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Questa fiction è ispirata da un gioco di
ruolo(pertanto anche con Personaggi Originali)ambientato nell’universo di Evangelion
che abbiamo deciso di trasporre in racconto. Sappiamo che l’ambientazione potrà
apparirvi banale (in fondo sono situazioni già viste e riviste), però dato che
ci ha divertito così tanto da decidere di trasformarlo
addirittura in un racconto, abbiamo deciso di pubblicarlo nella speranza di far
divertire, o al massimo di far ingannare un po’ il tempo, a chi la leggerà. Ci
scusiamo anticipatamente se ci sarà ritardo nell’aggiornamento dei capitoli
(dopotutto vanno di pari passo con le sessioni di gioco), inoltre ne approfittiamo per dire qui che alcune cose, come ad
esempio la disciplina sportiva del Sankendo, sono state inventate dal Master. Invece altre scene o pensieri dei personaggi, come l'attacco psichico del 15° Angelo e simili (facilmente riconoscibili per i fan di Evangelion ^_*), sono stati trasposti quasi totalmente dall'anime o dal manga al fine di una compenetrazione maggiore tra fic e serie regolare.
Ci scusiamo per queste libertà narrative, e vi auguriamo buona lettura. ^_^
-“Si avvisano i signori passeggeri che stiamo per atterrare all’aeroporto di Neo Tokyo-3. Siete
pregati di allacciare le cinture di sicurezza. Grazie.”-
“Beh, eccoci arrivati.” L’uomo biondo in uniforme sorrise
cordiale volgendo lo sguardo sul sedile accanto a se dove un ragazzo in
smoking dai lunghi capelli neri guardava con interesse fuori
dal finestrino.
“Vedrai che il Giappone ti piacerà, ne sono convinto.” Proseguì ancora agganciando la cintura.
“Tu ci sei già stato, Signor Satoshi?”
Il ragazzo distolse il volto dall’oblò rivolgendo tutta
l’attenzione al suo accompagnatore mentre rapidamente
si apprestava ad eseguire a sua volta le istruzioni impartite dall’altoparlante
per l’atterraggio.
L’Agente scosse il capo.
“No, Gabriel, ma, come sai, mio padre è nativo della vecchia
Tokyo. Ed anch’io, confesso, ho sempre desiderato venirci.”
“Vorrei poter dire la stessa cosa…ma
a quanto pare non mi si è lasciata molta scelta…” Replicò accigliandosi
lievemente. Ancora una volta, osservandolo, Satoshi ebbe l’impressione di
trovarsi di fronte ad un ragazzo cresciuto troppo e ingiustamente in fretta.
Sospirò aggiustando con l’indice destro gli occhiali da sole sul naso.
“Mi spiace, Gabriel…Gli ordini sono ordini.”
“Si, lo so…l’importante è che ci
sia il mio piano, sul resto posso sorvolare…”
“Di questo non devi preoccuparti. Il tuo pianoforte è già
nell’appartamento che ci è stato assegnato insieme
alle altre cose. Anche la tua iscrizione alla Scuola
Media Pubblica di Neo Tokyo-3 è stata ultimata per tempo, così potrai
cominciare già da domani. In questo modo avrai la possibilità di farti subito
degli amici, senza contare che già avrai tre colleghi, sei contento?”
Alle ultime parole dell’uomo, il suo viso s’illuminò mentreun
grosso sorriso si distendeva sulle sue labbra cancellando l’inquietudine che lo
aveva adombrato poco prima.
“Sarebbe davvero fantastico!”
L’Agente sorrise a sua volta. Aveva
fatto centro. Sapeva quanto la prospettiva di stringere delle amicizie entusiasmasse Gabriel.
“Molto bene! Se vorrai provvederemo poi ad iscriverti ad una
piscina, così potrai continuare a nuotare.”
“E’ secondario, in fondo non ho mai avuto molto tempo per il
nuoto, però non nego che sarebbe bello.”
“Allora vedremo poi anche questo. Ah, ti senti abbastanza
ferrato sul giapponese?”
“Si, però ancora non riesco a capire alcune parole quando mi parli.”
“Col tempo ci farai l’abitudine. In fondo per aver avuto
solo pochi mesi di anticipo hai già fatto fin troppo.”
“Chi verrà a prenderci?”
“ Il Capitano Misato Katsuragi. Dovrebbe essere già al
parcheggio dell’aeroporto ad attenderci per condurci alla Nerv.”
In quel momento una Renault Alpine sfrecciò come una saetta
blu bruciando il giallo di un semaforo pochi istanti prima che diventasse rosso.
“Accidenti, sono di nuovo in ritardo! Ma perché mandano
sempre me??”
****
Aveva ricevuto la notizia solo pochi giorni prima.
Misato eraintenta a visualizzare il rapporto sui danni alla sonda
utilizzata per l’identificazione dell’Ottavo Angelo( impallidendo visibilmente
quando aveva letto la cifra cui ammontava, timorosa che il Comandante Ikari decidesse davvero di licenziarla su due piedi)
quando il Direttore del Progetto E, Dottoressa Ritsuko Akagi, era entrata nel
suo ufficio recando in mano due cartelle.
“Allora, a quanto ammonta il danno, Capitano Katsuragi?”
Domandò con una nota divertita nella voce mentre la
sua amica, per nulla contenta del tono della scienziata, le rivolse uno sguardo
talmente irritato da assumere a tratti sembianze quasi comiche.
“Cos’è, Ritsuko, sei venuta a
ridere delle mie disgrazie per caso? O forse mi sei venuta a dire
che il Comandante Ikari ha deciso di sbattermi fuori senza liquidazione?”
Ed in quel caso, come farò a pagare le rate della Renault
Alpine??
Per nulla scomposta, anzi, ancor
più sorridente, Ritsuko si diresse alla sua scrivania facendole piombare sul
rapporto della sonda i due plichi che aveva portato.
“Nulla di tutto ciò, non preoccuparti. Stavolta i danni
erano giustificati.”
Misato sospirò di sollievo rilassandosi contro lo schienale
della poltrona.
“Piuttosto…” proseguì la bionda “…dai un’occhiata
a questi, c’è del lavoro per te.”
“Vediamo…COSA??!!”
Incredula osservò il titolo che campeggiava ad inizio
dossier per poi alzare lo sguardo sul volto tranquillissimo di Ritsuko intenta
a pulire con nonchalance gli occhiali.
“ Fourth Children??E’ già stato selezionato?“
“ L’Istituto Marduk si è dato da fare nonostante lo 03 sia
ancora in fase di produzione negli Stati Uniti…” replicò l’altra senza degnarla
della benché minima attenzione, presa com’era nel suo intento di lucidatura.
“ Ah, beh, vediamo un po’… Quarto Soggetto Qualificato…
Gabriel Vancy, nato a Parigi il 30 Agosto 2001, anni 14, altezza 1,60, Gruppo
Sanguigno A positivo. Un francese eh?”
Incuriosita spostò gli occhi sulla fotografia a inizio pagina. Un ragazzo in un completo
nero di taglio classico, giacca e cravatta, con uno stemma dorato sul lato sinistro
del petto, dall’espressione terribilmente seria. Pelle
chiara, capelli neri lunghi, lisci e scomposti in alcuni ciuffi sulla sommità
del capo e sulla fronte ed occhi verdi.
Misato aggrottò perplessa le sopracciglia.
“Come mai è vestito in modo così rigoroso?”
“E’ un’uniforme…”
“Uniforme?”
“Leggi più sotto…”
“Accidenti! E così abbiamo un altro genio! Laureato in
pianoforte al Conservatorio Charles Debussy di Parigi ad inizio anno e
addirittura facente parte del corpo insegnanti!”
“Già…. ”
“Però mi chiedo se…Insomma, Ritsuko, vuoi piantarla di
pulire quegli occhiali e darmi ascolto??”
“D’accordo d’accordo, scusami. Che
cosa dicevi? ”
“Stavo pensando che spero proprio
questo non lo faccia entrare in aperta competizione con Asuka… non vorrei mai
che si mettessero a sbandierare a vicenda le rispettive lauree…”
“Mi auguro proprio di no.Tuttavia non mi pare il caso di
fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Ancora non sappiamo come sia
caratterialmente questo ragazzo. Non è detto che tutti i laureati siano come
Asuka.”
“Lo spero, già così non è facile, figuriamoci con due come
lei!”
Sbottò esasperata al pensiero ficcandosi le mani nei capelli mentre il suo sguardo finiva sull’altro dossier.
“E questo? Non mi dire che hanno selezionato anche il Fifth.”
“No, quello è il fascicolo del suo accompagnatore e Tutore
Legale. Satoshi Iwanaka, Agente Speciale della Sicurezza della Sezione
Francese. ”
“Uao, un titolo che è tutto un programma eh?”
“Meno chiacchiere, Misato.”
“Uffa come sei pignola, non si può mai scherzare!”
“Non si sconfiggono gli Angeli a suon di scherzi.”
In risposta ricevette una
linguaccia.
“E va bene vediamo un po’ chi è
questo Satoshi Iwanaka. Dunque anche lui nato a Parigi il 24 Novembre
1989, anni 26, altezza 1,85, gruppo sanguigno B positivo, tiratore scelto, esperto
in tecniche di disarmo e autodifesa, esperto nell’arma bianca??”
All’ultima nota sul curriculum il Capitano alzò sulla sua amica e collega uno sguardo che definire stupito era
un eufemismo.
Ma il Direttore del Progetto E si
limitò a scrollare le spalle continuando a passeggiare per il piccolo spazio
dell’ufficio come se volesse misurarne l’ampiezza.
“Si, non so precisamente cosa voglia dire, ma poco male.”
Un sorriso quieto e sottilmente divertito si allargò sulle
labbra della donna.
Misato ebbe un brivido di paura.
“Che…che vuoi dire, Ri chan?”
L’atra sorrise ancora di più e ciò
gettò totalmente nel panico l’Ufficiale.
“Che potrai chiederglielo di persona dato che sarai TU…”
marcò “ …ad andarli a prendere all’aeroporto.”
“Cosa? Ma
perché io?”
Ritsuko, ripresa la consueta espressione impassibile, alzò
appena un sopracciglio in sua direzione.
“Ho capito, ho capito, ci vado!”
Seccata accavallò le gambe sotto lo sguardo trionfante della
Dottoressa. Mettendosi più comoda sulla poltrona riprese
in mano il fascicolo e con uno sbuffo si dedicò all’osservazione del nuovo
Agente. La foto era solo un mezzo busto, ma per quanto
si vedeva sembrava rispettare perfettamente l’altezza indicata. Un’uniformein tutto somigliante
a quella della Nerv Giapponese, ma dal colore blu intenso, tratti decisi, carnagione
chiara, occhi azzurri, capelli biondi abbastanza lunghi e ondulati. Pensierosa
si accarezzò il mento.
L’attenzione che ci metteva non passò inosservata alla
scienziata. Sorrise molto soddisfatta. Le si stava
presentando l’occasione ideale per dedicarsi al suo passatempo preferito dopo
la collezione di qualunque oggetto felino le capitasse sottomano: stuzzicare
Misato.
“Dì un po’, Capitano Katsuragi…” cominciò con tono allusivo portandosi dietro la scrivania come a voler
studiare a sua volta il fascicolo “…come mai indugi tanto sulla foto identificativa
dell’Agente Iwanaka?”
“…Cosa vorresti insinuare,
Ritsuko?” Chiese l’altra pacatissima appoggiando il fascicolo sulla scrivania. Quando iniziava così sapeva già perfettamente dove voleva
andare a parare.
“Oh nulla, nulla…” con noncuranza infilò le mani nelle
tasche del camice aperto “..è solo che mi sembravi
così presa…magari sei sensibile al fascino francese…”
“Ah ah ah…” finse una risata “…
molto divertente, Dottoressa Akagi. “
“Beh, fai attenzione, Ryochan
potrebbe essere geloso, non credi?”
“NON MI PARLARE DI QUELLO SCEMO!!”
Il grido fu così poderoso da riecheggiare tra le mura più
volte.
Ritsuko ridacchiò intimamente.
“Te l’ho detto, Misato, guarda che se ti arrabbi così tanto parlando di Ryochan non fai altro che darmi
ragione…”
“Ritsuko…” tagliò corto l’altra, palesemente piccata “ non
stavamo parlando di quel rozzo individuo cascamorto e poco raccomandabile, stavamo parlando dell’Agente Iwanaka. Per la pace mia e dei
miei nervi, seproprio
vuoi sapere perché stavo guardando la sua foto era per il semplice motivo che
non mi torna il fatto di come possa avere un cognome Giapponese mentre i suoi
tratti somatici di orientale non hanno praticamente nulla di rilevante.”
“E’ presto detto…” sospirò appena, la bionda, mettendo
momentaneamente da parte il suo proposito di sfottò “…è
franco nipponico. Suo padre è Sumio Iwanaka, Capitano del Reparto Servizi di
Sicurezza della Sezione Francese. Per ovvi motivi,
sembra abbia preso da sua madre.”
“Adesso si spiega tutto.”
Indugiò ancora pigramente sulla foto, quindi chiuse il
fascicoloriponendolo
con cura nel cassetto metallico della sua scrivania, come sempre ingombra di
dispacci, rapporti, fogli appallottolati e penne sparse, insieme a quello del
Fourth Children.
“Quando dovrebbero arrivare?”
riprese poi alzandosi dalla sua postazione per poter parlare più agevolmente.
“Il loro arrivo è previsto tra quattro giorni alle ore 9 e
15 del mattino. Per una volta, vedi di essere
puntuale, mi raccomando. In fondo…” nuovamente un sorriso malizioso si distese
sulle labbra della donna “…non vorrai fare una brutta figura con il tuo futuro
diretto sottoposto fin dal primo giorno? Quindi, mi
raccomando. ”
Senza concederle il tempo di replicare le battè un paio di
colpi amichevoli sulla spalla per poi lasciare l’ufficio, evidentemente
soddisfatta dell’espressione stupita ea tratti attonita della sua ex
compagna universitaria. Anche per quella giornata si
era presa la soddisfazione di prendere bonariamente un po’ in giro il Capitano
Katsuragi.
***
“…E invece sto per ricavarci
l’ennesima figuraccia! Guarda lì…!”
Sconfortata gettò lo sguardo sull’orologio del cruscotto che
segnava inesorabilmente le 9:35.
La Renault Alpine eseguì uno slalom
disperato nel traffico. Qualcuno alzò minacciosamente un pugno verso la vettura,
ma la donna non diede segno di accorgersene. Rapida guardò il navigatore
satellitare attraverso gli occhiali da sole e la sua ansia si placò di colpo.
“Finalmente, ormai ci siamo!”
Con rinnovato entusiasmo premette più forte
sull’acceleratore e l’auto rombò veemente nel sole alto del mattino.
Frattanto, nel parcheggio semivuoto, due figure attendevano
in piedi l’una accanto all’altra affianco ad una
piccola piramide di tre valigie.
“Signor Satoshi…”
“Si?”
“Sei proprio sicuro che qualcuno
sarebbe dovuto arrivare a prenderci?”
Gabriel sospirò portando la mano sinistra a schermarsi gli
occhi dai raggi solari per scrutare il piazzale. I raggi del sole si
riflettevano violentemente sull’asfalto e sulla carrozzeria delle ormai poche
vetture presenti creando uno spettacolo abbagliante.
“Certo, se ci fossero stati
problemi avevano il mio recapito sul cellulare.”
Ribattè l’uomo prendendo aispezionare il parcheggio a sua volta nella
speranza di veder arrivare qualcuno.
“Accidenti, fa un caldo insopportabile…”
“Te lo avevo detto che non era il
caso di mettere lo smoking e che qui la temperatura era molto più elevata che a
Parigi.” Sospirò.
“Si, lo so. Però a quanto mi è
stato riferito la Nerv è un’organizzazione importante
e mi sembrava opportuno presentarmi in modo adeguato.” Replicò pacatamente il
ragazzo,senza
guardare il suo interlocutore, mentre con la mano libera aveva preso a
tormentare il colletto della camicia nella speranza di allentarlo un po’.
“Si, lo so, Gabriel...” Lasciò
cadere il discorso. Quando si trattava di eventi
formali quel ragazzo era dannatamente ostinato e qualunque obiezione, per
quanto sensata, sarebbe caduta nel vuoto.
In fondo non si può fargliene una colpa. L’ambiente di un
Conservatorio come ilCharles
Debussy non è certo un discopub…
“Signor Satoshi?”
Distratto da i suoi pensieri,
l’Agente si volse verso di lui.
“Dimmi.”
“Credi che incontrerò subito gli altri Children?”
Satoshi sorrise. Ormai si era affezionato a lui come ad un
fratellino minore e per Gabriel doveva essere lo stesso. Il tono con cui
l’aveva chiesto e l’espressione di aspettativa sul suo
volto sembravano proprio quelli di un bambino impaziente. In fondo, pensò
l’uomo, era giusto così.
Era comprensibile che un ragazzino costretto dagli eventi
alla solitudine come lui, ora che si trovava in un’altra città, di un’altra nazione, fosse ansioso di ricominciare da capo.
“Non lo so,Gabriel, ma,credimi, non
mancheranno di certo occasioni d’ora in poi.”
Il ragazzo si limitò a rispondere con un sorriso.
Satoshi tornò a guardare l’orizzonte.
Credo che non riuscirò mai a farci l’abitudine…la facilità
concui passa dalla
serietà estrema all’entusiasmo a seconda delle situazioni mi ha sempre
lasciatospiazzato. Beh, Gabriel, comunque vada qui, spero che nessuno ti faccia sentire il
peso del tuo talento… Però intanto…
Ancora una volta passò in rassegna il piazzale. Una stilla
di sudore colò lungo la sua tempia e scomparve nel colletto dell’uniforme.
…non sarà che ci hanno davvero piantati
qui a scioglierci dal caldo?
In quel momento un rombo in progressivo avvicinamento spezzò
i flebili rumori di sottofondo del luogo. Fu
questione di un attimo. Un’auto dalla linea sportiva irruppe nel parcheggio e
si posizionò in trasversale su una piazzola lasciando
una spessa strisciata di gomma sull’asfalto accompagnata da un acuto stridio
sotto gli occhi attoniti dei due.
“Bella manovra…” mormorò incredulo Gabriel
“Spericolata è il termine adatto…” replicò allo stesso modo
Satoshi.
La portiera
finalmente si aprì e ne uscì una donna sulla trentina dai lunghi capelli viola,
occhiali da sole ed un abito intero che ne metteva in risalto le curve. Senza
perdere un solo secondo si avvicinò sorridendo solare ai due andando a porgere
direttamente la mano destra coperta da un guanto rosso da guidatore all’uomo.
Satoshi pensò che una donna così non l’aveva mai incontrata.
“Eccomi qui, scusate il ritardo! Satoshi Iwanaka e Gabriel
Vancy, giusto? Misato Katsuragi, molto piacere!”
“Piacere di conoscerla, Capitano Katsuragi.” Rispose sorridendo amichevole e ricambiando la stretta.
“Allora…” Misato spostò lo sguardo sul ragazzo senza perdere
quel suo fare solare, chinandosi leggermente verso di lui “..sei
tu il famoso Professor Vancy, dico bene?”
Gabriel sorrise appena, un po’ amaramente, con
rassegnazione.
E così la mia ‘etichetta’mi ha preceduto anche qui…
Sopirò impercettibilmente quindi ricambiò a sua volta la
stretta di mano “La prego, Capitano Katsuragi, solo Gabriel.”
“Va bene, allora, Gabriel.”
Il ragazzo sorrise rasserenato.
“Dunque, dunque…” riprese subito la
donna volgendo lo sguardo sulle valigie”…quelli sono i vostri bagagli?”
“Si…” Satoshi si fece avanti raccogliendo dalla sommità
della piccola piramide una grossa custodia oblunga che poi mise a tracolla ”…il
resto è già stato recapitato all’appartamento assegnatoci.”
“Molto bene, vi do una mano a caricare!” Cominciò la donna
aprendo il bagagliaio.
“No, non si preoccupi, la ringrazio, ci
penso io. Gabriel, tu inizia pure a salire in macchina.”
“Sei sicuro che non ti serva una mano, Signor Satoshi?”
“No, stai tranquillo.”
Senza aggiungere altro Gabriel annuì ed eseguì le
disposizioni senza ulteriori indugi prendendo posto al
sedile posteriore. Aveva appena messo piede in auto quando
qualcosa che aveva pestato aveva rischiato di farlo scivolare.
Ma cosa diavolo…??
Perplesso si mise seduto osservando l’oggetto che aveva
quasi rischiato di farlo cadere. Era dorato ed in origine doveva avere forma tubolare, ma in ogni caso era inconfondibile anche
così ridotto.
Una lattina di birra?
Guardò fuori dal finestrino.
Satoshi e il Capitano Katsuragi avevano ormai terminato
di sistemare i bagagli.
“E quella?” Chiese Misato
osservando incuriosita la strana cassa oblunga che il giovane portava a
tracolla.
“Ah, questa. Se non le spiace
vorrei tenerla con me.”
“Sono troppo indiscreta se chiedo cosa contenga?”
A quella domanda,
Satoshi non potè non sorridere con orgoglio.
“Queste sono le mie spade, Capitano Katsuragi.”
A quell’affermazione per poco non le cadde la mandibola
dallo stupore.
“Spade??”
Ecco a cosa doveva riferirsi la nota sul curriculum!
“Si, è esatto. Katana, Wakizashi e Tanto.” Confermò l’uomo
accarezzando amorevolmente la custodia.
Ripresasi dalla sorpresa, Misato tolse in fretta gli
occhiali da sole appendendoli sul colletto dell’abito ed iniziò a girare
iperattivamente attorno al contenitore.
“Posso vederle? Non ho mai visto delle spade da vicino!”
Di fronte all’entusiasmo mostrato dalla donna, non poteva
non accontentarla. Con cura appoggiò la custodia sul cofano ed effettuò una pressione ai lati del contenitore. La cassa si
aprì con un moto improvviso rivelando così il suo contenuto. Armi di splendida
fattura. I foderi erano di un nero brillante e le impugnature erano costituite
da una stoffa altrettantonera con sprazzi dorati, così come dorate erano le guardie.
“Ma… sono vere?” Domandò con sorpresa e una nota di ammirazione nella voce.
“Verissime, glielo assicuro.” Rispose l’altro sorridendo mentre richiudeva la custodia.
“Le servirà il porto d’armi per portarsele in giro così.”
“Si, è obbligatorio con la tessera sportiva.”
“Tessera sportiva?”
Satoshi sorrise mentre entrambi salivano
in auto. Le portiere si chiusero con uno scatto.
“Non mi stupisco che lei non sappia nulla a riguardo. In effetti il Sankendo, la ‘Via delle Tre Spade’, non è un
sport praticato su larga scala.”
La macchina partì con un moto improvviso che sballottolò il
povero Gabriel a destra e a sinistra.
“Ouch!”
“Oh, scusami per la partenza brusca, Gabriel. Tutto bene?”
“..Di nulla Capitano Katsuragi,
tutto bene.” Rispose ancora stordito mettendosi comodo per dedicarsi al
panorama.
“Agente Iwanaka…” riprese Misato “...perchè non mi parla un
po’ di questo sport? Effettivamente non ne ho mai sentito parlare. Sul suo
curriculum c’era una nota a riguardo ma non immaginavo
si riferisse a questo.”
L’Agente strinse a se la custodiasentendosi quasi lusingato da tale
richiesta. La disciplina che praticava con così tanta passione
non era molto popolare ed ogni volta che gli venivano chieste informazioni a
riguardo era sempre felice di poterle fornire.
“ Come le ho detto prima, non è una
disciplina molto popolare. Richiede assoluto impegno e dedizione e prima di
arrivare a competizioni con armi vere ci vogliono anni di addestramento.”
“Armi vere durante le competizioni??Ma allora è pericoloso!”
“In realtà no se viene praticato
seguendo le regole. Deve sapere, Capitano Katsuragi, che in origine il Sankendo
era un’arte di combattimento dalla potenza devastante e quando si è perso nel
corso della storia il suo uso bellico, si è trasformata in una disciplina
sportiva. Ai nostri giorni gli scontri consistono in una sorta di danza
composta da tre assalti in cui lo scopo e quello di
disarmare o bloccare l’avversario in una presa da cui sia impossibile
svincolarsi. Questo perché se l’avversario accennasse ad un minimo movimento,
se fosse un reale scontro bellico, bloccato in quella presa, verrebbe
ucciso.”
Mentre guidava, la donna sembrava
prestare molta attenzione alle parole dell’Agente. Non immaginava potesse
esistere una disciplina del genere. Data l’enfasi che ci stava mettendo nella
spiegazione, decise di non interromperlo.
“Ovviamente, trattandosi di una sorta di danza, sono
severamente vietati tutti i colpi diretti alle parti vitali come il cuore, i
polsi e il collo. Pena l’allontanamento con disonore dal dojo di provenienza,
il ritiro dal porto d’armi e l’estromissione dalla disciplina.”
“Mi sembra giusto.”
“Assolutamente. I colpi vanno diretti alle armi, mai aquelle parti del
corpo. Per questo riuscire ad effettuare una di quelle
prese che le dicevo è un evento molto raro. Purtroppo gli incidenti capitano,
ma i giudici sanno distinguerli dai falli intenzionali. L’ambiente è molto molto selettivo e fin’ora ci sono stati ben pochi casi
di scorrettezza in tutta la storia della disciplina.”
“Ho notato che ne parla con molta passione.” Misato sorrise fugace.
“Si, è vero. Ho iniziato a 6 anni, e prima di me lo ha fatto
mio padre, praticamente è il mio mondo.” Ammise l’uomo
con un sorriso a metà tra l’imbarazzato e il divertito. “probabilmente le avrò
riempito la testa di chiacchiere, mi scusi.”
“No, al contrario, mi sembrava molto interessante. Ha
intenzione di continuare la sua disciplina anche in Giappone?”
“Sicuro. Appena avrò tempo mi informerò
su quale dojo sia più vicino.”
“Ottimo, magari qualche volta potrò venire a darci un’occhiata.”
“Se le può far piacere, quando
vuole.”
Sorrisero.
“Ah…”riprese Satoshilasciando
vagare lo sguardo sull’abitacolo“i miei complimenti. Una
Renault Alpine ultimo modello fine 2014, giusto?”
Misato sgranò gli occhi dalla sorpresa e l’auto sbandò
pericolosamente. Per l’ennesima volta, Gabriel, che era rimasto soprappensiero
a guardare il panorama per tutta la durata di quella conversazione che lui
aveva già sentito, rischiò di essere catapultato dall’altro lato dell’auto.
Ma è un vizio!
Ma nonostante entrambi i suoi passeggeri avessero rischiato
di dare un colpo contro il finestrino, la donna parve
non dar peso a quelle manovre che per lei erano normale routine quotidiana e
che tante volte avevano attentato allo stomaco di Shinji.
Era come se dal cielo fosse sceso un coro di Cherubini che
suonavano l’Inno alla Gioia: qualcuno aveva riconosciuto l’identità della sua
adorata vettura!
“Si, si, si! Non mi dica che si
intende anche lei di auto!”
D’accordo, se gli piace anche la birra è
proprio un segno del destino che sia un mio diretto sottoposto!
“Beh…” cominciò l’uomo togliendo gli occhiali da sole per
meglio osservare la sua interlocutrice. Ancora una volta gli venne
confermata la prima impressione: una gran bella donna.
”… discretamente mi interesso anche
di motori, ma è mia madre quella con la passione per le automobili. Io mi interesso più di moto. Qui in Giappone ho fatto portare
la mia Harley Davidson. “
Di nuovo l’auto disegnò una pericolosa‘S’ sulla strada, mettendo a dura prova
la resistenza di Gabriel il cui colorito era passato dal rosso accaldato al
pallido-sto-per-vomitare.
Se non la smette di fare tutti questi sbalzi, Capitano
Katsuragi, mi spiace, ma la sua tappezzeria corre dei
seri rischi…
“Una VERA Harley Davidson vecchio stampo?” Esclamò la donna
in stupore guardando più l’Agente che la strada. Ciò preoccupò non poco l’uomo.
“Si, vera e originale. La tratto coi
guanti bianchi da quando me l’hanno regalata per i Diciotto anni.”
“Fantastico!”
Finalmente riportò lo sguardo, ora entusiasta, sulla strada.
Satoshi sospirò di sollievo.
“E’ pieno di risorse, Agente Iwanaka! E, mi dica, di cos’altro si interessa?”
“Beh, a parte questo nulla. Solo un po’ di cucina di tanto
in tanto.”
Ok, d’accordo. E’ decisamente un
uomo da sposare. Ed è anche discretamente carino, lo
riconosco.
Misato ridacchiò al pensiero lanciando all’uomo un’ultima
occhiata superficiale. Lungi da lei dare a Ritsuko qualcos’altro su cui poterla
tormentare! Come se non avesse già abbastanza noie con quello
scemo di Kaji. Come sempre, si ripeté, meglio sole e con una lattina di
Yebisu che accompagnate da un imbecille come Kaji.
“Davvero i miei complimenti, Agente Iwanaka, io purtroppo
non ho mai tempo di cucinare, quindi uso solo cibi precotti accompagnati da una
buona birra” sorrise, poi lanciò un’occhiata veloce a Gabriel dallo specchietto
retrovisore.
“Allora Gabriel, come va?”
Il ragazzo, che aveva ormai rinunciato a guardaredal finestrino nel
timore di peggiorare le cose, dovette ricorre a tutta la sua forza di volontà
per non provocare danni irreparabili alla tappezzeria.
“Tutto bene, Capitano Katsuragi…” si sforzò di non far
trapelare il malessere.
“…quando arriveremo?”
“Ormai ci siamo, dieci minuti e siamo al Geo-Front. Intanto perché non mi parli un po’ di te, cosa facevi in Francia a
parte studiare e lavorare al Conservatorio?”
“Non molto…frequentavo una scuola media privata ed ogni
tanto andavo a nuotare in piscina.”
“Ah, facevi nuoto. Anche ad Asuka,
la Second Children, piace molto nuotare e fare immersioni, magari diventerete
amici. A proposito,avevi molti amici lì?”
Sia Satoshi che Gabriel si rabbuiarono
alla domanda. Quello era decisamente un tasto dolente.
“No…non molti…” Si costrinse a rispondere volgendo lo sguardo
sulla lattina accartocciata di prima.
Avrò detto qualcosa di male?
Pensierosa rivolse uno sguardo all’Agente di fianco a lei
che le fece segno, scuotendo il capo, di cambiare
argomento.
“Beh...” riprese Misato “..vedrai
che ti troverai bene con i Children. Hanno dei caratteri un po’ particolari, ma
sono dei bravi ragazzi. Chissà, magari riuscirai a fare un miracolo convincendo
Shinji ad imparare a nuotare… E poi capiterai proprio in classe con loro, e loro
a loro volta hanno degli amici, quindi non dubito che
sarai in buona compagnia!”
“Lo crede davvero?” Il ragazzo rialzò di colpo gli occhi
osservando il Capitano attraverso lo specchietto. Neanche a Misato sfuggì il tono quasi speranzoso che aveva usato.
“Ma certo, Gabriel! Anzi, sai cosa
ti dico? Se volete oggi li andiamo a prendere a
scuola, così te li faccio conoscere subito!”
Senza farselo ripete due volte, dimentico del malore che lo
aveva scombussolato, Gabriel si attaccò allo schienale
di Satoshi. Sembrava realmente un bambino in quel momento.
Spiazzante questo
ragazzo…veramente spiazzante…oh beh, almeno non è come Asukaper fortuna…
“Certo che possiamo andarci, Gabriel.” Rispose l’uomo con
tono conciliante “grazie per la disponibilità, Capitano Katsuragi.”
“Di nulla, così vi accompagniamo anche a casa, immagino nonconosciate la città.
Ah, eccoci arrivati.”
Alle parole dell’Ufficiale, i due si voltarono. Delle porte
meccaniche si spalancarono di fronte a loro e l’auto venne
introdotta all’interno di un corridoio da un nastro trasportatore.
Il nastro trasportatore li aveva condotti in un tunnel in discesa
apertosi in un vasto ambiente sotterraneo, illuminato dalle tonalità della
mattinata inoltrata che filtrava da enormi e sconosciute aperture
CAPITOLO 2
Incontri
(Parte I)
Il nastro trasportatore li aveva condotti in un tunnel in
discesa apertosi in un vasto ambiente sotterraneo, illuminato dalle tonalità
della mattinata inoltrata che filtrava da enormi e sconosciute aperture.
Satoshi e Gabriel guardarono giù dal finestrino e
realizzarono di trovarsi a diverse centinaia di metri dal fondo di quella
gigantesca caverna, tanto che sembravano sospesi sopra il suolo di un nuovo,
straordinario pianeta. Il soffitto della caverna era tappezzato da giganteschi
blocchi di metallo, come immense stalattiti, giustapposte ai sovrastanti grattacieli.
Sul fondo invece le migliaia di luci venivano riflesse
dalle acque di un lago. Tutto intorno la terra era
cosparsa di vegetazione, di tanto in tanto interrotta da tralicci e torri di
segnalazione. Un nuovo Eden, al confronto del deserto di
cemento della città appena lasciata. Al centro di quel paesaggio onirico
svettava una grande piramide, affiancata da un baratro
della stessa forma ma sensibilmente più grande. Tutto attorno, sospesi
nell’aria come sottili fili di ragnatela, baluginavano dei binari
trasportatori, del tutto simili a quello su cui adesso il gruppo stava
viaggiando.
“Ma… Cos’è… questo?” chiese senza
fiato il ragazzo mentre a sua volta l’Agente non riusciva a distaccare gli
occhi da quello spettacolo.
Misato sorrise di fronte alla meraviglia
dipinta sui volti dei suoi compagni di viaggio.
“E’ un Geo-Front, una gigantesca cavità naturale all’interno
della crosta terrestre. Nonché principale Quartier Generale
della Nerv.”
“E così è questo un Geo-Front!”
Esclamò l’uomo. “Avevo letto qualcosa a riguardo, ma non credevo fosse così…”
“Grande?”
“Meraviglioso.”
“Sì, è una vera meraviglia della
natura. Ed è anche l’estremo baluardo di difesa dell’umanità.”
Il binario su cui stavano
viaggiando raggiunse un’alta torre poco distante dalla piramide centrale e li
depositò in un ampio parcheggio al livello del suolo.
“Prenderemo dopo i bagagli…” cominciò la donna scendendo
dalla vettura subito imitata dai due passeggeri. “..adesso
dobbiamo andare subito dalla Dottoressa Ritsuko Akagi, il Direttore del
Progetto E, e poi dal Comandante Ikari.”
Non li invidio affatto.
“Agente Iwanaka…” continuò sorridendo
“…credo farebbe meglio a lasciare qui i suoi strumenti. Non vorrei che
la prendessero per un attentatore in incognito.”
Satoshi sorrise convenendo che aveva
ragione. Meglio evitare qualunque minimo fraintendimento in quel luogo.
“D’accordo, allora se non le dispiace lascio la custodia
qui.” Rispose riponendo con cura la borsa sul sedile
anteriore.
“Certo, nessun problema. Ah, Gabriel…”
Sentendosi chiamato in causa il ragazzo smise
di rassettarsi l’abito per volgersi attento alla donna.
“Si?”
“Non farti impressionare dalla Dottoressa Akagi, è seria e
parla quasi esclusivamente per termini tecnici, ma quando si mette d’impegno
riesce ad essere anche simpatica…e per quanto riguarda il Comandante Ikari…non
lasciarti spaventare d’accordo?”
“Si, non si preoccupi.” Annuì laconico. Per quanto lo
riguardava non c’era molto da dire. Lo avevano obbligato a lasciare il
Conservatorio per diventare un Pilota di Eva. Senza
spiegazione alcuna.
E così questo sarà il posto in cui dovrò prestare servizio
da oggi in poi…
Più mi domando perché sono qui, più non riesco a darmi
una risposta. Quarto Soggetto Qualificato…in base a
cosa, poi? Non importa. L’importante è che non mi tolgano la mia unica
compagna. L’importante è che con me ci siano il mio pianoforte, la mia musica,
il resto non conta.
“Gabriel, stai bene?” Satoshi si sporse ad osservare in
volto il ragazzino.
“Si, sto bene, sto bene.” Sorrise rassicurante verso i due,
forse rendendosi conto che quel suo atteggiamento doveva averli
impensieriti. In fondo era vero. La certezza che la musica non lo
avrebbe abbandonato, né messo da parte, lo aveva tranquillizzato. Fino ad allora era sempre stata solo ed esclusivamente quella
l’unica ragione di vita di quel ragazzo e non avrebbe permesso a nessuno di
sottrargliela.
Misato tuttavia non parve essere troppo convinta dal
comportamento di Gabriel, ma davanti al suo sorriso non potè fare altro che
annuire.
“Molto bene, allora andiamo, siamo già in ritardo!” Esclamò
la donna nuovamente ilare conducendo i due presso un nuovo nastro
trasportatore, che li condusse all’interno di un altro tunnel oscuro.
In infermeria la Dottoressa Akagi stava scuotendo il capo spazientita lanciando ripetute occhiate all’orologio
a muro.
Mai una volta che sia puntuale! E
pensare che glielo avevo anche raccomandato! Quando metterà
giudizio?
“Dai, Rei…” cominciò con un sospiro dopo aver applicato un
laccio emostatico alla ragazza “…dammi il braccio come al
solito…”
Senza fiatare, la ragazza eseguì l’ordine distendendo il
braccio destro per consentire alla Dottoressa di effettuare
l’abituale prelievo.
Al termine dell’operazione, Ritsuko tolse in fretta il
laccio e dopo aver tamponato il punto in cui aveva effettuato
il prelievo con del cotone imbevuto di disinfettante, si affrettò ad archiviare
il campione di sangue raccolto.
Solo pochi minuti dopo si sentì bussare alla porta.
Che sia lei? Alla buon’ora!
Con passi rapidi lasciò la sua postazione per avvicinarsi
alla scrivania.
“Avanti.”
Da uno spiraglio fece capolino il capo di Misato la cui
espressione sorridente tradiva un filo di preoccupazione.
“Ehm…è permesso?”
“Sei in ritardo. Lo sai questo
vero?” Domandò senza mezzi termini la bionda in tono
duro mentre si toglieva con attenzione i guanti in lattice utilizzati per
gettarli in un bidoncino accanto alla sua scrivania.
“C’è un motivuccio per quello…”
“Non mi dire che ti
sei persa di nuovo perché tanto non ci credo.”
“Uffa, Ritsuko!” Esclamò ora entrando totalmente, i pugni
sui fianchi in un’espressione di sfida, lasciando così intravedere i due che la
seguivano. “Sono rimasta a secco stamattina, va bene?”
“Si, d’accordo, di questo ne
parleremo dopo. Dunque…” il suo sguardo si spostò
sulle due figure dietro la sua amica. Sorrise lievemente
avvicinandosi ai due che intanto osservavano straniti l’interno dell’infermeria
composto quasi esclusivamente da una scrivania con un computer, degli
armadietti ed un grosso paravento illuminato dietro al quale si potevano
intuire la sagoma di un lettino, di un tavolo e di una persona lì seduta.
“… L’Agente Satoshi Iwanaka e il Fourth Children Gabriel Vancy.” I due annuirono. “Molto bene, vi porgo il mio benvenuto
qui alla Nerv, mi auguro che riuscirete a lavorare
bene con noi.” Concluse stringendo le mani ad entrambi.
“La ringrazio, Dottoressa Akagi.” Rispose con un sorriso
l’uomo mentre Gabriel proseguiva a fissare incuriosito la sagoma dietro il
paravento.
“Spero solo che il Capitano Katsuragi non vi abbia fatto attendere troppo, anche se devo dire che in fin
dei conti vi è andata bene, a quest’ora potevate già esservi smarriti per la
base…”
Con il suo solito sorrisetto divertito lanciò un’occhiata
fugace a Misato, la quale si era appoggiata imbronciata alla parete accanto
alla porta, braccia conserte, decisa ad ignorare le provocazioni dell’amica.
Pignola, pignola, pignola! Antipatica e pignola! Sgrunt!
“In ogni caso...” riprese la
scienziata, “non rimanete sulla porta. Venite pure a sedervi.”
Senza aggiungere altro si voltò camminando in direzione della
scrivania davanti alla quale erano poste due sedie e solo quando lo sguardo le
cadde sul paravento si ricordò che era ora di congedare Rei.
“ Ah, Rei, puoi uscire, per ora abbiamo
finito. Preleveremo il prossimo campione tra sei ore.”
“Si.”
Quando la ragazza si palesò ai loro occhi, sia Satoshi che
Gabrielrimasero
in silenzio fermi a pochi passi dalle sedie. Non era di certo come le altre
ragazze. Capelli di un
azzurro chiarissimo, pelle candida, occhi di un rosso intenso. Un’
albina ne convenne l’Agente. Doveva indossare un’uniforme scolastica. Gabriel ne era rimasto stupito. Non aveva mai conosciuto nessuno con
quelle caratteristiche fisiche. Insolite, certo, però
non le trovava affatto spiacevoli.
A sua volta Rei prese ad osservare
i nuovi arrivati con sguardo vacuo, senza soffermarsi su nessuno dei due in
particolare.
Nel silenzio creatosi nella sala, fu di nuovo Ritsuko a
prendere la parola.
“Questa ragazza è Rei Ayanami, First Children.” Spiegò all’indirizzo dei due prima di tornare a rivolgersi
alla ragazza.“Rei,lui è il nuovo Agente della Sicurezza,
Satoshi Iwanaka…” indicò l’uomo.
“Piacere, Rei.” Sorrise
appena verso di lei
“E questo…” riprese la donna “..è
il Fourth Children...”
Non ebbe nemmeno il tempo di terminare le presentazioni. Con
la stessa spontaneità di un bambino, Gabriel si era già avvicinato alla ragazza
e le porgeva la mano con un gran sorriso amichevole e gentile al contempo
stampato in volto.
“Piacere di conoscerti Rei! Io sono Gabriel.”
Nuovamente l’infermeria piombò nel silenzio.
Gli occhi di Rei passarono dalla mano tesa del ragazzo al
suo volto, a quello del nuovo Agente, per poi tornare alla mano, senza capire.
Una mano tesa…
L’unica volta che mi hanno teso una mano è stato quando
Ikari mi ha salvato la vita…
Ma ora non ho bisogno di essere salvata. Perchéme la sta porgendo?
Nel silenzio surreale che si era venuto a creare, alzò
nuovamente lo sguardo sul volto del ragazzo il quale aveva perso l’ilarità di
prima per lasciare spazio ad un’espressione perplessa.
“Piacere.”
Lapidaria. Atona. Semplicemente raggelante.
Ancora spostò lo sguardo dal ragazzo all’Agente, alla
Dottoressa Akagi, a Misato che non aveva perso un solo scambio di battute,
quindi si spostò verso l’uscita senza più degnare di un minimo di attenzione nessuno di loro.
“Arrivederci.”
La porta si chiuse quasi senza suono alle sue spalle.
Tutti gli occhi si spostarono quindi su Gabriel, rimasto in
sospeso con la mano a mezz’aria.
Nessuno avrebbe saputo dire se era
più sconvolto o deluso. Ma entrambe le cose, sicuro.
Satoshi dovette ricorre a tutto il
suo autocontrollo per non mettersi le mani nei capelli.
Cominciamo male, malissimo! Peggio di così non potevamo
cominciare!
Ritsuko sospirò lievementee
poggiò una mano sulla spalla del ragazzo.
“Gabriel, non prendertela. Rei ha
un carattere particolare, fa così con tutti. Non è molto socievole.”
“…”
“Avanti, siediti qui…” scostò una sedia “ e parlami un po’
di te.”
Ancora attonito il ragazzo eseguì quanto richiesto, senza
minimamente obiettare.
Frattanto Misato si era avvicinata all’uomo il quale aveva
preso ad osservare attentamente il suo tutorato nella speranza di cogliere qualche
miglioramento nella sua espressione.
“Dev’essere stato parecchio imbarazzante per lui…” sussurrò
la donna cercando di non farsi sentire mentre il ragazzo aveva preso
colloquiare con la scienziata.
L’Agente si allontanò di qualche passo, quanto bastava per
poter parlare sottovoce senza farsi udire, invitando l’Ufficiale a seguirlo.
Sospirò pesantemente.
“Ha notato come c’è rimasto male?”
“Beh, si, ma Rei è così. Non ha mai
legato con nessuno, è un mistero per tutti.”
“Capitano Katsuragi…” fece una pausa per lanciare una rapida
occhiata al ragazzo prima di riportare lo sguardo su di lei “ …il punto è che
Gabriel si è sentito respinto.”
Misato corrugò la fronte in un’espressione interrogativa.
“ Il suo status di ragazzo prodigio…” cominciò a spiegare “…ha praticamentesortito
l’effetto di tenere alla larga da lui tutti i suoi coetanei. Sia
del Conservatorio che della scuola. Per invidia o forse timore. Come ha avuto
modo di vedere, lui invece, è molto propenso a socializzare, sembra quasi che
non aspetti altro. Ma nonostante questo...”lasciò cadere il discorso come se mancassero le parole.
La donna rimase letteralmente sbalordita.
“Mi sta dicendo che non ha mai avuto nemmeno un amico?!”
“Nemmeno uno.”
“E nonostante questo riesce ad
essere così bendisposto??”
“E’ la sua natura, Capitano Katsuragi. Purtroppo però i lati
negativi non si limitano a questo. Non credo lo abbiano scritto sulla sua
scheda, ma i suoi genitori hanno perso la vita in un incidente d’auto quasi due
anni fa.”
“Ma è terribile…”
“Quando la sua tutela è passata dai
nonni materni a me ed ho parlato con i suoi insegnati al Conservatorio, mi
hanno detto che per un periodo, dopo la tragedia, avevano creduto che avrebbe
gettato tutto all’aria. Il pianoforte, la musica, tutto. Invece, si è immerso
nella sua musica ed ha trovato la forza per ricominciare. Laureandosi
e diventando uno dei migliori insegnanti del Conservatorio stesso. Però
anche in questo campo la sua ‘autorità’, non sempre è stata riconosciuta.”
“Cosa?? Ma…perché??”
Satoshi scrollò il capo riportando con un gesto della mano
alcune ciocche ricadutegli innanzi agli occhi sul capo.
“Non perché non fosse competente,
questo è certo. Credo che il vero motivo, sia solamente il fatto che allievi
più grandi non accettassero insegnamenti da un
ragazzino più giovane di loro. Anche se laureato. Alla
fine la causa era l’invidia anche in questo caso. “
“Che assurdità. Ci sarà un motivo
se una persona siede ad una cattedra.”
“Questo è ovvio. In ogni caso anche se in aula restavano
quattro gatti, lui ha fatto ugualmente lezione. I Docenti del Charles Debussy
mi hanno sempre riferito che ritiene la sua Etica Professionale come un punto
d’orgoglio intoccabile.”
“Eppure non ne fa sfoggio. Non
vuole nemmeno essere chiamato Professore!”
“Quello che vuole è vivere una vita come tutti gli altri
ragazzi. Da quando l’ho preso con meed
i miei genitori per ordine della Nerv, ho imparato a conoscerlo ed essergli
amico, lo considero un fratellino minore, ma ha
bisogno dell’amicizia dei suoi coetanei. Io posso solo dargli qualche fraterno
consiglio e aiutarlo se ha dei problemi.”
“Capisco…” Misato sospirò pensierosa.
Povero ragazzo…adesso capisco tutto il suo entusiasmo,
come dargli torto…
Sarebbe stato mille volte meglio
che non incontrasse Rei per prima, ma ormai è fatta. Spero solo che questo non
lo renda diffidente nei confronti di Asuka e Shinji…
Restarono in silenzio alcuni minuti quando la voce di
Ritsuko richiamò la loro attenzione.
“…Bene, Gabriel, è veramente molto, molto, interessante.
Spero che un giorno avremo la possibilità di sentirti suonare.”
“Se sarà possibile…”
Dall’espressione un po’ apatica sul suo volto, tutti capirono che non aveva
ancora digerito la delusione. “Dottoressa Akagi…” riprese il ragazzo piantando
gli occhi sulle varie cartelle sparse sulla scrivania“…la prego di soddisfare la mia curiosità: in base a quali criteri avete scelto me? ”
“L’Istituto Marduk hai i suoi
criteri, noi della Nerv non sappiamo quali siano.”
“Ho capito.”
“Posso comprendere che avresti preferito
rimanere al tuo Conservatorio e l’idea di salire a bordo di un Evangelion non
ti entusiasmi, però credo che tu riesca a capire quanto importante sia il ruolo
che voi Piloti occupate in questa lotta. Senza contare che l’interno degli Eva sono il posto più sicuro che possa esserci e
inoltre…”
“Dottoressa Akagi…” la interruppe alzando lo sguardo,
serissimo, sul volto concentrato per l’abituale arringa della scienziata “…non è necessario che mi elenchi i pregi di essere un pilota. Le
mie condizioni, come ho già detto al Signor Satoshi, sono state soddisfatte.
Voi non mi impedite di suonare, io piloto l’Eva. Non
c’è bisogno di aggiungere altro.”
Ritsuko rimase a bocca aperta senza sapere cos’altro poter
aggiungere. E con lei anche Misato.
“Allora…” cominciò la donna tentennante “ molto bene,
Gabriel. Andremo d’accordo.”
“Ne sono felice.”
“Adesso però, Misato, accompagnali pure dal Comandante
Ikari.”
“D…d’accordo…Agente Iwanaka, Gabriel, seguitemi. A dopo,
Ritsuko.”
“Si, A dopo.”
Il gruppo prese congedo e la donna, rimasta sola, si
abbandonò totalmente contro lo schienale per ripensare attentamente a quanto
accaduto.
Un carattere molto particolare, ma di poche pretese devo
ammetterlo. Questo non può che essere un bene.
“Allora ragazzi…” incominciò, una volta
giunti all’ingresso, Misato sorridendo per cercare di alleggerire la
tensione “…in bocca al lupo. Io vi aspetto qui.”
“Crepi” Rispose l’Agente incurvando appena le labbra.
Da quando avevano lasciato l’infermeria, il pensiero di
trovarsi faccia a faccia col Comandante Ikari lo aveva reso inquieto. Le voci
che circolavano su di lui non erano molto lusinghiere,
a partire dal fatto che si era quasi totalmente disinteressato di suo figlio.
Inspirò profondamente, non era il caso, né era da lui, di
lasciarsi prendere dall’ansia.
“Sei pronto, Gabriel?”
Il ragazzino annuì deciso verso l’uomo. Sembrava aver
accantonato l’episodio di poco prima.
“Allora andiamo.”
La porta dell’ufficio del Comandante della
Nerv si era chiusa alle loro spalle, isolandoli dalla donna che li aveva accompagnati
fin lì. L’agente Iwanaka e il Fourth Children si apprestavano a prendere
servizio.
Satoshi non capiva perché si sentiva così agitato, in fondo
aveva già fatto dei colloqui di lavoro. Forse era perché si trovava al cospetto
del suo Comandante Supremo, il capo indiscusso dell’unica organizzazione in
grado di proteggere l’umanità, oppure era per la struttura stessa di
quell’ufficio – una stanza vastissima, dal soffitto relativamente basso e dalla
scarsa illuminazione, posta in cima alla piramide della Nerv.
Oppure ancora era per lo sguardo
indecifrabile, nascosto sotto le lenti brune dei suoi occhiali, del Comandante
in persona, che lo scrutava dalla sua scrivania all’altro capo dell’ufficio. In
piedi nell’ombra dietro di lui c’era poi un’altra figura
in uniforme, un uomo anziano, dall’aria meno marziale del suo superiore.
“Venite avanti.”
L’imperiosa voce di Ikari scosse
Satoshi dalle sue riflessioni e lo costrinse a fare un passo avanti subito
imitato da Gabriel il quale si limitò a tacere ed osservare intimorito le
figure dei due uomini.
“Sissignore!” riuscì infine a dire l’uomo.
“Lei è l’agente Satoshi Iwanaka, appena trasferito dalla
nostra Sede Francese, giusto?” L’uomo seduto sembrava non aver mosso un
muscolo.
“Sissignore.”
“Da questo momento lei prende servizio alla Sede Centrale di
Neo-Tokio 3 della Nerv, sotto il comando diretto del Capitano Misato Katsuragi.
Ci sono domande?”
“Nossignore.”
“Si rilassi, Agente, non siamo sotto le armi.”
Quell’improvviso segno di umanità
colse Satoshi di sorpresa, tanto che all’inizio non capì che non proveniva dal
Comandante, ma dall’uomo in piedi poco dietro a lui. Ci mise alcuni secondi a obbedire e rilassare un po’ i muscoli.
Come se quell’interruzione non ci fosse stata, Ikari
proseguì: “Il suo compito principale, a meno di ordini
diretti miei, del Vice Comandante Fuyutsuki o dello stesso Capitano Katsuragi,
sarà quello di coadiuvare quest’ultima nella sorveglianza dei Piloti. Per
questo dovrà chiedere direttamente a lei disposizioni di volta in volta. Non dovrebbe essere un onere troppo gravoso dato che il suo alloggio sarà
vicino a quello del Capitano. In ogni caso è tenuto ad essere sempre reperibile
in caso di necessità salvo permessi del suo Superiore. Fuyutsuki…”
Senza bisogno di ulteriori parole,
l’anziano Vice Comandante abbandonò la sua postazione alle spalle del suo
superiore e in perfetto silenzio si avvicinò a Satoshi per consegnargli due
tessere d’ingresso prima di tornare al suo posto.
“Quanto a te…” l’attenzione del Comandante si spostò su
Gabriel “ ..sei il Fourth Children, Gabriel Vancy,
dico bene?”
Come il suo Tutore, anche il ragazzo si sentì raggelare.
Annuì.
“L’Unità Evangelion 03 a te designata è ancora attualmente in fase di produzione negli Stati Uniti. Finché non sarà ultimata tu occuperai il ruolo di Pilota di
riserva. Quindi nel caso che uno dei Piloti ufficiali rimanga
ferito in uno scontro, tu prenderai il suo posto. Sono stato chiaro?”
Prima di poter rispondere dovette deglutire più volte.
“Si, Signore.”
“Eccellente. Mi aspetto che tu faccia un buon lavoro. E lo stesso vale per lei, Agente. Potete andare.”
Satoshi, raggelato fino al midollo dalla freddezza di
quell’uomo, fece un vago cenno di saluto col capo, ricambiato solo dall’uomo
nell’ombra – il Vice Comandante – ed uscì dall’ufficio seguito celermente da
Gabriel.
Nonappena furono fuori da quell’ufficio si sentirono di nuovo in
grado di respirare liberamente.
Misato, rimasta ad aspettarli, nel vederli uscire si
avvicinò loro con un sorriso sincero.
“Siete ancora interi?” chiese.
“Sì… Almeno credo…” Rispose l'uomo.
“Idem…” Confermò a sua volta il ragazzo.
“Allora, come vi è sembrato il Comandante Ikari?” Chiese la
donna incamminandosi a passo svelto lungo il corridoio illuminato che li avrebbe condottiall’ascensore. Di certo non voleva correre rischi che le porte
dell’ufficio si aprissero all’improvviso ed il loro
Comandante Supremo si trovasse a portata di orecchie commenti poco lusinghieri.
Ho rischiato il licenziamento fin troppe volte.
Gabriel fu il primo a prendere la parola.
“Mi auguro che non dovrò mai prendere ordini direttamente da
lui…”
“Non preoccuparti, finchè ci saremo io o la Dottoressa
Akagi, riceverai disposizioni direttamente da noi!” La donna sorrise
amichevolmente, quasi volesse distrarlo da eventuali pensieri che potessero
incupirlo di nuovo.
Per oggi, tra l’inconveniente in infermeria ed il
colloquio con il Comandante Ikari, direi proprio che ha sopportato abbastanza.
“Comunque, come vi dicevo, non
dateci troppo peso…” proseguì mentre il gruppo prendeva alfine posto in
ascensore e misato pigiò un tasto che li avrebbe portati ad uno dei livelli
inferiori ”…non va a genio praticamente a nessuno. Tantomeno a suo figlio.”
“Si riferisce a Shinji, Capitano Katsuragi?” Satoshi le
rivolse uno sguardo interrogativo.
“Esatto proprio a lui.” L’espressione della donna si fece
pensierosa. Anche il rapporto tra Shinji e suo padre era
un tasto dolente.
Nella cabina che sembrava ormai scendere all’infinito si venne a creare un vuoto di parole per alcuni
minuti che fu l’Agente a rompere.
“Ah, Capitano Katsuragi. Il Comandante Ikari mi ha detto di
essere direttamente alle sue dipendenze.”
“Oh, sicché la notizia è confermata! Bene, mi fa molto
piacere, Agente Iwanaka! Mi auguro che lavoreremo bene insieme!” Esclamò
sorridendogli solare prima di proseguire “ Le ha già detto quali saranno le sua mansioni?”
“Si, Capitano. Dovrò esserle di supporto per la sorveglianza
dei Children. Mi è stato affidato un alloggio…” si fermò un attimo realizzando
solo adesso che effettivamente sarebbe andato a vivere praticamente
sotto gli occhi del suo diretto Superiore. Il che non sapeva
se fosse un bene o un male. Simpatica, d’accordo. Ma
pur sempre il suo Superiore. “…accanto
al suo.”
COSA?! E quando avevano intenzione di dirmelo??
L’Ufficiale sbattè le palpebre più volte come se ancora non
riuscisse a capacitarsi dell’idea.
Ritsuko...scommetto tutta la mia scorta di Yebisu che
questo scherzetto della notizia all’ultimo minuto me lo hai giocato tu.
“Splendido, davvero!” Riuscì a rispondere riprendendosi
dallo stupore di quella comunicazione improvvisa.
Ma si, in fondo non sarà male avere dei vicini! Così sarà
più facile anche per i ragazzi stare insieme.
“Davvero, Agente Iwanaka, quel palazzo è
completamente disabitato, sarà bello avere dei vicini. E poi in questo
modo i ragazzi potranno anche studiare insieme.”
Sorrise verso Gabriel il quale parve illuminarsi all’improvviso.
Davanti a quell’espressione anche Satoshi si tranquillizzò.
Pericolo scongiurato.
Ottimo. Quanto accaduto in infermeria non deve aver lasciato
segni indelebili.
Più rilassato di prima si appoggiò contro la parete.
“Anche noi siamo felici, vero
Gabriel?”
“Si, certo!” Esclamò nuovamente entusiasta.
Mai come nel suo caso il detto ‘la Speranza è l’ultima a morire’ fu più vero, pensò Misato.
“Però, Capitano Katsuragi…” riprese l’Agente rizzandosi di
colpo come se avesse ricordato qualcosa di estremamente
importante mentre tirava fuori dalla tasca due tessere rosse con le foto
identificative sue e di Gabriel. “…ci hanno consegnate
solo queste due tessere d’ingresso alla Base Nerv…valgono anche per la porta di
casa? Alla Sede Francese mi è stato riferito che per il nostro arrivo tutto
sarebbe già stato consegnato, ma nessuna parola su chi dovesse
consegnarci le tessere per l’abitazione.”
“Quelle che vi hanno dato valgono solo per l’ingresso al
Quartier Generale. Ma sono sicura che troveremo
qualcuno di fronte alla porta di casa. Io non mi sono praticamente
accorta di nulla in questi giorni quindi è probabile che abbiano terminato le
consegne in mattinata. Comunque….” battè
energicamente le mani “…visto che da oggi saremo vicini, che ne dite di
accantonare questi noiosi formalismi e passare a darci del tu?”
“…”
“…”
Nulla da dire. Entrambi la guardarono
sbigottiti.
…Ed io che immaginavo il famoso Capitano Katsuragi, Tattico
e Responsabile delle Operazioni Nerv, come una
donna austera e impassibile… Mi sbagliavo. Altrochè se mi sbagliavo. Ma questo dovevo
capirlo dopo aver visto i chili di pneumatici lasciati sull’asfalto.
“Allora?” Incalzò impaziente la donna
I due si riscossero dallo stato di
stupore in cui erano piombati.
“C…certamente…” sorrise Satoshi un po’
imbarazzato “con molto piacere, Capitano Katsuragi!”
“Solo Misato, d’accordo?”
“Ah, si, d’accordo…Misato”
Che imbarazzo…
“Così va meglio!” Ammiccò scherzosa la donna. “Tu sei
d’accordo, Gabriel?”
“Ehm…credo dovrò prima farci l’abitudine…a parte il Signor
Satoshi non sono abituato a dare del tu ai miei insegnati o ai miei superiori…” sorrise timidamente in segno di scuse.
“Tutto il tempo che ti serve.”
“Grazie.”
“Ah, Gabriel... questa è tua. Tienila tu. “ cominciò
l’Agente, forse per scrollarsi di dosso l’imbarazzo, porgendo al ragazzo la sua
tessera.
“Si, grazie.” Annuì l’altro ricevendo la card
con la propria foto sopra per riporla in una delle tasche interne dello smoking.
In quel momento le porte dell’ascensore si aprirono con un
sonoro -ding- terminando quella discesa che voleva
apparire eterna.
L’Ufficiale guardò
l’orologio: mancava ancora quasi un’ora per la pausa pranzo. C’era ancora tempo
per un giro turistico. Senza perdere tempo indicò il lato destro del corridoio.
“Visto che per mangiare ci vuole ancora un po’, vi
accompagno a visitare la Base. Da quella parte c’è la Sala Comando, e intanto ne approfitto per spiegarvi un po’ com’è la situazione.”
Era già da qualche minuto che percorrevano quell’ intricato dedalo di corridoi illuminati
indistinguibili l’uno dall’altro, se non fosse stato per i nomi dei
settori,quando finalmente raggiunsero
uno svincolo. La donna era ora intenta a spiegare la locazione dei servizi
igienici che eraa
suo avviso un’informazione di primaria importanza. All’improvviso un forte urto
minacciò di far cadere a terra Satoshi, che non ebbe
nemmeno il tempo di schivare. L’urlo di una ragazza accompagnò un tonfo sordo e
lui si drizzò subito per vedere cos’era successo.
Di fronte a lui c’era una giovane donna con l’uniforme degli
Operatori Tecnici della Nerv, seduta per terra, dall’aria frastornata. Davanti
a lei giacevano molte carte, sparse.
“Mi-mi scusi,” balbettò la ragazza,
subito mettendosi in ginocchio a raccogliere quello che era stato il proprio
fardello, degnando Satoshi solo di un rapido sguardo con aria colpevole. Subito
l’agente si chinò per aiutarla.
“Si è fatta male?” chiese, premuroso come gli imponeva il
suo carattere.
“No… e lei?” fu la timida risposta.
“Nemmeno. Lasci che le dia una mano.”
Misato, rimasta qualche passo
indietro, soffocava le risa: “Agente Satoshi Iwanaka, le presento il Tenente
Maya Ibuki, Operatrice del Magi System e Analizzatrice dei Dati.”
Gli occhi dei due si incontrarono e
subito l’uomo sorrise amichevole: “Piacere di conoscerla, Tenente Ibuki.”
L’Operatrice invece rimase un po’
interdetta prima di rispondere: “Il piacere è mio, Agente Iwanaka.” Lo guardò ancora per qualche istante
mentre entrambi si alzavano e lei rimetteva inordine alla meno peggio i documenti raccolti.
Nel far ciò inevitabilmente il suo sguardo cadde sul ragazzo dietro di loro che
a sua volta si stava trattenendo dal ridacchiare davanti alla comicità della
scena.
Maya portò repentina lo sguardo
sul Capitano Katsuragi. “Per caso lui è…”
“Esatto!” Annuì Misato poggiando
con fare ilare una mano sulla spalla di Gabriel. “Lui è Gabriel Vancy, il
Fourth Children.”
“Piacere di conoscerla, Tenente
Ibuki.”
“Piacere mio, Gabriel. Sei veramente molto elegante, sai?” La giovane si chinò
appena verso di lui con un sorriso amichevole.
“Grazie, Tenente.”
“Bene..” riprese
Misato “…ora che le presentazioni sono state fatte, dove andavi con tutti quei
documenti, Maya?”
“Ah, cercavo la Senpai Akagi.
Devo assolutamente mostrarle i risultati dei rilevamenti effettuati dai Magi.”
“Capisco. Dovrebbe essere ancora
in infermeria.”
“Grazie infinite, Capitano
Katsuragi. Ora, vogliate scusarmi, devo proprio andare.”
Frettolosa lanciò un ultimo sguardo ai due nuovi acquisti della Nerv rivolgendo
loro un piccolo cenno di saluto col capo per poi avviarsi verso l’ascensore con
passi affrettati in un’andatura resa alquanto goffa dal carico che trasportava.
“Spero proprio non si trasformi
in una Ritsuko Seconda…” ridacchiò Misato “…in ogni caso, venite, siamo quasi arrivati.”
Quando furono giunti a destinazione, sia l’Agente della
sicurezza che il Fourth Children avevano ormai appreso
molte cose sulla Nerv, dalla storia degli attacchi degli Angeli già avvenuti ai
luoghi di svago dove il personale si intratteneva nei periodi di riposo. Però
nessuno li aveva informati di quanto enorme fosse la
sala comando. Rimasero a bocca aperta davanti all’immenso sistema di proiezione
olografica che combinava rilievi topografici e griglia strategica, sospeso su
di un baratro di cui non si vedeva la fine. Da dove si trovava, la postazione
strategica con le consolle di comando, poteva vedere,
una quindicina di metri sotto di lui, un terrazzo con altre consolle e tre
grossi blocchi dal bordo rosso recanti dei nomi biblici: i computer Magi, come
gli aveva spiegato poco fa Misato.
Alle consolle di comando c’erano
altri due Operatori, che subito si avvicinarono per presentarsi al nuovo
venuto.
Il Tenente Shigeru Aoba era un ragazzo dai capelli lunghi e
dall’aria amichevole, mentre il Tenente Makoto Hyuga portava gli occhiali e
sembrava meno espansivo. Essi, insieme a Maya, erano gli
unici tre Operatori abilitati a lavorare direttamente con i Magi. A parte
Ritsuko, ovviamente.
L’impressione che Satoshi ne ebbe
fu oltremodo positiva, sembrano essere davvero due ragazzi simpatici, magari
sarebbero andati d’accordo.
Gabriel invece aveva preso ad osservare quasi con interesse
i dati incomprensibili che scorrevano sullo schermo della postazione di Makoto,
a tal punto che il Capitano temette, scherzando, addirittura l’avvento di un
Ritsuko Terzo.
Due come Asuka sarebbero troppi, ma tre come Ritsuko
sarebbero assolutamenteinsostenibili per chiunque! A proposito
di Ritsuko,meno
male che non c’è altrimenti avrebbe parlato dei Magi System per le prossime tre
ore!
Si soffermarono in quel luogo ancora per un po’ , ma ben presto alle informazioni di servizio sui Magi si
sostituirono degli argomenti di conversazione più leggeri come la situazione
della Sede Francese della Nerv, quel particolare sport praticato dall’Agente
Iwanaka, oppure sui brani musicali suonati da Gabriel, il quale intavolò
un’interessante dibattito musicale con Shigeru, chitarrista, del quale gli
altri tre, a causa della troppa terminologia specifica utilizzata, riuscirono a
capire appena due parole su quattro.
Allorquando giunse alfine la pausa pranzo, e Misato si
ricordò all’ultimo minuto di correre nel suo ufficio da cui tornò con un
fascicolo sul funzionamento della Base che consegnò subito a Satoshi, e il trio
si separò dagli Operatori, il ragazzo sembrava oltremodosoddisfatto della piacevole
discussione avuta.
I sue due accompagnatori non
poterono che esserne contenti.
Il pranzo e il primo pomeriggio passarono
incredibilmente senza intoppi. All’uscita da scuola dei ragazzi mancavano
ancora circa tre ore nelle quali Misato propose di accompagnare a casa i suoi
due vicini. La proposta venne accolta con gratitudine.
Avevano effettivamente bisogno di rimettersi in sesto dalla lunga traversata.
Il viaggio di ritorno fu decisamente
più tranquillo dell’andata così che lo stomaco pieno di Gabriel non dovette
patire troppo delle sbandate del Capitano. Anche con
sollievo della tappezzeria.
Finalmente dopo una buona mezz’ora, il Condominio si palesò
ai loro occhi. Era in periferia, e tutt’attorno, in lontananza, era possibile
scorgere le cime dei monti svettare da estese chiazze boschive e nell’aria si
sentiva un continuo frinire di cicale.
Non appena furono scesi dall’auto e scaricato i bagagli,
come previsto dal Capitano, un uomo sulla quarantina, in
completo nero giacca e cravatta, il volto celato da degli spessi
occhiali da sole, uscì dall’androne per avvicinarsi con passo marziale a
Satoshi. Sul lato destro della giacca svettava in rosso sangue il Logo Nerv.
“Agente Satoshi Iwanaka?”
“Si, sono io.”
Lo sconosciuto tirò fuori dal
taschino due tessere bianche per consegnarle all’uomo.
“I vostri effetti personali sono già stati trasportati
all’interno. Per quanto riguarda il suo mezzo di locomozione, invece, è stato depositato
sul retro. Buon lavoro.”
L’individuo fece un cenno del capo verso l’ingresso ed altri
due uomini ne uscirono affiancandosi al primo. Rivolsero appena un cenno di
saluto al gruppo per poi avviarsi in direzione di un’auto nera che partì
rombando appena qualche secondo dopo.
Nessuno osò fiatare per tutta la durata di quella sorta di
cerimoniale.
“Beh…” Misato prese la parola “ alcuni hanno dei modi di
fare particolari…” scrollò appenale spalle, aveva rinunciato da tempo a
capire i modi di fare di quegli Agenti. Come se nulla fosse accaduto, riprese
di colpo la sua grinta e si avviò a passo spedito verso il retro
dell’abitazione “Allora, posso vedere questo gioiellino??”
Satoshi rise. “ Certamente!”
“Signor Satoshi, aspetta.”
L’uomo si fermò subito.
“Cosa c’è Gabriel, qualcosa non
va?”
“No, è che vorrei accertarmi delle condizioni del mio
pianoforte. Prendo anche la mia valigia, così posso cambiarmi. Posso avere la
mia tessera?”
“Certo, tieni. Guarda, c’è scritto
qui il piano e il numero”
Gabrielannuì quindi, tessera e valigia alla mano, si incamminò verso
l’ingresso.
Chiuse la porta in fretta. Quello
che sarebbe dovuto diventare il salone, era immerso nel caos più totale,
scatoloni enormi, mobilio ricoperto da spessi teli bianchi
e polvere ovunque. Fulminei gli occhi del ragazzo percorsero la sala da parte a
parte tranquillizzandosi solo quando riconobbero sotto
un telo una figura familiare. Dimentico della valigia all’ingresso, si avvicinò
all’oggetto con un sorriso quieto, a tratti dolce, prendendo a scoprirlo con
cura. Il telo cadde ed un pianoforte nero e lucido comparì
davanti a lui. Con gesti esperti ne controllò lo stato e l’accordatura e lieto
del fatto che non avesse subito danni prese a liberare
qualche accordo.
Allora questa sarà la mia nuova casa.
No, non mi dispiace, mi sento bene qui.
Quietato dai suoni rassicuranti di quello
strumento, socchiuse gli occhi, lasciando che le note guidassero i suoi
pensieri. ‘Sogno d’amore’ di Liszt.
A parte quell’individuo, Il Comandante Ikari, mi sembra
che alla Nerv siano tutte brave persone. Il Tenente Aoba poi mi sta
particolarmente simpatico. Anche il Capitano
Katsuragi. Chissà come saranno questi famigerati Asuka e Shinji…dovrò chiedere
qualcosa di loro dopo…si, dopo…
Successe ancora, come ogni volta. La sua mente venne letteralmente rapita su quell’aria. Gli occhi si
chiusero totalmente mentre le mani compivano
rapidissimi accordi sui tasti alti, quasi che corpo e mente si fossero scissi
in due unità separate.
… Chissà cosa si prova ad avere dei colleghi della
propria età…magari sarà diverso da ciò che ho sempre conosciuto…
Meno formale, meno distaccato. Meno…freddo. Come è stato possibile per il Signor Satoshi e il Capitano Katsuragi.
Sembra si divertano parecchio parlando di cose comuni,
per esempio la moto. Ciò vuol dire che hanno almeno un
interesse in comune. Si, sarebbe davvero bello poter instaurare un rapporto
simile con Asuka, Shinji e…
Un attimo di smarrimento. Riaprì gli occhi fissando senza
realmente vedere i movimenti delle sue mani.
Rei Ayanami…
La Dottoressa Akagi ha detto di non prendermela troppo.
In fondo sono abituato a simili rifiuti, però forse
stavoltaera
davvero qualcosa di diverso. Non erail solito tenersi alla larga…non so
spiegare…
Quel modo di fare era…inquietante…
Non so precisamente cosa…forse quel vuoto nel suo sguardo,
forse il contrasto tra il candore della pelle ed i suoi occhi…ripensandoci a
freddo…no, non lo so… proprio non riesco a capire…ma
cosa??
Una nota estranea al brano. Improvvisa. Al
di sotto della coltre di ciocche corvine ricadutagli sulla fronte,
Gabriel sgranò gli occhi, attonito, ora prestando realmente attenzione ai
movimenti che aveva compiuto e che continuava a compiere. Dischiuse appena le
labbra mentre il brano di Liszt veniva annullato da
una composizione di Beethoven. Incredulo provò a dar suono alle labbra. Non vi
riuscì.
‘Al Chiaro di Luna’ ?
Tre rintocchi di campana un breve attimo di silenzio e
subito dopo altri tre riecheggiarono veementi.
Di nuovo silenzio e poi un boato improvviso. Un’orda di
ragazzini urlanti si riversò come un fiume in piena all’esterno dell’edificio.
Tra vari ragazzi che correvano spintonandosi l’un l’altro, coppie di fidanzatini e cospicue comitive di
ragazze, un gruppo composto da cinque persone di cui due ragazze che
camminavano ostentatamente più avanti (o meglio, una di loro, capelli rossi e
lunghi e portamento altero, costringeva l’altra a tenere il suo passo per poter
parlare, non volendo mischiarsi alla compagnia di un certo ‘Trio degli Stupidi’)
e tre ragazzi di cui uno, quello al centro, stava ricevendo demolenti pacche
sulla spalla a raffica.
“Capito, Shinji?? La prossima volta
che ti trovi sotto al canestro passa prima a me, io
faccio una finta, te la rilancio e tu tiri! “
“ Si…” sospirò con aria affranta il ragazzo. Era dalla
quarta ora che gli ripeteva la stessa cosa. “…però
ora, Toji, che ne dici di non smontarmi la spalla?”
“ Oh, andiamo, abbiamo vinto lo stesso! Dobbiamo
festeggiare! Anche se, ammettiamolo…” il ragazzo in
tuta nera annuì soddisfatto a se stesso incrociando le braccia sul petto “…se
non avessi fatto quel canestro all’ultimo minuto, la vittoria sarebbe andata
alla II C. Ah, se non ci fossi io come fareste…”
“Eh già, come faremmo…” fece eco un ragazzo alto più o meno quanto Shinji, con un paio di occhiali tondi,
mentre armeggiava col disco di una telecamera.
“Ehi, Kensuke, hai qualcosa da ridire, forse??”
Bellicoso, Toji Suzuhara si sporse verso l’amico.
“Dico solo che...la…la… la…”
I due ragazzi che camminavano con lui si fermarono fissandolo
preoccupati dato che aveva preso ad additare
all’improvviso qualcosa in lontananza ad occhi sbarrati.
“La cos…” Suzuhara non riuscì a
terminare la frase che voltatosi nella direzione dell’amico finì con l’avere la
sua stessa reazione.“…l …l…LA SIGNORINA MISAAAAATOOOOOOOOOO!!!!”
In una folle corsa segnata da una scia polverosa, mollaronoShinji, che ormai si
era rassegnato a scene deprimenti come quella,e si fiondarono in direzione della Renault Alpine, che in quel momento
posteggiava in modo cauto data la presenza di scolari, seguita da due individui
a bordo di una moto.
Sono sempre i soliti…
“AIDA!! SUZUHARA!!!
La Capoclasse Hikari Horaki tentò di richiamare all’ordine i
due che, schizzando a razzo, le avevano oltrepassate quasi travolgendole, ma
alla voce di questa si aggiunse ben presto quella molto più irata della Second
Children,Asuka
Soryu Langley.
“RAZZA DI IDIOTI DEL TRIO DEGLI STUPIDI, GUARDATE DOVE
METTETE I PIEDI!!”
A nulla ovviamente valsero i richiami delle due ragazze.
“SIGNORINA MISATO!” Esclamarono in coro con occhi luminosi i
due non appena furono giunti in presenza
dell’Ufficiale appena sceso dalla vettura, seguiti a breve distanza da una
sprezzante Asuka, un’inviperita Hikari ed un afflittissimo Shinji.
“Buon pomeriggio, Aida. Buon pomeriggio, Suzuhara.” Sorrise
ai due, quindi osservò il trio in avvicinamento. “Bene arrivati, ragazzi.”
“Buon pomeriggio a lei, Capitano Katsuragi.” La capoclasse si inchinò
leggermente.
“Buon pomeriggio, Signorina Misato. Come mai…”
“Allora, Misato…” tagliò corto la rossarubando la parola al suo collega e
guardandosi distrattamente attorno “…come mai abbiamo l’onore della tua
presenza alla nostra uscita da scuola?”
“ Innanzitutto perché vi sono
venuta a prendere, secondo, perché devo presentarvi il vostro nuovo collega.”
Increduli Asuka e Shinji corsero innanzi agli altri
spingendo via i loro compagni rimasti in adorazione.
“NUOVO COLLEGA??” Esclamarono in
coro.
“Ehi, mi fa piacere che siate rimasti
sincronizzati anche dopo aver sconfitto l’Angelo. Comunque
si, eccolo qui.”
Misato si scostò per permettere a Gabriel e Satoshi di farsi
avanti. Entrambi si erano cambiati, il primo ora
indossava una semplice camicia bianca e dei calzoni neri di fattura classica su
scarpe in pelle nera (spingendo l’Agente a ripromettersi mentalmente di
trascinarlo a fare acquisti al più presto), il secondo una t-shirt a mezze
maniche bianca e dei jeans scoloriti su scarpe da ginnastica.
Gabriel non stava più nella pelle. Prima di partire aveva
chiesto una miriade di informazioni a riguardo dei
due. Aveva così saputo che Asuka si era laureata in Ingegneria proprio l’anno
scorso (ed il sapere che un’altra laureata, a quanto aveva capito, riusciva a
condurre una vita normale lo aveva rassicurato enormemente) e che sia lei che
Shinji suonavano rispettivamente il violino e il violoncello. Allo stesso modo,
seppe che anche Rei suonava la viola, ma Misato,
preferì non soffermarsi su di lei, timorosa forse che lo avrebbe di nuovo
turbato.
Frattanto, i due Children, più Kensukei cui ‘mitico, troppo mitico’ si
udivano in continuazione in sottofondo, avevano preso ad osservare il nuovo
giunto, che come al solito manteneva quella sua aria amichevole, alternando lo
sguardo tra lui e l’uomo biondo ( sul quale l’occhio critico di Asuka si
soffermò più a lungo) accanto a lui ma un po’ più dietro.
“Ragazzi…” riprese la donna “Lui è il Fourth Children,
Gabriel Vancy, e viene dalla Francia.”
Ancora una volta il ragazzo si fece avanti porgendo la mano
a Shinji per primo.
“Tu sei, Shinji Ikari, vero?” sorrise “io sono Gabriel,
felice di conoscerti.”
Sorpreso da tanta spontaneità il Third Children arrossìappena, un po’
imbarazzato, quindi sorrise cordiale a sua volta stringendo la mano dell’altro.
“Piacere mio, Gabriel, spero ti
troverai bene qui.”
Ma sentitelo, fa anche gli onori di casa! BakaShinji!
“Si, lo spero anch’io. Mi auguro diventeremo amici.”
“C…certo, certamente!”
Shinji era a dir poco
esterrefatto.
“Tu invece…” riprese Gabriel sorridendo ora verso Asuka che
lo stava squadrando con aria critica “…sei la Second Children, Asuka Soryu
Langley , dico bene? “
“Si, esatto.” Rispose la rossa con aria di sufficienza
poggiando un pugno sul fianco.
Alla conferma il ragazzo sorrise maggiormente. “ Allora, piacere
di conoscerti, Asuka. E congratulazioni per la tua
Laurea.”
Un coro polifonico si innalzò dalle
spalle della Second Children.
“LAUREA??”
“Si…” spiegò l’Ufficiale ai tre amici dei due “Asuka si è laureata
in ingegneria l’anno scorso.”
Dal Canto suo, Asuka era rimasta a sua volta senza parole
salvo riprendersi subito per stringere con orgoglio la mano del ragazzo..
“Beh, si, grazie Gabriel. Mi fa piacere che QUALCUNO…” e
lanciò un’occhiataccia al suo coinquilino “…qui apprezzi le mie doti.” Quindi si rivolse ai suoi compagni di classe “ …si, sono
laureata, ma lo considero talmente scontato da non
vantarmene.”
Misato scosse la testa con disapprovazione mista a
rassegnazione.
Non le puoi dare un dito che si prende tutto il
braccio…adesso ci penso io.
“Sai, Asuka…” cominciò Misato sorridendo a
metà tra il divertito e la sfida “…anche il nostro Gabriel, qui, è un
Laureato. Proprio come te. In Pianoforte al Conservatorio di Parigi di cui è
stato anche insegnate E da domani verrà in classe con voi.”
Una sola parola: silenzio.
Questa volta fu Shinji a reagire per primo.
“Allora siamo noi a doverci congratulare con te!
Congratulazioni e benvenuto.” Sorrise volendo sollevarlo dall’imbarazzo in cui
era visibilmente caduto.
“Ah…grazie. Grazie, Shinji, grazie molte.”
“Anch’io, anch’io!” Kensuke si fece
strada a forza tra i due Piloti afferrando in un unico movimento la mano di
Gabriel per scuoterla con forza lanciandosi in un’esaltata quanto esagerata e
inappropriata lirica “ Piacere, io sono
Kensuke Aida e sono onorato di fare la conoscenza di un nuovo Pilota di Eva e
di un Professionista del tuo calibro e spero che un giorno ci ritroveremo ad
essere colleghi alla Ne…EEEERVH!!!!!”
Non potè terminare la frase che Toji lo aveva afferrato per
il colletto tirandolo indietro.
“Ehi, Kensuke, non rovinargli le mani, gli servono! “
scherzò guardando in quel suo modo da duroil Fourth Children “ benvenuto anche da
parte mia, novellino! Io sono Toji Suzuhara, piacere.”
“ Ed io…” proseguì Hikari affiancandosi ad Asuka e accennando
un lieve inchino “ sono Hikari Horaki, Capoclasse della II A.”
“Bene!” Esclamò allora Asuka, contrariamente alle aspettative favorevolmente stupita dalla rivelazione,
riprendendosi dalla sorpresa e sorridendo nel suo solito modo sprezzante“ Finalmente
qualcuno con un po’ di sale in zucca allora. Beh, si, benvenuto.”
“Grazie…davvero, grazie a tutti.”
Gabriel squadrò i volti sorridenti e si sentì quasi
commosso. Non riusciva ancora a crederci.
Misato e Satoshi, che per tutto il tempo aveva tenuto il
fiato sospeso, si lanciarono uno sguardo d’intesa: era andata. Sorrisero e la
tensione sparì di colpo.
“Ragazzi…” riprese la donna “..le
presentazioni non sono finite. Shinji, Asuka…”
I due si voltarono verso di lei e subito dopo sull’uomo
accanto ad ella che sorrideva cordiale.
“…lui è il nuovo Agente della Sicurezza Satoshi Iwanaka, e
da oggi, con Gabriel, dato che ne è il suo tutore
Legale, nostro vicino di casa.”
“Piacere di conoscervi , ragazzi.”
Sorrise verso il gruppo alzando la mano in cenno di saluto..
“Piacere nostro, Signor Iwanaka! Siamo davvero, molto, molto
contenti di questo, vero Shinji??” La Second Children
si fiondò a stringere energicamente la mano dell’Agente con un sorriso radioso
che andava da un orecchio all’altro.
“Si, Asuka…” sorrise per poi guardare in volto la sua
Tutrice la quale a sua volta fece lo stesso. Entrambi avevano la stessa identica espressione comicamente
rassegnata. In quel momento entrambi seppero che Asuka
avrebbe inserito nella sua lista anche Satoshi oltre Kaji.
Povero Satoshi…
Povero Signor Iwanaka…
Non sarà il signor Kaji, nessuno è come lui, però è davvero carino!
Il gruppetto restò ancora lì a chiacchierare per una buona
mezz’ora durante la quale Hikari, Toji, Kensuke e Shinji tempestarono Gabriel
di domande sul Conservatorio, la Francia, le selezioni
dell’Istituto Marduk ( cosa che interessava solo ad Aida) . Solo Asuka, tenuta
sotto controllo da Misato, scodinzolava attorno all’uomo insistendo per farsi
spiegare per filo e per segno in cosa consisteva il Sankendo, se era bravo,
quante gare aveva vinto, chiedendo informazioni su
quella “bellissima moto”, e pregando alternativamente lui e la donna di tornare
a casa sulla Harley. Gabriel, dal canto suo, nonostante la felicità immensa si senti molto imbarazzato. Era la prima volta che si ritrovava
ad essere al centro dell’attenzione dei suoi coetanei
e voleva fare del suo meglio per soddisfare tutte le loro domande.
Alla fine, dopo i saluti di rito, avendo gli
altri rifiutato un passaggio, Asuka mise il casco per passeggeri e prese
il posto di Gabriel sulla moto montando all’amazzone dietro l’Agente
approfittandone per mantenersi mettendo le mani alla vita di quest’ultimo,
mentre i due ragazzi sarebbero andati in auto con il Capitano.
Quella sera, Misato invitò i nuovi arrivati a cenare tutti insieme. Satoshi dapprima cercò di rifiutare
cortesemente per non essere di peso, ma l’entusiasmo di Gabriel alla proposta e
l’approvazione di Asuka e Shinji che avevano trovato
il loro collega simpatico ( e ancor più Asuka, incorreggibilmente, aveva
trovato di bell’aspetto il Tutore del suo collega) alla fine ebbero la meglio.
Data la condizione precaria dell’alloggio di Satoshi e
Gabriel, tutti e sei si spostarono nell’appartamento
di Misato. Non che la situazione che trovarono fosse molto migliore…
“Scusate il disordine, ragazzi!” si scusò la donna, mentre
Satoshi e Gabriel cercavano di non cadere tra le
lattine di birra ed i sacchetti della spesa abbandonati sul pavimento.
“Nessun problema!” rispose garbato l’Agente. Il ragazzino
invece era occupato a dividersi tra le attenzioni di Shinji, Asuka e di uno
strano animale che era avanzato gracchiando nella loro direzione. Nel vederlo,
Gabriel sobbalzò.
“Ah, lui è PenPen, un pinguino delle sorgenti termali. Il
nostro coinquilino. Sono sicura che farete amicizia!”
PenPen squadrò il Fourth Children con un’aria che avrebbe potuto apparire critica su un volto umano, poi emise
uno sgraziato -sgueak- e se ne andò,
sparendo in cucina.
“Significa che gli piaci,” spiegò
Shinji. “Ti considera già uno di casa.”
“Ne sono felice!” rispose Gabriel, che sorrise solare.
Dopo pochi minuti Misato li chiamò in cucina, dove una
rapida cena precotta era già pronta.
Si sedettero tutti e sei attorno al
tavolo, augurandosi buon appetito a vicenda davanti alle proprie ciotole di
ramen fumante appena estratte dal forno a microonde. Quando iniziò a mangiare,
Satoshi comprese il perché dello sguardo desolato e vagamente disperato di Asuka e Shinji. Gabriel, d’altronde, non sembrava dare
troppo peso al sapore del suo ramen, preso com’era dalla possibilità di
fraternizzare con i suoi due colleghi. Satoshi lo guardò e sorrise: sembrava
un’altra persona rispetto al serio ragazzo che solo quella mattina aveva
accusato il colpo dell’indifferenza di Rei.
Così cenarono, nessuno tranne Misato volle il bis e si
trovarono ben presto attorno al tavolo sparecchiato ad ascoltare Gabriel
parlare di com’era la vita a Parigi, in un conservatorio. Lui parlava con
trasporto, felice anche solo di poter stare in compagnia di due suoi coetanei
senza essere guardato come un animale allo zoo. Infatti
Asuka spesso lo interrompeva esibendosi in coloriti racconti di com’era la sua
vita in Germania, dove si era laureata l’anno precedente.
Soffocando uno sbadiglio simulato al sentire per l’ennesima
volta Asuka vantarsi, Misato si alzò in piedi: “Ragazzi, per finire bene la
giornata, che ne dite di ascoltare Gabriel suonare qualcosa? Il tuo pianoforte
è già pronto di là, no? Sempre se te la senti.”
A Gabriel si illuminò lo sguardo:
suonare era la cosa che più amava al mondo. “Certo che me la sento, Capitano
Katsuragi!”
Satoshi annuì, dando silenziosamente il suo permesso, e si
alzò a sua volta, guidando gli altri verso casa sua.
Per fortuna avevano già ritirato gran parte degli scatoloni in modo che potesse
essere almeno un po’ vivibile, cos’ poterono muoversi
tutti senza difficoltà.
Subito Asuka espresse il suo apprezzamento per il vasto
ambiente sgombro di lattine di birra, provocazione che Misato fece finta di non
cogliere. Satoshi indicò loro un divano, ancora velato da un telo bianco e
subito Shinji e Gabriel lo scoprirono: anch’esso era bianco, ed abbastanza
grande da ospitarli tutti tranne Gabriel, che subito lasciò il telo e si diresse
al pianoforte a coda, con un sorriso segreto sulle labbra. Sorrideva perché
quella era la sua gioia. La sua ragione di vita. Ed
ora poteva addirittura condividerla con qualcuno!
Attese che gli altri avessero preso
posto, poi si sedette sullo scranno.
“Avete delle preferenze, signori?” chiese con consumata
ricercatezza al suo pubblico.
“Suonaci quello che preferisci, Gabriel!” rispose Misato per
tutti. Con un lieve inchino del capo, il ragazzo tornò a volgersi al
pianoforte.
Rimase per qualche istante in silenzio, quindi chiuse gli occhi ed inspirò profondamente.
Improvvise un rombo di note fece sobbalzare i presenti. Non
ci volle molto a capire che ‘la Quinta’ di Beethoven
andava prendendo vita sotto il tocco veloce ed incalzante del musicista.
Nessuno osò fiatare. Persino Asuka smise di prestare
attenzione all’Agente per rivolgerla al loro nuovo collega. Escluso l’uomo che
già era consapevole dell’estro del ragazzo, gli altri non riuscivano a staccare
lo sguardo dalla mani di quest’ultimo , impressionati
dalla precisione e la cadenza perfetta con cui martellavano i tasti. Sembrava
quasi non toccarli.
E’…impressionante…
Incredibile…è bravissimo…
Ad occhi chiusi?? Ma come diavolo fa??
In quel momento, sotto le luci di un lampione, nella notte,
di fronte all’abitazione, una ragazza camminava con espressione vacua recando
una piccola, ma spessa, cartella dalla copertina verde sigillata da una fascia bianca
recante in calce la scritta ‘For Your Eyes Only’.
Giunta dinanzi all’ingresso del condominio, osservò il
foglio che aveva in mano, poi il numero civico accanto alle porte, quindi entrò
senza esitazioni.
***
“Perfetto, Rei. Abbiamo terminato.”
Come al solito, senza dire una
parola, la First Children si ricoprì il braccio mentre la Dottoressa Akagi
archiviava il secondo ed ultimo campione di sangue di quella giornata.
“Allora…” cominciò la donna dopo essersi sbarazzata di
quanto utilizzato per il prelievo “ …per reintegrare il ferro perso con i
prelievi di oggi, ti darò delle compresse.”
Rapida si avvicinò ad un armadietto sotto lo sguardo
impassibile della ragazza e ne tirò fuori un flaconcino. “Basterà che ne prendi una questa sera a cena quando andrai in sala mensa ed
una domattina dopo colazione. Tutto chiaro?” Domandò mentre
andava a sedersi alla scrivania per imbustare il flacone e scrivervi sopra
l’appartenenza.
“Si.”
La scienziata aveva appena terminato di scrivere il nominativo sulla busta e stava per porgere il sacchetto a
Rei quando lo sguardo le cadde su un fascicolo che giaceva abbandonato su un
ripiano lì accanto.
Oh no…Tra l’episodio di stamattina e i documenti di Mayaho dimenticato di consegnarglielo…
e a quest’ora se ne saranno già andati…
Sospirò, quindi allungò una mano prendendolo per poi
porgerlo insieme alle compresse alla ragazza il cui sguardo pareva oltrepassare
tutto ciò verso cui era rivolto.
“Rei, fammi una cortesia…”
La ragazza rimase in ascolto. In silenzio.
“…quando ne avrai la possibilità,
dai questo a Gabriel. A dire il vero, farei prima a consegnarlo ad Asuka
oppure Shinji dato che abitano accanto a lui, ma deve
averlo al più presto. Quindi, per favore, prendile tu e, quando gliele darai,
raccomandagli di non aprirle in luogo pubblico.”
Tanto gliele darà domani a scuola, quindi non dovrebbero esserci problemi…
“Va bene.”
Senza aggiungere altro, la First children prese quanto le veniva porto e si avviò verso l’uscita.
“Arrivederci.”
“A presto, Rei.”Salutò Ritsuko mentre la porta veniva chiusa.
Stancamente tolse gli occhiali e li depose sulla scrivania.
Era davvero molto stanca, quella giornata tra i vari
controlli e gli impegni era davvero intensa. Solo un pensiero riuscì, a
malapena, a farla sorridere.
Chissà come l’ha presa Misato quando
ha saputo di avere un nuovo vicino…
***
Primo piano…
Secondo piano…
Rei guardò il riflesso nello
specchio dell’ascensore. Capelli azzurro chiaro, occhi rossi. La stessa
uniforme scolastica di sempre. Non che indossasse
sempre la stessa, ma non le serviva avere vestiti diversi.
Sempre io.
Sempre uguale a me stessa.
E’ questa la mia forza… o la mia
debolezza?
Quinto piano…
Sesto piano…
Sotto il braccio reggeva il plico.
‘Solo per i suoi occhi’.
La dottoressa Akagi si è raccomandata che il Fourth
Children avesse questo plico il più presto possibile.
Fortunatamente non mi ero lasciata dei
compiti da fare, così ho potuto portarglieli questa sera stessa.
Avrei potuto chiedere di essere accompagnata in
automobile, così avrei risparmiato un’ora di cammino.
Oppure avrei potuto rimandare.
…
No, nessuna delle due cose era strettamente necessaria.
Nono piano…
Decimo piano…
Rei guardò di nuovo distrattamente il foglietto che aveva in
mano, recante un indirizzo scarabocchiato a penna.
Ci sono quasi.
Spero di non disturbare, l’ora è piuttosto tarda.
Se faccio in fretta posso rientrare per le due di notte, in
modo da riposare in modo sufficiente.
-ding-
Le porte dell’ascensore si aprirono su una balconata poco
illuminata e Rei uscì. Guardò ancora l’indirizzo che
aveva con sé e contò le porte alla sua destra.
Eccomi.
Ma…
La mano che reggeva il foglietto rimase paralizzata a
mezz’aria. La figura intera di Rei rimase immobile, come pietrificata. Quella
musica…
Questa musica…
Perché non riesco più a muovermi?
Sento un brivido salirmi dalle viscere, una vibrazione
che richiama i suoni attutiti che mi giungono alle orecchie.
Cosa sento io?
Cosa sento io?
Come se d’un tratto si fosse risvegliata, la mano premette
il campanello, ma la musica non si interruppe né ebbe
un fremito.
Forse è un supporto.
Uno di quelli che la Dottoressa Akagi chiama ‘microcassette’.
Le aprì un uomo biondo, che diede segno di riconoscerla con
un moto di sorpresa. Dall’interno la musica si fece più forte. Quell’uomo aveva
qualcosa di familiare.
“Il signor Iwanaka?” chiese. L’altro annui
in silenzio, gettò uno sguardo alla cartella sotto il suo braccio e le fece
cenno di entrare.
Una volta dentro si trovò in una sala piuttosto ampia, con
alcune persone. Riconobbe subito Ikari e il Capitano Katsuragi, che la salutarono con un gesto ed un’espressione stupita, e Soryu,
che la degnò solo di una vaga occhiata. Ma a loro non
badava. Tutta la sua attenzione era concentrata sulla persona che stava
suonando in modo così rapito, totale,poiché quella musica non veniva da una
microcassetta.
Il Fourth Children…
Sa suonare…?
Non lo sapevo.
E questa musica?
La musica è il prodotto acustico dell’interazione tra un
musicista ed il suo strumento.
Ma questo è molto di più.
Un musicista che usa il suo strumento produce musica.
Ma lui, questo ragazzo, non usa il suo strumento.
Lo compenetra.
Lo vivifica.
Questa non è musica.
E’ uno spirito vitale che emana dall’unione tra quel
musicista e quello strumento, ed arriva a toccare in
me corde sconosciute, che vibrano di note mai udite.
Anch’io suono musica classica, ma non ho mai
creato una tale composizione.
Non ho mai ascoltato nulla del genere.
La musica cessò. L’incanto si era
spezzato. Gabriel emise un lungo sospiro, poi si volse sorridendo verso gli
astanti che già avevano preso ad applaudire, ma la sua espressione mutò in
assoluto stupore quando incontrò gli occhi rossi di
Rei, rimasta immobile tra l’entrata ed il divano. Poco dietro, Satoshi, notando
la sua staticità, le battè gentilmente un colpetto sulla spalla e lei parve riscuotersi. Gabriel si alzò in piedi, ancora troppo
stupito per spiccicare parola. Non si era accorto del suo arrivo, preso com’era
dalla musica, ma si rese subito conto che doveva dire
qualcosa. Doveva, prima che lei se ne andasse quella
mattina.
“Rei!” esclamò, imbarazzato. “Non
ti ho… ehm… sentita entrare… Ma come mai sei qui a quest’ora?”
“Dovevo portarti questo il prima
possibile.” La voce della ragazza era fredda come al solito, ma a Gabriel parve di sentire un lieve fremito.
Forse era solo la sua aspettativa ad ingannarlo? Rei
non diede segno di essersene accorta a sua volta. Tese
la mano che reggeva il plico.
“Si tratta di una breve
introduzione sul funzionamento degli Evangelion,”
spiegò brevemente.
“Ah sì!” sbottò Misato,
battendosi una mano sulla fronte. “A Satoshi ne ho consegnato uno identico
stamattina, ma avevo dimenticato che Ritsuko doveva
darne uno anche a te!”
Gabriel prese in mano il piccolo
plico e lesse la scritta sull’anonima copertina: ‘For
Your Eyes Only’.
“Beh… Grazie Rei, ma la
dottoressa Akagi non ti ha detto che potevi
consegnarmelo a scuola domani?”
“No, perciò ho preferito
portartelo stasera stessa.”
“Ma… E chi ti ha accompagnata?” chiese Misato preoccupata.
“Nessuno,”
rispose Rei asettica. Non sembrava aver dato molta importanza all’attenzione
della donna.
“Vu-vuoidire che ti sei fatta tutta la strada a piedi fin
qui?!” Misato scattò in piedi, più allarmata che stupita. “Ci avrai messo più
di un’ora!”
“Un’ora e mezza, sì,” fu la risposta di Rei. Per tutto il tempo
i suoi occhi avevano vagato, senza soffermarsi in quelli di Misato, ma
anzi continuando a posarsi sul plico nelle mani di Gabriel e sul pianoforte
alle sue spalle. “Ora dovrei andare, altrimenti rischio di tornare a casa troppo tardi per riposarmi adeguatamente.”
Gabriel non sapeva che dire: Rei aveva vagato per Neo-Tokio 3 di notte per un’ora e mezza
solo per portargli un plico ‘il prima possibile’. Ed
ora stava per tornare indietro. L’aveva fatto come favore personale a lui? Come
segno di simpatia? Oppure davvero perché così le era
stato ordinato? Con una fitta di delusione comprese dall’espressione atona sul volto di lei che era più probabile l’ultima ipotesi.
“Eh no!” sbottò di nuovo Misato,
ora infervorata. Era scattata in piedi e camminava decisa
verso Rei, che solo ora si era voltata verso di lei. “Non puoi tornare a
casa da sola a quest’ora di notte!”
“Ma…”
fece per obiettare Rei, ma fu subito zittita.
“No, stanotte dormirai qui!”
A quella proposta si alzò un coro
di voci stupite dai due children ancora sul divano.
“Cosa?! E dove la ospiti, Misato?” sbottò Asuka.
“Ma… non
può dormire qui…” le fece quasi eco Shinji.
“Satoshi, hai un posto letto
libero qui?”
“Beh, sì, ma non credo che Rei si
sentirebbe a suo agio a dormire insieme a due maschi…”
“Perfetto! Shinji, vai a prendere
le tue cose, stanotte dormirai qui, e tu, Rei, verrai a dormire con me e Asuka.”
Tutto fu estremamente
veloce. Shinji ebbe appena il tempo di boccheggiare una flebile obiezione prima
che Misato lo sollevasse a sedere e lo conducesse alla
porta, e Rei non sembrava aver afferrato ciò che era successo. D’altronde, Gabriel
era ancora immobile con il plico fra le mani, lo sguardo fisso su Rei che ora era voltata altrove, come a sperare in un gesto amico, o
anche solo in uno sguardo di degnazione. Asuka invece si era alzata ed aveva
circondato la sua provvisoria coinquilina con un braccio, dicendo
che l’avrebbe fatta divertire e ricevendo solo sguardi interrogativi in
risposta. E Satoshi, che non aveva nemmeno avuto il
tempo di replicare a Misato, scosse il capo sorridendo e si recò nella stanza
degli ospiti per renderla abitabile. In un attimo Shinji fu di ritorno, un po’
depresso, e Misato circondò le spalle delle due ragazze con le braccia ed
augurò buona notte agli altri. Satoshi rispose dalla camera da letto, Shinji
ricambiò con tono svogliato e Gabriel, ancora immobile, si limitò ad un saluto.
Per un attimo sembrava che il gelo di Rei avesse attecchito anche su di lui.
La porta dell’appartamento di Misato si chiuse dietro le tre
ragazze. Pochi secondi dopo, nel silenzio venutosi a creare, si levarono, senza
preavviso, per la seconda volta in quel luogo, le note di ‘Al Chiaro di Luna’.
I rintocchi di campana segnarono l’inizio di una nuova
giornata scolastica.
Quella mattina, i Children erano stati accompagnati in
blocco da Misato e Satoshi. Naturalmente Asuka aveva riservato per se il posto
sulla moto di quest’ultimo.
***
L’arrivo di Rei, la scorsa notte, aveva portato non poco
scompiglio.
Quando il trio femminile se ne fu andato,
Gabriel era nuovamente turbato. Avvertiva in se una sensazione che il
vocabolario umano non avrebbe mai potuto spiegare con i termini in suo
possesso. Gelo? Inquietudine? Turbamento? No, era qualcosa di profondamente
diverso seppure legato a quelle sfere. Un qualcosa che lo spinse a sedere di
nuovo al suo pianoforte levando di nuovo, quasi senza accorgersene, ‘Al Chiaro di Luna’. Il suo Tutore si era già ritirato in
camera sua. Lo sentì suonare, ma preferì non interromperlo. Dal Canto suo,
invece, Shinji, restò ad ascoltarlo sino al termine della composizione e la
breve chiacchierata che ne seguì dopo alleggerì notevolmente la tensione ed
anche il Third Children dimenticò il malumore per essere stato letteralmente
sfrattato dalla sua stanza per la seconda volta da
quando abitava lì (la prima volta fu ovviamente ad opera di Asuka). Il giovane
Ikari lo aveva trovato davvero simpatico ed era interessante poter parlare con
qualcuno del violoncello, o delle attività dell’ormai famoso ‘Trio degli
Stupidi’.
Quando si furono svegliati, avevano
fatto colazione tutti insieme a casa del Capitano dove PenPen fu il reale
salvatore del Fourth Children che quella mattina era rigido come un tronco.
Infatti, perso com’era nelle sue preoccupazioni di come presentarsi alla classe
(soprattutto perché, non volendo fare il suo ingresso nella nuova scuola
vestito ‘casual’,aveva
optato per l’uniforme tradizionale del Conservatorio, dato che non aveva ancora
quella regolare) e di come relazionarsi verso la sua collega Rei Ayanami, dato
che quest’ultima sembrava totalmente ignorare tutti i suoi sforzi di mostrarsi
cordiale, se non fosse arrivato quel buffo animaletto starnazzante ad
appendersi alla sua gamba richiedendo attenzioni, probabilmente avrebbero
dovuto portarlo in classe con un carrello portabagagli. Dopo il rapido pasto,
animato come meglio fu possibile dai due adulti, Rei chiese di essere
accompagnata a casa dato che non aveva con se il materiale scolastico, lasciato
nel suo appartamento. Non fece parola delle compresse prescrittele da
Ritsuko.
Un palazzo in decadenza, silenzioso. Strade incrinate e
ingombre di macerie sui lati
La vista del tugurio, proprio vicino ad un cantiere di
demolizione da cui provenivano incessantemente dei rumori insopportabili, raggelò tutti. Anche Shinji che ormai
c’era abituato. Soprattutto dopo l’imbarazzante
incidente avvenuto con la consegna della nuova tessera.
Gabriel ne rimase sconvolto.
E così la First Children vivrebbe in un posto orribilecome questo??
Misato, dallo specchietto retrovisore, dovette notare
l’espressionespiazzata
del ragazzo seduto accanto al suo collega, dato che Asuka si era piazzata (come
c’era da aspettarsi) in moto con Satoshi che seguiva l’auto a breve distanza,
ed i due avevano ceduto a Rei il sedile anteriore, quindi si affrettò a fornire
una sommaria spiegazione.
“Devi sapere, Gabriel, che l’appartamento di Rei le è stato fornito
direttamente dalla Nerv. Non so in base a quali
criteri.”
“Ma…e con chi ci vive?”
“Beh…”
“Lei vive da sola…” concluse Shinji
per la sua Tutrice guardando a sua volta inquieto lo stabile in attesa del
ritorno di Ayanami.
“SOLA??”
Sola in un posto come questo??
“E…i suoi genitori?”
“Lei non ha genitori. Il suo Tutoraggio è appannaggio
diretto della Nerv.” Rispose il Capitano facendosi
oltremodo pensieroso. Inspirò profondamente appoggiando ambo le braccia sul
volante.
In effetti, nonostante sia da tempo che
lavoro alla Nerv, non so praticamente quasi nulla su Rei, né tantomeno chi sia
il suo Tutore Legale specifico. Il Comandante Ikari, forse? Assurdo! Con quale
barbaro coraggio potrebbe occuparsi di lei trascurando il suo unico figlio? No,
mi rifiuto moralmente di credere che sia davvero capace di farlo nonostante sia
un individuo così…spiacevole. Shinji accuserebbe un colpo tremendo se davvero
fosse così. No, impossibile.
Dovrò ricordarmi di chiedere a Ritsuko informazioni in
merito…questa storia non mi torna…
Gabriel era rimasto semplicemente esterrefatto.
Dal canto suo, Shinji proprio non sapeva come fare per farlo riprendere. Ne osservò le
labbra dischiuse che si muovevano senza emettere fiato, indecise su cosa
chiedere, e gli occhi fissi in direzione del palazzo decadente. A sua volta si
chiuse in un pensieroso silenzio chinando gli occhi blu, tanto simili a quelli
del Comandante Ikari, sulle ginocchia.
Anch’io l’ho presa così la prima volta che ci sono venuto…
Chissà cosa direbbe Gabriel se vedesse l’interno di quello
stanzino…è semplicemente agghiacciante. A tratti mi dava quasi l’impressione di
una prigione… solo un letto, una sola finestra coperta da una tenda sgualcita,
un mobile, un piccolo frigorifero, un lavello, un fornello elettrico, medicine ovunque,
una piccola sala bagno… Né una televisione, né una
radio… Ho provato a venirle incontro, ma tranne quella volta…
Nella mente del Third Children affiorò il ricordo del primo
e ultimo sorriso che Rei avesse mai rivolto a
qualcuno.
…non è più successo. Così come ho provato a venire incontro,
o meglio, a cercare di andare d’accordo con Asuka…ma sembra che per lei io non
esista neppure. Ho cercato di capire perché si comporti così…non ci sono mai
riuscito…e chissà se ci riuscirò mai…in fondo, sono
solo un Baka…
Sospirò silenziosamente, con tristezza, o forse solo
rassegnazione. Asuka era qualcosa di tanto, troppo fuori
dalla sua portata. O almeno era questo che lui
pensava. Per questo motivo, almeno per quella mattina, decise di non darci più
peso.
Frattanto Gabriel, non sapeva davvero più cosa pensare.
No. Non è umanamente possibile.
Una ragazza…come possono far vivere in questo posto una
ragazza? Come semplicemente possono far vivere una
PERSONA in questo posto?? Hanno tutti quegli apparecchi tecnologici, tutti
quegli impianti, una Sede maestosa in un Paradiso Terreste…e
fanno vivere uno dei loro Pilotiin
questo schifo?? Ma è semplicemente assurdo!
Finalmente la First Children ritornò con la propria
cartella, e i passeggeri dell’auto (Satoshi era stato intrattenuto per tutto il
tempo dalle chiacchiere di Asuka che ben presto si era
disinteressata della pessima condizione abitativa della sua collega) si
riscossero dai loro pensieri pronti a ripartire.
***
Non appena i due adulti se ne furono andati, Asuka richiamò
l’attenzione di Gabriel che, agitato com’era, aveva momentaneamente accantonato
la scoperta sull’abitazione di Rei.
“Allora Gabriel…cerca di rilassarti, in fondo è il tuo grande debutto! Vedi di portare lustro alla categoria di noi
Laureati! Ed ora andiamo!” Esclamò la rossa
battendogli un colpo sulla spalla per poi avanzare speditamente verso
l’ingresso costringendo Shinji ad aumentare il passo.
Si è montata la testa…
Gabriel stava per ribattere contrariato a quell’affermazione,
lui di certo non si sentiva un appartenente ad una classe privilegiata, anzi,
tutt’altro, quando si fermò all’improvviso.
“Ehi aspettate!” Gridò quasi all’indirizzo dei due. Il
giovane Ikari lo guardò con un’espressione interrogativa.
“Che cosa c’è, Gabriel?”
IlFourth Children li
osservò entrambi, poi si voltò a guardare dietro di se dove Rei era rimasta indietro e di nuovo avanti.
“Allora?” Sbuffò impaziente Asuka.
“Ma…non aspettiamo Rei?”
Sentendosi chiamata in causa, Rei alzò lo sguardo verso
Gabriel.
Aspettarmi.
Perché mai?
Conosco la strada.
O forse…è una forma di gentilezza?
Ma cos’è la gentilezza?
Forse quando qualcuno mostra di curarsi di te?
Alla domanda del suo collega, la Second
Children battè ripetutamente il piede sul terreno spazientita, se non addirittura
infastidita, mugugnando un verso insofferente.
“Mmmmmmmh e va bene, va bene!!First, muoviti, non voglio arrivare tardi per colpa tua!”
Ma perché preoccuparsi tanto per una stupida bambola! Le dici
una cosa e, se sei fortunato, ti arriva risposta almeno cinque minuti dopo! Senza
parlare che a volte nemmeno ti arriva la risposta! Che
essere inutile! Bah! Ecco un altro
perfetto candidato per il Trio degli Stupidi!Menostupido, ma sempre un perfetto ragazzino immaturo! Bah!
E’ proprio vero, l’unico uomo che valga qualcosa è il
Signor Kaji…
Sbuffò irritata ancora una volta e si girò verso l’ingresso in attesa.
“Asuka, ma cosa ti è preso?”Domandò perplesso Shinji di fronte a
quel voltafaccia.
“ZITTO, BAKA!!”
Anche Gabriel era rimasto
sconcertato da quella reazione, ma decise saggiamente di non chiedere nulla. In
quel momento udì i passi di Rei affiancarsi a lui e si voltò verso di lei
trovandosi occhi negli occhi con la sua collega. Non
aspettandosi di trovarsi puntato addosso quello
sguardo di fuoco, sobbalzò arrossendo appena, imbarazzato. Dischiuse le labbra
cercando di trovare qualcosa di intelligente da dire,
magari per giustificarsi del fatto che si era girato anche se in realtà chi lo
stava fissando per prima era lei.
“Ehm…ecco…” balbettò.
Ayanami lo fissò ancora, con espressione neutra, quindi lo
oltrepassò senza più degnarlo di attenzione e si
allontanò precedendolo.
Alla Nerv, intanto, tutto scorreva nella normale routine.
Dato che i ragazzi erano a scuola, Misato, dopo che lei e l’Agente erano
passati a ritirare l’uniforme scolastica per Gabriel, con fare molto pratico,
aveva spedito Satoshi a ‘farsi le ossa’ in Sala Comando. Quando arrivò, venne subito accolto da un sorriso amichevole di Shigeru.
“Buongiorno, Agente Iwanaka.”
“Ah, potete darmi del tu, se volete.” Sorrise cordiale verso
il trio. “In ogni caso buongiorno Tenente Aoba, Tenente Hyuga, Tenente Ibuki.”
“Perfetto, meglio così, Satoshi! Anch’io
preferisco mettere da parte formalismi e gradi!” Annuì enfatico il Tenente
incrociando le braccia dietro la testa.
“Va bene anche per me.” Sorrise più timidamente Makoto,
mentre Maya, si limitò ad annuire per poi ritornare a battere velocemente sulla
tastiera subito imitata da Hyuga.
“Allora, Satoshi…”Riprese Shigeru “…qual buon vento ti spinge
da queste parti?”
L’Agente ridacchiò.
“Il Capitano Katsuragi. Ha detto
che dovevo venire qui a farmi le ossa in attesa di ordini.”
“Farti le ossa eh? Uhm…Maya?”
La ragazza alzò gli occhi dal monitor per
volgerli verso il suo collega.
“Si?”
“Il nuovo venuto deve farsi le ossa, perché non gli spieghi
un po’ i protocolli Nerv?”
“Uhm…d’accordo” sorrise il Tenente verso entrambi e, come
sempre, il Tenente Aoba si sentì in Paradiso. Makoto ridacchiava sotto i baffi.
Era l’unico a conoscenza della cotta del suo amico per Maya.
“Agente Iwanaka…ehm…Satoshi” si corresse “ prendi pure una
sedia e vieni qui. Cominceremo daiprotocolli d’emergenza, d’accordo?”
L’idea di essere per una volta la Senpai di qualcuno
sembrava aver del tutto elettrizzato la giovane.
“D’accordo.” Annuì l’uomo sedendosi tra lei e Makoto per
prestare attenzione a vari fogli dall’impressionante spessore che Ibuki aveva preso.
“Molto bene! Allora cominciamo da qui!”
In infermeria, Ritsuko era sul punto di rovesciare l’enorme
tazza di caffé che teneva tra le mani.
“COME SAREBBE?? STAI SCHERZANDO,
MISATO?!”
“No, non sto scherzando affatto! Ti
ho detto che Rei è arrivata, senza che nessuno l’accompagnasse, a casa nostra
verso mezzanotte e visto che era tardi, ho deciso di farla dormire da noi!”
“Eppure le avevo detto…” Si interruppe
e sospirò pesantemente poggiando la tazza sulla scrivania.
…no, in effetti non le avevo
detto precisamente quando consegnargli quel plico. D’accordo. Ricordarsi di
specificare semprecosa
si vuole dire quando si parla con Rei.
“Va bene, Misato, hai fatto bene.”
Il Capitano annuì con soddisfazione per poi tornare seria di
colpo.
“Ah, senti Ritsuko, avrei una domanda.”
“Sentiamo.”
“Questa mattina, mentre accompagnavamo i ragazzi a scuola…”
La scienziata ebbe un lampo malizioso. Inarcò un
sopracciglio con l’evidente intenzione di dare inizio alla bonaria presa in
giro quotidiana.
“Accompagnavate? Come una tenera famigliola?”
“RITSUKO!!!”
“Va bene, come non detto.”
“Ecco.”
“Allora, che mi racconti del tuo nuovo vicino?”
“Ah già, a proposito, Ri chan…bello
scherzetto quello di non avvertirmi in anticipo…”
“A dire il vero mi era un po’ passato di mente, però intanto
è stata una bella sorpresa non ti pare?”
“Si si, bella sorpresa…”annuì con leggerezza, troppo piccata per ammettere
che l’idea di avere dei vicini le aveva realmente fatto piacere.
“ E allora, che mi racconti?”
“Cosa vuoi che ti racconti? E’
appassionato di moto, è uno spadaccino, anche se non mi ricordo precisamente come
si chiama quello che fa, e…”
“Piuttosto, Misato…” La donna si sporse appena verso di lei
con fare complice.
“Cosa?”
“Lo trovi carino?”
“Ma che vai a chiedere??”
“Oh, andiamo, siamo tra donne…non ti
ricordi dei tempi dell’Università? Allora mi dicevi tutto.”
Il Capitano si lasciò trasportare nostalgica dai ricordi.
“Si, d’accordo, lo trovo discretamente carino.”
“Lo sapevo!” Esclamò Ritsuko, trionfante. “Anche tu subisci il fascino francese!”
“MA NON E’ VERO!!”
“Dai, Misato…guarda come sei arrossita…”iniziò con lo stesso tono con cui la
sua collega aveva preso a suo tempo in giro Shinji “…Piccolina, non mi dire
che…”
“RITSUKOOOOOOOOOOOO!!!!!!”
Un urlo feroce si propagò per tutta l’infermeria e fuori.
Dietro la sua facciata impassibile e professionale, la
Dottoressa Akagi stava morendo dalle risate nel vedere
la faccia più rossa della plug suite di Asuka della sua amica e collega.
“Oh, scusa scusa, era una battuta,
non prendertela…” Nicchiò l’altra riprendendo a sorseggiare con tranquillità il
caffè.
“Ma posso almeno sapere che battute fai??
Non lo conosco da manco un giorno e tu già spari false insinuazioni??”
“Beh…mi sembra un giovanotto abbastanza piacente…lo hai praticamente appena detto anche tu.”
“Si, d’accordo,ma come può piacermi in quel senso una
persona che non conosco neppure da un giorno??”
“Cotta adolescenziale magari…” scrollò le spalle con
noncuranza
“Dottoressa Akagi…” ancora più rossa d’arrabbiatura di
quanto non fosse prima possibile, Misato iniziò a camminare con passo marziale
avanti e indietro lungo la scrivania. “…Asuka può prendersi una cotta, anzi, se
l’è già presa…”
La biondasi drizzò a sedere con interesse interrompendo per un attimo
Misato.
“Una cotta? Per Shinji? O per
Gabriel?”
“Ma ovviamente no, Ritsuko! Per
Satoshi! Oltre che per quello scemo!”
“Ah capisco.” E tornò a rilassarsi
sulla poltrona.
Adolescenti…
“Comunque, stavo dicendo, Asuka può
prendersi una cotta, Shinji può prendersi una cotta, Gabriel può prendersi una
cotta, Rei può prendersi una cotta…” Nell’enfasi della sua arringa non si
accorse di aver sparato un’assurdità.
Rei una cotta? Non credo proprio…
“…LORO…” e marcò la parola “…che hanno quattordici anni possono
prendersi una cotta adolescenziale!! Io, a ventinove
anni…”
“Dì pure trenta, Misato…”
“NE HO ANCORA VENTINOVE!!”
“D’accordo…non ti scaldare…”
Accidenti, mi sa che stavolta ho un po’ esagerato.
“…io, a VENTINOVE…” e rimarcò con precisione il concetto
segnando un immaginario numero sulla scrivania della scienziata con l’indice
destro “ …sono abbastanza adulta e vaccinata e con la
testa sulle spalle…”
Testa sulle spalle? Boom!
“ …da non prendermi NESSUNA cotta!!
Ma cosa credi, che non mi sia bastata la lezione con quello scemo?!”
In quel momento, il capo sorridente di un uomo da lunghi
capelli castani legati in un codino, la barba incolta, un’uniforme da Agente
della Sicurezza Nerv ed una faccia da schiaffi, si affacciò dalla porta
dell’infermeria.
“Chiamato, Katsuragi?”
Se Misato non esplose in quel momento mettendo a ferro e fuoco l’infermeria fu decisamente un miracolo.
QUANDO SI DICE CHE LE DISGRAZIE
NON ARRIVANO MAI DA SOLE!!
“No, scemo!!”
“Si, Katsuragi, anch’io ti amo.” Sorrise l’uomo entrando
totalmente ma tenendosi a distanza di sicurezza.
“Ryochan…” Ritsuko si alzò dalla scrivania ed avanzò verso i
due, non voleva rischiare che la sua infermeria venisse
rasa al suolo. “…come mai qui?”
“Beh…cosa vuoi che dica, Ri chan…” Kaji aggirò l’ostacolo di
una Misato fumante di rabbia e si avvicinò alla Dottoressa portandosi dietro di
lei per abbracciarla come al solito alla vita “…ero
venuto qui per vedere una bella donna…” le disse con il suo classico tono da
seduttore incallito prima di alzare poi gli occhi sul Capitano “…e ne ho
incontrate addirittura due!”
“SCEMO!!”
Senza aggiungere altro, Misato, dimentica della domanda
originaria che avrebbe voluto porre a Ritsuko, uscì a passo svelto dal luogo
sbattendo furiosamente la porta il cui rumore rintronò secco nel corridoio.
All’interno dell’infermeria, caddero due viti dai cardini.
“In piedi. Inchino. Seduti.”
La scolaresca eseguì diligentemente le istruzioni impartite
dalla Capoclasse.
Gabriel, in piedi di fronte alla lavagna, osservava
imbarazzato i suoi nuovi compagni di classe, i cui occhi erano tutti puntati su
di lui.
“Dunque, ragazzi…” Iniziò con voce calma l’anziano professore
di Storia “..da oggi avrete un nuovo compagno che
viene dalla Francia. Gabriel, presentati pure.”
“Ecco…” impacciato prese la parola “…io sono Gabriel Vancy,
piacere di conoscervi.” Concluse inchinandosi verso
gli altri .
Tra gli alunni della II A si alzò sommesso
un brusio generale. Alcune ragazze nella prima fila avevano iniziato a
parlottare concitatamente tra di loro e ancora più
fittamente un gruppo di allievi in fondo all’aula. In effetti
era insolito vedere qualcuno in un’uniforme tanto rigorosa e dal taglio così
classico. Da qualche parte giunse alle orecchie del Fourth Children un ridente
e sommesso ‘che carino’ che lo fece vergognare fino al
midollo.
“Silenzio!” Sbottò la Capoclasse, irritata da quel
bisbigliare. Tutti tacquero.
“Molto bene, Vancy…” riprese il Professore “…vuoi scrivere
il tuo nome e cognome alla lavagna per favore?”
“S-subito.”
Svelto il ragazzo eseguì quanto chiesto scrivendo con grafia
elegante il proprio nome e cognome in caratteri occidentali.
Povero Gabriel, chissà come dev’essere imbarazzante per lui…
“Avanti, ragazzi, date il benvenuto al vostro nuovo
compagno.”Continuò l’Insegnate.
Dall’aula si alzò un polifonico “Benvenuto Gabriel” a cui
quest’ultimo rispose con un altro inchino, quindi tutto tornò nel silenzio.
“Eccellente.” Si compiacque l’uomo. “Adesso vediamo un
po’...” scrutò con attenzione l’aula “ …dove metterti
a sedere? Mmmmh…ecco si, vai pure lì. Penultima fila a sinistra, davanti a
Suzuhara e affianco ad Ayanami.” Ed indicò gli
interessati di cui il primo si sbracciava con un gran sorriso e la seconda si
era limitata a rivolgergli un rapido sguardo privo di espressione
per poi prendere a guardare fuori dalla finestra.
Gabriel rimase per qualche istante immobile prima di recuperare
la cartella,riempita
al suo arrivo a scuola dei libri necessari che aveva trovato in un armadietto
già riservato a lui, per poi raggiungere il posto assegnatogli mentre il suo
passaggio veniva seguito da una scia di sguardi curiosi. Appena
arrivò, scambiò dei rapidi saluti e presentazioni con i suoi vicini, tranne
Toji che si limitò a reclutarlo per la pausa pranzo e ovviamente Rei che non si
voltò neppure una volta, persa in chissà quali pensieri.
Quando tutto si fu quietato ebbe
finalmente inizio la lezione.
Il Fourth Children estrasse dalla cartella un block notes ed
una penna, ma non riuscì a concentrarsi. Sempre più frequentemente il suo
sguardo andava a posarsi sul volto di Rei che nella sua immobilità sembrava
estremamente assorto. Nemmeno lei seguiva la lezione. O forse, se lo faceva,
non lo dava avedere.
Continuava a guardare fuori dalla finestra, forse
seguendo con lo sguardo il rapido movimento di sporadiche nuvole bianche nel
cielo illuminato, forse limitandosi a smarrirsi nelle tonalità dell’azzurro.
E così adesso siamo anche vicini di banco…
Mi chiedo se debba davvero rinunciare ad avere una
qualunque possibilità di dialogo con lei.
Però…
Distolse un attimo lo sguardo solo per poi riportarvelo
subito. La luce del primo mattino che irrompeva dalla finestra illuminando la
sua figura diede una sensazione strana a Gabriel. Era come se il contrasto tra
i raggi solari ed il candore della pelle di lei lo avesse per qualche motivo
ipnotizzato.
Questa luce è troppo forte…quasi
aggressiva.
E lei tra quei raggi sgargianti mi sembra così…fragile…non
mi ricorda affatto la ragazza che ho conosciuto. Piuttosto sembra…un fiore che
per sbocciare ha bisogno della luce della Luna…
Quando si rese conto di ciò che aveva pensato, ebbe un
sussulto e per poco la penna non gli cadde di mano. Tuttaviaun -bip- gli impedì di riprendere i
suoi ragionamenti.
L’attenzione di Gabriel fu attratta da un lievissimo rumore
proveniente dal suo computer. Una piccola busta lampeggiava nell’angolo in alto
a destra, accanto ad un numero uno.
Una e-mail? Qui, a scuola?
Gabriel ticchettò brevemente sui tasti e comparve un testo:
II-A Message Network.
Una rete di e-mail interna alla classe? Ma è
controproducente per l’attenzione!
Un altro -bip- lo distolse dalle
sue considerazioni. Accanto alla busta lampeggiante ora c’era un due.
Sospirando, si disse che era meglio leggere le mail.
From: Motoko YoshikawaTo:
Gabriel Vancy
Object:
Benvenuto!
Ciao!
Sono Motoko Yoshikawa, la terza ragazza da sinistra, in prima fila.
Gabriel provò a guardare, stando attento che il Professore
fosse girato da un’altra parte, e vide una ragazza dai capelli castani lisci,
lunghi fino alle scapole, che gli faceva un timido cenno di saluto sorridendo.
Ancora più timidamente, lui rispose a sua volta allo stesso modo, poi tornò a
leggere.
Spero che
ti stia ambientando bene! Sono veramente felice che tu sia qui, non vedo l’ora
di conoscerti meglio!
Un bacio,
Motoko
Un bacio?? Ma… Che intendeva??
Un po’ arrossito, lasciò da parte la prima e-mail e si
dedico alla seconda.
From: Shinji IkariTo:
Gabriel Vancy
Object:
Come va?
Allora,
come ti sembra questo primo giorno di scuola? Ah, Probabilmente questa è la
prima e-mail che ricevi, ti devo delle spiegazioni. Si tratta del nostro Class
Message Network, un sistema ideato per permetterci di comunicare tra noi le
nostre domande ed i nostri chiarimenti… Ma in realtà lo usiamo praticamente
come una chat.
Ho notato…
I
professori sembrano non badarci, però almeno così facendo non disturbiamo la
lezione.
Non c’era firma: evidentemente Shinji, già abituato a questo
metodo di comunicazione, non aveva problemi a considerarlo davvero come una
chat.
Sospirando, Gabriel diede addio alle sue speranze di stare
attento e rinunciò a rimuginare sui pensieri di poco prima: non avrebbe comunque potuto giungere a nessuna conclusione in
quel modo. Cominciò a ticchettare sulla tastiera.
From:
Gabriel VancyTo: Shinji Ikari
Object:
Re: Come va?
Grazie dell’interessamento,
Shinji, però la tua non è stata la prima mail che ho
ricevuto. La prima è stata un messaggio di benvenuto da parte della ragazza
davanti a te verso sinistra, Motoko Yoshikawa. Ad ogni modo, devo ancora
ambientarmi, però sono ottimista a riguardo, Grazie.
Gabriel
-bip-
Non aveva nemmeno fatto in tempo ad inviare la mail che già un’altra busta lampeggiava nell’angolo in
alto a destra.
No, oggi proprio non c’è verso di stare a sentire cosa
dicono i professori. Ed ho l’inquietante sensazione che andrà sempre peggio…
From:
Motoko YoshikawaTo:
Gabriel Vancy
Object:
Prova
Ti è
arrivata la mia mail precedente?
Appunto…
From: Gabriel VancyTo:
Motoko Yoshikawa
Object:
Re: Prova
Sì, mi è
arrivata, scusa per il ritardo di questa mia risposta, ma devo ancora abituarmi
a questo”II-A Message Network”. Grazie del benvenuto, in ogni caso!
Esitò prima di completare la mail.
Stava per scrivere, soprattutto per cortesia, di non vedere l’ora a sua volta
di conoscerla meglio, ma si chiese se stesse facendo la cosa giusta. Quelle
parole sarebbero state il primo passo per fare amicizia con qualcuno, però
forse potevano essere fraintese.
Alla fine decise per un compromesso.
Sto
ancora cercando di ambientarmi, però se avrò problemi so a chi rivolgermi!
Grazie
ancora per il benvenuto, e a presto.
Gabriel
-bip-
… Vediamo chi è…
From: Yuki TakashimaTo:
Gabriel Vancy
Object:
Ciao!
Ciao
Gabriel, mi chiamo Yuki Takashima, la terza ragazza da destra nella prima fila,
accanto alla mia amica Motoko, credo che tu l’abbia già conosciuta.
Ci sono un po’ troppe virgole in questa frase…
Gabriel si sporse nuovamente, e vide, di fianco a Motoko,
che si era di nuovo girata per salutare, un’altra
ragazza, dai capelli neri raccolti all’altezza del collo. Anche lei salutava in
modo identico all’amica. E solo ora si rese conto che anche una terza ragazza,
seduta proprio dietro Motoko, lo salutava allo stesso modo. Questa però aveva i
capelli neri portati corti.
Qualcosa mi dice che presto scoprirò anche il suo nome.
Io,
Motoko e la nostra amica Keiko saremmo veramente felici di invitarti a pranzare
con noi sul tetto. Per fare amicizia. Se non hai il bento non preoccuparti, a
noi ne avanza in abbondanza!
Mi
raccomando, rispondi!
Yuki
Ho già accettato la proposta di Toji di pranzare con lui,
Kensuke e Shinji, però… Anche se non posso accettare questa proposta, e anche
se nonostante tutto potrebbe risultare equivoca,mi fa piacere che me l’abbiano fatta.
From: Gabriel VancyTo:
Yuki Takashima
Object: Re: Ciao!
Ciao, Yuki! Ringrazio
tutte e tre (hai ragione, ho già conosciuto la tua amica Motoko) per la
proposta, ma ho già promesso a Suzuhara di pranzare con lui ed i suoi amici.
Sarà per un’altra volta, magari!
Gabriel
Sembrava che la sequenza di mail fosse finita,
permettendogli di ascoltare almeno la fine della lezione. Ma ben presto i suoi
occhi tornarono a posarsi su Rei. A quanto pare, per
tutto il tempo aveva semplicemente guardato fuori dalla finestra.
Chissà lei con chi pranzerà… anche se,
non so perché, ho la netta sensazione che resterà da sola con quella sua
solitudine… che è tanto simile a quella che è stata la mia.
Dopo quel primo scambio di mail la giornata proseguì
tranquilla fino all’intervallo. La fine della quinta ora fu decretata dalla
campanella, sicché i ragazzi si alzarono per salutare il professore e
prepararsi per l’intervallo. Gabriel radunò i suoi libri e spense il computer,
ancora pensieroso, tanto che a mala pena si accorse di
Keiko, Motoko e Yuki che lo salutavano mentre uscivano. Sorridevano come al solito. Le salutò distrattamente a sua volta, poi si
accorse che Rei si era voltata verso di lui.
“Ehm…” iniziò, goffo. Quegli occhi rossi così
impenetrabili lo lasciavano spiazzato. Alla fine decise di dire qualcosa, anche
solo per giustificare il fatto che la stesse
guardando. “…Ti stavi annoiando?”
Bravo, Gabriel. Proprio la cosa migliore da dire in
questo momento.
“Non particolarmente.” Disse Rei senza alcuna
inflessione vocale riconoscibile. Gabriel però ne fu contento, perché almeno
era riuscito ad innescare un dialogo con lei. Stava ancora cercando parole
adatte per proseguire quando invece fu Rei a parlare
di nuovo.
“Perché mi hai fatto quella domanda?”
“Ehm… Ecco…”
Ed ora cosa le rispondo? “Perché ti stavo guardando e
perché l’ho fatto anche la maggior parte della mattinata”?
“Ti stavi preoccupando per me?”
Gabriel rimase in silenzio per qualche istante, poi
guardò la classe che si stava sfollando e Toji che lo richiamava dalla porta.
“Ehi, novellino, ti sbrighi?!”
Allora tornò a volgersi verso Rei, e sospirò nel
rispondere sinceramente “Sì, credo che sia così.”
“Allora è per questo che mi hai guardato per tutta la
mattina?”
Il ragazzo non seppe più cosa rispondere, e rimase in
un silenzio sconvolto. Se ne era accorta!
Dato che non otteneva risposta, Rei
prese la cartella, gli indirizzò un ultimo enigmatico sguardo e si diresse rapidamente
verso l’uscita.
Il nuovo gruppo, ribattezzato da Asuka ‘Trio degli Stupidi
più Uno’,dopo
aver saccheggiato lo spaccio, era seduto in un angolo all’ombra sul tetto della
scuola. Non erano i soli dato che il luogo era uno dei punti di ritrovo
preferito degli studenti, ma avevano trovato un
posticino abbastanza isolato dalla calca. Nonostante i rifiuti di Gabriel,
Shinji , Toji e Kensuke avevano deciso di offrirgli il
pranzo ed ora il quartetto si stava apprestando a consumare il pasto, più che
abbondante dato che la capienza dello stomaco di Suzuhara era ormai una
leggenda. Tuttavia il Fourth Children sembrava oltremodo
distratto. Continuava a rigirarsi tra le mani un hotdog senza riuscire a
mangiarlo.
“Ehi, Gabriel, c’è qualcosa che non va?” Chiese Shinji
appoggiando a terra una lattina di aranciata
“Vero! Che ti prende, novellino?
Hai una faccia…” Fece subito eco Toji, mentre Kensuke
si era limitato ad aggiungervi un verso interrogativo guardando in sua
direzione dato che aveva la bocca piena.
“Ah…no nulla…” Si sforzò di sorridere verso i suoi amici.
“Eh no…” Riprese Suzuhara “…non hai la faccia di chi non ha
nulla. Su, avanti, sputa il rospo!”
Gabriel rivolse uno sguardo quasi implorante a Shinji, ma
quest’ultimo gli sorrise rassicurante.
“Siamo tuoi amici, se hai dei problemi o ti preoccupa
qualcosa possiamo aiutarti.”
“D’accordo…” sospirò “…si tratta di
Rei.”
Aida incominciò a tossire convulsamente, gli era andato il
cibo di traverso, e subito Toji iniziò ad assestargli
una serie di poderose pacche sulla schiena, ma non appena si fu ripreso mollò
immediatamente ciò che stava mangiando sulla tovaglia che avevano messo a terra
ed agguantò la telecamera accesa puntandola subito verso il suo compagno
sperando in chissà quale grande rivelazione,
“HAI DETTO AYANAMI?? NON MI DIRE CHE TI PIAC…OUCH!”
Uno scappellotto alla nuca da parte di quello che poco prima
era stato il suo salvatore lo mise a tacere.
“E piantala, idiota!”
Ma il Fourth Children non fece
molto caso a quell’intermezzo comico che ormai era diventata un’amichevole lite
privata tra i due e si rivolse verso Shinji.
“Shinji, credo di aver combinato un grosso guaio…”
Un grosso guaio con Ayanami?
“Vogliamo parlarne?”
“Si, ma…qui?” Ed accennò ai due che si stavano rotolando sul
terreno in una prova di forza contrastata.
“Hai ragione, vieni, allontaniamoci un po’…” cominciò Shinji
posando varie vettovaglie e alzandosi subito imitato e seguito dal collega
“…tanto quei due non se ne accorgeranno nemmeno.” Ed
indirizzò uno sguardo al metà tra l’abitudine e la
rassegnazione verso Toji che cercava di bloccare Kensuke e quest’ultimo che per
difesa gli tirava le orecchie facendogli assumere un’espressione quanto mai
comica.Tuttavia in
quel momento non ci sarebbe stato nulla in grado di far ridere il nuovo Pilota.
I due Children incominciarono ad incamminarsi tra i
vari gruppetti dediti ai pranzi. Quando furono arrivatipresso la ringhiera che dava la sua
vista sul piccolo parco accanto al campo da basket, entrambi vi si appoggiarono
guardando verso il basso.
“Allora…” ricominciò il Third Children preoccupato
dall’espressione del suo amico“…cos’è successo con Ayanami?”
Vergognandosi dal profondo, rivolse uno sguardo al ragazzo
accanto a se rispondendo con un mormorio sommesso “ Si è accorta che l’ho
guardata per tutta la mattina, me ne ha chiesto il motivo, io non ho avuto modo
di rispondere e lei se n’è andata…”
COSA??
Shinji non riuscì mascherare il suo stupore ed ora lo
guardava ad occhi sgranati battendo più volte le palpebre, la presa delle mani
fissa sulla ringhiera, ma Gabriel aveva già nuovamente
rivolto lo sguardo verso il basso.
“Ah…e…perché la stavi guardando?”
“Non lo so…mi dava una strana
impressione…”
“Una strana impressione? Beh, credo avrai
notato che Ayanami è…” rimuginò cercando un termine adatto, senza riuscire a trovarlo
“…come dire…insomma, hai visto…”
“Si, ho capito. Però, Shinji…non riesco a spiegarti…mi ispira un qualcosa di inesprimibile…”
Mentre il suo collega cercava in qualche modo di riuscire a
capire che cosa volesse dire, al pianista tornò in mente l’immagine
di lei stagliata nella luce del sole quella mattina. E fu come se il
senso di languida malinconia che quella ragazza emanava, lo attanagliasse . Si soffermò a riflettere. No, non era proprio quello che
ogni volta che l’aveva guardata lo invadeva...era più come una sorta di
richiamo ancestrale che si appellava direttamente alla
sua Anima.
…Rei Ayanami…
“Sai Shinji…” ricominciò l’altro dopo quel breve silenzio
che si era venuto a creare “…prima di arrivare qui,
anche se non per mia scelta, ero proprio come Rei.”
“Oh, mi dispiace…”
“Tu la conosci?”
“Chi?”
“Rei.”
Il Third soppesò i suoi pensieri volgendo lo sguardo al
cielo.
“A dire il vero, no. Non so praticamente
nulla di lei. Quando sono arrivato qui, anch’io, come
te, ho cercato di saperne di più, ho chiesto a Toji e Kensuke, ma pare che lei
sia sempre stata da sola…”
Proprio come me…
“Ho provato ad esserle amico, ma lei…” si interruppe
per un istante “ …ecco…sembra che non accetti nessuno. A parte mio padre…” A
quelle parole il giovane Ikari serrò la presa sulla ringhiera fino a sbiancarsi
le nocche. Il solo nominare suo padre lo mandava su tutte le furie. Decise di
controllarsi, ora un suo amico aveva dei problemi e si sentiva in dovere di
aiutarlo. Allentando la presa continuòcon voce nuovamente quieta “…ma questo
perché mio padre le ha salvato la vita durante il test di attivazione
dell’Unità 00…E solo una volta è riuscita ad aprirsi un po’ con me, ma dopo
quella tutto è tornato come prima. Forse perché avevamo appena concluso una battaglia e lei aveva di nuovo rischiato la
vita…”
Gabriel si allarmò visibilmente
irrigidendosi, come in un riflesso incondizionato. Shinji se ne
accorse ed indietreggiò appena staccandosi dalle barre metalliche.
“Ah, scusami, Gabriel, non volevo
metterti in agitazione!”
L’altro si limitò a scuotere leggermente la testa in segno
di diniego. Non era solo per quello.
“Non importa Shinji. Ti prego, continua a dirmi ciò che
sai.”
“Beh, non c’è molto altro da dire…solo, in
quell’occasione, Ayanami riuscì addirittura a sorridermi.Anche se non l’ha
mai più fatto.”
“Davvero?!”
Il Fourth Children si volse di scatto verso il suo collega
guardandolo con occhi sbarrati.
“Si. Ma come ti ho detto,può averlo fatto solo come reazione al
pericolo passato…” quasi balbettòstupito dalla reazione dell’altro.
Dopo alcuni secondi, i tratti di Gabriel tornarono a
distendersi in un’espressione assorta, quindi voltò le
spalle alla ringhiera appoggiandovisi contro, gli occhi rivolti al pavimento. “Shinji…”
“Dimmi…”
“Com’è vederla sorridere?”
Il giovane Ikari non poteva giurarlo, ma gli sembrò che la
voce dell’amico tremasse. Lo osservò in tralice per qualche secondo, come in attesa di una rivelazione anch’egli, poi si concentrò
sulla sua domanda. Rimasero alcuni minuti in silenzio. Da qualche parte
giungevano ancora i suoni di lotta di Toji e Kensuke, ma per i due Children era
come se il tempo si fosse fermato estromettendo qualunque cosa. Il caldo, il
chiacchiericcio tutt’attorno. Ogni cosa.
Shinji esitò molto prima di dare una risposta.
“All’epoca, avrei detto che era
come veder sorgere l’alba sul mare…”
Gabriel tacque. Riflettè su quanto detto
dal suo amico il quale ora non sapeva proprio quale reazione aspettarsi.
In fondo, seppur in modo indiretto, aveva appena confessato di aver avuto tempo
addietro una cotta per Ayanami per la quale, pensava, Gabriel doveva provareciò che i primi
tempi aveva provato lui. A sua volta piantò lo sguardo a terra. E attese. Attese molto.
La voce del pianista si levò improvvisa. Un tono basso e
assorto, lontano, distante, privo di emozione, che gli
fece venire i brividi.
“No…”
“Gabriel…”
“Non come l’alba sul mare, Shinji.”
“…”
“Come la prima stella del firmamento.”
La solita panchina. Accanto al solito albero.
Una piccola tovaglia spiegata sulle
ginocchia, a scoprire una fredda scatola di metallo, contenente il bento.
Perché la sua attenzione - se veramente di questo
si tratta - mi dà questa strana sensazione?
Non dovrei provare nulla: è solo un altro essere umano
che si preoccupa di me.
Eppure sento un lieve tepore sotto la cassa
toracica.
Mi sento... più sicura.
E’ diverso però da quello che
percepii attraverso la tuta di Ikari.
Quello era calore corporeo, trasmesso con il contatto
fisico.
Questo invece…
E’…
Interno.
Non c’è stato alcun contatto fisico, e non è fugace come quell’altro.
Lo sento dentro di me, e mi sembra sia inscindibile da
me…
Toccò la scatola di metallo con il logo in rosso della Nerv
ed un brivido le percorse le dita, risalendo su fino
alla schiena.
Freddo.
Un freddo intenso, mi dà una sensazione spiacevole,
nonostante oggi faccia caldo.
Non mi dà ristoro.
Eppure, prima d’ora, non ho mai provato nulla di
particolare nell’aprire la scatola del bento, neppure durante le giornate più
fresche.
Questo freddo contrasta con il tepore che sento dentro di
me.
E’ un contrasto che mi mette a disagio.
Eppure…
No, ora devo nutrirmi.
Fece leva sulle aperture che scattarono subito, rivelando
sotto il coperchio due gallette di riso in bianco, due
bacchette ed una bottiglietta di acqua. Esitò un attimo e prese l’acqua.
La aprì e bevve.
Fredda anche l’acqua.
E’ sempre stata così, però io non me ne sono mai
lamentata.
Cosa c’è di diverso oggi?
La Dottoressa Akagi mi ha confermato che i test che ho
eseguito negli ultimi giorni non mi hanno lasciato disfunzioni di rilievo,
eppure mi sento diversa.
…
Sì, ma cosa può avere a che fare la conoscenza del Fourth
Children con questo mio stato di disagio?
Ora che ci penso, è da quando ci
siamo conosciuti che mi sento diversa.
Una mano tesa.
Un sorriso spontaneo.
…
Il mio di quella volta invece fu solo perché così mi
suggerì Ikari.
Bevve ancora, poi si dedicò al
riso. Una lieve contrattura dei muscoli del collo si rilassò.
Questo non mi dà problemi.
Ha il solito sapore di sempre.
Ma sono ancora inquieta per prima: non riesco a darmi una
risposta.
Certo, ho avuto anch’io freddo in passato, ad esempio
dopo alcuni test per il DummySystem,
ma non mi sono mai sentita…
A disagio in questo modo.
Allora sentivo minacciata la mia integrità fisica, ed era
sufficiente rivestirmi per far cessare il freddo.
Ora invece è come se questo freddo volesse rubarmi
qualcosa di mio.
Un calore vitale che provo dentro di me.
Si interruppe, la seconda galletta
di riso a mezz’aria.
Come se il freddo della mia vita volesse portarmi via il
nuovo calore che provo da quando…
Da quando il Fourth Children ha detto di preoccuparsi per
me.
Sento il mio cuore accelerare i battiti, come se fossi
sotto stress.
Ma non c’è alcun elemento stressante attorno a me.
Tutto questo va contro tutte lemie esperienze.
E’ sconcertante.
Beh…
Quasi tutte.
Finì di mangiare il riso e bevve un altro sorso d’acqua.
Ora che ci penso, quando il Comandante Ikari ha aperto l’entry plug, quella volta…
E quando suo figlio l’ha aperta dopo il combattimento con
l’angelo…
Io mi sono sentita così.
Ma in entrambi i casi ero stata
in pericolo di vita.
Ora non lo sono, eppure la preoccupazione del Fourth
Children mi fa lo stesso effetto.
O meglio, un effetto simile.
Perché?
E oltre a questo…
Esitò un attimo, poi ripose la bottiglietta nella scatola,
richiuse la tovaglia e si alzò dalla panchina.
Perché, nonostante questo tepore mi provochi un
disagio mai provato, io non voglio perderlo?
Gabriel Vancy… chi sei tu?
Shinji era rimasto molto sorpreso dall’amico. Ancora per
qualche minuto restarono in silenzio, poi il Third scattò, doveva assolutamente
chiarire quella cosa.
“Però, Gabriel,tra me ed Ayanami non c’è mai stato
nulla, lei neanche lo sapeva, e adesso ti assicuro che non sono innamorato di
lei! Inoltre…”
“Shinji…” lo fermò l’altro alzando il palmo della mano verso
di lui come a stopparlo “…non mi devi nessuna
giustificazione. Non mi interessa se ne sei stato
innamorato o meno.”
“Però…”
“Niente però.” gli sorrise lievemente
volendolo rassicurare.
A quel gesto il giovane Ikari parve rassicurarsi. Il suo
sguardo si diresse per qualche secondo sui loro amici ancora impegnati in
quella buffa colluttazione, quindi tornò a fissare il volto del suo amico il
cui sguardo era di nuovo perso in lontananza.
Ma tu, Gabriel, sei innamorato di lei?
Dischiuse appena le labbra per poi richiuderle subito.
Sarebbe stato troppo indiscreto.
E così ha visto il suo sorriso.
Come l’alba sul mare…parole da innamorato. Un tempo lo era stato, ha detto, ora non più.
Non so come funzionano queste cose.
Magari è stata una di quelle cose passeggere chiamate
‘cotte’ che si accendono e si spengono nella fiammella di un istante.
Come l’alba sul mare…non riesco a togliermi queste parole
dalla testa.
No, non come l’alba.
L’alba porta il sole e il sole
porta calore…e quella Creatura immersa nel sole sembra tanto, troppo fragile.
I suoi occhi hanno i colori del tramonto. Il tramonto è
araldo della notte e la notte è culla di Luna e stelle
e solo i loro raggi possiedono quella delicatezza necessaria per poter sfiorare
quella pelle candida come alabastro.
Rei Ayanami…chi sei?Riuscirò mai ad incontrarti?
“Shinji?”
“Si!” Sobbalzò l’altro.
“Secondo te sarà arrabbiata per
stamattina?”
“No. Ayanami non è il tipo da serbare rancore…se è
arrabbiata con una persona lo mostra subito…Su questo
ne ho la certezza.”
E tira anche degli schiaffoni pesanti.
Gabriel tirò un sospiro di sollievo
alle parole dell’amico.
Allora forse avrò anch’io una possibilità di sondare il tuo
Animo… ma tu me lo concederai? Mi permetterai di venirti incontro?
Rei Ayanami…chi sei?
“EHI VOI DUE! ALLORA, VENITE O NO?”
I due Children si volsero di scatto in direzione della voce di Toji. La zuffa era terminata e Kensuke aveva già ripreso
ad ingozzarsi.
“SI, ARRIVIAMO SUBITO!” Risposero i due all’unisono. Si
guardarono e scoppiarono a ridere.
Shinji si interruppe per primo.
“Ah, Gabriel…”
“Si?”
“Quanto ti ho detto su Ayanami…” e arrossì “…ti prego,
potrebbe restare tra di noi? Non vorrei mai che giungesse
alle orecchie di…” e si interruppe con un sospiro
affranto.
…alle orecchie Asuka. Se sapesse che un tempo avevo una cotta per Ayanami, mi odierebbe ancora di più di
quanto già non fa. E se le dicessi che da quando è
arrivata lei per me non c’è stata nessun’altra, anche se mi disprezza, anche se
mi tratta così male, lei mi risponderebbe come al solito:che sono solo un Baka…
“D’accordo, Shinji.” Annuì Gabriel tornando serio. “Stai
pure tranquillo, non dirò nulla. Anzi, a mia volta ti prego di non far parola
di quanto ti ho detto oggi.”
“Contaci.”
I due ragazzi sorrisero e si avviarono celermente dai loro
amici per il pranzo.
Quando l’intervallo fu terminato,
tutto sembrava essere tornato come prima.
Una volta che il quartetto rientrò, Gabriel vide che Rei era
già lì. Rivolse uno sguardo a Shinji in una muta richiesta di
appoggio, ma ne ricevette solo un lieve sorriso che stava a significare
di non preoccuparsi.
Che ironia…Gabriel mi chiede conferma con lo sguardo ed io
mi do da fare per supportarlo quando invece non sono
neppure in grado di supportare me stesso…
“Allora, Trio degli Stupidi più Uno, vi siete divertiti a
pranzo?”
Dal suo posto la Second Children stava scrutando il
gruppetto con un sorriso divertito.
“Da quando in qua ti degni di informarti se ci siamo
divertiti o meno eh??” Domandò Toji con aria
provocatoria.”
“SUZUHARA!!” La Capoclasse
intervenì rapida a mettere pace.
Shinji osservò con attenzione il battibecco. I suoi occhi si
posarono sulla figura infervorata di Asuka e il suo
volto si distese in un sorriso dolce e triste al contempoall'eno eh??"lizzarlo quando invece non
sono neppure in grado di tr.
Lo stesso impeto di un fuoco acceso. Come il sole di
Ferragosto. Asuka, mi permetterai mai di starti accanto o dovrò anelare per
sempre senza speranza al tuo splendore?
Nel giro di pochi minuti le lezioni cominciarono secondo
l’abituale routine e l’attenzione di tutti i presenti venne
rivolta verso la lezione di Algebra. Tutti. Tranne tre
di loro nelle cui menti riecheggiava ad ognuno il proprio bruciante quesito.
Asuka, mi permetterai mai di starti accanto?
Mi permetterai di venirti incontro? Rei Ayanami…chi sei?
Per il resto di quella giornata, ormai giunta alla penultima
ora, nessuno di loro ebbe pace. Persino Asuka si accorse dell’assenza di
Shinji. Proprio lui che era sempre attento a tutte le lezioni adesso e ne stava
a sguardo chino sulla superficie del banco. Lo guardò
per alcuni secondipoi
decise di tornare ad occuparsi ad i suoi affari. In fondo, pensava lei, quali
problemi poteva avere uno stupido come Shinji Ikari?
Il Third Children a malapena si accorse del-bip- sommesso
emanato dal suo pc.
Toji, ora non sono in vena…Sicuramente vorrà ancora sapere
cosa ci siamo detti io e Gabriel a pranzo…
Tuttavia quando aprì la mail si
stupì non poco nello scoprire che il mittente non era Suzuhara, ma il Fourth
Children stesso.
From: Gabriel Vancy To: Shinji Ikari
Object:
///
Ciao
Shinji, possiamo parlare un attimo se non ti disturbo?Ho visto che nemmeno tu riesci a seguire la
lezione.
Gabriel
Si tratterà ancora di Ayanami?
From: Shinji IkariTo:
Gabriel Vancy
Object:
Re:///
Certo. Di
che si tratta? Hai ancora dubbi su Ayanami?
Shinji gettò uno sguardo indietro
oltrepassando Gabriel intento a rispondergli per osservare la First
Children. Sembrava fosse come sempre. Con lo sguardo perso
nel vuoto al di fuori della finestra, senza che uno riuscisse a capire
se stava realmente seguendo la lezione o meno.
-bip-
From: Gabriel Vancy To: Shinji Ikari
Object:
///
Shinji,
non sentirti obbligato a rispondermi se non vuoi.
Oggi mi
hai detto di essere stato innamorato di Rei in passato…
Ecco, lo sapevo che non me l’aveva perdonato…
…ma
tornati in classe ho visto con che espressione guardavi Asuka
mentre litigava con Toji.
Shinji arrossì violentemente.
E’ stata
lei che ha preso il posto di Rei nel tuo cuore? E perché?
Premetto,
Shinji: non te lo sto chiedendo per mera indiscrezione. Vorrei arrivare a farti
una domanda ben precisa.
Forse ti
sembrerà anche una domanda stupida ed in effetti in
queste quattro ore avrei fatto meglio a seguire le lezioni piuttosto che
arrovellarmi sui miei pensieri.
Gabriel
Il giovane Ikari esitò parecchio prima di rispondere. In
fondo si trattava di confessare qualcosa che fin’ora era appartenuto solo ed
esclusivamente a lui. E che era anche tremendamente
complicato da spiegare. Sospirò pesantemente.
Ed ora come ti rispondo, Gabriel? Dovrei semplicemente
risponderti: “Si, Asuka ha preso il posto di Ayanami
nel mio cuore perché mi fa sentire importante?”
Sentire importante…
Che parola grossa…se lo dicessi a qualcuno mi prenderebbe per
matto…
Però…forse lui riuscirà a capirmi…
From: Shinji IkariTo:
Gabriel Vancy
Object:
Re:///
Ascolta,
Gabriel. Quanto sto per dirti è molto complicato da
spiegare. E forse anche da capire. Ti prego come
sempre di non farne parola.
Si, è
Asuka.
Mi chiedi
perché, ma ad essere sincero non so neppure io come spiegartelo. Lo avrai
sicuramente notato. Ayanami ed Asuka sono come Luna e Sole.
Quando
arrivò dalla Germania, mi piacque subito perché la
trovavo una ragazza carina nonostante il suo carattere.
Avrai
notato anche che non fa altro che inveire contro di me dalla mattina alla sera,
che è altera ed orgogliosa e non ammette mai di aver sbagliato.
Lo so,
non te ne sto facendo un ritratto lusinghiero, ma ti prego di non essere
prevenuto ora contro di lei.
Asuka
potrà sembrare irruente e sprezzante, però...quando qualcosa le va male, anche
se inizia ad inveirmi contro in tutti i modi possibili ed inimmaginabili è da me che viene. Non va dalla Capoclasse. Viene sempre da
me. Questo in un certo senso mi fa sentire importante e dimenticare tutto il
veleno che mi sputa addosso.
E mi rende anche felice. Perché
vuol dire che in un certo senso, anche se non ricambia
ciò che provo, io sono importante per lei. Che riesco a sollevarle
dalle spalle i pesi che la aggravano.
Capisci
cosa intendo?
From:
Gabriel VancyTo: Shinji Ikari
Object:///
Si credo
di capire.
A questo
punto direi che posso farti quella domanda.
Sai, non
riesco a togliermi dalla testa le parole che mi hai detto oggi. ‘Come l’alba sul mare’… Ho pensato che sono parole da
innamorato.
Shinji,
cosa vuol dire essere innamorati? Cosa significa
realmente?
E per quale ragione una persona
riesce a scalzarne un’altra dal cuore di qualcuno?
Qual è la
differenza che ti ha portato a preferire Asuka?
Come hai
fatto ad accorgertene?
Gabriel
Shinji guardò il monitor incredulo. Davvero non sapeva cosa
significava??
E’…impossibile! Come faccio a spiegargli una cosa del genere!?Ma da dove le ha prese queste domande??
Gabriel...davvero non lo sai?
No. Gabriel non lo sapeva. Ormai era trascinato in un flusso
di pensieri inarrestabile. Quella frase gli era entrata in testa e non voleva
più uscirne. Innamorato…essere innamorato…aveva tanto
sentito parlare di quella parola, la maggior parte delle musiche che aveva
suonato erano incentrate sull’amore, ma lui, realmente, cosa ne sapeva?
Nulla.
Così come non so perché quella frase mi sta rintronando
nel cervello.
Così come non so per quale motivo voglio a tutti i costi costruire
un ponte che possa permettermi di venirti incontro.
Perché? In quale modo mi stai richiamando?
Perché?
From: Shinji IkariTo:
Gabriel Vancy
Object: Re:///
Gabriel…
Sul
perché sia innamorato di Asuka credo di averti già
esaurientemente risposto.
Posso
solo dirti che è…differente da quello che c’era con
Ayanami a causa delle sensazioni che questo sentimento da.
Un’attrazione
momentanea dovuta forse a quell’alone di mistero che la circonda e su cui mi
soffermavo di tanto in tanto a riflettere e pensare è ben diverso da ciò che si
prova vivendo fianco a fianco con una persona.
Vivendo
con Asuka, nonostante a volte sia insopportabile, ho
imparato ad apprezzarla, ad ammirare quella forza che possiede e che io non ho,
a desiderare di esserle utile, di toglierle di dosso la tristezza e la rabbia
nella speranza di un sorriso. Anche facendole da
zerbino.
Alla
fine, credo che questo significhiessere innamorati.
Credo sia quando non riesci a guardare nessun’altra oppure vivi
nell’attesa di un suo sorriso e quando il suo pensiero non ti abbandona neppure
per un istante e nel pensare a lei ti senti in pace con te stesso.
Gabriel lesse e rilesse quella e-mail
più volte.
Dunque è così…è questo che significa.
From: Gabriel VancyTo:
Shinji Ikari
Object:///
Ti
ringrazio, Shinji.
Stai
tranquillo. Nessuno saprà nulla.
Ci
sentiamo all’uscita e scusa per il disturbo.
Gabriel
Tutto ciò che il Fourth Children ora voleva era riflettere
in pace. Senza avere il coraggio di guardare il banco accanto a se spense il pc
e si immerse nei suoi pensieri.
Il pomeriggio passò senza avvenimenti di rilievo finché non
suonò la fine dell’ultima ora. Gabriel, che fino ad allora
era riuscito a non guardare Rei, si volse verso di lei, cercando le parole per
salutarla.
E se mi ignora anche adesso? E se dico qualcosa di sbagliato?
Aprì la bocca per parlare, ma si gelò. Lei si era già alzata
in piedi ed avviata verso la porta, senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. Il
ragazzo sentì un gelo invaderlo, anche più profondo di quanto fosse stato le altre volte.
Shinji dovette accorgersene, perché chiese ai ragazzi di
aspettarlo più avanti e si attardò. Asuka, dal canto suo, gettò una rapida
occhiata ai due che rimanevano indietro, di cui Gabriel aveva un’espressione indecifrabile.
Poi scrollò le spalle e si avviò verso l’uscita.
Bah, ragazzi.
“Gabriel,” azzardò Shinji,
titubante, verso l’amico. “Ti senti bene?”
No, per niente. E non capisco
nemmeno il vero motivo di questo mio malessere.
Non è la prima volta che mi ignora,
però non mi sono mai sentito così… frustrato.
Gabriel esitò un po’ prima di rispondere, poi decise che
mentire non sarebbe servito a nulla.
“Non molto, in effetti. Rei se n’è andata senza salutare.”
Shinji guardò verso la porta, dove la rossa chioma di Asuka stava scomparendo.
“A volte fa così, è normale. Dai, ora che andiamo a casa ci
aspetta un’altra bella cenetta…”
Si interruppe, poi riprese con un
sorriso imbarazzato: “Beh, non è che le cene della signorina Misato siano
fenomenali…”
Ma Gabriel si sentiva meglio. Il
rozzo tentativo di rincuorarlo lo faceva sentire più a suo agio. Sorrise, rassicurante verso il Third Children: “Meglio di niente.
L’importante è la compagnia.”
Shinji rise ed aspettò che ritirasse i suoi libri prima di
uscire dall’aula.
