non aveva mai udito nessuna parola pronunciata con tanta
disarmante sincerità.
- Prego.
Lasciò che le palpebre le calassero sugli occhi e rimase a
sentire il proprio respiro stabilizzarsi nuovamente, la mano di
Inuyasha sulla pelle ed i suoi capelli freschi sul viso.
Sospirò. Con un po’ di fatica, avevano fatto pace.
__________________________________________________________________________________
- Smettila di toccarti
il collo: ti si arrosserà la pelle!
- Questo succede solo a
voi umani!
Kagome alzò gli occhi al cielo e ricontrollò il
materiale che aveva raccolto ed infilato in un sacchetto di plastica
della spesa, assai poco consono per ciò che conteneva.
Le candele nere erano cinque, gli accendini solo due, così
come i fogli con la formula da recitare. A stridere con gli oggetti
mistici c’erano due piantine della scuola ed un
antiquato orologio da taschino che Kagome aveva scovato in casa e che
aveva sincronizzato con il suo, indossato solo per
quell’occasione.
Al momento opportuno l’avrebbe dato ad Inuyasha
perché potesse controllare l’ora esatta nella
quale accendere la candela e pronunciare la formula che avrebbe
scacciato l’inquieto spirito di Niito via da quel luogo.
- Comunque a me sembra
troppo semplice - obiettò il mezzo demone -due parole ed il poltergeist se
ne va? Ma andiamo!
- Non sono semplici
parole. Sono potenti. Come le mie frecce: dentro
c’è tutto il mio potere.
- Sarà.
Le ombre si allungavano man mano che il sole spariva
all’orizzonte: sembrava frettoloso di lasciare quel lato
della Terra al buio; l’edificio della scuola si
colorò di un rosso che a Kagome fece pensare al sangue,
prima di piombare nell’oscurità.
- Bene, direi che ci
siamo- esordì, cercando invano di assumere un
atteggiamento efficiente.
Aveva i brividi ed i peli ritti sulle braccia; aveva letto che non era
insolito che il poltergeist si ribellasse all’esorcismo,
rifiutandosi di abbandonare il luogo della propria morte. La formula,
come minimo, sarebbe stato solo l’inizio.
Estrasse le candele e ne porse due ad Inuyasha tenendone tre per
sé. Caricò poi le mani del mezzo demone di un
accendino, una piantina e del vecchio orologio.
- Tutto chiaro?-
si sincerò- aspetti
che la lancetta corta sia sul dieci e quella lunga sul dodici. Domande?
- Sì-
fece lui- perché
siamo venuti qui così presto? La lancetta corta è
solo sull’otto!
- Perché ci
dobbiamo preparare. E adesso vai!
Lo spinse lontano, prima che l’istinto l’obbligasse
a stringerlo a sé. Lo guardò allontanarsi,
voltandosi di quando in quando a controllarla e lesse nei suoi occhi la
certezza matematica che si sarebbe trovata nei guai
nell’istante stesso in cui sarebbe sparita dalla sua vista.
Quando il mezzo demone girò l’angolo, la paura la
assalì inesorabilmente ma cercò di controllarla,
studiando la piantina. Aveva segnato i punti esatti
dell’edificio nei quali avrebbero dovuto posizionare le
candele per formare il pentacolo: tre nel piano dove Niito era morto,
due in quello dove aveva sparato a Fumie.
Inuyasha aveva ribadito che si sarebbe occupato lui del piano del
terrazzo perché anche se fosse finito di sotto, il massimo
che avrebbe rischiato sarebbe stata qualche ammaccatura; con
spavalderia le aveva anche assicurato che non sarebbe bastato neppure
un colpo di pistola a metterlo in difficoltà ma su questo,
Kagome aveva qualche riserva.
Man mano che camminava nella scuola deserta, accese tutte le luci ma la
vista dei corridoi desolati non aiutò i suoi nervi
più di tanto.
Posizionò la prima candela nell’aula di
informatica, ben lontano da tutto ciò che potesse essere
infiammabile; si prese tutto il tempo necessario per assicurarsi che
non sarebbe caduta a terra e che la fiamma non si sarebbe spenta.
Ripiegò dunque in quattro il foglio con la formula e lo
passò meticolosamente nel fumo che il fuoco della candela
provocava e ne bruciò il primo angolo.
Silenzio.
Kagome si alzò, le dita nere di cenere il foglio ed
uscì di gran carriera. La musica stava cominciando: Niito li
aveva sentiti.
Inuyasha si rimboccò le maniche e sedette nel centro del
corridoio; sapeva che una qualche diavoleria di quell'epoca gli avrebbe
permesso di attivare una luce artificiale ma non sapeva quale
così rimase al buio.
Sfregò la rotellina dell’accendino come Kagome gli
aveva insegnato ed accese la candela nera, lì, nella lunga
via costellata da porte di aule.
Si sentì ridicolo a far ondeggiare il suo foglietto appena
sopra la fiammella e ad incendiarne un singolo angolo ma
così erano le istruzioni di Kagome e non aveva motivo per
dubitarne.
Drizzò le orecchie e riuscì ad udire le
vaghissime note di una canzone che riconobbe; toccò
l’impugnatura di Tessaiga, chiedendosi iroso se non sarebbe
semplicemente passata attraverso al fantasma senza sfiorarlo. Si
alzò: il tempo volava e lui doveva ancora accendere una
candela.
Kagome entrò circospetta nell’aula dove aveva
visto Niito per la prima volta: era vuota ma la musica la invadeva in
soffuse note malinconiche. Aveva lasciato la seconda candela ai piedi
delle scale e quella che stringeva tra le mani era l’ultima.
Il foglietto era bruciato su due angoli e presto sarebbe stato
cenere. Controllò l’orologio e si
accorse che mancava ancora una mezz’ora abbondante
all’ora prestabilita.
La luce si spense.
- Ah!
Kagome indietreggiò suo malgrado, andò a cozzare
contro i banchi alle sue spalle e ne rovesciò due.
Recuperò l’equilibrio all’ultimo e
candela, accendino e foglio le sfuggirono di mano.
- Cavoli!
Si mise carponi, alla ricerca di quanto perduto, cercando in tutti i
modi di ignorare la musica che invadeva la stanza, bassa ma inesorabile.
