Al Chiaro di Luna

di DarkPenn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** L'Arrivo ***
Capitolo 3: *** Incontri (Parte I) ***
Capitolo 4: *** Incontri (Parte II) ***
Capitolo 5: *** Nuovo Inizio ***
Capitolo 6: *** La prima stella del firmamento ***
Capitolo 7: *** La Musica della Notte ***
Capitolo 8: *** Le Note dell'Amore ***
Capitolo 9: *** Black Out alla Nerv (Parte I) ***
Capitolo 10: *** Black Out alla Nerv (Parte II) ***
Capitolo 11: *** Alterazione e Mutamento ***
Capitolo 12: *** Risvegli e Complotti ***
Capitolo 13: *** Sogno d'Amore ***
Capitolo 14: *** Sentimenti e Missione (Parte I) ***
Capitolo 15: *** Sentimenti e Missione (Parte II) ***
Capitolo 16: *** Weekend: Esaurimenti e Relax (Parte I) ***
Capitolo 17: *** Weekend: Esaurimenti e Relax (Parte II) ***
Capitolo 18: *** Analisi e Intrighi ***
Capitolo 19: *** Due ore e mezza per vivere o morire (Parte I) ***
Capitolo 20: *** Due ore e mezza per vivere o morire (Parte II) ***
Capitolo 21: *** Buone Notizie ed Oscuri Presagi ***
Capitolo 22: *** Invasione ***
Capitolo 23: *** Esitazioni che si spezzano ***
Capitolo 24: *** L'Ultimo Giorno dell'Uomo: Proemio ***
Capitolo 25: *** Padri ***
Capitolo 26: *** L'Ultimo Giorno dell'Uomo: Il Canto delle Ombre ***
Capitolo 27: *** Dolore al tramonto ***
Capitolo 28: *** Il Dolore ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Prefazione

Prefazione

 

Questa fiction è ispirata da un gioco di ruolo(pertanto anche con Personaggi Originali)ambientato nell’universo di Evangelion che abbiamo deciso di trasporre in racconto. Sappiamo che l’ambientazione potrà apparirvi banale (in fondo sono situazioni già viste e riviste), però dato che ci ha divertito così tanto da decidere di trasformarlo addirittura in un racconto, abbiamo deciso di pubblicarlo nella speranza di far divertire, o al massimo di far ingannare un po’ il tempo, a chi la leggerà. Ci scusiamo anticipatamente se ci sarà ritardo nell’aggiornamento dei capitoli (dopotutto vanno di pari passo con le sessioni di gioco), inoltre ne approfittiamo per dire qui che alcune cose, come ad esempio la disciplina sportiva del Sankendo, sono state inventate dal Master. Invece altre scene o pensieri dei personaggi, come l'attacco psichico del 15° Angelo e simili (facilmente riconoscibili per i fan di Evangelion ^_*), sono stati trasposti quasi totalmente dall'anime o dal manga al fine di una compenetrazione maggiore tra fic e serie regolare. Ci scusiamo per queste libertà narrative, e vi auguriamo buona lettura. ^_^

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Capitolo 2
*** L'Arrivo ***


-

CAPITOLO 1

 

L’Arrivo

 

 

 

-         “Si avvisano i signori passeggeri che stiamo per atterrare all’aeroporto di Neo Tokyo-3. Siete pregati di allacciare le cinture di sicurezza. Grazie.”-

 

“Beh, eccoci arrivati.” L’uomo biondo in uniforme sorrise cordiale volgendo lo sguardo sul sedile accanto a se dove un ragazzo in smoking dai lunghi capelli neri guardava con interesse fuori dal finestrino.

“Vedrai che il Giappone ti piacerà, ne sono convinto. Proseguì ancora agganciando la cintura.

“Tu ci sei già stato, Signor Satoshi?”

Il ragazzo distolse il volto dall’oblò rivolgendo tutta l’attenzione al suo accompagnatore mentre rapidamente si apprestava ad eseguire a sua volta le istruzioni impartite dall’altoparlante per l’atterraggio.

L’Agente scosse il capo.

“No, Gabriel, ma, come sai, mio padre è nativo della vecchia Tokyo. Ed anch’io, confesso, ho sempre desiderato venirci.

“Vorrei poter dire la stessa cosa…ma a quanto pare non mi si è lasciata molta scelta…” Replicò accigliandosi lievemente. Ancora una volta, osservandolo, Satoshi ebbe l’impressione di trovarsi di fronte ad un ragazzo cresciuto troppo e ingiustamente in fretta. Sospirò aggiustando con l’indice destro gli occhiali da sole sul naso.

“Mi spiace, Gabriel…Gli ordini sono ordini.

Si, lo so…l’importante è che ci sia il mio piano, sul resto posso sorvolare…”

“Di questo non devi preoccuparti. Il tuo pianoforte è già nell’appartamento che ci è stato assegnato insieme alle altre cose. Anche la tua iscrizione alla Scuola Media Pubblica di Neo Tokyo-3 è stata ultimata per tempo, così potrai cominciare già da domani. In questo modo avrai la possibilità di farti subito degli amici, senza contare che già avrai tre colleghi, sei contento?”

Alle ultime parole dell’uomo, il suo viso s’illuminò mentre  un grosso sorriso si distendeva sulle sue labbra cancellando l’inquietudine che lo aveva adombrato poco prima.

“Sarebbe davvero fantastico!”

L’Agente sorrise a sua volta. Aveva fatto centro. Sapeva quanto la prospettiva di stringere delle amicizie entusiasmasse Gabriel.

“Molto bene! Se vorrai provvederemo poi ad iscriverti ad una piscina, così potrai continuare a nuotare.

“E’ secondario, in fondo non ho mai avuto molto tempo per il nuoto, però non nego che sarebbe bello.

“Allora vedremo poi anche questo. Ah, ti senti abbastanza ferrato sul giapponese?”

“Si, però ancora non riesco a capire alcune parole quando mi parli.”

“Col tempo ci farai l’abitudine. In fondo per aver avuto solo pochi mesi di anticipo hai già fatto fin troppo.”

“Chi verrà a prenderci?”

“ Il Capitano Misato Katsuragi. Dovrebbe essere già al parcheggio dell’aeroporto ad attenderci per condurci alla Nerv.

 

 

In quel momento una Renault Alpine sfrecciò come una saetta blu bruciando il giallo di un semaforo pochi istanti prima che diventasse rosso.

“Accidenti, sono di nuovo in ritardo! Ma perché mandano sempre me??

 

 

****

Aveva ricevuto la notizia solo pochi giorni prima.

Misato era  intenta a visualizzare il rapporto sui danni alla sonda utilizzata per l’identificazione dell’Ottavo Angelo( impallidendo visibilmente quando aveva letto la cifra cui ammontava, timorosa che il Comandante Ikari  decidesse davvero di licenziarla su due piedi) quando il Direttore del Progetto E, Dottoressa Ritsuko Akagi, era entrata nel suo ufficio recando in mano due cartelle.

“Allora, a quanto ammonta il danno, Capitano Katsuragi?” Domandò con una nota divertita nella voce mentre la sua amica, per nulla contenta del tono della scienziata, le rivolse uno sguardo talmente irritato da assumere a tratti sembianze quasi comiche.

“Cos’è, Ritsuko, sei venuta a ridere delle mie disgrazie per caso? O forse mi sei venuta a dire che il Comandante Ikari ha deciso di sbattermi fuori senza liquidazione?”

 

Ed in quel caso, come farò a pagare le rate della Renault Alpine??

 

Per nulla scomposta, anzi, ancor più sorridente, Ritsuko si diresse alla sua scrivania facendole piombare sul rapporto della sonda i due plichi che aveva portato.

“Nulla di tutto ciò, non preoccuparti. Stavolta i danni erano giustificati.”

Misato sospirò di sollievo rilassandosi contro lo schienale della poltrona.

“Piuttosto…” proseguì la bionda “…dai un’occhiata a questi, c’è del lavoro per te.”

“Vediamo…COSA??!!

Incredula osservò il titolo che campeggiava ad inizio dossier per poi alzare lo sguardo sul volto tranquillissimo di Ritsuko intenta a pulire con nonchalance gli occhiali.

“ Fourth Children??  E’ già stato selezionato?“

“ L’Istituto Marduk si è dato da fare nonostante lo 03 sia ancora in fase di produzione negli Stati Uniti…” replicò l’altra senza degnarla della benché minima attenzione, presa com’era nel suo intento di lucidatura.

“ Ah, beh, vediamo un po’… Quarto Soggetto Qualificato… Gabriel Vancy, nato a Parigi il 30 Agosto 2001, anni 14, altezza 1,60, Gruppo Sanguigno A positivo. Un francese eh?”

Incuriosita spostò gli occhi sulla fotografia a inizio pagina. Un ragazzo in un completo nero di taglio classico, giacca e cravatta, con uno stemma dorato sul lato sinistro del petto, dall’espressione terribilmente seria. Pelle chiara, capelli neri lunghi, lisci e scomposti in alcuni ciuffi sulla sommità del capo e sulla fronte ed occhi verdi.

Misato aggrottò perplessa le sopracciglia.

“Come mai è vestito in modo così rigoroso?”

“E’ un’uniforme…”

“Uniforme?”

“Leggi più sotto…”

“Accidenti! E così abbiamo un altro genio! Laureato in pianoforte al Conservatorio Charles Debussy di Parigi ad inizio anno e addirittura facente parte del corpo insegnanti!” 

“Già…. ”

“Però mi chiedo se…Insomma, Ritsuko, vuoi piantarla di pulire quegli occhiali e darmi ascolto??

“D’accordo d’accordo, scusami. Che cosa dicevi? ”

“Stavo pensando che spero proprio questo non lo faccia entrare in aperta competizione con Asuka… non vorrei mai che si mettessero a sbandierare a vicenda le rispettive lauree…”

“Mi auguro proprio di no.  Tuttavia non mi pare il caso di fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Ancora non sappiamo come sia caratterialmente questo ragazzo. Non è detto che tutti i laureati siano come Asuka.

“Lo spero, già così non è facile, figuriamoci con due come lei!”

Sbottò esasperata al pensiero ficcandosi le mani nei capelli mentre il suo sguardo finiva sull’altro dossier.

E questo? Non mi dire che hanno selezionato anche il Fifth.”

“No, quello è il fascicolo del suo accompagnatore e Tutore Legale. Satoshi Iwanaka, Agente Speciale della Sicurezza della Sezione Francese. ”

“Uao, un titolo che è tutto un programma eh?”

“Meno chiacchiere, Misato.”

“Uffa come sei pignola, non si può mai scherzare!”

“Non si sconfiggono gli Angeli a suon di scherzi.

In risposta ricevette una linguaccia.

E va bene vediamo un po’ chi è questo Satoshi Iwanaka. Dunque anche lui nato a Parigi il 24 Novembre 1989, anni 26, altezza 1,85, gruppo sanguigno B positivo, tiratore scelto, esperto in tecniche di disarmo e autodifesa, esperto nell’arma bianca??”

All’ultima nota sul curriculum il Capitano alzò sulla sua amica e collega uno sguardo che definire stupito era un eufemismo.

Ma il Direttore del Progetto E si limitò a scrollare le spalle continuando a passeggiare per il piccolo spazio dell’ufficio come se volesse misurarne l’ampiezza.

“Si, non so precisamente cosa voglia dire, ma poco male.

Un sorriso quieto e sottilmente divertito si allargò sulle labbra della donna.

Misato ebbe un brivido di paura.

Che…che vuoi dire, Ri chan?”

L’atra sorrise ancora di più e ciò gettò totalmente nel panico l’Ufficiale.

“Che potrai chiederglielo di persona dato che sarai TU…” marcò “ …ad andarli a prendere all’aeroporto.

Cosa? Ma perché io?”

Ritsuko, ripresa la consueta espressione impassibile, alzò appena un sopracciglio in sua direzione.

“Ho capito, ho capito, ci vado!”

Seccata accavallò le gambe sotto lo sguardo trionfante della Dottoressa. Mettendosi più comoda sulla poltrona riprese in mano il fascicolo e con uno sbuffo si dedicò all’osservazione del nuovo Agente. La foto era solo un mezzo busto, ma per quanto si vedeva sembrava rispettare perfettamente l’altezza indicata. Un’uniforme  in tutto somigliante a quella della Nerv Giapponese, ma dal colore blu intenso, tratti decisi, carnagione chiara, occhi azzurri, capelli biondi abbastanza lunghi e ondulati. Pensierosa si accarezzò il mento.

L’attenzione che ci metteva non passò inosservata alla scienziata. Sorrise molto soddisfatta. Le si stava presentando l’occasione ideale per dedicarsi al suo passatempo preferito dopo la collezione di qualunque oggetto felino le capitasse sottomano: stuzzicare Misato.

“Dì un po’, Capitano Katsuragi…” cominciò con tono allusivo portandosi dietro la scrivania come a voler studiare a sua volta il fascicolo “…come mai indugi tanto sulla foto identificativa dell’Agente Iwanaka?”

“…Cosa vorresti insinuare, Ritsuko?” Chiese l’altra pacatissima appoggiando il fascicolo sulla scrivania. Quando iniziava così sapeva già perfettamente dove voleva andare a parare.

“Oh nulla, nulla…” con noncuranza infilò le mani nelle tasche del camice aperto “..è solo che mi sembravi così presa…magari sei sensibile al fascino francese…”

“Ah ah ah…” finse una risata “… molto divertente, Dottoressa Akagi. “

“Beh, fai attenzione, Ryochan potrebbe essere geloso, non credi?”

“NON MI PARLARE DI QUELLO SCEMO!!

Il grido fu così poderoso da riecheggiare tra le mura più volte.

Ritsuko ridacchiò intimamente.

“Te l’ho detto, Misato, guarda che se ti arrabbi così tanto parlando di Ryochan non fai altro che darmi ragione…”

“Ritsuko…” tagliò corto l’altra, palesemente piccata “ non stavamo parlando di quel rozzo individuo cascamorto e poco raccomandabile, stavamo parlando dell’Agente Iwanaka. Per la pace mia e dei miei nervi, se  proprio vuoi sapere perché stavo guardando la sua foto era per il semplice motivo che non mi torna il fatto di come possa avere un cognome Giapponese mentre i suoi tratti somatici di orientale non hanno praticamente nulla di rilevante.”

“E’ presto detto…” sospirò appena, la bionda, mettendo momentaneamente da parte il suo proposito di sfottò “…è franco nipponico. Suo padre è Sumio Iwanaka, Capitano del Reparto Servizi di Sicurezza della Sezione Francese. Per ovvi motivi, sembra abbia preso da sua madre.

“Adesso si spiega tutto.”

Indugiò ancora pigramente sulla foto, quindi chiuse il fascicolo  riponendolo con cura nel cassetto metallico della sua scrivania, come sempre ingombra di dispacci, rapporti, fogli appallottolati e penne sparse, insieme a quello del Fourth Children.

Quando dovrebbero arrivare?” riprese poi alzandosi dalla sua postazione per poter parlare più agevolmente.

“Il loro arrivo è previsto tra quattro giorni alle ore 9 e 15 del mattino. Per una volta, vedi di essere puntuale, mi raccomando. In fondo…” nuovamente un sorriso malizioso si distese sulle labbra della donna “…non vorrai fare una brutta figura con il tuo futuro diretto sottoposto fin dal primo giorno? Quindi, mi raccomando. ”

Senza concederle il tempo di replicare le battè un paio di colpi amichevoli sulla spalla per poi lasciare l’ufficio, evidentemente soddisfatta dell’espressione stupita e  a tratti attonita della sua ex compagna universitaria. Anche per quella giornata si era presa la soddisfazione di prendere bonariamente un po’ in giro il Capitano Katsuragi.

 

***

 

“…E invece sto per ricavarci l’ennesima figuraccia! Guarda lì…!”

Sconfortata gettò lo sguardo sull’orologio del cruscotto che segnava inesorabilmente le 9:35.

La Renault Alpine eseguì uno slalom disperato nel traffico. Qualcuno alzò minacciosamente un pugno verso la vettura, ma la donna non diede segno di accorgersene. Rapida guardò il navigatore satellitare attraverso gli occhiali da sole e la sua ansia si placò di colpo.

“Finalmente, ormai ci siamo!”

Con rinnovato entusiasmo premette più forte sull’acceleratore e l’auto rombò veemente nel sole alto del mattino.

 

Frattanto, nel parcheggio semivuoto, due figure attendevano in piedi l’una accanto all’altra affianco ad una piccola piramide di tre valigie.

“Signor Satoshi…”

“Si?”

Sei proprio sicuro che qualcuno sarebbe dovuto arrivare a prenderci?”

Gabriel sospirò portando la mano sinistra a schermarsi gli occhi dai raggi solari per scrutare il piazzale. I raggi del sole si riflettevano violentemente sull’asfalto e sulla carrozzeria delle ormai poche vetture presenti creando uno spettacolo abbagliante.

“Certo, se ci fossero stati problemi avevano il mio recapito sul cellulare.”

Ribattè l’uomo prendendo a  ispezionare il parcheggio a sua volta nella speranza di veder arrivare qualcuno.

“Accidenti, fa un caldo insopportabile…”

“Te lo avevo detto che non era il caso di mettere lo smoking e che qui la temperatura era molto più elevata che a Parigi.” Sospirò.

Si, lo so. Però a quanto mi è stato riferito la Nerv è un’organizzazione importante e mi sembrava opportuno presentarmi in modo adeguato.” Replicò pacatamente il ragazzo,  senza guardare il suo interlocutore, mentre con la mano libera aveva preso a tormentare il colletto della camicia nella speranza di allentarlo un po’.

Si, lo so, Gabriel...” Lasciò cadere il discorso. Quando si trattava di eventi formali quel ragazzo era dannatamente ostinato e qualunque obiezione, per quanto sensata, sarebbe caduta nel vuoto.

 

In fondo non si può fargliene una colpa. L’ambiente di un Conservatorio come il  Charles Debussy non è certo un discopub…

 

“Signor Satoshi?”

Distratto da i suoi pensieri, l’Agente si volse verso di lui.

“Dimmi.”

“Credi che incontrerò subito gli altri Children?”

Satoshi sorrise. Ormai si era affezionato a lui come ad un fratellino minore e per Gabriel doveva essere lo stesso. Il tono con cui l’aveva chiesto e l’espressione di aspettativa sul suo volto sembravano proprio quelli di un bambino impaziente. In fondo, pensò l’uomo, era giusto così.

Era comprensibile che un ragazzino costretto dagli eventi alla solitudine come lui, ora che si trovava in un’altra città, di un’altra nazione, fosse ansioso di ricominciare da capo.

“Non lo so,Gabriel, ma,credimi, non mancheranno di certo occasioni d’ora in poi.”

Il ragazzo si limitò a rispondere con un sorriso.

Satoshi tornò a guardare l’orizzonte.

 

Credo che non riuscirò mai a farci l’abitudine…la facilità con  cui passa dalla serietà estrema all’entusiasmo a seconda delle situazioni mi ha sempre lasciato  spiazzato. Beh, Gabriel, comunque vada qui, spero che nessuno ti faccia sentire il peso del tuo talento… Però intanto…

 

Ancora una volta passò in rassegna il piazzale. Una stilla di sudore colò lungo la sua tempia e scomparve nel colletto dell’uniforme.

 

…non sarà che ci hanno davvero piantati qui a scioglierci dal caldo?

 

In quel momento un rombo in progressivo avvicinamento spezzò i flebili rumori di sottofondo del luogo. Fu questione di un attimo. Un’auto dalla linea sportiva irruppe nel parcheggio e si posizionò in trasversale su una piazzola lasciando una spessa strisciata di gomma sull’asfalto accompagnata da un acuto stridio sotto gli occhi attoniti dei due.

“Bella manovra…” mormorò incredulo Gabriel

“Spericolata è il termine adatto…” replicò allo stesso modo Satoshi.

 La portiera finalmente si aprì e ne uscì una donna sulla trentina dai lunghi capelli viola, occhiali da sole ed un abito intero che ne metteva in risalto le curve. Senza perdere un solo secondo si avvicinò sorridendo solare ai due andando a porgere direttamente la mano destra coperta da un guanto rosso da guidatore all’uomo. Satoshi pensò che una donna così non l’aveva mai incontrata.

“Eccomi qui, scusate il ritardo! Satoshi Iwanaka e Gabriel Vancy, giusto? Misato Katsuragi, molto piacere!”

“Piacere di conoscerla, Capitano Katsuragi. Rispose sorridendo amichevole e ricambiando la stretta.

“Allora…” Misato spostò lo sguardo sul ragazzo senza perdere quel suo fare solare, chinandosi leggermente verso di lui “..sei tu il famoso Professor Vancy, dico bene?”

Gabriel sorrise appena, un po’ amaramente, con rassegnazione.

 

E così la mia ‘etichetta’  mi ha preceduto anche qui…

 

Sopirò impercettibilmente quindi ricambiò a sua volta la stretta di mano “La prego, Capitano Katsuragi, solo Gabriel.

“Va bene, allora, Gabriel.”

Il ragazzo sorrise rasserenato.

Dunque, dunque…” riprese subito la donna volgendo lo sguardo sulle valigie”…quelli sono i vostri bagagli?”

“Si…” Satoshi si fece avanti raccogliendo dalla sommità della piccola piramide una grossa custodia oblunga che poi mise a tracolla ”…il resto è già stato recapitato all’appartamento assegnatoci.

“Molto bene, vi do una mano a caricare!” Cominciò la donna aprendo il bagagliaio.

“No, non si preoccupi, la ringrazio, ci penso io. Gabriel, tu inizia pure a salire in macchina.

“Sei sicuro che non ti serva una mano, Signor Satoshi?”

“No, stai tranquillo.”

Senza aggiungere altro Gabriel annuì ed eseguì le disposizioni senza ulteriori indugi prendendo posto al sedile posteriore. Aveva appena messo piede in auto quando qualcosa che aveva pestato aveva rischiato di farlo scivolare.

 

Ma cosa diavolo…??

 

Perplesso si mise seduto osservando l’oggetto che aveva quasi rischiato di farlo cadere. Era dorato ed in origine doveva avere forma tubolare, ma in ogni caso era inconfondibile anche così ridotto.

 

Una lattina di birra?

 

Guardò fuori dal finestrino. Satoshi e il Capitano Katsuragi avevano ormai terminato di sistemare i bagagli.

E quella?” Chiese Misato osservando incuriosita la strana cassa oblunga che il giovane portava a tracolla.

“Ah, questa. Se non le spiace vorrei tenerla con me.”

“Sono troppo indiscreta se chiedo cosa contenga?”

 A quella domanda, Satoshi non potè non sorridere con orgoglio.

“Queste sono le mie spade, Capitano Katsuragi.

A quell’affermazione per poco non le cadde la mandibola dallo stupore.

“Spade??”

 

Ecco a cosa doveva riferirsi la nota sul curriculum!

 

“Si, è esatto. Katana, Wakizashi e Tanto.” Confermò l’uomo accarezzando amorevolmente la custodia.

Ripresasi dalla sorpresa, Misato tolse in fretta gli occhiali da sole appendendoli sul colletto dell’abito ed iniziò a girare iperattivamente attorno al contenitore.

“Posso vederle? Non ho mai visto delle spade da vicino!”

Di fronte all’entusiasmo mostrato dalla donna, non poteva non accontentarla. Con cura appoggiò la custodia sul cofano ed effettuò una pressione ai lati del contenitore. La cassa si aprì con un moto improvviso rivelando così il suo contenuto. Armi di splendida fattura. I foderi erano di un nero brillante e le impugnature erano costituite da una stoffa altrettanto  nera con sprazzi dorati, così come dorate erano le guardie.

“Ma… sono vere?” Domandò con sorpresa e una nota di ammirazione nella voce.

“Verissime, glielo assicuro.” Rispose l’altro sorridendo mentre richiudeva la custodia.

“Le servirà il porto d’armi per portarsele in giro così.

“Si, è obbligatorio con la tessera sportiva.

“Tessera sportiva?”

Satoshi sorrise mentre entrambi salivano in auto. Le portiere si chiusero con uno scatto.

“Non mi stupisco che lei non sappia nulla a riguardo. In effetti il Sankendo, la ‘Via delle Tre Spade’, non è un sport praticato su larga scala.”

La macchina partì con un moto improvviso che sballottolò il povero Gabriel a destra e a sinistra.

“Ouch!”

“Oh, scusami per la partenza brusca, Gabriel. Tutto bene?”

..Di nulla Capitano Katsuragi, tutto bene.” Rispose ancora stordito mettendosi comodo per dedicarsi al panorama.

“Agente Iwanaka…” riprese Misato “...perchè non mi parla un po’ di questo sport? Effettivamente non ne ho mai sentito parlare. Sul suo curriculum c’era una nota a riguardo ma non immaginavo si riferisse a questo.”

L’Agente strinse a se la custodia  sentendosi quasi lusingato da tale richiesta. La disciplina che praticava con così tanta passione non era molto popolare ed ogni volta che gli venivano chieste informazioni a riguardo era sempre felice di poterle fornire.

“ Come le ho detto prima, non è una disciplina molto popolare. Richiede assoluto impegno e dedizione e prima di arrivare a competizioni con armi vere ci vogliono anni di addestramento.”

“Armi vere durante le competizioni?? Ma allora è pericoloso!”

“In realtà no se viene praticato seguendo le regole. Deve sapere, Capitano Katsuragi, che in origine il Sankendo era un’arte di combattimento dalla potenza devastante e quando si è perso nel corso della storia il suo uso bellico, si è trasformata in una disciplina sportiva. Ai nostri giorni gli scontri consistono in una sorta di danza composta da tre assalti in cui lo scopo e quello di disarmare o bloccare l’avversario in una presa da cui sia impossibile svincolarsi. Questo perché se l’avversario accennasse ad un minimo movimento, se fosse un reale scontro bellico, bloccato in quella presa, verrebbe ucciso.”

Mentre guidava, la donna sembrava prestare molta attenzione alle parole dell’Agente. Non immaginava potesse esistere una disciplina del genere. Data l’enfasi che ci stava mettendo nella spiegazione, decise di non interromperlo.

“Ovviamente, trattandosi di una sorta di danza, sono severamente vietati tutti i colpi diretti alle parti vitali come il cuore, i polsi e il collo. Pena l’allontanamento con disonore dal dojo di provenienza, il ritiro dal porto d’armi e l’estromissione dalla disciplina.

“Mi sembra giusto.”

“Assolutamente. I colpi vanno diretti alle armi, mai a  quelle parti del corpo. Per questo riuscire ad effettuare una di quelle prese che le dicevo è un evento molto raro. Purtroppo gli incidenti capitano, ma i giudici sanno distinguerli dai falli intenzionali. L’ambiente è molto molto selettivo e fin’ora ci sono stati ben pochi casi di scorrettezza in tutta la storia della disciplina.”

“Ho notato che ne parla con molta passione. Misato sorrise fugace.

“Si, è vero. Ho iniziato a 6 anni, e prima di me lo ha fatto mio padre, praticamente è il mio mondo.” Ammise l’uomo con un sorriso a metà tra l’imbarazzato e il divertito. “probabilmente le avrò riempito la testa di chiacchiere, mi scusi.

“No, al contrario, mi sembrava molto interessante. Ha intenzione di continuare la sua disciplina anche in Giappone?”

“Sicuro. Appena avrò tempo mi informerò su quale dojo sia più vicino.”

“Ottimo, magari qualche volta potrò venire a darci un’occhiata.”

Se le può far piacere, quando vuole.”

Sorrisero.

“Ah…”  riprese Satoshi  lasciando vagare lo sguardo sull’abitacolo“i miei complimenti. Una Renault Alpine ultimo modello fine 2014, giusto?”

Misato sgranò gli occhi dalla sorpresa e l’auto sbandò pericolosamente. Per l’ennesima volta, Gabriel, che era rimasto soprappensiero a guardare il panorama per tutta la durata di quella conversazione che lui aveva già sentito, rischiò di essere catapultato dall’altro lato dell’auto.

 

Ma è un vizio!

 

Ma nonostante entrambi i suoi passeggeri avessero rischiato di dare un colpo contro il finestrino, la donna parve non dar peso a quelle manovre che per lei erano normale routine quotidiana e che tante volte avevano attentato allo stomaco di Shinji.

Era come se dal cielo fosse sceso un coro di Cherubini che suonavano l’Inno alla Gioia: qualcuno aveva riconosciuto l’identità della sua adorata vettura!

“Si, si, si! Non mi dica che si intende anche lei di auto!”

 

D’accordo, se gli piace anche la birra è proprio un segno del destino che sia un mio diretto sottoposto!

 

“Beh…” cominciò l’uomo togliendo gli occhiali da sole per meglio osservare la sua interlocutrice. Ancora una volta gli venne confermata la prima impressione: una gran bella donna.

”… discretamente mi interesso anche di motori, ma è mia madre quella con la passione per le automobili. Io mi interesso più di moto. Qui in Giappone ho fatto portare la mia Harley Davidson. “

Di nuovo l’auto disegnò una pericolosa  ‘S’ sulla strada, mettendo a dura prova la resistenza di Gabriel il cui colorito era passato dal rosso accaldato al pallido-sto-per-vomitare.

 

Se non la smette di fare tutti questi sbalzi, Capitano Katsuragi, mi spiace, ma la sua tappezzeria corre dei seri rischi…

 

“Una VERA Harley Davidson vecchio stampo?” Esclamò la donna in stupore guardando più l’Agente che la strada. Ciò preoccupò non poco l’uomo.

“Si, vera e originale. La tratto coi guanti bianchi da quando me l’hanno regalata per i Diciotto anni.”

“Fantastico!”

Finalmente riportò lo sguardo, ora entusiasta, sulla strada.

Satoshi sospirò di sollievo.

“E’ pieno di risorse, Agente Iwanaka! E, mi dica, di cos’altro si interessa?”

“Beh, a parte questo nulla. Solo un po’ di cucina di tanto in tanto.”

 

Ok, d’accordo. E’ decisamente un uomo da sposare. Ed è anche discretamente carino, lo riconosco.

 

Misato ridacchiò al pensiero lanciando all’uomo un’ultima occhiata superficiale. Lungi da lei dare a Ritsuko qualcos’altro su cui poterla tormentare! Come se non avesse già abbastanza noie con quello scemo di Kaji. Come sempre, si ripeté, meglio sole e con una lattina di Yebisu che accompagnate da un imbecille come Kaji.

“Davvero i miei complimenti, Agente Iwanaka, io purtroppo non ho mai tempo di cucinare, quindi uso solo cibi precotti accompagnati da una buona birra” sorrise, poi lanciò un’occhiata veloce a Gabriel dallo specchietto retrovisore.

“Allora Gabriel, come va?”

Il ragazzo, che aveva ormai rinunciato a guardare  dal finestrino nel timore di peggiorare le cose, dovette ricorre a tutta la sua forza di volontà per non provocare danni irreparabili alla tappezzeria.

“Tutto bene, Capitano Katsuragi…” si sforzò di non far trapelare il malessere.

“…quando arriveremo?”

“Ormai ci siamo, dieci minuti e siamo al Geo-Front. Intanto perché non mi parli un po’ di te, cosa facevi in Francia a parte studiare e lavorare al Conservatorio?”

“Non molto…frequentavo una scuola media privata ed ogni tanto andavo a nuotare in piscina.

“Ah, facevi nuoto. Anche ad Asuka, la Second Children, piace molto nuotare e fare immersioni, magari diventerete amici. A proposito,avevi molti amici lì?”

Sia Satoshi che Gabriel si rabbuiarono alla domanda. Quello era decisamente un tasto dolente.

“No…non molti…” Si costrinse a rispondere volgendo lo sguardo sulla lattina accartocciata di prima.

 

Avrò detto qualcosa di male?

 

Pensierosa rivolse uno sguardo all’Agente di fianco a lei che le fece segno, scuotendo il capo, di cambiare argomento.

 

“Beh...” riprese Misato “..vedrai che ti troverai bene con i Children. Hanno dei caratteri un po’ particolari, ma sono dei bravi ragazzi. Chissà, magari riuscirai a fare un miracolo convincendo Shinji ad imparare a nuotare… E poi capiterai proprio in classe con loro, e loro a loro volta hanno degli amici, quindi non dubito che sarai in buona compagnia!”

“Lo crede davvero?” Il ragazzo rialzò di colpo gli occhi osservando il Capitano attraverso lo specchietto. Neanche a Misato sfuggì il tono quasi speranzoso che aveva usato.

Ma certo, Gabriel! Anzi, sai cosa ti dico? Se volete oggi li andiamo a prendere a scuola, così te li faccio conoscere subito!”

Senza farselo ripete due volte, dimentico del malore che lo aveva scombussolato, Gabriel si attaccò allo schienale di Satoshi. Sembrava realmente un bambino in quel momento.

“Sarebbe fantastico! Possiamo andarci, vero, Signor Satoshi?”

 

 Spiazzante questo ragazzo…veramente spiazzante…oh beh, almeno non è come Asuka  per fortuna…

 

“Certo che possiamo andarci, Gabriel.” Rispose l’uomo con tono conciliante “grazie per la disponibilità, Capitano Katsuragi.

“Di nulla, così vi accompagniamo anche a casa, immagino non  conosciate la città. Ah, eccoci arrivati.”

 

Alle parole dell’Ufficiale, i due si voltarono. Delle porte meccaniche si spalancarono di fronte a loro e l’auto venne introdotta all’interno di un corridoio da un nastro trasportatore.

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Incontri (Parte I) ***


Il nastro trasportatore li aveva condotti in un tunnel in discesa apertosi in un vasto ambiente sotterraneo, illuminato dalle tonalità della mattinata inoltrata che filtrava da enormi e sconosciute aperture

CAPITOLO 2

 

Incontri (Parte I)

 

 

 

Il nastro trasportatore li aveva condotti in un tunnel in discesa apertosi in un vasto ambiente sotterraneo, illuminato dalle tonalità della mattinata inoltrata che filtrava da enormi e sconosciute aperture. Satoshi e Gabriel guardarono giù dal finestrino e realizzarono di trovarsi a diverse centinaia di metri dal fondo di quella gigantesca caverna, tanto che sembravano sospesi sopra il suolo di un nuovo, straordinario pianeta. Il soffitto della caverna era tappezzato da giganteschi blocchi di metallo, come immense stalattiti, giustapposte ai sovrastanti grattacieli. Sul fondo invece le migliaia di luci venivano riflesse dalle acque di un lago. Tutto intorno la terra era cosparsa di vegetazione, di tanto in tanto interrotta da tralicci e torri di segnalazione. Un nuovo Eden, al confronto del deserto di cemento della città appena lasciata. Al centro di quel paesaggio onirico svettava una grande piramide, affiancata da un baratro della stessa forma ma sensibilmente più grande. Tutto attorno, sospesi nell’aria come sottili fili di ragnatela, baluginavano dei binari trasportatori, del tutto simili a quello su cui adesso il gruppo stava viaggiando.

Ma… Cos’è… questo?” chiese senza fiato il ragazzo mentre a sua volta l’Agente non riusciva a distaccare gli occhi da quello spettacolo.

Misato sorrise di fronte alla meraviglia dipinta sui volti dei suoi compagni di viaggio.

“E’ un Geo-Front, una gigantesca cavità naturale all’interno della crosta terrestre. Nonché principale Quartier Generale della Nerv.”

E così è questo un Geo-Front!” Esclamò l’uomo. “Avevo letto qualcosa a riguardo, ma non credevo fosse così…”

“Grande?”

“Meraviglioso.”

“Sì, è una vera meraviglia della natura. Ed è anche l’estremo baluardo di difesa dell’umanità.

Il binario su cui stavano viaggiando raggiunse un’alta torre poco distante dalla piramide centrale e li depositò in un ampio parcheggio al livello del suolo.

“Prenderemo dopo i bagagli…” cominciò la donna scendendo dalla vettura subito imitata dai due passeggeri. “..adesso dobbiamo andare subito dalla Dottoressa Ritsuko Akagi, il Direttore del Progetto E, e poi dal Comandante Ikari.”

 

Non li invidio affatto.

 

“Agente Iwanaka…” continuò sorridendo “…credo farebbe meglio a lasciare qui i suoi strumenti. Non vorrei che la prendessero per un attentatore in incognito.

Satoshi sorrise convenendo che aveva ragione. Meglio evitare qualunque minimo fraintendimento in quel luogo.

“D’accordo, allora se non le dispiace lascio la custodia qui. Rispose riponendo con cura la borsa sul sedile anteriore.

“Certo, nessun problema. Ah, Gabriel…”

Sentendosi chiamato in causa il ragazzo smise di rassettarsi l’abito per volgersi attento alla donna.

“Si?”

“Non farti impressionare dalla Dottoressa Akagi, è seria e parla quasi esclusivamente per termini tecnici, ma quando si mette d’impegno riesce ad essere anche simpatica…e per quanto riguarda il Comandante Ikari…non lasciarti spaventare d’accordo?”

“Si, non si preoccupi.” Annuì laconico. Per quanto lo riguardava non c’era molto da dire. Lo avevano obbligato a lasciare il Conservatorio per diventare un Pilota di Eva. Senza spiegazione alcuna.

 

E così questo sarà il posto in cui dovrò prestare servizio da oggi in poi…

Più mi domando perché sono qui, più non riesco a darmi una risposta. Quarto Soggetto Qualificato…in base a cosa, poi? Non importa. L’importante è che non mi tolgano la mia unica compagna. L’importante è che con me ci siano il mio pianoforte, la mia musica, il resto non conta.

 

“Gabriel, stai bene?” Satoshi si sporse ad osservare in volto il ragazzino.

“Si, sto bene, sto bene.” Sorrise rassicurante verso i due, forse rendendosi conto che quel suo atteggiamento doveva averli impensieriti. In fondo era vero. La certezza che la musica non lo avrebbe abbandonato, né messo da parte, lo aveva tranquillizzato. Fino ad allora era sempre stata solo ed esclusivamente quella l’unica ragione di vita di quel ragazzo e non avrebbe permesso a nessuno di sottrargliela.

Misato tuttavia non parve essere troppo convinta dal comportamento di Gabriel, ma davanti al suo sorriso non potè fare altro che annuire.

“Molto bene, allora andiamo, siamo già in ritardo!” Esclamò la donna nuovamente ilare conducendo i due presso un nuovo nastro trasportatore, che li condusse all’interno di un altro tunnel oscuro.

 

 

 

In infermeria la Dottoressa Akagi stava scuotendo il capo spazientita lanciando ripetute occhiate all’orologio a muro.

 

Mai una volta che sia puntuale! E pensare che glielo avevo anche raccomandato!  Quando metterà giudizio?

 

“Dai, Rei…” cominciò con un sospiro dopo aver applicato un laccio emostatico alla ragazza “…dammi il braccio come al solito…”

Senza fiatare, la ragazza eseguì l’ordine distendendo il braccio destro per consentire alla Dottoressa di effettuare l’abituale prelievo.

Al termine dell’operazione, Ritsuko tolse in fretta il laccio e dopo aver tamponato il punto in cui aveva effettuato il prelievo con del cotone imbevuto di disinfettante, si affrettò ad archiviare il campione di sangue raccolto.

Solo pochi minuti dopo si sentì bussare alla porta.

 

Che sia lei? Alla buon’ora! 

 

Con passi rapidi lasciò la sua postazione per avvicinarsi alla scrivania.

“Avanti.”

Da uno spiraglio fece capolino il capo di Misato la cui espressione sorridente tradiva un filo di preoccupazione.

“Ehm…è permesso?”

Sei in ritardo. Lo sai questo vero?” Domandò senza mezzi termini la bionda in tono duro mentre si toglieva con attenzione i guanti in lattice utilizzati per gettarli in un bidoncino accanto alla sua scrivania.

“C’è un motivuccio per quello…”

 “Non mi dire che ti sei persa di nuovo perché tanto non ci credo.

“Uffa, Ritsuko!” Esclamò ora entrando totalmente, i pugni sui fianchi in un’espressione di sfida,  lasciando così intravedere i due che la seguivano. “Sono rimasta a secco stamattina, va bene?”

“Si, d’accordo, di questo ne parleremo dopo. Dunque…” il suo sguardo si spostò sulle due figure dietro la sua amica. Sorrise lievemente avvicinandosi ai due che intanto osservavano straniti l’interno dell’infermeria composto quasi esclusivamente da una scrivania con un computer, degli armadietti ed un grosso paravento illuminato dietro al quale si potevano intuire la sagoma di un lettino, di un tavolo e di una persona lì seduta. “… L’Agente Satoshi Iwanaka e il Fourth Children Gabriel Vancy. I due annuirono. “Molto bene, vi porgo il mio benvenuto qui alla Nerv, mi auguro che riuscirete a lavorare bene con noi.” Concluse stringendo le mani ad entrambi.

“La ringrazio, Dottoressa Akagi.” Rispose con un sorriso l’uomo mentre Gabriel proseguiva a fissare incuriosito la sagoma dietro il paravento.

“Spero solo che il Capitano Katsuragi non vi abbia fatto attendere troppo, anche se devo dire che in fin dei conti vi è andata bene, a quest’ora potevate già esservi smarriti per la base…”

Con il suo solito sorrisetto divertito lanciò un’occhiata fugace a Misato, la quale si era appoggiata imbronciata alla parete accanto alla porta, braccia conserte, decisa ad ignorare le provocazioni dell’amica.

 

Pignola, pignola, pignola! Antipatica e pignola! Sgrunt!

 

“In ogni caso...” riprese la scienziata, “non rimanete sulla porta. Venite pure a sedervi.”

Senza aggiungere altro si voltò camminando in direzione della scrivania davanti alla quale erano poste due sedie e solo quando lo sguardo le cadde sul paravento si ricordò che era ora di congedare Rei.

“ Ah, Rei, puoi uscire, per ora abbiamo finito. Preleveremo il prossimo campione tra sei ore.

“Si.”

Quando la ragazza si palesò ai loro occhi, sia Satoshi che Gabriel  rimasero in silenzio fermi a pochi passi dalle sedie. Non era di certo come le altre ragazze.  Capelli di un azzurro chiarissimo, pelle candida, occhi di un rosso intenso. Un’ albina ne convenne l’Agente. Doveva indossare un’uniforme scolastica. Gabriel ne era rimasto stupito. Non aveva mai conosciuto nessuno con quelle caratteristiche fisiche. Insolite, certo, però non le trovava affatto spiacevoli.

A sua volta Rei prese ad osservare i nuovi arrivati con sguardo vacuo, senza soffermarsi su nessuno dei due in particolare.

Nel silenzio creatosi nella sala, fu di nuovo Ritsuko a prendere la parola.

“Questa ragazza è Rei Ayanami, First Children. Spiegò all’indirizzo dei due prima di tornare a rivolgersi alla ragazza.  “Rei,  lui è il nuovo Agente della Sicurezza, Satoshi Iwanaka…” indicò l’uomo.

Piacere, Rei.” Sorrise appena verso di lei

“E questo…” riprese la donna “..è il Fourth Children...”

Non ebbe nemmeno il tempo di terminare le presentazioni. Con la stessa spontaneità di un bambino, Gabriel si era già avvicinato alla ragazza e le porgeva la mano con un gran sorriso amichevole e gentile al contempo stampato in volto.

“Piacere di conoscerti Rei! Io sono Gabriel.

Nuovamente l’infermeria piombò nel silenzio.

Gli occhi di Rei passarono dalla mano tesa del ragazzo al suo volto, a quello del nuovo Agente, per poi tornare alla mano, senza capire.

 

Una mano tesa…

L’unica volta che mi hanno teso una mano è stato quando Ikari mi ha salvato la vita…

Ma ora non ho bisogno di essere salvata. Perché  me la sta porgendo?

 

Nel silenzio surreale che si era venuto a creare, alzò nuovamente lo sguardo sul volto del ragazzo il quale aveva perso l’ilarità di prima per lasciare spazio ad un’espressione perplessa.

“Piacere.”

Lapidaria. Atona. Semplicemente raggelante.

Ancora spostò lo sguardo dal ragazzo all’Agente, alla Dottoressa Akagi, a Misato che non aveva perso un solo scambio di battute, quindi si spostò verso l’uscita senza più degnare di un minimo di attenzione nessuno di loro.

“Arrivederci.”

La porta si chiuse quasi senza suono alle sue spalle.

Tutti gli occhi si spostarono quindi su Gabriel, rimasto in sospeso con la mano a mezz’aria.

Nessuno avrebbe saputo dire se era più sconvolto o deluso. Ma entrambe le cose, sicuro.

Satoshi dovette ricorre a tutto il suo autocontrollo per non mettersi le mani nei capelli.

 

Cominciamo male, malissimo! Peggio di così non potevamo cominciare!

 

Ritsuko sospirò lievemente e poggiò una mano sulla spalla del ragazzo.

“Gabriel, non prendertela. Rei ha un carattere particolare, fa così con tutti. Non è molto socievole.”

“…”

“Avanti, siediti qui…” scostò una sedia “ e parlami un po’ di te.

Ancora attonito il ragazzo eseguì quanto richiesto, senza minimamente obiettare.

Frattanto Misato si era avvicinata all’uomo il quale aveva preso ad osservare attentamente il suo tutorato nella speranza di cogliere qualche miglioramento nella sua espressione.

“Dev’essere stato parecchio imbarazzante per lui…” sussurrò la donna cercando di non farsi sentire mentre il ragazzo aveva preso colloquiare con la scienziata.

L’Agente si allontanò di qualche passo, quanto bastava per poter parlare sottovoce senza farsi udire, invitando l’Ufficiale a seguirlo. Sospirò pesantemente.

“Ha notato come c’è rimasto male?”

“Beh, si, ma Rei è così. Non ha mai legato con nessuno, è un mistero per tutti.

“Capitano Katsuragi…” fece una pausa per lanciare una rapida occhiata al ragazzo prima di riportare lo sguardo su di lei “ …il punto è che Gabriel si è sentito respinto.”

Misato corrugò la fronte in un’espressione interrogativa.

“ Il suo status di ragazzo prodigio…” cominciò a spiegare “…ha praticamente  sortito l’effetto di tenere alla larga da lui tutti i suoi coetanei. Sia del Conservatorio che della scuola. Per invidia o forse timore. Come ha avuto modo di vedere, lui invece, è molto propenso a socializzare, sembra quasi che non aspetti altro. Ma nonostante questo... lasciò cadere il discorso come se mancassero le parole.

La donna rimase letteralmente sbalordita.

“Mi sta dicendo che non ha mai avuto nemmeno un amico?!”

“Nemmeno uno.”

E nonostante questo riesce ad essere così bendisposto??”

“E’ la sua natura, Capitano Katsuragi. Purtroppo però i lati negativi non si limitano a questo. Non credo lo abbiano scritto sulla sua scheda, ma i suoi genitori hanno perso la vita in un incidente d’auto quasi due anni fa.

Ma è terribile…”

Quando la sua tutela è passata dai nonni materni a me ed ho parlato con i suoi insegnati al Conservatorio, mi hanno detto che per un periodo, dopo la tragedia, avevano creduto che avrebbe gettato tutto all’aria. Il pianoforte, la musica, tutto. Invece, si è immerso nella sua musica ed ha trovato la forza per ricominciare. Laureandosi e diventando uno dei migliori insegnanti del Conservatorio stesso. Però anche in questo campo la sua ‘autorità’, non sempre è stata riconosciuta.

Cosa?? Ma…perché??”

Satoshi scrollò il capo riportando con un gesto della mano alcune ciocche ricadutegli innanzi agli occhi sul capo.

“Non perché non fosse competente, questo è certo. Credo che il vero motivo, sia solamente il fatto che allievi più grandi non accettassero insegnamenti da un ragazzino più giovane di loro. Anche se laureato. Alla fine la causa era l’invidia anche in questo caso. “

Che assurdità. Ci sarà un motivo se una persona siede ad una cattedra.

“Questo è ovvio. In ogni caso anche se in aula restavano quattro gatti, lui ha fatto ugualmente lezione. I Docenti del Charles Debussy mi hanno sempre riferito che ritiene la sua Etica Professionale come un punto d’orgoglio intoccabile.

Eppure non ne fa sfoggio. Non vuole nemmeno essere chiamato Professore!”

“Quello che vuole è vivere una vita come tutti gli altri ragazzi. Da quando l’ho preso con me  ed i miei genitori per ordine della Nerv, ho imparato a conoscerlo ed essergli amico, lo considero un fratellino minore, ma ha bisogno dell’amicizia dei suoi coetanei. Io posso solo dargli qualche fraterno consiglio e aiutarlo se ha dei problemi.

“Capisco…” Misato sospirò pensierosa.

 

Povero ragazzo…adesso capisco tutto il suo entusiasmo, come dargli torto…

Sarebbe stato mille volte meglio che non incontrasse Rei per prima, ma ormai è fatta. Spero solo che questo non lo renda diffidente nei confronti di Asuka e Shinji…

 

Restarono in silenzio alcuni minuti quando la voce di Ritsuko richiamò la loro attenzione.

“…Bene, Gabriel, è veramente molto, molto, interessante. Spero che un giorno avremo la possibilità di sentirti suonare.

Se sarà possibile…” Dall’espressione un po’ apatica sul suo volto, tutti capirono che non aveva ancora digerito la delusione. “Dottoressa Akagi…” riprese il ragazzo piantando gli occhi sulle varie cartelle sparse sulla scrivania  “…la prego di soddisfare la mia curiosità: in base a quali criteri avete scelto me? ”

“L’Istituto Marduk hai i suoi criteri, noi della Nerv non sappiamo quali siano.”

“Ho capito.”

“Posso comprendere che avresti preferito rimanere al tuo Conservatorio e l’idea di salire a bordo di un Evangelion non ti entusiasmi, però credo che tu riesca a capire quanto importante sia il ruolo che voi Piloti occupate in questa lotta. Senza contare che l’interno degli Eva sono il posto più sicuro che possa esserci e inoltre…”

“Dottoressa Akagi…” la interruppe alzando lo sguardo, serissimo, sul volto concentrato per l’abituale arringa della scienziata “…non è necessario che mi elenchi i pregi di essere un pilota. Le mie condizioni, come ho già detto al Signor Satoshi, sono state soddisfatte. Voi non mi impedite di suonare, io piloto l’Eva. Non c’è bisogno di aggiungere altro.”

Ritsuko rimase a bocca aperta senza sapere cos’altro poter aggiungere. E con lei anche Misato.

“Allora…” cominciò la donna tentennante “ molto bene, Gabriel. Andremo d’accordo.

“Ne sono felice.”

“Adesso però, Misato, accompagnali pure dal Comandante Ikari.

“D…d’accordo…Agente Iwanaka, Gabriel, seguitemi. A dopo, Ritsuko.

“Si, A dopo.”

Il gruppo prese congedo e la donna, rimasta sola, si abbandonò totalmente contro lo schienale per ripensare attentamente a quanto accaduto.

 

Un carattere molto particolare, ma di poche pretese devo ammetterlo. Questo non può che essere un bene.

 

 

 

“Allora ragazzi…” incominciò, una volta giunti all’ingresso, Misato sorridendo per cercare di alleggerire la tensione “…in bocca al lupo. Io vi aspetto qui.”

“Crepi” Rispose l’Agente incurvando appena le labbra.

Da quando avevano lasciato l’infermeria, il pensiero di trovarsi faccia a faccia col Comandante Ikari lo aveva reso inquieto. Le voci che circolavano su di lui non erano molto lusinghiere, a partire dal fatto che si era quasi totalmente disinteressato di suo figlio.

Inspirò profondamente, non era il caso, né era da lui, di lasciarsi prendere dall’ansia.

“Sei pronto, Gabriel?”

Il ragazzino annuì deciso verso l’uomo. Sembrava aver accantonato l’episodio di poco prima.

“Allora andiamo.”

 

La porta dell’ufficio del Comandante della Nerv si era chiusa alle loro spalle, isolandoli dalla donna che li aveva accompagnati fin lì. L’agente Iwanaka e il Fourth Children si apprestavano a prendere servizio.

Satoshi non capiva perché si sentiva così agitato, in fondo aveva già fatto dei colloqui di lavoro. Forse era perché si trovava al cospetto del suo Comandante Supremo, il capo indiscusso dell’unica organizzazione in grado di proteggere l’umanità, oppure era per la struttura stessa di quell’ufficio – una stanza vastissima, dal soffitto relativamente basso e dalla scarsa illuminazione, posta in cima alla piramide della Nerv.

Oppure ancora era per lo sguardo indecifrabile, nascosto sotto le lenti brune dei suoi occhiali, del Comandante in persona, che lo scrutava dalla sua scrivania all’altro capo dell’ufficio. In piedi nell’ombra dietro di lui c’era poi un’altra figura in uniforme, un uomo anziano, dall’aria meno marziale del suo superiore.

“Venite avanti.”

L’imperiosa voce di Ikari scosse Satoshi dalle sue riflessioni e lo costrinse a fare un passo avanti subito imitato da Gabriel il quale si limitò a tacere ed osservare intimorito le figure dei due uomini.

“Sissignore!” riuscì infine a dire l’uomo.

“Lei è l’agente Satoshi Iwanaka, appena trasferito dalla nostra Sede Francese, giusto?” L’uomo seduto sembrava non aver mosso un muscolo.

“Sissignore.”

“Da questo momento lei prende servizio alla Sede Centrale di Neo-Tokio 3 della Nerv, sotto il comando diretto del Capitano Misato Katsuragi. Ci sono domande?”

“Nossignore.”

“Si rilassi, Agente, non siamo sotto le armi.

Quell’improvviso segno di umanità colse Satoshi di sorpresa, tanto che all’inizio non capì che non proveniva dal Comandante, ma dall’uomo in piedi poco dietro a lui. Ci mise alcuni secondi a obbedire e rilassare un po’ i muscoli.

Come se quell’interruzione non ci fosse stata, Ikari proseguì: “Il suo compito principale, a meno di ordini diretti miei, del Vice Comandante Fuyutsuki o dello stesso Capitano Katsuragi, sarà quello di coadiuvare quest’ultima nella sorveglianza dei Piloti. Per questo dovrà chiedere direttamente a lei disposizioni di volta in volta. Non dovrebbe essere un onere troppo gravoso dato che il suo alloggio sarà vicino a quello del Capitano. In ogni caso è tenuto ad essere sempre reperibile in caso di necessità salvo permessi del suo Superiore. Fuyutsuki…”

Senza bisogno di ulteriori parole, l’anziano Vice Comandante abbandonò la sua postazione alle spalle del suo superiore e in perfetto silenzio si avvicinò a Satoshi per consegnargli due tessere d’ingresso prima di tornare al suo posto.

“Quanto a te…” l’attenzione del Comandante si spostò su Gabriel “ ..sei il Fourth Children, Gabriel Vancy, dico bene?”

Come il suo Tutore, anche il ragazzo si sentì raggelare. Annuì.

“L’Unità Evangelion 03 a te designata è ancora attualmente in fase di produzione negli Stati Uniti. Finché non sarà ultimata tu occuperai il ruolo di Pilota di riserva. Quindi nel caso che uno dei Piloti ufficiali rimanga ferito in uno scontro, tu prenderai il suo posto. Sono stato chiaro?”

Prima di poter rispondere dovette deglutire più volte.

“Si, Signore.”

“Eccellente. Mi aspetto che tu faccia un buon lavoro. E lo stesso vale per lei, Agente. Potete andare.”

Satoshi, raggelato fino al midollo dalla freddezza di quell’uomo, fece un vago cenno di saluto col capo, ricambiato solo dall’uomo nell’ombra – il Vice Comandante – ed uscì dall’ufficio seguito celermente da Gabriel.

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

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Capitolo 4
*** Incontri (Parte II) ***


CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

 

Incontri (Parte II)

 

 

 

 

Non  appena furono fuori da quell’ufficio si sentirono di nuovo in grado di respirare liberamente.

Misato, rimasta ad aspettarli, nel vederli uscire si avvicinò loro con un sorriso sincero.

“Siete ancora interi?” chiese.

“Sì… Almeno credo…” Rispose l'uomo.

“Idem…” Confermò a sua volta il ragazzo.

“Allora, come vi è sembrato il Comandante Ikari?” Chiese la donna incamminandosi a passo svelto lungo il corridoio illuminato che li avrebbe condotti  all’ascensore. Di certo non voleva correre rischi che le porte dell’ufficio si aprissero all’improvviso ed il loro Comandante Supremo si trovasse a portata di orecchie commenti poco lusinghieri.

 

Ho rischiato il licenziamento fin troppe volte.

 

Gabriel fu il primo a prendere la parola.

“Mi auguro che non dovrò mai prendere ordini direttamente da lui…”

“Non preoccuparti, finchè ci saremo io o la Dottoressa Akagi, riceverai disposizioni direttamente da noi!” La donna sorrise amichevolmente, quasi volesse distrarlo da eventuali pensieri che potessero incupirlo di nuovo.

 

Per oggi, tra l’inconveniente in infermeria ed il colloquio con il Comandante Ikari, direi proprio che ha sopportato abbastanza.

 

Comunque, come vi dicevo, non dateci troppo peso…” proseguì mentre il gruppo prendeva alfine posto in ascensore e misato pigiò un tasto che li avrebbe portati ad uno dei livelli inferiori ”…non va a genio praticamente a nessuno. Tantomeno a suo figlio.”

“Si riferisce a Shinji, Capitano Katsuragi?” Satoshi le rivolse uno sguardo interrogativo.

“Esatto proprio a lui.” L’espressione della donna si fece pensierosa. Anche il rapporto tra Shinji e suo padre era un tasto dolente.

Nella cabina che sembrava ormai scendere all’infinito si venne a creare un vuoto di parole per alcuni minuti che fu l’Agente a rompere.

“Ah, Capitano Katsuragi. Il Comandante Ikari mi ha detto di essere direttamente alle sue dipendenze.

“Oh, sicché la notizia è confermata! Bene, mi fa molto piacere, Agente Iwanaka! Mi auguro che lavoreremo bene insieme!” Esclamò sorridendogli solare prima di proseguire “ Le ha già detto quali saranno le sua mansioni?”

“Si, Capitano. Dovrò esserle di supporto per la sorveglianza dei Children. Mi è stato affidato un alloggio…” si fermò un attimo realizzando solo adesso che effettivamente sarebbe andato a vivere praticamente sotto gli occhi del suo diretto Superiore. Il che non sapeva se fosse un bene o un male. Simpatica, d’accordo. Ma pur sempre il suo Superiore.  “…accanto al suo.”

 

COSA?! E quando avevano intenzione di dirmelo??

 

L’Ufficiale sbattè le palpebre più volte come se ancora non riuscisse a capacitarsi dell’idea.

 

Ritsuko...scommetto tutta la mia scorta di Yebisu che questo scherzetto della notizia all’ultimo minuto me lo hai giocato tu.

 

“Splendido, davvero!” Riuscì a rispondere riprendendosi dallo stupore di quella comunicazione improvvisa.

 

Ma si, in fondo non sarà male avere dei vicini! Così sarà più facile anche per i ragazzi stare insieme.

 

“Davvero, Agente Iwanaka, quel palazzo è completamente disabitato, sarà bello avere dei vicini. E poi in questo modo i ragazzi potranno anche studiare insieme. Sorrise verso Gabriel il quale parve illuminarsi all’improvviso.

Davanti a quell’espressione anche Satoshi si tranquillizzò. Pericolo scongiurato.

 

Ottimo. Quanto accaduto in infermeria non deve aver lasciato segni indelebili.

 

Più rilassato di prima si appoggiò contro la parete.

Anche noi siamo felici, vero Gabriel?”

“Si, certo!” Esclamò nuovamente entusiasta.

Mai come nel suo caso il detto ‘la Speranza è l’ultima a morire’ fu più vero, pensò Misato.

“Però, Capitano Katsuragi…” riprese l’Agente rizzandosi di colpo come se avesse ricordato qualcosa di estremamente importante mentre tirava fuori dalla tasca due tessere rosse con le foto identificative sue e di Gabriel. “…ci hanno consegnate solo queste due tessere d’ingresso alla Base Nerv…valgono anche per la porta di casa? Alla Sede Francese mi è stato riferito che per il nostro arrivo tutto sarebbe già stato consegnato, ma nessuna parola su chi dovesse consegnarci le tessere per l’abitazione.”

“Quelle che vi hanno dato valgono solo per l’ingresso al Quartier Generale. Ma sono sicura che troveremo qualcuno di fronte alla porta di casa. Io non mi sono praticamente accorta di nulla in questi giorni quindi è probabile che abbiano terminato le consegne in mattinata. Comunque….” battè energicamente le mani “…visto che da oggi saremo vicini, che ne dite di accantonare questi noiosi formalismi e passare a darci del tu?”

“…”

“…”

Nulla da dire. Entrambi la guardarono sbigottiti.

 

…Ed io che immaginavo il famoso Capitano Katsuragi, Tattico e Responsabile delle Operazioni Nerv, come una donna austera e impassibile… Mi sbagliavo. Altrochè se mi sbagliavo. Ma questo dovevo capirlo dopo aver visto i chili di pneumatici lasciati sull’asfalto.

 

“Allora?” Incalzò impaziente la donna

I due si riscossero dallo stato di stupore in cui erano piombati.

“C…certamente…” sorrise Satoshi un po’ imbarazzato “con molto piacere, Capitano Katsuragi!”

“Solo Misato, d’accordo?”

“Ah, si, d’accordo…Misato”

 

Che imbarazzo…

 

“Così va meglio!” Ammiccò scherzosa la donna. “Tu sei d’accordo, Gabriel?”

“Ehm…credo dovrò prima farci l’abitudine…a parte il Signor Satoshi non sono abituato a dare del tu ai miei insegnati o ai miei superiori…” sorrise timidamente in segno di scuse.

“Tutto il tempo che ti serve.”

“Grazie.”

“Ah, Gabriel... questa è tua. Tienila tu. “ cominciò l’Agente, forse per scrollarsi di dosso l’imbarazzo, porgendo al ragazzo la sua tessera.

“Si, grazie.” Annuì l’altro ricevendo la card con la propria foto sopra per riporla in una delle tasche interne dello smoking.

In quel momento le porte dell’ascensore si aprirono con un sonoro -ding- terminando quella discesa che voleva apparire eterna.

 L’Ufficiale guardò l’orologio: mancava ancora quasi un’ora per la pausa pranzo. C’era ancora tempo per un giro turistico. Senza perdere tempo indicò il lato destro del corridoio.

“Visto che per mangiare ci vuole ancora un po’, vi accompagno a visitare la Base. Da quella parte c’è la Sala Comando, e intanto ne approfitto per spiegarvi un po’ com’è la situazione.”

 

Era già da qualche minuto che percorrevano quell’ intricato dedalo di corridoi illuminati indistinguibili l’uno dall’altro, se non fosse stato per i nomi dei settori,  quando finalmente raggiunsero uno svincolo. La donna era ora intenta a spiegare la locazione dei servizi igienici che era  a suo avviso un’informazione di primaria importanza. All’improvviso un forte urto minacciò di far cadere a terra Satoshi, che non ebbe nemmeno il tempo di schivare. L’urlo di una ragazza accompagnò un tonfo sordo e lui si drizzò subito per vedere cos’era successo.

Di fronte a lui c’era una giovane donna con l’uniforme degli Operatori Tecnici della Nerv, seduta per terra, dall’aria frastornata. Davanti a lei giacevano molte carte, sparse.

“Mi-mi scusi,” balbettò la ragazza, subito mettendosi in ginocchio a raccogliere quello che era stato il proprio fardello, degnando Satoshi solo di un rapido sguardo con aria colpevole. Subito l’agente si chinò per aiutarla.

“Si è fatta male?” chiese, premuroso come gli imponeva il suo carattere.

“No… e lei?” fu la timida risposta.

“Nemmeno. Lasci che le dia una mano.”

Misato, rimasta qualche passo indietro, soffocava le risa: “Agente Satoshi Iwanaka, le presento il Tenente Maya Ibuki, Operatrice del Magi System e Analizzatrice dei Dati.”

Gli occhi dei due si incontrarono e subito l’uomo sorrise amichevole: “Piacere di conoscerla, Tenente Ibuki.”

L’Operatrice invece rimase un po’ interdetta prima di rispondere: “Il piacere è mio, Agente Iwanaka. Lo guardò ancora per qualche istante mentre entrambi si alzavano e lei rimetteva in  ordine alla meno peggio i documenti raccolti. Nel far ciò inevitabilmente il suo sguardo cadde sul ragazzo dietro di loro che a sua volta si stava trattenendo dal ridacchiare davanti alla comicità della scena.

Maya portò repentina lo sguardo sul Capitano Katsuragi. “Per caso lui è…”

“Esatto!” Annuì Misato poggiando con fare ilare una mano sulla spalla di Gabriel. “Lui è Gabriel Vancy, il Fourth Children.

“Piacere di conoscerla, Tenente Ibuki.”

“Piacere mio, Gabriel. Sei veramente molto elegante, sai?” La giovane si chinò appena verso di lui con un sorriso amichevole.

“Grazie, Tenente.”

“Bene..” riprese Misato “…ora che le presentazioni sono state fatte, dove andavi con tutti quei documenti, Maya?”

“Ah, cercavo la Senpai Akagi. Devo assolutamente mostrarle i risultati dei rilevamenti effettuati dai Magi.

“Capisco. Dovrebbe essere ancora in infermeria.”

“Grazie infinite, Capitano Katsuragi. Ora, vogliate scusarmi, devo proprio andare. Frettolosa lanciò un ultimo sguardo ai due nuovi acquisti della Nerv rivolgendo loro un piccolo cenno di saluto col capo per poi avviarsi verso l’ascensore con passi affrettati in un’andatura resa alquanto goffa dal carico che trasportava.

“Spero proprio non si trasformi in una Ritsuko Seconda…” ridacchiò Misato “…in ogni caso, venite, siamo quasi arrivati.

Quando furono giunti a destinazione, sia l’Agente della sicurezza che il Fourth Children avevano ormai appreso molte cose sulla Nerv, dalla storia degli attacchi degli Angeli già avvenuti ai luoghi di svago dove il personale si intratteneva nei periodi di riposo. Però nessuno li aveva informati di quanto enorme fosse la sala comando. Rimasero a bocca aperta davanti all’immenso sistema di proiezione olografica che combinava rilievi topografici e griglia strategica, sospeso su di un baratro di cui non si vedeva la fine. Da dove si trovava, la postazione strategica con le consolle di comando, poteva vedere, una quindicina di metri sotto di lui, un terrazzo con altre consolle e tre grossi blocchi dal bordo rosso recanti dei nomi biblici: i computer Magi, come gli aveva spiegato poco fa Misato.

Alle consolle di comando c’erano altri due Operatori, che subito si avvicinarono per presentarsi al nuovo venuto.

Il Tenente Shigeru Aoba era un ragazzo dai capelli lunghi e dall’aria amichevole, mentre il Tenente Makoto Hyuga portava gli occhiali e sembrava meno espansivo. Essi, insieme a Maya, erano gli unici tre Operatori abilitati a lavorare direttamente con i Magi. A parte Ritsuko, ovviamente.

L’impressione che Satoshi ne ebbe fu oltremodo positiva, sembrano essere davvero due ragazzi simpatici, magari sarebbero andati d’accordo.

Gabriel invece aveva preso ad osservare quasi con interesse i dati incomprensibili che scorrevano sullo schermo della postazione di Makoto, a tal punto che il Capitano temette, scherzando, addirittura l’avvento di un Ritsuko Terzo.

 

Due come Asuka sarebbero troppi, ma tre come Ritsuko sarebbero assolutamente  insostenibili per chiunque! A proposito di Ritsuko,  meno male che non c’è altrimenti avrebbe parlato dei Magi System per le prossime tre ore!

 

Si soffermarono in quel luogo ancora per un po’ , ma ben presto alle informazioni di servizio sui Magi si sostituirono degli argomenti di conversazione più leggeri come la situazione della Sede Francese della Nerv, quel particolare sport praticato dall’Agente Iwanaka, oppure sui brani musicali suonati da Gabriel, il quale intavolò un’interessante dibattito musicale con Shigeru, chitarrista, del quale gli altri tre, a causa della troppa terminologia specifica utilizzata, riuscirono a capire appena due parole su quattro.

Allorquando giunse alfine la pausa pranzo, e Misato si ricordò all’ultimo minuto di correre nel suo ufficio da cui tornò con un fascicolo sul funzionamento della Base che consegnò subito a Satoshi, e il trio si separò dagli Operatori, il ragazzo sembrava oltremodo  soddisfatto della piacevole discussione avuta.

I sue due accompagnatori non poterono che esserne contenti.

Il pranzo e il primo pomeriggio passarono incredibilmente senza intoppi. All’uscita da scuola dei ragazzi mancavano ancora circa tre ore nelle quali Misato propose di accompagnare a casa i suoi due vicini. La proposta venne accolta con gratitudine. Avevano effettivamente bisogno di rimettersi in sesto dalla lunga traversata.

Il viaggio di ritorno fu decisamente più tranquillo dell’andata così che lo stomaco pieno di Gabriel non dovette patire troppo delle sbandate del Capitano. Anche con sollievo della tappezzeria.

 

Finalmente dopo una buona mezz’ora, il Condominio si palesò ai loro occhi. Era in periferia, e tutt’attorno, in lontananza, era possibile scorgere le cime dei monti svettare da estese chiazze boschive e nell’aria si sentiva un continuo frinire di cicale.

Non appena furono scesi dall’auto e scaricato i bagagli, come previsto dal Capitano, un uomo sulla quarantina, in completo nero giacca e cravatta, il volto celato da degli spessi occhiali da sole, uscì dall’androne per avvicinarsi con passo marziale a Satoshi. Sul lato destro della giacca svettava in rosso sangue il Logo Nerv.

“Agente Satoshi Iwanaka?”

“Si, sono io.”

Lo sconosciuto tirò fuori dal taschino due tessere bianche per consegnarle all’uomo.

“I vostri effetti personali sono già stati trasportati all’interno. Per quanto riguarda il suo mezzo di locomozione, invece, è stato depositato sul retro. Buon lavoro.”

L’individuo fece un cenno del capo verso l’ingresso ed altri due uomini ne uscirono affiancandosi al primo. Rivolsero appena un cenno di saluto al gruppo per poi avviarsi in direzione di un’auto nera che partì rombando appena qualche secondo dopo.

Nessuno osò fiatare per tutta la durata di quella sorta di cerimoniale.

“Beh…” Misato prese la parola “ alcuni hanno dei modi di fare particolari…” scrollò appena  le spalle, aveva rinunciato da tempo a capire i modi di fare di quegli Agenti. Come se nulla fosse accaduto, riprese di colpo la sua grinta e si avviò a passo spedito verso il retro dell’abitazione “Allora, posso vedere questo gioiellino??

Satoshi rise. “ Certamente!”

“Signor Satoshi, aspetta.”

L’uomo si fermò subito.

Cosa c’è Gabriel, qualcosa non va?”

“No, è che vorrei accertarmi delle condizioni del mio pianoforte. Prendo anche la mia valigia, così posso cambiarmi. Posso avere la mia tessera?”

“Certo, tieni. Guarda, c’è scritto qui il piano e il numero”

Gabriel  annuì quindi, tessera e valigia alla mano, si incamminò verso l’ingresso.

 

Chiuse la porta in fretta. Quello che sarebbe dovuto diventare il salone, era immerso nel caos più totale, scatoloni enormi, mobilio ricoperto da spessi teli bianchi e polvere ovunque. Fulminei gli occhi del ragazzo percorsero la sala da parte a parte tranquillizzandosi solo quando riconobbero sotto un telo una figura familiare. Dimentico della valigia all’ingresso, si avvicinò all’oggetto con un sorriso quieto, a tratti dolce, prendendo a scoprirlo con cura. Il telo cadde ed un pianoforte nero e lucido comparì davanti a lui. Con gesti esperti ne controllò lo stato e l’accordatura e lieto del fatto che non avesse subito danni prese a liberare qualche accordo.

 

Allora questa sarà la mia nuova casa.

No, non mi dispiace, mi sento bene qui.

 

Quietato dai suoni rassicuranti di quello strumento, socchiuse gli occhi, lasciando che le note guidassero i suoi pensieri. ‘Sogno d’amore’ di Liszt.

 

A parte quell’individuo, Il Comandante Ikari, mi sembra che alla Nerv siano tutte brave persone. Il Tenente Aoba poi mi sta particolarmente simpatico. Anche il Capitano Katsuragi. Chissà come saranno questi famigerati Asuka e Shinji…dovrò chiedere qualcosa di loro dopo…si, dopo…

 

Successe ancora, come ogni volta. La sua mente venne letteralmente rapita su quell’aria. Gli occhi si chiusero totalmente mentre le mani compivano rapidissimi accordi sui tasti alti, quasi che corpo e mente si fossero scissi in due unità separate.

 

… Chissà cosa si prova ad avere dei colleghi della propria età…magari sarà diverso da ciò che ho sempre conosciuto…

Meno formale, meno distaccato. Meno…freddo. Come è stato possibile  per il Signor Satoshi e il Capitano Katsuragi. Sembra si divertano parecchio parlando di cose comuni, per esempio la moto. Ciò vuol dire che hanno almeno un interesse in comune. Si, sarebbe davvero bello poter instaurare un rapporto simile con Asuka, Shinji e…

 

Un attimo di smarrimento. Riaprì gli occhi fissando senza realmente vedere i movimenti delle sue mani.

 

Rei Ayanami…

La Dottoressa Akagi ha detto di non prendermela troppo.

In fondo sono abituato a simili rifiuti, però forse stavolta  era davvero qualcosa di diverso. Non era  il solito tenersi alla larga…non so spiegare…

Quel modo di fare era…inquietante…  

Non so precisamente cosa…forse quel vuoto nel suo sguardo, forse il contrasto tra il candore della pelle ed i suoi occhi…ripensandoci a freddo…no, non lo so… proprio non riesco a capire…ma cosa??

 

Una nota estranea al brano. Improvvisa. Al di sotto della coltre di ciocche corvine ricadutagli sulla fronte, Gabriel sgranò gli occhi, attonito, ora prestando realmente attenzione ai movimenti che aveva compiuto e che continuava a compiere. Dischiuse appena le labbra mentre il brano di Liszt veniva annullato da una composizione di Beethoven. Incredulo provò a dar suono alle labbra. Non vi riuscì.

 

‘Al Chiaro di Luna’ ?

 

 

 

Tre rintocchi di campana un breve attimo di silenzio e subito dopo altri tre riecheggiarono veementi.

Di nuovo silenzio e poi un boato improvviso. Un’orda di ragazzini urlanti si riversò come un fiume in piena all’esterno dell’edificio.

Tra vari ragazzi che correvano spintonandosi l’un l’altro, coppie di fidanzatini e cospicue comitive di ragazze, un gruppo composto da cinque persone di cui due ragazze che camminavano ostentatamente più avanti (o meglio, una di loro, capelli rossi e lunghi e portamento altero, costringeva l’altra a tenere il suo passo per poter parlare, non volendo mischiarsi alla compagnia di un certo ‘Trio degli Stupidi’) e tre ragazzi di cui uno, quello al centro, stava ricevendo demolenti pacche sulla spalla a raffica.

 

“Capito, Shinji?? La prossima volta che ti trovi sotto al canestro passa prima a me, io faccio una finta, te la rilancio e tu tiri! “

“ Si…” sospirò con aria affranta il ragazzo. Era dalla quarta ora che gli ripeteva la stessa cosa. “…però ora, Toji, che ne dici di non smontarmi la spalla?”

“ Oh, andiamo, abbiamo vinto lo stesso! Dobbiamo festeggiare! Anche se, ammettiamolo…” il ragazzo in tuta nera annuì soddisfatto a se stesso incrociando le braccia sul petto “…se non avessi fatto quel canestro all’ultimo minuto, la vittoria sarebbe andata alla II C. Ah, se non ci fossi io come fareste…”

“Eh già, come faremmo…” fece eco un ragazzo alto più o meno quanto Shinji, con un paio di occhiali tondi, mentre armeggiava col disco di una telecamera.

“Ehi, Kensuke, hai qualcosa da ridire, forse??

Bellicoso, Toji Suzuhara si sporse verso l’amico.

“Dico solo che...la…la… la…”

I due ragazzi che camminavano con lui si fermarono fissandolo preoccupati dato che aveva preso ad additare all’improvviso qualcosa in lontananza ad occhi sbarrati.

La cos…” Suzuhara non riuscì a terminare la frase che voltatosi nella direzione dell’amico finì con l’avere la sua stessa reazione.“…l …l…LA SIGNORINA MISAAAAATOOOOOOOOOO!!!!”

In una folle corsa segnata da una scia polverosa, mollarono  Shinji, che ormai si era rassegnato a scene deprimenti come quella,  e si fiondarono in direzione della Renault Alpine, che in quel momento posteggiava in modo cauto data la presenza di scolari, seguita da due individui a bordo di una moto.

 

Sono sempre i soliti…

 

“AIDA!! SUZUHARA!!!

La Capoclasse Hikari Horaki tentò di richiamare all’ordine i due che, schizzando a razzo, le avevano oltrepassate quasi travolgendole, ma alla voce di questa si aggiunse ben presto quella molto più irata della Second Children,  Asuka Soryu Langley.

“RAZZA DI IDIOTI DEL TRIO DEGLI STUPIDI, GUARDATE DOVE METTETE I PIEDI!!

A nulla ovviamente valsero i richiami delle due ragazze.

 

“SIGNORINA MISATO!” Esclamarono in coro con occhi luminosi i due non appena furono giunti in presenza dell’Ufficiale appena sceso dalla vettura, seguiti a breve distanza da una sprezzante Asuka, un’inviperita Hikari ed un afflittissimo Shinji.

“Buon pomeriggio, Aida. Buon pomeriggio, Suzuhara.” Sorrise ai due, quindi osservò il trio in avvicinamento. “Bene arrivati, ragazzi.”

“Buon pomeriggio a lei, Capitano Katsuragi. La capoclasse si inchinò leggermente.

“Buon pomeriggio, Signorina Misato. Come mai…”

“Allora, Misato…” tagliò corto la rossa  rubando la parola al suo collega e guardandosi distrattamente attorno “…come mai abbiamo l’onore della tua presenza alla nostra uscita da scuola?”

Innanzitutto perché vi sono venuta a prendere, secondo, perché devo presentarvi il vostro nuovo collega.”

Increduli Asuka e Shinji corsero innanzi agli altri spingendo via i loro compagni rimasti in adorazione.

“NUOVO COLLEGA??” Esclamarono in coro.

“Ehi, mi fa piacere che siate rimasti sincronizzati anche dopo aver sconfitto l’Angelo. Comunque si, eccolo qui.”

Misato si scostò per permettere a Gabriel e Satoshi di farsi avanti. Entrambi si erano cambiati, il primo ora indossava una semplice camicia bianca e dei calzoni neri di fattura classica su scarpe in pelle nera (spingendo l’Agente a ripromettersi mentalmente di trascinarlo a fare acquisti al più presto), il secondo una t-shirt a mezze maniche bianca e dei jeans scoloriti su scarpe da ginnastica.

Gabriel non stava più nella pelle. Prima di partire aveva chiesto una miriade di informazioni a riguardo dei due. Aveva così saputo che Asuka si era laureata in Ingegneria proprio l’anno scorso (ed il sapere che un’altra laureata, a quanto aveva capito, riusciva a condurre una vita normale lo aveva rassicurato enormemente) e che sia lei che Shinji suonavano rispettivamente il violino e il violoncello. Allo stesso modo, seppe che anche Rei suonava la viola, ma Misato, preferì non soffermarsi su di lei, timorosa forse che lo avrebbe di nuovo turbato.

Frattanto, i due Children, più Kensuke  i cui ‘mitico, troppo mitico’ si udivano in continuazione in sottofondo, avevano preso ad osservare il nuovo giunto, che come al solito manteneva quella sua aria amichevole, alternando lo sguardo tra lui e l’uomo biondo ( sul quale l’occhio critico di Asuka si soffermò più a lungo) accanto a lui ma un po’ più dietro.

“Ragazzi…” riprese la donna “Lui è il Fourth Children, Gabriel Vancy, e viene dalla Francia.”

Ancora una volta il ragazzo si fece avanti porgendo la mano a Shinji per primo.

“Tu sei, Shinji Ikari, vero?” sorrise “io sono Gabriel, felice di conoscerti.

Sorpreso da tanta spontaneità il Third Children arrossì  appena, un po’ imbarazzato, quindi sorrise cordiale a sua volta stringendo la mano dell’altro.

“Piacere mio, Gabriel, spero ti troverai bene qui.”

 

Ma sentitelo, fa anche gli onori di casa! BakaShinji!

 

Si, lo spero anch’io. Mi auguro diventeremo amici.”

“C…certo, certamente!”

 Shinji era a dir poco esterrefatto.

“Tu invece…” riprese Gabriel sorridendo ora verso Asuka che lo stava squadrando con aria critica “…sei la Second Children, Asuka Soryu Langley , dico bene? “

“Si, esatto.” Rispose la rossa con aria di sufficienza poggiando un pugno sul fianco.

Alla conferma il ragazzo sorrise maggiormente. “ Allora, piacere di conoscerti, Asuka. E congratulazioni per la tua Laurea.”

Un coro polifonico si innalzò dalle spalle della Second Children.

“LAUREA??”

“Si…” spiegò l’Ufficiale ai tre amici dei due “  Asuka si è laureata in ingegneria l’anno scorso.”

Dal Canto suo, Asuka era rimasta a sua volta senza parole salvo riprendersi subito per stringere con orgoglio la mano del ragazzo..

“Beh, si, grazie Gabriel. Mi fa piacere che QUALCUNO…” e lanciò un’occhiataccia al suo coinquilino “…qui apprezzi le mie doti. Quindi si rivolse ai suoi compagni di classe “ …si, sono laureata, ma lo considero talmente scontato da non vantarmene.”

Misato scosse la testa con disapprovazione mista a rassegnazione.

 

Non le puoi dare un dito che si prende tutto il braccio…adesso ci penso io.

 

“Sai, Asuka…” cominciò Misato sorridendo a metà tra il divertito e la sfida “…anche il nostro Gabriel, qui, è un Laureato. Proprio come te. In Pianoforte al Conservatorio di Parigi di cui è stato anche insegnate E da domani verrà in classe con voi.

Una sola parola: silenzio.

Questa volta fu Shinji a reagire per primo.

“Allora siamo noi a doverci congratulare con te! Congratulazioni e benvenuto.” Sorrise volendo sollevarlo dall’imbarazzo in cui era visibilmente caduto.

“Ah…grazie. Grazie, Shinji, grazie molte.”

“Anch’io, anch’io!” Kensuke si fece strada a forza tra i due Piloti afferrando in un unico movimento la mano di Gabriel per scuoterla con forza lanciandosi in un’esaltata quanto esagerata e inappropriata  lirica “ Piacere, io sono Kensuke Aida e sono onorato di fare la conoscenza di un nuovo Pilota di Eva e di un Professionista del tuo calibro e spero che un giorno ci ritroveremo ad essere colleghi alla Ne…EEEERVH!!!!!”

Non potè terminare la frase che Toji lo aveva afferrato per il colletto tirandolo indietro.

“Ehi, Kensuke, non rovinargli le mani, gli servono! “ scherzò guardando in quel suo modo da duro  il Fourth Children “ benvenuto anche da parte mia, novellino! Io sono Toji Suzuhara, piacere.”

“ Ed io…” proseguì Hikari affiancandosi ad Asuka e accennando un lieve inchino “ sono Hikari Horaki, Capoclasse della II A.

“Bene!” Esclamò allora Asuka, contrariamente alle aspettative favorevolmente stupita dalla rivelazione, riprendendosi dalla sorpresa e sorridendo nel suo solito modo sprezzante“ Finalmente qualcuno con un po’ di sale in zucca allora. Beh, si, benvenuto.”

“Grazie…davvero, grazie a tutti.”

Gabriel squadrò i volti sorridenti e si sentì quasi commosso. Non riusciva ancora a crederci.

Misato e Satoshi, che per tutto il tempo aveva tenuto il fiato sospeso, si lanciarono uno sguardo d’intesa: era andata. Sorrisero e la tensione sparì di colpo.

“Ragazzi…” riprese la donna “..le presentazioni non sono finite. Shinji, Asuka…”

I due si voltarono verso di lei e subito dopo sull’uomo accanto ad ella che sorrideva cordiale.

“…lui è il nuovo Agente della Sicurezza Satoshi Iwanaka, e da oggi, con Gabriel, dato che ne è il suo tutore Legale, nostro vicino di casa.”

“Piacere di conoscervi , ragazzi.” Sorrise verso il gruppo alzando la mano in cenno di saluto..

“Piacere nostro, Signor Iwanaka! Siamo davvero, molto, molto contenti di questo, vero Shinji??” La Second Children si fiondò a stringere energicamente la mano dell’Agente con un sorriso radioso che andava da un orecchio all’altro.

“Si, Asuka…” sorrise per poi guardare in volto la sua Tutrice la quale a sua volta fece lo stesso. Entrambi avevano la stessa identica espressione comicamente rassegnata. In quel momento entrambi seppero che Asuka avrebbe inserito nella sua lista anche Satoshi oltre Kaji.

 

Povero Satoshi…

Povero Signor Iwanaka…

Non sarà il signor Kaji, nessuno è come lui, però è davvero carino!

 

Il gruppetto restò ancora lì a chiacchierare per una buona mezz’ora durante la quale Hikari, Toji, Kensuke e Shinji tempestarono Gabriel di domande sul Conservatorio, la Francia, le selezioni dell’Istituto Marduk ( cosa che interessava solo ad Aida) . Solo Asuka, tenuta sotto controllo da Misato, scodinzolava attorno all’uomo insistendo per farsi spiegare per filo e per segno in cosa consisteva il Sankendo, se era bravo, quante gare aveva vinto, chiedendo informazioni su quella “bellissima moto”, e pregando alternativamente lui e la donna di tornare a casa sulla Harley. Gabriel, dal canto suo, nonostante la felicità immensa si senti molto imbarazzato. Era la prima volta che si ritrovava ad essere al centro dell’attenzione dei suoi coetanei e voleva fare del suo meglio per soddisfare tutte le loro domande.

Alla fine, dopo i saluti di rito, avendo gli altri rifiutato un passaggio, Asuka mise il casco per passeggeri e prese il posto di Gabriel sulla moto montando all’amazzone dietro l’Agente approfittandone per mantenersi mettendo le mani alla vita di quest’ultimo, mentre i due ragazzi sarebbero andati in auto con il Capitano.

 

 

 

Quella sera, Misato invitò i nuovi arrivati a cenare tutti insieme. Satoshi dapprima cercò di rifiutare cortesemente per non essere di peso, ma l’entusiasmo di Gabriel alla proposta e l’approvazione di Asuka e Shinji che avevano trovato il loro collega simpatico ( e ancor più Asuka, incorreggibilmente, aveva trovato di bell’aspetto il Tutore del suo collega) alla fine ebbero la meglio.

Data la condizione precaria dell’alloggio di Satoshi e Gabriel, tutti e sei si spostarono nell’appartamento di Misato. Non che la situazione che trovarono fosse molto migliore…

“Scusate il disordine, ragazzi!” si scusò la donna, mentre Satoshi e Gabriel cercavano di non cadere tra le lattine di birra ed i sacchetti della spesa abbandonati sul pavimento.

“Nessun problema!” rispose garbato l’Agente. Il ragazzino invece era occupato a dividersi tra le attenzioni di Shinji, Asuka e di uno strano animale che era avanzato gracchiando nella loro direzione. Nel vederlo, Gabriel sobbalzò.

“M-mi scusi, Capitano Katsuragi,” balbettò. “E… questo?”

“Ah, lui è PenPen, un pinguino delle sorgenti termali. Il nostro coinquilino. Sono sicura che farete amicizia!”

PenPen squadrò il Fourth Children con un’aria che avrebbe potuto apparire critica su un volto umano, poi emise uno sgraziato -sgueak- e se ne andò, sparendo in cucina.

“Significa che gli piaci,” spiegò Shinji. “Ti considera già uno di casa.”

“Ne sono felice!” rispose Gabriel, che sorrise solare.

Dopo pochi minuti Misato li chiamò in cucina, dove una rapida cena precotta era già pronta.

Si sedettero tutti e sei attorno al tavolo, augurandosi buon appetito a vicenda davanti alle proprie ciotole di ramen fumante appena estratte dal forno a microonde. Quando iniziò a mangiare, Satoshi comprese il perché dello sguardo desolato e vagamente disperato di Asuka e Shinji. Gabriel, d’altronde, non sembrava dare troppo peso al sapore del suo ramen, preso com’era dalla possibilità di fraternizzare con i suoi due colleghi. Satoshi lo guardò e sorrise: sembrava un’altra persona rispetto al serio ragazzo che solo quella mattina aveva accusato il colpo dell’indifferenza di Rei.

Così cenarono, nessuno tranne Misato volle il bis e si trovarono ben presto attorno al tavolo sparecchiato ad ascoltare Gabriel parlare di com’era la vita a Parigi, in un conservatorio. Lui parlava con trasporto, felice anche solo di poter stare in compagnia di due suoi coetanei senza essere guardato come un animale allo zoo. Infatti Asuka spesso lo interrompeva esibendosi in coloriti racconti di com’era la sua vita in Germania, dove si era laureata l’anno precedente.

Soffocando uno sbadiglio simulato al sentire per l’ennesima volta Asuka vantarsi, Misato si alzò in piedi: “Ragazzi, per finire bene la giornata, che ne dite di ascoltare Gabriel suonare qualcosa? Il tuo pianoforte è già pronto di là, no? Sempre se te la senti.”

A Gabriel si illuminò lo sguardo: suonare era la cosa che più amava al mondo. “Certo che me la sento, Capitano Katsuragi!”

Satoshi annuì, dando silenziosamente il suo permesso, e si alzò a sua volta, guidando gli altri verso casa sua. Per fortuna avevano già ritirato gran parte degli scatoloni in modo che potesse essere almeno un po’ vivibile, cos’ poterono muoversi tutti senza difficoltà.

Subito Asuka espresse il suo apprezzamento per il vasto ambiente sgombro di lattine di birra, provocazione che Misato fece finta di non cogliere. Satoshi indicò loro un divano, ancora velato da un telo bianco e subito Shinji e Gabriel lo scoprirono: anch’esso era bianco, ed abbastanza grande da ospitarli tutti tranne Gabriel, che subito lasciò il telo e si diresse al pianoforte a coda, con un sorriso segreto sulle labbra. Sorrideva perché quella era la sua gioia. La sua ragione di vita. Ed ora poteva addirittura condividerla con qualcuno!

Attese che gli altri avessero preso posto, poi si sedette sullo scranno.

“Avete delle preferenze, signori?” chiese con consumata ricercatezza al suo pubblico.

“Suonaci quello che preferisci, Gabriel!” rispose Misato per tutti. Con un lieve inchino del capo, il ragazzo tornò a volgersi al pianoforte.

Rimase per qualche istante in silenzio, quindi chiuse gli occhi ed inspirò profondamente.

Improvvise un rombo di note fece sobbalzare i presenti. Non ci volle molto a capire che la Quinta’ di Beethoven andava prendendo vita sotto il tocco veloce ed incalzante del musicista.

Nessuno osò fiatare. Persino Asuka smise di prestare attenzione all’Agente per rivolgerla al loro nuovo collega. Escluso l’uomo che già era consapevole dell’estro del ragazzo, gli altri non riuscivano a staccare lo sguardo dalla mani di quest’ultimo , impressionati dalla precisione e la cadenza perfetta con cui martellavano i tasti. Sembrava quasi non toccarli.

 

E’…impressionante…

Incredibile…è bravissimo…

Ad occhi chiusi?? Ma come diavolo fa??

 

 

 

 

In quel momento, sotto le luci di un lampione, nella notte, di fronte all’abitazione, una ragazza camminava con espressione vacua recando una piccola, ma spessa, cartella dalla copertina verde sigillata da una fascia bianca recante in calce la scritta ‘For Your Eyes Only’.

Giunta dinanzi all’ingresso del condominio, osservò il foglio che aveva in mano, poi il numero civico accanto alle porte, quindi entrò senza esitazioni.

 

 

 

***

 

“Perfetto, Rei. Abbiamo terminato.”

Come al solito, senza dire una parola, la First Children si ricoprì il braccio mentre la Dottoressa Akagi archiviava il secondo ed ultimo campione di sangue di quella giornata.

“Allora…” cominciò la donna dopo essersi sbarazzata di quanto utilizzato per il prelievo “ …per reintegrare il ferro perso con i prelievi di oggi, ti darò delle compresse.”

Rapida si avvicinò ad un armadietto sotto lo sguardo impassibile della ragazza e ne tirò fuori un flaconcino. “Basterà che ne prendi una questa sera a cena quando andrai in sala mensa ed una domattina dopo colazione. Tutto chiaro?” Domandò mentre andava a sedersi alla scrivania per imbustare il flacone e scrivervi sopra l’appartenenza.

“Si.”

La scienziata aveva appena terminato di scrivere il nominativo sulla busta e stava per porgere il sacchetto a Rei quando lo sguardo le cadde su un fascicolo che giaceva abbandonato su un ripiano lì accanto.

 

Oh no…Tra l’episodio di stamattina e i documenti di Maya  ho dimenticato di consegnarglielo… e a quest’ora se ne saranno già andati…

 

Sospirò, quindi allungò una mano prendendolo per poi porgerlo insieme alle compresse alla ragazza il cui sguardo pareva oltrepassare tutto ciò verso cui era rivolto.

“Rei, fammi una cortesia…”

La ragazza rimase in ascolto. In silenzio.

“…quando ne avrai la possibilità, dai questo a Gabriel. A dire il vero, farei prima a consegnarlo ad Asuka oppure Shinji dato che abitano accanto a lui, ma deve averlo al più presto. Quindi, per favore, prendile tu e, quando gliele darai, raccomandagli di non aprirle in luogo pubblico.

 

Tanto gliele darà domani a scuola, quindi non dovrebbero esserci problemi…

 

“Va bene.”

Senza aggiungere altro, la First children prese quanto le veniva porto e si avviò verso l’uscita.

“Arrivederci.”

“A presto, Rei.”  Salutò Ritsuko mentre la porta veniva chiusa.

Stancamente tolse gli occhiali e li depose sulla scrivania. Era davvero molto stanca, quella giornata tra i vari controlli e gli impegni era davvero intensa. Solo un pensiero riuscì, a malapena, a farla sorridere.

 

Chissà come l’ha presa Misato quando ha saputo di avere un nuovo vicino…

 

***

 

 

 

Primo piano…

Secondo piano…

Rei guardò il riflesso nello specchio dell’ascensore. Capelli azzurro chiaro, occhi rossi. La stessa uniforme scolastica di sempre. Non che indossasse sempre la stessa, ma non le serviva avere vestiti diversi.

 

Sempre io.

Sempre uguale a me stessa.

E’ questa la mia forza… o la mia debolezza?

 

Quinto piano…

Sesto piano…

 

Sotto il braccio reggeva il plico.

 

‘Solo per i suoi occhi’.

La dottoressa Akagi si è raccomandata che il Fourth Children avesse questo plico il più presto possibile.

Fortunatamente non mi ero lasciata dei compiti da fare, così ho potuto portarglieli questa sera stessa.

Avrei potuto chiedere di essere accompagnata in automobile, così avrei risparmiato un’ora di cammino.

Oppure avrei potuto rimandare.

No, nessuna delle due cose era strettamente necessaria.

 

Nono piano…

Decimo piano…

Rei guardò di nuovo distrattamente il foglietto che aveva in mano, recante un indirizzo scarabocchiato a penna.

 

Ci sono quasi.

Spero di non disturbare, l’ora è piuttosto tarda.

Se faccio in fretta posso rientrare per le due di notte, in modo da riposare in modo sufficiente.

 

-ding-

Le porte dell’ascensore si aprirono su una balconata poco illuminata e Rei uscì. Guardò ancora l’indirizzo che aveva con sé e contò le porte alla sua destra.

 

Eccomi.

Ma…

 

La mano che reggeva il foglietto rimase paralizzata a mezz’aria. La figura intera di Rei rimase immobile, come pietrificata. Quella musica…

 

Questa musica…

Perché non riesco più a muovermi?

Sento un brivido salirmi dalle viscere, una vibrazione che richiama i suoni attutiti che mi giungono alle orecchie.

Cosa sento io?

Cosa sento io?

 

Come se d’un tratto si fosse risvegliata, la mano premette il campanello, ma la musica non si interruppe né ebbe un fremito.

 

Forse è un supporto.

Uno di quelli che la Dottoressa Akagi chiama ‘microcassette’.

 

Le aprì un uomo biondo, che diede segno di riconoscerla con un moto di sorpresa. Dall’interno la musica si fece più forte. Quell’uomo aveva qualcosa di familiare.

“Il signor Iwanaka?” chiese. L’altro annui in silenzio, gettò uno sguardo alla cartella sotto il suo braccio e le fece cenno di entrare.

Una volta dentro si trovò in una sala piuttosto ampia, con alcune persone. Riconobbe subito Ikari e il Capitano Katsuragi, che la salutarono con un gesto ed un’espressione stupita, e Soryu, che la degnò solo di una vaga occhiata. Ma a loro non badava. Tutta la sua attenzione era concentrata sulla persona che stava suonando in modo così rapito, totale,  poiché quella musica non veniva da una microcassetta.

 

Il Fourth Children…

Sa suonare…?

Non lo sapevo.

E questa musica?

La musica è il prodotto acustico dell’interazione tra un musicista ed il suo strumento.

Ma questo è molto di più.

Un musicista che usa il suo strumento produce musica.

Ma lui, questo ragazzo, non usa il suo strumento.

Lo compenetra.

Lo vivifica.

Questa non è musica.

E’ uno spirito vitale che emana dall’unione tra quel musicista e quello strumento, ed arriva a toccare in me corde sconosciute, che vibrano di note mai udite.

Anch’io suono musica classica, ma non ho mai creato una tale composizione.

Non ho mai ascoltato nulla del genere.

 

La musica cessò. L’incanto si era spezzato. Gabriel emise un lungo sospiro, poi si volse sorridendo verso gli astanti che già avevano preso ad applaudire, ma la sua espressione mutò in assoluto stupore quando incontrò gli occhi rossi di Rei, rimasta immobile tra l’entrata ed il divano. Poco dietro, Satoshi, notando la sua staticità, le battè gentilmente un colpetto sulla spalla e lei parve riscuotersi. Gabriel si alzò in piedi, ancora troppo stupito per spiccicare parola. Non si era accorto del suo arrivo, preso com’era dalla musica, ma si rese subito conto che doveva dire qualcosa. Doveva, prima che lei se ne andasse quella mattina.

“Rei!” esclamò, imbarazzato. “Non ti ho… ehm… sentita entrare… Ma come mai sei qui a quest’ora?”

“Dovevo portarti questo il prima possibile. La voce della ragazza era fredda come al solito, ma a Gabriel parve di sentire un lieve fremito. Forse era solo la sua aspettativa ad ingannarlo? Rei non diede segno di essersene accorta a sua volta. Tese la mano che reggeva il plico.

“Si tratta di una breve introduzione sul funzionamento degli Evangelion,” spiegò brevemente.

“Ah sì!” sbottò Misato, battendosi una mano sulla fronte. “A Satoshi ne ho consegnato uno identico stamattina, ma avevo dimenticato che Ritsuko doveva darne uno anche a te!”

Gabriel prese in mano il piccolo plico e lesse la scritta sull’anonima copertina:For Your Eyes Only’.

“Beh… Grazie Rei, ma la dottoressa Akagi non ti ha detto che potevi consegnarmelo a scuola domani?”

“No, perciò ho preferito portartelo stasera stessa.

“Ma… E chi ti ha accompagnata?” chiese Misato preoccupata.

“Nessuno,” rispose Rei asettica. Non sembrava aver dato molta importanza all’attenzione della donna.

Vu-vuoi dire che ti sei fatta tutta la strada a piedi fin qui?!” Misato scattò in piedi, più allarmata che stupita. “Ci avrai messo più di un’ora!”

“Un’ora e mezza, sì,” fu la risposta di Rei. Per tutto il tempo i suoi occhi avevano vagato, senza soffermarsi in quelli di Misato, ma anzi continuando a posarsi sul plico nelle mani di Gabriel e sul pianoforte alle sue spalle. “Ora dovrei andare, altrimenti rischio di tornare a casa troppo tardi per riposarmi adeguatamente.”

Gabriel non sapeva che dire: Rei aveva vagato per Neo-Tokio 3 di notte per un’ora e mezza solo per portargli un plico ‘il prima possibile’. Ed ora stava per tornare indietro. L’aveva fatto come favore personale a lui? Come segno di simpatia? Oppure davvero perché così le era stato ordinato? Con una fitta di delusione comprese dall’espressione atona sul volto di lei che era più probabile l’ultima ipotesi.

“Eh no!” sbottò di nuovo Misato, ora infervorata. Era scattata in piedi e camminava decisa verso Rei, che solo ora si era voltata verso di lei. “Non puoi tornare a casa da sola a quest’ora di notte!”

Ma…” fece per obiettare Rei, ma fu subito zittita.

“No, stanotte dormirai qui!”

A quella proposta si alzò un coro di voci stupite dai due children ancora sul divano.

Cosa?! E dove la ospiti, Misato?” sbottò Asuka.

Ma… non può dormire qui…” le fece quasi eco Shinji.

“Satoshi, hai un posto letto libero qui?”

“Beh, sì, ma non credo che Rei si sentirebbe a suo agio a dormire insieme a due maschi…”

“Perfetto! Shinji, vai a prendere le tue cose, stanotte dormirai qui, e tu, Rei, verrai a dormire con me e Asuka.

Tutto fu estremamente veloce. Shinji ebbe appena il tempo di boccheggiare una flebile obiezione prima che Misato lo sollevasse a sedere e lo conducesse alla porta, e Rei non sembrava aver afferrato ciò che era successo. D’altronde, Gabriel era ancora immobile con il plico fra le mani, lo sguardo fisso su Rei che ora era voltata altrove, come a sperare in un gesto amico, o anche solo in uno sguardo di degnazione. Asuka invece si era alzata ed aveva circondato la sua provvisoria coinquilina con un braccio, dicendo che l’avrebbe fatta divertire e ricevendo solo sguardi interrogativi in risposta. E Satoshi, che non aveva nemmeno avuto il tempo di replicare a Misato, scosse il capo sorridendo e si recò nella stanza degli ospiti per renderla abitabile. In un attimo Shinji fu di ritorno, un po’ depresso, e Misato circondò le spalle delle due ragazze con le braccia ed augurò buona notte agli altri. Satoshi rispose dalla camera da letto, Shinji ricambiò con tono svogliato e Gabriel, ancora immobile, si limitò ad un saluto. Per un attimo sembrava che il gelo di Rei avesse attecchito anche su di lui.

La porta dell’appartamento di Misato si chiuse dietro le tre ragazze. Pochi secondi dopo, nel silenzio venutosi a creare, si levarono, senza preavviso, per la seconda volta in quel luogo, le note di ‘Al Chiaro di Luna’.

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Nuovo Inizio ***


CAPITOLO 4

CAPITOLO 4

 

Nuovo Inizio

 

 

 

 

I rintocchi di campana segnarono l’inizio di una nuova giornata scolastica.

Quella mattina, i Children erano stati accompagnati in blocco da Misato e Satoshi. Naturalmente Asuka aveva riservato per se il posto sulla moto di quest’ultimo.

 

 

***

L’arrivo di Rei, la scorsa notte, aveva portato non poco scompiglio.

Quando il trio femminile se ne fu andato, Gabriel era nuovamente turbato. Avvertiva in se una sensazione che il vocabolario umano non avrebbe mai potuto spiegare con i termini in suo possesso. Gelo? Inquietudine? Turbamento? No, era qualcosa di profondamente diverso seppure legato a quelle sfere. Un qualcosa che lo spinse a sedere di nuovo al suo pianoforte levando di nuovo, quasi senza accorgersene,Al Chiaro di Luna’. Il suo Tutore si era già ritirato in camera sua. Lo sentì suonare, ma preferì non interromperlo. Dal Canto suo, invece, Shinji, restò ad ascoltarlo sino al termine della composizione e la breve chiacchierata che ne seguì dopo alleggerì notevolmente la tensione ed anche il Third Children dimenticò il malumore per essere stato letteralmente sfrattato dalla sua stanza per la seconda volta da quando abitava lì (la prima volta fu ovviamente ad opera di Asuka). Il giovane Ikari lo aveva trovato davvero simpatico ed era interessante poter parlare con qualcuno del violoncello, o delle attività dell’ormai famoso ‘Trio degli Stupidi’.

Quando si furono svegliati, avevano fatto colazione tutti insieme a casa del Capitano dove PenPen fu il reale salvatore del Fourth Children che quella mattina era rigido come un tronco. Infatti, perso com’era nelle sue preoccupazioni di come presentarsi alla classe (soprattutto perché, non volendo fare il suo ingresso nella nuova scuola vestito ‘casual’,  aveva optato per l’uniforme tradizionale del Conservatorio, dato che non aveva ancora quella regolare) e di come relazionarsi verso la sua collega Rei Ayanami, dato che quest’ultima sembrava totalmente ignorare tutti i suoi sforzi di mostrarsi cordiale, se non fosse arrivato quel buffo animaletto starnazzante ad appendersi alla sua gamba richiedendo attenzioni, probabilmente avrebbero dovuto portarlo in classe con un carrello portabagagli. Dopo il rapido pasto, animato come meglio fu possibile dai due adulti, Rei chiese di essere accompagnata a casa dato che non aveva con se il materiale scolastico, lasciato nel suo appartamento. Non fece parola delle compresse prescrittele da Ritsuko. 

Un palazzo in decadenza, silenzioso. Strade incrinate e ingombre di macerie sui lati

La vista del tugurio, proprio vicino ad un cantiere di demolizione da cui provenivano incessantemente dei rumori insopportabili, raggelò tutti. Anche Shinji che ormai c’era abituato. Soprattutto dopo l’imbarazzante incidente avvenuto con la consegna della nuova tessera.

Gabriel ne rimase sconvolto.

 

E così la First Children vivrebbe in un posto orribile  come questo??

 

Misato, dallo specchietto retrovisore, dovette notare l’espressione  spiazzata del ragazzo seduto accanto al suo collega, dato che Asuka si era piazzata (come c’era da aspettarsi) in moto con Satoshi che seguiva l’auto a breve distanza, ed i due avevano ceduto a Rei il sedile anteriore, quindi si affrettò a fornire una sommaria spiegazione.

 

“Devi sapere, Gabriel, che l’appartamento di Rei le è stato fornito direttamente dalla Nerv. Non so in base a quali criteri.”

Ma…e con chi ci vive?”

“Beh…”

“Lei vive da sola…” concluse Shinji per la sua Tutrice guardando a sua volta inquieto lo stabile in attesa del ritorno di Ayanami.

“SOLA??”

 

Sola in un posto come questo??

 

E…i suoi genitori?”

“Lei non ha genitori. Il suo Tutoraggio è appannaggio diretto della Nerv. Rispose il Capitano facendosi oltremodo pensieroso. Inspirò profondamente appoggiando ambo le braccia sul volante.

 

In effetti, nonostante sia da tempo che lavoro alla Nerv, non so praticamente quasi nulla su Rei, né tantomeno chi sia il suo Tutore Legale specifico. Il Comandante Ikari, forse? Assurdo! Con quale barbaro coraggio potrebbe occuparsi di lei trascurando il suo unico figlio? No, mi rifiuto moralmente di credere che sia davvero capace di farlo nonostante sia un individuo così…spiacevole. Shinji accuserebbe un colpo tremendo se davvero fosse così. No, impossibile.

Dovrò ricordarmi di chiedere a Ritsuko informazioni in merito…questa storia non mi torna

 

Gabriel era rimasto semplicemente esterrefatto.

Dal canto suo, Shinji proprio non sapeva come fare per farlo riprendere. Ne osservò le labbra dischiuse che si muovevano senza emettere fiato, indecise su cosa chiedere, e gli occhi fissi in direzione del palazzo decadente. A sua volta si chiuse in un pensieroso silenzio chinando gli occhi blu, tanto simili a quelli del Comandante Ikari, sulle ginocchia.

 

Anch’io l’ho presa così la prima volta che ci sono venuto…

Chissà cosa direbbe Gabriel se vedesse l’interno di quello stanzino…è semplicemente agghiacciante. A tratti mi dava quasi l’impressione di una prigione… solo un letto, una sola finestra coperta da una tenda sgualcita, un mobile, un piccolo frigorifero, un lavello, un fornello elettrico, medicine ovunque, una piccola sala bagno… Né una televisione, né una radio… Ho provato a venirle incontro, ma tranne quella volta…

 

Nella mente del Third Children affiorò il ricordo del primo e ultimo sorriso che Rei avesse mai rivolto a qualcuno.

 

…non è più successo. Così come ho provato a venire incontro, o meglio, a cercare di andare d’accordo con Asuka…ma sembra che per lei io non esista neppure. Ho cercato di capire perché si comporti così…non ci sono mai riuscito…e chissà se ci riuscirò mai…in fondo, sono solo un Baka…

 

Sospirò silenziosamente, con tristezza, o forse solo rassegnazione. Asuka era qualcosa di tanto, troppo fuori dalla sua portata. O almeno era questo che lui pensava. Per questo motivo, almeno per quella mattina, decise di non darci più peso.

Frattanto Gabriel, non sapeva davvero più cosa pensare.

 

No. Non è umanamente possibile.

Una ragazza…come possono far vivere in questo posto una ragazza? Come semplicemente possono far vivere una PERSONA in questo posto?? Hanno tutti quegli apparecchi tecnologici, tutti quegli impianti, una Sede maestosa in un Paradiso Terreste…e fanno vivere uno dei loro Piloti  in questo schifo?? Ma è semplicemente assurdo!

 

Finalmente la First Children ritornò con la propria cartella, e i passeggeri dell’auto (Satoshi era stato intrattenuto per tutto il tempo dalle chiacchiere di Asuka che ben presto si era disinteressata della pessima condizione abitativa della sua collega) si riscossero dai loro pensieri pronti a ripartire.

 

***

 

Non appena i due adulti se ne furono andati, Asuka richiamò l’attenzione di Gabriel che, agitato com’era, aveva momentaneamente accantonato la scoperta sull’abitazione di Rei.

“Allora Gabriel…cerca di rilassarti, in fondo è il tuo grande debutto! Vedi di portare lustro alla categoria di noi Laureati! Ed ora andiamo!” Esclamò la rossa battendogli un colpo sulla spalla per poi avanzare speditamente verso l’ingresso costringendo Shinji ad aumentare il passo.

 

Si è montata la testa…

 

Gabriel stava per ribattere contrariato a quell’affermazione, lui di certo non si sentiva un appartenente ad una classe privilegiata, anzi, tutt’altro, quando si fermò all’improvviso.

“Ehi aspettate!” Gridò quasi all’indirizzo dei due. Il giovane Ikari lo guardò con un’espressione interrogativa.

Che cosa c’è, Gabriel?”

Il Fourth Children li osservò entrambi, poi si voltò a guardare dietro di se dove Rei era rimasta indietro e di nuovo avanti.

“Allora?” Sbuffò impaziente Asuka.

Ma…non aspettiamo Rei?”

Sentendosi chiamata in causa, Rei alzò lo sguardo verso Gabriel.

 

Aspettarmi.

Perché mai?

Conosco la strada.

O forse…è una forma di gentilezza?

Ma cos’è la gentilezza?

Forse quando qualcuno mostra di curarsi di te?

 

Alla domanda del suo collega, la Second Children battè ripetutamente il piede sul terreno spazientita, se non addirittura infastidita, mugugnando un verso insofferente.

“Mmmmmmmh e va bene, va bene!! First, muoviti, non voglio arrivare tardi per colpa tua!”

 

Ma perché preoccuparsi tanto per una stupida bambola! Le dici una cosa e, se sei fortunato, ti arriva risposta almeno cinque minuti dopo! Senza parlare che a volte nemmeno ti arriva la risposta! Che essere inutile!  Bah! Ecco un altro perfetto candidato per il Trio degli Stupidi! Meno stupido, ma sempre un perfetto ragazzino immaturo! Bah! E’ proprio vero, l’unico uomo che valga qualcosa è il Signor Kaji…

 

Sbuffò irritata ancora una volta e si girò verso l’ingresso in attesa.

“Asuka, ma cosa ti è preso?”  Domandò perplesso Shinji di fronte a quel voltafaccia.

“ZITTO, BAKA!!

Anche Gabriel era rimasto sconcertato da quella reazione, ma decise saggiamente di non chiedere nulla. In quel momento udì i passi di Rei affiancarsi a lui e si voltò verso di lei trovandosi occhi negli occhi con la sua collega. Non aspettandosi di trovarsi puntato addosso quello sguardo di fuoco, sobbalzò arrossendo appena, imbarazzato. Dischiuse le labbra cercando di trovare qualcosa di intelligente da dire, magari per giustificarsi del fatto che si era girato anche se in realtà chi lo stava fissando per prima era lei.

“Ehm…ecco…” balbettò.

Ayanami lo fissò ancora, con espressione neutra, quindi lo oltrepassò senza più degnarlo di attenzione e si allontanò precedendolo.

 

 

 

 

Alla Nerv, intanto, tutto scorreva nella normale routine. Dato che i ragazzi erano a scuola, Misato, dopo che lei e l’Agente erano passati a ritirare l’uniforme scolastica per Gabriel, con fare molto pratico, aveva spedito Satoshi a ‘farsi le ossa’ in Sala Comando. Quando arrivò, venne subito accolto da un sorriso amichevole di Shigeru.

“Buongiorno, Agente Iwanaka.”

“Ah, potete darmi del tu, se volete.” Sorrise cordiale verso il trio. “In ogni caso buongiorno Tenente Aoba, Tenente Hyuga, Tenente Ibuki.

“Perfetto, meglio così, Satoshi! Anch’io preferisco mettere da parte formalismi e gradi!” Annuì enfatico il Tenente incrociando le braccia dietro la testa.

“Va bene anche per me.” Sorrise più timidamente Makoto, mentre Maya, si limitò ad annuire per poi ritornare a battere velocemente sulla tastiera subito imitata da Hyuga.

“Allora, Satoshi…”Riprese Shigeru “…qual buon vento ti spinge da queste parti?”

L’Agente ridacchiò.

“Il Capitano Katsuragi. Ha detto che dovevo venire qui a farmi le ossa in attesa di ordini.”

“Farti le ossa eh? Uhm…Maya?”

La ragazza alzò gli occhi dal monitor per volgerli verso il suo collega.

“Si?”

“Il nuovo venuto deve farsi le ossa, perché non gli spieghi un po’ i protocolli Nerv?”

“Uhm…d’accordo” sorrise il Tenente verso entrambi e, come sempre, il Tenente Aoba si sentì in Paradiso. Makoto ridacchiava sotto i baffi. Era l’unico a conoscenza della cotta del suo amico per Maya.

“Agente Iwanaka…ehm…Satoshi” si corresse “ prendi pure una sedia e vieni qui. Cominceremo dai  protocolli d’emergenza, d’accordo?”

L’idea di essere per una volta la Senpai di qualcuno sembrava aver del tutto elettrizzato la giovane.

“D’accordo.” Annuì l’uomo sedendosi tra lei e Makoto per prestare attenzione a vari fogli dall’impressionante spessore che Ibuki aveva preso.

“Molto bene! Allora cominciamo da qui!”

 

 

In infermeria, Ritsuko era sul punto di rovesciare l’enorme tazza di caffé che teneva tra le mani.

“COME SAREBBE?? STAI SCHERZANDO, MISATO?!

“No, non sto scherzando affatto! Ti ho detto che Rei è arrivata, senza che nessuno l’accompagnasse, a casa nostra verso mezzanotte e visto che era tardi, ho deciso di farla dormire da noi!”

“Eppure le avevo detto…” Si interruppe e sospirò pesantemente poggiando la tazza sulla scrivania.

 

…no, in effetti non le avevo detto precisamente quando consegnargli quel plico. D’accordo. Ricordarsi di specificare sempre  cosa si vuole dire quando si parla con Rei.

 

Va bene, Misato, hai fatto bene.”

Il Capitano annuì con soddisfazione per poi tornare seria di colpo.

“Ah, senti Ritsuko, avrei una domanda.”

“Sentiamo.”

“Questa mattina, mentre accompagnavamo i ragazzi a scuola…”

La scienziata ebbe un lampo malizioso. Inarcò un sopracciglio con l’evidente intenzione di dare inizio alla bonaria presa in giro quotidiana.

“Accompagnavate? Come una tenera famigliola?”

“RITSUKO!!!”

“Va bene, come non detto.”

“Ecco.”

“Allora, che mi racconti del tuo nuovo vicino?”

“Ah già, a proposito, Ri chan…bello scherzetto quello di non avvertirmi in anticipo…”

“A dire il vero mi era un po’ passato di mente, però intanto è stata una bella sorpresa non ti pare?”

Si si, bella sorpresa…”  annuì con leggerezza, troppo piccata per ammettere che l’idea di avere dei vicini le aveva realmente fatto piacere.

E allora, che mi racconti?”

Cosa vuoi che ti racconti? E’ appassionato di moto, è uno spadaccino, anche se non mi ricordo precisamente come si chiama quello che fa, e…”

“Piuttosto, Misato…” La donna si sporse appena verso di lei con fare complice.

Cosa?”

“Lo trovi carino?”

“Ma che vai a chiedere??

“Oh, andiamo, siamo tra donne…non ti ricordi dei tempi dell’Università? Allora mi dicevi tutto.”

Il Capitano si lasciò trasportare nostalgica dai ricordi. “Si, d’accordo, lo trovo discretamente carino.

“Lo sapevo!” Esclamò Ritsuko, trionfante. “Anche tu subisci il fascino francese!”

“MA NON E’ VERO!!

“Dai, Misato…guarda come sei arrossita…”  iniziò con lo stesso tono con cui la sua collega aveva preso a suo tempo in giro Shinji “…Piccolina, non mi dire che…”

“RITSUKOOOOOOOOOOOO!!!!!!”

Un urlo feroce si propagò per tutta l’infermeria e fuori.

Dietro la sua facciata impassibile e professionale, la Dottoressa Akagi stava morendo dalle risate nel vedere la faccia più rossa della plug suite di Asuka della sua amica e collega.

“Oh, scusa scusa, era una battuta, non prendertela…” Nicchiò l’altra riprendendo a sorseggiare con tranquillità il caffè.

“Ma posso almeno sapere che battute fai?? Non lo conosco da manco un giorno e tu già spari false insinuazioni??

“Beh…mi sembra un giovanotto abbastanza piacente…lo hai praticamente appena detto anche tu.”

“Si, d’accordo,  ma come può piacermi in quel senso una persona che non conosco neppure da un giorno??”

“Cotta adolescenziale magari…” scrollò le spalle con noncuranza

“Dottoressa Akagi…” ancora più rossa d’arrabbiatura di quanto non fosse prima possibile, Misato iniziò a camminare con passo marziale avanti e indietro lungo la scrivania. “…Asuka può prendersi una cotta, anzi, se l’è già presa…”

La bionda  si drizzò a sedere con interesse interrompendo per un attimo Misato.

“Una cotta? Per Shinji? O per Gabriel?”

Ma ovviamente no, Ritsuko! Per Satoshi! Oltre che per quello scemo!”

“Ah capisco.” E tornò a rilassarsi sulla poltrona.

 

Adolescenti…

 

Comunque, stavo dicendo, Asuka può prendersi una cotta, Shinji può prendersi una cotta, Gabriel può prendersi una cotta, Rei può prendersi una cotta…” Nell’enfasi della sua arringa non si accorse di aver sparato un’assurdità.

 

Rei una cotta? Non credo proprio…

 

“…LORO…” e marcò la parola “…che hanno quattordici anni possono prendersi una cotta adolescenziale!! Io, a ventinove anni…”

“Dì pure trenta, Misato…”

“NE HO ANCORA VENTINOVE!!

“D’accordo…non ti scaldare…”

 

Accidenti, mi sa che stavolta ho un po’ esagerato.

 

“…io, a VENTINOVE…” e rimarcò con precisione il concetto segnando un immaginario numero sulla scrivania della scienziata con l’indice destro “ …sono abbastanza adulta e vaccinata e con la testa sulle spalle…”

 

Testa sulle spalle? Boom!

 

“ …da non prendermi NESSUNA cotta!! Ma cosa credi, che non mi sia bastata la lezione con quello scemo?!

 

In quel momento, il capo sorridente di un uomo da lunghi capelli castani legati in un codino, la barba incolta, un’uniforme da Agente della Sicurezza Nerv ed una faccia da schiaffi, si affacciò dalla porta dell’infermeria.

 

“Chiamato, Katsuragi?”

 

Se Misato non esplose in quel momento mettendo a ferro e fuoco l’infermeria fu decisamente un miracolo.

 

QUANDO SI DICE CHE LE DISGRAZIE NON ARRIVANO MAI DA SOLE!!

 

“No, scemo!!

“Si, Katsuragi, anch’io ti amo.” Sorrise l’uomo entrando totalmente ma tenendosi a distanza di sicurezza.

“Ryochan…” Ritsuko si alzò dalla scrivania ed avanzò verso i due, non voleva rischiare che la sua infermeria venisse rasa al suolo. “…come mai qui?”

“Beh…cosa vuoi che dica, Ri chan…” Kaji aggirò l’ostacolo di una Misato fumante di rabbia e si avvicinò alla Dottoressa portandosi dietro di lei per abbracciarla come al solito alla vita “…ero venuto qui per vedere una bella donna…” le disse con il suo classico tono da seduttore incallito prima di alzare poi gli occhi sul Capitano “…e ne ho incontrate addirittura due!”

“SCEMO!!”

Senza aggiungere altro, Misato, dimentica della domanda originaria che avrebbe voluto porre a Ritsuko, uscì a passo svelto dal luogo sbattendo furiosamente la porta il cui rumore rintronò secco nel corridoio. All’interno dell’infermeria, caddero due viti dai cardini.

 

 

 

 

 

“In piedi. Inchino. Seduti.”

La scolaresca eseguì diligentemente le istruzioni impartite dalla Capoclasse.

Gabriel, in piedi di fronte alla lavagna, osservava imbarazzato i suoi nuovi compagni di classe, i cui occhi erano tutti puntati su di lui.

“Dunque, ragazzi…” Iniziò con voce calma l’anziano professore di Storia “..da oggi avrete un nuovo compagno che viene dalla Francia. Gabriel, presentati pure.”

“Ecco…” impacciato prese la parola “…io sono Gabriel Vancy, piacere di conoscervi. Concluse inchinandosi verso gli altri .

Tra gli alunni della II A si alzò sommesso un brusio generale. Alcune ragazze nella prima fila avevano iniziato a parlottare concitatamente tra di loro e ancora più fittamente un gruppo di allievi in fondo all’aula. In effetti era insolito vedere qualcuno in un’uniforme tanto rigorosa e dal taglio così classico. Da qualche parte giunse alle orecchie del Fourth Children un ridente e sommesso ‘che carino’ che lo fece vergognare fino al midollo.

“Silenzio!” Sbottò la Capoclasse, irritata da quel bisbigliare. Tutti tacquero.

“Molto bene, Vancy…” riprese il Professore “…vuoi scrivere il tuo nome e cognome alla lavagna per favore?”

“S-subito.”

Svelto il ragazzo eseguì quanto chiesto scrivendo con grafia elegante il proprio nome e cognome in caratteri occidentali.

 

Povero Gabriel, chissà come dev’essere imbarazzante per lui…

 

“Avanti, ragazzi, date il benvenuto al vostro nuovo compagno.”Continuò l’Insegnate.

Dall’aula si alzò un polifonico “Benvenuto Gabriel” a cui quest’ultimo rispose con un altro inchino, quindi tutto tornò nel silenzio.

“Eccellente.” Si compiacque l’uomo. “Adesso vediamo un po’...” scrutò con attenzione l’aula “ …dove metterti a sedere? Mmmmh…ecco si, vai pure lì. Penultima fila a sinistra, davanti a Suzuhara e affianco ad Ayanami. Ed indicò gli interessati di cui il primo si sbracciava con un gran sorriso e la seconda si era limitata a rivolgergli un rapido sguardo privo di espressione per poi prendere a guardare fuori dalla finestra.

Gabriel rimase per qualche istante immobile prima di recuperare la cartella,  riempita al suo arrivo a scuola dei libri necessari che aveva trovato in un armadietto già riservato a lui, per poi raggiungere il posto assegnatogli mentre il suo passaggio veniva seguito da una scia di sguardi curiosi. Appena arrivò, scambiò dei rapidi saluti e presentazioni con i suoi vicini, tranne Toji che si limitò a reclutarlo per la pausa pranzo e ovviamente Rei che non si voltò neppure una volta, persa in chissà quali pensieri.

Quando tutto si fu quietato ebbe finalmente inizio la lezione.

Il Fourth Children estrasse dalla cartella un block notes ed una penna, ma non riuscì a concentrarsi. Sempre più frequentemente il suo sguardo andava a posarsi sul volto di Rei che nella sua immobilità sembrava estremamente assorto. Nemmeno lei seguiva la lezione. O forse, se lo faceva, non lo dava a  vedere. Continuava a guardare fuori dalla finestra, forse seguendo con lo sguardo il rapido movimento di sporadiche nuvole bianche nel cielo illuminato, forse limitandosi a smarrirsi nelle tonalità dell’azzurro.

 

E così adesso siamo anche vicini di banco…

Mi chiedo se debba davvero rinunciare ad avere una qualunque possibilità di dialogo con lei.

Però…

 

Distolse un attimo lo sguardo solo per poi riportarvelo subito. La luce del primo mattino che irrompeva dalla finestra illuminando la sua figura diede una sensazione strana a Gabriel. Era come se il contrasto tra i raggi solari ed il candore della pelle di lei lo avesse per qualche motivo ipnotizzato.

 

Questa luce è troppo forte…quasi aggressiva.

E lei tra quei raggi sgargianti mi sembra così…fragile…non mi ricorda affatto la ragazza che ho conosciuto. Piuttosto sembra…un fiore che per sbocciare ha bisogno della luce della Luna…

 

Quando si rese conto di ciò che aveva pensato, ebbe un sussulto e per poco la penna non gli cadde di mano. Tuttavia  un -bip- gli impedì di riprendere i suoi ragionamenti.

L’attenzione di Gabriel fu attratta da un lievissimo rumore proveniente dal suo computer. Una piccola busta lampeggiava nell’angolo in alto a destra, accanto ad un numero uno.

 

Una e-mail? Qui, a scuola?

 

Gabriel ticchettò brevemente sui tasti e comparve un testo: II-A Message Network.

 

Una rete di e-mail interna alla classe? Ma è controproducente per l’attenzione!

 

Un altro -bip- lo distolse dalle sue considerazioni. Accanto alla busta lampeggiante ora c’era un due. Sospirando, si disse che era meglio leggere le mail.

 

From: Motoko Yoshikawa                To: Gabriel Vancy

Object: Benvenuto!

 

 

Ciao! Sono Motoko Yoshikawa, la terza ragazza da sinistra, in prima fila.

 

Gabriel provò a guardare, stando attento che il Professore fosse girato da un’altra parte, e vide una ragazza dai capelli castani lisci, lunghi fino alle scapole, che gli faceva un timido cenno di saluto sorridendo. Ancora più timidamente, lui rispose a sua volta allo stesso modo, poi tornò a leggere.

 

Spero che ti stia ambientando bene! Sono veramente felice che tu sia qui, non vedo l’ora di conoscerti meglio!

Un bacio,

 

Motoko

 

Un bacio?? Ma… Che intendeva??

 

Un po’ arrossito, lasciò da parte la prima e-mail e si dedico alla seconda.

 

From: Shinji Ikari                  To: Gabriel Vancy

Object: Come va?

 

 

Allora, come ti sembra questo primo giorno di scuola? Ah, Probabilmente questa è la prima e-mail che ricevi, ti devo delle spiegazioni. Si tratta del nostro Class Message Network, un sistema ideato per permetterci di comunicare tra noi le nostre domande ed i nostri chiarimenti… Ma in realtà lo usiamo praticamente come una chat.

 

Ho notato…

 

I professori sembrano non badarci, però almeno così facendo non disturbiamo la lezione.

 

Non c’era firma: evidentemente Shinji, già abituato a questo metodo di comunicazione, non aveva problemi a considerarlo davvero come una chat.

Sospirando, Gabriel diede addio alle sue speranze di stare attento e rinunciò a rimuginare sui pensieri di poco prima: non avrebbe comunque potuto giungere a nessuna conclusione in quel modo. Cominciò a ticchettare sulla tastiera.

 

From: Gabriel Vancy             To: Shinji Ikari

Object: Re: Come va?

 

 

Grazie dell’interessamento, Shinji, però la tua non è stata la prima mail che ho ricevuto. La prima è stata un messaggio di benvenuto da parte della ragazza davanti a te verso sinistra, Motoko Yoshikawa. Ad ogni modo, devo ancora ambientarmi, però sono ottimista a riguardo, Grazie.

 

Gabriel

 

-bip-

Non aveva nemmeno fatto in tempo ad inviare la mail che già un’altra busta lampeggiava nell’angolo in alto a destra.

 

No, oggi proprio non c’è verso di stare a sentire cosa dicono i professori. Ed ho l’inquietante sensazione che andrà sempre peggio…

 

From: Motoko Yoshikawa                To: Gabriel Vancy

Object: Prova

 

 

Ti è arrivata la mia mail precedente?

 

Appunto…

 

From: Gabriel Vancy             To: Motoko Yoshikawa

Object: Re: Prova

 

 

Sì, mi è arrivata, scusa per il ritardo di questa mia risposta, ma devo ancora abituarmi a questo”II-A Message Network”. Grazie del benvenuto, in ogni caso!

 

Esitò prima di completare la mail. Stava per scrivere, soprattutto per cortesia, di non vedere l’ora a sua volta di conoscerla meglio, ma si chiese se stesse facendo la cosa giusta. Quelle parole sarebbero state il primo passo per fare amicizia con qualcuno, però forse potevano essere fraintese.

Alla fine decise per un compromesso.

 

Sto ancora cercando di ambientarmi, però se avrò problemi so a chi rivolgermi!

Grazie ancora per il benvenuto, e a presto.

 

Gabriel

 

-bip-

 

… Vediamo chi è…

 

From: Yuki Takashima                    To: Gabriel Vancy

Object: Ciao!

 

 

Ciao Gabriel, mi chiamo Yuki Takashima, la terza ragazza da destra nella prima fila, accanto alla mia amica Motoko, credo che tu l’abbia già conosciuta.

 

Ci sono un po’ troppe virgole in questa frase…

 

Gabriel si sporse nuovamente, e vide, di fianco a Motoko, che si era di nuovo girata per salutare, un’altra ragazza, dai capelli neri raccolti all’altezza del collo. Anche lei salutava in modo identico all’amica. E solo ora si rese conto che anche una terza ragazza, seduta proprio dietro Motoko, lo salutava allo stesso modo. Questa però aveva i capelli neri portati corti.

 

Qualcosa mi dice che presto scoprirò anche il suo nome.

 

Io, Motoko e la nostra amica Keiko saremmo veramente felici di invitarti a pranzare con noi sul tetto. Per fare amicizia. Se non hai il bento non preoccuparti, a noi ne avanza in abbondanza!

Mi raccomando, rispondi!

 

Yuki

 

Ho già accettato la proposta di Toji di pranzare con lui, Kensuke e Shinji, però… Anche se non posso accettare questa proposta, e anche se nonostante tutto potrebbe risultare equivoca,  mi fa piacere che me l’abbiano fatta.

 

From: Gabriel Vancy             To: Yuki Takashima

Object: Re: Ciao!

 

 

Ciao, Yuki! Ringrazio tutte e tre (hai ragione, ho già conosciuto la tua amica Motoko) per la proposta, ma ho già promesso a Suzuhara di pranzare con lui ed i suoi amici. Sarà per un’altra volta, magari!

 

Gabriel

 

Sembrava che la sequenza di mail fosse finita, permettendogli di ascoltare almeno la fine della lezione. Ma ben presto i suoi occhi tornarono a posarsi su Rei. A quanto pare, per tutto il tempo aveva semplicemente guardato fuori dalla finestra.

 

Chissà lei con chi pranzerà… anche se, non so perché, ho la netta sensazione che resterà da sola con quella sua solitudine… che è tanto simile a quella che è stata la mia.

 

Dopo quel primo scambio di mail la giornata proseguì tranquilla fino all’intervallo. La fine della quinta ora fu decretata dalla campanella, sicché i ragazzi si alzarono per salutare il professore e prepararsi per l’intervallo. Gabriel radunò i suoi libri e spense il computer, ancora pensieroso, tanto che a mala pena si accorse di Keiko, Motoko e Yuki che lo salutavano mentre uscivano. Sorridevano come al solito. Le salutò distrattamente a sua volta, poi si accorse che Rei si era voltata verso di lui.

“Ehm…” iniziò, goffo. Quegli occhi rossi così impenetrabili lo lasciavano spiazzato. Alla fine decise di dire qualcosa, anche solo per giustificare il fatto che la stesse guardando. “…Ti stavi annoiando?”

 

Bravo, Gabriel. Proprio la cosa migliore da dire in questo momento.

 

“Non particolarmente.” Disse Rei senza alcuna inflessione vocale riconoscibile. Gabriel però ne fu contento, perché almeno era riuscito ad innescare un dialogo con lei. Stava ancora cercando parole adatte per proseguire quando invece fu Rei a parlare di nuovo.

“Perché mi hai fatto quella domanda?”

“Ehm… Ecco…”

 

Ed ora cosa le rispondo? “Perché ti stavo guardando e perché l’ho fatto anche la maggior parte della mattinata”?

 

“Ti stavi preoccupando per me?”

Gabriel rimase in silenzio per qualche istante, poi guardò la classe che si stava sfollando e Toji che lo richiamava dalla porta. “Ehi, novellino, ti sbrighi?!

Allora tornò a volgersi verso Rei, e sospirò nel rispondere sinceramente “Sì, credo che sia così.”

“Allora è per questo che mi hai guardato per tutta la mattina?”

Il ragazzo non seppe più cosa rispondere, e rimase in un silenzio sconvolto. Se ne era accorta!

Dato che non otteneva risposta, Rei prese la cartella, gli indirizzò un ultimo enigmatico sguardo e si diresse rapidamente verso l’uscita.

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** La prima stella del firmamento ***


CAPITOLO 5

CAPITOLO 5

 

La prima stella del firmamento

 

 

Il nuovo gruppo, ribattezzato da Asuka ‘Trio degli Stupidi più Uno’,  dopo aver saccheggiato lo spaccio, era seduto in un angolo all’ombra sul tetto della scuola. Non erano i soli dato che il luogo era uno dei punti di ritrovo preferito degli studenti, ma avevano trovato un posticino abbastanza isolato dalla calca. Nonostante i rifiuti di Gabriel, Shinji , Toji e Kensuke avevano deciso di offrirgli il pranzo ed ora il quartetto si stava apprestando a consumare il pasto, più che abbondante dato che la capienza dello stomaco di Suzuhara era ormai una leggenda. Tuttavia il Fourth Children sembrava oltremodo distratto. Continuava a rigirarsi tra le mani un hotdog senza riuscire a mangiarlo.

“Ehi, Gabriel, c’è qualcosa che non va?” Chiese Shinji appoggiando a terra una lattina di aranciata

“Vero! Che ti prende, novellino? Hai una faccia…” Fece subito eco Toji, mentre Kensuke si era limitato ad aggiungervi un verso interrogativo guardando in sua direzione dato che aveva la bocca piena.

“Ah…no nulla…” Si sforzò di sorridere verso i suoi amici.

“Eh no…” Riprese Suzuhara “…non hai la faccia di chi non ha nulla. Su, avanti, sputa il rospo!”

Gabriel rivolse uno sguardo quasi implorante a Shinji, ma quest’ultimo gli sorrise rassicurante.

“Siamo tuoi amici, se hai dei problemi o ti preoccupa qualcosa possiamo aiutarti.

“D’accordo…” sospirò “…si tratta di Rei.”

Aida incominciò a tossire convulsamente, gli era andato il cibo di traverso, e subito Toji iniziò ad assestargli una serie di poderose pacche sulla schiena, ma non appena si fu ripreso mollò immediatamente ciò che stava mangiando sulla tovaglia che avevano messo a terra ed agguantò la telecamera accesa puntandola subito verso il suo compagno sperando in chissà quale grande rivelazione,

“HAI DETTO AYANAMI?? NON MI DIRE CHE TI PIAC…OUCH!”

Uno scappellotto alla nuca da parte di quello che poco prima era stato il suo salvatore lo mise a tacere.

“E piantala, idiota!”

Ma il Fourth Children non fece molto caso a quell’intermezzo comico che ormai era diventata un’amichevole lite privata tra i due e si rivolse verso Shinji.

“Shinji, credo di aver combinato un grosso guaio…”

 

Un grosso guaio con Ayanami?

 

“Vogliamo parlarne?”

“Si, ma…qui?” Ed accennò ai due che si stavano rotolando sul terreno in una prova di forza contrastata.

“Hai ragione, vieni, allontaniamoci un po’…” cominciò Shinji posando varie vettovaglie e alzandosi subito imitato e seguito dal collega “…tanto quei due non se ne accorgeranno nemmeno. Ed indirizzò uno sguardo al metà tra l’abitudine e la rassegnazione verso Toji che cercava di bloccare Kensuke e quest’ultimo che per difesa gli tirava le orecchie facendogli assumere un’espressione quanto mai comica.  Tuttavia in quel momento non ci sarebbe stato nulla in grado di far ridere il nuovo Pilota. I due Children incominciarono ad incamminarsi tra i vari gruppetti dediti ai pranzi. Quando furono arrivati  presso la ringhiera che dava la sua vista sul piccolo parco accanto al campo da basket, entrambi vi si appoggiarono guardando verso il basso.

“Allora…” ricominciò il Third Children preoccupato dall’espressione del suo amico  “…cos’è successo con Ayanami?”

Vergognandosi dal profondo, rivolse uno sguardo al ragazzo accanto a se rispondendo con un mormorio sommesso “ Si è accorta che l’ho guardata per tutta la mattina, me ne ha chiesto il motivo, io non ho avuto modo di rispondere e lei se n’è andata…”

 

COSA??  

 

Shinji non riuscì mascherare il suo stupore ed ora lo guardava ad occhi sgranati battendo più volte le palpebre, la presa delle mani fissa sulla ringhiera, ma Gabriel aveva già nuovamente rivolto lo sguardo verso il basso.

 

“Ah…e…perché la stavi guardando?”

“Non lo so…mi dava una strana impressione…”

“Una strana impressione? Beh, credo avrai notato che Ayanami è…” rimuginò cercando un termine adatto, senza riuscire a trovarlo “…come dire…insomma, hai visto…”

“Si, ho capito. Però, Shinji…non riesco a spiegarti…mi ispira un qualcosa di inesprimibile…”

Mentre il suo collega cercava in qualche modo di riuscire a capire che cosa volesse dire, al pianista tornò in mente l’immagine di lei stagliata nella luce del sole quella mattina. E fu come se il senso di languida malinconia che quella ragazza emanava, lo attanagliasse . Si soffermò a riflettere. No, non era proprio quello che ogni volta che l’aveva guardata lo invadeva...era più come una sorta di richiamo ancestrale che si appellava direttamente alla sua Anima.

 

…Rei Ayanami…

 

“Sai Shinji…” ricominciò l’altro dopo quel breve silenzio che si era venuto a creare “…prima di arrivare qui, anche se non per mia scelta, ero proprio come Rei.”

“Oh, mi dispiace…”

“Tu la conosci?”

“Chi?”

“Rei.”

Il Third soppesò i suoi pensieri volgendo lo sguardo al cielo.

“A dire il vero, no. Non so praticamente nulla di lei. Quando sono arrivato qui, anch’io, come te, ho cercato di saperne di più, ho chiesto a Toji e Kensuke, ma pare che lei sia sempre stata da sola…”

 

Proprio come me…

 

“Ho provato ad esserle amico, ma lei…” si interruppe per un istante “ …ecco…sembra che non accetti nessuno. A parte mio padre…” A quelle parole il giovane Ikari serrò la presa sulla ringhiera fino a sbiancarsi le nocche. Il solo nominare suo padre lo mandava su tutte le furie. Decise di controllarsi, ora un suo amico aveva dei problemi e si sentiva in dovere di aiutarlo. Allentando la presa continuò  con voce nuovamente quieta “…ma questo perché mio padre le ha salvato la vita durante il test di attivazione dell’Unità 00…E solo una volta è riuscita ad aprirsi un po’ con me, ma dopo quella tutto è tornato come prima. Forse perché avevamo appena concluso una battaglia e lei aveva di nuovo rischiato la vita…”

Gabriel si allarmò visibilmente irrigidendosi, come in un riflesso incondizionato. Shinji se ne accorse ed indietreggiò appena staccandosi dalle barre metalliche.

“Ah, scusami, Gabriel, non volevo metterti in agitazione!”

L’altro si limitò a scuotere leggermente la testa in segno di diniego. Non era solo per quello.

“Non importa Shinji. Ti prego, continua a dirmi ciò che sai.”

“Beh, non c’è molto altro da dire…solo, in quell’occasione, Ayanami riuscì addirittura a sorridermi.  Anche se non l’ha mai più fatto.”

“Davvero?!”

Il Fourth Children si volse di scatto verso il suo collega guardandolo con occhi sbarrati.

“Si. Ma come ti ho detto,  può averlo fatto solo come reazione al pericolo passato…” quasi balbettò  stupito dalla reazione dell’altro.

Dopo alcuni secondi, i tratti di Gabriel tornarono a distendersi in un’espressione assorta, quindi voltò le spalle alla ringhiera appoggiandovisi contro, gli occhi rivolti al pavimento. “Shinji…”

“Dimmi…”

“Com’è vederla sorridere?”

Il giovane Ikari non poteva giurarlo, ma gli sembrò che la voce dell’amico tremasse. Lo osservò in tralice per qualche secondo, come in attesa di una rivelazione anch’egli, poi si concentrò sulla sua domanda. Rimasero alcuni minuti in silenzio. Da qualche parte giungevano ancora i suoni di lotta di Toji e Kensuke, ma per i due Children era come se il tempo si fosse fermato estromettendo qualunque cosa. Il caldo, il chiacchiericcio tutt’attorno. Ogni cosa.

Shinji esitò molto prima di dare una risposta.

“All’epoca, avrei detto che era come veder sorgere l’alba sul mare…”

Gabriel tacque. Riflettè su quanto detto dal suo amico il quale ora non sapeva proprio quale reazione aspettarsi. In fondo, seppur in modo indiretto, aveva appena confessato di aver avuto tempo addietro una cotta per Ayanami per la quale, pensava, Gabriel doveva provare  ciò che i primi tempi aveva provato lui. A sua volta piantò lo sguardo a terra. E attese. Attese molto.

La voce del pianista si levò improvvisa. Un tono basso e assorto, lontano, distante, privo di emozione, che gli fece venire i brividi.

“No…”

“Gabriel…”

“Non come l’alba sul mare, Shinji.”

“…”

“Come la prima stella del firmamento.”

 

 

 

 

La solita panchina. Accanto al solito albero.

Una piccola tovaglia spiegata sulle ginocchia, a scoprire una fredda scatola di metallo, contenente il bento.

 

Perché la sua attenzione - se veramente di questo si tratta - mi dà questa strana sensazione?

Non dovrei provare nulla: è solo un altro essere umano che si preoccupa di me.

Eppure sento un lieve tepore sotto la cassa toracica.

Mi sento... più sicura.

E’ diverso però da quello che percepii attraverso la tuta di Ikari.

Quello era calore corporeo, trasmesso con il contatto fisico.

Questo invece…

E’…

Interno.

Non c’è stato alcun contatto fisico, e non è fugace come quell’altro.

Lo sento dentro di me, e mi sembra sia inscindibile da me…

 

Toccò la scatola di metallo con il logo in rosso della Nerv ed un brivido le percorse le dita, risalendo su fino alla schiena.

 

Freddo.

Un freddo intenso, mi dà una sensazione spiacevole, nonostante oggi faccia caldo.

Non mi dà ristoro.

Eppure, prima d’ora, non ho mai provato nulla di particolare nell’aprire la scatola del bento, neppure durante le giornate più fresche.

Questo freddo contrasta con il tepore che sento dentro di me.

E’ un contrasto che mi mette a disagio.

Eppure…

No, ora devo nutrirmi.

 

Fece leva sulle aperture che scattarono subito, rivelando sotto il coperchio due gallette di riso in bianco, due bacchette ed una bottiglietta di acqua. Esitò un attimo e prese l’acqua. La aprì e bevve.

 

Fredda anche l’acqua.

E’ sempre stata così, però io non me ne sono mai lamentata.

Cosa c’è di diverso oggi?

La Dottoressa Akagi mi ha confermato che i test che ho eseguito negli ultimi giorni non mi hanno lasciato disfunzioni di rilievo, eppure mi sento diversa.

Sì, ma cosa può avere a che fare la conoscenza del Fourth Children con questo mio stato di disagio?

Ora che ci penso, è da quando ci siamo conosciuti che mi sento diversa.

Una mano tesa.

Un sorriso spontaneo.

Il mio di quella volta invece fu solo perché così mi suggerì Ikari.

 

Bevve ancora, poi si dedicò al riso. Una lieve contrattura dei muscoli del collo si rilassò.

 

Questo non mi dà problemi.

Ha il solito sapore di sempre.

Ma sono ancora inquieta per prima: non riesco a darmi una risposta.

Certo, ho avuto anch’io freddo in passato, ad esempio dopo alcuni test per il Dummy System, ma non mi sono mai sentita…

A disagio in questo modo.

Allora sentivo minacciata la mia integrità fisica, ed era sufficiente rivestirmi per far cessare il freddo.

Ora invece è come se questo freddo volesse rubarmi qualcosa di mio.

Un calore vitale che provo dentro di me.

 

Si interruppe, la seconda galletta di riso a mezz’aria.

 

Come se il freddo della mia vita volesse portarmi via il nuovo calore che provo da quando…

Da quando il Fourth Children ha detto di preoccuparsi per me.

Sento il mio cuore accelerare i battiti, come se fossi sotto stress.

Ma non c’è alcun elemento stressante attorno a me.

Tutto questo va contro tutte le  mie esperienze.

E’ sconcertante.

Beh…

Quasi tutte.

 

Finì di mangiare il riso e bevve un altro sorso d’acqua.

 

Ora che ci penso, quando il Comandante Ikari ha aperto l’entry plug, quella volta…

E quando suo figlio l’ha aperta dopo il combattimento con l’angelo…

Io mi sono sentita così.

Ma in entrambi i casi ero stata in pericolo di vita.

Ora non lo sono, eppure la preoccupazione del Fourth Children mi fa lo stesso effetto.

O meglio, un effetto simile.

Perché?

E oltre a questo…

 

Esitò un attimo, poi ripose la bottiglietta nella scatola, richiuse la tovaglia e si alzò dalla panchina.

 

Perché, nonostante questo tepore mi provochi un disagio mai provato, io non voglio perderlo?

Gabriel Vancy… chi sei tu?

 

 

 

 

Shinji era rimasto molto sorpreso dall’amico. Ancora per qualche minuto restarono in silenzio, poi il Third scattò, doveva assolutamente chiarire quella cosa.

“Però, Gabriel,  tra me ed Ayanami non c’è mai stato nulla, lei neanche lo sapeva, e adesso ti assicuro che non sono innamorato di lei! Inoltre…”

“Shinji…” lo fermò l’altro alzando il palmo della mano verso di lui come a stopparlo “…non mi devi nessuna giustificazione. Non mi interessa se ne sei stato innamorato o meno.”  

Però…”

“Niente però.” gli sorrise lievemente volendolo rassicurare.

A quel gesto il giovane Ikari parve rassicurarsi. Il suo sguardo si diresse per qualche secondo sui loro amici ancora impegnati in quella buffa colluttazione, quindi tornò a fissare il volto del suo amico il cui sguardo era di nuovo perso in lontananza.

 

Ma tu, Gabriel, sei innamorato di lei?

 

Dischiuse appena le labbra per poi richiuderle subito. Sarebbe stato troppo indiscreto.

 

E così ha visto il suo sorriso.

Come l’alba sul mare…parole da innamorato. Un tempo lo era stato, ha detto, ora non più.

Non so come funzionano queste cose.

Magari è stata una di quelle cose passeggere chiamate ‘cotte’ che si accendono e si spengono nella fiammella di un istante.

Come l’alba sul mare…non riesco a togliermi queste parole dalla testa.

No, non come l’alba.

L’alba porta il sole e il sole porta calore…e quella Creatura immersa nel sole sembra tanto, troppo fragile.

I suoi occhi hanno i colori del tramonto. Il tramonto è araldo della notte e la notte è culla di Luna e stelle e solo i loro raggi possiedono quella delicatezza necessaria per poter sfiorare quella pelle candida come alabastro.

Rei Ayanami…chi sei?  Riuscirò mai ad incontrarti?

 

“Shinji?”

“Si!” Sobbalzò l’altro.

“Secondo te sarà arrabbiata per stamattina?”

“No. Ayanami non è il tipo da serbare rancore…se è arrabbiata con una persona lo mostra subito…Su questo ne ho la certezza.”

 

E tira anche degli schiaffoni pesanti.

 

Gabriel tirò un sospiro di sollievo alle parole dell’amico.

 

Allora forse avrò anch’io una possibilità di sondare il tuo Animo… ma tu me lo concederai? Mi permetterai di venirti incontro?

Rei Ayanami…chi sei?

 

“EHI VOI DUE! ALLORA, VENITE O NO?”

I due Children si volsero di scatto in direzione della voce di Toji. La zuffa era terminata e Kensuke aveva già ripreso ad ingozzarsi.

“SI, ARRIVIAMO SUBITO!” Risposero i due all’unisono. Si guardarono e scoppiarono a ridere.

Shinji si interruppe per primo.

“Ah, Gabriel…”

“Si?”

“Quanto ti ho detto su Ayanami…” e arrossì “…ti prego, potrebbe restare tra di noi? Non vorrei mai che giungesse alle orecchie di…” e si interruppe con un sospiro affranto.

 

…alle orecchie Asuka. Se sapesse che un tempo avevo una cotta per Ayanami, mi odierebbe ancora di più di quanto già non fa. E se le dicessi che da quando è arrivata lei per me non c’è stata nessun’altra, anche se mi disprezza, anche se mi tratta così male, lei mi risponderebbe come al solito:  che sono solo  un Baka…

 

“D’accordo, Shinji.” Annuì Gabriel tornando serio. “Stai pure tranquillo, non dirò nulla. Anzi, a mia volta ti prego di non far parola di quanto ti ho detto oggi.

“Contaci.”

I due ragazzi sorrisero e si avviarono celermente dai loro amici per il pranzo.

 

 

 

 

Quando l’intervallo fu terminato, tutto sembrava essere tornato come prima.

Una volta che il quartetto rientrò, Gabriel vide che Rei era già lì. Rivolse uno sguardo a Shinji in una muta richiesta di appoggio, ma ne ricevette solo un lieve sorriso che stava a significare di non preoccuparsi.

 

Che ironia…Gabriel mi chiede conferma con lo sguardo ed io mi do da fare per supportarlo quando invece non sono neppure in grado di supportare me stesso…

 

“Allora, Trio degli Stupidi più Uno, vi siete divertiti a pranzo?”

Dal suo posto la Second Children stava scrutando il gruppetto con un sorriso divertito.

“Da quando in qua ti degni di informarti se ci siamo divertiti o meno eh??” Domandò Toji con aria provocatoria.”

“SUZUHARA!!” La Capoclasse intervenì rapida a mettere pace.

Shinji osservò con attenzione il battibecco. I suoi occhi si posarono sulla figura infervorata di Asuka e il suo volto si distese in un sorriso dolce e triste al contempoall'eno eh??"lizzarlo quando invece non sono neppure in grado di tr.

 

Lo stesso impeto di un fuoco acceso. Come il sole di Ferragosto. Asuka, mi permetterai mai di starti accanto o dovrò anelare per sempre senza speranza al tuo splendore?

 

Nel giro di pochi minuti le lezioni cominciarono secondo l’abituale routine e l’attenzione di tutti i presenti venne rivolta verso la lezione di Algebra. Tutti. Tranne tre di loro nelle cui menti riecheggiava ad ognuno il proprio bruciante quesito.

 

Asuka, mi permetterai mai di starti accanto?

Mi permetterai di venirti incontro? Rei Ayanami…chi sei?

Gabriel Vancy… chi sei tu?

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** La Musica della Notte ***


CAPITOLO 6

CAPITOLO 6

 

La Musica della Notte

 

 

 

 

Per il resto di quella giornata, ormai giunta alla penultima ora, nessuno di loro ebbe pace. Persino Asuka si accorse dell’assenza di Shinji. Proprio lui che era sempre attento a tutte le lezioni adesso e ne stava a sguardo chino sulla superficie del banco. Lo guardò per alcuni secondi  poi decise di tornare ad occuparsi ad i suoi affari. In fondo, pensava lei, quali problemi poteva avere uno stupido come Shinji Ikari?

Il Third Children a malapena si accorse del  -bip- sommesso emanato dal suo pc.

 

Toji, ora non sono in vena…Sicuramente vorrà ancora sapere cosa ci siamo detti io e Gabriel a pranzo…

 

Tuttavia quando aprì la mail si stupì non poco nello scoprire che il mittente non era Suzuhara, ma il Fourth Children stesso.

 

From: Gabriel Vancy                          To: Shinji Ikari

Object: ///

 

 

Ciao Shinji, possiamo parlare un attimo se non ti disturbo?  Ho visto che nemmeno tu riesci a seguire la lezione.

 

 

 

Gabriel

Si tratterà ancora di Ayanami?

 

 

From: Shinji Ikari                  To: Gabriel Vancy

Object: Re:  ///

 

 

Certo. Di che si tratta? Hai ancora dubbi su Ayanami?

 

 

 

Shinji gettò uno sguardo indietro oltrepassando Gabriel intento a rispondergli per osservare la First Children. Sembrava fosse come sempre. Con lo sguardo perso nel vuoto al di fuori della finestra, senza che uno riuscisse a capire se stava realmente seguendo la lezione o meno.

 

-bip-

 

 

From: Gabriel Vancy                        To: Shinji Ikari

Object: ///

 

Shinji, non sentirti obbligato a rispondermi se non vuoi. 

Oggi mi hai detto di essere stato innamorato di Rei in passato…

 

Ecco, lo sapevo che non me l’aveva perdonato…

 

…ma tornati in classe ho visto con che espressione guardavi Asuka mentre litigava con Toji.

 

Shinji arrossì violentemente.

 

E’ stata lei che ha preso il posto di Rei nel tuo cuore? E perché?

Premetto, Shinji: non te lo sto chiedendo per mera indiscrezione. Vorrei arrivare a farti una domanda ben precisa.

Forse ti sembrerà anche una domanda stupida ed in effetti in queste quattro ore avrei fatto meglio a seguire le lezioni piuttosto che arrovellarmi sui miei pensieri.

 

 

Gabriel

 

Il giovane Ikari esitò parecchio prima di rispondere. In fondo si trattava di confessare qualcosa che fin’ora era appartenuto solo ed esclusivamente a lui. E che era anche tremendamente complicato da spiegare. Sospirò pesantemente.

 

Ed ora come ti rispondo, Gabriel? Dovrei semplicemente risponderti: “Si, Asuka ha preso il posto di Ayanami nel mio cuore perché mi fa sentire importante?”

Sentire importante…

Che parola grossa…se lo dicessi a qualcuno mi prenderebbe per matto…

Però…forse lui riuscirà a capirmi…

 

From: Shinji Ikari                  To: Gabriel Vancy

Object: Re:  ///

 

 

Ascolta, Gabriel. Quanto sto per dirti è molto complicato da spiegare. E forse anche da capire. Ti prego come sempre di non farne parola.

Si, è Asuka.

Mi chiedi perché, ma ad essere sincero non so neppure io come spiegartelo. Lo avrai sicuramente notato. Ayanami ed Asuka sono come Luna e Sole.

Quando arrivò dalla Germania, mi piacque subito perché la trovavo una ragazza carina nonostante il suo carattere.

Avrai notato anche che non fa altro che inveire contro di me dalla mattina alla sera, che è altera ed orgogliosa e non ammette mai di aver sbagliato.

Lo so, non te ne sto facendo un ritratto lusinghiero, ma ti prego di non essere prevenuto ora contro di lei.

Asuka potrà sembrare irruente e sprezzante, però...quando qualcosa le va male, anche se inizia ad inveirmi contro in tutti i modi possibili ed inimmaginabili è da me che viene. Non va dalla Capoclasse. Viene sempre da me. Questo in un certo senso mi fa sentire importante e dimenticare tutto il veleno che mi sputa addosso.

E mi rende anche felice. Perché vuol dire che in un certo senso, anche se non ricambia ciò che provo, io sono importante per lei. Che riesco a sollevarle dalle spalle i pesi che la aggravano.

Capisci cosa intendo?

 

 

From: Gabriel Vancy             To: Shinji Ikari

Object:  ///

 

Si credo di capire.

A questo punto direi che posso farti quella domanda.

Sai, non riesco a togliermi dalla testa le parole che mi hai detto oggi. ‘Come l’alba sul mare’… Ho pensato che sono parole da innamorato.

Shinji, cosa vuol dire essere innamorati? Cosa significa realmente?

E per quale ragione una persona riesce a scalzarne un’altra dal cuore di qualcuno?

Qual è la differenza che ti ha portato a preferire Asuka?

Come hai fatto ad accorgertene?

 

 

Gabriel

 

Shinji guardò il monitor incredulo. Davvero non sapeva cosa significava??

 

E’…impossibile! Come faccio a spiegargli una cosa del genere!?Ma da dove le ha prese queste domande?? Gabriel...davvero non lo sai?

 

No. Gabriel non lo sapeva. Ormai era trascinato in un flusso di pensieri inarrestabile. Quella frase gli era entrata in testa e non voleva più uscirne. Innamorato…essere innamorato…aveva tanto sentito parlare di quella parola, la maggior parte delle musiche che aveva suonato erano incentrate sull’amore, ma lui, realmente, cosa ne sapeva?

 

Nulla.

Così come non so perché quella frase mi sta rintronando nel cervello.

Così come non so per quale motivo voglio a tutti i costi costruire un ponte che possa permettermi di venirti incontro.

Perché? In quale modo mi stai richiamando?

Perché?

 

From: Shinji Ikari                  To: Gabriel Vancy

Object: Re:  ///

 

 

Gabriel…

Sul perché sia innamorato di Asuka credo di averti già esaurientemente risposto.

Posso solo dirti che è…differente da quello che c’era con Ayanami a causa delle sensazioni che questo sentimento da.

Un’attrazione momentanea dovuta forse a quell’alone di mistero che la circonda e su cui mi soffermavo di tanto in tanto a riflettere e pensare è ben diverso da ciò che si prova vivendo fianco a fianco con una persona.

Vivendo con Asuka, nonostante a volte sia insopportabile, ho imparato ad apprezzarla, ad ammirare quella forza che possiede e che io non ho, a desiderare di esserle utile, di toglierle di dosso la tristezza e la rabbia nella speranza di un sorriso. Anche facendole da zerbino.

Alla fine, credo che questo significhi  essere innamorati.

