Butterflies and Hurricanes di arwen_eli (/viewuser.php?uid=100357)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dopo. ***
Capitolo 2: *** Slytherin Pride. ***
Capitolo 3: *** Before the Beginning. ***
Capitolo 4: *** Cosce di pollo, armature e pugnali. ***
Capitolo 5: *** I soliti sospetti. ***
Capitolo 6: *** All apologies ***
Capitolo 7: *** Premonitions ***
Capitolo 8: *** Hopes and Expectations ***
Capitolo 1 *** Dopo. ***
A
Luisa, perchè senza di te non ci sarebbe neanche una riga su
questa
pagina e perchè se questa cosa ha dei genitori, tu sei di
sicuro
almeno il papà.
A
Jup, per la pazienza, per il suo “tenero
sollecitarmi” alla
pubblicazione e per tutto il resto...
A
Val perchè mi sopporta nelle chiacchierate notturne, quando
il
peggio di me esce prepotente e ancora continua a lanciarmi corde
lunghissime. E perchè siamo fiQue. Oh.
<3
Hogwarts.
6 Maggio 1998.
Uno
strano silenzio regnava sulla Sala Grande. Era la stessa sala che
aveva visto per anni generazioni di ragazzini crescere e diventare
adulti imparando la magia; la stessa sala che li aveva sentiti
bisbigliare intimoriti al primo anno prima della cerimonia dello
Smistamento e che li aveva sentiti cianciare allegri per le vittorie
delle partite di Quidditch o per la Coppa delle Case, che li aveva
guardati ansiosi e trepidanti, la mattina prima dei MAGO.
Quella
stanza che adesso guardava quei giovani, quasi dei bambini, seduti in
silenzio su sedie spoglie, accanto alle loro famiglie o a quel che ne
restava, stretti nella sola consolazione che poteva restare loro:
l'amore per chi era rimasto, il sollievo per chi era sopravvissuto.
Ogni
mattone della scuola sembrava stillare lo stesso dolore delle persone
che vi avevano dimorato, l'angoscia della perdita, della fine di vite
innocenti, dello stravolgimento del Mondo in cui avevano sempre
vissuto. Drappi neri pendevano dal soffitto della Sala, illuminata
dalla tenue luce del sole di maggio e in quel momento, alzando la
testa verso quello che era sempre stato l'incanto più
d'effetto, si
vedeva soltanto l'azzurro di un beffardo cielo estivo percorso da
qualche nuvola, come a sottolineare quanto la natura fosse poco
toccata dalle vicissitudini dei maghi. Quel cielo, però, non
era
proiettato per magia sul soffitto intatto, come era sempre avvenuto.
Era semplicemente il cielo. E lo si guardava attraverso lo squarcio
profondo che attraversava tutta la lunghezza della Sala. Sembrava una
ferita. Ed era sotto questa ferita, dentro una Hogwarts in ginocchio,
ma comunque vincitrice, che la comunità magica piangeva i
suoi
caduti.
Minerva
Mc Grannitt sedeva tra i suoi studenti, con lo sguardo verso quello
che per anni era stato il leggio da cui Silente aveva salutato il
nuovo anno scolastico, sapendo che era giunto per lei il momento di
alzarsi per raggiungere quel posto e per rendere omaggio a tutte le
vite che erano state spese per quella vittoria tanto agognata. Aveva
indossato l'abito verde che portava il primo giorno di scuola di
Harry, Ron, Hermione e di tutti gli studenti del loro anno, e
l'espressione migliore che era riuscita ad assumere, nonostante le
difficoltà. Aveva scelto quel colore per due motivi: avrebbe
simboleggiato la Speranza, che era stata donata loro grazie a quella
vittoria ma era anche il colore della casa di Serpeverde e per questo
avrebbe simboleggiato l'unione, il perdono, la capacità di
passare
oltre le difficoltà, per ritrovare lo spirito della Hogwarts
nascente. Si era avvicinata alla postazione del Preside, quella che
di diritto le spettava, a passi lenti ma decisi, aveva preso un
grande respiro e aveva alzato gli occhi sulla Sala gremita. Una sola
piccola occhiata al Ragazzo Sopravvissuto, poi aveva iniziato a
parlare.
“Avremo
il tempo per gioire di questa vittoria, avremo il tempo per
comprendere quanto preziosa sia per la nostra libertà. Ora,
in
quest'istante, la cosa da fare, ciò di cui tutti noi abbiamo
bisogno, è salutare coloro che hanno dato per tutto questo,
dei cui
frutti noi godremo in futuro, ciò che di più
prezioso potessero
donare. Non possiamo fare altro che essere grati a loro, alle loro
famiglie e ai loro cari per questo dono, perchè grazie a
questo,
potremo ancora dichiararci Maghi liberi.
Non
tesserò le lodi di ognuno né li
descriverò come persone speciali
nei loro pregi e nelle loro imprese. Erano per me, come per voi,
amici, fratelli, compagni, amori. E meritano di essere ricordati da
noi per come erano, senza creare immagini idealizzate. Li
abbiamo vissuti nella loro quotidianità, nei loro difetti e
nelle
loro insicurezze, ed è così, che resteranno nei
nostri cuori.
Quello
che vi chiedo, ora, è di pensare alle persone che abbiamo
perso in
questa battaglia e di ricordarle per quello che vi hanno donato, per
grande o piccolo che fosse. Ricordare i loro sorrisi o i loro
consigli, i loro abbracci o le loro ramanzine, i loro baci o le
pacche sulla spalla. Luna
Lovegood leggerà per noi i loro nomi, perchè non
siano mai
dimenticati, perchè nessuno di loro possa essere lasciato
solo.
Vieni Luna.”
Da
una sedia, in un angolo della Sala, la piccola figura di Luna si era
alzata rapidamente e si era diretta sicura verso la Docente di
Trasfigurazione. Indossava un abitino di un arancione pallido, che
scendeva fino alle ginocchia, lasciandole scoperte, a mostrare le
escoriazioni e lividi sulle sue gambe magre; le spalle erano coperte
da un golfino bianco di filo a piccolo punto, chiuso sul petto da un
solo piccolo bottone. Non aveva collane, ma indossava i suoi
orecchini a ravanello, con che ondeggiavano al ritmo dei suoi passi.
La
professoressa McGranitt le aveva ceduto il posto, posandole con
dolcezza una mano sul braccio, per guidarla davanti alla lista che
avrebbe letto di lì a poco. Luna aveva sorriso e con la sua
vocina
da bimba, che però sembrava aver perso un poco quel tono
svagato che
l'aveva sempre contraddistinta, aveva iniziato a scorrere quella
lista di ricordi.
-
Severus Piton, Serpeverde. -
Harry
Potter, seduto in prima fila, stringendo la mano di Ginny, aveva
chiuso gli occhi, ascoltando quel nome. Un macigno nel petto, a
ricordargli quante volte aveva accusato il professor Piton, quanti
sospetti e quante colpe gli aveva attribuito. Ricordava il turbamento
e la paura, davanti al lampo verde uscito dalla sua bacchetta diretto
al petto di Silente sulla Torre di Astronomia.
Gli
occhi neri di Severus, alla fine, mentre gli donava i suoi ricordi,
mentre gli chiedeva di guardarlo negli occhi, mentre se ne andava
bisbigliando il nome di sua madre.
Minerva
Mc Granitt aveva ricordato lo sgomento provato davanti al corpo senza
vita dell'amico Albus, il dolore che l'aveva spezzata, la rabbia
contro l'uomo che aveva ingannato anche il mago più saggio
che
avesse mai conosciuto. Aveva pensato all'uomo che aveva conosciuto e
accanto al quale aveva combattuto nell'Ordine e a quanto il suo
inganno fosse, in realtà, ben riuscito. Quell'uomo aveva
davvero
giocato tutti, lei compresa, ma la proporzione di quelle bugie e
specialmente la loro origine le avrebbero sempre lasciato un amaro
rammarico: quello di non aver capito prima quanto realmente fosse un
uomo di valore.
-
Remus Lupin, Grifondoro. -
Neville
Paciock aveva abbassato lo sguardo sulle sue mani, posate sulle
ginocchia, poi sull'orlo della gonna di sua nonna Augusta. Per quanto
potesse sembrare assurdo, aveva sorriso, riascoltando dentro di
sé
la risata del Professor Lupin davanti al molliccio che aveva assunto
l'aspetto di Piton con il cappello a corvo della nonna. Era stato il
primo vero professore di Difesa contro le Arti Oscure, aveva tenuto
le loro prime vere lezioni e, per la prima volta, gli aveva donato
quella briciola di fiducia in sé stesso che credeva non
avrebbe mai
trovato.
-
Nymphadora Tonks, Tassorosso. -
Hermione
Granger si era trovata davanti il viso di Tonks a Grimmauld Place,
pensando con tenerezza ai giochi che faceva con loro cambiando la
forma del suo naso, al colore improbabile dei suoi capelli e alla sua
goffaggine sempre fuori luogo che veniva compensata dalla sua
allegria e dal suo coraggio. Con gli occhi chiusi aveva rivisto il
momento in cui lei e Remus avevano annunciato l'arrivo del piccolo
Teddy con tutta l'emozione e quel poco di paura che ogni futuro
genitore prova almeno per un momento. Aveva spostato gli occhi su suo
figlio, che ora era sdraiato pacificamente in braccio ad Andromeda e
con un minuscolo dito si torturava una ciocca di capelli blu cobalto
che gli ricadevano sulla fronte.
-
Colin Canon, Grifondoro. -
Un
bimbetto con una macchina fotografica più grande di lui, la
sua
ossessione di fotografare Harry Potter in ogni momento, i suoi
appostamenti improbabili dietro ogni angolo potesse nascondere uno
scatto degno della sua attenzione; questi erano i ricordi che si
erano presentati alla mente di Harry, che non aveva potuto far altro
che aprire gli occhi e guardare di nuovo quei capelli biondi nascosti
dietro il flash, quando si era ripreso dopo la caduta per colpa dei
Dissennatori. E, ancora, lo spavento e il dispiacere di vederlo
pietrificato sul letto in infermeria, dopo la liberazione del
Basilisco dalla Camera dei Segreti. Era sempre stato un ragazzino
coraggioso, a modo suo, il piccolo Colin.
-
Fred Weasley, Grifondoro.-
Molly
Weasley era rimasta aggrappata al braccio di Percy per tutta la
lettura, aveva guardato i suoi figli a uno a uno, mentre scorrevano i
nomi sulla lista. Quando era arrivato il nome di Fred aveva ricordato
il suo sorriso irriverente a undici anni, accanto a quello di George,
quando appena scesi dall'Hogwarts Express avevano terrorizzato Ronald
con i racconti surreali dello Smistamento. Ricordava
quanto si divertissero ad invertirsi, il loro darsi forza e sostegno
l'un l'altro. Aveva rivisto i
suoi occhi
brillanti di eccitazione per il loro negozio appena aperto a Diagon
Alley, per il successo dei loro scherzi. Aveva osservato di nuovo il
panico
di Fred dopo aver saputo che George era stato ferito. Infine, aveva
spostato lo sguardo su George,
stretto
nell'ultimo maglione che aveva fatto per il suo gemello e, ancora una
volta, li aveva visti entrambi. Aveva stretto la mano di suo marito
fino a farsi sbiancare le nocche, mentre versava altre lacrime sulle
innumerevoli che erano già sgorgate copiose dalla notte di
quattro
giorni prima.
Ginny
Weasley aveva ricordato il suo primo giro su una scopa, quando aveva
sei anni, seduta davanti a Fred, che aveva finto di farla cadere una
decina di volte, facendola strillare a più riprese, mentre
George se
la rideva a crepapelle volando subito dietro di loro.
George
Weasley non aveva pensato a niente. Non aveva un ricordo per suo
fratello, non aveva un'immagine da richiamare; per lui non era come
gli altri, lui non aveva perso solo un fratello, se n'era andata
metà
di se stesso e nulla di quello che avrebbe ricordato sarebbe potuto
essere anche solo vicino a ciò che Fred era realmente per
lui.
Nessuno avrebbe capito quello che stava provando fino in fondo. Per
lui, d'ora in avanti, tutto sarebbe sempre stato vissuto a
metà.
Ronald
Weasley era immobile sulla sua sedia, con lo sguardo fisso sulla mano
di Hermione che gli stringeva la gamba, in una carezza che voleva
essere di conforto. Riusciva solo a sentire la voce di Fred l'ultimo
giorno che aveva trascorso a Hogwarts, mentre diceva a George:
“Credo
che abbiamo raggiunto l'età per interrompere la nostra
carriera
accademica”. Lo sentiva ridere di gusto e rivedeva la sua
schiena
allontanarsi sulla scopa. L'aveva invidiato, allora, avrebbe voluto
essere come lui, se non al suo posto. E ora, non c'era più
nessuno
da invidiare o da ammirare.
Per
molti minuti, era proseguita quella lettura e ad ogni nome, in tutte
le menti presenti nella sala era comparso un volto, un ricordo, un
aneddoto. Qualcuno aveva versato una lacrima, qualcun altro si era
appoggiato alla spalla della persona al suo fianco, cercando
lì la
forza che sembrava mancare.
Circa
cinquanta persone avevano perso la vita in quella battaglia ed ognuna
aveva una storia, una famiglia, ciascuna aveva lasciato
qualcuno che avrebbe sentito la sua mancanza. Infine, un ultimo nome
era stato pronunciato dalla voce di Luna, un nome riecheggiato in
silenzio tra le menti dei presenti nella sala:
-
Vincent Tiger, Serpeverde. -
Erano
stati secondi interminabili, quelli che avevano accompagnato Luna al
suo posto. Secondi che sembravano racchiudere troppe parole, troppi
rumori, troppi tormento. In questi attimi, Augusta Paciock aveva
raggiunto il leggio, alzando la testa dalle sue mani per guardare
negli occhi suo nipote con un sospiro di orgoglio e sollievo.
“Mi
hanno chiesto di dire qualcosa, oggi. Ho pensato molto a cosa fosse
giusto dire per commemorare questa battaglia e queste persone che vi
hanno perso la vita. Ma quello che ora mi sento di dirvi è
un po'
diverso. Ricordate ognuno di loro, mantenete vivo l'amore che provate
e il loro ricordo perchè potranno esservi, così,
un poco più
vicini. Ma non dimenticate mai che questa Guerra non è stata
la
Battaglia di Hogwarts; questa battaglia è stata l'esplosione
di una
malattia lenta e infida, che si è insinuata per anni nella
Comunità
Magica, silenziosa e crudele, portando via vite e sogni, speranze e
famiglie. La vittoria di oggi è una vittoria su anni di
paura, ma
soprattutto è una vittoria per mio figlio Frank e mia nuora
Alice, è
una vittoria per il mio Neville, per me e per il giovane Harry
Potter. Quella di oggi è la vittoria di tutti quelli che in
questo
stillicidio hanno perso qualcosa di importante, qualcosa che spettava
loro di diritto.
Quello
che vorrei ricordaste, quindi, è che questo giorno
soprattutto per
OGNI vittima di Voldemort e delle sue follie, per ogni persona che
sia morta per mezzo della sua bacchetta o per mano dei suoi gregari.
Per tutti coloro i quali, a causa sua, hanno subito una mutilazione,
che fosse del corpo o dell'anima.”
******
Ginevra
Weasley camminava nei corridoi della scuola da sola. Dopo la
cerimonia aveva salutato la sua famiglia e aveva detto loro che
preferiva restare lì ancora per qualche giorno; aveva
bisogno di
immergersi in quelle mura, di fingere per un po' che tutto fosse
normale, che a breve ci sarebbero stati gli esami, poi le vacanze e
che niente era cambiato.
Stava
girando da ore per quelle stanze e per quei passaggi che ormai
conosceva a memoria, che avrebbe potuto percorrere ad occhi chiusi.
Non riusciva a tornare in Sala Comune, non riusciva nemmeno concepire
l'idea di restare ferma in una stanza, seduta a non fare niente.
Di
dormire poi non voleva nemmeno sentirne parlare. Camminare senza meta
le era sembrata la sola soluzione plausibile. Non che ci avesse
lungamente pensato, prima di mettersi in marcia, solo che mentre lo
faceva per ritornare dal giardino in cui aveva salutato tutti, si era
resa conto che ogni cosa le sembrava più sopportabile,
mentre
metteva un piede davanti all'altro.
E
proprio così, mettendo un piede davanti all'altro, si era
ritrovata
davanti alla Palude Portatile lasciata in onore dell'impresa dei suoi
fratelli di un anno prima.
Quello
che però aveva trovato accanto a quel modesto monumento ai
gemelli
l'aveva sorpresa non poco. Suo fratello George era seduto sul ciglio
della palude, con in mano una bottiglia di Firewishky mezza vuota ed
ancora indosso il maglione di Fred. Fissava la superficie dell'acqua
fangosa, con le gambe raccolte al petto ed un braccio a cingerle
entrambe e di tanto in tanto portava la bottiglia alla bocca,
prendendone un lungo sorso, per tornare immediatamente a fissare la
palude.
-
George, cosa fai qui? Non eri andato alla Tana con mamma e
papà?-
Suo
fratello aveva sollevato lo sguardo e l'aveva osservata con
disattenzione, come se in realtà non la vedesse, poi aveva
l'aveva
fissata, come per riconoscerla solo in quel momento e si era aperto
in un mesto sorriso.
-
Hey Gin. Non mi sono mai smaterializzato. Appena tu ti sei
incamminata verso la scuola io sono venuto qui, passando per un'altra
strada. Brindavo a Fred, sai... Vuoi unirti a noi? - le aveva chiesto
alzando in modo significativo la bottiglia verso di lei, guardandola
con gli occhi lucidi per le lacrime e per l'alcol.
-
Certo che voglio.- aveva affermato Ginny, mentre gli si sedeva
accanto e gli prendeva dalle mani il Firewishkey per berne una
generosa sorsata.
Nessuno
dei due aveva detto una parola in più. Erano rimasti
lì seduti, a
guardare la Palude insieme; Ginny ricordando di nuovo ogni sorriso e
ogni gesto di suo fratello, ogni minuto passato insieme, ogni scherzo
subito e ogni diabolica marachella progettata, George semplicemente
ascoltando il silenzio; quello che era rimasto dentro di lui nel
momento in cui la risata di Fred era morta sulle sue labbra. Non
sarebbe più stata la stessa cosa, nemmeno lui sarebbe
più stato la
stessa persona.
Poi,
ad un certo momento, il solo motivo che avrebbe potuto smuovere i due
fratelli dal loro torpore, si era concretizzato: la bottiglia era
vuota. George l'aveva agitata davanti al naso di Ginny, poi si era
alzato e le aveva allungato la mano, per aiutarla ad alzarsi. Si
erano incamminati insieme verso la Torre di Griforndoro senza bisogno
di dirsi dove erano diretti. Barcollando e sostenendosi l'un l'altro,
affrontando non poche difficoltà davanti alle numerose rampe
di
scale che conducevano al dormitorio, erano giunti all'ingresso della
Torre. Una Signora Grassa con un braccio al collo ed una grossa
medicazione sulla tempia li aveva fatti entrare immediatamente, quasi
senza che Ginny le sussurrasse la parola d'ordine.
Appena
varcata la soglia della Sala Comune Ginny aveva avuto la sensazione
di essere osservata; le era bastato spostare lo sguardo dai suoi
piedi, che aveva faticato tanto a portare fin oltre quel pertugio,
per vedere la sagoma del Salvatore del Mondo Magico che la guardava
di sbieco dalla poltrona davanti al camino. Ma era durato solo per un
secondo, il secondo che precedeva la rovinosa caduta di George dietro
di lei, che l'aveva travolta, trascinandola con sé sul
pavimento.
-
Scusami sorellina, sono inciampato.- aveva detto biascicando, mentre
strisciava verso il tappeto cercando di rialzarsi.
Harry
si era alzato senza proferire verbo, aveva aiutato George a
rimettersi in piedi e poi era andato da lei, che era ancora sdraiata
sul pavimento, indecisa se ridere per l'assurdità della
caduta,
vomitare per la nausea che le era salita dopo il ruzzolone o piangere
ogni lacrima che le era rimasta per suo fratello. Le aveva spostato i
capelli da davanti al viso e poi l'aveva presa in braccio, facendole
poggiare la testa sulla sua spalla. Da quella posizione Ginny aveva
guardato George sedersi scompostamente su uno dei divani e guardare
le fiamme del camino con un'espressione distratta, persa, assente.
Harry le aveva baciato la fronte e poi si era avventurato su per le
scale del dormitorio maschile, fino alla sua stanza. Non c'era
nessuno quella notte. Neville era tornato a casa con la nonna,
così
come tutti gli altri, tranne Ron che era disperso chissà
dove,
probabilmente con Hermione. L'aveva adagiata sul letto con dolcezza e
le aveva staccato le mani dalla sua camicia, dove lei le aveva
serrate con forza.
-
Non vado da nessuna parte Gin, tranquilla. Avanti, sdraiati.-
Continuava
a sentire la testa girare, lo stomaco ribellarsi alla sua brillante
idea di consolarsi con la bottiglia e un vuoto terribile dentro il
petto. Harry era lì con lei, questa volta, anche se la sua
vista non
le rimandava un'immagine che si sarebbe potuta definire propriamente
nitida; era seduto sul bordo del letto e la guardava con
un'espressione impotente.
Avrebbe
tanto voluto fare qualcosa per lei, per lenire quel dolore, per farla
sentire meno vuota; non riusciva a capire la sua scelta di ubriacarsi
a quel modo, non comprendeva come avesse potuto preferire quello al
conforto, seppur irrisorio, che lui le avrebbe potuto offrire con le
sue parole, con il suo affetto. Ma non doveva capire, né
giudicare.
Si era sforzato di pensare a questo, mentre la vedeva sollevarsi sui
gomiti verso di lui.
Ginny
guardava negli occhi l'Eroe del Mondo magico, vedendo soltanto quel
verde che per tutto quell'anno scolastico l'aveva tormentata, di
notte nei sogni e di giorno nei ricordi. Guardava negli occhi di
Harry e vedeva finalmente l'amore che lui provava per lei, libero
dalla paura di Voldemort, libero dai troppi vincoli che lui stesso si
era imposto prima della vittoria, paventando lo
spauracchio
della Guerra, i timori per la sua sicurezza. Ancora prima di
rendersene conto in modo cosciente Ginevra aveva scelto come provare
a superare quella notte, come tentare di restare a galla. Aveva
afferrato il colletto della camicia di Harry con una mano, mentre con
l'altra si sosteneva per restare seduta sul letto senza ondeggiare
pericolosamente, e l'aveva tirato verso di sé. Non appena le
loro
labbra si erano incontrate aveva sentito qualcosa sciogliersi e il
dolore diventare liquido nel petto. Non se ne sarebbe andato, questo
era certo, ma in quella forma forse sarebbe stato più
sopportabile.
Harry era rimasto rigido davanti a quell'assalto completamente
inaspettato, ma quando Ginny si era lasciata cadere sul materasso,
trascinandolo con sé, aveva capito che niente importava
più. Si era
fatto trasportare da lei, dalle sue mani che gli slacciavano
febbrilmente ogni bottone della camicia, dalle sue labbra che
assaggiavano ogni centimetro del suo torace.
L'aveva
sognata a lungo, durante l'inverno alla ricerca degli Horcrux,
l'aveva immaginata con sé in ogni momento, ma mai avrebbe
pensato
che sarebbe stato così, con tutta questa rabbia e questo
dolore, che
si sarebbero ritrovati. Aveva lasciato che ogni sentimento provato,
che ogni scheggia di sofferenza e di rancore fluissero, attraverso di
loro, fuori dai loro corpi. Il profumo di Ginny, la sensazione della
sua pelle sotto le dita, gli avrebbero permesso di ricominciare da
capo.
Ginny
aveva assaporato di nuovo l'odore di Harry, il suo sapore, il calore
delle sue mani; aveva lasciato che la passione per lui si facesse
spazio nella sua mente, schiacciando in un angolo, per qualche
momento, tutto il resto. Non ci era riuscita, ma l'angoscia che
provava aveva trovato sfogo in quell'unione, il dolore per ogni
perdita aveva trovato un flebile conforto nel sentirlo con
sé,
finalmente, dopo tanti mesi. E quando l'aveva sentito spingersi in
lei, con quel desiderio per tanto tempo rimasto insoddisfatto, aveva
lasciato andare le lacrime.
*****
Hermione
stava cercando Ron da più di mezz'ora ormai. Dopo la
funzione in
Sala Grande erano andati con Ginny a salutare tutta la famiglia nel
giardino della scuola, li avevano guardati per qualche momento mentre
si allontanavano a piedi verso Hogsmeade per potersi smaterializzare
e poi si erano avviati insieme verso le porte del grande castello.
Erano
passati davanti al grande spiazzo che a settembre, al ritorno a
scuola degli studenti, avrebbe ospitato il Memoriale per le vittime
di Voldemort. Avevano deciso di sistemarlo sulla collina, in modo che
potesse dominare tutta la scuola dall'alto e che tutti coloro i quali
sarebbero entrati l'avrebbero visto lassù, con tutti i nomi
e con
tutti i ricordi che racchiudeva.
Ron
non aveva parlato molto durante tutto il pomeriggio, lo aveva fatto
solo per esporre qualche informazione assolutamente necessaria oppure
per avvertirla di qualcosa.
“Mione,
stai attenta al gradino.”
“Mione,
vado un attimo in bagno. Aspettami.”
“Mione
facciamo una passeggiata sul Lago.”
“Mione,
ho fame, scendiamo in Sala Grande per cena.”
Durante
tutte quelle ore aveva tenuto stretta la sua mano freddissima nella
sua, bollente, e l'aveva trascinata di qua e di là in ogni
cosa
sentisse la necessità di fare e lei l'aveva seguito,
assecondando
ogni suo desiderio.
Ora
erano seduti in Sala Grande, per cena appunto, ed Hermione guardava
Ron mangiare ogni oggetto commestibile fosse presente su quella
tavola; si chiedeva, molto malignamente, pensò tra
sé, se sarebbe
stato capace di mangiare anche uno Schiopodo Sparacoda, se inondato
di salsa e presentato in un piatto. La risposta che si diede era che,
si, probabilmente l'avrebbe fatto.
Si
riprese mentalmente per quel pensiero cattivo e sorrise al suo
ragazzo, che le restituì un sorriso stentato, nascosto
dietro ad un
bicchiere di succo di zucca. Il suo ragazzo. Ancora non riusciva bene
a capacitarsi di quanto stava succedendo.
Amava
Ron? Certamente.
Aveva
sperato per tanto tempo che si accorgesse di lei, che riuscissero a
stare insieme.
Era
felice? No.
Ma
anche questo era perfettamente normale. Si erano scambiati quel bacio
fugace, in un momento che era il meno appropriato possibile
all'esternazione di un sentimento di quel genere, dopodichè
la
tragedia della morte di Fred e di tutti gli altri si era abbattuta
sulle loro teste.
Non
aveva avuto neanche il tempo di essere felice, perchè il
dolore
aveva immediatamente preso il posto di qualunque esaltazione o
manifestazione di gioia avesse tentato di affacciarsi ai loro cuori.
Dalla
fine della battaglia in poi era stata accanto a Ron in ogni momento,
perchè aveva percepito il suo bisogno di sentirla con
sé, ma
l'unico gesto che lui aveva continuato a fare, nei suoi confronti,
che si discostasse un poco dall'amicizia, era quel suo costante
tenerle la mano, in ogni momento.
L'aveva
lasciata soltanto ora, mentre erano seduti al tavolo ed aveva
comunque preteso che lei gli stesse seduta accanto, non di fronte,
per poterla sentire vicino.
Ron
si era rifugiato in Hermione perchè era la sola persona che
riusciva
a sopportare di avere di fianco senza crollare; lei gli dava quella
sensazione di sicurezza, di pace, che aveva trovato soltanto tra le
braccia di sua madre, quando da piccolo veniva tormentato dai
dispetti dei gemelli.
I
gemelli. Fred.
Si
era alzato di scatto dal tavolo, trascinando con sé parte
della
panca e facendo sussultare Hermione per lo spavento. Si era
precipitato fuori dalla Sala Grande, lontano dalla vista di tutte
quelle persone che sentiva di conoscere appena, lontano da tutti
quegli occhi giudicatori, e poi su per le scale. Si era fermato su un
pianerottolo e seduto su uno dei davanzali delle grandi finestre
gotiche della scuola. Finalmente, lì, lontano da ogni
sguardo, si
era lasciato andare al pianto che aveva trattenuto per quattro
giorni.
Hermione
l'aveva raggiunto in pochissimi minuti, giusto il tempo di capire che
strada avesse preso e di seguirlo su per le scale. L'aveva trovato
accovacciato nella nicchia della finestra, con la testa appoggiata
sulle ginocchia e le spalle scosse dai singhiozzi. Sembrava un
bambino cresciuto troppo e troppo in fretta, racchiuso in quel
piccolo spazio.
Si
era avvicinata a lui e gli aveva circondato le spalle con un braccio,
per poi posargli un bacio leggero sulla testa.
-
Ron...- gli aveva sussurrato - Hey, guardami. Non devi nasconderti. -
Aveva
soltanto mugugnato qualche sillaba, scuotendo la testa senza alzarla
dalle ginocchia.
-
Non nasconderti da me almeno, dai. -
Gli
aveva preso il viso tra le mani, poggiando i palmi sulle guance umide
di lacrime e l'aveva sollevato verso il suo. Ron aveva subito fuggito
il suo sguardo, come se si vergognasse di quella manifestazione di
dolore.
Lei
gli aveva asciugato una lacrima con il pollice e poi si era sporta un
poco verso di lui, poggiando le labbra sulle sue in un bacio dolce,
tenero, che voleva essere una manifestazione di affetto sincero, di
comprensione, di vicinanza. Si era allontanata quasi subito, per
prendergli poi la mano e tirarlo giù da quella finestrella.
-
Vieni con me.-
L'aveva
portato nel corridoio che conduceva all'aula di Divinazione, quello
più lontano dal trambusto prodotto dalle persone che erano
rimaste
nella scuola; aveva frugato per qualche minuto nelle tasche dei jeans
e vi aveva trovato quello che stava cercando.
Mai
qualcuno avrebbe scommesso sulla presenza di un simile oggetto nelle
tasche del Prefetto Granger, eppure, ne aveva estratto uno dei Fuochi
d'Artificio dei Tiri Vispi Weasley e l'aveva acceso, sotto lo sguardo
esterrefatto del suo ragazzo.
Lampi
e spirali rossi e oro si erano librati sopra le loro teste per
qualche minuto e mentre li guardava, Hermione aveva stretto la mano
di Ron, che l'aveva attirata contro il suo petto per abbracciarla.
Solo allora, in quel momento, si rese conto di quanto il dolore per
la morte di Fred fosse anche un suo diritto, quanto anche lei
l'avesse amato e quanto anche lei, pur non essendo una Weasley, ne
avrebbe sentito la mancanza.
Quando
i bagliori dei Fuochi si erano dissolti, si era girata verso Ron e
quando lui aveva visto le lacrime sul suo viso aveva scosso la testa,
gliele aveva asciugate con una mano e l'aveva baciata con foga, quasi
goffamente, stringendola a sé con quelle braccia grandi, che
ancora
stava imparando a comandare. Lei si era divincolata dalla presa poco
dopo e si era incamminata verso la propria camera. Ron l'aveva
seguita, caracollandole dietro per afferrarle di nuovo quella mano,
come durante tutto il giorno.
Una
volta in camera, Hermione si era nascosta dietro l'anta dell'armadio
per togliersi gli abiti che aveva tenuto per tutto il giorno, per
indossare un paio di pantaloncini blu e una semplice maglietta, molto
abbondante. Ne aveva lanciata una uguale a Ron e l'aveva raggiunto
sul letto.
Si
era seduta sul materasso, con le gambe allungate in avanti e la
schiena poggiata alla testiera e aveva fatto cenno al suo ragazzo di
raggiungerla. Lui si era rannicchiato accanto alle sue gambe e le
aveva poggiato la testa in grembo, mentre le accarezzava le gambe con
una mano.
Ron
aveva sentito subito la consueta sensazione di pace, quella che
provava quando Hermione gli restava accanto e aveva chiuso gli occhi,
cercando di congelare quel momento.
Si
erano addormentati così, con le mani di Hermione tra i
capelli di
Ron e con il pensiero che forse, un giorno, sarebbero stati anche
felici, insieme, senza quel retrogusto di malinconia che aveva
permeato ogni momento, da quel loro primo bacio.
Benvenuti
nei meandri della mia mente malata. Il titolo è CHIARAMENTE un omaggio ai Muse (tanto tanto amore per loro) e una sorta di "ispirazione" per quello che accadrà nella storia. Si, non si capisce, lo so, ma sono malefica. :)
Ringrazio
ognuno di voi per essere arrivato fino qua, è già
una grande
cosa e ringrazio quei lettori fedeli che non mi abbandonano mai (si si dico proprio a voi)... xD
Questa
storia parte canon che più canon non si può,
almeno per me, ma se
siete amanti delle cose fatte come vuole mamma Row diffidate di me,
sono quanto di peggio potrebbe capitarvi, a discapito di quanto possa
sembrare. Questo è solo l'inizio e la storia ha intenzione
di
discostarsi parecchio.
Non
ho moltissimo da dire per introdurre alla faccenda. Come avrete capito
e immaginato
si piazza subito dopo la sconfitta di Voldemort e non terrà
conto
nella maniera più assoluta dell'epilogo, che per me
è assolutamente
irrilevante, anzi oserei dire inesistente.
Aspettatevi
parecchie testoline bionde e parecchio Slytherin Pride, tengo sempre
per il lato Oscuro e ne vado molto fiera, che ci vogliamo fare... xD
Per
questa volta vi lascio brevemente, ricordandovi solo che se volete
addentrarvi ancora di più nella mia folle psiche, potete
venire a
trovarmi su Facebook. Sono QUI.
xD
|
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Capitolo 2 *** Slytherin Pride. ***
A
Rea (Somma
Autrice) perchè anche solo vedere il tuo nome lì,
tra quelli che
seguono, mi ha fatto prendere un colpo.
A
tutte le mie
donne, tutte le innamorate di Malfoy che hanno sentito la sua
mancanza nel primo capitolo. Ora è qui, tutto per noi.
Malfoy
Manor, 6 Maggio 1998.
Narcissa
Black Malfoy si era svegliata quella mattina sapendo che la giornata
che la attendeva sarebbe stata tutt'altro che piacevole e poteva dire
senza alcun dubbio che la parte che era trascorsa era stata
assolutamente all'altezza delle aspettative.
Aveva
deciso, di comune accordo con suo marito, di non presenziare alla
cerimonia indetta ad Hogwarts per la commemorazione dei caduti
durante la battaglia. Nessuno dei due credeva fosse appropriata la
loro presenza in quella circostanza, nonostante con il suo gesto
avesse contribuito non poco alla vittoria del Ragazzo Sopravvissuto,
e avesse permesso loro di schierarsi, anche se all'ultimo momento,
dalla parte dei vincitori. Sapeva per certo che la sola vista della
loro famiglia avrebbe destato non poco disappunto in quel luogo e per
quella cerimonia, visti i loro trascorsi e la loro posizione, ma
soprattutto dato che si sarebbero presentati tutti e tre sani e
salvi.
Narcissa
non si vergognava affatto né del suo passato né
di nessuna delle
scelte fatte. Aveva agito per come riteneva giusto nella maggior
parte dei casi e negli altri aveva fatto le scelte che più
sarebbero
convenute, se non a lei, a Draco.
Aveva
desiderato, come ogni madre, il meglio per suo figlio e quel meglio
si era per anni concretizzato nel consolidare la loro posizione di
Purosangue, nel mantenere quello status quo che a loro tanto faceva
comodo, nel seguire i principi con cui Lucius in primis e lei
nondimeno, erano stati cresciuti. Le cose erano cambiate quando
Lucius era finito ad Azkaban, quando Voldemort aveva voluto Draco con
sé, quando a suo figlio era stato imposto il Marchio Nero.
Dal
canto suo Draco non aveva opposto resistenza, anzi, da degno figlio
di suo padre aveva accettato la sua missione e aveva fatto del suo
meglio per portarla a termine. Ma in quel momento Narcissa aveva
visto vacillare le sue certezze. Aveva visto per la prima volta
Voldemort per quello che era, un Signore vendicativo e crudele,
capace di rubare i sedici anni di suo figlio pur di avere
soddisfazione per il fallimento di Lucius.
Aveva
chiesto aiuto, aveva ottenuto protezione per Draco e aveva messo la
vita di suo figlio nelle mani di colui che alla fine, si era rivelato
il deus ex machina di tutta la faccenda.
Aveva
infine fatto la sua scelta, quella notte di quattro giorni prima,
regalando quel vantaggio a Potter. L'aveva fatta per suo figlio e
perchè tutti, lei compresa, potessero ancora avere un
futuro,
quindi non si sarebbe presentata davanti a una folla di Mezzosangue a
farsi giudicare dai loro bisbigli come una criminale. Né a
maggior
ragione avrebbe portato Draco a subire le loro insinuazioni e i loro
sospetti, per fondati o meno che fossero.
Quello
che tutte quelle persone non ricordavano o che tralasciavano senza
alcun riguardo, era che anche loro, specialmente lei, avevano perso
qualcuno. Bellatrix Lestrange era sua sorella e niente avrebbe
cambiato questa realtà. La sua folle lealtà e il
suo amore per la
causa dell'Oscuro Signore l'avevano resa una furia cieca e
irrazionale, ma restava comunque e sempre la sua Bella. Probabilmente
meritava la morte e con ancora maggiore probabilità lei
stessa
l'avrebbe desiderata, in quella circostanza, piuttosto che vivere in
un mondo in cui l'Oscuro Signore era stato sconfitto, ma questo non
alleviava di certo il dolore di Narcissa per la perdita della
sorella.
Come
stabilito, quella mattina Narcissa aveva seppellito sua sorella,
senza molte cerimonie e senza discorsi inutili e falsi. Nessuno era
presente in quel momento, se non le sole persone che avrebbero potuto
capire la sua necessità di dare a Bella un riposo dignitoso,
nonostante il modo in cui aveva scelto di impiegare la sua vita: suo
marito e suo figlio.
Forse
Andromeda avrebbe capito? Di certo non ora, non con sua figlia
vittima degli scontri e con un nipotino di qualche mese che avrebbe
passato la vita da orfano. Nessuno poteva comprenderla fino in fondo,
temeva. Aveva paura per suo figlio, per quello che lo attendeva dopo
quell'estate di pace, per le sfide che avrebbe dovuto vincere, in
primis con se stesso, solo per riuscire a camminare a testa alta dopo
ciò che era accaduto.
Sopra
ogni cosa, però, Narcissa temeva per suo marito, per il suo
Lucius.
Fin dal minuto seguente alla caduta di Voldemort, anzi anche da
prima, Narcissa aveva fatto i suoi calcoli e in ogni
supposizione, in ogni ipotesi, per quanto positiva cercasse di
essere, aveva dovuto tenere conto della posizione ben poco felice di
suo marito. In quei pochi giorni che erano seguiti alla battaglia
nessuno aveva parlato di processi, di condanne, di pene da scontare;
tutti erano concentrati su quanto avevano perso, su quello che
mancava. Ma lei sapeva bene che sarebbe arrivato un momento in cui
tutti i “buoni”, come immaginava amassero
definirsi, si sarebbero
svegliati dal loro torpore e avrebbero iniziato a reclamare la loro
giustizia. Quello era il momento che temeva di più in
assoluto,
perchè era certa che suo marito non sarebbe stato giudicato
con
clemenza né indulgenza e perchè una parte di lei
nutriva la paura
che anche Draco non ne sarebbe uscito completamente pulito. Concetto
particolare, quello della giustizia. Era certamente ingiusto, su
questo conveniva certamente anche lei, che dei giovani fossero morti
per difendere i loro ideali, che tutte quelle vite fossero state
spezzate. Era ingiusto anche che le idee con cui era cresciuta e che
aveva sempre condiviso fossero state lentamente distorte ed
estremizzate, fino a diventare la grottesca bandiera sotto la quale
Voldemort aveva raccolto i suoi seguaci. Era ingiusto, infine, che la
vita di suo figlio fosse stata manovrata per due anni con le minacce,
con la paura e con la vergogna. Di questo nessuno avrebbe tenuto
conto, durante il processo, perchè questo non faceva di
certo parte
del loro concetto di giustizia.
Narcissa
era in compagnia di queste riflessioni quando era stata sorpresa
dall'arrivo di un gufo sul davanzale della finestra della sua stanza.
Le ante erano aperte, a lasciare entrare un po' dell'aria tiepida del
pomeriggio, quindi l'animale era potuto entrare indisturbato, per
posarsi sul piccolo scrittoio all'angolo della camera. La donna si
era alzata dalla poltrona in cui era accomodata e dopo essersi
avvicinata, aveva slacciato la missiva dalla zampetta del volatile,
che si era allontanato immediatamente.
Carissima
Mrs. Malfoy,
in
qualità di Preside di Hogwarts le scrivo per manifestare il
mio
dispiacere nell'aver notato la vostra assenza alla Cerimonia di
questo pomeriggio. Era nel vostro pieno diritto essere presenti e
spero questa vostra decisione sia stata presa per impegni o
motivazioni che esulino da quelle che ormai voglio considerare
vecchie convenzioni, che sarà nel mio interesse estirpare al
più
presto. Desidero che Hogwarts torni ad essere la scuola sicura e
serena che è stata per moltissimo tempo, in cui ogni
studente, quale
che sia la casa a cui è assegnato, possa trovare uguale
trattamento
e riguardo.