Recuperò per primo l’accendino e alla tenue luce
della sua fiammella trovò la candela nera ed il foglio con
la formula.
“Ho bisogno di
te”
- No, non di me-
corresse la voce - di
Fumie.
Ma la pelle le si era accapponata e le ginocchia presero a tremarle.
Controllò l’orologio. Era già ora. Come
funzionava il tempo all’interno di un edificio infestato?
- Beh, Inuyasha, spero
che tu sia pronto- disse ad alta voce.
Ed accese la candela.
Rampe di scale più sopra, il mezzo demone
contemplò la città sprofondata nella notte,
edifici rettangolari illuminati da spicchi altrettanto rettangolari al
loro interno.
Il vento sul terrazzo soffiava forte e per ottenere la fiamma, dovette
sfregare la rotella più volte; la candela si accese a stento
e fu costretto a proteggerla con una mano per non farla spegnere.
Controllò le lancette sul quadrante rotondo: ora.
Anche senza vederla, immaginò Kagome intenta quanto lui a
leggere per l’ultima volta la frase e bruciare
contemporaneamente la carta dove era stata scritta.
- Con queste parole io
ti caccio/dal mondo dei vivi che più non ti appartiene/con
il fuoco il pentacolo traccio/e ti libero dalle trame terrene.
Inuyasha aprì le mani e la carta bruciata volò
via nella notte; la luce della candela resistette. Tese
l’orecchio e non udì più musica. Si
concesse un sospiro.
Poi, nelle sue orecchie impreparate esplose un colpo secco, la stessa
esplosione che aveva provocato la strana arma nelle mani dell'amica di
Kagome. La candela si spense in uno sbuffo di vento. La
guardò rovesciarsi e cadere verso il pavimento del terrazzo.
Si girò.
Non era più solo, lì.
Mentre la musica si alzava di nuovo, vide una figura con la schiena
contro la ringhiera, i lunghi capelli neri a celarle il volto.
- Tu! Te ne vuoi andare
e piantarla di rompere?
Estrasse Tessaiga e gliela puntò contro e fu forse questo
che la spinse ad alzare il volto ed a guardarlo.
Come aveva detto Kagome, c’erano orbite vuote al posto degli
occhi, pelle incancrenita ed un volto inequivocabilmente morto a
guardarlo. Ma anche così lo riconobbe: non era un ragazzo.
Era una donna.
Fumie Mori digrignò i denti, alzò le mani
macilente per mostrargli il sangue rosso cupo che le sgorgava dalla
ferita al petto e poi con un preciso saltò
all’indietro, precipitò nel vuoto.
Inuyasha rimase immobile per un singolo attimo.
- Kagome-
disse poi e si precipitò verso la porta del terrazzo.
Kagome si scottò le dita nella foga di bruciare la formula
ed attese la bellezza di due secondi prima che il poltergeist arrivasse.
Poi questi si manifestò, rovesciando il banco dove si era
seduta e facendola rovinare a terra.
- No!-
gemette, ma la candela che stringeva fra le mani si spense miseramente.
Si alzò in piedi.
“Ho bisogno di
te”
Kagome mollò la candela e si coprì le orecchie
con le mani; la voce, la musica, le impedivano di sentire persino i
propri pensieri.
Cercò di uscire dall’aula ma ad uno ad uno i
banchi si rovesciarono davanti alle sue gambe, rendendo insidioso il
percorso; scavalcò le strutture di legno una dopo
l’altra e fu quando ormai era arrivata quasi alla porta, che
i vetri delle finestre si frantumarono, esplodendo in mille pezzi
all’interno della stanza.
Kagome strillò, scivolando oltre la porta e corse di gran
carriera lungo il corridoio.
- Inuyasha!-
chiamò e lo vide, vicino alle scale ad aspettarla.
- Qui è
andato tutto storto! Andiamo!
Si aspettava un commento derisorio, magari un insulto ma non il
silenzio che ottenne.
- Inuyasha …?
Il mezzo demone si mosse verso di lei, entrando nel cono di luce che
filtrava da una finestra e tanto bastò a rivelarle che
quello non era Inuyasha.
Kagome riconobbe il volto marcio, i denti ingialliti visibili
attraverso i brandelli di pelle in decomposizione e le orbite cave di
Niito.
Mosse un passo indietro ma non fu abbastanza veloce: il poltergeist le
fu addosso in un attimo e lei ne fiutò l’alito
putrido quando la afferrò per le braccia, scuotendola con
quelle mani guaste dalle unghie annerite.
- Vattene!- ordinò, con voce roca, piena di terra.
Kagome lo guardò con occhi sbarrati, troppo orripilata per
reagire. Poi altre due mani la afferrarono, stavolta da dietro e lei si
lasciò tirare via da Niito da quello che sapeva essere
Inuyasha.
- Sarà meglio
andare- borbottò lui cupo e senza tanti
complimenti se la caricò sulle spalle, allontanandosi dalla
figura del poltergeist che andava dissolvendosi.
- E’ andato
tutto storto- affermò Kagome per la seconda
volta, con voce piana. Un pensiero più complesso non lo
seppe formulare.
- Magari fosse
l’unico problema.
- Eh?
Kagome alzò la testa dalla spalla di Inuyasha e si rese
conto che il ragazzo la stava traendo in salvo da ben altro che da un
fantasma iracondo. C’era qualcosa che li inseguiva.
Mosche, centinaia, migliaia di mosche.
Kagome le guardò allucinata ronzare sempre più
vicino, sempre, sempre più vicino, con il loro disgustoso
frullare di ali, fino a che Inuyasha non balzò fuori
dall’edificio.
Allora, la ragazza fu depositata a terra e potè continuare
ad osservare, senza parole, quando stava succedendo: le mosche, insetti
favoriti dei corpi in decomposizione, avevano invaso la scuola ed il
cortile ed ora volavano in un denso sciame compatto attorno alla
struttura, senza lasciare la possibilità di tornarvi dentro.
Migliaia di migliaia di mosche. Kagome rabbrividì per lo
schifo.
- Comunque io
l’avevo detto che non avrebbe funzionato- tenne
presente Inuyasha.