Credo sia quando non riesci a guardare nessun’altra oppure vivi nell’attesa di un suo sorriso e quando il suo pensiero non ti abbandona neppure per un istante e nel pensare a lei ti senti in pace con te stesso.

 

Gabriel lesse e rilesse quella e-mail più volte.

 

Dunque è così…è questo che significa.

 

From: Gabriel Vancy             To: Shinji Ikari

Object:  ///

 

 

Ti ringrazio, Shinji.

Stai tranquillo. Nessuno saprà nulla.

Ci sentiamo all’uscita e scusa per il disturbo.

 

 

Gabriel

 

Tutto ciò che il Fourth Children ora voleva era riflettere in pace. Senza avere il coraggio di guardare il banco accanto a se spense il pc e si immerse nei suoi pensieri.

 

 

Il pomeriggio passò senza avvenimenti di rilievo finché non suonò la fine dell’ultima ora. Gabriel, che fino ad allora era riuscito a non guardare Rei, si volse verso di lei, cercando le parole per salutarla.

 

E se mi ignora anche adesso? E se dico qualcosa di sbagliato?

 

Aprì la bocca per parlare, ma si gelò. Lei si era già alzata in piedi ed avviata verso la porta, senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. Il ragazzo sentì un gelo invaderlo, anche più profondo di quanto fosse stato le altre volte.

Shinji dovette accorgersene, perché chiese ai ragazzi di aspettarlo più avanti e si attardò. Asuka, dal canto suo, gettò una rapida occhiata ai due che rimanevano indietro, di cui Gabriel aveva un’espressione indecifrabile. Poi scrollò le spalle e si avviò verso l’uscita.

 

Bah, ragazzi.

 

“Gabriel,” azzardò Shinji, titubante, verso l’amico. “Ti senti bene?”

 

No, per niente. E non capisco nemmeno il vero motivo di questo mio malessere.

Non è la prima volta che mi ignora, però non mi sono mai sentito così… frustrato.

 

Gabriel esitò un po’ prima di rispondere, poi decise che mentire non sarebbe servito a nulla.

“Non molto, in effetti. Rei se n’è andata senza salutare.

Shinji guardò verso la porta, dove la rossa chioma di Asuka stava scomparendo.

“A volte fa così, è normale. Dai, ora che andiamo a casa ci aspetta un’altra bella cenetta…”

Si interruppe, poi riprese con un sorriso imbarazzato: “Beh, non è che le cene della signorina Misato siano fenomenali…”

Ma Gabriel si sentiva meglio. Il rozzo tentativo di rincuorarlo lo faceva sentire più a suo agio. Sorrise, rassicurante verso il Third Children: “Meglio di niente. L’importante è la compagnia.”

Shinji rise ed aspettò che ritirasse i suoi libri prima di uscire dall’aula.

 

 

I ragazzi furono piuttosto stupiti di vedere Misato e Satoshi fuori da scuola che li stavano aspettando, e Gabriel lo fu ancora di più per il fatto che Rei era ancora lì accanto alla moto dell’Agente della sicurezza, lo sguardo perso lungo la strada.

 

Che sta succedendo qui?

Come mai Rei è ancora qui?

Ho un brutto presentimento…

 

“Signorina Misato…” Iniziò Shinji, esitante.

Cosa ci fate qui?” lo interruppe Asuka con il suo solito fare sprezzante. Misato sorrise con aria di scusa.

“Ci ha mandati Ritsuko, Asuka. Vuole che Rei vada al quartier generale per dei test e…” volse uno sguardo dispiaciuto verso Gabriel, lasciando cadere il discorso.

“Vuole che Gabriel vada con lei per il suo primo test di sincronia,” concluse Satoshi per lei.

Gabriel rimase di sasso.

 

Il mio primo test di sincronia? Così presto? E… con Rei?

 

Rei sembrava non aver sentito. Asuka e Shinji invece avevano l’aria visibilmente sorpresa. Misato se ne accorse e disse: “Per il primo test vuole esaminare Gabriel singolarmente, ragazzi, in modo da dedicargli assoluta attenzione. Voi potete andare a casa, Satoshi vi accompagnerà. Poi fece l’occhiolino all’Agente ed aggiunse: “E’ un ordine.

Lui sorrise di rimando ma non disse nulla. Alla fine fu Asuka a rompere il silenzio.

“Oh beh, in tal caso…” Scattò verso la moto. “Io sto davanti!”

Satoshi afferrò il manubrio appena in tempo prima che la ragazza si gettasse sul sellino. “Attenta! Se non salgo prima io cadi!”

Misato ridacchiò, ma fu fulminata da uno sguardo della rossa: “Misato, non ridere! Non sarei caduta, intanto. Vieni, Shinji, noi dobbiamo andare. Si rivolse poi agli altri due Children, con una cordialità simulata. “Quanto a voi… buoni test, fate i bravi, mi raccomando!”

Quando salirono sulla moto con Satoshi, Shinji era l’unico ad aver capito cosa in realtà frullasse nella testa di Asuka.

 

Che vergogna! E Misato mi derideva pure! Davanti a mister Perfettino Baka-Shinji! Dannazione… Se fossi caduta sarebbe stato anche peggio… Dannazione, che umiliazione…

 

Il Third Children si sporse da dietro al fianco di Satoshi e notò una lieve contrazione nella mandibola della ragazza, per cui decise di non dire nulla, ma anzi aggrapparsi saldamente alla vita dell’Agente. Il dorso delle sue mani toccò la schiena di lei, laddove si appoggiava al conduttore della moto, ma non parve esserci alcuna reazione.

 

Asuka… Posso solo immaginare quanto soffri in continuazione, anche se non lo dai a vedere. Non sono poi Baka quanto credi, sai?

 

“Ci vediamo a casa, allora,” gridò Satoshi per farsi udire al di sopra del rombo della moto. Misato annuì, subito imitata da Gabriel. Lui, Asuka e Shinji fecero un rapido cenno di saluto e partirono veloci.

“Coraggio, in macchina allora!” esclamò Misato sorridente quando la moto sparì dalla vista. Gabriel però rimase immobile. Ora sarebbe stato solo con Rei in auto, dato che Misato sarebbe stata impegnata per la guida.

 

Cosa dovrò fare? Mi batte il cuore e mi chiedo se riuscirò a comunicare con lei…Rei…aiutami a venirti incontro.

 

“Gabriel, stai bene?” chiese Misato, che aveva già aperto la portiera del posto da guidatore e stava aspettando. Il Fourth Children si riscosse e guardò stupito l’automobile. Mentre lui stava ragionando con se stesso, Rei era passata davanti al muso ed era già salita a bordo, sul lato destro del sedile posteriore. Ed ora stava guardando fuori dal finestrino. Gabriel sospirò.

 

E’ inutile. Adesso sarebbe tutto vano…

 

Aprì la portiera anteriore e si sedette sul sedile del passeggero. Ora che i Children erano a bordo salì anche Misato, chiuse la portiera e diede gas, sparendo rapidamente da davanti alla scuola.

Dato che in automobile regnava il silenzio, la donna cercò di attaccare bottone.

 

Che sia successo qualcosa?

 

“Allora, Gabriel, il tuo primo test di sincronia!” esclamò raggiante. “Ti senti pronto?”

“Non lo so,” fu la risposta pensierosa. “Non so ancora bene cosa aspettarmi. Come mai la Dottoressa Akagi ha voluto vedermi oggi stesso?”

“Ha detto ‘Prima è, meglio è’, più o meno. Sai, lei ha un debole per la pignoleria…” Ridacchiò. “Comunque non devi preoccuparti, non è nulla di terribile.”

Stava per aggiungere unvero, Rei?’, ma guardandola dallo specchietto notò che era ancora assorta a fissare il cielo.

 

Se poi è successo davvero qualcosa rischio solo di peggiorare le cose coinvolgendoli così… Ma poi magari non è successo nulla. Forse Gabriel è solo teso per il suo primo test, e Rei… Beh, Rei non mi pare diversa dal solito.

 

Il resto del viaggio proseguì in silenzio.

 

 

***

 

Se Il Tenente Ibuki da un lato era una Senpai formidabile dall’altro aveva anche usato talmente tanta terminologia specifica da aver provocato all’Agente Iwanaka un’emicrania coi controfiocchi.

Intanto neppure Misato se la passava tanto bene. Erano trascorse svariate ore da quando aveva lasciato l’infermeria ed era ancora inavvicinabile. L’espressione furente che aveva funzionava meglio di un’ AT Field.

Quando Ritsuko andò da lei per comunicarle che in serata il Fourth Children avrebbe effettuato il suo primo test sul tasso di sincronia, si chiese se non fosse il caso di prescriverle un calmante.

“Come il suo primo test sul tasso di  sincronia??” sbottò il capitano, sbattendo sulla scrivania il fascicolo che stava esaminando. Ritsuko sollevò un sopracciglio, a metà tra l’inquieta e la divertita.

“Esatto, Misato, il suo primo test di sincronia.

E perché proprio oggi? E’ il suo secondo giorno in Giappone, non potresti almeno farlo ambientare un po’ prima di isolarlo in un entry plug?”

“Beh, prima è meglio è, Misato. Dopotutto un Angelo potrebbe attaccare anche domani, ed un pilota di riserva può sempre essere utile.

Misato rimase interdetta. Poi la guardò sospettosa: “Cominci a somigliare al Comandante Ikari, sai, Ritsuko?”

L’altra sorrise beffarda, ma non rispose.

 

Ci sono cose che tu non sai, Misato. Ed è meglio che continui a non saperle.

 

“Mi aspetto che me lo porti appena uscito da scuola, avrà tempo qui per darsi una rinfrescata.

Misato annuì e guardò l’orologio. Mancava ancora circa un’ora all’uscita dei ragazzi, e per come guidava lei sarebbe giunta a scuola in non più di trenta minuti. Quindici, con la rabbia che aveva in corpo. Ristuko stava già andando via quando d’un tratto si girò: “Ah, e porta anche Rei. Ci sono dei test anche per lei. Li farà contemporaneamente a Gabriel, non è necessario che io supervisioni anche lei, così potrai riaccompagnarla a casa.

L’altra donna annuì con aria scocciata.

 

E’ il caso che faccia qualche battuta su Ryochan? No… Per l’incolumità dei suoi passeggeri, è meglio che mi privi di questa soddisfazione.

 

Trattenendo un sorriso, la dottoressa lasciò l’ufficio.

Dieci minuti dopo Misato raggiunse Satoshi in sala mensa. Anche lui aveva l’aria di uno che non si era divertito molto. Il giovane la vide e le fece un cenno di saluto.

“Giornata pesante anche per te, eh?” chiese lui, notando l’espressione tremenda della donna.

“Non parlarmene,” tagliò corto Misato. “Dobbiamo andare a prendere i ragazzi. Io porterò Rei e Gabriel qui per alcuni test e tu porterai Asuka e Shinji a casa.”

“Agli ordini Capitano,” fece Satoshi sarcastico. La donna lo notò ed i suoi lineamenti si addolcirono un po’.

“Scusa se sono stata brusca, il fatto è che ho avuto…”

“Una giornata pesante,” completò Satoshi, sorridendo con aria affaticata. “Non importa, davvero. Coraggio.” Si alzò, stringendosi il colletto appena allentato dell’uniforme. “Andiamo a prendere i ragazzi.

Misato annuì, più rincuorata dal fatto di essere stata capita, e si recarono al parcheggio. A metà del viaggio verso la scuola le tornò il buonumore e dimenticò il brutto incontro di quella mattina.

 

 

***

 

Giunsero al quartier generale con quindici minuti di anticipo sulla tabella di marcia, grazie alla guida ‘particolare’ di Misato. In un attimo furono agli spogliatoi, dove li aspettava già Ritsuko.

“Complimenti, non ti sei persa questa volta,” fu lo sprezzante commento della dottoressa. Il Capitano fece cenno di lasciar correre con una mano e si rivolse a Gabriel: “Allora, Gabriel. Stai tranquillo e fa’ tutto quello che ti dice la Dottoressa Akagi. Io vi aspetto qui e poi vi accompagno a casa, d’accordo?”

I due ragazzi annuirono, e le due donne non notarono il rapido sguardo che Gabriel aveva lanciato a Rei notando il suo cenno, primo segno di comunicazione da molte ore a quella parte.

Misato li affidò a Ritsuko e se ne andò. La Dottoressa allora prese la parola: “Allora. Rei, tu sai già cosa fare. Gabriel, nello spogliatoio troverai una plug suite. Ci saranno anche le istruzioni per indossarla. Una volta fatto, esci e ti accompagno alla tua entry plug. Domande?”

Gabriel fece cenno di no, irrigidito dal tono lapidario della donna, e si volse per entrare nello spogliatoio maschile. Con la coda dell’occhio vide Rei entrare in quello femminile, ma non osò girare anche il capo.

Lo spogliatoio era una stanza piuttosto ampia e ben illuminata, con due file di armadietti e due di panche poste davanti a questi ultimi. Su una panca c’era una tuta intera nera, con alcuni elementi grigi ed il bordo del colletto rosso, ed accanto un foglio illustrativo. Gabriel lo prese, lesse alcune righe, poi cominciò a spogliarsi.

 

Questa è la famosa plug suite… c’è il numero 03 inciso sopra, probabilmente indica il mio futuro Evangelion, lo 03. Chissà che aria avrò con questa cosa indosso.

E chissà come starà Rei…

La vedrò, una volta uscito da qui? Almeno questa volta, prima di iniziare il test, riuscirò a dirle qualcosa di intelligente? O farò di nuovo scena muta?

Non riesco ad avvicinarmi a lei… Per quanto mi sforzi, non ci riesco…è come se avessi paura… paura forse che mi precluda ogni possibilità di dialogo…

Ma… Non doveva venire così!

 

Gabriel si rialzò e si guardò allo specchio. Aveva indossato la plug suite, ma essa ricadeva tutto attorno in numerose pieghe flosce, quando dall’illustrazione avrebbe dovuto essere aderente. Sul foglio c’era scritto di usare un meccanismo per la “decompressione aerea”, ma l’ancor scarsa dimestichezza del Fourth Children con i kanji gli impedì di capire dove si trovasse.

 

Accidenti… Beh, la Dottoressa Akagi lo saprà senz’altro, e capirà la mia difficoltà con il giapponese.

 

Frusciando in modo molto poco aerodinamico si diresse all’uscita. Fuori Ritsuko lo stava aspettando, e lo guardò con aria interrogativa notando lo stato della sua tuta. Gabriel fece per parlare ma il fiato gli si bloccò quando vide Rei uscire dal suo spogliatoio.

La plug suite della ragazza era perfettamente aderente, e la indossava con disinvoltura, come se per lei fosse la cosa più semplice del mondo. Per un brevissimo attimo i loro sguardi si incrociarono, e Gabriel credette di scorgere nel suo un lampo di sorpresa, sostituito subito dalla solita indifferenza. Prima che lui o Ritsuko potessero spiccicare parola, Rei abbassò lo sguardo.

 

Il Fourth Children ha dei problemi con la plug suite.

La Dottoressa Akagi dovrebbe intervenire.

Però…

Lui oggi si era preoccupato per me.

E’ stato gentile con me.

Suppongo… sia giusto che io sia gentile con lui.

 

Rei fece un passo verso Gabriel, e senza guardarlo negli occhi gli prese la mano sinistra fra le sue e premette il tasto sul suo polso. Subito la plug suite nera si restrinse, aderendo al corpo del Fourth Children. Solo ora gli occhi dei due si incontrarono di nuovo. Quelli di lui esprimevano uno stupore immenso.

 

Ho fatto qualcosa che non va?

 

“G-grazie!” balbettò lui, attonito.

“Prego,” fu la risposta che seguì subito dopo. Poi Rei si volse verso Ritsuko.

“Dottoressa, io mi reco al mio posto.”

Ritsuko aveva la bocca aperta e non pareva capace di rispondere. Prendendo il suo silenzio come un consenso, Rei si girò e se ne andò lungo un corridoio. Dei due presenti, nessuno parlò per alcuni secondi.

 

Rei… mi ha afferrato per mano?? Non riesco ancora a crederci! Mi ha… aiutato. Che fosse il suo modo per comunicarmi qualcosa riguardo questa mattina? Ma cosa? Che non sei arrabbiata con me? Che realmente mi stai permettendo di venirti incontro?

 

Rei ha aiutato Gabriel?? Devo essermi persa qualcosa… Non credevo che Rei fosse in grado di provare la spinta ad aiutare qualcun altro! Ah… forse è un sogno. Sì, non può che essere così. Rei non si comporta così.

 

“Dottoressa?” chiese Gabriel, poco convinto. Ritsuko si riscosse dal suo meditare.

 

No! Non è un sogno!

 

“Ehm… sì, dimmi,” rispose, cercando di nascondere il suo sconcerto. Ma non dovette faticare molto, poiché Gabriel aveva ben altro cui pensare.

“Dovremmo andare a fare il test di sincronia,” precisò lui.

“Ah sì! Giusto. Perfetto, seguimi.”

Nessuno di loro due parlò durante il tragitto fino al blocco di entrata.

 

 

“Prova collegamento radio: mi senti, Gabriel?”

L’entry plug non era come se l’era immaginata. La pensava più stretta, ma invece era abbastanza larga da stare comodi, anche se leggermente inclinata. Ma ancora non capiva come funzionava la connessione con l’Evangelion. Attraverso dei comandi e degli schermi olografici? O qualcosa di assolutamente nuovo?

“Affermativo,” confermò il Fourth Children.

“Bene. immissione LCL.”

Un liquido giallastro cominciò a filtrare all’interno dell’entry plug.

 

Dev’essere qualcosa che amplifica i miei movimenti corporei… Solo che è un po’ troppo…

 

Gabriel annaspò quando il liquido raggiunse il suo volto e si sforzò per trattenere il respiro quando salì oltre la sua testa. Indistintamente a causa dello sforzo sentì la voce di Ritsuko.

“Lascialo entrare nei polmoni, ti rifornirà di ossigeno!”

Stava per scoppiare, non avrebbe resistito ancora a lungo…

Poi cedette, e credette di annegare. Il liquido gli si riversò nei polmoni dandogli una sgradevole sensazione di annegamento. Ma subito si rese conto di poter respirare come prima. Anzi, meglio di prima. Nella sala comando tutti sorrisero.

 

La prima volta fa quell’effetto a tutti. Beh, quasi a tutti… tranne che a Rei.

 

“Bene. Ora che ti sei ambientato, rimani concentrato su un pensiero,” disse infine Ritsuko, cercando di non ridere per l’espressione imbarazzata ed un po’ imbronciata di Gabriel.

“Roger,” rispose lui, fece un profondo respiro, anche se non ce n’era bisogno, e si concentrò sull’unico pensiero che in quel momento non avrebbe potuto scacciare.

 

Rei…

 

 

Molti piani più in basso, Rei si trovava in un cilindro colmo di LCL. Leggere correnti le muovevano i capelli e le scivolavano sulla pelle nuda.

 

Ho fatto bene ad aiutare il Fourth Children senza che mi venisse ordinato?

Oppure semplicemente richiesto?

Eppure… Era quello che volevo fare.

 

“Basta così, Rei,” ordinò una voce perentoria, distraendola dai suoi pensieri. La ragazza si riscosse ed annuì. Il liquido fu aspirato via dal cilindro.

 

 

 

 

 

Ormai erano già passate tre settimane dal primo test sul tasso di sincronia di Gabriel e dopo quello ne erano venuti altri ed altri ancora, quasi senza tregua. La Dottoressa Akagi sembrava voler assolutamente analizzare ogni minima variazione. Sua e degli altri. Tuttavia, nessuno di loro tre era mai riuscito a superare Asuka, il cui primato restava intoccabile.

Ogni volta che ritornava dalla Nerv era stanco morto e inoltre le cose a scuola avevano preso una brutta piega dal suo punto di vista. Due giorni dopo il suo arrivo, il Professore di Musica aveva reso pubblica la sua Laurea, facendolo piombare nel terrore di divenire inviso alla classe dato che oltre a questo era stato all’unanimità esonerato dalla materia, e da allora non aveva più avuto un solo attimo di pace. Anzi, nel giro di qualche giorno fu anche peggio. La notizia non aveva logorato i rapporti, ma il suo pc straripava di e-mail, soprattutto da parte di Motoko, Yuki e Keiko, le quali erano divenute le nuove assidue frequentatrici della nuova vendita di foto clandestine di Kensuke sul pianista (il quale, ovviamente, ne era accuratamente tenuto all’oscuro insieme all’ormai quasi inseparabile Shinji). Anche il suo armadietto, come a suo tempo quello della Second Children, non se la passava affatto bene.

La prima volta che si ritrovò un fiume cascante di lettere, a parte arrossire fino all’attaccatura dei capelli, restò inebetito sul luogo del disastro per almeno due minuti buoni. Ne lesse i mittenti, erano tutti nomi che non conosceva. Nemmeno lui sapeva bene perché, ma non se la sentì di aprirle. Come se così facendo commettesse un torto. Verso chi poi, non lo sapeva neanche lui. Le missive finirono intatte nel cestino.

 

Quanto a Rei, da quella volta al quartier generale aveva riflettuto molto, ma aveva poco interagito con Gabriel, principale oggetto dei suoi pensieri. Ormai si era resa conto di aver fatto bene ad aiutarlo, e che, per qualche motivo che a lei ancora sfuggiva, c’era dell’interessamento del ragazzo nei suoi confronti, nonostante lei non ne avesse bisogno. Ma la cosa non le dispiaceva affatto.

 

Misato e Satoshi nel corso di quelle tre settimane avevano stretto una sincera e profonda amicizia, che andava ben al di là del rapporto professionale. Molto spesso lui si offriva spontaneamente di preparare la cena (ed il pranzo nei giorni festivi) per lei ed i ragazzi, e nonostante Misato non volesse disturbare, Asuka e Shinji erano molto felici di mangiare da lui. Al che anche Misato doveva cedere, con un sorriso.

 

Una sera Gabriel ritornò a casa decisamente sfibrato. Sia lui che Shinji erano stati tenuti alla Nerv fino alle nove ed avevano cenato alla mensa insieme a Satoshi che li aveva accompagnati a casa e poi era dovuto ritornare alla svelta al Quartier Generale per non aveva capito bene quali disposizioni circa la protezione Piloti.

Il Third Children lo aveva invitato ad entrare nell’appartamento così non sarebbe rimasto da solo, ma Gabriel aveva rifiutato. Quella era l’occasione buona perché quei due restassero da soli ed inoltre erano giorni che voleva dedicarsi al suo pianoforte e liberarsi così dalle preoccupazioni.

Da un lato a Shinji dispiacque che avesse deciso di restarsene solo, ma dall’altro gliene era riconoscente e dal lieve sorriso che gli rivolse il suo amico prima di congedarsi, capì che gli stava augurando un silenzioso in bocca al lupo.

Però non servì molto. Asuka era in una delle sue fasi aggressive, per cui era rischioso avvicinarsi troppo a lei. E dire che era da qualche giorno che Shinji progettava di parlarle dei suoi sentimenti, per chiarirli una volta per tutte a sé e a lei. Ma ogni volta non ce n’era mai l’occasione. Ed ora che si era presentata grazie ad un’assenza di Misato (aveva infatti il turno di notte alla Nerv), non poteva avvicinarsi ad Asuka. Inghiottendo il boccone amaro ed ignorando le critiche continue della rossa sugli argomenti più disparati, se ne andò subito a dormire.

Non appena mise piede in casa propria, Gabriel si diresse al pianoforte.

Sospirò con aria grave chiudendo gli occhi. Finalmente poteva restare da solo con se stesso. Finalmente poteva lasciarsi trasportare dalla melodia dimenticandosi del mondo. 

Senza attendere oltre, la “Sesta” di Beethoven scaturì dallo strumento.

 

Rapidi suoni, accordi fulminei, incessante incalzare, non concedono tempo, pretendono ogni singolo istante.

Sciogliersi e fondersi, avvertire in modo cosciente la mente abbandonare il corpo e la tua Anima divenire nota tra le note.

E' così che vivo. E' così che parlo.

Una lingua che non ha bisogno di parole, una lingua universale, la chiave per comunicare direttamente al cuore delle persone.

Al cuore delle persone…

Al cuore delle persone…

Questo vale anche per te, Rei?

 

Accadde ancora. Non erano ancora trascorsi due minuti e già le note volsero in tutt’altra direzione.

Una lieve contrattura delle sopracciglia come reazione di sorpresa, ma i suoi occhi restarono chiusi. Come se si fosse abituato, ma non era affatto così, il ragazzo assecondò la nuova melodia che si stava profilando sotto le sue dita. Il “Notturno” di Chopin. 

 

E’ successo ancora…

Perché?

Adesso  che ci penso…è capitato sempre.

Ogni volta che ho pensato a te.

Ossia sempre più spesso da quando ti ho guardata nel sole di quella mattina… capendo che tu appartieni alla Notte…

Alla Notte…

E da allora non ho mai potuto concentrare il mio sguardo su altre che non fossero te.

E da allora non ho smesso di pensarti per un solo momento.

Nemmeno quando sfinito dalla fatica dovevo restare nell’entry plug fino a tardi.

Pensavo a te e alla tua quiete. E questo mi faceva sentire in pace e la stanchezza finiva nel dimenticatoio…

 

Il brano volse al suo termine e subito ne venne attaccato un altro: “Claire de lune” di Debussy.

 

Un altro brano che non era nei miei programmi questa sera…

Ogni volta che ci sei tu la mia musica inizia a prendere direzioni diverse da quelle che io avevo previsto.

Ogni volta che la mia mente è ottenebrata dal pensiero di te…

L’onnipresente pensiero di te…

Quell’onnipresente pensiero, quell’impiegabile impulso di venirti incontro, quell’ insopprimibile desiderio di riuscire un giorno a vedere il tuo sorriso…

Un tempo era la Musica, la mia vita, l’unica cosa che io ami, a guidare i miei pensieri come Maestra, Amica, Madre, perché ora…

 

Sobbalzò aprendo gli occhi. In un solo istante le parole della lontana mail di Shinji  scorsero rapidamente nella sua mente mentre alla melodia ormai terminata, subentrava 'Al Chiaro di Luna’ di Beethoven.

 

Quando non riesci a guardare nessun’altra…”

Quando vivi nell’attesa di un suo sorriso…”

Quando ti senti in pace con te stesso…”

Quando il suo pensiero non ti abbandona neppure per un istante…”

…Quando invece ora  è il suo pensiero a guidare la mia  musica…

Quando è il mio Amore a guidare la mia musica…

 

La musica cessò e tutto cadde nel silenzio.

 

 

 

Qualche sera più tardi, Misato ebbe l’idea di cenare tutti insieme, invitando anche Rei. Quando lei e Ritsuko, che l’aveva accompagnata, arrivarono, Gabriel si era già cambiato: aveva reindossato lo smoking con cui era arrivato in Giappone. Non sapeva bene perché, ma voleva apparire elegante. A nulla erano valsi gli ammonimenti di Satoshi, sul fatto che mangiando avrebbe potuto macchiarsi, era irremovibile. Sentiva che doveva essere così. Ad Asuka era passato il periodo aggressivo, così anche Shinji era più tranquillo. In questo modo il clima durante la cena (cucinata da Satoshi, tenendo conto anche delle abitudini alimentari di Rei) fu piuttosto rilassato.

Alla fine del pasto Misato ebbe un’idea.

“Gabriel, perché non ci suoni una canzone? A tutti noi!” propose, facendo un largo gesto con la mano ad indicare tutti i commensali seduti al tavolo. Gabriel li guardò tutti. Si soffermò in particolare su Rei, ma non riuscì a coglierne lo sguardo: lei continuava a guardare il suo piatto quasi vuoto, come se aspettasse in silenzio una decisione. Per un attimo il Fourth Children si sentì smarrito, ma subito si riprese. Si volse di nuovo verso Misato.

“Accetto molto volentieri, Capitano,” disse infine.

Tra le sonore incitazioni di Asuka il gruppo di persone si sistemò sui divani preparati appositamente da Satoshi e Shinji, e Gabriel si posizionò sul suo scranno, davanti al pianoforte. Sentiva il suo cuore battere forte, come sempre gli succedeva quando stava per suonare. Ma ora era diverso. Si sentiva fremere. Lanciò un’ulteriore sguardo ai presenti e per un breve istante incontrò gli occhi di Rei. Allora seppe cosa fare. Mai come in quel momento quella vecchia canzone di quando lui era ancora un bambino piccolissimo, e che si era trascinata negli anni imbattuta, poteva esprimere meglio quello che albergava nel suo cuore.  Pose le mani sulla tastiera e subito nella stanza calò il silenzio. Chiuse gli occhi. Poi, del tutto inaspettatamente, cominciò a cantare.

Tutti restarono ammutoliti. Misato guardò stupita Satoshi e quest’ultimo e le lanciò un’occhiata altrettanto esterrefatta di rimando come a volerle dire che non ne sapeva nulla.

La sua voce non era affatto sgradevole, ma anzi, ben intonata. Non era una voce da bambino ma ancora non era totalmente quella di un adulto. Solo in alcuni tratti, quando le corde vocali modulavano particolari note, un orecchio esperto avrebbe potuto cogliere quella che sarebbe divenuta in futuro. Con tutta probabilità avrebbe avuto una sonorità piena e avvolgente, ma ora era troppo presto per stabilirlo. Le parole erano in giapponese, ma si vedeva chiaramente che se per il giapponese parlato se la cavava abbastanza bene, in quello cantato non riusciva ad evitare di infonderci il proprio accento di madrelingua. Tuttavia quell’influsso francese sembrava non togliere nulla al brano.

I presenti ammutolirono in stupore senza muoversi.

 

Quando brami

strane tentazioni;

Quando vuoi

oscure sensazioni;

Nella notte senti

immensi sogni ardenti…

 

Notte lieve

colma di splendore,

chiama, senti,

offrile il tuo cuore.

 

Guarda gli occhi miei,

come in sogno ti vorrei,

non sarà la luce che davvero vuoi:

La notte dolce musica per noi…

 

Chiudi gli occhi ed arrenditi adesso puoi,

per salvarti i tuoi sogni infiammerò…

Chiudi gli occhi e il tuo Angelo

Sarò…

 

Fantasie, nel tuo calice berrò…

 

Notte nera

che ti avvolge adesso.

tinte tetre,

sei in mio possesso.

 

Vivi e capirai

nell’immenso volerai

se non hai confini so che tu lo vuoi:

La notte dolce musica per noi…

 

Senti ormai la ragione muta sfugge via

coi pensieri di un mondo non più tuo…

Volerò dove offenderci non può!

 

Con l’idea

Che persa in me

Ti avrò…

 

Folle scorre

velenosa ebbrezza

dammi, ama,

prendi ogni carezza.

 

Resteremo qui,

lascia nascere così

quell’immagine d’amore che tu vuoi:

Può tutto questa musica per noi…

 

Evochi mia Musa se lo vuoi

sempre immensa musica per noi…[1]

 

 

Gradualmente, Gabriel abbassò il proprio tono sfumando le ultime parole sino a sfociare nel silenzio sebbene, mancando della preparazione in campo canoro necessaria per una canzone di tale livello, avesse dovuto necessariamente diminuire le note lunghe al fine di non prendere stecche e restare senza respiro.

Quando anche l’ultima nota di pianoforte si spense, tutto tacque ed egli stesso rimase per qualche istante ad occhi chiusi inspirando profondamente.

Il primo a riscuotersi fu Satoshi che prese a battere fragorosamente le mani subito seguito a ruota da Misato, Ritsuko, Asuka e Shinji. Dopo qualche attimo di esitazione anche Rei prese ad applaudire. In modo forse troppo tenue per poter essere udito. Tuttavia quel gesto non passò inosservato alla scienziata, né tantomeno al pianista che, alzatosi dallo scranno del suo strumento ora rivolgeva un inchino da palcoscenico verso il suo piccolo pubblico. Ma non erano gli applausi a cui badava. In quel momento tutto ciò che aveva importanza erano gli occhi di Rei e solo ad essi rivolgeva la sua attenzione.

Rei applaudiva, ma la sua mente era distante. Era ancora legata alla canzone, che si ripeteva all’infinito riflessa negli occhi verdi del ragazzo.

 

Quella magnifica canzone…

Di un’intensità che non ha pari nella mia esperienza.

Cantata in un modo di cui non si può dire l’uguale.

Da una voce che…

Mi dà una strana sensazione, che posso descrivere solo come…

Un dolce struggimento.

 

“Gabriel…” Cominciò Ritsuko quando l’incanto si fu rotto “…non sapevamo che avessi anche queste qualità canore…”

A malincuore, il Fourth children dovette rivolgersi verso la sua interpellatrice.

“Dopo aver preso la Laurea in pianoforte, mi sarebbe piaciuto fare canto, ma l’ Insegnante della materia me lo ha sconsigliato. Ha detto che avrei dovuto attendere almeno la maturità per consentire il pieno sviluppo delle corde vocali.”

La Dottoressa annuì con professionalità. ”Ha avuto ragione. Non dovresti sforzare la voce in quel modo troppo spesso.

“Non si preoccupi, Dottoressa Akagi. Non canto molto spesso, non ho nessuna intenzione di compromettermi questa possibilità.”

“ E dimmi…” si intromise Misato “…ti hanno già detto che timbro avrai?”

“Si, hanno detto che quasi sicuramente sarò un Baritono.”

“Sembra davvero interessante!” Esclamò il Capitano con un sorriso. Lei non se ne intendeva troppo di queste cose.

Ritsuko guardò l’orologio da polso.

“Accidenti, si è fatto piuttosto tardi. Rei, noi dobbiamo andare, se vogliamo arrivare a casa ad un’ora decente.

Rei distolse lo sguardo da quello di Gabriel e annuì, grave. Così non notò l’espressione dispiaciuta sul volto del ragazzo.

Dopo un rapido giro di convenevoli e saluti, Ritsuko accompagnò Rei alla porta ed uscirono. Dopo poco Anche Misato, Asuka e Shinji se ne andarono, lasciando Gabriel e Satoshi da soli. Misato aveva insistito per aiutare l’Agente a sparecchiare e lavare i piatti dopo la cena, così ora non restava altro che andare a dormire. Ma Satoshi notò che sul volto di Gabriel c’era ancora quell’aria delusa e sognante, e decise di non disturbarlo. Dal canto suo, il Fourth Children rimase ancora a lungo a fissare la porta di casa, con un unico pensiero in testa.

 

Buona notte, mia Musa

 

 

 

Per la strada, nell’auto presa a nolo da Ritsuko, Rei guardava come al solito fuori dal finestrino, ma questa volta aveva un pensiero segreto che si ripeteva all’infinito nel suo cuore.

 

… Sempre immensa musica per noi…

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] “La musica della notte”, dal “Fantasma dell’Opera”, musical di Andrew Lloyd Webber.

 

 

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Capitolo 8
*** Le Note dell'Amore ***


CAPITOLO 7

CAPITOLO 7

 

Le Note dell’Amore

 

 

 

 

 

Il giorno dopo, quando Satoshi e Misato accompagnarono i ragazzi a scuola, Gabriel aveva una nuova determinazione negli occhi. Ma, anche se Shinji gliene chiese il motivo, non ottenne più che una vaga risposta.

“C’è una cosa che devo assolutamente fare,” rispose mentre stavano entrando a scuola. Shinji aveva molti sospetti a riguardo, ma decise di porgli il quesito più scontato.

“Riguarda la tua attività al Conservatorio?”

Il Fourth Children rimase pensieroso per un attimo, poi sorrise enigmatico: “Sì, in un certo senso sì.

L’incontro turbolento con Toji e Kensuke impedì al Third Children di porre altre domande, poiché non era del tutto convinto, ma capì che era meglio lasciar correre. Guardò Asuka, che si allontanava ridendo con la Capoclasse.

 

In fondo, ho altro cui pensare.

 

Più tardi, quando L’Agente Iwanaka venne ad accompagnarli a casa, Gabriel si affrettò a prendere in disparte l’uomo, mentre Asuka e Shinji li guardavano incuriositi. Il Third Children riuscì appena a comprendere le parole “Aiutami, per favore,” prima che il tono dei due si facesse troppo basso per essere udito. Guardò Asuka come a chiedere conferma di quanto udito e notò che anche lei si era fatta sospettosa. Per quanto la conosceva, era sicuro che avrebbe indagato fino a scoprire cosa il loro collega e Satoshi stavano tramando.

Però per quanto la rossa fosse determinata non poté avere modo di scoprire alcunché, soprattutto per il brusco cambiamento del Fourth Children.

 

Nelle settimane seguenti infatti il pianista non sembrava più lui: laddove a scuola i suoi voti si erano sempre mantenuti ad una media piuttosto alta, ora erano stranamente bassi, ed a volte era addirittura sorpreso a dormire sul banco. Negli intervalli sfuggiva la compagnia, tanto che il 'Trio degli Stupidi più Uno' era tornato ad essere semplicemente il 'Trio degli Stupidi'. A volte era visto a scartabellare una gran quantità di fogli sparsi, ma quando qualcuno cercava di informarsi lui ritirava tutto e rispondeva che erano “cose per il Conservatorio, questioni tecniche, incomprensibili per i profani”.

Quando non si doveva recare alla Nerv per i suoi test di sincronia, molto spesso restava a scuola, chiedendo al Preside il permesso speciale di usare il pianoforte a porte chiuse per scopi personali. Il preside concedeva il permesso, tuttavia si preoccupò ed un giorno chiese le ragioni di tale flessione ad un nervosissimo Satoshi. Questi però si limitò a tranquillizzarlo sul fatto che fosse un problema temporaneo legato alla sua precedente attività di Insegnante al Conservatorio, e che presto sarebbe tornato il Gabriel di sempre.

Satoshi finì strapazzato dal Preside perché non era stato avvisato in anticipo di questa questione, in modo che potesse prendere provvedimenti, ma a Gabriel le cose andarono anche peggio.

Fu strapazzato da Ritsuko.

Per tutto quel tempo anche il suo tasso di sincronia era variabile: a momenti con picchi altissimi, che rivaleggiavano con quelli di Asuka seguivano periodi in cui, se fosse stato a bordo di un Evangelion, non avrebbe potuto sollevare nemmeno un dito.

La dottoressa Akagi seguiva quelle ondulazioni con crescente cipiglio, finché addirittura il tasso non si azzerò, e Makoto cominciò a gridare di ‘alterate condizioni fisiologiche del pilota’. Il timore dell’attacco di un Angelo fu subito dissolto da uno sguardo all’interno dell’entry plug. Le ‘alterate condizioni fisiologiche’ erano dovute al fatto che Gabriel si era addormentato.

Ritsuko lo svegliò sbraitando e lo costrinse ad andare in infermeria per eseguire un check up completo sotto la sua diretta supervisione. Per essere sicuri che quel cambiamento non fosse dovuto a qualche malattia fu sottoposto a processi diagnostici per ogni afflizione, dal raffreddore al controllo di tutte le malattie infantili. Ma nessuno diede risultati preoccupanti. A poco valsero le spiegazioni del Fourth Children, sul fatto che era solo molto stanco perché doveva lavorare tanto per il Conservatorio, Ritsuko non si fu placata finché gli esami non furono ripetuti per tre volte. Solo allora, a sera inoltrata, Satoshi fu fatto venire per portarlo a casa.

Ed a parte quella sera, generalmente Asuka, Shinji e Misato sentivano fino a tarda ora il suono del pianoforte di Gabriel che ripeteva note, si fermava, tornava a ripetere con lievi aggiustamenti.

Ormai anche il Capitano Katsuragi andava alla ricerca di spiegazioni.

Dagli fiducia…” Fu l’unica risposta del suo sottoposto, il quale ormai non sapeva più cosa inventarsi per giustificarlo. Sapeva perfettamente che il suo tutorato stava creando uno scompiglio immane, ma d’altronde non aveva potuto non appoggiarlo. La determinazione con cui il ragazzo gli aveva espresso le sue intenzioni era irremovibile e nulla gli avrebbe mai potuto far cambiare idea.

 

 

 

Un giorno (erano passate quasi due settimane), Gabriel cercava di prestare attenzione al professore di Storia. Aveva tenuto acceso il computer solo per prendere appunti sulla lezione, perché ormai tendeva a fornire solo risposte monosillabiche alle numerose mail che riceveva. Avendo capito che era un brutto momento, i mittenti, soprattutto Motoko, Yuki e Keiko, avevano deciso di darci un taglio, più che altro per rispetto nei confronti del nuovo idolo della classe. Infatti negli ultimi due giorni non ne aveva ricevuta nessuna. Per cui fu alquanto sorpreso dal tenue -bip- che sancì l’arrivo di una mail. Tra l’incuriosito ed il seccato cliccò sulla busta lampeggiante e quasi svenne quando lesse il mittente.

 

From: Rei Ayanami              To: Gabriel Vancy

Object: Richiesta informazioni

 

 

Noto che sei strano in questi giorni. Ti senti bene?

 

Gabriel credette di stare sognando.

 

Rei… mi ha mandato una mail? E si è… preoccupata per me?? Come quella volta, con la plug suite… Ma ora so cosa muove il mio animo verso di te.

 

Veloci le sue dita batterono sulla tastiera con rinnovato vigore.

 

From: Gabriel Vancy             To: Rei Ayanami

Object: Re: Richiesta informazioni

 

 

Ho finalmente capito chi sei, Rei Ayanami. Sei il Notturno di Chopin, quieto e placido tra le stelle, il Chiaro di Luna di Beethoven misterioso e avvolgente, e quello di Debussy malinconico e dolce. Tre opere di cui sei tu la nota più bella.

Con amore,

 

Gabriel

 

Poté appena premere il tasto di invio prima che la campanella che segnava la fine delle lezioni suonasse. Subito si sentì afferrare la spalla.

“Questa volta non ci scappi!” esclamò Toji, costringendolo a voltarsi. Subito il suo volto assunse un colorito rosso fuoco: se Toji o qualcun altro fosse riuscito a leggere la mail che aveva appena scritto…

Però l’importuno non sembrava essersene accorto. Mantenne la sua espressione da duro e disse: “Non importa se devi lavorare per il Conservatorio, lunedì tu pranzerai con noi!”

“Ehi,” si intromise Kensuke, socchiudendo gli occhi e guardando Gabriel in pieno viso. “Sei piuttosto rosso in faccia, sai? Hai una qualche irritazione?”

Involontariamente  lo sguardo di Gabriel si girò verso il posto di Rei, che però era già deserto.

“Oh oh oh…” disse Toji, inarcando entrambe le sopracciglia in un’espressione sorpresa e maliziosa, “Non è un’irritazione, Kensuke. Mi sa che il nostro musicista qui è innamorato!”

“Ehm, ma che dici?” fu la risposta, ma il colorito rosso si accentuò ancora di più, sconfessandolo.

 

E’ una situazione delicata, Toji, ti prego…

 

“Come biasimarlo,” riprese Suzuhara, lanciando una fulminea occhiata a Shinji, che però stava parlando con Asuka e non se ne accorse. Poi ripeté la pantomima che aveva già messo in atto una volta con successo. “Le tettine di Ayanami…”

Kensuke capì dove voleva parare e si mise di fianco a lui, sogghignando.

“Le cosce di Ayanami, e Ayanami ha anche un gran bel…”

“CULETTO!” conclusero i due in sintonia.

Fu un attimo. Gabriel scattò in piedi e li afferrò per il colletto, un’espressione d’ira sul volto che nessuno aveva mai visto.

“Non dite mai più una cosa del genere. Mai più!” ringhiò a bassa voce. Poi li lasciò subito andare.

Toji e Kensuke erano veramente scossi. Avevano la bocca aperta e a malapena riuscivano a respirare. Fissavano esterrefatti l’espressione furiosa di Gabriel.

“Ah… ehm…” balbettò Kensuke.

“Noi… stavamo solo scherzando,” si scusò Toji, visibilmente spaventato.

Tutto attorno sembrava che il tempo si fosse fermato. Nessuno si era accorto del battibecco. Solo Shinji, attardandosi per aspettare gli amici, notò l’espressione atterrita dei due ragazzi davanti a Gabriel.

Alle parole di Suzuhara la rabbia del Fourth Children svanì come neve al sole. Tutta la stanchezza di quelle ultime settimane sembrò piombargli addosso, tanto che dovette appoggiarsi al proprio banco, dietro di sé. Il rossore sparì rapidamente e l’espressione si mutò in dispiacere.

“Mi dispiace, ragazzi,” disse infine. “Non so cosa mi sia preso.”

Dopo un istante Toji riassunse la sua solita aria spavalda, pur se mitigata da qualcosa che si sarebbe detto comprensione, disse: “Non c’è problema. Veramente, abbiamo esagerato, eh, Kensuke?”

L’altro, che aveva impiegato più tempo dell’amico a riprendersi, annuì vigorosamente.

Il primo che aveva parlato posò la mano sulla spalla di Gabriel, con fare amichevole, stavolta.

“Non ti preoccupare,” disse, tornato serio. “Anzi, è bello che ti sia innamorato.”

Di nuovo il rossore si fece strada sul volto del Fourth Children, anche se meno diffuso. Sorrise timido e grato: “Grazie, Toji. Però vorrei chiedervi un favore. Non ditelo a nessuno, per ora. Nemmeno a Shinji. Voglio dirglielo quando sarò pronto.”

“Saremo due tombe,” assicurò Toji per entrambi, e Kensuke si limitò ad annuire con gravità.

Più sollevato, Gabriel si girò, fece la cartella ed andò dal Third Children che li stava aspettando con aria interrogativa. Asuka, come sempre, si era già avviata.

“Cos’è successo?” chiese titubante Shinji.

“Niente, solo una banale incomprensione,” rispose Toji noncurante, e Gabriel gli sorrise grato.

 

 

Rei camminava rapida verso casa sua. Avrebbe corso, ma non era nel suo carattere. Per la prima volta, quel giorno la sua mente non era piena di domande, ma da un’unica affermazione.

 

Con amore, Gabriel.

Con amore.

Amore.

Amore.

Amore.

Una parola che a me non era mai stata rivolta.

Amore.

Una parola che non credevo mai di poter sentire… o leggere… come rivolta a me.

Un sentimento che non sapevo di poter ricevere.

Amore…

Un sentimento che non sapevo di poter… provare.

 

Quasi senza accorgersene era arrivata a casa. Quel giorno non aveva in programma test di nessun genere, così poteva studiare. Ansimava. Era scappata rapidissima dalla classe, complice la campanella, subito dopo aver letto quella mail. Nessuno aveva notato il rossore imponente che le aveva colorato il volto altrimenti così pallido. Rossore che ancora esitava sulle sue guance, sospinto in superficie anche dalla fatica per la marcia forzata.

 

Quello era il significato dei tuoi sguardi.

Quello era il significato dei tuoi sorrisi.

Quello anche il significato della musica celestiale che hai cantato, ora lo so, per me.

Ed in effetti, l’avevo capito fin dal primo momento, quando ho incrociato i suoi occhi.

Ma mi sembrava così… incredibile.

E men che meno mi sarei aspettata di poterlo provare anch’io.

Quando per me anche la gioia o la tristezza erano cose sconosciute.

Provare l’amore…

E’ stato quello che mi ha fatto preoccupare per lui tanto da scrivergli quella mail?

Ci ho ragionato molto prima di inviarla.

E’ questo che fa una persona innamorata?

Non importa più, ormai.

Perché so di esserlo.

So di amarlo.

So di amarti, Gabriel.

 

Salì le scale fino al suo pianerottolo poi entrò in casa. L’indomani sarebbe stato sabato, non sarebbe dovuta andare a scuola, e fino al pomeriggio non avrebbe avuto dei test alla Nerv. Per allora, forse, avrebbe potuto vederlo…

 

Oggi voglio riposarmi, posso studiare domattina.

Non l’ho mai fatto, ma oggi sì.

Mi sento… bene.

E’ questo che fa l’amore?

Sapendo che fuori da queste mura c’è qualcuno che mi ama mi sento più viva.

E’ strano…

Stupendo…

 

Si gettò sul letto senza nemmeno togliersi l’uniforme.

 

Starò qui, voglio solo pensare a te, Gabriel.

E ricordarmi per sempre tutti i momenti in cui ti ho visto.

Sempre immensa musica per noi…

 

 

 

 

 

L’indomani, a l’una e dieci del pomeriggio, L’Agente Iwanaka e il Fourth Children, che portava con se una voluminosa busta, uscivano da un enorme edificio posto alla periferia di Neo Tokyo-2.

“Sei felice adesso?” Satoshi sorrise verso il ragazzo, visibilmente esausto e assonnato, con fare quasi paterno.

Gabriel alzò il capo verso di lui e gli sorrise radioso nonostante due occhiaie tremende e il viso emaciato. Se il suo Tutore era abituato a svegliarsi prima delle 6 del mattino per allenarsi con le sue spade, per lui invece era stato uno sforzo tremendo. Soprattutto a causa del sonno arretrato di  ormai più di quattordici giorni.

“Adesso si. Ma c’è ancora dell’altro da fare.

“Lo so, lo so. Quanto ti è rimasto sul tuo conto in banca, Professor Vancy?” Lo apostrofò scherzosamente l’uomo rivolgendogli uno sguardo fintamente ammonitore. Poi continuò tornando serio “Gabriel, avresti potuto permettermi di aiutarti.

Il pianista gli sorrise grato e scosse la testa in segno di diniego. Non se l’era presa per ilProfessor Vancy’.  Sapeva che Satoshi lo usava solo per scherzare. “ E’ una cosa mia e mia soltanto. Ti ringrazio, ma non potevo accettare aiuti, te l’ho spiegato.  Però non preoccuparti, anche se ridotto ad un quarto della cifra totale, il Direttore del Conservatorio ha insistito per continuare a versarmi lo stipendio in qualità di membro esterno.”

“Ah, già, è vero. Me n’ero quasi scordato. Beh, ora sbrighiamoci, altrimenti troveremo chiuso. Se prendiamo il treno ora dovremmo arrivare giusto in tempo per le due meno venti.”

 

 

 

 

 

La mattina dopo Rei si svegliò perfettamente riposata. Si sentiva come mai si era sentita prima, ed il pensiero che forse avrebbe incontrato Gabriel, sul tardi quel pomeriggio, la metteva di un buon umore insolito per lei.

Dopo una rapida doccia si mise un’uniforme scolastica pulita e cominciò a dedicarsi allo studio.

Nel primo pomeriggio però i suoi esercizi di matematica furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta.

“Chi è?” chiese lei sorpresa. Non aveva mai ricevuto visite a casa, a parte Shinji…

Da dietro la porta risuonò la voce di un uomo, che sembrava compitare da un foglio scritto: “Rei… Ayanami?”

La ragazza si alzò, sempre più stupita ed andò alla porta. La aprì cautamente. Dietro c’era un ometto barbuto sulla cinquantina, che reggeva un grosso mazzo di gigli.

“Rei Ayanami?” ripeté, poi, senza attendere risposta, proseguì, “Questi sono per lei.”

Troppo sbalordita per fare o dire qualsiasi cosa, aprì maggiormente la porta e prese il mazzo di fiori. Insieme ad esso, l’uomo le consegnò anche un voluminoso pacco avvolto in un’anonima carta giallo-arancione da imballaggio.

“Buona giornata!” augurò l’altro sorridendo, e se ne andò. Rei chiuse la porta, ancora a bocca aperta dalla sorpresa. Faceva una strana impressione, con quel mazzo di gigli sormontato su un fianco dal pacco fra le braccia, nella stanza solitamente neutra che le era stata assegnata. Subito andò al letto, dove posò il suo carico. Non sapendo bene come comportarsi, prese la caraffa che teneva sotto al comodino e la riempì d’acqua. Poi la poggiò sul mobile e vi mise dentro i fiori, in modo che non morissero. Solo allora si accorse di un biglietto che era caduto per terra. Col cuore in gola si chinò e lo raccolse. Recava scritta una sola frase, con una calligrafia elegante:Evochi mia Musa se lo vuoi, sempre immensa musica per noi…

 

Gabriel!!

 

Subito afferrò il pacco e lo liberò dalla carta. Dentro c’erano otto custodie di ciò che sembravano essere dei compact disc. Le copertine erano del tutto bianche, ma sul retro erano visibili delle scritte: ‘Prima ora – storia’; ‘Terza ora – matematica’; ‘Quinta ora – nuoto’…

 

Ma… di cosa si tratta?

 

Rivolse la sua attenzione all’ultimo oggetto uscito dal pacco, una specie di grosso libro dalla copertina nera. Lo prese e lo aprì sulla prima pagina. Rimase senza fiato.

Era uno spartito, ed il titolo recitava:Una Giornata di Rei. Composizione, Musica ed Esecuzione: Gabriel Vancy’.

Lesse e rilesse più volte quel titolo, senza comprendere. Poi la verità si fece strada nella sua mente.

 

Una composizione musicale…

Un’opera intera… dedicata a me?

Una mia giornata??

 

Seduta a gambe incrociate sul letto afferrò il primo cd, poi gli altri in rapida successione.

‘Prima ora – storia’

‘Seconda ora – giapponese’

‘Terza ora – matematica’

 

Ma…

Sono le ore del venerdì!

Ha messo in musica il mio venerdì di scuola??

 

Gli occhi corsero rapidi sullo spartito, sfogliandolo furiosamente. I titoli dei cd erano riportati fedelmente sopra lunghe pagine di pentagrammi. Lo sfogliò ancora e ancora e continuò a riguardare i cd finché non si rese conto di non avere un lettore per ascoltarli. Però…

 

… Ho una viola!

 

Rapida recuperò il suo strumento dalla custodia in cui giaceva. Era appoggiata in un angolo, semiabbandonata come l’intero appartamento, ma ora Rei la bramava come non aveva mai bramato nulla.

Recuperatala tornò a letto, si sedette e cominciò a studiare l’inizio, la ‘Prima ora’. Dopo un breve momento cominciò a suonare.

Quelle nuove note si spandevano dal suo archetto e si diffondevano in ogni angolo della stanza spoglia, vivificandola, abbattendone i muri grigi.

 

… Mi sembra di guardare un cielo azzurro attraversato da bianche nuvole.

Un cielo… come quello che vedo la mattina del venerdì fuori dalla finestra della II-A.

Quando tu sei accanto a me…

Sempre insieme.

… Sempre immensa musica per noi.

 

E la musica le portò via i pensieri.

 

 

 

 

Il lunedì mattina non fu molto diverso da tutti gli altri lunedì mattina: faceva molto caldo e le cicale erano insopportabili. Asuka, Shinji e Gabriel si stavano recando a scuola.

“Te la sei presa comoda, Gabriel, in questi due giorni, eh?” disse Asuka sprezzante. “Non ti abbiamo nemmeno visto praticamente, non sei venuto nemmeno a studiare con noi.”

“Scusa, Asuka,” rispose l’interpellato. “Avevo del sonno arretrato da recuperare. Sai…”

“… Quel lavoro per il Conservatorio, si lo sappiamo,” lo interruppe la ragazza, cantilenando. “Ma poi di che lavoro si trattava? Ora che è finito puoi dircelo, non è più un segreto militare! Ti hanno fatto comporre un’opera?”

Gabriel sorrise: “Si può dire così.

Shinji lo guardò, e già sapeva che quella non era tutta la verità. Non glielo aveva ancora detto apertamente, ma c’era qualcosa sotto, e lui non voleva forzarlo.

Arrivarono a scuola in perfetto orario e si recarono in classe. Motoko e le sue amiche ancora non c’erano, ma quasi tutti gli altri erano già presenti e parlottavano del più e del meno. Il pianista la cercò con lo sguardo, ma Rei mancava.

Come al solito Toji stava attirando l’attenzione, specialmente quella della Capoclasse, così nessuno si accorse dell’arrivo della First Children. Lei d’altro canto puntò direttamente verso il suo banco. Ma deviò all’ultimo momento. Gabriel si era appena girato ridendo per una battuta quando la vide, ed il suo cuore mancò d’un balzo. Lo stava fissando dritto negli occhi con un’espressione indecifrabile.

 

Eccola! Avrà sentito il mio regalo? Le sarà piaciuto?Non ho più saputo come aveva preso quella mail, sabato pomeriggio non siamo riusciti ad incontrarci. Cosa penserà di me…?

 

Ma i pensieri del Fourth Children furono interrotti bruscamente. Rei aveva appoggiato la cartella sul banco e gli aveva gettato le braccia al collo, abbracciandolo strettissimo.

Il brusio della classe cessò all’istante, gli occhi di tutti erano concentrati sulle due figure abbracciate in fondo all’aula. Kensuke sgranò gli occhi, Toji cadde a sedere su una sedia libera, Hikari e Asuka non credevano ai loro occhi e men che meno Shinji: aveva sospettato all’inizio che l’amico avesse una cotta per la First Children, ma mai, mai avrebbe potuto sospettare che era ricambiato.

Nel silenzio generale, Rei mosse il capo in modo da guardare Gabriel negli occhi. Sorrise dolcemente e sussurrò: “Grazie. Anch’io ti amo, Gabriel.

In quel momento il pianista credette davvero di veder nascere la prima stella del firmamento. A sua volta la guardò negli occhi sorridendole totalmente rapito. “Così come io amo te. Mormorò a voce bassissima. Sospirò profondamente e tornò a cingerla in una stretta delicata ma al tempo stesso irremovibile, gli occhi chiusi, tutta la sua attenzione volta a sentire la sola presenza di lei. Anche Rei chiuse gli occhi e reclinò il capo sulla spalla del ragazzo appoggiandovisi in tenero abbandono.

Il rumore successivo che ruppe il silenzio fu il tonfo della caduta della cartella di Motoko, che era appena entrata in classe con le sue amiche.

 

 

 

 

“Satoshi! Ehi, Satoshi!”

L’Agente Iwanaka si volse di scatto, trovandosi di fronte un allarmato Shigeru che gli correva incontro agitando la mano.

Quando gli giunse di fronte, il Tenente dovette appoggiarsi al muro per riprendere fiato, lo stava inseguendo da due settori.

“Ciao, Shigechan…” lo salutò amichevolmente,  spiazzato dalla corsa dell’altro, inclinando appena la testa su un lato “…che cosa c’è? Come mai tutta questa fretta?”

“Ah, Satoshi, accidenti a te! Ti sto inseguendo dal settore B-2…Ma non mi sentivi? Mi hai fatto sgolare…” Si lamentò ancora Aoba appoggiandosi ora di spalle alla parete del corridoio.

“Scusami, Shigeru ero un po’ soprappensiero…” Si giustificò con un sorriso. In tutto quel tempo, lui e i tre Operatori Nerv avevano fatto amicizia.

“Bah, non importa, non importa… ” L’Operatore inspirò ancora poi rapidamente estrasse dalla tasca dell’uniforme due biglietti un po’ spiegazzati. “Ascolta, Satochan, stasera c’è l’inaugurazione di un nuovo locale sul Lago Hashino, nella parte turistica. E’ a metà tra un pub e una discoteca, pare sia un buon ritrovo per gli amanti delle vecchie Glorie del Metal dei nostri tempi…Rhapsody, Helloween, Stratovarius, Nightwish, L’Opera di Avantasia e simili. Disgraziatamente  i miei per stasera mi hanno incastrato con una cena e dato che né Maya…” con la quale voleva andarci, ma questo non lo disse “…né Makoto sono molto attratti dal genere, mi ritrovo ancora i biglietti sullo stomaco. Sarebbe un peccato sprecarli, erano anche omaggio. Se puoi, vacci tu. Che ne dici? Mi dicesti che il Metal ti piaceva.”

Satoshi osservò sorpreso i biglietti. Cavolo se era allettante l’idea. Magari il locale si trovava anche vicino al dojo che finalmente era riuscito ad individuare ma a cui ancora, per mancanza di tempo, non era riuscito ad iscriversi.

“Mi piacerebbe davvero, Shigeru…però sono da solo, con chi ci vado?”

A quelle parole il Tenente emise una risatina che accompagnò con una leggera gomitata contro il braccio dell’amico “ Andiamo Satochan… se solo ti fai un giro nel settore A-30 sai quante sarebbero disposte a venirci con te?”

L’agente arrossì fino all’attaccatura dei capelli “Ma che dici!”

Aoba si limitò a ridacchiare. “Non mi dire che non sai che tra il pubblico femminile sei molto popolare…”

“Andiamo, piantala!” Sbottò seccato. “ E comunque se anche fosse, non è nel mio stile invitare qualcuno che neanche conosco.”

“Lo so, lo so…” annuì bonariamente l’altro “…comunque prendili lo stesso. Se proprio non vuoi andarci magari chiedi a qualcuno… io ho esaurito le mie conoscenze.

“D’accordo, vedrò che farci. Grazie, allora!”

“Oh, di nulla. Rispose l’altro battendogli un paio di sonore pacche sulla spalla per poi dirigersi verso la Sala Comando.

Rimasto solo, l’uomo rivolse uno sguardo pensieroso ai biglietti.

 

‘Scarlet Dawn’ , ore 21:30…Chissà se…

 

Rimuginando assorto, l’Agente volse i suoi passi verso la zona ascensori.

 

 

Nello stesso momento, il Capitano Katsuragi stava percorrendo i corridoi sbuffando come una locomotiva.

 

Ritsuko e la sua mania di fissare test all’ultimo minuto! Ma dove si sarà andato a cacciare Satoshi?

Bisogna andare a prendere i ragazzi all’uscita da scuola… Già così a quest’ora rischiamo di non trovarli più quando arriveremo…

Ah, eccolo là!

 

Sospirando di sollievo dimenticò il malumore per la notizia lampo della scienziata e gli corse incontro con un sorriso. “Satoshi!”

Era appena arrivato alla zona degli ascensori dal corridoio opposto a quello da cui proveniva lei. Era proprio vero che la Nerv a volte dava l’impressione di un labirinto.

Quando se la vide venire incontro istintivamente strinse con la mano sinistra i biglietti nella tasca.

 

Starò facendo bene? Oh, andiamo, Satoshi, non è di certo la prima ragazza che inviti ad uscire! D’accordo, non è che io  abbia una chissà quale grande esperienza in questo campo, soprattutto considerando che la mia  unica ragazza mi  ha scaricato all’inizio dell’ultimo anno delle Superiori.

E’ anche vero che questa non è una ragazza come tutte le altre ma il mio diretto Superiore, però, andiamo, non c’è nulla di male ad invitare un’amica ad un’inaugurazione!

 

“Ehm…ciao, Misato…” sorrise timidamente.

“Ah, meno male che ti ho trovato!”

“Ascolta, c’è una cosa che vorrei chiederti…”

“Me la chiederai in ascensore, dobbiamo subito andare a prendere i ragazzi per dei test sui tassi di sincronia e non so che altro di Ritsuko!” Esclamò la donna prendendolo subito per un braccio con ambo le mani e trascinandolo letteralmente all’interno di un ascensore .

 “Allora, cosa mi volevi chiedere?” Domandò senza fermarsi un solo istante mentre si girava per selezionare il livello che li avrebbe portati al parcheggio.

Satoshi, appoggiato alla parete sinistra dell’ascensore, inspirò profondamente per farsi coraggio ed estrasse i due biglietti dalla tasca.

“Ecco…” cominciò con tono incerto mentre arrossiva appena “…mi hanno dato due biglietti per l’inaugurazione di un locale stasera e mi chiedevo se per caso…”

In quel momento una voce a Misato fin troppo nota la distrasse dalle parole dell’Agente.

“EHI!! ASPETTA UN MOMENTO!”

Come se non avesse sentito, con espressione impassibile, pigiò il tasto per il parcheggio, tuttavia, l’uomo riuscì ugualmente ad infilare una mano tra le porte bloccandone la chiusura ed entrando così senza sforzo.

La donna ringhiò silenziosamente.

“Ehilà, Katsuragi, sei di cattivo umore anche oggi a quanto par…oh!” Ryoji Kaji si interruppe nel notare che dietro Misato c’era un uomo biondo che stringeva nella sinistra due biglietti e lo guardava con aria interrogativa.

Con uno sbuffo stizzito, l’Ufficiale premette finalmente il pulsante e si affrettò a fare le presentazioni.  “Satoshi, questo è l’Agente Kaji…” si interruppe un istante guardando irata la sua ex fiamma “ Agente Kaji, questo è l’Agente Satoshi Iwanaka della Sede Francese…” gli ringhiò contro a denti stretti.

“Dai, Katsuragi, non arrabbiarti così altrimenti ti verranno le rughe ed invece sei splendida così come sei…”

L’Agente Iwanaka aggrottò le sopracciglia.

 

Ma chi diavolo è questo bellimbusto??

 

“Ah, piacere di conoscerla Agente Iwanaka. Sorrise affabile l’uomo bruno tendendo la mano al suo collega. Tuttavia al momento della stretta le dita di quest’ultimo rischiarono di finire stritolate, anche se ressero bene la prova.

“Allora, dove andavate di bello?” chiese Kaji, guardando solo Misato ed ignorando spudoratamente Satoshi.

“In un posto diverso da quello dove stai andando tu,” fu la glaciale risposta della donna. Ma l’uomo dal codino non si diede per vinto.

“Non mi dire che andavate al…” si chinò per leggere il nome del locale sui biglietti ancora convulsamente stretti nel pugno dell’Agente della sicurezza, che però fu più lesto e li sottrasse alla vista.

“Ehi!”

“Mi scusi, Agente, non sapevo che volesse tenere segreto il posto in cui voleva andare con Katsuragi!”

 

Dannato pallone gonfiato, hai rovinato tutto!

 

Misato guardò Satoshi con aria interrogativa. Anche lei aveva notato i biglietti di sfuggita. “Satoshi, di cosa si tratta?”

“Nulla di eccezionale,” mentì l’altro, cercando di mantenere la calma. “Te ne parlerò poi nel parcheggio.”

Kaji fece finta di non notare la velata allusione al fatto che la sua presenza non era gradita, perché continuò a sorridere: “Agente, faccia come se non ci fossi, in fondo una volta Katsuragi non aveva segreti per m…EEH!”

Misato era arrossita appena e gli aveva tirato una gomitata nel fianco.

 

Cosa??

 

Notando l’espressione interrogativa di Satoshi, Kaji si affrettò a spiegare, nonostante il dolore: “Non gliel’ha detto? Eravamo fidanzati all’Università. Bei tempi quelli, eh, Katsuragi?”

“I peggiori della mia vita, Kaji,” rispose Misato, decisamente infuriata. “Non hai ancora detto a che piano sei diretto. Chissà, magari noi andiamo ad un altro piano, così tu devi scendere.

 

E così eravate insieme all’Università, eh? Vuol dire che adesso non lo siete più. Se sei venuto qui a fare il guastafeste hai trovato pane per i tuoi denti, mister Faccia-da-Schiaffi!

 

Kaji ignorò palesemente Misato e si rivolse a Satoshi: “Si sente bene? Mi sembra un po’ accaldato. Non mi dica che l’ha turbato sapere che Katsuragi non è vergine! Perché se così fosse non durerebbe un minuto a letto con lei, mi creda.

“KAJI!” Misato era fuori dai gangheri, ma non era nulla al confronto di Satoshi, il cui volto era avvampato d’ira.

“Senta lei…” iniziò, ma non poté terminare.

La luce si spense e con un brusco movimento l’ascensore si bloccò. Una luce sanguigna illuminò la scena, segno che si era messo in funzione il sistema di illuminazione d’emergenza dell’ascensore.

“Che succede??” chiese, vagamente allarmata, Misato.

 

 

“Che succede??” chiese Maya. Tutti i sistemi sembravano essersi spenti di colpo, dal proiettore olografico alle interfacce dei Magi. Solo il sistema di illuminazione d’emergenza sembrava essersi attivato, illuminando una scena che sembrava congelata. Numerosi operatori si erano bloccati al momento del black out, e tutti stavano fissando Ritsuko, che aveva un dito sospeso sopra un pulsante, senza che l’avesse ancora premuto. La scienziata si guardò attorno, sentendo gli sguardi di tutti su di sé.

Ma… io non ho fatto niente…”

 

 

 

 

In quel momento, una mastodontica figura nera si stava avvicinando rapidamente alla città…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

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Capitolo 9
*** Black Out alla Nerv (Parte I) ***


“Non preoccuparti, Katsuragi…” Cominciò Kaji con fare rassicurante sotto lo sguardo furente e ora anche allarmato dalla situazione “…sarà un esperimento di Ri chan andato storto

CAPITOLO 8

 

Black Out alla Nerv (Parte I)

 

(Attenzione: in questo capitolo verranno riprese molto fedelmente delle scene tratte da alcuni episodi di Evangelion, con gli scopi già anticipati nella prefazione.)

 

 

 

“Non preoccuparti, Katsuragi…” Cominciò Kaji con fare rassicurante sotto lo sguardo furente, e ora anche allarmato dalla situazione, di Satoshi “…sarà un esperimento di Richan andato storto. Beh a quanto pare…” e le sorrise affabile “…dovremo passare un po’ di tempo insieme.”

“Ti sbagli! Tanto adesso subentrerà subito in funzione l’alimentazione di sicurezza. Ribattè Misato sprezzante con un sorriso soddisfatto.

 

 

“Negativo! I circuiti di sicurezza sono disinseriti!” La voce di Shigeru riecheggiò attraverso la Sala Comando piombata nell’oscurità. Fuyutsuki era su tutte le furie. “Ma è assurdo! I circuiti energetici rimasti operativi??”

Dal basso di una piattaforma giunse la voce di Maya la quale per farsi udire dovette ricorrere a tutto il fiato che aveva ” L’1.2% in tutto! Soltanto i vecchi circuiti dal numero 2567 in avanti!” 

L’Anziano Vice Comandante non perse tempo e torno a rivolgersi verso il Tenente Aoba. “Assegnare tutte le fonti energetiche operative al mantenimento del Central Dogma e dei Magi!”

Ma questo ostacolerà il mantenimento vitale dell’intera base!”

“Non importa! Priorità assoluta!”

 

 

 

 

In quel momento, Makoto Hyuga stava camminando per la strada portando con se oltre ad un borsone, una grossa busta carica di indumenti su cui era inciso il nominativo ‘Misato Katsuragi’.

“Certo che è una persona davvero trascurata…che tipo la Signorina Katsuragi…almeno il suo bucato potrebbe sforzarsi di andarlo a ritirare di persona…” Si lamentò il Tenente attenendo che il semaforo diventasse verde dando il passaggio libero ai pedoni. Tuttavia quest’ultimo si spense e nel giro di pochi minuti, un aereo delle Forze di Autodifesa delle Nazioni Unite annunciò dall’alto l’evacuazione immediata dell’intera zona. Causa: un oggetto non identificato in rapido avvicinamento. Makoto non ebbe dubbi. Doveva immediatamente raggiungere il Quartier Generale.

“Si, ma con quale mezzo??” Disperato si volse attorno, ma tutto sembrava immerso nel  silenzio più totale. In quel momento, udì una voce in avvicinamento e bene presto ai suoi occhi si palesò un furgoncino dal cui altoparlante si alzava l’annuncio delle elezioni ormai prossime elezioni per il Consiglio Comunale.

Ma che fortuna!”

 

 

 

 

L’allarme lanciato dall’aereo raggiunse anche i Children appena usciti da scuola.

“Oggetto non identificato?!” esclamò Asuka. “Non si tratterà di un Angelo!”

Hikari si mosse subito verso il rifugio di sicurezza più vicino insieme agli altri studenti, gridando: “Dovete andare subito al Quartier Generale! In bocca al lupo!”

“Sì sì, andate, ci vediamo!” salutò brusca la rossa, e subito si mise in marcia verso la più vicina entrata al Geo-Front. Quando si rese conto che nessuno la seguiva si voltò e gridò: “Beh, vi muovete o no?!”

Ma gli altri tre Children erano immobili. Gabriel era impietrito, lo sguardo fisso davanti a sé, poiché temeva, sollevandolo al cielo, di vedere una schiacciante figura disumana pronta ad ucciderli tutti.

“Un… Angelo…?”

Prima che Shinji potesse dire qualsiasi cosa, Rei gli strinse un braccio. Il Fourth Children allora si scosse e la guardò.

“Mantieni la calma,” gli disse la ragazza. Apparentemente sembrava tornata la fredda ragazza di sempre, ma negli occhi le si poteva leggere una nuova preoccupazione, una nuova determinazione. Forse anche un coraggio che aveva sempre avuto, ma che non si era mai curata di mostrare. Un po’ di quel coraggio si trasferì a Gabriel, perché annuì, le strinse la mano e si voltò verso Shinji: “Andiamo.

L’altro annuì ed insieme si diressero verso l’entrata al Geo-Front.

“Alla buonora,” borbottò Asuka, ma nessuno colse la provocazione.

 

 

Rei passò la tessera nel lettore ma non successe nulla. Ci riprovò, ma il risultato fu lo stesso.

“Spostati, fa’ provare me!” sbottò Asuka, spintonando la ragazza via da davanti al lettore. Passò la propria tessera, ma ancora una volta il lettore non diede segni di vita. Ma in quel momento Gabriel si avvicinò di scatto.

“Asuka, la tua tessera non ha nessun potere magico! Potresti evitare scatti del genere!”

La ragazza guardò il Fourth Children, livida.

 

Come osa rivolgersi a me con quel tono??

 

“Bah!” esclamò infine, spostandosi verso una sezione del muro.

Gabriel la ignorò e si voltò verso “Rei: Stai bene?”

Rei lo guardò, tra l’incuriosito ed il piacevolmente sorpreso.

 

Dovrò abituarmi ad attenzioni di questo genere.

 

“Sì, grazie,” fu la risposta.

“Ehi, se non siete troppo occupati, potreste venire qui, voi maschietti?” chiese Asuka scontrosa. Shinji rispose subito all’appello, ma l’altro Children esitò. Solo quando Rei fece un lieve cenno d’assenso andò anche lui.

Cosa c’è?” chiese il Third Children. Con gesto teatrale la ragazza indicò una grossa ruota metallica incastonata nel muro. “Shinji, Gabriel, maschietti, avanti, olio di gomito. Aprite questa porta col sistema di apertura manuale. Avanti, che aspettate?!”

Digrignando i denti nella sua mente, Shinji andò al meccanismo, subito imitato dall’amico.

“Si ricorda che sono un maschio solo quando le fa comodo,” mormorò a denti stretti, ma l’amico non diede segno di aver inteso, impegnato com’era nello sforzo di azionare il pesante portale.

Quando finalmente riuscirono ad aprire un varco sufficientemente ampio, Asuka passò per prima, seguita dagli altri, inoltrandosi nel cunicolo a mala pena illuminato da soffuse luci rossastre che sprofondava nella crosta terrestre.

 

 

Scendevano ormai da quasi mezz’ora quando Asuka sbottò per l’insofferenza: “Dannato black out, senza elettricità la strada per il Geo-Front sembra infinita!”

“Mi domando a cosa sia dovuto, in effetti,” Mormorò soprappensiero Shinji. “Anche in casi come questi dovrebbe essere mantenuta una linea di comunicazione d’emergenza per il Geo-Front.”

“Tutte, per l’esattezza,” disse inaspettatamente Rei. Per tutto il viaggio era rimasta in silenzio, lanciando ogni tanto delle occhiate verso Gabriel. In fondo per lui era il primo attacco di un Angelo, era molto teso. “Secondo il Manuale per le Emergenze, in caso di black out tutti i collegamenti per il Geo-Front restano attivi grazie ai sistemi ausiliari. In questo caso però non è successo, è molto strano.

“Ha parlato l’enciclopedia vivente sugli attacchi degli Angeli!” la apostrofò Asuka, ma lei non parve farci caso. Chi s’incupì fu invece Gabriel, che affrettò il passo, superando la Second Children.

“Ehi!” protestò quest’ultima.

“Se davvero siamo sotto l’attacco di un Angelo dovremmo affrettarci verso gli Evangelion, invece di perdere tempo in chiacchiere,” fu la glaciale risposta.

Ma di che ti preoccupi?” chiese Asuka, sprezzante. “Là fuori ci sono le forze delle Nazioni Unite che possono tenere a bada qualunque bestione finché non arriva la cavalleria, ovvero noi. Succede sempre così, dal primo avvistamento abbiamo sempre più di un’ora per prepararci. E poi se anche arrivassimo in fretta al Geo-Front, vista la situazione gli Evangelion non funzionerebbero, vanno ad elettricità.”

“Però il protocollo di sicurezza Beta 02 indica che, in qualunque caso di emergenza, i Children devono recarsi al Quartier Generale,” rispose Rei, senza nessun tono di voce particolare. Diede comunque uno sguardo rassicurante a Gabriel, che si calmò leggermente.

Asuka si limitò ad agitare la mano in aria con fare noncurante e proseguì.

 

Ma chi si crede di essere?? Solo perché ha conquistato il cuore del francesino si crede l’Imperatrice del Giappone?? Stupida!

 

Non passò molto tempo che ci fu di nuovo occasione per discutere. Infatti il tunnel si biforcava. Per alcuni lunghi istanti tutti rimasero in silenzio.

“A destra!” disse perentoria Asuka.

“A sinistra,” propose invece Rei, contemporaneamente. La rossa la guardò incredula.

“A sinistra?? Ma lo vedi che è in salita? Il Geo-Front si trova SOTTO la città, non sopra!”

“Nel Manuale per le Emergenze sono indicate anche le piantine dei passaggi fino al Geo-Front, ed in questo caso la svolta da prendere è a sinistra.”

“Senti, cara, non è che ricordi male?” la apostrofò la rivale, profondendosi in gesti molto teatrali. “Nessun Manuale per le Emergenze può cambiare la posizione del Geo-Front! Se è sotto, è SOTTO.”

Shinji si tenne saggiamente in disparte dal diverbio, ma non così fece Gabriel.

“Asuka, rifletti!” sbottò. “Se Rei dice di conoscere la planimetria di questo posto, è più probabile che arriviamo seguendo le sue indicazioni che proseguendo alla cieca!”

La rossa lo guardò come se le avesse appena detto di trovarla ripugnante. Rei cercò di lanciare uno sguardo di avvertimento verso Gabriel ma non ci fu tempo.

“Ti ha proprio conquistato, vedo! Ma anche la super-Children Rei Ayanami può sbagliare, sai?! E questo è uno di quei casi!”

E tu cosa ne sai?” Gabriel teneva testa alla collega, senza distogliere lo sguardo da lei. Infatti fu la Second Children a perdere la calma per prima.

“Lo so e basta! Cosa vuoi che ne capisca QUELLA di planimetrie!” si girò verso la First Children ed il suo volto si contrasse in una smorfia beffarda. “Quella bambola!”

Nessuno fiatò per un attimo. Poi Gabriel si riprese.

“Asuka,” disse, ed il tono era quanto di più minaccioso avessero mai sentito, “se tu non fossi una ragazza ti avrei già preso a pugni!”

La ragazza tornò a guardarlo, trionfante.

“Certo che sei proprio cotto, eh?” disse, ancora una volta tornata sprezzante. “Mi ero sbagliata su di te. In fondo, anche tu sei solo un Baka.” Indicò noncurante Shinji, che chinò il capo. “Proprio come lui.”

Ma Gabriel già da tempo, rosso di rabbia, attendeva solo che lei smettesse di parlare a vanvera.

“La devi smettere, Asuka!! Hai capito?? LA DEVI SMETTERE!! Cosa diavolo credi di ottenere agendo in questo modo?? Vuoi essere al centro dell'attenzione?! Vuoi essere adorata alla stregua di una dea?! Da quando sono arrivato in Giappone sia a scuola, che durante i test, che a casa, non ti ho mai visto fare altro!! Vuoi apparire forte, vuoi mostrare che non hai bisogno di nessuno!! Che sei l'unica, la sola, l’eccelsa Second Children Asuka Soryu Langley!! Ma invece è tutto l'opposto!! Ti do un consiglio da amico, Asuka: piantala prima che i riflettori del tuo palcoscenico ti accechino e ti impediscano di vedere cosa realmente è importante!! Come l'amore di colui che chiami Baka ma da cui vai a rifugiarti quando ti vanno storte le cose!!” Con un gesto stizzito della mano indicò il Third Children che sussultò.

 

GABRIEL!! COME HAI POTUTO DIRGLIELO??

 

“Se nessuno qui ha il coraggio di aprire gli occhi a Sua Magnificenza Asuka,” proseguì Gabriel, ignorando lo sguardo di terrore di Shinji, quello allarmato di Rei e quello attonito della sua interlocutrice, “allora lo farò io! Mi hai dato fin dall'inizio l'impressione di una che si nasconde dietro la facciata di una Prima Donna elevandosi ad un rango superiore che le consenta di tenere alla larga chi cerca di avvicinarsi spontaneamente! Hai paura, ecco qual’è la verità!! Hai paura degli altri! Hai paura che possano ferirti! Tu hai paura di mostrare i tuoi sentimenti considerandoli come debolezza anziché come forza! Piantala prima che sia troppo tardi e tu rimanga davvero sola!”

Lo schiaffo con cui Asuka zittì Gabriel riecheggiò nel tunnel deserto. Nessuno avrebbe potuto dire cosa si alternava sul volto della ragazza: rabbia, furia, dolore, tristezza, amarezza… Il risultato era un’espressione terribile, che non ammetteva repliche.

Il Fourth Children rimase immobile, tranne un breve cenno per chiedere a Rei di non avvicinarsi. Lentamente riportò gli occhi sulla rossa. Sulla guancia cominciava a delinearsi una grossa zona scarlatta.

“...visto che sai che ho ragione, ora puoi solo ferire e scappare. Ma intanto pensa bene a quello che ho detto, Asuka. E spegni quei riflettori ora che sei ancora in tempo.

Senza una parola in più, la ragazza si voltò e si incamminò lungo il tunnel di destra. Rei, a malapena rassicurata da uno sguardo di Gabriel, la seguì, mentre quest’ultimo tratteneva Shinji per un braccio.

“Perdonami, ma è bene che abbia saputo la verità. Per il suo bene è meglio che certe cose le capisca ora.

Il Third Children non rispose, ma non appena quello che aveva iniziato a considerare il suo migliore amico ebbe lasciato la presa imboccò il tunnel di destra, presto imitato dall’ultimo Children.

 

Come hai potuto… Come hai potuto dirglielo, Gabriel?

 

Sono tutti degli stupidi… Tutti stupidi. Nessuno mi conosce davvero. Non aveva nessun diritto di dire qualcosa  su di me. Stupido…

 

 

 

Dopo un’altra mezz’ora giunsero finalmente ad un boccaporto, dall’evidente apertura manuale. Baldanzosa, con un’aria trionfante appena mitigata dagli ultimi avvenimenti, Asuka vi si pose davanti.

“Bene, eccoci al Geo-Front,” annunciò baldanzosa. “Shinji, apri questa porta.”

 

Beh, almeno mi considera tanto stupido come prima, non di più…

 

Ma Gabriel fermò con un gesto il Third Children, che già si stava recando a ciò che credeva essere il suo dovere.

“Aprila da sola,” ordinò perentorio il pianista, sostenendo lo sguardo indignato di Asuka. Dopo un attimo lei si volse, furiosa e prese a girare con forza la ruota del portellone. Quando lo aprì, però, tutti videro che non dava sul Geo-Front.

Si apriva invece su una strada deserta della città di superficie. Nulla si muoveva. Nulla faceva rumore. Nemmeno le onnipresenti cicale.

L’espressione di frustrazione sul volto di Asuka però durò poco. Una grossa forma nera si parò davanti al paesaggio, una specie di poliedro regolare che oscurò la luce. Vari occhi azzurri, inscritti in triangoli guardavano in molte direzioni. Uno di essi fissò uno sguardo all’apparenza cieco dentro il condotto, ma Asuka chiuse di scatto il portellone. Con il cuore in gola i ragazzi attesero. Pesanti schianti annunciarono che l’essere si stava spostando, ed in breve tornò il silenzio.

“Quello… cos…” balbettò Gabriel, impallidito.

“Angelo avvistato,” annunciò Asuka, non senza una punta di superiorità nella voce. “Muoviamoci.”

Passò a testa altra fra gli altri Children, tornando sui suoi passi, ma gli altri non si mossero. Gabriel aveva ancora lo sguardo fisso sul portellone.

“Quelli sono… Angeli?”

“Sono nostri nemici.” Ancora una volta Rei parlò inaspettatamente, ed altrettanto inaspettatamente il suo tono era tranquillizzante. “E’ per questo che saliamo sugli Evangelion.”

In lontananza si udì Asuka sbuffare, ma Gabriel non le badò. Annuì a Rei, le prese la mano e proseguirono. Shinji fu l’ultimo a lasciare il portellone.

 

Già, è per quello che saliamo sugli Evangelion

 

 

 

Finalmente raggiunsero il Geo-Front, ed erano già stanchissimi. Il tunnel che avevano imboccato (quello a sinistra, all’altezza del primo bivio) si affacciava su uno dei nastri trasportatori che raggiungevano il parcheggio della Nerv. A differenza del solito, il Geo-Front era illuminato unicamente dalle fessure nella pavimentazione della città sovrastante, il che voleva dire che, se non si fosse riparato il guasto che aveva provocato il black out prima di sera, la grande cavità sarebbe stata immersa nel buio più profondo.

I quattro ragazzi procedevano silenziosi ed inquieti. Non riuscivano ad immaginare come avrebbero affrontato l’Angelo senza poter utilizzare l’energia di cui si alimentavano gli Evangelion. E a peggiorare la situazione c’era la questione lasciata in sospeso dalla litigata precedente.

Asuka camminava davanti a tutti, livida in volto, continuando a rimuginare la propria rabbia contro Gabriel, che nel frattempo cercava di immaginarsi cosa sarebbe successo una volta raggiunta la base. Rei, invece, era poco propensa ad immaginarsi una battaglia contro l’Angelo, e continuava a riportarsi alla mente come Gabriel l’aveva difesa. E Shinji non poteva fare a meno di pensare ad Asuka.

 

E’ per quello che saliamo sugli Evangelion.

Anche tu, Asuka, sali sull’Eva per quel motivo? Oppure aveva ragione Gabriel, nel dire che tutto quello che vuoi è farti notare, farti apprezzare, farti adorare?

Che ironia: non hai bisogno di fare nulla di particolare per avere quelle tre cose da me, nonostante per te io non sia che un Baka.

Come non hai avuto remore a ribadire, d’altronde.

E come ha potuto Gabriel svelarti ciò che non ho mai avuto il coraggio di dirti??

Però…

Forse aveva ragione. Era meglio che tu lo sapessi. Non perché spero che così facendo smetterai di considerarmi un Baka. Non aspiro a tanto. Però, magari, saperlo ti può aiutare a sentirti notata, apprezzata, adorata.

Sì… In fondo è questo il massimo cui posso aspirare io.

 

 

 

Giunti nell’ombroso parcheggio della Nerv, deserto, scoprirono che anche lì il tesserino non funzionava per aprire le porte, anche se Asuka stavolta si guardò bene dall’imporsi. Tuttavia dovevano entrare in qualche modo. Fu Rei a trovare una soluzione.

“I condotti dell’aria,” propose mentre Asuka camminava avanti e indietro fingendo di pensare a come fare. Quando ebbe ottenuto l’attenzione che le serviva, la First Children indicò una grata posta a due metri d’altezza, sotto alcune provvidenziali casse di prodotti per la pulizia del parcheggio.

“Questi condotti portano l’aria in tutti i locali della base,” spiegò. “Possiamo usarli per strisciare fino alla sala comando, dove ci verranno date le istruzioni del caso.”

“Beh, sì,” argomentò Asuka, tagliente, “e suppongo che tu conosca anche la planimetria del Quartier Generale per sapere quale condotto imboccare, vero?”

“Sì,” fu la risposta, alla quale la Second Children la guardò attonita. Vedendo lo stupore da parte dei suoi colleghi, Rei spiegò: “Io sono qui da molto tempo prima di tutti voi. Ho passato molto tempo a studiare la mappa della base, per ogni evenienza.

Gabriel sorrise: “A quanto pare finalmente tanta fatica è stata premiata.” Senza aspettare le eventuali proteste di Asuka, salì sulle casse, riuscendo ad aprire senza difficoltà la grata, a malapena tenuta su da viti allentate. Poi tese una mano verso Rei.

“Dovrai guidarci tu. L’interno sembra blandamente illuminato, non dovresti avere problemi. Per ogni cosa, io sarò subito dietro di te.

Dopo un attimo di riflessione, Rei gli concesse un raro, timido sorriso, e prese la sua mano per salire sulle casse. Facendosi aiutare, entrò nel cunicolo.

“Tutto bene?” chiese il Fourth Children.

“Sì,” fu la risposta, appena distorta dall’ambiente ristretto. “Seguitemi pure. Non rimanete indietro.”

Subito Gabriel si infilò nel condotto. Shinji invece esitò, ed istintivamente guardò Asuka.

Lei sbuffò, evidentemente risentita, e salì sulle casse per entrare nel condotto d’aerazione. Il ragazzo invece rimase per un attimo da solo.

 

Come sei orgogliosa, Asuka. Anche in una situazione critica come questa vuoi averla vinta tu. Come quando parli con me.

Però non tutti sono come me. Spero che quanto successo oggi possa aiutarti a capirlo.

 

“Shinji, muoviti!” gridò Asuka dal tunnel. Il Third Children si riscosse e si affrettò ad entrare a sua volta.

 

 

 

 

Nell’ascensore intanto, Misato, come tutta la  base, non ci aveva messo molto a capire che di fronte ad un malfunzionamento contemporaneo di tutti e tre i sistemi d’alimentazione, Principale, Ausiliario e di Sicurezza , ci si doveva necessariamente trovare di fronte ad un sabotaggio.

“Niente da fare, non va! Dannazione…” imprecò la donna riponendo il telefono di emergenza. Anche la linea era interrotta.

“Il cellulare è fuori uso…” le fece eco Satoshi.

L’unico tranquillo e sorridente era proprio Kaji, nonostante la donna avesse poco prima parlato di sabotaggio.

A quanto pare credo proprio che dovremo passare un po’ di tempo insieme…”

A quelle parole l’Ufficiale si ritirò imbronciata sul lato opposto dell’ascensore a quello dove si trovava il suo ex appoggiandosi contro la parete di fianco al suo sottoposto, il quale se ne restava in silenzio alternando lo sguardo tra i due.

“Disgraziatamente si…”  furiosa incrociò le braccia sul petto.

 

Stramaledettissimo idiota!!! Ma che diavolo ti è saltato in mente di dire?! Davanti a Satoshi!! Adesso chissà cosa penserà di me! E tutto per colpa tua maledetto bastardo imbecille!!

 

“Dai, Katsuragi…” riprese l’uomo come se quello che ormai aveva definitivamente classificato come un potenziale rivale non ci fosse “…per cosa te la sei presa adesso?”

“NON SONO AFFARI TUOI!”

“Oh, beh, sarà un’ottima occasione per ricordare i bei tempi…”

“Quali bei tempi, Kaji?” domando a denti stretti rivolgendogli un’occhiataccia furente “…che io ricordi non c’è stato nessun bel tempo tra noi…”

“Ah no?” L’uomo bruno sorrise malizioso e le si avvicinò di un paio di passi. “ Hai dimenticato anche quello, Katsuragi? Quella settimana… “

 

COSA?? NON OSERA’ DIRLO!! 

 

Misato avvampò violentemente e scattò in avanti tremando di rabbia.

“KAJI!! IO NON TI PERMETTO DI FARE RIFERIMENTI A QUANTO E’ ACCADUTO!!”

“Ora basta!!”

Entrambi si voltarono in direzione di Satoshi, ma quest’ultimo aveva preso ad avanzare frapponendosi tra la donna e l’altro fissando quest’ultimo con ira. “Allora,  ha sentito o no quello che le ha detto? Ci dia un taglio!”

L’espressione di sorpresa sul volto di Kaji si mutò in un sorrisetto divertito di sufficienza quindi ignorando ancora una volta il franco nipponico tornò a guardare la donna.

“ Oooh… “ cominciò arretrando appena e incrociando le braccia sul petto “…e così adesso hai anche il Principe Azzurro che ti difende? Eppure non sei mai stata il tipo…” Il volto dell’uomo si rabbuiò per un istante prima di riprendere quella sua classica espressione da schiaffi dissimulando perfettamente la gelosia che lo corrodeva . “…Mi domando se ti protegge per ringraziarti per quello che gli hai dato o per quellA che gli darai…”

Non ebbe neanche il tempo di realizzare. Un dritto in pieno voltò lo mandò a sbattere contro la parete di fronte. 

“Allora, bellimbusto, ne hai abbastanza?!” Satoshi era fuori di se.

Kaji, si massaggiò la mascella con noncuranza guardandosi attorno e mugugnando come se cercasse delle parole. Sia Misato, che era rimasta a guardare stupita, che il suo sottoposto restarono in attesa delle parole dell’altro il quale annuì ridacchiando e muovendo qualche passo verso di loro con fare indecifrabile.

“Beh…si…” cominciò e Satoshi abbassò la guardia. 

L’uomo col codino guardò la faccia impassibile del biondo ed il suo pugno destro ora abbassato, poi la donna dietro di lui che li osservava alternativamente, poi le porte chiuse dell’ascensore, il telefono di emergenza… Uno scatto rapidissimo e Satoshi si ritrovò steso a terra dopo essere stato caricato a testa bassa da un Kaji furioso. Una volta rovesciato sulla schiena l’Agente Iwanaka, forte dei suoi addestramenti e della posizione sbilanciata dell’altro, ne  bloccò fulmineo la gamba destra   all’altezza del ginocchio utilizzando le proprie come tenaglia e tirando con forza verso il basso costringendolo a sua volta al suolo. Tra i due iniziò subito una colluttazione feroce durante la quale a nulla valsero le intimazioni di Misato che non potè fare atro che ritirarsi nell’angolo più lontano dello spazio angusto per evitare di prendersi qualche colpo involontario.

“PIANTATELA!! VI HA DATO DI VOLTA IL CERVELLO??”

Non importa quanto forte aveva gridato, nessuno dei due uomini l’aveva sentita impegnati com’erano a ringhiarsi contro.

Essendo caduto sul suo avversario, Kaji era in una posizione di vantaggio e ben tre colpi andarono a segno: uno sull’occhio destro, uno in pieno zigomo sinistro e l’altro sotto al mento. Stava per tirargliene un altro, ma fu costretto a boccheggiare quando si ritrovò un uppercut nello stomaco e subito dopo in rapida successione un dritto sul naso dal quale iniziarono a cadere varie gocce di sangue. L’uomo bruno restò per qualche istante stordito e lo rimase ancora di più quando la situazione si rovesciò a suo svantaggio e si ritrovò una scarica di pugni sul volto dei quali se buona parte era riuscita ad evitarli nonostante lo spazio stretto che limitava estremamente i movimenti, tre o quattro erano dolorosamente andati a segno. Satoshi sembrava deciso a far valere ogni singola nota del suo curriculum.

Misato senza più remore si lanciò ad intervenire e afferrato il suo sottoposto per le spalle prese a tirarlo via con forza.

“SATOSHI! SATOSHI, BASTA!”

Ansimando per la lotta e per il caldo ormai insopportabile, l’Agente si tirò su  senza guardare nessuno dei due, né la donna né l’altro che si stava ritirando carponi nell’angolo opposto. Con la lingua si tastò accuratamente la dentatura e lo stesso fece il suo rivale. Almeno quella era a posto per entrambi, ma non si poteva dire lo stesso dei loro volti. Satoshi si sarebbe ritrovato ben presto l’occhio colpito e lo zigomo totalmente pesti. A Kaji era andata anche peggio: il setto nasale doveva aver qualche lesione interna e il labbro inferiore era spaccato sul lato sinistro. Prima che potessero aprire bocca anche solo per fiatare, la donna tirò al primo un ceffone cogliendolo sulla guancia destra e al secondo un pugno nel fianco sinistro.

“BENE! SARETE CONTENTI ADESSO!”

I due restarono in silenzio a sguardo chino.

L’Ufficiale li squadrò arrabbiata, poi si ritirò nell’angolo di fronte al suo sottoposto.

 

Stupidi…

 

Per un breve istante alzò nuovamente lo sguardo sull’uomo biondo non si sa se con più rabbia o amarezza, quindi prese a guardare il suolo a sua volta.

 

Stupido…

 

 

 

 

Stavano strisciando da più di mezz’ora in quegli stretti cunicoli, seguendo Rei che sceglieva sempre a colpo sicuro le deviazioni da prendere, quando Asuka decise di dare sfogo alla sua frustrazione. Guardò dietro di sé. Shinji teneva lo sguardo chino in basso, in modo da vederle i piedi per non perdersi, ma niente di più. Probabilmente sapeva che se avesse anche solo provato a guardarle sotto la gonna avrebbe fatto una gran brutta fine.

“Shinji, non alzare gli occhi, oppure guai a te!” sbraitò.

“D’accordo,” fu la risposta del ragazzo, ma per darla dovette sollevare gli occhi per cercare quelli di lei. La ragazza non attendeva altro. Aveva abbassato per bene il bacino, in modo che non potesse vedere nulla di inadatto anche volendolo, però si arrabbiò lo stesso. Gli tirò un forte calcio sulla fronte.

“STUPIDO, TI AVEVO DETTO DI NON GUARDARE!” gridò, furente.

“Non ho visto… AHIA!! NULLA!” cercò di difendersi Shinji, ma non servì a nulla.

“Attenti!” avvertì Gabriel, ma non ci fu verso. Con un sonoro schianto la parte inferiore del condotto andò in pezzi ed i due litiganti caddero nel vuoto.

 

 

 

“Senpai,” mormorò Maya tergendosi il sudore dalla fronte. “Non ha sentito un rumore anche lei?”

Il soffitto della sala comando crollò, e nella stanza illuminata dalle candele piovvero un ragazzo e una ragazza in uniforme scolastica; poco dietro di loro cadde in piedi un altro ragazzo. Il tempo di puntellarsi sulle gambe e una seconda ragazza piovve dal condotto dell’aria squarciato, finendogli proprio in braccio. Non ci volle molto a capire chi erano.

Che fortuna! Sono arrivati i Children!” esultò Maya.

 

Che bel numero da circo. Ma… un momento… L’HA PRESA IN BRACCIO?? REI SI E’ FATTA PRENDERE IN BRACCIO??

Eppure non c’è dubbio, sono proprio loro, Gabriel e Rei!

D’accordo, risolta questa crisi mi dovrò far dare un po’ di spiegazioni…

 

Gabriel depositò a terra Rei, ed Asuka si alzò dolorante.

“Ahia… Shinji, ti avevo detto di non alzare lo sguardo!”

“Non l’avrei fatto se non mi avessi parlato proprio in quel momento!” protestò l’interpellato, alzandosi dolorosamente in piedi e pronto a sostenere la sua posizione.

 

“Hm hm.” Con un colpetto di tosse Ritsuko richiamò l’attenzione dei ragazzi, che si zittirono all’istante. “Bene. Benarrivati. Non so se lo sapete, ma un Angelo ha attaccato proprio durante questo black out, per cui la situazione è critica. In questo momento sta utilizzando una sorta di liquido corrosivo per penetrare all’interno del Geo-Front, nel settore J-77. Non c’è tempo da perdere. Dovete subito recarvi negli spogliatoi ed indossare le plug suite. Il tono non ammetteva repliche, ma Asuka, ancora inviperita per tutto quello che quella giornata le era andato storto, osò sfidarlo.

“Ma… E gli Eva?”

“Stiamo provvedendo all’inserimento dell’entry plug manualmente,” disse la Dottoressa, ed indicò un punto lontano nel buio. Là, illuminati da alcuni fari alogeni, nonostante il caldo asfissiante, alcuni uomini stavano tirando delle funi attorno allo 01. A Shinji balzò il cuore nel petto nel notare suo padre, affaticato, lavorare a fianco dei suoi sottoposti. Sembrava non essersi accorto del loro arrivo.

“Stanno lavorando da quando abbiamo saputo dell’intrusione dell’Angelo. Per questa missione gli Eva saranno dotati di motori diesel, che forniranno l’energia necessaria al loro movimento per almeno dodici ore. Anche se confido che non sarà necessario tutto questo tempo per completare la missione. Ora andate ad indossare le plug suite, al vostro ritorno vi fornirò le specifiche della strategia.

Presi in contropiede dall’autorità di Ritsuko, i quattro Children annuirono ed uscirono rapidamente dalla sala comando, scavalcando i detriti del condotto d’aerazione. Quando se ne furono andati, Ritsuko sbuffò, un po’ per il caldo e un po’ per l’esasperazione.

“E tutto il lavoro di coordinamento devo farlo da sola. Ma dove si sarà cacciata Misato??”

 

 

Shinji e Gabriel indossarono le rispettive plug suite in silenzio. Il ragazzo francese temeva che l’altro gli fosse ancora ostile per quanto detto ad Asuka, ma ora era altro ciò che gli premeva.

 

Rei… Ora che ho visto che cosa devi affrontare… ho paura…

 

Quando furono pronti esitarono un attimo sulla soglia. Alla fine fu Shinji a prendere la parola.

“Gabriel…” cominciò, indeciso su quali parole usare. “Per quello che è successo prima, volevo dirti che non importa. Forse hai davvero avuto ragione a dirglielo.

“Grazie, Shinji.” Il Fourth Children si sentiva più rilassato nel sentirgli dire quelle parole. Erano importanti per lui. “Buona fortuna per la missione.”

Anche a te, Gabriel.”

L’interpellato si incupì. “Ricordi? Io sono il Pilota di riserva. Non sarò lassù a rischiare la vita.”

“Ah… Avevo dimenticato,” replicò il Third Children. Aveva intuito perché l’amico si trovava in quello stato d’animo. “Allora, andiamo?”

“Vai avanti, arrivo fra poco. Non sia mai che facciamo aspettare troppo la Dottoressa Akagi,” Gabriel abbozzò un sorriso poco convinto, ma l’altro capì perfettamente che voleva restare solo. Con un ultimo cenno di saluto se ne andò. Dopo un attimo uscirono dallo spogliatoio femminile le due ragazze.

Era la seconda volta che vedeva Rei in plug suite. L’altra volta era stupito. Ora era spaventato.

Asuka proseguì per la sua strada senza degnarlo nemmeno di uno sguardo, ma questo era proprio ciò di cui lui aveva bisogno. Nemmeno la First Children lo guardava, ma teneva gli occhi bassi, quasi che avesse paura di incontrare i suoi. Senza dire una parola, Gabriel si diresse verso di lei, le passò alle spalle e la abbracciò teneramente alla vita. Percepì una lieve tensione nelle membra di lei, ma subito svanì.

“Non salire sull’Eva…” le sussurrò all’orecchio lui, gli occhi chiusi. Nel suo tono di voce si sentiva tutta la dolcezza, la malinconia e la preoccupazione che aveva covato da quando aveva visto l’Angelo.

Le mani della ragazza coprirono le sue, intrecciando le dita, e sospirò.

“Devo farlo,” rispose, muovendo appena le labbra.

“Io non voglio perderti.”

Rei si districò dall’abbraccio e si volse, guardandolo negli occhi. Gli specchi cremisi della ragazza erano umidi di lacrime.

“Devo salire sull’Eva. E’ il mio dovere.”

Lascia salire me. Io sono il Pilota di riserva, è anche mio dovere salire sull’Evangelion! Ed è mio dovere proteggerti… Rei…”

Pronunciò il suo nome quasi come una preghiera, guardandola negli occhi. Poi posò le mani sui suoi avambracci e la trasse dolcemente a sé. Le loro labbra si incontrarono come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Quando si allontanarono il volto di Gabriel era rigato di lacrime silenziose. Rei sollevò una mano ad asciugargli una guancia, raccogliendo alcune gocce sulle dita.

“Perdonami, ma devo farlo,” sussurrò, la voce rotta.

Era la prima volta che la ragazza piangeva.

Il pianista le asciugò a sua volta le lacrime e trasse a sé con dolcezza, ancora una volta, in un bacio che scacciò via quel pianto mentre lei lo abbracciava forte aggrappandosi alle sue spalle laddove non erano coperte dalle placche protettive della plug suite, come a voler ricercare il suo calore.

Quando la voce della Dottoressa Akagi li richiamò con veemenza, si staccarono voltandosi verso l’uscita degli spogliatoi.

Gabriel, Rei, vi decidete a darvi una mossa?!”

I due ragazzi si guardarono, confusi. Poi Gabriel chinò il capo, le prese la mano nella sua ed uscirono insieme. Se non fosse stata una situazione d’emergenza, la Dottoressa Ritsuko Akagi sarebbe svenuta.

 

 

 

 

 

Continua….

 

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Capitolo 10
*** Black Out alla Nerv (Parte II) ***


CAPITOLO 9

CAPITOLO 9

 

Black Out alla Nerv (Parte II)

 

(Attenzione: in questo capitolo verranno riprese molto fedelmente delle scene tratte da alcuni episodi di Evangelion, con gli scopi già anticipati nella prefazione.)

 

 

 

 Co…Ehm…” furono le uniche cose che Ritsuko riuscì a dire nel vedere i due Children mano nella mano.

 

Allora c’è DAVVERO qualcosa che non so!! Oppure il caldo mi ha dato alla testa. Ecco, sì, questa è la spiegazione più logica…

 

Dopo un ultimo sguardo, Gabriel lasciò la mano di Rei e fece un passo avanti, lo sguardo deciso. “Dottoressa Akagi, faccia salire me sullo 00.”

La proposta colse l’interpellata del tutto di sorpresa. Guardò Rei come a volersi sincerare di aver sentito bene, ma lei invece chinò il capo, rassegnata.

 

E’ inutile… Gabriel…

Tu non sai. E non devi sapere.

 

“Mi faccia salire sullo 00, la prego,” ripeté Gabriel, inflessibile. Ritsuko lo guardò: era tornata padrona di se stessa.

“Tu sei il Pilota designato per l’Unità 03, da considerare Pilota di riserva fino all’arrivo della suddetta Unità,” scandì, come se stesse leggendo. “Le disposizioni sono che dovrai salire su uno degli altri Eva in caso di impossibilità dei Piloti designato.” Tornò a voltarsi verso Rei. “Non ti senti bene, Rei?”

Rei esitò prima di rispondere, e il ragazzo la anticipò: “Non importa, faccia salire lo stesso me sullo 00.”

“Il tuo spirito di sacrificio è ammirevole,” rispose Ritsuko, “ma non è sufficiente a piegare il regolamento. Rei è il Pilota designato per lo 00, e finché sarà operativa lo piloterà lei.”

 

OPERATIVA?? Non si tratta di una macchina!

 

“Comprendo,” si affrettò ad aggiungere la donna, interrompendo sul nascere la protesta del giovane, “comprendo… o almeno credo di comprendere… le motivazioni per questa tua scelta. Ma, credimi se ti dico che ciò è del tutto inattuabile.”

“Perché??” chiese Gabriel, esasperato. Stava stringendo i pugni, e tremava tutto. “Anche Rei lo ha detto prima, ma perché deve per forza essere così!”

 

Gabriel… Come posso spiegartelo? Non capiresti. Nessuno può capire. Anche io a volte stento ad accettare la verità, eppure è proprio così. Ma tu non puoi, non devi sapere che Rei…

 

“E’ necessaria la ricalibratura del coefficiente individuale della sincronia con l’apparato senso-motorio del Nervo A10, Gabriel,” mentì Ritsuko. Sperava che un po’ di terminologia tecnica, anche se totalmente inventata, fosse sufficiente a placare il Children. “E’ un procedimento lungo e complesso, che non possiamo fare in queste condizioni.”

Ma lui non sembrava volersi dare per vinto. “Io dovrei salire sull’Eva in una situazione d’emergenza, e questa è una situazione d’emergenza! Non so cosa sia il procedimento che ha appena nominato, ma non mi pare che sia servito nulla di così complesso quando Shinji salì sull’Evangelion la prima volta, al posto di Rei.”

 

Dannazione, ha letto davvero il resoconto delle operazioni precedenti…

 

Questa volta fu la First Children a salvare la situazione, dato che la Dottoressa aveva finito le frecce al proprio arco. La ragazza si fece avanti e toccò un braccio di Gabriel, che si voltò a guardarla. Gli occhi di entrambi erano colmi di dolore.

“Gabriel…” esordì Rei. “Mi dispiace tanto, ma non possiamo fare altrimenti. Quella volta, l’attacco del terzo Angelo… Ero io il Pilota di riserva. Una volta arrivato Ikari è stato lui a dover salire sullo 01, addirittura senza preparazione, senza aver mai saputo cos’era un Evangelion.”

Il Fourth Children la guardò e il suo volto si indurì per la rabbia e la disperazione: “Rei, quando tu e Shinji avete combattuto il quinto Angelo sei quasi morta! E lo stesso è successo con il test di attivazione dello 00! Come puoi dire di dover salire sull’Evangelion quando per due volte sei stata in fin di vita??”

“Gabriel!” lo chiamò Rei, con tono disperato. Ritsuko non l’aveva mai sentita esprimere dei sentimenti in tal modo.

 

E va bene.

 

“Andrete entrambi.”

I due ragazzi la guardarono, le emozioni di poco prima sostituite dallo stupore.

“Salirete entrambi sullo 00,” sancì Ritsuko, il volto impassibile. “Abbiamo già visto che è possibile con Asuka e Shinji, quindi potrete farlo anche voi. Non accetterò discussioni in merito.”

Il pianista stava per dire qualcosa, ma invece si rilassò e rispose: “Sì, Dottoressa.”

Senza altre parole, prese per mano Rei e si diressero verso la sala comando. Dopo pochi passi però lui si fermò. “Dottoressa, come è stato possibile per Asuka e Shinji salire sullo stesso Evangelion e pilotarlo insieme senza effettuare la ricalibratura del profilo individuale… insomma, quello che ha detto prima?”

 

Ehm… In effetti ha ragione…

 

“Sono questioni complesse che non ho tempo di spiegarti,” tagliò corto Ritsuko, sudando freddo. “E poi lo 02 è un altro modello, non necessita di quell’operazione.”

Dopo un ultimo attimo di esitazione, Gabriel sembrò convinto e proseguì insieme a Rei. La Dottoressa guardò le loro mani, strette l’una nell’altra, prima di avviarsi a sua volta.

 

Per questo il Comandante Ikari vorrà la mia testa…Quando l’attacco dell’Angelo sarà scongiurato dovrò parlargliene. Non posso fare altrimenti.

 

 

 

Asuka e Shinji avevano ormai già preso posto nelle loro entry plug, ancora aperte per permettere loro di udire le istruzioni per la missione. La Second Children si impose di non pensare a quanto era accaduto prima.

 

Stupidaggini! Solo stupidaggini! Nessuno, nessuno può permettersi di giudicarmi! Vi mostrerò quello che valgo!

 

Gendo Ikari aveva già cominciato ad impartire disposizioni dal megafono, illustrando il piano elaborato, quando arrivarono Gabriel e Rei. Subito la ragazza tolse la mano da quella di lui, rispondendo al suo guardo stupito con un cenno di diniego del capo.

 

Per ora è meglio che lui non ci veda così…

 

Perché, Rei? Cosa nasconde questo tuo gesto? E’ per non farti vedere da Asuka e Shinji? Eppure mi hai abbracciato davanti a tutta la classe. O forse… per il Comandante…?

 

“Finalmente siete arrivati!” La voce amplificata di Gendo strappando il Fourth Children dalle sue elucubrazioni. Poi, senza attendere risposta, continuò. “Rei, prendi subito posto nello 00, siamo già in ritardo. Gabriel, resta a disposizione.”

Il ragazzo fece per protestare ma Ritsuko si fece avanti, mettendo le mani a portavoce per farsi udire.

 

Ora mi licenzia, ora mi licenzia!!

 

“Comandante, ho disposto che la First ed il Fourth Children salgano entrambi a bordo dello 00… per amplificarne la portata offensiva.”

Shinji ed Asuka sentirono tutto ed entrambi lasciarono da parte i rispettivi crucci.

 

Amplificare la portata offensiva? Sarà quello che è successo con me ed Asuka contro il sesto Angelo? Strano, però, non se n’è mai parlato…

 

Amplificare la portata offensiva?? Ma che storia è questa?? Non funziona così!!

 

Da quella distanza era impossibile dirlo con certezza, ma sembrava che il Comandante non fosse particolarmente felice di essere stato scavalcato, oppure fosse solo immensamente sorpreso. Qualunque fosse la sua espressione, tornò rapidamente alla precedente concentrazione.

“Molto bene,” disse infine, celando a fatica la collera. “Salite.”

Rei entrò con disinvoltura nell’entry plug e rimase al portello, per ascoltare Gendo e lo stesso fece, dopo un attimo di esitazione, Gabriel. In silenzio, attesero la fine del briefing e l’inizio dell’operazione.

 

 

Pochi minuti dopo, i tre Evangelion, mossi dai motori diesel d’emergenza, strisciavano di nuovo in un cunicolo, di dimensioni adeguate.

“Un’altra situazione imbarazzante!” sbottò Asuka attraverso la radio. Non essendoci il contatto con la base, era stato ordinato ai Children di mantenere costantemente attivo il collegamento fra di loro.

“Ehi Shinji, stavolta puoi anche alzare gli occhi,” continuò la ragazza, maliziosa. Non aveva ancora sfogato del tutto la sua frustrazione.

“Asuka, per favore,” rispose Shinji, esasperato. “Almeno durante la missione smettila di…”

 

… Fare la bambina. Perché è questo che stai facendo, Asuka. Gabriel aveva ragione.

 

“… prendermi in giro.”

Asuka sbuffò. “Scheisse.”

Finalmente raggiunsero la fine del condotto, che dava sul pozzo di risalita da cui stava cercando di entrare l’Angelo. Un fiotto di liquido viscoso arancione colava dall’alto.

“Attenzione, è l’acido di cui parlava la Dottoressa Akagi,” avvisò Rei. La Second Children però sogghignò.

“Facile,” sentenziò. Poi con la mano destra impugnò l’unico Pallet Gun che erano riusciti a recuperare, mentre con la sinistra afferrò il bordo del condotto.

“Asuka, che fai!” sbottò Gabriel attraverso la radio.

“Ferma! Dobbiamo elaborare una strategia!” esclamò Shinji.

Ma la rossa non badò loro. Disse qualcosa in tedesco, poi si sporse dall’apertura, puntando il Pallet Gun verso l’alto. In un attimo però il flusso di acido ebbe un guizzo. Gridando, Asuka ritrasse il braccio, coperto di acido all’altezza dello spuntone sulla spalla, ma aveva lasciato cadere la loro unica arma. Un sonoro -clang- confermò, dopo pochi secondi, questa semplice, ineluttabile verità.

“Asuka! Stai bene??” chiese Shinji, in preda al panico.

“Sì, sì, non è nulla,” rispose l’interpellata, stringendo un occhio per il dolore. “Piuttosto, controlla che non ci siano danni al motore di riserva.”

Lo 01 si mosse, scrutando i danni sulla corazza dello 02.

“Sembra che sia tutto a posto qui,” fu il responso.

Nel suo abitacolo, Asuka tirò un sospiro di sollievo. Almeno non sarebbe esplosa lì a causa di una stupida goccia di acido. Subito però la relativa quiete fu infranta.

“SEI CONTENTA ADESSO??” sbottò Gabriel attraverso il piccolo monitor olografico dell’entry plug. A nulla valse il lieve richiamo di Rei, il Fourth Children si era imposto ed ora occupava l’intera schermata. “Hai appena lasciato cadere la nostra UNICA possibilità concreta di battere l’Angelo!”

“Per intanto sono l’unica che abbia cercato di fare qualcosa!!” rimbrottò la Second Children. “Voi cosa stavate facendo?? Eh??”

“AVREMMO DOVUTO STUDIARE UN PIANO D’AZIONE TUTTI INSIEME!!”

“ME NE INFISCHIO DEI PIANI D’AZIONE!!”

“ORA BASTA!!”

Gabriel ed Asuka si zittirono all’istante. Shinji era livido, con un’espressione di collera che nessuno aveva mai visto. “Asuka, hai sbagliato a fare di testa tua. Gabriel, lei sa benissimo di aver sbagliato, senza doverglielo rinfacciare. Ora. Dobbiamo elaborare una strategia per sconfiggere l’Angelo. Idee?”

 

Accidenti, accidenti!! Tutto per metterti in mostra, vero Asuka?? E se prima le nostre possibilità di vittoria erano dieci ora sono una! Perché?? Perché devi sempre primeggiare in questo dannatissimo modo??

 

Nessuno parlò. Asuka sembrava paralizzata, un’espressione di leggero disgusto sul volto.

 

Ma chi si crede di essere quell’idiota per urlare così?? E’ solo un Baka, non è il capo di questa operazione, dannazione!! Ed il cocco della First non perde occasione per gongolare dei miei errori!! Che vadano al diavolo… Che vadano tutti al diavolo…

 

Nell’entry plug dello 00, Rei guardava preoccupata Gabriel. Il rimorso era evidente nei suoi occhi.

 

Shinji ha ragione… Shinji ha davvero ragione. Però Asuka mi dà i nervi! E’ sempre così altezzosa ed arrogante! Prima con Rei, ed ora addirittura in un momento in cui rischiamo tutti la vita! Come diavolo fa??

Però… Forse davvero non dovevo reagire così. Non so come abbia preso la mia sfuriata di prima, forse è anche per quello che ora ha agito così d’impulso. Non immaginavo che avrebbe potuto finire così.

 

Intanto, il flusso di acido era tornato stabile e continuava a colare indisturbato.

La cosa più importante, e quella più banale, fu evidenziata da Rei. “Dobbiamo recuperare il Pallet Gun.”

Asuka sbuffò di nuovo, ma si astenne dal commentare. Mormorò solo, a bassa voce, “Scheisse…” Nessuno sembrò aver udito.

Notando che nessuno parlava, Rei proseguì: “Questo pozzo di risalita ha una chiusa cinquanta metri più in basso rispetto a dove siamo noi. Per quanto tempo l’attacco sia iniziato, l’acido non può che aver scavato un buco relativamente piccolo . A giudicare dal rumore, il fucile deve essere caduto proprio su questa chiusa, senza finire più in basso.”

“E se è finito sotto il getto d’acido?” chiese Shinji. La sua voce non portava nessun segno della precedente strigliata.

Rei scosse il capo: “Le armi di quella categoria sono protette in modo da resistere anche agli acidi più corrosivi conosciuti.”

“Già,” disse Gabriel, scomodamente seduto sul supporto della postazione della First Children. “Però l’acido di questo Angelo è sconosciuto, potrebbe essere molto più forte.”

“Non abbiamo altra possibilità,” spiegò la ragazza, una nota di preoccupazione nella voce. “L’unica altra nostra arma sono i Prog Knife, ma è fuori portata. E non possiamo nemmeno scalare il pozzo, altrimenti l’acido ci colpirebbe.”

“Sì, ma ci colpirebbe anche se scendessimo sul fondo,” fece notare Shinji. Sembrava che avesse trovato una falla nel piano, perché nessuno aggiunse nulla. “A meno che,” aggiunse all’improvviso, “qualcun altro non protegga chi scende…”

“… facendo da scudo con il proprio Evangelion,” completò Gabriel. Sarebbe stato pericoloso, perché la connessione neurale avrebbe fatto percepire tutto l’intenso dolore del contatto con l’acido.

“Noi abbiamo tre unità,” ricapitolò Rei. “Una fa da scudo. Una scende e recupera il fucile, e la terza prende la mira, così quando la seconda le passerà il fucile sarà subito pronta a fare fuoco. D’accordo?”

“D’accordo,” fu la risposta di Shinji.

“Sì,” disse piano Asuka.

“L’unico problema che si pone ora,” obiettò Gabriel, “è chi eseguirà i tre compiti del piano.”

“Ikari è il miglior tiratore fra noi,” propose la First Children. “Lui dovrebbe sparare.”

“D’accordo,” fu la risposta dell’interessato. Poi guardò in ansia i volti dei suoi tre compagni. “E… chi farà da scudo?”

“Andrò io,” disse Rei, lapidaria. Gabriel la guardò esterrefatto.

 

Prendere l’acido su di sé… Sentirà tutto! Non può farlo!

 

“Quindi Asuka recupererà il fucile,” concluse il Third Children. “Sei d’accordo?” Ma non ottenne risposta.

Rei chiuse un momento gli occhi, per concentrarsi e prepararsi a prendere su di sé la parte forse più gravosa della missione, ma li aprì subito quando sentì le mani di Gabriel sfiorare le sue, sui comandi dell’Eva.

“Rei…” le sussurrò all’orecchio il ragazzo, in modo che gli altri non potessero sentire. “Lasciami i comandi e togliti i connettori neurali.”

Lei si voltò, sorpresa. “Ma così… sentirai tutto!” Rispose attonita con voce altrettanto bassa.

“Ma non lo sentirai tu.” Il tono del pianista era perentorio. Rei scosse il capo.

“Non posso lasciartelo fare, Gabriel. Non hai mai pilotato un Eva in missione, e le manovre da eseguire saranno molto complesse. Non ci riusciresti.”

“Sono io che non posso lasciartelo fare. Se sarai tu a prendere quell’acido addosso io lo sentirò mille e mille volte più amplificato di quanto non lo sentirei se lo prendessi davvero.”

“Se lo prenderai tu però io non potrei sopportare l’idea che ti stai sacrificando per me!” protestò debolmente la ragazza. Una minuscola sfera trasparente si staccò dalle sue ciglia e prese a galleggiare nell’LCL. Gabriel la guardò finché non lo superò, poi si chinò sul volto di Rei, vicinissimo.

“Lascia che ti risparmi questo dolore. Ti prego… amore…”

 

Amore!

Nessuno…

Nessuno mi aveva mai chiamata così…

Nessuno mi aveva mai amata…

Gabriel…

Come posso dirti di no? Condannarti a soffrire vedendomi soffrire?

Come posso dirti di sì? Riversando su di te il fardello che pesa sulle mie spalle?

Come posso sopportare di vederti soffrire…?

 

“Andrò io,” disse Asuka, che come Shinji tuttavia non aveva udito nessuna delle parole dei colleghi, interrompendo bruscamente il dialogo tra Gabriel e Rei. Tutti la guardarono stupiti.

“A-Asuka,” balbettò Shinji, che del momento di caparbietà di poco prima non conservava più nulla. “Tu non puoi…”

La ragazza lo zittì con uno sguardo imperioso. “Shinji, tu sparerai. First, Gabriel, voi andrete giù a recuperare il fucile. Shinji, quando sarai pronto avvisami e mi sposterò. Tutto chiaro?”

Gli altri tre esitarono.

“TUTTO CHIARO??” chiese di nuovo la Second Children, quasi gridando.

“Sì,” risposero i suoi compagni.

“Bene. Andiamo.”

Con un balzò la missione iniziò.

Lo 02 piantò mani e piedi nelle pareti del pozzo, ricevendo sulla schiena il fiotto di acido. Asuka trattenne un urlo mordendosi il labbro. Lo 01 e lo 00 uscirono contemporaneamente. Shinji si piazzò sotto Asuka, piantando i motori diesel nella parete in modo da avere le mani libere. Rei e Gabriel atterrarono sul fondo, cinquanta metri più sotto. Il ragazzo era attentissimo, sapeva di non avere i comandi ma sapeva anche che ogni sua minima distrazione avrebbe potuto interferire con il funzionamento dell’Evangelion.

LA’!” indicò il Fourth Children all’improvviso. Il fucile giaceva accanto al buco al centro della paratia, appena intaccato dall’acido. Sperando che funzionasse ancora, Rei lo afferrò e lo lanciò a Shinji.

Il ragazzo lo prese con fermezza e lo puntò verso l’imboccatura del pozzo.

“ASUKA, SPOSTATI!” sbraitò.

Lo 02 si scostò rapidamente, e Shinji sparò.

Una lunga scarica di proiettili, ed il fiotto acido smise di colare. L’Angelo era morto.

Con un fragore tremendo l’unità rossa piombò su quella viola, e tutte e due caddero su quella blu sul fondo del pozzo.

Dopo diversi attimi di smarrimento, Shinji richiamò con forza l’attenzione di Asuka. “Asuka! ASUKA!”

Lei sollevò il volto dall’espressione dolorante e stanca, però sorrise. Il ragazzo sospirò di sollievo.

 

Grazie. Grazie di non essere morta, Asuka.

 

E’ andata. Ora Gabriel sarà contento, sono diventata matura. Ho preso su di me le mie responsabilità, e accidenti quanto fanno male alla schiena. Non potrà più dire che sono immatura e voglio sempre stare al centro dell’attenzione. Mai più.

…E grazie di esserti preoccupato, Shinji.

 

“Rei, stai bene??” chiese in preda al panico Gabriel. La ragazza si mosse appena sulla sua postazione e si girò a guardarlo. Aveva l’aria affaticata, ma stava sorridendo.

“Se sono con te, io sto sempre bene.”

Gabriel non poté replicare, riuscì solo a prenderle la mano, prima che Shinji li interrompesse, entusiasta.

“Ragazzi, l’Angelo è andato! Abbiamo vinto! Però… Ora come facciamo ad uscire da qui??”

“E’ meglio se attendiamo i soccorsi,” propose Rei

 

 

Nel giro di un’ora dalla sconfitta dell’Angelo, il 97% dei sistemi operativi del Quartier Generale e della soprastante città era tornato attivo. I ragazzi furono tratti in salvo dalle squadre specializzate nel recupero degli Evangelion. Gli furono dati degli asciugamani per ripulirsi dell’LCL (e Gabriel fece ben attenzione che esso non scivolasse via dalle spalle di Rei) e gli fu detto di recarsi in infermeria, dove sarebbero stati sottoposti ad una visita di routine da parte del personale infermieristico. Con tutto il caos provocato dal black out, Ritsuko sarebbe stata troppo occupata per occuparsene di persona. Oltretutto, aveva anche ricevuto l’ordine perentorio di fare rapporto il prima possibile nell’ufficio del Comandante.

 

Di certo vorrà sapere il perché di quell’atteggiamento di Rei… Dovrò anche spiegargli che Gabriel l’ha presa in braccio! Se solo il Comandante non la considerasse come sua figlia sarebbe tutto molto più facile…

 

“Senpai, la vedo distratta, c’è qualcosa che non va?” chiese Maya, premurosa. Loro due, insieme a Makoto, si stavano recando nella zona dei parcheggi a riparare alcuni collegamenti che erano saltati a causa del black out. Di solito vi si sarebbe recata una squadra di manutenzione ordinaria, ma in quel momento pure quelle scarseggiavano: la maggior parte dei tecnici era rimasta in superficie, ed avrebbe dovuto aspettare che le autorità civili, più lente di quelle della Nerv, ripristinassero i collegamenti con il Geo-Front. Le altre squadre erano state inviate ad aiutare nel recupero degli Evangelion, faccenda sempre molto complessa.

Alle parole della ragazza, Ritsuko si scosse. “No, niente, Mayachan. Stavo solo pensando al rapporto da stendere per il Comandante.

“Dovrebbe essere questo,” si intromise Makoto, indicando un ascensore. Il tastierino era spento.

“Non ci vorrà molto,” borbottò la Dottoressa, annoiata. Aprì uno sportello e collegò alcuni cavi. “Ecco fatto, ora dovrebbe ripartire.”

Con un -ding- le porte si aprirono. Degli stupitissimi Makoto, Maya e Ritsuko videro all’interno Kaji e Satoshi che si guardavano in cagnesco, e Misato che non sapeva da che parte voltarsi, per cui fu la prima ad incontrare lo sguardo dell’amica.

“Ciao… Ritsuko,” furono le uniche parole che fu in grado di dire per giustificare lo stato pietoso dei volti tumefatti di Satoshi e di Kaji. Davanti ad un tale spettacolo, l’unico commento possibile fu quello di Maya.

“… Scandalosi.”

 

 

Dopo che Gendo ebbe sbraitato per quasi trenta minuti contro Misato, Kaji e Satoshi per il comportamento indegno tenuto in una situazione di crisi, toccò a Ritsuko fare rapporto.

“… Ad ora, il 99.7% dei sistemi è tornato operativo,” terminò la donna, con un ben celato sospiro di sollievo. Per tutto il colloquio si erano dati del ‘lei’, nonostante di solito le loro interazioni fossero più confidenziali. Questo voleva dire che c’era davvero qualcosa di più importante di cui discutere, rispetto a dati e cifre.

 

Bene. Almeno non mi ha chiesto nulla di Gabriel e Rei.

 

“Molto bene, Dottoressa,” rispose lui, che dalla finestra del suo ufficio stava guardando il paesaggio del Geo-Front. “Fuyutsuki, lasciaci un attimo da soli.”

“Come desidera, Comandante,” rispose l’anziano secondo in comando, abbandonando l’ufficio.

 

Ecco, ho cantato vittoria troppo presto.

 

“Suppongo che lei debba ancora spiegarmi qualcosa, Dottoressa.”

Ristuko non seppe dire se nel tono apparentemente calmo di Gendo si celasse una minaccia o meno. Deglutì un paio di volte, prima di cominciare.

“Ho fatto salire sia Gabriel che Rei sullo 00 perché… Ecco… Lui pretendeva di prendere il posto della First Children.”

Due lunghissimi secondi di silenzio.

“Pretendeva?”

Ancora una volta, non si poteva dire se il tono fosse minaccioso o meno.

“Sì, lui… Comandante, forse non ha notato che quando sono arrivati alle gabbie loro… si… tenevano per mano.”

Silenzio.

La bionda deglutì di nuovo.

“E…” si schiarì la voce, perché era suonata particolarmente stridula. “E… quando sono arrivati in sala comando… In effetti sono caduti, come le ho già riferito… Ecco, Gabriel ha… preso in braccio Rei. Perché non cadesse per terra.”

Ancora silenzio.

Ritsuko pensò di dover aggiungere qualcos’altro, ma dalla figura di spalle che guardava fuori dalla finestra uscì la solita voce inespressiva.

“E quando pensava di riferirmi questo piccolo particolare?”

“I-io, non… Non sapevo…”

 

Accidenti, in passato sono riuscita a mentire in modo sopraffino, ora per poco non riesco nemmeno a parlare! Perché quest’uomo mi fa quest’effetto?

Probabilmente, come al solito la risposta a questa domanda ce l’hai tu, mamma.

 

“Stavo ancora cercando le parole adatte, signore,” concluse secca.

Gendo si voltò, ma dal volto non traspariva nessuna emozione.

“Dai dati raccolti sul combattimento odierno risulta qualche variazione nelle prestazioni dello 00?”

“No… Anzi, sì. Un lieve miglioramento nei riflessi quando è stato individuato il Pallet Gun.”

“Quindi il rapporto tra la First ed il Fourth Children non ha avuto conseguenze negative, vero?”

“Sì, signore.”

“Bene.” L’uomo tornò a voltarle le spalle. “Continui a monitorarli. Se rileva delle seppur minime variazioni negative nel tasso di sincronia, mi informi subito.”

“D’accordo, Comandante,” rispose la donna, visibilmente sollevata. Era felice che la cosa non avesse provocato la reazione che temeva da parte di Gendo, ed era anche felice di non dover separare i due ragazzi. Fece per andarsene, ma l’uomo la trattenne ancora.

“Dottoressa, c’è ancora una cosa che devo dirle.”

“La ascolto.”

“Ho saputo che i nostri amici hanno ripreso in mano il loro vecchio progetto.”

Ritsuko trasalì. ‘I nostri amici’ era un’espressione in codice dal significato preciso, che solo loro due conoscevano. Si umettò le labbra prima di parlare.

“Di nuovo? Non gli è bastato quello che è già successo?”

“Evidentemente no. Ma questa volta la situazione è più seria. Per ora non so altro. Può andare.”

“Sì, signore. Mi terrò a disposizione.”

Ristuko lasciò l’ufficio pensierosa. Stavano facendo di nuovo l’errore che avevano fatto tempo fa. Ma il fatto che Gendo definisse ‘seria’ la nuova situazione la turbava un po’.

 

 

Nel frattempo, mentre Kaji si era dileguato, Misato e Satoshi andarono nella sala mensa a prendere qualcosa per distendere un po’ i nervi. I lividi di Satoshi, già curati da un’indaffaratissima Ritsuko, che si era portata nel camice un intero kit di pronto soccorso come sua abitudine, gli facevano ancora un po’ male.

“E così ha attaccato pure un angelo, eh?” chiese Misato, ancora frastornata dalla sequela di informazioni, cui erano mescolati anche non pochi rimproveri, della Dottoressa.

“Già,” confermò Satoshi, sorseggiando una tazza di tè. “Però i ragazzi lo hanno affrontato alla grande, ed hanno trionfato. E, soprattutto, stanno bene.”

“Hai notato però come Ri chan parlava di Gabriel? Sembrava… schiva. Ed anche quando parlava di Rei…”

Satoshi bofonchiò delle parole incomprensibili e si immerse nel tè.

 

A quanto pare è successo davvero qualcosa tra loro, allora. Rei avrà trovato il regalo di Gabriel, e stamattina a scuola si saranno parlati. Sì, ma cosa si saranno detti? Non posso ancora far capire a Misato che so che Gabriel è innamorato di Rei, non prima di averne parlato direttamente con lui. E poi… Ho qualcos’altro da fare ora.

 

“Misato,” iniziò, frugandosi nelle tasche. “Prima che arrivasse…” si trattenne dal pronunciare un insulto, “…l’Agente Kaji, volevo chiederti una cosa.

“Ah sì, ho visto i biglietti! Ma per cosa sono?”

“Beh, ecco…” li estrasse, mostrandoli alla donna curiosa. “Me li ha dati Shigeru, sono per l’inaugurazione di un locale, lo Scarlet Dawn… Mi chiedevo se… ecco… ti andasse di andarci… Sì, insomma…”

 

Un momento, ma… Mi sta invitando ad uscire??

 

“Se volessi venirci con me. Allo Scarlet Dawn. All’inaugurazione. Stasera.”

 

Bene, ce l’ho fatta. Ora posso tranquillamente andare a nascondermi da qualche parte per la vergogna.

 

Misato non notò il rossore che andava diffondendosi sul volto di Satoshi, in parte celato dai lividi, ma sembrava pensierosa.

 

Un appuntamento. Erano secoli che non avevo un appuntamento!

 

“Certo che mi va!” fece lei, allegra. Quasi colse di sorpresa Satoshi. “A che ora è?”

“Dovrebbe cominciare tra poco, ma a causa del black out sono sicuro che lo ritarderanno. Se sei d’accordo provo a telefonare per informarmi.”

“Sì , informati pure,” disse Misato. Era letteralmente entusiasta. “Poi andiamo a recuperare i ragazzi, saranno ancora in infermeria, e portiamoli a casa. Si meritano una bella nottata di riposo!”

Ancora col volto in fiamme, Satoshi si alzò e telefonò al numero indicato sui biglietti. Dopo un attimo, tornò dalla donna.

“Sì, l’hanno spostata alle 22.15, abbiamo ancora un sacco di tempo.”

“Bene, allora possiamo anche farci raccontare dai ragazzi i dettagli dell’operazione!”

Mentre Misato si avviava verso l’infermeria a passo spedito, Satoshi la seguì, ancora agitatissimo per il suo primo appuntamento dopo otto anni.

 

 

Intanto, i Children erano arrivati in infermeria. Per tutto il tragitto, un’Asuka tornata allegra come sempre non aveva fatto altro che rievocare i momenti salienti della battaglia contro l’Angelo.

“… E se non fosse stato per quel maledetto getto di acido la battaglia sarebbe finita molto prima, ve lo dico io!” ripeté per l’ennesima volta la rossa. “Perché…”

“Perché l’avresti crivellato di colpi, lo sappiamo,” la interruppe Shinji, che si era appena seduto su un lettino. “Sono stanco morto, è stato faticosissimo resistere in quella posizione, per non parlare di quando Asuka mi è caduta addosso…”

“Scusa, se non mi toglievo da lì non potevi sparare, e non potevo rimanere sospesa in volo,” lo rimbrottò lei, scuotendo la chioma rossa che si andava asciugando.

“Per non parlare, vorrai dire, di quando VOI siete caduti addosso a NOI!” scherzò Gabriel, mano nella mano con Rei.

“Ma vuoi mettere con riceversi sulla schiena non so quante tonnellate di acido?” incalzò la Second Children, ridendo. Ma Gabriel divenne di colpo serio.

“Asuka, te l’ho già detto una volta oggi. Se vuoi sempre stare al centro dell’attenzione ti ritroverai da sola.”

Quelle parole ebbero l’effetto di un fulmine sulla rossa. Il sorriso le sparì dalle labbra, che ricaddero lasciandola con un’espressione attonita. “Stavo solo scherzando!” ribatté acida subito dopo, andando a sedersi in un angolo. L’atmosfera nell’infermeria mutò di colpo, e rimase tesa finché non arrivarono gli infermieri per i test di rito.

Subito dopo gli infermieri arrivarono Misato e Satoshi, ed Asuka chiese, apparentemente incurante di quanto appena successo, il perché di quei lividi.

“E’ una lunga storia,” scherzò l’uomo, e non si accorse di quanto il sorriso di Gabriel e Shinji fosse tirato. Loro sapevano benissimo che in realtà la Second Children era rimasta profondamente ferita da ciò che era successo.

Quando se ne andarono dall’infermeria, però lei sembrava tornata quella di sempre, tanto che ricominciò il racconto della battaglia a beneficio dei due adulti. Però se per il momento aveva potuto ignorare la verità che il Fourth Children le aveva messo davanti agli occhi, ben presto, quando sarebbe stata a casa e nessun attacco d'Angelo o qualcuno davanti cui gloriarsi dell'impresa avrebbe potuto distoglierne l'attenzione, la tempesta si sarebbe abbattuta senza pietà su di lei. Senza più possibilità di fuga.

 

Stupidi… Brutti stupidi…

 

 

 

 

 

Scarlet Dawn.  Ore 22:15

Il black out che aveva colpito Neo Tokyo-3 quel giorno aveva ritardato l’apertura del locale di ben tre quarti d’ora, sicché Misato e Satoshi riuscirono ad arrivare in tempo. L’Harley rombò con veemenza quasi volando sull’asfalto e si fermò con una rumorosa frenata sotto il lampione di fronte al locale. Avevano preso la moto di lui invece che l’auto di lei perché avevano in mente di fare un bel giro della città di notte. E poi, Misato non era mai salita su una Harley.

La prima a scendere fu la donna che indossava dei jeans fuseau blu sopra un paio di scarpe da ginnastica nere, retti da una larga cintura pure nera dalla fibbia argentata. La maglietta scollata era decorata da alcune scritte senza senso e sopra portava il giubbotto della sua uniforme Nerv, opportunamente camuffato per non apparire troppo ufficiale.

Con gesto rapido tolse il casco da passeggero, che al contrario di quello del guidatore era privo di visiera, scuotendo il capo per riavviare la lunga capigliatura viola.

“Straordinario! Tenuta perfetta anche in curva!”

L’uomo si sfilò a sua volta il casco e le sorrise. L’unguento che Ritsuko gli aveva applicato sullo zigomo e l’impacco sull’occhio avevano sortito il loro effetto e dell’avvenuto pestaggio, invece che dei vistosi lividi neri, erano rimasti appena degli aloni più scuri che sarebbero spariti nel giro di un paio di giorni. Velocemente lo ripose in una delle sacche che pendevano ai lati della moto e smontò di sella. Indossava una camicia bianca, di cui i primi due bottoni erano aperti, su un paio di jeans classici e scarpe da ginnastica bianche.

“Vuoi darmi il casco?” Le chiese sorridente mentre le porgeva una mano in attesa che lei glielo consegnasse.

“Ah, scusa!” Ridacchiò la donna rendendogli l’oggetto ed osservandolo mentre lo riponeva nell’altra sacca. Si guardò intorno: La strada era illuminata solo da alti lampioni dalla luce chiara come quello dove avevano parcheggiato. Il locale era un po’ più isolato rispetto alla zona turistica vera e propria, con i suoi vari ristorante e alberghi, ma per raggiungerla sarebbero bastati 20 minuti a piedi  e giusto la metà in moto. Da fuori, Satoshi già riconobbe le note di ‘Keeper Of The Seven Keys’ degli Helloween, quindi, assicuratosi che la moto non corresse rischi, estrasse i biglietti e si volse verso Misato.

“Tutto a posto! Che ne dici di entrare?”

“Ma certo! Siamo qui apposta!” Esclamò dirigendosi a passo svelto verso l’entrata subito seguita dall’uomo. Non appena aprirono la porta, si trovarono davanti due buttafuori in giacche di pelle nere e occhiali da sole.

“Biglietti.”

Senza dire una parola, l’Agente consegnò loro quanto chiesto mentre la donna lanciò un’occhiata all’interno del locale già gremito e rumoroso. Le luci erano tenute basse ed avevano una tonalità estremamente soffusa. Sulla destra, svariati tavoli erano già occupati da gruppi urlanti di ragazzi e ragazze tra i diciotto e vent’anni  mentre a sinistra si allargava una larga sala del tutto sgombra dalla quale si intravedeva, dall’ingresso, un pezzo di palco, forse la postazione del dj, davanti alla quale si stava dimenando un popolo intero che doveva raggiungere il picco massimo dei ventotto anni anche se vi era anche qualcuno più grande. Tra le due zone, centrale rispetto all’ingresso, si allargava un lungo bancone illuminato da una luce rosata dietro il quale erano posti scaffali e scaffali straripanti di bottiglie e tre barman si affrettavano a servire gli astanti.

I due buttafuori all’ingresso controllarono rapidamente, strapparono i biglietti, e fecero loro cenno di entrare.

Una volta entrati, le note della canzone che ormai doveva volgere alla sua conclusione, lì investirono in pieno insieme alla confusione del luogo.

“Accidenti! Mi sembra davvero di essere tornato ai tempi del Liceo!“ Esclamò con un sorriso, alzando leggermente la voce per meglio farsi udire, mentre osservava l’ambiente prima di riportare lo sguardo sulla donna che stava fissando un poster di vecchia data dei Rhapsody appeso in bella vista sulla parete di fianco al bancone. In effetti sembrava pensierosa.

“Qualcosa non va?” Chiese ancora chinandosi appena verso di lei.

“No, certo che no!” Gli sorrise voltandosi subito verso di lui per guardarlo in volto ”…è che stavo pensando che qui sembrano avere tutti  molto meno o poco più della tua età ed io…”

 

…ed io sono quasi sulla soglia dei trent’anni…

 

L’uomo inarcò il sopracciglio sinistro con fare interrogativo. Allora Misato continuò un po’ imbarazzata. “…beh…ecco…come dire…non vorrei sembrare troppo vecchia per queste cose…”

A quelle parole Satoshi ridacchiò appena sotto lo sguardo perplesso della donna, ma subito si riscosse.

“ Troppo vecchia per posti del genere? “ ripeté con un sorriso “ In fondo mi pare che tra noi ci siano solo tre anni di differenza o mi sbaglio?”

La donna arrossì rovinosamente “E tu come lo sai??”

“Beh, due giorni fa mi hai consegnato tu stessa la fotocopia della tua carta d’identità per allegarla a quei documenti firmati da recapitare al Reparto Esecutivo. Non ricordi?”

 

Che stupida, è vero!

 

“Ah…ehm…”

“Comunque…” riprese l’agente con un sorriso “…puoi credermi sulla parola se ti dico che non hai nulla da invidiare a chiunque qui dentro… “

Se prima era arrossita, adesso Misato era color rosso fuoco, ma per sua fortuna Satoshi già aveva distolto lo sguardo e stava cercando un posto libero al bancone dato che era inutile perdere tempo a cercare tra i tavoli che erano evidentemente tutti occupati.

 

Ma…ma…ma ci stava provando?? No, calma, Misato. Non tutti gli uomini sono come quello scemo! E’ stato gentile, ha solo voluto metterti a tuo agio e…

 

“Misato?”

La donna si riscosse dalle suo cogitazioni e scattò verso di lui con un enorme sorriso sulle labbra per dissimulare l’imbarazzo.

“Si?”

“Escludo che ci sia un tavolo libero. Che ne dici di metterci lì?” Ed indicò una serie di sgabelli vuoti sul lato sinistro del bancone da cui si poteva anche sentire abbastanza bene la musica. Alla canzone precedente era subentrata ‘Fullmoon’ dei Sonata Arctica .

“Oh, perfetto! Così posiamo anche bere qualcosa! Sei d’accordo?” Cominciò  allegra mentre andava a prendere posto su uno sgabello subito imitata da Satoshi che si sedette alla sua destra.

“Certo. “ Annuì l’uomo con un sorriso. Il posto era davvero niente male e la compagnia era superba.

 

 In effetti…chissà quanti vorrebbero essere al posto mio stasera. Incluso quel dannato bellimbusto…! No, ora non voglio pensare a quell’individuo! Voglio solo pensare a trascorrere al meglio questa serata con…lei.

 

Assorto, si soffermò a guardarla mentre prendeva dal bancone una copia della lista delle bevande.

 

“Allora…vediamo un po’…”cominciò l’Ufficiale aprendo il menù dei cocktail “…Satoshi, tu cosa prendi?”

L’uomo sobbalzò riscuotendosi “ Si, dunque…” rapido prese a sua volta una copia ed incominciò a scorrere i nomi. Non voleva andarci pesante. Mentre erano ancora intenti a scegliere, si avvicinò uno dei barman. Non molto alto, capelli neri tenuti corti e occhi castano scuri.  Doveva essere di poco più grande d’età dell’Agente.

“Allora, ragazzi…” con fare simpatico sorrise ai due ”… in occasione dell’apertura consumazioni gratis! Cosa vi porto?”

“Per me un ‘White Lady’, grazie.”

Satoshi rimuginò un po’ quindi posò il menù “Io prendo un ‘Alexander’.”

“Arrivano subito!” Esclamò prendendo a preparare quanto ordinato sotto gli occhi dei due con velocità impressionante Nel giro di dieci minuti i cocktail furono serviti. Ed il barista potè tornare a servire altri clienti.

Per fortuna avevano messo dei brani più tenui, in quel momento ‘Coming Home’ degli Stratovarius quindi era possibile conversare senza doversi sgolare.

Misato indugiò qualche istante sul bicchiere ghiacciato, poi alzò lo sguardo sul volto dell’Agente soffermandosi sull’alone nero sullo zigomo.

“Come va con i lividi, Satoshi?” Chiese con un filo di preoccupazione

“Ah, non malissimo. Grazie a quell’unguento va già meglio.” Le sorrise rassicurante per poi prendere a bere dal suo bicchiere. Nonostante il sapore dolce, la gradazione alcolica del brandy si faceva sentire.

Pensierosa la donna imitò l’uomo iniziando sorseggiare il suo cocktail.

“Mi dispiace che ti abbia ridotto così…” Riprese dopo un po’.

“Lui è finito anche peggio. Bellimbusto da quattro soldi…” mormorò a denti stretti salvo poi sobbalzare allorquando si rese conto di quanto detto. Rapido le rivolse un timido sguardo di scuse “…perdonami, forse ti da fastidio che parli male del tuo…”

“No, Satoshi…” Misato scosse la testa in segno di diniego interrompendolo“…tra me e quel tipo è finito tutto otto anni fa. Per fortuna.” Terminò sbrigativa tornando a dedicarsi al ‘White Lady’.

Ma l’Agente la guardò con sorpresa “Hai detto otto anni fa?”

“Si…perché?” Chiese con aria interrogativa.

L’uomo esitò prima di rispondere e terminò in un sol colpo l’’Alexander’.

“Anche la mia unica relazione è terminata otto anni fa.” Spiegò con noncuranza.

“Oh…mi dispiace, Satoshi, non volevo riportarti alla mente dei brutti ricordi…” Fece per toccargli un braccio, ma si trattenne. L’altro le sorrise “No, nessun brutto ricordo. Ero un ragazzo all’epoca, ancora diciottenne, avevo appena iniziato l’ultimo anno delle Superiori. Certo, ci rimasi male, ma mi è passata tutto sommato abbastanza in fretta.”

Misato tacque per un istante non volendo sembrare indiscreta, ma alla fine la curiosità ebbe la meglio.   

“Posso chiederti come mai? Certo, sempre se non  sono troppo indiscreta, non voglio forzarti…”

“E’ un po’ complicata da spiegare…” cominciò l’uomo iniziando a giocherellare con il menù “…A quel tempo io ero entrato da poco a far parte del dojo del Sensei Yoshichiro Kanegawa. Il più grande Sankendoka che la storia della Disciplina abbia mai avuto. Quando è venuto a mancare ormai quasi quattro anni fa le ripercussioni nel settore si sono protratte a lungo termine. E’ stata davvero una gran perdita. In ogni caso, frequentare il dojo del Sensei Kanegawa significava entrare nel mondo della competizione sportiva  e questo a sua volta significava sottoporsi a severi allenamenti che a volte duravano anche più di tre ore. Ma anche se ritornavo a casa stanco morto dalla fatica e dovevo dimenarmi tra lo studio e gli allenamenti, riuscivo a trovare comunque il tempo per passare con lei il resto della giornata. Per quanto poco fosse. Questo non le stava bene. E così di punto in bianco stabilì che era finita senza possibilità di repliche. Questo è tutto.” Concluse  senza espressione come chi parla di un brutto momento passato ed ora privo di importanza.

Misato era ammutolita.

 

Ma che…stronza.

 

La donna dovette faticare non poco per non dare voce al suo pensiero. Si chiese che tipo dovesse essere quella …

 

…cretina…

 

Ma decise di tacere.

E tu invece?”

“Eh?? Cosa??” La voce dell’uomo la distolse dai suoi pensieri.

“Dato che siamo in tema di relazioni naufragate…” riprese a guardarla “ …la tua come mai è finita?” 

“Eravamo troppo diversi. E lui troppo farfallone. Come avrai notato.” Rispose senza esitare.

“Capisco.”

Per qualche momento i due restarono in silenzio, come se riflettessero l’una su quanto detto dall’altro e viceversa.

La prima a spezzare il silenzio fu Misato.

“Beh, che ne dici di prendere qualcos’altro?” Aveva ripreso il suo solito modo di fare solare di sempre. L’Agente, che di fronte al sorriso entusiasmo della donna aveva ripreso l’abituale buon umore, ci pensò un po’. L’’Alexander’ sembrava non avergli fatto nessun effetto particolare. Alla fine decise che un altro poteva reggerlo.

I successivi argomenti di conversazione, furono cose molto più piacevoli come ad esempio le moto, le automobili, le novità del nuovo modello di Renault Alpine in programma per il 2018, e da lì ai progetti per le vacanze, se mai la Nerv gliele avrebbe concesse, e simili.

Intanto i cocktail da due erano diventati tre. Se Misato iniziava solo ora a sentirsi appena spossata, Satoshi era già accaldato da un pezzo. La luce troppo soffusa, rendeva indistinti i contorni delle cose, tanto che ai suoi occhi apparivano come niente più che macchie di colore. Solo la donna, di fianco a lui, era ancora nitida. Quasi senza che se ne accorgesse si ritrovò ad indugiare con lo sguardo sulle labbra della donna che era ormai al suo quarto cocktail, per poi scendere lungo il collo soffermandosi sulla scollatura e poi tornando indietro a rimirare l’espressione rapita di lei nel bere il liquore ad occhi chiusi. Pensò che non aveva mai visto nulla di più sensuale prima d’ora. Ed un capogiro insieme ad una scarica di calore sul volto lo assalì.

 

Che cavolo sto facendo…lo sapevo che non dovevo bere…

 

Di nuovo la visuale di lei tornò a rapirlo totalmente scacciando via ogni residuo di ragione. Fu in quel momento che Misato si girò trovandosi gli occhi azzurri dell’uomo puntati nei suoi. Non era messa meglio di lui ma almeno aveva una resistenza maggiore tanto da accorgersi dello sguardo del suo sottoposto che era stranamente intenso. Molto intenso. Nessuno avrebbe potuto dire se il rossore che le infiammò il volto fu dovuto più all’alcool o a quegli occhi, alle ciocche bionde che gli incorniciavano i lati del viso, all’espressione concentrata del suo volto nel guardarla come si guarderebbe un qualcosa di meraviglioso,le braccia sul bancone, il pugno destro a sorreggere il mento mentre l’altra mano era ancora stretta al bicchiere ormai vuoto.  In quel momento, anche con uno zigomo ed un occhio pesti lo trovò un uomo bellissimo. Cosa che in fondo aveva sempre pensato.

“Ah…” cominciò titubante “…mi gira un po’ la testa…forse sono davvero troppo grande per serate come questa…” ridacchiò scherzando per dissimulare l’imbarazzo, ma Satoshi non sembrava aver colto. Restò ancora qualche istante in silenzio, poi abbandonò la presa sul bicchiere e a sua posizione e si sporse verso di lei senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi. La donna non ebbe la forza di arretrare.

Se quando era un liceale l’Agente Iwanaka era il primo a crollare alla seconda bottiglia di birra e doveva essere riportato a casa in spalla dagli amici, adesso l’alcool aveva avuto il potere di disinibirlo.

“Quello che ho detto prima lo pensavo sul serio…” cominciò l’uomo con voce bassa ma sufficiente affinché potesse sentirlo “…sei realmente la donna più bella che abbia mai incontrato in vita mia. Mi piace stare con te, mi piace sentirti parlare…mi piace tutto di te…”

Misato era a bocca aperta. Una parte di lei era entusiasta di quelle parole, avrebbe voluto saltare di gioia, ma il resto era come appesantito. Non riusciva a connettere adeguatamente le parole con il loro significato. E poi incontrò i suoi occhi azzurri. E seppe cosa fare. Si protese in avanti dandogli un rapido bacio. Poi sembrò ripensarci e lo baciò di nuovo, stavolta più intensamente.

Il mondo, la musica, addirittura la Nerv e gli Angeli persero consistenza: erano rimasti solo lei e lui, un uomo e una donna che si baciavano e si accarezzavano furiosamente, e il fastidioso impedimento dei vestiti.

Uno dei baci della donna andò lungo e si fermò sulla guancia di Satoshi. Quasi involontariamente si trovò a soffiargli lievemente nel padiglione auricolare.

“Andiamo via da qui…” sussurrò, senza sapere bene cosa stava dicendo.

“Vuoi andare a casa?” chiese lui.

“…No…”

La mano di Misato scese lungo il torso di Satoshi, fino a raggiungere la cintura. Lo sentì sobbalzare, e la cosa la fece ridere sommessamente: la trovava stranamente divertente.

Dopo una breve esitazione, lui portò le mani ad accarezzarle la schiena sotto la maglietta, ma lei lo fermò.

“No… Vieni, andiamo fuori.”

Si alzò, prendendogli le mani e portandolo con sé verso l’uscita del locale. Schivò un paio di figure in movimento, probabilmente ragazzi che ballavano la musica che il dj aveva appena messo su, ma non se ne curava. Nemmeno sentiva la musica d’altronde. Quello che le importava era il calore.

Uscirono all’aria aperta. Fredda, al confronto di quello che sentivano nei loro corpi. E d’un tratto si resero conto di ciò che stavano per fare.

 

Un momento… Ma… E’ il nostro primo appuntamento!!

 

La donna batté più volte le palpebre e si accorse di avere una mano sulla cintola di lui. Le dita anzi avevano già superato il bordo dei suoi calzoni. Rapidamente si ritrasse. Anche l’uomo sembrava piuttosto confuso.

 

Stavo per…

 

Non poté portare a termine il pensiero, perché d’un tratto si sentì strana. Si chinò e vomitò sull’asfalto del parcheggio. Subito Satoshi si riprese dallo stupore che stava provando e accorse in suo aiuto. Sembrava che gli ultimi avvenimenti non avessero lasciato traccia nella sua mente.

“Misato, ti senti bene??” chiese, premuroso. La sua voce sembrava venire da molto, molto distante.

“Sì… più o…” Vomitò di nuovo.

 

Gran bella figura, Misato. Prima fai la femme fatale e poi gli vomiti quasi sulle scarpe. Hai classe, non c’è che dire.

 

Quando la donna tornò in sé si sedette su una panca, e Satoshi corse all’interno per prendere un caffè, o qualcosa che gli schiarisse le idee, in modo da poter guidare la moto. In fondo si sentiva solo disinibito, non stordito. Ma la disinibizione poteva spiegare quello che era appena successo?

 

Sì, Misato ha bevuto più di me in effetti… Però, accidenti, quelle cose avrei voluto dirgliele da sobrio. Spero che non pensi che a parlare era stato l’alcool e basta. O peggio, qualcos’altro di me…

D’altronde però  anche lei non mi ha respinto… Aaah!! Grande, Satoshi Iwanaka!! Guarda che bel casino che hai fatto!!

 

Intanto Misato si guardava, ancora attonita le punte delle dita. Un mal di testa atroce la stava divorando.

 

Prima quell’idiota va a raccontare ciò che era successo tra di noi, poi ora Satoshi mi trova con la mano infilata nei suoi calzoni… Chissà cosa penserà di me… Chissà… No, un altro conato no, eh!! Per fortuna l’allarme è rientrato. Ma sentimi, parlo come Ritsuko!

 

Satoshi arrivò in un attimo. Sembrava rinfrancato.

“Vieni, andiamo a casa,” disse, porgendole una mano per farla alzare dalla panca. Lei la prese, mogia, e si tirò in piedi. Una vertigine la colse e rischiò di cadere, ma l’uomo la afferrò al volo. Sembrò quasi che stessero ballando una strana danza.

“Riesci a camminare?” chiese lui, tenendola saldamente. Lei annuì.

 

Sempre premuroso… Nonostante quello che è successo. Nonostante ci abbia provato spudoratamente con lui…

 

“Io andrò piano, ma tu dovrai tenerti stretta, ok? Altrimenti nelle tue condizioni al minimo sobbalzo rischi di cadere... Ed era effettivamente vero.

“D’accordo,” sussurrò lei. Si sentiva più in sé ora.

Salirono sulla moto, e partirono, svanendo nella notte.

 

 

 

 

 

 

Continua….

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Capitolo 11
*** Alterazione e Mutamento ***


- “Vuoi essere al centro dell'attenzione

 CAPITOLO 10

 

Alterazione e Mutamento

 

(Attenzione: in questo capitolo verranno riprese molto fedelmente delle scene tratte da alcuni episodi di Evangelion, con gli scopi già anticipati nella prefazione.)

 

 

 

 

Giunti a casa, i ragazzi riuscirono finalmente a convincere Misato e Satoshi ad andare all’apertura dello Scarlet Dawn senza preparare loro la cena, in modo che non facessero tardi. Nelle aspettative di Gabriel, che aveva dovuto a malincuore salutare Rei, poiché la ragazza dovette restare al Quartier Generale per conferire con Ritsuko, forse la serata avrebbe dovuto essere rilassante, per compensarli delle fatiche di quel giorno, ma qualcun altro la pensava diversamente.

Si erano radunati nell’appartamento di Misato, per mangiare insieme a PenPen una cena precotta, preparata da Shinji. Per quanto potesse essere assurdo, l’effetto d’insieme era migliore rispetto a quando la preparava il Capitano.

All’inizio l’atmosfera era rilassata: Gabriel si complimentò per la cucina ed Asuka si esibì in un insolito “non male”. Ma quando si recarono nel salotto per guardare qualcosa in tv cominciarono i problemi.

“E’ sempre la solita storia,” si stava lamentando Shinji, che teneva goffamente in braccio PenPen. “Noi salviamo la città, ed il giorno dopo ci troviamo una montagna di compiti da fare… Dovrebbero darci qualche esonero particolare, vero?”

“Già,” confermò Asuka, con un vago sorriso. “Non riconoscono la nostra innata supremazia.”

“Però non abbiamo nulla per domani, a cosa ti riferisci, Shinji?” chiese Gabriel.