Cordiali
Saluti
Minerva
Mc Granitt.
Le
erano schizzati gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa, alla
lettura di quelle parole, che erano inaspettate quanto una bella
nevicata in pieno luglio. Era a conoscenza del fatto che la Mc
Granitt fosse una donna molto intelligente e decisamente diplomatica,
ma da lì a scriverle per rassicurarla, anche se in modo
velato,
sulle sue intenzioni riguardo la condotta che avrebbe adottato
Hogwarts nei confronti della maggior parte dei figli di ex
Mangiamorte, ne passava.
O
doveva forse considerare questa lettera una sorta di rimprovero per
non essere stata presente in un momento di raccoglimento che non le
apparteneva, ma che avrebbe dovuto sentire suo per meglio integrarsi
nel Mondo Magico che sarebbe venuto dopo la vittoria di Harry Potter?
Qualunque
cosa la Mc Granitt avesse voluto dire, con quel biglietto, l'effetto
che aveva avuto sullo stato d'animo di Narcissa era assolutamente
positivo. Draco sarebbe potuto tornare a scuola, in una scuola in
cui, nonostante tutto, avrebbe dovuto affrontare parecchie
difficoltà, specialmente visto il segno indelebile delle sue
scelte
sul braccio sinistro, ma con la Mc Granitt dalla sua parte, non
avrebbe dovuto temere per nulla.
I
sussurri alle spalle e le parole vuote della gente erano comunque
un'abitudine per i Malfoy ed era sicura che Draco li avrebbe
sopportati, anzi ignorati, con grande maestria.
Con
un sospiro di sollievo si era quindi sistemata più
comodamente sulla
poltrona, aveva allungato la mano verso il suo romanzo e aveva
iniziato a leggere, in attesa dell'arrivo di Lucius e Draco per la
cena. In fondo, quella giornata, poteva anche non finire
così male.
****
Il
protagonista di tante materne preoccupazioni camminava nel parco di
Malfoy Manor, in cerca di un minimo di tregua dalle soffocanti
attenzioni degli elfi domestici che sua madre Narcissa gli aveva
sguinzagliato appresso.
Fino
a pochi minuti prima era seduto sulla balaustra di uno dei terrazzi
della casa, ma, per l'appunto, il suo tentativo di relax era stato
brutalmente interrotto dal sonoro “pop” dell'elfo
domestico che
gli era personalmente assegnato, che si era materializzato
lì
tentando di svolgere chissà quale fantasiosa mansione
Narcissa
avesse studiato per lui. Draco non gli aveva dato nemmeno il tempo di
aprire bocca e lo aveva liquidato con poche parole, semplici quanto
efficaci.
-
Sparisci dalla mia vista inutile essere. -
La
bestiola si era accartocciata su se stessa con un gemito ed era
scomparsa con la stessa rapidità con cui era arrivata,
probabilmente
per andare a punirsi infilando una mano nell'acqua bollente.
A
quel punto Draco aveva deciso di allontanarsi da casa, nella speranza
di non essere seguito anche lì e di riuscire ad avere se non
la
pace, almeno il silenzio.
Da
quando erano tornati a casa dopo la battaglia, dopo che Potter era
uscito trionfante da quell'epico combattimento contro il più
grande
mago di tutti i tempi, Narcissa aveva passato una buona metà
del suo
tempo, quello che non impiegava nella gestione della villa e nella
sistemazione degli affari di famiglia dopo la morte di Bella, a
preoccuparsi del benessere di suo figlio in ogni minima sfumatura. Il
fatto che questo figlio avesse ormai quasi diciotto anni e che fosse
sopravvissuto a catastrofi ben peggiori di una camicia non
perfettamente stirata, sembrava non scalfire la sua ferrea
convinzione che, dopo quello che era successo, Draco avesse bisogno
di essere il più possibile “protetto” da
ogni stress.
Inutile
aggiungere che era proprio questa una delle cose che maggiormente
stressava l'oggetto di tutte queste attenzioni. La sua non era mai
stata una famiglia da coccole e smancerie e nemmeno lo era adesso, ma
tutta quest'aria da principino che sembrava gravitargli attorno lo
imbestialiva terribilmente. Non voleva essere protetto da nessuno e
non riteneva di dover essere trattato con i guanti bianchi solo
perchè tutto il mondo in cui era cresciuto e tutti i valori
che gli
erano stati insegnati erano crollati grazie a un ragazzino con uno
sfregio in fronte.
Non
poteva negare di certo che quella vittoria non fosse conveniente
anche per lui, per loro, ma d'altra parte non poteva smettere di
pensare che quel mondo in cui aveva vissuto fino al quinto anno, fino
a quando era stato marchiato, gli sarebbe mancato.
Tutto
quello che gli serviva era essere lasciato in pace.
Pace.
In fondo, era esattamente quello che il Mondo magico stava vivendo in
quel momento.
La
pace. Era incredibilmente ironico quanto quel sostantivo che
rappresentava uno stato dei fatti tanto agognato da tutti
significasse per lui un tormento altrettanto ferventemente respinto.
Avrebbe voluto dimenticare, avrebbe voluto poter tornare al quarto
anno, quando il mondo girava ancora per il verso giusto, quando
poteva guardare dall'alto in basso i Mezzosangue dal suo palco
riservato ai Mondiali di Quidditch, quando ancora girava per Hogwarts
fiero della sua posizione, con i suoi compagni al fianco.
Cosa
gli era rimasto ora? Un Marchio sull'avambraccio sinistro che per
tutta la vita l'avrebbe seguito, ricordandogli i suoi fallimenti,
ricordando agli altri da che parte era stato; gli era rimasto il
vuoto lasciato dalla scomparsa di un amico.
Draco
non aveva parlato con nessuno di quello che provava riguardo la morte
di Tiger; non era necessario, non era da lui. Non avrebbe ammesso a
nessuno il suo senso di colpa, né avrebbe confessato a
chicchessia
quanto sentisse la sua mancanza. Non voleva condividere il suo dolore
con nessuno perchè sarebbe stato come ammettere un'altra
debolezza.
Lui che di debolezze aveva dovuto ammetterne anche troppe, dopo
quella sconfitta, dopo la questione Silente, e che
avrebbe
dovuto chinare la testa molte volte e zittire l'orgoglio ancora
chissà quante altre, per tornare in quella scuola popolata
da
seguaci dello Sfregiato, Mezzosangue e Sanguesporco.
Ma
sua madre voleva così, suo padre sembrava concordare, anche
se con
molta meno convinzione, e lui non li avrebbe di certo delusi.
D'altro
canto, cosa avrebbe potuto fare altrimenti?
Nessuno
avrebbe sostenuto i MAGO quell'anno, visto che erano stati sospesi,
quindi era prevedibile che sarebbero tornati tutti a Hogwarts per
completare l'ultimo anno.
Avrebbe
dovuto lasciar stare?
Sarebbe
forse stato meglio evitare di tornare tra quelle mura, sotto quegli
occhi indagatori, ad ascoltare tutti i sussurri e tutte le parole
dette alle spalle?
No.
Non aveva paura di nessuno di loro, non avrebbe più temuto
nulla,
non adesso. Sarebbe tornato, avrebbe alzato il suo sguardo algido su
di loro e li avrebbe ignorati, nel migliore dei casi, derisi per le
sciocchezze che andavano pensando, negli altri.
Merlino,
era ancora un Malfoy, questo non poteva toglierglielo nessuno.
Aveva
appellato la sua Firebolt, che era sfrecciata attraverso gli alberi
per fermarsi docilmente al tocco della sua mano. Aveva accarezzato
quel legno e con eleganza vi era salito a cavalcioni, percependo per
la prima volta in quella giornata un barlume di
tranquillità. Con
dolcezza si era sollevato da terra e soltanto in quel momento aveva
capito quanto avesse bisogno di volare.
Aveva
sorvolato, tra picchiate e spirali lente, tutta la proprietà
di suo
padre ed era rimasto in volo per un tempo che non avrebbe saputo
definire. Come era sempre stato, salire su una scopa e staccarsi dal
suolo era la soluzione, anche se temporanea, per ogni suo cruccio.
Aveva
amato volare sin dalla sua prima volta su una scopa, quando, a cinque
anni, gliene avevano regalata una in miniatura, che volava non
più
in alto di un metro e mezzo, ma che gli aveva fatto provare per la
prima volta l'emozione di staccare i piedi da terra. Era rimasto
attaccato a quella piccola scopa per settimane, se la portava dietro
ovunque, suscitando le tenere risate di sua madre e i rimproveri
orgogliosi di suo padre.
Era
sempre stato così con lui, rimproveri e parole dure che
nascondevano, a volte nemmeno troppo bene, l'amore che provava per
quel figlio desiderato e amato. Ed era stato così anche con
quella scopa. Gli aveva detto che doveva smetterla di portarsela dietro
come
se fosse l'orsacchiotto di una femminuccia, ma quando il piccolo,
punto nell'orgoglio maschile, l'aveva lasciata in camera per la prima
volta, gliel'aveva fatta portare in giardino da un elfo, dicendogli
di mostrargli che cosa sapeva fare, su quel piccolo aggeggio. Non gli
aveva fatto alcun complimento né lo aveva incitato o
festeggiato, ma
il ghigno soddisfatto che gli aleggiava sul viso era più che
sufficiente.
Mentre
scendeva nell'ennesima picchiata verso il cortile anteriore della
villa, Draco si era accorto che c'era qualcuno in piedi, vicino al
porticato. Una figura che aveva un'aria familiare.
Chi
poteva arrivare a casa loro in un momento del genere?
Sperava
che, chiunque fosse, non portasse notizie o perlomeno, che non ne
portasse di cattive. Sempre restando in sella alla
Firebolt, Draco si
era avvicinato lentamente, tenendo gli occhi sulla figura che
sembrava attenderlo. Quando la distanza si era ridotta a sufficienza,
si era ritrovato a ridere di se stesso per non aver riconosciuto
subito l'unica persona che si sarebbe potuta permettere il lusso di
presentarsi a casa sua senza invito in un momento
“felice” come
quello.
- Eccolo qui il Principino della casa, mi fai
entrare? - aveva esordito Blaise, ben cosciente di quanto Narcissa
potesse essere materna in alcune circostanze.
- Ottimo spirito Blaise, mi viene quasi voglia di
lasciarti fuori. -
- Tanto so perfettamente che non lo farai... - gli
aveva risposto con un ghigno.
- Di qua, dannato presuntuoso - gli aveva risposto
Draco – preferisco evitare di stare in casa in questi giorni,
gli elfi domestici mi inseguono ovunque. -
- Mamma Cissy sta dando il meglio di sé?
-
- Precisamente. -
Aveva
guidato l'amico lungo il portico, verso il giardino sul retro, mentre
il pomeriggio iniziava a sfumare nel tramonto. Zabini aveva infilato
le mani in tasca e camminava un paio di passi dietro l'amico,
guardandolo di sottecchi. Erano andati avanti così per
qualche
centinaio di metri, Draco a camminare spedito verso il bosco con gli
occhi incollati agli alberi e Blaise subito dietro, riflettendo
attentamente su quali sarebbero state le parole migliori per iniziare
quella conversazione.
- Mi stai fissando. - aveva sbottato
improvvisamente Malfoy.
- Lo so. -
- Che vuoi? -
Blaise
aveva sbuffato in risposta, per affondare di più le mani
nelle
tasche ed affiancarsi all'amico.
- Oggi sono andato ad Hogwarts. -
- Tutto qui quello che dovevi dirmi? Davi l'idea di
uno che sta per comunicarmi che il Mondo sta per esplodere. -
- Quello è già successo. -
aveva replicato secco Zabini, con un ghigno.
- Già, è vero. Come
dimenticarsene? - Draco aveva scosso latesta contrariato. - Bene,
Blaise, sei stato a Hogwarts. Come mai hai un impellente bisogno di
comunicarmi questa futile informazione? -
- Lo sai benissimo
perchè. So perchè non siete venuti e lo capisco
ma credo comunque che tu saresti dovuto essere lì. -
Draco
fissava di nuovo il cielo e il bosco davanti a sé,
chiedendosi cosa
avesse fatto di male per meritarsi di vivere questo momento. Non
aveva voglia di affrontare questo discorso, nemmeno con Blaise; non
voleva parlare della sensazione di smarrimento che provava da
settimane, da ben prima che la battaglia si concludesse, ma che era
cresciuta esponenzialmente in quegli ultimi giorni.
Zabini
si sbagliava. Non era quello il suo posto, non era con quelle
persone, con quella gente, che lui doveva stare. Ma
in realtà
non sapeva nemmeno lui quale fosse realmente la collocazione che
sentiva sua. Forse non ce n'era nessuna.
- Hanno letto i nomi delle vittime della battaglia,
li hanno elencati ad uno ad uno. -
- Stucchevole modo di manifestare il cordoglio.
Molto Grifonesco, in effetti. - aveva commentato sprezzante, con una
smorfia disgustata.
- Hanno letto anche
il nome di Vincent. -
Malfoy
si era girato improvvisamente, come colpito da una scossa e aveva
guardato Zabini negli occhi. Solo per un secondo Blaise aveva
intravisto il tumulto dietro quello sguardo, che si era fatto
immediatamente immobile, imperturbabile.
- Si sono degnati di nominare uno di noi tra le
loro vittime? -
- Tiger era uno studente come tutti gli altri,
esattamente come loro. -
- Non dire idiozie Blaise. Era tutto tranne che
come loro, come non lo sono io né lo sei tu. -
- In questo contesto è diverso, Draco.
Non c'è più un loro e un noi.
-
- Lo vedremo quanto
sarà diverso. Lo vedremo. -
L'ultima
frase era stata detta sottovoce, quasi mormorata, mentre Draco si
sedeva sull'erba a guardare il sole tramontare su quella giornata che
era già stata troppo lunga.
- Ti fermi qui per un po'?- aveva chiesto poi a
Blaise, sdraiato comodamente con le mani dietro la nuca.
- Che domande. Posso perdermi lo spettacolo di
vederti imprecare a più riprese mentre Narcissa trova ogni
modo possibile per viziarci?
- Immagino di no. -
aveva replicato con un sorrisetto. -
- Per nulla al
mondo, amico. -
Capitolo
breve e sudato.
Ora
vi tedio giusto con qualche precisazione...
La
famiglia Malfoy è la una mia passione sfrenata e totale,
credo che
chi mi conosce anche solo un po' lo sappia. Non riesco a concepire
nemmeno vagamente Narcissa e Lucius come genitori freddi e snaturati
che abbiano fatto pressioni sul figlio per questa o quell'altra
motivazione.
Ritengo
che siano persone con dei valori e con delle idee, che abbiano
provato a trasmetterle al figlio e che le abbiano seguite
finchè le
hanno ritenute valide. E credo sia normale e ovvio che amino la loro
prole. Saranno anche Slytherin e Death Eater, ma sono umani, che
diamine. u.u
Il
voltagabbana finale di Narcissa e il suo salvare Potter da Voldemort
era una scelta che dipendeva in modo evidente dal desiderio di
proteggere Draco anche nei Doni nella Morte e io ho solo seguito la
corrente; poi insomma, l'essere opportunisti e tendenzialmente
egoisti è molto Slyth, quindi concedetemi la costruzione...
xD
Il
“mio” Blaise ha tutti i caratteri somatici
“giusti”. E' di
colore, con gli occhi neri e i capelli neri.
Niente
occhi color del mare tropicale et similia, Zabini è Zabini.
u.u
Per
quanto riguarda il carattere la Row non ci ha detto molto di lui,
quindi mi sono presa la briga di inventare, affibbiandogli il tanto
inflazionato (nelle fanfict) ruolo di amico di Draco.
Ho
finito di stressarvi.
Grazie
a tutti, ma davvero a tutti per ogni recensione, a chi segue, a chi
preferisce e a chi ricorda.
Vi
vedo che leggete e ogni numerino in più mi fa sdilinquire in
modo
imbarazzante, anche se non lasciate altro segno di voi... *___*
Ogni
riferimento a una tal Valaus è puramente casuale. xD
Scherzo
caVa, sai che già sono onorata della tua sola presenza. *___*
Per
chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi
deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi
trovate su Facebook: QUI.
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Capitolo 3 *** Before the Beginning. ***
18
Agosto 1998.
Mancavano
pochi giorni al ritorno ad Hogwarts per tutti gli studenti; il primo
settembre, come ogni anno, la Scuola di Magia e Stregoneria avrebbe
riaperto i battenti. Lo aveva comunicato in maniera ufficiale,
sebbene ufficiosamente fosse già serpeggiata ben
più di un'ipotesi
a riguardo, la Preside Mc Granitt con una lettera intorno alla
metà
di luglio.
In
questa lettera veniva appunto comunicata la consueta data di inizio
delle lezioni e venivano avvisate le famiglie che l'intero anno
scolastico trascorso durante la guerra sarebbe stato considerato
nullo a causa della scarsità di insegnamenti realmente utili
e di
lezioni costruttive durante quel periodo. Ogni studente sarebbe
quindi stato assegnato allo stesso anno di quello precedente e gli
studenti del Primo Anno avrebbero condiviso le loro lezioni con
quelli che, in teoria, sarebbero dovuti essere al Secondo.
Successivamente
era arrivata anche la consueta lettera contenente le istruzioni sul
materiale e sui libri da acquistare, nonché le nomine dei
Prefetti e
dei Capiscuola.
Come
tutti si erano aspettati, insieme alla lettera di Hermione era
arrivato anche il suo distintivo di Caposcuola, suscitando tumulto e
festeggiamenti in tutta la Tana.
Molly
l'aveva abbracciata e le aveva detto quanto fosse orgogliosa di lei
per questo traguardo tutto meritato, Arthur le aveva fatto un
grandissimo sorriso e si era complimentato stringendole entrambe le
mani tra le sue, Harry le era corso incontro e l'aveva sollevata da
terra, stringendola forte e blaterando in modo poco connesso quanto
fosse felice che tutto stesse tornando al suo posto e che lei avesse
quello che le spettava. Ginny aveva saltellato intorno al tavolo
strillando il suo nome e dicendo che ora, con la sua migliore amica
Caposcuola, avrebbe potuto fare tutto quello che voleva scampando
alle conseguenze; come immaginabile Hermione le aveva risposto
raddrizzando le spalle, assumendo un'aria austera e autoritaria:
- Ginevra sai perfettamente che non sarai
privilegiata. -
Ginny
aveva riso di gusto, mentre si sedeva sul divano accanto a suo
fratello Percy.
George
l'aveva guardata attraverso il tavolo, indicando il suo distintivo e
scuotendo la testa con un'espressione corrucciata sul viso.
- Hermione cara, anche tu. In fondo posso dire che
me l'aspettavo, ma ti assicuro tutta la mia disapprovazione. Diventerai
come il caro vecchio Perce.-
Da
qualche settimana George aveva iniziato a riacquistare il suo senso
dell'umorismo e la voglia di ridere. Sembrava quasi che tornare alle
battute e agli scherzi lo aiutasse a sentire Fred più
vicino, come
se ancora li facessero insieme.
Percy
si era alzato dal divano e si era avvicinato ad Hermione.
- Davvero complimenti Hermione, è un
ottimo risultato il tuo. Sii fiera di questo ruolo, so bene che lo
prenderai con la giusta dose di responsabilità e
serietà. -
- Merlino Perce,
sembri la McGranitt! - si era intromesso George mentre gli assestava
una spinta sulla spalla. - sciogliti un po', diamine.
Inaspettatamente
Percy si era scansato da suo fratello e aveva iniziato a ridere con
lui. Aveva circondato con un braccio le spalle di Hermione e le aveva
dato un bacio sulla guancia, mormorandole ancora i suoi complimenti.
La
sola persona che non aveva manifestato grande entusiasmo era Ron; non
che non si fosse complimentato, che non l'avesse abbracciata o che
non si fosse mostrato felice per lei. L'aveva fatto eccome, ma con il
trasporto che avrebbe avuto per la nomina a Caposcuola di un
Tassorosso qualunque. Da tutta l'estate Ron sembrava avere reazioni
tiepide per qualunque cosa. Niente lo smuoveva particolarmente, non
c'era nulla che riusciva a farlo ridere di gusto o anche
semplicemente divertirlo. La sola cosa che riusciva a dargli una
scintilla negli occhi era la rabbia.
Ron
era sempre stato piuttosto suscettibile, per dirla con un pallido
eufemismo, ma dal loro ritorno da Hogwarts, dopo la battaglia, era
peggiorato considerevolmente. Sembrava che ogni piccola cosa fosse
messa lì apposta per farlo scoppiare, che ogni movimento
dell'Universo fosse rivolto contro di lui in una continua mancanza di
rispetto. Ron era diventato l'ombra di se stesso, acuendo il peggiore
dei suoi difetti e trasformandolo nel tratto saliente del suo
carattere.
Hermione
riusciva a leggere nei suoi occhi il fastidio e il disappunto che le
risate e il buonumore della tavolata gli stavano suscitando. Non
riusciva a capirlo, sinceramente, non aveva idea del perchè
lui
fosse così ostile alla vita che tornava a scorrere,
perchè non
riuscisse a capire quanto ogni risata fosse preziosa. Ma sapeva di
essere l'unica, in quel momento così delicato, a sapere come
trattare con lui.
L'aveva
preso per mano e gli aveva chiesto di accompagnarla a fare una
passeggiata in giardino; lui l'aveva seguita immediatamente, senza
domandare nulla, sotto gli occhi di tutta la famiglia che li guardava
un po' perplessa. Non appena arrivati fuori, nel buio di una serata
limpidissima, Ron si era affiancato alla fidanzata, stringendole
forte la mano e iniziando a guidare la camminata.
- Grazie Mione. -
- Di cosa Ronald? -
rispose lei, cercando di fare l'evasiva per smorzare un po' la tensione
che sentiva tra le dita del ragazzo. - avevo voglia di passeggiare e ti
ho chiesto di accompagnarmi. -
Ron
l'aveva guardata sospettoso, rallentando leggermente il passo e
quando aveva visto Hermione girarsi con un sorriso e ammiccare nella
sua direzione aveva capito che aveva ragione. La ragazza aveva deciso
di portarlo a fare un giro per evitare un'ennesima uscita teatrale.
Una parte di lui era davvero grata a Hermione per averlo tolto da
quella situazione che lo infastidiva ma d'altro canto era infastidito
proprio da queste stesse attenzioni che lei gli riservava, come se
fosse un mentecatto da assecondare nelle sue intemperanze.
Non
riusciva proprio a comprendere come potessero avere voglia di ridere,
come potessero permettersi di giocare quando in fin dei conti in
quella stanza si potevano ancora sentire il vuoto, il silenzio e la
mancanza.
Dove
avevano lasciato il rispetto per Fred, per Malocchio, per Remus e per
tutte le persone che non potevano gioire per quel momento?
Tutto
il cordoglio e tutte le lacrime versate si esaurivano in risate,
scherzi e vite perfettamente normali? Era tutto lì il dolore
che
provavano?
Ron
pensava che non fosse giusto vivere con leggerezza dopo quello che
avevano passato, che non fosse nel loro diritto né nel suo
il
divertirsi e il prendersi gioco della vita e della morte.
- Hai voglia di parlare con me Ron? - gli aveva
chiesto timidamente la ragazza.
- Di cosa vuoi parlare? - il tono che gli era
uscito era decisamente più scorbutico di quanto avesse
desiderato.
- Di quello che ti fa stare sempre così.
Del motivo per cui non sorridi più. -
- Secondo te c'è bisogno di chiederlo?
-
Hermione
si era fermata in mezzo al prato e lo guardava dal basso in alto, con
le mani lungo i fianchi, una delle quali stringeva febbrilmente
l'orlo dell'abito azzurrino che indossava. Ron aveva già
visto
quello sguardo; l'aveva visto tante volte quell'estate, ogni volta
che lui si arrabbiava con qualcuno o che perdeva le staffe per una
banalità, ma ricordava di averlo visto per la prima volta al
quarto
anno, quando Ron aveva litigato con Harry per la sua nomina
inaspettata a campione. Più di tutte però
ricordava quello stesso
sguardo quando era scappato dalla loro tenda l'inverno passato,
insultando Harry e ricordandogli quanto fosse fortunato ad essere
orfano, perchè così in quella guerra non avrebbe
avuto nessuno da
perdere. Si era vergognato per quella tirata, in seguito, quando si
era reso conto che con quell'uscita da primadonna aveva rischiato di
perdere Hermione, ma come si suol dire, “Il lupo
perde il pelo
ma non il vizio”, quindi Ronald non aveva ancora
imparato che
il modo migliore per esprimere i suoi disagi era ben diverso dai suoi
scoppi d'ira.
La
mano di Hermione si era appoggiata dolcemente alla sua guancia e un
sorriso triste aveva fatto capolino sul suo viso.
- Perchè la prendi così Ron? -
Il
ragazzo si era scostato bruscamente dalla sua carezza, allontanandole
la mano con un gesto sgarbato.
- La prendi così? Hermione mio fratello
è morto e lì dentro non si fa altro che fare
festa e ghignare in ogni momento! Persino George si mette a fare lo
spiritoso! -
Ron
aveva iniziato a gesticolare in modo convulso, camminando avanti e
indietro in un quadrato di prato minuscolo davanti agli occhi
esterrefatti di Hermione che lo osservava incredula.
La
ragazza cercava di avvicinarglisi, aprendo la bocca e tentando di
parlare a più riprese, mentre lui continuava imperterrito
nell'esternazione dei suoi irruenti pensieri.
- Mio fratello non c'è più e
qui tutti stanno a pensare al tuo distintivo da Caposcuola, alla scuola
che ricomincia, le divise, i libri e tutte queste idiozie che di certo
non riporteranno indietro i morti. -
- Nemmeno le tue
crisi di nervi riporteranno indietro Fred! - aveva infine urlato
Hermione, esasperata da mesi di silenzi e di pazienza.
Si
era immobilizzato, fissandola con rabbia. Stringeva i pugni lungo i
fianchi, con le mani che tremavano e si poteva vedere chiaramente che
aveva serrato la mascella, digrignando i denti.
- Almeno io ho rispetto per lui. - aveva infine
bisbigliato infine, caustico.
A
questo punto Hermione aveva sentito il sangue andarle al cervello,
tutto l'autocontrollo che si era proposta di mantenere andare a fare
compagnia alla pazienza persa pochi minuti prima e si era ritrovata
sotto il mento di Ron, con lo sguardo verso l'alto ed un dito puntato
contro il suo petto.
- Credi per caso che il fatto che sia diventata
Caposcuola sia una mancanza di rispetto per il lutto della tua
famiglia? Credi davvero che Fred avrebbe voluto che suo fratello
diventasse uno scorbutico arrogante che crede che il dolore sia sua
personale prerogativa? -
- Io non credo che il dolore sia una mia
prerogativa, credo solo che se siete così ansiosi di fare
baldoria probabilmente non state soffrendo così tanto. -
- Sei un bambino Ron. Soffrire non significa fare
scenate e struggersi pubblicamente per dimostrare al mondo quanto
stiamo male. La sofferenza è diversa per ognuno di
noi. Il rispetto per le
persone che non ci sono più io voglio dimostrarlo vivendo
nella maniera più piena e più felice possibile la
mia vita, la vita che ho ancora anche grazie a loro e non ritengo
giusto sprecarla in piagnistei o vittimismi. -
Ronald
era rimasto con la bocca aperta, con un'altra frase probabilmente di
intelligenza paragonabile alle precedenti, bloccata sul nascere dalla
veemenza con cui Hermione l'aveva fermato e messo al suo posto. A
quel punto aveva soltanto abbassato la testa, appoggiando il suo
mento sul capo di Hermione e le aveva preso i fianchi con le mani,
stringendola a sé.
- Mione mi dispiace. -
- Ronald sarebbe il
caso che tu pensassi prima di parlare. Così faresti a meno
di scusarti ogni volta che apri la bocca. -
- Non volevo litigare con te. -
Sembrava
un bambino. Prima faceva i danni e poi metteva su gli occhioni dolci
e l'aria afflitta per farsi perdonare ogni cosa. E puntualmente era
quello che accadeva.
- Va bene Ron. Non fa niente. -
Hermione
aveva ceduto ancora a quell'istinto di protezione e all'affetto
profondo che la legava al suo ragazzo; era indisciplinato, testardo e
immaturo. Ma l'amava, a modo suo e lei amava lui.
Si
era alzata sulle punte dei piedi per poggiare le labbra sulle sue e
aveva sentito le sue mani stringere sui fianchi e attirarla di
più
verso di sé.
- Mione... - aveva sussurrato sulle sue labbra,
stringendole la vita e sollevandola da terra.
- Ron. Non è il caso... Stasera la Tana
è piena di gente, non basteranno un paio di incantesimi. -
- Mione solo... -
Mentre
parlava o meglio, implorava, le stava lentamente insinuando la mano
sotto l'orlo dell'abito azzurro, ma Hermione non era ragazza da farsi
irretire da simili giochetti. Gli aveva delicatamente preso la mano,
smettendo di baciarlo.
- Torniamo in casa Ron, si staranno chiedendo dove
siamo finiti. -
- Ronald. La Tana è più
affollata di Madama McClan in tempo di saldi. Abbi pazienza, il tempo
non ci manca. -
Se
l'era trascinato dietro, con la coda tra le gambe e una faccia appesa
per riportarlo dalla sua famiglia. Rimostranze o no, Hermione Granger
non si sarebbe fatta convincere.
******
25
Agosto 1998
Ginny
ed Hermione erano sedute ad un tavolino della gelateria di Florian
Fortebraccio, con una coppa di gelato formato gigante davanti ad
ognuna, alcuni sacchetti pieni di acquisti poggiati in terra e
un'espressione estatica sul volto. La gelateria aveva riaperto da
poco meno di un mese, dopo il ritrovamento del proprietario nella
cantina di una villa di proprietà di alcuni Mangiamorte
nelle
campagne fuori Londra. Non era ancora ben chiara la motivazione per
cui il povero Florian fosse stato rapito, ma si mormorava che fosse
in qualche modo a conoscenza di alcune informazioni riguardo a membri
dell'Ordine in incognito e che quindi i Mangiamorte l'avessero
sequestrato e mantenuto in vita per torturarlo a più riprese
tentando di estorcergliele. All'inizio di Agosto il negozio aveva
ripreso l'attività e sembrava che gli affari andassero a
gonfie
vele, specialmente negli ultimi giorni, in cui Diagon Alley veniva
presa d'assalto dalle famiglie dei giovani maghi pronti per tornare a
scuola.
Le
ragazze erano andate a Diagon Alley per gli ultimi acquisti prima
della partenza, dicendo ad Harry e Ron che si sarebbero occupate loro
della maggior parte delle spese e di raggiungerle solo nel tardo
pomeriggio, con tutta calma. Apparentemente, l'avevano fatto per
essere gentili e risparmiare ai due maschietti l'onere dello
shopping, in realtà si erano offerte di svolgere tutte
queste
commissioni semplicemente per passare un tranquillo pomeriggio da
sole, lontane dalla Tana, dai ragazzi e dal chiasso della famiglia
Weasley che, per quanto fosse adorabile, ogni tanto era capace di
portare all'esasperazione.
Ed
era proprio questo il caso, specialmente per Ginny; dalla guerra in
poi Molly e Arthur erano diventati se possibile ancora più
uniti ed
ancorati alla famiglia di quanto già non fossero. Restavano
insieme
in ogni momento libero e la Tana era diventata ancora più un
nido,
ancora più un rifugio, rispetto a quanto già non
lo fosse prima.
Questo aveva portato con sé delle inevitabili conseguenze:
tutti i
Weasley, anche quelli che ormai vivevano fuori casa da tempo, avevano
ricominciato a frequentarla sempre con maggiore assiduità,
senza
contare la presenza pressochè costante di Harry ed Hermione.
Molly
ed Arthur avevano investito qualche denaro per riammodernare la casa
e per creare un po' più di spazio per ospitare tutti quanti,
come
Bill e Fleur oppure Andromeda e il piccolo Teddy. Non che Ginny non
fosse felice di avere i suoi fratelli, o Harry, o Hermione a casa
sua, ma avrebbe desiderato un po' di pace ogni tanto, un po' di
silenzio, di tranquillità. Qualche momento per leggere
oppure, che
so, per una passeggiata da sola nel giardino dietro la casa o qualche
minuto con sua madre. Ma tutto questo era solo una specie di utopia e
Ginny si aggirava per la Tana come un'anima in pena alla ricerca
disperata di un angolo silenzioso.
Non
era di certo diventata come Ron, sicuramente non desiderava il
silenzio per crogiolarsi nella tristezza o nel rammarico; Ginny
voleva il silenzio semplicemente perchè le piaceva e
perchè era
qualcosa di molto diverso da quello in cui aveva sempre vissuto.
Sentiva il bisogno di divertirsi, di stare con le persone che amava e
di vivere la sua vita in ogni sfumatura ma questa ossessione dei suoi
genitori nel trasformare la Tana in una specie di albergo in cui
tutti potevano andare e venire in ogni momento, proprio non riusciva
a comprenderla.
L'unica
persona che condivideva un po' questo suo pensiero e a cui l'aveva
confessato senza timori era suo fratello George che aveva deciso di
trasferirsi, anche se non in pianta stabile nel vero senso della
parola, nel piccolo appartamento che c'era sopra i Tiri Vispi
Weasley. Pranzava comunque alla Tana almeno tre o quattro volte a
settimana e spesso si fermava lì per la notte,
più che altro per
fare contenta Molly, ma amava molto quell'angolino tutto suo e non
intendeva rinunciarci. Per lo stesso motivo era capitato spesso che
Ginny avesse chiesto, ed ottenuto, da sua madre il permesso di
rimanere con lui in quella casa. Durante quell'estate per parecchi
giorni Ginny aveva aiutato suo fratello nella gestione del negozio,
condividendo con lui momenti scherzosi e silenzi pieni di
significato. Qualche volta anche Hermione era rimasta con loro per
dare una mano; le piaceva rimanere in cassa, fare i conti ed impilare
gli acquisti degli avventori, mentre i due Weasley saltavano da un
cliente all'altro proponendo giochi e facendo battute ad ognuno di
loro.
Quando
era lì dietro a guardarli Hermione si rendeva conto di
quanto
l'eredità di Fred si fosse tramandata nella sola femmina
della
famiglia. Si muoveva in quel negozio come se fosse nel suo elemento,
supportando George in ogni bravata e proponendone di sue quando la
situazione sembrava andare un po' sottotono. Ron aveva tanto sperato
di poter essere lui il fratello che sarebbe andato ad aiutare George
nel negozio, tutta la sua voglia di somigliare almeno un po' ai
gemelli gliel'aveva sempre fatto sognare ma, specialmente alla luce
del netto peggioramento del suo carattere, questa cosa sembrava
davvero poco realizzabile. Ginny invece sembrava nata per quello,
come George, come lo era Fred.
- Questo gelato è un paradiso dei sensi.
- aveva detto ad un certo punto Ginny all'amica.
- Hai proprio
ragione, sono felice che questo posto abbia riaperto. -
- Dovremmo venirci più spesso, almeno
finchè c'è la bella stagione e poi quando siamo
da George ad aiutare è una pausa perfetta! -
- Verissimo. A proposito, credi che abbia bisogno
di una mano oggi? Con tutti i ragazzini dei primi anni che verranno a
Diagon Alley per i libri sicuramente ci sarà un bel
putiferio. -
- Potremmo passare un salto da lui tra un pochino,
per vedere se gli serve qualcosa, anche se sa che siamo qui per un
pomeriggio di “libera uscita” quindi credo che ci
caccerà fuori non appena pronunciate le parole “Ti
serve qualcosa?” -
- Su questo potrei scommetterci. Anche se dai,
Ginny, non ti sembra un po' esagerato e maligno definire questo
pomeriggio femminile una “libera uscita”? Sembra
quasi che ti consideri in prigione. -
- Beh, Herm, in prigione forse no, ma non mi dire
che alla Tana si stia proprio come in vacanza alle Bahamas
perchè altrimenti potrei pensare che stai diventando pazza
come mio fratello Ron. -
- Non dico che la situazione sia delle
più semplici, ma è la tua famiglia... Dovresti
avere un po' di pazienza. -
- Io ne ho molta di pazienza. Questo è
il motivo per cui non ho ancora lanciato fatture Orcovolanti a Ron o
non ho catapultato fuori dalla finestra la maggior parte degli abiti di
Fleur, che stanziano nell'armadio più grande di casa da una
settimana. -
Suo
malgrado Hermione aveva dovuto tacere e, pur non facendolo
apertamente, per non montare ancora di più l'insofferenza
dell'amica, dare ragione a Ginny. Si era solo lasciata andare ad un
sommesso ridacchiare. Già, perchè il desiderio di
affatturare il
suo fidanzato l'aveva sfiorata più volte negli ultimi tempi
ed anche
Fleur, per quanto fosse diventata meno fastidiosa rispetto
all'inizio, manteneva sempre un qualcosa di irritante, nel suo essere
sempre impeccabile. Poi Hermione doveva riconoscerle che, in effetti,
lei non aveva passato tutta l'estate alla Tana, circondata da tutta
la combriccola, ma era andata in Australia a recuperare i suoi
genitori, aveva restituito loro la memoria ed era rimasta a casa per
un po', per godersi la sua famiglia ritrovata e per recuperare
dimestichezza con il mondo babbano.
La
ragazza aveva spostato lo sguardo dall'amica, per curiosare un po'
lungo la strada ed osservare il viavai di maghi lungo la via. Era
davvero bello rivedere Diagon Alley nel pieno fermento, con le
vetrine illuminate e curate, i negozi aperti e tante persone che si
affollavano per fare spese.
Si
era soffermata a guardare ogni negozio visibile dalla sua posizione
per imprimersi quell'immagine nei ricordi, per poterla raccontare tra
qualche anno come il primo vero momento in cui aveva ricominciato a
vedere il mondo magico rinascere per andare avanti.
- Prima che mi addormenti a questo tavolino per un
eccesso di gelato alziamoci Herm, ti prego. -
- D'accordo, dove vorresti andare? - le aveva
risposto trattenendo una risata, ma tenendosi una mano sulla pancia,
condividendo in pieno il senso di peso che l'amica lamentava.
- Io volevo prendere un abitino nuovo e
una divisa da Madama McClan... Harry insiste per farmi un regalo e ho
deciso di accontentarlo. -
- Ti seguo. - aveva replicato Hermione.
Era
decisamente preoccupata da quanto questa scampagnata nel negozio di
abbigliamento sarebbe potuta durare, ma soprattutto quanto avrebbe
potuto mettere alla prova la sua pazienza.
Si
erano alzate dal tavolino raccogliendo i sacchetti che contenevano la
maggior parte degli acquisti che avevano programmato di fare in
quella giornata e che erano stati sbrigati non appena erano arrivate
a Londra, in vista poi di permettersi quel piccolo momento di relax,
e si erano allontanate seguendo la strada che conduceva al negozio.
Mentre
camminavano Ginny ciarlava guardando le vetrine o commentando il
gusto estetico o l'abbigliamento del tale mago o della tal strega che
avevano la disgraziata idea di passare lungo il suo cammino, mentre
Hermione annuiva assente, pensando continuamente a quanto avrebbe
desiderato potersi rinchiudere dentro il Ghirigoro per tutto il tempo
che Ginny avrebbe passato da Madama McClan. Era perfettamente
consapevole di esserci stata quella stessa mattina, ma purtroppo non
aveva potuto godere della visita a causa della presenza inquietante
di una signorina dalla chioma rosso fuoco che le alitava sul collo
ogni volta che si soffermava ad osservare per più di qualche
secondo
un libro non contenuto nella lunga lista dei testi scolastici.
Secondo
Ginny la sua amica avrebbe dovuto spostare almeno parte della sua
attenzione dai libri per dedicarla a passatempi più frivoli,
ma
certamente non meno divertenti. Non avrebbe di certo desiderato
trasformarla in una di quelle ragazze che indossavano divise
striminzite e che passavano le loro giornate esercitandosi nell'arte
del battito sensuale delle ciglia o della danza provocante, ma
avrebbe sperato che forse con il fidanzamento con Ron, Hermione
sarebbe riuscita, come dire, a sciogliersi un po'. Il fatto che suo
fratello si fosse improvvisamente trasformato nella versione irritata
di un ippogrifo fuori controllo aveva reso però vana ogni
sua
speranza in quell'unione. E aveva quindi pensato che toccasse in
qualche modo a lei l'onere di guidare Hermione per le vie della
frivolezza e della femminilità, pur sapendo che
difficilmente
avrebbe avuto successo.
Arrivate
davanti al negozio Ginevra si era lanciata all'interno senza nemmeno
guardare al di là dell'ingresso vetrato, mentre Hermione si
era
attardata qualche minuto davanti alla vetrina, per osservare i
modelli sui manichini.
Stava
pensando che la sua amica si sbagliava a ritenerla così poco
femminile; Hermione amava gli abiti ben fatti, le acconciature, un
filo di trucco e adorava sentirsi bella come ogni ragazza normale.
