Butterflies and Hurricanes

di arwen_eli
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dopo. ***
Capitolo 2: *** Slytherin Pride. ***
Capitolo 3: *** Before the Beginning. ***
Capitolo 4: *** Cosce di pollo, armature e pugnali. ***
Capitolo 5: *** I soliti sospetti. ***
Capitolo 6: *** All apologies ***
Capitolo 7: *** Premonitions ***
Capitolo 8: *** Hopes and Expectations ***



Capitolo 1
*** Dopo. ***


A Luisa, perchè senza di te non ci sarebbe neanche una riga su questa pagina e perchè se questa cosa ha dei genitori, tu sei di sicuro almeno il papà.

A Jup, per la pazienza, per il suo “tenero sollecitarmi” alla pubblicazione e per tutto il resto...

A Val perchè mi sopporta nelle chiacchierate notturne, quando il peggio di me esce prepotente e ancora continua a lanciarmi corde lunghissime. E perchè siamo fiQue. Oh.

<3



Hogwarts. 6 Maggio 1998.



Uno strano silenzio regnava sulla Sala Grande. Era la stessa sala che aveva visto per anni generazioni di ragazzini crescere e diventare adulti imparando la magia; la stessa sala che li aveva sentiti bisbigliare intimoriti al primo anno prima della cerimonia dello Smistamento e che li aveva sentiti cianciare allegri per le vittorie delle partite di Quidditch o per la Coppa delle Case, che li aveva guardati ansiosi e trepidanti, la mattina prima dei MAGO.
Quella stanza che adesso guardava quei giovani, quasi dei bambini, seduti in silenzio su sedie spoglie, accanto alle loro famiglie o a quel che ne restava, stretti nella sola consolazione che poteva restare loro: l'amore per chi era rimasto, il sollievo per chi era sopravvissuto.

Ogni mattone della scuola sembrava stillare lo stesso dolore delle persone che vi avevano dimorato, l'angoscia della perdita, della fine di vite innocenti, dello stravolgimento del Mondo in cui avevano sempre vissuto. Drappi neri pendevano dal soffitto della Sala, illuminata dalla tenue luce del sole di maggio e in quel momento, alzando la testa verso quello che era sempre stato l'incanto più d'effetto, si vedeva soltanto l'azzurro di un beffardo cielo estivo percorso da qualche nuvola, come a sottolineare quanto la natura fosse poco toccata dalle vicissitudini dei maghi. Quel cielo, però, non era proiettato per magia sul soffitto intatto, come era sempre avvenuto. Era semplicemente il cielo. E lo si guardava attraverso lo squarcio profondo che attraversava tutta la lunghezza della Sala. Sembrava una ferita. Ed era sotto questa ferita, dentro una Hogwarts in ginocchio, ma comunque vincitrice, che la comunità magica piangeva i suoi caduti.

Minerva Mc Grannitt sedeva tra i suoi studenti, con lo sguardo verso quello che per anni era stato il leggio da cui Silente aveva salutato il nuovo anno scolastico, sapendo che era giunto per lei il momento di alzarsi per raggiungere quel posto e per rendere omaggio a tutte le vite che erano state spese per quella vittoria tanto agognata. Aveva indossato l'abito verde che portava il primo giorno di scuola di Harry, Ron, Hermione e di tutti gli studenti del loro anno, e l'espressione migliore che era riuscita ad assumere, nonostante le difficoltà. Aveva scelto quel colore per due motivi: avrebbe simboleggiato la Speranza, che era stata donata loro grazie a quella vittoria ma era anche il colore della casa di Serpeverde e per questo avrebbe simboleggiato l'unione, il perdono, la capacità di passare oltre le difficoltà, per ritrovare lo spirito della Hogwarts nascente. Si era avvicinata alla postazione del Preside, quella che di diritto le spettava, a passi lenti ma decisi, aveva preso un grande respiro e aveva alzato gli occhi sulla Sala gremita. Una sola piccola occhiata al Ragazzo Sopravvissuto, poi aveva iniziato a parlare.

Avremo il tempo per gioire di questa vittoria, avremo il tempo per comprendere quanto preziosa sia per la nostra libertà. Ora, in quest'istante, la cosa da fare, ciò di cui tutti noi abbiamo bisogno, è salutare coloro che hanno dato per tutto questo, dei cui frutti noi godremo in futuro, ciò che di più prezioso potessero donare. Non possiamo fare altro che essere grati a loro, alle loro famiglie e ai loro cari per questo dono, perchè grazie a questo, potremo ancora dichiararci Maghi liberi.
Non tesserò le lodi di ognuno né li descriverò come persone speciali nei loro pregi e nelle loro imprese. Erano per me, come per voi, amici, fratelli, compagni, amori. E meritano di essere ricordati da noi per come erano, senza creare immagini idealizzate. Li abbiamo vissuti nella loro quotidianità, nei loro difetti e nelle loro insicurezze, ed è così, che resteranno nei nostri cuori.
Quello che vi chiedo, ora, è di pensare alle persone che abbiamo perso in questa battaglia e di ricordarle per quello che vi hanno donato, per grande o piccolo che fosse. Ricordare i loro sorrisi o i loro consigli, i loro abbracci o le loro ramanzine, i loro baci o le pacche sulla spalla. Luna Lovegood leggerà per noi i loro nomi, perchè non siano mai dimenticati, perchè nessuno di loro possa essere lasciato solo. Vieni Luna.”

Da una sedia, in un angolo della Sala, la piccola figura di Luna si era alzata rapidamente e si era diretta sicura verso la Docente di Trasfigurazione. Indossava un abitino di un arancione pallido, che scendeva fino alle ginocchia, lasciandole scoperte, a mostrare le escoriazioni e lividi sulle sue gambe magre; le spalle erano coperte da un golfino bianco di filo a piccolo punto, chiuso sul petto da un solo piccolo bottone. Non aveva collane, ma indossava i suoi orecchini a ravanello, con che ondeggiavano al ritmo dei suoi passi.
La professoressa McGranitt le aveva ceduto il posto, posandole con dolcezza una mano sul braccio, per guidarla davanti alla lista che avrebbe letto di lì a poco. Luna aveva sorriso e con la sua vocina da bimba, che però sembrava aver perso un poco quel tono svagato che l'aveva sempre contraddistinta, aveva iniziato a scorrere quella lista di ricordi.

- Severus Piton, Serpeverde. -

Harry Potter, seduto in prima fila, stringendo la mano di Ginny, aveva chiuso gli occhi, ascoltando quel nome. Un macigno nel petto, a ricordargli quante volte aveva accusato il professor Piton, quanti sospetti e quante colpe gli aveva attribuito. Ricordava il turbamento e la paura, davanti al lampo verde uscito dalla sua bacchetta diretto al petto di Silente sulla Torre di Astronomia.
Gli occhi neri di Severus, alla fine, mentre gli donava i suoi ricordi, mentre gli chiedeva di guardarlo negli occhi, mentre se ne andava bisbigliando il nome di sua madre.
Minerva Mc Granitt aveva ricordato lo sgomento provato davanti al corpo senza vita dell'amico Albus, il dolore che l'aveva spezzata, la rabbia contro l'uomo che aveva ingannato anche il mago più saggio che avesse mai conosciuto. Aveva pensato all'uomo che aveva conosciuto e accanto al quale aveva combattuto nell'Ordine e a quanto il suo inganno fosse, in realtà, ben riuscito. Quell'uomo aveva davvero giocato tutti, lei compresa, ma la proporzione di quelle bugie e specialmente la loro origine le avrebbero sempre lasciato un amaro rammarico: quello di non aver capito prima quanto realmente fosse un uomo di valore.

- Remus Lupin, Grifondoro. -

Neville Paciock aveva abbassato lo sguardo sulle sue mani, posate sulle ginocchia, poi sull'orlo della gonna di sua nonna Augusta. Per quanto potesse sembrare assurdo, aveva sorriso, riascoltando dentro di sé la risata del Professor Lupin davanti al molliccio che aveva assunto l'aspetto di Piton con il cappello a corvo della nonna. Era stato il primo vero professore di Difesa contro le Arti Oscure, aveva tenuto le loro prime vere lezioni e, per la prima volta, gli aveva donato quella briciola di fiducia in sé stesso che credeva non avrebbe mai trovato.

- Nymphadora Tonks, Tassorosso. -

Hermione Granger si era trovata davanti il viso di Tonks a Grimmauld Place, pensando con tenerezza ai giochi che faceva con loro cambiando la forma del suo naso, al colore improbabile dei suoi capelli e alla sua goffaggine sempre fuori luogo che veniva compensata dalla sua allegria e dal suo coraggio. Con gli occhi chiusi aveva rivisto il momento in cui lei e Remus avevano annunciato l'arrivo del piccolo Teddy con tutta l'emozione e quel poco di paura che ogni futuro genitore prova almeno per un momento. Aveva spostato gli occhi su suo figlio, che ora era sdraiato pacificamente in braccio ad Andromeda e con un minuscolo dito si torturava una ciocca di capelli blu cobalto che gli ricadevano sulla fronte.

- Colin Canon, Grifondoro. -

Un bimbetto con una macchina fotografica più grande di lui, la sua ossessione di fotografare Harry Potter in ogni momento, i suoi appostamenti improbabili dietro ogni angolo potesse nascondere uno scatto degno della sua attenzione; questi erano i ricordi che si erano presentati alla mente di Harry, che non aveva potuto far altro che aprire gli occhi e guardare di nuovo quei capelli biondi nascosti dietro il flash, quando si era ripreso dopo la caduta per colpa dei Dissennatori. E, ancora, lo spavento e il dispiacere di vederlo pietrificato sul letto in infermeria, dopo la liberazione del Basilisco dalla Camera dei Segreti. Era sempre stato un ragazzino coraggioso, a modo suo, il piccolo Colin.

- Fred Weasley, Grifondoro.-

Molly Weasley era rimasta aggrappata al braccio di Percy per tutta la lettura, aveva guardato i suoi figli a uno a uno, mentre scorrevano i nomi sulla lista. Quando era arrivato il nome di Fred aveva ricordato il suo sorriso irriverente a undici anni, accanto a quello di George, quando appena scesi dall'Hogwarts Express avevano terrorizzato Ronald con i racconti surreali dello Smistamento. Ricordava quanto si divertissero ad invertirsi, il loro darsi forza e sostegno l'un l'altro. Aveva rivisto i suoi occhi brillanti di eccitazione per il loro negozio appena aperto a Diagon Alley, per il successo dei loro scherzi. Aveva osservato di nuovo il panico di Fred dopo aver saputo che George era stato ferito. Infine, aveva spostato lo sguardo su George, stretto nell'ultimo maglione che aveva fatto per il suo gemello e, ancora una volta, li aveva visti entrambi. Aveva stretto la mano di suo marito fino a farsi sbiancare le nocche, mentre versava altre lacrime sulle innumerevoli che erano già sgorgate copiose dalla notte di quattro giorni prima.
Ginny Weasley aveva ricordato il suo primo giro su una scopa, quando aveva sei anni, seduta davanti a Fred, che aveva finto di farla cadere una decina di volte, facendola strillare a più riprese, mentre George se la rideva a crepapelle volando subito dietro di loro.
George Weasley non aveva pensato a niente. Non aveva un ricordo per suo fratello, non aveva un'immagine da richiamare; per lui non era come gli altri, lui non aveva perso solo un fratello, se n'era andata metà di se stesso e nulla di quello che avrebbe ricordato sarebbe potuto essere anche solo vicino a ciò che Fred era realmente per lui. Nessuno avrebbe capito quello che stava provando fino in fondo. Per lui, d'ora in avanti, tutto sarebbe sempre stato vissuto a metà.
Ronald Weasley era immobile sulla sua sedia, con lo sguardo fisso sulla mano di Hermione che gli stringeva la gamba, in una carezza che voleva essere di conforto. Riusciva solo a sentire la voce di Fred l'ultimo giorno che aveva trascorso a Hogwarts, mentre diceva a George: “Credo che abbiamo raggiunto l'età per interrompere la nostra carriera accademica”. Lo sentiva ridere di gusto e rivedeva la sua schiena allontanarsi sulla scopa. L'aveva invidiato, allora, avrebbe voluto essere come lui, se non al suo posto. E ora, non c'era più nessuno da invidiare o da ammirare.

Per molti minuti, era proseguita quella lettura e ad ogni nome, in tutte le menti presenti nella sala era comparso un volto, un ricordo, un aneddoto. Qualcuno aveva versato una lacrima, qualcun altro si era appoggiato alla spalla della persona al suo fianco, cercando lì la forza che sembrava mancare.
Circa cinquanta persone avevano perso la vita in quella battaglia ed ognuna aveva una storia, una famiglia, ciascuna aveva lasciato qualcuno che avrebbe sentito la sua mancanza. Infine, un ultimo nome era stato pronunciato dalla voce di Luna, un nome riecheggiato in silenzio tra le menti dei presenti nella sala:

- Vincent Tiger, Serpeverde. -

Erano stati secondi interminabili, quelli che avevano accompagnato Luna al suo posto. Secondi che sembravano racchiudere troppe parole, troppi rumori, troppi tormento. In questi attimi, Augusta Paciock aveva raggiunto il leggio, alzando la testa dalle sue mani per guardare negli occhi suo nipote con un sospiro di orgoglio e sollievo.

Mi hanno chiesto di dire qualcosa, oggi. Ho pensato molto a cosa fosse giusto dire per commemorare questa battaglia e queste persone che vi hanno perso la vita. Ma quello che ora mi sento di dirvi è un po' diverso. Ricordate ognuno di loro, mantenete vivo l'amore che provate e il loro ricordo perchè potranno esservi, così, un poco più vicini. Ma non dimenticate mai che questa Guerra non è stata la Battaglia di Hogwarts; questa battaglia è stata l'esplosione di una malattia lenta e infida, che si è insinuata per anni nella Comunità Magica, silenziosa e crudele, portando via vite e sogni, speranze e famiglie. La vittoria di oggi è una vittoria su anni di paura, ma soprattutto è una vittoria per mio figlio Frank e mia nuora Alice, è una vittoria per il mio Neville, per me e per il giovane Harry Potter. Quella di oggi è la vittoria di tutti quelli che in questo stillicidio hanno perso qualcosa di importante, qualcosa che spettava loro di diritto.
Quello che vorrei ricordaste, quindi, è che questo giorno soprattutto per OGNI vittima di Voldemort e delle sue follie, per ogni persona che sia morta per mezzo della sua bacchetta o per mano dei suoi gregari. Per tutti coloro i quali, a causa sua, hanno subito una mutilazione, che fosse del corpo o dell'anima.”


******


Ginevra Weasley camminava nei corridoi della scuola da sola. Dopo la cerimonia aveva salutato la sua famiglia e aveva detto loro che preferiva restare lì ancora per qualche giorno; aveva bisogno di immergersi in quelle mura, di fingere per un po' che tutto fosse normale, che a breve ci sarebbero stati gli esami, poi le vacanze e che niente era cambiato.
Stava girando da ore per quelle stanze e per quei passaggi che ormai conosceva a memoria, che avrebbe potuto percorrere ad occhi chiusi. Non riusciva a tornare in Sala Comune, non riusciva nemmeno concepire l'idea di restare ferma in una stanza, seduta a non fare niente.
Di dormire poi non voleva nemmeno sentirne parlare. Camminare senza meta le era sembrata la sola soluzione plausibile. Non che ci avesse lungamente pensato, prima di mettersi in marcia, solo che mentre lo faceva per ritornare dal giardino in cui aveva salutato tutti, si era resa conto che ogni cosa le sembrava più sopportabile, mentre metteva un piede davanti all'altro.
E proprio così, mettendo un piede davanti all'altro, si era ritrovata davanti alla Palude Portatile lasciata in onore dell'impresa dei suoi fratelli di un anno prima.

Quello che però aveva trovato accanto a quel modesto monumento ai gemelli l'aveva sorpresa non poco. Suo fratello George era seduto sul ciglio della palude, con in mano una bottiglia di Firewishky mezza vuota ed ancora indosso il maglione di Fred. Fissava la superficie dell'acqua fangosa, con le gambe raccolte al petto ed un braccio a cingerle entrambe e di tanto in tanto portava la bottiglia alla bocca, prendendone un lungo sorso, per tornare immediatamente a fissare la palude.

- George, cosa fai qui? Non eri andato alla Tana con mamma e papà?-

Suo fratello aveva sollevato lo sguardo e l'aveva osservata con disattenzione, come se in realtà non la vedesse, poi aveva l'aveva fissata, come per riconoscerla solo in quel momento e si era aperto in un mesto sorriso.

- Hey Gin. Non mi sono mai smaterializzato. Appena tu ti sei incamminata verso la scuola io sono venuto qui, passando per un'altra strada. Brindavo a Fred, sai... Vuoi unirti a noi? - le aveva chiesto alzando in modo significativo la bottiglia verso di lei, guardandola con gli occhi lucidi per le lacrime e per l'alcol.
- Certo che voglio.- aveva affermato Ginny, mentre gli si sedeva accanto e gli prendeva dalle mani il Firewishkey per berne una generosa sorsata.

Nessuno dei due aveva detto una parola in più. Erano rimasti lì seduti, a guardare la Palude insieme; Ginny ricordando di nuovo ogni sorriso e ogni gesto di suo fratello, ogni minuto passato insieme, ogni scherzo subito e ogni diabolica marachella progettata, George semplicemente ascoltando il silenzio; quello che era rimasto dentro di lui nel momento in cui la risata di Fred era morta sulle sue labbra. Non sarebbe più stata la stessa cosa, nemmeno lui sarebbe più stato la stessa persona.
Poi, ad un certo momento, il solo motivo che avrebbe potuto smuovere i due fratelli dal loro torpore, si era concretizzato: la bottiglia era vuota. George l'aveva agitata davanti al naso di Ginny, poi si era alzato e le aveva allungato la mano, per aiutarla ad alzarsi. Si erano incamminati insieme verso la Torre di Griforndoro senza bisogno di dirsi dove erano diretti. Barcollando e sostenendosi l'un l'altro, affrontando non poche difficoltà davanti alle numerose rampe di scale che conducevano al dormitorio, erano giunti all'ingresso della Torre. Una Signora Grassa con un braccio al collo ed una grossa medicazione sulla tempia li aveva fatti entrare immediatamente, quasi senza che Ginny le sussurrasse la parola d'ordine.
Appena varcata la soglia della Sala Comune Ginny aveva avuto la sensazione di essere osservata; le era bastato spostare lo sguardo dai suoi piedi, che aveva faticato tanto a portare fin oltre quel pertugio, per vedere la sagoma del Salvatore del Mondo Magico che la guardava di sbieco dalla poltrona davanti al camino. Ma era durato solo per un secondo, il secondo che precedeva la rovinosa caduta di George dietro di lei, che l'aveva travolta, trascinandola con sé sul pavimento.

- Scusami sorellina, sono inciampato.- aveva detto biascicando, mentre strisciava verso il tappeto cercando di rialzarsi.

Harry si era alzato senza proferire verbo, aveva aiutato George a rimettersi in piedi e poi era andato da lei, che era ancora sdraiata sul pavimento, indecisa se ridere per l'assurdità della caduta, vomitare per la nausea che le era salita dopo il ruzzolone o piangere ogni lacrima che le era rimasta per suo fratello. Le aveva spostato i capelli da davanti al viso e poi l'aveva presa in braccio, facendole poggiare la testa sulla sua spalla. Da quella posizione Ginny aveva guardato George sedersi scompostamente su uno dei divani e guardare le fiamme del camino con un'espressione distratta, persa, assente. Harry le aveva baciato la fronte e poi si era avventurato su per le scale del dormitorio maschile, fino alla sua stanza. Non c'era nessuno quella notte. Neville era tornato a casa con la nonna, così come tutti gli altri, tranne Ron che era disperso chissà dove, probabilmente con Hermione. L'aveva adagiata sul letto con dolcezza e le aveva staccato le mani dalla sua camicia, dove lei le aveva serrate con forza.

- Non vado da nessuna parte Gin, tranquilla. Avanti, sdraiati.-

Continuava a sentire la testa girare, lo stomaco ribellarsi alla sua brillante idea di consolarsi con la bottiglia e un vuoto terribile dentro il petto. Harry era lì con lei, questa volta, anche se la sua vista non le rimandava un'immagine che si sarebbe potuta definire propriamente nitida; era seduto sul bordo del letto e la guardava con un'espressione impotente.
Avrebbe tanto voluto fare qualcosa per lei, per lenire quel dolore, per farla sentire meno vuota; non riusciva a capire la sua scelta di ubriacarsi a quel modo, non comprendeva come avesse potuto preferire quello al conforto, seppur irrisorio, che lui le avrebbe potuto offrire con le sue parole, con il suo affetto. Ma non doveva capire, né giudicare. Si era sforzato di pensare a questo, mentre la vedeva sollevarsi sui gomiti verso di lui.
Ginny guardava negli occhi l'Eroe del Mondo magico, vedendo soltanto quel verde che per tutto quell'anno scolastico l'aveva tormentata, di notte nei sogni e di giorno nei ricordi. Guardava negli occhi di Harry e vedeva finalmente l'amore che lui provava per lei, libero dalla paura di Voldemort, libero dai troppi vincoli che lui stesso si era imposto prima della vittoria, paventando lo spauracchio della Guerra, i timori per la sua sicurezza. Ancora prima di rendersene conto in modo cosciente Ginevra aveva scelto come provare a superare quella notte, come tentare di restare a galla. Aveva afferrato il colletto della camicia di Harry con una mano, mentre con l'altra si sosteneva per restare seduta sul letto senza ondeggiare pericolosamente, e l'aveva tirato verso di sé. Non appena le loro labbra si erano incontrate aveva sentito qualcosa sciogliersi e il dolore diventare liquido nel petto. Non se ne sarebbe andato, questo era certo, ma in quella forma forse sarebbe stato più sopportabile. Harry era rimasto rigido davanti a quell'assalto completamente inaspettato, ma quando Ginny si era lasciata cadere sul materasso, trascinandolo con sé, aveva capito che niente importava più. Si era fatto trasportare da lei, dalle sue mani che gli slacciavano febbrilmente ogni bottone della camicia, dalle sue labbra che assaggiavano ogni centimetro del suo torace.
L'aveva sognata a lungo, durante l'inverno alla ricerca degli Horcrux, l'aveva immaginata con sé in ogni momento, ma mai avrebbe pensato che sarebbe stato così, con tutta questa rabbia e questo dolore, che si sarebbero ritrovati. Aveva lasciato che ogni sentimento provato, che ogni scheggia di sofferenza e di rancore fluissero, attraverso di loro, fuori dai loro corpi. Il profumo di Ginny, la sensazione della sua pelle sotto le dita, gli avrebbero permesso di ricominciare da capo.
Ginny aveva assaporato di nuovo l'odore di Harry, il suo sapore, il calore delle sue mani; aveva lasciato che la passione per lui si facesse spazio nella sua mente, schiacciando in un angolo, per qualche momento, tutto il resto. Non ci era riuscita, ma l'angoscia che provava aveva trovato sfogo in quell'unione, il dolore per ogni perdita aveva trovato un flebile conforto nel sentirlo con sé, finalmente, dopo tanti mesi. E quando l'aveva sentito spingersi in lei, con quel desiderio per tanto tempo rimasto insoddisfatto, aveva lasciato andare le lacrime.


*****

Hermione stava cercando Ron da più di mezz'ora ormai. Dopo la funzione in Sala Grande erano andati con Ginny a salutare tutta la famiglia nel giardino della scuola, li avevano guardati per qualche momento mentre si allontanavano a piedi verso Hogsmeade per potersi smaterializzare e poi si erano avviati insieme verso le porte del grande castello.
Erano passati davanti al grande spiazzo che a settembre, al ritorno a scuola degli studenti, avrebbe ospitato il Memoriale per le vittime di Voldemort. Avevano deciso di sistemarlo sulla collina, in modo che potesse dominare tutta la scuola dall'alto e che tutti coloro i quali sarebbero entrati l'avrebbero visto lassù, con tutti i nomi e con tutti i ricordi che racchiudeva.
Ron non aveva parlato molto durante tutto il pomeriggio, lo aveva fatto solo per esporre qualche informazione assolutamente necessaria oppure per avvertirla di qualcosa.

Mione, stai attenta al gradino.”

Mione, vado un attimo in bagno. Aspettami.”

Mione facciamo una passeggiata sul Lago.”

Mione, ho fame, scendiamo in Sala Grande per cena.”

Durante tutte quelle ore aveva tenuto stretta la sua mano freddissima nella sua, bollente, e l'aveva trascinata di qua e di là in ogni cosa sentisse la necessità di fare e lei l'aveva seguito, assecondando ogni suo desiderio.
Ora erano seduti in Sala Grande, per cena appunto, ed Hermione guardava Ron mangiare ogni oggetto commestibile fosse presente su quella tavola; si chiedeva, molto malignamente, pensò tra sé, se sarebbe stato capace di mangiare anche uno Schiopodo Sparacoda, se inondato di salsa e presentato in un piatto. La risposta che si diede era che, si, probabilmente l'avrebbe fatto.
Si riprese mentalmente per quel pensiero cattivo e sorrise al suo ragazzo, che le restituì un sorriso stentato, nascosto dietro ad un bicchiere di succo di zucca. Il suo ragazzo. Ancora non riusciva bene a capacitarsi di quanto stava succedendo.

Amava Ron? Certamente.

Aveva sperato per tanto tempo che si accorgesse di lei, che riuscissero a stare insieme.

Era felice? No.

Ma anche questo era perfettamente normale. Si erano scambiati quel bacio fugace, in un momento che era il meno appropriato possibile all'esternazione di un sentimento di quel genere, dopodichè la tragedia della morte di Fred e di tutti gli altri si era abbattuta sulle loro teste.
Non aveva avuto neanche il tempo di essere felice, perchè il dolore aveva immediatamente preso il posto di qualunque esaltazione o manifestazione di gioia avesse tentato di affacciarsi ai loro cuori.

Dalla fine della battaglia in poi era stata accanto a Ron in ogni momento, perchè aveva percepito il suo bisogno di sentirla con sé, ma l'unico gesto che lui aveva continuato a fare, nei suoi confronti, che si discostasse un poco dall'amicizia, era quel suo costante tenerle la mano, in ogni momento.
L'aveva lasciata soltanto ora, mentre erano seduti al tavolo ed aveva comunque preteso che lei gli stesse seduta accanto, non di fronte, per poterla sentire vicino.
Ron si era rifugiato in Hermione perchè era la sola persona che riusciva a sopportare di avere di fianco senza crollare; lei gli dava quella sensazione di sicurezza, di pace, che aveva trovato soltanto tra le braccia di sua madre, quando da piccolo veniva tormentato dai dispetti dei gemelli.

I gemelli. Fred.

Si era alzato di scatto dal tavolo, trascinando con sé parte della panca e facendo sussultare Hermione per lo spavento. Si era precipitato fuori dalla Sala Grande, lontano dalla vista di tutte quelle persone che sentiva di conoscere appena, lontano da tutti quegli occhi giudicatori, e poi su per le scale. Si era fermato su un pianerottolo e seduto su uno dei davanzali delle grandi finestre gotiche della scuola. Finalmente, lì, lontano da ogni sguardo, si era lasciato andare al pianto che aveva trattenuto per quattro giorni.

Hermione l'aveva raggiunto in pochissimi minuti, giusto il tempo di capire che strada avesse preso e di seguirlo su per le scale. L'aveva trovato accovacciato nella nicchia della finestra, con la testa appoggiata sulle ginocchia e le spalle scosse dai singhiozzi. Sembrava un bambino cresciuto troppo e troppo in fretta, racchiuso in quel piccolo spazio.
Si era avvicinata a lui e gli aveva circondato le spalle con un braccio, per poi posargli un bacio leggero sulla testa.

- Ron...- gli aveva sussurrato - Hey, guardami. Non devi nasconderti. -

Aveva soltanto mugugnato qualche sillaba, scuotendo la testa senza alzarla dalle ginocchia.

- Non nasconderti da me almeno, dai. -

Gli aveva preso il viso tra le mani, poggiando i palmi sulle guance umide di lacrime e l'aveva sollevato verso il suo. Ron aveva subito fuggito il suo sguardo, come se si vergognasse di quella manifestazione di dolore.
Lei gli aveva asciugato una lacrima con il pollice e poi si era sporta un poco verso di lui, poggiando le labbra sulle sue in un bacio dolce, tenero, che voleva essere una manifestazione di affetto sincero, di comprensione, di vicinanza. Si era allontanata quasi subito, per prendergli poi la mano e tirarlo giù da quella finestrella.

- Vieni con me.-

L'aveva portato nel corridoio che conduceva all'aula di Divinazione, quello più lontano dal trambusto prodotto dalle persone che erano rimaste nella scuola; aveva frugato per qualche minuto nelle tasche dei jeans e vi aveva trovato quello che stava cercando.
Mai qualcuno avrebbe scommesso sulla presenza di un simile oggetto nelle tasche del Prefetto Granger, eppure, ne aveva estratto uno dei Fuochi d'Artificio dei Tiri Vispi Weasley e l'aveva acceso, sotto lo sguardo esterrefatto del suo ragazzo.
Lampi e spirali rossi e oro si erano librati sopra le loro teste per qualche minuto e mentre li guardava, Hermione aveva stretto la mano di Ron, che l'aveva attirata contro il suo petto per abbracciarla. Solo allora, in quel momento, si rese conto di quanto il dolore per la morte di Fred fosse anche un suo diritto, quanto anche lei l'avesse amato e quanto anche lei, pur non essendo una Weasley, ne avrebbe sentito la mancanza.

Quando i bagliori dei Fuochi si erano dissolti, si era girata verso Ron e quando lui aveva visto le lacrime sul suo viso aveva scosso la testa, gliele aveva asciugate con una mano e l'aveva baciata con foga, quasi goffamente, stringendola a sé con quelle braccia grandi, che ancora stava imparando a comandare. Lei si era divincolata dalla presa poco dopo e si era incamminata verso la propria camera. Ron l'aveva seguita, caracollandole dietro per afferrarle di nuovo quella mano, come durante tutto il giorno.
Una volta in camera, Hermione si era nascosta dietro l'anta dell'armadio per togliersi gli abiti che aveva tenuto per tutto il giorno, per indossare un paio di pantaloncini blu e una semplice maglietta, molto abbondante. Ne aveva lanciata una uguale a Ron e l'aveva raggiunto sul letto.
Si era seduta sul materasso, con le gambe allungate in avanti e la schiena poggiata alla testiera e aveva fatto cenno al suo ragazzo di raggiungerla. Lui si era rannicchiato accanto alle sue gambe e le aveva poggiato la testa in grembo, mentre le accarezzava le gambe con una mano.
Ron aveva sentito subito la consueta sensazione di pace, quella che provava quando Hermione gli restava accanto e aveva chiuso gli occhi, cercando di congelare quel momento.
Si erano addormentati così, con le mani di Hermione tra i capelli di Ron e con il pensiero che forse, un giorno, sarebbero stati anche felici, insieme, senza quel retrogusto di malinconia che aveva permeato ogni momento, da quel loro primo bacio.




Benvenuti nei meandri della mia mente malata. Il titolo è CHIARAMENTE un omaggio ai Muse (tanto tanto amore per loro) e una sorta di "ispirazione" per quello che accadrà nella storia. Si, non si capisce, lo so, ma sono malefica. :)

Ringrazio ognuno di voi per essere arrivato fino qua, è già una grande cosa e ringrazio quei lettori fedeli che non mi abbandonano mai (si si dico proprio a voi)... xD

Questa storia parte canon che più canon non si può, almeno per me, ma se siete amanti delle cose fatte come vuole mamma Row diffidate di me, sono quanto di peggio potrebbe capitarvi, a discapito di quanto possa sembrare. Questo è solo l'inizio e la storia ha intenzione di discostarsi parecchio.

Non ho moltissimo da dire per introdurre alla faccenda. Come avrete capito e immaginato si piazza subito dopo la sconfitta di Voldemort e non terrà conto nella maniera più assoluta dell'epilogo, che per me è assolutamente irrilevante, anzi oserei dire inesistente.
Aspettatevi parecchie testoline bionde e parecchio Slytherin Pride, tengo sempre per il lato Oscuro e ne vado molto fiera, che ci vogliamo fare... xD

Per questa volta vi lascio brevemente, ricordandovi solo che se volete addentrarvi ancora di più nella mia folle psiche, potete venire a trovarmi su Facebook. Sono QUI. xD

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Capitolo 2
*** Slytherin Pride. ***


A Rea (Somma Autrice) perchè anche solo vedere il tuo nome lì, tra quelli che seguono, mi ha fatto prendere un colpo.

A tutte le mie donne, tutte le innamorate di Malfoy che hanno sentito la sua mancanza nel primo capitolo. Ora è qui, tutto per noi.




Malfoy Manor, 6 Maggio 1998.


Narcissa Black Malfoy si era svegliata quella mattina sapendo che la giornata che la attendeva sarebbe stata tutt'altro che piacevole e poteva dire senza alcun dubbio che la parte che era trascorsa era stata assolutamente all'altezza delle aspettative.
Aveva deciso, di comune accordo con suo marito, di non presenziare alla cerimonia indetta ad Hogwarts per la commemorazione dei caduti durante la battaglia. Nessuno dei due credeva fosse appropriata la loro presenza in quella circostanza, nonostante con il suo gesto avesse contribuito non poco alla vittoria del Ragazzo Sopravvissuto, e avesse permesso loro di schierarsi, anche se all'ultimo momento, dalla parte dei vincitori. Sapeva per certo che la sola vista della loro famiglia avrebbe destato non poco disappunto in quel luogo e per quella cerimonia, visti i loro trascorsi e la loro posizione, ma soprattutto dato che si sarebbero presentati tutti e tre sani e salvi.
Narcissa non si vergognava affatto né del suo passato né di nessuna delle scelte fatte. Aveva agito per come riteneva giusto nella maggior parte dei casi e negli altri aveva fatto le scelte che più sarebbero convenute, se non a lei, a Draco.
Aveva desiderato, come ogni madre, il meglio per suo figlio e quel meglio si era per anni concretizzato nel consolidare la loro posizione di Purosangue, nel mantenere quello status quo che a loro tanto faceva comodo, nel seguire i principi con cui Lucius in primis e lei nondimeno, erano stati cresciuti. Le cose erano cambiate quando Lucius era finito ad Azkaban, quando Voldemort aveva voluto Draco con sé, quando a suo figlio era stato imposto il Marchio Nero.
Dal canto suo Draco non aveva opposto resistenza, anzi, da degno figlio di suo padre aveva accettato la sua missione e aveva fatto del suo meglio per portarla a termine. Ma in quel momento Narcissa aveva visto vacillare le sue certezze. Aveva visto per la prima volta Voldemort per quello che era, un Signore vendicativo e crudele, capace di rubare i sedici anni di suo figlio pur di avere soddisfazione per il fallimento di Lucius.
Aveva chiesto aiuto, aveva ottenuto protezione per Draco e aveva messo la vita di suo figlio nelle mani di colui che alla fine, si era rivelato il deus ex machina di tutta la faccenda.
Aveva infine fatto la sua scelta, quella notte di quattro giorni prima, regalando quel vantaggio a Potter. L'aveva fatta per suo figlio e perchè tutti, lei compresa, potessero ancora avere un futuro, quindi non si sarebbe presentata davanti a una folla di Mezzosangue a farsi giudicare dai loro bisbigli come una criminale. Né a maggior ragione avrebbe portato Draco a subire le loro insinuazioni e i loro sospetti, per fondati o meno che fossero.
Quello che tutte quelle persone non ricordavano o che tralasciavano senza alcun riguardo, era che anche loro, specialmente lei, avevano perso qualcuno. Bellatrix Lestrange era sua sorella e niente avrebbe cambiato questa realtà. La sua folle lealtà e il suo amore per la causa dell'Oscuro Signore l'avevano resa una furia cieca e irrazionale, ma restava comunque e sempre la sua Bella. Probabilmente meritava la morte e con ancora maggiore probabilità lei stessa l'avrebbe desiderata, in quella circostanza, piuttosto che vivere in un mondo in cui l'Oscuro Signore era stato sconfitto, ma questo non alleviava di certo il dolore di Narcissa per la perdita della sorella.
Come stabilito, quella mattina Narcissa aveva seppellito sua sorella, senza molte cerimonie e senza discorsi inutili e falsi. Nessuno era presente in quel momento, se non le sole persone che avrebbero potuto capire la sua necessità di dare a Bella un riposo dignitoso, nonostante il modo in cui aveva scelto di impiegare la sua vita: suo marito e suo figlio.

Forse Andromeda avrebbe capito? Di certo non ora, non con sua figlia vittima degli scontri e con un nipotino di qualche mese che avrebbe passato la vita da orfano. Nessuno poteva comprenderla fino in fondo, temeva. Aveva paura per suo figlio, per quello che lo attendeva dopo quell'estate di pace, per le sfide che avrebbe dovuto vincere, in primis con se stesso, solo per riuscire a camminare a testa alta dopo ciò che era accaduto.
Sopra ogni cosa, però, Narcissa temeva per suo marito, per il suo Lucius. Fin dal minuto seguente alla caduta di Voldemort, anzi anche da prima, Narcissa aveva fatto i suoi calcoli e in ogni supposizione, in ogni ipotesi, per quanto positiva cercasse di essere, aveva dovuto tenere conto della posizione ben poco felice di suo marito. In quei pochi giorni che erano seguiti alla battaglia nessuno aveva parlato di processi, di condanne, di pene da scontare; tutti erano concentrati su quanto avevano perso, su quello che mancava. Ma lei sapeva bene che sarebbe arrivato un momento in cui tutti i “buoni”, come immaginava amassero definirsi, si sarebbero svegliati dal loro torpore e avrebbero iniziato a reclamare la loro giustizia. Quello era il momento che temeva di più in assoluto, perchè era certa che suo marito non sarebbe stato giudicato con clemenza né indulgenza e perchè una parte di lei nutriva la paura che anche Draco non ne sarebbe uscito completamente pulito. Concetto particolare, quello della giustizia. Era certamente ingiusto, su questo conveniva certamente anche lei, che dei giovani fossero morti per difendere i loro ideali, che tutte quelle vite fossero state spezzate. Era ingiusto anche che le idee con cui era cresciuta e che aveva sempre condiviso fossero state lentamente distorte ed estremizzate, fino a diventare la grottesca bandiera sotto la quale Voldemort aveva raccolto i suoi seguaci. Era ingiusto, infine, che la vita di suo figlio fosse stata manovrata per due anni con le minacce, con la paura e con la vergogna. Di questo nessuno avrebbe tenuto conto, durante il processo, perchè questo non faceva di certo parte del loro concetto di giustizia.

Narcissa era in compagnia di queste riflessioni quando era stata sorpresa dall'arrivo di un gufo sul davanzale della finestra della sua stanza. Le ante erano aperte, a lasciare entrare un po' dell'aria tiepida del pomeriggio, quindi l'animale era potuto entrare indisturbato, per posarsi sul piccolo scrittoio all'angolo della camera. La donna si era alzata dalla poltrona in cui era accomodata e dopo essersi avvicinata, aveva slacciato la missiva dalla zampetta del volatile, che si era allontanato immediatamente.


Carissima Mrs. Malfoy,


in qualità di Preside di Hogwarts le scrivo per manifestare il mio dispiacere nell'aver notato la vostra assenza alla Cerimonia di questo pomeriggio. Era nel vostro pieno diritto essere presenti e spero questa vostra decisione sia stata presa per impegni o motivazioni che esulino da quelle che ormai voglio considerare vecchie convenzioni, che sarà nel mio interesse estirpare al più presto. Desidero che Hogwarts torni ad essere la scuola sicura e serena che è stata per moltissimo tempo, in cui ogni studente, quale che sia la casa a cui è assegnato, possa trovare uguale trattamento e riguardo.