Kagome si trovò ad annuire. Cos’altro poteva fare?
Il poltergeist li aveva chiusi fuori.
Non so
cosa pensare di questo capitolo. O_____O Non mi sento abbastanza
obiettiva ultimamente!
Ci tengo però a scrivere una riga sulla formula che hanno
pronunciato Inuyasha e Kagome: non è presa dalla puntata di
Buffy, l'ho inventata di sana pianta... Gli sceneggiatori di Buffy non
avrebbero mai scritto niente di così pessimo!XD Chiedo
venia, ma non sono proprio portata per questo genere di cose, due frasi
in rima sono già troppo per me!^^'''
P.S. Salvo imprevisti, mancano solo tre capitoli alla fine. Qualcun
altro è emozionato?XD XD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Sconfitta ***
Inuyasha ammortizzò il colpo piegando le ginocchia e prese
lo slancio per il salto successivo; Kagome affondò le dita
nelle sue spalle con più energia e guardò Tokyo
sfrecciare luminosa sotto di loro.
- Non farai molti test
con la scuola conciata così-
puntualizzò il mezzo demone- potremmo anche tornare nella mia
epoca e lasciar perdere.
- Dopo tutta la
confusione che abbiamo provocato? Dobbiamo rimettere tutto in ordine!
- Abbiamo?-
Inuyasha atterrò leggero davanti alla porta di casa della
ragazza e la lasciò scendere dalla sua schiena - è stata una tua idea!
Kagome strinse le labbra, chiedendosi quando l’altro si
sarebbe deciso a smetterla di recriminare.
- Comunque dobbiamo
rimettere tutto in ordine - ripeté spalancando
la porta.
Inuyasha la seguì oltre la soglia, piombando in un silenzio
malmostoso.
La casa era silenziosa, tutte le luci spente. Kagome afferrò
un lembo della manica di Inuyasha e si fece guidare dalla sua vista
più acuta attraverso le tenebre che colmavano la sua
abitazione; accese la luce nella sua camera con sollievo e fu
momentaneamente abbagliata dal chiarore improvviso.
Inuyasha piombò senza indugi sul suo materasso ed
incrociò le mani dietro alla testa; troppo stanca per
intimargli di togliersi dal suo posto, Kagome sedette accanto
a lui, addossandosi al muro più che poteva perché
nessuna parte dei loro corpi entrasse in contatto.
- Comunque qualcosa di
nuovo l’abbiamo scoperto- esordì.
Inuyasha aveva chiuso gli occhi ma annuì.
Era vero: il mezzo demone glielo aveva comunicato mentre si
allontanavano in fretta e furia dalla scuola infestata dalle mosche.
Kagome si era sbagliata: non c’era solo Niito ma anche Fumie
era bloccata nel limbo.
-E’ Niito che
la trattiene - raccontò Kagome - il suo dolore è
talmente forte che ha impedito anche a lei di lasciare la scuola.
- Questo tizio
è una persecuzione. Ci credo che lei volesse piantarlo.
- Era solo innamorato.
- Beh, l’amore
è una persecuzione, allora.
Kagome colse il tono definitivo dell’ultima frase e non
trattenne un sospiro. Le sarebbe piaciuto pensare che Inuyasha
avesse fatto quelle considerazioni sull’amore per sentito
dire. La colpiva sempre rimuginare sul fatto che anche lui era stato
innamorato. Non di lei.
Scivolò sul materasso e si mosse fino a quando la sua testa
non si appoggiò alla spalla di Inuyasha. Solo allora,
incoraggiata dall’immobilità dell’altro,
si concesse di chiudere gli occhi.
- Se erano amanti-
cercò di difendere Niito - allora anche lei doveva provare
qualcosa per lui. Non sappiamo perché lei abbia voluto
rompere.
- Anche da morto la
tormenta- commentò Inuyasha con più
veleno di quanto si sarebbe aspettata.
- E’ solo
disperato. Non può andarsene se non ha quello che vuole e
quello che vuole deve essere strettamente legato a Fumie. Ma cosa sia
di preciso …
- Non è ovvio
cosa vuole?- sbuffò lui.
Sotto il suo orecchio, il cuore di Inuyasha prese a palpitare
freneticamente. Kagome spostò la testa per premervi il
palmo, meravigliata.
- Vuole essere perdonato-
rivelò il ragazzo.
- Sì!-
affermò lei -
Sì, può essere! Ma …
Kagome spostò la mano e, forse prendendosi troppa
libertà, circondò il torace di Inuyasha con il
braccio, finché la sua mano non fu adagiata contro le sue
costole, dal lato opposto di dove era sdraiata.
Il mezzo demone non compì alcun gesto per scrollarsela di
dosso ma neppure incoraggiò le sue azioni; rimase
semplicemente immobile salvo per i denti, che Kagome vedeva contrarsi
sotto le sue guance.
Desiderò toccare quella pelle chiara, per vedere se il
contatto con le sue dita avrebbe potuto calmare
quell’irrequietudine ma il coraggio le mancò
quando la sua mano fu a pochi centimetri dal viso di Inuyasha. La
ritirò.
- Ma quando Niito
possiede le persone, le costringe a rivivere quello che ha fatto lui,
senza cambiare nulla. E’ destinato ad uccidere Fumie in
eterno … Così il perdono impossibile.
- Bene-
dichiarò Inuyasha con inaspettata cattiveria - perché non se lo
merita.
Kagome ascoltò il livore nelle parole e sobbalzò
quando il mezzo demone si tirò in piedi, scostandosi infine
dal suo abbraccio.
Camminò fino al centro della stanza ed osservò la
ragazza con occhi di fuoco, colmi di inequivocabile disprezzo; lei si
sentì raggelata da quello sguardo così
inaspettatamente severo e dall’improvvisa mancanza del calore
del corpo di Inuyasha contro il proprio.
- Quel Niito -
sillabò lui, quasi con disgusto - Ha distrutto la donna che amava.
Non è qualcosa che si può perdonare. Non importa
se lui ora sa di essere stato un idiota ed uno stupido ed un egoista.
Questo è qualcosa con la quale dovrà vivere.
Punto.
Kagome tacque ma non perché non sapeva cosa dire.