Semplicemente dava una maggiore priorità ad altri aspetti
della sua
vita, nella maggior parte dei casi. La dimostrazione di quanto
sapesse essere femmina l'aveva data a tutti al Ballo del Ceppo e non
riteneva di essere obbligata a darne altre. Forse ora con la pace e
con la vicinanza di Ron avrebbe avuto più tempo, anche se ne
dubitava, per dedicarsi alla cura di sé, ma non lo riteneva
comunque
un motivo di grandi crucci.
D'altro
canto non si poteva proprio dire che Hermione fosse sciatta, bruttina
o trasandata; era solo una ragazza semplice. Non amava truccarsi
troppo e non poneva una maniacale attenzione al proprio abbigliamento
ma era sempre in ordine e sapeva scegliere abiti che le donassero. La
sola cosa che non era mai riuscita a tenere a posto erano i capelli,
ma quella era sicuramente una causa persa. Poteva raccoglierli o
renderli in qualche modo tollerabili, ma da questo ai boccoli
perfetti di Romilda Vane ce n'era di strada.
Mentre
osservava un abito lilla nell'angolo della vetrina Hermione aveva
notato una persona riflessa sul vetro. Al di là della strada
stava
in piedi un ragazzo biondo che indossava un paio di jeans sportivi ed
una camicia azzurrina; aveva tutta l'aria di stare aspettando
qualcuno ed era di spalle, rispetto alla visuale di Hermione. Il
primo pensiero della ragazza era stato strano, perchè aveva
la
sensazione di conoscere quelle spalle, quella figura, ma non riusciva
ad attribuirla a qualcuno. Si era quindi riscossa ed era entrata per
raggiungere Ginny.
L'aveva
trovata in piedi sul piedistallo che veniva usato per prendere le
misure per gli abiti, con addosso quella che sembrava una divisa di
Hogwarts ma che sembrava in qualche modo essere stata stretta ed
accorciata di qualche taglia.
- Ginny cara, quella gonna non ti sembra un tantino
corta? - si era affrettata a dire Hermione alla vista di quello
scempio.
- Herm, sembri mia madre. - aveva replicato la
rossa con uno sbuffo.
- Dai Gin, non mi sembra proprio il caso di
arrivare a scuola in quelle condizioni, abbi pietà del
povero Harry, se non ne hai per la decenza. -
L'ultima
frase l'aveva pronunciata ai piedi dello sgabello, mentre
già stava
dando indicazioni alla sarta, che annuiva colma di approvazione, per
allungare l'orlo della gonna di almeno una decina di centimetri. Nel
frattempo Ginevra continuava a sbuffare come una locomotiva,
bofonchiando, tra uno sbuffo e l'altro mugugni simili a “Se
portavo la mamma avrebbe fatto meno storie!”. *
Alla
fine di questa diatriba la divisa della giovane Weasley era
praticamente ritornata al suo iniziale stato, se non per una
ritoccatina alla larghezza della camicia e del maglioncino, che non
risultavano comunque troppo aderenti.
A
questo punto era cominciata la trafila per la scelta dell'abito che
Harry avrebbe regalato a Ginny e che ovviamente lei aveva deciso di
scegliere da sé. Hermione si era quindi sistemata bella
comoda su un
divanetto, in attesa che il defilè di modelli e stoffe si
concludesse, in modo da poter guardare verso Ginny ogni volta che lei
richiedeva la sua opinione ma anche da poter guardare fuori in tutti
gli altri momenti, in modo da svagarsi almeno con il viavai della
strada.
Quello
che si era ritrovata davanti in uno di quegli attimi di distrazione
però l'aveva non poco sorpresa. Il ragazzo che sembrava
conoscere
poco prima, davanti alla vetrina del negozio, si era girato verso di
lei, smettendo di darle le spalle e permettendole di vederlo in
volto. Era Malfoy.
Ora
che lo vedeva in viso si chiedeva come avesse potuto non accorgersi
che era lui. Il portamento altero, l'espressione strafottente, quello
sguardo gelido erano assolutamente inconfondibili, ma Hermione era
stata tratta in inganno dai suoi abiti. Non aveva mai visto Malfoy
indossare qualcosa di diverso dalla divisa o dai completi eleganti e
impeccabili così simili a quelli indossati da Lucius.
Nemmeno quando
erano stati prigionieri a Villa Malfoy, nemmeno durante la battaglia.
Erano abiti che a un occhio disattento sarebbero anche potuti
sembrare, anche se ad Hermione sembrava impossibile solo pensarlo,
abiti babbani.
Malfoy
sembrava essere lì ad attendere qualcuno dal modo un cui
continuava
a scrutare la via da entrambi i lati e non si era accorto minimamente
di essere osservato. La ragazza si era chiesta cosa avesse portato il
loro eterno antagonista a Diagon Alley proprio quel pomeriggio, per
di più abbigliato in quel modo così insolito.
Proprio in quel
momento l'attenzione di Hermione era stata sviata dalle sue
supposizioni su Malfoy e sul suo abbigliamento da un richiamo di
Ginny, che pareva aver trovato l'abitino dei suoi desideri. La
ragazza l'aveva liquidata con un rapido cenno d'assenso, accompagnato
da un “Ti dona molto Ginny.”
per poi tornare
immediatamente con gli occhi fuori dalla vetrata. Ma non aveva
più
trovato l'oggetto delle sue domande e questo che le aveva lasciato
dentro un tremendo disappunto. Hermione non amava affatto non capire
le cose.
Mentre
uscivano dal negozio portando con sé i due sacchetti
aggiuntivi
Hermione aveva iniziato a raccontare a Ginny l'accaduto.
- Sai chi ho visto mentre provavi tutti quegli
abiti abbarbicata sullo sgabello? Malfoy. -
Aveva
pronunciato il suo nome abbassando il tono di voce, quasi a
bisbigliare.
- Lo dici come se ci fosse qualcosa di strano nel
fatto che Malfoy sia a Diagon Alley a una settimana dall'inizio delle
lezioni... - le aveva risposto Ginny alzando un sopracciglio.
- In effetti c'era qualcosa di strano Ginny, non
capisci. Era vestito in modo strano e sembrava aspettare qualcuno e...
Non lo so... Quasi non lo riconoscevo. -
- Herm sii ragionevole. E' qui per comprare
l'occorrente per tornare ad Hogwarts e probabilmente stava aspettando
sua madre o qualche suo amico davanti a Madama McClan.
- Merlino, non cercare di vedere cospirazioni
ovunque. So anch'io che la guerra è appena finita e che le
vecchie abitudini sono dure a morire ma in questo momento sembri tanto
Harry con la sua mania di accusare Piton. Non dico che Malfoy sia la
persona più cristallina del mondo, ma la sua presenza a
Diagon Alley è decisamente quanto di più distante
da qualcosa di sospetto. -
- Probabilmente hai ragione Gin. Sono diventata una
paranoica. -
L'amica
le aveva dato una gomitata in un fianco, ridendo con lei di questa
ammissione e si erano avviate verso il Paiolo Magico dove, vista
l'ora che si era fatta, probabilmente avrebbero già trovato
Harry e
Ron ad attenderle.
*****
Draco
Malfoy aveva deciso di andare a Diagon Alley quel pomeriggio
perchè
sapeva che sua madre avrebbe avuto piuttosto da fare e che quindi gli
avrebbe fatto compagnia soltanto per i primi acquisti, dopo i quali
si sarebbe incontrato con Blaise per una Burrobirra al Paiolo Magico
e un giro ad Accessori di prima qualità per il Quidditch.
L'amico
aveva lasciato il Manor da poco più di due settimane per
passare
qualche giorno con sua madre prima del ritorno a scuola e Draco aveva
passato quei giorni da solo volando sopra casa ed allenandosi per
rientrare in piena forma nella squadra di Quidditch. Quando non stava
volando si rintanava in biblioteca o nel laboratorio nel sotterraneo
della villa, armeggiando per preparare pozioni.
In
quel momento Draco stava camminando verso il Ghirigoro con Narcissa
al suo fianco, entrambi in silenzio, entrambi a testa alta. Non era e
non sarebbe stato semplice ancora per parecchio tempo passeggiare per
le strade del mondo magico per tutti quelli che avevano avuto i loro
precedenti, ma non era da loro darlo a vedere. Ogni sguardo
sospettoso, ogni gomitata, ogni sussurro venivano visti ed ignorati,
anche se non erano affatto piacevoli. Per questo motivo, da qualche
tempo, Draco e sua madre avevano preso la strana abitudine, per dei
Malfoy, di andare a passeggiare nella Londra babbana, una volta a
settimana, ma anche di più se ne avevano voglia; era un
luogo
particolare, poco avvezzo al loro stile e alle loro abitudini, ma
lì
nessuno faceva caso a loro, se non qualche uomo per manifestare
apprezzamento per sua madre o qualche giovane ragazza per girarsi a
rimirare il suo “bel faccino” come lo aveva
definito Madama
McClan qualche anno prima. Era bello camminare e basta, ma per questa
nuova consuetudine avevano dovuto adattare il loro abbigliamento, per
non essere troppo, come dire, identificabili tra gli abitanti di quel
mondo e mandare a monte quello che era l'unico motivo per cui lo
facevano: non essere notati e additati da nessuno. Non si erano certo
convertiti all'abbigliamento tipico dei babbani, così
trasandato e
poco elegante, ma Draco aveva aggiunto al suo guardaroba qualche paio
di jeans e qualche camicia da portare senza cravatta. Sua madre
restava comunque su degli abiti molto eleganti, anche se decisamente
meno d'effetto rispetto al solito.
Draco
aveva guardato Narcissa accanto a sé ed aveva pensato che
era bella,
in effetti. Lo era davvero, nel suo trench nero con la cintura
annodata stretta in vita, le scarpe con il tacco e i capelli raccolti
in un chignon morbido alla base della nuca. Era l'eleganza
personificata, che lo accompagnava per quelle vie con la disinvoltura
di una padrona di casa tra amici, anche se si trovava in mezzo a
persone che non facevano altro che guardare lei, ma soprattutto lui
con diffidenza.
Avevano
fatto i loro acquisti con precisione e rapidità, senza tanto
girovagare per il negozio e senza indecisioni; doveva essere
preparato per la scuola, sarebbe stato il solito studente impeccabile
e non avrebbe dato alcun motivo a nessuno per dubitare delle sue
intenzioni.
- Qualcosa ti preoccupa Draco? - aveva chiesto
Narcissa a suo figlio, vedendolo accigliato.
- Niente di importante mamma. -
- Passerà, vedrai. -
- Non mi interessano le loro opinioni. Voglio solo
avere la possibilità di vivere tranquillo, non la loro
benedizione. -
- L'avrai questa possibilità, a costo di
strapparla con le unghie e con i denti. Ma non credo sarà
necessario, in fondo le premesse non ci sono così ostili.
Credo vogliano soltanto che dimostri di essere... cambiato? - l'ultima
parola di Narcissa era stata pronunciata con evidente tono
perplesso.
- Cambiato? Si aspettano per caso che io diventi un
Tassorosso per poter vivere la mia vita in pace? -
Narcissa
aveva riso dell'irritazione di suo figlio ed aveva lasciato cadere la
conversazione, ben sapendo che Draco aveva capito benissimo a che
cosa si riferisse ed essendo consapevole che calcare troppo la mano
su questo punto non avrebbe avuto altro effetto che indispettire suo
figlio e farlo diventare petulante, la qual cosa era ben poco
conveniente, specie nell'attuale situazione.
- Sai che ora devo andare al Ministero per sbrigare
alcuni affari vero? -
La
voce di Narcissa tradiva solo un pizzico di preoccupazione all'idea
di trattare con il Ministero per l'ennesima volta e sapendo anche che
non sarebbe di certo stata l'ultima. I processi per quelli che
chiamavano “Crimini di Guerra” erano ancora
lontani, ma da
qualche settimana aveva iniziato a ricevere delle lettere che
richiedevano documenti che attestassero le proprietà della
famiglia
o che testimoniassero sui loro spostamenti in questa o l'altra
occasione. Si rendeva perfettamente conto che non sarebbe finito
tutto qui e che, anzi, probabilmente queste richieste erano soltanto
l'inizio di un vero e proprio intervento di controllo, perquisizione
e accusa che sarebbe durato per tutto il tempo che loro
avrebbero ritenuto necessario. Ma non era così maldisposta
nel
sottoporvisi se questo poteva significare che Draco sarebbe stato
scagionato e comunque condannato a lievi pene.
- Mi ricordo mamma. Io resto ancora un po', mi vedo
con Blaise per un giro a vedere scope e boccini.-
- Non tardare troppo e non ti cacciare nei guai. Ci
vediamo stasera al Manor. -
Aveva
congedato suo figlio con un bacio in punta di dita e ravviandogli un
ciuffo di capelli biondi che gli ricadeva sulla fronte. Da quando
aveva smesso di impomatarli all'indietro, al terzo anno, aveva sempre
quella ciocca che gli cadeva davanti agli occhi.
Draco
si era ritratto da quel gesto affettuoso, troppo esplicito per il
luogo in cui si trovavano, ma le aveva risposto con un mezzo sorriso.
- Farò il bravo, promesso. A stasera. -
Narcissa
si era allora smaterializzata lasciando Draco solo davanti alla
gelateria di Florian Fortebraccio. Il ragazzo si era diretto verso il
negozio di Madama McClan di fronte al quale aveva appuntamento con
Blaise per quindici minuti dopo.
Pensava
a sua madre al Ministero, all'umiliazione che doveva subire nel dover
rendere conto di ogni spostamento, di ogni loro questione privata, di
tutti i beni della famiglia per avere solo una speranza di essere
giudicati, se non giustamente, almeno in modo relativamente clemente.
Era
arrivato al luogo dell'appuntamento in pochi minuti e si era messo
pazientemente ad attendere Blaise a mani in tasca, canticchiando tra
sé una canzoncina che aveva sentito uscire dalla porta di un
negozio
babbano quella mattina, mentre passeggiavano e guardando la vetrina
del negozietto che si trovava proprio di fronte a Madama McClan.
Dopo
aver scrutato con attenzione tutto il contenuto della vetrina, un
antiquario forse, si era appoggiato al muro con la schiena ed in
pochi minuti si era trovato davanti Blaise, appena materializzato.
- Sei in ritardo. -
- Che accoglienza, Malf. - aveva risposto Blaise,
assestandogli una pacca sulla spalla. - e comunque non sono in ritardo,
sono meravigliosamente puntuale. - nel dirlo aveva picchiettato con un
dito sul quadrante dell'orologio.
- Ti ho dovuto aspettare, quindi sei in ritardo. -
- L'idea che fossi tu in anticipo non è
neanche da valutare immagino. -
- Vedo che ci siamo intesi. Andiamo a dare
un'occhiata alle scope? -
Si
erano immediatamente allontanati insieme verso Accessori di prima
qualità per il Quidditch, discorrendo su quanto Blaise
apprezzasse
il cambiamento di look di Draco e su quanto invece il primo ne fosse
ancora oggettivamente perplesso e indossasse quegli abiti solo nei
giorni in cui decideva di fare le sue scampagnate tra i babbani.
Una
volta entrati avevano perso ogni stimolo a chiacchierare, lasciandosi
prendere dall'osservazione di ogni manico di scopa e di ogni
accessorio che potesse in qualche modo renderlo più leggero,
manovrabile o veloce. Draco stava valutando se comprarsi un manico di
scopa nuovo per quell'anno, mentre Blaise curiosava qui e là
pensando che forse avrebbe potuto tentare almeno i provini per
entrare in squadra.
- Se stai ancora pensando di poter giocare anche
quest'anno sarà meglio che ti dissuada subito amico mio. -
- Perchè devi distruggere i miei sogni
di gloria, Malf? -
- Perchè anche quest'estate ti ho visto
volare. Sembri Paciock con le convulsioni. -
- Sei davvero senza cuore. -
- Dimmi qualcosa che non so. -
- Sei un idiota. -
- Questa è una menzogna, non qualcosa
che ignoro. Comunque smettila di accarezzare quella Firebolt, non
sapresti nemmeno salirci. -
Blaise
l'aveva guardato in cagnesco, strappandogli di mano il boccino che
stava tenendo tra le dita.
- Ora anche io ho preso un Boccino. -
- Non fare il Potter della situazione Blaise,
quello sarà il solo Boccino che prenderai in vita tua. In
primo luogo perchè il Cercatore sono IO. In secondo luogo
perchè ancora devi imparare a stare in equilibrio su una
scopa e noi non ci permettiamo di certo un secondo Weasel in squadra. -
- Questi sono colpi bassi però. Prima mi
paragoni allo Sfregiato e poi alla Donnola. Al prossimo giro come la
mettiamo, mi darai della SangueSporco? -
- Questo mai, amico. -
- Sarà meglio per te che tu non metta in
dubbio il mio Stato di Sangue. In fin dei conti sei tu quello che
passeggia tra i babbani. -
- Mi stai sfottendo? -
- Solo quanto ti meriti. -
La
frase era stata accompagnata da un ghigno da parte del moro e da un
pugno sulla spalla dell'amico da parte di Malfoy, che subito dopo si
era messo a ridere, annuendo suo malgrado a queste parole. Alla fine
erano usciti entrambi senza acquisti per andare al Paiolo Magico a
concludere il pomeriggio per poi salutarsi e rivedersi al Binario 9 e
¾ da lì a pochi giorni.
*****
Erano
entrati nel locale quasi senza guardare chi ci fosse all'interno e si
erano seduti immediatamente in un tavolino all'angolo, ordinando
subito le loro consumazioni. Non appena si erano ritrovati davanti i
due boccali Malfoy aveva lanciato la bomba.
- Mi hanno eletto Caposcuola. -
Blaise
si era strozzato con il primo sorso di Burrobirra, rischiando di
sputarlo completamente in faccia all'amico che gli sedeva di fronte.
- Non è necessario che tu cerchi di
toglierti la vita per soffocamento Blaise. -
- Beh Malf, capirai che è quantomeno una
notizia inaspettata. -
- Inaspettata per certi versi, ma per altri... Chi
ti aspettavi che mettessero a Caposcuola? Pansy? -
- Beh, insomma, non sarà proprio la
candidata migliore di Serpeverde ma un Caposcuola con il Marchio Nero
è, come dire, inconsueto. -
- Ho ricevuto la lettera della vegliarda qualche
giorno fa. Sostiene che conferire a me la carica può essere
un ottimo segno di apertura verso il futuro, nonché una
grossa possibilità per me di dimostrare la mia
volontà cambiare. -
- Volontà che tu sembri non avere,
amico. -
- Dipende sempre da che cosa significa cambiare
Blaise. -
- Diventare uno studente modello, un Cercatore
infallibile e combattere sempre dalla parte del bene? -
- Devo trasformarmi in Pottyno? -
Lo
sguardo allucinato di Draco, accompagnato dall'espressione di puro
disgusto che era scaturita sul viso di Blaise aveva immediatamente
sdrammatizzato il tono della conversazione. Mentre ancora i due
ancora ridacchiavano della battuta avevano sentito la porta della
locanda aprirsi.
Hermione
e Ginny avevano trovato Harry e Ron subito all'esterno del Paiolo
Magico ad aspettarle, dato che le avevano viste in lontananza. Harry
si era subito avvicinato a loro e dopo aver baciato Ginny le aveva
preso i sacchetti dalle mani per aiutarla. Ron aveva atteso Hermione
davanti alla porta e le aveva dato un bacio sulla fronte, per poi
aprire la porta della locanda ed entrare per primo, facendole strada
subito dopo.
Neville
Paciock era seduto al tavolo con due ragazze del quinto anno, i cui
nomi erano sconosciuti a tutti i presenti, ma appena li aveva visti
le aveva salutate cordialmente e si era precipitato per accogliere i
suoi amici con un abbraccio. Si erano appena accomodati tutti ad un
tavolo, discorrendo di quanto fosse successo durante l'estate che Ron
si era immediatamente rabbuiato.
Continuava
a fissare insistentemente un punto in fondo alla sala, borbottando
parole incomprensibili e scuotendo la testa con indignazione.
Hermione si era avvicinata al suo ragazzo per cercare di capire che
cosa lo stesse così contrariando e seguendo la direzione del
suo
sguardo aveva posato gli occhi sull'oggetto delle sue
curiosità di
poche ore prima. Malfoy e Zabini sedevano ad un tavolino con due
Burrobirre davanti e sembravano intenti in una discussione piuttosto
seria ed animata.
- Cosa non va Ronald? -
- Assassino. Mangiamorte. -
- Ce l'hai con Malfoy? -
- E con chi se no? - aveva alzato la voce nel
pronunciare l'ultima frase – Trovo intollerabile che certa
gente possa ancora andarsene in giro impunita dopo tutto quello che
è successo. Gli assassini dovrebbero stare ad Azkaban. -
Hermione
aveva tirato una sonora gomitata nelle coste del ragazzo, che si era
piegato da un lato mentre parlava, ma comunque non aveva accennato a
smettere di sputare il suo veleno.
Malfoy
si era girato immediatamente, aveva socchiuso gli occhi e squadrato
Ron come se fosse l'ultimo degli scarafaggi sul pianeta che aveva
malauguratamente deciso di camminare sull'immacolato pavimento della
sua villa. Hermione aveva pensato che probabilmente, se non si
fossero trovati in un luogo pubblico, il ragazzo avrebbe estratto la
bacchetta e cruciato Ron all'istante.
Ma
niente di tutto questo era accaduto. Malfoy aveva semplicemente
guardato verso il loro tavolo, espresso i suoi pensieri con uno
sguardo di sdegno e riportato la sua attenzione verso l'amico, che
nel frattempo lo teneva d'occhio come se fosse stato una bomba pronta
a scoppiare. Ron, al contrario, sembrava non avere la minima
intenzione a lasciar perdere, dato che si era alzato dal tavolo e si
era avvicinato a larghi passi a quello di Malfoy, sotto gli occhi
attoniti di Harry e Ginny.
- Assassino e codardo, ma d'altronde non ci si
poteva aspettare altro da un Mangiamorte come te. -
Draco
si era alzato dalla sedia, mettendo mano alla bacchetta, senza
comunque proferire una parola, mentre Ron aveva già estratto
la sua
e la puntava con la mano tremante verso Malfoy.
Neville
era scattato in piedi ed aveva scavalcato il tavolo per portarsi
immediatamente davanti a Ron e cercare di spingerlo via, con scarsi
successi, vista la mole del più giovane Weasley. A quel
punto aveva
quindi estratto la bacchetta con un movimento rapidissimo e aveva
mormorato un Petrificus
Totalus
provvidenziale.
Si
era poi girato verso Malfoy e mentre trasportava via Ron, aiutato da
Hermione gli aveva semplicemente detto:
- Non ti ho difeso. Credo solo che tu meriti un
processo solo, quello che ti faranno al Ministero, quindi questa cosa
che stava facendo Ron non era giusta per te, ma era anche molto
imbarazzante per lui, anche se non lo capisce. Quindi, se te lo stavi
chiedendo, la risposta è no. Non lo stavo facendo per te, ma
per salvare la faccia del mio amico. -
Con
questo si era allontanato, trascinandosi dietro il corpo di Ronald.
Hermione
aveva lanciato un ultimo sguardo a Malfoy, mentre trasportava il suo
fidanzato all'esterno per rianimarlo. E si era stupita di aver visto
un'espressione divertita sul suo volto nel guardarlo portare il
boccale di Burrobirra alle labbra.
Innanzitutto
eccoci qua. Il capitolo è arrivato un po' in ritardo
rispetto a
quello che mi ero prefissata e che avrei voluto. Me ne dispiaccio
molto ma le feste di Natale e vari altre questioni mi hanno impedito
fisicamente di scrivere. Colgo l'occasione per dirvi ciò che
non vi
avevo già accennato perchè finora ero riuscita a
rispettare i
tempi: ci sono ottime probabilità che io non riesca ad
essere
regolare con gli aggiornamenti, specialmente nei prossimi mesi, vista
una sessione di esami incombente e una tesi che richiederà
attenzione, prima o poi.
Vi
ringrazio tutti per ogni parola e per ogni lettura, come sempre;
sapervi interessati e appassionati a quello che scrivo mi trasforma
in una specie di Gryffindor colmo d'amore.
Veniamo
alle note vere e proprie:
-
Hogwarts riapre
annullando un anno scolastico; mi è sembrata una delle
scelte più sensate e onestamente probabili per la
McGrannitt. L'anno trascorso con i Carrow e l'allegra combriccola di
Mangiamorte poteva sicuramente essere stato educativo da un certo punto
di vista, ma didatticamente non credo fosse il meglio che potesse
capitare.
Inoltre se non avessi trovato questa soluzione non avrei potuto
scrivere la storia, quindi vi tocca farvela andare bene. XD
-
Abbiamo a che fare
con un Ronald cambiato, ma neanche poi così tanto. L'ho
sempre ritenuto una persona instabile in questo senso e mi è
venuto facilissimo, quasi automatico, destabilizzarlo fino ad
esasperare un tratto caratteriale che ha comunque sempre dimostrato.
-
Florian
Fortebraccio era stato dichiarato disperso da Radio Potter durante il
viaggio alla ricerca degli Horcrux del Trio. A quello che mi risulta
non si sono più avute altre notizie dopo la guerra, quindi
ho scelto di testa mia. Ho voluto salvarlo perchè penso che
Diagon Alley avrebbe subito una perdita eccessiva, con l'assenza della
sola gelateria mai nominata nel mondo magico. E perchè sono
golosa e non potrei mai assassinare di mia volontà un
gelataio, se non per rubargli i prodotti del suo lavoro. :)
-
Ginny come
“erede” di Fred ai Tiri Vispi ma non solo
è una decisione che ho preso per sollevare il povero George
dalla costante presenza di Ron. Nella maggior parte delle fict che ho
letto è sempre Ron, alla fine, a dare una mano al gemello
rimasto, ma data la mia evidentissima simpatia per Lenticchia, ho
desiderato sollevare George da questa disgrazia.
-
Il desiderio di
Ginny di spingere un po' Hermione a curarsi di più, ma senza
trasformarla in una ragazza dalla divisa striminzita che si esercita
nel battito delle ciglia è una piccola battuta per prendere
in giro e per protestare contro le fyccyne in cui Hermione si trasforma
in una spogliarellista lap-dancer alla mercè del piacere di
Malfoy.
In questo ho voluto
unirmi alla “crociata” di battute già
messa in atto da Rea, Val e Jup.
-
“Se portavo la mamma
avrebbe fatto meno storie!” questo pensiero di Ginny
è stato scritto volutamente senza congiuntivo; ho avuto
l'impellente desiderio di sgrammaticare Ginevra e l'ho seguito
perchè volevo che in qualche modo risultasse frivola e poco
attenta a certe “particolari irrilevanti”.
-
Potrà
sembrare strano che Hermione non riconosca Malfoy dopo 7 anni di scuola
insieme e tutti gli avvenimenti dei libri, ma ho pensato che i mesi
trascorsi, l'abbigliamento di Draco e l'effetto sorpresa potessero in
qualche modo metterla in difficoltà.
-
“Bel
faccino” riferito a Draco, detto da Madama McClan
è una piccola citazione/omaggio alla storia
“What's in a name” di Valaus. Mi sembrava che ci
stesse davvero a pennello in questo momento.
-
Il diminutivo Malf
è stato usato da Poison Spring in uno degli ultimi capitoli
de “La Bellezza del Demonio” e nasce da uno dei
deliri notturni di Rea e Val. Entrambe mi hanno dato la loro
benedizione per utilizzarlo, quindi lo faccio con grande orgoglio e
piacere.
-
Le prese per i
fondelli di Potter e Weasel nelle conversazioni Malfoy/Blaise sono mio
puro diletto, anche se credo che loro approverebbero. :)
-
L'incapacità
di Blaise sulla scopa è una mia scelta arbitraria. Nei libri
non si fa menzione del suo rapporto con il Quidditch mentre nei film
pare che giochi come Cacciatore. Io ho creduto molto più
adeguato per il personaggio che sto immaginando un amore per lo sport
che però non era supportato dal talento. Non possono nemmeno
essere tutti perfetti, insomma.
-
Malfoy Caposcuola.
Ho pensato lungamente e consultato persone fidate per decidere per il
sì o per il no. Ognuno ha espresso la sua opinione ma alla
fine mi sono trovata a decidere per il sì. La McGranitt
aveva già dato segno di apertura con la lettera a Narcissa e
aveva già espresso la sua volontà di non
discriminare nessuno, quindi la nomina a Caposcuola poteva essere un
segno per gli altri e uno sprone per Draco. So che è una
scelta discutibile, ma qualunque cosa avessi fatto non ne sarei stata
completamente soddisfatta, in questo senso. Questa è stata
la scelta che mi ha convinta di più.
-
Neville con le
ragazze e che seda la rissa è la mia dichiarazione d'amore
per lui e vi assicuro che non sarà l'ultima. Amo Neville
visceralmente quindi credo di dovergli rendere giustizia. ^^
Dopo
la nota più lunga della storia vi lascio all'attesa del
Capodanno e
filo a chiudere la mia valigia, visto che tra due ore il mio treno
per Parigi se ne va e io sono ancora in pigiama a pubblicare questa
storia. E poi ditemi che non vi adoro. XD
Per
chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi
deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler, mi
trovate su Facebook: QUI.
|
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Capitolo 4 *** Cosce di pollo, armature e pugnali. ***
A
Luisa, perchè a volte la strada che siamo costretti a
scegliere può
nascondere la migliore delle sorprese.
A
Miki, la mia gemella fucsia, perchè nonostante tutto riesce
a
esserci, per me, sempre.
Alle
mie Slytherin Girls e non c'è bisogno che aggiunga altro.
<3
1
Settembre 1998.
Brusii
concitati stavano attraversando la Sala Grande da qualche minuto, per
la precisione da quando il Cappello Parlante aveva terminato il suo
lavoro, assegnando i nuovi studenti alle rispettive Case di
appartenenza. Come ogni anno aveva cantato la sua canzone, che in
quest'occasione esprimeva il desiderio di spronare gli studenti verso
la ripresa della normalità e verso la coesione tra gli
studenti.
Nulla di nuovo o di inaspettato, quindi.
Il
brusio che subito aveva iniziato a serpeggiare era determinato dal
fatto che la sedia dell'insegnante di Difesa contro le Arti Oscure
fosse ancora inesorabilmente vuota, il che aveva determinato la
nascita di ipotesi e discussioni, specialmente tra gli studenti
più
grandi.
Nessuno,
in nessuna tavolata era riuscito a venire a capo della questione o
anche solo ad ipotizzare un nome plausibile o se non altro,
credibile. Quindi tutti continuavano a domandarsi chi potesse essere
il sostituto di Piton in questa nuova direzione che la scuola aveva
deciso di prendere, chi la McGranitt avesse scelto per occuparsi di
una delle materie più complesse, nonché per
insediarsi in uno dei
posti da insegnante più “tormentati”.
Hermione
sedeva accanto a Ron, mentre Ginny e Harry si erano accomodati di
fronte a loro.
- Chi potrebbe essere? Come mai non è
arrivato subito? -
Aveva
già iniziato a snocciolare mentalmente le varie
possibilità, non
trovandone tuttavia nemmeno una che la soddisfacesse in pieno. Tutti
sembravano inadeguati o troppo occupati o, ehm,
morti, per
accettare quel posto.
- Non so proprio chi potremmo aspettarci sai? -
Ginny
aveva risposto immediatamente, guardando Harry in cerca di qualche
considerazione, di una sua opinione, ma il Ragazzo Sopravvissuto
aveva scosso la testa in silenzio, alzando le spalle. Hermione si era
appoggiata a Ron, che le aveva posato una mano sulla testa, in una
carezza un po' rude, mentre con l'altra mano l'aveva avvicinata a
sé
prendendole il fianco e facendola scivolare sulla panca. Il brusio
nella Sala si faceva di minuto in minuto più forte, a tratti
anche
fastidioso e man mano anche gli studenti più piccoli
iniziavano a
mostrare interesse e a prendere parte alla discussione. La voce di
Minerva McGranitt aveva però prontamente interrotto questo
crescendo
di chiacchiere.
- Buonasera a tutti voi, ragazzi.
Nel mio ruolo di Preside di questa scuola, mi trovo a darvi il
benvenuto ad Hogwarts, in un anno di rinnovamento. A quelli che hanno
vissuto lo scorso anno qui con me, vorrei dire soltanto che per tutti
è stato importante vivere quell'esperienza e credo che tutti
noi abbiamo potuto imparare moltissimo da quello che è
accaduto, ma ora abbiamo bisogno di tornare alla normalità.
Questo è quello che voglio per tutti gli studenti che sono
arrivati qui oggi. Voglio che questa sia non soltanto la Hogwarts di
sempre, voglio che sia la scuola che conoscete, ma in un certo senso
nuova. Nuova nella consapevolezza che molte rivalità e molte
incomprensioni dovranno essere messe da parte, che ognuno di voi
è qui per imparare qualcosa e per diventare un mago migliore.
Il Cappello Parlante vi ha smistato nelle vostre Case, ma sappiate che
prima di essere Grifondoro o Tassorosso, Corvonero o Serpeverde, voi
siete dei ragazzi, dei giovani maghi e che siete tutti uguali ai miei
occhi e che dovrete esserlo anche ai vostri. Non tollererò
che vengano fatte differenze, che vengano messi in atto comportamenti
derisori o che in qualunque modo si manchi di rispetto a chicchessia in
nome del colore delle vostre cravatte, dello Stato di Sangue vostro o
dei vostri genitori, né tantomeno per questioni accadute
prima o durante la guerra. La Guerra è finita. Non voglio
strascichi qui dentro, siete stati avvisati.
La Coppa delle Case e il Campionato di Quidditch si svolgeranno come di
consueto; i Capiscuola e i Prefetti hanno già ricevuto le
loro nomine, mentre per quanto riguarda le squadre di Quidditch ogni
Casa riceverà comunicazione dal proprio insegnante riguardo
il Capitano e le istruzioni per formare il resto della squadra.
Passiamo ora alle comunicazioni di servizio. La Professoressa Cooman
è stata reintegrata all'insegnamento come unica insegnante
di Divinazione; Fiorenzo il Centauro non sarà più
vostro docente. Vi comunico inoltre che... -
Minerva
McGranitt aveva fatto una pausa, si era girata verso la tavolata
degli insegnanti, poi verso la porta, come a cercare con lo sguardo
qualcuno, che evidentemente aveva trovato, perchè aveva
immediatamente ripreso fiato e ricominciato a parlare.
- Dicevo appunto che, a partire da quest'anno, la
vostra nuova insegnante di Difesa contro le Arti Oscure sarà
la Signora Andromeda Black. -
Si
era nuovamente girata verso la porta, facendo cenno ad Andromeda di
avvicinarsi e prendere posto. La donna era entrata lentamente e si
era accomodata sull'unica sedia vuota rimasta all'estremità
del
lungo tavolo. La somiglianza con sua sorella Bellatrix era sempre e
comunque impressionante. Indossava un abito blu, che risaltava in
modo particolare la carnagione pallida e i capelli scuri raccolti
sulla nuca in una treccia avvolta su sé stessa e fissata con
un
fermaglio dello stesso colore dell'abito. Il viso era bello, ma con
una traccia di stanchezza nelle piccole rughe intorno agli occhi.
- Alloggerà, come tutti noi insegnanti
facciamo, qui a scuola, con la sola differenza che non sarà
sola. Vi comunico quindi fin da ora di non stupirvi, se vedrete un
bambino aggirarsi qualche volta nei corridoi della scuola, si tratta
del nipotino della Professoressa Black, che vivrà qui con
lei e con noi. Con questo credo di avervi detto tutto, ragazzi, quindi
vi lascio godere della vostra cena. -
La
professoressa si era andata a sedere a tavola ed immediatamente, come
ogni anno, le pietanze erano comparse sulle tavolate e la maggior
parte degli studenti si era avventata sui piatti.
Draco
Malfoy era rimasto ammutolito, così come Harry, Hermione,
Ron e
Ginny, anche se i motivi non erano esattamente gli stessi. In ogni
caso, su entrambe le tavolate, Grifondoro e Serpeverde, c'era almeno
uno sparuto gruppo di persone che non aveva come primo pensiero
quello di strafogarsi. Chiaramente, al tavolo di Grifondoro, nel
gruppo non era compreso Ronald Weasley che non appena le cosce di
pollo erano comparse nel piatto di portata, lui vi si era lanciato
sopra, riempiendosi la bocca. Intorno a lui invece, il resto dei
suoi amici era ancora scioccato dalla notizia di Andromeda come loro
insegnante.
- Non ci ha detto niente! Perchè? -
Harry
Potter aveva fatto questa domanda con voce stridula, quasi senza
fiato, ancora incredulo all'idea di non essere stato messo a parte di
una notizia così importante.
- Probabilmente perchè non poteva
dircelo. Forse volevano tenere il segreto sul nuovo professore fino
alla fine, forse gli studenti non devono sapere. - aveva risposto
Hermione, cercando di essere in qualche modo ragionevole.
- Ma IO non sono uno studente qualunque. Io sono il padrino di suo
nipote, io sono... dannazione, io sono io. Avrebbe dovuto dirmelo! -
- Harry non essere assurdo. Se non poteva dirlo a nessuno non poteva
dirlo nemmeno a te. -
- Ma... - la replica di Harry iniziava ad essere più debole,
avendo finito le argomentazioni anche solo vagamente sensate.
-Uhmpf. - questa era stato l'intervento di Ron, provvidenziale per la
conversazione come al solito.
Hermione
si era girata verso il suo fidanzato con un'espressione visibilmente
scocciata, per poi rivolgere nuovamente l'attenzione verso il suo
migliore amico, che sembrava aver perso completamente il senso delle
cose.
- Non ci sono “ma” Harry, mi
sembra evidente. Andromeda è la nostra nuova docente,
vivrà qui e potremo vedere il piccolo Teddy molto
più spesso di quanto sperassimo. C'è ancora
qualcosa che ti turba? -
Aveva
espresso i tre concetti sollevando un dito per volta ed aveva
concluso con un sorriso smagliante, guardando Harry dritto negli
occhi; il Ragazzo Sopravvissuto non aveva saputo replicare ed aveva
soltanto scosso la testa in risposta.
****
Nel
frattempo, al tavolo di Serpeverde, anche Draco aveva, almeno
temporaneamente, accantonato l'idea di mangiare, per crogiolarsi
nello stupore di trovarsi nientemeno che sua zia Andromeda come
insegnante. Non che fossero un'allegra famigliola che si manda
lettere e regali per Natale e compleanni e che si riunisce attorno a
chiassose tavolate; probabilmente aveva visto Andromeda si e no due
volte ed in tenerissima età, ma comunque si aspettava che in
un modo
o nell'altro questa cosa l'avrebbe saputa prima.
Guardava
la sorella di sua madre in fondo alla sala e continuava a stupirsi di
quanto la somiglianza con quella zia che invece aveva conosciuto fin
troppo bene fosse evidente, ma anche in qualche modo velata,
rendendo molto chiaro che si trattava di due persone diverse, ma che
avevano inequivocabilmente geni comuni. Forse la differenza
più
grande non era puramente estetica. Forse quella sensazione di
diversità tra le due era data dallo sguardo. Ecco, Andromeda
aveva
uno sguardo materno, dolce, come quello che aveva Narcissa quando
stava con lui, quando lo guardava prima che lui salisse sull'Hogwarts
Express.
- Ti sei incantato Malf? -
La
voce e la pacca in mezzo alla schiena di Zabini l'avevano interrotto
dalla sua disquisizione mentale sulle sorelle Black.
- No no, sono solo ancora piuttosto sorpreso dalla
nostra nuova insegnante. Tutto qui. -
- Ti fa un po' impressione avere zia Andromeda come
docente? -
- Merlino Blaise, zia Andromeda fa così
tanto... famiglia. Io quella donna la conosco appena. -
- E' comunque tua zia. -
- Certo, ma non credo di aver mai espresso nulla di
più intelligente di un vagito in sua presenza. Definirla zia
mi sembra quantomeno eccessivo. -
- Diamine Malf, è davvero identica a
Bellatrix. -
Blaise
aveva spostato lo sguardo su Andromeda e la scrutava con un sguardo
stranito, come se stesse guardando un fantasma.
- Non è identica a lei... In qualche
modo mi ricorda anche mia madre. Non so spiegarti perchè, ma
è così. -
- Mamma Cissy? Forse qualcosa negli occhi, non
saprei. A proposito, ma lei lo sa? -
- Non mi ha detto nulla, ma non credo lo sappia.
Sono anni che non si sentono. Da quando... -
Draco
aveva scosso la testa, ricordando sua madre sola, davanti alla tomba
di Bella. Era davvero da tanto tempo che non si sentivano, che non
erano nemmeno più parenti, ma forse ora...
- Già. -
Blaise
aveva accompagnato quella sillaba con una scrollata di spalle e nel
momento stesso in cui aveva spostato lo sguardo aveva trovato seduta
stante una distrazione: la Greengrass stava mostrando a metà
della
tavolata Slytherin le sue grazie esibendosi in un insieme di
contorsionismi mirati al recupero di una forchetta sotto il tavolo.
Aveva dato di gomito a Draco immediatamente, ma la sua reazione non
era stata affatto soddisfacente. L'amico gli aveva rivolto un
sogghigno quasi amaro e si era alzato dal tavolo, allontanandosi da
solo verso il portone.
- Dove stai andando? Non hai neanche mangiato! -
aveva urlato alle sue spalle.