“Come, non ti ricordi?” fece l’altro, sorpreso. “Il professore di matematica ci ha rifilato quattro pagine di esercizi per mercoledì! Dovremo farli tutti domani! Eppure abbiamo pure fatto un coro di protesta, strano che non ti venga in mente…”

“Ehm… Allora ragazzi, come pensate di agire a riguardo? Elaboriamo una strategia, dai.” Gabriel glissò sulla domanda dell’amico, perché tutta quella mattina per lui aveva un solo volto: Rei.

“Non lo so… Asuka, mi dai una mano?” implorò il Third Children, ma la ragazza fece un cenno sprezzante.

“Ovvero speri che ti faccia spudoratamente copiare mentre io faccio gli esercizi? Non se ne parla neppure.”

“Che ne dite se studiassimo tutti insieme?” propose il Fourth Children, per evitare a Shinji una crisi di panico. L’amico ne fu entusiasta: “Grande idea!”

“A me basta che non mi disturbiate,” sentenziò Asuka, ravvivandosi i capelli.

“Provo a telefonare a Rei, così magari può venire anche lei a studiare con noi,” disse Gabriel, prendendo in mano il cellulare. “Chissà se la Dottoressa Akagi l’ha già lasciata and… Che succede?”

Asuka, che era seduta sul pavimento, aveva rumorosamente posato per terra il telecomando, facendo sobbalzare PenPen.

“Abbracci Rei, pranzi con Rei, sali sull’Eva con Rei, ed ora vuoi anche studiare con Rei. Gabriel, ma c’è qualcosa che sai fare senza di lei, a parte suonare?”

Il tono di Asuka era quanto di più acido si potesse immaginare. Ma mai quanto era dura l’espressione del Fourth Children.

Cercando di sdrammatizzare, Shinji disse: “Asuka, sei gelosa per caso?”

Non ricevette neppure l’occhiata sprezzante che di solito gli riservava.

“Io so vivere e so anche amare, al contrario di te,” fu la lapidaria risposta del pianista. “O meglio, ne sei capace, lo vuoi, ma non vuoi provarci.”

Per qualche secondo non si mosse nulla. Poi PenPen gemette e si districò dall’ormai vacua presa del Third Children per recarsi annoiato in cucina. Ed infine Asuka scattò in piedi.

“Buona notte,” ringhiò, e corse in camera sua.

Gli altri si guardarono, senza sapere cosa dire.

“Io vado,” sentenziò alla fine Gabriel, muovendosi meccanicamente verso la porta dell’appartamento.

Shinji fece per trattenerlo: “Gabriel…”

L’altro scosse la testa, senza voltarsi “No, Shinji. Ha bisogno di non avermi tra i piedi. Sono sicuro che rifletterà. Ci vediamo domani.” Uscì, lasciando il Third Children da solo. Dalla cucina giunsero i deboli gridolini di PenPen. Forse aveva trovato qualcosa di interessante in tv.

 

 

Stupidi… tutti stupidi…

 

Asuka non si era nemmeno cambiata, ma si era distesa a faccia in giù sul letto, artigliando il cuscino, mordendolo per trattenere le lacrime.

 

“Vuoi essere al centro dell'attenzione?! Vuoi essere adorata alla stregua di una dea?!”

 

No! Non è vero! Sono gli altri che guardano me! Io non faccio nulla per mettermi in mostra!! L’unica persona da cui voglio essere apprezzata è me stessa!!!

 

- Io mi chiamo Asuka Soryu Langley, molto piacere.

 

No!

 

- Ma sei stupido!?

 

No!!

 

- Che occasione…

 

Non è vero!

 

- GUARDATEMI, PER QUESTO GUARDATEMI!!

 

NON E’ VERO!! QUELLA NON SONO IO!!

 

 “Vuoi apparire forte, vuoi mostrare che non hai bisogno di nessuno!!”

 

E’ COSI’!! NON HO BISOGNO DI NESSUNO!! NESSUNO!!  VIVRO’ DA SOLA!! NON HO BISOGNO DI NESSUNO!! DI NESSUNO!! NE’ DELLA MAMMA  NE’ DEL PAPA’!! DI NESSUNO!!

 

“Che sei l'unica, la sola, l’eccelsa Second Children Asuka Soryu Langley!!”

 

Non è vero!! NON E’ VERO!!

 

“Ma invece è tutto l'opposto!!”

 

NON E’ VERO!! SMETTILA, GABRIEL!!!

 

 “…piantala prima che i riflettori del tuo palcoscenico ti accechino e ti impediscano di vedere cosa realmente è importante!!”

 

IO NON SONO SU NESSUN PALCOSCENICO!!!  FACCIO TUTTO QUESTO PER ME STESSA!! SOLO PER ME STESSA!!

 

- Io mi chiamo Asuka Soryu Langley.

 

NO!

 

- Ma sei stupido!?

 

BASTA!

 

- Che occasione…

 

NON E’ COSI’!!

 

- GUARDATEMI, PER QUESTO GUARDATEMI!!

 

NON E’ VERO, QUELLA NON SONO IO!!

 

 “Come l'amore di colui che chiami Baka ma da cui vai a rifugiarti quando ti vanno storte le cose!!”

 

LUI!! LUI!! A CHE COSA SERVE LUI?! NON FA MAI NULLA!! NON MI AIUTA MAI!! NON MI ABBRACCIA NEPPURE!! NESSUNO…NESSUNO…NESSUNO…

 

 “Mi hai dato fin dall'inizio l'impressione di una che si nasconde dietro la facciata di una Prima Donna elevandosi ad un rango superiore che le consenta di tenere alla larga chi cerca di avvicinarsi spontaneamente!”

 

E’ LUI CHE NON SI AVVICINA!! SONO GLI ALTRI CHE NON SI AVVICINANO!! IO NON HO BISOGNO DEGLI ALTRI!!

 

 “Hai paura, ecco qual’è la verità!!”

 

NON E’ VERO!!

 

“Hai paura degli altri!”

 

NON SONDARE IL MIO ANIMO, GABRIEL!!!

 

 “Hai paura che possano ferirti!”

 

NO!! NON E’ VERO!! NON E’ VERO!!

 

- Non smettere di essere la mia mamma!  Non sono una bambola! NON UCCIDERMI, MAMMA!!

 

NO!! NON VOGLIO QUESTI ORRENDI RICORDI!! NON DOPO CHE HO FATTO TANTO PER DIMENTICARLI!!

 

“Tu hai paura di mostrare i tuoi sentimenti considerandoli come debolezza anziché come forza!”

 

TU NON SAI NULLA!! I MIEI SENTIMENTI MI HANNO SOLO FATTO SOFFRIRE!! NON SAI NULLA!! SMETTILA, GABRIEL!! NON VOGLIO NESSUNO!! NON HO BISOGNO DI NESSUNO!! NON PIANGERO’!! VIVRO’ DA SOLA!! PENSERO’ DA ME STESSA!! NON HO BISOGNO DI NESSUNO!!

 

“Piantala prima che sia troppo tardi e tu rimanga davvero sola!”

 

 

- Ti senti sola?

 

 

- Ti senti sola?

 

Niente affatto! Non ti avvicinare! Io vivrò da sola!

 

- Senti, ti piaccio io?

 

Io non farò affidamento su nessuno!

 

- Ti piaccio davvero io?

 

Io posso vivere da sola!!

 

- Sono solo bugie.

 

NOOOOOOOOOOOOO!!!

 

“SHINJI!! SHINJIIIII!!!”

 

“Io so vivere e so anche amare, al contrario di te. O meglio, ne sei capace, lo vuoi, ma non vuoi provarci.”

 

SHINJI!!

 

- Perché stai chiamando Shinji?

 

SHINJI!!

 

-Perché stai invocando Shinji?

 

Ho paura! Non voglio essere sola!! Non voglio essere sola!! E’ doloroso!! Non voglio essere sola!! NON VOGLIO ESSERE SOLA!!

 

“SHINJI!!”

La porta scorrevole si spalancò con un unico scatto.

“ASUKA!”

La vide stravolta come chi aveva appena attraversato un inferno d’orrore. Ritirata su un angolo del letto, il capo tra le mani, il volo inondato di lacrime incessanti, le ginocchia tirate al petto come alla ricerca disperata di un rifugio. La vide e ne ebbe quasi paura.

“SHINJI!! AIUTAMI, SHINJI!!

“Asuka!! Che cosa devo fare?? Dimmelo! Cosa devo fare?! Come posso aiutarti??”

Shinji era quasi paralizzato dal terrore. Forse un inferno si era scatenato davvero nel buio di quella stanza. Ma non tra quelle quattro mura. L’inferno si era scatenato dentro la sua mente. E questo il Third Children lo aveva capito.

“AIUTAMI, SHINJI!!”

Nemmeno lui seppe come riuscì a schiodarsi dal terreno. Si avvicinò di corsa e la prese per le spalle. Gli stava facendo paura.

Non ebbe quasi modo di reagire quando Asuka si aggrappò alle sue spalle con forza artigliando la stoffa della maglietta e costringendolo così a sedersi sul bordo del letto per non cadere.

“SHINJI! NON VOGLIO ESSERE SOLA! SHINJI!”

Il Third Children a quelle parole sembrò appena riscuotersi. Sino ad allora gli era parso di muoversi all’interno di un mondo irreale. Non esitò oltre e l’abbracciò forte.

“Non sei sola, Asuka! Ci sono io! Non ti lascio!”

“Shinji….” cominciò a singhiozzare con forza e disperazione. Pronunciò alcune parole, ma il ragazzo non riuscì a capirle.

“Asuka…” sussurrò più dolcemente nel tentativo di farla calmare. “ …calmati… devi calmarti adesso…è tutto finito.”

“Shinji…Gabriel…Gabriel…lui…lui aveva ragione…” Non riuscì ad alzare il volto verso di lui. Troppo esausta. Anche quasi per parlare.

Shinji rimase in silenzio non sapendo cosa dire. Fu di nuovo la ragazza a prendere la parola. “..ero io…ero io…che non ti lasciavo avvicinare…ero io…a non permettere che tu mi abbracciassi…ero io…non eri tu…”

“Lo so Asuka…lo so…” cominciò allora il ragazzo. “… però questo non mi ha impedito ugualmente di conoscerti e apprezzarti…non per ciò che hai mostrato, non per la tua maschera da Prima Donna. E’ l’Asuka sotto la maschera che ho amato. La vera Asuka: quella che veniva a chiedermi aiuto pur non volendolo ammettere. E che mi faceva sentire importante.”

Di colpo le membra di Asuka persero la loro rigidezza e si abbandonò totalmente contro Shinji, come se quelle parole le avessero tolto un peso immane dall’Anima. E la resero felice.

“Shinji…” singhiozzò ancora “…mi dispiace di averti sempre chiamato Baka…anche quando non te lo meritavi…”

“Non importa, Asuka. Dico davvero.” Rispose l’altro con dolcezza, quasi cullandola “Adesso devi solo stare tranquilla e riposare.”

“No, Shinji!” Esclamò sollevando la testa di scatto per guardare gli occhi blu del ragazzo che di fronte a quel movimento improvviso era trasalito. Fece per muovere le labbra, ma l’altra lo fermò “Shinji, non voglio restare da sola! Ti prego, non te ne andare! Resta con me!”

Il Third Children sgranò gli occhi sorpreso.

 

Mi sta permettendo…no…mi sta  CHIEDENDO di starle accanto…Asuka…

 

Le sue labbra di mossero quasi da sole in risposta.

“Va bene, Asuka, starò qui. Non vado neppure a cambiarmi. Resto con te.”

La ragazza lo abbracciò ancora mentre i singhiozzi andavano piano piano quietandosi.

“Shinji…” sussurrò ”…grazie…”

“Non devi ringraziarmi di nulla, Asuka. Ora però stenditi e riposa.” Gentilmente si districò da quell’abbraccio che fin’ora aveva sempre solo sognato, seppure non avesse voluto. Però era necessario, Asuka era terribilmente provata e doveva assolutamente riposare.

La ragazza annuì e seguì quanto detto da Shinji distendendosi su un fianco senza smettere di guardarlo. E quando lui fece per alzarsi per andare a prendere la sedia dalla scrivania, lei lo afferrò piano per un polso. Il Third Children la guardò perplesso e mosse le labbra per dire qualcosa, ma ancora una volta, la rossa fu più rapida.

“Dormi qui. Vicino a me.” 

“A-Asuka…”

“Ti prego…” Il tono smarrito con cui l’aveva detto, annullò qualunque possibilità di obiezione.

Shinji sentiva il proprio cuore martellare furioso nel petto e le guance arrossire.

Deglutì più volte. Non poteva lasciarla sola. Non ora che aveva bisogno di lui.

“Va bene.” Rispose in fine sdraiandosi goffamente in posizione supina, non volendo rivolgerle la schiena. Il letto non era molto largo così il contatto, seppure minimo tra i due era inevitabile.

La Second Children chiuse gli occhi ed  inspirò profondamente. Alla disperazione di prima si erano sostituite solo una pesante spossatezza e un gran senso di pace. La tempesta era passata. Continuando a tenere gli occhi chiusi cercò la mano del ragazzo, il quale quasi sobbalzò, e la strinse.

“Grazie, Shinji…” 

“E per cosa?” Chiese piano lui volgendo appena il capo verso di lei per guardarla. Seppur lievemente stava sorridendo con un espressione serena che non le aveva mai visto e che lo rese felice.

“Per essere con me. Anche se a volte mi hai dato davvero l’impressione di un Baka, sei l’unica persona da cui mi sento veramente… amata. L’unica persona con cui mi sento bene. Per questo, Shinji, grazie.”

Il Third Children rimase attonito, gli occhi sgranati, per diversi minuti, nelle orecchie solo i battiti del suo cuore che si ripercuotevano con velocità estrema. Solo quando riuscì a chetarsi sussurrò timidamente “Asuka…”

Attese qualche secondo, poi capì che si era addormentata sorridendo, mentre stringeva ancora la sua mano.

Il ragazzo girò il volto sul cuscino e chiuse a sua volta gli occhi da cui uscirono sue sottili fiumi di lacrime. Lacrime di gioia.

 

Asuka…grazie a te di essere con me.

 

Sorrise ed in breve tempo anche lui cedette al sonno.

 

 

 

 

Gabriel entrò nell’appartamento che divideva con l’Agente Iwanaka, ancora teso come una corda di violino. Si chiuse la porta alle spalle e prese a camminare verso il salone.

 

Asuka… Spero per te che finalmente capirai che cosa ti stai facendo. Perché io non so più come dirtelo.

Credimi, durante tutta la mia vita sono stato trattato come un ragazzo più grande di quanto non fossi, ed ho finito per maturare una maggiore sensibilità.

So come ti senti. Ho letto il tuo fascicolo.

In fin dei conti, non sei molto diversa da me. Però a differenza di me tu hai preferito nasconderti dietro la maschera della brava bambina…Facendo soffrire te e gli altri.

Specialmente Shinji, e non ti sei mai accorta di quanto in realtà lui ti amasse…

 

Fece un rapido giro per la casa, constatando che, come c’era da aspettarsi, Satoshi non era ancora rientrato. Andò a sedersi sullo scranno, ma non scoprì la tastiera del pianoforte. Rimase invece seduto, meditabondo.

 

Mi spiace di averti fatto male, Asuka, però era necessario. Lo sentivo, capisci? Continuando la pantomima che hai messo in atto finora avresti continuato a far soffrire le persone che ti stavano intorno. E avresti continuato a far soffrire te stessa.

Senza per questo farti amare, apprezzare, venerare come invece speravi.

Avresti finito per dare vita a quella maschera, riducendoti ad essa. Ad una vuota bambola.

 

Si mise le mani sul volto, appoggiando i gomiti sul copritastiera.

 

L’ho fatto per te, lo capisci? Perché non potevi ridurti in quello stato, trascinando tutti quelli che conoscevi sotto il giogo della tua presunta superiorità…

Se ti ha fatto male ora, immagina quando quella tua maschera ti sarebbe crollata addosso da sola.

Ora te l’ha detto qualcun altro, ed eri in mezzo ad amici. Pensa se te ne fossi accorta per conto tuo, mentre eri sola…

Sarebbe stato peggio.

 

Si drizzò a sedere, lasciando cadere le mani sulle ginocchia.

 

Quindi perdonami se ti ho fatto soffrire, ma non c’era altra scelta.

Forse però ho rovinato questa serata di festa a tutti…

Scusatemi, amici.

 

Si alzò in piedi, e ricominciò a girovagare per la stanza. I suoi occhi caddero sull’orologio a muro, che segnava le 21.30.

 

E’ ancora presto… E non me la sento di andare a dormire sapendo che nell’appartamento di fianco al mio una persona, o forse due, soffrono per causa mia.

 

Raggiunse una finestra e ne aprì le imposte. Si appoggiò al davanzale, lasciando che la brezza gli calmasse i pensieri. Poi guardò il panorama, immerso nella luce di un tardo crepuscolo estivo e dei lampioni già accesi. Il frinire delle cicale componeva una sinfonia che però non era in grado di tranquillizzarlo. D’un tratto, come a trarre dal cielo una silenziosa ispirazione, sollevò gli occhi. E la vide.

La Luna, piena e splendente, si stagliava nell’oscurità notturna con la sua luce lattiginosa. E tutto gli si fece più chiaro e più calmo nella mente, come se il suo spirito fosse cullato da un’anima affine, che aveva un nome a lui caro…

 

Rei…

In questo momento è con te che vorrei essere.

E’ la tua pelle che vorrei sfiorare, i tuoi occhi che vorrei guardare.

Sei tu che vorrei avere qui con me…

 

Si drizzò di colpo e guardò l’orologio.

 

E’ ancora presto, Satoshi non tornerà prima di molte ore. Il locale deve ancora aprire, oltretutto. Posso farlo. In fondo, cosa c’è di male in un ragazzo che va a trovare la propria anima gemella?

Col sorriso sulle labbra andò rapidamente a cambiarsi in camera sua ed uscì a rotta di collo dall’appartamento.

 

 

 

 

Il campanello era ancora rotto.

Due colpi  sommessi alla porta e dopo qualche secondo altri due più forti.

Rei si rigirò nel letto mettendosi a sedere di scatto quando altri due seguirono i primi.

Accese il piccolo lume sul comodino e guardò la sveglietta  davanti al mazzo di gigli. Le 23:15.

 

Ma…chi potrà mai essere?

 

Discostò lentamente le coperte e scese dal letto accostandosi con cautela alla porta. Indossava solo una camicia bianca.

Senza far rumore si accosto dietro al battente senza aprirlo.

“Chi è?” Chiese con voce neutra.

“Rei…sono Gabriel…”

La ragazza sobbalzò.

 

Gabriel? Qui? A quest’ora? Che sia accaduto qualcosa alla Nerv?

 

“U-un secondo…”

Rapida corse a rivestirsi indossando in fretta l’uniforme scolastica per poi precipitarsi ad aprire. Quando il battente si spalancò, riuscì appena a distinguerne il volto illuminato dalla fioca luce che proveniva dall’interno dell’appartamento. Fuori infatti, il pianerottolo era totalmente immerso nell’oscurità. Le stava sorridendo teneramente appoggiato allo stipite della porta. Le guance erano un po’ arrossate e la fronte  imperlata di sudore, doveva aver camminato a passo molto svelto seppure non era affannato.

Rei guardò per un attimo alle spalle di lui, stupendosi di non trovarvi nessun Agente Nerv, poi tornò ad osservare i suoi occhi.

“Gabriel…” cominciò a voce bassissima “…come mai sei qui?”

Il pianista si limitò a sorridere ancora di più, dolcemente.

“Volevo soltanto vederti…”

Gli occhi cremisi della ragazza si spalancarono leggermente.

 

E’ venuto fin qui…solo per vedermi?

 

“Stavi già dormendo?” Chiese ancora continuando a tenere la voce bassa, quasi che fosse inopportuno parlare con tono normale in tutto quel silenzio.

“Si, ma non preoccuparti. Gabriel…sei venuto fin qui…da solo…?” Esitò quasi a dirlo, come se l’idea che avesse attraversato la città, come già anche lei aveva fatto del resto, da solo e di notte la spaventasse a morte. L’altro annuì.

“E l’Agente Iwanaka?”

“E’ fuori con il Capitano Katsuragi, probabilmente faranno tardi.”

Rei rimase semplicemente attonita.

 

Ha percorso a piedi tutta la strada fin qui, di notte, senza conoscere neanche bene le vie, col rischio di perdersi…

 

Il cuore prese a batterle furiosamente nel petto preda di una paura folle.

 

…soltanto per me?

 

Senza aggiunger altro, come già aveva fatto quella mattina, gli gettò le braccia al collo stringendosi forte a lui, a tal punto che Gabriel per poco non perdette l’equilibrio.

“Ma cosa ti è saltato in mente…” mormorò soffocando la voce rotta dalla preoccupazione tra il collo e la spalla di lui “…potevi perderti! Poteva accaderti qualcosa! ”

“Però ora sono qui…”

“Sei stato un imprudente!” La voce di Rei ebbe un tremito scosso.

Il ragazzo la strinse a sua volta portando una mano a carezzarle le ciocche chiare di cappelli scomposte dal sonno.

“Perdonami se ti ho fatto preoccupare.” Chinò appena il volto sfiorando la tempia sinistra di lei con un piccolo bacio. “…In fondo però lo hai fatto anche tu di camminare da sola di notte per portarmi quei documenti…”

Fulminea, la First Children alzò il volto piantando gli occhi in quelli verdi di lui “Si, Gabriel, ma io quella volta…” si interruppe bruscamente

 

…quella volta, anche se mi fosse capitato qualcosa, avrei potuto essere sostituita.

Ma ora non voglio essere sostituita.

Perché tu non sapresti nulla…non ti direbbero mai nulla…

Ed io non voglio, non posso, ingannarti, Gabriel.

Ma non posso neanche dirti la verità.

Posso solo essere prudente e cercare di non morire.

Perché la Terza potrebbe non essere come me.

Perché la Terza potrebbe non amarti come ti amo io.

Perché la Terza…non sarei io…

 

 

***

Mentre accompagnava gli altri ragazzi al parcheggio, Rei fu convocata dall’altoparlante ‘nell’Ufficio della Dottoressa Akagi’. Alla notizia la ragazza era rimasta interdetta: di solito Ritsuko la riceveva in infermeria, dove aveva anche scrivania, computer e cartelle. Imputò la cosa allo stato di emergenza in cui versava la Nerv, per cui non ci diede particolarmente peso. Dopo aver salutato Gabriel si recò all’appuntamento. La Dottoressa la stava aspettando in un ufficio isolato che non aveva l’aria di essere stato usato molto spesso. A differenza di quello di Misato, ad esempio, la scrivania non era ingombra di fascicoli, mancavano poster ed ammennicoli vari e c’era un’aria di ordine che si poteva respirare solo nell’ufficio del Comandante Ikari.

Ritsuko era seduta per metà sulla scrivania, sfogliando un fascicolo e sorseggiando caffè. Quando la vide arrivare posò la tazza e si girò con un sorriso stanco. In effetti, l’intera sua figura aveva un’aria di stanchezza, probabilmente dovuta al fatto che nelle ore precedenti aveva passato in rassegna tutti i sistemi della base alla ricerca di guasti ed aveva dovuto fare un rapporto dettagliato a Gendo.

“Ah, Rei,” cominciò la donna, unendo le mani davanti a sé. “Mi spiace di non avervi potuti visitare di persona dopo il combattimento con l’Angelo, ma sono stata molto occupata. Come ti senti?”

“Abbastanza bene, Dottoressa,” rispose la ragazza, sospettosa. Tutti quei giri di parole non erano nel suo carattere. “Non mi ha convocato qui solo per informarsi della mia salute, vero?”

Ritsuko si sentì colta in fallo. “Hai ragione, è un altro il motivo.”

Si alzò dalla sua comoda posizione sulla scrivania e camminò lentamente per la stanza, arrivando fino alla piccola finestra che dava sul panorama esterno al Geo-Front. Rei rimase immobile: sapeva per esperienza che quando la sua interlocutrice si comportava così c’era qualcosa di brutto da aspettarsi.

Infine Ritsuko si voltò e riprese a parlare. “Evitiamo i preamboli, Rei. Ormai è evidente che tra te e il Fourth Children c’è qualcosa di più di un rapporto tra colleghi.”

Rei arrossì vistosamente e chinò gli occhi.

 

Questo non è un argomento di cui si dovrebbe discutere in questa sede…

 

“Devo dire,” proseguì, “che la scelta di far salire anche lui sullo 00 non ha avuto conseguenze negative. Anzi, tutt’altro, le prestazioni registrate dalla memoria interna del tuo Eva sono state discretamente superiori alla media. Resta ancora da definire se ciò sia dovuto alla presenza di due Children particolarmente connessi oppure al tuo stato d’animo più positivo.”

“Dottoressa,” disse Rei, atona. “Dall’espressione del suo volto deduco che c’è qualcosa di più grave che deve dirmi.”

 

Accidenti… da quando si è fatta così intuitiva?

 

“Ecco… Sì, Rei.” Ritsuko si schiarì la voce un paio di volte. “Dopo la fine della battaglia, il Comandante mi ha chiesto perché ho fatto salire te e Gabriel sullo 00.”

Il volto di Rei avvampò di nuovo.

 

NON GLIEL’AVRA’ DETTO, SPERO!!

 

“E… lei cosa gli ha spiegato?” chiese, titubante.

“Gli ho… raccontato quello che ho visto,” concluse l’altra, semplicemente.

“Co-cos’ha detto?” Rei era visibilmente agitata, più di quanto non lo fosse mai stata in presenza di Ritsuko, tanto che la donna si preoccupò.

“Rei, ti senti bene?”

“Sì, ma cosa le ha detto??”

 

Ma… Ma che le prende?? Non è mai stata così!! Credo che… normalmente questa potrebbe essere definita rabbia, ma non ho idea di che effetti possa avere su Rei!

 

“Ha detto che,” si affrettò a rispondere Ritsuko, “finché il tasso di sincronia non avrà flessioni significative non ci saranno problemi.”

Il sollievo della First Children era evidente, anche se l’aveva lasciata ancora vagamente inquieta.

 

… così il nostro futuro insieme dipende da un numero su uno schermo…

 

Vedendo che non replicava, la Dottoressa Akagi si schiarì la voce e riprese a sorseggiare il caffè. “Ad ogni modo,” riprese, a sua volta tranquillizzata, “stati di quel genere non dovrebbero influenzare negativamente il tasso di sincronia. Semmai lo catalizzano, come è successo oggi. Quindi non hai nulla da temere.”

La ragazza sembrava visibilmente sollevata. Ritsuko non poté giurarlo, ma credette di scorgere un leggero sorriso sulle sue labbra…

 

…Deve essere la stanchezza.

 

“Bene,” terminò la donna. “Ora puoi andare, dovevo solo comunicarti quella cosa. Verrai accompagnata a casa dagli agenti addetti alla tua sorveglianza, come al solito.”

La ragazza annuì e fece per uscire, ma subito si fermò. “Dottoressa?”

“Sì?”

“Può prestarmi… un lettore di cd?”

 

Ho sentito male… Per forza. Prima lei arrabbiata, ora mi chiede un lettore cd… Ma che sta succedendo in questa base??

 

“Ehm… Sì, perché?” fu la titubante risposta.

“… Vorrei che questa informazione rimanesse confidenziale, senza che il Comandante Ikari ne sappia nulla,” annunciò Rei dopo un attimo di esitazione.

 

Strano, non ho mi ero mai curata di chi venisse a conoscenza di informazione su di me…

Questa però è una cosa privata, è solo mia e tua, Gabriel.

 

Ritsuko, che ormai era preparata a qualunque sorpresa, disse: “D’accordo, non dirò niente a nessuno.”
”Mi serve…” Rei esitò ancora, poi però ricominciò più convinta. “Mi serve per ascoltare una serie di compact disc che Gabriel mi ha regalato sabato scorso.”

“Un… regalo?” ripeté la donna, imbambolata.

 

Uh, ma allora è una cosa seria! Devo parlarne con Misato… Ah no, ho promesso di non parlarne con nessuno…

 

“Sì, me l’ha fatto recapitare sabato mattina,” rispose lei, ed i suoi lineamenti si distesero maggiormente. “Si tratta… E’ sicura che non lo riferirà a nessuno?”

“Sì, te lo prometto, Rei,” confermò Ritsuko, ora decisamente attenta.

 

Accidenti alla mia promessa…

 

Rei si tranquillizzò e continuò a parlare: “E’ un’opera che ha composto al pianoforte per me. L’ha fatta incidere su otto dischi, otto ore di musica che ha composto in poche settimane. Un’opera che porta come titolo ‘Una Giornata di Rei’. Mi ha fatto avere anche lo spartito, così, non avendo il lettore ho potuto suonarla con la mia viola… Dottoressa, si sente bene?”

La bionda era impallidita.

 

Non ha mai composto una frase tanto lunga finora… Sembra che in relativamente poco tempo sia cambiata drasticamente questa Rei… Mi chiedo se il Comandante… No, non lo saprà.

Ad ogni modo, ecco spiegata la ragione di quello stato del Fourth Children, a scuola e durante i test. Dev’essere stato massacrante comporre tanta musica in così poco tempo.

 

“Sì, sì,” la rassicurò, scuotendo la testa in segno affermativo. Ben presto riassunse il suo colorito normale, non senza due abbondanti sorsate di caffè. Quando si fu calmata poté continuare. “Ad ogni modo, dovrei riuscire a procurartene uno già domani, quando verrai qui per i soliti test.”

Gli occhi rossi di Rei sfavillarono brevemente, ma abbastanza a lungo da essere notati.

 

Sì, è decisamente cambiata.

 

“La ringrazio, Dottoressa,” rispose infine, e si voltò per uscire.

 

Gabriel…

Non c’è pericolo per noi. Ciò che c’è fra di noi non crea nessun problema, ed il Comandante non ha posto obiezioni.

Credo… Credo di essere felice, Gabriel.

Ora nulla potrà dividerci. Né gli uomini, né gli Ang…

 

Si fermò all’improvviso, la gamba ancora alzata in un passo, folgorata da un pensiero che la fece inorridire.

 

… Ma se gli Angeli mi uccidessero… Lui…

 

“Dottoressa,” chiamò, ed il suo tono di voce era così diverso da sembrare quello di un’altra persona.

Presa in contropiede, Ritsuko non rispose subito. La ragazza si girò ed il suo volto sembrava una maschera di pietra.

“Dottoressa,” ripeté. “Nel caso in cui mi dovesse succedere qualcosa… Lui…?”

Alla donna si strinse il cuore.

 

Rei… Ho capito dove vuoi arrivare… Però…

 

“Lui non saprebbe nulla,” disse infine, ed il peso della sentenza suonò come un verdetto inappellabile. Rei dovette comprenderlo, perché chinò il capo.

 

Se io fossi innamorata di qualcuno e dovesse capitare che… sì, insomma, che venissi sostituita… nemmeno io mi darei pace.

 

Non sapeva che fare. Pur avendo una certa preparazione anche in ambito psicologico, Ritsuko non era mai stata brava a parlare alle persone. Forse, se le avesse detto qualcosa, avrebbe solo peggiorato le cose. In fondo anche lei era una complice.

Ma alla fine fu la ragazza a sollevare la testa. Negli occhi aleggiava una sorta di determinazione primordiale, atavica. “Allora cercherò di non essere sostituita,” affermò infine.

La Dottoressa Akagi fu sorpresa, ma sorrise: “Brava, Rei, questo è lo spirito giusto.”

“Con il suo permesso,” chiese la ragazza, ancora con la sua espressione risoluta, “io andrei.”

Ritsuko annuì: “Certo, vai pure. Ti meriti una bella nottata di riposo.”

Rei annuì, si voltò ed uscì. L’altra rimase a guardarla. Anche il suo modo di camminare sembrava in qualche modo cambiato. Il sorriso le morì sulle labbra.

 

Brava Rei, cerca di non farti sostituire. Spero solo che con un mutamento simile ciò non si renda necessario. Comandante…arriveresti a tanto?

 

***

 

Gabriel la fissò perplesso restando in attesa delle sue parole. Rei sospirò pesantemente e tornò ad abbracciarlo forte. “…quella volta sono stata un’imprudente anch’io…”

“Hai ragione, siamo due imprudenti. D’ora in poi vorrà dire che faremo più attenzione.”  

“Non restare sulla soglia, entra.”

“Devo tornare a casa, altrimenti c’è il rischio che mi prenda una paternale dal Signor Satoshi.”

 La ragazza sobbalzò nuovamente.

“No, Gabriel!” Tornò a guardarlo “ Non voglio che tu faccia di nuovo la strada da solo!”

Per la prima volta, la First Children aveva utilizzato un tono che non ammetteva repliche.

“Rei…” Cominciò il ragazzo con fare dispiaciuto, non volendo farla preoccupare ulteriormente, ma lei lo interruppe distaccandosi appena da lui per tornare a guardarlo negli occhi.

“No. No, Gabriel.” Riprese più dolce.

“Rei, io…”

“Resta qui.”

Gabriel arrossì tremendamente, subito imitato da Rei che solo in quel momento aveva realizzato appieno quanto aveva detto.

“Magari…” continuò con tono incerto “… possiamo trovare una sistemazione in qualche modo…”

Cosa quanto mai difficile dato che in quell’appartamento oltre al letto c’era solo una semplice sedia in legno.

“Rei…” imbarazzato, il ragazzo inspirò profondamente “ …fosse per me dormire anche fuori questa porta. Però temo che…si, insomma,  che se restassi qui avremo entrambi dei problemi… “

“Hai ragione…però…” Affranta chinò lo sguardo al suolo come se non sapesse più cosa dire. Non poteva dormire con lei, ma nemmeno voleva che affrontasse di nuovo le vie di notte.

 “Farò attenzione, te lo prometto,” sussurrò Gabriel, prendendole le mani fra le sue. Rei sollevò di nuovo gli occhi verso quelli di lui e ne trasse la stessa tranquilla determinazione che vi dimorava.

Sapeva che quella era l’unica situazione attuabile, perché se davvero fosse rimasto da lei sarebbe stato tutto troppo problematico da spiegare…

“D’accordo,” cedette, infine. Non sembrava del tutto convinta, però. Il pianista lo capì, perché sollevò una mano a carezzarle il volto. Il tocco delle sue dita le sembrò così confortante che credette di stare sognando. Ma poi si ricordò, con una punta di amarezza, che lei non faceva mai sogni di quel genere.

“Ti chiamerò appena torno a casa. Ci vorrà circa un’ora e mezza, se vorrai aspettarmi.”

“Ti aspetterei per giorni, se fosse necessario,” rispose lei, e le parole parvero sgorgare da sole dalle sue labbra. Lui sorrise e si protese. Rei chiuse gli occhi e, come se fosse un gesto ormai abituale, lo baciò teneramente sulle labbra. Un tocco rapidissimo, che però ebbe l’effetto di farle battere il cuore più forte, e di scaldare le sue guance intorpidite.

Poi Gabriel si staccò, le strinse ancora le mani e le baciò le dita.

“Buonanotte, , mia Musa,” la salutò.

“Buonanotte… Amore,” rispose lei. Quando finalmente il ragazzo si incammino per tornare a casa, continuò a guardarlo finché non sparì dalla vista, poi chiuse la porta e rimase in attesa della chiamata.

 

 

 

 

La Harley di Satoshi arrivò davanti al palazzo del suo appartamento alle 4 del mattino. Si erano fermati più volte perché Misato si sentiva male, ed avevano percorso l’ultimo tratto di strada quasi a passo d’uomo. Quando aiutò la donna a scendere si sentiva ormai a pezzi.

 

Forse l’alcool sta facendo effetto anche su di me… Ho mal di testa e mi sento di una stanchezza opprimente… Ehi!!

 

Misato si era accasciata all’improvviso, come se dovesse di nuovo vomitare. Ma questa volta era solo inciampata, perché si rialzò rapidamente, aiutata dall’uomo. Dall’espressione, sembrava non essersi nemmeno accorta dell’accaduto.

“Voglio… andare a casa,” bofonchiò, la voce impastata dall’ubriacatura.

 

Anch’io lo vorrei, devi solo seguirmi… Ecco, qui c’è uno scalino… Bravissima.

 

Tenendola saldamente alla vita e reggendole il braccio attorno al proprio collo, Satoshi salì faticosamente i pochi gradini che portavano nell’ascensore. Lì poté finalmente rilassarsi, mentre lei si appoggiava alla parete, gli occhi chiusi.

 

Non mi capitava di accompagnare a casa qualcuno ubriaco dal liceo, quando quello ubriaco non ero io… Solo che all’epoca non era la mia ragazza.

In effetti, non so nemmeno se posso considerare Misato come la mia ragazza.

Non abbiamo più parlato di quel bacio… Né di quello che è successo dopo. Come avremmo potuto?

 

Le gettò un’occhiata. Sempre ad occhi chiusi, Misato stava canticchiando una canzone incomprensibile. Inconsapevolmente, l’uomo sorrise.

 

Niente da fare, ispira tenerezza anche se è ubriaca fradicia… Mi ispirerebbe tenerezza in qualunque modo.

Credo che, dopotutto, quello che le ho detto sotto gli effetti di quell’Alexander fosse vero.

 

-ding-

Le porte si aprirono e Misato prese a lamentarsi: “Aaah, ma cos’era quel rumore… Basta, voglio solo dormire…”

“Ci siamo quasi, Misato,” incalzò Satoshi, affaticato a sua volta, riprendendola alla vita. Ma sembrava che quel breve riposo in ascensore le avesse giovato, perché riusciva a camminare senza barcollargli addosso.

“Sa… Satoshi, grazie, ma non è necesarrio… ehm, necessario che mi reggi, ora riesco a camminare.”

L’uomo provò a lasciarla, ed in effetti Misato riuscì a barcollare meno pericolosamente fino alla porta. Vi si appoggiò e frugò nella borsetta alla ricerca della tessera d’accesso.

“Uhm… uuuhh… Ma dov’è il tesserino?” canticchiò, soprappensiero. “Ah, eccolo.”

Inserì l’oggetto nel lettore e con un sordo -clack- la porta si aprì.

“Tadaima…” sussurrò, anche se le luci spente e l’ora tarda non lasciavano supporre che qualcuno potesse risponderle. Infatti, non ottenendo risposta la donna si voltò, la delusione dipinta sul volto.

“Non mi hanno aspettata in piedi. Che ingrati…”

“Misato, sono le 4 del mattino,” fece notare Satoshi, comprensivo nonostante la stanchezza. “Se fossero rimasti in piedi sarebbero da rimproverare, non credi?”

“Mmmh, hai ragione,” ammise lei, annuendo col capo. Poi gli dedicò un sorriso smagliante, con gli occhi ridotti a due fessure.

“Ti inviterei a prendere un drink, ma… Forse non è il caso…”

Risero brevemente. Poi Satoshi la guardò.

 

Accidenti… E’ bellissima…

 

“Forse è il caso che vada, domani sarà un’altra lunga giornata da dipendente alla Nerv,” scherzò l’Agente, allontanando il ricordo di quella serata dalla sua mente. Lei sorrise ancora di più.

“Già, hai ragione. Che brutta vita quella del dipendente della Nerv… Rischia la vita e se si sbronza deve tornare al lavoro lo stesso… A domani, comunque, salutami Gabriel…”

Si salutarono con un cenno della mano e Satoshi fece per aprire la porta del proprio appartamento, quando la voce di lei lo chiamò di nuovo.

“Ah, Satoshi… Ti ha mai detto nessuno che baci bene?”

Una violenta vampa di calore investì il volto dell’uomo. “Ehm… In effetti no, credo…”

“Beh… Baci molto bene,” disse lei con la semplicità dettata dall’ubriachezza. “A domani, buonanotte.”

“Bu-buonanotte, Misato,” balbettò lui, prima di entrare e chiudersi la porta alle spalle. Era stata una serata incredibile. Un’intera giornata incredibile. Ma ora tutto quello di cui aveva bisogno era un buon sonno. Continuando a ripetere nella sua mente le ultime parole della donna si buttò sul letto e si addormentò all’istante, senza nemmeno controllare se Gabriel stava dormendo meno.

Il ragazzo infatti era tornato da circa due ore, aveva già telefonato a Rei per tranquillizzarla (e solo allora anche lei era tornata a dormire) e si era addormentato.

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Risvegli e Complotti ***


CAPITOLO 11

CAPITOLO 11

 

Risvegli e Complotti

 

 

La mattina successiva Gabriel fece molta fatica a svegliarsi, come d’altronde tutti gli occupanti dei due appartamenti affiancati. O meglio, quasi tutti.

Quando finalmente si fu reso conto di essersi alzato e di essersi cambiato, il Fourth Children si accorse che anche Satoshi era già in piedi e lo stava salutando. Era ancora spettinato e trasandato, nonostante l’ora per i due fosse già piuttosto tarda. Fortunatamente, grazie alla disciplina mentale che avevano maturato, l’uno nel Sankendo e l’altro nel pianoforte, si poterono riprendere bene, e riuscirono a farsi trovare pronti con un netto anticipo.

“Com’è andata la serata, signor Satoshi?” chiese Gabriel mentre consumavano una rapida e sostanziosa colazione a base di cereali. L’uomo cambiò la posizione in cui era seduto.

“Molto… divertente, grazie, Gabriel,” ammise infine, senza guardare il suo interlocutore. “E la tua invece?”

Il ragazzo arrossì vagamente e finì rapido i cereali. Satoshi non avrebbe dovuto sapere della sua ‘passeggiata notturna’ da Rei. Quando tornò a sentirsi padrone di sé, riportò gli occhi sull’uomo, che si era fatto preoccupato per il suo silenzio. Decise di rivelargli solo lo stretto indispensabile.

“Non molto divertente, purtroppo,” annunciò, contrito. “Diciamo anzi che non c’è stata una serata.

L’Agente attese, nel caso volesse aggiungere qualcosa, poi parlò: “Cos’è successo?”

“Si può dire una divergenza di opinioni, tra me e la Second Children.”

Perché?” chiese Satoshi, stupito. “Quando vi avevamo lasciati sembravate allegri e spensierati…”

Gabriel si alzò e prese le scodelle sua e del suo tutore, per portarle in cucina. Decise anche che non era il caso di parlargli della litigata con Asuka del pomeriggio. “Sai com’è fatta: o sei con lei, o sei contro di lei. Non eravamo d’accordo su cosa fare, così ci siamo impuntati e lei ha dato in escandescenze. Alla fine ci siamo ritirati, lasciando Shinji come padrone del campo di battaglia…”

“Non se la sarà presa troppo, vedrai,” lo rincuorò Satoshi, all’oscuro di tutto ciò che era accaduto prima.

 

E’ quello che spero anch’io. Non sopporto che le persone soffrano per le mie azioni…

 

Non dovette attendere troppo per avere i suoi dubbi dissipati. Pochi minuti dopo, infatti, Satoshi decise che era ormai ora di chiamare gli altri ragazzi per andare a scuola. E come al solito, li avrebbe accompagnati lui.

 

Non riuscirò ad accompagnarli in moto. Chissà se Misato se la sentirà di accompagnarci con la sua Renault…

Chissà se si ricorda di quel che è successo stanotte, piuttosto. E come l’ha presa…

 

Con il cuore in gola, ciascuno per i suoi motivi, entrambi andarono a chiamare Asuka e Shinji, suonando al campanello. La porta si aprì pochi minuti dopo, rivelando i due Children pronti per uscire e PenPen in mezzo a loro, che salutò Satoshi e Gabriel con un roco -sgueak-. La Second ed il Third Children li salutarono invece con un sorriso, dal quale non traspariva per niente il turbamento che li aveva coinvolti la sera prima.

 

Asuka, quindi non è servito a nulla il discorso che ti ho fatto? Sei sempre la solita arrogante, prepotente Fraulein Asuka Soryu Langley? Eppure… Il tuo sorriso sembra diverso, privo della solita alterigia. Più… rilassato. Sincero.

Ed anche Shinji sorride più rilassato, nonostante quello che è successo! Forse… Forse ha capito? Ha capito cosa intendevo e lo ha accettato?

 

Li guardò attonito per qualche altro secondo, però le loro espressioni, un po’ assonnate ma senza dubbio quiete, lasciavano poco spazio a dubbi. Finalmente si decise a sorridere e li salutò a sua volta.

Chi invece sembrava ancora ansioso era Satoshi. Gettava continuamente sguardi all’interno della casa. Shinji lo notò. “Signor Iwanaka, cosa c’è?”

“Ehm… Misato è già in piedi?”

“No,” rispose Asuka, ridendo. “Abbiamo provato a svegliarla, ma sembra che si sia ubriacata parecchio. Ha detto che avrebbe riposato ancora. Però ci ha dato le chiavi della Renault Alpine, così può accompagnarci lei.

La ragazza gli porse le chiavi e lui le prese.

 

Mi presta la sua Renault Alpine? O è ancora ubriaca… oppure… si fida di me nonostante l’accaduto…

 

Visibilmente sollevato, salutò PenPen (che rispose con uno -sgueak- interrogativo) e andò verso l’ascensore con i ragazzi. Lungo il breve tragitto, Gabriel si accostò alla Second Children, che lo guardò interrogativa, per rivolgerle solo poche parole sorridendo. Ormai aveva capito. La maschera era caduta e quella era la vera Asuka.

“Piacere di conoscerti, Asuka.”

In breve l’espressione della ragazza passò dallo stupore alla comprensione. Poi si distese in un sorriso spensierato.

“Grazie, Gabriel.”

 

 

 

 

Quando arrivarono a scuola (Satoshi aveva adottato uno stile di guida molto meno spericolato di quello di Misato, ma erano comunque arrivati in tempo), Rei era già arrivata. Ma anziché entrare era rimasta ad aspettarli davanti al cancello, e si avvicinò a loro preoccupata non appena scesero dalla macchina. Appena Gabriel la vide, i suoi occhi si illuminarono e le corse incontro.

“Buongiorno.” Le sorrise, ma lei sembrava decisamente in pensiero, e questo non passò inosservato al pianista “Rei, c’è qualcosa che non va? Non ti senti bene?” Chiese seriamente preoccupato.

La ragazza scosse la testa in senso negativo. No, io sto bene, ma tu? Ieri…” e abbassò la voce per non farsi udire “ …è andato tutto bene? Hai avuto dei problemi per strada o a casa?”

Stai tranquilla, è andato tutto bene. Per strada non ho incontrato anima viva e quando sono tornato a casa, il Signor Satoshi ancora non c’era. Proprio come ti ho detto a telefono.” Le sorrise intenerito.

Rei sospirò di sollievo, ora totalmente tranquillizzata, per poi rivolgergli un tenue sorriso felice.

In quel momento una voce squillante alle loro spalle li fece quasi sobbalzare.

“Ehilà, First!” Asuka si stava avvicinando baldanzosa come sempre seguita da uno Shinji incredibilmente solare, eppure ora c’era qualcosa di diverso. Il tono era sempre il solito, ma era come se avesse perso ogni parvenza di ostilità.  La First Children la guardò perplessa.

“Beh? Non vorremo fare tardi dico bene? Potrai strapazzare il tuo ragazzo durante la pausa pranzo!” Esclamò la rossa fermandosi a pochi passi davanti a loro.

La First Children, al pari di Gabriel, era tremendamente arrossita “Soryu…!” protestò debolmente.

Il pianista invece si girò verso il Third Children, ma quest’ultimo si limitò a sorridergli come in un muto ringraziamento che Gabriel colse al volo e cui replicò con un tenue sorriso.

Ignorando il rossore, il Fourth Children passò quindi il braccio sinistro attorno alle spalle di Rei che subito lo fissò interrogativa. Anche a lei era evidente che qualcosa era avvenuto e che doveva essere collegato a quanto accaduto prima del combattimento con l’Angelo.

“Credo proprio che Asuka abbia ragione…” iniziò  Gabriel guardandola negli occhi e sorridendole per rassicurarla “…se non ci sbrighiamo faremo tardi.”

“Si, hai ragione.” La First Children sorrise a sua volta.

“Bene!” Riprese Asuka. “Shinji, in marcia!”

“Subito!” Rispose gioioso all’appello incamminandosi a suo fianco.

 

 

 

 

Misato si svegliò, e non seppe dove si trovava. Era tutto buio e qualcosa la ricopriva, ed aveva un fortissimo dolore alla testa. Si mosse e gemette, cercando di attirare l’attenzione di qualcuno che potesse aiutarla. Poi uscì da sotto le lenzuola e si rese conto di essere nella propria camera da letto.

 

Ah già… E’ vero, sono a casa… Ma che ore sono?

 

Cercò la sua sveglia a tentoni, faticando a metterla a fuoco. Quando finalmente ci riuscì la buttò da parte e si lasciò cadere di nuovo sul futon.

 

Ancora cinque minuti, non chiedo altro…

Ahio, che mal di testa… Mi sembra di aver sbattuto contro un camion in corsa… Magari se rimango altri cinque minuti a letto mi passa.

Però i ragazzi dovrebbero già essere a scuola, come faccio ad accompagnar…

Ah sì, ora ricordo, ho dato loro le chiavi della Renault Alpine… COSA??

 

Scattò a sedere, gli occhi spiritati, gridando, con voce ancora impastata: “Non possono ancora guidare!”

Però c’era qualcosa che le diceva di stare tranquilla, che non c’era nulla di sbagliato. Quando finalmente realizzò, tornò a sdraiarsi più calma, accoccolandosi fra le coperte.

 

Già, è vero, gliele ho date per farla guidare a Satoshi… Mmmhh… In fondo credo che lui sia abbastanza affidabile nella guida, la mia auto non dovrebbe correre rischi…

Ma perché questo mal di testa mi perseguita?

 

Si rigirò un paio di volte nel letto, incapace di trovare pace.

 

Mi sembra un doposbornia… Come se ieri sera mi fossi ubriacata… Ma… E’ vero! Ora ricordo! Mi sono ubriacata davvero!

 

Come rassicurata dall’idea, sorrise, sempre ad occhi chiusi, e si rilassò.

 

E mi sono ubriacata… in un posto nuovo, ero andata all’inaugurazione… con Satoshi… e ci siamo baciati…

Un momento… Ma noi siamo fidanzati?

NO!! Non siamo fidanzati, eppure ci siamo baciati lo stesso! E dopo…!!

 

Scattò di nuovo a sedere, stavolta angosciata oltre ogni dire.

 

Mio Dio, gli ho quasi… quasi fatto una proposta sconcia!! Al primo appuntamento!!

 

Si alzò in piedi, un po’ barcollante a causa dell’alcool .

 

E poi cos’è successo?? Accidenti, non ricordo nulla! Avanti, Misato, pensa! Ho trovato! Una bella doccia fredda mi schiarirà le idee!

 

Cercando di non andare a sbattere da nessuna parte, si recò in bagno, dove si spogliò e si buttò sotto il getto d’acqua gelida.

 

NO!! NON E’ STATA UNA BUONA IDEA!!!

 

Ne emerse poco dopo, il corpo percorso da brividi, ma la mente più lucida.

 

Brrr… Mi sento… un po’… meglio… in effetti…

E ricordo anche un po’ di più di quel che è successo…

Dunque… Dopo il drink… No, veramente dopo l’ultimo dei drink, l’ho baciato. Oppure lui mi ha baciata, non ne sono sicura. Però poi sono stata io ad invitarlo ad uscire, e la mia idea non era certo quella di prendere una boccata d’aria!! Chissà cos’avrà pensato di me… Dopo quello che ha detto quell’idiota di Kaji in ascensore, poi…

 

Si asciugò rapidamente e fece un giro per la casa alla ricerca di biancheria pulita. Non notò nemmeno PenPen, che la guardava stranito dalla soglia della cucina. Quando finalmente ebbe trovato qualcosa da indossare, tornò a letto a riflettere.

 

Sì, ora mi sento meglio. Allora. Dopo il bacio e le mie… ehm… avances, siamo usciti dal locale ed io… ah sì, gli ho quasi vomitato sulle scarpe.

Ehm… Forse me lo sono già detto, però, Misato, hai avuto un gran stile. Complimenti.

Però mi pare che lui non fosse mal disposto nei miei confronti. Anzi, se non sbaglio ha pure detto che gli piaccio…

 

Sorrise.

 

Anche lui non è male, non è affatto male. E bacia pure bene, tra parentesi. Ad ogni modo, è stato gentile con me nonostante io mi sia comportata un po’ con leggerezza. Forse davvero non è stata una cosa del tutto negativa questa mia ubriacatura. Per colpa di quello scemo di Kaji che mi ronzava attorno tutto il tempo probabilmente non avrei mai avuto la possibilità di accorgermi di quanto Satoshi mi piacesse.

Ho ancora vaghi ricordi di quel che è successo quando siamo tornati… Mi ha portata qui in moto, mi ha fatto salire le scale, in ascensore, poi alla porta…

Ah sì, gli ho detto che baciava bene… Beh, è vero.

 

Aggrottò le sopracciglia, pensierosa.

 

E lui cos’ha risposto? Non riesco a ricordare! Accidenti… Non posso nemmeno chiederglielo, ho già fatto abbastanza brutte figure a riguardo…

Però non poteva essere nulla di male, se no stamattina non gli avrei prestato la macchina… Di solito appena sveglia mantengo abbastanza il ricordo di ciò che ho fatto durante l’ubriacatura, è subito dopo che mi scompare…

Però ora che faccio? Dovrei almeno aspettare che torni dalla scuola, non posso nemmeno andare alla Nerv a piedi. In queste condizioni, poi! Ho trovato!

 

Rotolò sul futon fino a raggiungerne il bordo e si sbracciò alla ricerca di un oggetto. Quando lo trovò sorrise, trionfante.

 

Ne parlerò a Ritsuko!

 

Soddisfatta da questa sua trovata digitò il numero del cellulare dell’amica, sicura di trovarla non solo già sveglia, ma già al lavoro. Dovette attendere solo pochi squilli prima di sentire la voce pragmatica della bionda Dottoressa.

“Pronto?”

“Ciao, Ritsuko, sono Misato.”

“Misato! Dove sei?”

“Sono a casa… perché?”

Perché?? Perché dovresti essere al lavoro da dieci minuti ormai!”

La donna sobbalzò e guardò la sveglia.

“Accidenti, hai ragione! Ho perso il senso del tempo!”

E che stavi facendo per perdere il senso del tempo?”

“Ehm… stavo ripensando a quello che è successo ieri sera.

Passò un breve attimo di silenzio, poi Ritsuko sospirò: “E che è successo ieri sera? Andiamo, Misato, non farti tirare fuori le notizie con il cavatappi. Se mi hai chiamato è ovvio che tu me ne voglia parlare.”

 

In effetti ha ragione… Però non voglio che la figura dell’impicciona la faccia io!

 

“D’accordo, d’accordo…”

Le raccontò per filo e per segno ciò che ricordava della serata, omettendo con cura ogni riferimento al bacio. Dal telefono, ogni tanto, si udivano dei suoni metallici e fischi tipici di un laboratorio. Oltre che, verso la fine, i sospiri esasperati di Ritsuko.

E questo è tutto?”

“Sì, più o meno…”

“E mi hai chiamato durante le revisioni agli Evangelion, invece di presentarti al lavoro, solo per raccontarmi una cosa del genere? Non ci credo. Avanti, sputa il rospo. Come bacia?”

Misato rimase spiazzata. “C-Come sai che mi ha baciata??”

“Non ci vuole molto. Tutte le cose che mi hai raccontato erano troppo scontate per giustificare una telefonata. E poi lo so come ti comporti quando sei ubriaca…”

 

Dannazione… Mi conosce troppo bene.

 

Cosa vuoi insinuare??”

“Niente, solo l’ovvio. Andiamo, raccontami anche il resto.”

Misato, che non aveva altre frecce al proprio arco, svuotò il sacco.

“Mmh,” fu l’unico commento dell’amica.

E… quindi?” chiese il Capitano, ansiosa.

Quindi cosa?”

Quindi come mi devo comportare secondo te?”

Innanzitutto, prima di raccontarlo alle tue amiche dovresti parlarne con lui.”

La donna accusò il colpo. “Me ne ricorderò per le prossime volte. E dal lato pratico invece?”

“Dovresti parlarne con lui appena lo incontri. Se era una cosa seria, a prescindere dall’alcool, allora è bene che decidiate cosa debba esserne fatto. Se invece non lo era, è bene che vi chiariate al più presto.

“Le tue parole sono sempre illuminanti, Ritsuko.

 

Lo sapevo anch’io che dovrò parlargliene, volevo sapere tu cosa ne pensavi!

 

“Bene. Dato che mi pare di aver capito che lui ha preso la tua auto, ritengo giustificata la tua assenza. Ma quando arriverà chiaritevi in fretta, perché qui alla Nerv non possiamo attendere i comodi dei nostri dipendenti.

 

Come se non fosse anche lei una dipendente del Comandante Ikari!

 

“D’accordo, allora quando arriverà faremo in fretta a parlare della cosa.

“Ti aspetto qui fra due ore al massimo.”

 

Inflessibile come al solito, eh? Meno male, è per questo che mi sono sempre rivolta a te in questi casi.

 

“Sarò lì. Grazie Ritsuko.”

“Mmh,” fu l’unica risposta, prima che l’altra riagganciasse.

Misato posò il telefono, diede un’altra occhiata alla sveglia e si alzò, decidendosi finalmente di prepararsi per uscire. Ma forse in realtà, come testimoniava il suo sorriso, si preparava a parlare con Satoshi.

 

 

Non dovette attendere molto. Satoshi arrivò verso le 8.30, ma passò dieci minuti davanti alla sua porta, cercando di elaborare una strategia per ridare le chiavi a Misato e, se possibile, per parlare con lei di quanto successo allo Scarlet Dawn. Quando finalmente suonò il campanello aveva escogitato un piano che gli sembrava inattaccabile. Ma questa sua convinzione evaporò appena la donna aprì la porta.

“C-ciao!” balbettò Satoshi, porgendole subito dopo la chiave della Renault Alpine con un movimento meccanico. “Eccoti la tua… L’uomo si bloccò, non riuscendo a trovare la parola adatta. Misato però lo trasse d’impiccio con un sorriso imbarazzato, prendendo l’oggetto dalla sua mano tesa.

“Grazie, Satoshi,” replicò, rigirandosi nervosamente tra le dita l’anello metallico che univa chiave e portachiavi.

Un breve attimo di silenzio imbarazzato, poi Misato riprese: “Tutto a posto? Intendo per il viaggio, nessun problema?”

“No no,” si affrettò a tranquillizzarla Satoshi. Decisamente le cose non stavano andando secondo i piani. “Senti,” azzardò, “i ragazzi mi hanno detto che non ti sentivi molto bene stamattina. Ora ti senti meglio?”

Tralasciando l’assurdità della domanda, dato che era in uniforme e perfettamente in sé tanto che nessuno avrebbe potuto dire che era reduce da una sbornia colossale, il Capitano annuì vigorosamente. “Sì, grazie dell’interessamento, mi è passato il mal di testa.

Ciò non era del tutto vero, ma era inutile farlo preoccupare in quel momento.

 

Se non glielo dici ora non glielo dici più, Misato. E poi, te l’immagini cosa direbbe Ritsuko sapendo che l’hai disturbata per poi non mettere in pratica i suoi preziosi consigli??

 

“Senti,” incominciò lei, quasi senza pensare. “Riguardo quello che è successo stanotte…”

 

Ecco, ora mi dirà che è stato un errore, che non sa perché l’ha fatto, che ama ancora il Signor Bellimbusto, e che sono stato un idiota a farmi false aspettative.

 

Ma il seguito della frase non arrivava. Col cuore in gola, Satoshi rimase in attesa. Misato invece deglutì un paio di volte e riuscì a parlare.

“Ecco… Tu te lo ricordi?”

“Perfettamente,” disse lui, automaticamente.

“Bene… I-io… non molto…”

 

Misato… SEI L’OMBRA DI TE STESSA!! Guardati! Sembri una ragazzina al suo primo appuntamento! Vergognati!

 

“Ah…” fece Satoshi, ma venne interrotto prima di poter dire qualunque cosa. Tutta la sua mente era concentrata sulle parole della donna, cercando di coglierne ogni minima sfumatura, ogni minima tonalità che lo facesse sperare…

Cioè, voglio dire…” riprese Misato, arrossendo vistosamente. “Io… Sono stata bene ieri sera con te.”

 

Visto?? E che ci voleva!!

 

Satoshi ci rimase di stucco, e non riuscì a formulare nessun pensiero. D’altronde, il Capitano stesso si stava ancora ripetendo mentalmente la frase che gli aveva detto, incredula. L’uomo fu il primo a riscuotersi dal torpore in cui entrambi erano piombati.

“Grazie,” disse, sorridendo sinceramente. “Anche io lo sono stato.”

Quelle parole ebbero l’effetto di far uscire Misato dal suo mutismo.

“Riguardo quello che è successo… là,” abbozzò, ancora incerta su come affrontare l’argomento, “come… ci hai già pensato?”

Satoshi sospirò. La donna credette di leggervi della speranza mista alla rassegnazione, ma non ne era del tutto sicura. “Sì. Ci sto pensando da quando è successo ad ora, ininterrottamente. Non riesco a capacitarmi che sia successo davvero.”

Il cuore di Misato prese a battere ancora più forte. Cercò di sorridere, ma ottenne solo una specie di smorfia allegra. “Quindi… il fatto che sia successo non è nulla di grave, vero?”

“Se non lo è per te, allora no. Per me è stata una cosa meravigliosa.

 

ANCHE PER ME!!!

 

“Anche per me,” rispose lei, succinta, cercando di frenare l’euforia che la stava possedendo. Vedeva l’uomo sotto un’altra luce, ora. Le sembrava… più solare. Proprio ciò di cui aveva bisogno.

 

-Davvero?

 

Presa alla sprovvista, scacciò il pensiero che le si era affacciato alla mente e sorrise, sperando che lui non si accorgesse della sua inquietudine. Ma quando parlò, parve che non ci avesse dato peso.

“Sono felice che sia successo,” annunciò felice l'Agente.

Misato sentì un grande calore dentro di sé, un calore che la rese più calma e più sicura di sé e dei suoi sentimenti. “Quindi,” concluse, “potremmo… provarci.”

Per un altro lungo attimo rimasero entrambi in silenzio, ma stavolta era un silenzio carico di aspettativa e di emozione, non di tensione ed imbarazzo. Alla fine, Satoshi sorrise e si avvicinò di un passo alla donna. “Sì, potremmo provarci.”

Le loro labbra si incontrarono in un altro, lungo bacio, quasi a suggello delle loro parole.

 

 

 

 

Quando Gabriel, Rei, Asuka e Shinji entrarono in classe, gli occhi di tutti si puntarono sul pianista e la First Children. E cadde il silenzio.

In particolare Motoko, Yuki e Keiko  stavano fissando Gabriel come si studia un piano tattico.

 

Ehm… che ho fatto?

 

Shinji fu il primo a capire che la causa era l’abbraccio con Rei del giorno prima.

 

***

 

Nessuno aveva osato fiatare per i successivi dieci minuti. Lo sguardo dell’intera classe era rimasto piantato attonito sulle due figure abbracciate che sembravano isolate dal resto dell’ambiente. Solo dalla porta si era udito un flebile singhiozzo, troppo tenue per essere riconosciuto dai presenti come tale, e la figura di Keiko, non vista dagli alunni, corse via sbattendo contro il professore di Biologia.

“Omura, che succed…”Il professore lanciò uno sguardo nella classe immersa nel silenzio e quando vide la causa di tutto quello sgomento, gli cadde quasi di mano il registro.

Ayanami che abbracciava l’ultimo venuto della classe quando per quasi due anni interi non aveva legato con nessuno dei suoi compagni? “Incredibile…”

Solo qualche istante dopo, la Capoclasse si avvide dell’arrivo del docente e diede le classiche disposizioni di saluto.

 

***

 

“Allora…” Asuka prese la parola intervenendo a difesa degli amici “…che avete da guardare? Su su avanti,  non ci sono lezioni da ripassare? Hikari, richiama all’ordine la tua Classe, forza.

Peccato che anche l’inflessibile Capoclasse si fosse messa a guardare i due e stesse sorridendo inebetita.

“Ma che vi è preso a tutti??” sbottò la rossa, sbracciandosi, in modo da attirare su di sé l’attenzione. Horaki si riscosse e la guardò. “Ah, sì, Asuka, è solo che…”

“Hikari Horaki, Capoclasse della II-A,” recitò la Second Children con uno sguardo terribile negli occhi. L’interpellata si fece piccola, arrossendo. “Come,è solo che…’?? C’è da riordinare una classe!”

L’altra ragazza scattò in piedi, intimorita. Subito cominciò a sbraitare ordini verso i compagni di classe, cercando di dominare la situazione, ma questi avevano cominciato a ridere smodatamente. Ben presto Asuka cinse le spalle di una furente Capoclasse e la blandì con un paio di scuse. Subito la situazione tornò alla normalità, Hikari tornò sorridente e gli alunni tornarono a chiacchierare tra di loro, immemori del silenzio imbarazzante di poco prima. Mentre Rei prendeva posto a sedere, ancora un po’ scossa dall’accoglienza, la Second Children strizzò l’occhio con aria complice a Gabriel, che ricambiò con un sorriso.

 

Sembra un’altra… Asuka.

 

“In piedi! Inchino! Seduti!” ordinò Hikari, restaurata in tutto il suo potere, quando entrò l’insegnante. Tutti senza esitazione eseguirono.

Il professore di Matematica non fece in tempo ad estrarre il registro che un primo -bip- richiamò l’attenzione del Fourth Children sul proprio computer. Mentre aspettava il suo turno per rispondere all’appello aprì la prima mail della giornata.

 

From: Kensuke Aida                        To: Gabriel Vancy

Object: Vittoria sull’Angelo!

 

 

MITICO, TROPPO MITICO!! Ieri mentre andavamo tutti a nasconderci come conigli avete sconfitto un Angelo! Sai, è un po’ che conosco gli altri Children, ma ogni volta che capita una battaglia è come se fosse la prima!

Dimmi, come l’avete sconfitto? Purtroppo non l’ho visto nemmeno di striscio! Puoi dirmi che aspetto aveva? Era un altro calamaro? E come lo avete attaccato? Quali armi avete usato?

 

Gabriel esitò un po’ prima di rispondere, dato che non sapeva quali e quante di quelle informazioni fossero coperte dal segreto militare. Alla fine decise di non rischiare.

 

From: Gabriel Vancy                         To: Kensuke Aida

Object: Re: Vittoria sull’Angelo!

 

 

Kensuke, non so quante di queste informazioni siano top secret, ti consiglierei di chiedere a Shinji. Lui sa sicuramente più di me.

 

Gabriel

 

Come ormai era abituato, non fece in tempo ad inviare che un altro -bip- lo avvisò petulante.

 

From: Toji Suzuhara                         To: Gabriel Vancy

Object: Eh eh

 

 

Ehilà, eroe! Scommetto che Kensuke ti ha già chiesto come è andata la battaglia di ieri… Beh, e a parte la battaglia? Voglio dire… Con Ayanami? E’ una cosa seria? Coraggio, puoi dirlo, siamo tra uomini!

 

Gabriel arrossì vistosamente, e cercò di non guardare Rei, perché sapeva che se l’avesse fatto il suo colorito sarebbe diventato ancor più vermiglio.

 

From: Gabriel Vancy                         To: Toji Suzuhara

Object: Re: Eh eh

 

 

Toji… Questi sono argomenti di cui gradirei non discutere così, in pubblico… Anche se questa mail non la leggerà nessun altro. A dirla tutta, ieri è stata una giornata piuttosto movimentata per noi, così abbiamo avuto poco tempo per parlare. Comunque, stai sicuro che appena ci saranno novità sarai il primo a saperlo.

 

Rimase a pensare ancora un po’, poi si decise a concludere la mail.

 

Per me, comunque, è una cosa molto seria.

 

Gabriel

 

“Vancy?” chiamò il professore, giunto quasi alla fine dell’elenco.

“Presente,” fu la pronta risposta, mentre un altro -bip- suonava piano dal suo computer. Questa volta accanto alla busta lampeggiante c’era il numero 2. Quando aprì l’elenco delle nuove mail ricevute sobbalzò: una era di Motoko, ma l’altra era di Rei.

Tralasciò la prima mail, per dedicarsi trepidante alla seconda.

 

From: Rei Ayanami                          To: Gabriel Vancy

Object: Domanda

 

 

Hanno già ricominciato a sommergerti di mail, eh?

 

Rei

 

Con un lieve sorriso sulle labbra, incurante degli sguardi penetranti di una certa ragazza in prima fila, prese a ticchettare la sua risposta sulla tastiera.

 

From: Gabriel Vancy                         To: Rei Ayanami

Object: Re: Domanda

 

 

Purtroppo sì, Rei. E pensare che la prima mail che volevo scrivere stamattina sarebbe stata per te…

Se per te va bene però, mi farò perdonare a pranzo.

 

Gabriel

 

Terminò di ticchettare con un’ultima pressione sul tasto ‘invio’, e rimase in attesa di una risposta, cercando per quanto possibile di prestare attenzione al professore, nel frattempo. Dopo un attimo arrivò la risposta.

 

From: Rei Ayanami                          To: Gabriel Vancy

Object: Re: Domanda

 

 

Davvero? Ma non sarai braccato da Suzuhara, come ieri?

 

Gabriel sorrise al ricordo: il giorno prima, durante l’intervallo, avrebbe voluto stare un po’ solo con la First Children, tuttavia Toji aveva insistito tanto da costringerli a pranzare con lui e gli altri. Quando riprese a ticchettare però aveva un’espressione rapita.

 

From: Gabriel Vancy                         To: Rei Ayanami

Object: Re: Domanda

 

 

Non mi ha ancora chiesto di pranzare con loro. Ma anche se l’avesse già fatto, affronterei anche la sua ira pur di stare solo con te.

 

Gabriel

 

Inviò la mail e rimase, col cuore in gola, ad attendere la risposta. Non aveva mai rivolto frasi del genere a nessuno, ed in effetti gli suonava un po’ strano esprimerle. Forse se Toji, oppure anche Asuka avessero letto quella mail lo avrebbero preso in giro, ma non gliene importava granché. Voleva esprimere a Rei ciò che sentiva nel suo animo, e quello era il modo migliore che avrebbe potuto mettere in pratica in quella situazione.

Quasi sobbalzò quando si sentì toccare il braccio. Si voltò e vide che la First Children aveva allungato la mano destra fino al suo avambraccio, rossa in volto, lo sguardo attento affinché il professore non notasse. Quando fu del tutto sicura di non essere notata tornò a guardare Gabriel. I loro occhi si incrociarono ed entrambi arrossirono. Rei sorrise ed annuì lievemente col capo. Il ragazzo stava per parlare ma si zittì subito.

“Aida, interrogato,” sentenziò il professore, alzando lentamente gli occhi dal registro.

Dato che Kensuke era seduto non molto distante da Gabriel e Rei, quest’ultima ritrasse di scatto la mano, nascondendosi dietro allo schermo per non farsi vedere, subito imitata dal Fourth Children. Entrambi erano rossi come l’Unità Evangelion 02. Dietro di loro, Toji non rideva solo per solidarietà nei confronti dell’amico Kensuke, che d’altronde stava sudando freddo, e deglutiva più volte.

“Aida,” ripeté il professore, fissandolo attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali, “vieni interrogato.”

Lentamente il ragazzo si alzò, incoraggiato sottovoce da Toji e Gabriel. Ma sembrava un condannato che si recava al patibolo. Quando ormai ebbe raggiunto la cattedra ed il professore si fu alzato per interrogarlo, il Fourth Children trasse un lungo sospiro di sollievo. Farsi trovare quasi mano nella mano con Rei dal professore avrebbe quasi sicuramente calamitato l’attenzione di tutta la classe, quando aveva invece appena espresso il desiderio di restare solo con lei…

Attendendo che il rossore svanisse, Gabriel rimase chino davanti al suo computer, fingendo di riordinare gli appunti, quando il solito -bip- lo richiamò. Sollevò subito gli occhi, ma fu deluso nello scoprire che la nuova mail era di Toji.

 

From: Toji Suzuhara                         To: Gabriel Vancy

Object: Eh eh parte seconda

 

 

Eh eh eh… No, non sono insensibile, so che Kensuke è andato all’interrogazione senza aver studiato, però sono ancora colpito dal gesto di Ayanami: a quanto pare anche per lei è una cosa seria, caro il mio Gabriel…

 

Il viso del ragazzo avvampò, questa volta di rabbia. Non erano cose su cui scherzare. Ticchettò con forza sulla tastiera.

 

From: Gabriel Vancy                         To: Toji Suzuhara

Object: Re: Eh eh parte seconda

 

 

Toji, ma stavi sbirciando??

 

Gabriel

 

La risposta arrivò dopo un attimo, mentre Kensuke si arrovellava per trovare la soluzione ad un problema di geometria.

 

From: Toji Suzuhara                         To: Gabriel Vancy

Object: Re: Eh eh parte seconda

 

 

Beh, io sono seduto proprio dietro di te, è difficile che non noti quel che mi succede davanti al naso… Ad ogni modo, non intendevo prendervi in giro, ci mancherebbe altro. E qualcosa mi dice che oggi non ci sarà modo di convincerti a mangiare con noi…

 

Gabriel rimase spiazzato dalla perspicacia dell’amico, e tutta la collera svanì di colpo. Anzi, sorrise, grato, e rispose.

 

From: Gabriel Vancy                         To: Toji Suzuhara

Object: Re: Eh eh parte seconda

 

 

Grazie, Toji.

 

Gabriel

 

Pochi minuti dopo, un altro -bip- lo avvisò di una mail. Si fece subito attento quando notò che era di Rei.

 

From: Rei Ayanami                          To: Gabriel Vancy

Object: Paura

 

 

Il professore avrebbe potuto vedermi mentre ti chiamavo… Ho avuto paura, ma per fortuna non è successo nulla. Però spero che Aida se la cavi bene. Ad ogni modo, accetto molto volentieri di pranzare con te, Gabriel.

 

Rei

 

Gabriel sorrise, euforico, e digitò un rapido ringraziamento, e la rassicurazione che Toji non avrebbe sollevato obiezioni. Quando l’ora finì, Kensuke tornò al posto, strapazzato ma felice del suo 7. Subito dopo essersi congratulati con lui ed averlo salutato insieme agli altri, Rei e Gabriel, mano nella mano, sgattaiolarono rapidamente per rifugiarsi in un posto riparato, lontano da sguardi indiscreti. Ma non furono le uniche persone ad allontanarsi furtivamente dalla II-A.

 

 

 

 

“…Se TU non avessi lasciato in giro il cavo elettrico della tua chitarra…!!

“No, se TU non avessi lasciato i tuoi manga sparsi sul divano…!!

“Si, ma se TU non li avessi spostati…!!

Due bellicosi Makoto e Shigeru in piena lite da coinquilini (evento anche abbastanza frequente che nel giro di qualche minuto, una ventina nei casi gravi, sarebbe finito nel dimenticatoio), ruppero la quiete del corridoio destinato ai distributori automatici di bibite.

“No, se TU fossi solo un minimo più ordinato!!” Continuò il Tenente Aoba subito controbattuto da un infervorato Hyuga.

“Io dovrei essere più ordinato?! Shigeru, chi è che ha lasciato la custodia vuota di un cd nel mobile dove ci sono i biscotti??

“E chi è che ha dimenticato la radio accesa??

E chi…”

Avrebbero probabilmente continuato così per tutto il resto della mattinata se non avessero visto Satoshi fermo al distributore intento a bere placidamente una lattina di caffè.

“SATOSHI!!” Gridarono in coro correndogli accanto, dove si posizionarono uno alla sua destra ed uno alla sua sinistra iniziando a declamare a velocità folle e contemporaneamente le loro motivazioni in modo da avere un giudice che potesse decidere chi aveva ragione in quella lite e chi no. L’Agente Iwanaka, che prima dell’arrivo dei due era immerso in ben più rosei pensieri, non ebbe nemmeno modo di accorgersi del sopraggiungere dei colleghi che si ritrovò sparate nelle orecchie una sequela di parole incomprensibili che non solo lo aveva fatto sobbalzare facendogli quasi cadere a terra la lattina, ma che ora lo stava anche decisamente frastornando.

“Ragazzi…RAGAZZI! Calma!!” Quasi urlò per metterli un attimo a tacere.

I due si zittirono, lo fissarono con espressione torva e di nuovo esclamarono all’unisono: “ALLORA?? CHI DI NOI DUE HA RAGIONE??

Satoshi li guardò alternativamente con espressione comicamente perplessa, poi disse “Se aveste parlato uno alla volta e non a raffica magari avrei anche capito qualcosa di quello che avete detto.”

A quelle parole subito i due ripresero all’unisono ad esporre le loro ragioni come due bambini litigiosi e per la seconda volta vennero bloccati dall’uomo biondo.  

“Ragazzi! Stop! Tregua!”

Però…” Obiettò Makoto.

Ma lui…” Fece subito eco Shigeru.

“No. Non iniziamo di nuovo. Cerchiamo di stare calmi d’accordo? Vi offro un caffè anche se ci vorrebbe una camomilla.” Sorrise conciliante verso i suoi colleghi mentre inseriva due monete nel distributore e selezionava le lattine desiderate.

All’ultima affermazione di Satoshi, il Tenente Aoba, già quasi dimentico della discussione col suo coinquilino( sorta in seguito ad una caduta del Tenente Hyuga sui cavi della chitarra dell’amico, che aveva innestato una reazione a catena che aveva quasi demolito il piccolo appartamento in centro), si avvicinò all’Agente per prendere il caffè e lo stesso fece Makoto.

“A dire il vero Satochan…” iniziò ridacchiando bonariamente Shigeru “…quello che avrebbe bisogno di una camomilla sei tu.” Ed indicò l’occhio del biondo ancora circondato da un tenue alone” Certo che siete stati fortunati ad esservela cavata solo con una strigliata.” Terminò il chitarrista stappando la lattina ed iniziando a scolarne velocemente il contenuto rapidamente imitato dal Tenente Hyuga, il quale però si fermò subito prendendo la parola prima che potesse farlo l’Agente Iwanaka “A proposito…”chiese “…che cos’è successo per ridurvi in quelle condizioni?”

Satoshi si incupì appena irritato dal ricordo, ma poi scosse il capo e cestinò il contenitore vuoto.

Quella giornata era troppo perfetta per essere guastata parlando di un simile individuo.

“Beh…” rispose vago “ …si può dire un acceso scambio di opinioni…”

Makoto annuì aggottando le sopracciglia e prendendo a sorseggiare il caffè. Era fin troppo consapevole dell’interesse che Kaji nutriva nei confronti del Capitano Katsuragi. Non era troppo difficile intuire che era stata proprio lei il motivo della lite. Tuttavia non fece altre domande. Non era nel suo carattere impicciarsi troppo e non lo fece. Al contrario del suo amico Shigeru.

E…” riprese Aoba gettando la lattina ormai vuota in un cestino meno pieno per poi avvicinarsi con fare interessato al biondo “…per quanto riguarda lo Scarlet Dawn?”

“Ehm…cosa vuoi sapere?” Domandò appena imbarazzato sperando che non gli chiedesse i particolari della serata.

“Allora? Ci sei andato?”

“Beh, si…” annuì con semplicità guardandosi attorno.

“AH-AH!! E con chi ci sei andato, eh?? Con chi ci sei andato??” Entusiasta, il Tenente prese a dare diverse gomitatine contro il braccio dell’Agente con fare complice mentre Makoto si lasciava andare ad un silenzioso sospiro di rassegnazione mentre osservava silente la scena tra i due. In quanto a curiosità, il suo coinquilino era senza speranza. 

“Shigeru…” iniziò Satoshi ora decisamente imbarazzato.

“Dai, avanti, dillo al tuo vecchio amico Shigechan…” E il Tenente gli passò un braccio attorno alle spalle trascinandolo a camminare lungo il corridoio. La lite di prima con Hyuga era completamente dimenticata.

“A dire il vero io…”

“Dai, su! Chi è la donzella?”

“Ma chi ti dice che fosse una donzella?!”

Perché altrimenti non saresti così in imbarazzo! E qualcosa mi dice anche che è stata una serata a lieto fine…”

 

Perspicace! Beh… serata a lieto fine non proprio…Ma la mattinata è stata splendida…

 

Dai Shigeru…” L’Agente si divincolò senza movimenti bruschi dalla presa dell’amico “…sono cose private…”

E dai, Satochan, non essere così misterioso! Siamo tuoi amici! Vero Makochan che siamo suoi amici?” Chiese rivolgendo un fugace sguardo al collega per poi riprendere all’indirizzo dell’Agente senza nemmeno concedere il tempo a Makoto di rispondere “E allora? Chi è? Eh?”

Satoshi si guardò attorno senza sapere come iniziare a spiegare.

 

Accidenti, sono senza scampo!

 

“Beh...ecco…” cominciò il biondo alternando lo sguardo tra i due amici e i distributori.

“Allora? La conosciamo?” Incalzò il chitarrista tornando a riempire di gomitatine l’Agente.

“S-si, la conoscete…”

“AH-AH! Dai, dai Makoto! Tira fuori qualche nome!”

“Ma…veramente non saprei…” replicò pacato Hyuga non volendo immischiarsi nella faccenda per poi tornare a dedicarsi al caffè.

“Ah, lascia stare, Makoto! Dai Satochan, non farmi scervellare! Chi è?!

L’Agente rivolse a Shigeru uno sguardo implorante.

Ma è proprio necessario?”

“Si.” Fu la risposta di un sorridente Aoba.

 

E come cavolo glielo dico??

 

“Dai, è una cosa privata…” Ripeté ancora  il biondo nella speranza che non insistesse.

Ma noi non lo diremo a nessuno! Saremo muti come pesci! Vero, Makochan?”

L’altro annuì.

In effetti era vero. Shigeru era curioso per natura, ma una volta saputo qualcosa non lo andava a ridire in giro e lo stesso valeva per Makoto.

Satoshi sospirò affranto.

E va bene….”

Il Tenente Aoba pendeva letteralmente dalle sue labbra.

“Ci sono andato…” deglutì arrossendo “…col Capitano Katsuragi.

In contemporanea si udirono un colpo di tosse da parte di Hyuga a cui era quasi andato di traverso il caffè ed un “COSA?!” urlato ai quattro venti da un incredulo Shigeru.

“Ma non urlare così!!” Lo ammonì l’altro.

“Scusa scusa!!” abbassò la voce “E allora? Allora!?

“E allora niente!!

“Eh no, Satoshi! Se non era niente non avresti esitato tanto a dirlo!”

Mentre i due continuavano a battibeccare, Makoto gettò con flemma la lattina vuota nell’apposito cestino, poi si diresse verso il corridoio di fronte che lo avrebbe portato verso la Sala Comando.

“Shigeru, io mi avvio. Satoshi, se passi per la Sala Comando, ci vediamo dopo. Sorrise amichevole verso i due.

Si , si…” annuì con noncuranza Aoba rivolgendogli un cenno di saluto con la mano quasi senza guardarlo, impegnato com’era a cercare di convincere l’Agente a raccontargli della serata.

“A dopo Makoto.” Fece appena in tempo a rispondere Satoshi prima che l’altro iniziasse di nuovo a tempestarlo di domande.

Con la sua solita aria cordiale, il Tenente Hyuga saluto i due e si allontanò dal luogo. Sembrava essere quello di sempre. Ma dentro adesso, anche se non era venuto a conoscenza dei particolari, sapeva che il suo Amore era divenuto definitivamente irrealizzabile.

Tuttavia, Makoto non era l’unico ad esserci rimasto di sasso.

Non visto né udito a causa dell’interrogatorio di Shigeru che attirava tutta l’attenzione di Satoshi (che cercava strenuamente di evitarlo), l’Agente Ryoji Kaji era giunto sul luogo da un corridoio laterale giusto in tempo per ascoltare le confessioni del suo rivale che, sebbene avessero omesso quanto accaduto nel corso della serata, avevano rivelato la relazione che c’era tra l’Agente franco nipponico e il Capitano Katsuragi.

Nessuno avrebbe potuto dire se Kaji era più sorpreso o amareggiato o ancora arrabbiato.

Fatto sta che aveva ben pensato di non farsi vedere, e udito quanto era necessario era ritornato velocemente sui suoi passi.

 

 

 

 

L’intervallo a scuola era abbastanza lungo da permettere ai ragazzi di consumare un breve bento prima dell’inizio delle lezioni pomeridiane. Quel giorno però tre ragazze non avevano nessuna intenzione di pranzare. La porta degli spogliatoi femminili era aperta ed essi, non essendo prevista nessuna ora di educazione fisica a breve termine, erano del tutto vuoti. Il posto ideale per stare un po’ tranquille. A parlare di Gabriel.

Motoko Yoshikawa, Yuki Takashima e Keiko Omura entrarono in fila indiana, assicurandosi che nessuno le vedesse o fosse nei paraggi, poi si accomodarono rapidamente su alcune panche davanti agli armadietti. Avevano acceso solo una delle tre file di luci al neon che solitamente illuminavano il locale, sicché la luminosità soffusa dava al gruppetto un’aria estremamente sospetta.

“Chi l’avrebbe detto,” sbottò Yuki quando ebbero chiuso per bene la porta, “che Ayanami fosse così gatta morta??”

“Davvero,” confermò Keiko annuendo vigorosamente. “Prima era sempre in disparte, silenziosa, perfettina, e guardate da quando è arrivato quello nuovo com’è cambiata! Mi spiace solo che lui ci sia cascato così in pieno…”

“Pensate che a me non ha nemmeno risposto l’ultima volta che gli ho mandato una mail!” si lamentò Motoko, che era rimasta in piedi, scuotendo la chioma lunga con rabbia.

“L’ha traviato per bene Ayanami, eh?” sibilò Yuki.

“Ti prego, non nominare più quel nome,” fece Keiko, e si prese la testa fra le mani, simulando un dolore atroce. “Mi fa soffrire!”

“Va bene,” sentenziò Motoko ridendo, “da oggi sarà Ayapalla.”

Il trio sbottò a ridere, trattenendosi solo quel tanto che bastava per non attirare l’attenzione dall’esterno.

“Sei mitica, Motochan!” singhiozzò la ragazza dai capelli corti, asciugandosi genuine lacrime di ilarità. “Ayapalla!”

Quando le risate si furono calmate l’intervallo era quasi finito. Motoko guardò l’ora mostrata dal suo telefonino e fece una smorfia spazientita.

“Ascoltate,” propose, seria. “Domani entreremo in azione. Sfideremo Ayapalla.”

Fece un gesto per far tacere la nuova ondata di risate, in modo da poter continuare. Ma anche lei sogghignava, trattenendosi a stento. “Chiederemo faccia a faccia a Gabriel di pranzare insieme. Se non vorrà fare brutta figura dovrà accettare. Yuki, Keiko, voi dovrete tenere a bada il Trio degli Stupidi finché l’operazione non sarà finita. Conla sua ragazza’ me la vedrò io.”

Le altre due ragazze applaudirono a quella dai capelli più lunghi, che si chinò beffarda con un sorriso. Dopo i complimenti di rito, sentirono la campana suonare nuovamente, annunciando la fine della pausa. Uscirono in fretta, ancora sghignazzando a causa del nomignolo inventato per Rei.

 

 

 

 

 

Nell’enorme ufficio in cima alla piramide c’erano solo due persone, l’una di fronte all’altra.

“Comandante,” disse il più anziano, il volto estremamente serio. “Ci sono giunte voci su quella questione.

“Di che genere, Fuyutsuki?” chiese Gendo. A sua volta era serio, le sopracciglia leggermente corrucciate.

“Troppo vaghe. Però possiamo dire che non sono buone.”

Silenzio. Dopo pochi secondi, il Comandante riprese la parola. “Avvisa la Dottoressa Akagi. Dille che devo parlarle di nuovo dei nostri amici.”

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

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Capitolo 13
*** Sogno d'Amore ***


CAPITOLO 12

CAPITOLO 12

 

Sogno d’Amore

 

 

Dato che ormai il tetto era una delle mete preferite degli studenti durante l’intervallo, da alcuni giorni il preside aveva fatto portare lassù alcuni tavolini e sedie, rendendo la parte agibile una specie di terrazzino. Fu la che si recarono il Trio degli Stupidi, seguiti dalle due ragazze che più si divertivano a canzonarli. Si accomodarono al tavolino migliore, quello che aveva la vista sulla piscina femminile sottostante, ed estrassero ciascuno il proprio bento.

“Beh, però ora non potete dire che siamo il Trio degli Stupidi,” iniziò Kensuke, ridendo ed addentando la sua polpetta di riso, “visto che mi sono preso 7 in Matematica senza nemmeno aver studiato!”

“In effetti…” valutò Hikari, ma fu subito interrotta dalla Second Children, che con un gesto imperioso, come suo solito, impose il silenzio. Ma a differenza dei suoi gesti, non c’era aria di superiorità nello sguardo, che esprimeva invece divertimento scanzonato.

“Hai ragione, Aida,” sentenziò sogghignando la ragazza. “Ora siete il Duo degli Stupidi più Uno un po’ Meno Stupido.

Rise alla propria stessa battuta, imitata timidamente dalla Capoclasse. I ragazzi invece erano rimasti imbambolati.

“Vuoi scherzare??” sbottò Toji quando si fu ripreso. “E’ troppo lungo! Mi spiace, Kensuke, ma è meglio Trio degli Stupidi.

Il ragazzo con gli occhiali protestò debolmente, ma alla fine si unì alle risate che ormai avevano contagiato anche loro tre.

 

E’ la prima volta che ti vedo ridere veramente, Asuka. Finora ridevi per prendere in giro, o per sottolineare la tua superiorità. Ridevi di noi. Non avevi mai riso con noi.

E’ una strana sensazione quella che provo ora. Mi sento… Felice.

E’ così che ci si sente felici?

 

Gradualmente le risate scemarono, in modo che i cinque potessero consumare il loro pasto frugale.

“Chissà quei due che staranno facendo,” mormorò a bocca piena Toji.

“Di chi parli?” chiese masticando Kensuke.

“NON PARLATE CON LA BOCCA PIENA!!” si intromise Hikari, rossa di rabbia.

“Va bene,” sorrise Toji, continuando a masticare.

“Rozzi… quanto sono rozzi…” gemette la Capoclasse, mentre Asuka le dava colpetti sulla spalla per consolarla.

“Su, non fare così,” le disse melliflua. Poi le porse la sua scatola con il bento. “Tieni, mangia quello che ti piace di più.

Hikari si riprese subito ed afferrò con le bacchette un pezzo di sushi, mormorando un “grazie” subito prima di metterselo in bocca. Toji guardò tutta la scena stralunato e con la bocca aperta, incurante di non offrire un bello spettacolo.

“Ma cosa…” iniziò, ma si interruppe sia per lo sguardo di rimprovero di Horaki, dal momento che non aveva ancora deglutito, sia per quello di Shinji, cui rispose con un’occhiata interrogativa. In mezzo a loro, incurante di tutto, Kensuke si stava gustando il suo riso senza badare a ciò che lo circondava.

Il Third Children fece un cenno vago all’amico, facendogli intendere di fare come se nulla fosse. Lui dovette capire, perché si dedicò, sempre ridendo e scherzando, al suo bento.

 

E’ presto per parlare del suo cambiamento davanti a tutti. Solo ieri era la solita, sprezzante Asuka, mentre ora offre anche il proprio pasto ad Horaki, anche se lei non era veramente triste.

Ed è stata solo questa notte che abbiamo dormito insieme, abbracciati, come non avevo mai sperato di fare.

Asuka… In un giorno sei cambiata completamente. Eppure sei rimasta sempre la solita. Non sei più quella maschera che si faceva odiare e temere. Sei l’Asuka vera, che c’era sotto quella maschera. Sei l’Asuka che amo.

 

D’un tratto Kensuke si riscosse. Fece per parlare ma si zittì subito. Finì attentamente di masticare il suo boccone e lo inghiottì, dato che sentiva su di sé lo sguardo inquisitore della Capoclasse. Poi, finalmente, poté esprimere la sua domanda. “Toji, di chi parlavi prima?”

A sua volta Suzuhara terminò attentamente di masticare, forse esasperando un po’ i movimenti per irritare Hikari, ma questa non diede segno di aver notato. Dato che la sua provocazione non aveva avuto successo, il ragazzo deglutì e rispose: “Di chi, se non di Rei e Gabriel? Dopo quell’abbraccio focoso di ieri, oggi si sono dati alla macchia! Come se non avessero avuto il tempo di stare da soli, quei due piccioncini!”

A quell’uscita rise solo lui. Hikari si inalberò: “Suzuhara, ma se ieri li hai praticamente COSTRETTI a mangiare con noi!”

“Ed in effetti durante l’attacco dell’Angelo non hanno avuto molto tempo per stare da soli…” fece notare Shinji. Davanti a tanta opposizione, Toji levò le mani in segno di resa.

“D’accordo, d’accordo, datevi una calmata! Non infierisco più sui nostri piccioncini!”

L’aveva detto ridendo, cercando di suscitare altra ilarità, ma Asuka balzò in piedi, apparentemente irata. “Insomma, vogliamo finirla di prendercela con loro, che non sono neppure presenti?? Perché piuttosto,” l’espressione collerica si distese in un sorriso, “non parliamo di come è andata la battaglia? Kensuke, mi stupisce che non ce l’abbia ancora chiesto!”

“Ci ho provato,” bofonchiò quest’ultimo, posando le bacchette e stappando la bottiglia d’acqua che aveva con sé. Dopo averne bevuto un sorso continuò. “Ho provato a chiedere sia a Gabriel che a Shinji, ma nessuno di loro sapeva dirmi cosa era top secret e cosa no!”

La rossa si voltò verso il Third Children, per un attimo guardandolo come lo guardava tempo prima, prima dell’attacco dell’Angelo.

 

Ecco, ora arriva uno dei suoi ‘Ma sei stupido??’ Ma tanto ci sono abituato.

 

Ma, tra lo stupore generale, lo sguardo di Asuka si addolcì all’improvviso e tornò su Kensuke. “Lo so io cosa è top secret e cosa no! Avanti, chiedi!”

“Davvero??” sbottò il ragazzo, facendo cadere a terra la bottiglia e la scatola ormai vuota del bento. “Com’è andata??”

La ragazza cominciò a raccontare con dovizia di particolari la battaglia, mentre Hikari, Toji e Shinji si scambiavano occhiate stupite. Dei tre, il Third Children fu il primo a sorridere, subito imitato dagli altri.

 

Non me l’ha detto. E’ stata sul punto di farlo, ma non me l’ha detto.

Ma anzi, per un istante mi ha guardato come questa notte… E come questa mattina quando ci siamo svegliati.

L’ho salutata dicendole ‘Ben svegliata’, e lei mi ha risposto ‘Buon giorno, Shinji’.

E questo è davvero un buon giorno, Asuka.

 

 

 

 

 

 

C’era un posto del parco della scuola che nessuno conosceva. Un boschetto, un luogo di raduno per gli studenti che era stato abbandonato quando la natura ne aveva reclamato il possesso. Vi si accedeva attraverso un sentiero segnalato da pietre infisse nel terreno, tanto nascosto che nessuno di quel ciclo di studi lo aveva mai visto. Fu lì che accompagnò Rei, una volta che fu certo che nessuno li stesse seguendo.

La ragazza non era abituata a provare forti sensazioni, e non fu in grado di dire nulla quando arrivarono: semplicemente rimase a bocca aperta, guardandosi attorno.

 

Non credevo esistesse un posto così…

Due panche di pietra sbrecciate in una radura circondata da pochi alberi. Gli schiamazzi degli altri ragazzi sembra così lontano… Persino il cielo sembra più azzurro qui.

 

Guardò Gabriel, che stava sorridendo.

“E’…” Si fermò, non sapeva trovare le parole.

“Meraviglioso,” concluse il ragazzo per lei, prendendola per mano. “E lo è ancora di più dato che tu sei qui con me.”

Si sedettero sulla panca più in ombra, protetti dal sole dalle fronde dell’albero più vicino che stormivano ad un lieve venticello.

“Come hai saputo di questo luogo?” chiese lei, la voce ridotta ad un sussurro, quasi in ossequio alla natura che li circondava. Gabriel sorrise, soprappensiero, e posò tra di loro le scatole con i rispettivi bento.

“Per caso. Stavo cercando un luogo per trovare la mia ispirazione, cioè te. Devi sapere che l’ispirazione mi è sempre venuta guardandoti: così è stato per tutte le ore del mio regalo per te. Qui ho composto la tua ora di Nuoto.”

Rei guardò di sorpresa in direzione del corpo principale della scuola. Da quel luogo si poteva chiaramente vedere la piscina dove le ragazze nuotavano mentre i ragazzi giocavano a basket. Arrossì vistosamente.

Quindi tu… hai…” balbettò. Quando Gabriel si rese conto che aveva appena dichiarato candidamente di averla vista mentre era in costume da bagno avvampò a sua volta.

“No, veramente… Non pensare che…” cercò di scusarsi, ma non sapeva proprio come fare.

 

E adesso che cosa penserà di me?? Mi capirà? Capirà che io ero qui a osservarla solo perché senza vederla non potevo cogliere la sua vita per metterla in musica?

 

Cercò ancora di aggiungere qualcosa, ma Rei si fece più vicina e gli posò un dito sulle labbra. “Non c’è bisogno che ti scusi. Tu puoi guardarmi come e quando vuoi.”

Dopo quelle parole, la ragazza sostituì il dito con le proprie labbra, donandogli un rapido bacio a fior di labbra. Allora Gabriel lasciò perdere la scatola del bento, e con la destra le carezzò una guancia, fino a raggiungere la sua nuca, mentre la sinistra si stringeva sulla mano di lei. Si baciarono di nuovo, stavolta più a lungo.

Quando si separarono, il cielo sembrava ancora più sereno, il vento più fresco, l’erba e le foglie più verdi. Ed a Gabriel, Rei sembrava più bella che mai.

Sorridendo, la First Children prese la propria scatola e la aprì, subito imitata dal Fourth. Mangiarono in silenzio, ascoltando il rumore delle cicale, che in quel momento sembrava cullare anziché disturbare come al solito, ed ogni tanto scambiandosi un sorriso.

“Sai, Gabriel,” disse Rei quando ebbe finito di mangiare, “sono felice di essere qui con te.”

Lui si terse le labbra con il tovagliolo e sorrise. “Anch’io. Potremo venire qui ogni volta che lo vorrai. Non dirò a nessuno di questo luogo. Sarà il nostro posto segreto.”

Gli occhi della ragazza sfavillarono.

 

Non avevo mai avuto un posto segreto, tutto per me. Ed ora, questo luogo potrò condividerlo con Gabriel. Mi sembra ancora di vivere in un sogno. Un sogno bellissimo, come non ne ho mai fatti nella mia vita.

 

Mano nella mano, si scambiarono un ultimo, rapido bacio all’angolo della bocca e lasciarono il boschetto, mentre la campana che segnava la fine dell’intervallo stava suonando.

 

 

 

 

Quel Martedì pomeriggio Satoshi credette di non poter andare a recuperare i ragazzi a scuola per portarli a sostenere i soliti test di sincronia, perché fu convocato d’urgenza in infermeria. Aveva visto Misato poco prima, quindi non temette ci fossero problemi con lei, perciò vi si diresse senza particolari precauzioni, solo vagamente incuriosito. Quando arrivò scoprì di non essere l’unico ad essere stato convocato. Le tendine formavano una specie di paravento e delimitavano una sala d’aspetto improvvisata, dove sedevano sui lettini altri tre uomini, anch’essi con un’espressione smarrita.

 

Una visita medica a sorpresa?

 

Si sedette vicino ad uno di loro, un uomo sulla cinquantina, dai corti capelli brizzolati e ricci e dal pizzetto che sottolineava un mento volitivo.

“Mi scusi,” cominciò l’Agente franco-nipponico, con cortesia. “Sa perché siamo stati convocati qui?”

L’altro scosse il capo. “Immagino sia per una visita medica, ma di solito vengono fatte alla presa di servizio, oppure dopo un lungo periodo di assenza. Mi domando se non abbiano cambiato i protocolli della sicurezza.

Satoshi assentì. In effetti, ora che ci pensava, tutti e quattro erano Agenti della Sicurezza, però per quanto ne sapesse non dovevano sottostare a visite periodiche. Anzi, a parte la visita medica alla presa di servizio (un rapido colloquio con Ritsuko) da quando era lì non ne aveva subite altre.

“Matanori Takezo,” disse atona la voce della Dottoressa, mentre la tenda si scostava.

L’uomo a fianco di Satoshi si alzò e si diresse verso l’apertura, cedendo il passo a quello che invece ne stava uscendo. Fu con un moto di rabbia a stento trattenuta che l’Agente Iwanaka riconobbe in lui Ryoji Kaji, che ancora portava sul volto gli effetti del loro litigio del giorno precedente. Questi, vedendolo, sorrise.

“Salve, Agente, che sorpresa,” iniziò, cerimonioso, tanto da attirare l’attenzione degli altri occupanti della sala d’attesa.

“Una gran bella sorpresa, in realtà,” sibilò Satoshi, inchiodato al lettino dove era seduto. Kaji si stava massaggiando l’incavo del braccio sinistro, dove doveva essere appena stato prelevato del sangue, con del cotone. Con fare teatrale sollevò lentamente il pugno sinistro. Il franco nipponico credette per un attimo che l’altro volesse provocarlo, ma invece questi scosse la testa.

“Purtroppo il Comandante ci ha espresso chiaramente il divieto di restare troppo a lungo nella stessa stanza, almeno per ora, altrimenti rimarrei volentieri a scambiare quattro chiacchiere.

Satoshi notò un tono di velata minaccia nelle parole di Kaji, ma decise di lasciar correre. “Arrivederci, allora, Agente. Auguri per le sue brutte ferite. Spero le guariscano presto.

L’altro non rispose alla provocazione e se ne andò, salutando con una rapida occhiata gli altri due uomini, che avevano assistito alla scena in silenzio. Il biondo invece chinò gli occhi, furente. Ma decise di non dar peso a quello sgraditissimo incontro ed in breve tempo la rabbia svanì.

 Era ormai riuscito a tornare del tutto calmo quando la tenda si scostò di nuovo.

“Iwanaka Satoshi,” recitò la solita voce atona di Ritsuko. Matanori uscì dalla tenda, anche lui massaggiandosi il braccio sinistro e fece un rapido sorriso di commiato all’Agente appena chiamato, che dal canto suo si era subito alzato dal lettino.

Dietro la tenda lo aspettava la Dottoressa Akagi, che gli sorrise.

“Non ci metteremo molto,” lo tranquillizzò, indicandogli una porta in fondo all’infermeria.

Quando l’ebbero oltrepassata, Satoshi notò che dava su quello che sembrava lo studio di un dentista. Al centro c’era un lettino sormontato da alcuni strani strumenti, e di fianco una semplice sedia. All’altro capo della stanza c’era una scrivania ingombra di provette e sostegni, e le pareti restanti erano tappezzate di armadietti da cui facevano capolino file di farmaci.

“Stenditi sul lettino,” lo invitò lei con un cenno della mano. “Posso darti del tu, vero?” chiese subito, come correggendosi. Satoshi annuì e sedette. Si sentiva un po’ in soggezione in quella situazione.

Quando si fu sistemato gli fece sollevare la manica sinistra per il prelievo di sangue.

“Ci vorrà qualche minuto. Intanto dimmi. Tra una cosa e l’altra non siamo mai riusciti a parlare molto, noi due.”

 

Parlare? Non credevo che questa fosse una delle attività preferite di questa donna…

 

“No, hai ragione,” annuì lui.

“Sulla tua cartella c’era scritto che sei…” con la mano libera estrasse un dossier e lo sfogliò, mantenendo però salda la presa sulla siringa. “…un tiratore scelto, esperto in tecniche di disarmo e autodifesa, esperto nell’arma bianca’,” computò. “Hai avuto un addestramento eccezionale, noto.

 

… Ma è l’addestramento di base di ogni Agente di Sicurezza, a parte l’arma bianca.

 

Senza dargli il tempo di rispondere, la Dottoressa continuò. “Hai fatto parte dell’esercito? Prendendo parte ad operazioni di guerra?”

Satoshi scosse il capo. “Non ho fatto parte dell’esercito, ma ho seguito i corsi di specializzazione indicati nell’Accademia Internazionale per Agenti di Sicurezza Charles de Gaulle, partecipando a centoquindici azioni simulate. I dettagli dovrebbero essere specificati nel tuo dossier, Ritsuko.

Aveva parlato meccanicamente, ripetendo le stesse frasi che aveva già usato al momento della sua assunzione nella Sede Francese della Nerv.

 

A cosa serviranno queste domande?

 

Ritsuko annuì. “Sì, ho letto che hai sempre ottenuto punteggi superiori alla media nelle valutazioni, anche negli ambiti dove non ti sei specializzato.

Satoshi annuì, vago. Non era nella sua indole vantarsi dei suoi successi. Però si stupì notando un accenno di tristezza negli occhi della donna. Stava per chiederle il motivo quando cominciò ad armeggiare sulla siringa.

“Abbiamo praticamente finito. Ora stenditi, ed apri la giacca e la camicia dell’uniforme. Ti applicherò degli elettrodi, però non sentirai nulla.

L’uomo eseguì gli ordini, scoprendo il petto, su cui la donna posò tre ventose bluastre. Un sonoro -bip- annunciò l’entrata in funzione di un macchinario, ma era impossibile definirne la funzione senza avere un occhio esperto. Ritsuko scrutò per alcuni secondi uno schermo a lato del lettino, poi tornò a dedicarsi a Satoshi.

“Riguardo all’arma bianca, hai detto di essere esperto di Sankendo, giusto?”

Satoshi annuì, e si rilassò un po’. Parlare della sua attività sportiva aveva sempre quell’effetto su di lui. “Esatto, si tratta di una disciplina antica…” inziò, ma fu interrotto da un gesto comprensivo di Ritsuko.

“Grazie, ma mi sono documentata, so di cosa si tratta. Comprende anche l’uso del tanto, vero?”

“Sì, è una delle ‘Tre Spade’ che le danno il nome.

“E’ simile al coltello da combattimento occidentale, vero?”

“Beh, ci sono alcune differenze fondamentali…”

“Secondo te, sarebbe più o meno efficace di un coltello occidentale durante una missione sul campo?”

Satoshi rimase spiazzato. Era vero, il Sankendo era nato come un’arte di guerra, però ormai non era più pensato per uccidere. “Questo dovresti chiederlo ad un esperto del settore logistico. Io sono un appassionato di Sankendo, e sebbene esso sia nato come tecnica di combattimento, sarebbe un tradimento del suo spirito usare le sue armi per uccidere, oggigiorno.

“Capisco,” annuì l’altra, grave.

 

Ma dove vuole arrivare con queste domande?

 

Passò rapida le mani su una tastiera nascosta e con un altro -bip- il macchinario le rispose, poi tornò a guardarlo.

“Allora,” iniziò, e si esibì in un sorriso. “Come va tra te e Misato?”

Satoshi sobbalzò, tanto che l’oggetto cui era collegato emise tre suoni di protesta.

 

Ma… MA CHE NE SA LEI??

 

“Prego?” chiese, cominciando a sudare freddo. Ritsuko non sembrò rilevare il suo disagio perché continuò come se nulla fosse.

Siete diventati molto amici in queste settimane, e ieri hai addirittura fatto a botte con Kaji per lei, sorbendoti il rimprovero del Comandante. Mi sembra strano che non ci sia nulla fra di voi.”

L’uomo si rilassò di colpo.

 

Ah… Allora non sa di ieri sera…

 

E’ meglio non fargli capire che so di ieri sera…

 

“Beh,” rispose Satoshi, visibilmente sollevato, “è vero, siamo molto amici. Tanto che ieri sera siamo usciti per festeggiare la vittoria in un locale appena aperto… Ehm, Ritsuko, ma è normale quella spia rossa?”

Indicò una piccola luce lampeggiante su un lato del macchinario che lo sovrastava, e la donna balzò dalla sedia. Premette rapidamente alcuni tasti e sospirò sollevata.

“No, grazie di avermi avvisata.

L’uomo deglutì.

 

Ma… a che rischio sono andato incontro??

 

“Bene,” sentenziò lei alzandosi. “Abbiamo finito la visita, puoi alzarti e rivestirti.

“Ritsuko,” chiamò Satoshi mentre si chiudeva il colletto della divisa. “A cos’era dovuta questa visita?”

L’interpellata posò sul sostegno la fiala di sangue appena prelevato e gli porse un batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante. “Tieni. Si tratta di un controllo di routine. Abbiamo deciso di effettuare una visita su tutti gli agenti di sicurezza dopo ogni attacco. La modifica al protocollo vi verrà notificata nei prossimi giorni.”

Satoshi prese il batuffolo e se lo premette sull’incavo del braccio. “D’accordo,” disse quando fu pronto. “Ti saluto allora. Buon lavoro.”

Di nuovo pensò di vedere un lampo di tristezza negli occhi della Dottoressa, ma fu così rapida che la attribuì solo alla sua immaginazione.

 

 

Terminata la visita medica, Satoshi uscì pensieroso dall’infermeria e s’incammino lungo uno dei corridoi che lo avrebbe condotto presso la Sala Comando. Stava ancora rimuginando su quanto accaduto durante la visita medica, quando qualcuno, sbucato all’improvviso da un corridoio laterale, gli gettò le braccia al collo, quasi facendolo cadere. Non ebbe nemmeno modo di replicare che si ritrovò zittito da un rapido bacio sulle labbra da parte di una sorridente Misato.

“Ciao! Ti ho spaventato?”Gli chiese staccandosi con un sorriso per poi guardarsi furtivamente intorno nella speranza che nel frattempo nel corridoio fino ad allora deserto non fosse giunto nessuno.

Sorpreso, ma felice, l’uomo le sorrise con dolcezza.

“Giusto un po’.” Rispose .

“Scusami…”

“Non fa niente,” fece lui sorridendo ed abbracciandola alla vita.

Dove stavi andando?”

“Dovevo recuperare i Children. Oggi hanno dei test di sincronia da svolgere.

“Allora vengo con te,” annunciò lei, e subito gli prese il braccio, come tante volte aveva fatto Asuka con Kaji. Satoshi la guardò un po’ sorpreso.

“A cosa devo tutto questo entusiasmo?”

“Al fatto che sono felice di vederti,” rispose lei gaia, sporgendosi in un altro bacio. Lui le sorrise dolce e rispose al bacio. Quindi si avviarono lungo il corridoio fino al parcheggio.

 

 

Ritsuko prese posto dinanzi allo schermo principale portandosi alle spalle dei  tre Operatori del Magi System. Rapida rivolse uno sguardo ai quattro soggetti inquadrati, poi prese a scribacchiare su una cartella.

“Maya ?” Cominciò la scienziata

“Si, Senpai.”

“Come procede?”

“Immissione LCL completata. Nessuna anomalia rilevata.

Pensierosa, la Dottoressa Akagi guardò i tabulati che aveva in mano, registrati dalla memoria interna degli Eva, risalenti allo scontro durante il black out .

 

I tassi di sincronia di Rei e Gabriel hanno subito un lieve miglioramento verso i valori positivi, quello di Shinji si è mantenuto abbastanza costante, ma quello di Asuka ha subito un’alterazione non indifferente verso il basso rispetto ai suoi normali valori... stiamo a vedere.

 

“Molto bene. Maya, procedi. Si dia inizio al test.

Solerte, il Tenente Ibuki digitò rapidamente alcune sequenze sulla tastiera subito imitata dai suoi colleghi e sugli schermi dei computer comparvero una serie di fitti dati numerici indicanti il tasso di sincronia e dei lunghi piani cartesiani sui quali si andavano delineando l’andamento delle curve armoniche dei Piloti.

“Test in corso.” Confermò Maya.

Nessuna alterazione nei mantenimenti vitali.” Fece subito eco Makoto.

Anche qui nulla da segnalare.”Affermò Shigeru procedendo al controllo dei collegamenti  audiovisivi tra le entry plug e lo schermo principale.

Ritsuko annuì con serietà e prese a passare in rassegna le tre postazioni osservando di tanto in tanto i volti concentrati e assorti dei Children, soffermandosi in particolar modo su Asuka. Era ancora allarmata dai risultati dello scorso combattimento.

“Qual è la situazione di Asuka?” Chiese la bionda ai tre mentre si apprestava a segnare i valori che le avrebbero comunicato sulla cartella.

“Senpai…” iniziò Maya “…venga a vedere! Sia il tasso di sincronia che le curve armoniche di Asuka hanno dei livelli altissimi! Più alti dell’ultimo test!”

Rapida la Dottoressa Akagi si avvicinò alla sua Koai e si sporse ad osservare il tracciato sul monitor. Sorpresa inarcò un sopracciglio.

“Stupefacente…” 

“Guardi, anche i valori di Shinji sono molto più alti rispetto all’ultima volta. Riescono quasi a raggiungere quelli di Asuka.” Proseguì Ibuki. “Sembra quasi che…”

“…Siano in sintonia…” terminò per lei Ritsuko. Riflettè per qualche istante, poi si volse verso Shigeru. “Aoba, apri il collegamento con l’entry plug dello 02.

“Subito.” Il chitarrista premette un tasto e all’interno dell’entry plug dello 02 si aprì una finestra di collegamento con lo schermo principale.

“Asuka, mi senti?” Chiese  la Dottoressa tenendo lo sguardo sulla Children che, esattamente come i suoi colleghi, teneva gli occhi chiusi per meglio concentrarsi.

“Roger. Forte e chiaro.” Rispose senza esitazione la rossa.

“Ho delle buone notizie da darti.”

“Dice davvero, Dottoressa Akagi?” Domandò la ragazza con interesse.

“Si, il tuo tasso di sintonia e le curve armoniche, rispetto al calo durante il combattimento con l’Angelo hanno praticamente subito un’impennata.” La informò la scienziata con un lieve sorriso di congratulazioni. A quella notizia Asuka aprì gli occhi di scatto e si sporse verso il monitor, entusiasta.

“Ah, davvero?!”

 

Eppure mi sembra non ci sia nulla di diverso dal normale  in lei…

 

“Si, Asuka…” Confermò la scienziata annuendo “…però, devo anche dirti che il tuo primato è in pericolo…”

“Cheeeee?? E chi è?!” Esclamò l’altra, stupita.

“Si tratta di Shinji.”

La Second Children sbattè più volte le palpebre, spiazzata dalla notizia, quindi tornò a rilassarsi contro lo schienale dell’entry plug richiudendo gli occhi per meglio concentrarsi.

“Oh, e così avremo ‘Sua Altezza l’Invincibile Shinji’!“ Sbottò con un lieve sorriso sul volto.

 

In effetti…c’è qualcosa di strano…

 

“E dimmi, Asuka…” proseguì Ritsuko prendendo ora a scrivere qualcosa sulla sua cartella “…non temi che Shinji possa superarti?”

“Aaaah! Impossibile! Ne ha di strada da fare!” Ancora una volta sembrava essere l’Asuka di sempre, eppure il tono con cui l’aveva detto lasciava supporre, e a ragione, che non provasse il solito senso di superiorità. Se non l’avesse conosciuta bene, la Dottoressa avrebbe creduto di sentire una nota di tenerezza nella sua voce.

La scienziata aveva appena comunicato ad Aoba di chiudere il collegamento con l’entry plug dello 02, quando la voce di Maya la richiamò allarmata.

“Senpai Akagi!”

Rapida la bionda spostò la sua attenzione da Asuka alla sua Koai.

Che succede, Maya?”

Guardi, guardi anche lei! I valori di Asuka hanno subito un’ulteriore impennata!” Esclamò l’Operatrice, entusiasta.

“Fantastico!” A sua volta Ritsuko osservò i tracciati, poi riportò lo sguardo sulla Second Children. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma stava sorridendo lievemente. Con dolcezza si sarebbe potuto dire.

 

Ma allora…non sarà che anche Asuka e Shinji…

 

Senza altro proferire la osservò di nuovo, poi guardò Shinji. anche lui sembrava essere più quieto del solito. La donna sorrise appena.

 

Che stiano davvero così le cose? Beh…a quanto pare se davvero è così, tutto ciò conferma che una relazione sentimentale apporta dei benefici sui tassi di sincronia e le curve armoniche… Anche se a dire il vero non mi sarei mai immaginata dei simili sviluppi… men che meno da parte di due soggetti come Asuka e Rei… A proposito…

 

“Maya?”

“Si, Senpai.”

“I valori di Rei?”

“Hanno subito un’ascesa di ben 8 punti rispetto a quanto immagazzinato dalla memoria interna dell’Unità 00 durante il combattimento con l’Angelo.

“Molto bene.”

 

Per questo innalzamento invece la ragione è ben nota.

Beh…che dire…

L’arrivo di Gabriel ha portato non pochi cambiamenti.

Ed anche quello di Satoshi per quanto riguarda Misato. Chi l’avrebbe mai detto… mi domando se andrà di nuovo in giro con aria sognante come quando faceva all’Università.

Misato…per il bene tuo e di Satoshi, spero che quelle voci siano solo voci…

 

Ritsuko sospirò silenziosamente, quindi spostò lo sguardo dai dati di Rei a quelli di Gabriel.

“C’era da immaginarselo…” Disse. Maya si voltò incuriosita verso di lei.

Cosa, Senpai?”

“Osserva i dati del Fourth Children.”

“E’ vero. Vanno di pari passo con quelli di Rei.

“Si stanno avvicinando a Shinji. Beh…ciò è un bene.

Il Tenente Ibuki annuì seria mentre con movimenti rapidi continuava ad immagazzinare i dati raccolti.

“Così può bastare.” sentenziò la scienziata. “Espulsione LCL. Aoba, apri il contatto con le entry plug”

Solerte, Shigeru eseguì quanto richiesto e nelle entry plug dei Children si aprirono le finestre i collegamento col monitor principale.

“Ragazzi, per oggi avete terminato…” li informò la voce di Ritsuko “…potete uscire.

 

 

In seguito ai test sulle curve armoniche e i tassi di sincronia, Rei era stata trattenuta alla Nerv con la scusa di alcuni controlli medici. In realtà ciò a cui aveva dovuto sottoporsi erano ulteriori test per il Dummy System che si erano protratti sotto la supervisione diretta della Dottoressa Akagi per oltre due ore. Il Comandante Ikari non era stato presente. Quando finalmente furono terminati, Rei si rivestì e seguì Ritsuko in infermeria, per gli ultimi esami di routine sul suo stato fisico.

“Bene,” sentenziò la Dottoressa ad un certo punto. “Per oggi abbiamo davvero finito.”

La First Children sospirò di sollievo, e la donna sollevò un sopracciglio.

 

Non le era mai capitato di sospirare a quel modo…

 

“Tutto bene, Rei,” la tranquillizzò. “Puoi andare.”

“Dottoressa,” obiettò però la ragazza. “Dovevo chiederle ancora una cosa. Mi ha portato il lettore cd?”

“Ah, sì!” replicò la Dottoressa, battendosi una mano sulla fronte. “Me ne stavo per dimenticare. Eccolo.”

Estrasse dalla sua scrivania un oggetto circolare, avvolto in quelli che sembravano dei cavi neri. Il tutto nuovo di zecca, doveva averlo fatto acquistare apposta. Di fronte allo sguardo interrogativo di Rei, Ritsuko lo svolse e ne spiegò il funzionamento.

“Ecco. Qui ci sono le pile. Premendo questo tasto si apre, e quest’altro invece serve per avviare la riproduzione. Questi invece vanno inseriti nelle orecchie. Non troppo a fondo, però.

La ragazza comprese le istruzioni, perché annuì e tese le mani per ricevere il lettore. Ritsuko glielo porse con un sorriso.

“Mi raccomando, buon ascolto,” disse sorridendo. La sua espressione quasi mutò in sgomento quando Rei le sorrise di rimando.

“Sarà senza dubbio un buon ascolto, Dottoressa,” disse, prima di salutare e avviarsi all’uscita. La donna si lasciò cadere contro lo schienale della sedia.

 

E’ proprio cambiata…

 

 

 

 

Rei attese con trepidazione di tornare a casa quella sera. I test svolti nel Terminal Dogma non le erano mai sembrati tanto lunghi, ma alla fine riuscì a liberarsi e correre verso la propria abitazione. Quando arrivò erano circa le 22.00, per cui avrebbe potuto ascoltare almeno due ore di ‘Una Giornata di Rei’. Si sedette sul letto ed prese il lettore ricevuto da Ritsuko. Cercò brevemente di comprenderne il funzionamento, poi estrasse dal cassetto in cui li aveva riposti i cd che le aveva regalato Gabriel. Nel cassetto inferiore dello stesso comodino giacevano gli occhiali di Gendo, che da lungo tempo ormai non considerava più. Aprì la prima custodia e ne prese il cd, intitolato ‘Prima ora – storia’, per inserirlo nell’apparecchio. Con un sospiro, si sdraiò, inserì gli auricolari nelle orecchie e premette il tasto ‘play’.

La musica al pianoforte di Gabriel si dipanò con una melodia di cui quella che aveva suonato lei alla viola non era altro che un'ombra.

 

Gabriel…

Vedo il cielo azzurro fuori dalla finestra, ti sento accanto a me, sei qui, realmente…

Gli accordi, le note, le pause, i sincopati si fondono…

Mi mostrano com’è il volo degli uccelli che vedo attraverso il vetro, il rumore delle nuvole che scivolano nell’aria.

Addirittura il fruscio delle penne sui fogli, le risate che talvolta si alzano dalla classe quando il professore fa una battuta, tu che ticchetti veloce sulla tua tastiera…

Tu che mi guardi, non visto, che mi ami senza ancora che io lo sappia…

Io che ti amo senza ancora saperlo…

Tu che sorridi ed immagini come comporre il mio regalo…

Tu ed io, Gabriel… Uniti da una forza più potente del destino.

Più potente del mio destino.

 

La musica dolcissima fece scivolare Rei in un altrettanto dolce sonno, popolato da sogni stupendi.

Su quelle note lei danzava nel parco della scuola, una danza pacata, serena, insieme a Gabriel. Si sentiva quasi portare in alto da un crescendo, o planare dolcemente a terra con una placida sequenza di accordi.

Sognava di baciare Gabriel, e lei era una ragazza normale. Non erano Children. Non c’erano gli Angeli, né gli Eva, né l’entry plug, né il Terminal Dogma.

Lo amava sulle note della sua stessa musica.

Quando si svegliò si rese conto con disappunto che erano passate quasi due ore, e che il disco era ormai finito, e non c’era il tempo per sentirne un altro. Era in preda ad una grande felicità, che la faceva desiderare, bramare, invocare la compagnia di Gabriel. Per lei era un sentimento del tutto nuovo, che non si credeva capace di provare, per cui decise di rispondervi facendo ciò che il suo istinto inesperto le suggeriva.

Si alzò e prese il cellulare, digitando rapidamente il numero di quello del Fourth Children.

“Pronto…?” rispose la voce, impastata dal sonno, di quest’ultimo. Subito lei capì di aver sbagliato a chiamarlo a quell’ora.

“Scusami, Gabriel. Sono Rei, ma non avrei dovuto chiamarti a quest’ora, ti ho svegliato.

“Rei? Cosa succede?” La voce si era fatta all’improvviso attenta. La ragazza si immaginò che fosse balzato a sedere, pronto a correre da lei come la sera prima.

“Niente, stai tranquillo. E’ solo che… Volevo ringraziarti.

“Ringraziarmi?”

“Per il tuo regalo. Mi sono fatta prestare un lettore cd dalla Dottoressa Akagi oggi, dopo il test di sincronia. Così appena sono arrivata a casa ho cominciato ad ascoltare la tua opera. Però… ero stanca, così mi sono addormentata durante il primo cd, e mi sono svegliata solo ora.

“Non importa,” disse lui, lasciando correre il tono di scuse della ragazza. “Ti piace?”

“Da morire. Mentre la ascoltavo ti ho sognato, Gabriel. Sognavo che ti amavo.”

Dall’altra parte del telefono ci fu silenzio. Rei immaginò che il ragazzo fosse arrossito, ed un tenero sorriso le apparve sulle labbra.

“Io sogno di amarti ogni volta che chiudo gli occhi,” riprese Gabriel, dolce. “Ed ogni volta che ti vedo, il sogno diventa realtà.

La First Children sorrise maggiormente e chiuse gli occhi. Le tornarono le scene appena viste in sogno e la prese una grande spossatezza. “Allora torniamo a sognare, Gabriel,” disse infine, “in modo che i nostri sogni domani diventino realtà.”

“D’accordo,” fu la risposta, e dal tono si intuì che il ragazzo stava sorridendo a sua volta. “Buona notte. Ti amo, Rei.”

Anch’io ti amo, Gabriel. Buona notte.”

La ragazza spense il cellulare e lo appoggiò sul comodino, insieme ai cd ed al lettore. Con un sospiro, si alzò e si cambiò, indossando la lunga camicia che usava come pigiama, e si accoccolò fra le coltri, accogliendo il sonno con un sorriso e la speranza che il sogno di prima continuasse all’infinito.

 

 

 

 

La mattina di mercoledì non segnalò particolari novità in quella che era diventata una routine. Il nuovo carattere di Asuka era stato accolto senza sollevare obiezioni, così come il rapporto affettuoso che si era instaurato tra Rei e Gabriel, dato che Toji, dopo la sfuriata solo apparentemente rabbiosa della Second Children, aveva smesso di fare battutine su di loro. Questo almeno tra la maggior parte degli alunni della II-A. Tre ragazze invece, non sopportavano quel rapporto. Tutte e tre avevano visto Gabriel, fin dal primo momento in cui era arrivato, come una particolarità straordinaria, una specie di fenomeno, per cui avevano cercato di trarlo accanto a sé, per potersi vantare di essere ‘amiche di quello nuovo, il francese, quello laureato al Conservatorio, quello molto carino’.

Ovviamente avevano fatto lo stesso anche con Asuka, ma presto se n’erano tenute distanti a causa del suo carattere tremendo. Ma ora che lei era cambiata non erano più interessate, dato che già da tempo si era inserita, a modo suo, nella classe. Loro volevano qualcuno di nuovo, che non sapesse bene come andassero le cose, da poter plasmare a piacimento come proprio amico.

Questo fu uno dei motivi per cui il fidanzamento con Rei Ayanami fu loro tanto inviso. Inoltre, Keiko Omura aveva cominciato a provare una decisa cotta nei confronti del francese, per cui le altre due avevano passato l’intero pomeriggio di lunedì, chiuse nei rifugi di emergenza, a consolarla. Non che Motoko e Yuki fossero meno cotte rispetto alla loro amica, ma per un tacito accordo avevano deciso di unire le forze, per il momento, e tenere a freno tutto ciò che avrebbe potuto porsi fra loro ed il loro obiettivo.

Dalla crisi di quella mattina però erano sorte più decise che mai a farla pagare alla coppia, ma specialmente alla First Children.

Mancava circa mezz’ora al suono della campana che avrebbe dato inizio all’intervallo ed alla loro operazione, quando cominciarono a scambiarsi mail per definire gli ultimi punti del piano.

 

From: Yuki Takashima                    To: Keiko Omura, Motoko Yoshikawa

Object: Pronte al via

 

 

Allora, ragazze, siete pronte? Specialmente tu, Motoko, te la senti? La tua è la parte più complicata del piano…

 

From: Motoko Yoshikawa                To: Keiko Omura, Yuki Takashima

Object: Re: Pronte al via

 

 

Tranquille. E’ tutto sotto controllo. Mi raccomando, però, dovrete tenere lontani i loro amici. Non importa come.

 

From: Keiko Omura              To: Yuki Takashima, Motoko Yoshikawa

Object: Re: Pronte al via

 

 

Puoi contarci, Motochan. Faremo di tutto per separare Gabriel da Ayapalla.

 

Le tre ragazze, sedute vicine, nella parte anteriore della classe, ridacchiarono, attirando l’attenzione indesiderata del professore di biologia.

“Signorine, il ciclo della clorofilla vi sembra così divertente?” chiese, arcigno.

“No, professore,” rispose Motoko, sicura di sé. “E’ solo che parlandone ci è venuto in mente lo stesso cartone animato che guardavamo quando eravamo bambine. Parlava proprio di queste cose, sa?”

Il professore sembrò non credere alla menzogna della ragazza, ma poi lasciò correre. “Ora state seguendo una lezione, non un cartone animato. Vi pregherei di prestare attenzione a me, invece che ai vostri ricordi infantili.

Le tre ragazze annuirono, all’apparenza contrite, ma dentro di loro esultavano. Non passò molto prima che il computer di Motoko emettesse un nuovo -bip-.

 

From: Yuki Takashima                    To:Motoko Yoshikawa

Object: Sei la migliore

 

 

Hai avuto una faccia tosta invidiabile, Motochan, sei veramente la migliore! Non ho dubbi che otterrai la vittoria anche contro Ayapalla.

 

Questa volta la ragazza si guardò bene dal ridere.

 

Mancano pochi minuti alla campana, sono elettrizzata! In bocca al lupo, Motoko!

 

Rapidamente augurò buona fortuna alle altre due congiurate ed attese il momento propizio per entrare in azione. Non appena suonò la campana si alzarono simultaneamente. Yuki si diresse verso Asuka e Shinji, mentre Keiko andò rapidamente verso Toji e Kensuke.

“Ciao, Soryu,” fece la ragazza con i capelli lunghi fino al collo, cercando di apparire simpatica. L’interpellata la guardò interrogativa, ma poi sorrise. “Ciao, Takashima. Non pranzi con le tue amiche oggi?”

Asuka cercò con lo sguardo le altre due, ma Yuki, compreso il pericolo che tale manovra avrebbe comportato, si affrettò ad intervenire. Notò appena che Gabriel aveva rivolto verso di loro uno sguardo interrogativo. “Ci raggiungeranno più tardi. Nel frattempo, vi dispiace se vengo con voi?”

La Second ed il Third Children si guardarono, interdetti. L’altra aggiunse: “Ci terrei a sapere come avete sconfitto quel mostro che ha attaccato la città, l’altro ieri…”

Non che gliene importasse granché in verità, però cercò di atteggiarsi in modo da esprimere curiosità. Asuka la squadrò, sospettosa, ma alla fine decise di accettare la sua proposta. “Ma sì, perché no. E poi è un’occasione di ampliare le tue conoscenze, Shinji, vero?” Con una mano arruffò i capelli del ragazzo, che protestò debolmente ma sorridendo. Yuki invece prestò scarsa attenzione a quello scambio di battute, intenta com’era a capire come stesse andando il piano.

Keiko era appena passata di fianco a Gabriel, che stava prendendo per mano Rei. Arrossì di un sentimento misto tra la rabbia, l’imbarazzo e la gelosia, ma si disse che doveva a tutti i costi concentrarsi sugli altri due ragazzi.

Toji e Kensuke si erano appena alzati e stavano già per interloquire con l’obiettivo primario della loro missione: doveva intervenire. Ricorse alla scusa più vecchia del mondo.

“Ahi!” esclamò, lasciandosi cadere a terra tra i due ragazzi seduti più indietro e Gabriel.

“Ehi, ti sei fatta male?” chiese Kensuke, premuroso.

“No, grazie,” disse lei con un sorriso, evitando attentamente di guardarsi alle spalle. “Sono solo inciampata. Grazie di avermi aiutata.”

Deglutendo per la tensione si aggrappò alla mano tesa del ragazzo, issandosi in piedi. Era piuttosto bassa per la sua età, e doveva guardare verso l’alto per incontrare gli occhi coperti dalle lenti di Kensuke.

“Ahi!” si piegò, saltellando su un piede solo. “Forse mi sono presa una storta!”

“Non preoccuparti, ti porto in infermeria,” propose il ragazzo, circondandole la vita con un braccio e portando quello di lei attorno alle proprie spalle, in modo da sostenerla. Poi si rivolse agli altri. “Ci vediamo più tardi, porto Omura in infermeria.

Gli occhi di lei saettarono. Non poteva farne allontanare solo uno, doveva portarli via entrambi. Decise di rischiare. Si divincolò dalla stretta di Kensuke, simulando dei gemiti di dolore. “Scusami,” si finse imbarazzata. D’altronde, il suo rossore era genuino, sebbene dovuto alla vicinanza con Gabriel invece che al contatto con il ragazzo dagli occhiali. “Ma preferisco camminare così. Ahi!”

“Sì, ma non posso portarti in infermeria in questo stato… Toji, dammi una mano!”

Nessuno notò il sorriso di trionfo sulle labbra di Keiko, mentre il ragazzo in tuta protestava. “Non sono mica un infermiere, io! Dai, andrete piano, però ce la farete.”

“AHI!!” La ragazza accentuò la sua finzione, finendo quasi per cadere seduta sul banco di Gabriel. A quel punto, e dopo uno sguardo di rimprovero da parte di Kensuke, Suzuhara dovette cedere. “Va bene, vi aiuto. Ecco, Omura, ti prendiamo ciascuno per un braccio, così non devi starci troppo appiccicata. Va meglio?”

“Sì… un po’…” esalò lei. Si chiese se non stesse esagerando con l’espressione da moribonda, tuttavia la sua recita stava avendo l’effetto sperato.

“Ci vediamo più tardi, ragazzi!” dissero in coro Toji e Kensuke, mentre si allontanavano con la ragazza. Quando Keiko sentì le voci di Rei e Gabriel rispondere al saluto, seppe che la sua missione era compiuta. Incrociando Motoko, che si stava avvicinando, si arrischiò a sorridere in segno di trionfo e di augurio: ora toccava a lei.

“Allora, noi andiamo…” stava iniziando a dire Gabriel rivolto a Rei, sorridendole teneramente, quando l’ideatrice di quel piano si intromise.

“Ciao,” salutò, spudoratamente, sorridendo ad entrambi, ma soprattutto al ragazzo.

“Ehm… Ciao,” rispose lui, dopo un attimo di smarrimento. “La tua amica è inciampata,” aggiunse, indicando la porta. “Toji e Kensuke la stanno portando in infermeria.

“Sì, ho visto, ma non sarà stato nulla di male,” minimizzò Motoko. “Ti va di venire a pranzo con noi? Sono sicura che Keiko si rimetterà in piedi in men che non si dica.”

La proposta congelò i due ragazzi, che guardarono l’importuna come se venisse da un altro pianeta. Per lunghi attimi nessuno parlò, e Motoko temette che il suo piano fosse destinato a fallire.

“Ehm…” disse infine Gabriel, poco convinto.

 

Ed ora come me la cavo? Ovviamente la risposta è no, che non mi va di andare con loro invece che stare con Rei, però così, faccia a faccia, potrebbe rimanerci male…E non ci sono neppure Asuka, Shinji, Toji o Kensuke a cavarmi d’impiccio.

 

“Io…”

“Mi dispiace, ma io e Gabriel abbiamo già un appuntamento.”

Sia il francese che Motoko guardarono straniti in direzione di Rei, da cui era giunta quella provvidenziale affermazione.

La ragazza stava squadrando l’impicciona apparentemente con la freddezza che l’aveva caratterizzata così a lungo, ma nei suoi occhi brillava una luce diversa.

 

Rei?? Ma io stavo appunto per invitarti! In realtà non abbiamo ancora nessun appuntamento!

 

“Abbiamo un appuntamento,” ripeté, atona. “Per cui non può venire a pranzare con voi. Vero Gabriel?”

Fu allora che lui comprese che nello sguardo della First Children la luce che brillava era di gelosia. E capì anche che… stava bluffando. Senza pensare ulteriormente, le resse il gioco.

“Sì… Sì, è vero. Mi dispiace, Yoshikawa, ma non posso venire a pranzare con voi.

Motoko stava ancora guardando Rei attonita, per cui realizzò che Gabriel aveva rifiutato il suo invito con qualche attimo di ritardo.

“Beh… Sì. E’ vero. Allora, beh… Sarà per un’altra volta.”

Sorrise, freddamente. Non si curò affatto di nascondere l’ostilità nei confronti della sua rivale.

“Forse Omura vorrà avere le sue amiche vicine,” disse Gabriel, più che deciso a cambiare argomento ed a dissipare l’atmosfera tesa che si era creata. Motoko annuì distrattamente, e salutò con garbo.

Comunque Gabriel ed io stiamo insieme,” annunciò Rei, mentre l’altra si stava già voltando per andarsene via. “Ufficialmente,” precisò.

Sia il Fourth Children che Motoko arrossirono vistosamente. Apparentemente la First Children non si era accorta del peso che quell’affermazione aveva avuto, perché continuò a fissare l’altra ragazza negli occhi.

“Ah…” bofonchiò quest’ultima, quando si fu ripresa dall’affermazione. “Beh… congratulazioni.” Fece un altro rapido saluto e se ne andò, quasi correndo fra i banchi. Gabriel guardò Rei a bocca aperta. Anche se era evidente, non avevano mai espresso a chiare lettere il fatto che erano fidanzati, e non si sarebbe mai aspettato di sentirglielo dire in quel modo.

All’improvviso, lui le schioccò un bacio sulla tempia, facendola sobbalzare. Stavolta fu il turno di Rei di arrossire. Entrambi si sorrisero a vicenda, lui tenero e lei sorpresa.

“Non mi aspettavo che ne volessi parlarne in quei termini,” disse dolce, abbracciandola alla vita. “Come mai hai deciso di dirlo così all’improvviso?”

Lei rifletté qualche secondo prima di rispondere. “Ho sentito come un impulso interno. Non saprei definirlo altrimenti. Quando quella ragazza si è avvicinata per invitarti a pranzo il mio cuore ha accelerato i suoi battiti. Credo di aver provato rabbia. E credo anche che non sia stato del tutto un caso che ci siamo ritrovati soli in questo frangente.

Gabriel sollevò le sopracciglia. Non ci aveva fatto caso, ma ora che ci pensava i suoi amici si erano allontanati tutti insieme alle due ragazze che frequentavano Motoko. Che non fosse stato semplicemente frutto della casualità?

Comunque sia, ho provato una forte ostilità nei confronti di Yoshikawa. Ed ho ritenuto opportuno informarla del nostro stato prima che alimentasse inutili speranze.”

Ma al di sotto di quelle parole fredde Rei cercava di dominarsi.

 

Mi ha fatto arrabbiare! Non credevo fosse possibile, ma è successo.

Mi sono arrabbiata. E non ne capisco nemmeno il motivo. Semplicemente, il suo modo di fare, l’espediente meschino che hanno escogitato per portarsi via Gabriel mi hanno dato i nervi!

Spero che lui non se ne accorga: non voglio dargli preoccupazioni. In fondo, il pericolo è scongiurato. E sapendo che siamo ufficialmente insieme si guarderà bene dal ritentare.

Che rabbia!

Forse è questo quello che si intende per gelosia?

Può darsi, però… Non voglio più provarla, non con Gabriel al mio fianco…

Perché so che, se veramente è gelosia, è un sentimento immotivato.

 

Gabriel portò una mano a carezzarle una guancia, distogliendola così dai suoi pensieri. “Hai detto la cosa giusta al momento giusto,” disse, sorridendole. “Mi hai salvato.”

Lei sorrise a sua volta, sensibilmente più calma. “Credo di essere stata gelosa, sai?”

Dato che non c’era più nessuno nell’aula, il Fourth Children si chinò su di lei e la baciò sulle labbra. Non era un bacio rapido, ma nemmeno uno profondo, da adulti. Era un bacio carico di tutto il suo amore per lei.

“Non hai ragione per essere gelosa,” disse lui, quando si separarono. “Io non desidero stare con nessuno che non sia tu.”

“Lo so,” fu la risposta.

Entrambi sorrisero e si abbracciarono, per poi uscire e andare a consumare in pace il bento nel loro ‘luogo segreto’.

 

 

 

 

 

 

 

Le porte dell’ufficio del Comandante si aprirono davanti alla Dottoressa Akagi, come era successo la mattina precedente quando era stata convocata presso di lui. Con sé la donna reggeva un semplice fascicolo dalla copertina nera. L’interno della stanza, di solito molto buia, era screziato dai colori del tramonto che filtravano dalla città soprastante. Alla scrivania, unico arredo visibile, Gendo la stava aspettando con le dita intrecciate. Il Vice Comandante non c’era.

“Ha i dati che le ho chiesto?” domandò il Comandante, senza preamboli. Il passaggio all’uso dellei’ indicava che la situazione era particolarmente seria. Ritsuko annuì e accennò all’oggetto che reggeva in mano. Si diresse verso la scrivania.

“Come da lei ordinato ho provveduto a visitare tutti gli Agenti della Sicurezza presenti alla base, signore. Li ho sottoposti a tutti i test standard, compreso quello per lo stress inatteso.

Gendo parve rilassarsi, dato che abbassò le mani fino a scoprire le labbra, che però non si aprirono in un sorriso. “Il cosiddetto test della ‘luce rossa’. E’ sicura che sia affidabile?”

Lei invece ridacchiò. “E’ affidabile nelle mani di chi sa usarlo. Per tutti gli altri è una semplice spia rossa che si accende in modo casuale.”

Il Comandante lasciò correre. “Mi risparmi i dettagli tecnici. Venga al punto.”

Fu con una vena di amarezza nello sguardo che posò sulla scrivania il fascicolo che fino ad allora sembrava voler custodire gelosamente. Gendo lo prese e lo sfogliò, inespressivo.

“Sembra che abbia tutte le competenze necessarie,” disse, concludendo la sua analisi e posando il dossier sulla scrivania.

“Sì. Sono giunta a questa conclusione sia per i risultati dei test che per i prerequisiti di background.

Il Comandante annuì e si alzò. Per la prima volta sorrise, ma era un sorriso privo di gioia. Era aggressivo. “I nostri amici avranno una bella sorpresa.

Ritsuko distolse lo sguardo dai suoi occhi e lo posò sul dossier. Sulla copertina campeggiava un nome, in lettere bianche. ‘Iwanaka Satoshi’.

“Sì,” replicò lei, tornata fredda quanto il suo interlocutore. “Abbiamo trovato il nostro uomo.”

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

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Capitolo 14
*** Sentimenti e Missione (Parte I) ***


CAPITOLO 13

CAPITOLO 13

 

Sentimenti e Missione (Parte  I) [1]

 

(Nota: Ricordiamo che il Sankendo è una disciplina completamente inventata dagli autori, pertanto non è assolutamente sicuro tentare di imitare i personaggi di questa fanfiction, né con bastoni né, tantomeno, con armi vere. Potrebbe risultare molto pericoloso e lo sconsigliamo. Non ci assumiamo la responsabilità per eventuali condotte irresponsabili messe in atto nonostante questo avviso.)

 

 

(Attenzione: in questo capitolo verranno riprese molto fedelmente delle scene tratte da alcuni episodi di Evangelion, con gli scopi già anticipati nella prefazione.)

 

 

 

Nei giorni seguenti all’inaugurazione, Misato e Satoshi si recarono molto spesso allo Scarlet Dawn, la sera, dopo aver preparato la cena ai ragazzi. Talvolta ci andavano con Shigeru, Maya e Makoto, anche se quest’ultimo sembrava trovarsi a disagio in quel locale; oppure la causa di tale disagio erano proprio Misato e Satoshi, sebbene loro non ne sapessero nulla. Una volta era andata con loro anche Ritsuko, che aveva dovuto badare quasi tutto il tempo ad una eccitatissima Maya, mentre gli altri due operatori avevano il turno di notte. Ma per i due giovani, ormai ufficialmente fidanzati, era relativamente importante sapere di volta in volta con chi uscivano.

Dopo l’euforia dei primi giorni era subentrata una felicità più pacata, che permetteva a Misato e Satoshi di stare bene insieme anche senza doverlo esprimere con gesti eclatanti: spesso capitava che si prendessero semplicemente per mano, o che si concedessero un abbraccio e un bacio a fior di labbra.

Anche al di là delle uscite serali, l’Agente franco nipponico si dimostrava pieno di premure nei confronti della fidanzata: a volte le portava da bere in ufficio, durante la pausa, in cui era concesso bere una ‘quantità limitata’ di alcolici, oppure le svuotava il cestino della spazzatura, guadagnandosi a tratti l’invidia o l’antipatia dei suoi colleghi maschi. Specialmente di uno, che però evitò di farsi vedere, in accordo con il decreto del Comandante Ikari.

Misato si era anche interessata al Sankendo, finendo per imparare anche alcuni termini tecnici. Fu per questo motivo che un giorno decise di accompagnare Satoshi agli allenamenti. L’uomo si era detto d’accordo con un moto di entusiasmo, e l’aveva accompagnata in moto, che era un po’ scomoda a causa del borsone e della scatola delle armi.

Il Dojo Karayama non era molto distante dallo Scarlet Dawn. Era un edificio a due piani, di cui il più basso era occupato interamente dalla palestra e dai locali annessi. Vi si accedeva tramite un piccolo atrio in cui un commesso accoglieva i visitatori.

“Salve, Iwanaka-san!” esordì l’anziano in kimono tradizionale dietro il bancone, un uomo calvo dal volto simpatico. Dagli sguardi che aveva dato a Misato, si capiva che il saluto cordiale era rivolto anche a lei.

“Buongiorno, Oyama-san,” rispose Satoshi, sorridendo a sua volta. Essendo già conosciuto a livello internazionale per via di suo padre e della sua propria fama, era riuscito rapidamente a sviluppare un rapporto cameratesco con gli altri addetti del dojo, salvo che con il Sensei, che raramente era in Giappone. Per lui provava ciò che ogni Sankendoka avrebbe dovuto provare per un maestro, anche se lo eguagliava per abilità: reverenza e rispetto. D’altronde, il Sensei Karayama, per le poche volte che lo aveva visto, era un uomo onesto e saggio, più maturo della sua età relativamente giovane.

“E’ fortunato,” riprese Oyama. “Karayama-sensei è tornato proprio ieri. Aveva proprio espresso il desiderio di parlare con lei.”

Satoshi si sentì sorpreso e lusingato. Annuì al commesso e sorrise. “Grazie dell’informazione, vado subito a prepararmi negli spogliatoi. Intanto accompagni il Capitano Katsuragi sulle gradinate, è una mia ospite.” Poi si volse verso la donna e strizzò un occhio. “Ci vediamo più tardi, tesoro.”

Misato rispose con un rapido bacio al saluto e rimase a guardarlo entrare nella porta laterale che dava sugli spogliatoi, prima di farsi accompagnare nella palestra.

Il locale era ampio e ben illuminato da ampie finestre e da alcune potenti luci al neon, ed era piuttosto affollato. Alla base delle alte gradinate, attorno al tatami quadrato centrale, vi erano ragazzi molto giovani, più o meno dell’età di Shinji, tutti vestiti con un kimono argentato, che dialogavano tra loro o con i rispettivi genitori. Sembravano piuttosto agitati, come se aspettassero che accadesse qualcosa di importante.

Oyama accompagnò Misato su per una stretta scalinata, facendola accomodare in terza fila, da cui si poteva avere una buona visuale dell’intera area di allenamento, e dopo averla salutata con cortesia tornò nell’atrio. Intanto, alcuni adulti uscivano, mentre altri si accomodavano attorno a lei, sulle gradinate, sicché nella parte centrale della palestra rimasero una decina di ragazzi giovani e quattro o cinque più grandi, che portavano alla cintura tre bastoni dalla lunghezza variabile. La donna dovette attendere ben poco per vedere il suo fidanzato entrare da una porta che dava sugli spogliatoi. Quasi non lo riconobbe, ma quando capì che era lui il cuore le sobbalzò nel petto. Il kimono che indossava, nero e attraversato da quelle che sembravano le spire dorate di un serpente, era stretto in vita da una fascia pure nera, e lasciava vedere parte dei pettorali. Nella fascia erano inseriti una katana sul fianco sinistro, una spada corta del tipo detto wakizashi ed un pugnale del tipo detto tanto sul fianco destro. Le gettò un rapido sorriso e fece un cenno di saluto con la mano quando la vide, e si voltò per guardare la porta da cui era entrato: così facendo, Misato si rese conto che le spire che decoravano il suo kimono appartenevano in realtà ad un maestoso drago, la cui testa campeggiava al centro della schiena dell’uomo.

Nell’intera palestra scese all’improvviso un silenzio solenne quando un altro uomo uscì dagli spogliatoi: il suo kimono era argentato come quello dei ragazzi che lo stavano guardando adoranti, però era bordato di rosso fuoco. Anch’egli alla vita portava le tre lame che davano il nome alla disciplina. Il volto, che dimostrava una quarantina d’anni al massimo, era contornato da una folta chioma di capelli neri e da un lungo pizzetto altrettanto nero. I suoi tratti netti erano addolciti da un sorriso saggio, che ispirava reverenza.

“Sono felice di essere finalmente tornato dai miei allievi,” disse. La sua voce era ferma, ispirava l’idea di una roccia in mezzo alle onde.

“Karayama-sensei,” salutò uno degli studenti più grandi, inchinandosi. “E’ un onore per noi rincontrarla.”

L’uomo, che non aveva cambiato espressione, accennò un minimo inchino in risposta al saluto dell’allievo, prima di continuare a parlare. Si rivolse ai ragazzi più giovani, che lo guardavano letteralmente estasiati. “Per la maggior parte di voi queste sono le prime lezioni con me, vero?”

Molte teste annuirono, e Karayama mosse il capo soddisfatto. “Allora vi darò subito uno spettacolo che difficilmente potrete dimenticare. Satoshi!”

Il richiamo risuonò imperioso nella sala. L’interpellato si fece avanti senza esitare, in un ‘attenti’ perfetto. Il Sensei si voltò verso di lui e gli indicò il tatami al centro della palestra. “Mettiti in posizione. Duelleremo.”

Dall’espressione del giovane si capì che non riusciva a credere alle sue orecchie, ma si affrettò ad obbedire.

“Già sapete tutti le nozioni fondamentali del Sankendo, vero?” chiese Karayama, di nuovo rivolto agli studenti più giovani. Questi annuirono di nuovo, incapaci di fiatare. “Bene,” riprese, “oggi assisterete ad una dimostrazione pratica, con armi vere, di un incontro. Per motivi di tempo io e Iwanaka-san ci affronteremo una sola volta, al contrario delle tre previste dal regolamento. Come sapete, ogni ferita è un fallo e lo scontro termina quando l’avversario è disarmato o impossibilitato a reagire. Voi principianti invece avete a disposizione quelle spade di legno. Per quanto riguarderà voi, i falli verranno giudicati in base alle zone che colpirete. Ricordate: collo, polsi, cuore, inguine e testa sono severamente vietate perché, se si trattasse di una spada vera, potrebbe provocare gravi ferite se non la morte stessa dell'individuo.”

Dopo questa rapida spiegazione, l’uomo salì agilmente sul tatami e si posizionò davanti a Satoshi. Fecero un inchino reciproco poi rimasero fermi a guardarsi per alcuni secondi. Misato si sporse trepidante sul sedile, per non perdersi nemmeno un momento dell’incontro.

Le espressioni dei due uomini non tradivano nessuna emozione, se non una concentrazione profonda. Poi estrassero contemporaneamente katana e wakizashi, mettendosi in posizione di guardia. Iniziarono a camminare lentamente in tondo in senso antiorario, studiandosi, i nervi tesi volti a captare ogni minimo errore da parte dell’altro, ciascuno con le braccia arcuate con i gomiti verso l’esterno e le punte delle armi rivolte verso l’avversario.

All’improvviso, Satoshi scattò in avanti, abbassandosi e tenendo la lama corta parallela al proprio busto mentre con quella lunga cercava di colpire l’impugnatura della wakizashi avversaria. Karayama scattò a sua volta, intercettò la katana con la guardia della sua spada corta e tentò un movimento complesso per disarmare il giovane. Nel contempo, abbassò la katana in un potente fendente alla spalla dell’Agente della Nerv.

Misato trattenne il fiato: faceva fatica a vedere i movimenti delle lame, ma capì che se Satoshi non si fosse difeso avrebbe potuto essere ferito gravemente.

All’istante la wakizashi del giovane si sollevò sopra la testa, intercettando la lama avversaria. Non aveva avuto altra scelta, e Karayama lo sapeva benissimo. Quel potente fendente aveva esattamente lo scopo di scoprire la guardia del giovane che, così immobilizzato, era in sua completa balia. Con una secca torsione del polso sinistro, il Sensei costrinse Satoshi a lasciare la presa sulla sua katana. Questi respinse la spada avversaria impugnando la propria wakizashi con due mani e saltò all’indietro, disimpegnandosi. Il tonfo attutito dell’arma che cadeva segnò la fine di quel primo assalto, durato meno di dieci secondi. Misato ricominciò a respirare. Sentiva il cuore batterle forsennatamente nel petto.

Apparentemente calmo, l’Agente si passò la spada corta nella mano destra e con la sinistra estrasse il tanto. Karayama si era rimesso nella solita posizione di guardia. Il suo avversario rimase immobile alcuni secondi, poi allungò il braccio destro, puntando l’arma verso il Sensei, e strinse al petto il sinistro. Era in una netta posizione di svantaggio, e doveva sfruttare al meglio tutte le sue risorse.

Questa volta fu il più anziano dei due a caricare. Con la katana tentava un colpo alla wakizashi avversaria, mentre la propria spada corta tentava un insidioso affondo per impegnare il tanto. Per un brevissimo attimo, Satoshi sorrise: si aspettava quella mossa. Rapidissimo ritirò la wakizashi e si abbassò, colpendo con entrambe le sue armi la spada corta di Karayama. Questi esitò per un momento che gli fu fatale, e il giovane gli torse via dalla sinistra la spada corta. In quel momento fu chiaro che il combattimento stava per terminare. Satoshi aveva solo piegato le gambe, per cui anche se il Sensei fosse arretrato lui avrebbe potuto scattare in avanti ed incalzarlo. D’altronde, in quella posizione il giovane non avrebbe mai potuto evitare o parare un colpo della katana avversaria, ora quasi sopra la sua testa.

L’Agente curvò le braccia, puntando le sue armi alla gola di Karayama e fermandosi a circa dieci centimetri dalla sua pelle. Contemporaneamente quest’ultimo estrasse il tanto e lo puntò allo stomaco dell’avversario, fermandolo alla stessa distanza. Rimasero immobili così per alcuni istanti, mentre nella sala tutti trattenevano il fiato. Misato stava per esultare, perché dalla sua posizione sembrava che il suo fidanzato avesse vinto il duello, ma poi i due si allontanarono e tutti poterono vedere il tanto che Karayama reggeva in mano. In quel momento gli studenti capirono che il duello si era concluso con un pareggio e scoppiarono in un roboante applauso, domato a fatica da Karayama che, recuperata la wakizashi, si era appena inchinato davanti al suo avversario. Satoshi aveva fatto lo stesso con lui, prima di rinfoderare le armi. Ebbe anche il tempo di rivolgere un sorriso al Capitano prima di scendere e stringere le mani agli studenti in estasi.

Il resto della lezione proseguì attraverso duelli di allenamento con le spade di legno da parte dei ragazzi più giovani, con Karayama che interveniva di volta in volta a correggere una posizione o una presa. Alla fine dell’allenamento, i ragazzi erano stremati, ma felici. Satoshi, che aveva aiutato il Sensei nel suo lavoro, fece un cenno a Misato, invitandola a scendere da lui, e questa non esitò. Avrebbe voluto abbracciare il suo fidanzato, ancora scossa per il pericolo scampato durante il duello, ma capì che doveva trattenersi, dato che lui stava dando istruzioni ad alcuni ragazzi sul saluto da fare agli avversari dopo il combattimento.

Dopo il termine degli allenamenti, il Sensei invitò tutti a depositare le armi d’allenamento nelle apposite rastrelliere, prima di dare l’appuntamento alla settimana successiva.

“Allora,” disse Satoshi con un sorriso quando fu libero di abbracciare con tenerezza il Capitano, “come ti è sembrato?”

“Straordinario!” esclamò la donna, entusiasta. Ed era vero: il duello era stato una delle cose più emozionanti di cui avesse memoria. “Le vostre spade quasi non si vedevano, erano velocissime, è stato tutto così…”

“Straordinario, come ha già detto, signorina,” si intromise Karayama, avvicinandosi con un sorriso placido. Satoshi scattò sull’attenti, sorpreso ed un po’ imbarazzato, ma l’altro gli fece cenno di rilassarsi. “Perdonate la mia intrusione, ma il suo grido, signorina, è echeggiato per tutta la sala…”

Misato abbozzò delle scuse, ma non riuscì a spiccicare una frase di senso compiuto. Il Sensei però scosse la testa. “Non occorre che si scusi; quando si manifesta, l’entusiasmo per il Sankendo va incoraggiato.”

A quelle parole i due si rilassarono un po’. Intanto la palestra si era svuotata, e rimanevano solo loro con Karayama. Questi sorrise di nuovo e si rivolse direttamente al Capitano. “Deduco che lei è la fidanzata di Iwanaka-san, sbaglio?”

Misato annuì subito. Quella figura ispirava fiducia in ogni suo movimento. “Mi chiamo Misato Katsuragi, molto piacere di conoscerla.”

“Katsuragi… Ho già sentito questo nome da qualche parte…”

Satoshi fece un cenno affermativo col capo. “E’ l’Ufficiale Tattico della Nerv. Nonché mio diretto superiore.” Sorrise con dolcezza verso la donna, che ricambiò.

“Giusto!” il Sensei si batté un pugno nella mano aperta. “E così è il diretto superiore di Iwanaka-san, eh? E’ un onore fare la sua conoscenza, mi chiamo Yuji Karayama.”

L’uomo si chinò profondamente, subito imitato da una Misato imbarazzatissima. Quando tornò in posizione eretta, Karayama riprese a parlare, serio. “Il mondo sta attraversando un momento difficile, con queste creature che periodicamente lo visitano. E’ una prova, e voi esistete per proteggere tutti noi. Sono certo che Iwanaka-san vi sarà di enorme aiuto. Dopotutto,” concluse, riprendendo a sorridere. “E’ il mio miglior allievo.”

Ancora una volta il giovane chiamato in causa si inchinò, lusingato, ma Misato era perplessa. Il Sensei dovette accorgersene, perché riprese a parlare, sempre sorridendo comprensivo. “So bene che l’abilità nell’uso delle tre spade è di limitata utilità per affrontare creature simili. Tuttavia il Sankendo è molto più che ‘l’arte del combattimento con le tre spade’. E’ uno stile di vita, un modo di pensare, uno stato d’animo. Un Sankendoka non è solo un abile spadaccino, è anche una persona che sa distinguere il giusto dallo sbagliato, sebbene essi siano separati da una barriera sottile quanto il filo di una katana. Ed a volte, è questa capacità che fa la differenza.”

Per alcuni secondi i due ascoltatori rimasero in silenzio, meditando sulle parole del saggio maestro. Poi questi spezzò il silenzio. “Si sta facendo tardi. Mi aspetta una serata di meditazione, e sicuramente per voi il destino ha in serbo una serata molto piacevole. Spero che ci rivedremo, Katsuragi-san.”

Si inchinò in segno di saluto verso Misato, che ricambiò. Poi si rivolse a Satoshi. “Iwanaka-san, noi ci rivedremo la settimana prossima, e potremo parlare più a lungo di oggi. E se vorrai, potremo duellare di nuovo.”

L’Agente della Nerv sorrise entusiasta. “Sarebbe un immenso onore per me, Karayama-sensei.”

Si inchinarono per salutarsi, poi la coppia di giovani si avviò verso l’uscita dalla palestra, mano nella mano. Come era consuetudine, Satoshi si sarebbe cambiato nella parte esterna degli spogliatoi, prima di uscire insieme alla sua fidanzata.