I ragazzi furono piuttosto stupiti di vedere Misato e
Satoshi fuori da scuola che li stavano aspettando, e
Gabriel lo fu ancora di più per il fatto che Rei era ancora lì accanto alla
moto dell’Agente della sicurezza, lo sguardo perso lungo la strada.
Che sta succedendo qui?
Come mai Rei è ancora qui?
Ho un brutto presentimento…
“Signorina Misato…” Iniziò Shinji, esitante.
“Cosa ci fate qui?” lo interruppe
Asuka con il suo solito fare sprezzante. Misato sorrise con aria di scusa.
“Ci ha mandati Ritsuko, Asuka. Vuole che Rei vada al quartier generale per dei test e…” volse uno sguardo
dispiaciuto verso Gabriel, lasciando cadere il discorso.
“Vuole che Gabriel vada con lei per il suo primo test di
sincronia,” concluse Satoshi per lei.
Gabriel rimase di sasso.
Il mio primo test di sincronia? Così presto? E… con Rei?
Rei sembrava non aver sentito. Asuka e Shinji invece avevano
l’aria visibilmente sorpresa. Misato se ne accorse e
disse: “Per il primo test vuole esaminare Gabriel singolarmente, ragazzi, in modo
da dedicargli assoluta attenzione. Voi potete andare a casa, Satoshi vi
accompagnerà.” Poi fece l’occhiolino all’Agente ed
aggiunse: “E’ un ordine.”
Lui sorrise di rimando ma non disse nulla. Alla fine fu
Asuka a rompere il silenzio.
“Oh beh, in tal caso…” Scattò verso la moto. “Io sto
davanti!”
Satoshi afferrò il manubrio appena in tempo prima che la
ragazza si gettasse sul sellino. “Attenta! Se non salgo prima io cadi!”
Misato ridacchiò, ma fu fulminata da uno sguardo della
rossa: “Misato, non ridere! Non sarei caduta, intanto. Vieni, Shinji, noi
dobbiamo andare.” Si rivolse poi agli altri due Children,
con una cordialità simulata. “Quanto a voi… buoni test, fate i bravi, mi raccomando!”
Quando salirono sulla moto con Satoshi, Shinji era l’unico
ad aver capito cosa in realtà frullasse nella testa di Asuka.
Che vergogna! E Misato mi derideva
pure! Davanti a mister Perfettino Baka-Shinji!
Dannazione… Se fossi caduta sarebbe stato anche peggio… Dannazione, che
umiliazione…
Il Third Children si sporse da dietro al fianco di Satoshi e
notò una lieve contrazione nella mandibola della ragazza, per
cui decise di non dire nulla, ma anzi aggrapparsi saldamente alla vita
dell’Agente. Il dorso delle sue mani toccò la schiena di lei,
laddove si appoggiava al conduttore della moto, ma non parve esserci alcuna
reazione.
Asuka… Posso solo immaginare quanto soffri in continuazione,
anche se non lo dai a vedere. Non sono poi Baka quanto
credi, sai?
“Ci vediamo a casa, allora,” gridò
Satoshi per farsi udire al di sopra del rombo della moto. Misato annuì, subito
imitata da Gabriel. Lui, Asuka e Shinji fecero un rapido cenno di saluto e
partirono veloci.
“Coraggio, in macchina allora!” esclamò Misato sorridente quando la moto sparì dalla vista. Gabriel però
rimase immobile. Ora sarebbe stato solo con Rei in auto, dato che Misato
sarebbe stata impegnata per la guida.
Cosa dovrò fare? Mi batte il cuore e mi chiedo se riuscirò a
comunicare con lei…Rei…aiutami a venirti incontro.
“Gabriel, stai bene?” chiese Misato, che aveva già aperto la
portiera del posto da guidatore e stava aspettando. Il Fourth Children si
riscosse e guardò stupito l’automobile. Mentre lui stava ragionando con se stesso, Rei era passata davanti al muso ed era già salita a
bordo, sul lato destro del sedile posteriore. Ed ora stava guardando fuori dal finestrino. Gabriel sospirò.
E’ inutile. Adesso sarebbe tutto vano…
Aprì la portiera anteriore e si sedette sul sedile del
passeggero. Ora che i Children erano a bordo salì anche Misato, chiuse la
portiera e diede gas, sparendo rapidamente da davanti alla scuola.
Dato che in automobile regnava il silenzio, la donna cercò
di attaccare bottone.
Che sia successo qualcosa?
“Allora, Gabriel, il tuo primo test di sincronia!” esclamò
raggiante. “Ti senti pronto?”
“Non lo so,” fu la risposta
pensierosa. “Non so ancora bene cosa aspettarmi. Come mai la Dottoressa Akagi
ha voluto vedermi oggi stesso?”
“Ha detto ‘Prima è, meglio è’, più o meno.
Sai, lei ha un debole per la pignoleria…” Ridacchiò. “Comunque non devi preoccuparti, non è nulla di terribile.”
Stava per aggiungere un ‘vero,
Rei?’, ma guardandola dallo specchietto notò che era ancora assorta a fissare
il cielo.
Se poi è successo davvero
qualcosa rischio solo di peggiorare le cose coinvolgendoli così… Ma poi magari
non è successo nulla. Forse Gabriel è solo teso per il suo primo test, e Rei… Beh, Rei non mi pare diversa dal solito.
Il resto del viaggio proseguì in silenzio.
***
Se Il Tenente Ibuki da un lato era una Senpai
formidabile dall’altro aveva anche usato talmente
tanta terminologia specifica da aver provocato all’Agente Iwanaka un’emicrania
coi controfiocchi.
Intanto neppure Misato se la passava tanto bene.
Erano trascorse svariate ore da quando aveva lasciato
l’infermeria ed era ancora inavvicinabile. L’espressione furente che aveva
funzionava meglio di un’ AT Field.
Quando Ritsuko andò da lei per comunicarle che in serata il Fourth Children avrebbe effettuato il suo primo
test sul tasso di sincronia, si chiese se non fosse il caso di prescriverle un
calmante.
“Come il suo primo test sul tasso disincronia??” sbottò il capitano,
sbattendo sulla scrivania il fascicolo che stava esaminando. Ritsuko sollevò un
sopracciglio, a metà tra l’inquieta e la divertita.
“Esatto, Misato, il suo primo test di sincronia.”
“E perché proprio oggi? E’ il suo secondo giorno in Giappone, non potresti almeno
farlo ambientare un po’ prima di isolarlo in un entry plug?”
“Beh, prima è meglio è, Misato.
Dopotutto un Angelo potrebbe attaccare anche domani, ed un pilota di riserva
può sempre essere utile.”
Misato rimase interdetta. Poi la guardò sospettosa: “Cominci
a somigliare al Comandante Ikari, sai, Ritsuko?”
L’altra sorrise beffarda, ma non
rispose.
Ci sono cose che tu non sai, Misato. Ed
è meglio che continui a non saperle.
“Mi aspetto che me lo porti appena uscito da scuola, avrà
tempo qui per darsi una rinfrescata.”
Misato annuì e guardò l’orologio. Mancava ancora circa
un’ora all’uscita dei ragazzi, e per come guidava lei sarebbe
giunta a scuola in non più di trenta minuti. Quindici,
con la rabbia che aveva in corpo. Ristuko stava già andando via quando d’un tratto si girò: “Ah, e porta anche Rei. Ci
sono dei test anche per lei. Li farà contemporaneamente a Gabriel, non è
necessario che io supervisioni anche lei, così potrai riaccompagnarla a casa.”
L’altra donna annuì con aria scocciata.
E’ il caso che faccia qualche
battuta su Ryochan? No… Per l’incolumità dei suoi passeggeri, è meglio che mi
privi di questa soddisfazione.
Trattenendo un sorriso, la dottoressa lasciò l’ufficio.
Dieci minuti dopo Misato raggiunse
Satoshi in sala mensa. Anche lui aveva l’aria di uno
che non si era divertito molto. Il giovane la vide e le fece un cenno di
saluto.
“Giornata pesante anche per te, eh?”
chiese lui, notando l’espressione tremenda della donna.
“Non parlarmene,” tagliò corto
Misato. “Dobbiamo andare a prendere i ragazzi. Io porterò Rei
e Gabriel qui per alcuni test e tu porterai Asuka e Shinji a casa.”
“Agli ordini Capitano,” fece
Satoshi sarcastico. La donna lo notò ed i suoi lineamenti si addolcirono un
po’.
“Scusa se sono stata brusca, il fatto è che ho avuto…”
“Una giornata pesante,” completò
Satoshi, sorridendo con aria affaticata. “Non importa, davvero. Coraggio.” Si
alzò, stringendosi il colletto appena allentato dell’uniforme. “Andiamo a
prendere i ragazzi.”
Misato annuì, più rincuorata dal fatto di essere stata
capita, e si recarono al parcheggio. A metà del viaggio verso la scuola le
tornò il buonumore e dimenticò il brutto incontro di quella mattina.
***
Giunsero al quartier generale con quindici minuti di anticipo sulla tabella di marcia, grazie alla guida
‘particolare’ di Misato. In un attimo furono agli spogliatoi, dove li aspettava
già Ritsuko.
“Complimenti, non ti sei persa questa volta,” fu lo sprezzante commento della dottoressa. Il Capitano
fece cenno di lasciar correre con una mano e si rivolse a Gabriel: “Allora,
Gabriel. Stai tranquillo e fa’ tutto quello che ti dice la Dottoressa Akagi. Io
vi aspetto qui e poi vi accompagno a casa, d’accordo?”
I due ragazzi annuirono, e le due
donne non notarono il rapido sguardo che Gabriel aveva lanciato a Rei notando
il suo cenno, primo segno di comunicazione da molte ore a quella parte.
Misato li affidò a Ritsuko e se ne andò.
La Dottoressa allora prese la parola: “Allora. Rei, tu sai già cosa fare.
Gabriel, nello spogliatoio troverai una plug suite. Ci
saranno anche le istruzioni per indossarla. Una volta fatto,
esci e ti accompagno alla tua entry plug. Domande?”
Gabriel fece cenno di no, irrigidito dal tono lapidario
della donna, e si volse per entrare nello spogliatoio maschile. Con la coda
dell’occhio vide Rei entrare in quello femminile, ma non osò girare anche il
capo.
Lo spogliatoio era una stanza piuttosto ampia e ben
illuminata, con due file di armadietti e due di panche
poste davanti a questi ultimi. Su una panca c’era una tuta intera nera, con
alcuni elementi grigi ed il bordo del colletto rosso, ed accanto
un foglio illustrativo. Gabriel lo prese, lesse alcune
righe, poi cominciò a spogliarsi.
Questa è la famosa plug suite… c’è
il numero 03 inciso sopra, probabilmente indica il mio futuro Evangelion, lo
03. Chissà che aria avrò con questa cosa indosso.
E chissà come starà Rei…
La vedrò, una volta uscito da
qui? Almeno questa volta, prima di iniziare il test, riuscirò a dirle qualcosa di intelligente? O farò di nuovo
scena muta?
Non riesco ad avvicinarmi a lei… Per quanto mi sforzi, non ci riesco…è come se avessi paura… paura forse
che mi precluda ogni possibilità di dialogo…
…
Ma… Non doveva venire così!
Gabriel si rialzò e si guardò allo specchio. Aveva indossato
la plug suite, ma essa ricadeva tutto attorno in
numerose pieghe flosce, quando dall’illustrazione avrebbe dovuto essere
aderente. Sul foglio c’era scritto di usare un meccanismo per la “decompressione
aerea”, ma l’ancor scarsa dimestichezza del Fourth
Children con i kanji gli impedì di capire dove si trovasse.
Accidenti… Beh, la Dottoressa Akagi lo saprà senz’altro,
e capirà la mia difficoltà con il giapponese.
Frusciando in modo molto poco aerodinamico
si diresse all’uscita. Fuori Ritsuko lo stava aspettando, e lo guardò con aria
interrogativa notando lo stato della sua tuta. Gabriel fece per parlare ma il fiato gli si bloccò quando vide Rei uscire dal
suo spogliatoio.
La plug suite della ragazza era
perfettamente aderente, e la indossava con disinvoltura, come se per lei fosse
la cosa più semplice del mondo. Per un brevissimo attimo i loro sguardi si incrociarono, e Gabriel credette di scorgere nel suo un
lampo di sorpresa, sostituito subito dalla solita indifferenza. Prima che lui o
Ritsuko potessero spiccicare parola, Rei abbassò lo
sguardo.
Il Fourth Children ha dei problemi con la plug suite.
La Dottoressa Akagi dovrebbe intervenire.
Però…
Lui oggi si era preoccupato per me.
E’ stato gentile con me.
Suppongo… sia giusto che io sia gentile con lui.
Rei fece un passo verso Gabriel, e
senza guardarlo negli occhi gli prese la mano sinistra fra le sue e premette il
tasto sul suo polso. Subito la plug suite nera si
restrinse, aderendo al corpo del Fourth Children. Solo ora gli occhi dei due si incontrarono di nuovo. Quelli di lui esprimevano uno
stupore immenso.
Ho fatto qualcosa che non va?
“G-grazie!” balbettò lui, attonito.
“Prego,” fu la risposta che seguì
subito dopo. Poi Rei si volse verso Ritsuko.
“Dottoressa, io mi reco al mio posto.”
Ritsuko aveva la bocca aperta e non pareva capace di
rispondere. Prendendo il suo silenzio come un consenso, Rei si girò e se ne andò lungo un corridoio. Dei due presenti, nessuno parlò
per alcuni secondi.
Rei… mi ha afferrato per mano??
Non riesco ancora a crederci! Mi ha… aiutato. Che
fosse il suo modo per comunicarmi qualcosa riguardo questa mattina? Ma cosa? Che non sei arrabbiata con
me? Che realmente mi stai permettendo di venirti
incontro?
Rei ha aiutato Gabriel?? Devo
essermi persa qualcosa… Non credevo che Rei fosse in grado di provare la spinta ad aiutare qualcun altro! Ah… forse è un sogno. Sì,
non può che essere così. Rei non si comporta così.
“Dottoressa?” chiese Gabriel, poco convinto. Ritsuko si
riscosse dal suo meditare.
No! Non è un sogno!
“Ehm… sì, dimmi,” rispose, cercando
di nascondere il suo sconcerto. Ma non dovette
faticare molto, poiché Gabriel aveva ben altro cui pensare.
“Dovremmo andare a fare il test di sincronia,” precisò lui.
“Ah sì! Giusto. Perfetto, seguimi.”
Nessuno di loro due parlò durante il tragitto fino al blocco
di entrata.
“Prova collegamento radio: mi senti, Gabriel?”
L’entry plug non era come se l’era
immaginata. La pensava più stretta, ma invece era
abbastanza larga da stare comodi, anche se leggermente inclinata. Ma ancora non capiva come funzionava la connessione con
l’Evangelion. Attraverso dei comandi e degli schermi olografici? O qualcosa di assolutamente nuovo?
“Affermativo,” confermò il Fourth
Children.
“Bene. immissione LCL.”
Un liquido giallastro cominciò a filtrare all’interno dell’entry plug.
Dev’essere qualcosa che amplifica i miei movimenti
corporei… Solo che è un po’ troppo…
Gabriel annaspò quando il liquido
raggiunse il suo volto e si sforzò per trattenere il respiro quando salì oltre
la sua testa. Indistintamente a causa dello sforzo sentì la voce di Ritsuko.
“Lascialo entrare nei polmoni, ti rifornirà di ossigeno!”
Stava per scoppiare, non avrebbe
resistito ancora a lungo…
Poi cedette, e credette di annegare. Il liquido gli si
riversò nei polmoni dandogli una sgradevole sensazione di annegamento.
Ma subito si rese conto di poter respirare come prima.
Anzi, meglio di prima. Nella sala comando tutti sorrisero.
La prima volta fa quell’effetto a tutti. Beh, quasi a tutti… tranne che a Rei.
“Bene. Ora che ti sei ambientato, rimani concentrato su un
pensiero,” disse infine Ritsuko, cercando di non
ridere per l’espressione imbarazzata ed un po’ imbronciata di Gabriel.
“Roger,” rispose lui, fece un
profondo respiro, anche se non ce n’era bisogno, e si concentrò sull’unico
pensiero che in quel momento non avrebbe potuto scacciare.
Rei…
Molti piani più in basso, Rei si trovava in un cilindro
colmo di LCL. Leggere correnti le muovevano i capelli e le scivolavano sulla
pelle nuda.
Ho fatto bene ad aiutare il Fourth Children senza che mi venisse ordinato?
Oppure semplicemente richiesto?
Eppure… Era quello che volevo fare.
“Basta così, Rei,” ordinò una voce
perentoria, distraendola dai suoi pensieri. La ragazza si riscosse ed annuì. Il
liquido fu aspirato via dal cilindro.
Ormai erano già passate tre settimane dal primo test sul
tasso di sincronia di Gabriel e dopo quello ne erano venuti altri
ed altri ancora, quasi senza tregua. La Dottoressa Akagi sembrava voler
assolutamente analizzare ogni minima variazione. Sua e degli altri. Tuttavia, nessuno di loro tre era mai riuscito a superare Asuka, il
cui primato restava intoccabile.
Ogni volta che ritornava dalla Nerv era stanco morto e
inoltre le cose a scuola avevano preso una brutta piega dal suo punto di vista.
Due giorni dopo il suo arrivo, il Professore di Musica aveva reso pubblica la
sua Laurea, facendolo piombare nel terrore di divenire inviso alla classe dato
che oltre a questo era stato all’unanimità esonerato
dalla materia, e da allora non aveva più avuto un solo attimo di pace. Anzi,
nel giro di qualche giorno fu anche peggio. La notizia non aveva logorato i
rapporti, ma il suo pc straripava di e-mail,
soprattutto da parte di Motoko, Yuki e Keiko, le quali erano divenute le nuove
assidue frequentatrici della nuova vendita di foto clandestine di Kensuke sul
pianista (il quale, ovviamente, ne era accuratamente tenuto all’oscuro insieme
all’ormai quasi inseparabile Shinji). Anche il suo armadietto, come a suo tempo
quello della Second Children, non se la passava affatto
bene.
La prima volta che si ritrovò un fiume cascante di lettere,
a parte arrossire fino all’attaccatura dei capelli, restò inebetito sul luogo
del disastro per almeno due minuti buoni. Ne lesse i mittenti, erano tutti nomi
che non conosceva. Nemmeno lui sapeva bene perché, ma non se la sentì di
aprirle. Come se così facendo commettesse un torto.
Verso chi poi, non lo sapeva neanche lui. Le missive finirono intatte nel
cestino.
Quanto a Rei, da quella volta al quartier generale aveva
riflettuto molto, ma aveva poco interagito con Gabriel, principale oggetto dei
suoi pensieri. Ormai si era resa conto di aver fatto bene ad aiutarlo, e che,
per qualche motivo che a lei ancora sfuggiva, c’era dell’interessamento del
ragazzo nei suoi confronti, nonostante lei non ne avesse
bisogno. Ma la cosa non le dispiaceva affatto.
Misato e Satoshi nel corso di quelle tre settimane avevano
stretto una sincera e profonda amicizia, che andava ben al di
là del rapporto professionale. Molto spesso lui si offriva
spontaneamente di preparare la cena (ed il pranzo nei giorni festivi) per lei
ed i ragazzi, e nonostante Misato non volesse disturbare, Asuka e Shinji erano
molto felici di mangiare da lui. Al che anche Misato doveva
cedere, con un sorriso.
Una sera Gabriel ritornò a casa
decisamente sfibrato. Sia lui che Shinji erano
stati tenuti alla Nerv fino alle nove ed avevano cenato alla mensa insieme a
Satoshi che li aveva accompagnati a casa e poi era dovuto ritornare alla svelta
al Quartier Generale per non aveva capito bene quali disposizioni circa la
protezione Piloti.
Il Third Children lo aveva invitato ad entrare
nell’appartamento così non sarebbe rimasto da solo, ma
Gabriel aveva rifiutato. Quella era l’occasione buona perché quei due
restassero da soli ed inoltre erano giorni che voleva dedicarsi al suo
pianoforte e liberarsi così dalle preoccupazioni.
Da un lato a Shinji dispiacque che avesse
deciso di restarsene solo, ma dall’altro gliene era riconoscente e dal
lieve sorriso che gli rivolse il suo amico prima di congedarsi, capì che gli
stava augurando un silenzioso in bocca al lupo.
Però non servì molto. Asuka era in
una delle sue fasi aggressive, per cui era rischioso
avvicinarsi troppo a lei. E dire che era da qualche
giorno che Shinji progettava di parlarle dei suoi sentimenti, per chiarirli una
volta per tutte a sé e a lei. Ma ogni volta non ce
n’era mai l’occasione. Ed ora che si era presentata grazie ad un’assenza di
Misato (aveva infatti il turno di notte alla Nerv),
non poteva avvicinarsi ad Asuka. Inghiottendo il boccone amaro ed ignorando le
critiche continue della rossa sugli argomenti più disparati, se ne andò subito a dormire.
Non appena mise piede in casa propria, Gabriel si diresse al pianoforte.
Sospirò con aria grave chiudendo gli occhi. Finalmente
poteva restare da solo con se stesso. Finalmente poteva lasciarsi trasportare
dalla melodia dimenticandosi del mondo.
Senza attendere oltre, la “Sesta” di Beethoven
scaturì dallo strumento.
Rapidi suoni, accordi fulminei, incessante incalzare, non
concedono tempo, pretendono ogni singolo istante.
Sciogliersi e fondersi, avvertire in modo cosciente la
mente abbandonare il corpo e la tua Anima divenire nota tra le note.
E' così che vivo. E' così che parlo.
Una lingua che non ha bisogno di parole, una lingua
universale, la chiave per comunicare direttamente al cuore delle persone.
Al cuore delle persone…
Al cuore delle persone…
Questo vale anche per te, Rei?
Accadde ancora. Non erano ancora trascorsi due minuti e già
le note volsero in tutt’altra direzione.
Una lieve contrattura delle sopracciglia come reazione di
sorpresa, ma i suoi occhi restarono chiusi. Come se si fosse abituato, ma non era affatto così, il ragazzo assecondò la nuova melodia
che si stava profilando sotto le sue dita. Il “Notturno” di Chopin.
E’ successo ancora…
Perché?
…
…
Adessoche ci penso…è capitato sempre.
Ogni volta che ho pensato a te.
Ossia sempre più spesso da quando ti ho guardata nel sole
di quella mattina… capendo che tu appartieni alla
Notte…
Alla Notte…
E da allora non ho mai potuto concentrare il mio sguardo
su altre che non fossero te.
E da allora non ho smesso di pensarti per un solo momento.
Nemmeno quando sfinito dalla fatica dovevo restare
nell’entry plug fino a tardi.
Pensavo a te e alla tua quiete. E
questo mi faceva sentire in pace e la stanchezza finiva nel dimenticatoio…
Il brano volse al suo termine e subito ne venne
attaccato un altro: “Claire de lune” di Debussy.
Un altro brano che non era nei miei programmi questa sera…
Ogni volta che ci sei tu la mia musica
inizia a prendere direzioni diverse da quelle che io avevo previsto.
Ogni volta che la mia mente è ottenebrata dal pensiero di
te…
L’onnipresente pensiero di te…
Quell’onnipresente pensiero, quell’impiegabile impulso di
venirti incontro, quell’ insopprimibile desiderio di
riuscire un giorno a vedere il tuo sorriso…
…
Un tempo era la Musica, la mia vita, l’unica cosa che io ami, a guidare i miei pensieri come Maestra, Amica, Madre,
perché ora…
Sobbalzò aprendo gli occhi. In un solo istante le parole della lontana mail di Shinjiscorsero rapidamente nella sua mente mentre alla melodia ormai
terminata, subentrava 'Al Chiaro di Luna’ di Beethoven.
“Quando non riesci a guardare
nessun’altra…”
“Quando vivi nell’attesa di un
suo sorriso…”
“Quando ti senti in pace con te
stesso…”
“Quando il suo pensiero non ti
abbandona neppure per un istante…”
…
…Quando invece oraè il suo pensiero a guidare la
miamusica…
…Quando è il mio Amore a guidare
la mia musica…
La musica cessò e tutto cadde nel silenzio.
Qualche sera più tardi, Misato ebbe l’idea di cenare tutti insieme, invitando anche Rei. Quando lei e Ritsuko,
che l’aveva accompagnata, arrivarono, Gabriel si era
già cambiato: aveva reindossato lo smoking con cui
era arrivato in Giappone. Non sapeva bene perché, ma voleva apparire elegante.
A nulla erano valsi gli ammonimenti di Satoshi, sul fatto che mangiando avrebbe
potuto macchiarsi, era irremovibile. Sentiva che doveva essere così. Ad Asuka
era passato il periodo aggressivo, così anche Shinji era più tranquillo. In
questo modo il clima durante la cena (cucinata da Satoshi, tenendo conto anche
delle abitudini alimentari di Rei) fu piuttosto rilassato.
Alla fine del pasto Misato ebbe un’idea.
“Gabriel, perché non ci suoni una canzone? A tutti noi!”
propose, facendo un largo gesto con la mano ad indicare tutti i commensali
seduti al tavolo. Gabriel li guardò tutti. Si soffermò in particolare su Rei,
ma non riuscì a coglierne lo sguardo: lei continuava a guardare il suo piatto
quasi vuoto, come se aspettasse in silenzio una decisione. Per un attimo il
Fourth Children si sentì smarrito, ma subito si riprese. Si volse di nuovo
verso Misato.
“Accetto molto volentieri, Capitano,”
disse infine.
Tra le sonore incitazioni di Asuka
il gruppo di persone si sistemò sui divani preparati appositamente da Satoshi e
Shinji, e Gabriel si posizionò sul suo scranno, davanti al pianoforte. Sentiva
il suo cuore battere forte, come sempre gli succedeva quando
stava per suonare. Ma ora era diverso. Si sentiva
fremere. Lanciò un’ulteriore sguardo ai presenti e per
un breve istante incontrò gli occhi di Rei. Allora seppe cosa fare. Mai come in
quel momento quella vecchia canzone di quando lui era ancora un bambino
piccolissimo, e che si era trascinata negli anni imbattuta,
poteva esprimere meglio quello che albergava nel suo cuore. Pose le mani sulla tastiera e subito nella
stanza calò il silenzio. Chiuse gli occhi. Poi, del tutto inaspettatamente,
cominciò a cantare.
Tutti restarono ammutoliti. Misato guardò stupita Satoshi e
quest’ultimo e le lanciò un’occhiata altrettanto
esterrefatta di rimando come a volerle dire che non ne sapeva nulla.
La sua voce non era affatto
sgradevole, ma anzi, ben intonata. Non era una voce da bambino ma
ancora non era totalmente quella di un adulto. Solo in alcuni tratti, quando le
corde vocali modulavano particolari note, un orecchio esperto avrebbe potuto
cogliere quella che sarebbe divenuta in futuro. Con tutta probabilità avrebbe
avuto una sonorità piena e avvolgente, ma ora era
troppo presto per stabilirlo. Le parole erano in giapponese, ma si vedeva
chiaramente che se per il giapponese parlato se la cavava abbastanza bene, in
quello cantato non riusciva ad evitare di infonderci il proprio accento di
madrelingua. Tuttavia quell’influsso francese sembrava
non togliere nulla al brano.
I presenti ammutolirono in stupore senza muoversi.
Quando brami
strane tentazioni;
Quando vuoi
oscure sensazioni;
Nella
notte senti
immensi sogni ardenti…
Notte
lieve
colma di splendore,
chiama, senti,
offrile il tuo cuore.
Guarda
gli occhi miei,
come in sogno ti vorrei,
non sarà la luce che davvero vuoi:
La
notte dolce musica per noi…
Chiudi
gli occhi ed arrenditi adesso puoi,
per salvarti i tuoi sogni infiammerò…
Chiudi
gli occhi e il tuo Angelo
Sarò…
Fantasie,
nel tuo calice berrò…
Notte
nera
che ti avvolge adesso.
tinte tetre,
sei in mio possesso.
Vivi
e capirai
nell’immenso volerai
se non hai confini so che tu lo vuoi:
La
notte dolce musica per noi…
Senti ormai la ragione muta sfugge via
coi pensieri di un mondo non più tuo…
Volerò
dove offenderci non può!
Con
l’idea
Che persa in me
Ti
avrò…
Folle
scorre
velenosa ebbrezza
dammi, ama,
prendi ogni carezza.
Resteremo
qui,
lascia nascere così
quell’immagine d’amore che tu vuoi:
Può
tutto questa musica per noi…
Evochi
mia Musa se lo vuoi
sempre immensa musica per noi…[1]
Gradualmente, Gabriel abbassò il proprio tono sfumando le
ultime parole sino a sfociare nel silenzio sebbene,
mancando della preparazione in campo canoro necessaria per una canzone di tale
livello, avesse dovuto necessariamente diminuire le note lunghe al fine di non
prendere stecche e restare senza respiro.
Quando anche l’ultima nota di
pianoforte si spense, tutto tacque ed egli stesso rimase per qualche istante ad
occhi chiusi inspirando profondamente.
Il primo a riscuotersi fu Satoshi che prese a battere
fragorosamente le mani subito seguito a ruota da Misato, Ritsuko, Asuka e
Shinji. Dopo qualche attimo di esitazione anche Rei
prese ad applaudire. In modo forse troppo tenue per poter
essere udito. Tuttavia quel gesto non passò
inosservato alla scienziata, né tantomeno al pianista che, alzatosi dallo
scranno del suo strumento ora rivolgeva un inchino da palcoscenico verso il suo
piccolo pubblico. Ma non erano gli applausi a cui
badava. In quel momento tutto ciò che aveva importanza erano gli occhi di Rei e solo
ad essi rivolgeva la sua attenzione.
Rei applaudiva, ma la sua mente era
distante. Era ancora legata alla canzone, che si ripeteva all’infinito
riflessa negli occhi verdi del ragazzo.
Quella magnifica canzone…
Di un’intensità che non ha pari nella mia esperienza.
Cantata in un modo di cui non si può dire l’uguale.
Da una voce che…
Mi dà una strana sensazione, che posso descrivere solo
come…
Un dolce struggimento.
“Gabriel…” Cominciò Ritsuko quando
l’incanto si fu rotto “…non sapevamo che avessi anche queste qualità canore…”
A malincuore, il Fourth children dovette rivolgersi verso la
sua interpellatrice.
“Dopo aver preso la Laurea in pianoforte, mi sarebbe piaciuto
fare canto, ma l’ Insegnante della materia me lo ha
sconsigliato. Ha detto che avrei dovuto attendere
almeno la maturità per consentire il pieno sviluppo delle corde vocali.”
La Dottoressa annuì con professionalità. ”Ha avuto ragione.
Non dovresti sforzare la voce in quel modo troppo spesso.”
“Non si preoccupi, Dottoressa Akagi. Non canto molto spesso,
non ho nessuna intenzione di compromettermi questa
possibilità.”
“ E dimmi…” si intromise Misato
“…ti hanno già detto che timbro avrai?”
“Si, hanno detto che quasi
sicuramente sarò un Baritono.”
“Sembra davvero interessante!” Esclamò il Capitano con un
sorriso. Lei non se ne intendeva troppo di queste cose.
Ritsuko guardò l’orologio da polso.
“Accidenti, si è fatto piuttosto tardi. Rei, noi dobbiamo
andare, se vogliamo arrivare a casa ad un’ora decente.”
Rei distolse lo sguardo da
quello di Gabriel e annuì, grave. Così non notò l’espressione dispiaciuta sul
volto del ragazzo.
Dopo un rapido giro di convenevoli e saluti, Ritsuko
accompagnò Rei alla porta ed uscirono. Dopo poco Anche Misato, Asuka e Shinji
se ne andarono, lasciando Gabriel e Satoshi da soli.
Misato aveva insistito per aiutare l’Agente a sparecchiare e lavare i piatti
dopo la cena, così ora non restava altro che andare a dormire. Ma Satoshi notò
che sul volto di Gabriel c’era ancora quell’aria delusa e
sognante, e decise di non disturbarlo. Dal canto suo, il Fourth Children
rimase ancora a lungo a fissare la porta di casa, con un unico pensiero in
testa.
Buona notte, mia Musa
Per la strada, nell’auto presa a nolo da Ritsuko, Rei
guardava come al solito fuori dal finestrino, ma
questa volta aveva un pensiero segreto che si ripeteva all’infinito nel suo
cuore.
… Sempre immensa musica per noi…
Continua….
[1] “La musica della notte”, dal “Fantasma
dell’Opera”, musical di AndrewLloydWebber.
Il giorno dopo, quando Satoshi e Misato accompagnarono
i ragazzi a scuola, Gabriel aveva una nuova determinazione negli occhi. Ma, anche se Shinji gliene chiese il motivo, non ottenne più
che una vaga risposta.
“C’è una cosa che devo assolutamente fare,”
rispose mentre stavano entrando a scuola. Shinji aveva molti sospetti a
riguardo, ma decise di porgli il quesito più scontato.
“Riguarda la tua attività al Conservatorio?”
Il Fourth Children rimase pensieroso per un attimo, poi
sorrise enigmatico: “Sì, in un certo senso sì.”
L’incontro turbolento con Toji e Kensuke impedì al Third
Children di porre altre domande, poiché non era del tutto convinto, ma capì che
era meglio lasciar correre. Guardò Asuka, che si allontanava ridendo con la
Capoclasse.
In fondo, ho altro cui pensare.
Più tardi, quando L’Agente Iwanaka venne ad accompagnarli a
casa, Gabriel si affrettò a prendere in disparte l’uomo, mentre Asuka e Shinji
li guardavano incuriositi. Il Third Children riuscì appena a comprendere le
parole “Aiutami, per favore,” prima che il tono dei
due si facesse troppo basso per essere udito. Guardò Asuka come a chiedere
conferma di quanto udito e notò che anche lei si era fatta sospettosa. Per
quanto la conosceva, era sicuro che avrebbe indagato
fino a scoprire cosa il loro collega e Satoshi stavano tramando.
Però per quanto la rossa fosse determinata
non poté avere modo di scoprire alcunché, soprattutto per il brusco cambiamento
del Fourth Children.
Nelle settimane seguenti infatti il
pianista non sembrava più lui: laddove a scuola i suoi voti si erano sempre
mantenuti ad una media piuttosto alta, ora erano stranamente bassi, ed a volte
era addirittura sorpreso a dormire sul banco. Negli intervalli sfuggiva la compagnia, tanto che il 'Trio degli Stupidi più Uno' era
tornato ad essere semplicemente il 'Trio degli Stupidi'. A volte era visto a scartabellare
una gran quantità di fogli sparsi, ma quando qualcuno cercava di informarsi lui
ritirava tutto e rispondeva che erano “cose per il Conservatorio, questioni
tecniche, incomprensibili per i profani”.
Quando non si doveva recare alla
Nerv per i suoi test di sincronia, molto spesso restava a scuola, chiedendo al
Preside il permesso speciale di usare il pianoforte a porte chiuse per scopi
personali. Il preside concedeva il permesso, tuttavia si preoccupò ed un giorno
chiese le ragioni di tale flessione ad un nervosissimo Satoshi. Questi però si
limitò a tranquillizzarlo sul fatto che fosse un problema temporaneo legato alla
sua precedente attività di Insegnante al Conservatorio,
e che presto sarebbe tornato il Gabriel di sempre.
Satoshi finì strapazzato dal Preside perché non era stato
avvisato in anticipo di questa questione, in modo che potesse prendere
provvedimenti, ma a Gabriel le cose andarono anche peggio.
Fu strapazzato da Ritsuko.
Per tutto quel tempo anche il suo tasso di sincronia era
variabile: a momenti con picchi altissimi, che rivaleggiavano con quelli di Asuka seguivano periodi in cui, se fosse stato a bordo di
un Evangelion, non avrebbe potuto sollevare nemmeno un dito.
La dottoressa Akagi seguiva quelle ondulazioni con crescente
cipiglio, finché addirittura il tasso non si azzerò, e Makoto cominciò a
gridare di ‘alterate condizioni fisiologiche del pilota’. Il timore dell’attacco
di un Angelo fu subito dissolto da uno sguardo all’interno dell’entry plug. Le ‘alterate condizioni fisiologiche’
erano dovute al fatto che Gabriel si era addormentato.
Ritsuko lo svegliò sbraitando e lo costrinse ad andare in
infermeria per eseguire un check up completo sotto la
sua diretta supervisione. Per essere sicuri che quel
cambiamento non fosse dovuto a qualche malattia fu sottoposto a processi
diagnostici per ogni afflizione, dal raffreddore al controllo di tutte le
malattie infantili. Ma nessuno diede risultati
preoccupanti. A poco valsero le spiegazioni del Fourth Children, sul fatto che
era solo molto stanco perché doveva lavorare tanto per il Conservatorio,
Ritsuko non si fu placata finché gli esami non furono ripetuti per tre volte.
Solo allora, a sera inoltrata, Satoshi fu fatto venire per portarlo a casa.
Ed a parte quella sera, generalmente Asuka, Shinji e Misato sentivano fino a tarda ora il suono del pianoforte di
Gabriel che ripeteva note, si fermava, tornava a ripetere con lievi aggiustamenti.
Ormai anche il Capitano Katsuragi andava alla ricerca di
spiegazioni.
“Dagli fiducia…” Fu l’unica
risposta del suo sottoposto, il quale ormai non sapeva più cosa inventarsi per
giustificarlo. Sapeva perfettamente che il suo tutorato stava creando uno
scompiglio immane, ma d’altronde non aveva potuto non appoggiarlo. La
determinazione con cui il ragazzo gli aveva espresso le sue intenzioni
era irremovibile e nulla gli avrebbe mai potuto far cambiare idea.
Un giorno (erano passate quasi due settimane), Gabriel
cercava di prestare attenzione al professore di Storia. Aveva tenuto acceso il
computer solo per prendere appunti sulla lezione, perché ormai tendeva a
fornire solo risposte monosillabiche alle numerose mail
che riceveva. Avendo capito che era un brutto momento, i mittenti, soprattutto
Motoko, Yuki e Keiko, avevano deciso di darci un taglio, più che altro per
rispetto nei confronti del nuovo idolo della classe. Infatti
negli ultimi due giorni non ne aveva ricevuta nessuna. Per cui fu alquanto
sorpreso dal tenue -bip- che sancì l’arrivo di una mail.
Tra l’incuriosito ed il seccato cliccò sulla busta lampeggiante e quasi svenne quando lesse il mittente.
From: Rei AyanamiTo:
Gabriel Vancy
Object: Richiesta informazioni
Noto che
sei strano in questi giorni. Ti senti bene?
Gabriel credette di stare sognando.
Rei… mi ha mandato una mail? E
si è… preoccupata per me?? Come quella volta, con la
plug suite… Ma ora so cosa muove il mio animo verso di
te.
Veloci le sue dita batterono sulla tastiera con rinnovato
vigore.
From: Gabriel VancyTo:
Rei Ayanami
Object:
Re: Richiesta informazioni
Ho
finalmente capito chi sei, Rei Ayanami. Sei il Notturno di Chopin, quieto e
placido tra le stelle, il Chiaro di Luna di Beethoven misterioso e avvolgente,
e quello di Debussy malinconico e dolce. Tre opere di cui sei
tu la nota più bella.
Con
amore,
Gabriel
Poté appena premere il tasto di invio
prima che la campanella che segnava la fine delle lezioni suonasse.
Subito si sentì afferrare la spalla.
“Questa volta non ci scappi!” esclamò Toji, costringendolo a
voltarsi. Subito il suo volto assunse un colorito rosso fuoco: se Toji o
qualcun altro fosse riuscito a leggere la mail che
aveva appena scritto…
Però l’importuno non sembrava
essersene accorto. Mantenne la sua espressione da duro e disse: “Non importa se
devi lavorare per il Conservatorio, lunedì tu pranzerai con noi!”
“Ehi,” si intromise Kensuke,
socchiudendo gli occhi e guardando Gabriel in pieno viso. “Sei piuttosto rosso
in faccia, sai? Hai una qualche irritazione?”
Involontariamentelo sguardo di Gabriel si girò verso il
posto di Rei, che però era già deserto.
“Oh oh oh…” disse Toji, inarcando
entrambe le sopracciglia in un’espressione sorpresa e maliziosa, “Non è
un’irritazione, Kensuke. Mi sa che il nostro musicista qui è innamorato!”
“Ehm, ma che dici?” fu la risposta, ma il colorito rosso si
accentuò ancora di più, sconfessandolo.
E’ una situazione delicata, Toji, ti prego…
“Come biasimarlo,” riprese
Suzuhara, lanciando una fulminea occhiata a Shinji, che però stava parlando con
Asuka e non se ne accorse. Poi ripeté la pantomima che aveva già messo in atto
una volta con successo. “Le tettine di Ayanami…”
Kensuke capì dove voleva parare e si mise di fianco a lui,
sogghignando.
“Le cosce di Ayanami, e Ayanami ha
anche un gran bel…”
“CULETTO!” conclusero i due in
sintonia.
Fu un attimo. Gabriel scattò in piedi e li afferrò per il
colletto, un’espressione d’ira sul volto che nessuno aveva mai visto.
“Non dite mai più una cosa del genere.
Mai più!” ringhiò a bassa voce. Poi li lasciò subito andare.
Toji e Kensuke erano veramente scossi. Avevano la bocca
aperta e a malapena riuscivano a respirare. Fissavano esterrefatti
l’espressione furiosa di Gabriel.
“Ah… ehm…” balbettò Kensuke.
“Noi… stavamo solo scherzando,” si
scusò Toji, visibilmente spaventato.
Tutto attorno sembrava che il tempo si fosse fermato.
Nessuno si era accorto del battibecco. Solo Shinji, attardandosi per aspettare
gli amici, notò l’espressione atterrita dei due ragazzi davanti a Gabriel.
Alle parole di Suzuhara la rabbia del Fourth Children svanì
come neve al sole. Tutta la stanchezza di quelle ultime settimane sembrò
piombargli addosso, tanto che dovette appoggiarsi al proprio banco, dietro di
sé. Il rossore sparì rapidamente e l’espressione si mutò in dispiacere.
“Mi dispiace, ragazzi,” disse
infine. “Non so cosa mi sia preso.”
Dopo un istante Toji riassunse la sua solita aria spavalda,
pur se mitigata da qualcosa che si sarebbe detto comprensione, disse: “Non c’è problema. Veramente, abbiamo esagerato, eh,
Kensuke?”
L’altro, che aveva impiegato più tempo dell’amico a
riprendersi, annuì vigorosamente.
Il primo che aveva parlato posò la mano sulla spalla di
Gabriel, con fare amichevole, stavolta.
“Non ti preoccupare,” disse,
tornato serio. “Anzi, è bello che ti sia innamorato.”
Di nuovo il rossore si fece strada
sul volto del Fourth Children, anche se meno diffuso. Sorrise timido e grato:
“Grazie, Toji. Però vorrei chiedervi un favore. Non
ditelo a nessuno, per ora. Nemmeno a Shinji. Voglio dirglielo
quando sarò pronto.”
“Saremo due tombe,” assicurò Toji
per entrambi, e Kensuke si limitò ad annuire con gravità.
Più sollevato, Gabriel si girò, fece la cartella ed andò dal
Third Children che li stava aspettando con aria interrogativa. Asuka, come
sempre, si era già avviata.
“Cos’è successo?” chiese titubante
Shinji.
“Niente, solo una banale incomprensione,”
rispose Toji noncurante, e Gabriel gli sorrise grato.
Rei camminava rapida verso casa
sua. Avrebbe corso, ma non era nel suo carattere. Per
la prima volta, quel giorno la sua mente non era piena di domande, ma da
un’unica affermazione.
Con amore, Gabriel.
Con amore.
Amore.
Amore.
Amore.
Una parola che a me non era mai stata rivolta.
Amore.
Una parola che non credevo mai di poter sentire… o
leggere… come rivolta a me.
Un sentimento che non sapevo di poter ricevere.
Amore…
Un sentimento che non sapevo di poter… provare.
Quasi senza accorgersene era arrivata a
casa. Quel giorno non aveva in programma test di
nessun genere, così poteva studiare. Ansimava. Era scappata rapidissima
dalla classe, complice la campanella, subito dopo aver letto quella
mail. Nessuno aveva notato il rossore imponente che le aveva colorato il volto altrimenti così pallido. Rossore che
ancora esitava sulle sue guance, sospinto in superficie anche dalla fatica per
la marcia forzata.
Quello era il significato dei tuoi sguardi.
Quello era il significato dei tuoi sorrisi.
Quello anche il significato della musica celestiale che
hai cantato, ora lo so, per me.
Ed in effetti, l’avevo capito fin dal primo momento, quando
ho incrociato i suoi occhi.
Ma mi sembrava così… incredibile.
E men che meno mi sarei
aspettata di poterlo provare anch’io.
Quando per me anche la gioia o la tristezza erano cose sconosciute.
Provare l’amore…
E’ stato quello che mi ha fatto preoccupare per lui tanto
da scrivergli quella mail?
Ci ho ragionato molto prima di inviarla.
E’ questo che fa una persona innamorata?
Non importa più, ormai.
Perché so di esserlo.
So di amarlo.
So di amarti, Gabriel.
Salì le scale fino al suo pianerottolo poi
entrò in casa. L’indomani sarebbe stato sabato, non sarebbe dovuta
andare a scuola, e fino al pomeriggio non avrebbe
avuto dei test alla Nerv. Per allora, forse, avrebbe potuto vederlo…
Oggi voglio riposarmi, posso
studiare domattina.
Non l’ho mai fatto, ma oggi sì.
Mi sento… bene.
E’ questo che fa l’amore?
Sapendo che fuori da queste mura
c’è qualcuno che mi ama mi sento più viva.
E’ strano…
Stupendo…
Si gettò sul letto senza nemmeno togliersi l’uniforme.
Starò qui, voglio solo pensare a te, Gabriel.
E ricordarmi per sempre tutti i momenti in cui ti ho
visto.
…
Sempre immensa musica per noi…
L’indomani, a l’una e dieci del
pomeriggio, L’Agente Iwanaka e il Fourth Children, che portava con se una
voluminosa busta, uscivano da un enorme edificio posto alla periferia di Neo
Tokyo-2.
“Sei felice adesso?” Satoshi sorrise verso il ragazzo,
visibilmente esausto e assonnato, con fare quasi paterno.
Gabriel alzò il capo verso di lui e gli
sorrise radioso nonostante due occhiaie tremende e il viso emaciato. Se il suo Tutore era abituato a svegliarsi prima delle 6 del
mattino per allenarsi con le sue spade, per lui invece era stato uno sforzo
tremendo. Soprattutto a causa del sonno arretrato diormai più di quattordici giorni.
“Adesso si. Ma c’è ancora dell’altro da fare.”
“Lo so, lo so. Quanto ti è rimasto sul tuo conto in banca, Professor Vancy?” Lo
apostrofò scherzosamente l’uomo rivolgendogli uno sguardo fintamente
ammonitore. Poi continuò tornando serio “Gabriel, avresti potuto permettermi di
aiutarti.”
Il pianista gli sorrise grato e
scosse la testa in segno di diniego. Non se l’era presa per il ‘Professor Vancy’.Sapeva che Satoshi lo usava solo per scherzare. “ E’ una cosa mia e mia soltanto. Ti ringrazio, ma non potevo accettare aiuti,
te l’ho spiegato.Però non preoccuparti,
anche se ridotto ad un quarto della cifra totale, il Direttore del
Conservatorio ha insistito per continuare a versarmi lo stipendio in qualità di membro esterno.”
“Ah, già, è vero. Me n’ero quasi scordato. Beh, ora
sbrighiamoci, altrimenti troveremo chiuso. Se prendiamo il treno
ora dovremmo arrivare giusto in tempo per le due meno venti.”
La mattina dopo Rei si svegliò
perfettamente riposata. Si sentiva come mai si era sentita
prima, ed il pensiero che forse avrebbe incontrato Gabriel, sul tardi quel
pomeriggio, la metteva di un buon umore insolito per lei.
Dopo una rapida doccia si mise un’uniforme scolastica pulita
e cominciò a dedicarsi allo studio.
Nel primo pomeriggio però i suoi esercizi di matematica
furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta.
“Chi è?” chiese lei sorpresa. Non aveva mai ricevuto visite
a casa, a parte Shinji…
Da dietro la porta risuonò la voce di un uomo, che sembrava
compitare da un foglio scritto: “Rei… Ayanami?”
La ragazza si alzò, sempre più stupita ed andò alla porta.
La aprì cautamente. Dietro c’era un ometto barbuto sulla cinquantina, che
reggeva un grosso mazzo di gigli.
“Rei Ayanami?” ripeté, poi, senza attendere risposta, proseguì,
“Questi sono per lei.”
Troppo sbalordita per fare o dire
qualsiasi cosa, aprì maggiormente la porta e prese il mazzo di fiori. Insieme ad esso, l’uomo le consegnò anche un voluminoso pacco
avvolto in un’anonima carta giallo-arancione da imballaggio.
“Buona giornata!” augurò l’altro sorridendo, e se ne andò. Rei chiuse la porta,
ancora a bocca aperta dalla sorpresa. Faceva una strana impressione, con quel
mazzo di gigli sormontato su un fianco dal pacco fra le braccia, nella stanza
solitamente neutra che le era stata assegnata. Subito andò al letto, dove posò
il suo carico. Non sapendo bene come comportarsi, prese la caraffa che teneva
sotto al comodino e la riempì d’acqua. Poi la poggiò
sul mobile e vi mise dentro i fiori, in modo che non morissero. Solo allora si
accorse di un biglietto che era caduto per terra. Col cuore in gola si chinò e
lo raccolse. Recava scritta una sola frase, con una calligrafia elegante: ‘Evochi mia Musa
se lo vuoi, sempre immensa musica per noi…’
Gabriel!!
Subito afferrò il pacco e lo liberò dalla carta. Dentro
c’erano otto custodie di ciò che sembravano essere dei
compact disc. Le copertine erano del tutto bianche, ma
sul retro erano visibili delle scritte: ‘Prima ora – storia’; ‘Terza ora –
matematica’; ‘Quinta ora – nuoto’…
Ma… di cosa si tratta?
Rivolse la sua attenzione all’ultimo oggetto uscito dal
pacco, una specie di grosso libro dalla copertina nera. Lo prese e lo aprì
sulla prima pagina. Rimase senza fiato.
Era uno spartito, ed il titolo recitava: ‘Una Giornata di Rei. Composizione,
Musica ed Esecuzione: Gabriel Vancy’.
Lesse e rilesse più volte quel titolo, senza comprendere.
Poi la verità si fece strada nella sua mente.
Una composizione musicale…
Un’opera intera… dedicata a me?
Una mia giornata??
Seduta a gambe incrociate sul letto afferrò il primo cd, poi
gli altri in rapida successione.
‘Prima ora – storia’
‘Seconda ora – giapponese’
‘Terza ora – matematica’
Ma…
Sono le ore del venerdì!
Ha messo in musica il mio venerdì di scuola??
Gli occhi corsero rapidi sullo spartito, sfogliandolo
furiosamente. I titoli dei cd erano riportati fedelmente sopra lunghe pagine di
pentagrammi. Lo sfogliò ancora e ancora e continuò a riguardare i cd finché non
si rese conto di non avere un lettore per ascoltarli. Però…
… Ho una viola!
Rapida recuperò il suo strumento dalla
custodia in cui giaceva. Era appoggiata in un angolo, semiabbandonata come
l’intero appartamento, ma ora Rei la bramava come non aveva mai bramato nulla.
Recuperatala tornò a letto, si sedette e cominciò a studiare
l’inizio, la ‘Prima ora’. Dopo un breve momento cominciò a suonare.
Quelle nuove note si spandevano dal suo archetto e si
diffondevano in ogni angolo della stanza spoglia, vivificandola, abbattendone i
muri grigi.
… Mi sembra di guardare un cielo azzurro attraversato da
bianche nuvole.
Un cielo… come quello che vedo
la mattina del venerdì fuori dalla finestra della II-A.
Quando tu sei accanto a me…
Sempre insieme.
… Sempre immensa musica per noi.
E la musica le portò via i
pensieri.
Il lunedì mattina non fu molto diverso da tutti gli altri
lunedì mattina: faceva molto caldo e le cicale erano insopportabili. Asuka,
Shinji e Gabriel si stavano recando a scuola.
“Te la sei presa comoda, Gabriel, in questi due giorni, eh?”
disse Asuka sprezzante. “Non ti abbiamo nemmeno visto praticamente,
non sei venuto nemmeno a studiare con noi.”
“Scusa, Asuka,” rispose
l’interpellato. “Avevo del sonno arretrato da recuperare. Sai…”
“… Quel lavoro per il Conservatorio, si
lo sappiamo,” lo interruppe la ragazza, cantilenando. “Ma
poi di che lavoro si trattava? Ora che è finito puoi dircelo, non è più un
segreto militare! Ti hanno fatto comporre un’opera?”
Gabriel sorrise: “Si può dire così.”
Shinji lo guardò, e già sapeva che quella non era tutta la
verità. Non glielo aveva ancora detto apertamente, ma c’era qualcosa sotto, e
lui non voleva forzarlo.
Arrivarono a scuola in perfetto orario e si recarono in
classe. Motoko e le sue amiche ancora non c’erano, ma quasi tutti gli altri
erano già presenti e parlottavano del più e del meno. Il pianista la cercò con
lo sguardo, ma Rei mancava.
Come al solito Toji stava attirando
l’attenzione, specialmente quella della Capoclasse, così nessuno si accorse
dell’arrivo della First Children. Lei d’altro canto puntò direttamente verso il
suo banco. Ma deviò all’ultimo momento. Gabriel si era
appena girato ridendo per una battuta quando la vide,
ed il suo cuore mancò d’un balzo. Lo stava fissando dritto negli occhi con
un’espressione indecifrabile.
Eccola! Avrà sentito il mio regalo? Le sarà piaciuto?Non
ho più saputo come aveva preso quella mail, sabato
pomeriggio non siamo riusciti ad incontrarci. Cosa
penserà di me…?
Ma i pensieri del Fourth Children
furono interrotti bruscamente. Rei aveva appoggiato la
cartella sul banco e gli aveva gettato le braccia al collo, abbracciandolo
strettissimo.
Il brusio della classe cessò all’istante,
gli occhi di tutti erano concentrati sulle due figure abbracciate in
fondo all’aula. Kensuke sgranò gli occhi, Toji cadde a sedere su una sedia
libera, Hikari e Asuka non credevano ai loro occhi e men che meno Shinji: aveva
sospettato all’inizio che l’amico avesse una cotta per la First
Children, ma mai, mai avrebbe potuto sospettare che era ricambiato.
Nel silenzio generale, Rei mosse il
capo in modo da guardare Gabriel negli occhi. Sorrise dolcemente e sussurrò:
“Grazie. Anch’io ti amo, Gabriel.”
In quel momento il pianista credette
davvero di veder nascere la prima stella del firmamento. A sua volta la
guardò negli occhi sorridendole totalmente rapito. “Così come io amo te.” Mormorò a voce bassissima. Sospirò profondamente e tornò a
cingerla in una stretta delicata ma al tempo stesso irremovibile, gli occhi
chiusi, tutta la sua attenzione volta a sentire la sola presenza di lei. Anche Rei chiuse gli occhi e reclinò il capo sulla spalla
del ragazzo appoggiandovisi in tenero abbandono.
Il rumore successivo che ruppe il silenzio fu il tonfo della
caduta della cartella di Motoko, che era appena
entrata in classe con le sue amiche.
“Satoshi! Ehi, Satoshi!”
L’Agente Iwanaka si volse di scatto, trovandosi di fronte un
allarmato Shigeru che gli correva incontro agitando la mano.
Quando gli giunse di fronte, il
Tenente dovette appoggiarsi al muro per riprendere fiato, lo stava inseguendo
da due settori.
“Ciao, Shigechan…” lo salutò amichevolmente,spiazzato dalla
corsa dell’altro, inclinando appena la testa su un lato “…che cosa c’è? Come
mai tutta questa fretta?”
“Ah, Satoshi, accidenti a te! Ti sto inseguendo dal settore B-2…Ma non mi sentivi? Mi hai fatto
sgolare…” Si lamentò ancora Aoba appoggiandosi ora di spalle alla parete
del corridoio.
“Scusami, Shigeru ero un po’ soprappensiero…” Si giustificò
con un sorriso. In tutto quel tempo, lui e i tre Operatori Nerv avevano fatto amicizia.
“Bah, non importa, non importa… ”
L’Operatore inspirò ancora poi rapidamente estrasse dalla tasca dell’uniforme
due biglietti un po’ spiegazzati. “Ascolta, Satochan, stasera
c’è l’inaugurazione di un nuovo locale sul Lago Hashino, nella parte
turistica. E’ a metà tra un pub e una discoteca, pare sia un buon ritrovo per
gli amanti delle vecchie Glorie del Metal dei nostri tempi…Rhapsody, Helloween,
Stratovarius, Nightwish, L’Opera di Avantasia e
simili. Disgraziatamentei miei per stasera mi hanno incastrato con una cena e dato che né
Maya…” con la quale voleva andarci, ma questo non lo disse “…né Makoto sono
molto attratti dal genere, mi ritrovo ancora i biglietti sullo stomaco. Sarebbe un peccato sprecarli, erano anche omaggio. Se puoi, vacci tu. Che ne dici? Mi dicesti che il Metal ti piaceva.”
Satoshi osservò sorpreso i biglietti. Cavolo
se era allettante l’idea. Magari il locale si trovava anche vicino al
dojo che finalmente era riuscito ad individuare ma a
cui ancora, per mancanza di tempo, non era riuscito ad iscriversi.
“Mi piacerebbe davvero, Shigeru…però
sono da solo, con chi ci vado?”
A quelle parole il Tenente emise una risatina che accompagnò
con una leggera gomitata contro il braccio dell’amico “ Andiamo
Satochan… se solo ti fai un giro nel settore A-30 sai quante sarebbero disposte
a venirci con te?”
L’agente arrossì fino all’attaccatura dei capelli “Ma che dici!”
Aoba si limitò a ridacchiare. “Non mi dire
che non sai che tra il pubblico femminile sei molto popolare…”
“Andiamo, piantala!” Sbottò
seccato. “ E comunque se anche fosse, non è nel mio
stile invitare qualcuno che neanche conosco.”
“Lo so, lo so…” annuì bonariamente l’altro “…comunque prendili lo stesso. Se proprio non vuoi andarci
magari chiedi a qualcuno… io ho esaurito le mie conoscenze.”
“D’accordo, vedrò che farci. Grazie, allora!”
“Oh, di nulla.” Rispose l’altro
battendogli un paio di sonore pacche sulla spalla per poi dirigersi verso la
Sala Comando.
Rimasto solo, l’uomo rivolse uno sguardo pensieroso ai
biglietti.
‘Scarlet Dawn’ , ore 21:30…Chissà se…
Rimuginando assorto, l’Agente volse i suoi passi verso la
zona ascensori.
Nello stesso momento, il Capitano Katsuragi stava
percorrendo i corridoi sbuffando come una locomotiva.
Ritsuko e la sua mania di fissare test all’ultimo minuto! Ma dove si sarà andato a cacciare Satoshi?
Bisogna andare a prendere i ragazzi all’uscita da scuola…
Già così a quest’ora rischiamo di non trovarli più quando
arriveremo…
Ah, eccolo là!
Sospirando di sollievo dimenticò il malumore per la notizia
lampo della scienziata e gli corse incontro con un sorriso. “Satoshi!”
Era appena arrivato alla zona degli ascensori dal corridoio
opposto a quello da cui proveniva lei. Era proprio vero che la Nerv a volte
dava l’impressione di un labirinto.
Quando se la vide venire incontro
istintivamente strinse con la mano sinistra i biglietti nella tasca.
Starò facendo bene? Oh, andiamo, Satoshi, non è di certo la
prima ragazza che inviti ad uscire! D’accordo, non è che ioabbia una chissà quale grande
esperienza in questo campo, soprattutto considerando che la miaunica ragazza mi ha scaricato all’inizio dell’ultimo anno delle
Superiori.
E’ anche vero che questa non è una ragazza come tutte le
altre ma il mio diretto Superiore, però, andiamo, non
c’è nulla di male ad invitare un’amica ad un’inaugurazione!
“Ehm…ciao, Misato…” sorrise timidamente.
“Ah, meno male che ti ho trovato!”
“Ascolta, c’è una cosa che vorrei chiederti…”
“Me la chiederai in ascensore, dobbiamo subito andare a
prendere i ragazzi per dei test sui tassi di sincronia e non so che altro di
Ritsuko!” Esclamò la donna prendendolo subito per un braccio con ambo le mani e
trascinandolo letteralmente all’interno di un ascensore .
“Allora, cosa mi
volevi chiedere?” Domandò senza fermarsi un solo istante mentre si
girava per selezionare il livello che li avrebbe portati al parcheggio.
Satoshi, appoggiato alla parete sinistra dell’ascensore,
inspirò profondamente per farsi coraggio ed estrasse i
due biglietti dalla tasca.
“Ecco…” cominciò con tono incerto mentre
arrossiva appena “…mi hanno dato due biglietti per l’inaugurazione di un locale
stasera e mi chiedevo se per caso…”
In quel momento una voce a Misato fin troppo nota la
distrasse dalle parole dell’Agente.
“EHI!! ASPETTA UN MOMENTO!”
Come se non avesse sentito, con espressione impassibile,
pigiò il tasto per il parcheggio, tuttavia, l’uomo riuscì ugualmente ad
infilare una mano tra le porte bloccandone la chiusura ed entrando così senza
sforzo.
La donna ringhiò silenziosamente.
“Ehilà, Katsuragi, sei di cattivo umore anche oggi a quanto
par…oh!” Ryoji Kaji si interruppe nel notare che
dietro Misato c’era un uomo biondo che stringeva nella sinistra due biglietti e
lo guardava con aria interrogativa.
Con uno sbuffo stizzito, l’Ufficiale premette finalmente il
pulsante e si affrettò a fare le presentazioni.“Satoshi, questo è l’Agente Kaji…” si interruppe
un istante guardando irata la sua ex fiamma “ Agente Kaji, questo è l’Agente
Satoshi Iwanaka della Sede Francese…” gli ringhiò contro a denti stretti.
“Dai, Katsuragi, non arrabbiarti così altrimenti ti verranno
le rughe ed invece sei splendida così come sei…”
L’Agente Iwanaka aggrottò le sopracciglia.
Ma chi diavolo è questo bellimbusto??
“Ah, piacere di conoscerla Agente Iwanaka.”
Sorrise affabile l’uomo bruno tendendo la mano al suo collega. Tuttavia al
momento della stretta le dita di quest’ultimo rischiarono di finire stritolate,
anche se ressero bene la prova.
“Allora, dove andavate di bello?” chiese Kaji, guardando
solo Misato ed ignorando spudoratamente Satoshi.
“In un posto diverso da quello dove stai andando tu,” fu la glaciale risposta della donna. Ma
l’uomo dal codino non si diede per vinto.
“Non mi dire che andavate al…” si
chinò per leggere il nome del locale sui biglietti ancora convulsamente stretti
nel pugno dell’Agente della sicurezza, che però fu più lesto e li sottrasse
alla vista.
“Ehi!”
“Mi scusi, Agente, non sapevo che
volesse tenere segreto il posto in cui voleva andare con Katsuragi!”
Dannato pallone gonfiato, hai rovinato tutto!
Misato guardò Satoshi con aria interrogativa. Anche lei aveva notato i biglietti di sfuggita. “Satoshi, di
cosa si tratta?”
“Nulla di eccezionale,” mentì
l’altro, cercando di mantenere la calma. “Te ne parlerò poi nel parcheggio.”
Kaji fece finta di non notare la velata allusione al fatto
che la sua presenza non era gradita, perché continuò a sorridere: “Agente,
faccia come se non ci fossi, in fondo una volta Katsuragi non aveva segreti per
m…EEH!”
Misato era arrossita appena e gli aveva tirato una gomitata
nel fianco.
Cosa??
Notando l’espressione interrogativa di Satoshi, Kaji si
affrettò a spiegare, nonostante il dolore: “Non gliel’ha detto? Eravamo
fidanzati all’Università. Bei tempi quelli, eh, Katsuragi?”
“I peggiori della mia vita, Kaji,”
rispose Misato, decisamente infuriata. “Non hai ancora detto a che piano sei
diretto. Chissà, magari noi andiamo ad un altro piano, così tu devi scendere.”
E così eravate insieme all’Università, eh? Vuol dire che adesso non lo siete più. Se sei venuto qui a fare il guastafeste hai trovato pane per i tuoi denti,
mister Faccia-da-Schiaffi!
Kaji ignorò palesemente Misato e si rivolse a Satoshi: “Si
sente bene? Mi sembra un po’ accaldato. Non mi dica
che l’ha turbato sapere che Katsuragi non è vergine! Perché se così fosse non
durerebbe un minuto a letto con lei, mi creda.”
“KAJI!” Misato era fuori dai
gangheri, ma non era nulla al confronto di Satoshi, il cui volto era avvampato
d’ira.
“Senta lei…” iniziò, ma non poté terminare.
La luce si spense e con un brusco movimento l’ascensore si
bloccò. Una luce sanguigna illuminò la scena, segno che si era messo in
funzione il sistema di illuminazione d’emergenza
dell’ascensore.
“Che succede??” chiese Maya. Tutti
i sistemi sembravano essersi spenti di colpo, dal proiettore olografico alle
interfacce dei Magi. Solo il sistema di illuminazione
d’emergenza sembrava essersi attivato, illuminando una scena che sembrava
congelata. Numerosi operatori si erano bloccati al momento del black out, e tutti stavano fissando Ritsuko, che aveva un
dito sospeso sopra un pulsante, senza che l’avesse ancora premuto. La
scienziata si guardò attorno, sentendo gli sguardi di tutti su di sé.
“Ma… io non ho fatto niente…”
In quel momento, una mastodontica figura nera si stava
avvicinando rapidamente alla città…
“Non preoccuparti, Katsuragi…” Cominciò Kaji con fare rassicurante sotto
lo sguardo furente e ora anche allarmato dalla situazione “…sarà un esperimento
di Ri chan andato storto
CAPITOLO 8
Black Out
alla Nerv (Parte I)
(Attenzione: in questo
capitolo verranno riprese molto fedelmente delle scene
tratte da alcuni episodi di Evangelion, con gli scopi
già anticipati nella prefazione.)
“Non preoccuparti, Katsuragi…” Cominciò Kaji con fare rassicurante
sotto lo sguardo furente, e ora anche allarmato dalla
situazione, di Satoshi “…sarà un esperimento di Richan andato storto. Beh a quanto pare…” e le sorrise affabile “…dovremo passare un
po’ di tempo insieme.”
“Ti sbagli! Tanto adesso subentrerà subito in funzione
l’alimentazione di sicurezza.” Ribattè Misato
sprezzante con un sorriso soddisfatto.
“Negativo! I circuiti di sicurezza sono
disinseriti!” La voce di Shigeru riecheggiò attraverso la Sala Comando
piombata nell’oscurità. Fuyutsuki era su tutte le furie. “Ma
è assurdo! I circuiti energetici rimasti operativi??”
Dal basso di una piattaforma giunse la voce di Maya la quale
per farsi udire dovette ricorrere a tutto il fiato che aveva ” L’1.2% in tutto! Soltanto i vecchi circuiti dal numero 2567
in avanti!”
L’Anziano Vice Comandante non perse tempo e torno a
rivolgersi verso il Tenente Aoba. “Assegnare tutte le
fonti energetiche operative al mantenimento del Central Dogma e dei Magi!”
“Ma questo ostacolerà il
mantenimento vitale dell’intera base!”
“Non importa! Priorità assoluta!”
In quel momento, Makoto Hyuga stava camminando per la strada
portando con se oltre ad un borsone, una grossa busta carica di
indumenti su cui era inciso il nominativo ‘Misato Katsuragi’.
“Certo che è una persona davvero trascurata…che tipo la
Signorina Katsuragi…almeno il suo bucato potrebbe sforzarsi di andarlo a
ritirare di persona…” Si lamentò il Tenente attenendo che il semaforo diventasse verde dando il passaggio libero ai pedoni.
Tuttavia quest’ultimo si spense e nel giro di pochi minuti, un aereo delle
Forze di Autodifesa delle Nazioni Unite annunciò
dall’alto l’evacuazione immediata dell’intera zona. Causa: un oggetto non
identificato in rapido avvicinamento. Makoto non ebbe dubbi. Doveva
immediatamente raggiungere il Quartier Generale.
“Si, ma con quale mezzo??” Disperato si volse attorno, ma
tutto sembrava immerso nelsilenzio più
totale. In quel momento, udì una voce in avvicinamento e bene presto ai suoi
occhi si palesò un furgoncino dal cui altoparlante si alzava l’annuncio delle
elezioni ormai prossime elezioni per il Consiglio Comunale.
“Ma che fortuna!”
L’allarme lanciato dall’aereo raggiunse anche i Children
appena usciti da scuola.
“Oggetto non identificato?!” esclamò Asuka. “Non si tratterà
di un Angelo!”
Hikari si mosse subito verso il rifugio di sicurezza più
vicino insieme agli altri studenti, gridando: “Dovete andare subito al Quartier
Generale! In bocca al lupo!”
“Sì sì, andate, ci vediamo!” salutò brusca la rossa, e
subito si mise in marcia verso la più vicina entrata al Geo-Front. Quando si rese conto che nessuno la seguiva si voltò e
gridò: “Beh, vi muovete o no?!”
Ma gli altri tre Children erano
immobili. Gabriel era impietrito, lo sguardo fisso davanti a sé, poiché temeva,
sollevandolo al cielo, di vedere una schiacciante figura disumana pronta ad
ucciderli tutti.
“Un… Angelo…?”
Prima che Shinji potesse dire qualsiasi
cosa, Rei gli strinse un braccio. Il Fourth Children allora si scosse e
la guardò.
“Mantieni la calma,” gli disse la
ragazza. Apparentemente sembrava tornata la fredda ragazza di sempre, ma negli
occhi le si poteva leggere una nuova preoccupazione,
una nuova determinazione. Forse anche un coraggio che aveva
sempre avuto, ma che non si era mai curata di mostrare. Un po’ di quel
coraggio si trasferì a Gabriel, perché annuì, le strinse la mano e si voltò
verso Shinji: “Andiamo.”
L’altro annuì ed insieme si diressero verso l’entrata al
Geo-Front.
“Alla buonora,” borbottò Asuka, ma
nessuno colse la provocazione.
Rei passò la tessera nel lettore ma
non successe nulla. Ci riprovò, ma il risultato fu lo stesso.
“Spostati, fa’ provare me!” sbottò Asuka, spintonando la
ragazza via da davanti al lettore. Passò la propria tessera, ma ancora una
volta il lettore non diede segni di vita. Ma in quel
momento Gabriel si avvicinò di scatto.
“Asuka, la tua tessera non ha nessun potere magico! Potresti
evitare scatti del genere!”
La ragazza guardò il Fourth Children, livida.
Come osa rivolgersi a me con quel tono??
“Bah!” esclamò infine, spostandosi verso una sezione del
muro.
Gabriel la ignorò e si voltò verso “Rei: Stai bene?”
Rei lo guardò, tra l’incuriosito ed
il piacevolmente sorpreso.
Dovrò abituarmi ad attenzioni di questo genere.
“Sì, grazie,” fu la risposta.
“Ehi, se non siete troppo occupati, potreste venire qui, voi maschietti?” chiese Asuka scontrosa. Shinji rispose
subito all’appello, ma l’altro Children esitò. Solo quando Rei fece un lieve
cenno d’assenso andò anche lui.
“Cosa c’è?” chiese il Third
Children. Con gesto teatrale la ragazza indicò una grossa ruota metallica
incastonata nel muro. “Shinji, Gabriel, maschietti, avanti,
olio di gomito. Aprite questa porta col sistema di apertura
manuale. Avanti, che aspettate?!”
Digrignando i denti nella sua mente, Shinji andò al meccanismo,
subito imitato dall’amico.
“Si ricorda che sono un maschio solo quando le fa comodo,” mormorò a denti stretti, ma l’amico non diede segno di
aver inteso, impegnato com’era nello sforzo di azionare il pesante portale.
Quando finalmente riuscirono ad
aprire un varco sufficientemente ampio, Asuka passò per prima, seguita dagli
altri, inoltrandosi nel cunicolo a mala pena illuminato da soffuse luci
rossastre che sprofondava nella crosta terrestre.
Scendevano ormai da quasi mezz’ora quando Asuka sbottò per
l’insofferenza: “Dannato black out, senza elettricità la strada per il
Geo-Front sembra infinita!”
“Mi domando a cosa sia dovuto, in
effetti,” Mormorò soprappensiero Shinji. “Anche in casi come questi dovrebbe
essere mantenuta una linea di comunicazione
d’emergenza per il Geo-Front.”
“Tutte, per l’esattezza,” disse
inaspettatamente Rei. Per tutto il viaggio era rimasta
in silenzio, lanciando ogni tanto delle occhiate verso Gabriel. In fondo per
lui era il primo attacco di un Angelo, era molto teso.
“Secondo il Manuale per le Emergenze, in caso di black out tutti i collegamenti
per il Geo-Front restano attivi grazie ai sistemi ausiliari. In questo caso
però non è successo, è molto strano.”
“Ha parlato l’enciclopedia vivente sugli attacchi degli Angeli!”
la apostrofò Asuka, ma lei non parve farci caso. Chi s’incupì fu invece
Gabriel, che affrettò il passo, superando la Second Children.
“Ehi!” protestò quest’ultima.
“Se davvero siamo sotto l’attacco di un Angelo dovremmo
affrettarci verso gli Evangelion, invece di perdere tempo in chiacchiere,” fu la glaciale risposta.
“Ma di che ti preoccupi?” chiese
Asuka, sprezzante. “Là fuori ci sono le forze delle Nazioni Unite che possono
tenere a bada qualunque bestione finché non arriva la cavalleria, ovvero noi. Succede sempre così, dal primo avvistamento abbiamo sempre
più di un’ora per prepararci. E poi se anche arrivassimo in fretta al
Geo-Front, vista la situazione gli Evangelion non
funzionerebbero, vanno ad elettricità.”
“Però il protocollo di sicurezza Beta 02 indica che, in
qualunque caso di emergenza, i Children devono recarsi
al Quartier Generale,” rispose Rei, senza nessun tono di voce particolare.
Diede comunque uno sguardo rassicurante a Gabriel, che
si calmò leggermente.
Asuka si limitò ad agitare la mano in aria con fare
noncurante e proseguì.
Ma chi si crede di essere?? Solo perché ha conquistato il cuore
del francesino si crede l’Imperatrice del Giappone??
Stupida!
Non passò molto tempo che ci fu di nuovo
occasione per discutere. Infatti il tunnel si
biforcava. Per alcuni lunghi istanti tutti rimasero in silenzio.
“A destra!” disse perentoria Asuka.
“A sinistra,” propose invece Rei,
contemporaneamente. La rossa la guardò incredula.
“A sinistra?? Ma lo vedi che è in
salita? Il Geo-Front si trova SOTTO la città, non sopra!”
“Nel Manuale per le Emergenze sono indicate anche le
piantine dei passaggi fino al Geo-Front, ed in questo caso la svolta da
prendere è a sinistra.”
“Senti, cara, non è che ricordi
male?” la apostrofò la rivale, profondendosi in gesti molto teatrali. “Nessun
Manuale per le Emergenze può cambiare la posizione del Geo-Front! Se è sotto, è SOTTO.”
Shinji si tenne saggiamente in disparte dal diverbio, ma non
così fece Gabriel.
“Asuka, rifletti!” sbottò. “Se Rei dice
di conoscere la planimetria di questo posto, è più probabile che arriviamo
seguendo le sue indicazioni che proseguendo alla cieca!”
La rossa lo guardò come se le avesse appena
detto di trovarla ripugnante. Rei cercò di lanciare
uno sguardo di avvertimento verso Gabriel ma non ci fu tempo.
“Ti ha proprio conquistato, vedo! Ma anche la super-Children Rei Ayanami può sbagliare, sai?! E questo è uno di quei casi!”
“E tu cosa ne sai?” Gabriel teneva
testa alla collega, senza distogliere lo sguardo da lei. Infatti
fu la Second Children a perdere la calma per prima.
“Lo so e basta! Cosa vuoi che ne
capisca QUELLA di planimetrie!” si girò verso la First Children ed il suo volto
si contrasse in una smorfia beffarda. “Quella bambola!”
Nessuno fiatò per un attimo. Poi Gabriel si riprese.
“Asuka,” disse, ed il tono era
quanto di più minaccioso avessero mai sentito, “se tu non fossi una ragazza ti
avrei già preso a pugni!”
La ragazza tornò a guardarlo, trionfante.
“Certo che sei proprio cotto, eh?” disse, ancora una volta
tornata sprezzante. “Mi ero sbagliata su di te. In fondo, anche tu sei solo un
Baka.” Indicò noncurante Shinji, che chinò il capo. “Proprio come lui.”
Ma Gabriel già da tempo,
rosso di rabbia, attendeva solo che lei smettesse di parlare a vanvera.
“La devi smettere, Asuka!! Hai capito?? LA DEVI
SMETTERE!! Cosa diavolo credi di ottenere agendo in
questo modo?? Vuoi essere al centro dell'attenzione?!
Vuoi essere adorata alla stregua di una dea?! Da quando sono arrivato in
Giappone sia a scuola, che durante i test, che a casa, non ti ho mai visto fare
altro!! Vuoi apparire forte, vuoi mostrare che non hai bisogno di nessuno!! Che sei l'unica, la sola, l’eccelsa Second Children Asuka
Soryu Langley!! Ma invece è tutto l'opposto!! Ti do un
consiglio da amico, Asuka: piantala prima che i
riflettori del tuo palcoscenico ti accechino e ti impediscano di vedere cosa
realmente è importante!! Come l'amore di colui che
chiami Baka ma da cui vai a rifugiarti quando ti vanno storte le cose!!” Con un
gesto stizzito della mano indicò il Third Children che sussultò.
GABRIEL!! COME HAI POTUTO DIRGLIELO??
“Se nessuno qui ha il coraggio di aprire gli occhi a
Sua Magnificenza Asuka,” proseguì Gabriel, ignorando
lo sguardo di terrore di Shinji, quello allarmato di Rei e quello attonito della
sua interlocutrice, “allora lo farò io! Mi hai dato fin dall'inizio
l'impressione di una che si nasconde dietro la facciata di una Prima Donna
elevandosi ad un rango superiore che le consenta di tenere alla larga chi cerca
di avvicinarsi spontaneamente! Hai paura, ecco qual’è
la verità!! Hai paura degli altri! Hai paura che possano ferirti! Tu hai paura
di mostrare i tuoi sentimenti considerandoli come debolezza anziché come forza!
Piantala prima che sia troppo tardi e tu rimanga
davvero sola!”
Lo schiaffo con cui Asuka zittì Gabriel riecheggiò
nel tunnel deserto. Nessuno avrebbe potuto dire cosa si alternava sul volto
della ragazza: rabbia, furia, dolore, tristezza, amarezza… Il risultato era
un’espressione terribile, che non ammetteva repliche.
Il Fourth Children rimase immobile, tranne un breve
cenno per chiedere a Rei di non avvicinarsi. Lentamente riportò gli occhi sulla
rossa. Sulla guancia cominciava a delinearsi una
grossa zona scarlatta.
“...visto che sai che ho ragione, ora puoi solo
ferire e scappare. Ma intanto pensa bene a quello che
ho detto, Asuka. E spegni quei riflettori ora che sei ancora in tempo.”
Senza una parola in più, la ragazza si voltò e si incamminò lungo il tunnel di destra. Rei, a malapena
rassicurata da uno sguardo di Gabriel, la seguì, mentre quest’ultimo tratteneva
Shinji per un braccio.
“Perdonami, ma è bene che abbia saputo la verità. Per
il suo bene è meglio che certe cose le capisca ora.”
Il Third Children non rispose, ma non appena quello
che aveva iniziato a considerare il suo migliore amico ebbe lasciato la presa
imboccò il tunnel di destra, presto imitato dall’ultimo Children.
Come hai potuto… Come hai potuto dirglielo, Gabriel?
Sono tutti degli stupidi… Tutti stupidi. Nessuno mi conosce
davvero. Non aveva nessun diritto di dire qualcosasu di me. Stupido…
Dopo un’altra mezz’ora giunsero
finalmente ad un boccaporto, dall’evidente apertura manuale. Baldanzosa, con
un’aria trionfante appena mitigata dagli ultimi avvenimenti, Asuka vi si pose
davanti.
“Bene, eccoci al Geo-Front,”
annunciò baldanzosa. “Shinji, apri questa porta.”
Beh, almeno mi considera tanto stupido come
prima, non di più…
Ma Gabriel fermò con un
gesto il Third Children, che già si stava recando a ciò che credeva essere il
suo dovere.
“Aprila da sola,” ordinò
perentorio il pianista, sostenendo lo sguardo indignato di Asuka. Dopo un
attimo lei si volse, furiosa e prese a girare con
forza la ruota del portellone. Quando lo aprì, però,
tutti videro che non dava sul Geo-Front.
Si apriva invece su una strada deserta della città di
superficie. Nulla si muoveva. Nulla faceva rumore. Nemmeno le onnipresenti
cicale.
L’espressione di frustrazione sul volto di Asuka però durò poco. Una grossa forma nera si parò
davanti al paesaggio, una specie di poliedro regolare che oscurò la luce. Vari
occhi azzurri, inscritti in triangoli guardavano in molte direzioni. Uno di essi fissò uno sguardo all’apparenza cieco dentro il
condotto, ma Asuka chiuse di scatto il portellone. Con il cuore in gola i ragazzi attesero. Pesanti schianti annunciarono che
l’essere si stava spostando, ed in breve tornò il silenzio.
“Quello… cos…” balbettò Gabriel, impallidito.
“Angelo avvistato,” annunciò
Asuka, non senza una punta di superiorità nella voce. “Muoviamoci.”
Passò a testa altra fra gli altri Children, tornando
sui suoi passi, ma gli altri non si mossero. Gabriel aveva ancora lo sguardo
fisso sul portellone.
“Quelli sono… Angeli?”
“Sono nostri nemici.” Ancora una
volta Rei parlò inaspettatamente, ed altrettanto inaspettatamente il suo
tono era tranquillizzante. “E’ per questo che saliamo sugli
Evangelion.”
In lontananza si udì Asuka sbuffare, ma Gabriel non
le badò. Annuì a Rei, le prese la mano e proseguirono. Shinji fu l’ultimo a
lasciare il portellone.
Già, è per quello che saliamo sugli Evangelion…
Finalmente raggiunsero il Geo-Front, ed erano già
stanchissimi. Il tunnel che avevano imboccato (quello a sinistra, all’altezza
del primo bivio) si affacciava su uno dei nastri trasportatori che
raggiungevano il parcheggio della Nerv. A differenza del solito, il Geo-Front
era illuminato unicamente dalle fessure nella pavimentazione della città
sovrastante, il che voleva dire che, se non si fosse riparato
il guasto che aveva provocato il black out prima di sera, la grande cavità
sarebbe stata immersa nel buio più profondo.
I quattro ragazzi procedevano silenziosi ed inquieti.
Non riuscivano ad immaginare come avrebbero affrontato l’Angelo senza poter
utilizzare l’energia di cui si alimentavano gli Evangelion. E
a peggiorare la situazione c’era la questione lasciata in sospeso dalla
litigata precedente.
Asuka camminava davanti a tutti, livida in volto,
continuando a rimuginare la propria rabbia contro Gabriel, che nel frattempo
cercava di immaginarsi cosa sarebbe successo una volta raggiunta la base. Rei,
invece, era poco propensa ad immaginarsi una battaglia contro l’Angelo, e
continuava a riportarsi alla mente come Gabriel l’aveva difesa. E Shinji non poteva fare a meno di pensare ad Asuka.
E’ per quello che saliamo sugli Evangelion.
Anche tu, Asuka, sali sull’Eva per quel motivo? Oppure aveva
ragione Gabriel, nel dire che tutto quello che vuoi è
farti notare, farti apprezzare, farti adorare?
Che ironia: non hai bisogno di fare nulla di particolare per
avere quelle tre cose da me, nonostante per te io non
sia che un Baka.
Come non hai avuto remore a ribadire,
d’altronde.
E come ha potuto Gabriel svelarti ciò che non ho mai avuto il coraggio di dirti??
Però…
Forse aveva ragione. Era meglio che tu lo sapessi. Non perché spero che così facendo smetterai di considerarmi un Baka.
Non aspiro a tanto. Però, magari, saperlo ti può
aiutare a sentirti notata, apprezzata, adorata.
Sì… In fondo è questo il massimo cui posso aspirare io.
Giunti nell’ombroso parcheggio della Nerv, deserto,
scoprirono che anche lì il tesserino non funzionava per aprire le porte, anche
se Asuka stavolta si guardò bene dall’imporsi. Tuttavia
dovevano entrare in qualche modo. Fu Rei a trovare una
soluzione.
“I condotti dell’aria,”
propose mentre Asuka camminava avanti e indietro fingendo di pensare a come
fare. Quando ebbe ottenuto l’attenzione che le
serviva, la First Children indicò una grata posta a due metri d’altezza, sotto
alcune provvidenziali casse di prodotti per la pulizia del parcheggio.
“Questi condotti portano l’aria in tutti i locali
della base,” spiegò. “Possiamo usarli per strisciare
fino alla sala comando, dove ci verranno date le
istruzioni del caso.”
“Beh, sì,” argomentò Asuka,
tagliente, “e suppongo che tu conosca anche la planimetria del Quartier
Generale per sapere quale condotto imboccare, vero?”
“Sì,” fu la risposta, alla
quale la Second Children la guardò attonita. Vedendo lo stupore da parte dei
suoi colleghi, Rei spiegò: “Io sono qui da molto tempo prima
di tutti voi. Ho passato molto tempo a studiare la mappa della base, per ogni
evenienza.”
Gabriel sorrise: “A quanto
pare finalmente tanta fatica è stata premiata.” Senza aspettare le eventuali
proteste di Asuka, salì sulle casse, riuscendo ad
aprire senza difficoltà la grata, a malapena tenuta su da viti allentate. Poi
tese una mano verso Rei.
“Dovrai guidarci tu. L’interno sembra
blandamente illuminato, non dovresti avere problemi. Per ogni cosa, io
sarò subito dietro di te.”
Dopo un attimo di riflessione, Rei
gli concesse un raro, timido sorriso, e prese la sua mano per salire sulle
casse. Facendosi aiutare, entrò nel cunicolo.
“Tutto bene?” chiese il Fourth Children.
“Sì,” fu la risposta, appena
distorta dall’ambiente ristretto. “Seguitemi pure. Non rimanete indietro.”
Subito Gabriel si infilò nel
condotto. Shinji invece esitò, ed istintivamente guardò Asuka.
Lei sbuffò, evidentemente risentita, e salì sulle
casse per entrare nel condotto d’aerazione. Il ragazzo invece rimase per un
attimo da solo.
Come sei orgogliosa, Asuka. Anche in una situazione critica
come questa vuoi averla vinta tu. Come quando parli
con me.
Però non tutti sono come me. Spero che quanto successo oggi possa aiutarti a capirlo.
“Shinji, muoviti!” gridò Asuka dal tunnel. Il Third
Children si riscosse e si affrettò ad entrare a sua volta.
Nell’ascensore intanto, Misato, come tutta labase, non ci aveva messo molto a capire che
di fronte ad un malfunzionamento contemporaneo di tutti e tre i sistemi
d’alimentazione, Principale, Ausiliario e di Sicurezza ,
ci si doveva necessariamente trovare di fronte ad un sabotaggio.
“Niente da fare, non va! Dannazione…” imprecò la donna riponendo il telefono di emergenza. Anche la linea era interrotta.
“Il cellulare è fuori uso…” le fece eco Satoshi.
L’unico tranquillo e sorridente era proprio Kaji, nonostante
la donna avesse poco prima parlato di sabotaggio.
“A quanto pare credo proprio che
dovremo passare un po’ di tempo insieme…”
A quelle parole l’Ufficiale si ritirò imbronciata sul lato
opposto dell’ascensore a quello dove si trovava il suo ex appoggiandosi contro
la parete di fianco al suo sottoposto, il quale se ne restava in silenzio
alternando lo sguardo tra i due.
“Disgraziatamente si…”furiosa incrociò le braccia sul petto.
Stramaledettissimo idiota!!! Ma
che diavolo ti è saltato in mente di dire?! Davanti a Satoshi!! Adesso chissà
cosa penserà di me! E tutto per colpa tua maledetto
bastardo imbecille!!
“Dai, Katsuragi…” riprese l’uomo come se quello che ormai
aveva definitivamente classificato come un potenziale rivale non ci fosse “…per
cosa te la sei presa adesso?”
“NON SONO AFFARI TUOI!”
“Oh, beh, sarà un’ottima occasione per ricordare i bei
tempi…”
“Quali bei tempi, Kaji?” domando a denti stretti
rivolgendogli un’occhiataccia furente “…che io ricordi non c’è stato nessun bel
tempo tra noi…”
“Ah no?” L’uomo bruno sorrise malizioso
e le si avvicinò di un paio di passi. “ Hai dimenticato anche quello,
Katsuragi? Quella settimana… “
COSA?? NON OSERA’ DIRLO!!
Misato avvampò violentemente e scattò in avanti tremando di
rabbia.
“KAJI!! IO NON TI PERMETTO DI FARE RIFERIMENTI A QUANTO E’
ACCADUTO!!”
“Ora basta!!”
Entrambi si voltarono in direzione
di Satoshi, ma quest’ultimo aveva preso ad avanzare frapponendosi tra la donna
e l’altro fissando quest’ultimo con ira. “Allora,ha sentito o no quello che le ha detto? Ci dia un taglio!”
L’espressione di sorpresa sul volto di Kaji si mutò in un
sorrisetto divertito di sufficienza quindi ignorando ancora una volta il franco
nipponico tornò a guardare la donna.
“ Oooh… “ cominciò arretrando appena e incrociando le
braccia sul petto “…e così adesso hai anche il
Principe Azzurro che ti difende? Eppure non sei mai stata il tipo…” Il volto
dell’uomo si rabbuiò per un istante prima di
riprendere quella sua classica espressione da schiaffi dissimulando
perfettamente la gelosia che lo corrodeva . “…Mi domando se ti protegge per ringraziarti per quello che gli hai dato o per
quellA che gli darai…”
Non ebbe neanche il tempo di realizzare. Un dritto in pieno voltò lo mandò a sbattere contro la parete
di fronte.
“Allora, bellimbusto, ne hai abbastanza?!” Satoshi era fuori
di se.
Kaji, si massaggiò la mascella con noncuranza guardandosi
attorno e mugugnando come se cercasse delle parole. Sia Misato, che era rimasta
a guardare stupita, che il suo sottoposto restarono in
attesa delle parole dell’altro il quale annuì ridacchiando e muovendo qualche
passo verso di loro con fare indecifrabile.
“Beh…si…” cominciò e Satoshi abbassò la guardia.
L’uomo col codino guardò la faccia impassibile del biondo ed
il suo pugno destro ora abbassato, poi la donna dietro di lui che li osservava
alternativamente, poi le porte chiuse dell’ascensore, il telefono di emergenza… Uno scatto rapidissimo e Satoshi si ritrovò
steso a terra dopo essere stato caricato a testa bassa da un Kaji furioso. Una volta rovesciato sulla schiena l’Agente Iwanaka, forte
dei suoi addestramenti e della posizione sbilanciata dell’altro, nebloccò fulmineo la gamba destraall’altezza del ginocchio utilizzando le
proprie come tenaglia e tirando con forza verso il basso costringendolo a sua
volta al suolo. Tra i due iniziò subito una colluttazione feroce durante la
quale a nulla valsero le intimazioni di Misato che non potè fare atro che
ritirarsi nell’angolo più lontano dello spazio angusto per evitare di prendersi
qualche colpo involontario.
“PIANTATELA!! VI HA DATO DI VOLTA IL CERVELLO??”
Non importa quanto forte aveva gridato, nessuno dei due
uomini l’aveva sentita impegnati com’erano a
ringhiarsi contro.
Essendo caduto sul suo avversario, Kaji era in una posizione
di vantaggio e ben tre colpi andarono a segno: uno sull’occhio destro, uno in
pieno zigomo sinistro e l’altro sotto al mento. Stava
per tirargliene un altro, ma fu costretto a boccheggiare quando si ritrovò un
uppercut nello stomaco e subito dopo in rapida successione un dritto sul naso dal quale iniziarono a cadere varie gocce di
sangue. L’uomo bruno restò per qualche istante stordito e lo rimase ancora di
più quando la situazione si rovesciò a suo svantaggio e si ritrovò una scarica
di pugni sul volto dei quali se buona parte era riuscita ad evitarli nonostante
lo spazio stretto che limitava estremamente i
movimenti, tre o quattro erano dolorosamente andati a segno. Satoshi sembrava
deciso a far valere ogni singola nota del suo curriculum.
Misato senza più remore si lanciò ad intervenire e afferrato
il suo sottoposto per le spalle prese a tirarlo via con forza.
“SATOSHI! SATOSHI, BASTA!”
Ansimando per la lotta e per il caldo
ormai insopportabile, l’Agente si tirò susenza guardare nessuno dei due, né la donna né l’altro che si stava
ritirando carponi nell’angolo opposto. Con la lingua si tastò
accuratamente la dentatura e lo stesso fece il suo rivale. Almeno quella era a
posto per entrambi, ma non si poteva dire lo stesso dei loro volti. Satoshi si
sarebbe ritrovato ben presto l’occhio colpito e lo zigomo totalmente pesti. A
Kaji era andata anche peggio: il setto nasale doveva aver qualche lesione
interna e il labbro inferiore era spaccato sul lato sinistro. Prima che
potessero aprire bocca anche solo per fiatare, la donna tirò al primo un
ceffone cogliendolo sulla guancia destra e al secondo
un pugno nel fianco sinistro.
“BENE! SARETE CONTENTI ADESSO!”
I due restarono in silenzio a sguardo chino.
L’Ufficiale li squadrò arrabbiata, poi si
ritirò nell’angolo di fronte al suo sottoposto.
Stupidi…
Per un breve istante alzò nuovamente lo
sguardo sull’uomo biondo non si sa se con più rabbia o amarezza, quindi
prese a guardare il suolo a sua volta.
Stupido…
Stavano strisciando da più di mezz’ora in quegli
stretti cunicoli, seguendo Rei che sceglieva sempre a colpo sicuro le
deviazioni da prendere, quando Asuka decise di dare sfogo alla sua
frustrazione. Guardò dietro di sé. Shinji teneva lo sguardo chino in basso, in
modo da vederle i piedi per non perdersi, ma niente di più. Probabilmente
sapeva che se avesse anche solo provato a guardarle
sotto la gonna avrebbe fatto una gran brutta fine.
“Shinji, non alzare gli occhi, oppure guai a te!”
sbraitò.
“D’accordo,” fu la risposta
del ragazzo, ma per darla dovette sollevare gli occhi per cercare quelli di
lei. La ragazza non attendeva altro. Aveva abbassato per bene il bacino, in
modo che non potesse vedere nulla di inadatto anche
volendolo, però si arrabbiò lo stesso. Gli tirò un forte calcio sulla fronte.
“STUPIDO, TI AVEVO DETTO DI NON GUARDARE!” gridò,
furente.
“Non ho visto… AHIA!! NULLA!” cercò di difendersi
Shinji, ma non servì a nulla.
“Attenti!” avvertì Gabriel, ma non ci fu verso. Con
un sonoro schianto la parte inferiore del condotto andò in pezzi ed i due
litiganti caddero nel vuoto.
“Senpai,” mormorò Maya
tergendosi il sudore dalla fronte. “Non ha sentito un rumore anche lei?”
Il soffitto della sala comando crollò, e nella stanza
illuminata dalle candele piovvero un ragazzo e una ragazza in uniforme
scolastica; poco dietro di loro cadde in piedi un altro ragazzo. Il tempo di
puntellarsi sulle gambe e una seconda ragazza piovve dal condotto dell’aria
squarciato, finendogli proprio in braccio. Non ci volle molto a capire chi
erano.
“Che fortuna! Sono arrivati i Children!” esultò Maya.
Che bel numero da circo. Ma… un
momento… L’HA PRESA IN BRACCIO?? REI SI E’ FATTA
PRENDERE IN BRACCIO??
Eppure non c’è dubbio, sono proprio loro, Gabriel
e Rei!
D’accordo, risolta questa crisi mi dovrò
far dare un po’ di spiegazioni…
Gabriel depositò a terra Rei,
ed Asuka si alzò dolorante.
“Ahia… Shinji, ti avevo detto di non alzare lo
sguardo!”
“Non l’avrei fatto se non mi avessi
parlato proprio in quel momento!” protestò l’interpellato, alzandosi
dolorosamente in piedi e pronto a sostenere la sua posizione.
“Hm hm.” Con un colpetto di tosse Ritsuko richiamò
l’attenzione dei ragazzi, che si zittirono all’istante. “Bene. Benarrivati. Non so se lo sapete, ma un Angelo
ha attaccato proprio durante questo black out, per cui
la situazione è critica. In questo momento sta utilizzando una sorta di liquido
corrosivo per penetrare all’interno del Geo-Front, nel settore J-77. Non c’è
tempo da perdere. Dovete subito recarvi negli spogliatoi ed indossare le plug
suite.” Il tono non ammetteva repliche, ma Asuka,
ancora inviperita per tutto quello che quella giornata le era
andato storto, osò sfidarlo.
“Ma… E gli Eva?”
“Stiamo provvedendo all’inserimento dell’entry plug
manualmente,” disse la Dottoressa, ed indicò un punto
lontano nel buio. Là, illuminati da alcuni fari alogeni, nonostante il caldo
asfissiante, alcuni uomini stavano tirando delle funi attorno allo 01. A Shinji
balzò il cuore nel petto nel notare suo padre, affaticato, lavorare a fianco
dei suoi sottoposti. Sembrava non essersi accorto del loro arrivo.
“Stanno lavorando da quando abbiamo saputo
dell’intrusione dell’Angelo. Per questa missione gli Eva
saranno dotati di motori diesel, che forniranno l’energia necessaria al loro
movimento per almeno dodici ore. Anche se confido che non
sarà necessario tutto questo tempo per completare la missione. Ora
andate ad indossare le plug suite, al vostro ritorno vi fornirò le specifiche
della strategia.”
Presi in contropiede dall’autorità di Ritsuko, i
quattro Children annuirono ed uscirono rapidamente dalla sala comando,
scavalcando i detriti del condotto d’aerazione. Quando
se ne furono andati, Ritsuko sbuffò, un po’ per il caldo e un po’ per
l’esasperazione.
“E tutto il lavoro di coordinamento devo farlo da sola. Ma dove si sarà
cacciata Misato??”
Shinji e Gabriel indossarono
le rispettive plug suite in silenzio. Il ragazzo francese temeva che l’altro
gli fosse ancora ostile per quanto detto ad Asuka, ma ora era altro ciò che gli
premeva.
Rei… Ora che ho visto che cosa devi affrontare… ho
paura…
Quando furono pronti
esitarono un attimo sulla soglia. Alla fine fu Shinji a prendere la parola.
“Gabriel…” cominciò, indeciso su quali parole usare.
“Per quello che è successo prima, volevo dirti che non importa.
Forse hai davvero avuto ragione a dirglielo.”
“Grazie, Shinji.” Il Fourth Children si sentiva più
rilassato nel sentirgli dire quelle parole. Erano importanti per lui. “Buona
fortuna per la missione.”
“Anche a te, Gabriel.”
L’interpellato si incupì.
“Ricordi? Io sono il Pilota di riserva. Non sarò lassù a rischiare la vita.”
“Ah… Avevo dimenticato,”
replicò il Third Children. Aveva intuito perché l’amico si trovava in quello
stato d’animo. “Allora, andiamo?”
“Vai avanti, arrivo fra poco. Non sia mai che
facciamo aspettare troppo la Dottoressa Akagi,”
Gabriel abbozzò un sorriso poco convinto, ma l’altro capì perfettamente che
voleva restare solo. Con un ultimo cenno di saluto se ne andò.
Dopo un attimo uscirono dallo spogliatoio femminile le due ragazze.
Era la seconda volta che vedeva Rei in plug suite.
L’altra volta era stupito. Ora era spaventato.
Asuka proseguì per la sua strada senza degnarlo
nemmeno di uno sguardo, ma questo era proprio ciò di cui lui aveva bisogno. Nemmeno
la First Children lo guardava, ma teneva gli occhi bassi, quasi che avesse paura di incontrare i suoi. Senza dire una parola,
Gabriel si diresse verso di lei, le passò alle spalle e la abbracciò
teneramente alla vita. Percepì una lieve tensione nelle membra
di lei, ma subito svanì.
“Non salire sull’Eva…” le sussurrò all’orecchio lui,
gli occhi chiusi. Nel suo tono di voce si sentiva tutta la dolcezza, la
malinconia e la preoccupazione che aveva covato da quando aveva visto l’Angelo.
Le mani della ragazza coprirono le sue, intrecciando
le dita, e sospirò.
“Devo farlo,” rispose,
muovendo appena le labbra.
“Io non voglio perderti.”
Rei si districò
dall’abbraccio e si volse, guardandolo negli occhi. Gli specchi cremisi della
ragazza erano umidi di lacrime.
“Devo salire sull’Eva. E’ il mio dovere.”
“Lascia salire me. Io sono
il Pilota di riserva, è anche mio dovere salire sull’Evangelion! Ed è mio dovere proteggerti… Rei…”
Pronunciò il suo nome quasi come una preghiera,
guardandola negli occhi. Poi posò le mani sui suoi avambracci e la trasse
dolcemente a sé. Le loro labbra si incontrarono come
se fosse la cosa più naturale del mondo.
Quando si allontanarono il volto di Gabriel era rigato di lacrime silenziose. Rei sollevò
una mano ad asciugargli una guancia, raccogliendo alcune gocce sulle dita.
“Perdonami, ma devo farlo,”
sussurrò, la voce rotta.
Era la prima volta che la ragazza piangeva.
Il pianista le asciugò a sua volta le lacrime e
trasse a sé con dolcezza, ancora una volta, in un bacio che scacciò via quel
pianto mentre lei lo abbracciava forte aggrappandosi alle sue spalle laddove
non erano coperte dalle placche protettive della plug suite, come a voler
ricercare il suo calore.
Quando la voce della
Dottoressa Akagi li richiamò con veemenza, si staccarono voltandosi verso
l’uscita degli spogliatoi.
“Gabriel, Rei, vi decidete a darvi una mossa?!”
I due ragazzi si guardarono, confusi. Poi Gabriel
chinò il capo, le prese la mano nella sua ed uscirono insieme. Se non fosse stata una situazione d’emergenza, la Dottoressa
Ritsuko Akagi sarebbe svenuta.
Capitolo 10 *** Black Out alla Nerv (Parte II) ***
CAPITOLO 9
CAPITOLO 9
Black Out
alla Nerv (Parte II)
(Attenzione: in questo
capitolo verranno riprese molto fedelmente delle scene
tratte da alcuni episodi di Evangelion, con gli scopi
già anticipati nella prefazione.)
“Co…Ehm…”
furono le uniche cose che Ritsuko riuscì a dire nel vedere i due Children mano
nella mano.
Allora c’è DAVVERO qualcosa che non so!! Oppure il caldo
mi ha dato alla testa. Ecco, sì, questa è la spiegazione più logica…
Dopo un ultimo sguardo, Gabriel lasciò la mano di Rei e fece
un passo avanti, lo sguardo deciso. “Dottoressa Akagi, faccia salire me sullo
00.”
La proposta colse l’interpellata del tutto di sorpresa.
Guardò Rei come a volersi sincerare di aver sentito bene, ma lei invece chinò
il capo, rassegnata.
E’ inutile… Gabriel…
Tu non sai. E non devi sapere.
“Mi faccia salire sullo 00, la prego,” ripeté Gabriel,
inflessibile. Ritsuko lo guardò: era tornata padrona di se stessa.
“Tu sei il Pilota designato per l’Unità 03, da considerare
Pilota di riserva fino all’arrivo della suddetta Unità,” scandì, come se stesse
leggendo. “Le disposizioni sono che dovrai salire su uno degli altri Eva in
caso di impossibilità dei Piloti designato.” Tornò a voltarsi verso Rei. “Non
ti senti bene, Rei?”
Rei esitò prima di rispondere, e il ragazzo la anticipò:
“Non importa, faccia salire lo stesso me sullo 00.”
“Il tuo spirito di sacrificio è ammirevole,” rispose Ritsuko,
“ma non è sufficiente a piegare il regolamento. Rei è il Pilota designato per
lo 00, e finché sarà operativa lo piloterà lei.”
OPERATIVA?? Non si tratta di una macchina!
“Comprendo,” si affrettò ad aggiungere la donna,
interrompendo sul nascere la protesta del giovane, “comprendo… o almeno credo
di comprendere… le motivazioni per questa tua scelta. Ma, credimi se ti dico
che ciò è del tutto inattuabile.”
“Perché??” chiese Gabriel, esasperato. Stava stringendo i
pugni, e tremava tutto. “Anche Rei lo ha detto prima, ma perché deve per forza
essere così!”
Gabriel… Come posso spiegartelo? Non capiresti. Nessuno
può capire. Anche io a volte stento ad accettare la verità, eppure è proprio
così. Ma tu non puoi, non devi sapere che Rei…
“E’ necessaria la ricalibratura del coefficiente individuale
della sincronia con l’apparato senso-motorio del Nervo A10, Gabriel,” mentì
Ritsuko. Sperava che un po’ di terminologia tecnica, anche se totalmente
inventata, fosse sufficiente a placare il Children. “E’ un procedimento lungo e
complesso, che non possiamo fare in queste condizioni.”
Ma lui non sembrava volersi dare per vinto. “Io dovrei
salire sull’Eva in una situazione d’emergenza, e questa è una situazione d’emergenza!
Non so cosa sia il procedimento che ha appena nominato, ma non mi pare che sia
servito nulla di così complesso quando Shinji salì sull’Evangelion la prima
volta, al posto di Rei.”
Dannazione, ha letto davvero il resoconto delle
operazioni precedenti…
Questa volta fu la First Children a salvare la situazione,
dato che la Dottoressa aveva finito le frecce al proprio arco. La ragazza si
fece avanti e toccò un braccio di Gabriel, che si voltò a guardarla. Gli occhi
di entrambi erano colmi di dolore.
“Gabriel…” esordì Rei. “Mi dispiace tanto, ma non possiamo
fare altrimenti. Quella volta, l’attacco del terzo Angelo… Ero io il Pilota di
riserva. Una volta arrivato Ikari è stato lui a dover salire sullo 01,
addirittura senza preparazione, senza aver mai saputo cos’era un Evangelion.”
Il Fourth Children la guardò e il suo volto si indurì per la
rabbia e la disperazione: “Rei, quando tu e Shinji avete combattuto il quinto
Angelo sei quasi morta! E lo stesso è successo con il test di attivazione dello
00! Come puoi dire di dover salire sull’Evangelion quando per due volte sei
stata in fin di vita??”
“Gabriel!” lo chiamò Rei, con tono disperato. Ritsuko non
l’aveva mai sentita esprimere dei sentimenti in tal modo.
E va bene.
“Andrete entrambi.”
I due ragazzi la guardarono, le emozioni di poco prima
sostituite dallo stupore.
“Salirete entrambi sullo 00,” sancì Ritsuko, il volto
impassibile. “Abbiamo già visto che è possibile con Asuka e Shinji, quindi
potrete farlo anche voi. Non accetterò discussioni in merito.”
Il pianista stava per dire qualcosa, ma invece si rilassò e
rispose: “Sì, Dottoressa.”
Senza altre parole, prese per mano Rei e si diressero verso
la sala comando. Dopo pochi passi però lui si fermò. “Dottoressa, come è stato
possibile per Asuka e Shinji salire sullo stesso Evangelion e pilotarlo insieme
senza effettuare la ricalibratura del profilo individuale… insomma, quello che
ha detto prima?”
Ehm… In effetti ha ragione…
“Sono questioni complesse che non ho tempo di spiegarti,”
tagliò corto Ritsuko, sudando freddo. “E poi lo 02 è un altro modello, non
necessita di quell’operazione.”
Dopo un ultimo attimo di esitazione, Gabriel sembrò convinto
e proseguì insieme a Rei. La Dottoressa guardò le loro mani, strette l’una
nell’altra, prima di avviarsi a sua volta.
Per questo il Comandante Ikari vorrà la mia testa…Quando
l’attacco dell’Angelo sarà scongiurato dovrò parlargliene. Non posso fare
altrimenti.
Asuka e Shinji avevano ormai già preso posto nelle
loro entry plug, ancora aperte per permettere loro di udire le istruzioni per
la missione. La Second Children si impose di non pensare a quanto era accaduto
prima.
Stupidaggini! Solo stupidaggini! Nessuno, nessuno può
permettersi di giudicarmi! Vi mostrerò quello che valgo!
Gendo Ikari aveva già cominciato ad impartire
disposizioni dal megafono, illustrando il piano elaborato, quandoarrivarono Gabriel e Rei. Subito la
ragazza tolse la mano da quella di lui, rispondendo al suo guardo stupito con
un cenno di diniego del capo.
Per ora è meglio che lui non ci veda così…
Perché, Rei? Cosa nasconde questo tuo gesto? E’ per non
farti vedere da Asuka e Shinji? Eppure mi hai abbracciato davanti a tutta la
classe. O forse… per il Comandante…?
“Finalmente siete arrivati!” La voce amplificata di
Gendo strappando il Fourth Children dalle sue elucubrazioni. Poi, senza
attendere risposta, continuò. “Rei, prendi subito posto nello 00, siamo già in
ritardo. Gabriel, resta a disposizione.”
Il ragazzo fece per protestare ma Ritsuko si fece avanti,
mettendo le mani a portavoce per farsi udire.
Ora mi licenzia, ora mi licenzia!!
“Comandante, ho disposto che la First ed il Fourth
Children salgano entrambi a bordo dello 00… per amplificarne la portata
offensiva.”
Shinji ed Asuka sentirono tutto ed entrambi
lasciarono da parte i rispettivi crucci.
Amplificare la portata offensiva? Sarà quello che è successo
con me ed Asuka contro il sesto Angelo? Strano, però, non se n’è mai parlato…
Amplificare la portata offensiva?? Ma che storia è questa?? Non
funziona così!!
Da quella distanza era impossibile dirlo con
certezza, ma sembrava che il Comandante non fosse particolarmente felice di
essere stato scavalcato, oppure fosse solo immensamente sorpreso. Qualunque
fosse la sua espressione, tornò rapidamente alla precedente concentrazione.
“Molto bene,” disse infine, celando a fatica la
collera. “Salite.”
Rei entrò con disinvoltura nell’entry plug e rimase
al portello, per ascoltare Gendo e lo stesso fece, dopo un attimo di
esitazione, Gabriel. In silenzio, attesero la fine del briefing e l’inizio
dell’operazione.
Pochi minuti dopo, i tre Evangelion, mossi dai motori
diesel d’emergenza, strisciavano di nuovo in un cunicolo, di dimensioni
adeguate.
“Un’altra situazione imbarazzante!” sbottò Asuka
attraverso la radio. Non essendoci il contatto con la base, era stato ordinato
ai Children di mantenere costantemente attivo il collegamento fra di loro.
“Ehi Shinji, stavolta puoi anche alzare gli occhi,” continuò
la ragazza, maliziosa. Non aveva ancora sfogato del tutto la sua frustrazione.
“Asuka, per favore,” rispose Shinji, esasperato.
“Almeno durante la missione smettila di…”
… Fare la bambina. Perché è questo che stai facendo, Asuka.
Gabriel aveva ragione.
“… prendermi in giro.”
Asuka sbuffò. “Scheisse.”
Finalmente raggiunsero la fine del condotto, che dava
sul pozzo di risalita da cui stava cercando di entrare l’Angelo. Un fiotto di
liquido viscoso arancione colava dall’alto.
“Attenzione, è l’acido di cui parlava la Dottoressa
Akagi,” avvisò Rei. La Second Children però sogghignò.
“Facile,” sentenziò. Poi con la mano destra impugnò
l’unico Pallet Gun che erano riusciti a recuperare,
mentre con la sinistra afferrò il bordo del condotto.
“Asuka, che fai!” sbottò Gabriel attraverso la radio.
“Ferma! Dobbiamo elaborare una strategia!” esclamò
Shinji.
Ma la rossa non badò loro. Disse qualcosa in tedesco,
poi si sporse dall’apertura, puntando il Pallet Gun
verso l’alto. In un attimo però il flusso di acido ebbe un guizzo. Gridando,
Asuka ritrasse il braccio, coperto di acido all’altezza dello spuntone sulla
spalla, ma aveva lasciato cadere la loro unica arma. Un sonoro -clang-
confermò, dopo pochi secondi, questa semplice, ineluttabile verità.
“Asuka! Stai bene??” chiese Shinji, in preda al
panico.
“Sì, sì, non è nulla,” rispose l’interpellata,
stringendo un occhio per il dolore. “Piuttosto, controlla che non ci siano
danni al motore di riserva.”
Lo 01 si mosse, scrutando i danni sulla corazza dello
02.
“Sembra che sia tutto a posto qui,” fu il responso.
Nel suo abitacolo, Asuka tirò un sospiro di sollievo.
Almeno non sarebbe esplosa lì a causa di una stupida goccia di acido. Subito
però la relativa quiete fu infranta.
“SEI CONTENTA ADESSO??” sbottò Gabriel attraverso il
piccolo monitor olografico dell’entry plug. A nulla valse il lieve richiamo di
Rei, il Fourth Children si era imposto ed ora occupava l’intera schermata. “Hai
appena lasciato cadere la nostra UNICA possibilità concreta di battere
l’Angelo!”
“Per intanto sono l’unica che abbia cercato di fare
qualcosa!!” rimbrottò la Second Children. “Voi cosa stavate facendo?? Eh??”
“AVREMMO DOVUTO STUDIARE UN PIANO D’AZIONE TUTTI
INSIEME!!”
“ME NE INFISCHIO DEI PIANI D’AZIONE!!”
“ORA BASTA!!”
Gabriel ed Asuka si zittirono all’istante. Shinji era
livido, con un’espressione di collera che nessuno aveva mai visto. “Asuka, hai
sbagliato a fare di testa tua. Gabriel, lei sa benissimo di aver sbagliato,
senza doverglielo rinfacciare. Ora. Dobbiamo elaborare una strategia per
sconfiggere l’Angelo. Idee?”
Accidenti, accidenti!! Tutto per metterti in mostra, vero
Asuka?? E se prima le nostre possibilità di vittoria erano dieci ora sono una!
Perché?? Perché devi sempre primeggiare in questo dannatissimo modo??
Nessuno parlò. Asuka sembrava paralizzata,
un’espressione di leggero disgusto sul volto.
Ma chi si crede di essere quell’idiota per urlare così?? E’
solo un Baka, non è il capo di questa operazione, dannazione!! Ed il cocco della
First non perde occasione per gongolare dei miei errori!! Che vadano al
diavolo… Che vadano tutti al diavolo…
Nell’entry plug dello 00, Rei guardava preoccupata
Gabriel. Il rimorso era evidente nei suoi occhi.
Shinji ha ragione… Shinji ha davvero ragione. Però Asuka
mi dà i nervi! E’ sempre così altezzosa ed arrogante! Prima con Rei, ed ora
addirittura in un momento in cui rischiamo tutti la vita! Come diavolo fa??
Però… Forse davvero non dovevo reagire così. Non so come
abbia preso la mia sfuriata di prima, forse è anche per quello che ora ha agito
così d’impulso. Non immaginavo che avrebbe potuto finire così.
Intanto, il flusso di acido era tornato stabile e
continuava a colare indisturbato.
La cosa più importante, e quella più banale, fu
evidenziata da Rei. “Dobbiamo recuperare il Pallet Gun.”
Asuka sbuffò di nuovo, ma
si astenne dal commentare. Mormorò solo, a bassa voce, “Scheisse…”
Nessuno sembrò aver udito.
Notando che nessuno parlava, Rei proseguì: “Questo
pozzo di risalita ha una chiusa cinquanta metri più in basso rispetto a dove
siamo noi. Per quanto tempo l’attacco sia iniziato, l’acido non può che aver
scavato un buco relativamente piccolo . A giudicare dal rumore, il fucile deve
essere caduto proprio su questa chiusa, senza finire più in basso.”
“E se è finito sotto il getto d’acido?” chiese
Shinji. La sua voce non portava nessun segno della precedente strigliata.
Rei scosse il capo: “Le armi di quella categoria sono
protette in modo da resistere anche agli acidi più corrosivi conosciuti.”
“Già,” disse Gabriel, scomodamente seduto sul
supporto della postazione della First Children. “Però l’acido di questo Angelo
è sconosciuto, potrebbe essere molto più forte.”
“Non abbiamo altra possibilità,” spiegò la ragazza,
una nota di preoccupazione nella voce. “L’unica altra nostra arma sono i Prog
Knife, ma è fuori portata. E non possiamo nemmeno scalare il pozzo, altrimenti
l’acido ci colpirebbe.”
“Sì, ma ci colpirebbe anche se scendessimo sul
fondo,” fece notare Shinji. Sembrava che avesse trovato una falla nel piano,
perché nessuno aggiunse nulla. “A meno che,” aggiunse all’improvviso, “qualcun
altro non protegga chi scende…”
“… facendo da scudo con il proprio Evangelion,”
completò Gabriel. Sarebbe stato pericoloso, perché la connessione neurale avrebbe
fatto percepire tutto l’intenso dolore del contatto con l’acido.
“Noi abbiamo tre unità,” ricapitolò Rei. “Una fa da
scudo. Una scende e recupera il fucile, e la terza prende la mira, così quando
la seconda le passerà il fucile sarà subito pronta a fare fuoco. D’accordo?”
“D’accordo,” fu la risposta di Shinji.
“Sì,” disse piano Asuka.
“L’unico problema che si pone ora,” obiettò Gabriel,
“è chi eseguirà i tre compiti del piano.”
“Ikari è il miglior tiratore fra noi,” propose la
First Children. “Lui dovrebbe sparare.”
“D’accordo,” fu la risposta dell’interessato. Poi
guardò in ansia i volti dei suoi tre compagni. “E… chi farà da scudo?”
“Andrò io,” disse Rei, lapidaria. Gabriel la guardò
esterrefatto.
Prendere l’acido su di sé… Sentirà tutto! Non può farlo!
“Quindi Asuka recupererà il fucile,” concluse il
Third Children. “Sei d’accordo?” Ma non ottenne risposta.
Rei chiuse un momento gli occhi, per concentrarsi e
prepararsi a prendere su di sé la parte forse più gravosa della missione, ma li
aprì subito quando sentì le mani di Gabriel sfiorare le sue, sui comandi
dell’Eva.
“Rei…” le sussurrò all’orecchio il ragazzo, in modo
che gli altri non potessero sentire. “Lasciami i comandi e togliti i connettori
neurali.”
Lei si voltò, sorpresa. “Ma così… sentirai tutto!” Rispose attonita con voce altrettanto bassa.
“Ma non lo sentirai tu.” Il tono del pianista era
perentorio. Rei scosse il capo.
“Non posso lasciartelo fare, Gabriel. Non hai mai
pilotato un Eva in missione, e le manovre da eseguire saranno molto complesse.
Non ci riusciresti.”
“Sono io che non posso lasciartelo fare. Se sarai tu
a prendere quell’acido addosso io lo sentirò mille e mille volte più
amplificato di quanto non lo sentirei se lo prendessi davvero.”
“Se lo prenderai tu però io non potrei sopportare
l’idea che ti stai sacrificando per me!” protestò debolmente la ragazza. Una
minuscola sfera trasparente si staccò dalle sue ciglia e prese a galleggiare
nell’LCL. Gabriel la guardò finché non lo superò, poi si chinò sul volto di
Rei, vicinissimo.
“Lascia che ti risparmi questo dolore. Ti prego…
amore…”
Amore!
Nessuno…
Nessuno mi aveva mai chiamata così…
Nessuno mi aveva mai amata…
Gabriel…
Come posso dirti di no? Condannarti a soffrire vedendomi
soffrire?
Come posso dirti di sì? Riversando su di te il fardello
che pesa sulle mie spalle?
Come posso sopportare di vederti soffrire…?
“Andrò io,” disse Asuka, che come Shinji tuttavia non aveva udito nessuna delle parole dei colleghi, interrompendo bruscamente il
dialogo tra Gabriel e Rei. Tutti la guardarono stupiti.
“A-Asuka,” balbettò Shinji, che del momento di
caparbietà di poco prima non conservava più nulla. “Tu non puoi…”
La ragazza lo zittì con uno sguardo imperioso.
“Shinji, tu sparerai. First, Gabriel, voi andrete giù a recuperare il fucile.
Shinji, quando sarai pronto avvisami e mi sposterò. Tutto chiaro?”
Gli altri tre esitarono.
“TUTTO CHIARO??” chiese di nuovo la Second Children,
quasi gridando.
“Sì,” risposero i suoi compagni.
“Bene. Andiamo.”
Con un balzò la missione iniziò.
Lo 02 piantò mani e piedi nelle pareti del pozzo,
ricevendo sulla schiena il fiotto di acido. Asuka trattenne un urlo mordendosi
il labbro. Lo 01 e lo 00 uscirono contemporaneamente. Shinji si piazzò sotto
Asuka, piantando i motori diesel nella parete in modo da avere le mani libere.
Rei e Gabriel atterrarono sul fondo, cinquanta metri più sotto. Il ragazzo era
attentissimo, sapeva di non avere i comandi ma sapeva anche che ogni sua minima
distrazione avrebbe potuto interferire con il funzionamento dell’Evangelion.
“LA’!” indicò il Fourth
Children all’improvviso. Il fucile giaceva accanto al buco al centro della paratia,
appena intaccato dall’acido. Sperando che funzionasse ancora, Rei lo afferrò e
lo lanciò a Shinji.
Il ragazzo lo prese con fermezza e lo puntò verso
l’imboccatura del pozzo.
“ASUKA, SPOSTATI!” sbraitò.
Lo 02 si scostò rapidamente, e Shinji sparò.
Una lunga scarica di proiettili, ed il fiotto acido
smise di colare. L’Angelo era morto.
Con un fragore tremendo l’unità rossa piombò su
quella viola, e tutte e due caddero su quella blu sul fondo del pozzo.
Dopo diversi attimi di smarrimento, Shinji richiamò
con forza l’attenzione di Asuka. “Asuka! ASUKA!”
Lei sollevò il volto dall’espressione dolorante e
stanca, però sorrise. Il ragazzo sospirò di sollievo.
Grazie. Grazie di non essere morta, Asuka.
E’ andata. Ora Gabriel sarà contento, sono diventata matura.
Ho preso su di me le mie responsabilità, e accidenti quanto fanno male alla
schiena. Non potrà più dire che sono immatura e voglio sempre stare al centro
dell’attenzione. Mai più.
…
…E grazie di esserti preoccupato, Shinji.
“Rei, stai bene??” chiese in preda al panico Gabriel.
La ragazza si mosse appena sulla sua postazione e si girò a guardarlo. Aveva
l’aria affaticata, ma stava sorridendo.
“Se sono con te, io sto sempre bene.”
Gabriel non poté replicare, riuscì solo a prenderle
la mano, prima che Shinji li interrompesse, entusiasta.
“Ragazzi, l’Angelo è andato! Abbiamo vinto! Però… Ora
come facciamo ad uscire da qui??”
“E’ meglio se attendiamo i soccorsi,” propose Rei
Nel giro di un’ora dalla sconfitta dell’Angelo, il
97% dei sistemi operativi del Quartier Generale e della soprastante città era
tornato attivo. I ragazzi furono tratti in salvo dalle squadre specializzate
nel recupero degli Evangelion. Gli furono dati degli asciugamani per ripulirsi
dell’LCL (e Gabriel fece ben attenzione che esso non scivolasse via dalle
spalle di Rei) e gli fu detto di recarsi in infermeria, dove sarebbero stati
sottoposti ad una visita di routine da parte del personale infermieristico. Con
tutto il caos provocato dal black out, Ritsuko sarebbe stata troppo occupata
per occuparsene di persona. Oltretutto, aveva anche ricevuto l’ordine
perentorio di fare rapporto il prima possibile nell’ufficio del Comandante.
Di certo vorrà sapere il perché di quell’atteggiamento di
Rei… Dovrò anche spiegargli che Gabriel l’ha presa in braccio! Se solo il
Comandante non la considerasse come sua figlia sarebbe tutto molto più facile…
“Senpai, la vedo distratta, c’è qualcosa che non va?”
chiese Maya, premurosa. Loro due, insieme a Makoto, si stavano recando nella
zona dei parcheggi a riparare alcuni collegamenti che erano saltati a causa del
black out. Di solito vi si sarebbe recata una squadra di manutenzione
ordinaria, ma in quel momento pure quelle scarseggiavano: la maggior parte dei
tecnici era rimasta in superficie, ed avrebbe dovuto aspettare che le autorità
civili, più lente di quelle della Nerv, ripristinassero i collegamenti con il
Geo-Front. Le altre squadre erano state inviate ad aiutare nel recupero degli
Evangelion, faccenda sempre molto complessa.
Alle parole della ragazza, Ritsuko si scosse. “No,
niente, Mayachan. Stavo solo pensando al rapporto da
stendere per il Comandante.
“Dovrebbe essere questo,” si intromise Makoto,
indicando un ascensore. Il tastierino era spento.
“Non ci vorrà molto,” borbottò la Dottoressa, annoiata.
Aprì uno sportello e collegò alcuni cavi. “Ecco fatto, ora dovrebbe ripartire.”
Con un -ding- le porte si aprirono. Degli stupitissimi Makoto, Maya e Ritsuko videro all’interno Kaji
e Satoshi che si guardavano in cagnesco, e Misato che non sapeva da che parte
voltarsi, per cui fu la prima ad incontrare lo sguardo dell’amica.
“Ciao… Ritsuko,” furono le uniche parole che fu in
grado di dire per giustificare lo stato pietoso dei volti tumefatti di Satoshi
e di Kaji. Davanti ad un tale spettacolo, l’unico commento possibile fu quello
di Maya.
“… Scandalosi.”
Dopo che Gendo ebbe sbraitato per quasi trenta minuti
contro Misato, Kaji e Satoshi per il comportamento indegno tenuto in una
situazione di crisi, toccò a Ritsuko fare rapporto.
“… Ad ora, il 99.7% dei sistemi è tornato operativo,”
terminò la donna, con un ben celato sospiro di sollievo. Per tutto il colloquio
si erano dati del ‘lei’, nonostante di solito le loro interazioni fossero più
confidenziali. Questo voleva dire che c’era davvero qualcosa di più importante
di cui discutere, rispetto a dati e cifre.
Bene. Almeno non mi ha chiesto nulla di Gabriel e Rei.
“Molto bene, Dottoressa,” rispose lui, che dalla
finestra del suo ufficio stava guardando il paesaggio del Geo-Front.
“Fuyutsuki, lasciaci un attimo da soli.”
“Come desidera, Comandante,” rispose l’anziano
secondo in comando, abbandonando l’ufficio.
Ecco, ho cantato vittoria troppo presto.
“Suppongo che lei debba ancora spiegarmi qualcosa,
Dottoressa.”
Ristuko non seppe dire se nel tono apparentemente
calmo di Gendo si celasse una minaccia o meno. Deglutì un paio di volte, prima
di cominciare.
“Ho fatto salire sia Gabriel che Rei sullo 00 perché…
Ecco… Lui pretendeva di prendere il posto della First Children.”
Due lunghissimi secondi di silenzio.
“Pretendeva?”
Ancora una volta, non si poteva dire se il tono fosse
minaccioso o meno.
“Sì, lui… Comandante, forse non ha notato che quando
sono arrivati alle gabbie loro… si… tenevano per mano.”
Silenzio.
La bionda deglutì di nuovo.
“E…” si schiarì la voce, perché era suonata
particolarmente stridula. “E… quando sono arrivati in sala comando… In effetti
sono caduti, come le ho già riferito… Ecco, Gabriel ha… preso in braccio Rei.
Perché non cadesse per terra.”
Ancora silenzio.
Ritsuko pensò di dover aggiungere qualcos’altro, ma
dalla figura di spalle che guardava fuori dalla finestra uscì la solita voce
inespressiva.
“E quando pensava di riferirmi questo piccolo
particolare?”
“I-io, non… Non sapevo…”
Accidenti, in passato sono riuscita a mentire in modo
sopraffino, ora per poco non riesco nemmeno a parlare! Perché quest’uomo mi fa
quest’effetto?
…
Probabilmente, come al solito la risposta a questa
domanda ce l’hai tu, mamma.
“Stavo ancora cercando le parole adatte, signore,” concluse
secca.
Gendo si voltò, ma dal volto non traspariva nessuna
emozione.
“Dai dati raccolti sul combattimento odierno risulta
qualche variazione nelle prestazioni dello 00?”
“No… Anzi, sì. Un lieve miglioramento nei riflessi
quando è stato individuato il Pallet Gun.”
“Quindi il rapporto tra la First ed il Fourth
Children non ha avuto conseguenze negative, vero?”
“Sì, signore.”
“Bene.” L’uomo tornò a voltarle le spalle. “Continui
a monitorarli. Se rileva delle seppur minime variazioni negative nel tasso di
sincronia, mi informi subito.”
“D’accordo, Comandante,” rispose la donna,
visibilmente sollevata. Era felice che la cosa non avesse provocato la reazione
che temeva da parte di Gendo, ed era anche felice di non dover separare i due
ragazzi. Fece per andarsene, ma l’uomo la trattenne ancora.
“Dottoressa, c’è ancora una cosa che devo dirle.”
“La ascolto.”
“Ho saputo che i nostri amici hanno ripreso in mano
il loro vecchio progetto.”
Ritsuko trasalì. ‘I nostri amici’
era un’espressione in codice dal significato preciso, che solo loro due
conoscevano. Si umettò le labbra prima di parlare.
“Di nuovo? Non gli è bastato quello che è già
successo?”
“Evidentemente no. Ma questa volta la situazione è
più seria. Per ora non so altro. Può andare.”
“Sì, signore. Mi terrò a disposizione.”
Ristuko lasciò l’ufficio pensierosa. Stavano facendo
di nuovo l’errore che avevano fatto tempo fa. Ma il fatto che Gendo definisse
‘seria’ la nuova situazione la turbava un po’.
Nel frattempo, mentre Kaji si era dileguato, Misato e
Satoshi andarono nella sala mensa a prendere qualcosa per distendere un po’ i
nervi. I lividi di Satoshi, già curati da un’indaffaratissima Ritsuko, che si
era portata nel camice un intero kit di pronto soccorso come sua abitudine, gli
facevano ancora un po’ male.
“E così ha attaccato pure un angelo, eh?” chiese
Misato, ancora frastornata dalla sequela di informazioni, cui erano mescolati
anche non pochi rimproveri, della Dottoressa.
“Già,” confermò Satoshi, sorseggiando una tazza di tè.
“Però i ragazzi lo hanno affrontato alla grande, ed hanno trionfato. E,
soprattutto, stanno bene.”
“Hai notato però come Ri chan parlava di Gabriel?
Sembrava… schiva. Ed anche quando parlava di Rei…”
Satoshi bofonchiò delle parole incomprensibili e si immerse
nel tè.
A quanto pare è successo davvero qualcosa tra loro, allora.
Rei avrà trovato il regalo di Gabriel, e stamattina a scuola si saranno
parlati. Sì, ma cosa si saranno detti? Non posso ancora far capire a Misato che
so che Gabriel è innamorato di Rei, non prima di averne parlato direttamente
con lui. E poi… Ho qualcos’altro da fare ora.
“Misato,” iniziò, frugandosi nelle tasche. “Prima che
arrivasse…” si trattenne dal pronunciare un insulto, “…l’Agente Kaji, volevo
chiederti una cosa.”
“Ah sì, ho visto i biglietti! Ma per cosa sono?”
“Beh, ecco…” li estrasse, mostrandoli alla donna
curiosa. “Me li ha dati Shigeru, sono per l’inaugurazione di un locale, lo
Scarlet Dawn… Mi chiedevo se… ecco… ti andasse di andarci… Sì, insomma…”
Un momento, ma… Mi sta invitando ad uscire??
“Se volessi venirci con me. Allo Scarlet Dawn.
All’inaugurazione. Stasera.”
Bene, ce l’ho fatta. Ora posso tranquillamente andare a
nascondermi da qualche parte per la vergogna.
Misato non notò il rossore che andava diffondendosi
sul volto di Satoshi, in parte celato dai lividi, ma sembrava pensierosa.
Un appuntamento. Erano secoli che non avevo un
appuntamento!
“Certo che mi va!” fece lei, allegra. Quasi colse di
sorpresa Satoshi. “A che ora è?”
“Dovrebbe cominciare tra poco, ma a causa del black
out sono sicuro che lo ritarderanno. Se sei d’accordo provo a telefonare per
informarmi.”
“Sì sì, informati pure,”
disse Misato. Era letteralmente entusiasta. “Poi andiamo a recuperare i
ragazzi, saranno ancora in infermeria, e portiamoli a casa. Si meritano una
bella nottata di riposo!”
Ancora col volto in fiamme, Satoshi si alzò e
telefonò al numero indicato sui biglietti. Dopo un attimo, tornò dalla donna.
“Sì, l’hanno spostata alle 22.15, abbiamo ancora un
sacco di tempo.”
“Bene, allora possiamo anche farci raccontare dai
ragazzi i dettagli dell’operazione!”
Mentre Misato si avviava verso l’infermeria a passo
spedito, Satoshi la seguì, ancora agitatissimo per il suo primo appuntamento
dopo otto anni.
Intanto, i Children erano arrivati in infermeria. Per
tutto il tragitto, un’Asuka tornata allegra come sempre non aveva fatto altro
che rievocare i momenti salienti della battaglia contro l’Angelo.
“… E se non fosse stato per quel maledetto getto di
acido la battaglia sarebbe finita molto prima, ve lo dico io!” ripeté per
l’ennesima volta la rossa. “Perché…”
“Perché l’avresti crivellato di colpi, lo sappiamo,”
la interruppe Shinji, che si era appena seduto su un lettino. “Sono stanco
morto, è stato faticosissimo resistere in quella posizione, per non parlare di
quando Asuka mi è caduta addosso…”
“Scusa, se non mi toglievo da lì non potevi sparare,
e non potevo rimanere sospesa in volo,” lo rimbrottò lei, scuotendo la chioma
rossa che si andava asciugando.
“Per non parlare, vorrai dire, di quando VOI siete
caduti addosso a NOI!” scherzò Gabriel, mano nella mano con Rei.
“Ma vuoi mettere con riceversi sulla schiena non so
quante tonnellate di acido?” incalzò la Second Children, ridendo. Ma Gabriel
divenne di colpo serio.
“Asuka, te l’ho già detto una volta oggi. Se vuoi
sempre stare al centro dell’attenzione ti ritroverai da sola.”
Quelle parole ebbero l’effetto di un fulmine sulla
rossa. Il sorriso le sparì dalle labbra, che ricaddero lasciandola con
un’espressione attonita. “Stavo solo scherzando!” ribatté acida subito dopo,
andando a sedersi in un angolo. L’atmosfera nell’infermeria mutò di colpo, e
rimase tesa finché non arrivarono gli infermieri per i test di rito.
Subito dopo gli infermieri arrivarono Misato e
Satoshi, ed Asuka chiese, apparentemente incurante di quanto appena successo,
il perché di quei lividi.
“E’ una lunga storia,” scherzò l’uomo, e non si
accorse di quanto il sorriso di Gabriel e Shinji fosse tirato. Loro sapevano
benissimo che in realtà la Second Children era rimasta profondamente ferita da
ciò che era successo.
Quando se ne andarono dall’infermeria, però lei
sembrava tornata quella di sempre, tanto che ricominciò il racconto della
battaglia a beneficio dei due adulti. Però se per il momento aveva potuto
ignorare la verità che il Fourth Children le aveva messo davanti agli occhi,
ben presto, quando sarebbe stata a casa e nessun attacco d'Angelo o qualcuno
davanti cui gloriarsi dell'impresa avrebbe potuto distoglierne l'attenzione, la
tempesta si sarebbe abbattuta senza pietà su di lei. Senza più possibilità di
fuga.
Stupidi… Brutti stupidi…
Scarlet Dawn.Ore
22:15
Il black out che aveva colpito Neo Tokyo-3 quel giorno aveva
ritardato l’apertura del locale di ben tre quarti d’ora, sicché Misato e
Satoshi riuscirono ad arrivare in tempo. L’Harley rombò con veemenza quasi
volando sull’asfalto e si fermò con una rumorosa frenata sotto il lampione di
fronte al locale. Avevano preso la moto di lui invece che l’auto di lei perché
avevano in mente di fare un bel giro della città di notte. E poi, Misato non
era mai salita su una Harley.
La prima a scendere fu la donna che indossava dei
jeans fuseau blu sopra un paio di scarpe da ginnastica nere, retti da una larga
cintura pure nera dalla fibbia argentata. La maglietta scollata era decorata da
alcune scritte senza senso e sopra portava il giubbotto della sua uniforme
Nerv, opportunamente camuffato per non apparire troppo ufficiale.
Con gesto rapido tolse il casco da passeggero, che al
contrario di quello del guidatore era privo di visiera, scuotendo il capo per
riavviare la lunga capigliatura viola.
“Straordinario! Tenuta perfetta anche in curva!”
L’uomo si sfilò a sua volta il casco e le sorrise.
L’unguento che Ritsuko gli aveva applicato sullo zigomo e l’impacco sull’occhio
avevano sortito il loro effetto e dell’avvenuto pestaggio, invece che dei
vistosi lividi neri, erano rimasti appena degli aloni più scuri che sarebbero
spariti nel giro di un paio di giorni. Velocemente lo ripose in una delle
sacche che pendevano ai lati della moto e smontò di sella. Indossava una
camicia bianca, di cui i primi due bottoni erano aperti, su un paio di jeans
classici e scarpe da ginnastica bianche.
“Vuoi darmi il casco?” Le chiese sorridente mentre le
porgeva una mano in attesa che lei glielo consegnasse.
“Ah, scusa!” Ridacchiò la donna rendendogli l’oggetto ed
osservandolo mentre lo riponeva nell’altra sacca. Si guardò intorno: La strada era
illuminata solo da alti lampioni dalla luce chiara come quello dove avevano
parcheggiato. Il locale era un po’ più isolato rispetto alla zona turistica
vera e propria, con i suoi vari ristorante e alberghi, ma per raggiungerla
sarebbero bastati 20 minuti a piedie
giusto la metà in moto. Da fuori, Satoshi già riconobbe le note di ‘Keeper Of
The Seven Keys’ degli Helloween, quindi, assicuratosi che la moto non corresse
rischi, estrasse i biglietti e si volse verso Misato.
“Tutto a posto! Che ne dici di entrare?”
“Ma certo! Siamo qui apposta!” Esclamò dirigendosi a passo
svelto verso l’entrata subito seguita dall’uomo. Non appena aprirono la porta,
si trovarono davanti due buttafuori in giacche di pelle nere e occhiali da
sole.
“Biglietti.”
Senza dire una parola, l’Agente consegnò loro quanto chiesto
mentre la donna lanciò un’occhiata all’interno del locale già gremito e
rumoroso. Le luci erano tenute basse ed avevano una tonalità estremamente
soffusa. Sulla destra, svariati tavoli erano già occupati da gruppi urlanti di
ragazzi e ragazze tra i diciotto e vent’annimentre a sinistra si allargava una larga sala del tutto sgombra dalla
quale si intravedeva, dall’ingresso, un pezzo di palco, forse la postazione del
dj, davanti alla quale si stava dimenando un popolo intero che doveva
raggiungere il picco massimo dei ventotto anni anche se vi era anche qualcuno
più grande. Tra le due zone, centrale rispetto all’ingresso, si allargava un
lungo bancone illuminato da una luce rosata dietro il quale erano posti scaffali
e scaffali straripanti di bottiglie e tre barman si affrettavano a servire gli
astanti.
I due buttafuori all’ingresso controllarono rapidamente,
strapparono i biglietti, e fecero loro cenno di entrare.
Una volta entrati, le note della canzone che ormai doveva
volgere alla sua conclusione, lì investirono in pieno insieme alla confusione
del luogo.
“Accidenti! Mi sembra davvero di essere tornato ai tempi del
Liceo!“ Esclamò con un sorriso, alzando leggermente la voce per meglio farsi
udire, mentre osservava l’ambiente prima di riportare lo sguardo sulla donna
che stava fissando un poster di vecchia data dei Rhapsody appeso in bella vista
sulla parete di fianco al bancone. In effetti sembrava pensierosa.
“Qualcosa non va?” Chiese ancora chinandosi appena verso di
lei.
“No, certo che no!” Gli sorrise voltandosi subito verso di
lui per guardarlo in volto ”…è che stavo pensando che qui sembrano avere
tuttimolto meno o poco più della tua
età ed io…”
…ed io sono quasi sulla soglia dei trent’anni…
L’uomo inarcò il sopracciglio sinistro con fare
interrogativo. Allora Misato continuò un po’ imbarazzata. “…beh…ecco…come
dire…non vorrei sembrare troppo vecchia per queste cose…”
A quelle parole Satoshi ridacchiò appena sotto lo sguardo
perplesso della donna, ma subito si riscosse.
“ Troppo vecchia per posti del genere? “ ripeté con un
sorriso “ In fondo mi pare che tra noi ci siano solo tre anni di differenza o
mi sbaglio?”
La donna arrossì rovinosamente “E tu come lo sai??”
“Beh, due giorni fa mi hai consegnato tu stessa la fotocopia
della tua carta d’identità per allegarla a quei documenti firmati da recapitare
al Reparto Esecutivo. Non ricordi?”
Che stupida, è vero!
“Ah…ehm…”
“Comunque…” riprese l’agente con un sorriso “…puoi credermi
sulla parola se ti dico che non hai nulla da invidiare a chiunque qui dentro… “
Se prima era arrossita, adesso Misato era color rosso fuoco,
ma per sua fortuna Satoshi già aveva distolto lo sguardo e stava cercando un
posto libero al bancone dato che era inutile perdere tempo a cercare tra i
tavoli che erano evidentemente tutti occupati.
Ma…ma…ma ci stava provando?? No, calma, Misato. Non tutti
gli uomini sono come quello scemo! E’ stato gentile, ha solo voluto metterti a
tuo agio e…
“Misato?”
La donna si riscosse dalle suo cogitazioni e scattò verso di
lui con un enorme sorriso sulle labbra per dissimulare l’imbarazzo.
“Si?”
“Escludo che ci sia un tavolo libero. Che ne dici di
metterci lì?” Ed indicò una serie di sgabelli vuoti sul lato sinistro del bancone
da cui si poteva anche sentire abbastanza bene la musica. Alla canzone
precedente era subentrata ‘Fullmoon’ dei Sonata Arctica .
“Oh, perfetto! Così posiamo anche bere qualcosa! Sei
d’accordo?” Cominciòallegra mentre
andava a prendere posto su uno sgabello subito imitata da Satoshi che si
sedette alla sua destra.
“Certo. “ Annuì l’uomo con un sorriso. Il posto era davvero
niente male e la compagnia era superba.
In effetti…chissà quanti vorrebbero essere al
posto mio stasera. Incluso quel dannato bellimbusto…! No, ora non voglio
pensare a quell’individuo! Voglio solo pensare a trascorrere al meglio questa
serata con…lei.
Assorto, si soffermò a guardarla mentre prendeva dal bancone
una copia della lista delle bevande.
“Allora…vediamo un po’…”cominciò l’Ufficiale aprendo il menù
dei cocktail “…Satoshi, tu cosa prendi?”
L’uomo sobbalzò riscuotendosi “ Si, dunque…” rapido prese a
sua volta una copia ed incominciò a scorrere i nomi. Non voleva andarci
pesante. Mentre erano ancora intenti a scegliere, si avvicinò uno dei barman.
Non molto alto, capelli neri tenuti corti e occhi castano scuri.Doveva essere di poco più grande d’età
dell’Agente.
“Allora, ragazzi…” con fare simpatico sorrise ai due ”… in
occasione dell’apertura consumazioni gratis! Cosa vi porto?”
“Per me un ‘White Lady’, grazie.”
Satoshi rimuginò un po’ quindi posò il menù “Io prendo un
‘Alexander’.”
“Arrivano subito!” Esclamò prendendo a preparare quanto
ordinato sotto gli occhi dei due con velocità impressionante Nel giro di dieci
minuti i cocktail furono serviti. Ed il barista potè tornare a servire altri
clienti.
Per fortuna avevano messo dei brani più tenui, in quel
momento ‘Coming Home’ degli Stratovarius quindi era possibile conversare senza
doversi sgolare.
Misato indugiò qualche istante sul bicchiere ghiacciato, poi
alzò lo sguardo sul volto dell’Agente soffermandosi sull’alone nero sullo
zigomo.
“Come va con i lividi, Satoshi?” Chiese con un filo di
preoccupazione
“Ah, non malissimo. Grazie a quell’unguento va già meglio.”
Le sorrise rassicurante per poi prendere a bere dal suo bicchiere. Nonostante
il sapore dolce, la gradazione alcolica del brandy si faceva sentire.
Pensierosa la donna imitò l’uomo iniziando sorseggiare il
suo cocktail.
“Mi dispiace che ti abbia ridotto così…” Riprese dopo un
po’.
“Lui è finito anche peggio. Bellimbusto da quattro soldi…”
mormorò a denti stretti salvo poi sobbalzare allorquando si rese conto di
quanto detto. Rapido le rivolse un timido sguardo di scuse “…perdonami, forse
ti da fastidio che parli male del tuo…”
“No, Satoshi…” Misato scosse la testa in segno di diniego
interrompendolo“…tra me e quel tipo è finito tutto otto anni fa. Per fortuna.”
Terminò sbrigativa tornando a dedicarsi al ‘White Lady’.
Ma l’Agente la guardò con sorpresa “Hai detto otto anni fa?”
“Si…perché?” Chiese con aria interrogativa.
L’uomo esitò prima di rispondere e terminò in un sol colpo
l’’Alexander’.
“Anche la mia unica relazione è terminata otto anni fa.”
Spiegò con noncuranza.
“Oh…mi dispiace, Satoshi, non volevo riportarti alla mente
dei brutti ricordi…” Fece per toccargli un braccio, ma si trattenne. L’altro le
sorrise “No, nessun brutto ricordo. Ero un ragazzo all’epoca, ancora
diciottenne, avevo appena iniziato l’ultimo anno delle Superiori. Certo, ci
rimasi male, ma mi è passata tutto sommato abbastanza in fretta.”
Misato tacque per un istante non volendo sembrare
indiscreta, ma alla fine la curiosità ebbe la meglio.
“Posso chiederti come mai? Certo, sempre se nonsono troppo indiscreta, non voglio forzarti…”
“E’ un po’ complicata da spiegare…” cominciò
l’uomo iniziando a giocherellare con il menù “…A quel tempo io ero
entrato da poco a far parte del dojo del Sensei Yoshichiro Kanegawa. Il più
grande Sankendoka che la storia della Disciplina abbia
mai avuto. Quando è venuto a mancare ormai quasi quattro anni
fa le ripercussioni nel settore si sono protratte a lungo termine. E’
stata davvero una gran perdita. In ogni caso, frequentare il dojo del Sensei
Kanegawa significava entrare nel mondo della competizione sportivae questo a sua volta significava sottoporsi a
severi allenamenti che a volte duravano anche più di tre ore. Ma anche se
ritornavo a casa stanco morto dalla fatica e dovevo dimenarmi tra lo studio e
gli allenamenti, riuscivo a trovare comunque il tempo
per passare con lei il resto della giornata. Per quanto poco fosse.
Questo non le stava bene. E così di punto in bianco
stabilì che era finita senza possibilità di repliche. Questo è tutto.” Conclusesenza
espressione come chi parla di un brutto momento passato ed ora privo di
importanza.
Misato era ammutolita.
Ma che…stronza.
La donna dovette faticare non poco per non dare voce al suo
pensiero. Si chiese che tipo dovesse essere quella …
…cretina…
Ma decise di tacere.
“ E tu invece?”
“Eh?? Cosa??” La voce dell’uomo la
distolse dai suoi pensieri.
“Dato che siamo in tema di relazioni naufragate…” riprese a
guardarla “ …la tua come mai è finita?”
“Eravamo troppo diversi. E lui
troppo farfallone. Come avrai notato.” Rispose senza esitare.
“Capisco.”
Per qualche momento i due restarono in silenzio, come se
riflettessero l’una su quanto detto dall’altro e viceversa.
La prima a spezzare il silenzio fu Misato.
“Beh, che ne dici di prendere qualcos’altro?” Aveva ripreso
il suo solito modo di fare solare di sempre. L’Agente, che di fronte al sorriso
entusiasmo della donna aveva ripreso l’abituale buon umore, ci pensò un po’.
L’’Alexander’ sembrava non avergli fatto nessun effetto particolare. Alla fine
decise che un altro poteva reggerlo.
I successivi argomenti di conversazione, furono cose molto
più piacevoli come ad esempio le moto, le automobili, le novità del nuovo
modello di Renault Alpine in programma per il 2018, e da lì ai progetti per le
vacanze, se mai la Nerv gliele avrebbe concesse, e simili.
Intanto i cocktail da due erano diventati tre. Se Misato
iniziava solo ora a sentirsi appena spossata, Satoshi era già accaldato da un
pezzo. La luce troppo soffusa, rendeva indistinti i contorni delle cose, tanto
che ai suoi occhi apparivano come niente più che macchie di colore. Solo la
donna, di fianco a lui, era ancora nitida. Quasi senza che se ne accorgesse si
ritrovò ad indugiare con lo sguardo sulle labbra della donna che era ormai al
suo quarto cocktail, per poi scendere lungo il collo soffermandosi sulla scollatura
e poi tornando indietro a rimirare l’espressione rapita di lei nel bere il
liquore ad occhi chiusi. Pensò che non aveva mai visto nulla di più sensuale
prima d’ora. Ed un capogiro insieme ad una scarica di calore sul volto lo
assalì.
Che cavolo sto facendo…lo sapevo che non dovevo bere…
Di nuovo la visuale di lei tornò a rapirlo totalmente
scacciando via ogni residuo di ragione. Fu in quel momento che Misato si girò
trovandosi gli occhi azzurri dell’uomo puntati nei suoi. Non era messa meglio di
lui ma almeno aveva una resistenza maggiore tanto da accorgersi dello sguardo
del suo sottoposto che era stranamente intenso. Molto intenso. Nessuno avrebbe
potuto dire se il rossore che le infiammò il volto fu dovuto più all’alcool o a
quegli occhi, alle ciocche bionde che gli incorniciavano i lati del viso,
all’espressione concentrata del suo volto nel guardarla come si guarderebbe un
qualcosa di meraviglioso,le braccia sul bancone, il pugno destro a sorreggere
il mento mentre l’altra mano era ancora stretta al bicchiere ormai vuoto.In quel momento, anche con uno zigomo ed un
occhio pesti lo trovò un uomo bellissimo. Cosa che in fondo aveva sempre
pensato.
“Ah…” cominciò titubante “…mi gira un po’ la testa…forse
sono davvero troppo grande per serate come questa…” ridacchiò scherzando per
dissimulare l’imbarazzo, ma Satoshi non sembrava aver colto. Restò ancora
qualche istante in silenzio, poi abbandonò la presa sul bicchiere e a sua
posizione e si sporse verso di lei senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi.
La donna non ebbe la forza di arretrare.
Se quando era un liceale l’Agente Iwanaka era il primo a
crollare alla seconda bottiglia di birra e doveva essere riportato a casa in
spalla dagli amici, adesso l’alcool aveva avuto il potere di disinibirlo.
“Quello che ho detto prima lo pensavo sul serio…” cominciò
l’uomo con voce bassa ma sufficiente affinché potesse sentirlo “…sei realmente
la donna più bella che abbia mai incontrato in vita mia. Mi piace stare con te,
mi piace sentirti parlare…mi piace tutto di te…”
Misato era a bocca aperta. Una parte di lei era entusiasta
di quelle parole, avrebbe voluto saltare di gioia, ma il resto era come
appesantito. Non riusciva a connettere adeguatamente le parole con il loro
significato. E poi incontrò i suoi occhi azzurri. E seppe cosa fare. Si protese
in avanti dandogli un rapido bacio. Poi sembrò ripensarci e lo baciò di nuovo,
stavolta più intensamente.
Il mondo, la musica, addirittura la Nerv e gli Angeli persero
consistenza: erano rimasti solo lei e lui, un uomo e una donna che si baciavano
e si accarezzavano furiosamente, e il fastidioso impedimento dei vestiti.
Uno dei baci della donna andò lungo e si fermò sulla guancia
di Satoshi. Quasi involontariamente si trovò a soffiargli lievemente nel
padiglione auricolare.
“Andiamo via da qui…” sussurrò, senza sapere bene cosa stava
dicendo.
“Vuoi andare a casa?” chiese lui.
“…No…”
La mano di Misato scese lungo il torso di Satoshi, fino a
raggiungere la cintura. Lo sentì sobbalzare, e la cosa la fece ridere
sommessamente: la trovava stranamente divertente.
Dopo una breve esitazione, lui portò le mani ad accarezzarle
la schiena sotto la maglietta, ma lei lo fermò.
“No… Vieni, andiamo fuori.”
Si alzò, prendendogli le mani e portandolo con sé verso
l’uscita del locale. Schivò un paio di figure in movimento, probabilmente
ragazzi che ballavano la musica che il dj aveva appena messo su, ma non se ne
curava. Nemmeno sentiva la musica d’altronde. Quello che le importava era il
calore.
Uscirono all’aria aperta. Fredda, al confronto di quello che
sentivano nei loro corpi. E d’un tratto si resero conto di ciò che stavano per
fare.
Un momento… Ma… E’ il nostro primo appuntamento!!
La donna batté più volte le palpebre e si accorse di avere
una mano sulla cintola di lui. Le dita anzi avevano già superato il bordo dei
suoi calzoni. Rapidamente si ritrasse. Anche l’uomo sembrava piuttosto confuso.
Stavo per…
Non poté portare a termine il pensiero, perché d’un tratto
si sentì strana. Si chinò e vomitò sull’asfalto del parcheggio. Subito Satoshi
si riprese dallo stupore che stava provando e accorse in suo aiuto. Sembrava
che gli ultimi avvenimenti non avessero lasciato traccia nella sua mente.
“Misato, ti senti bene??” chiese, premuroso. La sua voce
sembrava venire da molto, molto distante.
“Sì… più o…” Vomitò di nuovo.
Gran bella figura, Misato. Prima fai la femme fatale e poi
gli vomiti quasi sulle scarpe. Hai classe, non c’è che dire.
Quando la donna tornò in sé si sedette su una panca, e
Satoshi corse all’interno per prendere un caffè, o qualcosa che gli schiarisse
le idee, in modo da poter guidare la moto. In fondo si sentiva solo disinibito,
non stordito. Ma la disinibizione poteva spiegare
quello che era appena successo?
Sì, Misato ha bevuto più di me in effetti… Però, accidenti,
quelle cose avrei voluto dirgliele da sobrio. Spero che non pensi che a parlare
era stato l’alcool e basta. O peggio, qualcos’altro di me…
D’altronde peròanche
lei non mi ha respinto… Aaah!! Grande, Satoshi Iwanaka!! Guarda che bel casino
che hai fatto!!
Intanto Misato si guardava, ancora attonita le punte delle
dita. Un mal di testa atroce la stava divorando.
Prima quell’idiota va a raccontare ciò che era successo tra di noi, poi ora Satoshi mi trova con la
mano infilata nei suoi calzoni… Chissà cosa penserà di me… Chissà… No, un altro
conato no, eh!! Per fortuna l’allarme è rientrato. Ma sentimi, parlo come
Ritsuko!
Satoshi arrivò in un attimo. Sembrava rinfrancato.
“Vieni, andiamo a casa,” disse, porgendole una mano per
farla alzare dalla panca. Lei la prese, mogia, e si tirò in piedi. Una
vertigine la colse e rischiò di cadere, ma l’uomo la afferrò al volo. Sembrò
quasi che stessero ballando una strana danza.
“Riesci a camminare?” chiese lui, tenendola saldamente. Lei
annuì.
Sempre premuroso… Nonostante quello che è successo.
Nonostante ci abbia provato spudoratamente con lui…
“Io andrò piano, ma tu dovrai tenerti stretta, ok?
Altrimenti nelle tue condizioni al minimo sobbalzo rischi di cadere...”Ed era effettivamente vero.
“D’accordo,” sussurrò lei. Si
sentiva più in sé ora.
Salirono sulla moto, e partirono, svanendo nella notte.
(Attenzione: in questo
capitolo verranno riprese molto fedelmente delle scene tratte da alcuni episodi
di Evangelion, con gli scopi già anticipati nella
prefazione.)
Giunti a casa, i ragazzi riuscirono finalmente a convincere
Misato e Satoshi ad andare all’apertura dello Scarlet Dawn senza preparare loro
la cena, in modo che non facessero tardi. Nelle aspettative di Gabriel, che
aveva dovuto a malincuore salutare Rei, poiché la ragazza dovette restare al
Quartier Generale per conferire con Ritsuko, forse la serata avrebbe dovuto
essere rilassante, per compensarli delle fatiche di quel giorno, ma qualcun
altro la pensava diversamente.
Si erano radunati nell’appartamento di Misato, per mangiare
insieme a PenPen una cena precotta, preparata da Shinji. Per quanto potesse
essere assurdo, l’effetto d’insieme era migliore rispetto a quando la preparava
il Capitano.
All’inizio l’atmosfera era rilassata: Gabriel si complimentò
per la cucina ed Asuka si esibì in un insolito “non male”. Ma quando si
recarono nel salotto per guardare qualcosa in tv cominciarono i problemi.
“E’ sempre la solita storia,” si stava lamentando Shinji,
che teneva goffamente in braccio PenPen. “Noi salviamo la città, ed il giorno
dopo ci troviamo una montagna di compiti da fare… Dovrebbero darci qualche
esonero particolare, vero?”
“Già,” confermò Asuka, con un vago sorriso. “Non riconoscono
la nostra innata supremazia.”
“Però non abbiamo nulla per domani, a cosa ti riferisci,
Shinji?” chiese Gabriel.
“Come, non ti ricordi?” fece l’altro, sorpreso. “Il
professore di matematica ci ha rifilato quattro pagine di esercizi per
mercoledì! Dovremo farli tutti domani! Eppure abbiamo pure fatto un coro di
protesta, strano che non ti venga in mente…”
“Ehm… Allora ragazzi, come pensate di agire a riguardo?
Elaboriamo una strategia, dai.” Gabriel glissò sulla domanda dell’amico, perché
tutta quella mattina per lui aveva un solo volto: Rei.
“Non lo so… Asuka, mi dai una mano?” implorò il Third
Children, ma la ragazza fece un cenno sprezzante.
“Ovvero speri che ti faccia spudoratamente copiare mentre io
faccio gli esercizi? Non se ne parla neppure.”
“Che ne dite se studiassimo tutti insieme?” propose il
Fourth Children, per evitare a Shinji una crisi di panico. L’amico ne fu
entusiasta: “Grande idea!”
“A me basta che non mi disturbiate,” sentenziò Asuka,
ravvivandosi i capelli.
“Provo a telefonare a Rei, così magari può venire anche lei
a studiare con noi,” disse Gabriel, prendendo in mano il cellulare. “Chissà se
la Dottoressa Akagi l’ha già lasciata and… Che succede?”
Asuka, che era seduta sul pavimento, aveva rumorosamente
posato per terra il telecomando, facendo sobbalzare PenPen.
“Abbracci Rei, pranzi con Rei, sali sull’Eva con Rei, ed ora
vuoi anche studiare con Rei. Gabriel, ma c’è qualcosa che sai fare senza di
lei, a parte suonare?”
Il tono di Asuka era quanto di più acido si potesse
immaginare. Ma mai quanto era dura l’espressione del Fourth Children.
Cercando di sdrammatizzare, Shinji disse: “Asuka, sei gelosa
per caso?”
Non ricevette neppure l’occhiata sprezzante che di solito
gli riservava.
“Io so vivere e so anche amare, al contrario di te,” fu la lapidaria
risposta del pianista. “O meglio, ne sei capace, lo vuoi, ma non vuoi
provarci.”
Per qualche secondo non si mosse nulla. Poi PenPen gemette e
si districò dall’ormai vacua presa del Third Children per recarsi annoiato in
cucina. Ed infine Asuka scattò in piedi.
“Buona notte,” ringhiò, e corse in camera sua.
Gli altri si guardarono, senza sapere cosa dire.
“Io vado,” sentenziò alla fine Gabriel, muovendosi
meccanicamente verso la porta dell’appartamento.
Shinji fece per trattenerlo: “Gabriel…”
L’altro scosse la testa, senza voltarsi“No, Shinji. Ha bisogno di non avermi tra i piedi.
Sono sicuro che rifletterà. Ci vediamo domani.” Uscì, lasciando il Third
Children da solo. Dalla cucina giunsero i deboli gridolini di PenPen. Forse
aveva trovato qualcosa di interessante in tv.
Stupidi… tutti stupidi…
Asuka non si era nemmeno cambiata, ma si era distesa a
faccia in giù sul letto, artigliando il cuscino, mordendolo per trattenere le
lacrime.
“Vuoi essere al centro dell'attenzione?! Vuoi essere adorata
alla stregua di una dea?!”
No! Non è vero! Sono gli altri che guardano me! Io non faccio
nulla per mettermi in mostra!! L’unica persona da cui voglio essere apprezzata
è me stessa!!!
- Io mi chiamo Asuka Soryu Langley, molto piacere.