- Faccio una passeggiata, ho bisogno d'aria. Ci
vediamo dopo in dormitorio. -
****
Subito
dopo la cena i Prefetti avevano chiamato a raccolta i loro compagni,
specialmente i piccoli del Primo anno, per poterli scortare alle Sale
Comuni, insegnando loro la strada e la parola d'ordine per l'accesso.
Ginny e Harry erano in coda al gruppo dei Grifondoro e
chiacchieravano di banalità, mentre Ron era giusto qualche
passo
avanti a loro, che guardava Hermione accompagnare due piccoli
particolarmente in difficoltà per mano.
Era
stata un'altra sorpresa, per loro due, trovarsi davanti Andromeda
Black nel suo abito blu e con il suo sorriso tranquillo.
- Ciao Harry, ciao Ginevra. -
Harry
aveva distolto lo sguardo.
- Ci hai fatto una gran bella sorpresa eh? -
Il
tono voleva essere scherzoso, all'origine, ma Harry stesso si era
reso conto subito di quanto gli fosse uscito ben più
sarcastico di
quanto lo volesse.
- Non avevo l'autorizzazione per mettervi a parte
di una notizia che doveva restare segreta agli studenti. Non volevo
tenervi all'oscuro di tutto ma non potevo dirlo a nessuno. -
- Scusami, non
volevo fartene una colpa ma immaginerai... Ci sono rimasto di sasso. Ma
come... -
Andromeda
l'aveva interrotto.
- Ti stai chiedendo perchè io? Sono
sola, ho soltanto il piccolo Teddy e la conoscenza delle Arti Oscure mi
è stata insegnata fin da bambina, nella famiglia in cui sono
stata cresciuta. Non dimenticare che sono una Black, nonostante abbia
deciso di fare scelte diverse da quelle che ci si sarebbero aspettate
da me. Mi piace l'idea di poter insegnare a qualcuno come difendersi e
come combattere contro il Male, quando invece tutte quelle nozioni mi
erano state impartite per offendere. -
- E' stata la Professoressa McGranitt a chiamare
te? -
- Non saprei dirti esattamente come è
successo. Un giorno Minerva era a casa mia e stavamo bevendo un the; mi
ha detto che stava cercando un insegnante per Hogwarts, per sostituire
Severus e... beh, è successo molto velocemente. - gli occhi
di Andromeda brillavano mentre raccontava quell'episodio – ci
siamo guardate e non è nemmeno stato necessario chiedere.
Avevamo già capito che lei mi offriva il posto e che io
l'avrei accettato.
- Mi ha chiesto di non dirlo a nessuno,
perchè voleva sistemare alcune questioni burocratiche e
perchè a quanto pare gli studenti non possono conoscere i
nomi dei nuovi insegnanti prima di arrivare a scuola e io ho
acconsentito. -
Ginny
si era sporta e l'aveva abbracciata stretta, alzandosi sulle punte
dei piedi per arrivare a metterle le braccia sulle spalle.
- Siamo contenti che tu sia qui. - le aveva
sussurrato, per poi girarsi verso Harry con uno sguardo che non
ammetteva repliche. - VERO? -
- Certo che lo siamo. - si era affrettato a
confermare il ragazzo.
Quella
risposta affatto spontanea aveva strappato una morbida risata ad
Andromeda, che gli aveva carezzato una guancia con affetto, sentendo
sotto le dita un timido accenno di barba.
- Vi direi di venire a salutare Teddy, ma quando
sono arrivata a cena già dormiva come un sasso; sappiate che
potete venirlo a trovare quando volete. Alloggiamo nelle stanze dei
Docenti, ma sono certa che nessuno avrà nulla da ridire se
vieni a trovare il tuo figlioccio. Buonanotte ragazzi. -
I
due avevano risposto alla Professoressa in coro e si erano di nuovo
incamminati verso i Dormitori, ora lontani dalla maggior parte della
coda, che ormai doveva essere giunta a destinazione.
- Non sei stato molto educato con lei, Harry. -
La
rossa l'aveva guardato di sottecchi, mentre lo riprendeva e l'aveva
visto accigliarsi un poco dietro gli occhiali.
- Non farmi la predica Gin, non volevo essere
scostante, ma mi è venuto spontaneo. -
- Lei è stata molto gentile, non si
meritava che tu ti arrabbiassi con lei. -
- Dai, ora è tutto a posto no? -
Lo
sguardo supplichevole che le aveva rivolto sarebbe risultato odioso
agli occhi di chiunque, ma davanti a quegli occhi verdi così
spalancati Ginevra Weasley perdeva tutta la sua decisione.
Gli
aveva dato un bacio leggero sulle labbra e si era allontanata da lui
in fretta, per prenderlo per mano e ricominciare subito a camminare.
Ma non avevano fatto in tempo a fare più di cinque passi che
dei
rumori ovattati avevano interrotto immediatamente i loro propositi.
- Cosa diavolo... -
Harry
Potter si era subito messo davanti a Ginny, spingendola con un
braccio dietro la sua schiena e mettendo mano alla bacchetta. Ginevra
si era divincolata immediatamente, sfuggendo a quel gesto
incomprensibile ai suoi occhi.
- Harry ma che ti prende? -
- Shhhh. Ginny non hai sentito? -
Il
Ragazzo Sopravvissuto aveva iniziato a camminare lentamente, quatto
quatto, rasente al muro, tenendo Ginny per mano e cercando di indurla
a fare la stessa cosa.
- Ma sentito cosa Harry? Maledizione, sembri un
pazzo. -
La
rossa aveva lasciato la sua mano di scatto, insofferente e ora lo
fissava fiammeggiante.
- I rumori, non hai sentito? … Ecco!
Ascolta! -
Ginny
aveva teso l'orecchio nel silenzio, decisamente scettica, ma suo
malgrado aveva dovuto ammettere che qualche rumorino, nel silenzio
dei corridoi, iniziava a sentirlo anche lei. Erano come dei mormorii
soffocati, quasi sembravano risatine.
Un
momento.
Ginevra
si era immediatamente raddrizzata e si era diretta spedita verso la
nicchia che conteneva un'armatura, inseguita da un Harry che
continuava ad esortarla a fare piano e a stare attenta; dietro il
lucido metallo, nascosti nell'ombra aveva trovato i responsabili
dell'agitazione del suo fidanzato. Neville Paciock era appoggiato al
muro di sasso, completamente coperto dalla piccola figura di una
biondina arrampicata su di lui. Inutile aggiungere che le mani del
ragazzo non erano esattamente visibili.
Ginny
si era ritratta ridacchiando, scontrandosi mentre indietreggiava con
il torace di Harry, che si stava invece sporgendo nella nicchia per
vedere a sua volta.
- Ma quello è... -
- Si Harry, quello è Neville. Con Quinn
Davies, di Corvonero. -
- Ma... -
- Si Harry. Stanno facendo esattamente quello che
pensi. Adesso andiamo via, prima che ci vedano e che li disturbiamo
senza motivo. -
- Roger Davies gli taglierà le mani. -
- Il fratello di Quinn non lo deve sapere per
forza, sai Harry? -
Il
tono di Ginny sembrava non ammettere alcuna replica, quindi Harry si
era deciso a seguirla verso la torre in silenzio, sperando magari di
trovarsi entro qualche minuto nella medesima situazione di Neville.
****
Malfoy
camminava nel buio del parco di Hogwarts con una meta ben precisa.
Aveva detto a Blaise che sarebbe andato a fare una passeggiata ma
non era esattamente la verità. Stava passando accanto al
campo di
Quidditch e si chiedeva se anche questa volta sarebbe riuscito ad
essere Capitano della squadra. Forse quest'anno non l'avrebbero
scelto, in fondo era già stato nominato Caposcuola
nonostante la
situazione in cui si trovava, forse chiedere di essere anche Capitano
era pretendere troppo. Ma era lui il più bravo in quella
squadra,
non c'era assolutamente nessun altro che poteva meritarsi quella
nomina. Aveva talento da vendere e il posto come Cercatore era
già
automaticamente suo. Stava ancora pensando alle varie persone che
avrebbe potuto mettere in squadra e ai provini da organizzare quando
aveva alzato lo sguardo sulla struttura imponente che vedeva subito
dietro, in lontananza. Il Memoriale.
Era
lì che stava andando, perchè in quella prima
serata a Hogwarts
c'era qualcosa che non andava, c'era qualcuno a
mancare dalla
loro tavola. E Draco aveva bisogno di salutarlo, questo qualcuno.
Perchè dopo sette anni in cui ogni sera di inizio anno
l'avevano
passata insieme, fin dallo Smistamento, quella mancanza non poteva
far altro che farsi sentire.
Vincent
non era mai stato l'amico che era Blaise, questo non poteva di certo
negarlo, non avevano mai parlato a lungo o non si erano confidati.
Non aveva frequentato Malfoy Manor fin da piccolo, diventando
praticamente un fratello anche agli occhi di Narcissa, come aveva
fatto Zabini, ma gli era sempre stato accanto, dai primi scherzi
innocenti a Potter fino alla fine, fino a quella notte. Non aveva mai
chiesto molto né era stato troppo invadente; lui e Goyle
erano i
suoi gregari, i suoi compari e non l'avevano mai lasciato.
Draco
aveva finalmente raggiunto il Memoriale, nel punto in cui il nome e
la foto di Vincent Tiger si stagliavano sul granito nero.
Nell'immagine Tiger stringeva la sua Nimbus 2001, in piedi davanti
allo stadio di Quidditch, nella sua divisa di Slytherin. Se lo
ricordava, Draco, il pomeriggio in cui il padre di Tiger aveva
scattato quella foto. Avevano vinto una partita contro Grifondoro e
guarda caso quel giorno qualche genitore era venuto ad assistere.
Tiger aveva rischiato di accoppare Potter con un paio di bolidi e suo
padre l'aveva atteso fuori dallo stadio armato di macchina
fotografica. Era orgogliosissimo della loro vittoria e del modo in
cui Vincent aveva giocato. Si ricordava anche la pacca sulla spalla
che lui stesso gli aveva dato poco prima di quello scatto, per poi
defilarsi negli spogliatoi.
Sembrava
davvero strano, irreale, pensare che non sarebbe più
tornato. Erano
passati tre mesi dalla morte di Vincent e ancora Draco non riusciva
ad essere del tutto cosciente del fatto che la sua morte significava
non rivederlo mai più. Razionalmente se ne rendeva conto
benissimo,
non era di certo un ragazzino che non capiva, ma essere lì a
vedere
Tiger in quella foto e pensare che sarebbe stato l'unico modo in cui
avrebbe potuto vederlo di nuovo, gli sembrava assurdo.
Malfoy
si era seduto sul pavimento freddo, avvolto nel suo mantello ed era
rimasto qualche momento lì, a guardare il suo amico.
- Non sono venuto di notte perchè mi
vergogno. - aveva detto all'immagine che ancora sorrideva. –
Sono venuto adesso perchè non mi andava di aspettare fino a
domani. Avevo bisogno di stare in pace e poi... volevo salutarti. Ecco.
Ma verrò anche di giorno, Vince. Tutti i giorni se ci
riesco. -
Aveva
lasciato vagare lo sguardo sulle altre immagini, intorno a quella di
Tiger, sugli altri nomi.
Erano tanti, dannazione, troppi.
Era
passato davanti a fotografie di ragazzi che aveva visto passeggiare
nei corridoi qualche volta, immagini di ragazzi conosciuti, ma anche
nomi di persone che non aveva mai sentito. Gli sembrava strano, ora,
non conoscere il nome di persone che avevano vissuto con lui nella
stessa scuola, ma ripensando agli ultimi due anni si era detto che
probabilmente era stato troppo concentrato in altre questioni,
come ad esempio tenersi stretta la pelle, per fare caso ai nuovi
arrivati. La mano si era automaticamente portata a sfiorare
l'avambraccio sinistro da sopra la camicia della divisa. L'immagine
del marchio si era fatta strada nella sua mente, riempiendolo di
rabbia. Sarebbe sempre stato lì, a ricordargli ogni momento,
ogni
sbaglio, ogni tentennamento. A ricordargli la bacchetta che si
abbassava davanti al viso del vecchio stregone e la bacchetta di
Piton accanto ai suoi occhi.
Per
quanto ancora avrebbe dovuto fare i conti con tutto questo?
E
ancora non era successo nulla, non aveva affrontato i suoi compagni
del settimo anno, le giornate di lezione, la quotidianità in
cui
sicuramente gli altri avrebbero avuto occasione di ricordargli quanto
lui fosse diverso da loro. Quanto, al contrario del
Trio dei
Miracoli, lui fosse diverso per demerito e non per gloria.
Aveva
cercato di scacciare quei pensieri scuotendo la testa, fissandosi
sull'immagine del suo amico e aveva trovato il modo di distrarsi
parlandogli, come se fosse ancora con lui.
Draco
si era intrattenuto ancora qualche minuto, raccontando alla foto di
Vincent della giornata e delle sensazioni di quel viaggio, di
quell'arrivo in una Hogwarts sempre uguale, ma così diversa,
in cui
si respirava un'aria che non somigliava affatto a quella che avevano
respirato quando Silente era Preside.
Dopo
quella “chiacchierata” particolare si era sentito
un poco più
leggero ed aveva deciso di tornare nei Dormitori, dove sicuramente
Blaise lo stava aspettando con qualcosa da mangiare, preoccupato come
se fosse sua madre perchè aveva saltato la cena.
****
Hermione
aveva aperto gli occhi di scatto, osservando la lama di luce che
penetrava dalla uno spiraglio della tenda e che si dirigeva dritta
dritta sul suo occhio destro. Aveva dormito davvero male quella
notte, continuando a girarsi e rigirarsi, scoprirsi e coprirsi per
ore. Ora però quel raggio di sole indicava che era mattina e
che
quindi si poteva alzare senza destare preoccupazione in nessuno.
Si
era alzata lentamente, cercando di fare meno rumore possibile per non
svegliare le sue compagne che dormivano ancora beatamente nei loro
letti e si era infilata una felpa per scendere in Sala Comune a
leggere qualcosa mentre aspettava l'ora di colazione. Aveva
agguantato dalla scrivania il suo libro di Aritmanzia e si era
fiondata a passi veloci giù dalle scale.
Giunta
a destinazione aveva trovato Ron seduto su una poltrona, addormentato
con la testa all'indietro poggiata contro un cuscino e con in una
mano la sua Tornado e nell'altra un barattolo di lucido. Lo aveva
raggiunto subito e si era sporta oltre lo schienale per posargli un
bacio sulla fronte, tenendogli il viso tra le mani.
- Buongiorno. - gli aveva sussurrato vicino
all'orecchio.
Lui
aveva aperto gli occhi stancamente e per un momento l'aveva guardata
quasi confuso, ma non appena aveva messo a fuoco, sia mentalmente che
visivamente, la sua presenza, le aveva afferrato una mano e le aveva
fatto aggirare la poltrona, per portarla a sedersi sulle sue
ginocchia, non senza qualche strattone.
- Buongiorno a te. -
Le
aveva risposto con un sorriso, mentre la ragazza si accoccolava su di
lui, raccogliendo le gambe sulle sue e poggiandogli la testa sulla
spalla. Ron si era mosso ancora qualche momento, per sistemarsi sulla
poltrona e liberare la visuale dai ricci indomabili di Hermione, poi
le aveva passato le braccia intorno alla vita e, ormai sveglio, aveva
ricominciato a lucidare il manico della scopa.
Quel
piccolo idillio di coppia non era però durato più
di qualche
minuto, perchè era stato interrotto da una specie di tornado
rosso,
rispondente al nome di Ginny Weasley che, individuata la sua amica,
l'aveva puntata e raggiunta come un cane da caccia con una volpe.
- Herm, tesoro tu non hai idea di cosa ho visto
ieri sera. -
Questa
frase era stata pronunciata mentre trascinava per un braccio l'amica
via dalla poltrona, ignorandone completamente le timide proteste e
portandola con sé su per le scale, diretta verso il
dormitorio
femminile.
- Vieni con me che te lo racconto mentre ci
vestiamo per andare a colazione. -
- Il fatto che io fossi tranquillamente seduta con
Ron non è rilevante vero? -
- Ovviamente non lo è, altrimenti non ti
avrei portata con me. E quando ti avrò detto cosa ho visto
sono sicura che sarà irrilevante anche per te. -
L'aveva
seguita con poca convinzione su per le scale e si erano vestite
insieme, ma Ginny non aveva accennato ad iniziare a parlare di questa
notizia così importante. Al che, una volta tornate di sotto,
dove
avevano trovato Ron vestito e Harry ciondolante per la Sala comune,
Hermione aveva assaltato a sua volta l'amica, che stava tentando con
nonchalance di salutare il suo ragazzo e l'aveva trascinata fuori dal
buco del ritratto a sua volta.
- Allora questa notiziona? -
- Ieri sera io e Harry stavamo tornando ai
Dormitori e mentre camminavamo per i corridoi abbiamo sentito un rumore
strano. Allora Harry ha iniziato a dare in escandescenza, trascinandomi
in posizioni protette e sguainando la bacchetta. In realtà,
guardando dietro un'armatura, dentro una nicchia abbiamo visto che
erano delle persone, a fare quei rumorini. -
Ginny
aveva fatto una pausa ad effetto, guardando Hermione e aspettandosi
di essere incalzata.
- Allora Ginny, avanti dimmi chi hai visto! -
- Neville! Era Neville che si era infrattato dietro
l'armatura con la Davies! -
Hermione
aveva sgranato i suoi occhi marroni e si era bloccata in mezzo al
corridoio.
- NEVILLE? Intendi Neville Paciock? -
- Si Herm, proprio lui! E dovevi anche vedere come
gli stava abbarbicata addosso quella Quinn! -
- La ragazza del quinto anno di Corvonero? La
sorellina di Roger? -
- Sorellina mica tanto Hermione, te l'ho detto,
avresti dovuto vederla. -
- E così il nostro Neville è
diventato un seduttore? -
In
quel momento Hermione aveva sentito dietro di sé un mugugno,
una
specie di lamento e si era girata indietro, per vedere Ron assumere
la solita espressione che aveva iniziato a fare ogni volta che
qualcosa lo contrariava, cosa che nell'ultimo periodo accadeva
spesso.
- Qualcosa non va Ron? -
- No, Mione, certamente no. Ma continua pure ad
ignorarmi, non vorrei disturbare il divertimento tuo e di mia sorella.
-
Hermione
era rimasta allibita e si era fermata davanti a lui con la bocca
aperta, senza riuscire a dire una parola per almeno qualche secondo.
Non appena era riuscita a riscuotersi, però, aveva guardato
il
ragazzo negli occhi e aveva scosso la testa delusa, per poi
rivolgersi a Ginny e a Harry.
- Io faccio un giro in giardino, prima di
colazione. Ci vediamo a lezione. -
****
Durante
la sua passeggiata Hermione aveva raggiunto il Memoriale quasi in
automatico, senza pensare assolutamente a dove stesse andando, troppo
presa dal trattenere le lacrime per decidere coscientemente di
dirigersi da qualche parte.
Si
era così trovata davanti al monumento nero, con gli occhi
gonfi dal
pianto trattenuto e le mani strette a pugno, quando aveva visto la
foto di Fred, in cima alla fila di immagini e nomi e aveva capito che
forse qualcuno che l'avrebbe ascoltata senza implicazioni, l'aveva
trovato.
Si
era seduta per terra, sul maglioncino che si era tolta ed aveva
disteso a quello scopo ed aveva iniziato a parlare.
- Sai Fred, forse solo tu puoi capirmi in questo
momento. Tuo fratello Ronald è un idiota. Si, lo so
benissimo che non ti sto dicendo nulla che tu non sappia
già, ma ti assicuro che da quando te ne sei andato
è nettamente peggiorato. È sempre intrattabile,
non si riesce a fare nulla quando c'è anche lui. La minima
risata lo irrita, pretende di essere al centro esatto di ogni mio
pensiero, si aspetta che io lo capisca sempre mentre lui non vuole mai
capire me. Mi sta facendo diventare pazza. -
La
ragazza si torturava le dita, tenendo le mani incrociate in grembo e
continuava a parlare all'immagine del gemello, che sorrideva allegro
nel giorno del matrimonio di Bill e Fleur.
- Ero così felice quando ci siamo
baciati, la notte della Battaglia. Aspettavo quel momento da
così tanto tempo che quasi non mi sembrava nemmeno vero e
poi tutto sta andando a rotoli per il suo maledettissimo carattere. Non
so che cosa mi aspettavo, insomma, sapevo da prima che Ron non
è di certo la persona più semplice del mondo con
cui trattare, ma speravo che forse tutta questa situazione l'avrebbe
aiutato a crescere, a maturare un po'. Invece passa da momenti in cui
è tremendamente intransigente ad altri in cui è
la versione esasperata del solito Ronald, con gli scatti d'ira e le
gelosie immotivate.
Che devo fare Fred? Come faccio a fargli capire? -
Aveva
parlato a se stessa più che a Fred ed Hermione lo sapeva
bene, ma
aveva davvero bisogno di trovare un modo di risolvere quella
situazione. Sentiva di essere legata a Ron da un sentimento profondo
ma non riusciva ad inquadrare la situazione in modo razionale.
Detestava
non riuscire a venire a capo di qualcosa, anche quando questo
qualcosa era evidentemente un sentimento tanto complicato da mettere
in difficoltà chiunque. Hermione sentiva di non aver mai
provato per
nessuno quello che provava per Ron, ma quando stava con Harry e Ginny
sentiva nell'aria intorno a loro un'aura di complicità, di
comprensione che non riusciva a trovare con il suo ragazzo. Non
stavano sempre attaccati, anzi, ma ogni volta che si sfioravano le
sembrava quasi di sentire lei stessa l'elettricità che
scaturiva dal
loro contatto. Con Ron non era così. Quando stavano vicini,
quando
si sfioravano era bello, piacevole, ma Ginny le aveva parlato di
passione, le aveva parlato di fuoco nelle vene. Lei il fuoco nelle
vene non l'aveva mai sentito, nemmeno la prima volta che...
Che
fosse lei il problema? Che fosse diversa da Ginny così tanto
anche
in questo?
La
mente di Hermione brulicava di domande senza risposta, mentre
sfiorava con le dita la cornice della foto di Fred e correva poi nel
primo pezzetto di prato al limitare del monumento, per recuperare un
piccolo fiore giallo, che aveva lasciato nel vasetto accanto al suo
nome.
Probabilmente
era tutta una fantasia, probabilmente i suoi litigi con Ron le
facevano sembrare tutto più difficile e più
grande di quanto in
realtà fosse. Si sarebbe risolta ogni cosa. Lo sentiva.
Mentre
passava davanti agli altri nomi, diretta in Sala Grande per
recuperare almeno un toast prima di fiondarsi a lezione con tutti i
suoi libri, Hermione aveva però notato un particolare.
C'era
un nome, in basso, in un angolo del monumento, accanto al quale
nessuno aveva lasciato nulla. Spiccava stranamente tra tutti gli
altri, dove ogni amico passato aveva deciso di lasciare un fiore, una
sciarpa, un biglietto. Si era avvicinata per vedere chi fosse e una
volta letto quel nome aveva sentito il dispiacere stringerle il
petto. Vincent Tiger non aveva nessuno che pensava a lui, nessuno che
si fosse premurato di lasciare qualcosa.
Lo
farò io. Se in questi giorni
continuerò a trovare quel nome
solo, senza nulla, porterò io qualcosa per lui.
****
Draco
si stava trascinando stancamente verso la serra numero quattro
insieme a Blaise, per la prima lezione di quell'anno scolastico che,
per cominciare con il botto, la Preside aveva stabilito fosse
condivisa con almeno una delle altre Case.
Quella
prima lezione sarebbe stata condivisa con Ravenclaw e già
vedeva in
lontananza quella svampita di Luna Lovegood precederli verso le serre
con un paio delle sue compagne.
Perlomeno
non sono i Grifoni.
Quello
era stato il solo pensiero che l'aveva confortato quella mattina,
quando aveva controllato l'orario, pensando a quanto sarebbe stato
lieto di condividere la sua prima lezione con il Salvatore del Mondo
e la sua allegra combriccola. Sapeva che avrebbe dovuto sopportare la
loro irritante presenza durante le ore di Pozioni, come al solito, ma
si aspettava che dopo il discorso della McGranitt probabilmente
questo sarebbe accaduto molto più spesso di quanto
desiderasse.
Erano
arrivati praticamente davanti alla porta della serra quando Draco si
era accorto del capannello di persone raccolte intorno a Padma Patil
che teneva in mano un foglio di pergamena e continuava a fissarlo.
- Cosa sta succedendo qui? -
Si
era rivolto al gruppetto bruscamente, cercando di avvicinarsi a Padma
per vedere cosa ci fosse scritto. La ragazza aveva sollevato la testa
rivelandogli uno sguardo decisamente preoccupato e gli aveva porto la
pergamena.
- L'ho trovata appesa alla porta con un pugnale,
sono arrivata un attimo prima degli altri, perchè volevo
prendere il posto più avanti, per seguire meglio e l'ho
trovata qui. -
Draco
aveva srotolato nuovamente la pergamena e vi aveva trovato, marcato
in una grafia elegantemente curata, un messaggio, seguito da una
freccia stilizzata, il tutto con scritto con un inchiostro verde
scuro.
“Potete
aver chiuso con il passato, ma il passato non chiude con voi.
Tutte
le ore feriscono, ma l'ultima uccide.”
Note:
-
Andromeda Black
come insegnnate di Difesa. Ho valutato varie possibilità,
mentre pensavo a chi affidare quel posto, ma mi sono resa conto proprio
pensando a questo fatto, di quanto siano rimaste in vita ben poche
persone che avrei potuto scegliere a cui affidare l'insegnamento di
questa materia.
Una buona parte
dell'Ordine è finita al Creatore durante la Battaglia o ben
prima e non volevo che fosse un personaggio sconosciuto a ricoprire un
ruolo così importante per gli studenti. Come in parte ho
già spiegato attraverso le parole di Andromeda, la scelta
è infine ricaduta su di lei perchè è
rimasta sola, perchè mi piaceva l'idea che il piccolo Teddy
potesse respirare un'atmosfera felice e giovane come quella di Hogwarts
e perchè innegabilmente, in primis essendo una Black e poi
perchè comunque era un membro dell'Ordine, possiede le
conoscenze adatte ad affrontare un compito come questo.
-
L'egocentrismo di
Harry e la sua ossessione per il pericolo sono piuttosto evidenti in
questo capitolo, ma non credo onestamente di essere andata OOC, in
quanto ho semplicemente messo più in luce alcuni aspetti di
lui che sono già più che evidenti nei libri della
Row. E che, per inciso, stimolano la mia antipatia per lui in modo
spiccato, ma questa è un'altra storia.
-
Neville, Neville,
Neville, il mio fighissimo sciupafemmine Neville. Ne vedrete delle
belle con lui, vi assicuro che non è finita. Qui l'OOC
è un filino più evidente, lo
devo ammettere, ma non posso farne a meno. Per me Nev è
l'eroe mancato, il ragazzo che non ha avuto gloria perchè
tutti erano troppo occupati a inneggiare e sostenere Potty. Deve avere
ciò che gli spetta e nel modo più divertente
possibile... ;)
-
La ragazza che si
struscia sul mio caro Neville è un personaggio partorito
dalla mia fantasia. Il nome è quello di uno dei personaggi
di Glee (che si fa mettere incinta dal bellissimo e fantastico Puck ma
mente per buona parte della prima serie dicendo che il bambino
è di Finn), mia droga da ormai qualche tempo (grazie a Val,
il mio tesoro, per Glee e per il suggerimento sul nome), mentre il
cognome è quello di Roger Davies, di cui ho pensato potesse
essere la sorella minore.
-
Spero tanto di non
aver dato a Draco una caratterizzazione troppo OOC. Lui è la
mia croce (e la mia delizia, ovviamente) e ho sempre paura di cascare
male.
Penso che la situazione in cui si trova e che gli avvenimenti che ha
vissuto possano averlo in messo in difficoltà, inducendolo a
riflettere su alcune questioni. Ma non voglio cambiarlo troppo, visto
che lo adoro già così com'è e non
voglio assolutamente che si trasformi in una specie di lacrimoso
adolescente problematico. Spero davvero di riuscire a fare bene con lui.
Vedo il suo rapporto con Tiger come qualcosa di più profondo
di come l'ha presentato la Rowling, per prima cosa perchè
non credo che sia giusto che le amicizie sincere siano un'esclusiva
Gryffindor e poi perchè comunque hanno passato sette anni
sempre insieme, condividendo molto, anche più di quanto
volessero e dubito che tutto ciò potesse accadere senza che
ci fosse un affetto di fondo. Si certo Tiger non era proprio una cima,
ma non per questo non si meritava un amico e non soltanto un capo.
-
Il discorso di
Hermione con Fred è il primo passo che la nostra amatissima
protagonista fa per allontanarsi da Lenticchia. Inizia a percepire che
qualcosa non va ma non riesce a dare un nome ai suoi sentimenti.
Pazientiamo, il momento che tanto attendiamo (io stessa lo attendo con
ansia) giungerà.
-
Il biglietto sulla
porta della serra è una citazione rielaborata da Il Mercante di Venezia,
di William Shakespeare, seguito da una citazione anonima. Ho cercato di
risalire a un autore ma la mia ricerca non è andata a buon
fine. Inutile dirvi che amo quest'autore con tutta me stessa e poi,
come mi ha detto Val, il Bardo ha sempre una risposta per tutto. *___*
La
prima parte di questo capitolo è stata una specie di parto.
L'ho
iniziato qualcosa come 35 volte per poi lasciarlo perdere
altrettante, probabilmente anche la mia idea di voler scrivere con la
febbre altra non era così brillante, lo devo ammettere.
Sono
riuscita a pubblicarlo entro un tempo “ragionevole”
rispetto a
quello che mi aspettavo quindi sono abbastanza soddisfatta di me per
questo, ma non posso proprio dire che mi piace. Ci sono parecchie
parti che non mi convincono ma l'ho riletto mille volte e non riesco
proprio a tirare fuori di meglio.
Ringrazio,
come ogni volta tutti voi che siete arrivati a seguirmi fino qui, chi
legge e basta, chi recensisce, chi preferisce, segue o ricorda. Mi
onorate tantissimo con le vostre parole e con quei numerini che
salgono. GRAZIE.
Per
chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi
deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi
trovate su Facebook: QUI.
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Capitolo 5 *** I soliti sospetti. ***
A
Momo nella speranza di riuscire a farti sorridere un po'.
Un
piccola piuma bianca volteggiava sopra il tavolo rotondo che Minerva
Mc Granitt aveva fatto portare nell'Ufficio del Preside, da quando
lei l'aveva occupato, ormai qualche mese prima.
La
versione ufficiale era che aveva bisogno di spazio per lavorare, per
i suoi libri e per tutte le pergamene, quindi la scrivania non
bastava. La verità era un'altra: non se l'era mai sentita di
sedere
alla scrivania di Silente. Le sembrava di occupare un posto non suo e
in quella condizione di disagio non riusciva a lavorare, quindi la
scrivania era rimasta al suo posto, immacolata, con il ritratto
dell'ex-Preside appeso sulla parete adiacente.
La
donna si era incantata ad osservare la piuma librarsi controluce,
illuminata dal sole che tramontava fuori dall'ampia finestra, mentre
ascoltava distrattamente la conversazione dei suoi colleghi farsi
sempre più accesa; si levava verso l'alto, come sospinta da
un alito
di vento che non poteva esserci davvero in quella stanza chiusa, per
poi cadere in una spirale ordinata verso il basso, fin quasi a
posarsi sulla superficie mogano del piano. Ma quando tutto sembrava
deciso, stabilito, quando tutto sembrava già fatto, la piuma
risaliva imprevedibile, guidata da una corrente invisibile.
- … vero Minerva? -
La
domanda di Vitious l'aveva riportata a terra, insieme a quella piuma,
che infine si era posata sul pavimento, ma disgraziatamente non era
riuscita a ridestarsi in tempo per coglierne la prima parte.
Era
passata una quasi una settimana dal ritrovamento di quel messaggio,
il primo giorno di lezioni. Minerva non aveva voluto sconvolgere il
normale scorrere delle lezioni né la calma dei ragazzi con
annunci
plateali o riunioni tempestive. Aveva atteso la domenica, giorno in
cui tutti potevano avere più tempo libero, ed aveva indetto
quella
riunione, per discutere delle ipotesi su ciò che era
accaduto.
- Perdonami Filius, ero sovrappensiero. Stavi
dicendo? -
- Stavo illustrando agli altri Docenti quanto questo biglietto sia
indubbiamente una minaccia da prendere sul serio. Innanzitutto si
tratta di una pergamena particolare, che nessuno degli studenti
può utilizzare abitualmente, perchè non
è in vendita in tutti i negozi, anzi è ben
difficile da reperire. Anche le parole sono curate, non sono minacce
che potrebbero partire da qualche ragazzino con il solo scopo di fare
una bravata. L'inchiostro stesso è particolare, non l'avevo
mai visto di quella tonalità. -
Lumacorno
aveva iniziato ad agitarsi sulla sedia, come se non riuscisse a
restare seduto, ma nemmeno avesse intenzione di alzarsi, in una
evidente situazione di insofferenza.
- Perdonami Filius, ma devo dissentire. Hogwarts
è blindata da anni ormai e Voldemort è stato
sconfitto. Non può essere altro che uno scherzo, una burla
architettata da qualche studente particolarmente abile
nell'organizzazione di questi giochetti. -
Vitious
si era girato repentinamente verso Lumacorno, un'espressione
incredula sul viso.
- Horace è impensabile! Questi ragazzi
hanno passato l'inferno durante la guerra. Credi veramente che
avrebbero voglia di giocare su una cosa del genere? -
- Sono ragazzini
Filius, avranno sempre voglia di scherzare. -
Il
professor Vitious scuoteva la testa perplesso, fermamente convinto
dell'assurdità dell'idea del collega. Quelli erano dei
giovani, è
vero, ma giovani che avevano visto i propri familiari morire, essere
feriti in battaglie che non avevano chiesto. Gli sembrava impossibile
che potessero anche solo pensare di scherzare su una situazione
simile, di architettare una burla su un argomento così
spinoso, in
un momento ancora così vicino al loro dolore.
Minerva
McGranitt ascoltava, di nuovo in silenzio, quello scambio di battute,
domandandosi chi, ma sopratutto se uno dei due
potesse avere
ragione.
Probabilmente
si sbagliavano entrambi. Conveniva con Filius per quanto riguardava
l'idea che i ragazzi non fossero ancora dell'umore adatto per farsi
burle del pericolo corso fingendone uno nuovo, ma d'altro canto non
poteva negare che li aveva visti ridere e tornare piano piano a
vivere ogni giorno, da quando Hogwarts aveva riaperto i battenti.
Forse i più forti potevano aver pensato...
Aveva
immediatamente
interrotto quel flusso di pensieri, dicendo a se stessa che non
poteva essere.
Non
i suoi ragazzi, non in quel momento.
E
se fossero davvero i Mangiamorte rimasti?
Molti
di loro ancora non erano stati puniti, per via della lentezza della
burocrazia, quindi erano liberi, in attesa di processo. Si era
ritrovata, suo malgrado, a pensare a Yaxley, a Rockwood, ancora
liberi di girare per strada, di scomparire, con un minimo di impegno;
di venire nella sua scuola e di terrorizzare i suoi studenti. Non
voleva pensare una cosa del genere, non in un momento in cui
desiderava solo restituire a quei giovani la loro vita e le loro
speranze di un futuro sereno, se parlare di pace era troppo ardito.
La
voce di Sibilla Cooman si era insinuata nella conversazione,
strisciando tra le parole di Horace e Filius con un sussurro
soffocato.
- Da mani insanguinate giungerà
la risposta alle vostre domande.
E altro
sangue sarà versato per fugare i vostri dubbi.
Distruzione
e morte attendono sul cammino di chi vorrà seguire questa
follia. -
Era
strisciata alle spalle di Vitiuos, portando con sé il
tintinnare
delle piccole piastre d'acciaio cucite sull'orlo del suo scialle ed
aveva alzato i suoi occhi miopi a guardare la tavolata. Erano vitrei,
assenti e le conferivano l'aspetto di un animale imbalsamato, che si
muoveva attraverso la stanza grazie a qualche strano incanto.
La
McGranitt era intervenuta subito, per fermare quel flusso di parole
che sapeva già essere molto poco affidabili. Lo scarso
talento
divinatorio della Cooman era noto a tutti ormai da anni e nessuno si
premurava di nasconderlo nemmeno davanti alla diretta interessata..
- Sibilla, siediti ora. Stanno per arrivare i ragazzi ora, non vorrai
spaventarli. -
Lo
sguardo della veggente era tornato vigile, richiamato dalla voce
della Preside, e si era fissato in quegli occhi verdi. L'espressione
si era mutata in un sorriso quasi agghiacciante.
- Devono essere spaventati. -
La
risata profonda di Albus Silente si era levata dal suo ritratto,
verso cui tutti i presenti si erano girati stupiti, forse
più per il
suono improvviso che per l'incoerenza di quella reazione con
l'apparente drammaticità del momento.
- Sibilla cara, non essere teatrale. Ragazzi, accomodatevi pure, siete
arrivati proprio al momento giusto. -
Il
viso di Silente si era voltato verso la porta di ingresso dello
studio, che si era lentamente socchiusa rivelando la presenza di
cinque studenti, che aspettavano dietro la porta da qualche minuto,
ma non avevano osato bussare, trattenuti dalla vivacità
della
discussione.
- Oh, ragazzi, avanti entrate. Non mi ero accorta
foste arrivati. -
Minerva
aveva accompagnato le sue parole con un gesto d'invito, per poi
voltarsi verso i suoi colleghi, per spiegare la presenza degli
studenti.
- Ho mandato un gufo ai Capiscuola e a Padma Patil
per invitarli ad unirsi a noi in questa riunione, perchè
penso che gli studenti debbano essere tenuti al corrente di quanto sta
accadendo o, perlomeno, che i Capiscuola siano informati degli sviluppi
della questione, visto il loro ruolo nel controllare il castello. Ho
chiamato anche la Signorina Patil perchè è stata
lei a trovare il biglietto e desideravo ci raccontasse la sua versione,
in caso potesse darci qualche dettaglio in più. -
I
cinque studenti erano entrati nella stanza, guidati da una titubante
Hanna Abbott, da dietro la cui spalla sbucava Padma Patil, che si
stringeva al braccio del suo compagno di Casa Anthony Goldstein.
Subito dietro erano entrati Draco Malfoy ed Hermione Granger, che
avevano seguito i compagni, andando ad accomodarsi sulle grandi sedie
rimaste libere alla tavolata.
Hermione
aveva percepito distintamente la tensione nella stanza e quell'aria
di tempesta imminente non le piaceva affatto. Era già stata
ragguagliata da Padma riguardo il biglietto e il suo ritrovamento nei
giorni precedenti e non era riuscita ancora a trovare nessun appiglio
in quell'insieme di avvenimenti e di indizi.
- Padma, vuoi raccontarci come hai trovato il
biglietto? -
Dal
quadro dietro la scrivania Silente aveva posto la domanda alla
ragazza e tutti si erano rivolti verso di lei, aspettando di avere le
notizie di prima mano, sperando di poter trovare, in quel racconto,
qualche dettaglio in più che potesse essere d'aiuto.
Padma
aveva riportato il ritrovamento in ogni piccola sfumatura, dal
momento in cui stava andando verso la serra fino a quando aveva dato
il biglietto a Malfoy, per poi tendere la pergamena in questione
verso la McGranitt, che l'aveva presa tra le mani e osservata con
attenzione.
- Grazie Padma. Dunque, ora avremo tutti modo di osservare di nuovo il
messaggio. Qualcuno, come me, l'ha già visto e letto,
qualcun altro ne conosceva soltanto il contenuto. Osservatelo con la
dovuta attenzione e passatelo poi alla persona accanto a voi. -
La
pergamena era passata di mano in mano, recando la sua minaccia a
tutti i presenti.
Quando
era arrivata tra le mani di Hermione, la discussione aveva
già
ripreso i toni accesi di poco prima e ancora si stava combattendo tra
i due estremi: la burla e la catastrofe.
Ascoltando
con una certa nocuranza i discorsi intorno a lei, Hermione si era
dedicata alla lettura di quelle poche righe e aveva immediatamente
avuto un'illuminazione.
- Shakespeare! -
Si
erano zittiti tutti a quella sua esclamazione, come se li avesse
richiamati con un singulto, più che con una parola di senso
compiuto.
- Cosa stai blaterando, Mezzosangue? -
Malfoy
l'aveva squadrata con sdegno evidente, non avendo idea di chi o cosa
fosse quello Shakespeare che aveva tanto fatto entusiasmare la
Granger.
- Uno scrittore babbano, Malfoy. -
Gli
aveva risposto con l'aria scocciata che aveva quando Ron le chiedeva
di copiare i compiti di Pozioni o Harry cercava di ottenere le
risposte per un compito in classe, poi si era rivolta a tutti gli
altri, prendendo ad ignorarlo.
- La prima parte di questo biglietto è
una citazione di un'opera di uno scrittore Babbano del 16°
secolo, William Shakespeare, per l'appunto; e per essere precisi
dall'opera Il Mercante di Venezia. -
Il
brusio che aveva seguito la sua rivelazione si era rapidamente
allargato intorno al tavolo, generando espressioni ora sorprese, ora
perplesse, sui visi dei presenti.
