Just Tonight

di BloodyRoad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1) So many fucking words. ***
Capitolo 2: *** 2) Pity and Fear ***



Capitolo 1
*** 1) So many fucking words. ***


1)      1) So many fucking words.

 

 

-Fermi la macchina?-

Il suono ovattato della sua voce rimbombò nella vettura, accompagnando il rumore delle gocce di pioggia scroscianti. L’odore del fumo era asfissiante, e Agito non aveva intenzione di restare un minuto di più lì dentro.

-Aah, andiamo, ti bagnerai tutto…

-Kaito, voglio scendere da questo fottuto camper. Puzza di prostitute…!

-Attualmente, si chiamano sigarette…

-Che t’importa, te le fumi entrambe ugualmente.

Kaito non ribatté a quell’ultima affermazione. Tuttavia non fermò la macchina e continuò a guidare imperterrito, osservando l’asfalto bagnato davanti a sé. Guardò di soppiatto l’alter ego di quello che aveva imparato a considerare suo fratello. Un lieve moto di affetto gli scaldò appena quel cuore che non credeva d’avere. Era diventato grande… Quasi quasi gli somigliava. Anche se stava iniziando a diventare il ritratto sputato di lei… Mentre una mano era al volante, l’altra si allungò verso il cruscotto, afferrando una bottiglietta squadrata, ricoperta di cuoio. Iniziò a bere, lanciando un’altra occhiata ad Agito. Aveva la tipica apparenza dell’adolescente perennemente arrabbiato col mondo: cuffie nelle orecchie, per ascoltare musica assordante al limite del volume consentito per la salute dell’udito,  felpa nera slargata, jeans borchiati e braccia incrociate. Oltre che ad un broncio stranamente adorabile, diventato per lui un marchio di garanzia.

-Problemi?- si azzardò a domandare, bevendo un po’ da quella bottiglina.

-Che ti frega? E poi, non bere e guidare contemporaneamente!

-Rilassati, è solo acqua… e poi, come che mi frega?- domandò, con tono quasi offeso. –Sei mio…

-Siamo arrivati.

Il camper si fermò, sollevando l’acqua di una pozzanghera. Senza neppure un cenno di gratitudine, Agito slacciò la cintura di sicurezza, aprì svogliatamente la porta della vettura e poggiò il piede fuori, bagnando le sue scarpe da ginnastica. Sentì il freddo pungente, in perfetto contrasto col tiepido tepore del camper di Kaito; ma forse, quel clima si adattava meglio al suo umore. Prima di uscire del tutto, afferrò una borsa a tracolla che aveva poggiato ai suoi piedi durante tutto il viaggio. Kaito lo fermò prima che si allontanasse.  –Neanche un saluto?

-Fuck.

La porta del camper venne richiusa con una violenza eccessiva, al punto che Kaito sobbalzò.  Osservò Agito allontanarsi con un sospiro, ed una lieve preoccupazione. Spense la sigaretta che aveva in bocca nel posacenere, seguendo con lo sguardo ogni singolo passo di Agito. Non sembrava stesse camminando: ogni passo era così pesante che pareva volesse bucare l’asfalto. Ma anche se si impegnava, Agito non riusciva ad assumere un’espressione particolarmente minacciosa, o almeno, non gli riusciva bene come ai vecchi tempi. Aveva sempre l’aria di un bambino ferito, un fragile ragazzino che portava dentro sé pesi inimmaginabili. Sul suo viso, quella sofferenza si era tramutata in un velo di costante malinconia. Per quale motivo…?

Agito si soffermò, arrivato all’uscio della porta. Casa Noyamano era vuota. Per fortuna, gli venne da pensare. Non aveva nessuna fottutissima intenzione di fingere interesse per la vita sociale. Non quel giorno.

Infilò le chiavi nella toppa, ed un leggero “clack” lo rassicurò: era finalmente a casa. Richiuse la porta dietro di sé, senza neppure degnare di un leggero accenno di saluto l’uomo che lo aveva accompagnato fin lì, lasciandogli in bocca il bruciante sapore della delusione. D’altronde, Kaito ci provava davvero, a differenza sua, a restaurare un rapporto perduto da tanto tempo. Ma a lui cosa importava? Fatti suoi e di Akito. Lui non aveva alcuna voce in capitolo. Senza neanche accendere le luci, si avviò verso la stanza che da qualche anno era diventata sua di diritto, in quella casa dove lo avevano accolto con un sorriso. L’unico posto nel pianeta dove si sentiva davvero al sicuro. Oppure, no. C’era un altro posto dove gli sarebbe piaciuto andare.