Karayama rimase a guardarli, lui con il kimono e le spade alla cintola e lei abbracciata alla sua vita, con la testa su una spalla, poi sorrise di nuovo ed uscì da una piccola porta che dava sul suo ufficio privato, dove avrebbe meditato per le successive ore.

 

 

 

 

Misato fu piuttosto stupita di vedere Ritsuko entrare nel suo ufficio, dato che di solito, quando doveva parlare con qualcuno, si limitava a richiederne la presenza in infermeria o in sala comando.

Il Comandante Ikari ed il Vice Comandante Fuyutsuki erano partiti da pochi giorni, per una destinazione top secret che solo loro conoscevano. Sebbene la Dottoressa Akagi fosse di un grado superiore a lei, era stato affidato a Misato il comando tattico di eventuali operazioni: per cui lei in quel momento era, a tutti gli effetti, il Comandante in Capo della Nerv.

Per cui, quando la scienziata entrò nella stanza, dopo essersi annunciata, vi trovò il Comandante in Capo Katsuragi con i gomiti sulla scrivania e le dita intrecciate, nella posizione tipica di Gendo.

“Dimmi, Dottoressa Akagi,” disse, arrochendo artificialmente la voce. L’altra non si scompose.

“Se il CAPITANO Katsuragi ha finito di giocare, dovrei parlare con lei.”

Quando Misato ebbe finito di sbellicarsi dalle risate le fece cenno di sedersi su una sedia libera.

“Dimmi, dimmi, Ritsuko,” disse infine, asciugandosi le lacrime dagli occhi e sobbalzando ancora per le risate a stento trattenute. L’altra donna, che si era accomodata, sorrise, distante.

“Ho sentito il Comandante,” disse, semplicemente. Il Capitano si zittì all’istante.

“Sai dove si trova?” sbottò, all’improvviso attentissima.

“No,” fu la risposta. “Era un telefono satellitare, ma era impossibile da rintracciare.”

Misato accolse quelle parole con delusione. Dal momento che era stata messa a capo della Nerv, pure se solo per qualche tempo, la seccava non sapere dove si trovavano i suoi superiori.

“Ebbene? Cosa ti ha detto?” chiese, non lasciando trasparire il suo stato d’animo. L’altra non aveva smesso di sorridere.

“Mi ha comunicato di essere molto soddisfatto della tua capacità tattica in seno alla Nerv, per cui ha deciso di promuoverti a Maggiore.”

L’interpellata si zittì per la seconda volta.

“U… una promozione?” riuscì a balbettare dopo un po’. Ritsuko annuì. “Ha anche detto che, sebbene non possa conferirti di persona il nuovo grado, puoi tranquillamente considerarti promossa.”

Misato parve letteralmente sbocciare. Si alzò in piedi con gli occhi che le sfavillavano. La Dottoressa Akagi fece lo stesso, un po’ titubante. Poi il Maggiore Katsuragi fece il saluto militare e sorrise, cogliendola di sorpresa. “Allora da oggi siamo pari grado, eh?”

 

Strano, mi aspettavo un gesto più folle da parte sua…

 

“Sì,” rispose l’altra. “Congratulazioni, Capitano… volevo dire, Maggiore Katsuragi.”

L’altra fece un gesto di finto rimprovero per l’altrettanto finto errore di Ritsuko, quindi scoppiò a ridere, gaia, contagiando con la sua allegria anche l’amica, che ridacchiò sottovoce, come era nella sua indole.

 

 

 

 

Com’era naturale, Satoshi fu enormemente entusiasta ed orgoglioso quando notò i nuovi gradi sul colletto dell’uniforme di Misato, tanto che si offrì di disertare il lavoro con lei per andare a festeggiare. D’altronde, entrambi sapevano che un grado superiore portava anche superiori responsabilità, tanto più ora che la donna era anche Comandante in Capo della base, per cui lei dovette rifiutare con garbo la proposta.

Quando andarono a prendere i ragazzi a scuola, invece, il primo ad accorgersene fu Kensuke, da buon appassionato di faccende militari qual era. Da lì in poi, fu un continuo congratularsi da parte di tutti i ragazzi, e Aida decise addirittura di propria iniziativa di organizzare dei festeggiamenti. A nulla valsero le educate proteste della donna, il ragazzo era irremovibile, e ben presto il suo entusiasmo contagiò anche gli altri.

Così quella sera si ritrovarono tutti attorno al tavolo nell’appartamento di lei: Misato e Satoshi, ovviamente, i quattro Children, Kensuke, che aveva ordinato fior di manicaretti ad un vicino ristorante, Toji, che così facendo aveva la possibilità di vedere il Maggiore in abbigliamento casual, e Hikari, che era stata invitata da Asuka. Più tardi, a cena già iniziata, arrivò anche Ritsuko, invitata da Misato. I tre operatori non erano potuti venire perché avevano il turno di notte alla base, ma in realtà ciò non era un male: già così, l’appartamento era sovraffollato.

“Non viene il signor Kaji?” chiese la Second Children all’ultima arrivata, leggermente delusa. A quel nome sia Misato che Satoshi si adombrarono, ma fu questione di pochi istanti.

“No,” rispose Ritsuko, “al momento non si trova in Giappone.”

“Ah, peccato,” disse la ragazza, guardando il Maggiore con aria interrogativa.

“Sì, Kaji è fuori dal Giappone, grazie al cielo,” rispose questa brusca. “E’ in una specie di missione diplomatica negli Stati Uniti, o qualcosa del genere. Ero troppo felice che se ne andasse per prestare attenzione quando ho firmato il suo lasciapassare.”

Era ancora piccata per l'ultima scenata di gelosia fattale dall'uomo col codino

“Attenzione, Maggiore,” fece notare Ritsuko con una punta di ironia. “Dovresti considerare più attentamente i tuoi doveri. Non vorrai che la tua promozione sia revocata, vero?”

L’interpellata rise. “Andiamo, Ri chan, non essere pignola! Da domani prometto solennemente di fare più attenzione!”

A quell’uscita tutti risero, e la serata trascorse amabilmente. Come era ormai un’abitudine, alla fine della cena si spostarono tutti nell’appartamento di Satoshi, dove Gabriel eseguì al pianoforte un brano che nessuno riconobbe, tranne Rei, che invece arrossì. Era infatti un breve brano tratto da ‘Una Giornata di Rei’, che la ragazza ormai aveva ascoltato più e più volte, imparando quasi a memoria ogni accordo, ogni nota.

Quando ebbe terminato la meraviglia dei presenti si tramutò in entusiasmo ed in un lungo applauso, sebbene lui non avesse occhi che per il sorriso della sua Musa. Poi Ritsuko si profuse in un lungo sbadiglio e dichiarò che era ora, per lei, la First Children, Toji, Kensuke e Hikari, di andare a casa.

Sia Rei che il Fourth Children furono molto dispiaciuti per quella separazione, per quanto provvisoria, ma sapevano che non si poteva in alcun modo fare altrimenti, almeno per il momento.

Dopo che la donna ed i ragazzi se ne furono andati, Satoshi colse di sorpresa Misato, chiedendole di andare a festeggiare, da soli, allo Scarlet Dawn.

“Allo… Scarlet… noi due?” Il Maggiore era arrossita vistosamente. L’uomo si limitò a confermare con un cenno del capo, sorridendo.

“Per festeggiare…” aggiunse.

 

Non c’è che dire, la proposta è allettante… Più che allettante, direi entusiasmante! E’ un po’ che non ci andiamo da soli, ed oggi è proprio il giorno giusto per fare baldoria.

 

“D’accordo!” Concluse raggiante.

La Second ed il Third Children, intenti a chiacchierare con Gabriel per non fargli pesare troppo il distacco improvviso da Rei, non avevano sentito nulla della conversazione, per cui furono tanto sorpresi quanto lo fu Misato poco prima, quando lei annunciò che uscivano.

“Che??” chiese Asuka, con aria di rimprovero. “Voi ve ne andate lasciandoci a casa da soli?? Che adulti irresponsabili!”

“Guarda che è già successo, Asuka…” fece notare Misato, perplessa.

La ragazza allora scoppiò a ridere. “Era uno scherzo, Maggiore! Non dirmi che con la promozione ti è sparito il senso dell’umorismo!”

Anche i due adulti risero e salutarono i ragazzi. Presero la Renault Alpine della donna, ma lei, con un gesto di magnanimità, decise che avrebbe potuto guidarla Satoshi.

Il viaggio fu privo di problemi, tranne qualche automobilista che sorpassava sulla sinistra (e che si riceveva una serie di coloriti improperi da parte di Misato). Quando arrivarono erano già le 11 di sera.

 

 

 

 

“Certo che Gabriel è proprio innamorato perso…” Disse Asuka mentre Shinji richiudeva la porta di casa.

Circa un’ora dopo la partenza di Misato e Satoshi infatti il trio si era diviso, decidendo che era ora di andare a dormire.

“Dai, non si può certo fargliene una colpa…” replicò il ragazzo con un lieve sorriso. In fondo per lui valeva lo stesso discorso nei confronti di Asuka.

“Beh, si, certo certo, non ho mica detto questo. Chissà…” e ridacchiò “…non è detto che a quest’ora invece che dormire stiano parlando a telefono come due fidanzatini perfetti. Certo che la First è proprio cambiata…” concluse con un’espressione perplessa.

“Non è l’unica, sai?” Riprese Shinji con dolcezza mentre entrambi tornavano in cucina. La ragazza gli sorrise.

“Senti, Shinji…” cominciò la rossa avviandosi verso la cucina “non ho molta voglia di andare a dormire…che ne dici di un tè?”

“A quest’ora?” Il Third Children guardò perplesso l’orologio a muro nell’ingresso che segnava le 23:30.

“Beh? Che male c’è?” chiese sorpresa voltandosi verso di lui.

“Non credi che ci renderà difficile dormire?”

“E perché? Non è mica caffè!”

“Ma la teina non ha effetti analoghi?”

“Aaaaaah! Andiamo, Shinji! Se Misato e il Signor Satoshi possono andare a far baldoria tutta la notte, possiamo farlo anche noi no?”

“Si, ma…”

“Dai! Non è mica alcool! E poi domani è sabato! Che problema c’è?”

“Uhm…d’accordo” Sorrise il ragazzo.

“Perfetto!“ Ammiccò in sua direzione “Ci pensi tu, vero?”

Il Third Children rimase un po’ sorpreso a quest’uscita, ma sorrise.

 

Ed io che credevo volesse prepararlo lei… Beh, non importa. E’ tutto perfetto così.

 

“Certo, lascia fare a me.” Rispose quieto il ragazzo seguendola in cucina dove lei accese la luce.

“Ottimo! Allora io prendo le tazze!”

Shinji la guardò trafficare fra le scansie.

 

Una volta non mi avrebbe mai chiesto di preparare il tè. Me lo avrebbe ordinato, magari. Oppure se lo sarebbe preparato da sola, senza minimamente pensare ad invitarmi a berlo con lei.

Che cambiamento, Asuka.

Ora sento di poterti amare perdutamente, senza il timore della tua ira nel caso fosse trapelato qualcosa…

 

“Ehi! Sveglia!”

Il ragazzo si riscosse. Asuka era in piedi davanti a lui e gli stava facendo dondolare davanti agli occhi una tazzina, tenendola in bilico per il manico.

“Ma ti eri addormentato?”

“No… no, stavo solo pensando,” disse, alzandosi e prendendo la tazzina dalla mano di lei

“Ah sì?” chiese la Second Children, sedendosi comoda. “E a cosa stavi pensando?”

Shinji le voltò rapidamente le spalle, nascondendo così il rossore che l’aveva preso all’improvviso. “A…” balbettò, “… nulla di importante.”

“Mmmh... no no no no, Shinji Ikari...” cominciò la ragazza girandogli intorno per portarsi di fronte a lui “...non sei capace di mentire! Dai, avanti! Confessa!”

Le mani gli tremavano attorno alla teiera, già piena d’acqua. Non sapeva se Asuka si fosse già accorta del suo rossore, ma volse il capo verso i fornelli, come se avesse veramente l’intenzione di continuare con la sua attività.

“Asuka…” iniziò grave, dato che lei continuava ad assediarlo. “Stavo pensando a… a che fine aveva fatto PenPen!”

Per tutta risposta, il piccolo frigo dimora del pinguino si aprì lasciando uscire il suo occupante, che gorgheggiò con aria imperativa verso di due Children.

Per un attimo Asuka era stata sul punto di dire qualcosa, ma l’arrivo improvviso del pennuto la distrasse.

“Ce ne stavamo dimenticando!” esclamò, chinandosi a scompigliare la cresta di PenPen, che gridò contento, sebbene fosse difficile di volta in volta identificare le emozioni che esprimeva. “Cosa c’è? Vuoi uno spuntino?”

Shinji sospirò lievemente per lo scampato pericolo e mise la teiera sul fuoco.

 

Anche se è passato ormai un bel po’ di tempo da… quella volta… ancora esito prima di parlarle dei miei sentimenti.

Mi sento impacciato, mi blocco, divento rosso di vergogna e non riesco a parlare.

Eppure non dovrei più avere paura del suo giudizio, è diventata…

 

Guardò la ragazza che stava giocando con un perplesso PenPen, sollevandogli le ali e lasciandogliele ricadere. Rideva come se quella fosse la cosa più divertente del mondo. Anche lui sorrise.

 

… è diventata Asuka.

 

Il fischio della teiera fece sobbalzare il pinguino, che si stancò del gioco e reclamò a gran gracchiare il proprio spuntino di mezzanotte. Di solito se ne occupava Misato a quell’ora, quindi Shinji servì il tè a se stesso e alla ragazza e un piatto di aringhe affumicate all’animale.

Dopo breve tempo PenPen sbadigliò sonoramente e si recò nel suo frigorifero, chiudendo la porta con uno scatto.

“Che maleducato!” protestò Asuka, finendo di bere il proprio tè. “Non ci ha nemmeno augurato buona notte!”

“Già,” rise Shinji. Si alzò e tese la mano verso la tazza della ragazza. “In effetti è proprio ora che ce ne andiamo a letto. Domani non saremo a scuola, però dovremo comunque studiare per lunedì.”

Lei gli porse la tazza senza fiatare, senza nemmeno scuotere la testa in senso affermativo. Si limitava a guardarlo. Lui non se ne accorse e portò le due tazze al lavello, con l’intenzione di ripulirle.

“Puoi farlo domani, Shinji,” disse Asuka, stranamente atona.

“Non importa,” fu la risposta, “non ci metterò tanto.”

“Il fatto è,” continuò Asuka, alzandosi dalla sedia, “che io vorrei stare un po’ con te.”

Il ragazzo si irrigidì all’improvviso.

 

… Ho capito bene??

 

“N…non ho capito,” balbettò, girandosi a metà verso di lei. Ora erano faccia a faccia, gli occhi azzurri di lei fissi nei suoi.

“Vorrei stare un po’ con te,” ripeté Asuka.

Shinji rimase immobile come una statua di sale. Non riuscì a muoversi nemmeno quando lei si sporse in avanti e trovò le sue labbra con le proprie. Nemmeno quando chinò il volto leggermente in una posizione più comoda e portò le mani a sfiorare le sue, trovando poi una presa più salda intrecciando insieme le dita.

Riprese a respirare solo quando lei si fu allontanata ed ebbe riaperto gli occhi, occhi più profondi di quanto avesse mai potuto immaginare. Una vampata di calore gli invase il volto, offuscandogli la vista.

“Io…” cercò di mormorare, ma aveva la voce roca e la gola secca. Asuka scosse lievemente il capo, sorridendo.

“Non dire nulla,” sussurrò. “Solo…” intrecciò maggiormente le dita con le sue, “non devi più arrossire quando pensi a quello che provi per me. Perché… è lo stesso che provo per te.”

Si baciarono di nuovo, ma questa volta Shinji fu in grado di rispondere.

 

 

 

 

“Un altro White Lady?” chiese Satoshi sorridendo quando ebbero raggiunto un tavolino isolato. Ormai aveva imparato che quello era il suo cocktail preferito. Infatti, la neopromossa Maggiore sorrise ed annuì.

“E per te un Alexander, vero?”

“Mi chiedo come tu abbia fatto ad indovinare.”

Sempre ridendo ricevettero la loro ordinazione, la prima di una serie non troppo lunga. Passarono la prima parte della serata imbastendo una pressoché perfetta imitazione del Comandante Ikari che conferiva la promozione a Misato, ripetendola in continuazione finché non si furono troppo stancati a causa delle risate. Allora cominciarono a baciarsi.

Una cosa molto tenera, all’inizio. Ma lentamente, inesorabilmente, i loro baci risvegliavano qualcosa di più profondo in loro, un desiderio che fino ad allora era rimasto inespresso. La prima ad interpretare tale desiderio fu Misato.

 

E’ come se mi rendessi conto solo ora di amare Satoshi… Ogni suo bacio è come se fosse il primo che mi dà…

E… mi rendo conto… di volerlo amare di più…

 

L’uomo si accorse che lei si era fatta pensierosa, così interruppe la sequenza di baci, preoccupato. “Cosa succede?”

Lei sobbalzò. Guardò gli occhi azzurri dell’uomo che amava e seppe cosa fare.

“Niente,” sussurrò, muovendosi leggermente nell’abbraccio di lui fino a raggiungere il suo orecchio. “Andiamo via da qui…”

A Satoshi il cuore mancò d’un battito. Si allontanò un poco e la guardò negli occhi. “Sei sicura? Vuoi tornare a casa?”

“No… Ma questa volta sono sobria,” rispose Misato. Non era possibile vedere il colorito del suo volto a causa dell’illuminazione del locale, ma il tono era fermo, non quello di una persona ubriaca. Satoshi dovette deglutire più volte prima di poterle dare una risposta.

 

… Ho capito bene le sue parole?? Sono le stesse dell’altra volta! Forse ho bevuto troppo…

 

Ma l’espressione di Misato, illuminata a sprazzi dalle luci erratiche, era inconfutabilmente seria. E sobria. L’uomo cercò di dire qualcosa, ma non riuscì ad emettere un suono. Allora lei sorrise e lo prese per mano, facendolo alzare dal tavolino.

Mentre andavano al bancone a pagare le consumazioni, a Satoshi sembrava di vivere sospeso in un sogno. Come d’abitudine pagò le loro ordinazioni e rivolse un vago sorriso di circostanza al barista ma la sua mente era totalmente altrove.

L’aria fresca della sera non ebbe l’effetto dell’altra volta, ma riportò Satoshi alla realtà dei fatti. Guardò Misato, visibilmente accaldata, e si rese conto tutto d’un tratto di ciò che stava succedendo.

“Ti senti bene?” chiese lei, sorridendo dolce ed abbracciandolo alla vita. Lui inspirò a fondo, sentendo un grande benessere scorrergli in corpo. Sorrise a sua volta e la abbracciò alle spalle.

“Non mi sono mai sentito così bene,” rispose, depositandole un soffice bacio sulle labbra. Insieme si incamminarono in direzione del vicino quartiere turistico.

Circa venti minuti dopo avevano raggiunto una strada, ancora affollata nonostante l’ora. Quando videro l’Hotel Hashino davanti a loro, il prestigioso albergo a cinque stelle della zona turistica, si bloccarono. Ciascuno di loro sapeva cosa pensava l’altro, anche senza bisogno di parlarsi, o anche solo di guardarsi negli occhi.

Fu Misato a rompere quel silenzio pesante come un macigno. “Io… ti precedo.”

Satoshi non si oppose quando lei si staccò dal suo fianco, titubante. Riuscì soltanto a dirle: “Arrivo subito.”

Con un ultimo sorriso imbarazzato il Maggiore si diresse, quasi correndo, verso l’Hotel Hashino. L’uomo rimase invece fermo pochi secondi, prima di muoversi verso la più vicina farmacia ancora aperta.

 

 

Quando finalmente arrivò all’albergo, nella reception c’era solo un assonnatissimo individuo in livrea elegante, dietro il banco, che lo guardò distratto, prima di aprirsi in un sorriso per lui abituale. “Buona sera, signore,” disse, cercando di apparire affabile. “Ha prenotato?”

Satoshi si tastò la tasca dei calzoni per controllare di aver ben occultato ciò che vi nascondeva, e cercò di far sì che il receptionist non notasse il movimento. “Dovrebbe essere arrivata una donna poco fa, dovrebbe aver chiesto una stanza… per due. Mi chiamo Iwanaka.”

L’uomo sfogliò un grosso volume, senza essersi accorto del gesto del biondo, poi passò l’indice sulla pagina prescelta fino ad arrivare quasi fino in fondo.

“Katsuragi e Iwanaka?” compitò in tono interrogativo. L’Agente sussultò, ma annuì, sollevato per il fatto che il suo movimento non fosse stato notato.

“Secondo piano, stanza 211,” decretò con un sorriso, indicando le scale. “La signora la aspetta in camera.

Se pure aveva capito le implicazioni di quelle parole, il receptionist parve non darci peso, e di questo Satoshi gli fu grato. Fece un profondo respiro e imboccò la scalinata.

 

 

Da quando era entrata nella stanza 211 dell’Hotel Hashino, Misato continuava a camminare su e giù davanti al letto matrimoniale.

 

Non avrò esagerato? Sarò stata troppo spudorata? Come mai ci mette così tanto??

D’accordo, devo stare calma. Non è la prima volta che mi trovo in questa situazione.

Però…

Ora è completamente diverso!

Ok. Ragioniamo. Sono piuttosto accaldata. E’ il caso che mi dia una rinfrescata, prima che arrivi Satoshi.

 

Rapidamente si recò in bagno, e nel giro di dieci minuti si sentiva già meglio. Si sedette sul letto, inspirando profondamente.

 

Sì, così va decisamente meglio. Ora non mi resta che aspettare, tranquillamente seduta, che arrivi Satoshi.

 

Ebbe appena il tempo di finire quel pensiero che si alzò e si recò alla finestra, guardando la strada affollata alla ricerca della familiare figura dell’Agente franco nipponico.

 

Ma quanto ci mette??

No, ci mette il tempo che ci mette.

Non capisco perché sono così agitata…

In fondo…

 

Il suo viso, davanti alla finestra, si oscurò.

 

Non sono poi tanto inesperta.

Con QUELLO SCEMO di Kaji non facevo così…

Però ora la situazione è diversa. Satoshi non è Kaji, per fortuna. Quindi per me è un po’ come la prima volta…

Eccolo!!

 

Aveva visto un lampo biondo nella strada sottostante, illuminata dai vari lampioni della zona, ed aveva fatto un piccolo balzo.

 

D’accordo, è arrivato… Tra poco salirà le scale… Non sono pronta!

 

Continuò a vagare come un’anima in pena tra il bagno e la stanza per il successivo minuto, finché non udì bussare alla porta. “Misato?” chiese la voce attutita di Satoshi.

“Eccomi!” esclamò la donna, dandosi un’ultima rassettata ai capelli. Quando gli aprì erano entrambi leggermente accaldati.

“Ciao,” salutò l’uomo, rigido come un palo.

“Ciao…” fece il Maggiore, poi fece un gesto con la mano, sorridendo, e lo prese per un braccio. “Dai, entra.”

Lui si lasciò trascinare dentro la stanza ed attese che la porta fosse chiusa prima di parlare.

“Scusa il ritardo,” disse, rendendosi conto di stare quasi trattenendo il respiro.

“Non importa,” minimizzò lei, sempre sorridendo. Poi sembrò scacciare via un pensiero dalla mente e si avvicinò, seducente.

“Però mi sei mancato,” concluse, abbracciandolo lentamente alla vita e baciandolo con passione.

 

 

Io…

Chi sono davvero io?

Cosa voglio?

Perché ti ho portato qui così all’improvviso?

 

Piano la donna fece scivolare le dita sul petto del compagno addormentato. L’uomo emise un sospiro. Lei la smise. Chiuse gli occhi. All’improvviso varie scene del passato più recente si imposero alla sua attenzione.

 

“Interessante, Katsuragi! E così mentre tu facevi il Primo Liceo, il tuo fidanzatino andava in prima media!”

“Congratulazioni per la sua promozione, Maggiore Katsuragi.”

“Però le tue labbra non volevano che io mi fermassi...dimmi, allora, a che cosa devo credere?Alle tue parole o alle tue labbra?”

“Non ti facevo così irresponsabile! Come hai potuto permettere che Ryochan  ed un tuo diretto sottoposto si  picchiassero a sangue in una situazione d’emergenza??”

“Ormai Katsuragi non ha più segreti per me…”

 

BASTA!!

 

Si sollevò di scatto liberandosi della stretta di lui. L’uomo sobbalzò, svegliandosi, e si mise seduto.

“Amore, cosa c’è?”

 

- Amore…chi mai ti ha chiamato così?

 

La dolcezza del suo tono e lo e lo spavento nel suo sguardo le fecero salire le lacrime agli occhi.

Non seppe perché, ma in quel momento le fecero male. Con foga spinse l’uomo sulla schiena, zittendo una sorpresa domanda inespressa con un bacio.

 

- Vuoi ancora ignorare la verità?

 

Smettila! Non ho nulla da ignorare! Io sono felice!

 

- Sei felice?

 

 

- Lo vedi?  Vuoi solo crogiolarti in un facile piacere…vuoi solo portare sollievo al tuo animo in una momentanea fuga… E stai soltanto utilizzando gli uomini per questo.

 

Non è così!

 

- Lo stai facendo anche ora…

 

Non è così!

 

- Stai fuggendo dalla dolorosa realtà…

 

Non è così!

 

- Stai usando anche lui…

 

Non è vero, non è così, non è così!

 

- Ah no? E adesso che cosa stai facendo secondo te?

 

Ho voglia di fare l’amore, non ti devo nessuna spiegazione!

 

- Amore?

 

Cosa?

 

- Non ti sei gettata tra le braccia di Satoshi solo per confermare che tra te e Kaji era realmente tutto finito?

 

Che cosa stai dicendo??

 

- Non ti sei data a lui solo per mettere a tacere la verità? Su chi sei? Cosa volevi e cosa vuoi?

 

NON E’ AFFATTO COSI’!

 

- Non mentire. Tu cercavi tuo padre nel sorriso di Kaji.

 

NON E’ COSI’!

 

- Cercavi la pace nel calore di Kaji.

 

NON E’ COSI’!

 

Cercavi tuo padre nell’abbraccio di Kaji.

 

NON E’ AFFATTO COSI’!

Invece è proprio così. A quel tempo io avevo trovato dentro Kaji mio padre stesso: un uomo perduto nel suo mondo. Per questo fuggii. Fuggii da lui. Avevo paura. Era come se fossi con mio padre: totalmente dipendente da lui. E lui come mio padre totalmente perso nel suo mondo. Però in verità io fuggii perché ero felice. Perché quella condizione, quella dipendenza, mi dava piacere. Era un momento incontenibilmente piacevole. Per questo lo detestai. Per questo ci lasciammo. Per questo lo lasciai. Prima che come mio padre, anche lui sparisse nel suo lavoro, nel suo mondo, lasciandomi sola. Senza difese… come mia madre…

 

- E per  questa dipendenza hai odiato tuo padre e allo stesso tempo, per non farti odiare da lui, ti sei comportata da brava bambina…e quando sei diventata adulta…hai scoperto che non lo sopportavi…ed hai voluto sporcarti…ed hai usato le braccia di Kaji per sporcarti…Per distruggere quell’immagine da brava bambina che ti eri imposta per non farti odiare da quel padre che tu stessa odiavi.

 

 

- Per questo tuo essere sporcata  eri felice…

 

 

- Quando poi tuo padre è morto per salvare te, hai capito che forse non era stato giusto odiarlo. Nonostante il rancore fosse tanto, più forte di te.  E nel tentativo di liberarti da quella maledizione…hai occupato il posto che detieni alla Nerv. Ritsuko ha sempre avuto ragione, lo sai. Tu non volevi solo  salvare il genere umano.

Volevi soprattutto vendicare tuo padre. E saldare il tuo debito. Ed essere libera. Dal tuo rimorso. Dal tuo rimpianto. Dalla tua dipendenza.

 

 

- Ma quando hai visto che anche Kaji si comportava esattamente come tuo padre, nonostante il piacere di quella dipendenza, sei fuggita. Rifuggendo qualunque legame amoroso con un uomo.

Così che nessuno potesse ferirti. In questo non sei diversa da  Shinji. Anche tu eri terrorizzata.

 

 

- Già, proprio come  Shinji. In fondo  lo avevi capito subito. Lui era come te. Un cucciolo smarrito. Con la tua stessa paura. Il tuo stesso bisogno di protezione. Una protezione che tu, nella tua volontà di fargli da madre, cercavi di fornirgli e che lui rifiutava. Per lo stesso motivo per cui tu rifiutavi quella degli uomini. Entrambi avevate un terrore folle di essere feriti, trascurati, abbandonati.

Questa è la vera te stessa: una creatura che nel suo terrore non fa che piangere…

 

Trattenne a stento le lacrime, affondando il volto nel petto di lui. L’uomo, istintivamente, ancora senza aver capito cosa stava succedendo, la abbracciò e volse il volto alla ricerca delle sue labbra.

 

- Poi è arrivato lui. Satoshi Iwanaka, 26 anni, Agente Speciale della Sicurezza Nerv, Sezione Francese, Tutore Legale del Fourth Children, Gabriel Vancy.  Dalla prima volta che lo hai visto sulla foto indicativa del curriculum non ci hai messo molto a catalogarlo come un bell’uomo. E ci hai messo ancor meno quando te lo sei trovato davanti all’uscita dell’aeroporto.

Con quell’uniforme così  diversa da quella degli Agenti della Sicurezza Nerv Giapponesi. Quel blu intenso sembrava metterne in risalto ogni cosa. I capelli, la carnagione, le labbra. Tu stessa hai atteso trepidante che togliesse quegli occhiali da sole solo per poterne vedere il colore degli occhi. Un’attrazione fisica senza importanza. Così l’avevi definita. Un bell’uomo ma niente di più. Non è forse così?

 

INSOMMA, COSA VUOI DA ME??

 

- Tu invece cosa vuoi? Che cosa desideri, Misato Katsuragi?

 

 

-E dopo che l’hai conosciuto, hai iniziato a fuggire Kaji con più fermezza rispetto al solito.
Ed a volte hai avuto la tentazione di fuggire  da Satoshi stesso. 

 

Questo non è vero!

 

-No?

 

NO! MAI!

 

-Eppure a me non sembra. Tutte le volte che si è offerto di cucinare per te e per i ragazzi, dal primo momento in cui lo ha chiesto, ti sei fermamente opposta. Per non disturbare, certo è un motivo. Ma c’è n’è anche un altro…

 

 

-…tu avevi paura che qualcuno si prendesse cura di te.

 

 

- Eppure, non erano le sue premure, le premure che Satoshi riservava per te, che volevi?

 

 

- Quelle premure che ti hanno fatto sentire amata?

 

 

- Quelle premure che hai cercato di ignorare?O forse quell’immagine che non sei più riuscita a cancellare dalla tua mente?

 

Di cosa stai parlando??

 

- Non fingere di non capire. Ogni volta che sei ritornata a casa la sera stanca morta, non hai forse avuto voglia di piangere di gioia  quando trovavi tutti i ragazzi a tavola che ti salutavano sorridenti? Con  l’odore di cibo pronto per casa così differente dalle schifezze precotte che mangiavi?Con  le feste di PenPen che sembravano più gioiose?Col suo capo che faceva capolino dalla porta della cucina e ti salutava con un sorriso invitandoti a prendere posto? Che cosa desideri?

 

Io voglio solo stare in pace!

 

- Rispondi! Perché ti sei abbandonata a lui?

 

Perché mi piaceva! Perché mi piace! Cosa c’è di male nel darsi all’uomo che ci  piace??

 

-  Nulla di male,certo. Ma allora perché dopo quel quadro familiare non hai più potuto fare a meno di pensare a lui?

 

 

 - Chi sei realmente,  Maggiore Katsuragi?

 

Una creatura che piange…

 

- Ora che sai chi sei, che cosa desideri?

 

VOGLIO CHE QUALCUNO SI PRENDA CURA DI ME! VOGLIO CHE QUALCUNO MI AMI! VOGLIO ESSERE AMATA,VOGLIO ESSERE IMPORTANTE, VOGLIO AMARE QUEST’UOMO!!

 

- Perché quest’uomo e non Kaji?

 

Perché quest’uomo è tutto ciò che Kaji non è mai stato e che non sarà mai! Tutto ciò che mio padre non è mai stato! Tutto ciò che la mia vita non è  mai stata! Perché non posso fare a meno del suo sorriso quando rientro a casa la sera, perché non sopporterei di vedere quella tavola senza di lui, perché non sopporterei se gli accadesse qualcosa, perché non posso più vivere senza di lui!

 

-Perché?

 

PERCHE’ LO AMO, STUPIDA!!

 

Con una ritrovata pace, intercettò le labbra dell’uomo in un bacio, abbandonandosi completamente alle sue braccia, in un modo tanto lontano dalla precedente frenesia che lui se ne accorse. Allarmato la prese per le spalle allontanandola da sé per guardarla in volto. Finalmente quegli occhi si aprirono riversando due torrenti di lacrime.

“Misato, cosa c’è?!”

La donna lo guardò negli occhi. “Sono felice, Satoshi, sono solo felice!”

Quel pianto trattenuto e sommesso finalmente ruppe i suoi argini.

“Ti amo! Ti amo, ti amo, ti ho sempre amato!”

“Va tutto bene. Ti amo.”

A quelle parole, Misato comprese: Satoshi aveva capito. Aveva compreso che un qualche turbamento cui non aveva potuto opporsi era infuriato ed era passato come un’inarrestabile bufera nell’animo di quella donna meravigliosa che teneva tra le braccia e di quella bufera ora stava disperatamente tentando di allontanare i postumi con tutto se stesso ed il suo amore, accarezzando piano i suoi capelli, baciando delicatamente la sua fronte.

“Satoshi…” mormorò la donna.

“Sono qui, Amore, sono sempre stato qui.”

“Giurami che non mi lascerai…giurami che non mi lascerai mai…”

Lo strinse forte .

“Mai. Finché avrò vita nessuno ti farà del male, né permetterò ai tuoi occhi di versare anche solo un’altra lacrima. Mai.”

Le loro labbra si cercarono e si incontrarono ancora e questa volta, non ci sarebbe stata nessuna ombra del passato a turbare la loro felicità.

 

 

 

 

Al largo della costa giapponese, il pescatore Tetsuhiko e suo figlio Hakutaro erano usciti con alcuni amici per una battuta di pesca d’altura. Il proprietario della barca stava appena spiegando ad uno dei suoi ospiti come gettare la lenza per catturare i grandi pesci che popolavano quel tratto di mare, quando il ragazzino indicò il cielo.

“Papà, guarda, un meteorite!”

Tutti voltarono il capo verso l’alto.

“Dov’è?” chiese Tetsuhiko.

“Eccolo!” dissero contemporaneamente molti dei giovani convenuti sulla barca, indicando lo stesso punto del cielo.

“Ma quello non è un meteorite…” fece notare, stupito, l’anziano pescatore.

Eppure c’era davvero qualcosa che scendeva dal cielo. Ebbero appena il tempo di vedere una grande massa arancione con una specie di occhio al centro, prima che un’enorme onda travolgesse la barca, partendo dal punto non lontano in cui l’oggetto si era inabissato. Fu solo una questione di fortuna se nessuno morì nell’incidente.

Meno di un’ora dopo, i quattro Children venivano condotti al Quartier Generale della Nerv. Un nuovo Angelo era stato rilevato.

 

 

“Probabilità di successo?” Chiese Shinji.

“Credo che solo Dio potrebbe saperlo…” Fu la laconica risposta del Maggiore.

“In altre parole…” intervenne Asuka seria “… un eventuale successo equivarrebbe a un miracolo…”

“Il valore di un miracolo diventa reale solo dopo che il miracolo è stato compiuto.” Rispose ancora Misato.

“Probabilità di sopravvivenza dei civili?” Domandò Gabriel.

“E’ stato emanato un ordine di evacuazione nel raggio di 50 km. Le possibilità che si salvino in caso d’impatto, sono state stimate dai Magi con il 5%. Allo stesso modo è stato ordinato un backup dei Magi presso la nostra base provvisoria  di Matsushiro. ”

 

Il 5%... è già qualcosa di più sicuro di un miracolo…

 

Il pianista serrò i pugni lungo i fianchi e chiuse per qualche istante gli occhi. Inspirò profondamente, quindi li riaprì e fece un passo avanti.

“Maggiore Katsuragi. In qualità di Fourth Children e Pilota di riserva, richiedo di sedere ai comandi dell’Unità 00 al posto della First Children, Rei Ayanami, e l’immediato trasferimento di quest’ultima presso la base di Matsushiro.”

“Gabriel, no!” La voce di Rei riecheggiò improvvisa all’interno di quello spazio vuoto. Asuka e Shinji si guardarono stravolti e ancora più attoniti fissarono la First Children che si era slanciata ad afferrare Gabriel per un braccio. Tuttavia a quel gesto, il ragazzo era rimasto impassibile. Come se non ne avvertisse il contatto.

Misato lo osservò imperturbabile , quindi prese tra le mani una cartella.

“Mi dispiace, Gabriel, questo non è possibile.” Proferì atona per poi continuare  “Quello che verrà trasferito presso la base  di Matsushiro, dovrai essere tu. La tua presenza qui è del tutto irrilevante per questa operazione. Anzi…forse potrebbe essere addirittura d’intralcio…”

“NO!!” Con uno strattone, il pianista si liberò dalla presa di Rei ed avanzò furente verso l’Ufficiale, il suo volto totalmente contratto dall’ira “NON PUO’ FARLO!!“

Accigliata, Misato sbattè la cartella che aveva in mano sul piedistallo presente al centro di quella sala.  “GABRIEL, E’ UN ORDINE!!”

“ME NE INFISCHIO DEI SUOI ORDINI!! MI FACCIA SALIRE SULL’UNITA’ 00!!”

Alle orecchie del ragazzo, insieme al battito forsennato del suo cuore, giunse la voce di Rei, ma non ne comprese le parole.

Il Maggiore strinse gli occhi, quindi si rivolse verso gli altri tre Children. “Voi avviatevi in Sala Comando per gli ultimi dettagli.” La Second e Il Third Children esitarono per qualche istante sulla figura tremante di rabbia del loro amico, quindi, senza una parola abbandonarono il luogo. Ma Rei, non riuscì a farlo.

“Vai anche tu, Rei.” Ripeté Misato.

“NO!!” La voce di Gabriel riecheggiò imperiosa “NO, NO, ASSOLUTAMENTE NO!! MAGGIORE KATSURAGI!!”

“Gabriel, non te lo dirò un’altra volta. Obbedisci agli ordini.”

“NO!! PERCHE’?? MI DICA SOLO PERCHE’?? SONO PERFETTAMENTE IN GRADO DI PILOTARE LO 00!! PER QUESTO, MI LASCI SALIRE A BORDO AL POSTO DI REI!!”

“GABRIEL, SMETTILA DI COMPORTARTI COME UN BAMBINO! SE CI FOSSE STATO IL COMANDANTE IKARI AL POSTO MIO, ADESSO SARESTI GIA’ STATO RISPEDITO IN FRANCIA! ATTIENITI AGLI ORDINI! FARE L’EROE NON TI SERVIRA’!!”

“CHE DIAVOLO NE SA LEI!? COME PUO’ PRETENDERE CHE POSSA RESTARMENE TAPPATO IN UN RIFUGIO QUANDO LA PERSONA CHE AMO STA RISCHIANDO LA VITA IN UNA MISSIONE PRATICAMENTE SUICIDA?? MA SA COSA SIGNIFICA AMARE?? O FORSE  STA CON IL SIGNOR SATOSHI SOLO PER ANDARCI A LETTO?! MI FA PENA, MAGGIORE KATSURAGI!! MI FA PENA!!” Dopo quel grido furibondo, la voce di Gabriel si spense nel silenzio. Era la prima volta che fissava qualcuno con odio. Il contrasto tra il verde degli occhi., lucidi di lacrime irose e disperazione, il nero dei capelli, e il volto accaldato   rendevano difficile sostenere il suo sguardo.

Rei, che era rimasta a fissarlo attonita nonostante l’ordine di Misato, aveva alzato una mano per toccargli un braccio, ma si era bloccata a mezz’aria: non l’aveva mai visto così e non aveva la minima idea di come comportarsi. Un paio di lacrime facevano capolino dai suoi occhi scarlatti, ma lei non diede segno di essersene accorta.

Il Maggiore Katsuragi, tuttavia, resse senza tentennamenti lo sguardo furioso che il ragazzo le rivolgeva, come se le sue parole non l’avessero minimamente colpita (ma che in realtà l’avevano ferita profondamente). Non vista strinse i pugni lungo i fianchi fino a sbiancarsi le nocche e quando parlò, la sua voce non ebbe un solo tremito.

“Gabriel Vancy…” incominciò a recitare lapidaria fissandolo con cipiglio “…da questo momento considerati agli arresti per insubordinazione.” Con flemma pigiò un pulsante rosso presente sul piedistallo, e due Agenti della Sicurezza in giacca e cravatta neri fecero il loro ingresso e si misero sull’attenti in attesa.

“Agenti, dichiaro il Fourth Children, Gabriel Vancy, in arresto per insubordinazione. Provvedete alla sua temporanea reclusione presso la base di Matsushiro.” Impartì con voce gelida. Il pianista non ebbe neppure il tempo materiale di replicare che si ritrovò immobilizzato da uno dei due Agenti mentre l’altro gli bloccava le braccia dietro la schiena applicandogli ai polsi un triplice paio di manette.

A nulla valsero i tentativi disperati di divincolarsi del ragazzo e le grida furibonde. 

“Maggiore Katsuragi!” Intervenne Rei, ora decisamente in lacrime, così come lo era anche Gabriel che proseguiva imperterrito a dimenarsi scalciando e strattonando con forza, finchè uno di due uomini non gli fece uno sgambetto facendolo cadere a terra ed  immobilizzandolo al suolo.

Misato restò apparentemente impassibile. 

I due Agenti, dei quali uno aveva accompagnato la caduta del ragazzo al suolo tenendolo per le braccia in modo che non si facesse troppo male, rivolsero lo sguardo sulla donna.

E lo stesso fece Gabriel dalla sua posizione prona, stringendo i denti in un’espressione feroce, odiandola con tutte le sue forze, senza curarsi delle lacrime che gli solcavano il volto né dei singulti che gli scuotevano le spalle.

La donna osservò quegli occhi carichi di astio, ma non lasciò trapelare nemmeno una parte della tristezza che l’aveva invasa. Aggrottò le sopracciglia, quindi si volse verso la First Children.

“Rei, vai al tuo posto. E voi, Agenti…” tornò a guardare i due uomini “…portatelo via.”

 I due uomini annuirono e lo rimisero in piedi con la forza trascinandolo verso l’uscita, costringendolo a camminare all’indietro, nonostante il ragazzo ancora cercasse di slanciarsi in avanti.

“MAGGIORE KATSURAGI!!! NON LA PERDONERO’ MAI PER QUESTO!! MI HA SENTITO!? NON LA PERDONERO’ MAI!!”

"Rei!" ripeté Misato, ignorando le parole del Fourth Children. "Vai al tuo posto."

La First Children stava ancora piangendo, ma da qualche parte sembrò trovare la forza di calmarsi abbastanza da poter parlare.

"No," disse semplicemente, trattenendo il fiato.

L'Ufficiale divenne rossa di rabbia e si voltò bruscamente verso gli altri. "Sbrigatevi, voi! Lasciateci sole!"

I due uomini annuirono di nuovo, ma Gabriel raddoppiò i suoi sforzi per liberarsi. Le vene del suo collo pulsavano in rilievo e gli occhi sembravano traboccare d'odio, quando emise un urlo tremendo che rimbombò in ogni singola parte di quel luogo.

"COSA SUCCEDE QUI??" gridò una voce autoritaria, dalla porta.

Gli occhi  di tutti, tranne quelli del Fourth Children, si posarono sulla figura del Direttore del Progetto E che attraversò con passo marziale la sala portandosi al centro, in modo da avere piena visuale sui presenti. E ciò che vide la mandò su tutte le furie.

“MAGGIORE KATSURAGI!” Tuonò.

L’altra donna si voltò con fare austero verso la scienziata, ma quest’ultima tornò ad incalzarla fissandola con severità “ ALLORA? MI VUOI SPIEGARE COSA STA SUCCEDENDO!?”

“Nulla, Ritsuko Si è trattato di un caso d’insubordinazione.” Rispose fredda il Maggiore.

“NULLA!?  E QUESTO…” ed indicò con un ampio gesto il Fourth Children e Rei che aveva ripreso a piangere silenziosamente mentre osservava Gabriel, ancora trattenuto a viva forza dagli agenti “… LO CHIAMI NULLA!? CHE COS’HAI INTENZIONE DI FARE, MISATO?? FARCI MORIRE TUTTI?? COME PUOI PRETENDERE CHE POSSANO SALIRE A BORDO IN QUESTE CONDIZIONI!? E VOI, RILASCIATE IMMEDIATAMENTE QUEL RAGAZZO!”

I due uomini si fissarono a vicenda, poi puntarono lo sguardo su Misato. Quest’ultima incassò il colpo in silenzio.”Lasciatelo andare, l’accusa contro di lui è revocata…” confermò ed i due Agenti si affrettarono a liberare il Fourth Children dalle manette.

“Ed ora Misato…” riprese con più calma la scienziata “…mi vuoi cortesemente SPIEGARE come diavolo si è arrivati a questo punto!?”

“Che cosa avrei dovuto fare, Ritsuko??” Sbottò il Maggiore Katsuragi ora esasperata “Stravolgere il regolamento della Nerv solo perché il Fourth Children pretendeva di salire a bordo dello 00 al posto di Rei??”

La Dottoressa Akagi tacque e si passò una mano sulla fronte. In una situazione d’emergenza come  quella, dove avevano i minuti contati, quella situazione era l’ultima cosa che ci voleva. Sospirando pesantemente, tornò a guardare i due Children. Sembrava che entrambi si fossero un minimo calmati, ma Gabriel era visibilmente provato ed ora fissava alternativamente le due donne con lo stesso sguardo di un leone in gabbia.

 

E così è di nuovo questa la ragione… ma non mi sarei mai aspettata che si arrivasse a tanto… Forse questa relazione alla fin fine, non è un bene… e troncarla adesso sarebbe anche peggio…

No, il Comandante Ikari non dovrà mai venire a saperlo.

 

“Voi due…” la bionda, con ritrovata calma, si volse verso gli Agenti “…quanto è accaduto in questa sala non deve uscirne. Con NESSUNO.” E marcò la parola “In caso contrario ne risponderete direttamente a me. Tutto chiaro?” I due uomini annuirono come sempre in silenzio. “Molto bene…” riprese Ritsuko “…ed ora abbandonate anche voi la base. Non è necessario che rimaniate qui, anche  se siete gli Addetti alla Sicurezza scelti per restare. Raggiungete i vostri colleghi.”

Senza una parola, i due Agenti lasciarono il luogo.

Sebbene fosse di nuovo libero, Gabriel barcollava ancora, come se lo stessero ancora trattenendo. Sembrava stravolto dalla fatica, ma si intuiva che era il suo spirito ad essere stanco, più che il suo corpo. Misato invece guardava Ritsuko freddamente.

 

Mi ha scavalcata. Siamo parigrado ora, ed il comando di questa operazione è affidato a me, eppure mi ha scavalcata. Dovrei essere più arrabbiata di quello che sono, però non me la sento di esserlo…

Gabriel non può decidere chi deve salire sullo 00, ed io so di aver ragione, in quanto Ufficiale.

Ma in quanto persona, non me la sento di condannarlo…

 

Rei invece aveva assistito a tutta la scena senza fiatare, e quando finalmente il Fourth Children era stato liberato aveva continuato a far saettare lo sguardo da lui alla Dottoressa Akagi, bloccata dalla tensione e dalla sofferenza.

 

Gabriel, io...

Non posso non salire sull'Eva!

Ti prego... non farti trattare così per me... Mettiti in salvo, tu che puoi.

In fondo... Io posso essere sostituita, ma tu no...

NO!

Non devo pensare così! Avevo promesso che non l'avrei più fatto!

Devo fare di tutto per restare in vita! Per restare me stessa!

Gabriel...

Io non salirò sull'Evangelion.

Ma non permetterò che lo faccia tu al posto mio.

 

Nel vedere gli occhi di Rei passare dalla tristezza ad una disperata determinazione, Ritsuko emise un lungo sospiro rassegnato. “Gabriel…”

L’interpellato fissò lo sguardo su di lei. Aveva smesso di ansimare.

“Te la senti di salire a bordo dello 00 con Rei?” chiese la donna.

Il ragazzo sembrò stupito della proposta, ma non esitò nel rispondere. “Sì, Dottoressa.”

“Andata,” sentenziò lei. La scienziata tacque per qualche istante, poi proseguì. “Presentatevi in Sala Comando con gli altri. Vi raggiungiamo subito.”

I due Children annuirono e prima Rei, poi Gabriel lasciarono il posto in assoluto silenzio.

Rimaste sole, le due donne si fissarono con freddezza.

“Bene, Misato…” Cominciò di nuovo Ritsuko “…ora dobbiamo solo sperare che l’Unità 00 riesca a muoversi.”

“Smettila, Ritsuko!” Sbottò Misato stringendo con forza i pugni. “Ho ragione e lo sai benissimo!”

“Si, io lo so, ma forse tu dimentichi che hai messo non uno solo, ma ben DUE Piloti in stato d’agitazione!? Hai idea degli effetti che potrebbe avere sulla sincronia??”

“Allora dimmelo tu, cosa avrei dovuto fare?? Lasciarmi dare ordini da un ragazzino??”

“E usare un minimo di diplomazia invece che farlo arrestare?! Non hai visto in che condizioni erano ridotti entrambi?! Misato, QUANDO hai mai visto REI PIANGERE!?”

“Il comando diretto di questa operazione è stato affidato a me, Ritsuko! Se c’era un altro modo l’avrei usato, non credi?? Credi che non mi dispiaccia?? Ti sbagli, Ritsuko!!”

Le due rimasero in silenzio per qualche istante fissandosi gelidamente, ognuna chiusa nei propri pensieri.

“Ed ora andiamo anche noi, sbrighiamoci.” Disse il Maggiore, seria, recuperando la cartella dal piedistallo e avviandosi verso l’uscita a passo spedito , senza più degnare d’uno sguardo la Dottoressa, la quale la seguì freddamente con lo sguardo finchè non sparì dalla sua visuale.

 

Ora bisogna solo sperare che Rei e Gabriel ce la facciano. Se dovessero tardare anche solo di un secondo durante l’operazione, gli sforzi di Asuka e Shinji saranno vani… e allora sarà tutto perduto.

 

Senza indugiare, la scienziata seguì  a distanza la sua parigrado in Sala Comando.

 

Lì, allineati e sull’attenti, i quattro Children, sotto la supervisione di Satoshi, attendevano l’arrivo dei superiori in attesa delle ultime istruzioni.

Quando Misato entrò, raggiunta a breve da Ritsuko, fece finta di non cogliere l’occhiata ostile che Gabriel le rivolse ed i suoi occhi si spostarono sull’uomo. L’Agente la stava fissando con preoccupazione che non era semplicemente dovuta a quello stato di emergenza. Quando Asuka e Shinji erano arrivati per primi gli avevano riferito che i loro colleghi erano stati trattenuti. Ma quando anche gli altri due li avevano raggiunti, distanti e in silenzio, e Satoshi aveva chiesto informazioni, aveva a sua volta ricevuto uno sguardo truce da parte del suo tutorato e dalla First Children nessuna risposta. Tutti, inclusi i tre Operatori, avevano capito che restare in silenzio fosse cosa migliore da fare.

Il Maggiore guardò ancora il suo compagno con sguardo indecifrabile. Serrò la mascella e senza dire una parola si avviò dinanzi al sistema di proiezione olografica.

 

Era inevitabile! Non potevo non agire in quel modo! Era impossibile provare a ragionare con Gabriel! Ho fatto la cosa giusta! Non potevo permettergli di comportarsi in quel modo!  Eppure… io, come donna… sto per agire esattamente nella stessa maniera  per proteggere Satoshi…

No, ci penserò dopo. Ora ci sono i dettagli tecnici da discutere.

 

Misato sospirò pesantemente, quindi si rivolse verso ai Piloti proseguendo ad osservare la proiezione olografica che adesso mostrava la cartina della città.

“Ascoltate bene, ragazzi. Sebbene non sia possibile fornire un punto d’impatto, a partire dai dati disponibili i Magi sono riusciti a fornirne una stima. Hyuga.”

Makoto pigiò una serie di tasti e sulla pianta venne a segnarsi una vasta zona rossa.

“Ma…è un’area vastissima…” Obiettò Shinji.

“Quello non è l’unico aspetto negativo. Con il suo AT Field l’obiettivo sarebbe capace di distruggere totalmente il Quartier Generale cadendo in un qualsiasi punto di quell’area.” Intervenne la scienziata tenendo a sua volta lo sguardo sulla proiezione olografica.

“Pertanto…” continuò Misato “…le tre Unità verranno disposte come potete vedere.”

Il Tenente Hyuga digitò rapidamente un’altra serie di sequenze e tre ampi cerchi azzurri riportanti i nomi delle rispettive Unità nelle zone ad essi assegnate comparvero sulla cartina.

“Fondamento della disposizione?” Riuscì a chiedere Rei  che aveva apparentemente recuperato la sua caratteristica freddezza.

“Intuito. “ Fu la semplice risposta di Misato.

Lo sguardo di tutti, tranne quello di Ritsuko e degli Operatori cadde impietrito sul Maggiore Katsuragi. Solo quello del Fourth Children sembrava impassibile.

“Questo è assurdo, Misato!”  Sbottò Asuka

“Mi spiace, Asuka, ma abbiamo solo questa operazione.”

“E questa la chiami operazione?!”

“In effetti… non lo è.” Misato sospirò brevemente.

“Insomma… dobbiamo farcela e basta…”  Quasi mormorò la Second Children rivolgendo uno sguardo preoccupato verso Shinji.

Il Third Children non potè fare altro che renderle quello sguardo a sua volta. Nessuno in quel momento era capace di pensare ad altro se non al pericolo incombente.”

“Mi dispiace, ragazzi…” Il Maggiore si interruppe per un istante, quindi aprì la cartella che aveva con se e guardò il quartetto prima di continuare “…secondo il regolamento dovreste lasciare delle disposizioni testamentarie, volete farlo? Shinji?”

“No, io non ne ho bisogno.”

“Asuka?”

“Certo che no! Non ho nessuna intenzione di morire!”

“Rei?”

La First Children sospirò appena quindi scosse il capo in segno di diniego.

“Gabriel?”

Dal Fourth Children non pervenne alcuna risposta.

Gabriel, accigliato, fissò in silenzio il Maggiore con lo stesso immutato rancore di poco prima, quindi senza dire una sola parola volse le spalle all’Ufficiale e si avviò verso le Gabbie degli Evangelion.

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]: Citazione dal manga Berserk

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Capitolo 15
*** Sentimenti e Missione (Parte II) ***


CAPITOLO 14

CAPITOLO 14

 

Sentimenti e Missione (Parte II) [1]

 

 

 

Misato, dispiaciuta, guardò il Fourth Children allontanarsi.

 

Gabriel… Non potevo fare diversamente prima, però… dopo la battaglia, spero tu possa perdonarmi…

 

Senza indugiare ulteriormente, allontanò quei pensieri e tornò a rivolgersi agli altri Children.

“Allora questi non servono più,” disse freddamente, riponendo i documenti nella cartella. Satoshi le rivolse uno sguardo interrogativo, ma fu ignorato.

“L’Operazione inizierà tra venticinque minuti. Non abbiamo tempo da perdere: dovremo dare il massimo. Tutti, senza eccezioni, se vogliamo sopravvivere.”

Nessuno parlò, e fu presto chiaro che il tentativo di incoraggiamento di Misato non era andato a buon fine. Questa allora drizzò la schiena.

“Ai vostri posti,” ordinò, più secca di quanto avrebbe voluto. I ragazzi si apprestarono ad abbandonare la Sala Comando, ma lei li fermò. “Aspettate!”

I tre si girarono, sorpresi, e il Maggiore abbozzò un sorriso stanco. “Mi raccomando, contiamo tutti su di voi.

Per un attimo Shinji abbassò il capo, ma Asuka intervenne subito, con piglio animato. “Scusa, ma per chi ci hai preso? E tu non fare quella faccia triste!”

Diede un colpo sul petto al Third Children, che sobbalzò.

“Siamo o non siamo i Piloti degli Evangelion? Andiamo là fuori a fare quel che sappiamo fare meglio!”

Misato le sorrise grata. Stava facendo quello che serviva a sollevare il morale, quanto meno quello di Shinji. Per quello di Rei, invece…

Mentre il Third Children sorrideva e annuiva alle parole dell’amica, la First Children rimase inespressiva, com’era sua abitudine. Era impossibile dire cosa le passasse per la mente.

“Se non ci sono altre cose,” disse Asuka, sollevando un braccio e stringendo un pugno facendo scricchiolare la plug suite, che avevano indossato appena arrivati alla Base, “noi andiamo.”

Il Maggiore distolse lo sguardo da Rei, che d’altronde stava guardando un punto fisso sulla rappresentazione tridimensionale del campo dell’operazione. “D’accordo. Buona fortuna a tutti.

Asuka e Shinji annuirono e se ne andarono, seguiti a pochi passi da Rei, che aveva detto solo tre parole dal suo arrivo nella Sala Comando. Quando le porte furono chiuse, la donna emise un lungo sospiro di sollievo.

“Vuoi una birra?” chiese ironica Ritsuko, notando la tensione appena affievolita della collega.

Piantala,” fu l’unica, infiacchita risposta. Senza badare alle risatine dell’amica, Misato chiese informazioni continue sullo stato del bersaglio. Esso era ancora in orbita, ed aveva lasciato cadere un altro frammento del proprio corpo, che aveva provocato un largo cratere non molto distante da Neo Tokio-3.

“Ormai avrà capito dove puntare…” osservò amaramente il Capo dell’operazione.

“Sì,” confermò la Dottoressa Akagi. Un silenzio carico di timore seguì a quell’affermazione. Satoshi colse quell’occasione per mettere una mano sulla spalla di Misato, facendola sobbalzare. Sembrava piuttosto agitato.

“Ora mi puoi spiegare cos’è successo prima con i ragazzi?”

Il Maggiore e Ritsuko si scambiarono uno sguardo, poi la prima tornò a rivolgersi verso l’Agente della Sicurezza con aria colpevole. “Hai ragione. Vieni, parliamone più in privato.

Si recarono in un angolo che l’evacuazione del personale non essenziale aveva lasciato vuoto e Misato gli raccontò di quello che era successo con Gabriel e con Rei.

L’uomo accolse la notizia con evidente preoccupazione.

“Gabriel non ha mai potuto esprimere i suoi sentimenti con nessuno prima d’ora, è più che logico che non riesca a controllarli ed abbia di queste reazioni.

“Questo lo capisco,” ammise la donna. “Tuttavia non potevo fare altrimenti.”

“Hai ragione… Sebbene la sua reazione sia giustificabile da un punto di vista umano, in una situazione di crisi come questa è necessario far tacere i propri sentimenti personali e seguire le direttive.”

La donna annuì e restò in silenzio, pensierosa. Dopo alcuni istanti, riprese. “E’ quasi tutto pronto, a quest’ora i ragazzi saranno arrivati alle Gabbie. Vai a Matsushiro con il resto del personale non essenziale.

Satoshi la fissò incredulo. “Come??”

Lei sostenne lo sguardo, imperturbabile. “L’evacuazione del personale non necessario è stata ordinata un’ora fa. Ora che hai portato qui i Children puoi andare anche tu al riparo.”

L’uomo strinse gli occhi e piantò i piedi. “Non me ne vado.

La voce di Misato si fece fredda. “Hai parlato prima di seguire le direttive, riguardo a Gabriel. Ora cosa fai, sfidi anche tu la mia autorità?”

“Non la sfiderei minimamente se fossi solo un tuo sottoposto a cui viene dato un ordine. Ma io sono anche il tuo compagno, e come tale non ti lascio qui da sola.”

Satoshi!” Ora il tono della donna era visibilmente alterato, come pure il suo volto, sebbene ci fosse anche una nota di disperazione. “Se l’Operazione dovesse fallire a Matsushiro tu saresti al riparo, potresti sopravvivere!”

Lui, per niente sconfitto, si fece più vicino ed abbassò la voce. “Non avrebbe senso sopravvivere se tu non fossi con me. Qui, anche se dovessi morire tra due ore, sarei felice, perché avrei passato le ultime ore della mia vita insieme a te.”

Misato non seppe cosa ribattere. Era preoccupata per la sorte del suo fidanzato e afflitta per non aver capito quelle cose così elementari. Chinò il capo. “Hai ragione… Ed io ho torto. Prima con Gabriel, ora con te: forse sono troppo stupida per capire queste cose.”

Satoshi scosse la testa e le sollevò il volto con una mano, guardandola dritta negli occhi. “No, Misato. Tu queste cose le capisci benissimo.

Sigillò le sue parole con un bacio. Quando si separarono, il Maggiore sorrise, suo malgrado. “E non avevo nemmeno capito la cosa più importante: che io ho bisogno di te.”

Si abbracciarono brevemente e si scambiarono un rapido sorriso, prima di tornare presso i tre Operatori e la Dottoressa Akagi.

 

 

Shinji camminava leggermente arretrato rispetto ad Asuka, nel lungo corridoio che portava alle Gabbie degli Evangelion, ed intanto la guardava di sottecchi.

 

Con quello che è successo prima, la Signorina Misato non avrebbe davvero potuto tirarci su di morale. Vedere Gabriel in quello stato non è stato certo un bello spettacolo. Chissà poi cosa si saranno detti quando sono rimasti da soli…

Ayanami è arrivata prima ma non ci ha detto nulla. Sembrava però un po’ turbata.

Spero che l’uscita di Asuka abbia tirato su il morale anche a lei, anche se non ci credo tanto…

Con me però ha funzionato.

Non stento a crederci, però.

Lei ha questo potere su di me.

Un suo sorriso mi rallegra.

Un suo broncio mi rattrista.

Certe volte vorrei davvero che tutta questa storia finisca in modo che possa stare un po’ con lei, senza Angeli, né Eva, né Nerv, né mio padre…

Come due ragazzi normali.

Anche se definirla normale è un eufemismo.

 

Sorrise ed accelerò il passo. Asuka lo notò e sorrise a sua volta. “Ehi, come mai tutto questo entusiasmo improvviso?”

Lui scrollò le spalle. “Mi hai messo di buon umore, tutto qui. Sono certo che ce la faremo.

La ragazza annuì con forza. “E chi lo mette in dubbio?” Gli sorrise maggiormente.

 

Questa è veramente una stranezza.

Fino a poco tempo fa Shinji era il solito… Shinji. Tremebondo, insicuro, titubante.

Ed invece guarda adesso com’è diventato.

Arriva addirittura a rincuorarmi ora che sono tesissima, e solo grazie ad un grande sforzo sono riuscita a fare quella scena di poco fa…

Ora che ci penso, è da un po’ che mi fa quest’effetto. Da quella volta, certo, in cui mi ha aiutata… Però particolarmente… dal nostro bacio.

Chissà, forse avevo bisogno di essere aiutata anche allora, fatto sta che ho sentito il bisogno che mi stesse vicino…

Che mi abbracciasse…

Che mi baciasse.

E poco importava se abbia fatto io la prima mossa. Mi bastava essere con lui per essere felice.

Che strano, se guardo al mio passato stento a riconoscermi. Sembro un’altra Asuka. Ma devo dire… Che in fondo… mi sento meglio così.

 

I due ragazzi erano quasi arrivati, ma Rei era ancora un po’ indietro. Non troppo, se no le avrebbero dovuto rivolgere la parola per spronarla. E lei in quel momento non provava nessun desiderio di parlare con qualcuno.

 

Con che faccia mi presenterò a te, Gabriel?

Dopo quello che è successo, come potrò guardarti negli occhi senza ricordarti l’umiliazione di essere stato quasi arrestato per proteggere… ciò che ami?

Lo sai che non potrei andare a nascondermi sapendoti in pericolo… E so che tu non potresti fare altrettanto.

Però…

Se solo potessi dirti…

Se solo tu potessi capire che io…

Io voglio solo sopravvivere a questa missione. Per poterti dire quello che provo ancora una volta.

 

“Siamo arrivati, e per giunta anche in anticipo sulla tabella di marcia,” sentenziò Asuka, quando arrivarono in vista delle tre entry plug allineate, già pronte a ricevere i loro Piloti. Ora che la prospettiva della battaglia si era fatta più vicina aveva smesso di ridere ed era tornata seria ma determinata a fare del suo meglio. Come Shinji. Solo la mente di Rei era ancora occupata da preoccupazioni diverse.

Il Third Cihldren si arrestò appena entrato nell’area. “Ma dov’è… Gabriel?” chiese, titubante. Volse una rapida occhiata alla First Children per indagare le sue reazioni, ma non sembrò averne.

 

Angeli…

Angeli…

Angeli…

Angeli… Gli Angeli non dovrebbero custodire l’uomo?

Gli Angeli non dovrebbero guidare l’uomo?

Gli Angeli non dovrebbero proteggere l’uomo?

Dio…che cosa vuoi fare? Perché vuoi spazzarci via con un nuovo diluvio universale composto da una pioggia di sangue?

Adam…lui è stato il primo…

Poi è venuto il terzo, Sachiel

E dopo di lui Shamshel

Ramiel

Gaghiel

Israfel

Saldalphon

Matriel

E adesso Sahaquiel

Perché vi state accanendo contro di noi? Io non riesco a capire…

Io non riesco a capire…

Non riesco a capire…

Non riesco ad accettare.

Come per Sodoma e Gomorra, si sono uniti per spazzarci via.

Perché?

La Nerv.

L’Organizzazione atta alla salvaguardia del genere umano.

Il Comandante Ikari, l’uomo che ne è a capo.

La Dottoressa Akagi, il Direttore del Progetto E.

Il Maggiore Katsuragi, Ufficiale Tattico.

Rei Ayanami, First Children.

Asuka Soryu Langley, Second Children.

Shinji Ikari, Third Children.

I Piloti delle Tre Unità Evangelion 00, 02,01.

Loro sono stati eletti quali Difensori del genere umano. Un genere che Dio ha affidato alla custodia e al giudizio di quegli Angeli. Quegli stessi Angeli che ora vogliono annientarci.

Ciò che sento è qualcosa che si avvicina alla definizione di Caos.

Paura, collera, amarezza ,terrore, disperazione, ira, confusione.

Paura per la vita di chi amo.

Collera verso quell’Ufficiale.

Amarezza per il destino dell’uomo.

Terrore per quegli Esseri dai nomi Celesti giunti qui per distruggerci.

Disperazione per  una battaglia senza garanzie di salvezza.

Ira per questa guerra iniziata non si sa perché. Non si sa da chi.

Confusione per questa situazione.

Poi è stato il mio turno.

Gabriel Vancy, Fourth Children. Pilota di riserva e futuro Pilota dell’Unità Evangelion 03.

Scelto in base a criteri sconosciuti da un Istituto di cui non ho mai visto né sentito di una Sede. L’Istituto Marduk.

“Mi spiace Gabriel, gli ordini sono ordini…”

“L’Istituto Marduk hai i suoi criteri, noi della Nerv non sappiamo quali siano.”

 

Come se tutto fosse stato già prestabilito.

“Il tuo spirito di sacrificio è ammirevole, ma non è sufficiente a piegare il regolamento. Rei è il Pilota designato per lo 00, e finché sarà operativa lo piloterà lei.”

“GABRIEL, SMETTILA DI COMPORTARTI COME UN BAMBINO! SE CI FOSSE STATO IL COMANDANTE IKARI AL POSTO MIO, ADESSO SARESTI GIA’ STATO RISPEDITO IN FRANCIA! ATTIENITI AGLI ORDINI! FARE L’EROE NON TI SERVIRA’!!”

 

FATE SILENZIO!!

Vale così poco per voi la vita di un Pilota?? La Dottoressa Akagi parla di operatività, come se fosse una macchina! Quell’ Ufficiale pretende che io me ne resti tappato in un rifugio come un codardo mentre colei che amo rischia la vita !

No.

NO!

Non mi importa di quello che dite! Non mi importa dei vostri ordini!

Non mi importa se quegli Angeli hanno rinnegato il  loro ruolo di protettori e custodi!

Da adesso quel ruolo è mio.

Rei è sotto le mie ali e nessuno, NESSUNO, FINCHE’  AVRO’ VITA, mi impedirà di proteggerla da questa guerra assurda!

Il suo Angelo sarò io.

Anche a costo della mia vita. Non importa.

Questa è la mia ultima parola.

 

L’entrata di Rei nell’entry plug distolse Gabriel dalle sue considerazioni. Era seduto su uno dei supporti laterali del sedile, come già aveva fatto durante il precedente combattimento, e si alzò goffamente in piedi, rimanendo semichino per evitare di battere la testa contro la parete dell’abitacolo. La ragazza lo guardò, non particolarmente sorpresa. Non avendolo visto all’esterno, immaginava si potesse già trovare all’interno della capsula, già pronto per la battaglia. Negli occhi di lei c’era costernazione, e senso di colpa. Un nodo alla gola confermò al Fourth Children che probabilmente la causa di quello stato d’animo era proprio lui.

Si scostò quel tanto che permettesse a Rei di prendere posto al sedile di guida, e la ragazza gli passò davanti senza dire una parola.

Mentre la First Children si piegava per passargli accanto, il ragazzo si chinò maggiormente per mormorarle qualcosa nell’orecchio. “Ti hanno causato problemi?”

Lei lo guardò negli occhi, cercando di celare l’agitazione che il fatto di parlare con lui in quel modo le aveva provocato. “No,” disse, atona, sedendosi. Gabriel rimase muto, tornando a sedersi sul supporto laterale. Avvertì solo un leggero fastidio quando la capsula ruotò per installarsi nel torso dell’Unità 00.

“Collegamento radio attivato,” gracchiò la voce della Dottoressa Akagi dall’altoparlante. Il Fourth Children si rilassò leggermente. Seppure a modo suo, quella donna era stata dalla sua parte durante l’alterco con Misato, e di questo le era grato.

“Prova per il collegamento: ragazzi, mi sentite?”

Roger,” rispose Shinji.

“Forte e chiaro,” fu la risposta di Asuka.

“Sì,” disse Rei, apparentemente distratta.

Dopo una breve pausa, Gabriel rispose a sua volta in modo affermativo.

“Bene. Immissione dell’LCL.”

Il liquido giallastro fluì nell’abitacolo, ma ormai Gabriel ci aveva fatto l’abitudine. Guardò la ragazza: si doveva essere completamente calata nel suo ruolo di Pilota, perché sembrava ignorarlo ed occuparsi unicamente di regolare la respirazione in modo da non avere il fastidioso effetto collaterale dell’LCL che entrava nei polmoni ancora pieni d’aria.

 

Come biasimarla? Io l’ho fatta soffrire, per causa mia ha dovuto assistere a quell’orrendo spettacolo. Anche se non vuole darlo a vedere sarà sicuramente arrabbiata con me. Però…

No, nessun però.

Poco fa ero pronto a dare la vita per lei, e lo sono anche ora. Al confronto, il fatto di perdere l’orgoglio è poca cosa. E poi, in quanto Children, sono qui per salvare il genere umano, oltre che lei. E’ mio dovere fare di tutto perché questa missione vada a buon fine, anche discutere di quello che è successo prima, in modo che nulla interferisca con la nostra… la sua prestazione. Le parlerò.

 

La calotta dell’entry plug, i cui colori erano falsati a causa dell’LCL, cominciò a brillare di diverse forme e colori. Il liquido ambrato divenne trasparente e davanti ai due Children si profilò l’ampio spazio delle Gabbie, in lento movimento mentre l’Evangelion veniva portato al condotto di risalita.

“Connessione completata,” disse la voce di Maya dall’altoparlante.

Una breve pausa, poi, “Rei…” accennò Ritsuko, preoccupata. Dentro lo 00, entrambi i Children sapevano cosa stava per dire.

 

Il tasso di sincronia…

 

“Sì,” rispose fredda l’interpellata, serrando maggiormente le mani sui comandi. Dal momento che Gabriel non poteva farlo, chiuse gli occhi e si costrinse a rilassare i muscoli.

 

Non pensare a lei.

Non pensare al Maggiore Katsuragi.

Non pensare al vostro tasso di sincronia.

Focalizza la mente su un unico pensiero, la battaglia imminente.

Non esiste nient’altro ora.

 

“Bene,” disse dopo un attimo la voce della Dottoressa Akagi, rassicurata. “Tutte e tre le Unità sono in linea.”

“Unità Evangelion 00, 01 e 02,” ordinò perentoria la voce di Misato. “Lift off!”

La brusca accelerazione verticale riportò Gabriel alla realtà. Vide davanti a sé, attraverso l’apparato monoculare dell’unità blu, le pareti del pozzo di ascensione muoversi ad una velocità quasi inconcepibile. Poi d’un tratto ci fu la luce abbacinante del sole.

La città, sebbene deserta a causa dell’ordine di evacuazione, sembrava tranquillamente ignara del terribile pericolo che stava correndo.

Rei, Gabriel, portatevi al punto convenuto,” ordinò Misato. Sembrava non esserci alcun astio nella sua voce, e Gabriel capì che anche da parte sua era attesa altrettanta freddezza, in quel momento. Ne valeva la riuscita della missione. Ne valeva la vita di Rei.

La macchina si mosse verso la sua postazione, l’Umbilical Cable che dondolava come una bizzarra e lunghissima coda.

“Bene, ragazzi,” disse la voce di Ritsuko quando tutti e tre gli Evangelion ebbero raggiunto le posizioni designate. “Secondo le stime del Magi System, abbiamo ancora venti minuti prima che la traiettoria dell’Angelo possa essere determinata accuratamente. Nel frattempo, rimanete pronti.

“Uffa,” si lamentò Asuka attraverso la connessione radio. “Tutta questa fretta e poi ci fate aspettare venti minuti!”

“C’è la possibilità che il Magi System si sbagli, Asuka. In quel caso l’Angelo potrebbe attaccare da un momento all’altro.

“Davvero può esistere questa eventualità?” chiese Maya, incredula. “Che i Magi si sbaglino?”

“Sì. Però è una probabilità su dieci alla centoventiquattresima potenza,” rispose la Dottoressa, noncurante.

Gabriel però non ascoltava più le voci che uscivano dall’apparato radio. Non pensava nemmeno alla vicina battaglia.

Quando la voce terminò di parlare, allungò una mano e chiuse il canale di trasmissione, lasciando aperto solo quello di ricezione per ogni evenienza. La First Children lo guardò interrogativa.

“Rei…” iniziò il ragazzo. “Mi dispiace. Mi dispiace di averti fatto soffrire con il mio comportamento. Mi dispiace che tu ti sia sentita in colpa per il trattamento che ho ricevuto. Mi dispiace che a causa mia ora forse sei troppo turbata. Perdonami, se puoi.”

Contrariamente a quanto si aspettasse, la ragazza, dopo un attimo di sorpresa, sorrise, pensierosa. “Non hai bisogno di essere perdonato. So bene come ti senti… Perché è ciò che sentirei anch’io se le nostre posizioni fossero invertite. Perché anch’io avrei fatto la stessa cosa.

Gabriel, a sua volta stupito da quelle parole, non seppe cosa replicare. Gli sembrò quasi di sognare quando Rei si sporse all’indietro e gli posò un delicato bacio sulle labbra.

“Obiettivo individuato!” li interruppe bruscamente la voce di Makoto. Contemporaneamente, le mani dei due ragazzi attivarono il dispositivo di trasmissione radio.

“E’ in rapido avvicinamento,” constatò Misato. “Vi stiamo trasmettendo i dati.”

Nell’area in basso a destra della visuale apparve una rappresentazione tridimensionale della zona, recante i punti di partenza degli Evangelion e un punto bianco in rapido avvicinamento dall’alto. “Tuttavia, a causa dell’elevata velocità di avvicinamento, il tratto finale della traiettoria dovrà essere calcolato attraverso l’osservazione ottica. Potremo guidarvi da qui per un tratto di approssimativamente dieci chilometri verso la zona d’impatto, poi dovrete cavarvela da soli.

Gabriel e Rei annuirono impercettibilmente, all’unisono.

Evangelion, in posizione di partenza.”

Lo 00 si piegò su se stesso, giungendo quasi a porre il ginocchio destro a contatto con il suolo, come un corridore che si prepara ad una gara.

“Contiamo su di voi, ragazzi,” concluse Misato, il cui tono era preoccupato. Il Fourth Children decise di concentrarsi sul percorso in rosso che si stava delineando sulla mappa tridimensionale.

“L’obiettivo è a ventimila metri di quota!” annunciò Makoto.

“VIA!!” esplose il Maggiore Katsuragi.

Rei premette un pulsante sui comandi e l’Umbilical Cable si distaccò dal suo supporto con un forte rumore. L’Unità 00 scattò in avanti come un centometrista, travolgendo gli alberi che ostacolavano il suo passo.

Per dieci secondi la macchina corse ad una velocità impensabile per un oggetto di quella stazza, saltando cavi elettrici sospesi come se fossero ostacoli di una gara sportiva e distruggendo finestre ed automezzi abbandonati con il solo spostamento d’aria.

“Eccolo!” gridò Gabriel, indicando un punto rossastro che scendeva rapidamente dal cielo. L’aria era surriscaldata per l’attrito contro l’AT-Field, ed attraverso quel velo vermiglio si intravedeva la forma allungata dell’Angelo.

Rei digrignò i denti per lo sforzo ed accelerò maggiormente l’andatura. Non ce l’avrebbero fatta, erano troppo distanti, a meno che Shinji, che secondo la mappa era il più vicino, non lo bloccasse da solo per alcuni istanti.

Ed infatti la figura dello 01 apparve in cima alla collina che era bersaglio dell’Angelo.

“Sviluppo AT-Field al massimo!” gridò il Third Children attraverso la radio, ed attorno a lui l’aria vibrò. Con uno schianto che avrebbe infranto i timpani di chi fosse all’aperto, lo 01 bloccò con le mani la caduta dell’Angelo.

“Sviluppo massimo dell’AT-Field!” ordinò Rei.

“E’ quello che sto facendo!” rispose Asuka, il cui Evangelion era ora in vista, dall’altra parte della collina.

Gabriel si concentrò sull’idea di contrastare l’AT-Field dell’Angelo con quello sviluppato dall’Evangelion. Ad un tratto accadde quello che più temeva.

La pelle della sua schiena e della sua testa cominciò a bruciare terribilmente, e dall’espressione della First Children, stava succedendo anche a lei.

“Rei!” sbraitò Ritsuko attraverso la radio. “Dov’è il tuo AT-Field??”

Era esattamente ciò che temeva: a causa sua la sua Rei stava soffrendo, a causa di una qualche sua interferenza non erano stati in grado di sviluppare un AT-Field, ed ora lei sarebbe morta…

“Concentrati…”

Attraverso quella nebbia di dolore vide Rei che lo fissava con gli occhi sofferenti.

“Concentrati… su te stesso…” gli stava mormorando a fatica.

Gabriel obbedì, sebbene non fosse in grado di capire il senso di quell’esortazione. Lasciò da parte il dolore e pensò unicamente a se stesso, a se stesso innamorato di quella ragazza, a se stesso che suonava il pianoforte, a se stesso che componeva Una Giornata di Rei’

D’un tratto il dolore scomparve. Senza badare alle urla concitate che provenivano dalla radio, i due Children si concentrarono su ciò che dovevano fare.

Lo 00, che sembrava quasi essersi chinato sotto la soverchiante potenza di quell’essere enorme, si erse in tutta la sua altezza. Il coprispalla sinistro si aprì e con la destra estrasse il Prog Knife, piantandolo a fondo nell’AT-Field dell’Angelo, che aveva assunto la forma quasi di una pellicola trasparente. Con foga, l’Eva blu aprì un lungo squarcio e lo divaricò con le mani. Con un grido di rabbia e trionfo, Asuka piantò il proprio coltello nella pupilla della creatura, che fungeva da Nucleo.

All’improvviso l’AT-Field sparì insieme alla tonalità rossastra dell’aria. La sensazione di trattenere qualcosa con le mani sparì dai Children. E l’Angelo cadde, morto, su di loro.

Mentre nel Quartier Generale scoppiarono grida di giubilo, la collina dove si era svolta la battaglia svanì in una tremenda esplosione. Ma gli Evangelion, protetti dai loro AT-Field e dalle piastre corazzate, non subirono nessun danno, e così pure i loro piloti.

Mentre attorno a loro si scatenava l’inferno, all’interno dell’abitacolo dello 00 Rei fece a Gabriel un sorriso provato ma felice, abbandonandosi fra le sue braccia. Lui la strinse con trasporto, ma non sorrideva.

Aveva rischiato di ucciderla a causa della sua cocciutaggine nel salire a bordo con lei.

Fu solo per evitarle ulteriori preoccupazioni che non scoppiò in lacrime seduta stante.

 

 

Shinji era quasi euforico quando entrò negli spogliatoi maschili.

Tutto era andato a buon fine, suo padre, per la prima volta, lo aveva lodato, Asuka all’uscita delle entry plug lo aveva abbracciato come un eroe, Misato, Satoshi e la Dottoressa Akagi si erano congratulati con lui e con gli altri, le cose non potevano andare meglio.

Quando il Comandante Ikari gli aveva rivolto quelle parole era rimasto quasi inebetito e non aveva dato più peso al fatto che Gabriel avesse lasciato la Sala Comando mentre Gendo conferiva con il Maggiore Katsuragi.

Sorridendo felice, il Third Children chiuse la porta e si addentrò nel luogo.

Fu piuttosto sorpreso di vedere il suo amico ancora in plug suite nonostante avesse abbandonato la Sala prima di tutti gli altri. Gli volgeva le spalle, i capelli neri, abbastanza lunghi da arrivare alle scapole si confondevano coi colori cupi della tuta. Non poteva vedere il suo volto, ma sembrava stesse guardando nell’armadietto a lui riservato, seppure non muovesse un muscolo. Con la sinistra si limitava a tenere aperta la porta metallica mentre con la mano destra si appoggiava  ad un altro armadietto chiuso ed inutilizzato.

“Gabriel…” Sorridendo Shinji gli si avvicinò fermandosi  al suo armadietto quasi di fronte a quello del pianista. “..come mai ancora in plug suite? La Signorina Misato e il Signor Satoshi hanno detto che ci porteranno fuori a cena per festeggiare!”

“Io non verrò.”

A quelle parole gelide come il ghiaccio, il sorriso del Third Children si spense.

 

Ma cosa gli succede?Eppure… abbiamo vinto…

 

“Gabriel…” Ripetè con voce più incerta facendo per muovere un passo verso di lui.

Shinji. Ti chiedo un favore. Cambiati in fretta e lasciami solo. Ti prego…” La voce del Fourth Children ebbe una lieve incrinatura. E Shinji capì.

“Va bene, Gabriel,” annuì con fare dispiaciuto mentre si affettava a cambiarsi.

Gabriel tacque e serrò la presa sulla porta dell’armadietto.

Con il suo comportamento stava rovinando nuovamente la giusta gioia per gli sforzi compiuti. Lo sapeva. E per questo si disperò ulteriormente, ma si impose di non cedere, non finchè ci sarebbe stato Shinji.

Il Third Children prese in fretta i vestiti e si portò dietro un paravento e nel giro di pochi minuti ne uscì completamente rivestito. Rapido ripose la plug suite nell’armadietto e ne trasse la propria cartella scolastica, quindi richiuse il battente metallico a chiave ed infilò quest’ultima in tasca.

“Allora…io vado…” Disse quasi sottovoce. L’altro, che per tutto il tempo era rimasto immobile nella sua posizione, gli occhi persi sul fondo dell’armadio, annuì appena col capo.

Senza aggiungere altro, Shinji si diresse fuori dagli spogliatoi e chiuse dietro di se la porta.

Ormai era quasi del tutto uscito dal corridoio che conduceva agli spogliatoi, quando all’improvviso, in lontananza, udì il tremendo clangore del battente dell’armadietto che veniva sbattuto con forza seguito da un breve grido strozzato che gli gelò il sangue nelle vene.

 

 

Quando arrivò in Sala Comando, le ragazze erano già pronte e stavano parlando con calma con Misato, Satoshi e Ritsuko mentre i tre Operatori avevano deciso di prendersi una pausa dato che dopo avrebbero dovuto analizzare le nuove informazioni raccolte sotto la supervisione della Dottoressa.

Ritsuko, sei sicura di non voler venire a cena con noi?” Insistette il Maggiore, ma la scienziata scosse la testa con un lieve sorriso.

“No, purtroppo credo che sarò molto impegnata ad analizzare gli ultimi dati rilevati dai Magi.

“Magari possiamo festeggiare anche un’altra volta tutti insieme.” Propose Satoshi.

“Ottima idea!” Si intromise una gioiosa Asuka, per poi sbottare ” Ma quanto ci mettono a cambiarsi quei due?”

In quel momento Shinji fece il suo ingresso con aria stravolta.

La Second Children, euforica com’era, non diede segno di essersene accorta, ma a Rei invece la cosa non sfuggì e il fatto che Gabriel non fosse con lui la mise in allarme.

“Ehi, ce ne hai messo di tempo!” Esclamò la rossa, ma subito si bloccò e si sporse ad osservare alle spalle del ragazzo. ”E Gabriel?” Chiese.

“Ecco…” cominciò a mezza voce guardandosi attorno “…lui…”

“Lui cosa!?” Chiese la First Children alzando la voce e sporgendosi in avanti con ansia evidente per il pianista.

Ritsuko la osservò esterrefatta, subito imitata dagli altri, ma poi lo sguardo di tutti si riportò su Shinji.

“Ecco…Gabriel…” Esasperato lanciò uno sguardo verso Misato e Satoshi, il quale si avviò con espressione seria e preoccupata verso l’uscita.

“Vado a controllare.” Disse solamente, senza aggiungere altro.

Anche Rei fece per avviarsi, ma Ritsuko le poggiò una mano su una spalla trattenendola e scuotendo il capo  in segno di diniego.

Dopo che l’Agente fu scomparso dalla visuale dei presenti, nessuno osò fiatare.

Misato sospirò pesantemente e passò con fare esasperato una mano sulla fronte chiudendo gli occhi.

 

E’ tutta colpa mia…

 

 

Quando Satoshi arrivò nei pressi della porta degli spogliatoi, udì una serie di singhiozzi convulsi che lo fece impallidire. Troppo preoccupato per soffermarsi a riflettere se fosse o meno il caso di entrare, spalancò la porta e si precipitò in direzione dei suoni. Il Fourth Children era appoggiato con i pugni e la fronte contro la porta chiusa del suo armadietto, le spalle scosse violentemente da ripetuti singulti.

“Gabriel!” L’Agente corse allarmato verso di lui, ma non ebbe nemmeno il tempo di accostarglisi che si ritrovò davanti uno sguardo disperato e feroce al contempo.

“LASCIAMI SOLO, SATOSHI!” Il grido riecheggiò più volte tra le mura sino a spegnersi.

Satoshi indietreggiò istintivamente.

“Gabriel, ascolta…” Cominciò l’uomo con tono conciliante ed innegabilmente sbigottito, ma l’altro non ammetteva repliche.

“FUORI!!” Sbraitò ancora ricorrendo a tutto il fiato che aveva in gola.

L’Agente non sapeva più cosa pensare e soprattutto, non aveva la minima idea di come comportarsi.

 

Gabriel…che ti sta succedendo?? Che sia ancora per quanto accaduto prima? Io non posso darti torto, Gabriel, nessuno può

Però… Questo atteggiamento non è da te...

 

Spiazzato, osservò ancora il volto del ragazzo. Gabriel si stava trattenendo con tutte le sue forze per non rimettersi a singhiozzare, ma non avrebbe retto ancora a lungo. Gli occhi erano traboccanti di lacrime trattenute disperatamente. Ma c’era anche altro che traboccava da quegli occhi. Era Terrore.

E Satoshi lo capì. Così come capì che in quel momento non lo avrebbe mai ascoltato. Ed infatti era vero. L’espressione ostile del ragazzo lo confermava più che efficacemente.

 

In queste condizioni non mi ascolterebbe mai! Mi serve aiuto!

 

 “Va bene… “ rispose l’uomo trattenendo il fiato “… me ne vado…” Quindi, dopo un ultimo sguardo ansioso, si voltò e si diresse verso l'uscita, sebbene fosse riluttante nel lasciare da solo Gabriel in quello stato. Fu per questo che una volta nel corridoio, richiuse la porta e corse veloce nella Sala Comando.

 

 

Quando entrò, si ritrovò subito addosso lo sguardo dei presenti che avevano atteso in silenzio fino al suo ritorno. E dall’espressione attonita dell’uomo capirono che era successo qualcosa di grave.

“E’ inavvicinabile…” Disse solo guardando il gruppo. Tacque per qualche istante, poi continuò.“Ragazzi, per favore, aspettaci fuori, vorrei parlare un attimo con Misato e la Dottoressa Akagi.”

La Second e il Third Children, seppure esitanti, annuirono ed abbandonarono il luogo, ma Rei invece alzò il volto verso i tre adulti.

“Se non è un problema, io vorrei restare. Disse con decisione cercando di non far trapelare l’ansia che la stava dominando.

“Rei, per favore, vai con gli altri.” Intervenne Ritsuko con voce ferma ma pacata.

La First Children  aprì appena la bocca come per obiettare, ma la risolutezza della scienziata non ammetteva repliche di alcun genere. A malincuore, eseguì l’ordine e seguì i suoi colleghi.

Quando i tre adulti furono soli, Satoshi guardò alternativamente le due donne, poi sospirò esasperato iniziando ad esporre il problema.

“Io non ho saputo cosa fare! Una crisi di pianto di quel genere non l’ho mai vista!”

“Una crisi di pianto?” Domandò la scienziata inarcando un sopracciglio. Restò in silenzio per alcuni secondi come per riflettere, quindi infilò le mani nelle tasche del camice per poi proseguire con flemma. “Non è nulla di grave. Vedrete che tra poco gli passerà.”

Ritsuko! Potrebbe sentirsi male!” Esclamò Misato con preoccupazione per poi rivolgere uno sguardo al suo compagno, preoccupato tanto quanto lo era lei.

Misato…” riprese la Dottoressa con calma “… ha subito una forte pressione tra l’incidente dell’arresto e l’operazione. Semplicemente la sta sfogando. E’ perfettamente normale e comprensibile. Basterà lasciarlo solo e tranquillo per un po’.

Tuttavia, di fronte agli sguardi estremamente ansiosi dei due, Ritsuko capì che qualunque motivazione scientifica e valida avesse potuto fornirgli, non sarebbe stata sufficiente a tranquillizzarli. Sospirando pesantemente li guardò entrambi per poi dire “ E va bene, se ciò può tranquillizzarvi aspetterò fuori dagli spogliatoi che esca.”

“Grazie, Ritsuko.” Si limitò a dire Satoshi con un sorriso triste mentre Misato annuiva appena.

Pensierosa, la bionda imboccò l’uscita.

 

 

La reazione che la scienziata ebbe appena giunta presso gli spogliatoi, non fu allarmata come quella del Tutore del ragazzo. Solo molto sorpresa.

 

Comprensibile, ma non preoccupante. E’ stata dura per tutti. Tutti nessuno escluso. E quella storia dell’arresto ha solo acuito le cose.

 

In quel momento un grido disperato seguito da numerosi colpi metallici dovuti a dei pugni contro gli armadietti, fece sobbalzare la donna distraendola da suoi pensieri.

Ritsuko rimase in silenzio poggiandosi spalle al muro accanto alla porta, dal lato dove il battente non si apriva. Se da un lato sapeva che una crisi di pianto di quel genere era più che comprensibile, dall’altro, avendone visto l’entità aveva davvero iniziato a temere che il ragazzo potesse avere un mancamento. Decise di restare attentamente in ascolto. Dopo alcuni minuti udì alcune parole incomprensibili frammezzate dai singhiozzi: “Sono un Pilota… Sono un Pilota… Devo saper pilotare un Eva… E quell’AT-Field… Mamma… Papà…”

A Ritsuko si strinse il cuore sentendo quei lamenti.

 

Povero Gabriel… Per essere in questo stato il peso di questa situazione dev’essere stato più forte di quanto immaginassi…

 

I suoi pensieri furono interrotti bruscamente. Si levò un grido: “REI!!”

Poi ci fu un poderoso schianto metallico e più nulla. La donna rimase in ascolto col cuore in gola per interminabili secondi, poi, dal momento che non sentiva più alcun suono provenire dall’interno della stanza, vi si gettò dentro.

“Gabriel!” gridò, preoccupatissima.

Il ragazzo era seduto su una delle panche, ancora in plug suite, e stava piangendo sommessamente. L’armadietto di fronte a lui presentava una vistosa ammaccatura. Non diede segno di essersi accorto dell’intrusione, per cui la Dottoressa si avvicinò, titubante. Ma all’improvviso il ragazzo parlò tra i singhiozzi. “Dottoressa… Io volevo… volevo solo proteggere Rei… ed invece…”
Ritsuko non sapeva cosa fare. Non era mai stata brava a consolare le persone.

 

Una tra le ragioni che mi hanno spinta a seguire le tracce di mia madre era proprio la speranza di evitare ogni contatto umano…

 

Goffamente, la donna si avvicinò al ragazzo, tentando di assumere un’espressione comprensiva, a lei tanto inusuale. “E’ quello che hai fatto, Gabriel,” disse, ma la sua voce risuonò involontariamente fredda. Le spalle del Fourth Children sobbalzarono violentemente, mentre lui cercava di trattenere il pianto.

“Non è vero, Dottoressa… A causa mia stava per…” La voce gli si strozzò in gola.

L’altra sospirò. Era evidente che ilcontatto umano’ non poteva più essere evitato.

“Gabriel, ascoltami,” disse perentoria. Quando i singhiozzi dell’altro si furono calmati, decise di proseguire, anche se non ne aveva intercettato lo sguardo. “A dire il vero, quando siete riusciti a sviluppare l’AT-Field, il vostro tasso di sincronia ha raggiunto un impennata mai registrata.”

Con soddisfazione sentì che il pianto soffocato del ragazzo si stava calmando, quindi proseguì. “Devo ancora svolgere delle analisi sui dati, ma appare fin d’ora senza ombra di dubbio che, quando salite insieme, la tua prestazione e quella di Rei migliorano sensibilmente. Quindi, in effetti è stato merito tuo se avete distrutto l’angelo, salvando noi e salvando voi stessi.”

Ci fu un momento di silenzio, poi Gabriel sussurrò: “Dice… davvero?”

La donna annuì. Era ben consapevole che prima di giungere a quelle conclusioni con certezza matematica avrebbe dovuto analizzare i dati per ore, con l’ausilio del Magi System, ma in quell’occasione era quello che sua madre avrebbe definito ‘un azzardo giustificabile’.

Cercò di scacciare via la nota di amarezza che le era sopravvenuta dalle sue successive parole. “Sì. La tua presenza nell’entry plug con Rei effettua una sorta di sinergia. Non mi è ancora chiaro il motivo di questo fatto, però è senza dubbio una cosa positiva.”

Gabriel sospirò e rilassò finalmente le spalle. Ritsuko avrebbe voluto dire ‘missione compiuta’, ma sapeva che quella era solo una pausa, e la crisi sarebbe ripresa quando la consapevolezza di aver messo in pericolo la First Children gli sarebbe tornata presente. Però probabilmente non sarebbe stata di quella gravità.

Rimasero ancora alcuni secondi senza muoversi, poi la Dottoressa ricominciò a parlare. “Te la senti di cambiarti?”

Impercettibilmente Gabriel annuì, e la donna considerò concluso il suo compito. Sapeva bene di apparire troppo fredda agli occhi di chiunque, anche dei propri, però non poteva farne a meno. Accennò ad andarsene, ma il ragazzo la fermò. “Aspetti,” disse, senza sollevare il volto, che aveva tenuto chino per tutta la conversazione. La donna si fermò e attese, indecisa su cosa dire se fosse scoppiata un’altra crisi. Ma non accadde nulla di ciò che temeva. La voce di Gabriel era più ferma, anche se ancora leggermente incrinata. “Mi mandi qui il Signor Satoshi, per favore. Solo lui.

Ritsuko esitò ancora, ma subito rispose affermativamente e se ne andò dalla stanza. Quando fu nuovamente solo, il Fourth Children cominciò a togliersi la plug suite in silenzio.

 

 

Quando Ritsuko tornò in Sala Comando, Satoshi stava camminando avanti e indietro, preoccupatissimo, ma si fermò all’istante quando la vide. Le corse incontro, subito imitato da Misato. La Dottoressa però li fermò con un gesto.

“Sta bene.”

Il Tutore di Gabriel trasse un profondo sospiro di sollievo.

“Però,” aggiunse Ritsuko, tornando a calamitare l’attenzione dei presenti, “Ha chiesto che tu vada da lui tra poco, Satoshi. Quanto a te, Misato…”

L’interpellata chinò gli occhi, colpevole.

“Forse è meglio che non ti faccia vedere questa sera. Si è calmato, però non so che effetto gli farà rivederti. Ti consiglierei di andare a casa adesso, portando con te Asuka e Shinji, mentre invece Gabriel e Satoshi vi raggiungeranno con l’auto della Nerv.”

Satoshi annuì. Quando si era scoperto dell’attacco dell’Angelo, gli era stata affidata un’autovettura per portare i Children al Quartier Generale.

“E Rei?” chiese l’uomo, dato che la scienziata non aveva fatto riferimenti alla First Children.

“Ce ne occuperemo noi, non preoccuparti,” rispose la donna. Poi si voltò verso il Maggiore e continuò. “Misato, avviati, io devo parlare con Satoshi.

L’altra donna rivolse uno sguardo stanco al suo compagno, come a prendere congedo, poi annuì e si diresse verso una delle uscite. Quando furono da soli, la Dottoressa riprese a parlare.

“Gli ho detto che effettivamente il suo contributo nella battaglia contro l’Angelo ha avuto effetti insperati. Era solo un abbozzo, mancano le certezze scientifiche, ma è servito a tirarlo su di morale. Stava ancora piangendo quando me ne sono andata, quindi fai attenzione.

Satoshi annuì grave e si avviò verso gli spogliatoi. Ritsuko rimase a guardarlo finché non fu sparito, poi si diresse verso le consolle deserte, poiché gli Operatori in pausa non erano ancora tornati, e cominciò ad analizzare i suoi dati per cacciare via i pensieri.

 

 

Misato raggiunse i ragazzi in una stanza che fungeva da anticamera della Sala Comando. Asuka era seduta su una delle sedie mobili e stava roteando pigramente su se stessa, Shinji andava su e giù per la stanza da un’uscita all’altra e Rei guardava attraverso la vetrata il sottostante pozzo all’apparenza senza fondo che dava sul Central Dogma. La donna quasi andò a sbattere contro il Third Children quando entrò e le due ragazze si lanciarono verso di lei.

“Allora??” chiese Asuka.

“Quali notizie ci sono?” chiese Rei contemporaneamente alla rossa, rendendo incomprensibili entrambe le domande. Ma il Maggiore non ebbe bisogno di capirne il senso per sapere che si riferivano entrambe a Gabriel.

“Sta bene,” disse, cercando di sorridere ed i tre Children, incluso Shinji che aveva atteso in silenzio che la sua Tutrice comunicasse loro la situazione dell'amico, si rilassarono visibilmente.

“Però,” proseguì la donna, “Ritsuko ha detto che è meglio che non mi veda per oggi. Forse è meglio che non veda nessuno, a parte Satoshi. Temo che la nostra festa debba essere posticipata.

Asuka assentì distrattamente, poi intervenne. “Dov’è il Signor Satoshi?”

“E’ andato negli spogliatoi. La sua presenza è stata esplicitamente richiesta da lui.

Rimasero tutti in silenzio, involontariamente concentrati su Rei. Questa teneva gli occhi bassi, pensierosa.

 

Gabriel…

Perché ti angusti tanto?
Abbiamo vinto la battaglia, siamo sopravvissuti tutti… Siamo sopravvissuti entrambi…

So che dovrei essere l’ultima a poter dire una cosa del genere, ma non dovremmo esserne felici?

… Qualunque cosa sia successa prima o durante l’attacco non importa più…

Vorrei potertelo dire…

Vorrei poterti dire che per me l’unica cosa che conta è che… che senza di te non avrei potuto sviluppare quell’AT-Field… Senza di te sarei morta…

 

Misato interruppe i pensieri di Rei. “Asuka, Shinji, Ritsuko ha detto che è meglio se noi andiamo via prima e per il resto della giornata non disturbiamo Gabriel. Rei, ha detto anche che si occuperà lei di te.

La First Children la guardò. La sua espressione sembrava essere tornata fredda e distante di sempre, ma in realtà era terribilmente preoccupata. “Maggiore Katsuragi... cominciò “...io vorrei venire con voi se possibile.”

La donna la guardò stupita, ed altrettanto fecero gli altri due Children.

“Beh…” iniziò, “Sì, non dovrebbero esserci problemi. Ti prepareremo il salotto, dovrai dormire lì. Per te è un problema?”

“No.”

“Bene…”

L’atmosfera di tensione non si era affatto placata, ma ci pensò Asuka ad alleviarla, a modo suo.

“Bene First,” disse, posando una mano sulla spalla dell’altra ragazza. “Vorrà dire che ti insegnerò ad usare le consolle per videogiochi!”

Rei non rispose, ma si lasciò guidare dall’altra ragazza verso l’uscita che dava al resto della Base. Non aveva mai trovato nulla di divertente in ciò che gli altri suoi compagni chiamavano videogiochi, però le era grata di aver distolto l’attenzione dall’argomento che più la faceva soffrire.

Misato e Shinji seguirono le due ragazze, sollevati a loro volta, sebbene permanesse in loro una certa inquietudine per ciò che li aspettava quella sera.

 

 

Quando Satoshi arrivò allo spogliatoio smise di pensare a cosa dire al ragazzo quando l’avrebbe incontrato e rimase alcuni istanti in ascolto. Non sentiva alcun suono provenire dall’interno del locale.

 

Forse si è calmato davvero e mi sto facendo troppi problemi…

 

Si fece coraggio e bussò. Dopo pochi secondi  uno stanco “avanti” gli fece capire che poteva entrare. Varcata la soglia vide subito Gabriel.

“Signor Satoshi...” iniziò il ragazzo con voce bassa, senza guardarlo in volto “...mi dispiace darti disturbo, ma in qualche modo vorrei restare completamente solo a casa questa sera...”

L’uomo rifletté alcuni istanti, poi annuì. “D’accordo, non c’è problema. Non preoccuparti per me. Ti preparerò solo la cena, poi ti lascerò da solo.

“Va bene. Grazie.”

“Ora vieni… ti accompagno a casa.

Il Fourth Children annuì stancamente e si alzò dalla panca su cui seduto. Evitò accuratamente di guardare il suo tutore negli occhi, ma questi non poté non notare quanto fossero arrossati dal pianto.

Mentre stavano attraversando i corridoi della Base, ancora poco affollati per l’ordine di evacuazione indetto da Misato, Gabriel ruppe il silenzio che li aveva accompagnati fin dall’uscita dagli spogliatoi. “Mi è possibile incontrare Rei?”

Satoshi si fermò e sollevò un sopracciglio, pensieroso. “Sì, credo che non ci siano problemi. Chiamo la Dottoressa Akagi, così mi faccio dire dove si trova. Aspettami qui.”

Si allontanò di qualche passo, mentre Gabriel annuiva e chinava il capo, in attesa, poi estrasse il cellulare e compose il numero di Ritsuko. Se anche non l’aveva con sé, la donna portava sempre almeno un cercapersone che la avvisava se qualcuno cercava di contattarla. Quella volta non servì, perché rispose quasi subito.

“Pronto?”

Ritsuko, sono io,” disse l’Agente abbassando la voce.

“Ah sì, come sta?”

“Non troppo male in effetti… Senti, ha chiesto di Rei, puoi dirmi dove si trova?”

“… Mi ha chiamata Misato poco fa e ha detto che le ha chiesto di passare la notte a casa da lei…”

Satoshi sgranò gli occhi. “Davvero?”

“Sì. Dopotutto dovrebbe essere comprensibile: il suo ragazzo sta male, credo sia normale che desideri stargli accanto. O meglio, sarebbe normale per chiunque non sia Rei…”

“Ho capito. Noi andiamo allora. Misato è già partita?”

“Poco fa.

Quindi probabilmente arriverà prima di noi… D’accordo. Ci vediamo domani, Ritsuko. Buona serata.

“Buona serata anche a te.”

L’uomo chiuse la comunicazione e tornò verso Gabriel. Questi non lo stava guardando, ma appena parlò gli rivolse tutta la sua attenzione.

Gabiel,” cominciò il suo Tutore. “Rei ha lasciato la Base poco fa con Misato. Ha detto che vuole passare la notte da lei.

Per la prima volta da quando si erano rincontrati, Gabriel lo guardò negli occhi, stupefatto, tuttavia non disse nulla. Si limitò ad annuire per poi avviarsi al parcheggio insieme all’Agente, il quale sperò che la vicinanza di Rei riuscisse a tranquillizzarlo

 

 

 

 

Quando arrivarono Satoshi notò la Renault Alpine della sua compagna parcheggiata di fronte al palazzo, il che indicava che gli altri erano già arrivati. Per non disturbare Gabriel, l’Agente non aveva telefonato per avvisare che avrebbero dovuto ospitare anche lui oltre a Rei, ma in qualche modo si sarebbero sistemati in modo da stare tutti abbastanza comodamente anche a casa di Misato.

Una volta saliti in appartamento, Satoshi informò il Fourth Children che gli avrebbe preparato la cena, ma questi, già seduto al pianoforte, scosse la testa.

Se non ti dispiace, vorrei rimanere solo già da ora. Gli altri sapranno apprezzare meglio la tua cucina di quanto possa fare io adesso.”

L’uomo annuì conciliante e si tolse il grembiule. “Faccio in un attimo,” affermò, e si recò nella propria camera.

Gabriel in realtà non avrebbe voluto restare da solo. Era la compagnia di una sola persona quella che voleva, ed essa era proprio nell’appartamento di fianco al suo. Ma si sentiva spossato, vuoto, non aveva le forze di chiedere a Satoshi se poteva chiederle di andare da lui. E poi, dopo tutto quello che era successo, con che coraggio avrebbe osato fare una richiesta del genere?

Meno di cinque minuti dopo, l’Agente uscì dalla sua stanza con un involto sotto al braccio, andò in bagno per recuperare il proprio spazzolino e il proprio tubetto di dentifricio ed augurò la buona notte al ragazzo, che  rispose distrattamente. Contrariamente alle sue abitudini, era seduto al pianoforte ma non stava suonando. Inquieto, si chiuse la porta alle spalle.

Nell’appartamento vicino fu accolto dal suono di una violenta esplosione, accompagnata da una risata sguaiata di Asuka.

“Dovevi saltare! Non sparare!” stava imprecando ad alta voce.

Shinji, che era venuto ad aprirgli, gli fece cenno di non badare a quello che sentiva mentre lo accompagnava dentro casa e gli chiudeva la porta alle spalle.

Sedute al centro del pavimento del salotto la First e la Second Children stavano giocando con un videogioco[2], anche se a dire il vero sarebbe stato corretto dire che solo la rossa stava giocando. Rei si limitava a tenere goffamente il controller in mano. Non si erano ancora accorte dell’arrivo di Satoshi.

Misato gli venne incontro, ignorando le imprecazioni di Asuka.

“Allora? Come sta?”

A quelle parole i suoni dal televisore si interruppero bruscamente e le due ragazze arrivarono subito da lui, serissime. Rei era evidentemente preoccupata. Satoshi allora abbozzò un sorriso stanco ma rassicurante. “Sta abbastanza bene.

Tutti i presenti trassero un sospiro di sollievo e Asuka addirittura sorrise. Non sapeva se era riuscita a distrarre davvero la First Children con i suoi videogiochi, ma di sicuro a quella notizia lei si sarebbe sentita meglio.

“Mi ha chiesto di lasciarlo da solo, però,” continuò l’uomo. “Posso venire a dormire qui da voi?”

“Certo,” disse Misato, che in un’altra occasione sarebbe stata felice di passare la notte in compagnia del suo fidanzato, ma che ora desiderava soltanto che quella serata finisse. “Se per te va bene puoi venire a dormire di là. Indicò la propria stanza, senza nessuna inflessione maliziosa nella voce. D’altronde, Satoshi stesso non si sentiva abbastanza allegro da scherzare. Anche gli altri lo capirono, perché nessuno disse niente in proposito.

“Vi preparo qualcosa da mangiare intanto,” propose l’Agente, tornando a sorridere per cambiare argomento.

Asuka si disse entusiasta dell’idea e spense televisore e consolle. Pochi istanti dopo Satoshi si batté una mano sulla fronte: si era appena ricordato una cosa importante. Chiamò Rei, che intanto si era già recata al tavolo per la cena. Misato, intuendo che si trattava di qualcosa riguardante Gabriel, lasciò la cucina ed andò nella propria camera da letto.

“Quando eravamo alla Base,” cominciò l’uomo quando la ragazza l’ebbe raggiunto, “poco dopo l’uscita dallo spogliatoio, Gabriel ha chiesto di te.”

La First Children spalancò gli occhi per la sorpresa ed arrossì per l’agitazione.

“Ora non me l’ha detto, però credo che se andassi di là a trovarlo gli farebbe bene. Tieni.” Frugò nella tasca destra e ne estrasse il tesserino d’accesso del proprio appartamento. “Usa questo per entrare. Mettici pure il tempo che vuoi.

Rei prese con mano tremante l’oggetto e annuì. Fece per andare verso la porta, ma a metà strada si fermò e si girò a metà. Negli occhi le si leggeva una strana espressione, mista di preoccupazione e gratitudine.

“… Grazie,” mormorò, prima di uscire dall’appartamento.

L’uomo sperava sinceramente che parlare con lei avrebbe aiutato il suo tutorato. Quando Misato ritornò spiegò a lei e ai ragazzi la situazione, e tornò ad occuparsi della cena.

 

 

Cercando di far meno rumore possibile, Rei aprì la porta di casa per poi richiuderla alle sue spalle cercando di evitare qualunque minimo rumore.

Gabriel era ora intento a suonare. La First Children riconobbe subito la melodia. ‘Al Chiaro di Luna’ di Beethoven. Rimase immobile, in ascolto e osservandolo: non sembrava la stessa persona che poco tempo prima era stato sul punto di una crisi nervosa, ma un ragazzo appassionato di musica, che si dedicava alla sua occupazione preferita.

La ragazza rimase alla porta, decisa a non interferire con l’illusione di non essere un Children, di non dover combattere per salvare il mondo, nella speranza che essa continuasse a concedergli la pace di cui necessitava. Tuttavia, quando il ragazzo aprì gli occhi, lei capì che era tutto inutile: nel suo sguardo si leggeva tutta l’angoscia che la musica non era in grado di lenire.

Rei si mosse in avanti con decisione, e finalmente Gabriel si accorse di lei. Cessò di suonare e non fece nemmeno finta di abbozzare un sorriso. Grandi lacrime apparvero agli angoli dei suoi occhi.

La ragazza gli impedì di parlare, ma gli corse incontro. Lui si alzò e si abbracciarono, stringendosi forte. Sotto le braccia di Rei la schiena del Fourth Children sobbalzava senza freno.

“Rei…” cercava di dire, continuamente interrotto dai singulti. “Mi dispiace…”

“Non importa,” cercò di consolarlo lei, singhiozzando a sua volta. “E’ tutto finito…”

Si sedettero entrambi sullo scranno del pianoforte, senza smettere di stringersi.

“Mi dispiace,” ripeté Gabriel quando si fu calmato a sufficienza. “Sull’Eva…”

“E’ tutto a posto,” lo tranquillizzò di nuovo lei, ma il ragazzo la scostò per guardarla negli occhi.

“No, Rei,” disse, serio. “Per colpa mia sull’Evangelion sei quasi morta… Non sono stato in grado di sviluppare l’AT-Field, così l’Angelo ti ha fatto del male… Volevo proteggerti ed invece a causa della mia testardaggine… Sei quasi…”

Un nodo alla gola gli impedì di proseguire. Rei gli carezzò il volto, raccogliendo sulla mano le calde lacrime che stava spandendo e sorrise, ignorando le proprie.

“Se tu non fossi stato con me non avrei potuto affrontare l’Operazione, Gabriel. Sarei stata costantemente distratta dall’ansia per la tua sicurezza, per quello che era successo, e non avrei comunque potuto sviluppare l’AT-Field. Finendo per permettere all’Angelo di ucciderci tutti. Sei tu che mi hai salvata.”

Il ragazzo scosse il capo, sconsolato. “Ma se non avessi fatto quella scenata davanti al Maggiore Katsuragi non ti avrei fatto provare tutta quell’ansia. Avrei potuto dirti di fare attenzione e ti avrei aspettato a Matsushiro, al sicuro. Però io non potevo!”

Questa volta fu Rei a scuotere la testa, prendendo quella di Gabriel tra le mani, delicatamente. “Io avrei fatto la stessa cosa. Se fossi stato tu a dover combattere contro l’Angelo, mentre io mi nascondevo, anch’io avrei chiesto di andare al posto tuo. Io ti amo, Gabriel. Non avrei potuto fare niente senza di te.

Quasi a sottolineare il significato delle sue parole, la ragazza lo abbracciò di nuovo. Sentì i forti singhiozzi di Gabriel, che finalmente venivano liberati, riversarsi senza freno sulla sua spalla. Una calda scia di lacrime scese dai suoi occhi scarlatti, ma lei si sentiva felice di poter abbracciare il suo ragazzo, di avergli potuto dire ancora una volta che lo amava.

“Rei… ti amo… non posso sopportare di averti messa in pericolo…quando avevo giurato a me stesso di proteggerti… Proprio io…io che avrei voluto essere per te un vero Angelo e difenderti…”  riuscì a dire a scatti il pianista.

A quelle parole, Rei lo strinse di più prendendo ad accarezzare piano la lunga capigliatura nera del ragazzo.

“Tu sei già il mio Angelo. Il mio Angelo della Musica[3], il mio Amore, la mia stessa vita.

 

L’unica ragione che mi spinge a vivere, l’unica ragione che mi fa desiderare di vivere quando invece ero nata solo per pilotare l’Eva sei tu, Gabriel.

 

Restarono abbracciati per quelle che sembrarono ore, poi la ragazza si disgiunse da lui. Avevano smesso di piangere entrambi, però il giovane aveva ancora un’aria angosciata. Fu solo con fatica che riuscì a parlare.

“Resta con me, questa sera,” disse.

La First Children credette di aver capito male. Sbatté più volte le palpebre, incredula.

“Resta con me,” ripeté Gabriel, più deciso. “Non voglio stare da solo, e non sopporterei la compagnia di nessun altro. Ti prego… Rimani con me.”

La ragazza aprì la bocca per parlare ma non ne uscì suono. Era tutto così… incredibile.

Il silenzio trepidante dell’appartamento fu rotto dal campanello dell’appartamento. La ragazza si alzò di scatto, rossa in volto, mentre Gabriel aveva voltato il viso, in modo che chi stava per entrare non vedesse che aveva pianto. Rei andò subito alla porta e la aprì. Era Satoshi, l’espressione ancora grave e preoccupata, che portava la cena ai due ragazzi. Vedendo la First Children tanto imbarazzata e il suo ragazzo che non stava guardando, intuì di aver scelto un momento poco opportuno.

“Scusate per il disturbo,” cominciò l’Agente della Nerv, il vassoio con i quattro piatti tenuto sull’avambraccio sinistro. “Vi ho portato la cena.”

“La ringrazio,” disse precipitosamente Rei, avvicinandosi per prendere il pasto. L’uomo la guardò sorpreso: sembrava veramente sconvolta.

 

Forse sono arrivato in un momento proprio poco opportuno…

 

“Scusate ancora per avervi disturbati,” ripeté, arretrando verso la porta. Gabriel non diede segno di averlo udito, ma Rei scosse il capo vigorosamente, con il rischio di far cadere ciò che aveva in mano.

“Aspetti, Agente Iwanaka,” disse, ed il suo rossore avvampò di nuovo mentre posava il vassoio su un mobiletto dell’ingresso. Sullo scranno, il Fourth Children si irrigidì un poco. “Devo chiederle una cosa.”

Satoshi annuì, stupito, ed attese che la ragazza si sentisse pronta per parlare. Dopo alcuni istanti, questa sollevò su di lui gli occhi rossi, ancora luminosi per le lacrime e stanchi ma decisi.

“Agente, crede che sia possibile per me rimanere qui, questa notte?”

L’uomo la guardò come se avesse appena detto la cosa più strana del mondo. Cercò con lo sguardo anche gli occhi di Gabriel, per trarne la conferma di aver udito bene, tuttavia non poté incontrarli. Quando tornò su Rei dovette deglutire un paio di volte per la sorpresa.

“Credo… che non ci siano problemi a riguardo,” mormorò, incerto.

“Davvero?” Ora negli occhi della First Children c’era una muta speranza. L’uomo allora decise di non deluderla con delle considerazioni su ciò che avrebbe raccontato a Misato. Oppure a Ritsuko. Sorrise.

“Sì. Gabriel dovrebbe già sapere come sistemare la stanza degli ospiti. Piuttosto, noi abbiamo degli spazzolini di riserva, ma forse dovresti venire di là a prendere in prestito un pigiama.

Rei gli sorrise, ma scosse la testa. “No, grazie. Non ce n’è bisogno, va bene così,” disse, pacata. Sembrava che un grande peso le fosse stato tolto dall’animo. Satoshi annuì e non insistette. Sapeva che in quel momento farli stare insieme quella sera era quanto di meglio potesse fare per il suo tutorato.

“Allora io vado, buon appetito,” decretò alla fine, alzando la voce in modo che il suo ultimo augurio fosse udito anche da Gabriel. Questi annuì e si voltò. Per la prima volta quella sera, sorrideva più sereno.

“Signor Satoshi,” disse, mentre l’interpellato stava già uscendo dalla porta. “Ti chiedo scusa per oggi. Domani mi scuserò anche con il Maggiore Katsuragi. Intanto buon appetito anche a voi.

L’uomo guardò l’espressione serena e calma del ragazzo, così diversa da quella di quando l’aveva incontrato nello spogliatoio, e annuì sollevato, sorridendo.

L’Agente della Nerv lasciò l’appartamento, ed il Fourth Children si voltò verso Rei, che aveva già preso il vassoio e lo stava portando sul tavolo. Si sentiva felice.

 

 

Quando Satoshi tornò nell’appartamento di Misato, Asuka e Shinji stavano già cenando, mentre la donna stava togliendo alcune lattine vuote di birra dalla propria camera da letto, che avrebbe diviso con il suo compagno. Attese che anche lei fosse tornata a tavola per informarli tutti che Rei avrebbe dormito nel suo appartamento con Gabriel. Il silenzio che derivò da quella rivelazione era interrotto solamente dalle proteste di PenPen, che stava ancora aspettando le sue aringhe.

Ma… E’ sicuro, Signor Satoshi?” chiese Shinji, a bocca aperta, arrossendo un po’. Non credeva proprio che quell’iniziativa potesse essere approvata dall’Agente o da Misato. Asuka, senza permettere all’uomo di rispondere, ridacchiò.

“Beh, che ci trovi di strano?” chiese all’amico. “Anche noi dormiamo insieme, no?”

MA COSA…??” Il rossore sul volto del ragazzo avvampò all’inverosimile, ma lei sembrò non badarci.

“Sì, insomma, anche noi abitiamo nello stesso appartamento, quindi cosa c’è di male?” specificò la rossa. Non avevano più parlato esplicitamente di quello che era successo quella notte, ma il ricordo e la sua dolcezza era ancora vivo in entrambi. PeròMisato, né Satoshi sapevano nulla a riguardo, e nessuno dei due Children voleva che le cose in quel senso cambiassero.

Il Maggiore sorrise alla battuta di Asuka e al suo effetto su Shinji, ma tornò subito seria verso il suo compagno. “Sei sicuro che sia opportuno?”

L’uomo annuì sicuro. “Credo che a riguardo possiamo stare tranquilli. Finché ciò che ama non viene minacciato, ha la testa ben salda sulle spalle.”

La donna rimase un momento pensierosa, poi annuì stancamente. “Quello che è successo oggi falsa il mio giudizio su di lui, non dovrei dubitare delle tue parole. Una bella dormita mi farà bene.”

“A proposito…” la fermò Satoshi, sorridendo. “Ha detto che domani mattina vorrà scusarsi con te per quanto successo.

Lei lo guardò sorpresa, non badando ai Children che avevano cominciato a discutere animatamente sul numero di aringhe da dare a PenPen, poi sorrise a sua volta, serena. “Anch’io dovrò scusarmi con lui.”

L’Agente annuì conciliante. Dopotutto, non era giusto che lei si colpevolizzasse ancora per quanto successo. Dato che ormai la cena si era conclusa e i ragazzi avevano preso a giocare con PenPen, i due adulti sparecchiarono la tavola, mettendo da parte per il resto di quella lunga giornata gli avvenimenti che l’avevano contrassegnata.

 

 

Per quasi tutta la durata della cena, Rei e Gabriel stettero in silenzio, ma sembrava andasse già meglio rispetto a prima. Il pianista le aveva sorriso dolcemente più volte e lo stesso aveva fatto la ragazza. Erano insieme, questo bastava a renderli felici, nonostante la paura e la tensione provate in quella giornata.

Al termine del pasto, Gabriel prese a sparecchiare il tavolo della cucina per poi depositare i piatti e i bicchieri usati nel lavandino.

“Vuoi che ti aiuti?” Chiese Rei, pur se non era molto pratica di queste cose.

“No, non preoccuparti. Ci penserò domattina. Le rispose a bassa voce per poi volgersi verso di lei con un sorriso quieto. “Ora voglio solo stare con te. Aggiunse prima di avvicinarsi. A quelle parole, anche la ragazza sorrise e gli andò incontro per abbracciarlo forte.

“Anch’io voglio solo stare con te. Risposte lei appoggiando il capo sulla spalla di lui mentre le mani andavano a circondargli il busto fermandosi sulla schiena.

Nuovamente il tempo parve arrestarsi, ma stavolta fu Gabriel a distaccarsi per primo, quanto bastava per poterla guardare negli occhi.

“Vado a preparare la tua stanza.” Le disse sorridendo lieve. Lei annuì e si sporse per un rapido bacio, dopodichè si staccarono definitivamente.

“Posso aiutarti in qualche modo?” insistette la ragazza.

Gabriel, che ormai aveva quasi guadagnato la porta, si fermò volgendosi di nuovo verso di lei. “No, non preoccuparti, ci metterò poco, davvero. Devo solo prendere delle lenzuola pulite e sistemare in bagno. Le sorrise.

“Ti dispiace se vengo con te?” Chiese lei accostandoglisi con un sorriso lieve e lo sguardo decisamente assonnato, così com’era quello di lui.

“Certo che no. Vieni, andiamo.” Le rispose prendendola per mano e guidandola nella stanza riservata agli ospiti.

Appena arrivarono, Gabriel si affrettò ad estrarre dall’armadio tutto l’occorrente, e si affrettò a preparare il letto  per la ragazza, seppure i suoi movimenti fossero rallentati dalla stanchezza di quella giornata che ormai aveva iniziato decisamente a farsi sentire, ora che la tensione era svanita.

Rei lo osservò girare indaffarato per la stanza e nuovamente si offrì di aiutarlo, ma il ragazzo fu irremovibile. Una volta terminata l’operazione di cambio, raccattò velocemente la federa del cuscino e le lenzuola tolte, rischiando di inciampare almeno un paio di volte nei bordi di queste ultime, che toccavano terra, mentre le portava nella cesta del bucato in bagno. Lì, dopo aver depositato il carico nella cesta, aprì l’anta del mobiletto a muro vicino allo specchio e ne estrasse uno spazzolino di colore bianco ed un tubetto di dentifricio nuovi. Rapido lanciò uno sguardo sul ripiano davanti allo specchio dove c’erano due bicchieri etichettati coi nomi, quello di Satoshi, vuoto, ed il suo, con dentro uno spazzolino verde ed il tubetto di dentifricio, quindi corse in cucina dove ne prese un terzo e ritornò in bagno. Appoggiò il  bicchiere accanto al suo e vi depose affianco gli oggetti.  Subito dopo aprì un altro mobiletto e vi estrasse degli asciugamani puliti che appoggiò con cura sui poggia asciugamano vuoti, riservati agli ospiti. Per tutto il tempo, la First Children era rimasta in corridoio ad osservare il via vai di Gabriel, con un sorriso intenerito, affrettandosi a raggiungerlo quando quest’ultimo la chiamò.

Dunque…” cominciò il ragazzo guardandosi attorno “lì ci sono spazzolino e dentifricio nuovi, poi qui gli asciugamani…” Con cura indicò minuziosamente gli oggetti predisposti per lei, mentre la ragazza ascoltava attentamente osservando quanto da lui indicato, poi il pianista continuò

“…per il resto… sei sicura di voler dormire in uniforme e non voler chiedere di là?” Chiese premuroso mentre entrambi uscivano dal bagno.

“Di solito…” Cominciò Rei arrossendo appena “…non uso pigiami o simili…dormo in camicia…”

A quelle parole Gabriel arrossì a sua volta. “Ah…ecco…” balbettò quasi, imbarazzato, prima di riprendere il controllo “…se vuoi... si interruppe distogliendo lo sguardo da lei. La ragazza lo guardò incuriosita.

“Beh, si ecco…” riprese lui  “…se vuoi posso darti un mio pigiama…anche se ti andrà un po’ largo…” concluse con crescente rossore che invase anche il volto di Rei.

Dopo alcuni secondi di silenzio imbarazzato, La First Children riuscì appena a balbettare fissando lo sguardo in un punto indefinito del corridoio "Te... te ne sarei grata. In fondo non ho potuto cambiare uniforme oggi."

D-D’accordo…allora….se vuoi rinfrescarti, vai pure… io vado a prendere un pigiama pulito e te lo appoggio sul letto…”

“Va bene… Grazie.” Sussurrò appena lei mentre andava in bagno ed il pianista si dirigeva verso la propria camera.

Quando entrò si portò  subito all’armadio mettendosi alla ricerca dell’indumento nei cassetti inferiori, il volto ancora arrossato.

Ne scartò tre dai colori troppo scuri, infine decise che il quarto poteva andar bene. Era color acquamarina, che non aveva quasi mai indossato. Era stato lavato di fresco e profumava ancora. Lo prese piegato così com’era e lo portò nella camera degli ospiti, posandolo sul letto che aveva appena preparato. Dal bagno proveniva lo scroscio della doccia e lui si chiuse nella propria stanza, arrossito all’inverosimile. Indossò il proprio pigiama verde scuro e si sedette sul letto, attenendo trepidante che Rei si fosse sistemata, per poterla infine salutare.

Finalmente lo scroscio dell’acqua terminò e sentì il rumore attutito dei suoi passi mentre camminava per entrare nella camera degli ospiti. Quando infine anche la porta di quella stanza si chiuse, Gabriel riprese a respirare. Si alzò in piedi e si recò a sua volta in bagno per lavarsi i denti.

 

 

Con movimenti rapidi, Rei si tolse l’asciugamano che la avvolgeva e reindossò la propria biancheria. Poi guardò il pigiama color acquamarina che stava ben ripiegato sul letto ed arrossì. Impacciata si avvicinò prendendolo tra le mani.

 

Non sono abituata a mettere un pigiama…

Tantomeno il pigiama di un ragazzo…

Senza contare che questo è uno dei SUOI pigiami… mi sembra… profumato…

Sì, è fresco di bucato e ne sento ancora il profumo.

Mi sembra… meraviglioso.

Tutto qui mi sembra meraviglioso.

Mi sento felice.

Tutto qui mi sembra meraviglioso.

E nonostante il pericolo che abbiamo corso…Mi sento felice.

Sapere che lui è proprio qui, a poche porte di distanza, mi rende felice.

Vorrei che potesse essere così sempre.

 

Indossò il pigiama, dovendosi sedere per infilare i calzoni lunghi, dal momento che non ci era abituata. Quando ebbe fatto si guardò nello specchio di fianco al letto, entrambi rivolti verso la parete adiacente alla porta d’ingresso. L’indumento era almeno di una taglia e mezza più grande, le maniche le coprivano l’attaccatura delle dita, la vita dei calzoni le scendeva sotto l’ombelico e il colletto si apriva in una scollatura insolitamente ampia. Un po’ imbarazzata si tirò su i pantaloni ed abbottonò due bottoni della maglia.

Fuori dalla porta udì i passi smorzati di Gabriel e si avvicinò alla porta. Cercando di dominare l’imbarazzo la aprì, per dare la buona notte al suo ragazzo.

Stava uscendo in quel momento dalla cucina. Aveva già indossato il suo pigiama verde scuro, nella destra reggeva una brocca d’acqua e nella sinistra un bicchiere. Aveva già provveduto a lavare i denti mentre la ragazza era alle prese col pigiama e si era recato in cucina a prendere da bere. Quando la vide si arrestò, arrossendo a sua volta. Prima che lei potesse aprire bocca parlò lui: “H-hai bisogno di qualcosa? Vuoi un bicchiere d’acqua?”

A quella domanda la ragazza si accorse di avere sete. “Sì, grazie.

“Questo l’ho usato io, te ne prendo uno pulito. Vai pure a letto, te lo porto lì.” Sorrise e le voltò le spalle, tornando in cucina. Rei, ancora imbarazzata, chiuse la porta e tornò al letto, sedendosi sulla coperta. Dopo pochi istanti, si udì bussare timidamente alla porta.

“Avanti,” disse la ragazza, arrossendo e portando le gambe a distendersi sul letto.

Gabriel entrò reggendo nella destra un bicchiere colmo d’acqua e glielo portò sorridendo. Lei raccolse le gambe sotto al corpo, piegandole, poi lo prese e ne bevve una lunga sorsata. L’acqua fresca le schiarì un po’ la mente e la rilassò. Ora si sentiva meglio, anche se era in camera da letto, di notte, con il proprio ragazzo: una situazione che avrebbe imbarazzato persino Asuka.

Quando ebbe finito si forbì le labbra con un dito e depositò il bicchiere ormai quasi vuoto sul comodino che stava tra il letto e lo specchio.

“Va meglio?” chiese Gabriel, premuroso.

“Sì, molto meglio,” rispose lei, guardandolo intensamente negli occhi.

Rimasero alcuni secondi così, lei seduta sul letto, lui leggermente chino su di lei, occhi negli occhi, poi Gabriel si riscosse.

“Allora io vado…” disse, impacciato. “Vuoi che ti spenga la luce? Qui se vuoi c’è un’abat-jour. Indicò una piccola lampada da tavolo accanto al bicchiere appena deposto. Lei annuì lievemente. “D’accordo.

Gabriel tornò ad ergersi e andò a spegnere la luce, mentre lei accendeva il lume più piccolo. Poi lui si voltò di nuovo, per augurarle la buona notte. La luce lieve dell’abat-jour dava una strana atmosfera soffusa alla stanza. Rei lo stava guardando dal letto, con due piccole stelle come occhi.

“Gabriel…” chiamò dolcemente.

Non ci fu bisogno di parole, come se tutto ciò che andasse detto era in quel nome appena sussurrato

Il ragazzo tornò da lei, e la baciò con dolcezza. Le posò le mani sulle spalle, delicatamente, e lei si lasciò scivolare all’indietro circondandogli quasi senza rendersene conto il collo con le braccia, portandolo così a seguirla nei suoi movimenti.

Per evitare di perdere l’equilibrio, Gabriel dovette appoggiarsi con un ginocchio al letto.

Così facendo, si ritrovò quasi sdraiato per metà su di lei e per metà al suo fianco. Le mani di Rei discesero ad accarezzargli la schiena, finendo poi per abbracciarlo nuovamente. La ragazza spostò la testa in una posizione più comoda, ed il bacio divenne più intenso. Più adulto.

Gabriel si sentì sommergere da una sensazione che non aveva mai provato prima. Gli sembrava di essere tutt’uno con Rei, di essere testimone e artefice di un evento straordinario, pari solo alla nascita del mondo. Si sentiva felice.

Con infinito sollievo, rilassò i muscoli della schiena e si adagiò su di lei, portando le braccia in una posizione più comoda. A sua volta, Rei si abbandonò a quelle sensazioni rilassandosi maggiormente, ed approfondì il bacio ancora di più mentre ricercava una posa più confortevole.

Quando il ginocchio sinistro di lei gli carezzò involontariamente il fianco destro, Gabriel balzò in piedi.

Il movimento di Rei lo aveva portato all’improvviso alla realtà. Gli ricordò che avevano quattordici anni, che erano troppo giovani, che si stavano spingendo troppo oltre, dove non era lecito andare per loro. Rei, ancora sdraiata sul letto, si puntellò sui gomiti e lo guardò allarmata. “Gabriel, cos’hai?”

“Niente,” minimizzò lui, l’espressione confusa del volto celata dal gioco di luci ed ombre del lume.

“Rei…” sospirò infine, imbarazzato. “Per noi… è troppo presto…”

Disse solamente quelle parole, nella speranza che lei capisse. La ragazza chinò il capo con aria colpevole ed estremamente imbarazzata. “Scusami.”

Ma lui scosse il capo. “Non devi scusarti di nulla. L’amore non rende colpevoli. E noi non lo siamo. le sussurrò piano tornando alle sue labbra in un bacio più dolce e pacato, completamente differente da quelli molto più adulti di solo pochi attimi prima.

Rei, dopo quel bacio, tenne gli occhi fissi davanti a sé, come se non avesse ancora realizzato interamente quanto era accaduto. Eppure era accaduto, ne conservava il ricordo, e la sensazione delle labbra di lui sulle proprie. Non riusciva a capacitarsi di aver agito in quel modo, lei, che fino a pochi mesi prima sapeva a mala pena come sorridere.

Ma quando Gabriel fece per allontanarsi, la ragazza lo trattenne per una manica. “Gabriel...” mormorò. Il pianista si volse a guardarla interrogativo. “Cosa c'è?” le chiese dolcemente, sorridendo e tornando a chinarsi verso di lei.

“Resta,” disse semplicemente lei tenendo lo sguardo chino sulle lenzuola, mentre il viso era nuovamente arrossito. Il ragazzo la guardò attonito, poi annuì. “Va bene.”

Si discostarono appena per sollevare le lenzuola, poi Gabriel si distese di fianco a lei. Subito la ragazza lo abbracciò, non troppo strettamente, e lui rispose con un lieve bacio sulla fronte.

“Buona notte, amore,” le mormorò all’orecchio.

“Buona notte,” rispose lei, affondando il volto nel suo petto.

Gabriel le sorrise e le carezzò i capelli, prima di allungare il braccio e spegnere l’abat-jour.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]: vedi capitolo precedente.

 [2] Riferimento ad un’immagine divertente di Evangelion trovata in rete, in cui si vedono Asuka e Rei giocare con un videogioco.

[3] Citazione da “Il Fantasma dell’Opera”, musical di Andrew Lloyd Webber.

 

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Capitolo 16
*** Weekend: Esaurimenti e Relax (Parte I) ***


La sveglia suonò il suo implacabile verdetto alle sette in punto del giorno successivo e Misato ci mise più tempo del solito a spegnerla

CAPITOLO 15

 

Weekend: Esaurimenti e Relax (Parte I)

 

 

 

 

 

La sveglia suonò il suo implacabile verdetto alle sette in punto del giorno successivo e Misato ci mise più tempo del solito a spegnerla. Normalmente, infatti, le bastava sbracciarsi in tutte le direzioni con gambe e braccia: prima o poi l’avrebbe incontrata. Ma questa volta non poteva applicare il suo solito metodo per non svegliare Satoshi, ancora addormentato, cui era strettamente abbracciata. Tuttavia, l’effetto di tale ritardo fu proprio il risveglio dell’uomo, che gemette infastidito e nascose il volto fra i capelli di lei. Quando finalmente raggiunse la sveglia, che continuava a trillare, la spense con disappunto.

“Mi spiace che ti abbia svegliato così…” mormorò all’uomo fra le sue braccia.

“E’ il suo lavoro,” rispose questi, ancora assonnatissimo, senza provare nemmeno a districarsi dall’abbraccio della sua compagna.

Passarono alcuni momenti a carezzarsi e baciarsi l’un l’altro, poi Misato, a malincuore, sospirò. Dopotutto, da quella volta, con gli impegni alla Nerv nei giorni seguenti e poi l’attacco dell’Angelo il giorno prima, non avevano più avuto molto tempo per stare insieme. Ma dovette liberarsi dall’abbraccio. “E’ ora che andiamo a prepararci…” mormorò, dispiaciuta. L’uomo gemette di disappunto e non si mosse. “Stiamo a casa oggi,” disse, solamente.

Lei impiegò un attimo a realizzare le sue parole. “Dici sul serio?” chiese infine. Lui annuì, il volto ancora nascosto dai suoi capelli. “Ritsuko non ce la farà passare liscia…” commentò Misato, cominciando ad accarezzargli i capelli. Satoshi sollevò un poco la testa, il tanto che bastava per darle un rapido bacio sulle labbra.

Cosa sarà mai la rabbia della Dottoressa Akagi rispetto all’attacco di due Angeli?” chiese, sorridendo. La donna parve riflettere alcuni istanti, poi annuì, convinta.

“Hai ragione,” disse, “saremo in grado di affrontarla. Ma per i ragazzi?”

“Dopo quello che è successo ieri si meritano una giornata di riposo. Per Gabriel autorizzerò io la sua assenza da scuola.

Ed io farò lo stesso per Asuka e Shinji. Per Rei invece…”

Tacquero entrambi. “Chi è il tutore legale di Rei?” chiese infine Satoshi, stupito. In tutto quel tempo non aveva mai chiesto chi si occupasse della First Children. Sapeva che viveva da sola, ma non era possibile che per tutte le questioni legali non ci fosse qualcuno che badasse a lei. Tutte le assenze da scuola dovute ai test per la Nerv venivano regolarmente giustificate, ed in quei casi probabilmente se ne occupava la Dottoressa Akagi. E ciò rendeva possibile che…

“Ritsuko…” sospirò Misato, sconsolata. “Dovremo chiedere a lei di autorizzare questa assenza… In fondo non so chi sia ufficialmente il suo tutore legale.”

“Se non è lei,” disse l’uomo, “potremmo provare a chiederle chi è.”

Dopo un attimo di esitazione, il Maggiore prese coraggio e si sciolse dall’abbraccio di Satoshi. “D’accordo. Le telefono.”

“Sei sicura di trovarla già sveglia?”

“Stiamo parlando di Ritsuko Akagi. I suoi turni di lavoro cominciano due ore prima degli altri e finiscono due ore dopo.

Ma come fa?” chiese l’Agente, stupito.

“Perché ama il suo lavoro… Per il suo carattere… Non lo so. Però fa sempre questo orario. Si prende pochissime pause.”

“Ecco qualcuno che si merita davvero il premio di dipendente dell’anno,” commentò Satoshi, divertito.

“Come?”

“Niente niente, è una specie di onorificenza della Sezione Francese della Nerv, viene consegnata al dipendente che si è maggiormente distinto in un anno. Se esistesse anche qui scommetto che lei la vincerebbe sempre.

“Può darsi,” rispose Misato sorridendo. Era riuscita a rialzarsi e a trovare il cellulare. Compose rapidamente il numero.

“Pronto?” chiese la voce della Dottoressa Akagi, fredda ma niente affatto impastata nonostante l’ora. In sottofondo si udivano i suoni di un computer in funzione.

“Ciao, Ritsuko,” cominciò il Maggiore, e si sentiva già senza parole o argomentazioni valide.

“Misato? Stai parlando al telefono mentre guidi??” la rimproverò l’altra.

“Ehm… Veramente no… Sono a casa.”

“Ah, ho capito, arriverai tardi. Posso chiederne il motivo?”

“In realtà… Pensavo di non venire proprio.

Dall’altra parte della linea c’era solo silenzio. Anche i computer avevano smesso di emettere i loro caratteristici suoni.

E perché?” chiese infine Ritsuko, gelida.

“Beh… Ieri è successo quello che è successo… Pensavo di prendermi un giorno di ferie… Dovresti farlo anche tu, ti sento sciupata…”

“Non preoccuparti di quello che dovrei fare io. Se ti senti spossata posso darti un ricostituente quando verrai qui.”

“No, non hai capito… E’ che proprio vorrei prendermi una giornata libera, per… rilassarmi.

Vi fu di nuovo un momento di silenzio, in cui Misato e Satoshi, che si era messo in ascolto a sua volta, avevano il cuore in gola.

“Va bene,” sentenziò alla fine dell’attesa la Dottoressa, a denti stretti.

“Davvero?” chiese Misato, ancora incredula.

“Sì. Passa una buona giornata. Ah, e scrivi una richiesta di ferie formale, me la porterà Satoshi quando verrà.”

Questa volta il silenzio, imbarazzato, fu mantenuto dal Maggiore.

“Misato…” la chiamò l’altra donna attraverso il telefono. “Non è che anche Satoshi ha intenzione di chiedere un giorno di ferie, vero?”

“Ehm…”

“D’accordo,” tagliò corto Ritsuko. Dai lievi suoni che si udivano si capì che aveva appena appoggiato sulla scrivania una tazza di caffè. “Prendetevi un giorno di ferie, è sufficiente che rimaniate a disposizione in caso di emergenza.”

“Davvero??” chiese Misato, incredula di averla scampata così facilmente.

“Sì.”

 

Ma cos’è successo perché sia così conciliante? Le sono nati i gattini?

 

“Grazie!”

“Potrete dare entrambe le domande a Rei, me le porterà una volta finita la scuola.

Altro silenzio carico di significato.

Cos’altro c’è?” continuò Ritsuko, con una punta di acidità.

“Ecco… Avevamo pensato, visto che alla fine è stata una giornata pesante anche per loro, capisci… Di tenere i ragazzi a casa… Così possono riposarsi… e volevamo sapere… Ri chan, chi è il tutore legale di Rei?”

Dall’altro capo del telefono si udì il rumore di una sedia dallo schienale mobile che si muoveva.

“Suppongo,” iniziò la Dottoressa, pensierosa, “che si possa considerare me come tutrice legale di Rei, in questi casi… Ad ogni modo, di cosa avresti bisogno?”

“Ehm…” accennò Misato. “Mi servirebbe la giustificazione per l’assenza di oggi di Rei. Per gli altri ragazzi possiamo occuparcene io e Satoshi.

“Vuoi proprio traviarli, eh, Maggiore Katsuragi?”

“Veramente,” proseguì la donna, stupita per l’uscita dell’amica, “Vorremmo solo concedere loro una vacanza meritata…”

“Sì, sì, stavo scherzando…”

 

Imprevedibile come un’equazione caotica, Ritsuko…

 

“Saranno esentati anche dal test di sincronia di oggi. In caso di necessità comunque dovrete essere tutti rintracciabili.”

“Non mancheremo, Ri chan. E grazie!”

“Riposatevi, così sarete tutti più produttivi nei prossimi giorni,” concluse la scienziata, e non si capì se era una battuta o un’affermazione seria. Riagganciò prima che Misato potesse chiedere spiegazioni.

“Allora, tutto a posto?” chiese Satoshi, che intanto si era alzato a sua volta e l’aveva abbracciata da dietro.

“Sì,” rispose lei tra un bacio e l’altro. “Ha detto che per queste questioni possiamo considerarla come tutrice legale di Rei. Noi possiamo stare a casa e i ragazzi non dovranno nemmeno fare il test di sincronia oggi pomeriggio.”

“Un successo completo, a quanto pare,” commentò lui depositandole sorridendo un bacio sul collo. “I miei complimenti, Maggiore.”

“Grazie,” rispose la donna, girandosi nell’abbraccio in modo da poterlo baciare più comodamente.

 

 

“Abbiamo un’intera giornata tutta per noi,” riprese Misato dopo circa mezz’ora . “Dobbiamo trovare qualcosa da fare.”

“Mmmhh,” fece Satoshi, pensieroso. Erano tornati a letto, e lui appoggiò un braccio sul guanciale.

“Ci sarebbero le Terme di Yamasaka,” propose la donna. “Sono abbastanza vicine, ma sarebbe un delitto passarci un solo pomeriggio, sono stupende.

“Allora,” buttò lì l’Agente, “potremmo passarci il weekend.”

Misato lo guardò come se avesse appena detto una pazzia. “E Ritsuko ce la farebbe passare liscia?”

“In fondo i ragazzi non devono andare a scuola, e noi abbiamo il turno libero, no?”

“In effetti…” La donna ponderò attentamente l’idea. “Potrebbe anche funzionare… E la cosa migliore è che non dovremmo nemmeno informarla!”

“Magari potremmo chiedere anche a lei di venire.

“Scherzi? Lei non abbandonerebbe il suo posto di lavoro nemmeno se glielo ordinasse il medico!”

“Hai detto che aveva un tono sciupato, no? Forse gli ultimi avvenimenti hanno scosso anche lei. Capirà di certo che se non si sente in forma non può nemmeno svolgere bene il suo lavoro.

“Hai proprio ragione, sai?” concluse Misato con un sorriso, depositandogli un rapido bacio sulle labbra. “Più tardi devo… passare da lei per una questione, gliene parlerò allora.”

“Non credi sia meglio telefonarle per avvisarla già ora?”

“No, non è il caso…”

“Capisco,” annuì Satoshi, rimettendosi comodo sul futon. “E’ ancora presto, vorrai dormire.”

“No, no,” replicò lei con un sorriso malizioso. Si chinò su di lui e gli diede un altro bacio sulle labbra. “Chi ha detto che voglio dormire?”

Satoshi capì l’allusione e sorrise, abbracciandola. “Non credo sia possibile,” mormorò però, dispiaciuto.

Perché? Sei stanco?”

“No… Non li ho portati…”

La donna impiegò alcuni secondi a realizzare cosa l’altro intendeva, poi sospirò di disappunto e si limitò ad abbracciarlo, dandogli però anche un tenero bacio con un sorriso.

“Non immaginavo, visti gli eventi di ieri, che la mattinata potesse prendere questa piega...” continuò l’uomo con tono a sua volta deluso. Ed in effetti l'idea di restare a casa quella mattina non era stata programmata ma gli era sorta spontanea, sul momento.

A quelle parole, Misato lo abbracciò più strettamente. “Allora approfittiamone per riposare...” sussurrò chiudendo gli occhi.

“Si,” annuì Satoshi ricambiando la stretta per poi imitare la compagna, chiudendo gli occhi e addormentandosi di nuovo.

 

 

Rei sognava di essere su un prato, una collina tutta verde che dominava Neo Tokio-3, all’alba. Si sentiva felice. Stava guardando il panorama, i cui colori erano incredibilmente vividi, abbracciata a Gabriel. Si ripetevano alcune parole, ma lei non riusciva a capire quali fossero. Poi ad un tratto i colori sparirono e si ritrovò comodamente sdraiata su un letto dalle lenzuola bianche. Più che un letto però sembrava un’ intera superficie vellutata che splendeva di una tenue luminosità candida, e si estendeva all’infinito senza avere un bordo. Le lenzuola la ricoprivano interamente, ma non si sentiva affatto soffocare. Anzi, il tessuto era in qualche modo caldo e la faceva sentire protetta. Poi vide, o meglio, percepì un movimento accanto a sé, sotto le coperte. Là c’era Gabriel, cresciuto fino a mostrare una ventina d’anni, che le sorrideva. Era nudo. Si accorse che anche lei lo era, ed il suo fisico era completamente sviluppato, ventenne a sua volta. Si distrasse un attimo ed il ragazzo, con una risatina, era scomparso.

Capì che era una sorta di gioco e gli corse dietro, quasi strisciando sotto le coperte, sebbene quel movimento non le sembrasse affatto faticoso. Continuarono così per alcuni istanti, poi Rei riuscì finalmente a raggiungere Gabriel e lo abbracciò ridendo, prima di tornare a guardarlo negli occhi.

I suoi lineamenti si erano fatti più definiti, più maturi. Lo trovava incredibilmente bello.

Chiuse gli occhi e lo baciò. Sentì le sue braccia percorrerle la schiena nuda in tenere carezze, prima di stringerla maggiormente a sé, con più ardore. Lei fece lo stesso. I loro baci si facevano sempre più approfonditi man mano che si muovevano sempre più freneticamente sotto le lenzuola, finché…

Rei si svegliò all’improvviso, scattando a sedere, in un bagno di sudore. Gabriel, nuovamente quattordicenne, la stava tenendo abbracciata e quasi fu sbalzato via dal letto dalla violenza del gesto di lei.

“Che succede??” chiese allarmato, alzandosi a sedere a sua volta. La ragazza lo guardò confusa e terrorizzata, poi si guardò attorno, come se non sapesse dove si trovava. Gabriel la prese per le spalle. “Rei!” chiamò, disperato. A quella voce resa roca dallo spavento, la First Children si riscosse. Lo fissò negli occhi e sembrò provare un immenso sollievo. “Rei…” disse nuovamente lui, a sua volta più tranquillizzato dalla sua reazione, ma sempre allarmato. “Hai fatto un brutto sogno?”

“Sì… Cioè, no…” balbettò la ragazza, piuttosto confusa. L’espressione interrogativa del suo ragazzo la spinse a rievocare quello che era accaduto solo pochi istanti prima.

 

Era un sogno… Solo un sogno

Eppure…

Mi sembrava così reale!

Così incredibilmente realistico…

Così… bello…

Non posso crederci, io non ho quasi mai sognato in vita mia, ed ora…

Ho sognato… QUESTO!!

 

“Gabriel…” iniziò, la gola secca, cercando di non guardare il ragazzo negli occhi. “Credo… credo che… dovrò parlare con la Dottoressa Akagi...”

“La Dottoressa Akagi?” ripeté lui, sorpreso. “Ma cos’è successo? Ti senti male??

“No, no,” si affrettò a smentire Rei. “E’ solo che… Ecco… Ho fatto un sogno… strano.

Gabriel si rilassò visibilmente, tuttavia era ancora un po’ inquieto. “Un incubo?” chiese di nuovo.

“No, è solo che…” si interruppe, cercando le parole giuste. “Non sogno molto spesso…”

Il rossore che le invase le guance demolì quella già poco convincente scusa. Il Fourth Children continuava a non capire. “E’ per questo che ti sei così agitata?” azzardò. “Perché di solito non sogni e questa volta hai fatto un sogno…”

“… strano,” completò lei, senza guardarlo in volto.

Non ancora del tutto convinto, Gabriel sospirò, rassegnato ma sorridente. “L’importante è che ora tu stia bene.”

La ragazza annuì, rassicurata a sua volta. “Sì… E’ passato ora. Grazie.”

E di cosa?”

Rei lo abbracciò, sorridendo, e lasciando da parte l’inquietudine che quel sogno le aveva instillato. “Di essere qui con me.”

Anche Gabriel la abbracciò e le diede un lieve bacio sulle labbra. “Sono io che devo ringraziare te.”

Poi gli occhi di Gabriel si posarono sul pavimento, dove un raggio di sole disegnava le loro ombre abbracciate. Aveva creduto che fosse ancora notte, invece il sole era già sorto. Guardò, sul comodino alle spalle di Rei, la sveglia. Si stupì nel vedere che segnava già le 11.48.

Attraverso le pareti, risuonò il grido di Asuka.

 

 

La Second Children Asuka Soryu Langley aveva gettato l’appartamento del Maggiore Katsuragi nello scompiglio. Dopo quell’urlo di puro terrore la rossa era uscita in fretta e furia  dalla sua camera ancora in maglietta e shorts rosa, i capelli scomposti in numerosi ciuffi disordinati. Contemporaneamente a lei, si erano affacciati dalle rispettive camere anche Misato e Satoshi, la cui stanza era un po’ più distante da quelle dei ragazzi, e uno Shinji terrorizzato in calzoncini e canottiera che guardò la porta accanto alla propria.

“ASUKA, CHE SUCCED…” Non ebbe tempo di finire la frase che la ragazza lo aveva afferrato per un braccio e lo stava letteralmente trascinando fuori dalla stanza.

“MUOVITI SIAMO IN RITARDO, MUOVITI, MUOVITI!!

“Asuka…sono in canottiera…!! In ritardo per cosa??

“COME PER COSA??? DOBBIAMO ANDARE A SCUOLA ED E’ GIA’ QUASI MEZZOGGIORNO!!”

COSA??”

“ESATTO! QUINDI MUOVITI!!

“MA SE NON MI LASCI COME FACCIO A VESTIRMI!? NON POSSO VENIRE DI CERTO A SCUOLA COSI’!! E ANCHE TU SEI ANCORA IN TENUTA DA CASA!!

“E’ VERO! ALLORA FILA A VESTIRTI!!” ne convenne agitatissima la ragazza, spingendo con forza il Third Children nella sua camera e chiudendogli senza molto garbo la porta in faccia.

In quel momento sopraggiunsero di corsa anche i due adulti, ancora in pigiama, quello di lei celeste chiaro quello di lui blu scuro. All’urlo della ragazza si erano risvegliati di colpo e prontamente si erano gettati fuori dalla stanza, per vedere cos’era successo. Nel vederli ancora in tale abbigliamento, la Second Children lanciò un ulteriore grido di sconforto.

“Asuka!! Ma si può sapere che hai da urlare tanto!” esclamò Misato tentando di placare la ragazza.

“E ME LO CHIEDI, MISATO?? E’ PRATICAMENTE MEZZOGGIORNO E NOI SIAMO ANCORA QUI E VOI SIETE ANCORA IN PIGIAMA!! MA NON L’HAI SENTITA LA SVEGLIA!?

“Ah...ehm…si l’ho sentita, ma…” cominciò il Maggiore con un sorriso imbarazzato

“MA COSA?? E’ TARDI, NON ABBIAMO FATTO COLAZIONE, NON SIAMO ANCORA PRONTI, NON…”

“Asuka, calmati!” la interruppe Satoshi. “E’ tutto sotto controllo. Abbiamo deciso di lasciarvi riposare, oggi è vacanza. Per tutti.”

Asuka lo guardò come se non avesse capito bene sbattendo più volte le palpebre. In quel momento  la porta della camera di Shinji si aprì ed il ragazzo, leggermente spettinato e in divisa scolastica, né uscì in tutta fretta giusto per udire le parole dell’Agente.

Cosa? Ma…perché non ci avete avvisato?” Chiese confuso mentre allentava la presa sulla cartella.

“Beh…” cominciò Misato sorridendo “…abbiamo preferito non svegliarvi e farvi riposare.

“Si, però così ci avete fatto prendere un colpo…” si lamentò la rossa sospirando  di sollievo, subito imitata dal Third Children.

“Hai ragione, Asuka, però siamo pronti a farci perdonare per questo risveglio brusco. proseguì il Maggiore rivolgendo un sorriso dolce all’uomo che le sorrise di rimando.

La Second Children osservò alternativamente i due adulti con aria interrogativa.

“Che cosa avete escogitato?” chiese curiosa.

Misato e Satoshi tornarono a rivolgersi ai due ragazzi sorridendo lievemente.

“Abbiamo deciso di trascorrere l’intero weekend alle Terme di Yamasaka. Ci sembrava una buona idea per festeggiare la vittoria e prenderci una piccola vacanza da trascorrere tutti insieme… come una famiglia. Che ne dite?” spiegò l’uomo senza perdere il suo sorriso quieto mentre Misato aveva preso a guardarlo con occhi sognanti.

I due Children li osservarono, quindi si guardarono tra di loro ed esplosero in un grido di giubilo.

“Credo che abbiano accettato…” Rispose Misato per loro, divertita, mentre li osservava dilungarsi in un lungo e velocissimo discorso entusiasta sulle cose da portare con loro.

 

Ultimamente i loro rapporti sono molto più distesi rispetto all’inizio. Chissà che anche tra loro non ci sia del tenero… Sarebbe davvero una notizia splendida, sembrano così sereni…

Almeno quanto lo sono io ora. Grazie a te, Satoshi.

 

“Ora resta solo da dirlo a Gabriel e Rei. Disse l’Agente.

“Già, è vero!” Annuì la donna riscuotendosi dai suoi pensieri “…che stiano ancora dormendo?”

Terminò appena la frase che un lungo trillo di campanello interruppe il  chiacchierare dei ragazzi e fece sobbalzare quasi i due adulti.

Il gruppo si spostò in blocco verso la porta d’ingresso e quando Satoshi la aprì si trovarono davanti due trafelati Gabriel e Rei che si erano preparati in fretta e furia e versavano quasi nelle stesse condizioni di Asuka e Shinji.

Misato esitò un po’ prima di parlare. Rivedendo Gabriel le tornarono alla mente gli avvenimenti del giorno precedente e non seppe cosa dire. Notando la sua difficoltà, Satoshi fece un passo avanti.“Ehm… salve ragazzi…”

I due nuovi arrivati guardarono gli altri con immane stupore.

Ma…” iniziò Gabriel, cercando di riprendere fiato. “Come… mai non siete ancora… pronti?”

“State calmi ragazzi, è tutto sotto controllo,” disse Asuka sorridendo boriosa. “Siamo in vacanza.”

La First ed il Fourth Children scrutarono uno a uno i volti dei loro interlocutori, ma non sembrarono capire. Forse erano ancora troppo agitati per connettere quelle parole al loro significato. Fu di nuovo Satoshi a intervenire e a chiarire la questione. “Io e Misato abbiamo deciso che ci meritiamo tutti una bella vacanza. Non vi preoccupate per la scuola, ci penseremo noi. Nemmeno tu, Rei. Abbiamo già parlato con chi di dovere. Pensavamo di andare alle Terme di Yamasaka per trascorrervi il weekend.

Quel fiume di parole ininterrotto ebbe l’effetto di calmare i due Children. “Allora,” iniziò Gabriel, il cui fiatone si stava placando, “non dobbiamo andare a scuola, oggi?”

“Esatto,” confermò Asuka, mostrandogli il pollice alzato. “Quindi tornate di là e preparatevi per uscire. E tu Rei…” La rossa si bloccò. La sua collega, che lei ricordasse, non aveva portato con se alcun cambio.

“La accompagno io a casa per cambiarsi,” propose Misato, sorridendo alla First Children, ancora piuttosto sorpresa.

“Perfetto, allora tutti sappiamo cosa fare. Bene, facciamolo!” sentenziò la Second Children, entusiasta all’idea di andare alle terme, e se ne andò in camera sua. Dalla cucina emerse PenPen: fra le ali teneva una ciotola, sul cui fianco campeggiava la scritta ‘pasto d’emergenza di PenPen’. Si trattava di ciò che Misato teneva sempre pronto, ossia una specie di barrette di merluzzo essiccato che potevano essere lasciate all’aperto senza andare a male, ovviamente rispettando i limiti di scadenza indicati sull’etichetta della busta che li conteneva e che ne costituiva la confezione, (controllando sempre, quando faceva tardi, che il pinguino non avesse già spazzolato tutto e riempiendola di nuovo nel caso fosse stata svuotata) nel caso lei o gli altri occupanti della casa dormissero fino a tardi e non potessero servirgli nulla di fresco. Però il pinguino non amava molto quel cibo, infatti appena aveva sentito del movimento era subito uscito dalla cucina, chiedendo a gran voce che la sua fame fosse soddisfatta secondo i suoi gusti.