Cordiali Saluti

Minerva Mc Granitt.


Le erano schizzati gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa, alla lettura di quelle parole, che erano inaspettate quanto una bella nevicata in pieno luglio. Era a conoscenza del fatto che la Mc Granitt fosse una donna molto intelligente e decisamente diplomatica, ma da lì a scriverle per rassicurarla, anche se in modo velato, sulle sue intenzioni riguardo la condotta che avrebbe adottato Hogwarts nei confronti della maggior parte dei figli di ex Mangiamorte, ne passava.
O doveva forse considerare questa lettera una sorta di rimprovero per non essere stata presente in un momento di raccoglimento che non le apparteneva, ma che avrebbe dovuto sentire suo per meglio integrarsi nel Mondo Magico che sarebbe venuto dopo la vittoria di Harry Potter?

Qualunque cosa la Mc Granitt avesse voluto dire, con quel biglietto, l'effetto che aveva avuto sullo stato d'animo di Narcissa era assolutamente positivo. Draco sarebbe potuto tornare a scuola, in una scuola in cui, nonostante tutto, avrebbe dovuto affrontare parecchie difficoltà, specialmente visto il segno indelebile delle sue scelte sul braccio sinistro, ma con la Mc Granitt dalla sua parte, non avrebbe dovuto temere per nulla.
I sussurri alle spalle e le parole vuote della gente erano comunque un'abitudine per i Malfoy ed era sicura che Draco li avrebbe sopportati, anzi ignorati, con grande maestria.
Con un sospiro di sollievo si era quindi sistemata più comodamente sulla poltrona, aveva allungato la mano verso il suo romanzo e aveva iniziato a leggere, in attesa dell'arrivo di Lucius e Draco per la cena. In fondo, quella giornata, poteva anche non finire così male.


****


Il protagonista di tante materne preoccupazioni camminava nel parco di Malfoy Manor, in cerca di un minimo di tregua dalle soffocanti attenzioni degli elfi domestici che sua madre Narcissa gli aveva sguinzagliato appresso.
Fino a pochi minuti prima era seduto sulla balaustra di uno dei terrazzi della casa, ma, per l'appunto, il suo tentativo di relax era stato brutalmente interrotto dal sonoro “pop” dell'elfo domestico che gli era personalmente assegnato, che si era materializzato lì tentando di svolgere chissà quale fantasiosa mansione Narcissa avesse studiato per lui. Draco non gli aveva dato nemmeno il tempo di aprire bocca e lo aveva liquidato con poche parole, semplici quanto efficaci.

- Sparisci dalla mia vista inutile essere. -

La bestiola si era accartocciata su se stessa con un gemito ed era scomparsa con la stessa rapidità con cui era arrivata, probabilmente per andare a punirsi infilando una mano nell'acqua bollente.
A quel punto Draco aveva deciso di allontanarsi da casa, nella speranza di non essere seguito anche lì e di riuscire ad avere se non la pace, almeno il silenzio.
Da quando erano tornati a casa dopo la battaglia, dopo che Potter era uscito trionfante da quell'epico combattimento contro il più grande mago di tutti i tempi, Narcissa aveva passato una buona metà del suo tempo, quello che non impiegava nella gestione della villa e nella sistemazione degli affari di famiglia dopo la morte di Bella, a preoccuparsi del benessere di suo figlio in ogni minima sfumatura. Il fatto che questo figlio avesse ormai quasi diciotto anni e che fosse sopravvissuto a catastrofi ben peggiori di una camicia non perfettamente stirata, sembrava non scalfire la sua ferrea convinzione che, dopo quello che era successo, Draco avesse bisogno di essere il più possibile “protetto” da ogni stress.
Inutile aggiungere che era proprio questa una delle cose che maggiormente stressava l'oggetto di tutte queste attenzioni. La sua non era mai stata una famiglia da coccole e smancerie e nemmeno lo era adesso, ma tutta quest'aria da principino che sembrava gravitargli attorno lo imbestialiva terribilmente. Non voleva essere protetto da nessuno e non riteneva di dover essere trattato con i guanti bianchi solo perchè tutto il mondo in cui era cresciuto e tutti i valori che gli erano stati insegnati erano crollati grazie a un ragazzino con uno sfregio in fronte.
Non poteva negare di certo che quella vittoria non fosse conveniente anche per lui, per loro, ma d'altra parte non poteva smettere di pensare che quel mondo in cui aveva vissuto fino al quinto anno, fino a quando era stato marchiato, gli sarebbe mancato.
Tutto quello che gli serviva era essere lasciato in pace.

Pace. In fondo, era esattamente quello che il Mondo magico stava vivendo in quel momento.
La pace. Era incredibilmente ironico quanto quel sostantivo che rappresentava uno stato dei fatti tanto agognato da tutti significasse per lui un tormento altrettanto ferventemente respinto. Avrebbe voluto dimenticare, avrebbe voluto poter tornare al quarto anno, quando il mondo girava ancora per il verso giusto, quando poteva guardare dall'alto in basso i Mezzosangue dal suo palco riservato ai Mondiali di Quidditch, quando ancora girava per Hogwarts fiero della sua posizione, con i suoi compagni al fianco.
Cosa gli era rimasto ora? Un Marchio sull'avambraccio sinistro che per tutta la vita l'avrebbe seguito, ricordandogli i suoi fallimenti, ricordando agli altri da che parte era stato; gli era rimasto il vuoto lasciato dalla scomparsa di un amico.
Draco non aveva parlato con nessuno di quello che provava riguardo la morte di Tiger; non era necessario, non era da lui. Non avrebbe ammesso a nessuno il suo senso di colpa, né avrebbe confessato a chicchessia quanto sentisse la sua mancanza. Non voleva condividere il suo dolore con nessuno perchè sarebbe stato come ammettere un'altra debolezza. Lui che di debolezze aveva dovuto ammetterne anche troppe, dopo quella sconfitta, dopo la questione Silente, e che avrebbe dovuto chinare la testa molte volte e zittire l'orgoglio ancora chissà quante altre, per tornare in quella scuola popolata da seguaci dello Sfregiato, Mezzosangue e Sanguesporco.
Ma sua madre voleva così, suo padre sembrava concordare, anche se con molta meno convinzione, e lui non li avrebbe di certo delusi.
D'altro canto, cosa avrebbe potuto fare altrimenti?
Nessuno avrebbe sostenuto i MAGO quell'anno, visto che erano stati sospesi, quindi era prevedibile che sarebbero tornati tutti a Hogwarts per completare l'ultimo anno.

Avrebbe dovuto lasciar stare?
Sarebbe forse stato meglio evitare di tornare tra quelle mura, sotto quegli occhi indagatori, ad ascoltare tutti i sussurri e tutte le parole dette alle spalle?

No. Non aveva paura di nessuno di loro, non avrebbe più temuto nulla, non adesso. Sarebbe tornato, avrebbe alzato il suo sguardo algido su di loro e li avrebbe ignorati, nel migliore dei casi, derisi per le sciocchezze che andavano pensando, negli altri.
Merlino, era ancora un Malfoy, questo non poteva toglierglielo nessuno.
Aveva appellato la sua Firebolt, che era sfrecciata attraverso gli alberi per fermarsi docilmente al tocco della sua mano. Aveva accarezzato quel legno e con eleganza vi era salito a cavalcioni, percependo per la prima volta in quella giornata un barlume di tranquillità. Con dolcezza si era sollevato da terra e soltanto in quel momento aveva capito quanto avesse bisogno di volare.
Aveva sorvolato, tra picchiate e spirali lente, tutta la proprietà di suo padre ed era rimasto in volo per un tempo che non avrebbe saputo definire. Come era sempre stato, salire su una scopa e staccarsi dal suolo era la soluzione, anche se temporanea, per ogni suo cruccio.

Aveva amato volare sin dalla sua prima volta su una scopa, quando, a cinque anni, gliene avevano regalata una in miniatura, che volava non più in alto di un metro e mezzo, ma che gli aveva fatto provare per la prima volta l'emozione di staccare i piedi da terra. Era rimasto attaccato a quella piccola scopa per settimane, se la portava dietro ovunque, suscitando le tenere risate di sua madre e i rimproveri orgogliosi di suo padre.
Era sempre stato così con lui, rimproveri e parole dure che nascondevano, a volte nemmeno troppo bene, l'amore che provava per quel figlio desiderato e amato. Ed era stato così anche con quella scopa. Gli aveva detto che doveva smetterla di portarsela dietro come se fosse l'orsacchiotto di una femminuccia, ma quando il piccolo, punto nell'orgoglio maschile, l'aveva lasciata in camera per la prima volta, gliel'aveva fatta portare in giardino da un elfo, dicendogli di mostrargli che cosa sapeva fare, su quel piccolo aggeggio. Non gli aveva fatto alcun complimento né lo aveva incitato o festeggiato, ma il ghigno soddisfatto che gli aleggiava sul viso era più che sufficiente.

Mentre scendeva nell'ennesima picchiata verso il cortile anteriore della villa, Draco si era accorto che c'era qualcuno in piedi, vicino al porticato. Una figura che aveva un'aria familiare.
Chi poteva arrivare a casa loro in un momento del genere?
Sperava che, chiunque fosse, non portasse notizie o perlomeno, che non ne portasse di cattive. Sempre restando in sella alla Firebolt, Draco si era avvicinato lentamente, tenendo gli occhi sulla figura che sembrava attenderlo. Quando la distanza si era ridotta a sufficienza, si era ritrovato a ridere di se stesso per non aver riconosciuto subito l'unica persona che si sarebbe potuta permettere il lusso di presentarsi a casa sua senza invito in un momento “felice” come quello.

- Eccolo qui il Principino della casa, mi fai entrare? - aveva esordito Blaise, ben cosciente di quanto Narcissa potesse essere materna in alcune circostanze.

- Ottimo spirito Blaise, mi viene quasi voglia di lasciarti fuori. -

- Tanto so perfettamente che non lo farai... - gli aveva risposto con un ghigno.

- Di qua, dannato presuntuoso - gli aveva risposto Draco – preferisco evitare di stare in casa in questi giorni, gli elfi domestici mi inseguono ovunque. -

- Mamma Cissy sta dando il meglio di sé? -


- Precisamente. -

Aveva guidato l'amico lungo il portico, verso il giardino sul retro, mentre il pomeriggio iniziava a sfumare nel tramonto. Zabini aveva infilato le mani in tasca e camminava un paio di passi dietro l'amico, guardandolo di sottecchi. Erano andati avanti così per qualche centinaio di metri, Draco a camminare spedito verso il bosco con gli occhi incollati agli alberi e Blaise subito dietro, riflettendo attentamente su quali sarebbero state le parole migliori per iniziare quella conversazione.

- Mi stai fissando. - aveva sbottato improvvisamente Malfoy.

- Lo so. -

- Che vuoi? -

Blaise aveva sbuffato in risposta, per affondare di più le mani nelle tasche ed affiancarsi all'amico.

- Oggi sono andato ad Hogwarts. -

- Tutto qui quello che dovevi dirmi? Davi l'idea di uno che sta per comunicarmi che il Mondo sta per esplodere. -

- Quello è già successo. - aveva replicato secco Zabini, con un ghigno.

- Già, è vero. Come dimenticarsene? - Draco aveva scosso latesta contrariato. - Bene, Blaise, sei stato a Hogwarts. Come mai hai un impellente bisogno di comunicarmi questa futile informazione? -


- Lo sai benissimo perchè. So perchè non siete venuti e lo capisco ma credo comunque che tu saresti dovuto essere lì. -

Draco fissava di nuovo il cielo e il bosco davanti a sé, chiedendosi cosa avesse fatto di male per meritarsi di vivere questo momento. Non aveva voglia di affrontare questo discorso, nemmeno con Blaise; non voleva parlare della sensazione di smarrimento che provava da settimane, da ben prima che la battaglia si concludesse, ma che era cresciuta esponenzialmente in quegli ultimi giorni.
Zabini si sbagliava. Non era quello il suo posto, non era con quelle persone, con quella gente, che lui doveva stare. Ma in realtà non sapeva nemmeno lui quale fosse realmente la collocazione che sentiva sua. Forse non ce n'era nessuna.

- Hanno letto i nomi delle vittime della battaglia, li hanno elencati ad uno ad uno. -

- Stucchevole modo di manifestare il cordoglio. Molto Grifonesco, in effetti. - aveva commentato sprezzante, con una smorfia disgustata.


- Hanno letto anche il nome di Vincent. -

Malfoy si era girato improvvisamente, come colpito da una scossa e aveva guardato Zabini negli occhi. Solo per un secondo Blaise aveva intravisto il tumulto dietro quello sguardo, che si era fatto immediatamente immobile, imperturbabile.

- Si sono degnati di nominare uno di noi tra le loro vittime? -

- Tiger era uno studente come tutti gli altri, esattamente come loro. -

- Non dire idiozie Blaise. Era tutto tranne che come loro, come non lo sono io né lo sei tu. -

- In questo contesto è diverso, Draco. Non c'è più un loro e un noi. -

- Lo vedremo quanto sarà diverso. Lo vedremo. -

L'ultima frase era stata detta sottovoce, quasi mormorata, mentre Draco si sedeva sull'erba a guardare il sole tramontare su quella giornata che era già stata troppo lunga.

- Ti fermi qui per un po'?- aveva chiesto poi a Blaise, sdraiato comodamente con le mani dietro la nuca.

- Che domande. Posso perdermi lo spettacolo di vederti imprecare a più riprese mentre Narcissa trova ogni modo possibile per viziarci?

- Immagino di no. - aveva replicato con un sorrisetto. -

- Per nulla al mondo, amico. -




Capitolo breve e sudato.

Ora vi tedio giusto con qualche precisazione...

La famiglia Malfoy è la una mia passione sfrenata e totale, credo che chi mi conosce anche solo un po' lo sappia. Non riesco a concepire nemmeno vagamente Narcissa e Lucius come genitori freddi e snaturati che abbiano fatto pressioni sul figlio per questa o quell'altra motivazione.
Ritengo che siano persone con dei valori e con delle idee, che abbiano provato a trasmetterle al figlio e che le abbiano seguite finchè le hanno ritenute valide. E credo sia normale e ovvio che amino la loro prole. Saranno anche Slytherin e Death Eater, ma sono umani, che diamine. u.u
Il voltagabbana finale di Narcissa e il suo salvare Potter da Voldemort era una scelta che dipendeva in modo evidente dal desiderio di proteggere Draco anche nei Doni nella Morte e io ho solo seguito la corrente; poi insomma, l'essere opportunisti e tendenzialmente egoisti è molto Slyth, quindi concedetemi la costruzione... xD

Il “mio” Blaise ha tutti i caratteri somatici “giusti”. E' di colore, con gli occhi neri e i capelli neri.
Niente occhi color del mare tropicale et similia, Zabini è Zabini. u.u
Per quanto riguarda il carattere la Row non ci ha detto molto di lui, quindi mi sono presa la briga di inventare, affibbiandogli il tanto inflazionato (nelle fanfict) ruolo di amico di Draco.

Ho finito di stressarvi.
Grazie a tutti, ma davvero a tutti per ogni recensione, a chi segue, a chi preferisce e a chi ricorda.
Vi vedo che leggete e ogni numerino in più mi fa sdilinquire in modo imbarazzante, anche se non lasciate altro segno di voi... *___*

Ogni riferimento a una tal Valaus è puramente casuale. xD
Scherzo caVa, sai che già sono onorata della tua sola presenza. *___*

Per chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi trovate su Facebook: QUI. 

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Capitolo 3
*** Before the Beginning. ***


18 Agosto 1998.


Mancavano pochi giorni al ritorno ad Hogwarts per tutti gli studenti; il primo settembre, come ogni anno, la Scuola di Magia e Stregoneria avrebbe riaperto i battenti. Lo aveva comunicato in maniera ufficiale, sebbene ufficiosamente fosse già serpeggiata ben più di un'ipotesi a riguardo, la Preside Mc Granitt con una lettera intorno alla metà di luglio.
In questa lettera veniva appunto comunicata la consueta data di inizio delle lezioni e venivano avvisate le famiglie che l'intero anno scolastico trascorso durante la guerra sarebbe stato considerato nullo a causa della scarsità di insegnamenti realmente utili e di lezioni costruttive durante quel periodo. Ogni studente sarebbe quindi stato assegnato allo stesso anno di quello precedente e gli studenti del Primo Anno avrebbero condiviso le loro lezioni con quelli che, in teoria, sarebbero dovuti essere al Secondo.
Successivamente era arrivata anche la consueta lettera contenente le istruzioni sul materiale e sui libri da acquistare, nonché le nomine dei Prefetti e dei Capiscuola.

Come tutti si erano aspettati, insieme alla lettera di Hermione era arrivato anche il suo distintivo di Caposcuola, suscitando tumulto e festeggiamenti in tutta la Tana.

Molly l'aveva abbracciata e le aveva detto quanto fosse orgogliosa di lei per questo traguardo tutto meritato, Arthur le aveva fatto un grandissimo sorriso e si era complimentato stringendole entrambe le mani tra le sue, Harry le era corso incontro e l'aveva sollevata da terra, stringendola forte e blaterando in modo poco connesso quanto fosse felice che tutto stesse tornando al suo posto e che lei avesse quello che le spettava. Ginny aveva saltellato intorno al tavolo strillando il suo nome e dicendo che ora, con la sua migliore amica Caposcuola, avrebbe potuto fare tutto quello che voleva scampando alle conseguenze; come immaginabile Hermione le aveva risposto raddrizzando le spalle, assumendo un'aria austera e autoritaria:

- Ginevra sai perfettamente che non sarai privilegiata. -

Ginny aveva riso di gusto, mentre si sedeva sul divano accanto a suo fratello Percy.

George l'aveva guardata attraverso il tavolo, indicando il suo distintivo e scuotendo la testa con un'espressione corrucciata sul viso.

- Hermione cara, anche tu. In fondo posso dire che me l'aspettavo, ma ti assicuro tutta la mia disapprovazione. Diventerai come il caro vecchio Perce.-


Da qualche settimana George aveva iniziato a riacquistare il suo senso dell'umorismo e la voglia di ridere. Sembrava quasi che tornare alle battute e agli scherzi lo aiutasse a sentire Fred più vicino, come se ancora li facessero insieme. Percy si era alzato dal divano e si era avvicinato ad Hermione.

- Davvero complimenti Hermione, è un ottimo risultato il tuo. Sii fiera di questo ruolo, so bene che lo prenderai con la giusta dose di responsabilità e serietà. -

- Merlino Perce, sembri la McGranitt! - si era intromesso George mentre gli assestava una spinta sulla spalla. - sciogliti un po', diamine.

Inaspettatamente Percy si era scansato da suo fratello e aveva iniziato a ridere con lui. Aveva circondato con un braccio le spalle di Hermione e le aveva dato un bacio sulla guancia, mormorandole ancora i suoi complimenti.
La sola persona che non aveva manifestato grande entusiasmo era Ron; non che non si fosse complimentato, che non l'avesse abbracciata o che non si fosse mostrato felice per lei. L'aveva fatto eccome, ma con il trasporto che avrebbe avuto per la nomina a Caposcuola di un Tassorosso qualunque. Da tutta l'estate Ron sembrava avere reazioni tiepide per qualunque cosa. Niente lo smuoveva particolarmente, non c'era nulla che riusciva a farlo ridere di gusto o anche semplicemente divertirlo. La sola cosa che riusciva a dargli una scintilla negli occhi era la rabbia.
Ron era sempre stato piuttosto suscettibile, per dirla con un pallido eufemismo, ma dal loro ritorno da Hogwarts, dopo la battaglia, era peggiorato considerevolmente. Sembrava che ogni piccola cosa fosse messa lì apposta per farlo scoppiare, che ogni movimento dell'Universo fosse rivolto contro di lui in una continua mancanza di rispetto. Ron era diventato l'ombra di se stesso, acuendo il peggiore dei suoi difetti e trasformandolo nel tratto saliente del suo carattere.
Hermione riusciva a leggere nei suoi occhi il fastidio e il disappunto che le risate e il buonumore della tavolata gli stavano suscitando. Non riusciva a capirlo, sinceramente, non aveva idea del perchè lui fosse così ostile alla vita che tornava a scorrere, perchè non riuscisse a capire quanto ogni risata fosse preziosa. Ma sapeva di essere l'unica, in quel momento così delicato, a sapere come trattare con lui.
L'aveva preso per mano e gli aveva chiesto di accompagnarla a fare una passeggiata in giardino; lui l'aveva seguita immediatamente, senza domandare nulla, sotto gli occhi di tutta la famiglia che li guardava un po' perplessa. Non appena arrivati fuori, nel buio di una serata limpidissima, Ron si era affiancato alla fidanzata, stringendole forte la mano e iniziando a guidare la camminata.

- Grazie Mione. -

- Di cosa Ronald? - rispose lei, cercando di fare l'evasiva per smorzare un po' la tensione che sentiva tra le dita del ragazzo. - avevo voglia di passeggiare e ti ho chiesto di accompagnarmi. -


Ron l'aveva guardata sospettoso, rallentando leggermente il passo e quando aveva visto Hermione girarsi con un sorriso e ammiccare nella sua direzione aveva capito che aveva ragione. La ragazza aveva deciso di portarlo a fare un giro per evitare un'ennesima uscita teatrale. Una parte di lui era davvero grata a Hermione per averlo tolto da quella situazione che lo infastidiva ma d'altro canto era infastidito proprio da queste stesse attenzioni che lei gli riservava, come se fosse un mentecatto da assecondare nelle sue intemperanze.
Non riusciva proprio a comprendere come potessero avere voglia di ridere, come potessero permettersi di giocare quando in fin dei conti in quella stanza si potevano ancora sentire il vuoto, il silenzio e la mancanza.
Dove avevano lasciato il rispetto per Fred, per Malocchio, per Remus e per tutte le persone che non potevano gioire per quel momento?
Tutto il cordoglio e tutte le lacrime versate si esaurivano in risate, scherzi e vite perfettamente normali? Era tutto lì il dolore che provavano?
Ron pensava che non fosse giusto vivere con leggerezza dopo quello che avevano passato, che non fosse nel loro diritto né nel suo il divertirsi e il prendersi gioco della vita e della morte.

- Hai voglia di parlare con me Ron? - gli aveva chiesto timidamente la ragazza.

- Di cosa vuoi parlare? - il tono che gli era uscito era decisamente più scorbutico di quanto avesse desiderato.

- Di quello che ti fa stare sempre così. Del motivo per cui non sorridi più. -

- Secondo te c'è bisogno di chiederlo? - 

- Ronald... -


Hermione si era fermata in mezzo al prato e lo guardava dal basso in alto, con le mani lungo i fianchi, una delle quali stringeva febbrilmente l'orlo dell'abito azzurrino che indossava. Ron aveva già visto quello sguardo; l'aveva visto tante volte quell'estate, ogni volta che lui si arrabbiava con qualcuno o che perdeva le staffe per una banalità, ma ricordava di averlo visto per la prima volta al quarto anno, quando Ron aveva litigato con Harry per la sua nomina inaspettata a campione. Più di tutte però ricordava quello stesso sguardo quando era scappato dalla loro tenda l'inverno passato, insultando Harry e ricordandogli quanto fosse fortunato ad essere orfano, perchè così in quella guerra non avrebbe avuto nessuno da perdere. Si era vergognato per quella tirata, in seguito, quando si era reso conto che con quell'uscita da primadonna aveva rischiato di perdere Hermione, ma come si suol dire, “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”, quindi Ronald non aveva ancora imparato che il modo migliore per esprimere i suoi disagi era ben diverso dai suoi scoppi d'ira.
La mano di Hermione si era appoggiata dolcemente alla sua guancia e un sorriso triste aveva fatto capolino sul suo viso.

- Perchè la prendi così Ron? -


Il ragazzo si era scostato bruscamente dalla sua carezza, allontanandole la mano con un gesto sgarbato.

- La prendi così? Hermione mio fratello è morto e lì dentro non si fa altro che fare festa e ghignare in ogni momento! Persino George si mette a fare lo spiritoso! -


Ron aveva iniziato a gesticolare in modo convulso, camminando avanti e indietro in un quadrato di prato minuscolo davanti agli occhi esterrefatti di Hermione che lo osservava incredula.
La ragazza cercava di avvicinarglisi, aprendo la bocca e tentando di parlare a più riprese, mentre lui continuava imperterrito nell'esternazione dei suoi irruenti pensieri.

- Mio fratello non c'è più e qui tutti stanno a pensare al tuo distintivo da Caposcuola, alla scuola che ricomincia, le divise, i libri e tutte queste idiozie che di certo non riporteranno indietro i morti. -

- Nemmeno le tue crisi di nervi riporteranno indietro Fred! - aveva infine urlato Hermione, esasperata da mesi di silenzi e di pazienza.


Si era immobilizzato, fissandola con rabbia. Stringeva i pugni lungo i fianchi, con le mani che tremavano e si poteva vedere chiaramente che aveva serrato la mascella, digrignando i denti.

- Almeno io ho rispetto per lui. - aveva infine bisbigliato infine, caustico.

A questo punto Hermione aveva sentito il sangue andarle al cervello, tutto l'autocontrollo che si era proposta di mantenere andare a fare compagnia alla pazienza persa pochi minuti prima e si era ritrovata sotto il mento di Ron, con lo sguardo verso l'alto ed un dito puntato contro il suo petto.

- Credi per caso che il fatto che sia diventata Caposcuola sia una mancanza di rispetto per il lutto della tua famiglia? Credi davvero che Fred avrebbe voluto che suo fratello diventasse uno scorbutico arrogante che crede che il dolore sia sua personale prerogativa? -
- Io non credo che il dolore sia una mia prerogativa, credo solo che se siete così ansiosi di fare baldoria probabilmente non state soffrendo così tanto. -
- Sei un bambino Ron. Soffrire non significa fare scenate e struggersi pubblicamente per dimostrare al mondo quanto stiamo male. La sofferenza è diversa per ognuno di noi. Il rispetto per le persone che non ci sono più io voglio dimostrarlo vivendo nella maniera più piena e più felice possibile la mia vita, la vita che ho ancora anche grazie a loro e non ritengo giusto sprecarla in piagnistei o vittimismi. -

Ronald era rimasto con la bocca aperta, con un'altra frase probabilmente di intelligenza paragonabile alle precedenti, bloccata sul nascere dalla veemenza con cui Hermione l'aveva fermato e messo al suo posto. A quel punto aveva soltanto abbassato la testa, appoggiando il suo mento sul capo di Hermione e le aveva preso i fianchi con le mani, stringendola a sé.

- Mione mi dispiace. -

- Ronald sarebbe il caso che tu pensassi prima di parlare. Così faresti a meno di scusarti ogni volta che apri la bocca. -

- Non volevo litigare con te. -

Sembrava un bambino. Prima faceva i danni e poi metteva su gli occhioni dolci e l'aria afflitta per farsi perdonare ogni cosa. E puntualmente era quello che accadeva.

- Va bene Ron. Non fa niente. -


Hermione aveva ceduto ancora a quell'istinto di protezione e all'affetto profondo che la legava al suo ragazzo; era indisciplinato, testardo e immaturo. Ma l'amava, a modo suo e lei amava lui.
Si era alzata sulle punte dei piedi per poggiare le labbra sulle sue e aveva sentito le sue mani stringere sui fianchi e attirarla di più verso di sé.

- Mione... - aveva sussurrato sulle sue labbra, stringendole la vita e sollevandola da terra.
- Ron. Non è il caso... Stasera la Tana è piena di gente, non basteranno un paio di incantesimi. -
- Mione solo... -

Mentre parlava o meglio, implorava, le stava lentamente insinuando la mano sotto l'orlo dell'abito azzurro, ma Hermione non era ragazza da farsi irretire da simili giochetti. Gli aveva delicatamente preso la mano, smettendo di baciarlo.

- Torniamo in casa Ron, si staranno chiedendo dove siamo finiti. -

- Mione... -

- Ronald. La Tana è più affollata di Madama McClan in tempo di saldi. Abbi pazienza, il tempo non ci manca. -

Se l'era trascinato dietro, con la coda tra le gambe e una faccia appesa per riportarlo dalla sua famiglia. Rimostranze o no, Hermione Granger non si sarebbe fatta convincere.

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25 Agosto 1998

Ginny ed Hermione erano sedute ad un tavolino della gelateria di Florian Fortebraccio, con una coppa di gelato formato gigante davanti ad ognuna, alcuni sacchetti pieni di acquisti poggiati in terra e un'espressione estatica sul volto. La gelateria aveva riaperto da poco meno di un mese, dopo il ritrovamento del proprietario nella cantina di una villa di proprietà di alcuni Mangiamorte nelle campagne fuori Londra. Non era ancora ben chiara la motivazione per cui il povero Florian fosse stato rapito, ma si mormorava che fosse in qualche modo a conoscenza di alcune informazioni riguardo a membri dell'Ordine in incognito e che quindi i Mangiamorte l'avessero sequestrato e mantenuto in vita per torturarlo a più riprese tentando di estorcergliele. All'inizio di Agosto il negozio aveva ripreso l'attività e sembrava che gli affari andassero a gonfie vele, specialmente negli ultimi giorni, in cui Diagon Alley veniva presa d'assalto dalle famiglie dei giovani maghi pronti per tornare a scuola.
Le ragazze erano andate a Diagon Alley per gli ultimi acquisti prima della partenza, dicendo ad Harry e Ron che si sarebbero occupate loro della maggior parte delle spese e di raggiungerle solo nel tardo pomeriggio, con tutta calma. Apparentemente, l'avevano fatto per essere gentili e risparmiare ai due maschietti l'onere dello shopping, in realtà si erano offerte di svolgere tutte queste commissioni semplicemente per passare un tranquillo pomeriggio da sole, lontane dalla Tana, dai ragazzi e dal chiasso della famiglia Weasley che, per quanto fosse adorabile, ogni tanto era capace di portare all'esasperazione.
Ed era proprio questo il caso, specialmente per Ginny; dalla guerra in poi Molly e Arthur erano diventati se possibile ancora più uniti ed ancorati alla famiglia di quanto già non fossero. Restavano insieme in ogni momento libero e la Tana era diventata ancora più un nido, ancora più un rifugio, rispetto a quanto già non lo fosse prima. Questo aveva portato con sé delle inevitabili conseguenze: tutti i Weasley, anche quelli che ormai vivevano fuori casa da tempo, avevano ricominciato a frequentarla sempre con maggiore assiduità, senza contare la presenza pressochè costante di Harry ed Hermione.
Molly ed Arthur avevano investito qualche denaro per riammodernare la casa e per creare un po' più di spazio per ospitare tutti quanti, come Bill e Fleur oppure Andromeda e il piccolo Teddy. Non che Ginny non fosse felice di avere i suoi fratelli, o Harry, o Hermione a casa sua, ma avrebbe desiderato un po' di pace ogni tanto, un po' di silenzio, di tranquillità. Qualche momento per leggere oppure, che so, per una passeggiata da sola nel giardino dietro la casa o qualche minuto con sua madre. Ma tutto questo era solo una specie di utopia e Ginny si aggirava per la Tana come un'anima in pena alla ricerca disperata di un angolo silenzioso.
Non era di certo diventata come Ron, sicuramente non desiderava il silenzio per crogiolarsi nella tristezza o nel rammarico; Ginny voleva il silenzio semplicemente perchè le piaceva e perchè era qualcosa di molto diverso da quello in cui aveva sempre vissuto. Sentiva il bisogno di divertirsi, di stare con le persone che amava e di vivere la sua vita in ogni sfumatura ma questa ossessione dei suoi genitori nel trasformare la Tana in una specie di albergo in cui tutti potevano andare e venire in ogni momento, proprio non riusciva a comprenderla.
L'unica persona che condivideva un po' questo suo pensiero e a cui l'aveva confessato senza timori era suo fratello George che aveva deciso di trasferirsi, anche se non in pianta stabile nel vero senso della parola, nel piccolo appartamento che c'era sopra i Tiri Vispi Weasley. Pranzava comunque alla Tana almeno tre o quattro volte a settimana e spesso si fermava lì per la notte, più che altro per fare contenta Molly, ma amava molto quell'angolino tutto suo e non intendeva rinunciarci. Per lo stesso motivo era capitato spesso che Ginny avesse chiesto, ed ottenuto, da sua madre il permesso di rimanere con lui in quella casa. Durante quell'estate per parecchi giorni Ginny aveva aiutato suo fratello nella gestione del negozio, condividendo con lui momenti scherzosi e silenzi pieni di significato. Qualche volta anche Hermione era rimasta con loro per dare una mano; le piaceva rimanere in cassa, fare i conti ed impilare gli acquisti degli avventori, mentre i due Weasley saltavano da un cliente all'altro proponendo giochi e facendo battute ad ognuno di loro.
Quando era lì dietro a guardarli Hermione si rendeva conto di quanto l'eredità di Fred si fosse tramandata nella sola femmina della famiglia. Si muoveva in quel negozio come se fosse nel suo elemento, supportando George in ogni bravata e proponendone di sue quando la situazione sembrava andare un po' sottotono. Ron aveva tanto sperato di poter essere lui il fratello che sarebbe andato ad aiutare George nel negozio, tutta la sua voglia di somigliare almeno un po' ai gemelli gliel'aveva sempre fatto sognare ma, specialmente alla luce del netto peggioramento del suo carattere, questa cosa sembrava davvero poco realizzabile. Ginny invece sembrava nata per quello, come George, come lo era Fred.

- Questo gelato è un paradiso dei sensi. - aveva detto ad un certo punto Ginny all'amica.

- Hai proprio ragione, sono felice che questo posto abbia riaperto. -

- Dovremmo venirci più spesso, almeno finchè c'è la bella stagione e poi quando siamo da George ad aiutare è una pausa perfetta! -

- Verissimo. A proposito, credi che abbia bisogno di una mano oggi? Con tutti i ragazzini dei primi anni che verranno a Diagon Alley per i libri sicuramente ci sarà un bel putiferio. -

- Potremmo passare un salto da lui tra un pochino, per vedere se gli serve qualcosa, anche se sa che siamo qui per un pomeriggio di “libera uscita” quindi credo che ci caccerà fuori non appena pronunciate le parole “Ti serve qualcosa?” -

- Su questo potrei scommetterci. Anche se dai, Ginny, non ti sembra un po' esagerato e maligno definire questo pomeriggio femminile una “libera uscita”? Sembra quasi che ti consideri in prigione. -

- Beh, Herm, in prigione forse no, ma non mi dire che alla Tana si stia proprio come in vacanza alle Bahamas perchè altrimenti potrei pensare che stai diventando pazza come mio fratello Ron. -

- Non dico che la situazione sia delle più semplici, ma è la tua famiglia... Dovresti avere un po' di pazienza. -

- Io ne ho molta di pazienza. Questo è il motivo per cui non ho ancora lanciato fatture Orcovolanti a Ron o non ho catapultato fuori dalla finestra la maggior parte degli abiti di Fleur, che stanziano nell'armadio più grande di casa da una settimana. -


Suo malgrado Hermione aveva dovuto tacere e, pur non facendolo apertamente, per non montare ancora di più l'insofferenza dell'amica, dare ragione a Ginny. Si era solo lasciata andare ad un sommesso ridacchiare. Già, perchè il desiderio di affatturare il suo fidanzato l'aveva sfiorata più volte negli ultimi tempi ed anche Fleur, per quanto fosse diventata meno fastidiosa rispetto all'inizio, manteneva sempre un qualcosa di irritante, nel suo essere sempre impeccabile. Poi Hermione doveva riconoscerle che, in effetti, lei non aveva passato tutta l'estate alla Tana, circondata da tutta la combriccola, ma era andata in Australia a recuperare i suoi genitori, aveva restituito loro la memoria ed era rimasta a casa per un po', per godersi la sua famiglia ritrovata e per recuperare dimestichezza con il mondo babbano.
La ragazza aveva spostato lo sguardo dall'amica, per curiosare un po' lungo la strada ed osservare il viavai di maghi lungo la via. Era davvero bello rivedere Diagon Alley nel pieno fermento, con le vetrine illuminate e curate, i negozi aperti e tante persone che si affollavano per fare spese.
Si era soffermata a guardare ogni negozio visibile dalla sua posizione per imprimersi quell'immagine nei ricordi, per poterla raccontare tra qualche anno come il primo vero momento in cui aveva ricominciato a vedere il mondo magico rinascere per andare avanti.

- Prima che mi addormenti a questo tavolino per un eccesso di gelato alziamoci Herm, ti prego. -

- D'accordo, dove vorresti andare? - le aveva risposto trattenendo una risata, ma tenendosi una mano sulla pancia, condividendo in pieno il senso di peso che l'amica lamentava.

- Io volevo prendere un abitino nuovo e una divisa da Madama McClan... Harry insiste per farmi un regalo e ho deciso di accontentarlo. - 


- Ti seguo. - aveva replicato Hermione.

Era decisamente preoccupata da quanto questa scampagnata nel negozio di abbigliamento sarebbe potuta durare, ma soprattutto quanto avrebbe potuto mettere alla prova la sua pazienza.
Si erano alzate dal tavolino raccogliendo i sacchetti che contenevano la maggior parte degli acquisti che avevano programmato di fare in quella giornata e che erano stati sbrigati non appena erano arrivate a Londra, in vista poi di permettersi quel piccolo momento di relax, e si erano allontanate seguendo la strada che conduceva al negozio.
Mentre camminavano Ginny ciarlava guardando le vetrine o commentando il gusto estetico o l'abbigliamento del tale mago o della tal strega che avevano la disgraziata idea di passare lungo il suo cammino, mentre Hermione annuiva assente, pensando continuamente a quanto avrebbe desiderato potersi rinchiudere dentro il Ghirigoro per tutto il tempo che Ginny avrebbe passato da Madama McClan. Era perfettamente consapevole di esserci stata quella stessa mattina, ma purtroppo non aveva potuto godere della visita a causa della presenza inquietante di una signorina dalla chioma rosso fuoco che le alitava sul collo ogni volta che si soffermava ad osservare per più di qualche secondo un libro non contenuto nella lunga lista dei testi scolastici.
Secondo Ginny la sua amica avrebbe dovuto spostare almeno parte della sua attenzione dai libri per dedicarla a passatempi più frivoli, ma certamente non meno divertenti. Non avrebbe di certo desiderato trasformarla in una di quelle ragazze che indossavano divise striminzite e che passavano le loro giornate esercitandosi nell'arte del battito sensuale delle ciglia o della danza provocante, ma avrebbe sperato che forse con il fidanzamento con Ron, Hermione sarebbe riuscita, come dire, a sciogliersi un po'. Il fatto che suo fratello si fosse improvvisamente trasformato nella versione irritata di un ippogrifo fuori controllo aveva reso però vana ogni sua speranza in quell'unione. E aveva quindi pensato che toccasse in qualche modo a lei l'onere di guidare Hermione per le vie della frivolezza e della femminilità, pur sapendo che difficilmente avrebbe avuto successo.
Arrivate davanti al negozio Ginevra si era lanciata all'interno senza nemmeno guardare al di là dell'ingresso vetrato, mentre Hermione si era attardata qualche minuto davanti alla vetrina, per osservare i modelli sui manichini.
Stava pensando che la sua amica si sbagliava a ritenerla così poco femminile; Hermione amava gli abiti ben fatti, le acconciature, un filo di trucco e adorava sentirsi bella come ogni ragazza normale. Semplicemente dava una maggiore priorità ad altri aspetti della sua vita, nella maggior parte dei casi. La dimostrazione di quanto sapesse essere femmina l'aveva data a tutti al Ballo del Ceppo e non riteneva di essere obbligata a darne altre. Forse ora con la pace e con la vicinanza di Ron avrebbe avuto più tempo, anche se ne dubitava, per dedicarsi alla cura di sé, ma non lo riteneva comunque un motivo di grandi crucci.
D'altro canto non si poteva proprio dire che Hermione fosse sciatta, bruttina o trasandata; era solo una ragazza semplice. Non amava truccarsi troppo e non poneva una maniacale attenzione al proprio abbigliamento ma era sempre in ordine e sapeva scegliere abiti che le donassero. La sola cosa che non era mai riuscita a tenere a posto erano i capelli, ma quella era sicuramente una causa persa. Poteva raccoglierli o renderli in qualche modo tollerabili, ma da questo ai boccoli perfetti di Romilda Vane ce n'era di strada.
Mentre osservava un abito lilla nell'angolo della vetrina Hermione aveva notato una persona riflessa sul vetro. Al di là della strada stava in piedi un ragazzo biondo che indossava un paio di jeans sportivi ed una camicia azzurrina; aveva tutta l'aria di stare aspettando qualcuno ed era di spalle, rispetto alla visuale di Hermione. Il primo pensiero della ragazza era stato strano, perchè aveva la sensazione di conoscere quelle spalle, quella figura, ma non riusciva ad attribuirla a qualcuno. Si era quindi riscossa ed era entrata per raggiungere Ginny.
L'aveva trovata in piedi sul piedistallo che veniva usato per prendere le misure per gli abiti, con addosso quella che sembrava una divisa di Hogwarts ma che sembrava in qualche modo essere stata stretta ed accorciata di qualche taglia.