Avrebbe potuto comunicare ad Inuyasha cosa aveva sentito quando
l’aveva udito condannare Niito: l’aveva chiaramente
riconosciuto mentre parlava di se stesso.
Di nuovo, il nome di Kikyo si faceva spazio fra di loro, consistente
come una presenza autentica che aumentava lo spazio tra loro, facendo
sembrare i due capi della stanza che occupavano lontani migliaia di
chilometri.
Inuyasha ricordava di come l’aver creduto che Kikyo non
l’amasse l’avesse accecato di dolore a tal punto da
spingerlo ad attaccare il villaggio e rubare la Sfera dei Quattro
spiriti.
E dopo, come Niito e Fumie, anche Inuyasha e Kikyo erano morti
… Per un po’.
Poi erano tornati, entrambi, seppure in forma diversa, integri nel
corpo ma eternamente feriti nell’animo.
Il senso di colpa divorava Inuyasha ogni nuovo giorno ed una parte di
lui, Kagome ne era certa, desiderava quel dolore, perché era
tutto ciò che rimaneva della prima volta che aveva ricevuto
amore.
Come non riconoscersi in Niito? Come perdonare la cieca furia per un
amore non corrisposto, se lui l’aveva provata identica e
l’aveva condotto ad una quasi identica fine?
- Non ci può
vivere, Inuyasha
- disse Kagome lentamente -
è morto.
Le parve quasi di sentire i denti dell’altro stridere quando
li digrignò per l’ennesima volta; senza una
parola, il ragazzo nascose le mani nelle ampie maniche rosse ed
uscì con malagrazia dalla porta, lasciandola da sola.
Kagome non ebbe la forza di chiamarlo indietro, anche se per un
secondo, l’ormai inutile “A
cuccia!” aveva premuto per uscirle dalle labbra.
Si rannicchiò sul letto, dove Inuyasha era stato straiato
poco prima e cercò, senza trovarlo, il suo odore buono.
L’Inuyasha invaso dal dolore sembrava sempre troppo. Troppo
divorato, troppo fuori dalla sua portata, troppo adulto,
perché quello era dolore di un uomo e non di un ragazzo.
Kagome strinse il cuscino fra le braccia.
E Niito, anche lui, restava irrequieto e lei non sapeva come calmarlo.
__________________________________________________________________________________
Inuyasha lasciò scorrere dietro di sé la porta
della cucina e sedette solo, sul lato più lungo del tavolo.
Voleva tornarsene nella sua epoca e questo era quanto.
Non intendeva avere più nulla a che fare con quegli stupidi
fantasmi, o come diavolo si chiamavano e con le loro ridicole vicende
amorose.
Kagome, con i suoi tentativi di prendere in mano le redini della
situazione, aveva solo finito con il peggiorare i fatti, tanto che ora
il signor ti ammazzo
perché non posso averti Niito, aveva
trasformato la scuola in un nido di mosche che certo il giorno
successivo non sarebbe passato inosservato agli occhi degli altri umani.
Allungò le braccia sulla superficie del tavolo e
colpì con il gomito un foglietto ripiegato.
Bastò un secondo per riconoscerlo dopo averlo raccolto: era
uno di quegli stupidi affari dei quali non aveva ancora capito il nome,
che volevano invitare la gente a celebrare il centesimo anno che la
scuola esisteva: che gigantesca idiozia.
Accartocciò il foglio, traendo piacere nell’udire
la lacerazione della carta, per non dover più vedere il
disegno di quella stupida costruzione a forma di cubo, che certo
procurava più guai di quanti non ne valesse.
“Ho bisogno di
te”
Le orecchie del mezzo demone guizzarono in direzione della voce che
aveva sentito; anche qui? Si alzò.
- Piantala o ti faccio
fuori. Di nuovo. Vattene da qui!
Non aveva idea che il fantasma potesse allontanarsi dal luogo dove era
morto né tantomeno che potesse inseguirli. Cercava lui o
forse Kagome?
Si precipitò fuori dalla stanza e si fiondò su
per i gradini, diretto nella camera della ragazza.
“Ho bisogno di
te”
Si fermò. Le dita gli si contrassero contro il mancorrente
poi scivolarono giù, quando il braccio piombò
lungo il suo fianco, come se fosse diventato di piombo.
Inuyasha girò su se stesso e percorse le scale in senso
opposto, dirigendosi con sicurezza verso l’uscita; non
degnò la casa di una sola ultima occhiata, prima di
lasciarla e sparire nell’onda di buio che
l’attendeva all’esterno.
La testa di Kagome spuntò fra la porta e lo stipite della
sua camera forse una manciata di secondi più tardi.
- Inuyasha?
Scese le scale alla cieca e premette l’interruttore di un
lampadario solo quando fu giunta al pianterreno. La casa era muta,
sprofondata in un’atmosfera che aveva
dell’innaturale ed il mezzo demone non si scorgeva da nessuna
parte.
Kagome sedette al tavolo della cucina, senza sapere che era lo stesso
lato che aveva preferito Inuyasha pochissimo tempo prima; raccolse
mestamente il foglio accartocciato del volantino che le aveva dato Eri
quella che pareva una vita fa.
- Inuyasha?
- tentò ancora, senza aspettarsi una risposta.
Era tornato alla scuola? A che scopo? Kagome lo immaginò
sfoderare Tessaiga e sfruttare la Cicatrice del Vento per aprirsi un
passaggio in quella barriera di mosche; con ogni
probabilità, la potenza dell’attacco avrebbe raso
al suolo l’edificio intero.
Beh, non avrebbe più dovuto preoccuparsi dei compiti in
classe; Niito poi, non sarebbe certo riuscito ad infestare un cumulo di
detriti.
Kagome scosse la testa: se Inuyasha si era messo in testa di compiere
una delle sue solite azioni avventate, era suo preciso compito fermarlo.
Al pari del mezzo demone abbandonò il rifugio sicuro della
sua casa per precipitarsi all’esterno, nel cuore della notte.
L’alba era ancora lontana.