No!
- Ma sei stupido!?
No!!
- Che occasione…
Non è vero!
- GUARDATEMI, PER QUESTO GUARDATEMI!!
NON E’ VERO!! QUELLA NON SONO IO!!
“Vuoi apparire forte,
vuoi mostrare che non hai bisogno di nessuno!!”
E’ COSI’!! NON HO BISOGNO DI NESSUNO!! NESSUNO!!VIVRO’ DA SOLA!! NON HO BISOGNO DI NESSUNO!!
DI NESSUNO!! NE’ DELLA MAMMANE’ DEL
PAPA’!! DI NESSUNO!!
“Che sei l'unica, la sola, l’eccelsa Second Children Asuka
Soryu Langley!!”
Non è vero!! NON E’ VERO!!
“Ma invece è tutto l'opposto!!”
NON E’ VERO!! SMETTILA, GABRIEL!!!
“…piantala prima che i
riflettori del tuo palcoscenico ti accechino e ti impediscano di vedere cosa
realmente è importante!!”
IO NON SONO SU NESSUN PALCOSCENICO!!!FACCIO TUTTO QUESTO PER ME STESSA!! SOLO PER
ME STESSA!!
- Io mi chiamo Asuka Soryu Langley.
NO!
- Ma sei stupido!?
BASTA!
- Che occasione…
NON E’ COSI’!!
- GUARDATEMI, PER QUESTO GUARDATEMI!!
NON E’ VERO, QUELLA NON SONO IO!!
“Come l'amore di colui
che chiami Baka ma da cui vai a rifugiarti quando ti vanno storte le cose!!”
LUI!! LUI!! A CHE COSA SERVE LUI?! NON FA MAI NULLA!! NON MI
AIUTA MAI!! NON MI ABBRACCIA NEPPURE!! NESSUNO…NESSUNO…NESSUNO…
“Mi hai dato fin
dall'inizio l'impressione di una che si nasconde dietro la facciata di una Prima
Donna elevandosi ad un rango superiore che le consenta di tenere alla larga chi
cerca di avvicinarsi spontaneamente!”
E’ LUI CHE NON SI AVVICINA!! SONO GLI ALTRI CHE NON SI
AVVICINANO!! IO NON HO BISOGNO DEGLI ALTRI!!
“Hai paura, ecco
qual’è la verità!!”
NON E’ VERO!!
“Hai paura degli altri!”
NON SONDARE IL MIO ANIMO, GABRIEL!!!
“Haipaura che possano
ferirti!”
NO!! NON E’ VERO!! NON E’ VERO!!
- Non smettere di essere la mia mamma!Non sono una bambola! NON UCCIDERMI, MAMMA!!
NO!! NON VOGLIO QUESTI ORRENDI RICORDI!! NON DOPO CHE HO
FATTO TANTO PER DIMENTICARLI!!
“Tu hai paura di mostrare i tuoi sentimenti considerandoli
come debolezza anziché come forza!”
TU NON SAI NULLA!! I MIEI SENTIMENTI MI HANNO SOLO FATTO
SOFFRIRE!! NON SAI NULLA!! SMETTILA, GABRIEL!! NON VOGLIO NESSUNO!! NON HO
BISOGNO DI NESSUNO!! NON PIANGERO’!! VIVRO’ DA SOLA!! PENSERO’ DA ME STESSA!!
NON HO BISOGNO DI NESSUNO!!
“Piantala prima che sia troppo tardi e tu rimanga davvero
sola!”
…
- Ti senti sola?
…
- Ti senti sola?
Niente affatto! Non ti avvicinare! Io vivrò da sola!
- Senti, ti piaccio io?
Io non farò affidamento su nessuno!
- Ti piaccio davvero io?
Io posso vivere da sola!!
- Sono solo bugie.
NOOOOOOOOOOOOO!!!
“SHINJI!! SHINJIIIII!!!”
“Io so vivere e so anche amare, al contrario di te. O meglio,
ne sei capace, lo vuoi, ma non vuoi provarci.”
SHINJI!!
- Perché stai chiamando Shinji?
SHINJI!!
-Perché stai invocando Shinji?
Ho paura! Non voglio essere sola!! Non voglio essere sola!! E’
doloroso!! Non voglio essere sola!! NON VOGLIO ESSERE SOLA!!
“SHINJI!!”
La porta scorrevole si spalancò con un unico scatto.
“ASUKA!”
La vide stravolta come chi aveva appena attraversato un
inferno d’orrore. Ritirata su un angolo del letto, il capo tra le mani, il volo
inondato di lacrime incessanti, le ginocchia tirate al petto come alla ricerca
disperata di un rifugio. La vide e ne ebbe quasi paura.
“SHINJI!! AIUTAMI, SHINJI!!
“Asuka!! Che cosa devo fare?? Dimmelo! Cosa devo fare?! Come
posso aiutarti??”
Shinji era quasi paralizzato dal terrore. Forse un inferno
si era scatenato davvero nel buio di quella stanza. Ma non tra quelle quattro
mura. L’inferno si era scatenato dentro la sua mente. E questo il Third
Children lo aveva capito.
“AIUTAMI, SHINJI!!”
Nemmeno lui seppe come riuscì a schiodarsi dal terreno. Si
avvicinò di corsa e la prese per le spalle. Gli stava facendo paura.
Non ebbe quasi modo di reagire quando Asuka si aggrappò alle
sue spalle con forza artigliando la stoffa della maglietta e costringendolo
così a sedersi sul bordo del letto per non cadere.
“SHINJI! NON VOGLIO ESSERE SOLA! SHINJI!”
Il Third Children a quelle parole sembrò appena riscuotersi.
Sino ad allora gli era parso di muoversi all’interno di un mondo irreale. Non
esitò oltre e l’abbracciò forte.
“Non sei sola, Asuka! Ci sono io! Non ti lascio!”
“Shinji….” cominciò a singhiozzare con forza e disperazione.
Pronunciò alcune parole, ma il ragazzo non riuscì a capirle.
“Asuka…” sussurrò più dolcemente nel tentativo di farla
calmare. “ …calmati… devi calmarti adesso…è tutto finito.”
“Shinji…Gabriel…Gabriel…lui…lui aveva ragione…” Non riuscì
ad alzare il volto verso di lui. Troppo esausta. Anche quasi per parlare.
Shinji rimase in silenzio non sapendo cosa dire. Fu di nuovo
la ragazza a prendere la parola. “..ero io…ero io…che non ti lasciavo
avvicinare…ero io…a non permettere che tu mi abbracciassi…ero io…non eri tu…”
“Lo so Asuka…lo so…” cominciò allora il ragazzo. “… però
questo non mi ha impedito ugualmente di conoscerti e apprezzarti…non per ciò
che hai mostrato, non per la tua maschera da Prima Donna. E’ l’Asuka sotto la
maschera che ho amato. La vera Asuka: quella che veniva a chiedermi aiuto pur
non volendolo ammettere. E che mi faceva sentire importante.”
Di colpo le membra di Asuka persero la loro rigidezza e si
abbandonò totalmente contro Shinji, come se quelle parole le avessero tolto un
peso immane dall’Anima. E la resero felice.
“Shinji…” singhiozzò ancora “…mi dispiace di averti sempre
chiamato Baka…anche quando non te lo meritavi…”
“Non importa, Asuka. Dico davvero.” Rispose l’altro con
dolcezza, quasi cullandola “Adesso devi solo stare tranquilla e riposare.”
“No, Shinji!” Esclamò sollevando la testa di scatto per
guardare gli occhi blu del ragazzo che di fronte a quel movimento improvviso
era trasalito. Fece per muovere le labbra, ma l’altra lo fermò “Shinji, non
voglio restare da sola! Ti prego, non te ne andare! Resta con me!”
Il Third Children sgranò gli occhi sorpreso.
Mi sta permettendo…no…mi staCHIEDENDO di starle accanto…Asuka…
Le sue labbra di mossero quasi da sole in risposta.
“Va bene, Asuka, starò qui. Non vado neppure a cambiarmi.
Resto con te.”
La ragazza lo abbracciò ancora mentre i singhiozzi andavano
piano piano quietandosi.
“Shinji…” sussurrò ”…grazie…”
“Non devi ringraziarmi di nulla, Asuka. Ora però stenditi e
riposa.” Gentilmente si districò da quell’abbraccio che fin’ora aveva sempre
solo sognato, seppure non avesse voluto. Però era necessario, Asuka era
terribilmente provata e doveva assolutamente riposare.
La ragazza annuì e seguì quanto detto da Shinji
distendendosi su un fianco senza smettere di guardarlo. E quando lui fece per
alzarsi per andare a prendere la sedia dalla scrivania, lei lo afferrò piano
per un polso. Il Third Children la guardò perplesso e mosse le labbra per dire
qualcosa, ma ancora una volta, la rossa fu più rapida.
“Dormi qui. Vicino a me.”
“A-Asuka…”
“Ti prego…” Il tono smarrito con cui l’aveva detto, annullò
qualunque possibilità di obiezione.
Shinji sentiva il proprio cuore martellare furioso nel petto
e le guance arrossire.
Deglutì più volte. Non poteva lasciarla sola. Non ora che
aveva bisogno di lui.
“Va bene.” Rispose in fine sdraiandosi goffamente in
posizione supina, non volendo rivolgerle la schiena. Il letto non era molto
largo così il contatto, seppure minimo tra i due era inevitabile.
La Second Children chiuse gli occhi edinspirò profondamente. Alla disperazione di
prima si erano sostituite solo una pesante spossatezza e un gran senso di pace.
La tempesta era passata. Continuando a tenere gli occhi chiusi cercò la mano
del ragazzo, il quale quasi sobbalzò, e la strinse.
“Grazie, Shinji…”
“E per cosa?” Chiese piano lui volgendo appena il capo verso
di lei per guardarla. Seppur lievemente stava sorridendo con un espressione
serena che non le aveva mai visto e che lo rese felice.
“Per essere con me. Anche se a volte mi hai dato davvero
l’impressione di un Baka, sei l’unica persona da cui mi sento veramente… amata.
L’unica persona con cui mi sento bene. Per questo, Shinji, grazie.”
Il Third Children rimase attonito, gli occhi sgranati, per
diversi minuti, nelle orecchie solo i battiti del suo cuore che si
ripercuotevano con velocità estrema. Solo quando riuscì a chetarsi sussurrò
timidamente “Asuka…”
Attese qualche secondo, poi capì che si era addormentata
sorridendo, mentre stringeva ancora la sua mano.
Il ragazzo girò il volto sul cuscino e chiuse a sua volta
gli occhi da cui uscirono sue sottili fiumi di lacrime. Lacrime di gioia.
Asuka…grazie a te di essere con me.
Sorrise ed in breve tempo anche lui cedette al sonno.
Gabriel entrò nell’appartamento che divideva con l’Agente
Iwanaka, ancora teso come una corda di violino. Si chiuse la porta alle spalle
e prese a camminare verso il salone.
Asuka… Spero per te che finalmente capirai che cosa ti
stai facendo. Perché io non so più come dirtelo.
Credimi, durante tutta la mia vita sono stato trattato
come un ragazzo più grande di quanto non fossi, ed ho finito per maturare una
maggiore sensibilità.
So come ti senti. Ho letto il tuo fascicolo.
In fin dei conti, non sei molto diversa da me. Però a
differenza di me tu hai preferito nasconderti dietro la maschera della brava
bambina…Facendo soffrire te e gli altri.
Specialmente Shinji, e non ti sei mai accorta di quanto
in realtà lui ti amasse…
Fece un rapido giro per la casa, constatando che, come c’era
da aspettarsi, Satoshi non era ancora rientrato. Andò a sedersi sullo scranno,
ma non scoprì la tastiera del pianoforte. Rimase invece seduto, meditabondo.
Mi spiace di averti fatto male, Asuka, però era
necessario. Lo sentivo, capisci? Continuando la pantomima che hai messo in atto
finora avresti continuato a far soffrire le persone che ti stavano intorno. E
avresti continuato a far soffrire te stessa.
Senza per questo farti amare, apprezzare, venerare come
invece speravi.
Avresti finito per dare vita a quella maschera,
riducendoti ad essa. Ad una vuota bambola.
Si mise le mani sul volto, appoggiando i gomiti sul copritastiera.
L’ho fatto per te, lo capisci? Perché non potevi ridurti
in quello stato, trascinando tutti quelli che conoscevi sotto il giogo della
tua presunta superiorità…
Se ti ha fatto male ora, immagina quando quella tua
maschera ti sarebbe crollata addosso da sola.
Ora te l’ha detto qualcun altro, ed eri in mezzo ad
amici. Pensa se te ne fossi accorta per conto tuo, mentre eri sola…
Sarebbe stato peggio.
Si drizzò a sedere, lasciando cadere le mani sulle
ginocchia.
Quindi perdonami se ti ho fatto soffrire, ma non c’era
altra scelta.
…
Forse però ho rovinato questa serata di festa a tutti…
Scusatemi, amici.
Si alzò in piedi, e ricominciò a girovagare per la stanza. I
suoi occhi caddero sull’orologio a muro, che segnava le 21.30.
E’ ancora presto… E non me la sento di andare a dormire
sapendo che nell’appartamento di fianco al mio una persona, o forse due,
soffrono per causa mia.
Raggiunse una finestra e ne aprì le imposte. Si appoggiò al
davanzale, lasciando che la brezza gli calmasse i pensieri. Poi guardò il
panorama, immerso nella luce di un tardo crepuscolo estivo e dei lampioni già
accesi. Il frinire delle cicale componeva una sinfonia che però non era in
grado di tranquillizzarlo. D’un tratto, come a trarre dal cielo una silenziosa
ispirazione, sollevò gli occhi. E la vide.
La Luna, piena e splendente, si stagliava nell’oscurità
notturna con la sua luce lattiginosa. E tutto gli si fece più chiaro e più
calmo nella mente, come se il suo spirito fosse cullato da un’anima affine, che
aveva un nome a lui caro…
Rei…
In questo momento è con te che vorrei essere.
E’ la tua pelle che vorrei sfiorare, i tuoi occhi che
vorrei guardare.
Sei tu che vorrei avere qui con me…
Si drizzò di colpo e guardò l’orologio.
E’ ancora presto, Satoshi non tornerà prima di molte ore.
Il locale deve ancora aprire, oltretutto. Posso farlo. In fondo, cosa c’è di
male in un ragazzo che va a trovare la propria anima gemella?
Col sorriso sulle labbra andò rapidamente a cambiarsi in
camera sua ed uscì a rotta di collo dall’appartamento.
Il campanello era ancora rotto.
Due colpisommessi
alla porta e dopo qualche secondo altri due più forti.
Rei si rigirò nel letto mettendosi a sedere di scatto quando
altri due seguirono i primi.
Accese il piccolo lume sul comodino e guardò la
svegliettadavanti al mazzo di gigli. Le
23:15.
Ma…chi potrà mai essere?
Discostò lentamente le coperte e scese dal letto
accostandosi con cautela alla porta. Indossava solo una camicia bianca.
Senza far rumore si accosto dietro al battente senza
aprirlo.
“Chi è?” Chiese con voce neutra.
“Rei…sono Gabriel…”
La ragazza sobbalzò.
Gabriel? Qui? A quest’ora? Che sia accaduto qualcosa alla
Nerv?
“U-un secondo…”
Rapida corse a rivestirsi indossando in fretta l’uniforme
scolastica per poi precipitarsi ad aprire. Quando il battente si spalancò,
riuscì appena a distinguerne il volto illuminato dalla fioca luce che proveniva
dall’interno dell’appartamento. Fuori infatti, il pianerottolo era totalmente
immerso nell’oscurità. Le stava sorridendo teneramente appoggiato allo stipite
della porta. Le guance erano un po’ arrossate e la fronteimperlata di sudore, doveva aver camminato a
passo molto svelto seppure non era affannato.
Rei guardò per un attimo alle spalle di lui, stupendosi di
non trovarvi nessun Agente Nerv, poi tornò ad osservare i suoi occhi.
“Gabriel…” cominciò a voce bassissima “…come mai sei qui?”
Il pianista si limitò a sorridere ancora di più, dolcemente.
“Volevo soltanto vederti…”
Gli occhi cremisi della ragazza si spalancarono leggermente.
E’ venuto fin qui…solo per vedermi?
“Stavi già dormendo?” Chiese ancora continuando a tenere la
voce bassa, quasi che fosse inopportuno parlare con tono normale in tutto quel
silenzio.
“Si, ma non preoccuparti. Gabriel…sei venuto fin qui…da
solo…?” Esitò quasi a dirlo, come se l’idea che avesse attraversato la città,
come già anche lei aveva fatto del resto, da solo e di notte la spaventasse a
morte. L’altro annuì.
“E l’Agente Iwanaka?”
“E’ fuori con il Capitano Katsuragi, probabilmente faranno
tardi.”
Rei rimase semplicemente attonita.
Ha percorso a piedi tutta la strada fin qui, di notte,
senza conoscere neanche bene le vie, col rischio di perdersi…
Il cuore prese a batterle furiosamente nel petto preda di
una paura folle.
…soltanto per me?
Senza aggiunger altro, come già aveva fatto quella mattina,
gli gettò le braccia al collo stringendosi forte a lui, a tal punto che Gabriel
per poco non perdette l’equilibrio.
“Ma cosa ti è saltato in mente…” mormorò soffocando la voce
rotta dalla preoccupazione tra il collo e la spalla di lui “…potevi perderti!
Poteva accaderti qualcosa! ”
“Però ora sono qui…”
“Sei stato un imprudente!” La voce di Rei ebbe un tremito
scosso.
Il ragazzo la strinse a sua volta portando una mano a
carezzarle le ciocche chiare di cappelli scomposte dal sonno.
“Perdonami se ti ho fatto preoccupare.” Chinò appena il
volto sfiorando la tempia sinistra di lei con un piccolo bacio. “…In fondo però
lo hai fatto anche tu di camminare da sola di notte per portarmi quei
documenti…”
Fulminea, la First Children alzò il volto piantando gli
occhi in quelli verdi di lui “Si, Gabriel, ma io quella volta…” si interruppe
bruscamente
…quella volta, anche se mi fosse capitato qualcosa, avrei
potuto essere sostituita.
Ma ora non voglio essere sostituita.
Perché tu non sapresti nulla…non ti direbbero mai nulla…
Ed io non voglio, non posso, ingannarti, Gabriel.
Ma non posso neanche dirti la verità.
Posso solo essere prudente e cercare di non morire.
Perché la Terza potrebbe non essere come me.
Perché la Terza potrebbe non amarti come ti amo io.
Perché la Terza…non sarei io…
***
Mentre accompagnava gli altri ragazzi al parcheggio, Rei fu
convocata dall’altoparlante ‘nell’Ufficio della Dottoressa Akagi’. Alla notizia
la ragazza era rimasta interdetta: di solito Ritsuko la riceveva in infermeria,
dove aveva anche scrivania, computer e cartelle. Imputò la cosa allo stato di
emergenza in cui versava la Nerv, per cui non ci diede particolarmente peso.
Dopo aver salutato Gabriel si recò all’appuntamento. La Dottoressa la stava
aspettando in un ufficio isolato che non aveva l’aria di essere stato usato
molto spesso. A differenza di quello di Misato, ad esempio, la scrivania non
era ingombra di fascicoli, mancavano poster ed ammennicoli vari e c’era un’aria
di ordine che si poteva respirare solo nell’ufficio del Comandante Ikari.
Ritsuko era seduta per metà sulla scrivania, sfogliando un
fascicolo e sorseggiando caffè. Quando la vide arrivare posò la tazza e si girò
con un sorriso stanco. In effetti, l’intera sua figura aveva un’aria di
stanchezza, probabilmente dovuta al fatto che nelle ore precedenti aveva
passato in rassegna tutti i sistemi della base alla ricerca di guasti ed aveva
dovuto fare un rapporto dettagliato a Gendo.
“Ah, Rei,” cominciò la donna, unendo le mani davanti a sé.
“Mi spiace di non avervi potuti visitare di persona dopo il combattimento con
l’Angelo, ma sono stata molto occupata. Come ti senti?”
“Abbastanza bene, Dottoressa,” rispose la ragazza,
sospettosa. Tutti quei giri di parole non erano nel suo carattere. “Non mi ha
convocato qui solo per informarsi della mia salute, vero?”
Ritsuko si sentì colta in fallo. “Hai ragione, è un altro il
motivo.”
Si alzò dalla sua comoda posizione sulla scrivania e camminò
lentamente per la stanza, arrivando fino alla piccola finestra che dava sul
panorama esterno al Geo-Front. Rei rimase immobile: sapeva per esperienza che
quando la sua interlocutrice si comportava così c’era qualcosa di brutto da
aspettarsi.
Infine Ritsuko si voltò e riprese a parlare. “Evitiamo i
preamboli, Rei. Ormai è evidente che tra te e il Fourth Children c’è qualcosa
di più di un rapporto tra colleghi.”
Rei arrossì vistosamente e chinò gli occhi.
Questo non è un argomento di cui si dovrebbe discutere in
questa sede…
“Devo dire,” proseguì, “che la scelta di far salire anche
lui sullo 00 non ha avuto conseguenze negative. Anzi, tutt’altro, le
prestazioni registrate dalla memoria interna del tuo Eva sono state
discretamente superiori alla media. Resta ancora da definire se ciò sia dovuto
alla presenza di due Children particolarmente connessi oppure al tuo stato
d’animo più positivo.”
“Dottoressa,” disse Rei, atona. “Dall’espressione del suo
volto deduco che c’è qualcosa di più grave che deve dirmi.”
Accidenti… da quando si è fatta così intuitiva?
“Ecco… Sì, Rei.” Ritsuko si schiarì la voce un paio di
volte. “Dopo la fine della battaglia, il Comandante mi ha chiesto perché ho
fatto salire te e Gabriel sullo 00.”
Il volto di Rei avvampò di nuovo.
NON GLIEL’AVRA’ DETTO, SPERO!!
“E… lei cosa gli ha spiegato?” chiese, titubante.
“Gli ho… raccontato quello che ho visto,” concluse l’altra,
semplicemente.
“Co-cos’ha detto?” Rei era visibilmente agitata, più di
quanto non lo fosse mai stata in presenza di Ritsuko, tanto che la donna si
preoccupò.
“Rei, ti senti bene?”
“Sì, ma cosa le ha detto??”
Ma… Ma che le prende?? Non è mai stata così!! Credo che…
normalmente questa potrebbe essere definita rabbia, ma non ho idea di che
effetti possa avere su Rei!
“Ha detto che,” si affrettò a rispondere Ritsuko, “finché il
tasso di sincronia non avrà flessioni significative non ci saranno problemi.”
Il sollievo della First Children era evidente, anche se l’aveva
lasciata ancora vagamente inquieta.
… così il nostro futuro insieme dipende da un numero su
uno schermo…
Vedendo che non replicava, la Dottoressa Akagi si schiarì la
voce e riprese a sorseggiare il caffè. “Ad ogni modo,” riprese, a sua volta
tranquillizzata, “stati di quel genere non dovrebbero influenzare negativamente
il tasso di sincronia. Semmai lo catalizzano, come è successo oggi. Quindi non
hai nulla da temere.”
La ragazza sembrava visibilmente sollevata. Ritsuko non poté
giurarlo, ma credette di scorgere un leggero sorriso sulle sue labbra…
…Deve essere la stanchezza.
“Bene,” terminò la donna. “Ora puoi andare, dovevo solo
comunicarti quella cosa. Verrai accompagnata a casa dagli agenti addetti alla
tua sorveglianza, come al solito.”
La ragazza annuì e fece per uscire, ma subito si fermò.
“Dottoressa?”
“Sì?”
“Può prestarmi… un lettore di cd?”
Ho sentito male… Per forza. Prima lei arrabbiata, ora mi
chiede un lettore cd… Ma che sta succedendo in questa base??
“Ehm… Sì, perché?” fu la titubante risposta.
“… Vorrei che questa informazione rimanesse confidenziale,
senza che il Comandante Ikari ne sappia nulla,” annunciò Rei dopo un attimo di
esitazione.
Strano, non ho mi ero mai curata di chi venisse a
conoscenza di informazione su di me…
Questa però è una cosa privata, è solo mia e tua,
Gabriel.
Ritsuko, che ormai era preparata a qualunque sorpresa,
disse: “D’accordo, non dirò niente a nessuno.”
”Mi serve…” Rei esitò ancora, poi però ricominciò più convinta. “Mi serve per
ascoltare una serie di compact disc che Gabriel mi ha regalato sabato scorso.”
“Un… regalo?” ripeté la donna, imbambolata.
Uh, ma allora è una cosa seria! Devo parlarne con Misato…
Ah no, ho promesso di non parlarne con nessuno…
“Sì, me l’ha fatto recapitare sabato mattina,” rispose lei,
ed i suoi lineamenti si distesero maggiormente. “Si tratta… E’ sicura che non
lo riferirà a nessuno?”
“Sì, te lo prometto, Rei,” confermò Ritsuko, ora decisamente
attenta.
Accidenti alla mia promessa…
Rei si tranquillizzò e continuò a parlare: “E’ un’opera che
ha composto al pianoforte per me. L’ha fatta incidere su otto dischi, otto ore
di musica che ha composto in poche settimane. Un’opera che porta come titolo
‘Una Giornata di Rei’. Mi ha fatto avere anche lo spartito, così, non avendo il
lettore ho potuto suonarla con la mia viola… Dottoressa, si sente bene?”
La bionda era impallidita.
Non ha mai composto una frase tanto lunga finora… Sembra
che in relativamente poco tempo sia cambiata drasticamente questa Rei… Mi
chiedo se il Comandante… No, non lo saprà.
Ad ogni modo, ecco spiegata la ragione di quello stato
del Fourth Children, a scuola e durante i test. Dev’essere stato massacrante
comporre tanta musica in così poco tempo.
“Sì, sì,” la rassicurò, scuotendo la testa in segno
affermativo. Ben presto riassunse il suo colorito normale, non senza due
abbondanti sorsate di caffè. Quando si fu calmata poté continuare. “Ad ogni
modo, dovrei riuscire a procurartene uno già domani, quando verrai qui per i
soliti test.”
Gli occhi rossi di Rei sfavillarono brevemente, ma
abbastanza a lungo da essere notati.
Sì, è decisamente cambiata.
“La ringrazio, Dottoressa,” rispose infine, e si voltò per
uscire.
Gabriel…
Non c’è pericolo per noi. Ciò che c’è fra di noi non crea
nessun problema, ed il Comandante non ha posto obiezioni.
Credo… Credo di essere felice, Gabriel.
Ora nulla potrà dividerci. Né gli uomini, né gli Ang…
Si fermò all’improvviso, la gamba ancora alzata in un passo,
folgorata da un pensiero che la fece inorridire.
… Ma se gli Angeli mi uccidessero… Lui…
“Dottoressa,” chiamò, ed il suo tono di voce era così
diverso da sembrare quello di un’altra persona.
Presa in contropiede, Ritsuko non rispose subito. La ragazza
si girò ed il suo volto sembrava una maschera di pietra.
“Dottoressa,” ripeté. “Nel caso in cui mi dovesse succedere
qualcosa… Lui…?”
Alla donna si strinse il cuore.
Rei… Ho capito dove vuoi arrivare… Però…
“Lui non saprebbe nulla,” disse infine, ed il peso della
sentenza suonò come un verdetto inappellabile. Rei dovette comprenderlo, perché
chinò il capo.
Se io fossi innamorata di qualcuno e dovesse capitare
che… sì, insomma, che venissi sostituita… nemmeno io mi darei pace.
Non sapeva che fare. Pur avendo una certa preparazione anche
in ambito psicologico, Ritsuko non era mai stata brava a parlare alle persone.
Forse, se le avesse detto qualcosa, avrebbe solo peggiorato le cose. In fondo
anche lei era una complice.
Ma alla fine fu la ragazza a sollevare la testa. Negli occhi
aleggiava una sorta di determinazione primordiale, atavica. “Allora cercherò di
non essere sostituita,” affermò infine.
La Dottoressa Akagi fu sorpresa, ma sorrise: “Brava, Rei,
questo è lo spirito giusto.”
“Con il suo permesso,” chiese la ragazza, ancora con la sua
espressione risoluta, “io andrei.”
Ritsuko annuì: “Certo, vai pure. Ti meriti una bella nottata
di riposo.”
Rei annuì, si voltò ed uscì. L’altra rimase a guardarla.
Anche il suo modo di camminare sembrava in qualche modo cambiato. Il sorriso le
morì sulle labbra.
Brava Rei, cerca di non farti sostituire. Spero solo che
con un mutamento simile ciò non si renda necessario. Comandante…arriveresti a
tanto?
***
Gabriel la fissò perplesso restando in attesa delle sue
parole. Rei sospirò pesantemente e tornò ad abbracciarlo forte. “…quella volta
sono stata un’imprudente anch’io…”
“Hai ragione, siamo due imprudenti. D’ora in poi vorrà dire
che faremo più attenzione.”
“Non restare sulla soglia, entra.”
“Devo tornare a casa, altrimenti c’è il rischio che mi
prenda una paternale dal Signor Satoshi.”
La ragazza sobbalzò
nuovamente.
“No, Gabriel!” Tornò a guardarlo “ Non voglio che tu faccia
di nuovo la strada da solo!”
Per la prima volta, la First Children aveva utilizzato un
tono che non ammetteva repliche.
“Rei…” Cominciò il ragazzo con fare dispiaciuto, non volendo
farla preoccupare ulteriormente, ma lei lo interruppe distaccandosi appena da
lui per tornare a guardarlo negli occhi.
“No. No, Gabriel.” Riprese più dolce.
“Rei, io…”
“Resta qui.”
Gabriel arrossì tremendamente, subito imitato da Rei che
solo in quel momento aveva realizzato appieno quanto aveva detto.
“Magari…” continuò con tono incerto “… possiamo trovare una
sistemazione in qualche modo…”
Cosa quanto mai difficile dato che in quell’appartamento
oltre al letto c’era solo una semplice sedia in legno.
“Rei…” imbarazzato, il ragazzo inspirò profondamente “
…fosse per me dormire anche fuori questa porta. Però temo che…si, insomma,che se restassi qui avremo entrambi dei
problemi… “
“Hai ragione…però…” Affranta chinò lo sguardo al suolo come
se non sapesse più cosa dire. Non poteva dormire con lei, ma nemmeno voleva che
affrontasse di nuovo le vie di notte.
“Farò attenzione, te lo prometto,” sussurrò
Gabriel, prendendole le mani fra le sue. Rei sollevò di nuovo gli occhi verso
quelli di lui e ne trasse la stessa tranquilla determinazione che vi dimorava.
Sapeva che quella era l’unica
situazione attuabile, perché se davvero fosse rimasto da lei sarebbe stato
tutto troppo problematico da spiegare…
“D’accordo,” cedette, infine.
Non sembrava del tutto convinta, però. Il pianista lo capì, perché sollevò una
mano a carezzarle il volto. Il tocco delle sue dita le sembrò così confortante
che credette di stare sognando. Ma poi si ricordò, con una punta di amarezza,
che lei non faceva mai sogni di quel genere.
“Ti chiamerò appena torno a
casa. Ci vorrà circa un’ora e mezza, se vorrai aspettarmi.”
“Ti aspetterei per giorni, se fosse necessario,”
rispose lei, e le parole parvero sgorgare da sole dalle sue labbra. Lui sorrise
e si protese. Rei chiuse gli occhi e, come se fosse un gesto ormai abituale, lo
baciò teneramente sulle labbra. Un tocco rapidissimo, che però ebbe l’effetto
di farle battere il cuore più forte, e di scaldare le sue guance intorpidite.
Poi Gabriel si staccò, le strinse ancora le mani e le
baciò le dita.
“Buonanotte, , mia Musa,” la salutò.
“Buonanotte… Amore,” rispose lei. Quando finalmente
il ragazzo si incammino per tornare a casa, continuò a guardarlo finché non
sparì dalla vista, poi chiuse la porta e rimase in attesa della chiamata.
La Harley di Satoshi arrivò davanti al palazzo del suo
appartamento alle 4 del mattino. Si erano fermati più volte perché Misato si
sentiva male, ed avevano percorso l’ultimo tratto di strada quasi a passo
d’uomo. Quando aiutò la donna a scendere si sentiva ormai a pezzi.
Forse l’alcool sta facendo effetto anche su di me… Ho mal di
testa e mi sento di una stanchezza opprimente… Ehi!!
Misato si era accasciata all’improvviso, come se dovesse di
nuovo vomitare. Ma questa volta era solo inciampata, perché si rialzò
rapidamente, aiutata dall’uomo. Dall’espressione, sembrava non essersi nemmeno
accorta dell’accaduto.
“Voglio… andare a casa,” bofonchiò, la voce impastata dall’ubriacatura.
Anch’io lo vorrei, devi solo seguirmi… Ecco, qui c’è uno
scalino… Bravissima.
Tenendola saldamente alla vita e reggendole il braccio
attorno al proprio collo, Satoshi salì faticosamente i pochi gradini che
portavano nell’ascensore. Lì poté finalmente rilassarsi, mentre lei si
appoggiava alla parete, gli occhi chiusi.
Non mi capitava di accompagnare a casa qualcuno ubriaco dal
liceo, quando quello ubriaco non ero io… Solo che all’epoca non era la mia
ragazza.
In effetti, non so nemmeno se posso considerare Misato come
la mia ragazza.
Non abbiamo più parlato di quel bacio… Né di quello che è
successo dopo. Come avremmo potuto?
Le gettò un’occhiata. Sempre ad occhi chiusi, Misato stava canticchiando
una canzone incomprensibile. Inconsapevolmente, l’uomo sorrise.
Niente da fare, ispira tenerezza anche se è ubriaca
fradicia… Mi ispirerebbe tenerezza in qualunque modo.
Credo che, dopotutto, quello che le ho detto sotto gli
effetti di quell’Alexander fosse vero.
-ding-
Le porte si aprirono e Misato prese a lamentarsi: “Aaah, ma
cos’era quel rumore… Basta, voglio solo dormire…”
“Ci siamo quasi, Misato,” incalzò Satoshi, affaticato a sua
volta, riprendendola alla vita. Ma sembrava che quel breve riposo in ascensore
le avesse giovato, perché riusciva a camminare senza barcollargli addosso.
“Sa… Satoshi, grazie, ma non è necesarrio… ehm, necessario
che mi reggi, ora riesco a camminare.”
L’uomo provò a lasciarla, ed in effetti Misato riuscì a barcollare
meno pericolosamente fino alla porta. Vi si appoggiò e frugò nella borsetta
alla ricerca della tessera d’accesso.
“Uhm… uuuhh… Ma dov’è il tesserino?” canticchiò,
soprappensiero. “Ah, eccolo.”
Inserì l’oggetto nel lettore e con un sordo -clack- la porta
si aprì.
“Tadaima…” sussurrò, anche se le luci spente e l’ora tarda
non lasciavano supporre che qualcuno potesse risponderle. Infatti, non
ottenendo risposta la donna si voltò, la delusione dipinta sul volto.
“Non mi hanno aspettata in piedi. Che ingrati…”
“Misato, sono le 4 del mattino,” fece notare Satoshi,
comprensivo nonostante la stanchezza. “Se fossero rimasti in piedi sarebbero da
rimproverare, non credi?”
“Mmmh, hai ragione,” ammise lei, annuendo col capo. Poi gli
dedicò un sorriso smagliante, con gli occhi ridotti a due fessure.
“Ti inviterei a prendere un drink, ma… Forse non è il caso…”
Risero brevemente. Poi Satoshi la guardò.
Accidenti… E’ bellissima…
“Forse è il caso che vada, domani sarà un’altra lunga
giornata da dipendente alla Nerv,” scherzò l’Agente, allontanando il ricordo di
quella serata dalla sua mente. Lei sorrise ancora di più.
“Già, hai ragione. Che brutta vita quella del dipendente
della Nerv… Rischia la vita e se si sbronza deve tornare al lavoro lo stesso… A
domani, comunque, salutami Gabriel…”
Si salutarono con un cenno della mano e Satoshi fece per aprire la porta
del proprio appartamento, quando la voce di lei lo chiamò di nuovo.
“Ah, Satoshi… Ti ha mai detto nessuno che baci bene?”
Una violenta vampa di calore investì il volto dell’uomo.
“Ehm… In effetti no, credo…”
“Beh… Baci molto bene,” disse lei con la semplicità dettata
dall’ubriachezza. “A domani, buonanotte.”
“Bu-buonanotte, Misato,” balbettò lui, prima di
entrare e chiudersi la porta alle spalle. Era stata una serata incredibile.
Un’intera giornata incredibile. Ma ora tutto quello di cui aveva bisogno era un
buon sonno. Continuando a ripetere nella sua mente le ultime parole della donna
si buttò sul letto e si addormentò all’istante, senza nemmeno controllare se
Gabriel stava dormendo meno.
Il ragazzo infatti era tornato da circa due ore,
aveva già telefonato a Rei per tranquillizzarla (e solo allora anche lei era
tornata a dormire) e si era addormentato.
La mattina successiva Gabriel fece molta fatica a
svegliarsi, come d’altronde tutti gli occupanti dei due appartamenti affiancati.
O meglio, quasi tutti.
Quando finalmente si fu reso conto di
essersi alzato e di essersi cambiato, il Fourth Children si accorse che anche
Satoshi era già in piedi e lo stava salutando. Era ancora spettinato e
trasandato, nonostante l’ora per i due fosse già piuttosto tarda.
Fortunatamente, grazie alla disciplina mentale che avevano maturato, l’uno nel
Sankendo e l’altro nel pianoforte, si poterono riprendere bene, e riuscirono a
farsi trovare pronti con un netto anticipo.
“Com’è andata la serata, signor Satoshi?” chiese Gabriel mentre consumavano una rapida e sostanziosa
colazione a base di cereali. L’uomo cambiò la posizione in cui era seduto.
“Molto… divertente, grazie, Gabriel,”
ammise infine, senza guardare il suo interlocutore. “E
la tua invece?”
Il ragazzo arrossì vagamente e finì rapido i cereali.
Satoshi non avrebbe dovuto sapere della sua ‘passeggiata notturna’ da Rei. Quando tornò a sentirsi padrone di sé, riportò gli occhi sull’uomo,
che si era fatto preoccupato per il suo silenzio. Decise di rivelargli solo lo
stretto indispensabile.
“Non molto divertente, purtroppo,”
annunciò, contrito. “Diciamo anzi che non c’è stata una serata.”
L’Agente attese, nel caso volesse
aggiungere qualcosa, poi parlò: “Cos’è successo?”
“Si può dire una divergenza di opinioni,
tra me e la Second Children.”
“Perché?” chiese Satoshi, stupito.
“Quando vi avevamo lasciati sembravate allegri e
spensierati…”
Gabriel si alzò e prese le scodelle sua
e del suo tutore, per portarle in cucina. Decise anche che
non era il caso di parlargli della litigata con Asuka del pomeriggio.
“Sai com’è fatta: o sei con lei, o sei contro di lei. Non eravamo d’accordo su
cosa fare, così ci siamo impuntati e lei ha dato in escandescenze. Alla fine ci
siamo ritirati, lasciando Shinji come padrone del campo di battaglia…”
“Non se la sarà presa troppo, vedrai,”
lo rincuorò Satoshi, all’oscuro di tutto ciò che era accaduto prima.
E’ quello che spero anch’io. Non sopporto che le persone soffrano per le mie azioni…
Non dovette attendere troppo per avere i suoi dubbi
dissipati. Pochi minuti dopo, infatti, Satoshi decise che era
ormai ora di chiamare gli altri ragazzi per andare a scuola. E come al solito, li avrebbe accompagnati lui.
Non riuscirò ad accompagnarli in moto. Chissà se Misato se
la sentirà di accompagnarci con la sua Renault…
Chissà se si ricorda di quel che è successo stanotte,
piuttosto. E come l’ha presa…
Con il cuore in gola, ciascuno per i suoi motivi, entrambi andarono a chiamare Asuka e Shinji, suonando al campanello.
La porta si aprì pochi minuti dopo, rivelando i due Children pronti per uscire
e PenPen in mezzo a loro, che salutò Satoshi e Gabriel con un roco -sgueak-. La Second ed il Third Children li salutarono
invece con un sorriso, dal quale non traspariva per niente il turbamento che li
aveva coinvolti la sera prima.
Asuka, quindi non è servito a nulla il discorso che ti ho
fatto? Sei sempre la solita arrogante, prepotente Fraulein Asuka Soryu Langley?
Eppure… Il tuo sorriso sembra diverso, privo della
solita alterigia. Più… rilassato. Sincero.
Ed anche Shinji sorride più rilassato, nonostante quello
che è successo! Forse… Forse ha capito? Ha capito cosa intendevo e lo ha
accettato?
Li guardò attonito per qualche altro secondo, però le loro
espressioni, un po’ assonnate ma senza dubbio quiete,
lasciavano poco spazio a dubbi. Finalmente si decise a sorridere e li salutò a
sua volta.
Chi invece sembrava ancora ansioso era Satoshi. Gettava
continuamente sguardi all’interno della casa. Shinji lo notò. “Signor Iwanaka,
cosa c’è?”
“Ehm… Misato è già in piedi?”
“No,” rispose Asuka, ridendo.
“Abbiamo provato a svegliarla, ma sembra che si sia ubriacata parecchio. Ha detto che avrebbe riposato ancora. Però ci ha dato le chiavi
della Renault Alpine, così può accompagnarci lei.”
La ragazza gli porse le chiavi e lui le prese.
Mi presta la sua Renault Alpine? O è ancora ubriaca… oppure… si fida di me nonostante
l’accaduto…
Visibilmente sollevato, salutò PenPen (che rispose con uno -sgueak- interrogativo) e andò verso l’ascensore con i
ragazzi. Lungo il breve tragitto, Gabriel si accostò alla
Second Children, che lo guardò interrogativa, per rivolgerle solo poche parole
sorridendo. Ormai aveva capito. La maschera era caduta e quella era
la vera Asuka.
“Piacere di conoscerti, Asuka.”
In breve l’espressione della ragazza passò dallo stupore
alla comprensione. Poi si distese in un sorriso spensierato.
“Grazie, Gabriel.”
Quando arrivarono a scuola (Satoshi
aveva adottato uno stile di guida molto meno spericolato di quello di Misato,
ma erano comunque arrivati in tempo), Rei era già arrivata. Ma
anziché entrare era rimasta ad aspettarli davanti al cancello, e si avvicinò a
loro preoccupata non appena scesero dalla macchina. Appena Gabriel la vide, i
suoi occhi si illuminarono e le corse incontro.
“Buongiorno.” Le sorrise, ma lei sembrava decisamente
in pensiero, e questo non passò inosservato al pianista “Rei, c’è qualcosa che
non va? Non ti senti bene?” Chiese seriamente preoccupato.
La ragazza scosse la testa in senso negativo.” No, io sto bene, ma tu? Ieri…” e abbassò la voce per non
farsi udire “ …è andato tutto bene? Hai avuto dei problemi per strada o a
casa?”
“Stai tranquilla, è andato tutto
bene. Per strada non ho incontrato anima viva e quando sono tornato a casa, il
Signor Satoshi ancora non c’era. Proprio come ti ho
detto a telefono.” Le sorrise intenerito.
Rei sospirò di sollievo, ora totalmente tranquillizzata, per
poi rivolgergli un tenue sorriso felice.
In quel momento una voce squillante alle loro spalle li fece
quasi sobbalzare.
“Ehilà, First!” Asuka si stava avvicinando baldanzosa come
sempre seguita da uno Shinji incredibilmente solare,
eppure ora c’era qualcosa di diverso. Il tono era sempre il solito, ma era come
se avesse perso ogni parvenza di ostilità. La First Children la
guardò perplessa.
“Beh? Non vorremo fare tardi dico
bene? Potrai strapazzare il tuo ragazzo durante la pausa
pranzo!” Esclamò la rossa fermandosi a pochi passi davanti a loro.
La First Children, al pari di
Gabriel, era tremendamente arrossita “Soryu…!” protestò debolmente.
Il pianista invece si girò verso il Third Children, ma
quest’ultimo si limitò a sorridergli come in un muto ringraziamento che Gabriel
colse al volo e cui replicò con un tenue sorriso.
Ignorando il rossore, il Fourth Children passò quindi il
braccio sinistro attorno alle spalle di Rei che subito lo fissò
interrogativa. Anche a lei era evidente che qualcosa era
avvenuto e che doveva essere collegato a quanto accaduto prima del
combattimento con l’Angelo.
“Credo proprio che Asuka abbia ragione…” iniziòGabriel guardandola
negli occhi e sorridendole per rassicurarla “…se non ci sbrighiamo faremo
tardi.”
“Si, hai ragione.” La First Children
sorrise a sua volta.
“Bene!” Riprese Asuka. “Shinji, in marcia!”
“Subito!” Rispose gioioso all’appello incamminandosi a suo
fianco.
Misato si svegliò, e non seppe dove si trovava. Era tutto
buio e qualcosa la ricopriva, ed aveva un fortissimo dolore alla testa. Si
mosse e gemette, cercando di attirare l’attenzione di qualcuno che potesse aiutarla. Poi uscì da sotto le lenzuola e si rese
conto di essere nella propria camera da letto.
Ah già… E’ vero, sono a casa… Ma che ore sono?
Cercò la sua sveglia a tentoni,
faticando a metterla a fuoco. Quando finalmente ci
riuscì la buttò da parte e si lasciò cadere di nuovo sul futon.
Ancora cinque minuti, non chiedo altro…
Ahio, che mal di testa… Mi sembra di aver sbattuto contro
un camion in corsa… Magari se rimango altri cinque
minuti a letto mi passa.
Però i ragazzi dovrebbero già essere a scuola, come faccio ad
accompagnar…
Ah sì, ora ricordo, ho dato loro le chiavi della Renault
Alpine… COSA??
Scattò a sedere, gli occhi spiritati, gridando, con voce
ancora impastata: “Non possono ancora guidare!”
Però c’era qualcosa che le diceva
di stare tranquilla, che non c’era nulla di sbagliato. Quando
finalmente realizzò, tornò a sdraiarsi più calma, accoccolandosi fra le
coperte.
Già, è vero, gliele ho date per farla guidare a Satoshi…
Mmmhh… In fondo credo che lui sia abbastanza affidabile nella guida, la mia
auto non dovrebbe correre rischi…
Ma perché questo mal di testa mi perseguita?
Si rigirò un paio di volte nel letto, incapace di trovare
pace.
Mi sembra un doposbornia… Come se ieri sera mi fossi ubriacata… Ma… E’ vero! Ora ricordo! Mi sono ubriacata
davvero!
Come rassicurata dall’idea, sorrise, sempre ad occhi chiusi,
e si rilassò.
E mi sono ubriacata… in un posto nuovo, ero andata
all’inaugurazione… con Satoshi… e ci siamo baciati…
Un momento… Ma noi siamo fidanzati?
NO!! Non siamo fidanzati, eppure ci siamo baciati lo
stesso! E dopo…!!
Scattò di nuovo a sedere, stavolta angosciata oltre ogni
dire.
Mio Dio, gli ho quasi… quasi fatto una proposta sconcia!! Al primo appuntamento!!
Si alzò in piedi, un po’ barcollante a causa dell’alcool .
E poi cos’è successo?? Accidenti,
non ricordo nulla! Avanti, Misato, pensa! Ho trovato! Una bella doccia fredda
mi schiarirà le idee!
Cercando di non andare a sbattere da nessuna parte, si recò
in bagno, dove si spogliò e si buttò sotto il getto d’acqua gelida.
NO!! NON E’ STATA UNA BUONA IDEA!!!
Ne emerse poco dopo, il corpo
percorso da brividi, ma la mente più lucida.
Brrr… Mi sento… un po’… meglio… in effetti…
E ricordo anche un po’ di più di quel che è successo…
Dunque… Dopo il drink… No, veramente dopo l’ultimo
dei drink, l’ho baciato. Oppure lui mi ha baciata, non
ne sono sicura. Però poi sono stata io ad invitarlo ad uscire, e la mia idea non era certo quella di prendere una boccata d’aria!!
Chissà cos’avrà pensato di me… Dopo quello che ha
detto quell’idiota di Kaji in ascensore, poi…
Si asciugò rapidamente e fece un giro per la casa alla ricerca
di biancheria pulita. Non notò nemmeno PenPen, che la guardava stranito dalla
soglia della cucina. Quando finalmente ebbe trovato
qualcosa da indossare, tornò a letto a riflettere.
Sì, ora mi sento meglio. Allora. Dopo il bacio e le mie…
ehm… avances, siamo usciti dal locale ed io… ah sì, gli ho
quasi vomitato sulle scarpe.
Ehm… Forse me lo sono già detto, però, Misato, hai avuto
un gran stile. Complimenti.
Però mi pare che lui non fosse
mal disposto nei miei confronti. Anzi, se non sbaglio ha pure detto che gli piaccio…
Sorrise.
Anche lui non è male, non è affatto
male. E bacia pure bene, tra parentesi. Ad ogni modo,
è stato gentile con me nonostante io mi sia comportata un
po’ con leggerezza. Forse davvero non è stata una cosa del
tutto negativa questa mia ubriacatura. Per colpa di quello scemo di Kaji
che mi ronzava attorno tutto il tempo probabilmente
non avrei mai avuto la possibilità di accorgermi di quanto Satoshi mi piacesse.
Ho ancora vaghi ricordi di quel che è successo
quando siamo tornati… Mi ha portata qui in moto, mi ha fatto salire le
scale, in ascensore, poi alla porta…
Ah sì, gli ho detto che baciava
bene… Beh, è vero.
Aggrottò le sopracciglia, pensierosa.
E lui cos’ha risposto? Non riesco a ricordare! Accidenti…
Non posso nemmeno chiederglielo, ho già fatto abbastanza brutte figure a
riguardo…
Però non poteva essere nulla di male, se no stamattina non
gli avrei prestato la macchina… Di solito appena sveglia mantengo abbastanza il
ricordo di ciò che ho fatto durante l’ubriacatura, è
subito dopo che mi scompare…
Però ora che faccio? Dovrei almeno aspettare che torni dalla
scuola, non posso nemmeno andare alla Nerv a piedi. In
queste condizioni, poi! Ho trovato!
Rotolò sul futon fino a raggiungerne il bordo e si sbracciò
alla ricerca di un oggetto. Quando lo trovò sorrise,
trionfante.
Ne parlerò a Ritsuko!
Soddisfatta da questa sua trovata digitò il numero del
cellulare dell’amica, sicura di trovarla non solo già sveglia, ma già al
lavoro. Dovette attendere solo pochi squilli prima di sentire la voce
pragmatica della bionda Dottoressa.
“Pronto?”
“Ciao, Ritsuko, sono Misato.”
“Misato! Dove sei?”
“Sono a casa… perché?”
“Perché?? Perché
dovresti essere al lavoro da dieci minuti ormai!”
La donna sobbalzò e guardò la sveglia.
“Accidenti, hai ragione! Ho perso il senso del tempo!”
“E che stavi facendo per perdere il
senso del tempo?”
“Ehm… stavo ripensando a quello che è successo ieri sera.”
Passò un breve attimo di silenzio, poi Ritsuko sospirò: “E
che è successo ieri sera? Andiamo, Misato, non farti tirare fuori le notizie
con il cavatappi. Se mi hai chiamato è ovvio che tu me
ne voglia parlare.”
In effetti ha ragione… Però non voglio che la figura
dell’impicciona la faccia io!
“D’accordo, d’accordo…”
Le raccontò per filo e per segno ciò che ricordava della
serata, omettendo con cura ogni riferimento al bacio. Dal telefono, ogni tanto,
si udivano dei suoni metallici e fischi tipici di un laboratorio. Oltre che,
verso la fine, i sospiri esasperati di Ritsuko.
“E questo è tutto?”
“Sì, più o meno…”
“E mi hai chiamato durante le revisioni
agli Evangelion, invece di presentarti al lavoro, solo per raccontarmi una cosa
del genere? Non ci credo. Avanti, sputa il rospo. Come bacia?”
Misato rimase spiazzata. “C-Come sai che mi ha baciata??”
“Non ci vuole molto. Tutte le cose che mi hai raccontato
erano troppo scontate per giustificare una telefonata.
E poi lo so come ti comporti quando sei ubriaca…”
Dannazione… Mi conosce troppo bene.
“Cosa vuoi insinuare??”
“Niente, solo l’ovvio. Andiamo, raccontami
anche il resto.”
Misato, che non aveva altre frecce al proprio arco, svuotò
il sacco.
“Mmh,” fu l’unico commento
dell’amica.
“E… quindi?” chiese il Capitano,
ansiosa.
“Quindi cosa?”
“Quindi come mi devo comportare
secondo te?”
“Innanzitutto, prima di raccontarlo
alle tue amiche dovresti parlarne con lui.”
La donna accusò il colpo. “Me ne ricorderò per le prossime
volte. E dal lato pratico invece?”
“Dovresti parlarne con lui appena lo incontri. Se era una cosa seria, a prescindere dall’alcool, allora è
bene che decidiate cosa debba esserne fatto. Se invece non lo era, è bene che
vi chiariate al più presto.”
“Le tue parole sono sempre illuminanti, Ritsuko.”
Lo sapevo anch’io che dovrò
parlargliene, volevo sapere tu cosa ne pensavi!
“Bene. Dato che mi pare di aver capito che lui ha preso la
tua auto, ritengo giustificata la tua assenza. Ma
quando arriverà chiaritevi in fretta, perché qui alla Nerv non possiamo
attendere i comodi dei nostri dipendenti.”
Come se non fosse anche lei una dipendente del Comandante
Ikari!
“D’accordo, allora quando arriverà faremo in fretta a
parlare della cosa.”
“Ti aspetto qui fra due ore al massimo.”
Inflessibile come al solito, eh?
Meno male, è per questo che mi sono sempre rivolta a
te in questi casi.
“Sarò lì. Grazie Ritsuko.”
“Mmh,” fu l’unica risposta, prima
che l’altra riagganciasse.
Misato posò il telefono, diede un’altra occhiata alla
sveglia e si alzò, decidendosi finalmente di prepararsi per uscire. Ma forse in realtà, come testimoniava il suo sorriso, si
preparava a parlare con Satoshi.
Non dovette attendere molto. Satoshi arrivò verso le 8.30,
ma passò dieci minuti davanti alla sua porta, cercando di elaborare una
strategia per ridare le chiavi a Misato e, se possibile, per parlare con lei di
quanto successo allo Scarlet Dawn. Quando finalmente suonò
il campanello aveva escogitato un piano che gli sembrava inattaccabile. Ma questa sua convinzione evaporò appena la donna aprì la
porta.
“C-ciao!” balbettò Satoshi, porgendole subito dopo la chiave della Renault Alpine con un movimento meccanico. “Eccoti
la tua… L’uomo si bloccò, non riuscendo a trovare la parola adatta. Misato però
lo trasse d’impiccio con un sorriso imbarazzato, prendendo l’oggetto dalla sua
mano tesa.
“Grazie, Satoshi,” replicò,
rigirandosi nervosamente tra le dita l’anello metallico che univa chiave e
portachiavi.
Un breve attimo di silenzio imbarazzato, poi Misato riprese:
“Tutto a posto? Intendo per il viaggio, nessun problema?”
“No no,”
si affrettò a tranquillizzarla Satoshi. Decisamente le
cose non stavano andando secondo i piani. “Senti,”
azzardò, “i ragazzi mi hanno detto che non ti sentivi molto bene stamattina.
Ora ti senti meglio?”
Tralasciando l’assurdità della domanda, dato che era in
uniforme e perfettamente in sé tanto che nessuno avrebbe potuto dire che era reduce da una sbornia colossale, il Capitano
annuì vigorosamente. “Sì, grazie dell’interessamento, mi è passato il mal di
testa.”
Ciò non era del tutto vero, ma era inutile farlo preoccupare
in quel momento.
Se non glielo dici ora non glielo
dici più, Misato. E poi, te l’immagini cosa direbbe
Ritsuko sapendo che l’hai disturbata per poi non mettere in pratica i suoi
preziosi consigli??
“Senti,” incominciò lei, quasi
senza pensare. “Riguardo quello che è successo stanotte…”
Ecco, ora mi dirà che è stato un
errore, che non sa perché l’ha fatto, che ama ancora il Signor Bellimbusto, e
che sono stato un idiota a farmi false aspettative.
Ma il seguito della frase non
arrivava. Col cuore in gola, Satoshi rimase in attesa.
Misato invece deglutì un paio di volte e riuscì a parlare.
“Ecco… Tu te lo ricordi?”
“Perfettamente,” disse lui,
automaticamente.
“Bene… I-io… non molto…”
Misato… SEI L’OMBRA DI TE STESSA!!
Guardati! Sembri una ragazzina al suo primo appuntamento! Vergognati!
“Ah…” fece Satoshi, ma venne
interrotto prima di poter dire qualunque cosa. Tutta la sua mente era
concentrata sulle parole della donna, cercando di coglierne ogni minima
sfumatura, ogni minima tonalità che lo facesse
sperare…
“Cioè, voglio dire…” riprese
Misato, arrossendo vistosamente. “Io… Sono stata bene ieri sera con te.”
Visto?? E che ci voleva!!
Satoshi ci rimase di stucco, e non riuscì a formulare nessun
pensiero. D’altronde, il Capitano stesso si stava ancora ripetendo mentalmente
la frase che gli aveva detto, incredula. L’uomo fu il primo a riscuotersi dal
torpore in cui entrambi erano piombati.
“Grazie,” disse, sorridendo
sinceramente. “Anche io lo sono stato.”
Quelle parole ebbero l’effetto di far uscire Misato dal suo
mutismo.
“Riguardo quello che è successo… là,”
abbozzò, ancora incerta su come affrontare l’argomento, “come… ci hai già
pensato?”
Satoshi sospirò. La donna credette di leggervi della
speranza mista alla rassegnazione, ma non ne era del
tutto sicura. “Sì. Ci sto pensando da quando è successo
ad ora, ininterrottamente. Non riesco a capacitarmi che sia
successo davvero.”
Il cuore di Misato prese a battere ancora più forte. Cercò
di sorridere, ma ottenne solo una specie di smorfia allegra. “Quindi… il fatto che sia successo non è nulla di grave,
vero?”
“Se non lo è per te, allora no. Per me è stata una cosa
meravigliosa.”
ANCHE PER ME!!!
“Anche per me,” rispose lei,
succinta, cercando di frenare l’euforia che la stava possedendo. Vedeva l’uomo
sotto un’altra luce, ora. Le sembrava… più solare. Proprio ciò di cui aveva
bisogno.
-Davvero?
Presa alla sprovvista, scacciò il pensiero che le si era affacciato alla mente e sorrise, sperando che lui
non si accorgesse della sua inquietudine. Ma quando parlò,
parve che non ci avesse dato peso.
“Sono felice che sia successo,”
annunciò felice l'Agente.
Misato sentì un grande calore
dentro di sé, un calore che la rese più calma e più sicura di sé e dei suoi
sentimenti. “Quindi,” concluse, “potremmo… provarci.”
Per un altro lungo attimo rimasero entrambi in silenzio, ma
stavolta era un silenzio carico di aspettativa e di
emozione, non di tensione ed imbarazzo. Alla fine, Satoshi sorrise e si
avvicinò di un passo alla donna. “Sì, potremmo provarci.”
Le loro labbra si incontrarono in
un altro, lungo bacio, quasi a suggello delle loro parole.
Quando Gabriel, Rei, Asuka e Shinji entrarono
in classe, gli occhi di tutti si puntarono sul pianista e la First Children. E cadde il silenzio.
In particolare Motoko, Yuki e Keikostavano fissando Gabriel come si studia
un piano tattico.
Ehm… che ho fatto?
Shinji fu il primo a capire che la causa era l’abbraccio con Rei del giorno prima.
***
Nessuno aveva osato fiatare per i successivi dieci minuti.
Lo sguardo dell’intera classe era rimasto piantato attonito sulle due figure
abbracciate che sembravano isolate dal resto dell’ambiente. Solo dalla porta si
era udito un flebile singhiozzo, troppo tenue per essere riconosciuto dai presenti come tale, e la figura di Keiko, non vista dagli alunni, corse via sbattendo
contro il professore di Biologia.
“Omura, che succed…”Il professore lanciò uno sguardo nella
classe immersa nel silenzio e quando vide la causa di tutto quello sgomento,
gli cadde quasi di mano il registro.
Ayanami che abbracciava l’ultimo venuto della classe quando per quasi due anni interi non aveva legato con
nessuno dei suoi compagni? “Incredibile…”
Solo qualche istante dopo, la Capoclasse si avvide
dell’arrivo del docente e diede le classiche disposizioni di saluto.
***
“Allora…” Asuka prese la parola intervenendo a difesa degli
amici “…che avete da guardare? Su su avanti,non ci sono lezioni da ripassare?
Hikari, richiama all’ordine la tua Classe, forza.”
Peccato che anche l’inflessibile Capoclasse si fosse messa a
guardare i due e stesse sorridendo inebetita.
“Ma che vi è preso a tutti??”
sbottò la rossa, sbracciandosi, in modo da attirare su di sé l’attenzione.
Horaki si riscosse e la guardò. “Ah, sì, Asuka, è solo che…”
“Hikari Horaki, Capoclasse della II-A,”
recitò la Second Children con uno sguardo terribile negli occhi. L’interpellata
si fece piccola, arrossendo. “Come, ‘è solo che…’??
C’è da riordinare una classe!”
L’altra ragazza scattò in piedi, intimorita. Subito cominciò
a sbraitare ordini verso i compagni di classe, cercando di dominare la
situazione, ma questi avevano cominciato a ridere
smodatamente. Ben presto Asuka cinse le spalle di una
furente Capoclasse e la blandì con un paio di scuse. Subito la situazione tornò
alla normalità, Hikari tornò sorridente e gli alunni tornarono a chiacchierare tra di loro, immemori del silenzio imbarazzante di poco
prima. Mentre Rei prendeva posto a sedere, ancora un
po’ scossa dall’accoglienza, la Second Children strizzò l’occhio con aria
complice a Gabriel, che ricambiò con un sorriso.
Sembra un’altra… Asuka.
“In piedi! Inchino! Seduti!” ordinò Hikari, restaurata in
tutto il suo potere, quando entrò l’insegnante. Tutti senza esitazione
eseguirono.
Il professore di Matematica non fece in tempo ad estrarre il
registro che un primo -bip- richiamò l’attenzione del
Fourth Children sul proprio computer. Mentre aspettava il suo turno per
rispondere all’appello aprì la prima mail della
giornata.
From: Kensuke AidaTo:
Gabriel Vancy
Object: Vittoria
sull’Angelo!
MITICO,
TROPPO MITICO!! Ieri mentre andavamo tutti a
nasconderci come conigli avete sconfitto un Angelo! Sai,
è un po’ che conosco gli altri Children, ma ogni volta
che capita una battaglia è come se fosse la prima!
Dimmi,
come l’avete sconfitto? Purtroppo non l’ho visto nemmeno di striscio! Puoi dirmi che aspetto aveva? Era un altro calamaro? E come lo avete attaccato? Quali armi avete
usato?
Gabriel esitò un po’ prima di rispondere, dato che non
sapeva quali e quante di quelle informazioni fossero coperte dal segreto
militare. Alla fine decise di non rischiare.
From: Gabriel VancyTo:
Kensuke Aida
Object:
Re: Vittoria sull’Angelo!
Kensuke,
non so quante di queste informazioni siano top secret,
ti consiglierei di chiedere a Shinji. Lui sa sicuramente più di me.
Gabriel
Come ormai era abituato, non fece in tempo ad inviare che un
altro -bip- lo avvisò petulante.
From: Toji SuzuharaTo: Gabriel Vancy
Object: Eh eh
Ehilà,
eroe! Scommetto che Kensuke ti ha già chiesto come è
andata la battaglia di ieri… Beh, e a parte la battaglia? Voglio dire… Con
Ayanami? E’ una cosa seria? Coraggio, puoi dirlo, siamo tra uomini!
Gabriel arrossì vistosamente, e
cercò di non guardare Rei, perché sapeva che se l’avesse fatto il suo colorito
sarebbe diventato ancor più vermiglio.
From: Gabriel VancyTo:
Toji Suzuhara
Object: Re: Eh eh
Toji…
Questi sono argomenti di cui gradirei non discutere così, in pubblico…
Anche se questa mail non la leggerà nessun altro. A dirla tutta, ieri è stata una giornata piuttosto movimentata per
noi, così abbiamo avuto poco tempo per parlare. Comunque,
stai sicuro che appena ci saranno novità sarai il primo a saperlo.
Rimase a pensare ancora un po’, poi si decise a concludere la mail.
Per me, comunque, è una cosa molto seria.
Gabriel
“Vancy?” chiamò il professore, giunto quasi alla fine
dell’elenco.
“Presente,” fu la pronta risposta,
mentre un altro -bip- suonava piano dal suo computer. Questa volta accanto alla
busta lampeggiante c’era il numero 2. Quando aprì l’elenco delle nuove mail ricevute sobbalzò: una era di Motoko, ma l’altra era di Rei.
Tralasciò la prima mail, per
dedicarsi trepidante alla seconda.
From: Rei AyanamiTo:
Gabriel Vancy
Object: Domanda
Hanno già
ricominciato a sommergerti di mail, eh?
Rei
Con un lieve sorriso sulle labbra, incurante degli sguardi
penetranti di una certa ragazza in prima fila, prese a ticchettare la sua
risposta sulla tastiera.
From: Gabriel VancyTo:
Rei Ayanami
Object: Re: Domanda
Purtroppo
sì, Rei. E pensare che la prima mail che volevo
scrivere stamattina sarebbe stata per te…
Se per te
va bene però, mi farò perdonare a pranzo.
Gabriel
Terminò di ticchettare con un’ultima pressione sul tasto
‘invio’, e rimase in attesa di una risposta, cercando
per quanto possibile di prestare attenzione al professore, nel frattempo. Dopo
un attimo arrivò la risposta.
From: Rei AyanamiTo:
Gabriel Vancy
Object: Re: Domanda
Davvero? Ma non sarai braccato da Suzuhara, come ieri?
Gabriel sorrise al ricordo: il giorno prima, durante
l’intervallo, avrebbe voluto stare un po’ solo con la
First Children, tuttavia Toji aveva insistito tanto da costringerli a pranzare
con lui e gli altri. Quando riprese a ticchettare però
aveva un’espressione rapita.
From: Gabriel VancyTo:
Rei Ayanami
Object: Re: Domanda
Non mi ha
ancora chiesto di pranzare con loro. Ma anche se
l’avesse già fatto, affronterei anche la sua ira pur di stare solo con te.
Gabriel
Inviò la mail e rimase, col cuore
in gola, ad attendere la risposta. Non aveva mai rivolto frasi del genere a
nessuno, ed in effetti gli suonava un po’ strano esprimerle.
Forse se Toji, oppure anche Asuka avessero letto quella mail
lo avrebbero preso in giro, ma non gliene importava granché. Voleva esprimere a
Rei ciò che sentiva nel suo animo, e quello era il modo migliore che avrebbe
potuto mettere in pratica in quella situazione.
Quasi sobbalzò quando si sentì
toccare il braccio. Si voltò e vide che la First
Children aveva allungato la mano destra fino al suo avambraccio, rossa in
volto, lo sguardo attento affinché il professore non notasse. Quando fu del tutto sicura di non essere notata tornò a guardare
Gabriel. I loro occhi si incrociarono ed entrambi
arrossirono. Rei sorrise ed annuì lievemente col capo. Il ragazzo stava per parlare ma si zittì subito.
“Aida, interrogato,” sentenziò il
professore, alzando lentamente gli occhi dal registro.
Dato che Kensuke era seduto non molto distante da Gabriel e Rei, quest’ultima ritrasse di scatto la mano,
nascondendosi dietro allo schermo per non farsi vedere, subito imitata dal
Fourth Children. Entrambi erano rossi come l’Unità
Evangelion 02. Dietro di loro, Toji non rideva solo per solidarietà nei
confronti dell’amico Kensuke, che d’altronde stava sudando freddo, e deglutiva
più volte.
“Aida,” ripeté il professore,
fissandolo attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali, “vieni interrogato.”
Lentamente il ragazzo si alzò, incoraggiato sottovoce da
Toji e Gabriel. Ma sembrava un condannato che si
recava al patibolo. Quando ormai ebbe raggiunto la
cattedra ed il professore si fu alzato per interrogarlo, il Fourth Children
trasse un lungo sospiro di sollievo. Farsi trovare quasi mano nella mano con Rei dal professore avrebbe quasi sicuramente
calamitato l’attenzione di tutta la classe, quando aveva invece appena espresso
il desiderio di restare solo con lei…
Attendendo che il rossore svanisse,
Gabriel rimase chino davanti al suo computer, fingendo di riordinare gli
appunti, quando il solito -bip- lo richiamò. Sollevò subito gli occhi, ma fu
deluso nello scoprire che la nuova mail era di Toji.
From: Toji SuzuharaTo:
Gabriel Vancy
Object:
Eh eh parte seconda
Eh eheh… No, non sono insensibile, so che Kensuke è
andato all’interrogazione senza aver studiato, però sono ancora colpito dal
gesto di Ayanami: a quanto pare anche per lei è una cosa seria, caro il mio
Gabriel…
Il viso del ragazzo avvampò, questa volta di rabbia. Non
erano cose su cui scherzare. Ticchettò con forza sulla tastiera.
From: Gabriel VancyTo:
Toji Suzuhara
Object: Re: Eh eh parte seconda
Toji, ma
stavi sbirciando??
Gabriel
La risposta arrivò dopo un attimo, mentre Kensuke si
arrovellava per trovare la soluzione ad un problema di geometria.
From: Toji SuzuharaTo:
Gabriel Vancy
Object: Re: Eh eh parte seconda
Beh, io
sono seduto proprio dietro di te, è difficile che non noti quel che mi succede
davanti al naso… Ad ogni modo, non intendevo prendervi
in giro, ci mancherebbe altro. E qualcosa mi dice che
oggi non ci sarà modo di convincerti a mangiare con noi…
Gabriel rimase spiazzato dalla perspicacia dell’amico, e
tutta la collera svanì di colpo. Anzi, sorrise, grato,
e rispose.
From: Gabriel VancyTo:
Toji Suzuhara
Object: Re: Eh eh parte seconda
Grazie,
Toji.
Gabriel
Pochi minuti dopo, un altro -bip- lo avvisò di una mail. Si fece subito attento quando
notò che era di Rei.
From: Rei AyanamiTo:
Gabriel Vancy
Object: Paura
Il
professore avrebbe potuto vedermi mentre ti chiamavo…
Ho avuto paura, ma per fortuna non è successo nulla. Però
spero che Aida se la cavi bene. Ad ogni modo, accetto molto volentieri di
pranzare con te, Gabriel.
Rei
Gabriel sorrise, euforico, e digitò un rapido
ringraziamento, e la rassicurazione che Toji non avrebbe sollevato obiezioni. Quando l’ora finì, Kensuke tornò al posto, strapazzato ma
felice del suo 7. Subito dopo essersi congratulati con lui ed averlo salutato
insieme agli altri, Rei e Gabriel, mano nella mano,
sgattaiolarono rapidamente per rifugiarsi in un posto riparato, lontano da
sguardi indiscreti. Ma non furono le uniche persone ad
allontanarsi furtivamente dalla II-A.
“…Se TU non avessi lasciato in giro il cavo elettrico della
tua chitarra…!!”
“No, se TU non avessi lasciato i tuoi manga sparsi sul
divano…!!”
“Si, ma se TU non li avessi spostati…!!”
Due bellicosi Makoto e Shigeru in piena lite da coinquilini
(evento anche abbastanza frequente che nel giro di qualche minuto, una ventina
nei casi gravi, sarebbe finito nel dimenticatoio), ruppero la quiete del
corridoio destinato ai distributori automatici di bibite.
“No, se TU fossi solo un minimo più ordinato!!” Continuò il Tenente Aoba subito controbattuto da un
infervorato Hyuga.
“Io dovrei essere più ordinato?!
Shigeru, chi è che ha lasciato la custodia vuota di un cd nel mobile dove ci
sono i biscotti??”
“E chi è che ha dimenticato la radio accesa??”
“E chi…”
Avrebbero probabilmente continuato così per tutto il resto
della mattinata se non avessero visto Satoshi fermo al distributore intento a
bere placidamente una lattina di caffè.
“SATOSHI!!” Gridarono in coro
correndogli accanto, dove si posizionarono uno alla sua destra ed uno alla sua
sinistra iniziando a declamare a velocità folle e contemporaneamente le loro
motivazioni in modo da avere un giudice che potesse decidere chi aveva ragione
in quella lite e chi no. L’Agente Iwanaka, che prima dell’arrivo dei due era
immerso in ben più rosei pensieri, non ebbe nemmeno modo di accorgersi del
sopraggiungere dei colleghi che si ritrovò sparate nelle orecchie una sequela
di parole incomprensibili che non solo lo aveva fatto sobbalzare facendogli
quasi cadere a terra la lattina, ma che ora lo stava anche decisamente
frastornando.
“Ragazzi…RAGAZZI! Calma!!” Quasi
urlò per metterli un attimo a tacere.
I due si zittirono, lo fissarono con espressione torva e di
nuovo esclamarono all’unisono: “ALLORA?? CHI DI NOI
DUE HA RAGIONE??”
Satoshi li guardò alternativamente con espressione
comicamente perplessa, poi disse “Se aveste parlato
uno alla volta e non a raffica magari avrei anche capito qualcosa di quello che
avete detto.”
A quelle parole subito i due ripresero all’unisono ad
esporre le loro ragioni come due bambini litigiosi e per la seconda volta vennero bloccati dall’uomo biondo.
“Ragazzi! Stop! Tregua!”
“Però…” Obiettò Makoto.
“Ma lui…” Fece subito eco Shigeru.
“No. Non iniziamo di nuovo. Cerchiamo di
stare calmi d’accordo? Vi offro un caffè anche se
ci vorrebbe una camomilla.” Sorrise conciliante verso i suoi colleghi mentre
inseriva due monete nel distributore e selezionava le lattine desiderate.
All’ultima affermazione di Satoshi, il Tenente Aoba, già
quasi dimentico della discussione col suo coinquilino(
sorta in seguito ad una caduta del Tenente Hyuga sui cavi della chitarra
dell’amico, che aveva innestato una reazione a catena che aveva quasi demolito
il piccolo appartamento in centro), si avvicinò all’Agente per prendere il
caffè e lo stesso fece Makoto.
“A dire il vero Satochan…” iniziò ridacchiando bonariamente
Shigeru “…quello che avrebbe bisogno di una camomilla
sei tu.” Ed indicò l’occhio del biondo ancora circondato da un tenue alone”
Certo che siete stati fortunati ad esservela cavata
solo con una strigliata.” Terminò il chitarrista stappando la lattina ed
iniziando a scolarne velocemente il contenuto rapidamente imitato dal Tenente
Hyuga, il quale però si fermò subito prendendo la parola prima che potesse
farlo l’Agente Iwanaka “A proposito…”chiese “…che cos’è successo
per ridurvi in quelle condizioni?”
Satoshi si incupì appena irritato
dal ricordo, ma poi scosse il capo e cestinò il contenitore vuoto.
Quella giornata era troppo perfetta per
essere guastata parlando di un simile individuo.
“Beh…” rispose vago “ …si può dire un acceso scambio di opinioni…”
Makoto annuì aggottando le sopracciglia e prendendo a
sorseggiare il caffè. Era fin troppo consapevole dell’interesse che Kaji
nutriva nei confronti del Capitano Katsuragi. Non era troppo difficile intuire
che era stata proprio lei il motivo della lite. Tuttavia non fece altre domande. Non era nel suo carattere
impicciarsi troppo e non lo fece. Al contrario del suo amico Shigeru.
“E…” riprese Aoba gettando la
lattina ormai vuota in un cestino meno pieno per poi avvicinarsi con fare
interessato al biondo “…per quanto riguarda lo Scarlet Dawn?”
“Ehm…cosa vuoi sapere?” Domandò appena imbarazzato sperando
che non gli chiedesse i particolari della serata.
“Allora? Ci sei andato?”
“Beh, si…” annuì con semplicità guardandosi attorno.
“AH-AH!! E con chi ci sei andato, eh??
Con chi ci sei andato??” Entusiasta, il Tenente prese
a dare diverse gomitatine contro il braccio dell’Agente con fare complice
mentre Makoto si lasciava andare ad un silenzioso sospiro di rassegnazione
mentre osservava silente la scena tra i due. In quanto a curiosità, il suo
coinquilino era senza speranza.
“Shigeru…” iniziò Satoshi ora decisamente
imbarazzato.
“Dai, avanti, dillo al tuo vecchio amico Shigechan…” E il
Tenente gli passò un braccio attorno alle spalle trascinandolo a camminare
lungo il corridoio. La lite di prima con Hyuga era completamente dimenticata.
“A dire il vero io…”
“Dai, su! Chi è la donzella?”
“Ma chi ti dice che fosse una
donzella?!”
“Perché altrimenti non saresti così
in imbarazzo! E qualcosa mi dice anche che è stata una serata a lieto fine…”
Perspicace! Beh… serata a lieto fine
non proprio…Ma la mattinata è stata splendida…
“Dai Shigeru…” L’Agente si
divincolò senza movimenti bruschi dalla presa dell’amico “…sono cose private…”
“E dai, Satochan, non essere così
misterioso! Siamo tuoi amici! Vero Makochan che siamo suoi amici?” Chiese
rivolgendo un fugace sguardo al collega per poi riprendere all’indirizzo
dell’Agente senza nemmeno concedere il tempo a Makoto di rispondere “E allora?
Chi è? Eh?”
Satoshi si guardò attorno senza sapere come iniziare a
spiegare.
Accidenti, sono senza scampo!
“Beh...ecco…” cominciò il biondo alternando lo sguardo tra i
due amici e i distributori.
“Allora? La conosciamo?” Incalzò il
chitarrista tornando a riempire di gomitatine l’Agente.
“S-si, la conoscete…”
“AH-AH! Dai, dai Makoto! Tira fuori qualche nome!”
“Ma…veramente non saprei…” replicò pacato
Hyuga non volendo immischiarsi nella faccenda per poi tornare a dedicarsi al
caffè.
“Ah, lascia stare, Makoto! Dai Satochan, non farmi
scervellare! Chi è?!”
L’Agente rivolse a Shigeru uno sguardo implorante.
“Ma è proprio necessario?”
“Si.” Fu la risposta di un sorridente Aoba.
E come cavolo glielo dico??
“Dai, è una cosa privata…” Ripeté ancorail biondo nella speranza che non
insistesse.
“Ma noi non lo diremo a nessuno!
Saremo muti come pesci! Vero, Makochan?”
L’altro annuì.
In effetti era vero. Shigeru era
curioso per natura, ma una volta saputo qualcosa non
lo andava a ridire in giro e lo stesso valeva per Makoto.
Satoshi sospirò affranto.
“E va bene….”
Il Tenente Aoba pendeva letteralmente dalle sue labbra.
“Ci sono andato…” deglutì arrossendo “…col Capitano
Katsuragi.”
In contemporanea si udirono un colpo di tosse da parte di
Hyuga a cui era quasi andato di traverso il caffè ed un “COSA?!”
urlato ai quattro venti da un incredulo Shigeru.
“Ma non urlare così!!” Lo ammonì
l’altro.
“Scusa scusa!!” abbassò la voce “E
allora? Allora!?”
“E allora niente!!”
“Eh no, Satoshi! Se non era niente
non avresti esitato tanto a dirlo!”
Mentre i due continuavano a battibeccare, Makoto gettò con
flemma la lattina vuota nell’apposito cestino, poi si
diresse verso il corridoio di fronte che lo avrebbe portato verso la Sala
Comando.
“Shigeru, io mi avvio. Satoshi, se passi per la Sala
Comando, ci vediamo dopo.” Sorrise amichevole verso i
due.
“Si , si…” annuì con noncuranza
Aoba rivolgendogli un cenno di saluto con la mano quasi senza guardarlo,
impegnato com’era a cercare di convincere l’Agente a raccontargli della serata.
“A dopo Makoto.” Fece appena in tempo a rispondere Satoshi
prima che l’altro iniziasse di nuovo a tempestarlo di domande.
Con la sua solita aria cordiale, il Tenente Hyuga saluto i due e si allontanò dal luogo. Sembrava essere
quello di sempre. Ma dentro adesso, anche se non era venuto a
conoscenza dei particolari, sapeva che il suo Amore era divenuto
definitivamente irrealizzabile.
Tuttavia, Makoto non era l’unico ad esserci rimasto di
sasso.
Non visto né udito a causa dell’interrogatorio di Shigeru
che attirava tutta l’attenzione di Satoshi (che cercava strenuamente di
evitarlo), l’Agente Ryoji Kaji era giunto sul luogo da
un corridoio laterale giusto in tempo per ascoltare le confessioni del suo
rivale che, sebbene avessero omesso quanto accaduto nel corso della serata,
avevano rivelato la relazione che c’era tra l’Agente franco nipponico e il
Capitano Katsuragi.
Nessuno avrebbe potuto dire se Kaji era
più sorpreso o amareggiato o ancora arrabbiato.
Fatto sta che aveva ben pensato di non farsi vedere, e udito
quanto era necessario era ritornato velocemente sui
suoi passi.
L’intervallo a scuola era abbastanza lungo da permettere ai
ragazzi di consumare un breve bento prima dell’inizio delle lezioni
pomeridiane. Quel giorno però tre ragazze non avevano nessuna
intenzione di pranzare. La porta degli spogliatoi femminili era aperta
ed essi, non essendo prevista nessuna ora di educazione
fisica a breve termine, erano del tutto vuoti. Il posto ideale per stare un po’
tranquille. A parlare di Gabriel.
Motoko Yoshikawa, Yuki Takashima e Keiko Omura entrarono in
fila indiana, assicurandosi che nessuno le vedesse o
fosse nei paraggi, poi si accomodarono rapidamente su alcune panche davanti
agli armadietti. Avevano acceso solo una delle tre file di luci al neon che
solitamente illuminavano il locale, sicché la luminosità soffusa dava al
gruppetto un’aria estremamente sospetta.
“Chi l’avrebbe detto,” sbottò Yuki
quando ebbero chiuso per bene la porta, “che Ayanami fosse così gatta morta??”
“Davvero,” confermò Keiko
annuendo vigorosamente. “Prima era sempre in disparte, silenziosa, perfettina,
e guardate da quando è arrivato quello nuovo com’è cambiata! Mi spiace solo che
lui ci sia cascato così in pieno…”
“Pensate che a me non ha nemmeno risposto l’ultima volta che
gli ho mandato una mail!” si lamentò Motoko, che era
rimasta in piedi, scuotendo la chioma lunga con rabbia.
“L’ha traviato per bene Ayanami, eh?” sibilò Yuki.
“Ti prego, non nominare più quel nome,”
fece Keiko, e si prese la testa fra le mani, simulando un dolore atroce. “Mi fa
soffrire!”
“Va bene,” sentenziò Motoko
ridendo, “da oggi sarà Ayapalla.”
Il trio sbottò a ridere, trattenendosi solo quel tanto che
bastava per non attirare l’attenzione dall’esterno.
“Sei mitica, Motochan!” singhiozzò la ragazza dai capelli
corti, asciugandosi genuine lacrime di ilarità.
“Ayapalla!”
Quando le risate si furono calmate
l’intervallo era quasi finito. Motoko guardò l’ora mostrata dal suo telefonino
e fece una smorfia spazientita.
“Ascoltate,” propose, seria.
“Domani entreremo in azione. Sfideremo Ayapalla.”
Fece un gesto per far tacere la
nuova ondata di risate, in modo da poter continuare. Ma
anche lei sogghignava, trattenendosi a stento. “Chiederemo faccia
a faccia a Gabriel di pranzare insieme. Se non vorrà fare brutta figura dovrà accettare. Yuki, Keiko, voi dovrete
tenere a bada il Trio degli Stupidi finché l’operazione non sarà finita. Con ‘la sua ragazza’ me la vedrò io.”
Le altre due ragazze applaudirono a quella dai capelli più
lunghi, che si chinò beffarda con un sorriso. Dopo i complimenti di rito, sentirono
la campana suonare nuovamente, annunciando la fine della pausa. Uscirono in
fretta, ancora sghignazzando a causa del nomignolo inventato per Rei.
Nell’enorme ufficio in cima alla piramide c’erano solo due
persone, l’una di fronte all’altra.
“Comandante,” disse il più anziano,
il volto estremamente serio. “Ci sono giunte voci su quella questione.”
“Di che genere, Fuyutsuki?” chiese Gendo. A sua volta era
serio, le sopracciglia leggermente corrucciate.
“Troppo vaghe. Però possiamo dire
che non sono buone.”
Silenzio. Dopo pochi secondi, il Comandante riprese la
parola. “Avvisa la Dottoressa Akagi. Dille che devo
parlarle di nuovo dei nostri amici.”
Dato che ormai il tetto era una delle mete preferite degli
studenti durante l’intervallo, da alcuni giorni il preside aveva fatto portare
lassù alcuni tavolini e sedie, rendendo la parte agibile una specie di
terrazzino. Fu la che si recarono il Trio degli Stupidi, seguiti dalle due
ragazze che più si divertivano a canzonarli. Si accomodarono al tavolino
migliore, quello che aveva la vista sulla piscina femminile sottostante, ed
estrassero ciascuno il proprio bento.
“Beh, però ora non potete dire che siamo il Trio degli
Stupidi,” iniziò Kensuke, ridendo ed addentando la sua
polpetta di riso, “visto che mi sono preso 7 in Matematica senza nemmeno aver
studiato!”
“In effetti…” valutò Hikari, ma fu subito interrotta dalla
Second Children, che con un gesto imperioso, come suo solito, impose il
silenzio. Ma a differenza dei suoi gesti, non c’era
aria di superiorità nello sguardo, che esprimeva invece divertimento
scanzonato.
“Hai ragione, Aida,” sentenziò
sogghignando la ragazza. “Ora siete il Duo degli Stupidi più Uno un po’ Meno
Stupido.”
Rise alla propria stessa battuta, imitata timidamente dalla
Capoclasse. I ragazzi invece erano rimasti imbambolati.
“Vuoi scherzare??” sbottò Toji quando si fu ripreso. “E’
troppo lungo! Mi spiace, Kensuke, ma è meglio Trio degli Stupidi.”
Il ragazzo con gli occhiali protestò debolmente, ma alla
fine si unì alle risate che ormai avevano contagiato anche loro tre.
E’ la prima volta che ti vedo ridere veramente, Asuka.
Finora ridevi per prendere in giro, o per sottolineare
la tua superiorità. Ridevi di noi. Non avevi mai riso con noi.
E’ una strana sensazione quella che provo ora. Mi sento…
Felice.
E’ così che ci si sente felici?
Gradualmente le risate scemarono, in modo che i cinque
potessero consumare il loro pasto frugale.
“Chissà quei due che staranno facendo,”
mormorò a bocca piena Toji.
“Di chi parli?” chiese masticando Kensuke.
“NON PARLATE CON LA BOCCA PIENA!!” si intromise
Hikari, rossa di rabbia.
“Va bene,” sorrise Toji,
continuando a masticare.
“Rozzi… quanto sono rozzi…” gemette la Capoclasse, mentre
Asuka le dava colpetti sulla spalla per consolarla.
“Su, non fare così,” le disse
melliflua. Poi le porse la sua scatola con il bento. “Tieni, mangia quello che
ti piace di più.”
Hikari si riprese subito ed afferrò con le bacchette un
pezzo di sushi, mormorando un “grazie” subito prima di metterselo in bocca.
Toji guardò tutta la scena stralunato e con la bocca
aperta, incurante di non offrire un bello spettacolo.
“Ma cosa…” iniziò, ma si interruppe
sia per lo sguardo di rimprovero di Horaki, dal momento che non aveva ancora
deglutito, sia per quello di Shinji, cui rispose con un’occhiata interrogativa.
In mezzo a loro, incurante di tutto, Kensuke si stava gustando il suo riso
senza badare a ciò che lo circondava.
Il Third Children fece un cenno vago all’amico, facendogli
intendere di fare come se nulla fosse. Lui dovette capire, perché si dedicò,
sempre ridendo e scherzando, al suo bento.
E’ presto per parlare del suo cambiamento davanti a tutti.
Solo ieri era la solita, sprezzante Asuka, mentre ora offre
anche il proprio pasto ad Horaki, anche se lei non era veramente triste.
Ed è stata solo questa notte che abbiamo dormito insieme,
abbracciati, come non avevo mai sperato di fare.
Asuka… In un giorno sei cambiata completamente. Eppure sei rimasta sempre la solita. Non sei più quella
maschera che si faceva odiare e temere. Sei l’Asuka vera, che
c’era sotto quella maschera. Sei l’Asuka che amo.
D’un tratto Kensuke si riscosse.
Fece per parlare ma si zittì subito. Finì attentamente di masticare il suo
boccone e lo inghiottì, dato che sentiva su di sé lo sguardo inquisitore della
Capoclasse. Poi, finalmente, poté esprimere la sua domanda. “Toji, di chi
parlavi prima?”
A sua volta Suzuhara terminò attentamente di masticare,
forse esasperando un po’ i movimenti per irritare Hikari, ma questa non diede
segno di aver notato. Dato che la sua provocazione non aveva avuto successo, il
ragazzo deglutì e rispose: “Di chi, se non di Rei e Gabriel? Dopo quell’abbraccio
focoso di ieri, oggi si sono dati alla macchia! Come se non
avessero avuto il tempo di stare da soli, quei due piccioncini!”
A quell’uscita rise solo lui. Hikari si inalberò:
“Suzuhara, ma se ieri li hai praticamente COSTRETTI a mangiare con noi!”
“Ed in effetti durante l’attacco
dell’Angelo non hanno avuto molto tempo per stare da soli…” fece notare Shinji.
Davanti a tanta opposizione, Toji levò le mani in segno di resa.
“D’accordo, d’accordo, datevi una calmata! Non infierisco
più sui nostri piccioncini!”
L’aveva detto ridendo, cercando di suscitare altra ilarità,
ma Asuka balzò in piedi, apparentemente irata.
“Insomma, vogliamo finirla di prendercela con loro, che non sono neppure
presenti?? Perché piuttosto,” l’espressione collerica
si distese in un sorriso, “non parliamo di come è andata la battaglia? Kensuke,
mi stupisce che non ce l’abbia ancora chiesto!”
“Ci ho provato,” bofonchiò
quest’ultimo, posando le bacchette e stappando la bottiglia d’acqua che aveva
con sé. Dopo averne bevuto un sorso continuò. “Ho provato a chiedere sia a
Gabriel che a Shinji, ma nessuno di loro sapeva dirmi cosa era top secret e
cosa no!”
La rossa si voltò verso il Third Children, per un attimo
guardandolo come lo guardava tempo prima, prima dell’attacco dell’Angelo.
Ecco, ora arriva uno dei suoi ‘Ma sei stupido??’ Ma tanto ci
sono abituato.
Ma, tra lo stupore generale, lo sguardo di
Asuka si addolcì all’improvviso e tornò su Kensuke. “Lo so io cosa è top
secret e cosa no! Avanti, chiedi!”
“Davvero??” sbottò il ragazzo, facendo cadere a terra la
bottiglia e la scatola ormai vuota del bento. “Com’è andata??”
La ragazza cominciò a raccontare con
dovizia di particolari la battaglia, mentre Hikari, Toji e Shinji si
scambiavano occhiate stupite. Dei tre, il Third Children fu il primo a
sorridere, subito imitato dagli altri.
Non me l’ha detto. E’ stata sul punto di farlo, ma non me
l’ha detto.
Ma anzi, per un istante mi ha guardato come questa notte… E
come questa mattina quando ci siamo svegliati.
L’ho salutata dicendole ‘Ben svegliata’, e lei mi ha
risposto ‘Buon giorno, Shinji’.
E questo è davvero un buon giorno, Asuka.
C’era un posto del parco della scuola che nessuno conosceva.
Un boschetto, un luogo di raduno per gli studenti che era
stato abbandonato quando la natura ne aveva reclamato il possesso. Vi si accedeva attraverso un sentiero segnalato da pietre infisse
nel terreno, tanto nascosto che nessuno di quel ciclo di studi lo aveva mai
visto. Fu lì che accompagnò Rei, una volta che fu certo che nessuno li stesse
seguendo.
La ragazza non era abituata a provare forti sensazioni, e
non fu in grado di dire nulla quando arrivarono: semplicemente rimase a bocca
aperta, guardandosi attorno.
Non credevo esistesse un posto così…
Due panche di pietra sbrecciate in una radura circondata
da pochi alberi. Gli schiamazzi degli altri ragazzi sembra
così lontano… Persino il cielo sembra più azzurro qui.
Guardò Gabriel, che stava sorridendo.
“E’…” Si fermò, non sapeva trovare
le parole.
“Meraviglioso,” concluse il ragazzo
per lei, prendendola per mano. “E lo è ancora di più dato che
tu sei qui con me.”
Si sedettero sulla panca più in ombra, protetti dal sole
dalle fronde dell’albero più vicino che stormivano ad un lieve venticello.
“Come hai saputo di questo luogo?” chiese lei, la voce
ridotta ad un sussurro, quasi in ossequio alla natura che li circondava. Gabriel sorrise, soprappensiero, e posò tra di loro le
scatole con i rispettivi bento.
“Per caso. Stavo cercando un luogo per trovare la mia
ispirazione, cioè te. Devi sapere che l’ispirazione mi
è sempre venuta guardandoti: così è stato per tutte le ore del mio regalo per
te. Qui ho composto la tua ora di Nuoto.”
Rei guardò di sorpresa in direzione del corpo principale della scuola. Da quel luogo si poteva chiaramente vedere la
piscina dove le ragazze nuotavano mentre i ragazzi giocavano a basket. Arrossì vistosamente.
“Quindi tu… hai…” balbettò. Quando
Gabriel si rese conto che aveva appena dichiarato candidamente di averla vista mentre era in costume da bagno avvampò a sua
volta.
“No, veramente… Non pensare che…” cercò di scusarsi, ma non
sapeva proprio come fare.
E adesso che cosa penserà di me?? Mi capirà? Capirà che io
ero qui a osservarla solo perché senza vederla non
potevo cogliere la sua vita per metterla in musica?
Cercò ancora di aggiungere qualcosa, ma Rei si fece più
vicina e gli posò un dito sulle labbra. “Non c’è bisogno che ti scusi. Tu puoi
guardarmi come e quando vuoi.”
Dopo quelle parole, la ragazza sostituì il dito con le
proprie labbra, donandogli un rapido bacio a fior di labbra. Allora Gabriel
lasciò perdere la scatola del bento, e con la destra le carezzò una guancia,
fino a raggiungere la sua nuca, mentre la sinistra si stringeva sulla mano di lei. Si baciarono di nuovo, stavolta più a lungo.
Quando si separarono, il cielo
sembrava ancora più sereno, il vento più fresco, l’erba e le foglie più verdi. Ed a Gabriel, Rei sembrava più bella che mai.
Sorridendo, la First Children prese la propria scatola e la
aprì, subito imitata dal Fourth. Mangiarono in silenzio, ascoltando il rumore
delle cicale, che in quel momento sembrava cullare anziché disturbare come al solito, ed ogni tanto scambiandosi un sorriso.
“Sai, Gabriel,” disse Rei quando
ebbe finito di mangiare, “sono felice di essere qui con te.”
Lui si terse le labbra con il tovagliolo e sorrise. “Anch’io. Potremo venire qui ogni
volta che lo vorrai. Non dirò a nessuno di questo luogo. Sarà il nostro posto
segreto.”
Gli occhi della ragazza sfavillarono.
Non avevo mai avuto un posto segreto,
tutto per me. Ed ora, questo luogo potrò condividerlo con Gabriel. Mi
sembra ancora di vivere in un sogno. Un sogno bellissimo, come non ne ho mai
fatti nella mia vita.
Mano nella mano, si scambiarono un ultimo, rapido bacio
all’angolo della bocca e lasciarono il boschetto,
mentre la campana che segnava la fine dell’intervallo stava suonando.
Quel Martedì pomeriggio Satoshi credette di non
poter andare a recuperare i ragazzi a scuola per portarli a sostenere i soliti
test di sincronia, perché fu convocato d’urgenza in infermeria. Aveva
visto Misato poco prima, quindi non temette ci fossero
problemi con lei, perciò vi si diresse senza particolari precauzioni, solo
vagamente incuriosito. Quando arrivò scoprì di non
essere l’unico ad essere stato convocato. Le tendine formavano una specie di
paravento e delimitavano una sala d’aspetto improvvisata, dove sedevano sui
lettini altri tre uomini, anch’essi con un’espressione smarrita.
Una visita medica a sorpresa?
Si sedette vicino ad uno di loro, un uomo sulla cinquantina,
dai corti capelli brizzolati e ricci e dal pizzetto che sottolineava
un mento volitivo.
“Mi scusi,” cominciò l’Agente
franco-nipponico, con cortesia. “Sa perché siamo stati convocati qui?”
L’altro scosse il capo. “Immagino sia per una visita medica,
ma di solito vengono fatte alla presa di servizio,
oppure dopo un lungo periodo di assenza. Mi domando se non abbiano cambiato i
protocolli della sicurezza.”
Satoshi assentì. In effetti, ora che ci pensava, tutti e
quattro erano Agenti della Sicurezza, però per quanto ne sapesse
non dovevano sottostare a visite periodiche. Anzi, a parte la visita medica
alla presa di servizio (un rapido colloquio con Ritsuko) da quando era lì non ne aveva subite altre.
“Matanori Takezo,” disse atona la
voce della Dottoressa, mentre la tenda si scostava.
L’uomo a fianco di Satoshi si alzò e si diresse verso
l’apertura, cedendo il passo a quello che invece ne stava uscendo. Fu con un
moto di rabbia a stento trattenuta che l’Agente Iwanaka riconobbe in lui Ryoji
Kaji, che ancora portava sul volto gli effetti del loro litigio del giorno
precedente. Questi, vedendolo, sorrise.
“Salve, Agente, che sorpresa,”
iniziò, cerimonioso, tanto da attirare l’attenzione degli altri occupanti della
sala d’attesa.
“Una gran bella sorpresa, in realtà,”
sibilò Satoshi, inchiodato al lettino dove era seduto. Kaji si stava
massaggiando l’incavo del braccio sinistro, dove doveva essere appena stato
prelevato del sangue, con del cotone. Con fare teatrale sollevò lentamente il
pugno sinistro. Il franco nipponico credette per un attimo che l’altro volesse provocarlo, ma invece questi scosse la testa.
“Purtroppo il Comandante ci ha espresso chiaramente il
divieto di restare troppo a lungo nella stessa stanza, almeno per ora,
altrimenti rimarrei volentieri a scambiare quattro chiacchiere.”
Satoshi notò un tono di velata minaccia nelle parole di
Kaji, ma decise di lasciar correre. “Arrivederci, allora, Agente. Auguri per le
sue brutte ferite. Spero le guariscano presto.”
L’altro non rispose alla provocazione e se ne andò, salutando con una rapida occhiata gli altri due
uomini, che avevano assistito alla scena in silenzio. Il biondo invece chinò
gli occhi, furente. Ma decise di non dar peso a quello
sgraditissimo incontro ed in breve tempo la rabbia svanì.
Era ormai riuscito a
tornare del tutto calmo quando la tenda si scostò di
nuovo.
“Iwanaka Satoshi,” recitò la solita
voce atona di Ritsuko. Matanori uscì dalla tenda, anche lui massaggiandosi il
braccio sinistro e fece un rapido sorriso di commiato all’Agente appena chiamato,
che dal canto suo si era subito alzato dal lettino.
Dietro la tenda lo aspettava la Dottoressa Akagi, che gli sorrise.
“Non ci metteremo molto,” lo
tranquillizzò, indicandogli una porta in fondo all’infermeria.
Quando l’ebbero oltrepassata,
Satoshi notò che dava su quello che sembrava lo studio di un dentista. Al
centro c’era un lettino sormontato da alcuni strani strumenti, e di fianco una
semplice sedia. All’altro capo della stanza c’era una scrivania ingombra di
provette e sostegni, e le pareti restanti erano tappezzate
di armadietti da cui facevano capolino file di farmaci.
“Stenditi sul lettino,” lo invitò
lei con un cenno della mano. “Posso darti del tu,
vero?” chiese subito, come correggendosi. Satoshi annuì e sedette. Si sentiva
un po’ in soggezione in quella situazione.
Quando si fu sistemato gli fece
sollevare la manica sinistra per il prelievo di sangue.
“Ci vorrà qualche minuto. Intanto dimmi. Tra una cosa e
l’altra non siamo mai riusciti a parlare molto, noi
due.”
Parlare? Non credevo che questa fosse una delle attività preferite di questa donna…
“No, hai ragione,” annuì lui.
“Sulla tua cartella c’era scritto che sei…” con la mano
libera estrasse un dossier e lo sfogliò, mantenendo però salda
la presa sulla siringa. “… ‘un tiratore scelto, esperto
in tecniche di disarmo e autodifesa, esperto nell’arma bianca’,” computò. “Hai
avuto un addestramento eccezionale, noto.”
… Ma è l’addestramento di base di ogni
Agente di Sicurezza, a parte l’arma bianca.
Senza dargli il tempo di rispondere, la Dottoressa continuò.
“Hai fatto parte dell’esercito? Prendendo parte ad operazioni di guerra?”
Satoshi scosse il capo. “Non ho fatto parte dell’esercito,
ma ho seguito i corsi di specializzazione indicati
nell’Accademia Internazionale per Agenti di Sicurezza Charles de Gaulle,
partecipando a centoquindici azioni simulate. I dettagli dovrebbero essere
specificati nel tuo dossier, Ritsuko.”
Aveva parlato meccanicamente, ripetendo le stesse frasi che aveva già usato al momento della sua assunzione nella Sede
Francese della Nerv.
A cosa serviranno queste domande?
Ritsuko annuì. “Sì, ho letto che hai sempre ottenuto
punteggi superiori alla media nelle valutazioni, anche negli ambiti dove non ti
sei specializzato.”
Satoshi annuì, vago. Non era nella sua indole vantarsi dei
suoi successi. Però si stupì notando un accenno di
tristezza negli occhi della donna. Stava per chiederle il motivo quando
cominciò ad armeggiare sulla siringa.
“Abbiamo praticamente finito. Ora
stenditi, ed apri la giacca e la camicia dell’uniforme. Ti applicherò degli
elettrodi, però non sentirai nulla.”
L’uomo eseguì gli ordini, scoprendo il petto, su cui la
donna posò tre ventose bluastre. Un sonoro -bip-
annunciò l’entrata in funzione di un macchinario, ma era impossibile definirne
la funzione senza avere un occhio esperto. Ritsuko scrutò per
alcuni secondi uno schermo a lato del lettino, poi tornò a dedicarsi a
Satoshi.
“Riguardo all’arma bianca, hai detto di essere
esperto di Sankendo, giusto?”
Satoshi annuì, e si rilassò un po’. Parlare della sua
attività sportiva aveva sempre quell’effetto su di lui. “Esatto, si tratta di
una disciplina antica…” inziò, ma fu interrotto da un gesto comprensivo di
Ritsuko.
“Grazie, ma mi sono documentata, so
di cosa si tratta. Comprende anche l’uso del tanto, vero?”
“Sì, è una delle ‘Tre Spade’ che le danno il nome.”
“E’ simile al coltello da combattimento occidentale, vero?”
“Beh, ci sono alcune differenze fondamentali…”
“Secondo te, sarebbe più o meno efficace di un coltello
occidentale durante una missione sul campo?”
Satoshi rimase spiazzato. Era vero, il Sankendo era nato come un’arte di guerra, però ormai non era più
pensato per uccidere. “Questo dovresti chiederlo ad un
esperto del settore logistico. Io sono un appassionato di Sankendo, e sebbene
esso sia nato come tecnica di combattimento, sarebbe un tradimento del suo
spirito usare le sue armi per uccidere, oggigiorno.”
“Capisco,” annuì l’altra, grave.
Ma dove vuole arrivare con queste domande?
Passò rapida le mani su una tastiera nascosta e con un altro
-bip- il macchinario le rispose, poi tornò a
guardarlo.
“Allora,” iniziò, e si esibì in un
sorriso. “Come va tra te e Misato?”
Satoshi sobbalzò, tanto che l’oggetto cui era collegato
emise tre suoni di protesta.
Ma… MA CHE NE SA LEI??
“Prego?” chiese, cominciando a sudare freddo. Ritsuko non
sembrò rilevare il suo disagio perché continuò come se nulla fosse.
“Siete diventati molto amici in
queste settimane, e ieri hai addirittura fatto a botte con Kaji per lei,
sorbendoti il rimprovero del Comandante. Mi sembra strano che non ci sia nulla fra di voi.”
L’uomo si rilassò di colpo.
Ah… Allora non sa di ieri sera…
E’ meglio non fargli capire che so di ieri sera…
“Beh,” rispose Satoshi,
visibilmente sollevato, “è vero, siamo molto amici. Tanto che
ieri sera siamo usciti per festeggiare la vittoria in un locale appena aperto…
Ehm, Ritsuko, ma è normale quella spia rossa?”
Indicò una piccola luce lampeggiante su un lato del
macchinario che lo sovrastava, e la donna balzò dalla sedia. Premette
rapidamente alcuni tasti e sospirò sollevata.
“No, grazie di avermi avvisata.”
L’uomo deglutì.
Ma… a che rischio sono andato incontro??
“Bene,” sentenziò lei alzandosi.
“Abbiamo finito la visita, puoi alzarti e rivestirti.”
“Ritsuko,” chiamò Satoshi mentre si
chiudeva il colletto della divisa. “A cos’era dovuta
questa visita?”
L’interpellata posò sul sostegno la fiala di sangue appena
prelevato e gli porse un batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante. “Tieni.
Si tratta di un controllo di routine. Abbiamo deciso di effettuare
una visita su tutti gli agenti di sicurezza dopo ogni attacco. La modifica al
protocollo vi verrà notificata nei prossimi giorni.”
Satoshi prese il batuffolo e se lo premette sull’incavo del
braccio. “D’accordo,” disse quando fu pronto. “Ti
saluto allora. Buon lavoro.”
Di nuovo pensò di vedere un lampo di tristezza negli occhi
della Dottoressa, ma fu così rapida che la attribuì solo alla sua
immaginazione.
Terminata la visita medica, Satoshi uscì pensieroso
dall’infermeria e s’incammino lungo uno dei corridoi
che lo avrebbe condotto presso la Sala Comando. Stava ancora rimuginando su
quanto accaduto durante la visita medica, quando qualcuno, sbucato
all’improvviso da un corridoio laterale, gli gettò le braccia al collo, quasi
facendolo cadere. Non ebbe nemmeno modo di replicare che si ritrovò zittito da
un rapido bacio sulle labbra da parte di una sorridente Misato.
“Ciao! Ti ho spaventato?”Gli chiese staccandosi con un
sorriso per poi guardarsi furtivamente intorno nella speranza che nel frattempo
nel corridoio fino ad allora deserto non fosse giunto
nessuno.
Sorpreso, ma felice, l’uomo le
sorrise con dolcezza.
“Giusto un po’.” Rispose .
“Scusami…”
“Non fa niente,” fece lui
sorridendo ed abbracciandola alla vita.
“Dove stavi andando?”
“Dovevo recuperare i Children. Oggi hanno dei test di
sincronia da svolgere.”
“Allora vengo con te,” annunciò
lei, e subito gli prese il braccio, come tante volte aveva fatto Asuka con
Kaji. Satoshi la guardò un po’ sorpreso.
“A cosa devo tutto questo entusiasmo?”
“Al fatto che sono felice di vederti,”
rispose lei gaia, sporgendosi in un altro bacio. Lui le
sorrise dolce e rispose al bacio. Quindi si
avviarono lungo il corridoio fino al parcheggio.
Ritsuko prese posto dinanzi allo schermo principale
portandosi alle spalle deitre Operatori
del Magi System. Rapida rivolse uno sguardo ai quattro
soggetti inquadrati, poi prese a scribacchiare su una cartella.
“Maya ?” Cominciò la scienziata
“Si, Senpai.”
“Come procede?”
“Immissione LCL completata. Nessuna anomalia rilevata.”
Pensierosa, la Dottoressa Akagi guardò i tabulati che aveva
in mano, registrati dalla memoria interna degli Eva,
risalenti allo scontro durante il black out .
I tassi di sincronia di Rei e Gabriel hanno subito un
lieve miglioramento verso i valori positivi, quello di
Shinji si è mantenuto abbastanza costante, ma quello di Asuka ha subito
un’alterazione non indifferente verso il basso rispetto ai suoi normali
valori... stiamo a vedere.
“Molto bene. Maya, procedi. Si dia inizio al test.”
Solerte, il Tenente Ibuki digitò rapidamente alcune sequenze
sulla tastiera subito imitata dai suoi colleghi e sugli schermi dei computer
comparvero una serie di fitti dati numerici indicanti il tasso di sincronia e
dei lunghi piani cartesiani sui quali si andavano delineando
l’andamento delle curve armoniche dei Piloti.
“Test in corso.” Confermò Maya.
“Nessuna alterazione nei
mantenimenti vitali.” Fece subito eco Makoto.
“Anche qui nulla da
segnalare.”Affermò Shigeru procedendo al controllo dei collegamentiaudiovisivi tra le entry
plug e lo schermo principale.
Ritsuko annuì con serietà e prese a passare in rassegna le
tre postazioni osservando di tanto in tanto i volti concentrati e assorti dei
Children, soffermandosi in particolar modo su Asuka. Era ancora allarmata dai risultati dello scorso combattimento.
“Qual è la situazione di Asuka?”
Chiese la bionda ai tre mentre si apprestava a segnare i valori che le
avrebbero comunicato sulla cartella.
“Senpai…” iniziò Maya “…venga a
vedere! Sia il tasso di sincronia che le curve armoniche di Asuka
hanno dei livelli altissimi! Più alti dell’ultimo test!”
Rapida la Dottoressa Akagi si avvicinò alla sua Koai e si
sporse ad osservare il tracciato sul monitor. Sorpresa inarcò un sopracciglio.
“Stupefacente…”
“Guardi, anche i valori di Shinji sono molto più alti
rispetto all’ultima volta. Riescono quasi a raggiungere quelli di Asuka.” Proseguì Ibuki. “Sembra quasi che…”
“…Siano in sintonia…” terminò per lei Ritsuko. Riflettè per
qualche istante, poi si volse verso Shigeru. “Aoba, apri il collegamento con
l’entry plug dello 02.”
“Subito.” Il chitarrista premette un tasto e all’interno
dell’entry plug dello 02 si aprì una finestra di collegamento con lo schermo
principale.
“Asuka, mi senti?” Chiesela Dottoressa tenendo lo sguardo sulla Children che, esattamente come i
suoi colleghi, teneva gli occhi chiusi per meglio concentrarsi.
“Roger. Forte e chiaro.” Rispose senza esitazione la rossa.
“Ho delle buone notizie da darti.”
“Dice davvero, Dottoressa Akagi?” Domandò la ragazza con
interesse.
“Si, il tuo tasso di sintonia e le curve armoniche, rispetto
al calo durante il combattimento con l’Angelo hanno
praticamente subito un’impennata.” La informò la scienziata con un lieve
sorriso di congratulazioni. A quella notizia Asuka aprì gli occhi di scatto e
si sporse verso il monitor, entusiasta.
“Ah, davvero?!”
Eppure mi sembra non ci sia nulla di diverso dal
normale in lei…
“Si, Asuka…” Confermò la scienziata annuendo “…però, devo anche dirti che il tuo primato è in pericolo…”
“Cheeeee?? E chi è?!” Esclamò
l’altra, stupita.
“Si tratta di Shinji.”
La Second Children sbattè più volte le palpebre, spiazzata
dalla notizia, quindi tornò a rilassarsi contro lo schienale dell’entry plug
richiudendo gli occhi per meglio concentrarsi.
“Oh, e così avremo ‘Sua Altezza l’Invincibile Shinji’!“
Sbottò con un lieve sorriso sul volto.
In effetti…c’è qualcosa di strano…
“E dimmi, Asuka…” proseguì Ritsuko prendendo ora a scrivere
qualcosa sulla sua cartella “…non temi che Shinji
possa superarti?”
“Aaaah! Impossibile! Ne ha di strada da fare!” Ancora
una volta sembrava essere l’Asuka di sempre, eppure il
tono con cui l’aveva detto lasciava supporre, e a ragione, che non provasse il
solito senso di superiorità. Se non l’avesse
conosciuta bene, la Dottoressa avrebbe creduto di sentire una nota di tenerezza
nella sua voce.
La scienziata aveva appena comunicato ad Aoba di chiudere il
collegamento con l’entry plug dello 02, quando la voce di Maya la richiamò allarmata.
“Senpai Akagi!”
Rapida la bionda spostò la sua attenzione da Asuka alla sua
Koai.
“Che succede, Maya?”
“Guardi, guardi anche lei! I valori
di Asuka hanno subito un’ulteriore impennata!” Esclamò
l’Operatrice, entusiasta.
“Fantastico!” A sua volta Ritsuko osservò
i tracciati, poi riportò lo sguardo sulla Second Children. Aveva ancora
gli occhi chiusi, ma stava sorridendo lievemente. Con dolcezza si sarebbe
potuto dire.
Ma allora…non sarà che anche Asuka e Shinji…
Senza altro proferire la osservò di
nuovo, poi guardò Shinji. anche lui sembrava essere
più quieto del solito. La donna sorrise appena.
Che stiano davvero così le cose? Beh…a
quanto pare se davvero è così, tutto ciò conferma che una relazione
sentimentale apporta dei benefici sui tassi di sincronia e le curve armoniche…
Anche se a dire il vero non mi sarei mai immaginata dei simili sviluppi… men
che meno da parte di due soggetti come Asuka e Rei… A proposito…
“Maya?”
“Si, Senpai.”
“I valori di Rei?”
“Hanno subito un’ascesa di ben 8 punti rispetto a quanto
immagazzinato dalla memoria interna dell’Unità 00 durante il combattimento con
l’Angelo.”
“Molto bene.”
Per questo innalzamento invece
la ragione è ben nota.
Beh…che dire…
L’arrivo di Gabriel ha portato non pochi cambiamenti.
Ed anche quello di Satoshi per quanto riguarda Misato. Chi l’avrebbe mai detto… mi domando se andrà di nuovo in giro con
aria sognante come quando faceva all’Università.
Misato…per il bene tuo e di Satoshi, spero che quelle
voci siano solo voci…
Ritsuko sospirò silenziosamente, quindi spostò lo sguardo
dai dati di Rei a quelli di Gabriel.
“C’era da immaginarselo…” Disse. Maya si voltò incuriosita
verso di lei.
“Cosa, Senpai?”
“Osserva i dati del Fourth Children.”
“E’ vero. Vanno di pari passo con quelli di Rei.”
“Si stanno avvicinando a Shinji. Beh…ciò è un bene.”
Il Tenente Ibuki annuì seria mentre con movimenti rapidi
continuava ad immagazzinare i dati raccolti.
“Così può bastare.” sentenziò la
scienziata. “Espulsione LCL. Aoba, apri il contatto con le
entry plug”
Solerte, Shigeru eseguì quanto richiesto e nelle entry plug dei Children si aprirono le finestre i
collegamento col monitor principale.
“Ragazzi, per oggi avete terminato…” li informò la voce di
Ritsuko “…potete uscire.”
In seguito ai test sulle curve armoniche e i tassi di
sincronia, Rei era stata trattenuta alla Nerv con la scusa di
alcuni controlli medici. In realtà ciò a cui aveva dovuto sottoporsi
erano ulteriori test per il Dummy System che si erano
protratti sotto la supervisione diretta della Dottoressa Akagi per oltre due
ore. Il Comandante Ikari non era stato presente. Quando
finalmente furono terminati, Rei si rivestì e seguì Ritsuko in infermeria, per
gli ultimi esami di routine sul suo stato fisico.
“Bene,” sentenziò la
Dottoressa ad un certo punto. “Per oggi abbiamo davvero finito.”
La First Children sospirò di sollievo, e la donna
sollevò un sopracciglio.
Non le era mai capitato di sospirare a quel modo…
“Tutto bene, Rei,” la
tranquillizzò. “Puoi andare.”
“Dottoressa,” obiettò però
la ragazza. “Dovevo chiederle ancora una cosa. Mi ha portato il lettore cd?”
“Ah, sì!” replicò la Dottoressa, battendosi una mano
sulla fronte. “Me ne stavo per dimenticare. Eccolo.”
Estrasse dalla sua scrivania un oggetto circolare,
avvolto in quelli che sembravano dei cavi neri. Il tutto nuovo di zecca, doveva averlo fatto acquistare apposta. Di fronte allo sguardo
interrogativo di Rei, Ritsuko lo svolse e ne spiegò il funzionamento.
“Ecco. Qui ci sono le pile. Premendo questo tasto si
apre, e quest’altro invece serve per avviare la riproduzione. Questi invece
vanno inseriti nelle orecchie. Non troppo a fondo, però.”
La ragazza comprese le istruzioni, perché annuì e
tese le mani per ricevere il lettore. Ritsuko glielo porse con un sorriso.
“Mi raccomando, buon ascolto,”
disse sorridendo. La sua espressione quasi mutò in sgomento quando Rei le
sorrise di rimando.
“Sarà senza dubbio un buon ascolto, Dottoressa,” disse, prima di salutare e avviarsi all’uscita. La donna
si lasciò cadere contro lo schienale della sedia.
E’ proprio cambiata…
Rei attese con trepidazione di tornare a casa quella sera. I
test svolti nel Terminal Dogma non le erano mai sembrati tanto lunghi, ma alla
fine riuscì a liberarsi e correre verso la propria
abitazione. Quando arrivò erano circa le 22.00, per cui
avrebbe potuto ascoltare almeno due ore di ‘Una Giornata di Rei’. Si sedette sul
letto ed prese il lettore ricevuto da Ritsuko. Cercò
brevemente di comprenderne il funzionamento, poi estrasse dal cassetto in cui
li aveva riposti i cd che le aveva regalato Gabriel.
Nel cassetto inferiore dello stesso comodino giacevano gli occhiali di Gendo,
che da lungo tempo ormai non considerava più. Aprì la prima custodia e ne prese
il cd, intitolato ‘Prima ora – storia’, per inserirlo nell’apparecchio. Con un
sospiro, si sdraiò, inserì gli auricolari nelle orecchie e premette il tasto
‘play’.
La musica al pianoforte di Gabriel si dipanò con una
melodia di cui quella che aveva suonato lei alla viola non era altro che un'ombra.
Gabriel…
Vedo il cielo azzurro fuori dalla
finestra, ti sento accanto a me, sei qui, realmente…
Gli accordi, le note, le pause, i sincopati si fondono…
Mi mostrano com’è il volo degli uccelli che vedo attraverso il vetro, il rumore delle nuvole che
scivolano nell’aria.
Addirittura il fruscio delle penne sui fogli, le risate
che talvolta si alzano dalla classe quando il professore fa una battuta, tu che
ticchetti veloce sulla tua tastiera…
Tu che mi guardi, non visto, che mi ami senza ancora che
io lo sappia…
Io che ti amo senza ancora saperlo…
Tu che sorridi ed immagini come comporre il mio regalo…
Tu ed io, Gabriel… Uniti da una forza più potente del
destino.
Più potente del mio destino.
La musica dolcissima fece scivolare Rei in un altrettanto
dolce sonno, popolato da sogni stupendi.
Su quelle note lei danzava nel parco della scuola, una danza
pacata, serena, insieme a Gabriel. Si sentiva quasi
portare in alto da un crescendo, o planare dolcemente a terra con una placida
sequenza di accordi.
Sognava di baciare Gabriel, e lei era una ragazza normale.
Non erano Children. Non c’erano gli Angeli, né gli Eva,
né l’entry plug, né il Terminal Dogma.
Lo amava sulle note della sua stessa musica.
Quando si svegliò si rese conto con disappunto che erano passate quasi due ore, e che il disco era ormai
finito, e non c’era il tempo per sentirne un altro. Era in preda ad una grande felicità, che la faceva desiderare, bramare, invocare
la compagnia di Gabriel. Per lei era un sentimento del tutto nuovo, che non si
credeva capace di provare, per cui decise di
rispondervi facendo ciò che il suo istinto inesperto le suggeriva.
Si alzò e prese il cellulare, digitando rapidamente il
numero di quello del Fourth Children.
“Pronto…?” rispose la voce, impastata dal sonno, di
quest’ultimo. Subito lei capì di aver sbagliato a chiamarlo a quell’ora.
“Scusami, Gabriel. Sono Rei, ma non avrei dovuto chiamarti a
quest’ora, ti ho svegliato.”
“Rei? Cosa succede?” La voce si era
fatta all’improvviso attenta. La ragazza si immaginò
che fosse balzato a sedere, pronto a correre da lei come la sera prima.
“Niente, stai tranquillo. E’ solo che… Volevo ringraziarti.”
“Ringraziarmi?”
“Per il tuo regalo. Mi sono fatta prestare un lettore cd
dalla Dottoressa Akagi oggi, dopo il test di sincronia. Così appena sono
arrivata a casa ho cominciato ad ascoltare la tua opera. Però… ero stanca, così
mi sono addormentata durante il primo cd, e mi sono svegliata solo ora.”
“Non importa,” disse lui, lasciando
correre il tono di scuse della ragazza. “Ti piace?”
“Da morire. Mentre la ascoltavo ti
ho sognato, Gabriel. Sognavo che ti amavo.”
Dall’altra parte del telefono ci fu silenzio. Rei immaginò che il ragazzo fosse arrossito, ed un tenero
sorriso le apparve sulle labbra.
“Io sogno di amarti ogni volta che chiudo gli occhi,” riprese Gabriel, dolce. “Ed ogni volta che ti vedo, il
sogno diventa realtà.”
La First Children sorrise maggiormente
e chiuse gli occhi. Le tornarono le scene appena viste in sogno e la prese una
grande spossatezza. “Allora torniamo a sognare, Gabriel,”
disse infine, “in modo che i nostri sogni domani diventino realtà.”
“D’accordo,” fu la risposta, e dal
tono si intuì che il ragazzo stava sorridendo a sua volta. “Buona notte. Ti
amo, Rei.”
“Anch’io ti amo, Gabriel. Buona
notte.”
La ragazza spense il cellulare e lo appoggiò sul comodino,
insieme ai cd ed al lettore. Con un sospiro, si alzò e si cambiò, indossando la
lunga camicia che usava come pigiama, e si accoccolò fra le coltri, accogliendo
il sonno con un sorriso e la speranza che il sogno di prima continuasse
all’infinito.
La mattina di mercoledì non segnalò particolari novità in
quella che era diventata una routine. Il nuovo carattere di Asuka
era stato accolto senza sollevare obiezioni, così come il rapporto affettuoso
che si era instaurato tra Rei e Gabriel, dato che Toji, dopo la sfuriata solo
apparentemente rabbiosa della Second Children, aveva smesso di fare battutine
su di loro. Questo almeno tra la maggior parte degli alunni della II-A. Tre
ragazze invece, non sopportavano quel rapporto. Tutte e tre avevano visto
Gabriel, fin dal primo momento in cui era arrivato, come una particolarità
straordinaria, una specie di fenomeno, per cui avevano
cercato di trarlo accanto a sé, per potersi vantare di essere ‘amiche di quello
nuovo, il francese, quello laureato al Conservatorio, quello molto carino’.
Ovviamente avevano fatto lo stesso anche con Asuka, ma
presto se n’erano tenute distanti a causa del suo carattere tremendo. Ma ora
che lei era cambiata non erano più interessate, dato che già da
tempo si era inserita, a modo suo, nella classe. Loro volevano qualcuno
di nuovo, che non sapesse bene come andassero le cose, da poter plasmare a
piacimento come proprio amico.
Questo fu uno dei motivi per cui il
fidanzamento con Rei Ayanami fu loro tanto inviso. Inoltre, Keiko Omura aveva
cominciato a provare una decisa cotta nei confronti del francese, per cui le altre due avevano passato l’intero pomeriggio di
lunedì, chiuse nei rifugi di emergenza, a consolarla. Non che Motoko e Yuki fossero meno cotte rispetto alla loro amica, ma per un
tacito accordo avevano deciso di unire le forze, per il momento, e tenere a
freno tutto ciò che avrebbe potuto porsi fra loro ed il loro obiettivo.
Dalla crisi di quella mattina però erano sorte più decise
che mai a farla pagare alla coppia, ma specialmente alla First Children.
Mancava circa mezz’ora al suono della campana che avrebbe dato
inizio all’intervallo ed alla loro operazione, quando cominciarono a scambiarsi
mail per definire gli ultimi punti del piano.
Puoi
contarci, Motochan. Faremo di tutto per separare Gabriel da Ayapalla.
Le tre ragazze, sedute vicine, nella parte anteriore della
classe, ridacchiarono, attirando l’attenzione indesiderata del professore di
biologia.
“Signorine, il ciclo della clorofilla vi sembra così
divertente?” chiese, arcigno.
“No, professore,” rispose Motoko,
sicura di sé. “E’ solo che parlandone ci è venuto in
mente lo stesso cartone animato che guardavamo quando eravamo bambine. Parlava proprio di queste cose, sa?”
Il professore sembrò non credere alla menzogna della
ragazza, ma poi lasciò correre. “Ora state seguendo
una lezione, non un cartone animato. Vi pregherei di prestare attenzione a me,
invece che ai vostri ricordi infantili.”
Le tre ragazze annuirono, all’apparenza
contrite, ma dentro di loro esultavano. Non passò molto prima che il
computer di Motoko emettesse un nuovo -bip-.
From: Yuki TakashimaTo:Motoko Yoshikawa
Object:
Sei la migliore
Hai avuto
una faccia tosta invidiabile, Motochan, sei veramente
la migliore! Non ho dubbi che otterrai la vittoria anche contro Ayapalla.
Questa volta la ragazza si guardò bene dal ridere.
Mancano
pochi minuti alla campana, sono
elettrizzata! In bocca al lupo, Motoko!
Rapidamente augurò buona fortuna alle altre due congiurate
ed attese il momento propizio per entrare in azione. Non appena suonò la
campana si alzarono simultaneamente. Yuki si diresse verso Asuka e Shinji,
mentre Keiko andò rapidamente verso Toji e Kensuke.
“Ciao, Soryu,” fece la ragazza con
i capelli lunghi fino al collo, cercando di apparire simpatica. L’interpellata
la guardò interrogativa, ma poi sorrise. “Ciao, Takashima. Non pranzi con le
tue amiche oggi?”
Asuka cercò con lo sguardo le altre due, ma Yuki, compreso
il pericolo che tale manovra avrebbe comportato, si affrettò ad intervenire.
Notò appena che Gabriel aveva rivolto verso di loro uno sguardo interrogativo.
“Ci raggiungeranno più tardi. Nel frattempo, vi dispiace se vengo con voi?”
La Second ed il Third Children si guardarono, interdetti.
L’altra aggiunse: “Ci terrei a sapere come avete sconfitto quel mostro che ha
attaccato la città, l’altro ieri…”
Non che gliene importasse granché
in verità, però cercò di atteggiarsi in modo da esprimere curiosità. Asuka la
squadrò, sospettosa, ma alla fine decise di accettare la sua proposta. “Ma sì, perché no. E poi è un’occasione di ampliare le tue
conoscenze, Shinji, vero?” Con una mano arruffò i capelli del ragazzo, che
protestò debolmente ma sorridendo. Yuki invece prestò scarsa attenzione a
quello scambio di battute, intenta com’era a capire come stesse andando il
piano.
Keiko era appena passata di fianco a Gabriel, che stava
prendendo per mano Rei. Arrossì di un sentimento misto
tra la rabbia, l’imbarazzo e la gelosia, ma si disse che doveva a tutti i costi
concentrarsi sugli altri due ragazzi.
Toji e Kensuke si erano appena alzati e stavano già per
interloquire con l’obiettivo primario della loro missione: doveva intervenire.
Ricorse alla scusa più vecchia del mondo.
“Ahi!” esclamò, lasciandosi cadere a terra tra i due ragazzi
seduti più indietro e Gabriel.
“Ehi, ti sei fatta male?” chiese Kensuke, premuroso.
“No, grazie,” disse lei con un
sorriso, evitando attentamente di guardarsi alle spalle. “Sono solo inciampata.
Grazie di avermi aiutata.”
Deglutendo per la tensione si aggrappò alla mano tesa del
ragazzo, issandosi in piedi. Era piuttosto bassa per la sua età, e doveva
guardare verso l’alto per incontrare gli occhi coperti dalle lenti di Kensuke.
“Ahi!” si piegò, saltellando su un piede solo. “Forse mi
sono presa una storta!”
“Non preoccuparti, ti porto in infermeria,”
propose il ragazzo, circondandole la vita con un braccio e portando quello di
lei attorno alle proprie spalle, in modo da sostenerla. Poi si rivolse agli
altri. “Ci vediamo più tardi, porto Omura in infermeria.”
Gli occhi di lei saettarono. Non poteva farne allontanare solo uno, doveva portarli via
entrambi. Decise di rischiare. Si divincolò dalla stretta di Kensuke, simulando
dei gemiti di dolore. “Scusami,” si finse imbarazzata.
D’altronde, il suo rossore era genuino, sebbene dovuto alla vicinanza con
Gabriel invece che al contatto con il ragazzo dagli occhiali. “Ma preferisco camminare così. Ahi!”
“Sì, ma non posso portarti in infermeria in questo stato…
Toji, dammi una mano!”
Nessuno notò il sorriso di trionfo sulle labbra di Keiko,
mentre il ragazzo in tuta protestava. “Non sono mica un infermiere, io! Dai,
andrete piano, però ce la farete.”
“AHI!!” La ragazza accentuò la sua finzione, finendo quasi
per cadere seduta sul banco di Gabriel. A quel punto, e dopo uno sguardo di
rimprovero da parte di Kensuke, Suzuhara dovette cedere. “Va
bene, vi aiuto. Ecco, Omura, ti prendiamo ciascuno per
un braccio, così non devi starci troppo appiccicata. Va meglio?”
“Sì… un po’…” esalò lei. Si chiese se non stesse esagerando
con l’espressione da moribonda, tuttavia la sua recita stava avendo l’effetto
sperato.
“Ci vediamo più tardi, ragazzi!” dissero in coro Toji e
Kensuke, mentre si allontanavano con la ragazza. Quando Keiko
sentì le voci di Rei e Gabriel rispondere al saluto, seppe che la sua missione
era compiuta. Incrociando Motoko, che si stava avvicinando, si arrischiò
a sorridere in segno di trionfo e di augurio: ora
toccava a lei.
“Allora, noi andiamo…” stava iniziando a dire Gabriel
rivolto a Rei, sorridendole teneramente, quando l’ideatrice di quel piano si intromise.
“Ciao,” salutò, spudoratamente,
sorridendo ad entrambi, ma soprattutto al ragazzo.
“Ehm… Ciao,” rispose lui, dopo un
attimo di smarrimento. “La tua amica è inciampata,”
aggiunse, indicando la porta. “Toji e Kensuke la stanno portando in infermeria.”
“Sì, ho visto, ma non sarà stato nulla di male,” minimizzò Motoko. “Ti va di venire a pranzo con noi? Sono
sicura che Keiko si rimetterà in piedi in men che non si dica.”
La proposta congelò i due ragazzi, che guardarono
l’importuna come se venisse da un altro pianeta. Per lunghi attimi nessuno
parlò, e Motoko temette che il suo piano fosse destinato a fallire.
“Ehm…” disse infine Gabriel, poco convinto.
Ed ora come me la cavo? Ovviamente la risposta è no, che
non mi va di andare con loro invece che stare con Rei, però così, faccia a
faccia, potrebbe rimanerci male…E non ci sono neppure Asuka, Shinji, Toji o
Kensuke a cavarmi d’impiccio.
“Io…”
“Mi dispiace, ma io e Gabriel
abbiamo già un appuntamento.”
Sia il francese che Motoko guardarono
straniti in direzione di Rei, da cui era giunta quella provvidenziale
affermazione.
La ragazza stava squadrando l’impicciona apparentemente con
la freddezza che l’aveva caratterizzata così a lungo, ma nei suoi occhi
brillava una luce diversa.
Rei?? Ma io stavo appunto per
invitarti! In realtà non abbiamo ancora nessun appuntamento!
“Abbiamo un appuntamento,” ripeté,
atona. “Per cui non può venire a pranzare con voi. Vero Gabriel?”
Fu allora che lui comprese che nello sguardo della First
Children la luce che brillava era di gelosia. E capì
anche che… stava bluffando. Senza pensare ulteriormente, le resse il gioco.
“Sì… Sì, è vero. Mi dispiace, Yoshikawa, ma non posso venire
a pranzare con voi.”
Motoko stava ancora guardando Rei attonita,
per cui realizzò che Gabriel aveva rifiutato il suo invito con qualche attimo
di ritardo.
“Beh… Sì. E’ vero. Allora, beh… Sarà per un’altra volta.”
Sorrise, freddamente. Non si curò affatto di nascondere
l’ostilità nei confronti della sua rivale.
“Forse Omura vorrà avere le sue amiche vicine,” disse Gabriel, più che deciso a cambiare argomento ed a
dissipare l’atmosfera tesa che si era creata. Motoko annuì distrattamente, e
salutò con garbo.
“Comunque Gabriel ed io stiamo
insieme,” annunciò Rei, mentre l’altra si stava già voltando per andarsene via.
“Ufficialmente,” precisò.
Sia il Fourth Children che Motoko arrossirono
vistosamente. Apparentemente la First Children non si era accorta del peso che
quell’affermazione aveva avuto, perché continuò a fissare l’altra ragazza negli
occhi.
“Ah…” bofonchiò quest’ultima, quando si fu ripresa
dall’affermazione. “Beh… congratulazioni.” Fece un altro rapido saluto e se ne andò, quasi correndo fra i banchi. Gabriel guardò Rei a
bocca aperta. Anche se era evidente, non avevano mai
espresso a chiare lettere il fatto che erano fidanzati, e non si sarebbe mai
aspettato di sentirglielo dire in quel modo.
All’improvviso, lui le schioccò un bacio sulla tempia,
facendola sobbalzare. Stavolta fu il turno di Rei di arrossire. Entrambi si sorrisero a vicenda, lui tenero e lei sorpresa.
“Non mi aspettavo che ne volessi parlarne in quei termini,” disse dolce, abbracciandola alla vita. “Come mai hai
deciso di dirlo così all’improvviso?”
Lei rifletté qualche secondo prima
di rispondere. “Ho sentito come un impulso interno. Non saprei definirlo
altrimenti. Quando quella ragazza si è avvicinata per invitarti a pranzo il mio cuore ha accelerato i suoi battiti. Credo di
aver provato rabbia. E credo anche che non sia stato del tutto un caso che ci
siamo ritrovati soli in questo frangente.”
Gabriel sollevò le sopracciglia. Non ci aveva fatto caso, ma
ora che ci pensava i suoi amici si erano allontanati tutti
insieme alle due ragazze che frequentavano Motoko. Che
non fosse stato semplicemente frutto della casualità?
“Comunque sia, ho provato una forte
ostilità nei confronti di Yoshikawa. Ed ho ritenuto opportuno informarla del nostro stato prima che alimentasse inutili speranze.”
Ma al di sotto di quelle parole
fredde Rei cercava di dominarsi.
Mi ha fatto arrabbiare! Non credevo fosse possibile, ma è
successo.
Mi sono arrabbiata. E non ne
capisco nemmeno il motivo. Semplicemente, il suo modo di fare, l’espediente
meschino che hanno escogitato per portarsi via Gabriel
mi hanno dato i nervi!
Spero che lui non se ne accorga:
non voglio dargli preoccupazioni. In fondo, il pericolo è scongiurato. E
sapendo che siamo ufficialmente insieme si guarderà
bene dal ritentare.
Che rabbia!
Forse è questo quello che si
intende per gelosia?
Può darsi, però… Non voglio più provarla, non con Gabriel
al mio fianco…
Perché so che, se veramente è gelosia, è un
sentimento immotivato.
Gabriel portò una mano a carezzarle una guancia,
distogliendola così dai suoi pensieri. “Hai detto la cosa giusta al momento
giusto,” disse, sorridendole. “Mi hai salvato.”
Lei sorrise a sua volta, sensibilmente più calma. “Credo di
essere stata gelosa, sai?”
Dato che non c’era più nessuno nell’aula, il Fourth Children
si chinò su di lei e la baciò sulle labbra. Non era un bacio rapido, ma nemmeno
uno profondo, da adulti. Era un bacio carico di tutto il suo amore per lei.
“Non hai ragione per essere gelosa,”
disse lui, quando si separarono. “Io non desidero stare con nessuno che non sia tu.”
“Lo so,” fu la risposta.
Entrambi sorrisero e si abbracciarono, per poi uscire e
andare a consumare in pace il bento nel loro ‘luogo segreto’.
Le porte dell’ufficio del Comandante si aprirono davanti
alla Dottoressa Akagi, come era successo la mattina
precedente quando era stata convocata presso di lui. Con sé la donna reggeva un
semplice fascicolo dalla copertina nera. L’interno della stanza, di solito
molto buia, era screziato dai colori del tramonto che filtravano dalla città soprastante. Alla scrivania, unico arredo
visibile, Gendo la stava aspettando con le dita intrecciate. Il Vice Comandante
non c’era.
“Ha i dati che le ho chiesto?”
domandò il Comandante, senza preamboli. Il passaggio all’uso del ‘lei’ indicava che la situazione era particolarmente seria.
Ritsuko annuì e accennò all’oggetto che reggeva in mano. Si diresse verso la
scrivania.
“Come da lei ordinato ho provveduto a
visitare tutti gli Agenti della Sicurezza presenti alla base, signore. Li ho
sottoposti a tutti i test standard, compreso quello per lo stress inatteso.”
Gendo parve rilassarsi, dato che abbassò le mani fino a
scoprire le labbra, che però non si aprirono in un sorriso. “Il cosiddetto test
della ‘luce rossa’. E’ sicura che sia affidabile?”
Lei invece ridacchiò. “E’
affidabile nelle mani di chi sa usarlo. Per tutti gli altri è
una semplice spia rossa che si accende in modo casuale.”
Il Comandante lasciò correre. “Mi risparmi i dettagli
tecnici. Venga al punto.”
Fu con una vena di amarezza nello
sguardo che posò sulla scrivania il fascicolo che fino ad allora sembrava voler
custodire gelosamente. Gendo lo prese e lo sfogliò,
inespressivo.
“Sembra che abbia tutte le competenze necessarie,” disse, concludendo la sua analisi e posando il dossier
sulla scrivania.
“Sì. Sono giunta a questa conclusione sia per i risultati
dei test che per i prerequisiti di background.”
Il Comandante annuì e si alzò. Per la
prima volta sorrise, ma era un sorriso privo di gioia. Era aggressivo.
“I nostri amici avranno una bella sorpresa.”
Ritsuko distolse lo sguardo dai suoi occhi e lo posò sul
dossier. Sulla copertina campeggiava un nome, in lettere bianche. ‘Iwanaka
Satoshi’.
“Sì,” replicò lei, tornata fredda
quanto il suo interlocutore. “Abbiamo trovato il nostro uomo.”
Capitolo 14 *** Sentimenti e Missione (Parte I) ***
CAPITOLO 13
CAPITOLO 13
Sentimenti e
Missione (ParteI) [1]
(Nota:
Ricordiamo che il Sankendo è una disciplina completamente inventata dagli
autori, pertanto non è assolutamente sicuro tentare di imitare i personaggi di
questa fanfiction, né con bastoni né, tantomeno, con armi vere. Potrebbe
risultare molto pericoloso e lo sconsigliamo. Non ci assumiamo la
responsabilità per eventuali condotte irresponsabili messe in atto nonostante
questo avviso.)
(Attenzione: in questo
capitolo verranno riprese molto fedelmente delle scene tratte da alcuni episodi
di Evangelion, con gli scopi già anticipati nella
prefazione.)
Nei giorni seguenti all’inaugurazione, Misato e Satoshi si
recarono molto spesso allo Scarlet Dawn, la sera, dopo aver preparato la cena
ai ragazzi. Talvolta ci andavano con Shigeru, Maya e Makoto, anche se
quest’ultimo sembrava trovarsi a disagio in quel locale; oppure la causa di
tale disagio erano proprio Misato e Satoshi, sebbene loro non ne sapessero
nulla. Una volta era andata con loro anche Ritsuko, che aveva dovuto badare
quasi tutto il tempo ad una eccitatissima Maya, mentre gli altri due operatori
avevano il turno di notte. Ma per i due giovani, ormai ufficialmente fidanzati,
era relativamente importante sapere di volta in volta con chi uscivano.
Dopo l’euforia dei primi giorni era subentrata una felicità
più pacata, che permetteva a Misato e Satoshi di stare bene insieme anche senza
doverlo esprimere con gesti eclatanti: spesso capitava che si prendessero
semplicemente per mano, o che si concedessero un abbraccio e un bacio a fior di
labbra.
Anche al di là delle uscite serali, l’Agente franco
nipponico si dimostrava pieno di premure nei confronti della fidanzata: a volte
le portava da bere in ufficio, durante la pausa, in cui era concesso bere una
‘quantità limitata’ di alcolici, oppure le svuotava il cestino della spazzatura,
guadagnandosi a tratti l’invidia o l’antipatia dei suoi colleghi maschi.
Specialmente di uno, che però evitò di farsi vedere, in accordo con il decreto
del Comandante Ikari.
Misato si era anche interessata al Sankendo, finendo per
imparare anche alcuni termini tecnici. Fu per questo motivo che un giorno
decise di accompagnare Satoshi agli allenamenti. L’uomo si era detto d’accordo
con un moto di entusiasmo, e l’aveva accompagnata in moto, che era un po’
scomoda a causa del borsone e della scatola delle armi.
Il Dojo Karayama non era molto distante dallo Scarlet Dawn.
Era un edificio a due piani, di cui il più basso era occupato interamente dalla
palestra e dai locali annessi. Vi si accedeva tramite un piccolo atrio in cui
un commesso accoglieva i visitatori.
“Salve, Iwanaka-san!” esordì l’anziano in kimono
tradizionale dietro il bancone, un uomo calvo dal volto simpatico. Dagli
sguardi che aveva dato a Misato, si capiva che il saluto cordiale era rivolto
anche a lei.
“Buongiorno, Oyama-san,” rispose Satoshi, sorridendo a sua
volta. Essendo già conosciuto a livello internazionale per via di suo padre e
della sua propria fama, era riuscito rapidamente a sviluppare un rapporto
cameratesco con gli altri addetti del dojo, salvo che con il Sensei, che
raramente era in Giappone. Per lui provava ciò che ogni Sankendoka avrebbe
dovuto provare per un maestro, anche se lo eguagliava per abilità: reverenza e
rispetto. D’altronde, il Sensei Karayama, per le poche volte che lo aveva
visto, era un uomo onesto e saggio, più maturo della sua età relativamente
giovane.
“E’ fortunato,” riprese Oyama. “Karayama-sensei è tornato
proprio ieri. Aveva proprio espresso il desiderio di parlare con lei.”
Satoshi si sentì sorpreso e lusingato. Annuì al commesso e
sorrise. “Grazie dell’informazione, vado subito a prepararmi negli spogliatoi.
Intanto accompagni il Capitano Katsuragi sulle gradinate, è una mia ospite.”
Poi si volse verso la donna e strizzò un occhio. “Ci vediamo più tardi,
tesoro.”
Misato rispose con un rapido bacio al saluto e rimase a
guardarlo entrare nella porta laterale che dava sugli spogliatoi, prima di
farsi accompagnare nella palestra.
Il locale era ampio e ben illuminato da ampie finestre e da
alcune potenti luci al neon, ed era piuttosto affollato. Alla base delle alte
gradinate, attorno al tatami quadrato centrale, vi
erano ragazzi molto giovani, più o meno dell’età di Shinji, tutti vestiti con
un kimono argentato, che dialogavano tra loro o con i rispettivi genitori.
Sembravano piuttosto agitati, come se aspettassero che accadesse qualcosa di
importante.
Oyama accompagnò Misato su per una stretta scalinata,
facendola accomodare in terza fila, da cui si poteva avere una buona visuale
dell’intera area di allenamento, e dopo averla salutata con cortesia tornò
nell’atrio. Intanto, alcuni adulti uscivano, mentre altri si accomodavano
attorno a lei, sulle gradinate, sicché nella parte centrale della palestra
rimasero una decina di ragazzi giovani e quattro o cinque più grandi, che
portavano alla cintura tre bastoni dalla lunghezza variabile. La donna dovette
attendere ben poco per vedere il suo fidanzato entrare da una porta che dava
sugli spogliatoi. Quasi non lo riconobbe, ma quando capì che era lui il cuore
le sobbalzò nel petto. Il kimono che indossava, nero e attraversato da quelle
che sembravano le spire dorate di un serpente, era stretto in vita da una
fascia pure nera, e lasciava vedere parte dei pettorali. Nella fascia erano
inseriti una katana sul fianco sinistro, una spada corta del tipo detto
wakizashi ed un pugnale del tipo detto tanto sul fianco destro. Le gettò un
rapido sorriso e fece un cenno di saluto con la mano quando la vide, e si voltò
per guardare la porta da cui era entrato: così facendo, Misato si rese conto
che le spire che decoravano il suo kimono appartenevano in realtà ad un
maestoso drago, la cui testa campeggiava al centro della schiena dell’uomo.
Nell’intera palestra scese all’improvviso un silenzio
solenne quando un altro uomo uscì dagli spogliatoi: il suo kimono era argentato
come quello dei ragazzi che lo stavano guardando adoranti, però era bordato di
rosso fuoco. Anch’egli alla vita portava le tre lame che davano il nome alla
disciplina. Il volto, che dimostrava una quarantina d’anni al massimo, era
contornato da una folta chioma di capelli neri e da un lungo pizzetto
altrettanto nero. I suoi tratti netti erano addolciti da un sorriso saggio, che
ispirava reverenza.
“Sono felice di essere finalmente tornato dai miei allievi,”
disse. La sua voce era ferma, ispirava l’idea di una roccia in mezzo alle onde.
“Karayama-sensei,” salutò uno degli studenti più grandi,
inchinandosi. “E’ un onore per noi rincontrarla.”
L’uomo, che non aveva cambiato espressione, accennò un
minimo inchino in risposta al saluto dell’allievo, prima di continuare a
parlare. Si rivolse ai ragazzi più giovani, che lo guardavano letteralmente
estasiati. “Per la maggior parte di voi queste sono le prime lezioni con me,
vero?”
Molte teste annuirono, e Karayama mosse il capo soddisfatto.
“Allora vi darò subito uno spettacolo che difficilmente potrete dimenticare.
Satoshi!”
Il richiamo risuonò imperioso nella sala. L’interpellato si
fece avanti senza esitare, in un ‘attenti’ perfetto. Il Sensei si voltò verso
di lui e gli indicò il tatami al centro della
palestra. “Mettiti in posizione. Duelleremo.”
Dall’espressione del giovane si capì che non riusciva a
credere alle sue orecchie, ma si affrettò ad obbedire.
“Già sapete tutti le nozioni fondamentali del Sankendo,
vero?” chiese Karayama, di nuovo rivolto agli studenti più giovani. Questi
annuirono di nuovo, incapaci di fiatare. “Bene,” riprese, “oggi assisterete ad
una dimostrazione pratica, con armi vere, di un incontro. Per motivi
di tempo io e Iwanaka-san ci affronteremo una sola volta, al contrario delle
tre previste dal regolamento. Come sapete, ogni ferita è un fallo e lo scontro
termina quando l’avversario è disarmato o impossibilitato a reagire. Voi
principianti invece avete a disposizione quelle spade di legno. Per quanto
riguarderà voi, i falli verranno giudicati in base alle zone che colpirete.
Ricordate: collo, polsi, cuore, inguine e testa sono severamente vietate
perché, se si trattasse di una spada vera, potrebbe provocare gravi ferite se
non la morte stessa dell'individuo.”
Dopo questa rapida spiegazione, l’uomo salì agilmente sul tatami e si posizionò davanti a Satoshi. Fecero un inchino
reciproco poi rimasero fermi a guardarsi per alcuni secondi. Misato si sporse
trepidante sul sedile, per non perdersi nemmeno un momento dell’incontro.
Le espressioni dei due uomini non tradivano nessuna
emozione, se non una concentrazione profonda. Poi estrassero contemporaneamente
katana e wakizashi, mettendosi in posizione di guardia. Iniziarono a camminare
lentamente in tondo in senso antiorario, studiandosi, i nervi tesi volti a
captare ogni minimo errore da parte dell’altro, ciascuno con le braccia arcuate
con i gomiti verso l’esterno e le punte delle armi rivolte verso l’avversario.
All’improvviso, Satoshi scattò in avanti, abbassandosi e tenendo
la lama corta parallela al proprio busto mentre con quella lunga cercava di
colpire l’impugnatura della wakizashi avversaria. Karayama scattò a sua volta,
intercettò la katana con la guardia della sua spada corta e tentò un movimento
complesso per disarmare il giovane. Nel contempo, abbassò la katana in un
potente fendente alla spalla dell’Agente della Nerv.
Misato trattenne il fiato: faceva fatica a vedere i
movimenti delle lame, ma capì che se Satoshi non si fosse difeso avrebbe potuto
essere ferito gravemente.
All’istante la wakizashi del giovane si sollevò sopra la
testa, intercettando la lama avversaria. Non aveva avuto altra scelta, e
Karayama lo sapeva benissimo. Quel potente fendente aveva esattamente lo scopo
di scoprire la guardia del giovane che, così immobilizzato, era in sua completa
balia. Con una secca torsione del polso sinistro, il Sensei costrinse Satoshi a
lasciare la presa sulla sua katana. Questi respinse la spada avversaria
impugnando la propria wakizashi con due mani e saltò all’indietro,
disimpegnandosi. Il tonfo attutito dell’arma che cadeva segnò la fine di quel
primo assalto, durato meno di dieci secondi. Misato ricominciò a respirare.
Sentiva il cuore batterle forsennatamente nel petto.
Apparentemente calmo, l’Agente si passò la spada corta nella
mano destra e con la sinistra estrasse il tanto. Karayama si era rimesso nella
solita posizione di guardia. Il suo avversario rimase immobile alcuni secondi,
poi allungò il braccio destro, puntando l’arma verso il Sensei, e strinse al petto il sinistro. Era in una netta posizione di
svantaggio, e doveva sfruttare al meglio tutte le sue risorse.
Questa volta fu il più anziano dei due a caricare. Con la
katana tentava un colpo alla wakizashi avversaria, mentre la propria spada
corta tentava un insidioso affondo per impegnare il tanto. Per un brevissimo
attimo, Satoshi sorrise: si aspettava quella mossa. Rapidissimo ritirò la
wakizashi e si abbassò, colpendo con entrambe le sue armi la spada corta di
Karayama. Questi esitò per un momento che gli fu fatale, e il giovane gli torse
via dalla sinistra la spada corta. In quel momento fu chiaro che il
combattimento stava per terminare. Satoshi aveva solo piegato le gambe, per cui
anche se il Sensei fosse arretrato lui avrebbe potuto scattare in avanti ed
incalzarlo. D’altronde, in quella posizione il giovane non avrebbe mai potuto
evitare o parare un colpo della katana avversaria, ora quasi sopra la sua
testa.
L’Agente curvò le braccia, puntando le sue armi alla gola di
Karayama e fermandosi a circa dieci centimetri dalla sua pelle.
Contemporaneamente quest’ultimo estrasse il tanto e lo puntò allo stomaco
dell’avversario, fermandolo alla stessa distanza. Rimasero immobili così per
alcuni istanti, mentre nella sala tutti trattenevano il fiato. Misato stava per
esultare, perché dalla sua posizione sembrava che il suo fidanzato avesse vinto
il duello, ma poi i due si allontanarono e tutti poterono vedere il tanto che
Karayama reggeva in mano. In quel momento gli studenti capirono che il duello
si era concluso con un pareggio e scoppiarono in un roboante applauso, domato a
fatica da Karayama che, recuperata la wakizashi, si era appena inchinato
davanti al suo avversario. Satoshi aveva fatto lo stesso con lui, prima di
rinfoderare le armi. Ebbe anche il tempo di rivolgere un sorriso al Capitano
prima di scendere e stringere le mani agli studenti in estasi.
Il resto della lezione proseguì attraverso duelli di
allenamento con le spade di legno da parte dei ragazzi più giovani, con
Karayama che interveniva di volta in volta a correggere una posizione o una
presa. Alla fine dell’allenamento, i ragazzi erano stremati, ma felici.
Satoshi, che aveva aiutato il Sensei nel suo lavoro, fece un cenno a Misato,
invitandola a scendere da lui, e questa non esitò. Avrebbe voluto abbracciare
il suo fidanzato, ancora scossa per il pericolo scampato durante il duello, ma
capì che doveva trattenersi, dato che lui stava dando istruzioni ad alcuni
ragazzi sul saluto da fare agli avversari dopo il combattimento.
Dopo il termine degli allenamenti, il Sensei invitò tutti a
depositare le armi d’allenamento nelle apposite rastrelliere, prima di dare
l’appuntamento alla settimana successiva.
“Allora,” disse Satoshi con un sorriso quando fu libero di
abbracciare con tenerezza il Capitano, “come ti è sembrato?”
“Straordinario!” esclamò la donna, entusiasta. Ed era vero:
il duello era stato una delle cose più emozionanti di cui avesse memoria. “Le
vostre spade quasi non si vedevano, erano velocissime, è stato tutto così…”
“Straordinario, come ha già detto, signorina,” si intromise
Karayama, avvicinandosi con un sorriso placido. Satoshi scattò sull’attenti,
sorpreso ed un po’ imbarazzato, ma l’altro gli fece cenno di rilassarsi.
“Perdonate la mia intrusione, ma il suo grido, signorina, è echeggiato per
tutta la sala…”
Misato abbozzò delle scuse, ma non riuscì a spiccicare una
frase di senso compiuto. Il Sensei però scosse la testa. “Non occorre che si
scusi; quando si manifesta, l’entusiasmo per il Sankendo va incoraggiato.”
A quelle parole i due si rilassarono un po’. Intanto la
palestra si era svuotata, e rimanevano solo loro con Karayama. Questi sorrise
di nuovo e si rivolse direttamente al Capitano. “Deduco che lei è la fidanzata
di Iwanaka-san, sbaglio?”
Misato annuì subito. Quella figura ispirava fiducia in ogni
suo movimento. “Mi chiamo Misato Katsuragi, molto piacere di conoscerla.”
“Katsuragi… Ho già sentito questo nome da qualche parte…”
Satoshi fece un cenno affermativo col capo. “E’ l’Ufficiale
Tattico della Nerv. Nonché mio diretto superiore.” Sorrise con dolcezza verso
la donna, che ricambiò.
“Giusto!” il Sensei si batté un pugno nella mano aperta. “E
così è il diretto superiore di Iwanaka-san, eh? E’ un onore fare la sua
conoscenza, mi chiamo YujiKarayama.”
L’uomo si chinò profondamente, subito imitato da una Misato imbarazzatissima. Quando tornò in posizione eretta,
Karayama riprese a parlare, serio. “Il mondo sta attraversando un momento
difficile, con queste creature che periodicamente lo visitano. E’ una prova, e
voi esistete per proteggere tutti noi. Sono certo che Iwanaka-san vi sarà di
enorme aiuto. Dopotutto,” concluse, riprendendo a sorridere. “E’ il mio miglior
allievo.”
Ancora una volta il giovane chiamato in causa si inchinò,
lusingato, ma Misato era perplessa. Il Sensei dovette accorgersene, perché
riprese a parlare, sempre sorridendo comprensivo. “So bene che l’abilità
nell’uso delle tre spade è di limitata utilità per affrontare creature simili.
Tuttavia il Sankendo è molto più che ‘l’arte del combattimento con le tre spade’.
E’ uno stile di vita, un modo di pensare, uno stato d’animo. Un Sankendoka non
è solo un abile spadaccino, è anche una persona che sa distinguere il giusto
dallo sbagliato, sebbene essi siano separati da una barriera sottile quanto il
filo di una katana. Ed a volte, è questa capacità che fa la differenza.”
Per alcuni secondi i due ascoltatori rimasero in silenzio,
meditando sulle parole del saggio maestro. Poi questi spezzò il silenzio. “Si
sta facendo tardi. Mi aspetta una serata di meditazione, e sicuramente per voi
il destino ha in serbo una serata molto piacevole. Spero che ci rivedremo, Katsuragi-san.”
Si inchinò in segno di saluto verso Misato, che ricambiò.
Poi si rivolse a Satoshi. “Iwanaka-san, noi ci rivedremo la settimana prossima,
e potremo parlare più a lungo di oggi. E se vorrai, potremo duellare di nuovo.”
L’Agente della Nerv sorrise entusiasta. “Sarebbe un immenso
onore per me, Karayama-sensei.”
Si inchinarono per salutarsi, poi la coppia di giovani si
avviò verso l’uscita dalla palestra, mano nella mano. Come era consuetudine,
Satoshi si sarebbe cambiato nella parte esterna degli spogliatoi, prima di
uscire insieme alla sua fidanzata.
Karayama rimase a guardarli, lui con il kimono e le spade alla
cintola e lei abbracciata alla sua vita, con la testa su una spalla, poi
sorrise di nuovo ed uscì da una piccola porta che dava sul suo ufficio privato,
dove avrebbe meditato per le successive ore.
Misato fu piuttosto stupita di
vedere Ritsuko entrare nel suo ufficio, dato che di solito, quando doveva
parlare con qualcuno, si limitava a richiederne la presenza in infermeria o in
sala comando.
Il Comandante Ikari ed il Vice Comandante Fuyutsuki erano
partiti da pochi giorni, per una destinazione top secret che solo loro
conoscevano. Sebbene la Dottoressa Akagi fosse di un grado superiore a lei, era
stato affidato a Misato il comando tattico di eventuali operazioni: per cui lei
in quel momento era, a tutti gli effetti, il Comandante in Capo della Nerv.
Per cui, quando la scienziata entrò nella stanza, dopo
essersi annunciata, vi trovò il Comandante in Capo Katsuragi con i gomiti sulla
scrivania e le dita intrecciate, nella posizione tipica di Gendo.
“Dimmi, Dottoressa Akagi,” disse, arrochendo artificialmente
la voce. L’altra non si scompose.
“Se il CAPITANO Katsuragi ha finito di giocare, dovrei
parlare con lei.”
Quando Misato ebbe finito di sbellicarsi dalle risate le
fece cenno di sedersi su una sedia libera.
“Dimmi, dimmi, Ritsuko,” disse infine, asciugandosi le
lacrime dagli occhi e sobbalzando ancora per le risate a stento trattenute.
L’altra donna, che si era accomodata, sorrise, distante.
“Ho sentito il Comandante,” disse, semplicemente. Il
Capitano si zittì all’istante.
“Sai dove si trova?” sbottò, all’improvviso attentissima.
“No,” fu la risposta. “Era un telefono satellitare, ma era
impossibile da rintracciare.”
Misato accolse quelle parole con delusione. Dal momento che
era stata messa a capo della Nerv, pure se solo per qualche tempo, la seccava
non sapere dove si trovavano i suoi superiori.
“Ebbene? Cosa ti ha detto?” chiese, non lasciando trasparire
il suo stato d’animo. L’altra non aveva smesso di sorridere.
“Mi ha comunicato di essere molto soddisfatto della tua
capacità tattica in seno alla Nerv, per cui ha deciso di promuoverti a
Maggiore.”
L’interpellata si zittì per la seconda volta.
“U… una promozione?” riuscì a balbettare dopo un po’.
Ritsuko annuì. “Ha anche detto che, sebbene non possa conferirti di persona il
nuovo grado, puoi tranquillamente considerarti promossa.”
Misato parve letteralmente sbocciare. Si alzò in piedi con
gli occhi che le sfavillavano. La Dottoressa Akagi fece lo stesso, un po’
titubante. Poi il Maggiore Katsuragi fece il saluto militare e sorrise,
cogliendola di sorpresa. “Allora da oggi siamo pari grado, eh?”
Strano, mi aspettavo un gesto più folle da parte sua…
“Sì,” rispose l’altra. “Congratulazioni, Capitano… volevo
dire, Maggiore Katsuragi.”
L’altra fece un gesto di finto rimprovero per l’altrettanto
finto errore di Ritsuko, quindi scoppiò a ridere, gaia, contagiando con la sua
allegria anche l’amica, che ridacchiò sottovoce, come era nella sua indole.
Com’era naturale, Satoshi fu enormemente entusiasta ed orgoglioso
quando notò i nuovi gradi sul colletto dell’uniforme di Misato, tanto che si
offrì di disertare il lavoro con lei per andare a festeggiare. D’altronde,
entrambi sapevano che un grado superiore portava anche superiori
responsabilità, tanto più ora che la donna era anche Comandante in Capo della
base, per cui lei dovette rifiutare con garbo la proposta.
Quando andarono a prendere i ragazzi a scuola, invece, il
primo ad accorgersene fu Kensuke, da buon appassionato di faccende militari
qual era. Da lì in poi, fu un continuo congratularsi da parte di tutti i
ragazzi, e Aida decise addirittura di propria iniziativa di organizzare dei
festeggiamenti. A nulla valsero le educate proteste della donna, il ragazzo era
irremovibile, e ben presto il suo entusiasmo contagiò anche gli altri.
Così quella sera si ritrovarono tutti attorno al tavolo
nell’appartamento di lei: Misato e Satoshi, ovviamente, i quattro Children,
Kensuke, che aveva ordinato fior di manicaretti ad un vicino ristorante, Toji,
che così facendo aveva la possibilità di vedere il Maggiore in abbigliamento
casual, e Hikari, che era stata invitata da Asuka. Più tardi, a cena già
iniziata, arrivò anche Ritsuko, invitata da Misato. I tre operatori non erano
potuti venire perché avevano il turno di notte alla base, ma in realtà ciò non
era un male: già così, l’appartamento era sovraffollato.