- Ginny cara, quella gonna non ti sembra un tantino corta? - si era affrettata a dire Hermione alla vista di quello scempio.

- Herm, sembri mia madre. - aveva replicato la rossa con uno sbuffo. 


- Dai Gin, non mi sembra proprio il caso di arrivare a scuola in quelle condizioni, abbi pietà del povero Harry, se non ne hai per la decenza. -

L'ultima frase l'aveva pronunciata ai piedi dello sgabello, mentre già stava dando indicazioni alla sarta, che annuiva colma di approvazione, per allungare l'orlo della gonna di almeno una decina di centimetri. Nel frattempo Ginevra continuava a sbuffare come una locomotiva, bofonchiando, tra uno sbuffo e l'altro mugugni simili a “Se portavo la mamma avrebbe fatto meno storie!”. *
Alla fine di questa diatriba la divisa della giovane Weasley era praticamente ritornata al suo iniziale stato, se non per una ritoccatina alla larghezza della camicia e del maglioncino, che non risultavano comunque troppo aderenti.
A questo punto era cominciata la trafila per la scelta dell'abito che Harry avrebbe regalato a Ginny e che ovviamente lei aveva deciso di scegliere da sé. Hermione si era quindi sistemata bella comoda su un divanetto, in attesa che il defilè di modelli e stoffe si concludesse, in modo da poter guardare verso Ginny ogni volta che lei richiedeva la sua opinione ma anche da poter guardare fuori in tutti gli altri momenti, in modo da svagarsi almeno con il viavai della strada.

Quello che si era ritrovata davanti in uno di quegli attimi di distrazione però l'aveva non poco sorpresa. Il ragazzo che sembrava conoscere poco prima, davanti alla vetrina del negozio, si era girato verso di lei, smettendo di darle le spalle e permettendole di vederlo in volto. Era Malfoy.
Ora che lo vedeva in viso si chiedeva come avesse potuto non accorgersi che era lui. Il portamento altero, l'espressione strafottente, quello sguardo gelido erano assolutamente inconfondibili, ma Hermione era stata tratta in inganno dai suoi abiti. Non aveva mai visto Malfoy indossare qualcosa di diverso dalla divisa o dai completi eleganti e impeccabili così simili a quelli indossati da Lucius. Nemmeno quando erano stati prigionieri a Villa Malfoy, nemmeno durante la battaglia. Erano abiti che a un occhio disattento sarebbero anche potuti sembrare, anche se ad Hermione sembrava impossibile solo pensarlo, abiti babbani.
Malfoy sembrava essere lì ad attendere qualcuno dal modo un cui continuava a scrutare la via da entrambi i lati e non si era accorto minimamente di essere osservato. La ragazza si era chiesta cosa avesse portato il loro eterno antagonista a Diagon Alley proprio quel pomeriggio, per di più abbigliato in quel modo così insolito. Proprio in quel momento l'attenzione di Hermione era stata sviata dalle sue supposizioni su Malfoy e sul suo abbigliamento da un richiamo di Ginny, che pareva aver trovato l'abitino dei suoi desideri. La ragazza l'aveva liquidata con un rapido cenno d'assenso, accompagnato da un “Ti dona molto Ginny.” per poi tornare immediatamente con gli occhi fuori dalla vetrata. Ma non aveva più trovato l'oggetto delle sue domande e questo che le aveva lasciato dentro un tremendo disappunto. Hermione non amava affatto non capire le cose.

Mentre uscivano dal negozio portando con sé i due sacchetti aggiuntivi Hermione aveva iniziato a raccontare a Ginny l'accaduto.
- Sai chi ho visto mentre provavi tutti quegli abiti abbarbicata sullo sgabello? Malfoy. -

Aveva pronunciato il suo nome abbassando il tono di voce, quasi a bisbigliare.

- Lo dici come se ci fosse qualcosa di strano nel fatto che Malfoy sia a Diagon Alley a una settimana dall'inizio delle lezioni... - le aveva risposto Ginny alzando un sopracciglio.

- In effetti c'era qualcosa di strano Ginny, non capisci. Era vestito in modo strano e sembrava aspettare qualcuno e... Non lo so... Quasi non lo riconoscevo. -

- Herm sii ragionevole. E' qui per comprare l'occorrente per tornare ad Hogwarts e probabilmente stava aspettando sua madre o qualche suo amico davanti a Madama McClan.

- Merlino, non cercare di vedere cospirazioni ovunque. So anch'io che la guerra è appena finita e che le vecchie abitudini sono dure a morire ma in questo momento sembri tanto Harry con la sua mania di accusare Piton. Non dico che Malfoy sia la persona più cristallina del mondo, ma la sua presenza a Diagon Alley è decisamente quanto di più distante da qualcosa di sospetto. - 


- Probabilmente hai ragione Gin. Sono diventata una paranoica. -

L'amica le aveva dato una gomitata in un fianco, ridendo con lei di questa ammissione e si erano avviate verso il Paiolo Magico dove, vista l'ora che si era fatta, probabilmente avrebbero già trovato Harry e Ron ad attenderle.

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Draco Malfoy aveva deciso di andare a Diagon Alley quel pomeriggio perchè sapeva che sua madre avrebbe avuto piuttosto da fare e che quindi gli avrebbe fatto compagnia soltanto per i primi acquisti, dopo i quali si sarebbe incontrato con Blaise per una Burrobirra al Paiolo Magico e un giro ad Accessori di prima qualità per il Quidditch.
L'amico aveva lasciato il Manor da poco più di due settimane per passare qualche giorno con sua madre prima del ritorno a scuola e Draco aveva passato quei giorni da solo volando sopra casa ed allenandosi per rientrare in piena forma nella squadra di Quidditch. Quando non stava volando si rintanava in biblioteca o nel laboratorio nel sotterraneo della villa, armeggiando per preparare pozioni.
In quel momento Draco stava camminando verso il Ghirigoro con Narcissa al suo fianco, entrambi in silenzio, entrambi a testa alta. Non era e non sarebbe stato semplice ancora per parecchio tempo passeggiare per le strade del mondo magico per tutti quelli che avevano avuto i loro precedenti, ma non era da loro darlo a vedere. Ogni sguardo sospettoso, ogni gomitata, ogni sussurro venivano visti ed ignorati, anche se non erano affatto piacevoli. Per questo motivo, da qualche tempo, Draco e sua madre avevano preso la strana abitudine, per dei Malfoy, di andare a passeggiare nella Londra babbana, una volta a settimana, ma anche di più se ne avevano voglia; era un luogo particolare, poco avvezzo al loro stile e alle loro abitudini, ma lì nessuno faceva caso a loro, se non qualche uomo per manifestare apprezzamento per sua madre o qualche giovane ragazza per girarsi a rimirare il suo “bel faccino” come lo aveva definito Madama McClan qualche anno prima. Era bello camminare e basta, ma per questa nuova consuetudine avevano dovuto adattare il loro abbigliamento, per non essere troppo, come dire, identificabili tra gli abitanti di quel mondo e mandare a monte quello che era l'unico motivo per cui lo facevano: non essere notati e additati da nessuno. Non si erano certo convertiti all'abbigliamento tipico dei babbani, così trasandato e poco elegante, ma Draco aveva aggiunto al suo guardaroba qualche paio di jeans e qualche camicia da portare senza cravatta. Sua madre restava comunque su degli abiti molto eleganti, anche se decisamente meno d'effetto rispetto al solito.
Draco aveva guardato Narcissa accanto a sé ed aveva pensato che era bella, in effetti. Lo era davvero, nel suo trench nero con la cintura annodata stretta in vita, le scarpe con il tacco e i capelli raccolti in un chignon morbido alla base della nuca. Era l'eleganza personificata, che lo accompagnava per quelle vie con la disinvoltura di una padrona di casa tra amici, anche se si trovava in mezzo a persone che non facevano altro che guardare lei, ma soprattutto lui con diffidenza.
Avevano fatto i loro acquisti con precisione e rapidità, senza tanto girovagare per il negozio e senza indecisioni; doveva essere preparato per la scuola, sarebbe stato il solito studente impeccabile e non avrebbe dato alcun motivo a nessuno per dubitare delle sue intenzioni.

- Qualcosa ti preoccupa Draco? - aveva chiesto Narcissa a suo figlio, vedendolo accigliato.

- Niente di importante mamma. -

- Passerà, vedrai. -

- Non mi interessano le loro opinioni. Voglio solo avere la possibilità di vivere tranquillo, non la loro benedizione. -

- L'avrai questa possibilità, a costo di strapparla con le unghie e con i denti. Ma non credo sarà necessario, in fondo le premesse non ci sono così ostili. Credo vogliano soltanto che dimostri di essere... cambiato? - l'ultima parola di Narcissa era stata pronunciata con evidente tono perplesso. 


- Cambiato? Si aspettano per caso che io diventi un Tassorosso per poter vivere la mia vita in pace? -

Narcissa aveva riso dell'irritazione di suo figlio ed aveva lasciato cadere la conversazione, ben sapendo che Draco aveva capito benissimo a che cosa si riferisse ed essendo consapevole che calcare troppo la mano su questo punto non avrebbe avuto altro effetto che indispettire suo figlio e farlo diventare petulante, la qual cosa era ben poco conveniente, specie nell'attuale situazione.

- Sai che ora devo andare al Ministero per sbrigare alcuni affari vero? -


La voce di Narcissa tradiva solo un pizzico di preoccupazione all'idea di trattare con il Ministero per l'ennesima volta e sapendo anche che non sarebbe di certo stata l'ultima. I processi per quelli che chiamavano “Crimini di Guerra” erano ancora lontani, ma da qualche settimana aveva iniziato a ricevere delle lettere che richiedevano documenti che attestassero le proprietà della famiglia o che testimoniassero sui loro spostamenti in questa o l'altra occasione. Si rendeva perfettamente conto che non sarebbe finito tutto qui e che, anzi, probabilmente queste richieste erano soltanto l'inizio di un vero e proprio intervento di controllo, perquisizione e accusa che sarebbe durato per tutto il tempo che loro avrebbero ritenuto necessario. Ma non era così maldisposta nel sottoporvisi se questo poteva significare che Draco sarebbe stato scagionato e comunque condannato a lievi pene.

- Mi ricordo mamma. Io resto ancora un po', mi vedo con Blaise per un giro a vedere scope e boccini.- 


- Non tardare troppo e non ti cacciare nei guai. Ci vediamo stasera al Manor. -

Aveva congedato suo figlio con un bacio in punta di dita e ravviandogli un ciuffo di capelli biondi che gli ricadeva sulla fronte. Da quando aveva smesso di impomatarli all'indietro, al terzo anno, aveva sempre quella ciocca che gli cadeva davanti agli occhi.
Draco si era ritratto da quel gesto affettuoso, troppo esplicito per il luogo in cui si trovavano, ma le aveva risposto con un mezzo sorriso.

- Farò il bravo, promesso. A stasera. -


Narcissa si era allora smaterializzata lasciando Draco solo davanti alla gelateria di Florian Fortebraccio. Il ragazzo si era diretto verso il negozio di Madama McClan di fronte al quale aveva appuntamento con Blaise per quindici minuti dopo.
Pensava a sua madre al Ministero, all'umiliazione che doveva subire nel dover rendere conto di ogni spostamento, di ogni loro questione privata, di tutti i beni della famiglia per avere solo una speranza di essere giudicati, se non giustamente, almeno in modo relativamente clemente.
Era arrivato al luogo dell'appuntamento in pochi minuti e si era messo pazientemente ad attendere Blaise a mani in tasca, canticchiando tra sé una canzoncina che aveva sentito uscire dalla porta di un negozio babbano quella mattina, mentre passeggiavano e guardando la vetrina del negozietto che si trovava proprio di fronte a Madama McClan.
Dopo aver scrutato con attenzione tutto il contenuto della vetrina, un antiquario forse, si era appoggiato al muro con la schiena ed in pochi minuti si era trovato davanti Blaise, appena materializzato.

- Sei in ritardo. -

- Che accoglienza, Malf. - aveva risposto Blaise, assestandogli una pacca sulla spalla. - e comunque non sono in ritardo, sono meravigliosamente puntuale. - nel dirlo aveva picchiettato con un dito sul quadrante dell'orologio.

- Ti ho dovuto aspettare, quindi sei in ritardo. -

- L'idea che fossi tu in anticipo non è neanche da valutare immagino. - 


- Vedo che ci siamo intesi. Andiamo a dare un'occhiata alle scope? -

Si erano immediatamente allontanati insieme verso Accessori di prima qualità per il Quidditch, discorrendo su quanto Blaise apprezzasse il cambiamento di look di Draco e su quanto invece il primo ne fosse ancora oggettivamente perplesso e indossasse quegli abiti solo nei giorni in cui decideva di fare le sue scampagnate tra i babbani.
Una volta entrati avevano perso ogni stimolo a chiacchierare, lasciandosi prendere dall'osservazione di ogni manico di scopa e di ogni accessorio che potesse in qualche modo renderlo più leggero, manovrabile o veloce. Draco stava valutando se comprarsi un manico di scopa nuovo per quell'anno, mentre Blaise curiosava qui e là pensando che forse avrebbe potuto tentare almeno i provini per entrare in squadra.

- Se stai ancora pensando di poter giocare anche quest'anno sarà meglio che ti dissuada subito amico mio. -

- Perchè devi distruggere i miei sogni di gloria, Malf? -

- Perchè anche quest'estate ti ho visto volare. Sembri Paciock con le convulsioni. -

- Sei davvero senza cuore. -

- Dimmi qualcosa che non so. -

- Sei un idiota. - 


- Questa è una menzogna, non qualcosa che ignoro. Comunque smettila di accarezzare quella Firebolt, non sapresti nemmeno salirci. -

Blaise l'aveva guardato in cagnesco, strappandogli di mano il boccino che stava tenendo tra le dita.

- Ora anche io ho preso un Boccino. -

- Non fare il Potter della situazione Blaise, quello sarà il solo Boccino che prenderai in vita tua. In primo luogo perchè il Cercatore sono IO. In secondo luogo perchè ancora devi imparare a stare in equilibrio su una scopa e noi non ci permettiamo di certo un secondo Weasel in squadra. -

- Questi sono colpi bassi però. Prima mi paragoni allo Sfregiato e poi alla Donnola. Al prossimo giro come la mettiamo, mi darai della SangueSporco? -

- Questo mai, amico. -

- Sarà meglio per te che tu non metta in dubbio il mio Stato di Sangue. In fin dei conti sei tu quello che passeggia tra i babbani. -

- Mi stai sfottendo? - 


- Solo quanto ti meriti. -

La frase era stata accompagnata da un ghigno da parte del moro e da un pugno sulla spalla dell'amico da parte di Malfoy, che subito dopo si era messo a ridere, annuendo suo malgrado a queste parole. Alla fine erano usciti entrambi senza acquisti per andare al Paiolo Magico a concludere il pomeriggio per poi salutarsi e rivedersi al Binario 9 e ¾ da lì a pochi giorni.

*****

Erano entrati nel locale quasi senza guardare chi ci fosse all'interno e si erano seduti immediatamente in un tavolino all'angolo, ordinando subito le loro consumazioni. Non appena si erano ritrovati davanti i due boccali Malfoy aveva lanciato la bomba.

- Mi hanno eletto Caposcuola. -


Blaise si era strozzato con il primo sorso di Burrobirra, rischiando di sputarlo completamente in faccia all'amico che gli sedeva di fronte.

- Non è necessario che tu cerchi di toglierti la vita per soffocamento Blaise. -

- Beh Malf, capirai che è quantomeno una notizia inaspettata. -

- Inaspettata per certi versi, ma per altri... Chi ti aspettavi che mettessero a Caposcuola? Pansy? -

- Beh, insomma, non sarà proprio la candidata migliore di Serpeverde ma un Caposcuola con il Marchio Nero è, come dire, inconsueto. -

- Ho ricevuto la lettera della vegliarda qualche giorno fa. Sostiene che conferire a me la carica può essere un ottimo segno di apertura verso il futuro, nonché una grossa possibilità per me di dimostrare la mia volontà cambiare. -

- Volontà che tu sembri non avere, amico. -

- Dipende sempre da che cosa significa cambiare Blaise. -

- Diventare uno studente modello, un Cercatore infallibile e combattere sempre dalla parte del bene? - 


- Devo trasformarmi in Pottyno? -

Lo sguardo allucinato di Draco, accompagnato dall'espressione di puro disgusto che era scaturita sul viso di Blaise aveva immediatamente sdrammatizzato il tono della conversazione. Mentre ancora i due ancora ridacchiavano della battuta avevano sentito la porta della locanda aprirsi.

Hermione e Ginny avevano trovato Harry e Ron subito all'esterno del Paiolo Magico ad aspettarle, dato che le avevano viste in lontananza. Harry si era subito avvicinato a loro e dopo aver baciato Ginny le aveva preso i sacchetti dalle mani per aiutarla. Ron aveva atteso Hermione davanti alla porta e le aveva dato un bacio sulla fronte, per poi aprire la porta della locanda ed entrare per primo, facendole strada subito dopo.
Neville Paciock era seduto al tavolo con due ragazze del quinto anno, i cui nomi erano sconosciuti a tutti i presenti, ma appena li aveva visti le aveva salutate cordialmente e si era precipitato per accogliere i suoi amici con un abbraccio. Si erano appena accomodati tutti ad un tavolo, discorrendo di quanto fosse successo durante l'estate che Ron si era immediatamente rabbuiato.
Continuava a fissare insistentemente un punto in fondo alla sala, borbottando parole incomprensibili e scuotendo la testa con indignazione. Hermione si era avvicinata al suo ragazzo per cercare di capire che cosa lo stesse così contrariando e seguendo la direzione del suo sguardo aveva posato gli occhi sull'oggetto delle sue curiosità di poche ore prima. Malfoy e Zabini sedevano ad un tavolino con due Burrobirre davanti e sembravano intenti in una discussione piuttosto seria ed animata.

- Cosa non va Ronald? -

- Assassino. Mangiamorte. -

- Ce l'hai con Malfoy? -

- E con chi se no? - aveva alzato la voce nel pronunciare l'ultima frase – Trovo intollerabile che certa gente possa ancora andarsene in giro impunita dopo tutto quello che è successo. Gli assassini dovrebbero stare ad Azkaban. -


Hermione aveva tirato una sonora gomitata nelle coste del ragazzo, che si era piegato da un lato mentre parlava, ma comunque non aveva accennato a smettere di sputare il suo veleno.
Malfoy si era girato immediatamente, aveva socchiuso gli occhi e squadrato Ron come se fosse l'ultimo degli scarafaggi sul pianeta che aveva malauguratamente deciso di camminare sull'immacolato pavimento della sua villa. Hermione aveva pensato che probabilmente, se non si fossero trovati in un luogo pubblico, il ragazzo avrebbe estratto la bacchetta e cruciato Ron all'istante.
Ma niente di tutto questo era accaduto. Malfoy aveva semplicemente guardato verso il loro tavolo, espresso i suoi pensieri con uno sguardo di sdegno e riportato la sua attenzione verso l'amico, che nel frattempo lo teneva d'occhio come se fosse stato una bomba pronta a scoppiare. Ron, al contrario, sembrava non avere la minima intenzione a lasciar perdere, dato che si era alzato dal tavolo e si era avvicinato a larghi passi a quello di Malfoy, sotto gli occhi attoniti di Harry e Ginny.

- Assassino e codardo, ma d'altronde non ci si poteva aspettare altro da un Mangiamorte come te. -


Draco si era alzato dalla sedia, mettendo mano alla bacchetta, senza comunque proferire una parola, mentre Ron aveva già estratto la sua e la puntava con la mano tremante verso Malfoy.
Neville era scattato in piedi ed aveva scavalcato il tavolo per portarsi immediatamente davanti a Ron e cercare di spingerlo via, con scarsi successi, vista la mole del più giovane Weasley. A quel punto aveva quindi estratto la bacchetta con un movimento rapidissimo e aveva mormorato un Petrificus Totalus provvidenziale.
Si era poi girato verso Malfoy e mentre trasportava via Ron, aiutato da Hermione gli aveva semplicemente detto:

- Non ti ho difeso. Credo solo che tu meriti un processo solo, quello che ti faranno al Ministero, quindi questa cosa che stava facendo Ron non era giusta per te, ma era anche molto imbarazzante per lui, anche se non lo capisce. Quindi, se te lo stavi chiedendo, la risposta è no. Non lo stavo facendo per te, ma per salvare la faccia del mio amico. -


Con questo si era allontanato, trascinandosi dietro il corpo di Ronald.
Hermione aveva lanciato un ultimo sguardo a Malfoy, mentre trasportava il suo fidanzato all'esterno per rianimarlo. E si era stupita di aver visto un'espressione divertita sul suo volto nel guardarlo portare il boccale di Burrobirra alle labbra.





Innanzitutto eccoci qua. Il capitolo è arrivato un po' in ritardo rispetto a quello che mi ero prefissata e che avrei voluto. Me ne dispiaccio molto ma le feste di Natale e vari altre questioni mi hanno impedito fisicamente di scrivere. Colgo l'occasione per dirvi ciò che non vi avevo già accennato perchè finora ero riuscita a rispettare i tempi: ci sono ottime probabilità che io non riesca ad essere regolare con gli aggiornamenti, specialmente nei prossimi mesi, vista una sessione di esami incombente e una tesi che richiederà attenzione, prima o poi.

Vi ringrazio tutti per ogni parola e per ogni lettura, come sempre; sapervi interessati e appassionati a quello che scrivo mi trasforma in una specie di Gryffindor colmo d'amore.

Veniamo alle note vere e proprie:

  • Hogwarts riapre annullando un anno scolastico; mi è sembrata una delle scelte più sensate e onestamente probabili per la McGrannitt. L'anno trascorso con i Carrow e l'allegra combriccola di Mangiamorte poteva sicuramente essere stato educativo da un certo punto di vista, ma didatticamente non credo fosse il meglio che potesse capitare.
    Inoltre se non avessi trovato questa soluzione non avrei potuto scrivere la storia, quindi vi tocca farvela andare bene. XD

  • Abbiamo a che fare con un Ronald cambiato, ma neanche poi così tanto. L'ho sempre ritenuto una persona instabile in questo senso e mi è venuto facilissimo, quasi automatico, destabilizzarlo fino ad esasperare un tratto caratteriale che ha comunque sempre dimostrato.

  • Florian Fortebraccio era stato dichiarato disperso da Radio Potter durante il viaggio alla ricerca degli Horcrux del Trio. A quello che mi risulta non si sono più avute altre notizie dopo la guerra, quindi ho scelto di testa mia. Ho voluto salvarlo perchè penso che Diagon Alley avrebbe subito una perdita eccessiva, con l'assenza della sola gelateria mai nominata nel mondo magico. E perchè sono golosa e non potrei mai assassinare di mia volontà un gelataio, se non per rubargli i prodotti del suo lavoro. :)

  • Ginny come “erede” di Fred ai Tiri Vispi ma non solo è una decisione che ho preso per sollevare il povero George dalla costante presenza di Ron. Nella maggior parte delle fict che ho letto è sempre Ron, alla fine, a dare una mano al gemello rimasto, ma data la mia evidentissima simpatia per Lenticchia, ho desiderato sollevare George da questa disgrazia.

  • Il desiderio di Ginny di spingere un po' Hermione a curarsi di più, ma senza trasformarla in una ragazza dalla divisa striminzita che si esercita nel battito delle ciglia è una piccola battuta per prendere in giro e per protestare contro le fyccyne in cui Hermione si trasforma in una spogliarellista lap-dancer alla mercè del piacere di Malfoy.

    In questo ho voluto unirmi alla “crociata” di battute già messa in atto da Rea, Val e Jup.

  • Se portavo la mamma avrebbe fatto meno storie!” questo pensiero di Ginny è stato scritto volutamente senza congiuntivo; ho avuto l'impellente desiderio di sgrammaticare Ginevra e l'ho seguito perchè volevo che in qualche modo risultasse frivola e poco attenta a certe “particolari irrilevanti”.

  • Potrà sembrare strano che Hermione non riconosca Malfoy dopo 7 anni di scuola insieme e tutti gli avvenimenti dei libri, ma ho pensato che i mesi trascorsi, l'abbigliamento di Draco e l'effetto sorpresa potessero in qualche modo metterla in difficoltà.

  • Bel faccino” riferito a Draco, detto da Madama McClan è una piccola citazione/omaggio alla storia “What's in a name” di Valaus. Mi sembrava che ci stesse davvero a pennello in questo momento.

  • Il diminutivo Malf è stato usato da Poison Spring in uno degli ultimi capitoli de “La Bellezza del Demonio” e nasce da uno dei deliri notturni di Rea e Val. Entrambe mi hanno dato la loro benedizione per utilizzarlo, quindi lo faccio con grande orgoglio e piacere.

  • Le prese per i fondelli di Potter e Weasel nelle conversazioni Malfoy/Blaise sono mio puro diletto, anche se credo che loro approverebbero. :)

  • L'incapacità di Blaise sulla scopa è una mia scelta arbitraria. Nei libri non si fa menzione del suo rapporto con il Quidditch mentre nei film pare che giochi come Cacciatore. Io ho creduto molto più adeguato per il personaggio che sto immaginando un amore per lo sport che però non era supportato dal talento. Non possono nemmeno essere tutti perfetti, insomma.

  • Malfoy Caposcuola. Ho pensato lungamente e consultato persone fidate per decidere per il sì o per il no. Ognuno ha espresso la sua opinione ma alla fine mi sono trovata a decidere per il sì. La McGranitt aveva già dato segno di apertura con la lettera a Narcissa e aveva già espresso la sua volontà di non discriminare nessuno, quindi la nomina a Caposcuola poteva essere un segno per gli altri e uno sprone per Draco. So che è una scelta discutibile, ma qualunque cosa avessi fatto non ne sarei stata completamente soddisfatta, in questo senso. Questa è stata la scelta che mi ha convinta di più.

  • Neville con le ragazze e che seda la rissa è la mia dichiarazione d'amore per lui e vi assicuro che non sarà l'ultima. Amo Neville visceralmente quindi credo di dovergli rendere giustizia. ^^


Dopo la nota più lunga della storia vi lascio all'attesa del Capodanno e filo a chiudere la mia valigia, visto che tra due ore il mio treno per Parigi se ne va e io sono ancora in pigiama a pubblicare questa storia. E poi ditemi che non vi adoro. XD


Per chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler, mi trovate su Facebook: QUI. 

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Capitolo 4
*** Cosce di pollo, armature e pugnali. ***


A Luisa, perchè a volte la strada che siamo costretti a scegliere può nascondere la migliore delle sorprese.

A Miki, la mia gemella fucsia, perchè nonostante tutto riesce a esserci, per me, sempre.

Alle mie Slytherin Girls e non c'è bisogno che aggiunga altro.

<3


1 Settembre 1998.


Brusii concitati stavano attraversando la Sala Grande da qualche minuto, per la precisione da quando il Cappello Parlante aveva terminato il suo lavoro, assegnando i nuovi studenti alle rispettive Case di appartenenza. Come ogni anno aveva cantato la sua canzone, che in quest'occasione esprimeva il desiderio di spronare gli studenti verso la ripresa della normalità e verso la coesione tra gli studenti. Nulla di nuovo o di inaspettato, quindi.
Il brusio che subito aveva iniziato a serpeggiare era determinato dal fatto che la sedia dell'insegnante di Difesa contro le Arti Oscure fosse ancora inesorabilmente vuota, il che aveva determinato la nascita di ipotesi e discussioni, specialmente tra gli studenti più grandi.
Nessuno, in nessuna tavolata era riuscito a venire a capo della questione o anche solo ad ipotizzare un nome plausibile o se non altro, credibile. Quindi tutti continuavano a domandarsi chi potesse essere il sostituto di Piton in questa nuova direzione che la scuola aveva deciso di prendere, chi la McGranitt avesse scelto per occuparsi di una delle materie più complesse, nonché per insediarsi in uno dei posti da insegnante più “tormentati”.
Hermione sedeva accanto a Ron, mentre Ginny e Harry si erano accomodati di fronte a loro.

- Chi potrebbe essere? Come mai non è arrivato subito? -

Aveva già iniziato a snocciolare mentalmente le varie possibilità, non trovandone tuttavia nemmeno una che la soddisfacesse in pieno. Tutti sembravano inadeguati o troppo occupati o, ehm, morti, per accettare quel posto.

- Non so proprio chi potremmo aspettarci sai? -

Ginny aveva risposto immediatamente, guardando Harry in cerca di qualche considerazione, di una sua opinione, ma il Ragazzo Sopravvissuto aveva scosso la testa in silenzio, alzando le spalle. Hermione si era appoggiata a Ron, che le aveva posato una mano sulla testa, in una carezza un po' rude, mentre con l'altra mano l'aveva avvicinata a sé prendendole il fianco e facendola scivolare sulla panca. Il brusio nella Sala si faceva di minuto in minuto più forte, a tratti anche fastidioso e man mano anche gli studenti più piccoli iniziavano a mostrare interesse e a prendere parte alla discussione. La voce di Minerva McGranitt aveva però prontamente interrotto questo crescendo di chiacchiere.


- Buonasera a tutti voi, ragazzi.
Nel mio ruolo di Preside di questa scuola, mi trovo a darvi il benvenuto ad Hogwarts, in un anno di rinnovamento. A quelli che hanno vissuto lo scorso anno qui con me, vorrei dire soltanto che per tutti è stato importante vivere quell'esperienza e credo che tutti noi abbiamo potuto imparare moltissimo da quello che è accaduto, ma ora abbiamo bisogno di tornare alla normalità.

Questo è quello che voglio per tutti gli studenti che sono arrivati qui oggi. Voglio che questa sia non soltanto la Hogwarts di sempre, voglio che sia la scuola che conoscete, ma in un certo senso nuova. Nuova nella consapevolezza che molte rivalità e molte incomprensioni dovranno essere messe da parte, che ognuno di voi è qui per imparare qualcosa e per diventare un mago migliore.

Il Cappello Parlante vi ha smistato nelle vostre Case, ma sappiate che prima di essere Grifondoro o Tassorosso, Corvonero o Serpeverde, voi siete dei ragazzi, dei giovani maghi e che siete tutti uguali ai miei occhi e che dovrete esserlo anche ai vostri. Non tollererò che vengano fatte differenze, che vengano messi in atto comportamenti derisori o che in qualunque modo si manchi di rispetto a chicchessia in nome del colore delle vostre cravatte, dello Stato di Sangue vostro o dei vostri genitori, né tantomeno per questioni accadute prima o durante la guerra. La Guerra è finita. Non voglio strascichi qui dentro, siete stati avvisati.

La Coppa delle Case e il Campionato di Quidditch si svolgeranno come di consueto; i Capiscuola e i Prefetti hanno già ricevuto le loro nomine, mentre per quanto riguarda le squadre di Quidditch ogni Casa riceverà comunicazione dal proprio insegnante riguardo il Capitano e le istruzioni per formare il resto della squadra.

Passiamo ora alle comunicazioni di servizio. La Professoressa Cooman è stata reintegrata all'insegnamento come unica insegnante di Divinazione; Fiorenzo il Centauro non sarà più vostro docente. Vi comunico inoltre che... -

Minerva McGranitt aveva fatto una pausa, si era girata verso la tavolata degli insegnanti, poi verso la porta, come a cercare con lo sguardo qualcuno, che evidentemente aveva trovato, perchè aveva immediatamente ripreso fiato e ricominciato a parlare.

- Dicevo appunto che, a partire da quest'anno, la vostra nuova insegnante di Difesa contro le Arti Oscure sarà la Signora Andromeda Black. -

Si era nuovamente girata verso la porta, facendo cenno ad Andromeda di avvicinarsi e prendere posto. La donna era entrata lentamente e si era accomodata sull'unica sedia vuota rimasta all'estremità del lungo tavolo. La somiglianza con sua sorella Bellatrix era sempre e comunque impressionante. Indossava un abito blu, che risaltava in modo particolare la carnagione pallida e i capelli scuri raccolti sulla nuca in una treccia avvolta su sé stessa e fissata con un fermaglio dello stesso colore dell'abito. Il viso era bello, ma con una traccia di stanchezza nelle piccole rughe intorno agli occhi.

- Alloggerà, come tutti noi insegnanti facciamo, qui a scuola, con la sola differenza che non sarà sola. Vi comunico quindi fin da ora di non stupirvi, se vedrete un bambino aggirarsi qualche volta nei corridoi della scuola, si tratta del nipotino della Professoressa Black, che vivrà qui con lei e con noi. Con questo credo di avervi detto tutto, ragazzi, quindi vi lascio godere della vostra cena. -

La professoressa si era andata a sedere a tavola ed immediatamente, come ogni anno, le pietanze erano comparse sulle tavolate e la maggior parte degli studenti si era avventata sui piatti.

Draco Malfoy era rimasto ammutolito, così come Harry, Hermione, Ron e Ginny, anche se i motivi non erano esattamente gli stessi. In ogni caso, su entrambe le tavolate, Grifondoro e Serpeverde, c'era almeno uno sparuto gruppo di persone che non aveva come primo pensiero quello di strafogarsi. Chiaramente, al tavolo di Grifondoro, nel gruppo non era compreso Ronald Weasley che non appena le cosce di pollo erano comparse nel piatto di portata, lui vi si era lanciato sopra, riempiendosi la bocca. Intorno a lui invece, il resto dei suoi amici era ancora scioccato dalla notizia di Andromeda come loro insegnante.

- Non ci ha detto niente! Perchè? -

Harry Potter aveva fatto questa domanda con voce stridula, quasi senza fiato, ancora incredulo all'idea di non essere stato messo a parte di una notizia così importante. 

- Probabilmente perchè non poteva dircelo. Forse volevano tenere il segreto sul nuovo professore fino alla fine, forse gli studenti non devono sapere. - aveva risposto Hermione, cercando di essere in qualche modo ragionevole.

- Ma IO non sono uno studente qualunque. Io sono il padrino di suo nipote, io sono... dannazione, io sono io. Avrebbe dovuto dirmelo! -


- Harry non essere assurdo. Se non poteva dirlo a nessuno non poteva dirlo nemmeno a te. -


- Ma... - la replica di Harry iniziava ad essere più debole, avendo finito le argomentazioni anche solo vagamente sensate.


-Uhmpf. - questa era stato l'intervento di Ron, provvidenziale per la conversazione come al solito.

Hermione si era girata verso il suo fidanzato con un'espressione visibilmente scocciata, per poi rivolgere nuovamente l'attenzione verso il suo migliore amico, che sembrava aver perso completamente il senso delle cose.

- Non ci sono “ma” Harry, mi sembra evidente. Andromeda è la nostra nuova docente, vivrà qui e potremo vedere il piccolo Teddy molto più spesso di quanto sperassimo. C'è ancora qualcosa che ti turba? -

Aveva espresso i tre concetti sollevando un dito per volta ed aveva concluso con un sorriso smagliante, guardando Harry dritto negli occhi; il Ragazzo Sopravvissuto non aveva saputo replicare ed aveva soltanto scosso la testa in risposta.


****


Nel frattempo, al tavolo di Serpeverde, anche Draco aveva, almeno temporaneamente, accantonato l'idea di mangiare, per crogiolarsi nello stupore di trovarsi nientemeno che sua zia Andromeda come insegnante. Non che fossero un'allegra famigliola che si manda lettere e regali per Natale e compleanni e che si riunisce attorno a chiassose tavolate; probabilmente aveva visto Andromeda si e no due volte ed in tenerissima età, ma comunque si aspettava che in un modo o nell'altro questa cosa l'avrebbe saputa prima.
Guardava la sorella di sua madre in fondo alla sala e continuava a stupirsi di quanto la somiglianza con quella zia che invece aveva conosciuto fin troppo bene fosse evidente, ma anche in qualche modo velata, rendendo molto chiaro che si trattava di due persone diverse, ma che avevano inequivocabilmente geni comuni. Forse la differenza più grande non era puramente estetica. Forse quella sensazione di diversità tra le due era data dallo sguardo. Ecco, Andromeda aveva uno sguardo materno, dolce, come quello che aveva Narcissa quando stava con lui, quando lo guardava prima che lui salisse sull'Hogwarts Express.

- Ti sei incantato Malf? -

La voce e la pacca in mezzo alla schiena di Zabini l'avevano interrotto dalla sua disquisizione mentale sulle sorelle Black.

- No no, sono solo ancora piuttosto sorpreso dalla nostra nuova insegnante. Tutto qui. -

- Ti fa un po' impressione avere zia Andromeda come docente? -

- Merlino Blaise, zia Andromeda fa così tanto... famiglia. Io quella donna la conosco appena. -

- E' comunque tua zia. -

- Certo, ma non credo di aver mai espresso nulla di più intelligente di un vagito in sua presenza. Definirla zia mi sembra quantomeno eccessivo. -

- Diamine Malf, è davvero identica a Bellatrix. -


Blaise aveva spostato lo sguardo su Andromeda e la scrutava con un sguardo stranito, come se stesse guardando un fantasma.

- Non è identica a lei... In qualche modo mi ricorda anche mia madre. Non so spiegarti perchè, ma è così. -

- Mamma Cissy? Forse qualcosa negli occhi, non saprei. A proposito, ma lei lo sa? -

- Non mi ha detto nulla, ma non credo lo sappia. Sono anni che non si sentono. Da quando... - 

Draco aveva scosso la testa, ricordando sua madre sola, davanti alla tomba di Bella. Era davvero da tanto tempo che non si sentivano, che non erano nemmeno più parenti, ma forse ora...

- Già. -

Blaise aveva accompagnato quella sillaba con una scrollata di spalle e nel momento stesso in cui aveva spostato lo sguardo aveva trovato seduta stante una distrazione: la Greengrass stava mostrando a metà della tavolata Slytherin le sue grazie esibendosi in un insieme di contorsionismi mirati al recupero di una forchetta sotto il tavolo. Aveva dato di gomito a Draco immediatamente, ma la sua reazione non era stata affatto soddisfacente. L'amico gli aveva rivolto un sogghigno quasi amaro e si era alzato dal tavolo, allontanandosi da solo verso il portone.

- Dove stai andando? Non hai neanche mangiato! - aveva urlato alle sue spalle.