- Questo dovrebbe cambiare le carte in tavola, a questo punto. -
La
voce strascicata di Draco Malfoy si era levata al di sopra dei
borbottii indistinti che tutti si stavano scambiando.
- Immagino che concorderete con me che questo sia un buon motivo per
smettere di tirare in ballo un nemico che non solo è stato
sconfitto, non solo è stato ucciso, ma che avrebbe ottime
ragioni nei suoi, seppur discutibili, ideali per non citare in una
missiva le parole di un qualunque babbano. -
- Un qualunque babbano Malfoy? Non puoi parlare
così del Bardo dell'Avon! -
Hermione
si era alzata in piedi, colpita dall'indifferenza con cui Malfoy
aveva appena sputato su uno dei migliori poeti che avessero
calpestato terra inglese, solo perchè era babbano.
Perchè
se ne stupiva?
- Mezzosangue non mi interessa lo scrittore in
sé. La questione è ben diver... -
- Smettila di chiamarmi Mezzosangue! -
L'aveva
interrotto senza pensare, con la voce che le era salita di un ottava
rispetto al tono già piuttosto alto che aveva usato poco
prima per
prendere le difese di Shakespeare.
Lui
l'aveva liquidata con un gesto noncurante della mano, per poi
proseguire.
- Quello che sto cercando di dire, se la signorina Granger
si degna di lasciarmi parlare, è che sarebbe il caso che
smetteste di concentrare la vostra attenzione su un nemico sconfitto,
perchè è un'inutile perdita di tempo. Non sono i
Mangiamorte i mandatari di questo biglietto, non è nel loro
stile né penso avrebbero alcun motivo per minacciare
Hogwarts in un momento come questo. -
- Le obiezioni del signor Malfoy sono molto
sensate, ma non possiamo di certo dire che i Mangiamorte si siano fatti
scrupoli ad attaccare la scuola in un modo o nell'altro, anche quando
si trovavano in una condizione di svantaggio. -
Vitious
era tornato all'attacco, con le sue idee disfattistiche sul ritorno
delle maschere e dei cappucci. Malfoy si era sporto verso il tavolo,
poggiando entrambe le mani sul piano, come per avvicinarsi al
Professore.
- Insomma, non riesco proprio a capire come
possiate concepire l'esistenza di un solo e unico nemico, anche quando
è bello che sottoterra! Non esistono solo i Mangiamorte, non
sono loro il nostro unico pericolo, altrimenti il mondo sarebbe un
luogo decisamente più tranquillo di quello che è,
specialmente adesso.
Mentre
parlava aveva socchiuso gli occhi e la sua voce era salita soltanto
di poco, tradendo il nervosismo che abilmente stava cercando di
celare.
- Eppure anche la previsione di Sibilla parla chiaro. Non è
una burla. Avremo del sangue e mani insanguinate ci guideranno alle
risposte. -
Malfoy
si era nuovamente poggiato allo schienale della sedia, alzando le
mani verso l'alto in un gesto che sembrava voler comunicare una resa
ed aveva portato il suo sguardo, in cui era tornata con
semplicità
l'aria annoiata, verso la finestra.
Lo
sguardo scettico che Vitious aveva ricevuto in risposta da parte
della McGranitt in primis, poi del resto della tavolata, l'aveva
fatto desistere dal proseguire nella sua tirata, pur non inducendolo
a cambiare completamente idea.
Quel
biglietto era inquietante e di sicuro non si trattava di uno scherzo.
La
voce timida di Hannah Abbott si era intromessa nella conversazione,
mentre la proprietaria alzava la mano in cui stringeva la pergamena.
- C'è una cosa di cui nessuno ha ancora parlato.
C'è un simbolo, sotto le parole che abbiamo letto tutti;
c'è disegnata una freccia e l'inchiostro usato è
verde. Ora, non so che
cosa possa voler dire, ma magari potrebbe essere un indizio. -
Hermione
si era mentalmente data una manata in fronte per non aver pensato
subito a quel particolare, concentrata com'era sulle parole del Bardo
e sulla stizza che la presenza fastidiosa di Malfoy continuava a
provocarle.
- Hannah, mi sembra una giusta osservazione. Anche
se al momento non vedo cosa questi particolari possano significare.
Credo che tutti abbiamo abbastanza elementi per riflettere sulla
questione e, non avendo per il momento raggiunto alcun accordo
sull'origine del biglietto, credo sia giusto mantenere una condotta di
attesa.
Se, come dice Horace, si tratta di una burla, nulla
accadrà. Se invece si tratta di qualcosa di più
fondato, restiamo in allerta per eventuali nuovi sviluppi.
Capiscuola, la
sera, quando fate la Ronda prima di andare a letto, siate ancora
più attenti e cauti del solito e riportate a me direttamente
qualunque stranezza o avvenimento inconsueto rileviate. Lo stesso vale
per i Docenti. Vi ringrazio per la disponibilità e
l'attenzione.
Qualunque idea vi
venisse in mente non esitate a comunicarmela. -
Si
erano alzati tutti, per accomodarsi lentamente, in una fila ordinata,
giù per le scale che portavano nei corridoi vuoti, come
normale che
fossero in una domenica mattina qualunque.
Hermione si era
allontanata da sola, verso la Torre di Grifondoro, riflettendo sulla
quantità di indizi appresi e su quanto poco ne avesse
ricavato.
Erano
nel pieno della nebbia.
*****
Aveva
trovato la Torre vuota, dopo la riunione e ne aveva approfittato per
portarsi avanti con gli ultimi capitoli da studiare, visto che in
quella prima settimana di lezioni già tutto sembrava essere
iniziato
a pieno ritmo. I compiti erano moltissimi, come ci si poteva
aspettare per una classe dell'ultimo anno, ma lei li aveva svolti
quasi tutti, esattamente come chiunque avrebbe previsto.
Aveva
poi deciso di uscire a vedere dove fossero finiti tutti, dato che
fuori dalla finestra il cielo iniziava a virare verso un colore
sempre più plumbeo e nubi serrate accompagnavano
l'avvicinarsi del
tramonto.
Si
era incamminata attraverso il parco, continuando a domandarsi cosa
fosse passato per la mente a tutti i Grifondoro per scomparire in una
giornata così uggiosa, mentre con una piccola parte della
sua mente
continuava a rimuginare su quel biglietto.
Mentre
si dirigeva verso lo Stadio di Quidditch, si era lentamente fatta
strada in lei la consapevolezza di aver dimenticato un particolare
piuttosto importante, riguardo la sua solitudine in Sala Comune.
Vedeva in lontananza, vicino all'ingresso dello stadio, parecchi
gruppetti di persone avvolti nei mantelli, per proteggersi dal vento
che nell'avvicinarsi della sera si era fatto più
capriccioso.
Le
selezioni della Squadra di Quidditch Hermione, come hai fatto a
dimenticarti?
Harry
e Ron le avevano riempito la testa con le loro teorie su quali
fossero i giocatori giusti da selezionare, la squadra vincente
perfetta, le loro astruse teorie da giocatori. Senza contare poi le
paure di Ron di non essere preso in squadra, che sembrava essere la
sola cosa che lo riscuoteva dal suo essere così
insopportabilmente
arrabbiato ogni giorno.
Era
quasi surreale vedere la luce che gli si accendeva nello sguardo
quando parlava di Quidditch o quando prendeva in mano la sua Tornado
e vederla sparire allo stesso modo non appena spostava il suo sguardo
su qualcosa di diverso. Quand'anche quel qualcosa fosse lei.
Avrebbe
voluto essere lei, il suo calmante. Voleva essere lei il suo porto
sicuro.
Era
ormai arrivata all'ingresso del campo e, dopo aver salutato i suoi
compagni che erano rimasti per assistere alle selezioni, si era
diretta verso i giocatori, che stavano atterrando con le loro scope
al centro del campo.
Appena
toccata terra, Ron le si era avvicinato e le aveva dato un bacio su
una guancia, posandole una mano sui capelli. Aveva sorriso indulgente
alla frase che le aveva bisbigliato - Mi hanno preso -
nell'orecchio, quando ne avrebbe desiderate ben altre - Mi
sei
mancata - .
L'aveva
guardato allontanarsi verso gli spogliatoi con la squadra, mentre
Harry le andava incontro e la accoglieva, poi in un abbraccio
caloroso.
- 'Mione, sei riuscita a venire! -
Aveva
cinguettato Ginny subito alle spalle del ragazzo, aggiungendosi alla
stretta da sopra le braccia di lui.
- In realtà sono arrivata solo adesso. Sono andata dalla
McGranitt prima, poi sono stata... -
- In Sala Comune a studiare. -
Aveva
concluso Harry per lei, strappandole una risatina.
- Andate bene le selezioni? -
Hermione
lo aveva domandato più per cortesia, che per altro, ma era
stata
sommersa senza nemmeno riuscire a batter ciglio, dalle chiacchiere
del Ragazzo Sopravvissuto e della sua fidanzata, che le avevano
raccontato ogni particolare della nuova squadra selezionata,
compresi, probabilmente, i nomi dei gatti di famiglia del nuovo
battitore.
Li
aveva aspettati da sola sulle gradinate di Gryffindor, mentre
facevano la doccia negli spogliatoi e si era persa nelle riflessioni
su quella freccia, su quell'inchiostro verde, sulle parole del Bardo.
Il
tempo, le ore, il verde.
Qualcosa
sfuggiva.
Un
pugnale, una freccia, una pergamena.
Dettagli
Hermione, dettagli. Pensa.
Non
riusciva a trovare il capo di quel filo conduttore che sicuramente si
nascondeva da qualche parte, dietro la serra numero quattro. Quella
pergamena, quelle parole, avevano un senso, un motivo, ma lei non era
capace di trovarlo.
Cosa
manca?
I
suoi amici l'avevano raggiunta in breve tempo ed insieme erano
tornati verso la Sala Comune; Harry con il braccio intorno alle
spalle di Ginny, a stringerle addosso il mantello per proteggerla
dall'aria gelida che si era alzata, lei stretta al braccio di Ron,
che camminava spedito verso il portone, con una mano sugli occhi, per
evitare che l'aria gli sferzasse gli occhi.
Prima
che entrassero nell'androne di ingresso, Hermione era riuscita a
sentire le prime gocce di pioggia sul viso.
È
fredda, aveva pensato.
*****
Harry
e Hermione erano seduti davanti al camino in Sala Comune, entrambi
sul pavimento, vicino al tepore delle fiamme. La ragazza teneva le
mani in avanti, a scaldarle vicino alle fiamme, mentre Harry aveva la
schiena poggiata alla seduta di una delle grandi poltrone, le gambe
magre distese in avanti, i piedi incrociati. Ginny era seduta su
quella poltrona, un libro tra le mani, ma lo sguardo assonnato di chi
non avrebbe continuato a leggere per molto.
- E' Malfoy, secondo me c'entra lui. -
Aveva
esordito il ragazzo d'un tratto.
Durante
la cena Hermione aveva raccontato agli amici quello che aveva saputo
durante la riunione con i Docenti ed aveva riportato fedelmente al
Prescelto il contenuto della pergamena ritrovata.
E
chiaramente, come previsto, Harry aveva iniziato a confabulare sui
Mangiamorte e su Malfoy, sul suo Marchio Nero e su suo padre ancora
fuori da Azkaban.
Questa era solo
l'ultima delle sue uscite.
- Harry, ti prego. Non puoi concentrare la tua
attenzione su qualcun altro una volta tanto? -
- Stai difendendo
Malfoy, 'Mione? -
- Non lo sto
difendendo, ma insomma, perchè dobbiamo immediatamente
pensare a lui? È stato trovato un biglietto con una
minaccia. Nessuno indizio riconduce a lui. -
- L'ha trovato lui!
Secondo me è stato proprio lui a metterlo lì,
quindi sapeva dove cercarlo! -
- Non l'ha trovato
lui, l'ha trovato Padma! Allora è Padma la colpevole? -
Lo
sguardo di sfida di Hermione era più che eloquente, con il
sopracciglio alzato e un mezzo sorrisetto sulle labbra, che aspettava
per esplodere in un pieno sorriso di soddisfazione soltanto il
momento in cui lui avrebbe dovuto, come sempre, convenire con lei e
darle ragione.
- Ovviamente non è Padma la colpevole,
Herm, non avrebbe alcun senso. Ma Malfoy potrebbe averla in qualche
modo indotta o spinta a trovare il biglietto, per sviare, appunto i
primi sospetti da sé. Quel biglietto puzza di Mangiamorte.
Tutta quell'aggressività repressa, quella voglia di
scatenare il terrore con parole velate, mi ricorda tanto Voldemort con
i suoi sussurri quasi educati e i suoi Anatemi. -
Hermione
non riusciva a sopportare questa smania di voler per forza affibbiare
a qualcuno la colpa.
Avevano una minaccia, avevano un probabile
pericolo, ma questo non voleva dire che dovessero per forza trovare
un colpevole subito, né che dovessero cercarlo all'interno
della
scuola.
- E' mai possibile che tu, come molti altri, non
riesci a concepire altro nemico che quello che hai eliminato? Credi
davvero che Voldemort e i Mangiamorte fossero il solo problema della
comunità magica? Che fossero gli unici che potevano metterci
in pericolo? Merlino, siete così incredibilmente ottusi. -
Si
era sollevata in ginocchio, mentre parlava e si era accorta di avere
le guance accese, forse per il caldo del camino, si era detta.
Nel
momento stesso un cui aveva finito di pronunciare quelle parole si
era resa conto di quanto somigliassero a quelle dette da Malfoy, la
stessa mattina alla riunione dalla McGranitt.
Si
era stupita, inizialmente, rendendosi conto, non solo di condividere
il suo pensiero, il che era piuttosto comprensibile, visto che si
trattava di idee decisamente intelligenti, ma di crederci al punto
tale da riportarlo in una discussione con Harry.
Di
riportarlo
in una discussione con Harry che aveva tutta l'intenzione di
trasformarsi in un litigio.
Aveva
allora moderato il tono, che si era accorta di aver alzato troppo, si
era di nuovo seduta, prendendosi le ginocchia tra le braccia ed
addolcito l'espressione in un sorriso paziente.
Harry
la guardava confuso, quasi sorpreso dalla veemenza con cui si era
scagliata contro di lui per qualcosa che, in fondo, aveva sempre
fatto e che lei, in un certo qual modo, aveva sempre tollerato con
maggiore comprensione. Ma aveva poi visto quel sorriso comparire sul
viso dell'amica e si era sentito immediatamente rincuorato.
- E poi, Harry, dubito che i Mangiamorte userebbero
parole di un babbano per minacciare Hogwarts. Per quanto possano voler
dissimulare, non mi pare nel loro stile. -
- Babbano? -
- Certo Harry.
Parte del biglietto è una citazione di Shakespeare, da Il
Mercante di Venezia. -
- Non me l'avevi
detto. -
- Mi è
venuto in mente durante la riunione, mentre lo leggevo davanti a tutti,
ma non so se possa essere rilevante. -
- Beh ma
l'inchiostro? E il pugnale? -
- Harry chiunque
potrebbe usare un inchiostro verde, non devi sempre e subito pensare a
Serpeverde e ai Mangiamorte se vedi qualcosa di verde. -
- Insomma... -
- Harry, rifletti. Non tutti i Mangiamorte sono
Slytherin e non tutti gli Slytherin sono diventati Mangiamorte. Il
verde non significa nulla. E il pugnale non ha alcuna valenza simbolica
per i seguaci di Voldemort, quindi non capisco perchè lo
colleghi a loro. -
Harry
si era preso la testa tra le mani, passando le dita tra quei capelli
perennemente scompigliati, che per via di quella sua abitudine lo
erano ancora di più, quando era confuso o nervoso, come uno
specchio
dei suoi stati d'animo. Era sconfortato dal fatto che niente di tutto
quello che gli era stato raccontato da Hermione o che era riuscito a
scoprire da sé, lo portasse a qualche ipotesi plausibile, a
qualche
pista su cui indagare.
- Qualcuno deve essere stato, insomma. -
Deve essere qualcuno che noi non abbiamo ipotizzato, qualcuno che ci
sfugge. -
Hermione
si era presa portata le mani alle tempie, premendo come se quella
pressione potesse aiutare i pensieri a fluire più
liberamente ed
aveva stretto gli occhi, scandagliando mentalmente tutte le
informazioni che aveva su quella faccenda.
- C'è un particolare, qualche dettaglio
che non stiamo guardando con sufficiente attenzione. -
- Certo che se
avessi avuto questi dettagli di prima mano, forse adesso non mi
sfuggirebbero. Magari se avessi sentito anche io i racconti e avessi
visto il biglietto, qualche particolare l'avrei colto. -
Harry
aveva sollevato lo sguardo sull'amica, un sopracciglio eloquentemente
sollevato a manifestare il suo disappunto per essere stato escluso
dalla riunione, dalle ricerche, da tutto.
- Sai benissimo che non è mia
responsabilità decidere chi viene chiamato nell'Ufficio
della Preside, quindi non prendertela con me, Harry. E poi, in effetti,
non c'è alcun motivo valido per cui avrebbero dovuto
chiamarti. Sul biglietto non c'era scritto: “L'ultima ora di
Harry Potter è giunta, baci, Voldemort.” -
Il
ragazzo era rimasto ammutolito da quella risposta così
caustica da
parte dell'amica e la guardava come scioccato, quando la sua
attenzione era stata catturata da un movimento dietro la schiena di
Hermione. Era Ron che si era accucciato accanto alla sua ragazza e
osservava prima lei, poi l'amico.
- Vedo che state facendo ipotesi sul nuovo mistero
che avvolge Hogwarts. -
Aveva
parlato piano, quasi sussurrando, mentre con una mano si allungava
tentando di prendere quella di Hermione, che ancora si stringeva
intorno al suo ginocchio.
- E vedo anche che vi siete premurati di tenere
informato anche me, come sempre, d'altronde.
Il
tono di Ron si era fatto polemico, con la seconda frase e negli occhi
brillava un'evidente scintilla di stizza.
Di
nuovo, aveva pensato Hermione, ci risiamo.
La
ragazza aveva scostato malamente la mano di Ron e si era alzata di
scatto, guardandoli entrambi dall'alto in basso.
- Sapete la novità? Mi avete stancata,
voi due, con la vostra mania di essere sempre esclusi, quando invece
quello che volete è essere sempre e solamente al centro
dell'attenzione! -
Aveva
girato i tacchi e si era diretta a grandi passi verso il buco nel
ritratto, le spalle dritte e la testa alta. Una camminata come quella
poteva promettere solo battaglia.
- Dovresti chiederle scusa, Ron. -
La
voce impastata di Ginevra si era levata dalla poltrona, colma di
sonno, ma non per questo meno autoritaria.
- Ginny ha ragione, Ron. Seguila, è
molto arrabbiata, ha bisogno di te. -
Aveva
aggiunto Harry, improvvisamente addolcitosi, forse per via della
tumultuosa reazione dell'amica.
- Se è per questo, caro,
se Hermione è arrabbiata è anche merito tuo,
quindi anche tu dovresti scusarti. Ma tu non sei il suo fidanzato,
quindi avrai tutto il tempo di farlo più tardi. -
Aveva
accompagnato la frase con una carezza amorevole sulla testa del
ragazzo, che aveva alzato lo sguardo verso di lei e aveva trovato
un'espressione così simile a quella di Molly da non riuscire
a fare
altro che annuire.
Ron
aveva abbassato la testa e si era alzato pian piano, per dirigersi a
sua volta, ciondolando, fuori dalla Torre, alla ricerca della sua
ragazza, per scusarsi per qualcosa che ancora non aveva capito di
aver fatto.
*****
Appena
uscita dalla Sala Comune, Hermione si era seduta sulle scale che
scendevano verso il piano di sotto, subito davanti al ritratto della
Signora Grassa, ma quelle nel frattempo avevano deciso di girare alla
loro bizzarra maniera, quindi quanche minuto dopo si era ritrovata di
fonte all'uscita dei loro Dormitori, su un gradino ai piedi di un
piccolo ballatoio. Onde evitare un'altra passeggiata indesiderata con
il successivo giro delle scale, aveva raggiunto il piccolo balcone e
si era seduta sul davanzale, le gambe a penzoloni.
Maledetto
Ron, perchè doveva sempre rendere tutto così
complicato?
Poteva
essere semplice, potevano essere felici, invece lui doveva sempre
metterla in difficoltà, farla sentire in colpa per qualcosa.
Lei,
con lui, sarebbe sempre stata manchevole di qualcosa.
- 'Mione. -
La
voce di Ron l'aveva raggiunta dal buco del ritratto, mentre ancora
non era uscito del tutto.
Aveva
scavalcato il davanzale con entrambe le gambe ed era scesa, per poi
sporgersi verso di lui.
- Zitto Ron! Mi farai scoprire da qualcuno se
strepiti così. -
- Allora parla con
me, vieni qui e parla con me. -
- Ron, come faccio
a venire lì? Non vedi che non ci sono le scale? -
Ron
aveva abbassato sulla parte interrotta del davanzale, da cui
sarebbero dovuti partire i gradini e poi verso il basso, dove le
scale della della Torre continuavano nel loro moto imprevedibile.
A
quel punto, il più giovane dei maschi Weasley aveva deciso,
in
un'incontenibile moto di coraggio, uno dei maggiori dei pregi di un
Grifondoro, oppure in un altrettanto irresistibile impulso
all'autodistruzione, sempre appannaggio della stessa Casa, di
scavalcare la balaustra dal suo lato del ballatoio ed andare da lei,
tenendosi aggrappato con le mani ai decori di marmo, muovendo piccoli
passi ad un soffio dal vuoto.
Hermione
aveva passato quei pochi minuti trattenendo il fiato, temendo che
potesse cadere da un momento all'altro e sussultando per ogni passo
meno sicuro che gli vedeva fare.
Infine,
con un salto, Ron era atterrato accanto a lei ed aveva cercato di
prenderle le mani tra le sue.
Hermione
le aveva scostate bruscamente, come scottata.
- 'Mione, per favore. Mi dispiace.
La
ragazza aveva scosso la testa, come se non volesse nemmeno far
arrivare alle orecchie quello che era uscito dalle sue labbra.
- 'Mione, ti prego. -
Aveva
mosso un altro passo verso di lei, cercando di intercettare il suo
sguardo, che lei abilmente nascondeva dietro i riccioli scuri. Con
una mano si era sporto per carezzarle la guancia, ma lei aveva
finalmente alzato gli occhi nei suoi e lui aveva visto un dolore che
aveva sperato di non vedere più.
- Ronald sono io a dire ti prego. -
Aveva
sussurrato con voce incrinata, in un evidente tentativo di trattenere
le lacrime.
- Non sai nemmeno che cosa sta succedendo vero? Tu
nemmeno hai capito per che cosa sono tanto arrabbiata. -
Ron
l'aveva guardata prima confuso, poi sconfitto. Aveva abbassato gli
occhi sulle sue mani, abbandonate lungo i fianchi. Solo un bisbiglio,
un timido tentativo.
- Perchè ho fatto di nuovo
l'egocentrico, perchè ho fatto ancora scenate per non essere
stato incluso nei discorsi tuoi e di Harry. -
Le
spalle di Hermione si erano curvate sotto le sue parole, ma lo
sguardo deluso che gli aveva rivolto avrebbe potuto parlare per lei.
- Non è tutto qui Ron. Non è
questo il problema. -
Aveva
guardato il viso spaurito del suo ragazzo, prima di continuare,
perchè voleva essere sicura di avere la forza di arrivare
fino in
fondo, a quel discorso. Perchè sapeva che l'espressione
confusa di
lui le avrebbe fornito la rabbia necessaria per terminare quella
frase.
- Non ti rendi conto che hai rovinato ogni cosa.
Sei talmente concentrato su te stesso, sul tuo dolore, sulla tua vita,
da non renderti conto che io non conto niente per te. -
- 'Mione ma che
cosa stai dicendo? -
Aveva
ancora tentato di avvicinarsi a lei, ma l'aveva vista ritrarsi,
sempre più convinta, con quegli occhi sempre più
lucidi e il viso
sempre più tirato.
- Sto dicendo che io sono in fondo ai tuoi
interessi. Sto dicendo che tutto, io compresa, ti infastidisce in
questo periodo. Ti illumini solo con il Quidditch, ti illumini solo
quando stai con Harry e parli di Quidditch. E vorrei essere io, invece,
ad illuminarti. -
Ron
aveva fatto un passo indietro e l'aveva guardata in viso.
- Non sei poi così diversa da me. Stai
facendo tutto questo baccano per una sciocca gelosia. Gelosa di Harry,
Merlino Hermione, di Harry! Anzi, nemmeno di lui, sei gelosa di una
maledetta scopa! -
Aveva
alzato la voce, mentre si allontanava, poggiando i gomiti sul
davanzale del piccolo balconcino, per poi scoppiare in una risata
quasi maligna.
- Non hai capito niente Ron, ma come fai a essere
così cieco? Io passo le mie giornate tentando di
compiacerti, di assecondarti, di non turbarti troppo, per evitare di
farti esplodere per l'ennesima volta e mai niente, niente,
è abbastanza per te! Trovi sempre qualcosa per cui
rimproverarmi, per cui ergerti a vittima di un'ingiustizia! -
- Tu mi assecondi? Ma se non fai altro che
pavoneggiarti per i corridoi con il tuo distintivo di Caposcuola, con i
tuoi voti già ottimi in una settimana e con le tue geniali
intuizioni davanti a Harry! -
- E' proprio a questo che alludo Ronald! Io vivo la
mia vita normalmente, come ho sempre fatto, come è normale
che faccia e tu prendi ogni cosa come un affronto personale. Non esisti
solo tu al mondo Ron! -
Il
ragazzo si era alzato completamente in piedi, avvicinandosi a
Hermione con due passi e ponendosi vicinissimo a lei, viste anche le
dimensioni microscopiche del balcone che li ospitava. Le aveva
puntato un dito al petto e la ragazza aveva alzato lo sguardo su suo
viso, trasfigurato in una maschera paonazza di rabbia.
- Dovrei essere al centro del mondo per te! -
Lui
gliel'aveva urlato in faccia, colpendole il petto con quel dito che
prima vi aveva solo poggiato.
Hermione
aveva cercato di allontanarsi, quasi spaventata, ma aveva sentito
dietro la schiena le colonnine del parapetto e aveva dovuto fermarsi.
- Tu, tu, tu! Sempre e solo tu! Non fai altro che
dimostrarmi che ho ragione! -
Hermione
era esasperata, non c'era modo di far capire a Ron il suo punto di
vista e non sapeva più che pesci prendere. La sola cosa che
le
restava da fare era alzare la voce, provare a parlare la stessa
lingua che lui aveva usato per comunicare con lei negli ultimi mesi.
- Solo tu, solo le tue esigenze, il tuo essere
escluso da me e da Harry, le tue paure di non entrare nella squadra in
cui sei assolutamente certo di entrare. Ho sempre sopportato tutto,
cercando di essere indulgente, cercando di non innervosirmi troppo.
Volevo capirti, volevo esserti vicino nel modo giusto. Ma non
c'è un modo di starti vicino! Tu distruggi tutto quello che
ti passa davanti! -
Ron
l'aveva guardata da vicino, sovrastandola grazie ai venti e più
centimetri di altezza che li separavano, poi l'aveva afferrata per le
spalle.
- Io ho perso mio fratello, tu che cos'hai perso? I
tuoi genitori sono a casa, a Londra, al sicuro, tu hai mantenuto tutti
i tuoi privilegi da prima della classe a cui tanto tieni, hai anche
avuto me! Hai avuto tutto quello che volevi con questa guerra mentre io
ho perso mio fratello! -
Aveva
gli occhi spalancati e la guardava come se nemmeno la vedesse; il
cuore di Hermione le batteva direttamente nelle tempie. Rabbia,
delusione, anche paura.
- Non sei solo tu ad aver sofferto per questa
guerra! Credi che il fatto che Fred non fosse mio fratello renda il mio
dolore meno intenso? Credi che solo per i parenti ci sia il diritto di
soffrire? Io soffro ogni giorno per Fred, per Tonks, per Remus. -
- Hai avuto più di quanto hai perso, da
questa guerra. Per molti eri solo una Nata Babbana, prima di Voldemort,
prima di tutto. Ora sei Hermione Granger, la Mezzosangue. Hai avuto la
fama, hai avuto rispetto, hai me. -
Le
aveva stretto le mani intorno alle braccia ancora più forte.
Hermione iniziava a sentire un formicolio, sotto le dita di
Ron.
- Lasciami Ron. -
La
voce di Hermione era bassa, calma. Il ragazzo non aveva dato alcun
cenno di lasciarla.
- Lasciami subito
andare Ronald. -
In
risposta lui l'aveva sollevata da terra, per poi spingerla contro il
muro, tenendola all'altezza del suo viso.
- E se non lo facessi? Non hai risposte da darmi
ora, 'Mione? Non sai come rispondermi perchè ho detto la
verità. -
La
ragazza si era divincolata tra le sue mani cercando di poggiare di
nuovo i piedi per terra.
- Io non ho avuto niente da questa guerra, se non
lutti e ferite! Non ho avuto niente, nemmeno te! Non sei più
tu Ron, non sei nemmeno l'ombra di quello che eri, nemmeno una pallida
imitazione! -
Gli
aveva sferrato un calcio in un ginocchio, che gli aveva fatto perdere
la presa sulle sue spalle e si era lasciata scivolare lungo la
parete.
- Ora mi colpisci anche? E io che ti credevo
migliore, io che credevo che tu fossi quella intelligente. Sai pensare
solo a te stessa e al fatto che il mio dolore venga, per me, prima di
te. Non puoi essere più importante di Fred, anche se
vorresti. -
Non
era arrivato alla fine dell'ultima parola perchè il rumore
di uno
schiaffo era risuonato forte nel silenzio della notte, giù
per le
scale, che continuavano imperterrite a mutare il loro percorso.
- Non hai capito niente e non capirai mai Ron. Non
credo di avere più nulla da dirti a riguardo. -
Il
ragazzo era rimasto fermo sul ballatoio, una mano a strofinarsi la
guancia, ad osservare quella che per sette anni era stata la sua
migliore amica e per qualche mese la sua ragazza, che scavalcava il
parapetto, per saltare nel vuoto.
- Hermione! -
Si
era sporto dal balconcino, spaventato e l'aveva vista sulla scala, un
metro e mezzo più sotto, risalire lentamente verso il
ritratto della
Signora Grassa.
Era tutto calcolato. Lei sapeva quando le scale
sarebbero arrivate. Lei sapeva sempre tutto.
Questo
capitolo, nonostante sia in un ritardo quasi letale è un
fuori
programma.
Doveva contenere molti più avvenimenti ed essere
decisamente più lungo, ma sono successe due cose: la prima
è che ho
avuto poco tempo, la seconda che i personaggi si sono presi
più
spazio del previsto, quindi ne è uscito questo capitoletto
qui, che
ho deciso di postare ora, per spezzare il ritardo e perchè
altrimenti sarebbe diventato un capitolone lunghissimo, che avrei
postato chissà quando.
Andiamo
alle note.
-
La scrivania di
Silente. Ho voluto che la McGranitt manifestasse in un modo composto il
rispetto e la nostalgia per l'amico defunto e questo mi sembrava
abbastanza da lei... Tutto qui. :)
-
I Mangiamorte non
sono ad Azkaban perchè non sono ancora stati fatti i
processi. L'avevo accennato nel terzo capitolo, quando Narcissa andava
al Ministero, ma lo preciso per chiarezza. La macchina burocratica si
sta mettendo in moto solo ora, quindi tutti sono a spasso,
perchè innocenti fino a prova contraria, nonostante tutti
sappiamo che le prove ci siano. Non ci sono colpevoli fino a una
sentenza, quindi ho preferito vederla in questo modo...
-
La profezia della
Cooman e il fatto che nessuno se la fili mi sembra essere abbastanza
Canon, voi che ne dite?
-
La presenza degli
studenti alla riunione è stata spiegata attraverso le parole
della McGranitt. La scelta dei Capiscuola è stata dettata
dal fatto che fossero Prefetti gli anni passati e dalla mia
volontà, per la parità dei sessi, di avere due
donne e due ometti: Draco e Hermione erano già stabiliti,
mentre Abbott e Goldstein erano semplici e prevedibili. Sono una donna
senza fantasia.
-
La prima volta che
i nostri protagonisti si parlano e abbiamo una bella lite. Quantoo amo
vederli discutere. <3
-
L'ossessione di
Harry Potter per Malfoy è roba provata e riprovata. Non
credo sia necessario che io mi soffermi a ricordarvi quanto lui abbia
cercato di incolparlo a più riprese in tutta la Saga; tra
lui e Piton probabilmente ci riempiremmo un libro con i sospetti di
Pottah (fondati e non).
-
Attraverso le
parole di Hermione ho voluto esprimere un po' la mia protesta contro la
politica che vuole gli Slytherin tutti malvagi Mangiamorte, come se non
avessero possibilità o volontà di scelta, una
volta smistati nella casa verde-argento. Io non credo sia
così e credo che si possa essere Slytherin anche senza voler
fare fuori tutti i Babbani.
-
L'egocentrismo di
Pottah nel voler essere coinvolto fa il pari con la quello che dico
sopra e che dicevo nel capitolo scorso. Harry è sempre stato
una primadonna, secondo me e io al massimo ci sto calcando un po' la
mano...
-
Il “Baci
Voldemort” è stato partorito dalla mente di Val in
una delle nottate Sex & the Slyth su msn. Siano lodate le mie
Slyth, senza di loro sarei impazzita da un pezzo. O forse sarei un
pelino più sana, ma amo il mio posto fisso al CIM, quindi va
bene così. *_*
-
Si, ho calcato la
mano con Ron. E' cattivo gratuitamente e insensibile. Insensibile lo
è sempre stato, cattivo no, ma penso che guidato dalla
rabbia potrebbe anche arrivare a questo, d'altronde le sue sfuriate le
ha fatte anche in Canon e non è che si fosse risparmiato.
Grazie
per essere sempre qui, a chi recensisce e mi riempie di orgoglio, a
chi preferisce, ricorda e segue e a chi legge e basta. *_*
Per
chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi
deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi
trovate su Facebook: QUI.
|
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Capitolo 6 *** All apologies ***
Alla
Prof, perchè ha creato un mondo speciale.
E a tutte, dico proprio tutte, le meravigliose donne che lo abitano.
E perchè no (spero che la Prof me lo conceda) anche al
cecchino,
pronto a combattere, prima per lei, ma anche per noi.
Hermione
fissava nel buio le cortine di velluto bordeaux del baldacchino;
sentiva i capelli appiccicati al collo, nonostante per dormire li
tenesse legati dietro la nuca in una coda morbida, per evitare che la
infastidissero nel sonno e che le tenessero troppo caldo. Si era
addormentata appena toccato il cuscino, quando era rientrata ai
dormitori dopo la lite con Ron.
Era
convinta che non avrebbe dormito per notti, che sarebbe stata a
girarsi e rigirarsi ore prima di riuscire a trovare la calma
necessaria anche solo a prendere sonno, invece era crollata subito.
Aveva quasi perso i sensi, dormendo un sonno senza sogni per un tempo
che non avrebbe saputo definire.
Aveva
riaperto gli occhi che era ancora buio ed ascoltava il respiro
regolare delle sue compagne di stanza, profondamente addormentate a
qualche metro da lei.
Nella
penombra della stanza riusciva appena a distinguere le sagome delle
ragazze, degli oggetti poggiati sui comodini, la sedia con i vestiti
di Lavanda accatastati uno sull'altro, il baule di Calì, sui
cui era
poggiato un pacchetto, ancora chiuso, la sua camicia ordinatamente
appesa al baldacchino del suo letto. Ombre o poco più,
illuminate
dalla tenue luce della falce di luna calante nel cielo.
A
tentoni si era allungata verso il comodino, tastando alla ricerca
dell'orologio: le 4.30 del mattino.
Doveva
dormire ancora.
Aveva
di nuovo chiuso gli occhi, ripetendosi come in una cantilena, che era
presto, che poteva ancora
dormire. Il ticchettio della pioggia
sottile sul vetro.
Dormi.
Lo
scricchiolio del pavimento di legno.
Dormi.
Un
tuono in lontananza.
Dormi,
Hermione.
Il
sommesso sussultare del respiro di Lavanda.
Devi
dormire.
Il
battito stesso del suo cuore faceva troppo rumore per permetterle di
addormentarsi.
Era
stato troppo facile.
Aveva
scalciato indietro le coperte, liberando le gambe per cercare di
recuperare il respiro; era troppo calda quella stanza. Si era messa a
sedere sul letto, con le gambe incrociate ed aveva sollevato i
capelli sulla nuca, nella speranza di trovare un po' d'aria, ma non
era valso a nulla.
Si
era alzata stizzita dal letto, per andare alla finestra, che aveva
aperto con un gesto secco.
L'aria
fresca della notte si era insinuata nello spiraglio tra le ante, una
mano gelida che le accarezzava il collo, lasciato scoperto dalla
camicia da notte di cotone.
Aveva
assaporato quel respiro come se tutti i precedenti le fossero stati
negati, lasciando che la pioggerellina sottile le colpisse le mani,
abbandonate sul davanzale della finestra. La pelle d'oca aveva
coperto le braccia e il petto, ma quel freddo l'aiutava a mantenere
un controllo che nel calore del letto le era sembrato venire
meno.
Aveva
lasciato Ron.
L'aveva
lasciato e si era lanciata giù da un balconcino sulle scale,
facendogli prendere un colpo.
Aveva
aspettato per anni che lui si accorgesse di lei, prima che lei fosse
una ragazza, poi che fosse intelligente, stimolante, interessante per
lui. E in pochi mesi tutto si era dissolto.
Le
mani che stringevano il davanzale, quasi fino a sentire male alle
articolazioni.
Il
viso di Ron, a pochi centimetri dal suo, livido di rabbia.
La
mascella che si stringeva, facendole digrignare i denti, fino a
sentirli scricchiolare, uno contro l'altro.
Le
sue parole cattive, la sua arroganza.
Si
era appoggiata alla finestra con la vita, sporgendosi per cercare
ancora aria, per cercare il contatto con le gocce fredde di pioggia
che le scorrevano sul viso, per scacciare il ricordo di quel momento,
della sua voce.
Un
grugnito stizzito l'aveva richiamata all'interno della stanza. Si era
girata, i capelli umidi, il viso tirato, verso l'origine di quel
rumore e aveva visto Calì, seduta sul letto, che la guardava
perplessa.
- Herm ma sei tu? -
- Si Calì, scusami se ti ho svegliata,
non... -
Hermione
si era scostata dalla finestra, girandosi verso il suo letto, come
per nascondere il suo turbamento alla compagna.
- Tranquilla Herm, non preoccuparti. Solo... Ho
freddo. -
Calì
si era stretta nelle coperte, risistemandosi sul cuscino.
- Chiudo subito, scusami, davvero. -
Si
era affettata alla finestra e aveva chiuso le ante con delicatezza,
sperando di non svegliare le altre ragazze e si era di nuovo infilata
a letto. In breve aveva ricominciato ad avere caldo, a sentirsi
inquieta, a rigirarsi tra le coltri.
Si
era scoperta di nuovo, restando con le gambe poggiate sul cumulo di
lenzuola e cuscini che aveva calciato in fondo al letto, gli occhi
chiusi. Si era concentrata sul suo respiro, alla ricerca di qualcosa
che le conciliasse il sonno.
Non
pensare a niente.
Sentiva
ogni piega delle lenzuola ed ogni avvallamento del materasso; il
cuscino dietro la nuca e l'elastico che le fermava la coda premere
alla base del collo.
L'espressione
stranita di Ron dopo il loro primo bacio, il sorriso colpevole come
quello di un bambino disobbediente che le rivolgeva quando copiava i
compiti di nascosto, le sue mani sui fianchi, le carezze tra i
capelli.
Non
avrebbe avuto più nulla di questo da lui. Probabilmente,
dopo quella
notte, non avrebbe avuto proprio niente.
Aveva
fatto la scelta giusta.
Uno
sbuffo impaziente, una sprimacciata al cuscino, poi era tornata di
nuovo sdraiata, a farsi avvolgere da pensieri molesti.
Per
ore aveva lasciato vagare la mente per qualche attimo, cercando poi
di riacciuffarla e farla tacere, sincronizzandola al ritmo del suo
cuore o al rumore della pioggia, ma alla fine si era assopita con lo
sguardo aggrottato e la sensazione delle mani di Ron che le
stringevano le spalle, dei suoi piedi che non toccavano terra.
Era
la cosa giusta.
*****
La
bacchetta si era posata con un tocco leggero e deciso sulla testa del
cagnolino, che stava fermo sul banco di Hermione non tanto per
volontà, quanto perchè la ragazza l'aveva
impastoiato al primo
cenno di movimento, mentre cercava di trasfigurarlo in porcellino,
secondo le istruzioni della Professoressa McGranitt.
La
bestiola aveva levato il suo sguardo verso l'aguzzina, che lo fissava
con piglio concentrato e mormorava tra sé per mantenere la
concentrazione, mentre agitava la bacchetta a mezz'aria.
Quando
stava per essere raggiunto da un secondo colpo ed aveva già
abbassato gli occhietti, in attesa di chissà quale sciagura,
il
braccio della strega era stato bloccato a mezz'aria da un biglietto
che si era posato sul banco, davanti ai suoi occhi, dopo aver
volteggiato per coprire la piccola distanza che lo separava dal banco
di Harry.