“Non viene il signor Kaji?” chiese la Second Children
all’ultima arrivata, leggermente delusa. A quel nome sia Misato che Satoshi si
adombrarono, ma fu questione di pochi istanti.
“No,” rispose Ritsuko, “al momento non si trova in
Giappone.”
“Ah, peccato,” disse la ragazza, guardando il Maggiore con
aria interrogativa.
“Sì, Kaji è fuori dal Giappone, grazie al cielo,” rispose
questa brusca. “E’ in una specie di missione diplomatica negli Stati Uniti, o
qualcosa del genere. Ero troppo felice che se ne andasse per prestare
attenzione quando ho firmato il suo lasciapassare.”
Era ancora piccata per l'ultima scenata di gelosia
fattale dall'uomo col codino
“Attenzione, Maggiore,” fece notare Ritsuko con una punta di
ironia. “Dovresti considerare più attentamente i tuoi doveri. Non vorrai che la
tua promozione sia revocata, vero?”
L’interpellata rise. “Andiamo, Ri chan, non essere pignola!
Da domani prometto solennemente di fare più attenzione!”
A quell’uscita tutti risero, e la serata trascorse
amabilmente. Come era ormai un’abitudine, alla fine della cena si spostarono
tutti nell’appartamento di Satoshi, dove Gabriel eseguì al pianoforte un brano
che nessuno riconobbe, tranne Rei, che invece arrossì. Era infatti un breve
brano tratto da ‘Una Giornata di Rei’, che la ragazza ormai aveva ascoltato più
e più volte, imparando quasi a memoria ogni accordo, ogni nota.
Quando ebbe terminato la meraviglia dei presenti si tramutò
in entusiasmo ed in un lungo applauso, sebbene lui non avesse occhi che per il
sorriso della sua Musa. Poi Ritsuko si profuse in un lungo sbadiglio e dichiarò
che era ora, per lei, la First Children, Toji, Kensuke e Hikari, di andare a
casa.
Sia Rei che il Fourth Children furono molto dispiaciuti per
quella separazione, per quanto provvisoria, ma sapevano che non si poteva in
alcun modo fare altrimenti, almeno per il momento.
Dopo che la donna ed i ragazzi se ne furono andati, Satoshi
colse di sorpresa Misato, chiedendole di andare a festeggiare, da soli, allo
Scarlet Dawn.
“Allo… Scarlet… noi due?” Il Maggiore era arrossita
vistosamente. L’uomo si limitò a confermare con un cenno del capo, sorridendo.
“Per festeggiare…” aggiunse.
Non c’è che dire, la proposta è allettante… Più che
allettante, direi entusiasmante! E’ un po’ che non ci andiamo da soli, ed oggi
è proprio il giorno giusto per fare baldoria.
“D’accordo!” Concluse raggiante.
La Second ed il Third Children, intenti a chiacchierare con
Gabriel per non fargli pesare troppo il distacco improvviso da Rei, non avevano
sentito nulla della conversazione, per cui furono tanto sorpresi quanto lo fu
Misato poco prima, quando lei annunciò che uscivano.
“Che??” chiese Asuka, con aria di rimprovero. “Voi ve ne andate
lasciandoci a casa da soli?? Che adulti irresponsabili!”
“Guarda che è già successo, Asuka…” fece notare Misato,
perplessa.
La ragazza allora scoppiò a ridere. “Era uno scherzo,
Maggiore! Non dirmi che con la promozione ti è sparito il senso dell’umorismo!”
Anche i due adulti risero e salutarono i ragazzi. Presero la
Renault Alpine della donna, ma lei, con un gesto di magnanimità, decise che
avrebbe potuto guidarla Satoshi.
Il viaggio fu privo di problemi, tranne qualche automobilista
che sorpassava sulla sinistra (e che si riceveva una serie di coloriti
improperi da parte di Misato). Quando arrivarono erano già le 11 di sera.
“Certo che Gabriel è proprio innamorato perso…” Disse Asuka
mentre Shinji richiudeva la porta di casa.
Circa un’ora dopo la partenza di Misato e Satoshi infatti il
trio si era diviso, decidendo che era ora di andare a dormire.
“Dai, non si può certo fargliene una colpa…” replicò il
ragazzo con un lieve sorriso. In fondo per lui valeva lo stesso discorso nei
confronti di Asuka.
“Beh, si, certo certo, non ho mica
detto questo. Chissà…” e ridacchiò “…non è detto che a quest’ora invece che
dormire stiano parlando a telefono come due fidanzatini perfetti. Certo che la
First è proprio cambiata…” concluse con un’espressione perplessa.
“Non è l’unica, sai?” Riprese Shinji con dolcezza mentre
entrambi tornavano in cucina. La ragazza gli sorrise.
“Senti, Shinji…” cominciò la rossa avviandosi verso la
cucina “non ho molta voglia di andare a dormire…che ne dici di un tè?”
“A quest’ora?” Il Third Children guardò perplesso l’orologio
a muro nell’ingresso che segnava le 23:30.
“Beh? Che male c’è?” chiese sorpresa voltandosi verso di
lui.
“Non credi che ci renderà difficile dormire?”
“E perché? Non è mica caffè!”
“Ma la teina non ha effetti analoghi?”
“Aaaaaah! Andiamo, Shinji! Se Misato e il Signor Satoshi
possono andare a far baldoria tutta la notte, possiamo farlo anche noi no?”
“Si, ma…”
“Dai! Non è mica alcool! E poi domani è sabato! Che problema
c’è?”
“Uhm…d’accordo” Sorrise il ragazzo.
“Perfetto!“ Ammiccò in sua direzione “Ci pensi tu, vero?”
Il Third Children rimase un po’ sorpreso a quest’uscita, ma
sorrise.
Ed io che credevo volesse prepararlo lei… Beh, non importa.
E’ tutto perfetto così.
“Certo, lascia fare a me.” Rispose quieto il ragazzo
seguendola in cucina dove lei accese la luce.
“Ottimo! Allora io prendo le tazze!”
Shinji la guardò trafficare fra le scansie.
Una volta non mi avrebbe mai chiesto di preparare il tè. Me
lo avrebbe ordinato, magari. Oppure se lo sarebbe preparato da sola, senza
minimamente pensare ad invitarmi a berlo con lei.
Che cambiamento, Asuka.
Ora sento di poterti amare perdutamente, senza il timore
della tua ira nel caso fosse trapelato qualcosa…
“Ehi! Sveglia!”
Il ragazzo si riscosse. Asuka era in piedi davanti a lui e
gli stava facendo dondolare davanti agli occhi una tazzina, tenendola in bilico
per il manico.
“Ma ti eri addormentato?”
“No… no, stavo solo pensando,” disse, alzandosi e prendendo
la tazzina dalla mano di lei
“Ah sì?” chiese la Second Children, sedendosi comoda. “E a
cosa stavi pensando?”
Shinji le voltò rapidamente le spalle, nascondendo così il
rossore che l’aveva preso all’improvviso. “A…” balbettò, “… nulla di
importante.”
“Mmmh... no nonono, Shinji Ikari...” cominciò
la ragazza girandogli intorno per portarsi di fronte a lui “...non sei capace
di mentire! Dai, avanti! Confessa!”
Le mani gli tremavano attorno alla teiera, già piena
d’acqua. Non sapeva se Asuka si fosse già accorta del suo rossore, ma volse il
capo verso i fornelli, come se avesse veramente l’intenzione di continuare con
la sua attività.
“Asuka…” iniziò grave, dato che lei continuava ad
assediarlo. “Stavo pensando a… a che fine aveva fatto PenPen!”
Per tutta risposta, il piccolo frigo dimora del pinguino si
aprì lasciando uscire il suo occupante, che gorgheggiò con aria imperativa
verso di due Children.
Per un attimo Asuka era stata sul punto di dire qualcosa, ma
l’arrivo improvviso del pennuto la distrasse.
“Ce ne stavamo dimenticando!” esclamò, chinandosi a
scompigliare la cresta di PenPen, che gridò contento, sebbene fosse difficile
di volta in volta identificare le emozioni che esprimeva. “Cosa c’è? Vuoi uno
spuntino?”
Shinji sospirò lievemente per lo scampato pericolo e mise la
teiera sul fuoco.
Anche se è passato ormai un bel po’ di tempo da… quella
volta… ancora esito prima di parlarle dei miei sentimenti.
Mi sento impacciato, mi blocco, divento rosso di vergogna e
non riesco a parlare.
Eppure non dovrei più avere paura del suo giudizio, è
diventata…
Guardò la ragazza che stava giocando con un perplesso
PenPen, sollevandogli le ali e lasciandogliele ricadere. Rideva come se quella
fosse la cosa più divertente del mondo. Anche lui sorrise.
… è diventata Asuka.
Il fischio della teiera fece sobbalzare il pinguino, che si
stancò del gioco e reclamò a gran gracchiare il proprio spuntino di mezzanotte.
Di solito se ne occupava Misato a quell’ora, quindi Shinji servì il tè a se
stesso e alla ragazza e un piatto di aringhe affumicate all’animale.
Dopo breve tempo PenPen sbadigliò sonoramente e si recò nel
suo frigorifero, chiudendo la porta con uno scatto.
“Che maleducato!” protestò Asuka, finendo di bere il proprio
tè. “Non ci ha nemmeno augurato buona notte!”
“Già,” rise Shinji. Si alzò e tese la mano verso la tazza
della ragazza. “In effetti è proprio ora che ce ne andiamo a letto. Domani non
saremo a scuola, però dovremo comunque studiare per lunedì.”
Lei gli porse la tazza senza fiatare, senza nemmeno scuotere
la testa in senso affermativo. Si limitava a guardarlo. Lui non se ne accorse e
portò le due tazze al lavello, con l’intenzione di ripulirle.
“Puoi farlo domani, Shinji,” disse Asuka, stranamente atona.
“Non importa,” fu la risposta, “non ci metterò tanto.”
“Il fatto è,” continuò Asuka, alzandosi dalla sedia, “che io
vorrei stare un po’ con te.”
Il ragazzo si irrigidì all’improvviso.
… Ho capito bene??
“N…non ho capito,” balbettò, girandosi a metà verso di lei.
Ora erano faccia a faccia, gli occhi azzurri di lei fissi nei suoi.
“Vorrei stare un po’ con te,” ripeté Asuka.
Shinji rimase immobile come una statua di sale. Non riuscì a
muoversi nemmeno quando lei si sporse in avanti e trovò le sue labbra con le
proprie. Nemmeno quando chinò il volto leggermente in una posizione più comoda
e portò le mani a sfiorare le sue, trovando poi una presa più salda
intrecciando insieme le dita.
Riprese a respirare solo quando lei si fu allontanata ed
ebbe riaperto gli occhi, occhi più profondi di quanto avesse mai potuto immaginare.
Una vampata di calore gli invase il volto, offuscandogli la vista.
“Io…” cercò di mormorare, ma aveva la voce roca e la gola
secca. Asuka scosse lievemente il capo, sorridendo.
“Non dire nulla,” sussurrò. “Solo…” intrecciò maggiormente
le dita con le sue, “non devi più arrossire quando pensi a quello che provi per
me. Perché… è lo stesso che provo per te.”
Si baciarono di nuovo, ma questa volta Shinji fu in grado di
rispondere.
“Un altro White Lady?” chiese Satoshi sorridendo quando
ebbero raggiunto un tavolino isolato. Ormai aveva imparato che quello era il
suo cocktail preferito. Infatti, la neopromossa Maggiore sorrise ed annuì.
“E per te un Alexander, vero?”
“Mi chiedo come tu abbia fatto ad indovinare.”
Sempre ridendo ricevettero la loro ordinazione, la prima di
una serie non troppo lunga. Passarono la prima parte della serata imbastendo
una pressoché perfetta imitazione del Comandante Ikari che conferiva la
promozione a Misato, ripetendola in continuazione finché non si furono troppo
stancati a causa delle risate. Allora cominciarono a baciarsi.
Una cosa molto tenera, all’inizio. Ma lentamente,
inesorabilmente, i loro baci risvegliavano qualcosa di più profondo in loro, un
desiderio che fino ad allora era rimasto inespresso. La prima ad interpretare
tale desiderio fu Misato.
E’ come se mi rendessi conto solo ora di amare Satoshi…
Ogni suo bacio è come se fosse il primo che mi dà…
E… mi rendo conto… di volerlo amare di più…
L’uomo si accorse che lei si era fatta pensierosa, così interruppe
la sequenza di baci, preoccupato. “Cosa succede?”
Lei sobbalzò. Guardò gli occhi azzurri dell’uomo che amava e
seppe cosa fare.
“Niente,” sussurrò, muovendosi leggermente nell’abbraccio di
lui fino a raggiungere il suo orecchio. “Andiamo via da qui…”
A Satoshi il cuore mancò d’un battito. Si allontanò un poco
e la guardò negli occhi. “Sei sicura? Vuoi tornare a casa?”
“No… Ma questa volta sono sobria,” rispose Misato. Non era
possibile vedere il colorito del suo volto a causa dell’illuminazione del
locale, ma il tono era fermo, non quello di una persona ubriaca. Satoshi
dovette deglutire più volte prima di poterle dare una risposta.
… Ho capito bene le sue parole?? Sono le stesse dell’altra
volta! Forse ho bevuto troppo…
Ma l’espressione di Misato, illuminata a sprazzi dalle luci
erratiche, era inconfutabilmente seria. E sobria. L’uomo cercò di dire
qualcosa, ma non riuscì ad emettere un suono. Allora lei sorrise e lo prese per
mano, facendolo alzare dal tavolino.
Mentre andavano al bancone a pagare le consumazioni,
a Satoshi sembrava di vivere sospeso in un sogno. Come d’abitudine pagò le loro
ordinazioni e rivolse un vago sorriso di circostanza al barista ma la sua mente
era totalmente altrove.
L’aria fresca della sera non ebbe l’effetto dell’altra
volta, ma riportò Satoshi alla realtà dei fatti. Guardò Misato, visibilmente
accaldata, e si rese conto tutto d’un tratto di ciò che stava succedendo.
“Ti senti bene?” chiese lei, sorridendo dolce ed
abbracciandolo alla vita. Lui inspirò a fondo, sentendo un grande benessere
scorrergli in corpo. Sorrise a sua volta e la abbracciò alle spalle.
“Non mi sono mai sentito così bene,” rispose,
depositandole un soffice bacio sulle labbra. Insieme si incamminarono in
direzione del vicino quartiere turistico.
Circa venti minuti dopo avevano raggiunto una strada,
ancora affollata nonostante l’ora. Quando videro l’Hotel Hashino davanti a
loro, il prestigioso albergo a cinque stelle della zona turistica, si
bloccarono. Ciascuno di loro sapeva cosa pensava l’altro, anche senza bisogno
di parlarsi, o anche solo di guardarsi negli occhi.
Fu Misato a rompere quel silenzio pesante come un
macigno. “Io… ti precedo.”
Satoshi non si oppose quando lei si staccò dal suo
fianco, titubante. Riuscì soltanto a dirle: “Arrivo subito.”
Con un ultimo sorriso imbarazzato il Maggiore si
diresse, quasi correndo, verso l’Hotel Hashino. L’uomo rimase invece fermo
pochi secondi, prima di muoversi verso la più vicina farmacia ancora aperta.
Quando finalmente arrivò all’albergo, nella reception
c’era solo un assonnatissimo individuo in livrea elegante, dietro il banco, che
lo guardò distratto, prima di aprirsi in un sorriso per lui abituale. “Buona
sera, signore,” disse, cercando di apparire affabile. “Ha prenotato?”
Satoshi si tastò la tasca dei calzoni per controllare
di aver ben occultato ciò che vi nascondeva, e cercò di far sì che il
receptionist non notasse il movimento. “Dovrebbe essere arrivata una donna poco
fa, dovrebbe aver chiesto una stanza… per due. Mi chiamo Iwanaka.”
L’uomo sfogliò un grosso volume, senza essersi
accorto del gesto del biondo, poi passò l’indice sulla pagina prescelta fino ad
arrivare quasi fino in fondo.
“Katsuragi e Iwanaka?” compitò in tono interrogativo.
L’Agente sussultò, ma annuì, sollevato per il fatto che il suo movimento non
fosse stato notato.
“Secondo piano, stanza 211,” decretò con un sorriso,
indicando le scale. “La signora la aspetta in camera.
Se pure aveva capito le implicazioni di quelle
parole, il receptionist parve non darci peso, e di questo Satoshi gli fu grato.
Fece un profondo respiro e imboccò la scalinata.
Da quando era entrata nella stanza 211 dell’Hotel
Hashino, Misato continuava a camminare su e giù davanti al letto matrimoniale.
Non avrò esagerato? Sarò stata troppo spudorata? Come mai
ci mette così tanto??
…
D’accordo, devo stare calma. Non è la prima volta che mi
trovo in questa situazione.
Però…
Ora è completamente diverso!
Ok. Ragioniamo. Sono piuttosto accaldata. E’ il caso che
mi dia una rinfrescata, prima che arrivi Satoshi.
Rapidamente si recò in bagno, e nel giro di dieci
minuti si sentiva già meglio. Si sedette sul letto, inspirando profondamente.
Sì, così va decisamente meglio. Ora non mi resta che
aspettare, tranquillamente seduta, che arrivi Satoshi.
Ebbe appena il tempo di finire quel pensiero che si
alzò e si recò alla finestra, guardando la strada affollata alla ricerca della
familiare figura dell’Agente franco nipponico.
Ma quanto ci mette??
No, ci mette il tempo che ci mette.
Non capisco perché sono così agitata…
In fondo…
Il suo viso, davanti alla finestra, si oscurò.
Non sono poi tanto inesperta.
Con QUELLO SCEMO di Kaji non facevo così…
Però ora la situazione è diversa. Satoshi non è Kaji, per
fortuna. Quindi per me è un po’ come la prima volta…
Eccolo!!
Aveva visto un lampo biondo nella strada sottostante,
illuminata dai vari lampioni della zona, ed aveva fatto un piccolo balzo.
D’accordo, è arrivato… Tra poco salirà le scale… Non sono
pronta!
Continuò a vagare come un’anima in pena tra il bagno
e la stanza per il successivo minuto, finché non udì bussare alla porta.
“Misato?” chiese la voce attutita di Satoshi.
“Eccomi!” esclamò la donna, dandosi un’ultima
rassettata ai capelli. Quando gli aprì erano entrambi leggermente accaldati.
“Ciao,” salutò l’uomo, rigido come un palo.
“Ciao…” fece il Maggiore, poi fece un gesto con la
mano, sorridendo, e lo prese per un braccio. “Dai, entra.”
Lui si lasciò trascinare dentro la stanza ed attese
che la porta fosse chiusa prima di parlare.
“Scusa il ritardo,” disse, rendendosi conto di stare
quasi trattenendo il respiro.
“Non importa,” minimizzò lei, sempre sorridendo. Poi
sembrò scacciare via un pensiero dalla mente e si avvicinò, seducente.
“Però mi sei mancato,” concluse, abbracciandolo
lentamente alla vita e baciandolo con passione.
Io…
Chi sono davvero io?
Cosa voglio?
Perché ti ho portato qui così all’improvviso?
Piano la donna fece scivolare le dita sul petto del compagno
addormentato. L’uomo emise un sospiro. Lei la smise. Chiuse gli occhi.
All’improvviso varie scene del passato più recente si imposero alla sua
attenzione.
“Interessante, Katsuragi! E così mentre tu facevi il Primo
Liceo, il tuo fidanzatino andava in prima media!”
“Congratulazioni per la sua promozione, Maggiore
Katsuragi.”
“Però le tue labbra non volevano che io mi
fermassi...dimmi, allora, a che cosa devo credere?Alle tue parole o alle tue
labbra?”
“Non ti facevo così irresponsabile! Come hai potuto
permettere che Ryochaned un tuo diretto
sottoposto sipicchiassero a sangue in
una situazione d’emergenza??”
“Ormai Katsuragi non ha più segreti per me…”
BASTA!!
Si sollevò di scatto liberandosi della stretta di lui.
L’uomo sobbalzò, svegliandosi, e si mise seduto.
“Amore, cosa c’è?”
- Amore…chi mai ti ha chiamato così?
La dolcezza del suo tono e lo e lo spavento nel suo sguardo
le fecero salire le lacrime agli occhi.
Non seppe perché, ma in quel momento le fecero male. Con
foga spinse l’uomo sulla schiena, zittendo una sorpresa domanda inespressa con
un bacio.
- Vuoi ancora ignorare la verità?
Smettila! Non ho nulla da ignorare! Io sono felice!
- Sei felice?
…
- Lo vedi?Vuoi
solo crogiolarti in un facile piacere…vuoi solo portare sollievo al tuo animo
in una momentanea fuga… E stai soltanto utilizzando gli uomini per questo.
Non è così!
- Lo stai facendo anche ora…
Non è così!
- Stai fuggendo dalla dolorosa realtà…
Non è così!
- Stai usando anche lui…
Non è vero, non è così, non è così!
- Ah no? E adesso che cosa stai facendo secondo te?
Ho voglia di fare l’amore, non ti devo nessuna
spiegazione!
- Amore?
Cosa?
- Non ti sei gettata tra le braccia di Satoshi solo per
confermare che tra te e Kaji era realmente tutto finito?
Che cosa stai dicendo??
- Non ti sei data a lui solo per mettere a tacere la
verità? Su chi sei? Cosa volevi e cosa vuoi?
NON E’ AFFATTO COSI’!
- Non mentire. Tu cercavi tuo padre nel sorriso di Kaji.
NON E’ COSI’!
- Cercavi la pace nel calore di Kaji.
NON E’ COSI’!
Cercavi tuo padre nell’abbraccio di Kaji.
NON E’ AFFATTO COSI’!
…
Invece è proprio così. A quel tempo io avevo trovato
dentro Kaji mio padre stesso: un uomo perduto nel suo mondo. Per questo fuggii. Fuggii da lui. Avevo paura.
Era come se fossi con mio padre: totalmente dipendente da lui. E lui come mio
padre totalmente perso nel suo mondo. Però in verità io fuggii perché ero
felice. Perché quella condizione, quella dipendenza, mi dava piacere. Era un
momento incontenibilmente piacevole. Per questo lo detestai. Per questo ci
lasciammo. Per questo lo lasciai. Prima che come mio padre, anche lui sparisse
nel suo lavoro, nel suo mondo, lasciandomi sola. Senza difese… come mia madre…
- E perquesta
dipendenza hai odiato tuo padre e allo stesso tempo, per non farti odiare da
lui, ti sei comportata da brava bambina…e quando sei diventata adulta…hai
scoperto che non lo sopportavi…ed hai voluto sporcarti…ed hai usato le braccia
di Kaji per sporcarti…Per distruggere quell’immagine da brava bambina che ti
eri imposta per non farti odiare da quel padre che tu stessa odiavi.
…
- Per questo tuo essere sporcataeri felice…
…
- Quando poi tuo padre è morto per salvare te, hai capito
che forse non era stato giusto odiarlo. Nonostante il rancore fosse tanto, più
forte di te.E nel tentativo di liberarti
da quella maledizione…hai occupato il posto che detieni alla Nerv. Ritsuko ha
sempre avuto ragione, lo sai. Tu non volevi solosalvare il genere umano.
Volevi soprattutto vendicare tuo padre. E saldare il tuo
debito. Ed essere libera. Dal tuo rimorso. Dal tuo rimpianto. Dalla tua
dipendenza.
…
- Ma quando hai visto che anche Kaji si comportava
esattamente come tuo padre, nonostante il piacere di quella dipendenza, sei
fuggita. Rifuggendo qualunque legame amoroso con un uomo.
Così che nessuno potesse ferirti. In questo non sei
diversa daShinji. Anche tu eri
terrorizzata.
…
- Già, proprio comeShinji. In fondolo avevi capito
subito. Lui era come te. Un cucciolo smarrito. Con la tua stessa paura. Il tuo
stesso bisogno di protezione. Una protezione che tu, nella tua volontà di
fargli da madre, cercavi di fornirgli e che lui rifiutava. Per lo stesso motivo
per cui tu rifiutavi quella degli uomini. Entrambi avevate un terrore folle di
essere feriti, trascurati, abbandonati.
Questa è la vera te stessa: una creatura che nel suo
terrore non fa che piangere…
Trattenne a stento le lacrime, affondando il volto nel petto
di lui. L’uomo, istintivamente, ancora senza aver capito cosa stava succedendo,
la abbracciò e volse il volto alla ricerca delle sue labbra.
- Poi è arrivato lui. Satoshi Iwanaka, 26 anni, Agente
Speciale della Sicurezza Nerv, Sezione Francese, Tutore Legale del Fourth
Children, Gabriel Vancy.Dalla prima
volta che lo hai visto sulla foto indicativa del curriculum non ci hai messo
molto a catalogarlo come un bell’uomo. E ci hai messo ancor meno quando te lo
sei trovato davanti all’uscita dell’aeroporto.
Con quell’uniforme cosìdiversa da quella degli Agenti della Sicurezza Nerv Giapponesi. Quel blu
intenso sembrava metterne in risalto ogni cosa. I capelli, la carnagione, le
labbra. Tu stessa hai atteso trepidante che togliesse quegli occhiali da sole
solo per poterne vedere il colore degli occhi. Un’attrazione fisica senza
importanza. Così l’avevi definita. Un bell’uomo ma niente di più. Non è forse
così?
INSOMMA, COSA VUOI DA ME??
- Tu invece cosa vuoi? Che cosa desideri, Misato
Katsuragi?
…
-E dopo che l’hai conosciuto, hai iniziato a fuggire Kaji
con più fermezza rispetto al solito.
Ed a volte hai avuto la tentazione di fuggireda Satoshi stesso.
Questo non è vero!
-No?
NO! MAI!
-Eppure a me non sembra. Tutte le volte che si è offerto
di cucinare per te e per i ragazzi, dal primo momento in cui lo ha chiesto, ti
sei fermamente opposta. Per non disturbare, certo è un motivo. Ma c’è n’è anche
un altro…
…
-…tu avevi paura che qualcuno si prendesse cura di te.
…
- Eppure, non erano le sue premure, le premure che Satoshi
riservava per te, che volevi?
…
- Quelle premure che ti hanno fatto sentire amata?
…
- Quelle premure che hai cercato di ignorare?O forse
quell’immagine che non sei più riuscita a cancellare dalla tua mente?
Di cosa stai parlando??
- Non fingere di non capire. Ogni volta che sei ritornata
a casa la sera stanca morta, non hai forse avuto voglia di piangere di
gioiaquando trovavi tutti i ragazzi a
tavola che ti salutavano sorridenti? Conl’odore di cibo pronto per casa così differente dalle schifezze precotte
che mangiavi?Conle feste di PenPen che
sembravano più gioiose?Col suo capo che faceva capolino dalla porta della
cucina e ti salutava con un sorriso invitandoti a prendere posto? Che cosa
desideri?
Io voglio solo stare in pace!
- Rispondi! Perché ti sei abbandonata a lui?
Perché mi piaceva! Perché mi piace! Cosa c’è di male nel
darsi all’uomo che cipiace??
-Nulla di
male,certo. Ma allora perché dopo quel quadro familiare non hai più potuto fare
a meno di pensare a lui?
…
- Chi sei
realmente,Maggiore Katsuragi?
Una creatura che piange…
- Ora che sai chi sei, che cosa desideri?
VOGLIO CHE QUALCUNO SI PRENDA CURA DI ME! VOGLIO CHE
QUALCUNO MI AMI! VOGLIO ESSERE AMATA,VOGLIO ESSERE IMPORTANTE, VOGLIO AMARE
QUEST’UOMO!!
- Perché quest’uomo e non Kaji?
Perché quest’uomo è tutto ciò che Kaji non è mai stato e
che non sarà mai! Tutto ciò che mio padre non è mai stato! Tutto ciò che la mia
vita non èmai stata! Perché non posso
fare a meno del suo sorriso quando rientro a casa la sera, perché non
sopporterei di vedere quella tavola senza di lui, perché non sopporterei se gli
accadesse qualcosa, perché non posso più vivere senza di lui!
-Perché?
PERCHE’ LO AMO, STUPIDA!!
Con una ritrovata pace, intercettò le labbra dell’uomo in un
bacio, abbandonandosi completamente alle sue braccia, in un modo tanto lontano
dalla precedente frenesia che lui se ne accorse. Allarmato la prese per le
spalle allontanandola da sé per guardarla in volto. Finalmente quegli occhi si
aprirono riversando due torrenti di lacrime.
“Misato, cosa c’è?!”
La donna lo guardò negli occhi. “Sono felice, Satoshi, sono
solo felice!”
Quel pianto trattenuto e sommesso finalmente ruppe i suoi
argini.
“Ti amo! Ti amo, ti amo, ti ho sempre amato!”
“Va tutto bene. Ti amo.”
A quelle parole, Misato comprese: Satoshi aveva capito.
Aveva compreso che un qualche turbamento cui non aveva potuto opporsi era
infuriato ed era passato come un’inarrestabile bufera nell’animo di quella
donna meravigliosa che teneva tra le braccia e di quella bufera ora stava
disperatamente tentando di allontanare i postumi con tutto se stesso ed il suo
amore, accarezzando piano i suoi capelli, baciando delicatamente la sua fronte.
“Satoshi…” mormorò la donna.
“Sono qui, Amore, sono sempre stato qui.”
“Giurami che non mi lascerai…giurami che non mi lascerai
mai…”
Lo strinse forte .
“Mai. Finché avrò vita nessuno ti farà del male, né
permetterò ai tuoi occhi di versare anche solo un’altra lacrima. Mai.”
Le loro labbra si cercarono e si incontrarono ancora e
questa volta, non ci sarebbe stata nessuna ombra del passato a turbare la loro
felicità.
Al largo della costa giapponese, il pescatore Tetsuhiko e suo figlio Hakutaro
erano usciti con alcuni amici per una battuta di pesca d’altura. Il
proprietario della barca stava appena spiegando ad uno dei suoi ospiti come
gettare la lenza per catturare i grandi pesci che popolavano quel tratto di
mare, quando il ragazzino indicò il cielo.
“Papà, guarda, un meteorite!”
Tutti voltarono il capo verso l’alto.
“Dov’è?” chiese Tetsuhiko.
“Eccolo!” dissero contemporaneamente molti dei giovani convenuti
sulla barca, indicando lo stesso punto del cielo.
“Ma quello non è un meteorite…” fece notare, stupito,
l’anziano pescatore.
Eppure c’era davvero qualcosa che scendeva dal cielo. Ebbero
appena il tempo di vedere una grande massa arancione con una specie di occhio
al centro, prima che un’enorme onda travolgesse la barca, partendo dal punto
non lontano in cui l’oggetto si era inabissato. Fu solo una questione di
fortuna se nessuno morì nell’incidente.
Meno di un’ora dopo, i quattro Children venivano condotti al
Quartier Generale della Nerv. Un nuovo Angelo era stato rilevato.
“Probabilità di successo?” Chiese Shinji.
“Credo che solo Dio potrebbe saperlo…” Fu la laconica
risposta del Maggiore.
“In altre parole…” intervenne Asuka seria “… un eventuale
successo equivarrebbe a un miracolo…”
“Il valore di un miracolo diventa reale solo dopo che il
miracolo è stato compiuto.” Rispose ancora Misato.
“Probabilità di sopravvivenza dei civili?” Domandò Gabriel.
“E’ stato emanato un ordine di evacuazione nel raggio di 50
km. Le possibilità che si salvino in caso d’impatto, sono state stimate dai
Magi con il 5%. Allo stesso modo è stato ordinato un backup dei Magi presso la
nostra base provvisoriadi Matsushiro. ”
Il 5%... è già qualcosa di più sicuro di un miracolo…
Il pianista serrò i pugni lungo i fianchi e chiuse per
qualche istante gli occhi. Inspirò profondamente, quindi li riaprì e fece un
passo avanti.
“Maggiore Katsuragi. In qualità di Fourth Children e Pilota
di riserva, richiedo di sedere ai comandi dell’Unità 00 al posto della First
Children, Rei Ayanami, e l’immediato trasferimento di quest’ultima presso la
base di Matsushiro.”
“Gabriel, no!” La voce di Rei riecheggiò improvvisa
all’interno di quello spazio vuoto. Asuka e Shinji si guardarono stravolti e
ancora più attoniti fissarono la First Children che si era slanciata ad
afferrare Gabriel per un braccio. Tuttavia a quel gesto, il ragazzo era rimasto
impassibile. Come se non ne avvertisse il contatto.
Misato lo osservò imperturbabile , quindi prese tra le mani
una cartella.
“Mi dispiace, Gabriel, questo non è possibile.” Proferì
atona per poi continuare“Quello che
verrà trasferito presso la basedi
Matsushiro, dovrai essere tu. La tua presenza qui è del tutto irrilevante per
questa operazione. Anzi…forse potrebbe essere addirittura d’intralcio…”
“NO!!” Con uno strattone, il pianista si liberò dalla presa
di Rei ed avanzò furente verso l’Ufficiale, il suo volto totalmente contratto
dall’ira “NON PUO’ FARLO!!“
Accigliata, Misato sbattè la cartella che aveva in mano sul
piedistallo presente al centro di quella sala.“GABRIEL, E’ UN ORDINE!!”
“ME NE INFISCHIO DEI SUOI ORDINI!! MI FACCIA SALIRE
SULL’UNITA’ 00!!”
Alle orecchie del ragazzo, insieme al battito forsennato del
suo cuore, giunse la voce di Rei, ma non ne comprese le parole.
Il Maggiore strinse gli occhi, quindi si rivolse verso gli
altri tre Children. “Voi avviatevi in Sala Comando per gli ultimi dettagli.” La
Second e Il Third Children esitarono per qualche istante sulla figura tremante
di rabbia del loro amico, quindi, senza una parola abbandonarono il luogo. Ma
Rei, non riuscì a farlo.
“Vai anche tu, Rei.” Ripeté Misato.
“NO!!” La voce di Gabriel riecheggiò imperiosa “NO, NO,
ASSOLUTAMENTE NO!! MAGGIORE KATSURAGI!!”
“Gabriel, non te lo dirò un’altra volta. Obbedisci agli
ordini.”
“NO!! PERCHE’?? MI DICA SOLO PERCHE’?? SONO PERFETTAMENTE IN
GRADO DI PILOTARE LO 00!! PER QUESTO, MI LASCI SALIRE A BORDO AL POSTO DI
REI!!”
“GABRIEL, SMETTILA DI COMPORTARTI COME UN BAMBINO! SE CI
FOSSE STATO IL COMANDANTE IKARI AL POSTO MIO, ADESSO SARESTI GIA’ STATO
RISPEDITO IN FRANCIA! ATTIENITI AGLI ORDINI! FARE L’EROE NON TI SERVIRA’!!”
“CHE DIAVOLO NE SA LEI!? COME PUO’ PRETENDERE CHE
POSSA RESTARMENE TAPPATO IN UN RIFUGIO QUANDO LA PERSONA CHE AMO STA RISCHIANDO
LA VITA IN UNA MISSIONE PRATICAMENTE SUICIDA?? MA SA COSA SIGNIFICA AMARE?? O
FORSESTA CON IL SIGNOR SATOSHI SOLO PER
ANDARCI A LETTO?! MI FA PENA, MAGGIORE KATSURAGI!! MI FA PENA!!” Dopo quel
grido furibondo, la voce di Gabriel si spense nel silenzio. Era la prima volta
che fissava qualcuno con odio. Il contrasto tra il verde degli occhi., lucidi
di lacrime irose e disperazione, il nero dei capelli, e il volto accaldatorendevano difficile sostenere il suo
sguardo.
Rei, che era rimasta a fissarlo attonita nonostante
l’ordine di Misato, aveva alzato una mano per toccargli un braccio, ma si era
bloccata a mezz’aria: non l’aveva mai visto così e non aveva la minima idea di
come comportarsi. Un paio di lacrime facevano capolino dai suoi occhi
scarlatti, ma lei non diede segno di essersene accorta.
Il Maggiore Katsuragi, tuttavia, resse senza
tentennamenti lo sguardo furioso che il ragazzo le rivolgeva, come se le sue
parole non l’avessero minimamente colpita (ma che in realtà l’avevano ferita
profondamente). Non vista strinse i pugni lungo i fianchi fino a sbiancarsi le
nocche e quando parlò, la sua voce non ebbe un solo tremito.
“Gabriel Vancy…” incominciò a recitare lapidaria
fissandolo con cipiglio “…da questo momento considerati agli arresti per
insubordinazione.” Con flemma pigiò un pulsante rosso presente sul piedistallo,
e due Agenti della Sicurezza in giacca e cravatta neri fecero il loro ingresso
e si misero sull’attenti in attesa.
“Agenti, dichiaro il Fourth Children, Gabriel Vancy,
in arresto per insubordinazione. Provvedete alla sua temporanea reclusione
presso la base di Matsushiro.” Impartì con voce gelida. Il pianista non ebbe
neppure il tempo materiale di replicare che si ritrovò immobilizzato da uno dei
due Agenti mentre l’altro gli bloccava le braccia dietro la schiena
applicandogli ai polsi un triplice paio di manette.
A nulla valsero i tentativi disperati di divincolarsi
del ragazzo e le grida furibonde.
“Maggiore Katsuragi!” Intervenne Rei, ora decisamente
in lacrime, così come lo era anche Gabriel che proseguiva imperterrito a
dimenarsi scalciando e strattonando con forza, finchè uno di due uomini non gli
fece uno sgambetto facendolo cadere a terra edimmobilizzandolo al suolo.
Misato restò apparentemente impassibile.
I due Agenti, dei quali uno aveva accompagnato la
caduta del ragazzo al suolo tenendolo per le braccia in modo che non si facesse
troppo male, rivolsero lo sguardo sulla donna.
E lo stesso fece Gabriel dalla sua posizione prona,
stringendo i denti in un’espressione feroce, odiandola con tutte le sue forze,
senza curarsi delle lacrime che gli solcavano il volto né dei singulti che gli
scuotevano le spalle.
La donna osservò quegli occhi carichi di astio, ma
non lasciò trapelare nemmeno una parte della tristezza che l’aveva invasa.
Aggrottò le sopracciglia, quindi si volse verso la First Children.
“Rei, vai al tuo posto. E voi, Agenti…” tornò a
guardare i due uomini “…portatelo via.”
I due uomini
annuirono e lo rimisero in piedi con la forza trascinandolo verso l’uscita,
costringendolo a camminare all’indietro, nonostante il ragazzo ancora cercasse
di slanciarsi in avanti.
“MAGGIORE KATSURAGI!!! NON LA PERDONERO’ MAI PER
QUESTO!! MI HA SENTITO!? NON LA PERDONERO’ MAI!!”
"Rei!" ripeté Misato, ignorando le parole
del Fourth Children. "Vai al tuo posto."
La First Children stava ancora piangendo, ma da
qualche parte sembrò trovare la forza di calmarsi abbastanza da poter parlare.
"No," disse semplicemente, trattenendo il
fiato.
L'Ufficiale divenne rossa di rabbia e si voltò
bruscamente verso gli altri. "Sbrigatevi, voi! Lasciateci sole!"
I due uomini annuirono di nuovo, ma Gabriel raddoppiò
i suoi sforzi per liberarsi. Le vene del suo collo pulsavano in rilievo e gli
occhi sembravano traboccare d'odio, quando emise un urlo tremendo che rimbombò
in ogni singola parte di quel luogo.
"COSA SUCCEDE QUI??" gridò una voce
autoritaria, dalla porta.
Gli occhidi
tutti, tranne quelli del Fourth Children, si posarono sulla figura del
Direttore del Progetto E che attraversò con passo marziale la sala portandosi
al centro, in modo da avere piena visuale sui presenti. E ciò che vide la mandò
su tutte le furie.
“MAGGIORE KATSURAGI!” Tuonò.
L’altra donna si voltò con fare austero verso la
scienziata, ma quest’ultima tornò ad incalzarla fissandola con severità “
ALLORA? MI VUOI SPIEGARE COSA STA SUCCEDENDO!?”
“Nulla, Ritsuko Si è trattato di un caso
d’insubordinazione.” Rispose fredda il Maggiore.
“NULLA!?E
QUESTO…” ed indicò con un ampio gesto il Fourth Children e Rei che aveva
ripreso a piangere silenziosamente mentre osservava Gabriel, ancora trattenuto
a viva forza dagli agenti “… LO CHIAMI NULLA!? CHE COS’HAI INTENZIONE DI FARE,
MISATO?? FARCI MORIRE TUTTI?? COME PUOI PRETENDERE CHE POSSANO SALIRE A BORDO
IN QUESTE CONDIZIONI!? E VOI, RILASCIATE IMMEDIATAMENTE QUEL RAGAZZO!”
I due uomini si fissarono a vicenda, poi puntarono lo
sguardo su Misato. Quest’ultima incassò il colpo in silenzio.”Lasciatelo
andare, l’accusa contro di lui è revocata…” confermò ed i due Agenti si
affrettarono a liberare il Fourth Children dalle manette.
“Ed ora Misato…” riprese con più calma la scienziata
“…mi vuoi cortesemente SPIEGARE come diavolo si è arrivati a questo punto!?”
“Che cosa avrei dovuto fare, Ritsuko??” Sbottò il
Maggiore Katsuragi ora esasperata “Stravolgere il regolamento della Nerv solo
perché il Fourth Children pretendeva di salire a bordo dello 00 al posto di
Rei??”
La Dottoressa Akagi tacque e si passò una mano sulla
fronte. In una situazione d’emergenza comequella, dove avevano i minuti contati, quella situazione era l’ultima
cosa che ci voleva. Sospirando pesantemente, tornò a guardare i due Children.
Sembrava che entrambi si fossero un minimo calmati, ma Gabriel era visibilmente
provato ed ora fissava alternativamente le due donne con lo stesso sguardo di
un leone in gabbia.
E così è di nuovo questa la ragione… ma non mi sarei mai
aspettata che si arrivasse a tanto… Forse questa relazione alla fin fine, non è
un bene… e troncarla adesso sarebbe anche peggio…
No, il Comandante Ikari non dovrà mai venire a saperlo.
“Voi due…” la bionda, con ritrovata calma, si volse
verso gli Agenti “…quanto è accaduto in questa sala non deve uscirne. Con
NESSUNO.” E marcò la parola “In caso contrario ne risponderete direttamente a
me. Tutto chiaro?” I due uomini annuirono come sempre in silenzio. “Molto
bene…” riprese Ritsuko “…ed ora abbandonate anche voi la base. Non è necessario
che rimaniate qui, anchese siete gli Addetti
alla Sicurezza scelti per restare. Raggiungete i vostri colleghi.”
Senza una parola, i due Agenti lasciarono il luogo.
Sebbene fosse di nuovo libero, Gabriel barcollava
ancora, come se lo stessero ancora trattenendo. Sembrava stravolto dalla
fatica, ma si intuiva che era il suo spirito ad essere stanco, più che il suo
corpo. Misato invece guardava Ritsuko freddamente.
Mi ha scavalcata. Siamo parigrado ora, ed il comando di
questa operazione è affidato a me, eppure mi ha scavalcata. Dovrei essere più
arrabbiata di quello che sono, però non me la sento di esserlo…
Gabriel non può decidere chi deve salire sullo 00, ed io
so di aver ragione, in quanto Ufficiale.
Ma in quanto persona, non me la sento di condannarlo…
Rei invece aveva assistito a tutta la scena senza
fiatare, e quando finalmente il Fourth Children era stato liberato aveva
continuato a far saettare lo sguardo da lui alla Dottoressa Akagi, bloccata
dalla tensione e dalla sofferenza.
Gabriel, io...
Non posso non salire sull'Eva!
Ti prego... non farti trattare così per me... Mettiti in
salvo, tu che puoi.
In fondo... Io posso essere sostituita, ma tu no...
NO!
Non devo pensare così! Avevo promesso che non l'avrei più
fatto!
Devo fare di tutto per restare in vita! Per restare me
stessa!
Gabriel...
Io non salirò sull'Evangelion.
Ma non permetterò che lo faccia tu al posto mio.
Nel vedere gli occhi di Rei passare dalla tristezza
ad una disperata determinazione, Ritsuko emise un lungo sospiro rassegnato.
“Gabriel…”
L’interpellato fissò lo sguardo su di lei. Aveva smesso di
ansimare.
“Te la senti di salire a bordo dello 00 con Rei?” chiese la
donna.
Il ragazzo sembrò stupito della proposta, ma non esitò nel
rispondere. “Sì, Dottoressa.”
“Andata,” sentenziò lei. La scienziata tacque per qualche
istante, poi proseguì. “Presentatevi in Sala Comando con gli altri. Vi
raggiungiamo subito.”
I due Children annuirono e prima Rei, poi Gabriel lasciarono
il posto in assoluto silenzio.
Rimaste sole, le due donne si fissarono con freddezza.
“Bene, Misato…” Cominciò di nuovo Ritsuko “…ora dobbiamo solo
sperare che l’Unità 00 riesca a muoversi.”
“Smettila, Ritsuko!” Sbottò Misato stringendo con forza i
pugni. “Ho ragione e lo sai benissimo!”
“Si, io lo so, ma forse tu dimentichi che hai messo non uno
solo, ma ben DUE Piloti in stato d’agitazione!? Hai idea degli effetti che
potrebbe avere sulla sincronia??”
“Allora dimmelo tu, cosa avrei dovuto fare?? Lasciarmi dare
ordini da un ragazzino??”
“E usare un minimo di diplomazia invece che farlo
arrestare?! Non hai visto in che condizioni erano ridotti entrambi?! Misato,
QUANDO hai mai visto REI PIANGERE!?”
“Il comando diretto di questa operazione è stato affidato a
me, Ritsuko! Se c’era un altro modo l’avrei usato, non credi?? Credi che non mi
dispiaccia?? Ti sbagli, Ritsuko!!”
Le due rimasero in silenzio per qualche istante fissandosi
gelidamente, ognuna chiusa nei propri pensieri.
“Ed ora andiamo anche noi, sbrighiamoci.” Disse il Maggiore,
seria, recuperando la cartella dal piedistallo e avviandosi verso l’uscita a
passo spedito , senza più degnare d’uno sguardo la Dottoressa, la quale la
seguì freddamente con lo sguardo finchè non sparì dalla sua visuale.
Ora bisogna solo sperare che Rei e Gabriel ce la
facciano. Se dovessero tardare anche solo di un secondo durante l’operazione,
gli sforzi di Asuka e Shinji saranno vani… e allora sarà tutto perduto.
Senza indugiare, la scienziata seguìa distanza la sua parigrado in Sala Comando.
Lì, allineati e sull’attenti, i quattro Children, sotto la
supervisione di Satoshi, attendevano l’arrivo dei superiori in attesa delle
ultime istruzioni.
Quando Misato entrò, raggiunta a breve da Ritsuko, fece
finta di non cogliere l’occhiata ostile che Gabriel le rivolse ed i suoi occhi
si spostarono sull’uomo. L’Agente la stava fissando con preoccupazione che non
era semplicemente dovuta a quello stato di emergenza. Quando Asuka e Shinji
erano arrivati per primi gli avevano riferito che i loro colleghi erano stati
trattenuti. Ma quando anche gli altri due li avevano raggiunti, distanti e in
silenzio, e Satoshi aveva chiesto informazioni, aveva a sua volta ricevuto uno
sguardo truce da parte del suo tutorato e dalla First Children nessuna
risposta. Tutti, inclusi i tre Operatori, avevano capito che restare in
silenzio fosse cosa migliore da fare.
Il Maggiore guardò ancora il suo compagno con sguardo
indecifrabile. Serrò la mascella e senza dire una parola si avviò dinanzi al
sistema di proiezione olografica.
Era inevitabile! Non potevo non agire in quel modo! Era
impossibile provare a ragionare con Gabriel! Ho fatto la cosa giusta! Non
potevo permettergli di comportarsi in quel modo!Eppure… io, come donna… sto per agire
esattamente nella stessa manieraper
proteggere Satoshi…
No, ci penserò dopo. Ora ci sono i dettagli tecnici da
discutere.
Misato sospirò pesantemente, quindi si rivolse verso ai
Piloti proseguendo ad osservare la proiezione olografica che adesso mostrava la
cartina della città.
“Ascoltate bene, ragazzi. Sebbene non sia possibile fornire
un punto d’impatto, a partire dai dati disponibili i Magi sono riusciti a
fornirne una stima. Hyuga.”
Makoto pigiò una serie di tasti e sulla pianta venne a
segnarsi una vasta zona rossa.
“Ma…è un’area vastissima…” Obiettò Shinji.
“Quello non è l’unico aspetto negativo. Con il suo AT Field
l’obiettivo sarebbe capace di distruggere totalmente il Quartier Generale
cadendo in un qualsiasi punto di quell’area.” Intervenne la scienziata tenendo
a sua volta lo sguardo sulla proiezione olografica.
“Pertanto…” continuò Misato “…le tre Unità verranno disposte
come potete vedere.”
Il Tenente Hyuga digitò rapidamente un’altra serie di
sequenze e tre ampi cerchi azzurri riportanti i nomi delle rispettive Unità
nelle zone ad essi assegnate comparvero sulla cartina.
“Fondamento della disposizione?” Riuscì a chiedere Reiche aveva apparentemente recuperato la sua
caratteristica freddezza.
“Intuito. “ Fu la semplice risposta di Misato.
Lo sguardo di tutti, tranne quello di Ritsuko e degli
Operatori cadde impietrito sul Maggiore Katsuragi. Solo quello del Fourth
Children sembrava impassibile.
“Questo è assurdo, Misato!”Sbottò Asuka
“Mi spiace, Asuka, ma abbiamo solo questa operazione.”
“E questa la chiami operazione?!”
“In effetti… non lo è.” Misato sospirò brevemente.
“Insomma… dobbiamo farcela e basta…”Quasi mormorò la Second Children rivolgendo
uno sguardo preoccupato verso Shinji.
Il Third Children non potè fare altro che renderle quello
sguardo a sua volta. Nessuno in quel momento era capace di pensare ad altro se
non al pericolo incombente.”
“Mi dispiace, ragazzi…” Il Maggiore si interruppe per un
istante, quindi aprì la cartella che aveva con se e guardò il quartetto prima
di continuare “…secondo il regolamento dovreste lasciare delle disposizioni
testamentarie, volete farlo? Shinji?”
“No, io non ne ho bisogno.”
“Asuka?”
“Certo che no! Non ho nessuna intenzione di morire!”
“Rei?”
La First Children sospirò appena quindi scosse il capo in
segno di diniego.
“Gabriel?”
Dal Fourth Children non pervenne alcuna risposta.
Gabriel, accigliato, fissò in silenzio il Maggiore con lo
stesso immutato rancore di poco prima, quindi senza dire una sola parola volse
le spalle all’Ufficiale e si avviò verso le Gabbie degli Evangelion.
Capitolo 15 *** Sentimenti e Missione (Parte II) ***
CAPITOLO 14
CAPITOLO 14
Sentimenti e
Missione (Parte II) [1]
Misato, dispiaciuta, guardò il FourthChildren allontanarsi.
Gabriel… Non potevo fare diversamente prima, però… dopo la
battaglia, spero tu possa perdonarmi…
Senza indugiare ulteriormente, allontanò quei pensieri e
tornò a rivolgersi agli altri Children.
“Allora questi non servono più,”
disse freddamente, riponendo i documenti nella cartella. Satoshi
le rivolse uno sguardo interrogativo, ma fu ignorato.
“L’Operazione inizierà tra venticinque minuti. Non abbiamo
tempo da perdere: dovremo dare il massimo. Tutti, senza eccezioni, se vogliamo sopravvivere.”
Nessuno parlò, e fu presto chiaro che il tentativo di incoraggiamento di Misato non
era andato a buon fine. Questa allora drizzò la schiena.
“Ai vostri posti,” ordinò, più
secca di quanto avrebbe voluto. I ragazzi si apprestarono ad abbandonare la
Sala Comando, ma lei li fermò. “Aspettate!”
I tre si girarono, sorpresi, e il Maggiore abbozzò un
sorriso stanco. “Mi raccomando, contiamo tutti su di voi.”
Per un attimo Shinji abbassò il
capo, ma Asuka intervenne subito, con piglio animato.
“Scusa, ma per chi ci hai preso? E tu non fare quella faccia
triste!”
Diede un colpo sul petto al ThirdChildren, che sobbalzò.
“Siamo o non siamo i Piloti degli Evangelion?
Andiamo là fuori a fare quel che sappiamo fare meglio!”
Misatole
sorrise grata. Stava facendo quello che serviva a sollevare il morale,
quanto meno quello di Shinji.
Per quello di Rei, invece…
Mentre il ThirdChildren sorrideva e annuiva alle parole dell’amica,
la First Children rimase inespressiva, com’era sua
abitudine. Era impossibile dire cosa le passasse per
la mente.
“Se non ci sono altre cose,” disse Asuka, sollevando un braccio e stringendo un pugno facendo
scricchiolare la plug suite, che avevano indossato
appena arrivati alla Base, “noi andiamo.”
Il Maggiore distolse lo sguardo da Rei, che d’altronde stava
guardando un punto fisso sulla rappresentazione tridimensionale del campo
dell’operazione. “D’accordo. Buona fortuna a tutti.”
Asuka e Shinji
annuirono e se ne andarono, seguiti a pochi passi da
Rei, che aveva detto solo tre parole dal suo arrivo nella Sala Comando. Quando le porte furono chiuse, la donna emise un lungo
sospiro di sollievo.
“Vuoi una birra?” chiese ironica Ritsuko,
notando la tensione appena affievolita della collega.
“Piantala,” fu l’unica, infiacchita
risposta. Senza badare alle risatine dell’amica, Misato
chiese informazioni continue sullo stato del bersaglio. Esso era ancora in
orbita, ed aveva lasciato cadere un altro frammento del proprio corpo, che
aveva provocato un largo cratere non molto distante da Neo Tokio-3.
“Ormai avrà capito dove puntare…” osservò amaramente il Capo
dell’operazione.
“Sì,” confermò la Dottoressa Akagi. Un silenzio carico di timore seguì a quell’affermazione. Satoshi colse
quell’occasione per mettere una mano sulla spalla di Misato, facendola sobbalzare. Sembrava piuttosto agitato.
“Ora mi puoi spiegare cos’è
successo prima con i ragazzi?”
Il Maggiore e Ritsuko si
scambiarono uno sguardo, poi la prima tornò a rivolgersi verso l’Agente della
Sicurezza con aria colpevole. “Hai ragione. Vieni, parliamone più in privato.”
Si recarono in un angolo che l’evacuazione del personale non
essenziale aveva lasciato vuoto e Misato gli raccontò
di quello che era successo con Gabriel e con Rei.
L’uomo accolse la notizia con evidente preoccupazione.
“Gabriel non ha mai potuto esprimere i suoi sentimenti con
nessuno prima d’ora, è più che logico che non riesca a controllarli ed abbia di
queste reazioni.”
“Questo lo capisco,” ammise la
donna. “Tuttavia non potevo fare altrimenti.”
“Hai ragione… Sebbene la sua reazione sia giustificabile da
un punto di vista umano, in una situazione di crisi come questa
è necessario far tacere i propri sentimenti personali e seguire le direttive.”
La donna annuì e restò in silenzio,
pensierosa. Dopo alcuni istanti, riprese. “E’ quasi tutto pronto, a quest’ora i ragazzi saranno arrivati
alle Gabbie. Vai a Matsushiro con il resto del
personale non essenziale.”
Satoshi la fissò incredulo. “Come??”
Lei sostenne lo sguardo, imperturbabile. “L’evacuazione del
personale non necessario è stata ordinata un’ora fa. Ora che hai portato qui i Children puoi andare anche tu al
riparo.”
L’uomo strinse gli occhi e piantò i piedi. “Non me ne vado.”
La voce di Misato si fece fredda.
“Hai parlato prima di seguire le direttive, riguardo a Gabriel. Ora cosa fai,
sfidi anche tu la mia autorità?”
“Non la sfiderei minimamente se fossi solo un tuo sottoposto
a cui viene dato un ordine. Ma io sono anche il tuo
compagno, e come tale non ti lascio qui da sola.”
“Satoshi!” Ora il tono della donna
era visibilmente alterato, come pure il suo volto, sebbene ci fosse anche una
nota di disperazione. “Se l’Operazione dovesse fallire a Matsushiro tu saresti al riparo, potresti sopravvivere!”
Lui, per niente sconfitto, si fece più vicino ed abbassò la
voce. “Non avrebbe senso sopravvivere se tu non fossi con me. Qui, anche se
dovessi morire tra due ore, sarei felice, perché avrei passato le ultime ore
della mia vita insieme a te.”
Misato non seppe cosa ribattere.
Era preoccupata per la sorte del suo fidanzato e afflitta per non aver capito
quelle cose così elementari. Chinò il capo. “Hai ragione… Ed io ho torto. Prima
con Gabriel, ora con te: forse sono troppo stupida per capire
queste cose.”
Satoshi scosse la testa e le
sollevò il volto con una mano, guardandola dritta negli occhi. “No, Misato. Tu queste cose le capisci benissimo.”
Sigillò le sue parole con un bacio. Quando si separarono, il Maggiore sorrise, suo malgrado. “E non avevo nemmeno
capito la cosa più importante: che io ho bisogno di
te.”
Si abbracciarono brevemente e si scambiarono un rapido
sorriso, prima di tornare presso i tre Operatori e la Dottoressa Akagi.
Shinji camminava leggermente
arretrato rispetto ad Asuka, nel lungo corridoio che
portava alle Gabbie degli Evangelion, ed intanto la
guardava di sottecchi.
Con quello che è successo prima, la
Signorina Misato non avrebbe davvero potuto tirarci
su di morale. Vedere Gabriel in quello stato non è stato certo un bello
spettacolo. Chissà poi cosa si saranno detti quando sono
rimasti da soli…
Ayanami è arrivata prima ma non ci ha detto nulla. Sembrava però un
po’ turbata.
Spero che l’uscita di Asuka abbia tirato su il morale anche a lei, anche se non
ci credo tanto…
Con me però ha funzionato.
Non stento a crederci, però.
Lei ha questo potere su di me.
Un suo sorriso mi rallegra.
Un suo broncio mi rattrista.
Certe volte vorrei davvero che tutta questa storia finisca
in modo che possa stare un po’ con lei, senza Angeli, né Eva, né Nerv, né mio padre…
Come due ragazzi normali.
Anche se definirla normale è un eufemismo.
Sorrise ed accelerò il passo. Asuka
lo notò e sorrise a sua volta. “Ehi, come mai tutto questo entusiasmo
improvviso?”
Lui scrollò le spalle. “Mi hai messo di buon umore, tutto
qui. Sono certo che ce la faremo.”
La ragazza annuì con forza. “E chi lo mette in dubbio?” Gli sorrise maggiormente.
Questa è veramente una stranezza.
Fino a poco tempo fa Shinji era il
solito… Shinji. Tremebondo, insicuro, titubante.
Ed invece guarda adesso com’è diventato.
Arriva addirittura a rincuorarmi ora che sono tesissima, e
solo grazie ad un grande sforzo sono riuscita a fare quella scena di poco fa…
Ora che ci penso, è da un po’ che mi fa quest’effetto.
Da quella volta, certo, in cui mi ha aiutata… Però
particolarmente… dal nostro bacio.
Chissà, forse avevo bisogno di essere aiutata anche allora,
fatto sta che ho sentito il bisogno che mi stesse vicino…
Che mi abbracciasse…
Che mi baciasse.
E poco importava se abbia fatto io
la prima mossa. Mi bastava essere con lui per essere felice.
Che strano, se guardo al mio passato stento a riconoscermi. Sembro un’altra Asuka. Ma devo dire… Che in fondo…
mi sento meglio così.
I due ragazzi erano quasi arrivati, ma Rei era ancora un po’
indietro. Non troppo, se no le avrebbero dovuto rivolgere la
parola per spronarla. E lei in quel momento non
provava nessun desiderio di parlare con qualcuno.
Con che faccia mi presenterò a te, Gabriel?
Dopo quello che è successo, come
potrò guardarti negli occhi senza ricordarti l’umiliazione di essere stato
quasi arrestato per proteggere… ciò che ami?
Lo sai che non potrei andare a nascondermi sapendoti in
pericolo… E so che tu non potresti fare altrettanto.
Però…
Se solo potessi dirti…
Se solo tu potessi capire che io…
Io voglio solo sopravvivere a questa missione. Per
poterti dire quello che provo ancora una volta.
“Siamo arrivati, e per giunta anche in anticipo sulla
tabella di marcia,” sentenziò Asuka,
quando arrivarono in vista delle tre entry plug
allineate, già pronte a ricevere i loro Piloti. Ora che la prospettiva della
battaglia si era fatta più vicina aveva smesso di ridere ed era tornata seria
ma determinata a fare del suo meglio. Come Shinji.
Solo la mente di Rei era ancora occupata da preoccupazioni
diverse.
Il ThirdCihldren
si arrestò appena entrato nell’area. “Ma dov’è…
Gabriel?” chiese, titubante. Volse una rapida occhiata alla First Children per indagare le sue reazioni, ma non sembrò
averne.
Angeli…
Angeli…
Angeli…
Angeli… Gli Angeli non dovrebbero custodire l’uomo?
Gli Angeli non dovrebbero guidare l’uomo?
Gli Angeli non dovrebbero proteggere l’uomo?
Dio…che cosa vuoi fare? Perché vuoi spazzarci via con un
nuovo diluvio universale composto da una pioggia di
sangue?
Adam…lui è stato il primo…
Poi è venuto il terzo, Sachiel…
E dopo di lui Shamshel…
Ramiel…
Gaghiel…
Israfel…
Saldalphon…
Matriel…
E adesso Sahaquiel…
Perché vi state accanendo contro di noi? Io non
riesco a capire…
Io non riesco a capire…
Non riesco a capire…
Non riesco ad accettare.
Come per Sodoma e Gomorra, si sono uniti per spazzarci via.
Perché?
La Nerv.
L’Organizzazione atta alla salvaguardia
del genere umano.
Il Comandante Ikari, l’uomo che
ne è a capo.
La Dottoressa Akagi, il
Direttore del Progetto E.
Il Maggiore Katsuragi,
Ufficiale Tattico.
ReiAyanami, First Children.
AsukaSoryu Langley, Second
Children.
ShinjiIkari, ThirdChildren.
I Piloti delle Tre Unità Evangelion
00, 02,01.
Loro sono stati eletti quali Difensori del genere umano. Un genere che Dio ha affidato alla custodia e al giudizio di quegli
Angeli. Quegli stessi Angeli che ora vogliono
annientarci.
Ciò che sento è qualcosa che si avvicina alla definizione
di Caos.
Terrore per quegli Esseri dai nomi Celesti giunti qui per
distruggerci.
Disperazione peruna battaglia senza garanzie di salvezza.
Ira per questa guerra iniziata non si sa perché. Non si
sa da chi.
Confusione per questa situazione.
Poi è stato il mio turno.
Gabriel Vancy, FourthChildren. Pilota di
riserva e futuro Pilota dell’Unità Evangelion
03.
Scelto in base a criteri
sconosciuti da un Istituto di cui non ho mai visto né sentito di una Sede.
L’Istituto Marduk.
“Mi spiace Gabriel, gli ordini sono
ordini…”
“L’Istituto Mardukhai i suoi criteri, noi della Nerv
non sappiamo quali siano.”
Come se tutto fosse stato già prestabilito.
“Il tuo spirito di sacrificio è ammirevole, ma non è
sufficiente a piegare il regolamento. Rei è il Pilota
designato per lo 00, e finché sarà operativa lo piloterà lei.”
“GABRIEL, SMETTILA DI COMPORTARTI COME UN BAMBINO! SE CI FOSSE STATO IL COMANDANTE IKARI AL POSTO MIO, ADESSO
SARESTI GIA’ STATO RISPEDITO IN FRANCIA! ATTIENITI
AGLI ORDINI! FARE L’EROE NON TI SERVIRA’!!”
FATE SILENZIO!!
Vale così poco per voi la vita di un Pilota?? La
Dottoressa Akagi parla di operatività,
come se fosse una macchina! Quell’
Ufficiale pretende che io me ne resti tappato in un rifugio come un codardo
mentre colei che amo rischia la vita !
No.
NO!
Non mi importa di quello che
dite! Non mi importa dei vostri ordini!
Non mi importa se quegli Angeli
hanno rinnegato illoro ruolo di
protettori e custodi!
Da adesso quel ruolo è mio.
Rei è sotto le mie ali e
nessuno, NESSUNO, FINCHE’AVRO’ VITA, mi impedirà di proteggerla da
questa guerra assurda!
Il suo Angelo sarò io.
Anche a costo della mia vita. Non importa.
Questa è la mia ultima parola.
L’entrata di Rei nell’entry plug
distolse Gabriel dalle sue considerazioni. Era seduto su uno dei supporti
laterali del sedile, come già aveva fatto durante il precedente combattimento,
e si alzò goffamente in piedi, rimanendo semichino per
evitare di battere la testa contro la parete dell’abitacolo. La ragazza lo
guardò, non particolarmente sorpresa. Non avendolo visto all’esterno,
immaginava si potesse già trovare all’interno della capsula, già pronto per la
battaglia. Negli occhi di lei c’era costernazione, e
senso di colpa. Un nodo alla gola confermò al FourthChildren che probabilmente la causa di
quello stato d’animo era proprio lui.
Si scostò quel tanto che permettesse a Rei di prendere posto
al sedile di guida, e la ragazza gli passò davanti senza dire una parola.
Mentre la First Children
si piegava per passargli accanto, il ragazzo si chinò maggiormente per
mormorarle qualcosa nell’orecchio. “Ti hanno causato problemi?”
Lei lo guardò negli occhi, cercando di celare l’agitazione
che il fatto di parlare con lui in quel modo le aveva provocato.
“No,” disse, atona, sedendosi. Gabriel rimase muto,
tornando a sedersi sul supporto laterale. Avvertì solo un leggero fastidio
quando la capsula ruotò per installarsi nel torso dell’Unità
00.
“Collegamento radio attivato,”
gracchiò la voce della Dottoressa Akagi
dall’altoparlante. Il FourthChildren
si rilassò leggermente. Seppure a modo suo, quella
donna era stata dalla sua parte durante l’alterco con Misato,
e di questo le era grato.
“Prova per il collegamento: ragazzi, mi sentite?”
“Roger,”
rispose Shinji.
“Forte e chiaro,” fu la risposta di
Asuka.
“Sì,” disse Rei, apparentemente
distratta.
Dopo una breve pausa, Gabriel rispose a sua volta in modo
affermativo.
“Bene. Immissione dell’LCL.”
Il liquido giallastro fluì nell’abitacolo, ma ormai Gabriel
ci aveva fatto l’abitudine. Guardò la ragazza: si
doveva essere completamente calata nel suo ruolo di Pilota, perché sembrava
ignorarlo ed occuparsi unicamente di regolare la respirazione in modo da non
avere il fastidioso effetto collaterale dell’LCL che
entrava nei polmoni ancora pieni d’aria.
Come biasimarla? Io l’ho fatta
soffrire, per causa mia ha dovuto assistere a quell’orrendo
spettacolo. Anche se non vuole darlo a vedere sarà
sicuramente arrabbiata con me. Però…
No, nessun però.
Poco fa ero pronto a dare la vita per lei, e lo sono anche ora. Al confronto, il fatto di perdere l’orgoglio
è poca cosa. E poi, in quantoChildren,
sono qui per salvare il genere umano, oltre che lei. E’ mio dovere fare di
tutto perché questa missione vada a buon fine, anche discutere di quello che è
successo prima, in modo che nulla interferisca con la nostra… la sua
prestazione. Le parlerò.
La calotta dell’entry plug, i cui colori erano falsati a causa dell’LCL, cominciò a brillare
di diverse forme e colori. Il liquido ambrato divenne trasparente e davanti ai
due Children si profilò l’ampio spazio delle Gabbie,
in lento movimento mentre l’Evangelionveniva portato al condotto di risalita.
“Connessione completata,” disse la
voce di Maya dall’altoparlante.
Una breve pausa, poi, “Rei…” accennò Ritsuko,
preoccupata. Dentro lo 00, entrambi i Children
sapevano cosa stava per dire.
Il tasso di sincronia…
“Sì,” rispose fredda
l’interpellata, serrando maggiormente le mani sui comandi. Dal momento che
Gabriel non poteva farlo, chiuse gli occhi e si costrinse a rilassare i
muscoli.
Non pensare a lei.
Non pensare al Maggiore Katsuragi.
Non pensare al vostro tasso di sincronia.
Focalizza la mente su un unico pensiero, la battaglia
imminente.
Non esiste nient’altro ora.
“Bene,” disse dopo un attimo la
voce della Dottoressa Akagi, rassicurata. “Tutte e
tre le Unità sono in linea.”
“Unità Evangelion 00, 01 e 02,” ordinò perentoria la voce di Misato.
“Lift off!”
La brusca accelerazione verticale riportò Gabriel alla
realtà. Vide davanti a sé, attraverso l’apparato monoculare dell’unità blu, le
pareti del pozzo di ascensione muoversi ad una
velocità quasi inconcepibile. Poi d’un tratto ci fu la
luce abbacinante del sole.
La città, sebbene deserta a causa dell’ordine di evacuazione, sembrava tranquillamente ignara del
terribile pericolo che stava correndo.
“Rei, Gabriel, portatevi al punto
convenuto,” ordinò Misato. Sembrava non esserci alcun
astio nella sua voce, e Gabriel capì che anche da parte sua era attesa
altrettanta freddezza, in quel momento. Ne valeva la riuscita della missione.
Ne valeva la vita di Rei.
La macchina si mosse verso la sua postazione, l’UmbilicalCable che dondolava
come una bizzarra e lunghissima coda.
“Bene, ragazzi,” disse la voce di Ritsuko quando tutti e tre gli Evangelion
ebbero raggiunto le posizioni designate. “Secondo le stime del
Magi System, abbiamo ancora venti minuti prima che la traiettoria
dell’Angelo possa essere determinata accuratamente. Nel frattempo, rimanete
pronti.
“Uffa,” si lamentò Asuka attraverso la connessione radio. “Tutta questa fretta
e poi ci fate aspettare venti minuti!”
“C’è la possibilità che il Magi
System si sbagli, Asuka. In quel caso l’Angelo
potrebbe attaccare da un momento all’altro.”
“Davvero può esistere questa eventualità?”
chiese Maya, incredula. “Che i Magi si sbaglino?”
“Sì. Però è una probabilità su dieci alla
centoventiquattresima potenza,” rispose la Dottoressa,
noncurante.
Gabriel però non ascoltava più le voci che uscivano
dall’apparato radio. Non pensava nemmeno alla vicina battaglia.
Quando la voce terminò di parlare,
allungò una mano e chiuse il canale di trasmissione, lasciando aperto solo
quello di ricezione per ogni evenienza. La First Children
lo guardò interrogativa.
“Rei…” iniziò il ragazzo. “Mi dispiace. Mi dispiace di averti
fatto soffrire con il mio comportamento. Mi dispiace che tu ti sia sentita in
colpa per il trattamento che ho ricevuto. Mi dispiace che a
causa mia ora forse sei troppo turbata. Perdonami, se puoi.”
Contrariamente a quanto si aspettasse, la
ragazza, dopo un attimo di sorpresa, sorrise, pensierosa. “Non hai
bisogno di essere perdonato. So bene come ti senti… Perché è ciò che sentirei
anch’io se le nostre posizioni fossero invertite.
Perché anch’io avrei fatto la stessa cosa.”
Gabriel, a sua volta stupito da quelle parole, non seppe
cosa replicare. Gli sembrò quasi di sognare quando Rei si sporse all’indietro e
gli posò un delicato bacio sulle labbra.
“Obiettivo individuato!” li interruppe bruscamente la voce
di Makoto. Contemporaneamente, le mani dei due
ragazzi attivarono il dispositivo di trasmissione radio.
“E’ in rapido avvicinamento,”
constatò Misato. “Vi stiamo trasmettendo i dati.”
Nell’area in basso a destra della visuale apparve una
rappresentazione tridimensionale della zona, recante i punti di partenza degli Evangelion e un punto bianco in rapido avvicinamento
dall’alto. “Tuttavia, a causa dell’elevata velocità di avvicinamento,
il tratto finale della traiettoria dovrà essere calcolato attraverso
l’osservazione ottica. Potremo guidarvi da qui per un tratto di
approssimativamente dieci chilometri verso la zona d’impatto, poi dovrete
cavarvela da soli.”
Gabriel e Rei annuirono impercettibilmente, all’unisono.
“Evangelion, in posizione di
partenza.”
Lo 00 si piegò su se stesso, giungendo quasi a porre il
ginocchio destro a contatto con il suolo, come un corridore che si prepara ad una gara.
“Contiamo su di voi, ragazzi,”
concluse Misato, il cui tono era preoccupato. Il FourthChildren decise di
concentrarsi sul percorso in rosso che si stava delineando
sulla mappa tridimensionale.
“L’obiettivo è a ventimila metri di quota!” annunciò Makoto.
“VIA!!” esplose il Maggiore Katsuragi.
Rei premette un pulsante sui
comandi e l’UmbilicalCable
si distaccò dal suo supporto con un forte rumore. L’Unità 00 scattò in avanti
come un centometrista, travolgendo gli alberi che ostacolavano il suo passo.
Per dieci secondi la macchina corse
ad una velocità impensabile per un oggetto di quella stazza, saltando cavi
elettrici sospesi come se fossero ostacoli di una gara sportiva e distruggendo
finestre ed automezzi abbandonati con il solo spostamento d’aria.
“Eccolo!” gridò Gabriel, indicando un punto rossastro che
scendeva rapidamente dal cielo. L’aria era surriscaldata per l’attrito contro
l’AT-Field, ed attraverso quel velo vermiglio si intravedeva la forma allungata dell’Angelo.
Rei digrignò i denti per lo sforzo
ed accelerò maggiormente l’andatura. Non ce l’avrebbero
fatta, erano troppo distanti, a meno che Shinji, che
secondo la mappa era il più vicino, non lo bloccasse da solo per alcuni
istanti.
Ed infatti la figura dello 01
apparve in cima alla collina che era bersaglio dell’Angelo.
“Sviluppo AT-Field al massimo!”
gridò il ThirdChildren
attraverso la radio, ed attorno a lui l’aria vibrò. Con uno schianto che avrebbe
infranto i timpani di chi fosse all’aperto, lo 01 bloccò con le mani la caduta
dell’Angelo.
“Sviluppo massimo dell’AT-Field!”
ordinò Rei.
“E’ quello che sto facendo!” rispose Asuka,
il cui Evangelion era ora in vista, dall’altra parte
della collina.
Gabriel si concentrò sull’idea di contrastare l’AT-Field dell’Angelo con quello sviluppato dall’Evangelion. Ad un tratto accadde quello che più temeva.
La pelle della sua schiena e della sua testa cominciò a
bruciare terribilmente, e dall’espressione della First Children,
stava succedendo anche a lei.
“Rei!” sbraitò Ritsuko attraverso
la radio. “Dov’è il tuo AT-Field??”
Era esattamente ciò che temeva: a causa sua la sua Rei stava soffrendo, a causa di una qualche sua
interferenza non erano stati in grado di sviluppare un AT-Field,
ed ora lei sarebbe morta…
“Concentrati…”
Attraverso quella nebbia di dolore vide Rei che lo fissava
con gli occhi sofferenti.
“Concentrati… su te stesso…” gli stava mormorando a fatica.
Gabriel obbedì, sebbene non fosse in grado di capire il
senso di quell’esortazione. Lasciò da parte il dolore
e pensò unicamente a se stesso, a se stesso innamorato di quella ragazza, a se
stesso che suonava il pianoforte, a se stesso che componeva ‘Una
Giornata di Rei’…
D’un tratto il dolore scomparve. Senza
badare alle urla concitate che provenivano dalla radio, i due Children si concentrarono su ciò che dovevano fare.
Lo 00, che sembrava quasi essersi chinato
sotto la soverchiante potenza di quell’essere enorme,
si erse in tutta la sua altezza. Il coprispalla
sinistro si aprì e con la destra estrasse il ProgKnife, piantandolo a fondo nell’AT-Field
dell’Angelo, che aveva assunto la forma quasi di una pellicola trasparente. Con
foga, l’Eva blu aprì un lungo squarcio e lo divaricò con le mani. Con un grido di rabbia e trionfo, Asuka
piantò il proprio coltello nella pupilla della creatura, che fungeva da Nucleo.
All’improvviso l’AT-Field
sparì insieme alla tonalità rossastra dell’aria. La sensazione di
trattenere qualcosa con le mani sparì dai Children. E l’Angelo cadde, morto, su di loro.
Mentre nel Quartier
Generale scoppiarono grida di giubilo, la collina dove si era svolta la
battaglia svanì in una tremenda esplosione. Ma gli Evangelion, protetti dai loro AT-Field
e dalle piastre corazzate, non subirono nessun danno, e così pure i loro
piloti.
Mentre attorno a loro si scatenava
l’inferno, all’interno dell’abitacolo dello 00 Rei fece a Gabriel un sorriso
provato ma felice, abbandonandosi fra le sue braccia. Lui la strinse con
trasporto, ma non sorrideva.
Aveva rischiato di ucciderla a causa della sua cocciutaggine
nel salire a bordo con lei.
Fu solo per evitarle ulteriori
preoccupazioni che non scoppiò in lacrime seduta stante.
Shinji era quasi euforico quando
entrò negli spogliatoi maschili.
Tutto era andato a buon fine, suo padre, per la prima volta,
lo aveva lodato, Asuka all’uscita delle
entryplug lo aveva abbracciato come un eroe, Misato, Satoshi e la Dottoressa Akagi si erano congratulati con lui e con gli altri, le
cose non potevano andare meglio.
Quando il Comandante Ikari gli aveva rivolto quelle parole era rimasto quasi
inebetito e non aveva dato più peso al fatto che Gabriel avesse lasciato la
Sala Comando mentre Gendo conferiva con il Maggiore Katsuragi.
Sorridendo felice, il ThirdChildrenchiuse la porta e si
addentrò nel luogo.
Fu piuttosto sorpreso di vedere il suo amico ancora in plug suite nonostante avesse abbandonato la Sala prima di
tutti gli altri. Gli volgeva le spalle, i capelli neri, abbastanza lunghi da
arrivare alle scapole si confondevano coi colori cupi
della tuta. Non poteva vedere il suo volto, ma sembrava
stesse guardando nell’armadietto a lui riservato, seppure non muovesse
un muscolo. Con la sinistra si limitava a tenere aperta la porta metallica
mentre con la mano destra si appoggiavaad un altro armadietto chiuso ed inutilizzato.
“Gabriel…” Sorridendo Shinji gli
si avvicinò fermandosial suo armadietto
quasi di fronte a quello del pianista. “..come mai
ancora in plug suite? La Signorina Misato e il Signor Satoshi hanno
detto che ci porteranno fuori a cena per festeggiare!”
“Io non verrò.”
A quelle parole gelide come il ghiaccio, il sorriso del ThirdChildren si spense.
Ma cosa gli succede?Eppure… abbiamo vinto…
“Gabriel…” Ripetè
con voce più incerta facendo per muovere un passo verso di lui.
“Shinji. Ti chiedo un favore.
Cambiati in fretta e lasciami solo. Ti prego…” La voce del FourthChildren ebbe una
lieve incrinatura. EShinji
capì.
“Va bene, Gabriel,” annuì con fare
dispiaciuto mentre si affettava a cambiarsi.
Gabriel tacque e serrò la presa sulla porta dell’armadietto.
Con il suo comportamento stava rovinando nuovamente la
giusta gioia per gli sforzi compiuti. Lo sapeva. E per questo si disperò
ulteriormente, ma si impose di non cedere, non finchè ci sarebbe stato Shinji.
Il ThirdChildren
prese in fretta i vestiti e si portò dietro un paravento e nel giro di pochi
minuti ne uscì completamente rivestito. Rapido ripose la plug
suite nell’armadietto e ne trasse la propria cartella scolastica, quindi
richiuse il battente metallico a chiave ed infilò quest’ultima
in tasca.
“Allora…io vado…” Disse quasi sottovoce. L’altro, che per
tutto il tempo era rimasto immobile nella sua posizione, gli occhi persi sul
fondo dell’armadio, annuì appena col capo.
Senza aggiungere altro, Shinji si
diresse fuori dagli spogliatoi e chiuse dietro di se
la porta.
Ormai era quasi del tutto uscito dal corridoio che conduceva
agli spogliatoi, quando all’improvviso, in lontananza, udì il tremendo clangore
del battente dell’armadietto che veniva sbattuto con
forza seguito da un breve grido strozzato che gli gelò il sangue nelle vene.
Quando arrivò in Sala Comando, le ragazze erano già pronte e
stavano parlando con calma con Misato, Satoshi e Ritsuko mentre i tre
Operatori avevano deciso di prendersi una pausa dato che
dopo avrebbero dovuto analizzare le nuove informazioni raccolte sotto la
supervisione della Dottoressa.
“Ritsuko, sei sicura di non voler
venire a cena con noi?” Insistette il Maggiore, ma la scienziata scosse la
testa con un lieve sorriso.
“No, purtroppo credo che sarò molto impegnata ad analizzare
gli ultimi dati rilevati dai Magi.”
“Magari possiamo festeggiare anche un’altra
volta tutti insieme.” Propose Satoshi.
“Ottima idea!” Si intromise una
gioiosa Asuka, per poi sbottare ” Ma quanto ci
mettono a cambiarsi quei due?”
In quel momento Shinji fece il suo
ingresso con aria stravolta.
La SecondChildren,
euforica com’era, non diede segno di essersene accorta, ma a Rei invece la cosa
non sfuggì e il fatto che Gabriel non fosse con lui la mise
in allarme.
“Ehi, ce ne hai messo di tempo!” Esclamò la rossa, ma subito
si bloccò e si sporse ad osservare alle spalle del ragazzo. ”E
Gabriel?” Chiese.
“Ecco…” cominciò a mezza voce guardandosi attorno “…lui…”
“Lui cosa!?” Chiese la First Children alzando la voce e sporgendosi in avanti con ansia
evidente per il pianista.
Ritsuko la osservò esterrefatta,
subito imitata dagli altri, ma poi lo sguardo di tutti si riportò su Shinji.
“Ecco…Gabriel…” Esasperato lanciò uno sguardo verso Misato e Satoshi, il quale si
avviò con espressione seria e preoccupata verso l’uscita.
“Vado a controllare.” Disse solamente, senza aggiungere
altro.
Anche Rei fece per avviarsi, ma Ritsuko le poggiò una mano su una spalla trattenendola e
scuotendo il capoin segno di diniego.
Dopo che l’Agente fu scomparso dalla visuale dei presenti,
nessuno osò fiatare.
Misato sospirò pesantemente e
passò con fare esasperato una mano sulla fronte chiudendo gli occhi.
E’ tutta colpa mia…
Quando Satoshi arrivò nei pressi
della porta degli spogliatoi, udì una serie di singhiozzi convulsi che lo fece impallidire. Troppo preoccupato per soffermarsi a
riflettere se fosse o meno il caso di entrare,
spalancò la porta e si precipitò in direzione dei suoni. Il FourthChildren era appoggiato con i pugni e la fronte
contro la porta chiusa del suo armadietto, le spalle scosse violentemente da
ripetuti singulti.
“Gabriel!” L’Agente corse allarmato verso di lui, ma non
ebbe nemmeno il tempo di accostarglisi
che si ritrovò davanti uno sguardo disperato e feroce al contempo.
“LASCIAMI SOLO, SATOSHI!” Il grido riecheggiò più volte tra
le mura sino a spegnersi.
Satoshi indietreggiò
istintivamente.
“Gabriel, ascolta…” Cominciò l’uomo con tono conciliante ed
innegabilmente sbigottito, ma l’altro non ammetteva repliche.
“FUORI!!” Sbraitò ancora ricorrendo a tutto il fiato che
aveva in gola.
L’Agente non sapeva più cosa pensare e soprattutto, non
aveva la minima idea di come comportarsi.
Gabriel…che ti sta succedendo?? Che
sia ancora per quanto accaduto prima? Io non posso darti
torto, Gabriel, nessuno può…
Però…Questo atteggiamento non è da te...
Spiazzato, osservò ancora il volto del ragazzo.
Gabriel si stava trattenendo con tutte le sue forze per non rimettersi a
singhiozzare, ma non avrebbe retto ancora a lungo. Gli
occhi erano traboccanti di lacrime trattenute disperatamente. Ma c’era anche altro che traboccava da quegli occhi. Era
Terrore.
ESatoshi
lo capì. Così come capì che in quel momento non lo avrebbe mai ascoltato. Ed infatti era vero. L’espressione ostile del ragazzo lo
confermava più che efficacemente.
In queste condizioni non mi ascolterebbe mai! Mi serve
aiuto!
“Va bene… “
rispose l’uomo trattenendo il fiato “… me ne vado…” Quindi, dopo un ultimo
sguardo ansioso, si voltò e si diresse verso l'uscita, sebbene fosse riluttante
nel lasciare da solo Gabriel in quello stato. Fu per questo
che una volta nel corridoio, richiuse la porta e corse veloce nella Sala
Comando.
Quando entrò, si ritrovò subito addosso lo
sguardo dei presenti che avevano atteso in silenzio fino al suo ritorno. E dall’espressione attonita dell’uomo capirono che era
successo qualcosa di grave.
“E’ inavvicinabile…” Disse solo guardando il gruppo. Tacque per qualche istante, poi continuò.“Ragazzi, per
favore, aspettaci fuori, vorrei parlare un attimo con Misato e la Dottoressa Akagi.”
La Second e il ThirdChildren, seppure esitanti, annuirono ed
abbandonarono il luogo, ma Rei invece alzò il volto verso i tre adulti.
“Se non è un problema, io vorrei restare.”
Disse con decisione cercando di non far trapelare l’ansia che la stava
dominando.
“Rei, per favore, vai con gli altri.” Intervenne Ritsuko con voce ferma ma pacata.
La First Childrenaprì appena la bocca come per obiettare, ma
la risolutezza della scienziata non ammetteva repliche di alcun
genere. A malincuore, eseguì l’ordine e seguì i suoi colleghi.
Quando i tre adulti furono soli, Satoshi guardò alternativamente le due donne, poi sospirò
esasperato iniziando ad esporre il problema.
“Io non ho saputo cosa fare! Una crisi di pianto di quel
genere non l’ho mai vista!”
“Una crisi di pianto?” Domandò la scienziata inarcando un
sopracciglio. Restò in silenzio per alcuni secondi come per riflettere, quindi
infilò le mani nelle tasche del camice per poi proseguire con flemma. “Non è nulla di grave.
Vedrete che tra poco gli passerà.”
“Ritsuko! Potrebbe sentirsi male!”
EsclamòMisato con
preoccupazione per poi rivolgere uno sguardo al suo compagno, preoccupato tanto
quanto lo era lei.
“Misato…” riprese
la Dottoressa con calma “… ha subito una forte pressione tra l’incidente
dell’arresto e l’operazione. Semplicemente la sta sfogando. E’ perfettamente
normale e comprensibile. Basterà lasciarlo solo e tranquillo per un po’.”
Tuttavia, di fronte agli sguardi estremamente
ansiosi dei due, Ritsuko capì che qualunque
motivazione scientifica e valida avesse potuto fornirgli, non sarebbe stata
sufficiente a tranquillizzarli. Sospirando pesantemente li guardò entrambi per poi
dire “ E va bene, se ciò può tranquillizzarvi aspetterò fuori
dagli spogliatoi che esca.”
“Grazie, Ritsuko.” Si limitò a
dire Satoshi con un sorriso triste mentre Misato annuiva appena.
Pensierosa, la bionda imboccò l’uscita.
La reazione che la scienziata ebbe appena giunta presso gli
spogliatoi, non fu allarmata come quella del Tutore
del ragazzo. Solo molto sorpresa.
Comprensibile, ma non preoccupante. E’ stata dura per
tutti. Tutti nessuno escluso. E
quella storia dell’arresto ha solo acuito le cose.
In quel momento un grido disperato seguito da numerosi colpi
metallici dovuti a dei pugni contro gli armadietti, fece sobbalzare la donna
distraendola da suoi pensieri.
Ritsuko rimase in silenzio
poggiandosi spalle al muro accanto alla porta, dal lato dove il battente non si
apriva. Se da un lato sapeva che una crisi di pianto di quel
genere era più che comprensibile, dall’altro, avendone visto l’entità aveva
davvero iniziato a temere che il ragazzo potesse avere un mancamento.
Decise di restare attentamente in ascolto. Dopo alcuni minuti udì alcune parole
incomprensibili frammezzate dai singhiozzi: “Sono un Pilota… Sono un Pilota…
Devo saper pilotare un Eva… E quell’AT-Field… Mamma…
Papà…”
A Ritsuko si strinse il cuore
sentendo quei lamenti.
Povero Gabriel… Per essere in questo stato il peso di
questa situazione dev’essere stato più forte di
quanto immaginassi…
I suoi pensieri furono interrotti bruscamente. Si levò un
grido: “REI!!”
Poi ci fu un poderoso schianto metallico e più nulla. La
donna rimase in ascolto col cuore in gola per interminabili secondi, poi, dal
momento che non sentiva più alcun suono provenire dall’interno della stanza, vi
si gettò dentro.
“Gabriel!” gridò, preoccupatissima.
Il ragazzo era seduto su una delle panche, ancora in plug suite, e stava piangendo sommessamente. L’armadietto
di fronte a lui presentava una vistosa ammaccatura.
Non diede segno di essersi accorto dell’intrusione, per cui
la Dottoressa si avvicinò, titubante. Ma
all’improvviso il ragazzo parlò tra i singhiozzi. “Dottoressa… Io volevo… volevo solo proteggere Rei… ed invece…” Ritsuko non sapeva cosa fare. Non era mai stata brava
a consolare le persone.
Una tra le ragioni che mi hanno
spinta a seguire le tracce di mia madre era proprio la speranza di evitare ogni
contatto umano…
Goffamente, la donna si avvicinò al ragazzo, tentando di
assumere un’espressione comprensiva, a lei tanto inusuale.
“E’ quello che hai fatto, Gabriel,” disse, ma la sua
voce risuonò involontariamente fredda. Le spalle del FourthChildren sobbalzarono violentemente, mentre lui
cercava di trattenere il pianto.
“Non è vero, Dottoressa… A causa mia stava per…” La voce gli
si strozzò in gola.
L’altra sospirò. Era evidente che il ‘contatto
umano’ non poteva più essere evitato.
“Gabriel, ascoltami,” disse
perentoria. Quando i singhiozzi dell’altro si furono calmati, decise di
proseguire, anche se non ne aveva intercettato lo
sguardo. “A dire il vero, quando siete riusciti a sviluppare l’AT-Field, il vostro tasso di sincronia ha raggiunto un impennata mai registrata.”
Con soddisfazione sentì che il pianto soffocato del ragazzo
si stava calmando, quindi proseguì. “Devo ancora svolgere delle analisi sui
dati, ma appare fin d’ora senza ombra di dubbio che,
quando salite insieme, la tua prestazione e quella di Rei migliorano
sensibilmente. Quindi, in effetti è stato merito tuo
se avete distrutto l’angelo, salvando noi e salvando voi stessi.”
Ci fu un momento di silenzio, poi Gabriel sussurrò: “Dice…
davvero?”
La donna annuì. Era ben consapevole che prima di giungere a
quelle conclusioni con certezza matematica avrebbe dovuto analizzare i dati per
ore, con l’ausilio del Magi System, ma in quell’occasione era quello che sua madre avrebbe definito
‘un azzardo giustificabile’.
Cercò di scacciare via la nota di amarezza
che le era sopravvenuta dalle sue successive parole. “Sì. La tua presenza
nell’entry plug con Rei effettua
una sorta di sinergia. Non mi è ancora chiaro il motivo di questo fatto, però è
senza dubbio una cosa positiva.”
Gabriel sospirò e rilassò finalmente le spalle. Ritsuko avrebbe voluto dire ‘missione compiuta’,
ma sapeva che quella era solo una pausa, e la crisi
sarebbe ripresa quando la consapevolezza di aver messo in pericolo la First Children gli sarebbe tornata presente. Però
probabilmente non sarebbe stata di quella gravità.
Rimasero ancora alcuni secondi senza muoversi,
poi la Dottoressa ricominciò a parlare. “Te la senti di cambiarti?”
Impercettibilmente Gabriel annuì, e la donna considerò concluso il suo compito. Sapeva bene di apparire troppo fredda agli occhi di chiunque, anche dei propri, però non
poteva farne a meno. Accennò ad andarsene, ma il ragazzo la fermò. “Aspetti,” disse, senza sollevare il volto, che aveva tenuto chino
per tutta la conversazione. La donna si fermò e attese, indecisa su cosa dire
se fosse scoppiata un’altra crisi. Ma non accadde
nulla di ciò che temeva. La voce di Gabriel era più ferma, anche se ancora leggermente
incrinata. “Mi mandi qui il Signor Satoshi, per
favore. Solo lui.”
Ritsuko esitò ancora, ma
subito rispose affermativamente e se ne andò dalla
stanza. Quando fu nuovamente solo, il FourthChildren cominciò a
togliersi la plug suite in silenzio.
QuandoRitsuko
tornò in Sala Comando, Satoshi stava camminando
avanti e indietro, preoccupatissimo, ma si fermò
all’istante quando la vide. Le corse incontro, subito
imitato da Misato. La Dottoressa però li fermò con un
gesto.
“Sta bene.”
Il Tutore di Gabriel trasse un profondo sospiro
di sollievo.
“Però,” aggiunse Ritsuko, tornando a calamitare l’attenzione dei presenti,
“Ha chiesto che tu vada da lui tra poco, Satoshi.
Quanto a te, Misato…”
L’interpellata chinò gli occhi, colpevole.
“Forse è meglio che non ti faccia vedere questa sera. Si è
calmato, però non so che effetto gli farà rivederti. Ti consiglierei di andare
a casa adesso, portando con te Asuka e Shinji, mentre invece Gabriel e Satoshi
vi raggiungeranno con l’auto della Nerv.”
Satoshi annuì. Quando
si era scoperto dell’attacco dell’Angelo, gli era stata affidata un’autovettura
per portare i Children al Quartier
Generale.
“E Rei?” chiese l’uomo, dato che la
scienziata non aveva fatto riferimenti alla First Children.
“Ce ne occuperemo noi, non
preoccuparti,” rispose la donna. Poi si voltò verso il Maggiore e continuò. “Misato, avviati, io devo parlare con Satoshi.”
L’altra donna rivolse uno sguardo stanco al suo compagno,
come a prendere congedo, poi annuì e si diresse verso una delle uscite. Quando furono da soli, la Dottoressa riprese a parlare.
“Gli ho detto che effettivamente il suo contributo nella
battaglia contro l’Angelo ha avuto effetti insperati. Era solo un abbozzo, mancano
le certezze scientifiche, ma è servito a tirarlo su di
morale. Stava ancora piangendo quando me ne sono andata, quindi fai attenzione.”
Satoshi annuì grave e si avviò
verso gli spogliatoi. Ritsuko rimase a guardarlo
finché non fu sparito, poi si diresse verso le consolle deserte, poiché gli
Operatori in pausa non erano ancora tornati, e cominciò ad analizzare i suoi
dati per cacciare via i pensieri.
Misato raggiunse i ragazzi in una
stanza che fungeva da anticamera della Sala Comando. Asuka
era seduta su una delle sedie mobili e stava roteando pigramente su se stessa, Shinji andava su e giù per la stanza da un’uscita all’altra
e Rei guardava attraverso la vetrata il sottostante pozzo all’apparenza senza
fondo che dava sul Central Dogma. La
donna quasi andò a sbattere contro il ThirdChildren quando entrò e le due ragazze si lanciarono verso
di lei.
“Allora??” chiese Asuka.
“Quali notizie ci sono?” chiese Rei
contemporaneamente alla rossa, rendendo incomprensibili entrambe le domande.Ma il Maggiore non ebbe bisogno di capirne il senso
per sapere che si riferivano entrambe a Gabriel.
“Sta bene,” disse, cercando di
sorridere ed i tre Children, incluso Shinji che aveva atteso in silenzio che la sua Tutrice
comunicasse loro la situazione dell'amico, si rilassarono visibilmente.
“Però,” proseguì la donna, “Ritsuko ha detto che è meglio che non mi veda per oggi.
Forse è meglio che non veda nessuno, a parte Satoshi.
Temo che la nostra festa debba essere posticipata.”
Asukaassentì
distrattamente, poi intervenne. “Dov’è il
Signor Satoshi?”
“E’ andato negli spogliatoi. La sua presenza è stata
esplicitamente richiesta da lui.”
Rimasero tutti in silenzio, involontariamente concentrati su
Rei. Questa teneva gli occhi bassi, pensierosa.
Gabriel…
Perché ti angusti tanto?
Abbiamo vinto la battaglia, siamo sopravvissuti tutti… Siamo sopravvissuti
entrambi…
So che dovrei essere l’ultima a poter dire una cosa del
genere, ma non dovremmo esserne felici?
… Qualunque cosa sia successa
prima o durante l’attacco non importa più…
Vorrei potertelo dire…
Vorrei poterti dire che per me l’unica cosa che conta è
che… che senza di te non avrei potuto sviluppare quell’AT-Field…
Senza di te sarei morta…
Misato interruppe i pensieri di
Rei. “Asuka, Shinji, Ritsuko ha detto che è meglio se noi andiamo via prima e
per il resto della giornata non disturbiamo Gabriel. Rei, ha detto anche che si
occuperà lei di te.”
La First Children la
guardò. La sua espressione sembrava essere tornata fredda e distante di sempre,
ma in realtà era terribilmente preoccupata. “Maggiore Katsuragi...”cominciò “...io vorrei venire con
voi se possibile.”
La donna la guardò stupita, ed altrettanto fecero gli
altri due Children.
“Beh…” iniziò, “Sì, non dovrebbero
esserci problemi. Ti prepareremo il salotto, dovrai dormire
lì. Per te è un problema?”
“No.”
“Bene…”
L’atmosfera di tensione non si era affatto placata,
ma ci pensòAsuka ad
alleviarla, a modo suo.
“Bene First,” disse, posando
una mano sulla spalla dell’altra ragazza. “Vorrà dire che ti insegnerò
ad usare le consolle per videogiochi!”
Rei non rispose, ma si lasciò guidare dall’altra
ragazza verso l’uscita che dava al resto della Base. Non aveva mai trovato
nulla di divertente in ciò che gli altri suoi compagni chiamavano videogiochi,
però le era grata di aver distolto l’attenzione dall’argomento che più la
faceva soffrire.
Misato e Shinji seguirono le due ragazze, sollevati a loro volta,
sebbene permanesse in loro una certa inquietudine per ciò che li aspettava
quella sera.
QuandoSatoshi
arrivò allo spogliatoio smise di pensare a cosa dire al ragazzo quando
l’avrebbe incontrato e rimase alcuni istanti in ascolto. Non sentiva alcun
suono provenire dall’interno del locale.
Forse si è calmato davvero e mi sto facendo troppi problemi…
Si fece coraggio e bussò. Dopo pochi secondiuno stanco “avanti” gli fece capire che
poteva entrare. Varcata la soglia vide subito Gabriel.
“Signor Satoshi...” iniziò il ragazzo con voce bassa, senza guardarlo in volto “...mi
dispiace darti disturbo, ma in qualche modo vorrei restare completamente solo a
casa questa sera...”
L’uomo rifletté alcuni istanti, poi
annuì. “D’accordo, non c’è problema. Non preoccuparti per me. Ti
preparerò solo la cena, poi ti lascerò da solo.”
“Va bene. Grazie.”
“Ora vieni… ti accompagno a casa.”
Il FourthChildren annuì stancamente e si alzò dalla panca su cui
seduto. Evitò accuratamente di guardare il suo tutore negli occhi, ma questi
non poté non notare quanto fossero arrossati dal
pianto.
Mentre stavano attraversando i corridoi della Base,
ancora poco affollati per l’ordine di evacuazione
indetto da Misato, Gabriel ruppe il silenzio che li
aveva accompagnati fin dall’uscita dagli spogliatoi. “Mi è possibile incontrare
Rei?”
Satoshi si fermò e sollevò
un sopracciglio, pensieroso. “Sì, credo che non ci siano problemi. Chiamo la
Dottoressa Akagi, così mi faccio dire dove si trova.
Aspettami qui.”
Si allontanò di qualche passo, mentre Gabriel annuiva
e chinava il capo, in attesa, poi estrasse il
cellulare e compose il numero di Ritsuko. Se anche
non l’aveva con sé, la donna portava sempre almeno un cercapersone che la
avvisava se qualcuno cercava di contattarla. Quella
volta non servì, perché rispose quasi subito.
“Pronto?”
“Ritsuko, sono io,” disse l’Agente abbassando la voce.
“Ah sì, come sta?”
“Non troppo male in effetti… Senti, ha chiesto di
Rei, puoi dirmi dove si trova?”
“… Mi ha chiamata Misato
poco fa e ha detto che le ha chiesto di passare la
notte a casa da lei…”
Satoshi sgranò gli occhi.
“Davvero?”
“Sì. Dopotutto dovrebbe essere comprensibile: il suo
ragazzo sta male, credo sia normale che desideri stargli accanto. O meglio, sarebbe normale per chiunque non sia Rei…”
“Ho capito. Noi andiamo allora. Misato
è già partita?”
“Poco fa.”
“Quindi probabilmente
arriverà prima di noi… D’accordo. Ci vediamo domani, Ritsuko.
Buona serata.”
“Buona serata anche a te.”
L’uomo chiuse la comunicazione e tornò verso Gabriel.
Questi non lo stava guardando, ma appena parlò gli
rivolse tutta la sua attenzione.
“Gabiel,”
cominciò il suo Tutore. “Rei ha lasciato la Base poco
fa con Misato. Ha detto che vuole passare la notte da
lei.”
Per la prima volta da quando si erano rincontrati,
Gabriel lo guardò negli occhi, stupefatto, tuttavia non disse nulla. Si limitò
ad annuire per poi avviarsi al parcheggio insieme all’Agente, il quale sperò
che la vicinanza di Rei riuscisse a tranquillizzarlo
Quando arrivarono Satoshi
notò la Renault Alpine della
sua compagna parcheggiata di fronte al palazzo, il che indicava che gli altri
erano già arrivati. Per non disturbare Gabriel, l’Agente non aveva telefonato
per avvisare che avrebbero dovuto ospitare anche lui oltre a Rei, ma in qualche
modo si sarebbero sistemati in modo da stare tutti
abbastanza comodamente anche a casa di Misato.
Una volta saliti in
appartamento, Satoshi informò il FourthChildren che gli avrebbe preparato la cena, ma
questi, già seduto al pianoforte, scosse la testa.
“Se non ti dispiace, vorrei
rimanere solo già da ora. Gli altri sapranno apprezzare meglio la tua cucina di
quanto possa fare io adesso.”
L’uomo annuì conciliante e si tolse il grembiule.
“Faccio in un attimo,” affermò, e si recò nella
propria camera.
Gabriel in realtà non avrebbe
voluto restare da solo. Era la compagnia di una sola persona quella che
voleva, ed essa era proprio nell’appartamento di fianco
al suo. Ma si sentiva spossato, vuoto, non aveva le
forze di chiedere a Satoshi se poteva chiederle di
andare da lui. E poi, dopo tutto quello che era
successo, con che coraggio avrebbe osato fare una richiesta del genere?
Meno di cinque minuti dopo, l’Agente uscì dalla sua
stanza con un involto sotto al braccio, andò in bagno
per recuperare il proprio spazzolino e il proprio tubetto di dentifricio ed
augurò la buona notte al ragazzo, cherispose distrattamente. Contrariamente alle sue abitudini, era seduto al
pianoforte ma non stava suonando. Inquieto, si chiuse la porta alle spalle.
Nell’appartamento vicino fu accolto dal suono di una
violenta esplosione, accompagnata da una risata sguaiata di Asuka.
“Dovevi saltare! Non sparare!” stava imprecando ad
alta voce.
Shinji, che era venuto ad
aprirgli, gli fece cenno di non badare a quello che sentiva mentre lo
accompagnava dentro casa e gli chiudeva la porta alle spalle.
Sedute al centro del pavimento del salotto la First e
la SecondChildren stavano
giocando con un videogioco[2], anche se a dire il vero sarebbe stato corretto
dire che solo la rossa stava giocando. Rei si limitava
a tenere goffamente il controller in mano. Non si erano ancora accorte
dell’arrivo di Satoshi.
Misato gli venne incontro,
ignorando le imprecazioni di Asuka.
“Allora? Come sta?”
A quelle parole i suoni dal televisore si interruppero bruscamente e le due ragazze arrivarono
subito da lui, serissime. Rei era
evidentemente preoccupata. Satoshi allora abbozzò un
sorriso stanco ma rassicurante. “Sta abbastanza bene.”
Tutti i presenti trassero un sospiro
di sollievo e Asuka addirittura sorrise. Non
sapeva se era riuscita a distrarre davvero la First Children
con i suoi videogiochi, ma di sicuro a quella notizia lei si sarebbe
sentita meglio.
“Mi ha chiesto di lasciarlo da solo, però,” continuò l’uomo. “Posso venire a dormire qui da voi?”
“Certo,” disse Misato, che in un’altra occasione sarebbe stata felice di
passare la notte in compagnia del suo fidanzato, ma che ora desiderava soltanto
che quella serata finisse. “Se per te va bene puoi venire a dormire di là.” Indicò la propria stanza, senza nessuna inflessione
maliziosa nella voce. D’altronde, Satoshi stesso non
si sentiva abbastanza allegro da scherzare. Anche gli
altri lo capirono, perché nessuno disse niente in proposito.
“Vi preparo qualcosa da mangiare intanto,” propose l’Agente, tornando a sorridere per cambiare
argomento.
Asuka si disse entusiasta
dell’idea e spense televisore e consolle. Pochi istanti dopo Satoshi si batté una mano sulla fronte: si era appena
ricordato una cosa importante. Chiamò Rei, che intanto si era già recata al
tavolo per la cena. Misato, intuendo che si trattava
di qualcosa riguardante Gabriel, lasciò la cucina ed andò nella propria camera
da letto.
“Quando eravamo alla Base,”
cominciò l’uomo quando la ragazza l’ebbe raggiunto, “poco dopo l’uscita dallo
spogliatoio, Gabriel ha chiesto di te.”
La First Children spalancò
gli occhi per la sorpresa ed arrossì per l’agitazione.
“Ora non me l’ha detto, però credo che se andassi di
là a trovarlo gli farebbe bene. Tieni.” Frugò nella tasca destra e ne estrasse il tesserino d’accesso del proprio appartamento.
“Usa questo per entrare. Mettici pure il tempo che vuoi.”
Rei prese con mano tremante l’oggetto e annuì. Fece
per andare verso la porta, ma a metà strada si fermò e si girò a metà. Negli
occhi le si leggeva una strana espressione, mista di
preoccupazione e gratitudine.
“… Grazie,” mormorò, prima
di uscire dall’appartamento.
L’uomo sperava sinceramente che parlare con lei
avrebbe aiutato il suo tutorato. QuandoMisato ritornò spiegò a lei e ai ragazzi la
situazione, e tornò ad occuparsi della cena.
Cercando di far meno rumore possibile, Rei aprì la porta di casa per poi richiuderla alle sue spalle
cercando di evitare qualunque minimo rumore.
Gabriel era ora intento a suonare. La First Children riconobbe subito la melodia. ‘Al Chiaro di Luna’ di Beethoven. Rimase
immobile, in ascolto e osservandolo: non sembrava la stessa persona che poco
tempo prima era stato sul punto di una crisi nervosa, ma un ragazzo
appassionato di musica, che si dedicava alla sua occupazione preferita.
La ragazza rimase alla porta, decisa a non interferire con
l’illusione di non essere un Children, di non dover
combattere per salvare il mondo, nella speranza che essa continuasse a
concedergli la pace di cui necessitava. Tuttavia, quando il ragazzo aprì gli occhi, lei capì che era
tutto inutile: nel suo sguardo si leggeva tutta l’angoscia che la musica non
era in grado di lenire.
Rei si mosse in avanti con
decisione, e finalmente Gabriel si accorse di lei. Cessò di suonare e non fece
nemmeno finta di abbozzare un sorriso. Grandi lacrime apparvero agli angoli dei
suoi occhi.
La ragazza gli impedì di parlare, ma gli corse incontro. Lui
si alzò e si abbracciarono, stringendosi forte. Sotto le braccia di Rei la schiena del FourthChildren sobbalzava senza freno.
“Rei…” cercava di dire, continuamente interrotto dai
singulti. “Mi dispiace…”
“Non importa,” cercò di consolarlo
lei, singhiozzando a sua volta. “E’ tutto finito…”
Si sedettero entrambi sullo scranno del pianoforte, senza
smettere di stringersi.
“Mi dispiace,” ripeté Gabriel
quando si fu calmato a sufficienza. “Sull’Eva…”
“E’ tutto a posto,” lo
tranquillizzò di nuovo lei, ma il ragazzo la scostò per guardarla negli occhi.
“No, Rei,” disse, serio. “Per colpa
mia sull’Evangelion sei quasi morta… Non sono stato
in grado di sviluppare l’AT-Field, così l’Angelo ti
ha fatto del male… Volevo proteggerti ed invece a
causa della mia testardaggine… Sei quasi…”
Un nodo alla gola gli impedì di proseguire. Rei gli carezzò il volto, raccogliendo sulla mano le calde lacrime
che stava spandendo e sorrise, ignorando le proprie.
“Se tu non fossi stato con me non
avrei potuto affrontare l’Operazione, Gabriel. Sarei stata costantemente
distratta dall’ansia per la tua sicurezza, per quello che era successo, e non
avrei comunque potuto sviluppare l’AT-Field.
Finendo per permettere all’Angelo di ucciderci tutti. Sei tu che mi hai salvata.”
Il ragazzo scosse il capo, sconsolato. “Ma se non avessi
fatto quella scenata davanti al Maggiore Katsuraginon ti avrei fatto provare tutta quell’ansia.
Avrei potuto dirti di fare attenzione e ti avrei aspettato a Matsushiro, al sicuro. Però io non
potevo!”
Questa volta fu Rei a scuotere la
testa, prendendo quella di Gabriel tra le mani, delicatamente. “Io avrei fatto
la stessa cosa. Se fossi stato tu a dover combattere
contro l’Angelo, mentre io mi nascondevo, anch’io avrei chiesto di andare al
posto tuo. Io ti amo, Gabriel. Non avrei potuto fare niente senza di te.”
Quasi a sottolineare il significato
delle sue parole, la ragazza lo abbracciò di nuovo. Sentì i forti singhiozzi di
Gabriel, che finalmente venivano liberati, riversarsi
senza freno sulla sua spalla. Una calda scia di lacrime scese dai suoi occhi
scarlatti, ma lei si sentiva felice di poter abbracciare il suo ragazzo, di
avergli potuto dire ancora una volta che lo amava.
“Rei… ti amo… non posso sopportare di averti messa in
pericolo…quando avevo giurato a me stesso di proteggerti… Proprio io…io che
avrei voluto essere per te un vero Angelo e difenderti…”riuscì a dire a scatti il pianista.
A quelle parole, Rei lo strinse di più prendendo ad
accarezzare piano la lunga capigliatura nera del ragazzo.
“Tu sei già il mio Angelo. Il mio Angelo della Musica[3], il
mio Amore, la mia stessa vita.”
L’unica ragione che mi spinge a vivere, l’unica ragione
che mi fa desiderare di vivere quando invece ero nata solo
per pilotare l’Eva sei tu, Gabriel.
Restarono abbracciati per quelle che sembrarono ore, poi la
ragazza si disgiunse da lui. Avevano smesso di piangere entrambi, però il
giovane aveva ancora un’aria angosciata. Fu solo con fatica che riuscì a
parlare.
“Resta con me, questa sera,” disse.
La First Childrencredette di aver capito male. Sbatté più volte le palpebre,
incredula.
“Resta con me,” ripeté Gabriel, più
deciso. “Non voglio stare da solo, e non sopporterei
la compagnia di nessun altro. Ti prego… Rimani con
me.”
La ragazza aprì la bocca per parlare ma non ne uscì suono.
Era tutto così… incredibile.
Il silenzio trepidante dell’appartamento fu rotto dal
campanello dell’appartamento. La ragazza si alzò di scatto,
rossa in volto, mentre Gabriel aveva voltato il viso, in modo che chi
stava per entrare non vedesse che aveva pianto. Rei andò
subito alla porta e la aprì. Era Satoshi,
l’espressione ancora grave e preoccupata, che portava la cena ai due ragazzi.
Vedendo la First Children tanto imbarazzata e il suo
ragazzo che non stava guardando, intuì di aver scelto un momento poco
opportuno.
“Scusate per il disturbo,” cominciò
l’Agente della Nerv, il vassoio con i quattro piatti
tenuto sull’avambraccio sinistro. “Vi ho portato la cena.”
“La ringrazio,” disse
precipitosamente Rei, avvicinandosi per prendere il pasto. L’uomo la guardò
sorpreso: sembrava veramente sconvolta.
Forse sono arrivato in un momento proprio poco opportuno…
“Scusate ancora per avervi disturbati,”
ripeté, arretrando verso la porta. Gabriel non diede segno di averlo udito, ma
Rei scosse il capo vigorosamente, con il rischio di far cadere ciò che aveva in
mano.
“Aspetti, Agente Iwanaka,” disse, ed il suo rossore avvampò di nuovo mentre posava
il vassoio su un mobiletto dell’ingresso. Sullo scranno, il FourthChildrensi irrigidì un
poco. “Devo chiederle una cosa.”
Satoshi annuì, stupito, ed attese
che la ragazza si sentisse pronta per parlare. Dopo
alcuni istanti, questa sollevò su di lui gli occhi rossi, ancora luminosi per
le lacrime e stanchi ma decisi.
“Agente, crede che sia possibile per me rimanere qui, questa
notte?”
L’uomo la guardò come se avesse appena detto la cosa più
strana del mondo. Cercò con lo sguardo anche gli occhi di Gabriel, per trarne
la conferma di aver udito bene, tuttavia non poté
incontrarli. Quando tornò su Rei dovette deglutire un
paio di volte per la sorpresa.
“Credo… che non ci siano problemi a riguardo,” mormorò, incerto.
“Davvero?” Ora negli occhi della First Children
c’era una muta speranza. L’uomo allora decise di non
deluderla con delle considerazioni su ciò che avrebbe raccontato a Misato. Oppure a Ritsuko. Sorrise.
“Sì. Gabriel dovrebbe già sapere come sistemare la stanza
degli ospiti. Piuttosto, noi abbiamo degli spazzolini di riserva, ma forse
dovresti venire di là a prendere in prestito un pigiama.”
Rei gli sorrise, ma scosse
la testa. “No, grazie. Non ce n’è bisogno, va bene così,”
disse, pacata. Sembrava che un grande peso le fosse
stato tolto dall’animo. Satoshi annuì e non
insistette. Sapeva che in quel momento farli stare insieme quella sera era
quanto di meglio potesse fare per il suo tutorato.
“Allora io vado, buon appetito,”
decretò alla fine, alzando la voce in modo che il suo ultimo augurio fosse
udito anche da Gabriel. Questi annuì e si voltò. Per la prima volta quella
sera, sorrideva più sereno.
“Signor Satoshi,”
disse, mentre l’interpellato stava già uscendo dalla porta. “Ti chiedo scusa
per oggi. Domani mi scuserò anche con il Maggiore Katsuragi.
Intanto buon appetito anche a voi.”
L’uomo guardò l’espressione serena e calma del ragazzo, così
diversa da quella di quando l’aveva incontrato nello spogliatoio, e annuì
sollevato, sorridendo.
L’Agente della Nerv lasciò
l’appartamento, ed il FourthChildren
si voltò verso Rei, che aveva già preso il vassoio e
lo stava portando sul tavolo. Si sentiva felice.
Quando Satoshi
tornò nell’appartamento di Misato, Asuka e Shinji stavano già
cenando, mentre la donna stava togliendo alcune lattine vuote di birra dalla
propria camera da letto, che avrebbe diviso con il suo compagno. Attese
che anche lei fosse tornata a tavola per informarli
tutti che Rei avrebbe dormito nel suo appartamento con Gabriel. Il silenzio che
derivò da quella rivelazione era interrotto solamente dalle proteste di PenPen, che stava ancora aspettando le sue aringhe.
“Ma… E’ sicuro, Signor Satoshi?” chiese Shinji, a bocca
aperta, arrossendo un po’. Non credeva proprio che quell’iniziativa
potesse essere approvata dall’Agente o da Misato. Asuka, senza permettere all’uomo di rispondere, ridacchiò.
“Beh, che ci trovi di strano?” chiese all’amico. “Anche noi dormiamo insieme, no?”
“MA COSA…??” Il rossore sul volto
del ragazzo avvampò all’inverosimile, ma lei sembrò non badarci.
“Sì, insomma, anche noi abitiamo nello stesso appartamento,
quindi cosa c’è di male?” specificò la rossa. Non avevano più parlato
esplicitamente di quello che era successo quella notte, ma il ricordo e la sua
dolcezza era ancora vivo in entrambi. Però né Misato, né Satoshi sapevano nulla
a riguardo, e nessuno dei due Children voleva che le
cose in quel senso cambiassero.
Il Maggiore sorrise alla battuta di
Asuka e al suo effetto su Shinji,
ma tornò subito seria verso il suo compagno. “Sei sicuro che sia opportuno?”
L’uomo annuì sicuro. “Credo che a riguardo possiamo
stare tranquilli. Finché ciò che ama non viene
minacciato, ha la testa ben salda sulle spalle.”
La donna rimase un momento
pensierosa, poi annuì stancamente. “Quello che è successo oggi falsa il
mio giudizio su di lui, non dovrei dubitare delle tue
parole. Una bella dormita mi farà bene.”
“A proposito…” la fermò Satoshi,
sorridendo. “Ha detto che domani mattina vorrà scusarsi con te per quanto
successo.”
Lei lo guardò sorpresa, non badando ai Children che avevano cominciato a discutere animatamente
sul numero di aringhe da dare a PenPen,
poi sorrise a sua volta, serena. “Anch’io dovrò
scusarmi con lui.”
L’Agente annuì conciliante. Dopotutto, non era giusto che
lei si colpevolizzasse ancora per quanto successo. Dato che ormai la cena si
era conclusa e i ragazzi avevano preso a giocare con PenPen, i due adulti sparecchiarono la tavola, mettendo da
parte per il resto di quella lunga giornata gli avvenimenti che l’avevano
contrassegnata.
Per quasi tutta la durata della cena, Rei
e Gabriel stettero in silenzio, ma sembrava andasse già meglio rispetto
a prima. Il pianista le aveva sorriso dolcemente più volte
e lo stesso aveva fatto la ragazza. Erano insieme, questo
bastava a renderli felici, nonostante la paura e la tensione provate in
quella giornata.
Al termine del pasto, Gabriel prese a sparecchiare il tavolo
della cucina per poi depositare i piatti e i bicchieri usati nel lavandino.
“Vuoi che ti aiuti?” Chiese Rei,
pur se non era molto pratica di queste cose.
“No, non preoccuparti. Ci penserò domattina.” Le rispose a bassa voce per poi volgersi verso di lei con
un sorriso quieto. “Ora voglio solo stare con te.”
Aggiunse prima di avvicinarsi. A quelle parole, anche la ragazza sorrise e gli
andò incontro per abbracciarlo forte.
“Anch’io voglio solo stare con te.”
Risposte lei appoggiando il capo sulla spalla di lui
mentre le mani andavano a circondargli il busto fermandosi sulla schiena.
Nuovamente il tempo parve arrestarsi, ma stavolta fu Gabriel
a distaccarsi per primo, quanto bastava per poterla guardare negli occhi.
“Vado a preparare la tua stanza.” Le disse sorridendo lieve.
Lei annuì e si sporse per un rapido bacio, dopodichè
si staccarono definitivamente.
“Posso aiutarti in qualche modo?” insistette la ragazza.
Gabriel, che ormai aveva quasi guadagnato
la porta, si fermò volgendosi di nuovo verso di lei. “No, non
preoccuparti, ci metterò poco, davvero. Devo solo prendere delle lenzuola
pulite e sistemare in bagno.” Le sorrise.
“Ti dispiace se vengo con te?” Chiese lei accostandoglisi con un sorriso lieve e lo sguardo decisamente assonnato, così com’era quello di lui.
“Certo che no. Vieni, andiamo.” Le
rispose prendendola per mano e guidandola nella stanza riservata agli ospiti.
Appena arrivarono, Gabriel si affrettò ad estrarre
dall’armadio tutto l’occorrente, e si affrettò a preparare il lettoper la ragazza, seppure i suoi movimenti
fossero rallentati dalla stanchezza di quella giornata che ormai aveva iniziato
decisamente a farsi sentire, ora che la tensione era
svanita.
Rei lo osservò girare indaffarato
per la stanza e nuovamente si offrì di aiutarlo, ma il ragazzo fu irremovibile.
Una volta terminata l’operazione di cambio, raccattò velocemente la federa del
cuscino e le lenzuola tolte, rischiando di inciampare almeno un paio di volte
nei bordi di queste ultime, che toccavano terra, mentre le portava nella cesta
del bucato in bagno. Lì, dopo aver depositato il carico nella cesta, aprì
l’anta del mobiletto a muro vicino allo specchio e ne estrasse
uno spazzolino di colore bianco ed un tubetto di dentifricio nuovi. Rapido
lanciò uno sguardo sul ripiano davanti allo specchio dove c’erano due bicchieri
etichettati coi nomi, quello di Satoshi,
vuoto, ed il suo, con dentro uno spazzolino verde ed il tubetto di dentifricio,
quindi corse in cucina dove ne prese un terzo e ritornò in bagno. Appoggiò
ilbicchiere accanto al suo e vi depose affianco gli oggetti.Subito dopo aprì un altro mobiletto e vi estrasse degli asciugamani
puliti che appoggiò con cura sui poggia asciugamano
vuoti, riservati agli ospiti. Per tutto il tempo, la First Children
era rimasta in corridoio ad osservare il via vai di
Gabriel, con un sorriso intenerito, affrettandosi a raggiungerlo quando quest’ultimo la chiamò.
“Dunque…” cominciò il ragazzo
guardandosi attorno “lì ci sono spazzolino e dentifricio nuovi, poi qui gli
asciugamani…” Con cura indicò minuziosamente gli oggetti predisposti per lei,
mentre la ragazza ascoltava attentamente osservando quanto da lui indicato, poi
il pianista continuò
“…per il resto… sei sicura di voler dormire in uniforme e
non voler chiedere di là?” Chiese premuroso mentre entrambi uscivano
dal bagno.
“Di solito…” Cominciò Rei arrossendo appena “…non uso pigiami o simili…dormo in camicia…”
A quelle parole Gabriel arrossì a sua volta. “Ah…ecco…”
balbettò quasi, imbarazzato, prima di riprendere il controllo “…se vuoi...”si interruppe distogliendo lo
sguardo da lei. La ragazza lo guardò incuriosita.
“Beh, si ecco…” riprese lui“…se vuoi posso darti un mio pigiama…anche se
ti andrà un po’ largo…” concluse con crescente rossore che invase anche il
volto di Rei.
Dopo alcuni secondi di silenzio imbarazzato, La First
Children riuscì appena a balbettare fissando lo
sguardo in un punto indefinito del corridoio "Te... te ne sarei grata. In fondo non ho potuto cambiare uniforme oggi."
“D-D’accordo…allora….se vuoi rinfrescarti, vai pure… io vado a prendere un pigiama
pulito e te lo appoggio sul letto…”
“Va bene… Grazie.” Sussurrò appena lei mentre andava
in bagno ed il pianista si dirigeva verso la propria camera.
Quando entrò si portòsubito all’armadio mettendosi alla ricerca
dell’indumento nei cassetti inferiori, il volto ancora arrossato.
Ne scartò tre dai colori troppo scuri, infine decise
che il quarto poteva andar bene. Era color acquamarina, che non aveva quasi mai
indossato. Era stato lavato di fresco e profumava ancora. Lo prese piegato così
com’era e lo portò nella camera degli ospiti, posandolo sul letto che aveva
appena preparato. Dal bagno proveniva lo scroscio della doccia e lui si chiuse nella propria stanza, arrossito all’inverosimile.
Indossò il proprio pigiama verde scuro e si sedette sul letto, attenendo
trepidante che Rei si fosse sistemata, per poterla infine salutare.
Finalmente lo scroscio dell’acqua terminò e sentì il
rumore attutito dei suoi passi mentre camminava per entrare nella camera degli
ospiti. Quando infine anche la porta di quella stanza
si chiuse, Gabriel riprese a respirare. Si alzò in piedi e si recò a sua volta
in bagno per lavarsi i denti.
Con movimenti rapidi, Rei si tolse l’asciugamano che
la avvolgeva e reindossò la propria biancheria. Poi
guardò il pigiama color acquamarina che stava ben ripiegato sul letto ed
arrossì. Impacciata si avvicinò prendendolo tra le mani.
Non sono abituata a mettere un pigiama…
Tantomeno il pigiama di
un ragazzo…
Senza contare che questo è uno dei SUOI pigiami… mi
sembra… profumato…
Sì, è fresco di bucato e ne sento ancora il profumo.
Mi sembra… meraviglioso.
Tutto qui mi sembra meraviglioso.
Mi sento felice.
Tutto qui mi sembra meraviglioso.
E nonostante il pericolo che abbiamo corso…Mi sento
felice.
Sapere che lui è proprio qui, a poche porte di distanza,
mi rende felice.
Vorrei che potesse essere così sempre.
Indossò il pigiama, dovendosi sedere per infilare i
calzoni lunghi, dal momento che non ci era abituata.
Quando ebbe fatto si guardò nello specchio di fianco al letto, entrambi rivolti verso la parete adiacente alla porta d’ingresso.
L’indumento era almeno di una taglia e mezza più grande, le maniche le
coprivano l’attaccatura delle dita, la vita dei calzoni le scendeva sotto
l’ombelico e il colletto si apriva in una scollatura insolitamente ampia. Un
po’ imbarazzata si tirò su i pantaloni ed abbottonò due bottoni della
maglia.
Fuori dalla porta udì i
passi smorzati di Gabriel e si avvicinò alla porta. Cercando di dominare l’imbarazzo
la aprì, per dare la buona notte al suo ragazzo.
Stava uscendo in quel momento dalla cucina. Aveva già indossato il suo pigiama verde scuro, nella destra
reggeva una brocca d’acqua e nella sinistra un bicchiere. Aveva già provveduto a lavare i denti mentre la ragazza era alle prese
col pigiama e si era recato in cucina a prendere da bere. Quando
la vide si arrestò, arrossendo a sua volta. Prima che lei potesse
aprire bocca parlò lui: “H-hai bisogno di qualcosa?
Vuoi un bicchiere d’acqua?”
A quella domanda la ragazza si accorse di avere sete.
“Sì, grazie.”
“Questo l’ho usato io, te ne prendo
uno pulito. Vai pure a letto, te lo porto lì.” Sorrise
e le voltò le spalle, tornando in cucina. Rei, ancora imbarazzata, chiuse la porta e tornò al letto, sedendosi sulla coperta. Dopo pochi
istanti, si udì bussare timidamente alla porta.
“Avanti,” disse la ragazza,
arrossendo e portando le gambe a distendersi sul letto.
Gabriel entrò reggendo nella destra un bicchiere
colmo d’acqua e glielo portò sorridendo. Lei raccolse le gambe sotto al corpo, piegandole, poi lo prese e ne bevve una lunga
sorsata. L’acqua fresca le schiarì un po’ la mente e la rilassò. Ora si sentiva
meglio, anche se era in camera da letto, di notte, con il proprio ragazzo: una
situazione che avrebbe imbarazzato persino Asuka.
Quando ebbe finito si forbì
le labbra con un dito e depositò il bicchiere ormai quasi vuoto sul comodino
che stava tra il letto e lo specchio.
“Va meglio?” chiese Gabriel, premuroso.
“Sì, molto meglio,” rispose
lei, guardandolo intensamente negli occhi.
Rimasero alcuni secondi così, lei seduta sul letto,
lui leggermente chino su di lei, occhi negli occhi, poi Gabriel si riscosse.
“Allora io vado…” disse, impacciato. “Vuoi che ti
spenga la luce? Qui se vuoi c’è un’abat-jour.” Indicò
una piccola lampada da tavolo accanto al bicchiere appena deposto. Lei annuì
lievemente. “D’accordo.”
Gabriel tornò ad ergersi e andò a spegnere la luce,
mentre lei accendeva il lume più piccolo. Poi lui si voltò di nuovo, per
augurarle la buona notte. La luce lieve dell’abat-jour dava una strana
atmosfera soffusa alla stanza. Rei lo stava guardando
dal letto, con due piccole stelle come occhi.
“Gabriel…” chiamò dolcemente.
Non ci fu bisogno di parole, come se tutto ciò che andasse detto era in quel nome appena sussurrato
Il ragazzo tornò da lei, e la baciò con dolcezza. Le
posò le mani sulle spalle, delicatamente, e lei si lasciò scivolare
all’indietro circondandogli quasi senza rendersene conto il collo con le
braccia, portandolo così a seguirla nei suoi movimenti.
Per evitare di perdere l’equilibrio, Gabriel dovette
appoggiarsi con un ginocchio al letto.
Così facendo, si ritrovò quasi sdraiato per metà su di
lei e per metà al suo fianco. Le mani di Rei discesero ad accarezzargli la
schiena, finendo poi per abbracciarlo nuovamente. La ragazza spostò la testa in
una posizione più comoda, ed il bacio divenne più intenso. Più adulto.
Gabriel si sentì sommergere da una sensazione che non
aveva mai provato prima. Gli sembrava di essere tutt’uno con Rei, di essere testimone e artefice di un
evento straordinario, pari solo alla nascita del mondo. Si sentiva felice.
Con infinito sollievo, rilassò i muscoli della
schiena e si adagiò su di lei, portando le braccia in una posizione più comoda.
A sua volta, Rei si abbandonò a quelle sensazioni rilassandosi maggiormente, ed
approfondì il bacio ancora di più mentre ricercava una posa più confortevole.
Quando il ginocchio sinistro
di lei gli carezzò involontariamente il fianco destro, Gabriel balzò in piedi.
Il movimento di Rei lo aveva portato all’improvviso
alla realtà. Gli ricordò che avevano quattordici anni, che erano troppo
giovani, che si stavano spingendo troppo oltre, dove non era lecito andare per
loro. Rei, ancora sdraiata sul letto, si puntellò sui gomiti e lo guardò allarmata. “Gabriel, cos’hai?”
“Niente,” minimizzò lui,
l’espressione confusa del volto celata dal gioco di luci ed ombre del lume.
“Rei…” sospirò infine, imbarazzato. “Per noi… è
troppo presto…”
Disse solamente quelle parole, nella speranza che lei
capisse. La ragazza chinò il capo con aria colpevole ed estremamente
imbarazzata. “Scusami.”
Ma lui scosse il capo. “Non
devi scusarti di nulla. L’amore non rende colpevoli. E noi non lo siamo.”le sussurrò piano tornando alle
sue labbra in un bacio più dolce e pacato, completamente differente da quelli
molto più adulti di solo pochi attimi prima.
Rei, dopo quel bacio, tenne gli occhi fissi davanti a
sé, come se non avesse ancora realizzato interamente quanto era accaduto.
Eppure era accaduto, ne conservava il ricordo, e la sensazione delle labbra di lui sulle proprie. Non riusciva a capacitarsi di
aver agito in quel modo, lei, che fino a pochi mesi prima sapeva a mala pena
come sorridere.
Ma quando Gabriel fece per
allontanarsi, la ragazza lo trattenne per una manica. “Gabriel...” mormorò. Il
pianista si volse a guardarla interrogativo. “Cosa
c'è?” le chiese dolcemente, sorridendo e tornando a chinarsi verso di lei.
“Resta,” disse semplicemente
lei tenendo lo sguardo chino sulle lenzuola, mentre il viso era nuovamente
arrossito. Il ragazzo la guardò attonito, poi annuì.
“Va bene.”
Si discostarono appena per sollevare le lenzuola, poi
Gabriel si distese di fianco a lei. Subito la ragazza lo abbracciò, non troppo
strettamente, e lui rispose con un lieve bacio sulla fronte.
“Buona notte, amore,” le
mormorò all’orecchio.
“Buona notte,” rispose lei,
affondando il volto nel suo petto.
Gabriel le sorrise e le carezzò
i capelli, prima di allungare il braccio e spegnere l’abat-jour.
Continua….
[1]: vedi capitolo
precedente.
[2] Riferimento ad un’immagine divertente di Evangelion trovata in rete, in
cui si vedono Asuka e Rei giocare con un videogioco.
[3] Citazione da “Il
Fantasma dell’Opera”, musical di AndrewLloydWebber.
Capitolo 16 *** Weekend: Esaurimenti e Relax (Parte I) ***
La sveglia suonò il suo implacabile verdetto alle sette in punto del
giorno successivo e Misato ci mise più tempo del solito a spegnerla
CAPITOLO 15
Weekend:
Esaurimenti e Relax (Parte I)
La sveglia suonò il suo implacabile
verdetto alle sette in punto del giorno successivo e Misato ci mise più
tempo del solito a spegnerla. Normalmente, infatti, le bastava sbracciarsi in
tutte le direzioni con gambe e braccia: prima o poi
l’avrebbe incontrata. Ma questa volta non poteva
applicare il suo solito metodo per non svegliare Satoshi, ancora addormentato,
cui era strettamente abbracciata. Tuttavia, l’effetto di tale ritardo fu
proprio il risveglio dell’uomo, che gemette infastidito e nascose il volto fra
i capelli di lei. Quando
finalmente raggiunse la sveglia, che continuava a trillare, la spense con
disappunto.
“Mi spiace che ti abbia svegliato così…” mormorò all’uomo
fra le sue braccia.
“E’ il suo lavoro,” rispose questi,
ancora assonnatissimo, senza provare nemmeno a districarsi dall’abbraccio della
sua compagna.
Passarono alcuni momenti a carezzarsi e baciarsi l’un l’altro, poi Misato, a malincuore, sospirò. Dopotutto, da
quella volta, con gli impegni alla Nerv nei giorni seguenti e poi l’attacco dell’Angelo il giorno prima, non avevano più avuto molto
tempo per stare insieme. Ma dovette liberarsi
dall’abbraccio. “E’ ora che andiamo a prepararci…” mormorò, dispiaciuta. L’uomo
gemette di disappunto e non si mosse. “Stiamo a casa
oggi,” disse, solamente.
Lei impiegò un attimo a realizzare le sue parole. “Dici sul
serio?” chiese infine. Lui annuì, il volto ancora nascosto dai suoi capelli.
“Ritsuko non ce la farà passare liscia…” commentò Misato, cominciando ad
accarezzargli i capelli. Satoshi sollevò un poco la testa, il tanto che bastava
per darle un rapido bacio sulle labbra.
“Cosa sarà mai la rabbia della
Dottoressa Akagi rispetto all’attacco di due Angeli?” chiese, sorridendo. La
donna parve riflettere alcuni istanti, poi annuì,
convinta.
“Hai ragione,” disse, “saremo in
grado di affrontarla. Ma per i ragazzi?”
“Dopo quello che è successo ieri si
meritano una giornata di riposo. Per Gabriel autorizzerò io la sua assenza da
scuola.”
“Ed io farò lo stesso per Asuka e
Shinji. Per Rei invece…”
Tacquero entrambi. “Chi è il tutore legale di Rei?” chiese
infine Satoshi, stupito. In tutto quel tempo non aveva mai chiesto chi si occupasse della First Children. Sapeva che viveva da sola,
ma non era possibile che per tutte le questioni legali non ci fosse qualcuno
che badasse a lei. Tutte le assenze da scuola dovute ai test per la Nerv venivano regolarmente giustificate, ed in quei casi
probabilmente se ne occupava la Dottoressa Akagi. E
ciò rendeva possibile che…
“Ritsuko…” sospirò Misato, sconsolata. “Dovremo chiedere a
lei di autorizzare questa assenza… In fondo non so chi
sia ufficialmente il suo tutore legale.”
“Se non è lei,” disse l’uomo,
“potremmo provare a chiederle chi è.”
Dopo un attimo di esitazione, il
Maggiore prese coraggio e si sciolse dall’abbraccio di Satoshi. “D’accordo. Le
telefono.”
“Sei sicura di trovarla già sveglia?”
“Stiamo parlando di Ritsuko Akagi. I suoi turni di lavoro
cominciano due ore prima degli altri e finiscono due ore dopo.”
“Ma come fa?” chiese l’Agente,
stupito.
“Perché ama il suo lavoro… Per il suo carattere… Non lo so. Però fa sempre questo orario.
Si prende pochissime pause.”
“Ecco qualcuno che si merita davvero il premio di dipendente
dell’anno,” commentò Satoshi, divertito.
“Come?”
“Niente niente, è una specie di onorificenza
della Sezione Francese della Nerv, viene consegnata al dipendente che si è
maggiormente distinto in un anno. Se esistesse anche qui scommetto che lei la
vincerebbe sempre.”
“Può darsi,” rispose Misato
sorridendo. Era riuscita a rialzarsi e a trovare il cellulare. Compose
rapidamente il numero.
“Pronto?” chiese la voce della Dottoressa Akagi, fredda ma
niente affatto impastata nonostante l’ora. In sottofondo si udivano i suoni di
un computer in funzione.
“Ciao, Ritsuko,” cominciò il
Maggiore, e si sentiva già senza parole o argomentazioni valide.
“Misato? Stai parlando al telefono mentre
guidi??” la rimproverò l’altra.
“Ehm… Veramente no… Sono a casa.”
“Ah, ho capito, arriverai tardi. Posso chiederne il motivo?”
“In realtà… Pensavo di non venire proprio.”
Dall’altra parte della linea c’era solo silenzio. Anche i computer avevano smesso di emettere i loro
caratteristici suoni.
“E perché?” chiese infine Ritsuko,
gelida.
“Beh… Ieri è successo quello che è successo… Pensavo di prendermi un giorno di ferie… Dovresti farlo
anche tu, ti sento sciupata…”
“Non preoccuparti di quello che dovrei fare io. Se ti senti
spossata posso darti un ricostituente quando verrai
qui.”
“No, non hai capito… E’ che proprio vorrei prendermi una
giornata libera, per… rilassarmi.”
Vi fu di nuovo un momento di silenzio, in cui Misato e
Satoshi, che si era messo in ascolto a sua volta,
avevano il cuore in gola.
“Va bene,” sentenziò alla fine
dell’attesa la Dottoressa, a denti stretti.
“Davvero?” chiese Misato, ancora incredula.
“Sì. Passa una buona giornata. Ah, e scrivi una richiesta di
ferie formale, me la porterà Satoshi quando verrà.”
Questa volta il silenzio, imbarazzato, fu
mantenuto dal Maggiore.
“Misato…” la chiamò l’altra donna attraverso il telefono. “Non è che anche Satoshi ha intenzione di chiedere un giorno
di ferie, vero?”
“Ehm…”
“D’accordo,” tagliò corto Ritsuko.
Dai lievi suoni che si udivano si capì che aveva appena appoggiato sulla
scrivania una tazza di caffè. “Prendetevi un giorno di ferie, è sufficiente che
rimaniate a disposizione in caso di emergenza.”
“Davvero??” chiese Misato,
incredula di averla scampata così facilmente.
“Sì.”
Ma cos’è successo perché sia così
conciliante? Le sono nati i gattini?
“Grazie!”
“Potrete dare entrambe le domande a Rei, me le porterà una
volta finita la scuola.”
Altro silenzio carico di significato.
“Cos’altro c’è?” continuò Ritsuko,
con una punta di acidità.
“Ecco… Avevamo pensato, visto che alla fine è stata una giornata
pesante anche per loro, capisci… Di tenere i ragazzi a
casa… Così possono riposarsi… e volevamo sapere… Ri chan, chi è il tutore
legale di Rei?”
Dall’altro capo del telefono si udì il rumore di una sedia
dallo schienale mobile che si muoveva.
“Suppongo,” iniziò la Dottoressa,
pensierosa, “che si possa considerare me come tutrice legale di Rei, in questi
casi… Ad ogni modo, di cosa avresti bisogno?”
“Ehm…” accennò Misato. “Mi servirebbe la giustificazione per
l’assenza di oggi di Rei. Per gli altri ragazzi
possiamo occuparcene io e Satoshi.”
“Vuoi proprio traviarli, eh, Maggiore Katsuragi?”
“Veramente,” proseguì la donna,
stupita per l’uscita dell’amica, “Vorremmo solo concedere loro una vacanza
meritata…”
“Sì, sì, stavo scherzando…”
Imprevedibile come un’equazione caotica, Ritsuko…
“Saranno esentati anche dal test di sincronia di oggi. In caso di necessità comunque
dovrete essere tutti rintracciabili.”
“Non mancheremo, Ri chan. E
grazie!”
“Riposatevi, così sarete tutti più produttivi nei prossimi giorni,” concluse la scienziata, e non si capì se era una battuta
o un’affermazione seria. Riagganciò prima che Misato potesse chiedere
spiegazioni.
“Allora, tutto a posto?” chiese Satoshi, che intanto si era
alzato a sua volta e l’aveva abbracciata da dietro.
“Sì,” rispose lei tra un bacio e
l’altro. “Ha detto che per queste questioni possiamo
considerarla come tutrice legale di Rei. Noi possiamo stare a
casa e i ragazzi non dovranno nemmeno fare il test di sincronia oggi
pomeriggio.”
“Un successo completo, a quanto pare,”
commentò lui depositandole sorridendo un bacio sul collo. “I miei complimenti,
Maggiore.”
“Grazie,” rispose la donna,
girandosi nell’abbraccio in modo da poterlo baciare più comodamente.
“Abbiamo un’intera giornata tutta per noi,”
riprese Misato dopo circa mezz’ora . “Dobbiamo trovare qualcosa da fare.”
“Mmmhh,” fece Satoshi, pensieroso.
Erano tornati a letto, e lui appoggiò un braccio sul
guanciale.
“Ci sarebbero le Terme di Yamasaka,”
propose la donna. “Sono abbastanza vicine, ma sarebbe un delitto passarci un
solo pomeriggio, sono stupende.”
“Allora,” buttò lì l’Agente,
“potremmo passarci il weekend.”
Misato lo guardò come se avesse appena detto una pazzia. “E Ritsuko ce la farebbe passare liscia?”
“In fondo i ragazzi non devono andare a scuola, e noi
abbiamo il turno libero, no?”
“In effetti…” La donna ponderò attentamente l’idea.
“Potrebbe anche funzionare… E la cosa migliore è che
non dovremmo nemmeno informarla!”
“Magari potremmo chiedere anche a lei di venire.”
“Scherzi? Lei non abbandonerebbe il suo posto di lavoro
nemmeno se glielo ordinasse il medico!”
“Hai detto che aveva un tono
sciupato, no? Forse gli ultimi avvenimenti hanno scosso anche lei. Capirà di
certo che se non si sente in forma non può nemmeno svolgere bene il suo lavoro.”
“Hai proprio ragione, sai?” concluse Misato con un sorriso,
depositandogli un rapido bacio sulle labbra. “Più tardi devo…
passare da lei per una questione, gliene parlerò allora.”
“Non credi sia meglio telefonarle per avvisarla già ora?”
“No, non è il caso…”
“Capisco,” annuì Satoshi,
rimettendosi comodo sul futon. “E’ ancora presto, vorrai
dormire.”
“No, no,” replicò lei con un
sorriso malizioso. Si chinò su di lui e gli diede un altro bacio sulle labbra.
“Chi ha detto che voglio dormire?”
Satoshi capì l’allusione e sorrise, abbracciandola. “Non
credo sia possibile,” mormorò però, dispiaciuto.
“Perché? Sei
stanco?”
“No… Non li ho portati…”
La donna impiegò alcuni secondi a realizzare cosa l’altro
intendeva, poi sospirò di disappunto e si limitò ad abbracciarlo, dandogli però
anche un tenero bacio con un sorriso.
“Non immaginavo, visti gli eventi di ieri, che la
mattinata potesse prendere questa piega...” continuò l’uomo con tono a sua volta deluso. Ed in effetti l'idea di restare a casa quella mattina non era
stata programmata ma gli era sorta spontanea, sul momento.
A quelle parole, Misato lo abbracciò più
strettamente. “Allora approfittiamone per riposare...” sussurrò
chiudendo gli occhi.
“Si,” annuì Satoshi
ricambiando la stretta per poi imitare la compagna, chiudendo gli occhi e
addormentandosi di nuovo.
Rei sognava di essere su un prato,
una collina tutta verde che dominava Neo Tokio-3, all’alba. Si sentiva felice.
Stava guardando il panorama, i cui colori erano
incredibilmente vividi, abbracciata a Gabriel. Si ripetevano alcune parole, ma
lei non riusciva a capire quali fossero. Poi ad un
tratto i colori sparirono e si ritrovò comodamente sdraiata su un letto dalle
lenzuola bianche. Più che un letto però sembrava un’ intera
superficie vellutata che splendeva di una tenue luminosità candida, e si
estendeva all’infinito senza avere un bordo. Le lenzuola la ricoprivano
interamente, ma non si sentiva affatto soffocare.
Anzi, il tessuto era in qualche modo caldo e la faceva sentire protetta. Poi vide, o meglio, percepì un movimento accanto a sé, sotto le
coperte. Là c’era Gabriel, cresciuto fino a mostrare una ventina d’anni, che le
sorrideva. Era nudo. Si accorse che anche lei lo era, ed il suo fisico era
completamente sviluppato, ventenne a sua volta. Si distrasse un attimo ed il
ragazzo, con una risatina, era scomparso.
Capì che era una sorta di gioco e gli corse dietro, quasi
strisciando sotto le coperte, sebbene quel movimento non le
sembrasse affatto faticoso. Continuarono così per alcuni istanti, poi
Rei riuscì finalmente a raggiungere Gabriel e lo
abbracciò ridendo, prima di tornare a guardarlo negli occhi.
I suoi lineamenti si erano fatti più definiti, più maturi.
Lo trovava incredibilmente bello.
Chiuse gli occhi e lo baciò. Sentì le sue braccia
percorrerle la schiena nuda in tenere carezze, prima di stringerla maggiormente
a sé, con più ardore. Lei fece lo stesso. I loro baci si facevano sempre più
approfonditi man mano che si muovevano sempre più freneticamente sotto le
lenzuola, finché…
Rei si svegliò all’improvviso,
scattando a sedere, in un bagno di sudore. Gabriel, nuovamente quattordicenne,
la stava tenendo abbracciata e quasi fu sbalzato via dal letto dalla violenza
del gesto di lei.
“Che succede??” chiese allarmato,
alzandosi a sedere a sua volta. La ragazza lo guardò confusa e terrorizzata,
poi si guardò attorno, come se non sapesse dove si
trovava. Gabriel la prese per le spalle. “Rei!” chiamò, disperato. A quella
voce resa roca dallo spavento, la First Children si
riscosse. Lo fissò negli occhi e sembrò provare un immenso sollievo. “Rei…”
disse nuovamente lui, a sua volta più tranquillizzato
dalla sua reazione, ma sempre allarmato. “Hai fatto un brutto sogno?”
“Sì… Cioè, no…” balbettò la
ragazza, piuttosto confusa. L’espressione interrogativa del suo ragazzo la
spinse a rievocare quello che era accaduto solo pochi
istanti prima.
Era un sogno… Solo un sogno…
Eppure…
Mi sembrava così reale!
Così incredibilmente realistico…
Così… bello…
Non posso crederci, io non ho quasi mai
sognato in vita mia, ed ora…
Ho sognato… QUESTO!!
“Gabriel…” iniziò, la gola secca, cercando di non guardare
il ragazzo negli occhi. “Credo… credo che… dovrò
parlare con la Dottoressa Akagi...”
“La Dottoressa Akagi?” ripeté lui, sorpreso. “Ma cos’è successo? Ti senti male??”
“No, no,” si affrettò a smentire
Rei. “E’ solo che… Ecco… Ho fatto un sogno… strano.”
Gabriel si rilassò visibilmente, tuttavia era ancora un po’
inquieto. “Un incubo?” chiese di nuovo.
“No, è solo che…” si interruppe,
cercando le parole giuste. “Non sogno molto spesso…”
Il rossore che le invase le guance demolì quella già poco
convincente scusa. Il Fourth Children continuava a non capire. “E’ per questo che ti sei così agitata?” azzardò. “Perché di
solito non sogni e questa volta hai fatto un sogno…”
“… strano,” completò lei, senza
guardarlo in volto.
Non ancora del tutto convinto, Gabriel sospirò, rassegnato
ma sorridente. “L’importante è che ora tu stia bene.”
La ragazza annuì, rassicurata a sua volta. “Sì… E’ passato
ora. Grazie.”
“E di cosa?”
Rei lo abbracciò, sorridendo, e
lasciando da parte l’inquietudine che quel sogno le aveva instillato. “Di
essere qui con me.”
Anche Gabriel la abbracciò e le
diede un lieve bacio sulle labbra. “Sono io che devo ringraziare te.”
Poi gli occhi di Gabriel si posarono sul pavimento, dove un
raggio di sole disegnava le loro ombre abbracciate. Aveva creduto che fosse
ancora notte, invece il sole era già sorto. Guardò, sul comodino alle spalle di
Rei, la sveglia. Si stupì nel vedere che segnava già le 11.48.
Attraverso le pareti, risuonò il grido di Asuka.
La Second Children Asuka Soryu Langley aveva gettato
l’appartamento del Maggiore Katsuragi nello scompiglio. Dopo quell’urlo di puro
terrore la rossa era uscita in fretta e furiadalla sua camera ancora in maglietta e
shorts rosa, i capelli scomposti in numerosi ciuffi
disordinati. Contemporaneamente a lei, si erano affacciati dalle rispettive
camere anche Misato e Satoshi, la cui stanza era un po’ più distante da quelle
dei ragazzi, e uno Shinji terrorizzato in calzoncini e canottiera che guardò la
porta accanto alla propria.
“ASUKA, CHE SUCCED…” Non ebbe tempo di finire la frase che
la ragazza lo aveva afferrato per un braccio e lo stava letteralmente
trascinando fuori dalla stanza.
“MUOVITI SIAMO IN RITARDO, MUOVITI, MUOVITI!!”
“Asuka…sono in canottiera…!! In
ritardo per cosa??”
“COME PER COSA??? DOBBIAMO ANDARE A
SCUOLA ED E’ GIA’ QUASI MEZZOGGIORNO!!”
“COSA??”
“ESATTO! QUINDI MUOVITI!!”
“MA SE NON MI LASCI COME FACCIO A VESTIRMI!?
NON POSSO VENIRE DI CERTO A SCUOLA COSI’!! E ANCHE TU
SEI ANCORA IN TENUTA DA CASA!!”
“E’ VERO! ALLORA FILA A VESTIRTI!!”
ne convenne agitatissima la ragazza, spingendo con forza il Third Children
nella sua camera e chiudendogli senza molto garbo la porta in faccia.
In quel momento sopraggiunsero di corsa anche i due adulti,
ancora in pigiama, quello di lei celeste chiaro quello di lui blu scuro.
All’urlo della ragazza si erano risvegliati di colpo e prontamente si erano
gettati fuori dalla stanza, per vedere cos’era successo.
Nel vederli ancora in tale abbigliamento, la Second Children lanciò un ulteriore grido di sconforto.
“Asuka!! Ma si può sapere che hai
da urlare tanto!” esclamò Misato tentando di placare la ragazza.
“E ME LO CHIEDI, MISATO?? E’ PRATICAMENTE
MEZZOGGIORNO E NOI SIAMO ANCORA QUI E VOI SIETE ANCORA IN PIGIAMA!! MA NON L’HAI SENTITA LA SVEGLIA!?”
“Ah...ehm…si l’ho sentita, ma…”
cominciò il Maggiore con un sorriso imbarazzato
“MA COSA??E’
TARDI, NON ABBIAMO FATTO COLAZIONE, NON SIAMO ANCORA PRONTI, NON…”
“Asuka, calmati!” la interruppe Satoshi. “E’ tutto sotto
controllo. Abbiamo deciso di lasciarvi riposare, oggi è
vacanza. Per tutti.”
Asuka lo guardò come se non avesse capito bene sbattendo più
volte le palpebre. In quel momentola porta della camera di Shinji si
aprì ed il ragazzo, leggermente spettinato e in divisa scolastica, né uscì in
tutta fretta giusto per udire le parole dell’Agente.
“Cosa? Ma…perché non ci avete
avvisato?” Chiese confuso mentre allentava la presa
sulla cartella.
“Beh…” cominciò Misato sorridendo “…abbiamo preferito non
svegliarvi e farvi riposare.”
“Si, però così ci avete fatto prendere un colpo…” si lamentò
la rossa sospirandodi
sollievo, subito imitata dal Third Children.
“Hai ragione, Asuka, però siamo pronti a farci perdonare per
questo risveglio brusco.”proseguì
il Maggiore rivolgendo un sorriso dolce all’uomo che le sorrise di rimando.
La Second Children osservò alternativamente i due adulti con
aria interrogativa.
“Che cosa avete escogitato?” chiese curiosa.
Misato e Satoshi tornarono a rivolgersi ai due ragazzi
sorridendo lievemente.
“Abbiamo deciso di trascorrere l’intero weekend
alle Terme di Yamasaka. Ci sembrava una buona idea per
festeggiare la vittoria e prenderci una piccola vacanza da trascorrere tutti
insieme… come una famiglia. Che ne dite?” spiegò l’uomo senza perdere il suo
sorriso quieto mentre Misato aveva preso a guardarlo
con occhi sognanti.
I due Children li osservarono, quindi si guardarono tra di loro ed esplosero in un grido di giubilo.
“Credo che abbiano accettato…” Rispose Misato per loro,
divertita, mentre li osservava dilungarsi in un lungo e velocissimo discorso
entusiasta sulle cose da portare con loro.
Ultimamente i loro rapporti sono molto
più distesi rispetto all’inizio. Chissà che anche tra loro non ci sia
del tenero… Sarebbe davvero una notizia splendida, sembrano
così sereni…
Almeno quanto lo sono io ora. Grazie a te,
Satoshi.
“Ora resta solo da dirlo a Gabriel e Rei.”
Disse l’Agente.
“Già, è vero!” Annuì la donna riscuotendosi dai suoi
pensieri “…che stiano ancora dormendo?”
Terminò appena la frase che un lungo trillo di campanello
interruppe ilchiacchierare
dei ragazzi e fece sobbalzare quasi i due adulti.
Il gruppo si spostò in blocco verso la porta d’ingresso e
quando Satoshi la aprì si trovarono davanti due trafelati Gabriel e Rei che si
erano preparati in fretta e furia e versavano quasi nelle stesse condizioni di Asuka e Shinji.
Misato esitò un po’ prima di parlare. Rivedendo Gabriel le
tornarono alla mente gli avvenimenti del giorno precedente e non seppe cosa
dire. Notando la sua difficoltà, Satoshi fece un passo
avanti.“Ehm… salve ragazzi…”
I due nuovi arrivati guardarono gli altri con immane
stupore.
“Ma…” iniziò Gabriel, cercando di
riprendere fiato. “Come… mai non siete ancora… pronti?”
“State calmi ragazzi, è tutto sotto controllo,” disse Asuka sorridendo boriosa. “Siamo in vacanza.”
La First ed il Fourth Children scrutarono
uno a uno i volti dei loro interlocutori, ma non sembrarono capire. Forse erano
ancora troppo agitati per connettere quelle parole al
loro significato. Fu di nuovo Satoshi a intervenire e
a chiarire la questione. “Io e Misato abbiamo deciso
che ci meritiamo tutti una bella vacanza. Non vi preoccupate
per la scuola, ci penseremo noi. Nemmeno tu, Rei. Abbiamo già parlato
con chi di dovere. Pensavamo di andare alle Terme di Yamasaka per trascorrervi
il weekend.”
Quel fiume di parole ininterrotto ebbe l’effetto di calmare
i due Children. “Allora,” iniziò Gabriel, il cui fiatone
si stava placando, “non dobbiamo andare a scuola, oggi?”
“Esatto,” confermò Asuka,
mostrandogli il pollice alzato. “Quindi tornate di là
e preparatevi per uscire. E tu Rei…” La rossa si
bloccò. La sua collega, che lei ricordasse, non aveva portato con se alcun
cambio.
“La accompagno io a casa per cambiarsi,”
propose Misato, sorridendo alla First Children, ancora piuttosto sorpresa.
“Perfetto, allora tutti sappiamo
cosa fare. Bene, facciamolo!” sentenziò la Second Children, entusiasta all’idea
di andare alle terme, e se ne andò in camera sua.
Dalla cucina emerse PenPen: fra le ali teneva una ciotola, sul cui fianco campeggiava la scritta ‘pasto d’emergenza di PenPen’. Si trattava di ciò che Misato teneva sempre
pronto, ossia una specie di barrette di merluzzo essiccato che potevano essere
lasciate all’aperto senza andare a male, ovviamente rispettando i limiti di
scadenza indicati sull’etichetta della busta che li conteneva e che ne
costituiva la confezione, (controllando sempre, quando faceva tardi, che il
pinguino non avesse già spazzolato tutto e riempiendola di nuovo nel caso fosse
stata svuotata) nel caso lei o gli altri occupanti
della casa dormissero fino a tardi e non potessero servirgli nulla di fresco.
Però il pinguino non amava molto quel cibo, infatti
appena aveva sentito del movimento era subito uscito dalla cucina, chiedendo a
gran voce che la sua fame fosse soddisfatta secondo i suoi gusti.
“Arrivo,” fece Shinji dopo
l’ennesimo verso di protesta dell’animale, e si diresse con lui in cucina. Ora
che la situazione si era stabilizzata, l’atmosfera diventò pesante di colpo.
Misato e Gabriel evitavano di guardarsi negli occhi.
Per la terza volta quella giornata, Satoshi intervenne.
“Rei, comincia ad andare in casa a sistemarti con più calma.” La First Children annuì.L’Agente si volse quindi verso la sua
compagna poggiandole una mano sulla spalla per incoraggiarla. Ora veniva la
parte più difficile: quella delle scuse. “Quando avrai finito
vienimi pure ad avvertire. Io torno in camera.” Le disse. Misato gli rivolse
uno sguardo annuendo a sua volta.
Rei diede un ultimo sguardo a
Gabriel, che però teneva ostinatamente lo sguardo basso. Comprendendone bene il
motivo, la ragazza salutò e tornò in casa, mentre Satoshi si avviava verso la
camera da letto. Il silenzio che si era creato era ancora più pesante ora, e
non c’era nessun Agente della Nerv a romperlo.
“Gabriel, io…” azzardò Misato, ma fu subito interrotta.
“Le chiedo scusa, Maggiore,” disse
il Fourth Children, le mani chiuse a pugno e l’espressione seria sul volto
chino. “Le chiedo di scusarmi per ciò che è accaduto ieri. Non avrei dovuto
aggredirla come invece ho fatto, e mi rendo conto di non avere scusanti valide.”
Dopo alcuni secondi di silenzio, Misato sorrise. “Gabriel,
anche io ho sbagliato ieri. Purtroppo, simili errori di valutazione possono
capitare. Dopotutto siamo umani.”
Quelle parole comprensive rasserenarono il ragazzo, che
finalmente sollevò gli occhi e sorrise di rimando alla donna. “Allora è tutto a
posto?”
L’altra annuì. “Se per te va bene,
sì, Gabriel.”
“Allora è tutto a posto,” concluse
lui con un sospiro di sollievo.
“Vieni,” propose lei facendogli
cenno di entrare. “Mentre aspettiamo che Rei si faccia bella preparo la
colazione anche a lei.”
Il Fourth Children arrossì a quell’uscita, ma assentì e si
diresse verso la cucina.
Quando Rei entrò nell’appartamento
di Gabriel e Satoshi, dedicò in realtà pochissimo tempo alla cura della propria
persona, poiché, ora che la tensione per il ritardo scolastico era sparita, le
era tornata tutta l’angoscia per quel sogno.
Mio Dio, ma cos’è stato in
realtà??
Non mi era mai capitato nulla del genere!
Che sia qualcosa legato agli Angeli?
Oppure un mio… malfunzionamento?
Non c’è che una sola risposta a queste domande…
Senza perdere tempo, serrò la porta in modo da accorgersi quando qualcuno fosse entrato, e prese il
cellulare, digitando rapidamente un numero.
Ritsuko aveva appena finito di mangiare un tramezzino e si
stava gustando un caffè quando il suo telefono suonò
nuovamente.
“Pronto?” rispose soprappensiero, senza nemmeno guardare di
chi fosse il numero.
“Dottoressa?”
“Ah, Rei, buon giorno. Se mi hai chiamato per avere conferma sull'orario dei test...”
“No, Dottoressa,” rispose la ragazza, categorica.
“Devo parlarle.”
“Che succede?” chiese la donna
subito preoccupata, posando sulla scrivania la tazza di caffè.
“Preferirei parlargliene di persona.”
“Qualche problema con Gabriel? Ti ha ferito? Eh, so come ci
si sente…”
“MA COS’HA CAPITO??”
Un po’ interdetta dal tono aggressivo improvvisamente
assunto dalla First Children, Ritsuko si schiarì la
voce. “Ehm… Devo aver capito male.”
“In effetti è così,” disse Rei,
glaciale.
“Allora, se proprio non vuoi parlarne al telefono, vieni
pure qui quando vuoi, d’accordo?”