- Faccio una passeggiata, ho bisogno d'aria. Ci vediamo dopo in dormitorio. -

****


Subito dopo la cena i Prefetti avevano chiamato a raccolta i loro compagni, specialmente i piccoli del Primo anno, per poterli scortare alle Sale Comuni, insegnando loro la strada e la parola d'ordine per l'accesso. Ginny e Harry erano in coda al gruppo dei Grifondoro e chiacchieravano di banalità, mentre Ron era giusto qualche passo avanti a loro, che guardava Hermione accompagnare due piccoli particolarmente in difficoltà per mano.
Era stata un'altra sorpresa, per loro due, trovarsi davanti Andromeda Black nel suo abito blu e con il suo sorriso tranquillo.


- Ciao Harry, ciao Ginevra. -

Harry aveva distolto lo sguardo.

- Ci hai fatto una gran bella sorpresa eh? -

Il tono voleva essere scherzoso, all'origine, ma Harry stesso si era reso conto subito di quanto gli fosse uscito ben più sarcastico di quanto lo volesse.

- Non avevo l'autorizzazione per mettervi a parte di una notizia che doveva restare segreta agli studenti. Non volevo tenervi all'oscuro di tutto ma non potevo dirlo a nessuno. -

- Scusami, non volevo fartene una colpa ma immaginerai... Ci sono rimasto di sasso. Ma come... - 


Andromeda l'aveva interrotto.

- Ti stai chiedendo perchè io? Sono sola, ho soltanto il piccolo Teddy e la conoscenza delle Arti Oscure mi è stata insegnata fin da bambina, nella famiglia in cui sono stata cresciuta. Non dimenticare che sono una Black, nonostante abbia deciso di fare scelte diverse da quelle che ci si sarebbero aspettate da me. Mi piace l'idea di poter insegnare a qualcuno come difendersi e come combattere contro il Male, quando invece tutte quelle nozioni mi erano state impartite per offendere. -

- E' stata la Professoressa McGranitt a chiamare te? -

- Non saprei dirti esattamente come è successo. Un giorno Minerva era a casa mia e stavamo bevendo un the; mi ha detto che stava cercando un insegnante per Hogwarts, per sostituire Severus e... beh, è successo molto velocemente. - gli occhi di Andromeda brillavano mentre raccontava quell'episodio – ci siamo guardate e non è nemmeno stato necessario chiedere. Avevamo già capito che lei mi offriva il posto e che io l'avrei accettato.

- Mi ha chiesto di non dirlo a nessuno, perchè voleva sistemare alcune questioni burocratiche e perchè a quanto pare gli studenti non possono conoscere i nomi dei nuovi insegnanti prima di arrivare a scuola e io ho acconsentito. -


Ginny si era sporta e l'aveva abbracciata stretta, alzandosi sulle punte dei piedi per arrivare a metterle le braccia sulle spalle.

- Siamo contenti che tu sia qui. - le aveva sussurrato, per poi girarsi verso Harry con uno sguardo che non ammetteva repliche. - VERO? -

- Certo che lo siamo. - si era affrettato a confermare il ragazzo. 

Quella risposta affatto spontanea aveva strappato una morbida risata ad Andromeda, che gli aveva carezzato una guancia con affetto, sentendo sotto le dita un timido accenno di barba.


- Vi direi di venire a salutare Teddy, ma quando sono arrivata a cena già dormiva come un sasso; sappiate che potete venirlo a trovare quando volete. Alloggiamo nelle stanze dei Docenti, ma sono certa che nessuno avrà nulla da ridire se vieni a trovare il tuo figlioccio. Buonanotte ragazzi. -

I due avevano risposto alla Professoressa in coro e si erano di nuovo incamminati verso i Dormitori, ora lontani dalla maggior parte della coda, che ormai doveva essere giunta a destinazione.


- Non sei stato molto educato con lei, Harry. -

La rossa l'aveva guardato di sottecchi, mentre lo riprendeva e l'aveva visto accigliarsi un poco dietro gli occhiali.

- Non farmi la predica Gin, non volevo essere scostante, ma mi è venuto spontaneo. -

- Lei è stata molto gentile, non si meritava che tu ti arrabbiassi con lei. -

- Dai, ora è tutto a posto no? -

Lo sguardo supplichevole che le aveva rivolto sarebbe risultato odioso agli occhi di chiunque, ma davanti a quegli occhi verdi così spalancati Ginevra Weasley perdeva tutta la sua decisione.
Gli aveva dato un bacio leggero sulle labbra e si era allontanata da lui in fretta, per prenderlo per mano e ricominciare subito a camminare. Ma non avevano fatto in tempo a fare più di cinque passi che dei rumori ovattati avevano interrotto immediatamente i loro propositi.

- Cosa diavolo... -

Harry Potter si era subito messo davanti a Ginny, spingendola con un braccio dietro la sua schiena e mettendo mano alla bacchetta. Ginevra si era divincolata immediatamente, sfuggendo a quel gesto incomprensibile ai suoi occhi.

- Harry ma che ti prende? -

- Shhhh. Ginny non hai sentito? -


Il Ragazzo Sopravvissuto aveva iniziato a camminare lentamente, quatto quatto, rasente al muro, tenendo Ginny per mano e cercando di indurla a fare la stessa cosa.

- Ma sentito cosa Harry? Maledizione, sembri un pazzo. -

La rossa aveva lasciato la sua mano di scatto, insofferente e ora lo fissava fiammeggiante.

- I rumori, non hai sentito? … Ecco! Ascolta! -

Ginny aveva teso l'orecchio nel silenzio, decisamente scettica, ma suo malgrado aveva dovuto ammettere che qualche rumorino, nel silenzio dei corridoi, iniziava a sentirlo anche lei. Erano come dei mormorii soffocati, quasi sembravano risatine.

Un momento.

Ginevra si era immediatamente raddrizzata e si era diretta spedita verso la nicchia che conteneva un'armatura, inseguita da un Harry che continuava ad esortarla a fare piano e a stare attenta; dietro il lucido metallo, nascosti nell'ombra aveva trovato i responsabili dell'agitazione del suo fidanzato. Neville Paciock era appoggiato al muro di sasso, completamente coperto dalla piccola figura di una biondina arrampicata su di lui. Inutile aggiungere che le mani del ragazzo non erano esattamente visibili.
Ginny si era ritratta ridacchiando, scontrandosi mentre indietreggiava con il torace di Harry, che si stava invece sporgendo nella nicchia per vedere a sua volta.

- Ma quello è... -

- Si Harry, quello è Neville. Con Quinn Davies, di Corvonero. -

- Ma... -

- Si Harry. Stanno facendo esattamente quello che pensi. Adesso andiamo via, prima che ci vedano e che li disturbiamo senza motivo. -

- Roger Davies gli taglierà le mani. -

- Il fratello di Quinn non lo deve sapere per forza, sai Harry? -

Il tono di Ginny sembrava non ammettere alcuna replica, quindi Harry si era deciso a seguirla verso la torre in silenzio, sperando magari di trovarsi entro qualche minuto nella medesima situazione di Neville.


****


Malfoy camminava nel buio del parco di Hogwarts con una meta ben precisa. Aveva detto a Blaise che sarebbe andato a fare una passeggiata ma non era esattamente la verità. Stava passando accanto al campo di Quidditch e si chiedeva se anche questa volta sarebbe riuscito ad essere Capitano della squadra. Forse quest'anno non l'avrebbero scelto, in fondo era già stato nominato Caposcuola nonostante la situazione in cui si trovava, forse chiedere di essere anche Capitano era pretendere troppo. Ma era lui il più bravo in quella squadra, non c'era assolutamente nessun altro che poteva meritarsi quella nomina. Aveva talento da vendere e il posto come Cercatore era già automaticamente suo. Stava ancora pensando alle varie persone che avrebbe potuto mettere in squadra e ai provini da organizzare quando aveva alzato lo sguardo sulla struttura imponente che vedeva subito dietro, in lontananza. Il Memoriale.
Era lì che stava andando, perchè in quella prima serata a Hogwarts c'era qualcosa che non andava, c'era qualcuno a mancare dalla loro tavola. E Draco aveva bisogno di salutarlo, questo qualcuno. Perchè dopo sette anni in cui ogni sera di inizio anno l'avevano passata insieme, fin dallo Smistamento, quella mancanza non poteva far altro che farsi sentire.
Vincent non era mai stato l'amico che era Blaise, questo non poteva di certo negarlo, non avevano mai parlato a lungo o non si erano confidati. Non aveva frequentato Malfoy Manor fin da piccolo, diventando praticamente un fratello anche agli occhi di Narcissa, come aveva fatto Zabini, ma gli era sempre stato accanto, dai primi scherzi innocenti a Potter fino alla fine, fino a quella notte. Non aveva mai chiesto molto né era stato troppo invadente; lui e Goyle erano i suoi gregari, i suoi compari e non l'avevano mai lasciato.
Draco aveva finalmente raggiunto il Memoriale, nel punto in cui il nome e la foto di Vincent Tiger si stagliavano sul granito nero. Nell'immagine Tiger stringeva la sua Nimbus 2001, in piedi davanti allo stadio di Quidditch, nella sua divisa di Slytherin. Se lo ricordava, Draco, il pomeriggio in cui il padre di Tiger aveva scattato quella foto. Avevano vinto una partita contro Grifondoro e guarda caso quel giorno qualche genitore era venuto ad assistere. Tiger aveva rischiato di accoppare Potter con un paio di bolidi e suo padre l'aveva atteso fuori dallo stadio armato di macchina fotografica. Era orgogliosissimo della loro vittoria e del modo in cui Vincent aveva giocato. Si ricordava anche la pacca sulla spalla che lui stesso gli aveva dato poco prima di quello scatto, per poi defilarsi negli spogliatoi.

Sembrava davvero strano, irreale, pensare che non sarebbe più tornato. Erano passati tre mesi dalla morte di Vincent e ancora Draco non riusciva ad essere del tutto cosciente del fatto che la sua morte significava non rivederlo mai più. Razionalmente se ne rendeva conto benissimo, non era di certo un ragazzino che non capiva, ma essere lì a vedere Tiger in quella foto e pensare che sarebbe stato l'unico modo in cui avrebbe potuto vederlo di nuovo, gli sembrava assurdo.
Malfoy si era seduto sul pavimento freddo, avvolto nel suo mantello ed era rimasto qualche momento lì, a guardare il suo amico.

- Non sono venuto di notte perchè mi vergogno. - aveva detto all'immagine che ancora sorrideva. – Sono venuto adesso perchè non mi andava di aspettare fino a domani. Avevo bisogno di stare in pace e poi... volevo salutarti. Ecco. Ma verrò anche di giorno, Vince. Tutti i giorni se ci riesco. -

Aveva lasciato vagare lo sguardo sulle altre immagini, intorno a quella di Tiger, sugli altri nomi.

Erano tanti, dannazione, troppi.

Era passato davanti a fotografie di ragazzi che aveva visto passeggiare nei corridoi qualche volta, immagini di ragazzi conosciuti, ma anche nomi di persone che non aveva mai sentito. Gli sembrava strano, ora, non conoscere il nome di persone che avevano vissuto con lui nella stessa scuola, ma ripensando agli ultimi due anni si era detto che probabilmente era stato troppo concentrato in altre questioni, come ad esempio tenersi stretta la pelle, per fare caso ai nuovi arrivati. La mano si era automaticamente portata a sfiorare l'avambraccio sinistro da sopra la camicia della divisa. L'immagine del marchio si era fatta strada nella sua mente, riempiendolo di rabbia. Sarebbe sempre stato lì, a ricordargli ogni momento, ogni sbaglio, ogni tentennamento. A ricordargli la bacchetta che si abbassava davanti al viso del vecchio stregone e la bacchetta di Piton accanto ai suoi occhi.

Per quanto ancora avrebbe dovuto fare i conti con tutto questo?

E ancora non era successo nulla, non aveva affrontato i suoi compagni del settimo anno, le giornate di lezione, la quotidianità in cui sicuramente gli altri avrebbero avuto occasione di ricordargli quanto lui fosse diverso da loro. Quanto, al contrario del Trio dei Miracoli, lui fosse diverso per demerito e non per gloria.
Aveva cercato di scacciare quei pensieri scuotendo la testa, fissandosi sull'immagine del suo amico e aveva trovato il modo di distrarsi parlandogli, come se fosse ancora con lui.
Draco si era intrattenuto ancora qualche minuto, raccontando alla foto di Vincent della giornata e delle sensazioni di quel viaggio, di quell'arrivo in una Hogwarts sempre uguale, ma così diversa, in cui si respirava un'aria che non somigliava affatto a quella che avevano respirato quando Silente era Preside.
Dopo quella “chiacchierata” particolare si era sentito un poco più leggero ed aveva deciso di tornare nei Dormitori, dove sicuramente Blaise lo stava aspettando con qualcosa da mangiare, preoccupato come se fosse sua madre perchè aveva saltato la cena.

****

Hermione aveva aperto gli occhi di scatto, osservando la lama di luce che penetrava dalla uno spiraglio della tenda e che si dirigeva dritta dritta sul suo occhio destro. Aveva dormito davvero male quella notte, continuando a girarsi e rigirarsi, scoprirsi e coprirsi per ore. Ora però quel raggio di sole indicava che era mattina e che quindi si poteva alzare senza destare preoccupazione in nessuno.
Si era alzata lentamente, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare le sue compagne che dormivano ancora beatamente nei loro letti e si era infilata una felpa per scendere in Sala Comune a leggere qualcosa mentre aspettava l'ora di colazione. Aveva agguantato dalla scrivania il suo libro di Aritmanzia e si era fiondata a passi veloci giù dalle scale.
Giunta a destinazione aveva trovato Ron seduto su una poltrona, addormentato con la testa all'indietro poggiata contro un cuscino e con in una mano la sua Tornado e nell'altra un barattolo di lucido. Lo aveva raggiunto subito e si era sporta oltre lo schienale per posargli un bacio sulla fronte, tenendogli il viso tra le mani.


- Buongiorno. - gli aveva sussurrato vicino all'orecchio.

Lui aveva aperto gli occhi stancamente e per un momento l'aveva guardata quasi confuso, ma non appena aveva messo a fuoco, sia mentalmente che visivamente, la sua presenza, le aveva afferrato una mano e le aveva fatto aggirare la poltrona, per portarla a sedersi sulle sue ginocchia, non senza qualche strattone.

- Buongiorno a te. -

Le aveva risposto con un sorriso, mentre la ragazza si accoccolava su di lui, raccogliendo le gambe sulle sue e poggiandogli la testa sulla spalla. Ron si era mosso ancora qualche momento, per sistemarsi sulla poltrona e liberare la visuale dai ricci indomabili di Hermione, poi le aveva passato le braccia intorno alla vita e, ormai sveglio, aveva ricominciato a lucidare il manico della scopa.
Quel piccolo idillio di coppia non era però durato più di qualche minuto, perchè era stato interrotto da una specie di tornado rosso, rispondente al nome di Ginny Weasley che, individuata la sua amica, l'aveva puntata e raggiunta come un cane da caccia con una volpe.

- Herm, tesoro tu non hai idea di cosa ho visto ieri sera. -

Questa frase era stata pronunciata mentre trascinava per un braccio l'amica via dalla poltrona, ignorandone completamente le timide proteste e portandola con sé su per le scale, diretta verso il dormitorio femminile.

- Vieni con me che te lo racconto mentre ci vestiamo per andare a colazione. -

- Il fatto che io fossi tranquillamente seduta con Ron non è rilevante vero? -

- Ovviamente non lo è, altrimenti non ti avrei portata con me. E quando ti avrò detto cosa ho visto sono sicura che sarà irrilevante anche per te. - 

L'aveva seguita con poca convinzione su per le scale e si erano vestite insieme, ma Ginny non aveva accennato ad iniziare a parlare di questa notizia così importante. Al che, una volta tornate di sotto, dove avevano trovato Ron vestito e Harry ciondolante per la Sala comune, Hermione aveva assaltato a sua volta l'amica, che stava tentando con nonchalance di salutare il suo ragazzo e l'aveva trascinata fuori dal buco del ritratto a sua volta.

- Allora questa notiziona? -

- Ieri sera io e Harry stavamo tornando ai Dormitori e mentre camminavamo per i corridoi abbiamo sentito un rumore strano. Allora Harry ha iniziato a dare in escandescenza, trascinandomi in posizioni protette e sguainando la bacchetta. In realtà, guardando dietro un'armatura, dentro una nicchia abbiamo visto che erano delle persone, a fare quei rumorini. -

Ginny aveva fatto una pausa ad effetto, guardando Hermione e aspettandosi di essere incalzata.

- Allora Ginny, avanti dimmi chi hai visto! -

- Neville! Era Neville che si era infrattato dietro l'armatura con la Davies! -

Hermione aveva sgranato i suoi occhi marroni e si era bloccata in mezzo al corridoio.

- NEVILLE? Intendi Neville Paciock? -

- Si Herm, proprio lui! E dovevi anche vedere come gli stava abbarbicata addosso quella Quinn! -

- La ragazza del quinto anno di Corvonero? La sorellina di Roger? -

- Sorellina mica tanto Hermione, te l'ho detto, avresti dovuto vederla. -

- E così il nostro Neville è diventato un seduttore? - 

In quel momento Hermione aveva sentito dietro di sé un mugugno, una specie di lamento e si era girata indietro, per vedere Ron assumere la solita espressione che aveva iniziato a fare ogni volta che qualcosa lo contrariava, cosa che nell'ultimo periodo accadeva spesso.

- Qualcosa non va Ron? -

- No, Mione, certamente no. Ma continua pure ad ignorarmi, non vorrei disturbare il divertimento tuo e di mia sorella. -

Hermione era rimasta allibita e si era fermata davanti a lui con la bocca aperta, senza riuscire a dire una parola per almeno qualche secondo. Non appena era riuscita a riscuotersi, però, aveva guardato il ragazzo negli occhi e aveva scosso la testa delusa, per poi rivolgersi a Ginny e a Harry.

- Io faccio un giro in giardino, prima di colazione. Ci vediamo a lezione. -


****


Durante la sua passeggiata Hermione aveva raggiunto il Memoriale quasi in automatico, senza pensare assolutamente a dove stesse andando, troppo presa dal trattenere le lacrime per decidere coscientemente di dirigersi da qualche parte.
Si era così trovata davanti al monumento nero, con gli occhi gonfi dal pianto trattenuto e le mani strette a pugno, quando aveva visto la foto di Fred, in cima alla fila di immagini e nomi e aveva capito che forse qualcuno che l'avrebbe ascoltata senza implicazioni, l'aveva trovato.
Si era seduta per terra, sul maglioncino che si era tolta ed aveva disteso a quello scopo ed aveva iniziato a parlare.

- Sai Fred, forse solo tu puoi capirmi in questo momento. Tuo fratello Ronald è un idiota. Si, lo so benissimo che non ti sto dicendo nulla che tu non sappia già, ma ti assicuro che da quando te ne sei andato è nettamente peggiorato. È sempre intrattabile, non si riesce a fare nulla quando c'è anche lui. La minima risata lo irrita, pretende di essere al centro esatto di ogni mio pensiero, si aspetta che io lo capisca sempre mentre lui non vuole mai capire me. Mi sta facendo diventare pazza. -

La ragazza si torturava le dita, tenendo le mani incrociate in grembo e continuava a parlare all'immagine del gemello, che sorrideva allegro nel giorno del matrimonio di Bill e Fleur.

- Ero così felice quando ci siamo baciati, la notte della Battaglia. Aspettavo quel momento da così tanto tempo che quasi non mi sembrava nemmeno vero e poi tutto sta andando a rotoli per il suo maledettissimo carattere. Non so che cosa mi aspettavo, insomma, sapevo da prima che Ron non è di certo la persona più semplice del mondo con cui trattare, ma speravo che forse tutta questa situazione l'avrebbe aiutato a crescere, a maturare un po'. Invece passa da momenti in cui è tremendamente intransigente ad altri in cui è la versione esasperata del solito Ronald, con gli scatti d'ira e le gelosie immotivate.
Che devo fare Fred? Come faccio a fargli capire? -

Aveva parlato a se stessa più che a Fred ed Hermione lo sapeva bene, ma aveva davvero bisogno di trovare un modo di risolvere quella situazione. Sentiva di essere legata a Ron da un sentimento profondo ma non riusciva ad inquadrare la situazione in modo razionale.
Detestava non riuscire a venire a capo di qualcosa, anche quando questo qualcosa era evidentemente un sentimento tanto complicato da mettere in difficoltà chiunque. Hermione sentiva di non aver mai provato per nessuno quello che provava per Ron, ma quando stava con Harry e Ginny sentiva nell'aria intorno a loro un'aura di complicità, di comprensione che non riusciva a trovare con il suo ragazzo. Non stavano sempre attaccati, anzi, ma ogni volta che si sfioravano le sembrava quasi di sentire lei stessa l'elettricità che scaturiva dal loro contatto. Con Ron non era così. Quando stavano vicini, quando si sfioravano era bello, piacevole, ma Ginny le aveva parlato di passione, le aveva parlato di fuoco nelle vene. Lei il fuoco nelle vene non l'aveva mai sentito, nemmeno la prima volta che...

Che fosse lei il problema? Che fosse diversa da Ginny così tanto anche in questo?

La mente di Hermione brulicava di domande senza risposta, mentre sfiorava con le dita la cornice della foto di Fred e correva poi nel primo pezzetto di prato al limitare del monumento, per recuperare un piccolo fiore giallo, che aveva lasciato nel vasetto accanto al suo nome.
Probabilmente era tutta una fantasia, probabilmente i suoi litigi con Ron le facevano sembrare tutto più difficile e più grande di quanto in realtà fosse. Si sarebbe risolta ogni cosa. Lo sentiva.

Mentre passava davanti agli altri nomi, diretta in Sala Grande per recuperare almeno un toast prima di fiondarsi a lezione con tutti i suoi libri, Hermione aveva però notato un particolare.
C'era un nome, in basso, in un angolo del monumento, accanto al quale nessuno aveva lasciato nulla. Spiccava stranamente tra tutti gli altri, dove ogni amico passato aveva deciso di lasciare un fiore, una sciarpa, un biglietto. Si era avvicinata per vedere chi fosse e una volta letto quel nome aveva sentito il dispiacere stringerle il petto. Vincent Tiger non aveva nessuno che pensava a lui, nessuno che si fosse premurato di lasciare qualcosa.

Lo farò io. Se in questi giorni continuerò a trovare quel nome solo, senza nulla, porterò io qualcosa per lui.


****

Draco si stava trascinando stancamente verso la serra numero quattro insieme a Blaise, per la prima lezione di quell'anno scolastico che, per cominciare con il botto, la Preside aveva stabilito fosse condivisa con almeno una delle altre Case.
Quella prima lezione sarebbe stata condivisa con Ravenclaw e già vedeva in lontananza quella svampita di Luna Lovegood precederli verso le serre con un paio delle sue compagne.

Perlomeno non sono i Grifoni.

Quello era stato il solo pensiero che l'aveva confortato quella mattina, quando aveva controllato l'orario, pensando a quanto sarebbe stato lieto di condividere la sua prima lezione con il Salvatore del Mondo e la sua allegra combriccola. Sapeva che avrebbe dovuto sopportare la loro irritante presenza durante le ore di Pozioni, come al solito, ma si aspettava che dopo il discorso della McGranitt probabilmente questo sarebbe accaduto molto più spesso di quanto desiderasse.
Erano arrivati praticamente davanti alla porta della serra quando Draco si era accorto del capannello di persone raccolte intorno a Padma Patil che teneva in mano un foglio di pergamena e continuava a fissarlo.

- Cosa sta succedendo qui? -

Si era rivolto al gruppetto bruscamente, cercando di avvicinarsi a Padma per vedere cosa ci fosse scritto. La ragazza aveva sollevato la testa rivelandogli uno sguardo decisamente preoccupato e gli aveva porto la pergamena.

- L'ho trovata appesa alla porta con un pugnale, sono arrivata un attimo prima degli altri, perchè volevo prendere il posto più avanti, per seguire meglio e l'ho trovata qui. -

Draco aveva srotolato nuovamente la pergamena e vi aveva trovato, marcato in una grafia elegantemente curata, un messaggio, seguito da una freccia stilizzata, il tutto con scritto con un inchiostro verde scuro.

Potete aver chiuso con il passato, ma il passato non chiude con voi.

Tutte le ore feriscono, ma l'ultima uccide.”





Note:


  1. Andromeda Black come insegnnate di Difesa. Ho valutato varie possibilità, mentre pensavo a chi affidare quel posto, ma mi sono resa conto proprio pensando a questo fatto, di quanto siano rimaste in vita ben poche persone che avrei potuto scegliere a cui affidare l'insegnamento di questa materia.

    Una buona parte dell'Ordine è finita al Creatore durante la Battaglia o ben prima e non volevo che fosse un personaggio sconosciuto a ricoprire un ruolo così importante per gli studenti. Come in parte ho già spiegato attraverso le parole di Andromeda, la scelta è infine ricaduta su di lei perchè è rimasta sola, perchè mi piaceva l'idea che il piccolo Teddy potesse respirare un'atmosfera felice e giovane come quella di Hogwarts e perchè innegabilmente, in primis essendo una Black e poi perchè comunque era un membro dell'Ordine, possiede le conoscenze adatte ad affrontare un compito come questo.

  1. L'egocentrismo di Harry e la sua ossessione per il pericolo sono piuttosto evidenti in questo capitolo, ma non credo onestamente di essere andata OOC, in quanto ho semplicemente messo più in luce alcuni aspetti di lui che sono già più che evidenti nei libri della Row. E che, per inciso, stimolano la mia antipatia per lui in modo spiccato, ma questa è un'altra storia.

  2. Neville, Neville, Neville, il mio fighissimo sciupafemmine Neville. Ne vedrete delle belle con lui, vi assicuro che non è finita. Qui l'OOC è un filino più evidente, lo devo ammettere, ma non posso farne a meno. Per me Nev è l'eroe mancato, il ragazzo che non ha avuto gloria perchè tutti erano troppo occupati a inneggiare e sostenere Potty. Deve avere ciò che gli spetta e nel modo più divertente possibile... ;)

  3. La ragazza che si struscia sul mio caro Neville è un personaggio partorito dalla mia fantasia. Il nome è quello di uno dei personaggi di Glee (che si fa mettere incinta dal bellissimo e fantastico Puck ma mente per buona parte della prima serie dicendo che il bambino è di Finn), mia droga da ormai qualche tempo (grazie a Val, il mio tesoro, per Glee e per il suggerimento sul nome), mentre il cognome è quello di Roger Davies, di cui ho pensato potesse essere la sorella minore.

  4. Spero tanto di non aver dato a Draco una caratterizzazione troppo OOC. Lui è la mia croce (e la mia delizia, ovviamente) e ho sempre paura di cascare male.
    Penso che la situazione in cui si trova e che gli avvenimenti che ha vissuto possano averlo in messo in difficoltà, inducendolo a riflettere su alcune questioni. Ma non voglio cambiarlo troppo, visto che lo adoro già così com'è e non voglio assolutamente che si trasformi in una specie di lacrimoso adolescente problematico. Spero davvero di riuscire a fare bene con lui.
    Vedo il suo rapporto con Tiger come qualcosa di più profondo di come l'ha presentato la Rowling, per prima cosa perchè non credo che sia giusto che le amicizie sincere siano un'esclusiva Gryffindor e poi perchè comunque hanno passato sette anni sempre insieme, condividendo molto, anche più di quanto volessero e dubito che tutto ciò potesse accadere senza che ci fosse un affetto di fondo. Si certo Tiger non era proprio una cima, ma non per questo non si meritava un amico e non soltanto un capo.

  5. Il discorso di Hermione con Fred è il primo passo che la nostra amatissima protagonista fa per allontanarsi da Lenticchia. Inizia a percepire che qualcosa non va ma non riesce a dare un nome ai suoi sentimenti. Pazientiamo, il momento che tanto attendiamo (io stessa lo attendo con ansia) giungerà. 

  6. Il biglietto sulla porta della serra è una citazione rielaborata da Il Mercante di Venezia, di William Shakespeare, seguito da una citazione anonima. Ho cercato di risalire a un autore ma la mia ricerca non è andata a buon fine. Inutile dirvi che amo quest'autore con tutta me stessa e poi, come mi ha detto Val, il Bardo ha sempre una risposta per tutto. *___*


La prima parte di questo capitolo è stata una specie di parto. L'ho iniziato qualcosa come 35 volte per poi lasciarlo perdere altrettante, probabilmente anche la mia idea di voler scrivere con la febbre altra non era così brillante, lo devo ammettere.

Sono riuscita a pubblicarlo entro un tempo “ragionevole” rispetto a quello che mi aspettavo quindi sono abbastanza soddisfatta di me per questo, ma non posso proprio dire che mi piace. Ci sono parecchie parti che non mi convincono ma l'ho riletto mille volte e non riesco proprio a tirare fuori di meglio.

Ringrazio, come ogni volta tutti voi che siete arrivati a seguirmi fino qui, chi legge e basta, chi recensisce, chi preferisce, segue o ricorda. Mi onorate tantissimo con le vostre parole e con quei numerini che salgono. GRAZIE.


Per chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi trovate su Facebook: QUI. 

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Capitolo 5
*** I soliti sospetti. ***



A Momo nella speranza di riuscire a farti sorridere un po'.




Un piccola piuma bianca volteggiava sopra il tavolo rotondo che Minerva Mc Granitt aveva fatto portare nell'Ufficio del Preside, da quando lei l'aveva occupato, ormai qualche mese prima.

La versione ufficiale era che aveva bisogno di spazio per lavorare, per i suoi libri e per tutte le pergamene, quindi la scrivania non bastava. La verità era un'altra: non se l'era mai sentita di sedere alla scrivania di Silente. Le sembrava di occupare un posto non suo e in quella condizione di disagio non riusciva a lavorare, quindi la scrivania era rimasta al suo posto, immacolata, con il ritratto dell'ex-Preside appeso sulla parete adiacente.
La donna si era incantata ad osservare la piuma librarsi controluce, illuminata dal sole che tramontava fuori dall'ampia finestra, mentre ascoltava distrattamente la conversazione dei suoi colleghi farsi sempre più accesa; si levava verso l'alto, come sospinta da un alito di vento che non poteva esserci davvero in quella stanza chiusa, per poi cadere in una spirale ordinata verso il basso, fin quasi a posarsi sulla superficie mogano del piano. Ma quando tutto sembrava deciso, stabilito, quando tutto sembrava già fatto, la piuma risaliva imprevedibile, guidata da una corrente invisibile.

- … vero Minerva? -

La domanda di Vitious l'aveva riportata a terra, insieme a quella piuma, che infine si era posata sul pavimento, ma disgraziatamente non era riuscita a ridestarsi in tempo per coglierne la prima parte.

Era passata una quasi una settimana dal ritrovamento di quel messaggio, il primo giorno di lezioni. Minerva non aveva voluto sconvolgere il normale scorrere delle lezioni né la calma dei ragazzi con annunci plateali o riunioni tempestive. Aveva atteso la domenica, giorno in cui tutti potevano avere più tempo libero, ed aveva indetto quella riunione, per discutere delle ipotesi su ciò che era accaduto.

- Perdonami Filius, ero sovrappensiero. Stavi dicendo? -

- Stavo illustrando agli altri Docenti quanto questo biglietto sia indubbiamente una minaccia da prendere sul serio. Innanzitutto si tratta di una pergamena particolare, che nessuno degli studenti può utilizzare abitualmente, perchè non è in vendita in tutti i negozi, anzi è ben difficile da reperire. Anche le parole sono curate, non sono minacce che potrebbero partire da qualche ragazzino con il solo scopo di fare una bravata. L'inchiostro stesso è particolare, non l'avevo mai visto di quella tonalità. -


Lumacorno aveva iniziato ad agitarsi sulla sedia, come se non riuscisse a restare seduto, ma nemmeno avesse intenzione di alzarsi, in una evidente situazione di insofferenza.

- Perdonami Filius, ma devo dissentire. Hogwarts è blindata da anni ormai e Voldemort è stato sconfitto. Non può essere altro che uno scherzo, una burla architettata da qualche studente particolarmente abile nell'organizzazione di questi giochetti. -

Vitious si era girato repentinamente verso Lumacorno, un'espressione incredula sul viso.


- Horace è impensabile! Questi ragazzi hanno passato l'inferno durante la guerra. Credi veramente che avrebbero voglia di giocare su una cosa del genere? -
- Sono ragazzini Filius, avranno sempre voglia di scherzare. -

Il professor Vitious scuoteva la testa perplesso, fermamente convinto dell'assurdità dell'idea del collega. Quelli erano dei giovani, è vero, ma giovani che avevano visto i propri familiari morire, essere feriti in battaglie che non avevano chiesto. Gli sembrava impossibile che potessero anche solo pensare di scherzare su una situazione simile, di architettare una burla su un argomento così spinoso, in un momento ancora così vicino al loro dolore.

Minerva McGranitt ascoltava, di nuovo in silenzio, quello scambio di battute, domandandosi chi, ma sopratutto se uno dei due potesse avere ragione.
Probabilmente si sbagliavano entrambi. Conveniva con Filius per quanto riguardava l'idea che i ragazzi non fossero ancora dell'umore adatto per farsi burle del pericolo corso fingendone uno nuovo, ma d'altro canto non poteva negare che li aveva visti ridere e tornare piano piano a vivere ogni giorno, da quando Hogwarts aveva riaperto i battenti. Forse i più forti potevano aver pensato...
Aveva immediatamente interrotto quel flusso di pensieri, dicendo a se stessa che non poteva essere.
Non i suoi ragazzi, non in quel momento.
E se fossero davvero i Mangiamorte rimasti?
Molti di loro ancora non erano stati puniti, per via della lentezza della burocrazia, quindi erano liberi, in attesa di processo. Si era ritrovata, suo malgrado, a pensare a Yaxley, a Rockwood, ancora liberi di girare per strada, di scomparire, con un minimo di impegno; di venire nella sua scuola e di terrorizzare i suoi studenti. Non voleva pensare una cosa del genere, non in un momento in cui desiderava solo restituire a quei giovani la loro vita e le loro speranze di un futuro sereno, se parlare di pace era troppo ardito.
La voce di Sibilla Cooman si era insinuata nella conversazione, strisciando tra le parole di Horace e Filius con un sussurro soffocato.

- Da mani insanguinate giungerà la risposta alle vostre domande.
E altro sangue sarà versato per fugare i vostri dubbi.
Distruzione e morte attendono sul cammino di chi vorrà seguire questa follia. -

Era strisciata alle spalle di Vitiuos, portando con sé il tintinnare delle piccole piastre d'acciaio cucite sull'orlo del suo scialle ed aveva alzato i suoi occhi miopi a guardare la tavolata. Erano vitrei, assenti e le conferivano l'aspetto di un animale imbalsamato, che si muoveva attraverso la stanza grazie a qualche strano incanto.

La McGranitt era intervenuta subito, per fermare quel flusso di parole che sapeva già essere molto poco affidabili. Lo scarso talento divinatorio della Cooman era noto a tutti ormai da anni e nessuno si premurava di nasconderlo nemmeno davanti alla diretta interessata..

- Sibilla, siediti ora. Stanno per arrivare i ragazzi ora, non vorrai spaventarli. -


Lo sguardo della veggente era tornato vigile, richiamato dalla voce della Preside, e si era fissato in quegli occhi verdi. L'espressione si era mutata in un sorriso quasi agghiacciante.


- Devono essere spaventati. -

La risata profonda di Albus Silente si era levata dal suo ritratto, verso cui tutti i presenti si erano girati stupiti, forse più per il suono improvviso che per l'incoerenza di quella reazione con l'apparente drammaticità del momento.


- Sibilla cara, non essere teatrale. Ragazzi, accomodatevi pure, siete arrivati proprio al momento giusto. -


Il viso di Silente si era voltato verso la porta di ingresso dello studio, che si era lentamente socchiusa rivelando la presenza di cinque studenti, che aspettavano dietro la porta da qualche minuto, ma non avevano osato bussare, trattenuti dalla vivacità della discussione.


- Oh, ragazzi, avanti entrate. Non mi ero accorta foste arrivati. -

Minerva aveva accompagnato le sue parole con un gesto d'invito, per poi voltarsi verso i suoi colleghi, per spiegare la presenza degli studenti.


- Ho mandato un gufo ai Capiscuola e a Padma Patil per invitarli ad unirsi a noi in questa riunione, perchè penso che gli studenti debbano essere tenuti al corrente di quanto sta accadendo o, perlomeno, che i Capiscuola siano informati degli sviluppi della questione, visto il loro ruolo nel controllare il castello. Ho chiamato anche la Signorina Patil perchè è stata lei a trovare il biglietto e desideravo ci raccontasse la sua versione, in caso potesse darci qualche dettaglio in più. -

I cinque studenti erano entrati nella stanza, guidati da una titubante Hanna Abbott, da dietro la cui spalla sbucava Padma Patil, che si stringeva al braccio del suo compagno di Casa Anthony Goldstein. Subito dietro erano entrati Draco Malfoy ed Hermione Granger, che avevano seguito i compagni, andando ad accomodarsi sulle grandi sedie rimaste libere alla tavolata.

Hermione aveva percepito distintamente la tensione nella stanza e quell'aria di tempesta imminente non le piaceva affatto. Era già stata ragguagliata da Padma riguardo il biglietto e il suo ritrovamento nei giorni precedenti e non era riuscita ancora a trovare nessun appiglio in quell'insieme di avvenimenti e di indizi.

- Padma, vuoi raccontarci come hai trovato il biglietto? -

Dal quadro dietro la scrivania Silente aveva posto la domanda alla ragazza e tutti si erano rivolti verso di lei, aspettando di avere le notizie di prima mano, sperando di poter trovare, in quel racconto, qualche dettaglio in più che potesse essere d'aiuto.

Padma aveva riportato il ritrovamento in ogni piccola sfumatura, dal momento in cui stava andando verso la serra fino a quando aveva dato il biglietto a Malfoy, per poi tendere la pergamena in questione verso la McGranitt, che l'aveva presa tra le mani e osservata con attenzione.

- Grazie Padma. Dunque, ora avremo tutti modo di osservare di nuovo il messaggio. Qualcuno, come me, l'ha già visto e letto, qualcun altro ne conosceva soltanto il contenuto. Osservatelo con la dovuta attenzione e passatelo poi alla persona accanto a voi. -


La pergamena era passata di mano in mano, recando la sua minaccia a tutti i presenti.

Quando era arrivata tra le mani di Hermione, la discussione aveva già ripreso i toni accesi di poco prima e ancora si stava combattendo tra i due estremi: la burla e la catastrofe.
Ascoltando con una certa nocuranza i discorsi intorno a lei, Hermione si era dedicata alla lettura di quelle poche righe e aveva immediatamente avuto un'illuminazione.

- Shakespeare! -


Si erano zittiti tutti a quella sua esclamazione, come se li avesse richiamati con un singulto, più che con una parola di senso compiuto.


- Cosa stai blaterando, Mezzosangue? -

Malfoy l'aveva squadrata con sdegno evidente, non avendo idea di chi o cosa fosse quello Shakespeare che aveva tanto fatto entusiasmare la Granger.


- Uno scrittore babbano, Malfoy. -


Gli aveva risposto con l'aria scocciata che aveva quando Ron le chiedeva di copiare i compiti di Pozioni o Harry cercava di ottenere le risposte per un compito in classe, poi si era rivolta a tutti gli altri, prendendo ad ignorarlo.


- La prima parte di questo biglietto è una citazione di un'opera di uno scrittore Babbano del 16° secolo, William Shakespeare, per l'appunto; e per essere precisi dall'opera Il Mercante di Venezia. -

Il brusio che aveva seguito la sua rivelazione si era rapidamente allargato intorno al tavolo, generando espressioni ora sorprese, ora perplesse, sui visi dei presenti.


- Questo dovrebbe cambiare le carte in tavola, a questo punto. -


La voce strascicata di Draco Malfoy si era levata al di sopra dei borbottii indistinti che tutti si stavano scambiando.