Appena entrato in camera, gettò la borsa in un angolo a caso, beccando una pila di cd che si scaraventarono rovinosamente sul pavimento. Accese la lampada sulla scrivania, e afferrò un libro. Con un umore come quello, toccava anche fare i compiti. Che poi Ikki avrebbe palesemente copiato. Senza neanche sedersi, diede un’occhiata al lavoro che la sua mente avrebbe dovuto affrontare quella sera, ma neppure il tempo di leggere il titolo del capitolo che già richiuse il libro, svogliato. ‘Fanculo. Si sedette su una confortevole sedia girevole, fregata apposta dall’ufficio del fratello. Un paio di giri, per avere una panoramica dell’ambiente in cui si ritrovava. Dei poster, da un lato suoi, e da un altro di Akito. Dei libri, da un lato suoi, e da un altro di Akito. La sua vita, da un lato sua, da un altro di Akito.

Condividere la vita con qualcuno però non era così male, specie se quel qualcuno aveva la straordinaria capacità di addolcire anche un carattere spinoso come quello di Agito.

“Tutto ok, Agito-kun?”  Domandò una vocina adorabile nella sua testa. Per la prima volta in quella giornata, ad Agito venne da sorridere.

-Sì, Akito…- non ebbe vergogna di parlare ad alta voce: d’altronde, non c’era nessuno.

“Non mi sembra…”

-Massì, è tutto ok…

Una risata improvvisa lo scosse. Akito stava ridendo…?

“Agito-kun, dovresti capire che non puoi mentire a qualcuno che risiede nel tuo stesso corpo. E’ assurdo.

“E’ per via di quel messaggio che stai  così male, vero?”

Agito ammutolì. In effetti, era ridicolo cercare di nascondere qualcosa ad Akito, ovvero…a sé stesso. Sarebbe stato impossibile anche non avendo un alter ego dolcissimo che risiedeva in testa.

Agito dovette ammettere che Akito aveva ragione. Era bastato accendere il cellulare per trascorrere un’intera giornata tra ricordi, rimorsi, rimpianti. Delle semplici parole, inviate dal numero di qualcuno che invano aveva cercato di rimuovere dalla sua testa. E poi, così inaspettatamente! C’è davvero da chiederselo, pensò, perché mai le persone, quelle che più ti hanno fatto male, tornano da un momento all’altro, specie in quello meno opportuno, della tua vita. L’effetto è sconvolgente: cuore e mente iniziano una battaglia inferocita, con una sola conseguenza: confusione.

Agito si accorse di aver lasciato Akito in sospeso, quindi riprese a dialogare con lui, cercando di apparire il più tranquillo possibile.

 -Quale messaggio, Akito?- Fece il finto tonto, riafferrando il libro di prima, come a voler dire “Tagliamo corto, ho da fare!”.

“Oooh, per favore…lo sai benissimo…! Vuoi parlarmene?”

-No, grazie.

Troncò di netto la conversazione, aprendo il libro e iniziando a leggere. La mente sua e di Akito si affollò con principi della dinamica di cui a lui non importava assolutamente nulla. Non in quel momento. Era tutto sbagliato! Era un giorno completamente sbagliato! Ma in realtà, non sarebbe stato così difficile renderlo uno dei giorni più felici della sua vita. Richiuse il libro, col chiaro intento di non aprirlo più per quel giorno, e si sollevò, avvicinandosi allo stereo e premendo distrattamente il tasto play. Sentì il rumore fastidioso del disco che si caricava, e si stese sul letto, lasciandosi in balia del caso.