“Sì. A più tardi, Dottoressa.”
“A dopo.”
La scienziata chiuse la comunicazione e guardò il foglio
davanti a lei. Vi era disegnato un progetto tutto scarabocchiato, uno schema
appena accennato, in cui però si poteva distinguere le linee di un’entry plug, che però era dotata
di due posti, uno dietro l’altro. In cima al foglio c’era la scritta ‘Double Plug, progetto preliminare’.
Sorrise.
Magari, visto che le cose tra loro vanno bene, questo
progetto potrebbe anche funzionare…
Cos'è stato?
Un sogno?
Solo un sogno?
…
Quello era un sogno?
Non ho mai fatto un sogno del genere.
A dire il vero, raramente ho sognato, in vita mia.
Non ho mai avuto molto di cui sognare. A parte quel sogno bellissimo sulle note della sua musica.
E questa volta è uscita questa...
Cosa.
Mi batte ancora il cuore.
Forte, molto forte.
Era la cosa più strana che abbia mai
immaginato.
Ed anche la più...
Emozionante.
Quel sogno con Gabriel...
Era ciò che succederà realmente
tra me e lui??
Il pensiero mi sconcerta.
Così lontano da ciò che ho sempre immaginato su di me…
Eppure così desiderabile…
Ritsuko sentì bussare alla porta dell’infermeria.
Dev’essere Rei. Chissà per quale motivo ha chiesto di
essere ricevuta ora che, grazie a Misato, può considerarsi in vacanza…
“Avanti,” disse, pronta ad
accoglierla con un sorriso.
Ma la ragazza che apparve sulla soglia non sembrava la solita Rei. L’uniforme della scuola sembrava essere stata
indossata in tutta fretta, e pareva troppo agitata perché non fosse successo
nulla di particolare. Subito il suo sguardo nervoso andò a puntarsi sulla
Dottoressa Akagi. Il sorriso di questa le morì sulle labbra.
“Dottoressa,” proferì la ragazza
con tono serio, restando sulla soglia. “Devo parlarle.”
“Ah…” disse la donna, vagamente a disagio. “Sì… Questo me
l’hai già detto al telefono… Prego, siediti pure.”
Attese che lei avesse preso posto
su una delle sedie davanti alla scrivania, poi andò a controllare che la porta
fosse ben chiusa. “Ti senti bene? Hai bisogno di qualcosa?”
disse intanto. Rei scosse il capo.
“No, grazie.”
Non mi ha detto se sta bene o meno…
Strano, di solito se glielo chiedo me lo dice subito.
Ritsuko tornò verso la scrivania, prendendo da un mobile un
fascicolo di documenti sui tassi di sincronia per riporlo in uno dei cassetti del tavolo. “Allora, dimmi tutto,”
sorrise infine, cercando di sembrare affabile nonostante l’inquietudine.
“Sì…” iniziò Rei, che aveva chinato
gli occhi scattanti e si torceva il bordo dell’uniforme con le mani. “Dunque… Io… ho fatto… un… sogno…”
La donna la fissò a bocca aperta per un attimo.
E’ in grado di sognare?? Non lo
credevo possibile, non mi aveva mai riferito nessuna esperienza
onirica prima d’ora…
“Beh,” disse quando si fu ripresa,
“è normale, Rei. E’ perfettamente normale, segno di un buon funzionamento
mentale.”
“Sì,” assentì l’altra, vagamente. Ritsuko
capì che c’era dell’altro. Deglutì e scartabellò più rapidamente il fascicolo.
“Probabilmente non ne abbiamo mai
parlato, ma, seppure tu non ricordi altri sogni, ciò non vuol dire che non ne
abbia mai fatti. E se questo che ti turba tanto è stato un
incubo…”
“No, nessun incubo,” la interruppe
Rei all’improvviso. “Non era un incubo…”
La Dottoressa Akagi cominciava a trovare quella
conversazione logorante.
Dovrebbe dirmi chiaramente le cose, in fondo, oltre ad
essere una scienziata, sono anche il suo medico, e sono
soggetta al segreto professionale…
Poi che abbia un’indole pettegola con Misato, anche se
mai su queste cose…
O che debba riferire quasi tutto quello che Rei mi dice in
confidenza al Comandante Ikari…
Beh, tutto questo non c’entra!
“Rei,” riprese la donna portandosi
dietro la scrivania, di fronte alla First Children. “Puoi parlarmene se vuoi.”
Questa volta fu la ragazza a deglutire più volte.
Il punto è che non sono più molto sicura di volerne
parlare con lei! Però in fin dei conti, con chi potrei
parlarne?
E’ inutile: devo per forza farmi
coraggio…
“Va bene,” accettò infine, e
sospirò. “Questa notte non ho dormito a casa mia…”
“Lo so, il Maggiore Katsuragi mi ha informata
che hai preferito andare da lei.”
“Sì, ma… ho dormito… in casa di Gabriel.”
La Dottoressa sollevò un sopracciglio. “Ah…”
“Ed eravamo da soli.”
La Dottoressa sollevò l’altro sopracciglio, assumendo
un’espressione sorpresa.
Ho un gran brutto presentimento…
“E… quindi?”
“E… l’ho sognato.”
Ritsuko finalmente riuscì ad emettere un sospiro
di sollievo. “Rei, puoi stare tranquilla. E’ normale per una ragazza
della tua età sognare il proprio fidanzato!”
… Anche se riguardo a te qualche riserva l’avrei…
“Per cui è successo ciò che era normale che succedesse.”
“Era nudo. E adulto. E anch’io lo
ero… sia l’una che l’altra cosa.”
Il sorriso di Ritsuko si gelò sulle sue labbra.
Ho di sicuro capito male. Non c’è altra spiegazione.
“Scusa, non… credo di non aver capito bene,”
disse la donna dopo alcuni interminabili secondi, il sorriso ancora
fossilizzato.
“Eravamo nudi, e adulti. E facevamo… Cioè,
il sogno finiva con noi che… stavamo per…”
Rei trasse un profondo sospiro e
chiuse gli occhi, arrossendo veementemente. “… cominciare.”
Il fascicolo che Ritsuko aveva in mano stava per caderle, a mala pena trattenuto dalle dita diventate all’improvviso
insensibili. Guardò la First Children come se la
vedesse per la prima volta e fosse stupita dallo strano colore dei suoi occhi e
dei suoi capelli. Poi, convinta di fare la cosa migliore, piegò le gambe per
sedersi, non ricordandosi di non avere alcuna sedia sotto di sé.
Cadde rumorosamente al suolo, spargendo i fogli del suo
dossier tutto attorno, lo sguardo, attraverso il vuoto della scrivania, sempre fisso su Rei, che aprì improvvisamente
gli occhi, allarmata dal rumore. Era ancora avvampata
all’inverosimile. Fece per aprire bocca, ma la donna saltò subito in piedi,
interrompendola.
“COSA??” sbottò, le palpebre
serrate in due fessure. Rei sobbalzò sulla sedia.
“Dottoressa…” Cominciò la ragazza con preoccupazione
evidente.
“REI…!!” Ritsuko si bloccò di colpo,
rendendosi conto che usare un tono così brusco avrebbe probabilmente solo
peggiorato le cose e messo ancor più a disagio la ragazza che la stava
osservando con un’espressione a dir poco disperata. Sospirando pesantemente
Ritsuko guardò dietro di se, avvicinò la sedia che poco prima aveva mancato e
vi si sedette appoggiando i gomiti sulla scrivania. Si prese la testa tra le
mani e fissò la superficie del tavolo.
Tutto questo deve essere un sogno! Ma
certo! Che stupida! Non può essere altro che un sogno!
Non c’è nessun’altra spiegazione plausibile! Adesso si spiega tutto! Adesso
suonerà la sveglia, saranno le 6:30, mi alzerò,
controllerò la mia cartella, uscirò dal mio appartamento, farò colazione al bar
sotto casa, prenderò la metropolitana, arriverò all’Università, darò l’ennesimo
esame col massimo dei voti, starò a sentire tutte le chiacchiere di Misato in
mensa ed infine, premonitore o meno che sia questo sogno, mi terrò bene alla
larga dalla Nerv, da mia madre, dal Comandante Ikari, dagli Evangelion E DA UNA
RAGAZZA DI 14 ANNI CHE HA LE CARATTERISTICHE CHE HA, UNA RAGAZZACHE FINO A POCO TEMPO FA SAPEVA DIRE AL
MASSIMO SI E NO, E CHE ORA MI VIENE A RACCONTARE DI AVER PRATICAMENTE FATTO UN
SOGNO EROTICO COL RISCHIO CHE SE IL COMANDANTE IKARI LO VIENE A SAPERE
SOSTITUISCE LEI E PER QUANTO RIGUARDA ME FAREI BENE A SPARIRE SEDUTA STANTE
DALLA CIRCOLAZIONE!! O IMPICCARMI LEGANDO LA CORDASU UNA SPORGENZA DI MELCHIOR!! NON
SARO’ UNA MADRE, MA SONO UNA SCIENZIATA, SONO ANCHE UNA DONNA, E QUESTO NON MI
IMPEDISCE DI AVERE CON TUTTO IL MIO SACROSANTO DIRITTO UN ESAURIMENTO NERVOSO!!!
“Dottoressa Akagi…” la voce quasi tremante di Rei la riportò
alla dura realtà.
La scienziata alzò di nuovo lo sguardo sulla ragazza.
“E’…è una cosa grave?” domandò quest’ultima stringendo con
forza i pugni.
D’accordo. Questo non è un sogno. E’ la mia vita. Ed è anche un incubo. Almeno in questo momento lo è di
sicuro. Semplice. Calmati, Ritsuko. Cerchiamo di risolvere questa questione.
La bionda sospirò di nuovo, quindi si
appoggiò allo schienale iniziando a frugare nelle tasche del camice,
tirandone fuori un pacchetto di sigarette ed un accendino.
“No, Rei, no…” cominciò con voce ancora leggermente scossa
dallo shock subito mentre apriva velocemente il
pacchetto “…non è una cosa grave. E’ una cosa del tutto
normale, puoi stare tranquilla. Solo…” estrasse una sigaretta e fece per
portarla alle labbraper
poi subito ricordarsi che Infermeria era vietato fumare. Con desolazione si
limitò a rigirarsela nervosamente tra le dita mentre
la First Children attendeva con ansia il termine del verdetto “…non me lo
aspettavo. Ma è normale per una ragazza della tua età,
come ti ho già detto. E’ perfettamente normale…” A quelle
parole Rei sospirò con evidente sollievo. Al contrario di Ritsuko.
Perfettamente normale per chiunque non sia tu, Rei!
Misato aveva ragione, ho bisogno
di una vacanza. Una lunga vacanza possibilmente. Qui lascio tutto nelle mani di
Maya ed io vadoin
campagna.Così vado a trovare la nonna.
E anche la tomba di mia madre e già che ci sono le chiedo anche cosa diavolo
non funziona nel nostro cervello per riuscire a stare con uno
come il Comandante Ikari e per lasciarci coinvolgere in queste situazioni
assurde. Si, forse farei prima a chiederlo a Caspar ma
non posso disturbare uno dei Super Computer del Magi System solo perché madre e
figlia, l’una era, l’altra è, unagrandissima cretina.
In ogni caso, non è questo il problema adesso.
“Vedi, Rei…” ricominciò la scienziata continuando a
tormentare la sigaretta “…quello che hai avuto viene
definito ‘sogno erotico’ e, ti ripeto, è perfettamente naturale per una persona
innamorata, quindi non hai di che preoccuparti.”
Ma io si!! Altrochè se ho di che
preoccuparmi!! No, questo Il
Comandante Ikari non lo verrà MAI a sapere!! Mai!!
“Dice davvero, Dottoressa?”
“Si. Te lo garantisco.”
All’aria di sollievo della First
Children non corrispose un’analoga espressione da parte di Ritsuko che
continuava a picchiettare con la punta della sigaretta contro il bordo della
scrivania.
“Però, Rei…” riprese la bionda con fare nervoso, “tu
quelle cose... uhm...”
Ora devo solo trovare un modo carino che non coinvolga api e fiori per dirle di non andare a letto col
suo ragazzo...
La ragazza la stava guardando interrogativa e lei cominciò a
sudare freddo.
“Vedi… C’è un tempo e un modo… per certe cose… Anche se è
più un tempo che un modo…”
Lo sguardo di Rei, sollevato, ora era interdetto dalle sue
parole, come se non ne avesse capito il senso. In
effetti, ripensandoci, la stessa Ritsuko non ne aveva
capito molto. Si umettò le labbra e con gesto abituale schiacciò la sigaretta
in un porta documenti, accorgendosi solo dopo che non
l’aveva neppure accesa.
Di bene in meglio. Così ho sprecato sette yen di tabacco
al 98%. Il che vuol dire dai venti ai quaranta minuti di
fumata. Il che a sua volta implica dover uscire a
prendere le sigarette prima del previsto, in un orario non consono. A lungo andare questo potrebbe portare uno sfasamento nei
miei ritmi con conseguenti effetti nelle mie relazioni personali e un calo
delle mie prestazioni lavorative! E se questo succederà
potrei non essere in grado di adempiere ai miei ruoli e come conseguenza di ciò
permettere che accada il Third Impact!!
…
MA COSA VADO A PENSARE IN UN MOMENTO DEL GENERE???
Rei osservò il susseguirsi delle
espressioni infastidite, preoccupate e decisamente impaurite con crescente
apprensione.
“Dottoressa…?”
“Sì?” disse l’interpellata, tornata in un istante a
sorridere. “Ah sì, ti stavo dicendo delle api e dei fiori. Anzi no!” scosse decisamente la testa, come a scacciare le sue ultime parole
dalla stanza. “Ti stavo dicendo… che certe cose… bisogna
aspettare prima di farle… mi capisci?”
La ragazza trasformò l’espressione smarrita con cui aveva accolto
le sue prime parole in una più risoluta e annuì. “Credo di sì…”
“Bene,” riprese Ritsuko,
compiaciuta e apparentemente dimentica di quanto successo poco prima. “Quindi… ehm…” Di nuovo nei suoi occhi aleggiò il panico. Le
sue mani rapidamente andarono a cercare il pacchetto di sigarette,
ma questa volta non ne estrasse nessuna.
Calma, Ritsuko. Stai calma. Una situazione del genere non
era prevista ma tu sarai perfettamente in grado di
tenerle testa.
“Quindi, Rei…” Fece un gran sospiro
e prese il coraggio a quattro mani. “Se vuoi baciare
il tuo ragazzo sulle labbra o sul volto, puoi farlo. Se vuoi
abbracciarlo, puoi farlo. Se vuoi prendergli la mano, puoi farlo.
Ma il resto… no. E’ troppo presto.”
A quelle parole la First Children
avvampò tanto da non sembrare più nemmeno lei. Si mosse sulla sedia,
boccheggiando. Quando finalmente ebbe ritrovato l’uso della parola
apostrofò la Dottoressa Akagi. “D-dottoressa!!”
“Vedi, si tratta anche di questioni di sicurezza…”
proseguì la donna, troppo sconvolta per badare alla
reazione di Rei “…siete giovani ed è facile che vi lasciate trasportare
troppo... E ciò potrebbe portare a situazioni, conseguenze, impreviste… se
capisci cosa intendo.”
La ragazza esitò prima di rispondere. “Conseguenze?” ripeté
infine. Ritsuko sollevò un sopracciglio, celando un rimprovero verso se stessa.
“Sì… Insomma… conseguenze di tipo… fisiologico…”
Lo sguardo dell’altra era sempre più smarrito. Sospirando, la Dottoressa decise di precisare, nonostante il timore
di ciò che avrebbe potuto scatenare. “Mi riferisco all’eventualità di…
una… gravidanza…”
Rei saltò in piedi, completamente
rossa in volto. “Ma che discorsi fa, Dottoressa!!”
“Penso solo ad ogni evenienza!” disse l’altra, cercando di
mantenere tutta la calma che invece la sua interlocutrice aveva perduto. Questa
drizzò la schiena.
“Non ne abbiamo mai nemmeno parlato
io e lui! E poi… io non so se posso avere figli!”
Ansimò per alcuni secondi, poi tornò
ad osservare la donna con aria inquisitrice. “A proposito, Dottoressa, io posso
avere figli?”
Ritsuko impallidì.
Non avevo proprio altro da fare che accennarle
quest’argomento??
“Beh…” cominciò titubante. “Non… non lo so…
dovrei chiederlo al Comandante Ikari…”
Tutto d’un tratto Rei si incupì.
Tornò lentamente a sedersi, chinando gli occhi. “Mi sta dicendo
che non posso avere… una vita normale?”
“Non ho detto questo!” si affrettò a negare Ritsuko, tornata
calma.
Però è la verità: tu non sei nata per avere una vita normale.
“Su quest’argomento però devo chiedere delucidazioni al
Comandante, capisci?”
La ragazza annuì, con tristezza. “Sì, capisco.”
Effettivamente era vero. L'unico a conoscere i dettagli su quella questione era proprio Gendo.
Mi rendo conto che è un’ingiustizia per te questa.
Tuttavia…
“… tuttavia sono ottimista a riguardo,”
disse la donna che si affrettò a specificare “In fondo il tuo organismo segue
un ciclo mestruale che non ha nulla di dissimile da quello di una comune
adolescente.”Rei sollevò
subito su di lei uno sguardo speranzoso.
Però nonostante la regolarità del ciclo,questa non è una
garanzia…
Ritsuko si costrinse a sorridere. “Tuttavia, per averne la
certezza se vuoi chiederò al Comandante.”
La First Children la guardò
trepidante, sicché la Dottoressa non poté più tirarsi indietro. “Ora non è
reperibile, ma non appena riuscirò a mettermi in contatto con lui gliene
parlerò. Promesso. Però non ti preoccupare. Credo
proprio che non ci siano problemi.”
Rei sorrise, sollevata.
In realtà non era del tutto vero quello che aveva detto
sulla reperibilità del Comandante. Il Comandante Ikari era coinvolto in una
missione estremamente importante, i cui dettagli erano
noti solo a lui e al suo vice, ma a lei aveva la possibilità di contattarlo in
caso di emergenza, come già aveva fatto durante l’attacco dell’Angelo. Sapeva
solo che si trovava in ciò che rimaneva del Polo Sud, sebbene non le fosse
permesso divulgare quella notizia a nessuno.
“Però,” precisò Ritsuko, alzando
una mano. “Non fare progetti… a breve termine…
intesi?”
La ragazza annuì, sempre sorridendo: sembrava quasi che
nessuna notizia potesse smuoverla dal suo attuale stato di felicità. Alla
Dottoressa Akagi non sembrava possibile che fosse la stessa persona a cui fino
a pochi mesi prima non era possibile strappare nemmeno l’ombra di un sorriso.
E’ proprio il caso di dire ‘una
nuova Rei’…
Il Comandante Ikari vorrà la mia testa!
La sua prossima
domanda quale sarà?? Come si fa a baciare alla
francese??
Rei, ti prego, datti una controllata…altrimenti entrambe faremo una pessima fine, te lo assicuro…
In quel momento un discreto bussare fece sobbalzare la
scienziata.
“Chi è?” chiese recuperandoun tono neutro ma da cui trapelava una
spossatezza immane.
“Ritsuko, sono io, posso entrare?”
“Si, Misato, entra pure…” Sospirò la bionda
mentre la sua amica faceva il suo ingresso con un sorriso.
“Allora, tutto posto?” Chiese Misato allegra
guardando alternativamente Rei, che annuì appena con
un sorriso, e Ritsuko la cui espressione non si capiva se fosse più sconvolta o
esasperata. Il Maggiore aveva accompagnato la First Children alla Base della
Nerv, dopo averla ricondotta al suo appartamento (dove Rei aveva provveduto a cambiare uniforme e a prendere un piccolo
cambio di biancheria da portare alle Terme, mentre il Maggiore attendeva in
auto), su sua esplicita richiesta (mentre Gabriel, seppure avesse voluto
accompagnarla, era dovuto restare a casa per preparare il proprio bagaglio). Ed in fondo anche Misato doveva parlare con Ritsuko.
“Si, tutto a posto, Misato…” Si limitò a rispondere
incrociando le braccia sulla scrivania.
Il Maggiore Katsuragi la guardò sorpresa
notando le carte del dossier ancora sparse per terra. Perplessa inarcò un
sopracciglio. “Ma cos’è successo?”
“Nulla, sono scivolata e mi è caduta una cartella …le raccoglierò
dopo. Bene, Rei…” la scienziata si alzò dalla sedia ma sempre poggiandosi alla
superficie del tavolo. Si sforzò di sorridere. “…se
non c’è altro…”
E mi auguro proprio di no. Anche la mia resistenza ha un
limite.
“…puoi andare. Misato
ti accompagnerà a casa.”
“Casa?” Si intromise l’altra donna.
“Ehm…veramente, Ri chan…” continuò con un sorriso imbarazzato, timorosa di
riceversi una delle strigliate coi fiocchi da parte
dell’amica “…pesavamo di fare un weekend alle Terme di Yamasaka. Dai in fondo ce lo meritiamo…non credi? Anzi, perché non vieni anche tu?
Davvero, hai un’aria molto spossata…”
Ritsuko guardò inespressivamente Misato, poi Rei che si era
avviata alla porta, poi ancora Misato.
In effetti non sarebbe una cattiva idea…
In questo modo potrei distendere i nervi e tenere Rei
d’occhio.
“Si, potrebbe essere un’idea, Misato.”
“Splendido! Vedrai che ci divertiremo! Dico bene, Rei?”
La First Children osservò per
qualche istante il Maggiore, con aria interrogativa. “Intende tutti quanti?”
“Sì!” esclamò il Maggiore, battendo le mani. “Proprio
tutti!”
A quelle parole Rei si incupì
leggermente. “Qualcuno dovrebbe rimanere qui, nel caso attacchi un Angelo…”
Misato rimase interdetta. Era un’eventualità cui non aveva
pensato. Guardò Ritsuko, supplichevole, come se l’altra donna potesse conoscere
la soluzione al problema. Anche gli occhi di Rei si
posarono su di lei, e celavano la muta speranza che potesse concederle il
permesso di andare.
No eh… Non guardatemi così, non sono io che decido quando attaccano gli Angeli… Con il Comandante
assente non posso prendermi la responsabilità di lasciare sguarnita la Base.
Però…
Accidenti, la prospettiva è allettante, specialmente dopo
oggi… uff…
“In fondo,” cominciò a dire
Ritsuko, sospirando, “le Terme di Yamasaka non sono molto distanti da Neo
Tokio-3. In caso di necessità potremo tornare indietro abbastanza rapidamente.”
“EVVAI!” esultò Misato, saltellando su un solo piede. La First Children gettò alla scienziata un sorriso di
gratitudine e questa annuì in silenzio, troppo spossata per ribattere. Si
staccò dalla scrivania anzi e si piegò a raccogliere i fogli precedentemente
caduti.
“A che ora è prevista la partenza?” chiese
mentre era ancora chinata.
“Pensavamo per le sei,” rispose
Misato.
Ritsuko parve ragionare alcuni istanti. “Con quale mezzo
pensi di andare?”
“Avevamo intenzione di prendere la mia macchina,
ma dato che vieni anche tu Satoshi potrà benissimo seguirci in moto.”
“Perfetto allora,” concluse
Ritsuko, tornando finalmente a sedere alla sua scrivania, apparentemente
dimentica della rivelazione di Rei di poco prima.“Mi farò trovare pronta per
quell’ora davanti all’Ingresso al Geo-Front.”
“Ma se vuoi posso passare a prenderti a casa tua, so dove
abiti.”
“Ho molte faccende da sbrigare qui, prima di partire. E non
lo sai, ma qui al Quartier Generale ho una specie di appartamento,
che mi permette di risiedere a meno di duecento metri dal mio posto di lavoro,
in caso di emergenza.”
E mi ha permesso anche ben altro…
“Ci farò un salto appena
avrò finito qui, così mi potrò preparare in modo adatto.”
“Ah, bene allora!”
“Dunque, Misato, se non c'è altro allora, ci vediamo
più tardi.”
“Ah…ehm...veramente avrei bisogno
di un piccolo favore... Rei, puoi aspettarmi accanto alla macchina?”
La ragazza, solo vagamente incuriosita, annuì, salutò
Ritsuko, e si avviò fuori dall’infermeria.
Misato, lievemente arrossita, chiuse la porta e tornò a fronteggiare l’amica, che intanto sembrava aver
riassunto l’abituale sangue freddo, mentre prima, per tutta la conversazione,
aveva mantenuto un’aria tra il turbato e l’esasperato.
“Cosa ti serve, Misato?” chiese,
appoggiandosi comodamente allo schienale e socchiudendo gli occhi stancamente.
“Ecco…” Il Maggiore trasse un foglio dalla tasca, lo aprì e
lo appoggiò sulla scrivania, davanti al volto dell’amica. “Metti una firma qui, e non leggere e non dire nulla.”
Piuttosto stupita dal tono perentorio dell’amica, Ritsuko
scrutò il foglio, incurante delle sue proteste. Subito le sue sopracciglia si
aggrottarono.
“Misato…” disse, sventolandole davanti il pezzo di carta. “…se proprio vuoi che ti firmi una prescrizione, il foglio su
cui va scritto il nome del medicinale è quello che porta stampato il mio nome,
la sede del mio laboratorio, ed il mio titolo di Dottoressa. In più queste sono
fuori produzione ormai…”
L’interpellata arrossì. “Uffa, hai ragione, avevo dimenticato la questione del foglio. Però per il medicinale, sono quelle…” tacque e abbassò la
voce, riducendola ad un sussurro. “…sono quelle che usavo
otto anni fa!”
“Otto anni fa la casa farmaceutica che le produceva non era
ancora fallita…” Sospirò. “Va bene. Prendi queste.”
Scribacchiò un nome su un foglio di carta adeguato e lo
restituì all’altra donna, che lo arraffò, gli diede una rapida occhiata e se lo
ficcò in tasca, con un sorriso imbarazzato.
“Grazie, Ritsuko.”
“Non c’è di che.”
La scienziata guardò l’amica allontanarsi furtiva
dall’infermeria, dimenticandosi di chiudere la porta alle proprie spalle, con
un sorriso divertito.
E così il loro rapporto si è già evoluto fino a quel
punto… Beh, dopotutto è passato già un po’ di tempo da quando
si sono ufficialmente messi insieme. E mi sento pure
più tranquilla.
Certo, la rivelazione di Rei è stata
un duro colpo date le sue caratteristiche, e mi ci vorrà un po’ di tempo per
riprendermi da un cambiamento così repentino, ma ora credo di essere in grado
di prenderla con più filosofia. Indica semplicemente che la sua psiche è quella
di una ragazza normale, nonostante le privazioni subite in passato. Forse
questo potrebbe addirittura aprire prospettive di ricerca affascinanti…
Scosse la testa, lasciando perdere
per un po’ la scienziata che era in lei.
Ma a parte ciò, non c’è nulla di cui devo preoccuparmi. Il
Comandante non verrà mai a sapere di questo evento.
Pensierosa, riprese il dossier che aveva recuperato e lo
ripose nel cassetto della scrivania.
Intanto, nel desolato paesaggio del Polo Sud, sul
ponte di un’enorme imbarcazione recante un misterioso carico ed attorniata da
altri vascelli di più modeste dimensioni, un intero equipaggio capeggiato dal
Comandante in Capo e dal Vice Comandante della Nerv, lottavano per
disincagliarsi da due spuntonidi roccia che li avevano bloccati ai
lati. I due capi della Nerv stavano spingendo con forza uno dei lunghi e
pesanti arpioni d’emergenza contro la sporgenza rocciosa di sinistra, mentre il
resto dell’equipaggio faceva altrettanto, chi sul lato sinistro chi sul destro,
nel tentativo di fornire ai vascelli che stavano cercando di trainarli via
tramite l’utilizzo di numerose corde, la spinta
necessaria a disincagliarsi del tutto.
“Non ho più l’età per questi lavori di fatica…” Si
lamentò Fuyutsuki stringendo saldamente una delle maniglie che permettevano di
afferrare l’oggetto, dal lato opposto a quello di Gendo. Il Comandante Ikari,
tuttavia, non si lasciò scoraggiare.
“E’ già ora della pensione, Fuyutsuki?” Chiese col
suo solito tono impassibile, che lasciava appena trapelare la fatica dello
sforzo, senza distogliere l’attenzione dal suo compito.
Il Vice Comandante lo fissò per un breve istante,
quindi scosse il capo come chi è abituato a scherzi e
battute di quel genere, che tuttavia non erano mai offensive, e questo
Fuyutsuki lo sapeva, e tornò a spingere con forza contro la roccia che ancora
non dava alcun segno di cedimento. “Molto spiritoso, Ikari…”
Gendo sorrise divertito.
Quando arrivarono era il tramonto.
Satoshi aveva dovuto viaggiare in moto, seguendo la Renault
Alpine a breve distanza. Nella vettura guidata dal Maggiore Katsuragi,
Ritsuko, seduta accanto a quest’ultima con un frigorifero portatile sulle
ginocchia da cui ogni tanto si affacciava un assonnatissimo PenPen, aveva
tenuto d’occhio tramite lo specchietto del parasole i
Children, un po’ stretti sui sedili posteriori. Rei era
seduta accanto al finestrino e Gabriel. Di fianco a lui, venivano nell’ordine
Shinji, ed Asuka intenta ad esporre un elaboratissimo piano su come trascorrere
il weekend.
Giunti all’albergo, la cui prenotazione era stata effettuata in fretta e furia da Misato, trovarono ad
accoglierli sulla soglia un uomo ed una donna in kimono tradizionale, che dopo
aver consegnato loro le chiavi delle camere, li condussero in una stanza con
numerosi kimono di diverse taglie nuovi ed incellofanati e diverse calzature tradizionali in scatole nuove e sigillate recanti sul fronte i vari numeri. Spiegarono loro, come
già d’altronde il Maggiore aveva annunciato, che per tradizione andava
indossato l’abito tradizionale giapponese durante la permanenza alle Terme e
che era possibile acquistare quelli esposti. Satoshi pagò di sua spontanea
volontà quelli di Misato, Asuka, Shinji e Gabriel, ma
Ritsuko fu irremovibile e provvide a pagare il suo completo e quello per Rei.
Asuka aveva accolto la notizia di dover seguire la
tradizione con entusiasmo,quindi, una volta che le vesti e le calzature furono pagate, prese il kimono e gli zoccoli che
aveva scelto e corse verso la sala comune e le scale che portavano alle camere
loro assegnate, presto imitata, con maggiore o minore imbarazzo, dagli altri.
Nella sala comune dell’albergo, il gruppo femminile, tranne
Ritsuko, calmissima, attendeva con ansia.
“Uffa ma quanto ci mettono!” sbuffò Asuka incrociando le
braccia con espressione imbronciata. In realtà era impaziente di vedere Shinji
in kimono, anche se non lo lasciava intuire.
“Gabriel non ha mai indossato un kimono…” intervenne
Satoshi, che aveva portato da casa il proprio insieme alle calzature adeguate, mentre terminava di scendere le
scale che conducevano ai piani superiori. “…quindi è possibile che ci metta del
tempo.”
“Che io sappia neanche Shinji ne ha
mai indossato uno, magari è per questo che ci mette tanto anche lui.” Disse il Maggiore mentre accoglieva l’arrivo del suo fidanzato con un
sorriso.
“Beh, nemmeno io ho mai indossato un kimono, eppure ci ho
messo pochissimo!” sbottò la Second Children.
“Diamogli tempo…” Replicò pacata
Ritsuko aggiustando meglio le maniche dell’indumento, di una tonalità viola
leggermente più chiara di quella indossata da Misato ma con una decorazione a
fiori simile, stretto da una fascia color ocra che partiva da poco sotto il
seno e le occupava la vita per intero fino quasi ai fianchi, com’era tradizione
che le donne la portassero, mentre per gli uomini la fascia occupava solo la vita
normalmente.
La rossa sbuffò ancora, silenziosamente, lanciando ripetute
occhiate al piano superiore, imitata di tanto in tanto da Rei che continuava a
tirare incessantemente a destra e a sinistra i bordi superiori del kimono, di
un azzurro molto più chiaro dei suoi capelli e
decorato da grossi fiori rosati, nel tentativo di coprirsi ancor di più di
quanto già non lo fosse.
Ritsuko lo notò e le posò una mano sulla spalla facendola
sobbalzare. Subito la ragazza si voltò verso la donna con sguardo teso.
“Rei, se continuerai a strattonare i bordi del kimono finirai per allentare la fascia e ti scoprirai.”
A quelle parole la First Children
arrossì ed accennò qualche parola” s-si…d’accordo…”, tenendosi ben stretto il
bordo superiore del kimono.
“Ehm...” fece la voce di Shinji
dall'alto delle scale. Si stava rassettando la fascia nera che gli cingeva la
vita, cercando di fare in modo che il suo kimono non somigliasse troppo ad un
accappatoio.
“Ce ne hai messo di tempo!” esclamò Asuka,
piantandosi a gambe larghe alla base della scalinata e poggiandosi i pugni sui fianchi.
Un lievissimo accenno di rossore sulle sue guance tradiva l’emozione che
provava nel vedere il ragazzo discendere avvolto in un lungo kimono blu a rombi
del medesimo colore ma di una tonalità più scura. Emozione che lui invece non
poté mascherare, poiché ai suoi occhi Asuka, nel suo
abito giallo chiaro a fiori rosa, nonostante la posa da maschiaccio, era
indiscutibilmente conturbante.[1]
Quando finalmente fu giunto
alla base delle scale era decisamente arrossito. Non riusciva a distogliere lo
sguardo dalla Second Children, che cominciava a sua volta a mostrare
turbamento. Quella situazione imbarazzante fu salvata da Satoshi. “Allora,
Shinji, hai notizie di Gabriel?”
“Si stava ancora preparando,”
disse il Third Children, staccando gli occhi da quelli di Asuka. “Ma diceva che non voleva scendere… credo che si vergogni
troppo.”
“E’ così, infatti!” gridò Gabriel dal piano di sopra.
Tutti si voltarono, ma del ragazzo si vedeva solo una mano,
con cui si reggeva al bordo della balaustra, ed il lembo di un kimono nero.
“Dai, di che cosa vuoi vergognarti!” cerco di rincuorarlo
Satoshi dal piano inferiore. “Guarda che siamo tutti vestiti
così!”
“Ma io mi vergogno lo stesso, mi
sta male!” fu l’unica risposta che ricevette.
Misato sospirò. “Andiamo, stiamo
aspettando solo te!”
“Lascia che siamo noi a giudicare se ti sta bene o meno,” intervenne Ritsuko, voltandosi poi verso la First
Children con un sorriso inquietante, “sei d’accordo, Rei?”
La giovane sobbalzò ed arrossì maggiormente, nascondendosi
dietro la Dottoressa che intanto stava cercando di soffocare le
risate. Non udendo la risposta della propria ragazza, Gabriel si affacciò dalle
scale con aria dubbiosa.
“Ma quale Rei!” protestò. “Non c’è
là sotto!”
“Ma certo che c’è! E’ dietro la Dottoressa Akagi!” rispose Asuka, agitando una
mano verso le due. La First Children si rannicchiò
maggiormente, ma Ritsuko si spostò di colpo.
“Eccola, la vedi, Gabriel? Dai, vieni
giù anche tu!”
Per un breve attimo gli occhi dei due ragazzi si incontrarono, poi Rei si strinse i lembi superiori del
kimono ed arretrò fuori vista. Ritsuko sospirò.
Magari è ancora in imbarazzo per quel sogno… Dovrebbe essere comprensibile, dato che non ne ha mai fatti
prima.
Facendosi coraggio, Gabriel
si decise a scendere dalle scale. Il suo kimono, di un nero uniforme, era
stretto in vita da una fascia argentata. I bordi erano un po’ più allentati
rispetto a quelli degli altri, cosa dovuta al fatto che il pianista non aveva
mai avuto la minima idea di come indossare la veste tipica giapponese, e si
aprivano leggermente sul petto.
Giunto alla base delle scale si decise a sollevare
gli occhi e guardarsi attorno. Asuka sorrideva e annuiva compiaciuta, come se
l’arrivo del ragazzo fosse solo merito suo. Shinji stava osservando il suo
kimono e allentava la stretta dei bordi superiori del proprio, per imitare
quello dell’amico. Misato e Satoshi gli stavano dicendo
che stava bene, ma non li sentiva nemmeno: i suoi occhi si posarono su Rei, in
parte nascosta dietro Ritsuko, avvolta nel suo kimono ceruleo. Era molto rossa
in volto, per la sua carnagione. Almeno tanto quanto il ragazzo.
Mio Dio… E’ bellissimo!
Quanto gli dona quel kimono nero, che richiama il colore
dei suoi capelli e mette in risalto quello dei suoi occhi…
Nel vederlo mi sento… Mi sento
come stamattina, quando mi sono svegliata da quel sogno!
Quanto è bella… E’ veramente stupenda.
Vorrei che tutti ci lasciassero da soli, in questo
preciso momento. Perché con lei non mi vergognerei di essere
vestito così. Non potrei mai provare qualcosa di diverso dalla
beatitudine.
“Visto?” intervenne Misato, sorridendo per poi proseguire “Però ora dobbiamo affrettarci altrimenti faremo
tardi per la cena!”Quindi il Maggiore
si attaccò al braccio di Satoshi con un gran sorriso.
“Bene! Ho proprio una fame tremenda! Tu no, Shinji?”
Esclamò Asuka gioiosa attaccandosi a sua volta al braccio del Third Children.
Shinji arrossì vistosamente e la guardò un po’
spaesato, ma poi le sorrise annuendo e guardandola negli occhi. Di fronte allo
sguardo dolce e quieto di Shinji,anche lei desiderò di essere sola con
il ragazzo che amava. Si ripromise che dopo cena avrebbe trovato il modo di
restare sola con lui.
Tuttavia il gesto di Asuka
non passò inosservato ai tre adulti che si scambiarono un’occhiata d’intesa,
mentre Gabriel e Rei stavano disperatamente cercando di non guardarsi. Ormai
non era più un mistero per nessuno che anche tra la Second e il Third Children
ci fosse del tenero. Ma di questo ne
erano tutti contenti. Anche Ritsuko che sorrise
sottilmente divertita.
Mi chiedo se i prossimi Children non dovremo
già arruolarliin coppia…
Beh…Chissà se il Comandante Ikari sarebbefelice se venisse a sapere che suo figlio è
meno triste e più quieto… mh…Probabilmente mi chiederebbesolo se il tasso di sincronia ha subito dei
miglioramenti o meno. In fondo certe cose non è
necessario che le sappia.
“Allora direi che possiamo
andare.” Replicò la scienziata per poi continuare “Rei,
Gabriel, siete d’accordo?”
“Si, Dottoressa…” Rispose il pianista, ancora
vagamente arrossito, mentrevolgeva lo sguardo verso la da pranzo.
“Si…” mormorò con voce flebile la First
Children tenendo lo sguardo rivolto al suolo.
“Allora forza, andiamo!” Esclamò Asuka con entusiasmo mentre si avviava verso la sala a braccetto con
Shinji, subito seguiti da Misato e Satoshi, anche loro a braccetto, e da Rei e
Gabriel che si tenevano imbarazzatissimi l’una alla destra e l’altro alla
sinistra di Ritsuko, tenendo lo sguardo basso. La scienziata inarcò un
sopracciglio, perplessa.
Sarà solo l’imbarazzo del momento…gli passerà.
Beh… stiamo a vedere cosa
succede in questi giorni…
[1] Le decorazioni ed i colori dei kimono
(esclusi quelli di Satoshi e Gabriel) sono tratti da un immagine su Evangelion
trovata in rete in cui il gruppo dei personaggi indossa l’abito tradizionale
giapponese.
Capitolo 17 *** Weekend: Esaurimenti e Relax (Parte II) ***
Se la sera prima aveva
CAPITOLO 16
Weekend:
Esaurimenti e Relax (Parte II)
Come aveva previsto di Ritsuko, il forte imbarazzo di Rei e
Gabriel si placò durante la cena, che era stata preparata secondo la tradizione
giapponese. Infatti, Asuka e il Fourth Children si trovarono a dover usare le
bacchette, mentre erano abituati a mangiare con le posate occidentali. Ma a
salvare la situazione intervennero gli altri due Children. Sorridendo, Shinji e
Rei spiegarono rispettivamente alla tedesca e al francese come utilizzare alla
meglio le bacchette. Così facendo, tutti si rilassarono e la cena trascorse
piacevolmente.
Più tardi quella sera Ritsuko fu l’unica a ritirarsi a
dormire abbastanza presto: infatti era rimasta da sola nella sala comune,
quindi decise di risparmiare le energie. Dopotutto, Rei sembrava essersi ormai
adattata e non sembrava più turbata da quel sogno…
Le tre coppie invece uscirono nel bosco attorno all’albergo,
ciascuna per conto proprio.
“Ah, Shinji…” disse Asuka al Third Children, quando ebbero
raggiunto una zona piuttosto appartata. Si erano allontanati quasi di cosa
dagli altri, come se la ragazza avesse premura di restare sola con lui. “Cosa
c’è?” chiese Shinji, ansimando per averle camminato dietro in tutta fretta.
“Non mi dire che hai il fiatone!”
“Non capisco perché correvi tanto!”
“Shinji, sei giovane, come fai ad avere il fiatone per così
poco!”
“E tu spiegami perché correvi!”
La ragazza rimase un attimo in silenzio, e subito i due
scoppiavano a ridere: quel battibecco era decisamente comico. Quando si furono
calmati, la ragazza lo guardò e sorrise teneramente.
“Volevo ringraziarti per avermi insegnato ad usare le
bacchette.”
“Ah…” Shinji arrossì e si grattò dietro la nuca,
imbarazzato. “In effetti… Non ho fatto poi molto… Ne hai ancora di strada da
fare. Voglio dire… Non le tenevi proprio alla perfezione quelle bacchette…”
Lo sguardo intenerito di Asuka divenne ad un tratto
minaccioso e Shinji si affrettò a rimediare. “… Però andava già benissimo, per
essere la prima volta.”
I lineamenti della ragazza tornarono a distendersi. “Beh,
grazie… Però oltre a ringraziarti per avermi aiutata…Ecco,” continuò,
arrossendo lievemente, “ volevo trascorrere un po’ di tempo con te… da soli.”
A quelle parole Shinji smise di ansimare, ma sorrise,
piacevolmente sorpreso. Ultimamente a causa di ciò che era successo,
effettivamente non avevano potuto stare molto insieme.
“Sono felice di essere qui con te,” le sussurrò
prendendole timidamente una mano. “Quando ti ho vista prima, quando sono sceso,
ho creduto di avere un miraggio: questo kimono ti dona moltissimo.”
La ragazza sorrise e gli rispose con un bacio leggero
sulle labbra. “Anche a te. Ti rende molto… affascinante,” azzardò, indicando il
kimono del Third Children. Questi rise. “Allora vorrà dire che lo indosserò più
spesso anche a casa.”
“E’ un’idea,” disse lei, carezzandolo sul volto.
“Magari potresti anche fare Sankendo come il Signor Satoshi!”
Shinji rise nuovamente e la abbracciò. Quel
riferimento non lo preoccupava affatto, poiché aveva capito, come anche Misato,
che le cotte per Satoshi, che non se n’era nemmeno accorto, e per Kaji erano
ormai passate.
Mano nella mano, si addentrarono più a fondo nel
bosco, sorridendosi a vicenda con espressione serena.
Il mattino successivo fu un momento di grande relax: la sera
precedente tutti erano rientrati abbastanza presto, e solo Misato e Satoshi
sembravano non essere del tutto riposati. Da una notte di sonno. Ritsuko, dal
canto suo, era fresca come una rosa e si informò subito su come erano andate le
rispettive serate degli altri. Il Maggiore fu piuttosto reticente nel
raccontare dove erano andati lei e l’Agente Iwanaka e, soprattutto, cosa
avevano fatto una volta tornati in camera (ed infatti a riguardo non le disse
nulla), ma stranamente la Dottoressa Akagi non insistette troppo. Né si
preoccupò eccessivamente delle parole appena accennate da Shinji, mentre Asuka
non poteva sentire, su come lei gli avesse fatto dei complimenti. Si concentrò
invece su Rei, in un momento in cui Gabriel era lontano. La ragazza dovette
ripetere più volte che non era successo nulla di particolare, e che erano
andati semplicemente a fare quattro passi lungo le piscine, che di notte erano
illuminate e sembravano piccoli laghetti naturali, prima di riuscire a
distaccarsi Ritsuko di dosso. Questa però era soddisfatta: nonostante il fatto
che la sera prima non li aveva tenuti d’occhio, Rei e Gabriel non avevano fatto
nulla di irreparabile. Si domandò anche se non fosse troppo sospettosa e non
dovesse cominciare a dare un po’ di fiducia a quei due ragazzi che, tutto
sommato, quando non erano in situazioni d’emergenza sembravano essere
coscienziosi.
La mattinata ed il pomeriggio trascorsero in modo idilliaco,
fra ripetuti bagni nelle vasche delle terme, tanto da far dimenticare al gruppo
che solo due giorni prima avevano affrontato un Angelo. Addirittura Ritsuko
decise di abbassare la guardia per un momento e godersi il tepore dell’acqua
sul suo corpo. In effetti aveva proprio bisogno di una vacanza come quella.
Quella sera si sentì abbastanza sicura da non avere
obiezioni quando Rei e Gabriel annunciarono la loro decisione di uscire
nuovamente. Misato e Satoshi sarebbero rimasti a fare compagnia alla Dottoressa
Akagi, mentre invece Asuka era sparita. Shinji pensò che volesse uscire di
nuovo anche lei, perciò si ritirò presto in camera sua a prepararsi per bene,
ma fu interrotto proprio dalla Second Children, che si presentò da lui con una
grossa scacchiera e un sorriso smagliante sulle labbra.
Senza dargli nemmeno il tempo di obiettare, Asuka entrò e
posizionò l’oggetto su un basso tavolino, inginocchiandosi davanti ad esso ed
invitando il ragazzo ad avvicinarsi a sua volta. Questi sorrise e scosse la
testa: anche se diversa da quella che si aspettava, sarebbe comunque stata una
splendida serata.
Dopo la quinta partita Asuka, sbadigliando, si chinò troppo
sulla scacchiera e vi si addormentò sopra, sopraffatta dalla stanchezza dello
sforzo intellettuale che l’aveva portata a cinque vittorie consecutive.
Sorridendo, Shinji si alzò lentamente e le posò una coperta sulle spalle. Non
aveva il cuore di svegliarla, per cui l’avrebbe lasciata dormire così. Ma non
da sola.
Recuperò un’altra coperta e si accovacciò dall’altro lato
della scacchiera, appoggiandovisi sopra nel modo più comodo che trovò. Si
addormentò felice, con il volto a poca distanza da quello, già assorto in un
sonno sereno, della ragazza che amava.
Nella Sala Comando della Nerv, i tre Operatori del Magi
System stavano diligentemente controllando i dati che scorrevano sul monitor
nonostante l’ora tarda. Con un sospiro, Shigeru digitò una sequenza di tasti
per poi rivolgere uno sguardo al piccolo orologio da tavolo che teneva sul
ripiano posto poco più in basso della grossa tastiera cui lavorava. Erano le
due di notte passate ormai.
“Accidenti, mi si chiudono gli occhi dal sonno…” Sbuffò
rilassandosi contro lo schienale
“E’ il nostro turno stasera e non potremo smontare prima
delle sei…” Gli ricordò Makoto che, infaticabile, proseguiva nel suo lavoro di
controllo dei dati immagazzinati.
“Si, lo so… mi chiedo solo se riuscirò a resistere…Ed è
appena passata un’ora da quando abbiamo preso servizio…” Rispose il chitarrista
rimettendosi al lavoro.
“Sono d’accordo con Shigeru, questi turni si fanno sempre
più massacranti.” Replicò Maya sorridendo appena verso i suoi due colleghiprima di riprendere a digitare, con una
velocità inferiore solo a quella della sua Senpai, sulla tastiera.
“Uhm…che ne dite se vado a prendere dei caffè al bar della
mensa?” Chiese il Tenente Hyuga.
“Dico che se ci vai ti prometto che domani riordino io casa
anche se è il tuo turno! “ Replicò il chitarrista con un sorriso entusiasta per
poi proseguire più pacato “Ti accompagnerei, però non ce la faccio quasi a dare
un passo…” Era effettivamente vero. Aoba era talmente stanco che quasi
rischiava di addormentarsi sulla tastiera. Anche se, ovviamente, non lo avrebbe
mai fatto.
“Si, un caffè adesso sarebbe davvero l’ideale Makochan.”
Annuì l’Operatrice interrompendo nuovamente le analisi sui dati che stava
supervisionando.
“Ricevuto! Allora vado.” Makoto sorrise allegro, nonostante
la stanchezza, ed alzatosi dalla sua postazione si diresse fuori dalla Sala
Comando.
Quando fu uscito, i due Operatori rimasti si rimisero al
lavoro, ma quando Shigeru sentì Maya che cessò di ticchettare sulla tastiera,
si voltò verso di lei. Il Tenente Ibuki si stava infatti stropicciando gli
occhi con fare assonnato.
“Maya…” cominciò il tenente Aoba con fare tra il preoccupato
e l’imbarazzato “…ti senti bene?”
Alla domanda del collega, Maya si volse di scatto verso di
lui sorridendo col suo solito fare gentile.
“Si, non preoccuparti, è solo un po’ di stanchezza.”
“Dovresti prenderti una pausa altrimenti a questo ritmo per
le sei sarai a pezzi… ”
L’Operatrice rimuginò per qualche istante sulle parole del
collega, quindi sospirò brevemente.
“Credo proprio che tu abbia ragione…” gli sorrise ancora
alzandosi dalla sua postazione ”…allora che ne dici se aspettiamoMakochan e poi ci rimettiamo al lavoro? Così
puoi riposarti anche tu.”
“Approvo.” Annuì lui ricambiando il sorriso per poi alzarsi
a sua volta e muovere qualche passo avanti e indietro alla propria postazione
per sgranchirsi le gambe. “Beata laDottoressa Akagi che ha potuto prendersi una vacanza…” Proseguì infine
il chitarrista appoggiandosi di schiena ad un basso archivio metallico prima di
riportare lo sguardo sulla sua interlocutrice.
“Però c’è anche da dire che nessuno merita una vacanza più
di lei con tutto il lavoro che svolge.” Rispose la donna senza perdere il suo
sorriso per poi volgere per qualche istante lo sguardo sul proprio schermo.
Shigeru la osservò in silenzio sorridendo con tenerezza
davanti alla scrupolosità di Maya.
Come i suoi due colleghi Operatori, Hyuga e Ibuki, era un gran
bravo ragazzo.
Attese ancora qualche
secondo, poi guardò verso l’ingresso della Sala. Di Makoto ancora nessuna
traccia. Inspirò profondamente e si decise a farsi coraggio.
“A dire il vero, c’èqualcuno che merita una vacanza al pari della Dottoressa Akagi. Se non
di più.”
“Davvero?” Sorpresa la donna si voltò verso di lui lasciando
perdere il monitor su cui erano ancora fissi alcuni schemi riportanti dei
complessi calcoli matematici. “Di chi parli, Shigechan?” Chiese incuriosita
verso l’uomo.
Shigeru chinò per un attimo lo sguardo al suolo, quindi lo
riportò negli occhi della donna di cui era innamorato. “Di te.” Rispose
semplicemente con un tono serissimo che nessuno gli aveva mai sentito usare se
non nelle situazioni d’emergenza.
“Ah…” Il Tenente Ibuki arrossì con forza e lo fissò stranita
dal capo delle postazioni opposto a quello si trovava lui e da cui nessuno dei
due si era mosso da quando si erano alzati.
“Andiamo, Shigeru…esageri…” balbettò quasi lei mentre con la
mano sinistra si appoggiò allo schienale della sua poltrona rivolgendo lo
sguardo al suolo.
“Sto parlando sul serio, Maya. Lavori tutto il giorno
percorrendo i corridoi di questa base, dalla Sala Comando, all’Infermeria, alle
Gabbie degli Evangelion, innumerevoli volte, controlli decine di dati ed
archivi non so quanti fascicoli e dossier senza mai perdere il sorriso anche
quando come ora crolli dalla stanchezza…”
“Shigeru…!” La donna arrossì maggiormente alzando di scatto
lo sguardo su quello assorto e a tratti rapito del collega, che tuttavia non
diede segno di essersi accorto del richiamo di lei e proseguì “…in più la
Dottoressa Akagi richiede costantemente la tua consulenza per ogni analisi
sugli Evangelion o i rilevamenti del Magi System e questo ti porta a restare in
servizio almeno un’ora e mezza in più rispetto a quanto facciamo Makoto ed io…
Ed io…” La voce del chitarrista tremò e dovette deglutire più volte prima di
continuare a parlare “…ed io sono quasi invidioso della Dottoressa Akagi…perché
per la maggior parte della giornata può starti accanto. Come vorrei poter fare
io.”
Terminò quelle parole con un profondo sospiro ed abbassò lo
sguardo sul pavimento. Era terrorizzato, ma almeno era riuscito a dirglielo e
questo gli aveva tolto un gran peso dal cuore.
Dal canto suo Maya era impietrita. Lo guardava come se non
lo riconoscesse.
Sembrò passare un’eternità quando lui parlò di nuovo.
“Maya…io dovevo dirtelo…” Riprese con ritrovata sicurezze tornando a guardarla
negli occhi, in attesa delle parole di lei.
“Shigeru…”Cominciò dopo qualche minuto balbettando
confusamente senza sapere cosa dire…
Pensò a ciò che la legava a quel ragazzo simpatico e
gentile. Amicizia, rispetto, simpatia. Ma poteva esserci qualcosa di più?
Quando andavano a ritirare la loro biancheria in lavanderia e lui si offriva di
portare per lei le borse più pesanti, rendendogliele solo al momento di
imboccare direzioni diverse per tornare alle rispettive abitazioni, facendola
arrossire e battere il cuore…quello era qualcosa di più?Quando più volte si era offerto di aiutarla,
senza ammettere repliche, con il trasporto di voluminosi rapporti stampati
sulle analisi delle memorie interne degli Eva, portandoli di persona agli
archivi generali e chiedendole di restare in Sala Comando per riposarsi,e lei si sorprendeva a pensare a lui con un
affetto intenso… quello era qualcosa di più? Quando durante le famose liti tra
coinquilini con Makoto capitava che i due e restassero imbronciati per qualche
minuto e lei osservava il chitarrista con un sorriso intenerito…quello era
qualcosa di più?
Restò per qualche istante in silenzio interrogando il suo
cuore.
Senza parlare gli si avvicinò sotto lo sguardo ansioso di
lui e lo guardò negli occhi con un sorriso dolce.
“Hai fatto bene a dirmelo…perchè nel mio mondo di dati e
numeri, forse non me ne sarei mai accorta. Ed il freddo di uno schermo su cui
scorrono tabelle e grafici non è nulla in confronto al calore dei tuoi
sentimenti. E di quelli che io provo per te.”
Senza altre parole i due si abbracciarono con dolcezza
unendo delicatamente le loro labbra in un bacio.
“Ci siamo spinti
molto lontano…” Notò La First Children sorpresa, guardandosi attorno.
A quelle paroleanche
il pianista alzò lo sguardo puntandolo in direzione dell’albergo di cui si
vedeva la sagoma scura in lontananza, celata quasi del tutto dagli alberi del
bosco in cui si erano addentrati seguendo il sentiero battuto. La luna piena e
le stelle in cielo rendevano perfettamente visibile l’ambiente circostante. Era
una zona del bosco piuttosto isolata, e non si vedeva né si sentiva nessun
altro a parte loro due. Infatti, erano completamente soli.
“E’ vero.” Ne convenne il Fourth Children sorpreso quanto la
sua ragazza. Nessuno dei due si era accorto di quanto si fossero allontanati,
immersi com’erano nella felicità di essere insieme da soli. E senza nessuna
minaccia da affrontare.
Senza dire null’altro si sedettero sull’erba in silenzio,
l’una accanto all’altro. Lo sguardo di Rei indugiò per qualche istante sugli
alberi che circondavano quella piccola radura, poi tornò sul suo ragazzo: se la
sera prima lo aveva definito bellissimo, adesso nessuna parola che conosceva
era in grado di descriverlo. La Luna Piena troneggiava dietro la sua figura,
tanto da circondarlo di luce. Lo stesso frinire delle cicale sembrava essersi
ammutolito, timoroso di disturbarli e interrompere quell’incanto.
Gabriel la guardò e sorrise. “Cosa c’è?” chiese
dolcemente, accarezzandole le mani, che teneva fra le sue. Lentamente, quasi
senza pensare a cosa stava facendo, la ragazza si sporse verso di lui, cercando
e trovando le sue labbra in un tenero bacio.
“Ti amo,” disse Rei, semplicemente, e gli portò le
mani alle spalle, sfiorandogli le braccia per tutta la loro lunghezza.
Io amo questo ragazzo…
Perché non posso dimostrarglielo?
Esiste un motivo per cui non possa amarlo come desidero?
Come…Come ho sognato?
Che importa l’età, il dovere, la Nerv…
Io lo amo: è questa l’unica mia verità.
Il ragazzo ricambiò il bacio con dolcezza
abbracciandola piano. Inesorabilmente, il bacio si fece più intenso,
l’abbraccio più coinvolgente, finché il mondo circostante perse colore e
solidità, svanendo dalle loro menti. In esse c’era posto solo per loro due.
Rei ignorò i dubbi nella sua mente e strinse
maggiormente Gabriel. Con lentezza, reclinò il busto all’indietro, sull’erba,
traendo a sé il proprio ragazzo, quasi del tutto avvinto ormai in un abbraccio
appassionato. Lui tentennò, dapprima sorpreso, ma subito assecondò il movimento
della First Children.
Gabriel…
Non mi importa degli Angeli.
Non mi importa del biasimo della Dottoressa Akagi o della
condanna del Comandante Ikari.
Non mi importa nemmeno dell’idea che si faranno Soryu,
Ikari, il Maggiore Katsuragi o l’Agente Iwanaka.
Voglio solo essere qui con te…
Tutt’una con te…
Di nuovo come l’altra sera…
…forse è troppo presto…
…forse è sbagliato…
Non mi importa.
Ovunque vorrai condurmi , mia Dea, io sarò pronto a
seguirti.
Perché dall’Inizio del Mondo sino alla sua fine, io ti
amo.
Le labbra del ragazzo
abbandonarono quelle di lei e si spostarono lungo la linea della mandibola fino
a raggiungerle il collo. A quel contatto fino ad allora proibito, Rei inarcò la
schiena, premendo la testa contro l’erba soffice. Le sue mani si spostarono
sulle spalle di Gabriel, avvinghiandosi ai bordi del kimono. Lui capì la sua
muta richiesta, e si equilibrò su un braccio in modo da sciogliere la propria
fascia e liberarsi dall’indumento, che gli ricadde alla vita. La luce argentata
dell’astro notturno mise in risalto i suoi muscoli, non ancora del tutto
delineati, ma ben predisposti e slanciati grazie alle sue numerose ore di
nuoto. Le mani della ragazza presero ad accarezzarli, soffermandosi ad ogni
linea della muscolatura, ad ogni respiro.
Gabriel riprese a baciarla, appoggiandosi sui gomiti
per non schiacciarla sotto al suo corpo, ma lei subito trovò la sua destra e se
la portò sul cuore. L’intento era chiaro: non poteva essere frainteso. Con mano
tremante, il giovane armeggiò con la fascia di lei, e riuscì a toglierla solo
quando lei inarcò di nuovo la schiena. Ed infine riuscì a sfilarle il kimono
dalle spalle. Di nuovo, si stavano spingendo su quel limite che non dovevano
oltrepassare.
Come un richiamo a cui non è possibile sottrarsi…
…che il mio corpo vuole…
…che il mio cuore desidera…
…che la mia anima brama…
Richiamo proibito a cui la mente si piega …
… richiamo ancestrale…
…richiamo assoluto…
Il mio Essere…
…che vuole ricongiungersi al tuo Essere…
Unione negata…
…dall’Inizio dei Tempi…
Cosa importa?
Quando sono con te…
…tutto ritorna al Nulla…[1]
In quel momento gli allarmi del Magi System scattarono come
impazziti risuonando con veemenza in tutta la Base che cadde nello scompiglio.
Maya si distaccò dall’abbraccio di Shigeru fiondandosi come
una furia alla sua postazione e lo stesso fece l’uomo tornando alla propria. Le
dita del Tenente Ibuki si mossero forsennatamente sulla tastiera in una serie
di sequenze rapidissime ed incalzanti, ma sul monitor continuava a lampeggiare
senza freno la scritta rossa ‘Dati non identificabili’.
“Che cosa…no…non è possibile…non è possibile!!”
L’Operatrice ridigitò gli ordini e di nuovo la scritta rossa
riprese a pulsare.
“Shigeru!” Gridò quasi.
“Funzionamento regolare, nessuna alterazione nei circuiti!”
Comunicò quest’ultimo dopo aver digitato velocemente una serie di codici
d’accesso ai circuiti del Magi System al fine di ricercarne eventuali
malfunzionamenti.
Mentre il Tenente Aoba terminava la sua comunicazione, un
trafelato Makoto giunse di corsa reggendo un vassoio con tre bicchierini di
caffè che depositò bruscamente su un archivio metallico all’ingresso della
sala, incurante del fatto che rovesciassero buona parte del loro contenuto, e
si catapultò sulla sua postazione.
“Che sta succedendo!? Si tratta di un Angelo!?”
“Non lo so!!” Rispose in un urlo esasperato Maya sul cui
monitor era comparsa per l’ennesima volta la scritta ‘Dati non identificabili’.
Il Tenente Hyuga strinse i denti iniziando ad analizzare
quanto in quel momento stava scorrendo sul proprio schermo.
“Rilevata reazione energetica, fonte sconosciuta, ricopre
un’area vastissima, impossibile identificarne il punto d’origine!” Sentenziò
infine, allarmato.
“Avverto immediatamente la Dottoressa Akagi!!” Esclamò
Shigeru afferrando il telefono d’emergenza posto accanto alla propria tastiera
per poi digitare il numero del cellulare della scienziata.
I grafici sullo schermo di Makoto, frattanto, impennavano
come impazziti.
“REAZIONE ENERGETICA IN CRESCENTE AUMENTO!! MAYA!!” Gridò Hyuga
fissando atterrito i dati.
“Non ci riesco…non funziona, non funziona!!”Rispose in preda
al panico il Tenente Ibuki che inserì una nuova serie di codici e password
senza riuscire ad annullare la scritta lampeggiante per poter dare avvio ad
un’identificazione del pericolo.
“Svelto, Shigeru!!” Intimò l’altro Operatore.
“Suona!” Affermò Aoba quando il cellulare di Ritsuko suonò
libero.
“Tutti i codici
d’emergenza sono inutili!! Totalmente inutili!!” Gridò Maya.
Makoto guardò ancora lo schermo e sbarrò gli occhi quando
vide che uno dei grafici si stava innalzando furiosamente verso il picco
estremo dei valori positivi. “REAZIONE ENERGETICA IN PROCINTO DI SUPERARE LA
PENULTIMA BARRIERA DEL GRAFICO D’ENTITA’!! MENO VENTI PUNTIAL CULMINE!!”
Aoba strinse i denti mentre il secondo trillo cadeva nel
vuoto.
Il Tenente Ibuki fissava alternativamente monitor e
tastiera, senza sapere più cosa fare, avendo esaurito quanto era in suo potere,
e sobbalzò quando la scritta lampeggiante in rosso divenne verde e la dicitura
si trasformò in ‘Analisi dati in corso’.
D’un tratto, quando un lampo indefinito attraversò le
loro menti, i due ragazzi sobbalzarono, ritornando alla realtà e fermandosi
appena in tempo.
“Gabriel…noi non…” Sussurrò Reitra gli ansimi, agitata, alzando lo sguardo
sugli occhi del ragazzo che si era rizzato sulle braccia sollevandosi dal corpo
di lei.Smarrito ricambiò lo sguardo
della ragazza “...No…non possiamo…” terminò per lei, in un mormorio attonito,
la frase che entrambi stavano pensando, districandosi velocemente dalle sue
gambe.
L’ allarme del Magi System cessò di colpo.
La scritta ‘Analisi dati in corso” si interruppe e sullo
schermo comparvero solo una serie di numeri e lettere che Maya non riusciva a
decifrare.
Nello stesso istante, al quarto trillo, Ritsuko rispose al
cellulare.
Rapidamente Rei si raggomitolò e si abbracciò le ginocchia,
turbata, lo sguardo perso davanti a sé. Gabriel, in piedi,poco lontano da lei, rabbrividì.
“Rei…” cominciò a dire, “lo hai visto… anche tu?”
La ragazza annuì senza parlare. Una grande luce bianca, come
un ricordo offuscato dal tempo, e una sensazione di pace estranea alla scena
che stavano vivendo. Poi avevano sentito quasi un fluire all’interno dei loro
corpi, una corrente immensamente calda, ma di un calore accogliente, non
bruciante. Poi, per un brevissimo istante, avevano avuto la sensazione di
conoscersi da sempre, di amarsi da sempre. Infine, si sentirono perdersi,
annullarsi nella grande sorgente di luce che sgorgava simultaneamente dai loro
cuori. Il tempo si fermò e persero ogni forma di sensibilità, ma tutto ciò durò
solo un istante: quello successivo erano distesi sull’erba del bosco, posto nel
parco dell’albergo, guardandosi sbalorditi negli occhi.
E’ possibile… che sia stata una cosa normale… vista la
mia natura?
Sì, potrebbe darsi. Dovrei chiedere alla Dottoressa
Akagi… Ma non le dirò mai quello che stava per succedere!
D’altronde però, come spiegarlo a Gabriel? Sarà
spaventato, preoccupato… Ed io non posso dirgli nulla!
Ma cos’è stato??
Era una sensazione così piacevole… Come se fossi tornato
a casa dopo tanto tempo…
Forse è una sensazione comune in questi casi? Non credo.
E allora cosa può essere stato?
Rei rabbrividì di nuovo e tirò su col naso: se il primo brivido
era stato di inquietudine, questo era decisamente di freddo. Gabriel se ne
accorse, perché subito raccolse il kimono della ragazza. “E’ meglio che… ci
rivestiamo. Rischieremo di prenderci un accidente.”
Non osando guardare la nudità di Rei, il ragazzo le posò il
kimono sulle spalle, raccogliendo subito anche i rispettivi capi di biancheria.
Si rivestirono in silenzio e quando furono pronti, esitarono a lungo prima di
rivolgersi di nuovo lo sguardo. Quando lo fecero, erano entrambi imbarazzati,
confusi e spaventati.
“Cos’è stato…?” chiese titubante Gabriel, rassettandosi
nervosamente la fascia del kimono.
“Io… non lo so,” fu la risposta di Rei. Sperò fortemente che
il ragazzo non notasse il turbamento che la sua ipotesi le aveva provocato.
Fortunatamente non accadde.
“Dev’essersi fatto molto tardi,” commentò il Fourth
Children, sorridendo e cercando di ignorare le molte domande che lo
assillavano. “Dovremmo tornare.”
Confortata dal tentativo di cambiare argomento del suo
ragazzo, Rei sorrise lievemente, sebbene ancora turbata, e si avviò con lui,
mano nella mano verso l’albergo. Però, nelle menti di entrambi, continuava a
risuonare la stessa implacabile domanda.
Erano forse le conseguenze…
…di un’unione proibita…?
Misato e Satoshi furono svegliati da un imperioso bussare.
“Chi è?” Chiese sorpreso l’uomo mettendosi a sedere subito
imitato dal Maggiore.
“Una chiamata dal Quartier Generale,” disse la voce di
Ritsuko, preoccupata. “C’è stato un problema con il Magi System.”
Continua….
[1]: Ispirato a Komm
suesser Tod, facente parte della colonna sonora di End of Evangelion.
A quelle parole così perentorie, Misato e Satoshi si
alzarono dal letto, senza dire altro, per rivestirsi e prepararsi a lasciare le
Terme di Yamasaka in piena notte. Ritsuko, che invece aveva già indossato gli abiti
occidentali ed era perfettamente pronta per partire, andò a bussare alla porta
della stanza di Asuka, non ottenendo risposta.
“Asuka, svegliati!” gridò nervosa. Fortunatamente non c’erano altri ospiti all’albergo, così la Dottoressa poté dare
libero sfogo alla propria voce.
Fu con sguardo quasi interrogativo che vide la ragazza che
aveva interpellato uscire dalla stanza di Shinji, con l’aria assonnata e un po’
imbarazzata.
“Ehm, noi… stavamo giocando a scacchi!” si difese subito,
sollevando come se fosse una prova d’innocenza la scacchiera che aveva portato
con sé, mentre dietro di lei appariva uno Shinji decisamente
allarmato. La Dottoressa Akagi degnò l’oggetto di un solo sguardo.
“Preparatevi, dobbiamo tornare a Neo Tokio-3.”
“Ma… cos’è successo?” chiese Asuka,
posando la scacchiera su un tavolino del corridoio.
“A quanto pare c’è stato un
problema con il Magi System. Se i computer hanno smesso di funzionare non possiamo sapere se un Angelo starà attaccando.”
Sempre se questo malfunzionamento non è opera di altri nemici… meno celestiali.
Asuka annuì, comprendendo la gravità della situazione
nonostante il sonno, e tornò nella propria camera, come fece anche Shinji.
Ritsuko proseguì per la sua strada, ma né alla porta di Rei né a quella di
Gabriel ottenne risposta. Stava cominciando ad allarmarsi,
quando vide i due ragazzi salire le scale, provenendo dalla sottostante sala
comune.
Nel notare il rossore che si diffondeva a macchia d’olio sui
loro volti chini, gli sguardi fissi a terra, la donna cercò di non badare alle
molte domande che le si affacciavano alla mente.
“Ragazzi,” disse, fingendo di non
dare peso al fatto che a quell’ora di notte i due fossero ancora in giro, ed
insieme per giunta. “Dobbiamo tornare a Neo Tokio-3, c’è un’emergenza.”
“Un altro Angelo?” esclamò Gabriel incredulo, dimenticando
l’imbarazzo di poco prima. Ritsuko scosse la testa.
“No, si tratta di uno strano funzionamento del Magi System, però ciò ci potrebbe impedire di accorgerci
di un attacco: per questo dobbiamo tornare tutti.”
I due ragazzi annuirono e mentre si separavano la donna notò
che si erano tenuti per mano tutto il tempo della loro
conversazione. Si ripromise di fare qualche domanda alla First Children una
volta che quella crisi fosse passata.
Pagò di tasca propria il conto e la penale per la partenza
non preannunciata ad un annoiatissimo receptionist, poi attese nella sala
comune che arrivassero anche gli altri, nella mano il
cellulare. Per un motivo irrazionale si aspettava da un momento all’altro una
chiamata che la informasse dell’attacco di un Angelo.
Scacciò quasi con stizza quel pensiero: era una scienziata, doveva basarsi sui
dati disponibili invece di fare congetture. Non dovette aspettare a lungo, comunque.
“Ritsuko, posso accompagnarti io,”
chiese Misato, sbadigliando, ancora occupata a districarsi i capelli. “Senza
che anche gli altri debbano rinunciare alla loro vacanza.”
La bionda sospirò e spiegò per la terza volta per quale
motivo dovevano andare tutti. Man mano che parlava l’espressione di Misato diventava sempre più attenta e meno assonnata.
“Andiamo, allora,” sentenziò
Satoshi, serissimo, scendendo le scale che portavano al cortile interno dove
erano parcheggiati i loro mezzi. Subito gli altri lo seguirono, troppo tesi per
fiatare.
Meno di un’ora dopo la Renault Alpine di Misato e l’Harley
di Satoshi si fermavano stridendo dentro il montacarichi che le avrebbe portate nel parcheggio del Geo-Front.
“Ma… volevi farci schiantare??”
sbottò Ristuko, lasciando andare il cruscotto cui era rimasta aggrappata per
quasi tutto il viaggio.
“Tranquilla,” rispose Misato,
staccando le mani dal volante e sgranchendosi le dita, mentre il montacarichi
cominciava a scendere. “E poi, me la cavo abbastanza nella guida.”
“Provi a chiedere degli aggiornamenti, Dottoressa,” si intromise Asuka, dal sedile posteriore. Ritsuko scosse
il capo.
“Mi hanno detto che in caso di
novità mi avrebbero contattato loro. Se chiamo io corro il
rischio di disturbarli durante l’analisi dei dati. State tranquilli,
ragazzi, se avessero scoperto qualcosa ci avrebbero
avvisato.”
Ma nessuno di loro fu tranquillo
finché non arrivarono nel Geo-Front, quando scoprirono che i loro timori di
trovare per qualunque motivo la base distrutta non corrispondevano alla verità.
“Allora, ragazzi,” disse Misato,
sicura di sé, mentre abbassava il finestrino per poter parlare anche con
Satoshi. “Per ogni evenienza, mentre Ritsuko esaminerà i dati, voglio che voi
vi prepariate e andiate alle gabbie degli Eva.
Gabriel, Rei, voi salirete entrambi sullo 00, se ce ne sarà bisogno.”
Quell’uscita colse tutti di sorpresa, visto ciò che era
successo solo pochi giorni prima, durante l’attacco del decimo Angelo. Però da allora Misato aveva ormai compreso il suo errore, e
non era più disposta a compierlo. Gabriel, nonostante lo stupore, sorrise ed
annuì. “D’accordo, Maggiore.”
“Satoshi,” riprese la donna, dopo
aver accennato un sorriso di risposta al ragazzo, “tu prenderai il comando
sulla sicurezza interna della base. Io mi terrò a disposizione in Sala Comando.
Tutto chiaro?”
Gli altri annuirono, prendendo nota mentalmente dei
rispettivi compiti come se fossero già in sala comando e Misato indossasse la
sua uniforme da Ufficiale. Nessuno osò fiatare prima di raggiungere il
parcheggio e dividersi, recandosi quindi dove era stato loro ordinato.
Ristuko, Misato e Satoshi fecero la
strada fino alla Sala Comando insieme, ma lì subito si divisero.
“Voglio un rapporto chiaro e dettagliato della situazione,” ordinò il Comandante in Capo Katsuragi, e gli altri due
annuirono. L’Agente Iwanaka si diresse verso una consolle
laterale, facendo alzare l’operatore che vi lavorava e indossando le sue
cuffie. Prese a digitare rapidamente sulla tastiera le sequenze di tasti
previste dai protocolli che aveva dovuto faticosamente imparare.
“Squadre uno, cinque, sette,”
ordinò perentorio attraverso il microfono. “Recatevi ai raccordi B1, B7 ed E5.
Voglio una perlustrazione completa per evitare infiltrazioni. Squadre
rimanenti: attenetevi al Protocollo di Sicurezza 15. Rimanete in contatto radio
con la Sala Comando sulla frequenza 159.”
A parte le esercitazioni, era la prima volta che si trovava
ad affrontare una situazione del genere, ma non perse il sangue freddo. Misato
gli rivolse un rapido sorriso prima di farsi informare
sugli ultimi avvenimenti da Makoto e Shigeru.
Maya, invece, guardò con aria afflitta la sua Senpai, mentre
sul suo schermo si rincorrevano dati del tutto incomprensibili per un
osservatore casuale. Sulle sue ginocchia c’era un enorme libro, ancora chiuso.
Il frontespizio recitava ‘Manuale di base per l’utilizzo del
MagiSystem’.
“Com’è la situazione?” si affrettò ad informarsi Ritsuko.
“Stazionaria,” rispose il Tenente
Ibuki. “Dopo l’evento non si è verificato nulla di rilevante.”
“Siete giunti a qualche conclusione sui dati raccolti?”
“No, purtroppo…” Maya sembrava estremamente
afflitta, quasi in lacrime. Spostò il pesante volume che aveva sulle gambe e lo
deposito con un tonfo sordo su un ripiano. “Ho
consultato innumerevoli volte le sezioni apposite, ma
non sono approdata a niente.”
“Sei stanca ormai,” le disse
Ritsuko, con un sorriso comprensivo che riuscì a strappare un’espressione più
sollevata alla donna. “Hai dovuto affrontare uno stress non indifferente.
Riposati un po’, ora ci penso io.”
L’altra scosse la testa. “Non è
necessario, posso darle una mano, se possibile. Mi procuro solo un
caffè. Ne vuole uno anche lei?”
“Sì, grazie Maya.”
Mentre l’Operatrice si allontanava, Ritsuko digitò una
sequenza d’accesso e sullo schermo apparve una serie di dati precedentemente
indicati come ‘non identificabili’. Pensosa, fece il gesto di portarsi una
tazza alle labbra, come per bere, poi si accorse di non avere niente in mano e
lasciò ricadere il braccio.
In effetti sono dati assurdi e contraddittori… Che
sia l’effetto di un virus? Impossibile: tutte le connessioni all’esterno della
base sono protette da una serie di programmi antivirus frattali. Nulla può
attraversarli. Un sabotaggio? Vi sarebbe un rapporto di violazione di
sicurezza, che però non c’è…
Un errore dei Magi? La probabilità è remota, però esiste.
Ma cosa avrebbe potuto provocare dati tanto
contraddittori e tanto prolungati nel tempo? Un errore a cascata forse, ma
tutti i processi che potrebbero portare un tale sbaglio
sono regolati in modo incrociato tra le tre unità del Magi System per
centoventisette volte…
“Novità?” le chiese Misato.
“Per ora posso dirti che, qualunque
cosa sia stato, non era un Angelo, né c’è un Angelo in procinto di attaccare. I
protocolli di verifica hanno dato risultati ‘allgreen’ in tutti gli ambiti, quindi i Magi funzionano alla
perfezione, ora.”
“Come fai a sapere che nessun Angelo è apparso durante il
problema dei Magi?”
“Perché se no saremmo tutti morti.”
“… Giusta osservazione,” fu l’amaro
commento di Misato. Ritsuko tornò a concentrarsi sui ‘dati non identificabili’.
Non era ancora giunta a nessuna conclusione quando
Maya tornò col caffè. Dopo una prima sorsata corroborante, si misero entrambe
al lavoro.
Seguendo le istruzioni del Maggiore Katsuragi, i
Children indossarono rapidamente le plug suite e si diressero alle Gabbie degli Eva. Complici l’ora tarda e la tensione del momento,
però, non si rivolsero nemmeno la parola l’un l’altro,
ma tacquero fino a destinazione. Ma per due di loro
c’erano altre questioni che occupavano la mente.
Asuka notò che Gabriel e Rei mantenevano un certo
distacco tra di loro, che risaltava di fronte
all’abituale vicinanza: ‘mielosità’, la chiamava lei bonariamente, ma ora non
si sentiva in vena di scherzare. Sembrava che in effetti
fosse successo qualcosa tra di loro, qualcosa di cui non riuscivano a parlare.
Anche Shinji notò le stesse
cose, ma ritenne opportuno non ficcare il naso nell’argomento senza essere
invitato. Si avvicinò alla Second Children, che invece continuava a guardarli
di sottecchi insistentemente, e scosse il capo. La ragazza capì e, un po’
rabbuiata, proseguì a capo chino.
Quando arrivarono alle Gabbie degli
Eva, questi erano già posti in stand by, e le entry plug erano già
aperte e pronte ad ospitare i rispettivi piloti. Dopo essersi nervosamente
augurati a vicenda buona fortuna, i ragazzi si divisero, aspettando davanti
all’entrata della propria entry plug l’ordine che
speravano di non ricevere. Rei e Gabriel, di fronte
all’entry plug dello 00, non si guardavano negli occhi, ma ciascuno di loro
cercava le parole adatte per comunicare all’altro ciò che tormentava il suo
animo.
“Rei…” cominciò Gabriel esitante “…per quanto è
successo prima…cioè voglio dire per quella…visione…”
La ragazza chinò lo sguardo al suolo con
preoccupazione.
“Non so di cosa si trattasse,”
disse con sincerità, ma risoluta nel non mettere a parte il Fourth Children dei
suoi dubbi più segreti.
L’altro scosse il capo. “No, intendevo…” sospirò,
“forse, visto l’accaduto, non dovremmo più rischiare.”
Lei tornò a guardarlo, vagamente inquieta. “Forse hai
ragione.”
Lui si sentì afflitto e fece per voltarle la schiena,
perciò Rei si fece coraggio. “D’altronde però non
possiamo smettere di amarci.”
Quelle parole ebbero l’effetto di far rinascere
Gabriel. Tornò a guardarla negli occhi, stupito e trepidante. La ragazza
sorrise, dimentica di tutte le sue inquietudini. Si avvicinò e lo prese per mano. “Quello che facciamo non può essere nulla di
male,” gli sussurrò.
“Hai ragione,” rispose lui,
finalmente rasserenato. Le sorrise e le diede un rapido bacio sulle labbra.
Dall’altra parte della sala, Shinji, che aveva visto la scena senza tuttavia sentirne le parole,
sorrise, più tranquillo.
Qualunque cosa fosse successa,
sembra che ora sia passata…
“Senpai…” La voce stanca di Mayadistolse la Dottoressa dal suo lavoro
di decifrazione.
Ormai erano passate circa tre ore ed erano le 5:06 del mattino.
“Dimmi, Maya…” disse la scienziata.
“Qui ci sonoi tabulati sulla reazione energetica prima
e dopo l’evento. Il Tenente Hyuga e il Tenente Aoba ne hanno analizzato le variazionisecondo
per secondo.”
“Grazie…” rispose Ritsuko ricevendo i vari fogli appena
stampati per poiosservarli
con attenzione “…avete rilevato qualcosa?”
“Nulla. Sembra si sia scatenata all’improvviso.”
Ritsuko osservò il grafico stampato e corrugò la fronte
perplessa. Era vero. Un momento prima il grafico d’entità era totalmente
azzerato e subito dopo c’era stata un’impennata verso i valori positivi che era andata gradualmente aumentando fin quasi ad
un limite estremo solo per poi scomparire di punto in bianco così com’era
apparsa.
“Il baricentro del fenomeno è stato individuato?” Chiese la
scienziata.
“No, impossibile individuarlo.” Fu l’unica risposta. Maya
controllò su una copia dei tabulati consegnati, poi continuò “ Sappiamo però
che il fenomeno ha coinvolto per intero Neo Tokyo-3 ed
aree limitrofe, fino ad arrivare a toccare alcune città costiere. Ma purtroppo
non è sufficiente ad individuarne l’origine.”
“In fondo è comprensibile. Dai dati immagazzinati dai Magi,
il fenomeno ha avuto una durata complessiva di 2 minuti e 45 secondi e
l’analisi dei dati è partita sono dopo 2 minuti e 40
secondi dall’inizio.”
“Ah, Senpai, è riuscita a decifrare quei dati?” Chiese Maya
alzando gli occhi dai fogli.
“No, non ancora.” Ritsuko restò in
silenzio per qualche secondo, poi si rivolse all’Operatrice. “Maya,
ripetete le analisi sul grafico d’entità negli attimi immediatamente precedenti
e successivi all’evento.”
La ragazza restò per qualche
istante sorpresa, quindi timidamente si azzardò a ribattere “Però, Senpai, non
credo che porterebbero a nuovi risultati…è stato tutto setacciato nei minimi
dettagli…”
“Maya…” Ritsuko sospirò appoggiando i fogli accanto al
proprio pc portatile, che era andata a prendere poco
prima di cominciare l’analisi per collegarlo ai Magi, in modo da lavorare più
speditamente. “…posso capire che siate tutti stanchi e scossi per quanto
accaduto…tuttavia non possiamo rischiare. Osserva bene quel grafico. Una
reazione energetica del genere non può scatenarsi di punto in bianco senza
preavviso… Certo a meno che…”
…a meno che la reazione non si
sia innescata solo una volta raggiunto un certo livello tale che potesse essere
rilevato… Un livello tale da far scattare gli allarmi…ed un livello più elevato
ancora tale che potesse essere analizzato…
Questo spiegherebbe anche perché i Magi abbiano incominciato l’analisi solo dopo 2minutie 40secondi, quando l’intensità
ha raggiunto la penultima barriera del grafico…
Però…questo significherebbeanche che potrebbe essere stata
scatenata da qualcosa di cui in condizioni normali non eravamo nemmeno a
conoscenza! Il che a sua volta implica che potrebbe trattarsi di qualsiasi
cosa! Qualunque cosa che potrebbe essere anche sotto ai
nostri occhi…
E
poi questa reazione energetica… Con un andamento simile le soluzioni potevano
essere solo due: la reazione poteva raggiungere il culmine e svanire di colpo
oppure arrestarsi e diminuire gradualmente fino a scomparire.
La seconda soluzione è da scartare a priori. Non c’è
stata nessuna diminuzione. La reazione energetica si è praticamente
dissolta nel nulla.
A questo punto non resta che propendere per la prima e
verificare se questo culmine vi sia stato o meno. Ma
un culmine senza conseguenze non esiste… La soluzione è nei pochi dati
analizzati dal Magi System…
“Senpai Akagi?” Il Tenente Ibuki guardò con preoccupazione
la Dottoressa che sembrava essersi totalmente immersa nei suoi pensieri.
Quest’ultima però sospirò di nuovo, mascherando abilmente l’inquietudine e la
tensione, quindi rivolse lo sguardo alla sua Koai.
“Come non detto, Maya…avverti i tuoi colleghi che potete andare a riposare.”
“E’ sicura, Senpai?” Chiese l’Operatrice
“Il nostro turno termina solo tra mezz’ora…”
“Non preoccuparti.
Avete svolto tutti un ottimo lavoro. Da qui in avanti
ci penso io.”
Rispose con sicurezza la binda riprendendo a ridigitare con
la velocità per la quale era famosa.
Il Tenente Ibuki annuì e si diresse verso i suoi colleghi
per poi dirigersi con loro, pochi istanti dopo, fuori dalla
Sala Comando.
Quando fu chiaro che le analisi di Ritsuko si sarebbero
protratte ancora a lungo ma non nascondevano alcun
pericolo immediato, Misato si decise a rilassarsi e ,in accordo con la scienziata,
a congedare i Children. Erano le 5:33 del mattino e aveva una gran voglia di
riposarsi, ma aveva ancora dei compiti da svolgere. Dopo essersi assicurata che
anche il rapporto sulla sicurezza fosse nella norma
riuscì a sorridere stancamente a Satoshi e gli posò un rapido bacio sulla
guancia.
“Sembra che il nostro lavoro qui sia finito. Proporrei di
lasciare il campo a Ri chan e ai suoi calcoli,” disse
con una punta di sollievo. L’uomo si alzò dalla sedia e la abbracciò alla vita,
sorridendo.
“Ti sei comportata magnificamente, un vero Ufficiale
Comandante. Ti meriti proprio di andare a riposare ora.”
Lei scosse il capo. “Purtroppo non posso ancora venire a
casa, c’è una cosa che devo ancora fare. Devo tornare alle Terme di Yamasaka,
ed anche un po’ in fretta.”
“E’ per… lui?” Chiese l’Agente franco nipponico con un lieve
sorriso scherzoso nonostante la stanchezza.
Misato sorrise divertita. “Ce ne siamo dovuti andare di
corsa, non abbiamo potuto portare con noi PenPen.”
Satoshi sorrise a sua volta. “Vuoi che ti accompagni?”
“No, grazie. Potresti invece accompagnare i ragazzi a casa?
Anche loro saranno piuttosto stanchi… Puoi prendere una delle auto d’ordinanza
della Nerv.”
L’Agente Iwanaka sembrava preoccupato. “D’accordo… Però fai attenzione a guidare con tutto quel sonno. Se non ce la
fai dillo, possiamo avvisare l’albergo e chiedere che ce lo
tengano… al fresco.”
Alla battuta entrambi risero di
gusto. Quando si furono calmati, Misato annuì. “Non ti
preoccupare. Vedrai che un caffè di quelli di Ritsuko mi rimetteranno
in sesto.”
La dottoressa Akagi annuì appena quando l’amica
le chiese se poteva bere il suo caffè: con tutta probabilità non si
accorse nemmeno della domanda.
Senza aggiungere altro, il Maggiore prese la caraffa di
caffè, che la scienziata aveva preparato durante una breve pausa con la
caffettiera che teneva nel proprio ufficio e che era andata apposta a prendere,
ed estratto un bicchiere di carta dalla confezione che l’amica aveva provveduto
prontamente a portare insieme al resto, vi versò il caffè fino a riempirlo per
metà.
Mentre sorseggiava non molto
entusiasta la bevanda, dato che non era la sua preferita, ma era necessaria per
non addormentarsi alla guida, aprì il collegamento audio con i Children.
“Ragazzi, è tutto a posto, potete
tornare a cambiarvi. Satoshi vi accompagnerà a casa.”
“Era ora che ci diceste qualcosa!” protestò vivamente Asuka
dall’altoparlante, mentre si udiva da parte degli altri un sospiro
di sollievo. “Sono ORE che ci fate aspettare!”
“Hai ragione, Asuka, tuttavia questo tempo è stato
necessario a capire se ci fosse qualche serio pericolo
o meno.”
La Second Children si limitò a mugugnare qualcosa di indistinto, poi Misato sorrise comprensiva a Satoshi e lo
accompagnò fuori dalla Sala Comando. Ritsuko non si accorse nemmeno di essere
rimasta da sola, intenta com’era nei suoi calcoli.
Mentre Misato recuperava un
perplesso PenPen dalla custodia di un ancor più perplesso receptionist (l’uno
per il fatto di essere stato lasciato da solo, l’altro per essersi
trovato un pinguino nel frigobar della stanza che era stata di Shinji), Satoshi
accompagnò a casa i ragazzi. Era domenica mattina, per cui
avrebbero avuto tutto il tempo di riposarsi per la notte in bianco, ma due di
loro non sembravano felici all’idea. Infatti, la prima
tappa sarebbe stata la casa di Rei.
Finita infatti l’emergenza derivata
dal combattimento con l’ultimo Angelo, non sembrava opportuno né a lei né a
Gabriel, nonostante fosse ciò che desideravano, che rimanessero di nuovo a
dormire insieme. Soprattutto, non dopo quello che era
successo quella notte. Anche senza parlarsi, entrambi sapevano
che avrebbero avuto bisogno di tempo per pensarci su.
Quando arrivarono a destinazione, Asuka scese dall’auto con
la scusa di volersi sgranchire le gambe, costringendo ad imitarla anche Shinji,
che d’altronde aveva capito che era meglio lasciare la
First ed il Fourth Children da soli. Infine, anche Satoshi scese, dopo aver
spento l’auto. I tre si misero a parlottare tra di
loro fissando ostinatamente un pezzo di strada dissestata poco distante.
I due ragazzi rimasero a guardarsi a
lungo, poi Gabriel ruppe il silenzio. “Ormai l’alba è passata da un
pezzo.”
“Sì,” rispose Rei, senza perdere di
vista gli occhi del ragazzo.
“Dovresti andare a riposare,”
continuò questi, prendendole le mani fra le sue. “E’ stata una giornata… beh,
per quanto successo questa sera…” Tacque, non riuscendo a trovare le parole
adatte. Lei però sorrise e gli pose un dito sulle labbra.
“Per quanto successo questa sera, io sono felice.”
Di nuovo rimasero in silenzio, intrecciarono le dita e si
baciarono con tenerezza e passione unite insieme nell’amore.
“Ci vediamo domani, amore mio,”
disse infine Gabriel, riluttante a lasciare la mano della ragazza.
“A domani, mio Angelo,” fu la
risposta.
A malincuore si lasciarono, e Satoshi ebbe l’accortezza di
aspettare, prima di ripartire, che Rei fosse sparita
dalla vista, in modo da rendere al suo tutorato il dispiacere per quel distacco
meno intenso.
Trascorsero circa altre due ore.
Ritsuko, la cui espressione concentrata tradiva tutta la
tensione e la stanchezza di quella notte insonne, digitò
stringendo i denti un’ultima rapidissima sequenza e rimase in attesa.
Sullo schermo del portatile complessi
calcoli iniziarono a scorrere automaticamente in un’elaborazione
fulminea al termine della quale, il risultato lampeggiò due volte in unquadrante verde.
Ritsuko sbiancò in volto e sgranò gli occhi sporgendosi
attonita verso il monitor.
Un Anti-ATField !?
Il lunedì mattina, l’Agente si accese una
sigaretta, mentre guardava un campo coltivato a cocomeri all’interno del
Geo-Front. Nella mano sinistra reggeva una valigetta nera, mentre con la
destra si ravviò i capelli castani, raccolti in una coda. Era stato lontano per
un po’, ma le sue piante non ne avevano risentito
troppo.
“Facciamo presto, non ho molto tempo,”
disse un’alta figura, dagli occhiali scuri, che avanzava in fretta dalla
direzione della piramide della Nerv. “Mi spieghi perché mi ha chiesto di
incontrarla qui invece che nel mio ufficio.”
“Ho ragione di credere che dal
nostro ultimo incontro quel luogo non sia più del tutto sicuro,” rispose il
primo, sorridendo sfacciato.
“Mmh… Provvederò. Ha con sé ciò che le ho
chiesto?”
L’Agente porse la valigetta. “Cinque Gigabyte
di fotografie, planimetrie, dati su personale e struttura. Topografie della
zona circostante, mezzi, risorse…”
“Non è necessario che elenchi tutto questo,”
lo interruppe l’altro, accigliato, prendendo l’oggetto che gli veniva porto.
“Nemmeno questo posto mi sembra il massimo della sicurezza.”
L’altro annuì in segno di scusa.
L’uomo occhialuto aprì la valigetta e trovò, all’interno di
un supporto protettivo in gumflex[1], un minuscolo
disco nero. “Questi dati sono sicuri?” chiese bruscamente. L’altro
sorrise di più.
“Li ho fatti analizzare dal programma approntato da Ri
chan…”
“Prego?”
“… dalla Dottoressa Akagi, mi scusi. I dati sono autentici e
privi di minacce.”
“Perfetto. Appena la crisi sarà rientrata cominceremo con
l’operazione.”
“Quale crisi?”
“Durante la nostra assenza ha attaccato un Angelo e, a
quanto pare, il Magi System ha avuto un problema. Per la
prima questione tutto si è svolto secondo i piani… Quasi tutto.”
“E… per la seconda?” chiese
l’altro, esitante.
“Le basti sapere che la questione non ha avuto conseguenze.”
“Capisco,” concluse l’uomo col
codino annuendo. Sapeva perfettamente che, se il suo superiore aveva deciso di
non informarlo su qualcosa era bene per lui non sapere. Senza altre parole,
l’uomo con gli occhiali chiuse la valigetta e gli
volse le spalle.
“Ha fatto un buon lavoro,” si
limitò a commentare. “Ora può tornare a badare al suo… orto abusivo.”
“D’accordo.”
Rimase ad osservare il suo superiore
diventare sempre più piccolo, verso la piramide, poi spense la sigaretta
sotto una suola. Se non altro, il servizio che aveva appena
reso gli avrebbe garantito una meritata vacanza. Almeno, per il suo
incarico alla Nerv.
Fuyutsuki si ritirò in silenzio come d’abitudine ed il
Comandante Ikari e la Dottoressa Akagi, restarono soli nell’Ufficio al vertice
della piramide.
“Dunque, Comandante, ha fatto un buon viaggio?” Cominciò la
scienziata restando in attesa dinanzi alla scrivania.
“Non ci sono stati rilevanti problemi,
tuttavia, veniamo al punto. Cos’è accaduto con
i Magi?”
La donna inspirò
profondamente e porse a Gendo una cartella contenente i risultati della
decifrazione dei dati analizzati dai Magi. L’uomo prese il fascicolo e lo aprìfissando quanto vi
era scritto con espressione apparentemente impassibile.
“Un Anti-AT Field ?”
“Sembrerebbe di si…” Sospirò
pensierosa la donna.
“Ne è assolutamente certa?”
“Non potrei esserlo di più, signore.” Affermò con sicurezza
Ritsuko accigliandosi leggermente.
“La causa?” Chiese ancora Gendo, gelidamente, fissandola.
“I Magi non sono stati in grado di individuarla. Sappiamo
solo che la reazione energetica rilevata ha portato a quel fenomeno di Anti-AT Field. Tuttavia non è
stato possibile risalire al fattore scatenante di tale reazione. Dalle
ricostruzioni dell’accaduto, i Magi hanno potuto iniziare un’analisisolo dopo 2 minuti e
40 secondi dall’inizio, quando la reazione energetica è volta al culmine e l’AT
Field si è annullato per una durata di cinque secondi netti per poi
ripristinarsi e far scomparire la reazione energetica che gli ha consentito di
svilupparsi, nel nulla.”
“Da ciò se ne deduce che…”
“…che pochi secondi e venti punti in più sul grafico
d’entitàe
sarebbe successo di nuovo quanto è già accaduto quindici anni fa. Osservi a pagina sette. I dati coincidono perfettamente.”
Gendo controllò ed annuì appena.Senza aggiungere altro richiuse il fascicolo
e lo ripose accanto a se sulla scrivania per poi accomodarsi nella sua tipica
posizione. Restò in silenzio per qualche istante, poi
proseguì. “Questo non gioca affatto a nostro
favore. Soprattutto ora che mi è giunta notizia che le voci sui nostri amici
sono state confermate.”
“Ah, e così è vero?” Chiese la donna inarcando un
sopracciglio quasi con sorpresa.
“Si, è esatto. Il nostro informatore me ne ha dato conferma
durante il viaggio di ritorno ed i dati relativi mi sono stati consegnati poche ora fa. In ogni caso di quel problema ne discuteremo
più tardi. Adesso mi dica, a parte ciò che già conosciamo, cos’altro può
causare l’inversione di un AT Field?”
La scienziata tacque a sua volta per qualche secondo poi
scosse la testa in senso negativo.
“A parte ciò che è già noto, fin’ora nulla di ciò che è in
nostra conoscenza può esserne capace.”
“E’ certa che non si trattasse di
un Angelo?”
“Assolutamente. Nessun diagramma ad onda blu rilevato o
registrato.”
“Possibilità di errore del Magi
System?”
“In questo caso, signore, assolutamente nulla. Non si è
verificato errore alcuno.”
“Situazione nel Terminal Dogma?”
“Ho controllato di persona, ma non sembra sia accaduto
qualcosa.”
“Quindi non è dipeso dalla volontà di Lei?”
“No, è da escludere.”
“Allora non resta che supporre che sia opera della Seele…”
“E’ un’ipotesi, Comandante…”
“Capisco. Dottoressa Akagi, d’ora in avanti voglio che i
controlli periodici sul funzionamento dei Magi vengano
intensificati. Non dobbiamo farci cogliere impreparati. Da nulla. Tutto
chiaro?”
“Si, signore.”
“Per quanto riguarda quell’altra questione…”
“Si?”
“…quando uscirà da questo ufficio,
convochi l’Agente Iwanaka e ripresentatevi qui entrambi. E’ ora. ”
“Allora è già deciso?” Chiese forse con una nota di
rammarico nella voce.
“Si.”
“Allora se non c’è altro, io andrei.” La Dottoressa fece per
volgere le spalle al Comandante, ma quest’ultimo, immobile nella sua posizione,la richiamò con voce
ferma.
“Aspetti, Dottoressa Akagi.”
La scienziata si bloccò e tornò a rivolgere lo sguardo
all’uomo.
“Mi dica, Comandante.”
“Qual è la situazione di Rei?”
Ritsuko serrò la mascella e mentalmente ripassò tutto ciò
che Gendo non doveva venire a sapere, ma subito si affrettò a rispondere con
tono calmo e perfettamente controllato. “Tutto nella norma, Comandante. Le sue
condizioni fisiche sono ottimali, non destano preoccupazione alcuna, e lo
stesso si può dire per il suo tasso di sincronia. Anche a scuola sembra che non
ci siano problemi.”
Il Comandante Ikari annuì appena.
“E col Fourth Children?” Chiese poi
a sorpresa.
La scienziata sobbalzò.
“Cosa vuole sapere, Comandante?”
Domandò a sua volta mascherando l’inquietudine.
“Rei è felice con lui?”
Di fronte a quella domanda, Ritsuko restò per
qualche istante inebetita, come se non avesse capito bene.
“Allora?” La incalzò senza fretta, dopo un po’, la voce
dell’uomo, riscuotendola dal suo stato di stupore.
“C-come?”
“Le ho chiesto se Rei è felice con
il Fourth Children. Le ha dato questa impressione?”
Ripetè Gendo con calma imperturbabile.
“Ah…Si…Si, Comandante…” Riuscì a rispondere ritrovando il
suo autocontrollo “…Si. Mi è sembrata molto felice.”
I due restarono in silenzio per qualche momento. La
Dottoressa scrutò il volto del Comandante Ikari che, senza sciogliersi dalla
sua posa, aveva preso a fissare assorto la superficie della scrivania.Entrambi tacquero
finchè Gendo non riprese la parola risollevando verso di lei lo sguardo.
“Ho capito. Può andare ora.”
“Solo un momento, Comandante. Avrei…” esitò “…una domanda da
farle.”
Dato che stiamo parlando di Rei…tanto vale chiedere…
“La ascolto.”
“Ecco, Comandante…volevo chiederle se Rei…si,
insomma, se può avere figli.”
A quella domanda Gendo si accigliò visibilmente alzandosi
dalla sedia e poggiando, nonostante tutto con calma, entrambe
le mani sulla scrivania. Tuttavia il tono che utilizzò per parlare raggelò
completamente la scienziata tanto era cupo e sottilmente minaccioso.
“Dottoressa Akagi, sta forse cercando di dirmi qualcosa?”
“No nono! “ Negò subito la donna
scuotendocon
vigore una mano in senso negativo. “ E’ stata Rei stessa
a chiedermelo.”
“Ciò significa che allora Rei potrebbe sospettare di essere
in stato interessante?” Chiese ancora accigliandosi maggiormente.
“No!” Esclamò con voce più alta per poi subito riprendere un
tono più calmo. “No, Comandante. Abbiamo fatto un
lungo discorso a riguardo e su quella questione non ci sono problemi.”
Spero…
Alle parole della scienziata, Gendo parve tranquillizzarsi e
si rimise a sedere incrociando nuovamente le mani all’altezza del volto.
“E potrei sapere per quale ragione Rei
ha espresso una domanda simile?”
La donna rimuginò per qualche istante abbassando lo sguardo,
fermamente decisa a non dire nulla sul sogno e la discussione in infermeria.
Tuttavia alla fine decise di rivelargli un’altra verità, la più semplice e
ovvia, riguardo il motivo della domanda della First
Children. Sospirò stancamente, quindi tornò a sostenere lo sguardo del
Comandante.
“La ragione, Comandante, è che è semplicemente innamorata…”
“…”
La sala cadde nel silenzio
più assoluto. Nessuno dei due seppe dire quanto tempo era trascorso
quando la voce dell’uomo risuonò improvvisa, nuovamente calma.
“E il Fourth Children?”
“Cosa vuole sapere?”
“Cosa prova per Rei?”
Davanti a quella sequenza di domande, Ritsuko sorrise
tristemente, con ironia.
Preoccuparsi in questo modo per Rei…sembra realmente un
padre che indaghi su chi frequenta la figlia…
Preoccuparsi per Rei e non per Shinji.
E men che meno per me…
Mamma…
Sei stata una scienziata geniale, degna del mio assoluto
rispetto, come madre, hai fatto ciò che hai potuto, ma
come donna…sei stata una grandissima stupida…ed io, che ho voluto seguire le
tue orme, lo sono almeno quanto te…proprio una grande stupida.
“Le basti sapere, Comandante, che da quanto ho avuto modo di
vedere durante l’ultimo scontro, piuttosto che farle correre dei rischi,
preferirebbe finire ucciso in combattimento…” Rispose infine mettendo da parte
i propri pensieri.
“Capisco.”
“Tornando a quella domanda…” riprese la Dottoressa “…cosa dovrò risponderle?”
“L’organismo di Rei contiene solo una metà
del dna della Divinità in nostro possesso e dai dati di ricerca su di lei, ciò
non va ad interferire con il funzionamento umano. Per il resto, quindi, funziona
come quello di una comune ragazza. Anche in ambito
riproduttivo.”
“Può venire a saperlo?”
“A patto che ciò non la allontani dal nostro controllo, si.
Per cui se ne accerti prima di parlare.”
“Fin’ora non si è mai presentato tale problema. Mai nessun
accenno di insubordinazione…
…non che io sappia…
“… In più le ho raccomandato di non fare alcun progetto a breve termine.”
“E lei?”
“Si è dichiarata d’accordo.”
“Molto bene. Allora può comunicarglielo.”
“Credo che ne sarà molto felice, Comandante.” La donna sorrise appena, mentre Gendo proseguiva a
fissarla impassibile, per poi tornare seria a sua volta prima di continuare “
Dunque l’unica cosa che potrebbe impedire una sua gravidanza, sarebbe un caso
di sterilità…”
“Colei che reca in sé metà dei geni della Madre degli
Uomini, non può essere sterile.” Affermò l’uomo senza
fare una piega.
“Anche questo è vero. Beh, allora
credo proprio che sarà felice di questa notizia.”
Ritsuko tornò per qualche istante a sorridere lievemente.
“Un’ultima cosa, Dottoressa Akagi.”
“Mi dica, Comandante.”
“Voglio che li tenga d’occhio. Se accadrà qualcosa su quel fronte riterrò il Fourth Children quale diretto responsabile
dell’accaduto.”
“Beh…” la scienziata suo malgrado ridacchiò
ironica davanti all’ovvietà dell’ultima affermazione del Comandante“…non
potrebbe essere altrimenti.”
“E riterrò responsabile anche lei
per non averli sorvegliati abbastanza. Si ricordi che seppure per questioni
puramente mediche, la Tutrice Legale di Rei è lei, Dottoressa Akagi. Ed in
quanto tale, la riterrò responsabile di eventuali suoi
stati… imprevisti.”
Ritsuko tornò seria di colpo, tuttavia non si scompose
minimamente.
“Ne prendo atto, Comandante.” Rispose gelida “Tuttavia,come le ho già
spiegato, ho già discusso con Rei di questo argomento e sono assolutamente
certa che non ci saranno problemi a riguardo.”
“Voglio sperare che sia così. Vada ora.”
“Si, signore.”
Senza aggiungere altro, la scienziata uscì dall’ufficio la
sciando il Comandante Ikari immerso nei suoi pensieri.
Quando Satoshi entrò con Ritsuko
nell’Ufficio del Comandante Ikari, sentì nuovamente l’inquietudine e la
tensione avvertiti durante il suo primo colloquio con quell’individuo al suo
arrivo alla Nerv.
Dopo quella volta, era stato chiamato solo per riceversi una
strigliata terrificante a causa del litigio con Kaji e se allora la rabbia per
quanto accaduto con l’Agente Kaji aveva soppiantato la tensione, quest’ultima,
adesso, era tornata a farsi sentire.
Che cosa sarà accaduto questa volta?
Quando era andato a chiamarlo, mentre controllava ancora una
volta i rapporti relativi alla sicurezza, Ritsuko non
si era lasciata sfuggire nemmeno una parola. Tuttavia dalla sua espressione
aveva capito che doveva trattarsi di qualcosa di molto grave, per questo si era
limitato a seguirla presso l’ufficio del Comandante senza chiedere nulla.
Allorché le porte si chiusero silenziosamente dietro di
loro, la voce di Gendo, seduto come di consueto alla scrivania nella sua
classica postura e alle cui spalle stavolta era
presente anche Fuyutsuki, risuonò ferma e bassa nell’ambiente.
Senza fiatare entrambi si portarono
dinanzi la scrivania dell’uomo arrestandosi ad un paio di metri da essa.
Satoshi si mise sull’attenti e restò in attesa.
“Agente Iwanaka…” riprese il Comandante, immobile,
fissandolo “…immagino che la Dottoressa Akagi non le abbia ancora riferito il
motivo per il quale lei è stato convocato…”
“No, signore.” Rispose subito l’Agente franco nipponico con
tono altrettanto fermo, nonostante l’inquietudine, guardando un punto
indefinito verso l’alto, come la postura militare imponeva
quando si veniva interpellati da un superiore.
“Riposo Agente.” Intervenne nuovamente Fuyutsuki come la
prima volta che Satoshi si presentò in quell’ufficio, ma stavolta l’Agente fu
più rapido ad eseguire e rilassò i muscoli per poi alternare lo sguardo sui
presenti aspettando di conoscere il motivo di quella chiamata improvvisa.
“Mi dica Agente Iwanaka…” riprese Gendo, Satoshi lo osservò
freddamente, attento. “…lei è a conoscenza del caso Jet Alone, vero?”
Continua….
[1]: Materiale protettivo di invenzione degli
autori. Quasi indistruttibile.
Capitolo 19 *** Due ore e mezza per vivere o morire (Parte I) ***
“Come mai tutta questa irruenza
CAPITOLO 18
Due ore e
mezza per vivere o morire (Parte I)
Satoshi rimase spiazzato dalla domanda del Comandante. “Sì,” rispose, cercando di mantenere un’aria impassibile.
“Quindi saprà di come tale manufatto abbia
malfunzionato. Tuttavia, i… nostri amici della Japan Navy Industry Corp. non
hanno perso la speranza di soppiantare noi della Nerv nel nostro compito di
difesa dell’umanità.”
L’Agente Iwanaka fissò il Comandante Ikari esterrefatto. Non
aveva colto la pausa nel discorso dell’uomo, ma la portata di quelle parole gli
sembrava chiara.
“Signore,” iniziò, ripresosi dallo
stupore. “Intende dire… che la Japan Navy Industry ha progettato un nuovo Jet
Alone?!”
Gendo sollevò un sopracciglio, ma questa fu l’unica sua reazione.
“E’ una persona perspicace.”
“Ma…” fece per intervenire Satoshi,
ma poi si rese di nuovo conto del suo ruolo e chiuse la bocca, attendendo gli
ordini. Il silenzio fu interrotto da Fuyutsuki, che stava lievemente
sorridendo.
“Agente, se ha delle perplessità ce
le può porre.”
A quelle parole l’interpellato si rilassò
impercettibilmente. Mentre il Comandante continuava a
sembrargli una figura ostile, e Ritsuko, nel suo silenzio, rimaneva freddamente
in ombra, sentiva il Vice Comandante come l’unica persona realmente dalla sua
parte in quella stanza.
“Signore,” riprese l’uomo,
rivolgendosi direttamente a Gendo, che lo fissava impassibile. “Pensavo che
dopo il pericolo corso la JNI Corporation fosse andata in fallimento.”
“E sarebbe andata così, se non avesse
avuto qualcuno che glielo impedisse. Questi signori fiutarono che il progetto del Jet Alone poteva essere un ottimo investimento, ed
evitarono alla JNI Corp. la bancarotta e, probabilmente, il carcere per i suoi
dirigenti. Fornirono invece laute sovvenzioni per iniziare la costruzione di un
nuovo modello di robot gigante, migliorato nei suoi punti deboli, e un sito
inattaccabile per la costruzione. Il tutto, ovviamente, mantenendo il più
assoluto segreto.”
Quelle rivelazioni si facevano via via
più misteriose, ma portavano anche nuove domande a Satoshi. “Signore, ma… per
mantenere segreta la costruzione di un nuovo Jet Alone e fornire tutte le
risorse necessarie in così poco tempo, questi protettori dovevano essere estremamente altolocati. Magnati dell’industria
internazionale, grandi imprenditori…”
“… oppure,” terminò Gendo per lui,
“le Forze Armate Giapponesi, unitamente al Ministero della Difesa.”
Nuovamente, l’Agente Iwanaka rimase a bocca aperta. Quasi non riusciva a credere che lo stesso governo del Giappone
tramasse contro la Nerv, in un momento critico come quello che stavano
attraversando. D’un tratto, inquietanti scenari si affacciarono alla sua
mente: una Macchina Umanoide da Combattimento alternativa agli
Evangelion e migliore sotto alcuni punti di vista avrebbe portato un
vantaggio tattico enorme a chi ne fosse in possesso, e non solo nella lotta
contro gli Angeli… E specialmente nelle mani di un governo come quello attuale,
che si era dimostrato in più occasioni corrotto fino ai più alti livelli.
Gendo attese che l’effetto delle sue
parole si fosse dissipato prima di proseguire. “Come può immaginare,
l’eventualità che questo Jet Alone divenisse operativo
sarebbe molto contraria agli interessi della Nerv… e a quelli dell’intera
umanità, ovviamente. Solo gli Evangelion possono sconfiggere gli Angeli.”
Il senso completo di quelle parole sfuggiva a Satoshi, ma
sembrava essere condiviso dalle altre persone presenti.
“E’ dunque imperativo che tale progetto non arrivi mai a
compimento. Tuttavia, i sistemi di sicurezza precludono ogni intervento
esterno. E’ necessario il contatto diretto all’interno della base.”
Satoshi deglutì. Gli girava la testa per tutte quelle
rivelazioni improvvise, ma una sola parola gli era ben chiara in mente. Ciò che
gli veniva chiesto proprio in quel momento:
sabotaggio…
“Mi sta ordinando…” Deglutì di nuovo. “… di effettuare un’opera di sabotaggio ai danni del governo
Giapponese?”
Gendo sollevò una mano, come per correggerlo. “Le sto
chiedendo di tutelare gli interessi della Nerv, e pertanto quelli di tutta
l’umanità. E’ superfluo che le dica che, in caso di un
suo rifiuto, tali interessi sarebbero in notevole pericolo. Specialmente
i nostri, e questo nuocerebbe anche a persone a lei care. Ho saputo che
ha una relazione sentimentale con il Maggiore Katsuragi, non è vero?”
Quel riferimento a Misato doveva essere stato accuratamente
congegnato dal Comandante. Con le orecchie che gli ronzavano
per la tensione, Satoshi comprese che non avrebbe potuto in alcun modo mentire.
“Sì,” ammise infine.
“Ebbene, è possibile che anche lei possa trovarsi in serio
pericolo, in caso di un suo rifiuto.”
Satoshi provò l’impulso ad uccidere Gendo seduta stante, ma
riuscì a stento a controllarsi.
Un… ricatto??
Il Comandante mi sta ricattando??
SPREGEVOLE MANIPOLATORE, VILE BASTARDO!!
CON CHE CORAGGIO MINACCI MISATO PER COSTRINGERMI A
COLLABORARE AD UN’INIZIATIVA ILLEGALE??
CON QUALE SFACCIATEZZA GIOCHI CON IL MIO AMORE PER LEI??
“Dunque, conoscendo l’antefatto e le possibili conseguenze
di un suo rifiuto, accetta l’incarico che le ho
proposto?”
L’Agente strinse i muscoli della mandibola tanto da farsi
male, ma non gli importava. L’unica cosa che avrebbe voluto in quel momento era prendere a pugni quella faccia impassibile che
continuava a fissarlo da dietro i suoi occhialini bruniti.
Il Comandante sollevò di nuovo una mano. “Prima che
risponda, è giusto che la informi che le probabilità di sopravvivenza, data
l’altissima sorveglianza e la segretezza del progetto, sono
molto basse. Ma non si preoccupi: se morirà durante l’adempimento della
missione ci occuperemo noi di fornire al Maggiore Katsuragi un adeguato
risarcimento.”
… Prega.
Prega, se hai un Dio, che non torni mai dal luogo in cui mi
stai mandando.
Prega di non rivedere più la mia faccia.
“Sì,” esalò a denti stretti,
fissando con odio ormai impossibile da celare gli occhi del Comandante, che
tolse i gomiti dalla scrivania e appoggiò la schiena contro lo schienale della
sua poltrona. Per la prima volta da quando era arrivato in quella stanza,
Satoshi notò che stava sorridendo.
“Bene. Sulla scrivania c’è il disco con tutte le
informazioni che siamo riusciti a recuperare. Si rechi
con la Dottoressa Akagi per studiarle e ultimare i preparativi. Partirà domani.
Ovviamente, questa missione è classificata ‘Top
Secret’, pertanto nessuno saprà nulla del suo incarico. E
nessuno dovrà sapere nulla. Ha capito?”
Ma ormai Satoshi non ascoltava più
le parole di Gendo. Con le tempie che gli pulsavano vide a malapena Ritsuko
prelevare dalla scrivania un piccolo oggetto che era rimasto
invisibile fino a quel momento.
“Ho capito,” disse infine,
gelidamente. Dal momento che né il Comandante Ikari,
né il Vice Comandante Fuyutsuki sembravano voler aggiungere altro, voltò loro
le spalle e seguì la Dottoressa Akagi, che gli aveva lanciato di sfuggita uno
sguardo triste, fuori dallo studio.
“Dunque, veniamo al sodo,”
sentenziò Ritsuko non appena furono entrati nell’angusta stanza deputata al
briefing preparatorio per la missione. Priva di finestre, era illuminata solo
da una fredda luce al neon e da un proiettore che illuminava la parete opposta
alla porta. L’unico arredamento era un computer, posato su una scrivania, e due
sedie anonime di plastica nera.
Senza dare tempo a Satoshi di rispondere, la donna si recò
al computer e vi inserì il disco che aveva recuperato
dall’ufficio di Gendo. Sullo schermo e sulla parete illuminata dal proiettore
cominciarono a comparire in rapida successione numerose piantine.
“Cominciamo da questa,” disse
Ritsuko, senza guardare il suo interlocutore e selezionando una mappa
topografica di una zona montuosa. “In tutto avrai due ore e mezza per compiere
la missione, dopodiché la squadra di recupero ti
considererà disperso.Questa è la regione dell’Haiko, dove…”
“Ritsuko,” la interruppe Satoshi, e
l’altra non osò continuare. Per molto tempo rimasero immobili, lei seduta alla
scrivania, lui in piedi alla porta, senza parlare. L’unico rumore che si udiva
era il nervoso ronzare del proiettore e del computer.
“Satoshi…” replicò la donna, girandosi lentamente sulla
sedia. “Credimi se ti dico che sono molto dispiaciuta
per questa situazione, tuttavia…”
Lasciò cadere la frase: ogni giustificazione in quel momento
le sembrava troppo banale. Fu Satoshi a trarla d’impiccio, annuendo. “Capisco. E ti ringrazio per l’aiuto che mi darai in questa missione.
Almeno, avrò qualche decimo di punto percentuale di possibilità in più per
sopravvivere…”
Ritsuko strinse i denti e scosse la testa con stizza. “Non è
il momento di fare dell’ironia. Ma quello che hai detto
è vero: con le informazioni contenute in questo dischetto potrai avere delle
possibilità di tornare indietro sano e salvo. Pertanto è necessario prestarvi
estrema attenzione.”
Nel tono di voce della donna era vibrata una nota di
comprensione, per cui l’atmosfera nella stanza si
rilassò un po’.
Passarono le successive ore ad esaminare piantine della base
dell’Esercito Giapponese che ospitava il Jet Alone II,
le mappe della zona circostante, i dati della base e del personale che l’Agente
avrebbe trovato sulla sua strada. Mentre Ritsuko
passava in rassegna l’equipaggiamento che l’uomo avrebbe dovuto portare con sé,
fu di nuovo interrotta.
“Ritsuko, cosa direte a Misato se io non…” S’interruppe. La
Dottoressa Akagi posò il visore termico di ultima
generazione, di cui stava spiegando il funzionamento, e trasse un profondo
respiro.
“Non potrà sapere nulla di questa missione. Nel caso tu
fallissi, verrebbe informata di un tuo trasferimento
in località top secret per una missione a tempo indeterminato. Come ha detto il
Comandante, lei avrà tutto ciò che le sarà necessario per superare quel
momento.”
“Come fai?”
“Cosa?”
“Come fai,” riprese Satoshi,
esasperato, dopo un lungo sospiro, “a mantenerti così fredda? Hai detto che ti dispiace che le cose siano andate così, eppure
parli come il Comandante Ikari, con la stessa mancanza di sentimenti. Com’è
possibile?”
Ritsuko abbassò lo sguardo.
Dopotutto ha ragione. Ho appena parlato della sua morte
come se si trattasse di un inconveniente con il mio portatile.
Anzi, forse ancor più freddamente.
Non posso biasimarti per odiarmi, Satoshi, però sono
dovuta diventare così per sopravvivere.
Non è vero, mamma?
“Scusami,” si risolse a dire. “E’
che questo è l’unico modo che conosco per affrontare le situazioni più
difficili.”
Dopo un’altra lunga pausa, Satoshi rispose. “Devo dire che, per questo motivo, io ti invidio.”
Entrambi tacquero a lungo dopo
quelle parole, poi Ritsuko annuì e riprese la sua spiegazione.
“Il tuo obiettivo primario sarà trovare il terminale del
computer centrale della base, situato nella camera del
Jet Alone, ed inserirvi il virus che ti consegnerò poco prima della partenza.
Ciò innescherà l’autodistruzione della base e di tutto ciò che contiene.”
L’uomo annuì, ma sembrava perplesso, poi uno sgomento ancora
maggiore si manifestò sul suo volto. “E… il personale
umano?”
La Dottoressa Akagi chinò il capo, in un gesto eloquente.
“Sarà eliminato. In questo modo non ci saranno testimoni.”
Satoshi strinse i pugni, impotente di fronte a quella verità
perentoria.
Non solo io, anche i soldati, gli scienziati e gli operatori
dovranno essere sacrificati??
Quelle persone in questo momento non sospettano minimamente
che qui si sta progettando di ucciderli tutti…
Quelle personeche in fin dei conti hanno il nostro
stesso scopo, quello di proteggere il genere umano…
Comandante Ikari… Oltre a uccidermi
vuole farmi diventare un assassino??
CON CHE AUTORITA’ DECIDE DELLA VITA DI CHI NON HA COLPE??
PER QUALE ASSURDO MOTIVO BISOGNA SACRIFICARE ANCHE LORO PER
GLI SPORCHI INTERESSI DELLA NERV??
Notare il rossore invadere il volto di Satoshi e l’ira i suoi occhi, Ritsuko decise di intervenire.
“Per adesso basta così,” disse,
alzandosi e spegnendo il computer. Domani mattina, prima di partire, ti verrà consegnata una versione cartacea di tutto ciò che hai
visto su quel dischetto, così potrai controllare i dati un’ultima volta. Fino ad allora, è vitale che tu non faccia parola con nessuno di
ciò che accadrà. Per Misato… Puoi dirle che si tratta
di una breve missione per contattare i dirigenti di un’agenzia di sicurezza,
per implementare le nostre forze di difesa. Ora comunque…”
Esitò. Il protocollo prevedeva che gli raccomandasse di
nutrirsi e riposarsi bene in vista della missione, ma a Ritsuko sembrava troppo
beffardo dargli quelle informazioni.
“Ora… puoi andare. Vai pure da Misato e comportati, il più
possibile, come se niente fosse. Segui la normale routine giornaliera. La
partenza è stabilita per le ore 5.00 di domattina, alla piattaforma aerea 7. Ci
vedremo là.”
Quelle parole sancivano la fine del briefing, eppure nessuno
dei due aveva la forza di salutare l’altro.
No.
Non li sacrificherò per i tuoi interessi, Gendo Ikari.
Troverò il modo.
Potrai avere la mia vita, ma non mi trasformerai in un
assassino.
“Attento a non far scattare l’allarme,”
aggiunse Ritsuko, come se si fosse ricordata solo allora di quel particolare.
Satoshi, che già si stava voltando verso la porta, la guardò interrogativo.
“Quali dispositivi di allarme vi
sono?” chiese, atono. Sicuramente li avevano già passati in rassegna, ma in
quel momento non aveva nessuna intenzione di
riportarli alla mente. Ritsuko non ci badò.
“Principalmente sensori ottici, di cui abbiamo visto gli
schemi. Devi stare attento, perché l’effetto sarà che l’intera base saprà della
tua presenza nel giro stimato di quindici secondi.”
Per un attimo, gli occhi dell’uomo brillarono di un’amara
intuizione. “Hai detto… che sapranno della mia presenza?”
La donna sollevò un sopracciglio e increspò le labbra. “Sì.
Sapranno dove sarai e cosa starai facendo. Questo perché, appena scatterà l’allarme, entrerà in funzione…”
Ma l’Agente non la stava più
ascoltando.
Se sapranno… ciò che starò facendo…
Allora potrebbero mettersi in salvo…
Quando Ritsuko ebbe finito di
spiegare il funzionamento del sistema d’allarme nemico, con un cenno del capo
Satoshi le fece intendere che aveva capito, per poi dirigersi verso l’uscita.
Evitò accuratamente di voltarsi del tutto verso di
lei, in modo che non vedesse l’espressione di disperata consapevolezza nei suoi
occhi.
Erano quasi le due del pomeriggio quando
Misato si concesse una pausa. Con il ritorno del Comandante, si era sgravata
del grosso del suo lavoro, ma aveva comunque numerosi
documenti e resoconti da esaminare nel suo ufficio. A peggiorare la situazione,
non aveva visto Satoshi per quasi tutta la mattinata, e ciò l’aveva messa di un
umore leggermente malinconico. Infatti erano appena
arrivati alla Base, quella mattina, quando avevano incontrato Ritsuko, che
aveva chiesto all’uomo di seguirla nell’ufficio del Comandante Ikari. Quel
fatto aveva messo Misato un po’ in agitazione, perché una convocazione dal
Comandante era quasi sempre qualcosa di molto
importante. E il fatto che il suo fidanzato ancora non
fosse tornato confermava quella supposizione.
Si stava recando di malavoglia in sala mensa
quando incontrò Satoshi. Subito la sua tristezza svanì come una bolla di
sapone e tornò ad essere allegra.
“Ciao!” esclamò, tendendo le braccia per abbracciarlo.
Stranamente, lui sembrò non manifestare lo stesso entusiasmo, perciò la donna
si bloccò. “Che ti succede?” chiese, preoccupata.
L’Agente Iwanaka la guardò e per un brevissimo attimo lei
credette di scorgere tristezza nei suoi occhi. Ma fu solo un istante: subito infatti lui sorrise e la abbracciò.
“Scusami,” disse in tono
dispiaciuto. “E’ che… il colloquio con il Comandante mi ha sfiancato.”
“A proposito, nulla di grave?”
“… Vieni, andiamo a mangiare,” fece
Satoshi, sciogliendo l’abbraccio e prendendo la sua compagna per mano per accompagnarla
ai tavoli. Dopo una pausa forse un po’ troppo lunga riprese
a parlare. “No, Misato, era solo una cosa di routine.”
“Ah sì? Dai, racconta!”
“Aspetta,” disse lui, scostandole
la sedia dal tavolo. “Cosa vuoi da mangiare?”
Lei, ringraziandolo con un sorriso per il gesto di cortesia,
si accomodò e gli comunicò cosa desiderava per il pranzo.
Ricevuto l’ordine, Satoshi si allontanò per recuperare il
cibo al bancone. Fece di tutto per non guardarla negli occhi, in modo da non
svelare il suo inganno, il tormento che provava in quegli attimi.
Sono costretto a mentirti, amore…
Per non farti preoccupare.
Per non metterti in pericolo.
Devo fingere che sia stata una cosa normale, di routine, che
questo non rischia di essere l’ultimo giorno che
passiamo insieme…
E non posso fare altro che tacere.
E, in silenzio, fingere che non sia successo nulla.
Ci mise un po’ più di quanto Misato avesse
previsto per tornare con il loro pranzo, ma alla fine riuscì a calmarsi
tanto da tornare al tavolo sorridendo.
“Allora, che ti ha detto il Comandante?” chiese il Maggiore
Katsuragi cominciando ad addentare la propria ala di
pollo. Le palpebre di Satoshi fremettero appena.
“Nulla di particolare, mi ha designato per una missione
diplomatica per implementare le nostre forze di difesa,”
scandì, recitando quasi le stesse parole usate da Ritsuko poco tempo prima.
“Devo contattare i dirigenti di un’agenzia di sicurezza.”
Continuarono a conversare sull’argomento per quasi un’ora e
l’unico sollievo che Satoshi poteva provare era che Misato continuasse ad
essere all’oscuro del tormento che lo torturava, senza venirne
coinvolta.
“Quindi è una grande
responsabilità, Satoshi,” concluse la donna, sorridendo e posando il coltello
accanto al piatto. L’altro annuì.
“Si tratta di un incarico fondamentale, mi è stato fatto
intendere.”
“Bene, sono molto contenta per te!”
L’uomo annuì, ma non disse nulla, e finì di mangiare. In
quel momento suonò il segnale acustico che decretava la fine della pausa pranzo
per il pranzo per gli Operatori dei Reparti Meccanici
[1], accolto da un coro di disapprovazione da parte dei presenti. Misato si
alzò. “E’ il caso che anch’io torni al lavoro. Pensi
di liberarti in tempo per andare a recuperare i ragazzi?”
“Credo proprio di sì.”
“Bene, allora ci vediamo più tardi!”
“Misato!”
La donna si voltò sorpresa quando
lui le prese una mano con dolcezza per trattenerla. Satoshi la guardò negli occhi mentre oltrepassava il tavolo e si portava davanti a
lei. “Ti amo,” le disse, e l’abbracciò con trasporto.
Il Maggiore era ancora sorpresa, ma non esitò a lungo prima di rispondergli,
con un tenero bacio sulla guancia.
“Anch’io ti amo,” disse poi,
semplicemente. Si separarono e sorrisero. “Non vedo l’ora che i nostri turni finiscano, così possiamo stare un po’ da soli…”
“Anch’io aspetto con ansia quel
momento…” rispose Satoshi, cercando di soffocare il pianto.
… Perché forse sarà l’ultimo
momento che potremo passare insieme…
E questa consapevolezza mi sta annientando.
Non è giusto…
NON E’ GIUSTO!!
…
Non posso morire senza che tu sappia cosa mi è successo…
Per te sarò solamente ‘Inviato in missione’…
Perché nessuno deve conoscere gli sporchi affari del Comandante
Ikari…
E per questo motivo tu non dovresti sapere nulla di quello
che mi è successo…
No, non è giusto. Non finirà così.
“Satoshi, sei sicuro di star bene?” chiese Misato,
preoccupata. L’uomo scosse la testa e sorrise tranquillizzante.
“Sono solo un po’ stanco, niente di particolare.”
“Se dovesse peggiorare fai un salto
da Ritsuko, mi raccomando.”
“D’accordo, puoi contarci.”
“A più tardi allora, ciao!”
“Ciao, amore mio…”
Con un ultimo bacio, i due si separarono definitivamente.
Satoshi guardò la sua compagna sparire nel corridoio da cui era arrivata e,
finalmente, due lacrime spuntarono ai lati dei suoi occhi.
No, non finirà così.
Saprai.
In qualche modo saprai.
Saprai che ti avrò amata fino
all’ultimo.
Passandosi rapidamente una mano sugli occhi, l’uomo lasciò
la sala mensa quasi correndo.
Poche ore dopo Misato e Satoshi uscirono insieme dalla base
della Nerv, ciascuno con il proprio mezzo, per recuperare i ragazzi. La donna
notò una strana distanza da parte del suo fidanzato, come se i suoi pensieri fossero distanti, come se fosse preoccupato
per qualcosa, ma attribuì tale stato d’animo alle pressioni che avrebbe dovuto
subire di lì a poco a causa della missione che credeva dovesse svolgere.
Quando i ragazzi furono in vista, erano già immersi in una accesa discussione: a quanto pareva, Gabriel aveva detto
a Kensuke che non si era mai molto occupato di videogiochi, cosa che aveva
letteralmente scandalizzato Asuka. Da quando erano usciti dall’aula, infatti,
la rossa non aveva smesso un attimo di tormentare il Fourth Children sul fatto
che avrebbe dovuto provare, che magari gli sarebbe piaciuto, che era una cosa
senza cui nessun ragazzo della loro età poteva
crescere felice.
Non appena ebbe visto Satoshi, fu proprio la Second Children
a chiedergli spasmodicamente di permettere a Gabriel di andare con lei e
Shinji, in modo che potesse ‘educarlo’. L’uomo rimase come assente
per alcuni istanti, poi annuì, soprappensiero. Il suo tutorato subodorò che c’era qualcosa che lo preoccupava, ma fu tranquillizzato da
Misato, che gli spiegò quella che era la sua missione di copertura.
Dopo aver riportato Rei a casa e dopo aver cenato a casa di
Satoshi, come da accordi, i ragazzi si recarono nell’appartamento di Misato per ‘l’addestramento di Gabriel’,
come l’aveva chiamato Asuka, mentre la donna e il padrone di casa rimanevano
soli a sparecchiare. Il Maggiore aveva concesso che dormissero tutti insieme, e infatti il Fourth Children avrebbe portato
con sé l’occorrente per la notte, ma si era anche caldamente raccomandata che
non passassero troppo tempo a giocare, poiché l’indomani si sarebbero dovuti
recare a scuola.
Dopo che tali raccomandazioni furono accolte, specialmente
dalla Second Children, i ragazzi se ne andarono, e
Satoshi chiuse la porta dietro di loro, dopo aver augurato la buona notte. Dopo
un attimo di esitazione, controllò bene che la porta
d’ingresso fosse ben chiusa e tornò da Misato. Lei stava ancora asciugando i
piatti, ma lui la sorprese abbracciandola da dietro e
posandole un languido bacio sul collo.
Emettendo un gridolino di sorpresa, Misato posò il piatto,
asciugato a metà, e si girò verso di lui, sorridendo. Subito le loro labbra si incontrarono in un bacio appassionato.
“Come mai tutta questa irruenza?”
Chiese la donna con un sorriso piacevolmente sorpreso quando si staccarono.
Satoshi la guardò negli occhireprimendo con decisione la disperazione che gli attanagliava
l’anima.
“Perché ti amo...”
…e
voglio amarti con tutto me stesso, completamente, anima e corpo, un’ultima
volta…
Satoshi aveva osservato in silenzio Misato abbandonarsi lentamente
al sonno tra le sue braccia , accarezzandone con
dolcezza i capelli e la schiena. Solo quando ebbe la certezza che ormai si
fosse decisamente addormentata rilassò la testa sul
cuscino e volse il capo di lato lasciando che un sottile fiume di lacrime
scorresse via silenziosamente.
Misato…
Solo una lettera…
Solo una lettera per dirti addio…
Solo due ore e mezza per vivere sacrificando altre vite e
tornare da te…
…o
morire salvando gli altri e sacrificando me stesso…
…
Non sono diventato un Agente della Sicurezza per diventare
in seguitoun
assassino!
Io non posso…non posso…
Non posso farlo…io non posso
uccidere!
Uccidere e renderti così la compagna di un assassino…
Ma non posso e non voglio sottrarmi mettendoti così in
pericolo…
…
Quell’uomo avrà ciò che vuole… almeno tu ti salverai…
Ma nessuno morirà per mano mia…
Lo avevo già deciso quando ti ho
scritto quella lettera…
Lo avevo già deciso…
Anche se per questo probabilmente io…
L’uomo strinse i denti soffocando a stento un forte singulto
che ne scosse interamente il corpo.
A quel sobbalzo, seppure trattenuto, Misato si mosse piano
nel sonno accoccolandosi meglio tra le braccia del compagno e spostando il capo
dalla spalla al petto di lui. Satoshi trattenne il
respiro per qualche secondo, volgendo lo sguardo verso di lei, e lo rilasciò solo quando vide che dormiva ancora seppure continuasse
leggermente a muoversi ricercando una posa più comoda.
Amore, non svegliarti adesso…
Non voglio che tu mi veda piangere…non voglio che il mio
pianto sia l’ultima immagine che ricorderai di me.
Voglio invece che l’ultima immagine che tu abbia di me, sia mentre ti sorrido…
Se ti svegliassi adesso,
probabilmente ti dirò che sto piangendo di gioia…per essere con te…perché ti
amo…perché mi ami…
… quando in realtà piango di
dolore…perché da domani, potrei non essere più con te…e perché ti amo troppo
per andarmene via così.
Ma se ora ti sveglierai e mi guarderai negli occhi, capirai la
verità.
Sono un pessimo bugiardo.
Per questo, Amore, dormi. Continua a dormire.
Quando vide che la sua compagna si era tranquillizzata, l’uomo riprese a respirare normalmente, cercando di dominare
il pianto. Ancora una volta la guardò e ancora una volta
senti la disperazione logorargli l’anima. Sforzandosi di non lasciare il proprio
pianto libero di riversarsi senza freno, circondò delicatamente le spalle di
Misato con le braccia stringendola piano a se. A quel contatto la donna si
mosse appena sorridendo nel sonno e si strinse a lui a sua volta.
Dormi, Amore.
E perdonami se quando domattina aprirai gli occhi, io non
sarò con te.
Perdonami…
Ma ora dormi.
E ti prego…dammi la forza, Amore mio… dammi
la forza per riuscire a tornare da te sano e salvo…
Quasi senza accorgersene, mentre le lacrime continuavano a
rigargli il volto, Satoshi cadde in un dormiveglia agitato in cui rivisse
fedelmente la convocazione del Comandante Ikari e in cui si vide protagonista
in quella missione suicida e quando l’immagine di un’esplosione lo colse
d’improvviso, sobbalzò quasi. Spaventato si guardò concitatamente attorno, ma
ciò che vide non furono altro che la sua compagna
ancora addormentata sdraiata quasi per metà su di lui, un lieve bagliore
filtrare dalle persiane chiuse e la sveglia sul comodino che segnava le3:45 del mattino.
Era ora di andare.
Silenziosamente scivolò via da sotto il corpo della donna
che senza svegliarsi si raggomitolò contro il cuscino. Si fermò ad osservarla
per qualche istante e tutto lo strazio di poche ore prima tornò a lacerargli
l’anima. Facendo forza su se stesso per riscuotersi dal suo dolore, raccolse un
paio di calzoni azzurri da casa, che giacevano
disordinatamente abbandonati sulla spalliera di una sedia, e li indossò in
fretta quindi si diresse all’armadio dove prese degli asciugamani freschi di
bucato, un cambio di biancheria intima e un paio di pantaloni e la giacca
dell’uniforme puliti, quindi si recò in bagno per una rapida doccia.
Quando uscì dal bagno, era
perfettamente vestito. I capelli biondi erano ancora inumiditi. Anziché asciugarli col phon li aveva semplicemente frizionati con
uno degli asciugamani puliti presi poco prima dall’armadio.
Silenziosamente ritornò nella camera da letto ed osservò la figura della donna
addormentata. Non avvertendo più il calore del corpo dell’uomo, Misato nel
sonno si era tirata addosso il lenzuolo arrivando a
coprirsi solo per metà. Malgrado tutto, Satoshi
sorrise con tenerezza a quella visione. E una
tristezza abissale. Senza provocare rumore si avvicinò al letto e la ricoprì
con dolcezza fino al collo, dopodichè, appoggiandosi con la mano sinistra al
comodino e la destra al bordo del letto, si chinò fino a sfiorare le labbra di lei in un bacio lievissimo e breve. Al contatto
con le labbra del compagno la donna inspirò
profondamente ma non si svegliò.
Lentamente, l’uomo si rialzò evitando qualunque movimento
brusco, gli occhi ricolmi di lacrime pronte a riversarsi senza freno. Lottò e
le cacciò via in modo che non gli offuscassero la vista
mentre guardava la donna che amava probabilmente per l’ultima volta.
Non voglio dirti addio, Misato…
Non voglio credere che questa sia l’ultima volta che posso
vederti…
Mio padre, quando viveva ancora qui in Giappone era un ufficiale dell’esercito addetto al controspionaggio
che dal Giappone si era trasferito in Francia per specializzarsi in operazioni
di controspionaggio. Finquando non conobbe mia madre e decise di restarvi. E
quando la Nerv fu creata vi entrò seguendo il Codice d’Onore di un Sankendoka… ‘Combatti con lealtà e onore per la tua Patria, la tua Famiglia,
la tua Donna e i tuoi Figli.’
Io vi entrai per lo stesso motivo…come mio padre volevo difendere la mia patria e la mia famiglia… ma più di
tutto ora voglio difendere te, Amore mio…dalla crudeltà del
Comandante Ikari…dalla corruzione dell’Organizzazione in cui rischiamo la
vita…per questo ora me ne andrò.
Intanto dormi ancora, Amore… sogna di me, di te, di noi
lasciando fuori dal tuo sogno questo incubo.
Ti amo.
Con un silenzioso sospiro, Satoshi la guardò ancora una
volta per poi recuperare il cellulare dal comodino ed infilarlo nella tasca
della giacca, volgerle le spalle ed uscire dalla stanza.
Giunto in corridoio prese da un mobile la tessera
d’entrata del suo appartamento, della Nerv, ed il portachiavi con le chiavi
d’accensione e della catena antifurto dell’Harley, che infilò nella tasca
destra dei calzoni, arrivato sull’uscio infilò le scarpe della divisa, e a
passo svelto uscì dall’appartamento. Una volta che chiuse dietro di se la porta
di casa, infilò la tessera sotto l’uscio accertandosi che giungesse dall’altro
lato, in modo che la suacompagna potesse prenderla anche se non era necessaria per
uscire. Infatti per quelle porte l’uso della tessera
era necessario solo per l’entrata e non per l’uscita, sicché un estraneo che
non possedesse quella scheda non avrebbe mai potuto accedervi. Ma lei, una
volta trovata la tessera, una volta che lui l'avesse lasciata per sempre, avrebbe potuto entrarvi ogni volta che avesse voluto
ricordare quanto si erano amati.
Terminata quell’operazione, l’uomo rivolse un ultimo sguardo
alla porta di casa e si diresse agli ascensori. Pigiò il pulsante di chiamata e
le porte si aprirono. Una volta entrato selezionò il
pianoterra, le porte si chiusero e l’ascensore partì. Quando giunse a
destinazione, l’uomo, che per tutto il tempo era rimasto asguardo chino, gli occhi nuovamente
offuscati dalle lacrime, la mente invasa dal dolore, quasi non se ne accorse. A
riscuoterlo fu il suono delle porte che si aprivano. Velocemente si asciugò gli
occhi col dorso della mano e si diresse verso il retro del condominio dove la
sua Harley era parcheggiata.
Pochi secondidopo, l’Harley nera dell’Agente
Iwanaka sfrecciò sulla strada deserta in direzione del GeoFront.
Continua….
[1]: In questo AU, le pause pranzo sono
stabilite e diversificate a seconda del reparto di appartenenza. Gli Ufficiali
e gli Operatori della Sala Comando, essendo il loro lavoro indispensabile per
il funzionamento della Nerv, pranzano quando gli
impegni lo permettono.
Capitolo 20 *** Due ore e mezza per vivere o morire (Parte II) ***
I rumori dell’Aerojet Stealth della Nerv ronzavano appena nell’aria
fredda della prima mattina giapponese, a diecimila metri d
CAPITOLO 19
Due ore e
mezza per vivere o morire (Parte II)
I rumori dell’Aerojet Stealth della Nerv ronzavano appena
nell’aria fredda della prima mattina giapponese, a diecimila metri di quota.
Viaggiava unicamente con la navigazione SuperSonar [1] ed in silenzio radio, per cui era praticamente impossibile rilevarlo. All’interno
di una delle cabine del velivolo, Satoshi sfogliò per
l’ennesima volta il terzo fascicolo del dossier sulla Base Haiko-2, la sua destinazione.
Gli era stato consegnato, come da programma, dalla
Dottoressa Akagi, quando si furono incontrati alla
piattaforma aerea 7 circa mezz’ora prima. Era arrivata all’appuntamento, una
struttura strettamente sorvegliata da Agenti della Sicurezza della Nerv che
ospitava un unico velivolo privo di segni distintivi, perfettamente puntuale.
Non aveva fatto apparentemente caso all’espressione gelida con cui l’Agente
Iwanaka l’aveva accolta, ma si era mossa direttamente verso di lui. Senza
nemmeno chiamarlo per nome gli aveva illustrato l’intero equipaggiamento che
era stato preparato per lui e lo speciale supporto di memoria per computer
contenente il virus da scaricare nel computer della base nemica. Gli Agenti che
li circondavano, individui taciturni in uniforme e occhiali neri, sembravano
delle statue, i cui vestiti erano mossi appena dal getto d’aria dell’Aerojet
che riscaldava i motori.
Satoshi aveva esaminato insieme a Ritsuko la tuta mimetica
da infiltrazione Chameleon Prototype [2], il computer compatto da polso e le
sue numerosissime funzioni, la Beretta d’ordinanza dotata di silenziatore e il
piccolo dispositivo simile ad una vecchia pen drive che conteneva il virus. La
donna gli aveva consegnato i fascicoli che riportavano le fotografie e i dati che
avevano visionato insieme il giorno prima, al Quartier
Generale.
Dopo un laconico ‘buona fortuna’, la Dottoressa Akagi aveva
abbandonato la piattaforma 7 insieme ai due Agenti che l’avevano scortata ed
era sparita tra le vie ancora deserte di quella parte della città.
Il fatto di sapere che quella freddezza era il modo di
Ritsuko di affrontare le situazioni più difficili non
era di alcun conforto per Satoshi, che era salito in silenzio sul velivolo
insieme ai due membri dell’equipaggio ed aveva abbandonato la città. Per tenere
a bada la tensione, cominciò subito a prepararsi per la missione, indossando la
tuta mimetica e le parti dell’equipaggiamento, e cominciando poi a sfogliare i
fascicoli ricevuti.
Fu distolto dal ricordo degli avvenimenti che lo avevano
portato su quell’Aerojet da un discreto bussare alla porta della cabina.
“Avanti,” disse, atono, riponendo
il dossier in modo che il suo ospite non lo vedesse. Infatti,
nemmeno i piloti conoscevano lo scopo della missione, ma avrebbero unicamente
dovuto portarlo sull’obiettivo e recuperarlo centocinquanta minuti dopo.
Sulla stretta soglia si affacciò il
giovane copilota, un Caporale. “Agente Iwanaka, siamo quasi sull’obiettivo.”
L’uomo, seduto sulla piccola branda che avrebbe funto da
letto in un’altra situazione, annuì. Subito il soldato richiuse l’uscio, per
coadiuvare il collega durante le operazioni di avvicinamento.
Siamo quasi sull’obiettivo…
Ciò significa che molto probabilmente mi restano due ore e
mezza di vita…
Misato…
Misato… Sento già la tua mancanza… Se dopo la morte non dovessimo più incontrarci, come farò a stare tutta
un’eternità senza di te?
Amore mio…E’ solo pensando a te che riesco a trovare la
forza di compiere la mia missione…
Perché se non lo facessi sarei un vile, pronto a mettere in
pericolo la tua vita per salvare la mia…
Due ore e mezza, e poi… Non potrò più dirti che ti amo.
Non potrò più dirti quanto amo svegliarmi al tuo fianco la
mattina e vedere come prima cosa della giornata il tuo sorriso lambito dai
raggi dell’alba…
Non potrò più dirti… che ti amerò per sempre, amore mio…
Però…
Ho voluto dirti tutto questo ancora una volta. Un’ultima
volta…
***
Dopo essere uscito quasi di corsa dalla sala mensa, Satoshi
vagò per quasi quindici minuti all’interno della base, alla ricerca di un luogo
in cui sfogare tutto il suo dolore. Alla fine uscì nel parcheggio, deserto a
quell’ora. Vedendo che non c’era nessuno che potesse notarlo, permise a due
sottili scie luminose di uscirgli dagli occhi e scorrergli giù dagli zigomi.
Quante cose vorrei ancora fare…
A quante persone vorrei ancora dire addio…
Ed invece sono qui, sono da solo, senza la possibilità di
confessare questo tremendo peso a nessuna delle persone con cui vorrei parlare…
Misato, Gabriel, i ragazzi… I tre Operatori del Magi System… La mia famiglia…
Però…
In qualche modo devo assolutamente farlo sapere a Misato…
E…
E dovrei anche salutare mia madre e mio padre… In fondo, non
potrò più sentirli da domani…
Esitò. La sua mano destra scivolò nella tasca, stringendo
convulsamente il cellulare. Quasi si stupì di riuscire a pensare così
lucidamente nonostante l’angoscia che gli stringeva il cuore.
Asciugandosi le ultime lacrime dagli occhi estrasse il
telefono dalla tasca, respirando più volte a fondo in modo da controllare il
dolore. Quando si sentì sicuro che la voce non avrebbe
tremato, compose il lungo numero di una chiamata intercontinentale. Non dovette
aspettare molto prima che una voce femminile gli rispondesse dall’altra parte.
“Oui?” chiese la donna, con voce cortese, anche se
assonnata.
“Mamma, sono io,” rispose Satoshi
in francese, sorridendo nonostante la sofferenza al suono di quella voce
familiare. D’un tratto si rese conto che in Francia era notte a quell’ora, o
primo mattino, e che quindi aveva svegliato sua madre
“SATOSHI!!” urlò sua madre, ora
decisamente desta rischiando di stordirlo. “Che
piacere sentirti, mi sei mancato!”
“Ma… Ci siamo sentiti sabato sera…”
“Ma per me anche un solo giorno senza sentire il mio
figliolo è lunghissimo!” Il tono lasciava intendere che quello era uno scherzo, ma che comunque la donna era felice di
sentire Satoshi. E questo lo rincuorava molto.
“Allora, come stai?”
L’uomo deglutì.
“Bene, mamma. C’è anche papà?”
“No, tuo padre è rimasto a dormire sul lavoro, il Comandante
della Sede Francese lo ha trattenuto. Avevi bisogno di parlare con lui?”
“No, no… In realtà… In realtà avevo solo voglia di sentirvi.”
“Che amore che sei, Sato-chan!”
Sebbene fosse francese, sua madre,
Michelle aveva adottato alcune caratteristiche tipicamente giapponesi, grazie
all’influsso del marito Sumio Iwanaka. Tra queste vi era l’uso di quella forma
affettuosa.
“Beh… e voi come state?”
“Non c’è male, sai? Mercoledì verrà a trovarci tua cugina Christine
e si fermerà per il resto della settimana. La scuola di recitazione le ha concesso qualche giorno di vacanza… Lo sai che stanno
studiando ‘Grease’ e hanno anche citato la mia interpretazione?”
“Davvero? Beh, anche nella sua scuola sapranno che sei la
migliore attrice della Francia, se non del mondo
intero.”
“Smettila, se no poi finisce che mi
vanto!”
Entrambi risero per un po’.
“Allora,” riprese Michelle infine.
“Cosa mi dici di Misato?”
Il sorriso che ancora aleggiava sulle labbra di Satoshi morì.
“Misato… cosa vuoi sapere?”
“Beh… Insomma… Le hai chiesto di
sposarti?”
“Mamma!!”
“D’accordo, scherzavo! Ad ogni modo, tra voi va tutto bene,
vero?”
Parlare di Misato in quel momento era l’ultima cosa che
Satoshi volesse fare: tuttavia non voleva, non poteva
mettere in allarme sua madre cambiando bruscamente argomento. Strinse i denti e
rispose.
“Sì, verissimo. Non la amo di meno di quando ci siamo
fidanzati. E passerei ogni momento della mia giornata
a dirle quanto la amo…”
“Oh, hai ereditato l’animo romantico di tua madre,
Sato-chan… Solo che io all’epoca scrivevo addirittura lettere d’amore…”
“I tempi sono cambiati, mamma… Oggi non si
scrivono più le lett…”
Un’idea improvvisa fulminò l’Agente di Sicurezza.
“Satoshi, tutto bene?” chiese allarmata sua madre. “Cos’è successo?”
“Niente… niente, mamma. Stai tranquilla, mi sono solo
ricordato di una cosa importante.”
Una lettera… Una lettera…
Ben avvolta in un foglio bianco, così nessuno può leggerla
in controluce…
E consegnata con un mazzo di fiori… Il mio ultimo regalo per te, Misato…
E’ una cosa pericolosa, però almeno saprai… E saprai che ti
amo, te lo dirò un’ultima volta…
Visto il lungo silenzio del figlio, Michelle cominciò a
preoccuparsi sul serio.
“Una cosa grave? Ti sto facendo perdere tempo?”
Satoshi si riscosse, riprendendo coscienza del fatto che era
ancora al telefono con sua madre.
“No no, affatto. Mamma…”
Si rese conto all’improvviso che quello era probabilmente un
addio, e un groppo in gola gli impedì di parlare. Non avrebbe mai dovuto far
sentire la propria voce incrinata a lei, perché avrebbe capito subito.
“Mamma,” riprese dopo un attimo, la
voce nuovamente ferma. “Devo partire per una missione diplomatica, per un po’
non potremo sentirci.”
Non sopportava di dover mentire anche a lei, ma non poté
fare a meno di tenere duro.
“Starai via molto?” chiese la donna, dispiaciuta.
“No, non tantissimo. Però… non ci
potremo sentire.”
“Ho capito, è una di quelle cose top secret di cui non si
può parlare ad un telefono.”
Suo malgrado, Satoshi sorrise: sua madre riusciva ad rendere più serena anche una situazione come quella.
“Hai perfettamente ragione, mamma. Di’ a mio padre che ho
chiamato, quando torna, per favore. E… digli anche…
che vi voglio bene. Ad entrambi.”
“Va… va bene,” disse lei,
piacevolmente sorpresa da quelle parole. “Anche noi te
ne vogliamo, Sato-chan. Vai pure ora, non è il caso che tu faccia
tardi per parlare con tua madre. Mi raccomando, stai
attento e buona ‘missione segreta’!”
“Va bene. Ciao, mamma.”
“Ciao, Satoshi.”
La comunicazione fu chiusa, e l’Agente si sentiva meno
disperato di quanto non fosse prima. Era grato a sua madre per non aver fatto
troppe domande e per essersi fatta salutare un’ultima volta. E
le era grato anche per avergli suggerito involontariamente il metodo per dire a
Misato la verità che meritava di sapere.
Guardò l’orologio: c’era ancora parecchio
tempo prima che il turno suo e di Misato finisse. Di corsa raggiunse la
propria moto, indossò il casco e partì, sfrecciando, verso il
collegamento per la città soprastante.
Il signor Asaki aveva appena riaperto il suo negozio di
fiori dopo la pausa per il pranzo quando vide l’Agente
Iwanaka sfrecciare verso di lui in sella alla sua Harley Davidson. Sorrise e
gli rivolse un cenno di saluto. Ormai lo conosceva, poiché all’incirca ogni
settimana si recava da lui ad acquistare un mazzo di fiori per la sua
fidanzata. Aveva addirittura lo sconto sulle rose rosse.
Ma quel giorno Satoshi sembrava
piuttosto di fretta. E dall’espressione, intravista
attraverso la visiera, sembrava anche preoccupato.
“Buona giornata, signor Iwanaka,”
disse il fioraio, sorridendo, cordiale come sempre.
“Buongiorno, signor Asaki,” rispose
Satoshi, smontando dalla moto e togliendosi il casco. Il suo sorriso di
risposta era stanco, tanto da far preoccupare l’altro uomo.
“E’ sicuro di sentirsi bene? La vedo pallido…”
“Non si preoccupi, è solo che al lavoro è stata una giornata
pesante.”
Asaki decise di non indagare, e condusse il suo miglior
cliente dentro il negozio.
“Come sta la sua dolce metà?” chiese, sperando che
menzionare il Maggiore Katsuragi sarebbe servito a farlo sentire più a suo
agio, ma fu deluso.
“Bene, grazie,” disse Satoshi, ma
non mostrò di sentirsi meglio.
“Mmmhhh… Vuole qualcosa di speciale per il Maggiore
Katsuragi?” tentò ancora Asaki.
“Sì… Sì, a dire il vero è qualcosa di speciale che vorrei…”
“Le preparo un mazzo delle migliori rose
del Kyushu, sono arrivate proprio stamattina. Ovviamente al solito prezzo.”
“No,” lo interruppe Satoshi, mentre
l’uomo già si apprestava a recuperare da una cesta alcune splendide rose rosse.
Questi lo guardò sorpreso.
“Si tratta di un’occasione particolare? Le rose rosse non
sono adatte?”
“Sì,” rispose l’Agente, annuendo
sommessamente. Asaki allora parve comprendere all’improvviso. “Ah, capisco… Si tratta della perdita di una persona cara?”
Satoshi rimase interdetto.
Che ironia della sorte… Potrei
mandarle i fiori per il mio funerale…
No, che razza di idea. D’altronde però
per un mazzo di rose rosse non mi sembra il caso… e non posso nemmeno spiegare
al signor Asaki la situazione…
“Sì,” azzardò infine il giovane,
non del tutto convinto, ma la sua titubanza passò per contrizione agli occhi
dell’anziano fioraio.
“Ho capito,” disse quest’ultimo,
chinando il capo affranto e allontanandosi dalle rose del Kyushu. “Forse allora
un classico mazzo di crisantemi è la scelta più indicata…”
“No, no!” intervenne subito Satoshi. “Era…
era una persona molto cara… Vorrei mandarle… delle rose bianche. Per
farle sapere che le sono vicino.”
“Le rose bianche sono segno di una profonda affezione, sono
sicuro che apprezzerà molto il gesto,” constatò Asaki,
incrociando le mani davanti a sé, affranto.
“Sì…” disse infine Satoshi, vago.
“D’accordo, allora prepariamo un mazzo di rose bianche.
Magari non molto appariscente, una ventina di fiori. Che ne
dice?”
“Va bene… Però aggiunga anche una
rosa rossa…”
Asaki fu sorpreso da quelle parole, poiché di solito non si
regalava una rosa rossa ad una donna che aveva appena sofferto un lutto.
Tuttavia decise per la seconda volta di non fare domande: dopotutto, chi
conosceva la situazione era il suo cliente, e lui non poteva permettersi di
sindacare le sue decisioni.
“Mi aspetti al bancone allora,”
disse infine, indicando il mobile, mentre si recava a prendere i fiori
richiesti.
“Aspetti un attimo,” lo interruppe
di nuovo Satoshi. “Potrebbe fornirmi dei fogli di carta e una penna? Vorrei…
scrivere un messaggio da allegare alle rose.”
“Sicuramente,” fece l’anziano con
un sorriso cordiale, recuperando da vicino alla cassa quattro fogli di carta,
una penna a sfera e una busta. Mentre il fioraio si
occupava di formare il mazzo di rose, l’Agente Iwanaka si chinò sul bancone,
sforzandosi di trattenere le lacrime, e scrisse ciò che voleva che Misato
sapesse.
Il profumo di così tanti fiori tanti insieme avrebbe potuto risultare nauseabondo dopo un po’, ma Satoshi
non ci badava: per lui, le uniche cose che esistevano in quel momento erano il
dolore, la lettera che stava scrivendo e Misato, unico pensiero della sua
mente.
Ci mise quasi mezz’ora a scrivere poco più di una pagina di
calligrafia, a tratti tremante. Trattenendo il fiato, piegò il foglio
all’interno di un altro foglio bianco e mise il tutto nella busta, togliendo la
protezione sul lato adesivo sigillandone l’apertura.
Asaki aveva aspettato in disparte molto discretamente,
sicché l’Agente della Nerv poté prendersi tutto il
tempo che gli serviva per ricacciare indietro l’angoscia che si era fatta
nuovamente avanti, minacciosa e disperante, mentre scriveva. Quando
si sentì pronto, si risollevò dalla scomoda posizione chinata che aveva assunto
e si voltò verso il fioraio, che finalmente avanzò verso di lui con un sorriso
comprensivo appena accennato.
“Le sue rose sono pronte,” disse,
mostrando il mazzo di fiori bianchi al cui centro spiccava un’unica rosa rossa.
“La ringrazio,” rispose Satoshi con
espressione sinceramente riconoscente. Sollevò la lettera, priva di indicazioni sul retro. “La prego di consegnare questo
mazzo e questa busta al Maggiore Katsuragi al solito indirizzo, domattina
abbastanza presto, prima che lei vada al lavoro.”
“D’accordo, glielo porterò verso le nove e mezza. E’
sufficiente?”
“Sì, credo che per allora…” si interruppe
all’improvviso.
Credo che per allora sarà tutto finito…
Si schiarì la voce e proseguì. “Credo che per allora andrà
bene. Grazie.”
“Si figuri. Ha le mie condoglianze, signor Iwanaka.”
“Grazie anche di questo, signor Asaki. Quanto
le devo?”
L’uomo disse il prezzo e Satoshi pagò.
“Ora è meglio che vada.”
“D’accordo,” disse il fioraio,
battendogli cordiale una mano sulla spalla. “Torni pure a lavorare. E mi saluti
Gabriel quando lo vede!”
Ormai già sulla porta, Satoshi sorrise, per la prima volta
rilassandosi, e annuì. Anche il suo tutorato aveva
preso l’abitudine di comprare i fiori per Rei dal signor Asaki. “Non mancherò
di certo. Arrivederci!”
Il fioraio agitò la mano in segno di saluto, mentre l’Agente
Iwanaka montò in moto, si rimise il casco e ripartì per il GeoFront. Si sentiva
più leggero dopo quell’incontro, ma sapeva già che l’angoscia sarebbe tornata
ad attanagliarlo ben presto.
***
Satoshi controllò ancora una volta che il suo
equipaggiamento fosse al posto designato e fosse
facilmente raggiungibile e infine accese il dispositivo della tuta. Quasi subito le sue scaglie, prima azzurrognole, assunsero le
tonalità scure dell’interno del vano di lancio dell’Aerojet. Si guardò
la mano e apprezzò l’effetto: se il colore era così fedele anche in zone
illuminate e all’aperto, sarebbe veramente stato difficile da individuare dal
nemico. Si calò sul volto il passamontagna, dalla stessa struttura cangiante e
scagliosa della tuta, e indossò il paracadute. Il copilota uscì di nuovo e si
diresse verso di lui.
“Si sente pronto?” chiese, e contemporaneamente aprì il
portellone, ignorando il vago cenno di assenso del suo
interlocutore. Dall’esterno i due furono quasi abbagliati dalla luce del sole,
che a quell’altitudine svettava sulle montagne, ancora rosato dall’aurora,
lasciando in ombra le valli sottostanti.