- Immagino che concorderete con me che questo sia un buon motivo per smettere di tirare in ballo un nemico che non solo è stato sconfitto, non solo è stato ucciso, ma che avrebbe ottime ragioni nei suoi, seppur discutibili, ideali per non citare in una missiva le parole di un qualunque babbano. -


- Un qualunque babbano Malfoy? Non puoi parlare così del Bardo dell'Avon! -

Hermione si era alzata in piedi, colpita dall'indifferenza con cui Malfoy aveva appena sputato su uno dei migliori poeti che avessero calpestato terra inglese, solo perchè era babbano.

Perchè se ne stupiva?

- Mezzosangue non mi interessa lo scrittore in sé. La questione è ben diver... -
- Smettila di chiamarmi Mezzosangue! -

L'aveva interrotto senza pensare, con la voce che le era salita di un ottava rispetto al tono già piuttosto alto che aveva usato poco prima per prendere le difese di Shakespeare.

Lui l'aveva liquidata con un gesto noncurante della mano, per poi proseguire.

- Quello che sto cercando di dire, se la signorina Granger si degna di lasciarmi parlare, è che sarebbe il caso che smetteste di concentrare la vostra attenzione su un nemico sconfitto, perchè è un'inutile perdita di tempo. Non sono i Mangiamorte i mandatari di questo biglietto, non è nel loro stile né penso avrebbero alcun motivo per minacciare Hogwarts in un momento come questo. -

- Le obiezioni del signor Malfoy sono molto sensate, ma non possiamo di certo dire che i Mangiamorte si siano fatti scrupoli ad attaccare la scuola in un modo o nell'altro, anche quando si trovavano in una condizione di svantaggio. -

Vitious era tornato all'attacco, con le sue idee disfattistiche sul ritorno delle maschere e dei cappucci. Malfoy si era sporto verso il tavolo, poggiando entrambe le mani sul piano, come per avvicinarsi al Professore.


- Insomma, non riesco proprio a capire come possiate concepire l'esistenza di un solo e unico nemico, anche quando è bello che sottoterra! Non esistono solo i Mangiamorte, non sono loro il nostro unico pericolo, altrimenti il mondo sarebbe un luogo decisamente più tranquillo di quello che è, specialmente adesso.

Mentre parlava aveva socchiuso gli occhi e la sua voce era salita soltanto di poco, tradendo il nervosismo che abilmente stava cercando di celare.


- Eppure anche la previsione di Sibilla parla chiaro. Non è una burla. Avremo del sangue e mani insanguinate ci guideranno alle risposte. -


Malfoy si era nuovamente poggiato allo schienale della sedia, alzando le mani verso l'alto in un gesto che sembrava voler comunicare una resa ed aveva portato il suo sguardo, in cui era tornata con semplicità l'aria annoiata, verso la finestra.

Lo sguardo scettico che Vitious aveva ricevuto in risposta da parte della McGranitt in primis, poi del resto della tavolata, l'aveva fatto desistere dal proseguire nella sua tirata, pur non inducendolo a cambiare completamente idea.

Quel biglietto era inquietante e di sicuro non si trattava di uno scherzo.

La voce timida di Hannah Abbott si era intromessa nella conversazione, mentre la proprietaria alzava la mano in cui stringeva la pergamena.


- C'è una cosa di cui nessuno ha ancora parlato. C'è un simbolo, sotto le parole che abbiamo letto tutti; c'è disegnata una freccia e l'inchiostro usato è verde.
Ora, non so che cosa possa voler dire, ma magari potrebbe essere un indizio. -

Hermione si era mentalmente data una manata in fronte per non aver pensato subito a quel particolare, concentrata com'era sulle parole del Bardo e sulla stizza che la presenza fastidiosa di Malfoy continuava a provocarle.


- Hannah, mi sembra una giusta osservazione. Anche se al momento non vedo cosa questi particolari possano significare. Credo che tutti abbiamo abbastanza elementi per riflettere sulla questione e, non avendo per il momento raggiunto alcun accordo sull'origine del biglietto, credo sia giusto mantenere una condotta di attesa.
Se, come dice Horace, si tratta di una burla, nulla accadrà. Se invece si tratta di qualcosa di più fondato, restiamo in allerta per eventuali nuovi sviluppi.
Capiscuola, la sera, quando fate la Ronda prima di andare a letto, siate ancora più attenti e cauti del solito e riportate a me direttamente qualunque stranezza o avvenimento inconsueto rileviate. Lo stesso vale per i Docenti. Vi ringrazio per la disponibilità e l'attenzione.
Qualunque idea vi venisse in mente non esitate a comunicarmela. -

Si erano alzati tutti, per accomodarsi lentamente, in una fila ordinata, giù per le scale che portavano nei corridoi vuoti, come normale che fossero in una domenica mattina qualunque.

Hermione si era allontanata da sola, verso la Torre di Grifondoro, riflettendo sulla quantità di indizi appresi e su quanto poco ne avesse ricavato.
Erano nel pieno della nebbia.



*****


Aveva trovato la Torre vuota, dopo la riunione e ne aveva approfittato per portarsi avanti con gli ultimi capitoli da studiare, visto che in quella prima settimana di lezioni già tutto sembrava essere iniziato a pieno ritmo. I compiti erano moltissimi, come ci si poteva aspettare per una classe dell'ultimo anno, ma lei li aveva svolti quasi tutti, esattamente come chiunque avrebbe previsto.
Aveva poi deciso di uscire a vedere dove fossero finiti tutti, dato che fuori dalla finestra il cielo iniziava a virare verso un colore sempre più plumbeo e nubi serrate accompagnavano l'avvicinarsi del tramonto.
Si era incamminata attraverso il parco, continuando a domandarsi cosa fosse passato per la mente a tutti i Grifondoro per scomparire in una giornata così uggiosa, mentre con una piccola parte della sua mente continuava a rimuginare su quel biglietto.
Mentre si dirigeva verso lo Stadio di Quidditch, si era lentamente fatta strada in lei la consapevolezza di aver dimenticato un particolare piuttosto importante, riguardo la sua solitudine in Sala Comune. Vedeva in lontananza, vicino all'ingresso dello stadio, parecchi gruppetti di persone avvolti nei mantelli, per proteggersi dal vento che nell'avvicinarsi della sera si era fatto più capriccioso.
Le selezioni della Squadra di Quidditch Hermione, come hai fatto a dimenticarti?
Harry e Ron le avevano riempito la testa con le loro teorie su quali fossero i giocatori giusti da selezionare, la squadra vincente perfetta, le loro astruse teorie da giocatori. Senza contare poi le paure di Ron di non essere preso in squadra, che sembrava essere la sola cosa che lo riscuoteva dal suo essere così insopportabilmente arrabbiato ogni giorno.
Era quasi surreale vedere la luce che gli si accendeva nello sguardo quando parlava di Quidditch o quando prendeva in mano la sua Tornado e vederla sparire allo stesso modo non appena spostava il suo sguardo su qualcosa di diverso. Quand'anche quel qualcosa fosse lei.
Avrebbe voluto essere lei, il suo calmante. Voleva essere lei il suo porto sicuro.
Era ormai arrivata all'ingresso del campo e, dopo aver salutato i suoi compagni che erano rimasti per assistere alle selezioni, si era diretta verso i giocatori, che stavano atterrando con le loro scope al centro del campo.
Appena toccata terra, Ron le si era avvicinato e le aveva dato un bacio su una guancia, posandole una mano sui capelli. Aveva sorriso indulgente alla frase che le aveva bisbigliato - Mi hanno preso - nell'orecchio, quando ne avrebbe desiderate ben altre - Mi sei mancata - .
L'aveva guardato allontanarsi verso gli spogliatoi con la squadra, mentre Harry le andava incontro e la accoglieva, poi in un abbraccio caloroso.

- 'Mione, sei riuscita a venire! -

Aveva cinguettato Ginny subito alle spalle del ragazzo, aggiungendosi alla stretta da sopra le braccia di lui.


- In realtà sono arrivata solo adesso. Sono andata dalla McGranitt prima, poi sono stata... -

- In Sala Comune a studiare. -

Aveva concluso Harry per lei, strappandole una risatina.


- Andate bene le selezioni? -

Hermione lo aveva domandato più per cortesia, che per altro, ma era stata sommersa senza nemmeno riuscire a batter ciglio, dalle chiacchiere del Ragazzo Sopravvissuto e della sua fidanzata, che le avevano raccontato ogni particolare della nuova squadra selezionata, compresi, probabilmente, i nomi dei gatti di famiglia del nuovo battitore.

Li aveva aspettati da sola sulle gradinate di Gryffindor, mentre facevano la doccia negli spogliatoi e si era persa nelle riflessioni su quella freccia, su quell'inchiostro verde, sulle parole del Bardo.

Il tempo, le ore, il verde.

Qualcosa sfuggiva.
Un pugnale, una freccia, una pergamena.
Dettagli Hermione, dettagli. Pensa.

Non riusciva a trovare il capo di quel filo conduttore che sicuramente si nascondeva da qualche parte, dietro la serra numero quattro. Quella pergamena, quelle parole, avevano un senso, un motivo, ma lei non era capace di trovarlo.

Cosa manca?

I suoi amici l'avevano raggiunta in breve tempo ed insieme erano tornati verso la Sala Comune; Harry con il braccio intorno alle spalle di Ginny, a stringerle addosso il mantello per proteggerla dall'aria gelida che si era alzata, lei stretta al braccio di Ron, che camminava spedito verso il portone, con una mano sugli occhi, per evitare che l'aria gli sferzasse gli occhi.

Prima che entrassero nell'androne di ingresso, Hermione era riuscita a sentire le prime gocce di pioggia sul viso.
È fredda, aveva pensato.



*****

 
Harry e Hermione erano seduti davanti al camino in Sala Comune, entrambi sul pavimento, vicino al tepore delle fiamme. La ragazza teneva le mani in avanti, a scaldarle vicino alle fiamme, mentre Harry aveva la schiena poggiata alla seduta di una delle grandi poltrone, le gambe magre distese in avanti, i piedi incrociati. Ginny era seduta su quella poltrona, un libro tra le mani, ma lo sguardo assonnato di chi non avrebbe continuato a leggere per molto.

- E' Malfoy, secondo me c'entra lui. -


Aveva esordito il ragazzo d'un tratto.

Durante la cena Hermione aveva raccontato agli amici quello che aveva saputo durante la riunione con i Docenti ed aveva riportato fedelmente al Prescelto il contenuto della pergamena ritrovata.
E chiaramente, come previsto, Harry aveva iniziato a confabulare sui Mangiamorte e su Malfoy, sul suo Marchio Nero e su suo padre ancora fuori da Azkaban.
Questa era solo l'ultima delle sue uscite.

- Harry, ti prego. Non puoi concentrare la tua attenzione su qualcun altro una volta tanto? -
- Stai difendendo Malfoy, 'Mione? -
- Non lo sto difendendo, ma insomma, perchè dobbiamo immediatamente pensare a lui? È stato trovato un biglietto con una minaccia. Nessuno indizio riconduce a lui. -
- L'ha trovato lui! Secondo me è stato proprio lui a metterlo lì, quindi sapeva dove cercarlo! -
- Non l'ha trovato lui, l'ha trovato Padma! Allora è Padma la colpevole? -

Lo sguardo di sfida di Hermione era più che eloquente, con il sopracciglio alzato e un mezzo sorrisetto sulle labbra, che aspettava per esplodere in un pieno sorriso di soddisfazione soltanto il momento in cui lui avrebbe dovuto, come sempre, convenire con lei e darle ragione.


- Ovviamente non è Padma la colpevole, Herm, non avrebbe alcun senso. Ma Malfoy potrebbe averla in qualche modo indotta o spinta a trovare il biglietto, per sviare, appunto i primi sospetti da sé. Quel biglietto puzza di Mangiamorte. Tutta quell'aggressività repressa, quella voglia di scatenare il terrore con parole velate, mi ricorda tanto Voldemort con i suoi sussurri quasi educati e i suoi Anatemi. -

Hermione non riusciva a sopportare questa smania di voler per forza affibbiare a qualcuno la colpa.
Avevano una minaccia, avevano un probabile pericolo, ma questo non voleva dire che dovessero per forza trovare un colpevole subito, né che dovessero cercarlo all'interno della scuola.


- E' mai possibile che tu, come molti altri, non riesci a concepire altro nemico che quello che hai eliminato? Credi davvero che Voldemort e i Mangiamorte fossero il solo problema della comunità magica? Che fossero gli unici che potevano metterci in pericolo? Merlino, siete così incredibilmente ottusi. -

Si era sollevata in ginocchio, mentre parlava e si era accorta di avere le guance accese, forse per il caldo del camino, si era detta.
Nel momento stesso un cui aveva finito di pronunciare quelle parole si era resa conto di quanto somigliassero a quelle dette da Malfoy, la stessa mattina alla riunione dalla McGranitt.
Si era stupita, inizialmente, rendendosi conto, non solo di condividere il suo pensiero, il che era piuttosto comprensibile, visto che si trattava di idee decisamente intelligenti, ma di crederci al punto tale da riportarlo in una discussione con Harry.
Di riportarlo in una discussione con Harry che aveva tutta l'intenzione di trasformarsi in un litigio.
Aveva allora moderato il tono, che si era accorta di aver alzato troppo, si era di nuovo seduta, prendendosi le ginocchia tra le braccia ed addolcito l'espressione in un sorriso paziente.
Harry la guardava confuso, quasi sorpreso dalla veemenza con cui si era scagliata contro di lui per qualcosa che, in fondo, aveva sempre fatto e che lei, in un certo qual modo, aveva sempre tollerato con maggiore comprensione. Ma aveva poi visto quel sorriso comparire sul viso dell'amica e si era sentito immediatamente rincuorato.

- E poi, Harry, dubito che i Mangiamorte userebbero parole di un babbano per minacciare Hogwarts. Per quanto possano voler dissimulare, non mi pare nel loro stile. -
- Babbano? -
- Certo Harry. Parte del biglietto è una citazione di Shakespeare, da Il Mercante di Venezia. -
- Non me l'avevi detto. -
- Mi è venuto in mente durante la riunione, mentre lo leggevo davanti a tutti, ma non so se possa essere rilevante. -
- Beh ma l'inchiostro? E il pugnale? -
- Harry chiunque potrebbe usare un inchiostro verde, non devi sempre e subito pensare a Serpeverde e ai Mangiamorte se vedi qualcosa di verde. -
- Insomma... -
- Harry, rifletti. Non tutti i Mangiamorte sono Slytherin e non tutti gli Slytherin sono diventati Mangiamorte. Il verde non significa nulla. E il pugnale non ha alcuna valenza simbolica per i seguaci di Voldemort, quindi non capisco perchè lo colleghi a loro. -

Harry si era preso la testa tra le mani, passando le dita tra quei capelli perennemente scompigliati, che per via di quella sua abitudine lo erano ancora di più, quando era confuso o nervoso, come uno specchio dei suoi stati d'animo. Era sconfortato dal fatto che niente di tutto quello che gli era stato raccontato da Hermione o che era riuscito a scoprire da sé, lo portasse a qualche ipotesi plausibile, a qualche pista su cui indagare.


- Qualcuno deve essere stato, insomma. -

Deve essere qualcuno che noi non abbiamo ipotizzato, qualcuno che ci sfugge. -

Hermione si era presa portata le mani alle tempie, premendo come se quella pressione potesse aiutare i pensieri a fluire più liberamente ed aveva stretto gli occhi, scandagliando mentalmente tutte le informazioni che aveva su quella faccenda.

- C'è un particolare, qualche dettaglio che non stiamo guardando con sufficiente attenzione. -

- Certo che se avessi avuto questi dettagli di prima mano, forse adesso non mi sfuggirebbero. Magari se avessi sentito anche io i racconti e avessi visto il biglietto, qualche particolare l'avrei colto. -

Harry aveva sollevato lo sguardo sull'amica, un sopracciglio eloquentemente sollevato a manifestare il suo disappunto per essere stato escluso dalla riunione, dalle ricerche, da tutto.

- Sai benissimo che non è mia responsabilità decidere chi viene chiamato nell'Ufficio della Preside, quindi non prendertela con me, Harry. E poi, in effetti, non c'è alcun motivo valido per cui avrebbero dovuto chiamarti. Sul biglietto non c'era scritto: “L'ultima ora di Harry Potter è giunta, baci, Voldemort.” -

Il ragazzo era rimasto ammutolito da quella risposta così caustica da parte dell'amica e la guardava come scioccato, quando la sua attenzione era stata catturata da un movimento dietro la schiena di Hermione. Era Ron che si era accucciato accanto alla sua ragazza e osservava prima lei, poi l'amico.

- Vedo che state facendo ipotesi sul nuovo mistero che avvolge Hogwarts. -

Aveva parlato piano, quasi sussurrando, mentre con una mano si allungava tentando di prendere quella di Hermione, che ancora si stringeva intorno al suo ginocchio.
 

- E vedo anche che vi siete premurati di tenere informato anche me, come sempre, d'altronde.

Il tono di Ron si era fatto polemico, con la seconda frase e negli occhi brillava un'evidente scintilla di stizza.


Di nuovo
, aveva pensato Hermione, ci risiamo.


La ragazza aveva scostato malamente la mano di Ron e si era alzata di scatto, guardandoli entrambi dall'alto in basso.

- Sapete la novità? Mi avete stancata, voi due, con la vostra mania di essere sempre esclusi, quando invece quello che volete è essere sempre e solamente al centro dell'attenzione! -

Aveva girato i tacchi e si era diretta a grandi passi verso il buco nel ritratto, le spalle dritte e la testa alta. Una camminata come quella poteva promettere solo battaglia.

- Dovresti chiederle scusa, Ron. -
La voce impastata di Ginevra si era levata dalla poltrona, colma di sonno, ma non per questo meno autoritaria.


- Ginny ha ragione, Ron. Seguila, è molto arrabbiata, ha bisogno di te. -

Aveva aggiunto Harry, improvvisamente addolcitosi, forse per via della tumultuosa reazione dell'amica.


- Se è per questo, caro, se Hermione è arrabbiata è anche merito tuo, quindi anche tu dovresti scusarti. Ma tu non sei il suo fidanzato, quindi avrai tutto il tempo di farlo più tardi. -

Aveva accompagnato la frase con una carezza amorevole sulla testa del ragazzo, che aveva alzato lo sguardo verso di lei e aveva trovato un'espressione così simile a quella di Molly da non riuscire a fare altro che annuire.

Ron aveva abbassato la testa e si era alzato pian piano, per dirigersi a sua volta, ciondolando, fuori dalla Torre, alla ricerca della sua ragazza, per scusarsi per qualcosa che ancora non aveva capito di aver fatto.


*****


Appena uscita dalla Sala Comune, Hermione si era seduta sulle scale che scendevano verso il piano di sotto, subito davanti al ritratto della Signora Grassa, ma quelle nel frattempo avevano deciso di girare alla loro bizzarra maniera, quindi quanche minuto dopo si era ritrovata di fonte all'uscita dei loro Dormitori, su un gradino ai piedi di un piccolo ballatoio. Onde evitare un'altra passeggiata indesiderata con il successivo giro delle scale, aveva raggiunto il piccolo balcone e si era seduta sul davanzale, le gambe a penzoloni.

Maledetto Ron, perchè doveva sempre rendere tutto così complicato?

Poteva essere semplice, potevano essere felici, invece lui doveva sempre metterla in difficoltà, farla sentire in colpa per qualcosa. Lei, con lui, sarebbe sempre stata manchevole di qualcosa.


- 'Mione. -

La voce di Ron l'aveva raggiunta dal buco del ritratto, mentre ancora non era uscito del tutto.
Aveva scavalcato il davanzale con entrambe le gambe ed era scesa, per poi sporgersi verso di lui.


- Zitto Ron! Mi farai scoprire da qualcuno se strepiti così. -
- Allora parla con me, vieni qui e parla con me. -
- Ron, come faccio a venire lì? Non vedi che non ci sono le scale? -

Ron aveva abbassato sulla parte interrotta del davanzale, da cui sarebbero dovuti partire i gradini e poi verso il basso, dove le scale della della Torre continuavano nel loro moto imprevedibile.
A quel punto, il più giovane dei maschi Weasley aveva deciso, in un'incontenibile moto di coraggio, uno dei maggiori dei pregi di un Grifondoro, oppure in un altrettanto irresistibile impulso all'autodistruzione, sempre appannaggio della stessa Casa, di scavalcare la balaustra dal suo lato del ballatoio ed andare da lei, tenendosi aggrappato con le mani ai decori di marmo, muovendo piccoli passi ad un soffio dal vuoto.

Hermione aveva passato quei pochi minuti trattenendo il fiato, temendo che potesse cadere da un momento all'altro e sussultando per ogni passo meno sicuro che gli vedeva fare.
Infine, con un salto, Ron era atterrato accanto a lei ed aveva cercato di prenderle le mani tra le sue.
Hermione le aveva scostate bruscamente, come scottata.


- 'Mione, per favore. Mi dispiace. 

La ragazza aveva scosso la testa, come se non volesse nemmeno far arrivare alle orecchie quello che era uscito dalle sue labbra.


- 'Mione, ti prego. -

Aveva mosso un altro passo verso di lei, cercando di intercettare il suo sguardo, che lei abilmente nascondeva dietro i riccioli scuri. Con una mano si era sporto per carezzarle la guancia, ma lei aveva finalmente alzato gli occhi nei suoi e lui aveva visto un dolore che aveva sperato di non vedere più.


- Ronald sono io a dire ti prego. -

Aveva sussurrato con voce incrinata, in un evidente tentativo di trattenere le lacrime.


- Non sai nemmeno che cosa sta succedendo vero? Tu nemmeno hai capito per che cosa sono tanto arrabbiata. -

Ron l'aveva guardata prima confuso, poi sconfitto. Aveva abbassato gli occhi sulle sue mani, abbandonate lungo i fianchi. Solo un bisbiglio, un timido tentativo.


- Perchè ho fatto di nuovo l'egocentrico, perchè ho fatto ancora scenate per non essere stato incluso nei discorsi tuoi e di Harry. -

Le spalle di Hermione si erano curvate sotto le sue parole, ma lo sguardo deluso che gli aveva rivolto avrebbe potuto parlare per lei.


- Non è tutto qui Ron. Non è questo il problema. -

Aveva guardato il viso spaurito del suo ragazzo, prima di continuare, perchè voleva essere sicura di avere la forza di arrivare fino in fondo, a quel discorso. Perchè sapeva che l'espressione confusa di lui le avrebbe fornito la rabbia necessaria per terminare quella frase.

- Non ti rendi conto che hai rovinato ogni cosa. Sei talmente concentrato su te stesso, sul tuo dolore, sulla tua vita, da non renderti conto che io non conto niente per te. -
- 'Mione ma che cosa stai dicendo? -

Aveva ancora tentato di avvicinarsi a lei, ma l'aveva vista ritrarsi, sempre più convinta, con quegli occhi sempre più lucidi e il viso sempre più tirato.


- Sto dicendo che io sono in fondo ai tuoi interessi. Sto dicendo che tutto, io compresa, ti infastidisce in questo periodo. Ti illumini solo con il Quidditch, ti illumini solo quando stai con Harry e parli di Quidditch. E vorrei essere io, invece, ad illuminarti. -

Ron aveva fatto un passo indietro e l'aveva guardata in viso.


- Non sei poi così diversa da me. Stai facendo tutto questo baccano per una sciocca gelosia. Gelosa di Harry, Merlino Hermione, di Harry! Anzi, nemmeno di lui, sei gelosa di una maledetta scopa! -

Aveva alzato la voce, mentre si allontanava, poggiando i gomiti sul davanzale del piccolo balconcino, per poi scoppiare in una risata quasi maligna.


- Non hai capito niente Ron, ma come fai a essere così cieco? Io passo le mie giornate tentando di compiacerti, di assecondarti, di non turbarti troppo, per evitare di farti esplodere per l'ennesima volta e mai niente, niente, è abbastanza per te! Trovi sempre qualcosa per cui rimproverarmi, per cui ergerti a vittima di un'ingiustizia! -


- Tu mi assecondi? Ma se non fai altro che pavoneggiarti per i corridoi con il tuo distintivo di Caposcuola, con i tuoi voti già ottimi in una settimana e con le tue geniali intuizioni davanti a Harry! -


- E' proprio a questo che alludo Ronald! Io vivo la mia vita normalmente, come ho sempre fatto, come è normale che faccia e tu prendi ogni cosa come un affronto personale. Non esisti solo tu al mondo Ron! -

Il ragazzo si era alzato completamente in piedi, avvicinandosi a Hermione con due passi e ponendosi vicinissimo a lei, viste anche le dimensioni microscopiche del balcone che li ospitava. Le aveva puntato un dito al petto e la ragazza aveva alzato lo sguardo su suo viso, trasfigurato in una maschera paonazza di rabbia.


- Dovrei essere al centro del mondo per te! -

Lui gliel'aveva urlato in faccia, colpendole il petto con quel dito che prima vi aveva solo poggiato.
Hermione aveva cercato di allontanarsi, quasi spaventata, ma aveva sentito dietro la schiena le colonnine del parapetto e aveva dovuto fermarsi.


- Tu, tu, tu! Sempre e solo tu! Non fai altro che dimostrarmi che ho ragione! -

Hermione era esasperata, non c'era modo di far capire a Ron il suo punto di vista e non sapeva più che pesci prendere. La sola cosa che le restava da fare era alzare la voce, provare a parlare la stessa lingua che lui aveva usato per comunicare con lei negli ultimi mesi.


- Solo tu, solo le tue esigenze, il tuo essere escluso da me e da Harry, le tue paure di non entrare nella squadra in cui sei assolutamente certo di entrare. Ho sempre sopportato tutto, cercando di essere indulgente, cercando di non innervosirmi troppo. Volevo capirti, volevo esserti vicino nel modo giusto. Ma non c'è un modo di starti vicino! Tu distruggi tutto quello che ti passa davanti! -

Ron l'aveva guardata da vicino, sovrastandola grazie ai venti e più centimetri di altezza che li separavano, poi l'aveva afferrata per le spalle.


- Io ho perso mio fratello, tu che cos'hai perso? I tuoi genitori sono a casa, a Londra, al sicuro, tu hai mantenuto tutti i tuoi privilegi da prima della classe a cui tanto tieni, hai anche avuto me! Hai avuto tutto quello che volevi con questa guerra mentre io ho perso mio fratello! -

Aveva gli occhi spalancati e la guardava come se nemmeno la vedesse; il cuore di Hermione le batteva direttamente nelle tempie. Rabbia, delusione, anche paura.


- Non sei solo tu ad aver sofferto per questa guerra! Credi che il fatto che Fred non fosse mio fratello renda il mio dolore meno intenso? Credi che solo per i parenti ci sia il diritto di soffrire? Io soffro ogni giorno per Fred, per Tonks, per Remus. -

- Hai avuto più di quanto hai perso, da questa guerra. Per molti eri solo una Nata Babbana, prima di Voldemort, prima di tutto. Ora sei Hermione Granger, la Mezzosangue. Hai avuto la fama, hai avuto rispetto, hai me. -

Le aveva stretto le mani intorno alle braccia ancora più forte. Hermione iniziava a sentire un formicolio, sotto le dita di Ron. 

- Lasciami Ron. -

La voce di Hermione era bassa, calma. Il ragazzo non aveva dato alcun cenno di lasciarla.


- Lasciami subito andare Ronald. -

In risposta lui l'aveva sollevata da terra, per poi spingerla contro il muro, tenendola all'altezza del suo viso.


- E se non lo facessi? Non hai risposte da darmi ora, 'Mione? Non sai come rispondermi perchè ho detto la verità. -

La ragazza si era divincolata tra le sue mani cercando di poggiare di nuovo i piedi per terra.


- Io non ho avuto niente da questa guerra, se non lutti e ferite! Non ho avuto niente, nemmeno te! Non sei più tu Ron, non sei nemmeno l'ombra di quello che eri, nemmeno una pallida imitazione! -

Gli aveva sferrato un calcio in un ginocchio, che gli aveva fatto perdere la presa sulle sue spalle e si era lasciata scivolare lungo la parete. 

- Ora mi colpisci anche? E io che ti credevo migliore, io che credevo che tu fossi quella intelligente. Sai pensare solo a te stessa e al fatto che il mio dolore venga, per me, prima di te. Non puoi essere più importante di Fred, anche se vorresti. -

Non era arrivato alla fine dell'ultima parola perchè il rumore di uno schiaffo era risuonato forte nel silenzio della notte, giù per le scale, che continuavano imperterrite a mutare il loro percorso.


- Non hai capito niente e non capirai mai Ron. Non credo di avere più nulla da dirti a riguardo. -

Il ragazzo era rimasto fermo sul ballatoio, una mano a strofinarsi la guancia, ad osservare quella che per sette anni era stata la sua migliore amica e per qualche mese la sua ragazza, che scavalcava il parapetto, per saltare nel vuoto.


- Hermione! -


Si era sporto dal balconcino, spaventato e l'aveva vista sulla scala, un metro e mezzo più sotto, risalire lentamente verso il ritratto della Signora Grassa.
Era tutto calcolato. Lei sapeva quando le scale sarebbero arrivate. Lei sapeva sempre tutto.





Questo capitolo, nonostante sia in un ritardo quasi letale è un fuori programma.
Doveva contenere molti più avvenimenti ed essere decisamente più lungo, ma sono successe due cose: la prima è che ho avuto poco tempo, la seconda che i personaggi si sono presi più spazio del previsto, quindi ne è uscito questo capitoletto qui, che ho deciso di postare ora, per spezzare il ritardo e perchè altrimenti sarebbe diventato un capitolone lunghissimo, che avrei postato chissà quando.


Andiamo alle note.

  1. La scrivania di Silente. Ho voluto che la McGranitt manifestasse in un modo composto il rispetto e la nostalgia per l'amico defunto e questo mi sembrava abbastanza da lei... Tutto qui. :)

  2. I Mangiamorte non sono ad Azkaban perchè non sono ancora stati fatti i processi. L'avevo accennato nel terzo capitolo, quando Narcissa andava al Ministero, ma lo preciso per chiarezza. La macchina burocratica si sta mettendo in moto solo ora, quindi tutti sono a spasso, perchè innocenti fino a prova contraria, nonostante tutti sappiamo che le prove ci siano. Non ci sono colpevoli fino a una sentenza, quindi ho preferito vederla in questo modo...

  3. La profezia della Cooman e il fatto che nessuno se la fili mi sembra essere abbastanza Canon, voi che ne dite?

  4. La presenza degli studenti alla riunione è stata spiegata attraverso le parole della McGranitt. La scelta dei Capiscuola è stata dettata dal fatto che fossero Prefetti gli anni passati e dalla mia volontà, per la parità dei sessi, di avere due donne e due ometti: Draco e Hermione erano già stabiliti, mentre Abbott e Goldstein erano semplici e prevedibili. Sono una donna senza fantasia.

  5. La prima volta che i nostri protagonisti si parlano e abbiamo una bella lite. Quantoo amo vederli discutere. <3

  6. L'ossessione di Harry Potter per Malfoy è roba provata e riprovata. Non credo sia necessario che io mi soffermi a ricordarvi quanto lui abbia cercato di incolparlo a più riprese in tutta la Saga; tra lui e Piton probabilmente ci riempiremmo un libro con i sospetti di Pottah (fondati e non).

  7. Attraverso le parole di Hermione ho voluto esprimere un po' la mia protesta contro la politica che vuole gli Slytherin tutti malvagi Mangiamorte, come se non avessero possibilità o volontà di scelta, una volta smistati nella casa verde-argento. Io non credo sia così e credo che si possa essere Slytherin anche senza voler fare fuori tutti i Babbani.

  8. L'egocentrismo di Pottah nel voler essere coinvolto fa il pari con la quello che dico sopra e che dicevo nel capitolo scorso. Harry è sempre stato una primadonna, secondo me e io al massimo ci sto calcando un po' la mano...

  9. Il “Baci Voldemort” è stato partorito dalla mente di Val in una delle nottate Sex & the Slyth su msn. Siano lodate le mie Slyth, senza di loro sarei impazzita da un pezzo. O forse sarei un pelino più sana, ma amo il mio posto fisso al CIM, quindi va bene così. *_*

  10. Si, ho calcato la mano con Ron. E' cattivo gratuitamente e insensibile. Insensibile lo è sempre stato, cattivo no, ma penso che guidato dalla rabbia potrebbe anche arrivare a questo, d'altronde le sue sfuriate le ha fatte anche in Canon e non è che si fosse risparmiato.


Grazie per essere sempre qui, a chi recensisce e mi riempie di orgoglio, a chi preferisce, ricorda e segue e a chi legge e basta. *_*


Per chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi trovate su Facebook: QUI. 

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Capitolo 6
*** All apologies ***


Alla Prof, perchè ha creato un mondo speciale.
E a tutte, dico proprio tutte, le meravigliose donne che lo abitano.
E perchè no (spero che la Prof me lo conceda) anche al cecchino,
pronto a combattere, prima per lei, ma anche per noi.


Hermione fissava nel buio le cortine di velluto bordeaux del baldacchino; sentiva i capelli appiccicati al collo, nonostante per dormire li tenesse legati dietro la nuca in una coda morbida, per evitare che la infastidissero nel sonno e che le tenessero troppo caldo. Si era addormentata appena toccato il cuscino, quando era rientrata ai dormitori dopo la lite con Ron.

Era convinta che non avrebbe dormito per notti, che sarebbe stata a girarsi e rigirarsi ore prima di riuscire a trovare la calma necessaria anche solo a prendere sonno, invece era crollata subito. Aveva quasi perso i sensi, dormendo un sonno senza sogni per un tempo che non avrebbe saputo definire.
Aveva riaperto gli occhi che era ancora buio ed ascoltava il respiro regolare delle sue compagne di stanza, profondamente addormentate a qualche metro da lei.
Nella penombra della stanza riusciva appena a distinguere le sagome delle ragazze, degli oggetti poggiati sui comodini, la sedia con i vestiti di Lavanda accatastati uno sull'altro, il baule di Calì, sui cui era poggiato un pacchetto, ancora chiuso, la sua camicia ordinatamente appesa al baldacchino del suo letto. Ombre o poco più, illuminate dalla tenue luce della falce di luna calante nel cielo.
A tentoni si era allungata verso il comodino, tastando alla ricerca dell'orologio: le 4.30 del mattino.

Doveva dormire ancora.
Aveva di nuovo chiuso gli occhi, ripetendosi come in una cantilena, che era presto, che poteva ancora
dormire. Il ticchettio della pioggia sottile sul vetro.


Dormi.


Lo scricchiolio del pavimento di legno.


Dormi.


Un tuono in lontananza.


Dormi, Hermione.


Il sommesso sussultare del respiro di Lavanda.


Devi dormire.


Il battito stesso del suo cuore faceva troppo rumore per permetterle di addormentarsi.


Era stato troppo facile.


Aveva scalciato indietro le coperte, liberando le gambe per cercare di recuperare il respiro; era troppo calda quella stanza. Si era messa a sedere sul letto, con le gambe incrociate ed aveva sollevato i capelli sulla nuca, nella speranza di trovare un po' d'aria, ma non era valso a nulla.

Si era alzata stizzita dal letto, per andare alla finestra, che aveva aperto con un gesto secco.
L'aria fresca della notte si era insinuata nello spiraglio tra le ante, una mano gelida che le accarezzava il collo, lasciato scoperto dalla camicia da notte di cotone.
Aveva assaporato quel respiro come se tutti i precedenti le fossero stati negati, lasciando che la pioggerellina sottile le colpisse le mani, abbandonate sul davanzale della finestra. La pelle d'oca aveva coperto le braccia e il petto, ma quel freddo l'aiutava a mantenere un controllo che nel calore del letto le era sembrato venire
meno.


Aveva lasciato Ron.


L'aveva lasciato e si era lanciata giù da un balconcino sulle scale, facendogli prendere un colpo.

Aveva aspettato per anni che lui si accorgesse di lei, prima che lei fosse una ragazza, poi che fosse intelligente, stimolante, interessante per lui. E in pochi mesi tutto si era dissolto.
Le mani che stringevano il davanzale, quasi fino a sentire male alle articolazioni.
Il viso di Ron, a pochi centimetri dal suo, livido di rabbia.
La mascella che si stringeva, facendole digrignare i denti, fino a sentirli scricchiolare, uno contro l'altro.
Le sue parole cattive, la sua arroganza.
Si era appoggiata alla finestra con la vita, sporgendosi per cercare ancora aria, per cercare il contatto con le gocce fredde di pioggia che le scorrevano sul viso, per scacciare il ricordo di quel momento, della sua voce.
Un grugnito stizzito l'aveva richiamata all'interno della stanza. Si era girata, i capelli umidi, il viso tirato, verso l'origine di quel rumore e aveva visto Calì, seduta sul letto, che la guardava perplessa.

- Herm ma sei tu? -

- Si Calì, scusami se ti ho svegliata, non... -

Hermione si era scostata dalla finestra, girandosi verso il suo letto, come per nascondere il suo turbamento alla compagna.


- Tranquilla Herm, non preoccuparti. Solo... Ho freddo. -

Calì si era stretta nelle coperte, risistemandosi sul cuscino.


- Chiudo subito, scusami, davvero. -

Si era affettata alla finestra e aveva chiuso le ante con delicatezza, sperando di non svegliare le altre ragazze e si era di nuovo infilata a letto. In breve aveva ricominciato ad avere caldo, a sentirsi inquieta, a rigirarsi tra le coltri.

Si era scoperta di nuovo, restando con le gambe poggiate sul cumulo di lenzuola e cuscini che aveva calciato in fondo al letto, gli occhi chiusi. Si era concentrata sul suo respiro, alla ricerca di qualcosa che le conciliasse il sonno.
 

Non pensare a niente.

Sentiva ogni piega delle lenzuola ed ogni avvallamento del materasso; il cuscino dietro la nuca e l'elastico che le fermava la coda premere alla base del collo.

L'espressione stranita di Ron dopo il loro primo bacio, il sorriso colpevole come quello di un bambino disobbediente che le rivolgeva quando copiava i compiti di nascosto, le sue mani sui fianchi, le carezze tra i capelli.
Non avrebbe avuto più nulla di questo da lui. Probabilmente, dopo quella notte, non avrebbe avuto proprio niente.

Aveva fatto la scelta giusta.


Uno sbuffo impaziente, una sprimacciata al cuscino, poi era tornata di nuovo sdraiata, a farsi avvolgere da pensieri molesti.

Per ore aveva lasciato vagare la mente per qualche attimo, cercando poi di riacciuffarla e farla tacere, sincronizzandola al ritmo del suo cuore o al rumore della pioggia, ma alla fine si era assopita con lo sguardo aggrottato e la sensazione delle mani di Ron che le stringevano le spalle, dei suoi piedi che non toccavano terra.

Era la cosa giusta.



*****


La bacchetta si era posata con un tocco leggero e deciso sulla testa del cagnolino, che stava fermo sul banco di Hermione non tanto per volontà, quanto perchè la ragazza l'aveva impastoiato al primo cenno di movimento, mentre cercava di trasfigurarlo in porcellino, secondo le istruzioni della Professoressa McGranitt.

La bestiola aveva levato il suo sguardo verso l'aguzzina, che lo fissava con piglio concentrato e mormorava tra sé per mantenere la concentrazione, mentre agitava la bacchetta a mezz'aria.
Quando stava per essere raggiunto da un secondo colpo ed aveva già abbassato gli occhietti, in attesa di chissà quale sciagura, il braccio della strega era stato bloccato a mezz'aria da un biglietto che si era posato sul banco, davanti ai suoi occhi, dopo aver volteggiato per coprire la piccola distanza che lo separava dal banco di Harry.


Posso parlarti dopo lezione? H. ”


L'aveva fatto evanescere con un incantesimo non verbale, senza nemmeno voltarsi un secondo verso l'amico, che la guardava supplichevole, cercando di attirare la sua attenzione.