“Arrivo,” fece Shinji dopo l’ennesimo verso di protesta dell’animale, e si diresse con lui in cucina. Ora che la situazione si era stabilizzata, l’atmosfera diventò pesante di colpo. Misato e Gabriel evitavano di guardarsi negli occhi. Per la terza volta quella giornata, Satoshi intervenne.

“Rei, comincia ad andare in casa a sistemarti con più calma. La First Children annuì.   L’Agente si volse quindi verso la sua compagna poggiandole una mano sulla spalla per incoraggiarla. Ora veniva la parte più difficile: quella delle scuse. “Quando avrai finito vienimi pure ad avvertire. Io torno in camera.” Le disse. Misato gli rivolse uno sguardo annuendo a sua volta.

Rei diede un ultimo sguardo a Gabriel, che però teneva ostinatamente lo sguardo basso. Comprendendone bene il motivo, la ragazza salutò e tornò in casa, mentre Satoshi si avviava verso la camera da letto. Il silenzio che si era creato era ancora più pesante ora, e non c’era nessun Agente della Nerv a romperlo.

“Gabriel, io…” azzardò Misato, ma fu subito interrotta.

“Le chiedo scusa, Maggiore,” disse il Fourth Children, le mani chiuse a pugno e l’espressione seria sul volto chino. “Le chiedo di scusarmi per ciò che è accaduto ieri. Non avrei dovuto aggredirla come invece ho fatto, e mi rendo conto di non avere scusanti valide.

Dopo alcuni secondi di silenzio, Misato sorrise. “Gabriel, anche io ho sbagliato ieri. Purtroppo, simili errori di valutazione possono capitare. Dopotutto siamo umani.”

Quelle parole comprensive rasserenarono il ragazzo, che finalmente sollevò gli occhi e sorrise di rimando alla donna. “Allora è tutto a posto?”

L’altra annuì. “Se per te va bene, sì, Gabriel.”

“Allora è tutto a posto,” concluse lui con un sospiro di sollievo.

“Vieni,” propose lei facendogli cenno di entrare. “Mentre aspettiamo che Rei si faccia bella preparo la colazione anche a lei.

Il Fourth Children arrossì a quell’uscita, ma assentì e si diresse verso la cucina.

 

 

Quando Rei entrò nell’appartamento di Gabriel e Satoshi, dedicò in realtà pochissimo tempo alla cura della propria persona, poiché, ora che la tensione per il ritardo scolastico era sparita, le era tornata tutta l’angoscia per quel sogno.

 

Mio Dio, ma cos’è stato in realtà??
Non mi era mai capitato nulla del genere!

Che sia qualcosa legato agli Angeli?

Oppure un mio… malfunzionamento?

Non c’è che una sola risposta a queste domande…

 

Senza perdere tempo, serrò la porta in modo da accorgersi quando qualcuno fosse entrato, e prese il cellulare, digitando rapidamente un numero.

 

 

Ritsuko aveva appena finito di mangiare un tramezzino e si stava gustando un caffè quando il suo telefono suonò nuovamente.

“Pronto?” rispose soprappensiero, senza nemmeno guardare di chi fosse il numero.

“Dottoressa?”

“Ah, Rei, buon giorno. Se mi hai chiamato per avere conferma sull'orario dei test...”
“No, Dottoressa,” rispose la ragazza, categorica. “Devo parlarle.”

Che succede?” chiese la donna subito preoccupata, posando sulla scrivania la tazza di caffè.

“Preferirei parlargliene di persona.”

“Qualche problema con Gabriel? Ti ha ferito? Eh, so come ci si sente…”

“MA COS’HA CAPITO??

Un po’ interdetta dal tono aggressivo improvvisamente assunto dalla First Children, Ritsuko si schiarì la voce. “Ehm… Devo aver capito male.”

In effetti è così,” disse Rei, glaciale.

“Allora, se proprio non vuoi parlarne al telefono, vieni pure qui quando vuoi, d’accordo?”

“Sì. A più tardi, Dottoressa.”

“A dopo.”

La scienziata chiuse la comunicazione e guardò il foglio davanti a lei. Vi era disegnato un progetto tutto scarabocchiato, uno schema appena accennato, in cui però si poteva distinguere le linee di un’entry plug, che però era dotata di due posti, uno dietro l’altro. In cima al foglio c’era la scritta ‘Double Plug, progetto preliminare’. Sorrise.

 

Magari, visto che le cose tra loro vanno bene, questo progetto potrebbe anche funzionare…

 

 

 

 

 

Cos'è stato?

Un sogno?

Solo un sogno?

Quello era un sogno?

Non ho mai fatto un sogno del genere.

A dire il vero, raramente ho sognato, in vita mia.

Non ho mai avuto molto di cui sognare. A parte quel sogno bellissimo sulle note della sua musica.

E questa volta è uscita questa...

Cosa.

Mi batte ancora il cuore.

Forte, molto forte.

Era la cosa più strana che abbia mai immaginato.

Ed anche la più...

Emozionante.

Quel sogno con Gabriel...

Era ciò che succederà realmente tra me e lui??

Il pensiero mi sconcerta.

Così lontano da ciò che ho sempre immaginato su di me…

Eppure così desiderabile…

 

Ritsuko sentì bussare alla porta dell’infermeria.

 

Dev’essere Rei. Chissà per quale motivo ha chiesto di essere ricevuta ora che, grazie a Misato, può considerarsi in vacanza…

 

“Avanti,” disse, pronta ad accoglierla con un sorriso.

Ma la ragazza che apparve sulla soglia non sembrava la solita Rei. L’uniforme della scuola sembrava essere stata indossata in tutta fretta, e pareva troppo agitata perché non fosse successo nulla di particolare. Subito il suo sguardo nervoso andò a puntarsi sulla Dottoressa Akagi. Il sorriso di questa le morì sulle labbra.

“Dottoressa,” proferì la ragazza con tono serio, restando sulla soglia. “Devo parlarle.”

“Ah…” disse la donna, vagamente a disagio. “Sì… Questo me l’hai già detto al telefono… Prego, siediti pure.

Attese che lei avesse preso posto su una delle sedie davanti alla scrivania, poi andò a controllare che la porta fosse ben chiusa. “Ti senti bene? Hai bisogno di qualcosa?” disse intanto. Rei scosse il capo.

“No, grazie.”

 

Non mi ha detto se sta bene o meno… Strano, di solito se glielo chiedo me lo dice subito.

 

Ritsuko tornò verso la scrivania, prendendo da un mobile un fascicolo di documenti sui tassi di sincronia per riporlo in uno dei cassetti del tavolo. “Allora, dimmi tutto,” sorrise infine, cercando di sembrare affabile nonostante l’inquietudine.

“Sì…” iniziò Rei, che aveva chinato gli occhi scattanti e si torceva il bordo dell’uniforme con le mani. “Dunque… Io… ho fatto… un… sogno…”

La donna la fissò a bocca aperta per un attimo.

 

E’ in grado di sognare?? Non lo credevo possibile, non mi aveva mai riferito nessuna esperienza onirica prima d’ora…

 

“Beh,” disse quando si fu ripresa, “è normale, Rei. E’ perfettamente normale, segno di un buon funzionamento mentale.

“Sì,” assentì l’altra, vagamente. Ritsuko capì che c’era dell’altro. Deglutì e scartabellò più rapidamente il fascicolo.

“Probabilmente non ne abbiamo mai parlato, ma, seppure tu non ricordi altri sogni, ciò non vuol dire che non ne abbia mai fatti. E se questo che ti turba tanto è stato un incubo…”

“No, nessun incubo,” la interruppe Rei all’improvviso. “Non era un incubo…”

La Dottoressa Akagi cominciava a trovare quella conversazione logorante.

 

Dovrebbe dirmi chiaramente le cose, in fondo, oltre ad essere una scienziata, sono anche il suo medico, e sono soggetta al segreto professionale…

Poi che abbia un’indole pettegola con Misato, anche se mai su queste cose…

O che debba riferire quasi tutto quello che Rei mi dice in confidenza al Comandante Ikari…

Beh, tutto questo non c’entra!

 

“Rei,” riprese la donna portandosi dietro la scrivania, di fronte alla First Children. “Puoi parlarmene se vuoi.”

Questa volta fu la ragazza a deglutire più volte.

 

Il punto è che non sono più molto sicura di volerne parlare con lei! Però in fin dei conti, con chi potrei parlarne?

E’ inutile: devo per forza farmi coraggio…

 

“Va bene,” accettò infine, e sospirò. “Questa notte non ho dormito a casa mia…”

“Lo so, il Maggiore Katsuragi mi ha informata che hai preferito andare da lei.”

“Sì, ma… ho dormito… in casa di Gabriel.”

La Dottoressa sollevò un sopracciglio. “Ah…”

Ed eravamo da soli.”

La Dottoressa sollevò l’altro sopracciglio, assumendo un’espressione sorpresa.

 

Ho un gran brutto presentimento…

 

E… quindi?”

E… l’ho sognato.”

Ritsuko finalmente riuscì ad emettere un sospiro di sollievo. “Rei, puoi stare tranquilla. E’ normale per una ragazza della tua età sognare il proprio fidanzato!”

 

… Anche se riguardo a te qualche riserva l’avrei

 

“Per cui è successo ciò che era normale che succedesse.

“Era nudo. E adulto. E anch’io lo ero… sia l’una che l’altra cosa.”

Il sorriso di Ritsuko si gelò sulle sue labbra.

 

Ho di sicuro capito male. Non c’è altra spiegazione.

 

“Scusa, non… credo di non aver capito bene,” disse la donna dopo alcuni interminabili secondi, il sorriso ancora fossilizzato.

“Eravamo nudi, e adulti. E facevamo… Cioè, il sogno finiva con noi che… stavamo per…”

Rei trasse un profondo sospiro e chiuse gli occhi, arrossendo veementemente. “… cominciare.”

Il fascicolo che Ritsuko aveva in mano stava per caderle, a mala pena trattenuto dalle dita diventate all’improvviso insensibili. Guardò la First Children come se la vedesse per la prima volta e fosse stupita dallo strano colore dei suoi occhi e dei suoi capelli. Poi, convinta di fare la cosa migliore, piegò le gambe per sedersi, non ricordandosi di non avere alcuna sedia sotto di sé.

Cadde rumorosamente al suolo, spargendo i fogli del suo dossier tutto attorno, lo sguardo, attraverso il vuoto della scrivania, sempre fisso su Rei, che aprì improvvisamente gli occhi, allarmata dal rumore. Era ancora avvampata all’inverosimile. Fece per aprire bocca, ma la donna saltò subito in piedi, interrompendola.

“COSA??” sbottò, le palpebre serrate in due fessure. Rei sobbalzò sulla sedia.

“Dottoressa…” Cominciò la ragazza con preoccupazione evidente.

“REI…!!” Ritsuko si bloccò di colpo, rendendosi conto che usare un tono così brusco avrebbe probabilmente solo peggiorato le cose e messo ancor più a disagio la ragazza che la stava osservando con un’espressione a dir poco disperata. Sospirando pesantemente Ritsuko guardò dietro di se, avvicinò la sedia che poco prima aveva mancato e vi si sedette appoggiando i gomiti sulla scrivania. Si prese la testa tra le mani e fissò la superficie del tavolo.

 

Tutto questo deve essere un sogno! Ma certo! Che stupida! Non può essere altro che un sogno! Non c’è nessun’altra spiegazione plausibile! Adesso si spiega tutto! Adesso suonerà la sveglia, saranno le 6:30, mi alzerò, controllerò la mia cartella, uscirò dal mio appartamento, farò colazione al bar sotto casa, prenderò la metropolitana, arriverò all’Università, darò l’ennesimo esame col massimo dei voti, starò a sentire tutte le chiacchiere di Misato in mensa ed infine, premonitore o meno che sia questo sogno, mi terrò bene alla larga dalla Nerv, da mia madre, dal Comandante Ikari, dagli Evangelion E DA UNA RAGAZZA DI 14 ANNI CHE HA LE CARATTERISTICHE CHE HA, UNA RAGAZZA  CHE FINO A POCO TEMPO FA SAPEVA DIRE AL MASSIMO SI E NO, E CHE ORA MI VIENE A RACCONTARE DI AVER PRATICAMENTE FATTO UN SOGNO EROTICO COL RISCHIO CHE SE IL COMANDANTE IKARI LO VIENE A SAPERE SOSTITUISCE LEI E PER QUANTO RIGUARDA ME FAREI BENE A SPARIRE SEDUTA STANTE DALLA CIRCOLAZIONE!! O IMPICCARMI LEGANDO LA CORDA  SU UNA SPORGENZA DI MELCHIOR!! NON SARO’ UNA MADRE, MA SONO UNA SCIENZIATA, SONO ANCHE UNA DONNA, E QUESTO NON MI IMPEDISCE DI AVERE CON TUTTO IL MIO SACROSANTO DIRITTO UN ESAURIMENTO NERVOSO!!!

 

“Dottoressa Akagi…” la voce quasi tremante di Rei la riportò alla dura realtà.

La scienziata alzò di nuovo lo sguardo sulla ragazza.

“E’…è una cosa grave?” domandò quest’ultima stringendo con forza i pugni.

 

D’accordo. Questo non è un sogno. E’ la mia vita. Ed è anche un incubo. Almeno in questo momento lo è di sicuro. Semplice. Calmati, Ritsuko. Cerchiamo di risolvere questa questione.

 

La bionda sospirò di nuovo, quindi si appoggiò allo schienale iniziando a frugare nelle tasche del camice, tirandone fuori un pacchetto di sigarette ed un accendino.

“No, Rei, no…” cominciò con voce ancora leggermente scossa dallo shock subito mentre apriva velocemente il pacchetto “…non è una cosa grave. E’ una cosa del tutto normale, puoi stare tranquilla. Solo…” estrasse una sigaretta e fece per portarla alle labbra  per poi subito ricordarsi che Infermeria era vietato fumare. Con desolazione si limitò a rigirarsela nervosamente tra le dita mentre la First Children attendeva con ansia il termine del verdetto “…non me lo aspettavo. Ma è normale per una ragazza della tua età, come ti ho già detto. E’ perfettamente normale…” A quelle parole Rei sospirò con evidente sollievo. Al contrario di Ritsuko.

 

Perfettamente normale per chiunque non sia tu, Rei!

Misato aveva ragione, ho bisogno di una vacanza. Una lunga vacanza possibilmente. Qui lascio tutto nelle mani di Maya ed io vado  in campagna.  Così vado a trovare la nonna. E anche la tomba di mia madre e già che ci sono le chiedo anche cosa diavolo non funziona nel nostro cervello per riuscire a stare con uno come il Comandante Ikari e per lasciarci coinvolgere in queste situazioni assurde. Si, forse farei prima a chiederlo a Caspar ma non posso disturbare uno dei Super Computer del Magi System solo perché madre e figlia, l’una era, l’altra è, una  grandissima cretina.

In ogni caso, non è questo il problema adesso.

 

“Vedi, Rei…” ricominciò la scienziata continuando a tormentare la sigaretta “…quello che hai avuto viene definito ‘sogno erotico’ e, ti ripeto, è perfettamente naturale per una persona innamorata, quindi non hai di che preoccuparti.”

 

Ma io si!! Altrochè se ho di che preoccuparmi!! No, questo Il Comandante Ikari non lo verrà MAI a sapere!! Mai!!

 

“Dice davvero, Dottoressa?”

“Si. Te lo garantisco.”

All’aria di sollievo della First Children non corrispose un’analoga espressione da parte di Ritsuko che continuava a picchiettare con la punta della sigaretta contro il bordo della scrivania.

“Però, Rei…” riprese la bionda con fare nervoso, “tu quelle cose... uhm...

 

Ora devo solo trovare un modo carino che non coinvolga api e fiori per dirle di non andare a letto col suo ragazzo...

 

La ragazza la stava guardando interrogativa e lei cominciò a sudare freddo.

“Vedi… C’è un tempo e un modo… per certe cose… Anche se è più un tempo che un modo…”

Lo sguardo di Rei, sollevato, ora era interdetto dalle sue parole, come se non ne avesse capito il senso. In effetti, ripensandoci, la stessa Ritsuko non ne aveva capito molto. Si umettò le labbra e con gesto abituale schiacciò la sigaretta in un porta documenti, accorgendosi solo dopo che non l’aveva neppure accesa.

 

Di bene in meglio. Così ho sprecato sette yen di tabacco al 98%. Il che vuol dire dai venti ai quaranta minuti di fumata. Il che a sua volta implica dover uscire a prendere le sigarette prima del previsto, in un orario non consono. A lungo andare questo potrebbe portare uno sfasamento nei miei ritmi con conseguenti effetti nelle mie relazioni personali e un calo delle mie prestazioni lavorative! E se questo succederà potrei non essere in grado di adempiere ai miei ruoli e come conseguenza di ciò permettere che accada il Third Impact!!

MA COSA VADO A PENSARE IN UN MOMENTO DEL GENERE???

 

Rei osservò il susseguirsi delle espressioni infastidite, preoccupate e decisamente impaurite con crescente apprensione.

“Dottoressa…?”

“Sì?” disse l’interpellata, tornata in un istante a sorridere. “Ah sì, ti stavo dicendo delle api e dei fiori. Anzi no!” scosse decisamente la testa, come a scacciare le sue ultime parole dalla stanza. “Ti stavo dicendo… che certe cose… bisogna aspettare prima di farle… mi capisci?”

La ragazza trasformò l’espressione smarrita con cui aveva accolto le sue prime parole in una più risoluta e annuì. “Credo di sì…”

“Bene,” riprese Ritsuko, compiaciuta e apparentemente dimentica di quanto successo poco prima. “Quindi… ehm…” Di nuovo nei suoi occhi aleggiò il panico. Le sue mani rapidamente andarono a cercare il pacchetto di sigarette, ma questa volta non ne estrasse nessuna.

 

Calma, Ritsuko. Stai calma. Una situazione del genere non era prevista ma tu sarai perfettamente in grado di tenerle testa.

 

Quindi, Rei…” Fece un gran sospiro e prese il coraggio a quattro mani. “Se vuoi baciare il tuo ragazzo sulle labbra o sul volto, puoi farlo. Se vuoi abbracciarlo, puoi farlo. Se vuoi prendergli la mano, puoi farlo. Ma il resto… no. E’ troppo presto.”

A quelle parole la First Children avvampò tanto da non sembrare più nemmeno lei. Si mosse sulla sedia, boccheggiando. Quando finalmente ebbe ritrovato l’uso della parola apostrofò la Dottoressa Akagi. “D-dottoressa!!”

“Vedi, si tratta anche di questioni di sicurezza…” proseguì la donna, troppo sconvolta per badare alla reazione di Rei “…siete giovani ed è facile che vi lasciate trasportare troppo... E ciò potrebbe portare a situazioni, conseguenze, impreviste… se capisci cosa intendo.”

La ragazza esitò prima di rispondere. “Conseguenze?” ripeté infine. Ritsuko sollevò un sopracciglio, celando un rimprovero verso se stessa.

“Sì… Insomma… conseguenze di tipo… fisiologico…”

Lo sguardo dell’altra era sempre più smarrito. Sospirando, la Dottoressa decise di precisare, nonostante il timore di ciò che avrebbe potuto scatenare. “Mi riferisco all’eventualità di… una… gravidanza…”

Rei saltò in piedi, completamente rossa in volto. “Ma che discorsi fa, Dottoressa!!

“Penso solo ad ogni evenienza!” disse l’altra, cercando di mantenere tutta la calma che invece la sua interlocutrice aveva perduto. Questa drizzò la schiena.

“Non ne abbiamo mai nemmeno parlato io e lui! E poi… io non so se posso avere figli!”

Ansimò per alcuni secondi, poi tornò ad osservare la donna con aria inquisitrice. “A proposito, Dottoressa, io posso avere figli?”

Ritsuko impallidì.

 

Non avevo proprio altro da fare che accennarle quest’argomento??

 

“Beh…” cominciò titubante. “Non… non lo so… dovrei chiederlo al Comandante Ikari…”

Tutto d’un tratto Rei si incupì. Tornò lentamente a sedersi, chinando gli occhi. “Mi sta dicendo che non posso avere… una vita normale?”

“Non ho detto questo!” si affrettò a negare Ritsuko, tornata calma.

 

Però è la verità: tu non sei nata per avere una vita normale.

 

“Su quest’argomento però devo chiedere delucidazioni al Comandante, capisci?”

La ragazza annuì, con tristezza. “Sì, capisco.”

Effettivamente era vero. L'unico a conoscere i dettagli su quella questione era proprio Gendo.

 

Mi rendo conto che è un’ingiustizia per te questa. Tuttavia…

 

“… tuttavia sono ottimista a riguardo,” disse la donna che si affrettò a specificare “In fondo il tuo organismo segue un ciclo mestruale che non ha nulla di dissimile da quello di una comune adolescente.”  Rei sollevò subito su di lei uno sguardo speranzoso.

 

Però nonostante la regolarità del ciclo,  questa non è una garanzia…

 

Ritsuko si costrinse a sorridere. “Tuttavia, per averne la certezza se vuoi chiederò al Comandante.

La First Children la guardò trepidante, sicché la Dottoressa non poté più tirarsi indietro. “Ora non è reperibile, ma non appena riuscirò a mettermi in contatto con lui gliene parlerò. Promesso. Però non ti preoccupare. Credo proprio che non ci siano problemi.”

Rei sorrise, sollevata.

In realtà non era del tutto vero quello che aveva detto sulla reperibilità del Comandante. Il Comandante Ikari era coinvolto in una missione estremamente importante, i cui dettagli erano noti solo a lui e al suo vice, ma a lei aveva la possibilità di contattarlo in caso di emergenza, come già aveva fatto durante l’attacco dell’Angelo. Sapeva solo che si trovava in ciò che rimaneva del Polo Sud, sebbene non le fosse permesso divulgare quella notizia a nessuno.

“Però,” precisò Ritsuko, alzando una mano. “Non fare progetti… a breve termine… intesi?”

La ragazza annuì, sempre sorridendo: sembrava quasi che nessuna notizia potesse smuoverla dal suo attuale stato di felicità. Alla Dottoressa Akagi non sembrava possibile che fosse la stessa persona a cui fino a pochi mesi prima non era possibile strappare nemmeno l’ombra di un sorriso.

 

E’ proprio il caso di dire una nuova Rei’…

Il Comandante Ikari vorrà la mia testa!

 La sua prossima domanda quale sarà?? Come si fa a baciare alla francese??

Rei, ti prego, datti una controllata…altrimenti entrambe faremo una pessima fine, te lo assicuro…

 

In quel momento un discreto bussare fece sobbalzare la scienziata.

“Chi è?” chiese recuperando  un tono neutro ma da cui trapelava una spossatezza immane.

“Ritsuko, sono io, posso entrare?”

“Si, Misato, entra pure…” Sospirò la bionda mentre la sua amica faceva il suo ingresso con un sorriso.

“Allora, tutto posto?” Chiese Misato allegra guardando alternativamente Rei, che annuì appena con un sorriso, e Ritsuko la cui espressione non si capiva se fosse più sconvolta o esasperata. Il Maggiore aveva accompagnato la First Children alla Base della Nerv, dopo averla ricondotta al suo appartamento (dove Rei aveva provveduto a cambiare uniforme e a prendere un piccolo cambio di biancheria da portare alle Terme, mentre il Maggiore attendeva in auto), su sua esplicita richiesta (mentre Gabriel, seppure avesse voluto accompagnarla, era dovuto restare a casa per preparare il proprio bagaglio). Ed in fondo anche Misato doveva parlare con Ritsuko.

“Si, tutto a posto, Misato…” Si limitò a rispondere incrociando le braccia sulla scrivania.

Il Maggiore Katsuragi la guardò sorpresa notando le carte del dossier ancora sparse per terra. Perplessa inarcò un sopracciglio. “Ma cos’è successo?”

“Nulla, sono scivolata e mi è caduta una cartella …le raccoglierò dopo. Bene, Rei…” la scienziata si alzò dalla sedia ma sempre poggiandosi alla superficie del tavolo. Si sforzò di sorridere. “…se non c’è altro…”

 

E mi auguro proprio di no. Anche la mia resistenza ha un limite.

 

 “…puoi andare. Misato ti accompagnerà a casa.”

“Casa?” Si intromise l’altra donna. “Ehm…veramente, Ri chan…” continuò con un sorriso imbarazzato, timorosa di riceversi una delle strigliate coi fiocchi da parte dell’amica “…pesavamo di fare un weekend alle Terme di Yamasaka. Dai in fondo ce lo meritiamo…non credi? Anzi, perché non vieni anche tu? Davvero, hai un’aria molto spossata…”

Ritsuko guardò inespressivamente Misato, poi Rei che si era avviata alla porta, poi ancora Misato.

 

In effetti non sarebbe una cattiva idea…

In questo modo potrei distendere i nervi e tenere Rei d’occhio.

 

“Si, potrebbe essere un’idea, Misato.”

“Splendido! Vedrai che ci divertiremo! Dico bene, Rei?”

La First Children osservò per qualche istante il Maggiore, con aria interrogativa. “Intende tutti quanti?”

“Sì!” esclamò il Maggiore, battendo le mani. “Proprio tutti!”

A quelle parole Rei si incupì leggermente. “Qualcuno dovrebbe rimanere qui, nel caso attacchi un Angelo…”

Misato rimase interdetta. Era un’eventualità cui non aveva pensato. Guardò Ritsuko, supplichevole, come se l’altra donna potesse conoscere la soluzione al problema. Anche gli occhi di Rei si posarono su di lei, e celavano la muta speranza che potesse concederle il permesso di andare.

 

No eh… Non guardatemi così, non sono io che decido quando attaccano gli Angeli… Con il Comandante assente non posso prendermi la responsabilità di lasciare sguarnita la Base. Però…

Accidenti, la prospettiva è allettante, specialmente dopo oggi… uff…

 

“In fondo,” cominciò a dire Ritsuko, sospirando, “le Terme di Yamasaka non sono molto distanti da Neo Tokio-3. In caso di necessità potremo tornare indietro abbastanza rapidamente.

“EVVAI!” esultò Misato, saltellando su un solo piede. La First Children gettò alla scienziata un sorriso di gratitudine e questa annuì in silenzio, troppo spossata per ribattere. Si staccò dalla scrivania anzi e si piegò a raccogliere i fogli precedentemente caduti.

“A che ora è prevista la partenza?” chiese mentre era ancora chinata.

“Pensavamo per le sei,” rispose Misato.

Ritsuko parve ragionare alcuni istanti. “Con quale mezzo pensi di andare?”

“Avevamo intenzione di prendere la mia macchina, ma dato che vieni anche tu Satoshi potrà benissimo seguirci in moto.”

“Perfetto allora,” concluse Ritsuko, tornando finalmente a sedere alla sua scrivania, apparentemente dimentica della rivelazione di Rei di poco prima. “Mi farò trovare pronta per quell’ora davanti all’Ingresso al Geo-Front.

“Ma se vuoi posso passare a prenderti a casa tua, so dove abiti.

“Ho molte faccende da sbrigare qui, prima di partire. E non lo sai, ma qui al Quartier Generale ho una specie di appartamento, che mi permette di risiedere a meno di duecento metri dal mio posto di lavoro, in caso di emergenza.”

 

E mi ha permesso anche ben altro…

 

“Ci farò un salto appena avrò finito qui, così mi potrò preparare in modo adatto.”

“Ah, bene allora!”

“Dunque, Misato, se non c'è altro allora, ci vediamo più tardi.

“Ah…ehm...veramente avrei bisogno di un piccolo favore... Rei, puoi aspettarmi accanto alla macchina?”

La ragazza, solo vagamente incuriosita, annuì, salutò Ritsuko, e si avviò fuori dall’infermeria.

Misato, lievemente arrossita, chiuse la porta e tornò a fronteggiare l’amica, che intanto sembrava aver riassunto l’abituale sangue freddo, mentre prima, per tutta la conversazione, aveva mantenuto un’aria tra il turbato e l’esasperato.

Cosa ti serve, Misato?” chiese, appoggiandosi comodamente allo schienale e socchiudendo gli occhi stancamente.

“Ecco…” Il Maggiore trasse un foglio dalla tasca, lo aprì e lo appoggiò sulla scrivania, davanti al volto dell’amica. “Metti una firma qui, e non leggere e non dire nulla.”

Piuttosto stupita dal tono perentorio dell’amica, Ritsuko scrutò il foglio, incurante delle sue proteste. Subito le sue sopracciglia si aggrottarono.

“Misato…” disse, sventolandole davanti il pezzo di carta. “…se proprio vuoi che ti firmi una prescrizione, il foglio su cui va scritto il nome del medicinale è quello che porta stampato il mio nome, la sede del mio laboratorio, ed il mio titolo di Dottoressa. In più queste sono fuori produzione ormai…”

L’interpellata arrossì. “Uffa, hai ragione, avevo dimenticato la questione del foglio. Però per il medicinale, sono quelle…” tacque e abbassò la voce, riducendola ad un sussurro. “…sono quelle che usavo otto anni fa!”

“Otto anni fa la casa farmaceutica che le produceva non era ancora fallita…” Sospirò. “Va bene. Prendi queste.”

Scribacchiò un nome su un foglio di carta adeguato e lo restituì all’altra donna, che lo arraffò, gli diede una rapida occhiata e se lo ficcò in tasca, con un sorriso imbarazzato.

“Grazie, Ritsuko.”

“Non c’è di che.”

La scienziata guardò l’amica allontanarsi furtiva dall’infermeria, dimenticandosi di chiudere la porta alle proprie spalle, con un sorriso divertito.

 

E così il loro rapporto si è già evoluto fino a quel punto… Beh, dopotutto è passato già un po’ di tempo da quando si sono ufficialmente messi insieme. E mi sento pure più tranquilla.

Certo, la rivelazione di Rei è stata un duro colpo date le sue caratteristiche, e mi ci vorrà un po’ di tempo per riprendermi da un cambiamento così repentino, ma ora credo di essere in grado di prenderla con più filosofia. Indica semplicemente che la sua psiche è quella di una ragazza normale, nonostante le privazioni subite in passato. Forse questo potrebbe addirittura aprire prospettive di ricerca affascinanti…

 

Scosse la testa, lasciando perdere per un po’ la scienziata che era in lei.

 

Ma a parte ciò, non c’è nulla di cui devo preoccuparmi. Il Comandante non verrà mai a sapere di questo evento.

 

Pensierosa, riprese il dossier che aveva recuperato e lo ripose nel cassetto della scrivania.

 

 

 

 

Intanto, nel desolato paesaggio del Polo Sud, sul ponte di un’enorme imbarcazione recante un misterioso carico ed attorniata da altri vascelli di più modeste dimensioni, un intero equipaggio capeggiato dal Comandante in Capo e dal Vice Comandante della Nerv, lottavano per disincagliarsi da due spuntoni  di roccia che li avevano bloccati ai lati. I due capi della Nerv stavano spingendo con forza uno dei lunghi e pesanti arpioni d’emergenza contro la sporgenza rocciosa di sinistra, mentre il resto dell’equipaggio faceva altrettanto, chi sul lato sinistro chi sul destro, nel tentativo di fornire ai vascelli che stavano cercando di trainarli via tramite l’utilizzo di numerose corde, la spinta necessaria a disincagliarsi del tutto.

“Non ho più l’età per questi lavori di fatica…” Si lamentò Fuyutsuki stringendo saldamente una delle maniglie che permettevano di afferrare l’oggetto, dal lato opposto a quello di Gendo. Il Comandante Ikari, tuttavia, non si lasciò scoraggiare.

“E’ già ora della pensione, Fuyutsuki?” Chiese col suo solito tono impassibile, che lasciava appena trapelare la fatica dello sforzo, senza distogliere l’attenzione dal suo compito.

Il Vice Comandante lo fissò per un breve istante, quindi scosse il capo come chi è abituato a scherzi e battute di quel genere, che tuttavia non erano mai offensive, e questo Fuyutsuki lo sapeva, e tornò a spingere con forza contro la roccia che ancora non dava alcun segno di cedimento. “Molto spiritoso, Ikari…”

Gendo sorrise divertito.

 

 

 

 

Quando arrivarono era il tramonto. Satoshi aveva dovuto viaggiare in moto, seguendo la Renault Alpine a breve distanza. Nella vettura guidata dal Maggiore Katsuragi, Ritsuko, seduta accanto a quest’ultima con un frigorifero portatile sulle ginocchia da cui ogni tanto si affacciava un assonnatissimo PenPen, aveva tenuto d’occhio tramite lo specchietto del parasole i Children, un po’ stretti sui sedili posteriori. Rei era seduta accanto al finestrino e Gabriel. Di fianco a lui, venivano nell’ordine Shinji, ed Asuka intenta ad esporre un elaboratissimo piano su come trascorrere il weekend.

Giunti all’albergo, la cui prenotazione era stata effettuata in fretta e furia da Misato, trovarono ad accoglierli sulla soglia un uomo ed una donna in kimono tradizionale, che dopo aver consegnato loro le chiavi delle camere, li condussero in una stanza con numerosi kimono di diverse taglie nuovi ed incellofanati e diverse calzature tradizionali in scatole nuove e sigillate recanti sul fronte i vari numeri. Spiegarono loro, come già d’altronde il Maggiore aveva annunciato, che per tradizione andava indossato l’abito tradizionale giapponese durante la permanenza alle Terme e che era possibile acquistare quelli esposti. Satoshi pagò di sua spontanea volontà quelli di Misato, Asuka, Shinji e Gabriel, ma Ritsuko fu irremovibile e provvide a pagare il suo completo e quello per Rei.

Asuka aveva accolto la notizia di dover seguire la tradizione con entusiasmo,  quindi, una volta che le vesti e le calzature furono pagate, prese il kimono e gli zoccoli che aveva scelto e corse verso la sala comune e le scale che portavano alle camere loro assegnate, presto imitata, con maggiore o minore imbarazzo, dagli altri.

 

 

Nella sala comune dell’albergo, il gruppo femminile, tranne Ritsuko, calmissima, attendeva con ansia.

“Uffa ma quanto ci mettono!” sbuffò Asuka incrociando le braccia con espressione imbronciata. In realtà era impaziente di vedere Shinji in kimono, anche se non lo lasciava intuire.

“Gabriel non ha mai indossato un kimono…” intervenne Satoshi, che aveva portato da casa il proprio insieme alle calzature adeguate, mentre terminava di scendere le scale che conducevano ai piani superiori. “…quindi è possibile che ci metta del tempo.

“Che io sappia neanche Shinji ne ha mai indossato uno, magari è per questo che ci mette tanto anche lui.” Disse il Maggiore mentre accoglieva l’arrivo del suo fidanzato con un sorriso.

“Beh, nemmeno io ho mai indossato un kimono, eppure ci ho messo pochissimo!” sbottò la Second Children.

“Diamogli tempo…” Replicò pacata Ritsuko aggiustando meglio le maniche dell’indumento, di una tonalità viola leggermente più chiara di quella indossata da Misato ma con una decorazione a fiori simile, stretto da una fascia color ocra che partiva da poco sotto il seno e le occupava la vita per intero fino quasi ai fianchi, com’era tradizione che le donne la portassero, mentre per gli uomini la fascia occupava solo la vita normalmente.

La rossa sbuffò ancora, silenziosamente, lanciando ripetute occhiate al piano superiore, imitata di tanto in tanto da Rei che continuava a tirare incessantemente a destra e a sinistra i bordi superiori del kimono, di un azzurro molto più chiaro dei suoi capelli e decorato da grossi fiori rosati, nel tentativo di coprirsi ancor di più di quanto già non lo fosse.

Ritsuko lo notò e le posò una mano sulla spalla facendola sobbalzare. Subito la ragazza si voltò verso la donna con sguardo teso.

“Rei, se continuerai a strattonare i bordi del kimono finirai per allentare la fascia e ti scoprirai.”

A quelle parole la First Children arrossì ed accennò qualche parola” s-si…d’accordo…”, tenendosi ben stretto il bordo superiore del kimono.

“Ehm...” fece la voce di Shinji dall'alto delle scale. Si stava rassettando la fascia nera che gli cingeva la vita, cercando di fare in modo che il suo kimono non somigliasse troppo ad un accappatoio.

“Ce ne hai messo di tempo!” esclamò Asuka, piantandosi a gambe larghe alla base della scalinata e poggiandosi i pugni sui fianchi. Un lievissimo accenno di rossore sulle sue guance tradiva l’emozione che provava nel vedere il ragazzo discendere avvolto in un lungo kimono blu a rombi del medesimo colore ma di una tonalità più scura. Emozione che lui invece non poté mascherare, poiché ai suoi occhi Asuka, nel suo abito giallo chiaro a fiori rosa, nonostante la posa da maschiaccio, era indiscutibilmente conturbante.[1]

Quando finalmente fu giunto alla base delle scale era decisamente arrossito. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla Second Children, che cominciava a sua volta a mostrare turbamento. Quella situazione imbarazzante fu salvata da Satoshi. “Allora, Shinji, hai notizie di Gabriel?”

“Si stava ancora preparando,” disse il Third Children, staccando gli occhi da quelli di Asuka. “Ma diceva che non voleva scendere… credo che si vergogni troppo.”

“E’ così, infatti!” gridò Gabriel dal piano di sopra.

Tutti si voltarono, ma del ragazzo si vedeva solo una mano, con cui si reggeva al bordo della balaustra, ed il lembo di un kimono nero.

“Dai, di che cosa vuoi vergognarti!” cerco di rincuorarlo Satoshi dal piano inferiore. “Guarda che siamo tutti vestiti così!”

Ma io mi vergogno lo stesso, mi sta male!” fu l’unica risposta che ricevette.

Misato sospirò. “Andiamo, stiamo aspettando solo te!”

“Lascia che siamo noi a giudicare se ti sta bene o meno,” intervenne Ritsuko, voltandosi poi verso la First Children con un sorriso inquietante, “sei d’accordo, Rei?”

La giovane sobbalzò ed arrossì maggiormente, nascondendosi dietro la Dottoressa che intanto stava cercando di soffocare le risate. Non udendo la risposta della propria ragazza, Gabriel si affacciò dalle scale con aria dubbiosa.

“Ma quale Rei!” protestò. “Non c’è là sotto!”

Ma certo che c’è! E’ dietro la Dottoressa Akagi!” rispose Asuka, agitando una mano verso le due. La First Children si rannicchiò maggiormente, ma Ritsuko si spostò di colpo.

“Eccola, la vedi, Gabriel? Dai, vieni giù anche tu!”

Per un breve attimo gli occhi dei due ragazzi si incontrarono, poi Rei si strinse i lembi superiori del kimono ed arretrò fuori vista. Ritsuko sospirò.

 

Magari è ancora in imbarazzo per quel sogno… Dovrebbe essere comprensibile, dato che non ne ha mai fatti prima.

 

Facendosi coraggio, Gabriel si decise a scendere dalle scale. Il suo kimono, di un nero uniforme, era stretto in vita da una fascia argentata. I bordi erano un po’ più allentati rispetto a quelli degli altri, cosa dovuta al fatto che il pianista non aveva mai avuto la minima idea di come indossare la veste tipica giapponese, e si aprivano leggermente sul petto.

Giunto alla base delle scale si decise a sollevare gli occhi e guardarsi attorno. Asuka sorrideva e annuiva compiaciuta, come se l’arrivo del ragazzo fosse solo merito suo. Shinji stava osservando il suo kimono e allentava la stretta dei bordi superiori del proprio, per imitare quello dell’amico. Misato e Satoshi gli stavano dicendo che stava bene, ma non li sentiva nemmeno: i suoi occhi si posarono su Rei, in parte nascosta dietro Ritsuko, avvolta nel suo kimono ceruleo. Era molto rossa in volto, per la sua carnagione. Almeno tanto quanto il ragazzo.

 

Mio Dio… E’ bellissimo!

Quanto gli dona quel kimono nero, che richiama il colore dei suoi capelli e mette in risalto quello dei suoi occhi…

Nel vederlo mi sento… Mi sento come stamattina, quando mi sono svegliata da quel sogno!

 

Quanto è bella… E’ veramente stupenda.

Vorrei che tutti ci lasciassero da soli, in questo preciso momento. Perché con lei non mi vergognerei di essere vestito così. Non potrei mai provare qualcosa di diverso dalla beatitudine.

 

“Visto?” intervenne Misato, sorridendo per poi proseguire “Però ora dobbiamo affrettarci altrimenti faremo tardi per la cena!”  Quindi il Maggiore si attaccò al braccio di Satoshi con un gran sorriso.

“Bene! Ho proprio una fame tremenda! Tu no, Shinji?” Esclamò Asuka gioiosa attaccandosi a sua volta al braccio del Third Children. Shinji arrossì vistosamente e la guardò un po’ spaesato, ma poi le sorrise annuendo e guardandola negli occhi. Di fronte allo sguardo dolce e quieto di Shinji,  anche lei desiderò di essere sola con il ragazzo che amava. Si ripromise che dopo cena avrebbe trovato il modo di restare sola con lui.

Tuttavia il gesto di Asuka non passò inosservato ai tre adulti che si scambiarono un’occhiata d’intesa, mentre Gabriel e Rei stavano disperatamente cercando di non guardarsi. Ormai non era più un mistero per nessuno che anche tra la Second e il Third Children ci fosse del tenero. Ma di questo ne erano tutti contenti. Anche Ritsuko che sorrise sottilmente divertita.

 

Mi chiedo se i prossimi Children non dovremo già arruolarli  in coppia…

Beh…Chissà se il Comandante Ikari sarebbe  felice se venisse a sapere che suo figlio è meno triste e più quieto… mh…Probabilmente mi chiederebbe  solo se il tasso di sincronia ha subito dei miglioramenti o meno. In fondo certe cose non è necessario che le sappia.

 

“Allora direi che possiamo andare.” Replicò la scienziata per poi continuare “Rei, Gabriel, siete d’accordo?”

“Si, Dottoressa…” Rispose il pianista, ancora vagamente arrossito, mentre  volgeva lo sguardo verso la da pranzo.

“Si…” mormorò con voce flebile la First Children tenendo lo sguardo rivolto al suolo.

“Allora forza, andiamo!” Esclamò Asuka con entusiasmo mentre si avviava verso la sala a braccetto con Shinji, subito seguiti da Misato e Satoshi, anche loro a braccetto, e da Rei e Gabriel che si tenevano imbarazzatissimi l’una alla destra e l’altro alla sinistra di Ritsuko, tenendo lo sguardo basso. La scienziata inarcò un sopracciglio, perplessa.

 

Sarà solo l’imbarazzo del momento…gli passerà.

Beh… stiamo a vedere cosa succede in questi giorni… 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Le decorazioni ed i colori dei kimono (esclusi quelli di Satoshi e Gabriel) sono tratti da un immagine su Evangelion trovata in rete in cui il gruppo dei personaggi indossa l’abito tradizionale giapponese. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Weekend: Esaurimenti e Relax (Parte II) ***


Se la sera prima aveva

CAPITOLO 16

 

Weekend: Esaurimenti e Relax (Parte II)

 

 

 

 

Come aveva previsto di Ritsuko, il forte imbarazzo di Rei e Gabriel si placò durante la cena, che era stata preparata secondo la tradizione giapponese. Infatti, Asuka e il Fourth Children si trovarono a dover usare le bacchette, mentre erano abituati a mangiare con le posate occidentali. Ma a salvare la situazione intervennero gli altri due Children. Sorridendo, Shinji e Rei spiegarono rispettivamente alla tedesca e al francese come utilizzare alla meglio le bacchette. Così facendo, tutti si rilassarono e la cena trascorse piacevolmente.

Più tardi quella sera Ritsuko fu l’unica a ritirarsi a dormire abbastanza presto: infatti era rimasta da sola nella sala comune, quindi decise di risparmiare le energie. Dopotutto, Rei sembrava essersi ormai adattata e non sembrava più turbata da quel sogno…

Le tre coppie invece uscirono nel bosco attorno all’albergo, ciascuna per conto proprio.

“Ah, Shinji…” disse Asuka al Third Children, quando ebbero raggiunto una zona piuttosto appartata. Si erano allontanati quasi di cosa dagli altri, come se la ragazza avesse premura di restare sola con lui. “Cosa c’è?” chiese Shinji, ansimando per averle camminato dietro in tutta fretta.

“Non mi dire che hai il fiatone!”

“Non capisco perché correvi tanto!”

“Shinji, sei giovane, come fai ad avere il fiatone per così poco!”

“E tu spiegami perché correvi!”

La ragazza rimase un attimo in silenzio, e subito i due scoppiavano a ridere: quel battibecco era decisamente comico. Quando si furono calmati, la ragazza lo guardò e sorrise teneramente.

“Volevo ringraziarti per avermi insegnato ad usare le bacchette.”

“Ah…” Shinji arrossì e si grattò dietro la nuca, imbarazzato. “In effetti… Non ho fatto poi molto… Ne hai ancora di strada da fare. Voglio dire… Non le tenevi proprio alla perfezione quelle bacchette…”

Lo sguardo intenerito di Asuka divenne ad un tratto minaccioso e Shinji si affrettò a rimediare. “… Però andava già benissimo, per essere la prima volta.”

I lineamenti della ragazza tornarono a distendersi. “Beh, grazie… Però oltre a ringraziarti per avermi aiutata…Ecco,” continuò, arrossendo lievemente, “ volevo trascorrere un po’ di tempo con te… da soli.”

A quelle parole Shinji smise di ansimare, ma sorrise, piacevolmente sorpreso. Ultimamente a causa di ciò che era successo, effettivamente non avevano potuto stare molto insieme.

“Sono felice di essere qui con te,” le sussurrò prendendole timidamente una mano. “Quando ti ho vista prima, quando sono sceso, ho creduto di avere un miraggio: questo kimono ti dona moltissimo.”

La ragazza sorrise e gli rispose con un bacio leggero sulle labbra. “Anche a te. Ti rende molto… affascinante,” azzardò, indicando il kimono del Third Children. Questi rise. “Allora vorrà dire che lo indosserò più spesso anche a casa.”

“E’ un’idea,” disse lei, carezzandolo sul volto. “Magari potresti anche fare Sankendo come il Signor Satoshi!”

Shinji rise nuovamente e la abbracciò. Quel riferimento non lo preoccupava affatto, poiché aveva capito, come anche Misato, che le cotte per Satoshi, che non se n’era nemmeno accorto, e per Kaji erano ormai passate.

Mano nella mano, si addentrarono più a fondo nel bosco, sorridendosi a vicenda con espressione serena.

 

 

Il mattino successivo fu un momento di grande relax: la sera precedente tutti erano rientrati abbastanza presto, e solo Misato e Satoshi sembravano non essere del tutto riposati. Da una notte di sonno. Ritsuko, dal canto suo, era fresca come una rosa e si informò subito su come erano andate le rispettive serate degli altri. Il Maggiore fu piuttosto reticente nel raccontare dove erano andati lei e l’Agente Iwanaka e, soprattutto, cosa avevano fatto una volta tornati in camera (ed infatti a riguardo non le disse nulla), ma stranamente la Dottoressa Akagi non insistette troppo. Né si preoccupò eccessivamente delle parole appena accennate da Shinji, mentre Asuka non poteva sentire, su come lei gli avesse fatto dei complimenti. Si concentrò invece su Rei, in un momento in cui Gabriel era lontano. La ragazza dovette ripetere più volte che non era successo nulla di particolare, e che erano andati semplicemente a fare quattro passi lungo le piscine, che di notte erano illuminate e sembravano piccoli laghetti naturali, prima di riuscire a distaccarsi Ritsuko di dosso. Questa però era soddisfatta: nonostante il fatto che la sera prima non li aveva tenuti d’occhio, Rei e Gabriel non avevano fatto nulla di irreparabile. Si domandò anche se non fosse troppo sospettosa e non dovesse cominciare a dare un po’ di fiducia a quei due ragazzi che, tutto sommato, quando non erano in situazioni d’emergenza sembravano essere coscienziosi.

La mattinata ed il pomeriggio trascorsero in modo idilliaco, fra ripetuti bagni nelle vasche delle terme, tanto da far dimenticare al gruppo che solo due giorni prima avevano affrontato un Angelo. Addirittura Ritsuko decise di abbassare la guardia per un momento e godersi il tepore dell’acqua sul suo corpo. In effetti aveva proprio bisogno di una vacanza come quella.

Quella sera si sentì abbastanza sicura da non avere obiezioni quando Rei e Gabriel annunciarono la loro decisione di uscire nuovamente. Misato e Satoshi sarebbero rimasti a fare compagnia alla Dottoressa Akagi, mentre invece Asuka era sparita. Shinji pensò che volesse uscire di nuovo anche lei, perciò si ritirò presto in camera sua a prepararsi per bene, ma fu interrotto proprio dalla Second Children, che si presentò da lui con una grossa scacchiera e un sorriso smagliante sulle labbra.

Senza dargli nemmeno il tempo di obiettare, Asuka entrò e posizionò l’oggetto su un basso tavolino, inginocchiandosi davanti ad esso ed invitando il ragazzo ad avvicinarsi a sua volta. Questi sorrise e scosse la testa: anche se diversa da quella che si aspettava, sarebbe comunque stata una splendida serata.

Dopo la quinta partita Asuka, sbadigliando, si chinò troppo sulla scacchiera e vi si addormentò sopra, sopraffatta dalla stanchezza dello sforzo intellettuale che l’aveva portata a cinque vittorie consecutive. Sorridendo, Shinji si alzò lentamente e le posò una coperta sulle spalle. Non aveva il cuore di svegliarla, per cui l’avrebbe lasciata dormire così. Ma non da sola.

Recuperò un’altra coperta e si accovacciò dall’altro lato della scacchiera, appoggiandovisi sopra nel modo più comodo che trovò. Si addormentò felice, con il volto a poca distanza da quello, già assorto in un sonno sereno, della ragazza che amava.

 

 

 

 

Nella Sala Comando della Nerv, i tre Operatori del Magi System stavano diligentemente controllando i dati che scorrevano sul monitor nonostante l’ora tarda. Con un sospiro, Shigeru digitò una sequenza di tasti per poi rivolgere uno sguardo al piccolo orologio da tavolo che teneva sul ripiano posto poco più in basso della grossa tastiera cui lavorava. Erano le due di notte passate ormai.

“Accidenti, mi si chiudono gli occhi dal sonno…” Sbuffò rilassandosi contro lo schienale

“E’ il nostro turno stasera e non potremo smontare prima delle sei…” Gli ricordò Makoto che, infaticabile, proseguiva nel suo lavoro di controllo dei dati immagazzinati.

“Si, lo so… mi chiedo solo se riuscirò a resistere…Ed è appena passata un’ora da quando abbiamo preso servizio…” Rispose il chitarrista rimettendosi al lavoro.

“Sono d’accordo con Shigeru, questi turni si fanno sempre più massacranti.” Replicò Maya sorridendo appena verso i suoi due colleghi  prima di riprendere a digitare, con una velocità inferiore solo a quella della sua Senpai, sulla tastiera.

“Uhm…che ne dite se vado a prendere dei caffè al bar della mensa?” Chiese il Tenente Hyuga.

“Dico che se ci vai ti prometto che domani riordino io casa anche se è il tuo turno! “ Replicò il chitarrista con un sorriso entusiasta per poi proseguire più pacato “Ti accompagnerei, però non ce la faccio quasi a dare un passo…” Era effettivamente vero. Aoba era talmente stanco che quasi rischiava di addormentarsi sulla tastiera. Anche se, ovviamente, non lo avrebbe mai fatto.

“Si, un caffè adesso sarebbe davvero l’ideale Makochan.” Annuì l’Operatrice interrompendo nuovamente le analisi sui dati che stava supervisionando.

“Ricevuto! Allora vado.” Makoto sorrise allegro, nonostante la stanchezza, ed alzatosi dalla sua postazione si diresse fuori dalla Sala Comando.

Quando fu uscito, i due Operatori rimasti si rimisero al lavoro, ma quando Shigeru sentì Maya che cessò di ticchettare sulla tastiera, si voltò verso di lei. Il Tenente Ibuki si stava infatti stropicciando gli occhi con fare assonnato.

“Maya…” cominciò il tenente Aoba con fare tra il preoccupato e l’imbarazzato “…ti senti bene?”

Alla domanda del collega, Maya si volse di scatto verso di lui sorridendo col suo solito fare gentile.

“Si, non preoccuparti, è solo un po’ di stanchezza.”

“Dovresti prenderti una pausa altrimenti a questo ritmo per le sei sarai a pezzi… ”

L’Operatrice rimuginò per qualche istante sulle parole del collega, quindi sospirò brevemente.

“Credo proprio che tu abbia ragione…” gli sorrise ancora alzandosi dalla sua postazione ”…allora che ne dici se aspettiamo  Makochan e poi ci rimettiamo al lavoro? Così puoi riposarti anche tu.”

“Approvo.” Annuì lui ricambiando il sorriso per poi alzarsi a sua volta e muovere qualche passo avanti e indietro alla propria postazione per sgranchirsi le gambe. “Beata la  Dottoressa Akagi che ha potuto prendersi una vacanza…” Proseguì infine il chitarrista appoggiandosi di schiena ad un basso archivio metallico prima di riportare lo sguardo sulla sua interlocutrice.

“Però c’è anche da dire che nessuno merita una vacanza più di lei con tutto il lavoro che svolge.” Rispose la donna senza perdere il suo sorriso per poi volgere per qualche istante lo sguardo sul proprio schermo.

Shigeru la osservò in silenzio sorridendo con tenerezza davanti alla scrupolosità di Maya.

Come i suoi due colleghi Operatori, Hyuga e Ibuki, era un gran bravo ragazzo.  

 Attese ancora qualche secondo, poi guardò verso l’ingresso della Sala. Di Makoto ancora nessuna traccia. Inspirò profondamente e si decise a farsi coraggio.

“A dire il vero, c’è  qualcuno che merita una vacanza al pari della Dottoressa Akagi. Se non di più.”

“Davvero?” Sorpresa la donna si voltò verso di lui lasciando perdere il monitor su cui erano ancora fissi alcuni schemi riportanti dei complessi calcoli matematici. “Di chi parli, Shigechan?” Chiese incuriosita verso l’uomo.

Shigeru chinò per un attimo lo sguardo al suolo, quindi lo riportò negli occhi della donna di cui era innamorato. “Di te.” Rispose semplicemente con un tono serissimo che nessuno gli aveva mai sentito usare se non nelle situazioni d’emergenza.

“Ah…” Il Tenente Ibuki arrossì con forza e lo fissò stranita dal capo delle postazioni opposto a quello si trovava lui e da cui nessuno dei due si era mosso da quando si erano alzati.

“Andiamo, Shigeru…esageri…” balbettò quasi lei mentre con la mano sinistra si appoggiò allo schienale della sua poltrona rivolgendo lo sguardo al suolo.

“Sto parlando sul serio, Maya. Lavori tutto il giorno percorrendo i corridoi di questa base, dalla Sala Comando, all’Infermeria, alle Gabbie degli Evangelion, innumerevoli volte, controlli decine di dati ed archivi non so quanti fascicoli e dossier senza mai perdere il sorriso anche quando come ora crolli dalla stanchezza…”

“Shigeru…!” La donna arrossì maggiormente alzando di scatto lo sguardo su quello assorto e a tratti rapito del collega, che tuttavia non diede segno di essersi accorto del richiamo di lei e proseguì “…in più la Dottoressa Akagi richiede costantemente la tua consulenza per ogni analisi sugli Evangelion o i rilevamenti del Magi System e questo ti porta a restare in servizio almeno un’ora e mezza in più rispetto a quanto facciamo Makoto ed io… Ed io…” La voce del chitarrista tremò e dovette deglutire più volte prima di continuare a parlare “…ed io sono quasi invidioso della Dottoressa Akagi…perché per la maggior parte della giornata può starti accanto. Come vorrei poter fare io.”

Terminò quelle parole con un profondo sospiro ed abbassò lo sguardo sul pavimento. Era terrorizzato, ma almeno era riuscito a dirglielo e questo gli aveva tolto un gran peso dal cuore.

Dal canto suo Maya era impietrita. Lo guardava come se non lo riconoscesse.

Sembrò passare un’eternità quando lui parlò di nuovo. “Maya…io dovevo dirtelo…” Riprese con ritrovata sicurezze tornando a guardarla negli occhi, in attesa delle parole di lei.

“Shigeru…”Cominciò dopo qualche minuto balbettando confusamente senza sapere cosa dire…

Pensò a ciò che la legava a quel ragazzo simpatico e gentile. Amicizia, rispetto, simpatia. Ma poteva esserci qualcosa di più? Quando andavano a ritirare la loro biancheria in lavanderia e lui si offriva di portare per lei le borse più pesanti, rendendogliele solo al momento di imboccare direzioni diverse per tornare alle rispettive abitazioni, facendola arrossire e battere il cuore…quello era qualcosa di più?  Quando più volte si era offerto di aiutarla, senza ammettere repliche, con il trasporto di voluminosi rapporti stampati sulle analisi delle memorie interne degli Eva, portandoli di persona agli archivi generali e chiedendole di restare in Sala Comando per riposarsi,  e lei si sorprendeva a pensare a lui con un affetto intenso… quello era qualcosa di più? Quando durante le famose liti tra coinquilini con Makoto capitava che i due e restassero imbronciati per qualche minuto e lei osservava il chitarrista con un sorriso intenerito…quello era qualcosa di più?

Restò per qualche istante in silenzio interrogando il suo cuore.

Senza parlare gli si avvicinò sotto lo sguardo ansioso di lui e lo guardò negli occhi con un sorriso dolce.

“Hai fatto bene a dirmelo…perchè nel mio mondo di dati e numeri, forse non me ne sarei mai accorta. Ed il freddo di uno schermo su cui scorrono tabelle e grafici non è nulla in confronto al calore dei tuoi sentimenti. E di quelli che io provo per te.”

Senza altre parole i due si abbracciarono con dolcezza unendo delicatamente le loro labbra in un bacio.  

 

 

 

 

 “Ci siamo spinti molto lontano…” Notò La First Children sorpresa, guardandosi attorno.

A quelle parole  anche il pianista alzò lo sguardo puntandolo in direzione dell’albergo di cui si vedeva la sagoma scura in lontananza, celata quasi del tutto dagli alberi del bosco in cui si erano addentrati seguendo il sentiero battuto. La luna piena e le stelle in cielo rendevano perfettamente visibile l’ambiente circostante. Era una zona del bosco piuttosto isolata, e non si vedeva né si sentiva nessun altro a parte loro due. Infatti, erano completamente soli.

“E’ vero.” Ne convenne il Fourth Children sorpreso quanto la sua ragazza. Nessuno dei due si era accorto di quanto si fossero allontanati, immersi com’erano nella felicità di essere insieme da soli. E senza nessuna minaccia da affrontare.

Senza dire null’altro si sedettero sull’erba in silenzio, l’una accanto all’altro. Lo sguardo di Rei indugiò per qualche istante sugli alberi che circondavano quella piccola radura, poi tornò sul suo ragazzo: se la sera prima lo aveva definito bellissimo, adesso nessuna parola che conosceva era in grado di descriverlo. La Luna Piena troneggiava dietro la sua figura, tanto da circondarlo di luce. Lo stesso frinire delle cicale sembrava essersi ammutolito, timoroso di disturbarli e interrompere quell’incanto.

Gabriel la guardò e sorrise. “Cosa c’è?” chiese dolcemente, accarezzandole le mani, che teneva fra le sue. Lentamente, quasi senza pensare a cosa stava facendo, la ragazza si sporse verso di lui, cercando e trovando le sue labbra in un tenero bacio.

“Ti amo,” disse Rei, semplicemente, e gli portò le mani alle spalle, sfiorandogli le braccia per tutta la loro lunghezza.

 

Io amo questo ragazzo…

Perché non posso dimostrarglielo?

Esiste un motivo per cui non possa amarlo come desidero?

Come…Come ho sognato?

Che importa l’età, il dovere, la Nerv…

Io lo amo: è questa l’unica mia verità.

 

Il ragazzo ricambiò il bacio con dolcezza abbracciandola piano. Inesorabilmente, il bacio si fece più intenso, l’abbraccio più coinvolgente, finché il mondo circostante perse colore e solidità, svanendo dalle loro menti. In esse c’era posto solo per loro due.

Rei ignorò i dubbi nella sua mente e strinse maggiormente Gabriel. Con lentezza, reclinò il busto all’indietro, sull’erba, traendo a sé il proprio ragazzo, quasi del tutto avvinto ormai in un abbraccio appassionato. Lui tentennò, dapprima sorpreso, ma subito assecondò il movimento della First Children.

 

Gabriel…

Non mi importa degli Angeli.

Non mi importa del biasimo della Dottoressa Akagi o della condanna del Comandante Ikari.

Non mi importa nemmeno dell’idea che si faranno Soryu, Ikari, il Maggiore Katsuragi o l’Agente Iwanaka.

Voglio solo essere qui con te…

Tutt’una con te…

 

Di nuovo come l’altra sera…

…forse è troppo presto…

…forse è sbagliato…

Non mi importa.

Ovunque vorrai condurmi , mia Dea, io sarò pronto a seguirti.

Perché dall’Inizio del Mondo sino alla sua fine, io ti amo.

 

Le labbra del ragazzo abbandonarono quelle di lei e si spostarono lungo la linea della mandibola fino a raggiungerle il collo. A quel contatto fino ad allora proibito, Rei inarcò la schiena, premendo la testa contro l’erba soffice. Le sue mani si spostarono sulle spalle di Gabriel, avvinghiandosi ai bordi del kimono. Lui capì la sua muta richiesta, e si equilibrò su un braccio in modo da sciogliere la propria fascia e liberarsi dall’indumento, che gli ricadde alla vita. La luce argentata dell’astro notturno mise in risalto i suoi muscoli, non ancora del tutto delineati, ma ben predisposti e slanciati grazie alle sue numerose ore di nuoto. Le mani della ragazza presero ad accarezzarli, soffermandosi ad ogni linea della muscolatura, ad ogni respiro.

Gabriel riprese a baciarla, appoggiandosi sui gomiti per non schiacciarla sotto al suo corpo, ma lei subito trovò la sua destra e se la portò sul cuore. L’intento era chiaro: non poteva essere frainteso. Con mano tremante, il giovane armeggiò con la fascia di lei, e riuscì a toglierla solo quando lei inarcò di nuovo la schiena. Ed infine riuscì a sfilarle il kimono dalle spalle. Di nuovo, si stavano spingendo su quel limite che non dovevano oltrepassare.

 

Come un richiamo a cui non è possibile sottrarsi…

…che il mio corpo vuole…

…che il mio cuore desidera…

…che la mia anima brama…

Richiamo proibito a cui la mente si piega …

… richiamo ancestrale…

…richiamo assoluto…

Il mio Essere…

…che vuole ricongiungersi al tuo Essere…

Unione negata…

…dall’Inizio dei Tempi…

Cosa importa?

Quando sono con te…

…tutto ritorna al Nulla…[1]

 

 

 

 

 

In quel momento gli allarmi del Magi System scattarono come impazziti risuonando con veemenza in tutta la Base che cadde nello scompiglio.

Maya si distaccò dall’abbraccio di Shigeru fiondandosi come una furia alla sua postazione e lo stesso fece l’uomo tornando alla propria. Le dita del Tenente Ibuki si mossero forsennatamente sulla tastiera in una serie di sequenze rapidissime ed incalzanti, ma sul monitor continuava a lampeggiare senza freno la scritta rossa ‘Dati non identificabili’.

“Che cosa…no…non è possibile…non è possibile!!”

L’Operatrice ridigitò gli ordini e di nuovo la scritta rossa riprese a pulsare.

“Shigeru!” Gridò quasi.

“Funzionamento regolare, nessuna alterazione nei circuiti!” Comunicò quest’ultimo dopo aver digitato velocemente una serie di codici d’accesso ai circuiti del Magi System al fine di ricercarne eventuali malfunzionamenti.

Mentre il Tenente Aoba terminava la sua comunicazione, un trafelato Makoto giunse di corsa reggendo un vassoio con tre bicchierini di caffè che depositò bruscamente su un archivio metallico all’ingresso della sala, incurante del fatto che rovesciassero buona parte del loro contenuto, e si catapultò sulla sua postazione.

“Che sta succedendo!? Si tratta di un Angelo!?”

“Non lo so!!” Rispose in un urlo esasperato Maya sul cui monitor era comparsa per l’ennesima volta la scritta ‘Dati non identificabili’.

Il Tenente Hyuga strinse i denti iniziando ad analizzare quanto in quel momento stava scorrendo sul proprio schermo.

“Rilevata reazione energetica, fonte sconosciuta, ricopre un’area vastissima, impossibile identificarne il punto d’origine!” Sentenziò infine, allarmato.

“Avverto immediatamente la Dottoressa Akagi!!” Esclamò Shigeru afferrando il telefono d’emergenza posto accanto alla propria tastiera per poi digitare il numero del cellulare della scienziata.

I grafici sullo schermo di Makoto, frattanto, impennavano come impazziti.

“REAZIONE ENERGETICA IN CRESCENTE AUMENTO!! MAYA!!” Gridò Hyuga fissando atterrito i dati.

“Non ci riesco…non funziona, non funziona!!”Rispose in preda al panico il Tenente Ibuki che inserì una nuova serie di codici e password senza riuscire ad annullare la scritta lampeggiante per poter dare avvio ad un’identificazione del pericolo.

“Svelto, Shigeru!!” Intimò l’altro Operatore.

“Suona!” Affermò Aoba quando il cellulare di Ritsuko suonò libero.

 “Tutti i codici d’emergenza sono inutili!! Totalmente inutili!!” Gridò Maya.

Makoto guardò ancora lo schermo e sbarrò gli occhi quando vide che uno dei grafici si stava innalzando furiosamente verso il picco estremo dei valori positivi. “REAZIONE ENERGETICA IN PROCINTO DI SUPERARE LA PENULTIMA BARRIERA DEL GRAFICO D’ENTITA’!! MENO VENTI PUNTI  AL CULMINE!!”

Aoba strinse i denti mentre il secondo trillo cadeva nel vuoto.

Il Tenente Ibuki fissava alternativamente monitor e tastiera, senza sapere più cosa fare, avendo esaurito quanto era in suo potere, e sobbalzò quando la scritta lampeggiante in rosso divenne verde e la dicitura si trasformò in ‘Analisi dati in corso’.

 

 

 

 

D’un tratto, quando un lampo indefinito attraversò le loro menti, i due ragazzi sobbalzarono, ritornando alla realtà e fermandosi appena in tempo.

“Gabriel…noi non…” Sussurrò Rei  tra gli ansimi, agitata, alzando lo sguardo sugli occhi del ragazzo che si era rizzato sulle braccia sollevandosi dal corpo di lei.  Smarrito ricambiò lo sguardo della ragazza “...No…non possiamo…” terminò per lei, in un mormorio attonito, la frase che entrambi stavano pensando, districandosi velocemente dalle sue gambe.

 

 

 

 

L’ allarme del Magi System cessò di colpo.

La scritta ‘Analisi dati in corso” si interruppe e sullo schermo comparvero solo una serie di numeri e lettere che Maya non riusciva a decifrare.

Nello stesso istante, al quarto trillo, Ritsuko rispose al cellulare.

 

 

 

 

Rapidamente Rei si raggomitolò e si abbracciò le ginocchia, turbata, lo sguardo perso davanti a sé. Gabriel, in piedi,  poco lontano da lei, rabbrividì.

“Rei…” cominciò a dire, “lo hai visto… anche tu?”

La ragazza annuì senza parlare. Una grande luce bianca, come un ricordo offuscato dal tempo, e una sensazione di pace estranea alla scena che stavano vivendo. Poi avevano sentito quasi un fluire all’interno dei loro corpi, una corrente immensamente calda, ma di un calore accogliente, non bruciante. Poi, per un brevissimo istante, avevano avuto la sensazione di conoscersi da sempre, di amarsi da sempre. Infine, si sentirono perdersi, annullarsi nella grande sorgente di luce che sgorgava simultaneamente dai loro cuori. Il tempo si fermò e persero ogni forma di sensibilità, ma tutto ciò durò solo un istante: quello successivo erano distesi sull’erba del bosco, posto nel parco dell’albergo, guardandosi sbalorditi negli occhi.

 

E’ possibile… che sia stata una cosa normale… vista la mia natura?

Sì, potrebbe darsi. Dovrei chiedere alla Dottoressa Akagi… Ma non le dirò mai quello che stava per succedere!

D’altronde però, come spiegarlo a Gabriel? Sarà spaventato, preoccupato… Ed io non posso dirgli nulla!

 

Ma cos’è stato??

Era una sensazione così piacevole… Come se fossi tornato a casa dopo tanto tempo…

Forse è una sensazione comune in questi casi? Non credo. E allora cosa può essere stato?

 

Rei rabbrividì di nuovo e tirò su col naso: se il primo brivido era stato di inquietudine, questo era decisamente di freddo. Gabriel se ne accorse, perché subito raccolse il kimono della ragazza. “E’ meglio che… ci rivestiamo. Rischieremo di prenderci un accidente.”

Non osando guardare la nudità di Rei, il ragazzo le posò il kimono sulle spalle, raccogliendo subito anche i rispettivi capi di biancheria. Si rivestirono in silenzio e quando furono pronti, esitarono a lungo prima di rivolgersi di nuovo lo sguardo. Quando lo fecero, erano entrambi imbarazzati, confusi e spaventati.

“Cos’è stato…?” chiese titubante Gabriel, rassettandosi nervosamente la fascia del kimono.

“Io… non lo so,” fu la risposta di Rei. Sperò fortemente che il ragazzo non notasse il turbamento che la sua ipotesi le aveva provocato. Fortunatamente non accadde.

“Dev’essersi fatto molto tardi,” commentò il Fourth Children, sorridendo e cercando di ignorare le molte domande che lo assillavano. “Dovremmo tornare.”

Confortata dal tentativo di cambiare argomento del suo ragazzo, Rei sorrise lievemente, sebbene ancora turbata, e si avviò con lui, mano nella mano verso l’albergo. Però, nelle menti di entrambi, continuava a risuonare la stessa implacabile domanda.

 

Erano forse le conseguenze…

…di un’unione proibita…?

 

 

 

 

Misato e Satoshi furono svegliati da un imperioso bussare.

“Chi è?” Chiese sorpreso l’uomo mettendosi a sedere subito imitato dal Maggiore.

“Una chiamata dal Quartier Generale,” disse la voce di Ritsuko, preoccupata. “C’è stato un problema con il Magi System.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]: Ispirato a Komm suesser Tod, facente parte della colonna sonora di End of Evangelion.

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Capitolo 18
*** Analisi e Intrighi ***


CAPITOLO 17

CAPITOLO 17

 

Analisi e Intrighi

 

 

 

A quelle parole così perentorie, Misato e Satoshi si alzarono dal letto, senza dire altro, per rivestirsi e prepararsi a lasciare le Terme di Yamasaka in piena notte. Ritsuko, che invece aveva già indossato gli abiti occidentali ed era perfettamente pronta per partire, andò a bussare alla porta della stanza di Asuka, non ottenendo risposta.

“Asuka, svegliati!” gridò nervosa. Fortunatamente non c’erano altri ospiti all’albergo, così la Dottoressa poté dare libero sfogo alla propria voce.

Fu con sguardo quasi interrogativo che vide la ragazza che aveva interpellato uscire dalla stanza di Shinji, con l’aria assonnata e un po’ imbarazzata.

“Ehm, noi… stavamo giocando a scacchi!” si difese subito, sollevando come se fosse una prova d’innocenza la scacchiera che aveva portato con sé, mentre dietro di lei appariva uno Shinji decisamente allarmato. La Dottoressa Akagi degnò l’oggetto di un solo sguardo. “Preparatevi, dobbiamo tornare a Neo Tokio-3.

“Ma… cos’è successo?” chiese Asuka, posando la scacchiera su un tavolino del corridoio.

A quanto pare c’è stato un problema con il Magi System. Se i computer hanno smesso di funzionare non possiamo sapere se un Angelo starà attaccando.”

 

Sempre se questo malfunzionamento non è opera di altri nemici… meno celestiali.

 

Asuka annuì, comprendendo la gravità della situazione nonostante il sonno, e tornò nella propria camera, come fece anche Shinji. Ritsuko proseguì per la sua strada, ma né alla porta di Rei né a quella di Gabriel ottenne risposta. Stava cominciando ad allarmarsi, quando vide i due ragazzi salire le scale, provenendo dalla sottostante sala comune.

Nel notare il rossore che si diffondeva a macchia d’olio sui loro volti chini, gli sguardi fissi a terra, la donna cercò di non badare alle molte domande che le si affacciavano alla mente.

“Ragazzi,” disse, fingendo di non dare peso al fatto che a quell’ora di notte i due fossero ancora in giro, ed insieme per giunta. “Dobbiamo tornare a Neo Tokio-3, c’è un’emergenza.

“Un altro Angelo?” esclamò Gabriel incredulo, dimenticando l’imbarazzo di poco prima. Ritsuko scosse la testa.

“No, si tratta di uno strano funzionamento del Magi System, però ciò ci potrebbe impedire di accorgerci di un attacco: per questo dobbiamo tornare tutti.”

I due ragazzi annuirono e mentre si separavano la donna notò che si erano tenuti per mano tutto il tempo della loro conversazione. Si ripromise di fare qualche domanda alla First Children una volta che quella crisi fosse passata.

Pagò di tasca propria il conto e la penale per la partenza non preannunciata ad un annoiatissimo receptionist, poi attese nella sala comune che arrivassero anche gli altri, nella mano il cellulare. Per un motivo irrazionale si aspettava da un momento all’altro una chiamata che la informasse dell’attacco di un Angelo. Scacciò quasi con stizza quel pensiero: era una scienziata, doveva basarsi sui dati disponibili invece di fare congetture. Non dovette aspettare a lungo, comunque.

“Ritsuko, posso accompagnarti io,” chiese Misato, sbadigliando, ancora occupata a districarsi i capelli. “Senza che anche gli altri debbano rinunciare alla loro vacanza.

La bionda sospirò e spiegò per la terza volta per quale motivo dovevano andare tutti. Man mano che parlava l’espressione di Misato diventava sempre più attenta e meno assonnata.

“Andiamo, allora,” sentenziò Satoshi, serissimo, scendendo le scale che portavano al cortile interno dove erano parcheggiati i loro mezzi. Subito gli altri lo seguirono, troppo tesi per fiatare.

 

 

 

 

 

Meno di un’ora dopo la Renault Alpine di Misato e l’Harley di Satoshi si fermavano stridendo dentro il montacarichi che le avrebbe portate nel parcheggio del Geo-Front.

“Ma… volevi farci schiantare??” sbottò Ristuko, lasciando andare il cruscotto cui era rimasta aggrappata per quasi tutto il viaggio.

“Tranquilla,” rispose Misato, staccando le mani dal volante e sgranchendosi le dita, mentre il montacarichi cominciava a scendere. “E poi, me la cavo abbastanza nella guida.

“Provi a chiedere degli aggiornamenti, Dottoressa,” si intromise Asuka, dal sedile posteriore. Ritsuko scosse il capo.

“Mi hanno detto che in caso di novità mi avrebbero contattato loro. Se chiamo io corro il rischio di disturbarli durante l’analisi dei dati. State tranquilli, ragazzi, se avessero scoperto qualcosa ci avrebbero avvisato.”

Ma nessuno di loro fu tranquillo finché non arrivarono nel Geo-Front, quando scoprirono che i loro timori di trovare per qualunque motivo la base distrutta non corrispondevano alla verità.

“Allora, ragazzi,” disse Misato, sicura di sé, mentre abbassava il finestrino per poter parlare anche con Satoshi. “Per ogni evenienza, mentre Ritsuko esaminerà i dati, voglio che voi vi prepariate e andiate alle gabbie degli Eva. Gabriel, Rei, voi salirete entrambi sullo 00, se ce ne sarà bisogno.

Quell’uscita colse tutti di sorpresa, visto ciò che era successo solo pochi giorni prima, durante l’attacco del decimo Angelo. Però da allora Misato aveva ormai compreso il suo errore, e non era più disposta a compierlo. Gabriel, nonostante lo stupore, sorrise ed annuì. “D’accordo, Maggiore.”

“Satoshi,” riprese la donna, dopo aver accennato un sorriso di risposta al ragazzo, “tu prenderai il comando sulla sicurezza interna della base. Io mi terrò a disposizione in Sala Comando. Tutto chiaro?”

Gli altri annuirono, prendendo nota mentalmente dei rispettivi compiti come se fossero già in sala comando e Misato indossasse la sua uniforme da Ufficiale. Nessuno osò fiatare prima di raggiungere il parcheggio e dividersi, recandosi quindi dove era stato loro ordinato.

 

 

Ristuko, Misato e Satoshi fecero la strada fino alla Sala Comando insieme, ma lì subito si divisero.

“Voglio un rapporto chiaro e dettagliato della situazione,” ordinò il Comandante in Capo Katsuragi, e gli altri due annuirono. L’Agente Iwanaka si diresse verso una consolle laterale, facendo alzare l’operatore che vi lavorava e indossando le sue cuffie. Prese a digitare rapidamente sulla tastiera le sequenze di tasti previste dai protocolli che aveva dovuto faticosamente imparare.

“Squadre uno, cinque, sette,” ordinò perentorio attraverso il microfono. “Recatevi ai raccordi B1, B7 ed E5. Voglio una perlustrazione completa per evitare infiltrazioni. Squadre rimanenti: attenetevi al Protocollo di Sicurezza 15. Rimanete in contatto radio con la Sala Comando sulla frequenza 159.

A parte le esercitazioni, era la prima volta che si trovava ad affrontare una situazione del genere, ma non perse il sangue freddo. Misato gli rivolse un rapido sorriso prima di farsi informare sugli ultimi avvenimenti da Makoto e Shigeru.

Maya, invece, guardò con aria afflitta la sua Senpai, mentre sul suo schermo si rincorrevano dati del tutto incomprensibili per un osservatore casuale. Sulle sue ginocchia c’era un enorme libro, ancora chiuso. Il frontespizio recitava ‘Manuale di base per l’utilizzo del Magi System’.

“Com’è la situazione?” si affrettò ad informarsi Ritsuko.

“Stazionaria,” rispose il Tenente Ibuki. “Dopo l’evento non si è verificato nulla di rilevante.

“Siete giunti a qualche conclusione sui dati raccolti?”

“No, purtroppo…” Maya sembrava estremamente afflitta, quasi in lacrime. Spostò il pesante volume che aveva sulle gambe e lo deposito con un tonfo sordo su un ripiano. “Ho consultato innumerevoli volte le sezioni apposite, ma non sono approdata a niente.”

“Sei stanca ormai,” le disse Ritsuko, con un sorriso comprensivo che riuscì a strappare un’espressione più sollevata alla donna. “Hai dovuto affrontare uno stress non indifferente. Riposati un po’, ora ci penso io.”

L’altra scosse la testa. “Non è necessario, posso darle una mano, se possibile. Mi procuro solo un caffè. Ne vuole uno anche lei?”

“Sì, grazie Maya.”

Mentre l’Operatrice si allontanava, Ritsuko digitò una sequenza d’accesso e sullo schermo apparve una serie di dati precedentemente indicati come ‘non identificabili’. Pensosa, fece il gesto di portarsi una tazza alle labbra, come per bere, poi si accorse di non avere niente in mano e lasciò ricadere il braccio.

 

In effetti sono dati assurdi e contraddittori… Che sia l’effetto di un virus? Impossibile: tutte le connessioni all’esterno della base sono protette da una serie di programmi antivirus frattali. Nulla può attraversarli. Un sabotaggio? Vi sarebbe un rapporto di violazione di sicurezza, che però non c’è…

Un errore dei Magi? La probabilità è remota, però esiste. Ma cosa avrebbe potuto provocare dati tanto contraddittori e tanto prolungati nel tempo? Un errore a cascata forse, ma tutti i processi che potrebbero portare un tale sbaglio sono regolati in modo incrociato tra le tre unità del Magi System per centoventisette volte…

 

“Novità?” le chiese Misato.

“Per ora posso dirti che, qualunque cosa sia stato, non era un Angelo, né c’è un Angelo in procinto di attaccare. I protocolli di verifica hanno dato risultati ‘all green’ in tutti gli ambiti, quindi i Magi funzionano alla perfezione, ora.

“Come fai a sapere che nessun Angelo è apparso durante il problema dei Magi?”

“Perché se no saremmo tutti morti.”

“… Giusta osservazione,” fu l’amaro commento di Misato. Ritsuko tornò a concentrarsi sui ‘dati non identificabili’. Non era ancora giunta a nessuna conclusione quando Maya tornò col caffè. Dopo una prima sorsata corroborante, si misero entrambe al lavoro.

 

 

Seguendo le istruzioni del Maggiore Katsuragi, i Children indossarono rapidamente le plug suite e si diressero alle Gabbie degli Eva. Complici l’ora tarda e la tensione del momento, però, non si rivolsero nemmeno la parola l’un l’altro, ma tacquero fino a destinazione. Ma per due di loro c’erano altre questioni che occupavano la mente.

Asuka notò che Gabriel e Rei mantenevano un certo distacco tra di loro, che risaltava di fronte all’abituale vicinanza: ‘mielosità’, la chiamava lei bonariamente, ma ora non si sentiva in vena di scherzare. Sembrava che in effetti fosse successo qualcosa tra di loro, qualcosa di cui non riuscivano a parlare.

Anche Shinji notò le stesse cose, ma ritenne opportuno non ficcare il naso nell’argomento senza essere invitato. Si avvicinò alla Second Children, che invece continuava a guardarli di sottecchi insistentemente, e scosse il capo. La ragazza capì e, un po’ rabbuiata, proseguì a capo chino.

Quando arrivarono alle Gabbie degli Eva, questi erano già posti in stand by, e le entry plug erano già aperte e pronte ad ospitare i rispettivi piloti. Dopo essersi nervosamente augurati a vicenda buona fortuna, i ragazzi si divisero, aspettando davanti all’entrata della propria entry plug l’ordine che speravano di non ricevere. Rei e Gabriel, di fronte all’entry plug dello 00, non si guardavano negli occhi, ma ciascuno di loro cercava le parole adatte per comunicare all’altro ciò che tormentava il suo animo.

“Rei…” cominciò Gabriel esitante “…per quanto è successo prima…cioè voglio dire per quella…visione…”

La ragazza chinò lo sguardo al suolo con preoccupazione.

“Non so di cosa si trattasse,” disse con sincerità, ma risoluta nel non mettere a parte il Fourth Children dei suoi dubbi più segreti.

L’altro scosse il capo. “No, intendevo…” sospirò, “forse, visto l’accaduto, non dovremmo più rischiare.

Lei tornò a guardarlo, vagamente inquieta. “Forse hai ragione.”

Lui si sentì afflitto e fece per voltarle la schiena, perciò Rei si fece coraggio. “D’altronde però non possiamo smettere di amarci.

Quelle parole ebbero l’effetto di far rinascere Gabriel. Tornò a guardarla negli occhi, stupito e trepidante. La ragazza sorrise, dimentica di tutte le sue inquietudini. Si avvicinò e lo prese per mano. “Quello che facciamo non può essere nulla di male,” gli sussurrò.

“Hai ragione,” rispose lui, finalmente rasserenato. Le sorrise e le diede un rapido bacio sulle labbra.

Dall’altra parte della sala, Shinji, che aveva visto la scena senza tuttavia sentirne le parole, sorrise, più tranquillo.

 

Qualunque cosa fosse successa, sembra che ora sia passata…

 

 

“Senpai…” La voce stanca di Maya  distolse la Dottoressa dal suo lavoro di decifrazione.

Ormai erano passate circa tre ore ed erano le 5:06 del mattino.

“Dimmi, Maya…” disse la scienziata.

“Qui ci sono  i tabulati sulla reazione energetica prima e dopo l’evento. Il Tenente Hyuga e il Tenente Aoba ne hanno analizzato le variazioni  secondo per secondo.”

“Grazie…” rispose Ritsuko ricevendo i vari fogli appena stampati per poi  osservarli con attenzione “…avete rilevato qualcosa?”

“Nulla. Sembra si sia scatenata all’improvviso.”

Ritsuko osservò il grafico stampato e corrugò la fronte perplessa. Era vero. Un momento prima il grafico d’entità era totalmente azzerato e subito dopo c’era stata un’impennata verso i valori positivi che era andata gradualmente aumentando fin quasi ad un limite estremo solo per poi scomparire di punto in bianco così com’era apparsa.

“Il baricentro del fenomeno è stato individuato?” Chiese la scienziata.

“No, impossibile individuarlo.” Fu l’unica risposta. Maya controllò su una copia dei tabulati consegnati, poi continuò “ Sappiamo però che il fenomeno ha coinvolto per intero Neo Tokyo-3 ed aree limitrofe, fino ad arrivare a toccare alcune città costiere. Ma purtroppo non è sufficiente ad individuarne l’origine. 

“In fondo è comprensibile. Dai dati immagazzinati dai Magi, il fenomeno ha avuto una durata complessiva di 2 minuti e 45 secondi e l’analisi dei dati è partita sono dopo 2 minuti e 40 secondi dall’inizio.”

“Ah, Senpai, è riuscita a decifrare quei dati?” Chiese Maya alzando gli occhi dai fogli.

“No, non ancora.” Ritsuko restò in silenzio per qualche secondo, poi si rivolse all’Operatrice. “Maya, ripetete le analisi sul grafico d’entità negli attimi immediatamente precedenti e successivi all’evento.

La ragazza restò per qualche istante sorpresa, quindi timidamente si azzardò a ribattere “Però, Senpai, non credo che porterebbero a nuovi risultati…è stato tutto setacciato nei minimi dettagli…”

“Maya…” Ritsuko sospirò appoggiando i fogli accanto al proprio pc portatile, che era andata a prendere poco prima di cominciare l’analisi per collegarlo ai Magi, in modo da lavorare più speditamente. “…posso capire che siate tutti stanchi e scossi per quanto accaduto…tuttavia non possiamo rischiare. Osserva bene quel grafico. Una reazione energetica del genere non può scatenarsi di punto in bianco senza preavviso… Certo a meno che…”

 

a meno che la reazione non si sia innescata solo una volta raggiunto un certo livello tale che potesse essere rilevato… Un livello tale da far scattare gli allarmi…ed un livello più elevato ancora tale che potesse essere analizzato…

Questo spiegherebbe anche perché i Magi abbiano incominciato l’analisi solo dopo 2  minuti  e 40  secondi, quando l’intensità ha raggiunto la penultima barriera del grafico…

Però…questo significherebbe  anche che potrebbe essere stata scatenata da qualcosa di cui in condizioni normali non eravamo nemmeno a conoscenza! Il che a sua volta implica che potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa! Qualunque cosa che potrebbe essere anche sotto ai nostri occhi…

 E poi questa reazione energetica… Con un andamento simile le soluzioni potevano essere solo due: la reazione poteva raggiungere il culmine e svanire di colpo oppure arrestarsi e diminuire gradualmente fino a scomparire.

La seconda soluzione è da scartare a priori. Non c’è stata nessuna diminuzione. La reazione energetica si è praticamente dissolta nel nulla.

A questo punto non resta che propendere per la prima e verificare se questo culmine vi sia stato o meno. Ma un culmine senza conseguenze non esiste… La soluzione è nei pochi dati analizzati dal Magi System…

 

“Senpai Akagi?” Il Tenente Ibuki guardò con preoccupazione la Dottoressa che sembrava essersi totalmente immersa nei suoi pensieri. Quest’ultima però sospirò di nuovo, mascherando abilmente l’inquietudine e la tensione, quindi rivolse lo sguardo alla sua Koai.

“Come non detto, Maya…avverti i tuoi colleghi che potete andare a riposare.”

“E’ sicura, Senpai?” Chiese l’Operatrice “Il nostro turno termina solo tra mezz’ora…”

 “Non preoccuparti. Avete svolto tutti un ottimo lavoro. Da qui in avanti ci penso io.”

Rispose con sicurezza la binda riprendendo a ridigitare con la velocità per la quale era famosa.

Il Tenente Ibuki annuì e si diresse verso i suoi colleghi per poi dirigersi con loro, pochi istanti dopo, fuori dalla Sala Comando.

 

 

Quando fu chiaro che le analisi di Ritsuko si sarebbero protratte ancora a lungo ma non nascondevano alcun pericolo immediato, Misato si decise a rilassarsi e ,in accordo con la scienziata, a congedare i Children. Erano le 5:33 del mattino e aveva una gran voglia di riposarsi, ma aveva ancora dei compiti da svolgere. Dopo essersi assicurata che anche il rapporto sulla sicurezza fosse nella norma riuscì a sorridere stancamente a Satoshi e gli posò un rapido bacio sulla guancia.

“Sembra che il nostro lavoro qui sia finito. Proporrei di lasciare il campo a Ri chan e ai suoi calcoli,” disse con una punta di sollievo. L’uomo si alzò dalla sedia e la abbracciò alla vita, sorridendo.

“Ti sei comportata magnificamente, un vero Ufficiale Comandante. Ti meriti proprio di andare a riposare ora.

Lei scosse il capo. “Purtroppo non posso ancora venire a casa, c’è una cosa che devo ancora fare. Devo tornare alle Terme di Yamasaka, ed anche un po’ in fretta.

“E’ per… lui?” Chiese l’Agente franco nipponico con un lieve sorriso scherzoso nonostante la stanchezza.

Misato sorrise divertita. “Ce ne siamo dovuti andare di corsa, non abbiamo potuto portare con noi PenPen.

Satoshi sorrise a sua volta. “Vuoi che ti accompagni?”

“No, grazie. Potresti invece accompagnare i ragazzi a casa? Anche loro saranno piuttosto stanchi… Puoi prendere una delle auto d’ordinanza della Nerv.

L’Agente Iwanaka sembrava preoccupato. “D’accordo… Però fai attenzione a guidare con tutto quel sonno. Se non ce la fai dillo, possiamo avvisare l’albergo e chiedere che ce lo tengano… al fresco.”

Alla battuta entrambi risero di gusto. Quando si furono calmati, Misato annuì. “Non ti preoccupare. Vedrai che un caffè di quelli di Ritsuko mi rimetteranno in sesto.”

La dottoressa Akagi annuì appena quando l’amica le chiese se poteva bere il suo caffè: con tutta probabilità non si accorse nemmeno della domanda.

Senza aggiungere altro, il Maggiore prese la caraffa di caffè, che la scienziata aveva preparato durante una breve pausa con la caffettiera che teneva nel proprio ufficio e che era andata apposta a prendere, ed estratto un bicchiere di carta dalla confezione che l’amica aveva provveduto prontamente a portare insieme al resto, vi versò il caffè fino a riempirlo per metà.

Mentre sorseggiava non molto entusiasta la bevanda, dato che non era la sua preferita, ma era necessaria per non addormentarsi alla guida, aprì il collegamento audio con i Children.

“Ragazzi, è tutto a posto, potete tornare a cambiarvi. Satoshi vi accompagnerà a casa.”

“Era ora che ci diceste qualcosa!” protestò vivamente Asuka dall’altoparlante, mentre si udiva da parte degli altri un sospiro di sollievo. “Sono ORE che ci fate aspettare!”

“Hai ragione, Asuka, tuttavia questo tempo è stato necessario a capire se ci fosse qualche serio pericolo o meno.”

La Second Children si limitò a mugugnare qualcosa di indistinto, poi Misato sorrise comprensiva a Satoshi e lo accompagnò fuori dalla Sala Comando. Ritsuko non si accorse nemmeno di essere rimasta da sola, intenta com’era nei suoi calcoli.

 

 

Mentre Misato recuperava un perplesso PenPen dalla custodia di un ancor più perplesso receptionist (l’uno per il fatto di essere stato lasciato da solo, l’altro per essersi trovato un pinguino nel frigobar della stanza che era stata di Shinji), Satoshi accompagnò a casa i ragazzi. Era domenica mattina, per cui avrebbero avuto tutto il tempo di riposarsi per la notte in bianco, ma due di loro non sembravano felici all’idea. Infatti, la prima tappa sarebbe stata la casa di Rei.

Finita infatti l’emergenza derivata dal combattimento con l’ultimo Angelo, non sembrava opportuno né a lei né a Gabriel, nonostante fosse ciò che desideravano, che rimanessero di nuovo a dormire insieme. Soprattutto, non dopo quello che era successo quella notte. Anche senza parlarsi, entrambi sapevano che avrebbero avuto bisogno di tempo per pensarci su.

Quando arrivarono a destinazione, Asuka scese dall’auto con la scusa di volersi sgranchire le gambe, costringendo ad imitarla anche Shinji, che d’altronde aveva capito che era meglio lasciare la First ed il Fourth Children da soli. Infine, anche Satoshi scese, dopo aver spento l’auto. I tre si misero a parlottare tra di loro fissando ostinatamente un pezzo di strada dissestata poco distante.

I due ragazzi rimasero a guardarsi a lungo, poi Gabriel ruppe il silenzio. “Ormai l’alba è passata da un pezzo.”

“Sì,” rispose Rei, senza perdere di vista gli occhi del ragazzo.

“Dovresti andare a riposare,” continuò questi, prendendole le mani fra le sue. “E’ stata una giornata… beh, per quanto successo questa sera…” Tacque, non riuscendo a trovare le parole adatte. Lei però sorrise e gli pose un dito sulle labbra.

“Per quanto successo questa sera, io sono felice.

Di nuovo rimasero in silenzio, intrecciarono le dita e si baciarono con tenerezza e passione unite insieme nell’amore.

“Ci vediamo domani, amore mio,” disse infine Gabriel, riluttante a lasciare la mano della ragazza.

“A domani, mio Angelo,” fu la risposta.

A malincuore si lasciarono, e Satoshi ebbe l’accortezza di aspettare, prima di ripartire, che Rei fosse sparita dalla vista, in modo da rendere al suo tutorato il dispiacere per quel distacco meno intenso.

 

 

 

 

Trascorsero circa altre due ore.

Ritsuko, la cui espressione concentrata tradiva tutta la tensione e la stanchezza di quella notte insonne, digitò stringendo i denti un’ultima rapidissima sequenza e rimase in attesa.

Sullo schermo del portatile complessi calcoli iniziarono a scorrere automaticamente in un’elaborazione fulminea al termine della quale, il risultato lampeggiò due volte in un  quadrante verde.

Ritsuko sbiancò in volto e sgranò gli occhi sporgendosi attonita verso il monitor.

 

Un Anti-AT  Field !?

 

 

 

 

Il lunedì mattina, l’Agente si accese una sigaretta, mentre guardava un campo coltivato a cocomeri all’interno del Geo-Front. Nella mano sinistra reggeva una valigetta nera, mentre con la destra si ravviò i capelli castani, raccolti in una coda. Era stato lontano per un po’, ma le sue piante non ne avevano risentito troppo.

“Facciamo presto, non ho molto tempo,” disse un’alta figura, dagli occhiali scuri, che avanzava in fretta dalla direzione della piramide della Nerv. “Mi spieghi perché mi ha chiesto di incontrarla qui invece che nel mio ufficio.

Ho ragione di credere che dal nostro ultimo incontro quel luogo non sia più del tutto sicuro,” rispose il primo, sorridendo sfacciato.

“Mmh… Provvederò. Ha con sé ciò che le ho chiesto?”

L’Agente porse la valigetta. “Cinque Gigabyte di fotografie, planimetrie, dati su personale e struttura. Topografie della zona circostante, mezzi, risorse…”

“Non è necessario che elenchi tutto questo,” lo interruppe l’altro, accigliato, prendendo l’oggetto che gli veniva porto. “Nemmeno questo posto mi sembra il massimo della sicurezza.

L’altro annuì in segno di scusa.

L’uomo occhialuto aprì la valigetta e trovò, all’interno di un supporto protettivo in gumflex[1], un minuscolo disco nero. “Questi dati sono sicuri?” chiese bruscamente. L’altro sorrise di più.

“Li ho fatti analizzare dal programma approntato da Ri chan…”

“Prego?”

“… dalla Dottoressa Akagi, mi scusi. I dati sono autentici e privi di minacce.

“Perfetto. Appena la crisi sarà rientrata cominceremo con l’operazione.

“Quale crisi?”

“Durante la nostra assenza ha attaccato un Angelo e, a quanto pare, il Magi System ha avuto un problema. Per la prima questione tutto si è svolto secondo i piani… Quasi tutto.

E… per la seconda?” chiese l’altro, esitante.

“Le basti sapere che la questione non ha avuto conseguenze.

“Capisco,” concluse l’uomo col codino annuendo. Sapeva perfettamente che, se il suo superiore aveva deciso di non informarlo su qualcosa era bene per lui non sapere. Senza altre parole, l’uomo con gli occhiali chiuse la valigetta e gli volse le spalle.

“Ha fatto un buon lavoro,” si limitò a commentare. “Ora può tornare a badare al suo… orto abusivo.

“D’accordo.”

Rimase ad osservare il suo superiore diventare sempre più piccolo, verso la piramide, poi spense la sigaretta sotto una suola. Se non altro, il servizio che aveva appena reso gli avrebbe garantito una meritata vacanza. Almeno, per il suo incarico alla Nerv.

 

 

Fuyutsuki si ritirò in silenzio come d’abitudine ed il Comandante Ikari e la Dottoressa Akagi, restarono soli nell’Ufficio al vertice della piramide.

“Dunque, Comandante, ha fatto un buon viaggio?” Cominciò la scienziata restando in attesa dinanzi alla scrivania.

“Non ci sono stati rilevanti problemi, tuttavia, veniamo al punto. Cos’è accaduto con i Magi?”

 La donna inspirò profondamente e porse a Gendo una cartella contenente i risultati della decifrazione dei dati analizzati dai Magi. L’uomo prese il fascicolo e lo aprì  fissando quanto vi era scritto con espressione apparentemente impassibile.

Un Anti-AT Field ?”

“Sembrerebbe di si…” Sospirò pensierosa la donna.

Ne è assolutamente certa?”

“Non potrei esserlo di più, signore.” Affermò con sicurezza Ritsuko accigliandosi leggermente.

“La causa?” Chiese ancora Gendo, gelidamente, fissandola.

“I Magi non sono stati in grado di individuarla. Sappiamo solo che la reazione energetica rilevata ha portato a quel fenomeno di Anti-AT Field. Tuttavia non è stato possibile risalire al fattore scatenante di tale reazione. Dalle ricostruzioni dell’accaduto, i Magi hanno potuto iniziare un’analisi  solo dopo 2 minuti e 40 secondi dall’inizio, quando la reazione energetica è volta al culmine e l’AT Field si è annullato per una durata di cinque secondi netti per poi ripristinarsi e far scomparire la reazione energetica che gli ha consentito di svilupparsi, nel nulla.”

“Da ciò se ne deduce che…”

“…che pochi secondi e venti punti in più sul grafico d’entità  e sarebbe successo di nuovo quanto è già accaduto quindici anni fa. Osservi a pagina sette. I dati coincidono perfettamente.”

Gendo controllò ed annuì appena.  Senza aggiungere altro richiuse il fascicolo e lo ripose accanto a se sulla scrivania per poi accomodarsi nella sua tipica posizione. Restò in silenzio per qualche istante, poi proseguì. “Questo non gioca affatto a nostro favore. Soprattutto ora che mi è giunta notizia che le voci sui nostri amici sono state confermate.

“Ah, e così è vero?” Chiese la donna inarcando un sopracciglio quasi con sorpresa.

“Si, è esatto. Il nostro informatore me ne ha dato conferma durante il viaggio di ritorno ed i dati relativi mi sono stati consegnati poche ora fa. In ogni caso di quel problema ne discuteremo più tardi. Adesso mi dica, a parte ciò che già conosciamo, cos’altro può causare l’inversione di un AT Field?”

La scienziata tacque a sua volta per qualche secondo poi scosse la testa in senso negativo.

“A parte ciò che è già noto, fin’ora nulla di ciò che è in nostra conoscenza può esserne capace.

“E’ certa che non si trattasse di un Angelo?”

“Assolutamente. Nessun diagramma ad onda blu rilevato o registrato.

“Possibilità di errore del Magi System?”

“In questo caso, signore, assolutamente nulla. Non si è verificato errore alcuno.”

“Situazione nel Terminal Dogma?”

“Ho controllato di persona, ma non sembra sia accaduto qualcosa.

“Quindi non è dipeso dalla volontà di Lei?”

“No, è da escludere.”

“Allora non resta che supporre che sia opera della Seele…”

“E’ un’ipotesi, Comandante…”

“Capisco. Dottoressa Akagi, d’ora in avanti voglio che i controlli periodici sul funzionamento dei Magi vengano intensificati. Non dobbiamo farci cogliere impreparati. Da nulla. Tutto chiaro?”

“Si, signore.”

“Per quanto riguarda quell’altra questione…”

“Si?”

“…quando uscirà da questo ufficio, convochi l’Agente Iwanaka e ripresentatevi qui entrambi. E’ ora. ”

“Allora è già deciso?” Chiese forse con una nota di rammarico nella voce.

“Si.”

“Allora se non c’è altro, io andrei.” La Dottoressa fece per volgere le spalle al Comandante, ma quest’ultimo, immobile nella sua posizione,  la richiamò con voce ferma.

“Aspetti, Dottoressa Akagi.”

La scienziata si bloccò e tornò a rivolgere lo sguardo all’uomo.

“Mi dica, Comandante.”

“Qual è la situazione di Rei?”

Ritsuko serrò la mascella e mentalmente ripassò tutto ciò che Gendo non doveva venire a sapere, ma subito si affrettò a rispondere con tono calmo e perfettamente controllato. “Tutto nella norma, Comandante. Le sue condizioni fisiche sono ottimali, non destano preoccupazione alcuna, e lo stesso si può dire per il suo tasso di sincronia. Anche a scuola sembra che non ci siano problemi.

Il Comandante Ikari annuì appena.

E col Fourth Children?” Chiese poi a sorpresa.

La scienziata sobbalzò.

Cosa vuole sapere, Comandante?” Domandò a sua volta mascherando l’inquietudine.

“Rei è felice con lui?”

Di fronte a quella domanda, Ritsuko restò per qualche istante inebetita, come se non avesse capito bene.

“Allora?” La incalzò senza fretta, dopo un po’, la voce dell’uomo, riscuotendola dal suo stato di stupore.

“C-come?”

“Le ho chiesto se Rei è felice con il Fourth Children. Le ha dato questa impressione?” Ripetè Gendo con calma imperturbabile.

“Ah…Si…Si, Comandante…” Riuscì a rispondere ritrovando il suo autocontrollo “…Si. Mi è sembrata molto felice.”

I due restarono in silenzio per qualche momento. La Dottoressa scrutò il volto del Comandante Ikari che, senza sciogliersi dalla sua posa, aveva preso a fissare assorto la superficie della scrivania.   Entrambi tacquero finchè Gendo non riprese la parola risollevando verso di lei lo sguardo.

“Ho capito. Può andare ora.”

“Solo un momento, Comandante. Avrei…” esitò “…una domanda da farle.”

 

Dato che stiamo parlando di Rei…tanto vale chiedere…

 

“La ascolto.”

“Ecco, Comandante…volevo chiederle se Rei…si, insomma, se può avere figli.”

A quella domanda Gendo si accigliò visibilmente alzandosi dalla sedia e poggiando, nonostante tutto con calma, entrambe le mani sulla scrivania. Tuttavia il tono che utilizzò per parlare raggelò completamente la scienziata tanto era cupo e sottilmente minaccioso.

“Dottoressa Akagi, sta forse cercando di dirmi qualcosa?”

“No no no! “ Negò subito la donna scuotendo  con vigore una mano in senso negativo. “ E’ stata Rei stessa a chiedermelo.”

“Ciò significa che allora Rei potrebbe sospettare di essere in stato interessante?” Chiese ancora accigliandosi maggiormente.

“No!” Esclamò con voce più alta per poi subito riprendere un tono più calmo. “No, Comandante. Abbiamo fatto un lungo discorso a riguardo e su quella questione non ci sono problemi.”

 

Spero…

 

Alle parole della scienziata, Gendo parve tranquillizzarsi e si rimise a sedere incrociando nuovamente le mani all’altezza del volto.

“E potrei sapere per quale ragione Rei ha espresso una domanda simile?”

La donna rimuginò per qualche istante abbassando lo sguardo, fermamente decisa a non dire nulla sul sogno e la discussione in infermeria. Tuttavia alla fine decise di rivelargli un’altra verità, la più semplice e ovvia, riguardo il motivo della domanda della First Children. Sospirò stancamente, quindi tornò a sostenere lo sguardo del Comandante.

“La ragione, Comandante, è che è semplicemente innamorata…”

“…”

 La sala cadde nel silenzio più assoluto. Nessuno dei due seppe dire quanto tempo era trascorso quando la voce dell’uomo risuonò improvvisa, nuovamente calma.

E il Fourth Children?”

Cosa vuole sapere?”

Cosa prova per Rei?”

Davanti a quella sequenza di domande, Ritsuko sorrise tristemente, con ironia. 

 

Preoccuparsi in questo modo per Rei…sembra realmente un padre che indaghi su chi frequenta la figlia…

Preoccuparsi per Rei e non per Shinji.

E men che meno per me…

Mamma…

Sei stata una scienziata geniale, degna del mio assoluto rispetto, come madre, hai fatto ciò che hai potuto, ma come donna…sei stata una grandissima stupida…ed io, che ho voluto seguire le tue orme, lo sono almeno quanto te…proprio una grande stupida.

 

“Le basti sapere, Comandante, che da quanto ho avuto modo di vedere durante l’ultimo scontro, piuttosto che farle correre dei rischi, preferirebbe finire ucciso in combattimento…” Rispose infine mettendo da parte i propri pensieri.

“Capisco.”

“Tornando a quella domanda…” riprese la Dottoressa “…cosa dovrò risponderle?”

“L’organismo di Rei contiene solo una metà del dna della Divinità in nostro possesso e dai dati di ricerca su di lei, ciò non va ad interferire con il funzionamento umano. Per il resto, quindi, funziona come quello di una comune ragazza. Anche in ambito riproduttivo.”

“Può venire a saperlo?”

“A patto che ciò non la allontani dal nostro controllo, si. Per cui se ne accerti prima di parlare.”

“Fin’ora non si è mai presentato tale problema. Mai nessun accenno di insubordinazione…

 

…non che io sappia…

 

“… In più le ho raccomandato di non fare alcun progetto a breve termine.”

E lei?”

“Si è dichiarata d’accordo.”

“Molto bene. Allora può comunicarglielo.”

“Credo che ne sarà molto felice, Comandante. La donna sorrise appena, mentre Gendo proseguiva a fissarla impassibile, per poi tornare seria a sua volta prima di continuare “ Dunque l’unica cosa che potrebbe impedire una sua gravidanza, sarebbe un caso di sterilità…”

“Colei che reca in sé metà dei geni della Madre degli Uomini, non può essere sterile. Affermò l’uomo senza fare una piega.

Anche questo è vero. Beh, allora credo proprio che sarà felice di questa notizia. Ritsuko tornò per qualche istante a sorridere lievemente.

“Un’ultima cosa, Dottoressa Akagi.”

“Mi dica, Comandante.”

“Voglio che li tenga d’occhio. Se accadrà qualcosa su quel fronte riterrò il Fourth Children quale diretto responsabile dell’accaduto.”

“Beh…” la scienziata suo malgrado ridacchiò ironica davanti all’ovvietà dell’ultima affermazione del Comandante“…non potrebbe essere altrimenti.”

E riterrò responsabile anche lei per non averli sorvegliati abbastanza. Si ricordi che seppure per questioni puramente mediche, la Tutrice Legale di Rei è lei, Dottoressa Akagi. Ed in quanto tale, la riterrò responsabile di eventuali suoi stati… imprevisti.”

Ritsuko tornò seria di colpo, tuttavia non si scompose minimamente.

“Ne prendo atto, Comandante.” Rispose gelida “Tuttavia,  come le ho già spiegato, ho già discusso con Rei di questo argomento e sono assolutamente certa che non ci saranno problemi a riguardo.”

“Voglio sperare che sia così. Vada ora.”

“Si, signore.”

Senza aggiungere altro, la scienziata uscì dall’ufficio la sciando il Comandante Ikari immerso nei suoi pensieri.

 

 

Quando Satoshi entrò con Ritsuko nell’Ufficio del Comandante Ikari, sentì nuovamente l’inquietudine e la tensione avvertiti durante il suo primo colloquio con quell’individuo al suo arrivo alla Nerv.

Dopo quella volta, era stato chiamato solo per riceversi una strigliata terrificante a causa del litigio con Kaji e se allora la rabbia per quanto accaduto con l’Agente Kaji aveva soppiantato la tensione, quest’ultima, adesso, era tornata a farsi sentire.

 

Che cosa sarà accaduto questa volta?

 

Quando era andato a chiamarlo, mentre controllava ancora una volta i rapporti relativi alla sicurezza, Ritsuko non si era lasciata sfuggire nemmeno una parola. Tuttavia dalla sua espressione aveva capito che doveva trattarsi di qualcosa di molto grave, per questo si era limitato a seguirla presso l’ufficio del Comandante senza chiedere nulla.

Allorché le porte si chiusero silenziosamente dietro di loro, la voce di Gendo, seduto come di consueto alla scrivania nella sua classica postura e alle cui spalle stavolta era presente anche Fuyutsuki, risuonò ferma e bassa nell’ambiente.

“Dottoressa Akagi, Agente Iwanaka, venite avanti.”

Senza fiatare entrambi si portarono dinanzi la scrivania dell’uomo arrestandosi ad un paio di metri da essa. Satoshi si mise sull’attenti e restò in attesa.

“Agente Iwanaka…” riprese il Comandante, immobile, fissandolo “…immagino che la Dottoressa Akagi non le abbia ancora riferito il motivo per il quale lei è stato convocato…”

“No, signore.” Rispose subito l’Agente franco nipponico con tono altrettanto fermo, nonostante l’inquietudine, guardando un punto indefinito verso l’alto, come la postura militare imponeva quando si veniva interpellati da un superiore.

“Riposo Agente.” Intervenne nuovamente Fuyutsuki come la prima volta che Satoshi si presentò in quell’ufficio, ma stavolta l’Agente fu più rapido ad eseguire e rilassò i muscoli per poi alternare lo sguardo sui presenti aspettando di conoscere il motivo di quella chiamata improvvisa.

“Mi dica Agente Iwanaka…” riprese Gendo, Satoshi lo osservò freddamente, attento. “…lei è a conoscenza del caso Jet Alone, vero?”

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]: Materiale protettivo di invenzione degli autori. Quasi indistruttibile.

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Capitolo 19
*** Due ore e mezza per vivere o morire (Parte I) ***


“Come mai tutta questa irruenza

 

 

CAPITOLO 18

 

Due ore e mezza per vivere o morire (Parte I)

 

 

 

Satoshi rimase spiazzato dalla domanda del Comandante. “Sì,” rispose, cercando di mantenere un’aria impassibile.

“Quindi saprà di come tale manufatto abbia malfunzionato. Tuttavia, i… nostri amici della Japan Navy Industry Corp. non hanno perso la speranza di soppiantare noi della Nerv nel nostro compito di difesa dell’umanità.

L’Agente Iwanaka fissò il Comandante Ikari esterrefatto. Non aveva colto la pausa nel discorso dell’uomo, ma la portata di quelle parole gli sembrava chiara.

“Signore,” iniziò, ripresosi dallo stupore. “Intende dire… che la Japan Navy Industry ha progettato un nuovo Jet Alone?!

Gendo sollevò un sopracciglio, ma questa fu l’unica sua reazione. “E’ una persona perspicace.”

Ma…” fece per intervenire Satoshi, ma poi si rese di nuovo conto del suo ruolo e chiuse la bocca, attendendo gli ordini. Il silenzio fu interrotto da Fuyutsuki, che stava lievemente sorridendo.

“Agente, se ha delle perplessità ce le può porre.”

A quelle parole l’interpellato si rilassò impercettibilmente. Mentre il Comandante continuava a sembrargli una figura ostile, e Ritsuko, nel suo silenzio, rimaneva freddamente in ombra, sentiva il Vice Comandante come l’unica persona realmente dalla sua parte in quella stanza.

“Signore,” riprese l’uomo, rivolgendosi direttamente a Gendo, che lo fissava impassibile. “Pensavo che dopo il pericolo corso la JNI Corporation fosse andata in fallimento.

E sarebbe andata così, se non avesse avuto qualcuno che glielo impedisse. Questi signori fiutarono che il progetto del Jet Alone poteva essere un ottimo investimento, ed evitarono alla JNI Corp. la bancarotta e, probabilmente, il carcere per i suoi dirigenti. Fornirono invece laute sovvenzioni per iniziare la costruzione di un nuovo modello di robot gigante, migliorato nei suoi punti deboli, e un sito inattaccabile per la costruzione. Il tutto, ovviamente, mantenendo il più assoluto segreto.

Quelle rivelazioni si facevano via via più misteriose, ma portavano anche nuove domande a Satoshi. “Signore, ma… per mantenere segreta la costruzione di un nuovo Jet Alone e fornire tutte le risorse necessarie in così poco tempo, questi protettori dovevano essere estremamente altolocati. Magnati dell’industria internazionale, grandi imprenditori…”

“… oppure,” terminò Gendo per lui, “le Forze Armate Giapponesi, unitamente al Ministero della Difesa.”

Nuovamente, l’Agente Iwanaka rimase a bocca aperta. Quasi non riusciva a credere che lo stesso governo del Giappone tramasse contro la Nerv, in un momento critico come quello che stavano attraversando. D’un tratto, inquietanti scenari si affacciarono alla sua mente: una Macchina Umanoide da Combattimento alternativa agli Evangelion e migliore sotto alcuni punti di vista avrebbe portato un vantaggio tattico enorme a chi ne fosse in possesso, e non solo nella lotta contro gli Angeli… E specialmente nelle mani di un governo come quello attuale, che si era dimostrato in più occasioni corrotto fino ai più alti livelli.

Gendo attese che l’effetto delle sue parole si fosse dissipato prima di proseguire. “Come può immaginare, l’eventualità che questo Jet Alone divenisse operativo sarebbe molto contraria agli interessi della Nerv… e a quelli dell’intera umanità, ovviamente. Solo gli Evangelion possono sconfiggere gli Angeli.

Il senso completo di quelle parole sfuggiva a Satoshi, ma sembrava essere condiviso dalle altre persone presenti.

“E’ dunque imperativo che tale progetto non arrivi mai a compimento. Tuttavia, i sistemi di sicurezza precludono ogni intervento esterno. E’ necessario il contatto diretto all’interno della base.

Satoshi deglutì. Gli girava la testa per tutte quelle rivelazioni improvvise, ma una sola parola gli era ben chiara in mente. Ciò che gli veniva chiesto proprio in quel momento: sabotaggio…

“Mi sta ordinando…” Deglutì di nuovo. “… di effettuare un’opera di sabotaggio ai danni del governo Giapponese?”

Gendo sollevò una mano, come per correggerlo. “Le sto chiedendo di tutelare gli interessi della Nerv, e pertanto quelli di tutta l’umanità. E’ superfluo che le dica che, in caso di un suo rifiuto, tali interessi sarebbero in notevole pericolo. Specialmente i nostri, e questo nuocerebbe anche a persone a lei care. Ho saputo che ha una relazione sentimentale con il Maggiore Katsuragi, non è vero?”

Quel riferimento a Misato doveva essere stato accuratamente congegnato dal Comandante. Con le orecchie che gli ronzavano per la tensione, Satoshi comprese che non avrebbe potuto in alcun modo mentire. “Sì,” ammise infine.

“Ebbene, è possibile che anche lei possa trovarsi in serio pericolo, in caso di un suo rifiuto.

Satoshi provò l’impulso ad uccidere Gendo seduta stante, ma riuscì a stento a controllarsi.

 

Un… ricatto??

Il Comandante mi sta ricattando??

SPREGEVOLE MANIPOLATORE, VILE BASTARDO!!

CON CHE CORAGGIO MINACCI MISATO PER COSTRINGERMI A COLLABORARE AD UN’INIZIATIVA ILLEGALE??

CON QUALE SFACCIATEZZA GIOCHI CON IL MIO AMORE PER LEI??

 

“Dunque, conoscendo l’antefatto e le possibili conseguenze di un suo rifiuto, accetta l’incarico che le ho proposto?”

L’Agente strinse i muscoli della mandibola tanto da farsi male, ma non gli importava. L’unica cosa che avrebbe voluto in quel momento era prendere a pugni quella faccia impassibile che continuava a fissarlo da dietro i suoi occhialini bruniti.

Il Comandante sollevò di nuovo una mano. “Prima che risponda, è giusto che la informi che le probabilità di sopravvivenza, data l’altissima sorveglianza e la segretezza del progetto, sono molto basse. Ma non si preoccupi: se morirà durante l’adempimento della missione ci occuperemo noi di fornire al Maggiore Katsuragi un adeguato risarcimento.

 

… Prega.

Prega, se hai un Dio, che non torni mai dal luogo in cui mi stai mandando.

Prega di non rivedere più la mia faccia.

 

“Sì,” esalò a denti stretti, fissando con odio ormai impossibile da celare gli occhi del Comandante, che tolse i gomiti dalla scrivania e appoggiò la schiena contro lo schienale della sua poltrona. Per la prima volta da quando era arrivato in quella stanza, Satoshi notò che stava sorridendo.

“Bene. Sulla scrivania c’è il disco con tutte le informazioni che siamo riusciti a recuperare. Si rechi con la Dottoressa Akagi per studiarle e ultimare i preparativi. Partirà domani. Ovviamente, questa missione è classificata ‘Top Secret’, pertanto nessuno saprà nulla del suo incarico. E nessuno dovrà sapere nulla. Ha capito?”

Ma ormai Satoshi non ascoltava più le parole di Gendo. Con le tempie che gli pulsavano vide a malapena Ritsuko prelevare dalla scrivania un piccolo oggetto che era rimasto invisibile fino a quel momento.

“Ho capito,” disse infine, gelidamente. Dal momento che né il Comandante Ikari, né il Vice Comandante Fuyutsuki sembravano voler aggiungere altro, voltò loro le spalle e seguì la Dottoressa Akagi, che gli aveva lanciato di sfuggita uno sguardo triste, fuori dallo studio.

 

 

“Dunque, veniamo al sodo,” sentenziò Ritsuko non appena furono entrati nell’angusta stanza deputata al briefing preparatorio per la missione. Priva di finestre, era illuminata solo da una fredda luce al neon e da un proiettore che illuminava la parete opposta alla porta. L’unico arredamento era un computer, posato su una scrivania, e due sedie anonime di plastica nera.

Senza dare tempo a Satoshi di rispondere, la donna si recò al computer e vi inserì il disco che aveva recuperato dall’ufficio di Gendo. Sullo schermo e sulla parete illuminata dal proiettore cominciarono a comparire in rapida successione numerose piantine.

“Cominciamo da questa,” disse Ritsuko, senza guardare il suo interlocutore e selezionando una mappa topografica di una zona montuosa. “In tutto avrai due ore e mezza per compiere la missione, dopodiché la squadra di recupero ti considererà disperso. Questa è la regione dell’Haiko, dove…”

“Ritsuko,” la interruppe Satoshi, e l’altra non osò continuare. Per molto tempo rimasero immobili, lei seduta alla scrivania, lui in piedi alla porta, senza parlare. L’unico rumore che si udiva era il nervoso ronzare del proiettore e del computer.

“Satoshi…” replicò la donna, girandosi lentamente sulla sedia. “Credimi se ti dico che sono molto dispiaciuta per questa situazione, tuttavia…”

Lasciò cadere la frase: ogni giustificazione in quel momento le sembrava troppo banale. Fu Satoshi a trarla d’impiccio, annuendo. “Capisco. E ti ringrazio per l’aiuto che mi darai in questa missione. Almeno, avrò qualche decimo di punto percentuale di possibilità in più per sopravvivere…”

Ritsuko strinse i denti e scosse la testa con stizza. “Non è il momento di fare dell’ironia. Ma quello che hai detto è vero: con le informazioni contenute in questo dischetto potrai avere delle possibilità di tornare indietro sano e salvo. Pertanto è necessario prestarvi estrema attenzione.

Nel tono di voce della donna era vibrata una nota di comprensione, per cui l’atmosfera nella stanza si rilassò un po’.

Passarono le successive ore ad esaminare piantine della base dell’Esercito Giapponese che ospitava il Jet Alone II, le mappe della zona circostante, i dati della base e del personale che l’Agente avrebbe trovato sulla sua strada. Mentre Ritsuko passava in rassegna l’equipaggiamento che l’uomo avrebbe dovuto portare con sé, fu di nuovo interrotta.

“Ritsuko, cosa direte a Misato se io non…” S’interruppe. La Dottoressa Akagi posò il visore termico di ultima generazione, di cui stava spiegando il funzionamento, e trasse un profondo respiro.

“Non potrà sapere nulla di questa missione. Nel caso tu fallissi, verrebbe informata di un tuo trasferimento in località top secret per una missione a tempo indeterminato. Come ha detto il Comandante, lei avrà tutto ciò che le sarà necessario per superare quel momento.

“Come fai?”

Cosa?”

“Come fai,” riprese Satoshi, esasperato, dopo un lungo sospiro, “a mantenerti così fredda? Hai detto che ti dispiace che le cose siano andate così, eppure parli come il Comandante Ikari, con la stessa mancanza di sentimenti. Com’è possibile?”

Ritsuko abbassò lo sguardo.

 

Dopotutto ha ragione. Ho appena parlato della sua morte come se si trattasse di un inconveniente con il mio portatile.

Anzi, forse ancor più freddamente.

Non posso biasimarti per odiarmi, Satoshi, però sono dovuta diventare così per sopravvivere.

Non è vero, mamma?

 

“Scusami,” si risolse a dire. “E’ che questo è l’unico modo che conosco per affrontare le situazioni più difficili.

Dopo un’altra lunga pausa, Satoshi rispose. “Devo dire che, per questo motivo, io ti invidio.”

Entrambi tacquero a lungo dopo quelle parole, poi Ritsuko annuì e riprese la sua spiegazione.

“Il tuo obiettivo primario sarà trovare il terminale del computer centrale della base, situato nella camera del Jet Alone, ed inserirvi il virus che ti consegnerò poco prima della partenza. Ciò innescherà l’autodistruzione della base e di tutto ciò che contiene.

L’uomo annuì, ma sembrava perplesso, poi uno sgomento ancora maggiore si manifestò sul suo volto. “E… il personale umano?”

La Dottoressa Akagi chinò il capo, in un gesto eloquente. “Sarà eliminato. In questo modo non ci saranno testimoni.”

Satoshi strinse i pugni, impotente di fronte a quella verità perentoria.

 

Non solo io, anche i soldati, gli scienziati e gli operatori dovranno essere sacrificati??

Quelle persone in questo momento non sospettano minimamente che qui si sta progettando di ucciderli tutti…

Quelle persone  che in fin dei conti hanno il nostro stesso scopo, quello di proteggere il genere umano…

Comandante Ikari… Oltre a uccidermi vuole farmi diventare un assassino??

CON CHE AUTORITA’ DECIDE DELLA VITA DI CHI NON HA COLPE??

PER QUALE ASSURDO MOTIVO BISOGNA SACRIFICARE ANCHE LORO PER GLI SPORCHI INTERESSI DELLA NERV??

 

Notare il rossore invadere il volto di Satoshi e l’ira i suoi occhi, Ritsuko decise di intervenire.

“Per adesso basta così,” disse, alzandosi e spegnendo il computer. Domani mattina, prima di partire, ti verrà consegnata una versione cartacea di tutto ciò che hai visto su quel dischetto, così potrai controllare i dati un’ultima volta. Fino ad allora, è vitale che tu non faccia parola con nessuno di ciò che accadrà. Per Misato… Puoi dirle che si tratta di una breve missione per contattare i dirigenti di un’agenzia di sicurezza, per implementare le nostre forze di difesa. Ora comunque…”

Esitò. Il protocollo prevedeva che gli raccomandasse di nutrirsi e riposarsi bene in vista della missione, ma a Ritsuko sembrava troppo beffardo dargli quelle informazioni.

“Ora… puoi andare. Vai pure da Misato e comportati, il più possibile, come se niente fosse. Segui la normale routine giornaliera. La partenza è stabilita per le ore 5.00 di domattina, alla piattaforma aerea 7. Ci vedremo là.”

Quelle parole sancivano la fine del briefing, eppure nessuno dei due aveva la forza di salutare l’altro.

 

No.

Non li sacrificherò per i tuoi interessi, Gendo Ikari.

Troverò il modo.

Potrai avere la mia vita, ma non mi trasformerai in un assassino.

 

“Attento a non far scattare l’allarme,” aggiunse Ritsuko, come se si fosse ricordata solo allora di quel particolare. Satoshi, che già si stava voltando verso la porta, la guardò interrogativo.

“Quali dispositivi di allarme vi sono?” chiese, atono. Sicuramente li avevano già passati in rassegna, ma in quel momento non aveva nessuna intenzione di riportarli alla mente. Ritsuko non ci badò.

“Principalmente sensori ottici, di cui abbiamo visto gli schemi. Devi stare attento, perché l’effetto sarà che l’intera base saprà della tua presenza nel giro stimato di quindici secondi.

Per un attimo, gli occhi dell’uomo brillarono di un’amara intuizione. “Hai detto… che sapranno della mia presenza?”

La donna sollevò un sopracciglio e increspò le labbra. “Sì. Sapranno dove sarai e cosa starai facendo. Questo perché, appena scatterà l’allarme, entrerà in funzione…”

Ma l’Agente non la stava più ascoltando.

 

Se sapranno… ciò che starò facendo…

Allora potrebbero mettersi in salvo…

 

Quando Ritsuko ebbe finito di spiegare il funzionamento del sistema d’allarme nemico, con un cenno del capo Satoshi le fece intendere che aveva capito, per poi dirigersi verso l’uscita. Evitò accuratamente di voltarsi del tutto verso di lei, in modo che non vedesse l’espressione di disperata consapevolezza nei suoi occhi.

 

 

Erano quasi le due del pomeriggio quando Misato si concesse una pausa. Con il ritorno del Comandante, si era sgravata del grosso del suo lavoro, ma aveva comunque numerosi documenti e resoconti da esaminare nel suo ufficio. A peggiorare la situazione, non aveva visto Satoshi per quasi tutta la mattinata, e ciò l’aveva messa di un umore leggermente malinconico. Infatti erano appena arrivati alla Base, quella mattina, quando avevano incontrato Ritsuko, che aveva chiesto all’uomo di seguirla nell’ufficio del Comandante Ikari. Quel fatto aveva messo Misato un po’ in agitazione, perché una convocazione dal Comandante era quasi sempre qualcosa di molto importante. E il fatto che il suo fidanzato ancora non fosse tornato confermava quella supposizione.

Si stava recando di malavoglia in sala mensa quando incontrò Satoshi. Subito la sua tristezza svanì come una bolla di sapone e tornò ad essere allegra.

“Ciao!” esclamò, tendendo le braccia per abbracciarlo. Stranamente, lui sembrò non manifestare lo stesso entusiasmo, perciò la donna si bloccò. “Che ti succede?” chiese, preoccupata.

L’Agente Iwanaka la guardò e per un brevissimo attimo lei credette di scorgere tristezza nei suoi occhi. Ma fu solo un istante: subito infatti lui sorrise e la abbracciò.

“Scusami,” disse in tono dispiaciuto. “E’ che… il colloquio con il Comandante mi ha sfiancato.

“A proposito, nulla di grave?”

“… Vieni, andiamo a mangiare,” fece Satoshi, sciogliendo l’abbraccio e prendendo la sua compagna per mano per accompagnarla ai tavoli. Dopo una pausa forse un po’ troppo lunga riprese a parlare. “No, Misato, era solo una cosa di routine.

“Ah sì? Dai, racconta!”

“Aspetta,” disse lui, scostandole la sedia dal tavolo. “Cosa vuoi da mangiare?”

Lei, ringraziandolo con un sorriso per il gesto di cortesia, si accomodò e gli comunicò cosa desiderava per il pranzo.

Ricevuto l’ordine, Satoshi si allontanò per recuperare il cibo al bancone. Fece di tutto per non guardarla negli occhi, in modo da non svelare il suo inganno, il tormento che provava in quegli attimi.

 

Sono costretto a mentirti, amore…

Per non farti preoccupare.

Per non metterti in pericolo.

Devo fingere che sia stata una cosa normale, di routine, che questo non rischia di essere l’ultimo giorno che passiamo insieme…

E non posso fare altro che tacere.

E, in silenzio, fingere che non sia successo nulla.

 

Ci mise un po’ più di quanto Misato avesse previsto per tornare con il loro pranzo, ma alla fine riuscì a calmarsi tanto da tornare al tavolo sorridendo.

“Allora, che ti ha detto il Comandante?” chiese il Maggiore Katsuragi cominciando ad addentare la propria ala di pollo. Le palpebre di Satoshi fremettero appena.

“Nulla di particolare, mi ha designato per una missione diplomatica per implementare le nostre forze di difesa,” scandì, recitando quasi le stesse parole usate da Ritsuko poco tempo prima. “Devo contattare i dirigenti di un’agenzia di sicurezza.

Continuarono a conversare sull’argomento per quasi un’ora e l’unico sollievo che Satoshi poteva provare era che Misato continuasse ad essere all’oscuro del tormento che lo torturava, senza venirne coinvolta.

“Quindi è una grande responsabilità, Satoshi,” concluse la donna, sorridendo e posando il coltello accanto al piatto. L’altro annuì.

“Si tratta di un incarico fondamentale, mi è stato fatto intendere.

“Bene, sono molto contenta per te!”

L’uomo annuì, ma non disse nulla, e finì di mangiare. In quel momento suonò il segnale acustico che decretava la fine della pausa pranzo per il pranzo per gli Operatori dei Reparti Meccanici [1], accolto da un coro di disapprovazione da parte dei presenti. Misato si alzò. “E’ il caso che anch’io torni al lavoro. Pensi di liberarti in tempo per andare a recuperare i ragazzi?”

“Credo proprio di sì.”

“Bene, allora ci vediamo più tardi!”

“Misato!”

La donna si voltò sorpresa quando lui le prese una mano con dolcezza per trattenerla. Satoshi la guardò negli occhi mentre oltrepassava il tavolo e si portava davanti a lei. “Ti amo,” le disse, e l’abbracciò con trasporto. Il Maggiore era ancora sorpresa, ma non esitò a lungo prima di rispondergli, con un tenero bacio sulla guancia.

“Anch’io ti amo,” disse poi, semplicemente. Si separarono e sorrisero. “Non vedo l’ora che i nostri turni finiscano, così possiamo stare un po’ da soli…”

Anch’io aspetto con ansia quel momento…” rispose Satoshi, cercando di soffocare il pianto.

 

Perché forse sarà l’ultimo momento che potremo passare insieme…

E questa consapevolezza mi sta annientando.

Non è giusto…

NON E’ GIUSTO!!

Non posso morire senza che tu sappia cosa mi è successo…

Per te sarò solamente ‘Inviato in missione’

Perché nessuno deve conoscere gli sporchi affari del Comandante Ikari…

E per questo motivo tu non dovresti sapere nulla di quello che mi è successo…

No, non è giusto. Non finirà così.

 

“Satoshi, sei sicuro di star bene?” chiese Misato, preoccupata. L’uomo scosse la testa e sorrise tranquillizzante.

“Sono solo un po’ stanco, niente di particolare.

“Se dovesse peggiorare fai un salto da Ritsuko, mi raccomando.”

“D’accordo, puoi contarci.”

“A più tardi allora, ciao!”

“Ciao, amore mio…”

Con un ultimo bacio, i due si separarono definitivamente. Satoshi guardò la sua compagna sparire nel corridoio da cui era arrivata e, finalmente, due lacrime spuntarono ai lati dei suoi occhi.

 

No, non finirà così.

Saprai.

In qualche modo saprai.

Saprai che ti avrò amata fino all’ultimo.

 

Passandosi rapidamente una mano sugli occhi, l’uomo lasciò la sala mensa quasi correndo.

 

 

 

 

Poche ore dopo Misato e Satoshi uscirono insieme dalla base della Nerv, ciascuno con il proprio mezzo, per recuperare i ragazzi. La donna notò una strana distanza da parte del suo fidanzato, come se i suoi pensieri fossero distanti, come se fosse preoccupato per qualcosa, ma attribuì tale stato d’animo alle pressioni che avrebbe dovuto subire di lì a poco a causa della missione che credeva dovesse svolgere.

Quando i ragazzi furono in vista, erano già immersi in una accesa discussione: a quanto pareva, Gabriel aveva detto a Kensuke che non si era mai molto occupato di videogiochi, cosa che aveva letteralmente scandalizzato Asuka. Da quando erano usciti dall’aula, infatti, la rossa non aveva smesso un attimo di tormentare il Fourth Children sul fatto che avrebbe dovuto provare, che magari gli sarebbe piaciuto, che era una cosa senza cui nessun ragazzo della loro età poteva crescere felice.

Non appena ebbe visto Satoshi, fu proprio la Second Children a chiedergli spasmodicamente di permettere a Gabriel di andare con lei e Shinji, in modo che potesse ‘educarlo’. L’uomo rimase come assente per alcuni istanti, poi annuì, soprappensiero. Il suo tutorato subodorò che c’era qualcosa che lo preoccupava, ma fu tranquillizzato da Misato, che gli spiegò quella che era la sua missione di copertura.

Dopo aver riportato Rei a casa e dopo aver cenato a casa di Satoshi, come da accordi, i ragazzi si recarono nell’appartamento di Misato perl’addestramento di Gabriel’, come l’aveva chiamato Asuka, mentre la donna e il padrone di casa rimanevano soli a sparecchiare. Il Maggiore aveva concesso che dormissero tutti insieme, e infatti il Fourth Children avrebbe portato con sé l’occorrente per la notte, ma si era anche caldamente raccomandata che non passassero troppo tempo a giocare, poiché l’indomani si sarebbero dovuti recare a scuola.

Dopo che tali raccomandazioni furono accolte, specialmente dalla Second Children, i ragazzi se ne andarono, e Satoshi chiuse la porta dietro di loro, dopo aver augurato la buona notte. Dopo un attimo di esitazione, controllò bene che la porta d’ingresso fosse ben chiusa e tornò da Misato. Lei stava ancora asciugando i piatti, ma lui la sorprese abbracciandola da dietro e posandole un languido bacio sul collo.

Emettendo un gridolino di sorpresa, Misato posò il piatto, asciugato a metà, e si girò verso di lui, sorridendo. Subito le loro labbra si incontrarono in un bacio appassionato.

“Come mai tutta questa irruenza?” Chiese la donna con un sorriso piacevolmente sorpreso quando si staccarono. Satoshi la guardò negli occhi  reprimendo con decisione la disperazione che gli attanagliava l’anima.

Perché ti amo...”

 

 e voglio amarti con tutto me stesso, completamente, anima e corpo, un’ultima volta…

 

 

Satoshi aveva osservato in silenzio Misato abbandonarsi lentamente al sonno tra le sue braccia , accarezzandone con dolcezza i capelli e la schiena. Solo quando ebbe la certezza che ormai si fosse decisamente addormentata rilassò la testa sul cuscino e volse il capo di lato lasciando che un sottile fiume di lacrime scorresse via silenziosamente.

 

Misato…

Solo una lettera…

Solo una lettera per dirti addio…

Solo due ore e mezza per vivere sacrificando altre vite e tornare da te…

 o morire salvando gli altri e sacrificando me stesso…

Non sono diventato un Agente della Sicurezza per diventare in seguito  un assassino!

Io non posso…non posso

Non posso farlo…io non posso uccidere!

Uccidere e renderti così la compagna di un assassino…

Ma non posso e non voglio sottrarmi mettendoti così in pericolo…

Quell’uomo avrà ciò che vuole… almeno tu ti salverai…

Ma nessuno morirà per mano mia… 

Lo avevo già deciso quando ti ho scritto quella lettera…

Lo avevo già deciso…

Anche se per questo probabilmente io…

 

L’uomo strinse i denti soffocando a stento un forte singulto che ne scosse interamente il corpo.

A quel sobbalzo, seppure trattenuto, Misato si mosse piano nel sonno accoccolandosi meglio tra le braccia del compagno e spostando il capo dalla spalla al petto di lui. Satoshi trattenne il respiro per qualche secondo, volgendo lo sguardo verso di lei, e lo rilasciò solo quando vide che dormiva ancora seppure continuasse leggermente a muoversi ricercando una posa più comoda.

 

Amore, non svegliarti adesso…

Non voglio che tu mi veda piangere…non voglio che il mio pianto sia l’ultima immagine che ricorderai di me.

Voglio invece che l’ultima immagine che tu abbia di me, sia mentre ti sorrido…

Se ti svegliassi adesso, probabilmente ti dirò che sto piangendo di gioia…per essere con te…perché ti amo…perché mi ami…

quando in realtà piango di dolore…perché da domani, potrei non essere più con te…e perché ti amo troppo per andarmene via così.

Ma se ora ti sveglierai e mi guarderai negli occhi, capirai la verità.

Sono un pessimo bugiardo.

Per questo, Amore, dormi. Continua a dormire.

 

Quando vide che la sua compagna si era tranquillizzata, l’uomo riprese a respirare normalmente, cercando di dominare il pianto. Ancora una volta la guardò e ancora una volta senti la disperazione logorargli l’anima. Sforzandosi di non lasciare il proprio pianto libero di riversarsi senza freno, circondò delicatamente le spalle di Misato con le braccia stringendola piano a se. A quel contatto la donna si mosse appena sorridendo nel sonno e si strinse a lui a sua volta.

 

Dormi, Amore.

E perdonami se quando domattina aprirai gli occhi, io non sarò con te.

Perdonami…

Ma ora dormi.

E ti prego…dammi la forza, Amore mio… dammi la forza per riuscire a tornare da te sano e salvo…

 

Quasi senza accorgersene, mentre le lacrime continuavano a rigargli il volto, Satoshi cadde in un dormiveglia agitato in cui rivisse fedelmente la convocazione del Comandante Ikari e in cui si vide protagonista in quella missione suicida e quando l’immagine di un’esplosione lo colse d’improvviso, sobbalzò quasi. Spaventato si guardò concitatamente attorno, ma ciò che vide non furono altro che la sua compagna ancora addormentata sdraiata quasi per metà su di lui, un lieve bagliore filtrare dalle persiane chiuse e la sveglia sul comodino che segnava le  3:45 del mattino.

Era ora di andare.

Silenziosamente scivolò via da sotto il corpo della donna che senza svegliarsi si raggomitolò contro il cuscino. Si fermò ad osservarla per qualche istante e tutto lo strazio di poche ore prima tornò a lacerargli l’anima. Facendo forza su se stesso per riscuotersi dal suo dolore, raccolse un paio di calzoni azzurri da casa, che giacevano disordinatamente abbandonati sulla spalliera di una sedia, e li indossò in fretta quindi si diresse all’armadio dove prese degli asciugamani freschi di bucato, un cambio di biancheria intima e un paio di pantaloni e la giacca dell’uniforme puliti, quindi si recò in bagno per una rapida doccia.

 

 

Quando uscì dal bagno, era perfettamente vestito. I capelli biondi erano ancora inumiditi. Anziché asciugarli col phon li aveva semplicemente frizionati con uno degli asciugamani puliti presi poco prima dall’armadio. Silenziosamente ritornò nella camera da letto ed osservò la figura della donna addormentata. Non avvertendo più il calore del corpo dell’uomo, Misato nel sonno si era tirata addosso il lenzuolo arrivando a coprirsi solo per metà. Malgrado tutto, Satoshi sorrise con tenerezza a quella visione. E una tristezza abissale. Senza provocare rumore si avvicinò al letto e la ricoprì con dolcezza fino al collo, dopodichè, appoggiandosi con la mano sinistra al comodino e la destra al bordo del letto, si chinò fino a sfiorare le labbra di lei in un bacio lievissimo e breve. Al contatto con le labbra del compagno la donna inspirò profondamente ma  non si svegliò.

Lentamente, l’uomo si rialzò evitando qualunque movimento brusco, gli occhi ricolmi di lacrime pronte a riversarsi senza freno. Lottò e le cacciò via in modo che non gli offuscassero la vista mentre guardava la donna che amava probabilmente per l’ultima volta.

 

Non voglio dirti addio, Misato…

Non voglio credere che questa sia l’ultima volta che posso vederti…

Mio padre, quando viveva ancora qui in Giappone era un ufficiale dell’esercito addetto al controspionaggio che dal Giappone si era trasferito in Francia per specializzarsi in operazioni di controspionaggio. Finquando non conobbe mia madre e decise di restarvi. E quando la Nerv fu creata vi entrò seguendo il Codice d’Onore di un Sankendoka…Combatti con lealtà e onore per la tua Patria, la tua Famiglia, la tua Donna e i tuoi Figli.’

Io vi entrai per lo stesso motivo…come mio padre volevo difendere la mia patria e la mia famiglia… ma più di tutto ora voglio difendere te, Amore mio…dalla crudeltà del Comandante Ikari…dalla corruzione dell’Organizzazione in cui rischiamo la vita…per questo ora me ne andrò.

Intanto dormi ancora, Amore… sogna di me, di te, di noi lasciando fuori dal tuo sogno questo incubo.

Ti amo.

 

Con un silenzioso sospiro, Satoshi la guardò ancora una volta per poi recuperare il cellulare dal comodino ed infilarlo nella tasca della giacca, volgerle le spalle ed uscire dalla stanza.

Giunto in corridoio prese da un mobile la tessera d’entrata del suo appartamento, della Nerv, ed il portachiavi con le chiavi d’accensione e della catena antifurto dell’Harley, che infilò nella tasca destra dei calzoni, arrivato sull’uscio infilò le scarpe della divisa, e a passo svelto uscì dall’appartamento. Una volta che chiuse dietro di se la porta di casa, infilò la tessera sotto l’uscio accertandosi che giungesse dall’altro lato, in modo che la sua  compagna potesse prenderla anche se non era necessaria per uscire. Infatti per quelle porte l’uso della tessera era necessario solo per l’entrata e non per l’uscita, sicché un estraneo che non possedesse quella scheda non avrebbe mai potuto accedervi. Ma lei, una volta trovata la tessera, una volta che lui l'avesse lasciata per sempre, avrebbe potuto entrarvi ogni volta che avesse voluto ricordare quanto si erano amati.

Terminata quell’operazione, l’uomo rivolse un ultimo sguardo alla porta di casa e si diresse agli ascensori. Pigiò il pulsante di chiamata e le porte si aprirono. Una volta entrato selezionò il pianoterra, le porte si chiusero e l’ascensore partì. Quando giunse a destinazione, l’uomo, che per tutto il tempo era rimasto a  sguardo chino, gli occhi nuovamente offuscati dalle lacrime, la mente invasa dal dolore, quasi non se ne accorse. A riscuoterlo fu il suono delle porte che si aprivano. Velocemente si asciugò gli occhi col dorso della mano e si diresse verso il retro del condominio dove la sua Harley era parcheggiata.

 

 

Pochi secondi  dopo, l’Harley nera dell’Agente Iwanaka sfrecciò sulla strada deserta in direzione del GeoFront.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]: In questo AU, le pause pranzo sono stabilite e diversificate a seconda del reparto di appartenenza. Gli Ufficiali e gli Operatori della Sala Comando, essendo il loro lavoro indispensabile per il funzionamento della Nerv, pranzano quando gli impegni lo permettono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Due ore e mezza per vivere o morire (Parte II) ***


I rumori dell’Aerojet Stealth della Nerv ronzavano appena nell’aria fredda della prima mattina giapponese, a diecimila metri d

CAPITOLO 19

 

Due ore e mezza per vivere o morire (Parte II)

 

 

 

 

 

 

I rumori dell’Aerojet Stealth della Nerv ronzavano appena nell’aria fredda della prima mattina giapponese, a diecimila metri di quota. Viaggiava unicamente con la navigazione SuperSonar [1] ed in silenzio radio, per cui era praticamente impossibile rilevarlo. All’interno di una delle cabine del velivolo, Satoshi sfogliò per l’ennesima volta il terzo fascicolo del dossier sulla Base Haiko-2, la sua destinazione.

Gli era stato consegnato, come da programma, dalla Dottoressa Akagi, quando si furono incontrati alla piattaforma aerea 7 circa mezz’ora prima. Era arrivata all’appuntamento, una struttura strettamente sorvegliata da Agenti della Sicurezza della Nerv che ospitava un unico velivolo privo di segni distintivi, perfettamente puntuale. Non aveva fatto apparentemente caso all’espressione gelida con cui l’Agente Iwanaka l’aveva accolta, ma si era mossa direttamente verso di lui. Senza nemmeno chiamarlo per nome gli aveva illustrato l’intero equipaggiamento che era stato preparato per lui e lo speciale supporto di memoria per computer contenente il virus da scaricare nel computer della base nemica. Gli Agenti che li circondavano, individui taciturni in uniforme e occhiali neri, sembravano delle statue, i cui vestiti erano mossi appena dal getto d’aria dell’Aerojet che riscaldava i motori.

Satoshi aveva esaminato insieme a Ritsuko la tuta mimetica da infiltrazione Chameleon Prototype [2], il computer compatto da polso e le sue numerosissime funzioni, la Beretta d’ordinanza dotata di silenziatore e il piccolo dispositivo simile ad una vecchia pen drive che conteneva il virus. La donna gli aveva consegnato i fascicoli che riportavano le fotografie e i dati che avevano visionato insieme il giorno prima, al Quartier Generale.

Dopo un laconico ‘buona fortuna’, la Dottoressa Akagi aveva abbandonato la piattaforma 7 insieme ai due Agenti che l’avevano scortata ed era sparita tra le vie ancora deserte di quella parte della città.

Il fatto di sapere che quella freddezza era il modo di Ritsuko di affrontare le situazioni più difficili non era di alcun conforto per Satoshi, che era salito in silenzio sul velivolo insieme ai due membri dell’equipaggio ed aveva abbandonato la città. Per tenere a bada la tensione, cominciò subito a prepararsi per la missione, indossando la tuta mimetica e le parti dell’equipaggiamento, e cominciando poi a sfogliare i fascicoli ricevuti.

Fu distolto dal ricordo degli avvenimenti che lo avevano portato su quell’Aerojet da un discreto bussare alla porta della cabina.

“Avanti,” disse, atono, riponendo il dossier in modo che il suo ospite non lo vedesse. Infatti, nemmeno i piloti conoscevano lo scopo della missione, ma avrebbero unicamente dovuto portarlo sull’obiettivo e recuperarlo centocinquanta minuti dopo.

Sulla stretta soglia si affacciò il giovane copilota, un Caporale. “Agente Iwanaka, siamo quasi sull’obiettivo.

L’uomo, seduto sulla piccola branda che avrebbe funto da letto in un’altra situazione, annuì. Subito il soldato richiuse l’uscio, per coadiuvare il collega durante le operazioni di avvicinamento.

 

Siamo quasi sull’obiettivo…

Ciò significa che molto probabilmente mi restano due ore e mezza di vita…

Misato…

Misato… Sento già la tua mancanza… Se dopo la morte non dovessimo più incontrarci, come farò a stare tutta un’eternità senza di te?

Amore mio…E’ solo pensando a te che riesco a trovare la forza di compiere la mia missione…

Perché se non lo facessi sarei un vile, pronto a mettere in pericolo la tua vita per salvare la mia…

Due ore e mezza, e poi… Non potrò più dirti che ti amo.

Non potrò più dirti quanto amo svegliarmi al tuo fianco la mattina e vedere come prima cosa della giornata il tuo sorriso lambito dai raggi dell’alba…

Non potrò più dirti… che ti amerò per sempre, amore mio…

Però…

Ho voluto dirti tutto questo ancora una volta. Un’ultima volta…

 

***

 

Dopo essere uscito quasi di corsa dalla sala mensa, Satoshi vagò per quasi quindici minuti all’interno della base, alla ricerca di un luogo in cui sfogare tutto il suo dolore. Alla fine uscì nel parcheggio, deserto a quell’ora. Vedendo che non c’era nessuno che potesse notarlo, permise a due sottili scie luminose di uscirgli dagli occhi e scorrergli giù dagli zigomi.

 

Quante cose vorrei ancora fare…

A quante persone vorrei ancora dire addio…

Ed invece sono qui, sono da solo, senza la possibilità di confessare questo tremendo peso a nessuna delle persone con cui vorrei parlare…

Misato, Gabriel, i ragazzi… I tre Operatori del Magi System… La mia famiglia…

Però…

In qualche modo devo assolutamente farlo sapere a Misato…

E…

E dovrei anche salutare mia madre e mio padre… In fondo, non potrò più sentirli da domani…

 

Esitò. La sua mano destra scivolò nella tasca, stringendo convulsamente il cellulare. Quasi si stupì di riuscire a pensare così lucidamente nonostante l’angoscia che gli stringeva il cuore.

Asciugandosi le ultime lacrime dagli occhi estrasse il telefono dalla tasca, respirando più volte a fondo in modo da controllare il dolore. Quando si sentì sicuro che la voce non avrebbe tremato, compose il lungo numero di una chiamata intercontinentale. Non dovette aspettare molto prima che una voce femminile gli rispondesse dall’altra parte.

“Oui?” chiese la donna, con voce cortese, anche se assonnata.

“Mamma, sono io,” rispose Satoshi in francese, sorridendo nonostante la sofferenza al suono di quella voce familiare. D’un tratto si rese conto che in Francia era notte a quell’ora, o primo mattino, e che quindi aveva svegliato sua madre

“SATOSHI!!” urlò sua madre, ora decisamente desta rischiando di stordirlo. “Che piacere sentirti, mi sei mancato!”

Ma… Ci siamo sentiti sabato sera…”

“Ma per me anche un solo giorno senza sentire il mio figliolo è lunghissimo!” Il tono lasciava intendere che quello era uno scherzo, ma che comunque la donna era felice di sentire Satoshi. E questo lo rincuorava molto. “Allora, come stai?”

L’uomo deglutì.

“Bene, mamma. C’è anche papà?”

“No, tuo padre è rimasto a dormire sul lavoro, il Comandante della Sede Francese lo ha trattenuto. Avevi bisogno di parlare con lui?”

“No, no… In realtà… In realtà avevo solo voglia di sentirvi.

“Che amore che sei, Sato-chan!”

Sebbene fosse francese, sua madre, Michelle aveva adottato alcune caratteristiche tipicamente giapponesi, grazie all’influsso del marito Sumio Iwanaka. Tra queste vi era l’uso di quella forma affettuosa.

“Beh… e voi come state?”

“Non c’è male, sai? Mercoledì verrà a trovarci tua cugina Christine e si fermerà per il resto della settimana. La scuola di recitazione le ha concesso qualche giorno di vacanza… Lo sai che stanno studiando ‘Grease’ e hanno anche citato la mia interpretazione?”

“Davvero? Beh, anche nella sua scuola sapranno che sei la migliore attrice della Francia, se non del mondo intero.”

“Smettila, se no poi finisce che mi vanto!”

Entrambi risero per un po’.

“Allora,” riprese Michelle infine. “Cosa mi dici di Misato?”

Il sorriso che ancora aleggiava sulle labbra di Satoshi morì.

“Misato… cosa vuoi sapere?”

“Beh… Insomma… Le hai chiesto di sposarti?”

“Mamma!!”

“D’accordo, scherzavo! Ad ogni modo, tra voi va tutto bene, vero?”

Parlare di Misato in quel momento era l’ultima cosa che Satoshi volesse fare: tuttavia non voleva, non poteva mettere in allarme sua madre cambiando bruscamente argomento. Strinse i denti e rispose.

“Sì, verissimo. Non la amo di meno di quando ci siamo fidanzati. E passerei ogni momento della mia giornata a dirle quanto la amo…”

“Oh, hai ereditato l’animo romantico di tua madre, Sato-chan… Solo che io all’epoca scrivevo addirittura lettere d’amore…”

“I tempi sono cambiati, mamma… Oggi non si scrivono più le lett…”

Un’idea improvvisa fulminò l’Agente di Sicurezza.

“Satoshi, tutto bene?” chiese allarmata sua madre. “Cos’è successo?”

“Niente… niente, mamma. Stai tranquilla, mi sono solo ricordato di una cosa importante.

 

Una lettera… Una lettera…

Ben avvolta in un foglio bianco, così nessuno può leggerla in controluce…

E consegnata con un mazzo di fiori… Il mio ultimo regalo per te, Misato…

E’ una cosa pericolosa, però almeno saprai… E saprai che ti amo, te lo dirò un’ultima volta…

 

Visto il lungo silenzio del figlio, Michelle cominciò a preoccuparsi sul serio.

“Una cosa grave? Ti sto facendo perdere tempo?”

Satoshi si riscosse, riprendendo coscienza del fatto che era ancora al telefono con sua madre.

“No no, affatto. Mamma…”

Si rese conto all’improvviso che quello era probabilmente un addio, e un groppo in gola gli impedì di parlare. Non avrebbe mai dovuto far sentire la propria voce incrinata a lei, perché avrebbe capito subito.

“Mamma,” riprese dopo un attimo, la voce nuovamente ferma. “Devo partire per una missione diplomatica, per un po’ non potremo sentirci.

Non sopportava di dover mentire anche a lei, ma non poté fare a meno di tenere duro.

“Starai via molto?” chiese la donna, dispiaciuta.

“No, non tantissimo. Però… non ci potremo sentire.”

“Ho capito, è una di quelle cose top secret di cui non si può parlare ad un telefono.

Suo malgrado, Satoshi sorrise: sua madre riusciva ad rendere più serena anche una situazione come quella.

“Hai perfettamente ragione, mamma. Di’ a mio padre che ho chiamato, quando torna, per favore. E… digli anche… che vi voglio bene. Ad entrambi.”

“Va… va bene,” disse lei, piacevolmente sorpresa da quelle parole. “Anche noi te ne vogliamo, Sato-chan. Vai pure ora, non è il caso che tu faccia tardi per parlare con tua madre. Mi raccomando, stai attento e buona ‘missione segreta’!”

“Va bene. Ciao, mamma.”

“Ciao, Satoshi.”

La comunicazione fu chiusa, e l’Agente si sentiva meno disperato di quanto non fosse prima. Era grato a sua madre per non aver fatto troppe domande e per essersi fatta salutare un’ultima volta. E le era grato anche per avergli suggerito involontariamente il metodo per dire a Misato la verità che meritava di sapere.

Guardò l’orologio: c’era ancora parecchio tempo prima che il turno suo e di Misato finisse. Di corsa raggiunse la propria moto, indossò il casco e partì, sfrecciando, verso il collegamento per la città soprastante.

 

 

Il signor Asaki aveva appena riaperto il suo negozio di fiori dopo la pausa per il pranzo quando vide l’Agente Iwanaka sfrecciare verso di lui in sella alla sua Harley Davidson. Sorrise e gli rivolse un cenno di saluto. Ormai lo conosceva, poiché all’incirca ogni settimana si recava da lui ad acquistare un mazzo di fiori per la sua fidanzata. Aveva addirittura lo sconto sulle rose rosse.

Ma quel giorno Satoshi sembrava piuttosto di fretta. E dall’espressione, intravista attraverso la visiera, sembrava anche preoccupato.

“Buona giornata, signor Iwanaka,” disse il fioraio, sorridendo, cordiale come sempre.

“Buongiorno, signor Asaki,” rispose Satoshi, smontando dalla moto e togliendosi il casco. Il suo sorriso di risposta era stanco, tanto da far preoccupare l’altro uomo.

“E’ sicuro di sentirsi bene? La vedo pallido…”

“Non si preoccupi, è solo che al lavoro è stata una giornata pesante.

Asaki decise di non indagare, e condusse il suo miglior cliente dentro il negozio.

“Come sta la sua dolce metà?” chiese, sperando che menzionare il Maggiore Katsuragi sarebbe servito a farlo sentire più a suo agio, ma fu deluso.

“Bene, grazie,” disse Satoshi, ma non mostrò di sentirsi meglio.

“Mmmhhh… Vuole qualcosa di speciale per il Maggiore Katsuragi?” tentò ancora Asaki.

“Sì… Sì, a dire il vero è qualcosa di speciale che vorrei…”

“Le preparo un mazzo delle migliori rose del Kyushu, sono arrivate proprio stamattina. Ovviamente al solito prezzo.”

“No,” lo interruppe Satoshi, mentre l’uomo già si apprestava a recuperare da una cesta alcune splendide rose rosse. Questi lo guardò sorpreso.

“Si tratta di un’occasione particolare? Le rose rosse non sono adatte?”

“Sì,” rispose l’Agente, annuendo sommessamente. Asaki allora parve comprendere all’improvviso. “Ah, capisco… Si tratta della perdita di una persona cara?”

Satoshi rimase interdetto.

 

Che ironia della sorte… Potrei mandarle i fiori per il mio funerale…

No, che razza di idea. D’altronde però per un mazzo di rose rosse non mi sembra il caso… e non posso nemmeno spiegare al signor Asaki la situazione…

 

“Sì,” azzardò infine il giovane, non del tutto convinto, ma la sua titubanza passò per contrizione agli occhi dell’anziano fioraio.

“Ho capito,” disse quest’ultimo, chinando il capo affranto e allontanandosi dalle rose del Kyushu. “Forse allora un classico mazzo di crisantemi è la scelta più indicata…”

“No, no!” intervenne subito Satoshi. “Era… era una persona molto cara… Vorrei mandarle… delle rose bianche. Per farle sapere che le sono vicino.”

“Le rose bianche sono segno di una profonda affezione, sono sicuro che apprezzerà molto il gesto,” constatò Asaki, incrociando le mani davanti a sé, affranto.

“Sì…” disse infine Satoshi, vago.

“D’accordo, allora prepariamo un mazzo di rose bianche. Magari non molto appariscente, una ventina di fiori. Che ne dice?”

“Va bene… Però aggiunga anche una rosa rossa…”

Asaki fu sorpreso da quelle parole, poiché di solito non si regalava una rosa rossa ad una donna che aveva appena sofferto un lutto. Tuttavia decise per la seconda volta di non fare domande: dopotutto, chi conosceva la situazione era il suo cliente, e lui non poteva permettersi di sindacare le sue decisioni.

“Mi aspetti al bancone allora,” disse infine, indicando il mobile, mentre si recava a prendere i fiori richiesti.

“Aspetti un attimo,” lo interruppe di nuovo Satoshi. “Potrebbe fornirmi dei fogli di carta e una penna? Vorrei… scrivere un messaggio da allegare alle rose.

“Sicuramente,” fece l’anziano con un sorriso cordiale, recuperando da vicino alla cassa quattro fogli di carta, una penna a sfera e una busta. Mentre il fioraio si occupava di formare il mazzo di rose, l’Agente Iwanaka si chinò sul bancone, sforzandosi di trattenere le lacrime, e scrisse ciò che voleva che Misato sapesse.

Il profumo di così tanti fiori tanti insieme avrebbe potuto risultare nauseabondo dopo un po’, ma Satoshi non ci badava: per lui, le uniche cose che esistevano in quel momento erano il dolore, la lettera che stava scrivendo e Misato, unico pensiero della sua mente.