Ora volavano piuttosto bassi, in modo da non essere
avvistati nemmeno otticamente dalla base nemica, e Satoshi vide
una profonda gola sotto di loro, immersa nell’oscurità, e per un attimo gli parve
che il tempo si fermasse, e il rombo dei motori dell’Aerojet si trasformasse
nello scroscio di una cascata nascosta, che alimentava il fiume che scorreva in
fondo a quel canalone. Il sole sparì dietro una montagna, ma lasciò il panorama
tutt’altro che buio, poiché le tenui nuvole bianche riflettevano all’infinito
le sue tonalità rosate, spargendole per tutto il cielo e la terra come un
grande specchio naturale. Oltrepassarono una vetta e sotto di loro si aprì una
piccola valle, un campo di fiori che univano i loro colori al rosa vellutato
che pervadeva tutto. Poi superarono un’altra giogaia e un altopiano più vasto
si palesò agli occhi di Satoshi. Qui il prato era interrotto da boschetti
naturali e selvaggi, intermittenti. L’Aerojet rallentò, prolungando quello
spettacolo. In un attimo che sembrò non finire mai
l’uomo immaginò una scena mozzafiato tra quei lievi pendii, giù nella valle,
durante una gita meravigliosa, senza gli impegni e le uniformi della Nerv.
C’erano soltanto loro, tutti insieme: Gabriel che
componeva seduto su un masso insieme a Rei che lo guardava… Asuka e Shinji che
si rincorrevano come due ragazzi della loro età avrebbero dovuto fare, invece
di rischiare la vita ogni giorno… E loro due, Satoshi e Misato, stesi
sull’erba, abbracciati, scambiandosi le parole d’amore che avrebbero dovuto
scambiarsi per tutta la vita…
“Signore?” chiese il copilota, strappando
Satoshi dal suo sogno ad occhi aperti e riportandolo alla realtà. Questi
lo guardò con aria infinitamente triste, ma non si
scompose e annuì, riportando lo sguardo sul panorama, che aveva ormai il sapore
di un quadro cui fosse stato portato via il colore.
“Sono le 5.55,” scandì il Caporale,
guardandosi l’orologio da polso. “Alle 8.25 noi saremo in questo settore per
recuperarla. Ha centocinquanta minuti per compiere la sua missione, qualunque
essa sia. L’obiettivo si trova al di
là di quelle montagne, ad una distanza di cinquecento metri.” Indicò
un’alta parete montuosa verso cui si stavano dirigendo
lentamente. Il rombo del motore era calato di molto, forse in modo da non
essere udibile dalla vicina base. Ai piedi di una delle montagne c’era un passo
protetto da cui sarebbe stato agevole passare senza essere notati.
“Buona fortuna, Agente,” fece il
Caporale, mettendosi sull’attenti e facendogli il saluto militare. Satoshi fece
freddamente un cenno del capo, poiché con il passamontagna indossato le sue
parole non sarebbero state udite, e rispose al saluto militare. Poi, mentre
l’altro rimaneva sull’attenti, come ad un funerale militare, Satoshi saltò nel vuoto.
Settecento metri più in basso, mentre l’Aerojet compiva una
brusca virata per tornare da dove era venuto, l’Agente della Nerv, la cui tuta
aveva assunto delle tonalità del verde, inframezzate da strisce rosse e nere
per confondersi con l’erba, raccolse il paracadute azzurro che si era
dispiegato e lo nascose dietro un cespuglio, prima di avviarsi verso il passo e
la sua destinazione. Il sole sorse definitivamente dalla vetta delle montagne,
inondando la valle di luce.
Quando infine vide il suo
obiettivo, Satoshi non si stupì più che un progetto colossale come la
costruzione di un nuovo Jet Alone potesse passare inosservata. La struttura che infatti sorgeva in mezzo alla zona spoglia e accidentata al
di là del passo era più piccola della Piramide della Nerv. Era un bunker
ultracorazzato, probabilmente tanto protetto che una bomba N2 non avrebbe mai
potuto raggiungere la vera e propria base segreta, posta
alcuni metri sotto il complesso.
D’altronde, un attacco di tale portata da parte della Nerv
sul suolo giapponese senza motivazioni ufficiali sarebbe stato sufficiente a
dichiarare sciolta l’agenzia e arrestare i suoi dirigenti.
Satoshi strisciò sul terreno pietroso di quella zona,
cosparso qua e là di sparuti arbusti, verso l’apertura di quello che sapeva
essere una presa d’aria della base, cento metri più avanti. La tuta Chameleon
assunse un colorito brunastro, con striature gialle, sicché se una sentinella
avesse guardato nella sua direzione avrebbe visto
solamente una vaga impressione di movimento, forse dovuto al sonno. Infatti, era stata scelta quell’ora per l’inizio
dell’operazione perché vi avveniva il cambio della guardia, in cui le
sentinelle notturne erano stanche per la nottata passata a guardare il nulla, e
quelle diurne erano ancora assonnate. Con una lentezza esasperante, l’uomo
raggiunse la piccola apertura sulla parete altrimenti compatta
della base. Una grata di metallo avrebbe dovuto impedirgli l’accesso, ma
l’Agente impiegato nella missione di sopralluogo, di cui egli non conosceva
l’identità, l’aveva rimossa, permettendogli l’accesso.
Con un ultimo sospiro, scacciò il ricordo del paesaggio meraviglioso visto poco
prima, e si costrinse a pensare unicamente alla missione. Silenziosamente,
sgusciò all’interno dell’angusta apertura, penetrando nella base nemica.
Per tutta l’ora successiva, Satoshi continuò a scendere,
prima lungo i numerosi condotti d’aerazione, visualizzandone le mappe sul
computer da polso, poi nei corridoi e con le scale d’emergenza, sussultando per
ogni rumore, nascondendosi ogni volta che vedeva un camice bianco o un’uniforme
militare apparire da dietro un angolo. Attraversò numerose sale, alcune dedicate al relax, altre adibite a dormitori per la
guarnigione, altre ancora piene di monitor, su cui scorrevano dati cui solo la
Dottoressa Akagi avrebbe potuto dare un significato. Costantemente, la sua mano
guantata teneva serrata la presa sul calcio della pistola, attendendo fino
all’ultimo prima di estrarla, ma non ce ne fu mai bisogno.
Pedinò due scienziati che si dirigevano parlottando verso la
porta che, secondo le mappe a sua disposizione, dava accesso alla “sala di
sperimentazione”, dove avrebbe dovuto trovarsi il Jet
Alone. Con il cuore in gola, attese che i battenti della
porta scorrevole automatica si richiudessero, sigillandosi, prima di
avvicinarsi. Dopo aver controllato che nessuno fosse
in vista, inserì nel lettore delle tessere d’accesso uno spinotto connesso al
suo computer da polso, che bypassò il sistema di controllo. La porta si aprì di
nuovo e Satoshi, trattenendo il respiro, la oltrepassò.
Quasi si scordò di appiattirsi contro il muro per
mimetizzarsi al meglio quando si trovò davanti il
visore, ancora cieco, del Jet Alone, illuminato da potenti fari alogeni che vi
proiettavano potenti raggi di luce. Quando si rese
conto di essere in piena vista, l’Agente si nascose vicino un angolo del
ballatoio che correva lungo l’intero perimetro dell’ampia sala. Controllando
che nessuno fosse in vista, si accostò con prudenza
alla ringhiera, scrutando il locale.
Era chiaro che, una volta che il
Jet Alone fosse stato attivato, sarebbe stato necessario smantellare la
soprastante base ed estrarre il robot in verticale, attraverso il lungo pozzo
che sovrastava la parte superiore della sala. Tutto attorno all’immensa
macchina vi erano numerosi dispositivi, di cui era
impossibile stabilire la funzione, collegati a varie prese sul suo corpo. Dalla
testa del robot spuntava quasi una selva di cavi, che si perdevano in tutte le
direzioni, connettendosi ai computer attraverso i quali gli operatori stavano
programmando l’unità di controllo. Gli arti inferiori si perdevano in
lontananza, in fondo alla cavità, e Satoshi sapeva che laggiù c’era il suo
obiettivo. Senza perdersi in osservazioni sterili per il successo della
missione, cominciò a scendere, evitando in tutti i modi il
contatto con gli occupanti della base.
Accanto al ‘piede’ del Jet Alone,
addosso al quale stava seduto un soldato dall’aria annoiata, c’era l’obiettivo
della missione: il terminale connesso direttamente al computer centrale, posto
in quel luogo difficile da raggiungere come ulteriore protezione. Satoshi era
riuscito ad arrivare a pochi metri da esso, ma non
poteva proseguire, poiché nemmeno la tuta Chameleon l’avrebbe nascosto se fosse
entrato in piena luce davanti agli occhi della guardia.
Guardò nervosamente l’orologio sul computer da polso e
soffocò un’imprecazione. Era rimasto poco tempo per compiere la missione, ed
ora era bloccato a un passo dal suo obiettivo senza
poterlo raggiungere. Poi accadde l’imprevedibile. Il soldato si alzò dal suo
improvvisato sostegno, si stiracchiò e si allontanò, probabilmente per
sgranchirsi le gambe. Satoshi non avrebbe avuto altre occasioni.
Silenziosamente avanzò nella luce, ed inserì il dispositivo di
Ritsuko, che aveva precedentemente estratto, in una
delle prese USB del terminale, premendo poi l’unico tasto che ne incrinava la
superficie altrimenti liscia. Un lieve tremore del monitor gli fece capire che
lo scaricamento del virus era iniziato, e quando la luce sul congegno si fu
spenta seppe che esso era terminato. Secondo le istruzioni ricevute da Ritsuko,
entro venticinque minuti la base sarebbe esplosa, senza nessuna possibilità di
interrompere il processo.
L’uomo, giunto finalmente alla fine della propria missione,
sospirò.
Venticinque minuti… Spero che bastino affinché si salvino
tutti…
Deglutì, e sentì una profonda tristezza pervaderlo.
Misato, perdonami…
Premette il tasto rosso che faceva scattare l’allarme
nell’intera base.
Un’assordante sirena si diffuse nell’enorme sala, scuotendo
gli scienziati dai loro test e i soldati dalle loro ronde. Tutti i presenti
cominciarono a sciamare in tutte le direzioni, presi di sorpresa, senza sapere
cosa avesse fatto scattare l’allarme. Dalla sala comando,
il Comandante Umigawa, delle Forze Armate Giapponesi, chiedeva a tutti i suoi
sottoposti, sbraitando, un rapporto sull’accaduto.
“Risulta che l’allarme sia stato
attivato direttamente dal terminale 01, signore!” disse un giovane ufficiale.
Il Comandante sbiancò: se un nemico era arrivato fin laggiù poteva essersi
infiltrato nel sistema informatico della base con esiti catastrofici.
“Far convergere tutte le unità al terminale 01, presto!”
ordinò, brusco.
In un attimo, una ventina di soldati pesantemente armati
circondò Satoshi, intimandogli a gran voce di alzare le mani e voltarsi
lentamente.
L’Agente della Nerv ubbidì, portando le mani sopra la testa
e girandosi verso i suoi nemici. Sui loro volti c’era sconcerto e paura, poiché
l’allarme ancora non era rientrato, sebbene l’intruso fosse stato individuato.
Accidenti, perché non si muovono, perché non abbandonano la
base??
Il soldato che prima sonnecchiava contro il piede del Jet Alone, forse per riscattarsi da quell’attimo di
debolezza che aveva permesso a Satoshi di compiere la sua missione, si
precipitò verso di lui per disarmarlo. Troppo velocemente. Abbassò la guardia,
allungando una mano verso la fondina dell’altro per prendergli la pistola, ma
smettendo di puntargli contro la propria arma. Un guizzo di speranza attraversò
gli occhi dell’Agente franco-nipponico.
Forse… posso salvare anche me stesso!
In un lampo, Satoshi eseguì una presa a mani nude, appresa
durante l’addestramento come Sankendoka, ed in pochi attimi disarmò il soldato,
si fece scudo col suo corpo e gli puntò la pistola alla tempia, tra lo sgomento
degli altri. Questi subito gli gridarono di lasciarlo andare, minacciandolo con
i fucili d’assalto, ma Satoshi non si lasciò impressionare, mentre il suo
ostaggio piagnucolava.
“Ascoltatemi bene!” gridò l’Agente della Nerv, cercando di
sovrastare gli ordini dei soldati. “Tra venticinque minuti la base esploderà, e
non c’è nessun modo di interrompere il processo.
Invece di puntarmi le armi contro, fareste bene a mettervi in salvo!”
Con uno sguardo, Umagawa pretese spiegazioni dal suo
sottoposto addetto alla sicurezza informatica. Questi rimase imbambolato a
guardare il monitor per diversi minuti, attonito.
“Allora??” sbraitò il Comandante, impaziente.
“E’… è così,” annaspò l’altro. “La
procedura di autodistruzione è in funzione e non è
possibile interromperla…”
La notizia gettò nello scompiglio i soldati in fondo alla
sala del Jet Alone, le cui fila furono attraversate da
un’ondata di panico.
Senza lasciare la presa sul suo ostaggio, l’Agente si
diresse indietreggiando verso un ascensore che aveva intravisto su un lato
della sala. Gli altri, non ricevendo più ordini dalla sala comando,
abbandonarono le loro posizioni e corsero a perdifiato verso gli altri
ascensori e le scale di emergenza. Una
volta soli, Satoshi poté strattonare il soldato fino a raggiungere l’ascensore;
una volta dentro, premette con forza il tasto che li avrebbe portati al
pianterreno della base. Quando il mezzo fu
partito si concesse di rilassare le spalle, anche se non tanto da liberare il
suo ostaggio.
“Ti prego…” sussultò questo, tremando sensibilmente. “Non mi
uccidere…”
Impercettibilmente, Satoshi abbassò l’arma.
“Come ti chiami, soldato?”
“Ta… Takahiro…”
“No, Takahiro, non ti ucciderò. Dobbiamo uscire tutti vivi
da questa storia.”
I singulti del soldato si fecero più profondi, come se si
fosse un po’ calmato.
“Però devi farmi una promessa,”
aggiunse dopo un attimo Satoshi.
“Quale…?”
“Non farti mai usare dai tuoi superiori. Se necessario,
lascia l’esercito, lascia tutto, ma non permettere che altri ti costringano a
diventare ciò che non sei.”
Takahiro probabilmente non comprese in
pieno le parole dell’altro, ma annuì ugualmente. C’era qualcosa in quel
tono di saggio, di sofferente, anche di triste. Non era il tono di un agente
infiltrato, pronto ad uccidere in cambio di un tornaconto personale.
Rimasero in silenzio durante tutti i lunghi minuti della
risalita, finché le porte non si aprirono su un corridoio deserto, illuminato
dalla lampeggiante luce dell’allarme.
“Takahiro, avete dei mezzi di trasporto terrestri?”
“Sì, delle jeep. Laggiù.”
Il soldato indicò una direzione, ed entrambi vi si
spostarono, mantenendo sempre la stessa posizione di quando Satoshi l’aveva
preso in ostaggio. Nell’ampio parcheggio che avevano raggiunto c’era una sola
jeep. Il portellone che dava sull’altopiano all’esterno
era spalancato, lasciando entrare i raggi di un sole ora decisamente più alto
nel cielo. Doveva essere passato molto tempo dall’inizio della missione.
Finalmente Satoshi lasciò la presa. Takahiro fece un passo
in avanti, massaggiandosi il collo, ma non osò voltarsi né fuggire. Senza
badargli, l’Agente balzò in auto, trovando le chiavi inserite nel cruscotto.
Accese il motore e si rivolse un’ultima volta al soldato che aveva usato come
ostaggio.
“Fuggi, mettiti in salvo. Cerca un
mezzo di trasporto e scappa più veloce che puoi.”
L’altro non fece in tempo ad annuire che un drappello di
soldati uscì da una porta di servizio, spianando i fucili contro Satoshi.
Questi imprecò e premette il pedale sull’acceleratore, sterzando in modo da
imboccare l’apertura verso l’altopiano.
“Fuoco!” ordinò seccamente il capo del gruppo di soldati. I
proiettili fecero a pezzi il retro della jeep ed il parabrezza, ma non
colpirono Satoshi, piegato sul sedile del passeggero. All’aperto sentì
nuovamente il calore del sole sulla pelle, sebbene filtrato ed amplificato
dalla tuta Chameleon, ormai inutile e, per la prima volta da quel colloquio con
Gendo, sentì di poter tornare a casa vivo, da Misato…
Un dolore lacerante alla spalla lo fece tornare alla realtà.
Abbassò allarmato lo sguardo e vide la tuta arrossarsi
per il sangue in prossimità della spalla destra. Un proiettile lo aveva
trapassato. Strinse i denti e si costrinse a pensare unicamente a guidare verso
il passo che l’avrebbe portato al sicuro, verso l’Aerojet che lo stava
aspettando, e a Misato…
Un altro proiettile lo raggiunse alla schiena, strappandogli
un grido di dolore, che fu subito strozzato da un violento colpo di tosse. Quando finalmente riuscì ad aprire gli occhi, vide le
proprie mani imbrattate di sangue. Era stato colpito al polmone. La vista gli
si offuscava sempre di più, ma non doveva cedere. C’era Misato che la
aspettava, e non sarebbe bastato un proiettile nel
corpo a tenerlo lontano da lei…
Aveva superato di poco il passo, era al
sicuro ora, anche se le forze lo abbandonavano e il respiro si faceva
sempre più faticoso… Poteva tornare da Misato…
Una violentissima luce alle sue spalle lo
riscosse per un attimo. Parve quasi che il sole fosse appena sorto, ma non
poteva essere così, poiché erano passate quasi due ore
e mezza dall’inizio della missione. Dovevano essere circa le otto e venti…
Poi venne il rombo, e un vento tremendo e bollente sollevò
la jeep, facendola capovolgere su se stessa più volte prima che si fermasse,
tra l’erba che si piegava, come se fosse intenta a fuggire da qualche mostro
invisibile. Per un attimo, sotto il peso del veicolo che lo schiacciava,
Satoshi vide un’immensa nuvola luminosa, al di là della
montagna che aveva appena superato e che si stava sgretolando. Poi, un velo di oscurità coprì i suoi occhi e l’uomo precipitò
nell’incoscienza.
Quel mattino Misato si svegliò un po’ contrariata dal fatto
che Satoshi non fosse già più con lei, ma si ricordò subito però che l’uomo
doveva partire per la missione diplomatica di cui le aveva parlato
il giorno prima, quindi si rasserenò. Ancora stanca nonostante il sonno, si
rivestì e fece per uscire, quando notò la tessera dell’appartamento in cui si
trovava sul pavimento. La raccolse e se la rigirò tra le dita. Doveva essere
caduta al suo fidanzato mentre usciva di fretta per partire. Sorridendo, Misato
scosse la testa e se la mise in tasca, ripromettendosi di ricordare a Satoshi
di stare più attento in futuro.
Tornata nel proprio appartamento, si preparò per
accompagnare i ragazzi a scuola, i quali però erano
anche più assonnati di lei, dato che erano andati a dormire molto tardi
contravvenendo alle istruzioni. Tuttavia Misato non si sentiva in vena di
litigare per quell’argomento e lasciò correre, con la muta gratitudine di Asuka, che aveva insistito tanto con gli altri per
restare alzati.
Quando li ebbe portati a scuola, però, la donna si rese
conto di essere veramente stanca, per cui telefonò a
Ritsuko per informarla che sarebbe arrivata un po’ in ritardo al lavoro.
L’amica aveva un tono stranamente preoccupato, quasi abbattuto, mentre le
concedeva il ritardo senza fare nessuna domanda, ma Misato decise di non badarci.
Una volta a casa, riordinò, relativamente bene, il caos prodotto dai tre
Children, soprattutto la Second, durante la sua assenza, poi si recò in cucina
e accese la tv, sedendosi comodamente su una sedia per rilassarsi. In effetti,
quella notte si era riposata molto poco. Satoshi era
stato travolgente, come se fosse stata la prima volta, come se prima di allora
non si fossero mai amati…
A quei dolci ricordi un sorriso le comparve sulle labbra.
Decise quindi di assaporarli insieme ad una buona
lattina di Yebisu. Si alzò erecuperò una lattina dal frigorifero,
quindi la aprì, tornò a sedersi e si dedicò alla sua bevanda preferita,
dimenticando tutto il resto. Stava ancora bevendo quando una strana notizia in
un’edizione straordinaria del telegiornale attirò la sua attenzione.
- “…dalla regia ci informano di una
notizia dell’ultima ora. Sembra che nella regione dell’Haiko, una tremenda
esplosione abbia totalmente vaporizzato una vasta zona di quei territori… ” -
Misato cessò di bere ed appoggiò la lattina su un mobile
vicino al lavello per volgersi stupita verso il televisore che tenevano in
cucina.
Un’esplosione?
Sempre più confusa fece per discostare una sedia dal tavolo
per prendervi posto e seguireil
notiziario, ma in quel momento suonò il campanello.
Chi potrà mai essere?
Rapida si diresse verso la porta. Sorrise riconoscendo nel
suo ospite il signor Asaki, che tante volte le aveva recapitato i fiori
ordinati da Satoshi, ma il sorriso le si spense subito
quando ne notò l’abbigliamento scuro, a lutto. Con aria affranta, l’uomo le
porse il mazzo di rose bianche, ornato da un’unica rosa rossa al centro, che
aveva portato con sé.
“Questi sono per lei, da parte del signor Iwanaka,” disse, atono. Lei, ancora sorpresa, prese il mazzo di
fiori. Non riusciva a formulare nessuna frase, nessuna domanda da rivolgere
all’uomo davanti a lei.
“Le mie più sincere condoglianze,”
disse infine questi, con un inchino, allontanandosi subito dopo, senza dare il
tempo alla donna di chiedere spiegazioni. Dopo aver chiuso la porta, rimase
alcuni istanti immobile.
E’ morto qualcuno che conosco? Qualcuno che conosciamo io
e Satoshi? Ma chi??
Frettolosamente controllò il mazzo alla ricerca di qualche
indizio, e trovò una lettera sigillata, priva di indicazioni.
Abbandonò le rose su un mobile e aprì la busta con foga. Con il cuore in gola,
vinta da un brutto presentimento, tolse un foglio bianco, che racchiudeva uno
scritto vergato a mano, e cominciò a leggere, ma già alla prima riga la lettera
le cadde di mano, e lei stessa ebbe un giramento di testa, che la costrinse a
sedersi sulla poltrona dietro di lei.
Devo aver letto male…Non può
essere…
Con mano tremante, riprese il foglio e continuò a leggere,
in preda ad un’angoscia senza nome.
Neo Tokyo-3
Lunedì 06\ 03\ 2016
[3]
Ore 13 :20
Amore mio,
non è facile per me dirti che quando questa
lettera ti verrà consegnata...probabilmente io non ci sarò già più.
E chissà se mai
ti informeranno della mia morte...e lo stesso vale per
i ragazzi ed i miei genitori.
Vorrei dirti
qualcosa di sensato, ma in questo momento di sensato
non c'è davvero nulla.
Ti chiedo
perdono per non averti detto nulla, ma se l'ho fatto, è stato solo per
proteggerti.
Perchè nel caso
ti fosse accaduto qualcosa a causa mia ed io ne fossi
uscito illeso,non avrei più potuto vivere.
E se invece fossi perito, anche
nell'aldilà sarei stato il più dannato dei dannati.
Già adesso sono
terrorizzato dal timore che questa lettera possa arrecarti danno se finisse in
mano a terzi, ma non ho potuto fare a meno di scriverla.
Quello che c'è
stato tra di noi e che ci ha unitiè stato troppo meraviglioso, troppo intenso,
troppo assoluto, perchè io potessi andarmene senza averti detto almeno ciao
un'ultima volta...
Questo scritto
ti verrà consegnato personalmente dal titolare del
negozio di fiori, Tomoru Asaki , del distretto Hayama .
Ho provveduto
io stesso a sigillare la busta e queste parole sono state avvolte in un'altro foglio completamente bianco, così che nessuno possa
riuscire a leggerle in controluce. Se ci saranno segni di manomissione, te ne accorgerai e potrai prendere provvedimenti. So di
chiederti molto, così come so di meritare il tuo odio per ciò che ti sto
facendo soffrire, ma per la tua vita e per l'Amore
cendo soffrire, ma per la tua Vche hai nutrito per me, devi fare conto che questa lettera non
sia mai esistita, distruggendola, in modo che non lasci tracce e costituisca
per te una prova pericolosa, anche se quando sarà tutto finito credo che tu non
correrai più pericoli.
Giurami che lo
farai.
Giuralo e
perdonami se puoi.
Ho un altro
favore da chiederti: Ti prego di richiedere alla Nerv che la tutela diGabriel venga
affidata a te.
Non dire nulla
ai ragazzi, so che non lo farai, però dà loro un abbraccio da parte mia e digli
che io credo in loro.
Allo stesso
modo, non dire nulla ai miei genitori. Ma anche qui so
che non lo farai ugualmente.
Per quanto
riguardail mio
kimono e le mie katane, invece, li affido a te.
Non li darei a
nessun altro al mondo.
Amore mio, se
nonostante tutti i miei sforzi non dovessi tornare, ti
prego, non piangere per me.
Sappi che ti ho
amata più di ogni altra cosa al mondo e l'unica che
vorrei vedere prima di chiudere gli occhi, è solo il tuo sorriso.
Per questo
motivo, vivi.
Vivi anche per
me.
Perchè quello
che abbiamo vissuto è troppo meravigliosamente bello
perchè venga spazzato via con il mio corpo.
Vivi per non
lasciarlo morire.
E vivi anche per i ragazzi.
Loro hanno
bisogno di te.
Così come ne ho
bisogno io.
Perdonami per
questo fardello. Non avrei mai, mai, voluto arrecarti un dolore simile. Ma non
potevo nemmeno lasciare che tu credessi che ti avevo abbandonata
senza dire una parola. ‘Inviato in Missione a tempo indeterminato. Località Top
Secret’. Sarà questa la spiegazione che ti daranno.
E piuttosto che abbandonarti, preferirei
morire.
Vorrei dirti
non so quante altre cose, ma lo spazio rimasto a mia
disposizione è poco.
Posso solo
aggiungere che non so cosa mi attenda dopo la morte, ma so che se rinascerò,
vorrò incontrarti ancora e ancora fino alla fine dei tempi.
E se invece esiste un limbo nell'aldilà,
allora veglierò su di te e ti aspetterò finquando non saremo di nuovo insieme.
Qualunque cosa accada, che sia in questa vita o nell'altra, ricorda che ti
amo e ti amerò per sempre così come ho sempre fatto da quando ci siano
incontrati.
Farò di tutto
per ritornare da te. Te lo giuro.
Cerca di essere felice.
Ciao.
Con infinito
amore, per sempre tuo
Satoshi
La lettera le tremava convulsamente nelle mani
quando ebbe raggiunto il termine, e le lacrime le sgorgavano copiose
dagli occhi.
No…
Deve essere uno scherzo… DEVE ESSERLO!!
Ma chi farebbe uno scherzo del
genere?? Ma non può essere la verità!!
Satoshi… Non puoi… essere… morto!!
NON PUOI!!
COS’E’ SUCCESSO??!
COSA TI HA PORTATO LONTANO DA ME??
QUAL ERA LA VERA RAGIONE PER CUI TE NE SEI ANDATO
STAMATTINA??
CHI MI DARA’ UNA RISPOSTA A QUESTE DOMANDE??
CHI?? IL COMANDANTE IKARI?? RITSUKO??
CHI MI DIRA’ COSA STA SUCCEDENDO??
CHI MI DIRA’ COS’E’ SUCCESSO A SATOSHI??
…
CHI… LO RIPORTERA’ DA ME???
La donna non poté più pensare, perché ogni altro pensiero
l’avrebbe annientata. Ma seppe che c’era una cosa sola
da fare, in quel momento. Senza pensare infilò la lettera, rimasta quasi
stritolata dalla sua presa spasmodica, nella tasca destra della gonna e si alzò
di scatto dalla poltrona.Come una
furia, si diresse verso la propria camera, gli occhi offuscati da lacrime
incessanti ed apri con forza l’armadio estraendo dal
fondo una fondina ascellare verticale che indossò velocemente assicurandola al
busto ed alla cintura della gonna.
Me la pagheranno…me la pagheranno…
Senza arrestarsi si diresse quindi alla scrivania aprendone
l’ultimo cassetto con fare rabbioso e brusco. Lucida e minacciosa, la beretta
d’ordinanza 98FS, accanto alla quale giaceva disinserito il caricatore pieno
dei 15colpi prestabiliti,si palesò alla vista del Maggiore.
Misato non mostrò esitazioni e rapida impugnò con la
sinistra l’arma e con la destra il caricatore che inserì nell’impugnatura della
pistola. Un secco rumore metallico, avvertì la donna che l’operazione di carica
era andata a buon fine. Dominando i singhiozzi, l’Ufficiale passò l’arma nella
destra e caricò il primo colpo in canna per poi bloccare il meccanismo di sparo
inserendo la sicura e riporre la beretta nella fondina. Incurante di travolgere
qualunque cosa ingombrasse il pavimento della stanza,
corse fuori dalla camera giungendo in corridoio dove tolse la giacca
dell’uniforme dall’attaccapanni per indossarla con furia celando così alla
vista l’arma.
PenPen, udendo tanto frastuono, uscì dal frigorifero e si
affacciò curioso dalla cucina, giusto in tempo per vedere la propria padrona
chiudere con violenza la porta di casa senza curarsi di spegnere le luci o la
televisione ancora accesa sul cui schermo iniziavano a
venire trasmesse le prime immagini della devastata regione dell’Haiko.
La Renault Alpine sfrecciò
velocemente lungo la strada in una folle corsa verso la Base della Nerv.
Misato, alla guida, stringeva i denti per trattenere disperatamente l pianto in modo che le lacrime non le annebbiassero la
visuale.
La vettura quasi bruciò un semaforo, oltrepassandolo subito
prima che diventasse rosso ed in breve tempo, l’ingresso al GeoFront si palesò
alla vista della donna.
Quando le porte automatiche del corridoio del settore B-12
si aprirono, tutti i presenti che vi transitavano, tecnici e operatori, si
arrestarono di colpo spostandosi attoniti ai lati mentre
Misato, la pistola ben salda nella destra, pronta a disinserire la sicura,
attraversava a passo svelto l’ambiente, decisa a puntare direttamente verso
l’ufficio del Comandante Ikari. Era impossibile capire se fossero più
spaventati dal fatto che la donna impugnasse un’arma oppure per l’espressione
furiosa del suo volto, solcato da lacrime che ormai nonostante tutti i suoi
sforzi non riusciva più a trattenere.
Ormai era vicina ad imboccare uno degli ascensori che
portavano direttamente ai piani alti, quando udì la familiare voce di Ritsuko,
in rapido avvicinamento, accompagnata da un rullare come di un carrello che veniva spinto, giungere da un punto lontano in uno dei
corridoi laterali.
“SPOSTATEVI, FATE LARGO! E VOI,
COMUNICATE DI PREPARARE LA SALA OPERATORIA NUMERO 5, IN FRETTA!!”
Non trascorsero che alcuni secondi da quel grido che pochi
metri davanti al Maggiore, prima che quest’ultima raggiungesse l’ascensore,
spuntò una lettiga su cui era disteso un uomo biondo, il volto sporco di sangue
come la divisa visibilmente strappata in più punti, sospinta da diversi
infermieri e affiancata dalla scienziata, che imboccava rapidamente il
corridoio principale, diretto verso la porta opposta a quella da cui Misato
aveva fatto il suo ingresso, che li avrebbe condotti velocemente nella zona
ospedaliera della Nerv.
La donna guardò la barella passare, troppo scossa da
violente emozioni per capire cosa stesse succedendo.
Rimase alcuni istanti a fissare la porta dietro cui i
medici ed il ferito erano scomparsi, poi, all'improvviso, comprese di conoscere
l'occupante della lettiga. Con un rumoroso clangore la pistola le cadde di
mano.
“Satoshi…” mormorò senza riuscire a riscuotersi. Per diversi
attimi rimase immobile, come impietrita, poi si slanciò in una corsa forsennata
verso la porta .
“Satoshi!” Gridò più forte una volta che
le porte si furono aperte, lanciandosi all’inseguimento della barella
che riuscì a stento a raggiungere allorquando quest’ultima rallentò per un
istante nello svoltare un angolo.
“Satoshi!!” Chiamò ancora, sconvolta dal terrore. Al
riconoscere la voce dell’amica, Ritsuko si voltò fissandola accigliata.
“Misato, che cosa ci fai qui!?” Le
chiese continuando a correre accanto alla barella.
“Che cosa gli è successo, Ritsuko??
Dove lo avete mandato??” Gridò seguendo in corsa la
Dottoressa e gli infermieri mentre alternava sconvolta lo sguardo tra il volto
quasi totalmente insanguinato del compagno e Ritsuko.
“Adesso non c’è tempo per parlare, Misato! Non possiamo
perdere neppure un secondo, va operato immediatamente!” Rispose secca quest’ultima mentre ormai entravano nella zona ospedaliera.
“Voglio sapere cosa gli è successo, Ritsuko!! Devi
dirmelo!!”
Mentre i barellieri entravano nella sala operatoria numero
5, appena al di là dell’ingresso nell’ospedale.,
gridando alla Dottoressa di sbrigarsi, questa si fermò e si voltò verso Misato,
prendendola per le spalle ed impedendole di entrare nella stanza. Nei suoi
occhi, prima freddi e bruschi, vi si leggeva ora una profonda e amara
tristezza, insieme ad una sorta di stanchezza.
“Misato,” iniziò parlando a bassa
voce prima di lasciare la presa, una volta che le porte della sala si furono
chiuse. “Non so per quale motivo tu sia qui, ma sappi
che ora è tutto finito.”
“Voglio sapere cos’è successo a Satoshi,”
ripeté il Maggiore, la voce ridotta ad un sibilo rabbioso.
Ritsuko esitò un attimo, poi la sofferenza
nei suoi occhi si accentuò. “Mi dispiace, Misato. Non te lo posso dire.
Sappi che ha svolto la sua missione ottenendo i migliori risultati che potevamo
aspettarci.”
“E UNA MISSIONE DIPLOMATICA L’AVREBBE RIDOTTO COSI’??” sbottò l’altra, indicando convulsamente le porte della
camera operatoria. “E QUALE MISSIONE DIPLOMATICA AVREBBE POTUTO SPINGERLO A
SCRIVERMI QUELLA LETTERA??” Concluse inun grido furibondo e disperato serrando a sua
volta la presa sugli avambracci di Ritsuko.
La Dottoressa parve comprendere all’improvviso ed il suo
volto si indurì un po’. “E
così te l’ha detto…”
“DETTO COSA??”
“MISATO!” gridò di rimando Ritsuko, scuotendola. “Avrai le
tue risposte. Se non tutte, almeno qualcuna l’avrai.
Ora però, se non mi lascerai andare, tutta la fatica che ha fatto Satoshi per
tornare vivo sarà stata vana.”
A quelle parole, tornate fredde come era
il loro tono abituale, Misato allentò la presa, e Ritsuko si divincolò,
precipitandosi poi in sala operatoria. Il Maggiore rimase
sola, nel corridoio quasi deserto, un braccio ancora alzato a mezz’aria,
la mente piena di domande.
Continua….
[1]: Il SuperSonar è un sistema che permette
una navigazione quasi completamente invisibile ai radar, poiché non vi è
praticamente emissione di energia se non tenui ultrasuoni, utilizzati come nel
sonar dei pipistrelli, ma con risultati paragonabili alla visione ottica.
[2]: Prototipo di tuta da infiltrazione. In
pochi secondi le scaglie di cui è ricoperta possono imitare il colore
prevalente dell’ambiente, comprese le sfumature, rendendo chi la indossa estremamente difficile da individuare.
[3]: Nella lettera appare scritto 2016 perché,
tenendo conto degli avvenimenti tra l’arrivo di Shinji (si presume a inizio
anno scolastico, ovvero nel settembre del 2015) e quello di Gabriel e Satoshi,
e successivamente degli avvenimenti che hanno visto questi ultimi come
protagonisti, si suppone sia ormai arrivato l’anno successivo a quello
dell’ambientazione canonica.
Capitolo 21 *** Buone Notizie ed Oscuri Presagi ***
CAPITOLO 20
CAPITOLO 20
Buone
Notizie ed Oscuri Presagi
Dopo un’ora passata sulla stessa panchina, il volto fra le
mani, Misato si alzò. Aveva pianto in
silenzio tutte le sue lacrime. La luce rossa sulla
porta della sala operatoria 5 era ancora accesa, segno che l’operazione
era ancora in corso.
Satoshi…
Vivi, Satoshi… Ti prego… Non
lasciare che le ultime parole che mi hai rivolto siano state quelle su quel
pezzo di carta…
Cominciò ad andare avanti e indietro per la corsia,
incurante degli sguardi biechi degli infermieri che vi passavano, infastiditi
dal suo continuo camminare, indaffarati.
Passarono altre due ore prima che
quella luce si spegnesse. Nel frattempo, un Agente della Sicurezza, un po’
titubante, le aveva riportato la pistola, ma non aveva
osato chiederle qualcosa sul suo comportamento, dopo aver visto la sua
espressione. Si era limitato ad andarsene, ipotizzando che l’Ufficiale Tattico aveva avuto le sue proprie ragioni.
Quando la porta della sala
operatoria si aprì, Misato quasi si lanciò sulla
prima persona che ne uscì, salvo bloccarsi subito dopo inorridita.
Ritsuko indossava un camice verde,
da chirurgo, una cuffietta e una mascherina bianche, e un paio di guanti di
lattice. Però questi ultimi erano imbrattati di
sangue. Notando subito l’espressione sconvolta dell’amica, la Dottoressa si
tolse rapidamente la mascherina. “Va tutto bene, Misato,” disse, cercando di apparire il più rassicurante possibile
nonostante avesse le mani sporche del sangue del suo fidanzato. Forse l’altra
era troppo attonita per reagire, per cui la scienziata
ritenne di poter continuare.
“Non è più in pericolo di vita,”
sentenziò, togliendosi i guanti insanguinati e ponendoli in un contenitore
apposito.
Per alcuni istanti il tempo sembrò
fermarsi, poi Misato si gettò verso la porta. Ritsuko la fermò appena in tempo, trattenendola per le
braccia.
“Ehi, cosa fai?? Sta ancora dormendo, non
puoi svegliarlo!! E poi dietro questa porta c’è
la camera stagna per la decontaminazione, e più in là l’ambiente è sterile,
rischieresti di contaminarlo!”
“LASCIAMI ANDARE!!”
“SE ENTRASSI LO METTERESTI DI NUOVO
IN PERICOLO!!”
Quelle parole calmarono il Maggiore Katsuragi,
che fece un passo indietro, districandosi dalla presa dell’amica. Quest’ultima continuò. “Adesso ha solo bisogno di riposare:
le ferite che ha subito erano piuttosto gravi, ma l’abbiamo curato bene. Non so
ancora dire quando si riprenderà, ma non subirà alcun tipo di danno permanente.”
L’altra la ascoltò col capo chino, visibilmente più
rilassata ma anche arrabbiata. Credendo di alleviare questo stato d’animo, Ritsuko proseguì. “Tra circa mezz’ora lo sposteremo in una
camera per la degenza: allora potrai vederlo.”
“Che cosa gli è successo?” chiese
invece Misato, freddamente. L’altra, comprendendo il
vero motivo della sua rabbia, chinò il capo.
Misato… Hai tutto il diritto di sapere per quale
motivo Satoshi è tornato quasi morto dalla sua
presunta missione diplomatica… Tu questo diritto ce l’hai,
ma io ho il dovere di non dirti nulla… Ti prego di capire, Misato…
Anche se non vorrei farti questo, ti prego di capirmi…
“Misato,”
cominciò lei, in tono abbattuto.
“CHE COSA GLI E’ SUCCESSO!!”
compitò l’altra donna, gridando. Di nuovo gli infermieri la guardarono ostili,
tuttavia preferirono allontanarsi in fretta. La Dottoressa Akagi
si costrinse a mantenere il sangue freddo.
“La natura della sua missione è top secret. Fino a nuovo
ordine, non è possibile rivelare in alcun modo particolari
riguardo ad essa. Deve bastarti sapere che Satoshi è
vivo ed ha compiuto la missione, e che molto probabilmente grazie ad essa tutti noi potremo dormire sonni più tranquilli. Anche tu, Misato. Però, in ogni
caso, sia io che lui siamo vincolati a non parlare di
questa missione a nessuno…”
Si interruppe. Avrebbe voluto dire
‘mi dispiace’, ma nella sua bocca, davanti alla sua
amica, sarebbe suonato oltremodo irrisorio, per cui
decise di terminare lì la frase. L’altra donna sembrava aver accettato la sua
spiegazione, anche se provvisoriamente, perché non sollevò più nessuna obiezione.
Rimasero immobili per diversi minuti, guardando fisse il
pavimento, poi un infermiere si affacciò alla porta. “Dottoressa, siamo pronti,” annunciò, e tornò dentro non appena ebbe ottenuto un
cenno di assenso da parte della sua interlocutrice. Misato
trattenne il respiro e fece un altro passo indietro, in modo da permettere alla
porta di aprirsi del tutto e non intralciare.
Satoshi uscì su una barella,
scortato di infermieri e coperto di bende. Dal suo
braccio sinistro usciva un lungo tubicino, collegato ad una sacca di sangue per
trasfusioni. Ritsuko ebbe appena il tempo di virare
con la lettiga, in modo da poterla accompagnare più facilmente, e Misato si avvicinò a Satoshi,
prendendo in mano il bordo del lenzuolo, dato che non
sapeva se le mani erano ferite.
“Satoshi…” chiamò, piangendo di
nuovo, stavolta di commozione, ma l’uomo non rispose. Gli infermieri che lo
attorniarono guardarono prima lei con disapprovazione e poi Ritsuko
con sguardo interrogativo, ma questa scosse lievemente il capo: dopo tutto quello che aveva passato, era giusto che il Maggiore Katsuragi potesse parlare con lui.
“Satoshi… ti amo…” continuò a
ripetere tra le lacrime, accompagnando la barella per tutta la corsia fino alla
stanza a lui designata.
“Ora è meglio che lo lasci riposare,”
le disse a bassa voce Ritsuko, sulla soglia. “Quando
si sarà svegliato ti avviserò e avrai tutto il tempo che vuoi per parlargli.”
Lentamente, Misato
abbandonò la presa sul lenzuolo e annuì lievemente. Gli infermieri si
apprestarono a far entrare la barella nella stanza.
“A…Anch’… io…”
Quelle flebili parole fecero trasalire tutti. Il Maggiore Katsuragi per prima si chinò sul fidanzato, trattenendo il
respiro per la trepidazione.
“Anch’io… ti amo…” disse a fatica Satoshi, senza nemmeno aprire gli occhi, una delle poche
parti del suo corpo non coperte di bende.
Misato lo accarezzò
sulla testa, piangendo di felicità, poi si chinò su di lui, per baciarlo
teneramente sulle labbra. Gli altri aspettarono un minuto buono, finché la
donna non si fu risollevata, prima di spingere la barella nella stanza. Satoshi, sopra di essa, sorrideva,
e le sue lacrime di felicità si mescolavano a quelle della sua amata, che gli
erano cadute sul volto.
“Credo che tu possa andare da lui,”
disse infine Ritsuko, quando le operazioni per
mettere a letto l’Agente Iwanaka furono effettuate.
L’altra donna si voltò verso di lei e annuì, sorridendo stanca ma raggiante.
“Grazie,” disse, “grazie di averlo
salvato.”
Non vi era più traccia dell’ostilità di poco prima sul suo
volto: solo l’immensa felicità di poter riabbracciare il proprio amore.
AncheRitsuko
sorrise. “Non c’è di che.”
Quando gli infermieri furono usciti e la Dottoressa ebbe
salutato la sua amica, quest’ultima entrò nella
stanza, chiudendosi la porta alle spalle, mentre gli altri se ne andavano, con il cuore più leggero.
Non appena Misato fu entrata nella
stanza, scoprì che Satoshi si era di nuovo
addormentato, forse vinto dalla stanchezza residua o dai resti dell’anestesia,
e sorrise, intenerita. Prese una sedia e la accostò al letto, prendendovi posto
sopra in modo da vegliarlo finché non fosse tornato in sé.
Quando ciò avvenne, Satoshi
impiegò un po’ di tempo a rendersi conto di dove fosse,
poi si ricordò della missione, dell’esplosione, del dolore tremendo che aveva
provato, e che provava ancora in tutto il suo corpo. E
ricordò anche una voce, che lo chiamava per nome e gli diceva che lo amava…
Vagò con lo sguardo per la stanza, finché non incontrò i
capelli di Misato, sparsi sul letto, alla sua destra:
si era addormentata.
Un sorriso inarcò le labbra dell’uomo, e nonostante il
dolore che lo pervadeva sollevò un braccio, dandole una carezza sulla testa. Al
contatto con la sua mano, Misato si riscosse e si
sollevò a sedere. Subito i loro sguardi si incontrarono
e sorrisero entrambi.
“Ciao,” lo salutò lei,
semplicemente.
“Ciao,” rispose lui con voce roca.
“Sono felice di vederti.”
“Anch’io… Perdonami, perdonami per
non averti detto nulla…”
La donna scosse il capo. “Non importa. Quello che mi interessa davvero è che tu ora sia qui con me.”
A quelle parole Satoshi sentì
tutto il senso di colpa verso di lei, la rabbia verso il Comandante Ikari, l’angoscia per gli ultimi avvenimenti svanire,
sostituiti da un grande senso di pace.
“Sei stata tu la ragione per cui sono
riuscito a tornare. E’ pensando a te che sono sopravvissuto…”
“Shh, non sforzarti di ricordare
cose spiacevoli,” gli mormorò lei, accarezzandogli
dolcemente la fronte bendata. “Qualunque cosa sia successa, ora è passata, e
siamo di nuovo insieme.”
Lui annuì lievemente e sospirò a fondo, chiudendo gli occhi,
al contatto con la mano della sua fidanzata. D’un
tratto si ricordò di una cosa molto importante.
“Misato, la lettera che ti ho
scritto…”
La donna si ricordò all’improvviso di averla
in tasca. Si tastò il pezzo di carta stropicciato, controllò la posizione delle
telecamere nella stanza, poi lo estrasse con cura, facendo sì che il testo non
potesse essere nemmeno intuito. AncheSatoshi osservò spasmodicamente i movimenti della sua
fidanzata, trattenendo il respiro ogni volta che c’era la possibilità che le
parole ivi vergate potessero essere viste.
“L’ho letta…” disse infine Misato.
Gli occhi, fissi sul foglio, si intristirono.
“Non volevo andarmene senza dirti niente… Mi spiace di
averti messa in pericolo,” ammise Satoshi,
cupo, ma la donna tornò a sorridere e scosse la testa.
“Lo so. E non ti preoccupare. Se
non lo avessi saputo non mi sarei mai perdonata di non
aver fatto nulla per impedire ciò che sarebbe successo.”
Rincuorato, Satoshi le sorrise
nuovamente, e si baciarono piano.
“Distruggila,” disse poi l’uomo,
volgendo uno sguardo al pezzo di carta. “Non deve rimanere nessuna prova che io
ti abbia detto qualcosa, per quanto vaga, sulla
missione.”
La donna annuì e prese a ridurla a brandelli con
circospezione, riducendola quasi in una polvere finissima, che poi si mise in
tasca.
“Una volta a casa la brucerò, per essere
più sicuri.”
Maggiormente rilassato, Satoshi
chiuse gli occhi, con un sorriso, e Misato gli prese
la mano: nonostante il dolore, l’uomo rispose alla stretta.
Rimasero a parlare per ore, perdendo la cognizione del
tempo, finché non furono interrotti da un forte trepestio fuori
dalla soglia.
“SIGNOR IWANAKA!!” gridarono all’unisono
quattro voci, due maschili e due femminili, che i rimproveri degli
infermieri non poterono sovrastare. Subito la porta si aprì ed entrarono i
quattro children. Per poco non caddero tutti l’uno sull’altro, vista la loro irruenza.
“Signor Satoshi,”
disse Gabriel, che fu il primo a riprendersi, e fece un passo verso il letto,
ma non riuscì a articolare nemmeno una parola. I suoi occhi, invece, si
riempirono di lacrime.
Satoshi tentò di sollevarsi almeno
a sedere, ma una fitta alla base della schiena lo costrinse a rinunciare,
contorcendo il suo volto in una smorfia di dolore. Nonostante
questo, la sua voce quando parlò fu quieta e serena. “Gabriel, sto bene.
E sono molto felice di vederti.”
A quelle parole, il ragazzo cercò di trattenere le lacrime,
con poco successo. Dalla soglia, Rei si fece avanti, sebbene
non avesse ben chiaro ciò che avrebbe potuto fare.
“Signor Satoshi…” riprese Gabriel,
vittorioso nel suo tentativo di dominare il pianto. “Che
cosa… cosa ti è successo?”
Misato guardò l’interpellato con
aria allarmata. Se non aveva potuto dire la verità a
lei, a maggior ragione non avrebbe potuto dirla ai ragazzi, mettendoli in
pericolo di vita. L’uomo si schiarì la voce, che aveva nuovamente roca a causa
del lungo dialogo con la fidanzata. “Gabriel, si è trattato di un incidente
imprevisto, durante una missione. Mi spiace di non avervi potuto dire nulla, ma
ogni informazione era top secret, ne andava della
sicurezza di tutti, qui.”
Dai Children si alzò un coro di
proteste, tra chi voleva saperne di più e chi cercava di riprendere gli altri
per non farli disturbare ulteriormente. In quel bailamme incomprensibile, comunque, Satoshi sorrise
rassicurante, in modo che gli altri potessero tranquillizzarsi, ma non fecero
in tempo. Dal corridoio comparve la figura severa di Ritsuko,
che squadrò indignata i presenti.
“Vi pare il caso di piombare nella camera di un degente gridando
così?? Vi ho fatto accompagnare qui e vi ho spiegato la situazione per mettervene al corrente, non perché la peggioraste con le
vostre grida isteriche! E tu, Misato, ti avevo detto di non stancarlo, che ci fai ancora qui??”
Cercando di calmare la Dottoressa Akagi,
Misato si alzò in piedi, sorridendo imbarazzata, ma
fu anticipata dal FourthChildren,
ora di nuovo padrone di sé, che guardò la scienziata con durezza.
“Dottoressa, per quale motivo il Signor Satoshi
si ritrova in questo stato? Lei occupa una posizione rilevante all’interno
della Nerv, è impossibile che non sappia cosa gli è
successo.”
Le proteste degli altri ragazzi ammutolirono di colpo, e gli
occhi di tutti si concentrarono su chi aveva appena parlato. La scienziata tornò d’un tratto fredda.
“Gabriel, posso dire la stessa cosa che ho detto al Maggiore
Katsuragi. Ha rischiato la vita per una missione
grazie alla quale ora siamo tutti al sicuro. E questo è quanto.”
Il FourthChildren
fece per aggiungere qualcosa, ma poi comprese che non era
il momento né il caso di approfondire e chinò il capo.
“Su, ora uscite tutti,” disse Ritsuko, liberando il passaggio. “Anche
tu, Misato. Deve riposare”
Lei fece per protestare, ma Satoshi
la anticipò. “Ma io non sono stanco…”
Lui e la Dottoressa si guardarono un attimo negli occhi, poi
quest’ultima sospirò
esasperata. “E va bene. Misato,
puoi restare. Ma voi, ragazzi, dovete uscire, e smettere di fare baccano.”
Tra cupi mugugni di protesta, soprattutto da parte di Asuka i ragazzi salutarono i
due adulti e richiusero la porta alle loro spalle.
Una volta in corridoio, Ritsuko si
raccomandò per l’ennesima volta che non disturbassero,
poi si allontanò. Allora Asuka propose di prendere
qualcosa alle macchine distributrici, ma Gabriel prese posto su una panchina:
dai suoi occhi non erano ancora sparite le lacrime. La Second
ed il ThirdChildren si
scambiarono un’occhiata, mentre Rei si apprestava a
sedersi accanto al suo ragazzo. Asuka la fermò e le
propose, con fare rassicurante, di andare alle macchinette per prendere
qualcosa per tutti e quattro. La First Children,
dubbiosa, scambiò uno sguardo anche con Shinji prima
di tornare su Gabriel, che però seguitava a tenere il capo chino. Alla fine,
intristita, si lasciò guidare lontano da Asuka. Shinji, una volta che le due furono abbastanza lontane, si
sedette di fianco a Gabriel.
“Coraggio,” disse, un po’
goffamente. “E’ tornato sano e salvo.”
“Sì, ma avrebbe potuto morire, e
noi chissà quando l’avremmo saputo,” rispose il FourthChildren, abbattuto. “Chissà se lo avremmo saputo…”
“Gabriel…” disse Shinji, alzandosi
in piedi, serio. “Noi tutti rischiamo la vita ogni
volta che attacca un Angelo. E ogni volta non sappiamo quando avverrà l’attacco
successivo, il che vuol dire che potrebbe succedere ogni giorno, cioè ogni giorno noi rischiamo la vita, senza sapere che ne
sarà di noi. Se non tenessimo conto delle volte in cui siamo sopravvissuti e
non ci rallegrassimo di essere ancora vivi, allora
vivremmo nell’angoscia.”
Entrambi i ragazzi furono stupiti dalle parole che il ThirdChildrenaveva
pronunciato, soprattutto quest’ultimo. Gabriel, dal
canto suo, sorrise, stanco, e annuì.
“Hai ragione, Shinji,” ammise infine. “Hai proprio ragione.”
Ancora sbalordito per l’efficacia del suo
discorso, il ThirdChildren
sorrise a sua volta e si sedette di fianco all’amico, aspettando che le ragazze
tornassero.mo sopravvissuti e
non ci rallegriamo di essere ancora
però seguitava a tenere il ca
Le porte dell’ufficio del Comandante dellaNerv si aprirono, lasciando entrare la Dottoressa Akagi, con un fascicolo sotto un braccio ed un disco di
dati in mano, nel locale immerso nella penombra. La stupì molto essere accolta,
invece che dall’abituale silenzio inquietante, da una voce femminile pragmatica
e sconosciuta.
-“… dell’accaduto. Non ha voluto rilasciare dichiarazioni ai
colleghi, ma è ormai una questione di ore prima che la
notizia delle sue dimissioni venga confermata. Diamo ora la parola al nostro
inviato…”-
Gendo e Fuyutsuki,
seduti entrambi alla scrivania del primo, stavano ascoltando con attenzione un
telegiornale, emesso da un piccolo televisore ad un angolo del piano. Vedendo
però la Dottoressa avanzare, piuttosto sorpresa, nell’ampia sala vuota, il
Comandante spense la tv. Quella fu una delle rare volte in cui la donna fu sicura
di vedere sulle sue labbra un sorriso soddisfatto.
“Dottoressa,” la chiamò,
invitandola ad avanzare con un ampio cenno del braccio, senza perdere il
sorriso. Fuyutsuki si alzò dalla sedia e tornò ad
occupare la sua posizione abituale, in piedi dietro la poltrona del comandante.
Anche dal suo volto traspariva soddisfazione, sebbene
fosse in una certa misura più calma e più stanca.
Dev’essere successo qualcosa di cui non sono ancora stata
informata… E qualcosa di fuori dall’ordinario, vista
l’espressione del tutto insolita del Comandante…
“Sono qui per il rapporto sulla missione dell’Agente Iwanaka,” si limitò a sentenziare Ritsuko, ma fu interrotta da un gesto di Gendo.
“So già ciò che è importante,” la
informò. “La notizia dell’esplosione è in tutte le edizioni straordinarie dei
telegiornali su tutti i canali. Il ministro della Difesa e quello dell’Interno
si dimetteranno a breve, i capi delle Forze Armate saranno ‘costretti’
a dimettersi in qualche modo, e la JapanNavyIndustryCorporationha i minuti contati. I ‘nostri amici’
non potranno più darci problemi.”
La donna lo ascoltò lievemente sorpresa. “Questa missione ha
colpito così in alto da far dimettere quei ministri?”
“Sì. E’ impensabile che il governo ammetta che stesse
lavorando ad un progetto segreto pericoloso quanto il vecchio Jet Alone. E insieme alla sua casa produttrice, già diffidata a livello delle
Nazioni Unite, per giunta. E’ molto più economico insabbiare l’accaduto
e scaricarne la responsabilità su un presunto incidente militare con una
testata nucleare, facendo cadere le teste di pochi piuttosto che provocare una
crisi dell’intero paese. E da tutto questo, gli unici ad uscire vincitori siamo
noi.”
“Signore…” intervenne Ritsuko,
l’aria tesa. “Dato che l’Agente Iwanaka non ha ancora
ripreso conoscenza…”
“Ah, quindi è sopravvissuto?”
“Sì, l’ho operato poco fa…”
“Bene. Quando sarà possibile, gli
dica che lo voglio vedere qui.”
La donna annuì con un attimo di ritardo.
Forsenon si è reso conto del pericolo che corre… Non ho idea
di come si sentirà Satoshi quando si sarà svegliato,
dopo tutto quello che ha dovuto passare…
“Cosa stava dicendo, Dottoressa?”
Ora Gendo sembrava tornato quello di sempre, sebbene
ci fosse ancora qualche traccia di soddisfazione sul suo volto di nuovo quasi
freddo. La donna annuì.
“Dal momento che l’Agente Iwanaka
non ha ancora ripreso conoscenza, ho ritenuto opportuno interrogare i piloti
che lo hanno soccorso. In linea generale, hanno confermato le notizie diffuse dai media, tuttavia…”
Ogni traccia di sorriso scomparve dal volto del Comandante,
che sollevò un sopracciglio. “Tuttavia?”
“… Hanno rilevato numerosi velivoli semplici e autoveicoli
che si sono allontanati dalla base, poco prima dell’esplosione. Ho ragione di credere che… le vittime siano state molto
poche. Se non nessuna”
Il che significa che ci sia una quantità enorme di
testimoni dell’accaduto…
Gendo incrociò le mani di fronte
al volto, pensieroso. Dietro di lui, Fuyutsuki
abbassò il capo, subito imitato da Ritsuko.
La presenza di numerosi testimoni potrebbe invalidare
tutto il nostro piano. Eppure me l’aspettavo…
Sin da quando ho parlato a Satoshi del sistema di allarme della base mi aspettavo che
avrebbe fatto qualcosa che non avevamo previsto…
Sono praticamente certa che
abbia fatto scattare l’allarme deliberatamente, in modo da permettere a tutti
di mettersi in salvo. Però così facendo ha invalidato
l’intera missione! Perché se questi testimoni parlano
del nostro sabotaggio ai danni di uno stato sovrano, ben presto la Nerv… potrebbe essere chiusa!
Nonostante l’angoscia di Ritsuko, Gendo parve rilassarsi
impercettibilmente.
“Il governo non permetterà mai che questi testimoni facciano
una pericolosa breccia nella copertura che avrà così faticosamente costruito.
Ci penseranno loro a far passare sotto silenzio le loro eventuali parole: tutt’al più questa storia diventerà una storia da bar, una
leggenda, priva di fondamento. Un’altra Area 51, possiamo dire.”
La donna fu enormemente sollevata da quelle parole.
Satoshi… Anche con una buona dose di fortuna, sei
riuscito a salvare capra e cavoli… Non credevo che ce l’avresti
fatta…
“Tuttavia,” riprese Gendo, riportando Ritsuko sulle
spine, “dovrà mandarmi qui i piloti che hanno soccorso l’Agente Iwanaka, e tutti quelli con cui hanno parlato.”
“Non sarà necessario,” rispose lei
automaticamente. “Data la loro vicinanza all’esplosione ho
ritenuto opportuno mantenerli in isolamento finché non avrò chiarito gli
effetti delle radiazioni su di loro. Non dovrebbe esserci nulla di rilevante, comunque. Ad ogni modo, hanno parlato solo con me da quando
sono arrivati.”
“Ottimo. Quando avrà effettuato i
suoi test, li mandi da me,” sentenziò lui, freddo.
Per quale motivo? Cosa vorrà
farne?
“Signore…” accennò Ritsuko,
titubante. “E’ giusto… che sappia che hanno svolto unicamente il loro lavoro…”
“Questo lo so.” L’uomo sembrava
infastidito dal fatto di ascoltare quell’obiezione.
“Però, come i ‘nostri amici’ devono occuparsi dei
propri problemi, così dobbiamo fare anche noi.”
Quell’ordine non ammetteva
repliche. La Dottoressa Akagi non poté fare altro che
annuire, posare il rapporto, in carta e disco di memoria, sulla scrivania e
voltare rapidamente le spalle al Comandante.
“Dottoressa Akagi,” la fermò lui, poco prima che lei varcasse la soglia. “Il
tuo virus ha fatto un ottimo lavoro. I miei complimenti.”
Quel passaggio dal ‘lei’ al ‘tu’, nonostante il tono
fosse rimasto gelido, rassicurò la donna, poiché era oltremodo difficile
strappare un complimento a quell’uomo.
“Ti ringrazio, Comandante,” disse,
voltandosi appena. Un lieve sorriso le apparve sulle labbra, subito prima che uscisse dalla stanza.
E’ sempre così… Non so per quale motivo, però quando mi
sento abbattuta… L’unica persona di cui mi fa piacere ricevere i complimenti,
per qualunque cosa siano … E’ lui…
Quando le porte si furono chiuse, Gendo degnò appena di uno sguardo il dossier appena
consegnato da Ritsuko, poi accese nuovamente il
televisore. Tornò a sorridere vedendo l’ennesimo filmato dell’immensa nuvola
dell’esplosione che si era innalzata quel mattino sulla regione dell’Haiko.
Fuyutsuki, impassibile, continuò a
guardare l’edizione straordinaria del telegiornale in piedi.
Dopo alcuni giorni dall’’incidente’ occorso a Satoshi durante la sua missione, quando fu chiaro che non
correva più alcun pericolo ma necessitava solo di
riposo, l’atmosfera alla Nerv si fece molto più
rilassata. Ormai anche Misato aveva ritrovato il
sorriso, sebbene fosse sempre molto stanca perché
passava quasi tutto il suo tempo libero a badare alle esigenze del proprio
fidanzato, nonostante le pressioni di quest’ultimo
affinché si riposasse. Tuttavia, Rei e Gabriel, al suo
occhio esperto, sembravano più nervosi del solito, come se tra loro ci fosse
una questione di cui non potevano parlare liberamente. Ed in
base alle proprie informazioni, Ritsukocredette di identificare la causa di tale turbamento.
Tra una cosa e l’altra non ho
ancora riportato a Rei il verdetto del Comandante sulla sua possibilità di
avere figli…
La convocò nel suo ufficio prima
dei test di simulazione del giovedì successivo alla missione di Satoshi. Mentre aspettava che la
ragazza la raggiungesse in infermeria, la Dottoressa continuava a camminare
avanti e indietro, ripassando fra sé e sé che cosa dirle e come dirlo.
“Rei,” diceva a se stessa, a bassa
voce. “Tu potrai avere bambini. Ma non subito! Cioè… No.”
“Rei, puoi essere incinta, ma non devi
pensare di volerlo essere ora, perché… ehm… perché non puoi… No, così non va.”
“Rei… rallegrati! Puoi avere dei figli!...
Meglio di no…”
“Rei, il Comandante Ikari mi ha rivelato…
confessato… detto, che tu puoi avere figli. Però non subito, perché… lo dice il
tuo medico, che sarei io.”
Che giustificazione idiota… Proprio degna di chi non ha
idee…
“Rei…” iniziò per l’ennesima volta.
“Sì?” rispose l’interpellata, dalla soglia, piuttosto
sorpresa. La Dottoressa Akagi trasalì e si voltò
bruscamente verso di lei.
Accidenti, da quando ha imparato ad
essere furtiva?? Non sono preparata!! Mi ha pure colto di sorpresa!!
“R-Rei!” ripeté ancora, con un sorriso tirato sul volto.
“E’ sicura di sentirsi bene, Dottoressa?” chiese l’altra,
titubante, facendo un passo verso l’interno della stanza dopo aver chiuso la porta. Ritsuko
arretrò fino a trovare la sedia e lasciarvisi cadere. “Sì, certo… Tutto a
posto. Prego, accomodati.”
Mentre Rei si avvicinava alla sedia
indicatale dalla donna, quest’ultima era preda di un
turbinio di pensieri.
Ed ora come glielo dico?? Ed ora
come glielo dico?? Non mi aspettavo che fosse così veloce, non ho fatto in
tempo a prepararmi il discorso da farle!
…
D’accordo, non è la prima volta che devi affrontare una
situazione critica. Ragiona, mantieni il sangue freddo e vedrai che non avrai
problemi nemmeno questa volta.
Almeno spero.
“Bene… Rei… stai bene?” chiese, cercando di riordinare le
proprie idee.
“Sì,” fu la perplessa risposta.
“Niente da segnalare?”
“No, non mi pare…”
“E a scuola, tutto bene?”
“Nulla di male, ma su questo argomento
lei si mantiene aggiornata, che io sappia… Per quale motivo mi ha convocata?”
Ci siamo.
“Ehm, sì,” annuì la donna,
prendendo un profondo respiro. “Il motivo per cui ti
ho convocata è… che… ho la risposta alla domanda che mi hai fatto qualche
giorno fa.”
Ritsuko si aspettava una reazione
intensa da parte della First Children, molto agitata;
invece questa la guardò interrogativa. Dopotutto, erano successi molti
avvenimenti dal giorno in cui ne avevano parlato, ed
era comprensibile che, non avendo avuto risposta subito, la ragazza non si
aspettasse più di tornare sull’argomento.
La scienziata allora si schiarì la voce e si decise a
spiegarsi.
“Ho chiesto al Comandante e… Rei, tu puoi avere dei bambini.”
La ragazza spalancò gli occhi e la fissò incredula, poi
balzò in piedi. “DAVVERO??”
Ritsukosbattè
più volte le palpebre stupita.
Mi aspettavo una reazione intensa, ma non COSI’ intensa!!
“Dottoressa, davvero non sta scherzando??” La incalzò ancora
la ragazza guardandola in attesa di una conferma.
“No, no Rei…” Rispose la scienziata dopo
essersi un po’ ripresa… “…non sto scherzando è la verità. Puoi avere dei
bambini.” Concluse infine con un sorriso di fronte
all’espressione incredibilmente felice della First Children.
Chissà se il Comandante Ikaririuscirebbe a riconoscerla
se la vedesse così felice…
Ed io non me la sento di annoiarla, o peggio preoccuparla,con dei discorsi circa il fatto che se non riuscisse ad
avere bambini l’unica causa potrebbe essere un’eventuale sterilità del proprio
compagno… ma come al solito è la mia abitudine quella di pensare ad ogni minima
evenienza…
In fondo Gabriel porta lo stesso nome dell’Arcangelo
Biblico Dominatore delle Acque e del Concepimento… anche qui mi sembra
improbabile che non possa avere figli…certo ovviamente una somiglianza tra nomi
non è una certezza…
Mamma, credo proprio che tu mi abbia trasmesso questa tua
tendenza di ricercare nomi e significati biblici in ogni dove…
“La ringrazio, la ringrazio!” esclamò la ragazza
avvicinandosi alla scrivania e torcendosi le mani, tanto che per un attimo Ritsukocredette che volesse abbracciarla. Ma invece
rimase dall’altra parte della scrivania, fremente, come se il fatto che fosse
fertile dipendesse unicamente da Ritsuko. Questa
allora si alzò a sua volta e annuì. “E’ stato un piacere.”
E in effetti mi sento davvero
bene… Che strana sensazione, neppure risolvere le equazioni più complesse mi fa
sentire tanto bene quanto dare una buona notizia… Forse perché nel mio lavoro
mi capita raramente di annunciarne…
“Grazie, grazie!” ripeté Rei, entusiasta,
e Ritsuko quasi rise.
“L’hai già detto! Coraggio, ora che lo sai, però, mi
raccomando di tenere la testa sulle spalle, e di ricordare che, per quanto
siate innamorati l’uno dell’altra, siete ancora troppo giovani per…”
“Ho capito,” la interruppe la
ragazza, ancora raggiante. “Non si preoccupi, non capiterà.”
La Dottoressa Akagicredette di notare un lieve turbamento sul volto della Children, ma decise che si trattava solo di un’impressione.
“Allora va bene, Rei. Adesso vai pure, tra poco inizieremo
il test.” Rispose la scienziata sorridendo appena.
Senza smettere di
sorridere, la ragazza ringraziò ancora, salutò con calore e se ne andò, quasi di corsa.
La scienziata rimase da sola in infermeria, nel silenzio
rotto solo dal ronzare dei macchinari. Il sorriso le morì a poco a poco sulle
labbra, e tornò a sedersi.
E’ giusto così.
Ora che Rei ha trovato un motivo
per cui gioire, è giusto che gioisca. Ed io che
gliel’ho fornito, è giusto che ora torni alla mia fredda, pragmatica, sicura
vita…
D’altronde, è la vita che ho scelto di vivere.
Vero, mamma?
Con gesti lenti e misurati, recuperò un fascicolo
dall’angolo più lontano della scrivania e cominciò a sfogliarlo, apponendo
brevi firme di presa visione dove erano richieste.
Rei, si stava dirigendo in tutta fretta verso l’anticamera
dove erano posti gli speciali spogliatoi, diversi da quelli abituali, che li
avrebbero condotti direttamente alle cabine doccia secondo le istruzioni
ricevute appena giunti alla base. Asuka e Shinjinon si
vedevano, evidentemente dovevano già essere entrati nei rispettivi settori,
mentre Gabriel attendeva un po’ teso che la ragazza tornasse dal colloquio con
la Dottoressa Akagi. Quando la vide arrivare non in corsa non ebbe il tempo di chiederle cosa fosse successo che
si ritrovò le braccia di lei al collo e le loro labbra unite in un bacio
appassionato.
“Rei…cosa succede?” Chiese lui un
po’ spiazzato.
“Succede che sono felice, Gabriel!” Rispose semplicemente la
ragazza abbracciandolo di nuovo.
Sempre più sorpreso, il FourthChildren l’abbracciò a sua volta. “Come mai? La Dottoressa Akagi ti ha comunicato una buona notizia?” chiese infine
sorridendo appena e carezzandole con una mano i capelli.
“Non avrebbe potuto comunicarmene una migliore, Gabriel…”
Rispose ora in un mormorio quieto appoggiando il capo sulla spalla
di lui.”
“Che cosa?” Domandò allora il
ragazzo incuriosito.
Dall’altoparlante la voce di un Operatore annunciò che ormai
mancavano pochi minuti all’inizio dei test e che i piloti erano pregati di
presentarsi presso le cabine doccia.
“Accidenti dobbiamo andare…” Mormorò Gabriel con disappunto
mentre Rei si distaccava da lui.
“Si…” annuì Rei per poi percorrere con lui mano nella mano i
pochi metri che li dividevano dagli ingressi dei rispettivi
spogliatoio dinanzi a cui si fermarono.
“Rei, qual’era
la notizia?” Chiese ancora il pianista sorridendole. A quella domanda, la
ragazza sorrise maggiormente con dolcezza. “Te la dirò quando sarà terminato il
test. Quando saremo di nuovo soli..." Rei accompagnò le parole con un lieve bacio sulle labbra di
Gabriel, prima di entrare nel proprio
spogliatoio. Un po' interdetto, il FourthChildren sorrise a sua volta, scosse il capo e entrò a sua volta nel proprio spogliatoio.
“Ehi, io avevo fatto la doccia proprio stamattina, non c’era
bisogno di farmela ripetere per DICIASETTE volte!!” Sbottò Asuka
una volta che le quattro cabine che avevano ospitato, singolarmente, lei ed i
suoi tre colleghi, si fermarono in un lungo corridoio.
“Mi dispiace Asuka, ma era necessario. Quella in cui vi trovate è
una zona ad alta decontaminazione. Ora attraversate
tutti e quattro la stanza ed entrate così come siete nelle simulationplug.” Rispose la voce di Ritsuko
tramite l’altoparlante di una videocamera.
“CHE COSA??” Gridarono all’unisono Asuka, Shinji e Gabriel mentre
Rei si era limitata a stringersi le braccia al seno con una smorfia di
disappunto.
“Non preoccupatevi, il monitoraggio visivo verrà disinserito, la vostra privacy sarà rispettata.”
“A parte questo, Dottoressa Akagi,
se usciremo di qui tutti insieme…ci vedremo a
vicenda!!” Ribattè la rossa arrossendo terribilmente.
“E allora non guardatevi.” Fu la
risposta pacata della scienziata.
“Parla facile lei…” Si lamentò la rossa incrociando a sua
volta le braccia sul seno.
“Uno degli scopi di questo test è lo studio delle armoniche
emanate direttamente dal corpo, senza l’ausilio delle plug
suite e dei diademi d’interfaccia. Quindi è necessario che entriate nelle simulationplug così some siete. ”
“Però…” Tentò ancora di ribattere la SecondChildren, ma venne subito
interrotta dalla voce di Misato. “Asuka,
è un ordine…”
“Mauffaaa!!
E’ imbarazzante, Misato!”
“Signorina Misato, Asuka ha ragione!”Intervenne Shinji.
“Ed io sono perfettamente d’accordo
con loro!” Ne convenne Gabriel.
“ Mi associo!” Confermò Rei nelle stesse condizioni di
rossore degli altri tre. La Second e il ThirdChildren la guardarono
stupiti. Anche Gabriel si era voltato verso di lei,
allorquando aveva parlato,
riuscendo
ad intravederla appena dato che tra la sua cabina e quella della ragazza
venivano prima quella di Shinji, accanto a lui, ed Asuka, ma subito aveva dovuto distogliere lo sguardo.
…
Non sarebbe la prima volta che vedrei Rei
nuda… ma adesso è una situazione completamente diversa, ci sono Asuka e Shinji, non siamo soli! Ed anche se lo fossimo sarebbe imbarazzante lo stesso!
“Ragazzi, avanti. Uscite da lì. Oppure
avete deciso di accamparvi nelle cabine doccia per la notte?” Li incalzò la
voce di Ritsuko.
“Signorina Ritsuko…?” Cominciò
timidamente Shinji “Ma non c’è
proprio nessun’altra possibilità per uscire di qui??”
“No.” Dall’altoparlante si senti la Dottoressa sospirare
pesantemente. “Ragazzi, se proprio vi turba così tanto percorrere quei pochi
metri di distanza che vi separano dal portellone, mettetevi le mani accanto al
volto a paraocchi ed uscite. In questo modo eviterete di guardarvi tra di voi e avrete campo visivo libero solo innanzi a voi,
quanto vi basta per raggiungere le simulationplug.”
“E mi raccomando, maschietti, siate
galanti e non sbirciate!” Aggiunse con fare scherzoso la voce del Maggiore
mentre sulla telecamera si accendeva una spia rossa, segno che il monitoraggio
visivo era stato disinserito e che ora dei quattro Piloti erano visibili
solamente delle sagome prive di dettagli.
I due ragazzi arrossirono ancora di più.
“Ma è ovvio che non sbirciamo!!” Esclamarono in coro, accigliati e imbarazzati.
“E allora forza, uscite
e prendete posto nelle vostre simulationplug.”Concluse
la voce della scienziata mentre i quattro seguivano il suo consiglio e
mettevano le mani accanto al volto nello stesso istante in cui le porte delle
cabine si aprivano.
La sala da cui la Dottoressa Akagi
ed il Maggiore Katsuragi avrebbero seguito i test era in preda a dei sommessi attacchi di risa. Dal monitor si
vedevano le sagome dei quattro piloti urtarsi a vicenda, senza vedersi, lungo
il tragitto, accompagnate da diversa grida di panico
quando uno di loro rischiava di perdere l’equilibrio.
Sia Misato, la quale nel sapere
che le condizioni del compagno erano ormai stabili era molto più serena, che Ritsuko si trattennero a stento dal ridere quando i quattro
si rischiarono di cadere rovinosamente a terra mentre oltrepassavano in
contemporanea il portellone, ma riuscirono a controllarsi ed ognuno, una volta
varcata la soglia, si ritrovò direttamente nella rispettiva corsia, divisa a
livello del terreno piccole paratie, alte fino alla vita, che li smistavano verso i rispettivi percorsi. Tenendo
ostinatamente gli occhi bassi, i quattro camminarono alacremente, finché non
furono fuori dai reciproci campi visivi. Finalmente,
Gabriel sospirò e si fermò.
Credo di aver sbattuto un paio di volte contro Shinji…
E credo che lui abbia sbattuto contro Asuka,
a giudicare dalle sue imprecazioni. Non dovrei essere stato io, visto che tra
noi c’eraShinchan e abbiamo imboccato le corsie giuste…
Accidenti, che vergogna… Cosa sarebbe
costato preparare zone ad alta decontaminazione separate per ciascuno di noi??
Beh… forse sarebbe costato parecchio… Però, insomma, ci siamo vergognati tantissimo!
Rimuginando, ciascuno per conto proprio, i Children raggiunsero le rispettive unità di simulazione.
Queste erano quattro strutture simili ad Evangelion,
sebbene dalla vita in giù si perdessero in una miriade di cavi e tubi, che
sparivano nei muri del locale che li ospitava. Salendo a bordo di essi, i dati ricavati sarebbero stati li stessi che se
fossero saliti a bordo degli Evangelion regolari
senza plug suite, risparmiando però tutto l’imbarazzo
di una situazione del genere. O almeno, così aveva
spiegato Ritsuko. In effetti, quella situazione non
era molto meno imbarazzante…
Guardandosi dubbiosamente attorno, Gabriel notò che le
telecamere di quel tratto del percorso erano ancora spente, per
cui si sentì più tranquillo nell’attraversare la stretta balconata che
lo portava alla simulationplug.
Quando fu entrato, lo sportello si richiuse e la capsula fu
inserita. Dall’altoparlante uscirono le consuete voci degli Operatori che
recitavano la sequenza di informazioni che preludevano
l’immissione dell’LCL prima e della connessione neurale poi. L’atmosfera chiusa
attorno a lui cominciò a vorticare, poi si trovò ad osservare una grande cavità, piena di un liquido speciale, insieme alle
altre tre unità di simulazione. Di fronte a lui c’era la vetrata che dava sulla
sala di controllo, dove gli Operatori, Ritsuko e Misatomonitoravano la situazione
tramite il collegamento con i Magi System.
Era la prima volta che Gabriel saliva su una struttura
simile ad un Evangelion da solo: si sentiva un po’
strano, sebbene non avrebbe saputo definire precisamente le sue sensazioni.
Forse si trattava solamente della situazione nuova.
“Bene, ragazzi,” disse Ritsuko attraverso l’altoparlante interno della simulationplug. “Per cominciare effettueremo una serie di test standard, poi collegheremo le
unità di simulazione agli Evangelion, in modo da
valutarne l’interazione. Gabriel.”
Il FourthChildren,
sebbene non potesse essere visto a causa dello spegnimento del sistema di visualizzazione, si mise quasi sull’attenti, rivolgendosi
direttamente verso la vetrata illuminata della sala controllo. “Sì.”
“Non avendo una tua unità Evangelion,
con te proseguiremo con ulteriori test personali.
Quando l’unità 03 ci sarà inviata effettueremo anche
per te gli stessi test degli altri Children. Hai
capito bene?”
“Sì,” rispose il ragazzo, tornando
a rilassarsi contro lo schienale della sua postazione.
“Si dia inizio al test,” annunciò
pacata la Dottoressa Akagi.
Come per i normali test di sincronia, all’inizio loro
dovettero unicamente concentrarsi e non fare nulla.
“Ragazzi, tutto bene?” chiese ad un certo punto Ritsuko
Gabriel stava per rispondere di sì, scacciando quella
fastidiosa sensazione indefinibile, quando fu preceduto da Rei.
“In effetti sento una strana
sensazione, come se il mio corpo fosse intorpidito…”
Sorpreso, il FourthChildren inarcò un sopracciglio. Era proprio quella la
sensazione che provava, e che evidentemente non era normale. Quando
anche gli altri ragazzi confermarono la presenza della stessa impressione,
Gabriel rispose allo stesso modo.
“Mmmhh,”
fece Ritsuko dall’altoparlante. “Rei, prova a muovere
una mano.”
La mano dell’unità di simulazione della
First Children fremette lievemente nel liquido
azzurrognolo che li circondava. Nella sala di controllo, attraverso la vetrata,
Ritsuko camminò verso una delle consolle alla sua
destra.
Gabriel cercò di ignorare il peso delle sue membra e del suo
capo, e tornare a concentrarsi per il test.
“Senpai,”
chiamò la voce di Maya dall’altoparlante. “Sembra che ci sia un problema con la
parete proteica…”
La Dottoressa, nell’allontanarsi, aveva disconnesso il
sistema di trasmissione, per cui il FourthChildren non sentì ciò di
cui stavano parlando. Ma ciò era un bene, perché gli
avrebbe permesso di concentrarsi meglio.
Passarono solo pochi minuti quando avvertì qualcosa di
strano. All’improvviso, gettò un acuto grido di dolore.
“Gabriel? Gabriel, che succede??”
Chiese la Dottoressa all’urlo del ragazzo volgendo lo sguardo verso quest’ultimo.
“L’unità di simulazione di Gabriel si sta muovendo!” Avvertì
Maya in tono allarmato.
Sia Ritsuko che Misatosgranarono gli occhi. Il
busto artificiale che ospitava il FourthChildren aveva iniziato a muoversi spasmodicamenteprovando a distaccarsi dalla parte.
“Gabriel!!Cosa sta succedendo,
rispondi!!”
Nella simulationplug, Gabrielsi
stava stringendo il braccio destro che aveva preso a bruciare in maniera
incontrollata mentre nella sua mente aveva preso a riecheggiare indistinta una
voce.
Chi sei?
La Progenie…
Chi sei??
Figlio di Adam…
CHI SEI??
Chi sei tu?
Che cosa…che cosa stai dicendo??
Che l’Eroe ritorni alla Progenie…
YROUEL!!
“E’ YROUEL!! DOTTORESSA AKAGI!! MAGGIORE KATSURAGI!! E’
YROUEL!!”
Le due donne si guardarono a vicenda per un istante, quasi
senza capire.
Senza perdere altro tempo Ritsuko
si avvicinò ad una delle postazioni computerizzate, mentre Misato
alternava lo sguardo tra la simulationplug in movimento e l’amica, quest’ultima,
impallidita, alzò gli occhi dal monitor. “Non ci sono dubbi,
diagramma ad onda blu. E’ un Angelo!”
Ritsuko e Misato si guardarono
attonite per un lungo attimo, finché le convulsioni terribili dell’unità di
simulazione di Gabriel non attirarono nuovamente la loro attenzione. Il
Maggiore volse lo sguardo, impressionata, verso il braccio che si tendeva verso
di lei, come in una muta richiesta di aiuto. Ritsuko non perse il sangue
freddo: con un pugno infranse la protezione di un comando d’emergenza e lo tirò
con forza. Subito il braccio dell’unità di simulazione di Gabriel si staccò,
con una sonora esplosione, e si schiantò contro la vetrata, facendo tornare
Misato in sé.
“Le condizioni di Gabriel??”
chiese, voltandosi subito.
“Incolume,” fu la breve risposta
di Maya, occupata a tenere d’occhio il suo monitor. “Ma non posso dirle altro
al momento!”
“Espulsione forzata delle
simulation plug!” ordinò Ritsuko.
Come quattro missili, le capsule
abbandonarono i rispettivi torsi umanoidi, scomparendo in un’apertura sul
soffitto della sala, che subito si richiuse.
“L’area contaminata si sta
espandendo ad una velocità esponenziale!” annunciò il Tenente Ibuki, sudando
freddo. Misato e Ritsuko si voltarono allarmate verso la sala immersa
nell’acqua. Il braccio staccato dell’unità di simulazione Evangelion 0D, che
galleggiava poco distante dalla vetrata, aveva cominciato a brillare di una
minacciosa luce rossastra, e così pure il torso da cui proveniva e la parete
proteica da cui l’Angelo era penetrato. Rapidamente, il colore divenne violaceo
e si diffuse anche sulla parete vitrea che separava la sala di controllo da
quella di simulazione.
Con un inquietante scricchiolio,
il vetro cominciò ad incrinarsi. Misato reagì in fretta. “Abbandonate subito la
stanza, presto!”
Precedute da Maya e dagli altri
Operatori, il Maggiore e Ritsuko abbandonarono il locale, chiudendosi la
pesante porta rinforzata alle spalle. Un tremendo boato annunciò che la vetrata
non aveva retto e che la sala appena abbandonata era stata invasa dall’acqua.
Il gruppo di persone appena scampate alla morte corsero a perdifiato verso la
Sala di Comando.
“L’area della contaminazione si
sta espandendo rapidamente,” annunciò Shigeru, ma il Comandante Ikari non lo
stava ascoltando. Era impegnato in una comunicazione olovideofonica[1], di cui
però si riceveva solamente l’audio.
“Ho capito,” disse, freddamente
nonostante la situazione. “Ci pensi lei.”
Dall’altra parte giunse un
saluto inintelligibile, ma, a chi fosse stato abbastanza vicino da udire, il
tono sarebbe sembrato ironico. Senza cambiare espressione, l’uomo chiuse la
comunicazione e si rivolse agli Operatori.
“Cessare l’allarme. Alla
Commissione e al governo riferiremo che si è trattato di un errore di rilevamento.”
Shigeru, un po’ sorpreso da
quelle parole, annuì ed eseguì senza discutere. L’allarme, che aveva continuato
a risuonare dalla comparsa del diagramma d’onda blu, svanì in un silenzio teso,
interrotto unicamente dal ticchettare furibondo delle dita degli Operatori sui
rispettivi terminali. Fuyutsuki, come sempre in piedi di fianco a Gendo, fece
un passo avanti. “Un altro errore di rilevamento… E’ già il secondo. Credi che
la Commissione delle Nazioni Unite[2] non prenderà provvedimenti, stavolta?”
“Ho già parlato con chi di
dovere.”
Il Vice Comandante allora rimase
in silenzio: se il suo superiore diceva quelle parole con quella sicurezza,
allora non correvano nessun pericolo.
In quel momento dall’ingresso
principale entrarono, trafelate, le persone sfuggite poco prima
all’annientamento nella sala di controllo dei test di simulazione.
“Rapporto, svelti!” ordinò
Misato, senza nemmeno notare la presenza dei suoi superiori in Sala Comando.
“La contaminazione è in continua
espansione,” riportò Shigeru, osservando un’ampia macchia rossa che andava
allargandosi sul suo monitor.
“Chi ha ordinato la cessazione
dell’allarme??” sbottò di nuovo il Maggiore, guardandosi attorno infuriata.
“Sono stato io,” rispose Gendo
dall’alto del suo scranno, senza nessuna emozione. Sentendo la sua voce, Misato
lo guardò esterrefatta.
“Ah… Non… Non sapevo…” bofonchiò
in tono di scusa, troppo imbarazzata per il fatto di aver contraddetto un suo
ordine diretto.
“Non importa. Fate uscire gli Evangelion.”
Questa volta, Shigeru fu sicuro
di aver sentito male. “C-Comandante?”
“Ha sentito bene, Aoba. Se
l’angelo continuerà a espandersi è inevitabile che arrivi in contatto con le
unità Evangelion. Inoltre, anche se recuperassimo i piloti, il rischio di
contaminazione è troppo alto. Fate uscire gli Evangelion in superficie.”
Il tono era così perentorio che
Shigeru non poté obiettare. In pochi istanti gli Evangelion, che allo scattare
dell’allarme erano stati messi in stand by e liberati dalle Gabbie, furono
lanciati in superficie.
“Lancio effettuato. Gabbie
libere.” Annunciò Shigeru, ancora perplesso.
“Isolare fisicamente il Central
Dogma,” ordinò nuovamente il Comandante.
Makoto, Shigeru, ed ora Maya
che, seppur scossa, aveva preso posto alla sua solita postazione, digitarono
quasi all’unisono complesse sequenze di comandi e nel giro di pochi secondi una
voce elettronica riferì che il Central Dogma era completamente sigillato.
“Situazione?” chiese Gendo.
Misato rimase quasi immobile, ascoltando il Comandante dare ordini: con una
freddezza invidiabile aveva condotto con sicurezza le operazioni volte a
limitare i danni dell’invasione dell’Angelo. Per un istante si immaginò lui
che, con la stessa freddezza, ordinava a Satoshi di compiere una missione pericolosissima,
ma subito scacciò quel pensiero con stizza: c’era ben altro cui badare in quel
momento, e non poteva permettere che i suoi sentimenti di rabbia prendessero il
sopravvento.
“L’Angelo è ancora in esp… No…
Un momento…”
L’attenzione di tutti si concentrò
sulla schermata olografica che occupava l’enorme spazio antistante alla Sala
Comando, su cui la macchia rossa sembrava aver arrestato la sua avanzata.
“… Si è fermato…” concluse
Shigeru, incredulo.
“Voglio un rapporto completo
sulla situazione,” ordinò secco Gendo, la voce ancora tesa nonostante
l’apparente momento di pausa.
Gli Operatori lavoravano
febbrilmente per scoprire il motivo dell’arresto dell’Angelo e i dati su di
esso, mentre su uno dei monitor della postazione di Makoto continuava a lampeggiare
in modo sinistro il diagramma d’onda blu, come a ricordare agli umani presenti
che la minaccia era lungi dall’essere svanita.
“Le Sezioni I-47, 48, 49
risultano completamente contaminate,” compitò Shigeru, leggendo i dati che
scorrevano veloci sul suo monitor. “Con l’eccezione… della parte inferiore
della sala per i test di simulazione.”
Misato e Ritsuko si guardarono
stupite, così come gli altri che erano scampati alla distruzione dell’adiacente
sala di controllo.
“Signore,” iniziò Ritsuko,
rivolgendosi al Comandante. “L’escalation di virulenza dell’Angelo è iniziata
proprio da quella sala, diffondendosi poi in tutta la Sezione a Iperprofondità.
Se non ha raggiunto anche la parte inferiore della sala da cui è partito,
suppongo che la soluzione al nostro problema sia da ricercare proprio lì.”
Gendo annuì. “Visualizzare la
situazione nel Settore A-15 della Sezione I-47!”
Al posto della grande macchia
rossa di prima, nel sistema olografico posto al centro del baratro davanti alla
Sala Comando, apparve l’immagine confusa delle unità di simulazione inanimate,
baluginanti di luce rossastra e ricoperte da quella che si sarebbe detta una
malsana malattia esantematica. Sugli schermi dei terminali degli Operatori,
invece, comparvero una pletora di diagrammi e schemi, che tutti i presenti
cominciarono a studiare freneticamente. Un’immagine in presa diretta
dell’espansione dell’Angelo, che precedentemente occupava il grande schermo
olografico centrale, fu riprodotta sul terminale del Comandante Ikari, sicché
potesse tenere sotto controllo la situazione globale direttamente.
“A che punto, precisamente, si è
interrotta l’espansione, nella sala di simulazione?” chiese pensosa Ritsuko,
mentre osservava il braccio dello 0D galleggiare, minacciosamente coperto di
macchie luminose che passavano dal rosso al violetto. Maya, la cui fronte era
coperta da un sottile velo di sudore, inviò alcuni brevi comandi al Magi
System, e l’immagine che stava osservando Ritsuko si trasformò in un diagramma
composto da esagoni, di cui una buona parte erano rossi ed erano contrassegnati
dalla dicitura ‘undicesimo angelo’.
La Dottoressa Akagi e Misato
studiarono per alcuni secondi quella figura, poi la prima parlò.
“L’espansione si è arrestata al
confine con l’acqua pesante…”
“Sembra che non gli piaccia…”
constatò Misato, con la fronte corrugata per la concentrazione. “Dev’essere un
componente specifico quello che lo tiene alla larga.”
La bionda scosse il capo. “Non è
detto. Nell’acqua pesante è disciolto molto ozono, che si combina con essa per
mantenere la zona sterile e aumentarne l’effetto protettivo… Aoba,” chiamò,
girandosi verso Shigeru. “Controlla l’infezione nei pressi degli erogatori di
ozono. Sono posti sopra il confine dell’acqua pesante, e se ho ragione, saranno
quasi del tutto liberi.”
“E’ vero!” esclamò
l’interpellato, dopo aver controllato. “In prossimità dell’erogatore la
presenza dell’Angelo è nulla.”
Ritsuko sorrise ed annuì.
“Reagisce negativamente all’ossigeno.[3]”
Maya si incupì. “Fin da quando
ero piccola mi hanno insegnato che l’ossigeno è una sostanza fondamentale alla
vita. Che razza di creatura può essere quella… cosa, per esserne respinto?”
Nella sala, per alcuni secondi,
nessuno rispose alla domanda della ragazza. Poi Ritsuko distolse lo sguardo dal
monitor e si rivolse direttamente verso Makoto. “Iniziare l’immissione di ozono
nella sala di simulazione.”
Sullo schermo olografico
centrale si videro le macchie rosse sulle unità di simulazione diminuire
d’intensità e scomparire lentamente.
“Sembra che lo 0A e lo 0B stiano
recuperando,” annunciò Maya, la voce ancora tesa.
“Sembra che stia funzionando,”
constatò Shigeru, dopo una rapida occhiata alla sua ragazza per sincerarsi che
stesse bene. “Però la contaminazione resiste nelle sezioni centrali e sullo
0D.”
“C’era da aspettarselo,”
intervenne Fuyutsuki, rimasto in silenzio per tutto il tempo, valutando la
situazione. “Incrementare l’emissione di ozono.”
Makoto eseguì l’ordine con un
brillio di speranza negli occhi.
“Ma cosa…?!” esclamò Shigeru
dopo un attimo.
Le macchie sullo schermo
olografico ebbero solo una leggera vibrazione, ma sui monitor degli Operatori
la zona infetta si ingrandì rapidamente, superando anche il confine dell’acqua
pesante.
“Che succede??” chiese Misato
gridando.
“Ma che… L’invasore sta
assorbendo l’ozono!” esclamò Makoto.
“Fermare subito l’erogazione!”
ordinò Ritsuko.
L’emissione del gas si
interruppe, ma l’espansione dell’Angelo proseguì, fino ad invadere l’intera
sala di simulazione. Mantenendo il suo sangue freddo, la Dottoressa Akagi si
chinò sul monitor di Maya, su cui erano visualizzate le immagini dell’essere.
All’improvviso, la bionda notò qualcosa di strano.
“Che sta succedendo, Senpai?”
chiese Maya, preoccupata.
“La trama della superficie
infetta…” rispose soprappensiero la sua Senpai. “Sembra sia cambiata…
Ingrandisci.”
Il Tenente Ibuki eseguì.
“Ancora,” ordinò l’altra. Nel
resto della Sala Comando, tutti trattenevano il respiro, attendendo con
trepidazione il responso della scienziata. Quando l’ingrandimento ebbe
raggiunto un livello microscopico, questa ordinò di fermarsi. Sul monitor la
trama variegata di un frammento dell’Angelo era in evidenza, e così pure i repentini
cambiamenti che la modificavano fin nei minimi particolari.
“Ma…” Ritsuko fissò stupita la
formazione di una rete di connessione tra quelle che, se l’Angelo fosse stato
una creatura conosciuta, sarebbero state cellule. “Sta attuando un’evoluzione!”
Mentre osservava meravigliata
quello che era un insieme di minuscole strutture in rapidissimo mutamento,
l’immagine sullo schermo di Maya scomparve all’improvviso, ed in tutta la sala
risuonò nuovamente l’allarme.
“Che sta succedendo ora??”
sbottò Misato.
Shigeru premette una sequenza di
tasti sulla propria tastiera e su uno dei suoi monitor comparve il diagramma
del Computer Ausiliario 1, uno di quelli che fungevano da supporto per il Magi
System, in cui si andava allargando una grossa e minacciosa piramide rossastra.
“Il primo Computer Ausiliario sta subendo un’azione di hacking! Hacker
sconosciuto!”
“Dannazione,” sibilò Makoto tra
i denti. “Non ci voleva, in un momento simile. Attivo il primo sistema di
firewall!”
“Primo sistema di firewall
superato!” annunciò subito Shigeru, sorpreso quanto frenetico. “Disposizione
accessi fasulli, tracciamento in corso!”
“Accessi fasulli superati!”
disse il Tenente Hyuga. “E’ velocissimo! Attivazione dal secondo al decimo
sistema di firewall!”
“Diciotto secondi al termine del
tracciamento!” disse Shigeru.
“Sistemi di firewall dal secondo
al settimo superati!” annunciò sbalordito un altro Operatore della Sala
Comando. In meno di cinque secondi, quell’hacker non identificato aveva
superato difese considerate quasi invalicabili. Misato e Ritsuko rimasero a
guardare quasi allibite il diagramma del Computer Ausiliario 1, sempre più
invaso dal nemico...
“Attivazione di tutti i sistemi
di firewall disponibili!” sbottò Makoto, le cui dita si muovevano velocissime
sulla tastiera.
“Disposizione di altri accessi
fasulli,” gli rispose Shigeru, altrettanto rapido. “ACCESSI SUPERATI!” si
corresse subito. Makoto si bloccò, fissando l’amico atterrito.
“Non può essere l’opera di un
essere umano…”
“I firewall continuano ad essere
superati uno dopo l’altro!” comunicò un operatore. Su uno degli schermi di
Shigeru i secondi che indicavano il tempo mancante al tracciamento dell’hacker
scorrevano ad una lentezza esasperante.
“Tracciamento effettuato!” disse
il Tenente Aoba, digitando rapidamente i comandi per visualizzare la fonte
dell’attacco, mentre solo una manciata di programmi di difesa resistevano
ancora. L’Operatore esitò un istante prima di rendere noti i suoi dati.
“Dove si trova?!” volle sapere Misato.
“E’… all’interno della base,”
rispose l’interpellato, incredulo. “Nella Sezione a Iperprofondità!”
L’attenzione di Ritsuko e
Misato, le sole a non avere un compito specifico durante l’attacco, tornò a
concentrarsi sul monitor di Maya, che ancora inquadrava l’area infestata
dall’Angelo. L’Operatrice ingrandì repentinamente l’area osservata, in modo da
avere una visione d’insieme, mentre anche gli altri Operatori visualizzavano la
stessa scena sui propri monitor di supporto. Sotto i loro occhi esterrefatti,
le aree luminose mutarono forma e colore, diventando gialli tracciati regolari,
che pulsavano di energia.
“Sembrano circuiti elettronici…”
constatò Shigeru, senza fiato.
“E’…” iniziò Maya, ma non riuscì
a completare la frase.
“… praticamente un computer…”
terminò il suo fidanzato, incapace di distogliere gli occhi dallo schermo dove
si stavano formando circuiti informatici via via più complessi.
Makoto per tutta risposta spense
il monitor ausiliario e strinse i denti. “Disposizione di altri accessi fasulli…
No! Operazione fallita! E’ stata bloccata!”
Misato si sentiva impotente di
fronte a quell’attacco che sembrava insostenibile, perciò decise di prendere in
mano la situazione.
“Interrompere il cavo principale
di collegamento con la Sezione a Iperprofondità,” ordinò, cercando di mantenere
nonostante tutto il sangue freddo.
“Impossibile eseguire,” compitò
Makoto. “Il comando viene rifiutato!”
La donna corrugò le
sopracciglia. “Fare fuoco con i sistemi laser sull’obiettivo!”
“Sviluppo di un AT-Field!” rispose
Maya, dopo aver sparato. “Laser inefficaci!”
Il Maggiore Katsuragi strinse
gli occhi.
“Il primo Computer Ausiliario
non risponde più! E’ sotto il controllo dell’Angelo!” gridò Makoto.
Dannazione…
Di questo passo prenderà il controllo di tutta la base!
“Il nemico sta cercando di
accedere al mainframe del Reparto Servizi di Sicurezza, sta ricercando la
password,” annunciò Shigeru, digitando una lunga sequenza di comandi sulla
tastiera, dopo la quale comparve su uno dei monitor uno schema sintetico del
complesso di Computer Ausiliari specificatamente deputati ai Servizi di
Sicurezza: essi erano rappresentati da rettangoli verdi, alla cui destra si
trovava l’elenco dei codici identificativi dei caratteri della password,
anch’esso in verde. Però, una dopo l’altra, le voci di tale elenco stavano
diventando rosse, segno dell’invasione incipiente.
“Dodicesimo carattere
decifrato,” conteggiò l’Operatore dai capelli lunghi, con un velo di sudore
sulla fronte. “Sedicesimo… Password decifrata!”
Vedendo la traccia rossa che si
espandeva tra i segni verdi dei Computer Ausiliari, Makoto voltò di scatto la
sedia, rivolgendosi direttamente al Comandante Ikari, come se si aspettasse da
lui una soluzione immediata. “Si è infiltrato nel mainframe del Reparto Servizi
di Sicurezza!”
Mentre il Vice Comandante
Fuyutsuki assumeva un’espressione via via più atterrita, Gendo rimase
impassibile: evidentemente non aveva intenzione di agire nuovamente finché la
situazione non si fosse stabilizzata. Incurante dell’indifferenza del Comandante,
Makoto continuò a comunicare gli avvenimenti.
“Sta leggendo il mainframe,
impossibile disconnettere! Lettura completata!”
Dopo quei ripetuti
aggiornamenti, Fuyutsuki tornò in sé. “Qual è il suo obiettivo…” mormorò, senza
rivolgersi a nessuno in particolare.
“Sta cercando un nuovo
collegamento!” proseguì Shigeru, digitando rapidamente sulla tastiera, quasi in
una gara contro l’Angelo, per seguirne le operazioni. D’un tratto riuscì ad
individuare il codice che l’altro stava rapidamente decifrando, ed
un’espressione di orrore dilagò sul suo volto.
“No… L’ANGELO STA PER INVADERE I
MAGI!” urlò, rivolgendosi al resto della Sala Comando. Un brivido gelido scese
lungo la schiena dei presenti. Misato deglutì.
Se
quell’essere prende il controllo dei Magi… Saremo in sua completa balia!
“Isolare i Magi dal resto della
base!” ordinò Ritsuko, ancora incredula.
“Impossibile eseguire!” rispose
uno degli Operatori.
Per alcuni lunghi secondi
nessuno parlò, mentre l’Angelo invadeva uno dopo l’altro i restanti Computer
Ausiliari, preparandosi a sferrare il suo attacco ai Magi. Poi, Gendo uscì
finalmente dal suo mutismo. “Disattivare l’IO System.”
Tra le prime cose che gli
Operatori avevano appreso studiando il Manuale per l’utilizzo dei Magi, c’erano
le conseguenze disastrose implicate dallo spegnimento brusco dell’IO System.
Esso constava, a grandi linee, nel sistema operativo dei Magi, che controllava
anche il sistema di alimentazione speciale che permetteva ai tre supercomputer
di funzionare anche in caso di black out completo, come infatti era successo.
Disattivarlo voleva dire, in pratica, togliere bruscamente l’alimentazione ai
Magi, cosa che però avrebbe potuto provocare seri danni ai loro delicati
circuiti. Tuttavia, di fronte all’eventualità che un Angelo ne prendesse
possesso, la prospettiva di passare le successive settimane a riparare i tre
computer non sembrava troppo critica. Fu per questo motivo che i due Operatori
che detenevano le chiavi di spegnimento dell’IO System, Makoto e Shigeru, non
esitarono ad obbedire agli ordini del loro Comandante. Dopo uno sguardo
d’intesa i due estrassero le chiavi di spegnimento e le inserirono nelle
rispettive serrature, poste sotto le loro consolle.
“Pronto al conto alla rovescia,”
annunciò Shigeru. Makoto annuì e cominciò a contare.
“Tre… due… uno…”
Contemporaneamente i due uomini
girarono le rispettive chiavi, attendendo con il fiato sospeso. Ma non accadde
nulla. Si guardarono di nuovo, come per chiedersi a vicenda se era successo
proprio quello che temevano, poi l’Operatore Hyuga esclamò a gran voce verso il
Comandante: “L’ALIMENTAZIONE NON SI INTERROMPE!”
Sugli schermi, intanto,
l’invasore aveva ormai completato l’assalto dei Computer Ausiliari.
Febbrilmente Maya seguì i
progressi dell’attacco. “L’Angelo sta per entrare in contatto con Melchior!”
Ritsuko si volse brusca verso il
parallelepipedo che costituiva la presenza fisica del primo dei Supercomputer
Magi.
No,
non può essere vero…
Quasi muovendosi al
rallentatore, il Tenente Ibuki lanciò gli ultimi due firewall che non erano
stati ancora tentati, ma nemmeno si stupì quando rilevò che erano stati
inefficaci. Con un quasi insignificante -bip-, l’invasione fu completata.
“L’Angelo ha riprogrammato e
preso il controllo di Melchior,” annunciò, ancora incredula, la ragazza.
Istintivamente, gli Operatori che stavano lavorando attorno al Supercomputer si
discostarono, come se all’improvviso esso fosse diventato una manifestazione
fisica dell’Angelo.
-“PROPOSTA DI AUTODISTRUZIONE
AVANZATA DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE MELCHIOR,” - comunicò asetticamente la
voce elettronica della base, cogliendo tutti i presenti della Sala Comando di
sorpresa. “PROPOSTA RESPINTA.”
Per un istante nessuno mosse un
muscolo: tutti sapevano perfettamente cosa sarebbe successo una volta che il Magi
System fosse stato interamente sotto il controllo dell’Angelo. Richiamato da
Shigeru, su uno schermo comparve il diagramma dei computer, in cui Melchior era
completamente invaso dal colore rosso, come tutta l’area dei Computer Ausiliari
infettati. Subito, la macchia rossa cominciò ad espandersi, invadendo settore
dopo settore la Superintelligenza adiacente Balthasar.
“Melchior sta cercando di
prendere il controllo di Balthasar!” proclamò il Tenente Aoba. Con la stupita
inerzia di chi non vuole credere ai suoi occhi, Misato osservò la zona rossa
estendersi su Balthasar nonostante i febbrili sforzi degli operatori, che
avevano ricominciato senza successo a lanciare i programmi antivirus e firewall
già tentati.
“E’ rapidissimo…” commentò
Makoto, la fronte velata di sudore, mentre il programma che aveva appena
attivato veniva reso inoffensivo.
Mentre, di fronte a lei, Maya
tratteneva il respiro cercando di contrastare l’avanzata dell’Angelo, Ritsuko
non riusciva a staccare gli occhi dal diagramma che mostrava l’andamento
dell’invasione.
E’
tutto inutile…Quell’essere non è umano, e tutti i programmi che abbiamo
approntato per difenderci da un hacker umano saranno inefficaci…
Quando
avrà preso il controllo di Balthasar, l’autodistruzione della base sarà approvata
e non potremo fare più nulla…
Madre…
Puoi
abbandonarci così?
Una goccia di sudore le colò
sugli occhi mentre ormai quasi metà del grafico di Balthasar aveva assunto
l’inquietante colore dell’aggressore.
Balthasar
è condannato. L’Angelo sta agendo come un’Intelligenza Artificiale, e nessuno
di noi può contrastarne la velocità e la precisione, anche usando uno strumento
sofisticato come un Supercomputer. Solo un’altra IA potrebbe farcela…
Casper!
Con una luce di speranza la
donna guardò il grafico della terza Superintelligenza, ancora completamente
libera.
Casper
potrebbe contrastare l’Angelo, se avesse un programma adeguato. Ma non abbiamo
il tempo necessario a riprogrammarlo! Fra pochi secondi Balthasar sarà in mano
nemica, ed allora inizierà il conto alla rovescia per l’autodistruzione… Ci
serve tempo!
Senza alcun apparente motivo,
tornò in mente a Ritsuko di quando era piccola, di quando la Nerv ancora non
era entrata a far parte della sua vita, di quando non c’era ancora stato il
Second Impact. Sua madre stava ancora lavorando alla teoria alla base del Magi
System, e lei era una graziosa ragazzina dai capelli castani, con uno spiccato
interesse per la matematica. Si ricordò che passava ore a contare le venature
delle piastrelle della propria cameretta, finché non si accorgeva che quelle
venature che le erano sembrate delle cose singole erano in realtà composte da
venature più sottili, appena visibili, e queste da altre. Aveva da poco
studiato l’atomo, a scuola, e si immaginava che, via via sempre più in piccolo,
ci fossero in quelle venature stringhe sempre più sottili, fino ad arrivare a
catene di atomi invisibili, e forse anche quelle catene erano composte da altre
stringhe più piccole, all’infinito. Quando ne aveva parlato con sua madre,
questa aveva sorriso.
“Sei precoce, bambina mia,” le
aveva detto, strofinandole affettuosamente una mano fra i capelli scuri. “Ti
sei appena accostata alla teoria dei frattali. Nella realtà non è così, ma in
matematica è possibile che ci siano strutture infinitamente complesse, i cui
elementi sono composti da altri elementi organizzati minuziosamente, e così via
all’infinito.”
All’epoca non aveva capito molto
di quella spiegazione, ma ne era rimasta affascinata. Naoko aveva riso
dell’espressione stupita di Ritsuko. “Pensa,” aveva detto. “Nemmeno un computer
potrebbe riuscire a contare tutte quelle stringhe cui hai pensato!”
Bruscamente, la Dottoressa Akagi
ritornò al presente. Sapeva cosa fare. Scacciò il persistente ricordo di una
madre affettuosa, ormai troppo lontana nel tempo per sembrare la Naoko Akagi
che ricordava, e pose una mano sulla spalla di Maya.
“Lancia il Programma Difensivo
Microfrattale Akagi-2B.”
La ragazza la guardò stupita,
smettendo di ticchettare sulla tastiera. “Ma, Senpai, quel programma è ancora
un prototipo, non l’abbiamo mai testato!”
Nonostante la situazione fosse
critica, Ritsuko sorrise paziente. “Questo sarà un ottimo test.”
Meravigliata dall’insolita
espressione della sua Senpai, Maya eseguì l’ordine. Dopo un secondo,
l’invasione si interruppe. L’Angelo aveva preso il controllo di più della metà
di Balthasar, ma si era fermato, strappando soffocate espressioni di sorpresa
da parte dei presenti.
“Ma come…” chiese Makoto con un
filo di voce.
“L’invasione sta procedendo,”
disse Shigeru, digitando rapidamente sulla sua tastiera. “Ma a un ritmo quasi
nullo! Cos’è successo?”
Gli occhi di tutti si rivolsero
sulla Dottoressa Akagi, che aveva assunto nuovamente la sua espressione fredda,
cacciando con disappunto gli strani sentimenti che quel ricordo le avevano
riportato alla mente.
“Ha funzionato!” esclamò
entusiasta Maya.
“Come hai fatto?” chiese Misato
a Ritsuko, asciugandosi il sudore dalla fronte con il dorso della mano.
L’interpellata fece spallucce.
“Mi sono resa conto che nessuna
misura pensata per un hacker umano poteva funzionare in questo caso. L’Angelo è
come un’Intelligenza Artificiale, quindi era necessaria una contromisura creata
apposta per contrastare l’invasione da parte di Intelligenze Artificiali
nemiche. Il programma che ho fatto lanciare si basa sui frattali, entità
matematiche dalle caratteristiche infinitesimali, che, se utilizzate da
un’Intelligenza Artificiale come quello che resta del Magi System, possono
contrastare in tempo reale le mosse dell’Angelo. Purtroppo, questo programma è
stato scritto da un essere umano, ed è quindi dotato di limiti e non potrà
tenere testa all’infinito al nostro nemico. Però ci ha dato il tempo che ci
serve.”
I presenti erano troppo scossi
per capire in pieno quello che stava dicendo la scienziata, tuttavia intesero
che erano buone notizie. Dalla sua postazione sopraelevata, Fuyutsuki trasse un
sospiro di sollievo. “Quanto ancora possiamo resistere?”
Ricevuta la richiesta, Shigeru
digitò sulla propria tastiera un codice. “All’attuale velocità dell’Angelo,
l’invasione di Balthasar sarà completa tra circa cinque ore.”
Ritsuko sorrise. “Un tempo più
che sufficiente.”
“Sufficiente per cosa?” chiese
Misato, ancora frastornata.
“Per elaborare un contrattacco.”
Un tenue -bip- riportò
l’attenzione degli Operatori sul grafico che rappresentava il Magi System. Un
altro settore di Balthasar era caduto sotto il controllo dell’Angelo.
L’entusiasmo di tutti si spense, tramutandosi in tensione spasmodica e
determinazione.
“I Magi, ora, sono diventati
nostri nemici,” sussurrò Gendo, senza modificare la propria posizione. Una
goccia di sudore freddo gli scese da una tempia.
Satoshi si svegliò di
soprassalto. Le medicine che gli davano lo facevano sentire piuttosto confuso e
annebbiato quando si destava, sicché quella volta non seppe subito cosa stava
succedendo: sopra di sé vedeva solo della luce, probabilmente l’illuminazione
del soffitto della sua stanza all’ospedale della Nerv, e si sentiva sballottato
da tutte le parti. Man mano che le sue percezioni si facevano più definite, gli
scossoni diventavano sempre meno imponenti e si accorse che il soffitto sulla
sua testa non era più quello della sua stanza, ma quello del corridoio
adiacente, in movimento. Lo stavano spostando, anche ad una certa velocità,
sebbene non eccessiva. Con gli occhi cercò lo sguardo della persona che stava
spingendo la sua lettiga, ma dovette tentare più volte prima di riuscire ad
articolare una parola. “Dove stiamo andando?”
L’infermiere aveva
un’espressione granitica. “La stiamo trasportando in superficie e all’ospedale
della Nerv di Matsushiro, Agente. E’ stato dato l’ordine di evacuare questo
edificio.”
Nonostante l’intorpidimento,
Satoshi comprese bene le parole dell’altro e una forte inquietudine lo assalì.
“Cosa sta succedendo?”
Ma l’infermiere scosse il capo.
“Non ci è stato detto. Sappiamo solo che il corpo principale della base è stato
isolato, che ci sono stati una specie di contaminazione chimica e forse un
attacco hacker al Magi System. La situazione è così da circa un’ora, ma solo
poco fa ci è giunto l’ordine di evacuazione.”
In silenzio l’uomo disteso sulla
barella cercò di ragionare.
Una
contaminazione e un attacco hacker… Tanto gravi da provocare l’isolamento della
base e l’evacuazione dell’ospedale, e forse dei settori non indispensabili del
Geo-Front? Dev’essere qualcosa di grave…
Misato!
L’Agente Iwanaka cercò
goffamente di sollevarsi dalla lettiga, ma l’infermiere si fermò e gli pose una
mano sul petto, costringendolo a tornare sdraiato con un gemito di dolore.
“Ma cosa le salta in mente?”
“Mi faccia scendere.”
“Non se ne parla neppure. Cosa
vorrebbe fare, in queste condizioni?”
Satoshi cercò di voltarsi e
guardare serio in volto l’infermiere. “Non posso andarmene mentre… mentre chi
amo rischia la vita!”
L’altro però era irremovibile.
“Il Central Dogma è fisicamente isolato dal resto del Geo-Front, non c’è
possibilità di contattare la Sala Comando, probabilmente stiamo correndo un
rischio paragonabile all’attacco di un Angelo. Non può fare nulla se non mettersi
in salvo. Dopotutto credo che la persona che ama possa affrontare meglio questa
minaccia sapendo che se le cose vanno male lei sarà al sicuro.”
Le ultime parole dell’uomo
furono dette con un tono molto strano, quasi sofferente, tanto che Satoshi non
seppe cosa rispondere.
“Anche per me è così,” riprese
infine, mentre riprendeva a spingere la barella. “Mia moglie è un’Operatrice
che lavora ai Computer Ausiliari del Magi System. Non ho idea di cosa sia
successo laggiù, ma so che lei potrebbe lavorare al meglio se sapesse che
almeno io sono al sicuro.”
D’un tratto Satoshi si sentì
comprensivo nei confronti dell’uomo. Sebbene non fosse un Agente della
Sicurezza, che in caso di pericolo potrebbe rendersi utile, in quel momento
erano entrambi nella stessa barca. Non oppose più resistenza mentre
l’infermiere, che ora camminava di nuovo a tutta velocità, spingeva la lettiga
verso l’uscita dalla base.
“Maggiore,” disse Makoto,
entrando nella sala tattica in cui venivano proiettate delle immagini della
sala di simulazione contaminata dall’Angelo. “L’evacuazione del resto della
base è stata completata.”
Misato trasse un sospiro di
sollievo e ringraziò l’Operatore.
Almeno
tu, Satoshi, non sei più in pericolo…
“Stavo dicendo,” riprese Ritsuko
quando l’amica le ebbe fatto cenno di continuare, “che questo Angelo può essere
visto come un insieme organizzato di corpi dalle dimensioni di batteri e simili
a micromacchine.”
“Per questo si è comportato come
un computer, tanto da interfacciarsi con la nostra rete e con il Magi System,”
proseguì Maya.
“Esatto,” annuì la Dottoressa
Akagi. “Ma prima di giungere a tale stadio, quest’essere ha attraversato in un
brevissimo tempo una rapidissima evoluzione, che lo ha portato a diventare
simile ad un circuito intelligente.”
“Evoluzione?” chiese Fuyutsuki,
dubbioso.
“Esatto. Da quando è comparso,
l’Angelo ha subito continue mutazioni volte a trovare la forma di volta in
volta più adatta ad affrontare l’ambiente che lo circonda.”
“Lo stesso metodo di
sopravvivenza delle specie viventi…” sottolineò il Vice Comandante.
“Se questo è vero, non appena
noi individuiamo le sue debolezze, l’Angelo riesce subito a compensare i nostri
tentativi…” ragionò Misato. “Non possiamo fare altro che condurlo nella morte,
sacrificando anche il Magi System.” Guardò con decisione il Comandante Ikari.
“Propongo l’immediata eliminazione fisica del Magi System.”
Prima che l’uomo potesse
rispondere fu Ritsuko ad interferire. “Impossibile,” disse, con un tono di voce
più alto di quanto avesse voluto. “Distruggere i Magi comporterebbe la
distruzione dell’intera base.”
“Allora lo richiedo formalmente
a nome del Reparto Operativo.”
“Richiesta respinta. Risolvere
il problema spetta a noi del Reparto Tecnologico.”
Misato strinse i denti. “Perché
la prendi sul personale?”
Si
tratta di salvare l’umanità, Ritsuko, anche a costo di sacrificare l’opera di
tua madre!
La scienziata però s’incupì.
Sarebbe
la soluzione più logica… Ed è anche più sicura di quella che ho in mente… Però
qualcosa dentro di me mi impedisce di accettarla. Qualcosa che mi fa mettere a
rischio tutto pur di non perdere l’unica cosa che mi resta di te…
Fino
a questo punto mi stai tenendo legata a te, mamma?
“C’è un’altra possibilità,”
annunciò infine la Dottoressa. “Finché l’Angelo si evolve, abbiamo un’altra
possibilità: promuovere la sua evoluzione.”
Sebbene la maggior parte dei
presenti non comprendesse lo scopo di quel progetto, Gendo sollevò un sopracciglio,
interessato. “Il punto terminale di ogni evoluzione è l’autoestinzione, la
morte stessa…”
“Esatto. Noi non faremo altro
che accelerare la sua evoluzione fino a determinarne l’estinzione per eccessiva
specializzazione.”
Fuyutsuki sorrise. “Come accadde
al Tirannosauro.[4]”
“Precisamente.”
“Ma come possiamo fare una cosa
del genere?” chiese Makoto.
“Il nemico è un computer,
quindi, una volta connesso direttamente a Casper, è possibile effettuare un
hacking inverso, che noi sfrutteremo per imporgli un programma che lo porti
all’autoestinzione. Così facendo però…”
“Però,” la interruppe Maya,
pensierosa, “dovremo abbassare ogni nostra difesa, interrompendo il Programma
Akagi-2B.”
“Sarà una gara,” constatò
Fuyutsuki.
Il Comandante Ikari strinse la
mandibola. “Sarà più veloce l’Angelo, o Casper?”
Ignorando quella domanda
retorica, Misato si rivolse a Ritsuko. “Ci restano circa tre ore. Ritsuko,
potrai approntare un programma del genere in così poco tempo?”
La scienziata rimase in
silenzio.
Tre
ore per scrivere il destino evolutivo di una creatura…Ce la devo fare.
“Ce la farò,” rispose infine.
Nonostante la pericolosità della situazione, un po’ della sicurezza ostentata
da Ritsuko si trasmise agli altri presenti.
Nelle successive due ore,
Ritsuko si chiuse nel suo studio, armata unicamente di un microdisk per la
memorizzazione dei suoi risultati, del suo portatile, del Manuale dei Magi e di
una caraffa di caffè caldo. Nessuno osò interromperla, e gli altri passarono quel
tempo fissando angosciati il diagramma dei Magi, in cui la zona rossa, lenta ma
inesorabile, continuava ad espandersi su Balthasar. Alla fine, Ritsuko emerse
dal suo studio, pallida. In mano aveva il microdisk e il Manuale.
“Maya,” ordinò ferrea. “Prendi
il tuo portatile. Voi,” si rivolse a Misato e agli altri due Operatori.
“Prendete sette cavi di connessione, cinque terminali compatti[5] e una scatola
di attrezzi. Andiamo da Casper.”
Quando il materiale richiesto fu
raccolto, i cinque scesero al livello inferiore della Sala Comando, dove si
trovavano i corpi fisici dei Supercomputer. Ritsuko aprì un pannello alla base
di Casper e digitò un codice di sicurezza. Il parallelepipedo si sollevò,
mostrando sotto di esso un intrico di tubi e cavi di enorme complessità. Misato
guardò di sfuggita l’amica, ma questa non mostrò emozioni particolari. “Aoba,
Hyuga,” si limitò ad ordinare. “Tornate alle vostre consolle e tenete sotto
controllo la situazione. Trasmetteteci ogni variazione significativa nel
comportamento dell’Angelo.”
I due Operatori si
allontanarono, dopo aver depositato il loro carico, mentre le tre donne si
avvicinarono al portello d’accesso al cunicolo di servizio di Casper. Quando
Ritsuko lo aprì, Maya soffocò un’esclamazione di sorpresa.
“Ma… cosa sono?”
L’interno del computer era
infatti ricoperto da piccoli rettangoli bianchi. Maya ne raccolse uno vicino al
bordo e realizzò con stupore che si trattava di un post it.
“Sono appunti del creatore del
sistema,” spiegò Ritsuko.
“Cosa??” sbottò Maya incredula,
leggendo e rileggendo il biglietto che aveva in mano. “Ma questo è… un codice!
Sono i codici segreti dei Magi!”
Ritsuko annuì distrattamente,
mentre si inoltrava a quattro zampe nel cunicolo.
“Ma è fantastico! Così potremo
programmare molto più velocemente di prima!”
La scienziata stava per
rispondere quando notò una cosa che catturò la sua attenzione. Su uno dei tubi
alla sua sinistra, la fitta scrittura degli appunti di sua madre era coperta da
una scritta vergata in nero, con rabbia.
‘IKARI, STUPIDO IDIOTA!’
Per un attimo, la donna fu
sorpresa di leggere quelle parole, ma poi sorrise.
Almeno
in qualcosa andavamo d’accordo, mamma.
Ancora sorridendo, si voltò
verso Maya e annuì, prima di tornare alle parole scritte da sua madre tanti
anni prima.
Ce
la faremo, te lo prometto.
Per tutta l’ora successiva,
Ritsuko continuò ad allargare il cunicolo, smontando le varie parti di Casper,
digitando codici di autorizzazione sui terminali compatti che aveva collegato
alle aree chiave del sistema, e orientandosi con la complessa mappa interna
presente sul Manuale dei Magi. All’interno del cunicolo, Misato la aiutava
passandole gli attrezzi o spostando i cavi e gli elementi che progressivamente
venivano scollegati e tolti, mentre all’esterno Maya, che aveva collegato il
proprio portatile ad una porta di Casper, familiarizzava con il complicato
programma scritto da Ritsuko poco prima. Quando mancavano circa tre quarti
d’ora all’invasione completa di Balthasar, una quantità inverosimile di cavi,
tubi e sottounità ricoperti di post it era stata accumulata fuori dal computer.
“Mi passeresti il terminale
numero quattro?” chiese Ritsuko, e l’amica fu lesta ad obbedire.
“Non ti ricorda i tempi
dell’università, questa situazione?” chiese il Maggiore, nostalgica e un po’
toccata dall’impegno profuso dalla scienziata in quel lavoro, ma non ottenne
risposta. Per nulla abbattuta, continuò a cercare la conversazione. “Perché non
mi parli un po’ dei Magi?”
L’altra terminò di digitare
sulla sua tastiera prima di rispondere. “E’ una storia lunga, e nemmeno
interessante.”
Un po’ pentita per il tono
scostante appena usato, poiché aveva capito che Misato voleva solo stemperare
la tensione, decise però di rivelare almeno una parte di quella storia.
“Sai cos’è la Trascrizione
Informatica di Personalità?”
“Sì, è la tecnica con cui la
personalità di un individuo viene inscritta in un computer organico di settima
generazione, in modo che il computer stesso diventi pensante. Se non sbaglio
questa tecnica viene usata anche nel pilotaggio degli Evangelion, vero?”
Ritsuko annuì. “Sì, però pare
che i Magi siano la prima applicazione di questa tecnica. Infatti, per la
massima parte questo metodo fu inventato da mia madre.”
In quel momento la scienziata
tolse l’ultima copertura dell’Unità Centrale di Casper, mettendone a nudo la
liscia superficie protettiva, che riportava il nome del computer e il numero di
serie all’interno del Magi System.
“Vuoi dire,” riprese Misato,
sorpresa, “che nei Magi è stata trascritta la personalità di tua madre?”
“Sì,” rispose brevemente
l’altra, attivando una sega circolare e cominciando ad intaccare la capsula
protettiva di Casper. Una cascata di scintille si riversò tutto attorno, ma
Ritsuko non pensò di usare una maschera protettiva. Misato, d’altro canto,
rimase in silenzio, poiché le sue parole non avrebbero comunque raggiunto
l’altra donna.
Quando il rumore terminò,
Ritsuko spense la sega e rimosse la sezione di calotta che aveva tagliato,
mettendo a nudo l’Unità Centrale di Casper.
“In un certo senso si può dire
che questo sia il cervello di mia madre.”
Ed in effetti l’oggetto
contenuto nella calotta protettiva somigliava molto ad un cervello, se non che
era dotato ad intervalli regolari di minuscole prese che scendevano in
profondità tra le circonvoluzioni di microprocessori delle dimensioni di un
neurone.
“E’ per questo che non hai
permesso che proponessi di distruggere il Magi System?”
Ritsuko prese in mano un fascio
di cavi, cercando quello giusto.
“No, io stavo agendo in qualità
di scienziata. Ho solo fatto la cosa più logica da fare.”
…Che
bugiarda…
Con una precisione dettata
dall’esperienza, la donna inserì lo spinotto prescelto nel foro selezionato,
connettendo così l’ultimo terminale compatto libero a Casper. Rapidamente
inserì gli altri spinotti in altrettante prese.
Misato stava per ribattere
quando l’allarme risuonò nuovamente nella Sala Comando.
“L’Angelo ha preso il controllo
di Balthasar!” esclamò Makoto, mentre l’ultimo settore azzurro della seconda
Superintelligenza diventava rosso.
-“PROPOSTA DI AUTODISTRUZIONE
APPROVATA A MAGGIORANZA RELATIVA DALLE INTELLIGENZE ARTIFICIALI MAGI,”-
annunciò la voce elettronica della base.
-“L’ATTIVAZIONE DEI DISPOSITIVI
DI AUTODISTRUZIONE AVVERRA’ TRA CINQUANTA SECONDI.”-
Mentre la voce continuava a
descrivere le specifiche dell’autodistruzione, Misato sgattaiolò fuori dal
cunicolo di Casper, in modo da poter tenere sotto controllo la situazione.
“Rapporto!” urlò verso la piattaforma con le consolle degli altri Operatori.
“L’invasione sta proseguendo
dentro Casper,” annunciò Makoto. “Programma Akagi2-B non più attivo!”
Sullo schermo con il diagramma
del Magi System la zona rossa aveva cominciato ad espandersi su Casper alla
stessa velocità con cui aveva preso possesso di Melchior. Dall’interno della
struttura del terzo Supercomputer proveniva il furioso ticchettio delle dita di
Ritsuko sul suo terminale compatto, subito riecheggiato da quello di Maya sul
proprio portatile, in modo da lanciare il programma per l’autoestinzione.
-“AUTODISTRUZIONE TRA VENTI
SECONDI.”-
“L’Angelo avrà preso il
controllo di Casper tra diciotto secondi!” gridò Shigeru, continuando a
rilevare i suoi dati dalla consolle.
-“AUTODISTRUZIONE TRA QUINDICI
SECONDI.”-
“Presto, Ritsuko!” implorò
Misato.
L’altra donna, seduta davanti
all’Unità Centrale di Casper, non smise di digitare comandi sempre più veloci,
mentre effettuava l’hacking inverso contro l’Angelo. “Stai tranquilla, ho un
intero secondo di vantaggio.”
“Un… secondo?”
“Non è zero né un valore
negativo.”
Misato stava cercando di capire
il significato di quelle parole quando iniziò il conto alla rovescia.
-“DIECI, NOVE, OTTO…”-
“Presto, Ritsuko!”
-“SETTE, SEI, CINQUE…”-
“Pronta, Maya!”
“Sì!”
-“QUATTRO, TRE, DUE…”-
“Ora!”
Simultaneamente, la scienziata e
la sua Koai premettero il tasto invio, lanciando l’ultima sequenza del
programma.
-“UNO, ZERO.”-
Il tempo si dilatò, mentre gli
occhi di tutti erano fissi sull’unico settore ancora azzurro del diagramma di
Casper, che continuava ad esistere e non era rimasto inglobato nell’ormai
soverchiante area rossa. Eppure, l’esplosione non arrivava…
All’improvviso tutta la zona
rossa del diagramma scomparve.
-“AUTODISTRUZIONE REVOCATA DALLE
INTELLIGENZE ARTIFICIALI MAGI.”-
“SI’!!” Gridò Shigeru,
lasciandosi andare ad un gesto di esultanza poco adatto al suo ruolo, tanto più
che il Vice Comandante era dietro di lui per scrutare direttamente l’andamento
dell’operazione, ma nessuno ci badò. Tutti gli altri occupanti della Sala
Comando stavano festeggiando, ciascuno a modo suo. Dall’interno di Casper,
Ritsuko trasse un profondo sospiro di sollievo. Nella sala di simulazione,
quasi con un gemito, il circuito senziente che era stato l’Undicesimo Angelo
brillò un’ultima volta prima di scomparire.
-“MENO CINQUE MINUTI AL RIENTRO
IN OPERATIVITA’ DEL MAGI SYSTEM.”-
Nelle due ore successive alla
vittoria, Ritsuko, Maya e Misato avevano rimontato tutte le parti distaccate di
Casper, sicché ora, sul pavimento della piattaforma, non era rimasto più nulla.
Ritsuko si lasciò cadere su una sedia, sospirando dolorante.
“Sembra che sia troppo vecchia
per queste giornate movimentate,” disse sorridendo stancamente a Misato, che si
stava avvicinando con due tazze di caffè. Ne prese una, che cominciò subito a
sorseggiare come se fosse il premio di quella strenua gara contro il tempo.
“Hai tenuto fede alla tua
parola,” rispose il Maggiore, sorridendo a sua volta. “Hai fatto un ottimo
lavoro.”
“Grazie… Lo sai? Sono così
stanca che anche un caffè preparato da te mi piace.”
L’altra assunse un’espressione
imbarazzata, essendo perfettamente conscia dei suoi problemi in cucina.
“La sera prima di morire,”
proseguì Ritsuko, quasi senza pensare. “Mia madre mi disse che aveva impresso
nei Magi i tre diversi modi del suo essere: come scienziata, come madre, come
donna. Sono i loro reciproci equilibrio e conflitto che costituiscono l’essenza
del Magi System. Intenzionalmente, mia madre ha inserito nei suoi computer il
dilemma proprio dell’essere umano. Ed in effetti, le tre trascrizioni di
personalità furono leggermente differenziate l’una dalle altre.”
Misato si era fatta
all’improvviso attenta all’inizio di quel discorso della sua amica. Non
immaginava che ci fosse tanto mistero sotto il Magi System. Dopo un altro
sorso, la Dottoressa riprese. “Non ho mai potuto capirla in quanto madre, non
avvertendo in me alcuna tendenza materna, sebbene la rispettassi come
scienziata e… e a volte la odiassi come donna.”
Dato che la bionda sembrava non
avere intenzione di aggiungere altro, Misato decise di intervenire, sorridendo.
“Sei loquace oggi.”
L’altra sollevò su di lei uno
sguardo stanco ma sereno. “A volte può capitare.”
Sibilando, l’unità Casper
cominciò a ridiscendere nella sua posizione, segno che il Magi era ormai in
procinto di tornare operativo. Dopo un rapido sguardo ad essa, Ritsuko
proseguì. “Dentro Casper è racchiusa l’essenza di mia madre come donna. Oggi,
contro l’Angelo, a prescindere dal mio intervento ha difeso strenuamente la sua
femminilità. Tipico di mia madre.”
Aveva detto quelle ultime parole
alzandosi dalla sedia e andandosene senza guardare Misato, tuttavia non c’era
astio nella sua voce: solo molta spossatezza.
-“MAGI SYSTEM OPERATIVO.”-
Il Maggiore sospirò e bevve un
ultimo sorso dalla propria tazza di caffè, poi guardò il proprio orologio da
polso.
“Accidenti,” esclamò. “Dobbiamo
recuperare i ragazzi!”
Il bruciore che aveva
attanagliato il braccio destro di Gabriel, con un’ultima violentissima fitta,
svanì di colpo, e così pure la voce tremenda nella sua testa.
Chi…
chi era…?
Di
chi era quella voce?
Cosa
voleva da me?
Perché
Yrouel mi ha parlato?
Il ragazzo trasalì
all’improvviso.
Chi
diavolo è Yrouel??
Nello sbarrare gli occhi per lo
sgomento si accorse che la connessione con lo 0D era stata tagliata, e attorno
a lui c’erano solo le pareti giallo-rossastre della simulation plug, appena
sfocate per l’LCL.
Yrouel…
Come facevo a conoscere quel nome?
E
poi… Ma chi… cos’era?
Era
forse… un Angelo??
I suoi pensieri furono
interrotti da una potentissima spinta verso il basso, che lo fece quasi piegare
sul pannello di comando. Impiegò alcuni secondi a capire che la simulation plug
era stata espulsa dall’unità di simulazione ed ora stava salendo a velocità
vertiginosa lungo uno stretto e profondo camino.
Gli stabilizzatori di pressione
gli impedirono di essere danneggiato dalla rapida risalita, ma quando la
capsula si fermò, Gabriel fu quasi sbalzato nuovamente via dalla sua
postazione.
Accidenti!
Il lieve rollio della simulation
plug gli rivelò di essere in acqua, probabilmente di stare galleggiando sul
lago che si trovava nel Geo-Front. Quando finalmente realizzò la sua situazione
sobbalzò.
REI!!
Freneticamente premette alcuni
pulsanti sul pannello di comando di fronte a lui, per mettersi in contatto con
la sala di controllo per i test di simulazione, ma non ricevette alcuna
risposta. Poi si ricordò che anche sulle simulation plug era installato un
sistema di comunicazione tra le plug stesse, per cui selezionò rapidamente la
capsula dell’unità Evangelion 0A, che conteneva Rei.
In un piccolo riquadro bordato
di rosso, alla destra di Gabriel, comparve una scritta di attesa, poiché, per
rispettare la privacy dei Children, il sistema a risposta immediata installato
sulle entry plug lì era sostituito da un sistema più simile ad un olovideofono.
Ma presto la ragazza sostituì la scritta: stava guardando in camera,
visibilmente spaesata e un po’ spaventata. Quando gli sguardi dei due ragazzi
si incrociarono, negli occhi di lei saettò un lampo di comprensione. Gettò un
grido e si abbassò di colpo, abbracciandosi il busto. Solo in quel momento
Gabriel si ricordò che erano entrambi nudi.
“Ehm…” disse il ragazzo,
scivolando a sua volta in basso finché non rimase solo il mento sopra i
comandi, nella stessa posizione di Rei. “Tutto bene?”
“Sì,” fu la risposta, mentre la
First Children, completamente rossa in faccia, teneva vagamente lo sguardo
chino. Poi lo riportò sul suo ragazzo. “Ma tu invece, ho sentito il tuo grido,
cos’è successo? Stai bene?”
Gabriel annuì, sebbene il suo
sorriso rassicurante fosse a sua volta inquieto. “Sì… ora sì.”
“Ma cos’è successo?”
Il Fourth Children aprì la bocca
per rispondere ma la richiuse subito.
“Vorrei saperlo anch’io…
All’improvviso ho sentito un forte bruciore al braccio destro, poi…”
Si interruppe.
E’
veramente il caso che le dica cos’ho sentito?
Che le dica di quella voce?
…
Se
anche fosse un Angelo, finché non ci verranno a recuperare non potremo fare
proprio nulla, tanto più nudi come siamo…
“Poi,” riprese quasi subito, “ho
sentito un dolore lancinante e poi più nulla. Subito dopo la connessione con lo
0D si è staccata e la capsula è stata espulsa… o almeno credo che sia andata
così… Hai idea di dove siamo?”
Dalla sua posizione accucciata,
Rei si guardò attorno, come se potesse veramente vedere cosa ci fosse fuori
dalle pareti della simulation plug.
“Sembra che siamo su una
superficie d’acqua,” concluse lei.
“Come pensavo… Pensi che sia il
lago del Geo-Front?”
“E’ probabile. Dalla planimetria
della base, la sala di simulazione si trova proprio lì sotto.”
Malgrado la situazione, Gabriel
sorrise, ricordando la battaglia contro il nono angelo. “E dire che qualcuno
aveva anche osato mettere in dubbio la tua dimestichezza con la planimetria
della base…”
Rei sorrise, comprendendo che si
trattava di un complimento. “Hai già contattato gli altri?”
“No, quando mi sono ricordato
del sistema di comunicazione di bordo ho subito pensato a te.”
La ragazza chinò gli occhi,
piacevolmente imbarazzata. “Grazie…”
Restarono a guardarsi negli
occhi per alcuni secondi, poi Gabriel si riscosse: purtroppo non era il momento
per lasciarsi prendere dal romanticismo, poiché si trovavano in mezzo ad un
lago, chiusi nelle simulation plug, senza nessun modo di comunicare con la
base, e senza sapere cosa stesse succedendo.
A malincuore, Gabriel distolse
lo sguardo da quello della sua ragazza. “Immagino che le simulation plug non
abbiano un sistema di propulsione acquatica…”
Comprendendo la situazione, Rei
scosse la testa. “No, infatti. L’unica propulsione di cui sono dotate è quella
d’emergenza, che però non può essere modulata.”
“Allora non ci resta che
aspettare che ci recuperino…”
D’un tratto il volto di Rei si
fece serio. “Gabriel… La cosa non è così semplice…”
Il ragazzo si aggrappò al
pannello di controllo, ansioso. “Perché? Che problema c’è?”
“La riserva energetica della
simulation plug non è eterna… Se fosse delegata solamente al mantenimento
vitale potrebbe durare anche un giorno intero, ma quasi sicuramente, ora il
computer di bordo sta trasmettendo un segnale di soccorso, ed in più la
comunicazione interplug utilizza una grande quantità di energia…”
“Beh, ma è sufficiente aprire la
capsula e svuotare l’LCL per risolvere il problema, no?”
Sconsolata, la ragazza scosse il
capo. “Purtroppo, quando l’energia sarà esaurita non sarà più possibile aprire
la capsula dall’interno, anche perché dentro sarà completamente buia…”
“Allora è sufficiente aprirla
prima, anche subito.”
“Ehm…” La ragazza arrossì e si
abbassò maggiormente, al di sotto della linea di visuale del Fourth Children.
“Forse è meglio aspettare che arrivino i soccorsi, dopotutto non possiamo certo
uscire dalla plug così…”
Solo allora Gabriel si rese
conto che, seguendo la sua proposta, sarebbero dovuti uscire nudi all’aria
aperta, ed a sua volta divenne completamente rosso in volto. “Ah… scusa, non
intendevo… cioè…”
“Lo so, stai tranquillo,” lo
rassicurò Rei, sorridendo. L’imbarazzo era già scomparso dal suo viso. “Forse
dovremmo provare a metterci in contatto con gli altri, in modo da valutare
pienamente la situazione.”
Gabriel annuì, poi si interruppe
a metà di una parola. “Rei… forse è meglio che tu contatti Asuka ed io contatto
Shinji… Così evitiamo altre… scene imbarazzanti.”
La First Children comprese che
si riferiva alla loro nudità e annuì. “Sì, forse è meglio. Allora, noi ci
vediamo dopo.”
“Certamente. Ciao, amore mio.”
Rei sorrise dolcemente a quelle
parole. “Ciao, mio Angelo.”
La comunicazione si interruppe.
Gabriel rimase per un attimo pensoso prima di selezionare sul quadro di comando
l’opzione per mettersi in contatto con la capsula di Shinji. Fu con grande
sorpresa che, quando il messaggio di attesa scomparve, udì un fragoroso grido
di Asuka.
“… E POI COME TI PERMETTI DI
CONTATTARMI QUANDO SAI BENISSIMO CHE SONO NUDA!!
Nello schermo, uno Shinji
rossissimo era appallottolato sul sedile, lo sguardo fisso davanti a sé, in un
punto invisibile dal punto di vista di Gabriel.
“E NON CONTINUARE A
GUARDARMI!!!”
Dopo quell’ennesimo grido di
Asuka Shinji abbassò di nuovo il capo, incontrando così il volto sconcertato
del Fourth Children in un altro riquadro. L’espressione di stupore sul volto
del Third Children rivelò che probabilmente aveva risposto alla chiamata per
errore.
“Ah… ciao, Gabriel,” salutò, con
un sorriso imbarazzato. Nelle due simulation plug dei ragazzi risuonò potente
il grido di Asuka.
“NO NO, NON GUARDATE!!”
Un sommesso -bip- annunciò che
la finestra di comunicazione con Asuka si era chiusa. Solo allora Shinji trasse
un profondo sospiro di sollievo, sebbene con LCL non ce ne fosse alcun bisogno.
“Mi hai salvato, Gabriel,”
disse, mentre tornava ad avere il suo colorito abituale. “Ho contattato Asuka,
lei ha risposto, ma non avevamo tenuto conto che eravamo entrambi… nudi…”
Avendo affrontato la stessa
esperienza, sebbene senza grida di rabbia, il Fourth Children non rise
dell’espressione afflitta e impacciata dell’amico. “Beh, Shinji, poteva
capitare. Dopotutto nemmeno lei ne ha tenuto conto, stando alle tue parole.”
Shinji annuì a capo chino e
l’altro proseguì. “E poi abbiamo ben altro a cui pensare ora… Sei per caso
riuscito a metterti in contatto con qualcuno della Nerv?”
Il Third Children scosse il
capo. “No, è stato tutto inutile. Ho provato a contattare Asuka per chiederle
se lei ci riusciva, ma poi… è successo quello che è successo…”
Il volto di Shinji si arrossò di
nuovo e Gabriel ritenne opportuno non tornare più sull’argomento. “Anch’io ho
provato a contattare la Nerv, ma senza successo…”
“Quindi non è un danno alla mia
simulation plug… Ma dove siamo, allora? Mi sono sentito spingere all’indietro
tutto d’un tratto, poi quando mi sono fermato mi sono trovato a ondeggiare a
destra e a sinistra…”
“E’ probabile che siamo a galla
sulla superficie del lago del Geo-Front.”
Shinji trasalì, tornando a
guardare l’altro negli occhi. “Quindi siamo in acqua!”
“Sì,” rispose Gabriel, stupito
dalla reazione dell’amico. “C’è qualcosa che non va?”
Il Third Children mostrò
un’espressione quasi dispiaciuta. “Sì… Io non so nuotare. Se per qualche motivo
dobbiamo abbandonare le capsule, io non saprei come fare…”
Gabriel sorrise rassicurante.
“Non ti preoccupare, ci verranno certamente a recuperare, una volta che avranno
sistemato i loro problemi.”
“Ma, a proposito… tu hai capito
cos’è successo?”
Il Fourth Children si incupì
all’improvviso.
“No, a dire il vero non lo so,”
disse, ma il tono non sembrava molto convinto. “Shinji,” aggiunse dopo un
attimo di riflessione. “Hai sentito anche tu… qualcosa di strano?”
L’altro lo guardò stupito. “In
che senso?”
“Come… come una voce…”
Shinji si ammutolì. “Veramente…
no… Può darsi che fosse un’interferenza della connessione neurale con l’unità
di simulazione…”
Sebbene tale spiegazione sarebbe
sembrata più convincente dalla bocca della Dottoressa Akagi, Gabriel si sentì
un po’ più sollevato. “Sì, probabilmente è andata così, e sarà anche stato
legato al motivo per cui ci hanno espulsi così bruscamente.”
L’altro annuì, sorridendo.
“Speriamo solo che vengano presto a recuperarci!”
I due ragazzi risero, poi il
Fourth Children riprese. “Prima di contattarti ho sentito Rei: anche lei sta
bene. Abbiamo deciso che io avrei contattato te e lei Asuka. Chissà come se la
starà cavando…”
Shinji scosse il capo,
comicamente sconsolato. “Non vorrei proprio essere nei suoi panni… Anche se è
un po’ impossibile, visto che siamo tutti nudi.”
Di nuovo scoppiarono a ridere a
quella battuta, che ebbe l’effetto di alleggerire la tensione che Gabriel
provava da quando aveva accennato a quella voce. Perché, in fondo, non credeva
che fosse solo dovuta ad un guasto della connessione neurale…
“Forse sarà il caso che provi a
chiarirmi con Asuka,” propose infine il Third Children, prendendo già una
prudente posizione accucciata in modo da non farsi vedere dalla ragazza che
avrebbe contattato di lì a poco. Anche Gabriel si riprese dalle risate di poco
prima.
“D’accordo, poi mi dici…
Solamente, dobbiamo tenere presente che le scorte dell’energia scendono più
rapidamente tenendo acceso il sistema di comunicazione.”
“Ho capito, mi limiterò. A più
tardi, ti racconterò com’è andata.”
I due ragazzi chiusero la
comunicazione, e dopo poco il Fourth Children richiamò Rei. Questa rispose poco
dopo, ed aveva l’aria un po’ stravolta.
“Ciao, Gabriel,” cominciò,
sorridendo dolce ma stancamente. “Sei riuscito a contattare Shinji, a quanto ho
saputo.”
“E da quanto vedo, tu hai
contattato Asuka,” constatò Gabriel. La ragazza, suo malgrado, annuì.
“Era un po’ turbata dal fatto di
essere stata vista nuda da Shinji.”
“Anche a te ha urlato nelle
orecchie?”
“Sì.”
Vedendo che Rei sorrideva divertita
e per nulla infastidita, il ragazzo scoppiò a ridere. “Shinji era sconvolto,
Asuka deve avergli detto cose irripetibili prima che lo contattassi.”
La ragazza assentì
vigorosamente. “Per quanto la conosco, non faccio nessuna fatica a immaginare
che abbia reagito male.”
“Ad ogni modo, ora Shinji ha
deciso di provare a chiarire la cosa, per spiegarle che non si è trattato di
nulla di malizioso. In pratica è successo quello… quello che è successo anche a
noi…”
Rei arrossì e si abbassò
maggiormente sul quadro di comandi, ma sorrise. “Con la differenza che non ti
ho urlato contro come ha fatto Soryu… A dirti la verità, avevo pensato di
contattarti io prima, ma mi hai anticipato.”
Gabriel annuì, intenerito dalla
visione della ragazza accucciata, arrossita e sorridente davanti a lui.
“Passerei tutto il tempo che manca al nostro recupero qui con te.”
Rei assunse un’espressione
dispiaciuta. “Anch’io… Però l’energia non ci basterebbe, se tenessimo aperta la
comunicazione così a lungo…”
Di fronte all’espressione contrita
del suo ragazzo, lei proseguì. “Anche se chiudiamo il contatto, possiamo sempre
sentirci ogni tanto, per un po’… Così non rimarremmo senza energia.”
“E’ un’ottima idea, Rei,”
convenne Gabriel, tornato sereno. “Allora, ci sentiamo tra un po’.”
“Va bene, a presto.”
“Ciao.”
Chiusero di nuovo la
comunicazione. Nelle tre ore che seguirono, il Fourth Children fu contattato da
Shinji, che gli raccontò come era andata con Asuka, che si erano chiariti e che
la ragazza gli aveva pure chiesto come stava. Man mano che il racconto
procedeva Gabriel sorrideva, contento che, nonostante l’accaduto, Asuka non
avesse reagito in maniera troppo aggressiva. Probabilmente, qualche tempo
prima, non avrebbe più parlato con Shinji per giorni, per quell’accadimento.
Più volte, il pianista contattò anche Rei, restando pochi minuti ogni volta a
scambiare con lei parole di rassicurazione e d’amore. Finché non fu lei a
chiamare lui, quando ormai erano passate quasi quattro ore dall’espulsione
forzata delle simulation plug. Il sorriso con cui l’accolse svanì in un
istante, notando la sua espressione seria.
“Gabriel,” cominciò la ragazza.
“C’è un problema.”
Lui, si sporse verso lo schermo
olografico, afferrando spasmodicamente le manopole di supporto della capsula.
“Che sta succedendo? Stai bene??”
Rei scosse la testa, cercando di
tranquillizzarlo. “Sì, sì, sto bene. Però ho notato che c’è un problema con la
simulation plug…”
Gabriel si tranquillizzò un po’,
ma qualcosa nell’espressione della sua ragazza lo fece restare in tensione. “Che
tipo di problema?”
“Ecco…” iniziò la First
Children, “La mia simulation plug ha subito dei danni quando è stata espulsa…
Deve aver impattato contro le pareti del condotto che ci ha portati qui. Per
cui… c’è stata una perdita di energia…”
Gabriel comprese la situazione.
“Quanto durerà ancora?”
“La perdita è ancora in
crescita, durerà molto poco. Avevo intenzione di utilizzare quel po’ che rimane
per aprire il portello e uscire dalla capsula, poi… Beh, poi cercherò in
qualche modo di ovviare alla mancanza di vestiti…”
La ragazza arrossì ed esitò un
istante prima di proseguire, assorta. “E’ strano, fino a poco tempo fa non
avevo problemi ad apparire nuda di fronte alle persone…”
Il Fourth Children sollevò un
sopracciglio, sorpreso. “Perché, quando è successo? A parte…”
Il volto di Rei si fece ancora
più rosso. “A parte… quella volta, ho dovuto effettuare degli esami… con la
Dottoressa Akagi senza vestiti.”
Aveva pronunciato le ultime
parole senza guardare negli occhi Gabriel, ma il ragazzo non ci diede peso. “Si
trattava di altri test di simulazione?”
“In parte sì. Io sono stata la
prima Children selezionata, per cui ho dovuto affrontare numerosi test
preliminari, anche prima dell’ultimazione dell’Unità 00.”
“Capisco. E ti ha vista nuda
qualcun altro a parte la Dottoressa Akagi?”
“…No.”
Nonostante Rei avesse fatto di
tutto per evitare di essere smascherata, Gabriel si accorse subito che c’era
qualcosa che non andava. “Rei… c’è qualcosa che non va?”
“Beh…” proseguì la ragazza,
sempre più impacciata. Ormai aveva capito che non poteva mentire sul fatto che
solo la Dottoressa Akagi l’aveva vista nuda, tuttavia non poteva parlargli dei
test cui assisteva anche il Comandante Ikari… lui non avrebbe capito, ed
oltretutto sarebbe stato in pericolo, se avesse saputo di cosa si trattava.
D’altronde però, non sapeva come avrebbe reagito sapendo di quello che era
successo con Shinji. Tra i due mali tuttavia, scelse quest’ultimo, che tra i
due era quello che prevedeva meno conseguenze negative. O almeno, così sperava.
“In effetti… Non è stata solo la Dottoressa Akagi a vedermi nuda…”
“Ah… Si trattava di qualcuno che
la aiutava nei test, immagino. Il Tenente Ibuki, qualche assistente di
laboratorio…”
“No… Si tratta… del Third
Children, Shinji Ikari.”
Sembrò che qualcuno avesse
colpito Gabriel in pieno volto con un pugno, tanto era diventato paonazzo. La
sua espressione passò in breve tempo dall’incredulità allo sconcerto, per
giungere poi all’ira. “E QUANDO AVEVA INTENZIONE DI DIRMI CHE AVEVA VISTO LA
MIA RAGAZZA NUDA???”
Comprendendo di aver messo
Shinji in una brutta situazione, Rei cercò di calmare il ragazzo. “No, non è
stata colpa sua… cioè, sì, però…”
“E’ STATA PURE COLPA SUA???”
“Sì, ma non l’ha fatto apposta!
E’ entrato in casa mia mentre facevo la doccia, per portarmi la tessera nuova
per il Quartier Generale, prima che tu arrivassi…”
“E QUESTO LO AUTORIZZAVA A
SBIRCIARTI MENTRE FACEVI LA DOCCIA??”
“No, non mi ha sbirciato! Sono
uscita, l’ho trovato che vagabondava per la mia stanza, poi…”
“POI???”
“Poi… Gli sono andata incontro
per togliergli di mano una cosa che aveva preso, lui è scivolato e…”
“E????”
“E mi è caduto addosso!”
“COME, TI E’ CADUTO ADDOSSO!!”
“Ecco… cadendo in avanti mi è
finito sopra… Ma non ha fatto nulla… cioè…”
“CIOE’??”
“Ecco… Cadendo mi ha toccato il
seno…”
Le due simulation plug
risuonarono dell’urlo smodato del Fourth Children.
“Ti prego, Gabriel!” cercò
vanamente di interromperlo Rei.
“TI HA TOCCATO IL SENO?? MA IO
QUANDO ESCO DI QUI LO DISTRUGGO!!”
“Ma è stato un incidente!”
“QUEL SERPENTE!! MA PERCHE’
ASPETTARE DI USCIRE?? ESCO ADESSO E VADO A PRENDERLO!!”
Rei chiuse gli occhi appena in
tempo quando il Fourth Children, fuori di sé dalla rabbia, si alzò dal sedile
senza accorgersi che così facendo non avrebbe più potuto coprire le proprie
intimità, ma un interferenza nel canale di comunicazione con l’altra simulation
plug lo fece gelare. Tornò subito sui suoi passi, fissando lo schermo
olografico attraversato da alcune scariche.
“Che sta succedendo, Rei??”
chiese, dimentico della furia di poco prima. Lei lo stava guardando impaurita.
“Credo che l’energia stia per
finire,” disse, la voce che si faceva sempre più flebile.
“Apri il portello, presto!” le
gridò Gabriel, in preda al panico, ma la ragazza scosse il capo.
“Non posso… Il portello è…”
Ma la comunicazione cadde.
L’energia della simulation plug di Rei era terminata. Maledicendosi per aver
fatto sprecare energia alla ragazza con la sua scenata, Gabriel si costrinse
alla calma per pensare alle cose da fare in quel momento.
Aveva già provato a contattare
il Quartier Generale per soccorsi immediati, e non aveva avuto successo. Ed ora
che l’energia di Rei si era consumata, l’LCL nella sua capsula non sarebbe più
stato depurato ed ossigenato, il che lasciava poco tempo per riflettere su cosa
andasse fatto: se in pochi minuti la sua simulation plug fosse diventata
inabitabile, l’unica cosa da fare era farla uscire. Poco importava che
dall’interno il portello non potesse essere aperto, poiché l’apertura esterna
era manuale e meccanica.
Senza esitare, Gabriel si
allontanò dalla sua posizione e, quasi nuotando nell’LCL, raggiunse l’apertura,
aprendola premendo un pulsante. Si trovava leggermente sopra il livello
dell’acqua, per cui il ragazzo fu quasi risucchiato fuori quando il liquido
artificiale si riversò fuori dalla capsula, fino a lasciarla semivuota. Dopo
aver superato in fretta il momento di stordimento dovuto al ritorno alla
respirazione normale, Gabriel si gettò subito in acqua, riemergendone subito
per scrutarsi attorno. Vedeva tutte e tre le simulation plug, ma erano tutte
molto lontane da lui. E da quella distanza, indistinguibili l’una dall’altra.
Con un moto di disappunto, il Fourth Children realizzò che avrebbe dovuto
avvicinarsi a ciascuna di esse per identificarne il codice identificativo, che
ne indicava l’appartenenza ad una determinata unità di simulazione, facendogli
perdere tempo prezioso. Nel caso specifico, lui avrebbe dovuto cercare la
capsula recante la scritta ‘Simulation 0A’, quella di Rei. Senza esitare più a
lungo, si diresse verso la plug più vicina, nuotando rapidamente, come aveva
imparato precocemente a fare.
Quando ebbe quasi raggiunto la
capsula che si era prefissato, represse un’imprecazione: essa recava la scritta
‘Simulation 0C’, che la indicava come la capsula di Shinji. Provò per un attimo
un sentimento di rammarico, poiché si era lanciato al salvataggio di Rei così
in fretta da non aver potuto avvisare nessuno: poteva anche darsi che il Third
Children, proprio in quel momento, si chiedesse ansioso come mai lui e la First
Children non rispondevano ai suoi tentativi di contatto…
Ma quei pensieri non facevano
altro che distrarlo, per cui li cacciò e si diresse nuotando ad ampie bracciate
verso la seconda simulation plug. Era a metà strada da questa quando quasi
sobbalzò nel notare, sulla capsula più distante, una vistosa ammaccatura ad una
estremità, invisibile dal suo punto di partenza. Quella che si stava recando a
controllare, invece sembrava non avesse nessun danno. Trattenne i battiti del
cuore e si lanciò, nuotando a perdifiato, fino alla capsula danneggiata.
Più volte finì con l’immergersi,
nuotando forsennatamente sotto il pelo dell’acqua, tenendo gli occhi aperti. Né
la stanchezza, né la preoccupazione, né la fatica sembravano rallentare la sua
marcia, come se si trovasse nel suo elemento naturale. Sembrava anzi che
l’acqua stessa ne sorreggesse il corpo e opponesse meno resistenza al suo
passaggio, come consapevole dell’urgenza del Children.
Quando la raggiunse notò che
effettivamente recava la scritta ‘Simulation 0A’: era proprio quella di Rei.
Tieni
duro, Rei… Sono qui!!
Freneticamente cercò il
portello: anch’esso era danneggiato, con una profonda intaccatura che ne
metteva a nudo i circuiti irreparabilmente danneggiati.
Il
sistema di controllo è fuori uso… Ecco perché Rei non è potuta uscire… Ma
quello manuale deve funzionare ancora… DEVE!
Sebbene la struttura della
simulation plug fosse leggermente diversa da quella dell’entry plug, il
meccanismo di apertura era simile. Gabriel, cercando di mantenere la calma,
passò la mano sulla maniglia incassata, poi la afferrò con decisione e tirò
verso di sé. Con un sordo rumore metallico, i due bracci della manopola
sporsero verso di lui. Il Fourth Children allora si immobilizzò, nella
spasmodica attesa che, sentendo il rumore appena prodotto, Rei rispondesse in
qualche modo, facendogli capire che era ancora viva. Ma oltre allo sciacquio
dell’acqua non riuscì ad udire alcunché. Stringendo i denti e ripetendosi che
non era troppo tardi, che Rei stava bene, Gabriel impugnò il le maniglie e
spinse con tutta la sua forza contro i bracci dell’apertura meccanica della
simulation plug.
Tuttavia, senza avere un saldo
piano d’appoggio cui ancorarsi, non riuscì a smuoverle di un millimetro, salde
com’erano.
Dannazione…
Che sia danneggiato anche il meccanismo di apertura manuale?
No,
lo squarcio è spostato, tocca solo i circuiti interni…
E’
questa dannata porta che non vuole aprirsi!
Sforzò nuovamente, ma non
ottenne nessun risultato.
No…
Non posso cedere adesso…
Rei,
forse stai già soffocando nell’LCL privo di ossigeno, io devo farti uscire.
DEVO aprire questo portello… DEVO SALVARTI!
Di nuovo strinse con forza, la
maniglia e di nuovo i bracci non mostrarono segno di voler aprirsi. Con quanta
forza aveva in corpo continuò a spingere con furia finchè addirittura le mani,
bagnate com’erano dall’acqua, non scivolarono abbandonando la presa, facendolo
sprofondare sott’acqua a causa del rilascio improvviso e della mancanza di un
appoggio. Gabriel, riemerse in fretta e si riattaccò alla maniglia. Disperato e
furioso sgranò gli occhi e riprese a forzare il meccanismo senza ancora
ottenere il minimo risultato .
Un
appoggio…un appoggio…ho bisogno di un appoggio!
Con le gambe tastò l’acqua sotto
di se, ma vi trovò solo il vuoto, mentre i bracci dell’apertura restavano
immobili ed il tempo continuava a scorrere.
NON
PUO’ FINIRE COSI’!!
All’improvviso
qualcosa di solido si materializzò sotto le piante dei suoi piedi e d’un
tratto la maniglia cedette, cogliendolo quasi di sorpresa e facendolo
nuovamente quasi sprofondare. L’appoggio che gli aveva consentito di aprire
l’entry plug si era infatti dissolto nel nulla allorquando il meccanismo di
apertura era scattato. Pensò per un attimo di aver posato i piedi su qualche
sporgenza dell’entry plug, e poi di aver abbandonato l’appoggio dopo essere
quasi nuovamente andato sott’acqua, ma lasciò subito da parte quelle domande:
ora doveva solo tirare Rei fuori da quella capsula.
Una volta che aveva ceduto, la
manopola di apertura si aprì più facilmente, girando completamente su se
stessa. Il portello si sporse in avanti e si sollevò, scorrendo sulle sue
rotaie e lasciando uscire una cascata di LCL, più scuro del normale, che si
riversò nell’acqua del lago. Senza nemmeno attendere che il liquido fosse
sgorgato del tutto, Gabriel infilò la testa nell’apertura.
“Rei, REI!!” gridò a gran voce,
senza badare all’LCL saturo di anidride carbonica che gli investiva il volto.