Aveva sbuffato leggermente, scrollando le spalle, stizzita ed aveva ripreso con il tentativo di trasformazione del cucciolo, che la guardava sempre più spaurito.
Ma il Ragazzo Sopravvissuto non aveva la minima intenzione di demordere e continuava a sbracciarsi, per quanto la situazione lo permettesse, per cercare di ottenere almeno un cenno di assenso dall'amica, che non faceva altro che ignorarlo.

- 'Mione! -

Aveva bisbigliato sporgendosi verso il banco della ragazza, che aveva alzato gli occhi al cielo.


- Harry, che cosa vuoi? -

Gli aveva risposto esasperata, voltandosi verso di lui soltanto un secondo, cercando di non perdere di vista il suo cagnolino, che in quel momento di maialesco aveva solo delle meravigliose orecchie rosa ed un codino a ricciolo, sul corpo pezzato in bianco e beige.


- Mi aspetti dopo lezione? Volevo... -

- Parlarmi, ho capito! Si, Harry, ti aspetto, basta che la smetti di disturbarmi mentre cerco di seguire. Ti prego. -

La conversazione si era svolta in bisbigli soffocati e si era conclusa con uno sbuffo, l'ennesimo, di Hermione, che era tornata a rivolgere la sua totale attenzione alla trasfigurazione della bestiola che aveva risposto al successivo colpo di bacchetta con quello che voleva essere un latrato, ma che si era trasformato in una specie di basso grugnito.

La ragazza aveva proseguito concentrata per tutta la lezione, al termine della quale si era presentata alla cattedra della McGranitt con il suo maialino tra le braccia, completamente soddisfatta del lavoro svolto, per posarlo nel piccolo recinto dove ibridi tra suini e canidi più o meno vicini all'una o all'altra specie, la guardavano terrorizzati. Lo sguardo orgoglioso della docente era stato una bella ricompensa per lo sforzo, specie in quella giornata che aveva tutte le premesse per non essere delle migliori.
Mentre usciva dalla classe era stata raggiunta da una manata sulla spalla, decisamente poco aggraziata.

- Mi avevi detto che mi avresti aspettato! -

- Infatti, Harry, se tu mi avessi dato il tempo di uscire dall'aula ti avrei aspettato! Di cosa volevi parlarmi? -

Il ragazzo l'aveva presa per un braccio, allontanandola dagli altri studenti che si affollavano sull'uscita dell'aula. Hermione era riuscita a vedere con la coda dell'occhio Ron che si allontanava, con la testa incassata nelle spalle, il libro stretto tra le braccia, lanciandole un'occhiata di sfuggita.

Harry aveva seguito il suo sguardo, raggiungendo la schiena dell'amico.

- Di lui. -

Hermione era arretrata, mettendo un passo tra lei e Harry e scrollando via dal braccio la mano del ragazzo che ancora la teneva.


- No Harry. No. -

Scuoteva la testa, come per scacciare anche solo il pensiero di affrontare quella discussione.


- 'Mione, gli dispiace. Ha sbagliato, stava sbagliando ma gli dispiace. -

La ragazza aveva fatto un altro passo indietro, mettendo altra distanza tra lei e le parole di Harry.


- Non ho intenzione di ascoltare una sola parola Harry. Non è affar tuo. Se Ronald ha qualcosa da dirmi è perfettamente in grado di parlare da solo, se non lo vuole fare è un problema suo. -

- Ma ha paura di te, non sa come fare per parlarti! -

Inaspettatamente, Hermione aveva riso; una risata amara, ma tintinnante, come piccole campanelle.


- Lui ha paura di me? Non dire stupidaggini Harry, per favore. La questione è chiusa qui, non voglio litigare anche con te. -

- Ma dagli una possibilità 'Mione, lui... -

Aveva parlato alla schiena della ragazza, che alla fine si era voltata, guardandolo da sopra la spalla.


- E' grande abbastanza da non servirsi di un portavoce, ma visto che non mi lasciate scelta mi adeguo. Qualunque cosa voglia sarebbe dovuto essere lui a chiederla, ma digli comunque che non l'avrà. Ha avuto anche più di quello che potevo dargli. -

Con passo svelto era scomparsa dietro l'angolo, per poi mettersi a correre, una volta sicura di non essere vista. Solo un po' di pace, le serviva solo un po' di pace.


*****


Aveva corso per i corridoi, ricacciando in gola le lacrime per parecchi minuti ed quasi arrivata al portone che si apriva sul parco, quando la voce di Ginny l'aveva fermata.


- Herm! -

Merlino, che ho fatto di male?


La rossa l'aveva raggiunta di corsa e si era fermata di fronte a lei. L'aveva fissata in viso per qualche secondo, con un'espressione indagatrice, quasi un presagio del migliaio di domande che stava per fare e a cui Hermione non aveva alcuna voglia di rispondere. E l'aveva abbracciata, appendendosi alle sue spalle con il suo corpicino sottile, ma con un impeto tale da prendere Hermione di sorpresa, facendola indietreggiare.


- Mi dispiace tanto Herm. -

- Gin? Cosa... -

Glielo aveva chiesto mentre le accarezzava i capelli, che le scorrevano setosi tra le dita.


- Mi dispiace di avere un fratello idiota e un fidanzato forse peggiore. Harry mi ha detto che è venuto a parlarti. -

- Ah, quello. Senti Gin, non è un problema, non... -

- Si lo so, non devo preoccuparmi, è tutto a posto. Ma hai due occhi gonfi e lucidi, una faccia tirata come non avevi dai tempi della guerra con Voldemort e stavi correndo verso il parco. Non è mai tutto a posto quando scappi nel parco. -

Un sorriso aveva fatto capolino sul viso di Hermione, nonostante non avesse nessuna voglia di affrontare quel momento. Gin sapeva capirla bene, come pochi altri ci riuscivano.


- E' vero, non è tutto a posto, lo ammetto. Ma non posso farci niente. -

- Ti va di parlare con me Herm? Ti farebbe bene. -

L'amica aveva sciolto l'abbraccio e le stringeva la mano.

- Non me la sento di parlare Gin, ho solo bisogno di stare tranquilla, di fingere che tutto sia normale, di distrarmi. -

- Ma... -

- Lo so che tutto è cambiato e che non c'è niente di normale. Lo so. Ma non voglio pensarci ora. Puoi
capirmi? -

- Herm, non voglio fare l'avvocato del diavolo, ma non è irreparabile, insomma... E' stata una brutta lite, ma potrebbe esserci una possibilità. Non dare tutto per perduto. -

Di nuovo.

Non era possibile, probabilmente era uno scherzo.

- Anche tu Gin? -

Si era passata una mano sugli occhi, esausta.

Ginny si era subito affrettata a stringerle la mano, spalancando gli occhioni scuri su di lei.

- No! Non volevo essere invadente o convincerti a fare qualcosa, no! Solo, pensavo... ecco... Niente. Fingi che abbia tenuto chiusa la mia boccaccia. -

Si era coperta la bocca con entrambe le mani, strappandole un risolino.


- Non importa Gin, non fa nulla. Vado a fare una passeggiata adesso, ok? -

- A stasera Herm. Scusami. -

Si era trovata avviluppata in un altro abbraccio, che si era però dissolto ancor prima che se ne rendesse conto. Quando aveva guardato verso il corridoio aveva visto solo i suoi capelli rossi sparire dietro una colonna.

Era uscita dal portone, lentamente, schermandosi gli occhi con una mano per proteggerli dalla luce che li aveva colpiti.
La giornata era limpida, la sovrastava un cielo azzurro in cui solo qualche straccio di nuvola veniva portato a spasso da una brezza fresca, presagio dell'autunno in arrivo. Qualche foglia già aveva iniziato a cadere.
Hermione si era stretta la sciarpa rosso e oro intorno al collo e si era diretta nel parco, alla ricerca di silenzio e di un po' di tranquillità, evidentemente difficili da trovare in quella scuola.
Non aveva ancora affrontato Ron, dopo la lite; non si erano più incontrati direttamente, né c'era stata l'occasione di parlare. Doveva ammettere di aver fatto tutto il possibile per evitare quelle occasioni, ma non riusciva a colpevolizzarsi per questo.
Una volta tanto sentiva il bisogno di nascondersi un po', di aggirare il problema, almeno per il momento. Il grosso della questione era stato affrontato e proprio non riusciva a vedere il motivo per cui proprio ora doveva mettersi a discutere di nuovo e ripetere quello che aveva già detto. La faccenda era chiusa, per lei e faceva già abbastanza male così.

Aveva lasciato vagare lo sguardo tra gli alberi che si chinavano sul limitare del lago, proiettando ombre danzanti sulla superficie dell'acqua ed aveva visto una figurina rannicchiata contro un tronco.
Si teneva le ginocchia con le braccia e le spalle erano scosse dai singhiozzi, mentre il viso restava coperto da una cascata di capelli biondi, lisci.
Hermione le si era avvicinata lentamente, indecisa se parlarle o lasciarla tranquilla a sfogarsi, ma alla fine la sua anima da Caposcuola aveva vinto, ricordandole che forse stava piangendo per via di un'ingiustizia e che era suo dovere intervenire o, perlomeno, accertarsi che fosse tutto a posto.
Si era piegata sulle ginocchia, posando una mano sulla spalla della ragazza, che aveva alzato gli occhi, rivelandole due iridi azzurro intenso, reso ancora più brillante dalle lacrime che continuavano a sgorgare.

- Ciao. Sei Quinn, vero? Io sono Hermione Granger. -

La ragazza aveva annuito, tirando su vigorosamente con il naso ed aveva stretto la mano di Hermione, con decisione, continuando a guardarla negli occhi.


- So chi sei. Tutti lo sanno. -

Un'alzata di spalle di Hermione era stata la prima risposta.


- Cosa c'è che non va, Quinn? -

- Io... Non posso parlarne con te. Tu... -

Hermione la fissava confusa. Cosa poteva impedire a una ragazza di dirle cosa non andava? Era una Caposcuola, forse era quello il problema? Poteva di trattarsi di qualcosa per cui avrebbe rischiato una punizione? Aveva fatto qualcosa di sbagliato?


- Tu sei sua amica. -

Qualcosa nel cervello della Caposcuola fece contatto. Plin. Aveva sentito distintamente la lampadina accendersi. Ginny e i suoi pettegolezzi il primo giorno di lezioni, lodi alla sua amica impicciona.


- Cosa succede con Neville? -

In risposta i singhiozzi della ragazza si erano fatti ancora più forti.


- Non devi dirgli niente. Promettimi che non gli dirai niente! -

Lo sguardo che le aveva rivolto era angosciato, la piccola mano a stringerle il maglione della divisa, che Hermione sentiva strattonare.

- Cara, io non ti sto seguendo, cosa è successo, cosa non devo dirgli? -

Gli occhioni della ragazzina si erano allargati per lo stupore di non essere stata capita al volo, poi aveva abbassato la voce, assumendo un tono quasi cospiratorio.


- Che mi hai vista piangere! Lui non deve sapere che io lo so, deve credere che io sia stupida, che non mi renda conto di cosa sta facendo! -

Hermione era sempre più confusa, non riusciva a cogliere il punto della questione. Quale convenienza poteva esserci nell'essere stupida?


- Quinn io non ho la minima idea di che cosa tu stia parlando. -

- Lui mi tradisce! L'ho visto, l'ho visto passeggiare sul lago con quella ragazza mora di Gryffindor. Si tenevano per mano! -

- Ma... Forse non era Nev, insomma, magari li hai visti da lontano... -

- No era lui, sono sicura! Mi aveva detto che non dovevo aspettarmi niente da lui, mi ha detto che non voleva stare con me in modo ufficiale ancora, ma poi quando eravamo da soli era sempre così carino, ecco... Io... -

La ragazzina aveva smesso di piangere, ma continuava a tirare su con il naso di quando in quando e la guardava da sotto in su, imbarazzata.


- Quindi tu e Neville non state insieme? -

- Ecco... Si... Ma... E' solo indeciso, non è sicuro. -

Hermione aveva scosso la testa perplessa. Quella ragazza si stava costruendo castelli sul niente, ma la colpa probabilmente non era soltanto sua. Era giovane e Neville probabilmente si stava approfittando della sua ingenuità per tenere il piede in due scarpe.

Aveva giusto un paio di cosette da ricordare, al caro Nev.

- Quinn, sarebbe meglio che tu lo lasciassi perdere, credi? Forse meriti di meglio, qualcuno che sia più sicuro, qualcuno che non ti faccia penare così. -

- No! Lui vuole me, solo che ci sono troppe ragazze che gli girano intorno! Però forse... -

Uno scalpiccio dietro le spalle aveva fatto perdere a Hermione le ultime parole pronunciate dalla ragazza. Si era girata a guardare da dove provenisse il rumore ed aveva visto una figura con i capelli scuri, con la sciarpa di Corvonero avvolta davanti al viso.


- Quinn, tesoro, ecco dov'eri finita! -

La ragazza si era avvicinata di corsa e si era seduta accanto Quinn, per abbracciarla.


- Non saresti dovuta scappare così. Non si merita tutte queste lacrime. -

Hermione aveva annuito, provando istantaneamente simpatia per la ragazza appena arrivata.


- Liz, non capisci. Lui è mio, solo che ancora non se ne rende conto. -

Il sopracciglio della Gryffindor si era elevato senza che nemmeno riuscisse a controllarlo.


- Quinn, cosa intendi dire? -

Gliel'aveva chiesto d'istinto, ma la reazione della ragazza le aveva instillato più dubbi di quanti ne avesse fugati. Lo scintillio negli occhi che le si era acceso, accompagnato dal ghigno che le si andava dipingendo in volto non sembravano avere niente della disperazione di pochi minuti prima.


- Intendo dire che Quinn Davies non si lascia fermare da niente e da nessuno. -

Si era alzata in piedi, prendendo la mano della sua amica.


- Grazie dell'aiuto, Granger. -

Hermione le aveva osservate di spalle, mentre confabulavano tra loro tornando verso la scuola, poi aveva alzato le spalle. Doveva parlarne con Neville, appena possibile. Quella situazione non le piaceva granchè, né per come Nev si stava comportando, né per quello che la ragazzina sembrava aver fatto intendere con l'ultima frase. Forse era il caso di tenerla d'occhio.


*****


- Secondo me dovresti lasciar perdere i filtri d'amore. Non portano mai bene. -

Liz e Quinn erano sedute sul letto della prima, nel dormitorio di Ravenclaw, le cortine del baldacchino tirate, lo spazio chiuso illuminato da un fuocherello portatile viola, acceso dentro un barattolo.


- Ma è la strada più semplice... Potremmo escogitare un modo di recuperare la formula e poi prepararla anche qui, nel dormitorio. O nasconderlo da qualche parte. -

- Si, la realizzazione è semplice, ma il filtro può non darti quello che vuoi. Lo trasformerebbe in una marionetta. Vuoi che ami te? Non usare il filtro. -

Quinn si mordicchiava un dito, continuando a muovere l'altra mano sul copriletto, in uno scivolare insistente di stoffa.


- Ma è esattamente quello che otterrei. -

- Si, ma potresti perderlo con un semplice antidoto. Noi non vogliamo qualcosa di così precario. -

Liz si era aperta in un sorriso diabolico, che le era valso l'attenzione totale dell'amica.


- Io voglio che ami me e basta. È mio e voglio che lo ammetta anche lui. Voglio che rinunci alle altre, tutte. -

- Esattamente, tesoro. Mai pensato che però non sempre la via che sembra più semplice è la più proficua? -

Quinn aveva alzato gli occhi sul viso di Liz; le stava suggerendo qualcosa, probabilmente la soluzione ce l'aveva già in mente, ma voleva che fosse lei ad arrivarci.


- Potremmo agire sul contorno, potrei... Si! Potrei eliminare le avversarie... -


Erano rimaste tutta la sera, nella penombra di quel baldacchino. Quando era arrivata l'ora di dormire il copriletto di Quinn era coperto di fogli scarabocchiati di appunti e disegni e la giovane Ravenclaw si era addormentata con l'aria serena di chi aveva molti meravigliosi progetti per l'indomani.



*****



Capelli castani scompigliati dal vento, che si era fatto più impetuoso con lo scendere della sera; la sciarpa che svolazzava dietro le sue spalle.

Hermione sedeva davanti al Memoriale, di nuovo.
In quelle prime settimane di lezione la tomba di Fred e degli altri studenti caduti era diventata un rifugio sicuro per lei, una sorta di confessionale, dove era andata ogni volta che aveva bisogno di stare sola, di pensare, di confidarsi.
La foto sorridente di Fred era sempre lì, pronta ad ascoltarla senza giudicare, senza cercare di convincerla a tornare sui suoi passi, a forzarla su strade che sembravano più semplici ma che non l'avevano resa davvero felice.
Anche quel pomeriggio aveva raccontato tutto: la lite, Harry, Ginny. Tutte le scuse che aveva ascoltato e tutte quelle che già sapeva sarebbero arrivate.
Si era liberata di tutto, come se affidare al vento e alle pietre che la circondavano i suoi problemi potesse in qualche modo sollevarla dall'incombenza di affrontarli.
Era rimasta seduta sul marmo freddo per un tempo che non avrebbe saputo definire, finchè non aveva sentito le gambe intorpidirsi e non si era trovata costretta a nascondere le mani nelle pieghe della sciarpa, nel tentativo di scaldarle un po'.
Aveva spostato lo sguardo sulle lapidi, a una a una, come faceva spesso, fino a quella di Vincent Tiger, per l'ennesima volta. L'aveva trovata vuota. Come sempre.
Niente era cambiato dai primi giorni.
Hermione si era alzata in piedi ed aveva preso una piccola candela, che era poggiata accanto alla foto di Fred. La fiammella si era spenta nello spostamento d'aria, mentre la ragazza camminava da una lapide all'altra, ma con un “Incendio” mormorato aveva ricominciato a saltellare sullo stoppino.
L'aveva posata con delicatezza accanto al viso di Vincent.

- Così va meglio. -

Aveva detto a se stessa e a lui.

Si era allontanata con un sospiro, ignara dello sguardo che le fissava insistentemente la nuca.


*****


La penombra e l'odore delle candele.

Blaise si godeva il piacere dell'ozio, affondato in una delle morbide poltrone della Sala Comune di Slytherin, assaporando sul palato il sapore della sigaretta fumata solo qualche minuto prima, affacciato ad una finestra del primo piano.
Stava ascoltando ad occhi chiusi i rumori attutiti che provenivano dai dormitori, come fossero una nenia che accompagnava il suo momento di pace; i passi pesanti di Goyle sui gradini, un baule trascinato sul pavimento, borbottii indistinti di persone che forse stavano studiando o forse dicevano solo sciocchezze, lo schiocco di un ciocco di legna nel camino.
Niente di meglio, dopo una giornata di lezioni di una sigaretta e del tramestio silenzioso di una Sala Comune. Erano passate quasi tre settimane dall'inizio della scuola e già si sentiva stanco come se fossero vicini a Natale.

- Vaffanculo. -

Aveva aperto un solo occhio, di certo non per vedere a chi appartenesse quella voce fin troppo familiare, ma per dimostrare il fastidio provato per l'interruzione del suo momento di relax.


- Cosa è accaduto di tanto tremendo da costringerti a venire qui a tormentarmi, Malf? -

- Scusami se disturbo il tuo regale riposo con la mia stizza, Blaise. Non era mia intenzione recarti offesa. -

Draco si era seduto nella poltrona accanto a quella dell'amico, un gomito poggiato al bracciolo, le gambe distese in avanti, in una posizione scomposta, apparentemente rilassata, che stonava nettamente con il suo tono di voce.


- Oh, insomma, Malf, che vuoi? -

Sorrideva, Blaise, mentre si rivolgeva in tono sgarbato all'amico di sempre.


- La McGranitt ha organizzato dei corsi per i bimbetti che preparano i GUFO. -

- E questo che cosa ha a che vedere con la tua stizza? Non sei mica tu a doverti fare delle lezioni pomeridiane aggiuntive! -

- E invece si, cazzo. Non le devo seguire, le devo tenere! Insieme agli altri Capiscuola! -

- Per Merlino. -

Blaise si era stropicciato gli occhi con pollice e indice, come per scacciare un'immagine fastidiosa che vi si era impressa. Draco non sapeva insegnare; sarebbe stato meglio dire che Draco era meravigliosamente bravo ad insegnare, ma che detestava farlo, ma il diretto interessato avrebbe sicuramente negato.

Ce la metteva tutta per essere inflessibile, per dare l'impressione di essere rigido, impaziente; chissà cosa gli passava per la mente mentre insegnava, ma quando puntualmente non riusciva nel suo intento di sembrare un mostro, ne usciva un ragazzo paziente, con un talento reale nel riuscire a spiegare con semplicità ogni concetto. Ma lui non se ne convinceva e ogni volta che si trovava nelle condizioni di studiare con qualcuno o di aiutarlo con i compiti il suo umore arrivava puntualmente a somigliare a quello di una belva affamata.

- Ma non basta Blaise, perchè non solo noi, all'ultimo anno, con i MAGO da preparare, dobbiamo metterci a fare le balie ai ragazzini, ma la McGranitt, nel suo delirio di unità e comunione di intenti, vuole che facciamo lezione a coppie. Capisci? -

- Fammi indovinare, non ti avrà appioppato i Grifoni vero? -

- Vuole che siamo noi a scegliere con chi insegnare, ma ovviamente dovremo prendere in carico gli studenti delle due case che rappresentiamo. -

- Beh, Malf, almeno questo significa che non sarai obbligato ad insegnare con e ai Grifondoro. Ci sono sempre Hannah e Anthony con cui puoi fare lezione no? -

La risata di Draco sarebbe stata una risposta più che sufficiente, ma lui aveva continuato.


- Dimentichi un fatto fondamentale. Hannah e Anthony sono fidanzati dall'inizio dello scorso anno; non abbiamo fatto in tempo ad aprire bocca, io e la Sanguesporco, che loro due si erano già prenotati per stare in coppia. -

Il sopracciglio di Draco probabilmente sarebbe potuto uscire dalla sua testa, se l'avesse potuto sollevare solo di un millimetro in più.


-  Devo ammetterlo. Hai tutte le ragioni per disturbare la mia quiete. -

- Le ho eccome. Lezione a dei ragazzetti con il moccio al naso, con la Mezzosangue So-Tutto-Io. Potrebbe arrivarmi una bella notifica di Processo al Ministero, per chiudere questa meravigliosa giornata. -

- Evita di fare lo spiritoso su queste cose, quando la sfiga ci si mette... -

Draco si era lasciato andare stancamente contro lo schienale della poltrona, poggiando i piedi sulla seduta di quella di Blaise. Lo sguardo dell'amico era scattato rapidamente verso il passaggio segreto d'ingresso.


- Malf, la Legge di Murphy. -

Glielo aveva detto indicando con un'alzata del capo dietro la sua schiena.

Draco si era girato per vedere cosa poteva succedere ancora, dopo quella giornata perfetta.

Pansy
.


Blaise aveva ragione. Se qualcosa può andar male, lo farà.



*****



Si era lasciato convincere a seguirla nella sua stanza. Gli aveva detto di dovergli parlare, di avere delle cose importanti da raccontargli, cose che gli sarebbero di certo interessate e lui se l'era bevuta come un allocco. O meglio, aveva voluto bersela.

Era per questo che adesso era seduto sul suo letto, le spalle contro la testiera, nella stanza vuota, con Pansy che blaterava parole inutili su quanto le fosse mancato, su quanto avesse sofferto a saperlo a Malfoy Manor, solo, con l'Oscuro Signore in casa sua a disporre di lui come voleva.
Si era accorto con quanta devozione lei gli fosse stata accanto, con quanto amore si fosse sacrificata per non perderlo, quando al sesto anno aveva affrontato la missione cui Voldemort l'aveva destinato. Nemmeno si era accorta di niente o comunque non aveva dato segni di preoccupazione per le sue sparizioni, per le ore che passava in quella Stanza delle Necessità o per le occhiaie sempre più profonde che comparivano sul suo viso. Per non parlare dell'ultimo anno trascorso: mentre Draco era sempre più tormentato, nelle scelte compiute, per sua volontà o no, Pansy si crogiolava nell'apparente normalità di una Hogwarts comunque aperta, nella sua presenza a scuola per la maggior parte dell'anno, nei privilegi che Slytherin aveva acquisito sotto il controllo dei Carrow.
E fuori infuriava la guerra. Draco non aveva mai temuto tanto per la sua vita come in quel periodo e Pansy aveva avuto la delicatezza di un rinoceronte, soffermando lo sguardo e le mani su quel Marchio che lui non aveva chiesto, ma che si trovava a portare, l'ultima volta che era stata nel suo letto. Lo guardava con un'espressione indefinibile, aveva un che di morboso.
L'aveva allontanata malamente, quell'ultima volta, prima delle vacanze di Pasqua, prima che Potter venisse catturato, prima che sua zia torturasse la Mezzosangue, prima che venisse messo davanti ad una scelta e scegliesse, sebbene soltanto nella sua mente, per quel momento, di lasciare che il Bambino Sopravvissuto potesse provare a continuare per la sua strada.
Aveva mentito, aveva finto di non riconoscerlo. Era stato un impulso, guidato da quei momenti in cui era rimasto al buio, nella sua stanza al Manor, a sentire le grida dei prigionieri che venivano torturati dai Mangiamorte nella sua cantina, a sentire il Marchio bruciare.
Non era quella la vita che voleva. E se avesse condannato Potter quella era la vita che avrebbe vissuto, per sempre.
Le labbra di Pansy sul collo, una mano a sfiorargli la mandibola, in una carezza delicata. Il profumo di magnolia che aveva sempre avuto l'aveva avvolto istantaneamente, nel breve attimo che la ragazza aveva sfruttato per avvicinarlo. Era sempre riuscita a stordirlo, ogni volta che la respirava. Quel profumo era talmente intenso, a tratti anche troppo prepotente, che a volte vi si perdeva, altre riusciva a dargli la nausea. Come lei.

- Non dovevi assolutamente dirmi qualcosa? -

Aria, fresca, pulita.

Si era allontanato un poco, un ghigno strafottente sul viso.

- La vuoi sapere proprio ora? -

Un morso giocoso sulla spalla, la mano di lei che gli scorreva sul torace, ad insinuarsi tra i bottoni della camicia, senza slacciarli. Le aveva preso il viso in una mano, sollevandolo verso di sé, mentre con l'altra le scostava i capelli dagli occhi.

Si era sporta verso di lui, poggiando le labbra sulle sue. Morbide, dolci, tentatrici, come quel tocco che scendeva leggero verso la sua cintura.

No. Doveva dirgli qualcosa? L'avrebbe detta ora.


Poi, forse, avrebbe anche potuto cedere. In fondo ci sarebbe stato niente di male a concedersi un po' di distrazione.

Le dita di Pansy che con sapiente falsa ingenuità scivolavano dentro l'orlo dei pantaloni, tirando la stoffa un poco verso di sé.

- Non fare di questi giochetti con me, Pansy. -

Le teneva ancora il mento in una mano, mentre la guardava fissa negli occhi.


- So cosa vuoi e potrei volerlo anch'io ma se hai qualcosa da dirmi dilla subito, non sono qua a farmi prendere per il culo. -

Pansy aveva alzato gli occhi al cielo e si era tirata indietro, pur continuando ad accarezzargli la spalla e il torace.


- E va bene, te lo dico adesso. Un paio di giorni fa ero nel parco, vicino al Memoriale, per fare un giro, stavo prendendo aria. Mi ero seduta sotto un albero, che dava sulla zona in cui ci sono le lapidi, quindi riuscivo a vedere tutto. -

- Mi tieni d'occhio, Pansy? -

Draco aveva assunto un'espressione vagamente infastidita.

Era vero, lei era lì perchè aveva saputo da qualche voce che Draco andava spesso al Memoriale e lei aveva deciso di andare a cercarlo lì, voleva aspettarlo e provare a parlare con lui, dopo il periodo passato separati e quello le sembrava un buon modo per avvicinarlo.

- Ovviamente no, Draco. La mia vita non gira di certo intorno a te. -

Soltanto quel sopracciglio alzato e quel baluginio canzonatorio nel suo sguardo.


- Va' avanti Pansy, non ho tutta la serata. -

- Dunque, ero lì seduta e ad un certo punto è comparsa la Granger. Si è seduta davanti a una delle file di lapidi e si è messa a parlare, come se stesse discutendo con uno dei morti. -

Draco percepiva il tono di scherno con cui aveva descritto quello che la Granger stava facendo e aveva pensato a sé stesso, seduto davanti alla foto di Tiger, che raccontava la sua giornata o che sfogava i suoi momenti no.

Era diventato matto. Matto come una Mezzosangue Grifondoro con cui sarebbe stato obbligato a passare pomeriggi interi. Siamo a cavallo, Draco, che meraviglia.

- Se ne è rimasta lì per un bel po', tanto che stavo per andarmene, ma quando ormai mi ero alzata, lo ha fatto anche lei. Ha preso una candela rossa e l'ha spostata da una lapide ad un'altra. Quando si è allontanata aveva un'espressione distesa, come se pensasse di aver fatto qualcosa di buono. -

Aveva trovato una candela rossa, sulla tomba di Tiger, il giorno precedente.

Si era domandato chi potesse averla lasciata ed aveva chiesto anche a Blaise se fosse stato lui o se sapesse chi potesse essere stato. Blaise l'aveva guardato annoiato e gli aveva risposto di no, ad entrambe le domande, aggiungendo anche che non capiva cosa gli importasse di una candela.

- Quando se n'è andata, sono passata dal Memoriale e ho visto che l'aveva messa davanti alla foto di Vincent. So che ci vai quasi tutti i giorni. Ho pensato che ti importasse sapere che una Sanguesporco ha deciso di lasciare pensierini sulla tomba del tuo amico. -

Non gli sarebbe importato di una candela, infatti, non fosse che era stata proprio lei a lasciarla.

Lei. Una degli altri, anzi, una di quelli alla testa di quel gruppo di vincenti, di quelli che potevano camminare a testa alta nella gloria dell'essere sempre stati nel giusto.
Una di quelli che non aveva mai guardato Tiger se non con disprezzo, come lui aveva fatto con loro. Non era mai corso buon sangue tra loro. Il sangue era sempre stato la chiave di quei rapporti e mai, mai avevano parlato d'altro.
E ora lei portava candeline sulla tomba del nemico?
Sulla lapide di quello che aveva scagliato l'Ardemonio nella Stanza delle Necessità, rischiando di ucciderli tutti?
Era solo un'ipocrita e non le avrebbe permesso di sentirsi così compassionevole e buona facendo la recita con una candela sulla tomba del suo amico. Chiunque, ma non lei.
Draco aveva allontanato Pansy con un braccio e si era alzato dal letto.

- Draco? Cosa stai facendo? Che... -

- Sparisci Pansy. Ho da fare. -

Le aveva fatto cenno di andarsene con la mano, mentre si allacciava i primi bottoni della camicia, che lei gli aveva slacciato, davanti allo specchio ed annodava la cravatta verde e argento. Aveva indossato il maglioncino della divisa e si era voltato verso di lei.


- Pansy vai via. Sto uscendo. Non puoi stare qui. -

E l'aveva lasciata indietro, mentre a passo di carica si dirigeva verso il parco.

Non avrebbe tollerato questa cosa. Non poteva.


*****



Sapeva che l'avrebbe trovata da quelle parti, se lo sentiva.
L'aveva incrociata sulla strada per il Memoriale, mentre probabilmente tornava indietro dal suo sfoggio di carità per i defunti.
Hermione si era vista arrivare incontro Malfoy, con un passo deciso, quasi frettoloso e gli aveva lasciato spazio sul sentiero per farlo passare. Non aveva voglia di battibeccare, quel pomeriggio.
Non con il sole che stava per tramontare e quella luce offuscata dietro le nuvole. Non quando le prime foglie iniziavano a cadere sulla riva e sulla superficie dell'acqua, creando quel paesaggio magico che tanto amava. Ma soprattutto, non quando sapeva che avrebbe dovuto lavorare a contatto con lui per i prossimi mesi per i corsi per i ragazzi dei GUFO.
Non avrebbe permesso ai vecchi contrasti e alle sciocchezze degli anni precedenti di intralciare le lezioni a dei ragazzi che non avevano niente a che vedere con loro.
Ma lui si era diretto dritto verso di lei, prendendo la bacchetta dalla cintola dei calzoni e puntandogliela dritta in faccia.

- Tu! Lurida Sanguesporco come ti sei permessa? -

Hermione era indietreggiata sui suoi passi, verso il ciglio del sentiero, fino a sentire dietro le spalle il tronco di un albero. Con lentezza calcolata aveva messo mano alla sua bacchetta, mentre Malfoy la fissava con gli occhi iniettati di odio.

Era la personificazione della calma, quando gli aveva risposto.

- Di cosa stai parlando, Malfoy? -

Aveva le labbra strette, lui, gli occhi ridotti ad una fessura e da quello spiraglio sulla sua mente si intravedeva la rabbia che covava.


- Non fingere di non saperlo, Granger. Come ci si sente ad essere i misericordiosi vincitori di una guerra? -

Lo aveva sibilato, avvicinandosi di un paio di passi ed abbassando il braccio che reggeva la bacchetta, pur tenendola sotto tiro, anche se in modo meno plateale.

Hermione sentiva la punta del legno sfiorarle l'addome.

- Cosa ti brucia Malfoy? L'aver perso una guerra o il fatto che io sia ancora viva a ricordarti che hai sempre sbagliato? -

- Non mi interessa della tua vita o di quella guerra. Quello che mi brucia è che tu usi la tomba del mio amico per sentirti migliore. -

Hermione aveva sgranato gli occhi.

Di cosa stavano parlando? Non aveva nemmeno capito quale fosse il motivo di tanta rabbia; Malfoy non aveva mai fatto altro che disprezzarla, questo si, ma non l'aveva mai attaccata così frontalmente. I dispetti, gli insulti a mezza bocca in corridoio, ma non si era mai presentato davanti a lei impugnando la bacchetta, nemmeno durante la battaglia, quando avrebbe potuto, anzi dovuto farlo.

- Non abbiamo bisogno della pietà di nessuno, tantomeno della tua stupida candela. Lasciarla sulla tomba di Tiger ha gratificato abbastanza il tuo ego? Sei riuscita a sentirti abbastanza caritatevole? La Mezzosangue vincitrice che si piega a rendere omaggio al nemico. -

Le aveva fatto un inchino, piegando il braccio che teneva la bacchetta sotto il busto e perdendo la mira su di lei. Hermione aveva allora estratto la bacchetta, su cui fino ad allora aveva solo tenuto la mano.


- Solo una persona meschina come te poteva vedere qualcosa di sporco in quello che ho fatto. Non era pietà, non l'ho fatto per sentirmi migliore. L'ho fatto perchè penso che alla fine dei conti sia un ragazzo come me, che è morto troppo presto; anche lui meritava di avere qualcuno che gli portasse qualcosa, qualcuno che si interessasse a lui. Ma ovviamente non capisci cosa significhi. Il tornaconto personale è l'unica moneta di scambio per te. -

Aveva parlato alzando la bacchetta verso di lui, che aveva fatto un passo indietro.


- Ci sono io, per lui. Io che non l'ho odiato fin dall'inizio, io che ero con lui dal primo anno. Non gli serve la tua candela, non gli serve la tua pietà. Non vuole gli omaggi di una Mezzosangue che gode della gloria riflessa di Potter. -

Si erano misurati con lo sguardo per qualche secondo. Le bacchette alzate uno contro l'altra, la mano di Draco che tremava impercettibilmente, il petto di Hermione che si alzava ed abbassava rapido, al ritmo di un respiro affrettato per la rabbia.


- La gloria. È così che ragioni, c'è poco da fare. Non è nemmeno valutabile per te la possibilità di qualcosa di altruistico, di un gesto fatto per qualcun altro. -

Ad Hermione era sfuggito un risolino sarcastico.


- Non tu. Non tu per lui. Non da uno di voi per uno di noi. Non quando questo vi permette di sentirvi migliori per questa vostra bontà. -

La voce sempre più bassa, affettava uno sdegno che non aveva la minima intenzione di nascondere.


- Non ci sono più un noi e un voi Malfoy. Svegliati. Non siamo più al primo anno, quando era divertente giocare a fare il piccolo Lord dietro al nobile mantello di tuo padre. Il mondo è cambiato, è il caso che ti ci adatti. -

Il ragazzo aveva distolto per un attimo lo sguardo.

Un attimo in cui Hermione era riuscita a intravedere un'incrinatura sulla maschera di strafottenza che indossava dal primo momento in cui era entrato in quella scuola. Ma era stato solo un riflesso, immediatamente nascosto da un'ombra scura.

- Non mi interessa, Mezzosangue. Tu e il tuo buonismo tenetevi lontani da Vince. -

La voce era quasi scomparsa, nel pronunciare quella frase, prima di abbassare per la seconda volta la bacchetta e andarsene.

Ad Hermione era sfuggito uno sbuffo dalle labbra, mentre guardava quel ragazzo allontanarsi.
Forse, aveva pensato, in qualche recondita parte di lui, anche Malfoy stava soffrendo per qualcosa.



Note:

  1. Il titolo è una canzone dei Nirvana, album In Utero, del 1993.

  2. Harry che fa “pubblicità” a Ron. E' un tipico atteggiamento maschile, quello di spalleggiarsi a vicenda, oltretutto la smania del Bambino Sopravvissuto di avere tutto sotto controllo e come piace a lui potrebbe tranquillamente averlo indotto ad impicciarsi.

  3. La voglia di sviare e nascondersi un po' di Hermione potrebbe non essere completamente IC, essendo lei l'incarnazione del coraggio e della determinazione, ma ho pensato che, come ha passato ani nell'ombra, aspettando e sperando che Ron si accorgesse di lei, avrebbe anche potuto sentire il bisogno di pensare da sola, di non affrontare tutto e subito.

  4. Quinn Davies, lo ribadisco, è un personaggio completamente originale, è la sorella virtuale di Roger Davies, così come originale è la sua amica Elizabeth, detta Liz.

  5. Neville, Quinn e il tradimento. Io vi avevo avvertiti che il mio Nev sarebbe stato OOC. In realtà, giusto per difendere il mio amato Nev, lui e Quinn non sono fidanzati e lui non le ha promesso niente, quindi, in linea puramente teorica, lui non sta tradendo nessuno. Che poi possa aver dato adito a pensieri è un'altra questione, ma insomma, non può essere responsabile dei castelli in aria altrui. XD

  6. Filtri d'amore. La stessa Rowling ne ha parlato e li ha utilizzati nell'episodio che ha coinvolto Romilda Vane e Ron, che si era spazzolato i cioccolatini destinati a Pottah (che poi rifilare un filtro a Pottah, boh). Ma devo ammettere che quando penso ai filtri d'ammore la mia mente va a Savannah e alla sua meravigliosa The Ground beneath Her Feet. Non me la sentivo neanche di parlare di filtri d'amore senza citarla, mi pareva quasi un oltraggio. <3

  7. I corsi per i GUFO non esistono, lo so. E' una mia arbitraria invenzione. Volevo che ci fosse un modo per avvicinarli e farli conoscere. Si, è un escamotage da fyccina. Fucilatemi! XD

  8. Pansy. Non la odio, anzi in realtà la mia intenzione originaria era quella di riabilitarla un po', ma è uscita così da sola. Una cretina. Mi dispiace assai, ma il criceto nel mio cranio ha deciso che Pansy è odiosa e superficiale, come nei migliori clichè.