Ci mise quasi mezz’ora a scrivere poco più di una pagina di calligrafia, a tratti tremante. Trattenendo il fiato, piegò il foglio all’interno di un altro foglio bianco e mise il tutto nella busta, togliendo la protezione sul lato adesivo sigillandone l’apertura.

Asaki aveva aspettato in disparte molto discretamente, sicché l’Agente della Nerv poté prendersi tutto il tempo che gli serviva per ricacciare indietro l’angoscia che si era fatta nuovamente avanti, minacciosa e disperante, mentre scriveva. Quando si sentì pronto, si risollevò dalla scomoda posizione chinata che aveva assunto e si voltò verso il fioraio, che finalmente avanzò verso di lui con un sorriso comprensivo appena accennato.

“Le sue rose sono pronte,” disse, mostrando il mazzo di fiori bianchi al cui centro spiccava un’unica rosa rossa.

“La ringrazio,” rispose Satoshi con espressione sinceramente riconoscente. Sollevò la lettera, priva di indicazioni sul retro. “La prego di consegnare questo mazzo e questa busta al Maggiore Katsuragi al solito indirizzo, domattina abbastanza presto, prima che lei vada al lavoro.

“D’accordo, glielo porterò verso le nove e mezza. E’ sufficiente?”

“Sì, credo che per allora…” si interruppe all’improvviso.

 

Credo che per allora sarà tutto finito

 

Si schiarì la voce e proseguì. “Credo che per allora andrà bene. Grazie.”

“Si figuri. Ha le mie condoglianze, signor Iwanaka.”

“Grazie anche di questo, signor Asaki. Quanto le devo?”

L’uomo disse il prezzo e Satoshi pagò.

“Ora è meglio che vada.”

“D’accordo,” disse il fioraio, battendogli cordiale una mano sulla spalla. “Torni pure a lavorare. E mi saluti Gabriel quando lo vede!”

Ormai già sulla porta, Satoshi sorrise, per la prima volta rilassandosi, e annuì. Anche il suo tutorato aveva preso l’abitudine di comprare i fiori per Rei dal signor Asaki. “Non mancherò di certo. Arrivederci!”

Il fioraio agitò la mano in segno di saluto, mentre l’Agente Iwanaka montò in moto, si rimise il casco e ripartì per il GeoFront. Si sentiva più leggero dopo quell’incontro, ma sapeva già che l’angoscia sarebbe tornata ad attanagliarlo ben presto.

 

***

 

Satoshi controllò ancora una volta che il suo equipaggiamento fosse al posto designato e fosse facilmente raggiungibile e infine accese il dispositivo della tuta. Quasi subito le sue scaglie, prima azzurrognole, assunsero le tonalità scure dell’interno del vano di lancio dell’Aerojet. Si guardò la mano e apprezzò l’effetto: se il colore era così fedele anche in zone illuminate e all’aperto, sarebbe veramente stato difficile da individuare dal nemico. Si calò sul volto il passamontagna, dalla stessa struttura cangiante e scagliosa della tuta, e indossò il paracadute. Il copilota uscì di nuovo e si diresse verso di lui.

“Si sente pronto?” chiese, e contemporaneamente aprì il portellone, ignorando il vago cenno di assenso del suo interlocutore. Dall’esterno i due furono quasi abbagliati dalla luce del sole, che a quell’altitudine svettava sulle montagne, ancora rosato dall’aurora, lasciando in ombra le valli sottostanti.

Ora volavano piuttosto bassi, in modo da non essere avvistati nemmeno otticamente dalla base nemica, e Satoshi vide una profonda gola sotto di loro, immersa nell’oscurità, e per un attimo gli parve che il tempo si fermasse, e il rombo dei motori dell’Aerojet si trasformasse nello scroscio di una cascata nascosta, che alimentava il fiume che scorreva in fondo a quel canalone. Il sole sparì dietro una montagna, ma lasciò il panorama tutt’altro che buio, poiché le tenui nuvole bianche riflettevano all’infinito le sue tonalità rosate, spargendole per tutto il cielo e la terra come un grande specchio naturale. Oltrepassarono una vetta e sotto di loro si aprì una piccola valle, un campo di fiori che univano i loro colori al rosa vellutato che pervadeva tutto. Poi superarono un’altra giogaia e un altopiano più vasto si palesò agli occhi di Satoshi. Qui il prato era interrotto da boschetti naturali e selvaggi, intermittenti. L’Aerojet rallentò, prolungando quello spettacolo. In un attimo che sembrò non finire mai l’uomo immaginò una scena mozzafiato tra quei lievi pendii, giù nella valle, durante una gita meravigliosa, senza gli impegni e le uniformi della Nerv. C’erano soltanto loro, tutti insieme: Gabriel che componeva seduto su un masso insieme a Rei che lo guardava… Asuka e Shinji che si rincorrevano come due ragazzi della loro età avrebbero dovuto fare, invece di rischiare la vita ogni giorno… E loro due, Satoshi e Misato, stesi sull’erba, abbracciati, scambiandosi le parole d’amore che avrebbero dovuto scambiarsi per tutta la vita…

“Signore?” chiese il copilota, strappando Satoshi dal suo sogno ad occhi aperti e riportandolo alla realtà. Questi lo guardò con aria infinitamente triste, ma non si scompose e annuì, riportando lo sguardo sul panorama, che aveva ormai il sapore di un quadro cui fosse stato portato via il colore.

“Sono le 5.55,” scandì il Caporale, guardandosi l’orologio da polso. “Alle 8.25 noi saremo in questo settore per recuperarla. Ha centocinquanta minuti per compiere la sua missione, qualunque essa sia. L’obiettivo si trova al di là di quelle montagne, ad una distanza di cinquecento metri.” Indicò un’alta parete montuosa verso cui si stavano dirigendo lentamente. Il rombo del motore era calato di molto, forse in modo da non essere udibile dalla vicina base. Ai piedi di una delle montagne c’era un passo protetto da cui sarebbe stato agevole passare senza essere notati.

“Buona fortuna, Agente,” fece il Caporale, mettendosi sull’attenti e facendogli il saluto militare. Satoshi fece freddamente un cenno del capo, poiché con il passamontagna indossato le sue parole non sarebbero state udite, e rispose al saluto militare. Poi, mentre l’altro rimaneva sull’attenti, come ad un funerale militare, Satoshi saltò nel vuoto.

Settecento metri più in basso, mentre l’Aerojet compiva una brusca virata per tornare da dove era venuto, l’Agente della Nerv, la cui tuta aveva assunto delle tonalità del verde, inframezzate da strisce rosse e nere per confondersi con l’erba, raccolse il paracadute azzurro che si era dispiegato e lo nascose dietro un cespuglio, prima di avviarsi verso il passo e la sua destinazione. Il sole sorse definitivamente dalla vetta delle montagne, inondando la valle di luce.

 

 

Quando infine vide il suo obiettivo, Satoshi non si stupì più che un progetto colossale come la costruzione di un nuovo Jet Alone potesse passare inosservata. La struttura che infatti sorgeva in mezzo alla zona spoglia e accidentata al di là del passo era più piccola della Piramide della Nerv. Era un bunker ultracorazzato, probabilmente tanto protetto che una bomba N2 non avrebbe mai potuto raggiungere la vera e propria base segreta, posta alcuni metri sotto il complesso.

D’altronde, un attacco di tale portata da parte della Nerv sul suolo giapponese senza motivazioni ufficiali sarebbe stato sufficiente a dichiarare sciolta l’agenzia e arrestare i suoi dirigenti.

Satoshi strisciò sul terreno pietroso di quella zona, cosparso qua e là di sparuti arbusti, verso l’apertura di quello che sapeva essere una presa d’aria della base, cento metri più avanti. La tuta Chameleon assunse un colorito brunastro, con striature gialle, sicché se una sentinella avesse guardato nella sua direzione avrebbe visto solamente una vaga impressione di movimento, forse dovuto al sonno. Infatti, era stata scelta quell’ora per l’inizio dell’operazione perché vi avveniva il cambio della guardia, in cui le sentinelle notturne erano stanche per la nottata passata a guardare il nulla, e quelle diurne erano ancora assonnate. Con una lentezza esasperante, l’uomo raggiunse la piccola apertura sulla parete altrimenti compatta della base. Una grata di metallo avrebbe dovuto impedirgli l’accesso, ma l’Agente impiegato nella missione di sopralluogo, di cui egli non conosceva l’identità, l’aveva rimossa, permettendogli l’accesso. Con un ultimo sospiro, scacciò il ricordo del paesaggio meraviglioso visto poco prima, e si costrinse a pensare unicamente alla missione. Silenziosamente, sgusciò all’interno dell’angusta apertura, penetrando nella base nemica.

 

 

Per tutta l’ora successiva, Satoshi continuò a scendere, prima lungo i numerosi condotti d’aerazione, visualizzandone le mappe sul computer da polso, poi nei corridoi e con le scale d’emergenza, sussultando per ogni rumore, nascondendosi ogni volta che vedeva un camice bianco o un’uniforme militare apparire da dietro un angolo. Attraversò numerose sale, alcune dedicate al relax, altre adibite a dormitori per la guarnigione, altre ancora piene di monitor, su cui scorrevano dati cui solo la Dottoressa Akagi avrebbe potuto dare un significato. Costantemente, la sua mano guantata teneva serrata la presa sul calcio della pistola, attendendo fino all’ultimo prima di estrarla, ma non ce ne fu mai bisogno.

Pedinò due scienziati che si dirigevano parlottando verso la porta che, secondo le mappe a sua disposizione, dava accesso alla “sala di sperimentazione”, dove avrebbe dovuto trovarsi il Jet Alone. Con il cuore in gola, attese che i battenti della porta scorrevole automatica si richiudessero, sigillandosi, prima di avvicinarsi. Dopo aver controllato che nessuno fosse in vista, inserì nel lettore delle tessere d’accesso uno spinotto connesso al suo computer da polso, che bypassò il sistema di controllo. La porta si aprì di nuovo e Satoshi, trattenendo il respiro, la oltrepassò.

Quasi si scordò di appiattirsi contro il muro per mimetizzarsi al meglio quando si trovò davanti il visore, ancora cieco, del Jet Alone, illuminato da potenti fari alogeni che vi proiettavano potenti raggi di luce. Quando si rese conto di essere in piena vista, l’Agente si nascose vicino un angolo del ballatoio che correva lungo l’intero perimetro dell’ampia sala. Controllando che nessuno fosse in vista, si accostò con prudenza alla ringhiera, scrutando il locale.

Era chiaro che, una volta che il Jet Alone fosse stato attivato, sarebbe stato necessario smantellare la soprastante base ed estrarre il robot in verticale, attraverso il lungo pozzo che sovrastava la parte superiore della sala. Tutto attorno all’immensa macchina vi erano numerosi dispositivi, di cui era impossibile stabilire la funzione, collegati a varie prese sul suo corpo. Dalla testa del robot spuntava quasi una selva di cavi, che si perdevano in tutte le direzioni, connettendosi ai computer attraverso i quali gli operatori stavano programmando l’unità di controllo. Gli arti inferiori si perdevano in lontananza, in fondo alla cavità, e Satoshi sapeva che laggiù c’era il suo obiettivo. Senza perdersi in osservazioni sterili per il successo della missione, cominciò a scendere, evitando in tutti i modi il contatto con gli occupanti della base.

Accanto alpiede’ del Jet Alone, addosso al quale stava seduto un soldato dall’aria annoiata, c’era l’obiettivo della missione: il terminale connesso direttamente al computer centrale, posto in quel luogo difficile da raggiungere come ulteriore protezione. Satoshi era riuscito ad arrivare a pochi metri da esso, ma non poteva proseguire, poiché nemmeno la tuta Chameleon l’avrebbe nascosto se fosse entrato in piena luce davanti agli occhi della guardia.

Guardò nervosamente l’orologio sul computer da polso e soffocò un’imprecazione. Era rimasto poco tempo per compiere la missione, ed ora era bloccato a un passo dal suo obiettivo senza poterlo raggiungere. Poi accadde l’imprevedibile. Il soldato si alzò dal suo improvvisato sostegno, si stiracchiò e si allontanò, probabilmente per sgranchirsi le gambe. Satoshi non avrebbe avuto altre occasioni.

Silenziosamente avanzò nella luce, ed inserì il dispositivo di Ritsuko, che aveva precedentemente estratto, in una delle prese USB del terminale, premendo poi l’unico tasto che ne incrinava la superficie altrimenti liscia. Un lieve tremore del monitor gli fece capire che lo scaricamento del virus era iniziato, e quando la luce sul congegno si fu spenta seppe che esso era terminato. Secondo le istruzioni ricevute da Ritsuko, entro venticinque minuti la base sarebbe esplosa, senza nessuna possibilità di interrompere il processo.

L’uomo, giunto finalmente alla fine della propria missione, sospirò.

 

Venticinque minuti… Spero che bastino affinché si salvino tutti…

 

Deglutì, e sentì una profonda tristezza pervaderlo.

 

Misato, perdonami…

 

 

 

Premette il tasto rosso che faceva scattare l’allarme nell’intera base.

Un’assordante sirena si diffuse nell’enorme sala, scuotendo gli scienziati dai loro test e i soldati dalle loro ronde. Tutti i presenti cominciarono a sciamare in tutte le direzioni, presi di sorpresa, senza sapere cosa avesse fatto scattare l’allarme. Dalla sala comando, il Comandante Umigawa, delle Forze Armate Giapponesi, chiedeva a tutti i suoi sottoposti, sbraitando, un rapporto sull’accaduto.

Risulta che l’allarme sia stato attivato direttamente dal terminale 01, signore!” disse un giovane ufficiale. Il Comandante sbiancò: se un nemico era arrivato fin laggiù poteva essersi infiltrato nel sistema informatico della base con esiti catastrofici.

“Far convergere tutte le unità al terminale 01, presto!” ordinò, brusco.

 

 

In un attimo, una ventina di soldati pesantemente armati circondò Satoshi, intimandogli a gran voce di alzare le mani e voltarsi lentamente.

L’Agente della Nerv ubbidì, portando le mani sopra la testa e girandosi verso i suoi nemici. Sui loro volti c’era sconcerto e paura, poiché l’allarme ancora non era rientrato, sebbene l’intruso fosse stato individuato.

 

Accidenti, perché non si muovono, perché non abbandonano la base??

 

Il soldato che prima sonnecchiava contro il piede del Jet Alone, forse per riscattarsi da quell’attimo di debolezza che aveva permesso a Satoshi di compiere la sua missione, si precipitò verso di lui per disarmarlo. Troppo velocemente. Abbassò la guardia, allungando una mano verso la fondina dell’altro per prendergli la pistola, ma smettendo di puntargli contro la propria arma. Un guizzo di speranza attraversò gli occhi dell’Agente franco-nipponico.

 

Forse… posso salvare anche me stesso!

 

In un lampo, Satoshi eseguì una presa a mani nude, appresa durante l’addestramento come Sankendoka, ed in pochi attimi disarmò il soldato, si fece scudo col suo corpo e gli puntò la pistola alla tempia, tra lo sgomento degli altri. Questi subito gli gridarono di lasciarlo andare, minacciandolo con i fucili d’assalto, ma Satoshi non si lasciò impressionare, mentre il suo ostaggio piagnucolava.

“Ascoltatemi bene!” gridò l’Agente della Nerv, cercando di sovrastare gli ordini dei soldati. “Tra venticinque minuti la base esploderà, e non c’è nessun modo di interrompere il processo. Invece di puntarmi le armi contro, fareste bene a mettervi in salvo!”

 

 

Con uno sguardo, Umagawa pretese spiegazioni dal suo sottoposto addetto alla sicurezza informatica. Questi rimase imbambolato a guardare il monitor per diversi minuti, attonito.

“Allora??” sbraitò il Comandante, impaziente.

“E’… è così,” annaspò l’altro. “La procedura di autodistruzione è in funzione e non è possibile interromperla…”

 

 

La notizia gettò nello scompiglio i soldati in fondo alla sala del Jet Alone, le cui fila furono attraversate da un’ondata di panico.

“Che aspettate??” urlò Satoshi, esasperato. “Fuggite!”

Senza lasciare la presa sul suo ostaggio, l’Agente si diresse indietreggiando verso un ascensore che aveva intravisto su un lato della sala. Gli altri, non ricevendo più ordini dalla sala comando, abbandonarono le loro posizioni e corsero a perdifiato verso gli altri ascensori e le scale di emergenza. Una volta soli, Satoshi poté strattonare il soldato fino a raggiungere l’ascensore; una volta dentro, premette con forza il tasto che li avrebbe portati al pianterreno della base. Quando il mezzo fu partito si concesse di rilassare le spalle, anche se non tanto da liberare il suo ostaggio.

“Ti prego…” sussultò questo, tremando sensibilmente. “Non mi uccidere…”

Impercettibilmente, Satoshi abbassò l’arma.

“Come ti chiami, soldato?”

“Ta… Takahiro…”

“No, Takahiro, non ti ucciderò. Dobbiamo uscire tutti vivi da questa storia.

I singulti del soldato si fecero più profondi, come se si fosse un po’ calmato.

“Però devi farmi una promessa,” aggiunse dopo un attimo Satoshi.

“Quale…?”

“Non farti mai usare dai tuoi superiori. Se necessario, lascia l’esercito, lascia tutto, ma non permettere che altri ti costringano a diventare ciò che non sei.”

Takahiro probabilmente non comprese in pieno le parole dell’altro, ma annuì ugualmente. C’era qualcosa in quel tono di saggio, di sofferente, anche di triste. Non era il tono di un agente infiltrato, pronto ad uccidere in cambio di un tornaconto personale.

Rimasero in silenzio durante tutti i lunghi minuti della risalita, finché le porte non si aprirono su un corridoio deserto, illuminato dalla lampeggiante luce dell’allarme.

“Takahiro, avete dei mezzi di trasporto terrestri?”

“Sì, delle jeep. Laggiù.”

Il soldato indicò una direzione, ed entrambi vi si spostarono, mantenendo sempre la stessa posizione di quando Satoshi l’aveva preso in ostaggio. Nell’ampio parcheggio che avevano raggiunto c’era una sola jeep. Il portellone che dava sull’altopiano all’esterno era spalancato, lasciando entrare i raggi di un sole ora decisamente più alto nel cielo. Doveva essere passato molto tempo dall’inizio della missione.

Finalmente Satoshi lasciò la presa. Takahiro fece un passo in avanti, massaggiandosi il collo, ma non osò voltarsi né fuggire. Senza badargli, l’Agente balzò in auto, trovando le chiavi inserite nel cruscotto. Accese il motore e si rivolse un’ultima volta al soldato che aveva usato come ostaggio.

Fuggi, mettiti in salvo. Cerca un mezzo di trasporto e scappa più veloce che puoi.

L’altro non fece in tempo ad annuire che un drappello di soldati uscì da una porta di servizio, spianando i fucili contro Satoshi. Questi imprecò e premette il pedale sull’acceleratore, sterzando in modo da imboccare l’apertura verso l’altopiano.

“Fuoco!” ordinò seccamente il capo del gruppo di soldati. I proiettili fecero a pezzi il retro della jeep ed il parabrezza, ma non colpirono Satoshi, piegato sul sedile del passeggero. All’aperto sentì nuovamente il calore del sole sulla pelle, sebbene filtrato ed amplificato dalla tuta Chameleon, ormai inutile e, per la prima volta da quel colloquio con Gendo, sentì di poter tornare a casa vivo, da Misato…

Un dolore lacerante alla spalla lo fece tornare alla realtà. Abbassò allarmato lo sguardo e vide la tuta arrossarsi per il sangue in prossimità della spalla destra. Un proiettile lo aveva trapassato. Strinse i denti e si costrinse a pensare unicamente a guidare verso il passo che l’avrebbe portato al sicuro, verso l’Aerojet che lo stava aspettando, e a Misato…

Un altro proiettile lo raggiunse alla schiena, strappandogli un grido di dolore, che fu subito strozzato da un violento colpo di tosse. Quando finalmente riuscì ad aprire gli occhi, vide le proprie mani imbrattate di sangue. Era stato colpito al polmone. La vista gli si offuscava sempre di più, ma non doveva cedere. C’era Misato che la aspettava, e non sarebbe bastato un proiettile nel corpo a tenerlo lontano da lei…

Aveva superato di poco il passo, era al sicuro ora, anche se le forze lo abbandonavano e il respiro si faceva sempre più faticoso… Poteva tornare da Misato…

Una violentissima luce alle sue spalle lo riscosse per un attimo. Parve quasi che il sole fosse appena sorto, ma non poteva essere così, poiché erano passate quasi due ore e mezza dall’inizio della missione. Dovevano essere circa le otto e venti…

Poi venne il rombo, e un vento tremendo e bollente sollevò la jeep, facendola capovolgere su se stessa più volte prima che si fermasse, tra l’erba che si piegava, come se fosse intenta a fuggire da qualche mostro invisibile. Per un attimo, sotto il peso del veicolo che lo schiacciava, Satoshi vide un’immensa nuvola luminosa, al di là della montagna che aveva appena superato e che si stava sgretolando. Poi, un velo di oscurità coprì i suoi occhi e l’uomo precipitò nell’incoscienza.

 

 

 

 

 

Quel mattino Misato si svegliò un po’ contrariata dal fatto che Satoshi non fosse già più con lei, ma si ricordò subito però che l’uomo doveva partire per la missione diplomatica di cui le aveva parlato il giorno prima, quindi si rasserenò. Ancora stanca nonostante il sonno, si rivestì e fece per uscire, quando notò la tessera dell’appartamento in cui si trovava sul pavimento. La raccolse e se la rigirò tra le dita. Doveva essere caduta al suo fidanzato mentre usciva di fretta per partire. Sorridendo, Misato scosse la testa e se la mise in tasca, ripromettendosi di ricordare a Satoshi di stare più attento in futuro.

Tornata nel proprio appartamento, si preparò per accompagnare i ragazzi a scuola, i quali però erano anche più assonnati di lei, dato che erano andati a dormire molto tardi contravvenendo alle istruzioni. Tuttavia Misato non si sentiva in vena di litigare per quell’argomento e lasciò correre, con la muta gratitudine di Asuka, che aveva insistito tanto con gli altri per restare alzati.

Quando li ebbe portati a scuola, però, la donna si rese conto di essere veramente stanca, per cui telefonò a Ritsuko per informarla che sarebbe arrivata un po’ in ritardo al lavoro. L’amica aveva un tono stranamente preoccupato, quasi abbattuto, mentre le concedeva il ritardo senza fare nessuna domanda, ma Misato decise di non badarci. Una volta a casa, riordinò, relativamente bene, il caos prodotto dai tre Children, soprattutto la Second, durante la sua assenza, poi si recò in cucina e accese la tv, sedendosi comodamente su una sedia per rilassarsi. In effetti, quella notte si era riposata molto poco. Satoshi era stato travolgente, come se fosse stata la prima volta, come se prima di allora non si fossero mai amati…            

A quei dolci ricordi un sorriso le comparve sulle labbra. Decise quindi di assaporarli insieme ad una buona lattina di Yebisu. Si alzò e  recuperò una lattina dal frigorifero, quindi la aprì, tornò a sedersi e si dedicò alla sua bevanda preferita, dimenticando tutto il resto. Stava ancora bevendo quando una strana notizia in un’edizione straordinaria del telegiornale attirò la sua attenzione.

- “…dalla regia ci informano di una notizia dell’ultima ora. Sembra che nella regione dell’Haiko, una tremenda esplosione abbia totalmente vaporizzato una vasta zona di quei territori… ” -

Misato cessò di bere ed appoggiò la lattina su un mobile vicino al lavello per volgersi stupita verso il televisore che tenevano in cucina.

 

Un’esplosione?

 

Sempre più confusa fece per discostare una sedia dal tavolo per prendervi posto e seguire  il notiziario, ma in quel momento suonò il campanello.

 

Chi potrà mai essere?

 

Rapida si diresse verso la porta. Sorrise riconoscendo nel suo ospite il signor Asaki, che tante volte le aveva recapitato i fiori ordinati da Satoshi, ma il sorriso le si spense subito quando ne notò l’abbigliamento scuro, a lutto. Con aria affranta, l’uomo le porse il mazzo di rose bianche, ornato da un’unica rosa rossa al centro, che aveva portato con sé.

“Questi sono per lei, da parte del signor Iwanaka,” disse, atono. Lei, ancora sorpresa, prese il mazzo di fiori. Non riusciva a formulare nessuna frase, nessuna domanda da rivolgere all’uomo davanti a lei.

“Le mie più sincere condoglianze,” disse infine questi, con un inchino, allontanandosi subito dopo, senza dare il tempo alla donna di chiedere spiegazioni. Dopo aver chiuso la porta, rimase alcuni istanti immobile.

 

E’ morto qualcuno che conosco? Qualcuno che conosciamo io e Satoshi? Ma chi??

 

Frettolosamente controllò il mazzo alla ricerca di qualche indizio, e trovò una lettera sigillata, priva di indicazioni. Abbandonò le rose su un mobile e aprì la busta con foga. Con il cuore in gola, vinta da un brutto presentimento, tolse un foglio bianco, che racchiudeva uno scritto vergato a mano, e cominciò a leggere, ma già alla prima riga la lettera le cadde di mano, e lei stessa ebbe un giramento di testa, che la costrinse a sedersi sulla poltrona dietro di lei.

 

Devo aver letto male…Non può essere…

 

Con mano tremante, riprese il foglio e continuò a leggere, in preda ad un’angoscia senza nome.

 

 

Neo Tokyo-3

 

Lunedì 06\ 03\ 2016 [3]

 

Ore 13 :20

 

Amore mio,

non è facile per me dirti che quando questa lettera ti verrà consegnata...probabilmente io non ci sarò già più.

E chissà se mai ti informeranno della mia morte...e lo stesso vale per i ragazzi ed i miei genitori.

Vorrei dirti qualcosa di sensato, ma in questo momento di sensato non c'è davvero nulla.

Ti chiedo perdono per non averti detto nulla, ma se l'ho fatto, è stato solo per proteggerti.

Perchè nel caso ti fosse accaduto qualcosa a causa mia ed io ne fossi uscito illeso,non avrei più potuto vivere.

E se invece fossi perito, anche nell'aldilà sarei stato il più dannato dei dannati.

Già adesso sono terrorizzato dal timore che questa lettera possa arrecarti danno se finisse in mano a terzi, ma non ho potuto fare a meno di scriverla.

Quello che c'è stato tra di noi e che ci ha uniti  è stato troppo meraviglioso, troppo intenso, troppo assoluto, perchè io potessi andarmene senza averti detto almeno ciao un'ultima volta...

Questo scritto ti verrà consegnato personalmente dal titolare del negozio di fiori, Tomoru Asaki , del distretto Hayama .

Ho provveduto io stesso a sigillare la busta e queste parole sono state avvolte in un'altro foglio completamente bianco, così che nessuno possa riuscire a leggerle in controluce. Se ci saranno segni di manomissione, te ne accorgerai e potrai prendere provvedimenti. So di chiederti molto, così come so di meritare il tuo odio per ciò che ti sto facendo soffrire, ma per la tua vita e per l'Amore

cendo soffrire, ma per la tua Vche hai nutrito per me, devi fare conto che questa lettera non sia mai esistita, distruggendola, in modo che non lasci tracce e costituisca per te una prova pericolosa, anche se quando sarà tutto finito credo che tu non correrai più pericoli.

Giurami che lo farai.

Giuralo e perdonami se puoi.

Ho un altro favore da chiederti: Ti prego di richiedere alla Nerv che la tutela di  Gabriel venga affidata a te.

Non dire nulla ai ragazzi, so che non lo farai, però dà loro un abbraccio da parte mia e digli che io credo in loro.

Allo stesso modo, non dire nulla ai miei genitori. Ma anche qui so che non lo farai ugualmente.

Per quanto riguarda  il mio kimono e le mie katane, invece, li affido a te.

Non li darei a nessun altro al mondo.

Amore mio, se nonostante tutti i miei sforzi non dovessi tornare, ti prego, non piangere per me.

Sappi che ti ho amata più di ogni altra cosa al mondo e l'unica che vorrei vedere prima di chiudere gli occhi, è solo il tuo sorriso.

Per questo motivo, vivi.

Vivi anche per me.

Perchè quello che abbiamo vissuto è troppo meravigliosamente bello perchè venga spazzato via con il mio corpo.

Vivi per non lasciarlo morire.

E vivi anche per i ragazzi.

Loro hanno bisogno di te.

Così come ne ho bisogno io.

Perdonami per questo fardello. Non avrei mai, mai, voluto arrecarti un dolore simile. Ma non potevo nemmeno lasciare che tu credessi che ti avevo abbandonata senza dire una parola. ‘Inviato in Missione a tempo indeterminato. Località Top Secret’. Sarà questa la spiegazione che ti daranno.

E piuttosto che abbandonarti, preferirei morire.

Vorrei dirti non so quante altre cose, ma lo spazio rimasto a mia disposizione è poco.

Posso solo aggiungere che non so cosa mi attenda dopo la morte, ma so che se rinascerò, vorrò incontrarti ancora e ancora fino alla fine dei tempi.

E se invece esiste un limbo nell'aldilà, allora veglierò su di te e ti aspetterò finquando non saremo di nuovo insieme.

 

Qualunque cosa accada, che sia in questa vita o nell'altra, ricorda che ti amo e ti amerò per sempre così come ho sempre fatto da quando ci siano incontrati.

Farò di tutto per ritornare da te. Te lo giuro.

Cerca di essere felice.

Ciao.

 

 

Con infinito amore, per sempre tuo

Satoshi

 

 

La lettera le tremava convulsamente nelle mani quando ebbe raggiunto il termine, e le lacrime le sgorgavano copiose dagli occhi.

 

No…

Deve essere uno scherzo… DEVE ESSERLO!!

Ma chi farebbe uno scherzo del genere?? Ma non può essere la verità!!

Satoshi… Non puoi… essere… morto!!

NON PUOI!!

COS’E’ SUCCESSO??!

COSA TI HA PORTATO LONTANO DA ME??

QUAL ERA LA VERA RAGIONE PER CUI TE NE SEI ANDATO STAMATTINA??

CHI MI DARA’ UNA RISPOSTA A QUESTE DOMANDE??

CHI?? IL COMANDANTE IKARI?? RITSUKO??

CHI MI DIRA’ COSA STA SUCCEDENDO??

CHI MI DIRA’ COS’E’ SUCCESSO A SATOSHI??

CHI… LO RIPORTERA’ DA ME???

 

La donna non poté più pensare, perché ogni altro pensiero l’avrebbe annientata. Ma seppe che c’era una cosa sola da fare, in quel momento. Senza pensare infilò la lettera, rimasta quasi stritolata dalla sua presa spasmodica, nella tasca destra della gonna e si alzò di scatto dalla poltrona.  Come una furia, si diresse verso la propria camera, gli occhi offuscati da lacrime incessanti ed apri con forza l’armadio estraendo dal fondo una fondina ascellare verticale che indossò velocemente assicurandola al busto ed alla cintura della gonna.

 

Me la pagheranno…me la pagheranno

 

Senza arrestarsi si diresse quindi alla scrivania aprendone l’ultimo cassetto con fare rabbioso e brusco. Lucida e minacciosa, la beretta d’ordinanza 98FS, accanto alla quale giaceva disinserito il caricatore pieno dei 15  colpi prestabiliti,  si palesò alla vista del Maggiore.

Misato non mostrò esitazioni e rapida impugnò con la sinistra l’arma e con la destra il caricatore che inserì nell’impugnatura della pistola. Un secco rumore metallico, avvertì la donna che l’operazione di carica era andata a buon fine. Dominando i singhiozzi, l’Ufficiale passò l’arma nella destra e caricò il primo colpo in canna per poi bloccare il meccanismo di sparo inserendo la sicura e riporre la beretta nella fondina. Incurante di travolgere qualunque cosa ingombrasse il pavimento della stanza, corse fuori dalla camera giungendo in corridoio dove tolse la giacca dell’uniforme dall’attaccapanni per indossarla con furia celando così alla vista l’arma.

PenPen, udendo tanto frastuono, uscì dal frigorifero e si affacciò curioso dalla cucina, giusto in tempo per vedere la propria padrona chiudere con violenza la porta di casa senza curarsi di spegnere le luci o la televisione ancora accesa sul cui schermo iniziavano a venire trasmesse le prime immagini della devastata regione dell’Haiko.

 

 

La Renault Alpine sfrecciò velocemente lungo la strada in una folle corsa verso la Base della Nerv. Misato, alla guida, stringeva i denti per trattenere disperatamente l pianto in modo che le lacrime non le annebbiassero la visuale.

La vettura quasi bruciò un semaforo, oltrepassandolo subito prima che diventasse rosso ed in breve tempo, l’ingresso al GeoFront si palesò alla vista della donna.

 

 

Quando le porte automatiche del corridoio del settore B-12 si aprirono, tutti i presenti che vi transitavano, tecnici e operatori, si arrestarono di colpo spostandosi attoniti ai lati mentre Misato, la pistola ben salda nella destra, pronta a disinserire la sicura, attraversava a passo svelto l’ambiente, decisa a puntare direttamente verso l’ufficio del Comandante Ikari. Era impossibile capire se fossero più spaventati dal fatto che la donna impugnasse un’arma oppure per l’espressione furiosa del suo volto, solcato da lacrime che ormai nonostante tutti i suoi sforzi non riusciva più a trattenere.

Ormai era vicina ad imboccare uno degli ascensori che portavano direttamente ai piani alti, quando udì la familiare voce di Ritsuko, in rapido avvicinamento, accompagnata da un rullare come di un carrello che veniva spinto, giungere da un punto lontano in uno dei corridoi laterali.

“SPOSTATEVI, FATE LARGO! E VOI, COMUNICATE DI PREPARARE LA SALA OPERATORIA NUMERO 5, IN FRETTA!!

Non trascorsero che alcuni secondi da quel grido che pochi metri davanti al Maggiore, prima che quest’ultima raggiungesse l’ascensore, spuntò una lettiga su cui era disteso un uomo biondo, il volto sporco di sangue come la divisa visibilmente strappata in più punti, sospinta da diversi infermieri e affiancata dalla scienziata, che imboccava rapidamente il corridoio principale, diretto verso la porta opposta a quella da cui Misato aveva fatto il suo ingresso, che li avrebbe condotti velocemente nella zona ospedaliera della Nerv.

La donna guardò la barella passare, troppo scossa da violente emozioni per capire cosa stesse succedendo. Rimase alcuni istanti a fissare la porta dietro cui i medici ed il ferito erano scomparsi, poi, all'improvviso, comprese di conoscere l'occupante della lettiga. Con un rumoroso clangore la pistola le cadde di mano.

“Satoshi…” mormorò senza riuscire a riscuotersi. Per diversi attimi rimase immobile, come impietrita, poi si slanciò in una corsa forsennata verso la porta .

“Satoshi!” Gridò più forte una volta che le porte si furono aperte, lanciandosi all’inseguimento della barella che riuscì a stento a raggiungere allorquando quest’ultima rallentò per un istante nello svoltare un angolo.

“Satoshi!!” Chiamò ancora, sconvolta dal terrore. Al riconoscere la voce dell’amica, Ritsuko si voltò fissandola accigliata.

“Misato, che cosa ci fai qui!?” Le chiese continuando a correre accanto alla barella.

“Che cosa gli è successo, Ritsuko?? Dove lo avete mandato??” Gridò seguendo in corsa la Dottoressa e gli infermieri mentre alternava sconvolta lo sguardo tra il volto quasi totalmente insanguinato del compagno e Ritsuko.

“Adesso non c’è tempo per parlare, Misato! Non possiamo perdere neppure un secondo, va operato immediatamente!” Rispose secca quest’ultima mentre ormai entravano nella zona ospedaliera.

“Voglio sapere cosa gli è successo, Ritsuko!! Devi dirmelo!!”

Mentre i barellieri entravano nella sala operatoria numero 5, appena al di là dell’ingresso nell’ospedale., gridando alla Dottoressa di sbrigarsi, questa si fermò e si voltò verso Misato, prendendola per le spalle ed impedendole di entrare nella stanza. Nei suoi occhi, prima freddi e bruschi, vi si leggeva ora una profonda e amara tristezza, insieme ad una sorta di stanchezza.

“Misato,” iniziò parlando a bassa voce prima di lasciare la presa, una volta che le porte della sala si furono chiuse. “Non so per quale motivo tu sia qui, ma sappi che ora è tutto finito.”

“Voglio sapere cos’è successo a Satoshi,” ripeté il Maggiore, la voce ridotta ad un sibilo rabbioso.

Ritsuko esitò un attimo, poi la sofferenza nei suoi occhi si accentuò. “Mi dispiace, Misato. Non te lo posso dire. Sappi che ha svolto la sua missione ottenendo i migliori risultati che potevamo aspettarci.

“E UNA MISSIONE DIPLOMATICA L’AVREBBE RIDOTTO COSI’??” sbottò l’altra, indicando convulsamente le porte della camera operatoria. “E QUALE MISSIONE DIPLOMATICA AVREBBE POTUTO SPINGERLO A SCRIVERMI QUELLA LETTERA??” Concluse in  un grido furibondo e disperato serrando a sua volta la presa sugli avambracci di Ritsuko.

La Dottoressa parve comprendere all’improvviso ed il suo volto si indurì un po’. “E così te l’ha detto…”

“DETTO COSA??”

“MISATO!” gridò di rimando Ritsuko, scuotendola. “Avrai le tue risposte. Se non tutte, almeno qualcuna l’avrai. Ora però, se non mi lascerai andare, tutta la fatica che ha fatto Satoshi per tornare vivo sarà stata vana.”

A quelle parole, tornate fredde come era il loro tono abituale, Misato allentò la presa, e Ritsuko si divincolò, precipitandosi poi in sala operatoria. Il Maggiore rimase sola, nel corridoio quasi deserto, un braccio ancora alzato a mezz’aria, la mente piena di domande.

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]: Il SuperSonar è un sistema che permette una navigazione quasi completamente invisibile ai radar, poiché non vi è praticamente emissione di energia se non tenui ultrasuoni, utilizzati come nel sonar dei pipistrelli, ma con risultati paragonabili alla visione ottica.

[2]: Prototipo di tuta da infiltrazione. In pochi secondi le scaglie di cui è ricoperta possono imitare il colore prevalente dell’ambiente, comprese le sfumature, rendendo chi la indossa estremamente difficile da individuare.

[3]: Nella lettera appare scritto 2016 perché, tenendo conto degli avvenimenti tra l’arrivo di Shinji (si presume a inizio anno scolastico, ovvero nel settembre del 2015) e quello di Gabriel e Satoshi, e successivamente degli avvenimenti che hanno visto questi ultimi come protagonisti, si suppone sia ormai arrivato l’anno successivo a quello dell’ambientazione canonica.

 

 

 

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Capitolo 21
*** Buone Notizie ed Oscuri Presagi ***


CAPITOLO 20

CAPITOLO 20

 

Buone Notizie ed Oscuri Presagi

 

 

 

 

Dopo un’ora passata sulla stessa panchina, il volto fra le mani, Misato si alzò. Aveva pianto in silenzio tutte le sue lacrime. La luce rossa sulla porta della sala operatoria 5 era ancora accesa, segno che l’operazione era ancora in corso.

 

Satoshi

Vivi, Satoshi… Ti prego… Non lasciare che le ultime parole che mi hai rivolto siano state quelle su quel pezzo di carta…

 

Cominciò ad andare avanti e indietro per la corsia, incurante degli sguardi biechi degli infermieri che vi passavano, infastiditi dal suo continuo camminare, indaffarati.

Passarono altre due ore prima che quella luce si spegnesse. Nel frattempo, un Agente della Sicurezza, un po’ titubante, le aveva riportato la pistola, ma non aveva osato chiederle qualcosa sul suo comportamento, dopo aver visto la sua espressione. Si era limitato ad andarsene, ipotizzando che l’Ufficiale Tattico aveva avuto le sue proprie ragioni.

Quando la porta della sala operatoria si aprì, Misato quasi si lanciò sulla prima persona che ne uscì, salvo bloccarsi subito dopo inorridita.

Ritsuko indossava un camice verde, da chirurgo, una cuffietta e una mascherina bianche, e un paio di guanti di lattice. Però questi ultimi erano imbrattati di sangue. Notando subito l’espressione sconvolta dell’amica, la Dottoressa si tolse rapidamente la mascherina. “Va tutto bene, Misato,” disse, cercando di apparire il più rassicurante possibile nonostante avesse le mani sporche del sangue del suo fidanzato. Forse l’altra era troppo attonita per reagire, per cui la scienziata ritenne di poter continuare.

“Non è più in pericolo di vita,” sentenziò, togliendosi i guanti insanguinati e ponendoli in un contenitore apposito.

Per alcuni istanti il tempo sembrò fermarsi, poi Misato si gettò verso la porta. Ritsuko la fermò appena in tempo, trattenendola per le braccia.

“Ehi, cosa fai?? Sta ancora dormendo, non puoi svegliarlo!! E poi dietro questa porta c’è la camera stagna per la decontaminazione, e più in là l’ambiente è sterile, rischieresti di contaminarlo!”

“LASCIAMI ANDARE!!”

SE ENTRASSI LO METTERESTI DI NUOVO IN PERICOLO!!”

Quelle parole calmarono il Maggiore Katsuragi, che fece un passo indietro, districandosi dalla presa dell’amica. Quest’ultima continuò. “Adesso ha solo bisogno di riposare: le ferite che ha subito erano piuttosto gravi, ma l’abbiamo curato bene. Non so ancora dire quando si riprenderà, ma non subirà alcun tipo di danno permanente.

L’altra la ascoltò col capo chino, visibilmente più rilassata ma anche arrabbiata. Credendo di alleviare questo stato d’animo, Ritsuko proseguì. “Tra circa mezz’ora lo sposteremo in una camera per la degenza: allora potrai vederlo.

Che cosa gli è successo?” chiese invece Misato, freddamente. L’altra, comprendendo il vero motivo della sua rabbia, chinò il capo.

 

Misato… Hai tutto il diritto di sapere per quale motivo Satoshi è tornato quasi morto dalla sua presunta missione diplomatica… Tu questo diritto ce l’hai, ma io ho il dovere di non dirti nulla… Ti prego di capire, Misato… Anche se non vorrei farti questo, ti prego di capirmi…

 

Misato,” cominciò lei, in tono abbattuto.

CHE COSA GLI E’ SUCCESSO!!” compitò l’altra donna, gridando. Di nuovo gli infermieri la guardarono ostili, tuttavia preferirono allontanarsi in fretta. La Dottoressa Akagi si costrinse a mantenere il sangue freddo.

“La natura della sua missione è top secret. Fino a nuovo ordine, non è possibile rivelare in alcun modo particolari riguardo ad essa. Deve bastarti sapere che Satoshi è vivo ed ha compiuto la missione, e che molto probabilmente grazie ad essa tutti noi potremo dormire sonni più tranquilli. Anche tu, Misato. Però, in ogni caso, sia io che lui siamo vincolati a non parlare di questa missione a nessuno…”

Si interruppe. Avrebbe voluto dire ‘mi dispiace’, ma nella sua bocca, davanti alla sua amica, sarebbe suonato oltremodo irrisorio, per cui decise di terminare lì la frase. L’altra donna sembrava aver accettato la sua spiegazione, anche se provvisoriamente, perché non sollevò più nessuna obiezione.

Rimasero immobili per diversi minuti, guardando fisse il pavimento, poi un infermiere si affacciò alla porta. “Dottoressa, siamo pronti,” annunciò, e tornò dentro non appena ebbe ottenuto un cenno di assenso da parte della sua interlocutrice. Misato trattenne il respiro e fece un altro passo indietro, in modo da permettere alla porta di aprirsi del tutto e non intralciare.

Satoshi uscì su una barella, scortato di infermieri e coperto di bende. Dal suo braccio sinistro usciva un lungo tubicino, collegato ad una sacca di sangue per trasfusioni. Ritsuko ebbe appena il tempo di virare con la lettiga, in modo da poterla accompagnare più facilmente, e Misato si avvicinò a Satoshi, prendendo in mano il bordo del lenzuolo, dato che non sapeva se le mani erano ferite.

Satoshi…” chiamò, piangendo di nuovo, stavolta di commozione, ma l’uomo non rispose. Gli infermieri che lo attorniarono guardarono prima lei con disapprovazione e poi Ritsuko con sguardo interrogativo, ma questa scosse lievemente il capo: dopo tutto quello che aveva passato, era giusto che il Maggiore Katsuragi potesse parlare con lui.

Satoshi… ti amo…” continuò a ripetere tra le lacrime, accompagnando la barella per tutta la corsia fino alla stanza a lui designata.

“Ora è meglio che lo lasci riposare,” le disse a bassa voce Ritsuko, sulla soglia. “Quando si sarà svegliato ti avviserò e avrai tutto il tempo che vuoi per parlargli.

Lentamente, Misato abbandonò la presa sul lenzuolo e annuì lievemente. Gli infermieri si apprestarono a far entrare la barella nella stanza.

“A…Anch’… io…”

Quelle flebili parole fecero trasalire tutti. Il Maggiore Katsuragi per prima si chinò sul fidanzato, trattenendo il respiro per la trepidazione.

Anch’io… ti amo…” disse a fatica Satoshi, senza nemmeno aprire gli occhi, una delle poche parti del suo corpo non coperte di bende.

Misato lo accarezzò sulla testa, piangendo di felicità, poi si chinò su di lui, per baciarlo teneramente sulle labbra. Gli altri aspettarono un minuto buono, finché la donna non si fu risollevata, prima di spingere la barella nella stanza. Satoshi, sopra di essa, sorrideva, e le sue lacrime di felicità si mescolavano a quelle della sua amata, che gli erano cadute sul volto.

“Credo che tu possa andare da lui,” disse infine Ritsuko, quando le operazioni per mettere a letto l’Agente Iwanaka furono effettuate. L’altra donna si voltò verso di lei e annuì, sorridendo stanca ma raggiante.

“Grazie,” disse, “grazie di averlo salvato.”

Non vi era più traccia dell’ostilità di poco prima sul suo volto: solo l’immensa felicità di poter riabbracciare il proprio amore.

Anche Ritsuko sorrise. “Non c’è di che.”

Quando gli infermieri furono usciti e la Dottoressa ebbe salutato la sua amica, quest’ultima entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle, mentre gli altri se ne andavano, con il cuore più leggero.

Non appena Misato fu entrata nella stanza, scoprì che Satoshi si era di nuovo addormentato, forse vinto dalla stanchezza residua o dai resti dell’anestesia, e sorrise, intenerita. Prese una sedia e la accostò al letto, prendendovi posto sopra in modo da vegliarlo finché non fosse tornato in sé.

Quando ciò avvenne, Satoshi impiegò un po’ di tempo a rendersi conto di dove fosse, poi si ricordò della missione, dell’esplosione, del dolore tremendo che aveva provato, e che provava ancora in tutto il suo corpo. E ricordò anche una voce, che lo chiamava per nome e gli diceva che lo amava…

Vagò con lo sguardo per la stanza, finché non incontrò i capelli di Misato, sparsi sul letto, alla sua destra: si era addormentata.

Un sorriso inarcò le labbra dell’uomo, e nonostante il dolore che lo pervadeva sollevò un braccio, dandole una carezza sulla testa. Al contatto con la sua mano, Misato si riscosse e si sollevò a sedere. Subito i loro sguardi si incontrarono e sorrisero entrambi.

“Ciao,” lo salutò lei, semplicemente.

“Ciao,” rispose lui con voce roca.

“Sono felice di vederti.”

Anch’io… Perdonami, perdonami per non averti detto nulla…”

La donna scosse il capo. “Non importa. Quello che mi interessa davvero è che tu ora sia qui con me.”

A quelle parole Satoshi sentì tutto il senso di colpa verso di lei, la rabbia verso il Comandante Ikari, l’angoscia per gli ultimi avvenimenti svanire, sostituiti da un grande senso di pace.

“Sei stata tu la ragione per cui sono riuscito a tornare. E’ pensando a te che sono sopravvissuto…”

Shh, non sforzarti di ricordare cose spiacevoli,” gli mormorò lei, accarezzandogli dolcemente la fronte bendata. “Qualunque cosa sia successa, ora è passata, e siamo di nuovo insieme.

Lui annuì lievemente e sospirò a fondo, chiudendo gli occhi, al contatto con la mano della sua fidanzata. D’un tratto si ricordò di una cosa molto importante.

Misato, la lettera che ti ho scritto…”

La donna si ricordò all’improvviso di averla in tasca. Si tastò il pezzo di carta stropicciato, controllò la posizione delle telecamere nella stanza, poi lo estrasse con cura, facendo sì che il testo non potesse essere nemmeno intuito. Anche Satoshi osservò spasmodicamente i movimenti della sua fidanzata, trattenendo il respiro ogni volta che c’era la possibilità che le parole ivi vergate potessero essere viste.

“L’ho letta…” disse infine Misato. Gli occhi, fissi sul foglio, si intristirono.

“Non volevo andarmene senza dirti niente… Mi spiace di averti messa in pericolo,” ammise Satoshi, cupo, ma la donna tornò a sorridere e scosse la testa.

“Lo so. E non ti preoccupare. Se non lo avessi saputo non mi sarei mai perdonata di non aver fatto nulla per impedire ciò che sarebbe successo.”

Rincuorato, Satoshi le sorrise nuovamente, e si baciarono piano.

“Distruggila,” disse poi l’uomo, volgendo uno sguardo al pezzo di carta. “Non deve rimanere nessuna prova che io ti abbia detto qualcosa, per quanto vaga, sulla missione.”

La donna annuì e prese a ridurla a brandelli con circospezione, riducendola quasi in una polvere finissima, che poi si mise in tasca.

“Una volta a casa la brucerò, per essere più sicuri.”

Maggiormente rilassato, Satoshi chiuse gli occhi, con un sorriso, e Misato gli prese la mano: nonostante il dolore, l’uomo rispose alla stretta.

Rimasero a parlare per ore, perdendo la cognizione del tempo, finché non furono interrotti da un forte trepestio fuori dalla soglia.

“SIGNOR IWANAKA!!” gridarono all’unisono quattro voci, due maschili e due femminili, che i rimproveri degli infermieri non poterono sovrastare. Subito la porta si aprì ed entrarono i quattro children. Per poco non caddero tutti l’uno sull’altro, vista la loro irruenza.

“Signor Satoshi,” disse Gabriel, che fu il primo a riprendersi, e fece un passo verso il letto, ma non riuscì a articolare nemmeno una parola. I suoi occhi, invece, si riempirono di lacrime.

Satoshi tentò di sollevarsi almeno a sedere, ma una fitta alla base della schiena lo costrinse a rinunciare, contorcendo il suo volto in una smorfia di dolore. Nonostante questo, la sua voce quando parlò fu quieta e serena. “Gabriel, sto bene. E sono molto felice di vederti.

A quelle parole, il ragazzo cercò di trattenere le lacrime, con poco successo. Dalla soglia, Rei si fece avanti, sebbene non avesse ben chiaro ciò che avrebbe potuto fare.

“Signor Satoshi…” riprese Gabriel, vittorioso nel suo tentativo di dominare il pianto. “Che cosa… cosa ti è successo?”

Misato guardò l’interpellato con aria allarmata. Se non aveva potuto dire la verità a lei, a maggior ragione non avrebbe potuto dirla ai ragazzi, mettendoli in pericolo di vita. L’uomo si schiarì la voce, che aveva nuovamente roca a causa del lungo dialogo con la fidanzata. “Gabriel, si è trattato di un incidente imprevisto, durante una missione. Mi spiace di non avervi potuto dire nulla, ma ogni informazione era top secret, ne andava della sicurezza di tutti, qui.”

Dai Children si alzò un coro di proteste, tra chi voleva saperne di più e chi cercava di riprendere gli altri per non farli disturbare ulteriormente. In quel bailamme incomprensibile, comunque, Satoshi sorrise rassicurante, in modo che gli altri potessero tranquillizzarsi, ma non fecero in tempo. Dal corridoio comparve la figura severa di Ritsuko, che squadrò indignata i presenti.

“Vi pare il caso di piombare nella camera di un degente gridando così?? Vi ho fatto accompagnare qui e vi ho spiegato la situazione per mettervene al corrente, non perché la peggioraste con le vostre grida isteriche! E tu, Misato, ti avevo detto di non stancarlo, che ci fai ancora qui??”

Cercando di calmare la Dottoressa Akagi, Misato si alzò in piedi, sorridendo imbarazzata, ma fu anticipata dal Fourth Children, ora di nuovo padrone di sé, che guardò la scienziata con durezza.

“Dottoressa, per quale motivo il Signor Satoshi si ritrova in questo stato? Lei occupa una posizione rilevante all’interno della Nerv, è impossibile che non sappia cosa gli è successo.

Le proteste degli altri ragazzi ammutolirono di colpo, e gli occhi di tutti si concentrarono su chi aveva appena parlato. La scienziata tornò d’un tratto fredda.

“Gabriel, posso dire la stessa cosa che ho detto al Maggiore Katsuragi. Ha rischiato la vita per una missione grazie alla quale ora siamo tutti al sicuro. E questo è quanto.

Il Fourth Children fece per aggiungere qualcosa, ma poi comprese che non era il momento né il caso di approfondire e chinò il capo.

“Su, ora uscite tutti,” disse Ritsuko, liberando il passaggio. “Anche tu, Misato. Deve riposare”

Lei fece per protestare, ma Satoshi la anticipò. “Ma io non sono stanco…”

Lui e la Dottoressa si guardarono un attimo negli occhi, poi quest’ultima sospirò esasperata. “E va bene. Misato, puoi restare. Ma voi, ragazzi, dovete uscire, e smettere di fare baccano.

Tra cupi mugugni di protesta, soprattutto da parte di Asuka i ragazzi salutarono i due adulti e richiusero la porta alle loro spalle.

Una volta in corridoio, Ritsuko si raccomandò per l’ennesima volta che non disturbassero, poi si allontanò. Allora Asuka propose di prendere qualcosa alle macchine distributrici, ma Gabriel prese posto su una panchina: dai suoi occhi non erano ancora sparite le lacrime. La Second ed il Third Children si scambiarono un’occhiata, mentre Rei si apprestava a sedersi accanto al suo ragazzo. Asuka la fermò e le propose, con fare rassicurante, di andare alle macchinette per prendere qualcosa per tutti e quattro. La First Children, dubbiosa, scambiò uno sguardo anche con Shinji prima di tornare su Gabriel, che però seguitava a tenere il capo chino. Alla fine, intristita, si lasciò guidare lontano da Asuka. Shinji, una volta che le due furono abbastanza lontane, si sedette di fianco a Gabriel.

“Coraggio,” disse, un po’ goffamente. “E’ tornato sano e salvo.”

“Sì, ma avrebbe potuto morire, e noi chissà quando l’avremmo saputo,” rispose il Fourth Children, abbattuto. “Chissà se lo avremmo saputo…”

“Gabriel…” disse Shinji, alzandosi in piedi, serio. “Noi tutti rischiamo la vita ogni volta che attacca un Angelo. E ogni volta non sappiamo quando avverrà l’attacco successivo, il che vuol dire che potrebbe succedere ogni giorno, cioè ogni giorno noi rischiamo la vita, senza sapere che ne sarà di noi. Se non tenessimo conto delle volte in cui siamo sopravvissuti e non ci rallegrassimo di essere ancora vivi, allora vivremmo nell’angoscia.”

Entrambi i ragazzi furono stupiti dalle parole che il Third Children aveva pronunciato, soprattutto quest’ultimo. Gabriel, dal canto suo, sorrise, stanco, e annuì.

“Hai ragione, Shinji,” ammise infine. “Hai proprio ragione.”

Ancora sbalordito per l’efficacia del suo discorso, il Third Children sorrise a sua volta e si sedette di fianco all’amico, aspettando che le ragazze tornassero.mo sopravvissuti e non ci rallegriamo di essere ancora

 però seguitava a tenere il ca

 

 

Le porte dell’ufficio del Comandante della Nerv si aprirono, lasciando entrare la Dottoressa Akagi, con un fascicolo sotto un braccio ed un disco di dati in mano, nel locale immerso nella penombra. La stupì molto essere accolta, invece che dall’abituale silenzio inquietante, da una voce femminile pragmatica e sconosciuta.

-“… dell’accaduto. Non ha voluto rilasciare dichiarazioni ai colleghi, ma è ormai una questione di ore prima che la notizia delle sue dimissioni venga confermata. Diamo ora la parola al nostro inviato…”-

Gendo e Fuyutsuki, seduti entrambi alla scrivania del primo, stavano ascoltando con attenzione un telegiornale, emesso da un piccolo televisore ad un angolo del piano. Vedendo però la Dottoressa avanzare, piuttosto sorpresa, nell’ampia sala vuota, il Comandante spense la tv. Quella fu una delle rare volte in cui la donna fu sicura di vedere sulle sue labbra un sorriso soddisfatto.

“Dottoressa,” la chiamò, invitandola ad avanzare con un ampio cenno del braccio, senza perdere il sorriso. Fuyutsuki si alzò dalla sedia e tornò ad occupare la sua posizione abituale, in piedi dietro la poltrona del comandante. Anche dal suo volto traspariva soddisfazione, sebbene fosse in una certa misura più calma e più stanca.

 

Dev’essere successo qualcosa di cui non sono ancora stata informata… E qualcosa di fuori dall’ordinario, vista l’espressione del tutto insolita del Comandante…

 

“Sono qui per il rapporto sulla missione dell’Agente Iwanaka,” si limitò a sentenziare Ritsuko, ma fu interrotta da un gesto di Gendo.

“So già ciò che è importante,” la informò. “La notizia dell’esplosione è in tutte le edizioni straordinarie dei telegiornali su tutti i canali. Il ministro della Difesa e quello dell’Interno si dimetteranno a breve, i capi delle Forze Armate saranno ‘costretti’ a dimettersi in qualche modo, e la Japan Navy Industry Corporation ha i minuti contati. I ‘nostri amici’ non potranno più darci problemi.

La donna lo ascoltò lievemente sorpresa. “Questa missione ha colpito così in alto da far dimettere quei ministri?”

“Sì. E’ impensabile che il governo ammetta che stesse lavorando ad un progetto segreto pericoloso quanto il vecchio Jet Alone. E insieme alla sua casa produttrice, già diffidata a livello delle Nazioni Unite, per giunta. E’ molto più economico insabbiare l’accaduto e scaricarne la responsabilità su un presunto incidente militare con una testata nucleare, facendo cadere le teste di pochi piuttosto che provocare una crisi dell’intero paese. E da tutto questo, gli unici ad uscire vincitori siamo noi.

“Signore…” intervenne Ritsuko, l’aria tesa. “Dato che l’Agente Iwanaka non ha ancora ripreso conoscenza…”

“Ah, quindi è sopravvissuto?”

“Sì, l’ho operato poco fa…”

“Bene. Quando sarà possibile, gli dica che lo voglio vedere qui.”

La donna annuì con un attimo di ritardo.

 

Forse non si è reso conto del pericolo che corre… Non ho idea di come si sentirà Satoshi quando si sarà svegliato, dopo tutto quello che ha dovuto passare…

 

Cosa stava dicendo, Dottoressa?” Ora Gendo sembrava tornato quello di sempre, sebbene ci fosse ancora qualche traccia di soddisfazione sul suo volto di nuovo quasi freddo. La donna annuì.

“Dal momento che l’Agente Iwanaka non ha ancora ripreso conoscenza, ho ritenuto opportuno interrogare i piloti che lo hanno soccorso. In linea generale, hanno confermato le notizie diffuse dai media, tuttavia…”

Ogni traccia di sorriso scomparve dal volto del Comandante, che sollevò un sopracciglio. “Tuttavia?”

“… Hanno rilevato numerosi velivoli semplici e autoveicoli che si sono allontanati dalla base, poco prima dell’esplosione. Ho ragione di credere che… le vittime siano state molto poche. Se non nessuna”

 

Il che significa che ci sia una quantità enorme di testimoni dell’accaduto…

 

Gendo incrociò le mani di fronte al volto, pensieroso. Dietro di lui, Fuyutsuki abbassò il capo, subito imitato da Ritsuko.

 

La presenza di numerosi testimoni potrebbe invalidare tutto il nostro piano. Eppure me l’aspettavo…

Sin da quando ho parlato a Satoshi del sistema di allarme della base mi aspettavo che avrebbe fatto qualcosa che non avevamo previsto…

Sono praticamente certa che abbia fatto scattare l’allarme deliberatamente, in modo da permettere a tutti di mettersi in salvo. Però così facendo ha invalidato l’intera missione! Perché se questi testimoni parlano del nostro sabotaggio ai danni di uno stato sovrano, ben presto la Nerv… potrebbe essere chiusa!

 

Nonostante l’angoscia di Ritsuko, Gendo parve rilassarsi impercettibilmente.

“Il governo non permetterà mai che questi testimoni facciano una pericolosa breccia nella copertura che avrà così faticosamente costruito. Ci penseranno loro a far passare sotto silenzio le loro eventuali parole: tutt’al più questa storia diventerà una storia da bar, una leggenda, priva di fondamento. Un’altra Area 51, possiamo dire.

La donna fu enormemente sollevata da quelle parole.

 

Satoshi… Anche con una buona dose di fortuna, sei riuscito a salvare capra e cavoli… Non credevo che ce l’avresti fatta…

 

“Tuttavia,” riprese Gendo, riportando Ritsuko sulle spine, “dovrà mandarmi qui i piloti che hanno soccorso l’Agente Iwanaka, e tutti quelli con cui hanno parlato.”

“Non sarà necessario,” rispose lei automaticamente. “Data la loro vicinanza all’esplosione ho ritenuto opportuno mantenerli in isolamento finché non avrò chiarito gli effetti delle radiazioni su di loro. Non dovrebbe esserci nulla di rilevante, comunque. Ad ogni modo, hanno parlato solo con me da quando sono arrivati.

“Ottimo. Quando avrà effettuato i suoi test, li mandi da me,” sentenziò lui, freddo.

 

Per quale motivo? Cosa vorrà farne?

 

“Signore…” accennò Ritsuko, titubante. “E’ giusto… che sappia che hanno svolto unicamente il loro lavoro…”

“Questo lo so.” L’uomo sembrava infastidito dal fatto di ascoltare quell’obiezione. “Però, come i ‘nostri amici’ devono occuparsi dei propri problemi, così dobbiamo fare anche noi.

Quell’ordine non ammetteva repliche. La Dottoressa Akagi non poté fare altro che annuire, posare il rapporto, in carta e disco di memoria, sulla scrivania e voltare rapidamente le spalle al Comandante.

“Dottoressa Akagi,” la fermò lui, poco prima che lei varcasse la soglia. “Il tuo virus ha fatto un ottimo lavoro. I miei complimenti.

Quel passaggio dallei’ al ‘tu’, nonostante il tono fosse rimasto gelido, rassicurò la donna, poiché era oltremodo difficile strappare un complimento a quell’uomo.

“Ti ringrazio, Comandante,” disse, voltandosi appena. Un lieve sorriso le apparve sulle labbra, subito prima che uscisse dalla stanza.

 

E’ sempre così… Non so per quale motivo, però quando mi sento abbattuta… L’unica persona di cui mi fa piacere ricevere i complimenti, per qualunque cosa siano … E’ lui…

 

Quando le porte si furono chiuse, Gendo degnò appena di uno sguardo il dossier appena consegnato da Ritsuko, poi accese nuovamente il televisore. Tornò a sorridere vedendo l’ennesimo filmato dell’immensa nuvola dell’esplosione che si era innalzata quel mattino sulla regione dell’Haiko.

Fuyutsuki, impassibile, continuò a guardare l’edizione straordinaria del telegiornale in piedi.

 

 

Dopo alcuni giorni dall’’incidente’ occorso a Satoshi durante la sua missione, quando fu chiaro che non correva più alcun pericolo ma necessitava solo di riposo, l’atmosfera alla Nerv si fece molto più rilassata. Ormai anche Misato aveva ritrovato il sorriso, sebbene fosse sempre molto stanca perché passava quasi tutto il suo tempo libero a badare alle esigenze del proprio fidanzato, nonostante le pressioni di quest’ultimo affinché si riposasse. Tuttavia, Rei e Gabriel, al suo occhio esperto, sembravano più nervosi del solito, come se tra loro ci fosse una questione di cui non potevano parlare liberamente. Ed in base alle proprie informazioni, Ritsuko credette di identificare la causa di tale turbamento.

 

Tra una cosa e l’altra non ho ancora riportato a Rei il verdetto del Comandante sulla sua possibilità di avere figli…

 

La convocò nel suo ufficio prima dei test di simulazione del giovedì successivo alla missione di Satoshi. Mentre aspettava che la ragazza la raggiungesse in infermeria, la Dottoressa continuava a camminare avanti e indietro, ripassando fra sé e sé che cosa dirle e come dirlo.

“Rei,” diceva a se stessa, a bassa voce. “Tu potrai avere bambini. Ma non subito! Cioè… No.”

“Rei, puoi essere incinta, ma non devi pensare di volerlo essere ora, perché… ehm… perché non puoi… No, così non va.

“Rei… rallegrati! Puoi avere dei figli!... Meglio di no…”

“Rei, il Comandante Ikari mi ha rivelato… confessato… detto, che tu puoi avere figli. Però non subito, perché… lo dice il tuo medico, che sarei io.

 

Che giustificazione idiota… Proprio degna di chi non ha idee…

 

“Rei…” iniziò per l’ennesima volta.

“Sì?” rispose l’interpellata, dalla soglia, piuttosto sorpresa. La Dottoressa Akagi trasalì e si voltò bruscamente verso di lei.

 

Accidenti, da quando ha imparato ad essere furtiva?? Non sono preparata!! Mi ha pure colto di sorpresa!!

 

“R-Rei!” ripeté ancora, con un sorriso tirato sul volto.

“E’ sicura di sentirsi bene, Dottoressa?” chiese l’altra, titubante, facendo un passo verso l’interno della stanza dopo aver chiuso la porta. Ritsuko arretrò fino a trovare la sedia e lasciarvisi cadere. “Sì, certo… Tutto a posto. Prego, accomodati.

Mentre Rei si avvicinava alla sedia indicatale dalla donna, quest’ultima era preda di un turbinio di pensieri.

 

Ed ora come glielo dico?? Ed ora come glielo dico?? Non mi aspettavo che fosse così veloce, non ho fatto in tempo a prepararmi il discorso da farle!

D’accordo, non è la prima volta che devi affrontare una situazione critica. Ragiona, mantieni il sangue freddo e vedrai che non avrai problemi nemmeno questa volta.

Almeno spero.

 

“Bene… Rei… stai bene?” chiese, cercando di riordinare le proprie idee.

“Sì,” fu la perplessa risposta.

“Niente da segnalare?”

“No, non mi pare…”

E a scuola, tutto bene?”

“Nulla di male, ma su questo argomento lei si mantiene aggiornata, che io sappia… Per quale motivo mi ha convocata?”

 

Ci siamo.

 

“Ehm, sì,” annuì la donna, prendendo un profondo respiro. “Il motivo per cui ti ho convocata è… che… ho la risposta alla domanda che mi hai fatto qualche giorno fa.”

Ritsuko si aspettava una reazione intensa da parte della First Children, molto agitata; invece questa la guardò interrogativa. Dopotutto, erano successi molti avvenimenti dal giorno in cui ne avevano parlato, ed era comprensibile che, non avendo avuto risposta subito, la ragazza non si aspettasse più di tornare sull’argomento.

La scienziata allora si schiarì la voce e si decise a spiegarsi.

“Ho chiesto al Comandante e… Rei, tu puoi avere dei bambini.

La ragazza spalancò gli occhi e la fissò incredula, poi balzò in piedi. “DAVVERO??”

Ritsuko sbattè più volte le palpebre stupita.

 

Mi aspettavo una reazione intensa, ma non COSI’ intensa!!

 

“Dottoressa, davvero non sta scherzando??” La incalzò ancora la ragazza guardandola in attesa di una conferma.

“No, no Rei…” Rispose la scienziata dopo essersi un po’ ripresa… “…non sto scherzando è la verità. Puoi avere dei bambini.” Concluse infine con un sorriso di fronte all’espressione incredibilmente felice della First Children.

 

Chissà se il Comandante Ikari  riuscirebbe a riconoscerla se la vedesse così felice…

Ed io non me la sento di annoiarla, o peggio preoccuparla,con dei discorsi circa il fatto che se non riuscisse ad avere bambini l’unica causa potrebbe essere un’eventuale sterilità del proprio compagno… ma come al solito è la mia abitudine quella di pensare ad ogni minima evenienza…

In fondo Gabriel porta lo stesso nome dell’Arcangelo Biblico Dominatore delle Acque e del Concepimento… anche qui mi sembra improbabile che non possa avere figli…certo ovviamente una somiglianza tra nomi non è una certezza…

Mamma, credo proprio che tu mi abbia trasmesso questa tua tendenza di ricercare nomi e significati biblici in ogni dove

 

“La ringrazio, la ringrazio!” esclamò la ragazza avvicinandosi alla scrivania e torcendosi le mani, tanto che per un attimo Ritsuko credette che volesse abbracciarla. Ma invece rimase dall’altra parte della scrivania, fremente, come se il fatto che fosse fertile dipendesse unicamente da Ritsuko. Questa allora si alzò a sua volta e annuì. “E’ stato un piacere.

 

E in effetti mi sento davvero bene… Che strana sensazione, neppure risolvere le equazioni più complesse mi fa sentire tanto bene quanto dare una buona notizia… Forse perché nel mio lavoro mi capita raramente di annunciarne…

 

“Grazie, grazie!” ripeté Rei, entusiasta, e Ritsuko quasi rise.

“L’hai già detto! Coraggio, ora che lo sai, però, mi raccomando di tenere la testa sulle spalle, e di ricordare che, per quanto siate innamorati l’uno dell’altra, siete ancora troppo giovani per…”

“Ho capito,” la interruppe la ragazza, ancora raggiante. “Non si preoccupi, non capiterà.”

La Dottoressa Akagi credette di notare un lieve turbamento sul volto della Children, ma decise che si trattava solo di un’impressione.

“Allora va bene, Rei. Adesso vai pure, tra poco inizieremo il test. Rispose la scienziata sorridendo appena.

 Senza smettere di sorridere, la ragazza ringraziò ancora, salutò con calore e se ne andò, quasi di corsa.

La scienziata rimase da sola in infermeria, nel silenzio rotto solo dal ronzare dei macchinari. Il sorriso le morì a poco a poco sulle labbra, e tornò a sedersi.

 

E’ giusto così.

Ora che Rei ha trovato un motivo per cui gioire, è giusto che gioisca. Ed io che gliel’ho fornito, è giusto che ora torni alla mia fredda, pragmatica, sicura vita…

D’altronde, è la vita che ho scelto di vivere.

Vero, mamma?

 

Con gesti lenti e misurati, recuperò un fascicolo dall’angolo più lontano della scrivania e cominciò a sfogliarlo, apponendo brevi firme di presa visione dove erano richieste.

 

 

Rei, si stava dirigendo in tutta fretta verso l’anticamera dove erano posti gli speciali spogliatoi, diversi da quelli abituali, che li avrebbero condotti direttamente alle cabine doccia secondo le istruzioni ricevute appena giunti alla base. Asuka e Shinji  non si vedevano, evidentemente dovevano già essere entrati nei rispettivi settori, mentre Gabriel attendeva un po’ teso che la ragazza tornasse dal colloquio con la Dottoressa Akagi. Quando la vide arrivare non in corsa non ebbe il tempo di chiederle cosa fosse successo che si ritrovò le braccia di lei al collo e le loro labbra unite in un bacio appassionato.

Rei…cosa succede?” Chiese lui un po’ spiazzato.

“Succede che sono felice, Gabriel!” Rispose semplicemente la ragazza abbracciandolo di nuovo.

Sempre più sorpreso, il Fourth Children l’abbracciò a sua volta. “Come mai? La Dottoressa Akagi ti ha comunicato una buona notizia?” chiese infine sorridendo appena e carezzandole con una mano i capelli.

“Non avrebbe potuto comunicarmene una migliore, Gabriel…” Rispose ora in un mormorio quieto appoggiando il capo sulla spalla di lui.”

Che cosa?” Domandò allora il ragazzo incuriosito.

Dall’altoparlante la voce di un Operatore annunciò che ormai mancavano pochi minuti all’inizio dei test e che i piloti erano pregati di presentarsi presso le cabine doccia.

“Accidenti dobbiamo andare…” Mormorò Gabriel con disappunto mentre Rei si distaccava da lui.

“Si…” annuì Rei per poi percorrere con lui mano nella mano i pochi metri che li dividevano dagli ingressi dei rispettivi spogliatoio dinanzi a cui si fermarono.

“Rei, qual’era la notizia?” Chiese ancora il pianista sorridendole. A quella domanda, la ragazza sorrise maggiormente con dolcezza. “Te la dirò quando sarà terminato il test. Quando saremo di nuovo soli..." Rei accompagnò le parole con un lieve bacio sulle labbra di Gabriel, prima di entrare  nel proprio spogliatoio. Un po' interdetto, il Fourth Children sorrise a sua volta, scosse il capo e entrò a sua volta nel proprio spogliatoio.

 

 

“Ehi, io avevo fatto la doccia proprio stamattina, non c’era bisogno di farmela ripetere per DICIASETTE volte!!” Sbottò Asuka una volta che le quattro cabine che avevano ospitato, singolarmente, lei ed i suoi tre colleghi, si fermarono in un lungo corridoio.

“Mi dispiace Asuka, ma era necessario. Quella in cui vi trovate è una zona ad alta decontaminazione. Ora attraversate tutti e quattro la stanza ed entrate così come siete nelle simulation plug.” Rispose la voce di Ritsuko tramite l’altoparlante di una videocamera.

CHE COSA??” Gridarono all’unisono Asuka, Shinji e Gabriel mentre Rei si era limitata a stringersi le braccia al seno con una smorfia di disappunto.

“Non preoccupatevi, il monitoraggio visivo verrà disinserito, la vostra privacy sarà rispettata.”

“A parte questo, Dottoressa Akagi, se usciremo di qui tutti insieme…ci vedremo a vicenda!!” Ribattè la rossa arrossendo terribilmente.

E allora non guardatevi.” Fu la risposta pacata della scienziata.

“Parla facile lei…” Si lamentò la rossa incrociando a sua volta le braccia sul seno.

“Uno degli scopi di questo test è lo studio delle armoniche emanate direttamente dal corpo, senza l’ausilio delle plug suite e dei diademi d’interfaccia. Quindi è necessario che entriate nelle simulation plug così some siete. ”

“Però…” Tentò ancora di ribattere la Second Children, ma venne subito interrotta dalla voce di Misato. “Asuka, è un ordine…”

Ma uffaaa!! E’ imbarazzante, Misato!”

“Signorina Misato, Asuka ha ragione!”Intervenne Shinji.

Ed io sono perfettamente d’accordo con loro!” Ne convenne Gabriel.

“ Mi associo!” Confermò Rei nelle stesse condizioni di rossore degli altri tre. La Second e il Third Children la guardarono stupiti. Anche Gabriel si era voltato verso di lei, allorquando aveva parlato,

 riuscendo ad intravederla appena dato che tra la sua cabina e quella della ragazza venivano prima quella di Shinji, accanto a lui, ed Asuka, ma subito aveva dovuto distogliere lo sguardo.

 

Non sarebbe la prima volta che vedrei Rei nuda… ma adesso è una situazione completamente diversa, ci sono Asuka e Shinji, non siamo soli! Ed anche se lo fossimo sarebbe imbarazzante lo stesso!

 

“Ragazzi, avanti. Uscite da lì. Oppure avete deciso di accamparvi nelle cabine doccia per la notte?” Li incalzò la voce di Ritsuko.

“Signorina Ritsuko…?” Cominciò timidamente Shinji “Ma non c’è proprio nessun’altra possibilità per uscire di qui??”

“No.” Dall’altoparlante si senti la Dottoressa sospirare pesantemente. “Ragazzi, se proprio vi turba così tanto percorrere quei pochi metri di distanza che vi separano dal portellone, mettetevi le mani accanto al volto a paraocchi ed uscite. In questo modo eviterete di guardarvi tra di voi e avrete campo visivo libero solo innanzi a voi, quanto vi basta per raggiungere le simulation plug.”

E mi raccomando, maschietti, siate galanti e non sbirciate!” Aggiunse con fare scherzoso la voce del Maggiore mentre sulla telecamera si accendeva una spia rossa, segno che il monitoraggio visivo era stato disinserito e che ora dei quattro Piloti erano visibili solamente delle sagome prive di dettagli.

I due ragazzi arrossirono ancora di più.

“Ma è ovvio che non sbirciamo!!” Esclamarono in coro, accigliati e imbarazzati.

 “E allora forza, uscite e prendete posto nelle vostre simulation plug. Concluse la voce della scienziata mentre i quattro seguivano il suo consiglio e mettevano le mani accanto al volto nello stesso istante in cui le porte delle cabine si aprivano.

 

 

La sala da cui la Dottoressa Akagi ed il Maggiore Katsuragi avrebbero seguito i test era in preda a dei sommessi attacchi di risa. Dal monitor si vedevano le sagome dei quattro piloti urtarsi a vicenda, senza vedersi, lungo il tragitto, accompagnate da diversa grida di panico quando uno di loro rischiava di perdere l’equilibrio.

Sia Misato, la quale nel sapere che le condizioni del compagno erano ormai stabili era molto più serena, che Ritsuko si trattennero a stento dal ridere quando i quattro si rischiarono di cadere rovinosamente a terra mentre oltrepassavano in contemporanea il portellone, ma riuscirono a controllarsi ed ognuno, una volta varcata la soglia, si ritrovò direttamente nella rispettiva corsia, divisa a livello del terreno piccole paratie, alte fino alla vita, che li smistavano verso i rispettivi percorsi. Tenendo ostinatamente gli occhi bassi, i quattro camminarono alacremente, finché non furono fuori dai reciproci campi visivi. Finalmente, Gabriel sospirò e si fermò.

 

Credo di aver sbattuto un paio di volte contro Shinji

E credo che lui abbia sbattuto contro Asuka, a giudicare dalle sue imprecazioni. Non dovrei essere stato io, visto che tra noi c’era Shin chan e abbiamo imboccato le corsie giuste…

Accidenti, che vergogna… Cosa sarebbe costato preparare zone ad alta decontaminazione separate per ciascuno di noi??

Beh… forse sarebbe costato parecchio… Però, insomma, ci siamo vergognati tantissimo!

 

Rimuginando, ciascuno per conto proprio, i Children raggiunsero le rispettive unità di simulazione.

Queste erano quattro strutture simili ad Evangelion, sebbene dalla vita in giù si perdessero in una miriade di cavi e tubi, che sparivano nei muri del locale che li ospitava. Salendo a bordo di essi, i dati ricavati sarebbero stati li stessi che se fossero saliti a bordo degli Evangelion regolari senza plug suite, risparmiando però tutto l’imbarazzo di una situazione del genere. O almeno, così aveva spiegato Ritsuko. In effetti, quella situazione non era molto meno imbarazzante…

Guardandosi dubbiosamente attorno, Gabriel notò che le telecamere di quel tratto del percorso erano ancora spente, per cui si sentì più tranquillo nell’attraversare la stretta balconata che lo portava alla simulation plug. Quando fu entrato, lo sportello si richiuse e la capsula fu inserita. Dall’altoparlante uscirono le consuete voci degli Operatori che recitavano la sequenza di informazioni che preludevano l’immissione dell’LCL prima e della connessione neurale poi. L’atmosfera chiusa attorno a lui cominciò a vorticare, poi si trovò ad osservare una grande cavità, piena di un liquido speciale, insieme alle altre tre unità di simulazione. Di fronte a lui c’era la vetrata che dava sulla sala di controllo, dove gli Operatori, Ritsuko e Misato monitoravano la situazione tramite il collegamento con i Magi System.

Era la prima volta che Gabriel saliva su una struttura simile ad un Evangelion da solo: si sentiva un po’ strano, sebbene non avrebbe saputo definire precisamente le sue sensazioni. Forse si trattava solamente della situazione nuova.

“Bene, ragazzi,” disse Ritsuko attraverso l’altoparlante interno della simulation plug. “Per cominciare effettueremo una serie di test standard, poi collegheremo le unità di simulazione agli Evangelion, in modo da valutarne l’interazione. Gabriel.”

Il Fourth Children, sebbene non potesse essere visto a causa dello spegnimento del sistema di visualizzazione, si mise quasi sull’attenti, rivolgendosi direttamente verso la vetrata illuminata della sala controllo. “Sì.”

“Non avendo una tua unità Evangelion, con te proseguiremo con ulteriori test personali. Quando l’unità 03 ci sarà inviata effettueremo anche per te gli stessi test degli altri Children. Hai capito bene?”

“Sì,” rispose il ragazzo, tornando a rilassarsi contro lo schienale della sua postazione.

“Si dia inizio al test,” annunciò pacata la Dottoressa Akagi.

Come per i normali test di sincronia, all’inizio loro dovettero unicamente concentrarsi e non fare nulla.

“Ragazzi, tutto bene?” chiese ad un certo punto Ritsuko

Gabriel stava per rispondere di sì, scacciando quella fastidiosa sensazione indefinibile, quando fu preceduto da Rei.

In effetti sento una strana sensazione, come se il mio corpo fosse intorpidito…”

Sorpreso, il Fourth Children inarcò un sopracciglio. Era proprio quella la sensazione che provava, e che evidentemente non era normale. Quando anche gli altri ragazzi confermarono la presenza della stessa impressione, Gabriel rispose allo stesso modo.

Mmmhh,” fece Ritsuko dall’altoparlante. “Rei, prova a muovere una mano.”

La mano dell’unità di simulazione della First Children fremette lievemente nel liquido azzurrognolo che li circondava. Nella sala di controllo, attraverso la vetrata, Ritsuko camminò verso una delle consolle alla sua destra.

Mmmhh…” borbottò nuovamente. “Non sembrano esserci problemi. Continuate così, ragazzi.

Gabriel cercò di ignorare il peso delle sue membra e del suo capo, e tornare a concentrarsi per il test.

Senpai,” chiamò la voce di Maya dall’altoparlante. “Sembra che ci sia un problema con la parete proteica…”

La Dottoressa, nell’allontanarsi, aveva disconnesso il sistema di trasmissione, per cui il Fourth Children non sentì ciò di cui stavano parlando. Ma ciò era un bene, perché gli avrebbe permesso di concentrarsi meglio.

Passarono solo pochi minuti quando avvertì qualcosa di strano. All’improvviso, gettò un acuto grido di dolore.

“Gabriel? Gabriel, che succede??” Chiese la Dottoressa all’urlo del ragazzo volgendo lo sguardo verso quest’ultimo.

“L’unità di simulazione di Gabriel si sta muovendo!” Avvertì Maya in tono allarmato.

Sia Ritsuko che Misato sgranarono gli occhi. Il busto artificiale che ospitava il Fourth Children aveva iniziato a muoversi spasmodicamente  provando a distaccarsi dalla parte.

“Gabriel!!Cosa sta succedendo, rispondi!!”

Nella simulation plug, Gabriel  si stava stringendo il braccio destro che aveva preso a bruciare in maniera incontrollata mentre nella sua mente aveva preso a riecheggiare indistinta una voce.

 

Chi sei?

 

La Progenie…

 

Chi sei??

 

Figlio di Adam…

 

CHI SEI??

 

Chi sei tu?

 

Che cosa…che cosa stai dicendo??

 

Che l’Eroe ritorni alla Progenie…

 

YROUEL!!

 

“E’ YROUEL!! DOTTORESSA AKAGI!! MAGGIORE KATSURAGI!! E’ YROUEL!!”

Le due donne si guardarono a vicenda per un istante, quasi senza capire.

“MAGGIORE KATSURAGI!! DOTTORESSA AKAGI!! PRESTO!!”

Senza perdere altro tempo Ritsuko si avvicinò ad una delle postazioni computerizzate, mentre Misato alternava lo sguardo tra la simulation plug in movimento e l’amica, quest’ultima, impallidita, alzò gli occhi dal monitor. “Non ci sono dubbi, diagramma ad onda blu. E’ un Angelo!”

 

 

 

 

 

Continua….

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Capitolo 22
*** Invasione ***


CAPITOLO 21

CAPITOLO 21

 

Invasione

 

 

 

 

Ritsuko e Misato si guardarono attonite per un lungo attimo, finché le convulsioni terribili dell’unità di simulazione di Gabriel non attirarono nuovamente la loro attenzione. Il Maggiore volse lo sguardo, impressionata, verso il braccio che si tendeva verso di lei, come in una muta richiesta di aiuto. Ritsuko non perse il sangue freddo: con un pugno infranse la protezione di un comando d’emergenza e lo tirò con forza. Subito il braccio dell’unità di simulazione di Gabriel si staccò, con una sonora esplosione, e si schiantò contro la vetrata, facendo tornare Misato in sé.

“Le condizioni di Gabriel??” chiese, voltandosi subito.

“Incolume,” fu la breve risposta di Maya, occupata a tenere d’occhio il suo monitor. “Ma non posso dirle altro al momento!”

“Espulsione forzata delle simulation plug!” ordinò Ritsuko.

Come quattro missili, le capsule abbandonarono i rispettivi torsi umanoidi, scomparendo in un’apertura sul soffitto della sala, che subito si richiuse.

“L’area contaminata si sta espandendo ad una velocità esponenziale!” annunciò il Tenente Ibuki, sudando freddo. Misato e Ritsuko si voltarono allarmate verso la sala immersa nell’acqua. Il braccio staccato dell’unità di simulazione Evangelion 0D, che galleggiava poco distante dalla vetrata, aveva cominciato a brillare di una minacciosa luce rossastra, e così pure il torso da cui proveniva e la parete proteica da cui l’Angelo era penetrato. Rapidamente, il colore divenne violaceo e si diffuse anche sulla parete vitrea che separava la sala di controllo da quella di simulazione.

Con un inquietante scricchiolio, il vetro cominciò ad incrinarsi. Misato reagì in fretta. “Abbandonate subito la stanza, presto!”

Precedute da Maya e dagli altri Operatori, il Maggiore e Ritsuko abbandonarono il locale, chiudendosi la pesante porta rinforzata alle spalle. Un tremendo boato annunciò che la vetrata non aveva retto e che la sala appena abbandonata era stata invasa dall’acqua. Il gruppo di persone appena scampate alla morte corsero a perdifiato verso la Sala di Comando.

 

 

“L’area della contaminazione si sta espandendo rapidamente,” annunciò Shigeru, ma il Comandante Ikari non lo stava ascoltando. Era impegnato in una comunicazione olovideofonica[1], di cui però si riceveva solamente l’audio.

“Ho capito,” disse, freddamente nonostante la situazione. “Ci pensi lei.”

Dall’altra parte giunse un saluto inintelligibile, ma, a chi fosse stato abbastanza vicino da udire, il tono sarebbe sembrato ironico. Senza cambiare espressione, l’uomo chiuse la comunicazione e si rivolse agli Operatori.

“Cessare l’allarme. Alla Commissione e al governo riferiremo che si è trattato di un errore di rilevamento.”

Shigeru, un po’ sorpreso da quelle parole, annuì ed eseguì senza discutere. L’allarme, che aveva continuato a risuonare dalla comparsa del diagramma d’onda blu, svanì in un silenzio teso, interrotto unicamente dal ticchettare furibondo delle dita degli Operatori sui rispettivi terminali. Fuyutsuki, come sempre in piedi di fianco a Gendo, fece un passo avanti. “Un altro errore di rilevamento… E’ già il secondo. Credi che la Commissione delle Nazioni Unite[2] non prenderà provvedimenti, stavolta?”

“Ho già parlato con chi di dovere.”

Il Vice Comandante allora rimase in silenzio: se il suo superiore diceva quelle parole con quella sicurezza, allora non correvano nessun pericolo.

In quel momento dall’ingresso principale entrarono, trafelate, le persone sfuggite poco prima all’annientamento nella sala di controllo dei test di simulazione.

“Rapporto, svelti!” ordinò Misato, senza nemmeno notare la presenza dei suoi superiori in Sala Comando.

“La contaminazione è in continua espansione,” riportò Shigeru, osservando un’ampia macchia rossa che andava allargandosi sul suo monitor.

“Chi ha ordinato la cessazione dell’allarme??” sbottò di nuovo il Maggiore, guardandosi attorno infuriata.

“Sono stato io,” rispose Gendo dall’alto del suo scranno, senza nessuna emozione. Sentendo la sua voce, Misato lo guardò esterrefatta.

“Ah… Non… Non sapevo…” bofonchiò in tono di scusa, troppo imbarazzata per il fatto di aver contraddetto un suo ordine diretto.

“Non importa. Fate uscire gli Evangelion.”

Questa volta, Shigeru fu sicuro di aver sentito male. “C-Comandante?”

“Ha sentito bene, Aoba. Se l’angelo continuerà a espandersi è inevitabile che arrivi in contatto con le unità Evangelion. Inoltre, anche se recuperassimo i piloti, il rischio di contaminazione è troppo alto. Fate uscire gli Evangelion in superficie.”

Il tono era così perentorio che Shigeru non poté obiettare. In pochi istanti gli Evangelion, che allo scattare dell’allarme erano stati messi in stand by e liberati dalle Gabbie, furono lanciati in superficie.

“Lancio effettuato. Gabbie libere.” Annunciò Shigeru, ancora perplesso.

“Isolare fisicamente il Central Dogma,” ordinò nuovamente il Comandante.

Makoto, Shigeru, ed ora Maya che, seppur scossa, aveva preso posto alla sua solita postazione, digitarono quasi all’unisono complesse sequenze di comandi e nel giro di pochi secondi una voce elettronica riferì che il Central Dogma era completamente sigillato.

“Situazione?” chiese Gendo. Misato rimase quasi immobile, ascoltando il Comandante dare ordini: con una freddezza invidiabile aveva condotto con sicurezza le operazioni volte a limitare i danni dell’invasione dell’Angelo. Per un istante si immaginò lui che, con la stessa freddezza, ordinava a Satoshi di compiere una missione pericolosissima, ma subito scacciò quel pensiero con stizza: c’era ben altro cui badare in quel momento, e non poteva permettere che i suoi sentimenti di rabbia prendessero il sopravvento.

“L’Angelo è ancora in esp… No… Un momento…”

L’attenzione di tutti si concentrò sulla schermata olografica che occupava l’enorme spazio antistante alla Sala Comando, su cui la macchia rossa sembrava aver arrestato la sua avanzata.

“… Si è fermato…” concluse Shigeru, incredulo.

“Voglio un rapporto completo sulla situazione,” ordinò secco Gendo, la voce ancora tesa nonostante l’apparente momento di pausa.

Gli Operatori lavoravano febbrilmente per scoprire il motivo dell’arresto dell’Angelo e i dati su di esso, mentre su uno dei monitor della postazione di Makoto continuava a lampeggiare in modo sinistro il diagramma d’onda blu, come a ricordare agli umani presenti che la minaccia era lungi dall’essere svanita.

“Le Sezioni I-47, 48, 49 risultano completamente contaminate,” compitò Shigeru, leggendo i dati che scorrevano veloci sul suo monitor. “Con l’eccezione… della parte inferiore della sala per i test di simulazione.”

Misato e Ritsuko si guardarono stupite, così come gli altri che erano scampati alla distruzione dell’adiacente sala di controllo.

“Signore,” iniziò Ritsuko, rivolgendosi al Comandante. “L’escalation di virulenza dell’Angelo è iniziata proprio da quella sala, diffondendosi poi in tutta la Sezione a Iperprofondità. Se non ha raggiunto anche la parte inferiore della sala da cui è partito, suppongo che la soluzione al nostro problema sia da ricercare proprio lì.”

Gendo annuì. “Visualizzare la situazione nel Settore A-15 della Sezione I-47!”

Al posto della grande macchia rossa di prima, nel sistema olografico posto al centro del baratro davanti alla Sala Comando, apparve l’immagine confusa delle unità di simulazione inanimate, baluginanti di luce rossastra e ricoperte da quella che si sarebbe detta una malsana malattia esantematica. Sugli schermi dei terminali degli Operatori, invece, comparvero una pletora di diagrammi e schemi, che tutti i presenti cominciarono a studiare freneticamente. Un’immagine in presa diretta dell’espansione dell’Angelo, che precedentemente occupava il grande schermo olografico centrale, fu riprodotta sul terminale del Comandante Ikari, sicché potesse tenere sotto controllo la situazione globale direttamente.

“A che punto, precisamente, si è interrotta l’espansione, nella sala di simulazione?” chiese pensosa Ritsuko, mentre osservava il braccio dello 0D galleggiare, minacciosamente coperto di macchie luminose che passavano dal rosso al violetto. Maya, la cui fronte era coperta da un sottile velo di sudore, inviò alcuni brevi comandi al Magi System, e l’immagine che stava osservando Ritsuko si trasformò in un diagramma composto da esagoni, di cui una buona parte erano rossi ed erano contrassegnati dalla dicitura ‘undicesimo angelo’.

La Dottoressa Akagi e Misato studiarono per alcuni secondi quella figura, poi la prima parlò.

“L’espansione si è arrestata al confine con l’acqua pesante…”

“Sembra che non gli piaccia…” constatò Misato, con la fronte corrugata per la concentrazione. “Dev’essere un componente specifico quello che lo tiene alla larga.”

La bionda scosse il capo. “Non è detto. Nell’acqua pesante è disciolto molto ozono, che si combina con essa per mantenere la zona sterile e aumentarne l’effetto protettivo… Aoba,” chiamò, girandosi verso Shigeru. “Controlla l’infezione nei pressi degli erogatori di ozono. Sono posti sopra il confine dell’acqua pesante, e se ho ragione, saranno quasi del tutto liberi.”

“E’ vero!” esclamò l’interpellato, dopo aver controllato. “In prossimità dell’erogatore la presenza dell’Angelo è nulla.”

Ritsuko sorrise ed annuì. “Reagisce negativamente all’ossigeno.[3]”

Maya si incupì. “Fin da quando ero piccola mi hanno insegnato che l’ossigeno è una sostanza fondamentale alla vita. Che razza di creatura può essere quella… cosa, per esserne respinto?”

Nella sala, per alcuni secondi, nessuno rispose alla domanda della ragazza. Poi Ritsuko distolse lo sguardo dal monitor e si rivolse direttamente verso Makoto. “Iniziare l’immissione di ozono nella sala di simulazione.”

Sullo schermo olografico centrale si videro le macchie rosse sulle unità di simulazione diminuire d’intensità e scomparire lentamente.

“Sembra che lo 0A e lo 0B stiano recuperando,” annunciò Maya, la voce ancora tesa.

“Sembra che stia funzionando,” constatò Shigeru, dopo una rapida occhiata alla sua ragazza per sincerarsi che stesse bene. “Però la contaminazione resiste nelle sezioni centrali e sullo 0D.”

“C’era da aspettarselo,” intervenne Fuyutsuki, rimasto in silenzio per tutto il tempo, valutando la situazione. “Incrementare l’emissione di ozono.”

Makoto eseguì l’ordine con un brillio di speranza negli occhi.

“Ma cosa…?!” esclamò Shigeru dopo un attimo.

Le macchie sullo schermo olografico ebbero solo una leggera vibrazione, ma sui monitor degli Operatori la zona infetta si ingrandì rapidamente, superando anche il confine dell’acqua pesante.

“Che succede??” chiese Misato gridando.

“Ma che… L’invasore sta assorbendo l’ozono!” esclamò Makoto.

“Fermare subito l’erogazione!” ordinò Ritsuko.

L’emissione del gas si interruppe, ma l’espansione dell’Angelo proseguì, fino ad invadere l’intera sala di simulazione. Mantenendo il suo sangue freddo, la Dottoressa Akagi si chinò sul monitor di Maya, su cui erano visualizzate le immagini dell’essere. All’improvviso, la bionda notò qualcosa di strano.

“Che sta succedendo, Senpai?” chiese Maya, preoccupata.

“La trama della superficie infetta…” rispose soprappensiero la sua Senpai. “Sembra sia cambiata… Ingrandisci.”

Il Tenente Ibuki eseguì.

“Ancora,” ordinò l’altra. Nel resto della Sala Comando, tutti trattenevano il respiro, attendendo con trepidazione il responso della scienziata. Quando l’ingrandimento ebbe raggiunto un livello microscopico, questa ordinò di fermarsi. Sul monitor la trama variegata di un frammento dell’Angelo era in evidenza, e così pure i repentini cambiamenti che la modificavano fin nei minimi particolari.

“Ma…” Ritsuko fissò stupita la formazione di una rete di connessione tra quelle che, se l’Angelo fosse stato una creatura conosciuta, sarebbero state cellule. “Sta attuando un’evoluzione!”

Mentre osservava meravigliata quello che era un insieme di minuscole strutture in rapidissimo mutamento, l’immagine sullo schermo di Maya scomparve all’improvviso, ed in tutta la sala risuonò nuovamente l’allarme.

“Che sta succedendo ora??” sbottò Misato.

Shigeru premette una sequenza di tasti sulla propria tastiera e su uno dei suoi monitor comparve il diagramma del Computer Ausiliario 1, uno di quelli che fungevano da supporto per il Magi System, in cui si andava allargando una grossa e minacciosa piramide rossastra. “Il primo Computer Ausiliario sta subendo un’azione di hacking! Hacker sconosciuto!”

“Dannazione,” sibilò Makoto tra i denti. “Non ci voleva, in un momento simile. Attivo il primo sistema di firewall!”

“Primo sistema di firewall superato!” annunciò subito Shigeru, sorpreso quanto frenetico. “Disposizione accessi fasulli, tracciamento in corso!”

“Accessi fasulli superati!” disse il Tenente Hyuga. “E’ velocissimo! Attivazione dal secondo al decimo sistema di firewall!”

“Diciotto secondi al termine del tracciamento!” disse Shigeru.

“Sistemi di firewall dal secondo al settimo superati!” annunciò sbalordito un altro Operatore della Sala Comando. In meno di cinque secondi, quell’hacker non identificato aveva superato difese considerate quasi invalicabili. Misato e Ritsuko rimasero a guardare quasi allibite il diagramma del Computer Ausiliario 1, sempre più invaso dal nemico...

“Attivazione di tutti i sistemi di firewall disponibili!” sbottò Makoto, le cui dita si muovevano velocissime sulla tastiera.

“Disposizione di altri accessi fasulli,” gli rispose Shigeru, altrettanto rapido. “ACCESSI SUPERATI!” si corresse subito. Makoto si bloccò, fissando l’amico atterrito.

“Non può essere l’opera di un essere umano…”

“I firewall continuano ad essere superati uno dopo l’altro!” comunicò un operatore. Su uno degli schermi di Shigeru i secondi che indicavano il tempo mancante al tracciamento dell’hacker scorrevano ad una lentezza esasperante.

“Tracciamento effettuato!” disse il Tenente Aoba, digitando rapidamente i comandi per visualizzare la fonte dell’attacco, mentre solo una manciata di programmi di difesa resistevano ancora. L’Operatore esitò un istante prima di rendere noti i suoi dati.

“Dove si trova?!” volle sapere Misato.

“E’… all’interno della base,” rispose l’interpellato, incredulo. “Nella Sezione a Iperprofondità!”

L’attenzione di Ritsuko e Misato, le sole a non avere un compito specifico durante l’attacco, tornò a concentrarsi sul monitor di Maya, che ancora inquadrava l’area infestata dall’Angelo. L’Operatrice ingrandì repentinamente l’area osservata, in modo da avere una visione d’insieme, mentre anche gli altri Operatori visualizzavano la stessa scena sui propri monitor di supporto. Sotto i loro occhi esterrefatti, le aree luminose mutarono forma e colore, diventando gialli tracciati regolari, che pulsavano di energia.

“Sembrano circuiti elettronici…” constatò Shigeru, senza fiato.

“E’…” iniziò Maya, ma non riuscì a completare la frase.

“… praticamente un computer…” terminò il suo fidanzato, incapace di distogliere gli occhi dallo schermo dove si stavano formando circuiti informatici via via più complessi.

Makoto per tutta risposta spense il monitor ausiliario e strinse i denti. “Disposizione di altri accessi fasulli… No! Operazione fallita! E’ stata bloccata!”

Misato si sentiva impotente di fronte a quell’attacco che sembrava insostenibile, perciò decise di prendere in mano la situazione.

“Interrompere il cavo principale di collegamento con la Sezione a Iperprofondità,” ordinò, cercando di mantenere nonostante tutto il sangue freddo.

“Impossibile eseguire,” compitò Makoto. “Il comando viene rifiutato!”

La donna corrugò le sopracciglia. “Fare fuoco con i sistemi laser sull’obiettivo!”

“Sviluppo di un AT-Field!” rispose Maya, dopo aver sparato. “Laser inefficaci!”

Il Maggiore Katsuragi strinse gli occhi.

“Il primo Computer Ausiliario non risponde più! E’ sotto il controllo dell’Angelo!” gridò Makoto.

 

Dannazione… Di questo passo prenderà il controllo di tutta la base!

 

“Il nemico sta cercando di accedere al mainframe del Reparto Servizi di Sicurezza, sta ricercando la password,” annunciò Shigeru, digitando una lunga sequenza di comandi sulla tastiera, dopo la quale comparve su uno dei monitor uno schema sintetico del complesso di Computer Ausiliari specificatamente deputati ai Servizi di Sicurezza: essi erano rappresentati da rettangoli verdi, alla cui destra si trovava l’elenco dei codici identificativi dei caratteri della password, anch’esso in verde. Però, una dopo l’altra, le voci di tale elenco stavano diventando rosse, segno dell’invasione incipiente.

“Dodicesimo carattere decifrato,” conteggiò l’Operatore dai capelli lunghi, con un velo di sudore sulla fronte. “Sedicesimo… Password decifrata!”

Vedendo la traccia rossa che si espandeva tra i segni verdi dei Computer Ausiliari, Makoto voltò di scatto la sedia, rivolgendosi direttamente al Comandante Ikari, come se si aspettasse da lui una soluzione immediata. “Si è infiltrato nel mainframe del Reparto Servizi di Sicurezza!”

Mentre il Vice Comandante Fuyutsuki assumeva un’espressione via via più atterrita, Gendo rimase impassibile: evidentemente non aveva intenzione di agire nuovamente finché la situazione non si fosse stabilizzata. Incurante dell’indifferenza del Comandante, Makoto continuò a comunicare gli avvenimenti.

“Sta leggendo il mainframe, impossibile disconnettere! Lettura completata!”

Dopo quei ripetuti aggiornamenti, Fuyutsuki tornò in sé. “Qual è il suo obiettivo…” mormorò, senza rivolgersi a nessuno in particolare.

“Sta cercando un nuovo collegamento!” proseguì Shigeru, digitando rapidamente sulla tastiera, quasi in una gara contro l’Angelo, per seguirne le operazioni. D’un tratto riuscì ad individuare il codice che l’altro stava rapidamente decifrando, ed un’espressione di orrore dilagò sul suo volto.

“No… L’ANGELO STA PER INVADERE I MAGI!” urlò, rivolgendosi al resto della Sala Comando. Un brivido gelido scese lungo la schiena dei presenti. Misato deglutì.

 

Se quell’essere prende il controllo dei Magi… Saremo in sua completa balia!

 

“Isolare i Magi dal resto della base!” ordinò Ritsuko, ancora incredula.

“Impossibile eseguire!” rispose uno degli Operatori.

Per alcuni lunghi secondi nessuno parlò, mentre l’Angelo invadeva uno dopo l’altro i restanti Computer Ausiliari, preparandosi a sferrare il suo attacco ai Magi. Poi, Gendo uscì finalmente dal suo mutismo. “Disattivare l’IO System.”

Tra le prime cose che gli Operatori avevano appreso studiando il Manuale per l’utilizzo dei Magi, c’erano le conseguenze disastrose implicate dallo spegnimento brusco dell’IO System. Esso constava, a grandi linee, nel sistema operativo dei Magi, che controllava anche il sistema di alimentazione speciale che permetteva ai tre supercomputer di funzionare anche in caso di black out completo, come infatti era successo. Disattivarlo voleva dire, in pratica, togliere bruscamente l’alimentazione ai Magi, cosa che però avrebbe potuto provocare seri danni ai loro delicati circuiti. Tuttavia, di fronte all’eventualità che un Angelo ne prendesse possesso, la prospettiva di passare le successive settimane a riparare i tre computer non sembrava troppo critica. Fu per questo motivo che i due Operatori che detenevano le chiavi di spegnimento dell’IO System, Makoto e Shigeru, non esitarono ad obbedire agli ordini del loro Comandante. Dopo uno sguardo d’intesa i due estrassero le chiavi di spegnimento e le inserirono nelle rispettive serrature, poste sotto le loro consolle.

“Pronto al conto alla rovescia,” annunciò Shigeru. Makoto annuì e cominciò a contare.

“Tre… due… uno…”

Contemporaneamente i due uomini girarono le rispettive chiavi, attendendo con il fiato sospeso. Ma non accadde nulla. Si guardarono di nuovo, come per chiedersi a vicenda se era successo proprio quello che temevano, poi l’Operatore Hyuga esclamò a gran voce verso il Comandante: “L’ALIMENTAZIONE NON SI INTERROMPE!”

Sugli schermi, intanto, l’invasore aveva ormai completato l’assalto dei Computer Ausiliari.

Febbrilmente Maya seguì i progressi dell’attacco. “L’Angelo sta per entrare in contatto con Melchior!”

Ritsuko si volse brusca verso il parallelepipedo che costituiva la presenza fisica del primo dei Supercomputer Magi.

 

No, non può essere vero…

 

Quasi muovendosi al rallentatore, il Tenente Ibuki lanciò gli ultimi due firewall che non erano stati ancora tentati, ma nemmeno si stupì quando rilevò che erano stati inefficaci. Con un quasi insignificante -bip-, l’invasione fu completata.

“L’Angelo ha riprogrammato e preso il controllo di Melchior,” annunciò, ancora incredula, la ragazza. Istintivamente, gli Operatori che stavano lavorando attorno al Supercomputer si discostarono, come se all’improvviso esso fosse diventato una manifestazione fisica dell’Angelo.

-“PROPOSTA DI AUTODISTRUZIONE AVANZATA DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE MELCHIOR,” - comunicò asetticamente la voce elettronica della base, cogliendo tutti i presenti della Sala Comando di sorpresa. “PROPOSTA RESPINTA.”

Per un istante nessuno mosse un muscolo: tutti sapevano perfettamente cosa sarebbe successo una volta che il Magi System fosse stato interamente sotto il controllo dell’Angelo. Richiamato da Shigeru, su uno schermo comparve il diagramma dei computer, in cui Melchior era completamente invaso dal colore rosso, come tutta l’area dei Computer Ausiliari infettati. Subito, la macchia rossa cominciò ad espandersi, invadendo settore dopo settore la Superintelligenza adiacente Balthasar.

“Melchior sta cercando di prendere il controllo di Balthasar!” proclamò il Tenente Aoba. Con la stupita inerzia di chi non vuole credere ai suoi occhi, Misato osservò la zona rossa estendersi su Balthasar nonostante i febbrili sforzi degli operatori, che avevano ricominciato senza successo a lanciare i programmi antivirus e firewall già tentati.

“E’ rapidissimo…” commentò Makoto, la fronte velata di sudore, mentre il programma che aveva appena attivato veniva reso inoffensivo.

Mentre, di fronte a lei, Maya tratteneva il respiro cercando di contrastare l’avanzata dell’Angelo, Ritsuko non riusciva a staccare gli occhi dal diagramma che mostrava l’andamento dell’invasione.

 

E’ tutto inutile…Quell’essere non è umano, e tutti i programmi che abbiamo approntato per difenderci da un hacker umano saranno inefficaci…

Quando avrà preso il controllo di Balthasar, l’autodistruzione della base sarà approvata e non potremo fare più nulla…

Madre…

Puoi abbandonarci così?

 

Una goccia di sudore le colò sugli occhi mentre ormai quasi metà del grafico di Balthasar aveva assunto l’inquietante colore dell’aggressore.

 

Balthasar è condannato. L’Angelo sta agendo come un’Intelligenza Artificiale, e nessuno di noi può contrastarne la velocità e la precisione, anche usando uno strumento sofisticato come un Supercomputer. Solo un’altra IA potrebbe farcela…

Casper!

 

Con una luce di speranza la donna guardò il grafico della terza Superintelligenza, ancora completamente libera.

 

Casper potrebbe contrastare l’Angelo, se avesse un programma adeguato. Ma non abbiamo il tempo necessario a riprogrammarlo! Fra pochi secondi Balthasar sarà in mano nemica, ed allora inizierà il conto alla rovescia per l’autodistruzione… Ci serve tempo!

 

Senza alcun apparente motivo, tornò in mente a Ritsuko di quando era piccola, di quando la Nerv ancora non era entrata a far parte della sua vita, di quando non c’era ancora stato il Second Impact. Sua madre stava ancora lavorando alla teoria alla base del Magi System, e lei era una graziosa ragazzina dai capelli castani, con uno spiccato interesse per la matematica. Si ricordò che passava ore a contare le venature delle piastrelle della propria cameretta, finché non si accorgeva che quelle venature che le erano sembrate delle cose singole erano in realtà composte da venature più sottili, appena visibili, e queste da altre. Aveva da poco studiato l’atomo, a scuola, e si immaginava che, via via sempre più in piccolo, ci fossero in quelle venature stringhe sempre più sottili, fino ad arrivare a catene di atomi invisibili, e forse anche quelle catene erano composte da altre stringhe più piccole, all’infinito. Quando ne aveva parlato con sua madre, questa aveva sorriso.

“Sei precoce, bambina mia,” le aveva detto, strofinandole affettuosamente una mano fra i capelli scuri. “Ti sei appena accostata alla teoria dei frattali. Nella realtà non è così, ma in matematica è possibile che ci siano strutture infinitamente complesse, i cui elementi sono composti da altri elementi organizzati minuziosamente, e così via all’infinito.”

All’epoca non aveva capito molto di quella spiegazione, ma ne era rimasta affascinata. Naoko aveva riso dell’espressione stupita di Ritsuko. “Pensa,” aveva detto. “Nemmeno un computer potrebbe riuscire a contare tutte quelle stringhe cui hai pensato!”

Bruscamente, la Dottoressa Akagi ritornò al presente. Sapeva cosa fare. Scacciò il persistente ricordo di una madre affettuosa, ormai troppo lontana nel tempo per sembrare la Naoko Akagi che ricordava, e pose una mano sulla spalla di Maya.

“Lancia il Programma Difensivo Microfrattale Akagi-2B.”

La ragazza la guardò stupita, smettendo di ticchettare sulla tastiera. “Ma, Senpai, quel programma è ancora un prototipo, non l’abbiamo mai testato!”

Nonostante la situazione fosse critica, Ritsuko sorrise paziente. “Questo sarà un ottimo test.”

Meravigliata dall’insolita espressione della sua Senpai, Maya eseguì l’ordine. Dopo un secondo, l’invasione si interruppe. L’Angelo aveva preso il controllo di più della metà di Balthasar, ma si era fermato, strappando soffocate espressioni di sorpresa da parte dei presenti.

“Ma come…” chiese Makoto con un filo di voce.

“L’invasione sta procedendo,” disse Shigeru, digitando rapidamente sulla sua tastiera. “Ma a un ritmo quasi nullo! Cos’è successo?”

Gli occhi di tutti si rivolsero sulla Dottoressa Akagi, che aveva assunto nuovamente la sua espressione fredda, cacciando con disappunto gli strani sentimenti che quel ricordo le avevano riportato alla mente.

“Ha funzionato!” esclamò entusiasta Maya.

“Come hai fatto?” chiese Misato a Ritsuko, asciugandosi il sudore dalla fronte con il dorso della mano. L’interpellata fece spallucce.

“Mi sono resa conto che nessuna misura pensata per un hacker umano poteva funzionare in questo caso. L’Angelo è come un’Intelligenza Artificiale, quindi era necessaria una contromisura creata apposta per contrastare l’invasione da parte di Intelligenze Artificiali nemiche. Il programma che ho fatto lanciare si basa sui frattali, entità matematiche dalle caratteristiche infinitesimali, che, se utilizzate da un’Intelligenza Artificiale come quello che resta del Magi System, possono contrastare in tempo reale le mosse dell’Angelo. Purtroppo, questo programma è stato scritto da un essere umano, ed è quindi dotato di limiti e non potrà tenere testa all’infinito al nostro nemico. Però ci ha dato il tempo che ci serve.”

I presenti erano troppo scossi per capire in pieno quello che stava dicendo la scienziata, tuttavia intesero che erano buone notizie. Dalla sua postazione sopraelevata, Fuyutsuki trasse un sospiro di sollievo. “Quanto ancora possiamo resistere?”

Ricevuta la richiesta, Shigeru digitò sulla propria tastiera un codice. “All’attuale velocità dell’Angelo, l’invasione di Balthasar sarà completa tra circa cinque ore.”

Ritsuko sorrise. “Un tempo più che sufficiente.”

“Sufficiente per cosa?” chiese Misato, ancora frastornata.

“Per elaborare un contrattacco.”

Un tenue -bip- riportò l’attenzione degli Operatori sul grafico che rappresentava il Magi System. Un altro settore di Balthasar era caduto sotto il controllo dell’Angelo. L’entusiasmo di tutti si spense, tramutandosi in tensione spasmodica e determinazione.

“I Magi, ora, sono diventati nostri nemici,” sussurrò Gendo, senza modificare la propria posizione. Una goccia di sudore freddo gli scese da una tempia.

 

 

 

 

Satoshi si svegliò di soprassalto. Le medicine che gli davano lo facevano sentire piuttosto confuso e annebbiato quando si destava, sicché quella volta non seppe subito cosa stava succedendo: sopra di sé vedeva solo della luce, probabilmente l’illuminazione del soffitto della sua stanza all’ospedale della Nerv, e si sentiva sballottato da tutte le parti. Man mano che le sue percezioni si facevano più definite, gli scossoni diventavano sempre meno imponenti e si accorse che il soffitto sulla sua testa non era più quello della sua stanza, ma quello del corridoio adiacente, in movimento. Lo stavano spostando, anche ad una certa velocità, sebbene non eccessiva. Con gli occhi cercò lo sguardo della persona che stava spingendo la sua lettiga, ma dovette tentare più volte prima di riuscire ad articolare una parola. “Dove stiamo andando?”

L’infermiere aveva un’espressione granitica. “La stiamo trasportando in superficie e all’ospedale della Nerv di Matsushiro, Agente. E’ stato dato l’ordine di evacuare questo edificio.”

Nonostante l’intorpidimento, Satoshi comprese bene le parole dell’altro e una forte inquietudine lo assalì. “Cosa sta succedendo?”

Ma l’infermiere scosse il capo. “Non ci è stato detto. Sappiamo solo che il corpo principale della base è stato isolato, che ci sono stati una specie di contaminazione chimica e forse un attacco hacker al Magi System. La situazione è così da circa un’ora, ma solo poco fa ci è giunto l’ordine di evacuazione.”

In silenzio l’uomo disteso sulla barella cercò di ragionare.

 

Una contaminazione e un attacco hacker… Tanto gravi da provocare l’isolamento della base e l’evacuazione dell’ospedale, e forse dei settori non indispensabili del Geo-Front? Dev’essere qualcosa di grave…

Misato!

 

L’Agente Iwanaka cercò goffamente di sollevarsi dalla lettiga, ma l’infermiere si fermò e gli pose una mano sul petto, costringendolo a tornare sdraiato con un gemito di dolore.

“Ma cosa le salta in mente?”

“Mi faccia scendere.”

“Non se ne parla neppure. Cosa vorrebbe fare, in queste condizioni?”

Satoshi cercò di voltarsi e guardare serio in volto l’infermiere. “Non posso andarmene mentre… mentre chi amo rischia la vita!”

L’altro però era irremovibile. “Il Central Dogma è fisicamente isolato dal resto del Geo-Front, non c’è possibilità di contattare la Sala Comando, probabilmente stiamo correndo un rischio paragonabile all’attacco di un Angelo. Non può fare nulla se non mettersi in salvo. Dopotutto credo che la persona che ama possa affrontare meglio questa minaccia sapendo che se le cose vanno male lei sarà al sicuro.”

Le ultime parole dell’uomo furono dette con un tono molto strano, quasi sofferente, tanto che Satoshi non seppe cosa rispondere.

“Anche per me è così,” riprese infine, mentre riprendeva a spingere la barella. “Mia moglie è un’Operatrice che lavora ai Computer Ausiliari del Magi System. Non ho idea di cosa sia successo laggiù, ma so che lei potrebbe lavorare al meglio se sapesse che almeno io sono al sicuro.”

D’un tratto Satoshi si sentì comprensivo nei confronti dell’uomo. Sebbene non fosse un Agente della Sicurezza, che in caso di pericolo potrebbe rendersi utile, in quel momento erano entrambi nella stessa barca. Non oppose più resistenza mentre l’infermiere, che ora camminava di nuovo a tutta velocità, spingeva la lettiga verso l’uscita dalla base.

 

 

 

 

“Maggiore,” disse Makoto, entrando nella sala tattica in cui venivano proiettate delle immagini della sala di simulazione contaminata dall’Angelo. “L’evacuazione del resto della base è stata completata.”

Misato trasse un sospiro di sollievo e ringraziò l’Operatore.

 

Almeno tu, Satoshi, non sei più in pericolo…

 

“Stavo dicendo,” riprese Ritsuko quando l’amica le ebbe fatto cenno di continuare, “che questo Angelo può essere visto come un insieme organizzato di corpi dalle dimensioni di batteri e simili a micromacchine.”

“Per questo si è comportato come un computer, tanto da interfacciarsi con la nostra rete e con il Magi System,” proseguì Maya.

“Esatto,” annuì la Dottoressa Akagi. “Ma prima di giungere a tale stadio, quest’essere ha attraversato in un brevissimo tempo una rapidissima evoluzione, che lo ha portato a diventare simile ad un circuito intelligente.”

“Evoluzione?” chiese Fuyutsuki, dubbioso.

“Esatto. Da quando è comparso, l’Angelo ha subito continue mutazioni volte a trovare la forma di volta in volta più adatta ad affrontare l’ambiente che lo circonda.”

“Lo stesso metodo di sopravvivenza delle specie viventi…” sottolineò il Vice Comandante.

“Se questo è vero, non appena noi individuiamo le sue debolezze, l’Angelo riesce subito a compensare i nostri tentativi…” ragionò Misato. “Non possiamo fare altro che condurlo nella morte, sacrificando anche il Magi System.” Guardò con decisione il Comandante Ikari. “Propongo l’immediata eliminazione fisica del Magi System.”

Prima che l’uomo potesse rispondere fu Ritsuko ad interferire. “Impossibile,” disse, con un tono di voce più alto di quanto avesse voluto. “Distruggere i Magi comporterebbe la distruzione dell’intera base.”

“Allora lo richiedo formalmente a nome del Reparto Operativo.”

“Richiesta respinta. Risolvere il problema spetta a noi del Reparto Tecnologico.”

Misato strinse i denti. “Perché la prendi sul personale?”

 

Si tratta di salvare l’umanità, Ritsuko, anche a costo di sacrificare l’opera di tua madre!

 

La scienziata però s’incupì.

 

Sarebbe la soluzione più logica… Ed è anche più sicura di quella che ho in mente… Però qualcosa dentro di me mi impedisce di accettarla. Qualcosa che mi fa mettere a rischio tutto pur di non perdere l’unica cosa che mi resta di te…

Fino a questo punto mi stai tenendo legata a te, mamma?

 

“C’è un’altra possibilità,” annunciò infine la Dottoressa. “Finché l’Angelo si evolve, abbiamo un’altra possibilità: promuovere la sua evoluzione.”

Sebbene la maggior parte dei presenti non comprendesse lo scopo di quel progetto, Gendo sollevò un sopracciglio, interessato. “Il punto terminale di ogni evoluzione è l’autoestinzione, la morte stessa…”

“Esatto. Noi non faremo altro che accelerare la sua evoluzione fino a determinarne l’estinzione per eccessiva specializzazione.”

Fuyutsuki sorrise. “Come accadde al Tirannosauro.[4]”

“Precisamente.”

“Ma come possiamo fare una cosa del genere?” chiese Makoto.

“Il nemico è un computer, quindi, una volta connesso direttamente a Casper, è possibile effettuare un hacking inverso, che noi sfrutteremo per imporgli un programma che lo porti all’autoestinzione. Così facendo però…”

“Però,” la interruppe Maya, pensierosa, “dovremo abbassare ogni nostra difesa, interrompendo il Programma Akagi-2B.”

“Sarà una gara,” constatò Fuyutsuki.

Il Comandante Ikari strinse la mandibola. “Sarà più veloce l’Angelo, o Casper?”

Ignorando quella domanda retorica, Misato si rivolse a Ritsuko. “Ci restano circa tre ore. Ritsuko, potrai approntare un programma del genere in così poco tempo?”

La scienziata rimase in silenzio.

 

Tre ore per scrivere il destino evolutivo di una creatura…Ce la devo fare.

 

“Ce la farò,” rispose infine. Nonostante la pericolosità della situazione, un po’ della sicurezza ostentata da Ritsuko si trasmise agli altri presenti.

 

 

Nelle successive due ore, Ritsuko si chiuse nel suo studio, armata unicamente di un microdisk per la memorizzazione dei suoi risultati, del suo portatile, del Manuale dei Magi e di una caraffa di caffè caldo. Nessuno osò interromperla, e gli altri passarono quel tempo fissando angosciati il diagramma dei Magi, in cui la zona rossa, lenta ma inesorabile, continuava ad espandersi su Balthasar. Alla fine, Ritsuko emerse dal suo studio, pallida. In mano aveva il microdisk e il Manuale.

“Maya,” ordinò ferrea. “Prendi il tuo portatile. Voi,” si rivolse a Misato e agli altri due Operatori. “Prendete sette cavi di connessione, cinque terminali compatti[5] e una scatola di attrezzi. Andiamo da Casper.”

Quando il materiale richiesto fu raccolto, i cinque scesero al livello inferiore della Sala Comando, dove si trovavano i corpi fisici dei Supercomputer. Ritsuko aprì un pannello alla base di Casper e digitò un codice di sicurezza. Il parallelepipedo si sollevò, mostrando sotto di esso un intrico di tubi e cavi di enorme complessità. Misato guardò di sfuggita l’amica, ma questa non mostrò emozioni particolari. “Aoba, Hyuga,” si limitò ad ordinare. “Tornate alle vostre consolle e tenete sotto controllo la situazione. Trasmetteteci ogni variazione significativa nel comportamento dell’Angelo.”

I due Operatori si allontanarono, dopo aver depositato il loro carico, mentre le tre donne si avvicinarono al portello d’accesso al cunicolo di servizio di Casper. Quando Ritsuko lo aprì, Maya soffocò un’esclamazione di sorpresa.

“Ma… cosa sono?”

L’interno del computer era infatti ricoperto da piccoli rettangoli bianchi. Maya ne raccolse uno vicino al bordo e realizzò con stupore che si trattava di un post it.

“Sono appunti del creatore del sistema,” spiegò Ritsuko.

“Cosa??” sbottò Maya incredula, leggendo e rileggendo il biglietto che aveva in mano. “Ma questo è… un codice! Sono i codici segreti dei Magi!”

Ritsuko annuì distrattamente, mentre si inoltrava a quattro zampe nel cunicolo.

“Ma è fantastico! Così potremo programmare molto più velocemente di prima!”

La scienziata stava per rispondere quando notò una cosa che catturò la sua attenzione. Su uno dei tubi alla sua sinistra, la fitta scrittura degli appunti di sua madre era coperta da una scritta vergata in nero, con rabbia.

‘IKARI, STUPIDO IDIOTA!’

Per un attimo, la donna fu sorpresa di leggere quelle parole, ma poi sorrise.

 

Almeno in qualcosa andavamo d’accordo, mamma.

 

Ancora sorridendo, si voltò verso Maya e annuì, prima di tornare alle parole scritte da sua madre tanti anni prima.

 

Ce la faremo, te lo prometto.

 

Per tutta l’ora successiva, Ritsuko continuò ad allargare il cunicolo, smontando le varie parti di Casper, digitando codici di autorizzazione sui terminali compatti che aveva collegato alle aree chiave del sistema, e orientandosi con la complessa mappa interna presente sul Manuale dei Magi. All’interno del cunicolo, Misato la aiutava passandole gli attrezzi o spostando i cavi e gli elementi che progressivamente venivano scollegati e tolti, mentre all’esterno Maya, che aveva collegato il proprio portatile ad una porta di Casper, familiarizzava con il complicato programma scritto da Ritsuko poco prima. Quando mancavano circa tre quarti d’ora all’invasione completa di Balthasar, una quantità inverosimile di cavi, tubi e sottounità ricoperti di post it era stata accumulata fuori dal computer.

“Mi passeresti il terminale numero quattro?” chiese Ritsuko, e l’amica fu lesta ad obbedire.

“Non ti ricorda i tempi dell’università, questa situazione?” chiese il Maggiore, nostalgica e un po’ toccata dall’impegno profuso dalla scienziata in quel lavoro, ma non ottenne risposta. Per nulla abbattuta, continuò a cercare la conversazione. “Perché non mi parli un po’ dei Magi?”

L’altra terminò di digitare sulla sua tastiera prima di rispondere. “E’ una storia lunga, e nemmeno interessante.”

Un po’ pentita per il tono scostante appena usato, poiché aveva capito che Misato voleva solo stemperare la tensione, decise però di rivelare almeno una parte di quella storia.

“Sai cos’è la Trascrizione Informatica di Personalità?”

“Sì, è la tecnica con cui la personalità di un individuo viene inscritta in un computer organico di settima generazione, in modo che il computer stesso diventi pensante. Se non sbaglio questa tecnica viene usata anche nel pilotaggio degli Evangelion, vero?”

Ritsuko annuì. “Sì, però pare che i Magi siano la prima applicazione di questa tecnica. Infatti, per la massima parte questo metodo fu inventato da mia madre.”

In quel momento la scienziata tolse l’ultima copertura dell’Unità Centrale di Casper, mettendone a nudo la liscia superficie protettiva, che riportava il nome del computer e il numero di serie all’interno del Magi System.

“Vuoi dire,” riprese Misato, sorpresa, “che nei Magi è stata trascritta la personalità di tua madre?”

“Sì,” rispose brevemente l’altra, attivando una sega circolare e cominciando ad intaccare la capsula protettiva di Casper. Una cascata di scintille si riversò tutto attorno, ma Ritsuko non pensò di usare una maschera protettiva. Misato, d’altro canto, rimase in silenzio, poiché le sue parole non avrebbero comunque raggiunto l’altra donna.

Quando il rumore terminò, Ritsuko spense la sega e rimosse la sezione di calotta che aveva tagliato, mettendo a nudo l’Unità Centrale di Casper.

“In un certo senso si può dire che questo sia il cervello di mia madre.”

Ed in effetti l’oggetto contenuto nella calotta protettiva somigliava molto ad un cervello, se non che era dotato ad intervalli regolari di minuscole prese che scendevano in profondità tra le circonvoluzioni di microprocessori delle dimensioni di un neurone.

“E’ per questo che non hai permesso che proponessi di distruggere il Magi System?”

Ritsuko prese in mano un fascio di cavi, cercando quello giusto.

“No, io stavo agendo in qualità di scienziata. Ho solo fatto la cosa più logica da fare.”

 

…Che bugiarda…

 

Con una precisione dettata dall’esperienza, la donna inserì lo spinotto prescelto nel foro selezionato, connettendo così l’ultimo terminale compatto libero a Casper. Rapidamente inserì gli altri spinotti in altrettante prese.

Misato stava per ribattere quando l’allarme risuonò nuovamente nella Sala Comando.

“L’Angelo ha preso il controllo di Balthasar!” esclamò Makoto, mentre l’ultimo settore azzurro della seconda Superintelligenza diventava rosso.

-“PROPOSTA DI AUTODISTRUZIONE APPROVATA A MAGGIORANZA RELATIVA DALLE INTELLIGENZE ARTIFICIALI MAGI,”- annunciò la voce elettronica della base.    

 -“L’ATTIVAZIONE DEI DISPOSITIVI DI AUTODISTRUZIONE AVVERRA’ TRA CINQUANTA SECONDI.”-

Mentre la voce continuava a descrivere le specifiche dell’autodistruzione, Misato sgattaiolò fuori dal cunicolo di Casper, in modo da poter tenere sotto controllo la situazione. “Rapporto!” urlò verso la piattaforma con le consolle degli altri Operatori.

“L’invasione sta proseguendo dentro Casper,” annunciò Makoto. “Programma Akagi2-B non più attivo!”

Sullo schermo con il diagramma del Magi System la zona rossa aveva cominciato ad espandersi su Casper alla stessa velocità con cui aveva preso possesso di Melchior. Dall’interno della struttura del terzo Supercomputer proveniva il furioso ticchettio delle dita di Ritsuko sul suo terminale compatto, subito riecheggiato da quello di Maya sul proprio portatile, in modo da lanciare il programma per l’autoestinzione.

-“AUTODISTRUZIONE TRA VENTI SECONDI.”-

“L’Angelo avrà preso il controllo di Casper tra diciotto secondi!” gridò Shigeru, continuando a rilevare i suoi dati dalla consolle.

-“AUTODISTRUZIONE TRA QUINDICI SECONDI.”-

“Presto, Ritsuko!” implorò Misato.

L’altra donna, seduta davanti all’Unità Centrale di Casper, non smise di digitare comandi sempre più veloci, mentre effettuava l’hacking inverso contro l’Angelo. “Stai tranquilla, ho un intero secondo di vantaggio.”

“Un… secondo?”

“Non è zero né un valore negativo.”

Misato stava cercando di capire il significato di quelle parole quando iniziò il conto alla rovescia.

-“DIECI, NOVE, OTTO…”-

“Presto, Ritsuko!”

-“SETTE, SEI, CINQUE…”-

“Pronta, Maya!”

“Sì!”

-“QUATTRO, TRE, DUE…”-

“Ora!”

Simultaneamente, la scienziata e la sua Koai premettero il tasto invio, lanciando l’ultima sequenza del programma.

-“UNO, ZERO.”-

Il tempo si dilatò, mentre gli occhi di tutti erano fissi sull’unico settore ancora azzurro del diagramma di Casper, che continuava ad esistere e non era rimasto inglobato nell’ormai soverchiante area rossa. Eppure, l’esplosione non arrivava…

All’improvviso tutta la zona rossa del diagramma scomparve.

-“AUTODISTRUZIONE REVOCATA DALLE INTELLIGENZE ARTIFICIALI MAGI.”-

“SI’!!” Gridò Shigeru, lasciandosi andare ad un gesto di esultanza poco adatto al suo ruolo, tanto più che il Vice Comandante era dietro di lui per scrutare direttamente l’andamento dell’operazione, ma nessuno ci badò. Tutti gli altri occupanti della Sala Comando stavano festeggiando, ciascuno a modo suo. Dall’interno di Casper, Ritsuko trasse un profondo sospiro di sollievo. Nella sala di simulazione, quasi con un gemito, il circuito senziente che era stato l’Undicesimo Angelo  brillò un’ultima volta prima di scomparire.

 

 

-“MENO CINQUE MINUTI AL RIENTRO IN OPERATIVITA’ DEL MAGI SYSTEM.”-

Nelle due ore successive alla vittoria, Ritsuko, Maya e Misato avevano rimontato tutte le parti distaccate di Casper, sicché ora, sul pavimento della piattaforma, non era rimasto più nulla. Ritsuko si lasciò cadere su una sedia, sospirando dolorante.

“Sembra che sia troppo vecchia per queste giornate movimentate,” disse sorridendo stancamente a Misato, che si stava avvicinando con due tazze di caffè. Ne prese una, che cominciò subito a sorseggiare come se fosse il premio di quella strenua gara contro il tempo.

“Hai tenuto fede alla tua parola,” rispose il Maggiore, sorridendo a sua volta. “Hai fatto un ottimo lavoro.”

“Grazie… Lo sai? Sono così stanca che anche un caffè preparato da te mi piace.”

L’altra assunse un’espressione imbarazzata, essendo perfettamente conscia dei suoi problemi in cucina.

“La sera prima di morire,” proseguì Ritsuko, quasi senza pensare. “Mia madre mi disse che aveva impresso nei Magi i tre diversi modi del suo essere: come scienziata, come madre, come donna. Sono i loro reciproci equilibrio e conflitto che costituiscono l’essenza del Magi System. Intenzionalmente, mia madre ha inserito nei suoi computer il dilemma proprio dell’essere umano. Ed in effetti, le tre trascrizioni di personalità furono leggermente differenziate l’una dalle altre.”

Misato si era fatta all’improvviso attenta all’inizio di quel discorso della sua amica. Non immaginava che ci fosse tanto mistero sotto il Magi System. Dopo un altro sorso, la Dottoressa riprese. “Non ho mai potuto capirla in quanto madre, non avvertendo in me alcuna tendenza materna, sebbene la rispettassi come scienziata e… e a volte la odiassi come donna.”

Dato che la bionda sembrava non avere intenzione di aggiungere altro, Misato decise di intervenire, sorridendo. “Sei loquace oggi.”

L’altra sollevò su di lei uno sguardo stanco ma sereno. “A volte può capitare.”

Sibilando, l’unità Casper cominciò a ridiscendere nella sua posizione, segno che il Magi era ormai in procinto di tornare operativo. Dopo un rapido sguardo ad essa, Ritsuko proseguì. “Dentro Casper è racchiusa l’essenza di mia madre come donna. Oggi, contro l’Angelo, a prescindere dal mio intervento ha difeso strenuamente la sua femminilità. Tipico di mia madre.”

Aveva detto quelle ultime parole alzandosi dalla sedia e andandosene senza guardare Misato, tuttavia non c’era astio nella sua voce: solo molta spossatezza.

-“MAGI SYSTEM OPERATIVO.”-

Il Maggiore sospirò e bevve un ultimo sorso dalla propria tazza di caffè, poi guardò il proprio orologio da polso.

“Accidenti,” esclamò. “Dobbiamo recuperare i ragazzi!”

 

 

 

 

Il bruciore che aveva attanagliato il braccio destro di Gabriel, con un’ultima violentissima fitta, svanì di colpo, e così pure la voce tremenda nella sua testa.

 

Chi… chi era…?

Di chi era quella voce?

Cosa voleva da me?

Perché Yrouel mi ha parlato?

 

Il ragazzo trasalì all’improvviso.

 

Chi diavolo è Yrouel??

 

Nello sbarrare gli occhi per lo sgomento si accorse che la connessione con lo 0D era stata tagliata, e attorno a lui c’erano solo le pareti giallo-rossastre della simulation plug, appena sfocate per l’LCL.

 

Yrouel… Come facevo a conoscere quel nome?

E poi… Ma chi… cos’era?

Era forse… un Angelo??

 

I suoi pensieri furono interrotti da una potentissima spinta verso il basso, che lo fece quasi piegare sul pannello di comando. Impiegò alcuni secondi a capire che la simulation plug era stata espulsa dall’unità di simulazione ed ora stava salendo a velocità vertiginosa lungo uno stretto e profondo camino.

Gli stabilizzatori di pressione gli impedirono di essere danneggiato dalla rapida risalita, ma quando la capsula si fermò, Gabriel fu quasi sbalzato nuovamente via dalla sua postazione.

 

Accidenti!

 

Il lieve rollio della simulation plug gli rivelò di essere in acqua, probabilmente di stare galleggiando sul lago che si trovava nel Geo-Front. Quando finalmente realizzò la sua situazione sobbalzò.

 

REI!!

 

Freneticamente premette alcuni pulsanti sul pannello di comando di fronte a lui, per mettersi in contatto con la sala di controllo per i test di simulazione, ma non ricevette alcuna risposta. Poi si ricordò che anche sulle simulation plug era installato un sistema di comunicazione tra le plug stesse, per cui selezionò rapidamente la capsula dell’unità Evangelion 0A, che conteneva Rei.

In un piccolo riquadro bordato di rosso, alla destra di Gabriel, comparve una scritta di attesa, poiché, per rispettare la privacy dei Children, il sistema a risposta immediata installato sulle entry plug lì era sostituito da un sistema più simile ad un olovideofono. Ma presto la ragazza sostituì la scritta: stava guardando in camera, visibilmente spaesata e un po’ spaventata. Quando gli sguardi dei due ragazzi si incrociarono, negli occhi di lei saettò un lampo di comprensione. Gettò un grido e si abbassò di colpo, abbracciandosi il busto. Solo in quel momento Gabriel si ricordò che erano entrambi nudi.

“Ehm…” disse il ragazzo, scivolando a sua volta in basso finché non rimase solo il mento sopra i comandi, nella stessa posizione di Rei. “Tutto bene?”

“Sì,” fu la risposta, mentre la First Children, completamente rossa in faccia, teneva vagamente lo sguardo chino. Poi lo riportò sul suo ragazzo. “Ma tu invece, ho sentito il tuo grido, cos’è successo? Stai bene?”

Gabriel annuì, sebbene il suo sorriso rassicurante fosse a sua volta inquieto. “Sì… ora sì.”

“Ma cos’è successo?”

Il Fourth Children aprì la bocca per rispondere ma la richiuse subito.

“Vorrei saperlo anch’io… All’improvviso ho sentito un forte bruciore al braccio destro, poi…”

Si interruppe.

 

E’ veramente il caso che le dica cos’ho sentito?
Che le dica di quella voce?

Se anche fosse un Angelo, finché non ci verranno a recuperare non potremo fare proprio nulla, tanto più nudi come siamo…

 

“Poi,” riprese quasi subito, “ho sentito un dolore lancinante e poi più nulla. Subito dopo la connessione con lo 0D si è staccata e la capsula è stata espulsa… o almeno credo che sia andata così… Hai idea di dove siamo?”

Dalla sua posizione accucciata, Rei si guardò attorno, come se potesse veramente vedere cosa ci fosse fuori dalle pareti della simulation plug.

“Sembra che siamo su una superficie d’acqua,” concluse lei.

“Come pensavo… Pensi che sia il lago del Geo-Front?”

“E’ probabile. Dalla planimetria della base, la sala di simulazione si trova proprio lì sotto.”

Malgrado la situazione, Gabriel sorrise, ricordando la battaglia contro il nono angelo. “E dire che qualcuno aveva anche osato mettere in dubbio la tua dimestichezza con la planimetria della base…”

Rei sorrise, comprendendo che si trattava di un complimento. “Hai già contattato gli altri?”

“No, quando mi sono ricordato del sistema di comunicazione di bordo ho subito pensato a te.”

La ragazza chinò gli occhi, piacevolmente imbarazzata. “Grazie…”

Restarono a guardarsi negli occhi per alcuni secondi, poi Gabriel si riscosse: purtroppo non era il momento per lasciarsi prendere dal romanticismo, poiché si trovavano in mezzo ad un lago, chiusi nelle simulation plug, senza nessun modo di comunicare con la base, e senza sapere cosa stesse succedendo.

A malincuore, Gabriel distolse lo sguardo da quello della sua ragazza. “Immagino che le simulation plug non abbiano un sistema di propulsione acquatica…”

Comprendendo la situazione, Rei scosse la testa. “No, infatti. L’unica propulsione di cui sono dotate è quella d’emergenza, che però non può essere modulata.”

“Allora non ci resta che aspettare che ci recuperino…”

D’un tratto il volto di Rei si fece serio. “Gabriel… La cosa non è così semplice…”

Il ragazzo si aggrappò al pannello di controllo, ansioso. “Perché? Che problema c’è?”

“La riserva energetica della simulation plug non è eterna… Se fosse delegata solamente al mantenimento vitale potrebbe durare anche un giorno intero, ma quasi sicuramente, ora il computer di bordo sta trasmettendo un segnale di soccorso, ed in più la comunicazione interplug utilizza una grande quantità di energia…”

“Beh, ma è sufficiente aprire la capsula e svuotare l’LCL per risolvere il problema, no?”

Sconsolata, la ragazza scosse il capo. “Purtroppo, quando l’energia sarà esaurita non sarà più possibile aprire la capsula dall’interno, anche perché dentro sarà completamente buia…”

“Allora è sufficiente aprirla prima, anche subito.”

“Ehm…” La ragazza arrossì e si abbassò maggiormente, al di sotto della linea di visuale del Fourth Children. “Forse è meglio aspettare che arrivino i soccorsi, dopotutto non possiamo certo uscire dalla plug così…”

Solo allora Gabriel si rese conto che, seguendo la sua proposta, sarebbero dovuti uscire nudi all’aria aperta, ed a sua volta divenne completamente rosso in volto. “Ah… scusa, non intendevo… cioè…”

“Lo so, stai tranquillo,” lo rassicurò Rei, sorridendo. L’imbarazzo era già scomparso dal suo viso. “Forse dovremmo provare a metterci in contatto con gli altri, in modo da valutare pienamente la situazione.”

Gabriel annuì, poi si interruppe a metà di una parola. “Rei… forse è meglio che tu contatti Asuka ed io contatto Shinji… Così evitiamo altre… scene imbarazzanti.”

La First Children comprese che si riferiva alla loro nudità e annuì. “Sì, forse è meglio. Allora, noi ci vediamo dopo.”

“Certamente. Ciao, amore mio.”

Rei sorrise dolcemente a quelle parole. “Ciao, mio Angelo.”

La comunicazione si interruppe. Gabriel rimase per un attimo pensoso prima di selezionare sul quadro di comando l’opzione per mettersi in contatto con la capsula di Shinji. Fu con grande sorpresa che, quando il messaggio di attesa scomparve, udì un fragoroso grido di Asuka.

“… E POI COME TI PERMETTI DI CONTATTARMI QUANDO SAI BENISSIMO CHE SONO NUDA!!

Nello schermo, uno Shinji rossissimo era appallottolato sul sedile, lo sguardo fisso davanti a sé, in un punto invisibile dal punto di vista di Gabriel.

“E NON CONTINUARE A GUARDARMI!!!”

Dopo quell’ennesimo grido di Asuka Shinji abbassò di nuovo il capo, incontrando così il volto sconcertato del Fourth Children in un altro riquadro. L’espressione di stupore sul volto del Third Children rivelò che probabilmente aveva risposto alla chiamata per errore.

“Ah… ciao, Gabriel,” salutò, con un sorriso imbarazzato. Nelle due simulation plug dei ragazzi risuonò potente il grido di Asuka.

“NO NO, NON GUARDATE!!”

Un sommesso -bip- annunciò che la finestra di comunicazione con Asuka si era chiusa. Solo allora Shinji trasse un profondo sospiro di sollievo, sebbene con LCL non ce ne fosse alcun bisogno.

“Mi hai salvato, Gabriel,” disse, mentre tornava ad avere il suo colorito abituale. “Ho contattato Asuka, lei ha risposto, ma non avevamo tenuto conto che eravamo entrambi… nudi…”

Avendo affrontato la stessa esperienza, sebbene senza grida di rabbia, il Fourth Children non rise dell’espressione afflitta e impacciata dell’amico. “Beh, Shinji, poteva capitare. Dopotutto nemmeno lei ne ha tenuto conto, stando alle tue parole.”

Shinji annuì a capo chino e l’altro proseguì. “E poi abbiamo ben altro a cui pensare ora… Sei per caso riuscito a metterti in contatto con qualcuno della Nerv?”

Il Third Children scosse il capo. “No, è stato tutto inutile. Ho provato a contattare Asuka per chiederle se lei ci riusciva, ma poi… è successo quello che è successo…”

Il volto di Shinji si arrossò di nuovo e Gabriel ritenne opportuno non tornare più sull’argomento. “Anch’io ho provato a contattare la Nerv, ma senza successo…”

“Quindi non è un danno alla mia simulation plug… Ma dove siamo, allora? Mi sono sentito spingere all’indietro tutto d’un tratto, poi quando mi sono fermato mi sono trovato a ondeggiare a destra e a sinistra…”

“E’ probabile che siamo a galla sulla superficie del lago del Geo-Front.”

Shinji trasalì, tornando a guardare l’altro negli occhi. “Quindi siamo in acqua!”

“Sì,” rispose Gabriel, stupito dalla reazione dell’amico. “C’è qualcosa che non va?”

Il Third Children mostrò un’espressione quasi dispiaciuta. “Sì… Io non so nuotare. Se per qualche motivo dobbiamo abbandonare le capsule, io non saprei come fare…”

Gabriel sorrise rassicurante. “Non ti preoccupare, ci verranno certamente a recuperare, una volta che avranno sistemato i loro problemi.”

“Ma, a proposito… tu hai capito cos’è successo?”

Il Fourth Children si incupì all’improvviso.

“No, a dire il vero non lo so,” disse, ma il tono non sembrava molto convinto. “Shinji,” aggiunse dopo un attimo di riflessione. “Hai sentito anche tu… qualcosa di strano?”

L’altro lo guardò stupito. “In che senso?”

“Come… come una voce…”

Shinji si ammutolì. “Veramente… no… Può darsi che fosse un’interferenza della connessione neurale con l’unità di simulazione…”

Sebbene tale spiegazione sarebbe sembrata più convincente dalla bocca della Dottoressa Akagi, Gabriel si sentì un po’ più sollevato. “Sì, probabilmente è andata così, e sarà anche stato legato al motivo per cui ci hanno espulsi così bruscamente.”

L’altro annuì, sorridendo. “Speriamo solo che vengano presto a recuperarci!”

I due ragazzi risero, poi il Fourth Children riprese. “Prima di contattarti ho sentito Rei: anche lei sta bene. Abbiamo deciso che io avrei contattato te e lei Asuka. Chissà come se la starà cavando…”

Shinji scosse il capo, comicamente sconsolato. “Non vorrei proprio essere nei suoi panni… Anche se è un po’ impossibile, visto che siamo tutti nudi.”

Di nuovo scoppiarono a ridere a quella battuta, che ebbe l’effetto di alleggerire la tensione che Gabriel provava da quando aveva accennato a quella voce. Perché, in fondo, non credeva che fosse solo dovuta ad un guasto della connessione neurale…

“Forse sarà il caso che provi a chiarirmi con Asuka,” propose infine il Third Children, prendendo già una prudente posizione accucciata in modo da non farsi vedere dalla ragazza che avrebbe contattato di lì a poco. Anche Gabriel si riprese dalle risate di poco prima.

“D’accordo, poi mi dici… Solamente, dobbiamo tenere presente che le scorte dell’energia scendono più rapidamente tenendo acceso il sistema di comunicazione.”

“Ho capito, mi limiterò. A più tardi, ti racconterò com’è andata.”

I due ragazzi chiusero la comunicazione, e dopo poco il Fourth Children richiamò Rei. Questa rispose poco dopo, ed aveva l’aria un po’ stravolta.

“Ciao, Gabriel,” cominciò, sorridendo dolce ma stancamente. “Sei riuscito a contattare Shinji, a quanto ho saputo.”

“E da quanto vedo, tu hai contattato Asuka,” constatò Gabriel. La ragazza, suo malgrado, annuì.

“Era un po’ turbata dal fatto di essere stata vista nuda da Shinji.”

“Anche a te ha urlato nelle orecchie?”

“Sì.”

Vedendo che Rei sorrideva divertita e per nulla infastidita, il ragazzo scoppiò a ridere. “Shinji era sconvolto, Asuka deve avergli detto cose irripetibili prima che lo contattassi.”

La ragazza assentì vigorosamente. “Per quanto la conosco, non faccio nessuna fatica a immaginare che abbia reagito male.”

“Ad ogni modo, ora Shinji ha deciso di provare a chiarire la cosa, per spiegarle che non si è trattato di nulla di malizioso. In pratica è successo quello… quello che è successo anche a noi…”

Rei arrossì e si abbassò maggiormente sul quadro di comandi, ma sorrise. “Con la differenza che non ti ho urlato contro come ha fatto Soryu… A dirti la verità, avevo pensato di contattarti io prima, ma mi hai anticipato.”

Gabriel annuì, intenerito dalla visione della ragazza accucciata, arrossita e sorridente davanti a lui. “Passerei tutto il tempo che manca al nostro recupero qui con te.”

Rei assunse un’espressione dispiaciuta. “Anch’io… Però l’energia non ci basterebbe, se tenessimo aperta la comunicazione così a lungo…”

Di fronte all’espressione contrita del suo ragazzo, lei proseguì. “Anche se chiudiamo il contatto, possiamo sempre sentirci ogni tanto, per un po’… Così non rimarremmo senza energia.”

“E’ un’ottima idea, Rei,” convenne Gabriel, tornato sereno. “Allora, ci sentiamo tra un po’.”

“Va bene, a presto.”

“Ciao.”

Chiusero di nuovo la comunicazione. Nelle tre ore che seguirono, il Fourth Children fu contattato da Shinji, che gli raccontò come era andata con Asuka, che si erano chiariti e che la ragazza gli aveva pure chiesto come stava. Man mano che il racconto procedeva Gabriel sorrideva, contento che, nonostante l’accaduto, Asuka non avesse reagito in maniera troppo aggressiva. Probabilmente, qualche tempo prima, non avrebbe più parlato con Shinji per giorni, per quell’accadimento. Più volte, il pianista contattò anche Rei, restando pochi minuti ogni volta a scambiare con lei parole di rassicurazione e d’amore. Finché non fu lei a chiamare lui, quando ormai erano passate quasi quattro ore dall’espulsione forzata delle simulation plug. Il sorriso con cui l’accolse svanì in un istante, notando la sua espressione seria.

“Gabriel,” cominciò la ragazza. “C’è un problema.”

Lui, si sporse verso lo schermo olografico, afferrando spasmodicamente le manopole di supporto della capsula. “Che sta succedendo? Stai bene??”

Rei scosse la testa, cercando di tranquillizzarlo. “Sì, sì, sto bene. Però ho notato che c’è un problema con la simulation plug…”

Gabriel si tranquillizzò un po’, ma qualcosa nell’espressione della sua ragazza lo fece restare in tensione. “Che tipo di problema?”

“Ecco…” iniziò la First Children, “La mia simulation plug ha subito dei danni quando è stata espulsa… Deve aver impattato contro le pareti del condotto che ci ha portati qui. Per cui… c’è stata una perdita di energia…”

Gabriel comprese la situazione. “Quanto durerà ancora?”

“La perdita è ancora in crescita, durerà molto poco. Avevo intenzione di utilizzare quel po’ che rimane per aprire il portello e uscire dalla capsula, poi… Beh, poi cercherò in qualche modo di ovviare alla mancanza di vestiti…”

La ragazza arrossì ed esitò un istante prima di proseguire, assorta. “E’ strano, fino a poco tempo fa non avevo problemi ad apparire nuda di fronte alle persone…”

Il Fourth Children sollevò un sopracciglio, sorpreso. “Perché, quando è successo? A parte…”

Il volto di Rei si fece ancora più rosso. “A parte… quella volta, ho dovuto effettuare degli esami… con la Dottoressa Akagi senza vestiti.”

Aveva pronunciato le ultime parole senza guardare negli occhi Gabriel, ma il ragazzo non ci diede peso. “Si trattava di altri test di simulazione?”

“In parte sì. Io sono stata la prima Children selezionata, per cui ho dovuto affrontare numerosi test preliminari, anche prima dell’ultimazione dell’Unità 00.”

“Capisco. E ti ha vista nuda qualcun altro a parte la Dottoressa Akagi?”

“…No.”

Nonostante Rei avesse fatto di tutto per evitare di essere smascherata, Gabriel si accorse subito che c’era qualcosa che non andava. “Rei… c’è qualcosa che non va?”

“Beh…” proseguì la ragazza, sempre più impacciata. Ormai aveva capito che non poteva mentire sul fatto che solo la Dottoressa Akagi l’aveva vista nuda, tuttavia non poteva parlargli dei test cui assisteva anche il Comandante Ikari… lui non avrebbe capito, ed oltretutto sarebbe stato in pericolo, se avesse saputo di cosa si trattava. D’altronde però, non sapeva come avrebbe reagito sapendo di quello che era successo con Shinji. Tra i due mali tuttavia, scelse quest’ultimo, che tra i due era quello che prevedeva meno conseguenze negative. O almeno, così sperava. “In effetti… Non è stata solo la Dottoressa Akagi a vedermi nuda…”

“Ah… Si trattava di qualcuno che la aiutava nei test, immagino. Il Tenente Ibuki, qualche assistente di laboratorio…”

“No… Si tratta… del Third Children, Shinji Ikari.”

Sembrò che qualcuno avesse colpito Gabriel in pieno volto con un pugno, tanto era diventato paonazzo. La sua espressione passò in breve tempo dall’incredulità allo sconcerto, per giungere poi all’ira. “E QUANDO AVEVA INTENZIONE DI DIRMI CHE AVEVA VISTO LA MIA RAGAZZA NUDA???”

Comprendendo di aver messo Shinji in una brutta situazione, Rei cercò di calmare il ragazzo. “No, non è stata colpa sua… cioè, sì, però…”

“E’ STATA PURE COLPA SUA???”

“Sì, ma non l’ha fatto apposta! E’ entrato in casa mia mentre facevo la doccia, per portarmi la tessera nuova per il Quartier Generale, prima che tu arrivassi…”

“E QUESTO LO AUTORIZZAVA A SBIRCIARTI MENTRE FACEVI LA DOCCIA??”

“No, non mi ha sbirciato! Sono uscita, l’ho trovato che vagabondava per la mia stanza, poi…”

“POI???”

“Poi… Gli sono andata incontro per togliergli di mano una cosa che aveva preso, lui è scivolato e…”

“E????”

“E mi è caduto addosso!”

“COME, TI E’ CADUTO ADDOSSO!!”

“Ecco… cadendo in avanti mi è finito sopra… Ma non ha fatto nulla… cioè…”

“CIOE’??”

“Ecco… Cadendo mi ha toccato il seno…”

Le due simulation plug risuonarono dell’urlo smodato del Fourth Children.

“Ti prego, Gabriel!” cercò vanamente di interromperlo Rei.

“TI HA TOCCATO IL SENO?? MA IO QUANDO ESCO DI QUI LO DISTRUGGO!!”

“Ma è stato un incidente!”

“QUEL SERPENTE!! MA PERCHE’ ASPETTARE DI USCIRE?? ESCO ADESSO E VADO A PRENDERLO!!”

Rei chiuse gli occhi appena in tempo quando il Fourth Children, fuori di sé dalla rabbia, si alzò dal sedile senza accorgersi che così facendo non avrebbe più potuto coprire le proprie intimità, ma un interferenza nel canale di comunicazione con l’altra simulation plug lo fece gelare. Tornò subito sui suoi passi, fissando lo schermo olografico attraversato da alcune scariche.

“Che sta succedendo, Rei??” chiese, dimentico della furia di poco prima. Lei lo stava guardando impaurita.

“Credo che l’energia stia per finire,” disse, la voce che si faceva sempre più flebile.

“Apri il portello, presto!” le gridò Gabriel, in preda al panico, ma la ragazza scosse il capo.

“Non posso… Il portello è…”

Ma la comunicazione cadde. L’energia della simulation plug di Rei era terminata. Maledicendosi per aver fatto sprecare energia alla ragazza con la sua scenata, Gabriel si costrinse alla calma per pensare alle cose da fare in quel momento.

Aveva già provato a contattare il Quartier Generale per soccorsi immediati, e non aveva avuto successo. Ed ora che l’energia di Rei si era consumata, l’LCL nella sua capsula non sarebbe più stato depurato ed ossigenato, il che lasciava poco tempo per riflettere su cosa andasse fatto: se in pochi minuti la sua simulation plug fosse diventata inabitabile, l’unica cosa da fare era farla uscire. Poco importava che dall’interno il portello non potesse essere aperto, poiché l’apertura esterna era manuale e meccanica.

Senza esitare, Gabriel si allontanò dalla sua posizione e, quasi nuotando nell’LCL, raggiunse l’apertura, aprendola premendo un pulsante. Si trovava leggermente sopra il livello dell’acqua, per cui il ragazzo fu quasi risucchiato fuori quando il liquido artificiale si riversò fuori dalla capsula, fino a lasciarla semivuota. Dopo aver superato in fretta il momento di stordimento dovuto al ritorno alla respirazione normale, Gabriel si gettò subito in acqua, riemergendone subito per scrutarsi attorno. Vedeva tutte e tre le simulation plug, ma erano tutte molto lontane da lui. E da quella distanza, indistinguibili l’una dall’altra. Con un moto di disappunto, il Fourth Children realizzò che avrebbe dovuto avvicinarsi a ciascuna di esse per identificarne il codice identificativo, che ne indicava l’appartenenza ad una determinata unità di simulazione, facendogli perdere tempo prezioso. Nel caso specifico, lui avrebbe dovuto cercare la capsula recante la scritta ‘Simulation 0A’, quella di Rei. Senza esitare più a lungo, si diresse verso la plug più vicina, nuotando rapidamente, come aveva imparato precocemente a fare.

Quando ebbe quasi raggiunto la capsula che si era prefissato, represse un’imprecazione: essa recava la scritta ‘Simulation 0C’, che la indicava come la capsula di Shinji. Provò per un attimo un sentimento di rammarico, poiché si era lanciato al salvataggio di Rei così in fretta da non aver potuto avvisare nessuno: poteva anche darsi che il Third Children, proprio in quel momento, si chiedesse ansioso come mai lui e la First Children non rispondevano ai suoi tentativi di contatto…

Ma quei pensieri non facevano altro che distrarlo, per cui li cacciò e si diresse nuotando ad ampie bracciate verso la seconda simulation plug. Era a metà strada da questa quando quasi sobbalzò nel notare, sulla capsula più distante, una vistosa ammaccatura ad una estremità, invisibile dal suo punto di partenza. Quella che si stava recando a controllare, invece sembrava non avesse nessun danno. Trattenne i battiti del cuore e si lanciò, nuotando a perdifiato, fino alla capsula danneggiata.

Più volte finì con l’immergersi, nuotando forsennatamente sotto il pelo dell’acqua, tenendo gli occhi aperti. Né la stanchezza, né la preoccupazione, né la fatica sembravano rallentare la sua marcia, come se si trovasse nel suo elemento naturale. Sembrava anzi che l’acqua stessa ne sorreggesse il corpo e opponesse meno resistenza al suo passaggio, come consapevole dell’urgenza del Children.

Quando la raggiunse notò che effettivamente recava la scritta ‘Simulation 0A’: era proprio quella di Rei.

 

Tieni duro, Rei… Sono qui!!

 

Freneticamente cercò il portello: anch’esso era danneggiato, con una profonda intaccatura che ne metteva a nudo i circuiti irreparabilmente danneggiati.

 

Il sistema di controllo è fuori uso… Ecco perché Rei non è potuta uscire… Ma quello manuale deve funzionare ancora… DEVE!

 

Sebbene la struttura della simulation plug fosse leggermente diversa da quella dell’entry plug, il meccanismo di apertura era simile. Gabriel, cercando di mantenere la calma, passò la mano sulla maniglia incassata, poi la afferrò con decisione e tirò verso di sé. Con un sordo rumore metallico, i due bracci della manopola sporsero verso di lui. Il Fourth Children allora si immobilizzò, nella spasmodica attesa che, sentendo il rumore appena prodotto, Rei rispondesse in qualche modo, facendogli capire che era ancora viva. Ma oltre allo sciacquio dell’acqua non riuscì ad udire alcunché. Stringendo i denti e ripetendosi che non era troppo tardi, che Rei stava bene, Gabriel impugnò il le maniglie e spinse con tutta la sua forza contro i bracci dell’apertura meccanica della simulation plug.