All’interno non vide nulla: tutto era buio, silenzioso, nascosto da una sottile
pellicola di liquido, che lampeggiava timidamente riflettendo il sole
all’esterno, che ormai stava calando.
“REI!!!” urlò un’altra volta il
ragazzo, le lacrime agli occhi.
No…
Non è possibile… NON PUO’ ESSERE VERO!!
All’improvviso una forma bianca
affiorò alla superficie dell’LCL. Ebbe un guizzo: la testa dai capelli azzurri
di Rei balzò fuori, respirando a rapide boccate l’aria che finalmente tornava a
filtrare nel suo abitacolo.
“REI!!!”, la chiamò per
l’ennesima volta Gabriel, non riuscendo più ad impedire alle lacrime di
sgorgare, stavolta per la felicità. La ragazza tossì e strinse gli occhi,
guardando la figura di Gabriel stagliata contro la luce che filtrava dall’alto
del Geo-Front.
“Ga…Gabriel?” chiese con un filo
di voce.
“Sì, sono qui, sono qui!”
rispose lui.
“GABRIEL!” esclamò infine la
ragazza, uscendo del tutto dall’LCL e gettandogli le braccia al collo. Il
Fourth Children, colto alla sprovvista, arretrò e finì sott’acqua, mentre
trascinava con sé Rei, ma fu solo un attimo: subito riemersero, finalmente
fuori dalla capsula, abbracciati strettamente.
Rei tossì ancora, troppo
spossata per l’assenza d’ossigeno e per lo sforzo improvviso di poco prima, e
Gabriel, sorridendo dolcemente, la strinse a sé, reggendola senza fatica nell’acqua
del lago. La ragazza affondò il volto sulla sua spalla nuda, piangendo
sommessamente.
Credevo
già che sarebbe finita…
Credevo
che non avrei più visto Gabriel, che sarei morta in quel posto senza luce,
soffocata dall’LCL…
Gabriel
… Sei venuto a salvarmi quando avevo perso la speranza…
Gabriel…
Se io avessi un Angelo custode, quello saresti tu.
Rimasero così per molti minuti:
Gabriel, tenendosi al bordo della capsula con la sinistra, teneva saldamente il
corpo di lei con il braccio destro, sussurrandole dolci parole per
tranquillizzarla. Rei, invece, continuò a tenersi strettamente abbracciata al
busto del suo ragazzo, troppo grata di essere ancora viva per riuscire a
parlare.
Dopo quasi mezz’ora di attesa,
mentre anche le luci del tramonto non riuscivano più a filtrare dalle aperture
del Geo-Front, dei rumori lontani informarono i due dell’arrivo dei soccorsi.
Con una barca di salvataggio li raggiunsero tre infermieri, mentre la
simulation plug danneggiata veniva agganciata per essere trainata a riva. I tre
uomini si guardarono perplessi, prima di coprire i due ragazzi con delle
coperte in modo da scaldarli, e concordarono silentemente su un punto: era
meglio non far sapere alla Dottoressa Akagi che li avevano trovati nudi e
abbracciati fuori dalla capsula…
D’altro canto i due Children,
costretti a separarsi al momento di salire sulla barca, tornarono subito a
prendersi per mano quando poterono avvolgersi ciascuno in una coperta calda,
rabbrividendo: per tutto il tempo in cui erano stati insieme non si erano resi
conto di quanto l’acqua e la paura li avesse raggelati. Tuttavia continuarono a
sorridersi a vicenda, in silenzio, finché non raggiunsero la terra ferma.
“GABRIEL, REI!” gridò il Third
Children, anch’egli avvolto in una coperta, agitando un braccio sopra la testa
dal bordo della barella su cui era stato fatto sedere per accertarsi con alcuni
rapidi test della sua salute. Poco distante, Asuka si stava lamentando con
un’infermiera, chiedendo spiegazioni sul perché il recupero delle entry plug avvenuto
così tardi. “Ma dov’eri finito?” chiese Shinji, dondolando sulla lettiga mentre
un infermiere tentava di misurargli alcuni dati fisiologici con uno strano
macchinario. Rei e Gabriel si guardarono e sorrisero.
“E’ una lunga storia…” rispose
il ragazzo. “Rei ha avuto dei problemi con la simulation plug ed io sono andato
da lei.”
“Andato da lei?” ripeté sorpreso
Shinji. “E come hai fatto?”
“Beh… Sono uscito dalla capsula
e sono andato da lei…” rispose semplicemente Gabriel. Poi i suoi occhi si
strinsero. “A proposito, Shinji…” Attese che l’infermiere si fosse allontanato
con i suoi dati, mentre l’altro ragazzo lo guardava incuriosito, prima di
proseguire. “Cos’è questa storia che hai toccato il seno di Rei??”
Il Third Children guardò l’amico
boccheggiando. “Ma… io non…”
“Shinji…” lo interruppe l’altro
minaccioso, mentre Rei gli stringeva un braccio sotto le coperte per cercare di
placarlo. “Giustificati e FORSE lascio perdere.”
Lo sguardo di Gabriel non
ammetteva repliche. Sembrava geloso e furioso e, ricordando come aveva reagito
quando la sua ragazza era stata in pericolo, Shinji concluse che era meglio non
dargli motivo per arrabbiarsi ulteriormente.
“Gabriel,” cominciò, rosso di
vergogna. “E’ successo prima che tu arrivassi… Dovevo portare a Rei la sua
tessera nuova per accedere al Quartier Generale… La porta era aperta, così sono
entrato…”
“Lascia perdere le premesse.
Dammi una valida ragione per il fatto di aver toccato il seno a Rei e lascio
perdere.”
Essendo la seconda volta che
veniva chiamata in causa, Rei arrossì e istintivamente fece per nascondersi
dietro Gabriel, pur senza lasciare la presa sul suo braccio.
“Ma non c’è stata una ragione…”
L’espressione sul volto del
Fourth Children convinse Shinji a spiegarsi senza esitare.
“Cioè… In pratica sono entrato
in casa… Mi sono messo un po’ a curiosare… Cose innocenti, capisci? E… E Rei è
uscita dalla doccia, mi è venuta incontro per togliermi gli occhiali di mio
padre di dosso…”
Gabriel si volse verso la sua
ragazza con sguardo interrogativo, al che lei scosse il capo. “Si tratta di un
ricordo di quando mi salvò, durante un esperimento… Ti avranno fatto leggere
qualcosa a riguardo credo…”
Il Fourth Children annuì. “Sì,
ora ricordo… Dovrei essere grato al Comandante allora… Ma comunque,” continuò,
tornando a rivolgersi verso Shinji con espressione nuovamente dura, “ciò non
spiega perché le hai toccato il seno.”
“Ecco… Mi ha tolto gli occhiali
di mio padre e… sono scivolato e…”
“E?”
“E… Sono caduto addosso a lei…
Posandole una mano sul seno… Ma non l’ho fatto apposta! Non era voluto, non
l’ho ricercato!”
Gabriel fece un po’ fatica a
calmare l’amico, che aveva cominciato a gesticolare. Stava anche cominciando a
richiamare l’attenzione dei soccorritori.
“Shinji,” iniziò il Fourth
Children, cercando di sovrastare le continue richieste di scusa dell’amico. “Ti
credo, Shinji. Ho capito, è stato solo un incidente. Spero solo che non capiti
più.”
Il Third Children scosse
vigorosamente la testa. “No, no, non capiterà più di sicuro.”
Impietosito dallo spavento dell’amico,
Gabriel decise di non badare più a quella questione e con un sorriso cordiale
gli fece capire che non doveva più preoccuparsi. Mentre Shinji emetteva un
rumoroso sospiro di sollievo, lui prese la mano di Rei e intrecciò le dita con
le sue, guardandola negli occhi.
“Perdonami se non ho lasciato
perdere subito quando mi hai preso il braccio per trattenermi,” le sussurrò,
mentre Shinji si allontanava per dare spiegazioni sull’accaduto ad un perplesso
infermiere, “ma volevo sincerarmi che Shinji fosse ben conscio che certe cose
non se le può permettere.”
La ragazza annuì sorridendo.
“Non hai motivo di chiedermi perdono.”
“TU NON HAI VISTO NULLA NELLA
PLUG, VERO??”
Quel grido acuto annunciò
l’avvicinamento di Asuka, avvolta in modo quasi ermetico nella sua coperta,
tanto che ne sporgevano solo la testa, le mani e la parte inferiore delle
gambe. Si stava rivolgendo a Gabriel, con aria quasi isterica, mentre Shinji
alzava invano una mano per salutarla. Il ragazzo interpellato dalla rossa
sollevò un sopracciglio. “No, Asuka, non era nemmeno possibile che ti vedessi,
visto che l’angolazione degli schermi olografici delle simulation plug lo
impedisce.”
“Ah… è vero…” commentò la Second
Children. “Beh, state bene tu e Rei? Mi hanno detto che ci sono state un po’ di
complicazioni nel vostro recupero.”
La First ed il Fourth Children
si guardarono e sorrisero. “Sì,” rispose quest’ultimo. “Ci sono state un po’ di
complicazioni, però stiamo bene.”
“Bene, ne sono felice,” fece
Asuka, sorridendo a sua volta, più rilassata. Finalmente si voltò verso Shinji,
che aveva chinato il capo un po’ affranto. “E tu, come stai?”
Il tono dolce di quelle parole
sorprese un po’ il ragazzo, che però sorrise di rimando. “Sto bene, grazie.”
Effettuati i primi esami, ai
Children furono finalmente date delle plug suite da indossare e furono portati
al Quartier Generale, dove appresero direttamente da Misato i dettagli di ciò
che era accaduto quel giorno.
Continua….
[1]: Sistema di comunicazione
simile ad un videotelefono, in cui però l’immagine dell’interlocutore è un
ologramma proiettato a poca distanza dall’apparecchio.
[2]: Organo speciale delle
Nazioni Unite che, nella versione ufficiale, ha ordinato l’istituzione della
Nerv e che ne supervisiona l’operato. In realtà è poco più di un’organizzazione
di facciata, che però ha l’ingombrante compito di relazionare alle Nazioni
Unite sugli avvenimenti di Neo Tokio-3.
[3]: L’ozono è formato da tre
atomi di ossigeno legati tra di loro ed è profondamente nocivo alla vita. In
questa fanfiction si immagina che l’ozono si congiunga all’acqua pesante a
livello molecolare, evidenziando così che, quando l’angelo viene contrastato
con l’ozono, tale effetto non è dovuto alla dannosità di questo gas ma proprio
all’ossigeno di cui è composto.
[4]: Secondo alcune teorie,
il motivo dell’estinzione del Tirannosaurus Rex è da ricercarsi proprio nella
sua eccessiva specializzazione come predatore, che ne ha precluso fondamentali
possibilità di adattamento all’ambiente.
[5]: I terminali compatti
sono i portatili con schermo e tastiera integrati che si vedono anche
nell’episodio di Evangelion cui questo capitolo si riferisce. Nella nostra
fiction, essi sono usati quando è necessario lavorare specificatamente su
alcune parti del Magi System anziché con l’intera rete.
“Però non è giusto!”
sbottò Asuka, lasciando cadere lo scatolone che reggeva. Dal salotto, Shinji
smise di raccattare le riviste sparse ovunque e si rimise in piedi, con aria
abbattuta. “Che cosa non è giusto?”
“Siamo noi i Children, perché diavolo sono loro che stanno
festeggiando?”
La ragazza, inviperita, tirò un calcio allo scatolone
contenente i numerosi reggiseni di Misato, col solo risultato di rovesciarlo e
spargerne il contenuto sul pavimento della stanza. Per l’ennesima volta quella
serata Shinji sospirò. “Andiamo, sarai d’accordo che questa volta la sconfitta
dell’Angelo non è avvenuta per merito nostro. La signorina Ritsuko e gli altri
hanno tutte le ragioni per festeggiare.”
“Sì, ma per quale assurdo motivo Misato ha dovuto
costringere NOI a riordinare il SUO appartamento?!”
Shinji rivisse la scena in cui il Maggiore Katsuragi si
preparava a raggiungere la festa organizzata da Shigeru in occasione della
sconfitta dell’undicesimo Angelo e, per contrastare le proteste di Asuka per il
fatto di non essere stata invitata, ordinava ai due Children di risistemare
l’appartamento, in modo da non annoiarsi troppo. La Second Children aveva
protestato animatamente, ma senza successo. Ed ora si trovavano anche con la
minaccia di una punizione se, al suo rientro, Misato non avesse trovato tutto
quanto in ordine.
“Se mi avessero dato un portatile anch’io avrei potuto
sconfiggere quel coso,” bofonchiò Asuka, cominciando a raccogliere i reggiseni.
Nell’altra stanza Shinji scosse la testa sorridendo con
gentilezza, dubbioso riguardo le parole dell’amica. A dire la verità, era
contento di poter passare un po’ di tempo da solo con lei, anche se Asuka
avesse continuato a lamentarsi tutta la serata. Intanto, in camera di Misato,
la rossa rovesciò rumorosamente in un sacco di plastica le lattine di birra
vuote che si erano ammucchiate sulla scrivania, accanto al telefono e ad una
pila di documenti spiegazzati che avevano tutta l’aria di essere importanti.
“Shinji, butta via l’immondizia,” gridò Asuka in modo da
farsi sentire chiaramente.
“Ma sto riordinando i giornali!” fu la risposta. “Non puoi
farlo tu?”
“Tu non stai immergendo le braccia fino ai gomiti nel
sudiciume che Misato lascia nella sua stanza!” sbottò la ragazza, esagerando
volutamente la cosa. “E poi chissà cosa potrebbe succedere ad una ragazza come
me, da sola, fuori casa, di sera e con un sacco di spazzatura sulle spalle!”
“Va bene, va bene,” si arrese Shinji, “ora vado.”
Asuka consegnò al ragazzo il sacco pieno di lattine di
birra. “Fai in fretta, c’è ancora molto lavoro da fare e non ho intenzione di
continuare fino all’alba.”
“D’accordo, cerco di sbrigarmi,” rispose Shinji, prima di
raggiungere l’uscita, infilarsi le scarpe ed imboccare la porta. Con
soddisfazione, Asuka sorrise e annuì.
Consideralo un prezzo adeguato per avermi vista nuda nella
simulation plug.
A quel pensiero la ragazza arrossì nuovamente: anche se si
erano avvicinati molto negli ultimi tempi non c’era ragione per concedere a
Shinji l’incontestabile privilegio di vederla nuda senza che lui facesse
qualcosa per ripagarla. In fondo, era anche il primo ragazzo che l’avesse mai
vista così…
Il rumore della porta che si richiudeva la riscosse dai suoi
pensieri.
“Asuka, sono io,” disse la voce di Shinji dall’entrata.
“Come hai fatto a fare così presto, hai volato??” esclamò la
ragazza, raccogliendo alla rinfusa alcuni vestiti sparsi sul futon di Misato.
“No, ho lasciato tutto davanti alla porta,” rispose l’altro.
“Non aveva molto senso portare la spazzatura fino al cassonetto sulla strada,
perdendo così tempo prezioso. Non sei d’accordo?”
Asuka inarcò un sopracciglio, stupita di non averci pensato
lei stessa. “Ovvio che sono d’accordo, solo non mi aspettavo che ci arrivassi
da solo. Complimenti, hai appena fatto un piccolo passo verso un quoziente
intellettivo normale. Ora sbrigati, torna al lavoro.”
Le parve di sentire una breve risatina da parte di Shinji,
prima che questi tornasse in salotto, ma d’altronde lei non aveva inteso quelle
parole come un insulto. In effetti, era un po’ di tempo che non insultava il
suo coinquilino senza apparente motivo.
Un po’ soprappensiero, appallottolò i vestiti di Misato,
scandagliando la camera per trovarvi una sistemazione adeguata. Infine, optò
per un armadio piuttosto anonimo addossato ad una parete. Con un gemito pensò
che forse avrebbe dovuto piegare bene quegli abiti e riporli ordinatamente sulle
rispettive grucce, ma poi fece spallucce.
Quando Misato tornerà troverà tutto in ordine, così come ci
aveva chiesto. Che importa se l’interno dell’armadio sarà un caos di
proporzioni bibliche? Conoscendola, potrebbe anche pensare di aver riposto lei
stessa i suoi vestiti così in disordine.
Stringendosi al seno la palla di vestiti con la mano destra,
Asuka aprì l’armadio con la sinistra, e quasi sobbalzò quando una montagnola di
maglie pesanti le piombò addosso.
“Scheis… Ma che ci
fa Misato con tutti questi maglioni qui in Giappone??” sbottò a denti stretti,
in modo da non mettere sul chi vive Shinji. “Se proprio deve tenersi un
guardaroba invernale potrebbe almeno ritirarlo dove non rischi di uccidere
nessuno!”
Solo dopo quelle parole le venne in mente che, dato lo stato
di perenne disordine di quella camera, l’armadio era proprio l’ultimo posto
dove Misato avrebbe guardato per vestirsi e quindi, almeno per lei, quello era
un posto dove il guardaroba invernale ‘non rischiava di uccidere nessuno’.
Reprimendo un moto di stizza, Asuka spinse con un piede all’interno
dell’armadio un paio di informi maglioni di lana e vi gettò sopra i vestiti
appallottolati che aveva raccolto.
Se davvero non guarda mai qui dentro, dev’essere il posto
ideale per nascondere questa roba.
Sogghignando, cercò di accumulare gli altri capi di
vestiario in una pila che fosse il più possibile stabile. Terminato il lavoro,
lo rimirò con soddisfazione e un accenno di senso critico, cercando gli
eventuali punti in cui la pila avrebbe potuto cedere. Stava per terminare
l’ispezione quando i suoi occhi si posarono su un oggetto che sporgeva dal
ripiano più alto del mobile. Era un triangolo nero di un materiale rigido, che
avrebbe potuto benissimo essere il pezzo di una scatola da scarpe, ma la sua
presenza fu sufficiente a suscitare nella ragazza rossa che lo fissava la più
profonda curiosità.
“Ehi, Shinji,” chiamò a gran voce. “Vieni un po’ qui, ho
trovato una cosa…”
“Sei sicura che posso entrare nella stanza della signorina
Misato?”
“Smettila di fare il santarellino e vieni qui!”
Titubante, Shinji entrò nella stanza, guardandosi attorno
con una punta di vergogna. Arrossì visibilmente quando vide un paio di
mutandine di pizzo nero abbandonate sul futon, ma fece finta di nulla,
raggiungendo subito Asuka, che d’altronde stava indicando qualcosa senza
nemmeno curarsi che il ragazzo fosse già arrivato.
“Secondo te quello cos’è?”
Shinji aguzzò la vista verso l’oggetto misterioso. “Potrebbe
essere… una cornice…?”
“E che ci fa una cornice lassù in cima?” proferì lei con un
sorriso malizioso.
Shinji, timoroso dell’espressione assunta dalla ragazza,
accennò un passo indietro. “Probabilmente è qualcosa che la signorina Misato
non vuole far vedere in giro… Quindi non dovremmo interessarcene…”
“Oh, sì che ce ne interesseremo,” rispose la rossa, annuendo
con ampi movimenti soddisfatti. “Fammi da scaletta.”
“Eh?”
“Intreccia le dita delle mani e fammi salire, Stupishinji!”
Il ragazzo, prima che l’altra trovasse una scusa per
prendersela con lui, si affrettò ad obbedire, ma non fece in tempo a
puntellarsi bene prima che Asuka si issasse sulle sue mani, cercando di
afferrare l’oggetto.
“Sta’ fermo, dannazione, mi fai cadere!”
“Non dovevi saltarmi addosso così all’improvviso!”
“Ci sono quasi… Preso!”
Con un grido di vittoria Asuka tornò coi piedi per terra,
mentre Shinji oscillava vistosamente a causa dei continui ed improvvisi sobbalzi
cui era sottoposto. Nella mano della ragazza però non si trovava una cornice,
né il pezzo di una scatola da scarpe. Sembrava una sorta di vecchio quaderno
impolverato, sulla cui copertina nera spiccavano dei cuoricini disegnati con il
bianchetto ed una scritta: ‘Vietato l’accesso a tutti tranne che a ME!’
“Ma… che roba è?” chiese il Third Children da sopra la
spalla di Asuka.
“Si direbbe… una sorta di agenda,” spiegò quest’ultima,
rigirandosi tra le mani il piccolo volume: oltre alla scritta sulla copertina
non sembravano esserci altri segni distintivi.
“Dovrebbe essere un’agenda della signorina Misato,” azzardò
Shinji, dubbioso, “però non credevo che lei fosse il tipo da disegnare
cuoricini sui suoi documenti…”
“Beh…” esordì Asuka dopo un breve silenzio, mentre la sua
mano destra esitava lungo il bordo della copertina, pronta a sollevarla, “c’è
un solo modo per scoprirlo…”
“Aspetta,” la interruppe Shinji, mettendosi di fronte a lei
in modo da guardarla negli occhi. “Non vorrai mica… leggerne il contenuto?”
“Ovviamente sì!” rispose lei, raggiante.
“Ma è una cosa privata! Insomma, come reagiresti tu se la
signorina Misato leggesse il tuo diario segreto??”
“E’ per questo che non tengo alcun diario segreto!” Asuka
accompagnò quelle parole con un ammiccamento furbo. “Se Misato avesse voluto
che nessuno fosse partecipe dei suoi segreti, non avrebbe dovuto scrivere un
diario, no?”
“… Il tuo ragionamento non è molto logico, lo sai, Asuka?”
“Ah, ma cosa importa, ho tra le mani uno strumento di
inestimabile valore! L’arma definitiva con cui potrò ricattare Misato!”
Ormai la rossa aveva incominciato a parlare come se quel
vecchio quaderno nero fosse stato veramente la cosa più importante della sua
vita, per cui Shinji suppose che qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di quell’evoluzione.
“Perché non diamo il bando alle ciance e… non cominciamo a
leggere?” abbozzò il ragazzo, pentendosi quasi subito della sua proposta. Ad
Asuka infatti brillò uno sguardo di pura bramosia negli occhi, mentre sollevava
con trepidazione la copertina, mostrando il frontespizio foriero di segreti a
lungo sepolti.
“‘Diario segreto di
Misato Katsuragi, anno accademico 2007/2008’,” recitò Asuka, scandendo bene
le parole. Shinji era pronto da un momento all’altro a fuggire dalla stanza,
non appena avesse udito informazioni che non avrebbe dovuto udire;
ciononostante, la recitazione della ragazza era tanto piena di pathos da
tenerlo inchiodato sul posto.
“Ti rendi conto di quello che abbiamo trovato?” chiese la
Second Children, quasi commossa, e quando Shinji scosse il capo, “queste sono
le cronache del secondo anno di università di Misato!” concluse.
Toccato dalla grandiosità di quell’affermazione, che pure in
gran parte gli sfuggiva, il Third Children annuì ed arretrò, raggiungendo il
futon di Misato. Scostando come poteva la biancheria intima che Asuka non aveva
ancora riposto, vi si sedette, subito imitato dalla ragazza che prese posto
accanto a lui, il diario tenuto aperto sul frontespizio di fronte a loro.
“Sei pronto, Shinji?” chiese questa, tenendo lo sguardo
fisso sulla pagina ingiallita recante la calligrafia di Misato. L’altro annuì:
ormai in lui la curiosità aveva preso il posto del timore, e anch’egli non
stava più nella pelle all’idea di scoprire gli scabrosi segreti del Maggiore
Katsuragi, e soprattutto di scoprirli assieme ad Asuka.
Dopo essersi schiarita la voce, la ragazza passò alla prima
pagina del manoscritto.
“‘15 ottobre 2007.
Caro diario, inizio a scriverti per celebrare il mio passaggio al secondo anno
della facoltà di Informatica dell’Università Yamashita di Tokio-2. Mi sono
trasferita qui da poco, grazie alle sovvenzioni statali, perché nella mia
vecchia Università le cose si erano fatte troppo noiose… Cosa posso farci, sono
una ragazza piena di vita, io!
Stamattina ho
conosciuto le mie prime nuove amiche nel corso di Programmazione: è stata una
palla unica, ma almeno mi sono divertita con loro. Certo però che i ragazzi qui
sono proprio brutti: ce ne sono un paio che mi hanno messo subito gli occhi
addosso, ma non ho la minima intenzione di iniziare la mia carriera qui
frequentando simili amebe.’”
Asuka terminò la lettura, e nella stanza perdurò un momento
di assoluto silenzio, appena rotto dai rumori provenienti dalla strada. Resosi
conto che forse la ragazza stava aspettando un suo commento, Shinji si schiarì
a sua volta la voce. “Beh, sembra interessante…” azzardò, ma l’espressione
scocciata della rossa lo zittì.
“Queste sono solo stupidaggini universitarie di cui ho già
sufficiente esperienza,” dichiarò lei. “E’ ben altro quello che ricerco tra
queste pagine…”
Prima che il Third Children avesse tempo per ribattere,
Asuka girò numerose pagine, finché la sua espressione non si illuminò di nuovo.
“‘13 novembre 2007’,”
riprese a leggere, “‘Caro diario, oggi ho
conosciuto una ragazza davvero strana. E’ del terzo anno, ed ho deciso di
prenderla come mia Senpai. Si dice che sia veramente un genio nell’informatica,
al punto da far sorgere le più assurde leggende sul suo conto: che abbia
riprogrammato il computer della sede del municipio mandando in tilt tutti i
semafori della città, che si sia collegata con i satelliti militari per fare
delle foto compromettenti sui professori con cui ricattarli, addirittura che in
realtà non sia del tutto umana. Io penso che la maggior parte di queste siano
solo fandonie, però sta di fatto che ha risolto un problema di Calcolo 2 in
tredici minuti, quando io avevo smesso di applicarmici dopo una settimana di
fatica. Il suo nome è Ritsuko Akagi, 22 anni. Nonostante l’aura di superiorità
che la circonda, sembra simpatica, ed oltretutto non sembra cercare un secondo
fine nella mia amicizia. Non che pensi che sia lesbica: però non cerca di
sfruttare la mia popolarità per uscire dall’eremo in cui si è rintanata per
studiare. Ma di questo non deve preoccuparsi: ci penserò io a farla uscire dal
guscio e a trasformarla in una vera donna! Ho già in mente un paio di ragazzi
da presentarle… A proposito: Hika è uno stronzo, l’ho lasciato.’”
“Ecco qualcosa di davvero interessante!” disse Asuka dopo un
attimo di pausa. “Il primo incontro tra Misato e la Dottoressa Akagi quando
quest’ultima non era ancora Dottoressa!”
Shinji si sforzò, ma non riuscì proprio a capire cosa vi
fosse di veramente interessante in tutto ciò.
Sì, può essere curioso scoprire le dinamiche del primo incontro
tra la signorina Misato e la signorina Ritsuko, ma non mi sembra sia una cosa
di cui essere entusiasti…
“E poi, chissà chi è questo Hika…” proseguì Asuka, la fronte
corrugata in un’espressione attenta. “Forse dovrei chiedere delucidazioni
direttamente all’autrice.”
Shinji si guardò bene dal far notare alla ragazza l’aria
minacciosa che aveva appena assunto. “Magari più avanti ne parla ancora,”
disse. La Second Children lo guardò lievemente stupita dal senso pratico che
lui aveva appena dimostrato, poi annuì e voltò alcune pagine per riprendere a
leggere.
“‘4 dicembre 2007. Tra
qualche giorno è il mio compleanno e sospetto che Rit-chan stia preparando
qualcosa di speciale per festeggiarmi. Non so da cosa lo deduco, ma mi sembra
un po’ strana da qualche giorno a questa parte, e quando le chiedo di cosa si
tratta mi risponde vaga e cambia subito argomento… Non vedo l’ora di sapere
cos’ha in serbo per me!! Chissà, forse è riuscita a rendere quell’idiota di
Nobu un essere meno… meno Nobu… Così potremo tornare insieme. Deve aver capito
che mi sento molto sola…’”
Dopo aver finito di leggere, Asuka si volse verso Shinji,
con aria ieratica. “Shinji… Capisci cos’abbiamo appena scoperto?”
“Ehm…” Shinji annaspò alla ricerca di una risposta
ragionevole. “Beh, che la signorina Ritsuko in passato era meno fredda che
adesso…”
Lo scappellotto che si ricevette arrivò quasi atteso. “Ma
sei stupido??” sbottò la rossa, mentre Shinji quasi si sdraiava sul futon di
Misato per evitare ulteriori colpi. “Guarda le date!” proseguì la ragazza,
spingendo sotto il naso del Third Children il diario. “In meno di due settimane
Misato aveva avuto almeno due ragazzi diversi! Con che faccia può fare la
moralista con noi con questo suo passato??”
Shinji guardò frastornato la pagina ingiallita appena letta
da Asuka, poi annuì, cercando di celare la propria espressione poco convinta.
A dire il vero non mi sembra che abbia mai fatto la
moralista con me… E poi non mi sembra un fatto tanto trasgressivo, quello di
aver lasciato due ragazzi in meno di due settimane… Certo, a meno che il loro
rapporto non si fosse… approfondito… nel frattempo…
A quel pensiero Shinji tornò subito seduto, invitando a
gesti Asuka a proseguire, in modo che non notasse il suo rossore quando aveva
immaginato Misato coinvolta in certe attività. Non che non l’avesse mai fatto
prima, ma era decisamente meglio che Asuka non fosse nei paraggi quando gli
capitava.
“‘10 dicembre 2007’,”
riprese a leggere la rossa, troppo fuori di sé per badare agli scrupoli di
Shinji. “‘Ho 21 anni. Evviva. E Ritsuko è
una stronza. Alla fine tutta la sua reticenza non era per una festa a sorpresa
per il mio compleanno, ma per un progetto di elettronica che stava realizzando
e che occupava sempre i suoi pensieri. Cioè, lei invece di pensare ai ragazzi
pensa ai computer: ma ti pare normale, diario?? Ad ogni modo lei ieri mi si è
presentata con una specie di scatola in mano, raggiante, dicendo di aver appena
creato un cyborg. Nella scatola c’era una rana dalla cui testa uscivano vari
fili collegati ad una specie di radiolina, e dalla radiolina usciva un gracidio
piuttosto spiacevole. Ritsuko, tutta eccitata, mi ha spiegato che aveva fatto
in modo che la rana gracidasse attraverso un apparato elettronico invece che
attraverso il suo vero apparato vocale; deve essere rimasta un po’ piccata
quando non ho dimostrato un grande interesse verso la sua ranabot, ma non le è
nemmeno passato nell’anticamera di quel suo cervellino elettronico che mi
sarebbe piaciuto festeggiare con lei il mio compleanno, oltre che naturalmente
perdere la verginità, cose entrambe che purtroppo non sono successe. Ah, e Nobu
è sempre il solito idiota. Mi ha mandato giusto un sms di auguri al quale non
ho risposto, perché ho preferito studiare sodo Calcolo 2. Questo per dire
quanto le sue attenzioni mi esaltino.’”
“La signorina Ritsuko è davvero un genio,” constatò Shinji,
che al riferimento sessuale di Misato aveva visibilmente stretto le gambe. “E’
riuscita a creare un cyborg al suo terzo anno di Informatica…”
“Già,” assentì Asuka. “Ma come al solito ti sfuggono le cose
veramente importanti: Misato era tutt’altro che una santarellina all’epoca. In
effetti pensavo che lei avesse perso la verginità molto prima dei ventun’anni,
però l’enfasi che ci mette mi fa riflettere… Shinji, devi andare al bagno?”
“Eh?? Ah, no, è solo che sono un po’ scomodo…” rispose il
ragazzo, cercando di accavallare le gambe e di fare ampi respiri per far
sparire il rossore che, ne era sicuro, aveva invaso il suo volto.
“Vuoi che andiamo a sederci sul divano?” propose Asuka, che
non sembrava essersi accorta di nulla. Il Third Children annuì ed attese che
fosse la ragazza ad alzarsi per prima.
Il semplice movimento per spostarsi da una stanza all’altra
gli fece bene, perché gli riattivò la circolazione e lui stesso si sentì più a
suo agio seduto su un divano piuttosto che sul futon di Misato. Quando si
furono sistemati, Asuka riprese a leggere.
“‘18 gennaio 2008.
Caro diario, ti chiedo scusa per averti dimenticato qui a Tokio-2 per tutte le
vacanze natalizie. Sono stata in un campeggio nell’Hokkaido, dove faceva un po’
piùi fresco e mi sono sentita in un clima più simile ad un vero inverno
rispetto al caldo torrido dell’Honshu. Le camminate in montagna e le amicizie
che mi sono fatta laggiù mi hanno fatto bene: ora mi sento più carica e più
tonica, pronta ad affrontare un altro semestre di sofferenze universitarie
nella speranza di trovare il mio principe azzurro. Infatti là al campeggio i
ragazzi carini erano tutti capi boy-scout e fidanzati, quindi non ho potuto divertirmi
molto da questo punto di vista. Ieri ho visto Ritsuko: dopo più di un mese si è
scusata per essersi dimenticata del mio compleanno, quell’arpia. Pazienza, è
stato come ricominciare da capo: vorrà dire che anch’io mi dimenticherò del suo
prossimo compleanno. Ah, per inciso, la rana-cyborg è morta, finalmente. Ieri
ho anche conosciuto un nuovo ragazzo che frequenta la Yamashita, facoltà di
Ingegneria. E’ un idiota, se la tira come se fosse il più figo del pianeta ed
ha la barba incolta, cosa che non sopporto, ma almeno ha un bel paio di
chiappe.’”
“Asuka, cosa vuol dire ‘se la tira’?” chiese Shinji,
piuttosto stupito da quella strana espressione. La ragazza scosse il capo,
pensierosa. “Non lo so… Forse vuol dire qualcosa come ‘finge di essere il più
figo del pianeta’, o qualcosa del genere… Chissà di chi parla…”
Senza attendere commenti da parte del Third Children, la
rossa proseguì.
“‘20 gennaio 2008.
Chiappe d’Oro[1] ha un nome: si chiama Ryoji Kaji, 24 anni, e confermo il fatto
che sia un idiota. Dopo due giorni che ci conosciamo mi ha già chiesto di
uscire con lui stasera, senza un briciolo di corteggiamento. Ovviamente ho
accettato: magari in un ambiente più intimo si rivelerà essere meno stupido di
come sembra.’”
“KAJI UN IDIOTA?? MA COME SI PERMETTE??” sbottò Asuka,
facendo sobbalzare Shinji. “Ma… non ti era passata la cotta per il signor
Kaji…?” domandò quest’ultimo.
“Sì, ma lui è stato il mio primo amore, Stupishinji! Noi
ragazze non lo dimentichiamo mai!Certe cose non le puoi capire… Vediamo com’è
andata…”
Shinji avrebbe voluto ribattere che di Asuka non si sarebbe
mai dimenticato, anche se in futuro si fosse innamorato di qualcun’altra, ma la
ragazza fu più lesta e riprese a leggere.
“‘21 gennaio 2008. Io
e Ryo-chan abbiamo passato una bella serata, a cena e in giro per negozi, ed
alla fine non ha nemmeno preteso un bacio come saluto. Gliel’ho dato io di mia
sponte, ma ne sono stata contenta: avevo ragione, Chiappe d’Oro fa il sostenuto
quando ci sono altri in giro, ma sa essere anche dolce quando siamo soli… Credo
che ci metteremo insieme. Domani ne parlo con Ritsuko, per sapere che ne pensa.
22 gennaio 2008. La
rana-cyborg è resuscitata. O meglio, Ritsuko ne ha creata un’altra, solo che
stavolta ha anche delle rudimentali braccine e gambine che la fanno
assomigliare ad una specie di rana umanoide. Dovrei dirglielo che trovo questi
suoi esperimenti un filo morbosi, ma quando me ne parla è così solare che non
ne ho il coraggio. Forse, quando scoprirà il sesso metterà la testa a posto.
Comunque sono riuscita a parlarle di Chiappe d’Oro, e lei approva: penso però
che approverebbe ogni soluzione che faccia sì che non la tormenti più con i
miei problemi amorosi… Ma non importa, il destino ha voluto così: a lei i
computer, a me i ragazzi. Stasera esco di nuovo con lui, ha detto che mi porta
al cinema a vedere ‘007 la fine non è tutto’. E’ un film di spionaggio, dice
che fa parte della sua serie preferita: speriamo che sia bello.’”
Senza dare spiegazioni, Asuka saltò alcune pagine,
raggiungendo un punto del diario i cui bordi erano decorati da circonvoluzioni
disegnate con inchiostro dorato, fiorellini e piccoli cuori rossi.
“‘2 febbraio 2008.
Caro diario, infine è successo. Da ieri sera, alle 23.38, il rosso fiore[2]
della mia adolescenza è sbocciato, per essere infine colto da Ryoji Kaji in un
momento di passione allo stato puro. In quel momento, la ragazza Misato
Katsuragi ha lasciato il posto alla DONNA Misato Katsuragi. Hai capito bene: la
mia verginità è stata infine colta dall’uomo che mi ha posseduta qui, su questo
stesso divano dove io sto scrivendo. No, non coprirti gli occhi, caro diario; è
stato bellissimo.’”
Asuka interruppe la lettura per deglutire rumorosamente.
Accanto a lei Shinji stava cominciando a sudare, ma sapeva che se avesse
cominciato anche ad ansimare la ragazza avrebbe di sicuro frainteso. Mentre i
lunghi secondi passavano e gli occhi dei due indugiavano su quelle parole e
sulle decorazioni disegnate da Misato per celebrare l’evento, il Third Children
si trovò a pensare a come sarebbe stato perdere la verginità: superando la vena
poetica che traspariva dalle parole del Maggiore Katsuragi, Shinji si rese
conto di non averci mai pensato seriamente. In realtà, aveva immaginato più
volte come avrebbe potuto essere andare a letto con una ragazza, ed in
particolare con Asuka, ma per qualche motivo non vi si era mai soffermato con
la dovizia di particolari di cui stava venendo ora a conoscenza. Arrischiando
un’occhiata verso la Second Children, scoprì in un momento di puro terrore che
anche lei lo stava fissando, con espressione assorta. Quando gli sguardi si
incontrarono sobbalzarono entrambi, tornando immediatamente a fissare in basso,
dritti sul diario.
“Certo che,” cominciò Asuka, dopo essersi schiarita la voce,
“non mi immaginavo che Misato fosse così romantica…”
Shinji non rispose, al che la ragazza si decise, con una
nota titubante nella voce, a proseguire la lettura.
“‘Siamo usciti per
l’ennesima volta, dopo la fine delle lezioni, e tra una cosa e l’altra non ci
siamo accorti che si era fatto tardi. Casa sua era piuttosto distante, e lui si
stava già congedando con uno dei suoi adorabili sorrisi, quando io d’impulso
l’ho invitato a salire da me. Non so cosa mi sia preso: semplicemente, sapevo
che non dovevo farmi troppe domande. In fondo non era la prima volta che
andavamo a casa mia a concludere la serata, ma le altre volte ci eravamo
limitati a pomiciare in maniera un po’ spinta, ed invece… Invece, questa volta
sapevo dove volevo arrivare. E sapevo che anche lui era d’accordo con me.
Abbiamo cominciato a
spogliarci che eravamo ancora nel corridoio, in barba alle altre inquiline del
pensionato, sicché non abbiamo resistito nemmeno ad arrivare al letto: abbiamo
trovato il divano su cui di solito guardo la TV, ho gettato via le lattine di birra
che vi si erano accumulate, dopodiché ho gettato LUI sul divano… Cavolo, se ci
penso sono ancora eccitata!! Quando avrò finito di scrivere queste note lo
richiamerò, in modo da fare il bis stasera!
Ad ogni modo, non è
sembrato molto turbato quando mi ha visto tirare fuori la scatola di
preservativi dal cassetto del comodino: evidentemente mi ha già inquadrata.
Diario, diario, se sapessi…! Da quando gli ho tolto i calzoni a quando lui mi
ha trasformato in una donna è passata più di un’ora. UN’ORA, ti rendi conto??
Sai cosa significa un’ora di preliminari per una donna? Beh, io ora lo so.’”
Asuka si interruppe di nuovo, socchiudendo il diario. Da una
rapida occhiata al paragrafo successivo aveva capito che l’autrice non si era
fermata, ma aveva descritto tutto l’incontro con dovizia di particolari, al punto
di farla arrossire vistosamente. A dire il vero lei si riteneva piuttosto
all’avanguardia sull’argomento, rispetto alle sue coetanee: all’università
aveva frequentato ragazze ben più grandi di lei, con i relativi problemi
sentimentali, e da parte sua in Germania si era preparata per molto tempo a
stare con Kaji, anche se in fondo non aveva mai creduto davvero che lui sarebbe
stato d’accordo; però la lettura di quei dettagli esposti in maniera così
diretta ed esplicita l’aveva colta lo stesso di sorpresa.
Con la coda dell’occhio sbirciò Shinji, che aveva
accavallato le gambe e teneva lo sguardo fisso sulle proprie mani che si
attorcigliavano in grembo: quasi di sicuro quella lettura l’aveva turbato più
di quanto avesse turbato lei. “Vuoi fare una pausa?” disse lei per rompere
l’atmosfera tesa che si era andata formando nella stanza. Il ragazzo la guardò
e scosse vigorosamente il capo. “Non preoccuparti, Asuka. Anzi, credo che
questa sia proprio una delle parti di questo diario che stavi cercando, vero?”
La Second Children inspirò profondamente e annuì,
apprestandosi a ricominciare a leggere dopo aver saltato a piè pari una buona
dose di pagine.
Accidenti a lui, proprio ora doveva cominciare a essere
perspicace…
“‘28 febbraio 2008.
Kaji è un idiota.’”
La subitaneità di quell’affermazione isolata nella pagina
colse di sorpresa Asuka, che però non riuscì a trattenersi dal ridere, ben
presto imitata anche da Shinji. “Certo che Misato è sempre stata una donna con
le idee chiare!” esclamò la ragazza. Il Third Children annuì con convinzione.
Per entrambi quell’improvviso cambiamento nell’atmosfera del racconto era stato
un sollievo. Con rinnovata curiosità, Asuka ricominciò a leggere.
“‘3 marzo 2008.
Secondo Rit-chan ho fatto una stupidaggine a lasciare Kaji, soltanto perché
l’avevo beccato ad uscire con un’altra ragazza. Lei dice che avrei dovuto stare
ad ascoltarlo invece di fargli una scenata in mezzo alla strada, ma quando lui
mi ha detto ‘Misato, non è come pensi, questa è mia cugina’ io non ci ho più
visto dalla rabbia. Se n’è uscito con la scusa più vecchia del mondo e si
aspettava che me la bevessi?? Doveva credermi ben ingenua, quello stronzo! Ma
in fondo sono stata davvero ingenua, visto che la mia prima volta è stata con
quell’essere disgustoso. Se ci penso mi viene voglia di strangolarlo! E domani
ho pure l’esame di Sistemi Complessi, come diavolo faccio a prepararmi in
questo stato??
5 marzo 2008. L’esame
non è andato affatto bene. Il professore ha scosso la testa e mi ha dato un 18
striminzito, ma non è che la cosa mi importi più di tanto. Sono tornata insieme
a Kaji: alla fine quella tizia era davvero sua cugina. Le ho fatto le mie più
profonde scuse, ma mi sono fatta promettere da Chiappe d’Oro che mi avrebbe
sempre avvisato prima di uscire con lei, visto che, dopotutto, è una cugina di
terzo grado ed è pure dannatamente figa.’”
“Non si può dire che la storia della signorina Misato e del
signor Kaji sia monotona,” osservò Shinji, che si era ripreso dalle risate e
sembrava ora maggiormente padrone di sé. Asuka annuì con un sorriso, ma tornò
subito a concentrarsi sulla lettura quando, guardando le labbra del ragazzo
ancora incurvate, le ritornarono in mente i dettagli che aveva saltato e che
l’avevano tanto turbata.
“‘18 marzo 2008. Credo
che Ritsuko sia arrabbiata con me. Non tanto per il fatto che sia più di una
settimana che non mi faccio più viva quando dobbiamo studiare insieme, o perché
da una settimana diserto regolarmente le lezioni, ma perché è una settimana che
sto a letto con Ryoji. Sì, hai capito bene, diario. Una settimana fa sono
andata a casa di Chiappe d’Oro, e da allora non ne sono più uscita. Il giorno
dopo lui è andato a comprare un sacco di materiale ‘femminile’ come assorbenti
e roba simile, al punto che il commesso del supermercato deve averlo preso per
un pervertito, oltre che un gran numero di provviste, dopodiché si è spogliato
e abbiamo rifatto l’amore. E poi ancora e ancora, fino a sera. A parte i pasti
non abbiamo fatto altro: non credevo che i nostri corpi potessero reggere
tanto, ma è stato un regalo bellissimo da parte sua, per farsi perdonare di
quando è uscito con sua cugina senza avvertirmi. Il giorno dopo abbiamo abolito
i vestiti. Un’intera settimana nudi a girare per casa, una settimana senza i
limiti imposti dalla società. Non credevo di potermi sentire tanto bene con una
persona da quel giorno di tanti anni fa, ma quando Ryo-chan mi abbraccia da
dietro e mi accarezza il collo con le labbra mi sento protetta, come se nulla al
mondo possa farmi del male.
E’ solo quando Ritsuko
mi ha telefonato infuriata perché avevo saltato il nostro terzo appuntamento
che sono tornata alla realtà. Le ho spiegato la situazione in cui mi trovavo e
lei si è infuriata a morte, sbattendomi il telefono in faccia. Credo che mi
consideri una donna immorale. Ma cosa mi importa, finché sto qui a letto con il
mio fidanzato, fuori dal mondo, solo noi due?
Però, anche questo
deve finire… Domani Ryo-chan deve dare un esame, e nonostante le mie proteste
si è rifiutato di studiare in questa settimana. A dire la verità non mi sento
particolarmente in colpa per questo: in fondo è maggiorenne, può fare quello
che vuole. Anzi, mi sento lusingata dal fatto che abbia preferito me al suo
esame. Ora sono le undici passate, e lui è in bagno a farsi una doccia. Quando
uscirà faremo l’amore ancora una volta, poi a malincuore dovremo constatare che
la nostra ‘settimana in paradiso’ è finita, e da domani torneremo ciascuno a
casa propria, e con i propri vestiti addosso. Ma non è affatto detto che non
replicheremo l’esperienza: dopotutto, certe cose sono più belle se si ripetono
dopo un po’ di tempo l’una dall’altra.’”
Asuka smise di leggere e abbassò il diario, la mente invasa
dalle immagini proibite di Kaji e Misato impegnati in ciò di cui aveva sempre
fantasticato con un misto di curiosità e frustrazione: se avesse avuto qualche
anno in più, forse avrebbe saputo come si era sentita il Maggiore tra le forti
braccia del suo amato, e Kaji stesso non si sarebbe tirato indietro di fronte
ai suoi continui approcci. Forse avrebbe addirittura passato una settimana a
letto anche con lei, sebbene il fatto che non sarebbe stata la sola ad averlo
fatto la riempisse di rabbia. Però almeno, in quel momento, non si sarebbe
sentita tanto colma di vergogna.
Guardò Shinji: probabilmente non l’aveva mai visto tanto
arrossito dacché si conoscevano, ad eccezione di quando l’aveva guardata nuda
nella simulation plug.
“Beh?” chiese Asuka, celando dietro l’aggressività delle sue
parole il senso di nervosismo che stava provando. “Che hai da guardare?”
L’altro finalmente si scosse. “N-niente!” fu la risposta,
pronunciata a voce più alta del necessario. “Stavo solo…”
L’esitazione di Shinji fece venire una gran quantità di
strane idee in testa ad Asuka, idee che la fecero andare su tutte le furie.
Ciononostante, l’ira non fu l’unica emozione che le suscitarono.
“‘Stavi solo’ cosa, Stupishinji?? Stavi solo avendo pensieri
sconci su Misato?? Ti stavi immaginando lei ed il signor Kaji che ci davano
dentro?? Oppure stavi immaginando me nella stessa situazione??”
“Ma che stai dicendo??” sbottò Shinji, quasi balzando in
piedi dal divano. “Guarda che hai frainteso tutto!”
All’improvviso, Asuka si sorprese a constatare come l’idea
che il ragazzo la immaginasse in una situazione non proprio casta non le desse
eccessivamente fastidio. Anzi. Forse la lusingava anche un po’. Forse…
“Figurarsi, guarda che lo so cosa fate voi pervertiti in
bagno, pensando a noi ragazze,” si inalberò lei, sperando che l’altro non si
accorgesse del tremito nella sua voce. Shinji allora socchiuse gli occhi. “Come
se voi femmine non facciate mai quelle cose…”
Sorprendentemente, Asuka non rispose alla provocazione, ma
si limitò a fissarlo con espressione imperscrutabile, sicché trascorsero interminabili
secondi di silenzio, rotti solamente dai tenui rumori provenienti dalla strada
e dai loro respiri.
“Scommetto che non vedi l’ora di rivedermi nuda come oggi,
nella simulation plug,” disse infine Asuka, sorprendendo quasi se stessa per
quell’affermazione. Le era venuta in mente all’improvviso, senza che ci
pensasse, e non aveva potuto fare a meno di esprimerla. Sapeva anche di
aspettarsi una risposta ben precisa da Shinji, anche se non voleva ammetterlo
nemmeno a se stessa. Attese per molti istanti che lui si decidesse a
risponderle, invece di continuare a fissarla stranito, come se avesse appena
visto un’aliena al suo posto.
“Asuka,” cominciò il ragazzo, con una voce stranamente roca,
“tu sai cosa provo per te. Non so cosa darei per rivederti così.”
Probabilmente sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa salvo
il Third Impact, e i due ragazzi non se ne sarebbero nemmeno accorti, tanto
erano stupefatti per le parole appena pronunciate da Shinji. Forse era lo
stesso Third Children ad essere il più sconvolto dalle proprie parole, che non
si aspettava di riuscire a pronunciare né in quel momento né mai, tuttavia un
po’ per la situazione, un po’ per la lettura del manoscritto di Misato aveva
chissà come trovato il coraggio di esprimere senza fronzoli i propri
sentimenti. Si aspettava di essere investito dagli improperi di un’Asuka fuori
di sé dalla rabbia, ma invece quest’ultima accennò uno strano sorriso, di un
tipo che Shinji non le aveva mai visto sfoggiare. Lo si sarebbe forse detto… maliziosamente
compiaciuto.
“Allora cosa aspetti?” chiese la rossa, immobile e rigida
come una statua. “Se proprio vuoi vedermi nuda… spogliami.”
Se qualcuno gli avesse appena tirato un colpo di maglio in
piena faccia, Shinji non si sarebbe sentito più frastornato di così.
Io… spo…spogliarla…? Eppure fino a poco fa non stavo
dormendo, com’è possibile che stia facendo uno dei miei sogni ricorrenti
proprio in questo momento? Forse però non è un sogno, ma solo il mio desiderio
che si avvera…
Deglutendo più volte, Shinji boccheggiò alla ricerca di
aria. Quando infine l’immagine di Asuka cominciò a vacillargli davanti agli
occhi e la sua pelle divenne paonazza, il ragazzo si riscosse e balzò in piedi.
“Ma che stai dicendo??” sbraitò, tremando. “Ti pare che…”
Asuka colse all’istante l’esitazione di Shinji. Rendendosi
conto che doveva agire prima di pensare, altrimenti se ne sarebbe pentita per
tutta la vita, balzò in piedi. “Cosa dovrebbe parermi??” sbottò, col cuore in
gola. “Senti, se non hai le palle di spogliarmi, lo farò io!”
Chiudendo gli occhi e ricacciando indietro le proteste che i
resti del suo immane orgoglio le sollevavano contro, si prese il bordo della
maglietta e con un unico gesto lo sollevò sopra la testa. Non percependo alcuna
reazione da parte di Shinji, la ragazza completò la manovra, gettando sul
divano la maglietta ormai abbandonata. Il Third Children la stava fissando a
bocca aperta. Probabilmente, se avesse ancora avuto la facoltà di parlare,
avrebbe espresso il suo gradimento per il corpo di Asuka con qualche volgare
complimento, o con un banale ‘sei bellissima’. In cuor suo, la Second Children
fu contenta che l’altro non riuscisse a spiccicare parola.
“Che succede?” riprese lei, cercando di ignorare la portata
di ciò che stava facendo. “PenPen ti ha mangiato la lingua?”
Shinji aveva la gola riarsa ed aveva sete: tutta la sua
saliva era come evaporata. Dovette umettarsi più volte le labbra prima di poter
ricominciare a parlare. “A-Asuka…” iniziò, sforzandosi di riportare gli occhi
in quelli di lei e di ignorare il prepotente gonfiore che gli riempiva i
calzoni, “sei…”
L’altra però scosse la testa e fece un passo verso di lui,
venendosi a trovare a pochi centimetri dalla sua bocca, da cui esalava un
respiro pesante. “Non parlare,” gli sussurrò. “Non puoi rovinare questo
momento.”
Fu con inattesa dolcezza che le loro labbra si incontrarono.
Inaspettatamente, Asuka trovò che Shinji baciava bene. Certo, vista la
limitatissima esperienza in fatto di baci che la ragazza aveva avuto (il suo
primo bacio risaliva ad appena un anno prima, e non si era rivelato un
granché), non pretendeva di poter giudicare oggettivamente, ma la cosa
importante era che quel bacio le piaceva. Esitante, il Third Children portò le
proprie mani alla vita di lei, accarezzandone la pelle nuda e strappandole un
brivido. La mente di lei era vuota: non aveva la più pallida idea di come
districarsi da quella situazione che in un altro momento avrebbe giudicato
assurda. Sapeva solo di volere che Shinji la stringesse di più.
Dalla soglia della stanza fece capolino PenPen, disturbato
dalle grida dei due giovani. Si aspettava di trovarli a litigare, come
succedeva ormai sempre più di rado, ma rimase un po’ stupito nel vederli
abbracciati, intenti, secondo quanto la sua esperienza di uccello gli
insegnava, a scambiarsi il cibo a vicenda. Quando li vide sedersi sul divano
continuando a tenere unite le rispettive bocche, comprese che doveva trattarsi
di un comportamento tipico dei mammiferi, e decise che assistervi non era di
suo interesse. Colto da un più pressante bisogno, il pinguino tornò in cucina,
prese un’aringa dalla scatoletta che gli avevano aperto poco prima i suoi
coinquilini e andò a rilassarsi nel proprio frigorifero.
Visto il pericolo scampato grazie alla competenza di tutti
gli operatori della Nerv, il Comandante Ikari aveva permesso che quella sera i
membri dei vari reparti organizzassero una serie di feste in sala mensa, per
rinfrancarsi dopo la strenua lotta tra l’undicesimo Angelo da una parte e il
Magi System e Ritsuko dall’altra. Ovviamente, una parte degli operatori sarebbe
rimasta in servizio in modo da garantire la funzionalità minima della base, ma
essi avrebbero successivamente fatto a cambio con altri colleghi in modo da
festeggiare a loro volta. In qualità di ufficiali superiori e per lo stress
subito, proporzionato alla responsabilità che derivava dalle loro cariche,
Ritsuko, Misato, ed i tre operatori principali del Magi System avevano ricevuto
il permesso di riposarsi quanto tempo volessero.
Misato era andata via quasi subito: giusto il tempo di
congratularsi con tutti e di bere un paio di birre ed era andata in ospedale,
dove avevano riportato Satoshi, in modo da aggiornarlo sugli ultimi avvenimenti
e passare, finalmente, un po’ di tempo insieme. Dal canto suo Ritsuko, invece, era
arrivata tardi alla festa, poiché si era fermata in infermeria per effettuare
alcune analisi su Rei: era stata sottoposta ad un notevole stress durante
l’attacco dell’Angelo e la scienziata temeva per la sua salute. Avrebbe voluto
dare un’occhiata anche a Gabriel, dato che egli era entrato in contatto con
l’Angelo, ma il ragazzo era sembrato molto provato dagli eventi della giornata,
ed aveva esplicitamente chiesto di potersi riposare. Ad una prima occhiata,
comunque, Ritsuko non aveva notato nessun motivo per negargli il permesso.
L’avrebbe visitato approfonditamente il giorno successivo. Quanto a Rei,
invece, dopo un’interminabile serie di test durante i quali la ragazza si era
dimostrata recalcitrante (ma d’altronde Ritsuko si era ormai quasi abituata a
tale comportamento, da quando era iniziata la sua relazione con il Fourth
Children), era risultata nella norma per quanto concerneva il suo stato fisico,
ed era stata congedata. Tuttavia era mezzanotte passata, e Rei non se la
sentiva di tornare a casa da sola, per cui Ritsuko acconsentì a farle usare il
proprio appartamento strategico alla base, in cui di solito la scienziata si
riposava durante le situazioni critiche particolarmente durature.
Mentre Rei era andata a riposare, la scienziata aveva
finalmente raggiunto la sala mensa, dove tutti stavano aspettando solo lei.
Salutata Misato, che se ne fu andata subito dopo, Ritsuko si rassegnò a subire
i complimenti di tutti per la straordinaria bravura con cui aveva sconfitto
l’Angelo. A dire la verità avrebbe preferito un riconoscimento più sobrio
dell’avvenimento, ma la decisione dei dettagli della festa non spettava a lei.
Shigeru, in piedi sopra un palco di fortuna, si profuse in un discorso di
ringraziamento al quale la platea rispose con un lungo applauso e Ritsuko con
un timido sorriso. Mentre Maya le si avvicinava per stringerle una mano, come
se fosse stata una stella del cinema appena conosciuta, la scienziata si guardò
attorno, facendo attenzione a celare il proprio sconforto. Il Comandante Ikari
non si vedeva da nessuna parte. La Dottoressa Akagi se l’aspettava, ma
ciononostante si sentì amareggiata: di tutti i complimenti che aveva ricevuto
quel giorno, gli unici che le sarebbero veramente interessati erano quelli di
Gendo Ikari.
Fingendo di essere troppo stanca per reggere il ritmo di
quella festa, Ritsuko sgusciò via dalle pressanti attenzioni di Maya per
raggiungere una sedia addossata alla parete, accanto ad un tavolo recante
alcune caraffe di caffè tenute al caldo. Nonostante l’amarezza, sorrise: la
semplice presenza di quegli oggetti familiari testimoniava l’attenzione che
tutti nutrivano nei suoi confronti, oltre che la sua natura di festeggiata.
Fu dopo il terzo bicchiere di caffè caldo che cominciò ad
avvertire uno strane malessere.
Che strano… Eppure il caffè non mi ha mai dato effetti
collaterali… Non di questo genere almeno…Forse mi sono trascurata troppo negli
ultimi tempi. Il mese scorso ho addirittura saltato il ciclo, a causa dello
stress…
All’improvviso la colpì una forte contrazione dell’addome,
tanto subitanea da costringerla a piegarsi sulla sedia, lasciando cadere al
suolo il bicchiere di plastica contenente il caffè che stava bevendo.
Ma che diavolo…!
Inaspettatamente lo spasmo all’addome scomparve, sostituito
però da una violenta nausea che l’afferrò alla bocca dello stomaco. Cercando di
non dare troppo nell’occhio, Ritsuko si alzò e si diresse barcollando verso
l’uscita della sala mensa. Non rispose neppure ai numerosi complimenti che
ancora le venivano rivolti, poiché sapeva che se avesse aperto la bocca non
avrebbe potuto reggere alla nausea.
Fortunatamente lì accanto era situato uno dei pochi servizi
igienici della Nerv; la Dottoressa Akagi vi entrò di getto, omettendo di
controllare se ci fosse qualcuno all’interno, e vomitò copiosamente in un WC.
Suo malgrado si sorprese ad analizzare con spirito critico quello che fino a
poco tempo prima era il contenuto del suo stomaco, rimpiangendo la perdita di
tanto caffè. Quando ebbe finito, si rese conto di stare meglio, e che il bagno
era vuoto. Tirò l’acqua e pulì meccanicamente con la carta igienica la
superficie del WC e si sciacquò la bocca, ancora troppo scombussolata per
formulare pensieri di senso compiuto.
Quando ogni traccia del suo malore fu eliminata, la donna si
concesse qualche minuto di calma per riprendere fiato e valutare ciò che le era
successo.
Accidenti a me, sapevo di non dover esagerare con lo
stress… Poi è bastato lo scontro con l’undicesimo Angelo per farmi tracollare.
Eppure ho sempre retto bene la fatica, sin da quando ero piccola… Può darsi che
l’aver bevuto troppi caffè in questo stato mi abbia giocato un brutto scherzo,
ma anche questo sarebbe piuttosto insolito…
D’un tratto un pensiero la raggelò.
Possibile che sia stata in qualche modo contaminata dall’Angelo??
No, è un pensiero assurdo. Non ho avuto contatti diretti con… quella cosa… e
comunque le analisi che ho eseguito su me stessa dopo che il Magi System è
tornato in funzione erano negative. No, è senz’altro più probabile che si
tratti di un comune virus, o un batterio. Un’influenza intestinale, forse, di
un ceppo dalla rapida incubazione. Sì, dev’essere senz’altro così. Nulla di
grave. Però è il caso che dia forfait agli altri che stanno ancora
festeggiando, così evito di contagiare qualcuno, e vada a riposare a casa.
Quando si sentì più sicura sulle gambe, Ritsuko si schiarì
la voce e si diede una sistemata ai capelli, ora arruffati. In effetti sentiva
ancora un po’ di malessere, ma nulla di paragonabile a quanto era successo poco
prima. Con ostentata sicurezza, uscì dal bagno e tornò alla festa, pronta a
rassicurare quanti dei presenti si sarebbero preoccupati per lei. E forse,
anche a rassicurare se stessa di aver avuto ragione nella diagnosi.
Dopo una rapida doccia, Rei indossò la camicia dell’uniforme
scolastica, com’era solita fare a casa, e si stese sulla branda che per quella
notte sarebbe stata il suo letto. Non era la prima volta che dormiva fuori
casa, tuttavia quella notte c’era qualcosa che la faceva stare sveglia,
inquieta. Eppure la Dottoressa Akagi aveva concluso che non aveva subito alcun
danno né dallo stress per l’invasione dell’Angelo né per l’esposizione
all’acqua e all’aria fredde senza protezioni. Anche Gabriel in fondo se l’era
cavata bene e non aveva riportato danni, a parte lo shock dovuto all’attacco
della sua unità di simulazione ad opera dell’Angelo e agli avvenimenti che
erano seguiti. Eppure…
La ragazza cambiò per l’ennesima volta posizione sulla
branda, pensando se fosse il caso di fare un giro per lo studio della Dottoressa
Akagi. Abbandonò quell’idea quasi subito: si rendeva conto di essere stanca e
di aver bisogno di dormire. Alla fine scivolò nel sonno senza accorgersene,
ancora turbata riguardo al suo ragazzo. Quella notte fece sogni spaventosi, che
però al mattino non lasciarono traccia cosciente.
Ignaro di quanto stava accadendo nell’appartamento dei suoi
amici, Gabriel, steso insonne sul proprio letto, ripensava agli avvenimenti
della giornata, interrogandosi sulla voce misteriosa che aveva udito nella
simulation plug.
Yrouel…
Era la sua voce, quella…?
La voce… di un Angelo…?
…
Anche se mi sforzo non riesco a ricordare bene le sue
parole.
…
E’ stato un bene non parlarne alla Dottoressa Akagi, né a
Rei o agli altri. Non avrei saputo nemmeno cosa dire.
Se non è stato un caso, il fatto che si sia rivolto a me,
quale ne è la ragione?
…
Come posso saperlo?
…
Come posso sapere cosa sta succedendo?
Esattamente come Rei nella base della Nerv, Gabriel scivolò
in un sonno agitato senza trovare una risposta alle sue domande. Però, quella
notte sognò una grande luce. Ed un paio di immense ali bianche.
Capitolo 24 *** L'Ultimo Giorno dell'Uomo: Proemio ***
CAPITOLO 23
CAPITOLO 23
L’Ultimo
Giorno dell’Uomo: Proemio
Sei una cretina.
Ecco il senso di colpa che arrivava, ma lei lo zittì subito.
Non aveva intenzione di rovinare un momento così bello per un motivo tanto
stupido come sentirsi colpevole.
Asuka aprì gli occhi e guardò Shinji, il cui respiro pesante le solleticava le labbra. Il suo volto era
arrossato e tremava per lo sforzo di restare appoggiato sulle braccia e non
schiacciarla sotto il suo peso. Con gentilezza la ragazza lo spinse a
sollevarsi in ginocchio, in modo da poter tornare seduta.
“Ti amo, Asuka,” riuscì a
sussurrare lui, tra un ansito e l’altro. “Vorrei restare qui con te tutta la
notte.”
Ci credo. Sei solo tu, oppure è
tipico dei maschi non preoccuparsi delle conseguenze delle proprie azioni?
La Second Children annuì sorridendo, ma non fu meno risoluta
nello spingere via il suo amante.
“Anch’io vorrei che si potesse,”
disse, “ma come reagirebbe Misato se ci trovasse così?”
Shinji scosse il capo, prendendo le mani
della ragazza tra le sue. “Qualunque cosa dica
non può cancellare ciò che provo per te.”
…
Accidenti, perché mi piaci così tanto quando fai il
romantico?
“E nemmeno ciò che provo io per te,”
rispose Asuka, portando una mano a carezzare il volto del ragazzo. “Però almeno per adesso è meglio che non sappia nulla.
Credimi.”
“Ma cosa c’è di male?” chiese
Shinji, con aria preoccupata.
A parte il fatto che abbiamo quattordici anni, che siamo
entrambi sotto la sua tutela e che anche un semplice brutto voto a scuola potrebbe
ribaltare i nostri tassi di sincronia, quindi figurarsi questo, niente…
“Non c’è niente di male, Shin-kun,”
disse la ragazza, comprensiva. “Però potrebbe fare
domande cui per il momento non mi va di rispondere. E poi, abbiamo ancora del
lavoro da fare.”
Suo malgrado, Shinji annuì alle argomentazioni di Asuka e si districò da lei, riuscendo infine a rimettersi
in piedi. Guardò con una punta di imbarazzo il proprio
corpo nudo. “Ehm… Forse è il caso che andiamo a darci
una lavata prima.”
La Second Children rise e annuì. Si interruppe
solo quando avvertì una breve fitta al basso ventre, che le raggelò il sangue.
Ops… Credo che abbiamo dimenticato qualcosina…
Cercando di celare il proprio turbamento, la ragazza invitò
Shinji ad andare per primo in bagno, e questi non se lo fece
ripetere due volte. Quando la porta della stanza fu
chiusa, Asuka balzò in piedi, scrutando attentamente la federa del divano.
Eccola, la stronza.
Era minuscola, ma c’era. Una piccola macchia di sangue sulla
federa nuova del divano. Si confondeva con le figure multicolori che la
decoravano, ma risaltava a chi avesse saputo cosa
cercare. Rapidamente, Asuka si aggirò per la stanza cercando qualcosa per
tamponare la macchia prima che venisse assorbita dal
tessuto. Non trovando di meglio, si costrinse a deglutire e ad afferrare i
boxer di Shinji.
In fondo, in un certo senso, il danno l’ha fatto lui…
Quando ebbe finito la macchiolina
di sangue sembrava semplicemente un’ulteriore decorazione della federa, forse
leggermente troppo scura, ma abbastanza convincente. In compenso, una piccola
zona dei boxer bianchi di Shinji era decisamente ed
inequivocabilmente rossa.
In quel momento il proprietario di essi
uscì dal bagno. Dallo sguardo e dall’andatura si capiva che si sentiva diverso.
Forse si sentiva un uomo. Sorrise alla ragazza inginocchiata davanti al divano.
“Asuka, cosa stai… Ehm, perché hai
in mano i miei… MA COS’HAI FATTO??”
Vedendo la macchia di sangue sui boxer, istintivamente il
giovane si toccò al basso ventre. Non notando alcuna ferita o perdita sanguigna,
guardò interrogativamente Asuka. Quest’ultima gli sorrise
come una bambina appena colta in flagrante durante una marachella.
“Ehm… scusami, Shinji, ma mi serviva
qualcosa per tamponare…”
“Ma ti sei fatta male? E’ tuo quel
sangue?”
La ragazza rimase interdetta. Aveva dato per scontato che
Shinji sapesse ciò che succedeva ad una donna quando
perdeva la verginità, ma a quanto pare si sbagliava.
“Non preoccuparti, è tutto normale, non mi sono fatta male,” rispose, rassicurante. In effetti
era vero, si aspettava di soffrire maggiormente. “E’ solo che noi donne
perdiamo un po’ di sangue quando… beh… hai capito, no?”
Sorprendentemente, Shinji annuì. “Beh, l’importante è che tu
stia bene. Allora non c’è nulla di cui debba
preoccuparmi?”
A dire il vero c’è, e non è proprio una cosina da nulla.
Dopo un attimo di riflessione Asuka risolse di non dire
nulla a Shinji riguardo le sue preoccupazioni. In
fondo, ormai ciò che era stato era stato, e la ragazza dubitava che il Third
Children, nello stato di esaltazione in cui si
trovava, si sarebbe ricordato che non avevano usato il preservativo. Mancava
solo una settimana all’arrivo del ciclo, sebbene Asuka non fosse mai stata una
ragazza puntuale da quel punto di vista, ed allora avrebbe
saputo se preoccuparsi veramente oppure stare tranquilla. Fino ad allora avrebbe dovuto solo fingere che tutto stesse
andando a gonfie vele.
Misato era stupita del cambiamento avvenuto in Asuka e
Shinji: nell’ultima settimana, dall’attacco dell’undicesimo Angelo, i due
sembravano andare più d’accordo del solito. Soprattutto il Third Children era
cambiato: sembrava più sicuro di sé, e spesso si offriva spontaneamente di
aiutare nei lavori di casa anche quando non era il suo turno. Dopotutto, lui
stesso aveva più volte affermato che la donna era ormai per lui come una madre.
Dal canto suo, Asuka era insolitamente nervosa, passava più ore di quanto fosse necessario nel bagno e quando era sola aveva
cominciato a mangiarsi le unghie. Il Maggiore sospettava che le fosse successo qualcosa di particolare, più probabilmente a
tutti e due, e quando si decise a chiedere se si fossero ufficialmente messi
insieme fu molto contenta di sapere che aveva visto giusto. Shinji aveva riso
ed aveva subito confermato le supposizioni di Misato, ed Asuka aveva a sua
volta annuito pacatamente (anche questo era piuttosto strano). Dopo che la
donna ebbe insistito molto a lungo i due ragazzi si
convinsero a raccontare le circostanze del loro fidanzamento: molto
semplicemente, il giorno dopo l’attacco dell’Angelo Asuka e Shinji stavano
tornando come sempre a casa insieme quando la Second Children prese in
contropiede l’altro, baciandolo e proponendogli di provare a stare insieme
ufficialmente, visto che in pratica erano già conviventi da tempo. Ovviamente
il ragazzo non aveva esitato ad accettare e a ricambiare con passione quel
bacio. Misato aveva il sospetto che non fosse andata
esattamente così, viste le occhiate che ogni tanto si scambiavano, ma decise
che in fondo non era così importante. Certo, a meno che non avessero fatto
qualcosa di profondamente incosciente come andare a letto insieme a quell’età,
e magari senza precauzioni: ma in fondo la stessa Misato ne aveva
fatte di cotte e di crude prima di mettersi con Kaji in maniera stabile.
Chi faceva veramente preoccupare la donna
erano invece Gabriel e Rei. Sebbene stessero insieme
ufficialmente già da molto tempo, i due nell’ultima settimana si erano
frequentati poco, occupati com’erano con la Nerv. La First Children, in
particolare, risultava irreperibile a lungo, nei
pomeriggi in cui non studiava da sola a casa, e così pure Ritsuko, impegnate,
secondo quanto sosteneva Maya, in analisi complicate e speciali, che non
potevano essere interrotte per nessun motivo: il che voleva praticamente dire
che la Dottoressa Akagi aveva specificato di non essere disturbata nemmeno
dalla sua amica Misato per nessun motivo.
Gabriel, invece, due o tre giorni dopo
l’attacco dell’Angelo, fu convocato urgentemente da Ritsuko, forse per
verificare ulteriormente che non avesse subito conseguenze dovute al contatto
con l’invasore. Da quando era uscito dall’infermeria sembrava
maggiormente sollevato, anche se non era ancora tornato vitale come in
precedenza. Misato, che ci aveva parlato un paio di volte
quando era venuto da lei per studiare con Asuka e Shinji, ricavò l’impressione
che lui fosse ancora preoccupato per qualcosa. Forse
per Rei, che lo stesso Maggiore vedeva di rado e che appariva molto stanca a
causa delle interminabili analisi condotte da Ritsuko. Tuttavia, la
donna si considerava ottimista: forse il nuovo livello del rapporto tra Asuka e
Shinji l’aveva rallegrata più di quanto credesse, oppure si trattava della
notizia che presto Satoshi sarebbe stato dimesso
dall’ospedale, oppure ancora che l’unità Evangelion 03 era entrata nella fase
finale dell’assemblaggio e quindi sarebbe presto stata operativa, ma Misato si
sentiva bene come non le capitava da parecchio tempo. Non si diede nemmeno
molto da fare per sapere cosa ne fosse stato di Kaji,
che mancava dalla base della Nerv ormai da quasi tre settimane. In fondo era
adulto, e sapeva badare a se stesso.
Il ragazzino corse a servire lo
straniero che aveva ordinato una limonata fresca, ad uno dei tavoli nella
veranda del bar, che dava sulla squallida strada del villaggio. Quando fu servito, l’uomo parlò in una strana lingua, che
Hakim non conosceva, e qualcosa balenò sul tavolino. Hakim non credeva ai suoi
occhi, quando vide un vero dollaro
americano brillare al sole spietato della Palestina. Ringraziandolo più volte
nella propria lingua, il ragazzino afferrò la moneta e scappò all’interno del
locale, chiamando felice a raccolta i suoi amici: ora, probabilmente, era
diventato il ragazzino più ricco che conoscesse.
L’uomo lo guardò andarsene con un sorriso, sebbene non
avesse capito una parola di quello che aveva detto, poi si asciugò il sudore
dalla fronte, scostandosi i capelli castani, e si passò il fazzoletto già umido
sul volto, coperto da una corta barba ispida. Bevve un avido sorso dal
bicchiere che gli era stato portato prima di aggiustarsi il lungo codino che
copriva in parte lo sgualcito gilet color kaki, che tanto si intonava
con il colore del deserto e delle case di quel villaggio immerso nel nulla.
Rinfrancato dalla limonata, Kaji si guardò attorno. Subito
prima del Second Impact quell’intera zona aveva goduto di
un forte sviluppo grazie al turismo, affascinato dall’atmosfera esotica (e
soffocante) che si respirava da quelle parti, ma subito dopo l’economia del
paese collassò, trasformando l’insieme di villaggi turistici e centri
commerciali in una distesa di discariche, indifese di fronte all’avanzata
inesorabile del deserto, la cui temperatura ormai non era più mitigata
dall’estinto ciclo delle stagioni.
Per l’ennesima volta, Kaji tastò la valigetta, nervosamente.
Conteneva molto materiale su cui certe persone di sua conoscenza avrebbero
voluto mettere le mani, ad ogni costo, ma lui non aveva ancora deciso se
consegnarlo o meno. Naturalmente, si
trovava in quel luogo afoso per un motivo ben preciso, sebbene i suoi datori di
lavoro non sapessero di cosa si trattasse. Non tutti almeno.
La sgangherata corriera che collegava il villaggio con la
città più vicina svoltò con un grido meccanico
l’angolo, arrestandosi all’unica fermata visibile. Quando ripartì,
solo una persona era scesa. Kaji si rizzò subito dalla sua posizione semi
sdraiata sulla sedia. L’uomo che ora si stava guardando attorno
spaesato, anziano, piccolo e calvo, portava una valigetta di pelle nella
destra, mentre consultava ansiosamente un orologio da polso. L’Agente
della Nerv sorrise: molto probabilmente era l’uomo che stava aspettando.
Con un sorso solo finì la limonata, poi si alzò, sistemandosi con cura la 9 mm
con il silenziatore e il piccolo taser in modo che non fossero visibili, prese
la sua valigetta e si avviò verso l’ometto alla fermata della corriera.
“Mi scusi, lei è il Professor Kernberg?” chiese in tedesco,
quando fu arrivato presso il suo interlocutore. Questi quasi sobbalzò, poi lo
squadrò da capo a piedi, sorrise e rispose: “E lei deve essere il Professor
Takazumi, dell’Università di Neo Osaka, giusto?”
Kaji annuì e gli strinse la mano, simulando calore. “E’ un
piacere per me conoscere un luminare del suo livello, professore.”
L’altro, lusingato, fece un cenno con la mano. “La
ringrazio, ma non perdiamoci in chiacchiere. Il suo Rettore mi ha informato di
una scoperta sensazionale che ha fatto una vostra équipe, ma non ha voluto
informarmi al telefono: ebbene, lei mi può dire di che si tratta?”
Kaji annuì, ma gli indicò di seguirlo verso una strada secondaria.
“Gliene parlerò mentre saremo in viaggio: questa cosa merita di essere vista
direttamente dai suoi occhi.”
Kernberg si illuminò di curiosità
scientifica, mentre seguiva il suo sedicente collega verso una jeep
parcheggiata poco distante. Nel frattempo, Kaji ripassò rapidamente il
complesso sistema di menzogne che il suo datore di
lavoro, Gendo Ikari, aveva costruito per quella messa in scena.
“Manca ancora molto?” chiese Kernberg, dopo soli venti
minuti di corsa sulla strada accidentata che si allontanava dal villaggio.
Kaji, alla guida della jeep, scosse il capo. “No, professore, probabilmente
saremo sul sito tra circa un quarto d’ora. Intanto, che ne
dice di conoscere qualche dettaglio sulla nostra scoperta?”
Quando l’altro annuì entusiasta, Kaji riportò alla mente ciò
che aveva concordato con Gendo Ikari, subito dopo che questi aveva telefonato
alla Facoltà di Antropologia dell’Università di
Lipsia, spacciandosi per il Rettore dell’inesistente Facoltà di Antropologia
Mediorientale dell’Università di Neo Osaka. Grazie allo stato di caos in cui versava l’Unione Europea dopo il Second Impact, era molto
improbabile che le autorità di Lipsia si scomodassero a cercare prove di
un’università che, così aveva spiegato Gendo, era di recente fondazione e non
ancora del tutto operativa, né tanto meno di una fantomatica ricerca svolta nel
deserto palestinese. E la prospettiva di partecipare
ad una scoperta che avrebbe rivoluzionato il panorama antropologico mondiale,
viste le precarie condizioni economiche della sua università, aveva spinto il
Rettore di Lipsia a mandare il suo miglior studioso, il professor Kernberg, a
collaborare con le operazioni sul campo, proprio come sperava Gendo Ikari. Il
quale, dal canto suo, aveva mandato il suo miglior agente di sicurezza, nonché spia, ad incontrare l’illustre antropologo tedesco.
“Circa un mese fa,” iniziò Kaji,
mentendo, “è stato scoperto un nuovo sito archeologico, non lontano da Qumran,
dove, come lei sa, sono state rinvenute le Pergamene del Mar Morto.”
“Pensavo che il territorio fosse stato scandagliato a fondo
alla fine del secolo scorso,” lo interruppe Kernberg,
“senza che venisse scoperto nient’altro.”
“In realtà gli scopritori del sito sono stati dei minatori
locali, che stavano aprendo una nuova mina per sfruttare le risorse minerarie
di questa zona del deserto. Per fortuna, alcuni miei
colleghi si trovavano sul posto per alcuni studi a Qumran, così quando hanno
saputo la notizia ci hanno subito interpellati, ponendo sotto segreto la
scoperta fino all’arrivo di una squadra pienamente attrezzata per proseguire
gli scavi.”
Kernberg si rabbuiò. “E’ un’indecenza che si debba tenere segreta una scoperta, specialmente se
importante, anche ai propri colleghi di altri istituti di ricerca.”
“Ha ragione, professore, ma, come lei saprà, dopo il Second Impact la situazione economica mondiale sta attraversando
una crisi terribile, per cui è importante stabilire al più presto il primato su
qualunque scoperta possa portare un vantaggio in termini di fama e denaro alla
propria università.”
L’altro annuì grave. “Purtroppo è così, caro collega. Spero vivamente che questa situazione si risolva al più presto.
Ad ogni modo, non mi ha ancora detto di che cosa si tratta questa famosa
scoperta rivoluzionaria.”
Kaji sospirò, osservando attentamente e di nascosto la
reazione del professore tedesco all’annuncio che stava per fargli. Dopo una
voluta pausa, per aumentare la suspence, disse: “Se le dicessi che si tratta di
qualcosa che può sconvolgere tutte le nostre conoscenze riguardo le origini delle religioni, cosa mi risponderebbe?”
“Che lei è un gran ciarlatano,”
rispose Kernberg, ridendo. “Andiamo, a parte gli scherzi, di cosa si tratta?”
Kaji cercò di restare serio, nonostante, come aveva
previsto, la sua affermazione fosse suonata assurda
alle orecchie di un esperto in materia. Eppure, se
Gendo e i suoi informatori avevano ragione, quella era la pura verità.
“Purtroppo il materiale è scritto in una lingua che i nostri studiosi non sono
riusciti ad identificare: come sa, la nostra università è ancora in fase di
costituzione, e ci mancano linguisti del suo calibro, professore.”
Il sorriso morì lentamente sul volto di Kernberg. “Lei non
stava scherzando prima, vero?”
Kaji rallentò e lo guardò negli occhi, serissimo. “Quello
che le ho detto era la pura verità. Dal poco che siamo riusciti a capire da alcune iscrizioni successive, in
aramaico ed in greco, si tratta della più antica versione del racconto della
creazione attualmente ritrovata. Esami biochimici ci hanno rivelato che le
scritte in questione sono state incise nella roccia almeno seimila anni fa.”
Il tedesco rimase a bocca aperta,
esattamente come Kaji si era aspettato. Kernberg era un antropologo
specializzato nella linguistica mediorientale e nelle religioni antiche, e
sapere che un testo religioso risaliva a quattromila anni prima dell’epoca
cristiana metteva veramente in forse tutto ciò di cui era stato sicuro fino a
quel momento. Prima di riuscire a parlare nuovamente, si dovette umettare più
volte le labbra.
“E’… E’ proprio sicuro di quella
datazione?”
“Per sicurezza essa è stata ripetuta cinque volte, ottenendo
sempre lo stesso risultato: le iscrizioni nel sito che stiamo
per visitare risalgono a quattromila anni prima della nascita di Cristo, prima
ancora che venissero poste le fondamenta delle più antiche piramidi egizie.”
Troppo allibito dalla rivelazione, Kernberg restò in
silenzio per il resto del viaggio. Kaji, dal canto suo, preferì non esagerare,
ma tenne costantemente d’occhio lo specchietto retrovisore e il desolato panorama
circostante: le persone da cui aveva ottenuto le
ultime informazioni sulla datazione della scoperta erano pronte a tutto per
ostacolare la sua missione. Lui lo sapeva bene.
Kernberg passò il resto del viaggio esaminando le fotografie
ed i documenti che Kaji teneva nella sua valigetta: i
testi erano stati contraffatti in modo da apparire il verosimile rapporto di
un’équipe di ricerca dell’Università di Neo Osaka, mentre, naturalmente, la
loro provenienza era ben altra. Per quanto ne sapesse
Kaji, i veri ricercatori che avevano esplorato il sito probabilmente erano già
morti: le persone per cui sia loro che lo stesso Kaji lavoravano non
ammettevano sbagli. Per questo l’agente giapponese tendeva ad averci a che fare
solo per lo stretto indispensabile.
Lo studioso tedesco guardò per l’ennesima volta la
fotografia dell’ambiente angusto che conteneva il segreto di cui gli aveva
parlato Kaji: sfocata e male illuminata, la foto
mostrava quella che sembrava una caverna naturale, con una persona sulla
destra, in abito da speleologo, che poggiava sorridente una mano su una
sporgenza della parete, molto simile ad una colonna rozzamente scolpita da mani
inesperte. Sulla superficie che si dava alla macchina fotografica, troppo
illuminata dalle lampade utilizzate nella scena, si intravedevano
delle scalfitture: Kernberg non riusciva a capire di cosa si trattasse, ma era
certo che non poteva trattarsi di segni naturali.
Dopo un ennesimo sguardo nervoso allo specchietto
retrovisore, Kaji tornò a guardare il professore. Sebbene
il materiale fosse sostanzioso, lui era attratto quasi unicamente da quella
foto, come se il resto lo avesse già imparato a memoria. Vi erano le fotografie
di altre iscrizioni, in aramaico ed in greco, e le
rispettive traduzioni in giapponese, inglese e tedesco: tutte confermavano la
versione che Kaji gli aveva fornito, sebbene Kernberg, sospettoso di natura, ne
fosse ancora incredulo. Tuttavia, la sua anima di scienziato dovette arrendersi
all’evidenza e dar credito a quelle parole pressoché assurde: non importava
cosa fosse ci fosse in realtà in quella camera, l’uomo fremeva al solo pensiero
di vedere, e forse anche leggere, qualcosa che era stato scritto seimila anni
prima.
“Tutto bene, Professore?” chiese Kaji, riscuotendolo dai
suoi pensieri.
“Sì, HerrProfessor
Takazumi,” rispose Kernberg. “Sono ancora incredulo,
devo ammetterlo. Se tutto questo è vero
bisognerà riscrivere tutta la storia dell’antropologia, collega, basandosi su
quelle incisioni…”
“E’ proprio per scoprire di cosa si tratta e come riscrivere
correttamente la nostra storia che l’abbiamo voluta
con noi, professor Kernberg.”
L’altro rimase in silenzio, pensieroso. Dopo pochi minuti,
Kaji cominciò a rallentare e si girò verso il suo passeggero, visibilmente
sollevato. “Professore, siamo quasi arrivati.”
Kernberg sollevò gli occhi sul panorama circostante, ma non
notò alcuna rilevante differenza rispetto alle centinaia di miglia di deserto
che si estendevano in ogni direzione. Eccezion fatta per una
sorta di bassa collina dritto di fronte a loro, quella aveva tutta
l’aria di essere un’anonima valle del deserto palestinese, delimitata dalle
basse montagne tipiche di quella regione. Di fronte al tumulo verso il quale si
stavano dirigendo il terreno sembrava essere stato spianato artificialmente e
Kaji sperò ardentemente che il professore non notasse i resti della vettura
abbandonata e semisepolta nella sabbia, evidentemente una traccia che i suoi
poco diligenti colleghi avevano nascosto male. Fortunatamente, l’attenzione di
Kernberg era tutta per la collina centrale.
“Quella struttura,” iniziò
quest’ultimo, indicando, “è artificiale?”
Kaji scosse la testa, mentre rallentava e cercava un luogo
dove fermarsi che non fosse in piena vista. “Ancora non lo sappiamo, dopo che avremo finito il nostro lavoro verrà una squadra
specializzata per studiarla. Ad ogni modo, la grotta che lei ha visto in fotografia si trova proprio lì sotto.”
In effetti, mentre parlava e fermava la jeep dietro una
roccia che nascondeva l’imboccatura della valle, una stretta apertura buia si
palesò agli occhi dei due uomini.
Fortunatamente Kerberg non aveva alcuna esperienza
da minatore, ragion per cui non notò che la galleria dentro la quale si erano
infiltrati era tutt’altro che strutturata in modo da far passare binari e carrelli
carichi di pietre: purtroppo, quando aveva elaborato la versione da fornire
assieme a Gendo, Kaji non aveva ancora visitato il posto, quindi non si era
reso conto che la storia della scoperta casuale non poteva reggere. Ben presto,
comunque, il tratto di roccia scavato di recente
lasciò il posto ad una galleria ben più antica, scavata con mezzi vecchi di
seimila anni. Ad ogni passo il tedesco si fermava ad esaminare ogni minima
sporgenza, credendo di leggervi qualche misterioso carattere arcaico, ed ogni
volta Kaji guardava nervosamente l’orologio, illuminato da una lampada alogena
montata sul suo casco: sarebbe stato felice di lasciare il professor Kernberg
immerso nei propri studi come un bambino in uno sterminato negozio di
giocattoli, ma il tempo stringeva. Non era sicuro di quanto i suoi colleghi fossero stati depistati dalle sue informazioni.
Finalmente raggiunsero la sala. Kernberg varcò l’arco alto e
stretto che ne segnava l’ingresso trattenendo il fiato, non per il puzzo di
chiuso e di polvere di roccia che si sentiva, ma per l’emozione di entrare a
far parte di una delle più importanti avventure
archeologiche di sempre.
Per una persona come Kaji, abituata all’architettura ampia
ed ariosa che aveva preso piede nel Giappone del ventunesimo secolo,
quell’ambiente era piuttosto angusto, e pieno all’inverosimile di oggetti: casse di terracotta, pezze di tessuto polveroso
accuratamente ripiegate, panche rozzamente intagliate nella pietra e vasi di
tutte le forme e dimensioni affollavano le pareti, riducendo lo spazio a
disposizione per camminare a pochi metri in linea retta. In fondo al locale
stonava un po’ il treppiede metallico e dall’aria decisamente
moderna che era stato lasciato lì dagli scopritori della grotta.
Con attenzione, Kaji accese la speciale torcia schermata che
non avrebbe danneggiato gli eventuali dipinti presenti e la puntò verso il
treppiede: Kernberg, che aveva ripreso a respirare e si era chinato su un vaso
che era identificato da un cartellino come ‘Reperto
C9’, ebbe quasi l’impressione di svenire, quando la luce investì la tavola. Era
una struttura grosso modo rettangolare, alta quasi un
metro e mezzo da terra, che sporgeva di un buon metro dalla parete retrostante,
ma in quelle condizioni non si sarebbe potuto dire se si trattava di una
formazione naturale o un altorilievo artificiale. Sulla sua superficie
spiccavano delle tacche regolari, orientate in diverso modo, ma di origine decisamente non naturale.
Titubante, Kerberg avanzò con una mano guantata protesa, a
tastare la superficie rugosa della roccia. Aveva la bocca aperta e lo sguardo
attonito. Nonostante fosse cosciente del pericolo che entrambi stavano correndo, Kaji si concesse un sorriso. “Come la
trova, professore?”
“Wundervoll[1],” sussurrò l’altro, senza essersi reso conto di aver
parlato in tedesco. “Questo segno potrebbe rappresentare un concetto molto
antico di un dio unico, il che vorrebbe dire, se la datazione è corretta, che
il monoteismo si è sviluppato molto prima di quanto finora credessimo. Questi
invece…”
“Mi dispiace interromperla, professore,”
si intromise Kaji, fattosi serio, mentre estraeva un grosso cuneo e un martello
dalla pesante borsa di attrezzi che si era portato dietro. “Ma ora dobbiamo
sbrigarci a completare il nostro lavoro.”
Kernberg si volse, dapprima interrogativo, poi inorridito
quando vide l’altro posare su una panca la torcia, in modo che illuminasse
fissamente la sporgenza, ed avvicinarsi con gli altri attrezzi. “Che sta facendo?? Non vorrà deturpare un documento
importante come questo??”
Kaji scosse il capo, ma non cambiò espressione. “No, devo
solo staccarlo da lì e portarlo via, prima che arrivi qualcuno con intenzioni
diverse. Come le avevo spiegato, ci sono molti
interessi attorno a questo sito archeologico. Vorrei compiere il resto del
lavoro con il suo aiuto, herr professor,
ma se non se la sente può anche tornare a Gerusalemme a piedi.”
L’altro non si scompose. Sembrava che il ritrovarsi in quel
luogo gli avesse dato una forza ed un coraggio non indifferenti. “Non posso
permetterle di deturpare questo sito archeologico, professor Takazumi.”
L’altro uomo rimase impassibile. “Se non lo farò io
staccando quella tavola dalla roccia circostante lo
faranno gli altri nostri… ‘colleghi’, ma non posso assicurarle che si
limiteranno a portare via quel reperto. Potrebbero anche limitarsi a farne
delle foto e a distruggerlo, in modo da avere un vantaggio incolmabile rispetto
ai concorrenti.”
Lo studioso chinò il capo, riflettendo sulle parole che
aveva udito. “Fino a che punto siamo giunti per avere l’esclusiva su un segreto
importante per l’intera umanità?” mormorò in tedesco. Kaji sapeva che quella
non era del tutto la verità, visto che coloro che li
inseguivano avevano interessi tutt’altro che archeologici in quella storia, ma
aveva deciso che non sarebbe stato opportuno rivelare ciò che sapeva al suo
compagno di viaggio: meno quest’ultimo sapeva, più era probabile che se la
cavasse senza morire.
Dopo un lungo attimo di riflessione, Kernberg posò di nuovo
gli occhi sulle incisioni, come se volesse imprimersi a fuoco quell’immagine
nella memoria, poi si volse verso Kaji. “Cominciamo, allora.”
Ci misero quasi un’ora di lavoro incessante per staccare la
superficie incisa dal resto della sporgenza. Alla fine, attentamente, i due
uomini posarono la pesantissima lastra che era il risultato del loro lavoro su
una tela speciale, che l’avrebbe preservata da urti e scossoni grazie ad una
trama di microscopici cuscinetti d’aria. Ora, la sporgenza rocciosa presentava
una superficie scabrosa e dai colori minerali più vivi rispetto al resto
dell’ambiente, tanto che chiunque avrebbe capito che ne era
stata asportata una parte. All’improvviso, l’intera grotta sembrava aver perso
l’alone di sacralità che aveva affascinato il professor Kernberg.
Con estrema attenzione avvolsero la tavola nella tela
protettiva e la inserirono in una sorta di borsa, progettata per resistere
anche ai colpi di pistola, quindi abbandonarono sul posto gli attrezzi che non
sarebbero più stati utili e si diressero lentamente verso la superficie, Kaji
davanti e il professore dietro, reggendo tra loro il voluminoso fardello.
Quando emersero all’aria aperta il
sole, che in quell’area ed in quel periodo dell’anno tramontava molto tardi, li
accecò per qualche attimo, costringendoli a fermarsi per riprendere fiato. Non
appena l’Agente della Nerv si fu abituato alla luce, scrutò l’orizzonte,
nervoso. Emise solo una lieve imprecazione in giapponese quando vide, in fondo
alla valle, a circa un chilometro di distanza, una grossa nuvola di polvere
alzarsi dal terreno dietro a due minuscoli puntini neri che avanzavano
sobbalzando sulla strada accidentata.
“Che succede?” chiese Kernberg, che
si trovava più in basso e si era concentrato a riprendere fiato e a spolverarsi
sommariamente dalla sabbia fine e fastidiosa che gli aveva invaso gli abiti.
“Il nostro tempo è scaduto, professore,”
fu la risposta.
Procedendo quanto più rapidamente
possibile i due raggiunsero la jeep e caricarono la tavola sul suo retro, dove
prima si era trovata la borsa con gli attrezzi. Senza attendere che lo
studioso si fosse allacciato la cintura di sicurezza,
Kaji accelerò sollevando un’alta nuvola di polvere dietro di sé e sfrecciando
lontano dalla grotta, in direzione opposta ai suoi inseguitori. Quando però vide che con la destra il suo sedicente collega
aveva estratto una 9 millimetri con silenziatore e stava mettendo in canna il
primo colpo, Kernberg si lasciò sfuggire un’esclamazione.
“Ma che razza di archeologo è
lei??[2]” stridette, in preda al panico.
“Uno che non segue i manuali,” fu
la sbrigativa risposta, fornita mentre l’uomo si girava per valutare la
distanza degli inseguitori. Nonostante stesse
spingendo al massimo l’automobile, gli altri si stavano avvicinando. “Sa usare
questa?” chiese al suo compagno di viaggio, agitando la pistola.
“Ma per chi mi ha preso,” rispose
questo, scuotendo animatamente il capo, “per Indiana Jones??”
Kaji se l’aspettava, ma sapeva che la speranza era l’ultima
a morire.
Non appena il panorama attorno a loro si fece maggiormente
pianeggiante (una distesa ininterrotta di sabbia e rocce che proseguiva fino
alle lontane ed evanescenti montagne) Kaji si voltò e,
tenendo il volante solo con la destra, sparò due colpi verso le vetture
inseguitrici, che nel frattempo erano diventate tre. Ovviamente non capì se
aveva colpito qualcosa o meno, ma le grida isteriche del piccolo tedesco lo
costrinsero a riportare l’attenzione sulla strada.
“Ma è impazzito?? Guidi o spari,
non faccia entrambe le cose contemporaneamente! Non
siamo in un film d’azione!”
Kaji cominciava a trovare irritante il viaggiatore al suo
fianco, ma non aveva intenzione di perdere tempo a rispondere alle sue
provocazioni. Stava cercando di non morire.
All’improvviso, una nuvola di polvere si alzò in linea retta
di fronte a loro, evidenziando una scia di proiettili che attraversò
il tragitto. L’Agente della Nerv sterzò bruscamente, e ogni parte della jeep
stridette come in protesta, ma non poté impedire che alcuni colpi perforassero uno pneumatico e il cofano. Un rombo tremendo annunciò che il
motore era stato danneggiato, e la ruota distrutta dal calore e dal piombo
minacciava di far ribaltare il veicolo ad ogni sterzata. Nonostante
Kernberg che strillava di terrore al suo fianco, Kaji cercò di analizzare la
situazione, per cercare una via di fuga. Quasi subito si rese
conto che i suoi inseguitori avevano vinto. Proseguendo così avrebbe
solo attirato più facilmente i proiettili nemici, oppure avrebbe perso il
controllo della jeep, ed il risultato non sarebbe cambiato. Lentamente, tolse
il piede dall’acceleratore e premette piano quello del freno, in modo da
rallentare senza frenare bruscamente e cappottarsi.
“Ed ora che fa??” gridò Kernberg,
la testa seminascosta dalle mani guantate.
“Mi dispiace, professore,” si scusò
il guidatore, per una volta sincero, “ma la corsa è finita.”
Lo studioso tedesco rimase a guardare attonito il grosso
elicottero dalla foggia mai vista che atterrava di fronte a loro, mentre alle
loro spalle le tre jeep nere che li avevano inseguiti rallentarono fino a
fermarsi ad una distanza di sicurezza. Dalle vetture scesero alcuni uomini in
tenuta da soldato, il cui volto era nascosto da una visiera nera, che puntavano verso di loro dei fucili ed emettevano ordini che
però erano inintelligibili a causa del frastuono provocato dall’elicottero. Con
lentezza, Kaji sollevò le mani sopra la testa, ben visibili, l’indice della
mano sinistra tenuto ben lontano dal grilletto della pistola.
“Scendete dall’auto, muovetevi!” finalmente si riuscì ad
udire, ed i due inseguiti non se lo fecero ripetere ancora. Kernberg alzò le
mani sopra la testa, pensando a cosa avrebbe dovuto dire al comandante di quei
mercenari, poiché quasi di sicuro si trattava di mercenari al soldo di qualche
ricca fondazione archeologica. I militari del posto non erano così ben
equipaggiati, e francamente lo studioso faticava a
immaginare un qualunque stato estero tanto interessato ad un argomento
politicamente bistrattato come l’archeologia da mobilitare le proprie forze
armate. Il ‘professor Takazumi’, della cui identità
Kernberg aveva cominciato a dubitare seriamente, scese a sua volta dalla jeep,
gettò l’arma a terra e tenne le mani bene in alto, in modo che fossero ben
visibili. Non mostrava emozioni sul suo volto dalla barba incolta.
Sulla parete del grosso elicottero si aprì uno sportello e
scesero due soldati identici a quelli che li avevano inseguiti, ma dietro di
loro avanzò un uomo in un elegante completo, con giacca, cravatta e pantaloni
neri e una camicia bianca, che indossava un paio di occhiali
scuri e puntava con la mano destra una pistola automatica nella loro direzione
in modo noncurante, come se compisse quel gesto per un qualche protocollo,
senza che ce ne fosse realmente bisogno. In fondo, almeno una dozzina di fucili
d’assalto minacciava i due fuggitivi, che non avrebbero potuto ribellarsi anche
volendolo.
“Bene, bene,” iniziò l’uomo in
nero, in inglese con uno strano accento. La sua voce acuta grondava di ironia. “Sembra che nonostante le tue informazioni
erronee siamo riusciti a trovarti, Ryoji.”
“Anch’io sono contento di rivederti, Roland,” rispose Kaji, sorridendo amaro.
Accigliatosi, l’uomo identificato come
Roland fece loro cenno di avvicinarsi, al che i due prigionieri obbedirono
senza fiatare. Solo quando furono fianco a fianco di fronte a lui Kernberg trovò il coraggio di parlare.
“Io sono Hans Kernberg, professore emerito di Storia Antica
Mediorientale all’Università di Antropologia di
Lipsia,” iniziò, ergendosi in tutta la sua scarsa statura e cercando di
sembrare sicuro di sé. “State ostacolando un’operazione archeologica di enorme importanza a livello internazionale, e
sponsorizzata dal mio ateneo. Spero che abbiate un
buon motivo per trattare me e il mio collega in questo modo, o altrimenti il
governo tedesco pretenderà seri provvedimenti.”
“Stia zitto, professore,” lo
interruppe Kaji, senza guardarlo. “Lei non sa con chi ha a che fare.”
“Precisamente,” puntualizzò
‘Roland’, poi, rivolgendosi all’Agente della Nerv, “e ti sarei grato se non mi
chiamassi con quel nome mentre sono in servizio.”
“Come vuoi tu, Recuperatore Delta,”
fu la risposta di Kaji, pronunciata a denti tanto stretti da essere quasi
incomprensibile. L’altro sorrise e annuì compiaciuto.
“Così va bene,” disse, per poi riportare l’attenzione
sull’ometto calvo di fronte a lui. “Dunque lei è il
famoso professor Kernberg?”
L’interpellato annuì titubante, avendo perso tutta la
baldanza con cui poco prima aveva enunciato le sue credenziali. ‘Roland’ Delta mosse il capo a sua volta, senza perdere il
suo sorriso irritante. “Credo allora che lei potrà ancora esserci utile.”
Kernberg prese quelle parole come un
condannato a morte prende un’assoluzione. Gli cedettero quasi le gambe
al pensiero che, essendo per loro utile, non gli avrebbero fatto del male. Non
osava però chiedersi cosa sarebbe successo una volta che la sua utilità si
fosse esaurita…
“Quanto a te, Ryo-chan,” riprese
l’uomo in nero, “devo dire che ci hai dato molti fastidi ultimamente… I nostri
capi hanno incominciato a chiedersi per chi lavori davvero.”
“Ovviamente io non farei bene il doppiogioco se si capisse
subito da che parte sto,” rispose Kaji, sorridendo
beffardo. “Comunque non ho bisogno di ordini da
nessuno per metterti i bastoni tra le ruote, Delta; lo faccio volentieri di mia
spontanea volontà.”
L’uomo in nero non smise di sorridere, ma ripose la pistola
nella fondina ascellare per poi assestare un violento manrovescio all’Agente
della Nerv, che si sbilanciò fin quasi a cadere a terra. Tossì e sputò del
sangue sulla sabbia, ma quando tornò a guardare il suo aggressore sorrideva
ancora, contento di averlo provocato fino a quel punto. L’altro invece aveva
smesso di sorridere.
“Dovrei lasciarti qui a marcire nel deserto, dannato
bastardo,” sibilò contro Kaji. “Ma
potresti ancora esserci utile. Sappi però che il tuo lavoro come infiltrato non
durerà all’infinito.” Dopo quelle parole si rivolse ai soldati in una lingua che né lo studioso tedesco
né il sedicente professore di Neo Osaka conoscevano, e quattro di quelli
raggiunsero la jeep dei fuggiaschi. Con attenzione, sollevarono il grosso
involto che conteneva la preziosissima tavola, e Kernberg dovette sforzarsi a reprimere la rabbia mentre li osservava caricarla
nell’elicottero. Dopo tutta la fatica che aveva fatto per arrivare al cospetto
di quel tesoro inestimabile, quei pirati, chiunque fossero,
si sarebbero presi il merito e la gloria di quella fondamentale scoperta, senza
considerarne la strumentalizzazione per qualsiasi fine abietto che avessero
voluto. Non poteva accettarlo! Il suo animo di studioso si ribellava a quello
stato di cose!
“Professor Kernberg,” riprese
Delta, dopo aver supervisionato le operazioni di spostamento della tavola.
L’interpellato sobbalzò, quasi come se temesse che l’altro avesse letto nella
sua mente i suoi propositi di ribellione. Quando ebbe riottenuto
la sua attenzione, il Recuperatore proseguì. “Credo che ormai si sia reso conto
che io non lavoro affatto per una semplice università. E credo anche che si immagini cosa le sta per capitare.”
Quasi al rallentatore, Kernberg vide Delta fare un cenno a colui che credeva essere un collega archeologo e questo, con
una frase di scusa sulle labbra, estrasse un piccolo oggetto scuro da una
tasca, porgendoglielo. All’istante avvertì una potente scarica elettrica
attraversargli il corpo ed il sistema nervoso, facendolo cadere in preda alle
convulsioni. L’ultima sensazione che provò prima che l’oblio lo inghiottisse fu
la certezza che Takazumi non era affatto un professore universitario.
Ritsuko batté distrattamente una sequenza
di tasti sul suo terminale, poi finì di sorseggiare il suo caffè freddo.
Era quasi mezzanotte, ma ne avrebbe avuto ancora per
almeno un’ora. Ma non era a questo che stava pensando.
Quel pomeriggio aveva convocato Gabriel, ufficialmente per una visita di
controllo, ma in realtà per sapere come facesse a
conoscere il nome dell’undicesimo Angelo. In realtà, lei
stessa era a conoscenza di quel nome da prima dell’attacco. Anzi, dal momento in cui aveva preso il posto di sua madre nella
Nerv. Però i documenti in cui erano riportati i
nomi di tutti gli Angeli, e non solo quelli che erano già stati affrontati,
avrebbero dovuto essere top secret, a conoscenza solo della stessa Dottoressa,
del Comandante Ikari e dei membri della Commissione per il Perfezionamento.
Anche se il ragazzo fosse venuto in qualche modo a
conoscenza dei cosiddetti “nomi in codice” degli Angeli, lei non sapeva proprio
come spiegarsi la sua conoscenza del nome di Yrouel.
Ritsuko fu distratta dai suoi pensieri da un rumore sordo ed
echeggiante. Dall’interno della capsula di sintesi ricolma di
LCL, Rei stava bussando sulla superficie trasparente, un’espressione a
metà tra l’incuriosito ed il preoccupato. “Va tutto bene, Dottoressa?” chiese,
la voce deformata dal liquido e dalla parete del grosso tubo. La donna annuì,
tranquillizzante. “Sì, tutto bene, sono solo un po’ stanca.”
“Anch’io, sono quasi tre ore che
sono chiusa qui dentro…”
“Hai ragione, però il Dummy System deve essere completato il
più presto possibile, il che comporta un surplus di lavoro sia per me che per
te.”
Dall’interno della capsula, Rei sorrise
e tornò a chiudere gli occhi. La scienziata doveva ancora abituarsi alla nuova modalità di relazione della First Children: fino a poco
tempo prima le ore di lavoro al Dummy System scorrevano in un silenzio quasi religioso,
senza che Rei si interessasse di alcunché o esprimesse le proprie idee. Se da un lato ciò migliorava la sua performance grazie
all’accentuata concentrazione, dall’altro dover rimanere per ore in silenzio a
ticchettare su un terminale era per Ritsuko una tortura. Specialmente lavorando
in quel luogo, e a quello scopo.
“Dottoressa,” chiamò di nuovo la
ragazza, “come sta Gabriel?”
Ritsuko si distrasse dal proprio lavoro e guardò Rei, piacevolmente sorpresa: era raro che la First Children
le parlasse esplicitamente del suo ragazzo, e non era mai capitato durante i
test per il Dummy System.
“Sta bene, non preoccuparti,” fu la
risposta. “L’ho visitato oggi e non ho trovato nulla da segnalare.”
Rei fece segno di aver capito.
“Sono contenta. Sa, ultimamente era così ansioso… Temevo davvero che ci fosse
qualcosa che non andava.”
“Quel ragazzo è sano come un pesce, non
hai di che preoccuparti. Ora però concentrati, così finiremo prima.”
Per tutta risposta Rei continuò a
parlare. “E di lei che mi dice, Dottoressa?”
Presa in contropiede, Ritsuko esitò, guardando stupita la
ragazza. “In che senso?”
“La vedo un po’ pallida. Non è solo per l’interferenza di
questa capsula, anche in altri momenti la vedo strana.”
“Anche di questo non c’è da preoccuparsi, Rei,” la tranquillizzò subito la donna. “Sono solo stressata,
più del solito.”
“Dovrebbe riposarsi di più, nel suo tempo libero. Bisogna
avere più cura di se stessi.”
“… Lo terrò presente, Rei, grazie.
Ora però concentrati.”
Il fatto di aver ricevuto un consiglio del genere proprio
dalla First Children avrebbe dovuto far vergognare Ritsuko, ma in quel momento
le sovvenne in mente il problema che la ragazza aveva
evidenziato: la stessa Dottoressa aveva notato di essere lievemente deperita
negli ultimi giorni, ma, a parte la mattina presto, non aveva più accusato
sintomi simili a quelli della festa per la sconfitta dell’Angelo. Ragion per
cui aveva scartato l’ipotesi di un’infezione e aveva ritenuto più probabile
imputare allo stress eccessivo la causa di quei suoi
malesseri. Aveva ripetuto numerose analisi su se stessa per alcuni giorni onde avere la certezza che non ci fosse stato alcun
possibile avvelenamento o infezione da parte dell’Angelo, e tutti i test
avevano dato esito negativo. L’unica causa plausibile restava lo stress.
Riprendendo a lavorare, Ritsuko decise che avrebbe dato ascolto a Rei e si
sarebbe concessa un maggior numero di periodi di riposo.
Quanto a Gabriel, invece, alle sue domande riguardanti
Yrouel aveva risposto che, semplicemente, era come se l’Angelo stesso, per il
breve momento in cui erano stati in contatto, gli avesse detto come si
chiamava.
Dal momento che lui non aveva chiesto spiegazioni, Ritsuko aveva
evitato di far notare come l’Angelo conoscesse già il
suo supposto ‘nome in codice’, sebbene esso non fosse ancora stato
ufficialmente deciso. Sensibilmente più rilassato di quando
era entrato in infermeria, Gabriel se n’era andato, dopo aver chiesto notizie
di Rei e dopo alcuni esami di routine. Dal canto suo, Ritsuko gli aveva
fornito i ragguagli richiesti volentieri, tanto più che le
generali condizioni della First Children non rientravano nelle
informazioni riservate.
Circa un’ora dopo, la Dottoressa Akagi si sgranchì il collo
anchilosato e decise che per quel giorno poteva bastare. Diede l’ordine di
spegnimento al terminale e scollegò il Magi System,
dopodiché segnalò a Rei che poteva rilassarsi.
“Finalmente!” commentò quest’ultima. La
scienziata sorrise di fronte all’esasperazione della ragazza, sentimento
che condivideva a sua volta. All’improvviso, fu presa dal desiderio di stare
più a lungo con la First Children, come se si fossero appena conosciute.
“Rei,” chiamò, mentre la capsula di
sintesi si svuotava dall’LCL. “Che ne dici se andiamo
a mangiare qualcosa in un ristorante aperto fino a tardi? Ti firmerò io la
giustificazione per non presentarti a scuola, domani.”
La ragazza guardò la donna a bocca aperta. Era la prima
volta che riceveva un invito del genere da Ritsuko. Per un istante esitò, pensando
che sarebbe stato meglio se si fosse riposata in vista dei prossimi esami, ma
poi decise di accantonare quel pensiero.
“Accetto,” rispose, sorridendo,
mentre la capsula si apriva permettendole di uscire.
Gabriel era disteso sul proprio letto, a torso nudo, con
indosso solamente i calzoni dell’uniforme scolastica, insonne, pensando e
ripensando a ciò che gli aveva detto Ritsuko. La donna aveva concluso
che non ci sarebbero state conseguenze al suo contatto mentale con l’Angelo ed
era sembrata soddisfatta della storia che lui le aveva raccontato, in merito a
come era venuto a conoscenza del nome di Yrouel.
E’ da quella notte che non riesco più a dormire
decentemente…
Il Fourth Children sospirò e si girò su un fianco.
Non sono del tutto sicuro che le cose siano andate
davvero come ho raccontato alla Dottoressa Akagi, me ne rendo conto fin troppo
bene.
Pensieroso si alzò dal letto e si spostò verso la finestra.
I raggi della luna si riflettevano sulla sua pelle chiara, creando una serie di
lucenti riflessi tra i capelli. Guardando l’astro nella sua fase calante, non
poté fare a meno di porsi un inquietante interrogativo.
Sono proprio sicuro che me l’abbia detto lui… e non che
io già lo sapessi…?
Continua….
[1]
‘Meraviglioso’ in tedesco.
[2] Una precedente
versione di questo capitolo riportava una diversa risposta da parte di Kaji:
“Ha presente Indiana Jones? Ecco, di quella stessa razza.”
QuandoKernberg
riprese conoscenza si rese conto di avere un tremendo mal di testa, e di non
trovarsi più nel deserto. L’ultima cosa che si ricordava era il sedicente
professor Takazumi che lo colpiva con un taser, sotto gli occhi del Recuperatore
Delta. Poi doveva aver perso i sensi e doveva essere trasportato altrove,
poiché l’ambiente in cui si trovava era completamente diverso dalla Palestina.
Sebbene avesse ancora indosso i suoi abiti, era stato accuratamente ripulito
dalla polvere del deserto e giaceva su un letto a una
piazza, dalle coperte linde che erano state insozzate dallo sporco che non era
stato possibile rimuovere dal suo corpo. Il letto si trovava lungo una parete
di una stanza cubica e nera, priva di qualsiasi caratteristica tranne una porta
di metallo con una minuscola feritoia in alto, da cui filtrava una debole luce,
e un minuscolo WC grigio in un angolo. Le scarpe gli erano state tolte e
giacevano ai piedi del letto, mentre la sua borsa non era in vista. Nell’aria aleggiava
uno strano odore, come di disinfettante, ma il silenzio era così opprimente che
l’uomo si sentì costretto a sollevarsi a sedere facendo frusciare
volontariamente le lenzuola e gemendo, quasi per confermarsi di non essere
rimasto sordo.
Fuori dalla porta si udì un brusio
indistinto, segno che probabilmente quella cella (poiché Kernberg
era quasi sicuro che di una cella si trattasse) era sorvegliata. Guardingo,
indossò le scarpe e si alzò.
“Pretendo di parlare con qualcuno,”
comandò, con tutta l’autorità che riusciva ad esprimere in quel momento, che a
dire la verità non doveva essere eccessiva. Tuttavia
udì dei passi sommessi allontanarsi, senza dargli una risposta.
Rimase in attesa per più di un’ora,
un’ora in cui un ostinato silenzio si opponeva costantemente alle sue pressanti
richieste, di qualsiasi genere esse fossero. Stava per decidersi a picchiare
violentemente i pugni contro la porta, quando sentì nuovamente dei passi,
questa volta in avvicinamento. Guardingo rimase in
attesa. Poi una voce roca si espresse in una lingua che lo studioso dapprima
non riuscì ad identificare. Quando si rese conto di
che linguaggio si trattasse gli girò la testa: qualcuno si era appena espresso
in aramaico antico, sebbene con un assurdo accento
tedesco, ordinando a qualcun altro di aprire la porta e tenersi pronto. La
serratura scattò all’improvviso ed il pannello di metallo scivolò nella parete,
mostrando allo sconcertato professore un corridoio scuro fiocamente illuminato,
le cui pareti, pavimento e soffitto sembravano un pezzo unico di un materiale
simile alla plastica, ripiegato su se stesso fino ad assumere una forma estremamente regolare. Lui non poteva saperlo, ma sospettava
che se avesse misurato le proporzioni di quell’ambiente
avrebbe rilevato una concordanza quasi perfetta con qualche proporzione
matematica, come la sezione aurea. Tutto ciò denotava una personalità attenta
ai particolari in modo maniacale, ossessivo. Per
quanto si sforzasse, il professore non notò sul
pavimento lucido alcuna traccia di polvere o sporcizia. Ai lati dell’uscio si
trovavano due soldati, in tutto e per tutto simili a quelli che lo avevano
fermato nel deserto, impassibili nelle loro uniformi nere e lucidate,
dalla visiera che ne celava le fattezze. Entrambi reggevano
un fucile d’assalto dall’aspetto moderno, ma il cui modello Kernberg
non riuscì ad identificare. Tra loro si trovava un uomo alto e magro,
all’apparenza più anziano dello scienziato tedesco, che lo guardava con un
sorriso enigmatico, a metà tra il benevolo e il derisorio. Era quasi calvo,
salvo una striscia di capelli grigi lasciati piuttosto lunghi sulla nuca, ed
aveva un naso molto lungo, quasi sproporzionato. Indossava una sorta di uniforme, anche se Kernberg non
riuscì a capire a quale organizzazione si riferisse.
“Finalmente ci incontriamo,
professore,” esordì il nuovo venuto, in un tedesco così perfetto da risultare
evidentemente come la sua lingua madre. “La prego di seguirmi.”
Kernberg non si scompose. “Se lei
è il capo di questa associazione criminosa che mi ha
rapito, la informo che si è appena inimicato il governo tedesco. Pretendo una
spiegazione a questo stato di cose.”
L’altro si limitò a sorridere maggiormente. “Le assicuro che
il governo tedesco non ha alcun potere su di me, semmai è vero il contrario. E mi
sembra anche superfluo farle notare che lei non è nella condizione di poter
pretendere alcunché. Ora, se vuole
gentilmente seguirmi…”
Con un gesto cortese, l’uomo gli fece cenno di accompagnarlo
verso la parte alla propria destra del corridoio. Decisamente
spaventato, ma desideroso di non darlo affatto a notare, Kernberg
fece un passo avanti, fuori dalla porta, che si chiuse subito alle sue spalle.
Da entrambi i lati il corridoio proseguiva
apparentemente all’infinito, intervallato regolararmente
da fioche lampade puntate verso il soffitto, sicché l’illuminazione generale
risultava scarsa. Il suo ‘ospite’ lo stava aspettando
immobile, con il suo odioso sorriso sulle labbra, per cui
lo studioso non poté fare a meno di avviarsi nella direzione da lui indicata.
Dietro di loro, i due soldati li seguivano ad una certa distanza, muti.
“Cosa volete da me?” chiese Kernberg, senza preamboli.
“Lo scoprirà presto, professore,”
fu la risposta del suo interlocutore.
“Ma chi siete?” proseguì lo scienziato, desideroso di
ottenere tutte le informazioni che poteva prima di
pensare ad un possibile piano di fuga. L’altro esitò un po’ prima di
rispondere, e quando lo fece dal suo tono traspariva una nota di ironia.
“Può considerarci un’associazione per la preservazione del
sapere,” rispose. “Ovviamente, noi non siamo solo
questo, ma gli altri nostri interessi non la riguardano.”
Mercanti di reperti archeologici, pensò Kernberg
con disprezzo. In passato aveva già avuto a che fare con simile feccia, che si
accaparrava gli oggetti più antichi e preziosi per venderli al miglior
offerente, che fosse un ente pubblico o un
collezionista privato.
“E voi preservate il sapere
distruggendo reperti dal valore inestimabile?” chiese provocatoriamente,
ricordando le parole di Takazumi. L’altro
questa volta rise apertamente.
“Professor Kernberg, un uomo come
lei dovrebbe capire l’importanza della pragmatica. Avere una copia
perfettamente fedele ma più versatile dell’originale è molto meglio che
detenere l’originale stesso, no?”
Lo studioso non rispose. I mercanti di reperti con cui aveva avuto a che fare fino ad allora erano più interessati
ai soldi che potevano ricavare da una vendita, rispetto alle informazioni
contenute in un oggetto, e d’altra parte né i collezionisti né le fondazioni
più prive di scrupoli avrebbero accettato una semplice copia di un manufatto
antico.
“Dove siamo?” proseguì, continuando
a raccogliere informazioni e accantonando per un momento i suoi dubbi.
“In un certo senso, non siamo in nessun luogo.” L’uomo dal lungo naso guardò con aperto divertimento
l’espressione sconcertata apparsa sul volto di Kernberg,
e si godette per un momento quell’attimo di disorientamento prima di proseguire.
“L’installazione in cui ci troviamo si trova alcuni
chilometri sottoterra, al di fuori della legislazione di qualsiasi stato, e
nessuno ne conosce l’ubicazione esatta. Nessuno tranne noi, ovviamente.”
Kernberg non aveva mai creduto
alle leggende riguardanti l’Area 51, ma il ricordare tali dicerie proprio in
quel momento gli fece scendere un brivido freddo lungo
la schiena.
“Non vedo l’ora di sapere per quale motivo gente come voi ha
bisogno di uno come me,” disse beffardo, anche se in
realtà avrebbe preferito fuggire al più presto senza sapere nulla di tutto ciò.
“Signor…?”
“Hillmann,”
si presentò il suo interlocutore, senza dubbio fornendo un nome falso. “Può
chiamarmi Hillmann. Comunque,
siamo quasi arrivati.”
Sul lato sinistro del corridoio si apriva un arco, che
conduceva, dopo un breve tratto, ad una massiccia porta metallica, sorvegliata da
due soldati, che si misero sull’attenti non appena li videro. Kernberg notò come la porta a doppio battente che sbarrava
loro il passo fosse simile a quelle dei caveau delle banche: con il suo aspetto
massiccio dava infatti l’impressione che custodisse una
grande ricchezza. Hillmann lo toccò sulla spalla,
fermamente, affinché si fermasse mentre lui proseguiva a ridosso della porta
stessa. Quando si fermò e si voltò il suo sorriso era
sparito, sostituito da un’espressione seria.
“Professor Kernberg,” iniziò, “centinaia di persone morirebbero, ed altre
centinaia ucciderebbero per oltrepassare questa porta. A lei non verrà richiesto né l’una né l’altra cosa: si ritenga una
persona fortunata.”
Lo studioso annuì, contagiato dal senso di solennità delle
parole dell’altro uomo. Doveva essere stato un abile
oratore in passato, sebbene, per quanto si sforzasse, Kernberg non riusciva a ricordare alcuna occasione pubblica
in cui l’avesse potuto vedere.
Hillmann passò una sorta di
tesserino su un rilevatore ottico, e un rumore elettronico confermò la lettura
di esso. In risposta a ciò i
due battenti scivolarono con un ronzio all’interno delle pareti, liberando il
passaggio. Soffocando un’esclamazione, lo studioso tedesco notò che quei
pannelli erano spessi almeno un metro, risultando
praticamente impossibili da forzare. Con un brivido, si rese conto che quelle
porte erano state costruite per resistere anche ad un attacco portato con mezzi
non convenzionali. Armi nucleari, forse anche più potenti.
Hillmann varcò la soglia e fece
cenno all’altro tedesco di seguirlo. Quando anch’egli
ebbe superato i battenti, essi cominciarono a richiudersi, lasciando fuori i
quattro soldati.
“Non porta con sé i suoi cani da guardia?” commentò,
sprezzante, mentre la pesantissima porta si chiudeva con un rumore secco,
isolando l’ambiente.
“Non possono entrare in questo luogo,”
rispose l’altro. “Come avrà intuito, sono in pochi ad
averne l’autorizzazione. D’altra parte, anche se decidesse di aggredirmi per
fuggire, la informo che questa sezione è del tutto isolata dall’esterno, ed
ogni tentativo di abbandonarla senza il mio permesso o quello di uno dei miei
colleghi verrà punito severamente. Le consiglio di
collaborare, finché tutto questo non sarà finito.”
Nella propria mente Kernberg
imprecò di nuovo: forse quell’individuo aveva
interpretato correttamente le sue domande, comprendendo la sua intenzione di
fuggire. Se le sue parole corrispondevano a verità,
tuttavia, la sua speranza di abbandonare quel luogo non appena fosse riuscito a
liberarsi dell’attenzione dei suoi carcerieri si sarebbe rivelata vana.
Rifiutando di lasciarsi sormontare dallo
sconforto, seguì risolutamente il suo accompagnatore scrutando l’ambiente
circostante, immerso in una fastidiosa semioscurità che celava i dettagli e confondeva
i contorni. A prima vista si sarebbe detta un’ampia cavità naturale, ma
concentrandosi Kernbergriuscì
a notare come in realtà si trattasse di una vastissima sala, il più grande
ambiente chiuso che avesse mai visto. Dal bordo del pavimento pentagonale
irradiava una linea di luce azzurra, che si rifletteva (oppure si trattava di
un’altra fonte di luce?) sul soffitto, situato ad almeno trenta metri sopra la
sua testa, rilucendo all’interno dell’ambiente e dando l’impressione che
ovunque si stendesse una lieve nebbiolina. Sulla parete destra più vicina al
lato dal quale Kernberg era entrato si aprivano
numerose porte a vetri, che davano su ambienti meglio illuminati e ricchi di
scaffali, sui quali si alternavano apparentemente senza ordine rotoli di carta
o pergamena dall’aria molto antica con incunaboli[1] medievali, volumi moderni
e schedari dotati di etichette che, a causa della
distanza, risultavano illeggibili. Qua e là tra gli scaffali si aggiravano
figure in camice bianco, prelevando con cura i documenti o riponendoli. Ognuna
di quelle persone, oltre al camice integrale, indossava anche una mascherina e
degli occhiali, come si muovessero in un ambiente
sterile.
Sulla parete di sinistra invece dominava una balconata che
correva lungo tutto il muro, sorretta da alcuni pilastri a base quadrata, di
colore nero. Sotto il porticato che si veniva così a formare
si apriva una porta simile a quella d’entrata, sebbene dall’aria meno
massiccia. Sulla piattaforma invece spiccava una luce più adeguata al lavoro, e
sembravano essere disposte numerose consolle, attorno a cui si aggiravano
alcuni individui, che a causa della distanza sembravano minuscole formiche intente nelle mansioni quotidiane per soddisfare la loro
regina.
La parete alle sue spalle, invece, risultava
completamente spoglia ed oscura, ad eccezione della porta da cui era entrato, e
sembrava incombere con una massa inconcepibilmente grande sull’ambiente, come
una terribile bestia in agguato. All’incirca a metà del pavimento si aprivano
due giganteschi e profondi pozzi oscuri, che si estendevano dai due lati
rimanenti della sala ad uno stretto ponte dotato di corrimano che si protendeva
a dividerli. Le pareti delle due cavità erano costellate di spie rosse dalla
funzione sconosciuta, che però sprofondavano perdendosi in lontananza. Dai muri
che costituivano le pareti più lontane dei pozzi
sporgevano dei rigonfiamenti regolari, su cui scorreva la balconata di
sinistra, incurvandosi e circondandoli. In questo modo la parte superiore delle
sporgenze era nascosta alla vista di Kernberg, che riusciva solo a vederne la sommità: due protuberanze
argentee e slanciate, dalle forme regolari, che però all’uomo che le osservava
suggerirono un senso di minaccia incombente, come le garguglie
sulle cattedrali francesi che un tempo aveva visitato, prima del Second Impact.
In fondo al ponte che lui e Hillmannstavano attraversando si intravedeva una porta rosso
scuro le cui dimensioni ridotte apparivano quasi ridicole in mezzo a tanta
vastità. Sopra ad essa, alla confluenza delle due
pareti laterali e in corrispondenza del vertice del pentagono che fungeva da
pianta della stanza, emergeva dal materiale plastico, che sembrava costituire
l’unico tipo di superficie utilizzata in quella base sotterranea, una terza
sporgenza, gemella delle due che la fiancheggiavano, che si elevava fino quasi
all’alto soffitto ed ospitava un’altra struttura argentea, simile alle altre ma
che le sovrastava di almeno dieci metri. Sembrava incombere sulla stanza
sottostante come la scura parete posteriore, costituendo un potente contrasto.
Ma la cosa più sconvolgente cheKernberg vide in quell’ambiente
fu un ciclopico disegno rappresentato sul soffitto pentagonale: iscritto in
esso c’era una fascia luminosa, che a sua volta comprendeva al suo interno
altre otto fasce via via più piccole e concentriche,
che culminavano in un unico cerchio splendente della solita luce azzurra.
Scure, all’interno di quelle aree luminose, risaltavano
alcune scritte, che lo studioso, aguzzando gli occhi, identificò come parole
ebraiche. Altre scritte simili, ma al contrario luminose,
riempivano le aree scure del soffitto, rendendo il disegno incredibilmente
complesso. Per poco l’osservatore non si accorse nemmeno che, iscritto
all’interno del cerchio luminoso più piccolo, vi era una figura umana
stilizzata, a braccia e gambe aperte, le cui estremità erano
orientate in corrispondenza dei cinque vertici del soffitto [2].
Giunti sulla soglia dalla porta rossa, Hillmann si fermò voltandosi serio verso Kernberg, che da parte sua aveva attraversato la sala a
bocca aperta per lo stupore. Ignorando completamente
la sua espressione, il sedicente mercante di reperti attese immobile di
riguadagnare la sua attenzione.
“Quando avrà oltrepassato questa soglia,”
cominciò, quando l’altro portò su di lui i suoi occhi meravigliati, “dovrà
dimenticare tutto ciò che ha imparato sulla storia dell’uomo.”
Dopo aver deglutito, Kernberg
annuì, facendo capire a Hillmann che aveva ben
compreso le sue parole, e quest’ultimo inserì la sua
tessera in una fessura accanto alla maniglia. Quando
la luce rossa che la caratterizzava divenne verde l’uomo girò il pomello e aprì
il battente. Kernberg lo seguì nell’oscurità.
Al ristorante, uno stanco cameriere accolse Rei e Ritsuko, indicando uno dei pochi tavoli liberi, accanto
alla vetrina. Dopo averle accompagnate, si scusò per il ritardo con cui,
prevedibilmente, sarebbero state servite, vista l’ora
molto tarda. La scienziata disse che non importava e che avrebbero atteso
quanto si sarebbe reso necessario.
Dovettero aspettare quasi un’ora, e il locale nel frattempo
si era pressoché svuotato, quando arrivarono il trancio di pescespada per Rei e
la pizza margherita per Ritsuko. Erano le due di
notte.
“Mi dispiace di averti trattenuto fino a quest’ora,” si scusò la donna, addentando la prima fetta di pizza. La
ragazza invece scosse il capo. “Non importa. Il dovere è dovere.”
“Già, ed oltretutto con il lavoro di oggi
credo che non ci manchi molto.”
“Bene, così avrò più tempo da passare con Gabriel.
Ultimamente ci vediamo molto poco…”
Ritsuko sorrise: non parlava così
amichevolmente con qualcuno dai tempi dell’università, eccezion fatta per Misato. Il cambiamento di Rei era più che evidente: ora non
sembravano più una ragazza e la sua tutrice, ma erano più simili a due vecchie
amiche. A dire il vero, alla Dottoressa Akagi la cosa
non dispiaceva,
“A proposito, come va tra voi?”
“Tra me e Gabriel? Beh, bene. A parte questi giorni in cui era preoccupato per le conseguenze della contaminazione
stiamo bene. Ed quando finiremo il nostro lavoro alla
base potremo finalmente recuperare il tempo perduto.”
“Ricordate però che avete quattordici anni, d’accordo?”
Rei la guardò interrogativa. “Cosa intende?”
“Beh… Non accelerate i tempi. Per certe cose voi non avete
ancora l’età, sei d’accordo, vero?”
La ragazza arrossì all’istante. “Ma si figuri!” esclamò,
scuotendo la testa, poi aggiunse “non ci abbiamo mai
neanche pensato!”
Era una menzogna, ma quel che importava era che Ritsuko non sapesse cos’era accaduto alle terme.
La cena proseguì senza intoppi finché, verso le tre di
notte, la scienziata e la First Children non abbandonarono il locale, dopo che la prima ebbe pagato il
conto e lasciato anche una mancia al cameriere, ormai praticamente
addormentato, che le aveva servite nonostante il sonno.
In auto continuarono a parlare del più e del meno, mentre Ritsuko accompagnava Rei verso casa. Ad un certo punto la
ragazza si fece pensierosa, poi cambiò decisamente
argomento.
“Dottoressa, per caso è ingrassata?”
Quella domanda colpì la donna come un pugno nello stomaco
sferrato da Misato quando era ubriaca. L’automobile
bruciò anche un semaforo rosso, tanto la guidatrice si era
turbata. Certo, Rei era cambiata, ma doveva
ancora imparare alcune norme di convivenza civile.
“Rei…” iniziò, mentre riprendeva il controllo del veicolo,
“ci sono delle cose che devi ancora imparare…”
La ragazza la guardò non del tutto
convinta. “Di cosa si tratta?”
“Generalmente, ad una donna non si fa notare che è
ingrassata…”
“Ma è la verità!” protestò Rei,
indicando l’addome di Ritsuko. “Guardi lei stessa.”
La donna guardò, e per poco non
perse di nuovo il controllo della vettura. Non ci aveva mai fatto caso in quei
giorni, in cui indossava quasi sempre il camice e
quando non lo faceva era troppo stremata per osservare il proprio corpo, ma
effettivamente il suo addome era un po’ gonfio, abbastanza da mostrare una
sottile striscia di pelle sotto la maglietta leggera che indossava.
No… Non è possibile… Come posso essere gonfia… Quando Misato beve birra tutti i momenti
ed è ancora in forma??
“Che strano,” disse la donna,
celando la propria preoccupazione. “Eppure ho
addirittura diminuito la mia dose quotidiana di cibo, da quando abbiamo
cominciato la fase finale della progettazione del Dummy
System…”
Nonostante il tentativo di Ritsuko, Rei si accorse del suo turbamento, e decise di
mettersi alla prova facendo una cosa che raramente aveva fatto di sua sponte:
doveva cercare di tirarle su il morale. Arrovellandosi il cervello per trovare
una battuta che fosse divertente, guardò la sua
accompagnatrice, in cerca di ispirazione. Quest’ultima,
distrattamente, si passò una mano sull’addome, come la ragazza aveva visto fare
ad alcune donne incinte durante un documentario che le avevano
mostrato a scuola, ed a quel punto seppe cosa dire.
“Non si crucci, Dottoressa,”
iniziò, sorridendo scherzosa. “Magari non è grasso: è solo incinta!”
La scienziata rise, e stava per farle notare che non era
affatto possibile, quando il suo cervello elaborò l’informazione e le fornì una
possibilità che fino ad allora le era sfuggita.
Istintivamente il sorriso le morì sulle labbra e bruciò quasi un secondo
semaforo, tanto si era estraniata nei propri pensieri.
Nausea… Pancetta sporgente… Ciclo assente da un mese… no…
da PRIMA!! Sono almeno tre mesi! Da quando io ed il Comandante ci eravamo ubriacati senza volerlo…
…
Oh mio Dio…
…
SONO INCINTA!!
“Dottoressa, ho detto qualcosa che non va?” chiese subito
Rei, non appena vide l’espressione della donna passare dallo stupore
all’incredulità al terrore puro. Riportata alla realtà da
quelle parole, Ritsuko rallentò fino ad accostare,
cercando come poteva di elaborare una risposta che non suonasse come la
confessione di un serial killer.
Incinta… No, probabilmente mi sbaglio… Quella volta io ed
il Comandante avevamo usato… NO, ERANO FINITI!!
…
Calma Ritsuko. Hai affrontato un Angelo, questo è niente al confronto. E’
solo la tua vita che cambia radicalmente ed inaspettatamente, senza alcuna
possibilità di programmarne l’evoluzione.
…
Mamma, avevi ragione.
Ikari, stupido idiota…
“Dottoressa?” ripeté Rei, preoccupata.
“Va tutto bene, Rei,” rispose
l’interpellata, sorridendo inquieta. “E’ solo che mi sono ricordata adesso che
devo passare in farmacia a prendere delle pillole per il mal di testa.”
Altro che pillole per il mal di testa… Mi serve un test
di gravidanza…
“Ha mal di testa?” fu la domanda spontanea della ragazza.
“Un po’,” mentì Ritsuko,
aprendo la portiera. “La farmacia è proprio là di
fianco, faccio in un attimo.”
Rei non aveva ancora trovato una spiegazione
plausibile allo strano comportamento della donna quando quest’ultima
era tornata, con un pacchetto anonimo di carta bianca in mano.
Ora la accompagno a casa e poi di corsa da me a fare
questo dannato test… E pensare che ho finito appena
quattro ore fa di effettuare test su un’altra persona…
“Tutto bene?” chiese ancora Rei quando la sua
accompagnatrice fu salita in auto.
“Sì, anche il mal di testa va meglio, forse non dovrò
nemmeno prendere nessuna pillola,” la rassicurò lei,
mentre rimetteva in moto il veicolo.
Coraggio, mantieni un’apparenza noncurante.
Cercando di guidare con prudenza nonostante il fuoco che le
ardeva dentro, la Dottoressa Akagi proseguì verso la
casa di Rei.
Con indosso solo la maglietta, le mutandine calate alle
caviglie e seduta sul proprio WC, Ritsuko sembrava
un’altra persona rispetto alla seria e compassata scienziata a capo del
Progetto E. Fra le mani reggeva un piccolo oggetto bianco dalla forma
allungata. Ad una delle due estremità, una linguetta flessibile aveva assunto
una vivace colorazione blu.
Positivo…
All’inizio non riuscì a vedere nulla, ma quando Hillmann premette un interruttore la chiara luce di tre lampade appese al soffitto investì e accecò i
suoi occhi ancora abituati alla semioscurità precedente. Quando riuscì a vedere qualcosa attraverso il velo delle sue
lacrime, l’altro uomo aveva già chiuso la porta alle loro spalle. L’ambiente in
cui erano entrati contrastava nettamente con quello
che avevano abbandonato.
Si trattava di una stanza relativamente piccola, anche se
non quanto la cella in cui l’archeologo si era svegliato, e spartana, le cui
pareti bianco sporco sembravano rilucere di splendore rispetto a quelle
costantemente nere del resto della base. Il pavimento era coperto da una
soffice moquette, mentre il soffitto bianco sembrava essere stato intonacato di
fresco. Di fronte a Kernberg, sulla parte destra del
muro, faceva bella mostra di sé una libreria stracolma di libri appartenenti a
edizioni e periodi storici svariati, mentre al centro della stanza c’era una
comoda poltrona in stile vittoriano e una scrivania su cui erano
posati una voluminosa quantità di fogli bianchi, numerose penne e matite e una
lampada pieghevole adatta ad illuminare specifiche aree del pianale. A
completare l’arredamento c’era lo sportello di una cassaforte a muro nel lato
sinistro della parete di fronte all’entrata e, con somma sorpresa da parte
dello studioso, la tavola di pietra che lui stesso aveva rimosso dalla grotta
di Qumran era appoggiata ad un treppiede metallico
direttamente di fronte alla scrivania.
Stupefatto, Kernberg
si volse verso Hillmann, che nel frattempo aveva
ricominciato a sorridere in quel suo modo odioso. “Cosa
significa tutto questo?” chiese l’archeologo.
“Mi sembrava evidente,” rispose
l’altro, accennando alla scrivania. “Noi vogliamo che lei traduca le iscrizioni
presenti su quella tavola. Ha a sua disposizione tutti
i testi scelti che troverà in quella libreria, oltre a qualunque altra opera di
cui riterrà di avere bisogno: sarà sufficiente farci sapere il titolo e noi
gliela forniremo.”
Non riuscendo a credere alle proprie orecchie, il piccolo
studioso tedesco tornò a voltarsi verso la lastra di pietra incisa. Qualcuno
l’aveva ripulita dalla polvere e dalle incrostazioni calcaree sedimentatesi nel
tempo, ed ora i caratteri misteriosi di cui era
ricoperta risaltavano come non mai. Faceva eccezione solo un frammento, in
basso a destra, che era risultato assente già quando
lui e Takazumi l’avevano vista la prima volta. Nonostante le avventure che aveva subito ultimamente, la
passione che l’aveva animato per anni si risvegliò, e così pure il suo occhio
critico, con cui esaminò la superficie. “Avrò bisogno di molto tempo,” si sorprese a dire.
“E’ necessario che lavori il più rapidamente possibile,” rispose Hillmann alle sue
spalle. “Ma al di là di questo, può prendersi tutto il
tempo che le serve. Durante tutta la sua permanenza come
nostro ospite non abbandonerà questa stanza. Le verranno
forniti tre pasti al giorno all’ora che preferisce ed entro breve le sarà
portata una branda dove potrà dormire. Purtroppo questo ambiente
non è dotato di servizi igienici, ma sono sicuro che questo fatto le fungerà da
incitamento a svolgere rapidamente il suo lavoro.”
PraticamenteKernberg
aveva appena ascoltato le condizioni della sua prigionia. Si voltò contrariato.
“Allora sono veramente vostro prigioniero!”
L’altro scosse il capo, senza perdere il suo sorriso
beffardo. “Io preferirei l’espressione ‘inestimabile collaboratore’.”
Il professore di Lipsia quasi scoppiò a
ridere per l’assurdità di quelle parole. “Non vedo cosa cambi nella
sostanza.”
“Ha la mia parola che una volta terminato
il suo lavoro sarà libero di andarsene, ovviamente mantenendo il segreto su ciò
che ha visto e sentito qui. Ci preoccuperemo noi a trovare una scusa plausibile
alla sua prolungata assenza.”
Kernberg scrutò il volto
dell’altro tedesco, cercandovi le tracce dell’inganno, ma esso era impassibile
nella sua espressione a metà tra la benevolenza e la derisione. “Chi mi
assicura che lei manterrà la parola?”
Hillmann sospirò, apparentemente
dispiaciuto della mancanza di fiducia da parte del
connazionale. “Suppongo che avrà bisogno dell’ulteriore
incentivo che avevamo in serbo per lei.”
Con studiata lentezza, sotto lo sguardo attento e guardingo
di Kernberg, l’uomo attraversò la stanza fino alla
cassaforte a muro. Dopo aver inserito la sua tessera nella solita fessura,
digitò una rapida sequenza e un rumore metallico annunciò lo sblocco delle
serrature. Incapace di controllare la sua curiosità, l’archeologo
fece un passo avanti, mentre l’altro apriva lo sportello d’acciaio.
Al di là di esso c’era un’inferriata
stretta dalle sbarre sottili, del materiale plastico nero con cui era rivestita
la maggior parte della base. All’interno della piccola cassaforte c’era
un involto decrepito, una sorta di libro le cui spesse pagine di pergamena
spiegazzata e rovinata dal tempo erano tenute insieme da una grossolana
rilegatura di cuoio. Il frontespizio recava alcune parole vergate in ebraico
antico, la cui stesura rivelava ad un occhio esperto un’origine molto più tarda rispetto alla pergamena su cui erano
scritte.
“‘In Principio era Dio’…” compitò Kernberg senza difficoltà. “Si tratta di una versione della
Bibbia?”
“Oh, no,” rispose l’altro, che ora
incombeva alle sue spalle quasi come un avvoltoio. “Si tratta di qualcosa di
molto più importante.”
L’archeologo era confuso. Guardò di nuovo il volume arcaico
di fronte a lui, poi la tavola di Qumran, poi di
nuovo il libro. Qual era il collegamento? Fece per chiederlo, ma l’altro lo
anticipò.
“Probabilmente avrà sentito parlare delle Pergamene del Mar
Morto.”
Credendo che scherzasse (qualunque
archeologo sapeva di cosa si trattasse), Kernberg
accennò un sorriso circospetto. “Beh… certamente. Un’antica versione della
Bibbia trovata presso Qumran verso la metà del secolo
scorso, recante alcuni passi del Vecchio Testamento e dei Vangeli, oltre a
numerosi testi gnostici.”
Il sorriso di Hillmann si allargò.
“Cosa penserebbe se le dicessi che tutto ciò che lei
sa riguardo quella scoperta è una frode?”
Ricordando le parole simili che Takazumi
gli aveva rivolto parlandogli del sito archeologico
che avevano visitato, questa volta lo studioso non rise. “Cosa
intende?” chiese invece, con la bocca privata della sua saliva.
“Intendo che i documenti che lei conosce come Pergamene del
Mar Morto sono dei falsi, prodotti da noi e resi di pubblico dominio per celare
la scoperta delle VERE Pergamene del Mar Morto, ovvero il plico di pergamene su
cui ha appena posato gli occhi.”
Kernberg non sapeva se dare al suo
interlocutore del millantatore o se implorarlo di fargli visionare le
pergamene: ora aveva capito in cosa consisteva il suo incentivo.
“Se collaborerò con voi per tradurre la tavola,” ragionò, “potrò avere libero accesso alle vere Pergamene
del Mar Morto, non è così?”
Il sorriso di Hillmann perse la
sua nota beffarda (o almeno così sembrò) e divenne generoso. “Esattamente. Là è
racchiusa una versione completamente nuova del racconto della Creazione, e solo
di poco posteriore alla tavola che ha appena recuperato. Il fatto che sia
radicalmente differente rispetto alle versioni canoniche della Genesi può solo significare la messa in atto di
un’operazione di censura senza uguali, volta a distruggere e nascondere un
racconto di molto precedente e, proprio per questo, più vicino alla verità. Al
momento, quella che ha visto è l’unica copia superstite del racconto della
Genesi così come fu scritto all’epoca di Abramo, se
non prima ancora.”
Ancora una volta, Kernberg gettò
un’occhiata alle sbarre della cassaforte, sentendo potente dentro di sé
l’impulso alla ricerca della conoscenza, la fame di sapere che l’aveva mosso
per tutta la vita. All’improvviso, tutti i dubbi che aveva
avuto riguardo quel posto e i suoi carcerieri e le speranze di fuga svanirono,
lasciando il posto ad un solo pensiero.
“Posso già cominciare a lavorare?” chiese, in tono
professionale. Hillmann annuì, e stranamente il suo
sorriso ora sembrava meno odioso. “Certo. Le ordino la cena.”
Ma, mentre il dirigente della Seele usciva dalla porta, l’archeologo non lo ascoltava già
più, immerso com’era nella lettura di uno dei tomi della libreria.
Erano passati ormai alcuni giorni dal fidanzamento ufficiale
tra Asuka e Shinji, e sebbene la ragazza all’inizio
insistesse per non comportarsi troppo affettuosamente in pubblico, aveva
imparato ad apprezzare le gentilezze che il ThirdChildren le usava in
continuazione, complice l’attesa ricomparsa del ciclo. Così si accorse subito
che qualcosa non andava.
Da un paio di giorni il ThirdChildren era diventato bruscamente cupo, sebbene tentasse
di non darlo a vedere né a lei né a Misato:
all’inizio la ragazza aveva lasciato perdere, poiché pensava che se lui non
voleva parlargliene avrebbe avuto i suoi buoni motivi. Dopo tutto
lei preferiva avere un po’ di privacy, a volte, in modo da pensare ai propri
problemi, e credeva che anche per Shinji valesse la
stessa cosa. Ma Asuka non aveva mai avuto molta
pazienza.
Il secondo giorno di quello stato di cose,
mentre Misato era via, decise di prenderlo di petto.
Lui all’inizio volle deviare la sua attenzione con un bacio appassionato, ma
lei lo respinse con malgarbo.
“Non provarci, Stupishinji!” lo
apostrofò afferrandogli i polsi. “Non sono abbastanza ingenua da cadere in
questo trucco!”
Il ragazzo si divincolò con aria offesa, per poi volgerle le
spalle e allontanarsi di qualche passo. Asuka non si scompose e incrociò le
braccia, in paziente attesa. Finalmente, Shinji si
decise a parlare, sempre di schiena. “E’ che tra poco sarà l’anniversario della
morte di mia madre…”
La ragazza restò per un attimo stupita,
poi si maledisse per la sua curiosità e per averlo costretto a parlare di un
argomento doloroso. Fece qualche passo in avanti. “Shinji…”
Lui però scosse la testa. “Non è solo per questo. Da quando
è successo, questa è la prima volta da molto tempo che ho
l’opportunità di recarmi sulla sua tomba. Ed è anche
la prima volta da tanti anni che sono vicino a mio padre, durante questa
ricorrenza…”
Asuka chinò il capo, ascoltando in silenzio. In effetti lui aveva tutte le ragioni per essere depresso,
visto anche il padre che si ritrovava. Sebbene
ultimamente le riuscisse più facile che in passato, provò una strana sensazione
quando ammise a se stessa di aver avuto torto nel giudicare la situazione.
“Secondo me,” gli disse, “non
dovresti sprecare quest’occasione. Dovresti andare da
tua madre indipendentemente da ciò che deciderà tuo
padre.”
Shinji si volse verso di lei,
un’espressione triste ma grata negli occhi. “Grazie del consiglio, Asuka, ma
non temo che mio padre decida di non andare al cimitero; temo proprio che ci incontriamo là…”
Finalmente la ragazza capì qual era il problema e si fece
pensierosa. Solo per un attimo però, poi fece spallucce e tornò a sorridere. “E
se anche vi incontrate? Hai paura di ciò che potrebbe
dire, fare o non dire e non fare? Chi se ne importa? Lui è un’altra persona
rispetto a te, non devi vivere con il patema d’animo solo perché tuo padre
potrebbe non approvare ciò che fai e che dici.”
Il ragazzo la squadrò, ragionando sulle sue parole.
Che stupido… Lei ha ragione, ovviamente, sono io che mi faccio
troppi problemi con mio padre. Però lei non sa molte
cose…
Contagiato dall’espressione serena di lei, anche Shinji sorrise. “Hai ragione, Asuka. Farò come dici.
Grazie.”
A sottolineare le sue parole le
diede un lieve bacio sulle labbra, poi tornarono a studiare. Asuka era contenta
per aver aiutato il suo ragazzo a risolvere i propri problemi. Shinji però non era affatto convinto di esserci riuscito.
“Tadaima!” strillò Misato quando rientrò, più tardi, quella stessa sera.
“Ma che bisogno c’è di urlare!”
gridò Asuka dal salotto, da cui provenne anche il timido ‘okaerinasai’
di Shinji.
“Ne ho più motivo di te, ragazzaccia!” rispose Misato, sempre ad alta voce e con tono giulivo.
“Ragazzaccia??” sbottarono entrambi i Children
precipitandosi a controllare che la loro tutrice si sentisse bene. Insieme a loro, dalla soglia si affacciò anche PenPen,
allarmato per tutte le urla che stavano turbando la sua quiete. “Sei sicura che
vada tutto bene, Misato?” chiese Asuka, sospettosa.
La donna infatti non l’aveva mai chiamata a quel modo,
nemmeno quando era molto arrabbiata con lei, per cui le suonò assurdo quel
nomignolo pronunciato con un tono di voce allegro.
“Certo,” fece l’interpellata sorridendo.
“Ho ricevuto una splendida notizia, oggi al lavoro.”
Vedendo le facce curiose dei due Children
(ed in certa misura anche di PenPen) Misato non poté fare a meno che godersi la sensazione di
loro due che pendevano dalle sue labbra, sicché inserì una lunga pausa studiata
prima di comunicare la sua rivelazione. “Non solo Ritsuko
mi ha detto che tra poco Satoshi potrà essere
dimesso, ma lui stesso mi ha anche informato che proprio oggi pomeriggio è
stato promosso al grado di capitano!”
A quella notizia entrambi i Children sobbalzarono. “Dici sul serio??” esplose Asuka,
euforica, mentre Shinji fissava con entusiasmo la sua
tutrice, come se pretendesse qualche altra conferma della veridicità delle sue
parole. Misato annuì trepidante e si dispose a raccontare
per filo e per segno ciò che aveva sentito dire dal suo fidanzato.
***
Qualche giorno dopo l’attacco dell’undicesimo Angelo, Ritsuko rilevò con piacere che Satoshi
stava migliorando a vista d’occhio. Quel mattino, sebbene con fatica, sarebbe
già stato in grado di muoversi sulla sedia a rotelle. Lo stesso Agente apprese
la notizia con entusiasmo, mitigato dalla preoccupazione per l’aria affaticata
della Dottoressa. Quest’ultima minimizzò, rifiutando
di dare importanza ad un semplice virus intestinale, che quella mattina l’aveva
fatta svegliare in preda ad una forte nausea. Ma le infezioni erano cose che capitavano, lei lo sapeva
bene. Non aveva senso far preoccupare anche gli altri quando avrebbe dovuto
sopportare solo alcuni giorni di spossatezza. Inoltre, dato che quel giorno Satoshi era riuscito a stare sulla sedia a rotelle e a fare
un breve giro nella corsia dell’ospedale, c’erano ben altre preoccupazioni che
l’affliggevano. Secondo gli ordini di Gendo, proprio
quel giorno Ritsuko avrebbe dovuto comunicare
all’Agente Iwanaka di recarsi da lui, ma non sapeva
quanto bene avrebbe accolto quella notizia…
Quando Satoshi giunse alla porta
dell’ufficio del Comandante si sentì ribollire di
rabbia. L’ultima volta che era stato lì era quasi stata decretata la sua
condanna a morte, per cui aveva tutte le ragioni del
mondo per non essere affatto felice di essere di nuovo lì, e per giunta senza
nemmeno saperne le ragioni.
Quella mattina, semplicemente, mentre effettuava
i suoi esercizi di fisioterapia, Ritsuko gli aveva
comunicato che il Comandante Ikari desiderava parlare
con lui in privato. Era appena riuscito a sostenersi quanto bastava per stare
su una sedia a rotelle, aveva pensato, e già il suo Comandante architettava
qualcosa di nuovo che lo riguardava. Fu con estrema freddezza, per non lasciar
trasparire i suoi sentimenti, che rispose alla Dottoressa che ci sarebbe andato
quel pomeriggio stesso.
Ed infatti, faticando un po’ a
compiere la strada necessaria con il solo uso delle braccia non ancora allenate
allo sforzo specifico, era giunto davanti all’ufficio di Gendo.
Le porte scorrevoli si aprirono, mostrandogli il vasto ambiente, caratterizzato
solo dalle ampie vetrate e dalla scrivania al centro, dietro cui
il Comandante Ikari lo guardava impassibile attraverso
gli onnipresenti occhiali scuri. Ancora più indietro, il Vice Comandante
sembrava come sempre in attesa di un ordine.
Dato che non veniva invitato
dentro, Satoshi entrò, spingendo con furia sulle
ruote. Avanzò lentamente fino ad arrivare a due metri circa dalla scrivania,
dove di solito si fermavano le persone chiamate. Si sentiva immensamente goffo
su quella sedia, più bassa di quella del suo superiore, al punto che doveva
alzare leggermente gli occhi per guardarlo. Si immaginò
il sorriso di scherno dietro quei guanti bianchi incrociati davanti alla bocca,
e il suo corpo fremette di rabbia. Non tentò nemmeno di dissimulare quel gesto:
voleva che il Comandante, prima di assegnargli qualche altra missione
pericolosa, sapesse esattamente ciò che provava per lui.
“Voleva vedermi, signore?” sibilò, fissandolo direttamente
negli occhi.
“Esatto,” fu la risposta. “Vedo che
sta recuperando rapidamente: me ne compiaccio.”
Solo perché così facendo mi può assegnare un’altra missione
suicida, vero, Comandante?? Oppure vuole mandarmi a combattere da solo contro
il prossimo Angelo, in modo da tapparmi la bocca per sempre ed evitare che il
suo prezioso piano contro il governo giapponese venga alla
luce??
L’espressione dell’Agente non fu meno ostile quando Gendo riprese a parlare.
“I risultati della sua missione sono stati più che ottimali.
Dopo quanto è avvenuto, dubito che i nostri amici
intraprenderanno di nuovo iniziative di questo genere.”
Satoshi non sapeva se con
l’espressione ‘nostri amici’ il suo superiore si
riferisse al governo giapponese o alla JNI Corp. ma la cosa non gli
interessava. Avrebbe solamente voluto alzarsi in piedi e prendere a pugni
quella faccia impassibile che gli aveva ordinato di andare a morire, di
lasciare per sempre Misato e i ragazzi.
“Per questo motivo,” continuò Gendo, “Tenente Iwanaka, è mia
intenzione promuoverla al grado di Capitano.”
Satoshi lo fissò allibito,
incurante del fatto che tutto il suo stupore trasparisse dalla sua espressione.
Mi vuole… promuovere…?
“Naturalmente,” concluse l’altro,
apparentemente senza badare all’aria esterrefatta del suo Agente, “se ha
qualche riserva in proposito, sono pronto ad ascoltarla e a ritirare la mia
offerta.”
“No…” riuscì a dire Satoshi. Pur
sospettando che dietro quell’affermazione si celasse
una sottile minaccia, in quel momento non fu in grado di dare un corpo ai
propri sospetti, per cui poté solamente accettare.
“Non ho riserve, signore.”
“Perfetto.” Gendo si alzò dalla
propria sedia e prese un oggetto dalla scrivania. Lentamente, aggirò il mobile
e si portò di fronte al suo dipendente. “Confido che li applicherà quanto prima
sulla sua uniforme. Ad ogni modo, può considerarsi già promosso, anche se… è
ancora in pigiama.”
Satoshi aveva mantenuto la
vestaglia da ricoverato ospedaliero volutamente, come sfida nei confronti del
Comandante, ma anche vedendo i suoi nuovi gradi risaltare sulla sua mano guantata si riconfermò nella sua
scelta: non sarebbe stata qualche decorazione in più cucita sull’uniforme a
fargli cambiare idea sul suo superiore.
“La ringrazio, signore,” rispose,
finalmente, prendendo in mano i nuovi gradi. “Provvederò appena sarò tornato in
ospedale.”
“D’accordo,” annuì Gendo imperturbato, voltandogli le spalle e tornando dietro
la scrivania. “A nome di tutta la Nerv,
la ringrazio per i suoi servigi. Può ritenersi congedato, Capitano Iwanaka,”
Ancora stordito dall’inattesa promozione, Satoshi annuì, salutò il Comandante ed il suo Vice, voltò
goffamente la sedia a rotelle e si avviò verso l’uscita dell’ufficio. Quando le porte scorrevoli si furono chiuse, Gendo si concesse finalmente un sorriso.
“Credi che basterà questa promozione per tenerlo sotto
controllo?” chiese Fuyutsuki, che era
rimasto in silenzio per tutto il tempo dell’incontro.
Ikari non si voltò nemmeno per
rispondergli. “La promozione se l’è guadagnata. Ad ogni modo, se non basterà,
abbiamo altri mezzi di persuasione.”
***
Andarono avanti a festeggiare fino a notte inoltrata, dopo
aver invitato anche Hikari, Toji
e Kensuke, con il solo rammarico di non poter avere
anche Satoshi tra loro, poiché avrebbe dovuto passare
in ospedale ancora qualche giorno. Quanto a Rei e Gabriel, invece, quella fu la
prima occasione che ebbero da parecchio tempo per
stare insieme e non la sprecarono: dopo le formalità dettate dalla cortesia, si
chiusero in salotto dove finalmente ebbero modo di dirsi tutte le parole che
non avevano potuto dirsi in quei giorni. Gabriel, dal canto suo, riuscì ad
ignorare i mille dubbi che affollavano la sua mente riguardo ciò
che era successo durante l’attacco dell’ultimo angelo: benché volesse
veramente sapere di che si trattasse, il suo più grande desiderio in quel
momento era stare bene con Rei, e non avrebbe rovinato quei pochi istanti con
le sue preoccupazioni.
Ben presto la festa degenerò e per Misato
fu impossibile tenere sotto controllo tutte le sue
scorte di birra sicché spesso, mentre uno dei ragazzi la distraeva, un altro
faceva sparire qualche lattina che sarebbe stata consumata poco dopo.
Fortunatamente, i tre amici dei Children avevano
lasciato detto in casa che si sarebbero fermati a dormire da lei, per cui non dovette cercare affannosamente delle scuse per
spiegare il loro stato pietoso. Tutti e tre si addormentarono in salotto, una
volta che Rei e Gabriel furono accompagnati via da una Ritsuko
dall’aria un po’ stanca. Asuka, la più brilla di tutti, rimase a lungo a ridere
a crepapelle in faccia a PenPen prima di crollare
addormentata. Misato e Shinji
la spostarono a braccia fino in camera sua, ed a quel punto
la festa poteva dirsi finita. Diligentemente, il ThirdChildren non aveva toccato alcol, e Misato era ancora molto al di sotto della
sua soglia di saturazione, per cui erano entrambi lucidi, fatta salva la
stanchezza. Fu proprio grazie a questa lucidità che la donna si accorse che Shinji era particolarmente taciturno, specialmente riguardo
la sua nuova natura.
“Allora?” chiese, sorridendo. L’altro la guardò senza
capire. “Allora cosa?”
“Cosa ti cruccia, Shin-chan?”
“Niente di che…”
“Lo sai che non sei capace a mentirmi.”
“Hmm.”
“Quella non è una risposta.”
“Già, lo so.”
Per niente infastidito, forse perché solo molto stanco, Shinji raccontò a Misato
dell’anniversario della morte di sua madre e dei suoi
timori a riguardo. La donna lo ascoltò comprensiva, capendo finalmente che la
sua curiosità era fuori luogo.
Quando ebbe finito il ragazzo
sospirò e sorrise triste. “Ecco, questa è la mia triste storia.”
Misato sorrise a sua volta e gli
mise una mano sulla spalla. “Penso che Asuka ti abbia dato il consiglio giusto.
In fondo, l’opinione di una persona non dovrebbe essere
vincolante per noi, anche se si tratta di quella di nostro padre. Credo
che il Comandante può considerarti come vuole, ma per tutti noi sei sempre il
nostro caro Shin-chan.”
Concluse il suo breve discorso
arruffandogli i capelli con la mano libera, movimento che portò il ThirdChildren a sorridere in
modo diverso, rincuorato. “Lo terrò a mente quando mi recherò al cimitero,
signorina Misato,” disse,
visibilmente più sereno. La donna annuì e gli augurò la buona notte, appena in
tempo prima che l’alcol che aveva in corpo si facesse
sentire con veemenza. Mentre lei barcollava in cerca
della porta della propria camera, Shinji la guardò
allontanarsi, sorridendo stancamente.