La sveglia accanto al comodino scattò, con un rumore acuto e breve. Agito si voltò verso di essa: la lancetta più grande era in alto, quella più piccola al contrario era dritta verso il basso. Le sei in punto. Il ragazzo frugò in tasca, un po’ combattuto. Passò una mano sulla fronte, mentre con l’altra meccanicamente afferrava il cellulare e con dita veloci accedette al menù dei messaggi. Iniziò a scorrere: un messaggio di Kaito, ricevuto alle 7 del mattino. “Passo a prenderti alle 17.30 dopo la scuola. Ti do un passaggio.”. Due bip: cancellato. Kaito gli faceva prudere letteralmente le mani, insomma, era fastidioso!Era diventato inaspettatamente così premuroso, così affettuoso…oddio, “affettuoso” era una parola grossa. Restava sempre il solito stronzo, solo un po’ meno…stronzo.  Ecco tutto. E se ad Akito la cosa faceva un piacere immenso, ad Agito causava semplicemente il voltastomaco. Altro messaggio. Ikki, durante la lezione di inglese, alle 11,18. “Ma che palle! Fuggiamo!” seguito da un’emoticon disperata. Ad Agito sfuggì un sorriso, appena abbozzato. Non era la prima volta che lui ed Ikki messaggiavano durante la lezione, imprecando contro professori e compagni. Una volta Ikki fu scoperto dalla professoressa, ma si giustificò prontamente con uno spassoso “Ma non è un cellulare, è un pacemaker! Volete farmi crepare?”. Sia la prof che i compagni iniziarono a ridere così tanto che non ci fu nessuna punizione per il corvo. Anche Agito rise parecchio. E doveva ammettere che quando c’era Ikki rideva spesso. Quel messaggio decise di tenerlo.

Ed infine, eccola… L’ultima mail, quella catastrofica. Agito si morse il labbro: era come se avesse paura di aprirla, come se il suo contenuto avesse potuto causargli di nuovo quel batticuore che lo aveva assalito nel momento stesso in cui l’aveva letta. Respirò profondamente, e prese coraggio. Un “bip” glorioso gli annunciò che ce l’aveva fatta. Ore 13. Precise. L’ora in cui il suo cuore aveva smesso di funzionare, appesantito dai ricordi.

“Torno stasera alle nove…spero ci sarai ad accogliermi”.

Mittente: Akira.

 

 

Note:

Ooook, non è stato un granchè, ma avevo questa storia in testa da parecchio e in qualche modo dovevo pur cominciare. Per ora la pubblico, così, anche per sentire l’opinione di qualcuno. Se questo primo capitolo è così catastrofico, mi sa che lo modificherò del tutto.

Dunque, ci sono un bel po’ di cose da spiegare, maaa…non le spiegherò qui. Ogni perplessità, ogni cosa lasciata in sospeso verrà ripresa nei prossimi capitoli. Non sarò avida di parole…solo se vi interessa, mi sembra ovvio.

Il titolo è preso dalla canzone dei “The Pretty Reckless”, che appunto mi ha ispirato questa storia ed il “motto” connesso ad essa.

Che dire…se commentate mi fate piacere. Se no…aumenterò il counter delle storie di Air Gear e mi sentirò comunque potente.

See you soon!

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Capitolo 2
*** 2) Pity and Fear ***


2) Pity and fear

 

“There are no tears, just pity and fear
I recall the push more than the fall…
The push more than the fall”.

Death Cab for Cutie.

 

 

Quanto tempo era passato?

Sbattè diverse volte le palpebre, sollevandosi con lentezza con l’aiuto dei gomiti. Era sempre un dramma, per lui, svegliarsi. Non sapeva bene quale fosse il motivo, ma nel mondo dei sogni ci si ritrovava così dannatamente bene da volerci restare perfino al risveglio. Catapultato nella realtà, di nuovo. Odiosa, prevedibile realtà.

Agito ricordava di essersi steso sul letto, qualche tempo prima, sbirciando i messaggi del suo cellulare, ma non capiva come potesse essersi improvvisamente appisolato. Doveva essere proprio stanco, in quei giorni. Caffè, caffè, in dosi industriali, meglio ancora se iniettato in endovena. Ecco di cosa aveva bisogno, pensò, mentre la sua mano sottile andava ad impregnarsi delle perle di sudore sulla sua fronte. Il cuore gli batteva, il respiro era veloce. Aveva anche fatto un incubo…?