  9. La lite. <3
    Amo profondamente vederli affrontarsi a bacchetta spianata. Fa così tensione sessuale repressa... *.*


Bene, con questo ho concluso con le note e posso passare alla pubblica fustigazione:


Scusatemi, scusatemi, scusatemi.
So che non posto da troppo tempo, che sono svanita nel nulla e che, come se non bastasse ho postato anche altre cose nel mezzo. Perdonatemi vi prego. A mia discolpa ho da dire che in ospedale mi tengono sostanzialmente in ostaggio e che gli esami e la tesi mi occupano il poco tempo rimasto. Non odiatemi. <3


Per chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi trovate su Facebook: QUI

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Capitolo 7
*** Premonitions ***


A Valdemort: tanti auguri di buon compleanno, zoccolona mia.



Hermione era tornata verso la scuola qualche minuto dopo.
Aveva guardato Malfoy dirigersi furente verso il Memoriale, macinando con passi decisi lo stretto sentiero sterrato. Aveva stretto i pugni fino a sentire le unghie conficcarsi nei palmi, guardando la sua nuca allontanarsi. Insopportabile, borioso, arrogante Purosangue.
Riusciva a ragionare soltanto in un verso, quello della sua spocchia, quello del suo egoistico bisogno di protagonismo.
Aveva sempre fatto di tutto per denigrarla, per farla sentire inferiore, per apparire migliore agli occhi degli altri a discapito suo, di Harry o di chiunque incrociasse la sua strada.
Non era altro che un ragazzino con un patologico bisogno di attenzioni.
Era sempre stato così, pronto a sputare veleno addosso a chiunque non appartenesse alla sua esclusiva cerchia di privilegiati. Mai uno sguardo o un'attenzione per qualcuno che non portasse una cravatta verde e argento, mai un gesto cortese. A pensarci bene non l'aveva mai nemmeno visto sorridere.
Probabilmente sorrideva anche lui, come tutte le altre persone, non aveva certo la presunzione di etichettarlo come una persona tanto malvagia da non trovare mai un motivo di gioia, ma lei non l'aveva mai visto sorridere, nemmeno da lontano, quand'era in mezzo ai suoi compagni di Casa.
Eppure era un ragazzo anche lui, specialmente prima che la guerra cambiasse le cose. Avrà avuto degli amici, una vita normale. Loro due erano persone che vivevano su due mondi diversi, ma Hermione era certa che la vita, nella Sala Comune di Slytherin, non fosse così diversa da quella di chiunque altro. Avrebbe scommesso che tutte le idee di cui Ron e Harry parevano tanto convinti, riguardo la perfidia di Malfoy, la sua dedizione al male, fossero semplicemente delle sciocchezze.
Non poteva immaginare che qualcuno avesse scelto di stare dalla parte di Voldemort semplicemente perchè malvagio, se si escludevano lo stesso Oscuro Signore e magari anche Bellatrix Lestrange e qualche altro Mangiamorte. Non credeva nel bianco e nel nero, Hermione. Lei riusciva a vedere le sfumature che stavano dietro le scelte delle persone, non soltanto gli effetti che quelle scelte avevano determinato.
Forse, allora, dietro tutta quella rabbia che lui le aveva riversato addosso, si nascondeva dell'affetto per Tiger, una sincera preoccupazione per lui. Ragionando a mente fredda, continuava a non riuscire a giustificare quello scoppio, ma forse iniziava a comprendere che cosa l'avesse portato a reagire in quel modo. Aveva visto la sua espressione cedere, per qualche secondo e in quel piccolo squarcio del velo, aveva intravisto un ragazzo addolorato, colmo di nostalgia per un amico perduto.
Forse quello era il suo modo di manifestare il dolore, forse non aveva mai provato a sfogarsi altrimenti.

Stai giustificando Malfoy?

Anche se fosse non ci sarebbe stato niente di male. A differenza sua, lei non si curava delle apparenze o delle stupidaggini riguardo il sangue: sapeva che l'atteggiamento di Malfoy non aveva nulla a che fare col suo essere Purosangue, quanto piuttosto con il modo in cui era cresciuto.
Stava trasformando mentalmente Malfoy in un povero ragazzino disadattato.

Hermione finiscila.

Non lo era. Non era una vittima del sistema, non era un povero succube poco amato. Malfoy era un adolescente cresciuto in fretta, come lo erano loro, per via della guerra, ma niente di più. Restava sempre l'arrogante e viziato Purosangue che era sempre stato. Probabilmente aveva degli amici, probabilmente voleva loro bene come lei ne voleva a Harry o a Ginny, ma questo non lo rendeva certo una persona migliore, lo rendeva soltanto una persona.
Un ragazzo come lei, come tutti gli altri.

Era un Mangiamorte.

Le parole che Sirius aveva detto ad Harry tre anni prima le tornarono alla mente:


Il mondo non è diviso in persone buone e Mangiamorte. Tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi. Ciò che conta è da che parte scegliamo di agire.”


Draco Malfoy due anni fa aveva scelto .
Aveva quasi ucciso Silente. Era salito in cima alla Torre di Astronomia, aveva disarmato il Preside e aveva puntato la sua bacchetta contro di lui, un Avada Kedavra in bilico tra le labbra.
Ma l'anno dopo aveva mentito, fingendo di non riconoscere Harry al Manor, permettendogli, in un certo modo, di fuggire e di portare a termine la sua ricerca.
Durante la battaglia di Hogwarts non aveva combattuto per Voldemort, non se l'era ritrovato contro, a bacchetta spianata, come questo pomeriggio. 


Cosa contava?

Forse niente, forse non faceva differenza. Forse quello che contava davvero era il Marchio Nero che probabilmente si stagliava sul suo braccio pallido. O magari non era così, magari Sirius aveva ragione: ciò per cui ognuno doveva rendere conto erano le azioni compiute, alla fine, e non le intenzioni, buone o cattive che fossero, con cui si era partiti.
Stava rimuginando troppo su quella faccenda.
Era solo un'altra lite con Malfoy, l'ennesima scaramuccia che si ripeteva, anno dopo anni, perchè tutte queste domande?



*****



Se n'era andato verso il Memoriale a grandi passi, calpestando il terreno con la stessa violenza che avrebbe usato se sotto i piedi avesse avuto le vertebre della Sanguesporco. A ogni ogni passo immaginava un piccolo scricchiolio e schegge di ossa che volavano nel prato.
Era un'assurdità, ma che lo faceva sogghignare compiaciuto come quando la prendeva in giro nei corridoi da ragazzino. Aveva sempre provato un divertimento esaltante nel prendersela con lei, fin dal primo anno di scuola, quando la vedeva incassare le sue battute senza ribattere.
Nel tempo la ragazzina aveva poi imparato a rispondergli ed attaccarla si era fatto quasi più divertente. Ci aveva rimediato uno schiaffo, al terzo anno, ma riuscire ad innescare la sua rabbia era una soddisfazione che valeva anche quel prezzo.
Aveva raggiunto la tomba di Vince in pochi minuti ed aveva preso la piccola candela rossa tra le mani. Rossa, poi. Il massimo della beffa. Un bel ricamino dorato sul contorno non sarebbe stato bene sulla tomba di uno Slytherin?
Maledetta ragazzina. Come riusciva a fargli sempre perdere le staffe?
Lui era sempre stato il calcolatore, quello che non agiva per istinto, ma per piani.
Lui non era il tipo da obbedire ad un impulso fino al punto da fare scenate, fino a perdere ogni controllo; lui era quello che prendeva in giro con ironia sottile, con insulti sibilati.
Lei era quella che si infuriava, che perdeva il controllo davanti ai suoi insulti.
Draco era sempre riuscito a mantenere una maschera di fredda indifferenza davanti a tutto, o quasi, il massimo che si era concesso erano sorrisetti di scherno.
Ma non con lei.
Lei riusciva a destabilizzare i suoi punti fermi, l'aveva sempre fatto. Lo irritava a morte, con quella sua aria perfetta, con quella mano sempre alzata, con il mento alto e il portamento orgoglioso di chi è sempre nel giusto.
La odiava dal primo giorno, quando era salita sul treno con quei suoi capelli scompigliati e i dentoni sporgenti. La detestava fin quando l'aveva vista, sempre saccente, rispondere prima di lui a tutte le domande a cui anche lui avrebbe saputo rispondere, ma non ne aveva avuto l'opportunità perchè non era stato abbastanza veloce ad alzare la mano. Si era infine radicato al secondo anno, quando aveva insinuato che lui non meritasse il posto di Cercatore in squadra.
La odiava per il suo sangue, certo, ma prima di tutto la odiava perchè lei era la Granger. Non per il cognome, non per le origini. Perchè sembrava che volesse a tutti i costi essere migliore di tutti. Migliore di lui.
Si rigirava la candela tra le dita, facendola passare da una mano all'altra ed osservandola. Mandava piccoli riflessi perlacei, alla luce del tramonto e sembrava un oggettino incredibilmente innocuo.
Una piccola cosa, che poteva spezzare tra le dita, era riuscita a fargli provare tante emozioni tanto sconvolgenti. Non era colpa della candela, quella era solo una cosa, un niente.
Era lei, il suo problema.
Aveva scagliato la piccola cera giù dalla collinetta e l'aveva guardata atterrare in lontananza, tra la capanna di Hagrid e la Foresta Proibita.

Erano sempre state così vicine?
Non si era mai soffermato a riflettere su quanto quell'idiota del Custode abitasse vicino alla Foresta eppure gli sembrava di ricordare che non fosse così tanto prossimo al limitare degli alberi.
Avevano fatto lezione innumerevoli volte lì dietro e si ricordava un paesaggio un poco diverso. Non si trattava di una differenza abissale, ma qualcosa era cambiato.

Tutto era vicino, troppo.
C'era qualcosa di strano negli alberi della foresta. Li aveva guardati distrattamente tutti i giorni, dall'inizio della scuola e c'era qualcosa di anomalo rispetto ai primi di settembre. Sembravano più folti, più grandi. Sembravano anche di più, per quanto possibile.

Non dire scemenze, gli alberi non si moltiplicano.

Eppure era quello che sembrava.
Aveva spostato lo sguardo verso il campo di Quidditch e ora che guardava, gli alberi sembravano troppo vicini anche lì e quella zona l'aveva vista moltissime volte negli anni, sorvolandola con la scopa alla ricerca del Boccino.
Qualcosa non andava in quegli alberi.



*****



Hermione aveva raggiunto la Sala Grande quasi di corsa, cercando di porre fine ai continui dubbi e all'inquietudine che la lite con Malfoy le avevano lasciato addosso.
Si era lasciata cadere accanto a Ginny senza nemmeno guardare dove fossero gli altri, il fiato corto, i capelli scompigliati per la corsa. L'amica l'aveva salutata con la mano, mentre con l'altra si copriva la bocca piena e le faceva cenno con la testa verso qualcosa dietro le sue spalle. 

- Che ti prende, Gin? -

L'aveva scrutata perplessa e l'amica aveva strabuzzato gli occhi per poi riportare lo sguardo sul piatto, scuotendo la testa, probabilmente per maledire la sua scarsa ricettività.
Una mano sulla spalla. Una sensazione familiare e un odore inconfondibile.


- 'Mione. -


Ron
.
Ecco cosa stava cercando di dirle Ginny con quelle facce incomprensibili.

- Ronald. -

Un brivido le aveva attraversato tutta la spina dorsale ed aveva stretto i denti fino a sentire dolore all'articolazione della mandibola. Aveva raddrizzato le spalle e le sembrava che la mano di Ron pesasse quanto un macigno. Con un piccolo passo in avanti ed un movimento fluido l'aveva scrollata via.


- Sono giorni che non ti vedo, 'Mione. Riesco solo a coglierti mentre scappi via dopo ogni lezione, dopo ogni cena. -
- Sono molto indaffarata, Ronald, ho lo studio, i corsi per i ragazzi dei GUFO da preparare, sai com'è, non ho tempo di stare a chiacchierare... -

Un'alzata di spalle e lo sguardo puntato al di sopra della sua spalla.

Sei una pessima bugiarda.

- Mi stai evitando? -

Eccoci qui.

Non riusciva a mentire nemmeno a Ron, che fino a qualche settimana prima avrebbe creduto anche che un Vermicolo gigante stesse invadendo Hogwarts, se lei l'avesse affermato con un minimo di convinzione.

- No, non ti sto evitando. Sono molto occupata, te l'ho detto. A proposito, Gin, devo andare, vado in Sala Comune a stendere i programmi per i corsi. -
- Ma se non hai neanche mangiato! -

Ecco Harry Potter, colui che ha salvato il Mondo magico con un Expelliarmus, trasformatosi repentinamente in colui che non riesce nemmeno a mangiare facendosi i fatti propri.

Ginny si era voltata con uno scatto che avrebbe fatto invidia ad un ghepardo, fulminandolo con uno sguardo gelido e pieno di sottintesi.

- Che ho fatto? -

Hermione aveva semplicemente scosso la testa, abbassando gli occhi sulla tavola imbandita.

Lo schiocco di uno scappellotto le era rimbombato nelle orecchie mentre scandagliava mentalmente le varie possibilità che le erano state messe davanti per cenare.
Salmone, aringhe, ali di pollo, del prosciutto, budino. Niente di trasportabile.
O perlomeno niente di trasportabile senza trasformarsi in un uomo delle caverne che cammina mordicchiando ossa.
Aveva afferrato due fette di pane tostato, per poi voltarsi verso Harry, che si stava ancora massaggiando la nuca, guardando Ginevra con aria contrita, con un sorriso forzato.

- Ora ho mangiato, Harry, sei più sereno? A più tardi, ragazzi, ci vediamo di sopra. -

L'espressione dell'amico le aveva fatto quasi tenerezza. Era pur sempre un maschio, non si potevano pretendere grandi cose.

Più tardi, quando fossero saliti anche loro, gli avrebbe chiesto scusa per come si era comportata con lui in questi giorni, era un momentaccio per lei, questo era vero, ma di certo non poteva sfogare tutto sugli altri.
Si era voltata e, dopo aver scansato Ron, che era ancora in piedi dietro di lei, aveva provato ad allontanarsi dal tavolo.

- 'Mione, vengo con te, vorrei parlarti. -

La voce di Ron l'aveva raggiunta, qualche passo più in là.


- Ron, per Merlino, mangia. Parleremo in un altro momento, io non scappo e tu non sei capace di stare senza mangiare. -
- Ma... -

Aveva zittito le sue tiepide rimostranze con un cenno della mano, ad indicargli la tavola.


- Mangia, Ron. Non c'è nulla di così urgente, non credi? -

Il ragazzo l'aveva guardata affranto, spostando poi lo sguardo verso il piatto. Si era voltato verso di lei ancora una volta, poi, brandendo un'ala di pollo, mentre si stava sedendo sulla panca, l'aveva indicata.


- Parleremo più tardi però, stavolta non mi eviterai! -.

Hermione aveva annuito, quasi più a se stessa che a Ron, mentre usciva dalla Sala Grande, per dirigersi alla Torre. Avrebbero parlato, forse era meglio così.

Prima o poi doveva affrontarlo, non poteva continuare a sgattaiolare via alla fine delle lezioni, a sbocconcellare qualcosa in biblioteca con la scusa dello studio per non vederlo in Sala Grande. Non poteva restare sempre china sui libri, senza alzare mai gli occhi, per non incontrare il suo sguardo nemmeno per un attimo, nel timore che cercasse di parlarle.
Era un comportamento assai poco Grifondoro, l'aveva dovuto ammettere più volte a se stessa, ma non era stata capace di fare di meglio, in quelle settimane. Il dolore per aver perso Ron, la sua amicizia, ma soprattutto per non riuscire più a vedere in lui nemmeno l'ombra del ragazzo con cui era cresciuta era stato troppo intenso per lasciare spazio al coraggio.
Coraggio che stava raccogliendo a piccoli passi, gradino dopo gradino, mentre saliva le scale che portavano alla Torre di Gryffindor.
Lei e Harry erano sempre stati i suoi migliori amici, fin dal primo anno, da quando avevano affrontato il Troll nel bagno delle ragazze, da quando lei era una insopportabile So-Tutto-Io e Ron un bimbetto maldestro sempre alle spalle del Bambino sopravvissuto. Le cose si sarebbero sistemate.

- Tinea solium.

La Signora Grassa le aveva rivolto un'espressione sdegnata, per averla interrotta dalla sua conversazione con Sir. Cadogan, che aveva tutta l'aria di essere importante. Il cavaliere la attendeva al margine del dipinto accanto, una mano coperta dal guanto dell'armatura, protesa verso di lei fino a sbucare nella cornice della donna.

- Non poteva scegliere momento meno adatto, Signorina Granger, ma sia. -
- Lady, avrebbe dovuto cambiare la parola d'ordine, l'avrebbe messa in difficoltà, perlomeno. -

Aveva sussurrato il cavaliere, mentre prendeva con grazia tra le sue la mano grassoccia della donna.


- Ma in questo modo non ci avrebbe lasciati soli. -

La Signora Grassa era avvicinata alla mano del cavaliere con una guancia, mentre lasciava libero il passaggio per l'ingresso in Sala Comune. Hermione aveva oltrepassato il varco ridacchiando per il siparietto e si era ritrovata, in pochi passi, davanti a Neville, spaparanzato comodamente su una poltrona.

Ai suoi piedi era seduta una ragazzina mora, che a Hermione sembrava tanto una di quelle che di lì a pochi giorni avrebbe frequentato il suo corso per i GUFO.

- Ciao Neville! -

Il ragazzo aveva alzato la testa verso di lei, per rivolgerle un sorriso luminoso.

Iniziava a capire, in qualche modo, dove stesse il fascino con cui pareva stendere tutte le ragazze più giovani. Da piccolo era sempre stato goffo, maldestro e timido, ma non si poteva dire che fosse brutto; in realtà per anni non aveva mai permesso a nessuno di guardarlo davvero, con il viso sempre rivolto a terra, tentando di nascondersi e di non dare nell'occhio.
Ma negli ultimi anni, iniziando con l'ES e finendo con l'uccisione di Nagini, Neville era cresciuto, aveva conquistato fiducia in se stesso, aveva capito di valere qualcosa, nonostante le disavventure dei primi anni e nonostante le cattiverie cui Malfoy con la sua cricca Slytherin l'aveva sottoposto.
L'aveva salutata con entusiasmo ed aveva accarezzato con una mano, quasi distrattamente, i lunghi capelli scuri della ragazza seduta.

- Senti Neville, avrei bisogno di parlare con te di una questione un po' delicata. Mi dici quando possiamo fare un giro? -

Il ragazzo si era raddrizzato sulla poltrona, l'aveva guardata perplesso, ma non aveva dato alcun segno di fastidio, quando le aveva risposto.


- Herm, figurati, possiamo parlare anche ora. Meredith, vado a fare una passeggiata con Hermione, ti dispiace se ci rivediamo più tardi? -

Aveva ricevuto in risposta uno sguardo quasi adorante, accompagnato da un “Si”, appena accennato con un filo di voce, dopodichè la ragazza si era alzata in piedi ed Hermione l'aveva vista scomparire su per le scale del dormitorio femminile, lasciando dietro di sé solo il rumore dei suoi passi affrettati.


- Cosa fai tu alle ragazze, Nev? -

Neville era scoppiato in una risata, mentre uscivano dal buco del ritratto, dirigendosi giù per le scale, verso il pianerottolo del piano sottostante.


- Non faccio proprio nulla alle ragazze, Herm, pensa un po'. -

Aveva abbassato gli occhi, arrossendo un po', lasciando intravedere una parte del ragazzino che Hermione aveva conosciuto il primo giorno di scuola, mentre andava alla ricerca di Oscar, il suo rospo.


- Se non fai niente per piacere a tutte allora è ancora più stupefacente, perchè pare che impazziscano tutte per te. -
- Sono solo sciocchezze, figurati. -

La ragazza gli aveva poggiato una mano sulle spalle e lui le aveva di nuovo sorriso.


- Nev, vuoi davvero passeggiare o va bene anche se chiacchieriamo seduti qui? Non mi va di scendere di sotto, in realtà. -
Neville aveva sollevato un sopracciglio, voltandosi a guardarla.

- E' perchè non vuoi vedere Ron, vero? -

Era stato il turno di Hermione per arrossire.


- In realtà ho deciso che parlerò con lui, ma non mi andrebbe di incontrarlo adesso, in effetti. Vorrei essere pronta e non vorrei che mi trovasse qui con te. Sai quanto è suscettibile in questo periodo. -

Il ragazzo aveva annuito, mentre si sedeva sul primo gradino della scala, facendo segno ad Hermione di accomodarsi accanto a lui.


- Di cosa volevi parlarmi? -

Si era schiarita la voce. Improvvisamente si stava domandando se fosse davvero una buona idea mettersi a fare la predica a Neville su come gestiva le sue relazioni con le ragazze.

Nel giro di pochi secondi aveva però risposto a sé stessa che lei non era lì per fare la predica, ma semplicemente per raccontare ad un amico un fatto che poteva potenzialmente riguardarlo.

- Non so da che parte cominciare, Neville, ma penso che forse dirtelo e basta possa essere una buona scelta. Ho conosciuto Quinn Davies, qualche settimana fa, nel parco, in una circostanza piuttosto particolare. Stava piangendo sotto un albero. -
- Hermione... -

Lei l'aveva fermato con un gesto della mano, facendogli capire che non aveva finito di raccontare.

Non voglio rimproverarti nulla, Nev. Ma devo raccontarti tutta questa faccenda.
Il ragazzo aveva lasciato andare un sospiro, facendole cenno di continuare.

- Dunque, lei piangeva e io mi sono fermata per vedere cosa non andava. Lei, dopo un pochino di insistenza, mi ha detto che piangeva per colpa tua, perchè ti aveva visto con un'altra ragazza. Ora, deduco che quella ragazza sia la Meredith di poco fa, giusto? -
- Credo di si. -

Aveva distolto lo sguardo da quello di Hermione, nel fallimentare tentativo di nascondere la scarsa certezza che aveva sul fatto che si trattasse di Meredith.

Evidentemente Neville aveva molte più ragazze di quante Hermione avesse sospettato e il fatto che non ricordasse con chi fosse stato non gli faceva certo onore. A quel punto la ragazza aveva fatto un sorrisetto, per dissimulare malamente una smorfia di disapprovazione ed aveva continuato.

- Beh, lei ha detto che eri sul lago con una Gryffindor e che ti ha riconosciuto. Ma non è per farti la ramanzina su quante ragazze stai vedendo che ti ho chiesto di parlare. Quella Quinn non mi piace, Neville. Ha detto delle cose che mi hanno inquietata, quando la sua amica Liz l'ha raggiunta. Ho come la sensazione che stia per tirarti qualche brutto scherzo, quindi stai attento. -
- Cosa intendi, Herm? Quinn è una ragazzina, cosa vuoi che possa combinare? -
- Temo che pensi di rifilarti qualche filtro d'amore o qualche strano intruglio di quel genere, magari fabbricato sotto il suo letto. -

Neville non riusciva a credere a quelle parole. Quinn era una ragazzina tanto dolce con lui, all'inizio del discorso di Hermione avrebbe scommesso che lei fosse lì per intimargli di smetterla di fare il farfallone e di darsi una regolata, mentre adesso si trovava a doversi guardare le spalle.

Sembrava impossibile che potesse davvero essere in grado di fargli una cosa del genere. Pareva così innamorata, quando stavano insieme.

- La credi davvero capace di una cosa del genere, Herm? -

Hermione aveva allargato le braccia, in un gesto che esprimeva tutti i suoi dubbi.


- Non ne ho idea Nev, io non la conosco. Ma tu sì. -
- Mi sembra molto strano, ma ti prometto che terrò gli occhi aperti, non vorrei trovarmi con un bezoar giù per la gola come il povero Ron. Sai, una cosa tira l'altra... -

Per un breve istante lo sguardo di Hermione si era indurito, al suono del nome di Ron, ma dopo pochi istanti gli aveva sorriso.


- Comunque sarebbe il caso che avessi un po' più di rispetto per queste ragazze, Nev. -

Gliel'aveva detto mentre si stava già alzando dal gradino.


- Non sono giocattoli, hanno dei sentimenti, anche se magari questi le portano a mettere in cantiere delle gran sciocchezze, come sta facendo Quinn. -

Neville si era alzato subito dopo di lei e aveva ridacchiato mentre si spazzolava via la polvere dai calzoni.


- Sapevo che prima o poi saresti riuscita a sgridarmi, durante questa conversazione. -

Le aveva avvolto un braccio intorno alle spalle e posato un bacio sui capelli.
Hermione si era appoggiata al fianco di Neville quasi con sollievo. Erano settimane che non riceveva un abbraccio da un amico e quella vicinanza la rincuorava.
Erano risaliti in silenzio per le scale e al rientro avevano trovato la Sala Comune piena di persone.

Hermione si era guardata intorno e in fondo alla stanza, sotto la finestra aveva visto Ron.
Stava per avvicinarsi, credendolo solo, per chiarire una volta per tutte, ma una mano bianca, con le unghie smaltate di rosso, era sbucata da dietro la tenda e si era posata in una mossa apparentemente distratta sul suo avambraccio. Una cascata di boccoli biondi nascondevano il viso della proprietaria dell'arto in questione, ma Hermione non aveva alcun dubbio sulla sua identità.
Ron, divertito da qualcosa che lei aveva detto, aveva riso, illuminandosi di una gioia quasi fanciullesca.

Lavanda Brown.
L'avrebbe riconosciuta ovunque.



*****



Occhi azzurri puntati su un calderone che bolle nella penombra, una ciocca di capelli biondi che copre il profilo del viso di una ragazzina di 15 anni, impegnata a scrutare la riuscita del suo esperimento.


- E' quasi pronta. -

Un'altra voce, un'altra persona lì presente.
Un grosso mestolo mescolava la pozione con lentezza esasperante e le ragazze osservavano i riflessi verdi e gialli sulla superficie del liquido.

- Domani. -

Volute di fumo si sollevavano dal calderone, a formare arabeschi nell'aria che nessun altro avrebbe visto.



*****



Malfoy si stava dirigendo verso la biblioteca, ancora incredulo all'idea di essersi messo in piedi prima delle dieci di sabato mattina. Il motivo per cui l'aveva fatto poi, lo rendeva ancora meno convinto della sensatezza di quella decisione. Sarebbe potuto tornare tranquillamente nel suo letto caldo, sarebbe potuto andare a volare al campo da Quidditch, sarebbe anche potuto stare a fissare il muro tutta la mattinata. Qualunque cosa, in quel momento, gli sarebbe sembrata più intelligente e stimolante di ciò che stava per fare.

La sera precedente era seduto sul letto a parlare con Blaise, quando un piccolo gufo grigio aveva picchiettato con il becco contro il vetro della finestra. Draco gli aveva aperto sbuffando e la bestiola gli aveva lasciato cadere tra le mani una piccola pergamena ripiegata.
Su un angolo, vergato in una scrittura piccola e precisa, c'era il suo nome. Aveva dispiegato il foglio senza riflettere e si era trovato davanti un messaggio che mai avrebbe immaginato di ricevere. 

Lunedì pomeriggio inizieranno le lezioni per i GUFO.

Siccome non abbiamo alcuna alternativa e lavoreremo insieme, ti scrivo per chiederti se saresti disponibile ad incontrarmi, più che altro per concordare il programma delle lezioni e per farci un'idea di come gestire le ore che ci sono state concesse.

Domattina sarò in biblioteca dalle otto; se non ci sono problemi, raggiungimi lì.


H. G.”


Dapprima Draco era rimasto pietrificato davanti al biglietto, tanto che Blaise gli aveva passato una mano davanti agli occhi un paio di volte, per accertarsi se fosse ancora presente, dietro lo sguardo scioccato, poi gli aveva sfilato il biglietto dalle mani.
Draco aveva cercato di recuperarlo, ma Blaise era stato troppo veloce e pochi secondi dopo se la rideva beato, sdraiato sul letto.
Malfoy, allora, si era avvicinato stizzito e glielo aveva strappato di mano con un gesto brusco. Si era seduto alla scrivania, per rispondere alla Mezzosangue e rimandarle indietro il biglietto con il suo stesso gufo.
Le aveva scritto soltanto “D'accordo”, senza aggiungere altro che le sue iniziali.

Ecco che ora si ritrovava a salire le scale dei sotterranei per andare in Biblioteca, all'alba di sabato. Doveva essere impazzito, senza alcun dubbio.
Ma se lui non fosse andato, quella Sanguesporco saccente avrebbe potuto riferire a chiunque che lui le aveva lasciato fare tutto il lavoro da sola, avrebbe detto ai professori che Draco Malfoy non si era impegnato nel suo ruolo di Caposcuola e questo non avrebbe potuto permetterlo.
Se l'era ripetuto ad ogni passo che lo separava dall'ingresso della biblioteca, che si apriva sui banchi allineati e sugli scaffali traboccanti di libri; lo faceva per non perdere la faccia, di certo non perchè gliel'avesse chiesto lei.
In realtà nemmeno gliel'aveva chiesto, ad essere precisi: gli aveva scritto “Raggiungimi lì” come se lui non avesse niente di meglio da fare che stare lì a programmare in ogni piccolo particolare delle lezioni di recupero per ragazzini. Presuntuosa come pochi, la Granger, a supporre che lui fosse così disponibile a presentarsi con così poco preavviso.

Beh, in fondo ci stai andando.

Certo che ci andava, non poteva esimersi dal fare il suo dovere in modo così plateale; gli sarebbe piaciuto non poco poterle risponderle male, dirle che non era a sua disposizione, ma la situazione non glielo permetteva. Questo non significava che le avrebbe di certo reso la vita facile quella mattina. Avrebbe contestato ogni sua idea, avrebbe demolito ogni suo progetto. Sarebbe uscita da quella Biblioteca distrutta, come meritava.



*****



Hermione stava studiando su un tavolo accanto alla finestra, la luce che la raggiungeva attraverso i vetri. Aveva costruito una specie di muraglia, con i libri di Incantesimi, Trasfigurazione e Pozioni, i più grandi di tutti, per proteggere le sue letture e gli occhi dal sole e non doverli strizzare per vederci qualcosa. Era china sul libro di Antiche Rune, una spalla più sollevata dell'altra, i capelli che le coprivano buona parte del volto, a cercare di coprirsi in ogni modo dal riverbero del sole.
Aveva buttato uno sguardo all'orologio distrattamente più volte, tra un esercizio e l'altro ed ora che aveva finito di scrivere la prima pagina dei suoi appunti aveva controllato l'ora per l'ennesima volta. Erano le nove passate e Malfoy ancora non si vedeva.
Eppure le aveva risposto che sarebbe venuto. Una replica piuttosto sgarbata e sbrigativa, ma era pur sempre qualcosa e da Malfoy non è che potesse aspettarsi chissà quali moine e gentilezze. Almeno le aveva risposto. Solo che era già da un'ora in Biblioteca e pensava l'avrebbe raggiunta presto, per poter lavorare fin da subito e sbrigarsela in fretta.
All'ennesima occhiata verso la porta d'ingresso l'aveva visto comparire da dietro il battente: una mano in tasca, l'altra a stropicciarsi gli occhi con pollice e indice, i capelli che gli ricadevano scomposti sulla fronte. Aveva la camicia, ma non la cravatta.

Da quando noti tutti questi particolari di Malfoy?


Beh, non è che stesse notando poi questi grandi particolari. Lo stava aspettando e l'aveva osservato mentre entrava. Non c'era nulla di strano.


- Merlino, Mezzosangue, sembri un troll seduta così storta. -

Il tempo di perdersi in quei pensieri stupidi e lui aveva raggiunto il tavolo e sputato la sua prima cattiveria. L'aspettava una mattinata meravigliosa, in compagnia di un troglodita.


- Buongiorno Malfoy, vedo che ci siamo svegliati con il piede giusto. -
- Come potevo svegliarmi con il piede giusto? Sono dovuto saltare giù dal letto all'alba per arrivare qui a programmare questa roba. Con te. -

Aveva accompagnato la frase con un cenno della mano verso i libri di Hermione, poi verso di lei, scocciato.


- Malfoy sono le nove e un quarto. L'alba è ben lontana. -
- Granger, sono le nove e dieci. Di sabato. E' ancora notte fonda, per la gente normale. -

La ragazza aveva percorso con lo sguardo l'intera Biblioteca: era vuota, ad eccezione di loro e di Madama Pince, che puliva i suoi occhiali sospesi a mezz'aria davanti al suo naso, a colpi di bacchetta, con una piccola pezzuola azzurra.

Hermione aveva alzato distrattamente le spalle, per bofonchiare qualcosa che somigliava a “Abbiamo molto da fare” e si era girata a prendere una pergamena dalla sua cartella poggiata sul pavimento.

- Dunque, io avevo ipotizzato un programma di questo tipo. Ho già stilato la maggior parte degli argomenti principali da trattare, consultando i programmi di tutti i corsi che prevedono l'esame per i GUFO... -

Malfoy le aveva sottratto la pergamena dalle mani, mentre stava ancora parlando e adesso la stava scrutando attento, un sopracciglio alzato, un mezzo ghigno sul viso.


- Mi stai dicendo che hai già fatto tutto questo lavoro e che mi hai comunque fatto svegliare presto per venire qui a dirti che sei stata brava? Scordatelo, Mezzosangue. -

Stava tirando fuori la bacchetta dai pantaloni, probabilmente per far evanescere la pergamena, ma Hermione si era girata di scatto e l'aveva afferrata.


- Non mi interessa proprio nulla di sentirmi fare i complimenti da te, maledetto sbruffone. Potessi lavorare senza la tua fastidiosa presenza lo farei più che volentieri, ma dobbiamo collaborare, quindi cerchiamo di farlo senza scannarci come due ragazzini. -

Hermione lo fronteggiava, entrambe le mani sui fianchi, in una delle quali era ancora stretta la pergamena. Madama Pince, nel frattempo, aveva alzato lo sguardo dal suo lavoro di pulizia degli occhiali e la stava osservando con evidente disapprovazione.


- Mi hai fatto anche alzare la voce in Biblioteca. -

Aveva fatto un silenzioso cenno di scuse alla bibliotecaria, poi si era di nuovo rivolta al ragazzo, che la guardava di sottecchi, come per studiare quale sarebbe stata la prossima mossa.

L'avrebbe strangolato, per quella capacità che aveva di farle perdere le staffe, ma non doveva dargli la possibilità di continuare con quell'atteggiamento. Dovevano portare a termine un compito e l'avrebbero fatto.

- Avanti Malfoy, prima ci mettiamo al lavoro, prima finirà questo strazio per entrambi. -

L'aveva preceduto alla scrivania dove c'erano tutti i suoi libri e si era seduta accanto alla finestra, poi aveva spinto con una mano la lista degli argomenti davanti alla sedia accanto alla sua e l'aveva guardato da sotto in su, come ad invitarlo a sedersi.

Malfoy si era lasciato cadere accanto a lei con un sospiro estenuato.

- E sia, per Salazar. Facciamo questa cosa. -


*****



Avevano lavorato bene. Sembrava assolutamente incredibile, ma dopo le prime scaramucce infantili Malfoy si era seduto accanto a lei ed aveva collaborato in modo eccellente.
Nemmeno per un secondo aveva lasciato cadere la sua espressione spocchiosa ed irritante, ma aveva proposto, si era impegnato ed avevano tirato fuori una scaletta per le lezioni di tutto rispetto.
Inizialmente l'idea era quella di occuparsi ognuno degli studenti della propria casa, condividendo soltanto il programma, per dare l'apparenza di una collaborazione alla McGranitt, dato che l'aveva richiesta. Ma alla fine di quella mattinata di lavoro avevano raggiunto un accordo diverso.
Avrebbero insegnato ai ragazzi insieme, prendendo ognuno le redini delle materie che gli erano più congeniali, ma sottoponendo sempre all'altro qualunque decisione riguardo l'esclusione o l'aggiunta di argomenti. Era surreale.
Ad Hermione nemmeno sembrava possibile di essere riuscita ad ottenere non solo il suo programma per la gestione di quei pomeriggi, ma di averne ottenuto uno buono e per giunta di esserci riuscita grazie all'aiuto di Malfoy.
Non aveva mai dubitato della sua intelligenza, questo no. Per essere bravo com'era in Pozioni, specie quando c'era Piton ad insegnare, doveva avere un gran talento, ma era stata soprattutto la sua abilità in Occlumanzia, che era arrivata alle orecchie di Harry, una volta a convincerla delle sue capacità. Per essere bravi occlumanti bisogna essere degli ottimi maghi ed evidentemente Malfoy lo stava diventando.
Quello che non immaginava era che lui le avrebbe permesso di lavorare con lui in quel modo. Si aspettava che la ostacolasse, che bocciasse ogni sua idea. Non poteva dire che all'inizio lui non fosse stato scontroso e assolutamente intrattabile, ma man mano che scorrevano quella lista, mettendo mano ai libri degli anni precedenti, si era rilassato ed aveva iniziato ad essere davvero utile.

L'aveva osservato lavorare, mentre cercava questo o quell'incantesimo sui libri e lei scriveva sulla pergamena l'elenco degli argomenti da discutere. Si era ritrovata più di una volta a guardarlo chino sulla pagina, con una ciocca di capelli che gli ricadeva davanti all'occhio destro e che lui spostava costantemente indietro con la mano, lo sguardo concentrato e gli occhi grigi che saettavano da una riga all'altra del testo, veloci come piccole schegge d'acciaio.

Quando gli aveva proposto di non dividere i ragazzi nelle due case, ma di insegnare a tutti insieme, entrambi, si era aspettata un netto rifiuto, uno sguardo schifato e magari una cattiveria delle sue, invece lui l'aveva stupita. Aveva scrollato le spalle e le aveva detto che, dato che la McGranitt voleva collaborazione, avrebbero collaborato, fino in fondo. Non si sarebbe tirato indietro.
Era stata stranamente felice di quella risposta, quasi entusiasta.
Le era davvero piaciuto lavorare con lui, in quel clima. Era un compagno di studi intelligente e brillante, un ragazzo molto sveglio e perspicace. Non aveva mai trovato nessuno di così stimolante, sotto quel punto di vista. Era quello il motivo per cui si sentiva così raggiante all'idea di lavorare ancora con lui, non certo perchè lei fosse contenta di dividere le sue giornate con quel borioso di Malfoy.

Si erano dati appuntamento in biblioteca per il lunedì pomeriggio, mezz'ora prima dell'inizio delle lezioni con gli studenti del quinto anno, per preparare gli appunti per loro e cominciare a mettere a punto la lezione prima che arrivassero.
Era colma di aspettative per quel compito: era certa che le sarebbe piaciuto moltissimo aiutare a studiare i ragazzi più giovani. Non vedeva l'ora di cominciare.



*****



Adorava la domenica. 

Poteva svegliarsi tardi, scendere a fare colazione quando la Sala Grande era quasi deserta, mangiare toast praticamente imbevuti nello sciroppo d'acero senza che nessuno lo guardasse come se fosse impazzito ed andare ad allenarsi al campo di Quidditch. 

Adorava la domenica.

Quella mattina, quando aveva aperto gli occhi si era ritrovato davanti la camera illuminata dal sole già alto, il verde brillante del suo baldacchino che gli dava fastidio agli occhi appena aperti e aveva sentito la voce di Blaise che chiacchierava con una ragazza, arrivare dalla Sala Comune.
Si era guardato intorno, per capire se era solo in camera, come sperava, ed aveva trovato soltanto letti sfatti, camicie e calzoni sparsi ovunque.

Adorava la domenica, l'aveva già detto?

Si era alzato con tutta calma, infilato un paio di pantaloni comodi e una felpa verde scuro, capo che aveva imparato ad indossare da quando, con sua madre, aveva preso l'abitudine di passeggiare tra i babbani. Non erano esteticamente un granchè quelle “cose”, ma erano davvero comode ed aveva scoperto che non c'era di meglio per fare un bel volo sulla scopa, non volendo indossare sempre la divisa da Quidditch.
Mentre si allacciava le scarpe, Blaise era entrato in camera, assestandogli una pacca sulla schiena.