Avete ragione tutte e due. E quando
incontrerò mio padre, glielo farò sapere.
Shinji era solo, davanti alla
tomba di sua madre, al cimitero. Aveva chiesto specificatamente a Misato di non accompagnarlo fin là, in modo che potesse
affrontare la cosa contando su se stesso. Il monolito scuro che usciva dal
terreno e che rappresentava la tomba priva di un corpo di YuiIkari sembrava un’ombra stagliata nel sole del
tramonto, a testimoniare con il suo vuoto tutto ciò che la morte di sua madre
aveva portato via alla vita di Shinji. Ma, e questo il ragazzo lo sapeva bene, non era affatto
colpa di Yui.
“E’ passato molto tempo,” disse una
voce alle sue spalle. Il ThirdChildren
non si voltò, poiché sapeva fin troppo bene a chi appartenesse.
“Buongiorno, papà.”
Gendo non rispose ma rimase
discostato, in silenzio. Solo dopo molti secondi trovò qualcosa da dire.
“Dovremmo comportarci in modo un po’ più affettuoso in queste occasioni?”
Shinji, però, non lo ascoltava.
Dentro di lui si scontravano emozioni contrastanti: la sofferenza che aveva
caratterizzato tutta la prima parte della sua vita consapevole, la nuova
determinazione che aveva ottenuto grazie ad Asuka e agli altri, la tristezza
per la coscienza di non avere più né un padre né una madre, la rabbia furiosa
che provava verso l’uomo alle sue spalle che, dal giorno in cui sua madre se
n’era andata, era diventato un estraneo. Nonostante
ogni momento rischiasse di essere soffocato da quella massa tumultuosa di
sentimenti, Shinji riuscì a resistere con tutte le
sue forze, ripetendosi nella mente che il suo valore non era determinato dal
giudizio di suo padre o di chiunque altro.
“Non dici niente?” lo incalzò con discrezione ed
indifferenza Gendo. Il ThirdChildren sapeva che, se non avesse detto nulla, suo
padre avrebbe posto fine alla conversazione e se ne sarebbe andato, così come
aveva sempre fatto in vita sua, perciò deglutì e decise di parlare, di dire in
una volta sola tutto ciò che per quegli anni si era tenuto dentro.
“Non ti è mai importato di me…” cominciò, “non ti sei mai
curato di me… ci sono molte cose di me che non sai.
Io…ho riflettuto molto ed ho deciso di mettertene a conoscenza. Ti metterò a
conoscenza di quanto mi concerne sin dalle origini. Mi chiamo ShinjiIkari. Sono nato il 6
Giugno 2001. Sono figlio di Yui e GendoIkari. Mia madre morì quando io ero molto piccolo.
Mio padre mi ha abbandonato. Sono rimasto orfano. Sono stato affidato in
custodia ad un Tutore Legale e ad inizio anno sono stato convocato presso la Nerv e sono divenuto il Pilota dell’Unita
Evangelion 01. Attualmente
studio alla scuola Media Pubblica di Neo Tokyo-3 e vivo presso l’abitazione del
Maggiore MisatoKatsuragi
insieme al Pilota dell’Unità Evangelion 02, Asuka SoryuLangley. Prima di arrivare qui, avrei dato più importanza ad un granello di polvere
piuttosto che a me stesso. E la colpa di questo…la attribuivo
a te, papà.
In fondo…cos’avrei mai potuto
aspettarmi da me stesso? ShinjiIkari?
ShinjiIkari…additato
da sempre come orfano.
Hai mai pensato che un bambino piccolo potesse attribuire a
se stesso la colpa quando i suoi genitori lo abbandonano?
Che non fosse colpa mia, l’ho
capito solo quando sono cresciuto. La mamma era morta in un incidente. Non fu
mia la colpa. E non fu colpa mia neppure il tuo
abbandono. Quale colpa poteva avere un bambino?
Avevo realizzato di essere libero
da colpe. Avrei dovuto essere sollevato. La mia pena
avrebbe dovuto cessare. Non è stato così. Se io non
avevo colpa…per quale motivo allora mi avevi abbandonato? Mi venne in mente una
sola parola per definirti: spregevole.
Ti ho odiato. Ferocemente. E ho
sofferto. Avrei potuto capire se tu mi avessi
abbandonato per una qualsiasi cosa che io avessi commesso… un qualunque
motivo…Solo ieri mi è venuta in mente questa ipotesi: mi hai abbandonato forse
perché la mia esistenza ti nausea? Mi odi perché forse non mi hai mai voluto e
se esisto è solo pervolontà della
mamma?”
Gendo tacque e nessuno parlò per
vari minuti.
Continuando a fissare il terreno ai piedi della lapide della
madre, Shinji lo incalzò con voce fredda.
“Rispondimi, papà.”
“No, Shinji. Non è così.” Rispose
allora la voce dell’uomo, con lo stesso tono utilizzato dal figlio.
“Come supponevo… Abbandonato senza
un motivo…Papà…perché?”
“Perché un uomo non può prendersi
cura di un altro essere dato alla vita se quell’uomo
stesso alla vita è inadatto, Shinji. Mentre tu, così piccolo, bramavi la vita, io ormai, da
quando tua madre se n’era andata, non facevo altro che bramare la fine. Non
potevo prendermi cura di te.”
“Però io ho sofferto, papà. Ho
sofferto in maniera inesprimibile. E di tutta quella
sofferenza...ormai ero stanco. Non volevo più soffrire. Non volevo più che gli
altri mi ferissero. Non volevo più cose spiacevoli. Alla fine ho capito…io stavo fuggendo. Stavo fuggendo dal dolore.
Stavo fuggendo dall’amarezza. Stavo fuggendo dalla realtà. Stavo fuggendo da
te. All’inizio, quando mi hai convocato per diventare un Pilota, ero venuto qui con l’intenzione di dirti solo che ti odiavo. Poi…ho
scoperto che tu volevi usarmi. Ma questo me lo
aspettavo. Mi avevi abbandonato e ti eri ricordato di me solo quando ti faceva
comodo.
Ti ho odiato ancora di più. Eppure, quanto ti odiassi,
quanto ti detestassi, non sono mai riuscito a dirtelo.
Non ci riuscivo. L’unica cosa che riuscivo a fare era
fuggire da te e dalla sofferenza di cui tu ormai avevi preso volto e nome. Per
me.
Come te avevo iniziato a bramare la
fine…convinto…che una nullità come quella che io, ShinjiIkari, rappresentavo non sarebbe mai valsa a nulla.
Alla fine iniziai a voler pilotare l’Eva perché in questo modo per qualcuno ero
importante. Perché ogni volta che vincevo venivo
apprezzato e lodato. Se come essere umano ero inutile
e nessuno si curava di me, divenendo un Pilota, sarei stato tenuto in
considerazione. Ma mi sbagliavo. Io sono diverso da
te. Perché ad un certo punto, io ho smesso di fuggire.
Sono qui per affrontarti, papà. Perché ho capito…che
io non sono quella nullità che credevo… io non sono una persona da usare solo
quando se ne ha bisogno. E di questo, ringrazio le
persone che me lo hanno fatto capire.
Non lo sai, papà. Ho una ragazza che amo con tutto me
stesso, così come lei ama me. Ho degli amici che per
me sono più preziosi dell’oro e che si preoccupano costantemente per me,
chiedendomi com’è andata ad ogni battaglia. E non per opportunismo, perché se
io non stessi bene, loro sarebbero condannati. Ma per il semplice fatto che io sono importante per loro. E poi c’è una donna a cui io voglio bene come una madre
elei ne vuole a me come se fossi suo
figlio. Ed oltre a queste ci sono ancora tante altre
persone che mi stimano e rispettano. Attraverso gli occhi di queste persone io
ho visto chi è in realtà ShinjiIkari.
ShinjiIkari non è una
nullità. ShinjiIkari non è
solo un Pilota. ShinjiIkari
esiste e per le persone che gli vogliono bene è importante. ShinjiIkari è una persona che può vivere migliorando se
stessa e maturando giorno per giorno. ShinjiIkari non è odiato, non è disprezzato, non è allontanato. ShinjiIkari sono io, papà.
Quando mi hai lodato dopo il combattimento con
l’Angelo ho creduto che fossi importante anche per te, per un momento. Ma poi
mi sono accorto che in realtà non era cambiato nulla e che forse quelle parole erano solo dovute ad un buon operato. Un buon operato svolto da un tuo Pilota. Non da tuo figlio. Però ora
non mi importa. Non mi importa
perché con o senza la tua approvazione, con o senza il tuo aiuto, io posso
vivere. Io sono importante anche senza essere un Pilota di Eva.
I miei amici, il Maggiore Katsuragi, Asuka, loro non
apprezzano solo il Pilota dell’Unità 01. Loro
apprezzano prima di tutto ShinjiIkari.
Guardami papà. Questo è ShinjiIkari.”
Il ragazzo si volse sorridendo verso la figura immobile del
padre. Ma quello di Shinji
non era un sorriso di scherno, né d’odio, né di disprezzo né di qualunque altro
sentimento negativo. Il sorriso del ThirdChildren era un sorriso quieto e sereno, come nessuno ne aveva mai visti. Era il sorriso di chi era libero da una
maledizione senza tempo. Gendo lo osservò: non era
possibile capire se al di sotto della sua maschera
impassibile e congelata avesse provato o meno qualcosa a quelle parole.
Senzaperdere il
sorriso, il ragazzo continuò con voce serena guardando suo padre negli occhi,
senza più alcun timore.
“Oggi ero venuto qui per dirti che
ti odiavo. Che ti odiavo per avermi abbandonato. Ma ora, sapendo come stanno le cose, non te lo dirò più. Non
ti odio per questo, papà. Però c’è dell’altro che voglio dirti.” Il sorriso di Shinji scemò poco
a poco e la sua espressione tornò seria. Placida e ferma come una quercia
secolare. “Quello che fugge sei tu, papà. In realtà sei tu il vero debole tra
noi due e per questo motivo, per avermi abbandonato, io ti perdono.
Perché non meriti che pietà da me.”
Il Comandante Ikari rimase
immobile e così suo figlio. Per diversi secondi nessuno dei
due si mosse, quindi Shinjiparlò di nuovo. “Si è fatto
tardi, io devo andare. Addio, papà. Arrivederci Comandante Ikari.”
“Addio, Shinji. Arrivederci, Third
Children.Fa un buon lavoro.”
Il ragazzo annuì con fare serio ma placido ed oltrepassò la
figura dal Comandante, allontanandosi verso il sole che volgeva al tramonto.
Gendo lo seguì con lo sguardo finchè non fu scomparso all’orizzonte, quindi mormorò
sottovoce “Per aver trovato la tua felicità…congratulazioni, Shinji. vivi quella vita che io
non riesco più a vivere.”L’uomo rimase
in silenzio per qualche istante, quindi si rivolse verso la lapide ed alzò lo
sguardo al cielo “Yui…sec’è qualcosa di cui possa essere felice ora…è che Shinji somigli a te. E non sia un debole come suo padre. Presto, Yui. Presto Rei mi ricondurrà da
te. E nessuno dovrà più soffrire come è successo a me
e a nostro figlio. Presto, Yui…presto…” Terminò con
voce ancora più bassa, quindi riprese a guardare il suolo ricominciando a
parlare solo dopo qualche minuto.“E’ ora che le lancette dell’orologio vengano
in qualche modo forzate… Rei…porta a compimento ciò per cui
sei nata e conducimi in fretta da Yui.” Concluse. Dopodichè tacque e volse le spalle alla lapide per poi
avviarsi verso l’elicottero che lo attendeva in lontananza.
Una volta arrivatovi, Rei lo guardò incuriosita ma discreta.
Gendo salì e diede ordine al pilota di partire. La
First Children rimase in silenzio,
rispettosa del dolore di un uomo appena tornato dalla tomba di sua
moglie. Però fu proprio il Comandante Ikari a rompere il silenzio. “Come va con Gabriel?”
Quella domanda la colse
completamente di sorpresa. Gendo non era mai stato una persona molto sentimentale, né le aveva
mai chiesto notizie dei suoi rapporti interpersonali. “Beh, bene,” rispose, cercando ancora di darsi una spiegazione.
“Piuttosto è la Dottoressa Akagi che mi preoccupa.”
Stupito, il Comandante si voltò verso di lei. “In che
senso?”
“E’ un po’ di tempo che la vedo strana, ma non saprei dirle in che modo. E poi mi sembra che abbia
cominciato ad ingrassare.”
L’uomo si fece pensieroso e tornò a guardare di fronte a sé.
“Grazie per le informazioni. Ne parlerò con lei.”
Rei continuò a fissarlo ancora un
po’, poi tornò a chiudersi nei propri pensieri, una volta capito che lo slancio
comunicativo di Gendo era terminato.
Lui attese che il ragazzo si fosse
allontanato, così come l’elicottero che trasportava il Comandante Ikari, prima di uscire dall’ombra della casa del custode
del cimitero, dove si era nascosto. Nessuno doveva sapere che era lì.
Lentamente attraversò il camposanto, scrutando attentamente
i nomi sulle lapidi, alla ricerca di una in particolare. Fra le sue mani c’era
un unico crisantemo, acquistato poco prima. Finalmente
raggiunse la sottile stele verticale recante il nome a lui sommamente caro.
Come ogni anno, l’uomo si guardò attorno, in modo da
controllare che non ci fossero curiosi che potessero tradirlo.
Fortunatamente, le poche persone presenti sembravano tutte interessate alle
lapidi dei propri cari, per preoccuparsi di un povero vecchio solitario.
Con gesti misurati pose il crisantemo alla base della
lapide, consapevole che il suo gesto era vuoto di significato. Sicuramente,
entro sera il custode del cimitero sarebbe passato a raccogliere i fiori
abbandonati senza un apposito contrassegno, gettandoli
via, ma era proprio su questo che l’uomo contava: così, la sua unica traccia,
l’unica testimonianza di ciò che provava in quel momento, sarebbe stata
cancellata. Triste, sorrise e si accucciò di fronte alla lapide.
“Buongiorno, Yui,”
disse, poi rimase in silenzio. Ad un osservatore casuale sarebbe sembrato in attesa di una risposta che non sarebbe mai arrivata. In
realtà, stava cercando qualcosa da dire, sebbene ogni anno da quel maledetto
giorno, al momento di rivolgersi a YuiIkari, le sue labbra restavano
serrate, incapaci di pronunciare le numerose parole che il suo cuore avrebbe
voluto rivolgerle.
“Ti sembrerà assurdo,” continuò,
infine, trattenendo le lacrime. “Un vecchio scienziato come me che spreca il suo tempo parlando con una lapide puramente
commemorativa come la tua. E che si commuove anche…”
Attese che il suo groppo in gola si sciogliesse,
biasimandosi per la sua emotività. In genere sapeva trattenersi ed apparire
quasi un’altra persona, ma quando era solo oppure con la sua Yui la sua maschera impassibile cedeva e tutte le emozioni
che aveva accuratamente celato erompevano alla superficie. Quando
si fu ripreso, spostò il crisantemo in modo che stesse meglio alla luce del
sole al tramonto, poi tornò a sorridere.
“Ad ogni modo, io sto bene, ed anche tuo marito e tuo
figlio. Anche se sembrano costantemente in guerra tra loro,
credo che in fondo si vogliano bene. Forse non lo sanno, ma io penso
proprio che sia così. Ah, stando a quello che dice il Maggiore Katsuragi, pare che Shinji si sia
fidanzato con la SecondChildren,
Asuka SoryuLangley. Dovresti esserne orgogliosa, sai? Non era da tutti fare
breccia nel suo cuore di ghiaccio. Come non era da tutti far innamorare un uomo
come GendoRokubungi al
punto da farlo mettere contro la Seele…”
A quel punto abbassò ulteriormente la voce con
circospezione, come se temesse di essere udito da qualcuno.
“A proposito di Gendo, a quanto
pare il suo progetto alternativo si sta sviluppando
celermente. Mancano ormai pochi Angeli, secondo le Pergamene, e per quando saranno tutti stati sconfitti credo che lui sarà pronto. Se
tutto dovrebbe andare secondo i suoi piani, allora
forse potremo rivederci. Ma se capiterà, non ti lascerò più andare.”
L’uomo fece un’altra pausa, riflettendo sulle proprie
parole. “A dire il vero,” riprese poi, “preferirei
quasi venirti a trovare qui l’anno prossimo. Dopotutto noi non conosciamo
veramente gli effetti del fenomeno che Ikari vuole
scatenare. Per questo, ho un po’ paura, Yui.”
Tornò a sorridere. “Se lo sapessi
mi prenderesti in giro, non è vero? Un uomo di scienza come me che ha paura dei
risultati di un esperimento? Vecchio, per giunta… Tu hai sacrificato la tua
vita nel pieno della tua giovinezza, con un bambino piccolo cui badare, e poi
sono io che dovrei aver paura…”
D’un tratto, l’uomo si rese conto
che qualcuno si stava avvicinando. Si trattava di una coppia che cercava con lo
sguardo una lapide vicino a lui, ma ai suoi occhi sembravano
una minaccia.
“Ora devo andare,” disse,
rivolgendosi di nuovo alla lapide di YuiIkari. Fece per raccogliere il crisantemo, poi esitò, ed
infine decise di lasciarlo lì. Non voleva privare il suo tesoro del regalo di quell’anno, anche se ciò comportava il remoto rischio di
essere scoperto. Si alzò, asciugandosi completamente gli occhi. “Spero di
rivederti presto, Yui. Anche se…
Anche se non so se sarà qui o in un altro luogo. Arrivederci, figlia
mia.”
Dopo un altro secondo, ma senza una preghiera, l’uomo si
allontanò dalla lapide della sua unica figlia, per tornare a svolgere le sue
regolari mansioni.
“Il soggetto non sembra propenso a tradirci,” terminò Hillmann, nella piccola
stanza in cui erano raccolti gli altri suoi colleghi.
“Non possiamo correre rischi,”
affermò uno di loro, un uomo piuttosto corpulento, il più giovane dei presenti,
con una voce profonda dall’accento cantilenante. “Già uno dei nostri dipendenti
sta seguendo i propri progetti a dispetto di questa commissione.”
“Se si riferisce al Comandante Ikari,” lo interruppe un ometto sulla sessantina, che fino ad
allora non aveva ancora parlato ma era rimasto curvo sulla propria sedia, come
un ragno in paziente attesa che la propria preda sia del tutto invischiata
nella ragnatela, “più tardi potremo discutere di alcune contromisure adeguate.”
“Esattamente,” intervenne
autorevolmente un altro uomo, che scrutava gli altri attraverso un congegno cibernetico impiantato di fronte ai suoi occhi.
Quella non era l’unica componente inorganica del suo
corpo, che dalla vita in giù sprofondava in una sedia a rotelle robotizzata
collegata direttamente al suo sistema nervoso. In realtà, non c’era più alcuna
persona vivente che sapesse quali altri elementi
tecnologici fossero contenuti in quel vecchio corpo. “La nostra priorità è la
traduzione della tavola. In base alle informazioni in essa
contenute decideremo come portare avanti la nostra strategia.”
Hillmann sorrise del suo solito
sorriso enigmatico. “Per l’appunto, il professor Kernberg
sta lavorando alacremente alla traduzione, e dubito che ci creerà problemi.”
L’uomo massiccio alla sua destra rise. “Non credo che
accetterà di buon grado la nostra presa in giro, quando scoprirà che le
pergamene che ha visto sono solo un altro falso.”
L’uomo cibernetico lo interruppe: per la maggior parte della
sua vita non aveva mai riso, e mal tollerava la propensione del suo collega
all’eccessiva esibizione di emozioni, specialmente
durante una riunione del comitato direttivo della Seele.
“Le vere Pergamene del Mar Morto sono al sicuro,
conservate all’interno del Moirai System: non
potevamo metterle in pericolo mostrandole ad un estraneo. Ciò che importa è che
Kernberg creda di poterle visionare.”
“Giusto,” concluse l’uomo basso,
annuendo alle parole del suo superiore. “Una volta che il suo lavoro sarà
finito prenderemo provvedimenti. E’ inutile preoccuparsene anzitempo.”
L’uomo corpulento prese atto dell’interruzione del suo moto di spirito con una scrollata di spalle: era ben consapevole
della sua posizione in seno a quel consiglio direttivo, e non era tipo da
perdersi in inutili giochi di potere. Ciononostante non perse il suo sorriso,
ben diverso da quello del collega tedesco: sembrava il ghigno crudele di un
predatore che attendeva impaziente di assalire la sua preda, mentre quello di Hillmann assomigliava a quello di un ‘benevolente’ scienziato che osserva le proprie cavie
dibattersi in preda all’agonia, in attesa di sezionarle. Ad ogni modo, il
cyborg, che sembrava avere l’aspetto più carismatico nonostante i suoi
handicap, non mutò di espressione. “Se è così,
possiamo procedere con l’ordine del giorno.”Si interruppe pensieroso, poi si volse verso una figura in
piedi nell’ombra, con indosso l’uniforme della Seele
ma il volto coperto da un velo che ne celava le fattezze, eccezion fatta per i
freddi occhi castani. Il berretto che portava calcato sul capo
non riusciva a celare del tutto la fronte, la cui pelle era raggrinzita come se
si fosse cicatrizzata male. Guardandolo, il cyborg dovette reprimere un moto di
perfida allegria: non permetteva a nessuna emozione di
trasparire dal suo volto biomeccanico, nemmeno quelle
che gli provocavano piacere. Ciononostante, non riuscì ad esimersi da una frecciatina malvagia. “Ammesso che lei non abbia qualcosa
da aggiungere, professor Katsuragi.”
La figura nell’ombra fremette e i suoi occhi mandarono lampi
d’ira, a stento trattenuta. L’unica reazione visibile che ebbe fu un vago
movimento del bastone argenteo cui si appoggiava con la mano destra. Per un
momento, gli altri membri della Seele si guardarono
stupiti, poi l’uomo anziano e ricurvo, che evidentemente aveva capito il
sottile sarcasmo del suo superiore, si lasciò andare ad un sorrisetto,
mettendo maggiormente in mostra le rughe del suo volto. “Presidente Keel, le ricordo che il professor Katsuragi
è morto quindici anni fa, durante il Second Impact.”
Keel riportò l’attenzione su di
lui, annuendo, piacevolmente sorpreso che qualcuno a parte lui notasse l’ironia delle sue parole. “Ha ragione, signor Lavoisier,” rispose. “Per un
attimo me ne sono dimenticato. Dunque, se non c’è altro possiamo proseguire.”
L’uomo nell’ombra fremette ancora sotto il velo che ne
nascondeva le fattezze sfigurate, giurando a se stesso che l’avrebbe fatta
pagare a quegli uomini senza scrupoli.
Continua….
[1] Un incunabolo è un
libro realizzato intagliando e stampando ogni singola pagina separatamente,
senza l’ausilio dei caratteri mobili, inventati successivamente da Gutemberg. Per questo motivo si tratta di volumi
inestimabili e, all’epoca della creazione, costosissimi.
[2] Oltre alla
rappresentazione dell’Albero della Vita, le dieci Sephiroth
della cabala ebraica possono essere rappresentate come dieci cerchi
concentrici, di cui il cerchio più esterno rappresenta la Sephirah
più “terrena” (Malkuth), mentre quello più interno
rappresenta la Sephirah più “divina” (Kether). Questo diagramma si chiama “emanazione divina”, ed
è quello rappresentato sul soffitto della sala appena descritta. La figura
umana, l’iscrizione in un pentagono e le numerose scritte in ebraico sono
invece elementi d’invenzione degli autori.
Capitolo 26 *** L'Ultimo Giorno dell'Uomo: Il Canto delle Ombre ***
CAPITOLO 25
CAPITOLO 25
L’Ultimo Giorno
dell’Uomo: Il Canto delle Ombre
“Dai, Asuka, perché
non vuoi darmi una mano?” chiese Shinji, esasperato, mentre si stavano recando
a scuola. La ragazza, ancora più scocciata di lui, sbuffò. “Perché avresti
dovuto studiare, Bakashinji, invece che continuare a flirtare con me!”
“Ma tu ci stavi sempre!”
“Cosa c’entra? Io il tempo per studiare l’ho trovato
comunque!”
“Ma…”
I due si zittirono quando notarono di aver attirato
l’attenzione di tutti i ragazzi della scuola, che si stavano radunando davanti
al cancello in attesa della campana. Ormai la loro relazione era di dominio
pubblico, ma ciò non toglieva che sentirli parlare in quei termini era
piuttosto imbarazzante per tutti. Mormorando qualcosa in tedesco con aria
decisamente furiosa, Asuka distanziò il suo ragazzo e fendette la folla fino a
perdersi tra le altre uniformi. Shinji, rimasto da solo, fu subito raggiunto da
Kensuke. “Comincia bene questa giornata, eh?” chiese questi, con aria
maliziosa. Il Third Children sospirò sconsolato. “Non è stata colpa mia, però…”
“Piuttosto, hai visto Toji?”
Shinji si riscosse. “Veramente sono un paio di giorni che
non lo vedo né lo sento… Non è che gli è successo qualcosa?”
Kensuke fece cenno di no, vigorosamente. “Figurarsi…
Scommetto che ha litigato con Horaki e per la vergogna è rimasto in camera sua
per tutto questo tempo.”
L’altro lo fissò stupefatto, mentre si recavano verso i
cancelli che si stavano aprendo. “Cosa intendi? Lui e la capoclasse litigano
sempre, ma non mi pare che se la prendano così tanto…”
Kensuke si bloccò mostrandosi scandalizzato; mentre Shinji
lo fissava sempre più perplesso, si piantò a gambe larghe, i pugni sui fianchi.
“Ma sei stupido??” lo apostrofò, inclinandosi in avanti. Ignorando gli sguardi
scettici dei ragazzi che passavano attorno a loro, il Third Children non si
fece impressionare. “Guarda, l’imitazione di Asuka non è il tuo forte.”
L’altro ragazzo scoppiò a ridere e ricominciò a camminare al
fianco dell’amico. In effetti era qualche giorno che Shinji era cambiato:
sembrava più sicuro di sé e più sereno, come se, lentamente ma inesorabilmente,
stesse diventando un’altra persona. Chi non lo avesse conosciuto fin dal suo
trasferimento difficilmente avrebbe immaginato che lui ed il ragazzo insicuro e
titubante che era stato fossero la stessa persona.
“Allora, si può sapere cosa intendevi?” chiese Shinji,
sempre ridendo.
“Dai, lo si vede chiaramente che quel tipo è innamorato
cotto della capoclasse!”
“Davvero??” Shinji era sinceramente sconcertato. Kensuke annuì
con foga. “Ti dico di sì! Non me l’ha mai confessato, ma si vede da come la
guarda, da come sospira quando non la vede, da come… Beh, ho finito gli esempi,
ma hai capito, no?”
“Sì, ho capito… La prossima volta che verrà a scuola non mi
farò scappare questo particolare.”
Ridendo, i due si affrettarono a seguire il flusso di
ragazzi attraverso il cortile fino all’ingresso della scuola.
“Ma cos’avete da ridere, voi due?” li rimproverò la
capoclasse, severa, vedendo che Shinji e Kensuke stavano ridendo di soppiatto
ai loro banchi. Fu il ragazzo occhialuto a prendere l’iniziativa. “Niente di
che, capoclasse, ridevamo solo delle avventure sentimentali di Asuka e del suo
boy-friend!”
Il sorriso del Third Children gli morì sulle labbra, mentre
la rossa, che aveva sentito benissimo, si avvicinava a grandi passi e
cominciava ad imprecare per metà in tedesco e per metà in giapponese. D’altro
canto, Hikari continuò a rimproverarli a ruota libera, senza badare al fatto
che ormai nessuno la stesse più ascoltando, dato che Shinji era occupato a
sostenere le bordate della sua ragazza e Kensuke se la stava ridendo di gusto
di fronte all’effetto che la sua piccola bugia aveva provocato.
In tale bailamme, poiché gli altri ragazzi della 2-A si
erano uniti agli schiamazzi provocati dai quattro litiganti, Gabriel e Rei si
affrettarono ad arrivare in classe, preoccupati. Una volta sulla soglia,
guardarono dubbiosi lo spettacolo che avevano di fronte agli occhi, poi Rei si
voltò verso il proprio ragazzo.
“Gabriel,” disse, “cosa credi che stia succedendo?”
L’altro esitò prima di rispondere. “Non saprei… forse Shinji
ha detto qualcosa di spiacevole ad Asuka e lei si è tirata dietro nel litigio
la capoclasse e tutti gli altri…”
La First Children rimase pensierosa per qualche attimo, poi
sorrise. “Beh, meno male che a noi non capitano queste cose.”
“Hai ragione,” fu la risposta di Gabriel, che la prese per
mano e si diresse verso i loro banchi. Motoko e le sue amiche, che avevano
preso le parti di Asuka contro il maschilismo di Shinji e Kensuke, non si
accorsero nemmeno che il Fourth Children e Rei erano entrati in aula ed avevano
già preso posto senza partecipare al trambusto generale, e di questo Gabriel
non poté che essere felice.
Quando arrivò Toji, Kensuke lo afferrò subito per un
braccio, trascinandolo con sé nella mischia, senza nemmeno preoccuparsi di
chiedergli come stesse dopo la sua assenza. Il ragazzo tentò di protestare, ma
senza successo. Solo quando Hikari lo vide cessò di sbraitare, allibita, e
dietro il suo esempio anche gli altri alunni si calmarono gradualmente. Tutti
lo stavano fissando a bocca aperta e Toji avrebbe desiderato di gran lunga
scomparire in quel momento.
“Suzuhara…” iniziò Asuka, titubante, già dimentica del
litigio con Shinji. “Ma cos’hai fatto alla faccia?”
L’interpellato chinò il capo, imbarazzato, e si passò una
mano sulla guancia, come aveva fatto molto spesso in quei due giorni. Sotto il
suo palmo la prima barba che gli era spuntata cedette, soffice, per poi tornare
nella posizione originale. “Beh,” tentò con poca convinzione. “Cosa volete, mi
sta spuntando la barba!”
Nessuno commentò, e Kensuke e Shinji fissarono
istintivamente il proprio sguardo su Hikari, cercando di notarne la reazione.
La ragazza infatti continuava a non spiccicare parola, e stava anche assumendo
un colorito decisamente rosso sulle guance. I due ragazzi si scambiarono
un’occhiata complice ma non dissero nulla.
Anche Rei e Gabriel stavano guardando stupefatti la scena:
in fondo, Toji era il primo dei loro compagni a cui era spuntata la barba, e
non era uno spettacolo molto comune.
“Avanti,” disse quest’ultimo, esasperato. “Smettetela di
fissarmi! Guardate che succederà anche a voi, o ai vostri fidanzati!”
Mentre nell’aula scoppiava una nuova bagarre incentrata
sulle proteste delle ragazze, che si dichiaravano prive di legami sentimentali
e nemmeno interessate, Rei tornò a guardare Gabriel, con un timido sorriso.
“Chissà come staresti tu con la barba…” disse accarezzandogli dolcemente una
guancia. Lui la guardò divertito ma simulando l’attesa di un responso, e lei
dopo un attimo di finta valutazione critica scosse la testa. “No, mi piaci di
più così.”
“Davvero può essere dimesso??” chiese Misato, le mani
strette sul colletto del camice di Ritsuko. La bionda se la scostò di dosso, un
po’ indispettita. “Sì, Misato, ma mi raccomando…”
Lasciò cadere il discorso, ma il Maggiore la guardò senza
capire. “Cosa?”
“Deve riposare, altrimenti la sua guarigione sarà
compromessa, quindi…”
“… Quindi?”
“… Quindi, dovresti evitare di sottoporlo ad eccessivo
stress…”
Misato ancora non capiva. “Ti sembro una persona che
sottoporrebbe a stress il mio fidanzato in via di guarigione?”
Ritsuko sospirò esasperata. “Guarda che per stress intendo
anche l’affaticamento, di qualsiasi tipo esso sia, anche… di QUEL tipo… hai
capito ora?”
Il Maggiore comprese ed annuì vigorosamente. “Ah sì, sì… Ma
per quanto tempo…?”
“Finché non darò un nuovo parere medico.”
Sconsolata, Misato annuì nuovamente ed uscì dallo studio
dell’amica.
L’arrivo del professore sedò gli animi e fece in modo che la
situazione tornasse alla normalità. Non volle sapere il motivo di tanta
agitazione, e dal canto suo non notò nemmeno la barba di Toji, ma iniziò subito
a spiegare con cipiglio, pensando in questo modo di punire adeguatamente i ragazzi
indisciplinati.
D’altronde Kensuke continuava a stuzzicare sottovoce lo
sportivo amico di sempre, sia prendendo in giro la sua nuova barba sia
sottolineando come Hikari fosse arrossita bruscamente quando l’aveva visto.
Toji cercava di farlo tacere in tutti i modi, ma non poteva riuscirci senza
fare a sua volta abbastanza rumore da attirare l’attenzione del professore,
perciò si limitava a subire in silenzio le frecciatine del suo amico, che
evidentemente si divertiva un mondo.
Shinji intanto era finalmente riuscito a spiegare ad Asuka
che non aveva raccontato niente di compromettente a Kensuke, e la ragazza si
ripromise di farla pagare a quel bugiardo quattrocchi. Rei e Gabriel invece
erano rimasti poco toccati dalle vicende del giorno, perciò non trovarono
eccessiva difficoltà a prestare attenzione alla spiegazione ed ignorare gli
altri. Chi sembrava piuttosto strana era Hikari: di solito lei era la prima a
stare a sentire il professore, ed eventualmente a spalleggiarlo quando i suoi
compagni davano fastidio; questa volta invece si distraeva facilmente,
prestando orecchio più alle parole che sentiva sussurrare dalle proprie
compagne pettegole o dai ragazzi circa il suo arrossimento precedente, anziché
alle parole del professore.
Fu in questa situazione che risuonò l’allarme in tutta la
scuola ed in tutta la città, ed i Children seppero che un altro Angelo stava
attaccando.
Misato si bloccò lungo il corridoio sentendo l’ormai
familiare sirena assordarla ed accompagnarsi alla luce rossa che segnalava l’entrata
in stato d’allerta della base. Si voltò e scambiò un rapido sguardo con
Ritsuko: ora entrambe le donne erano serie e consapevoli del pericolo che
stavano correndo.
“Andiamo,” sussurrò il Maggiore Katsuragi, e l’altra donna
annuì, seguendola in sala comando.
Qui l’allarme era stato messo in stand-by, in modo da non
disturbare il lavoro degli operatori, e sia Gendo che Fuyutsuki erano già ai
loro posti, supervisionando le operazioni.
“L’obiettivo si sta avvicinando in volo ad una velocità
media di tre chilometri l’ora!” annunciò Maya, scrutando febbrilmente i dati
che passavano sui suoi schermi. “Tempo stimato per l’arrivo all’apice del
Geo-Front: due ore e quarantasette minuti alla velocità attuale!”
“Diagramma d’onda… arancione!” sbottò Makoto, incredulo,
attirando su di sé lo sguardo di tutti i presenti. Il silenzio scese sulla sala
di comando.
“Cosa significa?” chiese Misato. Fu Ritsuko a rispondere.
“Vuol dire che non è un Angelo… Ma se non lo è, allora…?”
“Proiettare l’immagine sullo schermo olografico,” ordinò
Gendo, impassibile. All’istante Shigeru eseguì e lo spazio vuoto di fronte alle
piattaforme dei Magi fu invaso dall’immagine della città assolata, su cui si
librava pressoché immobile una grande sfera, la cui superficie era solcata in
maniera regolare ma complessa da striature bianche e nere.
“Presenza di A.T. Field… non rilevata,” proseguì Makoto,
sempre più disarmato. “I sensori danno letture strane.”
“Si spieghi,” ordinò Gendo perentorio.
“I dati riguardanti la forma e l’aspetto dell’Angelo… o di
qualsiasi cosa sia, sono congrui, ma quelli riguardanti la massa, la densità e
la composizione oscillano come se… come se quell’essere
al tempo stesso fosse presente e assente…”
“Il diagramma d’onda presenta oscillazioni simili?” volle
sapere Ritsuko.
“No,” fu la risposta. “E’ stabilmente arancione, su questo
non ci sono dubbi.”
Il gruppo di uomini e donne nella sala comando rimase in
silenzio ad osservare il misterioso fenomeno, senza riuscire a trovare una
risposta alle molteplici domande che affollavano i loro pensieri.
“Lo stato delle contromisure?” chiese Misato.
“Le difese cittadine non rilevano la presenza dell’Angelo,”
rispose Shigeru. “Gli Evangelion sono invece pronti al lancio, ed i Children in
arrivo attraverso la piattaforma 5.”
Il Maggiore si concesse un momento di respiro.
Sembra che questa volta il tempo non sia un problema. Ma
il rischio che la situazione precipiti è comunque molto alto.
…
Scusami, Satoshi, ma devo farlo.
“Ordinare l’evacuazione dell’ospedale della Nerv.”
Makoto, che avrebbe dovuto trasmettere l’ordine, esitò un
secondo. Sebbene la quasi totalità dei civili venisse evacuata come procedura
standard durante l’attacco di un Angelo, in genere coloro che si trovavano
all’interno del Geo-Front, e quindi della base e dell’annesso ospedale, erano
considerati relativamente al sicuro. Il fatto che Misato volesse far evacuare
l’ospedale nonostante la situazione non fosse critica poteva solamente essere
il tentativo di mettere il più al sicuro possibile Satoshi.
“Agli ordini,” rispose quasi subito Makoto, digitando una
sequenza di tasti sul proprio terminale. Scacciò immediatamente la punta di
amarezza che aveva provato: sapeva già molto bene di non avere alcuna speranza.
Zoppicando, Satoshi era uscito dalla sua camera non appena
era risuonato l’allarme. Vedeva ovunque infermieri e medici che si affannavano
per tenere tranquilli i pazienti, assicurando che il luogo dove si trovavano
era il più sicuro disponibile.
Ammesso che ci possa essere un luogo veramente sicuro, in momenti
come questo.
La gamba destra gli faceva ancora molto male, sebbene grazie
alle cure più innovative che potessero essere trovate la maggior parte delle
sue ferite era ormai guarita. Appena era stato possibile aveva rifiutato l’uso
della carrozzina, preferendo di gran lunga zoppicare sopra un paio di stampelle
che farsi trasportare in giro da chi si prendeva cura di lui. Tuttavia, così
facendo, era piuttosto lento, e non avrebbe potuto battere in velocità un
medico che l’avesse inseguito per impedirgli di fare ciò che stava facendo.
Perché era sicuro che Misato volesse di nuovo metterlo al riparo, e lui non
aveva nessuna intenzione di lasciarla da sola, questa volta.
“Attenzione, evacuare immediatamente l’ospedale e radunarsi
al punto di raccolta B-5. Questa non è un’esercitazione. Attenzione…” ordinò a
ripetizione la voce automatica del sistema di controllo.
Come volevasi dimostrare. Misato… stai diventando
prevedibile.
Nonostante la situazione Satoshi riuscì a sorridere: lei era
sempre pronta a preoccuparsi per gli altri. Ma questa volta non sarebbe rimasta
da sola ad affrontare il pericolo.
Guardò il corridoio che portava ad una delle uscite
d’emergenza di quel reparto: il personale sarebbe stato impegnato per un po’ a
radunare i pazienti, per cui non avrebbe dovuto correre il rischio di essere
scoperto. L’uomo strinse i denti: non sarebbe stato facile, ma non c’era alcuna
potenza al mondo che potesse fermarlo, una volta che si metteva una cosa in
testa.
Cercando di fare il più in fretta possibile, raggiunse
l’uscita di sicurezza e, dopo aver controllato che nessuno l’avesse notato, si
dileguò dal corridoio.
Ansimando, Shinji terminò di indossare la propria plug suite
ed inforcò il diadema di connessione. Lui e gli altri Children avevano corso a
perdifiato per raggiungere l’elevatore che li aveva trasportati alla base della
Nerv, e non aveva ancora avuto tempo di riprendersi. Anche Gabriel, vicino a
lui, terminò di vestirsi e si asciugò la fronte imperlata di sudore.
“Ok, ce l’abbiamo fatta,” commentò quest’ultimo, piegandosi
ed appoggiando le mani alle ginocchia per riprendere fiato.
“Tu e Rei salirete di nuovo insieme?” chiese Shinji, mentre
effettuava i controlli di rito alla propria tuta. L’altro ragazzo esitò a
lungo, poi scosse la testa. “Credo che darei dei problemi alla Dottoressa
Akagi, se mi impuntassi di nuovo,” concluse, sorridendo amareggiato.
Non posso rischiare di metterla in percolo... se l'Angelo
dovesse provare di nuovo a contattarmi...non so cosa potrebbe accadere...maledizione, mi sento così inutile!
Shinji lo fissò stralunato. “Come, non salirai con Rei?”
Gabriel scosse di nuovo la testa, fermamente. “Te l’ho
detto: le altre volte è andata bene, ma questo non ci assicura che la presenza
di due piloti nella stessa entry plug sia priva di rischi. Capisci?”
Il Third Children si rabbuiò. “Sì, io capisco. Mi domando
solo se capirà Rei.”
“Capirà cosa?”
I due ragazzi si voltarono all’unisono verso l’entrata dello
spogliatoio, dove Asuka se ne stava a gambe larghe, lo sguardo severo su di
loro ed i pugni appoggiati come di consueto sui fianchi. Dietro di lei, Rei
sembrava esprimere una muta domanda con lo sguardo.
“Asuka!” esclamò Shinji, arrossendo lievemente, “questo è lo
spogliatoio dei maschi, che ci fai qui??”
“Nel caso non te ne fossi accorto,” rispose acida la
ragazza, “siamo sotto attacco, per cui sono venuta a darvi una mossa, visto che
non ve la date da soli. Ma ditemi un po’, ora, cos’è che Rei dovrebbe capire?”
Consapevoli che non potevano tirarsi indietro, i due ragazzi
chinarono il capo, con aria colpevole. La Second Children stava per incalzarli,
ma fu anticipata da Rei stessa, che fece un passo in avanti superandola.
“Oggi non salirai sullo 00, ho ragione?” chiese rivolgendo
uno sguardo ed un sorriso dolci a Gabriel. Questi, stupito, la fissò e rispose
un po’ in ritardo. “Credo… credo sia meglio così. Finora ci è andata bene, ma
non sappiamo ancora cosa potrebbe comportare la presenza di due piloti nella
stessa entry plug, per cui…”
Rei alzò una mano e scosse il capo, zittendolo con dolcezza.
“Ho capito, non c’è bisogno di spiegazioni. A dirti il vero qualche paura
l’avevo anch’io, quindi capisco bene il tuo punto di vista. E poi, non manca
molto all’arrivo dell’unità 03, quindi tra poco avrai un Evangelion tutto tuo.”
Si fermò, poi sorrise cercando di dare un tono scherzoso
alle sue parole. “Per questa volta l’ho avuta vinta io.”
Nessuno rise a quella battuta, ma la First Children se
l’aspettava: ora la cosa più importante era salire sugli Eva e salvare il mondo
ancora una volta.
… E salvare te, Gabriel.
Stavano per uscire dagli spogliatoi quando Gabriel prese per
mano Rei. “Ragazzi,” disse, rivolto agli altri, “noi vi raggiungiamo subito.”
La First Children lo guardò sorpresa ed un po’ preoccupata,
mentre Asuka sbuffò. “Fate in fretta, non c’è tempo da perdere.”
Il Fourth Children annuì ed attese che gli altri due si
fossero allontanati, poi si voltò verso la sua ragazza, guardandola serio negli
occhi. “Rei,” iniziò, “non è per codardia che oggi non salirò con te sull’Eva.
Quello che in realtà temo è che possa succedere nuovamente ciò che è accaduto
con Yrouel… con l’undicesimo Angelo, nelle unità di simulazione. Se dovessi
attirare anche quest’Angelo in modo che tenti di entrare in contatto con me
attraverso l’Evangelion… Non voglio metterti in pericolo, Rei. Non voglio
correre questo rischio.”
La ragazza guardò la sua espressione estremamente decisa e
tormentata. “Lo so,” rispose, sorridendogli comprensiva ed accarezzandogli una
guancia. Lui le prese il volto tra le mani. “Fa’ attenzione,” disse, “e ritorna
da me.[1]”
Lei non ebbe modo di rispondere, poiché il giovane la
coinvolse in un bacio appassionato. Quando si separarono Rei era senza fiato.
“Ritornerò,” disse d’un fiato, quando si fu ripresa, guardandolo negli occhi. “Ed
allora ti restituirò questo bacio.”
“Ed io sarò qui ad aspettarti,” rispose lui, finalmente
sorridendo sollevato.
Chi fosse appena arrivato a Neo Tokio-3 avrebbe pensato
subito a qualcosa di anomalo: anche se era conosciuta come una città fortezza,
restava comunque un centro abitato, per cui ci si sarebbe potuto aspettare di
sentire il rombo di un’auto in lontananza, la risata di un bambino, oppure un cane
che abbaiava, nell’aria caldissima di quell’estate senza fine. Invece l’intera
città taceva, eccezion fatta per l’onnipresente canto delle cicale, al punto
che si sarebbe potuto credere che fosse solo un miraggio di cemento ed acciaio,
sospeso nell’aria ondulata dal calore. Poi l’eventuale osservatore avrebbe
sollevato gli occhi al cielo e sarebbe rimasto a bocca aperta di fronte
all’enorme sfera bianca e nera che si stagliava quasi immobile nel cielo terso:
qualcuno avrebbe potuto definirla un’allucinazione, qualcun altro una sorta di
velivolo simile ad una mongolfiera, ma nessuno sarebbe riuscito a svelare il
suo mistero.
Nel costante rumore di fondo delle cicale risuonarono dei
tonfi sordi ripetuti, resi fiochi dall’ampiezza dell’ambiente ma che
suggerivano il rimbalzare di qualcosa di tremendamente grande. Eppure, quei
‘passi’ avevano un che di furtivo. All’improvviso si udì un assordante stridio
metallico, che però non produsse alcun effetto sulla sfera misteriosa.
“Asuka!” comunicò Misato via radio. “L’Umbilical Cable si è
impigliato in un angolo, fai attenzione.”
La Second Children soffocò un’imprecazione e si voltò.
Attraverso la realtà virtuale della connessione neurale con l’Evangelion,
riuscì a distinguere il grosso cavo d’alimentazione che si tendeva tra lei e lo
spigolo di un edificio.
“Non preoccuparti,” continuò il Maggiore. “Sei vicina al
Reserve Cable 5, sganciati e ricollegati. Ricordati che hai solo cinque minuti
per completare l’operazione.”
“Ma per chi mi hai presa?” chiese Asuka, sicura di sé. “In
cinque minuti io ti posso radere al suolo questa città.”
Dalla base non giunsero commenti, per cui la ragazza decise
di lasciar perdere e distaccò l’Umbilical Cable, la cui caduta al suolo fu
ammortizzata dai razzi automatici di stabilizzazione. Accanto a lei un basso
edificio si aprì con un sibilo, in modo che potesse afferrare l’impugnatura del
cavo di riserva per innestarne l’estremità sulla schiena del suo Evangelion.
Compiuta l’operazione, Asuka constatò che aveva impiegato solo ventisei secondi
e sorrise con aria di sfida alla telecamera che inviava la sua immagine alla
sala comando.
“Eccellente,” fu l’unico commento di Misato, che ignorò
l’espressione contrariata della Second Children e passò agli altri piloti.
“Rei, Shinji, come procede l’operazione?”
“Mi trovo al punto B7,” comunicò Rei, una piccola goccia di
sudore che si discioglieva nell’LCL. “Sono in vista dell’obiettivo.”
“In avvicinamento sulla direttrice T8, cento metri dal punto
B15,” rispose Shinji.
“Sei un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, Shinji,”
disse Misato. “Raggiungi al più presto la tua postazione ed attendi istruzioni.”
Il Third Children deglutì ed allungò di poco il passo,
facendo vibrare le automobili abbandonate lungo la strada. L’Angelo, ammesso
che di un Angelo si trattasse, sembrava non aver subito cambiamenti durante
quell’estenuante ora di avvicinamento furtivo. Era sempre sospeso alla stessa
altezza, e solo confrontando minuziosamente la sua sagoma con quella degli
edifici era possibile indovinare che si stesse muovendo.
Dalla sala comando, anche Gabriel era in attesa,
ufficialmente pronto ad entrare in campo in qualità di pilota di riserva, ma in
realtà molto preoccupato per ciò che vedeva nello schermo tridimensionale: non
era affatto normale che un Angelo rimanesse così quieto per tutto quel tempo.
Sempre ammesso che di un Angelo si trattasse, dato il suo diagramma d’onda
arancione.
“In posizione,” comunicò Shinji quando ebbe raggiunto la sua
postazione.
“Idem,” gli fece eco Asuka, che a sua volta si era portata dove
le era stato ordinato.
“Bene,” replicò Misato. Poi, rivolgendosi agli Operatori in
sala comando, continuò. “Variazioni allo stato dell’obiettivo?”
“Negativo,” rispose Makoto.
“D’accordo. Diamo inizio all’operazione,” ordinò il
Maggiore.
“Roger!” fu la risposta contemporanea dei tre Children a
bordo dell’Evangelion.
Con un sospiro che produsse una visibile onda nell’LCL in
cui era immerso, Shinji mosse il primo passo verso l’obiettivo. Lentamente
sollevò la BShot, la pistola manuale per Evangelion modellata sulla Beretta,
fino a puntarla verso il centro della sfera bianca e nera che costituiva il
bersaglio e, dopo aver preso accuratamente la mira, fece fuoco. Secondo il
piano elaborato da Misato, in base alla sua reazione a quel primo colpo si
sarebbe deciso come proseguire l’operazione secondo una rosa di possibili
alternative, che andavano dall’autodistruzione della base ai festeggiamenti per
l’annientamento dell’Angelo. Ma successe una cosa che nessuno si era aspettato,
nemmeno Ritsuko, che aveva studiato i dati sull’obiettivo per un tempo
interminabile.
L’Angelo non sviluppò un A.T. Field, ma nemmeno venne
colpito; scomparve semplicemente nel nulla. Shinji era ancora a bocca aperta,
ammutolito, quando un’ombra immensa lo ricoprì e si rese conto con orrore che
l’Angelo si era rimaterializzato esattamente sopra la sua testa. Senza
ascoltare le grida concitate che gli venivano dall’altoparlante, il ragazzo
sollevò l’arma per sparare nuovamente, tentando di gettarsi di lato per evitare
qualsiasi possibile attacco, ma rimase spiazzato per la seconda volta. Il
terreno sotto i suoi piedi cedette, come se si fosse trovato nelle sabbie
mobili, e cominciò ad affondare.
“Che diavolo…?” sbottò, abbassando lo sguardo. La sua
esclamazione di sorpresa fece eco a quella di Misato e di tutti gli altri
occupanti della sala comando della Nerv. L’ombra dell’Angelo lo stava
inghiottendo.
“Shinji!” gridò Asuka, abbandonando la propria posizione e
correndo in soccorso del proprio ragazzo. Questi si sforzò di trarsi fuori da
quel pozzo oscuro che minacciava di inghiottirlo, ma proprio come nelle sabbie
mobili normali, ogni suo sforzo lo faceva affondare di più. Ormai era già
immerso fino a metà stinco in quella sostanza nera.
Nella sala comando, intanto, gli Operatori ticchettavano
frenetici, cercando di ottenere tutte le informazioni possibili su quel
fenomeno assurdo per trovarvi una soluzione.
“Cosa diavolo sta facendo l’Angelo??” sbottò Misato.
“Non lo so, non ci capisco niente!” rispose Makoto.
“Dall’ombra dell’Angelo si è sviluppato una sorta di anti-A. T. Field, che sta
risucchiando lo 01!”
“Com’è possibile??” volle sapere il Maggiore. Intanto,
Ritsuko scrutava con gli occhi sbarrati i dati che scorrevano sugli schermi.
“Forse…” sussurrò.
“Forse cosa??” chiese Misato, che invece continuava a
fissare l’immagine dello 01 che affondava nell’ombra dell’Angelo, centimetro
dopo centimetro.
“Maya,” proseguì la scienziata, ignorando la richiesta di
spiegazioni. “Concentra i sensori sull’ombra, svelta!”
Sebbene non comprendesse la natura di quell’ordine,
l’Operatrice obbedì, e subito anch’essa esclamò per la sorpresa. “Quella… E’
un’entità fisica!”
“Ed ha un proprio A. T. Field inverso ed un proprio
diagramma d’onda blu,” terminò Ritsuko per lei.
Per un tempo che parve infinito nessuno fiatò, tutti erano annichiliti
dalla portata di quella rivelazione.
“State dicendo…” riprese Misato, “che l’Angelo in realtà è
l’ombra? E quella dannata palla che diavolo è??”
Ritsuko stava per rispondere, ma nella sala comando risuonò
il grido di rabbia di Asuka. “Teufel[2]!!”
Mentre alla base si scopriva la vera natura del nemico, la
Second Children aveva raggiunto lo 01 e ne aveva afferrato una mano tirandolo
verso di sé. Gli aveva fatto guadagnare qualche metro, ma aveva cominciato a
sprofondare a sua volta, insieme all’asfalto che si era infranto sotto il suo
peso.
“ADESSO BASTA!!” sbottò di nuovo la ragazza, rossa in volto.
Lo 02 lasciò l’altro Evangelion, che riprese ad affondare più rapidamente tra
le grida di panico del pilota, e subito dopo gli montò sulle spalle, spiccando
un balzo verso la sfera che si librava immota nell’aria. Senza badare alle
grida di dolore di Shinji, provocate dal suo salto, Asuka riuscì a raggiungere
l’altezza di quello che credeva essere l’Angelo e l’afferrò con le mani. Aveva
una consistenza strana, sembrava quella di una bolla di sapone
straordinariamente spessa, ma non si infranse né scomparve. Per qualche assurdo
momento, lo 02 rimase appeso alla sfera. Poi questa cominciò a precipitare al
suolo. La sua superficie si incrinò e si strappò come un tessuto, riversando
fuori dalla ferita un liquido rosso del tutto simile a sangue. Intanto,
‘l’ombra’ sottostante sembrò ribollire e si increspò.
In sala comando nessuno riuscì a parlare, né per incitare
Asuka né per ordinarle di smetterla. Una singola goccia di sudore scese lungo
la tempia del Comandante Ikari, altrimenti impassibile. Poi l’urlo di agonia di
Shinji imperversò nelle orecchie di tutti coloro che stavano ascoltando, e lo
01 si contorse nella morsa dell’Angelo, che ormai l’aveva raggiunto alle
ginocchia.
“Shinji!” chiamò Misato, disperata, per poi rivolgersi
all’altra Children. “Asuka, smettila subito, l’Angelo sta divorando lo 01! Rei,
fa qualcosa!”
La First Children, che era stata troppo lontana dal luogo
dell’azione per intervenire in modo significativo, aveva già cominciato a
muoversi verso gli altri due Evangelion, ed ora si trovava praticamente alle
spalle di Shinji. Con poche altre falcate lo raggiunse e lo afferrò ai polsi,
tirando indietro con tutta la sua forza. Entrambe le macchine caddero sulla
schiena, ma Rei riuscì a puntellarsi con le gambe contro due edifici, quasi
demolendoli, ed a fare forza per trascinare via lo 01. Shinji, invece, si
divincolava in preda agli spasmi di un dolore insopportabile. In sala comando,
Gabriel strinse i pugni e digrignò i denti.
Resistete, ve ne prego…
Nel frattempo, Asuka era quasi arrivata a toccare la
superficie nera dell’Angelo con i piedi, e si contorse in aria con un poderoso
colpo di reni, cercando di ribaltare le posizioni. La manovra era pressoché
impossibile, ma riuscì comunque a far toccare ‘l’ombra’ e la sfera quasi nello
stesso momento in cui lo 02 cominciava ad essere assorbito a sua volta.
“Ingoia questo, bastardo!” sputò la ragazza, stringendo i
denti per la fitta di dolore ai piedi.
Nel momento in cui la sfera toccò l’Angelo, essa si contorse
con un rumore osceno di carne strappata, e tutta la sua estensione fu
attraversata da un reticolo di crepe sanguinanti. Contemporaneamente anche ‘l’ombra’
si infranse, eruttando fiotti di sangue dagli innumerevoli squarci che si
stavano aprendo. L’esplosione che seguì sovrastò di gran lunga l’urlo dei due
Children sofferenti, ma durò pochi istanti, durante i quali le due entità
aliene sembrarono fondersi e divorarsi a vicenda. Un attimo dopo l’Angelo e la
sua ombra, qualunque delle due forme essa fosse, erano scomparsi, lasciando
dietro di sé enormi macchie rosse e vaste crepe sull’asfalto e sugli edifici
che erano stati toccati durante l’attacco. I tre Evangelion giacevano scomposti
al suolo. Lo 00 non aveva subito danni, e lo 02 presentava evidenti danni alla corazza
dei piedi. L’armatura dello 01, invece, era infranta all’altezza delle
ginocchia e lasciava vedere, poco più in basso, la sostanza simile a carne ed
ossa di cui era formato il vero e proprio corpo della macchina.
“Cessata ogni attività da parte dell’obiettivo,” espose
Makoto, trattenendo a fatica l’euforia. “Il dodicesimo Angelo è stato
distrutto!”
Misato trasse un profondo sospiro di sollievo, mentre nella
sala comando esplodeva un applauso, anche in considerazione del notevole gesto
di Asuka. Sorridendo, anche Maya e Shigeru cominciarono ad enunciare la
situazione del campo di battaglia, leggendo i dati sui loro schermi. Solo
Gabriel e Ritsuko, per motivi diversi, erano ancora sulle spine: il primo
perché troppo in ansia per le condizioni di Rei e dei suoi amici, la seconda
perché per sua natura dubitava che la situazione si fosse risolta così
facilmente.
“Condizioni dei piloti,” enunciò Shigeru, ed il sorriso gli
morì sulle labbra. “Shinji ha perso conoscenza! Rilevate cospicue fluttuazioni
dei tracciati neurali! Mio Dio, è in coma!”
L’atmosfera si congelò subito, e solo allora, dopo aver
concentrato gli sguardi sull’immagine dello 01, tutti i presenti notarono che,
poco sotto le ginocchia, il suo corpo terminava nel nulla.
“Mio Dio, Shinji!” esclamò Misato, quasi in lacrime. “
Espulsione dell’entry plug! Mandate subito una squadra di soccorso, presto!”
In risposta al suo ordine la testa dello 01 si piegò in
avanti e la corazza posteriore si spostò, permettendo alla capsula contenente
il pilota di uscire. Contrariamente alla procedura standard, l’LCL non fuoriuscì,
poiché il suo costante afflusso avrebbe permesso una continua irrorazione di
ossigeno dei polmoni anche durante un arresto respiratorio. Lo 02 estrasse a
forza la capsula di Shinji dalla sua sede e la posò delicatamente a terra,
mentre Asuka sciorinava una lunga sequenza di imprecazioni in tedesco. Misato
uscì subito dalla sala comando per raggiungere il suo tutelato il prima
possibile, e Gabriel la seguì a ruota per ricongiungersi ad Asuka e,
soprattutto, a Rei, in quel momento difficile. Fuyutsuki deglutì rumorosamente
a causa dell’ansia e scrutò il volto seminascosto dalle mani del suo superiore:
non vi scorse alcuna emozione, e dovette reprimere un brivido.
Kernberg aveva la schiena a pezzi, ma non voleva, non poteva
smettere di lavorare, e non per necessità corporali. In un gesto di generosità,
i suoi carcerieri gli avevano concesso un secchio che veniva ritirato ogni ora,
disinfettato e riportato, quindi da quel punto di vista non doveva più
preoccuparsi. Forse si erano accorti che i metodi del sedicente Professor
Hillmann erano decisamente in contrasto con ogni forma di convenzione
internazionale sul trattamento dei prigionieri, ragion per cui avrebbero corso
il serio rischio di passare grossi guai con le Nazioni Unite se fossero stati
scoperti; oppure avevano semplicemente capito che lui non poteva assolutamente
lavorare in quello stato, in barba a ciò che aveva detto il suo connazionale.
Il vero motivo per cui non poteva smettere di lavorare era
che non riusciva a togliersi dalla mente la portata eccezionale di quella
scoperta. Aveva già scartato numerose traduzioni in quelle dieci ore di lavoro
ininterrotto, ma aveva comunque capito che il testo inciso seimila anni prima
su quella stele era effettivamente la versione più straordinariamente chiara e
dettagliata del racconto della creazione su cui avesse mai posato gli occhi.
Per l’ennesima volta si raddrizzò, concedendosi solo una
smorfia di dolore a causa della schiena, ma non esitò un attimo. Rilesse a
bassa voce il testo che aveva tradotto in tedesco, scosse la testa e gettò il
foglio che aveva in mano sulla pila disordinata formata dalle precedenti
ipotesi di traduzione.
Si trattava di una grandiosa sfida intellettuale oltre che uno
dei momenti cruciali della storia dell’antropologia, dovette ammetterlo. La
lingua era una sorta di dialetto arcaico dell’ebraico, ma presentava
particolarità fonologiche e morfologiche che lo studioso difficilmente avrebbe
potuto spiegare ad un’assemblea di colleghi. Mentre la quasi totalità delle
lingue umane presentava contaminazioni più o meno corpose dovute al contatto
con le altre culture, in quel testo erano rappresentati simboli e fonemi che
Kernberg non aveva mai visto prima. Sembrava quasi che non fosse un semplice
dialetto ebraico, influenzato dalle culture che seimila anni prima occupavano
le terre circostanti a Qumran, ma che fosse una lingua a se stante, dalla quale si sarebbero differenziate
successivamente i diversi idiomi della regione.
“Una specie di linguaggio di Babele,” ragionò a voce alta
con un sorrisetto nervoso. Secondo il mito biblico, infatti, prima della
costruzione della Torre di Babele tutte le genti umane parlavano una sola
lingua. La differenziazione degli idiomi, e la conseguente incomprensibilità
reciproca, sarebbe stata la punizione di Dio per l’arroganza dei suoi figli,
che avrebbero voluto scalare il cielo per mezzo della loro altissima costruzione.
“Questo ha tutta l’aria di essere un testo precedente a quel
fatto,” continuò a ragionare. Per un attimo si lasciò andare alla fantasia di
aver veramente scoperto il primo idioma delle genti umane, dal quale derivarono
tutte le lingue, poi scacciò quel pensiero: non era da lui trastullarsi con
simili fantasie. Lui per primo non credeva che i miti raccontati nell’Antico
Testamento corrispondessero a verità. Eppure quella stele contrastava
vigorosamente con tutto ciò che aveva creduto di conoscere riguardo i miti
cosmogonici del Medio Oriente…
“Forza, Hans,” si disse, togliendosi gli occhiali e
stropicciandosi gli occhi affaticati. “Ti sei riposato abbastanza per ora.”
Ritornò a sedersi alla scrivania ed aprì uno dei grossi
volumi che si era fatto portare, un testo sull’evoluzione storica e filologica
dell’aramaico. Scrutò attentamente le minuziose copie su carta delle incisioni
che aveva fatto lui stesso e cercò di compitare, secondo ciò che aveva già
provato a tradurre.
“‘Il Dio creò la terra…’
No, forse è meglio intendere come ‘il creato’… Interessante che non vengano
utilizzate perifrasi per indicare la divinità creatrice, ma vengano utilizzati
direttamente quei caratteri… ed in modo soggettivo, per giunta… Non è ‘la
divinità’, ma proprio ‘il Dio’, come se fosse un nome proprio… ‘Nella casa pose Adamo e…’ Interessante
anche che qui non si citi affatto Eva, ma ci si riferisca esplicitamente alla
prima, e stando a questo testo unica, moglie di Adamo… Lilith…”
Quando Shinji riaprì gli occhi fu accecato dalla luce. Cercò
di parlare ma scoprì di avere un forte bruciore alla gola e la bocca
completamente secca. Però dovette essere riuscito ad emettere qualche suono,
perché un’ombra si avvicinò a lui, oscurando in parte la tremenda fonte di luce
che gli aveva tolto la vista.
L’ombra disse qualcosa, ma il ragazzo non riuscì a capire di
che si trattasse finché quello stesso suono non fu ripetuto più volte. Allora
comprese che si trattava del proprio nome.
“Shinji… mi senti…?”
“S…ì…” riuscì ad articolare faticosamente. Ora anche la
vista gli stava tornando, e riuscì a distinguere i contorni di un soffitto
verdazzurro e di un anonimo lampadario: la fonte luminosa di quella che
comprese essere una stanza d’ospedale. L’ombra assunse caratteristiche meglio
delineate, fino a diventare l’immagine di Asuka, sorridente e con gli occhi
pieni di lacrime.
“Per un attimo ho temuto che non ti saresti mai più
svegliato,” disse la ragazza, accarezzandogli la fronte.
“A…suka…” disse lui, sbattendo più volte le palpebre per
mettere a fuoco il suo volto. “Cos’è… succe…sso…?”
Lei sorrise ed annuì. “Ti ho salvato la vita, baka che non
sei altro!”
Gli spiegò a parole sue ciò che la Dottoressa Akagi aveva
spiegato con termini molto più tecnici, ovvero che l’Angelo in realtà era
l’entità sottile e nera, e che la sfera bicolore ne era solo l’ombra; che stava
per risucchiare lo 01 in un’altra dimensione, che la donna aveva chiamato ‘mare
di Dirac’, ma che Asuka stessa riassunse con l’espressione ‘stava per
mangiarti’; era per quel motivo che quando lei aveva distrutto l’Angelo anche
la parte inferiore delle gambe dello 01 era stata distrutta.
“E’ per questo… che non sento più le mie di gambe?” chiese
Shinji. La ragazza lo guardò meravigliata.
“Accidenti, stavo per spiegartelo io, ed invece ci sei
arrivato da solo! Stai diventando di giorno in giorno più intelligente, tra un
po’ non potrò più chiamarti Bakashinji…”
Il Third Children accolse le parole di Asuka come un
complimento e sorrise debolmente. In effetti gli era già capitato in passato di
provare dolore a causa della connessione neurale con l’Evangelion, per cui non
si stupiva se la mutilazione dell’unità aveva avuto quell’effetto su di lui.
“Comunque non preoccuparti,” continuò Asuka, rassicurante.
“La Dottoressa Akagi ha detto che è un effetto solo temporaneo, e nel giro di
un paio di giorni tornerai come nuovo.”
Shinji rimase in silenzio ad ascoltare il resto del
resoconto e di come Ritsuko avesse rimproverato la Second Children per la sua
manovra azzardata, dal momento che la ragazza stessa credeva ancora che
l’Angelo fosse la sfera, e non era affatto scontato l’effetto che avrebbe avuto
far inghiottire a quell’essere la propria ombra.
“Ovviamente è dovuta intervenire Misato per prendere le mie
difese, visto che sono stata io a salvare la situazione,” terminò quindi lei,
ravvivandosi i capelli con un gesto vanitoso. “Alla fine anche la Dottoressa
Akagi ha dovuto ammettere che ogni tanto la fortuna serve, nel nostro lavoro.”
Shinji rise a quelle parole, e lei si unì volentieri a lui.
Subito dopo però si interruppe, tornando serio.
“C’è qualcosa che non va?” chiese Asuka, diventando subito
preoccupata. Il ragazzo scosse il capo.
“No, Asuka… è solo che… non ti ho ancora ringraziata per
avermi salvato la vita. Ti amo.”
I due si sorrisero e la Second Children si chinò su di lui,
baciandolo teneramente sulle labbra. Nonostante la fatica e la sonnolenza
dovuta al suo stato, Shinji ricambiò e fece durare quel bacio molto a lungo.
Misato si concesse finalmente un sorso ristoratore dalla sua
lattina di birra, mentre seguiva le ultime operazioni del rientro delle unità
Evangelion. Era già sera tarda, ma lei non aveva potuto assolutamente
assentarsi dal suo posto di comando se non per fare una breve visita a Shinji.
Rei e Gabriel erano già andati ciascuno a casa propria, ed Asuka aveva voluto
restare dal suo ragazzo finché non fosse andata via anche la sua ospite.
D’altronde mancavano ormai pochi minuti al termine dei lavori, sebbene la zona
devastata dall’attacco dell’Angelo fosse ancora semidistrutta: sistemarla però
era compito del comune di Neo Tokio-3, non della Nerv, anche se i fondi per la
ristrutturazione sarebbero stati detratti da quelli per la gestione
dell’agenzia, ed in definitiva dagli stipendi dei suoi dipendenti. Ma la donna
era troppo stanca per preoccuparsi anche di quello. I piedi e la schiena le
facevano un male d’inferno, le bruciavano gli occhi, aveva fame (fortunatamente
quella birra almeno l’aveva dissetata) e come se non bastasse prima di
concedersi un meritato riposo avrebbe dovuto andare fino a Matsushiro a trovare
Satoshi, dal momento che l’aveva fatto evacuare insieme agli altri ricoverati
dell’ospedale della Nerv come misura preventiva.
Sospirò mentre annuiva al caporeparto per acconsentire
l’agganciamento della gabbia protettiva all’Evangelion 01. Nonostante fossero
passate poche ore dall’attacco, i suoi arti inferiori si stavano rigenerando ad
una velocità notevole, tanto che sarebbe stato necessario pensare a sostituire
l’armatura delle gambe già il giorno dopo.
“Finalmente ti ho trovata!” sbottò una voce alle spalle di
Misato. Era così assorta che sobbalzò facendo cadere a terra qualche preziosa
goccia di birra, prima di voltarsi. Rimase letteralmente a bocca aperta quando
vide che si trattava di Satoshi, nel suo pigiama ospedaliero, che arrancava
sulle stampelle verso di lei, sorridendo.
“Sa… Satoshi!” esclamò la donna, completamente presa alla
sprovvista.
“Sei contenta di vedermi?” chiese lui, la cui espressione in
viso denotava anche un certo grado di preoccupazione non del tutto nascosta.
“Sì, ma… non dovevi essere a Matsushiro? Eppure l’ordine di
evacuazione l’ho dato appena è comparso l’Angelo, me lo ricordo bene!”
“Ehm…” l’uomo si grattò in testa con fare vago. “Ti ho fatto
una piccola sorpresa…”
L’altra lo fissò socchiudendo gli occhi ed inarcando le
labbra in un’espressione di rabbia repressa. “Non vorrai dirmi che sei scappato
dall’ospedale, vero?”
L’uomo sospirò. “… Misato, non potevo permettere che tu
affrontassi di nuovo la situazione da sola. Volevo stare al tuo fianco,
capisci? Cosa stai facendo??”
La donna era avanzata verso di lui a grandi passi, brandendo
la lattina di birra sopra la testa, infuriata. “Sei un irresponsabile! Hai
disubbidito volontariamente agli ordini di un tuo superiore, dovrei farti
degradare!! E poi, che utilità avresti avuto venendo in sala comando in questo
stato? Scommetto che sei stato per tutto il tempo a girare per la base, e sei
arrivato solo quando era già tutto finito, vero? Ti rendi conto che hai
rischiato la tua vita per niente?? Ti rendi conto che potevi morire senza che
io nemmeno lo sapessi?? Sai come mi sarei sent…”
L’uomo abbandonò le stampelle ed avvolse Misato in un tenero
abbraccio, al punto che le sue parole si spensero da sole.
“Ti chiedo perdono, amore mio,” le sussurrò ad un orecchio.
“Il fatto è che non so darmi pace quando sono lontano da te e so che rischi la
vita. Perdonami.”
In un secondo tutta la rabbia del Maggiore Katsuragi
evaporò, lasciandole solamente un senso di stanchezza e la voglia di restare
con il suo fidanzato per il resto della serata.
“Perdonato,” gli sussurrò in risposta. “Stanotte resterò con
te in ospedale, Satoshi, così mi racconterai le tue avventure.”
Il giovane rise piano ed annuì, il volto nascosto tra i
capelli di lei. “D’accordo tesoro. Ti amo.”
“Ti amo anch’io.”
“Tutto procede come previsto,” concluse l’individuo più
giovane della commissione, poco elegantemente seduto sulla sua poltroncina di
fianco al signor Lavoisier.
“Dodici Angeli sono stati sacrificati,” intervenne
quest’ultimo. “Presto giungerà il tempo di sciogliere la nostra commissione.”
“E’ un gradevole eufemismo, il suo,” disse Hillmann,
sorridendo all’ironia del collega. “Comunque, le ricordo che non sarà solo
questa commissione a sciogliersi.”
“E quell’uomo?” s’intromise Keel, anticipando la volgare
risata del suo collega più corpulento, il quale si ricompose sulla sedia come
se avesse capito che l’intervento del presidente era dovuto al suo
comportamento. Quando ebbe notato con piacere che quell’individuo si era
risistemato, Keel proseguì. “Possiamo ancora fidarci del suo operato?”
“Per ora i problemi che provoca sono sotto controllo,”
riferì un altro dei componenti della commissione, un individuo robusto dai
tratti orientali, poco appariscente nel suo complesso. “Per il momento possiamo
lasciarlo in pace.”
“Bene,” si limitò a commentare Keel, schivo. Era qualche
giorno che si sentiva particolarmente infastidito da tutti quegli intrighi, dai
sotterfugi, dai progetti che per quarant’anni della sua vita aveva contribuito
ad intessere, e la cosa lo turbavau. Soprattutto era infastidito dal fatto di
non conoscerne la ragione. Forse era che tutto il suo lavoro stava finalmente
per giungere a compimento, oppure si trattava dell’apprensione per la presenza
di un estraneo come il Professor Kernberg nell’area più segreta del Quartier
Generale, a contatto con quella che avrebbe potuto essere la chiave per il
completamento del Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo, oppure la sua
definitiva pietra tombale.
“Signor presidente,” intervenne Lavoisier, il viso una rete
imperscrutabile di rughe. “Si sente bene?”
“Sì, stavo solo pensando al lavoro che ci resta da
svolgere,” mentì il cyborg, celando dietro la sua solita durezza il fastidio
che provava. Non sopportava che venissero messe in luce le sue debolezze.
“Ha ragione,” continuò Hillmann, ed il suo sorriso assunse
la sua tipica sfumatura di derisione mentre volgeva lo sguardo sull’individuo
in piedi, scostato dal tavolo luminoso, che si reggeva al suo bastone
d’argento. “E non dobbiamo dimenticarci che non avremmo mai potuto arrivare a
questo punto senza il suo aiuto, Professor K.”
L’individuo fremette, come tutte le volte in cui veniva
canzonato. Se solo avesse potuto reggersi sulle proprie gambe senza quel
dannato bastone avrebbe rimediato ai suoi errori del passato, una volta per
tutte. Ma non poteva…
“Per inciso,” si intromise Keel, mentre con una mano frugava
in una delle tasche interne della sua giacca. “Volevo rendere partecipe anche
il Professor K di certe nostre attività particolari.”
L’interpellato strinse gli occhi castani, ma non disse
niente. C’era odio in quello sguardo, Keel lo sapeva, ma sapeva anche che era
un odio impotente, perché come la Seele lo aveva salvato, così poteva
distruggerlo completamente, se solo avesse tentato di tradirla. Con noncuranza
gettò sul tavolo alcune fotografie istantanee, su cui tutti i presenti si
chinarono. Alla maggior parte di loro la giovane donna sorridente dai capelli
lunghi e scuri non diceva niente, come anche l’individuo alto e biondo che la
accompagnava in alcune immagini, ma il Professor K strabuzzò gli occhi ed
allungò una mano guantata verso le foto, emettendo una sorta di sibilo
disperato. Quando le ebbe portate vicino agli occhi e le ebbe sfogliate
ripetutamente, Keel si concesse un sorriso di circostanza molto simile ad un
ghigno.
“Come vede, sua figlia sta bene, ed è anche riuscita a
rifarsi una vita. E’ superfluo ricordarle, però, che come siamo riusciti a
fotografarla, così possiamo riuscire a farle anche altre cose, se servirà
qualche incentivo alla sua collaborazione.”
Il Professor K non ascoltò nemmeno quelle parole, tanto era
felice di rivedere sua figlia, la sua adorata Misato, dopo tanto tempo. Calde
lacrime gli riempirono gli occhi e le lasciò scorrere. Con un dito guantato le
accarezzò una guancia, ringraziando il Dio della cui esistenza per tanto tempo
aveva dubitato che almeno lei stesse bene. Tutto il resto non importava. Si
rese vagamente conto della minaccia insita nelle parole di Keel, ma sapeva che
avrebbe fatto qualsiasi cosa per la sua bambina, anche ripetere il suo errore
di tanto tempo prima e consegnare il mondo nelle maledette mani della Seele.
“Inoltre,” proseguì Keel, “se ci offrirà spontaneamente la
sua inestimabile collaborazione nella fase terminale del nostro progetto, sarò
lieto di fornirle ulteriori informazioni su sua figlia, in modo da allietare le
tristi giornate che è costretto a passare in quella sua parodia di corpo
umano.”
Detto da un cyborg come lui, quella frase avrebbe potuto
suonare ironica, ma K sapeva che ormai da tempo quell’individuo non si
considerava più un essere umano. Senza dire una parola annuì alla proposta di
Keel.
“Perfetto,” si compiacque quest’ultimo, ritraendosi sulla
sua sedia a rotelle cibernetica senza riprendere le fotografie, che K si
affrettò ad intascare con gelosia. “Vi informo che l’unità Evangelion 03 sta
per essere consegnata alla sede giapponese della Nerv. Se non ci saranno
interferenze, tutto dovrebbe procedere come previsto. La seduta di oggi può
considerarsi conclusa.”
Continua….
[1]: scena liberamente
ispirata al film End of Evangelion.
[2]: “Diavolo” in
tedesco, da intendersi qui come imprecazione di Asuka.
“Qui è la Dottoressa RitsukoAkagi, della base della Nerv di Neo Tokio-3,” compitò in
inglese la donna alla radio. Dopo un attimo di silenzio in cui risuonarono solo
scariche elettrostatiche, giunse la risposta, sempre in inglese.
“Qui è il Capitano ArthurMcGilles, della divisione americana. Com’è il tempo lì da
voi?”
“Splende il sole,” rispose la
scienziata, riconoscendo le parole d’ordine che l’altro aveva recitato per rendere
certa la propria identità. “Prego, continui, capitano.”
“Abbiamo un pacco per voi, Nerv-1! Vi do qualche indizio: è
grosso, nero e ha due gambe.”
Ritsuko cominciava già a trovare
irritante quell’umorismo yankee. Era per evitare battute come quella che quasi sempre delegava ad altri le
ispezioni alla Nerv-2. Ciononostante si costrinse ad accennare una risata.
“Molto simpatico, davvero. Tra quanto tempo dovreste effettuare
la consegna?”
“Il pacco è pronto, deve solo
essere incartato ed imbarcato sull’aerojet. Diciamo…
due giorni. Avete qualcosa da fare per allora?”
“Sì, Capitano McGilles, appena l’Evangelion 03 sarà qui dovremo cominciare i test di
sincronia.”
“Peccato… Era molto tempo che volevo
visitare il Giappone, e speravo di poter usufruire di una guida come lei.”
Questa poi… Nessuno aveva mai cercato di abbordarmi al
telefono…
“Sarà per un’altra volta.”
“Ci conto. Allora, se non ci saranno imprevisti, il nostro
arrivo nella vostra base di Matsushiro sarà previsto
per le ore 0500 di dopodomani mattina, giusto?”
“Esatto.”
“Allora arrivederci, Dottoressa.”
“Arrivederci.”
La donna premette il tasto che pose fine a quella
conversazione snervante e si concesse un sospiro di sollievo.
L’unico altro occupante della stanza, il Comandante Ikari,
la fissò imperscrutabile da dietro le sue lenti scure.
“L’unità Evangelion 03 sta per
essere trasferita presso la nostra base,” annunciò Ritsuko. Si sentiva stranamente a disagio in quella
situazione.
Cosa c’è che non va? Perché sono
così inquieta? Eppure non è la prima volta che mi trovo sola con Ikari a parlare di argomenti top
secret. C’è qualcosa nel modo in cui è immobile, nascosto dietro le sue mani,
che mi dà i brividi…
“Questo è ovvio,” rispose Gendo. “Piuttosto, parlami della tua gravidanza.”
Quella richiesta colpì la donna come uno
schiaffo in piena faccia.
Come diavolo fa a saperlo?? Non ne ho parlato a nessuno!
Nessuno!!
Troppo sconvolta per elaborare una strategia complessa, la
scienziata decise di bluffare. “Ma di che stai
parlando? Io non sono affatto incinta!”
“Sai che non devi dirmi bugie,” la
incalzò l’uomo, sempre imperturbato. “Sono io il padre?”
Ritsuko boccheggiava alla ricerca di aria.
In qualche modo l’ha saputo, non c’è dubbio, non ha senso
chiedersi come abbia fatto. Devo solo escogitare un sistema per uscirne.
…
Dannato bastardo… Perché non riesco mai a dirti di no?
“… Sì,” rispose lei, rossa in volto
per l’umiliazione e la vergogna di non potersi opporre alla sua volontà
coercitiva.
“Me l’aspettavo,” fu l’unico
commento da parte dell’uomo. La sua freddezza contribuì ad annichilire lo
spirito di Ritsuko. Si sentì svuotata da quelle
parole così inattese, al punto che, se fosse stata qualsiasi altra donna,
sarebbe scoppiata a piangere dalla disperazione. Ma
lei non era una qualsiasi altra donna, era RitsukoAkagi. Dopo appena un attimo di esitazione,
cacciò in gola le lacrime che le stavano salendo e si costrinse ad assumere
un’espressione parimenti impassibile a quella del suo superiore.
“Ha delle disposizioni in merito, Comandante?” chiese,
tornando formale. L’uomo sembrò pensarci su a lungo, poi scosse
impercettibilmente il capo.
“No, Dottoressa, finché il suo stato non influenzerà il
lavoro, non avrò obiezioni di sorta. Ovviamente però questa deve restare
un’informazione top secret, almeno per il momento.”
“Difficile, dato che tra poco inizierà a vedersi,” rispose lei acida. Voleva fargliela pagare, per essere
così privo di anima, così disgustoso. Voleva umiliarlo
contraddicendo i suoi stessi ordini. Se fosse servito,
sarebbe anche andata a raccontare subito tutto quanto alla commissione per il
Perfezionamento dell’Uomo, e non solo della gravidanza, ma anche di ciò che GendoIkari aveva in serbo per
loro…
“Infatti ho specificato: almeno per
il momento deve restare top secret, quando invece sarà visibile troveremo una
scusa plausibile che ci eviti situazioni imbarazzanti.”
Sei l’essere più disgustoso che
io conosca. Mi chiedo se anche con Yuihai reagito in questo modo, quando hai saputo di Shinji… E se avresti reagito così anche con mia madre… Ma
io ora non mi farò manipolare come loro due, e come hai manipolato me in
passato. Non mi piegherai questa volta, mostro.
Nonostante avesse la morte nel
cuore, Ritsuko raddrizzò la schiena e trasse un
profondo respiro per darsi coraggio. No, non se la sarebbe cavata così
facilmente. “Sia chiara una cosa, Comandante,” disse.
“Qualunque ordine tu possa dare, io non rinuncerò mai
a mio figlio.”
Gendo restò impassibile alle sue
parole, ma subito dopo si lasciò andare contro lo schienale della propria
poltroncina. Solo un sottile velo di sudore sulla fronte rivelava che lui era
ancora umano. “Capisco,” disse. “In tal caso, faremo
in modo di trovare una sostituta per lei, Dottoressa.”
Per la scienziata fu come essere di
nuovo colpita al volto da uno schiaffo. Aveva sempre pensato a se stessa come
ad un elemento importante, insostituibile della Nerv,
in virtù del suo rapporto con il Magi System; ed ora,
il Comandante diceva che non avrebbe esitato a sacrificarla, ed a sacrificare
il figlio che portava in grembo, per proseguire con il suo progetto. D’un tratto, le parve che con lei in quella stanza non ci
fosse un uomo, ma un demonio.
“D’accordo,” rispose stringata.
Dopodiché si voltò, e dal momento che non veniva
richiamata, si diresse quasi di corsa verso la porta d’uscita dell’ufficio di Gendo. Non appena fu fuori cominciò a piangere
ininterrottamente.
“Ehi, la nostra scienziata!” esordì Misato
quando vide la Dottoressa Akagi entrare in sala
comando. “Come va il lavoro?”
L’altra donna fece un cenno vago della mano, che però non
riuscì a mascherare il suo fastidio. “Procede, piuttosto, vi informo
che nel giro di tre giorni l’unità Evangelion 03
verrà portata in questa base.”
“Oh, no,” gemette Maya mettendosi
le mani fra i capelli. “Bisognerà reimpostare tutti i dati nel
Magi System e programmare la sua gabbia…”
“Non preoccuparti,” fece Shigeru, sorridendole, “ti aiuterò io.”
La ragazza gli sorrise a sua volta
ed annuì, consolata. “Ti ringrazio, tesoro.”
Mentre i due si scambiavano quel genere di
effusioni, Makoto, forse spinto da invidia o
forse da noia, cominciò ad imitarli esagerando le proprie smorfie. Misato rise sotto i baffi, ma Ritsuko
intervenne subito. “Hyuga, con quattro Evangelion non avremo più piloti di riserva, quindi
assicurati che i dati del Dummy System vengano impostati correttamente: voglio che sia tutto pronto
per l’arrivo dello 03.”
Sorpreso di essere stato richiamato all’ordine, Makoto biascicò una conferma e si mise a lavorare. Misato invece guardò l’amica, inquisitoria. “Richan, sei sicura di star
bene?”
“Sicurissima,” fu la risposta, ma
la bionda non l’aveva guardata negli occhi. “Vado in infermeria. Misato, tu occupati di informare il FourthChildren, io cercherò di darmi da fare con gli ultimi
ritocchi al nucleo del Dummy System.”
Il Maggiore la fissò allontanarsi fino ad uscire dalla sala
comando, quasi di corsa, e decise che veramente c’era qualcosa che non andava.
Purtroppo in quel momento c’era molto lavoro da svolgere, non ultimo ascoltare
i reclami del comune per i danni provocati dalla lotta con l’ultimo Angelo, ma
si ripromise che avrebbe indagato al più presto.
“Accidenti, che stress che fa venire a volte quella donna,” commentò, scacciando la propria inquietudine e cercando
di metterla sul ridere. “Qualcuno sa dirmi dove si trova il FourthChildren?”
Shigeru pose la domanda al Magi System e rispose subito dopo. “Non è alla base per i
suoi test, quindi probabilmente si trova a scuola.”
La donna annuì. “Allora gli comunicherò la cosa quando andrò
a prendere i ragazzi.”
“Maggiore,” chiamò Maya, che in
quel momento ripose la cornetta del telefono interno della base. “C’è un certo
signor Kono che vorrebbe parlare con lei, dice di
essere l’Assessore comunale per l’edilizia…”
Misato sospirò, afflitta.
“Gabriel, vorrei parlarti un attimo in privato,” disse Misato quando lei ed i tre
Children rimasti furono sul pianerottolo che
condividevano. Rei aveva dovuto andare alla base
dietro esplicita richiesta di Ritsuko, per cui non
avevano fatto deviazioni per accompagnarla a casa. Il FourthChildren era un po’ intristito dall’idea di passare
un altro pomeriggio lontano dalla propria ragazza, perciò Misato
aveva pensato che la notizia di avere un Evangelion
tutto suo l’avrebbe tirato su di morale. Gabriel la guardò sorpreso alla sua
richiesta, come d’altronde anche gli altri due.
“Che c’è, Misato,”
iniziò Asuka. “Gli vuoi comunicare che Ayanami deve
lasciare il Giappone per sempre?”
“Ah, dai, Asuka,” la rimproverò Shinji, che però rise con lei alla battuta. “Sei crudele!”
“Appunto,” commentò l’interessato,
socchiudendo gli occhi con espressione minacciosa. Anche lui stava scherzando,
ma la sola idea lo rendeva inquieto, per cui preferiva
finire al più presto quel gioco. “Mi dica, Maggiore,”
aggiunse, aprendo la porta dell’appartamento che divideva con Satoshi e facendole cenno di entrare. L’Agente era ancora
in ospedale poiché Ritsuko, dopo aver saputo della
sua bravata durante l’attacco dell’ultimo Angelo, aveva deciso di trattenerlo
in osservazione per evitare che le fossero sfuggiti danni neurali, per cui la casa era vuota. La donna attese che la porta si fosse chiusa alle sue spalle, lasciando fuori i due ragazzi
rosi dalla curiosità, prima di cominciare il suo discorso.
“La prego, mi dica subito se la cosa coinvolge Rei,” la anticipò Gabriel, serio. Misato
rise, fraintendendolo. “No, non preoccuparti, Gabriel chan,
Rei non deve partire, resterà in Giappone alla Nerv.”
Il ragazzo sospirò di sollievo, sebbene la donna avesse
creduto che stesse solamente proseguendo lo scherzo di Asuka.
“In realtà dovresti essere felice,”
continuò, “perché tra pochi giorni arriverà in Giappone il tuo Evangelion!”
Gabriel strabuzzò gli occhi e sbatté più volte le palpebre,
incredulo. Misato, dal canto suo, annuì con fare
orgoglioso. “Ebbene sì, una volta effettuato il test
di attivazione non sarai più una semplice riserva, ma sarai ufficialmente il
Pilota dell’unità Evangelion 03. Come ti senti?”
… Un po’ frastornato… Non mi aspettavo di certo che me lo
dicesse così a bruciapelo…
Ma non posso negare che non aspettavo altro. Ora sarà più
facile reggere il peso che grava sulle mie spalle: il peso della salvezza
dell’umanità, dei miei amici, di Rei.
…
E’ tempo di diventare grandi. Alla Nerv
potranno anche dire che siamo dei ragazzini, ma essere Piloti di Eva significa essere adulti a quattordici anni.
Se dovesse accadere di nuovo… quell’incidente, ora potrò provvedere personalmente, senza
coinvolgere nessuno.
Solo io e l’essere di turno.
Gabriel drizzò le spalle e la guardò con serietà. “Maggiore,
per me sarà un onore pilotare lo 03. E’ giusto che il peso che portano gli altri tre piloti sia distribuito equamente per
quattro.”
Misato dapprima rimase interdetta
alle parole del ragazzo: fino ad un attimo prima aveva creduto che stesse
tranquillamente scherzando assieme ai suoi coetanei, ma all’improvviso era
diventato serio, come se fosse pienamente consapevole del proprio compito. A
differenza di lei,che molto spesso si trovava a
prendere sottogamba il proprio lavoro, con il risultato di ritrovarsi con
tonnellate di proteste ufficiali da parte del Comune di Neo Tokio-3.
Reprimendo il proprio senso di vergogna, la donna annuì. “E’
questo lo spirito giusto, Gabriel!” disse. “Domani mattina verrai con me e Ritsuko a Matsushiro, dove faremo
il test di attivazione del tuo Evangelion
e diventerai pilota a tutti gli effetti.”
Gabriel a quelle parole sollevò un sopracciglio, perplesso.
“Perché a Matsushiro? Non
sarebbe più comodo farlo direttamente al Geo-Front?”
Il sorriso di Misato le morì
lentamente sulle labbra, mentre cercava di fornire una spiegazione che non
suonasse fredda come la constatazione di un decesso. “Beh, si tratta di una
misura precauzionale, ma non che ce ne sia realmente bisogno, anzi, diciamo che
è una fissa di Ritsuko…”
Il FourthChildren
si rabbuiò, dimostrando di non essersi lasciato ingannare. “In pratica, se
qualcosa dovesse andare storto, il quartier generale
della Nerv non correrebbe rischi, giusto? Molto
previdente, devo ammetterlo.”
“… Dai, non essere così tragico,”
lo rimbrottò Misato, mettendogli una mano sulla
spalla e sorridendo tranquillizzante. In realtà il vero motivo era proprio quello enunciato da Gabriel, ma lei non voleva affatto che
passasse i giorni successivi in uno stato d’animo tanto negativo. Soprattutto
perché…
… Perché potrebbero essere i suoi
ultimi giorni di vita.
“Gabriel, perché non vieni di là con noi?” propose la donna,
anche per cacciare il pensiero che le era balenato nella mente per un attimo.
“Ora che Satoshi non c’è ti sentirai solo qui a casa
sua.”
L’espressione di Gabriel si addolcì un po’. Forse, anche lui
stava cercando di non pensare all’eventualità peggiore in cui il test di attivazione si sarebbe potuto evolvere: anche lui, come
gli altri membri della Nerv, aveva saputo degli
effetti del primo test di attivazione dell’Evangelion
00 su Rei. “E’ sicura che non disturbo?”
“Ma figurati! I ragazzi saranno
felici di passare la serata con te, ed oltretutto vorranno assolutamente sapere
la notizia dalla tua bocca, piuttosto che dalla mia.”
“Pronto?” rispose Rei al telefono, con tono stanco. Era
tornata da meno di mezz’ora dopo un pomeriggio estenuante fatto di test e
concentrazione, per cui quella sera voleva solo
riposare un po’, scambiare due parole con il suo ragazzo e fare una lunga
dormita.
“Rei? Ti disturbo?” chiamò la voce
di Gabriel dall’altra parte dell’apparecchio telefonico. Subito la ragazza
balzò a sedere, perfettamente sveglia e felice. “Ciao, Gabriel! Scusa per il
tono, è che sono rientrata solo adesso dalla Nerv.”
“Solo adesso?? Ma è l’una di
notte!”
“Lo so, ma la Dottoressa Akagi ha
insistito per continuare i test ad oltranza. Sapessi quanto sono stanca…”
“… Forse allora avrei fatto bene a non telefonarti.”
“Ma no, cosa dici. Sai bene che tu
puoi telefonarmi ad ogni ora. Allora, cosa mi racconti?”
“Rei…” Dall’altra parte del telefono ci fu una lunga pausa,
tanto che la First Children cominciò a preoccuparsi,
ma prima che potesse intervenire Gabriel riprese a parlare. “Io… domani dovrò
andare a Matsushiro, perché tra pochi giorni arriverà
l’Evangelion 03 e dovremo fare il test di attivazione.”
Rei dapprima credette di aver
capito male e rimase a fissare a bocca aperta il muro spoglio della propria
stanza, poi si decise a chiedere conferma. “Il… Il test di attivazione
dello 03…?”
“Esatto. Il Maggiore Katsuragi mi
ha informato che dovremo partire domattina per Matsushiro,
e non saremo di ritorno se non dopo il test.”
“Vengo anch’io.”
Il ragazzo rimase in silenzio, ma Rei non faticò
ad immaginarselo che scuoteva la testa. “Mi dispiace, ma è meglio che tu
rimanga a Neo Tokio-3, al sicuro,” disse infine,
confermando la sua supposizione.
“Ma…” provò ad opporsi la ragazza,
con scarsa convinzione. Già sapeva infatti che le
parole di lui erano l’unica scelta possibile.
“Nessun ‘ma’,
Rei,” rispose Gabriel, deciso anche se triste. “Credimi, anch’io vorrei averti
vicino, ma… è più sicuro così. Non si sa cosa potrebbe succedere se il test
andasse male.”
“Io lo so,” intervenne Rei, questa
volta con maggior risolutezza. Dall’altra parte, Gabriel rimase un po’
interdetto, ma si riprese prontamente. “Proprio perché lo sai dovresti capire
perché voglio che tu rimanga al sicuro.”
“Sì, lo capisco…” La First Childrensi interruppe per non far capire al proprio ragazzo
che stava trattenendo le lacrime. Quando si sentì sufficientemente calma riprese a parlare. “Gabriel, posso chiederti un
favore?”
“Sì.”
“Ritorna da me tutto intero, va
bene?”
Gabriel rimase in silenzio per un attimo, ma quasi subito
emise una lieve risata. “Certo, tesoro, e quando tornerò, non mi importa cosa diranno a scuola o alla Nerv,
passeremo un’intera giornata insieme.”
La ragazza si costrinse a ridere a sua volta. “D’accordo. Allora…
ti aspetto…”
“Sì. Vedrai che tornerò in men che
non si dica.”
“Appena sarà tutto finito
promettimi che mi chiamerai.”
“Sì, te lo prometto.”
Quelle parole ebbero l’effetto di calmarla un po’. “Grazie…
Ti amo, Gabriel.”
“Anch’io ti amo, Rei.”
Prima di scoppiare a piangere, la ragazza capì che doveva
chiudere al più presto la comunicazione: non voleva che si sentisse preoccupato
per lei a ridosso del test di attivazione. In quel
momento ogni minima variazione anche se solo psicologica poteva avere effetti
catastrofici; lei lo sapeva molto bene.
“Ora è meglio che tu vada a dormire,”
si risolse a dire la First Children, mordendosi il
labbro inferiore. “Domani sarà una lunga giornata.”
“D’accordo. A presto, Rei.”
“A presto, amore mio.”
La voce di Gabriel fu sostituita dal monotono segnale
acustico che segnava la fine della chiamata, e Rei non seppe
resistere ulteriormente. Gettò il telefono sul comodino e si accasciò sul
letto, stringendo a sé il cuscino e piangendo finché non si addormentò,
sfinita.
“Ma si può sapere dove sono finiti
quei dannati americani?” sbottò Misato, guardando
esasperata il proprio orologio da polso. “Sono in ritardo già di due ore, e non
hanno inviato nessuna trasmissione!”
“Stai calma,” le disse Ritsuko, seduta ad una delle consolle della stretta sala di
comando. Sebbene la base di Matsushiro dovesse essere
in teoria la vicaria di quella di Neo Tokio-3, era almeno dieci
volte più piccola: le funzionalità erano tutte riprodotte, ma in scala
molto minore. Normalmente tutto ciò bastava per le scarse operazioni che vi venivano svolte, ma in quel momento la base straripava di
tecnici, operatori, medici ed agenti di sicurezza, in vista dell’imminente
arrivo dell’Unità 03. Arrivo che, tuttavia, era in ritardo sulla tabella di
marcia.
La Dottoressa Akagi spostò la
propria tazza di caffè dallo schermo del radar, anticipando la domanda
successiva dell’amica. “Sono ancora in volo,” lesse,
“e dovrebbero essere quasi usciti dalla zona di perturbazione. Non è colpa loro
se non hanno potuto avvertirci del ritardo, le comunicazioni si sono interrotte
a causa del campo magnetico del temporale.”
Misato sbuffò, irritata.
“Avrebbero potuto aggirarlo senza difficoltà, anche loro hanno un radar.”
“Sì, ma così facendo sarebbero arrivati nel pomeriggio, se
non in serata.”
Il Maggiore lasciò perdere. In fondo non era di sua
competenza decidere il tragitto migliore tra gli Stati Uniti e il Giappone.
“Piuttosto, come sta il nostro Pilota?”
Ritsuko premette prontamente un
tasto e su uno schermo comparve l’immagine del FourthChildren, già con indosso la plug
suite, che stava leggendo qualcosa, seduto negli spogliatoi.
“Sembra tranquillo,” decretò la
scienziata dopo una rapida occhiata. “Credo che stia leggendo il fascicolo sull’Evangelion 03.” Misato annuì. “E’ sempre stato più maturo della sua
età, ma io ho sempre visto in lui il ragazzino che forse avrebbe voluto essere.”
“Che cosa intendi?” le chiese Ritsuko.
“Sai com’è la sua vita; prima di venire qui
era professore al Conservatorio, ora è un Pilota di Evangelion
ed è visto un po’ da tutti come un ragazzino prodigio. Non mi stupirei se in
cuor suo bramasse di essere un semplice quattordicenne come i suoi compagni di
classe.”
L’altra donna scosse il capo. “Secondo me ti sbagli. Per
stare insieme a Rei è necessaria una sensibilità profonda; non credo che
l’avrebbe se desiderasse davvero essere come gli altri.”
Dopo una breve pausa per sorbire del caffè, riprese. “Lui accetta ciò che è non
per stoicismo o perché non ha nient’altro, come faceva Rei quando ancora non lo
conosceva, ma perché… perché è fatto così.”
Misato rimase in silenzio,
ponderando le parole dell’amica.
In effetti ha ragione… Si meriterebbe decisamente un
premio per il suo impegno. Quando torneremo gli
garantirò una settimana di riposo sotto la mia personale responsabilità. Ed anche a Rei, così potranno stare finalmente un po’
insieme.
“Base di Matsushiro, qui è
Tango-16, mi ricevete?” gracchiò l’altoparlante. Soffocando un
esclamazione di sollievo, Misato prese le
cuffie dotate di microfono e premette il pulsante per rispondere. “Qui base di Matsushiro, parla il Maggiore Katsuragi.
Ce ne avete messo di tempo, eh? Passo.”
Dall’altra parte della radio giunse il suono di alcune risate soffocate. “Le chiediamo scusa, Maggiore,
ma abbiamo incontrato un po’ di maretta. Dovremmo arrivare con il nostro pacco
da voi tra circa venti minuti. Passo.”
Misato chiese conferma
con lo sguardo a Ritsuko e questa, dopo aver letto
dei dati sul proprio monitor, annuì. “Confermo la vostra stima. Vi aspettiamo.
Passo e chiudo.”
“Preparate una bella torta per festeggiare
il nostro arrivo, mi raccomando! Chiudo.”
Il Maggiore chiuse la comunicazione e rivolse uno sguardo
interdetto alla scienziata, che ricambiò. “Yankees,” ribatté quest’ultima, dopodiché
aprì la comunicazione dell’interfono. “A tutta la base, parla la Dottoressa Akagi. Prepararsi per l’arrivo dell’unità
Evangelion 03. Tempo previsto, venti minuti.”
Nello schermo dello spogliatoio Gabriel alzò gli occhi verso
la telecamera e chiuse il fascicolo che aveva tra le mani. Per
un attimo Misatocredette
di vedere nel suo sguardo una punta di disperazione, ma dovette essere solo una
sua impressione, perché subito dopo vi lesse solamente determinazione ed una
punta di nervosismo, peraltro perfettamente giustificabile. Premette il
tasto che la mise in comunicazione solamente con lo spogliatoio e parlò nel microfono.
“Gabriel, sei pronto?”
Il ragazzo raddrizzò la schiena e annuì vigorosamente alla
telecamera. Misato sorrise, teneramente.
Sì, una bella vacanza se la merita.
Il liquido speciale gli entrò nei polmoni con la consueta
sensazione di oppressione al petto, che scomparve in
pochi secondi. L’entry plug assunse il caratteristico
colore giallognolo provocato dalla rifrazione della luce artificiale e Gabriel
chiuse gli occhi. Non avvertiva ancora nulla attorno a sé, segno che la
connessione neurale con l’Evangelion non era stata
ancora attivata.
“Tutto bene, Gabriel?” chiese Misato
attraverso l’altoparlante. “Nessuna anomalia,” fu la
risposta.
Nella sala comando della piccola base di Matsushiro,
dove erano stipate più di dieci persone intente a
tenere sotto controllo numerosi indicatori, il Maggiore sbuffò.
“Sembra che alla fine ce l’abbiamo fatta,” commentò.
Avevano impiegato un’ora per installare lo 03 nell’unica
gabbia disponibile in quella base, ed un’altra mezzora per effettuare
tutti i collegamenti tra il suo sistema di controllo ed il Little Magi, la
copia infinitamente meno complessa del Magi System che operava laggiù. Oltre a tutto questo, Misato e Ritsuko avevano impiegato quasi quindici minuti per congedare
gli ufficiali americani, che si erano impuntati per avere una fotografia con
loro due e per pranzare insieme. La seconda richiesta fu glissata con la
scusa di dover effettuare il test di attivazione al
più presto possibile, ma per la prima non ci fu niente da fare: le due donne si
costrinsero a non apparire troppo scocciate mentre i piloti effettuavano
un’interminabile serie di fotografie.
Come se non bastasse, si era fatto ormai pomeriggio
inoltrato e nella migliore delle ipotesi non avrebbero finito
test e analisi prima di mezzanotte.
Ritsuko annuì alle parole
dell’amica, asciugandosi un sottile velo di sudore dalla fronte; sebbene l’aria
condizionata fosse attiva, la tensione e la presenza concentrata di così tante
persone avevano l’effetto di renderla praticamente
inesistente.
“Dallo 03 non rilevo reazioni anomale,”
rispose la bionda.
“Bene,” decretò Misato,
tornando a guardare il volto minaccioso dell’Evangelion
attraverso lo schermo. “Diamo inizio al test.”
Come gli era stato detto, Gabriel si concentrò sulle proprie
percezioni, attendendo che ad esse si sovrapponessero
quelle della macchina a mano a mano che la connessione neurale aumentava il
proprio tasso di sincronia.
Nell’entry plug intanto
risuonavano interminabili i rapporti degli operatori, che sciorinavano una mole
impressionante di dati sulle complesse reazioni che venivano
registrate dallo 03. Ma nella mente di Gabriel, ancora nulla aveva affiancato la
preoccupazione che la sua Rei fosse in pensiero per
lui.
Ritsuko esaminò con occhio critico
le onde sinusoidali dei grafici che si andavano sovrapponendo, senza rilevarvi
problemi. Se tutto fosse proseguito a quel modo, la Nerv avrebbe potuto contare su un’arma in più nella sua
lotta contro gli Angeli.
“Va ancora tutto bene, Gabriel?” chiese attraverso il
microfono.
“Roger, niente da riferire,” rispose il FourthChildren. “Avverto solo la consueta tensione muscolare che
prelude alla connessione.”
“Tutto perfettamente normale, allora,”
commentò la scienziata. Stando a quanto riportato dagli altri Children durante i loro test di attivazione,
quella tensione preannunciava l’instaurarsi di una connessione promettente.
Sorrise, decisamente tranquillizzata man mano che gli
indicatori si avvicinavano al livello critico.
“Siamo in procinto di raggiungere la linea di demarcazione
assoluta,” dichiarò un operatore, mentre le spie verdi
arrancavano con apparente difficoltà verso il loro limite, per poi superarlo
d’un soffio. In quel momento, gli occhi dell’Evangelion
si accesero di una luce bianca abbacinante.
“Aumento anomalo del livello energetico!” sbottò un’altra
operatrice, e presto le fecero eco i suoi colleghi, riportando valori del tutto
inaspettati e fuori scala. Qualcosa stava andando
storto.
“Gabriel, Gabriel, mi senti??” chiamò Ritsuko,
ora decisamente allarmata. Misato
strinse le mani sullo schienale di una delle sedie, fissando con ansia il volto
disumano dello 03 che aveva cominciato ad oscillare, come se l’immenso robot
fosse intontito. Dall’interno dell’entry plug, però,
non giunse nessuna risposta.
“Frequenza cardiaca del Pilota in aumento! Anche la pressione sanguigna! Onde cerebrali… mio Dio!”
Ritsuko si voltò verso lo schermo
con i dati sulle funzioni vitali di Gabriel ma non riuscì a commentare
l’affermazione dell’operatore che li stava leggendo poco prima. Il tracciato
neurale del FourthChildren
aveva assunto una conformazione mai vista, fatta di picchi ed affossamenti impossibili
in un essere umano.
Senza attendere oltre, Misato fece
per ordinare l’espulsione dell’entry plug, ma fu
anticipata da una reazione dello 03 che la lasciò senza fiato. Una delle
sezioni dorsali dell’armatura si sollevò, mostrando sotto di essa
un tessuto biancastro e fibroso, del tutto diverso dalla struttura biologica di
un Evangelion. Il Maggiore Katsuragi
non riuscì a finire la frase e Ritsuko ebbe a mala pena le forze per pronunciare le parole che tutti i presenti
stavano pensando. “E’… un Angelo!”
Quella che fu l’unità Evangelion03 spalancò le fauci spezzando la corazza facciale, ed un
attimo dopo la base di Matsushiro sparì in una sfera
di luce accecante.
“Accidenti, proprio adesso doveva attaccare??” sbottò Asuka,
ansimante, quando i tre Children ebbero raggiunto gli
spogliatoi.
“Sbrighiamoci a farla finita,”
rispose Shinji, risoluto, mentre imboccava la porta
della sezione maschile. “Comunque, se la tireremo per
le lunghe, potremo contare anche sull’appoggio di Gabriel, suppongo.”
Quando il ragazzo fu sparito, anche
Asuka e Rei si recarono nel rispettivo spogliatoio.
“Che tempismo perfetto,” commentò
la SecondChildren
cominciando a svestirsi. “Se questo tredicesimo Angelo avesse aspettato un paio
di giorni ad attaccare avremmo potuto prendercela
molto più comoda.”
Non ottenendo risposta, la ragazza si sporse dall’altra
parte del telo divisorio che garantiva a loro due un sufficiente grado di
privacy anche in quella situazione. Rei era seduta su
una panca, già spogliata, ma la plug suite le giaceva
in grembo, mentre lei si teneva le braccia strette attorno al busto. Tremava.
“Ehi, che ti prende, Ayanami!” le si rivolse Asuka, raggiungendola e sedendosi accanto a
lei. Da quell’angolazione
poté notare che stava piangendo; non l’aveva mai vista piangere, e più di una
volta aveva creduto che non ne fosse capace.
“Soryu…” singhiozzò
la First Children. “Ho… paura. Ho un brutto presentimento…”
Sebbene un tempo non si sarebbe mai
sognata di fare un gesto simile, Asuka le posò delicatamente una mano su un
avambraccio, scuotendola leggermente e sorridendo. “Non dovresti crucciarti.
Gli Angeli attaccano quasi sempre Neo Tokio-3, non so
per quale motivo, ma Matsushiro dovrebbe essere
abbastanza sicura.”
Nonostante la buona volontà, si
rese conto che le sue parole non erano suonate molto rassicuranti, ma ciò era
proprio quello che credeva; a parte il sesto Angelo, che l’aveva attaccata in
mare, e l’ottavo, che era stato stanato dalla Nerv,
tutti gli altri erano stati attirati per qualche motivo ignoto a Neo Tokio-3.
Dopo qualche altro momento Rei riuscì a calmarsi abbastanza
da controllare il proprio pianto: le parole dell’amica non l’avevano
tranquillizzata più di tanto, ma sapeva che non avrebbe fatto nessuna
differenza se fosse rimasta lì a piangersi addosso; se voleva veramente
proteggere Gabriel doveva indossare la sua plug suite
e salire sullo 00. Ritornata presente a se stessa, la ragazza sorrise
debolmente ad Asuka ed annuì. “Ora va meglio, grazie.”
Le due si alzarono in piedi e la First Children
indossò la propria tuta, mentre l’altra rimaneva in disparte, pensierosa.
Rei… Tu e i tuoi brutti presentimenti! Ora li hai attaccati
anche a me!
“Sei pronta?” le chiese la rossa,
incoraggiante. Rei annuì e terminò di indossare il
diadema di connessione prima di uscire dallo spogliatoio femminile.
Nel giro dell’ora successiva i tre ragazzi entrarono nei
rispettivi Evangelion e si disposero in uno schema
d’attacco che il Comandante Ikari ed il suo Vice Fuyutsukiavevano elaborato con
attenzione, in modo da limitare al minimo i possibili danni provocati alla
città. L’obiettivo si avvicinava proprio dalla direzione di Matsushiro,
cosa che gettò Rei nuovamente nell’inquietudine, ma Gendo
fu sollecito nello specificare che esso era comparso sugli schermi radar della Nerv molto lontano dalla
base secondaria, e che quindi non era affatto scontato che fosse passato in
quella zona. Contrariamente a quanto era accaduto con Asuka, Rei non si sentì
affatto rassicurata da quelle parole, ed il suo tasso di sincronia fu sensibilmente
inferiore al solito quando si mosse per raggiungere la posizione che le era
stata assegnata.
Costantemente informati dai dati letti ad alta voce da Makoto, i tre Children rimasero in attesa per un tempo che parve loro infinito, pronti a
tutto. Poi lo videro, e seppero che non erano pronti abbastanza.
Uscì da dietro una bassa collina, stagliandosi contro il
sole al tramonto: aveva lunghe braccia e camminava dinoccolato, ingobbito, come
una belva minacciosa pronta a scattare ma anche come una creatura schiacciata
da un pesante fardello. La visione che i tre ebbero era talmente assurda che
per un attimo cedettero che si trattasse di un difetto nel sistema visivo della
propria macchina.
Non può essere…
E’ assurdo…
Gabriel…
Gabriel sentì un dolore lancinante alla nuca, ma durò solo
un attimo. Subito dopo aprì gli occhi e non era più nell’entry plug. La sua ragione gli urlava di restare allerta, che era
ancora in pericolo, sebbene non ne capisse il motivo, ma una piacevole
sensazione di pace gli ottundeva i sensi.
Ricordava vagamente un test, una cosa chiamata Evangelion, ma, tutto sommato,
sentiva che quei ricordi non avevano molta importanza per lui. Tranne un volto, circondato da corti capelli azzurri…
Si alzò a sedere sull’erba ed inspirò con piacere la fresca
aria di quel mattino di primavera, così diverso dall’estate torrida che aveva
conosciuto negli ultimi mesi della sua vita.
Non si preoccupò nemmeno di non avere più indosso la plug suite o il diadema di connessione, ma di essere
completamente nudo. Si drizzò in piedi e si stiracchiò, e finalmente la voce
della sua ragione si zittì. Si sentiva del tutto a suo agio, in quello
splendido giardino circondato di alberi di dattero.
Una figura si mosse al limite del
suo campo visivo. Incuriosito, Gabriel le si avvicinò.
“Cosa sei?” chiese.
L’essere si voltò a guardarlo, o almeno quella fu
l’impressione del ragazzo, perché non avrebbe saputo dire se avesse avuto un
volto. Il suo corpo aveva una forma indistinta, vagamente umanoide, che emanava
un’abbagliante luce bianca.
Gabriel.
Quel nome gli risuonò nella mente priva di un’intonazione,
come se fosse un mero concetto trasmesso senza bisogno di passare per le
parole. Il ragazzo fu alquanto stupito di sentire che l’essere luminoso lo
aveva chiamato per nome, anziché rispondere alla sua domanda. “No, quello è il
mio nome” riprese, più incuriosito che intimorito. “Come fai
a conoscerlo? Chi sei?”
Sono il fratello a te più vicino per splendore.
Gabriel continuava ad essere confuso. “Ma
io non ho fratelli.”
Ne hai più di quante siano le
stelle del cielo, o i granelli di sabbia nel deserto.[1]
Una lieve forma di consapevolezza si fece strada nella mente
ingenua di Gabriel. Sapeva che quella figura luminosa aveva ragione, ma non
riusciva a comprenderne il motivo. “Non riesco a capirti, Bardiel,” le disse, senza nemmeno interrogarsi su come facesse a
conoscere il suo nome.
Non siamo fatti per capire.
Noi, figli di Adam, abbiamo un
solo scopo.
Kernberg era febbricitante, ma
continuava a scrivere furiosamente sui propri fogli, una pagina dopo l’altra di
possibili traduzioni, di note, di cancellature. “E’ la Profezia,” mormorò fra sé, mentre stracciò un’altra pagina e alzava
gli occhi sulla stele, i cui segreti era finalmente giunto a svelare. “Questa è
la vera Rivelazione[2], la Parola di Dio…”
Tremando, ricominciò a scrivere l’ultima strofa di quello
che, ormai lo aveva capito bene, era l’ultimo segreto che Dio aveva per gli
uomini. E lui stesso lo stava svelando.
“‘Sorse una nuova Lilith’,” recitò febbrilmente.
“‘Sorse un nuovo Adam.
E lui giudicò i peccati degli uomini.
Lui che è l’Eroe di Dio’.”
Colto da una vertigine improvvisa, Kernberg
rantolò e si abbatté sulle proprie carte, svenuto.
“Comandante Ikari…” mormorò Shinji, incredulo. “Cosa sta
succedendo?”
“Quello è il vostro obiettivo,”
rispose freddamente Gendo.
“Ma, Comandante!” si sentì
obiettare Makoto. “E’ il tredicesimo Angelo, non vi
sono dubbi a riguardo,” proseguì imperterrito il
Comandante. “Sbaglio forse, Tenente Hyuga?”
Ci fu un attimo di esitazione, poi Makoto sussurrò con un filo di voce, esterrefatto.
“Presenza di A. T.Field confermata. Diagramma d’onda blu. Ha ragione,
Comandante, quello è un Angelo.”
“NO! NON PUO’ ESSERE VERO!” sbottò
Rei frastornando coloro che erano in ascolto. Le lacrime
le offuscarono gli occhi e si disciolsero nell’LCL,
rendendolo salato al gusto. Tutto attorno a lei la visuale dell’esterno vacillò
e per un attimo fu come se andasse in frantumi.
“Il tasso di sincronia del First Children
è in picchiata!” annunciò allarmata Maya, che continuò
a leggere i dati sul proprio monitor. “Sessanta percento! Quaranta! Venti
percento!! Il valore è sceso sotto la soglia critica, l’Eva
00 non può più muoversi!”
“Rei, dannazione, calmati!” sbottò Gendo, cogliendo di sorpresa Fuyutsuki
alle sue spalle, il quale non si sarebbe mai aspettato una tale dimostrazione
di emotività da quell’uomo.
“Là sopra c’è Gabriel! Il mio Gabriel!” continuò Rei, imperterrita. “Tiratelo fuori da
lì!”
“Espulsione forzata dell’entry plug!”
ordinò Fuyutsuki, decidendo di sua spontanea
iniziativa di scavalcare il suo capo.
Makoto eseguì l’ordine, e la
copertura dell’entry plug dello 03 saltò via dalla
sua sede. Uscì anche uno sbuffo di vapore quando i razzi della capsula si
accesero, ma essa rimase saldamente inserita nella macchina-Angelo.
“Qualcosa la trattiene, è impossibile mettere in salvo il
Pilota,” fece rapporto Makoto.
Dalla propria scrivania, sovrastante il resto della sala
comando, Gendo socchiuse gli occhi, come se fosse
pensieroso. Dopo un attimo però li riaprì, e la sua espressione era più
decisa che mai. “La nostra priorità è la distruzione dell’Angelo: procedere
come previsto.”
“NO!” si oppose nuovamente Rei, ma
nonostante i suoi sforzi sulle manopole di comando, lo 00 restava
immobile.
“Scheisse,” imprecò Asuka, che uscì dalla propria postazione e puntò
il fucile contro l’Angelo. “Cercherò di renderlo innocuo!”
Lo 02 premette il grilletto, ma i proiettili potenziati
rimbalzarono sull’A. T.Field
generando delle onde esagonali arancione chiaro.
L’attacco però ebbe l’effetto di far conoscere al nemico la posizione di Asuka. Lo 03 si inarcò in avanti
e spiccò un balzo impossibile, roteando in aria ed atterrando proprio di fronte
allo 02. Sorpresa dalla rapidità di quel movimento, Asuka non ebbe nemmeno il
tempo di reagire. Con la destra la creatura afferrò il
fucile per la canna e la stritolo, mentre con il pugno sinistro trapassò il
petto dell’Eva 02, spuntandogli dalla schiena grondante sangue.
“Espulsione dell’entry plug!”
ordinò concitatamente Gendo. “Le condizioni del Pilota??”
Poco sopra il punto da cui usciva il braccio dell’Angelo, la
capsula dello 02 schizzò via ed atterrò a distanza di sicurezza, emettendo
unicamente il segnale radio di soccorso.
“Il Pilota è sofferente ma cosciente,”
proseguì Maya.
“Hai sentito, Shinji?” chiese il
Comandante, tornato freddo ma teso. “Asuka è al sicuro e Rei non è stata rilevata perché immobile. Ora solo tu puoi
affrontare l’Angelo.”
Shinji esitò. Era rimasto immobile
per tutti gli interminabili secondi che si erano succeduti dalla comparsa dello
03, ed ora continuava a non volersi muovere. “Io… IO
NON POSSO!! Là dentro c’è il mio migliore amico! Non voglio rischiare di
ucciderlo!”
“Se non entrerai in azione moriremo
tutti, lo capisci??” lo incalzò Gendo, ma fu
interrotto da un grido di suo figlio. L’Angelo infatti
non aveva perso tempo ed era già arrivato vicino allo 01. Questi, in un
movimento dettato dall’istinto di conservazione del suo Pilota, si scostò, ma
quel movimento fu sufficiente a rendere il nemico consapevole della sua
presenza. Le braccia dell’Angelo si allungarono a dismisura e le sue mani si
chiusero sul collo dello 01, stringendolo in una morsa mortale. All’interno
dell’entry plug, Shinji
sentì una fitta terribile al collo, le sue vie respiratorie si chiusero e
cominciò a soffocare.
“Dannazione, reagisci!” sbottò Gendo
alzandosi violentemente in piedi, ma Shinji non riusciva
a fare nulla.
Le mani dello 01 si chiusero sui polsi del nemico, ma la
loro forza era troppo scarsa per contrastarlo.
“I valori del Pilota oscillano pericolosamente!” annunciò
Maya gridando. “Integrità strutturale al venti percento! Se non lo
disconnettiamo subito il Pilota morirà per lo shock
neurale!”
Per alcuni infiniti secondi gli unici rumori che si udirono
furono lo strusciare delle mani dello 03 sul collo dello 01 ed i gemiti di agonia di Shinji.
“Comandante, dannazione!” si infervorò
Fuyutsuki, incapace di trattenersi di fronte al
silenzio ostinato del suo superiore. “E’ suo figlio, accidenti a lei!”
“Il Pilota dello 01 è inservibile,”
rispose finalmente Gendo, freddo come se stesse
ordinando una semplice operazione di routine. “Disinserire la connessione
neurale. Ora.”
“Pilota disinserito!” rispose subito Makoto.
L’entry plug dello 01 divenne all’improvviso scura e Shinji si lasciò cadere in avanti, boccheggiando ed
inondandosi i polmoni di LCL carico di ossigeno.
Intanto, le mani dello 01 caddero ed il suo corpo si afflosciò nella presa
spietata dell’Angelo.
“Reinizializzare l’Eva 01 e porlo
sotto il controllo del Dummy System,”
comandò Gendo, che tornò infine a sedersi.
“Ma, signore,” protestò Maya. “Non
è ancora stato collaudato!”
“E’ l’unica soluzione possibile. Se non funzionerà, allora
siamo già morti.”
“Ricevuto,” mormorò Makoto e digitò i comandi che avrebbero messo l’Evangelion 01 sotto il controllo del Dummy
System e, in definitiva, della Nerv.
“NO, NON POTETE!” sbraitò nuovamente Rei, brandendo le
manopole della propria capsula fin quasi a staccarle, ma senza ottenere
effetti. “COMANDANTE, NON PUO’ UTILIZZARE ME PER
UCCIDERE GABRIEL!!”
“DISINSERIRE IL COLLEGAMENTO CON L’UNITA’ 00!!” ordinò Gendo, ed i presenti rilevarono un’insolita animosità nelle
sue parole. Tuttavia la situazione non permetteva esitazioni.
“COMANDANTE IKARI!! LEI E’ UN BASTARDO!! IO LA…”
“Collegamento disinserito,”
commentò Makoto atono, mettendo da parte i propri
dubbi riguardo le parole della First Children. “Dummy System inizializzato.”
Fu come se lo 01 riprendesse vita. I suoi occhi si accesero
di una luce nuova, mentre la schiena si arcuava e le braccia si sollevavano,
stringendosi sul collo del suo avversario con forza pari a quelle che lo
stavano soffocando.
“Smettila, smettila, papà!” urlò Shinji,
che a causa dell’agitazione ritornò a chiamare Gendo
come aveva fatto in passato, molto tempo prima; la connessione parziale
necessaria per l’inserimento del Dummy System gli
permetteva infatti di vedere ciò che stava succedendo,
anche se era del tutto impossibilitato ad agire. Si accanì invano contro le
manopole di comando. “Dannazione, ferma questo robot!”
MaGendo
non si degnò di rispondergli. Anzi, sorrise al di sotto delle
sue mani incrociate: a quanto pareva, il Dummy System
funzionava a meraviglia.
Lo 01 puntò i piedi a terra scavando due profondi solchi ed
inarcò la schiena, contrastando la forza terribile dell’avversario. La sua
stretta si fece sempre più potente, finché la resistenza opposta dalla
superficie corazzata dello 03 cedette, e con essa i
suoi muscoli, le sue vertebre, il suo sistema nervoso centrale. Le braccia
assurdamente lunghe dell’Angelo si abbandonarono ai suoi fianchi, mentre nella
sala comando risuonava l’urlo disperato di Shinji.
Quello ben peggiore di Rei invece rimase all’interno della
sua entryplug, colma di LCL e lacrime.
Makoto strinse i denti e si
preparò a disinserire il Dummy System, ben
consapevole che il sistema nervoso del Pilota dello 03 avrebbe dovuto avere un
feedback devastante, probabilmente mortale. Ma
l’ordine non arrivava.
“Signore!” protestò.
“L’obiettivo non è ancora stato definitivamente sconfitto,” rispose Gendo.
In effetti, sebbene drasticamente diminuita, era presente
ancora una traccia energetica sui tracciati del Magi
System. Sconsolato, Makoto si risolse ad attendere
che l’inevitabile fosse compiuto.
Pezzo dopo pezzo, mentre Shinji
continuava ad urlare la propria rabbia e la propria disperazione contro suo
padre, lo 01 fece scempio di ciò che fu lo 03; come una belva infuriata, ne
strappò la corazza e ne lacerò le carni, spargendo per tutta la vicina area
cittadina brandelli di muscoli, sangue, arti, sistemi elettronici che un tempo erano integrati al resto della macchina umanoide. Maya non
riuscì a reggere a quello spettacolo e vomitò nel proprio cestino, mentre Shigeru la sorreggeva.
In un crescendo di follia, Shinjicredette di aver perso la ragione quando vide con i propri
occhi la mano dello 01, sconvolta dai tremiti, sollevare l’entry plug insanguinata che aveva estratto dal corpo dell’Angelo.
Oh Dio… Lì c’è Gabriel… Lì dentro c’è Gabriel, e potrebbe essere ancora vivo, nonostante lo shock!!
“Papà, ti prego,” singhiozzò mentre
la vista gli si offuscava per le lacrime, come era successo a Rei solo poco
tempo prima. Ma il silenzio fu l’unica risposta che
ottenne.
Signore e Dominatore delle Acque…
“Io…”
Amato fratello, compi ciò a cui siamo
chiamati…
“Non ti capisco, Bardiel…” il
giovane scosse il capo ora confuso continuando ad osservare la figura luminosa
dinanzi a se.
Ricorda…
“Ricorda…?”
Ricorda, Eroe di Dio.
E Gabriel ricordò, ed il suo grido di angoscia
scosse tutto il giardino, mentre l’immagine di Bardiel
si dissolveva dinnanzi ai suoi occhi, lacerata, e due grandi ali candide si
aprirono dietro la sua schiena.
Quando la capsula si frantumò fra le dita dello 01 con un
orribile rumore secco, come di ossa spezzate,
lasciando sgorgare un fiume ininterrotto di LCL e sangue, il suo urlo di dolore
risuonò nelle menti di tutti coloro che lo udirono, restandovi per molto tempo
dopo che si fu esaurito con un singhiozzo strozzato. Ma non fu nulla al
confronto delle urla folli che lanciò Rei, che scardinò
le manopole nel vano tentativo di far muovere l’ormai inutile 00 e si scagliò
con tutte le proprie forze contro lo sportello della capsula. Riuscì solo a
procurarsi delle ferite che insozzarono l’LCL di
sangue. Incurante della propria sicurezza, continuò imperterrita ad urlare
impazzita e a sbattere contro l’uscita, finché la spossatezza e lo shock non la
fecero scivolare nell’oblio.
Rei aprì gli occhi e non comprese
in che luogo si trovasse. Ci mise un po’ a capire che era in un letto
d’ospedale. Le facevano male le mani come se le avesse passate ripetutamente e
con forza su della carta vetrata. Non ricordava come ci era
arrivata.
“Il test di attivazione dello 00…”
disse tra sé e sé, passandosi una mano fasciata sulla fronte. Era particolarmente calda, come se avesse la febbre, eppure non si
sentiva particolarmente male. C’era solo un vago senso di angoscia che le opprimeva il petto, ma al quale non era
in grado di dare un nome. Nella stanza non c’era nessuno a parte lei, e la
porta era chiusa.
“No… quello è già avvenuto,” si
corresse, cominciando a rendersi conto del tempo passato da allora. “Allora
cos’è successo…? Perché mi trovo qui?”
Si sforzò di ripercorrere con la memoria gli ultimi
avvenimenti; ricordò il primo incontro con ShinjiIkari, quello con Asuka SoryuLangley, gli scontri con gli Angeli, la prima volta che
sorrise pensando a lui…
All’improvviso la realtà le tornò alla mente e fu come se
qualcuno le avesse tolto tutta l’aria dai polmoni. Il
grido di orrore che emise ghiacciò il sangue nelle
vene a tutti coloro che riuscirono a sentirlo.
Continua….
[1] Sono più o meno le parole con cui nella Bibbia Dio
garantisce ad Abramo una discendenza immensa (Gn 15, 5).
A quel grido lancinante accorse
subito la Dottoressa Akagi, che nonostante le ferite,
comunque superficiali, che aveva riportato aveva insistito per restare a
sorvegliare Rei. La ragazza non reagì vedendo la donna con la testa fasciata ma
continuò a gridare e dimenarsi nel letto, al punto da gettare all’aria le
coperte e tentare di strapparsi l’ago della flebo dal
braccio, che però era stato opportunamente fissato con del nastro adesivo.
“Fermati, Rei!” le intimò Ritsuko,
correndo verso di lei e tentando di tenerla ferma a
letto. Constatando però la propria inadeguatezza,
ancora indebolita com’era, chiamò a gran voce un’infermiera.
Rei continuava ad urlare senza
riuscire ad emettere parole di senso compiuto e ormai era quasi riuscita a
scivolare giù dal letto strisciando sotto la presa ben poco salda di Ritsuko. Finalmente però erano arrivate due infermiere, che
afferrarono le gambe della ragazza e riuscirono ad
immobilizzarla a letto, bloccandola con i propri corpi. Per tutta risposta la
First Children emise un terribile
urlo acutissimo, tanto simile all’ululato dell’unità 00 in berserk
che la scienziata ne rimase inquietata.
Dannazione, non l’ho mai vista in questo stato! Nemmeno i
calmanti in endovena le fanno qualcosa!
“Gabriel!” gridava la ragazza in lacrime dalla disperazione.
“Gabriel!!”
“Rei, Gabriel è vivo!” si intromise
Ritsuko, ma le grida di Rei erano talmente forti che
sovrastarono le sue parole. “E’ vivo! E’ vivo! Gabriel è vivo!” ripeté più volte ed alla fine riuscì a farsi sentire. A quel
punto la First Children sgranò gli occhi colmi di
lacrime e si zittì per un momento. La scienziata e le infermiere interpretarono
quell’attimo di calma come il termine della crisi e
lasciarono la presa, titubanti. In quell’istante
Rei scoppiò a gridare di nuovo, ma questa volta sorprese le tre donne
gettando le braccia al collo della Dottoressa Akagi. Quest’ultima rimase dapprima stupita da quel gesto,
incapace di reagire.
“Io gli ho detto di fermarsi,”
singhiozzò la ragazza, stringendosi forte al collo della scienziata, “ma lui…
lui…”
Non riuscì a terminare la frase e Ritsuko,
percependo già alle proprie spalle gli sguardi interrogativi delle due
infermiere, le congedò con un ordine secco. Non appena se ne furono andate poté
tentare di calmare Rei. Le appoggiò in modo un po’ goffo le mani sulle spalle,
rispondendo al suo abbraccio.
“Su, Rei,” tentò di consolarla in
modo alquanto ingenuo. “E’ tutto finito ora. Gabriel sta
bene, è proprio qui all’ospedale. Ora sta riposando, ma sopravvivrà di
sicuro.”
I singhiozzi della First Children,
soffocati dal camice della scienziata, si affievolirono fino a spegnersi.
Rimasero in quella posizione ancora a lungo, in silenzio, mentre all’esterno
della stanza la vita consueta dell’ospedale, turbata dalle grida di poco prima,
riprese a scorrere normalmente.
Ritsuko stava per dire qualche
altra banale frase consolatoria, rimproverando se stessa per la propria
goffaggine in quel momento tanto delicato, quando fu Rei
a ricominciare a parlare, stavolta sottovoce. Spostò la bocca dalla spalla
della donna e vi appoggiò la guancia arrossata dal pianto. “Lo odio,” disse, a malapena udibile. “Lo odio con tutta me stessa…”
Ritsuko non ebbe bisogno di
chiedere a chi si riferisse, poiché sapeva benissimo
che era la stessa persona che odiava lei. Piuttosto, si sorprese che la ragazza
fosse stata in grado di esprimere un tale sentimento negativo, sebbene potesse
essere comprensibile da parte di una persona normale in quello stato di
prostrazione. Con un impercettibile cenno stizzito del capo ridusse al silenzio
il proprio sguardo analitico ed il proprio essere scienziata
e si costrinse a posare una carezza sul capo di Rei. Le diede la stessa
sensazione che accarezzare una provetta da laboratorio, e questo accentuò il suo
fastidio.
“Hai ragione,” disse infine, da un
lato per continuare a consolare Rei, dall’altro per distogliere la propria
attenzione da ciò che provava. “Il Comandante Ikari è
una persona spregevole.”
La First Children non commentò
quelle parole ma, esausta, si abbandonò all’abbraccio di Ritsuko,
troppo stanca per continuare a parlare. Proseguì invece a singhiozzare ancora a
lungo.
“Voglio andare da lui,” annunciò
infine, facendo quasi sobbalzare la Dottoressa per la sorpresa di averla
sentita di nuovo parlare. Quest’ultima s’incupì,
anche se dalla posizione in cui si trovavano Rei non avrebbe potuto vedere la
sua espressione.
“Rei,” iniziò la scienziata con un
tono accomodante, “è vero che Gabriel è fuori pericolo, ma deve ancora
riposare, non credo che la tua presenza…”
“Io voglio andare da lui,” ripeté
la ragazza con una voce che non ammetteva repliche. Ritsuko
sospirò. “D’accordo. Però dovrò accompagnarti con una sedia a rotelle; il tuo
fisico ha subito un grave stress durante…” esitò, poi, notando l’irrigidimento
delle spalle di Rei, riprese, “durante l’attacco dell’Angelo, per cui non devi sforzarlo troppo.”
“Va bene,” acconsentì la ragazza,
che finalmente aveva finito di piangere. Si sciolsero dall’abbraccio e, mentre
la scienziata chiamava un’infermiera con il tasto apposito,
Rei si asciugava le lacrime residue. Non voleva che Gabriel la vedesse in
quello stato.
L’infermiera arrivò con la sedia a rotelle ed aiutò Ritsuko a depositarvi Rei. Quest’ultima
si meravigliò delle sensazioni che le rimandava il suo
corpo: sebbene poco prima fosse riuscita ad agitarsi vistosamente, in quel
momento sentiva un intenso formicolio alle estremità, al punto da non avervi
più la sensibilità, ed inoltre si sentiva mortalmente debole. Ma tutte quelle impressioni non le interessavano, voleva
solamente andare da Gabriel, dirgli che lo amava e che non avrebbe mai
perdonato il Comandante Ikari per ciò che aveva
fatto.
Lentamente, Ritsuko accompagnò Rei
fuori dalla camera mentre l’infermiera coglieva
l’occasione per rifare il letto. La First Children si
torceva le mani, come non aveva mai fatto in passato, cosa che rese pensierosa
la Dottoressa Akagi.
Il trauma che ha subito è stato molto rilevante… Credo
che non sarà più la solita ReiAyanami,
ed ho qualche dubbio anche sul fatto che potrà ancora pilotare l’Evangelion… Se non dovesse più risultare utile, cosa ne
farà Gendo…?
“Cosa succede?” chiese bruscamente
Rei quando la velocità costante della sedia a rotelle si ridusse. Ritsuko era sbiancata, ma le rivolse
una sorta di sorriso tranquillizzante. “Non preoccuparti, è solo un momento di
stanchezza.”
Rei non rispose e tornò a guardare
il corridoio innanzi a sé senza realmente vederlo. La donna
riprese a spingere, cercando di domare i battiti del proprio cuore.
Non può farlo… Non può
sostituirla in quel modo… Lui è ancora umano, anche se non più del tutto.
…
… Questa preoccupazione per Rei è forse una specie di
sentimento materno? Oppure è la semplice empatia che ogni
essere umano è portato a provare per i suoi simili? Se
del primo ambito mi ritengo una completa estranea, del secondo non sono affatto
una campionessa…
Non aveva ancora trovato una risposta a quei quesiti quando
il suo sguardo incontrò quello di GendoIkari, che stava camminando lungo il corridoio nella
loro direzione. Rei strinse con forza i braccioli
della sedia a rotelle, fissando con odio l’uomo e senza fare nulla per
nascondere i propri sentimenti. Dal canto suo Ritsuko
si sentiva come se stesse per scoppiare un uragano attorno a lei.
“Vedo che vi siete rimesse entrambe,”
disse con freddezza il Comandante Ikari. La
Dottoressa Akagi non rispose, ma sentì una resistenza
da parte della sedia a rotelle, che lei aveva continuato a spingere
imperterrita: Rei aveva inserito i freni e stava facendo forza sulle mani per
sollevarsi in piedi.
“Dannato bastardo,” sibilò tra i
denti stretti, tenendo lo sguardo basso. “Lei ha cercato di ucciderlo!”
La ragazza balzò in piedi dalla sedia a rotelle e tese le
mani verso il collo di Gendo; questi, atterrito dalla
reazione, fece un passo indietro e Rei gli afferrò con forza il bordo della
giacca. Le gambe però non la ressero e cedettero sotto di lei, facendola cadere
in ginocchio. Ritsuko guardò la scena esterrefatta:
la First Children non aveva mai avuto una reazione
nemmeno lontanamente simile. Anche l’uomo fu preso
totalmente alla sprovvista e rimase a guardare a bocca aperta gli occhi rossi
di Rei velati di lacrime che continuavano ad esprimere l’accusa che la voce
aveva smesso di pronunciare. L’attimo di turbamento del Comandante durò un
attimo, però. “Dottoressa, me la tolga di dosso!” ordinò. Ritsuko
obbedì senza nemmeno pensarci ed afferrò la ragazza sotto le braccia,
sollevandola dalla sua posizione ginocchioni.
“Non la perdonerò, se lo ricordi bene!” gridò Rei, mentre Gendo si allontanava quasi di corsa senza voltarsi. “Non la
perdonerò,” continuò a mormorare fra i singhiozzi
mentre la scienziata la rimetteva seduta e le risistemava i piedi sui supporti.
La donna non riusciva ad identificare ciò che provava dentro
di sé.
Perché sto soffrendo? E’ rabbia, la mia?
Compassione? O forse c’è anche una muta, meschina
gioia perché Rei è riuscita ad esprimere ciò che io non ho mai potuto dire ad
alta voce?
Mentre ricominciava a spingere la carrozzina, senza
commentare ciò che era appena accaduto ed ignorando gli sguardi incuriositi dei
medici e dei pazienti che incontrava lungo il
corridoio, si sfiorò accidentalmente l’addome, dove una nuova vita stava
crescendo.
Piccolo… o piccola… Non so come fare a farmi perdonare da
te, per averti fatto avere un padre del genere.
Non parlarono più finché non arrivarono di fronte alla
stanza di Gabriel. Finalmente la ragazza si era calmata e teneva lo sguardo
fisso di fronte a sé, le mani strette l’una all’altra, ed era seduta sul bordo
della sedia a rotelle.
“Rei,” iniziò Ritsuko
abbandonando la sua posizione e portandosi di fronte a lei. “Prima che entriamo
c’è qualcosa che dovrei dirti.”
“Di che si tratta?” chiese la First Children,
guardinga. Era molto provata dagli ultimi avvenimenti, nonché
dal recente incontro con il Comandante, ed era evidente la sua sospettosità
riguardo le parole di Ritsuko.
Perché non mi vuole far entrare? Cosa mi sta nascondendo?
“In questo momento Gabriel è in coma,”
riprese la scienziata e continuò subito, prevenendo l’espressione di allarme
sul volto della ragazza. “Non c’è di cui preoccuparsi, comunque.
Si sta solo riavendo dallo shock, un breve periodo di assenza
della coscienza è normale in questi casi.”
“Quanto durerà?” chiese Rei, la
voce affilata come un coltello.
“Al massimo una settimana,” fu la
risposta. Almeno questa volta la donna non avrebbe dovuto mentire, poiché la
stima era veramente così ottimistica. La brutta notizia era un’altra. “Però non
possiamo escludere che in qualche modo riesca a sentire ciò che si dice attorno
a lui,” continuò. “Per questo vorrei parlarti qui
fuori.”
“Che cosa vuole dirmi, che Gabriel
non dovrebbe sentire?” chiese ancora Rei, il tono di voce maggiormente elevato.
La Dottoressa Akagi deglutì.
“Vedi… è stato praticamente un miracolo
che sia sopravvissuto, Rei. Dovremmo essere grati già solo di questo.”
“Che cosa gli è successo, Dottoressa??” sbottò la ragazza,
agitandosi vistosamente sulla sedia a rotelle. Ritsuko porse le mani verso di lei per sostenerla se avesse
voluto alzarsi in piedi.
“Il fatto è che le ferite che ha subito erano gravi, anche
se non hanno intaccato le sue funzioni vitali…”
“CHE COSA E’ SUCCESSO??” ripeté Rei, stavolta gridando,
incurante degli sguardi infastiditi di coloro che passavano
da quelle parti. La scienziata comprese che non
avrebbe più potuto ritardare la comunicazione di quella notizia.
“I danni… Ecco, la stretta dello 01 ha lesionato alcuni
gruppi muscolari e tendinei di braccia e gambe. Se per le gambe ciò non comporta un grave problema, per le mani…”
Rei la fissò a bocca aperta e si
ritrasse contro lo schienale, come se volesse sfuggire alle parole della donna,
ma questa ormai sapeva di non poter più tacere. “C’è la consistente possibilità
che i movimenti fini siano irrimediabilmente
compromessi, il che vuol dire che forse non potrà più muovere le dita come
prima. E quindi…”
Ritsuko si umettò le labbra, non
trovando le parole per proseguire, ma fu Rei a
terminare in lacrime la frase per lei. “… Quindi non
potrà più suonare…”
Con la morte nel cuore la
scienziata annuì. “Sì.”
Quella singola sillaba risuonò come una condanna a morte
nelle orecchie della First Children, che si abbandonò
all’indietro come una marionetta cui fossero stati
tagliati i fili. Ed in effetti, per Gabriel quella era
una vera e propria condanna a morte.
MisatoKatsuragi
non se l’era cavata bene quanto la sua amica Ritsuko.
Sebbene fosse stata riparata dall’esplosione di Matsushiro grazie ad una spessa paratia metallica che le
era caduta addosso, aveva riportato un trauma cranico ed una frattura al
braccio sinistro, oltre a numerose altre ferite di scarsa gravità. Soccorsa
dalle squadre di intervento di Neo Tokio-3, supportate
da agenti specializzati della Nerv, era stata curata
dapprima in un ospedale da campo allestito d’urgenza e poi trasferita
all’ospedale generale della sua città. Qui riprese conoscenza e apprese
sconvolta di ciò che era successo alla base e all’unità Evangelion
03, ma, nonostante la sua rabbia e le sue minacce, non era riuscita a sapere
nulla della sorte del FourthChildren
né degli altri. Solo dopo tre giorni dalla tragedia, quando era ormai chiaro
che la ferita alla testa non avrebbe provocato particolari problemi, fu
trasferita nell’ospedale sotterraneo della Nerv.
“Infermiera,” disse con finta
gentilezza quando fu accompagnata su di un letto dotato di ruote all’interno di
una delle stanze per i degenti, “ora che sono stata finalmente giunta nella mia
stanza, può farmi la cortesia di farmi avere SUBITO notizie della Dottoressa RitsukoAkagi e dei Children? Grazie.”
L’infermiera la accostò ed annuì, dopodiché uscì subito
dalla porta borbottando qualcosa sull’arroganza della paziente. Misato sbuffò cercando di tirarsi un po’ su rispetto a
quella posizione sdraiata ma sobbalzò nel momento in cui qualcuno scostò
all’improvviso la tenda che fungeva da separé e divideva la stanza in due.
“Misato??” chiamò Satoshi, gli occhi sgranati ed in preda allo sbalordimento.
“Satoshi!” esclamò lei, sorpresa e
felice, ma la sua espressione mutò bruscamente quando si accorse che l’amato
non sembrava affatto contento di vederla.
“Cosa ti è successo?” chiese l’uomo
freddamente.
Misato chinò il
capo prima di rispondere. Sapeva che era stato diramato dallo stesso
Comandante Ikari l’ordine tassativo di mantenere il
silenzio su quanto avvenuto con lo 03 nei confronti di chiunque già non avesse
saputo. Ciò significava che Satoshi non sapeva niente
dell’incidente di Matsushiro, del tredicesimo Angelo
o di ciò che era capitato a lei o a Gabriel…
Guardandolo negli occhi la donna seppe che non avrebbe
potuto mantenere il segreto con lui o raccontargli una menzogna: dopotutto lui
era pur sempre il capo della sicurezza della base Nerv
ed era stato da poco nominato Capitano, era assurdo che non dovesse sapere
nulla. E poi erano già passati tre giorni…
“Misato, non mi dire che hai fatto
un incidente con la Renault Alpine perché altrimenti
non saresti stata ricoverata qui e in ogni modo mi sarebbe stato comunicato,” continuò Satoshi, impassibile. Misato sospirò.
“Non ho fatto nessun incidente con la Renault
Alpine,” confessò. “Ha attaccato un Angelo.”
Vedendo che l’uomo era balzato seduto e stava per alzarsi in
piedi, nonostante la smorfia di dolore e l’assenza delle stampelle, Misato si affrettò a precisare. “Non preoccuparti, è già
stato sconfitto!”
L’uomo esitò qualche secondo, valutando se lei gli aveva detto la verità o aveva mentito solo per
tranquillizzarlo, ed infine decise che non si trattava di una bugia. Tornò a
sedersi e si ridistese in una posizione più comoda.
Ora il suo sguardo esprimeva nuovamente preoccupazione per la donna che amava.
“Le tue ferite sono gravi come sembrano? E i ragazzi
come stanno? E Gabriel? Avevo sentito che qualche
giorno fa avrebbe dovuto sostenere il test di attivazione
dello 03, com’è andato? Ha combattuto la sua prima battaglia da solo?”
Misato sorrise alla raffica di
domande del suo fidanzato, ma non fece nessuno sforzo per nascondere la
tristezza di quel sorriso. “Ehi, una domanda per volta. Per le mie ferite, la
più grave è questa frattura al braccio, per il resto sto bene. Per il resto…”
Alla sua esitazione Satoshi si allarmò di nuovo. “Cos’è successo??”
“L’Angelo ha attaccato durante il test di attivazione
dello 03. L’Angelo… era lo 03.”
Senza dare il tempo a Satoshi di
rispondere a quella notizia, continuò. “La base di Matsushiro
è andata distrutta e l’Angelo si è diretto qui, ma fortunatamente lo 01 l’ha
fermato in tempo. L’ha distrutto…”
“E Gabriel?? Era ancora nell’entry plug?? Come sta??” la interruppeSatoshi, quasi gridando per l’ansia. Misato
esitò di nuovo, ma non tanto quanto prima perché
l’altro non fraintendesse.
“Ne so poco, a dire la verità. Non sono trapelate molte
notizie. So per certo che è sopravvissuto, sebbene fosse rimasto nell’entry plug per tutto il tempo, ma non so dirti altro. Sto infatti aspettando che quell’infermiera
torni con notizie sue, degli altri Children e di Ritsuko.”
Satoshi rimase pensieroso. “Quindi
è come se fossimo tagliati fuori dal mondo…”
“Sì…”
Restarono in silenzio per lunghi attimi, poi l’uomo riprese la parola. “Non dovevi rischiare così tanto.”
Lei sorrise debolmente. “Faccio il mio lavoro.”
“Per fare il mio lavoro guarda come mi sono ridotto: mesi a
letto, una riabilitazione infinita, mille preoccupazioni a te e ai ragazzi. Non
voglio che succeda lo stesso a te.”
Lei si limitò ad annuire, per poi aggiungere. “Da quando gli
Angeli hanno cominciato i loro attacchi siamo tutti in
pericolo, non importa quante misure di protezione si prendano. Il fatto che l’Evangelion 03 si sia manifestato come tredicesimo Angelo
era del tutto imprevedibile, quindi non si è potuto fare assolutamente niente
per limitare i danni.”
Satoshi però scosse il capo, con l’aria di chi non vuole sentire ragioni.
“Promettimi che starai sempre attenta, qualunque cosa
succeda, Misato. A te e ai ragazzi.”
Nonostante la stanchezza, che era
tornata a farsi sentire insieme all’intontimento dovuto alle ferite a causa
dello stress del viaggio e del ritorno alla memoria di quegli avvenimenti
dolorosi, il Maggiore Katsuragi annuì, seria. “Te lo
prometto. E starò attenta anche a te.”
In quel momento entrò l’infermiera che Misato
aveva sgarbatamente mandato a cercare informazioni. Ora però i due occupanti
della stanza la stavano fissando con aria trepidante. La donna appena arrivata
non tradì alcuna irritazione per il modo in cui era
stata trattata in precedenza, ma anzi sorrise, tranquillizzante. “Non vi
preoccupate. Mi hanno riferito che il FourthChildren è ricoverato qui ed anche se non si è ancora
svegliato non è più in pericolo di vita.”
“Grazie al cielo,” mormorò Satoshi, rilassandosi contro il proprio cuscino, usato come
schienale.
“E della Dottoressa Akagi non ha nessuna notizia?” intervenne Misato, rasserenata ma ancora in ansia per l’amica. Il
sorriso dell’altra si allargò ancora di più e le si illuminò
lo sguardo. “Sta bene, Maggiore. A quanto pare ha
riportato solo qualche contusione e abrasione, è già tornata al lavoro. Ed anche il suo bambino sta bene.”
Quella notizia colse entrambi di sorpresa. Si scambiarono
uno sguardo interrogativo, poi Misato chiese
conferma. “Bambino?”
“Sì,” confermò l’infermiera. “Non
lo sapeva ancora? La sua amica aspetta un bambino!”
Convinta di aver comunicato una lieta notizia, la donna se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle. I due occupanti
della stanza si guardarono negli occhi di nuovo.
“Tu ne sapevi qualcosa?” chiese Misato
al proprio fidanzato.
“Assolutamente no,” rispose quest’ultimo. “Ora che ci penso,
però, era da un po’ che si comportava in modo strano…”
Ora il Maggiore però aveva lo sguardo perso nel vuoto, al
punto che Satoshisi interruppe,
convinto di venire ignorato per qualche motivo.
“C’è qualcosa che non va?” le chiese.
“No,” fu la risposta, prodotta con
appena un filo di voce. “Mi domando solo chi sia il padre…”
A scuola nessuno sembrò badare al banco vuoto di Gabriel;
non per malignità, ma semplicemente per nascondere la sofferenza che tutti
provavano, come se non parlandone essa se ne andasse. E così Toji e Hikari
litigavano a voce più alta, Kensuke esagerava un po’
nell’esaltazione dell’ultima novità in fatto di videocamere, Motoko e le sue
amiche parlavano quasi ossessivamente del più e del meno, evitando anche solo
di guardare la sedia vuota.
Addirittura Shinji e Asuka stavano
collaborando alla soluzione di un problema matematico, invece di litigarci
sopra come al solito, perché anche se ormai erano
ufficialmente insieme, la ragazza continuava a rifiutare di aiutare il ThirdChildren con la scusa di
spronarlo a studiare di più.
Solamente Rei non partecipava al
clima teso e compulsivamente agitato della classe.
Sola, seduta al suo banco a capo chino su uno schermo la cui casella e-mail non
lampeggiava più, non poteva non pensare al suo Gabriel.
Quando aveva saputo che il FourthChildren avrebbe potuto perdere la capacità di suonare il
pianoforte, pochi giorni prima, aveva insistito comunque
per entrare nella stanza. Ritsuko, seppur a
malincuore, aveva acconsentito. La First Children non
aveva saputo trattenere le lacrime vedendolo incosciente sul suo letto, il
corpo e la testa interamente avvolti da bendaggi stretti che lasciavano
intravedere solo gli occhi chiusi e pesti e le labbra aperte, attraverso le
quali passava il tubo che garantiva un regolare
afflusso di ossigeno anche nel caso di un’improvvisa crisi respiratoria. Le sue
mani erano inserite in due blocchi gemelli di gesso, e solamente le punte delle
dita sporgevano dalla massa bianca. Rei gliele aveva baciate
una ad una, sperando in cuor suo di suscitare almeno una risposta al dolore,
una qualunque reazione che le dimostrasse che lui non era troppo lontano, che
non l’avrebbe abbandonata, nonostante le rassicurazioni della Dottoressa Akagi. Ma la donna non sapeva cosa
volesse dire per Gabriel perdere la capacità di suonare il pianoforte.
Per lui la musica era la vita, non c’era
distinzione tra le due. Suonare era per lui come respirare era per chiunque
altro: se non avesse più potuto suonare, Gabriel sarebbe appassito lentamente
fino a spegnersi.
Ritsuko non sapeva con quanta
passione le sue dita sfiorassero i tasti del
pianoforte, lievemente eppure in grado di trarne qualsiasi suono volesse. Non
aveva ascoltato la splendida opera che aveva scritto per la ragazza che amava,
togliendo tempo al sonno ed agli studi e abbassando il proprio tasso di
sincronia. I suoi accordi e le sue molte melodie erano tornate
in mente a Rei in quei momenti, mentre guardava tra le lacrime l’amore della
sua vita, costretto in ceppi di gesso e garza. Il pensiero che forse non
avrebbe più potuto suonarle una melodia, accennarle una fuga leggera e vibrante
al tempo stesso, cantarle una ninna nanna sulla punta delle dita le riempiva
l’animo di disperazione. Cosa ne sarebbe stato di lui
senza la musica? Cosa ne sarebbe stato di un angelo
senza le sue ali?
Da quel giorno le condizioni di Gabriel erano andate
migliorando: era stato registrato un breve fremito delle palpebre, il segno più
evidente del suo ritorno nel mondo della veglia dall’attacco dell’Angelo. In
effetti, l’équipe medica che lo seguiva si dichiarava sorpresa delle capacità
di ripresa del suo corpo. Nonostante i gravissimi
traumi che aveva subito, tutti i suoi apparati stavano reagendo ad una velocità
incoraggiante, ragion per cui era stato evidente fin
da subito che il ragazzo era fuori pericolo. Tuttavia alcune zone del suo
scheletro erano rimaste praticamente sbriciolate dopo
la distruzione della sua entry plug, ragion per cui
sarebbe servito un trattamento molto più avanzato rispetto alla mera
ingessatura per recuperarle. Se ciò non costituiva
gravi problemi per le ossa lunghe, come la tibia destra o l’omero sinistro, per
quanto riguardava la delicata ossatura delle mani il discorso si faceva più
complesso. Essa era infatti deputata alla mobilità
fine, e i medici non avevano dato false speranze a Ritsuko,
quando le avevano comunicato che avrebbero fatto il possibile per salvare
almeno l’apparenza di una funzionalità. Ovviamente, la Dottoressa non aveva
riportato quelle stesse parole a Rei, tuttavia la
ragazza era riuscita facilmente ad oltrepassare la sua reticenza.
“Allora, si può sapere cos’è questa confusione?” brontolò il
professore di matematica, appena entrato nell’aula. Hikari
smise prontamente di litigare con Toji e si esibì
nella sua solita sequenza di ‘in piedi, saluto, seduti!’. Tutti eseguirono e si
prepararono a seguire con una rilassatezza forse eccessiva quell’ennesima
lezione, che si preannunciava molto noiosa. Tutti
tranne Rei, il cui sguardo continuava ad essere attratto da quella sedia vuota.
“Suzuhara!” esclamò la Capoclasse
non appena l’ultimo professore della mattinata fu uscito dall’aula e fu
iniziata la pausa per il pranzo. L’interpellato si volse lentamente, simulando
un’espressione annoiata. “Cos’ho fatto stavolta?”
Hikari, quasi scandalizzata dalla
supponenza del compagno, iniziò una lunga serie di invettive,
che suscitarono, più dell’indignazione di Toji, la
sua ilarità e quella dei compagni vicini.
Tale ilarità però terminò anzitempo, poiché era impossibile
ignorare la figura dai capelli azzurri che, seppure fosse perfettamente in
grado di sentire quel divertente scambio di battute, restava silenziosa accanto
alla finestra, l’espressione immutata. Anzi, i ragazzi della 2-A si sentirono
quasi obbligati a lasciarla stare, dedicandosi a cercare altre attività per
passare il tempo. D’altronde, Rei non fece assolutamente nulla per trattenerli.
Solamente Hikari decise di
rimanere. Asuka e Shinji, che sarebbero
rimasti a loro volta almeno per fare un po’ di compagnia all’amica,
restarono a guardare in disparte, pensando che forse sarebbe stato meglio
passare un po’ di tempo con una persona che non le ricordasse con la sua
semplice presenza di essere una Children.
La Capoclasse, dal canto suo, si sentiva emotivamente
incaricata di aiutare Rei in quel difficile momento, sebbene non avesse la
minima idea di come affrontarla. Mentre gli altri uscivano gradualmente
dall’aula, le si mise semplicemente vicino, rendendole
così impossibile ignorarla. Rei si voltò verso di lei
con aria inespressiva, simile eppure diversa da quella che aveva avuto durante
i primi tempi della sua permanenza in quell’aula.
Sembrava indifferente, eppure traspariva una tristezza abissale, che metteva Hikari a disagio e le faceva desiderare di non essersi
accollata quel compito gravoso.
“Ehm… Tutto bene?”
Lo sguardo di Rei fu l’unica risposta che ottenne, e l’altra
ragazza non poté fare altro che darsi dell’idiota per aver cominciato il suo
discorso con una frase del genere. Ciononostante sapeva che non avrebbe dovuto
lasciare che quell’inconveniente le impedisse di
tirare su il morale all’amica.
“Era una domanda stupida, lo so,”
sottolineò con un sorriso imbarazzato, ma Rei non mutò espressione. Era come
parlare ad un muro. Per darsi coraggio, Hikari cercò
di pensare che anche quando parlava con Toji le sue
parole non avevano effetto, e quell’idea
le fece balenare l’ombra di un sorriso sulle labbra. Ma
non si trattava di tirare su il morale a se stessa, questo lo sapeva bene,
perciò tentò di darsi un contegno serio ma disponibile.
“So che è dura,” riprese, “ma sono
certa che Gabriel riuscirà a riprendersi senza problemi, vedrai. Dacché lo conosco è sempre stato un ragazzo forte, che non
si lascia abbattere dalle difficoltà, e questa volta non sarà differente. E poi ha i suoi amici, che quando si risveglierà lo andranno
a trovare e lo aiuteranno! Ed ha te: come potrebbe
lasciarsi prendere dallo sconforto sapendo che una ragazza così carina è qui ad
aspettarlo[1]?”
Nonostante le sue migliori intenzioni, il sorriso della
Capoclasse le morì sulle labbra quando Rei la fissò
con le lacrime agli occhi, un’espressione disperata sul volto.
“Tu non sai… non sai…”
Dopo quelle poche parole la ragazza sbatté violentemente i
pugni sul banco, dando libero sfogo al proprio dolore, che ruppe gli argini e
si riversò dai suoi occhi come due fiumi in piena.
“Le sue mani…” singhiozzò. “Le sue mani sono…”
Non riuscì a terminare la frase, ma Hikariaveva capito: era successo qualcosa di grave, di molto
grave, alle mani di Gabriel. Istintivamente abbracciò Rei, stringendole la
testa contro il petto e chinando il volto su di lei, come faceva con la sua sorellina
quando era triste. Era vero, non sapeva niente di ciò che avrebbe significato
perdere le mani per un pianista come il FourthChildren, ma, ciononostante, non avrebbe
lasciato la sua amica sola con il suo dolore. Glielo doveva come donna. E d’altronde era un suo preciso dovere come Capoclasse.
All’inizio Rei si limitò a
singhiozzare, afflosciata nell’abbraccio della compagna di classe, ma dopo un
attimo si riprese abbastanza da stringerla a sua volta, con una forza che Hikari non si immaginava. Sembrava che tutti i dolori e le
sofferenze che aveva sofferto negli anni precedenti l’arrivo di Gabriel si
fossero sommati e si stessero riversando fuori in quel momento, in un unico
tremendo pianto. La Capoclasse avrebbe voluto dire qualcosa, ma sentiva che qualsiasi parola le fosse uscita dalle labbra
sarebbe stata inutile, se non addirittura dolorosa. Forse quello di cui Rei
aveva bisogno in quel momento era solamente essere
abbracciata, sostenuta, lontano dagli sguardi indiscreti dei suoi compagni che
non avrebbero capito il repentino cambiamento della sua personalità. Non aveva
scelto di sfogarsi con Hikari, tuttavia; lei era
l’unica che si fosse interessata al suo dolore e non avesse invece cercato di
fingere che non fosse successo nulla e che Gabriel fosse semplicemente assente
per malattia.
“Le sue mani sono…” ricominciò la First Children
quando i suoi singhiozzi si furono calmati. “Non potrà più suonare, Horaki…”
L’altra ragazza si limitò ad annuire: aveva già intuito che
si trattasse di un danno molto grave e non si stupì delle sue parole. E poi
forse in quel momento Rei voleva solo parlare, non
ascoltare.
“E se lui non suona… come può
volare un angelo senza ali…?”
Sapevano entrambe la risposta, ma solo il nuovo grido
lancinante della First Children la espresse.
Continua….
[1]: Quest’ultima frase di Hikari è
ispirata ad una frase di Meryl, personaggio dell’anime ‘Trigun’.