Allungò lo sguardo sul comodino, per far sì che la sveglia chiarisse ogni dubbio. Le 21:05…

“Akira tornava alle nove…” si scoprì a pensare, mentre poggiava i piedi sul pavimento. Si sorprese di sé stesso. “E a me che cazzo frega?!” Si sdegnò con sé stesso, scattando in piedi con una punta di acido nervosismo. E ora, che poteva fare? Era troppo confuso per mettersi a studiare. Lo stomaco era scombussolato, e non aveva voglia di inutili succulenti pesi. E poi, era così agitato..agitatissimo…Senza alcun motivo apparente, iniziò a camminare su e giù, ripetutamente, per la stanza. Provò a fermarsi, a respirare profondamente, a riflettere. Ora aveva anche caldo. Sfilò la felpa e la lascio cadere per terra, ma nulla. Non era il caldo a farlo agitare come una tigre in gabbia. Ecco il risultato di quando pensava troppo, maledizione. Chissà quale era il pensiero che lo assillava, lo agitava, lo rendeva nervoso e arrabbiato.

Ancora a torso nudo, si specchiò, sbuffando per l’ilarità una volta visti i suoi capelli. Passò una mano sopra, riuscendo di nuovo ad appiattirli. E si guardò, negli occhi. Aveva bisogno di chiarirsi con sé stesso, e con “sé stesso” intendeva lui, Agito. Non Akito. Agito.

Il suo scopo gli aveva proibito di vedersi come un essere a parte. Si era sempre considerato…come dire…un plug-in del dolce Wanijima, quello che deliziava le persone quando la benda era spostata sull’occhio destro. Era un’aggiunta, un componente pensato per l’autodifesa. “Un coltello affilato”, amava definirsi, ai tempi in cui la sua autostima da Fang King superava il K2.

Ora quel titolo non aveva più senso. Pur continuando ad usare le At, pur restando un fenomeno nel settore, nella sua vita di diciassettenne si erano introdotti molti, molti più elementi, che avevano fatto perdere l’importanza di parecchie cose che solo fino a qualche anno prima avrebbe considerato questioni di vita o di morte. La scuola, innanzitutto. “Devi studiare, sennò cosa farai in futuro?”. Più che altro, se si impegnava, era per Akito. Gli ottimi voti che aveva a scuola altro non erano che frutto di una collaborazione a due. Materie scientifiche? Provvedeva Agito. Materie umanistiche? Nessuno poteva battere Akito. Il vantaggio di avere una mente a metà. Risultato: una media invidiabile. E Akito ci teneva a mantenerla. Agito lo assecondava, senz’altro, ma era quasi un obbligo per lui. Di rado prestava la giusta importanza allo studio. E, anzi, si chiedeva come mai Akito non fosse ancora spuntato fuori per rimproverargli di aver saltato i capitoli di fisica. Probabilmente aveva capito il suo stato d’animo.

Altra priorità, gli amici. Agito aveva imparato da lì a poco tempo che Ikki, Kazu, Onigiri e Buccha potevano essere considerati anche esseri pensanti, con i quali passare un po’ di tempo, non solo dei semplici soprammobili. Un vero e proprio feeling fraterno l’aveva raggiunto con Ikki: tutto quel tempo condiviso insieme l’aveva fatto sentire più vicino di quanto pensasse. Non condividevano gli stessi gusti, non piacevano gli stessi film, stessa musica, stessi libri (anzi, si poteva dire che di rado Ikki apriva qualche volume con l’intenzione di leggerlo, e non di costruire qualche fortino per dispetto). Eppure, uno istruiva l’altro. E a parte quegli stranissimi e perversi film che Ikki beccava a notte fonda e che a lui facevano solo arrossire fino alla punta dei capelli, ad Agito non dispiaceva affatto prestarsi ai suoi passatempi. O magari passare la notte svegli a raccontarsi qualche baggianata o storia a sfondo horror. Agito era convinto di aver mantenuto sempre lo stesso atteggiamento, eppure Ikki insisteva col dire che era diventato “Molto più morbido”. Con conseguente rissa.

Con Kazu, le cose andavano abbastanza bene. Il biondino non vedeva più una minaccia da Agito, anzi, lo sfruttava come fonte di ispirazione. Qualsiasi problema avesse, chiedeva consiglio a lui. “Secondo te dovrei fare così?”. “Tu che faresti al posto mio?”. “E’ normale, secondo te?”. Tuttavia Kazu non era assillante, e sapeva sempre come ringraziare Agito di quei consigli dati con finta noncuranza. Ad esempio, lo portava a fare qualche corsa all’AT-park. E la competizione era la droga di Agito, si sapeva.

Con Buccha il rapporto era molto più intellettuale. Era un ottimo interlocutore, ma Agito di rado passava il tempo da solo con lui. Eppure, quando ad esempio Kazu ed Ikki iniziavano ad usare le bacchette del ramen per simulare un incontro di spada laser (con tanto di effetti sonori improvvisati), lui e Buccha iniziavano a parlare. E Agito doveva ammettere che il grassone non aveva solo cibo per la testa.