__________________________________________________________________________________
La ragazza rabbrividì per il disgusto. Il ronzio delle
mosche le riempì le orecchie, insistente e sgraziato,
provocandole un vago senso di nausea. Volavano formando un muro grigio
e compatto di insetti dalle ali che sfregavano e le zampette che si
agitavano frenetiche.
Le venne voglia di fare dietro-front e tornarsene da dove era venuta ma
si costrinse ad ispezionare la zona immediatamente prossima allo
sciame, senza peraltro trovare ciò che cercava.
Inuyasha non c’era.
Con un tuffo al cuore si domandò se non fosse semplicemente
tornato nella sua epoca, abbandonandola lì alle prese con
una scuola inaccessibile e due anime inquiete.
L’indignazione la soffocò per pochi secondi,
finché non capì.
“Ho bisogno di
te”
- Oh, lo so.
Così come Inuyasha si era riconosciuto in Niito, anche il
poltergeist si era riconosciuto nel mezzo demone; così
l’aveva chiamato. L’aveva scelto.
Niito si era preso il corpo di Inuyasha per interpretare ancora la sua
ultima sera di vita e l’aveva fatto attraversare la barriera
di mosche per farlo entrare nella scuola che intrappolava la sua anima.
Kagome osservò sgomenta i muri grigi, le finestre chiuse,
consapevole di non essersi mai trovata davanti nulla di altrettanto
inaccessibile.
Se non altro, rifletté, il posto era deserto. Non
c’era nessuno che avrebbe potuto interpretare il ruolo di
Fumie.
Dunque … Erano tutti al sicuro. Ma la storia rimaneva
incompleta. Come avrebbe potuto Inuyasha liberarsi della possessione di
Niito, che liberava le sue vittime solo dopo aver fatto fuoco?
“Ho bisogno di
te”
Il viso di Kagome perse ogni espressione, mentre le sue sopracciglia si
spianavano e la sua bocca abbandonava la linea tesa. Mosse qualche
passo incerto in avanti, in direzione dell’entrata principale
e, quando le mosche aprirono un corridoio sgombro per farla passare,
accelerò l’andatura.
Dietro la ragazza, gli insetti si richiusero compatti, tornando ad
impedire il passaggio.
Se qualcuno fosse passato in quel momento, avrebbe la porta a vetri
della scuola spalancarsi senza ausilio per lasciar entrare una
ragazzina dai capelli lunghi.
Se poi l’avesse riconosciuta, di certo l’avrebbe
chiamata per nome.
“Kagome!”
Ma lei non avrebbe risposto.
In sostanza, Kagome non era più lì.
Ooooooh, my God! Non che questo capitolo mi convinca più di
quello precedernte... Però volevo aggiornare, anche
perchè non so quando potrò farlo ancora.
Gli esami di maturità mi hanno presa e fatta loro in parole
povere ed ora conduco una vita da eremita (barba lunga e via
discorrendo). Quindi spero che questo capitolo sia abbastanza decente
da convincervi a leggere anche il prossimo la cui stesura è
in data da definirsi!XD
Spero che si sia capito che mo anche Kagome è allegramente
posseduta, io che lo scrivo lo so ma magari non l'ho reso
così bene come penso. O_____O
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Poltergeist ***
Niito esaminò il proprio corpo con piacere distaccato. Era
minuto, non molto alto, grazioso. Le sue mani erano piccole e dalle
unghie tagliate al filo del polpastrello e quando le affondò
tra i capelli, scoprì una chioma lunga nero inchiostro.
Era una donna, molto giovane.
Camminò con sicurezza, leggero, lungo quelle scale che tanto
conosceva, che mille altre volte aveva percorso, da vivo, e mille
altre, da morto.
Lo stomaco della ragazza -il suo- si contrasse, di paura e di
eccitazione, di amore e di rassegnazione.
Ed eccola lì, Fumie, ad aspettarlo, all’ultimo
piano della scuola che era la loro tomba.
Lei aveva trovato il corpo di un uomo, scattante, dagli arti lunghi ed
una zazzera di capelli già bianchi.
Gli dava le spalle, la schiena rigida per l’attesa e Niito si
accorse delle lacrime che gli appannavano la vista, già
pronte a scendere, in anticipazione.
Ed eccola, la sua tortura, sempre uguale, sempre ugualmente straziante,
che lo attendeva assieme alla donna che amava. La sua punizione eterna,
il suo bruciante pentimento che gli faceva vivere ancora e ancora -e
ancora e ancora- il giorno della loro morte.
Aprì la bocca della ragazza e cominciò la recita.
- Non puoi pensare che
sparirò così, solo perché dici che
è finita.
Fumie girò la testa del ragazzo e Niito riconobbe
l’espressione dolcissima ed affranta della donna che amava in
quei bizzarri occhi gialli.
- Vorrei solo avere una
vita normale e soprattutto vorrei che l’avessi tu. Io non
potrei dartela mai.
Il vecchio furore si fece spazio nella mente di Niito, annebbiandogli i
sensi.
- Non me ne importa
niente di avere una vita normale!- la voce sottile della
ragazza si ruppe per il pianto -
penso a te ogni secondo!
Una mano, calda, dal palmo ampio, sconosciuta ma che conservava tutto
il meraviglioso tocco di Fumie, scese ad accarezzargli la guancia.
- Lo so-
ammise- ma è
per questo che dobbiamo chiuderla qui.
Fumie si voltò in un fruscio di abiti rosso fuoco e fece per
allontanarsi da lui ma Niito la chiamò indietro.
- Fermati, ti supplico!
Ho bisogno di te!
- Tu hai bisogno di
lasciarmi andare!- replicò
l’insegnante con voce più ferma ma non lo guardava
ed aveva volto insistentemente voltato dall’altra parte.
La rincorse e l’afferrò per un braccio
costringendola a voltarsi: come aveva immaginato, c’erano
lacrime anche nei suoi occhi.
- Tu hai bisogno di
lasciarmi andare!- ripeté, perdendo il
controllo all’improvviso.
- Vuoi dirmi che non mi
ami più?- la sfidò -dillo!
- Perché non
capisci che è finita?
- Non mi puoi lasciare!
- Vuoi sentirtelo
dire?Ti farà stare meglio? Non ti amo. Non ti amo
più!