Tuttavia, senza avere un saldo piano d’appoggio cui ancorarsi, non riuscì a smuoverle di un millimetro, salde com’erano.

 

Dannazione… Che sia danneggiato anche il meccanismo di apertura manuale?

No, lo squarcio è spostato, tocca solo i circuiti interni…

E’ questa dannata porta che non vuole aprirsi!

 

Sforzò nuovamente, ma non ottenne nessun risultato.

 

No… Non posso cedere adesso…

Rei, forse stai già soffocando nell’LCL privo di ossigeno, io devo farti uscire. DEVO aprire questo portello… DEVO SALVARTI!

 

Di nuovo strinse con forza, la maniglia e di nuovo i bracci non mostrarono segno di voler aprirsi. Con quanta forza aveva in corpo continuò a spingere con furia finchè addirittura le mani, bagnate com’erano dall’acqua, non scivolarono abbandonando la presa, facendolo sprofondare sott’acqua a causa del rilascio improvviso e della mancanza di un appoggio. Gabriel, riemerse in fretta e si riattaccò alla maniglia. Disperato e furioso sgranò gli occhi e riprese a forzare il meccanismo senza ancora ottenere il minimo risultato .

 

Un appoggio…un appoggio…ho bisogno di un appoggio!

 

Con le gambe tastò l’acqua sotto di se, ma vi trovò solo il vuoto, mentre i bracci dell’apertura restavano immobili ed il tempo continuava a scorrere.

 

 NON PUO’ FINIRE COSI’!!

 

All’improvviso qualcosa di solido si materializzò sotto le piante dei suoi piedi  e d’un tratto la maniglia cedette, cogliendolo quasi di sorpresa e facendolo nuovamente quasi sprofondare. L’appoggio che gli aveva consentito di aprire l’entry plug si era infatti dissolto nel nulla allorquando il meccanismo di apertura era scattato. Pensò per un attimo di aver posato i piedi su qualche sporgenza dell’entry plug, e poi di aver abbandonato l’appoggio dopo essere quasi nuovamente andato sott’acqua, ma lasciò subito da parte quelle domande: ora doveva solo tirare Rei fuori da quella capsula.

Una volta che aveva ceduto, la manopola di apertura si aprì più facilmente, girando completamente su se stessa. Il portello si sporse in avanti e si sollevò, scorrendo sulle sue rotaie e lasciando uscire una cascata di LCL, più scuro del normale, che si riversò nell’acqua del lago. Senza nemmeno attendere che il liquido fosse sgorgato del tutto, Gabriel infilò la testa nell’apertura.

“Rei, REI!!” gridò a gran voce, senza badare all’LCL saturo di anidride carbonica che gli investiva il volto. All’interno non vide nulla: tutto era buio, silenzioso, nascosto da una sottile pellicola di liquido, che lampeggiava timidamente riflettendo il sole all’esterno, che ormai stava calando.

“REI!!!” urlò un’altra volta il ragazzo, le lacrime agli occhi.

 

No… Non è possibile… NON PUO’ ESSERE VERO!!

 

All’improvviso una forma bianca affiorò alla superficie dell’LCL. Ebbe un guizzo: la testa dai capelli azzurri di Rei balzò fuori, respirando a rapide boccate l’aria che finalmente tornava a filtrare nel suo abitacolo.

“REI!!!”, la chiamò per l’ennesima volta Gabriel, non riuscendo più ad impedire alle lacrime di sgorgare, stavolta per la felicità. La ragazza tossì e strinse gli occhi, guardando la figura di Gabriel stagliata contro la luce che filtrava dall’alto del Geo-Front.

“Ga…Gabriel?” chiese con un filo di voce.

“Sì, sono qui, sono qui!” rispose lui.

“GABRIEL!” esclamò infine la ragazza, uscendo del tutto dall’LCL e gettandogli le braccia al collo. Il Fourth Children, colto alla sprovvista, arretrò e finì sott’acqua, mentre trascinava con sé Rei, ma fu solo un attimo: subito riemersero, finalmente fuori dalla capsula, abbracciati strettamente.

Rei tossì ancora, troppo spossata per l’assenza d’ossigeno e per lo sforzo improvviso di poco prima, e Gabriel, sorridendo dolcemente, la strinse a sé, reggendola senza fatica nell’acqua del lago. La ragazza affondò il volto sulla sua spalla nuda, piangendo sommessamente.

 

Credevo già che sarebbe finita…

Credevo che non avrei più visto Gabriel, che sarei morta in quel posto senza luce, soffocata dall’LCL…

Gabriel … Sei venuto a salvarmi quando avevo perso la speranza…

Gabriel… Se io avessi un Angelo custode, quello saresti tu.

 

Rimasero così per molti minuti: Gabriel, tenendosi al bordo della capsula con la sinistra, teneva saldamente il corpo di lei con il braccio destro, sussurrandole dolci parole per tranquillizzarla. Rei, invece, continuò a tenersi strettamente abbracciata al busto del suo ragazzo, troppo grata di essere ancora viva per riuscire a parlare.

Dopo quasi mezz’ora di attesa, mentre anche le luci del tramonto non riuscivano più a filtrare dalle aperture del Geo-Front, dei rumori lontani informarono i due dell’arrivo dei soccorsi. Con una barca di salvataggio li raggiunsero tre infermieri, mentre la simulation plug danneggiata veniva agganciata per essere trainata a riva. I tre uomini si guardarono perplessi, prima di coprire i due ragazzi con delle coperte in modo da scaldarli, e concordarono silentemente su un punto: era meglio non far sapere alla Dottoressa Akagi che li avevano trovati nudi e abbracciati fuori dalla capsula…

D’altro canto i due Children, costretti a separarsi al momento di salire sulla barca, tornarono subito a prendersi per mano quando poterono avvolgersi ciascuno in una coperta calda, rabbrividendo: per tutto il tempo in cui erano stati insieme non si erano resi conto di quanto l’acqua e la paura li avesse raggelati. Tuttavia continuarono a sorridersi a vicenda, in silenzio, finché non raggiunsero la terra ferma.

“GABRIEL, REI!” gridò il Third Children, anch’egli avvolto in una coperta, agitando un braccio sopra la testa dal bordo della barella su cui era stato fatto sedere per accertarsi con alcuni rapidi test della sua salute. Poco distante, Asuka si stava lamentando con un’infermiera, chiedendo spiegazioni sul perché  il recupero delle entry plug avvenuto così tardi. “Ma dov’eri finito?” chiese Shinji, dondolando sulla lettiga mentre un infermiere tentava di misurargli alcuni dati fisiologici con uno strano macchinario. Rei e Gabriel si guardarono e sorrisero.

“E’ una lunga storia…” rispose il ragazzo. “Rei ha avuto dei problemi con la simulation plug ed io sono andato da lei.”

“Andato da lei?” ripeté sorpreso Shinji. “E come hai fatto?”

“Beh… Sono uscito dalla capsula e sono andato da lei…” rispose semplicemente Gabriel. Poi i suoi occhi si strinsero. “A proposito, Shinji…” Attese che l’infermiere si fosse allontanato con i suoi dati, mentre l’altro ragazzo lo guardava incuriosito, prima di proseguire. “Cos’è questa storia che hai toccato il seno di Rei??”

Il Third Children guardò l’amico boccheggiando. “Ma… io non…”

“Shinji…” lo interruppe l’altro minaccioso, mentre Rei gli stringeva un braccio sotto le coperte per cercare di placarlo. “Giustificati e FORSE lascio perdere.”

Lo sguardo di Gabriel non ammetteva repliche. Sembrava geloso e furioso e, ricordando come aveva reagito quando la sua ragazza era stata in pericolo, Shinji concluse che era meglio non dargli motivo per arrabbiarsi ulteriormente.

“Gabriel,” cominciò, rosso di vergogna. “E’ successo prima che tu arrivassi… Dovevo portare a Rei la sua tessera nuova per accedere al Quartier Generale… La porta era aperta, così sono entrato…”

“Lascia perdere le premesse. Dammi una valida ragione per il fatto di aver toccato il seno a Rei e lascio perdere.”

Essendo la seconda volta che veniva chiamata in causa, Rei arrossì e istintivamente fece per nascondersi dietro Gabriel, pur senza lasciare la presa sul suo braccio.

“Ma non c’è stata una ragione…”

L’espressione sul volto del Fourth Children convinse Shinji a spiegarsi senza esitare.

“Cioè… In pratica sono entrato in casa… Mi sono messo un po’ a curiosare… Cose innocenti, capisci? E… E Rei è uscita dalla doccia, mi è venuta incontro per togliermi gli occhiali di mio padre di dosso…”

Gabriel si volse verso la sua ragazza con sguardo interrogativo, al che lei scosse il capo. “Si tratta di un ricordo di quando mi salvò, durante un esperimento… Ti avranno fatto leggere qualcosa a riguardo credo…”

Il Fourth Children annuì. “Sì, ora ricordo… Dovrei essere grato al Comandante allora… Ma comunque,” continuò, tornando a rivolgersi verso Shinji con espressione nuovamente dura, “ciò non spiega perché le hai toccato il seno.”

“Ecco… Mi ha tolto gli occhiali di mio padre e… sono scivolato e…”

“E?”

“E… Sono caduto addosso a lei… Posandole una mano sul seno… Ma non l’ho fatto apposta! Non era voluto, non l’ho ricercato!”

Gabriel fece un po’ fatica a calmare l’amico, che aveva cominciato a gesticolare. Stava anche cominciando a richiamare l’attenzione dei soccorritori.

“Shinji,” iniziò il Fourth Children, cercando di sovrastare le continue richieste di scusa dell’amico. “Ti credo, Shinji. Ho capito, è stato solo un incidente. Spero solo che non capiti più.”

Il Third Children scosse vigorosamente la testa. “No, no, non capiterà più di sicuro.”

Impietosito dallo spavento dell’amico, Gabriel decise di non badare più a quella questione e con un sorriso cordiale gli fece capire che non doveva più preoccuparsi. Mentre Shinji emetteva un rumoroso sospiro di sollievo, lui prese la mano di Rei e intrecciò le dita con le sue, guardandola negli occhi.

“Perdonami se non ho lasciato perdere subito quando mi hai preso il braccio per trattenermi,” le sussurrò, mentre Shinji si allontanava per dare spiegazioni sull’accaduto ad un perplesso infermiere, “ma volevo sincerarmi che Shinji fosse ben conscio che certe cose non se le può permettere.”

La ragazza annuì sorridendo. “Non hai motivo di chiedermi perdono.”

“TU NON HAI VISTO NULLA NELLA PLUG, VERO??”

Quel grido acuto annunciò l’avvicinamento di Asuka, avvolta in modo quasi ermetico nella sua coperta, tanto che ne sporgevano solo la testa, le mani e la parte inferiore delle gambe. Si stava rivolgendo a Gabriel, con aria quasi isterica, mentre Shinji alzava invano una mano per salutarla. Il ragazzo interpellato dalla rossa sollevò un sopracciglio. “No, Asuka, non era nemmeno possibile che ti vedessi, visto che l’angolazione degli schermi olografici delle simulation plug lo impedisce.”

“Ah… è vero…” commentò la Second Children. “Beh, state bene tu e Rei? Mi hanno detto che ci sono state un po’ di complicazioni nel vostro recupero.”

La First ed il Fourth Children si guardarono e sorrisero. “Sì,” rispose quest’ultimo. “Ci sono state un po’ di complicazioni, però stiamo bene.”

“Bene, ne sono felice,” fece Asuka, sorridendo a sua volta, più rilassata. Finalmente si voltò verso Shinji, che aveva chinato il capo un po’ affranto. “E tu, come stai?”

Il tono dolce di quelle parole sorprese un po’ il ragazzo, che però sorrise di rimando. “Sto bene, grazie.”

Effettuati i primi esami, ai Children furono finalmente date delle plug suite da indossare e furono portati al Quartier Generale, dove appresero direttamente da Misato i dettagli di ciò che era accaduto quel giorno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

[1]: Sistema di comunicazione simile ad un videotelefono, in cui però l’immagine dell’interlocutore è un ologramma proiettato a poca distanza dall’apparecchio.

[2]: Organo speciale delle Nazioni Unite che, nella versione ufficiale, ha ordinato l’istituzione della Nerv e che ne supervisiona l’operato. In realtà è poco più di un’organizzazione di facciata, che però ha l’ingombrante compito di relazionare alle Nazioni Unite sugli avvenimenti di Neo Tokio-3.

[3]: L’ozono è formato da tre atomi di ossigeno legati tra di loro ed è profondamente nocivo alla vita. In questa fanfiction si immagina che l’ozono si congiunga all’acqua pesante a livello molecolare, evidenziando così che, quando l’angelo viene contrastato con l’ozono, tale effetto non è dovuto alla dannosità di questo gas ma proprio all’ossigeno di cui è composto.

[4]: Secondo alcune teorie, il motivo dell’estinzione del Tirannosaurus Rex è da ricercarsi proprio nella sua eccessiva specializzazione come predatore, che ne ha precluso fondamentali possibilità di adattamento all’ambiente.

[5]: I terminali compatti sono i portatili con schermo e tastiera integrati che si vedono anche nell’episodio di Evangelion cui questo capitolo si riferisce. Nella nostra fiction, essi sono usati quando è necessario lavorare specificatamente su alcune parti del Magi System anziché con l’intera rete.

 

 

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Capitolo 23
*** Esitazioni che si spezzano ***


CAPITOLO 21

CAPITOLO 21

 

Esitazioni che si spezzano

 

 

 

 

 “Però non è giusto!” sbottò Asuka, lasciando cadere lo scatolone che reggeva. Dal salotto, Shinji smise di raccattare le riviste sparse ovunque e si rimise in piedi, con aria abbattuta. “Che cosa non è giusto?”

“Siamo noi i Children, perché diavolo sono loro che stanno festeggiando?”

La ragazza, inviperita, tirò un calcio allo scatolone contenente i numerosi reggiseni di Misato, col solo risultato di rovesciarlo e spargerne il contenuto sul pavimento della stanza. Per l’ennesima volta quella serata Shinji sospirò. “Andiamo, sarai d’accordo che questa volta la sconfitta dell’Angelo non è avvenuta per merito nostro. La signorina Ritsuko e gli altri hanno tutte le ragioni per festeggiare.”

“Sì, ma per quale assurdo motivo Misato ha dovuto costringere NOI a riordinare il SUO appartamento?!”

Shinji rivisse la scena in cui il Maggiore Katsuragi si preparava a raggiungere la festa organizzata da Shigeru in occasione della sconfitta dell’undicesimo Angelo e, per contrastare le proteste di Asuka per il fatto di non essere stata invitata, ordinava ai due Children di risistemare l’appartamento, in modo da non annoiarsi troppo. La Second Children aveva protestato animatamente, ma senza successo. Ed ora si trovavano anche con la minaccia di una punizione se, al suo rientro, Misato non avesse trovato tutto quanto in ordine.

“Se mi avessero dato un portatile anch’io avrei potuto sconfiggere quel coso,” bofonchiò Asuka, cominciando a raccogliere i reggiseni.

Nell’altra stanza Shinji scosse la testa sorridendo con gentilezza, dubbioso riguardo le parole dell’amica. A dire la verità, era contento di poter passare un po’ di tempo da solo con lei, anche se Asuka avesse continuato a lamentarsi tutta la serata. Intanto, in camera di Misato, la rossa rovesciò rumorosamente in un sacco di plastica le lattine di birra vuote che si erano ammucchiate sulla scrivania, accanto al telefono e ad una pila di documenti spiegazzati che avevano tutta l’aria di essere importanti.

“Shinji, butta via l’immondizia,” gridò Asuka in modo da farsi sentire chiaramente.

“Ma sto riordinando i giornali!” fu la risposta. “Non puoi farlo tu?”

“Tu non stai immergendo le braccia fino ai gomiti nel sudiciume che Misato lascia nella sua stanza!” sbottò la ragazza, esagerando volutamente la cosa. “E poi chissà cosa potrebbe succedere ad una ragazza come me, da sola, fuori casa, di sera e con un sacco di spazzatura sulle spalle!”

“Va bene, va bene,” si arrese Shinji, “ora vado.”

Asuka consegnò al ragazzo il sacco pieno di lattine di birra. “Fai in fretta, c’è ancora molto lavoro da fare e non ho intenzione di continuare fino all’alba.”

“D’accordo, cerco di sbrigarmi,” rispose Shinji, prima di raggiungere l’uscita, infilarsi le scarpe ed imboccare la porta. Con soddisfazione, Asuka sorrise e annuì.

 

Consideralo un prezzo adeguato per avermi vista nuda nella simulation plug.

 

A quel pensiero la ragazza arrossì nuovamente: anche se si erano avvicinati molto negli ultimi tempi non c’era ragione per concedere a Shinji l’incontestabile privilegio di vederla nuda senza che lui facesse qualcosa per ripagarla. In fondo, era anche il primo ragazzo che l’avesse mai vista così…

Il rumore della porta che si richiudeva la riscosse dai suoi pensieri.

“Asuka, sono io,” disse la voce di Shinji dall’entrata.

“Come hai fatto a fare così presto, hai volato??” esclamò la ragazza, raccogliendo alla rinfusa alcuni vestiti sparsi sul futon di Misato.

“No, ho lasciato tutto davanti alla porta,” rispose l’altro. “Non aveva molto senso portare la spazzatura fino al cassonetto sulla strada, perdendo così tempo prezioso. Non sei d’accordo?”

Asuka inarcò un sopracciglio, stupita di non averci pensato lei stessa. “Ovvio che sono d’accordo, solo non mi aspettavo che ci arrivassi da solo. Complimenti, hai appena fatto un piccolo passo verso un quoziente intellettivo normale. Ora sbrigati, torna al lavoro.”

Le parve di sentire una breve risatina da parte di Shinji, prima che questi tornasse in salotto, ma d’altronde lei non aveva inteso quelle parole come un insulto. In effetti, era un po’ di tempo che non insultava il suo coinquilino senza apparente motivo.

Un po’ soprappensiero, appallottolò i vestiti di Misato, scandagliando la camera per trovarvi una sistemazione adeguata. Infine, optò per un armadio piuttosto anonimo addossato ad una parete. Con un gemito pensò che forse avrebbe dovuto piegare bene quegli abiti e riporli ordinatamente sulle rispettive grucce, ma poi fece spallucce.

 

Quando Misato tornerà troverà tutto in ordine, così come ci aveva chiesto. Che importa se l’interno dell’armadio sarà un caos di proporzioni bibliche? Conoscendola, potrebbe anche pensare di aver riposto lei stessa i suoi vestiti così in disordine.

 

Stringendosi al seno la palla di vestiti con la mano destra, Asuka aprì l’armadio con la sinistra, e quasi sobbalzò quando una montagnola di maglie pesanti le piombò addosso.

Scheis… Ma che ci fa Misato con tutti questi maglioni qui in Giappone??” sbottò a denti stretti, in modo da non mettere sul chi vive Shinji. “Se proprio deve tenersi un guardaroba invernale potrebbe almeno ritirarlo dove non rischi di uccidere nessuno!”

Solo dopo quelle parole le venne in mente che, dato lo stato di perenne disordine di quella camera, l’armadio era proprio l’ultimo posto dove Misato avrebbe guardato per vestirsi e quindi, almeno per lei, quello era un posto dove il guardaroba invernale ‘non rischiava di uccidere nessuno’. Reprimendo un moto di stizza, Asuka spinse con un piede all’interno dell’armadio un paio di informi maglioni di lana e vi gettò sopra i vestiti appallottolati che aveva raccolto.

 

Se davvero non guarda mai qui dentro, dev’essere il posto ideale per nascondere questa roba.

 

Sogghignando, cercò di accumulare gli altri capi di vestiario in una pila che fosse il più possibile stabile. Terminato il lavoro, lo rimirò con soddisfazione e un accenno di senso critico, cercando gli eventuali punti in cui la pila avrebbe potuto cedere. Stava per terminare l’ispezione quando i suoi occhi si posarono su un oggetto che sporgeva dal ripiano più alto del mobile. Era un triangolo nero di un materiale rigido, che avrebbe potuto benissimo essere il pezzo di una scatola da scarpe, ma la sua presenza fu sufficiente a suscitare nella ragazza rossa che lo fissava la più profonda curiosità.

“Ehi, Shinji,” chiamò a gran voce. “Vieni un po’ qui, ho trovato una cosa…”

“Sei sicura che posso entrare nella stanza della signorina Misato?”

“Smettila di fare il santarellino e vieni qui!”

Titubante, Shinji entrò nella stanza, guardandosi attorno con una punta di vergogna. Arrossì visibilmente quando vide un paio di mutandine di pizzo nero abbandonate sul futon, ma fece finta di nulla, raggiungendo subito Asuka, che d’altronde stava indicando qualcosa senza nemmeno curarsi che il ragazzo fosse già arrivato.

“Secondo te quello cos’è?”

Shinji aguzzò la vista verso l’oggetto misterioso. “Potrebbe essere… una cornice…?”

“E che ci fa una cornice lassù in cima?” proferì lei con un sorriso malizioso.

Shinji, timoroso dell’espressione assunta dalla ragazza, accennò un passo indietro. “Probabilmente è qualcosa che la signorina Misato non vuole far vedere in giro… Quindi non dovremmo interessarcene…”

“Oh, sì che ce ne interesseremo,” rispose la rossa, annuendo con ampi movimenti soddisfatti. “Fammi da scaletta.”

“Eh?”

“Intreccia le dita delle mani e fammi salire, Stupishinji!”

Il ragazzo, prima che l’altra trovasse una scusa per prendersela con lui, si affrettò ad obbedire, ma non fece in tempo a puntellarsi bene prima che Asuka si issasse sulle sue mani, cercando di afferrare l’oggetto.

“Sta’ fermo, dannazione, mi fai cadere!”

“Non dovevi saltarmi addosso così all’improvviso!”

“Ci sono quasi… Preso!”

Con un grido di vittoria Asuka tornò coi piedi per terra, mentre Shinji oscillava vistosamente a causa dei continui ed improvvisi sobbalzi cui era sottoposto. Nella mano della ragazza però non si trovava una cornice, né il pezzo di una scatola da scarpe. Sembrava una sorta di vecchio quaderno impolverato, sulla cui copertina nera spiccavano dei cuoricini disegnati con il bianchetto ed una scritta: ‘Vietato l’accesso a tutti tranne che a ME!’

“Ma… che roba è?” chiese il Third Children da sopra la spalla di Asuka.

“Si direbbe… una sorta di agenda,” spiegò quest’ultima, rigirandosi tra le mani il piccolo volume: oltre alla scritta sulla copertina non sembravano esserci altri segni distintivi.

“Dovrebbe essere un’agenda della signorina Misato,” azzardò Shinji, dubbioso, “però non credevo che lei fosse il tipo da disegnare cuoricini sui suoi documenti…”

“Beh…” esordì Asuka dopo un breve silenzio, mentre la sua mano destra esitava lungo il bordo della copertina, pronta a sollevarla, “c’è un solo modo per scoprirlo…”

“Aspetta,” la interruppe Shinji, mettendosi di fronte a lei in modo da guardarla negli occhi. “Non vorrai mica… leggerne il contenuto?”

“Ovviamente sì!” rispose lei, raggiante.

“Ma è una cosa privata! Insomma, come reagiresti tu se la signorina Misato leggesse il tuo diario segreto??”

“E’ per questo che non tengo alcun diario segreto!” Asuka accompagnò quelle parole con un ammiccamento furbo. “Se Misato avesse voluto che nessuno fosse partecipe dei suoi segreti, non avrebbe dovuto scrivere un diario, no?”

“… Il tuo ragionamento non è molto logico, lo sai, Asuka?”

“Ah, ma cosa importa, ho tra le mani uno strumento di inestimabile valore! L’arma definitiva con cui potrò ricattare Misato!”

Ormai la rossa aveva incominciato a parlare come se quel vecchio quaderno nero fosse stato veramente la cosa più importante della sua vita, per cui Shinji suppose che qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di quell’evoluzione.

“Perché non diamo il bando alle ciance e… non cominciamo a leggere?” abbozzò il ragazzo, pentendosi quasi subito della sua proposta. Ad Asuka infatti brillò uno sguardo di pura bramosia negli occhi, mentre sollevava con trepidazione la copertina, mostrando il frontespizio foriero di segreti a lungo sepolti.

“‘Diario segreto di Misato Katsuragi, anno accademico 2007/2008’,” recitò Asuka, scandendo bene le parole. Shinji era pronto da un momento all’altro a fuggire dalla stanza, non appena avesse udito informazioni che non avrebbe dovuto udire; ciononostante, la recitazione della ragazza era tanto piena di pathos da tenerlo inchiodato sul posto.

“Ti rendi conto di quello che abbiamo trovato?” chiese la Second Children, quasi commossa, e quando Shinji scosse il capo, “queste sono le cronache del secondo anno di università di Misato!” concluse.

Toccato dalla grandiosità di quell’affermazione, che pure in gran parte gli sfuggiva, il Third Children annuì ed arretrò, raggiungendo il futon di Misato. Scostando come poteva la biancheria intima che Asuka non aveva ancora riposto, vi si sedette, subito imitato dalla ragazza che prese posto accanto a lui, il diario tenuto aperto sul frontespizio di fronte a loro.

“Sei pronto, Shinji?” chiese questa, tenendo lo sguardo fisso sulla pagina ingiallita recante la calligrafia di Misato. L’altro annuì: ormai in lui la curiosità aveva preso il posto del timore, e anch’egli non stava più nella pelle all’idea di scoprire gli scabrosi segreti del Maggiore Katsuragi, e soprattutto di scoprirli assieme ad Asuka.

Dopo essersi schiarita la voce, la ragazza passò alla prima pagina del manoscritto.

“‘15 ottobre 2007. Caro diario, inizio a scriverti per celebrare il mio passaggio al secondo anno della facoltà di Informatica dell’Università Yamashita di Tokio-2. Mi sono trasferita qui da poco, grazie alle sovvenzioni statali, perché nella mia vecchia Università le cose si erano fatte troppo noiose… Cosa posso farci, sono una ragazza piena di vita, io!

Stamattina ho conosciuto le mie prime nuove amiche nel corso di Programmazione: è stata una palla unica, ma almeno mi sono divertita con loro. Certo però che i ragazzi qui sono proprio brutti: ce ne sono un paio che mi hanno messo subito gli occhi addosso, ma non ho la minima intenzione di iniziare la mia carriera qui frequentando simili amebe.’”

Asuka terminò la lettura, e nella stanza perdurò un momento di assoluto silenzio, appena rotto dai rumori provenienti dalla strada. Resosi conto che forse la ragazza stava aspettando un suo commento, Shinji si schiarì a sua volta la voce. “Beh, sembra interessante…” azzardò, ma l’espressione scocciata della rossa lo zittì.

“Queste sono solo stupidaggini universitarie di cui ho già sufficiente esperienza,” dichiarò lei. “E’ ben altro quello che ricerco tra queste pagine…”

Prima che il Third Children avesse tempo per ribattere, Asuka girò numerose pagine, finché la sua espressione non si illuminò di nuovo.

“‘13 novembre 2007’,” riprese a leggere, “‘Caro diario, oggi ho conosciuto una ragazza davvero strana. E’ del terzo anno, ed ho deciso di prenderla come mia Senpai. Si dice che sia veramente un genio nell’informatica, al punto da far sorgere le più assurde leggende sul suo conto: che abbia riprogrammato il computer della sede del municipio mandando in tilt tutti i semafori della città, che si sia collegata con i satelliti militari per fare delle foto compromettenti sui professori con cui ricattarli, addirittura che in realtà non sia del tutto umana. Io penso che la maggior parte di queste siano solo fandonie, però sta di fatto che ha risolto un problema di Calcolo 2 in tredici minuti, quando io avevo smesso di applicarmici dopo una settimana di fatica. Il suo nome è Ritsuko Akagi, 22 anni. Nonostante l’aura di superiorità che la circonda, sembra simpatica, ed oltretutto non sembra cercare un secondo fine nella mia amicizia. Non che pensi che sia lesbica: però non cerca di sfruttare la mia popolarità per uscire dall’eremo in cui si è rintanata per studiare. Ma di questo non deve preoccuparsi: ci penserò io a farla uscire dal guscio e a trasformarla in una vera donna! Ho già in mente un paio di ragazzi da presentarle… A proposito: Hika è uno stronzo, l’ho lasciato.’”

“Ecco qualcosa di davvero interessante!” disse Asuka dopo un attimo di pausa. “Il primo incontro tra Misato e la Dottoressa Akagi quando quest’ultima non era ancora Dottoressa!”

Shinji si sforzò, ma non riuscì proprio a capire cosa vi fosse di veramente interessante in tutto ciò.

 

Sì, può essere curioso scoprire le dinamiche del primo incontro tra la signorina Misato e la signorina Ritsuko, ma non mi sembra sia una cosa di cui essere entusiasti…

 

“E poi, chissà chi è questo Hika…” proseguì Asuka, la fronte corrugata in un’espressione attenta. “Forse dovrei chiedere delucidazioni direttamente all’autrice.”

Shinji si guardò bene dal far notare alla ragazza l’aria minacciosa che aveva appena assunto. “Magari più avanti ne parla ancora,” disse. La Second Children lo guardò lievemente stupita dal senso pratico che lui aveva appena dimostrato, poi annuì e voltò alcune pagine per riprendere a leggere.

“‘4 dicembre 2007. Tra qualche giorno è il mio compleanno e sospetto che Rit-chan stia preparando qualcosa di speciale per festeggiarmi. Non so da cosa lo deduco, ma mi sembra un po’ strana da qualche giorno a questa parte, e quando le chiedo di cosa si tratta mi risponde vaga e cambia subito argomento… Non vedo l’ora di sapere cos’ha in serbo per me!! Chissà, forse è riuscita a rendere quell’idiota di Nobu un essere meno… meno Nobu… Così potremo tornare insieme. Deve aver capito che mi sento molto sola…’”

Dopo aver finito di leggere, Asuka si volse verso Shinji, con aria ieratica. “Shinji… Capisci cos’abbiamo appena scoperto?”

“Ehm…” Shinji annaspò alla ricerca di una risposta ragionevole. “Beh, che la signorina Ritsuko in passato era meno fredda che adesso…”

Lo scappellotto che si ricevette arrivò quasi atteso. “Ma sei stupido??” sbottò la rossa, mentre Shinji quasi si sdraiava sul futon di Misato per evitare ulteriori colpi. “Guarda le date!” proseguì la ragazza, spingendo sotto il naso del Third Children il diario. “In meno di due settimane Misato aveva avuto almeno due ragazzi diversi! Con che faccia può fare la moralista con noi con questo suo passato??”

Shinji guardò frastornato la pagina ingiallita appena letta da Asuka, poi annuì, cercando di celare la propria espressione poco convinta.

 

A dire il vero non mi sembra che abbia mai fatto la moralista con me… E poi non mi sembra un fatto tanto trasgressivo, quello di aver lasciato due ragazzi in meno di due settimane… Certo, a meno che il loro rapporto non si fosse… approfondito… nel frattempo…

 

A quel pensiero Shinji tornò subito seduto, invitando a gesti Asuka a proseguire, in modo che non notasse il suo rossore quando aveva immaginato Misato coinvolta in certe attività. Non che non l’avesse mai fatto prima, ma era decisamente meglio che Asuka non fosse nei paraggi quando gli capitava.

“‘10 dicembre 2007’,” riprese a leggere la rossa, troppo fuori di sé per badare agli scrupoli di Shinji. “‘Ho 21 anni. Evviva. E Ritsuko è una stronza. Alla fine tutta la sua reticenza non era per una festa a sorpresa per il mio compleanno, ma per un progetto di elettronica che stava realizzando e che occupava sempre i suoi pensieri. Cioè, lei invece di pensare ai ragazzi pensa ai computer: ma ti pare normale, diario?? Ad ogni modo lei ieri mi si è presentata con una specie di scatola in mano, raggiante, dicendo di aver appena creato un cyborg. Nella scatola c’era una rana dalla cui testa uscivano vari fili collegati ad una specie di radiolina, e dalla radiolina usciva un gracidio piuttosto spiacevole. Ritsuko, tutta eccitata, mi ha spiegato che aveva fatto in modo che la rana gracidasse attraverso un apparato elettronico invece che attraverso il suo vero apparato vocale; deve essere rimasta un po’ piccata quando non ho dimostrato un grande interesse verso la sua ranabot, ma non le è nemmeno passato nell’anticamera di quel suo cervellino elettronico che mi sarebbe piaciuto festeggiare con lei il mio compleanno, oltre che naturalmente perdere la verginità, cose entrambe che purtroppo non sono successe. Ah, e Nobu è sempre il solito idiota. Mi ha mandato giusto un sms di auguri al quale non ho risposto, perché ho preferito studiare sodo Calcolo 2. Questo per dire quanto le sue attenzioni mi esaltino.’”

“La signorina Ritsuko è davvero un genio,” constatò Shinji, che al riferimento sessuale di Misato aveva visibilmente stretto le gambe. “E’ riuscita a creare un cyborg al suo terzo anno di Informatica…”

“Già,” assentì Asuka. “Ma come al solito ti sfuggono le cose veramente importanti: Misato era tutt’altro che una santarellina all’epoca. In effetti pensavo che lei avesse perso la verginità molto prima dei ventun’anni, però l’enfasi che ci mette mi fa riflettere… Shinji, devi andare al bagno?”

“Eh?? Ah, no, è solo che sono un po’ scomodo…” rispose il ragazzo, cercando di accavallare le gambe e di fare ampi respiri per far sparire il rossore che, ne era sicuro, aveva invaso il suo volto.

“Vuoi che andiamo a sederci sul divano?” propose Asuka, che non sembrava essersi accorta di nulla. Il Third Children annuì ed attese che fosse la ragazza ad alzarsi per prima.

Il semplice movimento per spostarsi da una stanza all’altra gli fece bene, perché gli riattivò la circolazione e lui stesso si sentì più a suo agio seduto su un divano piuttosto che sul futon di Misato. Quando si furono sistemati, Asuka riprese a leggere.

“‘18 gennaio 2008. Caro diario, ti chiedo scusa per averti dimenticato qui a Tokio-2 per tutte le vacanze natalizie. Sono stata in un campeggio nell’Hokkaido, dove faceva un po’ piùi fresco e mi sono sentita in un clima più simile ad un vero inverno rispetto al caldo torrido dell’Honshu. Le camminate in montagna e le amicizie che mi sono fatta laggiù mi hanno fatto bene: ora mi sento più carica e più tonica, pronta ad affrontare un altro semestre di sofferenze universitarie nella speranza di trovare il mio principe azzurro. Infatti là al campeggio i ragazzi carini erano tutti capi boy-scout e fidanzati, quindi non ho potuto divertirmi molto da questo punto di vista. Ieri ho visto Ritsuko: dopo più di un mese si è scusata per essersi dimenticata del mio compleanno, quell’arpia. Pazienza, è stato come ricominciare da capo: vorrà dire che anch’io mi dimenticherò del suo prossimo compleanno. Ah, per inciso, la rana-cyborg è morta, finalmente. Ieri ho anche conosciuto un nuovo ragazzo che frequenta la Yamashita, facoltà di Ingegneria. E’ un idiota, se la tira come se fosse il più figo del pianeta ed ha la barba incolta, cosa che non sopporto, ma almeno ha un bel paio di chiappe.’”

“Asuka, cosa vuol dire ‘se la tira’?” chiese Shinji, piuttosto stupito da quella strana espressione. La ragazza scosse il capo, pensierosa. “Non lo so… Forse vuol dire qualcosa come ‘finge di essere il più figo del pianeta’, o qualcosa del genere… Chissà di chi parla…”

Senza attendere commenti da parte del Third Children, la rossa proseguì.

“‘20 gennaio 2008. Chiappe d’Oro[1] ha un nome: si chiama Ryoji Kaji, 24 anni, e confermo il fatto che sia un idiota. Dopo due giorni che ci conosciamo mi ha già chiesto di uscire con lui stasera, senza un briciolo di corteggiamento. Ovviamente ho accettato: magari in un ambiente più intimo si rivelerà essere meno stupido di come sembra.’”

“KAJI UN IDIOTA?? MA COME SI PERMETTE??” sbottò Asuka, facendo sobbalzare Shinji. “Ma… non ti era passata la cotta per il signor Kaji…?” domandò quest’ultimo.

“Sì, ma lui è stato il mio primo amore, Stupishinji! Noi ragazze non lo dimentichiamo mai!Certe cose non le puoi capire… Vediamo com’è andata…”

Shinji avrebbe voluto ribattere che di Asuka non si sarebbe mai dimenticato, anche se in futuro si fosse innamorato di qualcun’altra, ma la ragazza fu più lesta e riprese a leggere.

“‘21 gennaio 2008. Io e Ryo-chan abbiamo passato una bella serata, a cena e in giro per negozi, ed alla fine non ha nemmeno preteso un bacio come saluto. Gliel’ho dato io di mia sponte, ma ne sono stata contenta: avevo ragione, Chiappe d’Oro fa il sostenuto quando ci sono altri in giro, ma sa essere anche dolce quando siamo soli… Credo che ci metteremo insieme. Domani ne parlo con Ritsuko, per sapere che ne pensa.

22 gennaio 2008. La rana-cyborg è resuscitata. O meglio, Ritsuko ne ha creata un’altra, solo che stavolta ha anche delle rudimentali braccine e gambine che la fanno assomigliare ad una specie di rana umanoide. Dovrei dirglielo che trovo questi suoi esperimenti un filo morbosi, ma quando me ne parla è così solare che non ne ho il coraggio. Forse, quando scoprirà il sesso metterà la testa a posto. Comunque sono riuscita a parlarle di Chiappe d’Oro, e lei approva: penso però che approverebbe ogni soluzione che faccia sì che non la tormenti più con i miei problemi amorosi… Ma non importa, il destino ha voluto così: a lei i computer, a me i ragazzi. Stasera esco di nuovo con lui, ha detto che mi porta al cinema a vedere ‘007 la fine non è tutto’. E’ un film di spionaggio, dice che fa parte della sua serie preferita: speriamo che sia bello.’”

Senza dare spiegazioni, Asuka saltò alcune pagine, raggiungendo un punto del diario i cui bordi erano decorati da circonvoluzioni disegnate con inchiostro dorato, fiorellini e piccoli cuori rossi.

“‘2 febbraio 2008. Caro diario, infine è successo. Da ieri sera, alle 23.38, il rosso fiore[2] della mia adolescenza è sbocciato, per essere infine colto da Ryoji Kaji in un momento di passione allo stato puro. In quel momento, la ragazza Misato Katsuragi ha lasciato il posto alla DONNA Misato Katsuragi. Hai capito bene: la mia verginità è stata infine colta dall’uomo che mi ha posseduta qui, su questo stesso divano dove io sto scrivendo. No, non coprirti gli occhi, caro diario; è stato bellissimo.’”

Asuka interruppe la lettura per deglutire rumorosamente. Accanto a lei Shinji stava cominciando a sudare, ma sapeva che se avesse cominciato anche ad ansimare la ragazza avrebbe di sicuro frainteso. Mentre i lunghi secondi passavano e gli occhi dei due indugiavano su quelle parole e sulle decorazioni disegnate da Misato per celebrare l’evento, il Third Children si trovò a pensare a come sarebbe stato perdere la verginità: superando la vena poetica che traspariva dalle parole del Maggiore Katsuragi, Shinji si rese conto di non averci mai pensato seriamente. In realtà, aveva immaginato più volte come avrebbe potuto essere andare a letto con una ragazza, ed in particolare con Asuka, ma per qualche motivo non vi si era mai soffermato con la dovizia di particolari di cui stava venendo ora a conoscenza. Arrischiando un’occhiata verso la Second Children, scoprì in un momento di puro terrore che anche lei lo stava fissando, con espressione assorta. Quando gli sguardi si incontrarono sobbalzarono entrambi, tornando immediatamente a fissare in basso, dritti sul diario.

“Certo che,” cominciò Asuka, dopo essersi schiarita la voce, “non mi immaginavo che Misato fosse così romantica…”

Shinji non rispose, al che la ragazza si decise, con una nota titubante nella voce, a proseguire la lettura.

“‘Siamo usciti per l’ennesima volta, dopo la fine delle lezioni, e tra una cosa e l’altra non ci siamo accorti che si era fatto tardi. Casa sua era piuttosto distante, e lui si stava già congedando con uno dei suoi adorabili sorrisi, quando io d’impulso l’ho invitato a salire da me. Non so cosa mi sia preso: semplicemente, sapevo che non dovevo farmi troppe domande. In fondo non era la prima volta che andavamo a casa mia a concludere la serata, ma le altre volte ci eravamo limitati a pomiciare in maniera un po’ spinta, ed invece… Invece, questa volta sapevo dove volevo arrivare. E sapevo che anche lui era d’accordo con me.

Abbiamo cominciato a spogliarci che eravamo ancora nel corridoio, in barba alle altre inquiline del pensionato, sicché non abbiamo resistito nemmeno ad arrivare al letto: abbiamo trovato il divano su cui di solito guardo la TV, ho gettato via le lattine di birra che vi si erano accumulate, dopodiché ho gettato LUI sul divano… Cavolo, se ci penso sono ancora eccitata!! Quando avrò finito di scrivere queste note lo richiamerò, in modo da fare il bis stasera!

Ad ogni modo, non è sembrato molto turbato quando mi ha visto tirare fuori la scatola di preservativi dal cassetto del comodino: evidentemente mi ha già inquadrata. Diario, diario, se sapessi…! Da quando gli ho tolto i calzoni a quando lui mi ha trasformato in una donna è passata più di un’ora. UN’ORA, ti rendi conto?? Sai cosa significa un’ora di preliminari per una donna? Beh, io ora lo so.’”

Asuka si interruppe di nuovo, socchiudendo il diario. Da una rapida occhiata al paragrafo successivo aveva capito che l’autrice non si era fermata, ma aveva descritto tutto l’incontro con dovizia di particolari, al punto di farla arrossire vistosamente. A dire il vero lei si riteneva piuttosto all’avanguardia sull’argomento, rispetto alle sue coetanee: all’università aveva frequentato ragazze ben più grandi di lei, con i relativi problemi sentimentali, e da parte sua in Germania si era preparata per molto tempo a stare con Kaji, anche se in fondo non aveva mai creduto davvero che lui sarebbe stato d’accordo; però la lettura di quei dettagli esposti in maniera così diretta ed esplicita l’aveva colta lo stesso di sorpresa.

Con la coda dell’occhio sbirciò Shinji, che aveva accavallato le gambe e teneva lo sguardo fisso sulle proprie mani che si attorcigliavano in grembo: quasi di sicuro quella lettura l’aveva turbato più di quanto avesse turbato lei. “Vuoi fare una pausa?” disse lei per rompere l’atmosfera tesa che si era andata formando nella stanza. Il ragazzo la guardò e scosse vigorosamente il capo. “Non preoccuparti, Asuka. Anzi, credo che questa sia proprio una delle parti di questo diario che stavi cercando, vero?”

La Second Children inspirò profondamente e annuì, apprestandosi a ricominciare a leggere dopo aver saltato a piè pari una buona dose di pagine.

 

Accidenti a lui, proprio ora doveva cominciare a essere perspicace…

 

“‘28 febbraio 2008. Kaji è un idiota.’”

La subitaneità di quell’affermazione isolata nella pagina colse di sorpresa Asuka, che però non riuscì a trattenersi dal ridere, ben presto imitata anche da Shinji. “Certo che Misato è sempre stata una donna con le idee chiare!” esclamò la ragazza. Il Third Children annuì con convinzione. Per entrambi quell’improvviso cambiamento nell’atmosfera del racconto era stato un sollievo. Con rinnovata curiosità, Asuka ricominciò a leggere.

“‘3 marzo 2008. Secondo Rit-chan ho fatto una stupidaggine a lasciare Kaji, soltanto perché l’avevo beccato ad uscire con un’altra ragazza. Lei dice che avrei dovuto stare ad ascoltarlo invece di fargli una scenata in mezzo alla strada, ma quando lui mi ha detto ‘Misato, non è come pensi, questa è mia cugina’ io non ci ho più visto dalla rabbia. Se n’è uscito con la scusa più vecchia del mondo e si aspettava che me la bevessi?? Doveva credermi ben ingenua, quello stronzo! Ma in fondo sono stata davvero ingenua, visto che la mia prima volta è stata con quell’essere disgustoso. Se ci penso mi viene voglia di strangolarlo! E domani ho pure l’esame di Sistemi Complessi, come diavolo faccio a prepararmi in questo stato??

5 marzo 2008. L’esame non è andato affatto bene. Il professore ha scosso la testa e mi ha dato un 18 striminzito, ma non è che la cosa mi importi più di tanto. Sono tornata insieme a Kaji: alla fine quella tizia era davvero sua cugina. Le ho fatto le mie più profonde scuse, ma mi sono fatta promettere da Chiappe d’Oro che mi avrebbe sempre avvisato prima di uscire con lei, visto che, dopotutto, è una cugina di terzo grado ed è pure dannatamente figa.’”

“Non si può dire che la storia della signorina Misato e del signor Kaji sia monotona,” osservò Shinji, che si era ripreso dalle risate e sembrava ora maggiormente padrone di sé. Asuka annuì con un sorriso, ma tornò subito a concentrarsi sulla lettura quando, guardando le labbra del ragazzo ancora incurvate, le ritornarono in mente i dettagli che aveva saltato e che l’avevano tanto turbata.

“‘18 marzo 2008. Credo che Ritsuko sia arrabbiata con me. Non tanto per il fatto che sia più di una settimana che non mi faccio più viva quando dobbiamo studiare insieme, o perché da una settimana diserto regolarmente le lezioni, ma perché è una settimana che sto a letto con Ryoji. Sì, hai capito bene, diario. Una settimana fa sono andata a casa di Chiappe d’Oro, e da allora non ne sono più uscita. Il giorno dopo lui è andato a comprare un sacco di materiale ‘femminile’ come assorbenti e roba simile, al punto che il commesso del supermercato deve averlo preso per un pervertito, oltre che un gran numero di provviste, dopodiché si è spogliato e abbiamo rifatto l’amore. E poi ancora e ancora, fino a sera. A parte i pasti non abbiamo fatto altro: non credevo che i nostri corpi potessero reggere tanto, ma è stato un regalo bellissimo da parte sua, per farsi perdonare di quando è uscito con sua cugina senza avvertirmi. Il giorno dopo abbiamo abolito i vestiti. Un’intera settimana nudi a girare per casa, una settimana senza i limiti imposti dalla società. Non credevo di potermi sentire tanto bene con una persona da quel giorno di tanti anni fa, ma quando Ryo-chan mi abbraccia da dietro e mi accarezza il collo con le labbra mi sento protetta, come se nulla al mondo possa farmi del male.

E’ solo quando Ritsuko mi ha telefonato infuriata perché avevo saltato il nostro terzo appuntamento che sono tornata alla realtà. Le ho spiegato la situazione in cui mi trovavo e lei si è infuriata a morte, sbattendomi il telefono in faccia. Credo che mi consideri una donna immorale. Ma cosa mi importa, finché sto qui a letto con il mio fidanzato, fuori dal mondo, solo noi due?

Però, anche questo deve finire… Domani Ryo-chan deve dare un esame, e nonostante le mie proteste si è rifiutato di studiare in questa settimana. A dire la verità non mi sento particolarmente in colpa per questo: in fondo è maggiorenne, può fare quello che vuole. Anzi, mi sento lusingata dal fatto che abbia preferito me al suo esame. Ora sono le undici passate, e lui è in bagno a farsi una doccia. Quando uscirà faremo l’amore ancora una volta, poi a malincuore dovremo constatare che la nostra ‘settimana in paradiso’ è finita, e da domani torneremo ciascuno a casa propria, e con i propri vestiti addosso. Ma non è affatto detto che non replicheremo l’esperienza: dopotutto, certe cose sono più belle se si ripetono dopo un po’ di tempo l’una dall’altra.’”

Asuka smise di leggere e abbassò il diario, la mente invasa dalle immagini proibite di Kaji e Misato impegnati in ciò di cui aveva sempre fantasticato con un misto di curiosità e frustrazione: se avesse avuto qualche anno in più, forse avrebbe saputo come si era sentita il Maggiore tra le forti braccia del suo amato, e Kaji stesso non si sarebbe tirato indietro di fronte ai suoi continui approcci. Forse avrebbe addirittura passato una settimana a letto anche con lei, sebbene il fatto che non sarebbe stata la sola ad averlo fatto la riempisse di rabbia. Però almeno, in quel momento, non si sarebbe sentita tanto colma di vergogna.

Guardò Shinji: probabilmente non l’aveva mai visto tanto arrossito dacché si conoscevano, ad eccezione di quando l’aveva guardata nuda nella simulation plug.

“Beh?” chiese Asuka, celando dietro l’aggressività delle sue parole il senso di nervosismo che stava provando. “Che hai da guardare?”

L’altro finalmente si scosse. “N-niente!” fu la risposta, pronunciata a voce più alta del necessario. “Stavo solo…”

L’esitazione di Shinji fece venire una gran quantità di strane idee in testa ad Asuka, idee che la fecero andare su tutte le furie. Ciononostante, l’ira non fu l’unica emozione che le suscitarono.

“‘Stavi solo’ cosa, Stupishinji?? Stavi solo avendo pensieri sconci su Misato?? Ti stavi immaginando lei ed il signor Kaji che ci davano dentro?? Oppure stavi immaginando me nella stessa situazione??”

“Ma che stai dicendo??” sbottò Shinji, quasi balzando in piedi dal divano. “Guarda che hai frainteso tutto!”

All’improvviso, Asuka si sorprese a constatare come l’idea che il ragazzo la immaginasse in una situazione non proprio casta non le desse eccessivamente fastidio. Anzi. Forse la lusingava anche un po’. Forse…

“Figurarsi, guarda che lo so cosa fate voi pervertiti in bagno, pensando a noi ragazze,” si inalberò lei, sperando che l’altro non si accorgesse del tremito nella sua voce. Shinji allora socchiuse gli occhi. “Come se voi femmine non facciate mai quelle cose…”

Sorprendentemente, Asuka non rispose alla provocazione, ma si limitò a fissarlo con espressione imperscrutabile, sicché trascorsero interminabili secondi di silenzio, rotti solamente dai tenui rumori provenienti dalla strada e dai loro respiri.

“Scommetto che non vedi l’ora di rivedermi nuda come oggi, nella simulation plug,” disse infine Asuka, sorprendendo quasi se stessa per quell’affermazione. Le era venuta in mente all’improvviso, senza che ci pensasse, e non aveva potuto fare a meno di esprimerla. Sapeva anche di aspettarsi una risposta ben precisa da Shinji, anche se non voleva ammetterlo nemmeno a se stessa. Attese per molti istanti che lui si decidesse a risponderle, invece di continuare a fissarla stranito, come se avesse appena visto un’aliena al suo posto.

“Asuka,” cominciò il ragazzo, con una voce stranamente roca, “tu sai cosa provo per te. Non so cosa darei per rivederti così.”

Probabilmente sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa salvo il Third Impact, e i due ragazzi non se ne sarebbero nemmeno accorti, tanto erano stupefatti per le parole appena pronunciate da Shinji. Forse era lo stesso Third Children ad essere il più sconvolto dalle proprie parole, che non si aspettava di riuscire a pronunciare né in quel momento né mai, tuttavia un po’ per la situazione, un po’ per la lettura del manoscritto di Misato aveva chissà come trovato il coraggio di esprimere senza fronzoli i propri sentimenti. Si aspettava di essere investito dagli improperi di un’Asuka fuori di sé dalla rabbia, ma invece quest’ultima accennò uno strano sorriso, di un tipo che Shinji non le aveva mai visto sfoggiare. Lo si sarebbe forse detto… maliziosamente compiaciuto.

“Allora cosa aspetti?” chiese la rossa, immobile e rigida come una statua. “Se proprio vuoi vedermi nuda… spogliami.”

Se qualcuno gli avesse appena tirato un colpo di maglio in piena faccia, Shinji non si sarebbe sentito più frastornato di così.

 

Io… spo…spogliarla…? Eppure fino a poco fa non stavo dormendo, com’è possibile che stia facendo uno dei miei sogni ricorrenti proprio in questo momento? Forse però non è un sogno, ma solo il mio desiderio che si avvera…

 

Deglutendo più volte, Shinji boccheggiò alla ricerca di aria. Quando infine l’immagine di Asuka cominciò a vacillargli davanti agli occhi e la sua pelle divenne paonazza, il ragazzo si riscosse e balzò in piedi. “Ma che stai dicendo??” sbraitò, tremando. “Ti pare che…”

Asuka colse all’istante l’esitazione di Shinji. Rendendosi conto che doveva agire prima di pensare, altrimenti se ne sarebbe pentita per tutta la vita, balzò in piedi. “Cosa dovrebbe parermi??” sbottò, col cuore in gola. “Senti, se non hai le palle di spogliarmi, lo farò io!”

Chiudendo gli occhi e ricacciando indietro le proteste che i resti del suo immane orgoglio le sollevavano contro, si prese il bordo della maglietta e con un unico gesto lo sollevò sopra la testa. Non percependo alcuna reazione da parte di Shinji, la ragazza completò la manovra, gettando sul divano la maglietta ormai abbandonata. Il Third Children la stava fissando a bocca aperta. Probabilmente, se avesse ancora avuto la facoltà di parlare, avrebbe espresso il suo gradimento per il corpo di Asuka con qualche volgare complimento, o con un banale ‘sei bellissima’. In cuor suo, la Second Children fu contenta che l’altro non riuscisse a spiccicare parola.

“Che succede?” riprese lei, cercando di ignorare la portata di ciò che stava facendo. “PenPen ti ha mangiato la lingua?”

Shinji aveva la gola riarsa ed aveva sete: tutta la sua saliva era come evaporata. Dovette umettarsi più volte le labbra prima di poter ricominciare a parlare. “A-Asuka…” iniziò, sforzandosi di riportare gli occhi in quelli di lei e di ignorare il prepotente gonfiore che gli riempiva i calzoni, “sei…”

L’altra però scosse la testa e fece un passo verso di lui, venendosi a trovare a pochi centimetri dalla sua bocca, da cui esalava un respiro pesante. “Non parlare,” gli sussurrò. “Non puoi rovinare questo momento.”

Fu con inattesa dolcezza che le loro labbra si incontrarono. Inaspettatamente, Asuka trovò che Shinji baciava bene. Certo, vista la limitatissima esperienza in fatto di baci che la ragazza aveva avuto (il suo primo bacio risaliva ad appena un anno prima, e non si era rivelato un granché), non pretendeva di poter giudicare oggettivamente, ma la cosa importante era che quel bacio le piaceva. Esitante, il Third Children portò le proprie mani alla vita di lei, accarezzandone la pelle nuda e strappandole un brivido. La mente di lei era vuota: non aveva la più pallida idea di come districarsi da quella situazione che in un altro momento avrebbe giudicato assurda. Sapeva solo di volere che Shinji la stringesse di più.

Dalla soglia della stanza fece capolino PenPen, disturbato dalle grida dei due giovani. Si aspettava di trovarli a litigare, come succedeva ormai sempre più di rado, ma rimase un po’ stupito nel vederli abbracciati, intenti, secondo quanto la sua esperienza di uccello gli insegnava, a scambiarsi il cibo a vicenda. Quando li vide sedersi sul divano continuando a tenere unite le rispettive bocche, comprese che doveva trattarsi di un comportamento tipico dei mammiferi, e decise che assistervi non era di suo interesse. Colto da un più pressante bisogno, il pinguino tornò in cucina, prese un’aringa dalla scatoletta che gli avevano aperto poco prima i suoi coinquilini e andò a rilassarsi nel proprio frigorifero.

 

 

 

 

Visto il pericolo scampato grazie alla competenza di tutti gli operatori della Nerv, il Comandante Ikari aveva permesso che quella sera i membri dei vari reparti organizzassero una serie di feste in sala mensa, per rinfrancarsi dopo la strenua lotta tra l’undicesimo Angelo da una parte e il Magi System e Ritsuko dall’altra. Ovviamente, una parte degli operatori sarebbe rimasta in servizio in modo da garantire la funzionalità minima della base, ma essi avrebbero successivamente fatto a cambio con altri colleghi in modo da festeggiare a loro volta. In qualità di ufficiali superiori e per lo stress subito, proporzionato alla responsabilità che derivava dalle loro cariche, Ritsuko, Misato, ed i tre operatori principali del Magi System avevano ricevuto il permesso di riposarsi quanto tempo volessero.

Misato era andata via quasi subito: giusto il tempo di congratularsi con tutti e di bere un paio di birre ed era andata in ospedale, dove avevano riportato Satoshi, in modo da aggiornarlo sugli ultimi avvenimenti e passare, finalmente, un po’ di tempo insieme. Dal canto suo Ritsuko, invece, era arrivata tardi alla festa, poiché si era fermata in infermeria per effettuare alcune analisi su Rei: era stata sottoposta ad un notevole stress durante l’attacco dell’Angelo e la scienziata temeva per la sua salute. Avrebbe voluto dare un’occhiata anche a Gabriel, dato che egli era entrato in contatto con l’Angelo, ma il ragazzo era sembrato molto provato dagli eventi della giornata, ed aveva esplicitamente chiesto di potersi riposare. Ad una prima occhiata, comunque, Ritsuko non aveva notato nessun motivo per negargli il permesso. L’avrebbe visitato approfonditamente il giorno successivo. Quanto a Rei, invece, dopo un’interminabile serie di test durante i quali la ragazza si era dimostrata recalcitrante (ma d’altronde Ritsuko si era ormai quasi abituata a tale comportamento, da quando era iniziata la sua relazione con il Fourth Children), era risultata nella norma per quanto concerneva il suo stato fisico, ed era stata congedata. Tuttavia era mezzanotte passata, e Rei non se la sentiva di tornare a casa da sola, per cui Ritsuko acconsentì a farle usare il proprio appartamento strategico alla base, in cui di solito la scienziata si riposava durante le situazioni critiche particolarmente durature.

Mentre Rei era andata a riposare, la scienziata aveva finalmente raggiunto la sala mensa, dove tutti stavano aspettando solo lei. Salutata Misato, che se ne fu andata subito dopo, Ritsuko si rassegnò a subire i complimenti di tutti per la straordinaria bravura con cui aveva sconfitto l’Angelo. A dire la verità avrebbe preferito un riconoscimento più sobrio dell’avvenimento, ma la decisione dei dettagli della festa non spettava a lei. Shigeru, in piedi sopra un palco di fortuna, si profuse in un discorso di ringraziamento al quale la platea rispose con un lungo applauso e Ritsuko con un timido sorriso. Mentre Maya le si avvicinava per stringerle una mano, come se fosse stata una stella del cinema appena conosciuta, la scienziata si guardò attorno, facendo attenzione a celare il proprio sconforto. Il Comandante Ikari non si vedeva da nessuna parte. La Dottoressa Akagi se l’aspettava, ma ciononostante si sentì amareggiata: di tutti i complimenti che aveva ricevuto quel giorno, gli unici che le sarebbero veramente interessati erano quelli di Gendo Ikari.

Fingendo di essere troppo stanca per reggere il ritmo di quella festa, Ritsuko sgusciò via dalle pressanti attenzioni di Maya per raggiungere una sedia addossata alla parete, accanto ad un tavolo recante alcune caraffe di caffè tenute al caldo. Nonostante l’amarezza, sorrise: la semplice presenza di quegli oggetti familiari testimoniava l’attenzione che tutti nutrivano nei suoi confronti, oltre che la sua natura di festeggiata.

Fu dopo il terzo bicchiere di caffè caldo che cominciò ad avvertire uno strane malessere.

 

Che strano… Eppure il caffè non mi ha mai dato effetti collaterali… Non di questo genere almeno…Forse mi sono trascurata troppo negli ultimi tempi. Il mese scorso ho addirittura saltato il ciclo, a causa dello stress…

 

All’improvviso la colpì una forte contrazione dell’addome, tanto subitanea da costringerla a piegarsi sulla sedia, lasciando cadere al suolo il bicchiere di plastica contenente il caffè che stava bevendo.

 

Ma che diavolo…!

 

Inaspettatamente lo spasmo all’addome scomparve, sostituito però da una violenta nausea che l’afferrò alla bocca dello stomaco. Cercando di non dare troppo nell’occhio, Ritsuko si alzò e si diresse barcollando verso l’uscita della sala mensa. Non rispose neppure ai numerosi complimenti che ancora le venivano rivolti, poiché sapeva che se avesse aperto la bocca non avrebbe potuto reggere alla nausea.

Fortunatamente lì accanto era situato uno dei pochi servizi igienici della Nerv; la Dottoressa Akagi vi entrò di getto, omettendo di controllare se ci fosse qualcuno all’interno, e vomitò copiosamente in un WC. Suo malgrado si sorprese ad analizzare con spirito critico quello che fino a poco tempo prima era il contenuto del suo stomaco, rimpiangendo la perdita di tanto caffè. Quando ebbe finito, si rese conto di stare meglio, e che il bagno era vuoto. Tirò l’acqua e pulì meccanicamente con la carta igienica la superficie del WC e si sciacquò la bocca, ancora troppo scombussolata per formulare pensieri di senso compiuto.

Quando ogni traccia del suo malore fu eliminata, la donna si concesse qualche minuto di calma per riprendere fiato e valutare ciò che le era successo.

 

Accidenti a me, sapevo di non dover esagerare con lo stress… Poi è bastato lo scontro con l’undicesimo Angelo per farmi tracollare. Eppure ho sempre retto bene la fatica, sin da quando ero piccola… Può darsi che l’aver bevuto troppi caffè in questo stato mi abbia giocato un brutto scherzo, ma anche questo sarebbe piuttosto insolito…

 

D’un tratto un pensiero la raggelò.

 

Possibile che sia stata in qualche modo contaminata dall’Angelo?? No, è un pensiero assurdo. Non ho avuto contatti diretti con… quella cosa… e comunque le analisi che ho eseguito su me stessa dopo che il Magi System è tornato in funzione erano negative. No, è senz’altro più probabile che si tratti di un comune virus, o un batterio. Un’influenza intestinale, forse, di un ceppo dalla rapida incubazione. Sì, dev’essere senz’altro così. Nulla di grave. Però è il caso che dia forfait agli altri che stanno ancora festeggiando, così evito di contagiare qualcuno, e vada a riposare a casa.

 

Quando si sentì più sicura sulle gambe, Ritsuko si schiarì la voce e si diede una sistemata ai capelli, ora arruffati. In effetti sentiva ancora un po’ di malessere, ma nulla di paragonabile a quanto era successo poco prima. Con ostentata sicurezza, uscì dal bagno e tornò alla festa, pronta a rassicurare quanti dei presenti si sarebbero preoccupati per lei. E forse, anche a rassicurare se stessa di aver avuto ragione nella diagnosi.

 

 

 

 

Dopo una rapida doccia, Rei indossò la camicia dell’uniforme scolastica, com’era solita fare a casa, e si stese sulla branda che per quella notte sarebbe stata il suo letto. Non era la prima volta che dormiva fuori casa, tuttavia quella notte c’era qualcosa che la faceva stare sveglia, inquieta. Eppure la Dottoressa Akagi aveva concluso che non aveva subito alcun danno né dallo stress per l’invasione dell’Angelo né per l’esposizione all’acqua e all’aria fredde senza protezioni. Anche Gabriel in fondo se l’era cavata bene e non aveva riportato danni, a parte lo shock dovuto all’attacco della sua unità di simulazione ad opera dell’Angelo e agli avvenimenti che erano seguiti. Eppure…

La ragazza cambiò per l’ennesima volta posizione sulla branda, pensando se fosse il caso di fare un giro per lo studio della Dottoressa Akagi. Abbandonò quell’idea quasi subito: si rendeva conto di essere stanca e di aver bisogno di dormire. Alla fine scivolò nel sonno senza accorgersene, ancora turbata riguardo al suo ragazzo. Quella notte fece sogni spaventosi, che però al mattino non lasciarono traccia cosciente.

 

 

 

 

Ignaro di quanto stava accadendo nell’appartamento dei suoi amici, Gabriel, steso insonne sul proprio letto, ripensava agli avvenimenti della giornata, interrogandosi sulla voce misteriosa che aveva udito nella simulation plug.

 

Yrouel…

Era la sua voce, quella…?

La voce… di un Angelo…?

Anche se mi sforzo non riesco a ricordare bene le sue parole.

E’ stato un bene non parlarne alla Dottoressa Akagi, né a Rei o agli altri. Non avrei saputo nemmeno cosa dire.

Se non è stato un caso, il fatto che si sia rivolto a me, quale ne è la ragione?

Come posso saperlo?

Come posso sapere cosa sta succedendo?

 

Esattamente come Rei nella base della Nerv, Gabriel scivolò in un sonno agitato senza trovare una risposta alle sue domande. Però, quella notte sognò una grande luce. Ed un paio di immense ali bianche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

[1]: Citazione dal film “What Women Want”.

[2]: Citazione da Excel Saga.

 

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Capitolo 24
*** L'Ultimo Giorno dell'Uomo: Proemio ***


CAPITOLO 23

CAPITOLO 23

 

L’Ultimo Giorno dell’Uomo: Proemio

 

 

 

 

Sei una cretina.

 

Ecco il senso di colpa che arrivava, ma lei lo zittì subito. Non aveva intenzione di rovinare un momento così bello per un motivo tanto stupido come sentirsi colpevole.

Asuka aprì gli occhi e guardò Shinji, il cui respiro pesante le solleticava le labbra. Il suo volto era arrossato e tremava per lo sforzo di restare appoggiato sulle braccia e non schiacciarla sotto il suo peso. Con gentilezza la ragazza lo spinse a sollevarsi in ginocchio, in modo da poter tornare seduta.

“Ti amo, Asuka,” riuscì a sussurrare lui, tra un ansito e l’altro. “Vorrei restare qui con te tutta la notte.

 

Ci credo. Sei solo tu, oppure è tipico dei maschi non preoccuparsi delle conseguenze delle proprie azioni?

 

La Second Children annuì sorridendo, ma non fu meno risoluta nello spingere via il suo amante.

“Anch’io vorrei che si potesse,” disse, “ma come reagirebbe Misato se ci trovasse così?”

Shinji scosse il capo, prendendo le mani della ragazza tra le sue. “Qualunque cosa dica non può cancellare ciò che provo per te.”

 

Accidenti, perché mi piaci così tanto quando fai il romantico?

 

“E nemmeno ciò che provo io per te,” rispose Asuka, portando una mano a carezzare il volto del ragazzo. “Però almeno per adesso è meglio che non sappia nulla. Credimi.”

Ma cosa c’è di male?” chiese Shinji, con aria preoccupata.

 

A parte il fatto che abbiamo quattordici anni, che siamo entrambi sotto la sua tutela e che anche un semplice brutto voto a scuola potrebbe ribaltare i nostri tassi di sincronia, quindi figurarsi questo, niente…

 

“Non c’è niente di male, Shin-kun,” disse la ragazza, comprensiva. “Però potrebbe fare domande cui per il momento non mi va di rispondere. E poi, abbiamo ancora del lavoro da fare.

Suo malgrado, Shinji annuì alle argomentazioni di Asuka e si districò da lei, riuscendo infine a rimettersi in piedi. Guardò con una punta di imbarazzo il proprio corpo nudo. “Ehm… Forse è il caso che andiamo a darci una lavata prima.”

La Second Children rise e annuì. Si interruppe solo quando avvertì una breve fitta al basso ventre, che le raggelò il sangue.

 

Ops… Credo che abbiamo dimenticato qualcosina…

 

Cercando di celare il proprio turbamento, la ragazza invitò Shinji ad andare per primo in bagno, e questi non se lo fece ripetere due volte. Quando la porta della stanza fu chiusa, Asuka balzò in piedi, scrutando attentamente la federa del divano.

 

Eccola, la stronza.

 

Era minuscola, ma c’era. Una piccola macchia di sangue sulla federa nuova del divano. Si confondeva con le figure multicolori che la decoravano, ma risaltava a chi avesse saputo cosa cercare. Rapidamente, Asuka si aggirò per la stanza cercando qualcosa per tamponare la macchia prima che venisse assorbita dal tessuto. Non trovando di meglio, si costrinse a deglutire e ad afferrare i boxer di Shinji.

 

In fondo, in un certo senso, il danno l’ha fatto lui…

 

Quando ebbe finito la macchiolina di sangue sembrava semplicemente un’ulteriore decorazione della federa, forse leggermente troppo scura, ma abbastanza convincente. In compenso, una piccola zona dei boxer bianchi di Shinji era decisamente ed inequivocabilmente rossa.

In quel momento il proprietario di essi uscì dal bagno. Dallo sguardo e dall’andatura si capiva che si sentiva diverso. Forse si sentiva un uomo. Sorrise alla ragazza inginocchiata davanti al divano.

“Asuka, cosa stai… Ehm, perché hai in mano i miei… MA COS’HAI FATTO??”

Vedendo la macchia di sangue sui boxer, istintivamente il giovane si toccò al basso ventre. Non notando alcuna ferita o perdita sanguigna, guardò interrogativamente Asuka. Quest’ultima gli sorrise come una bambina appena colta in flagrante durante una marachella.

“Ehm… scusami, Shinji, ma mi serviva qualcosa per tamponare…”

Ma ti sei fatta male? E’ tuo quel sangue?”

La ragazza rimase interdetta. Aveva dato per scontato che Shinji sapesse ciò che succedeva ad una donna quando perdeva la verginità, ma a quanto pare si sbagliava.

“Non preoccuparti, è tutto normale, non mi sono fatta male,” rispose, rassicurante. In effetti era vero, si aspettava di soffrire maggiormente. “E’ solo che noi donne perdiamo un po’ di sangue quando… beh… hai capito, no?”

Sorprendentemente, Shinji annuì. “Beh, l’importante è che tu stia bene. Allora non c’è nulla di cui debba preoccuparmi?”

 

A dire il vero c’è, e non è proprio una cosina da nulla.

 

Dopo un attimo di riflessione Asuka risolse di non dire nulla a Shinji riguardo le sue preoccupazioni. In fondo, ormai ciò che era stato era stato, e la ragazza dubitava che il Third Children, nello stato di esaltazione in cui si trovava, si sarebbe ricordato che non avevano usato il preservativo. Mancava solo una settimana all’arrivo del ciclo, sebbene Asuka non fosse mai stata una ragazza puntuale da quel punto di vista, ed allora avrebbe saputo se preoccuparsi veramente oppure stare tranquilla. Fino ad allora avrebbe dovuto solo fingere che tutto stesse andando a gonfie vele.

 

 

Misato era stupita del cambiamento avvenuto in Asuka e Shinji: nell’ultima settimana, dall’attacco dell’undicesimo Angelo, i due sembravano andare più d’accordo del solito. Soprattutto il Third Children era cambiato: sembrava più sicuro di sé, e spesso si offriva spontaneamente di aiutare nei lavori di casa anche quando non era il suo turno. Dopotutto, lui stesso aveva più volte affermato che la donna era ormai per lui come una madre. Dal canto suo, Asuka era insolitamente nervosa, passava più ore di quanto fosse necessario nel bagno e quando era sola aveva cominciato a mangiarsi le unghie. Il Maggiore sospettava che le fosse successo qualcosa di particolare, più probabilmente a tutti e due, e quando si decise a chiedere se si fossero ufficialmente messi insieme fu molto contenta di sapere che aveva visto giusto. Shinji aveva riso ed aveva subito confermato le supposizioni di Misato, ed Asuka aveva a sua volta annuito pacatamente (anche questo era piuttosto strano). Dopo che la donna ebbe insistito molto a lungo i due ragazzi si convinsero a raccontare le circostanze del loro fidanzamento: molto semplicemente, il giorno dopo l’attacco dell’Angelo Asuka e Shinji stavano tornando come sempre a casa insieme quando la Second Children prese in contropiede l’altro, baciandolo e proponendogli di provare a stare insieme ufficialmente, visto che in pratica erano già conviventi da tempo. Ovviamente il ragazzo non aveva esitato ad accettare e a ricambiare con passione quel bacio. Misato aveva il sospetto che non fosse andata esattamente così, viste le occhiate che ogni tanto si scambiavano, ma decise che in fondo non era così importante. Certo, a meno che non avessero fatto qualcosa di profondamente incosciente come andare a letto insieme a quell’età, e magari senza precauzioni: ma in fondo la stessa Misato ne aveva fatte di cotte e di crude prima di mettersi con Kaji in maniera stabile.

Chi faceva veramente preoccupare la donna erano invece Gabriel e Rei. Sebbene stessero insieme ufficialmente già da molto tempo, i due nell’ultima settimana si erano frequentati poco, occupati com’erano con la Nerv. La First Children, in particolare, risultava irreperibile a lungo, nei pomeriggi in cui non studiava da sola a casa, e così pure Ritsuko, impegnate, secondo quanto sosteneva Maya, in analisi complicate e speciali, che non potevano essere interrotte per nessun motivo: il che voleva praticamente dire che la Dottoressa Akagi aveva specificato di non essere disturbata nemmeno dalla sua amica Misato per nessun motivo.

Gabriel, invece, due o tre giorni dopo l’attacco dell’Angelo, fu convocato urgentemente da Ritsuko, forse per verificare ulteriormente che non avesse subito conseguenze dovute al contatto con l’invasore. Da quando era uscito dall’infermeria sembrava maggiormente sollevato, anche se non era ancora tornato vitale come in precedenza. Misato, che ci aveva parlato un paio di volte quando era venuto da lei per studiare con Asuka e Shinji, ricavò l’impressione che lui fosse ancora preoccupato per qualcosa. Forse per Rei, che lo stesso Maggiore vedeva di rado e che appariva molto stanca a causa delle interminabili analisi condotte da Ritsuko. Tuttavia, la donna si considerava ottimista: forse il nuovo livello del rapporto tra Asuka e Shinji l’aveva rallegrata più di quanto credesse, oppure si trattava della notizia che presto Satoshi sarebbe stato dimesso dall’ospedale, oppure ancora che l’unità Evangelion 03 era entrata nella fase finale dell’assemblaggio e quindi sarebbe presto stata operativa, ma Misato si sentiva bene come non le capitava da parecchio tempo. Non si diede nemmeno molto da fare per sapere cosa ne fosse stato di Kaji, che mancava dalla base della Nerv ormai da quasi tre settimane. In fondo era adulto, e sapeva badare a se stesso.

 

 

 

 

Il ragazzino corse a servire lo straniero che aveva ordinato una limonata fresca, ad uno dei tavoli nella veranda del bar, che dava sulla squallida strada del villaggio. Quando fu servito, l’uomo parlò in una strana lingua, che Hakim non conosceva, e qualcosa balenò sul tavolino. Hakim non credeva ai suoi occhi, quando vide un vero dollaro americano brillare al sole spietato della Palestina. Ringraziandolo più volte nella propria lingua, il ragazzino afferrò la moneta e scappò all’interno del locale, chiamando felice a raccolta i suoi amici: ora, probabilmente, era diventato il ragazzino più ricco che conoscesse.

L’uomo lo guardò andarsene con un sorriso, sebbene non avesse capito una parola di quello che aveva detto, poi si asciugò il sudore dalla fronte, scostandosi i capelli castani, e si passò il fazzoletto già umido sul volto, coperto da una corta barba ispida. Bevve un avido sorso dal bicchiere che gli era stato portato prima di aggiustarsi il lungo codino che copriva in parte lo sgualcito gilet color kaki, che tanto si intonava con il colore del deserto e delle case di quel villaggio immerso nel nulla.

Rinfrancato dalla limonata, Kaji si guardò attorno. Subito prima del Second Impact quell’intera zona aveva goduto di un forte sviluppo grazie al turismo, affascinato dall’atmosfera esotica (e soffocante) che si respirava da quelle parti, ma subito dopo l’economia del paese collassò, trasformando l’insieme di villaggi turistici e centri commerciali in una distesa di discariche, indifese di fronte all’avanzata inesorabile del deserto, la cui temperatura ormai non era più mitigata dall’estinto ciclo delle stagioni.

Per l’ennesima volta, Kaji tastò la valigetta, nervosamente. Conteneva molto materiale su cui certe persone di sua conoscenza avrebbero voluto mettere le mani, ad ogni costo, ma lui non aveva ancora deciso se consegnarlo o meno. Naturalmente, si trovava in quel luogo afoso per un motivo ben preciso, sebbene i suoi datori di lavoro non sapessero di cosa si trattasse. Non tutti almeno.

La sgangherata corriera che collegava il villaggio con la città più vicina svoltò con un grido meccanico l’angolo, arrestandosi all’unica fermata visibile. Quando ripartì, solo una persona era scesa. Kaji si rizzò subito dalla sua posizione semi sdraiata sulla sedia. L’uomo che ora si stava guardando attorno spaesato, anziano, piccolo e calvo, portava una valigetta di pelle nella destra, mentre consultava ansiosamente un orologio da polso. L’Agente della Nerv sorrise: molto probabilmente era l’uomo che stava aspettando. Con un sorso solo finì la limonata, poi si alzò, sistemandosi con cura la 9 mm con il silenziatore e il piccolo taser in modo che non fossero visibili, prese la sua valigetta e si avviò verso l’ometto alla fermata della corriera.

“Mi scusi, lei è il Professor Kernberg?” chiese in tedesco, quando fu arrivato presso il suo interlocutore. Questi quasi sobbalzò, poi lo squadrò da capo a piedi, sorrise e rispose: “E lei deve essere il Professor Takazumi, dell’Università di Neo Osaka, giusto?”

Kaji annuì e gli strinse la mano, simulando calore. “E’ un piacere per me conoscere un luminare del suo livello, professore.

L’altro, lusingato, fece un cenno con la mano. “La ringrazio, ma non perdiamoci in chiacchiere. Il suo Rettore mi ha informato di una scoperta sensazionale che ha fatto una vostra équipe, ma non ha voluto informarmi al telefono: ebbene, lei mi può dire di che si tratta?”

Kaji annuì, ma gli indicò di seguirlo verso una strada secondaria. “Gliene parlerò mentre saremo in viaggio: questa cosa merita di essere vista direttamente dai suoi occhi.

Kernberg si illuminò di curiosità scientifica, mentre seguiva il suo sedicente collega verso una jeep parcheggiata poco distante. Nel frattempo, Kaji ripassò rapidamente il complesso sistema di menzogne che il suo datore di lavoro, Gendo Ikari, aveva costruito per quella messa in scena.

 

“Manca ancora molto?” chiese Kernberg, dopo soli venti minuti di corsa sulla strada accidentata che si allontanava dal villaggio. Kaji, alla guida della jeep, scosse il capo. “No, professore, probabilmente saremo sul sito tra circa un quarto d’ora. Intanto, che ne dice di conoscere qualche dettaglio sulla nostra scoperta?”

Quando l’altro annuì entusiasta, Kaji riportò alla mente ciò che aveva concordato con Gendo Ikari, subito dopo che questi aveva telefonato alla Facoltà di Antropologia dell’Università di Lipsia, spacciandosi per il Rettore dell’inesistente Facoltà di Antropologia Mediorientale dell’Università di Neo Osaka. Grazie allo stato di caos in cui versava l’Unione Europea dopo il Second Impact, era molto improbabile che le autorità di Lipsia si scomodassero a cercare prove di un’università che, così aveva spiegato Gendo, era di recente fondazione e non ancora del tutto operativa, né tanto meno di una fantomatica ricerca svolta nel deserto palestinese. E la prospettiva di partecipare ad una scoperta che avrebbe rivoluzionato il panorama antropologico mondiale, viste le precarie condizioni economiche della sua università, aveva spinto il Rettore di Lipsia a mandare il suo miglior studioso, il professor Kernberg, a collaborare con le operazioni sul campo, proprio come sperava Gendo Ikari. Il quale, dal canto suo, aveva mandato il suo miglior agente di sicurezza, nonché spia, ad incontrare l’illustre antropologo tedesco.

“Circa un mese fa,” iniziò Kaji, mentendo, “è stato scoperto un nuovo sito archeologico, non lontano da Qumran, dove, come lei sa, sono state rinvenute le Pergamene del Mar Morto.”

“Pensavo che il territorio fosse stato scandagliato a fondo alla fine del secolo scorso,” lo interruppe Kernberg, “senza che venisse scoperto nient’altro.”

“In realtà gli scopritori del sito sono stati dei minatori locali, che stavano aprendo una nuova mina per sfruttare le risorse minerarie di questa zona del deserto. Per fortuna, alcuni miei colleghi si trovavano sul posto per alcuni studi a Qumran, così quando hanno saputo la notizia ci hanno subito interpellati, ponendo sotto segreto la scoperta fino all’arrivo di una squadra pienamente attrezzata per proseguire gli scavi.”

Kernberg si rabbuiò. “E’ un’indecenza che si debba tenere segreta una scoperta, specialmente se importante, anche ai propri colleghi di altri istituti di ricerca.”

“Ha ragione, professore, ma, come lei saprà, dopo il Second Impact la situazione economica mondiale sta attraversando una crisi terribile, per cui è importante stabilire al più presto il primato su qualunque scoperta possa portare un vantaggio in termini di fama e denaro alla propria università.”

L’altro annuì grave. “Purtroppo è così, caro collega. Spero vivamente che questa situazione si risolva al più presto. Ad ogni modo, non mi ha ancora detto di che cosa si tratta questa famosa scoperta rivoluzionaria.

Kaji sospirò, osservando attentamente e di nascosto la reazione del professore tedesco all’annuncio che stava per fargli. Dopo una voluta pausa, per aumentare la suspence, disse: “Se le dicessi che si tratta di qualcosa che può sconvolgere tutte le nostre conoscenze riguardo le origini delle religioni, cosa mi risponderebbe?”

“Che lei è un gran ciarlatano,” rispose Kernberg, ridendo. “Andiamo, a parte gli scherzi, di cosa si tratta?”

Kaji cercò di restare serio, nonostante, come aveva previsto, la sua affermazione fosse suonata assurda alle orecchie di un esperto in materia. Eppure, se Gendo e i suoi informatori avevano ragione, quella era la pura verità. “Purtroppo il materiale è scritto in una lingua che i nostri studiosi non sono riusciti ad identificare: come sa, la nostra università è ancora in fase di costituzione, e ci mancano linguisti del suo calibro, professore.

Il sorriso morì lentamente sul volto di Kernberg. “Lei non stava scherzando prima, vero?”

Kaji rallentò e lo guardò negli occhi, serissimo. “Quello che le ho detto era la pura verità. Dal poco che siamo riusciti a capire da alcune iscrizioni successive, in aramaico ed in greco, si tratta della più antica versione del racconto della creazione attualmente ritrovata. Esami biochimici ci hanno rivelato che le scritte in questione sono state incise nella roccia almeno seimila anni fa.

Il tedesco rimase a bocca aperta, esattamente come Kaji si era aspettato. Kernberg era un antropologo specializzato nella linguistica mediorientale e nelle religioni antiche, e sapere che un testo religioso risaliva a quattromila anni prima dell’epoca cristiana metteva veramente in forse tutto ciò di cui era stato sicuro fino a quel momento. Prima di riuscire a parlare nuovamente, si dovette umettare più volte le labbra.

E’… E’ proprio sicuro di quella datazione?”

“Per sicurezza essa è stata ripetuta cinque volte, ottenendo sempre lo stesso risultato: le iscrizioni nel sito che stiamo per visitare risalgono a quattromila anni prima della nascita di Cristo, prima ancora che venissero poste le fondamenta delle più antiche piramidi egizie.”

Troppo allibito dalla rivelazione, Kernberg restò in silenzio per il resto del viaggio. Kaji, dal canto suo, preferì non esagerare, ma tenne costantemente d’occhio lo specchietto retrovisore e il desolato panorama circostante: le persone da cui aveva ottenuto le ultime informazioni sulla datazione della scoperta erano pronte a tutto per ostacolare la sua missione. Lui lo sapeva bene.

 

Kernberg passò il resto del viaggio esaminando le fotografie ed i documenti che Kaji teneva nella sua valigetta: i testi erano stati contraffatti in modo da apparire il verosimile rapporto di un’équipe di ricerca dell’Università di Neo Osaka, mentre, naturalmente, la loro provenienza era ben altra. Per quanto ne sapesse Kaji, i veri ricercatori che avevano esplorato il sito probabilmente erano già morti: le persone per cui sia loro che lo stesso Kaji lavoravano non ammettevano sbagli. Per questo l’agente giapponese tendeva ad averci a che fare solo per lo stretto indispensabile.

Lo studioso tedesco guardò per l’ennesima volta la fotografia dell’ambiente angusto che conteneva il segreto di cui gli aveva parlato Kaji: sfocata e male illuminata, la foto mostrava quella che sembrava una caverna naturale, con una persona sulla destra, in abito da speleologo, che poggiava sorridente una mano su una sporgenza della parete, molto simile ad una colonna rozzamente scolpita da mani inesperte. Sulla superficie che si dava alla macchina fotografica, troppo illuminata dalle lampade utilizzate nella scena, si intravedevano delle scalfitture: Kernberg non riusciva a capire di cosa si trattasse, ma era certo che non poteva trattarsi di segni naturali.

Dopo un ennesimo sguardo nervoso allo specchietto retrovisore, Kaji tornò a guardare il professore. Sebbene il materiale fosse sostanzioso, lui era attratto quasi unicamente da quella foto, come se il resto lo avesse già imparato a memoria. Vi erano le fotografie di altre iscrizioni, in aramaico ed in greco, e le rispettive traduzioni in giapponese, inglese e tedesco: tutte confermavano la versione che Kaji gli aveva fornito, sebbene Kernberg, sospettoso di natura, ne fosse ancora incredulo. Tuttavia, la sua anima di scienziato dovette arrendersi all’evidenza e dar credito a quelle parole pressoché assurde: non importava cosa fosse ci fosse in realtà in quella camera, l’uomo fremeva al solo pensiero di vedere, e forse anche leggere, qualcosa che era stato scritto seimila anni prima.

“Tutto bene, Professore?” chiese Kaji, riscuotendolo dai suoi pensieri.

“Sì, Herr Professor Takazumi,” rispose Kernberg. Sono ancora incredulo, devo ammetterlo. Se tutto questo è vero bisognerà riscrivere tutta la storia dell’antropologia, collega, basandosi su quelle incisioni…”

“E’ proprio per scoprire di cosa si tratta e come riscrivere correttamente la nostra storia che l’abbiamo voluta con noi, professor Kernberg.”

L’altro rimase in silenzio, pensieroso. Dopo pochi minuti, Kaji cominciò a rallentare e si girò verso il suo passeggero, visibilmente sollevato. “Professore, siamo quasi arrivati.”

Kernberg sollevò gli occhi sul panorama circostante, ma non notò alcuna rilevante differenza rispetto alle centinaia di miglia di deserto che si estendevano in ogni direzione. Eccezion fatta per una sorta di bassa collina dritto di fronte a loro, quella aveva tutta l’aria di essere un’anonima valle del deserto palestinese, delimitata dalle basse montagne tipiche di quella regione. Di fronte al tumulo verso il quale si stavano dirigendo il terreno sembrava essere stato spianato artificialmente e Kaji sperò ardentemente che il professore non notasse i resti della vettura abbandonata e semisepolta nella sabbia, evidentemente una traccia che i suoi poco diligenti colleghi avevano nascosto male. Fortunatamente, l’attenzione di Kernberg era tutta per la collina centrale.

“Quella struttura,” iniziò quest’ultimo, indicando, “è artificiale?”

Kaji scosse la testa, mentre rallentava e cercava un luogo dove fermarsi che non fosse in piena vista. “Ancora non lo sappiamo, dopo che avremo finito il nostro lavoro verrà una squadra specializzata per studiarla. Ad ogni modo, la grotta che lei ha visto in fotografia si trova proprio lì sotto.”

In effetti, mentre parlava e fermava la jeep dietro una roccia che nascondeva l’imboccatura della valle, una stretta apertura buia si palesò agli occhi dei due uomini.

 

Fortunatamente Kerberg non aveva alcuna esperienza da minatore, ragion per cui non notò che la galleria dentro la quale si erano infiltrati era tutt’altro che strutturata in modo da far passare binari e carrelli carichi di pietre: purtroppo, quando aveva elaborato la versione da fornire assieme a Gendo, Kaji non aveva ancora visitato il posto, quindi non si era reso conto che la storia della scoperta casuale non poteva reggere. Ben presto, comunque, il tratto di roccia scavato di recente lasciò il posto ad una galleria ben più antica, scavata con mezzi vecchi di seimila anni. Ad ogni passo il tedesco si fermava ad esaminare ogni minima sporgenza, credendo di leggervi qualche misterioso carattere arcaico, ed ogni volta Kaji guardava nervosamente l’orologio, illuminato da una lampada alogena montata sul suo casco: sarebbe stato felice di lasciare il professor Kernberg immerso nei propri studi come un bambino in uno sterminato negozio di giocattoli, ma il tempo stringeva. Non era sicuro di quanto i suoi colleghi fossero stati depistati dalle sue informazioni.

Finalmente raggiunsero la sala. Kernberg varcò l’arco alto e stretto che ne segnava l’ingresso trattenendo il fiato, non per il puzzo di chiuso e di polvere di roccia che si sentiva, ma per l’emozione di entrare a far parte di una delle più importanti avventure archeologiche di sempre.

Per una persona come Kaji, abituata all’architettura ampia ed ariosa che aveva preso piede nel Giappone del ventunesimo secolo, quell’ambiente era piuttosto angusto, e pieno all’inverosimile di oggetti: casse di terracotta, pezze di tessuto polveroso accuratamente ripiegate, panche rozzamente intagliate nella pietra e vasi di tutte le forme e dimensioni affollavano le pareti, riducendo lo spazio a disposizione per camminare a pochi metri in linea retta. In fondo al locale stonava un po’ il treppiede metallico e dall’aria decisamente moderna che era stato lasciato lì dagli scopritori della grotta.

Con attenzione, Kaji accese la speciale torcia schermata che non avrebbe danneggiato gli eventuali dipinti presenti e la puntò verso il treppiede: Kernberg, che aveva ripreso a respirare e si era chinato su un vaso che era identificato da un cartellino come ‘Reperto C9’, ebbe quasi l’impressione di svenire, quando la luce investì la tavola. Era una struttura grosso modo rettangolare, alta quasi un metro e mezzo da terra, che sporgeva di un buon metro dalla parete retrostante, ma in quelle condizioni non si sarebbe potuto dire se si trattava di una formazione naturale o un altorilievo artificiale. Sulla sua superficie spiccavano delle tacche regolari, orientate in diverso modo, ma di origine decisamente non naturale.

Titubante, Kerberg avanzò con una mano guantata protesa, a tastare la superficie rugosa della roccia. Aveva la bocca aperta e lo sguardo attonito. Nonostante fosse cosciente del pericolo che entrambi stavano correndo, Kaji si concesse un sorriso. “Come la trova, professore?”

Wundervoll[1],” sussurrò l’altro, senza essersi reso conto di aver parlato in tedesco. “Questo segno potrebbe rappresentare un concetto molto antico di un dio unico, il che vorrebbe dire, se la datazione è corretta, che il monoteismo si è sviluppato molto prima di quanto finora credessimo. Questi invece…”

“Mi dispiace interromperla, professore,” si intromise Kaji, fattosi serio, mentre estraeva un grosso cuneo e un martello dalla pesante borsa di attrezzi che si era portato dietro. “Ma ora dobbiamo sbrigarci a completare il nostro lavoro.

Kernberg si volse, dapprima interrogativo, poi inorridito quando vide l’altro posare su una panca la torcia, in modo che illuminasse fissamente la sporgenza, ed avvicinarsi con gli altri attrezzi. “Che sta facendo?? Non vorrà deturpare un documento importante come questo??”

Kaji scosse il capo, ma non cambiò espressione. “No, devo solo staccarlo da lì e portarlo via, prima che arrivi qualcuno con intenzioni diverse. Come le avevo spiegato, ci sono molti interessi attorno a questo sito archeologico. Vorrei compiere il resto del lavoro con il suo aiuto, herr professor, ma se non se la sente può anche tornare a Gerusalemme a piedi.

L’altro non si scompose. Sembrava che il ritrovarsi in quel luogo gli avesse dato una forza ed un coraggio non indifferenti. “Non posso permetterle di deturpare questo sito archeologico, professor Takazumi.

L’altro uomo rimase impassibile. “Se non lo farò io staccando quella tavola dalla roccia circostante lo faranno gli altri nostri… ‘colleghi’, ma non posso assicurarle che si limiteranno a portare via quel reperto. Potrebbero anche limitarsi a farne delle foto e a distruggerlo, in modo da avere un vantaggio incolmabile rispetto ai concorrenti.

Lo studioso chinò il capo, riflettendo sulle parole che aveva udito. “Fino a che punto siamo giunti per avere l’esclusiva su un segreto importante per l’intera umanità?” mormorò in tedesco. Kaji sapeva che quella non era del tutto la verità, visto che coloro che li inseguivano avevano interessi tutt’altro che archeologici in quella storia, ma aveva deciso che non sarebbe stato opportuno rivelare ciò che sapeva al suo compagno di viaggio: meno quest’ultimo sapeva, più era probabile che se la cavasse senza morire.

Dopo un lungo attimo di riflessione, Kernberg posò di nuovo gli occhi sulle incisioni, come se volesse imprimersi a fuoco quell’immagine nella memoria, poi si volse verso Kaji. “Cominciamo, allora.”

 

 

Ci misero quasi un’ora di lavoro incessante per staccare la superficie incisa dal resto della sporgenza. Alla fine, attentamente, i due uomini posarono la pesantissima lastra che era il risultato del loro lavoro su una tela speciale, che l’avrebbe preservata da urti e scossoni grazie ad una trama di microscopici cuscinetti d’aria. Ora, la sporgenza rocciosa presentava una superficie scabrosa e dai colori minerali più vivi rispetto al resto dell’ambiente, tanto che chiunque avrebbe capito che ne era stata asportata una parte. All’improvviso, l’intera grotta sembrava aver perso l’alone di sacralità che aveva affascinato il professor Kernberg.

Con estrema attenzione avvolsero la tavola nella tela protettiva e la inserirono in una sorta di borsa, progettata per resistere anche ai colpi di pistola, quindi abbandonarono sul posto gli attrezzi che non sarebbero più stati utili e si diressero lentamente verso la superficie, Kaji davanti e il professore dietro, reggendo tra loro il voluminoso fardello.

Quando emersero all’aria aperta il sole, che in quell’area ed in quel periodo dell’anno tramontava molto tardi, li accecò per qualche attimo, costringendoli a fermarsi per riprendere fiato. Non appena l’Agente della Nerv si fu abituato alla luce, scrutò l’orizzonte, nervoso. Emise solo una lieve imprecazione in giapponese quando vide, in fondo alla valle, a circa un chilometro di distanza, una grossa nuvola di polvere alzarsi dal terreno dietro a due minuscoli puntini neri che avanzavano sobbalzando sulla strada accidentata.

Che succede?” chiese Kernberg, che si trovava più in basso e si era concentrato a riprendere fiato e a spolverarsi sommariamente dalla sabbia fine e fastidiosa che gli aveva invaso gli abiti.

“Il nostro tempo è scaduto, professore,” fu la risposta.

Procedendo quanto più rapidamente possibile i due raggiunsero la jeep e caricarono la tavola sul suo retro, dove prima si era trovata la borsa con gli attrezzi. Senza attendere che lo studioso si fosse allacciato la cintura di sicurezza, Kaji accelerò sollevando un’alta nuvola di polvere dietro di sé e sfrecciando lontano dalla grotta, in direzione opposta ai suoi inseguitori. Quando però vide che con la destra il suo sedicente collega aveva estratto una 9 millimetri con silenziatore e stava mettendo in canna il primo colpo, Kernberg si lasciò sfuggire un’esclamazione.

“Ma che razza di archeologo è lei??[2]” stridette, in preda al panico.

“Uno che non segue i manuali,” fu la sbrigativa risposta, fornita mentre l’uomo si girava per valutare la distanza degli inseguitori. Nonostante stesse spingendo al massimo l’automobile, gli altri si stavano avvicinando. “Sa usare questa?” chiese al suo compagno di viaggio, agitando la pistola.

“Ma per chi mi ha preso,” rispose questo, scuotendo animatamente il capo, “per Indiana Jones??”

Kaji se l’aspettava, ma sapeva che la speranza era l’ultima a morire.

Non appena il panorama attorno a loro si fece maggiormente pianeggiante (una distesa ininterrotta di sabbia e rocce che proseguiva fino alle lontane ed evanescenti montagne) Kaji si voltò e, tenendo il volante solo con la destra, sparò due colpi verso le vetture inseguitrici, che nel frattempo erano diventate tre. Ovviamente non capì se aveva colpito qualcosa o meno, ma le grida isteriche del piccolo tedesco lo costrinsero a riportare l’attenzione sulla strada.

Ma è impazzito?? Guidi o spari, non faccia entrambe le cose contemporaneamente! Non siamo in un film d’azione!”

Kaji cominciava a trovare irritante il viaggiatore al suo fianco, ma non aveva intenzione di perdere tempo a rispondere alle sue provocazioni. Stava cercando di non morire.

All’improvviso, una nuvola di polvere si alzò in linea retta di fronte a loro, evidenziando una scia di proiettili che attraversò il tragitto. L’Agente della Nerv sterzò bruscamente, e ogni parte della jeep stridette come in protesta, ma non poté impedire che alcuni colpi perforassero uno pneumatico e il cofano. Un rombo tremendo annunciò che il motore era stato danneggiato, e la ruota distrutta dal calore e dal piombo minacciava di far ribaltare il veicolo ad ogni sterzata. Nonostante Kernberg che strillava di terrore al suo fianco, Kaji cercò di analizzare la situazione, per cercare una via di fuga. Quasi subito si rese conto che i suoi inseguitori avevano vinto. Proseguendo così avrebbe solo attirato più facilmente i proiettili nemici, oppure avrebbe perso il controllo della jeep, ed il risultato non sarebbe cambiato. Lentamente, tolse il piede dall’acceleratore e premette piano quello del freno, in modo da rallentare senza frenare bruscamente e cappottarsi.

Ed ora che fa??” gridò Kernberg, la testa seminascosta dalle mani guantate.

“Mi dispiace, professore,” si scusò il guidatore, per una volta sincero, “ma la corsa è finita.”

Lo studioso tedesco rimase a guardare attonito il grosso elicottero dalla foggia mai vista che atterrava di fronte a loro, mentre alle loro spalle le tre jeep nere che li avevano inseguiti rallentarono fino a fermarsi ad una distanza di sicurezza. Dalle vetture scesero alcuni uomini in tenuta da soldato, il cui volto era nascosto da una visiera nera, che puntavano verso di loro dei fucili ed emettevano ordini che però erano inintelligibili a causa del frastuono provocato dall’elicottero. Con lentezza, Kaji sollevò le mani sopra la testa, ben visibili, l’indice della mano sinistra tenuto ben lontano dal grilletto della pistola.

“Scendete dall’auto, muovetevi!” finalmente si riuscì ad udire, ed i due inseguiti non se lo fecero ripetere ancora. Kernberg alzò le mani sopra la testa, pensando a cosa avrebbe dovuto dire al comandante di quei mercenari, poiché quasi di sicuro si trattava di mercenari al soldo di qualche ricca fondazione archeologica. I militari del posto non erano così ben equipaggiati, e francamente lo studioso faticava a immaginare un qualunque stato estero tanto interessato ad un argomento politicamente bistrattato come l’archeologia da mobilitare le proprie forze armate. Ilprofessor Takazumi’, della cui identità Kernberg aveva cominciato a dubitare seriamente, scese a sua volta dalla jeep, gettò l’arma a terra e tenne le mani bene in alto, in modo che fossero ben visibili. Non mostrava emozioni sul suo volto dalla barba incolta.

Sulla parete del grosso elicottero si aprì uno sportello e scesero due soldati identici a quelli che li avevano inseguiti, ma dietro di loro avanzò un uomo in un elegante completo, con giacca, cravatta e pantaloni neri e una camicia bianca, che indossava un paio di occhiali scuri e puntava con la mano destra una pistola automatica nella loro direzione in modo noncurante, come se compisse quel gesto per un qualche protocollo, senza che ce ne fosse realmente bisogno. In fondo, almeno una dozzina di fucili d’assalto minacciava i due fuggitivi, che non avrebbero potuto ribellarsi anche volendolo.

“Bene, bene,” iniziò l’uomo in nero, in inglese con uno strano accento. La sua voce acuta grondava di ironia. “Sembra che nonostante le tue informazioni erronee siamo riusciti a trovarti, Ryoji.”

“Anch’io sono contento di rivederti, Roland,” rispose Kaji, sorridendo amaro.

Accigliatosi, l’uomo identificato come Roland fece loro cenno di avvicinarsi, al che i due prigionieri obbedirono senza fiatare. Solo quando furono fianco a fianco di fronte a lui Kernberg trovò il coraggio di parlare.

“Io sono Hans Kernberg, professore emerito di Storia Antica Mediorientale all’Università di Antropologia di Lipsia,” iniziò, ergendosi in tutta la sua scarsa statura e cercando di sembrare sicuro di sé. “State ostacolando un’operazione archeologica di enorme importanza a livello internazionale, e sponsorizzata dal mio ateneo. Spero che abbiate un buon motivo per trattare me e il mio collega in questo modo, o altrimenti il governo tedesco pretenderà seri provvedimenti.”

“Stia zitto, professore,” lo interruppe Kaji, senza guardarlo. “Lei non sa con chi ha a che fare.”

“Precisamente,” puntualizzò ‘Roland’, poi, rivolgendosi all’Agente della Nerv, “e ti sarei grato se non mi chiamassi con quel nome mentre sono in servizio.”

“Come vuoi tu, Recuperatore Delta,” fu la risposta di Kaji, pronunciata a denti tanto stretti da essere quasi incomprensibile. L’altro sorrise e annuì compiaciuto. “Così va bene,” disse, per poi riportare l’attenzione sull’ometto calvo di fronte a lui. “Dunque lei è il famoso professor Kernberg?”

L’interpellato annuì titubante, avendo perso tutta la baldanza con cui poco prima aveva enunciato le sue credenziali. ‘Roland’ Delta mosse il capo a sua volta, senza perdere il suo sorriso irritante. “Credo allora che lei potrà ancora esserci utile.

Kernberg prese quelle parole come un condannato a morte prende un’assoluzione. Gli cedettero quasi le gambe al pensiero che, essendo per loro utile, non gli avrebbero fatto del male. Non osava però chiedersi cosa sarebbe successo una volta che la sua utilità si fosse esaurita…

“Quanto a te, Ryo-chan,” riprese l’uomo in nero, “devo dire che ci hai dato molti fastidi ultimamente… I nostri capi hanno incominciato a chiedersi per chi lavori davvero.”

“Ovviamente io non farei bene il doppiogioco se si capisse subito da che parte sto,” rispose Kaji, sorridendo beffardo. “Comunque non ho bisogno di ordini da nessuno per metterti i bastoni tra le ruote, Delta; lo faccio volentieri di mia spontanea volontà.”

L’uomo in nero non smise di sorridere, ma ripose la pistola nella fondina ascellare per poi assestare un violento manrovescio all’Agente della Nerv, che si sbilanciò fin quasi a cadere a terra. Tossì e sputò del sangue sulla sabbia, ma quando tornò a guardare il suo aggressore sorrideva ancora, contento di averlo provocato fino a quel punto. L’altro invece aveva smesso di sorridere.

“Dovrei lasciarti qui a marcire nel deserto, dannato bastardo,” sibilò contro Kaji. “Ma potresti ancora esserci utile. Sappi però che il tuo lavoro come infiltrato non durerà all’infinito. Dopo quelle parole si rivolse ai soldati in una lingua che né lo studioso tedesco né il sedicente professore di Neo Osaka conoscevano, e quattro di quelli raggiunsero la jeep dei fuggiaschi. Con attenzione, sollevarono il grosso involto che conteneva la preziosissima tavola, e Kernberg dovette sforzarsi a reprimere la rabbia mentre li osservava caricarla nell’elicottero. Dopo tutta la fatica che aveva fatto per arrivare al cospetto di quel tesoro inestimabile, quei pirati, chiunque fossero, si sarebbero presi il merito e la gloria di quella fondamentale scoperta, senza considerarne la strumentalizzazione per qualsiasi fine abietto che avessero voluto. Non poteva accettarlo! Il suo animo di studioso si ribellava a quello stato di cose!

“Professor Kernberg,” riprese Delta, dopo aver supervisionato le operazioni di spostamento della tavola. L’interpellato sobbalzò, quasi come se temesse che l’altro avesse letto nella sua mente i suoi propositi di ribellione. Quando ebbe riottenuto la sua attenzione, il Recuperatore proseguì. “Credo che ormai si sia reso conto che io non lavoro affatto per una semplice università. E credo anche che si immagini cosa le sta per capitare.”

Quasi al rallentatore, Kernberg vide Delta fare un cenno a colui che credeva essere un collega archeologo e questo, con una frase di scusa sulle labbra, estrasse un piccolo oggetto scuro da una tasca, porgendoglielo. All’istante avvertì una potente scarica elettrica attraversargli il corpo ed il sistema nervoso, facendolo cadere in preda alle convulsioni. L’ultima sensazione che provò prima che l’oblio lo inghiottisse fu la certezza che Takazumi non era affatto un professore universitario.

 

 

 

 

Ritsuko batté distrattamente una sequenza di tasti sul suo terminale, poi finì di sorseggiare il suo caffè freddo. Era quasi mezzanotte, ma ne avrebbe avuto ancora per almeno un’ora. Ma non era a questo che stava pensando. Quel pomeriggio aveva convocato Gabriel, ufficialmente per una visita di controllo, ma in realtà per sapere come facesse a conoscere il nome dell’undicesimo Angelo. In realtà, lei stessa era a conoscenza di quel nome da prima dell’attacco. Anzi, dal momento in cui aveva preso il posto di sua madre nella Nerv. Però i documenti in cui erano riportati i nomi di tutti gli Angeli, e non solo quelli che erano già stati affrontati, avrebbero dovuto essere top secret, a conoscenza solo della stessa Dottoressa, del Comandante Ikari e dei membri della Commissione per il Perfezionamento. Anche se il ragazzo fosse venuto in qualche modo a conoscenza dei cosiddetti “nomi in codice” degli Angeli, lei non sapeva proprio come spiegarsi la sua conoscenza del nome di Yrouel.

Ritsuko fu distratta dai suoi pensieri da un rumore sordo ed echeggiante. Dall’interno della capsula di sintesi ricolma di LCL, Rei stava bussando sulla superficie trasparente, un’espressione a metà tra l’incuriosito ed il preoccupato. “Va tutto bene, Dottoressa?” chiese, la voce deformata dal liquido e dalla parete del grosso tubo. La donna annuì, tranquillizzante. “Sì, tutto bene, sono solo un po’ stanca.

Anch’io, sono quasi tre ore che sono chiusa qui dentro…”

“Hai ragione, però il Dummy System deve essere completato il più presto possibile, il che comporta un surplus di lavoro sia per me che per te.

Dall’interno della capsula, Rei sorrise e tornò a chiudere gli occhi. La scienziata doveva ancora abituarsi alla nuova modalità di relazione della First Children: fino a poco tempo prima le ore di lavoro al Dummy System scorrevano in un silenzio quasi religioso, senza che Rei si interessasse di alcunché o esprimesse le proprie idee. Se da un lato ciò migliorava la sua performance grazie all’accentuata concentrazione, dall’altro dover rimanere per ore in silenzio a ticchettare su un terminale era per Ritsuko una tortura. Specialmente lavorando in quel luogo, e a quello scopo.

“Dottoressa,” chiamò di nuovo la ragazza, “come sta Gabriel?”

Ritsuko si distrasse dal proprio lavoro e guardò Rei, piacevolmente sorpresa: era raro che la First Children le parlasse esplicitamente del suo ragazzo, e non era mai capitato durante i test per il Dummy System.

“Sta bene, non preoccuparti,” fu la risposta. “L’ho visitato oggi e non ho trovato nulla da segnalare.

Rei fece segno di aver capito. “Sono contenta. Sa, ultimamente era così ansioso… Temevo davvero che ci fosse qualcosa che non andava.

“Quel ragazzo è sano come un pesce, non hai di che preoccuparti. Ora però concentrati, così finiremo prima.

Per tutta risposta Rei continuò a parlare. “E di lei che mi dice, Dottoressa?”

Presa in contropiede, Ritsuko esitò, guardando stupita la ragazza. “In che senso?”

“La vedo un po’ pallida. Non è solo per l’interferenza di questa capsula, anche in altri momenti la vedo strana.

“Anche di questo non c’è da preoccuparsi, Rei,” la tranquillizzò subito la donna. “Sono solo stressata, più del solito.”

“Dovrebbe riposarsi di più, nel suo tempo libero. Bisogna avere più cura di se stessi.”

“… Lo terrò presente, Rei, grazie. Ora però concentrati.”

Il fatto di aver ricevuto un consiglio del genere proprio dalla First Children avrebbe dovuto far vergognare Ritsuko, ma in quel momento le sovvenne in mente il problema che la ragazza aveva evidenziato: la stessa Dottoressa aveva notato di essere lievemente deperita negli ultimi giorni, ma, a parte la mattina presto, non aveva più accusato sintomi simili a quelli della festa per la sconfitta dell’Angelo. Ragion per cui aveva scartato l’ipotesi di un’infezione e aveva ritenuto più probabile imputare allo stress eccessivo la causa di quei suoi malesseri. Aveva ripetuto numerose analisi su se stessa per alcuni giorni onde avere la certezza che non ci fosse stato alcun possibile avvelenamento o infezione da parte dell’Angelo, e tutti i test avevano dato esito negativo. L’unica causa plausibile restava lo stress. Riprendendo a lavorare, Ritsuko decise che avrebbe dato ascolto a Rei e si sarebbe concessa un maggior numero di periodi di riposo.

Quanto a Gabriel, invece, alle sue domande riguardanti Yrouel aveva risposto che, semplicemente, era come se l’Angelo stesso, per il breve momento in cui erano stati in contatto, gli avesse detto come si chiamava.

Dal momento che lui non aveva chiesto spiegazioni, Ritsuko aveva evitato di far notare come l’Angelo conoscesse già il suo supposto ‘nome in codice’, sebbene esso non fosse ancora stato ufficialmente deciso. Sensibilmente più rilassato di quando era entrato in infermeria, Gabriel se n’era andato, dopo aver chiesto notizie di Rei e dopo alcuni esami di routine. Dal canto suo, Ritsuko gli aveva fornito i ragguagli richiesti volentieri, tanto più che le generali condizioni della First Children non rientravano nelle informazioni riservate.

Circa un’ora dopo, la Dottoressa Akagi si sgranchì il collo anchilosato e decise che per quel giorno poteva bastare. Diede l’ordine di spegnimento al terminale e scollegò il Magi System, dopodiché segnalò a Rei che poteva rilassarsi.

“Finalmente!” commentò quest’ultima. La scienziata sorrise di fronte all’esasperazione della ragazza, sentimento che condivideva a sua volta. All’improvviso, fu presa dal desiderio di stare più a lungo con la First Children, come se si fossero appena conosciute.

“Rei,” chiamò, mentre la capsula di sintesi si svuotava dall’LCL. “Che ne dici se andiamo a mangiare qualcosa in un ristorante aperto fino a tardi? Ti firmerò io la giustificazione per non presentarti a scuola, domani.

La ragazza guardò la donna a bocca aperta. Era la prima volta che riceveva un invito del genere da Ritsuko. Per un istante esitò, pensando che sarebbe stato meglio se si fosse riposata in vista dei prossimi esami, ma poi decise di accantonare quel pensiero.

“Accetto,” rispose, sorridendo, mentre la capsula si apriva permettendole di uscire.

 

 

 

 

Gabriel era disteso sul proprio letto, a torso nudo, con indosso solamente i calzoni dell’uniforme scolastica, insonne, pensando e ripensando a ciò che gli aveva detto Ritsuko. La donna aveva concluso che non ci sarebbero state conseguenze al suo contatto mentale con l’Angelo ed era sembrata soddisfatta della storia che lui le aveva raccontato, in merito a come era venuto a conoscenza del nome di Yrouel.

 

E’ da quella notte che non riesco più a dormire decentemente…

 

Il Fourth Children sospirò e si girò su un fianco.

 

Non sono del tutto sicuro che le cose siano andate davvero come ho raccontato alla Dottoressa Akagi, me ne rendo conto fin troppo bene.

 

Pensieroso si alzò dal letto e si spostò verso la finestra. I raggi della luna si riflettevano sulla sua pelle chiara, creando una serie di lucenti riflessi tra i capelli. Guardando l’astro nella sua fase calante, non poté fare a meno di porsi un inquietante interrogativo.

 

Sono proprio sicuro che me l’abbia detto lui… e non che io già lo sapessi…?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]Meraviglioso’ in tedesco.

 

[2] Una precedente versione di questo capitolo riportava una diversa risposta da parte di Kaji: “Ha presente Indiana Jones? Ecco, di quella stessa razza.”

 

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Capitolo 25
*** Padri ***


CAPITOLO 24

CAPITOLO 24

 

Padri

 

 

 

 

Quando Kernberg riprese conoscenza si rese conto di avere un tremendo mal di testa, e di non trovarsi più nel deserto. L’ultima cosa che si ricordava era il sedicente professor Takazumi che lo colpiva con un taser, sotto gli occhi del Recuperatore Delta. Poi doveva aver perso i sensi e doveva essere trasportato altrove, poiché l’ambiente in cui si trovava era completamente diverso dalla Palestina. Sebbene avesse ancora indosso i suoi abiti, era stato accuratamente ripulito dalla polvere del deserto e giaceva su un letto a una piazza, dalle coperte linde che erano state insozzate dallo sporco che non era stato possibile rimuovere dal suo corpo. Il letto si trovava lungo una parete di una stanza cubica e nera, priva di qualsiasi caratteristica tranne una porta di metallo con una minuscola feritoia in alto, da cui filtrava una debole luce, e un minuscolo WC grigio in un angolo. Le scarpe gli erano state tolte e giacevano ai piedi del letto, mentre la sua borsa non era in vista. Nell’aria aleggiava uno strano odore, come di disinfettante, ma il silenzio era così opprimente che l’uomo si sentì costretto a sollevarsi a sedere facendo frusciare volontariamente le lenzuola e gemendo, quasi per confermarsi di non essere rimasto sordo.

Fuori dalla porta si udì un brusio indistinto, segno che probabilmente quella cella (poiché Kernberg era quasi sicuro che di una cella si trattasse) era sorvegliata. Guardingo, indossò le scarpe e si alzò.

“Pretendo di parlare con qualcuno,” comandò, con tutta l’autorità che riusciva ad esprimere in quel momento, che a dire la verità non doveva essere eccessiva. Tuttavia udì dei passi sommessi allontanarsi, senza dargli una risposta.

Rimase in attesa per più di un’ora, un’ora in cui un ostinato silenzio si opponeva costantemente alle sue pressanti richieste, di qualsiasi genere esse fossero. Stava per decidersi a picchiare violentemente i pugni contro la porta, quando sentì nuovamente dei passi, questa volta in avvicinamento. Guardingo rimase in attesa. Poi una voce roca si espresse in una lingua che lo studioso dapprima non riuscì ad identificare. Quando si rese conto di che linguaggio si trattasse gli girò la testa: qualcuno si era appena espresso in aramaico antico, sebbene con un assurdo accento tedesco, ordinando a qualcun altro di aprire la porta e tenersi pronto. La serratura scattò all’improvviso ed il pannello di metallo scivolò nella parete, mostrando allo sconcertato professore un corridoio scuro fiocamente illuminato, le cui pareti, pavimento e soffitto sembravano un pezzo unico di un materiale simile alla plastica, ripiegato su se stesso fino ad assumere una forma estremamente regolare. Lui non poteva saperlo, ma sospettava che se avesse misurato le proporzioni di quell’ambiente avrebbe rilevato una concordanza quasi perfetta con qualche proporzione matematica, come la sezione aurea. Tutto ciò denotava una personalità attenta ai particolari in modo maniacale, ossessivo. Per quanto si sforzasse, il professore non notò sul pavimento lucido alcuna traccia di polvere o sporcizia. Ai lati dell’uscio si trovavano due soldati, in tutto e per tutto simili a quelli che lo avevano fermato nel deserto, impassibili nelle loro uniformi nere e lucidate, dalla visiera che ne celava le fattezze. Entrambi reggevano un fucile d’assalto dall’aspetto moderno, ma il cui modello Kernberg non riuscì ad identificare. Tra loro si trovava un uomo alto e magro, all’apparenza più anziano dello scienziato tedesco, che lo guardava con un sorriso enigmatico, a metà tra il benevolo e il derisorio. Era quasi calvo, salvo una striscia di capelli grigi lasciati piuttosto lunghi sulla nuca, ed aveva un naso molto lungo, quasi sproporzionato. Indossava una sorta di uniforme, anche se Kernberg non riuscì a capire a quale organizzazione si riferisse.

“Finalmente ci incontriamo, professore,” esordì il nuovo venuto, in un tedesco così perfetto da risultare evidentemente come la sua lingua madre. “La prego di seguirmi.”

Kernberg non si scompose. “Se lei è il capo di questa associazione criminosa che mi ha rapito, la informo che si è appena inimicato il governo tedesco. Pretendo una spiegazione a questo stato di cose.

L’altro si limitò a sorridere maggiormente. “Le assicuro che il governo tedesco non ha alcun potere su di me, semmai è vero il contrario. E mi sembra anche superfluo farle notare che lei non è nella condizione di poter pretendere alcunché. Ora, se vuole gentilmente seguirmi…”

Con un gesto cortese, l’uomo gli fece cenno di accompagnarlo verso la parte alla propria destra del corridoio. Decisamente spaventato, ma desideroso di non darlo affatto a notare, Kernberg fece un passo avanti, fuori dalla porta, che si chiuse subito alle sue spalle. Da entrambi i lati il corridoio proseguiva apparentemente all’infinito, intervallato regolararmente da fioche lampade puntate verso il soffitto, sicché l’illuminazione generale risultava scarsa. Il suo ‘ospite’ lo stava aspettando immobile, con il suo odioso sorriso sulle labbra, per cui lo studioso non poté fare a meno di avviarsi nella direzione da lui indicata. Dietro di loro, i due soldati li seguivano ad una certa distanza, muti.

Cosa volete da me?” chiese Kernberg, senza preamboli.

“Lo scoprirà presto, professore,” fu la risposta del suo interlocutore.

“Ma chi siete?” proseguì lo scienziato, desideroso di ottenere tutte le informazioni che poteva prima di pensare ad un possibile piano di fuga. L’altro esitò un po’ prima di rispondere, e quando lo fece dal suo tono traspariva una nota di ironia.

“Può considerarci un’associazione per la preservazione del sapere,” rispose. “Ovviamente, noi non siamo solo questo, ma gli altri nostri interessi non la riguardano.

Mercanti di reperti archeologici, pensò Kernberg con disprezzo. In passato aveva già avuto a che fare con simile feccia, che si accaparrava gli oggetti più antichi e preziosi per venderli al miglior offerente, che fosse un ente pubblico o un collezionista privato.

E voi preservate il sapere distruggendo reperti dal valore inestimabile?” chiese provocatoriamente, ricordando le parole di Takazumi. L’altro questa volta rise apertamente.

“Professor Kernberg, un uomo come lei dovrebbe capire l’importanza della pragmatica. Avere una copia perfettamente fedele ma più versatile dell’originale è molto meglio che detenere l’originale stesso, no?”

Lo studioso non rispose. I mercanti di reperti con cui aveva avuto a che fare fino ad allora erano più interessati ai soldi che potevano ricavare da una vendita, rispetto alle informazioni contenute in un oggetto, e d’altra parte né i collezionisti né le fondazioni più prive di scrupoli avrebbero accettato una semplice copia di un manufatto antico.

Dove siamo?” proseguì, continuando a raccogliere informazioni e accantonando per un momento i suoi dubbi.

“In un certo senso, non siamo in nessun luogo. L’uomo dal lungo naso guardò con aperto divertimento l’espressione sconcertata apparsa sul volto di Kernberg, e si godette per un momento quell’attimo di disorientamento prima di proseguire. “L’installazione in cui ci troviamo si trova alcuni chilometri sottoterra, al di fuori della legislazione di qualsiasi stato, e nessuno ne conosce l’ubicazione esatta. Nessuno tranne noi, ovviamente.”

Kernberg non aveva mai creduto alle leggende riguardanti l’Area 51, ma il ricordare tali dicerie proprio in quel momento gli fece scendere un brivido freddo lungo la schiena.

“Non vedo l’ora di sapere per quale motivo gente come voi ha bisogno di uno come me,” disse beffardo, anche se in realtà avrebbe preferito fuggire al più presto senza sapere nulla di tutto ciò. “Signor…?”

Hillmann,” si presentò il suo interlocutore, senza dubbio fornendo un nome falso. “Può chiamarmi Hillmann. Comunque, siamo quasi arrivati.”

Sul lato sinistro del corridoio si apriva un arco, che conduceva, dopo un breve tratto, ad una massiccia porta metallica, sorvegliata da due soldati, che si misero sull’attenti non appena li videro. Kernberg notò come la porta a doppio battente che sbarrava loro il passo fosse simile a quelle dei caveau delle banche: con il suo aspetto massiccio dava infatti l’impressione che custodisse una grande ricchezza. Hillmann lo toccò sulla spalla, fermamente, affinché si fermasse mentre lui proseguiva a ridosso della porta stessa. Quando si fermò e si voltò il suo sorriso era sparito, sostituito da un’espressione seria.

“Professor Kernberg,” iniziò, “centinaia di persone morirebbero, ed altre centinaia ucciderebbero per oltrepassare questa porta. A lei non verrà richiesto né l’una né l’altra cosa: si ritenga una persona fortunata.”

Lo studioso annuì, contagiato dal senso di solennità delle parole dell’altro uomo. Doveva essere stato un abile oratore in passato, sebbene, per quanto si sforzasse, Kernberg non riusciva a ricordare alcuna occasione pubblica in cui l’avesse potuto vedere.

Hillmann passò una sorta di tesserino su un rilevatore ottico, e un rumore elettronico confermò la lettura di esso. In risposta a ciò i due battenti scivolarono con un ronzio all’interno delle pareti, liberando il passaggio. Soffocando un’esclamazione, lo studioso tedesco notò che quei pannelli erano spessi almeno un metro, risultando praticamente impossibili da forzare. Con un brivido, si rese conto che quelle porte erano state costruite per resistere anche ad un attacco portato con mezzi non convenzionali. Armi nucleari, forse anche più potenti.

Hillmann varcò la soglia e fece cenno all’altro tedesco di seguirlo. Quando anch’egli ebbe superato i battenti, essi cominciarono a richiudersi, lasciando fuori i quattro soldati.

“Non porta con sé i suoi cani da guardia?” commentò, sprezzante, mentre la pesantissima porta si chiudeva con un rumore secco, isolando l’ambiente.

“Non possono entrare in questo luogo,” rispose l’altro. “Come avrà intuito, sono in pochi ad averne l’autorizzazione. D’altra parte, anche se decidesse di aggredirmi per fuggire, la informo che questa sezione è del tutto isolata dall’esterno, ed ogni tentativo di abbandonarla senza il mio permesso o quello di uno dei miei colleghi verrà punito severamente. Le consiglio di collaborare, finché tutto questo non sarà finito.”

Nella propria mente Kernberg imprecò di nuovo: forse quell’individuo aveva interpretato correttamente le sue domande, comprendendo la sua intenzione di fuggire. Se le sue parole corrispondevano a verità, tuttavia, la sua speranza di abbandonare quel luogo non appena fosse riuscito a liberarsi dell’attenzione dei suoi carcerieri si sarebbe rivelata vana.

Rifiutando di lasciarsi sormontare dallo sconforto, seguì risolutamente il suo accompagnatore scrutando l’ambiente circostante, immerso in una fastidiosa semioscurità che celava i dettagli e confondeva i contorni. A prima vista si sarebbe detta un’ampia cavità naturale, ma concentrandosi Kernberg riuscì a notare come in realtà si trattasse di una vastissima sala, il più grande ambiente chiuso che avesse mai visto. Dal bordo del pavimento pentagonale irradiava una linea di luce azzurra, che si rifletteva (oppure si trattava di un’altra fonte di luce?) sul soffitto, situato ad almeno trenta metri sopra la sua testa, rilucendo all’interno dell’ambiente e dando l’impressione che ovunque si stendesse una lieve nebbiolina. Sulla parete destra più vicina al lato dal quale Kernberg era entrato si aprivano numerose porte a vetri, che davano su ambienti meglio illuminati e ricchi di scaffali, sui quali si alternavano apparentemente senza ordine rotoli di carta o pergamena dall’aria molto antica con incunaboli[1] medievali, volumi moderni e schedari dotati di etichette che, a causa della distanza, risultavano illeggibili. Qua e là tra gli scaffali si aggiravano figure in camice bianco, prelevando con cura i documenti o riponendoli. Ognuna di quelle persone, oltre al camice integrale, indossava anche una mascherina e degli occhiali, come si muovessero in un ambiente sterile.

Sulla parete di sinistra invece dominava una balconata che correva lungo tutto il muro, sorretta da alcuni pilastri a base quadrata, di colore nero. Sotto il porticato che si veniva così a formare si apriva una porta simile a quella d’entrata, sebbene dall’aria meno massiccia. Sulla piattaforma invece spiccava una luce più adeguata al lavoro, e sembravano essere disposte numerose consolle, attorno a cui si aggiravano alcuni individui, che a causa della distanza sembravano minuscole formiche intente nelle mansioni quotidiane per soddisfare la loro regina.

La parete alle sue spalle, invece, risultava completamente spoglia ed oscura, ad eccezione della porta da cui era entrato, e sembrava incombere con una massa inconcepibilmente grande sull’ambiente, come una terribile bestia in agguato. All’incirca a metà del pavimento si aprivano due giganteschi e profondi pozzi oscuri, che si estendevano dai due lati rimanenti della sala ad uno stretto ponte dotato di corrimano che si protendeva a dividerli. Le pareti delle due cavità erano costellate di spie rosse dalla funzione sconosciuta, che però sprofondavano perdendosi in lontananza. Dai muri che costituivano le pareti più lontane dei pozzi sporgevano dei rigonfiamenti regolari, su cui scorreva la balconata di sinistra, incurvandosi e circondandoli. In questo modo la parte superiore delle sporgenze era nascosta alla vista di Kernberg, che riusciva solo a vederne la sommità: due protuberanze argentee e slanciate, dalle forme regolari, che però all’uomo che le osservava suggerirono un senso di minaccia incombente, come le garguglie sulle cattedrali francesi che un tempo aveva visitato, prima del Second Impact.

In fondo al ponte che lui e Hillmann stavano attraversando si intravedeva una porta rosso scuro le cui dimensioni ridotte apparivano quasi ridicole in mezzo a tanta vastità. Sopra ad essa, alla confluenza delle due pareti laterali e in corrispondenza del vertice del pentagono che fungeva da pianta della stanza, emergeva dal materiale plastico, che sembrava costituire l’unico tipo di superficie utilizzata in quella base sotterranea, una terza sporgenza, gemella delle due che la fiancheggiavano, che si elevava fino quasi all’alto soffitto ed ospitava un’altra struttura argentea, simile alle altre ma che le sovrastava di almeno dieci metri. Sembrava incombere sulla stanza sottostante come la scura parete posteriore, costituendo un potente contrasto.

Ma la cosa più sconvolgente che Kernberg vide in quell’ambiente fu un ciclopico disegno rappresentato sul soffitto pentagonale: iscritto in esso c’era una fascia luminosa, che a sua volta comprendeva al suo interno altre otto fasce via via più piccole e concentriche, che culminavano in un unico cerchio splendente della solita luce azzurra. Scure, all’interno di quelle aree luminose, risaltavano alcune scritte, che lo studioso, aguzzando gli occhi, identificò come parole ebraiche. Altre scritte simili, ma al contrario luminose, riempivano le aree scure del soffitto, rendendo il disegno incredibilmente complesso. Per poco l’osservatore non si accorse nemmeno che, iscritto all’interno del cerchio luminoso più piccolo, vi era una figura umana stilizzata, a braccia e gambe aperte, le cui estremità erano orientate in corrispondenza dei cinque vertici del soffitto [2].

Giunti sulla soglia dalla porta rossa, Hillmann si fermò voltandosi serio verso Kernberg, che da parte sua aveva attraversato la sala a bocca aperta per lo stupore. Ignorando completamente la sua espressione, il sedicente mercante di reperti attese immobile di riguadagnare la sua attenzione.

“Quando avrà oltrepassato questa soglia,” cominciò, quando l’altro portò su di lui i suoi occhi meravigliati, “dovrà dimenticare tutto ciò che ha imparato sulla storia dell’uomo.”

Dopo aver deglutito, Kernberg annuì, facendo capire a Hillmann che aveva ben compreso le sue parole, e quest’ultimo inserì la sua tessera in una fessura accanto alla maniglia. Quando la luce rossa che la caratterizzava divenne verde l’uomo girò il pomello e aprì il battente. Kernberg lo seguì nell’oscurità.

 

 

 

 

Al ristorante, uno stanco cameriere accolse Rei e Ritsuko, indicando uno dei pochi tavoli liberi, accanto alla vetrina. Dopo averle accompagnate, si scusò per il ritardo con cui, prevedibilmente, sarebbero state servite, vista l’ora molto tarda. La scienziata disse che non importava e che avrebbero atteso quanto si sarebbe reso necessario.

Dovettero aspettare quasi un’ora, e il locale nel frattempo si era pressoché svuotato, quando arrivarono il trancio di pescespada per Rei e la pizza margherita per Ritsuko. Erano le due di notte.

“Mi dispiace di averti trattenuto fino a quest’ora,” si scusò la donna, addentando la prima fetta di pizza. La ragazza invece scosse il capo. “Non importa. Il dovere è dovere.

“Già, ed oltretutto con il lavoro di oggi credo che non ci manchi molto.”

“Bene, così avrò più tempo da passare con Gabriel. Ultimamente ci vediamo molto poco…”

Ritsuko sorrise: non parlava così amichevolmente con qualcuno dai tempi dell’università, eccezion fatta per Misato. Il cambiamento di Rei era più che evidente: ora non sembravano più una ragazza e la sua tutrice, ma erano più simili a due vecchie amiche. A dire il vero, alla Dottoressa Akagi la cosa non dispiaceva,

“A proposito, come va tra voi?”

“Tra me e Gabriel? Beh, bene. A parte questi giorni in cui era preoccupato per le conseguenze della contaminazione stiamo bene. Ed quando finiremo il nostro lavoro alla base potremo finalmente recuperare il tempo perduto.”

“Ricordate però che avete quattordici anni, d’accordo?”

Rei la guardò interrogativa. “Cosa intende?”

“Beh… Non accelerate i tempi. Per certe cose voi non avete ancora l’età, sei d’accordo, vero?”

La ragazza arrossì all’istante. “Ma si figuri!” esclamò, scuotendo la testa, poi aggiunse “non ci abbiamo mai neanche pensato!”

Era una menzogna, ma quel che importava era che Ritsuko non sapesse cos’era accaduto alle terme.

La cena proseguì senza intoppi finché, verso le tre di notte, la scienziata e la First Children non abbandonarono il locale, dopo che la prima ebbe pagato il conto e lasciato anche una mancia al cameriere, ormai praticamente addormentato, che le aveva servite nonostante il sonno.

In auto continuarono a parlare del più e del meno, mentre Ritsuko accompagnava Rei verso casa. Ad un certo punto la ragazza si fece pensierosa, poi cambiò decisamente argomento.

“Dottoressa, per caso è ingrassata?”

Quella domanda colpì la donna come un pugno nello stomaco sferrato da Misato quando era ubriaca. L’automobile bruciò anche un semaforo rosso, tanto la guidatrice si era turbata. Certo, Rei era cambiata, ma doveva ancora imparare alcune norme di convivenza civile.

“Rei…” iniziò, mentre riprendeva il controllo del veicolo, “ci sono delle cose che devi ancora imparare…”

La ragazza la guardò non del tutto convinta. “Di cosa si tratta?”

“Generalmente, ad una donna non si fa notare che è ingrassata…”

Ma è la verità!” protestò Rei, indicando l’addome di Ritsuko. “Guardi lei stessa.”

La donna guardò, e per poco non perse di nuovo il controllo della vettura. Non ci aveva mai fatto caso in quei giorni, in cui indossava quasi sempre il camice e quando non lo faceva era troppo stremata per osservare il proprio corpo, ma effettivamente il suo addome era un po’ gonfio, abbastanza da mostrare una sottile striscia di pelle sotto la maglietta leggera che indossava.

 

No… Non è possibile… Come posso essere gonfia… Quando Misato beve birra tutti i momenti ed è ancora in forma??

 

“Che strano,” disse la donna, celando la propria preoccupazione. “Eppure ho addirittura diminuito la mia dose quotidiana di cibo, da quando abbiamo cominciato la fase finale della progettazione del Dummy System…”

Nonostante il tentativo di Ritsuko, Rei si accorse del suo turbamento, e decise di mettersi alla prova facendo una cosa che raramente aveva fatto di sua sponte: doveva cercare di tirarle su il morale. Arrovellandosi il cervello per trovare una battuta che fosse divertente, guardò la sua accompagnatrice, in cerca di ispirazione. Quest’ultima, distrattamente, si passò una mano sull’addome, come la ragazza aveva visto fare ad alcune donne incinte durante un documentario che le avevano mostrato a scuola, ed a quel punto seppe cosa dire.

“Non si crucci, Dottoressa,” iniziò, sorridendo scherzosa. “Magari non è grasso: è solo incinta!”

La scienziata rise, e stava per farle notare che non era affatto possibile, quando il suo cervello elaborò l’informazione e le fornì una possibilità che fino ad allora le era sfuggita. Istintivamente il sorriso le morì sulle labbra e bruciò quasi un secondo semaforo, tanto si era estraniata nei propri pensieri.

 

Nausea… Pancetta sporgente… Ciclo assente da un mese… no… da PRIMA!! Sono almeno tre mesi! Da quando io ed il Comandante ci eravamo ubriacati senza volerlo…

Oh mio Dio…

SONO INCINTA!!

 

“Dottoressa, ho detto qualcosa che non va?” chiese subito Rei, non appena vide l’espressione della donna passare dallo stupore all’incredulità al terrore puro. Riportata alla realtà da quelle parole, Ritsuko rallentò fino ad accostare, cercando come poteva di elaborare una risposta che non suonasse come la confessione di un serial killer.

 

Incinta… No, probabilmente mi sbaglio… Quella volta io ed il Comandante avevamo usato… NO, ERANO FINITI!!

Calma Ritsuko. Hai affrontato un Angelo, questo è niente al confronto. E’ solo la tua vita che cambia radicalmente ed inaspettatamente, senza alcuna possibilità di programmarne l’evoluzione.

Mamma, avevi ragione.

Ikari, stupido idiota…

 

“Dottoressa?” ripeté Rei, preoccupata.

“Va tutto bene, Rei,” rispose l’interpellata, sorridendo inquieta. “E’ solo che mi sono ricordata adesso che devo passare in farmacia a prendere delle pillole per il mal di testa.

 

Altro che pillole per il mal di testa… Mi serve un test di gravidanza…

 

“Ha mal di testa?” fu la domanda spontanea della ragazza.

“Un po’,” mentì Ritsuko, aprendo la portiera. “La farmacia è proprio là di fianco, faccio in un attimo.”

Rei non aveva ancora trovato una spiegazione plausibile allo strano comportamento della donna quando quest’ultima era tornata, con un pacchetto anonimo di carta bianca in mano.

 

Ora la accompagno a casa e poi di corsa da me a fare questo dannato test… E pensare che ho finito appena quattro ore fa di effettuare test su un’altra persona…

 

“Tutto bene?” chiese ancora Rei quando la sua accompagnatrice fu salita in auto.

“Sì, anche il mal di testa va meglio, forse non dovrò nemmeno prendere nessuna pillola,” la rassicurò lei, mentre rimetteva in moto il veicolo.

 

Coraggio, mantieni un’apparenza noncurante.

 

Cercando di guidare con prudenza nonostante il fuoco che le ardeva dentro, la Dottoressa Akagi proseguì verso la casa di Rei.

 

 

Con indosso solo la maglietta, le mutandine calate alle caviglie e seduta sul proprio WC, Ritsuko sembrava un’altra persona rispetto alla seria e compassata scienziata a capo del Progetto E. Fra le mani reggeva un piccolo oggetto bianco dalla forma allungata. Ad una delle due estremità, una linguetta flessibile aveva assunto una vivace colorazione blu.

 

Positivo

 

 

 

 

All’inizio non riuscì a vedere nulla, ma quando Hillmann premette un interruttore la chiara luce di tre lampade appese al soffitto investì e accecò i suoi occhi ancora abituati alla semioscurità precedente. Quando riuscì a vedere qualcosa attraverso il velo delle sue lacrime, l’altro uomo aveva già chiuso la porta alle loro spalle. L’ambiente in cui erano entrati contrastava nettamente con quello che avevano abbandonato.

Si trattava di una stanza relativamente piccola, anche se non quanto la cella in cui l’archeologo si era svegliato, e spartana, le cui pareti bianco sporco sembravano rilucere di splendore rispetto a quelle costantemente nere del resto della base. Il pavimento era coperto da una soffice moquette, mentre il soffitto bianco sembrava essere stato intonacato di fresco. Di fronte a Kernberg, sulla parte destra del muro, faceva bella mostra di sé una libreria stracolma di libri appartenenti a edizioni e periodi storici svariati, mentre al centro della stanza c’era una comoda poltrona in stile vittoriano e una scrivania su cui erano posati una voluminosa quantità di fogli bianchi, numerose penne e matite e una lampada pieghevole adatta ad illuminare specifiche aree del pianale. A completare l’arredamento c’era lo sportello di una cassaforte a muro nel lato sinistro della parete di fronte all’entrata e, con somma sorpresa da parte dello studioso, la tavola di pietra che lui stesso aveva rimosso dalla grotta di Qumran era appoggiata ad un treppiede metallico direttamente di fronte alla scrivania.

Stupefatto, Kernberg si volse verso Hillmann, che nel frattempo aveva ricominciato a sorridere in quel suo modo odioso. “Cosa significa tutto questo?” chiese l’archeologo.

“Mi sembrava evidente,” rispose l’altro, accennando alla scrivania. “Noi vogliamo che lei traduca le iscrizioni presenti su quella tavola. Ha a sua disposizione tutti i testi scelti che troverà in quella libreria, oltre a qualunque altra opera di cui riterrà di avere bisogno: sarà sufficiente farci sapere il titolo e noi gliela forniremo.”

Non riuscendo a credere alle proprie orecchie, il piccolo studioso tedesco tornò a voltarsi verso la lastra di pietra incisa. Qualcuno l’aveva ripulita dalla polvere e dalle incrostazioni calcaree sedimentatesi nel tempo, ed ora i caratteri misteriosi di cui era ricoperta risaltavano come non mai. Faceva eccezione solo un frammento, in basso a destra, che era risultato assente già quando lui e Takazumi l’avevano vista la prima volta. Nonostante le avventure che aveva subito ultimamente, la passione che l’aveva animato per anni si risvegliò, e così pure il suo occhio critico, con cui esaminò la superficie. “Avrò bisogno di molto tempo,” si sorprese a dire.

“E’ necessario che lavori il più rapidamente possibile,” rispose Hillmann alle sue spalle. “Ma al di là di questo, può prendersi tutto il tempo che le serve. Durante tutta la sua permanenza come nostro ospite non abbandonerà questa stanza. Le verranno forniti tre pasti al giorno all’ora che preferisce ed entro breve le sarà portata una branda dove potrà dormire. Purtroppo questo ambiente non è dotato di servizi igienici, ma sono sicuro che questo fatto le fungerà da incitamento a svolgere rapidamente il suo lavoro.”

Praticamente Kernberg aveva appena ascoltato le condizioni della sua prigionia. Si voltò contrariato. “Allora sono veramente vostro prigioniero!”

L’altro scosse il capo, senza perdere il suo sorriso beffardo. “Io preferirei l’espressione ‘inestimabile collaboratore’.

Il professore di Lipsia quasi scoppiò a ridere per l’assurdità di quelle parole. “Non vedo cosa cambi nella sostanza.”

“Ha la mia parola che una volta terminato il suo lavoro sarà libero di andarsene, ovviamente mantenendo il segreto su ciò che ha visto e sentito qui. Ci preoccuperemo noi a trovare una scusa plausibile alla sua prolungata assenza.

Kernberg scrutò il volto dell’altro tedesco, cercandovi le tracce dell’inganno, ma esso era impassibile nella sua espressione a metà tra la benevolenza e la derisione. “Chi mi assicura che lei manterrà la parola?”

Hillmann sospirò, apparentemente dispiaciuto della mancanza di fiducia da parte del connazionale. “Suppongo che avrà bisogno dell’ulteriore incentivo che avevamo in serbo per lei.”

Con studiata lentezza, sotto lo sguardo attento e guardingo di Kernberg, l’uomo attraversò la stanza fino alla cassaforte a muro. Dopo aver inserito la sua tessera nella solita fessura, digitò una rapida sequenza e un rumore metallico annunciò lo sblocco delle serrature. Incapace di controllare la sua curiosità, l’archeologo fece un passo avanti, mentre l’altro apriva lo sportello d’acciaio.

Al di là di esso c’era un’inferriata stretta dalle sbarre sottili, del materiale plastico nero con cui era rivestita la maggior parte della base. All’interno della piccola cassaforte c’era un involto decrepito, una sorta di libro le cui spesse pagine di pergamena spiegazzata e rovinata dal tempo erano tenute insieme da una grossolana rilegatura di cuoio. Il frontespizio recava alcune parole vergate in ebraico antico, la cui stesura rivelava ad un occhio esperto un’origine molto più tarda rispetto alla pergamena su cui erano scritte.

“‘In Principio era Dio…” compitò Kernberg senza difficoltà. “Si tratta di una versione della Bibbia?”

“Oh, no,” rispose l’altro, che ora incombeva alle sue spalle quasi come un avvoltoio. “Si tratta di qualcosa di molto più importante.

L’archeologo era confuso. Guardò di nuovo il volume arcaico di fronte a lui, poi la tavola di Qumran, poi di nuovo il libro. Qual era il collegamento? Fece per chiederlo, ma l’altro lo anticipò.

“Probabilmente avrà sentito parlare delle Pergamene del Mar Morto.

Credendo che scherzasse (qualunque archeologo sapeva di cosa si trattasse), Kernberg accennò un sorriso circospetto. “Beh… certamente. Un’antica versione della Bibbia trovata presso Qumran verso la metà del secolo scorso, recante alcuni passi del Vecchio Testamento e dei Vangeli, oltre a numerosi testi gnostici.

Il sorriso di Hillmann si allargò. “Cosa penserebbe se le dicessi che tutto ciò che lei sa riguardo quella scoperta è una frode?”

Ricordando le parole simili che Takazumi gli aveva rivolto parlandogli del sito archeologico che avevano visitato, questa volta lo studioso non rise. “Cosa intende?” chiese invece, con la bocca privata della sua saliva.

“Intendo che i documenti che lei conosce come Pergamene del Mar Morto sono dei falsi, prodotti da noi e resi di pubblico dominio per celare la scoperta delle VERE Pergamene del Mar Morto, ovvero il plico di pergamene su cui ha appena posato gli occhi.”

Kernberg non sapeva se dare al suo interlocutore del millantatore o se implorarlo di fargli visionare le pergamene: ora aveva capito in cosa consisteva il suo incentivo.

“Se collaborerò con voi per tradurre la tavola,” ragionò, “potrò avere libero accesso alle vere Pergamene del Mar Morto, non è così?”

Il sorriso di Hillmann perse la sua nota beffarda (o almeno così sembrò) e divenne generoso. “Esattamente. Là è racchiusa una versione completamente nuova del racconto della Creazione, e solo di poco posteriore alla tavola che ha appena recuperato. Il fatto che sia radicalmente differente rispetto alle versioni canoniche della Genesi può solo significare la messa in atto di un’operazione di censura senza uguali, volta a distruggere e nascondere un racconto di molto precedente e, proprio per questo, più vicino alla verità. Al momento, quella che ha visto è l’unica copia superstite del racconto della Genesi così come fu scritto all’epoca di Abramo, se non prima ancora.”

Ancora una volta, Kernberg gettò un’occhiata alle sbarre della cassaforte, sentendo potente dentro di sé l’impulso alla ricerca della conoscenza, la fame di sapere che l’aveva mosso per tutta la vita. All’improvviso, tutti i dubbi che aveva avuto riguardo quel posto e i suoi carcerieri e le speranze di fuga svanirono, lasciando il posto ad un solo pensiero.

“Posso già cominciare a lavorare?” chiese, in tono professionale. Hillmann annuì, e stranamente il suo sorriso ora sembrava meno odioso. “Certo. Le ordino la cena.

Ma, mentre il dirigente della Seele usciva dalla porta, l’archeologo non lo ascoltava già più, immerso com’era nella lettura di uno dei tomi della libreria.

 

 

 

 

Erano passati ormai alcuni giorni dal fidanzamento ufficiale tra Asuka e Shinji, e sebbene la ragazza all’inizio insistesse per non comportarsi troppo affettuosamente in pubblico, aveva imparato ad apprezzare le gentilezze che il Third Children le usava in continuazione, complice l’attesa ricomparsa del ciclo. Così si accorse subito che qualcosa non andava.

Da un paio di giorni il Third Children era diventato bruscamente cupo, sebbene tentasse di non darlo a vedere né a lei né a Misato: all’inizio la ragazza aveva lasciato perdere, poiché pensava che se lui non voleva parlargliene avrebbe avuto i suoi buoni motivi. Dopo tutto lei preferiva avere un po’ di privacy, a volte, in modo da pensare ai propri problemi, e credeva che anche per Shinji valesse la stessa cosa. Ma Asuka non aveva mai avuto molta pazienza.

Il secondo giorno di quello stato di cose, mentre Misato era via, decise di prenderlo di petto. Lui all’inizio volle deviare la sua attenzione con un bacio appassionato, ma lei lo respinse con malgarbo.

“Non provarci, Stupishinji!” lo apostrofò afferrandogli i polsi. “Non sono abbastanza ingenua da cadere in questo trucco!”

Il ragazzo si divincolò con aria offesa, per poi volgerle le spalle e allontanarsi di qualche passo. Asuka non si scompose e incrociò le braccia, in paziente attesa. Finalmente, Shinji si decise a parlare, sempre di schiena. “E’ che tra poco sarà l’anniversario della morte di mia madre…”

La ragazza restò per un attimo stupita, poi si maledisse per la sua curiosità e per averlo costretto a parlare di un argomento doloroso. Fece qualche passo in avanti. “Shinji…”

Lui però scosse la testa. “Non è solo per questo. Da quando è successo, questa è la prima volta da molto tempo che ho l’opportunità di recarmi sulla sua tomba. Ed è anche la prima volta da tanti anni che sono vicino a mio padre, durante questa ricorrenza…”

Asuka chinò il capo, ascoltando in silenzio. In effetti lui aveva tutte le ragioni per essere depresso, visto anche il padre che si ritrovava. Sebbene ultimamente le riuscisse più facile che in passato, provò una strana sensazione quando ammise a se stessa di aver avuto torto nel giudicare la situazione.

“Secondo me,” gli disse, “non dovresti sprecare quest’occasione. Dovresti andare da tua madre indipendentemente da ciò che deciderà tuo padre.”

Shinji si volse verso di lei, un’espressione triste ma grata negli occhi. “Grazie del consiglio, Asuka, ma non temo che mio padre decida di non andare al cimitero; temo proprio che ci incontriamo là…”

Finalmente la ragazza capì qual era il problema e si fece pensierosa. Solo per un attimo però, poi fece spallucce e tornò a sorridere. “E se anche vi incontrate? Hai paura di ciò che potrebbe dire, fare o non dire e non fare? Chi se ne importa? Lui è un’altra persona rispetto a te, non devi vivere con il patema d’animo solo perché tuo padre potrebbe non approvare ciò che fai e che dici.

Il ragazzo la squadrò, ragionando sulle sue parole.

 

Che stupido… Lei ha ragione, ovviamente, sono io che mi faccio troppi problemi con mio padre. Però lei non sa molte cose…

 

Contagiato dall’espressione serena di lei, anche Shinji sorrise. “Hai ragione, Asuka. Farò come dici. Grazie.”

A sottolineare le sue parole le diede un lieve bacio sulle labbra, poi tornarono a studiare. Asuka era contenta per aver aiutato il suo ragazzo a risolvere i propri problemi. Shinji però non era affatto convinto di esserci riuscito.

 

 

Tadaima!” strillò Misato quando rientrò, più tardi, quella stessa sera.

Ma che bisogno c’è di urlare!” gridò Asuka dal salotto, da cui provenne anche il timido ‘okaerinasai’ di Shinji.

“Ne ho più motivo di te, ragazzaccia!” rispose Misato, sempre ad alta voce e con tono giulivo.

“Ragazzaccia??” sbottarono entrambi i Children precipitandosi a controllare che la loro tutrice si sentisse bene. Insieme a loro, dalla soglia si affacciò anche PenPen, allarmato per tutte le urla che stavano turbando la sua quiete. “Sei sicura che vada tutto bene, Misato?” chiese Asuka, sospettosa. La donna infatti non l’aveva mai chiamata a quel modo, nemmeno quando era molto arrabbiata con lei, per cui le suonò assurdo quel nomignolo pronunciato con un tono di voce allegro.

“Certo,” fece l’interpellata sorridendo. “Ho ricevuto una splendida notizia, oggi al lavoro.

Vedendo le facce curiose dei due Children (ed in certa misura anche di PenPen) Misato non poté fare a meno che godersi la sensazione di loro due che pendevano dalle sue labbra, sicché inserì una lunga pausa studiata prima di comunicare la sua rivelazione. “Non solo Ritsuko mi ha detto che tra poco Satoshi potrà essere dimesso, ma lui stesso mi ha anche informato che proprio oggi pomeriggio è stato promosso al grado di capitano!”

A quella notizia entrambi i Children sobbalzarono. “Dici sul serio??” esplose Asuka, euforica, mentre Shinji fissava con entusiasmo la sua tutrice, come se pretendesse qualche altra conferma della veridicità delle sue parole. Misato annuì trepidante e si dispose a raccontare per filo e per segno ciò che aveva sentito dire dal suo fidanzato.

 

***

 

Qualche giorno dopo l’attacco dell’undicesimo Angelo, Ritsuko rilevò con piacere che Satoshi stava migliorando a vista d’occhio. Quel mattino, sebbene con fatica, sarebbe già stato in grado di muoversi sulla sedia a rotelle. Lo stesso Agente apprese la notizia con entusiasmo, mitigato dalla preoccupazione per l’aria affaticata della Dottoressa. Quest’ultima minimizzò, rifiutando di dare importanza ad un semplice virus intestinale, che quella mattina l’aveva fatta svegliare in preda ad una forte nausea. Ma le infezioni erano cose che capitavano, lei lo sapeva bene. Non aveva senso far preoccupare anche gli altri quando avrebbe dovuto sopportare solo alcuni giorni di spossatezza. Inoltre, dato che quel giorno Satoshi era riuscito a stare sulla sedia a rotelle e a fare un breve giro nella corsia dell’ospedale, c’erano ben altre preoccupazioni che l’affliggevano. Secondo gli ordini di Gendo, proprio quel giorno Ritsuko avrebbe dovuto comunicare all’Agente Iwanaka di recarsi da lui, ma non sapeva quanto bene avrebbe accolto quella notizia…

 

 

Quando Satoshi giunse alla porta dell’ufficio del Comandante si sentì ribollire di rabbia. L’ultima volta che era stato lì era quasi stata decretata la sua condanna a morte, per cui aveva tutte le ragioni del mondo per non essere affatto felice di essere di nuovo lì, e per giunta senza nemmeno saperne le ragioni.

Quella mattina, semplicemente, mentre effettuava i suoi esercizi di fisioterapia, Ritsuko gli aveva comunicato che il Comandante Ikari desiderava parlare con lui in privato. Era appena riuscito a sostenersi quanto bastava per stare su una sedia a rotelle, aveva pensato, e già il suo Comandante architettava qualcosa di nuovo che lo riguardava. Fu con estrema freddezza, per non lasciar trasparire i suoi sentimenti, che rispose alla Dottoressa che ci sarebbe andato quel pomeriggio stesso.

Ed infatti, faticando un po’ a compiere la strada necessaria con il solo uso delle braccia non ancora allenate allo sforzo specifico, era giunto davanti all’ufficio di Gendo. Le porte scorrevoli si aprirono, mostrandogli il vasto ambiente, caratterizzato solo dalle ampie vetrate e dalla scrivania al centro, dietro cui il Comandante Ikari lo guardava impassibile attraverso gli onnipresenti occhiali scuri. Ancora più indietro, il Vice Comandante sembrava come sempre in attesa di un ordine.

Dato che non veniva invitato dentro, Satoshi entrò, spingendo con furia sulle ruote. Avanzò lentamente fino ad arrivare a due metri circa dalla scrivania, dove di solito si fermavano le persone chiamate. Si sentiva immensamente goffo su quella sedia, più bassa di quella del suo superiore, al punto che doveva alzare leggermente gli occhi per guardarlo. Si immaginò il sorriso di scherno dietro quei guanti bianchi incrociati davanti alla bocca, e il suo corpo fremette di rabbia. Non tentò nemmeno di dissimulare quel gesto: voleva che il Comandante, prima di assegnargli qualche altra missione pericolosa, sapesse esattamente ciò che provava per lui.

“Voleva vedermi, signore?” sibilò, fissandolo direttamente negli occhi.

“Esatto,” fu la risposta. “Vedo che sta recuperando rapidamente: me ne compiaccio.

 

Solo perché così facendo mi può assegnare un’altra missione suicida, vero, Comandante?? Oppure vuole mandarmi a combattere da solo contro il prossimo Angelo, in modo da tapparmi la bocca per sempre ed evitare che il suo prezioso piano contro il governo giapponese venga alla luce??

 

L’espressione dell’Agente non fu meno ostile quando Gendo riprese a parlare.

“I risultati della sua missione sono stati più che ottimali. Dopo quanto è avvenuto, dubito che i nostri amici intraprenderanno di nuovo iniziative di questo genere.”

Satoshi non sapeva se con l’espressione ‘nostri amici’ il suo superiore si riferisse al governo giapponese o alla JNI Corp. ma la cosa non gli interessava. Avrebbe solamente voluto alzarsi in piedi e prendere a pugni quella faccia impassibile che gli aveva ordinato di andare a morire, di lasciare per sempre Misato e i ragazzi.

“Per questo motivo,” continuò Gendo, “Tenente Iwanaka, è mia intenzione promuoverla al grado di Capitano.”

Satoshi lo fissò allibito, incurante del fatto che tutto il suo stupore trasparisse dalla sua espressione.

 

Mi vuole… promuovere…?

 

“Naturalmente,” concluse l’altro, apparentemente senza badare all’aria esterrefatta del suo Agente, “se ha qualche riserva in proposito, sono pronto ad ascoltarla e a ritirare la mia offerta.”

“No…” riuscì a dire Satoshi. Pur sospettando che dietro quell’affermazione si celasse una sottile minaccia, in quel momento non fu in grado di dare un corpo ai propri sospetti, per cui poté solamente accettare. “Non ho riserve, signore.”

“Perfetto.” Gendo si alzò dalla propria sedia e prese un oggetto dalla scrivania. Lentamente, aggirò il mobile e si portò di fronte al suo dipendente. “Confido che li applicherà quanto prima sulla sua uniforme. Ad ogni modo, può considerarsi già promosso, anche se… è ancora in pigiama.

Satoshi aveva mantenuto la vestaglia da ricoverato ospedaliero volutamente, come sfida nei confronti del Comandante, ma anche vedendo i suoi nuovi gradi risaltare sulla sua mano guantata si riconfermò nella sua scelta: non sarebbe stata qualche decorazione in più cucita sull’uniforme a fargli cambiare idea sul suo superiore.

“La ringrazio, signore,” rispose, finalmente, prendendo in mano i nuovi gradi. “Provvederò appena sarò tornato in ospedale.

“D’accordo,” annuì Gendo imperturbato, voltandogli le spalle e tornando dietro la scrivania. “A nome di tutta la Nerv, la ringrazio per i suoi servigi. Può ritenersi congedato, Capitano Iwanaka,

Ancora stordito dall’inattesa promozione, Satoshi annuì, salutò il Comandante ed il suo Vice, voltò goffamente la sedia a rotelle e si avviò verso l’uscita dell’ufficio. Quando le porte scorrevoli si furono chiuse, Gendo si concesse finalmente un sorriso.

“Credi che basterà questa promozione per tenerlo sotto controllo?” chiese Fuyutsuki, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo dell’incontro.

Ikari non si voltò nemmeno per rispondergli. “La promozione se l’è guadagnata. Ad ogni modo, se non basterà, abbiamo altri mezzi di persuasione.

 

***

 

Andarono avanti a festeggiare fino a notte inoltrata, dopo aver invitato anche Hikari, Toji e Kensuke, con il solo rammarico di non poter avere anche Satoshi tra loro, poiché avrebbe dovuto passare in ospedale ancora qualche giorno. Quanto a Rei e Gabriel, invece, quella fu la prima occasione che ebbero da parecchio tempo per stare insieme e non la sprecarono: dopo le formalità dettate dalla cortesia, si chiusero in salotto dove finalmente ebbero modo di dirsi tutte le parole che non avevano potuto dirsi in quei giorni. Gabriel, dal canto suo, riuscì ad ignorare i mille dubbi che affollavano la sua mente riguardo ciò che era successo durante l’attacco dell’ultimo angelo: benché volesse veramente sapere di che si trattasse, il suo più grande desiderio in quel momento era stare bene con Rei, e non avrebbe rovinato quei pochi istanti con le sue preoccupazioni.

Ben presto la festa degenerò e per Misato fu impossibile tenere sotto controllo tutte le sue scorte di birra sicché spesso, mentre uno dei ragazzi la distraeva, un altro faceva sparire qualche lattina che sarebbe stata consumata poco dopo. Fortunatamente, i tre amici dei Children avevano lasciato detto in casa che si sarebbero fermati a dormire da lei, per cui non dovette cercare affannosamente delle scuse per spiegare il loro stato pietoso. Tutti e tre si addormentarono in salotto, una volta che Rei e Gabriel furono accompagnati via da una Ritsuko dall’aria un po’ stanca. Asuka, la più brilla di tutti, rimase a lungo a ridere a crepapelle in faccia a PenPen prima di crollare addormentata. Misato e Shinji la spostarono a braccia fino in camera sua, ed a quel punto la festa poteva dirsi finita. Diligentemente, il Third Children non aveva toccato alcol, e Misato era ancora molto al di sotto della sua soglia di saturazione, per cui erano entrambi lucidi, fatta salva la stanchezza. Fu proprio grazie a questa lucidità che la donna si accorse che Shinji era particolarmente taciturno, specialmente riguardo la sua nuova natura.

“Allora?” chiese, sorridendo. L’altro la guardò senza capire. “Allora cosa?”

Cosa ti cruccia, Shin-chan?”

“Niente di che…”

“Lo sai che non sei capace a mentirmi.”

Hmm.”

“Quella non è una risposta.”

“Già, lo so.”