Onigiri, e lì le cose diventavano bizzarre! Agito giurava di non poterlo subire. Odiava le sue sfrenatezze dovute a qualche tempesta ormonale mal gestita, odiava il suo insano interesse per il sesso. E da quando, durante una bevuta, Onigiri aveva esplicitamente dichiarato “Se mai dovessi farlo con un ragazzo, vorrei farlo con Agito!” il ragazzo si manteneva debitamente a distanza. Dai rapporti civili si passava a veri e propri insulti, che il ragazzo grassoccio non prendeva troppo sul serio. Anzi, a volte sfruttava quella sorta di tacito timore di Agito nei suoi confronti per prenderlo in giro. E, come citato prima, con conseguente rissa.

Insomma, Agito aveva dunque anche una vita sociale piuttosto intensa, sebbene con poche persone, a differenza di Akito, che andava d’accordo praticamente con tutti.

Beh, con Akito, ci andava d’accordissimo anche lui. Al di là della convivenza in un solo corpo, i due alter ego si prendevano cura l’uno dell’altro, in una sorta di amore che nessuno avrebbe potuto capire. Ideale, semplice, puro. Agito riteneva di non amare nessuno al di fuori di Akito.

…forse…

Tornò ad osservare l’orologio. Le 21 e 10. “Akira tornava alle nove…”

-E STA’ ZITTO!- urlò allo specchio, rimproverandosi.

Akira, Akira, Akira!

Era diventato un’ossessione nel giro di poche ore!

-Porca puttana, appena arriva lui, si incasina tutto!- urlò ancora, allontanandosi dallo specchio e sedendosi sul letto, tenendosi la testa tra le mani.

Akira…

Agito aveva un orgoglio, e voleva mantenerlo.

Akira l’aveva tradito, aveva rinnegato la sua…amicizia, con Agito.

O qualcosa che almeno Agito riteneva tale.

Lo detestava. A morte. Akira era stata l’unica persona in grado di farlo soffrire come un cane, fino a fargli versare segrete lacrime di rancore, rabbia…

…gelosia.

Se non fosse stato per quella puttanella, aveva spesso pensato, se non fosse stato per lei, col cazzo che a quell’ora sarebbero stati così distanti. Erano così uniti, così vicini.

Erano davvero come fratelli.

Quindi perché buttare tutto all’aria per colpa di una smorfiosa?

Era davvero necessario abbandonarlo?

Agito aveva sempre pensato che anche se Akira fosse tornato per scusarsi, lui non l’avrebbe mai perdonato.

E adesso, invece, combatteva per il suo orgoglio contro una parte di sé che urlava, strepitava, lo tormentava e voleva vedere Akira.

-No, no e poi no! Cosa diamine crede?- pensò. –Che io sia la sua puttanella, al suo servizio? FUCK! Che se ne torni da dove è venuto!- Stava strepitando. I capelli erano stretti tra le dita, a volte il suo corpo tremava, solo per quei grandi rimorsi e quei grandi dubbi che lo stavano assalendo.

Voleva andare da lui?

Sì.

No.

Sì.

No.

Sì…

Agito non poteva più mentire a sé stesso. Voleva, desiderava vederlo. Almeno una volta. Ma no, non per farlo contento: non si sarebbe buttato tra le sue braccia. Non si sarebbe prostrato ai suoi piedi.

Avrebbe chiuso i conti, una volta per tutte.

3 anni prima, durante quello scontro, non ci era riuscito: Akira aveva preferito svenire tra le braccia di Len.

E Agito aveva desiderato con tutto sé stesso essere al posto suo.

Ora però era sufficiente, aveva sofferto abbastanza. Credeva d’averlo dimenticato, ed invece…

Ma poi perché stava reagendo come una ex-fidanzatina inacidita?

Ridacchiò. Che idiozia. Quando mai aveva amato Akira?

Gli aveva voluto un gran bene, questo sì.

…e tutto questo dolore giustificava quel “bene”?

Quell’incessante flusso di pensieri venne interrotto di nuovo dall’irritante suoneria del suo cellulare. Promemoria: gettarlo all’inferno.

Agito lo afferrò, pronto a prendersela col primo che avrebbe risposto.