“Posso
parlarti dopo lezione? H. ”
L'aveva
fatto evanescere con un incantesimo non verbale, senza nemmeno
voltarsi un secondo verso l'amico, che la guardava supplichevole,
cercando di attirare la sua attenzione.
Aveva
sbuffato leggermente, scrollando le spalle, stizzita ed aveva ripreso
con il tentativo di trasformazione del cucciolo, che la guardava
sempre più spaurito.
Ma
il Ragazzo Sopravvissuto non aveva la minima intenzione di demordere
e continuava a sbracciarsi, per quanto la situazione lo permettesse,
per cercare di ottenere almeno un cenno di assenso dall'amica, che
non faceva altro che ignorarlo.
- 'Mione! -
Aveva
bisbigliato sporgendosi verso il banco della ragazza, che aveva
alzato gli occhi al cielo.
- Harry, che cosa vuoi? -
Gli
aveva risposto esasperata, voltandosi verso di lui soltanto un
secondo, cercando di non perdere di vista il suo cagnolino, che in
quel momento di maialesco aveva solo delle meravigliose orecchie rosa
ed un codino a ricciolo, sul corpo pezzato in bianco e beige.
- Mi aspetti dopo lezione? Volevo... -
- Parlarmi, ho capito! Si, Harry, ti aspetto, basta
che la smetti di disturbarmi mentre cerco di seguire. Ti prego. -
La
conversazione si era svolta in bisbigli soffocati e si era conclusa
con uno sbuffo, l'ennesimo, di Hermione, che era tornata a rivolgere
la sua totale attenzione alla trasfigurazione della bestiola che
aveva risposto al successivo colpo di bacchetta con quello che voleva
essere un latrato, ma che si era trasformato in una specie di basso
grugnito.
La ragazza aveva
proseguito concentrata per tutta la
lezione, al termine della quale si era presentata alla cattedra della
McGranitt con il suo maialino tra le braccia, completamente
soddisfatta del lavoro svolto, per posarlo nel piccolo recinto dove
ibridi tra suini e canidi più o meno vicini all'una o
all'altra
specie, la guardavano terrorizzati. Lo sguardo orgoglioso della
docente era stato una bella ricompensa per lo sforzo, specie in
quella giornata che aveva tutte le premesse per non essere delle
migliori.
Mentre
usciva dalla classe era stata raggiunta da una manata sulla spalla,
decisamente poco aggraziata.
- Mi avevi detto che mi avresti aspettato! -
- Infatti, Harry, se tu mi avessi dato il tempo di
uscire dall'aula ti avrei aspettato! Di cosa volevi parlarmi? -
Il
ragazzo l'aveva presa per un braccio, allontanandola dagli altri
studenti che si affollavano sull'uscita dell'aula. Hermione era
riuscita a vedere con la coda dell'occhio Ron che si allontanava, con
la testa incassata nelle spalle, il libro stretto tra le braccia,
lanciandole un'occhiata di sfuggita.
Harry
aveva seguito il suo sguardo, raggiungendo la schiena dell'amico.
- Di lui. -
Hermione
era arretrata, mettendo un passo tra lei e Harry e scrollando via dal
braccio la mano del ragazzo che ancora la teneva.
- No Harry. No. -
Scuoteva
la testa, come per scacciare anche solo il pensiero di affrontare
quella discussione.
- 'Mione, gli dispiace. Ha sbagliato, stava
sbagliando ma gli dispiace. -
La
ragazza aveva fatto un altro passo indietro, mettendo altra distanza
tra lei e le parole di Harry.
- Non ho intenzione di ascoltare una sola parola
Harry. Non è affar tuo. Se Ronald ha qualcosa da dirmi
è perfettamente in grado di parlare da solo, se non lo vuole
fare è un problema suo. -
- Ma ha paura di te, non sa come fare per parlarti!
-
Inaspettatamente,
Hermione aveva riso; una risata amara, ma tintinnante, come piccole
campanelle.
- Lui ha paura di me? Non dire stupidaggini Harry,
per favore. La questione è chiusa qui, non voglio litigare
anche con te. -
- Ma dagli una possibilità 'Mione,
lui... -
Aveva
parlato alla schiena della ragazza, che alla fine si era voltata,
guardandolo da sopra la spalla.
- E' grande abbastanza da non servirsi di un
portavoce, ma visto che non mi lasciate scelta mi adeguo. Qualunque
cosa voglia sarebbe dovuto essere lui a chiederla, ma digli comunque
che non l'avrà. Ha avuto anche più di quello che
potevo dargli. -
Con
passo svelto era scomparsa dietro l'angolo, per poi mettersi a
correre, una volta sicura di non essere vista. Solo un po' di pace,
le serviva solo un po' di pace.
*****
Aveva
corso per i corridoi, ricacciando in gola le lacrime per parecchi
minuti ed quasi arrivata al portone che si apriva sul parco, quando
la voce di Ginny l'aveva fermata.
- Herm! -
Merlino,
che ho fatto di male?
La
rossa l'aveva raggiunta di corsa e si era fermata di fronte a lei.
L'aveva fissata in viso per qualche secondo, con un'espressione
indagatrice, quasi un presagio del migliaio di domande che stava per
fare e a cui Hermione non aveva alcuna voglia di rispondere. E
l'aveva abbracciata, appendendosi alle sue spalle con il suo
corpicino sottile, ma con un impeto tale da prendere Hermione di
sorpresa, facendola indietreggiare.
- Mi dispiace tanto Herm. -
- Gin? Cosa... -
Glielo
aveva chiesto mentre le accarezzava i capelli, che le scorrevano
setosi tra le dita.
- Mi dispiace di avere un fratello idiota e un
fidanzato forse peggiore. Harry mi ha detto che è venuto a
parlarti. -
- Ah, quello. Senti Gin, non è un
problema, non... -
- Si lo so, non devo preoccuparmi, è
tutto a posto. Ma hai due occhi gonfi e lucidi, una faccia tirata come
non avevi dai tempi della guerra con Voldemort e stavi correndo verso
il parco. Non è mai tutto a posto quando scappi nel parco. -
Un
sorriso aveva fatto capolino sul viso di Hermione, nonostante non
avesse nessuna voglia di affrontare quel momento. Gin sapeva capirla
bene, come pochi altri ci riuscivano.
- E' vero, non è tutto a posto, lo
ammetto. Ma non posso farci niente. -
- Ti va di parlare con me Herm? Ti farebbe bene. -
L'amica
aveva sciolto l'abbraccio e le stringeva la mano.
- Non me la sento di parlare Gin, ho solo bisogno
di stare tranquilla, di fingere che tutto sia normale, di distrarmi. -
- Ma... -
- Lo so che tutto è cambiato e che non
c'è niente di normale. Lo so. Ma non voglio pensarci ora.
Puoi
capirmi? -
- Herm, non voglio fare l'avvocato del diavolo, ma
non è irreparabile, insomma... E' stata una brutta lite, ma
potrebbe esserci una possibilità. Non dare tutto per
perduto. -
Di
nuovo.
Non
era possibile, probabilmente era uno scherzo.
- Anche tu Gin? -
Si
era passata una mano sugli occhi, esausta.
Ginny
si era subito affrettata a stringerle la mano, spalancando gli
occhioni scuri su di lei.
- No! Non volevo essere invadente o convincerti a
fare qualcosa, no! Solo, pensavo... ecco... Niente. Fingi che abbia
tenuto chiusa la mia boccaccia. -
Si
era coperta la bocca con entrambe le mani, strappandole un risolino.
- Non importa Gin, non fa nulla. Vado a fare una
passeggiata adesso, ok? -
- A stasera Herm. Scusami. -
Si
era trovata avviluppata in un altro abbraccio, che si era
però
dissolto ancor prima che se ne rendesse conto. Quando aveva guardato
verso il corridoio aveva visto solo i suoi capelli rossi sparire
dietro una colonna.
Era
uscita dal portone, lentamente, schermandosi gli occhi con una mano
per proteggerli dalla luce che li aveva colpiti.
La
giornata era limpida, la sovrastava un cielo azzurro in cui solo
qualche straccio di nuvola veniva portato a spasso da una brezza
fresca, presagio dell'autunno in arrivo. Qualche foglia già
aveva
iniziato a cadere.
Hermione si era
stretta la sciarpa rosso e oro
intorno al collo e si era diretta nel parco, alla ricerca di silenzio
e di un po' di tranquillità, evidentemente difficili da
trovare in
quella scuola.
Non
aveva ancora affrontato Ron, dopo la lite; non si erano più
incontrati direttamente, né c'era stata l'occasione di
parlare.
Doveva ammettere di aver fatto tutto il possibile per evitare quelle
occasioni, ma non riusciva a colpevolizzarsi per questo.
Una
volta tanto sentiva il bisogno di nascondersi un po', di aggirare il
problema, almeno per il momento. Il grosso della questione era stato
affrontato e proprio non riusciva a vedere il motivo per cui proprio
ora doveva mettersi a discutere di nuovo e ripetere quello che aveva
già detto. La faccenda era chiusa, per lei e faceva
già abbastanza
male così.
Aveva
lasciato vagare lo sguardo tra gli alberi che si chinavano sul
limitare del lago, proiettando ombre danzanti sulla superficie
dell'acqua ed aveva visto una figurina rannicchiata contro un tronco.
Si
teneva le ginocchia con le braccia e le spalle erano scosse dai
singhiozzi, mentre il viso restava coperto da una cascata di capelli
biondi, lisci.
Hermione
le si era avvicinata lentamente, indecisa se parlarle o lasciarla
tranquilla a sfogarsi, ma alla fine la sua anima da Caposcuola aveva
vinto, ricordandole che forse stava piangendo per via di
un'ingiustizia e che era suo dovere intervenire o, perlomeno,
accertarsi che fosse tutto a posto.
Si
era piegata sulle ginocchia, posando una mano sulla spalla della
ragazza, che aveva alzato gli occhi, rivelandole due iridi azzurro
intenso, reso ancora più brillante dalle lacrime che
continuavano a
sgorgare.
- Ciao. Sei Quinn, vero? Io sono Hermione Granger. -
La
ragazza aveva annuito, tirando su vigorosamente con il naso ed aveva
stretto la mano di Hermione, con decisione, continuando a guardarla
negli occhi.
- So chi sei. Tutti lo sanno. -
Un'alzata
di spalle di Hermione era stata la prima risposta.
- Cosa c'è che non va, Quinn? -
- Io... Non posso parlarne con te. Tu... -
Hermione
la fissava confusa. Cosa poteva impedire a una ragazza di dirle cosa
non andava? Era una Caposcuola, forse era quello il problema? Poteva
di trattarsi di qualcosa per cui avrebbe rischiato una punizione?
Aveva fatto qualcosa di sbagliato?
- Tu sei sua amica. -
Qualcosa
nel cervello della Caposcuola fece contatto. Plin.
Aveva
sentito distintamente la lampadina accendersi. Ginny e i suoi
pettegolezzi il primo giorno di lezioni, lodi alla sua amica
impicciona.
- Cosa succede con Neville? -
In
risposta i singhiozzi della ragazza si erano fatti ancora
più forti.
- Non devi dirgli niente. Promettimi che non gli
dirai niente! -
Lo
sguardo che le aveva rivolto era angosciato, la piccola mano a
stringerle il maglione della divisa, che Hermione sentiva
strattonare.
- Cara, io non ti sto seguendo, cosa è
successo, cosa non devo dirgli? -
Gli
occhioni della ragazzina si erano allargati per lo stupore di non
essere stata capita al volo, poi aveva abbassato la voce, assumendo
un tono quasi cospiratorio.
- Che mi hai vista piangere! Lui non deve sapere
che io lo so, deve credere che io sia stupida, che non mi renda conto
di cosa sta facendo! -
Hermione
era sempre più confusa, non riusciva a cogliere il punto
della
questione. Quale convenienza poteva esserci nell'essere stupida?
- Quinn io non ho la minima idea di che cosa tu
stia parlando. -
- Lui mi tradisce! L'ho visto, l'ho visto
passeggiare sul lago con quella ragazza mora di Gryffindor. Si tenevano
per mano! -
- Ma... Forse non era Nev, insomma, magari li hai
visti da lontano... -
- No era lui, sono sicura! Mi aveva detto che non
dovevo aspettarmi niente da lui, mi ha detto che non voleva stare con
me in modo ufficiale ancora, ma poi quando eravamo da soli era sempre
così carino, ecco... Io... -
La
ragazzina aveva smesso di piangere, ma continuava a tirare su con il
naso di quando in quando e la guardava da sotto in su, imbarazzata.
- Quindi tu e Neville non state insieme? -
- Ecco... Si... Ma... E' solo indeciso, non
è sicuro. -
Hermione
aveva scosso la testa perplessa. Quella ragazza si stava costruendo
castelli sul niente, ma la colpa probabilmente non era soltanto sua.
Era giovane e Neville probabilmente si stava approfittando della sua
ingenuità per tenere il piede in due scarpe.
Aveva giusto un
paio di cosette da ricordare, al caro Nev.
- Quinn, sarebbe meglio che tu lo lasciassi
perdere, credi? Forse meriti di meglio, qualcuno che sia più
sicuro, qualcuno che non ti faccia penare così. -
- No! Lui vuole me, solo che ci sono troppe ragazze
che gli girano intorno! Però forse... -
Uno
scalpiccio dietro le spalle aveva fatto perdere a Hermione le ultime
parole pronunciate dalla ragazza. Si era girata a guardare da dove
provenisse il rumore ed aveva visto una figura con i capelli scuri,
con la sciarpa di Corvonero avvolta davanti al viso.
- Quinn, tesoro, ecco dov'eri finita! -
La
ragazza si era avvicinata di corsa e si era seduta accanto Quinn, per
abbracciarla.
- Non saresti dovuta scappare così. Non
si merita tutte queste lacrime. -
Hermione
aveva annuito, provando istantaneamente simpatia per la ragazza
appena arrivata.
- Liz, non capisci. Lui è mio, solo che
ancora non se ne rende conto. -
Il
sopracciglio della Gryffindor si era elevato senza che nemmeno
riuscisse a controllarlo.
- Quinn, cosa intendi dire? -
Gliel'aveva
chiesto d'istinto, ma la reazione della ragazza le aveva instillato
più dubbi di quanti ne avesse fugati. Lo scintillio negli
occhi che
le si era acceso, accompagnato dal ghigno che le si andava dipingendo
in volto non sembravano avere niente della disperazione di pochi
minuti prima.
- Intendo dire che Quinn Davies non si lascia
fermare da niente e da nessuno. -
Si
era alzata in piedi, prendendo la mano della sua amica.
- Grazie dell'aiuto, Granger. -
Hermione
le aveva osservate di spalle, mentre confabulavano tra loro tornando
verso la scuola, poi aveva alzato le spalle. Doveva parlarne con
Neville, appena possibile. Quella situazione non le piaceva
granchè,
né per come Nev si stava comportando, né per
quello che la
ragazzina sembrava aver fatto intendere con l'ultima frase. Forse
era il caso di tenerla d'occhio.
*****
- Secondo me dovresti lasciar perdere i filtri
d'amore. Non portano mai bene. -
Liz
e Quinn erano sedute sul letto della prima, nel dormitorio di
Ravenclaw, le cortine del baldacchino tirate, lo spazio chiuso
illuminato da un fuocherello portatile viola, acceso dentro un
barattolo.
- Ma è la strada più
semplice... Potremmo escogitare un modo di recuperare la formula e poi
prepararla anche qui, nel dormitorio. O nasconderlo da qualche parte. -
- Si, la realizzazione è semplice, ma il
filtro può non darti quello che vuoi. Lo trasformerebbe in
una marionetta. Vuoi che ami te? Non usare il filtro. -
Quinn
si mordicchiava un dito, continuando a muovere l'altra mano sul
copriletto, in uno scivolare insistente di stoffa.
- Ma è esattamente quello che otterrei. -
- Si, ma potresti perderlo con un semplice
antidoto. Noi non vogliamo qualcosa di così precario. -
Liz
si era aperta in un sorriso diabolico, che le era valso l'attenzione
totale dell'amica.
- Io voglio che ami me e basta. È mio e
voglio che lo ammetta anche lui. Voglio che rinunci alle altre, tutte. -
- Esattamente, tesoro. Mai pensato che
però non sempre la via che sembra più semplice
è la più proficua? -
Quinn
aveva alzato gli occhi sul viso di Liz; le stava suggerendo qualcosa,
probabilmente la soluzione ce l'aveva già in mente, ma
voleva che
fosse lei ad arrivarci.
- Potremmo agire sul contorno, potrei... Si! Potrei eliminare le
avversarie... -
Erano
rimaste tutta la sera, nella penombra di quel baldacchino. Quando era
arrivata l'ora di dormire il copriletto di Quinn era coperto di fogli
scarabocchiati di appunti e disegni e la giovane Ravenclaw si era
addormentata con l'aria serena di chi aveva molti meravigliosi
progetti per l'indomani.
*****
Capelli
castani scompigliati dal vento, che si era fatto più
impetuoso con
lo scendere della sera; la sciarpa che svolazzava dietro le sue
spalle.
Hermione
sedeva davanti al Memoriale, di nuovo.
In
quelle prime settimane di lezione la tomba di Fred e degli altri
studenti caduti era diventata un rifugio sicuro per lei, una sorta di
confessionale, dove era andata ogni volta che aveva bisogno di stare
sola, di pensare, di confidarsi.
La
foto sorridente di Fred era sempre lì, pronta ad ascoltarla
senza
giudicare, senza cercare di convincerla a tornare sui suoi passi, a
forzarla su strade che sembravano più semplici ma che non
l'avevano
resa davvero felice.
Anche
quel pomeriggio aveva raccontato tutto: la lite, Harry, Ginny. Tutte
le scuse che aveva ascoltato e tutte quelle che già sapeva
sarebbero
arrivate.
Si era liberata di
tutto, come se affidare al vento e
alle pietre che la circondavano i suoi problemi potesse in qualche
modo sollevarla dall'incombenza di affrontarli.
Era
rimasta seduta sul marmo freddo per un tempo che non avrebbe saputo
definire, finchè non aveva sentito le gambe intorpidirsi e
non si
era trovata costretta a nascondere le mani nelle pieghe della
sciarpa, nel tentativo di scaldarle un po'.
Aveva
spostato lo sguardo sulle lapidi, a una a una, come faceva spesso,
fino a quella di Vincent Tiger, per l'ennesima volta. L'aveva trovata
vuota. Come sempre.
Niente
era cambiato dai primi giorni.
Hermione
si era alzata in piedi ed aveva preso una piccola candela, che era
poggiata accanto alla foto di Fred. La fiammella si era spenta nello
spostamento d'aria, mentre la ragazza camminava da una lapide
all'altra, ma con un “Incendio”
mormorato aveva
ricominciato a saltellare sullo stoppino.
L'aveva
posata con delicatezza accanto al viso di Vincent.
- Così va meglio. -
Aveva
detto a se stessa e a lui.
Si
era allontanata con un sospiro, ignara dello sguardo che le fissava
insistentemente la nuca.
*****
La
penombra e l'odore delle candele.
Blaise
si godeva il piacere dell'ozio, affondato in una delle morbide
poltrone della Sala Comune di Slytherin, assaporando sul palato il
sapore della sigaretta fumata solo qualche minuto prima, affacciato
ad una finestra del primo piano.
Stava
ascoltando ad occhi chiusi i rumori attutiti che provenivano dai
dormitori, come fossero una nenia che accompagnava il suo momento di
pace; i passi pesanti di Goyle sui gradini, un baule trascinato sul
pavimento, borbottii indistinti di persone che forse stavano
studiando o forse dicevano solo sciocchezze, lo schiocco di un ciocco
di legna nel camino.
Niente
di meglio, dopo una giornata di lezioni di una sigaretta e del
tramestio silenzioso di una Sala Comune. Erano passate quasi tre
settimane dall'inizio della scuola e già si sentiva stanco
come se
fossero vicini a Natale.
- Vaffanculo. -
Aveva
aperto un solo occhio, di certo non per vedere a chi appartenesse
quella voce fin troppo familiare, ma per dimostrare il fastidio
provato per l'interruzione del suo momento di relax.
- Cosa è accaduto di tanto tremendo da
costringerti a venire qui a tormentarmi, Malf? -
- Scusami se disturbo il tuo regale riposo con la
mia stizza, Blaise. Non era mia intenzione recarti offesa. -
Draco
si era seduto nella poltrona accanto a quella dell'amico, un gomito
poggiato al bracciolo, le gambe distese in avanti, in una posizione
scomposta, apparentemente rilassata, che stonava nettamente con il
suo tono di voce.
- Oh, insomma, Malf, che vuoi? -
Sorrideva,
Blaise, mentre si rivolgeva in tono sgarbato all'amico di sempre.
- La McGranitt ha organizzato dei corsi per i
bimbetti che preparano i GUFO. -
- E questo che cosa ha a che vedere con la tua
stizza? Non sei mica tu a doverti fare delle lezioni pomeridiane
aggiuntive! -
- E invece si, cazzo. Non le devo seguire, le devo
tenere! Insieme agli altri Capiscuola! -
- Per Merlino. -
Blaise
si era stropicciato gli occhi con pollice e indice, come per
scacciare un'immagine fastidiosa che vi si era impressa. Draco non
sapeva insegnare; sarebbe stato meglio dire che Draco era
meravigliosamente bravo ad insegnare, ma che detestava farlo, ma il
diretto interessato avrebbe sicuramente negato.
Ce
la metteva tutta per essere inflessibile, per dare l'impressione di
essere rigido, impaziente; chissà cosa gli passava per la
mente
mentre insegnava, ma quando puntualmente non riusciva nel suo intento
di sembrare un mostro, ne usciva un ragazzo paziente, con un talento
reale nel riuscire a spiegare con semplicità ogni concetto.
Ma lui
non se ne convinceva e ogni volta che si trovava nelle condizioni di
studiare con qualcuno o di aiutarlo con i compiti il suo umore
arrivava puntualmente a somigliare a quello di una belva affamata.
- Ma non basta Blaise, perchè non solo
noi, all'ultimo anno, con i MAGO da preparare, dobbiamo metterci a fare
le balie ai ragazzini, ma la McGranitt, nel suo delirio di
unità e comunione di intenti, vuole che facciamo lezione a
coppie. Capisci? -
- Fammi indovinare, non ti avrà
appioppato i Grifoni vero? -
- Vuole che siamo noi a scegliere con chi
insegnare, ma ovviamente dovremo prendere in carico gli studenti delle
due case che rappresentiamo. -
- Beh, Malf, almeno questo significa che non sarai
obbligato ad insegnare con e ai Grifondoro. Ci sono
sempre Hannah e Anthony con cui puoi fare lezione no? -
La
risata di Draco sarebbe stata una risposta più che
sufficiente, ma
lui aveva continuato.
- Dimentichi un fatto fondamentale. Hannah e
Anthony sono fidanzati dall'inizio dello scorso anno; non abbiamo fatto
in tempo ad aprire bocca, io e la Sanguesporco, che loro due si erano
già prenotati per stare in coppia. -
Il
sopracciglio di Draco probabilmente sarebbe potuto uscire dalla sua
testa, se l'avesse potuto sollevare solo di un millimetro in
più.
- Devo ammetterlo. Hai tutte le ragioni
per disturbare la mia quiete. -
- Le ho eccome. Lezione a dei ragazzetti con il
moccio al naso, con la Mezzosangue So-Tutto-Io. Potrebbe arrivarmi una
bella notifica di Processo al Ministero, per chiudere questa
meravigliosa giornata. -
- Evita di fare lo spiritoso su queste cose, quando
la sfiga ci si mette... -
Draco
si era lasciato andare stancamente contro lo schienale della
poltrona, poggiando i piedi sulla seduta di quella di Blaise. Lo
sguardo dell'amico era scattato rapidamente verso il passaggio
segreto d'ingresso.
- Malf, la Legge di Murphy. -
Glielo
aveva detto indicando con un'alzata del capo dietro la sua schiena.
Draco si era girato
per vedere cosa poteva succedere ancora, dopo
quella giornata perfetta.
Pansy.
Blaise
aveva ragione. Se qualcosa può andar male, lo
farà.
*****
Si
era lasciato convincere a seguirla nella sua stanza. Gli aveva detto
di dovergli parlare, di avere delle cose importanti da raccontargli,
cose che gli sarebbero di certo interessate e lui se l'era bevuta
come un allocco. O meglio, aveva voluto bersela.
Era
per questo che adesso era seduto sul suo letto, le spalle contro la
testiera, nella stanza vuota, con Pansy che blaterava parole inutili
su quanto le fosse mancato, su quanto avesse sofferto a saperlo a
Malfoy Manor, solo, con l'Oscuro Signore in casa sua a disporre di
lui come voleva.
Si era accorto con
quanta devozione lei gli
fosse stata accanto, con quanto amore si fosse sacrificata per non
perderlo, quando al sesto anno aveva affrontato la missione cui
Voldemort l'aveva destinato. Nemmeno si era accorta di niente o
comunque non aveva dato segni di preoccupazione per le sue
sparizioni, per le ore che passava in quella Stanza delle
Necessità
o per le occhiaie sempre più profonde che comparivano sul
suo viso.
Per non parlare dell'ultimo anno trascorso: mentre Draco era sempre
più tormentato, nelle scelte compiute, per sua
volontà o no, Pansy
si crogiolava nell'apparente normalità di una Hogwarts
comunque
aperta, nella sua presenza a scuola per la maggior parte dell'anno,
nei privilegi che Slytherin aveva acquisito sotto il controllo dei
Carrow.
E
fuori infuriava la guerra. Draco non aveva mai temuto tanto per la
sua vita come in quel periodo e Pansy aveva avuto la delicatezza di
un rinoceronte, soffermando lo sguardo e le mani su quel Marchio che
lui non aveva chiesto, ma che si trovava a portare, l'ultima volta
che era stata nel suo letto. Lo guardava con un'espressione
indefinibile, aveva un che di morboso.
L'aveva allontanata
malamente, quell'ultima volta, prima delle vacanze di Pasqua, prima
che Potter venisse catturato, prima che sua zia torturasse la
Mezzosangue, prima che venisse messo davanti ad una scelta e
scegliesse, sebbene soltanto nella sua mente, per quel momento, di
lasciare che il Bambino Sopravvissuto potesse provare a continuare
per la sua strada.
Aveva
mentito, aveva finto di non riconoscerlo. Era stato un impulso,
guidato da quei momenti in cui era rimasto al buio, nella sua stanza
al Manor, a sentire le grida dei prigionieri che venivano torturati
dai Mangiamorte nella sua cantina, a sentire il Marchio bruciare.
Non era quella la
vita che voleva. E se avesse condannato Potter
quella era la vita che avrebbe vissuto, per sempre.
Le
labbra di Pansy sul collo, una mano a sfiorargli la mandibola, in una
carezza delicata. Il profumo di magnolia che aveva sempre avuto
l'aveva avvolto istantaneamente, nel breve attimo che la ragazza
aveva sfruttato per avvicinarlo. Era sempre riuscita a stordirlo,
ogni volta che la respirava. Quel profumo era talmente intenso, a
tratti anche troppo prepotente, che a volte vi si perdeva, altre
riusciva a dargli la nausea. Come lei.
- Non dovevi assolutamente dirmi qualcosa? -
Aria,
fresca, pulita.
Si
era allontanato un poco, un ghigno strafottente sul viso.
- La vuoi sapere proprio ora? -
Un
morso giocoso sulla spalla, la mano di lei che gli scorreva sul
torace, ad insinuarsi tra i bottoni della camicia, senza slacciarli.
Le aveva preso il viso in una mano, sollevandolo verso di
sé, mentre
con l'altra le scostava i capelli dagli occhi.
Si
era sporta verso di lui, poggiando le labbra sulle sue. Morbide,
dolci, tentatrici, come quel tocco che scendeva leggero verso la sua
cintura.
No.
Doveva dirgli qualcosa? L'avrebbe detta ora.
Poi, forse,
avrebbe anche potuto cedere. In fondo ci sarebbe stato niente di male
a concedersi un po' di distrazione.
Le
dita di Pansy che con sapiente falsa ingenuità scivolavano
dentro
l'orlo dei pantaloni, tirando la stoffa un poco verso di sé.
- Non fare di questi giochetti con me, Pansy. -
Le
teneva ancora il mento in una mano, mentre la guardava fissa negli
occhi.
- So cosa vuoi e potrei volerlo anch'io ma se hai
qualcosa da dirmi dilla subito, non sono qua a farmi prendere per il
culo. -
Pansy
aveva alzato gli occhi al cielo e si era tirata indietro, pur
continuando ad accarezzargli la spalla e il torace.
- E va bene, te lo dico adesso. Un paio di giorni
fa ero nel parco, vicino al Memoriale, per fare un giro, stavo
prendendo aria. Mi ero seduta sotto un albero, che dava sulla zona in
cui ci sono le lapidi, quindi riuscivo a vedere tutto. -
- Mi tieni d'occhio, Pansy? -
Draco
aveva assunto un'espressione vagamente infastidita.
Era
vero, lei era lì perchè aveva saputo da qualche
voce che Draco
andava spesso al Memoriale e lei aveva deciso di andare a cercarlo
lì, voleva aspettarlo e provare a parlare con lui, dopo il
periodo
passato separati e quello le sembrava un buon modo per avvicinarlo.
- Ovviamente no, Draco. La mia vita non gira di
certo intorno a te. -
Soltanto
quel sopracciglio alzato e quel baluginio canzonatorio nel suo
sguardo.
- Va' avanti Pansy, non ho tutta la serata. -
- Dunque, ero lì seduta e ad un certo
punto è comparsa la Granger. Si è seduta davanti
a una delle file di lapidi e si è messa a parlare, come se
stesse discutendo con uno dei morti. -
Draco
percepiva il tono di scherno con cui aveva descritto quello che la
Granger stava facendo e aveva pensato a sé stesso, seduto
davanti
alla foto di Tiger, che raccontava la sua giornata o che sfogava i
suoi momenti no.
Era
diventato matto. Matto come una Mezzosangue Grifondoro con cui
sarebbe stato obbligato a passare pomeriggi interi. Siamo a
cavallo, Draco, che meraviglia.
- Se ne è rimasta lì per un
bel po', tanto che stavo per andarmene, ma quando ormai mi ero alzata,
lo ha fatto anche lei. Ha preso una candela rossa e l'ha spostata da
una lapide ad un'altra. Quando si è allontanata aveva
un'espressione distesa, come se pensasse di aver fatto qualcosa di
buono. -
Aveva
trovato una candela rossa, sulla tomba di Tiger, il giorno
precedente.
Si
era domandato chi potesse averla lasciata ed aveva chiesto anche a
Blaise se fosse stato lui o se sapesse chi potesse essere stato.
Blaise l'aveva guardato annoiato e gli aveva risposto di no, ad
entrambe le domande, aggiungendo anche che non capiva cosa gli
importasse di una candela.
- Quando se n'è andata, sono passata dal
Memoriale e ho visto che l'aveva messa davanti alla foto di Vincent. So
che ci vai quasi tutti i giorni. Ho pensato che ti importasse sapere
che una Sanguesporco ha deciso di lasciare pensierini sulla tomba del
tuo amico. -
Non
gli sarebbe importato di una candela, infatti, non fosse che era
stata proprio lei a lasciarla.
Lei.
Una degli altri, anzi, una di quelli alla testa di
quel gruppo
di vincenti, di quelli che potevano camminare a testa alta nella
gloria dell'essere sempre stati nel giusto.
Una
di quelli che non aveva mai guardato Tiger se non con disprezzo, come
lui aveva fatto con loro. Non era mai corso buon sangue tra loro. Il
sangue era sempre stato la chiave di quei rapporti e mai, mai avevano
parlato d'altro.
E
ora lei portava candeline sulla tomba del nemico?
Sulla lapide di
quello che aveva scagliato l'Ardemonio nella Stanza delle
Necessità,
rischiando di ucciderli tutti?
Era solo
un'ipocrita e non le
avrebbe permesso di sentirsi così compassionevole e buona
facendo la
recita con una candela sulla tomba del suo amico. Chiunque, ma non
lei.
Draco
aveva allontanato Pansy con un braccio e si era alzato dal letto.
- Draco? Cosa stai facendo? Che... -
- Sparisci Pansy. Ho da fare. -
Le
aveva fatto cenno di andarsene con la mano, mentre si allacciava i
primi bottoni della camicia, che lei gli aveva slacciato, davanti
allo specchio ed annodava la cravatta verde e argento. Aveva
indossato il maglioncino della divisa e si era voltato verso di lei.
- Pansy vai via. Sto uscendo. Non puoi stare qui. -
E
l'aveva lasciata indietro, mentre a passo di carica si dirigeva verso
il parco.
Non
avrebbe tollerato questa cosa. Non poteva.
*****
Sapeva
che l'avrebbe trovata da quelle parti, se lo sentiva.
L'aveva
incrociata sulla strada per il Memoriale, mentre probabilmente
tornava indietro dal suo sfoggio di carità per i defunti.
Hermione
si era vista arrivare incontro Malfoy, con un passo deciso, quasi
frettoloso e gli aveva lasciato spazio sul sentiero per farlo
passare. Non aveva voglia di battibeccare, quel pomeriggio.
Non
con il sole che stava per tramontare e quella luce offuscata dietro
le nuvole. Non quando le prime foglie iniziavano a cadere sulla riva
e sulla superficie dell'acqua, creando quel paesaggio magico che
tanto amava. Ma soprattutto, non quando sapeva che avrebbe dovuto
lavorare a contatto con lui per i prossimi mesi per i corsi per i
ragazzi dei GUFO.
Non avrebbe
permesso ai vecchi contrasti e alle
sciocchezze degli anni precedenti di intralciare le lezioni a dei
ragazzi che non avevano niente a che vedere con loro.
Ma
lui si era diretto dritto verso di lei, prendendo la bacchetta dalla
cintola dei calzoni e puntandogliela dritta in faccia.
- Tu! Lurida Sanguesporco come ti sei permessa? -
Hermione
era indietreggiata sui suoi passi, verso il ciglio del sentiero, fino
a sentire dietro le spalle il tronco di un albero. Con lentezza
calcolata aveva messo mano alla sua bacchetta, mentre Malfoy la
fissava con gli occhi iniettati di odio.
Era
la personificazione della calma, quando gli aveva risposto.
- Di cosa stai parlando, Malfoy? -
Aveva
le labbra strette, lui, gli occhi ridotti ad una fessura e da quello
spiraglio sulla sua mente si intravedeva la rabbia che covava.
- Non fingere di non saperlo, Granger. Come ci si
sente ad essere i misericordiosi vincitori di una guerra? -
Lo
aveva sibilato, avvicinandosi di un paio di passi ed abbassando il
braccio che reggeva la bacchetta, pur tenendola sotto tiro, anche se
in modo meno plateale.
Hermione sentiva la
punta del legno
sfiorarle l'addome.
- Cosa ti brucia Malfoy? L'aver perso una guerra o
il fatto che io sia ancora viva a ricordarti che hai sempre sbagliato? -
- Non mi interessa della tua vita o di quella
guerra. Quello che mi brucia è che tu usi la tomba del mio
amico per sentirti migliore. -
Hermione
aveva sgranato gli occhi.
Di cosa stavano
parlando? Non aveva
nemmeno capito quale fosse il motivo di tanta rabbia; Malfoy non
aveva mai fatto altro che disprezzarla, questo si, ma non l'aveva mai
attaccata così frontalmente. I dispetti, gli insulti a mezza
bocca
in corridoio, ma non si era mai presentato davanti a lei impugnando
la bacchetta, nemmeno durante la battaglia, quando avrebbe potuto,
anzi dovuto farlo.
- Non abbiamo bisogno della pietà di
nessuno, tantomeno della tua stupida candela. Lasciarla sulla tomba di
Tiger ha gratificato abbastanza il tuo ego? Sei riuscita a sentirti
abbastanza caritatevole? La Mezzosangue vincitrice che si piega a
rendere omaggio al nemico. -
Le
aveva fatto un inchino, piegando il braccio che teneva la bacchetta
sotto il busto e perdendo la mira su di lei. Hermione aveva allora
estratto la bacchetta, su cui fino ad allora aveva solo tenuto la
mano.
- Solo una persona meschina come te poteva vedere
qualcosa di sporco in quello che ho fatto. Non era pietà,
non l'ho fatto per sentirmi migliore. L'ho fatto perchè
penso che alla fine dei conti sia un ragazzo come me, che è
morto troppo presto; anche lui meritava di avere qualcuno che gli
portasse qualcosa, qualcuno che si interessasse a lui. Ma ovviamente
non capisci cosa significhi. Il tornaconto personale è
l'unica moneta di scambio per te. -
Aveva
parlato alzando la bacchetta verso di lui, che aveva fatto un passo
indietro.
- Ci sono io, per lui. Io che non l'ho odiato fin
dall'inizio, io che ero con lui dal primo anno. Non gli serve la tua
candela, non gli serve la tua pietà. Non vuole gli omaggi di
una Mezzosangue che gode della gloria riflessa di Potter. -
Si
erano misurati con lo sguardo per qualche secondo. Le bacchette
alzate uno contro l'altra, la mano di Draco che tremava
impercettibilmente, il petto di Hermione che si alzava ed abbassava
rapido, al ritmo di un respiro affrettato per la rabbia.
- La gloria. È così che
ragioni, c'è poco da fare. Non è nemmeno
valutabile per te la possibilità di qualcosa di altruistico,
di un gesto fatto per qualcun altro. -
Ad
Hermione era sfuggito un risolino sarcastico.
- Non tu. Non tu per lui. Non da uno di voi
per uno di noi. Non quando questo vi permette di
sentirvi migliori per questa vostra bontà. -
La
voce sempre più bassa, affettava uno sdegno che non aveva la
minima
intenzione di nascondere.
- Non ci sono più un noi
e un voi Malfoy. Svegliati. Non siamo
più al primo anno, quando era divertente giocare a fare il
piccolo Lord dietro al nobile mantello di tuo padre. Il mondo
è cambiato, è il caso che ti ci adatti. -
Il
ragazzo aveva distolto per un attimo lo sguardo.
Un
attimo in cui Hermione era riuscita a intravedere un'incrinatura
sulla maschera di strafottenza che indossava dal primo momento in cui
era entrato in quella scuola. Ma era stato solo un riflesso,
immediatamente nascosto da un'ombra scura.
- Non mi interessa, Mezzosangue. Tu e il tuo
buonismo tenetevi lontani da Vince. -
La
voce era quasi scomparsa, nel pronunciare quella frase, prima di
abbassare per la seconda volta la bacchetta e andarsene.
Ad
Hermione era sfuggito uno sbuffo dalle labbra, mentre guardava quel
ragazzo allontanarsi.
Forse, aveva
pensato, in qualche recondita
parte di lui, anche Malfoy stava soffrendo per qualcosa.
Note:
-
Il titolo è una canzone dei Nirvana,
album In Utero, del 1993.
-
Harry che fa
“pubblicità” a Ron. E' un tipico
atteggiamento maschile, quello di spalleggiarsi a vicenda, oltretutto
la smania del Bambino Sopravvissuto di avere tutto sotto controllo e
come piace a lui potrebbe tranquillamente averlo indotto ad
impicciarsi.
-
La voglia di sviare e nascondersi un po' di
Hermione potrebbe non essere completamente IC, essendo lei
l'incarnazione del coraggio e della determinazione, ma ho pensato che,
come ha passato ani nell'ombra, aspettando e sperando che Ron si
accorgesse di lei, avrebbe anche potuto sentire il bisogno di pensare
da sola, di non affrontare tutto e subito.
-
Quinn Davies, lo ribadisco, è un
personaggio completamente originale, è la sorella virtuale
di Roger Davies, così come originale è la sua
amica Elizabeth, detta Liz.
-
Neville, Quinn e il tradimento. Io vi avevo
avvertiti che il mio Nev sarebbe stato OOC. In realtà,
giusto per difendere il mio amato Nev, lui e Quinn non sono fidanzati e
lui non le ha promesso niente, quindi, in linea puramente teorica, lui
non sta tradendo nessuno. Che poi possa aver dato adito a pensieri
è un'altra questione, ma insomma, non può essere
responsabile dei castelli in aria altrui. XD
-
Filtri d'amore. La stessa Rowling ne ha parlato e
li ha utilizzati nell'episodio che ha coinvolto Romilda Vane e Ron, che
si era spazzolato i cioccolatini destinati a Pottah (che poi rifilare
un filtro a Pottah, boh). Ma devo ammettere che quando penso ai filtri
d'ammore la mia mente va a Savannah e alla sua meravigliosa The Ground
beneath Her Feet. Non me la sentivo neanche di parlare di filtri
d'amore senza citarla, mi pareva quasi un oltraggio. <3
-
I corsi per i GUFO non esistono, lo so. E' una mia
arbitraria invenzione. Volevo che ci fosse un modo per avvicinarli e
farli conoscere. Si, è un escamotage da fyccina. Fucilatemi!
XD
-
Pansy. Non la odio, anzi in realtà la
mia intenzione originaria era quella di riabilitarla un po', ma
è uscita così da sola. Una cretina. Mi dispiace
assai, ma il criceto nel mio cranio ha deciso che Pansy è
odiosa e superficiale, come nei migliori clichè.
-
La lite. <3
Amo profondamente vederli affrontarsi a bacchetta spianata. Fa
così tensione sessuale repressa... *.*
Bene,
con questo ho concluso con le note e posso passare alla pubblica
fustigazione:
Scusatemi,
scusatemi, scusatemi.