Per niente infastidito, forse perché solo molto stanco, Shinji raccontò a Misato dell’anniversario della morte di sua madre e dei suoi timori a riguardo. La donna lo ascoltò comprensiva, capendo finalmente che la sua curiosità era fuori luogo.

Quando ebbe finito il ragazzo sospirò e sorrise triste. “Ecco, questa è la mia triste storia.”

Misato sorrise a sua volta e gli mise una mano sulla spalla. “Penso che Asuka ti abbia dato il consiglio giusto. In fondo, l’opinione di una persona non dovrebbe essere vincolante per noi, anche se si tratta di quella di nostro padre. Credo che il Comandante può considerarti come vuole, ma per tutti noi sei sempre il nostro caro Shin-chan.

Concluse il suo breve discorso arruffandogli i capelli con la mano libera, movimento che portò il Third Children a sorridere in modo diverso, rincuorato. “Lo terrò a mente quando mi recherò al cimitero, signorina Misato,” disse, visibilmente più sereno. La donna annuì e gli augurò la buona notte, appena in tempo prima che l’alcol che aveva in corpo si facesse sentire con veemenza. Mentre lei barcollava in cerca della porta della propria camera, Shinji la guardò allontanarsi, sorridendo stancamente.

 

Avete ragione tutte e due. E quando incontrerò mio padre, glielo farò sapere.

 

 

 

 

Shinji era solo, davanti alla tomba di sua madre, al cimitero. Aveva chiesto specificatamente a Misato di non accompagnarlo fin là, in modo che potesse affrontare la cosa contando su se stesso. Il monolito scuro che usciva dal terreno e che rappresentava la tomba priva di un corpo di Yui Ikari sembrava un’ombra stagliata nel sole del tramonto, a testimoniare con il suo vuoto tutto ciò che la morte di sua madre aveva portato via alla vita di Shinji. Ma, e questo il ragazzo lo sapeva bene, non era affatto colpa di Yui.

“E’ passato molto tempo,” disse una voce alle sue spalle. Il Third Children non si voltò, poiché sapeva fin troppo bene a chi appartenesse.

“Buongiorno, papà.”

Gendo non rispose ma rimase discostato, in silenzio. Solo dopo molti secondi trovò qualcosa da dire. “Dovremmo comportarci in modo un po’ più affettuoso in queste occasioni?”

Shinji, però, non lo ascoltava. Dentro di lui si scontravano emozioni contrastanti: la sofferenza che aveva caratterizzato tutta la prima parte della sua vita consapevole, la nuova determinazione che aveva ottenuto grazie ad Asuka e agli altri, la tristezza per la coscienza di non avere più né un padre né una madre, la rabbia furiosa che provava verso l’uomo alle sue spalle che, dal giorno in cui sua madre se n’era andata, era diventato un estraneo. Nonostante ogni momento rischiasse di essere soffocato da quella massa tumultuosa di sentimenti, Shinji riuscì a resistere con tutte le sue forze, ripetendosi nella mente che il suo valore non era determinato dal giudizio di suo padre o di chiunque altro.

“Non dici niente?” lo incalzò con discrezione ed indifferenza Gendo. Il Third Children sapeva che, se non avesse detto nulla, suo padre avrebbe posto fine alla conversazione e se ne sarebbe andato, così come aveva sempre fatto in vita sua, perciò deglutì e decise di parlare, di dire in una volta sola tutto ciò che per quegli anni si era tenuto dentro.

“Non ti è mai importato di me…” cominciò, “non ti sei mai curato di me… ci sono molte cose di me che non sai. Io…ho riflettuto molto ed ho deciso di mettertene a conoscenza. Ti metterò a conoscenza di quanto mi concerne sin dalle origini. Mi chiamo Shinji Ikari. Sono nato il 6 Giugno 2001. Sono figlio di Yui e Gendo Ikari. Mia madre morì quando io ero molto piccolo. Mio padre mi ha abbandonato. Sono rimasto orfano. Sono stato affidato in custodia ad un Tutore Legale e ad inizio anno sono stato convocato presso la Nerv e sono divenuto il Pilota dell’Unita Evangelion 01. Attualmente studio alla scuola Media Pubblica di Neo Tokyo-3 e vivo presso l’abitazione del Maggiore Misato Katsuragi insieme al Pilota dell’Unità Evangelion 02, Asuka Soryu Langley. Prima di arrivare qui, avrei dato più importanza ad un granello di polvere piuttosto che a me stesso. E la colpa di questo…la attribuivo a te, papà.

In fondo…cos’avrei mai potuto aspettarmi da me stesso? Shinji Ikari?

Shinji Ikari…additato da sempre come orfano.

Hai mai pensato che un bambino piccolo potesse attribuire a se stesso la colpa quando i suoi genitori lo abbandonano?

Che non fosse colpa mia, l’ho capito solo quando sono cresciuto. La mamma era morta in un incidente. Non fu mia la colpa. E non fu colpa mia neppure il tuo abbandono. Quale colpa poteva avere un bambino?

Avevo realizzato di essere libero da colpe. Avrei dovuto essere sollevato. La mia pena avrebbe dovuto cessare. Non è stato così. Se io non avevo colpa…per quale motivo allora mi avevi abbandonato? Mi venne in mente una sola parola per definirti: spregevole.

Ti ho odiato. Ferocemente. E ho sofferto. Avrei potuto capire se tu mi avessi abbandonato per una qualsiasi cosa che io avessi commesso… un qualunque motivo…Solo ieri mi è venuta in mente questa ipotesi: mi hai abbandonato forse perché la mia esistenza ti nausea? Mi odi perché forse non mi hai mai voluto e se esisto è solo per  volontà della mamma?”

Gendo tacque e nessuno parlò per vari minuti.

Continuando a fissare il terreno ai piedi della lapide della madre, Shinji lo incalzò con voce fredda.

“Rispondimi, papà.”

“No, Shinji. Non è così.” Rispose allora la voce dell’uomo, con lo stesso tono utilizzato dal figlio.

“Come supponevo… Abbandonato senza un motivo…  Papà…perché?”

Perché un uomo non può prendersi cura di un altro essere dato alla vita se quell’uomo stesso alla vita è inadatto, Shinji. Mentre tu, così piccolo, bramavi la vita, io ormai, da quando tua madre se n’era andata, non facevo altro che bramare la fine. Non potevo prendermi cura di te.”

Però io ho sofferto, papà. Ho sofferto in maniera inesprimibile. E di tutta quella sofferenza...ormai ero stanco. Non volevo più soffrire. Non volevo più che gli altri mi ferissero. Non volevo più cose spiacevoli. Alla fine ho capito…io stavo fuggendo. Stavo fuggendo dal dolore. Stavo fuggendo dall’amarezza. Stavo fuggendo dalla realtà. Stavo fuggendo da te. All’inizio, quando mi hai convocato per diventare un Pilota, ero venuto qui con l’intenzione di dirti solo che ti odiavo. Poi…ho scoperto che tu volevi usarmi. Ma questo me lo aspettavo. Mi avevi abbandonato e ti eri ricordato di me solo quando ti faceva comodo.

Ti ho odiato ancora di più. Eppure, quanto ti odiassi, quanto ti detestassi, non sono mai riuscito a dirtelo. Non ci riuscivo. L’unica cosa che riuscivo a fare era fuggire da te e dalla sofferenza di cui tu ormai avevi preso volto e nome. Per me.

Come te avevo iniziato a bramare la fine…convinto…che una nullità come quella che io, Shinji Ikari, rappresentavo non sarebbe mai valsa a nulla. Alla fine iniziai a voler pilotare l’Eva perché in questo modo per qualcuno ero importante. Perché ogni volta che vincevo venivo apprezzato e lodato. Se come essere umano ero inutile e nessuno si curava di me, divenendo un Pilota, sarei stato tenuto in considerazione. Ma mi sbagliavo. Io sono diverso da te. Perché ad un certo punto, io ho smesso di fuggire. Sono qui per affrontarti, papà. Perché ho capito…che io non sono quella nullità che credevo… io non sono una persona da usare solo quando se ne ha bisogno. E di questo, ringrazio le persone che me lo hanno fatto capire.

Non lo sai, papà. Ho una ragazza che amo con tutto me stesso, così come lei ama me. Ho degli amici che per me sono più preziosi dell’oro e che si preoccupano costantemente per me, chiedendomi com’è andata ad ogni battaglia. E non per opportunismo, perché se io non stessi bene, loro sarebbero condannati. Ma per il semplice fatto che io sono importante per loro. E poi c’è una donna a cui io voglio bene come una madre e  lei ne vuole a me come se fossi suo figlio. Ed oltre a queste ci sono ancora tante altre persone che mi stimano e rispettano. Attraverso gli occhi di queste persone io ho visto chi è in realtà Shinji Ikari. Shinji Ikari non è una nullità. Shinji Ikari non è solo un Pilota. Shinji Ikari esiste e per le persone che gli vogliono bene è importante. Shinji Ikari è una persona che può vivere migliorando se stessa e maturando giorno per giorno. Shinji Ikari non è odiato, non è disprezzato, non è allontanato. Shinji Ikari sono io, papà. Quando mi hai lodato dopo il combattimento con l’Angelo ho creduto che fossi importante anche per te, per un momento. Ma poi mi sono accorto che in realtà non era cambiato nulla e che forse quelle parole erano solo dovute ad un buon operato. Un buon operato svolto da un tuo Pilota. Non da tuo figlio. Però ora non mi importa. Non mi importa perché con o senza la tua approvazione, con o senza il tuo aiuto, io posso vivere. Io sono importante anche senza essere un Pilota di Eva. I miei amici, il Maggiore Katsuragi, Asuka, loro non apprezzano solo il Pilota dell’Unità 01. Loro apprezzano prima di tutto Shinji Ikari. Guardami papà. Questo è Shinji Ikari.  

Il ragazzo si volse sorridendo verso la figura immobile del padre. Ma quello di Shinji non era un sorriso di scherno, né d’odio, né di disprezzo né di qualunque altro sentimento negativo. Il sorriso del Third Children era un sorriso quieto e sereno, come nessuno ne aveva mai visti. Era il sorriso di chi era libero da una maledizione senza tempo. Gendo lo osservò: non era possibile capire se al di sotto della sua maschera impassibile e congelata avesse provato o meno qualcosa a quelle parole. 

Senza  perdere il sorriso, il ragazzo continuò con voce serena guardando suo padre negli occhi, senza più alcun timore.

“Oggi ero venuto qui per dirti che ti odiavo. Che ti odiavo per avermi abbandonato. Ma ora, sapendo come stanno le cose, non te lo dirò più. Non ti odio per questo, papà. Però c’è dell’altro che voglio dirti. Il sorriso di Shinji scemò poco a poco e la sua espressione tornò seria. Placida e ferma come una quercia secolare. “Quello che fugge sei tu, papà. In realtà sei tu il vero debole tra noi due e per questo motivo, per avermi abbandonato, io ti perdono. Perché non meriti che pietà da me.”

Il Comandante Ikari rimase immobile e così suo figlio. Per diversi secondi nessuno dei due si mosse, quindi Shinji  parlò di nuovo. “Si è fatto tardi, io devo andare. Addio, papà. Arrivederci Comandante Ikari.

Addio, Shinji. Arrivederci, Third Children. Fa un buon lavoro.”

Il ragazzo annuì con fare serio ma placido ed oltrepassò la figura dal Comandante, allontanandosi verso il sole che volgeva al tramonto.

Gendo lo seguì con lo sguardo finchè non fu scomparso all’orizzonte, quindi mormorò sottovoce “Per aver trovato la tua felicità…congratulazioni, Shinji. vivi quella vita che io non riesco più a vivere.”  L’uomo rimase in silenzio per qualche istante, quindi si rivolse verso la lapide ed alzò lo sguardo al cielo “Yui…se  c’è qualcosa di cui possa essere felice ora…è che Shinji somigli a te. E non sia un debole come suo padre. Presto, Yui. Presto Rei mi ricondurrà da te. E nessuno dovrà più soffrire come è successo a me e a nostro figlio. Presto, Yui…presto…” Terminò con voce ancora più bassa, quindi riprese a guardare il suolo ricominciando a parlare solo dopo qualche minuto.“E’ ora che le lancette dell’orologio vengano in qualche modo forzate… Rei…porta a compimento ciò per cui sei nata e conducimi in fretta da Yui.” Concluse. Dopodichè tacque e volse le spalle alla lapide per poi avviarsi verso l’elicottero che lo attendeva in lontananza.

Una volta arrivatovi, Rei lo guardò incuriosita ma discreta. Gendo salì e diede ordine al pilota di partire. La First Children rimase in silenzio, rispettosa del dolore di un uomo appena tornato dalla tomba di sua moglie. Però fu proprio il Comandante Ikari a rompere il silenzio. “Come va con Gabriel?”

Quella domanda la colse completamente di sorpresa. Gendo non era mai stato una persona molto sentimentale, né le aveva mai chiesto notizie dei suoi rapporti interpersonali. “Beh, bene,” rispose, cercando ancora di darsi una spiegazione. “Piuttosto è la Dottoressa Akagi che mi preoccupa.

Stupito, il Comandante si voltò verso di lei. “In che senso?”

“E’ un po’ di tempo che la vedo strana, ma non saprei dirle in che modo. E poi mi sembra che abbia cominciato ad ingrassare.

L’uomo si fece pensieroso e tornò a guardare di fronte a sé. “Grazie per le informazioni. Ne parlerò con lei.

Rei continuò a fissarlo ancora un po’, poi tornò a chiudersi nei propri pensieri, una volta capito che lo slancio comunicativo di Gendo era terminato.

 

 

Lui attese che il ragazzo si fosse allontanato, così come l’elicottero che trasportava il Comandante Ikari, prima di uscire dall’ombra della casa del custode del cimitero, dove si era nascosto. Nessuno doveva sapere che era lì.

Lentamente attraversò il camposanto, scrutando attentamente i nomi sulle lapidi, alla ricerca di una in particolare. Fra le sue mani c’era un unico crisantemo, acquistato poco prima. Finalmente raggiunse la sottile stele verticale recante il nome a lui sommamente caro. Come ogni anno, l’uomo si guardò attorno, in modo da controllare che non ci fossero curiosi che potessero tradirlo. Fortunatamente, le poche persone presenti sembravano tutte interessate alle lapidi dei propri cari, per preoccuparsi di un povero vecchio solitario.

Con gesti misurati pose il crisantemo alla base della lapide, consapevole che il suo gesto era vuoto di significato. Sicuramente, entro sera il custode del cimitero sarebbe passato a raccogliere i fiori abbandonati senza un apposito contrassegno, gettandoli via, ma era proprio su questo che l’uomo contava: così, la sua unica traccia, l’unica testimonianza di ciò che provava in quel momento, sarebbe stata cancellata. Triste, sorrise e si accucciò di fronte alla lapide.

“Buongiorno, Yui,” disse, poi rimase in silenzio. Ad un osservatore casuale sarebbe sembrato in attesa di una risposta che non sarebbe mai arrivata. In realtà, stava cercando qualcosa da dire, sebbene ogni anno da quel maledetto giorno, al momento di rivolgersi a Yui Ikari, le sue labbra restavano serrate, incapaci di pronunciare le numerose parole che il suo cuore avrebbe voluto rivolgerle.

“Ti sembrerà assurdo,” continuò, infine, trattenendo le lacrime. “Un vecchio scienziato come me che spreca il suo tempo parlando con una lapide puramente commemorativa come la tua. E che si commuove anche…”

Attese che il suo groppo in gola si sciogliesse, biasimandosi per la sua emotività. In genere sapeva trattenersi ed apparire quasi un’altra persona, ma quando era solo oppure con la sua Yui la sua maschera impassibile cedeva e tutte le emozioni che aveva accuratamente celato erompevano alla superficie. Quando si fu ripreso, spostò il crisantemo in modo che stesse meglio alla luce del sole al tramonto, poi tornò a sorridere.

“Ad ogni modo, io sto bene, ed anche tuo marito e tuo figlio. Anche se sembrano costantemente in guerra tra loro, credo che in fondo si vogliano bene. Forse non lo sanno, ma io penso proprio che sia così. Ah, stando a quello che dice il Maggiore Katsuragi, pare che Shinji si sia fidanzato con la Second Children, Asuka Soryu Langley. Dovresti esserne orgogliosa, sai? Non era da tutti fare breccia nel suo cuore di ghiaccio. Come non era da tutti far innamorare un uomo come Gendo Rokubungi al punto da farlo mettere contro la Seele…”

A quel punto abbassò ulteriormente la voce con circospezione, come se temesse di essere udito da qualcuno.

“A proposito di Gendo, a quanto pare il suo progetto alternativo si sta sviluppando celermente. Mancano ormai pochi Angeli, secondo le Pergamene, e per quando saranno tutti stati sconfitti credo che lui sarà pronto. Se tutto dovrebbe andare secondo i suoi piani, allora forse potremo rivederci. Ma se capiterà, non ti lascerò più andare.

L’uomo fece un’altra pausa, riflettendo sulle proprie parole. “A dire il vero,” riprese poi, “preferirei quasi venirti a trovare qui l’anno prossimo. Dopotutto noi non conosciamo veramente gli effetti del fenomeno che Ikari vuole scatenare. Per questo, ho un po’ paura, Yui.

Tornò a sorridere. “Se lo sapessi mi prenderesti in giro, non è vero? Un uomo di scienza come me che ha paura dei risultati di un esperimento? Vecchio, per giunta… Tu hai sacrificato la tua vita nel pieno della tua giovinezza, con un bambino piccolo cui badare, e poi sono io che dovrei aver paura…”

D’un tratto, l’uomo si rese conto che qualcuno si stava avvicinando. Si trattava di una coppia che cercava con lo sguardo una lapide vicino a lui, ma ai suoi occhi sembravano una minaccia.

“Ora devo andare,” disse, rivolgendosi di nuovo alla lapide di Yui Ikari. Fece per raccogliere il crisantemo, poi esitò, ed infine decise di lasciarlo lì. Non voleva privare il suo tesoro del regalo di quell’anno, anche se ciò comportava il remoto rischio di essere scoperto. Si alzò, asciugandosi completamente gli occhi. “Spero di rivederti presto, Yui. Anche se… Anche se non so se sarà qui o in un altro luogo. Arrivederci, figlia mia.”

Dopo un altro secondo, ma senza una preghiera, l’uomo si allontanò dalla lapide della sua unica figlia, per tornare a svolgere le sue regolari mansioni.

 

 

 

 

“Il soggetto non sembra propenso a tradirci,” terminò Hillmann, nella piccola stanza in cui erano raccolti gli altri suoi colleghi.

“Non possiamo correre rischi,” affermò uno di loro, un uomo piuttosto corpulento, il più giovane dei presenti, con una voce profonda dall’accento cantilenante. “Già uno dei nostri dipendenti sta seguendo i propri progetti a dispetto di questa commissione.

“Se si riferisce al Comandante Ikari,” lo interruppe un ometto sulla sessantina, che fino ad allora non aveva ancora parlato ma era rimasto curvo sulla propria sedia, come un ragno in paziente attesa che la propria preda sia del tutto invischiata nella ragnatela, “più tardi potremo discutere di alcune contromisure adeguate.”

“Esattamente,” intervenne autorevolmente un altro uomo, che scrutava gli altri attraverso un congegno cibernetico impiantato di fronte ai suoi occhi. Quella non era l’unica componente inorganica del suo corpo, che dalla vita in giù sprofondava in una sedia a rotelle robotizzata collegata direttamente al suo sistema nervoso. In realtà, non c’era più alcuna persona vivente che sapesse quali altri elementi tecnologici fossero contenuti in quel vecchio corpo. “La nostra priorità è la traduzione della tavola. In base alle informazioni in essa contenute decideremo come portare avanti la nostra strategia.”

Hillmann sorrise del suo solito sorriso enigmatico. “Per l’appunto, il professor Kernberg sta lavorando alacremente alla traduzione, e dubito che ci creerà problemi.

L’uomo massiccio alla sua destra rise. “Non credo che accetterà di buon grado la nostra presa in giro, quando scoprirà che le pergamene che ha visto sono solo un altro falso.”

L’uomo cibernetico lo interruppe: per la maggior parte della sua vita non aveva mai riso, e mal tollerava la propensione del suo collega all’eccessiva esibizione di emozioni, specialmente durante una riunione del comitato direttivo della Seele. “Le vere Pergamene del Mar Morto sono al sicuro, conservate all’interno del Moirai System: non potevamo metterle in pericolo mostrandole ad un estraneo. Ciò che importa è che Kernberg creda di poterle visionare.

“Giusto,” concluse l’uomo basso, annuendo alle parole del suo superiore. “Una volta che il suo lavoro sarà finito prenderemo provvedimenti. E’ inutile preoccuparsene anzitempo.

L’uomo corpulento prese atto dell’interruzione del suo moto di spirito con una scrollata di spalle: era ben consapevole della sua posizione in seno a quel consiglio direttivo, e non era tipo da perdersi in inutili giochi di potere. Ciononostante non perse il suo sorriso, ben diverso da quello del collega tedesco: sembrava il ghigno crudele di un predatore che attendeva impaziente di assalire la sua preda, mentre quello di Hillmann assomigliava a quello di unbenevolente’ scienziato che osserva le proprie cavie dibattersi in preda all’agonia, in attesa di sezionarle. Ad ogni modo, il cyborg, che sembrava avere l’aspetto più carismatico nonostante i suoi handicap, non mutò di espressione. “Se è così, possiamo procedere con l’ordine del giorno. Si interruppe pensieroso, poi si volse verso una figura in piedi nell’ombra, con indosso l’uniforme della Seele ma il volto coperto da un velo che ne celava le fattezze, eccezion fatta per i freddi occhi castani. Il berretto che portava calcato sul capo non riusciva a celare del tutto la fronte, la cui pelle era raggrinzita come se si fosse cicatrizzata male. Guardandolo, il cyborg dovette reprimere un moto di perfida allegria: non permetteva a nessuna emozione di trasparire dal suo volto biomeccanico, nemmeno quelle che gli provocavano piacere. Ciononostante, non riuscì ad esimersi da una frecciatina malvagia. “Ammesso che lei non abbia qualcosa da aggiungere, professor Katsuragi.

La figura nell’ombra fremette e i suoi occhi mandarono lampi d’ira, a stento trattenuta. L’unica reazione visibile che ebbe fu un vago movimento del bastone argenteo cui si appoggiava con la mano destra. Per un momento, gli altri membri della Seele si guardarono stupiti, poi l’uomo anziano e ricurvo, che evidentemente aveva capito il sottile sarcasmo del suo superiore, si lasciò andare ad un sorrisetto, mettendo maggiormente in mostra le rughe del suo volto. “Presidente Keel, le ricordo che il professor Katsuragi è morto quindici anni fa, durante il Second Impact.

Keel riportò l’attenzione su di lui, annuendo, piacevolmente sorpreso che qualcuno a parte lui notasse l’ironia delle sue parole. “Ha ragione, signor Lavoisier,” rispose. “Per un attimo me ne sono dimenticato. Dunque, se non c’è altro possiamo proseguire.

L’uomo nell’ombra fremette ancora sotto il velo che ne nascondeva le fattezze sfigurate, giurando a se stesso che l’avrebbe fatta pagare a quegli uomini senza scrupoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

[1] Un incunabolo è un libro realizzato intagliando e stampando ogni singola pagina separatamente, senza l’ausilio dei caratteri mobili, inventati successivamente da Gutemberg. Per questo motivo si tratta di volumi inestimabili e, all’epoca della creazione, costosissimi.

 

[2] Oltre alla rappresentazione dell’Albero della Vita, le dieci Sephiroth della cabala ebraica possono essere rappresentate come dieci cerchi concentrici, di cui il cerchio più esterno rappresenta la Sephirah più “terrena” (Malkuth), mentre quello più interno rappresenta la Sephirah più “divina” (Kether). Questo diagramma si chiama “emanazione divina”, ed è quello rappresentato sul soffitto della sala appena descritta. La figura umana, l’iscrizione in un pentagono e le numerose scritte in ebraico sono invece elementi d’invenzione degli autori.

 

 

 

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Capitolo 26
*** L'Ultimo Giorno dell'Uomo: Il Canto delle Ombre ***


CAPITOLO 25

CAPITOLO 25

 

L’Ultimo Giorno dell’Uomo: Il Canto delle Ombre

 

 

 

 

“Dai, Asuka, perché non vuoi darmi una mano?” chiese Shinji, esasperato, mentre si stavano recando a scuola. La ragazza, ancora più scocciata di lui, sbuffò. “Perché avresti dovuto studiare, Bakashinji, invece che continuare a flirtare con me!”

“Ma tu ci stavi sempre!”

“Cosa c’entra? Io il tempo per studiare l’ho trovato comunque!”

“Ma…”

I due si zittirono quando notarono di aver attirato l’attenzione di tutti i ragazzi della scuola, che si stavano radunando davanti al cancello in attesa della campana. Ormai la loro relazione era di dominio pubblico, ma ciò non toglieva che sentirli parlare in quei termini era piuttosto imbarazzante per tutti. Mormorando qualcosa in tedesco con aria decisamente furiosa, Asuka distanziò il suo ragazzo e fendette la folla fino a perdersi tra le altre uniformi. Shinji, rimasto da solo, fu subito raggiunto da Kensuke. “Comincia bene questa giornata, eh?” chiese questi, con aria maliziosa. Il Third Children sospirò sconsolato. “Non è stata colpa mia, però…”

“Piuttosto, hai visto Toji?”

Shinji si riscosse. “Veramente sono un paio di giorni che non lo vedo né lo sento… Non è che gli è successo qualcosa?”

Kensuke fece cenno di no, vigorosamente. “Figurarsi… Scommetto che ha litigato con Horaki e per la vergogna è rimasto in camera sua per tutto questo tempo.”

L’altro lo fissò stupefatto, mentre si recavano verso i cancelli che si stavano aprendo. “Cosa intendi? Lui e la capoclasse litigano sempre, ma non mi pare che se la prendano così tanto…”

Kensuke si bloccò mostrandosi scandalizzato; mentre Shinji lo fissava sempre più perplesso, si piantò a gambe larghe, i pugni sui fianchi. “Ma sei stupido??” lo apostrofò, inclinandosi in avanti. Ignorando gli sguardi scettici dei ragazzi che passavano attorno a loro, il Third Children non si fece impressionare. “Guarda, l’imitazione di Asuka non è il tuo forte.”

L’altro ragazzo scoppiò a ridere e ricominciò a camminare al fianco dell’amico. In effetti era qualche giorno che Shinji era cambiato: sembrava più sicuro di sé e più sereno, come se, lentamente ma inesorabilmente, stesse diventando un’altra persona. Chi non lo avesse conosciuto fin dal suo trasferimento difficilmente avrebbe immaginato che lui ed il ragazzo insicuro e titubante che era stato fossero la stessa persona.

“Allora, si può sapere cosa intendevi?” chiese Shinji, sempre ridendo.

“Dai, lo si vede chiaramente che quel tipo è innamorato cotto della capoclasse!”

“Davvero??” Shinji era sinceramente sconcertato. Kensuke annuì con foga. “Ti dico di sì! Non me l’ha mai confessato, ma si vede da come la guarda, da come sospira quando non la vede, da come… Beh, ho finito gli esempi, ma hai capito, no?”

“Sì, ho capito… La prossima volta che verrà a scuola non mi farò scappare questo particolare.”

Ridendo, i due si affrettarono a seguire il flusso di ragazzi attraverso il cortile fino all’ingresso della scuola.

 

 

“Ma cos’avete da ridere, voi due?” li rimproverò la capoclasse, severa, vedendo che Shinji e Kensuke stavano ridendo di soppiatto ai loro banchi. Fu il ragazzo occhialuto a prendere l’iniziativa. “Niente di che, capoclasse, ridevamo solo delle avventure sentimentali di Asuka e del suo boy-friend!”

Il sorriso del Third Children gli morì sulle labbra, mentre la rossa, che aveva sentito benissimo, si avvicinava a grandi passi e cominciava ad imprecare per metà in tedesco e per metà in giapponese. D’altro canto, Hikari continuò a rimproverarli a ruota libera, senza badare al fatto che ormai nessuno la stesse più ascoltando, dato che Shinji era occupato a sostenere le bordate della sua ragazza e Kensuke se la stava ridendo di gusto di fronte all’effetto che la sua piccola bugia aveva provocato.

In tale bailamme, poiché gli altri ragazzi della 2-A si erano uniti agli schiamazzi provocati dai quattro litiganti, Gabriel e Rei si affrettarono ad arrivare in classe, preoccupati. Una volta sulla soglia, guardarono dubbiosi lo spettacolo che avevano di fronte agli occhi, poi Rei si voltò verso il proprio ragazzo.

“Gabriel,” disse, “cosa credi che stia succedendo?”

L’altro esitò prima di rispondere. “Non saprei… forse Shinji ha detto qualcosa di spiacevole ad Asuka e lei si è tirata dietro nel litigio la capoclasse e tutti gli altri…”

La First Children rimase pensierosa per qualche attimo, poi sorrise. “Beh, meno male che a noi non capitano queste cose.”

“Hai ragione,” fu la risposta di Gabriel, che la prese per mano e si diresse verso i loro banchi. Motoko e le sue amiche, che avevano preso le parti di Asuka contro il maschilismo di Shinji e Kensuke, non si accorsero nemmeno che il Fourth Children e Rei erano entrati in aula ed avevano già preso posto senza partecipare al trambusto generale, e di questo Gabriel non poté che essere felice.

Quando arrivò Toji, Kensuke lo afferrò subito per un braccio, trascinandolo con sé nella mischia, senza nemmeno preoccuparsi di chiedergli come stesse dopo la sua assenza. Il ragazzo tentò di protestare, ma senza successo. Solo quando Hikari lo vide cessò di sbraitare, allibita, e dietro il suo esempio anche gli altri alunni si calmarono gradualmente. Tutti lo stavano fissando a bocca aperta e Toji avrebbe desiderato di gran lunga scomparire in quel momento.

“Suzuhara…” iniziò Asuka, titubante, già dimentica del litigio con Shinji. “Ma cos’hai fatto alla faccia?”

L’interpellato chinò il capo, imbarazzato, e si passò una mano sulla guancia, come aveva fatto molto spesso in quei due giorni. Sotto il suo palmo la prima barba che gli era spuntata cedette, soffice, per poi tornare nella posizione originale. “Beh,” tentò con poca convinzione. “Cosa volete, mi sta spuntando la barba!”

Nessuno commentò, e Kensuke e Shinji fissarono istintivamente il proprio sguardo su Hikari, cercando di notarne la reazione. La ragazza infatti continuava a non spiccicare parola, e stava anche assumendo un colorito decisamente rosso sulle guance. I due ragazzi si scambiarono un’occhiata complice ma non dissero nulla.

Anche Rei e Gabriel stavano guardando stupefatti la scena: in fondo, Toji era il primo dei loro compagni a cui era spuntata la barba, e non era uno spettacolo molto comune.

“Avanti,” disse quest’ultimo, esasperato. “Smettetela di fissarmi! Guardate che succederà anche a voi, o ai vostri fidanzati!”

Mentre nell’aula scoppiava una nuova bagarre incentrata sulle proteste delle ragazze, che si dichiaravano prive di legami sentimentali e nemmeno interessate, Rei tornò a guardare Gabriel, con un timido sorriso. “Chissà come staresti tu con la barba…” disse accarezzandogli dolcemente una guancia. Lui la guardò divertito ma simulando l’attesa di un responso, e lei dopo un attimo di finta valutazione critica scosse la testa. “No, mi piaci di più così.”

 

 

 

 

“Davvero può essere dimesso??” chiese Misato, le mani strette sul colletto del camice di Ritsuko. La bionda se la scostò di dosso, un po’ indispettita. “Sì, Misato, ma mi raccomando…”

Lasciò cadere il discorso, ma il Maggiore la guardò senza capire. “Cosa?”

“Deve riposare, altrimenti la sua guarigione sarà compromessa, quindi…”

“… Quindi?”

“… Quindi, dovresti evitare di sottoporlo ad eccessivo stress…”

Misato ancora non capiva. “Ti sembro una persona che sottoporrebbe a stress il mio fidanzato in via di guarigione?”

Ritsuko sospirò esasperata. “Guarda che per stress intendo anche l’affaticamento, di qualsiasi tipo esso sia, anche… di QUEL tipo… hai capito ora?”

Il Maggiore comprese ed annuì vigorosamente. “Ah sì, sì… Ma per quanto tempo…?”

“Finché non darò un nuovo parere medico.”

Sconsolata, Misato annuì nuovamente ed uscì dallo studio dell’amica.

 

 

 

 

L’arrivo del professore sedò gli animi e fece in modo che la situazione tornasse alla normalità. Non volle sapere il motivo di tanta agitazione, e dal canto suo non notò nemmeno la barba di Toji, ma iniziò subito a spiegare con cipiglio, pensando in questo modo di punire adeguatamente i ragazzi indisciplinati.

D’altronde Kensuke continuava a stuzzicare sottovoce lo sportivo amico di sempre, sia prendendo in giro la sua nuova barba sia sottolineando come Hikari fosse arrossita bruscamente quando l’aveva visto. Toji cercava di farlo tacere in tutti i modi, ma non poteva riuscirci senza fare a sua volta abbastanza rumore da attirare l’attenzione del professore, perciò si limitava a subire in silenzio le frecciatine del suo amico, che evidentemente si divertiva un mondo.

Shinji intanto era finalmente riuscito a spiegare ad Asuka che non aveva raccontato niente di compromettente a Kensuke, e la ragazza si ripromise di farla pagare a quel bugiardo quattrocchi. Rei e Gabriel invece erano rimasti poco toccati dalle vicende del giorno, perciò non trovarono eccessiva difficoltà a prestare attenzione alla spiegazione ed ignorare gli altri. Chi sembrava piuttosto strana era Hikari: di solito lei era la prima a stare a sentire il professore, ed eventualmente a spalleggiarlo quando i suoi compagni davano fastidio; questa volta invece si distraeva facilmente, prestando orecchio più alle parole che sentiva sussurrare dalle proprie compagne pettegole o dai ragazzi circa il suo arrossimento precedente, anziché alle parole del professore.

Fu in questa situazione che risuonò l’allarme in tutta la scuola ed in tutta la città, ed i Children seppero che un altro Angelo stava attaccando.

 

 

 

 

Misato si bloccò lungo il corridoio sentendo l’ormai familiare sirena assordarla ed accompagnarsi alla luce rossa che segnalava l’entrata in stato d’allerta della base. Si voltò e scambiò un rapido sguardo con Ritsuko: ora entrambe le donne erano serie e consapevoli del pericolo che stavano correndo.

“Andiamo,” sussurrò il Maggiore Katsuragi, e l’altra donna annuì, seguendola in sala comando.

Qui l’allarme era stato messo in stand-by, in modo da non disturbare il lavoro degli operatori, e sia Gendo che Fuyutsuki erano già ai loro posti, supervisionando le operazioni.

“L’obiettivo si sta avvicinando in volo ad una velocità media di tre chilometri l’ora!” annunciò Maya, scrutando febbrilmente i dati che passavano sui suoi schermi. “Tempo stimato per l’arrivo all’apice del Geo-Front: due ore e quarantasette minuti alla velocità attuale!”

“Diagramma d’onda… arancione!” sbottò Makoto, incredulo, attirando su di sé lo sguardo di tutti i presenti. Il silenzio scese sulla sala di comando.

“Cosa significa?” chiese Misato. Fu Ritsuko a rispondere. “Vuol dire che non è un Angelo… Ma se non lo è, allora…?”

“Proiettare l’immagine sullo schermo olografico,” ordinò Gendo, impassibile. All’istante Shigeru eseguì e lo spazio vuoto di fronte alle piattaforme dei Magi fu invaso dall’immagine della città assolata, su cui si librava pressoché immobile una grande sfera, la cui superficie era solcata in maniera regolare ma complessa da striature bianche e nere.

“Presenza di A.T. Field… non rilevata,” proseguì Makoto, sempre più disarmato. “I sensori danno letture strane.”

“Si spieghi,” ordinò Gendo perentorio.

“I dati riguardanti la forma e l’aspetto dell’Angelo… o di qualsiasi cosa sia, sono congrui, ma quelli riguardanti la massa, la densità e la composizione oscillano come se… come se q        uell’essere al tempo stesso fosse presente e assente…”

“Il diagramma d’onda presenta oscillazioni simili?” volle sapere Ritsuko.

“No,” fu la risposta. “E’ stabilmente arancione, su questo non ci sono dubbi.”

Il gruppo di uomini e donne nella sala comando rimase in silenzio ad osservare il misterioso fenomeno, senza riuscire a trovare una risposta alle molteplici domande che affollavano i loro pensieri.

“Lo stato delle contromisure?” chiese Misato.

“Le difese cittadine non rilevano la presenza dell’Angelo,” rispose Shigeru. “Gli Evangelion sono invece pronti al lancio, ed i Children in arrivo attraverso la piattaforma 5.”

Il Maggiore si concesse un momento di respiro.

 

Sembra che questa volta il tempo non sia un problema. Ma il rischio che la situazione precipiti è comunque molto alto.

Scusami, Satoshi, ma devo farlo.

 

“Ordinare l’evacuazione dell’ospedale della Nerv.”

Makoto, che avrebbe dovuto trasmettere l’ordine, esitò un secondo. Sebbene la quasi totalità dei civili venisse evacuata come procedura standard durante l’attacco di un Angelo, in genere coloro che si trovavano all’interno del Geo-Front, e quindi della base e dell’annesso ospedale, erano considerati relativamente al sicuro. Il fatto che Misato volesse far evacuare l’ospedale nonostante la situazione non fosse critica poteva solamente essere il tentativo di mettere il più al sicuro possibile Satoshi.

“Agli ordini,” rispose quasi subito Makoto, digitando una sequenza di tasti sul proprio terminale. Scacciò immediatamente la punta di amarezza che aveva provato: sapeva già molto bene di non avere alcuna speranza.

 

 

 

 

Zoppicando, Satoshi era uscito dalla sua camera non appena era risuonato l’allarme. Vedeva ovunque infermieri e medici che si affannavano per tenere tranquilli i pazienti, assicurando che il luogo dove si trovavano era il più sicuro disponibile.

 

Ammesso che ci possa essere un luogo veramente sicuro, in momenti come questo.

 

La gamba destra gli faceva ancora molto male, sebbene grazie alle cure più innovative che potessero essere trovate la maggior parte delle sue ferite era ormai guarita. Appena era stato possibile aveva rifiutato l’uso della carrozzina, preferendo di gran lunga zoppicare sopra un paio di stampelle che farsi trasportare in giro da chi si prendeva cura di lui. Tuttavia, così facendo, era piuttosto lento, e non avrebbe potuto battere in velocità un medico che l’avesse inseguito per impedirgli di fare ciò che stava facendo. Perché era sicuro che Misato volesse di nuovo metterlo al riparo, e lui non aveva nessuna intenzione di lasciarla da sola, questa volta.

“Attenzione, evacuare immediatamente l’ospedale e radunarsi al punto di raccolta B-5. Questa non è un’esercitazione. Attenzione…” ordinò a ripetizione la voce automatica del sistema di controllo.

 

Come volevasi dimostrare. Misato… stai diventando prevedibile.

 

Nonostante la situazione Satoshi riuscì a sorridere: lei era sempre pronta a preoccuparsi per gli altri. Ma questa volta non sarebbe rimasta da sola ad affrontare il pericolo.

Guardò il corridoio che portava ad una delle uscite d’emergenza di quel reparto: il personale sarebbe stato impegnato per un po’ a radunare i pazienti, per cui non avrebbe dovuto correre il rischio di essere scoperto. L’uomo strinse i denti: non sarebbe stato facile, ma non c’era alcuna potenza al mondo che potesse fermarlo, una volta che si metteva una cosa in testa.

Cercando di fare il più in fretta possibile, raggiunse l’uscita di sicurezza e, dopo aver controllato che nessuno l’avesse notato, si dileguò dal corridoio.

 

 

 

 

Ansimando, Shinji terminò di indossare la propria plug suite ed inforcò il diadema di connessione. Lui e gli altri Children avevano corso a perdifiato per raggiungere l’elevatore che li aveva trasportati alla base della Nerv, e non aveva ancora avuto tempo di riprendersi. Anche Gabriel, vicino a lui, terminò di vestirsi e si asciugò la fronte imperlata di sudore.

“Ok, ce l’abbiamo fatta,” commentò quest’ultimo, piegandosi ed appoggiando le mani alle ginocchia per riprendere fiato.

“Tu e Rei salirete di nuovo insieme?” chiese Shinji, mentre effettuava i controlli di rito alla propria tuta. L’altro ragazzo esitò a lungo, poi scosse la testa. “Credo che darei dei problemi alla Dottoressa Akagi, se mi impuntassi di nuovo,” concluse, sorridendo amareggiato.

 

Non posso rischiare di metterla in percolo... se l'Angelo dovesse provare di nuovo a contattarmi...  non so cosa potrebbe accadere...maledizione, mi sento così inutile!

 

Shinji lo fissò stralunato. “Come, non salirai con Rei?”

Gabriel scosse di nuovo la testa, fermamente. “Te l’ho detto: le altre volte è andata bene, ma questo non ci assicura che la presenza di due piloti nella stessa entry plug sia priva di rischi. Capisci?”

Il Third Children si rabbuiò. “Sì, io capisco. Mi domando solo se capirà Rei.”

“Capirà cosa?”

I due ragazzi si voltarono all’unisono verso l’entrata dello spogliatoio, dove Asuka se ne stava a gambe larghe, lo sguardo severo su di loro ed i pugni appoggiati come di consueto sui fianchi. Dietro di lei, Rei sembrava esprimere una muta domanda con lo sguardo.

“Asuka!” esclamò Shinji, arrossendo lievemente, “questo è lo spogliatoio dei maschi, che ci fai qui??”

“Nel caso non te ne fossi accorto,” rispose acida la ragazza, “siamo sotto attacco, per cui sono venuta a darvi una mossa, visto che non ve la date da soli. Ma ditemi un po’, ora, cos’è che Rei dovrebbe capire?”

Consapevoli che non potevano tirarsi indietro, i due ragazzi chinarono il capo, con aria colpevole. La Second Children stava per incalzarli, ma fu anticipata da Rei stessa, che fece un passo in avanti superandola.

“Oggi non salirai sullo 00, ho ragione?” chiese rivolgendo uno sguardo ed un sorriso dolci a Gabriel. Questi, stupito, la fissò e rispose un po’ in ritardo. “Credo… credo sia meglio così. Finora ci è andata bene, ma non sappiamo ancora cosa potrebbe comportare la presenza di due piloti nella stessa entry plug, per cui…”

Rei alzò una mano e scosse il capo, zittendolo con dolcezza. “Ho capito, non c’è bisogno di spiegazioni. A dirti il vero qualche paura l’avevo anch’io, quindi capisco bene il tuo punto di vista. E poi, non manca molto all’arrivo dell’unità 03, quindi tra poco avrai un Evangelion tutto tuo.”

Si fermò, poi sorrise cercando di dare un tono scherzoso alle sue parole. “Per questa volta l’ho avuta vinta io.”

Nessuno rise a quella battuta, ma la First Children se l’aspettava: ora la cosa più importante era salire sugli Eva e salvare il mondo ancora una volta.

 

… E salvare te, Gabriel.

 

Stavano per uscire dagli spogliatoi quando Gabriel prese per mano Rei. “Ragazzi,” disse, rivolto agli altri, “noi vi raggiungiamo subito.”

La First Children lo guardò sorpresa ed un po’ preoccupata, mentre Asuka sbuffò. “Fate in fretta, non c’è tempo da perdere.”

Il Fourth Children annuì ed attese che gli altri due si fossero allontanati, poi si voltò verso la sua ragazza, guardandola serio negli occhi. “Rei,” iniziò, “non è per codardia che oggi non salirò con te sull’Eva. Quello che in realtà temo è che possa succedere nuovamente ciò che è accaduto con Yrouel… con l’undicesimo Angelo, nelle unità di simulazione. Se dovessi attirare anche quest’Angelo in modo che tenti di entrare in contatto con me attraverso l’Evangelion… Non voglio metterti in pericolo, Rei. Non voglio correre questo rischio.”

La ragazza guardò la sua espressione estremamente decisa e tormentata. “Lo so,” rispose, sorridendogli comprensiva ed accarezzandogli una guancia. Lui le prese il volto tra le mani. “Fa’ attenzione,” disse, “e ritorna da me.[1]”

Lei non ebbe modo di rispondere, poiché il giovane la coinvolse in un bacio appassionato. Quando si separarono Rei era senza fiato. “Ritornerò,” disse d’un fiato, quando si fu ripresa, guardandolo negli occhi. “Ed allora ti restituirò questo bacio.”

“Ed io sarò qui ad aspettarti,” rispose lui, finalmente sorridendo sollevato.

 

 

 

 

 

Chi fosse appena arrivato a Neo Tokio-3 avrebbe pensato subito a qualcosa di anomalo: anche se era conosciuta come una città fortezza, restava comunque un centro abitato, per cui ci si sarebbe potuto aspettare di sentire il rombo di un’auto in lontananza, la risata di un bambino, oppure un cane che abbaiava, nell’aria caldissima di quell’estate senza fine. Invece l’intera città taceva, eccezion fatta per l’onnipresente canto delle cicale, al punto che si sarebbe potuto credere che fosse solo un miraggio di cemento ed acciaio, sospeso nell’aria ondulata dal calore. Poi l’eventuale osservatore avrebbe sollevato gli occhi al cielo e sarebbe rimasto a bocca aperta di fronte all’enorme sfera bianca e nera che si stagliava quasi immobile nel cielo terso: qualcuno avrebbe potuto definirla un’allucinazione, qualcun altro una sorta di velivolo simile ad una mongolfiera, ma nessuno sarebbe riuscito a svelare il suo mistero.

Nel costante rumore di fondo delle cicale risuonarono dei tonfi sordi ripetuti, resi fiochi dall’ampiezza dell’ambiente ma che suggerivano il rimbalzare di qualcosa di tremendamente grande. Eppure, quei ‘passi’ avevano un che di furtivo. All’improvviso si udì un assordante stridio metallico, che però non produsse alcun effetto sulla sfera misteriosa.

“Asuka!” comunicò Misato via radio. “L’Umbilical Cable si è impigliato in un angolo, fai attenzione.”

La Second Children soffocò un’imprecazione e si voltò. Attraverso la realtà virtuale della connessione neurale con l’Evangelion, riuscì a distinguere il grosso cavo d’alimentazione che si tendeva tra lei e lo spigolo di un edificio.

“Non preoccuparti,” continuò il Maggiore. “Sei vicina al Reserve Cable 5, sganciati e ricollegati. Ricordati che hai solo cinque minuti per completare l’operazione.”

“Ma per chi mi hai presa?” chiese Asuka, sicura di sé. “In cinque minuti io ti posso radere al suolo questa città.”

Dalla base non giunsero commenti, per cui la ragazza decise di lasciar perdere e distaccò l’Umbilical Cable, la cui caduta al suolo fu ammortizzata dai razzi automatici di stabilizzazione. Accanto a lei un basso edificio si aprì con un sibilo, in modo che potesse afferrare l’impugnatura del cavo di riserva per innestarne l’estremità sulla schiena del suo Evangelion. Compiuta l’operazione, Asuka constatò che aveva impiegato solo ventisei secondi e sorrise con aria di sfida alla telecamera che inviava la sua immagine alla sala comando.

“Eccellente,” fu l’unico commento di Misato, che ignorò l’espressione contrariata della Second Children e passò agli altri piloti. “Rei, Shinji, come procede l’operazione?”

“Mi trovo al punto B7,” comunicò Rei, una piccola goccia di sudore che si discioglieva nell’LCL. “Sono in vista dell’obiettivo.”

“In avvicinamento sulla direttrice T8, cento metri dal punto B15,” rispose Shinji.

“Sei un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, Shinji,” disse Misato. “Raggiungi al più presto la tua postazione ed attendi istruzioni.”

Il Third Children deglutì ed allungò di poco il passo, facendo vibrare le automobili abbandonate lungo la strada. L’Angelo, ammesso che di un Angelo si trattasse, sembrava non aver subito cambiamenti durante quell’estenuante ora di avvicinamento furtivo. Era sempre sospeso alla stessa altezza, e solo confrontando minuziosamente la sua sagoma con quella degli edifici era possibile indovinare che si stesse muovendo.

Dalla sala comando, anche Gabriel era in attesa, ufficialmente pronto ad entrare in campo in qualità di pilota di riserva, ma in realtà molto preoccupato per ciò che vedeva nello schermo tridimensionale: non era affatto normale che un Angelo rimanesse così quieto per tutto quel tempo. Sempre ammesso che di un Angelo si trattasse, dato il suo diagramma d’onda arancione.

“In posizione,” comunicò Shinji quando ebbe raggiunto la sua postazione.

“Idem,” gli fece eco Asuka, che a sua volta si era portata dove le era stato ordinato.

“Bene,” replicò Misato. Poi, rivolgendosi agli Operatori in sala comando, continuò. “Variazioni allo stato dell’obiettivo?”

“Negativo,” rispose Makoto.

“D’accordo. Diamo inizio all’operazione,” ordinò il Maggiore.

“Roger!” fu la risposta contemporanea dei tre Children a bordo dell’Evangelion.

Con un sospiro che produsse una visibile onda nell’LCL in cui era immerso, Shinji mosse il primo passo verso l’obiettivo. Lentamente sollevò la BShot, la pistola manuale per Evangelion modellata sulla Beretta, fino a puntarla verso il centro della sfera bianca e nera che costituiva il bersaglio e, dopo aver preso accuratamente la mira, fece fuoco. Secondo il piano elaborato da Misato, in base alla sua reazione a quel primo colpo si sarebbe deciso come proseguire l’operazione secondo una rosa di possibili alternative, che andavano dall’autodistruzione della base ai festeggiamenti per l’annientamento dell’Angelo. Ma successe una cosa che nessuno si era aspettato, nemmeno Ritsuko, che aveva studiato i dati sull’obiettivo per un tempo interminabile.

L’Angelo non sviluppò un A.T. Field, ma nemmeno venne colpito; scomparve semplicemente nel nulla. Shinji era ancora a bocca aperta, ammutolito, quando un’ombra immensa lo ricoprì e si rese conto con orrore che l’Angelo si era rimaterializzato esattamente sopra la sua testa. Senza ascoltare le grida concitate che gli venivano dall’altoparlante, il ragazzo sollevò l’arma per sparare nuovamente, tentando di gettarsi di lato per evitare qualsiasi possibile attacco, ma rimase spiazzato per la seconda volta. Il terreno sotto i suoi piedi cedette, come se si fosse trovato nelle sabbie mobili, e cominciò ad affondare.

“Che diavolo…?” sbottò, abbassando lo sguardo. La sua esclamazione di sorpresa fece eco a quella di Misato e di tutti gli altri occupanti della sala comando della Nerv. L’ombra dell’Angelo lo stava inghiottendo.

“Shinji!” gridò Asuka, abbandonando la propria posizione e correndo in soccorso del proprio ragazzo. Questi si sforzò di trarsi fuori da quel pozzo oscuro che minacciava di inghiottirlo, ma proprio come nelle sabbie mobili normali, ogni suo sforzo lo faceva affondare di più. Ormai era già immerso fino a metà stinco in quella sostanza nera.

Nella sala comando, intanto, gli Operatori ticchettavano frenetici, cercando di ottenere tutte le informazioni possibili su quel fenomeno assurdo per trovarvi una soluzione.

“Cosa diavolo sta facendo l’Angelo??” sbottò Misato.

“Non lo so, non ci capisco niente!” rispose Makoto. “Dall’ombra dell’Angelo si è sviluppato una sorta di anti-A. T. Field, che sta risucchiando lo 01!”

“Com’è possibile??” volle sapere il Maggiore. Intanto, Ritsuko scrutava con gli occhi sbarrati i dati che scorrevano sugli schermi. “Forse…” sussurrò.

“Forse cosa??” chiese Misato, che invece continuava a fissare l’immagine dello 01 che affondava nell’ombra dell’Angelo, centimetro dopo centimetro.

“Maya,” proseguì la scienziata, ignorando la richiesta di spiegazioni. “Concentra i sensori sull’ombra, svelta!”

Sebbene non comprendesse la natura di quell’ordine, l’Operatrice obbedì, e subito anch’essa esclamò per la sorpresa. “Quella… E’ un’entità fisica!”

“Ed ha un proprio A. T. Field inverso ed un proprio diagramma d’onda blu,” terminò Ritsuko per lei.

Per un tempo che parve infinito nessuno fiatò, tutti erano annichiliti dalla portata di quella rivelazione.

“State dicendo…” riprese Misato, “che l’Angelo in realtà è l’ombra? E quella dannata palla che diavolo è??”

Ritsuko stava per rispondere, ma nella sala comando risuonò il grido di rabbia di Asuka. “Teufel[2]!!”

Mentre alla base si scopriva la vera natura del nemico, la Second Children aveva raggiunto lo 01 e ne aveva afferrato una mano tirandolo verso di sé. Gli aveva fatto guadagnare qualche metro, ma aveva cominciato a sprofondare a sua volta, insieme all’asfalto che si era infranto sotto il suo peso.

“ADESSO BASTA!!” sbottò di nuovo la ragazza, rossa in volto. Lo 02 lasciò l’altro Evangelion, che riprese ad affondare più rapidamente tra le grida di panico del pilota, e subito dopo gli montò sulle spalle, spiccando un balzo verso la sfera che si librava immota nell’aria. Senza badare alle grida di dolore di Shinji, provocate dal suo salto, Asuka riuscì a raggiungere l’altezza di quello che credeva essere l’Angelo e l’afferrò con le mani. Aveva una consistenza strana, sembrava quella di una bolla di sapone straordinariamente spessa, ma non si infranse né scomparve. Per qualche assurdo momento, lo 02 rimase appeso alla sfera. Poi questa cominciò a precipitare al suolo. La sua superficie si incrinò e si strappò come un tessuto, riversando fuori dalla ferita un liquido rosso del tutto simile a sangue. Intanto, ‘l’ombra’ sottostante sembrò ribollire e si increspò.

In sala comando nessuno riuscì a parlare, né per incitare Asuka né per ordinarle di smetterla. Una singola goccia di sudore scese lungo la tempia del Comandante Ikari, altrimenti impassibile. Poi l’urlo di agonia di Shinji imperversò nelle orecchie di tutti coloro che stavano ascoltando, e lo 01 si contorse nella morsa dell’Angelo, che ormai l’aveva raggiunto alle ginocchia.

“Shinji!” chiamò Misato, disperata, per poi rivolgersi all’altra Children. “Asuka, smettila subito, l’Angelo sta divorando lo 01! Rei, fa qualcosa!”

La First Children, che era stata troppo lontana dal luogo dell’azione per intervenire in modo significativo, aveva già cominciato a muoversi verso gli altri due Evangelion, ed ora si trovava praticamente alle spalle di Shinji. Con poche altre falcate lo raggiunse e lo afferrò ai polsi, tirando indietro con tutta la sua forza. Entrambe le macchine caddero sulla schiena, ma Rei riuscì a puntellarsi con le gambe contro due edifici, quasi demolendoli, ed a fare forza per trascinare via lo 01. Shinji, invece, si divincolava in preda agli spasmi di un dolore insopportabile. In sala comando, Gabriel strinse i pugni e digrignò i denti.

 

Resistete, ve ne prego…

 

Nel frattempo, Asuka era quasi arrivata a toccare la superficie nera dell’Angelo con i piedi, e si contorse in aria con un poderoso colpo di reni, cercando di ribaltare le posizioni. La manovra era pressoché impossibile, ma riuscì comunque a far toccare ‘l’ombra’ e la sfera quasi nello stesso momento in cui lo 02 cominciava ad essere assorbito a sua volta.

“Ingoia questo, bastardo!” sputò la ragazza, stringendo i denti per la fitta di dolore ai piedi.

Nel momento in cui la sfera toccò l’Angelo, essa si contorse con un rumore osceno di carne strappata, e tutta la sua estensione fu attraversata da un reticolo di crepe sanguinanti. Contemporaneamente anche ‘l’ombra’ si infranse, eruttando fiotti di sangue dagli innumerevoli squarci che si stavano aprendo. L’esplosione che seguì sovrastò di gran lunga l’urlo dei due Children sofferenti, ma durò pochi istanti, durante i quali le due entità aliene sembrarono fondersi e divorarsi a vicenda. Un attimo dopo l’Angelo e la sua ombra, qualunque delle due forme essa fosse, erano scomparsi, lasciando dietro di sé enormi macchie rosse e vaste crepe sull’asfalto e sugli edifici che erano stati toccati durante l’attacco. I tre Evangelion giacevano scomposti al suolo. Lo 00 non aveva subito danni, e lo 02 presentava evidenti danni alla corazza dei piedi. L’armatura dello 01, invece, era infranta all’altezza delle ginocchia e lasciava vedere, poco più in basso, la sostanza simile a carne ed ossa di cui era formato il vero e proprio corpo della macchina.

“Cessata ogni attività da parte dell’obiettivo,” espose Makoto, trattenendo a fatica l’euforia. “Il dodicesimo Angelo è stato distrutto!”

Misato trasse un profondo sospiro di sollievo, mentre nella sala comando esplodeva un applauso, anche in considerazione del notevole gesto di Asuka. Sorridendo, anche Maya e Shigeru cominciarono ad enunciare la situazione del campo di battaglia, leggendo i dati sui loro schermi. Solo Gabriel e Ritsuko, per motivi diversi, erano ancora sulle spine: il primo perché troppo in ansia per le condizioni di Rei e dei suoi amici, la seconda perché per sua natura dubitava che la situazione si fosse risolta così facilmente.

“Condizioni dei piloti,” enunciò Shigeru, ed il sorriso gli morì sulle labbra. “Shinji ha perso conoscenza! Rilevate cospicue fluttuazioni dei tracciati neurali! Mio Dio, è in coma!”

L’atmosfera si congelò subito, e solo allora, dopo aver concentrato gli sguardi sull’immagine dello 01, tutti i presenti notarono che, poco sotto le ginocchia, il suo corpo terminava nel nulla.

“Mio Dio, Shinji!” esclamò Misato, quasi in lacrime. “ Espulsione dell’entry plug! Mandate subito una squadra di soccorso, presto!”

In risposta al suo ordine la testa dello 01 si piegò in avanti e la corazza posteriore si spostò, permettendo alla capsula contenente il pilota di uscire. Contrariamente alla procedura standard, l’LCL non fuoriuscì, poiché il suo costante afflusso avrebbe permesso una continua irrorazione di ossigeno dei polmoni anche durante un arresto respiratorio. Lo 02 estrasse a forza la capsula di Shinji dalla sua sede e la posò delicatamente a terra, mentre Asuka sciorinava una lunga sequenza di imprecazioni in tedesco. Misato uscì subito dalla sala comando per raggiungere il suo tutelato il prima possibile, e Gabriel la seguì a ruota per ricongiungersi ad Asuka e, soprattutto, a Rei, in quel momento difficile. Fuyutsuki deglutì rumorosamente a causa dell’ansia e scrutò il volto seminascosto dalle mani del suo superiore: non vi scorse alcuna emozione, e dovette reprimere un brivido.

 

 

 

 

Kernberg aveva la schiena a pezzi, ma non voleva, non poteva smettere di lavorare, e non per necessità corporali. In un gesto di generosità, i suoi carcerieri gli avevano concesso un secchio che veniva ritirato ogni ora, disinfettato e riportato, quindi da quel punto di vista non doveva più preoccuparsi. Forse si erano accorti che i metodi del sedicente Professor Hillmann erano decisamente in contrasto con ogni forma di convenzione internazionale sul trattamento dei prigionieri, ragion per cui avrebbero corso il serio rischio di passare grossi guai con le Nazioni Unite se fossero stati scoperti; oppure avevano semplicemente capito che lui non poteva assolutamente lavorare in quello stato, in barba a ciò che aveva detto il suo connazionale.

Il vero motivo per cui non poteva smettere di lavorare era che non riusciva a togliersi dalla mente la portata eccezionale di quella scoperta. Aveva già scartato numerose traduzioni in quelle dieci ore di lavoro ininterrotto, ma aveva comunque capito che il testo inciso seimila anni prima su quella stele era effettivamente la versione più straordinariamente chiara e dettagliata del racconto della creazione su cui avesse mai posato gli occhi.

Per l’ennesima volta si raddrizzò, concedendosi solo una smorfia di dolore a causa della schiena, ma non esitò un attimo. Rilesse a bassa voce il testo che aveva tradotto in tedesco, scosse la testa e gettò il foglio che aveva in mano sulla pila disordinata formata dalle precedenti ipotesi di traduzione.

Si trattava di una grandiosa sfida intellettuale oltre che uno dei momenti cruciali della storia dell’antropologia, dovette ammetterlo. La lingua era una sorta di dialetto arcaico dell’ebraico, ma presentava particolarità fonologiche e morfologiche che lo studioso difficilmente avrebbe potuto spiegare ad un’assemblea di colleghi. Mentre la quasi totalità delle lingue umane presentava contaminazioni più o meno corpose dovute al contatto con le altre culture, in quel testo erano rappresentati simboli e fonemi che Kernberg non aveva mai visto prima. Sembrava quasi che non fosse un semplice dialetto ebraico, influenzato dalle culture che seimila anni prima occupavano le terre circostanti a Qumran, ma che fosse una lingua a se stante, dalla quale si sarebbero differenziate successivamente i diversi idiomi della regione.

“Una specie di linguaggio di Babele,” ragionò a voce alta con un sorrisetto nervoso. Secondo il mito biblico, infatti, prima della costruzione della Torre di Babele tutte le genti umane parlavano una sola lingua. La differenziazione degli idiomi, e la conseguente incomprensibilità reciproca, sarebbe stata la punizione di Dio per l’arroganza dei suoi figli, che avrebbero voluto scalare il cielo per mezzo della loro altissima costruzione.

“Questo ha tutta l’aria di essere un testo precedente a quel fatto,” continuò a ragionare. Per un attimo si lasciò andare alla fantasia di aver veramente scoperto il primo idioma delle genti umane, dal quale derivarono tutte le lingue, poi scacciò quel pensiero: non era da lui trastullarsi con simili fantasie. Lui per primo non credeva che i miti raccontati nell’Antico Testamento corrispondessero a verità. Eppure quella stele contrastava vigorosamente con tutto ciò che aveva creduto di conoscere riguardo i miti cosmogonici del Medio Oriente…

“Forza, Hans,” si disse, togliendosi gli occhiali e stropicciandosi gli occhi affaticati. “Ti sei riposato abbastanza per ora.”

Ritornò a sedersi alla scrivania ed aprì uno dei grossi volumi che si era fatto portare, un testo sull’evoluzione storica e filologica dell’aramaico. Scrutò attentamente le minuziose copie su carta delle incisioni che aveva fatto lui stesso e cercò di compitare, secondo ciò che aveva già provato a tradurre.

“‘Il Dio creò la terra…’ No, forse è meglio intendere come ‘il creato’… Interessante che non vengano utilizzate perifrasi per indicare la divinità creatrice, ma vengano utilizzati direttamente quei caratteri… ed in modo soggettivo, per giunta… Non è ‘la divinità’, ma proprio ‘il Dio’, come se fosse un nome proprio… ‘Nella casa pose Adamo e…’ Interessante anche che qui non si citi affatto Eva, ma ci si riferisca esplicitamente alla prima, e stando a questo testo unica, moglie di Adamo… Lilith…”

 

 

 

 

Quando Shinji riaprì gli occhi fu accecato dalla luce. Cercò di parlare ma scoprì di avere un forte bruciore alla gola e la bocca completamente secca. Però dovette essere riuscito ad emettere qualche suono, perché un’ombra si avvicinò a lui, oscurando in parte la tremenda fonte di luce che gli aveva tolto la vista.

L’ombra disse qualcosa, ma il ragazzo non riuscì a capire di che si trattasse finché quello stesso suono non fu ripetuto più volte. Allora comprese che si trattava del proprio nome.

“Shinji… mi senti…?”

“S…ì…” riuscì ad articolare faticosamente. Ora anche la vista gli stava tornando, e riuscì a distinguere i contorni di un soffitto verdazzurro e di un anonimo lampadario: la fonte luminosa di quella che comprese essere una stanza d’ospedale. L’ombra assunse caratteristiche meglio delineate, fino a diventare l’immagine di Asuka, sorridente e con gli occhi pieni di lacrime.

“Per un attimo ho temuto che non ti saresti mai più svegliato,” disse la ragazza, accarezzandogli la fronte.

“A…suka…” disse lui, sbattendo più volte le palpebre per mettere a fuoco il suo volto. “Cos’è… succe…sso…?”

Lei sorrise ed annuì. “Ti ho salvato la vita, baka che non sei altro!”

Gli spiegò a parole sue ciò che la Dottoressa Akagi aveva spiegato con termini molto più tecnici, ovvero che l’Angelo in realtà era l’entità sottile e nera, e che la sfera bicolore ne era solo l’ombra; che stava per risucchiare lo 01 in un’altra dimensione, che la donna aveva chiamato ‘mare di Dirac’, ma che Asuka stessa riassunse con l’espressione ‘stava per mangiarti’; era per quel motivo che quando lei aveva distrutto l’Angelo anche la parte inferiore delle gambe dello 01 era stata distrutta.

“E’ per questo… che non sento più le mie di gambe?” chiese Shinji. La ragazza lo guardò meravigliata.

“Accidenti, stavo per spiegartelo io, ed invece ci sei arrivato da solo! Stai diventando di giorno in giorno più intelligente, tra un po’ non potrò più chiamarti Bakashinji…”

Il Third Children accolse le parole di Asuka come un complimento e sorrise debolmente. In effetti gli era già capitato in passato di provare dolore a causa della connessione neurale con l’Evangelion, per cui non si stupiva se la mutilazione dell’unità aveva avuto quell’effetto su di lui.

“Comunque non preoccuparti,” continuò Asuka, rassicurante. “La Dottoressa Akagi ha detto che è un effetto solo temporaneo, e nel giro di un paio di giorni tornerai come nuovo.”

Shinji rimase in silenzio ad ascoltare il resto del resoconto e di come Ritsuko avesse rimproverato la Second Children per la sua manovra azzardata, dal momento che la ragazza stessa credeva ancora che l’Angelo fosse la sfera, e non era affatto scontato l’effetto che avrebbe avuto far inghiottire a quell’essere la propria ombra.

“Ovviamente è dovuta intervenire Misato per prendere le mie difese, visto che sono stata io a salvare la situazione,” terminò quindi lei, ravvivandosi i capelli con un gesto vanitoso. “Alla fine anche la Dottoressa Akagi ha dovuto ammettere che ogni tanto la fortuna serve, nel nostro lavoro.”

Shinji rise a quelle parole, e lei si unì volentieri a lui. Subito dopo però si interruppe, tornando serio.

“C’è qualcosa che non va?” chiese Asuka, diventando subito preoccupata. Il ragazzo scosse il capo.

“No, Asuka… è solo che… non ti ho ancora ringraziata per avermi salvato la vita. Ti amo.”

I due si sorrisero e la Second Children si chinò su di lui, baciandolo teneramente sulle labbra. Nonostante la fatica e la sonnolenza dovuta al suo stato, Shinji ricambiò e fece durare quel bacio molto a lungo.

 

 

Misato si concesse finalmente un sorso ristoratore dalla sua lattina di birra, mentre seguiva le ultime operazioni del rientro delle unità Evangelion. Era già sera tarda, ma lei non aveva potuto assolutamente assentarsi dal suo posto di comando se non per fare una breve visita a Shinji. Rei e Gabriel erano già andati ciascuno a casa propria, ed Asuka aveva voluto restare dal suo ragazzo finché non fosse andata via anche la sua ospite. D’altronde mancavano ormai pochi minuti al termine dei lavori, sebbene la zona devastata dall’attacco dell’Angelo fosse ancora semidistrutta: sistemarla però era compito del comune di Neo Tokio-3, non della Nerv, anche se i fondi per la ristrutturazione sarebbero stati detratti da quelli per la gestione dell’agenzia, ed in definitiva dagli stipendi dei suoi dipendenti. Ma la donna era troppo stanca per preoccuparsi anche di quello. I piedi e la schiena le facevano un male d’inferno, le bruciavano gli occhi, aveva fame (fortunatamente quella birra almeno l’aveva dissetata) e come se non bastasse prima di concedersi un meritato riposo avrebbe dovuto andare fino a Matsushiro a trovare Satoshi, dal momento che l’aveva fatto evacuare insieme agli altri ricoverati dell’ospedale della Nerv come misura preventiva.

Sospirò mentre annuiva al caporeparto per acconsentire l’agganciamento della gabbia protettiva all’Evangelion 01. Nonostante fossero passate poche ore dall’attacco, i suoi arti inferiori si stavano rigenerando ad una velocità notevole, tanto che sarebbe stato necessario pensare a sostituire l’armatura delle gambe già il giorno dopo.

“Finalmente ti ho trovata!” sbottò una voce alle spalle di Misato. Era così assorta che sobbalzò facendo cadere a terra qualche preziosa goccia di birra, prima di voltarsi. Rimase letteralmente a bocca aperta quando vide che si trattava di Satoshi, nel suo pigiama ospedaliero, che arrancava sulle stampelle verso di lei, sorridendo.

“Sa… Satoshi!” esclamò la donna, completamente presa alla sprovvista.

“Sei contenta di vedermi?” chiese lui, la cui espressione in viso denotava anche un certo grado di preoccupazione non del tutto nascosta.

“Sì, ma… non dovevi essere a Matsushiro? Eppure l’ordine di evacuazione l’ho dato appena è comparso l’Angelo, me lo ricordo bene!”

“Ehm…” l’uomo si grattò in testa con fare vago. “Ti ho fatto una piccola sorpresa…”

L’altra lo fissò socchiudendo gli occhi ed inarcando le labbra in un’espressione di rabbia repressa. “Non vorrai dirmi che sei scappato dall’ospedale, vero?”

L’uomo sospirò. “… Misato, non potevo permettere che tu affrontassi di nuovo la situazione da sola. Volevo stare al tuo fianco, capisci? Cosa stai facendo??”

La donna era avanzata verso di lui a grandi passi, brandendo la lattina di birra sopra la testa, infuriata. “Sei un irresponsabile! Hai disubbidito volontariamente agli ordini di un tuo superiore, dovrei farti degradare!! E poi, che utilità avresti avuto venendo in sala comando in questo stato? Scommetto che sei stato per tutto il tempo a girare per la base, e sei arrivato solo quando era già tutto finito, vero? Ti rendi conto che hai rischiato la tua vita per niente?? Ti rendi conto che potevi morire senza che io nemmeno lo sapessi?? Sai come mi sarei sent…”

L’uomo abbandonò le stampelle ed avvolse Misato in un tenero abbraccio, al punto che le sue parole si spensero da sole.

“Ti chiedo perdono, amore mio,” le sussurrò ad un orecchio. “Il fatto è che non so darmi pace quando sono lontano da te e so che rischi la vita. Perdonami.”

In un secondo tutta la rabbia del Maggiore Katsuragi evaporò, lasciandole solamente un senso di stanchezza e la voglia di restare con il suo fidanzato per il resto della serata.

“Perdonato,” gli sussurrò in risposta. “Stanotte resterò con te in ospedale, Satoshi, così mi racconterai le tue avventure.”

Il giovane rise piano ed annuì, il volto nascosto tra i capelli di lei. “D’accordo tesoro. Ti amo.”

“Ti amo anch’io.”

 

 

 

 

“Tutto procede come previsto,” concluse l’individuo più giovane della commissione, poco elegantemente seduto sulla sua poltroncina di fianco al signor Lavoisier.

“Dodici Angeli sono stati sacrificati,” intervenne quest’ultimo. “Presto giungerà il tempo di sciogliere la nostra commissione.”

“E’ un gradevole eufemismo, il suo,” disse Hillmann, sorridendo all’ironia del collega. “Comunque, le ricordo che non sarà solo questa commissione a sciogliersi.”

“E quell’uomo?” s’intromise Keel, anticipando la volgare risata del suo collega più corpulento, il quale si ricompose sulla sedia come se avesse capito che l’intervento del presidente era dovuto al suo comportamento. Quando ebbe notato con piacere che quell’individuo si era risistemato, Keel proseguì. “Possiamo ancora fidarci del suo operato?”

“Per ora i problemi che provoca sono sotto controllo,” riferì un altro dei componenti della commissione, un individuo robusto dai tratti orientali, poco appariscente nel suo complesso. “Per il momento possiamo lasciarlo in pace.”

“Bene,” si limitò a commentare Keel, schivo. Era qualche giorno che si sentiva particolarmente infastidito da tutti quegli intrighi, dai sotterfugi, dai progetti che per quarant’anni della sua vita aveva contribuito ad intessere, e la cosa lo turbavau. Soprattutto era infastidito dal fatto di non conoscerne la ragione. Forse era che tutto il suo lavoro stava finalmente per giungere a compimento, oppure si trattava dell’apprensione per la presenza di un estraneo come il Professor Kernberg nell’area più segreta del Quartier Generale, a contatto con quella che avrebbe potuto essere la chiave per il completamento del Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo, oppure la sua definitiva pietra tombale.

“Signor presidente,” intervenne Lavoisier, il viso una rete imperscrutabile di rughe. “Si sente bene?”

“Sì, stavo solo pensando al lavoro che ci resta da svolgere,” mentì il cyborg, celando dietro la sua solita durezza il fastidio che provava. Non sopportava che venissero messe in luce le sue debolezze.

“Ha ragione,” continuò Hillmann, ed il suo sorriso assunse la sua tipica sfumatura di derisione mentre volgeva lo sguardo sull’individuo in piedi, scostato dal tavolo luminoso, che si reggeva al suo bastone d’argento. “E non dobbiamo dimenticarci che non avremmo mai potuto arrivare a questo punto senza il suo aiuto, Professor K.”

L’individuo fremette, come tutte le volte in cui veniva canzonato. Se solo avesse potuto reggersi sulle proprie gambe senza quel dannato bastone avrebbe rimediato ai suoi errori del passato, una volta per tutte. Ma non poteva…

“Per inciso,” si intromise Keel, mentre con una mano frugava in una delle tasche interne della sua giacca. “Volevo rendere partecipe anche il Professor K di certe nostre attività particolari.”

L’interpellato strinse gli occhi castani, ma non disse niente. C’era odio in quello sguardo, Keel lo sapeva, ma sapeva anche che era un odio impotente, perché come la Seele lo aveva salvato, così poteva distruggerlo completamente, se solo avesse tentato di tradirla. Con noncuranza gettò sul tavolo alcune fotografie istantanee, su cui tutti i presenti si chinarono. Alla maggior parte di loro la giovane donna sorridente dai capelli lunghi e scuri non diceva niente, come anche l’individuo alto e biondo che la accompagnava in alcune immagini, ma il Professor K strabuzzò gli occhi ed allungò una mano guantata verso le foto, emettendo una sorta di sibilo disperato. Quando le ebbe portate vicino agli occhi e le ebbe sfogliate ripetutamente, Keel si concesse un sorriso di circostanza molto simile ad un ghigno.

“Come vede, sua figlia sta bene, ed è anche riuscita a rifarsi una vita. E’ superfluo ricordarle, però, che come siamo riusciti a fotografarla, così possiamo riuscire a farle anche altre cose, se servirà qualche incentivo alla sua collaborazione.”

Il Professor K non ascoltò nemmeno quelle parole, tanto era felice di rivedere sua figlia, la sua adorata Misato, dopo tanto tempo. Calde lacrime gli riempirono gli occhi e le lasciò scorrere. Con un dito guantato le accarezzò una guancia, ringraziando il Dio della cui esistenza per tanto tempo aveva dubitato che almeno lei stesse bene. Tutto il resto non importava. Si rese vagamente conto della minaccia insita nelle parole di Keel, ma sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per la sua bambina, anche ripetere il suo errore di tanto tempo prima e consegnare il mondo nelle maledette mani della Seele.

“Inoltre,” proseguì Keel, “se ci offrirà spontaneamente la sua inestimabile collaborazione nella fase terminale del nostro progetto, sarò lieto di fornirle ulteriori informazioni su sua figlia, in modo da allietare le tristi giornate che è costretto a passare in quella sua parodia di corpo umano.”

Detto da un cyborg come lui, quella frase avrebbe potuto suonare ironica, ma K sapeva che ormai da tempo quell’individuo non si considerava più un essere umano. Senza dire una parola annuì alla proposta di Keel.

“Perfetto,” si compiacque quest’ultimo, ritraendosi sulla sua sedia a rotelle cibernetica senza riprendere le fotografie, che K si affrettò ad intascare con gelosia. “Vi informo che l’unità Evangelion 03 sta per essere consegnata alla sede giapponese della Nerv. Se non ci saranno interferenze, tutto dovrebbe procedere come previsto. La seduta di oggi può considerarsi conclusa.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

[1]: scena liberamente ispirata al film End of Evangelion.

 

[2]: “Diavolo” in tedesco, da intendersi qui come imprecazione di Asuka.

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Capitolo 27
*** Dolore al tramonto ***


CAPITOLO 26

CAPITOLO 26

 

Dolore al tramonto

 

 

 

 

 “Qui è la Dottoressa Ritsuko Akagi, della base della Nerv di Neo Tokio-3,” compitò in inglese la donna alla radio. Dopo un attimo di silenzio in cui risuonarono solo scariche elettrostatiche, giunse la risposta, sempre in inglese.

“Qui è il Capitano Arthur McGilles, della divisione americana. Com’è il tempo lì da voi?”

“Splende il sole,” rispose la scienziata, riconoscendo le parole d’ordine che l’altro aveva recitato per rendere certa la propria identità. “Prego, continui, capitano.”

“Abbiamo un pacco per voi, Nerv-1! Vi do qualche indizio: è grosso, nero e ha due gambe.

Ritsuko cominciava già a trovare irritante quell’umorismo yankee. Era per evitare battute come quella che quasi sempre delegava ad altri le ispezioni alla Nerv-2. Ciononostante si costrinse ad accennare una risata. “Molto simpatico, davvero. Tra quanto tempo dovreste effettuare la consegna?”

“Il pacco è pronto, deve solo essere incartato ed imbarcato sull’aerojet. Diciamo… due giorni. Avete qualcosa da fare per allora?”

“Sì, Capitano McGilles, appena l’Evangelion 03 sarà qui dovremo cominciare i test di sincronia.

“Peccato… Era molto tempo che volevo visitare il Giappone, e speravo di poter usufruire di una guida come lei.”

 

Questa poi… Nessuno aveva mai cercato di abbordarmi al telefono…

 

“Sarà per un’altra volta.”

“Ci conto. Allora, se non ci saranno imprevisti, il nostro arrivo nella vostra base di Matsushiro sarà previsto per le ore 0500 di dopodomani mattina, giusto?”

“Esatto.”

“Allora arrivederci, Dottoressa.”

“Arrivederci.”

La donna premette il tasto che pose fine a quella conversazione snervante e si concesse un sospiro di sollievo. L’unico altro occupante della stanza, il Comandante Ikari, la fissò imperscrutabile da dietro le sue lenti scure.

“L’unità Evangelion 03 sta per essere trasferita presso la nostra base,” annunciò Ritsuko. Si sentiva stranamente a disagio in quella situazione.

 

Cosa c’è che non va? Perché sono così inquieta? Eppure non è la prima volta che mi trovo sola con Ikari a parlare di argomenti top secret. C’è qualcosa nel modo in cui è immobile, nascosto dietro le sue mani, che mi i brividi…

 

“Questo è ovvio,” rispose Gendo. “Piuttosto, parlami della tua gravidanza.

Quella richiesta colpì la donna come uno schiaffo in piena faccia.

 

Come diavolo fa a saperlo?? Non ne ho parlato a nessuno! Nessuno!!

 

Troppo sconvolta per elaborare una strategia complessa, la scienziata decise di bluffare. “Ma di che stai parlando? Io non sono affatto incinta!”

“Sai che non devi dirmi bugie,” la incalzò l’uomo, sempre imperturbato. “Sono io il padre?”

Ritsuko boccheggiava alla ricerca di aria.

 

In qualche modo l’ha saputo, non c’è dubbio, non ha senso chiedersi come abbia fatto. Devo solo escogitare un sistema per uscirne.

Dannato bastardo… Perché non riesco mai a dirti di no?

 

“… Sì,” rispose lei, rossa in volto per l’umiliazione e la vergogna di non potersi opporre alla sua volontà coercitiva.

“Me l’aspettavo,” fu l’unico commento da parte dell’uomo. La sua freddezza contribuì ad annichilire lo spirito di Ritsuko. Si sentì svuotata da quelle parole così inattese, al punto che, se fosse stata qualsiasi altra donna, sarebbe scoppiata a piangere dalla disperazione. Ma lei non era una qualsiasi altra donna, era Ritsuko Akagi. Dopo appena un attimo di esitazione, cacciò in gola le lacrime che le stavano salendo e si costrinse ad assumere un’espressione parimenti impassibile a quella del suo superiore.

“Ha delle disposizioni in merito, Comandante?” chiese, tornando formale. L’uomo sembrò pensarci su a lungo, poi scosse impercettibilmente il capo.

“No, Dottoressa, finché il suo stato non influenzerà il lavoro, non avrò obiezioni di sorta. Ovviamente però questa deve restare un’informazione top secret, almeno per il momento.

“Difficile, dato che tra poco inizierà a vedersi,” rispose lei acida. Voleva fargliela pagare, per essere così privo di anima, così disgustoso. Voleva umiliarlo contraddicendo i suoi stessi ordini. Se fosse servito, sarebbe anche andata a raccontare subito tutto quanto alla commissione per il Perfezionamento dell’Uomo, e non solo della gravidanza, ma anche di ciò che Gendo Ikari aveva in serbo per loro…

Infatti ho specificato: almeno per il momento deve restare top secret, quando invece sarà visibile troveremo una scusa plausibile che ci eviti situazioni imbarazzanti.”

 

Sei l’essere più disgustoso che io conosca. Mi chiedo se anche con Yui hai reagito in questo modo, quando hai saputo di Shinji… E se avresti reagito così anche con mia madre… Ma io ora non mi farò manipolare come loro due, e come hai manipolato me in passato. Non mi piegherai questa volta, mostro.

 

Nonostante avesse la morte nel cuore, Ritsuko raddrizzò la schiena e trasse un profondo respiro per darsi coraggio. No, non se la sarebbe cavata così facilmente. “Sia chiara una cosa, Comandante,” disse. “Qualunque ordine tu possa dare, io non rinuncerò mai a mio figlio.”

Gendo restò impassibile alle sue parole, ma subito dopo si lasciò andare contro lo schienale della propria poltroncina. Solo un sottile velo di sudore sulla fronte rivelava che lui era ancora umano. “Capisco,” disse. “In tal caso, faremo in modo di trovare una sostituta per lei, Dottoressa.

Per la scienziata fu come essere di nuovo colpita al volto da uno schiaffo. Aveva sempre pensato a se stessa come ad un elemento importante, insostituibile della Nerv, in virtù del suo rapporto con il Magi System; ed ora, il Comandante diceva che non avrebbe esitato a sacrificarla, ed a sacrificare il figlio che portava in grembo, per proseguire con il suo progetto. D’un tratto, le parve che con lei in quella stanza non ci fosse un uomo, ma un demonio.

“D’accordo,” rispose stringata. Dopodiché si voltò, e dal momento che non veniva richiamata, si diresse quasi di corsa verso la porta d’uscita dell’ufficio di Gendo. Non appena fu fuori cominciò a piangere ininterrottamente.

 

 

“Ehi, la nostra scienziata!” esordì Misato quando vide la Dottoressa Akagi entrare in sala comando. “Come va il lavoro?”

L’altra donna fece un cenno vago della mano, che però non riuscì a mascherare il suo fastidio. “Procede, piuttosto, vi informo che nel giro di tre giorni l’unità Evangelion 03 verrà portata in questa base.”

“Oh, no,” gemette Maya mettendosi le mani fra i capelli. “Bisognerà reimpostare tutti i dati nel Magi System e programmare la sua gabbia…”

“Non preoccuparti,” fece Shigeru, sorridendole, “ti aiuterò io.”

La ragazza gli sorrise a sua volta ed annuì, consolata. “Ti ringrazio, tesoro.”

Mentre i due si scambiavano quel genere di effusioni, Makoto, forse spinto da invidia o forse da noia, cominciò ad imitarli esagerando le proprie smorfie. Misato rise sotto i baffi, ma Ritsuko intervenne subito. “Hyuga, con quattro Evangelion non avremo più piloti di riserva, quindi assicurati che i dati del Dummy System vengano impostati correttamente: voglio che sia tutto pronto per l’arrivo dello 03.”

Sorpreso di essere stato richiamato all’ordine, Makoto biascicò una conferma e si mise a lavorare. Misato invece guardò l’amica, inquisitoria. “Ri chan, sei sicura di star bene?”

“Sicurissima,” fu la risposta, ma la bionda non l’aveva guardata negli occhi. “Vado in infermeria. Misato, tu occupati di informare il Fourth Children, io cercherò di darmi da fare con gli ultimi ritocchi al nucleo del Dummy System.

Il Maggiore la fissò allontanarsi fino ad uscire dalla sala comando, quasi di corsa, e decise che veramente c’era qualcosa che non andava. Purtroppo in quel momento c’era molto lavoro da svolgere, non ultimo ascoltare i reclami del comune per i danni provocati dalla lotta con l’ultimo Angelo, ma si ripromise che avrebbe indagato al più presto.

“Accidenti, che stress che fa venire a volte quella donna,” commentò, scacciando la propria inquietudine e cercando di metterla sul ridere. “Qualcuno sa dirmi dove si trova il Fourth Children?”

Shigeru pose la domanda al Magi System e rispose subito dopo. “Non è alla base per i suoi test, quindi probabilmente si trova a scuola.

La donna annuì. “Allora gli comunicherò la cosa quando andrò a prendere i ragazzi.

“Maggiore,” chiamò Maya, che in quel momento ripose la cornetta del telefono interno della base. “C’è un certo signor Kono che vorrebbe parlare con lei, dice di essere l’Assessore comunale per l’edilizia…”

Misato sospirò, afflitta.

 

 

 

 

“Gabriel, vorrei parlarti un attimo in privato,” disse Misato quando lei ed i tre Children rimasti furono sul pianerottolo che condividevano. Rei aveva dovuto andare alla base dietro esplicita richiesta di Ritsuko, per cui non avevano fatto deviazioni per accompagnarla a casa. Il Fourth Children era un po’ intristito dall’idea di passare un altro pomeriggio lontano dalla propria ragazza, perciò Misato aveva pensato che la notizia di avere un Evangelion tutto suo l’avrebbe tirato su di morale. Gabriel la guardò sorpreso alla sua richiesta, come d’altronde anche gli altri due.

“Che c’è, Misato,” iniziò Asuka. “Gli vuoi comunicare che Ayanami deve lasciare il Giappone per sempre?”

“Ah, dai, Asuka,” la rimproverò Shinji, che però rise con lei alla battuta. “Sei crudele!”

“Appunto,” commentò l’interessato, socchiudendo gli occhi con espressione minacciosa. Anche lui stava scherzando, ma la sola idea lo rendeva inquieto, per cui preferiva finire al più presto quel gioco. “Mi dica, Maggiore,” aggiunse, aprendo la porta dell’appartamento che divideva con Satoshi e facendole cenno di entrare. L’Agente era ancora in ospedale poiché Ritsuko, dopo aver saputo della sua bravata durante l’attacco dell’ultimo Angelo, aveva deciso di trattenerlo in osservazione per evitare che le fossero sfuggiti danni neurali, per cui la casa era vuota. La donna attese che la porta si fosse chiusa alle sue spalle, lasciando fuori i due ragazzi rosi dalla curiosità, prima di cominciare il suo discorso.

“La prego, mi dica subito se la cosa coinvolge Rei,” la anticipò Gabriel, serio. Misato rise, fraintendendolo. “No, non preoccuparti, Gabriel chan, Rei non deve partire, resterà in Giappone alla Nerv.

Il ragazzo sospirò di sollievo, sebbene la donna avesse creduto che stesse solamente proseguendo lo scherzo di Asuka.

“In realtà dovresti essere felice,” continuò, “perché tra pochi giorni arriverà in Giappone il tuo Evangelion!”

Gabriel strabuzzò gli occhi e sbatté più volte le palpebre, incredulo. Misato, dal canto suo, annuì con fare orgoglioso. “Ebbene sì, una volta effettuato il test di attivazione non sarai più una semplice riserva, ma sarai ufficialmente il Pilota dell’unità Evangelion 03. Come ti senti?”

 

… Un po’ frastornato… Non mi aspettavo di certo che me lo dicesse così a bruciapelo…

Ma non posso negare che non aspettavo altro. Ora sarà più facile reggere il peso che grava sulle mie spalle: il peso della salvezza dell’umanità, dei miei amici, di Rei.

E’ tempo di diventare grandi. Alla Nerv potranno anche dire che siamo dei ragazzini, ma essere Piloti di Eva significa essere adulti a quattordici anni.

Se dovesse accadere di nuovo… quell’incidente, ora potrò provvedere personalmente, senza coinvolgere nessuno.

Solo io e l’essere di turno.

 

Gabriel drizzò le spalle e la guardò con serietà. “Maggiore, per me sarà un onore pilotare lo 03. E’ giusto che il peso che portano gli altri tre piloti sia distribuito equamente per quattro.”

Misato dapprima rimase interdetta alle parole del ragazzo: fino ad un attimo prima aveva creduto che stesse tranquillamente scherzando assieme ai suoi coetanei, ma all’improvviso era diventato serio, come se fosse pienamente consapevole del proprio compito. A differenza di lei,che molto spesso si trovava a prendere sottogamba il proprio lavoro, con il risultato di ritrovarsi con tonnellate di proteste ufficiali da parte del Comune di Neo Tokio-3.

Reprimendo il proprio senso di vergogna, la donna annuì. “E’ questo lo spirito giusto, Gabriel!” disse. “Domani mattina verrai con me e Ritsuko a Matsushiro, dove faremo il test di attivazione del tuo Evangelion e diventerai pilota a tutti gli effetti.”

Gabriel a quelle parole sollevò un sopracciglio, perplesso. “Perché a Matsushiro? Non sarebbe più comodo farlo direttamente al Geo-Front?”

Il sorriso di Misato le morì lentamente sulle labbra, mentre cercava di fornire una spiegazione che non suonasse fredda come la constatazione di un decesso. “Beh, si tratta di una misura precauzionale, ma non che ce ne sia realmente bisogno, anzi, diciamo che è una fissa di Ritsuko…”

Il Fourth Children si rabbuiò, dimostrando di non essersi lasciato ingannare. “In pratica, se qualcosa dovesse andare storto, il quartier generale della Nerv non correrebbe rischi, giusto? Molto previdente, devo ammetterlo.”

“… Dai, non essere così tragico,” lo rimbrottò Misato, mettendogli una mano sulla spalla e sorridendo tranquillizzante. In realtà il vero motivo era proprio quello enunciato da Gabriel, ma lei non voleva affatto che passasse i giorni successivi in uno stato d’animo tanto negativo. Soprattutto perché…

 

Perché potrebbero essere i suoi ultimi giorni di vita.

 

“Gabriel, perché non vieni di là con noi?” propose la donna, anche per cacciare il pensiero che le era balenato nella mente per un attimo. “Ora che Satoshi non c’è ti sentirai solo qui a casa sua.

L’espressione di Gabriel si addolcì un po’. Forse, anche lui stava cercando di non pensare all’eventualità peggiore in cui il test di attivazione si sarebbe potuto evolvere: anche lui, come gli altri membri della Nerv, aveva saputo degli effetti del primo test di attivazione dell’Evangelion 00 su Rei. “E’ sicura che non disturbo?”

Ma figurati! I ragazzi saranno felici di passare la serata con te, ed oltretutto vorranno assolutamente sapere la notizia dalla tua bocca, piuttosto che dalla mia.

 

 

“Pronto?” rispose Rei al telefono, con tono stanco. Era tornata da meno di mezz’ora dopo un pomeriggio estenuante fatto di test e concentrazione, per cui quella sera voleva solo riposare un po’, scambiare due parole con il suo ragazzo e fare una lunga dormita.

“Rei? Ti disturbo?” chiamò la voce di Gabriel dall’altra parte dell’apparecchio telefonico. Subito la ragazza balzò a sedere, perfettamente sveglia e felice. “Ciao, Gabriel! Scusa per il tono, è che sono rientrata solo adesso dalla Nerv.

“Solo adesso?? Ma è l’una di notte!”

“Lo so, ma la Dottoressa Akagi ha insistito per continuare i test ad oltranza. Sapessi quanto sono stanca…”

“… Forse allora avrei fatto bene a non telefonarti.

Ma no, cosa dici. Sai bene che tu puoi telefonarmi ad ogni ora. Allora, cosa mi racconti?”

“Rei…” Dall’altra parte del telefono ci fu una lunga pausa, tanto che la First Children cominciò a preoccuparsi, ma prima che potesse intervenire Gabriel riprese a parlare. “Io… domani dovrò andare a Matsushiro, perché tra pochi giorni arriverà l’Evangelion 03 e dovremo fare il test di attivazione.”

Rei dapprima credette di aver capito male e rimase a fissare a bocca aperta il muro spoglio della propria stanza, poi si decise a chiedere conferma. “Il… Il test di attivazione dello 03…?”

“Esatto. Il Maggiore Katsuragi mi ha informato che dovremo partire domattina per Matsushiro, e non saremo di ritorno se non dopo il test.

“Vengo anch’io.”

Il ragazzo rimase in silenzio, ma Rei non faticò ad immaginarselo che scuoteva la testa. “Mi dispiace, ma è meglio che tu rimanga a Neo Tokio-3, al sicuro,” disse infine, confermando la sua supposizione.

Ma…” provò ad opporsi la ragazza, con scarsa convinzione. Già sapeva infatti che le parole di lui erano l’unica scelta possibile.

“Nessunma’, Rei,” rispose Gabriel, deciso anche se triste. “Credimi, anch’io vorrei averti vicino, ma… è più sicuro così. Non si sa cosa potrebbe succedere se il test andasse male.

“Io lo so,” intervenne Rei, questa volta con maggior risolutezza. Dall’altra parte, Gabriel rimase un po’ interdetto, ma si riprese prontamente. “Proprio perché lo sai dovresti capire perché voglio che tu rimanga al sicuro.

“Sì, lo capisco…” La First Children si interruppe per non far capire al proprio ragazzo che stava trattenendo le lacrime. Quando si sentì sufficientemente calma riprese a parlare. “Gabriel, posso chiederti un favore?”

“Sì.”

Ritorna da me tutto intero, va bene?”

Gabriel rimase in silenzio per un attimo, ma quasi subito emise una lieve risata. “Certo, tesoro, e quando tornerò, non mi importa cosa diranno a scuola o alla Nerv, passeremo un’intera giornata insieme.”

La ragazza si costrinse a ridere a sua volta. “D’accordo. Allora… ti aspetto…”

“Sì. Vedrai che tornerò in men che non si dica.

“Appena sarà tutto finito promettimi che mi chiamerai.”

“Sì, te lo prometto.”

Quelle parole ebbero l’effetto di calmarla un po’. “Grazie… Ti amo, Gabriel.”

Anch’io ti amo, Rei.”

Prima di scoppiare a piangere, la ragazza capì che doveva chiudere al più presto la comunicazione: non voleva che si sentisse preoccupato per lei a ridosso del test di attivazione. In quel momento ogni minima variazione anche se solo psicologica poteva avere effetti catastrofici; lei lo sapeva molto bene.

“Ora è meglio che tu vada a dormire,” si risolse a dire la First Children, mordendosi il labbro inferiore. “Domani sarà una lunga giornata.”

“D’accordo. A presto, Rei.”

“A presto, amore mio.”

La voce di Gabriel fu sostituita dal monotono segnale acustico che segnava la fine della chiamata, e Rei non seppe resistere ulteriormente. Gettò il telefono sul comodino e si accasciò sul letto, stringendo a sé il cuscino e piangendo finché non si addormentò, sfinita.

 

 

 

 

Ma si può sapere dove sono finiti quei dannati americani?” sbottò Misato, guardando esasperata il proprio orologio da polso. “Sono in ritardo già di due ore, e non hanno inviato nessuna trasmissione!”

“Stai calma,” le disse Ritsuko, seduta ad una delle consolle della stretta sala di comando. Sebbene la base di Matsushiro dovesse essere in teoria la vicaria di quella di Neo Tokio-3, era almeno dieci volte più piccola: le funzionalità erano tutte riprodotte, ma in scala molto minore. Normalmente tutto ciò bastava per le scarse operazioni che vi venivano svolte, ma in quel momento la base straripava di tecnici, operatori, medici ed agenti di sicurezza, in vista dell’imminente arrivo dell’Unità 03. Arrivo che, tuttavia, era in ritardo sulla tabella di marcia.

La Dottoressa Akagi spostò la propria tazza di caffè dallo schermo del radar, anticipando la domanda successiva dell’amica. “Sono ancora in volo,” lesse, “e dovrebbero essere quasi usciti dalla zona di perturbazione. Non è colpa loro se non hanno potuto avvertirci del ritardo, le comunicazioni si sono interrotte a causa del campo magnetico del temporale.

Misato sbuffò, irritata. “Avrebbero potuto aggirarlo senza difficoltà, anche loro hanno un radar.

“Sì, ma così facendo sarebbero arrivati nel pomeriggio, se non in serata.”

Il Maggiore lasciò perdere. In fondo non era di sua competenza decidere il tragitto migliore tra gli Stati Uniti e il Giappone. “Piuttosto, come sta il nostro Pilota?”

Ritsuko premette prontamente un tasto e su uno schermo comparve l’immagine del Fourth Children, già con indosso la plug suite, che stava leggendo qualcosa, seduto negli spogliatoi.

“Sembra tranquillo,” decretò la scienziata dopo una rapida occhiata. “Credo che stia leggendo il fascicolo sull’Evangelion 03.”
Misato annuì. “E’ sempre stato più maturo della sua età, ma io ho sempre visto in lui il ragazzino che forse avrebbe voluto essere.

Che cosa intendi?” le chiese Ritsuko.

“Sai com’è la sua vita; prima di venire qui era professore al Conservatorio, ora è un Pilota di Evangelion ed è visto un po’ da tutti come un ragazzino prodigio. Non mi stupirei se in cuor suo bramasse di essere un semplice quattordicenne come i suoi compagni di classe.

L’altra donna scosse il capo. “Secondo me ti sbagli. Per stare insieme a Rei è necessaria una sensibilità profonda; non credo che l’avrebbe se desiderasse davvero essere come gli altri. Dopo una breve pausa per sorbire del caffè, riprese. “Lui accetta ciò che è non per stoicismo o perché non ha nient’altro, come faceva Rei quando ancora non lo conosceva, ma perché… perché è fatto così.

Misato rimase in silenzio, ponderando le parole dell’amica.

 

In effetti ha ragione… Si meriterebbe decisamente un premio per il suo impegno. Quando torneremo gli garantirò una settimana di riposo sotto la mia personale responsabilità. Ed anche a Rei, così potranno stare finalmente un po’ insieme.

 

“Base di Matsushiro, qui è Tango-16, mi ricevete?” gracchiò l’altoparlante. Soffocando un esclamazione di sollievo, Misato prese le cuffie dotate di microfono e premette il pulsante per rispondere. “Qui base di Matsushiro, parla il Maggiore Katsuragi. Ce ne avete messo di tempo, eh? Passo.”

Dall’altra parte della radio giunse il suono di alcune risate soffocate. “Le chiediamo scusa, Maggiore, ma abbiamo incontrato un po’ di maretta. Dovremmo arrivare con il nostro pacco da voi tra circa venti minuti. Passo.”

Misato chiese conferma con lo sguardo a Ritsuko e questa, dopo aver letto dei dati sul proprio monitor, annuì. “Confermo la vostra stima. Vi aspettiamo. Passo e chiudo.”

Preparate una bella torta per festeggiare il nostro arrivo, mi raccomando! Chiudo.”

Il Maggiore chiuse la comunicazione e rivolse uno sguardo interdetto alla scienziata, che ricambiò. “Yankees,” ribatté quest’ultima, dopodiché aprì la comunicazione dell’interfono. “A tutta la base, parla la Dottoressa Akagi. Prepararsi per l’arrivo dell’unità Evangelion 03. Tempo previsto, venti minuti.”

Nello schermo dello spogliatoio Gabriel alzò gli occhi verso la telecamera e chiuse il fascicolo che aveva tra le mani. Per un attimo Misato credette di vedere nel suo sguardo una punta di disperazione, ma dovette essere solo una sua impressione, perché subito dopo vi lesse solamente determinazione ed una punta di nervosismo, peraltro perfettamente giustificabile. Premette il tasto che la mise in comunicazione solamente con lo spogliatoio e parlò nel microfono. “Gabriel, sei pronto?”

Il ragazzo raddrizzò la schiena e annuì vigorosamente alla telecamera. Misato sorrise, teneramente.

 

Sì, una bella vacanza se la merita.

 

 

 

Il liquido speciale gli entrò nei polmoni con la consueta sensazione di oppressione al petto, che scomparve in pochi secondi. L’entry plug assunse il caratteristico colore giallognolo provocato dalla rifrazione della luce artificiale e Gabriel chiuse gli occhi. Non avvertiva ancora nulla attorno a sé, segno che la connessione neurale con l’Evangelion non era stata ancora attivata.

“Tutto bene, Gabriel?” chiese Misato attraverso l’altoparlante. “Nessuna anomalia,” fu la risposta.

Nella sala comando della piccola base di Matsushiro, dove erano stipate più di dieci persone intente a tenere sotto controllo numerosi indicatori, il Maggiore sbuffò. “Sembra che alla fine ce l’abbiamo fatta,” commentò.

Avevano impiegato un’ora per installare lo 03 nell’unica gabbia disponibile in quella base, ed un’altra mezzora per effettuare tutti i collegamenti tra il suo sistema di controllo ed il Little Magi, la copia infinitamente meno complessa del Magi System che operava laggiù. Oltre a tutto questo, Misato e Ritsuko avevano impiegato quasi quindici minuti per congedare gli ufficiali americani, che si erano impuntati per avere una fotografia con loro due e per pranzare insieme. La seconda richiesta fu glissata con la scusa di dover effettuare il test di attivazione al più presto possibile, ma per la prima non ci fu niente da fare: le due donne si costrinsero a non apparire troppo scocciate mentre i piloti effettuavano un’interminabile serie di fotografie.

Come se non bastasse, si era fatto ormai pomeriggio inoltrato e nella migliore delle ipotesi non avrebbero finito test e analisi prima di mezzanotte.

Ritsuko annuì alle parole dell’amica, asciugandosi un sottile velo di sudore dalla fronte; sebbene l’aria condizionata fosse attiva, la tensione e la presenza concentrata di così tante persone avevano l’effetto di renderla praticamente inesistente.

“Dallo 03 non rilevo reazioni anomale,” rispose la bionda.

“Bene,” decretò Misato, tornando a guardare il volto minaccioso dell’Evangelion attraverso lo schermo. “Diamo inizio al test.”

Come gli era stato detto, Gabriel si concentrò sulle proprie percezioni, attendendo che ad esse si sovrapponessero quelle della macchina a mano a mano che la connessione neurale aumentava il proprio tasso di sincronia.

Nell’entry plug intanto risuonavano interminabili i rapporti degli operatori, che sciorinavano una mole impressionante di dati sulle complesse reazioni che venivano registrate dallo 03. Ma nella mente di Gabriel, ancora nulla aveva affiancato la preoccupazione che la sua Rei fosse in pensiero per lui.

Ritsuko esaminò con occhio critico le onde sinusoidali dei grafici che si andavano sovrapponendo, senza rilevarvi problemi. Se tutto fosse proseguito a quel modo, la Nerv avrebbe potuto contare su un’arma in più nella sua lotta contro gli Angeli.

“Va ancora tutto bene, Gabriel?” chiese attraverso il microfono.

Roger, niente da riferire,” rispose il Fourth Children. “Avverto solo la consueta tensione muscolare che prelude alla connessione.

“Tutto perfettamente normale, allora,” commentò la scienziata. Stando a quanto riportato dagli altri Children durante i loro test di attivazione, quella tensione preannunciava l’instaurarsi di una connessione promettente. Sorrise, decisamente tranquillizzata man mano che gli indicatori si avvicinavano al livello critico.

“Siamo in procinto di raggiungere la linea di demarcazione assoluta,” dichiarò un operatore, mentre le spie verdi arrancavano con apparente difficoltà verso il loro limite, per poi superarlo d’un soffio. In quel momento, gli occhi dell’Evangelion si accesero di una luce bianca abbacinante.

“Aumento anomalo del livello energetico!” sbottò un’altra operatrice, e presto le fecero eco i suoi colleghi, riportando valori del tutto inaspettati e fuori scala. Qualcosa stava andando storto.

“Gabriel, Gabriel, mi senti??” chiamò Ritsuko, ora decisamente allarmata. Misato strinse le mani sullo schienale di una delle sedie, fissando con ansia il volto disumano dello 03 che aveva cominciato ad oscillare, come se l’immenso robot fosse intontito. Dall’interno dell’entry plug, però, non giunse nessuna risposta.

“Frequenza cardiaca del Pilota in aumento! Anche la pressione sanguigna! Onde cerebrali… mio Dio!”

Ritsuko si voltò verso lo schermo con i dati sulle funzioni vitali di Gabriel ma non riuscì a commentare l’affermazione dell’operatore che li stava leggendo poco prima. Il tracciato neurale del Fourth Children aveva assunto una conformazione mai vista, fatta di picchi ed affossamenti impossibili in un essere umano.

Senza attendere oltre, Misato fece per ordinare l’espulsione dell’entry plug, ma fu anticipata da una reazione dello 03 che la lasciò senza fiato. Una delle sezioni dorsali dell’armatura si sollevò, mostrando sotto di essa un tessuto biancastro e fibroso, del tutto diverso dalla struttura biologica di un Evangelion. Il Maggiore Katsuragi non riuscì a finire la frase e Ritsuko ebbe a mala pena le forze per pronunciare le parole che tutti i presenti stavano pensando. “E’… un Angelo!”

Quella che fu l’unità Evangelion 03 spalancò le fauci spezzando la corazza facciale, ed un attimo dopo la base di Matsushiro sparì in una sfera di luce accecante.

 

 

 

 

“Accidenti, proprio adesso doveva attaccare??” sbottò Asuka, ansimante, quando i tre Children ebbero raggiunto gli spogliatoi.

“Sbrighiamoci a farla finita,” rispose Shinji, risoluto, mentre imboccava la porta della sezione maschile. “Comunque, se la tireremo per le lunghe, potremo contare anche sull’appoggio di Gabriel, suppongo.”

Quando il ragazzo fu sparito, anche Asuka e Rei si recarono nel rispettivo spogliatoio.

“Che tempismo perfetto,” commentò la Second Children cominciando a svestirsi. “Se questo tredicesimo Angelo avesse aspettato un paio di giorni ad attaccare avremmo potuto prendercela molto più comoda.”

Non ottenendo risposta, la ragazza si sporse dall’altra parte del telo divisorio che garantiva a loro due un sufficiente grado di privacy anche in quella situazione. Rei era seduta su una panca, già spogliata, ma la plug suite le giaceva in grembo, mentre lei si teneva le braccia strette attorno al busto. Tremava.

“Ehi, che ti prende, Ayanami!” le si rivolse Asuka, raggiungendola e sedendosi accanto a lei. Da quell’angolazione poté notare che stava piangendo; non l’aveva mai vista piangere, e più di una volta aveva creduto che non ne fosse capace.

Soryu…” singhiozzò la First Children. Ho… paura. Ho un brutto presentimento…”

Sebbene un tempo non si sarebbe mai sognata di fare un gesto simile, Asuka le posò delicatamente una mano su un avambraccio, scuotendola leggermente e sorridendo. “Non dovresti crucciarti. Gli Angeli attaccano quasi sempre Neo Tokio-3, non so per quale motivo, ma Matsushiro dovrebbe essere abbastanza sicura.”

Nonostante la buona volontà, si rese conto che le sue parole non erano suonate molto rassicuranti, ma ciò era proprio quello che credeva; a parte il sesto Angelo, che l’aveva attaccata in mare, e l’ottavo, che era stato stanato dalla Nerv, tutti gli altri erano stati attirati per qualche motivo ignoto a Neo Tokio-3.

Dopo qualche altro momento Rei riuscì a calmarsi abbastanza da controllare il proprio pianto: le parole dell’amica non l’avevano tranquillizzata più di tanto, ma sapeva che non avrebbe fatto nessuna differenza se fosse rimasta lì a piangersi addosso; se voleva veramente proteggere Gabriel doveva indossare la sua plug suite e salire sullo 00. Ritornata presente a se stessa, la ragazza sorrise debolmente ad Asuka ed annuì. “Ora va meglio, grazie.”

Le due si alzarono in piedi e la First Children indossò la propria tuta, mentre l’altra rimaneva in disparte, pensierosa.

 

Rei… Tu e i tuoi brutti presentimenti! Ora li hai attaccati anche a me!

 

“Sei pronta?” le chiese la rossa, incoraggiante. Rei annuì e terminò di indossare il diadema di connessione prima di uscire dallo spogliatoio femminile.

Nel giro dell’ora successiva i tre ragazzi entrarono nei rispettivi Evangelion e si disposero in uno schema d’attacco che il Comandante Ikari ed il suo Vice Fuyutsuki avevano elaborato con attenzione, in modo da limitare al minimo i possibili danni provocati alla città. L’obiettivo si avvicinava proprio dalla direzione di Matsushiro, cosa che gettò Rei nuovamente nell’inquietudine, ma Gendo fu sollecito nello specificare che esso era comparso sugli schermi radar della Nerv molto lontano dalla base secondaria, e che quindi non era affatto scontato che fosse passato in quella zona. Contrariamente a quanto era accaduto con Asuka, Rei non si sentì affatto rassicurata da quelle parole, ed il suo tasso di sincronia fu sensibilmente inferiore al solito quando si mosse per raggiungere la posizione che le era stata assegnata.

Costantemente informati dai dati letti ad alta voce da Makoto, i tre Children rimasero in attesa per un tempo che parve loro infinito, pronti a tutto. Poi lo videro, e seppero che non erano pronti abbastanza.

Uscì da dietro una bassa collina, stagliandosi contro il sole al tramonto: aveva lunghe braccia e camminava dinoccolato, ingobbito, come una belva minacciosa pronta a scattare ma anche come una creatura schiacciata da un pesante fardello. La visione che i tre ebbero era talmente assurda che per un attimo cedettero che si trattasse di un difetto nel sistema visivo della propria macchina.

 

Non può essere…

 

E’ assurdo…

 

Gabriel…

 

 

 

 

 

Gabriel sentì un dolore lancinante alla nuca, ma durò solo un attimo. Subito dopo aprì gli occhi e non era più nell’entry plug. La sua ragione gli urlava di restare allerta, che era ancora in pericolo, sebbene non ne capisse il motivo, ma una piacevole sensazione di pace gli ottundeva i sensi.

Ricordava vagamente un test, una cosa chiamata Evangelion, ma, tutto sommato, sentiva che quei ricordi non avevano molta importanza per lui. Tranne un volto, circondato da corti capelli azzurri…

Si alzò a sedere sull’erba ed inspirò con piacere la fresca aria di quel mattino di primavera, così diverso dall’estate torrida che aveva conosciuto negli ultimi mesi della sua vita.

Non si preoccupò nemmeno di non avere più indosso la plug suite o il diadema di connessione, ma di essere completamente nudo. Si drizzò in piedi e si stiracchiò, e finalmente la voce della sua ragione si zittì. Si sentiva del tutto a suo agio, in quello splendido giardino circondato di alberi di dattero.

Una figura si mosse al limite del suo campo visivo. Incuriosito, Gabriel le si avvicinò. “Cosa sei?” chiese.

L’essere si voltò a guardarlo, o almeno quella fu l’impressione del ragazzo, perché non avrebbe saputo dire se avesse avuto un volto. Il suo corpo aveva una forma indistinta, vagamente umanoide, che emanava un’abbagliante luce bianca.

 

Gabriel.

 

Quel nome gli risuonò nella mente priva di un’intonazione, come se fosse un mero concetto trasmesso senza bisogno di passare per le parole. Il ragazzo fu alquanto stupito di sentire che l’essere luminoso lo aveva chiamato per nome, anziché rispondere alla sua domanda. “No, quello è il mio nome” riprese, più incuriosito che intimorito. “Come fai a conoscerlo? Chi sei?”

 

Sono il fratello a te più vicino per splendore.

 

Gabriel continuava ad essere confuso. “Ma io non ho fratelli.”

 

Ne hai più di quante siano le stelle del cielo, o i granelli di sabbia nel deserto.[1]

 

Una lieve forma di consapevolezza si fece strada nella mente ingenua di Gabriel. Sapeva che quella figura luminosa aveva ragione, ma non riusciva a comprenderne il motivo. “Non riesco a capirti, Bardiel,” le disse, senza nemmeno interrogarsi su come facesse a conoscere il suo nome.

 

Non siamo fatti per capire.

Noi, figli di Adam, abbiamo un solo scopo.

 

 

 

 

 

Kernberg era febbricitante, ma continuava a scrivere furiosamente sui propri fogli, una pagina dopo l’altra di possibili traduzioni, di note, di cancellature. “E’ la Profezia,” mormorò fra sé, mentre stracciò un’altra pagina e alzava gli occhi sulla stele, i cui segreti era finalmente giunto a svelare. “Questa è la vera Rivelazione[2], la Parola di Dio…”

Tremando, ricominciò a scrivere l’ultima strofa di quello che, ormai lo aveva capito bene, era l’ultimo segreto che Dio aveva per gli uomini. E lui stesso lo stava svelando.

“‘Sorse una nuova Lilith,” recitò febbrilmente.

Sorse un nuovo Adam.

E lui giudicò i peccati degli uomini.

Lui che è l’Eroe di Dio.”

Colto da una vertigine improvvisa, Kernberg rantolò e si abbatté sulle proprie carte, svenuto.

 

 

 

 

“Comandante Ikari…” mormorò Shinji, incredulo. “Cosa sta succedendo?”

“Quello è il vostro obiettivo,” rispose freddamente Gendo.

Ma, Comandante!” si sentì obiettare Makoto. “E’ il tredicesimo Angelo, non vi sono dubbi a riguardo,” proseguì imperterrito il Comandante. “Sbaglio forse, Tenente Hyuga?”

Ci fu un attimo di esitazione, poi Makoto sussurrò con un filo di voce, esterrefatto. “Presenza di A. T. Field confermata. Diagramma d’onda blu. Ha ragione, Comandante, quello è un Angelo.

“NO! NON PUO’ ESSERE VERO!” sbottò Rei frastornando coloro che erano in ascolto. Le lacrime le offuscarono gli occhi e si disciolsero nell’LCL, rendendolo salato al gusto. Tutto attorno a lei la visuale dell’esterno vacillò e per un attimo fu come se andasse in frantumi.

“Il tasso di sincronia del First Children è in picchiata!” annunciò allarmata Maya, che continuò a leggere i dati sul proprio monitor. “Sessanta percento! Quaranta! Venti percento!! Il valore è sceso sotto la soglia critica, l’Eva 00 non può più muoversi!”

Rei, dannazione, calmati!” sbottò Gendo, cogliendo di sorpresa Fuyutsuki alle sue spalle, il quale non si sarebbe mai aspettato una tale dimostrazione di emotività da quell’uomo.

“Là sopra c’è Gabriel! Il mio Gabriel!” continuò Rei, imperterrita. “Tiratelo fuori da lì!”

“Espulsione forzata dell’entry plug!” ordinò Fuyutsuki, decidendo di sua spontanea iniziativa di scavalcare il suo capo.

Makoto eseguì l’ordine, e la copertura dell’entry plug dello 03 saltò via dalla sua sede. Uscì anche uno sbuffo di vapore quando i razzi della capsula si accesero, ma essa rimase saldamente inserita nella macchina-Angelo.

“Qualcosa la trattiene, è impossibile mettere in salvo il Pilota,” fece rapporto Makoto. Dalla propria scrivania, sovrastante il resto della sala comando, Gendo socchiuse gli occhi, come se fosse pensieroso. Dopo un attimo però li riaprì, e la sua espressione era più decisa che mai. “La nostra priorità è la distruzione dell’Angelo: procedere come previsto.

“NO!” si oppose nuovamente Rei, ma nonostante i suoi sforzi sulle manopole di comando, lo 00 restava immobile.

Scheisse,” imprecò Asuka, che uscì dalla propria postazione e puntò il fucile contro l’Angelo. “Cercherò di renderlo innocuo!”

Lo 02 premette il grilletto, ma i proiettili potenziati rimbalzarono sull’A. T. Field generando delle onde esagonali arancione chiaro. L’attacco però ebbe l’effetto di far conoscere al nemico la posizione di Asuka. Lo 03 si inarcò in avanti e spiccò un balzo impossibile, roteando in aria ed atterrando proprio di fronte allo 02. Sorpresa dalla rapidità di quel movimento, Asuka non ebbe nemmeno il tempo di reagire. Con la destra la creatura afferrò il fucile per la canna e la stritolo, mentre con il pugno sinistro trapassò il petto dell’Eva 02, spuntandogli dalla schiena grondante sangue.

“Espulsione dell’entry plug!” ordinò concitatamente Gendo. “Le condizioni del Pilota??”

Poco sopra il punto da cui usciva il braccio dell’Angelo, la capsula dello 02 schizzò via ed atterrò a distanza di sicurezza, emettendo unicamente il segnale radio di soccorso.

“Espulsione effettuata,” confermò Shigeru, affannato.

“Il Pilota è sofferente ma cosciente,” proseguì Maya.

“Hai sentito, Shinji?” chiese il Comandante, tornato freddo ma teso. “Asuka è al sicuro e Rei non è stata rilevata perché immobile. Ora solo tu puoi affrontare l’Angelo.”

Shinji esitò. Era rimasto immobile per tutti gli interminabili secondi che si erano succeduti dalla comparsa dello 03, ed ora continuava a non volersi muovere. “Io… IO NON POSSO!! Là dentro c’è il mio migliore amico! Non voglio rischiare di ucciderlo!”

Se non entrerai in azione moriremo tutti, lo capisci??” lo incalzò Gendo, ma fu interrotto da un grido di suo figlio. L’Angelo infatti non aveva perso tempo ed era già arrivato vicino allo 01. Questi, in un movimento dettato dall’istinto di conservazione del suo Pilota, si scostò, ma quel movimento fu sufficiente a rendere il nemico consapevole della sua presenza. Le braccia dell’Angelo si allungarono a dismisura e le sue mani si chiusero sul collo dello 01, stringendolo in una morsa mortale. All’interno dell’entry plug, Shinji sentì una fitta terribile al collo, le sue vie respiratorie si chiusero e cominciò a soffocare.

“Dannazione, reagisci!” sbottò Gendo alzandosi violentemente in piedi, ma Shinji non riusciva a fare nulla.

Le mani dello 01 si chiusero sui polsi del nemico, ma la loro forza era troppo scarsa per contrastarlo.

“I valori del Pilota oscillano pericolosamente!” annunciò Maya gridando. “Integrità strutturale al venti percento! Se non lo disconnettiamo subito il Pilota morirà per lo shock neurale!”

Per alcuni infiniti secondi gli unici rumori che si udirono furono lo strusciare delle mani dello 03 sul collo dello 01 ed i gemiti di agonia di Shinji.

“Comandante, dannazione!” si infervorò Fuyutsuki, incapace di trattenersi di fronte al silenzio ostinato del suo superiore. “E’ suo figlio, accidenti a lei!”

“Il Pilota dello 01 è inservibile,” rispose finalmente Gendo, freddo come se stesse ordinando una semplice operazione di routine. “Disinserire la connessione neurale. Ora.”

“Pilota disinserito!” rispose subito Makoto. L’entry plug dello 01 divenne all’improvviso scura e Shinji si lasciò cadere in avanti, boccheggiando ed inondandosi i polmoni di LCL carico di ossigeno. Intanto, le mani dello 01 caddero ed il suo corpo si afflosciò nella presa spietata dell’Angelo.

Reinizializzare l’Eva 01 e porlo sotto il controllo del Dummy System,” comandò Gendo, che tornò infine a sedersi.

“Ma, signore,” protestò Maya. “Non è ancora stato collaudato!”

“E’ l’unica soluzione possibile. Se non funzionerà, allora siamo già morti.

“Ricevuto,” mormorò Makoto e digitò i comandi che avrebbero messo l’Evangelion 01 sotto il controllo del Dummy System e, in definitiva, della Nerv.

“NO, NON POTETE!” sbraitò nuovamente Rei, brandendo le manopole della propria capsula fin quasi a staccarle, ma senza ottenere effetti. “COMANDANTE, NON PUO’ UTILIZZARE ME PER UCCIDERE GABRIEL!!”

“DISINSERIRE IL COLLEGAMENTO CON L’UNITA’ 00!!” ordinò Gendo, ed i presenti rilevarono un’insolita animosità nelle sue parole. Tuttavia la situazione non permetteva esitazioni.

“COMANDANTE IKARI!! LEI E’ UN BASTARDO!! IO LA…”

“Collegamento disinserito,” commentò Makoto atono, mettendo da parte i propri dubbi riguardo le parole della First Children. “Dummy System inizializzato.”

Fu come se lo 01 riprendesse vita. I suoi occhi si accesero di una luce nuova, mentre la schiena si arcuava e le braccia si sollevavano, stringendosi sul collo del suo avversario con forza pari a quelle che lo stavano soffocando.

“Smettila, smettila, papà!” urlò Shinji, che a causa dell’agitazione ritornò a chiamare Gendo come aveva fatto in passato, molto tempo prima; la connessione parziale necessaria per l’inserimento del Dummy System gli permetteva infatti di vedere ciò che stava succedendo, anche se era del tutto impossibilitato ad agire. Si accanì invano contro le manopole di comando. “Dannazione, ferma questo robot!”

Ma Gendo non si degnò di rispondergli. Anzi, sorrise al di sotto delle sue mani incrociate: a quanto pareva, il Dummy System funzionava a meraviglia.

Lo 01 puntò i piedi a terra scavando due profondi solchi ed inarcò la schiena, contrastando la forza terribile dell’avversario. La sua stretta si fece sempre più potente, finché la resistenza opposta dalla superficie corazzata dello 03 cedette, e con essa i suoi muscoli, le sue vertebre, il suo sistema nervoso centrale. Le braccia assurdamente lunghe dell’Angelo si abbandonarono ai suoi fianchi, mentre nella sala comando risuonava l’urlo disperato di Shinji. Quello ben peggiore di Rei invece rimase all’interno della sua entry plug, colma di LCL e lacrime.

Makoto strinse i denti e si preparò a disinserire il Dummy System, ben consapevole che il sistema nervoso del Pilota dello 03 avrebbe dovuto avere un feedback devastante, probabilmente mortale. Ma l’ordine non arrivava.

“Signore!” protestò.

“L’obiettivo non è ancora stato definitivamente sconfitto,” rispose Gendo.

In effetti, sebbene drasticamente diminuita, era presente ancora una traccia energetica sui tracciati del Magi System. Sconsolato, Makoto si risolse ad attendere che l’inevitabile fosse compiuto.

Pezzo dopo pezzo, mentre Shinji continuava ad urlare la propria rabbia e la propria disperazione contro suo padre, lo 01 fece scempio di ciò che fu lo 03; come una belva infuriata, ne strappò la corazza e ne lacerò le carni, spargendo per tutta la vicina area cittadina brandelli di muscoli, sangue, arti, sistemi elettronici che un tempo erano integrati al resto della macchina umanoide. Maya non riuscì a reggere a quello spettacolo e vomitò nel proprio cestino, mentre Shigeru la sorreggeva.

In un crescendo di follia, Shinji credette di aver perso la ragione quando vide con i propri occhi la mano dello 01, sconvolta dai tremiti, sollevare l’entry plug insanguinata che aveva estratto dal corpo dell’Angelo.

 

Oh Dio… Lì c’è Gabriel… Lì dentro c’è Gabriel, e potrebbe essere ancora vivo, nonostante lo shock!!

 

“Papà, ti prego,” singhiozzò mentre la vista gli si offuscava per le lacrime, come era successo a Rei solo poco tempo prima. Ma il silenzio fu l’unica risposta che ottenne.

 

 

 

 

Signore e Dominatore delle Acque…

 

“Io…”

 

Amato fratello, compi ciò a cui siamo chiamati…

 

“Non ti capisco, Bardiel…” il giovane scosse il capo ora confuso continuando ad osservare la figura luminosa dinanzi a se.

 

Ricorda…

 

“Ricorda…?”

 

Ricorda, Eroe di Dio.

 

E Gabriel ricordò, ed il suo grido di angoscia scosse tutto il giardino, mentre l’immagine di Bardiel si dissolveva dinnanzi ai suoi occhi, lacerata, e due grandi ali candide si aprirono dietro la sua schiena.

 

 

 

 

Quando la capsula si frantumò fra le dita dello 01 con un orribile rumore secco, come di ossa spezzate, lasciando sgorgare un fiume ininterrotto di LCL e sangue, il suo urlo di dolore risuonò nelle menti di tutti coloro che lo udirono, restandovi per molto tempo dopo che si fu esaurito con un singhiozzo strozzato. Ma non fu nulla al confronto delle urla folli che lanciò Rei, che scardinò le manopole nel vano tentativo di far muovere l’ormai inutile 00 e si scagliò con tutte le proprie forze contro lo sportello della capsula. Riuscì solo a procurarsi delle ferite che insozzarono l’LCL di sangue. Incurante della propria sicurezza, continuò imperterrita ad urlare impazzita e a sbattere contro l’uscita, finché la spossatezza e lo shock non la fecero scivolare nell’oblio.

 

 

Rei aprì gli occhi e non comprese in che luogo si trovasse. Ci mise un po’ a capire che era in un letto d’ospedale. Le facevano male le mani come se le avesse passate ripetutamente e con forza su della carta vetrata. Non ricordava come ci era arrivata.

“Il test di attivazione dello 00…” disse tra sé e sé, passandosi una mano fasciata sulla fronte. Era particolarmente calda, come se avesse la febbre, eppure non si sentiva particolarmente male. C’era solo un vago senso di angoscia che le opprimeva il petto, ma al quale non era in grado di dare un nome. Nella stanza non c’era nessuno a parte lei, e la porta era chiusa.

“No… quello è già avvenuto,” si corresse, cominciando a rendersi conto del tempo passato da allora. “Allora cos’è successo…? Perché mi trovo qui?”

Si sforzò di ripercorrere con la memoria gli ultimi avvenimenti; ricordò il primo incontro con Shinji Ikari, quello con Asuka Soryu Langley, gli scontri con gli Angeli, la prima volta che sorrise pensando a lui

All’improvviso la realtà le tornò alla mente e fu come se qualcuno le avesse tolto tutta l’aria dai polmoni. Il grido di orrore che emise ghiacciò il sangue nelle vene a tutti coloro che riuscirono a sentirlo.

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Sono più o meno le parole con cui nella Bibbia Dio garantisce ad Abramo una discendenza immensa (Gn 15, 5).

 

[2]Traduzione italiana della parola “Apocalisse”.

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Capitolo 28
*** Il Dolore ***


CAPITOLO 27

CAPITOLO 27

 

Il Dolore

 

 

 

 

 

A quel grido lancinante accorse subito la Dottoressa Akagi, che nonostante le ferite, comunque superficiali, che aveva riportato aveva insistito per restare a sorvegliare Rei. La ragazza non reagì vedendo la donna con la testa fasciata ma continuò a gridare e dimenarsi nel letto, al punto da gettare all’aria le coperte e tentare di strapparsi l’ago della flebo dal braccio, che però era stato opportunamente fissato con del nastro adesivo.

“Fermati, Rei!” le intimò Ritsuko, correndo verso di lei e tentando di tenerla ferma a letto. Constatando però la propria inadeguatezza, ancora indebolita com’era, chiamò a gran voce un’infermiera.

Rei continuava ad urlare senza riuscire ad emettere parole di senso compiuto e ormai era quasi riuscita a scivolare giù dal letto strisciando sotto la presa ben poco salda di Ritsuko. Finalmente però erano arrivate due infermiere, che afferrarono le gambe della ragazza e riuscirono ad immobilizzarla a letto, bloccandola con i propri corpi. Per tutta risposta la First Children emise un terribile urlo acutissimo, tanto simile all’ululato dell’unità 00 in berserk che la scienziata ne rimase inquietata.

 

Dannazione, non l’ho mai vista in questo stato! Nemmeno i calmanti in endovena le fanno qualcosa!

 

“Gabriel!” gridava la ragazza in lacrime dalla disperazione. “Gabriel!!”

Rei, Gabriel è vivo!” si intromise Ritsuko, ma le grida di Rei erano talmente forti che sovrastarono le sue parole. “E’ vivo! E’ vivo! Gabriel è vivo!” ripeté più volte ed alla fine riuscì a farsi sentire. A quel punto la First Children sgranò gli occhi colmi di lacrime e si zittì per un momento. La scienziata e le infermiere interpretarono quell’attimo di calma come il termine della crisi e lasciarono la presa, titubanti. In quell’istante Rei scoppiò a gridare di nuovo, ma questa volta sorprese le tre donne gettando le braccia al collo della Dottoressa Akagi. Quest’ultima rimase dapprima stupita da quel gesto, incapace di reagire.

“Io gli ho detto di fermarsi,” singhiozzò la ragazza, stringendosi forte al collo della scienziata, “ma lui… lui…”

Non riuscì a terminare la frase e Ritsuko, percependo già alle proprie spalle gli sguardi interrogativi delle due infermiere, le congedò con un ordine secco. Non appena se ne furono andate poté tentare di calmare Rei. Le appoggiò in modo un po’ goffo le mani sulle spalle, rispondendo al suo abbraccio.

“Su, Rei,” tentò di consolarla in modo alquanto ingenuo. “E’ tutto finito ora. Gabriel sta bene, è proprio qui all’ospedale. Ora sta riposando, ma sopravvivrà di sicuro.

I singhiozzi della First Children, soffocati dal camice della scienziata, si affievolirono fino a spegnersi. Rimasero in quella posizione ancora a lungo, in silenzio, mentre all’esterno della stanza la vita consueta dell’ospedale, turbata dalle grida di poco prima, riprese a scorrere normalmente.

Ritsuko stava per dire qualche altra banale frase consolatoria, rimproverando se stessa per la propria goffaggine in quel momento tanto delicato, quando fu Rei a ricominciare a parlare, stavolta sottovoce. Spostò la bocca dalla spalla della donna e vi appoggiò la guancia arrossata dal pianto. “Lo odio,” disse, a malapena udibile. “Lo odio con tutta me stessa…”

Ritsuko non ebbe bisogno di chiedere a chi si riferisse, poiché sapeva benissimo che era la stessa persona che odiava lei. Piuttosto, si sorprese che la ragazza fosse stata in grado di esprimere un tale sentimento negativo, sebbene potesse essere comprensibile da parte di una persona normale in quello stato di prostrazione. Con un impercettibile cenno stizzito del capo ridusse al silenzio il proprio sguardo analitico ed il proprio essere scienziata e si costrinse a posare una carezza sul capo di Rei. Le diede la stessa sensazione che accarezzare una provetta da laboratorio, e questo accentuò il suo fastidio.

“Hai ragione,” disse infine, da un lato per continuare a consolare Rei, dall’altro per distogliere la propria attenzione da ciò che provava. “Il Comandante Ikari è una persona spregevole.

La First Children non commentò quelle parole ma, esausta, si abbandonò all’abbraccio di Ritsuko, troppo stanca per continuare a parlare. Proseguì invece a singhiozzare ancora a lungo.

“Voglio andare da lui,” annunciò infine, facendo quasi sobbalzare la Dottoressa per la sorpresa di averla sentita di nuovo parlare. Quest’ultima s’incupì, anche se dalla posizione in cui si trovavano Rei non avrebbe potuto vedere la sua espressione.

“Rei,” iniziò la scienziata con un tono accomodante, “è vero che Gabriel è fuori pericolo, ma deve ancora riposare, non credo che la tua presenza…”

“Io voglio andare da lui,” ripeté la ragazza con una voce che non ammetteva repliche. Ritsuko sospirò. “D’accordo. Però dovrò accompagnarti con una sedia a rotelle; il tuo fisico ha subito un grave stress durante…” esitò, poi, notando l’irrigidimento delle spalle di Rei, riprese, “durante l’attacco dell’Angelo, per cui non devi sforzarlo troppo.”

“Va bene,” acconsentì la ragazza, che finalmente aveva finito di piangere. Si sciolsero dall’abbraccio e, mentre la scienziata chiamava un’infermiera con il tasto apposito, Rei si asciugava le lacrime residue. Non voleva che Gabriel la vedesse in quello stato.

L’infermiera arrivò con la sedia a rotelle ed aiutò Ritsuko a depositarvi Rei. Quest’ultima si meravigliò delle sensazioni che le rimandava il suo corpo: sebbene poco prima fosse riuscita ad agitarsi vistosamente, in quel momento sentiva un intenso formicolio alle estremità, al punto da non avervi più la sensibilità, ed inoltre si sentiva mortalmente debole. Ma tutte quelle impressioni non le interessavano, voleva solamente andare da Gabriel, dirgli che lo amava e che non avrebbe mai perdonato il Comandante Ikari per ciò che aveva fatto.

Lentamente, Ritsuko accompagnò Rei fuori dalla camera mentre l’infermiera coglieva l’occasione per rifare il letto. La First Children si torceva le mani, come non aveva mai fatto in passato, cosa che rese pensierosa la Dottoressa Akagi.

 

Il trauma che ha subito è stato molto rilevante… Credo che non sarà più la solita Rei Ayanami, ed ho qualche dubbio anche sul fatto che potrà ancora pilotare l’Evangelion… Se non dovesse più risultare utile, cosa ne farà Gendo…?

 

Cosa succede?” chiese bruscamente Rei quando la velocità costante della sedia a rotelle si ridusse. Ritsuko era sbiancata, ma le rivolse una sorta di sorriso tranquillizzante. “Non preoccuparti, è solo un momento di stanchezza.

Rei non rispose e tornò a guardare il corridoio innanzi a sé senza realmente vederlo. La donna riprese a spingere, cercando di domare i battiti del proprio cuore.

 

Non può farlo… Non può sostituirla in quel modo… Lui è ancora umano, anche se non più del tutto.

… Questa preoccupazione per Rei è forse una specie di sentimento materno? Oppure è la semplice empatia che ogni essere umano è portato a provare per i suoi simili? Se del primo ambito mi ritengo una completa estranea, del secondo non sono affatto una campionessa…

 

Non aveva ancora trovato una risposta a quei quesiti quando il suo sguardo incontrò quello di Gendo Ikari, che stava camminando lungo il corridoio nella loro direzione. Rei strinse con forza i braccioli della sedia a rotelle, fissando con odio l’uomo e senza fare nulla per nascondere i propri sentimenti. Dal canto suo Ritsuko si sentiva come se stesse per scoppiare un uragano attorno a lei.

“Vedo che vi siete rimesse entrambe,” disse con freddezza il Comandante Ikari. La Dottoressa Akagi non rispose, ma sentì una resistenza da parte della sedia a rotelle, che lei aveva continuato a spingere imperterrita: Rei aveva inserito i freni e stava facendo forza sulle mani per sollevarsi in piedi.

“Dannato bastardo,” sibilò tra i denti stretti, tenendo lo sguardo basso. “Lei ha cercato di ucciderlo!”

La ragazza balzò in piedi dalla sedia a rotelle e tese le mani verso il collo di Gendo; questi, atterrito dalla reazione, fece un passo indietro e Rei gli afferrò con forza il bordo della giacca. Le gambe però non la ressero e cedettero sotto di lei, facendola cadere in ginocchio. Ritsuko guardò la scena esterrefatta: la First Children non aveva mai avuto una reazione nemmeno lontanamente simile. Anche l’uomo fu preso totalmente alla sprovvista e rimase a guardare a bocca aperta gli occhi rossi di Rei velati di lacrime che continuavano ad esprimere l’accusa che la voce aveva smesso di pronunciare. L’attimo di turbamento del Comandante durò un attimo, però. “Dottoressa, me la tolga di dosso!” ordinò. Ritsuko obbedì senza nemmeno pensarci ed afferrò la ragazza sotto le braccia, sollevandola dalla sua posizione ginocchioni.

“Non la perdonerò, se lo ricordi bene!” gridò Rei, mentre Gendo si allontanava quasi di corsa senza voltarsi. “Non la perdonerò,” continuò a mormorare fra i singhiozzi mentre la scienziata la rimetteva seduta e le risistemava i piedi sui supporti.

La donna non riusciva ad identificare ciò che provava dentro di sé.

 

Perché sto soffrendo? E’ rabbia, la mia? Compassione? O forse c’è anche una muta, meschina gioia perché Rei è riuscita ad esprimere ciò che io non ho mai potuto dire ad alta voce?

 

Mentre ricominciava a spingere la carrozzina, senza commentare ciò che era appena accaduto ed ignorando gli sguardi incuriositi dei medici e dei pazienti che incontrava lungo il corridoio, si sfiorò accidentalmente l’addome, dove una nuova vita stava crescendo.

 

Piccolo… o piccola… Non so come fare a farmi perdonare da te, per averti fatto avere un padre del genere.

 

Non parlarono più finché non arrivarono di fronte alla stanza di Gabriel. Finalmente la ragazza si era calmata e teneva lo sguardo fisso di fronte a sé, le mani strette l’una all’altra, ed era seduta sul bordo della sedia a rotelle.

“Rei,” iniziò Ritsuko abbandonando la sua posizione e portandosi di fronte a lei. “Prima che entriamo c’è qualcosa che dovrei dirti.

“Di che si tratta?” chiese la First Children, guardinga. Era molto provata dagli ultimi avvenimenti, nonché dal recente incontro con il Comandante, ed era evidente la sua sospettosità riguardo le parole di Ritsuko.

 

Perché non mi vuole far entrare? Cosa mi sta nascondendo?

 

“In questo momento Gabriel è in coma,” riprese la scienziata e continuò subito, prevenendo l’espressione di allarme sul volto della ragazza. “Non c’è di cui preoccuparsi, comunque. Si sta solo riavendo dallo shock, un breve periodo di assenza della coscienza è normale in questi casi.”

“Quanto durerà?” chiese Rei, la voce affilata come un coltello.

“Al massimo una settimana,” fu la risposta. Almeno questa volta la donna non avrebbe dovuto mentire, poiché la stima era veramente così ottimistica. La brutta notizia era un’altra. “Però non possiamo escludere che in qualche modo riesca a sentire ciò che si dice attorno a lui,” continuò. “Per questo vorrei parlarti qui fuori.”

Che cosa vuole dirmi, che Gabriel non dovrebbe sentire?” chiese ancora Rei, il tono di voce maggiormente elevato. La Dottoressa Akagi deglutì.

“Vedi… è stato praticamente un miracolo che sia sopravvissuto, Rei. Dovremmo essere grati già solo di questo.

“Che cosa gli è successo, Dottoressa??” sbottò la ragazza, agitandosi vistosamente sulla sedia a rotelle. Ritsuko porse le mani verso di lei per sostenerla se avesse voluto alzarsi in piedi.

“Il fatto è che le ferite che ha subito erano gravi, anche se non hanno intaccato le sue funzioni vitali…”

“CHE COSA E’ SUCCESSO??” ripeté Rei, stavolta gridando, incurante degli sguardi infastiditi di coloro che passavano da quelle parti. La scienziata comprese che non avrebbe più potuto ritardare la comunicazione di quella notizia.

“I danni… Ecco, la stretta dello 01 ha lesionato alcuni gruppi muscolari e tendinei di braccia e gambe. Se per le gambe ciò non comporta un grave problema, per le mani…”

Rei la fissò a bocca aperta e si ritrasse contro lo schienale, come se volesse sfuggire alle parole della donna, ma questa ormai sapeva di non poter più tacere. “C’è la consistente possibilità che i movimenti fini siano irrimediabilmente compromessi, il che vuol dire che forse non potrà più muovere le dita come prima. E quindi…”

Ritsuko si umettò le labbra, non trovando le parole per proseguire, ma fu Rei a terminare in lacrime la frase per lei. “… Quindi non potrà più suonare…”

Con la morte nel cuore la scienziata annuì. “Sì.”

Quella singola sillaba risuonò come una condanna a morte nelle orecchie della First Children, che si abbandonò all’indietro come una marionetta cui fossero stati tagliati i fili. Ed in effetti, per Gabriel quella era una vera e propria condanna a morte.

 

 

 

 

Misato Katsuragi non se l’era cavata bene quanto la sua amica Ritsuko. Sebbene fosse stata riparata dall’esplosione di Matsushiro grazie ad una spessa paratia metallica che le era caduta addosso, aveva riportato un trauma cranico ed una frattura al braccio sinistro, oltre a numerose altre ferite di scarsa gravità. Soccorsa dalle squadre di intervento di Neo Tokio-3, supportate da agenti specializzati della Nerv, era stata curata dapprima in un ospedale da campo allestito d’urgenza e poi trasferita all’ospedale generale della sua città. Qui riprese conoscenza e apprese sconvolta di ciò che era successo alla base e all’unità Evangelion 03, ma, nonostante la sua rabbia e le sue minacce, non era riuscita a sapere nulla della sorte del Fourth Children né degli altri. Solo dopo tre giorni dalla tragedia, quando era ormai chiaro che la ferita alla testa non avrebbe provocato particolari problemi, fu trasferita nell’ospedale sotterraneo della Nerv.

“Infermiera,” disse con finta gentilezza quando fu accompagnata su di un letto dotato di ruote all’interno di una delle stanze per i degenti, “ora che sono stata finalmente giunta nella mia stanza, può farmi la cortesia di farmi avere SUBITO notizie della Dottoressa Ritsuko Akagi e dei Children? Grazie.”

L’infermiera la accostò ed annuì, dopodiché uscì subito dalla porta borbottando qualcosa sull’arroganza della paziente. Misato sbuffò cercando di tirarsi un po’ su rispetto a quella posizione sdraiata ma sobbalzò nel momento in cui qualcuno scostò all’improvviso la tenda che fungeva da separé e divideva la stanza in due.

Misato??” chiamò Satoshi, gli occhi sgranati ed in preda allo sbalordimento.

Satoshi!” esclamò lei, sorpresa e felice, ma la sua espressione mutò bruscamente quando si accorse che l’amato non sembrava affatto contento di vederla.

Cosa ti è successo?” chiese l’uomo freddamente.

Misato chinò il capo prima di rispondere. Sapeva che era stato diramato dallo stesso Comandante Ikari l’ordine tassativo di mantenere il silenzio su quanto avvenuto con lo 03 nei confronti di chiunque già non avesse saputo. Ciò significava che Satoshi non sapeva niente dell’incidente di Matsushiro, del tredicesimo Angelo o di ciò che era capitato a lei o a Gabriel…

Guardandolo negli occhi la donna seppe che non avrebbe potuto mantenere il segreto con lui o raccontargli una menzogna: dopotutto lui era pur sempre il capo della sicurezza della base Nerv ed era stato da poco nominato Capitano, era assurdo che non dovesse sapere nulla. E poi erano già passati tre giorni…

Misato, non mi dire che hai fatto un incidente con la Renault Alpine perché altrimenti non saresti stata ricoverata qui e in ogni modo mi sarebbe stato comunicato,” continuò Satoshi, impassibile. Misato sospirò.

“Non ho fatto nessun incidente con la Renault Alpine,” confessò. “Ha attaccato un Angelo.”

Vedendo che l’uomo era balzato seduto e stava per alzarsi in piedi, nonostante la smorfia di dolore e l’assenza delle stampelle, Misato si affrettò a precisare. “Non preoccuparti, è già stato sconfitto!”

L’uomo esitò qualche secondo, valutando se lei gli aveva detto la verità o aveva mentito solo per tranquillizzarlo, ed infine decise che non si trattava di una bugia. Tornò a sedersi e si ridistese in una posizione più comoda. Ora il suo sguardo esprimeva nuovamente preoccupazione per la donna che amava. “Le tue ferite sono gravi come sembrano? E i ragazzi come stanno? E Gabriel? Avevo sentito che qualche giorno fa avrebbe dovuto sostenere il test di attivazione dello 03, com’è andato? Ha combattuto la sua prima battaglia da solo?”

Misato sorrise alla raffica di domande del suo fidanzato, ma non fece nessuno sforzo per nascondere la tristezza di quel sorriso. “Ehi, una domanda per volta. Per le mie ferite, la più grave è questa frattura al braccio, per il resto sto bene. Per il resto…”

Alla sua esitazione Satoshi si allarmò di nuovo. “Cos’è successo??”

“L’Angelo ha attaccato durante il test di attivazione dello 03. L’Angelo… era lo 03.”

Senza dare il tempo a Satoshi di rispondere a quella notizia, continuò. “La base di Matsushiro è andata distrutta e l’Angelo si è diretto qui, ma fortunatamente lo 01 l’ha fermato in tempo. L’ha distrutto…”

E Gabriel?? Era ancora nell’entry plug?? Come sta??” la interruppe Satoshi, quasi gridando per l’ansia. Misato esitò di nuovo, ma non tanto quanto prima perché l’altro non fraintendesse.

“Ne so poco, a dire la verità. Non sono trapelate molte notizie. So per certo che è sopravvissuto, sebbene fosse rimasto nell’entry plug per tutto il tempo, ma non so dirti altro. Sto infatti aspettando che quell’infermiera torni con notizie sue, degli altri Children e di Ritsuko.”

Satoshi rimase pensieroso. “Quindi è come se fossimo tagliati fuori dal mondo…”

“Sì…”

Restarono in silenzio per lunghi attimi, poi l’uomo riprese la parola. “Non dovevi rischiare così tanto.”

Lei sorrise debolmente. “Faccio il mio lavoro.”

“Per fare il mio lavoro guarda come mi sono ridotto: mesi a letto, una riabilitazione infinita, mille preoccupazioni a te e ai ragazzi. Non voglio che succeda lo stesso a te.”

Lei si limitò ad annuire, per poi aggiungere. “Da quando gli Angeli hanno cominciato i loro attacchi siamo tutti in pericolo, non importa quante misure di protezione si prendano. Il fatto che l’Evangelion 03 si sia manifestato come tredicesimo Angelo era del tutto imprevedibile, quindi non si è potuto fare assolutamente niente per limitare i danni.

Satoshi però scosse il capo, con l’aria di chi non vuole sentire ragioni. “Promettimi che starai sempre attenta, qualunque cosa succeda, Misato. A te e ai ragazzi.”

Nonostante la stanchezza, che era tornata a farsi sentire insieme all’intontimento dovuto alle ferite a causa dello stress del viaggio e del ritorno alla memoria di quegli avvenimenti dolorosi, il Maggiore Katsuragi annuì, seria. “Te lo prometto. E starò attenta anche a te.”

In quel momento entrò l’infermiera che Misato aveva sgarbatamente mandato a cercare informazioni. Ora però i due occupanti della stanza la stavano fissando con aria trepidante. La donna appena arrivata non tradì alcuna irritazione per il modo in cui era stata trattata in precedenza, ma anzi sorrise, tranquillizzante. “Non vi preoccupate. Mi hanno riferito che il Fourth Children è ricoverato qui ed anche se non si è ancora svegliato non è più in pericolo di vita.

“Grazie al cielo,” mormorò Satoshi, rilassandosi contro il proprio cuscino, usato come schienale.

E della Dottoressa Akagi non ha nessuna notizia?” intervenne Misato, rasserenata ma ancora in ansia per l’amica. Il sorriso dell’altra si allargò ancora di più e le si illuminò lo sguardo. “Sta bene, Maggiore. A quanto pare ha riportato solo qualche contusione e abrasione, è già tornata al lavoro. Ed anche il suo bambino sta bene.”

Quella notizia colse entrambi di sorpresa. Si scambiarono uno sguardo interrogativo, poi Misato chiese conferma. “Bambino?”

“Sì,” confermò l’infermiera. “Non lo sapeva ancora? La sua amica aspetta un bambino!”

Convinta di aver comunicato una lieta notizia, la donna se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle. I due occupanti della stanza si guardarono negli occhi di nuovo.

“Tu ne sapevi qualcosa?” chiese Misato al proprio fidanzato.

“Assolutamente no,” rispose quest’ultimo. “Ora che ci penso, però, era da un po’ che si comportava in modo strano…”

Ora il Maggiore però aveva lo sguardo perso nel vuoto, al punto che Satoshi si interruppe, convinto di venire ignorato per qualche motivo.

“C’è qualcosa che non va?” le chiese.

“No,” fu la risposta, prodotta con appena un filo di voce. “Mi domando solo chi sia il padre…”

 

 

 

 

A scuola nessuno sembrò badare al banco vuoto di Gabriel; non per malignità, ma semplicemente per nascondere la sofferenza che tutti provavano, come se non parlandone essa se ne andasse. E così Toji e Hikari litigavano a voce più alta, Kensuke esagerava un po’ nell’esaltazione dell’ultima novità in fatto di videocamere, Motoko e le sue amiche parlavano quasi ossessivamente del più e del meno, evitando anche solo di guardare la sedia vuota.

Addirittura Shinji e Asuka stavano collaborando alla soluzione di un problema matematico, invece di litigarci sopra come al solito, perché anche se ormai erano ufficialmente insieme, la ragazza continuava a rifiutare di aiutare il Third Children con la scusa di spronarlo a studiare di più.

Solamente Rei non partecipava al clima teso e compulsivamente agitato della classe. Sola, seduta al suo banco a capo chino su uno schermo la cui casella e-mail non lampeggiava più, non poteva non pensare al suo Gabriel.

Quando aveva saputo che il Fourth Children avrebbe potuto perdere la capacità di suonare il pianoforte, pochi giorni prima, aveva insistito comunque per entrare nella stanza. Ritsuko, seppur a malincuore, aveva acconsentito. La First Children non aveva saputo trattenere le lacrime vedendolo incosciente sul suo letto, il corpo e la testa interamente avvolti da bendaggi stretti che lasciavano intravedere solo gli occhi chiusi e pesti e le labbra aperte, attraverso le quali passava il tubo che garantiva un regolare afflusso di ossigeno anche nel caso di un’improvvisa crisi respiratoria. Le sue mani erano inserite in due blocchi gemelli di gesso, e solamente le punte delle dita sporgevano dalla massa bianca. Rei gliele aveva baciate una ad una, sperando in cuor suo di suscitare almeno una risposta al dolore, una qualunque reazione che le dimostrasse che lui non era troppo lontano, che non l’avrebbe abbandonata, nonostante le rassicurazioni della Dottoressa Akagi. Ma la donna non sapeva cosa volesse dire per Gabriel perdere la capacità di suonare il pianoforte.

Per lui la musica era la vita, non c’era distinzione tra le due. Suonare era per lui come respirare era per chiunque altro: se non avesse più potuto suonare, Gabriel sarebbe appassito lentamente fino a spegnersi.

Ritsuko non sapeva con quanta passione le sue dita sfiorassero i tasti del pianoforte, lievemente eppure in grado di trarne qualsiasi suono volesse. Non aveva ascoltato la splendida opera che aveva scritto per la ragazza che amava, togliendo tempo al sonno ed agli studi e abbassando il proprio tasso di sincronia. I suoi accordi e le sue molte melodie erano tornate in mente a Rei in quei momenti, mentre guardava tra le lacrime l’amore della sua vita, costretto in ceppi di gesso e garza. Il pensiero che forse non avrebbe più potuto suonarle una melodia, accennarle una fuga leggera e vibrante al tempo stesso, cantarle una ninna nanna sulla punta delle dita le riempiva l’animo di disperazione. Cosa ne sarebbe stato di lui senza la musica? Cosa ne sarebbe stato di un angelo senza le sue ali?

Da quel giorno le condizioni di Gabriel erano andate migliorando: era stato registrato un breve fremito delle palpebre, il segno più evidente del suo ritorno nel mondo della veglia dall’attacco dell’Angelo. In effetti, l’équipe medica che lo seguiva si dichiarava sorpresa delle capacità di ripresa del suo corpo. Nonostante i gravissimi traumi che aveva subito, tutti i suoi apparati stavano reagendo ad una velocità incoraggiante, ragion per cui era stato evidente fin da subito che il ragazzo era fuori pericolo. Tuttavia alcune zone del suo scheletro erano rimaste praticamente sbriciolate dopo la distruzione della sua entry plug, ragion per cui sarebbe servito un trattamento molto più avanzato rispetto alla mera ingessatura per recuperarle. Se ciò non costituiva gravi problemi per le ossa lunghe, come la tibia destra o l’omero sinistro, per quanto riguardava la delicata ossatura delle mani il discorso si faceva più complesso. Essa era infatti deputata alla mobilità fine, e i medici non avevano dato false speranze a Ritsuko, quando le avevano comunicato che avrebbero fatto il possibile per salvare almeno l’apparenza di una funzionalità. Ovviamente, la Dottoressa non aveva riportato quelle stesse parole a Rei, tuttavia la ragazza era riuscita facilmente ad oltrepassare la sua reticenza.

“Allora, si può sapere cos’è questa confusione?” brontolò il professore di matematica, appena entrato nell’aula. Hikari smise prontamente di litigare con Toji e si esibì nella sua solita sequenza di ‘in piedi, saluto, seduti!’. Tutti eseguirono e si prepararono a seguire con una rilassatezza forse eccessiva quell’ennesima lezione, che si preannunciava molto noiosa. Tutti tranne Rei, il cui sguardo continuava ad essere attratto da quella sedia vuota.

 

 

Suzuhara!” esclamò la Capoclasse non appena l’ultimo professore della mattinata fu uscito dall’aula e fu iniziata la pausa per il pranzo. L’interpellato si volse lentamente, simulando un’espressione annoiata. “Cos’ho fatto stavolta?”

Hikari, quasi scandalizzata dalla supponenza del compagno, iniziò una lunga serie di invettive, che suscitarono, più dell’indignazione di Toji, la sua ilarità e quella dei compagni vicini.

Tale ilarità però terminò anzitempo, poiché era impossibile ignorare la figura dai capelli azzurri che, seppure fosse perfettamente in grado di sentire quel divertente scambio di battute, restava silenziosa accanto alla finestra, l’espressione immutata. Anzi, i ragazzi della 2-A si sentirono quasi obbligati a lasciarla stare, dedicandosi a cercare altre attività per passare il tempo. D’altronde, Rei non fece assolutamente nulla per trattenerli.

Solamente Hikari decise di rimanere. Asuka e Shinji, che sarebbero rimasti a loro volta almeno per fare un po’ di compagnia all’amica, restarono a guardare in disparte, pensando che forse sarebbe stato meglio passare un po’ di tempo con una persona che non le ricordasse con la sua semplice presenza di essere una Children.

La Capoclasse, dal canto suo, si sentiva emotivamente incaricata di aiutare Rei in quel difficile momento, sebbene non avesse la minima idea di come affrontarla. Mentre gli altri uscivano gradualmente dall’aula, le si mise semplicemente vicino, rendendole così impossibile ignorarla. Rei si voltò verso di lei con aria inespressiva, simile eppure diversa da quella che aveva avuto durante i primi tempi della sua permanenza in quell’aula. Sembrava indifferente, eppure traspariva una tristezza abissale, che metteva Hikari a disagio e le faceva desiderare di non essersi accollata quel compito gravoso.

“Ehm… Tutto bene?”

Lo sguardo di Rei fu l’unica risposta che ottenne, e l’altra ragazza non poté fare altro che darsi dell’idiota per aver cominciato il suo discorso con una frase del genere. Ciononostante sapeva che non avrebbe dovuto lasciare che quell’inconveniente le impedisse di tirare su il morale all’amica.

“Era una domanda stupida, lo so,” sottolineò con un sorriso imbarazzato, ma Rei non mutò espressione. Era come parlare ad un muro. Per darsi coraggio, Hikari cercò di pensare che anche quando parlava con Toji le sue parole non avevano effetto, e quell’idea le fece balenare l’ombra di un sorriso sulle labbra. Ma non si trattava di tirare su il morale a se stessa, questo lo sapeva bene, perciò tentò di darsi un contegno serio ma disponibile.

“So che è dura,” riprese, “ma sono certa che Gabriel riuscirà a riprendersi senza problemi, vedrai. Dacché lo conosco è sempre stato un ragazzo forte, che non si lascia abbattere dalle difficoltà, e questa volta non sarà differente. E poi ha i suoi amici, che quando si risveglierà lo andranno a trovare e lo aiuteranno! Ed ha te: come potrebbe lasciarsi prendere dallo sconforto sapendo che una ragazza così carina è qui ad aspettarlo[1]?”

Nonostante le sue migliori intenzioni, il sorriso della Capoclasse le morì sulle labbra quando Rei la fissò con le lacrime agli occhi, un’espressione disperata sul volto.

“Tu non sai… non sai…”

Dopo quelle poche parole la ragazza sbatté violentemente i pugni sul banco, dando libero sfogo al proprio dolore, che ruppe gli argini e si riversò dai suoi occhi come due fiumi in piena.

“Le sue mani…” singhiozzò. “Le sue mani sono…”

Non riuscì a terminare la frase, ma Hikari aveva capito: era successo qualcosa di grave, di molto grave, alle mani di Gabriel. Istintivamente abbracciò Rei, stringendole la testa contro il petto e chinando il volto su di lei, come faceva con la sua sorellina quando era triste. Era vero, non sapeva niente di ciò che avrebbe significato perdere le mani per un pianista come il Fourth Children, ma, ciononostante, non avrebbe lasciato la sua amica sola con il suo dolore. Glielo doveva come donna. E d’altronde era un suo preciso dovere come Capoclasse.

All’inizio Rei si limitò a singhiozzare, afflosciata nell’abbraccio della compagna di classe, ma dopo un attimo si riprese abbastanza da stringerla a sua volta, con una forza che Hikari non si immaginava. Sembrava che tutti i dolori e le sofferenze che aveva sofferto negli anni precedenti l’arrivo di Gabriel si fossero sommati e si stessero riversando fuori in quel momento, in un unico tremendo pianto. La Capoclasse avrebbe voluto dire qualcosa, ma sentiva che qualsiasi parola le fosse uscita dalle labbra sarebbe stata inutile, se non addirittura dolorosa. Forse quello di cui Rei aveva bisogno in quel momento era solamente essere abbracciata, sostenuta, lontano dagli sguardi indiscreti dei suoi compagni che non avrebbero capito il repentino cambiamento della sua personalità. Non aveva scelto di sfogarsi con Hikari, tuttavia; lei era l’unica che si fosse interessata al suo dolore e non avesse invece cercato di fingere che non fosse successo nulla e che Gabriel fosse semplicemente assente per malattia.

“Le sue mani sono…” ricominciò la First Children quando i suoi singhiozzi si furono calmati. “Non potrà più suonare, Horaki…”

L’altra ragazza si limitò ad annuire: aveva già intuito che si trattasse di un danno molto grave e non si stupì delle sue parole. E poi forse in quel momento Rei voleva solo parlare, non ascoltare.

E se lui non suona… come può volare un angelo senza ali…?”

Sapevano entrambe la risposta, ma solo il nuovo grido lancinante della First Children la espresse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

[1]: Quest’ultima frase di Hikari è ispirata ad una frase di Meryl, personaggio dell’animeTrigun.

 

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