Invece il display non mostrò nessun numero. Un misterioso “Anonimo” ostacolava la sua riflessione.

Infastidito più che incuriosito, Agito rispose.

-Pronto?

-Di solito ai messaggi si da’ una risposta, lo sapevi?

Fu come un lampo a ciel sereno.

Il cuore di Agito perse un battito. Sgranò gli occhi e smise di respirare, mentre il suo corpo divenne improvvisamente di pietra. Quella voce…non poteva essere…era lui?!

Ma come…cosa diavolo…?

Non se lo stava forse sognando?

-Chi diamine ti ha dato il mio numero?- urlò furioso all’apparecchio, nonostante fosse rimasto completamente privo di fiato.

-Un uccellino!- rispose l’altro allegro, con tono frivolamente idiota.

-Come ti sei permesso? Che vuoi da me?!- Domandò a raffica Agito, abbassando appena il tono per riprendere fiato.

-Cosa dici? Bwah, Agito, mi farai piangere, così! Non eravamo amici, io e te?

-Abbiamo smesso da parecchio, mi pare!

-No, non è vero e lo sai.

Agito ammutolì, pieno di collera. Poteva davvero permettersi di parlare, lui, con quel tono saccente e scanzonato? A che puntata si era fermato? Credeva forse che sarebbero bastati un paio di versetti sciocchi a far dimenticare tutto l’accaduto?

E poi, non doveva essere con la sua fidanzatina da qualche parte?

-Ohi, pronto? Agito? Allora, quando passi a prendermi?- Riprese il suo interlocutore, con tono appena appena più serio.

-Non verrò…- sussurrò Agito alla cornetta, tremando tutto.

Sta’ calmo, Agito. Calmo…

-Come, puoi ripetere?

-Ho detto che non verrò…

-Eh?

-NON VENGO, IDIOTA!!!

Agito esplose. Stava quasi ringhiando, come un feroce cane rabbioso ad un padrone che non riconosce più. E ciò che era peggio, due gocce salate gli stavano scivolando sulla guancia.

Stupido, stupido, stupido! Non doveva mica frignare come una femminuccia!

Per lui, poi?

Inaspettatamente, dall’altra parte si sentì una risatina sommessa.

-Ti voglio bene, Agito…

-MUORI.

-Allora ti aspetto, mh?

-VA’ ALL’INFERNO, AKIRA!

Staccò la chiamata, senza ulteriori indugi.

Akira si era azzardato a chiamarlo, dopo 3 anni di assoluto silenzio.

Con l’unico risultato di avergli fatto perdere le staffe.

Agito crollò, crollò del tutto. Le ginocchia toccarono terra, e finalmente il suo pianto esplose.

In singhiozzi, in forti singhiozzi. Di quello che in inglese chiamavano “Sorrow”. Un dolore insopportabile, incurabile perché non fisico.

E perché piangeva, allora? Era solo la rabbia?

Aveva mantenuto il suo orgoglio, no? Aveva vinto. Aveva preservato il suo orgoglio. Era lui il vincitore, no?

Forse era proprio questo a renderlo disperato..

Oppure, no…

Agito piangeva.

Perché si accorse di non aver vinto lui, stavolta.

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice.

“Pity and Fear”, Death Cab for Cutie, mi ha accompagnato nella stesura di questo capitolo.

E anche “Imbranato” di Tiziano Ferro, che non capisco come sia finita nel mio lettore.

Che capitolaccio.

Lungo, introspettivo, noioso.

A dire il vero volevo piantarla, ma sono troppo sadica e volevo far piangere Agito.

E poi, una deliziosa persona mi ha recensito. Quasi 130 persone hanno visitato questa storia.

Chissà, magari poi a qualcuno interessa.

Qualche anticipazione? Vi va?

Chissà.

Sappiate che non sono molto brava nel descrivere come si consuma la passione.

 

ChaosEvangeline: Il mio presto purtroppo equivale a diverse settimane. La mia autostima non era tale da permettermi di continuare in fretta il capitolo. Però l’hai letto, l’hai recensito…ti ringrazio. E sono contenta che ti piaccia.

Kaito…sai che è il mio personaggio preferito? Forse proprio perché puoi interpretarlo come ti pare.

E’ così imprevedibile che se fosse davvero uno stronzo/premuroso non mi stupirei.

Ti aspetto, posso contarci?

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