- Buongiorno Malf. Mattiniero eh? Che ci fai già in piedi alle dieci e mezza? -

Lo prendeva sempre in giro per l'abitudine che aveva di dormire più a lungo di lui e in particolare, quel giorno, lo stava sfottendo perchè la mattina precedente aveva assistito alla sequela di improperi che Draco aveva proferito al risveglio, prima di andare in Biblioteca dalla Granger.

- Vado a fare un paio di voli allo stadio, mi alleno un po'. Sai, io sono nella squadra, devo mantenere il mio posto. -


Il ghigno che gli era comparso sul viso aveva colpito nel segno.
Blaise desiderava giocare a Quidditch dal primo anno, ma non aveva mai avuto uno straccio di talento ed era sempre rimasto sugli spalti a guardare.

-Devo forse provare a farti una qualche fattura mentre dormi, così mi prendo il tuo posto di Cercatore? -


Il ragazzo gli aveva puntato contro la bacchetta, che teneva con due dita, con un'eleganza quasi sfagata, come se stesse giocando con un innocuo bastoncino e l'aveva diretta verso la mano di Draco.

- Se anche io finissi stecchito giù dalla scopa non prenderesti mai il mio posto Blaise. Prima di provare anche solo a pensare di prendere te, avrebbero già messo sulla scopa un troll con l'artrite. -


Blaise gli aveva risposto con un gesto noncurante della mano, come se quello che Draco pensasse riguardo il Quidditch non fosse niente di importante.

- Non ci capisci nulla di queste cose, tu. -


Per l'appunto.


- Infatti Blaise, gioco solo da sei anni, in fondo. -

Ma l'amico non lo stava più ascoltando. Si era rintanato in bagno, chiudendosi dietro la porta dopo una vigorosa scrollata di spalle. Draco aveva scosso la testa, ridendo ed era uscito dai sotterranei, Firebolt alla mano.

Stava volando ormai da più di un'ora e mezza, in picchiate e rapide risalite, all'inseguimento di un boccino immaginario o soltanto per il piacere di sentire l'aria sul viso e di assaporare quel senso di libertà e spensieratezza che ormai sentiva soltanto quando aveva la sua scopa tra le mani.
Era riuscito in un paio di schivate ad alcuni uccelli per cui si era complimentato con se stesso ed ora stava volando piano sopra lo stadio, quasi stesse facendo una passeggiata.

Il giorno precedente aveva passato una strana mattinata.
Era andato dalla Granger agguerrito più che mai, deciso a farle sputare sangue per ottenere la metà di ciò che immaginava si fosse prefissata. Era partito con l'idea di farle passare ogni voglia di lavorare con lui, se mai ne avesse avuta e di renderle la vita impossibile, ma non era riuscito a fare niente di meglio di qualche battuta acida.

Perchè non l'aveva trattata male come avrebbe voluto?

Probabilmente era perchè gli era piaciuto quel lavoro. Si era concentrato sulle cose da fare, si era smarrito nell'enorme quantità di argomenti di cui discutere, nella programmazione di ogni piccolo dettaglio ed aveva perso di vista l'obiettivo principale: umiliare la Mezzosangue.
Era partito bene, quando l'aveva vista in fondo alla stanza, piegata scompostamente su un grosso libro. L'aveva attaccata subito con una battuta maligna, ma poi lei gli aveva risposto, gli aveva messo davanti tutto il lavoro da fare e lui si era distratto.
Lei l'aveva distolto dai suoi programmi, con la sagacia con cui rispondeva ad ogni sua critica, con l'intelligenza con cui gli aveva tenuto testa su ogni materia di cui avessero discusso. Era sveglia, per essere una Nata Babbana, era fuor di dubbio, ma restava sempre una Sanguesporco.
Era anche troppo arguta, tanto da essere riuscita a tenergli occupata la mente con tante cose da fare, fino a fargli perdere lo stimolo di schiacciarla, fino a fargli scordare che lei non era nemmeno degna di parlargli, figurarsi di mettersi a lavorare con lui.
E quando, mentre lui stava raccogliendo le sue piume e i libri che avevano preso dagli scaffali, per riporli al loro posto, lei gli aveva proposto di lavorare insieme anche durante le lezioni, quando gli aveva detto di non dividere le due case, lui aveva accettato senza pensare.

L'hai fatto per non essere da meno, per dimostrare alla McGranitt che puoi fare qualunque cosa, anche lavorare con lei.

Certo, era una mossa tattica.
Se la vegliarda avesse visto quanto erano bravi a collaborare e quanto poco lui fosse stato ostile, l'avrebbe avuta dalla sua parte, anche più avanti. Forse, chissà, avrebbe potuto sperare anche in una parola buona al Ministero, se non per evitargli il processo, almeno per guadagnare uno sconto sull'eventuale pena.
L'aveva vista illuminarsi, quando lui le aveva dato risposta affermativa e si era sentito stranamente compiaciuto, davanti a quell'espressione. A lei piaceva, lavorare con lui.
Forse avrebbe potuto sfruttare in qualche modo questa piccola scoperta, forse poteva approfittare di questa debolezza.

Mentre si perdeva in queste riflessioni, cercando di trovare un modo di colpire la Granger, Draco aveva sorvolato l'intero campo da Quidditch ed ora si era ritrovato al di sopra della capanna di Hagrid, al limitare della Foresta.
Gli alberi erano ancora lì, sempre stranamente vicini all'orto del Custode, di nuovo così inusuali, anche da quel punto di vista sopraelevato.

Draco era sceso lentamente di quota, sfiorando con i piedi le chiome degli alberi più vicini al limitare della boscaglia, fino ad arrivare a terra, poggiando i piedi sull'erba umida.
Da lì, guardandoli da più vicino rispetto all'ultima volta, la Foresta sembrava sempre più strana. Gli alberi sembravano più affollati del solito, ma in qualche modo ordinati, quasi come se fossero stati posati lì intenzionalmente, secondo un progetto, non seguendo la natura.
Draco si era avvicinato alla corteccia di uno dei tronchi e aveva sfiorato le venature del legno con le dita. Era freddo, umido, quasi viscido, come se avesse smesso di piovere da poco, ma non pioveva da due giorni.
Si era guardato intorno smarrito, pensando quasi di stare impazzendo, a dare corda a quell'idea così strana riguardo agli alberi che cambiavano. Gli serviva una prova: doveva dimostrare, anche soltanto a se stesso, che non stava vaneggiando. La Foresta stava in qualche modo mutando e lui voleva capirne di più.
Aveva estratto la bacchetta dalla tasca dei pantaloni ed aveva mormorato un incantesimo.

- Flagramus! -

Una X rossa e fiammeggiante si era impressa sulla corteccia del primo albero ed in pochi secondi aveva lasciato soltanto una cicatrice brunita e tiepida.
Uno dopo l'altro aveva contrassegnato segnato gran parte gli alberi dietro la capanna del Custode, per quattro file verso l'interno della foresta. Li avrebbe tenuti d'occhio periodicamente, per capire se effettivamente qualcosa stava accadendo o se, come iniziava a sospettare, stesse davvero diventando un pazzoide paranoico.




Note:


  1. Quando Hermione pensa alla malvagità e ai discorsi di Harry e Ron, si riferisce prevalentemente al discorso che avevano fatto al sesto anno, quando Potter si diceva convito che Malfoy fosse stato marchiato durante una cerimonia di iniziazione da Magie Sinister.

  2. Le parole di Sirius sono pronunciate durante una conversazione con Harry a Grimmauld Place ne “L'Ordine della Fenice”.

  3. Gli avvenimenti che riguardano Draco sono raccontati ne “Il Principe Mezzosangue” e in “Deathly Hallows”.

  4. Lo schiaffo in “Il Prigioniero di Azkaban” è un momento epico, specialmente per noi innamorate L&L, non azzardatevi a dimenticarlo, mentre l'episodio in cui Hermione accusa Draco di essere comprato l'ammissione è ne “La Camera dei Segreti”.

  5. Hermione accusa se stessa di essere una pessima bugiarda. Questa frase riprende, in un certo qual modo, alcuni scambi di battute ne “La Bellezza del Demonio” di Poison Spring. Non sia mai che si dica che cito senza creditare gli autori. XD

  6. La battutaccia sull'Expelliarmus è ormai un'evergreen delle storie nonché delle nottate su msn con le mie amate vacche, la troverete un po' ovunque nelle storie di tutte e quattro, se le leggete, quindi tant'è. Tutto sta nel fatto che troviamo ridicolo che la Rowling abbia deciso di dare l'estremo saluto al mago più potente di tutti i tempi con un incantesimo che si impara al secondo anno di scuola di Magia, ma che a Potter piace tanto. Diciamo che avremmo sperato in qualcosa di più impegnativo, ma il re delle fortune, Pottah può tutto, anche questo.

  7. La parola d'ordine è una citazione criptica di HBP capitolo 23, in cui viene usata la parola verme solitario. La Tinea Solium è, per l'appunto il nome scientifico dell'elminta che viene chiamato volgarmente “Verme solitario”.

  8. Meredith è un personaggio originale, di mia completa invenzione. Non le ho ancora trovato un cognome, dato che al momento non mi serve, ma lo farò quanto prima, promesso.

  9. Lasciatemi gioire per il primo attimo Rovanda (Ron-Lavanda) della storia, per favore.
    Io amo loro due insieme. I loro due neuroni sono veramente meravigliosi quando si uniscono... <3

  10. La bravura di Draco in Occlumazia è farina del sacco della Rowling, non sono io che gli attribuisco pregi che non ha, per gli amanti del canon, è stato dichiarato in un'intervista dall'autrice in persona. u_u

  11. Bene, bene, bene. Si inizia con le interazioni tra i due, ma non mi sbilancio a dire nulla.
    Piuttosto, ditemi voi che ne pensate dei loro discorsi, delle loro reazioni. Stavolta io mi astengo dal commentare. :)

  12. Gli alberi. Draco è paranoico come Pottah o qualcosa sta succedendo veramente?

    L'incantesimo usato da Draco sugli alberi è stato utilizzato da Hermione ne “L'Ordine della Fenice” per segnare le porte dell'ufficio misteri durante la spedizione con Harry, Ron e gli altri membri dell'ES.


Eccoci qui, dopo un'interminabile attesa.
Non mi metto nemmeno a fare le solite scene, perchè è passato talmente tanto tempo che se siete ancora qui vi meritate una statua. Punto.
Il prossimo capitolo è già tutto progettato nella mia mente e se il Salazar mi assisterà potrebbe anche arrivare in breve (relativamente in breve).

Colgo l'occasione per comunicarvi che ho fatto un po' di “pulizia” nell'account FB, eliminando le persone con cui non avevo mai avuto alcun contatto né scambio. Da ora in avanti, per alcune questioni personali, non accetterò più richieste di amicizia se non accompagnate da un paio di parole in cui mi si dica chi siete su EFP.
Ho però aperto una Pagina Autore, su cui convergeranno tutti gli spoiler, le notizie riguardo alla scrittura (e anche qualche minchiata delle mie, quelle non mancheranno mai) e le mie storie.
Mi farebbe davvero piacere trovarvi da quelle parti. La pagina la trovate QUI.

Grazie di tutto cuore a tutti: a chi recensisce, chi preferisce, ricorda e segue. Anche a chi legge e basta. Mi trasformate sempre in una gelatina rosa ed imbarazzante.
Un grazie speciale a Miki, che ha segnalato la storia per le scelte, permettendole di essere inserita con una velocità lampo. Gemellina, non ho parole. *-*



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Capitolo 8
*** Hopes and Expectations ***




La luce del mattino si allungava sulla Sala Grande con la lentezza e la leggerezza di una gatta appena sveglia, mentre gli studenti iniziavano a prendere posto alle tavolate delle loro Case, stropicciandosi gli occhi o nascondendo enormi sbadigli dietro una mano.

Al tavolo di Ravenclaw, Quinn sorrideva alla sua amica Liz, che stava entrando dal portone della Sala. L'altra le si era affiancata rapidamente, ricambiando il saluto e l'aveva guardata dritta negli occhi. In quello scambio silenzioso, un gesto era stato la risposta alla domanda muta che Quinn stava facendo: Liz aveva passato con finta noncuranza una mano sulla sua borsa, per poi annuire impercettibilmente. Gli occhi dell'amica si erano illuminati.

Un brusio di giovani voci permeava tutta la Sala, che si riempiva di minuto in minuto, mentre l'orario per andare a lezione si avvicinava sempre di più.
Una bimba del primo anno di Raveclaw era passata loro accanto, guardandole con una sorta di ammirazione, dando di gomito ad un'amichetta, indicando le gonne delle divise che scoprivano ampiamente le ginocchia delle due ragazze.
L'altra aveva soffocato un risolino dietro la mano e aveva rivolto loro un ultimo sguardo, prima di andare a sedersi nel lato estremo della tavolata. Chissà se da grandi sarebbero state così anche loro.
Sia Quinn che Liz si erano dedicate alla loro colazione in silenzio, sedute una accanto all'altra, meditando su come portare a termine la missione che da ormai quasi un mese stavano portando avanti in segreto.
Dopo aver finito il suo piatto di frutta, completato da un piccolo ed insulso toast, Quinn si era alzata da tavola, allungando la mano sotto al tavolo per ricevere una piccola ampolla blu, che Liz aveva preso dalla sua borsa con un singolo e quasi invisibile gesto e si era diretta verso il tavolo di Gryffindor.


- Buongiorno Granger! -

Hermione l'aveva sentita cinguettare verso la sua direzione ed aveva sollevato gli occhi dal libro di Aritmanzia, che teneva aperto accanto al suo piatto di bacon e uova.


- Ciao Quinn! Ti serve qualcosa? -

Non era insolito che qualcuno dei ragazzi per cui erano organizzate le lezioni pomeridiane venisse a chiedere qualcosa, anche se non era delle Case di cui lei si occupava.
Le lezioni andavano avanti già da due settimane e sembravano procedere a gonfie vele, cosa che la rendeva particolarmente orgogliosa del suo lavoro.

- Si, cercavo Hannah, ma non sono riuscita a vederla al tavolo di Hufflepluff e non ho trovato nemmeno Anthony, così, dato che avevo bisogno un piccolo aiuto per il compito di Pozioni, ho pensato di venire a chiedere a te. Posso sedermi? -

La ragazzina si era infilata sulla panca, mettendovisi a cavalcioni, scoprendo le lunghe gambe, proprio in mezzo tra lei e Ginny, che le aveva lanciato un'occhiata tra l'assassino e il compassionevole. Già, perchè seduto a fianco di Hermione, proprio casualmente, c'era Neville.
Hermione aveva sbuffato, chiudendo il suo libro e si era rivolta verso la ragazza, che nel frattempo si era versata una tazza di caffè e la gustava godendosi le occhiate che Neville lanciava alle sue gambe da sopra le spalle di Hermione.
La Caposcuola, allora, aveva raddrizzato le spalle impettita, oscurando completamente la visuale del ragazzo, cui era sfuggito un grugnito di disappunto e si era rivolta alla ragazza:

- Quinn, sarei davvero felice di poterti dare una mano, il problema è che, anche se tu probabilmente non lo sai, io e Malfoy ci siamo divisi le materie da spiegare a voi ragazzi e Pozioni è una delle sue, quindi, se non ti dispiace, sarebbe il caso che chiedessi a lui un aiuto, se non trovi né Hannah, né Anthony. -

- Ma Malfoy mi aiuterà?

- Perchè mai non dovrebbe? E' un Caposcuola esattamente come me, Quinn. E se per caso dovesse dirti che non può, torna da me e vedremo di occuparcene insieme, di questo compito. -


- Grazie Granger!

La ragazzina si era alzata di scatto, mostrando buona parte della sua biancheria intima nello scavalcare la panca, per il piacere di Neville, che le aveva rivolto un'ultima occhiata e un saluto veloce. La ragazza si era illuminata in un sorriso smagliante e l'aveva avvicinato per lasciargli un bacio sulla guancia, stando attenta ad allontanare la tazza di caffè che teneva in mano.
Si era diretta verso il tavolo di Slytherin, alla ricerca di Malfoy, ma nel tragitto Hermione l'aveva vista fermarsi e lasciare la sua tazza sul tavolo Gryffindor, ad una certa distanza da loro.

Che strano, aveva pensato, se l'era appena versato.



*****


Malfoy era entrato in Sala Grande all'ultimo momento, per fare una colazione veloce e precipitarsi a lezione di Erbologia alle serre. Aveva afferrato un paio di fette di pane tostato, per avventarsi poco dopo su un piatto di uova. Cercava di mangiare rapidamente e dileguarsi prima che succedesse qualcosa in grado di rovinargli la giornata, che già si prospettava piuttosto lunga.


- Smettila di ingozzarti come una scimmia, Malf. -


Il buongiorno di Blaise era sempre piacevolissimo. Quella mattina non si erano incrociati, in camera, perché Malfoy si era svegliato in ritardo e aveva trovato il letto dell'amico già vuoto e la stanza deserta.


- Si da il caso che abbia una certa fretta. -

- Non è un buon motivo per dimenticare le maniere umane, caro. Diventerai come Weasel. -

Draco si era strozzato con il boccone che aveva appena deglutito, all'udire un'affermazione così inconcepibile ed aveva alzato lo sguardo verso il tavolo dei Gryffindor, come se sentire il nome della Donnola l'avesse indotto a controllare che fosse al suo posto, a strafogarsi come il suo solito.

Ed infatti era lì, circondato da piatti ricolmi di cibo, con entrambe le mani occupate da due enormi toast imburrati. Accanto a lui, la Brown lo guardava di sottecchi, gli occhi brillanti, nella speranza di ricevere almeno uno sguardo.

Qualche metro più in là la Mezzosangue stava parlando con una ragazzina bionda, di Ravenclaw, gli sembrava, ma in pochi minuti la piccola si era alzata e si era diretta verso il suo tavolo.


Fa' che non l'abbia mandata da me.


Se lo sentiva, che la Mezzosangue gli avrebbe appioppato qualche grana, con quella ragazzina e man mano che la vedeva avvicinarsi, si rendeva conto di non essersi sbagliato. Prima di arrivare da lui, l'aveva vista prendere una tazza di caffè ad un capo della tavolata ed si era poi avvicinata, stringendola in una mano e bevendone un sorso.


- Buongiorno, Caposcuola Malfoy. Sono Quinn Davies. -


Aveva allungato la mano libera dalla tazza e Malfoy l'aveva stretta distrattamente.

- Cosa ti serve da me, Quinn? Ho lezione tra poco, quindi se potessi essere rapida... -

Un gesto della mano aveva illustrato il poco che la frase lasciava sottinteso.
La ragazza era arrossita lievemente, abbassando gli occhi, ma poi, in qualche modo, doveva aver recuperato coraggio in qualche recondito angolo di sé e l'aveva affrontato con maggiore decisione.


- La Caposcuola Granger mi ha mandato da te perchè avevo bisogno di aiuto in Pozioni, ma non trovavo né Anthony né Hannah. -

- Cosa ha bisogno? Compiti, spiegazioni, un tema? -

Lo sguardo di Malfoy affettava una noia più che evidente, che non cercava in alcun modo di nascondere.


- Dobbiamo preparare il compito per domani, ecco. -

- Bene. Ci vediamo oggi pomeriggio nell'aula di Pozioni, chiederò il permesso di studiare lì con te al Professor Lumacorno. Facciamo per le 17.00. -

Quinn si era illuminata.

- Grazie davvero, Malfoy! Non avrei pensato che... -


Lui l'aveva interrotta immediatamente, alzando la mano davanti al suo viso.

- Lo faccio solo perchè devo, non perchè sono gentile. Ah, e sia chiaro. Se recuperi uno dei tuoi, dovrai chiedere a loro e mi lascerai in pace, siamo intesi? -

Non aveva atteso una risposta, perchè non era rilevante, a suo parere, ma aveva sentito uno squillante “Grazie!” rimbombargli nelle orecchie mentre se ne andava.


*****


L'aveva soltanto intravista in lontananza, durante la pausa pranzo ed aveva provato a seguirla, per lamentarsi dell'incarico che lo aveva costretto ad accettare con la piccola Quinn. Non aveva nessuna voglia di insegnare, nemmeno durante le lezioni obbligatorie a quei ragazzini, figurarsi farne di aggiuntive a una pupattola che nemmeno apparteneva alle Case che gli erano assegnate.

Una pupattola che se la fa con Paciock, oltretutto, la qual cosa lo lasciava quantomeno perplesso.

Non era riuscito a raggiungere la Mezzosangue in alcun modo, comunque, perchè quando sembrava che mancasse meno di un soffio, lei era svanita oltre un angolo senza lasciare alcuna traccia.

Erano da poco finite le lezioni pomeridiane e nel giro di un'ora sarebbe dovuto andare nell'Aula di Pozioni che aveva, come previsto, ottenuto dal Professor Lumacorno per la sua lezione di ripasso.
Si era diretto verso i sotterranei, per andare a recuperare in camera sua un libro che poteva servire durante la spiegazione alla piccola mentecatta, quando, di nuovo, come per magia, aveva visto sbucare una chioma ribelle che non poteva essere d'altri che della Mezzosangue.


Beccata.


Aveva affrettato il passo per raggiungerla, cercando di non fare molto rumore, per prenderla di sorpresa. Camminava a testa alta, impettita, un libro stretto al petto e un braccio ad oscillare al ritmo dei suoi passi, sul fianco.
Le aveva afferrato un polso con fermezza, tirandola un poco verso di sé. Lei si era girata con uno sguardo trucido, a cui era immediatamente seguita un'espressione annoiata.


- Che vuoi? -

- Bello scherzetto mi hai tirato stamattina, Mezzosangue. -


Con uno strattone Hermione aveva liberato il polso dalla presa di Malfoy e se l'era portato sul petto, ad appoggiarsi, incrociando l'altro braccio, sul libro che teneva. L'aveva osservato stranita.


- A che cosa ti riferisci, Purosangue? -


Da qualche settimana, da quando lavoravano insieme, Hermione aveva smesso di riprenderlo, quando la chiamava con l'appellativo che le riservava ormai da anni, dato che non sortiva altro effetto che divertirlo, con la sua irritazione, ma aveva iniziato a chiamare lui Purosangue.
Lo diceva con lo stesso sdegno e la stessa superiorità che metteva lui, quando la chiamava Mezzosangue. Draco le aveva rivolto un ghigno, misto tra orgoglio e fastidio, al sentirsi chiamare in quel modo.


- La signorina Davies è venuta a cercarmi. -

Il sopracciglio di Hermione si era alzato, incontrollabile.

- Lo so, te l'ho mandata io. Aveva bisogno di aiuto in Pozioni, è una materia tua e l'ho mandata da te. -

Malfoy aveva sbuffato.

- Il fatto che sia Ravenclaw non la pone sotto la responsabilità di qualcun altro? -

Hermione si era mossa, insofferente, spostando il peso da un piede all'altro, cercando dentro di sé un motivo valido per non sbattergli in faccia il libro di Antiche Rune che aveva in mano fino a fargli perdere i sensi. In effetti l'immagine di Malfoy a terra, tramortito, una goccia del suo purissimo sangue a colargli da naso, l'aveva aiutata non poco a recuperare un minimo di autocontrollo per rispondergli senza insulti.

- Sei un Caposcuola Malfoy, è tuo dovere aiutare gli studenti. Anche, anzi direi sopratutto delle altre Case. -

Lui aveva sogghignato.


- La nostra diligente maestrina ha fatto la sua lezione di etica anche oggi. Bene, Mezzosangue, vado in Aula di Pozioni dalla Davies, dato che è mio dovere. Ma mi devi un favore, non lo dimenticare. -

Il concetto era stato rimarcato dal dito indice di Draco, puntato dritto verso Hermione. 

- E io riscuoto sempre i miei crediti, Granger. -


Hermione aveva bloccato una rispostaccia sulle labbra, per evitare di rivolgerla alla sua schiena.
L'aveva guardato allontanarsi, il passo sicuro e le spalle scosse da una risata beffarda.
Odioso, arrogante ragazzino. Riusciva sempre a rovinarle la giornata.


*****


Nella camera del settimo anno Lavanda e Calì erano sedute ognuna sul proprio letto e chiacchieravano di nulla. Calì era seduta composta, i piedi poggiati sul pavimento, le mani sulle ginocchia e la schiena dritta; guardava in alto mentre parlava, muovendo alternativamente la testa da un lato e dall'altro. Lavanda, di fronte a lei, sedeva a gambe incrociate, la testa piegata di lato e con una spazzola morbida passava una lozione lucidante con un intenso profumo di fragola.


- Non capisco perchè ancora non abbiano chiarito. Ormai si parlano quasi normalmente, insomma, non mi sembra giusto che continuino a fare questi balletti. -


Calì aveva buttato lì questa frase quasi dal nulla, occhieggiando la reazione di Lavanda con la coda dell'occhio, mentre continuava il suo stretching ai muscoli del dorso.
Lavanda aveva bloccato la spazzola a metà lunghezza del ciuffo biondo che stava trattando in quel momento e aveva lanciato a Calì uno sguardo afflitto.


- Cosa vuoi che ti dica Calì, io non posso obbligare proprio nessuno a fare alcunchè. Non ti nego che vorrei sapere Ron completamente libero, soprattutto mentalmente, visto anche quanto adesso sembra si stia riavvicinando a me, ma se lo spingessi troppo potrei ottenere l'effetto opposto. -


Gli occhi della ragazza brillavano, quasi lucidi, a parlare di Ronald.
Lavanda era innamorata di lui dal sesto anno e in un certo modo era interessata a lui anche da prima, ma a parte la loro breve relazione che si era tragicamente interrotta dopo l'esperienza di Ron con i filtro d'amore di Romilda Vane e l'idromele avvelenato, non c'era mai stato altro.
Di sicuro, pensava Lavanda, erano fatti l'uno per l'altra ed era evidente. Quando stava con lei Ronald era sempre così sereno e sorridente, non come nell'ultimo periodo, quando stava con Hermione, in cui lui era sempre così cupo.
In qualche modo, quando c'era Lavanda intorno, Ron si rasserenava. Chiaramente la diretta interessata attribuiva questi cambiamenti di umore all'amore che lui provava per lei fin da allora, ma che era troppo cieco e ottuso per riconoscerlo. Ma lei con la pazienza sarebbe riuscita a mostrarglielo.
Ora che con la Granger era finita, Lavanda aveva tutto lo spazio per poter agire e per sperare di conquistare Ron, specialmente alla luce dei sorrisi e delle attenzioni che lui sembrava riservarle ultimamente. Ma doveva essere cauta. Aveva quest'occasione e nessun'altra, quindi doveva giocarla al meglio.
Calì aveva alzato le spalle, facendo poi un gesto con il mento in direzione di Lavanda.

- Tu sai meglio di chiunque altro cosa è meglio fare. Ma secondo me lei non si sta comportando in modo corretto, a tenere la questione in ballo. -


Lavanda aveva ricominciato a spazzolarsi i boccoli, con calma e con un sorriso sul volto, ma alle parole di Calì aveva reagito con un'espressione quasi di stizza.


- Non hanno granchè da chiarire in realtà, Calì. Si sono lasciati, lei l'ha lasciato, ma lui ha bisogno di parlarle per una questione sua personale, non per avere conferma di qualcosa che sa già. Finchè lei non gli avrà detto una volta per tutte che non vuole tornare con lui, io non ho speranza, perchè in qualche maniera lui si sente legato ad Hermione. -

Le era sfuggito un sospiro quasi sconsolato, all'idea di dover affrontare tanto, ma dentro di sé lei sapeva che quella di Ron era una fissazione, un'idea che era stata tanto comoda quanto tranquilla, per tutto quel tempo, ma con lei Ronald avrebbe trovato la vera passione, come era accaduto al sesto anno.


- Il fatto che sia legato a lei non implica che lei stia facendo in modo che lo sia? -


Lo sguardo malizioso di Calì alludeva più che esplicitamente all'idea che Hermione stesse cercando di tenere il piede in due scarpe, per essere single ma mantenendo sempre un certo guinzaglio su Ronald. Lavanda aveva scosso con forza la sua testolina ricciuta e le aveva lanciato uno sguardo di biasimo.


- Come sei meschina, Calì. Come puoi pensare che lei farebbe una cosa del genere? -


In quell'esatto momento, Hermione stava entrando dalla porta, giusto in tempo per intercettare l'ultima parte della frase di Lavanda.

- Chi non farebbe cosa, Lavanda? -


L'aveva chiesto curiosa, come per distrarsi dal nervosismo che l'ennesima discussone con Malfoy le aveva instillato nel petto. Lavanda aveva fatto un cenno di diniego con il capo, mentre si alzava per andarle incontro, con indosso la sua gonnellina giallo pallido e una t-shirt bianca.


- Nulla di importante, Hermione. Vieni con me in Sala Comune, vorrei parlarti di qualcosa. -

Dopo aver scoccato l'ennesima occhiataccia a Calì, l'aveva presa gentilmente per il gomito, guidandola con delicatezza giù per le scale che aveva appena percorso, fino a portarla nell'angolo accanto alla finestra che dava sul Lago Nero.
Si era seduta sul davanzale e le aveva fatto cenno di sedersi di fronte a lei.

- Di cosa volevi parlarmi, Lavanda? -


La ragazza si torturava le lunghe dita, stringendo una mano nell'altra ed offrendo ad Hermione un continuo alternarsi di bianco e rosso, dita e unghie. Si mordeva un labbro e sembrava non avere alcuna intenzione di parlare, poi ad un certo momento, aveva levato quegli occhioni azzurri nei suoi ed era partita in quarta, pronunciando un'intera frase senza apparenti pause.


- Non voglio impicciarmi degli affari tuoi, ma vorrei parlarti di Ron. -


Ad Hermione era sfuggito un sospiro a metà tra il divertito e il sollevato. Temeva di peggio, anche se non avrebbe saputo dire esattamente cosa.
Sapeva dell'interesse di Lavanda per Ron da sempre, ormai e non la stupiva affatto che lei, ora cercasse qualche informazione da lei.

- E che cosa dovresti dirmi? -

- Ecco, io... Volevo chiederti se avessi intenzione di chiarire con lui. Sai, in fondo, dopo la vostra lite non avete mai parlato e... - 

Lavanda aveva lasciato la frase in sospeso, ma con lo sguardo sembrava dirle chiaramente che era arrivato il momento di mettere le cose a posto.


- E tu come fai a sapere che noi non abbiamo mai parlato, dopo allora? -


La ragazza aveva abbassato lo sguardo, arrossendo sotto le lunghe ciglia bionde.

- Io...ehm... Ron mi potrebbe aver raccontato qualcosa... -

Hermione aveva trattenuto una risatina, davanti all'imbarazzo di Lavanda.


- Lavanda, stai tranquilla, non mi arrabbierò né con te né con lui per aver parlato di questa cosa e sto anche intuendo a cosa sia dovuta questa tua, come chiamarla, richiesta di informazioni... -


Davanti al sorriso sollevato di Lavanda, Hermione aveva proseguito.


- Immagino che Ronald non sia del tutto convinto che tra noi due sia davvero finita e, in qualche maniera goffa, deve averti fatto intendere che finchè non avrà chiuso del tutto con me, tu non potresti in alcun modo essergli vicina. Mi sbaglio? -


Lavanda aveva annuito vigorosamente, colma di ammirazione per la rapidità con cui Hermione aveva colto il nocciolo della questione.


- Bene, lo dico ora a te, Lavanda e cercherò di parlare con Ron appena possibile: io e Ronald non torneremo insieme. Io l'ho già perdonato per il suo comportamento tremendo dell'ultimo periodo, gli voglio molto bene, ma non voglio tornare con lui, nella maniera più assoluta. -


La scintilla di gioia nello sguardo di Lavanda era offuscata però dal dubbio.


- Ne sei sicura? -

- Si, Lavanda, sono sicura. -


Hermione aveva stretto una delle mani delicate della ragazza fra le sue e lei le aveva rivolto uno sguardo fiducioso.


- Vedi qualcun altro? E' per questo che non ti interessa più lui? -


Hermione si era tirata indietro di scatto, guardandola in viso con un sopracciglio sollevato.

- Lav, il fatto che ti abbia fatto una confidenza non ti autorizza a chiedermi ogni particolare degli affari miei. Ma comunque... No, non vedo nessun altro. Semplicemente ho capito che io e Ron non andiamo granchè bene come coppia. -

La conversazione si era chiusa con un sospiro di Lavanda, atto ad accogliere The King nella Sala Comune di Gryffindor.


- Vai pure Lavanda, non abbiamo altro da dire, noi due. -


L'aveva esortata con un gesto della mano e la ragazza si era alzata immediatamente, per andare incontro a Ron con un sorriso e cingergli un braccio con le mani. Lui le aveva risposto con uno sguardo caldo, quasi tranquillo.

Ad Hermione sembrava strano che non le provocasse nessun fastidio assistere a quelle moine, ma aveva dovuto rendersi conto che era così. Una volta avrebbe sentito un gran vuoto nel petto, nel guardare Ron sorridere alla Brown, ma ora no.
Sapere che presto avrebbero chiarito, che in qualche modo avrebbe potuto avere indietro la serenità degli anni passati, la faceva sentire leggera. Lei e Ron sarebbero tornati amici, lui avrebbe avuto Lavanda e tutto sarebbe filato liscio.


*****


Il pomeriggio successivo al ripasso con la Davies, Malfoy si stava dirigendo verso l'aula in cui avrebbero tenuto la lezione con il gruppo di studio. Aveva avuto una strana impressione, il pomeriggio precedente, come se quella ragazza non avesse alcun bisogno di aiuto in Pozioni. Era stata quasi eccellente, nella stesura del compito per il giorno successivo ed era inciampata soltanto un paio di volte, su argomenti tanto semplici da sembrare quasi che sbagliasse di proposito.
Non era molto brava a mentire, la ragazzina e mentire a Malfoy era ancora meno semplice che mentire a chiunque altro. Lui aveva fatto della menzogna un'arte e la piccola Davies non era altro che una dilettante.
Ma avrebbe scoperto che cosa tramava, anche fosse stata una semplice scusa per restare sola con lui, l'avrebbe smascherata. Ma non aveva notato occhi languidi o nemmeno una guancia arrossarsi. Era improbabile che la ragazzina avesse una cotta per lui, tanto più per il fatto che era da tutti risaputo con quanto ardore lei inseguisse Paciock qui e là per tutta Hogwarts.

Doveva esserci qualcos'altro di losco in quella richiesta.

Eppure aveva chiesto la stessa cosa anche alla Granger, come se avesse davvero necessità di qualcosa, oppure come se in un qualche modo avesse bisogno di avvicinarli entrambi.

Ci avrebbe pensato su, questo era poco ma sicuro.

Ormai era arrivato all'aula e la Granger lo aspettava al di là della porta, seduta sulla cattedra, le caviglie incrociate e lo sguardo fisso sulla punta delle scarpe.


Chissà a che sta pensando.


Ma che domande idiote si faceva?

- Trovato qualcosa di interessante? -

Hermione aveva fatto un salto di quasi un metro ed era scattata in piedi, la mano alla bacchetta, quasi in posizione di guardia.


- Come siamo suscettibili. Non attento alla tua vita, sono solo venuto a fare lezione. -


La guardava con l'espressione di scherno che Hermione tanto detestava e lei aveva ancora il petto che si alzava ed abbassava al ritmo di un respiro anche troppo accelerato.
Hermione aveva alzato lo sguardo nel suo e l'aveva guardato obliquamente, infastidita.

- Non ho paura di te, Malferret. Non mi fido di chi mi arriva alle spalle. -

L'espressione di Draco si era fatta in qualche modo amara, lo sguardo si era spostato da lei a qualcosa che probabilmente nessuno dei due poteva vedere. Aveva pronunciato la frase successiva con un ghigno sul volto.

- Brutti i ricordi di guerra eh? -

- Non sai quanto, Malfoy. -


Un risolino aveva lasciato le labbra del ragazzo, prima che lui parlasse ancora.


- Non ci contare. Lo so eccome. -

In quel momento il primo capannello di Gryffindor era arrivato nell'aula, infilandosi tra i due capiscuola che si fronteggiavano quasi al limite di un duello, ma con gli sguardi tristi di coloro che avevano già perso.
Li avevano guardati un po' perplessi, ma subito i due si erano mossi, prendendo ognuno il proprio posto, seduti sulla cattedra, ai due lati di essa.

In pochi minuti la classe si era riempita e avevano iniziato a girare tra i banchi per dare una mano con i compiti di Trasfigurazione. Alla fine del pomeriggio li avrebbero fatti esercitare, con gli uccellini che erano nella gabbia in fondo all'aula.

Sembrava che il silenzio si fosse fatto solido, rotto soltanto dai passi di Hermione sul pavimento e dal fruscio delle piume sulle pergamene.
Meredith Phelps stava impegnando tutte le sue capacità per concludere quel compito prima della fine di quella lezione; aveva appuntamento con Neville, dopo cena e non voleva avere compiti indietro.
Si rigirava una ciocca di capelli tra le dita, come era solita fare quando si concentrava, ma in un momento qualcosa di strano le era accaduto: aveva sentito qualcosa cedere e lo sguardo era caduto sulla pergamena, coperta appena dalla sua mano aperta.

L'urlo terrorizzato di Meredith aveva rotto il silenzio della stanza e i suoi capelli neri stavano posati sulla pergamena, sbavando l'ultima parola del compito: rivelazione.



Note:


  1. Il titolo è tratto da un verso di “Starlight” dei Muse:
    “Our hopes and expectations, black holes and revelations”.

  2. Le gonne corte delle divise delle ragazze sono un po' un gioco sul ficcynismo che accorcia le divise e di pari passo allo spessore della trama e un altro poco un omaggio a Savannah e alle Blue Ladies.

  3. A Quinn Davies piace molto, molto, molto il caffè. Mi auguro l'abbiate notato. XD

  4. Malfoy cerca Hermione per romperle l'anima, per infastidirla e per essere il più possibile pedante. Per ora non c'è niente di romantico nel suo avvicinarsi a lei, almeno in modo cosciente.

  5. Hermione che vuole colpire Malfoy è molto me. In realtà, su consiglio della fidata Rea la versione originale è stata limata per essere lievemente meno ME. La versione originale, infatti era: “... cercando dentro di sé un motivo valido per non sbattergli in faccia il libro di Antiche Rune finchè non avesse visto la materia cerebrale colargli dal naso”.
    In effetti era un po' troppo splatter, è vero. XD

  6. Forse è presto per l'avvicinamento tra Ron e Lav-Lav, ma per me loro sono una coppia perfetta e destinata, quindi in qualche modo si attraggono come una calamita. Quanto sono belliniiiiii! <3

  7. Calì è una stronza. Non ho altro da aggiungere.

  8. Hermione sta capendo parecchie cose su se stessa e su Ron. Soffre per la loro lontananza, ma ha capito che non è giusto per lei. Meno male, direi io.

  9. Qui casca l'asino. Meredith, le urla e i capelli sulla pergamena. u_u



Capitoletto un po' più breve, ma non potevo andare oltre senza rovinare questa parte.
In compenso sono stata inaspettatamente veloce, quindi spero che apprezzerete comunque.
I personaggi sono sempre più impazienti di raccontarsi, quindi spero di poter aggiornare presto, ma come sempre non posso assicurare nulla...

Ringrazio tutti, per le recensioni e le letture, apprezzo ogni parola ed ogni numerino che sale.
Scusate se non ho ancora risposto alle recensioni, ma ero immersa nello studio e nella stesura del capitolo, quindi ho preferito dedicarmi a questo in modo totale. Piano piano arriveranno anche le risposte, prometto.

Siete una gioia continua, non so come altro dirvelo. *__________*


Al solito, se vi va, potete venire a trovarmi nella mia nuova pagina autore, QUI.

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