So che non posto da troppo tempo, che sono
svanita nel nulla e che, come se non bastasse ho postato anche altre
cose nel mezzo. Perdonatemi vi prego. A mia discolpa ho da dire che
in ospedale mi tengono sostanzialmente in ostaggio e che gli esami e
la tesi mi occupano il poco tempo rimasto. Non odiatemi. <3
Per
chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi
deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi
trovate su Facebook: QUI.
|
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Capitolo 7 *** Premonitions ***
A Valdemort: tanti auguri di
buon compleanno, zoccolona mia.
Hermione
era tornata verso la scuola qualche minuto dopo.
Aveva guardato
Malfoy dirigersi furente verso il Memoriale, macinando con passi
decisi lo stretto sentiero sterrato. Aveva stretto i pugni fino a
sentire le unghie conficcarsi nei palmi, guardando la sua nuca
allontanarsi. Insopportabile, borioso, arrogante Purosangue.
Riusciva
a ragionare soltanto in un verso, quello della sua spocchia, quello
del suo egoistico bisogno di protagonismo.
Aveva
sempre fatto di tutto per denigrarla, per farla sentire inferiore,
per apparire migliore agli occhi degli altri a discapito suo, di
Harry o di chiunque incrociasse la sua strada.
Non era altro che
un ragazzino con un patologico bisogno di attenzioni.
Era sempre
stato così, pronto a sputare veleno addosso a chiunque non
appartenesse alla sua esclusiva cerchia di privilegiati. Mai uno
sguardo o un'attenzione per qualcuno che non portasse una cravatta
verde e argento, mai un gesto cortese. A pensarci bene non l'aveva
mai nemmeno visto sorridere.
Probabilmente
sorrideva anche lui, come tutte le altre persone, non aveva certo la
presunzione di etichettarlo come una persona tanto malvagia da non
trovare mai un motivo di gioia, ma lei non l'aveva mai visto
sorridere, nemmeno da lontano, quand'era in mezzo ai suoi compagni di
Casa.
Eppure era un ragazzo anche lui, specialmente prima che la
guerra cambiasse le cose. Avrà avuto degli amici, una vita
normale.
Loro due erano persone che vivevano su due mondi diversi, ma Hermione
era certa che la vita, nella Sala Comune di Slytherin, non fosse
così
diversa da quella di chiunque altro. Avrebbe scommesso che tutte le
idee di cui Ron e Harry parevano tanto convinti, riguardo la perfidia
di Malfoy, la sua dedizione al male, fossero semplicemente delle
sciocchezze.
Non poteva immaginare che qualcuno avesse
scelto di stare dalla parte di Voldemort semplicemente
perchè
malvagio, se si escludevano lo stesso Oscuro Signore e magari anche
Bellatrix Lestrange e qualche altro Mangiamorte. Non credeva nel
bianco e nel nero, Hermione. Lei riusciva a vedere le sfumature che
stavano dietro le scelte delle persone, non soltanto gli effetti che
quelle scelte avevano determinato.
Forse,
allora, dietro tutta quella rabbia che lui le aveva riversato
addosso, si nascondeva dell'affetto per Tiger, una sincera
preoccupazione per lui. Ragionando a mente fredda, continuava a non
riuscire a giustificare quello scoppio, ma forse iniziava a
comprendere che cosa l'avesse portato a reagire in quel modo. Aveva
visto la sua espressione cedere, per qualche secondo e in quel
piccolo squarcio del velo, aveva intravisto un ragazzo addolorato,
colmo di nostalgia per un amico perduto.
Forse
quello era il suo modo di manifestare il dolore, forse non aveva mai
provato a sfogarsi altrimenti.
Stai
giustificando Malfoy?
Anche
se fosse non ci sarebbe stato niente di male. A
differenza sua, lei non si curava delle apparenze o delle
stupidaggini riguardo il sangue: sapeva che l'atteggiamento di Malfoy
non aveva nulla a che fare col suo essere Purosangue, quanto
piuttosto con il modo in cui era cresciuto.
Stava
trasformando mentalmente Malfoy in un povero ragazzino disadattato.
Hermione finiscila.
Non
lo era. Non era una vittima del sistema, non era un povero succube
poco amato. Malfoy era un adolescente cresciuto in fretta, come lo
erano loro, per via della guerra, ma niente di più. Restava
sempre
l'arrogante e viziato Purosangue che era sempre stato. Probabilmente
aveva degli amici, probabilmente voleva loro bene come lei ne voleva
a Harry o a Ginny, ma questo non lo rendeva certo una persona
migliore, lo rendeva soltanto una persona.
Un
ragazzo come lei, come tutti gli altri.
Era
un Mangiamorte.
Le
parole che Sirius aveva detto ad Harry tre anni prima le tornarono
alla mente:
“Il
mondo non è diviso in persone buone e Mangiamorte. Tutti
abbiamo sia
luce che oscurità dentro di noi. Ciò che conta
è da che parte
scegliamo di agire.”
Draco
Malfoy due anni fa aveva scelto .
Aveva quasi ucciso Silente. Era
salito in cima alla Torre di Astronomia, aveva disarmato il Preside e
aveva puntato la sua bacchetta contro di lui, un Avada Kedavra in
bilico tra le labbra.
Ma l'anno dopo aveva mentito, fingendo di
non riconoscere Harry al Manor, permettendogli, in un certo modo, di
fuggire e di portare a termine la sua ricerca.
Durante la
battaglia di Hogwarts non aveva combattuto per Voldemort, non se
l'era ritrovato contro, a bacchetta spianata, come questo
pomeriggio.
Cosa contava?
Forse
niente, forse non faceva differenza. Forse quello che contava davvero
era il Marchio Nero che probabilmente si stagliava sul suo braccio
pallido. O magari non era così, magari Sirius aveva ragione:
ciò
per cui ognuno doveva rendere conto erano le azioni compiute, alla
fine, e non le intenzioni, buone o cattive che fossero, con cui si
era partiti.
Stava
rimuginando troppo su quella faccenda.
Era solo un'altra lite con
Malfoy, l'ennesima scaramuccia che si ripeteva, anno dopo anni,
perchè tutte queste domande?
*****
Se
n'era andato verso il Memoriale a grandi passi, calpestando il
terreno con la stessa violenza che avrebbe usato se sotto i piedi
avesse avuto le vertebre della Sanguesporco. A ogni ogni passo
immaginava un piccolo scricchiolio e schegge di ossa che volavano nel
prato.
Era
un'assurdità, ma che lo faceva sogghignare compiaciuto come
quando
la prendeva in giro nei corridoi da ragazzino. Aveva sempre provato
un divertimento esaltante nel prendersela con lei, fin dal primo anno
di scuola, quando la vedeva incassare le sue battute senza ribattere.
Nel
tempo la ragazzina aveva poi imparato a rispondergli ed attaccarla si
era fatto quasi più divertente. Ci aveva rimediato uno
schiaffo, al
terzo anno, ma riuscire ad innescare la sua rabbia era una
soddisfazione che valeva anche quel prezzo.
Aveva raggiunto la
tomba di Vince in pochi minuti ed aveva preso la piccola candela
rossa tra le mani. Rossa, poi. Il massimo della beffa. Un bel
ricamino dorato sul contorno non sarebbe stato bene sulla tomba di
uno Slytherin?
Maledetta ragazzina. Come riusciva a fargli sempre
perdere le staffe?
Lui era sempre stato il calcolatore, quello
che non agiva per istinto, ma per piani.
Lui non era il tipo da
obbedire ad un impulso fino al punto da fare scenate, fino a perdere
ogni controllo; lui era quello che prendeva in giro con ironia
sottile, con insulti sibilati.
Lei era quella che si infuriava,
che perdeva il controllo davanti ai suoi insulti.
Draco era
sempre riuscito a mantenere una maschera di fredda indifferenza
davanti a tutto, o quasi, il massimo che si era concesso erano
sorrisetti di scherno.
Ma non con lei.
Lei riusciva a
destabilizzare i suoi punti fermi, l'aveva sempre fatto. Lo irritava
a morte, con quella sua aria perfetta, con quella mano sempre alzata,
con il mento alto e il portamento orgoglioso di chi è sempre
nel
giusto.
La odiava dal primo giorno, quando era salita sul treno
con quei suoi capelli scompigliati e i dentoni sporgenti. La
detestava fin quando l'aveva vista, sempre saccente, rispondere prima
di lui a tutte le domande a cui anche lui avrebbe saputo rispondere,
ma non ne aveva avuto l'opportunità perchè non
era stato abbastanza
veloce ad alzare la mano. Si era infine radicato al secondo anno,
quando aveva insinuato che lui non meritasse il posto di Cercatore in
squadra.
La
odiava per il suo sangue, certo, ma prima di tutto la odiava
perchè
lei era la Granger. Non per il cognome, non per le origini.
Perchè
sembrava che volesse a tutti i costi essere migliore di tutti.
Migliore di lui.
Si
rigirava la candela tra le dita, facendola passare da una mano
all'altra ed osservandola. Mandava piccoli riflessi perlacei, alla
luce del tramonto e sembrava un oggettino incredibilmente innocuo.
Una
piccola cosa, che poteva spezzare tra le dita, era riuscita a fargli
provare tante emozioni tanto sconvolgenti. Non era colpa della
candela, quella era solo una cosa, un niente.
Era lei, il
suo problema.
Aveva scagliato la piccola cera giù dalla
collinetta e l'aveva guardata atterrare in lontananza, tra la capanna
di Hagrid e la Foresta Proibita.
Erano sempre state così vicine?
Non si era mai soffermato a riflettere su quanto quell'idiota del
Custode abitasse vicino alla Foresta eppure gli sembrava di ricordare
che non fosse così tanto prossimo al limitare degli alberi.
Avevano
fatto lezione innumerevoli volte lì dietro e si ricordava un
paesaggio un poco diverso. Non si trattava di una differenza
abissale, ma qualcosa era cambiato.
Tutto
era vicino, troppo.
C'era
qualcosa di strano negli alberi della foresta. Li aveva guardati
distrattamente tutti i giorni, dall'inizio della scuola e c'era
qualcosa di anomalo rispetto ai primi di settembre. Sembravano
più
folti, più grandi. Sembravano anche di più, per
quanto possibile.
Non
dire scemenze, gli alberi non si moltiplicano.
Eppure
era quello che sembrava.
Aveva spostato lo sguardo verso il campo
di Quidditch e ora che guardava, gli alberi sembravano troppo vicini
anche lì e quella zona l'aveva vista moltissime volte negli
anni,
sorvolandola con la scopa alla ricerca del Boccino.
Qualcosa
non andava in quegli alberi.
*****
Hermione
aveva raggiunto la Sala Grande quasi di corsa, cercando di porre fine
ai continui dubbi e all'inquietudine che la lite con Malfoy le
avevano lasciato addosso.
Si era lasciata cadere accanto a Ginny
senza nemmeno guardare dove fossero gli altri, il fiato corto, i
capelli scompigliati per la corsa. L'amica l'aveva salutata con la
mano, mentre con l'altra si copriva la bocca piena e le faceva cenno
con la testa verso qualcosa dietro le sue spalle.
- Che ti prende, Gin? -
L'aveva
scrutata perplessa e l'amica aveva strabuzzato gli occhi per poi
riportare lo sguardo sul piatto, scuotendo la testa, probabilmente
per maledire la sua scarsa ricettività.
Una
mano sulla spalla. Una sensazione familiare e un odore
inconfondibile.
- 'Mione. -
Ron.
Ecco
cosa stava cercando di dirle Ginny con quelle facce incomprensibili.
- Ronald. -
Un
brivido le aveva attraversato tutta la spina dorsale ed aveva stretto
i denti fino a sentire dolore all'articolazione della mandibola.
Aveva raddrizzato le spalle e le sembrava che la mano di Ron pesasse
quanto un macigno. Con un piccolo passo in avanti ed un movimento
fluido l'aveva scrollata via.
- Sono giorni che non ti vedo, 'Mione. Riesco solo
a coglierti mentre scappi via dopo ogni lezione, dopo ogni cena. -
- Sono molto indaffarata, Ronald, ho lo studio, i
corsi per i ragazzi dei GUFO da preparare, sai com'è, non ho
tempo di stare a chiacchierare... -
Un'alzata
di spalle e lo sguardo puntato al di sopra della sua spalla.
Sei
una pessima bugiarda.
- Mi stai evitando? -
Eccoci
qui.
Non riusciva a
mentire nemmeno a Ron, che fino a qualche
settimana prima avrebbe creduto anche che un Vermicolo gigante stesse
invadendo Hogwarts, se lei l'avesse affermato con un minimo di
convinzione.
- No, non ti sto evitando. Sono molto occupata, te
l'ho detto. A proposito, Gin, devo andare, vado in Sala Comune a
stendere i programmi per i corsi. -
- Ma se non hai neanche mangiato! -
Ecco
Harry Potter, colui che ha salvato il Mondo magico con un
Expelliarmus, trasformatosi repentinamente in colui che non riesce
nemmeno a mangiare facendosi i fatti propri.
Ginny
si era voltata con uno scatto che avrebbe fatto invidia ad un
ghepardo, fulminandolo con uno sguardo gelido e pieno di sottintesi.
- Che ho fatto? -
Hermione
aveva semplicemente scosso la testa, abbassando gli occhi sulla
tavola imbandita.
Lo schiocco di uno
scappellotto le era
rimbombato nelle orecchie mentre scandagliava mentalmente le varie
possibilità che le erano state messe davanti per cenare.
Salmone,
aringhe, ali di pollo, del prosciutto, budino. Niente di
trasportabile.
O perlomeno niente
di trasportabile senza
trasformarsi in un uomo delle caverne che cammina mordicchiando ossa.
Aveva afferrato due
fette di pane tostato, per poi voltarsi verso
Harry, che si stava ancora massaggiando la nuca, guardando Ginevra
con aria contrita, con un sorriso forzato.
- Ora ho mangiato, Harry, sei più
sereno? A più tardi, ragazzi, ci vediamo di sopra. -
L'espressione
dell'amico le aveva fatto quasi tenerezza. Era pur sempre un maschio,
non si potevano pretendere grandi cose.
Più
tardi, quando
fossero saliti anche loro, gli avrebbe chiesto scusa per come si era
comportata con lui in questi giorni, era un momentaccio per lei,
questo era vero, ma di certo non poteva sfogare tutto sugli altri.
Si
era voltata e, dopo aver scansato Ron, che era ancora in piedi dietro
di lei, aveva provato ad allontanarsi dal tavolo.
- 'Mione, vengo con te, vorrei parlarti. -
La
voce di Ron l'aveva raggiunta, qualche passo più in
là.
- Ron, per Merlino, mangia. Parleremo in un altro
momento, io non scappo e tu non sei capace di stare senza mangiare. -
- Ma... -
Aveva
zittito le sue tiepide rimostranze con un cenno della mano, ad
indicargli la tavola.
- Mangia, Ron. Non c'è nulla di
così urgente, non credi? -
Il
ragazzo l'aveva guardata affranto, spostando poi lo sguardo verso il
piatto. Si era voltato verso di lei ancora una volta, poi, brandendo
un'ala di pollo, mentre si stava sedendo sulla panca, l'aveva
indicata.
- Parleremo più tardi però,
stavolta non mi eviterai! -.
Hermione
aveva annuito, quasi più a se stessa che a Ron, mentre
usciva dalla
Sala Grande, per dirigersi alla Torre. Avrebbero parlato, forse era
meglio così.
Prima o poi doveva
affrontarlo, non poteva
continuare a sgattaiolare via alla fine delle lezioni, a
sbocconcellare qualcosa in biblioteca con la scusa dello studio per
non vederlo in Sala Grande. Non poteva restare sempre china sui
libri, senza alzare mai gli occhi, per non incontrare il suo sguardo
nemmeno per un attimo, nel timore che cercasse di parlarle.
Era
un comportamento assai poco Grifondoro, l'aveva dovuto ammettere
più
volte a se stessa, ma non era stata capace di fare di meglio, in
quelle settimane. Il dolore per aver perso Ron, la sua amicizia, ma
soprattutto per non riuscire più a vedere in lui nemmeno
l'ombra del
ragazzo con cui era cresciuta era stato troppo intenso per lasciare
spazio al coraggio.
Coraggio che stava
raccogliendo a piccoli
passi, gradino dopo gradino, mentre saliva le scale che portavano
alla Torre di Gryffindor.
Lei e Harry erano
sempre stati i suoi
migliori amici, fin dal primo anno, da quando avevano affrontato il
Troll nel bagno delle ragazze, da quando lei era una insopportabile
So-Tutto-Io e Ron un bimbetto maldestro sempre alle spalle del
Bambino sopravvissuto. Le cose si sarebbero sistemate.
- Tinea solium.
La
Signora Grassa le aveva rivolto un'espressione sdegnata, per averla
interrotta dalla sua conversazione con Sir. Cadogan, che aveva tutta
l'aria di essere importante. Il cavaliere la attendeva al margine del
dipinto accanto, una mano coperta dal guanto dell'armatura, protesa
verso di lei fino a sbucare nella cornice della donna.
- Non poteva scegliere momento meno adatto,
Signorina Granger, ma sia. -
- Lady, avrebbe dovuto cambiare la parola d'ordine,
l'avrebbe messa in difficoltà, perlomeno. -
Aveva
sussurrato il cavaliere, mentre prendeva con grazia tra le sue la
mano grassoccia della donna.
- Ma in questo modo non ci avrebbe lasciati soli. -
La
Signora Grassa era avvicinata alla mano del cavaliere con una
guancia, mentre lasciava libero il passaggio per l'ingresso in Sala
Comune. Hermione aveva oltrepassato il varco ridacchiando per il
siparietto e si era ritrovata, in pochi passi, davanti a Neville,
spaparanzato comodamente su una poltrona.
Ai suoi piedi era
seduta una ragazzina mora, che a Hermione sembrava tanto una di
quelle che di lì a pochi giorni avrebbe frequentato il suo
corso per
i GUFO.
- Ciao Neville! -
Il
ragazzo aveva alzato la testa verso di lei, per rivolgerle un sorriso
luminoso.
Iniziava
a capire, in qualche modo, dove stesse il fascino con cui pareva
stendere tutte le ragazze più giovani. Da piccolo era sempre
stato
goffo, maldestro e timido, ma non si poteva dire che fosse brutto; in
realtà per anni non aveva mai permesso a nessuno di
guardarlo
davvero, con il viso sempre rivolto a terra, tentando di nascondersi
e di non dare nell'occhio.
Ma negli ultimi
anni, iniziando con
l'ES e finendo con l'uccisione di Nagini, Neville era cresciuto,
aveva conquistato fiducia in se stesso, aveva capito di valere
qualcosa, nonostante le disavventure dei primi anni e nonostante le
cattiverie cui Malfoy con la sua cricca Slytherin l'aveva sottoposto.
L'aveva
salutata con entusiasmo ed aveva accarezzato con una mano, quasi
distrattamente, i lunghi capelli scuri della ragazza seduta.
- Senti Neville, avrei bisogno di parlare con te di
una questione un po' delicata. Mi dici quando possiamo fare un giro? -
Il
ragazzo si era raddrizzato sulla poltrona, l'aveva guardata
perplesso, ma non aveva dato alcun segno di fastidio, quando le aveva
risposto.
- Herm, figurati, possiamo parlare anche ora.
Meredith, vado a fare una passeggiata con Hermione, ti dispiace se ci
rivediamo più tardi? -
Aveva
ricevuto in risposta uno sguardo quasi adorante, accompagnato da un
“Si”, appena accennato con un
filo di voce, dopodichè la
ragazza si era alzata in piedi ed Hermione l'aveva vista scomparire
su per le scale del dormitorio femminile, lasciando dietro di
sé
solo il rumore dei suoi passi affrettati.
- Cosa fai tu alle ragazze, Nev? -
Neville
era scoppiato in una risata, mentre uscivano dal buco del ritratto,
dirigendosi giù per le scale, verso il pianerottolo del
piano
sottostante.
- Non faccio proprio nulla alle ragazze, Herm,
pensa un po'. -
Aveva
abbassato gli occhi, arrossendo un po', lasciando intravedere una
parte del ragazzino che Hermione aveva conosciuto il primo giorno di
scuola, mentre andava alla ricerca di Oscar, il suo rospo.
- Se non fai niente per piacere a tutte allora
è ancora più stupefacente, perchè pare
che impazziscano tutte per te. -
- Sono solo sciocchezze, figurati. -
La
ragazza gli aveva poggiato una mano sulle spalle e lui le aveva di
nuovo sorriso.
- Nev, vuoi davvero passeggiare o va bene anche se
chiacchieriamo seduti qui? Non mi va di scendere di sotto, in
realtà. -
Neville
aveva sollevato un sopracciglio, voltandosi a guardarla.
- E' perchè non vuoi vedere Ron, vero? -
Era
stato il turno di Hermione per arrossire.
- In realtà ho deciso che
parlerò con lui, ma non mi andrebbe di incontrarlo adesso,
in effetti. Vorrei essere pronta e non vorrei che mi trovasse qui con
te. Sai quanto è suscettibile in questo periodo. -
Il
ragazzo aveva annuito, mentre si sedeva sul primo gradino della
scala, facendo segno ad Hermione di accomodarsi accanto a lui.
- Di cosa volevi parlarmi? -
Si
era schiarita la voce. Improvvisamente si stava domandando se fosse
davvero una buona idea mettersi a fare la predica a Neville su come
gestiva le sue relazioni con le ragazze.
Nel
giro di pochi secondi aveva però risposto a sé
stessa che lei non
era lì per fare la predica, ma semplicemente per raccontare
ad un
amico un fatto che poteva potenzialmente riguardarlo.
- Non so da che parte cominciare, Neville, ma penso
che forse dirtelo e basta possa essere una buona scelta. Ho conosciuto
Quinn Davies, qualche settimana fa, nel parco, in una circostanza
piuttosto particolare. Stava piangendo sotto un albero. -
- Hermione... -
Lei
l'aveva fermato con un gesto della mano, facendogli capire che non
aveva finito di raccontare.
Non voglio
rimproverarti nulla, Nev. Ma devo raccontarti tutta questa faccenda.
Il
ragazzo aveva lasciato andare un sospiro, facendole cenno di
continuare.
- Dunque, lei piangeva e io mi sono fermata per
vedere cosa non andava. Lei, dopo un pochino di insistenza, mi ha detto
che piangeva per colpa tua, perchè ti aveva visto con
un'altra ragazza. Ora, deduco che quella ragazza sia la Meredith di
poco fa, giusto? -
- Credo di si. -
Aveva
distolto lo sguardo da quello di Hermione, nel fallimentare tentativo
di nascondere la scarsa certezza che aveva sul fatto che si trattasse
di Meredith.
Evidentemente
Neville aveva molte più ragazze di
quante Hermione avesse sospettato e il fatto che non ricordasse con
chi fosse stato non gli faceva certo onore. A quel punto la ragazza
aveva fatto un sorrisetto, per dissimulare malamente una smorfia di
disapprovazione ed aveva continuato.
- Beh, lei ha detto che eri sul lago con una
Gryffindor e che ti ha riconosciuto. Ma non è per farti la
ramanzina su quante ragazze stai vedendo che ti ho chiesto di parlare.
Quella Quinn non mi piace, Neville. Ha detto delle cose che mi hanno
inquietata, quando la sua amica Liz l'ha raggiunta. Ho come la
sensazione che stia per tirarti qualche brutto scherzo, quindi stai
attento. -
- Cosa intendi, Herm? Quinn è una
ragazzina, cosa vuoi che possa combinare? -
- Temo che pensi di rifilarti
qualche filtro d'amore o qualche strano intruglio di quel genere,
magari fabbricato sotto il suo letto. -
Neville
non riusciva a credere a quelle parole. Quinn era una ragazzina tanto
dolce con lui, all'inizio del discorso di Hermione avrebbe scommesso
che lei fosse lì per intimargli di smetterla di fare il
farfallone e
di darsi una regolata, mentre adesso si trovava a doversi guardare le
spalle.
Sembrava
impossibile che potesse davvero essere in grado di fargli una cosa
del genere. Pareva così innamorata, quando stavano insieme.
- La credi davvero capace di una cosa del genere,
Herm? -
Hermione
aveva allargato le braccia, in un gesto che esprimeva tutti i suoi
dubbi.
- Non ne ho idea Nev, io non la conosco. Ma tu
sì. -
- Mi sembra molto strano, ma ti prometto che
terrò gli occhi aperti, non vorrei trovarmi con un bezoar
giù per la gola come il povero Ron. Sai, una cosa tira
l'altra... -
Per
un breve istante lo sguardo di Hermione si era indurito, al suono del
nome di Ron, ma dopo pochi istanti gli aveva sorriso.
- Comunque sarebbe il caso che avessi un po'
più di rispetto per queste ragazze, Nev. -
Gliel'aveva
detto mentre si stava già alzando dal gradino.
- Non sono giocattoli, hanno dei sentimenti, anche
se magari questi le portano a mettere in cantiere delle gran
sciocchezze, come sta facendo Quinn. -
Neville
si era alzato subito dopo di lei e aveva ridacchiato mentre si
spazzolava via la polvere dai calzoni.
- Sapevo che prima o poi saresti riuscita a
sgridarmi, durante questa conversazione. -
Le
aveva avvolto un braccio intorno alle spalle e posato un bacio sui
capelli.
Hermione si era appoggiata al fianco di Neville quasi
con sollievo. Erano settimane che non riceveva un abbraccio da
un amico e quella vicinanza la rincuorava.
Erano
risaliti in silenzio per le scale e al rientro avevano trovato la
Sala Comune piena di persone.
Hermione
si era guardata intorno e in fondo alla stanza, sotto la finestra
aveva visto Ron.
Stava per avvicinarsi, credendolo solo, per
chiarire una volta per tutte, ma una mano bianca, con le unghie
smaltate di rosso, era sbucata da dietro la tenda e si era posata in
una mossa apparentemente distratta sul suo avambraccio. Una cascata
di boccoli biondi nascondevano il viso della proprietaria dell'arto
in questione, ma Hermione non aveva alcun dubbio sulla sua
identità.
Ron, divertito da qualcosa che lei aveva detto, aveva
riso, illuminandosi di una gioia quasi fanciullesca.
Lavanda
Brown.
L'avrebbe
riconosciuta ovunque.
*****
Occhi
azzurri puntati su un calderone che bolle nella penombra, una ciocca
di capelli biondi che copre il profilo del viso di una ragazzina di
15 anni, impegnata a scrutare la riuscita del suo esperimento.
- E' quasi pronta. -
Un'altra
voce, un'altra persona lì presente.
Un
grosso mestolo mescolava la pozione con lentezza esasperante e le
ragazze osservavano i riflessi verdi e gialli sulla superficie del
liquido.
- Domani. -
Volute
di fumo si sollevavano dal calderone, a formare arabeschi nell'aria
che nessun altro avrebbe visto.
*****
Malfoy
si stava dirigendo verso la biblioteca, ancora incredulo all'idea di
essersi messo in piedi prima delle dieci di sabato mattina. Il motivo
per cui l'aveva fatto poi, lo rendeva ancora meno convinto della
sensatezza di quella decisione. Sarebbe potuto tornare
tranquillamente nel suo letto caldo, sarebbe potuto andare a volare al
campo da Quidditch, sarebbe anche potuto stare a fissare il muro
tutta la mattinata. Qualunque cosa, in quel momento, gli sarebbe
sembrata più intelligente e stimolante di ciò che
stava per fare.
La
sera precedente era seduto sul letto a parlare con Blaise, quando un
piccolo gufo grigio aveva picchiettato con il becco contro il vetro
della finestra. Draco gli aveva aperto sbuffando e la bestiola gli
aveva lasciato cadere tra le mani una piccola pergamena ripiegata.
Su
un angolo, vergato in una scrittura piccola e precisa, c'era il suo
nome. Aveva dispiegato il foglio senza riflettere e si era trovato
davanti un messaggio che mai avrebbe immaginato di ricevere.
“Lunedì
pomeriggio inizieranno le lezioni per i GUFO.
Siccome
non abbiamo alcuna alternativa e lavoreremo insieme, ti scrivo per
chiederti se saresti disponibile ad incontrarmi, più che
altro per
concordare il programma delle lezioni e per farci un'idea di come
gestire le ore che ci sono state concesse.
Domattina
sarò in biblioteca dalle otto; se non ci sono problemi,
raggiungimi
lì.
H.
G.”
Dapprima
Draco era rimasto pietrificato davanti al biglietto, tanto che Blaise
gli aveva passato una mano davanti agli occhi un paio di volte, per
accertarsi se fosse ancora presente, dietro lo sguardo scioccato, poi
gli aveva sfilato il biglietto dalle mani.
Draco
aveva cercato di recuperarlo, ma Blaise era stato troppo veloce e
pochi secondi dopo se la rideva beato, sdraiato sul letto.
Malfoy,
allora, si era avvicinato stizzito e glielo aveva strappato di mano
con un gesto brusco. Si era seduto alla scrivania, per rispondere
alla Mezzosangue e rimandarle indietro il biglietto con il suo stesso
gufo.
Le aveva scritto soltanto “D'accordo”,
senza
aggiungere altro che le sue iniziali.
Ecco
che ora si ritrovava a salire le scale dei sotterranei per andare in
Biblioteca, all'alba di sabato. Doveva essere impazzito, senza alcun
dubbio.
Ma se lui non fosse andato, quella Sanguesporco saccente
avrebbe potuto riferire a chiunque che lui le aveva lasciato fare
tutto il lavoro da sola, avrebbe detto ai professori che Draco Malfoy
non si era impegnato nel suo ruolo di Caposcuola e questo non avrebbe
potuto permetterlo.
Se l'era ripetuto ad ogni passo che lo
separava dall'ingresso della biblioteca, che si apriva sui banchi
allineati e sugli scaffali traboccanti di libri; lo faceva per non
perdere la faccia, di certo non perchè gliel'avesse chiesto
lei.
In
realtà nemmeno gliel'aveva chiesto, ad essere precisi: gli
aveva
scritto “Raggiungimi lì”
come se lui non avesse niente di
meglio da fare che stare lì a programmare in ogni piccolo
particolare delle lezioni di recupero per ragazzini. Presuntuosa come
pochi, la Granger, a supporre che lui fosse così disponibile
a
presentarsi con così poco preavviso.
Beh,
in fondo ci stai andando.
Certo
che ci andava, non poteva esimersi dal fare il suo dovere in modo
così plateale; gli sarebbe piaciuto non poco poterle
risponderle
male, dirle che non era a sua disposizione, ma la situazione non
glielo permetteva. Questo non significava che le avrebbe di certo
reso la vita facile quella mattina. Avrebbe contestato ogni sua idea,
avrebbe demolito ogni suo progetto. Sarebbe uscita da quella
Biblioteca distrutta, come meritava.
*****
Hermione
stava studiando su un tavolo accanto alla finestra, la luce che la
raggiungeva attraverso i vetri. Aveva costruito una specie di
muraglia, con i libri di Incantesimi, Trasfigurazione e Pozioni, i
più grandi di tutti, per proteggere le sue letture e gli
occhi dal
sole e non doverli strizzare per vederci qualcosa. Era china sul
libro di Antiche Rune, una spalla più sollevata dell'altra,
i
capelli che le coprivano buona parte del volto, a cercare di coprirsi
in ogni modo dal riverbero del sole.
Aveva
buttato uno sguardo all'orologio distrattamente più volte,
tra un
esercizio e l'altro ed ora che aveva finito di scrivere la prima
pagina dei suoi appunti aveva controllato l'ora per l'ennesima volta.
Erano le nove passate e Malfoy ancora non si vedeva.
Eppure le
aveva risposto che sarebbe venuto. Una replica piuttosto sgarbata e
sbrigativa, ma era pur sempre qualcosa e da Malfoy non è che
potesse
aspettarsi chissà quali moine e gentilezze. Almeno le aveva
risposto. Solo che era già da un'ora in Biblioteca e pensava
l'avrebbe raggiunta presto, per poter lavorare fin da subito e
sbrigarsela in fretta.
All'ennesima
occhiata verso la porta d'ingresso l'aveva visto comparire da dietro
il battente: una mano in tasca, l'altra a stropicciarsi gli occhi
con pollice e indice, i capelli che gli ricadevano scomposti sulla
fronte. Aveva la camicia, ma non la cravatta.
Da
quando noti tutti questi particolari di Malfoy?
Beh,
non è che stesse notando poi questi grandi particolari. Lo
stava
aspettando e l'aveva osservato mentre entrava. Non c'era nulla di
strano.
- Merlino, Mezzosangue, sembri un troll seduta
così storta. -
Il
tempo di perdersi in quei pensieri stupidi e lui aveva raggiunto il
tavolo e sputato la sua prima cattiveria. L'aspettava una mattinata
meravigliosa, in compagnia di un troglodita.
- Buongiorno Malfoy, vedo che ci siamo svegliati
con il piede giusto. -
- Come potevo svegliarmi con il piede giusto? Sono
dovuto saltare giù dal letto all'alba per arrivare qui a
programmare questa roba. Con te. -
Aveva
accompagnato la frase con un cenno della mano verso i libri di
Hermione, poi verso di lei, scocciato.
- Malfoy sono le nove e un quarto. L'alba
è ben lontana. -
- Granger, sono le nove e dieci. Di sabato. E'
ancora notte fonda, per la gente normale. -
La
ragazza aveva percorso con lo sguardo l'intera Biblioteca: era vuota,
ad eccezione di loro e di Madama Pince, che puliva i suoi occhiali
sospesi a mezz'aria davanti al suo naso, a colpi di bacchetta, con
una piccola pezzuola azzurra.
Hermione
aveva alzato distrattamente le spalle, per bofonchiare qualcosa che
somigliava a “Abbiamo molto da fare” e si era
girata a prendere
una pergamena dalla sua cartella poggiata sul pavimento.
- Dunque, io avevo ipotizzato un programma di
questo tipo. Ho già stilato la maggior parte degli argomenti
principali da trattare, consultando i programmi di tutti i corsi che
prevedono l'esame per i GUFO... -
Malfoy
le aveva sottratto la pergamena dalle mani, mentre stava ancora
parlando e adesso la stava scrutando attento, un sopracciglio alzato,
un mezzo ghigno sul viso.
- Mi stai dicendo che hai già fatto
tutto questo lavoro e che mi hai comunque fatto svegliare presto per
venire qui a dirti che sei stata brava? Scordatelo, Mezzosangue. -
Stava
tirando fuori la bacchetta dai pantaloni, probabilmente per far
evanescere la pergamena, ma Hermione si era girata di scatto e
l'aveva afferrata.
- Non mi interessa proprio nulla di sentirmi fare i
complimenti da te, maledetto sbruffone. Potessi lavorare senza la tua
fastidiosa presenza lo farei più che volentieri, ma dobbiamo
collaborare, quindi cerchiamo di farlo senza scannarci come due ragazzini. -
Hermione
lo fronteggiava, entrambe le mani sui fianchi, in una delle quali era
ancora stretta la pergamena. Madama Pince, nel frattempo, aveva
alzato lo sguardo dal suo lavoro di pulizia degli occhiali e la stava
osservando con evidente disapprovazione.
- Mi hai fatto anche alzare la voce in Biblioteca. -
Aveva
fatto un silenzioso cenno di scuse alla bibliotecaria, poi si era di
nuovo rivolta al ragazzo, che la guardava di sottecchi, come per
studiare quale sarebbe stata la prossima mossa.
L'avrebbe
strangolato, per quella capacità che aveva di farle perdere
le
staffe, ma non doveva dargli la possibilità di continuare
con
quell'atteggiamento. Dovevano portare a termine un compito e
l'avrebbero fatto.
- Avanti Malfoy, prima ci mettiamo al lavoro, prima
finirà questo strazio per entrambi. -
L'aveva
preceduto alla scrivania dove c'erano tutti i suoi libri e si era
seduta accanto alla finestra, poi aveva spinto con una mano la lista
degli argomenti davanti alla sedia accanto alla sua e l'aveva
guardato da sotto in su, come ad invitarlo a sedersi.
Malfoy
si era lasciato cadere accanto a lei con un sospiro estenuato.
- E sia, per Salazar. Facciamo questa cosa. -
*****
Avevano
lavorato bene. Sembrava assolutamente incredibile, ma dopo le prime
scaramucce infantili Malfoy si era seduto accanto a lei ed aveva
collaborato in modo eccellente.
Nemmeno per un secondo aveva
lasciato cadere la sua espressione spocchiosa ed irritante, ma aveva
proposto, si era impegnato ed avevano tirato fuori una scaletta per
le lezioni di tutto rispetto.
Inizialmente
l'idea era quella di occuparsi ognuno degli studenti della propria
casa, condividendo soltanto il programma, per dare l'apparenza di una
collaborazione alla McGranitt, dato che l'aveva richiesta. Ma alla
fine di quella mattinata di lavoro avevano raggiunto un accordo
diverso.
Avrebbero
insegnato ai ragazzi insieme, prendendo ognuno le redini delle
materie che gli erano più congeniali, ma sottoponendo sempre
all'altro qualunque decisione riguardo l'esclusione o l'aggiunta di
argomenti. Era surreale.
Ad
Hermione nemmeno sembrava possibile di essere riuscita ad ottenere
non solo il suo programma per la gestione di quei pomeriggi, ma di
averne ottenuto uno buono e per giunta di esserci riuscita grazie
all'aiuto di Malfoy.
Non aveva mai dubitato della sua
intelligenza, questo no. Per essere bravo com'era in Pozioni, specie
quando c'era Piton ad insegnare, doveva avere un gran talento, ma era
stata soprattutto la sua abilità in Occlumanzia, che era
arrivata
alle orecchie di Harry, una volta a convincerla delle sue
capacità.
Per essere bravi occlumanti bisogna essere degli ottimi maghi ed
evidentemente Malfoy lo stava diventando.
Quello
che non immaginava era che lui le avrebbe permesso di lavorare con
lui in quel modo. Si aspettava che la ostacolasse, che bocciasse ogni
sua idea. Non poteva dire che all'inizio lui non fosse stato
scontroso e assolutamente intrattabile, ma man mano che scorrevano
quella lista, mettendo mano ai libri degli anni precedenti, si era
rilassato ed aveva iniziato ad essere davvero utile.
L'aveva
osservato lavorare, mentre cercava questo o quell'incantesimo sui
libri e lei scriveva sulla pergamena l'elenco degli argomenti da
discutere. Si era ritrovata più di una volta a guardarlo
chino sulla
pagina, con una ciocca di capelli che gli ricadeva davanti all'occhio
destro e che lui spostava costantemente indietro con la mano, lo
sguardo concentrato e gli occhi grigi che saettavano da una riga
all'altra del testo, veloci come piccole schegge d'acciaio.
Quando
gli aveva proposto di non dividere i ragazzi nelle due case, ma di
insegnare a tutti insieme, entrambi, si era aspettata un netto
rifiuto, uno sguardo schifato e magari una cattiveria delle sue,
invece lui l'aveva stupita. Aveva scrollato le spalle e le aveva
detto che, dato che la McGranitt voleva collaborazione, avrebbero
collaborato, fino in fondo. Non si sarebbe tirato indietro.
Era
stata stranamente felice di quella risposta, quasi entusiasta.
Le
era davvero piaciuto lavorare con lui, in quel clima. Era un compagno
di studi intelligente e brillante, un ragazzo molto sveglio e
perspicace. Non aveva mai trovato nessuno di così
stimolante, sotto
quel punto di vista. Era quello il motivo per cui si sentiva
così
raggiante all'idea di lavorare ancora con lui, non certo
perchè lei
fosse contenta di dividere le sue giornate con quel borioso di
Malfoy.
Si
erano dati appuntamento in biblioteca per il lunedì
pomeriggio,
mezz'ora prima dell'inizio delle lezioni con gli studenti del quinto
anno, per preparare gli appunti per loro e cominciare a mettere a
punto la lezione prima che arrivassero.
Era colma di aspettative
per quel compito: era certa che le sarebbe piaciuto moltissimo
aiutare a studiare i ragazzi più giovani. Non vedeva l'ora
di
cominciare.
*****
Adorava
la domenica.
Poteva svegliarsi tardi, scendere a fare
colazione quando la Sala Grande era quasi deserta, mangiare toast
praticamente imbevuti nello sciroppo d'acero senza che nessuno lo
guardasse come se fosse impazzito ed andare ad allenarsi al campo di
Quidditch.
Adorava la domenica.
Quella
mattina, quando aveva aperto gli occhi si era ritrovato davanti la
camera illuminata dal sole già alto, il verde brillante del
suo
baldacchino che gli dava fastidio agli occhi appena aperti e aveva
sentito la voce di Blaise che chiacchierava con una ragazza, arrivare
dalla Sala Comune.
Si era guardato intorno, per capire se era
solo in camera, come sperava, ed aveva trovato soltanto letti sfatti,
camicie e calzoni sparsi ovunque.
Adorava
la domenica, l'aveva già detto?
Si
era alzato con tutta calma, infilato un paio di pantaloni comodi e
una felpa verde scuro, capo che aveva imparato ad indossare da
quando, con sua madre, aveva preso l'abitudine di passeggiare tra i
babbani. Non erano esteticamente un granchè quelle
“cose”, ma
erano davvero comode ed aveva scoperto che non c'era di meglio per
fare un bel volo sulla scopa, non volendo indossare sempre la divisa
da Quidditch.