Eccola: la conversazione che diventava frenetica, la sua rabbia che
scalpitava pulsandogli nelle tempie e la sua stretta sempre
più serrata sul braccio di Fumie.
- Divento pazzo se non
ti vedo!
- E’ finita!
Il braccio coperto dalla stoffa rossa sfuggì dalle dita
femminili di Niito. Vide il ragazzo che era Fumie girarsi nuovamente e
cercare di scappare da lui, il passo incerto di chi sta resistendo ad
un dolore troppo acuto per essere sopportato.
Come il suo: quella pistola, a suo tempo l’aveva estratta
dalla tasca della sua divisa blu polveroso; ora si materializzava
automaticamente nella sua mano destra. La alzò, il dito
già pronto sul grilletto, la canna già puntata
verso la figura cremisi che si allontanava.
- NON PUOI LASCIARMI,
MALEDETTA!
Fumie rivolse il viso verso di lui, quasi contro la sua
volontà. Fu allora che si accorse della pistola.
- Mio Dio!
La guardò scappare, scappare davvero, percorrere il
corridoio di corsa per fuggire da lui ma non la lasciò
andare. Neanche per un secondo avrebbe voluto vederla uscire dal suo
campo visivo, così la inseguì, il peso
dell’arma a rendere leggermente sbilanciato il suo incedere.
Vide la sagoma rossa sparire oltre la porta del terrazzo, come sempre e
tuffarsi nelle tenebre che si addensavano all’esterno; in un
attimo le fu dietro.
- Fermati!-
intimò -non
farmelo fare!
Fumie sollevò gli avambracci in avanti mentre per
l’ennesima volta si voltava a guardalo, un gesto che quasi
indicava il suo desiderio di stringerlo fra le braccia. Ma la sua
schiena era premuta contro la ringhiera del terrazzo e c’era
inequivocabile paura nei suoi occhi.
- Non puoi decidere che
non mi ami più da un giorno all’altro!-
esclamò furioso.
- Cerchiamo di calmarci-
supplicò Fumie, le mani dalle unghie appuntite, scosse dai
tremiti.
Niito scosse la testa e strinse convulsamente la pistola, tanto da
perdere la sensibilità nelle dita.
- Dammi la pistola-
chiese la donna in un vano tentativo di controllare la voce.
- No! -
Niito gridò al culmine dell’ira - non trattarmi come uno stupido!
E poi l’esplosione. Non seppe dire come, forse il dito sul
grilletto si contrasse involontariamente ma il proiettile
schizzò fuori e nel giro di un battito di ciglia
andò a segno, colpendo Fumie in pieno petto.
Niito abbassò l’arma immediatamente; aveva
lanciato un grido ed ora ne lanciò un latro, più
disperato, più consapevole.
Guardò Fumie negli occhi gialli dei ragazzo e lei le
restituì uno sguardo straziato e bagnato di lacrime.
- Niito ...
Niito tacque e rimase immobile a guardare la donna che amava
precipitare giù dal terrazzo e sparire dalla sua vista.
__________________________________________________________________________________
L’impugnatura della pistola era gelida ma era
l’unica sensazione che era in grado di percepire.
Il resto era dolore sordo. Gli sembrava che il proiettile avesse
colpito lui, ovunque, gli avesse trapassato le carni senza lasciare
nulla di intatto. Il rumore dei suoi passi era come amplificato e gli
giungeva alle orecchie come il fruscio di un vento gelido che gli
tormentava le ferite.
Niito strascicò i piedi lungo tutto il percorso di discesa,
lasciando che le lacrime inzuppassero il volto della ragazza che aveva
scelto. Si appoggiò con la piccola mano al muro nel
tentativo di non crollare di lato, di non soccombere al dolore, ancora.
Ma c’era poco da fare: lui era dolore.
Aveva ucciso chi amava di più; i suoi nervi avevano ceduto e
ora lui era solo, morto ed il corpo che aveva preso in prestito non
poteva aiutarlo a cambiare le cose: poteva solo fargli rivivere la
scena del suo mortale peccato e ricordargli che era colpevole.
Il perdono non era contemplato. Fumie non era più
lì, di nuovo. Era scivolata via dal corpo del ragazzo una
volta che questi era morto ed era bloccata quanto lui.
Come poteva perdonarlo? Neppure lui poteva perdonare se stesso.
Ricordava quell’aula; allora aveva attivato il giradischi e
la loro canzone gli aveva invaso le orecchie, annullando ogni altra
cosa, quando si era sparato.
Ora non gli serviva un giradischi: era un poltergeist.
La musica partì da sola non appena mise piede
nell’aula dove era morto.
Nel vetro nero della finestra vide per la prima volta la ragazza che si
era preso, ma con il volto sconvolto e gli occhi arrossati per le
lacrime non la trovò affatto attraente, anzi la sua vista lo
portò a muoversi più in fretta: distolse lo
sguardo dall’immagine e lasciò scorrere le ultime
lacrime di quel corpo.
La musica aumentò di intensità tanto da coprire i
suoi stessi singhiozzi ed il tremore del suo polso quando lo
alzò.
Premette la canna della pistola contro la tempia e spinse con violenza,
una minima anticipazione del dolore che sarebbe venuto dopo; il dito
sul grilletto si contrasse.
- Fermati!
Niito sobbalzò. Strillò, liberando la voce acuta
della ragazza.
C’era una mano, grande e ruvida sulla sua, che stava
abbassando l’arma per lui, allontanandola dalla sua tempia.
Si voltò di scatto, per vedere chi fosse e si
trovò dritto fra le braccia di Fumie.
Così vicino, così vicino.
- Fumie!-
fiatò- ma io
… Ti ho uccisa!
Sentiva il suo respiro! Era quel soffio meraviglioso e tiepido che gli
riscaldava il viso. Pianse ancora.
- E' stato un incidente:
non è stata colpa tua - disse lei, con calore.
Niente risentimento. Niente odio.
- Si che lo è
stata, come puoi dire …
Quella mano gli toccò la bocca per bloccare le accuse che
voleva auto infliggersi.
- Scusami, ti prego -
supplicò dietro le sue dita.
- Sono io che ti devo
chiedere scusa - affermò lei, lasciandolo senza
parole - ti ho fatto
credere che non ti amavo più: ho mentito.
Niito singhiozzò, come aveva singhiozzato molte altre volte,
troppe, prima, ma non per dolore.
- Ti ho amato fino
all’ultimo respiro- confessò Fumie
contro la sua fronte.
Poi il calore della sua donna lo avvolse, sanando la sua ferita,
sollevandolo dal suo senso di colpa. Completandolo.
Niito chiuse gli occhi e si sporse a far combaciare la sua bocca con
quella di Fumie e dentro quel bacio gli parve di poter respirare di
nuovo, come se fosse tornato ad essere un semplice ragazzo che amava.
Aveva ottenuto il perdono ed aveva Fumie, come Fumie aveva lui: niente
li incatenava più a quel luogo, così andarono.
Via.
Inuyasha e Kagome invece rimasero, lì dove erano stati
lasciati, i corpi che si sfioravano, le mani che si cercavano.
E le bocche unite in un bacio che adesso era unicamente loro.
I'm back!
Dai, fatemi contenta, ditemi che non vi aspettavate che fosse stata
Fumie a prendere Inuyasha e Niito Kagome!XD
Ok, d'accordo. Così almeno i fantasmi hanno risolto, ora
mancano solo Inuyasha e Kagome.
Il prossimo capitolo, salvo ripensamenti dell'ultimo minuto,
sarà quello conclusivo!
Stay tuned!^___________^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Epilogo- l'ultimo saluto. ***
C’era un buco nella casacca rossa di Inuyasha. Se vi
accostava l’occhio, poteva guardarci attraverso.
Kagome spiò il mezzo demone accucciato vicino alla finestra
ed il suo sguardo fu inevitabilmente attirato dal livido violaceo che
spiccava sul suo petto nudo, simile ad un colpo inferto da un pugno di
ferro.
Quello stesso petto era stato trapassato prima di allora dalla mano di
un demone, che per inciso era il fratellastro di Inuyasha stesso.
Ancora, era stato colpito da frecce, maledizioni, scariche di energie,
spade.
… E questa volta da un proiettile.
- Piantala di
tormentarlo, Kagome- la riprese lui - si riparerà da solo.
Uno dei vantaggi della veste del Topo di Fuoco.
La ragazza posò l’indumento vermiglio sulla sedia
e si sfiorò dubbiosa la bocca; il sapore di Inuyasha vi era
rimasto come incastrato dalla sera prima, tanto che era un impresa
evitare di passarsi la lingua sulle labbra per gustarlo di nuovo.
Era stato così … Bello.
Era forse banale definirlo così?
Era stata paralizzata dal panico, questo era indubbio, quando Niito si
era impossessato del suo corpo; era stata costretta ad impugnare
l’arma da fuoco e puntarla contro il ragazzo che amava.
Era stata bruciata dallo stesso patimento di Niito, quando
l’aveva visto precipitare dal terrazzo.
Era stata invasa dallo stesso amore quando lui (lei? Ormai faticava a
distinguerli) le aveva impedito di porre fine anche alla sua vita.
Certo, la voce che l’aveva avvolta e riscaldata era quella di
Inuyasha però era sempre stata Fumie a parlare.
Quando i due amanti, finalmente liberi, avevano lasciato la scuola,
sgombrandola dall’invasione di mosche e da tutta la
disperazione che li aveva angustiati per cinquant’anni, il
mezzo demone aveva spalancato su di lei gli occhi gialli e
l’aveva stretta più forte.
Poi l’aveva lasciata, assumendo un delicato colorito violaceo
e da allora sembrava quanto mai desideroso di non sollevare mai
più l’argomento che interessava il bacio che si
erano scambiati.
Perché quello era successo: avevano continuato a baciarsi
una volta liberi e nemmeno lui avrebbe potuto avere così
tanta faccia tosta da negarlo.
Quando Inuyasha era tornato in possesso del proprio corpo Kagome
l’aveva chiaramente sentito, perché lui era troppo
vicino per non accorgersene, abbandonare lo stile tenero e delicato di
Fumie e premere nella sua bocca un bacio affamato.
Lei a sua volta aveva schiuso di più le labbra per lasciarlo
passare ed intanto le sue mani erano tizzoni roventi sui suoi fianchi.
- Non ci voglio
più andare al centenario della scuola - le
uscì detto.
- Davvero?
- si entusiasmò Inuyasha - allora possiamo tornare!
La ragazza afferrò la casacca vermiglia e gliela
gettò sulla testa senza troppi complimenti.
- Ehi!
- Voglio andare in un
posto prima. Vieni?
- Ho scelta?
Il mezzo demone si alzò, nascondendo infine il livido alla
vista; aveva pensato che una volta libero dal rosario, sarebbe stato
tutto diverso ma in definitiva non era cambiato nulla.
Non era in quei grani che portava al collo, il suo legame con Kagome,
ma da un’altra parte.
Piegò le ginocchia perché lei potesse salire
sulla sua schiena con maggiore facilità e balzò
dalla finestra.
__________________________________________________________________________________
Fumie e Niito erano stati sepolti distanti e per andare a visitare
entrambi avevano dovuto camminare per minuti interi; Kagome aveva
guardato le loro foto in bianco e nero, letto le dediche sulle lapidi e
le loro date, quella diversa di nascita e quella identica di morte.
- I demoni non
seppelliscono i loro morti - raccontò Inuyasha,
scrutando il cimitero con diffidenza - a volte mi sento più
orientato verso il loro pensiero: questa abitudine ha un che di morboso.
- Io invece trovo
rassicurante avere un posto dove poter far visita a chi se ne
è andato.
- Loro non ci sono, qui-
fece lui.
- No, è vero.
Li abbiamo visti.
“Sono
insieme” avrebbe voluto aggiungere ma
l’ultima frase le rimase incastrata in gola.
Distolse lo sguardo dalla foto di Fumie Mori per fissarlo su quel mezzo
demone che le era rimasto accanto ancora una volta e la mano le
salì automaticamente alle labbra.
Avrebbe voluto provare ancora una volta, anche solo una. Se non la
bocca una guancia o la tempia, il collo, quel livido terribile che gli
aveva provocato.