Mentre
si allacciava le scarpe, Blaise era entrato in camera, assestandogli
una pacca sulla schiena.
- Buongiorno Malf. Mattiniero eh? Che ci fai
già in piedi alle dieci e mezza? -
Lo
prendeva sempre in giro per l'abitudine che aveva di dormire
più a
lungo di lui e in particolare, quel giorno, lo stava sfottendo
perchè
la mattina precedente aveva assistito alla sequela di improperi che
Draco aveva proferito al risveglio, prima di andare in Biblioteca
dalla Granger.
- Vado a fare un paio di voli allo stadio, mi
alleno un po'. Sai, io sono nella squadra, devo mantenere il mio posto.
-
Il
ghigno che gli era comparso sul viso aveva colpito nel segno.
Blaise
desiderava giocare a Quidditch dal primo anno, ma non aveva mai avuto
uno straccio di talento ed era sempre rimasto sugli spalti a
guardare.
-Devo forse provare a farti una qualche fattura
mentre dormi, così mi prendo il tuo posto di Cercatore? -
Il
ragazzo gli aveva puntato contro la bacchetta, che teneva con due
dita, con un'eleganza quasi sfagata, come se stesse giocando con un
innocuo bastoncino e l'aveva diretta verso la mano di Draco.
- Se anche io finissi stecchito giù
dalla scopa non prenderesti mai il mio posto Blaise. Prima di provare
anche solo a pensare di prendere te, avrebbero già messo
sulla scopa un troll con l'artrite. -
Blaise
gli aveva risposto con un gesto noncurante della mano, come se quello
che Draco pensasse riguardo il Quidditch non fosse niente di
importante.
- Non ci capisci nulla di queste cose, tu. -
Per
l'appunto.
- Infatti Blaise, gioco solo da sei anni, in fondo.
-
Ma
l'amico non lo stava più ascoltando. Si era rintanato in
bagno,
chiudendosi dietro la porta dopo una vigorosa scrollata di spalle.
Draco aveva scosso la testa, ridendo ed era uscito dai sotterranei,
Firebolt alla mano.
Stava
volando ormai da più di un'ora e mezza, in picchiate e
rapide
risalite, all'inseguimento di un boccino immaginario o soltanto per
il piacere di sentire l'aria sul viso e di assaporare quel senso di
libertà e spensieratezza che ormai sentiva soltanto quando
aveva la
sua scopa tra le mani.
Era
riuscito in un paio di schivate ad alcuni uccelli per cui si era
complimentato con se stesso ed ora stava volando piano sopra lo
stadio, quasi stesse facendo una passeggiata.
Il
giorno precedente aveva passato una strana mattinata.
Era
andato dalla Granger agguerrito più che mai, deciso a farle
sputare
sangue per ottenere la metà di ciò che immaginava
si fosse
prefissata. Era partito con l'idea di farle passare ogni voglia di
lavorare con lui, se mai ne avesse avuta e di renderle la vita
impossibile, ma non era riuscito a fare niente di meglio di qualche
battuta acida.
Perchè
non l'aveva trattata male come avrebbe voluto?
Probabilmente
era perchè gli era piaciuto quel lavoro. Si era concentrato
sulle
cose da fare, si era smarrito nell'enorme quantità di
argomenti di
cui discutere, nella programmazione di ogni piccolo dettaglio ed
aveva perso di vista l'obiettivo principale: umiliare la
Mezzosangue.
Era
partito bene, quando l'aveva vista in fondo alla stanza, piegata
scompostamente su un grosso libro. L'aveva attaccata subito con una
battuta maligna, ma poi lei gli aveva risposto, gli aveva messo
davanti tutto il lavoro da fare e lui si era distratto.
Lei
l'aveva distolto dai suoi programmi, con la sagacia con cui
rispondeva ad ogni sua critica, con l'intelligenza con cui gli aveva
tenuto testa su ogni materia di cui avessero discusso. Era sveglia,
per essere una Nata Babbana, era fuor di dubbio, ma restava sempre
una Sanguesporco.
Era
anche troppo arguta, tanto da essere riuscita a tenergli occupata la
mente con tante cose da fare, fino a fargli perdere lo stimolo di
schiacciarla, fino a fargli scordare che lei non era nemmeno degna di
parlargli, figurarsi di mettersi a lavorare con lui.
E
quando, mentre lui stava raccogliendo le sue piume e i libri che
avevano preso dagli scaffali, per riporli al loro posto, lei gli
aveva proposto di lavorare insieme anche durante le lezioni, quando
gli aveva detto di non dividere le due case, lui aveva accettato
senza pensare.
L'hai
fatto per non essere da meno, per dimostrare alla McGranitt che puoi
fare qualunque cosa, anche lavorare con lei.
Certo,
era una mossa tattica.
Se la vegliarda avesse visto quanto erano
bravi a collaborare e quanto poco lui fosse stato ostile, l'avrebbe
avuta dalla sua parte, anche più avanti. Forse,
chissà, avrebbe
potuto sperare anche in una parola buona al Ministero, se non per
evitargli il processo, almeno per guadagnare uno sconto
sull'eventuale pena.
L'aveva
vista illuminarsi, quando lui le aveva dato risposta affermativa e si
era sentito stranamente compiaciuto, davanti a quell'espressione. A
lei piaceva, lavorare con lui.
Forse
avrebbe potuto sfruttare in qualche modo questa piccola scoperta,
forse poteva approfittare di questa debolezza.
Mentre
si perdeva in queste riflessioni, cercando di trovare un modo di
colpire la Granger, Draco aveva sorvolato l'intero campo da Quidditch
ed ora si era ritrovato al di sopra della capanna di Hagrid, al
limitare della Foresta.
Gli
alberi erano ancora lì, sempre stranamente vicini all'orto
del
Custode, di nuovo così inusuali, anche da quel punto di
vista
sopraelevato.
Draco
era sceso lentamente di quota, sfiorando con i piedi le chiome degli
alberi più vicini al limitare della boscaglia, fino ad
arrivare a
terra, poggiando i piedi sull'erba umida.
Da
lì, guardandoli da più vicino rispetto all'ultima
volta, la Foresta
sembrava sempre più strana. Gli alberi sembravano
più affollati del
solito, ma in qualche modo ordinati, quasi come se fossero stati
posati lì intenzionalmente, secondo un progetto, non
seguendo la
natura.
Draco
si era avvicinato alla corteccia di uno dei tronchi e aveva sfiorato
le venature del legno con le dita. Era freddo, umido, quasi viscido,
come se avesse smesso di piovere da poco, ma non pioveva da due
giorni.
Si
era guardato intorno smarrito, pensando quasi di stare impazzendo, a
dare corda a quell'idea così strana riguardo agli alberi che
cambiavano. Gli serviva una prova: doveva dimostrare, anche soltanto
a se stesso, che non stava vaneggiando. La Foresta stava in qualche
modo mutando e lui voleva capirne di più.
Aveva
estratto la bacchetta dalla tasca dei pantaloni ed aveva mormorato un
incantesimo.
- Flagramus! -
Una
X rossa e fiammeggiante si era impressa sulla corteccia del primo
albero ed in pochi secondi aveva lasciato soltanto una cicatrice
brunita e tiepida.
Uno dopo l'altro aveva contrassegnato segnato
gran parte gli alberi dietro la capanna del Custode, per quattro file
verso l'interno della foresta. Li avrebbe tenuti d'occhio
periodicamente, per capire se effettivamente qualcosa stava accadendo
o se, come iniziava a sospettare, stesse davvero diventando un
pazzoide paranoico.
Note:
-
Quando Hermione pensa alla malvagità e
ai discorsi di Harry e Ron, si riferisce prevalentemente al discorso
che avevano fatto al sesto anno, quando Potter si diceva convito che
Malfoy fosse stato marchiato durante una cerimonia di iniziazione da
Magie Sinister.
-
Le parole di Sirius sono pronunciate durante una
conversazione con Harry a Grimmauld Place ne “L'Ordine della
Fenice”.
-
Gli avvenimenti che riguardano Draco sono
raccontati ne “Il Principe Mezzosangue” e in
“Deathly Hallows”.
-
Lo schiaffo in “Il Prigioniero di
Azkaban” è un momento epico, specialmente per noi
innamorate L&L, non azzardatevi a dimenticarlo, mentre
l'episodio in cui Hermione accusa Draco di essere comprato l'ammissione
è ne “La Camera dei Segreti”.
-
Hermione accusa se stessa di essere una pessima
bugiarda. Questa frase riprende, in un certo qual modo, alcuni scambi
di battute ne “La Bellezza del Demonio” di Poison
Spring. Non sia mai che si dica che cito senza creditare gli autori. XD
-
La battutaccia sull'Expelliarmus è ormai
un'evergreen delle storie nonché delle nottate su msn con le
mie amate vacche, la troverete un po' ovunque nelle storie di tutte e
quattro, se le leggete, quindi tant'è. Tutto sta nel fatto
che troviamo ridicolo che la Rowling abbia deciso di dare l'estremo
saluto al mago più potente di tutti i tempi con un
incantesimo che si impara al secondo anno di scuola di Magia, ma che a
Potter piace tanto. Diciamo che avremmo sperato in qualcosa di
più impegnativo, ma il re delle fortune, Pottah
può tutto, anche questo.
-
La parola d'ordine è una citazione
criptica di HBP capitolo 23, in cui viene usata la parola verme
solitario. La Tinea Solium è, per l'appunto il nome
scientifico dell'elminta che viene chiamato volgarmente
“Verme solitario”.
-
Meredith è un personaggio originale, di
mia completa invenzione. Non le ho ancora trovato un cognome, dato che
al momento non mi serve, ma lo farò quanto prima, promesso.
-
Lasciatemi gioire per il primo attimo Rovanda
(Ron-Lavanda) della storia, per favore.
Io amo loro due insieme. I loro due neuroni sono veramente meravigliosi
quando si uniscono... <3
-
La bravura di Draco
in Occlumazia è farina del sacco della Rowling, non sono io
che gli attribuisco pregi che non ha, per gli amanti del canon,
è stato dichiarato in un'intervista dall'autrice in persona.
u_u
-
Bene, bene, bene. Si inizia con le interazioni tra
i due, ma non mi sbilancio a dire nulla.
Piuttosto, ditemi voi che ne pensate dei loro discorsi, delle loro
reazioni. Stavolta io mi astengo dal commentare. :)
-
Gli alberi. Draco è paranoico come
Pottah o qualcosa sta succedendo veramente?
L'incantesimo usato da Draco sugli alberi
è stato utilizzato da Hermione ne “L'Ordine della
Fenice” per segnare le porte dell'ufficio misteri durante la
spedizione con Harry, Ron e gli altri membri dell'ES.
Eccoci
qui, dopo un'interminabile attesa.
Non mi metto nemmeno a fare le
solite scene, perchè è passato talmente tanto
tempo che se siete
ancora qui vi meritate una statua. Punto.
Il prossimo capitolo è
già tutto progettato nella mia mente e se il Salazar mi
assisterà
potrebbe anche arrivare in breve (relativamente in breve).
Colgo
l'occasione per comunicarvi che ho fatto un po' di
“pulizia”
nell'account FB, eliminando le persone con cui non avevo mai avuto
alcun contatto né scambio. Da ora in avanti, per alcune
questioni
personali, non accetterò più richieste di
amicizia se non
accompagnate da un paio di parole in cui mi si dica chi siete su EFP.
Ho però aperto una Pagina Autore, su cui convergeranno tutti
gli
spoiler, le notizie riguardo alla scrittura (e anche qualche
minchiata delle mie, quelle non mancheranno mai) e le mie storie.
Mi
farebbe davvero piacere trovarvi da quelle parti. La pagina la
trovate QUI.
Grazie
di tutto cuore a tutti: a chi recensisce, chi preferisce, ricorda e
segue. Anche a chi legge e basta. Mi trasformate sempre in una
gelatina rosa ed imbarazzante.
Un grazie speciale a Miki, che ha
segnalato la storia per le scelte, permettendole di essere inserita
con una velocità lampo. Gemellina, non ho parole. *-*
|
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Capitolo 8 *** Hopes and Expectations ***
La
luce del mattino si allungava sulla Sala Grande con la lentezza e la
leggerezza di una gatta appena sveglia, mentre gli studenti
iniziavano a prendere posto alle tavolate delle loro Case,
stropicciandosi gli occhi o nascondendo enormi sbadigli dietro una
mano.
Al
tavolo di Ravenclaw, Quinn sorrideva alla sua amica Liz, che stava
entrando dal portone della Sala. L'altra le si era affiancata
rapidamente, ricambiando il saluto e l'aveva guardata dritta negli
occhi. In quello scambio silenzioso, un gesto era stato la risposta
alla domanda muta che Quinn stava facendo: Liz aveva passato con
finta noncuranza una mano sulla sua borsa, per poi annuire
impercettibilmente. Gli occhi dell'amica si erano illuminati.
Un
brusio di giovani voci permeava tutta la Sala, che si riempiva di
minuto in minuto, mentre l'orario per andare a lezione si avvicinava
sempre di più.
Una bimba del primo anno di Raveclaw era passata
loro accanto, guardandole con una sorta di ammirazione, dando di
gomito ad un'amichetta, indicando le gonne delle divise che
scoprivano ampiamente le ginocchia delle due ragazze.
L'altra
aveva soffocato un risolino dietro la mano e aveva rivolto loro un
ultimo sguardo, prima di andare a sedersi nel lato estremo della
tavolata. Chissà se da grandi sarebbero state
così anche loro.
Sia
Quinn che Liz si erano dedicate alla loro colazione in silenzio,
sedute una accanto all'altra, meditando su come portare a termine la
missione che da ormai quasi un mese stavano portando avanti in
segreto.
Dopo aver finito il suo piatto di frutta, completato da
un piccolo ed insulso toast, Quinn si era alzata da tavola,
allungando la mano sotto al tavolo per ricevere una piccola ampolla
blu, che Liz aveva preso dalla sua borsa con un singolo e quasi
invisibile gesto e si era diretta verso il tavolo di Gryffindor.
- Buongiorno Granger! -
Hermione
l'aveva sentita cinguettare verso la sua direzione ed aveva sollevato
gli occhi dal libro di Aritmanzia, che teneva aperto accanto al suo
piatto di bacon e uova.
- Ciao Quinn! Ti serve qualcosa? -
Non
era insolito che qualcuno dei ragazzi per cui erano organizzate le
lezioni pomeridiane venisse a chiedere qualcosa, anche se non era
delle Case di cui lei si occupava.
Le lezioni andavano avanti già
da due settimane e sembravano procedere a gonfie vele, cosa che la
rendeva particolarmente orgogliosa del suo lavoro.
- Si, cercavo Hannah, ma non sono riuscita a
vederla al tavolo di Hufflepluff e non ho trovato nemmeno Anthony,
così, dato che avevo bisogno un piccolo aiuto per il compito
di Pozioni, ho pensato di venire a chiedere a te. Posso sedermi? -
La
ragazzina si era infilata sulla panca, mettendovisi a cavalcioni,
scoprendo le lunghe gambe, proprio in mezzo tra lei e Ginny, che le
aveva lanciato un'occhiata tra l'assassino e il compassionevole.
Già,
perchè seduto a fianco di Hermione, proprio casualmente,
c'era
Neville.
Hermione
aveva sbuffato, chiudendo il suo libro e si era rivolta verso la
ragazza, che nel frattempo si era versata una tazza di caffè
e la
gustava godendosi le occhiate che Neville lanciava alle sue gambe da
sopra le spalle di Hermione.
La Caposcuola, allora, aveva
raddrizzato le spalle impettita, oscurando completamente la visuale
del ragazzo, cui era sfuggito un grugnito di disappunto e si era
rivolta alla ragazza:
- Quinn, sarei davvero felice di poterti dare una
mano, il problema è che, anche se tu probabilmente non lo
sai, io e Malfoy ci siamo divisi le materie da spiegare a voi ragazzi e
Pozioni è una delle sue, quindi, se non ti dispiace, sarebbe
il caso che chiedessi a lui un aiuto, se non trovi né
Hannah, né Anthony. -
- Ma Malfoy mi aiuterà?
- Perchè mai non dovrebbe? E' un Caposcuola esattamente come
me, Quinn. E se per caso dovesse dirti che non può, torna da
me e vedremo di occuparcene insieme, di questo compito. -
- Grazie Granger!
La
ragazzina si era alzata di scatto, mostrando buona parte della sua
biancheria intima nello scavalcare la panca, per il piacere di
Neville, che le aveva rivolto un'ultima occhiata e un saluto veloce.
La ragazza si era illuminata in un sorriso smagliante e l'aveva
avvicinato per lasciargli un bacio sulla guancia, stando attenta ad
allontanare la tazza di caffè che teneva in mano.
Si
era diretta verso il tavolo di Slytherin, alla ricerca di Malfoy, ma
nel tragitto Hermione l'aveva vista fermarsi e lasciare la sua tazza
sul tavolo Gryffindor, ad una certa distanza da loro.
Che
strano, aveva pensato, se l'era appena versato.
*****
Malfoy
era entrato in Sala Grande all'ultimo momento, per fare una colazione
veloce e precipitarsi a lezione di Erbologia alle serre. Aveva
afferrato un paio di fette di pane tostato, per avventarsi poco dopo
su un piatto di uova. Cercava di mangiare rapidamente e dileguarsi
prima che succedesse qualcosa in grado di rovinargli la giornata,
che già si prospettava piuttosto lunga.
- Smettila di ingozzarti come una scimmia, Malf. -
Il
buongiorno di Blaise era sempre piacevolissimo. Quella mattina non si
erano incrociati, in camera, perché Malfoy si era svegliato
in
ritardo e aveva trovato il letto dell'amico già vuoto e la
stanza
deserta.
- Si da il caso che abbia una certa fretta. -
- Non è un buon motivo per dimenticare le maniere umane,
caro. Diventerai come Weasel. -
Draco
si era strozzato con il boccone che aveva appena deglutito, all'udire
un'affermazione così inconcepibile ed aveva alzato lo
sguardo verso
il tavolo dei Gryffindor, come se sentire il nome della Donnola
l'avesse indotto a controllare che fosse al suo posto, a strafogarsi
come il suo solito.
Ed
infatti era lì, circondato da piatti ricolmi di cibo, con
entrambe
le mani occupate da due enormi toast imburrati. Accanto a lui, la
Brown lo guardava di sottecchi, gli occhi brillanti, nella speranza
di ricevere almeno uno sguardo.
Qualche
metro più in là la Mezzosangue stava parlando con
una ragazzina
bionda, di Ravenclaw, gli sembrava, ma in pochi minuti la piccola si
era alzata e si era diretta verso il suo tavolo.
Fa'
che non l'abbia mandata da me.
Se
lo sentiva, che la Mezzosangue gli avrebbe appioppato qualche grana,
con quella ragazzina e man mano che la vedeva avvicinarsi, si rendeva
conto di non essersi sbagliato. Prima di arrivare da lui, l'aveva
vista prendere una tazza di caffè ad un capo della tavolata
ed si
era poi avvicinata, stringendola in una mano e bevendone un sorso.
- Buongiorno, Caposcuola Malfoy. Sono Quinn Davies.
-
Aveva
allungato la mano libera dalla tazza e Malfoy l'aveva stretta
distrattamente.
- Cosa ti serve da me, Quinn? Ho lezione tra poco,
quindi se potessi essere rapida... -
Un
gesto della mano aveva illustrato il poco che la frase lasciava
sottinteso.
La
ragazza era arrossita lievemente, abbassando gli occhi, ma poi, in
qualche modo, doveva aver recuperato coraggio in qualche recondito
angolo di sé e l'aveva affrontato con maggiore decisione.
- La Caposcuola Granger mi ha mandato da te
perchè avevo bisogno di aiuto in Pozioni, ma non trovavo
né Anthony né Hannah. -
- Cosa ha bisogno? Compiti, spiegazioni, un tema? -
Lo
sguardo di Malfoy affettava una noia più che evidente, che
non
cercava in alcun modo di nascondere.
- Dobbiamo preparare il compito per domani, ecco. -
- Bene. Ci vediamo oggi pomeriggio nell'aula di Pozioni,
chiederò il permesso di studiare lì con te al
Professor Lumacorno. Facciamo per le 17.00. -
Quinn
si era illuminata.
- Grazie davvero, Malfoy! Non avrei pensato che... -
Lui
l'aveva interrotta immediatamente, alzando la mano davanti al suo
viso.
- Lo faccio solo perchè devo, non
perchè sono gentile. Ah, e sia chiaro. Se recuperi uno dei
tuoi, dovrai chiedere a loro e mi lascerai in pace, siamo intesi? -
Non
aveva atteso una risposta, perchè non era rilevante, a suo
parere,
ma aveva sentito uno squillante “Grazie!”
rimbombargli nelle
orecchie mentre se ne andava.
*****
L'aveva
soltanto intravista in lontananza, durante la pausa pranzo ed aveva
provato a seguirla, per lamentarsi dell'incarico che lo aveva
costretto ad accettare con la piccola Quinn. Non aveva nessuna voglia
di insegnare, nemmeno durante le lezioni obbligatorie a quei
ragazzini, figurarsi farne di aggiuntive a una pupattola che nemmeno
apparteneva alle Case che gli erano assegnate.
Una
pupattola che se la fa con Paciock, oltretutto, la qual cosa lo
lasciava quantomeno perplesso.
Non
era riuscito a raggiungere la Mezzosangue in alcun modo, comunque,
perchè quando sembrava che mancasse meno di un soffio, lei
era
svanita oltre un angolo senza lasciare alcuna traccia.
Erano
da poco finite le lezioni pomeridiane e nel giro di un'ora sarebbe
dovuto andare nell'Aula di Pozioni che aveva, come previsto, ottenuto
dal Professor Lumacorno per la sua lezione di ripasso.
Si
era diretto verso i sotterranei, per andare a recuperare in camera
sua un libro che poteva servire durante la spiegazione alla piccola
mentecatta, quando, di nuovo, come per magia, aveva visto sbucare una
chioma ribelle che non poteva essere d'altri che della Mezzosangue.
Beccata.
Aveva
affrettato il passo per raggiungerla, cercando di non fare molto
rumore, per prenderla di sorpresa. Camminava a testa alta, impettita,
un libro stretto al petto e un braccio ad oscillare al ritmo dei suoi
passi, sul fianco.
Le
aveva afferrato un polso con fermezza, tirandola un poco verso di
sé.
Lei si era girata con uno sguardo trucido, a cui era immediatamente
seguita un'espressione annoiata.
- Che vuoi? -
- Bello scherzetto mi hai tirato stamattina,
Mezzosangue. -
Con
uno strattone Hermione aveva liberato il polso dalla presa di Malfoy
e se l'era portato sul petto, ad appoggiarsi, incrociando l'altro
braccio, sul libro che teneva. L'aveva osservato stranita.
- A che cosa ti riferisci, Purosangue? -
Da
qualche settimana, da quando lavoravano insieme, Hermione aveva
smesso di riprenderlo, quando la chiamava con l'appellativo che le
riservava ormai da anni, dato che non sortiva altro effetto che
divertirlo, con la sua irritazione, ma aveva iniziato a chiamare lui
Purosangue.
Lo diceva con lo stesso sdegno e la stessa
superiorità che metteva lui, quando la chiamava Mezzosangue.
Draco
le aveva rivolto un ghigno, misto tra orgoglio e fastidio, al
sentirsi chiamare in quel modo.
- La signorina Davies è venuta a
cercarmi. -
Il
sopracciglio di Hermione si era alzato, incontrollabile.
- Lo so, te l'ho mandata io. Aveva bisogno di aiuto
in Pozioni, è una materia tua e l'ho mandata da te. -
Malfoy
aveva sbuffato.
- Il fatto che sia Ravenclaw non la pone sotto la
responsabilità di qualcun altro? -
Hermione
si era mossa, insofferente, spostando il peso da un piede all'altro,
cercando dentro di sé un motivo valido per non sbattergli in
faccia
il libro di Antiche Rune che aveva in mano fino a fargli perdere i
sensi. In effetti l'immagine di Malfoy a terra, tramortito, una
goccia del suo purissimo sangue a colargli da naso, l'aveva aiutata
non poco a recuperare un minimo di autocontrollo per rispondergli
senza insulti.
- Sei un Caposcuola Malfoy, è tuo dovere
aiutare gli studenti. Anche, anzi direi sopratutto
delle altre Case. -
Lui
aveva sogghignato.
- La nostra diligente maestrina ha fatto la sua
lezione di etica anche oggi. Bene, Mezzosangue, vado in Aula di Pozioni
dalla Davies, dato che è mio dovere. Ma
mi devi un favore, non lo dimenticare. -
Il
concetto era stato rimarcato dal dito indice di Draco, puntato dritto
verso Hermione.
- E io riscuoto sempre i miei crediti, Granger. -
Hermione
aveva bloccato una rispostaccia sulle labbra, per evitare di
rivolgerla alla sua schiena.
L'aveva guardato allontanarsi, il
passo sicuro e le spalle scosse da una risata beffarda.
Odioso,
arrogante ragazzino. Riusciva sempre a rovinarle la giornata.
*****
Nella
camera del settimo anno Lavanda e Calì erano sedute ognuna
sul
proprio letto e chiacchieravano di nulla. Calì era seduta
composta,
i piedi poggiati sul pavimento, le mani sulle ginocchia e la schiena
dritta; guardava in alto mentre parlava, muovendo alternativamente la
testa da un lato e dall'altro. Lavanda, di fronte a lei, sedeva a
gambe incrociate, la testa piegata di lato e con una spazzola morbida
passava una lozione lucidante con un intenso profumo di fragola.
- Non capisco perchè ancora non abbiano
chiarito. Ormai si parlano quasi normalmente, insomma, non mi sembra
giusto che continuino a fare questi balletti. -
Calì
aveva buttato lì questa frase quasi dal nulla, occhieggiando
la
reazione di Lavanda con la coda dell'occhio, mentre continuava il suo
stretching ai muscoli del dorso.
Lavanda
aveva bloccato la spazzola a metà lunghezza del ciuffo
biondo che
stava trattando in quel momento e aveva lanciato a Calì uno
sguardo
afflitto.
- Cosa vuoi che ti dica Calì, io non
posso obbligare proprio nessuno a fare alcunchè. Non ti nego
che vorrei sapere Ron completamente libero, soprattutto mentalmente,
visto anche quanto adesso sembra si stia riavvicinando a me, ma se lo
spingessi troppo potrei ottenere l'effetto opposto. -
Gli
occhi della ragazza brillavano, quasi lucidi, a parlare di Ronald.
Lavanda era innamorata di lui dal sesto anno e in un certo modo
era interessata a lui anche da prima, ma a parte la loro breve
relazione che si era tragicamente interrotta dopo l'esperienza di Ron
con i filtro d'amore di Romilda Vane e l'idromele avvelenato, non
c'era mai stato altro.
Di sicuro, pensava Lavanda, erano fatti
l'uno per l'altra ed era evidente. Quando stava con lei Ronald era
sempre così sereno e sorridente, non come nell'ultimo
periodo,
quando stava con Hermione, in cui lui era sempre così cupo.
In
qualche modo, quando c'era Lavanda intorno, Ron si rasserenava.
Chiaramente la diretta interessata attribuiva questi cambiamenti di
umore all'amore che lui provava per lei fin da allora, ma che era
troppo cieco e ottuso per riconoscerlo. Ma lei con la pazienza
sarebbe riuscita a mostrarglielo.
Ora che con la Granger era
finita, Lavanda aveva tutto lo spazio per poter agire e per sperare
di conquistare Ron, specialmente alla luce dei sorrisi e delle
attenzioni che lui sembrava riservarle ultimamente. Ma doveva essere
cauta. Aveva quest'occasione e nessun'altra, quindi doveva giocarla
al meglio.
Calì
aveva alzato le spalle, facendo poi un gesto con il mento in
direzione di Lavanda.
- Tu sai meglio di chiunque altro cosa è
meglio fare. Ma secondo me lei non si sta comportando in modo corretto,
a tenere la questione in ballo. -
Lavanda
aveva ricominciato a spazzolarsi i boccoli, con calma e con un
sorriso sul volto, ma alle parole di Calì aveva reagito con
un'espressione quasi di stizza.
- Non hanno granchè da chiarire in
realtà, Calì. Si sono lasciati, lei l'ha
lasciato, ma lui ha bisogno di parlarle per una questione sua
personale, non per avere conferma di qualcosa che sa già.
Finchè lei non gli avrà detto una volta per tutte
che non vuole tornare con lui, io non ho speranza, perchè in
qualche maniera lui si sente legato ad Hermione. -
Le
era sfuggito un sospiro quasi sconsolato, all'idea di dover
affrontare tanto, ma dentro di sé lei sapeva che quella di
Ron era
una fissazione, un'idea che era stata tanto comoda quanto tranquilla,
per tutto quel tempo, ma con lei Ronald avrebbe trovato la vera
passione, come era accaduto al sesto anno.
- Il fatto che sia legato a lei non implica che lei
stia facendo in modo che lo sia? -
Lo
sguardo malizioso di Calì alludeva più che
esplicitamente all'idea
che Hermione stesse cercando di tenere il piede in due scarpe, per
essere single ma mantenendo sempre un certo guinzaglio su Ronald.
Lavanda aveva scosso con forza la sua testolina ricciuta e le aveva
lanciato uno sguardo di biasimo.
- Come sei meschina, Calì. Come puoi
pensare che lei farebbe una cosa del genere? -
In
quell'esatto momento, Hermione stava entrando dalla porta, giusto in
tempo per intercettare l'ultima parte della frase di Lavanda.
- Chi non farebbe cosa, Lavanda? -
L'aveva
chiesto curiosa, come per distrarsi dal nervosismo che l'ennesima
discussone con Malfoy le aveva instillato nel petto. Lavanda aveva
fatto un cenno di diniego con il capo, mentre si alzava per andarle
incontro, con indosso la sua gonnellina giallo pallido e una t-shirt
bianca.
- Nulla di importante, Hermione. Vieni con me in
Sala Comune, vorrei parlarti di qualcosa. -
Dopo
aver scoccato l'ennesima occhiataccia a Calì, l'aveva presa
gentilmente per il gomito, guidandola con delicatezza giù
per le
scale che aveva appena percorso, fino a portarla nell'angolo accanto
alla finestra che dava sul Lago Nero.
Si
era seduta sul davanzale e le aveva fatto cenno di sedersi di fronte
a lei.
- Di cosa volevi parlarmi, Lavanda? -
La
ragazza si torturava le lunghe dita, stringendo una mano nell'altra
ed offrendo ad Hermione un continuo alternarsi di bianco e rosso,
dita e unghie. Si mordeva un labbro e sembrava non avere alcuna
intenzione di parlare, poi ad un certo momento, aveva levato quegli
occhioni azzurri nei suoi ed era partita in quarta, pronunciando
un'intera frase senza apparenti pause.
- Non voglio impicciarmi degli affari tuoi, ma
vorrei parlarti di Ron. -
Ad
Hermione era sfuggito un sospiro a metà tra il divertito e
il
sollevato. Temeva di peggio, anche se non avrebbe saputo dire
esattamente cosa.
Sapeva dell'interesse di Lavanda per Ron da
sempre, ormai e non la stupiva affatto che lei, ora cercasse qualche
informazione da lei.
- E che cosa dovresti dirmi? -
- Ecco, io... Volevo chiederti se avessi intenzione
di chiarire con lui. Sai, in fondo, dopo la vostra lite non avete mai
parlato e... -
Lavanda
aveva lasciato la frase in sospeso, ma con lo sguardo sembrava dirle
chiaramente che era arrivato il momento di mettere le cose a posto.
- E tu come fai a sapere che noi non abbiamo mai
parlato, dopo allora? -
La
ragazza aveva abbassato lo sguardo, arrossendo sotto le lunghe ciglia
bionde.
- Io...ehm... Ron mi potrebbe aver raccontato
qualcosa... -
Hermione
aveva trattenuto una risatina, davanti all'imbarazzo di Lavanda.
- Lavanda, stai tranquilla, non mi
arrabbierò né con te né con lui per
aver parlato di questa cosa e sto anche intuendo a cosa sia dovuta
questa tua, come chiamarla, richiesta di informazioni... -
Davanti
al sorriso sollevato di Lavanda, Hermione aveva proseguito.
- Immagino che Ronald non sia del tutto convinto
che tra noi due sia davvero finita e, in qualche maniera goffa, deve
averti fatto intendere che finchè non avrà chiuso
del tutto con me, tu non potresti in alcun modo essergli vicina. Mi
sbaglio? -
Lavanda
aveva annuito vigorosamente, colma di ammirazione per la
rapidità
con cui Hermione aveva colto il nocciolo della questione.
- Bene, lo dico ora a te, Lavanda e
cercherò di parlare con Ron appena possibile: io e Ronald
non torneremo insieme. Io l'ho già perdonato per il suo
comportamento tremendo dell'ultimo periodo, gli voglio molto bene, ma
non voglio tornare con lui, nella maniera più assoluta. -
La
scintilla di gioia nello sguardo di Lavanda era offuscata
però dal
dubbio.
- Ne sei sicura? -
- Si, Lavanda, sono sicura. -
Hermione
aveva stretto una delle mani delicate della ragazza fra le sue e lei
le aveva rivolto uno sguardo fiducioso.
- Vedi qualcun altro? E' per questo che non ti
interessa più lui? -
Hermione
si era tirata indietro di scatto, guardandola in viso con un
sopracciglio sollevato.
- Lav, il fatto che ti abbia fatto una confidenza
non ti autorizza a chiedermi ogni particolare degli affari miei. Ma
comunque... No, non vedo nessun altro. Semplicemente ho capito che io e
Ron non andiamo granchè bene come coppia. -
La
conversazione si era chiusa con un sospiro di Lavanda, atto ad
accogliere The King nella Sala Comune di Gryffindor.
- Vai pure Lavanda, non abbiamo altro da dire, noi
due. -
L'aveva
esortata con un gesto della mano e la ragazza si era alzata
immediatamente, per andare incontro a Ron con un sorriso e cingergli
un braccio con le mani. Lui le aveva risposto con uno sguardo caldo,
quasi tranquillo.
Ad
Hermione sembrava strano che non le provocasse nessun fastidio
assistere a quelle moine, ma aveva dovuto rendersi conto che era
così. Una volta avrebbe sentito un gran vuoto nel petto, nel
guardare Ron sorridere alla Brown, ma ora no.
Sapere che presto
avrebbero chiarito, che in qualche modo avrebbe potuto avere indietro
la serenità degli anni passati, la faceva sentire leggera.
Lei e Ron
sarebbero tornati amici, lui avrebbe avuto Lavanda e tutto sarebbe
filato liscio.
*****
Il
pomeriggio successivo al ripasso con la Davies, Malfoy si stava
dirigendo verso l'aula in cui avrebbero tenuto la lezione con il
gruppo di studio. Aveva avuto una strana impressione, il pomeriggio
precedente, come se quella ragazza non avesse alcun bisogno di aiuto
in Pozioni. Era stata quasi eccellente, nella stesura del compito per
il giorno successivo ed era inciampata soltanto un paio di volte, su
argomenti tanto semplici da sembrare quasi che sbagliasse di
proposito.
Non
era molto brava a mentire, la ragazzina e mentire a Malfoy era ancora
meno semplice che mentire a chiunque altro. Lui aveva fatto della
menzogna un'arte e la piccola Davies non era altro che una
dilettante.
Ma
avrebbe scoperto che cosa tramava, anche fosse stata una semplice
scusa per restare sola con lui, l'avrebbe smascherata. Ma non aveva
notato occhi languidi o nemmeno una guancia arrossarsi. Era
improbabile che la ragazzina avesse una cotta per lui, tanto
più per
il fatto che era da tutti risaputo con quanto ardore lei inseguisse
Paciock qui e là per tutta Hogwarts.
Doveva
esserci qualcos'altro di losco in quella richiesta.
Eppure
aveva chiesto la stessa cosa anche alla Granger, come se avesse
davvero necessità di qualcosa, oppure come se in un qualche
modo
avesse bisogno di avvicinarli entrambi.
Ci
avrebbe pensato su, questo era poco ma sicuro.
Ormai
era arrivato all'aula e la Granger lo aspettava al di là
della
porta, seduta sulla cattedra, le caviglie incrociate e lo sguardo
fisso sulla punta delle scarpe.
Chissà
a che sta pensando.
Ma
che domande idiote si faceva?
- Trovato qualcosa di interessante? -
Hermione
aveva fatto un salto di quasi un metro ed era scattata in piedi, la
mano alla bacchetta, quasi in posizione di guardia.
- Come siamo suscettibili. Non attento alla tua
vita, sono solo venuto a fare lezione. -
La
guardava con l'espressione di scherno che Hermione tanto detestava e
lei aveva ancora il petto che si alzava ed abbassava al ritmo di un
respiro anche troppo accelerato.
Hermione
aveva alzato lo sguardo nel suo e l'aveva guardato obliquamente,
infastidita.
- Non ho paura di te, Malferret. Non mi fido di chi
mi arriva alle spalle. -
L'espressione
di Draco si era fatta in qualche modo amara, lo sguardo si era
spostato da lei a qualcosa che probabilmente nessuno dei due poteva
vedere. Aveva pronunciato la frase successiva con un ghigno sul
volto.
- Brutti i ricordi di guerra eh? -
- Non sai quanto, Malfoy. -
Un
risolino aveva lasciato le labbra del ragazzo, prima che lui parlasse
ancora.
- Non ci contare. Lo so eccome. -
In
quel momento il primo capannello di Gryffindor era arrivato
nell'aula, infilandosi tra i due capiscuola che si fronteggiavano
quasi al limite di un duello, ma con gli sguardi tristi di coloro che
avevano già perso.
Li
avevano guardati un po' perplessi, ma subito i due si erano mossi,
prendendo ognuno il proprio posto, seduti sulla cattedra, ai due lati
di essa.
In
pochi minuti la classe si era riempita e avevano iniziato a girare
tra i banchi per dare una mano con i compiti di Trasfigurazione. Alla
fine del pomeriggio li avrebbero fatti esercitare, con gli uccellini
che erano nella gabbia in fondo all'aula.
Sembrava
che il silenzio si fosse fatto solido, rotto soltanto dai passi di
Hermione sul pavimento e dal fruscio delle piume sulle pergamene.
Meredith Phelps stava impegnando tutte le sue capacità per
concludere quel compito prima della fine di quella lezione; aveva
appuntamento con Neville, dopo cena e non voleva avere compiti
indietro.
Si
rigirava una ciocca di capelli tra le dita, come era solita fare
quando si concentrava, ma in un momento qualcosa di strano le era
accaduto: aveva sentito qualcosa cedere e lo sguardo era caduto sulla
pergamena, coperta appena dalla sua mano aperta.
L'urlo
terrorizzato di Meredith aveva rotto il silenzio della stanza e i
suoi capelli neri stavano posati sulla pergamena, sbavando l'ultima
parola del compito: rivelazione.
Note:
-
Il
titolo è tratto da un verso di
“Starlight” dei Muse:
“Our hopes and expectations, black
holes and revelations”.
-
Le
gonne corte delle divise delle ragazze sono un po' un gioco sul
ficcynismo che accorcia le divise e di pari passo allo spessore della
trama e un altro poco un omaggio a Savannah e alle Blue Ladies.
-
A
Quinn Davies piace molto, molto, molto il caffè. Mi auguro
l'abbiate notato. XD
-
Malfoy
cerca Hermione per romperle l'anima, per infastidirla e per essere il
più possibile pedante. Per ora non c'è niente di
romantico nel suo avvicinarsi a lei, almeno in modo cosciente.
-
Hermione
che vuole colpire Malfoy è molto me. In realtà,
su consiglio della fidata Rea la versione originale è stata
limata per essere lievemente meno ME. La versione originale, infatti
era: “... cercando dentro di sé un motivo valido
per non sbattergli in faccia il libro di Antiche Rune finchè
non avesse visto la materia cerebrale colargli dal naso”.
In effetti era un po' troppo splatter, è vero. XD
-
Forse
è presto per l'avvicinamento tra Ron e Lav-Lav, ma per me
loro sono una coppia perfetta e destinata, quindi in qualche modo si
attraggono come una calamita. Quanto sono belliniiiiii! <3
-
Calì
è una stronza. Non ho altro da aggiungere.
-
Hermione
sta capendo parecchie cose su se stessa e su Ron. Soffre per la loro
lontananza, ma ha capito che non è giusto per lei. Meno
male, direi io.
-
Qui
casca l'asino. Meredith, le urla e i capelli sulla pergamena. u_u
Capitoletto
un po' più breve, ma non potevo andare oltre senza rovinare
questa
parte.
In compenso sono stata inaspettatamente veloce, quindi
spero che apprezzerete comunque.
I personaggi sono sempre più
impazienti di raccontarsi, quindi spero di poter aggiornare presto,
ma come sempre non posso assicurare nulla...
Ringrazio tutti,
per le recensioni e le letture, apprezzo ogni parola ed ogni numerino
che sale.
Scusate se non ho ancora risposto alle recensioni, ma
ero immersa nello studio e nella stesura del capitolo, quindi ho
preferito dedicarmi a questo in modo totale. Piano piano arriveranno
anche le risposte, prometto.
Siete una gioia continua, non so
come altro dirvelo. *__________*
Al
solito, se vi va, potete venire a trovarmi nella mia nuova pagina
autore, QUI.
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