Rimase rapita a guardare il profilo di Inuyasha, mentre si faceva
rosso, dando prova di essere consapevole che lo stava osservando.
- Loro due …
- cominciò senza voltarsi - hanno scelto me. E te.
- Hanno scelto noi
- concluse Kagome.
- Ancora non capisco
come abbia potuto perdonarlo.
- E’
così importante? L’ha fatto.
Inuyasha volse infine il viso verso di lei.
- Credo … Io
li potevo capire, è successo anche a me. Ma a te …
Kagome sorrise. Era così tipico di lui convincersi che
nessuno fosse in grado di comprenderlo. Il risultato di
un’intera vita passata da solo l’aveva portato a
credere che nessuno avrebbe potuto mai interessarsi ad analizzare un
suo stato d’animo.
- Credevi che io non
potessi immedesimarmi? Avevo capito il loro dolore ed avevo capito
anche il tuo.
Inuyasha distolse lo sguardo, vinto dall’imbarazzo e dal
disagio. Fu costretto a guardare di nuovo Kagome negli occhi quando
questa le passò una mano sotto il mento per alzargli il
viso; sentì le sue dita tremare.
- Lo so che tu hai
… - lei esitò - hai pensato a Kikyo.
Il mezzo demone non rispose. Troppo era il biasimo che era costretto ad
affrontare ogni volta che i suoi pensieri erano rivolti alla
sacerdotessa morta. Kagome lo fulminava sempre con lo sguardo. I loro
amici, non interpellati, si schieravano invarabilmente dalla parte
della ragazza. Tacque ma non sembrava che Kagome avesse finito.
- E’ giusto
che tu pensi a lei: sarebbe strano il contrario. Mi ferisce ma non
voglio togliertelo. Anche lei contribuisce a fare di te ciò
che sei.
La mano di Inuyasha si chiuse attorno alla mano che Kagome aveva
appoggiato al suo viso.
- Perché mi
dici questo?
Lei la risposta l’aveva: perché voglio che tu stia
bene, perché desidero la tua felicità,
perché ti amo.
Ma era semplicemente troppo e non riuscì a dirlo; si morse
invece le labbra e restò in silenzio.
Trattenne il respiro e si alzò in punta di piedi quando si
accorse che Inuyasha si chinava su di lei e sperimentò per
pochi secondi di nuovo le sue labbra sulle proprie: sì, non
si era sbagliata, erano secche e screpolate e le regalarono la
più indescrivibilmente bella sensazione che ebbe mai
sperimentato.
Bastò quello e le sue ginocchia presero a tremare;
bastò quello e il suo stomaco le si strinse in un bollore
tumultuoso. Le sue dita si contrassero, stringendo forte mano e mento
di Inuyasha.
Aprì gli occhi su quelli del mezzo demone e li
trovò inaspettatamente sereni, anche se la sua mano libera
era scesa sulla sua schiena e si era ancorata nervosamente al tessuto
della sua maglietta.
- Ora torniamo al lavoro
o vuoi cimentarti in qualche altra impresa perditempo?- si
informò il ragazzo, fiatando contro la sua pelle.
-Torniamo al lavoro-
concesse lei. Sorrise.
Rivolsero un ultimo sguardo a Fumie che guardava serena il mondo per
sempre da quella fotografia e forse anche da altrove.
- Comunque il mio aiuto
è stato determinante- ci tenne a sottolineare
Inuyasha, mentre uscivano fianco a fianco dal cimitero.
- Certo, certo.
Kagome cercò la sua mano e si accostò di
più a lui; le dita più grandi avvolsero le sue ed
il loro passo si accordò automaticamente.
Domani, lo sapeva, ci sarebbero stato nuovi motivi per litigare ed
imbronciarsi: Inuyasha avrebbe sottratto a Shippo la sua razione della
cena, le avrebbe dato della stupida per non essersi messa al riparo dal
pericolo; lei sarebbe scattata, permalosa, avrebbe alzato la voce fino
a coprire la sua e si sarebbe allontanata impettita.
Poi avrebbero fatto pace.
Poi avrebbero litigato ancora.
Erano loro, così, da più di quanto ormai potesse
ricordare.
Così, pieno di incomprensioni da ragazzini ed amore da
adulti, era il loro stare insieme.
- Inuyasha …
Non avevano neppure ancora varcato il cancello del cimitero ma la
ragazza si disse che non avrebbe aspettato un minuto di più:
si voltò nuovamente verso il mezzo demone e gli
afferrò il viso, facendo sparire le dita nelle guance
già bollenti d’imbarazzo.
Se domani dovevano litigare, oggi voleva il suo bacio.
Eccolo: voleva il suo sapore sulla lingua e il suo respiro addosso e le
sue mani sulla schiena e quella sensazione di sperimentare
un’emozione troppo estesa perché il suo corpo
potesse contenerla intera.
Separarono le labbra e si abbracciarono in silenzio.
- E adesso possiamo
andare?- si spazientì il mezzo demone.
Kagome gli sorrise.
- Sì.
Ora sì.
Eh, mi hanno detto
che ci ho messo un secondo ad aggiornare! Solo pochi... Mesi!XD
Chiedo perdono a chi voleva leggere il finale ma questo ultimo capitolo
è stato un parto, non riuscivo proprio a cavarci nulla di
decente! =_____="
Questo è il miglior risultato che ho ottenuto. Non oso
toccarlo ancora per timore di far danni!
Ora vorrei ringraziare chi ha recensito il capitolo precedente!
Nella fattispecie (parola intelligente):
Pluto90
alicettameggy
kaggi18
CarzyV
serin88
shiroganegirl
capinera
Grazie di cuore per le recensioni bellissime che avete scritto :)
P.S. Scrivendo questo capitolo ho avuto diecimila dubbi sul vero nome
della veste di Inuyasha. Ho visto poco le puntate in italiano ma mi
sembra di ricordare che la chiamino la Veste del Cane di Fuoco. Invece
sia negli episodi che (mi pare) nel manga in inglese lo chiamano Fire
Rat (ratto di fuoco). In giapponese, anche mi pareva fosse sempre il
Topo di Fuoco.... Chi lo sa? E' cane o topo? Così
in caso correggo! :)
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=701389
|